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FARNASSO ITALIANO
DANTE.
PETRARCA, ARIOSTO,
T A S S O.
Digitized by the Internet Archive
in 2010 with funding from
University of Toronto
http://www.archive.org/details/ilparnassoitalia01wagn
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I L
OVVERO:
I QUATTRO POETI CELEBERRIMI
ITALIANI.
LA DIVINA COMMEDIA
» I
DANTE ALIGHIERI;
LE RIME
FRANCESCO PETRARCA;
L'ORLANDO FURIOSO
D I
LODOVICO ARIOSTO;
LA GERUSALEMME LIBERATA
D I
r o R Q u A r o r A s s o
EDIZIONE
GIDSTA GLI OTTIMI TESTI ANTICHI,
CON
N O T K I S T O R I C H K E C R I à' I C 11 E.
COMPIUTA ly UN T GLUME.
ORNATA DI QUATTRO RITRATTI SECONDO RAFFAELLO UOIIGHEN
L I r S 1 A ,
PRESSO ERNESTO F L E I S C li E R.
18 2 6.
A L
PRINCIPE DE POETI,
GOETHE.
Lodola, uunzia e idea di primavera,
Che con giulivo canto in alto sale,
A celebrar 1' autor di questa sfera^y
<
lo, lesto e scevro della spoglia frale,.
Dai suon della TUA cetra tutto acceso,
Spiegai poggiando della mente 1' ale.
E qual io vidi schiudersi testeso
Giardino ameno, seggio de' poeti,
A dire invano ogni estro fora speso;
Tanti inspirommi sensi augusti e lieti
Quanto io vi scorsi di miracoloso
In boschi e augelli, e in floridi tappeti!
Che d* ogni idea ciò, che qua giù nascoso
Ne resta, o biforme, per vobr distretto,
Ribello a eterne leggi <■ o^gnor ritros»».
Là su sei vede (e TU lo sai!) perfetto,
Dì ^irtù formatrici amico coro,
Che indietro a' mimi suoi va stretto stretto.
E riverendo il sacro concistoro
De quattro vati, che in ombroso salto,
Cinte le tempia d' immortale alloro,
Si diportàr so^Ta 1' erboso smalto
D' un rivo al margo, io schivo e palpitante,
Pur non reggendo al mio gioir tanto alto:
Voi, dissi, che mi state altieri innante.
Sì eh' io mi son tra estatico e tra oppresso,
Puossi, che di mirarvi alfin mi vante?
Deh! se 1' amor di voi, debol riflesso
Del sommo lume, che la mente agogna.
Non vieta almen d' ambire questo accesso,
Mi vaglia questo amor, e mia vergogna
Il contemplar vostro esser più beato
Di quanto il volgo di là giù mai sogna!
Che il viso par eh' abbiate sol cangiato
In chi r alme aure beve, almo Proteo,
Che del vostro trovò secol più grato.
Ei, che Natura schietto e chiaro feo,
Sapevol intellettual cristallo,
Divoto e favorito corifeo.
Grato ne la ritrasse e senza fallo,
Svelandola tra timidetto e audace,
Qual sposo a isposa verginella fallo.
Onde egli splenderà, qual nozial face,
A quanti d' ingollarsi negli abissi
Delle sostanze sento» zel verace.
E così inalterabili e sì fissi
Mi stan scolpiti i pregi suoi nel core,
Che in lui con voi, col fior de genj, vissi.
Lodo, rispose il Dante, quel tuo amore;
Che '1 merta, e il premia lui ben ampiamente.
Che, albero esperio, in un fa frutto e fiore.
Amor, qual il tuo petto il nutre e sente,
Raggio è dì quel centrai celeste lume,
Donde niun puossi affatto andar esente.
E ancorché molti abbagli il forte acume,
Cieco tutti attraversa senza posa
Quel di poesia e di vita eterno fiume.
A lui però, che accenni, non fu ascosa
La sua virtù; anzi il nostro sodalizio
Lasciò per tempo ei, che ne fu la rosa.
Calandosi al terrestre vostro ospìzio,
Degnovvi a palesar quelP estro sacro.
Donde beoUo il nostro dio propizio.
Del secol tralignato censor acro
Nel Fausto fu, simile al mio poema,
'Che m' ha già fatto per più anni macro'.
D' alma poetica la tempra e il tèma,
Soggiunse il Tasso, ei nel ritratto mio
Simboleggiò sin nella fibra estrema.
E qual e mondo e vita dipinsi io.
Disse Ariosto, a celebrar degnossi,
Clii nel Divan genio orientai schiari'o.
Al par di me han le rime sue commossi
Mai sempre i cuori, aggiunse poi Petrarca;
Che a lui de' cuori il penetrai svelossi.
Salutalo! riprese il patriarca
De" poeti alfin con nobile contegno;
Che già indovino, ore spingi la barca.
IVon dubitar, che di chi F alto ingegno
Dell' «sser concentrò le fiamme sparte,
Sì eh' è della sua età fior e sostegno,
Proprie arai e sue chiamar le nostre carte.
Che più eleganti assieme e ripulite
Tu gli consacri, offerta di sacra arte!
Grazie! esclamai, oh mastro, oh padre mite,
Che mi degnasti a scerre il tuo messaggio,
E pronunziasti le mie brame ardite!
Ti piaccia ad aggradir d' amor 1' omaggio.
Che il giovane vototti, or 1' uomo scioglie,
Sentendosi con ciò più degno e maggio. —
Dissi, e la scena agli occhj miei si toglie,
E in un baleno TE sol guardo fiso,
Che amico de' fratei 1' offerta accoglie;
E gli altri, oh padre amato, in TE ravviso.
Adolfì) Wagher.
INTRODUZIONE.
Il dlscmo d'offrire al pubblico ima italiana bibbia poetica, cioè una raccolta de' quattro
poemi'^principali, che sono fondo e base d'ogni poesia italiana, par che richieda anzi di-
chiarazione, che scusa. Se già il Dante nella sua invocazione d'Apollo disse:
Sì rade volte, padre, sene coglie
Per trionfare o cesare, o poeta,
(Colpa e vergogna dell' umane voglie!)
die partorir letizia in su la lieta
Delfica deità dovria la fronda
Pcneia, quando alcun di sé asseta,
qual può esser mai altro teina d'un tempo, dove vince la riflessione e il ragionare, se non
quello d'approfondire viepiù k costruzione e il senno de' prodotti originali anteriori,
e di saper dar conto dell'ammirazione, che lor si deve? Or 'colpa' è bensi 'e vergogna' dell'
umane forze, ma legge pur in uno dello sviluppo d' ogni idea, che i contrapposti ancora
e le negazioni di essa si schiudano vigorosamente, (comechè soltanto per provar nel pro-
gresso la lor nulhtà') ; e perciò non è cosa strana di veder confondere la poesia colla cac-
cia d' immagini, col retorico fraseggiamento, o col talento di torniare versi molli, sonori
e fastosi , composti di parole e frasi scelte , morl)ide e nitide , quantunque triviale per
altro e scevro d' ogni idea sia il modo di sentire, di giudicare, o d' immaginare, clie vi si
scuopre, quantimque talora le hngue colte poetino per lo più in vece del poeta. INIa ap-
punto perciò vi si vorrà lauto maggior cauzione, quantochè v' ha di que' saltimbanchi
di gusto, che, infiacchiti e stucchevoli sino ad esser oppressi e atterrati dalla grandezza
gigantesca de' secoli passati, vorrebbero venderci di contrabbando i lor tempictli di pasta
per duomi tedesclii antichi, fantasticando molto di rozzezza , mancanza di gusto, di te-
nerezza e simil roba. Lasciando dunque staro i falsi poeti co' loro seguaci, converrà clie
ci appigliamo a' veri, cioè a coloro, che, dotali d' un genio fresco creatore, infìaiumali
d' mi infallibile instinto del bello, iniziati ncll' alto mistero dell' armonia della natura e
della mente umana intrinsicJiis.sime, ne riflettono una o più sfere, separatone, o sog-
giogato e hvellato ogni elemento avverso, impuro, omen congruo, dando or forma,
abitazione e nome a cose invisil)ili, or immergendo nell' etere ed incielando le cose ter-
restri. Di siflatti poeti lo studio e la contemplazione divola ci nuKstrcranno, che la poesia
è compenetrazione rij)rodotla chiara ed intimissima del mondo visibile ed invisibile, rit-
mo e misiu-a d' ogni vita, forma originaria dell' alma, o in qualsivoglia altro modo che
chiamiamo forse quel dono divino conceduto a pochi, clic sono nati depositar) e specchj
del tesoro intellettuale d' un periodo. _ -
Or chiunque avrà ben ponderato quanto abbiam dello sin qui in generale, conside-
rando inoltre gli clementi di que' nostri (luattro podi, non potrà non riconoscer in loro
una totalità caralteristica ])arlicolare di contemplare e di ritrarrci' universo, ossia una
scuola, di cui le viste più o men chiare, più o meno ristrette, o ampliate ricorrono scni-
premai nel mondo poelict) italiano, innestalo peraltro nella poesia ])rovenzale. Gli ele-
menti o il conuin retaggio d' essa sono generalmente cristianesimo, platonismo scolas-
X INTRODUZIONE.
tico , spirito cavalleresco , fiabe orientali , e mitologia romana ; elementi m certo modo
quasi tutto orientali, in quanto la A^ta illanguidita e spenta dell' occidente sempre si ris-
tora e si riaccende in quella piena e copiosa dell' oriente. Questi elementi dunque, i quali
basti d' aver qui accennati, trovei-emo che sono fondo e base d' ogni poesia italiana, trattali
e maneggiati il più maestrevolmente da' quattro poeti appunto per questo qui radunati.
Una sposizione più particolare di questo risultante dalla struttura de' loro poemi, verrà
data ne' saggi sulle vite e sugli scritti d' ognuno di questi poeti, mentre in questo luogo
studieremo soltanto di sbozzare i loro rapporti, o ragguagli, di j>asso in passo stendendo-
ne ed ampliando il prospetto, qual e' si stende ed amplia ne' poeti stessi.
Ordiamo a questo effetto dal PttrarcaX Salvo poche rime, che spirano patriotlsmo,
oppur disjjrezzo giusto della patria sua straziata da continue discordie e guerre domestiche,
uno quasi è l'oggetto e il tèma, che tratta, e varia: Laura di Sade, o 1' amor afFettuosis-
simo e ferventissimo conceputo per lei , dacché la vide venerdì santo nella patria della
poesia provenzale, nella chiesa di santa Chiara in Avignone. Questo amore davvero può
dirsi la sua religione j tanto egli ha dipinto tutte le minuzie e particolarità della vita
sua amorosa! 11 matrimonio jDcrò di cotesta donna non meno, che il di lei casto senno
onesto costringendolo , tenero e modesto qual era, a intrinsicarsi in sé stesso , gli svanì
e scolorossi la vita esterna, di modo che quel suo amore si ridusse ad un giuoco mentale,
ad un' avventurosità interna, un platonismo sforzato, non iscevro affatto d' una qualche
monotonia di languore, di desio mai pago. Da quella medesima mancanza di scam1)ie-
volezza, di vita e di sostanza nacquero pure talora allegorie e personificazioni fanciul-
lesche, concetti trastulievoli , giuochi anzi di fredda rifiessionc malaticcia, che sfoghi
e vampi di vital forza sana e robusta, e finalmente imitazioni di Dante malintese, come
i trionfi. Laonde, poiché, si per la natura soggettiva del genere lirico , e si per le circos-
tanze particolari di questo amore, tutto alfine si ristringeva alla forma , egli non potè
non comf)iacersi in questa; ed a ragione, senz' altro, imperocché in quella egli è maes-
tro, avendo egli limato e perfezionato ammirabilmente l' amoroso canto italiano, le forme
liriche provenzali, e il suo linguaggio natio.
In questo merito soggettivo bensì, il qual però non iscema , al parer nostro, gli
altri meriti varj e non pochi di quest' uomo eccellente , se il Tasso può gareggiare con
lui , lo vince incontestabilmente in ardore ed estro amoroso , in ampiezza e larghezza d'
immaginazione e d' idee, in cojDia e colorito delle pitture. Quaranta giorni circa della
prima crociata nell' anno mille novanta nove sono la materia del suo poema epico ro-
manzesco , trattala con zelo patriotico e cristiano. Il mondo v' è considerato come dif-
ferenza tra uomo ed uomo intorno a' sommi interessi. I contrapposti della fede cristiana
unita all' onor cavalleresco, de' cittadini e guerrieri del regno celeste e de' vassalli del
diavolo, del sodo voler cristiano e della ostinata forza magica oscura vi son ottimamente
disegnati e bilanciati; e sebl)enc non gli venisse fatto d' approfondare e d' esaurire tutti i
capi dei suo oggetto oltremodo ricco, vasto e profondo — pruove ne sono i di lui pen-
timenti e vari sperimenti — e' pure vi sfogò e manifestò un' alma suscettibile, capace e
colma de' nooilissimi e de' più teneri sentimenti, v' esibì una serie di romanzi squisitis-
simi ed armoniosissimi , che perciò vivono sempremai nella bocca e nel cuore della sua
nazione. Veramente egli è in preferenza il poeta dell' aniìna, nella cui luce egli adocchia
e riscliiara ogni oggetto suo.
A guisa di lui anche 1' Ariosto rappresenta la differenza tra uomo ed uomo , non già
(h su dui punto di vista religioso, anzi reale e pratico, il quale non che permetto, o per-
dona, ma richiede una qualche ironia, cioè una dissimulazione, ossia riserva dell'idea
soyranu, che Jibcramentc e amica della vera libertà condiscende alla tempra ed al tenor
del giuoco moiul.iiio, (|uuntun({ue perverso e contraffatto, a fin di convincerlo della sua
assurdilu e nullità, e di far trionfar 1' idea. Così dunque quest' ironia svolazza ([ua e là,
tanto più quanto il mondo cavalleresco di Carlo Magno avventuroso e tinto di fiabe orien-
tali e discosto (la un' età mcn credula. Onde, dove il poeta sembra voler fermarci in
esso , subito io strugge furbainente, e mina il suolo sotto le piante nostre, ora indenniz-
zandone con massime e ri (lessi oni prudenti e savie, ora invogliandone ad altri voli fan-
I astici ardimentosi, dove pure il fato sempre è servo degli croi e deli' eroine. £ quest'
INTRODUZIONE. XI
ultimo punto forse solo, in quanto e' tocca la natura della fiaba, qual ella sì mostra nell'
odissea, potrebbe, sennon giustificare, scusare almeno il nome d' Omero ferrarese dato
air Ariosto; seppur, oltre la gran diff"erenza della poesia antica, qual senso fisico, e del-
la moderna, qual senso morale, vi quadrassero altri punti noumeno essenziali, come
r organismo più accurato, e T unita dell' intenzione seria, e seppure siflalli paragoni
fossero più acconci. Egli è il poeta della fantasia.
Senno finalmente più grandioso, altero, universale e veramente religioso è quel, che
inspira Dante, che perciò potrebbe chiamarsi il poeta dell' intelletto. IN ella sua com-
media davvero divina e impareggiabile sbocciano in un tutti i fiori della coltura nazionale;
ella abbraccia il tempo passato , presente e futuro , concentrandoli nell' eternità. La
vita propria, lo stalo', la chiesa in tutte le loro direzioni e vicende, in tutti i loro polsi, e'
gh immerge nell' abisso della divinità; e rigenerato, purgato, rialzato al suo splendore
natio ed originario sorge da quel mar fiammeggiante eterno nn mondo già manco, im-
puro, caduto, sicché corrisponda di nuovo all' idea eterna, cioè quella d' esser rivelazione
d' amor divino infinito. Ogni modo d' essere, di conoscere e d' operare vi si riduce alfm
a quel suo centro; 1' afelio loro diventa perielio. L' amore del poeta si trasforma nell'
amor e nella cognizione intellettuale di cose divine, o nella Teologia, personificata nella
sua Beatrice. Quanto più inferiore gli è in questo il Petrarca 1 A questo tenore , questa
struttura del poema 1' ingegno caldo, robusto e vigoroso del poeta ha saputo assettai-e
mirabilmente lo stile del tutto; che la rigidità delle figure e de' gruppi dell' inferno, quella
vita straziata si ricompone a j)oco a poco nel purgatorio in moviruento, circoscritto di
raisiu-a, e diventa alto volo intellettuale nel paradiso; la tenebrosità , o il tetro vapore
focoso dell' inferno cede al vario giuoco de' colori nel pm-gatorio , sinché nel paradiso
alfine splende quel puro sole chiaro, dal cui fidgore percossa la mente del poeta j-tesso è
paga altìn della sua voglia di goder 1' intuizione dell' essenza di Dio. Cosi dunque Dante,
immaginando il mondo qual differenza da palleggiarsi tra Iddio ed uomo , esibì nella sua
commedia divina la metamorfosi della niente umana — concetto mai forse formato da
nessun altro poeta qualsivoglia in quest' estensione, e profondità!
In questo modo esaminando i quattro poeti qui radunati vediamo un cerchio d' im-
maginazioni, che, principiando dalle strette e anguste relazioni soggettive, spandendosi
ed ampiandosi a poco a poco, abbracciando combinazioni più alte storiche e favolose, le
concentra finalmente in un oggettivo intuito fondamentale religioso. Or benché in questo
tenore si palesi evidentemente un progresso dal mondo sensuale all' intellettuale, v'^ è pur
manifesto ancora dall' altro canto un disegno e un colorito particolare e proprio de' feno-
meni di questi mondi, il quale nasce dalla subordinazione degf individui a sfere più eslese,
nelle quaU essi sono compresi, come nazionalità e coltm-a , cioè comunanza colniondo.
Questa comunanza col mondo originalmente è come concrezione ed avvoltura involon-
taria, ma intima, in esso, dove la coscienza dell'uomo si perde nella mitologia, onci
filosofema religioso, e 1' esser suo è veramente poetico. Colla lingua poi, ossia la di lui
rigenerazione ideale, si sviluppa e forma il canto amoroso, e la poesia d' arte, la quale,
rappresentandola reazione del sentimento individuale riguardo auu oggetto, studia diellct-
tuar una comunanza del sentimento; studio, che si fonda sulla supposta analogia, ov-
vero identità dell' intelletto! Poeti adunque, come qiie' nostri quatiro, trovando già gli
clementi d' un particolar intuito del mondo, mostrcran la lor forza intcl leti uale nella
gi-andiosa, libera combinazione e costruzione di questi clcmcnli, a fin di lormarnc un
tutto coerente e organizzato in sé, che sia da riconoscersi dagli altri. E cosi speriamo
d' aver mostrato sopra, che 1' idee d'amor intellettuale, di cavalleria, e di religione,
massimamente di cattolichismo, sono state foggiate fra gl'Italiani da costoro in prcrerenza.
In qual modo poscia la poesia italiana, come pur ogni altra, si sia fatta ricapilolazionr,
ovvero imitazione, come sia stala innestala sempre più nella sociabilità libera, sino a di-
ventare schiava di essa e del lusso, con ])oche eccezioni, di questo non permette il nostro
disegno clic parliamo (jui ])iù aiiii)iaiiieut(\
Resta a dir qualche cosa diciucsta nostra nuova edizione. La nostra intenzione duiKiue
fu di dar ])rimieramcnle un testo corretto quanto mai fosse possibile, consultando le
migliori edizioni antiche e moderne, di modo però che, senza riguardo esclusivo ad un
XU INTRODUZIONE.
solo editore , adottassimo sempre la lezione la più convenevole al genio del poeta ed al
contesto. In quanto all' ortografia, abbiam cercato di scegliere per lo più una via mez-
zana tra un arcaismo affettato ed una trasciu'anza della vita comune, essendo certi, che
in lincrue vive mai non sarà possibile di stabilir un sistema affatto regolato e conseguente.
Una disquisizione pure di questo, come una simil qmstione intorno alle forme antiche
non meno ambigua e scabrosa,ce la riserbiamo pel discorso preliminare al Dante, nel quale ci
parve necessario di modificar alquanto i nostri principj. In secondo luogo, scelte le mi-
«rliori dichiarazioni de' comentatori, e aggiunte quelle nostre, che ci jjarvero necessarie al-
l'intendimento de' poeti, abbiam cercato di risparmiare a' leggitori Y apparecchio letterario,
che va crescendo di giorno in giorno, dacché lo studio di questi luminari poetici s' è
ravvivato ancor in Itaha, I discorsi preliminari della vita, degli scritti e del genio de'
poeti, gl'indici, e le notizie letterarie aggiimtevi, dove profittammo di quanto era già stato
detto dai nostri antecessori , mostreranno , che non abbiam risparmiato fatica d' esser
utili a' leggitori, per quanto lo permise lo scopo, e lo spazio concedutone.
L'editore.
INDICE.
)edicazione ...•••
ntroduzlone ....••
)ANTE ALIGHIERI
Saggio sopra la Vita e gli Scritti di Dante
La Divina Commedia:
Inferno . . . ^
Purgatorio
Paradiso
ETRARCA.
Saggio sopra il Petrarca
Il ime. Parte prima
Parte seconda
Parte terza. (Trionfi.)
ARIOSTO. ....
Discorso della Vita e delle Poesie di Ariosto
Orlando l'urioso
TASSO
Saggio sopra la Vita e gli Scritti di Tasso
La Gerusalemme Liberata
Co.Mt;M'i su Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso.
. Pag. III.
. - IX.
I.
- m.
1.
- 157.
I.
- III.
1.
- 93.
- 129.
I.
- III.
1.
. - I.
. - MII.
1.
Contiasegni : a, §, *, f .
DANTE.
SAGGIO
SOPRA
DANTE ALIGHIERI.
>iccoine dice Platone, che, qualunque dì fresco 'dello stato. La menle umana riscossasi alfin dal
epocanzi iniziato e consecrato a mirare nel coro suo letargo, stando per accorgersi di sé medesi-
degli dei il beatissimo mistero del bello, subilo ma, delP individualità sua e dell' unità libera
che vegga quaggiù sembiante divino, ovvero for-j conforme, tenta di acquistare contezza e di ris-
ma corporea, nella quale sirillelta il bello, sen-jchiararsi di quella parte, che il divino intelletto
ta alla prima qualche ribrezzo e paura, poscia'le ha compartita nello sviluppo storico dell'uni-
Padori contemplandola qual dea: cosipur noi sa- verso. Calmati ancora appena i frangenti sin
hitando con Dante ierofante la soglia della poe-
sia italiana e cristiana, temiamo, che, come egli
dice, non "ceda a tal vista il parlar nostro, o la
memoria a tanto oltraggio." Essendo però certi
si del nostro amore e si del 'dolce, che ci distilla
dalle crociate sollevati da un entusiasmo qui
pure alquanto sviato, fermentano tuttavia gli ele-
jnenti germano -orientali della coltura. Allato
dunque alla cavalleria secolare s' innalzano, come
per temprax-la spiritualizzando, gli ordini reli-
nei cuore', invitiamo pure diiunque ha fior diigiosi cavallereschi; ed accanto all' intellettuale
senno e di rammentanza a contemplare con noi cavalleria di scolaslici ardenti di sapere, abbar-
"quel signor dell' altissimo canto, che sopra gli bicano i mistici — altrcllante forze centrifughe e
altri come aquila vola," e ad assaggiare la mede- [centripete! Nascono varie università , si conva-
sima beatitudine. Nel che altro non bramiamo, llida il mezzano ordine cittadinesco, ed in tal
se non di essere ciceroni veraci e schietti, cioèlguisa emergono dappertutto elementi, scevri ben-
di sgombrare alquanto la caligine, che hanno' si, confusi e poco organali , di comunanza mo-
condensata primieramente intorno al poema stesso rale presaga e foriera d" una medesima idea di
parte la di lui profondità immensa ed enigmatica, coltura dell' intelletto e del sentimento, di senno
Ja distanza del tempo, 1' arcano poetar, e parte'c di animo, o di cosfunia, cioè dislato edi diiesa.
la pedanteria superstiziosa di molti spositori ; jMancano intanto si 1' uno che 1' altra di vera,
secondamente intorno alla vita del poeta il gusto real e soda sostanzialità, qual ella,relativamcnle
romanzesco del Boccaccio, lo stento malinteso j allo stato, si era annunziata in Carlo iMagno e
di molli biografi corrivi d' ammendare con no- Federigo Barbarossa ; quindi le discordie conti-
tizie ammucchiate ed accattate operosamente e ime de' principuzzi e delle citlà intorno al prin-
senza critica, forse di grido in grido, la crudeltà cipato ed alla libertà, che non possono recarsi
e r ingiustizia de' loro antenati, o linai- ad egualità sotto un sovrano solo; quindi il di-
mente il mal nascosto livore di boriosi semina- [chino ciò scadimento della chiesa, la quale, per-
tori di anneddoli mezzo veri, o sconci, come i duta eh' ella ha 1' idea sua originaria, quella di
petrarcheschi. Sdegnando dunque siiTatle ed essere unità di costuma o di vita, e d' arte, e
altre non dissimili angustie d' intelletto e d' ani- [volendo perciò soggiogare gli slati, non può più
mo, sbozzeremo, per quanto lo permettono i reggersi ad onta dello mone d' un Innoceiizo, o
conlini dclgiuilizio nostro e dellospazio l) Dante,
ed il suo secolo, 2) la divina comjnedia, e la sua
intenzione; aggiungendovi, 3) osservazioni circa
il lcmj)o , in cui probabilmente sia stala dettala,
circa la lingua, la verseggiatura, il lesto, ed il
nostro critico operaie.
1 . Dante, ed i l s uo secolo.
Il Eccolo di D. in generale esibisce la lotta
fatalo autolutainenie ncceisaria della chieaa e
d'un Bonifacio Vili, insidiosi, privi di fedo e di
ogni idea, guidali sol da circostanze , occasioni
e casi ten)poranei, e perciò a ragiono scmjiremai,
quando più e quando meno, schiavi della Francia.
Ed in fatti è dessa sentenziata di già subito che
si destano in mezzo al suo grembo gli Albigcsi,
gli Arnaldi — v. H. Fruìdc Arnold von Brescia
und scine Zeit. Nebst oinom Anliangc ubor die
Sliflung dos Paraklct l)oi Nogent an dor Scine,
^^iirich. 1825. 8- — » Bernardi, i Valdi, ciò spi-
IV
SAGGIO SOPRA DANTE.
rito indagatore. Così dunque vergiamo stra-
ziarsi la misera Ilalia nelle continue guerre de'
Guelfi, o dei partigiani del sacerdozio, e de' Glii-
bellini, o fautori dell' impero, delti così, tempo
già fa, in contumelia, come pare, gli uni lupi,
creature asiute, crudoli, gli altri zibcìlini, di cui
le pelli sono loro addobbamento distintivo. Fo-
colare del guclfìsiiio spoziabnente si è Firenze
sin dal 1250, ove ella scuote il giogo ghibellino
impostole da Fedeiico If. Vassi ivi scemando di
])iù in più 1' antica semj)licilà de' costumi (Par.
1 5, 97 ss.) ; cresce con le ricchezze e col commer-
cio 1' avarizia j alla gente nuova affollatasi per
amor di lucro cedono le antiche famiglie nobili ed
illustri (Inf. 16, 73 ss. Par. 16, 61 —63). H fa-
natismo fiorentino politico vuol convertire alguel-
fismo tutta la Toscana,e muove guerra perciò ai Pi-
sani, Pistoiesi, Sanesi e Volterrani. Congiurano in-
tanto i Ghibellini, negoziando clandestinamente
con Manfredi, figlio di Federico; nia scoperti, gran
parte di loro e presa e trucidata. Gii esacerbati
Fiorentini enn'giali co' Sanesi capitanati da Fa-
rinata degli Ubcrli, rompono i Fiorentini j)resso
nll'Aihia a:Monleaperto(lnr.32,8l). Guido No-
vello e Giordano, vicario di ManlVedi, entrano
trionfanti in Firenze, e solo il Faiiiiala ne im-
pedisce lo sterminio intero decretalo (Inf. 10}
Appunto nel 1265, dove nasce Dante, Carlo di
Angiò sostenuto d;.l jjontefice Urbano IV, entra in
Italia, ed a' 26 febbr. 1266 Manfredi [lerdeinun
con la battaglia presso Grandella, non lungi da
Benevento, e vita e trono (Pg. 3, 124). Invano
Guido Novello, vicario di Manfredi, lenta di
conciliarci partili — Carlo ottiene la signoriadi
lirenze, (begli è schiava. Col vespro siciliano a' 20
marzo nel 1282 fiancheggiatisi iSiciliani, escelto
Pietio d'Aragona, i Fiorentini pure stabiliscono
la loro costituzione serbatasi sino alla decadenza
della lor repubblica.
Non siavvizza intanto l' albero della mente,
anzi come matuiati da quelle tempeste fioriscono
i prodotti del saj)eie e dell' arte sulle università di
Napoli, liolugna, Vicenza, Padua, Vercelli e Milano.
Venerandi maestri e dottori in leol(»gia lionaven-
tura (Pai-. 12, 1 27), Tommaso d' Aquino (Pg.20,
69. Par. 10, 98 ss. 12, 110. 144.13, 32. 14, 6.),
Giovanni Duns Scolto, Sigieri da iÌjabanle(Par.
10, 186- s.); i quali, quantunque forse guastino
b teologia colla filosofia aiislolelica, aguzzano
pure e provocano almeno gli spiriti. La niatle-
matica e l' astronomia non si vergognano di
Campano di Novara, di Piancrio, Lanfranco e
Giordano del liosco, di Guido iJoratli (Inf. 20,
118.), di Pietio d' Abano, di Cecco d' Ascoli.
LcggisU celebri «ono Accursio o Dino di Mugello \
storici Caffaro, Riccarclo di san Germano, Mat-
teo Spinelli , Ricordano Malaspini, Dino Com-
pagni e Giovanni Villani. Neil' archilellura ga-
reggiano Jacopo Tedesco, Giovanni Pisano, Ar-
imi fo di I>apo, Ghiberli, Niccolò di Pisa. Nella
pittura dopo Giunta si dislingiiono massimauiente
con colori più chiaii e vivi, e con carnagionepiù
calda Cimabue, Giotto (Pg. 11,94), Orgagna;
ne resta indietro Oderisi (Pg. 11,79). In tutti
questi, se non altro, sono da ammirarsi certamente
l'anima, la piena e la baldanza avveriturcsa delle
invenzioni, la schiettezza, evidenza ed immedia-
tezza, se lecito è di dir così, naturale, 1' amore-
vole immedesimarsi ne' menomi oggetti, di modo
che, se questa dee dirsi veramente fanciullezza
dell' arte, ella è almeno fanciullezza di ottima
speranza, dove si annunzia e la slacciala gigan-
tesca forza plastica di Michelangelo , poco pau-
roso dello stremo, e la dolcemente animata sen-
snalilà serena del Correggio. Di più, se già santo
Ambrogio e Guido d' Arezzo aveano riformato il
canto ecclesiastico e la musica, Casella, grande
amico di 1). (Pg. 2, 91. s.) e Leinmo da Pistoia
pongono in musicaalcuni poemi. La poesia final-
mente italiana nata della pirovenzale, nella cui
lingua poetano Folco di Marsiglia (Pg. 9, 67.
82. 94.), e Sordello Mantovano {Pg. 6, 74. 7, 3.
52. 86. 8, 38.43. 62. 94. 9, 5:3-), benché pulluli
ancora in Sicilia, e si muova con qualche vigore
in Guido Guinicelli (Pg. Il, 97- 26, 92- 97. Volg.
el. 15), Fabrizio Onesti (ivi), Guittone d' Arezzo
(Pg. 24, 56. 26, 124. confr. Volg. el. 2, 6. e in
soiimia Giulio Perticari degli scrittori del tre-
cento e de' loro imitalori. Lugo. 1823. 8) Cino
da Pistoia, e Guido Cavalcanti (Pg. 11, 97.) nulla-
diineno , descrivendo solo per lo più la lirica
sfera angusta, aspetta uno Alighieri, che in
nuova lingua volgar illustre le insegni nuove
melodie.
\\\ questa fermentazione caotica di forze uma-
ne, fra tante |)rocelle e tante nasce a' 27 maggio
nel 1265 in Fiienze, annunziato a sua madre in
sogno assai leggiadro (I^iccaccio lo narra) Du,-
ranle, o per vezzo ed abbreviatura. Dante All-
ghieii (Aldighieri, o Allighieri, nome di una no-
bile Ferrarese, moglie di Cacciaguida, tritavo di
esso, che militò sotto l'imperator Corrado Ilf, e
mori combattendo nelle crociale 1' anno 1147).
Orbo tosto di suo padre, e' pure padrone di un
comodo patrimonio, gode d' educazione accurata
e di maestro famigerato, Brunetto Latini, segre-
tario della repubblica fiorentina, poeta e filosofo,
morto nel 1294 (Inf. 15, SO. 32. 10.) Ma come
"Amore ratto si apprende ai cuori gentili", ed in
nobili alme diventa j>ermo!>lio di vera e soda col-
SAGGIO SOPRA DANTE.
tura, cosi pure alla vista di Boatiire, o Bice, fìiTli- !o nel 1292, o (secondo Ué^o Fosco /o Dìscovso
uola dinove anni diFoIcoPortinarijavvamjìa nell' |sul lesto del poema di 1). f. l96) nei 1295 Dante
anima di I). coelaneo quella favilla geiieralrice,
né si stingue in lui neanche colla morie di essa
inopinata, seguila i 9 giugno nel 1290 in età d'
nni venti sei. Mostrano anzi le sue Rime,laVita
nuova, il Convito amoroso, e la Divina comme-
dia, come quesloamoredil di lui oggetto, facendo-
lo 'uscir della volgare schiera', vannosi in quest'
alma ricchissima e profondissima tiasuinanando
e glorificando sino a diventar cognizione ed in-
tuizione del sommo bene, cioè religione e cristia-
nesimo. S' egli dunque attiene cosi quanto pro-
messo aveva a sé stesso, cioè di diie di quella be-
nedetta quello che mai non fu detto d' alcuna;
s' ella resta il suo palladio venerato divotamentc
nel santuaiio del suo cuore, cuore mai non accu-
sato, né accusabile di villa o d' infamia alcuna;
non che dileguansi le favole di diversi suoi amori
donneschi, inventati foi-se in grazia d'un paral-
lelismo con quelli del platonico virtuoso civet-
i tante logodedalo Petrarca (v. il giudizio aureo
'di Scolari della piena e giusta intelligenza della
[D. C. f. 32 s. con la nota), il quale neanche ne'
[trasporti suoi contrafìTatli infermicci non sa nas-
jcondere la frega e il pizzicore sensuale, o con
jquelli del Boccaccio in ciò almeno più disinvolto
e franco, fondate altresì su di false spiegazioni
ideile Piime, dell'Inf. 16, 106. del Pg.24,37; ma
si unisce questo amore unico, vero generatore del
bello, alle altre potenze educatrici su mentovate.
Di queste poi com' ei si sia impadronito, come
le abbia organale a modo suo e proprio, sino a
(diventare quale P annniriamo ingegno imbevuto
e sovrano del suo tempo, ancorché non sia gre-
cista, — v. Carlo Jf lite nelle antiotazioni alle
rime di D. tradolte in Tedesco da Kanngie.sser.
Lips. 1827. 8. f. 435- ss. — o si manifesterà in
seguito a chiunquenon ha olTuscata od impietrala
a testa da vuote e saccenline teoriche del guslo
forse boulervecchianc (v. la di lui Geschichleder
Poesie und Bei'edsamkeit seit dem Endedesdrei-
zehntcn Jahrhunderts. Gotling. 1801. To. 1.), o
non potrà dirsi del tutto. Che, se già in qualsi-
voglia uomo è mislcrioso ed impenetrabile quel
s' induce a prender per moglie Gemma di Ma-
iicllo di Donato dei Donali; casata illustre, che
gli dà sei figli! Questo fatto veramente pare, che
non faccia guari fede a qucll' aneddoto di uà
matrimonio infausto per via della naturaxantip-
pea della consorte; di modo che, se pure non
durò sempre la buona cori'isjiondenza coniugale,
la cagione no fu foi-se tulto alli-a, cioè 1' anima
altera e ghibellina di D., il quale, quando la mo-
glie, do]5o la desolazione della sua casa, rieove-
ravasi di necessità coi suoi figli sotto il patroci-
nio potente dei Donati guelfi, forse la ci-edette
rea della colpa d' obbligare anclie il marito alla
gratitudine verso de' suoi peggiori nemici (v.
Ugo Foscolo 1. e. f. 198)- Checché ne sia, cres-
cono lellerali que' figli. Pielio e mandato all'
università di Bologna, è dottoralo in legge, e ac-
casatosi poscia in Verona muorcalfin in Treviso.
Jacopo riscatta nel 1340 dal comune di Firenze
i beni paterni già confiscali. Aligero ed Eliseo
niuojono in tenera eia; Gabriello vive ancor nel
1351, e Beatrice veste 1' abito religioso nel mo-
nastero di san Stefano i.i Piavenna, e ad essa per
mezzo di Boccaccio nel 1350 la repubblica fio-
rentina fa dono di dieci fioiini d' oro.
Per finire lo sbozzo della prima metà della
vita di D., aggiungasi un sol tratto, ed è, che in
mezzo agli sludj rigorosissimi e profondi, in
mezzo alle asperrime tenzoni interne questo in-
gegno forte al par che bello e ameno non tras-
cura la patria da lui amata con zelo ed ardore
simili a quelli dei profeti antichi, nemico im-
placabile dei vizj , propugnatore pertinace di
quanto imperiosamente chiede P idea di essa
tuttavia abbracciala e mantenuta da lui in tutte
le di lei alterazioni e vicende. Fallosi matrico-
lare, conforme alle leggi fiorentine, nell' ar-
te, o nel tribo de' medici e degli speziali, com-
batte il di 2 giugno 129 alla liattaglia di Cam-
paldino nelle prime file della cavalleria fiorenti-
na guelfa contro ai Ghibellini d^ Arezzo , in
compagm'a di Vieri Cerchi e di Corso Donati;
né manca, allorché nel 1290 del mese d' agostoi
"fondamento, chenaturapone,"cioòl'intrinsichis- Fiorentini tolgono ai Pisani il castello di Capro-
simamenle riposto piincijìio, la forma, o la dote na (Inf 21, 95), ove jicr altro fa la prima co-
naturalc, la peisonalilà dell'uomo eterna, quanto
meno potrà svelarsi quel mistero d'un ingegno
si soverchiamente ])rivilegialo ? Basterà dunque
1' avere indicato il concorso e i dintorni degli
elementi del mondo e del tempo suo, la tensione
de' suoi clementi proprj ed il loro risultamenlo.
Ma, per tornare al nostro proposilo, osserviamo,
che alquanto dopo la morte dell' amata sua Bice, e le sue doti esimie, avvegnaché quelle sue fun
noscenza di Guido da Polenta, signor di Piaven-
na, ultimo di lui protettore in appresso, ora
condottiere di questa impresa , e stringe amici-
zia con Nino Visconti di Pisa, Giudice di Gal-
lura (Pg. 8, 53. 109). Che per altro sulla fine
di (jittslo secolo egli sia stato ailopralo assai nella
repubblica, lo renilono probabile ed inalali suoi.
VI
SAGGIO SOPRA DANTE.
zioni diplomaticlie, esagerate alquanto dal Fi-
Jelfo e dal Boccaccio, si scemino forse, essendo
incontrastabilmente autentiche soltanto due
ambasciate, 1' una nel 1295 al re Carlo II di
Napoli, r altra ti' di 8 niagg. 1291 al comune
di san Geminiano. Per questo non venga nega-
to, che l'uno o 1' altro documento quistione-
vole siasi perduto, o annientato forse apposta j
atto , che in quella eia, in simili circostanze né
strano sarebbe, né senza esempio!
Nel principio dell' altra metà di sua vita ed
in quel del nuovo secolo Dante è nell' auge
della vita civile , essendo egli da mezzo giugno
sino a mezzo agosto del 1300 eletto per uno dei
priori della repubblica fiorentina, cioè dei prin-
cipali magistrati, che la regolavano e dimora-
vano nel palazzo , mantenuti a spese pubbliche,
a guisa dei piitani ateniesi. Ma fallace pur
troppo ò il sereno, e pare , che le lotte interne
siano state soltanto preparazioni a renderlo
'* ben tetiagono ai colj)i di fortuna" , che ora gli
piomban sul capo. Egli stesso ne dice :" tutti
i mali e tutti gV inconvenienti dagli infausti co-
mizj del mio priorato ebbero cagione e princi-
pio; del quale priorato, benché per prudenza
io non fossi degno , nondimeno per fede e per
età non ne era indegno." Prevale appunto in |1' ingiunta sentenza tiranna è già pronunziala,
quei di il partilo dei Guelfi in Firenze, suddi-jNon molto dopo i Bianchi con lui scacciati fan-
dei tempo — sbaglio però, di cui sono capaci
soltanto i caratteri dibonarj , benevoli, franchi
e generosi! Volle il fato, che, spirato il pe-
riodo del suo magistrato, ei fosse spedito inniis-
sion diplomatica presso il papa Bonifacio Vili,
il quale, mentre con nera trama ordita da lungo
tempo in corrispondenza con quei fanatici, ratte-
ncva in Fvoma il poeta tradito ed odiato, allin inviò
alla testa di molte forze Carlo di Valois, fratello
di Filippo il Bello , re di Francia , in Fiienze,
col pretesto bensì di riconciliare i dissidj , ma
in fatti col disegno di favorire i Neri a discapito
de' Bianchi. Ed ora ecco i Neri sostenuti da
colui insolentire ferocemente contro ai Bianchi,
correre alla casa di Dante , metterla a sacco e
fuoco, e dare guasto a tutte le sue sostanze.
Gante de' Gabiielli da Gubbio , podestà dato a
Firenze da Carlo, cita a' 27 di genn. 1302 con
più altri Dante accusato falsamente di baratterie
e di concussioni, a fin di renderne ragione, e
qualora non compaja tosto, lo condanna alla
multa di ottomila lire; ina essendo egli inabile
a pagare, confiscati gli sono i beni, ed egli stes-
so vien espulso con perpetuo bando. A cotal
nuova infausta D. corre precipitoso da Roma
verso Firenze; ma nel giugnere a Siena ode, che
viso però in due ferocissime fazioni dette dei
Bianchi e dei Neri; capo dei primi è Viero dei
Cerchi, e dei secondi Corso Donati, dietro i
quali tutti i cittadini parteggiando si divido-
no. In simil guisa gli opposti pur Ghibelli-
ni Secchi, rigidi partigiani dell' impero, no-
minano lor duci i Tarlati di Pietramala, lad-
dove i Verdi riconoscono per capo il Faggio-
lano, e favoreggiano le sue intelligenze col papa.
Dante, o eh' egli si nimicasse col pontefice Bo-
nifazio Vili, nemico dei Bianchi, e fautore dei
Neri, rifiutando la di lui intercessione, o eh'
egli credesse di comporre queste zulFc, mostran-
do la sua neutralità, e confinando i bollenti capi
di parte, Corso in Massa Trabaria, e Guido
Cavalcanti con tre dei Cerchi e con Baschiera
della Tosa a Sarzana , donde tosto bensì fu ri-
chiamato Guido ammalato per I' aere infermo,
e poco poscia morto ( v. Troya del veltro allc-
g<jrico di 1). f. 46. 8.), e che così provocasse la
furia di quei frenetici, certo e che, indotto a
quanto fece dall' intero suo sistema politico
ben ponderato, sprezzando ugualmente con co-
raggio ed animo vcrainento coriolanesco le mene
e le violenze d' ainonduc le selle arrabbiate, di-
venne la villima di loro , di una speranza in-
no un tentativo disperato di rientrare. Duce
il conte di Romena, novemila pedoni e mille
seicento cavalieri assaltano le porte di Firenze,
penetrano sin dentro la città, e vi gettano Io
scompiglio; ma assai male regolali da Baschiera
Tosinghi , spinti da zelo inconsideralo si con-
fondono tosto di modo, che, perduto ogni or-
dine, vengono dalle furie avverse soverchiali
e respinti. Quindi un nuovo decreto più cru-
dele ancora del primo minaccia Dante, benché
forse soltanto l'onsigliere, e gli autori principa-
li di quella spedizione di esser bruciati vivi,
qualor siano presi. Sia da quel tempo il poeta
nostro nemico acerbissimo di Bonifacio, morto
nel 1303 quasi violentamente, e di Filippo il
Bello, ed amico di Uguccione della Faggiola, e di
Bosone da Gubbio, errò mendico, privo della
sposa e dei beni, di città in città, provando
"come sa di sale il pane altrui, e coni' è duro
calle Io scendeie e il salire per I' altrui scale"
(Par. 17 , 58 ss.). Mai però , neppure in quel
periodo infelicissimo della sua vita, si abbassa
questa anima altera, che, trattandosi di un'
ambasciala a Bonifacio Vili, ed essendo esso
sialo scello })rincipc di essa, allorché chiedeva-
segli cosa pensasse, dettola risposta: 'penso, se
gatmcvolc, e d'uno «baglio intorno ai rapporti io vo, chi rimane; e se io rimango, chi vp.' Si
SAGGIO SOPRA DANTE.
VII
a, che un dì nel 1318, sedendo egli a Verona a
lensa con Cangrande in compagnia di un buf-
one molto gradito , e chiesto dal signor di Ve-
ona: ''donde avviene, che costui, il quale è
no sciocco , sia grato a tutti , e tu, che vieni
iputato sapiente, noi sia?" stato alquanto so-
)ia di sé rispose: '' perchè ciascuno ama il suo
imile. " Vieppiù però grandioso contegno e
iispetto nobile palesa , quando nel 1317 fra ai-
ri amici un religioso di lui congiunto lo prega
li ritornar a casa con 1' occasione della festa di
;an Giovanni Battista. Era solenne in quel gior-
10 di liberare i prigioni, massimamente gli
•;suli richiamali; venivano essi a gran pomj)a
lielro il Cairo della zecca detto di san Giovanni
:on mitère in capo, e con ceri nelle mani; offer-
i al santo e multati di alcuna somma ne anda-
vano liberi affatto, cessate le loro condannagioni
[TroyaY. A. 159 ss). A che 1). : 'Or questa e
[a gloria, con cui si chiama D. A. alla patria,
dopo eli' egli ha sofferto per quasi tre lustri l'e-
silio? In cotal modo si rimunera la sua inno-
cenza a chiunque già manifesta , in cotal modo
il sudore e il lavoro di lui continuato nello stu-
dio? Lungi dall' uomo domestico della filosofìa
r inconsiderata bassezza, propria di un cuor di
terra, eh' egli stesso, a guisa di alcun sapu-
tello e di altri privi di faina quasi non altri-
nicnli che vinto tolleri d' essere offerto. —
Non e questa la via di ritornare alla patria; ma
se da voi o da altri se ne troverà un' altra , che
alla fama di D., che al suo decoro non deroghi,
non sarò tardo ad incamminarmi per quella.
Clic, se per via onorata non si entra in Fiorenza,
non entrerò in Fiorenza mai più.' Dionlni ne
ha 1' originale latino Preparaz. stor. allo sLud.
di D. 7, ^60.
Ecco alcuni accidenti di lume, eh' entrano
neir oscuro periodo degli errori di un illustre
esule fuggiasco! periodo oscuro ])el fanatismo
cicco e per gì' intrighi infami j)olitici di una eia
(aulica, per 1' alterigia e il sistema proprio ed
oj)posto al comune del jiocta , di cui il vivere
( ed oprare intellettuale profondo già per se era
I meno intelligibile ad un mondo confuso del
I tutto sino negli arbitri e condottieri sacri in par-
I te malevoli. Sono perciò scarsi i fonti , donde
derivare le notizie bramate, nò forse altri, che
la commedia divina ed alcune croniclic e tra-
i dizioni non già sempre degne di fede, imperoc-
I che, come per una qualche ironia dell' anima
I universale fin le città oscurissime millantarono
j d' essere stale per qualche tempo stanze, nudri-
[ ci e levatrici di questo ingegno grandissimo (v.
! Ugo Foscolo Disc. f. 18 8.) perseguitalo sin
dopo la morte dall^ odio insano di una genia cie-
ca, lucifuga, condannata a grufolare la lordura
dell' umanità. Nulladimeno ai nostri di C.
Troya nel libro piii volte su mentovato tentò di
fissare , non senza acume e diligente pratica di
croniche , di scrittori coetanei e del poema is-
tesso, 1 ordine cronologico di quei viaggi, j)ro-
mettendone inoltre una carta. Or quantunque
questo modo sia spinoso e forse incerto, per-
chè suppone, che la C. D. contenga assieme la
storia dei viaggi di D. nelle contrade sole ghi-
belline traveisale non solamente, anzi mento-
vate e descritte successivamente, gioverà pure
trascorrere rapidamente i suoi dati. Secondo
lui dunque D. nel 1S02 fu a Verona presso Bar-
tolommeo della Scala (Par. 17, 70 ss.; ser-
bata cioè a ragione e con Ugo Foscolo Disc. 157
ss. la lezione con lui vedrai colui). Ivi nel
1303 ripensò al poema principiato in Latino,
il quale rifece in favella italiana; scrisse il li-
bro della volg. eloq., mutò il canto ])rimo dello
Inf. , e aggiunse al sesto la profezia di Ciacco.
Ai 7 marzo 1304, morto Bartolommeo , passò
in Bologna, poi nel castello di Gargonza in
Val d' Ambra sui confini di Arezzo, implorando
Ugolino da Feliccione. Di là pel Mugello nel
Casentino segui Alessandro di Romena presso
Guido Salvatico (Inf. e. lo e 16-); passò a un
bel circa del 1305 in Romagna, pesso festeggia-
to dal suocero di messer Corso. Poi condusse
in Bologna suo Pietro di anni 13. Avca com-
pito il e. 12 della volg. el. Nel 1806 a' 27 ag.
dimorò a Padova nella contrada di san Lorenzo,
e fu presente ad un contrailo dei signori di Pa-
pafava. Trenta nove giorni dopo giunse per Man-
tova, Tornovo , Ponlremoli , Val di Magra
presso Franceschino Malaspina di Mulazzo, pa-
dre di Moroello , dove in Castel-nuovo il di 6
ott. 1306 slabill la pace tra Frane, ed il genovese
Antonio Camelia, vescovo di Luni. In questo
anno cade la favola dei ])rimi 7 canti della D. C.
trovati in un forziere da Leon Poggi, ed inviati da
Dino Frescobaldi al poeta (raffr. UgoFosc. 169
ss.). Anzi dettò in Lunigiaiia i e. 18 — 26. Nel
1307 fuscgrelario di Scaipotla degli Ordolaffi in
Romagna (Inf. 27 — 30). Nel 1308 ritornato a
Padova si reca a Verona, per iscrezio forse pri-
valo (UgoF. 156. s.), e trovando Can Grande in-
tento in guerra, torna in Lunigiana, divellendo
a Roggio presso Guido de' Roberti di Castello,
il senij)licc Loinbartlo — ne dubita Foscolo 174
— . Ttìruatc al niente tic guerre contro Fireiw.e,
sedali ])or due riprese i tiiniullidi Corso, stra-
scinato a morte dal cavallo presso san Salvi (Pg.
24; 82) torna da Reggio in Lunigiana, dando
vili
SAGGIO SOPRA DANTE.
le ullitne cure alP Inferno , e decretando d'ab-
bandonare l' Italia. Ivi nel monastero di s. Cro-
ce del Corvo dà al priore Ilario, amico di Uguc-
doiie , la cantica dell' Inferno, per inviarla con
alcune dichiarazioni ad Ug., lo che si fece sulla
priinavera del 1309 ( Ordii V. di 1). f. 69- ss.
Troj, a 97. s. 205. s.). Scorsi alcuni giorni, s'in-
cammina alla volta di Francia, ove Filippo il
Bello cerca ad iinpetraie la condanna della me-
moria di Bonifacio Ville dei templari; Laonde
Lerici, Noli, Turbia Pg. 3 e 4. A l^arigi si tro-
va allora il padre del Boccaccio. Inqueslo an-
no Clemente V elegge Anigo VII per re de' Bo-
mani , e muore Carlo II di Najjoli odiato da D.
(Pg. 20, 79. Par. 6. 19. 20). Al primo romore
della venuta di Arrigo in Italia nel 1310 I). par-
te a salutarlo, scrive ed opera ad ogni modo in no-
me degli esuli gliibellini. Le vicende di Arrigo,
il quale per le ribellioni di Cremona, Brescia e
Firenze combattendo deve aprirsi strada passo
innanzi passo, molto lo piemono; gli scrive, in-
sligandolo il di 16 apr. 1311 di Toscana sotto le
fonti d" Ai-no, cinque miglia da Porciano , ove
si reca per corto ed alpestre cammino sulle ter-
re di Modena. A Porciano è fama esser egli sta-
to per alcun tempo prigioniero nella torre mag-
giore (Pg. 14, 43. s). Di Porciano , come mos-
ti-ano le acerbità eonira gli Aieiini , Pisani (Pg.
14, 46- 53), Bomagnoli (^99)framezzate all« lo-
di di lloberto di Napoli , che allora tollerò i
Ghibellini ed i Bianchi, passa in Romagna, scri-
ve diForli a Cane in nome degli esuli fiorentini.
Durante P infelice assedio di Brescia scrive i can-
ti 16 — 18 del Pg., dove scagliasi contra la Tos-
cana , Romagna, Verona, contra Alberto, pa-
dre degli Scaligeri, e contra il fratello Giuseppe,
abate di san Zeno (Pg, 18, 121, s.). Si trova
poi in Genova, oltraggiato dagli amici di Branco
Doria , ed a Pisa con Arrigo. Nel 1312, i 12
aelt. Alligo stringe Firenze d' assedio, D. as-
sapora già la vendetta. Invano! lidi 23 febbr.
1313 Arrigo sentenzia a morte meglio che 600
Fiorentini (Par. 16, 55- ss..); ma il dì 24 ag- muore
fur/ye av.velenato — la serie almeno degli eventi
giustifica o scusa questo forse — . Nel 1314 D. scri-
ve ai cardinali di eleggere un pontefice. Con nuove
speranze viene a Lucca, vi scrive gli ultimi 10
canti del Pg., ove 32, 151 — 160 fa motto di Fi-
lippo il Bello, morto il di 29 no\. 1314, aggiu-
gnc nel 24 il passo Pg. 37—48, ove T. intende per
un ciiKiuecunLo dieci non Can Grande, nòArrigo
morto da 15 mesi, si Uguccioiie della Faggiola
il vclLru. Verso la fine del 1314 termina il Pg.
inviandolo forse a Aloroello iVlalaspina, figlio di
rrauceschino. Nul 1315 lloberto di Napoli fa
rinnovare per mezzo di messer Zaccaria d' Or.
vieto le minacce di morie. Quindi la vendetta
Par.6, 106. s. 8, 147. Poiché Can Grande onora
lo sventurato Uguccione,raggiunge D. nel 1317 il
suo congiunto e capitano , e delibera di consa-
crare a Cane il Paradiso con la lettera nota (raflr.
Pur. 15 — 17. 17, 85 — 93. 16,1 — 9). Qua ap-
partiene la risposta di D. su mentovata intorno
alla liberazione. Nel 1318 è a Verona. Aveva
invialo a Canei canti 10 — 20del Par.-, gli ulti-
mi 13 "on furono ricongiunti al tutto se non do
pò la morte del poeta. Verso i cominciaraenti
del 1318 sloggia dalla città, viene in Romagna,
trova estinto Scarp. degli Ordelalli, va a Gubbio,
visita la badia camaldolese di Fonte Avellana,
delta di santa Croce, accolto da Moncone, Pri-
ore. Quindi la Catria Par. 21, 106 — 111, e la
poca indulgenza cogli ospiti suoi 113 — 120. Ivi
maestro del figlio di Bastian da Gubbio , ivi la
casa, dove abitò. A Tro^a 165 conlradice perù
Ugo Foscolo 293 ss. Ripassato poscia nella Mar
ca Trivigiana trova nel prossimo Friuli facile
stanza, L' anno 13 19 passa in Udine presso il
patriarca d' Aquileia , Pagano della Torre, ves
covo di Padova, vi compone alcuno degli ultimi
canti del Par., ed altre opere in prosa; si reca
sovente nel caslello di Tolmino. A Troya 170
ss. ed a Viviani introd. all' ediz. di D, contradi-
ce Ugo Foscolo 126. ss. Sul cominciare dell32C
lascia Udine, per avvicinarsi a Firenze, dispu.
la a Verona il dì 1 8 gemi, dell' acqua e del fuoco
10 che Tiraboschi, Troja 175 ed Ugo F. 131.
dicono favola. Finalmente dalla Marca Trivigia-
na passa in Ravenna presso Guido Novello ; v
ha familiari Pietro Giardini ravennate, Dino Pe
rini, e Fiducio de Milottis, medico da Certaldo
Castruccio Castracani occupa in quel tempo P un<
dei primi seggi fra i Ghibellini. Nel 1321 Gio-
vanni Virgilio scrive a 1). un' egloga latina, in-
vitandolo a Bologna. D, risponde con due altre
11 Paradiso non è per anco uscito. Il poema noi
fu pubblicato ad un sol tratto; perciò innaspr
il Par, con sdegni politici più adatti all' Inferno
Il liberatore sospirato (27, 61 —66) è o Mal tei
Visconti, o Castracani, Guido Novello mandi
I), con gravissimo incarco presso il senato veneto
che, temendo la sua eloquenza, gli negai' udien
za. Di ciò accorato, tornato a Ravenna muore a:
dì 14 sett. 1321, onorato dal pubblico lutto, en;
connato da Guido Novello istesso co» orazion
funebre nel suo palazzo, e con moltissimi poem:
Cosistauco e travaglialo datante sciaguremuo
re quel grande impareggiabile. Quanto ostinai
e crudele fosse 1' odio e il rancore de* nemici d;
quesl' uomo, che primo e solo riconobbe già al
SAGGIO SOPRA DANTE.
IX
Lora, in che sarelibe ed è la salute unica d' Ita-
lia, puossi ricavare da quello che, salvo il de-
fcreto della repubblica fiorentina del di 9 agosto
IS/Sj col quale si scelse Boccaccio primo a spie-
gare il poema sacro, a cui han posto mano e cielo
e terra, neanche il pensiero concepito nel 1396
li fargli innalzare in santa Maria del Fiore un
onorevol sepolcro ebbe effetto; che nel 1519
Leon X non esaudì le preghieie dell' accademia
medicea di traslalare nella jiatria le ossa del poe-
ta, non ostante che Michelagnolo scultore si of-
ferisse a fare aldivin poeta la sepoltura sua con-
decente, e in luogo onorevole. In vece di ciò
narra Boccaccio, che nel 1341, sedente Giovanni
papa XXII, da messei-e Beltrando, cardinale
del Poggetto, allora per la chiesa di Roma le-
gato in Lombardia, fu dannato il libro de mo-
narchia, perchè i di lui argomenti usati furono
in favore di Lodovico duca di Baviera, contro
la chiesa romana; e che finalmente senzaF inter-
cessione di Pino della Tosa e Ostagio da Polen-
ta quelP insano avrebbe nella città di Bologna
insieme col libro fatto arder V ossa di Dante. Bi-
ti'atti, medaglie, busti furono i trofei dei sudori
e delle mortificazioni sue, divieti della divina
commedia da parte del santo ufficio spaglinolo
sin quasi alla nostra età, dove, sprezzando la
scuola gesuitica, gli eunuchi metastasiani e 1' Ar-
cadia , come dice Bettinelli, i valentuomini
d'Italia bene intendono, che le idee e i principj di
D. sono di somma importanza.
Del resto fu Dante di mezzana statuita, andò
in età pili matura alquanto curvello, ma grave
e mansueto. Il suo volto fu lungo, il naso aqui-
lino, gli occhi grossi, le mascelle grandi, e dal
labbro di sotto ei'a quel di sopra avanzato; il
colore era bruno, i ca|)elli e la barba spessi, ne-
ri, crespi, e la faccia scm))rc nialinconica e pen
sosa. i'u cortese, modesto, amico della solitu-
dine, taciturno, assiduissimo , altero, vaglùssi-
ino d' onore.
2. La di
COTTI /il e di a
t enzi o il e.
la
sua m-
Lungabrigasarcbbc,anzi infinita ed alfine inol-
tre supcilluii dopo tanti trattati e tanti voler far
quiuna critica rivista pai ticolurc e minuta di tulli
i pareri in turno all'intenzione ed all' in tendi meli-
lo della divina commedia. Clic (pianto e più orga-
nica la natura di vero poeta e dei ))rodoltisuoi,
quanto più questi prodotti sono universali, in se
stessi perfetti ed originali, tanto più agevolmeiilo
ti arrendono ed accomodano in questa parte o in
quellasino agl'ingegni mezzani ed angustissimi.
Or se forse inoltre vi rintrona un qualche accordo
fondamentale di un certo periodo storico, cornerai,
legoria nella 1). C, ollora si veggiamo, che spezi-
almente in questo campo nuvoloso la sottilità degli
interpreti può iinioltrarvisi col tempo sino ali' ine-
zia, di modo che il lettore si trovi assordato, confu-
so e oppresso, ed assorbito alfine nelle particola-
rità perda la totalità e la di lei impressione. Per
dire adunque cjuanto si può mai succintamente,
senza sagrificar la chiarezza , quel che abbiamo
da dire di questo Y>oQìr\di pohsensuuTn, o capace
di molte intorpreliizioni, ragioniamo di due pas-
si danteschi (Convit. Voi. 4- f. 184- ed. Zatt. e
lettera dedic. a Can Gr. ) troppo noti per esser
qui transcritti estesamente, ma che servir pos-
sono di scorta e filo al nostro discorso.
In quei due passi Dante conforme all' erme-
neutica del suo tempo quattro esser dice sensi o
modi d' intendere: il letterale, allegorico, mo-
rale ed anagogico. Il lelLcrale^ che comprende
il puro e netto oggetto, ossia la sostanza e la
forma del pensiero espresse con parole prese in
lor senso convenevole al tenor della lingua e del
contesto, non lo spiega guari. L' allegorico
dice quello, che si nasconde sotto il manto della
favola, ed è una verità ascosa sotto bella men-
zogna, ovvero diverso ed altro dal letterale. Il
TTiorale dice quello, che i lettori deono intenta-
mente andare appostando per le scritture a uti-
lità di loro e de' loro discenti. L' anagogico, o
soprasenso, cioè edificante , che mena la mente
all' insù , dice , quando spiritualmente si spone
una scrittm-a, la quale eziandio nel senso lette-
rale per le cose significate significa delle suprejne
dell' eterna gloria. Questi tre ultimi li com-
prende in un nome tìi m/.slici. Trattiamo spe-
zialmente d' ognuno di quei sensi.
Secondo dunque il /t7/i'/-«/é' di quei sensi 1' og-
getto della C. D.C semplicemente lo stato delle ani-
me dopo la morte in triplice forma, quale 1). lo mi-
ra colla scorta di Virgilio poeta, venerato come ma-
go nel mezzo evo (v.yA/.i.wi Bride in d.lleimat.
Voi. 3. f.l83 — l94).sinoal paradiso terrestre (Pg.
27, 124),cposciaguidatoila Beatrice. La prima di
quelle forme e V Inferno accuratamente ed eviden-
temente descritto. Senza darne piani e piante, che
dopo molli.sàimi altri ultimamente hall dati Kann-
giex.serc// i//e nella traduzione ledesca.scmplicc-r.
mente trascriviamo quanto ne dice ( hiaramcntc
llo.s.'ieUi nella nuova sua edizione, discorso pre-
lim. f.78. s. "L' inferno", ei dice, "e corno una gran
voragine di forma conica, che. spalanca la nu-
meiisa sua bocca alla superficie del nostro globo,
e va a restringersi con la punta al ronlru della
terra, dove termina." Per ispiegarsi meglio, con-
tinua; 'Prendi un imbuto, e tienilo con la pun-
SAGGIO SOPRA DANTE.
ta volta in giù, come se dovessi versarvi un qual-
che fluido. Copri poi la bocca dell' imbuto con
la coppa rovescia d' una bilancia , cosicché la
superfìcie convessa ne rimanga sopra. Or figu-
rali che quest' imbuto sia cosi stei'minato, che
molta la punta al centro della terra, e che quel-
la coppa sia una parte del nostio emisfero terra-
qtieo, la quale ne formi la volta; talmentechè
quella voragine da noi non possa vedersi. Ecco
la immagine in grosso dell' inferno dantesco. Fi-
gurati di più , che questa voragine abbia inter-
namente nove ripiani circolari e concentrici , i
quali da chi va al basso s' incontrino un dopo 1'
altro , di maniera che vadano di grado in grado
reslringendosi, in guisa , che per discendere dal
primo ripiano al secondo , e da questo al terzo,
e cosi di seguito, sino al nono, vi abbia biso-
gno di gradini: eccoi cerchi, dove stannoi dan-
nali. Figurati finalmente, che giusto alla som-
mila del gran coverchio infernale, vale a dire
nel centro di quella parte circolare del nostro
globo, che forma la volta dell' abisso, vi sia Ge-
rusalemme." Il limbo — aggiugniamo noi — di
questi ripiani circolari contiene coloro, "che vis-
sero senza infamia e senza lode," Occupano il
primo cerchio i pagani virtuosi ; il secondo i pec-
catori carnali, "che ia ragion sommettono al talen-
to" ; il terzo i golosi, il quarto i prodighi e gli ava-
ri ; il quinto gì' iracondi e gli accidiosi; il sesto
gli eretici; il settimo i violenti (contro ai prossi-
mi, contra loro stessi, contraiddio, natura ed ar-
te); 1' ottavo i baratlieri; il nono i traditori. I
Ire ultimi sono suddivisi , il settimo in tre,
l'oliavo in dieci malebolge(contenenti i ruffiani,
seduttori, adulatori; i simoniaci; gl'indovini;
i baratlieri; gì' ipocriti; i consiglieri frodolenti ;
gli scommettitori; i falsarj alchimisti); il nono
in quattro (Caina, Antenora,Tolomea, Giudecca).
Tuflol' inferno per mezzo della città di Dite, o
Lucifero, è diviso in due metà. I peccati puniti-
vi sono ridotti alla divisione aristotelica (Etic.
7.) in incontinenza, bestialità, malizia. I fiu-
mi infernali sono Acheronte, Slige, Flegetonto,
Cocito, conforme all' allegoria della lor misteri-
osa origine 14, 94- ss. Capi dei cerchi sono ])er-
fone mitologiche, del primo Caronte, del secon-
do Minosse, del terzo Cerbero, del quarto Fiuto,
del quinto Flegiàs, del sesto le tre Furie, del
fioltimo il Minotauro ed i centauri, dell' ottavo
Gerione, del nono i giganti Anteo, Efiallc, Nem-
brolto , e Eucilero. Le pene sono raj)]n-escnta-
zioni cstcìnedellf) sialo interno del jieccato. Be-
ne osserva Rosselli f. 81., che tre punlifissi da-
vano a D. tutta la forma dclbi gi-an voragine in-
fernale; Roma cioi, centro dello nuova i-eligione;
Gerusalemme, centro della religione antica, e pun-
to medio della superficie della terra, secondo una
opinione populare, ed Ezecch. 5, 5. ; e finalmente il
centro della terra stessa, punto medio dell' uni-
verso, secondo il sistema tolemaico. — \ì Purga-
torio, seconda forma dello stato delle anime do-
po la morte, è un monte conico antipoda di Ge-
rusalemme, circondato di sette cerchi, e di una
spezie d' atiio, dove stanno i neghittosi. Tre
gradi conducono alla porta della purgazione; il
primo di marmo lucido (simbolo di cognizione e
confessione dei peccati); il secondo tinto più che
perso , di una petrina ruvida ed arsiccia (sim-
bolo della contrizione); il terzo di porfìdofiam-
meggiante (simbolo di penitenza esteriore). La
soglia in su la quale sede un angel di dio, è pie-
tra di diamante. Nel primo cerchio si purgano
i superbi , che voltano sassi gravi ; nel secondo
gì' invidiosi con manti di color di sasso , e con.
fil di ferro nel ciglio ; nel terzo gì' iracondi in
densa caligine oscura ; nel quarto gli accidiosi
che corrono; nel quinto gli avai'i , che giaccio-
no in tei-ra piangenti; nel sesto i golosi, che
lian fame e sete sul margine d' un rio , e pi'esso
un albero d' odoriferi pomi; nel settimo i pecca-
loin carnali, che vanno per fiamme. Sulla cima
v' è il paradiso terrestre coi fiumi di Lete e
d'Eunoe. Intagli sul suolo e sulle mura rappre-
sentano i vizj e le virtù, e formano il passaggio
dal plastico al pittorico. — Il jìciradlso sono i set-
te pianeti secondo il sistema tolemaico , con tre
cieli , dunque dieci spazj. Nella Luna si trova-
no 1' anime di coloro che, avendo fatto voti, vi-
olentamente ne sono state tratte fuori; nel Mer-
curio coloi'o, che sono stati attivi, perchè onore e
fama gli succeda; nella Venerei seguaci d' amo-
re , non immemori però delle cose celesti ; nel
Sole i sapienti, teologhi, spezialmente san Tom-
maso e san Francesco coi lor seguaci; nel Marte
i campioni per la fede; nel Giove i giusti, el' a-
quila formata d' anime, simbolo del romano im-
pero ; nel Saturno gli anacoreti e contemplantij
nel zodiaco Cristo, gli apostoli, ed Adamo; nel
ciel d'istallino , o primo mobile, nove cori an-
gelici ; nell' empireo finalmente in forma di rosa
candida con Maria i beati. — Il viaggio di D.per
questi tre regni comincia la sera del 25 marzo
1300, e dura otto giorni, preso il gioriio d' ore
dodici dalle sei di mattino sino alle sei di sera,
o di venti quattro ore astronomiche. Quanto in-
oltre appartiene alla sposizione del senso lettera-
le, lo troverà, spero, il lettore nel comento.
Coloro per altro , che sono soverchiamente
proni a spiare delle curiosità letterarie , incapa-
ci forse inoltre di amare e di sentire Io spiro
S AGGIO SOPRA DANTE.
XI
(l^alto ingegno originale, lian tempestato il lor cer-
vello a disdire V originalità di I)., vedendo in lui
imitatore ora di Viigilio, di cui i'u poeta di gran
lunga maggiore; ora del tesorelto di Brunetto
Latini, debole assai; ora di due romanzi fran-
cesi del secolo decimo terzo {/e songe de V enfer^
e le jongleur qui va en enfer) satirici o burles-
cLij or d' una visione del monaco Alberico as-
sai fantastica e avventurosa, conforme sia quel
secolo (v. Ugo Foscolo disc. f. 336. s.); ora dello
antico romanzo Guerino il meschino, dove si tro-
va 1' episodio del purgatorio di Patrizio, o del
pózzo, più tardi dopo la molte di D. tradotto ed
amplificato giusta la C. D. istessa. Altri ne trova-
no il prototipo in uno spettacolomimico o dram-
matico rappresentato al tempo del giubbileo ; al-
|lri finalmente nell' anfiteatro veronese, o dove
Iso io ? Non invidiando siil'alti arcani , confesso
di non vedere in loro altro sennon una iuipoten-
|za ed incapacità d' intendere e d" all'errare Tin-
Idividualilà, comeia natura poetica in generale.
Vw ingegno così vasto , ampio e robusto , col-
mo e zeppo di quanto il tempo passato ed il suo
gli ollVirono nello sviluppo loro istorico ; un'
anima impregnala, nutrita e penetrata con idee
sublimi, un senno acuto e sagace, esercitatis-
simo e pratico nella palestra apertagli in quel
secolo agilatissimo, ubbriaco quasi di gioja della
convalescenza ; una mente alfin fervida, che con
tanta forza veramente gigantesca di tutto il mon-
do intellettuale s' impadronisce, se 1' appropria,
organandolo crea e come riproduce — chi mai
vorrebbe dire, clie a sillalla mente questa o quel-
la particolarità sia stata norma o modello delle
sue creazioni? Un solfio lievissimo, ed ecco
l'arpa d' Eolo, trascorrendo tutto il regno dell'
armonia, risuona d' accordi mirabili, che vi-
sibilmente trasformati in forme e figure si muo-
vono innanzi agli occhi nostri, ne altra legge
curano, sennon quella a loro innata, respingen-
do ogni Zoilo livido, o stolido, clic con isquadra
estetica vorrebbe misurar le loro projiorzioni, o
noverare lor coste colle tavole aritmetiche in
mano. Laonde certi essendo, che la verità esis-
ta pei savj, e la bella pei cuori capaci di senti-
re, ci siamo astenuti nel comento da ragiona-
menti sulla bellezza poetica di tal o tal ])asso,
i quali, a dir vero, non sono sennon iulerjczi-
oni ampliate sino alla seccaggine.
Parliamo del senso alUgoiivo ! Fu X allegoria,
o la troj)ologia, il gusto dominante di (jucl secolo,
insinuatosi nella teologia cucila poesia colla let-
tura dei sacri libri perlopiù male inlesi ed inter-
pretali. E (|ui due cose vengono ad osservarsi
prcccdenlcmcnlc. Quel!' amore cioc e quel gus-
to dell' allegoria sono segni di coltura poco chia-
ra e mal sicura del suo principio e della sua
tendenza. Che a penetrale ed approfondire
l'intima connessione come della natura e della
mente, cosi pure quella di due periodi storici,
simili a quei del vecchio e del nuovo testamento,
si vuole senza dubbio sguardo più vigoroso ed
acuto di quello, che, per legge di nature finite,
puote aver luogo nei confini di uno di quei pe-
riodi, eli' è ancora per isvilupparsi, aspettan-
do, per dir cosi, la sua maturità e perfezione,
mentre 1' altro è già scorso e comj)ito. La distanza
d' una totalità passata, come quella d'un avve-
nire infinitamente condizionalo , fa confondere
gli oggetti, che si dileguano e cuoprono di folta
caligine. In sill'atto stato dunque, se la mobilità
vitale si annunzia con presagi oscuri, ricono-
sciamo dall' altra parte con animo lieto e grato
il soccorso e la disposizione di un nume bene-
fico e sapientissimo, che accanto d' una direzione
fa spiccare 1' allra opposta, appunto necessaria a
fomentare la vita. E cosi pure in quella età solten-
tra a poco a poco la cura di stabilire dialetti-
camente, 0 per mezzo della filosofia aristotelico-
platonica, un sistema di religione cristiana, cioè
un razionalismo , ai nostri tempi ancora tan-
to irragionevolmente abbonito da coloro, diesi
vantano sopranaturalisti. Ambidue le direzioni
le troviamo nella D. C. tanto intrecciate e quasi
identificate con la vita storica di quel secolo,
che ancor per questo il poema è un quadro per-
fetto e verissimo del mezzo evo, con la prospet-
tiva di un futuro e pin chiaro nel fondo. La
poca chiarezza di quella una direzione allegorica
si mostra ancora nella spiegazione dantesca su
j mentovata dell' allegoria medesima ; stanlcchc
I le nozioni del simbolo e dell' allegoria vi sono
! pressoché confuse. Per iscliivare dunque sillal-
! le nozioni incerte ed ambigue, dico, che la figu-
}ra, o r inmiagine ò quel eh' entra si nel sim-
bolo, come neir allegoria. Sono ambiduo, quel-
lo il prologo, questa r epilogo dell" ai to vera ;
e mi spiego meglio. L' arte e il regno dell" idee
I poste in clfello ed evidenti nella realità , dove il
' puro |)eiisier risalta qual principio dell' inlcrno.
' Il simbolo è rajiprosentazionc piagna, signilica-
i liva, indicativa o accennante. Con ciò dunque
I si i)ronunzia tuttora una diilercnza non tolta
' ancor del senso o del concetto, e della di lui ma-
' nil'cstaziono; dillbriiiza, che non ha luogo là,
ov' è la lolalila o la somma verità, ovvero l'ulea
espressa e suggellata nella realità! Giacchi lo
, smisurabilodcvc esser rislrclto in figura o forma
arbitraria e sconvenevole , l' apparenza ossia la
1 manifestazione non e adeguala all' idea. L esis-
xu
SAGGIO SOPRA DANTE.
lenza data immediatamente nel simbolo non (Ueber Dante. Aus den Heidelberg. Jaliib. der Lit.
vuol esser compresa immediatanjente, anzi con- ^besonders abgedruckt. Heidelb. 1 824. 8.), inten-
formc ad una significazione, cioè ad un pensie-.dendo, che questa fatica non dissimile finalmente
ro astratto generale, nel quale è immanente una sarebbe da quelle delle Danaidi, odi Sisifo, gui-
qualità , clie appartiene alla forma stessa. Alla{dati piuttosto dallo studio della ragione poetica,
qualità dunque rappresentata s' accozza cosa, ed accortisi, che la principale allegoria sia nel
che non è questa qualità. Lutta perciò nel primo e secondo canto dell' Inferno, e nella to-
simbolo il sensuale coni' intellettuale, la for- ,talilàdelpoema,e, come noivorremmoaggiugnere-,
niazione con l'idea. L' allegoria àaW altra par- nella tendenza universale, o nell' idea fondamen-
te contiene una significazione, eh' è una qualità tale del poetain tutte quante le sue opere, a questa
astratta e generale, vestila di forma individuale, si son tenuti più che allo sgruppamento d' ogni
ma non è reale apparenza dell' anima, non è immagine poetica. Tutti questi però quando più
vita, anzi individualità particolare, arbitraria, quando meno inclinati alla sposizione morale,
esterna. Cosi dunque si può dire, che il sim- come Lombardi e IBiagioli, V hanno combinata
bolo accatta unanozlone, o qualità per 1' esisten- o con 1' anagogica e religiosa, come Carlo ff'iite
za, o la forma; l'allegoria accatta la forma o (iiber das Mìsverstandniss Daiite's,inHei-mes odei'
l'esistenza, perla nozione, o la qualità. Laon- krit. Jahrbuch der Liter. n. 2?. p. 135. ss. Lips.
de ajipare, come Tasso in una lettera a Scipio-jl824.),o con]aslorica,comeZ)/o/i/ó7'(Prepar.istor.
jie Gonzaga To. 3- f. 353. ed. mil. poteva scri-j2, 195. Anedd. 2,86.), e J/rt/c/^f/// (discorso della
vere: "Io, per confessare ingenuamente il vero,|prima e principale allegoria del poema d. D. con-
quando cominciai il mio poema, non ebbi pen-tfutato per altro da Ant. Parenti nelle osserva-
siero alcuno d' allegoria, parendomi soverchia zioni sopranna moderna dichiarazione della prin-
e vana fatica, e perchè ciascuno degV interpre-
ti suole dar l'allegoria a suo capriccio, né man-
cò mai ai buoni poeti chi desse ai lor poemi va-
rie allegorie, e perchè Aristotele non fa più men-
zione dell' allegoria nella poetica e nell' altre sue
opere, che s' ella non fosse in rerum natura. —
Ma poich'io fui oltre al mezzo del mio poema, e che
cominciai a sospettar della strettezza dei tempi
cipale allegoria del poema di D. nel To. l. fase. 2.
delle memorie di religione, di morale e di lettera-
tura. Modena 1822.)? o con la storico -politica,
come in questi ultimi tempi Rossetti. Glispositori
morali, come per brevità li chiameremo, dicono,
che D. in età di anni trentacinque si sia persuaso
di dovere rinunziare ai vizj, ed alle passioni, in
sommaallavita sensuale, arrendendosi coiiTajuto
connnciai anco a pensare all'aliegoria.'' La storia dolla divina cleiiienza e graziaalla vita s])ii'ituale.
dell' arteconfermaedillustra quanto dicemmo, ma GÌ' interpreti anagogici e religiosi, chiauKuido la
non ne possiamo qui dar più che qualche cenno.!). C. la generale cpopeja unica della nostra vita
Or se riguardo a l). chiediamo : e qual mai dun- 1 intellettuale, sostengono, che D., compiangendo i
que è 1' allegoria della C. i).? il poeta stesso ri
sponde: poeta agii de inferno isto^ in (juo pe-
regrinando ut viatores mereri et demereripossu-
mus. Subiectum est /ionio , proni merendo et
demerendo per arbitrii libertatem iustitiae prae-
mianti et punienti obnoxius est. l-'inis totins et
partis est removere viventes in liac vita de slatu
miseriae et producere ad statum felicitatis. —
Non ad speculandum, sedad opus inrenium est
totum et pars. Con questo dunque accenna as-
sieme la natura morale ed anagogica, o mislica
dell' oj)ra. Di ciò pei'òpoco contentigli sposilori,
credendo di non poter meglio rivelare la profon-
dila innnensa del sommo poeta, e pagando con
ciò assieme al lojo secolo il tributo imposto, hanno
senza sarte e senza vela varcato un mar di Sogni,
e cucilo ogni canto con allegorie posticce scon-
giurale dalla Cuccagna. Altri, corno, (iasp. Gozzi
(difesa di l).), Lombardi, JJionisi, liiagivli, Sco-
lari (della piena e giusta intelligenza della I).
C. ragionamento. Padov. 1823. 4,), Sclilosser
peccati d'un mondo intero, cerchi, a nome di tutti
gli erranti, di ritornare al comun salvatore, e ri-
nunzj perciò ai prestigi del discorso o raziocìnio
terreno, arrendendosi al pentimento, alla peni-
tenza e contrizione, onde purgato ritrovi per mez^
zo della fede la speranza e la carità e finisca
nella beata contem[)lazione, o nell' intuizione di
grazia infinita e di vita celeste. GT interpreti
storici contendono, che dalle tempeste politiche
del suo priorato, ove provò la crudeltà del fio-
rentini, di Francia e di Roma, il poeta esiliato
(Irovandosi in una selva, secondo Marchetti), e
sperando pace (andando al dilettoso monte) sìvì-
volse aglisludj ed alla filosofia, o poesia, per ri-
tornar COSI con un poema mirabile alla pace ed
alla patria mediante 1' ajuto di Can Grande, e di
Beatrice, scorta ed amica antica della sua vita
intera. L' intopretazione.v/o/YCo —politica primo
r intonòScolari, dicendo, che D., vedendo smar-
ritala via del ben pubblico e del dilettoso monte
alla felicità pubblica,chc pure egli ebbe in mira mai
SAGGIO SOPRA DANTE.
xm
sempre, dopo aver provato moUissimi impedimenti vuol dire: al papa Satanno questo impero è saci'o.
dai vizj di Firenze, dall' ajnbizione di Francia, Clemente V era allor dij)iiilo con tre vessilli sul
dall' avarizia e dalla supremazia ambita da quei idorso innanzi alla faccia. Il dio allegorico e ilsa-
di Fioma, ponendo, per l'effetto d'una politicare- tanno sono figure della politica potestà imperiale, e
.stcìur azione^ la sua fiducia nella virtumilitare di , della temperai potenza papale, la quale!), credea
CanGi'ande, si accinse a quella della morale erell- lUn' alta usuipazione,cagione di vizj, di discordie é
giusa, dandosi a scrivere un memorando poema di ruine. Dunque D. intese solo di far politiche e
maestro di l'eltitudine, punitore dei vizj, e premia- morali considerazioni sulla Terra viziosa, eh' ei
tore immortale della virtù ; questo poi la mercè di chiamai' Inferno. Tutto il segreto di D., dice Ros-
Bcatrice(Sapienza),permettendolo la bontà divina, setti, sono allegorie fondate sulle metafore co-
emossaa soccorso di F). dalla Grazia celeste, che il- inunemente ricevute, altre dedotte da quelle |)er
lumina. — Con esimio acume, consagacità e com- antitesi, altre nate da teorie scientifiche, altre
binazione annniranda, con chiarezza e perspicuità suggerite dalla storia, altre appoggiate al semplice
rarissima e lodevolissima i^oóóe///, spositore sto- suono delle parole, e tutteben guidate da classi-
rico- politico, nulladimeno pare che ricada nel che imitazioni. — Or chi negherà mai inquesla
■vizio di particolareggiamento troppo minuto e enigmatica oscurità apocalittica, che queste spo-
di sofisticheria stravagante. Secondo lui, in quan- sizioni possano esser vere? o piuttosto chi mai
to Ila esposto il suo assunto nella sua edizione provarpotrà, che non siano vere? poiché la storia
(Londr. 1826- To. 1.), Virgilio è figura della Fi- contemporanea, i fati ed il carattere, la dottrina
losofia politica , fondatrice ed ordinatrice dello e le opinioni del poeta, il gusto allegorico del se-
im])ei-o ; di quella filosofia che, presa in ampio colo, e moltissimi rapporti della vita e del tempo
senso, forma la mente e il cuore degli uomini con \ non ripugnino. Anzi accetto dev' esser senz' altro
]e intellettuali e morali discipline, pel migliora- jogni sperimento di sviluppare quel tanto intrec-
niento dell' umana società; di quella filosofia, | ciato poema, in cui la storia eia mitologia, e terra
che regolalo stato col civil reggimento di un solo, e cielo si penetrano a vicenda intimamente e mi-
Inaggior di tutti, e minor sol delle leggi; insomma rabilmente sino a diventar beata e cristiana con-
ia filosofia di un saggio Ghibellino. Costui nac- tcmplazione didio ; quel poema, la cui eccellenza
qiie tardi, perchè dovea nascer prima ad impe- si manifesta ancora in ciò, che dopo cinque secoli
dire le tante turbolenze intestine, come quelle i valentuomini ne respirano ancora 1' aura fresca
de' Gracchi, di Mario e Siila eco; *«6 7«/io, cliia- j vitale. Certo è, che siffatta sposizione storico -
inato al trono per dritto avito. ^frtf/-/c£' è quella, politica successivamente avanzata ed alzata di gra-
cile dopo una virtuosa vitaguida 1' uomopacifi- do in grado, se dall' unaparte ella è prodotto na-
cato al suo fattore, lareligionc sccondoi! crislia- 'turale , giusto e quasi necessario di un tempo
ncsimo, espressione della beatitudine della vita | agitalo, sommosso e sconvolto nelle sue ionda-
tontcmplativa, come Virgilio quella della vitaat- , menta, posto in cimento atroce, in mczzoaduna
tiva civile. I^q Jiere, che perseguitano 1)., sono , nazione, che quest' oggi ancora sos[)irando aspetta
figure di Guelfi; la lonza è Firenze divisa in Bian- ' unità salutare, dall' altra può fare strada ad un in-
cili e Neri, perche lonza, come dice Brunetto, e lendimento anteriore bensì, ma piii ampio e più
una bestia taccata di piccole tacche bianche e nere, profondo, che non esclude qualsivoglia altro, ma si
La gajelta pelle dinota i Bianchi. Il /ione è nello combacia con tutti, e del quale tliremo or ora.
stemma della casa di Francia, e significa Carlo di ! Ambigue intanto ancora, e por diilaschietto, laii-
Valois. La lupa è stata sempre 1' arme di Roma, ciullescamcnte Iraslullaiili, bizzarre e li ivolc sono
e la Curia romana centro del partito guelfo. Ava-
ro, guelfo, lupo, dicono lo stesso. La òf/i/a e il se-
colo incollo, reso selvaggio dal vizioso gueifismo.
alle volte quelle allegorie, eie loro s|iosiziuni. ma
in ogni evento non nccessaiie ad allenar la tota-
lità essenziale. Che sono in falli non di rado sup-
yllberi sono gli uomini ignoranti, che quasi solo |)limentisoltanlo posliccieconghiclluralidi torme
vegetano; fiere uomini crudeli, clioper malignità mancanti, o difolloso, prove metà timidcllc, metà
noccvano; piante benigne ,i rarissimi vii tnosi. , rischiate e ambici di render palpabile e jiartico-
Murli sono i viziosi. Inferno sono le figure del lare (|uelIo, ilie forse senza ciò sarebbe, e talora
mondo corrotto, dell' Italia guelfa, CV^/ou/e il a posta dev' esser piii piccante e |>ni atfratlivo
cattivo esempio d'un secolo corrotto; Jlinosst in (juclla sua gcneralilà, ed in quei suoi conlunn
il giudiziodclla coscienza. Lv. pene infernali sono I svaporanti, foschi e chiaroscuri.
1' ellelto dei vizio. Dite è Firenze; ì\ messo det\ [^rescindendo dun(]uc da questo passiamo a
ciclo Arrigo. La divina ìnacslà eterna s\inho\Qg'^M\ (piell' assunto, clic, per distinguerlo dagli allii,clii-
l'imperiai potestà temporale. Pape Satan ecc. amiamo ///('.vo//fo concepulo ed esposto dal con-
XIV
SAGGIO SOPRA DANTE.
feo dei filosofi di nostra eJà, Schelling (ixber Dante
in philosopliisclicr Bezieliuiig, nel Giornale cri-
tico della filosofia pubblicato da lui e da Htgel\
[Tubing. 1802. 1 803.] Voi. 2. quad. 3. f. 34 — 50).
Questi, intendendo di far capire il poema nel suo
valore universale, e nella sua originalità in tutta
la poesia moderna, dopo aver anch' esso osservato,
che commedia sia detta dalla materia da princi-
pio fetida e spaventosa, in fine però prospera, de-
siderabile e grata (v. la dedic. a Can Gr. Uisc.Inf.
20, 113- ove Virgilio chiama tragedia la sua
epopeja), dal modo di parlare rimesso ed umile;
che non sia ne drammatica opera, né epica, né
didattica, anzi un mescuglio assolutamente pro-
prio, organico, mai più da riprodursi con q^ualsi-
voglia artifizio, dice, che la legge nccessana ed
il tèma della poesia moderna sia questo, che
l'individuo dalla parte del mondo schiusagli formi
un tutto, e ci'eando dalla materia, dalla storia e
dalla scienza di sua età una sua mitologia, con
quella particolarità perfetta e compiuta torni a
diventar assoluto. E dunque la C. I). un mescuglio
dell' allegorico e dello storico elemento, medio
tra allegoria e figurazione simbolico - oggetiva.
La divisione dell' universo, eia disposizione della
materia in tre regni è forma simbolica universale
del tipo interno d' ogni scienza e poesia, perchè
abbraccia i tre grandi oggetti della scienza e della
coltura: natura, storia ed arte. Natui'a, presa
qual nascimento di tutte le cose, qual notte
eterna ed unità, nella quale sono in sé ; storia,
qual purgamento e passaggio ad uno stato as-
soluto; arte, qual paradiso della vita, che anticipa
1' eteinità. Questo tipo universale interno é di
nuovo simboleggialo per mezzo di figure, colore
<; tuono delle Ireparti. Queste tre parti sono quasi
il sistema della teologia in concreto ed architet-
tonicamente costrutto. Tutta la dottrina logica
e sillogistica di quel tempo è sol forma da conce-
dersi al poema. 1). mai non cerca volgar proba-
bilità poetica. Lalegge della forma piimiera é an-
cor espressa nel ritmo interno iiUellctluale, neil
quale le parti si sono opposte. L' Inferno^ il più
orribile e formidabile negli oggetti, è pure il più
forte ncir espressione, di plastico stile austero,
8CU10 ed orrendo sin nelle parole. Su di una
parte del Purgatorio regna calma profonda, poiché
an)mutoliicono i guai del basso mondo ; ma in
iiulla cima tutto divicn .colore, ed il Paradiso e
veramente musica delle sfere. — 11 rapporto dei
crimi e dei tormenti è unicanietile poetico. La
vendetta, che D. escicila nelPLiierno, 1' esercita
come in nome del giudizio universale, da giudice
criminale eletto, ceni forza profetica, maison odio
personale, si con anima pia, altera, latulo più ir-
ritata dagli orrori del tempo, e con un patriolismo
lutto alieno da quel secolo. L' inferno è il regno
delle figure, dunque plastico; il purgatorio è
pittorico; le pene de' peccati sono in parte pit-
toriche sino alla più gran pompa di colori; nel
paradiso non avvanza sennonla pura musica del
lume, cessa ogni riflesso, ed il jioeta s'innalza di
grado in grado sino alla contemplazione della pura
sostanza scolorita della divinila stessa. Come,con-
forme alla disposizione ed architettura del tutto,
debbono trattaisi gli altissimi temi della teolo-
gia, e con questo, a misura che la contemplazione
si scioglie nel puramente generale, la poesia di-
venta musica, e sparisce la plastica ; l' inferno po-
trebbe forse in questo riguardo sembrar a taluno
la parte piìi plastica. Osservisi però, che qui ni-
ente afl'atto è da prendersi per sé e particolarmente,
anzi che 1' eccellenza particolare d' ogni cantica
si conferma e s' intende veramente soltanto con
l' accordo e con 1' armonia del tutto.
Ecco uno sbozzo dell' idea schellinghiana
di questo poema , di cui la strettissima connes-
sione con r altre opere , delle quali è V auge
e la culminazione , mostreremo inolti'e , e con
questa assieme la natura vei'amente organica del-
lo spirito dantesco. Di sopra già è stato accen-
nato, come tanta in lui fu la tensione eia mi-
stura degli elementi, quanta suol essere negli
ingegni robusti, forti ed eminenti, i quali a
misura che s' immedesimano nel mondo interno,
si nemicano assieme alP esterno, formandone il
contrasto, per ricco e rigoglioso eh' egli si sia
per altro ; e come P amor di Beatrice fu la tra-
montana della sua vita , che gli si trasformò in
sole, di modo che 1' amor sensuale e terrestre
purgato ed innalzato all' intellelluale della filo-
sofia andavasi alfin glorificando in eterna vita
intuitiva, che dunque la C. D. è un germoglio
gonfio e pregno della virtù di tutti gli elementi
intellettuali della sua età , il quale s' apre, si
schiude, dilata, e diventa jiianta, albero eccel-
lentissimo. Tanta dunque essendo la meta e la
tendenza sua all' unità degnissima unicamente
d' uomo sodamente coltivato, si può dire, che
il tèma della vita di lui fu unità nazionale di
lingua, d' impero, e di religione, o di cris-
tianesimo. Già le sue Rime in mezzo al giuoco
e trastullo, all' ondeggiamento della vita estei'-
na spirano aura più jiura ed eterea, e la vita
esteriore é soltanto metafora dell' interna più
alta. Con questo dunque egli si fonda quasi e
consolida in sé slesso, come lo mostrano la iP^i-
la nuova ed il Convito. Poscia fuori di sé nel-
la sua nazione e nella vita politica vedendo tulio
straziato da discordie e da perversa voglia o pò-
SAGGIO SOPRA DANTE.
XV
:o chiara, o maligna, amando però la patria: lo e tiene questa nostra provincia divisa, E
ardentissimamente egli primo, benché nella vec- veramente alcuna provincia non fu mai unita,
:hiezza insistè sull' unità della lingua, nel o felice, s' ella non viene tutta alla ubbidienza
ibro non terminato del volgar eloquio, volga- d' una repubblica o d' un principe. E la ca-
:izzato dal Trissino nel 1529. In tanta gara gione, che 1' Italia . . . non abbia anch' ella
osservata d' innumerabili loquele era mestieri di o una repubblica, o un principe, che la governi,
cogliere il dissidio nella radice, e distruggerle tut- è solamente la chiesa ; joerchè avendovi abitato
;e quante, ne scegliere una, ancorché la mi- e tenuto imperio temporale, non è stata si po-
iliore ma solo cogliere il iiore da ognuno di tente, né di tal virtii, eh' ella abbia potuto oc-
mattordici dialetti, e lasciare alla plebe il re- : cupare il restante d' Italia, e farsene principe;
ito. E quanto bene D. approfondisse in uno la le non é stata dall' altra parte si debile che, per
coerenza e 1' identità della lingua, della scienza j paura di non perdere il dominio delle cose tem-
; "dell' arte, lo mostrano le sue osservazioni porali ella non abbia potuto convocare un po-
iparse sopra i varj autori e poeti di quel tempo, tente, che la difenda contro a quello che in Ita-
[lomento egregio di questa opera è un' altra su lia fosse diventalo troppo potente .... E dun-
nentovata del conie Periicari Degli scrittori del que stata cagione, eh' ella non è potuta venire
:recento, dalla quale risulta, quanti regressi sotto un capo, }na è stata sotto più principi e
ibbia fatti 1' Italia, abbandonando quei princi- signori; da' quali è nata tanta disunione e tau-
pj di D. unicamente veri, e seguendo 1' acca-
iemia della Crusca. Male dunque Troya (Vel-
ta debolezza, eh' ella si è condotta ad essere sta-
ta preda non solamente de' barbai'i potenti , ma
^ro alleg. f. 189) pronunziò che, poiché lo sde-jdi qualunque 1' assalta. Di che noi altri Italiani
mo contro la Bologna, come contro Firenze, ' abbiamo obbligo con la chiesa, e non con altri."
poteano muovere 1' Alighieri , ciò provi, quan-
to siensi le cose cangiate dopo la morte di lui
(per isventura!) , e come l' autorità di D. sia inu-
mile oggi per decidere le quistioni sullo stato at-
tuale (ancorché peggiorato ? ) della lingua itali-
ma. < — Dell' unità poi d' impero trattano in
preferenza i tre libri de monarchia, dove pone
la felicità dei popoli nel metter in atto sempre
tutta la facoltà dell' intelletto col line primario
3i specolax'e , e d' agire poscia secondo la di lei
ìsecuzione; difende la pace universale, la li-
bertà sotto un principe solo , il diritto del po-
polo romano d' assumere 1' uffizio della monar-
chia universale ; confuta 1' opinione intorno allo
assoluto supremato del papa, il quale a senso
Ielle cose rivelate abbia da condurre 1' uman
genere alla vita eternale, mentre 1' imperatore,
1 norma dei documenti della filosofìa, debba di-
rigere 1' uman genere alla felicita temporale. —
[n quanto finalmente all' unità di religione,
nddeD. benissimo, il cattolichismo del suo seco-
lo non essere che il paganesimo nel crislianesiino,
rjuel che ])iù tardi jìronunziò Maccliiavelli (Dis-
cors. 1, 12)- "La qual religione, se nei prin-
cipi della rcjnibblica ciistiana si fosse niaiilenu-
ta secondo clie dui datore di essa ne fu ordinala,
sarebbero gli stali e le repubbliche cristiane più
ilunite e pili felici assai , eh' clic non sono. . . .
ilAbbiamo dunque con la chiesa e coi preti noi
•italiani questo primo obbligo, d' essere dlven-
• lati senza religione e tallivi; ma ne abbiamo an-
I Cora un maggiore, il quale e cagione della
■ rovina nostra. (Questo e, che la chiesa ha lonu-
Appare, che il giudizio severo di questo storico
e politico sobrio e profondo si concorda intiera-
mente con quel dell' Alighieri accusato di sliz-
za, di passione, e di rabbia ghibellina; q^uasichò
i profeti ed il nostro redentore istesso , come
pur gli apostoli abbiano anch' essi piaggiato e
lisciato la coda ai viziosi e vili ; quasiché il sal-
vatore non abbia col flagello cacciato dal tempio
gli usurai. Anzi prova appunto dell' alma nobi-
le e generosa, e della perspicacilà dil). fu quella,
che non la perdonò né ai papi, né ai sovrani, ne ai
preti , né a qualunque abuso o profanazione del-
la religione. E cosi quanto mai fece o scrisse,
sin la /^. C., dove si concentrano nella sua unica
mente tutti i raggi del suo secolo, non nacque si-
curamente seiniou dell' amor ardcntissimo e i>ro-
fondissimo delsuo 2)opolo, della scienza, e delia
religione. Di questo poi qual premio egli ollenne,
lo mostrano r esilio, ola ])ersccuzione, lo mostra
la mal nascosta gelosia e 1' arislocralicamcnlc or-
pellala e pi-clesa noncuranza delle poesie di lui
dalla parte del Pclrarca ( l 'go Fom-oIo saggio so-
pra il Pctr.Lugan. 1824. f. 201. ss. e Discorso
sul testo della ì). C. 139 ss. 146 ss.), non guari
dissimile in ci» da Krasmo roterdamcse riguardo
ad Ulr.di llullcn ; lo evince finalmente pur li op-
po quella dai tiosuili usurpala tutela della lama
di lui accicsiiula bensì non poco con rime spi-
rituali, con un nuovo Credo, un Magnijìcat, e
con Salmi penitenziali. Sifl'allc eleganze cili-
f.canli, come le chiama Ugo Foscolo Disi-, f 424.,
le tralasciamo, bencln Hosselli al)bin scongiura-
lo ancora (queste nei magici ccrchj suoi allegorici.
XVI
SAGGIO SOPRA DANTE.
Che perciò ? Diremo forse con questo stesso; 3. Osservazioni intorno al tempi
Ugo Foscolo (f. 89. ss. 281. ss.) che l)."siag3Ìuclicò: i« cui probab ilmente sia stata det^
la corona, as)iettandoIa dal decreto divino perla
legittima autorilà della sua missione apostolica,
e il nierilo d' avere militato contro la chiesa
puttaneggiante, e che perciò abbia voluto essere
riformatore, impeditovi soltanto dal tempo ini
tata la D. C. , alla lingua, alla
V ers e ggiat lira, al testo ^ ed aU
la di lui critica.
Salvo le conghietture fondate su di fatti sto-
quo, e da coloro, che a questo tempo furo-'rici mentovali nel poema medesimo, ed alcuni
no venduti e schiavi? eh' ei^li per altro non fu; aneddoti, o favolosi, come quel dei primi setti
di quei riformatori, che fidano più nei prò- canti dell' Inferno trovati nel 1306 in un for-^
pressi della ragione, che della forza?" Anzi^'ziere, o troppo vaghi, come quel delle donn<
quantunque D. per amor patrio innatogli nu- veronesi, che additavano D. come colui, che va'
trisse seinpremai la speranza tante volte e tan-
te delusa di ritornar un di in rirenzc; ancor-
ché il suo cuor generoso bramasse di veder in
Italia innalzarsi quel regno di pace, eh' egli di-
pinse con mano maestra, e fiorire e jnaturarsi
quei semi di un secolo più felice e più libero, che
egli sparse tuttavolta, nulladimeno ei fu certa-
mente alienissimo da quella insania di arrabbiati
novatori moderni, e di raccoglitori assurdi, che
in inferno, e torna quando gli piace, e qua su
reca novelle di coloro, che là giù sono, o final-
mente quel d' un fabbro e d' un asinajo , guas-
tatori di alcun verso cantato del poema , dei
quali il poeta si corruccio tanto, pochissime so-
no le notizie fatte a fissar accuratamente il tem-
po, in cui D. lo dettò. In questo però concor-
dano tutte, che, se D, fermo nel suo disegno di
dir di Beatrice, quanto mai non sia stato detto
con le loro tanaglie vorrebbero malconciamente! d' alcuna, concepiva il poema prima del suo
cavare il parto del tempo, anzi che sia maturo, esilio, e' lo dettò successivamente nell' esilio.
Temette egli di non perder vita tra coloro, che Se a questo aggiungi, ch'egli cangiava qua e là
questo tempo chiameranno antico (Par. 17. )j a noima de' nuovi avvenimenti, (Ugo Foscolo
bramoso ei fu di gloi'ia, ma di gloria immortale. Disc. f. 326 — 334. e Troya ), avrai in generale
eterna, pago di aver mostrato alla sua nazione una storia del poema conforme ed alla estensio-
la via aspra e penosa, durata foi'temente da lui ne di essa, ed alla lentezza, con cui senza la stampa
stesso, che conduce alla cima di vera felicità} si divolgano i libri. Spero intanto di meritar
inalterabile. Quindi pur appare, che non si! grazie, non che perdono, presso i lettori , se lor
debba far tanto caso almeno, quanto ne han fat-' comunico quanto intorno a siflatta quistione mi
to Ugo Foscolo e Rossetti, di qu€l momento di ! scrisse amichevolmente, come suole, un uomo
prudenza e di scaltrezza riserbata, supposta ini che pel suo amore e studio non minori della sua
Dante, donde sia nata massimamente 1' allego- dottiina e modestia, può chiamarsi benemerito
ria del poema; perchè non tro))po bene j^ar che, di D., Carlo Witte, "Credettero i più antichi
quadri quella timidezza e codardia collo sdegno' spositori di I)., tutta la commedia essere com-
divino, con quel suo grido, -che fece come vento, | posta o nello stesso anno 1300, iu cui 1' auto-
the le pili all« cime pia pcicote, con quella ri- re Unge aver avuto la sua visione, o poco dopo;
solutezza imperterrita, di far manifesta tutta sua e ne foruia eccezione forse unica un comento
vision, rimossa ogni menzogna, e di lasciar pur anonimo contenuto nei codd. Laur. PI. XI e
grattar dov' era la rogna. Par. 17, 124. ss
Dunque ancor qui mestieri è d' avvertire, che
])ai le non si disterga con mano gonza e profana
la polvere colorita dall' ale di Psiche, per dar
loro r impasto smagliante di un certo temjio fa-
vorito; parte Jion si deroghi alla maschia indivi-
dualità robusta del poeta; tanto meno quanto
37. elrivulziano No. 10. I più recenti ne con-
cedono lutti la data posteriore, ma variano assai
nel fissare 1' epoca precisa. Il Tacile, il Troya
e più alili fanno rimontar la composizione dei
jjrinii canti della I). C. sino a un tempo anterior e
all' anno del giubileo, asseiendo, eh' essi prima
dell' esilio di I). furono in bocca del popolo fio-
che, come di sopra e stato accennato, appunto j renlino. La prima cantica poi non la credono
qucU' individualità al)bia significato più profon- terminala più tardi del 1308, mentre il Dionisi
do e più degno dedotto dulia natura e dall' ori- non concede, che prima del 1314 le sia data la
ginalilà del poema medesimo. ultima mano. Non meno dilferiscono i medesi-
mi quanto al Purgatorio ; che, assegnandogli il
Tro\a l'anno 1314 J'cr epoca in cui si divolgò^
il Oionisi non lo vuole finito che dopo il 1318.
I mentovali autori sono più concordi pel com
SAGGIO SOPRA DANTE.
XVII
iniento del Paradiso, al quale il Dionisi attrl-; 1313. Ma per non andare per avventura esenti
uisce i primi mesi del 1320, e il Tioya il tem- (juesle ii])ruove di cjualche oggezione, vi acciun-
0 immcdiatanienLe previo alla morte dell' autore j go un' altra più decisiva. JVel canto 19, 79,
Ulto più ne rimangono lontani il Pelli, il Tira- si legge, Clemente V non esser per governar la'
oscbi , che anche prima della morie d' Arrigo chiesa che meno di 19 anni. Bisognerà con-'
li vogliono terminata tutta la commedia. 11 1 lessare, che, per asserir tanto, D. doveva cono-
oscolo ijnalmentesi foDuò parere tutto da sé con scere la data della morte di Clemente, che avven-
ire, essere il divino poema opera postuma, del-
i quale ad eccezione di qualche squarcio T autore
i sua vita lece mistero anche agi' intimi amici.
Volendo esaminare, in quanto queste opini-
iii siano fondate, o nò, bisognerà confessare,
he, non inforinandoceiie l'autore, cosa im-
ossibile sia il rintracciare la data d' ogni passo
un' opera, che non fu pubblicata che ricor-
( t la ed interpolata a parecchie riprese. Essen-
o dunque la conclusione della Vita nuova
' unico passo, nel quale D. accennali tempo, in
Ili concepì il grandioso disegno della C. D.,
lon abbianio ragione di suppone, ch'egli priiua
le! 1300 a])bia jnesso mano all' opera. Quanto
)ui al divolgarsi dei primi canti per Firenze,
lanievi D., non ne abbiamo mallevadore che il
bacchetti Nov. 114 e 115- Vi si oppone però il
onLento di quei canti, 1' idea fondamentale dei
juali senza 1' esilio dell' autore tutt' altra esser
lovca; vi si oppongono ancora le amarissime
noisure, che dal canto sesto in giii lacerano la
ama dei Fiorentini. Nò può bastare a farci
;rcdere un tal racconto 1' autorità del novelliere
issai più recente di I),, che non nomina nemme-
10 la commedia, n;a dice solamente il libro di
D. , che si poteva pur dire delle canzoni o
1' altre rime. Vi conlradircbbe ancora quanto ci
acconta il Boccaccio dell' esser rimasti a Fi-
enze, fuggendo 1)., abbozzati come erano i primi
ietto canti, e del non averne avuto seniore, pri-
lla che gli scoprisse Leone Poggi, gì' ingegni più
ìelli e più congiunti a I).; se non vi fosse
Uogo a dubitare della verità di questo rac-
conto. Chi poi non vuole ])ubblicato l'Inferno
più tardi del 1308, non ne sa addurre allra piova,
che un preteso silenzio intorno agli avvenimenti
più recenti di quell'anno. Si osservi però, che
Dino Compagni, autore per altro pieno di bei
motti, che scrisse nel 1312, non fa cenno della
D.C., che tanto servita gli sarebbe per fregiarne
i ghibellini suoi sentimenti. Osservisi ancora,
non trovarsi, come ottimamente nolo il Forelli,
in Val d' Adige scrollo di montagna, che me-
lio convenisse alla descrizione fallaci di tal ro-
vina da D. neir Ini". 12, G. di quella accaduta,
come sappiamo, nel 1300, come anche in allro
luogo dell' isltìssa cantica (21, 41.) sembra allu-
dei'si a un fallo Unto recente quanto la line del
ne ai 20 apr. 1314, oppure, non volendolo,
non si potrà far a meno d' attribuire a D. uno
spirito profetico, come non esitò di fare il Ros-
setti, che, pochi mesi là, stampò un articolo con-
ila questa mia opinione. Questa per altro deve
essere all' incirca X epoca , in cui D. pubblicò
r inferno, giacché non solamente T autore me-
desimo nella prima dell' egloghe latine composte,
come si crede, intorno al I3l9 , parla dell'
Inf., come di cosa linila, ma di questo tempo in
poi anche gli altri autori alludono ben di spesso
a qualche episodio dell'Inferno. Il famoso Cecco-
d' Ascoli, che nei 1327 fu arso vivo a Firenze,
e che scrisse la sua Acerba, vivente D, *) parla
e sparla di quasi lutti i passi più calzanti dell'
Inferno. Intorno a quel medesimo tempo disse
pure Passera della Gherminella di Lucca in un
suo sonetto pubblicato dal Crescimbeni (storia
della volg. poes. Voi. 3- p. 116. )= "Già di pro-
dezza non sei il vecchio Alardo (Inf. 28, 1;^.)
Ne il conte Guido quel da Monte Ffltro (fnf.
27.) Né Uguccion da Faggiuola, o Mainar do
(^Inf. 27, 50.). Non vai la vita tua un grosso di
peltro (Inf. 1, 103.). Alle guagnele, che tu sei pili
codardo Che non ò un coniglio a petto un vtl~
Irò'' (Inf. 1, 101).
"Il Puigalorio contiene minor numerodi va-
ticini ; onde la data più lucerla ne rimane. Di-
cendosi però in uno dei piiini canti (8,96-), che
Arrigo troppo tardi si moverebbe al soccorso
dell' Italia, creder dobbiamo questa cantica
non esser incon)inciala a sciiveisi che dopo il
1313- Pili decisivo pare il passo, in cui si pre-
dice, che i Guelfi italiani non mono che fian-
cesi sarebbero ])rostrali da un duce celalamcnie
indicato (32, 43.). Quel titolo e quella speranza
QiicHto lo tl(-(liirn d» più d' mi hmfro delP Arrrba, pxr-
tirolariiu-iilc perii ila i|tic^li : "Or pouca Dame, m»- |ir«i-
va iiinHiiiia •*! pili) più f.irr, din «lUiNla finn iiica "' ("iiu
ira lai iloti" ili"" '||'<'I «"li" io Ht-nlo, ,,KiirmaniI" filoco-
firltc raffinili; Sr Daiilf poi le solvr , snn rniilrnfn.'*
AiicUc (;iiiii <li l'iotiija nlluilv in un «no sonrtlo (l't «rrilto
vÌm'uIo Silv'i);^''^ (I" qualu, al dir ali Tiniupi, mori po-
r^i ilopo il l:U'l. V. \'\\A (li mi'NM. ('ino, vii. 1 p. tt.), al
fanioHO opNoilì" di Frnnrcsca da Fliinini : ..Oilh', clic un
Hol riiufiliii ha il irÌHlo coro. ('In- ?'iTiin<lo unibili rorm
ili uutura A uullo amato amar perdona Ainurc."
XVIII
SAGGIO SOPRA DANTE.
non potevano convenire che al capo di tulli i Ghi-
bellini dell' Italia, quale lo Scaligero fu nomina-
to aSoncino li 16 die. 1318, e non mica a qual-
che dinasta municipale, come fu chi tal passo
del f aggiolano intender voleva. A queste prove
non pare che opporsi possa altro argomento, che
il dirsi dal Boccaccio, e da talun allro, de-
dicato il Purg. a Moroello Malaspina III di tal
nome, il qual mori nel 1316. Accorgendomi
però, eh' io non son solo a dubitare della verità
d' un fatto raccontatoci come incerto dal mede-
simo Boccaccio (Antolog. di Firenze, 1827. N. 74.
p. 17. s.), e sospettando, cheun passo di questa
nicdesiuìa cantica alluda alla morte di Moroello,
tale obhjezione non mi sbigottisce. Infalti le lo-
di attribuite ad Alagia (19, 142.), senza che vi si
eia motto del suo marito, sembrano acceimare,
essere trapassato quest' ultimo, quando il poeta
dottò i versi, che contengono quelle. Qui però
ci dovremo fermare. L' egloga di Giovanni Vir-
gilio che, come vedemmo, data dal 1319, già
allude a un passo del Purg. (21, 18-)? onde conver-
rà dire, il confine del 1318 al 1319 esser l'epo-
ca, in cui compimento si diede a quella cantica.
Quanto finalmente al Paradiso, poco rile-
vante mi pare 1' argomento, che il Dionisi deduce
dal non esser più tornato Dante a Verona dopo
la breve stanza, che vi fece sul principio del 1320.
Mi pare aver dimostrato altrove, che la dedicatoria
a Can grande sia postuma, e non vedo, perchè
non si voglia prestar fede al racconto del Boc-
caccio, che gli ultimi tredici canti non si siano
ritrovati che dopo la morte dell' autore. Dire-
mo però, essersi divolgato , se non la maggior
parte , almeno qualche sentore del Parad. anche
vivente I)., stantechè il già mentovato Ascolano
dice nel principio dell' Acerba: "Del qual (cie-
lo) già ne trattò quel Fiorentino Che li lui si
condusse Beatrice." Tanto basterà ancora per
pruovare inconsistente il parere del Foscolo,
che ho riferito di sopra. Ma pure vi si aggiunga
la canzone di Gino (jVó. 20-), che questi compo-
se, appena ricevutala nuova della morte di D.,
ed in cui apertamente si riferisce il verso 72 C.
XV dell' Inferno." — Sin qui il nostro Witle.
Intendendo adesso trai tare nel la serie di ques-
to nostro saggio della linguali D., non possiamo
non prevenire il lettore, che dalla lingua dis-
tinguiamo lo siile, ovvero il modo individuale
di concepire, immaginare e concatenare poetica-
mente nella mente e nell' animo gli oggetti, lad-
dove la lingua e soltanto il matori;ile e lo stru-
mento ad esibire quel dello modo, e il movi-
Micnlo della mente conlcmj)Iante e produccnle.
£ di ciò agevolmente si convincerà chiunque ri-
flette, che cosa si dica stile nella pittura, nella scul-
tura eneir architettura, dove nissuno mai conten-
derà, che stile dicansi i colori, il marmo, ole pietre.
Dello stile adunque compreso in questa guisa par
che assai ne sia stato dello qui dietro nella sezi-
one seconda. Onde ci viene il dover parlai'e
della lingua, o della dizione; tanto più quanto-
che uno dei v^anti e meriti di D. è quello di aver
difesa ed avanzata la nobiltà del mispreso e pos-
posto volgare illustre. Il caratlcre del mezzo
evo, cioèuna discordia ed una renitenza vigorosa
di forze,sipalesaancora relativamente alla lingua.
Per intender ciò clie qui si accenna sol, rammen-
tisi il lettore di quanto dottissimamente disputò il
veramente nobile Perlicari,lroppo tosto per noi ri-
tornato alle tresche de' beati spirili, enei trattato
Degli scrittori del trecento, e nell' Apologia di D.,
Parte seconda. Nel devastamento cioè italico per
via di barbari non fu né pcrduto,nò rinnovato tut-
to il vecchio parlar, variatosi. Il buon Latino il-
lustre era stalo pervertito in \ms,narustica,paga'.
««(contadinesca), Romano, o Homanzo, persino
in balia del clero predicante, o scrivente, uni-
co depositario preteso di coltura. Ma se dall'
una parte il buon Latino, o quanto sen'era con-
servalo, ebbe e ritenne i suoi coltori rigorosis-
simi e difensori ortodossi, di modo che i dotti e
letterati non conoscer volessero altro che quel
che, come lo dissero, era scritto per lettera —
dopo D. il Petrarca ed il Boccaccio preferirono
lo scrivere poemi latini freddicci — - dall' altra
ancora il rustico ebbe i protettori e promotori
suoi in tutti gli eccellenti Italiani convenenti
nella corte siciliana di Federico, e nei filosofi
dell' università di Bologna, i quali a poco a po-
co ne formavano favella aulica, cortigiana, vol-
gar illustre, nobile, o nuovo Latino, retaggio
di nobili ingegni. Ora ecco apparir Dante! A lui,
che aveva letto tutto ciò che da cento e cin-
quanta anni scrivevasi per Italia , che ardente-
mente desiderava I' unità nazionale ancora di
lingua, accetti furono un Guido da Messina, un
Guinizzclli, e tutti i valentuomini benemeriti, che
in quella degna occupazione spendevano le loro
forze. Difese dunque la dignità del volgar illus-
tre avito , benché intendesse benissimo , che
molto restasse ancora a fare, per alzar al suo
colmo quel grand' edificio, eh' era ancora spor-
co d' immondizie dei barbari, di voci storpiate,
diminuite o accresciute arbitrariamente , senza
gusto e senza sapere, e di terminazioni non bene
distinte , anomale e poco analoghe. La materie
per allro del suo sacro poema allinto dalla re-
alità immediata e nazionale, intenzionata ad
oprare sulla nazione volle un mezzo di comu-
SAGGIO SOPRA DANTE.
XIX
nicazione accessibile ed intelliggibile a
quanti. Ancoraché dunque perciò comincias-
se a dettare il poema in versi latini, donde res-
ta qualche frammento — che non tutti i canti
pubblicati dal Viviani sembrano genuini, seppur
lece giudicar dal confronto della latinità nel!'
egloghe dantesche — tosto però, vedendo i canti
degl' illustri poeti tenersi a nul a, e volendo in
uno scaltrire e dirozzar colla lingua natia la
nazione istessa , altra lira temprò conveniente
alP orecchio dei moderni, perchè il cibo eh' è
duro , s' appresta indarno alla bocca di chi è
lattante, come disse a frate Ilario irretito in
quella opinione comune, in parte bensì giusta.
Acconciò dunque ai suoi bisogni ed intendi-
menti allissimi, alle sue idee nuove, ampie e
sublimi quel volgare troppo negletto e vilipeso;
mettendo in piatica i suoi principj poscia es-
posti nel libro de vulg. eloqu. con indill'erenza
e neutralità critica grandiosa accolse ed adottò
ogni vocabolo, ogni forma di dire capace di sostene- ,
re il suo degno legnaggio e la parila di nascita,creò
e formò, addobbò e forbì baldanzosamente ben-!
sì, ma conforme al prototipo latino, all'analogia, '
alla ragione granamatica ed all' uso, in quanto non:
tiranneggiava, quanti ne abbisognava, jier ritrar-
re fedelmente e al naturale i suoi concetti. Laonde
visi trovano voci fiorentine (come dolici. Inf. 21,
37; /<^/mo, i'ar. 3, 21.; coleiina. ivi 19. 40) ; pie-
montesi (come p/'o/t', ringavagnare, ancoi, ca) ;
lombarde (cume mo ed issa, Inf. 23, 3 ; at-'acclo,
Inf. 33, 26; avacclare, Pg. 4,36- Oru/o, Pg. 34,
49; ùarùa, ivi 46); latine ('t ót Par. 3, 30; cunla
Pg. 31 2; Iriùu, Pg. 31, 48-; ••ilrt/i/ia; trlu, Par.
8, 2; arlu ; addua/e, Par. 7,21. inlrearc, Par.
13, 23, iiibe^ Par. 12-4; pavé; nili, Par. 32,
48 ; au/ia, ivi 63 ; gi-it-ggiare., Pg. 20, 48); anzi
greche (come tapino; Inf. 24, 4. da xaTiHvog:,
ermo, Par. 21, 34- t!a ÌQrj^iog; lalria da Icìxqzicì;
aizzo, Inf 27. 7. da cacaco, nuove (come illuiarc,
Par. 9, 2; inimiarecàinlaare, Par. 9,79.; indiare,
Par. 4, 28-; i/irt//// a/wi (oppur, //j/tevi/zaròv, giusta
alcuni codd. Par. 2\,?)\.\iiu:iilarc, Par. 3,33). Inj
colai guisa quel suo dialeltovolgar illustre diventò
comun ricettacolo, o bacino, nel quale lutti i!
rigagnoli accortamente colali mandavano le lo-j
ro acque limpide e chiare.
Questi dunque e non altri sono i principj in-
contrastabili, a nonna dei (piali in occorrenze il
testo vuole deve esser giudicato o ristorato dallci
to.Ntancric intruso, o entrate di contrabbando. A
Jor norma pur hannogiudicalo Lombardi, Dionisi,'
benclic da moltissimi condannalo per bizzarro j
(Ligo l'ose. Disc. 425), Monti, ci' odilorc franco;
ingegnoso del cod. barluliniano, btli'alo e crluii-i
tutti nato pur esso alquanto scioppiamente da Ugo Fos-
colo Disc. 16, ss. 115 ss., di che si consoli pur in
caso di bisogno con Perticar! ed altri non men
degni valentuomini. In siffatto uffizio critico ram-
mentarsi deve 1' editore di quel verissimo detto
del Monti , che il primo codice da consultarsi o
da seguirsi è la critica. E davvero, cosa mai gio-
verebbe, poiché pur manca un autografo, il fru-
gare, ridurre in ordine, in classi e famiglie i co-
dici, il fissare 1' anzianità dell' uno o dell' altro ris-
contrati, coinè Viviani 1' ha fatto con77, sequel
riscontro scrupoloso dà scarsa ricolla, tranne le
inezie di copiatori ignoranti, goffi, o saccenti pe-
danteschi, che misurano la favella del poeta con le
loro nozioni ed opinioni anguste e miserie munici-
pali, accomodano 1' ortografìa a lor tempo ed uso
idiotico, ed in somma sono, come per lo più soglio-
no, gravi pedanti in t hiappolerie, superficiali o ot-
tusi in occorrenze importanti. Mi richiamo in pio-
va di quanto ho detto al riscontro accurato di buon
numero di codici fatto ultimamente col canto terzo
dal professore Carlo Wilte. Non voglio perciò
niegare, che molte più utili varianti di qualche
autorità slorica potrebbero attignersi dai conienti
del primo periodo, comechè si giudichi forse con
Ugo Foscolo Disc. 391-, i comenti di Jacopo della
Lana, dell' Anonimo Ottimo, di Jacopo e Pietro
Alighieri essere uno, purché gli avessimo interi,
sinceri ed incorrotti, come relativamente all' Ot-
timo ci fé' sperare Toitì di Pisa. In tanto, finché
questo succeda, bisognerà distinguere, e giusta-
mente a parer nostro, con L'go Foscolo Disc. 400
ss. tre specie di varianti, quelle cioè di amanuen-
si ignoranti, di chiosatori saccenti, e dell' autore
medesimo, correzioni tentate e rilcnlate a piit ri-
prese, ove la scella talora é difficile. In ciò vinca
sempre la sana ragion critica ognicruscanagginc,
benché canuta ed abbarbicata nei secoli. L^ii senno
franco e non preoccupato, un presagio© sentore,
un discernimento fino innato, a guisa del talento
e del genio, esercitati e coltivali con uso ed as-
sitluilà, saranno scmpreniai la based' ogni critica
genuina. Visi congiungcià uno studio accurato e
profondo della lingua italiana, delle sue railioi,
del suo sviluppo storico e carattere invai) tempi,
analogo a quel di tutte le lingue accoppiate quando
più e (piando meno col medesimo vincolo di al -
nità. In tal guisa, attese le forme, le terminazioni
e r ortografia, sarà nianifeslo, cornea [ìoco a j'oco
da duri e inasdij coniinciaiiu-^nli di coiison.n;ili
ammollissi la i'a\ ella sino alla morbidezza opaslo-
silà, .-d lusso, starci per dire, fomminliio di vocali.
Variabili bensì ed incoRtanli sono sempivmai
l'ortogr.dia e le forme di lingue vivo, massinia-
mcnU in Icmpi di passagiiio ad un nuovo pcrio-
XX
SAGGIO SOPRA DANTE.
do di coltura, come quel di D., dove sempre an-
cor ecchei^i>ia il suono della voce della madre,
nò si scancella la rassomiglianza di i'amiglia, men-
tre l'innesto di marze d'altra specie, come quella
della lingua provenzale, siciliana, non può far a
meno di palesarsi ancora. Jn pruova di ciò si esa-
minino solo la mutabilità delle consonanti affini
dell' istesso organo, leloi-ogradazioni insensibili,
la lor fusione e tempra, per non trovare strane
Ibnne, quai glu^glare invece à.\ giudicare ] in-
neggia jìer invidia; presio per pregio o prezzo
ecc. Ne si trascuii 1' uso antico di scriver é-i in-
vece di e, onde l' ed più moderna inanzi a vo-
cali ; «, eh' è oil frane. o?/,gr.ov, propriamente
ove, accorciato in V; di omettere non di rado
]' apostrofo, gli accenli, 1' h nell' interjezione
e/ì, e di scriverla in hoìuo, hora, liaggia ecc.
lo che potrebbe altresì essere ancora liorentine-
simo. Cosi 1' M è senz' altro posterioieeufoniain
uomo, buono, tuono, suono, «/.ort, benché neces-
saria talor per l'ambiguità e la rassomiglianza
con altre voci, come pur la g in gli avanti la s
impura. Ancora in questa parte della critica,
come in altre più gravi, non poco han fallo Dio-
nisi e Viviani, e forse con lor dritto miglior,
che quell' Aloisio Fantoni, che pubblicò La divi-
na comm. di I) Al. di mano delBoccaccio. Rove-
1a, 1820-8 ; — e più farne potrebbe a ragione chi
non si curasse della criminazione d' aifettazione,
di solecismo, o comunquesi chiamino simili viz],
(lai quali pur agevolmente uno purgar si poli-ebbe
con dire, che quanto ora e antico, lù pur già mo-
derno, anzi torna non di rado a farsi moderno.
Altro momento da voler esser considerato
un po' più profondamente del solito, e non meno
importante di quel della lingua, perchè anch' esso
spiccante in questo aniesignano della letteratura
italiana, oppresso e calpestato lungo tempo dall'
invidia, dalla malizia e dal pregiudizio, si è la
ver.seggiatura , della cui natura, come di lutti
gli elementi, che la compongono, giransi per le
leste ancor degl' Italiani opinioni malconce , in-
consideratamente e di grido in grido adottate.
C'iiè, salvo il Trisnino, il quale mai però non ac-
quistò autoiità bastevole, lutti quanti, come pure
in Francia sino a Saint - Leu (Essai sur la ver-
silicalion. To. 1. I\om. Ici25- To. 2. Firenze. 8-),
conienti di noverale le sillabe per le dita, e di
accentuarle in tal o tal posto, giusta una ti-adi-
zione, neanche in sogno si avvedono d' interro-
gazioni naturalissime, come per e>empio : se questo
accentuale non sia forse indizio e supplinicnto
necessitato di una legge più profonda soltanto
incognita, la quale cerclicjcbbero, purché voles-
sero rammentarsi, che il noverare e il misurare
suppongano misura fissa e dcleijuinala, vale a
dire durata ed estcni.ione? se 1' accento non sia
torse propiietà di un certo genere di versi ?qual
siasi il rapporto della prosodia col verso? se
questa prosodia abbia un suo dritto, o no? se il
ritmo e il verso siano di natura organica, e se-
guano ceite leggi, o no? e di moltissime altre si-
mili. Quindi nacquero squisitissime mostre di
un raro intendimento metrico, date da un cor-
to stregone prolisso d' ellissi, il qiiale Inf.
1 5, 84. al volgar verso : Di voi ìieì mondo quando
adora adora, preferiva. Di yo/' quando nel mon-
do ad ecc.; e Inf. 20, 30. acpiel: Che al giudi^
ciò divin patision comporta, questo qui: Clie al >
giudicio difi/i paA-.sion porta. Anzi vorrebbero I
cotesti venderci simili squarci malconci per mo-
delli e pruove della libertà e volubilità del verso
italiano musicale quanto niun altro, manifestando
così sottilità d' udito non minore di quella di
sapere! A siffatte dunque opinioni confuse e
fioche oppongansi coraggiosamente alcune os-
servazioni generali e fondamentali , che ri-
ducono il verso in potestà dell' orecchio e
della musica, e rimandano 1' indaga tor curioso
e dovutamejite attento all' opera tedesca deltrop-
po tosto trapassato ^igofìto Apel, intitolata : Me-
trik. Lips. 1814. 1816. in due volumi. 8. 11 tem-
po cioè e lo spazio, a fin di svolvere lor con-
tenuto, e d'essere percettibili all' intuito esterno,
debbono essere necessariamente contornati, cir-
coscritti, o limitati. Vi ha j)erciò figure si
di spazio, che di tempo; quelle distirùe con
linee e sussistenti, e sostenentisi in coesione
sin)ultanea ; queste distinte con movimenli, o
polsi, e poste in evoluzione successiva. La
figura del tempo è il ritmo; esso presenta nella
totalità un numero di parti, una varietà di
momenti, o movimenti. Quei momenti elemen-
[lari sono X arsi^ ovvero l'innalzamento, la messa
della voce, per pronunziare la sillaba accentuata,
forle, poderosa o valida ; e la teai^ ossia l'abbas-
samento della voce in sulla sillaba debole, o in-
valida. Ora con questo s'incontrano subito due
opposti — che due è numero d' opposizione o
di contrasto — ed in questa opposizione le lor
forze misuiando palesano la lor vita, o vivono.
La misura delle forze e delle proporzioni del rit-
mo si chiama metro, in musica battuta. Questo
metro è o pari, binario, detto ancora spondaico,
allorché si muove in due momenti quando pri-
marj ; quando in questi stessi, dissolubili però
anch' essi e sciolti, binaiiamente bensì , e allor
delti secondar] ; quando in ambidue gli ordini j
o impari, ternario, detto ancor molossico, allor-
ché si muove ora in tre momenti primarj, ora io
SAGGIO SOPRA DANTE,
XXI
^econdaìj ternariuniente sciolti, ora in due im-
)afi , dove si dice li'ocaico. Lo ^jjoiidaico,
{letto cosi dal piede metrico spondeo (--), cor-
isponde in musica alla baltulta di due (o, se
|)joltiplicale, quattro) crome, equivalenti, come
i sa, a quattro biscrome, otto sedicesimi; il
uolossico, detto dal piede metrico molosso ( )
;orrisponde alla battuta di tre crojne, o sei
iscrome; il trocaico, dal piede trocheo (-<_»)
dia battuta di sei biscrome. Or su di quella dif-
erenza di momenti primarj e secondar] si fonda
apparenza o il fenomeno diverso diversi acceii-
uaLl, e di versi quantltallvi. Imperocciiè gli
' iccentuati si muovono soltanto in momenti pri-
uarj, o secondar] del medesimo ordine, in misura
iiassimamenle binaria. Sono dunque astretti al
apporto iriieiiòivu di momenti /u/Z^. eliicienti, e
i dtbull, o inViilidi ell'cttuati, dipendenti da quei
rimi ] sono perciò insussistenti, attesa la pro-
iEodia, ma non yià rozzi,aiizi musicalmente da con-
piderarsi, spezialmente in lingua musicalmente
ijformata, qual el' italiana. I quantitativi si muo-
ono in momenti d' ordini diversi , e sono as-
rctti al rapporto estenuilo di momenti efficienti
ungili, e d' effettuati brevi. £ duntjue il verso
[jglio dell' accento e della quantità, f versi ac-
centuati sono i più antichi, occorrenti già inmez-
zo ai quantitativi antichi nei satuin] , negli ora-
coli, più tardi nei politici, come nell' ischerzo,
e furono esiliati dai {[uantilativi a cagion della
coltura pj'osodica delia lingua. Onde Ambrogio,
purgando bensì il verso dal lusso e dall' arbitrio
dei virtuosi, astrinse però il canto ad un vincolo
metrico tenace. Ma essendo questo vincolo
per lo più ternario, e perciò men comodo al canto
pieno o fermo, Gi-egorio trasformò il ritmo quan-
titativo, per lo più ternario, in accentualo, o bi-
nario, astringendolo inoltre alla rima, nella cui
concatenazioric e collocazione di nuovo si palesa
un gioco o momento vitale antitetico. La musica
dunque in questa guisa contenne il verso nel li-
miti suoi proprj, liberando insieme se medesima
dai ceppi di quello.
Basti per ora questo sbozzo generalissimo !
Fatto sta: che uno è il principio ritmico antico
e moderno, cioè musicale, ossia la battuta, in
quanto e quel, ciu' alla vaiicià della mussa rit-
mica comparle unità; che uno è il man Ilio me-
Irico e musicale, jnu che il metrico e meno ac-
curato ed cvidenlea cagion della durata non con-
trassegnatavi delle sillabe lunghe, che possono
essere di due o di tre more, oppur rappresenta-
tive a lor luogo, e che pciciò mollo più e da
temersi , che i versi si (;redano scritti pinltoslt)
in grazia dell occhio, che dell' orecchio; donde
nacquero strafulcioni e balordaggini incredibili
edinfinile; ladduvei segni musicali più accurati
e più famigliari notano sin le menome particelle
temporali del ritmo.
Osservisi ancoia, che spezialmente l'endecu-
tiillaho italiano nacque dal verso falecico e saf-
fico, ed appartiene perciò al genere di versi eo-
lico-logaedici, eh' e solamente variazione del te-
ma fondamentale trocaico, o di sei biscrome, il
quale, assunta la foima dattilica, serra il trocheo
nella lunghezza di tre more, o tempi , e dà cosi
nella forma ionica, o coriambica. Di che ognuno
può convincersi, scrivendo siffatti versi con segni
muaicali, ovvero con note, e riscontrandoli con
rendecasiilabo. — DI più ad un attento uditore
non isfuggirà, che le leggi ed i modi prosodici
della latina lingua madre e quei della figlia ita-
liana concordano per lo più. Imperocciie vha
in Italiano ancora apocope {yieii', perduit) sini-
zesi (pjttoòu) , crasi (trai, pel, s'tu, fostu), iato,
sinalefe, elisione, questa però trascurata od os-
servata, secondo il bisogno del verso, principal-
mente nei primi secoli dell 'arte , di modo che
l' istessa parola è quando dissilluba, quando tri-
sillaba, come caòuai, Jìaiu, ov quadrisillaba, or
pentesillaba, come aj/'ezio/ie, compa^òiune, ele-
zione, cundiziune, ora monosillaba, ora dissilla-
ba, coin& pio, dueecc. Di tutto ciò banli P aver
soltanto avvertitoli lettore. Questi modi influis-
cono non solamente sul verso, ma pure sull'
I ortografia; ed almeno noi non veggianio, per-
chè, se in versi Ialini non vengono contrasse-
gnate particoiarmeiile con segni prosodici lo vo-
ci, ove si trovano quei modi, nel verso italiano
tutto debba brulicare d'apostrofi , o d'altri con-
trassegni del pari inutili all' intendente del rit-
mo, come air ignorante, il quale per altro ta-
lora n' è indennizalo da un certo discernimento
naturale.
Distintiva finalmente se non della lingua di
Dante, certo di quella del suo secolo, e con ciò
documento dello slato, in cui il poeta la trovò,
e la grandissima libertà, anzi sirenatezza della
rima , tanta da non paventare, op|)ure da non
curare, o scorgere T ambiguità, che ne nasce,
onde non parrà strano i|ucl ditto di Dante, ge-
nio inoltre tanto possente, creatore, ardilo,
comunicatoci dall' Anonimo Ollimo ( com. all'
InK 10-), ''che mai rima noi trasse a direijutllo,
die avea in suo proponimi nio, ma eh' egli mol-
le e sposse volle Iacea li vocaboli dire nelle sue
rimo allro che ijucllo, eh' erano appo gli altri
dicitori usati di sprimcie.'' Cosi Par. 32, 41-
discrtziui'.i per file separale dei beali; rutiinr,
ivi 136- per avvallaibi; oUrai^^io, l'aj-. 33, 67.
XXll
SAGGIO SOPRA DANTE.
per eccesso. La ragione graniatica ba frenata
non poco quella libertà ; e quanto penosa dovclle
esser la frega di cernere di taluno cruscante nel
vedersi ritenuto da quella forza ferrea della ri-
ma! Che che ne sia, lungi dal difendere, o pre-
conizzare la ruggine e la sozzura dell' antichità,
diamne qui un qualche elenco , interessante
senza dubbio, ancorché non fosse altro che re-
liquiario testificante la figura e il sembiante della
lingua , la sua ricchezza di forme, la sua dipen-
denza filiale dalla madre, e la sua flessibilità.
Permise dunque la rima regge invece di reggi o
regga, Inf. 10, 82- ee (è Inf. 24, 90. Par. 28, 123 ;
stea (stia) Inf. 33, 122; dea (dia) ivi 126; cola
(cole) Inf 12, Ìi9; /uggia (fugga) Inf 15, 6;
pane (panie) Inf 21, 124; sorco (sorcio) Inf 22,
58; *o/yri.so (sorpreso) Pg. 1, 97 ; inreggia (in-
vidia) Pg. 6, 20; comtnisa ( commessa) Pg. 6,
21; i/i'm (vieni) Pg. 7, 21; troppa (troppo) Pg.
9, 124; spermenta (sperimenta) Pg. 11, 20;
acculo (accoglilo) Pg. 14, 6; occupi (occupi)
Pg. 14, 54; parlami (parlommi) e vuomi (mi
vuoi) Pg. 14, 76. 78; tue (tu) Pg. 16, 26; fue
(fu) iv. 23. Inf. 2, 141; senta ( senti )Pg. 16,
138; di butto (di botto) Pg. 17, 40; vedere
(vedere) iv. 46; sego (seco) iv. 60; furi (fuori)
Pg. 19, 81; pententi (i^eaìcìnù) Pg. 22, 43;
fumi ( mi fui ) iv. 90 ; sie ( sì ) Pg. 23, 8 ; fossi
(fosse) Pg. 24, 136; piage (piaghe) Pg. 25, 30;
strenne (strene) Pg. 27, 119; raja (radia) 29,
136; cr-ese (credette) Pg. 32 , 32; fiisi (si fu)
Par. 3, 108; file (fiele") 4, 27; torza (torca)
ivi 78; stesai (stesso) 5, 133; ingiura iiugiMìxa)
7, 43; posse (possa) 13, 94; quive (quivi) 14,
26; amnie Qxiniytx) ivi 62; t-'iuci {v\ì\c\ù) \v. 129;
force (forbice) 16, 9; haja (ubbia) 17, 140;
satisfarà (satisfarà) 21, 93; obblita (obbliata)
23, 50; pingue (pingui) 25, Òl, foro; (furono)
23, 131; nuro (nuora) 26, 93; supplico (sup-
plico) 26, 94; face (faci) 27, 10; fine (fa) 28,
33; vonno (vanno) 28, 103; ttrminumio (ter-
minarono) 28, 105. '• —
Conforme a questi principj, dei quali la dis-
cussione ulteriore non cape in questo luogo,
r editore, in quanto alla parie critica del suo la-
voro, a nissun codice dando la preferenza es-
clxisiva, comunque si chiamasse mai, aldino,
monlecasino, bartoliriiano , o jiidobeatino, ha
scelto sempre la lezione più cenfacente al gonio
originale, fre&co, ardito, soiprcndenle, sotti-
le esagac<>del j>oeta, piii coin,enevole al conte-
jbto, ed allo sjjirito della lingua di quelt' età,
dove la liwgua e la veiseggi;iiura non erano
ancora trattale con teorica soUililà. Perciò re-
lalivamontc -AV ortografia non mozzò apostro-
fando le voci, sennon in caso di collisione dello
medesime vocali, scelse la scriLtura semplicissi-
ma , lontana da quella successivamente intro-
dotta da schifiltosi ci'itici, per raffinare, ammor-
bidare, lisciare, oppur soltanto accomodare a
lor proprio idioma forme e terminazioni credu-
te rozze, aspre, e dure. In ciò, se non fu sem-
pre costante, o rigoroso assai, lo scusi o 1' am-
biguità possibile (come in nuove e no%'e) ^ parte
r anomalia, che s' insinua di leggieri, dove fio-
risce ancor la vita , parte il timor d' esser ripu-
tato superstizioso idolatra dell' antichità, o ri-
gattiere di curiosità ! Quanto però gli giovarono
in questo i lavori di Dionisi e di Viviani , gra-
tamente confessa. Le massime critiche dell' ul-
timo spezialmente sono sicuramente sane, benis-
simo intese, e ponderate, avvegnaché talora se
ne dimentichi, ed in somma troppo esalti il
prezzo del suo codice.
Atteso poi il comento, ne fu il disegno di
dare ancora qui colla più gran brevità quanto
era necessario a disgombrare le difficoltà non po-
che, che s' offrono nelle voci, nel senso, nelle
allusioni e nei ricordi storici. Se in ciò è stato
fatto uso spezialmente del dottissimo Lombardi,
corifeo di tutti quanti , perciò pure non siamo
stati pretti copiatori , o plagiar) , stantechè non
di rado ci scostannno da lui, né si trascurarono
le sposizioni d' altri chiosatori, dovunque gio-
vare paievano colla lor giustezza alP intendi-
mento del testo. Qua e là abbiamo asperse os-.
servazioni elimologicbe sì per coneggernee con-
dannare giustamente altre ovvie nel comento di
Biagioli, come Inf. 6, 69. sovra piaggiare , o
Inf. 15,75. sovia le lame, o in quel di Viviani, e
slper avvivareeiiporre in sua dignilà, quanto a
noi, questa parte dello stutlio filologico inconsi-
deialamentesprezzata edeiisadateste subalterne,
superficiali, oppur insolenti e pseudogeniali, che
non hanno ne forza, né j)azienza di rintracciare e
d'allacciale quei Pioteo di lingua, il quale senza
ciò non rende risposta intorno al suo |)arentag§io.
In sonnna fu nostro assunto il dare agli a-
matori della letteratura italiana non già una
pretta ristampa comj^ilata alla rinfusa ed a ca-
saccio, quale la preferiiebbe la spiloiceria me-
schina di tal lil)rajo ignoiante, sì una edizio-
ne elegante, di buon mercato, e che nondimeno
contenesse quanto mai si potesse compendiosa-
mente, il sugo e la midolla di(|uanlo è stato fat-
to sino ai di nostri per agevolare in ogni dire-
zione 1' inlcndimeiito del patire della poesia ita-
liana e di coloro, che do|)o lui ambirono la fron-
da pcncia. Quanto poi cozzino assieme questo
SAGGIO SOPRA DANTE.
XXUI
■iiire, gìudiclierà di leggieri cLi sa, come, ove
}-.punta l' aurora di un' era nuova, un estremo
ssfida 1' altro, come spezialmente accanto del sen-
no ricco e profondo di vei'i critici, allato al
»jlodo gusto dilicato d' amatori coltivati si boria
ijia superllcialilà, 1' impotenza intellettuale di pe-
■ijJantijC la scipitezza gracchiante di dilettanti steri-
lii, vernicatadi tenerezza infermiccia nauseabonda,
ijjd allin quel tei'sitismo insolente bilioso di poetas-
• Iri o guastacarte scappati per alcun tempo alle
• llalebolge , clie si scongiura pertanto di leggieri
■ con] quel ,,Non ragioniam di lor , ma guarda e
) )assa"; concederallo chi trascorre soltanto alla
•(fuggita il diluvio di materiali, cui non conver-
irebbe dar cavallerescamente lo sfratto, e per fi-
• lirla , cbi è pratico del vile e sprezzevole mer-
: !:ato del mondo. Non lieve dunque fu la fatica
dell' editore di riconciliare siffatti interessi coz-
zanti del? idea, dell' impresario, e del pub-
blico moltiforme. S' egli vi siariescito, altri
decida ! fatto sta, clie almeno 1' assiduità guar-
dinga dilui nell' incalcare e costipare buona par-
te di materiali in ispazio sti'ettissimo, quasi qua-
si prescritto, e il prezzo più che mediocre di
un volume non del tutto inelegante , non dis-
crediteranno questa impresa, la cui tardanza
olti-a il tempo prefisso scuseranno equi stimato-
ri. Una bibliografia dantesca , alla quale diede
contribuzione assai pregevole il su lodato amico,
professore stimatissimo , Carlo "Witte , come gì'
indici delle voci e cose trattate, li riserbiarao per
ora nello scrigno nostro, cedendo malvolentieri
a mire altrui piuttosto cbe nostre. E così ci
vagliano tante cure 1' indulgenza del pubblico'.
LA DIVINA COMMEDIA
D I
DANTE ALIGHIERI.
INFERNO.
CANTO I.
ARGOMENTO.
ìelva. Colle. Tre fiere. Ombra di Virgilio,
al gran viaggio.
Vel mezzo del caminin di nostra vita
Mi ritrovai per una selva oscura.
Che la diritta via era smarrita.
Bh, quanto a dir, qual era, è cosa dura.
Questa selva selvaggia, aspra e forte,
Che nel pensicr rinnova la paura!
Tanto è amara, che poco è più morte:
Ma per trattar del ben, che io vi trovai,
Dirò delle altre cose che io vi ho scorte.
[o non so ben ridir , come io vi entrai ,
Tanto era pien di sonno in su quel punto,
Che la verace via al)bandonai.
Ma poi che io fui al piò di un colle giunto ,
Là ove terminava quella valle.
Che mi avea di paura il cor compunto,
Gfuardai in alto , e vidi le sue spalle
Vestite già dei raggi del pianeta.
Che mena dritto altrui pf-r ogni calle.
mior fu la ]):iura un poco queta ,
Che nel lago del cor mi eia durata
La notte, che io passai con tanta pietà.
E come quei, clu; con len' affannata
Uscito fuor del pelago alla riva.
Si volge all' acqua perigliosa , e guata ,
Così lo animo mie», che ancor (llggi^a,
Si volse intlietro a rimirar lo jiasso,
Che non lasciò giaiiniiiii persona viva.
Poi eh' eì posato un poro il corpo lasso,
llipresi Aia per la piiiggia diserta,
Si che il piò fermo sempre era il più ha^so.
Ed ecco, quasi al cominciar d<^!la erta,
Una lonza leggiera e jiresta molto,
Che di pel niaciihito era coperta.
E non mi si |>arlia diciiir/i al volto.
Anzi 'm|)r(liva tanto il mio cammino,
Che io fui per ritornar più volte volto.
Tempo era dal priiiri|)io drl mattino,
l'i il sol montava in su con quelle stelle,
Cir eran con lui, (|uan(li> lo amor disino
Mosse da prima quelle co^e belle;
Sì che a bene sperar mi <Ta cagione
Di quella fera alla gajettu pelle
La ora del tempo, e la dolce stagione;
Ma non sì , che paura non mi desse
La vista, che mi apparve, di un leone.
Questi parca, che contra me venesse
Coa la test' alta, e con rabbiosa fame.
Invito ^* *^^^ parca, che lo aere ne temesse.
Ed una lupa , che di tutte brame
Sombiava carca con la sua magrezza,
E molte genti fé' già viver grame,
Questa mi porse tanto di gravezza
C(ui la paura, che uscia di sua vista,
Che io perdei la speranza dell' altezza.
E quale è quei, che volentieri acquista,
E giugne il tempo, che perder lo face,
Che in tutt' i suoi pensier piange e si attrista:
Tal mi fece la bestia senza pace,
Che venendomi 'ncontro, a poco a poco
Mi ripingeva là dove il sol tace.
Mentre che io rovinava in basso loco,
Dinanzi alli occhi mi si fu offerto
Chi per lungo silenzio parca fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
^liserere di me, gridai a lui,
Qual che tu sie, od ombra, od omo certo!
Risposemi: non om , omo già fui,
£ li parenti miei fiiron Lombardi ,
E Mantovani per patria ambo e dui.
Nacqui sub .hilio , amor eh' ei fos?e tardi,
E vissi a Koina sotto il bono Augusto
Al tempo delli dei falsi e bugiardi.
Poeta fui. e cantai <li quel giusto
Fii^linol di Ancbise, che venne da Troja,
l'di che il superbo Ilion fu comliusto.
Ma tu, per che ritorni a tanta iioja.''
Per che non sali "I dilettcoo iininte,
Cir è principio e ragion di tiilla gioja?
Or sei tu quel \irgiiio, e <|0(lla funte,
Che spande di parlar ì-ì largo lìuiiic?
llispo.-i Ini con vergognosa Irontc.
Oh (bili altri poeti onore <• lume.
Vagliami 1 lungo studio, e il grande amore,
Cbe mi bau fatto cercar lo tuo volume!
Tu sei lo uiio inae.-tro e il mio autore:
Tu sci ^ob> colui , da cu" io tol>i
Lo bello stile, che mi ha fatto onore.
Vedi la be-iia. per cu' io mi \o\>'ì\
Ajiitami da lei, famoso saggio!
VÌI ella mi fa tremar le vene e i polsi.
A te convien tener altro viaggio,
Ilispose, poi che lagrimar mi vide,
Se vuoi campar di csto loco selvaggio:
m
INFERNO. (I. 9j— 130. ILI— ti)
m
Cile questa bestia , per la qual tu gride ,
Non lancia altrui passar per la sua via ,
Ma tanto lo inipeiirsce, che lo uccide,
Ed ha natura si malvagia e ria ,
Che mai non empie la bramosa voglia,
E dopo il pasto ha più fame, che pria.
Molti son li animali, a cui si ammoglia,
E più saranno ancora, infln che il veltro
Verrà, che la farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra, nò peltro.
Ma sapienza, e amore, e virtutc,
E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro.
Di quella umile Italia fìa salute.
Per cui morì la vergine Camilla,
Furialo, e Turno, e ]\iso di ferute.
Questi la caccerà per ogni villa
Fin che 1' avrà rimessa nello inferno ,
Là onde invidia prima dipartilla.
Onde io per lo tuo mei penso e discerno ,
Che tu mi segui, ed io ti sarò guida,
E trarrotti di qui per luogo eterno,
Ove udirai le disperate strida,
Vedrai li antichi spiriti dolenti ,
Che la seconda morte ciascun grida,
E vederai color, che son contenti
Nel foco, per che speran di venire.
Quando che sia, alle beate genti.
Alle quai poi se tu vorrai salire ,
Anima fìa a ciò di me più degna:
Con lei ti lascerò nel mio partire;
Cile quello impcrador, che là su i-egna,
Per che io fui ribellante alla sua legge,
Non vuol, che in sua città per me si vegna.
In tutte parti impera, e quivi regge:
Quivi è la sua cittade, e lo alto seggio:
Oh felice colui, cu' ivi elegge!
Ed io a lui: poeta, io ti richieggio
Per quello Iddio, che tu non conoscesti.
Acciò che io fugga questo male e peggio,
Che tu mi meni là dove or dicesti ,
Sì che io vegga la porta di san Pietro,
E color , che tu fai cotanto mesti.
Allor si mosse, ed io li tenni retro.
CANTO II.
ARGOMENTO.
Invocazione. Dubbio del poeta delle sue forze.
forto per via di I irf^ilio, guida mandato
da Beatrice.
Lo giorno se ne andava, e lo aere bruno
Toglieva li animai, che sono in terra.
Dalle fatiche loro; ed io sol uno
Mi apparcc(;hia>a a sostener la guerra ,
Sì del cammino, e sì della pietate,
Che ritrarrà la mente, che non erra.
Oh Muse, oh alto ingegno, or mi ajutate!
Oh mente , che scrivesti ciò che io vidi ,
Qui ei parrà la tua nobilitate.
Io cominciai: poeta, che mi guidi,
Con-
Guarda la mia virtù , s'ella è possente ,
Prima che allo alto passo tu mi lidi !
Tu dici, che di Silvio lo parente,
Corrutibile ancora, ad immortale
Secolo andò, e fu sensibilmente.
Però se lo avversario di ogni male
Cortese fu, pensando lo alto eiletto,
Che uscir dovea di lui, e il chi, e il quale,
Non pare indegno ad omo d' intelletto,
Ch' ei fu dell' alma Roma, e di suo impero
Nello empireo ciel per padre eletto :
La quale, e il quale (a voler dir lo vero)
Fur stabiliti per 1() loco santo ,
U siede il suocessor del maggior Piero.
Per quest' andata, onde li dai tu vanto.
Intese cose, che furon cagione
Di sua vittoria , e del papal ammanto.
Andovvi poi lo ras di elezione ,
Per recarne conforto a quella fede ,
Ch' è principio alia via di salvazione.
Ma io, perchè venirci? o chi '1 concede?
Io non Enea, io non Paolo sono:
Me degno a ciò né io , né altri crede.
Per che, se del venire io mi abbandono.
Temo, che la venuta non sia folle.
Sei savio , e intendi mei , che io non ragiono.
E quale è quei, che disvuol ciò, che volle,
E per novi pensier cangia proposta.
Sì che del cominciar tutto si tolle,
Tal mi fec' io in quella oscura costa:
Per che pensando consumai la impresa.
Che fu nel cominciar cotanto tosta.
Se io ho ben la tua parola intesa ,
j Rij^pose del magnanimo quella ombra,
L' anima tua è da viltate offesa.
La qual molte fiate I' omo ingombra.
Sì che di onrata impresa lo rivolve ,
Come falso veder bestia , quand' ombra.
Da questa tema acciò che tu ti solve ,
Dirotti, per che io venni, e quel, che intesi
Nel primo punto , che di te mi dolve.
Io era intra color, che son sospe.-i,
E donna mi chiamò beata e bella ,
Tal che di comandar io la richiesi.
Lucevan li occhi suoi più che la stella:
E cominciommi a dir soave e piana ,
Con angelica voce, in sua favella:
Oh anima cortese mantovana ,
Di cui la fama ancor nel mondo dura ,
E durerà, quanto il mondo, lontana:
Lo amico mio, e non della ventura,
Nella diserta piaggia è impedito
Sì nel cammin, che volto è per paura:
E temo, che non sia già gì smarrito,
Che io mi sia tardi al soccorso levata,
Per quel, che io ho di lui nel cielo udito.
Or movi, e con la tua parola ornata,
E con ciò, che ha mestieri al suo campare.
Lo ajuta sì, che io ne sia consolata!
Io son Beatrice, che ti faccio andare:
Vegno di loro, ove tornar disio:
Amor mi mosse, che mi fa parlare.
Quando sarò dinanzi al signor mio ,
j Di te mi loderò sovente a lui.
Tacettc allora, e poi comincia' io:
1 Oh donna di virtù, sola, per cui
La umana specie eccede ogni contento
[5]
INFERNO. (II. 78— H2. HI. 1— 5t)
[6]
Da quei ciel , che ha minor li cerchi sui :
Tanto nji afifgrada il tuo comandamento,
Che lo ubbidir, se già fos^e , mi è tardi;
Più non ti è uopo aprirmi '1 tuo tiilento.
Ma dimmi la cagion , che non ti guardi
Dello scender qua giù in questo centro
Dallo ampio loco , ove tornar tu ardi.
Da che tu vuoi saper cotanto a dentro ,
Dirotti brevemente, mi rispose,
Per che io non temo di venir qua entro.
Temer si dee di sole quelle cose,
Che hanno potenza di far altrui male :
Delle altre no , che non son paurose.
Io son fatta da dio, sua mercè, tale.
Che la vostra miseria non mi tange,
■ INè fiamma di csto incendio non mi assale.
Donna è gentil nel ciel, che si compiange
Di questo impedimento, ove io ti mando,
Sì che duro giudicio là su frange.
i Questa chiese Lucia in suo dimando ,
E disse: or abbisogna il tuo fedele
j Di te , ed io a te lo raccomando.
Lucia nimica di ciascun crudele
Si mosse, e venne al loco, dove io era.
Che mi sedea con 1' antica Rachele;
Disse: Beatrice, loda di Dio vera.
Che non soccorri quei , che ti amò tanto ,
Che uscio per te della volgare schiera?
ÌNon odi tu la pietà del suo pianto .''
ÌNon vedi tu la morte , che il combatte
Su la fìumana , ove il mar non ha vanto?
Ai mondo non fur mai persone ratte
A far lor prò, ed a fuggir lor danno,
Come io, dopo cotai parole fatte;
Venni qua giù dal mio beato scanno.
Fidandomi nel tuo parlare onesto ,
Che onora te, e quei, che udito lo hamio.
Poscia che mi ebbe ragionato questo.
Li occhi lucenti Itigrimando volse,
Per die ini fece del venir più presto :
E ^enni a te così com' ella volse.
Dinanzi a quella fiera ti levai ,
Che del bel monte il corto andar ti tolse.
Dunque che è? per che, per che ristai?
Per che tanta viltà nel cor allette?
Per che ardire e franchezza non hai ?
Poscia che tai tre donne benedette
Curan di te nella corte del ci'-lo ,
E il mio parlar tanto ben f impromette?
Quale i fioretti dal notturno gelo
Chinati e chiusi, poi che il sol 1' imbianca,
Si drizzan tutti aperti in loro stelo ,
Tal mi fec' io di mia virtute stanca,
E tanto bono ardir al cor mi corse.
Che io cominciai come persona franca:
Oh pietosa colei , die mi so«;corse,
E tu cortese, che ubbidi.^ti tosto
Alle vere parole, che ti jiorse!
Tu mi hai con de>i(l('rio il cor disposto
Si al venir con le parole tue.
Che io son tornato nel primo proposto.
Or va, che un sol colere è di auiito e due:
Tu duca, tu signore, e tu maestro.
Co^ì li dis.si : e poi cIh^ mosso fiie ,
Entrai per lo cammino alto e sil\ estro.
CANTO III.
ARGOMENTO.
Iscrizione della porta infernale. Luogo e supplizio
degU indolenti, Acheronte. Caronte.
Trafitto delle anime.
Per me si va nella città dolente:
Per me si va nello eterno dolore:
Per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore,
Fecemi la divina potestate,
La somma sapienza, e il primo amore.
Dinanzi a me non fur cose create.
Se non eterne , ed io eterna duro.
Lasciate ogni speranza , voi che 'ntrate !
Queste parole di colore oscuro
Vid' io scritte al sommo di una porta:
Per che io : maestro , il senso lor mi è duro.
Ed egli a me, come persona accorta:
Qui si convien lasciar ogni sospetto ;
Ogni viltà convien che qui sia morta.
ÌNoi sem venuti al loco, ove io ti ho detto,
Che vederai le genti dolorose ,
Che hanno perduto il ben dello intelletto.
E poi che la sua mano alla mia pose,
Con lieto volto, onde io mi confortai,
31i mise dentro alle scerete cose.
Quivi sospiri, pianti, e alti guai
Kisonavan per lo aere senza stelle.
Per che io al cominciar ne lagrimal.
Diverse lingue, orriiiili favelle.
Parole di dolore, accenti d ira.
Voci alte e fioche, e suon di man con elle,
Facevan un tumulto, il qual si aggira
Sempre in qnell' aria senza tempo tinta.
Come la rena , quando a turbo spira.
Ed io, di!" avea di orror la testa cinta.
Dissi : maestro , die è quel , die io odo ?
E che gent' è, che par nel duol si vinta?
Ed egli a me: questo misero miulo
Tengon le anime triste di coloro,
Che visfcr senza infamia e senza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
I Delli angeli , che non furon ribelli ,
! ]\è fur tedili a dio, ma per sé foro.
Cacciarli i cid, per non esser meo belli,
I\è lo profondo inl'erno li riceve.
Che alcuna gloria i rei avrrhher di elli.
Ed io: mae.-tn», che è t.Tiito greve
A lor, clic lameiit.ir li fa sì forte?
llispose : l'.ireriplli molto broe.
Que^ti non liaiino speranza di morte,
E la lor cieca v ila è tanto bas^a ,
Che iiniiliori son di ogni altra sorte.
Fama di loro il mondo es^er nini lassa:
Misericordia e giustizia li sdegna.
^on ragioniaiu di lor, ma guarda, C pa:$«a !
Ed io, die riguardai, vidi una insegna.
Che gir.indo correda tanto raiti ,
(;iie di ogni posa mi pareva indegna:
E dietro le venia si lunga tr.itta
Di gente, die io non averci creduto,
Che morto tanta no avesse disfatta.
1 ♦
m
I N FÉ RNO. (111. 58— 180. IV. 1 — 42)
P]
Poscia che io vi ebbi alcun riconosciuto,
Villi e conobbi la ombra di colui,
Che fece per \iltate il gran rihuto.
Incontanente intesi , e certo fui ,
Che quej:ta era la setta dei cattivi
A dio spiacenti ed ai nemici sui.
Questi sciaurati , che mai non fur vivi ,
Erano ignudi, e stimolati molto
Da mosconi e da vespe , eh' cran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto, _
Che mischiato di lagrime ai ior piedi
Da fastidiosi vermi era ricolto. _
E poi che a riguardar oltre mi diedi,
Vidi gente alla riva di un gran fiume;
Per che io dissi: maestro, or mi concedi,
Che io sappia, quali sono, e qual costume
Le fa parer di trapassar sì pronte,
Come io discerno pur lo fioco lume.
Ed egli a me: le cose ti fien conte.
Quando noi fermeremo i nostri passi
Su la trista riviera di Acheronte.
Allor con li occhi vergognosi e bassi.
Temendo, che il mio dir li fusse grave,
Infino al fiume di parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave
Un vecchio bianco per antico pelo
Gridando: guai a voi, anime prave!
Non {sperate mai veder lo cielo!
Io vegno per menarvi all' altra riva
Nelle tenebre eterne in caldo e in gelo.
E tu, che sei costi, anima viva,
Partiti da cotesti, che son morti!
Ma poi eh' ei vide, che non mi partiva.
Disse: per altre vie, per altri porti
Verrai a piaggia , non qui , per passare ;
Più lieve legno convien che ti porti.
E il duca a lui: Caron, non ti crucciare!
Auolsi così colà, dove si puote
Ciò che si vuole; e più non dimandare!
Quinci fur quete le lanose gote
Al nocchier della livida palude.
Che intorno alli occhi avea di fiamme rote.
Ma quelle aninje, eh' eran lasse e nude,
Cangiar colore , e dibatterò i denti ,
Ratto che inteser le parole crude.
Bestemmiavano dio, e i lor parenti,
La umana specie, e il loco, il tempo, e il seme
Di lor semenza, e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme
Forte piangendo alla riva malvagia,
Che attende ciascun om , che dio non teme.
Caron dimonio con occhi di bragia
Loro accennando, tutte le raccoglie,
Batte col remo, qualunque si adagia.
Come di autunno si levan le foglie,
La una a presso dell' altra, infin che il ramo
Vede alla terra tutte le sue spoglie,
Similemente il mal seme dì Adamo :
Gittansi di quel lito ad una ad una
Per cenni, come augel per suo richiamo.
Così sen vanno su per la onda bruna,
Ed avanti che eien di là discese,
Anche di qua nuova schiera si aduna.
Figliuol , mi disse il maestro cortese,
Quelli che muojon nella ira di dio.
Tutti convegnou qui di ogni paese,
E pronti sono al trapassar del rio,
Che la divina giustizia li sprona ,
Sì che la tema si volve in disio.
Quinci non passa mai anima bona:
E però se Caron di te si lagna ,
Ben puoi saper ornai, che il suo dir sona.
Finito questo , la biija campagna
Tremò si forte, che dello spavento
La mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lacrimosa diede vento ,
Che balenò una luce vermiglia ,
La qual mi vinse ciascun sentimento,
E caddi , come Tom , cui sonno piglia.
CANTO IV.
ARGOMENTO.
Scesa nel limbo , o primo cerchio di famosi non bat-
tezzati, e poeti e filosofi.
Ruppemi lo alto sonno nella testa
Un greve trono, sì che io mi riscossi
Come persona, che per forza è desta.
E 1' occhio riposato intorno mossi,
Dritto levato , e fiso riguardai ,
Per conoscer lo loco, dove io fossi.
V^ero è, che in su la proda mi trovai
Della valle di abisso dolorosa,
Che tuono accoglie d' infiniti guai.
Oscura, profonda era, e nebulosa,
Tanto che, per ficcar lo viso a fondo.
Io non vi discernea alcuna cosa.
Or discendiam qua giù nel cieco mondo.
Incominciò il poeta tutto smorto:
Io sarò primo, e tu sarai secondo.
Ed io , che del color mi fui accorto ,
Dissi: come verrò, se tu paventi,
Che suoli al mio dubbiare esser conforto?
Ed egli a me : 1' angoscia delle genti ,
Che son qua giù, nel viso mi dipinge
Quella pietà, che tu per tema senti.
Andiam, che la via lunga ne sospinge!
Così si mise , e così mi fé 'ntrare
Nel primo cerchio , che lo abisso cinge.
Quivi, secondo che per ascoltare.
Non avea pianto, ma che di sospiri,
Che r aura eterna facevan tremare.
E ciò avvenia di dol senza martiri.
Che avcan le turbe, eh' eran molte e grandi,
D' infanti, e di femmine, e di viri.
Lo buon maestro a me: tu non dimandi.
Che spiriti son questi, che tu vedi.^
Or vo' che sappi, innanzi che più andi,
Ch' ei non peccaro: e s' elli hanno mercedi,
Non basta, per eh' ei non ebber battesmu,
Ch' è porta della fede, che tu creili;
E s' ei furon dinanzi al cristianesmo .
Non adorar debitamente dio :
E di questi cotai son io medesino.
Per tai difetti, e non per altro rio,
Senio perduti, e sol di tanto uiTesi,
Che senza speme viveuto in disio.
m
INFERNO. (IV. 43—151. V. 1 — 12)
[10]
Gran duol mi prese al cor, quando Io intesi;
I Però die gente di molto valore
) Cono!)I>i , che in quel limbo eran sospesi.
;/ Dimmi, raae8tro mio, dimmi, signore,
? Comincia' io, per voler esser certo
Di quella fede, che vince ogni errore:
Il L'scinnc mai alcuno, o per suo merto,
O per altrui, che poi fosse beato?
E quei, che intese il mio parlar coverto.
Rispose: io era novo in questo stato,
Quando ci vidi venire un possente
Con segno di vittoria coronato.
Trasseci la ombra del primo parente.
Di Abel suo figlio , e quella di Noè ,
.Di Moisè legista ubbidiente,
Abraàm patriarca, e David re, ^
Israel con Io padre, e coi suoi nati,
E con Rachele, per cui tanto fé'.
Ed altri molti, e feceli beati :_
E vo' che sappi, che dinanzi ad essi
Spiriti umani non eran salvati.
Non lascia vam Io andar, per eh' ei dicessi,
Ma passavam la selva tuttavia,
La selva dico di spiriti spessi.
Non era lungi ancor la nostra vìa
Di qua dal sommo, quando io vidi un foco,
Ch' emisperio di tenebre vìncia.
Di lungi vi eravamo ancora un poco ,
Ma non sì, che io non discernessi in parte,
Che onrevoi gente possedea quel loco.
Oh tu , che onori e scienza ed arte ,
Questi chi son, che hanno cotanta onranza,
) Che dal modo delli altri li diparte.^
E quelli a me : la onrata nominanza ,
Che di lor sona su nella tua vita,
Grazia acquista nel cicl , che si li avanza.
Intanto voce fu per me udita:
Onorate 1' altìssimo poeta !
La ombra sua torna, eh' era dispartita.
Poi che la voce fu restata , e quota ,
Vidi quattro grandi ombre a noi venire:
Sembianza avevan né trista, né lieta.
Lo buon maestro cominciommi a dire:
Mira colui con quella spada in mano.
Che vien dinanzi ai tre, si come sire!
Quelli è Omero, poeta sovrano:
Lo altro è Orazio satiro, che viene,
Ovidio è il terzo, e Io ultimo é Lucano.
Però che ciascun meco si conviene
Nel nome, che sonò la voce sola,
Fannomi onore, e di ciò fanno bene.
[!o8Ì vidi adimar la bella scola
Di quel signor dello altissimo canto.
Che sovra li altri, come aquila, vola.
[)a eh' ebber ragionato insieme alquanto,
Volsersi a me con saliitevoi cenno;
E il mio maestro sorrise di tanto.
C più di onore ancora assai mi fenno :
Ch' esci mi feccr della loro schiera,
Si che in fui sciato tra cotanto stanno.
^Osi ne andammo insino alia lumiera.
Parlando cose, che il tacere é bello.
Sì com' era il i>arlar «■olà , dov' era.
lenimmo al pie di un nobile castello
Setto volte cercliiiito ili alte mura.
Difeso intorno di un bel fiumicilli».
Questo passammo, come terra dura.
Per sette porte intrai con questi savi :
Gìiignemmo in prato di fresca verdura.
Genti vi eran con occhi tardi e gravi.
Dì grande autorità nei lor sembianti :
Parlavan rado con voci soavi.
Traemmoci così dallo un dei canti
In loco aperto, luminoso, ed alto.
Sì che veder si potèn tutti e quanti.
Colà diritto sopra il verde smalto
j Mi fiir mostrati li spiriti magni,
1 Che di vederli in me stesso mi esalto.
|Io vidi Elettra con molti compagni,
I Tra i quai conobbi ed Ettore, ed Enea,
j Cesare armato con li occhi grifagni.
[Vidi Camilla, e la Pentesilea
[ Dall' altra parte, e vidi '1 re Latino,
I Che con Lavinia sua figlia sedea.
Vidi quel Bruto, che cacciò Tarqnino,
j Lucrezia, Julia, Marzia, e Corniglia,
E solo in parte vidi 'I Saladino.
Poi che innalzai un poco più le ciglia ,
Vidi '1 maestro di color che sanno ,
Seder tra filosofica famiglia.
Tutti lo ammiran , tutti onor li fanno.
Quivi vid' io e Socrate, e Platone,
Che innanzi alli altri più presso li stanno.
Democrito, che il mondo a caso pone,
Dìogenès, Anassagora, e Tale,
Empedoclès, Eraclito, e Zenone:
E vidi '1 buono accoglitor del quale,
Dioscoride dico : e vidi Orfeo ,
Tullio, e Livio, e Seneca morale:
Euclide geometra, e Tolommeo,
Ippocrate , Avicenna, e Galìeno,
Avverrois, che il gran comento feo.
Io non posso ritrar di tutti a pieno ,
Però che sì mi caccia il lungo tema ,
Che molte volte al fatto il dir vien meno.
La sesta compagnia in duo si scema ;
Per altra via mi mena il savio duca
For della queta nell' aura, che trema,
E vengo in parte ove non é, che luca.
C ANTO V
ARGOMESTO.
Miiiòs, giudice <V inferno. Cerchio secondo dei Ins-
I suriosi. Francesca di liiiiiiiio.
Cosi discesi del cerchio primajo
I Giù nel secondo , che mon htco cinghia ,
I E tanto più dohu-, ihe pugne a guajo.
Stavvi Miiiòs orribilmente, e ringhia,
j Ksiimina le colpe nella entrata,
I (ìiiidica, e manda, secondo che av\iiighla.
Dico che, quando l'anima m:il nata
I Li vidi (liiian/.i, tutta si conres?a:
I E quel coiior-citiir d<lle peccata
Vede, (|iii!l loco d' iiiIVrno è da essa,
I ('igne-i «on la coilu tante volte ,
I Quantunque gradi vuol che giù sia mc«.-a.
Sempre dinanzi a luì ne stanno molte,
Vanno a vicenda ciascuna al giudi/io,
Dicono e odono, e poi son giù volte.
Oli tu , che vieni al doloroso ospizio.
Disse Minòs a me, quando mi vide,
Lasciando lo atto di cotanto ufizio ,
Guarda, coni' entri, e di cui tu ti fide!
Non t'inganni l'ampiezza dello entrare!
E il dut'a mio a lui: per che pur gride?
Kon impedir lo suo fatale andare!
Vuoisi cosi colà, dove si puote
Ciò che si vuole : e più non dimandare !
Ora incomincian le dolenti note
A farmisi sentire: or son venuto
Là, dove molto pianto mi percote.
Io venni in loco di ogni luce muto ,
Che mugghia, come fa mar per tempesta,
Se da contrarj venti è combattuto.
La huféra infernal, che mai non resta,
Mena li spirti con la sua rapina.
Voltando, e percotendo li molesta.
Quando giungnn di avanti alla ruina ;
Quivi le strida , il compianto , e il lamento :
Bestemmian quivi la virtù divina.
Intesi, che a così fatto tormento
Enno dannati i peccator carnali ,
Che la ragion soramettono al talento.
E come li stornei ne portan le ali
Nel freddo tempo a schiera larga e piena ,
Cosi quel fiato li spiriti mali
Di qua, di là, di giù, di su li mena:
Nulla speranza li conforta mai ,
Non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai,
Facendo in aere di sé lunga riga.
Cosi vid' io venir, traendo guai,
Omhre portate dalla detta briga:
Per «he io dissi : maestro , chi son quelle
Genti, che !o aere nero sì gastiga?
La prima di color, di cui novelle
Tu vuoi saper, mi disse quelli allotta.
Fu imperatrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu sì rotta.
Che libito fé' licito in sua legge.
Per torre il biasmo, in che era condotta.
Ella è Semiramis, di cui si legge.
Che succedette a Nino, e fu sua sposa:
Tenne la terra, che il Soldan corregge.
L' altra è colei, che si ancise amorosa,
E ruppe fede al cener di Sicheo.
Poi è Clcopatràs lussuriosa.
Elena vidi, per cui tanto reo
Tempo si volse; e vidi '1 grande Achille,
Che con amore al fine combattco.
Vidi Paris , Tristano ; e più di mille
Ombre mostrommi, e nominollc a dito.
Che amor di nostra vita dipartiile.
Poscia che io clibi il mio dottore udito
Nomar le donne antiche e i cavalieri ,
Pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
Io cominciai: poeta, volentieri
Parlerei a quei duo, che insieme vanno,
E pajon sì al vento esser leggieri.
Ed egli a me: vedrai, c{uandu saranno
Più presso a noi: e tu allor li prega
Per quello amor che i mena; e quei verranno.
Sì tosto, come il vento a noi li piega.
INFERNO. (V. 13—142)
[12]
Movo la voce: oh anime affannate.
Venite a noi parlar, se altri noi niega!
Quali colombe dal disio chiamate.
Con le ale aperte e ferme al dolce nido
A engon per lo aere dal voler portate:
Cotali uscir della schiera, ov' è Dido,
Venendo a noi per lo aere maligno ,
Sì forte fu lo aiì'ettuoso grido.
Oh animai grazioso e benigno,
Che visitando vai per lo aer perso
Noi, che tignemmo il mondo di sanguigno »
Se fosse amico il re dello universo,
Noi pregheremmo lui per la tua pace.
Poi che hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel, che udire, e che parlar ti piace.
Noi udiremo, e parleremo a vui ,
Mentre che il vento, come fa, ci tace.
Siede la terra, dove nata fui,
Su la marina, dove il Po discende,
Per aver pace coi seguaci sui.
Amor, che al cor gentil ratto si apprende,
Prese costui della bella persona.
Che mi fu tolta , e il modo ancor mi offende.
Amor , che a nullo amato amar perdona ,
Mi prese del costui piacer sì forte ,
Che, come Aedi, ancor non mi abbandona.
Amor condusse noi ad una morte :
Caina attende , chi 'n vita ci spense.
Queste parole da lor ci fur porte.
Da che io intesi quelle anime ofTense,
Chinai 'I viso, e tanto il tenni basso.
Fin che il poeta mi disse: che pense?
Quando risposi, cominciai: oh lasso.
Quanti dolci pensier, quanto disio
Menò costoro al doloroso passo !
Poi mi rivolsi a loro, e parla' io,
E cominciai : Francesca , i tuoi martiri
A lacrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo dei dolci sospiri,
A che, e come concedette amore.
Che conoscente i dubbiosi desiri .^
Ed ella a me: nessun maggior dolore.
Che ricordarsi del tempo felice
Nella miseria; e ciò sa il tuo dottore.
Ma se a conoscer la prima radice
Del nostro amor tu hai cotanto affetto,
Farò, come colui, die piange, e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
Di Lancil<;tto, c«mìe amor io strinse:
Soli eravamo , e senz' alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
Quella lettura, e scolorocci '1 viso:
Ma solo UH punto fu quel , che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
Esser basiate da cotanto amante ,
Questi, che mai da me non fia diviso,
La bocca mi basiò tutto tremante :
Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse:
Quel giorno più non vi leggemmo avante.
Mentre che lo uno spirto questo disse.
Lo altro piangeva sì , che di pietade
Io venni meli così come io morisse,
E caddi, come corpo morto cade.
13]
INFERNO. (VL 1—115)
[14]
CANTO VI.
ARGOMENTO.
Verzo cerchio: i golosi. Cerbero. Ciacco delle
cardie di Firenze. —
i tornar della mente, che si chiuse
Dinanzi alla pietà dei. due cognati ,
Che dì tristizia tutto mi confuse,
iovi tormenti , e novi tormentati
Mi veggio intorno , come che io mi mova
£ che io mi volga, e come che io mi guati.
0 sono al terzo cerchio delia piova
Eterna, maledetta, fredda, e greve:
Regola e qualità mai non 1' è nova.
ìrrandine grossa, ed acqua tinta, e neve
Per lo aere tenebroso si riversa :
Pute la terra , che questo riceve.
Jerbero, fiera crudele e diversa.
Con tre gole caninamente latra
Sovra la gente, che quivi è sommersa.
iì occhi ha vermigli, e la ìiarba unta ed atra,
£ il ventre largo, e unghiate le mani:
Graifia li spirti, ed ingoja, ed isquatra.
Mar li fa la pioggia, come cani:
Dello un dei Iati fanno allo altro schermo;
Volgonsi spesso i miseri profani.
Quando ci scorse Cerbero , il gran vermo ,
Le bocche aperse e mostrocci le saune :
Non avea membro , che tenesse fermo.
i il duca mio distese le sue spanne ,
Prese la terra, e con piene le pugna
La gittò dentro alle bramose canne.
Jual è quel cane, che abbajando agugna,
E si racqucta poi che il pasto morde.
Che solo a divorarlo intende e pugna ;
Jotai si fecer quelle facce lordo
Dello demonio Cerbero , che introna
Le anime sì , eh' esser vorrebber sorde.
Io! passavam su per le ombre, che adona
La greve pioggia , e ponevam le piante
Sopra lor vanità , che par persona.
ilUe gia<:(;n per terra tutte e quante ,
For di una, che a seder si levò ratto
Ch' ella ci vide passarsi davantc.
)h tu , che sci per questo inferno tratto ,
Mi disse, riconoscimi, se sai!
Tu fosti prima, che io disfatto, fatto.
Sd io a lei: 1' angoscia, che tu hai,
Forse ti tira for della mia mente.
Sì che non par che io ti vcde^si mai.
ila dimmi , chi tu sei , che iu sì dolente
Loco sei messa, ed a sì fatta pena.
Clic se altra è maggio, nulla è sì spiacente.
ìaA egli a me: la tua città, cli'è piena
D' invidia sì, che già trabocca il sacco,
Seco mi tenne in la vita serena.
/oi , cittadini , mi cliiuma^t(; Ciac<'0 :
l'cr la dannosa colpa della gola,
Come tu vedi , alla pio;;gia mi nacco.
']d io anima trista non son sola,
Che tutte queste a simil pt-na stanno
Per simil colpa: e più non ti;' parola.
0 li risposi: Ciacco, il tuo all'anno
Mi pesa si che a lacrimar m' invita;
Ma dimmi, se tu sai, a che verranno
Li cittadin della città partita;
Se alcun vi è giusto; e dimmi la cagione.
Per che 1' ha tanta discordia assalita!
jj-^_ E quelli a me: dopo lunga tencionc
j A erranno al sangue , e la parte selvaggia
j Caccerà 1' altra con molta offensione.
jPoi a presso convien, che questa caggia
Infra tre soli, e che 1' altra sormonti
Con la forza di tal , che testé piaggia.
•Alto terrà lungo tempo le fronti,
I Tenendo 1' altra sotto gravi pesi,
j Come che di ciò pianga, e che ne adonti.
Giusti son duo , e non vi son intesi :
Superbia , invidia , ed avarizia sono
Le tre faville, che hanno i cori accesi.
Qui pose fine al lacrimabil suono.
Ed io a lui: ancor vo', che m'insegni,
E che di più parlar mi facci dono.
Farinata, e il Tegghiai', che fur sì degni,
Jacopo Rusticucci, Arrigo, e il Mosca,
E li altri , che a ben far poser 1' ingegni ,
Dimmi, ove sono, e fa, che io li conosca!
Che gran disio mi stringe di sapere.
Se il ciel li addolcia, o Io inferno li attosca.
E quelli: ei son tra le anime più nere4
Diversa colpa giù li grava al l'ondo.
Se tanto scendi , là i potrai vedere.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo.
Pregoti, che alla mente altrui mi rechi.
Più non ti dico , e più non ti risj)ondo.
Li diritti occhi torse allora in biechi ,
Guardorami un poco, e poi chinò la testa:
Cadde con essa, a par delli altri cie<:hi.
E il duca disse a me: più non si desta
Di qua dal suon dell' angelica tromba ,
Quando verrà la nimica podestà ,
Ciascun ritroverà la trista tomba,
Ripiglierà sua carne, e sua figura.
Udirà quel, che in eterno rimbniuba.
Si trapassammo per sozza mistura
Delle ombre, e della pioggia, a passi lenti.
Toccando un poco la vita futura.
Per che io dissi: maestro, esti tormenti
Cresceranno ci dopo la gran sentenza,
O ficn minori , o sarau sì cocenti ?
Ed egli a uic: ritorna a tua scienza.
Che vuol, quanto la cosa è più v<'»"f<''''''»
Più senta il bene, e così la doglicnza.
Tutto che questa gente maledetta
In vera porfczion giammai non vada.
Di là, più che di qua, essere aspel'.a.
Noi aggirammo a tondo quella strada,
Parlando più assai, che io non ridico J
Veniuuiu) al punto, dove si digriii'a:
Quivi trovammo Plato , il gran nemico.
[15]
INFERNO. (VII. 1-125)
[16]
CANTO VII.
ARGOMENTO.
Quarto e quinto cerchio de' prodighi ed avari,
degV iracondi. Fortuna-
Pape Satan , pape Satan aleppe ,
Cominciò Fiuto con la voce chioccia;
E quei savio gentil, che tutto seppe,
Disse, per confortarmi: non li neccia
La tua paura; cliè poder, eh' egli abbia,
Non ri torrà lo scender questa roccia.
Poi si rivolse a quella enfiata labbia,
E disile: taci, maledetto lupo!
Consuma dentro te con la tua rabbia!
Kon è senza cagion lo andare al cupo:
Vuoisi nello alto là dove Michele
Fé' la vendetta del superbo strupo.
Quali dal vento le gonfiate vele
('aggiono avvolte, poi che lo alber fiacca.
Tal cadde a terra la fiera crudele.
Cosi scendemmo nella quarta lacca,
Prendendo più della dolente ripa ,
Che il mal dello universo tutto insacca.
Ahi giustizia di dio, tante chi stipa
Nove travaglie e pene, quante io viddi?
E per che nostra colpa sì ne scipa? " ■'
Come la la onda là sovra Cariddi ,
Che si frange con quella, in cui s'intoppa,
Così convien , che qui la gente riddi.
Qui vid' io gente più che altrove troppa.
E di una parte e di altra con grandi urli
Voltando pesi per forza di poppa,
Pei'cotevaiìsi incontro , e poscia pur lì
Si rivolgea ciascun, voltando a retro.
Gridando: per che tieni, e per che burli?
Così toniavan per lo certhlo tetro
Uà ogni mano all' opposi to punto ,
Gridando sempre in loro ontoso metro.
Pili si volgea ciascun, quando era giunto.
Per Io suo mezzo cerchio , all' altra giostra.
Ed io , che avea lo cor quasi compunto ,
Dissi: maestro mio, or mi dimostra,
Che gente è questa, e se tutti fur cherci
Questi chercuti alla sinistra nostra.
Ed egli a me: tutti quanti fur guerci
Si della mente in la vita primaja ,
Che con misura nullo spendio lerci.
Assai la voce lor chiaro lo abbaja,
Quando vengtmo ai duo punti del cerchio,
Ove colpa contraria li dispaja.
Questi fur cherci, che non han coperchio
Piloso al capo, e papi, e cardinali,
In cui usa avarizia il suo soperchio.
Ed io, maestro, tra questi cotali
Dovrei io ben riconoscere alcuni ,
Che furo immondi di cotesti mali.
Ed egli a me : vano pensiero adiuii.
La sconoscente \ìUi, cbi; i le' sozzi.
Ad ogni conoscenza or li fa liriuii.
In eterno v(;rranno alti duo cozzi :
Questi risorgeranno del sepulcro
Col pugno cliinso, e questi coi «rin mozzi.
Mal dare, e mal tener lo mondo pulcro
Ila tolto loro , e posti a questa zuffa :
Qual ella sia , parole non ci apimlcro.
Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
Dei ben, che son commessi alla fortuna.
Per che la umana gente si rabbuffa.
Che tutto r oro, eh' è sotto la luna,
O che già fu , di queste anime stanche
Non ne potrebbe far posar pur una.
Maestro, dissi lui, or mi di' anche:
Questa fortuna, di che tu mi tocche.
Che è , che i ben del mondo ha sì tra branche?
E quelli a me: oh creature sciocche.
Quanta ignoranza è quella che vi offende !
Or vo' che tu mia sentenza ne imboQche.
Colui , lo cui saver tutto trascende.
Fece li cieli, e die' lor chi conduce,
Sì che ogni parte ad ogni parte splende,
Distribuendo ugualmente la luce :
Similemente alli splendor mondani
Ordinò general ministra e duce,
Che permutasse a tempo li ben vani
Di gente in gente , e di uno in altro sangue,
Oltre la difension dei senni umani:
Per che una gente impera, e l'altra langue,
Seguendo lo giudicio di costei ,
Che è occulto, come in erba 1' angue.
Vostro saver non ha contrasto a lei:
Ella provvede, giudica, e persegue
Suo regno , come il loro li altri dei.
Le sue pcrmutazion non hanno triegue :
Necessità la fa esser veloce.
Sì spesso vien chi vicenda consegue.
Questa è colei , eh' è tanto posta in croce
Pur da color, che le dovrian dar lode,
Dandole biasnin a torto e mala voce.
Ma ella si è beata, e ciò non ode,
Con le altre prime creature lieta
Volve sua spera, e beata si gode.
Or discendiamo omai a maggior pietà.
Già ogni stella cade, che saliva,
Quando mi mossi , e il troppo star si vieta.
Noi ricidemmo il cerchio all' altra riva,
Sovra una fonte, clie bolle, e riversa
Per un fossato , che da lei diriva.
L' acqua era buja molto più, che persa,
E noi in compagnia delle onde bige . : •
Entrammo giù per una via diversa.
Una palude fa, che ha nome Stige,
Qoeto tristo ruscel, quanto è disceso
Al pie delle maligne piagge grìgc.
Ed io, che di mirar mi stava inteso,
\ idi genti fangose in quel pantano
Igiiiide tutte , e con sembiante offeso.
Questi si percotean non pur con mano ,
Ma con la testa , e col petto , e coi piedi ,
Troncandosi coi denti a brano a brano.
Lo bu(Ui maestro disse: figlio, or vedi
Tie anime di color, cui vinse la ira;
Ed anche vo' , che tu p<'r certo credi.
Che sotto r aci|ua ha gente, che sospira,
E fanno pullular quest' acqua al sunimo,
('ome r occhino ti dice u che si aggira.
Fitti nel liuu> dicou : tristi funnno
Nello aere dolce, che dal sol si allegra,
Portando dt^ntro accidioso fummo:
Or li attristiam nella belletta negra.
Questo inno si gorgoglian nella strozza,
Pi
INFERNO. (VII. 126—130. Vili. 1— IIC)
[18]
Che dir noi possnn con parola integra,
osi girammo della lorda pozza
Grande arco tra la ripa secca , e il mezzo,
Con li occhi volti a chi del fango ingozza: -is/f-H^*.
eninimo a pie di una torre al dajezzo, v .w1.(k
vi
CANTO Vili.
ARGOMENTO.
archetla di Flc2.iùs. Filippo Argenti. Città di
Dite. DemonJ avversi.
) dico seguitando , che a?sai prima
Che noi fussimo al pie dell' alta torre,
Li occhi nostri ne andar sn*o alla cima».
er duo fiaramctte, che i vedemmo porre,
£ un' altra da lungi render cenno ,
Tanto, che a pena il potea l' occhio torre.
Id io rivolto al mar di tutto il senno
Dis^i: questo che dice? e che ri.*ponde
Quello altro foco.'' e chi son quei, che il fcnno ?
Id egli a me: su per le sucide onde 'i cw-wi.-..
Già puoi scorgere qiu Ilo , che si aspetta, ^
Se il fummo del pantan noi ti nasconde.
lorda non pinse mai da sé saetta ,
Che sì correse^e via per lo aere snella,
Come io vidi una nave piccioletta
enir per 1' acqua lerso noi in quella,
Sotto il governo di un sol galeoto,
Che gridava: or sei giunta, anima fella? - " '
"legiàs, Flegiàs, tu cridi a voto,
Disse lo mio signore, a questa volta:
Più non ci avrai, se non passando il loto. *^f>'.».>^-
|ualc coUii, che grande inganno ascolta, ,
Che li sia fatto, e poi se ne rammarca, «^■'^^
Tal fecesi Flegiàs nella ira accolta.
lO duca mio discese nella harca,
E poi mi Fece entrare a presso lui:
E sol quaiHl(» io fui dentro, parve carca.
Posto che il «luca ed io nel legno fui.
Secando se re va l' antica prora
Dell' acqua più, che non suol con altrui.
Mentre noi corrcvam la morta gora,
Dinanzi mi si fece un pica di fango,
E disse: chi sei tu, ciu; vieni anzi ora?
Sd io a lui: se io vegno, io non rimango.
Ma tu chi sei, che *ì sei fatto hrutto.''
llispose: vedi., che. son nn che piango.
Bd io a lui: con piangere e con lutto,
Spirito maladetto , ti rimani !
ciu"; io ti conosco, ancor sie lordo tutto.
\llora stese al legno atutio le mani :
Per che il maotro accorto lo sospinse,
Uicendi); via costà, con li altri i;ani !
L(» colh» poi con h; hriccia mi cinse,
Ita>iiinmii'l volto, e di>se: alma sdegnosa!
IJciicdetta colei, die in l<' s'iiicin<e!
Quei lu al mondo persona orgogliosa :
Bontà no:i è , che sua meuioria fregi ;
('osi si è la ombra sua qui furiosa.
iQuanti 61 tengoii or là bu gran regi,
Che qui staranno , come porci in brago ,
Di sé lasciando orribili dispregi!
Ed io : maestro , molto sarei vago
Di vederlo attuftare in questa broda,
Prima che noi uscissimo del lago.
Ed egli a me: avanti che la proda
Ti si lasci veder , tu sarai sazio :
Di tal disio converrà che tu goda.
Dopo ciò poco vidi quello strazio
Far di costui alle fangose genti,
Che dio ancor ne lodo, e ne ringrazio.
Tutti gridavano: a Filippo Argenti!
E il fiorentino s])irito bizzarro
In sé medcsmo si volvea coi denti.
Quivi '1 lasciammo , che più non ne narro :
Ma nelle orecchie mi percosse un duolo ,
Per che io annanti intento 1' occhio sbarro.
E il buon maestro disse: omai , figliuolo.
Si appressa la città, che ha nome Dite,
Coi gravi cittadin , col grande stuolo.
Ed io: maestro, già le sue mesciute
Là entro certo nella valle cerno
Vermiglie, come se di foco uscite
Fos^el■o : ed ti mi disse: il foco etemo,
Ch' entro le affoca, le dimostra rosse,
Come tu vedi in questo basso inferno.
Xoi pur giugnemmo dentro alle alte fosse.
Che v<illan quella terra sconsolata :
Le mura mi parean, che ferro fosse.
Xon senza prima far grande aggirata,
Venimmo in parte, dove il nocchier forte,
Uscitene, gridò, qui é la entrata.
Io ^idi più di mille in su le porte
D.tl ciel piovuti, che stizzosamente
IJicean : chi è costui, che senza morte
Va per lo regno della morta gente ?
E il savio mio maestro fece segno
Di voler lor parlar segretamente.
Allor chiusero un poco il gran disdegno ,
E disser: vien tu solo, e quei sen vada.
Che sì ardito entrò per questo regno !
Sol si ritorni per la folle strada!
Provi, se sa; che tu qui rimarrai,
("he li hai scorta sì buja contrada.
Pen>a, lettore, se io mi sconfortai
]\('l su(ui delle parole maledette;
Che non credetti ritornarci mai.
OJi caro duca mio , che più di sette
Volte mi hai sicurtà renriuta, e tratto
Di alto periglio, che incontra mi stette,
\(ui mi lasciar, dis^' io, c(i>ì disfatto!
E so lo andar più olire ci è ne^-ato,
liitroviam le oruu- nostre insieme ratto!
E quel signor, che lì mi avca menato.
Mi disse: non temer! che il nostro pasao
ISon ci i)uò torre alcun; da tal n'è dato.
Ma r|uì mi attcnili, e lo 'pirito lasso
(jHif(U-ta, e ciba di spi ran.'a bona!
Che io non ti lascerò nel mondo basso.
Co«i scu va, V qiii»i mi aliliandona
Lo dolce padre, ed io rimango io forse:
(ile il no e il sì nel capo mi tenciona.
Udir non poti i quello, clic a lor porse:
.Ma ci ti'>u stette là con essi guari,
Che «iascun dentro a pro^a ^i ricorre.
Chiuser le p(uic quei nostri a\«ersari
Nel petto al mio signor, che for riinam*,
2
[19]
INFERNO. (Vili. 117—130. IX. 1—107)
[20]
E rivolsesi a me con passi rari.
Li occhi alla terra, e le cig-lia area rase
Di ogni baldanza, e dicea nei sospiri:
Chi mi ha negate le dolenti case?
Ed a me disse : tu , per che io mi adiri ,
Non sbigottir! che io Tincerò la prova, ^
Qual, che alla difension dentro si aggiri.
Questa lor tracotanza non è nova;
Che già la usaro a men segreta porta,
La qual senza serrarne ancor si trova.
Sopra essa vedesti! la scritta morta:
E già di qua da lei discende la erta,
Passando per li ceri hi senza scorta,
Tal, che per lui ne fia la terra aperta.
CANTO IX.
ARGOMENTO.
Tre Furie. Angelo sgridante. Sesto cerchio di mis-
credenti in tombe ardenti.
Quel color, che viltà di for mi pinse
leggendo il duca mio tornare in volta,
Più tosto dentro il suo novo ristrinse.
Attento si fermò , come om , clie ascolta :
Che r occhio noi potea menare a lunga
Per lo aer nero , e per la nebbia folta.
Pure a noi converrà vincer la punga, ^n-^Thti
Cominciò ei , se non . . . tal ne si offerse.
Oh quanto tarda a me, che altri qui giunga!
Io vidi ben, sì com' ei ricoperse
Lo cominciar con lo altro, che poi venne.
Che fur parole alle prime diverse.
Ma nondimen paura il suo dir dienne;
Per che io traeva la parola tronca
Forse a peggior sentenza , eh' ei non tenne.
In questo fondo della trista conca
Discende mai alcun del primo grado ,
Che sol per pena ha la speranza cionca?
Questa question fec' io; e quei: di rado
Incontra , mi rispose , che di nui
Faccia il cammino alcun, per quale io vado.
Vero è, che altra fiata qua giù fui
Congiurato da quella Eritòn cruda.
Che richiamava le ombre ai corpi sui.
Di poco era di me la «:arne nuda,
Ch' ella mi fece intrar dentro a quel muro.
Per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
Quello è il più basso loco, e il più oscuro,
£ il più lontan dal ciel, che tutto gira:
Ben so il camrain : però ti fa sicuro !
Questa palude, che il gran puzzo spira,
Cinge d'intorno la città dolente,
U non poteiiio entrare omai senza ira.
Ed altro difese; ma min 1' ho a mente:
Però che 1' occhio mi avea tutto tratto
Ver 1' alti torre alla «;ima rovente.
Ove in un punto fiiron dritte ratto
Tre furie infernal di sangue tinte,
Che membra t'einminili avén, ed atto»
E con idre verdissime crau cinte;
Serpentelli, e ceraste avén per crine,
On(le le fiere tempie eran avvinte.
E quei , che ben conobbe le meschine
Della regina dello eterno pianto.
Guarda, mi disse, le feroci Trine!
Questa è Megera dal sinistro canto:
Quella, che piange dal destro, è Aletto:
Tesifone è nel mezzo: e tacque a tanto.
Con le unghie si fendea ciascuna il petto :
Batteansi a palme , e gridavan sì alto ,
Che io mi strinsi al poeta per sospetto.
Venga Medusa! sì '1 farem di smalto,
Cridavan tutte, riguardando in giuso:
Mal non vengiammo in Teseo lo assalto.
Volgiti 'ndietro, e tien lo viso chiuso!
Che se il Gorgon si mostra , e tu il vedessi ,
Nulla sarebbe di tornar mai suso.
Cosi disse il maestro : ed egli stessi
Mi volse, e non sì tenne alle mie mani.
Che con le sue ancor non mi chiudessL
Oh voi , che avete 1' intelletti sani ,
Mirate la dottrina, che si asconde
Sotto il velame delU versi strani!
E già venia su per le torbide onde
Un fracasso di un suon pien di spavento,
Per cui tremavan ambo e due le sponde;
Non altrimenti fatto, che di un vento
Impetuoso per li avversi ardori ,
Che fier la selva, e senza alcun rattento
Li rami scliianta, abbatte, e porta fori.
Dinanzi polveroso va superbo,
E fa fuggir le fiere, e li pastori.
Li occhi mi sciolse, e disse: or drizza il nerbo
Del viso su per quella schiuma antica.
Per indi , ove quel fummo è più acerbo !
Come le rane innanzi alla nimica
Biscia per 1' acqua si dileguan tutte,
Fin che alla terra ciascuna si abbica,
Vid' io più di mille anime distrutte
Fuggir cosi dinanzi ad un , che al passo
Passava Stige colle piante asciutte.
Dal volto rimovea quello aere grasso.
Menando la sinistra innanzi spesso;
E sol di queir angoscia parea lasso.
Ben mi accorsi eli' egli era del ciel messo ,
E volsimi al maestro ; e quei fé' segno
Che io stessi cheto , ed inchinassi ad esso.
Ahi quanto mi parea pien di disdegno !
Giunse alla porta , e con una verghetta
L' aperse, che non n'ebbe alcun ritegno.
Oh cacciati del riel, gente dìspetta ,
Cominciò egli in su la orribil soglia,
Ond' està oltracotanza in voi si alletta?
Per che ricalcitrate a quella voglia'
A cui non puote il fin mai esser mozzo,
E che più volte vi ha cresciuta doglia?
Che giova nelle fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda.
Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo.
Poi si rivolse per la strada lorda ,
E non fé' motto a noi ; ma fé' sembiante
Di omo, cui altra cura stringa e morda.
Che quella di colui, che li è davante:
E noi movemmo i piedi in ver la terra
Si<-uri a presso le parole sante.
Dentro vi entraumie senz' alcuna guerra:
Ed io, che avea di riguardar disio
-'il
t
:i]
INFERNO. (IX. 108—133. X. 1—94)
[22]
La condizion che tal fortezza serra,
^iinie io fui dentro, 1' occhio intorno invio,
Ì"E veggio ad ogni man grande campagna
iji Piena di duolo, e di tormento rio.
i' come ad Arli , ove Rodano stagna ,,
Ji Si come a Fola presso del Carnaro ,
ti Che Italia chiude, e i suoi termini hagna,
jànno i sepolcri tutto il loco varo ,
IjCosì facevan quivi da ogni parte,
Ijl Salvo che il modo vi era più amaro ;
he tra li avelli fiamme erano sparte ,
ij Per le quali eran sì del tutto accesi ,
ji Che ferro più non chiede verun' arte,
ilutti li lor coperchi eran sospesi,
Ji J] for ne uscivan sì duri lamenti ,
Che hen parean di miseri, e di offesi.
sjd io : maestro , quai son quelle genti ,
^1 Che seppellite dentro da quelle arche
! Si fan sentir con li sospir dolenti?
d egli a me: qui son li eresiarche
Coi lor seguaci di ogni setta , e molto
I Più , che non credi , son le tomhe cardie.
iiiiilc qui con simile è sepolto:
K i moniraenti son più , e men caldi.
K poi che alla man destra si fu volto, /■
.issammo tra i martiri, e li alti spaldi. ifripn*^
CANTO X.
ARGOMENTO.
ìutdo Cavalcanti; Farinata fìegìi liberti, che gli
predice il suo esilio. Gli spirili dannati ignorano
il presente e sanno il fulnro.
)ra sen va per nn secreto calle
Tra il muro della terra e li martiri
Lo mio maestro, ed io dopo le spalle.
)h virtù somma, clie per li empj giri
Mi volvi, cominciai, come a te piace.
Parlami, e soddisfammi ai miei desiri!
ja gente , che per li sepolcri giace ,
PotreI)hesi veder.'' già son levati
Tutt' i coperchi, e nes^un guardia face.
Sd egli a me: tutti saran serrati.
Quando di JnsailVi qui torneranno
Coi corpi, che là su hanno lasciati.
Suo cimitero da questa jìarte hanno
Con ICpicuro tutti i suoi seguaci ,
I Che r anima col eorpo morta fanno.
Però alia dimanda, i;he mi faci,
Quinci entro satiefatt<) sarai tosto,
I E al disio ancor, che tu mi taci.
Ed io: buon duca, non tegno nascosto
A te mio cor, se non per dii;er poco,
K tu mi hai non pur ino a ciò disposto.
Oh T(»sco, che per la città del foco
^iv(» ten vai, così piirlando onesto,
Piacciati di ristare in qun-to loco!
La tua l(i(|uela fi fu manire>t(»
Di quella nohil patria natio.
Alla qual forno fui troppo molesto.
Subitamente questo snono uscio
Di una delle arche: però mi accostai,
Temendo, un poco più al duca mio.
Ed ei mi disse: volgiti! che fai.''
Vedi là Farinata, che si è dritto:
Dalia cintola in su tutto il vedrai.
Io avea già il mio viso nel suo fitto,
Ed ei si ergea col petto, e con la fronte,
Come avesse lo inferno in gran dispitto.
E le animose man del duca, e pronte
3Ii pinser tra le sepolture a lui.
Dicendo: le parole tue sien conte!
Tosto che al pie della sua tomba fui ,
Guardommi un poco, e poi quasi sdegnoso
Mi dimandò, chi fur li maggior tui?
Io, eh' era di ubbidir desideroso,
Non li el celai, ma tutto li lo aper?i:
Ond' ei levò le ciglia un poco in soso.
Poi disse: fieramente furo avversi
A me, e ai miei primi, ed a mia parte,
Sì che per due fiate li dispersi.
S' ei fur cacciati, ei tornar da ogni parte,
Risposi lui, e la una e 1' altra fiata;
Ma i vostri non appreser ben quell' arte.
Allor surse alla vista scoperchiata
Una ombra lungo questo infino al mento;
Credo , che si era inginocchion levata.
D' intorno mi guardò , come talento
Avesse di veder, se altri era meco:
Ma , poi che il suspicar fu tutto spento ,
Piangendo disse: se per questo cieco
Carcere ^ ai per altezza d' ingegno ,
Mio figlio ov' è, e per che non è teca?
Ed io a lui: da me stesso non regno:
Colui , che attende là , per qui mi mena ,
Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno.
Le sue parole, e il modo della pena
Mi avevan di costui già letto il nome:
Però fu la risposta co^ì piena.
Di subito drizzato gridò: come
Dicesti egli ebbe.* non viv' egli ancora?
Non fiere li occhi suoi lo dolce lome.''
Quando si accorse di alcuna dimora.
Che io faceva dinanzi alla risposta,
Supin ricadde, e più non parve fora.
Ma quello altro magnanimo , a cui posta
Ristato mi era, non mutò aspetto.
Nò mosse collo, né piegò sua costa:
E se, continuando al primo detto,
S' elli lian queir arte, disse, male appresa.
Ciò mi tormenta i>iù , che questo letto.
Ma non cinquanta ^olte fia raccesa
La faccia della donna, che qui regge.
Che tu saprai, (pianto quell' arte pesa.
E se tu mai nel dolce nioiido regge.
Dimmi, jier che quel popolo è sì empio
Incontro ai miei in eia-cuna >ua legge?
Onde io a lui: lo ^trazio , e il grande scempio,
Che fece 1' .Arliia colorata in rosso.
Tale orazion fa lar nel nostro tempio.
Poi cir el)lie si>-|)irando il capo sro-so,
A ciò non fu' io sol, di-ise, né certo
Senza cagion -arci con li altri niosso.
Ma fu' io ì-ol colà, dove solVerlo
Fu per eia-.(un di torre via Fiorenza,
('obli, che la dil'isi a ^iso aperto.
Deh, bc riposi mai \ostra semenza,
2 ♦
[23]
Prega' io lui , solvetemi quel nodo ,
Che qui ha invilu|)|)ata mia sentenza.
E5 p;ir, che voi veg^giate, se ben odo.
Dinanzi quel, che il tempo seco adduce,
E nel presente tenete altro modo.
Noi reggiam , come quei , che ha m.ila luce ,
Le cose, di?f-e, che ne son h)ntano;
Cotanto ancor ne splende il sommo duce;
Quando si appressano, o son, tutto è vano
Nostro intelletto, e se altri non ci apporta,
Nulla sapem di vostro stato umano.
Però comprender puoi, che tutta morta
Fia nostra conoscenza da quel punto ,
Che del futuro fia chiusa la porta.
Allor. come di mia colpa compunto,
Dissi, or direte dunque a quel caduto.
Che il sui> nato è coi aìvì ancor ccingìunto.
E se io fui dianzi alla risposta muto,
Frtt' ei saper, che il fei, per che io pensava
Già nello error, che mi avete soluto.
E già il maestro mio mi richiamava:
Per che io pregai lo spirto più avaccio
Che mi dicesse , chi con lui si stava.
Dissemi : qui con più di mille giaccio :
Qua dentro è lo secondo Federico,
E il Cardinale, e delli altri mi taccio:
Indi si ascose: ed io in ver lo antico
Poeta volsi i passi , ripensando
A quel parlar, che mi parca nemico.
El!i si mosse, e poi così andando,
Mi disse, per che sei tu sì smarrito?
Ed io li satisfeci al suo dimando.
La mente tua conservi quel, che audito
Hai contro te, mi comandò quel saggio,
Ed ora attendi, a cui dirizzo il dito!
Quando sarai dinanzi al dolce raggio
Di quella, il cui Iteli' occhio tutto vede,
Da lei sa;nai di tua vita il viaggio.
A presso volse a man sinistra il piede:
Lasciunmio il muro, e gimmo in ver lo mezzo,
Per un sentier, che a una valle fiede ,
Che in iin là su face» spiacer suo lezzo.
INFERNO. (X. 95—130. XI. 1—79)
[24^
CANTO XI.
ARGOMENTO.
Anastasio papa. Gli uUimi tre ccnhj , dclLi violen-
za , della franile , e della usura , con le
pene proporzionate.
In su la c.-tremità di un' alta ripa,
Che fdccvan gran pietre rotte in cerchio ,
Teninimo sopra più crudele ^tipa:
E qui\i per 1' orriitile soperchio
Del puzzo, che il profondo abisso gitta,
Ci racco»tammo dietro ad un copcrcliio
Di un grande avello, ove io vidi una scritta.
Che diceva: Anasta>io papa guardo,
Lo qiial trasse Fotiu della via dritta.
Lo nostro s<(nder convien esser tardo
Sì , «:he si ausi in prima un poco il senso
Al tritilo fiato, e poi non fia riguardo.
Cosi 'l maestro: ed io, alcun compenso.
Dissi lui, trova, che il temijo non pas^i
Perduto! ed egli: vedi, che a ciò peusO.
Figliol mio, dentro da cote.-ti sas^i,
Cominciò poi a dir, son tre cerdiietti
DI grado in grado , come quei che lassi.
Tutti son pien di spirti maledetti :
Ma per che poi ti basti pur la vista ,
Intendi come , e per che son costretti.
Di ogni malizia, che odio in cielo acquista.
Ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale
O con forza, o con frode altrui contrista.
Ma per che frode è dell' om proprio male,
Più spiace a dio : e però stan di sotto
Li frodolenti , e più dolor li assale.
Di violenti il primo cerchio è tutto:
3Ia per che si fa forza a tre persone ,
In tre gironi è distinto , e costrutto.
A dio, a sé, al prossimo si puone
Far forza, dico io loro, ed in lor cose,
Come udirai con aperta ragione.
Morte per forza e ferule dogliose
Nel prossimo si danno ; e nel suo avere
Ruine, incendi e toilette dannose:
Onde omicidi, e ciascun, che mal fiere.
Guastatori, e predon, tutti tormenta
Lo girou primo , per diverse schiere.
Puotc omo avere in sé man violenta
E nei suoi beni : e però nel secondo
Giron convien che sanza [irò si penta
Qualunque priva sé del vostro mondo.
Biscazza, e fonde la sua facoltade,
E piange là, dov' esser dee giocondo.
Puossi far forza nella deitadc,
Col cor negando, e bestemmiando quella,
E spregiando natura, e sua boutade:
E però lo minor giron suggella
Del segno suo e Sodoma, e Caorsa,
E chi , spregiando dìo , col cor favella.
La frode, onde ogni coscienza è morsa,
Prìò r omo usare in colui, che in lui fida,
Ed in quel, ch€ fidanza non imborsa.
Questo modo di retro par che incida
Pur lo vincol di amor, che fa natura;
Onde nel cerchio secondo si annida
Ipocrisia, lusinghe, e chi ailattura,
Falsità, ladroneccio, e simonia,
Rufl'ian, baratti, e slmile lordura.
Per lo altro modo quello amor si obblìa.
Che fa natura, e quel, eh' è poi aggiunto,
Di che la fede speziai si cria:
Onde nel cerchio mincu'e, ov' è il punto
Dello universo, in su che Dite siede,
Qualunque tradc, in eterno è consunto.
Ed io : maestro , assai chiara procede
La tua ragione , ed assai ben distingue
Questo baratro, e il popol, clie possedè.
Ma diauni : quei della palude pingue,
Che mena il vento, e che batte la pioggia,
E che 8' iuconlran con ^ì as[)re lingue.
Per che non dentro della città roggia
Sou ci puniti, se dio li ha in iraP
E se non li ha, per che sono a tal foggia?
Ed egli a me: per che tanto delira,
Disse, lo ingegno ttu» da qtud eh' ei suole?
Ovvcr la iiujote dove altrove mira?
Aon ti rimembra di quelle parole,
25]
INFERNO. (XI. 80— 115. Xn. 1—84)
Citn le quai la tua Etica pertratta
Le tre di^posizioii, che il elei non vole,
|nrontin«ii'/,a, malizili, e la matta
I }Je.<ti:i!it;i.i<'? e come incontinenza
Alea ilio ofTende, e raen liasinio accatta?
le tu riguardi ben questa sentenza,
E rechiti alla mente, chi son quelli.
Che su di for sostengon penitenza ,
'u vedrai ben , per che da questi felli
Sien dipartiti, e per che men crucciata
La divina vendetta li martelli.
Ih sol, che sani ogni vista turbata,
Tu mi contenti sì , quando tu solvi ,
Che non men, che saver, dubbiar mi aggrata.
Incora un j)oco indietro ti rivolvi ,
Diss' io, là dove di', che usura offende
La divina boutade, e il groppo svolvi!
''itosofìa, mi disse, a cui la intende,
JVota , non pure in una sola parte ,
Come natura lo suo corso prende
)al divino intelletto, e da sua arte;
E s<! tu ben la tua Fisica note.
Tu troverai non doi)o molte carte,
)he r arte vostra quella, quanto puote,
Segue, come il maestro fa il discente;
Si che vostr' arte a dio quasi è nipote.
)a queste due, se ti rechi a mente
Lo Genesi dal principio, conviene
Prender sua vita, ed avanzar la gente,
S per che lo usurierc altra via tiene.
Per sé natura , e per la sua seguace
Dispregia, poi che in altro pon la spene.
Ma seguimi oramai, che il gir mi piace:
Che i Pesci guizzan su per 1' orizzonta ,
E il Carro tutto sovra il Coro giace,
|S il balzo via là oltra si dismonta.
[26]
CANTO XII.
yfRGOMEMO.
Settimo ccrcliio in tre {gironi distinio. Minotauro,
Girone primo: violenti vonlra il prossimo, im-
viersi in fiume di sangue ùollenlc.
Era lo loco , ove a scender la riva
Venimmo, alpestro, e per quel che ivi cr' anco.
Tal, che ogni vista n;; sarcidie schiva.
Qual è quella mina, clu; nel riuiu;(>
l>i qua da 'l'rcnto T Adice percosse,
0 per tremoto, o per so.>lcgno manco:
CIk; da cima ilei m«nt<;, onde si mosse,
-Al piano è si la roc-iii (lisro>:c('sa,
Che alcuna via diireltlie a chi su fusso:
Colai di quel btirrato era la scesa:
E in su la punta delia rotta lacca
La infamia di Crcti era di.-<tesa,
Che fu cornetta nella falsa vacca:
E <|ii;iiido vide noi, t>«! hfesso mnroc,
Sì ««une qn«i , rui la ira dentro aniacca.
Lo Ka\io mio in ver Ini gridò: forse
Tu credi, che qui t,ia il duca dì Atene,
Clie su nel mondo la morte fi porse?
Partiti, bestia! che questi non viene
Ammaestrato dalla tua sorella.
Ma vassi per veder le vostre pene.
Qual è quel toro, che si slaccia in quella,
Che ha ricevuto già il colpo mortale,
Che gir non sa, ma qua e là saltella,
Md' io lo Minotauro far cotale.
E quelli accorto gridò: corri al. varco!
Mentre che infuria, è buon che tu ti cale.
Così prendemmo via giù per lo scarco
Di quelle pietre, che spesso moviensi.
Sotto i miei piedi per lo novo carco.
Io già pensando; e quei disse: tu pensi
Forse a questa rovina, eh' è guardata
Da quella ira bestiai, che io ora spensi.
Or vo' che sappi , che 1' altra fiata ,
Che io discesi qua giù nel basso inferno.
Questa roccia non era ancor cascata.
Ma certo poco pria, se ben discerno.
Che venisse colui, che la gran preda
Levò a Dite del cerchio superno,
jDa tutte parti 1' alta valle feda
I Tremò sì, che io pensai, che lo universo
I Sentisse amor, per lo quale è chi creda
I Più volte il mondo in Caos converso :
I Ed in quel punto questa vecchia roccia
Qui, ed altrove tal fece riverso.
Ma ficca li occhi a valle, che si approccia
La riviera del sangue, in la qual bolle
Qual, che per violenza in altrui noccia.
Oh cieca cupidigia e dira e folle,
Che sì ci sproni nella vita corta,
E nella eterna poi sì mal e' immollc !
Io vidi un' ampia fos>ui in arco torta.
Come quella, che tutto il piano abbraccia,
Secondo che avea detto la mia scorta :
E tra il piò della ripa ed essa, in traccia
Correa centauri armati di saette,
Come solén nel mondo andare a caccia.
Vedendoci calar, ciascun ristette,
E della schiera tre si dipartirò
Con archi , ed asticciuole priuui elette.
E lo un gridò da lungi: a qual nnutiio
"\enite voi, «he scendete la costa?
Ditel costituii! se non, lo arco tiro.
Lo mio maestro disse; la risposta
F.irem noi a Chiròn costà di presso:
Mal fu la voglia tua sempre sì tosta-
Poi mi t;ntò, e disse: quelli è Nesso,
Che mori per la bella Deianira,
E fé" di sé la vendetta elli stesso.
E onci di mezzo, che al petto si mira,
E il gran durone, il qual niulrì Arbiile:
Qinllo altro è Folo , che fu ti pien d" ira.
Dintonu» al fosso vanno a mille a mille,
Saettando quale anima si snello
Del sangue più , che Mia colpa sorlille.
Koi <i appressanuno a quelle fiere snelle:
(liiròn prese uno strali-, e etui la cocca
Feie la barba indietro alle mascelle.
Quando si eblie s(o|ierfn la gran hocea,
I)is»e ai eoiu|):igni: Kiete voi accorti,
(/'Ile quel di rirlro luovc ciò, eh' ei tor^'a?
Cosi non sogiiiui f.ire i pie dei morii.
E il mio buon duca, che già li er' al petto,
Ove le due nature huu couburti ,
[21]
INFERNO. (Xn. 85—139. XIII. 1—69)
[28]
llìspose: Itcn è vivo, e si soletto
IMostiarli ini convien la valle Ituja;
Necessità il e' induce, e non diletto.
Tal si parti da cantare alleliija ,
Che mi coinmisie questo uficio novo;
Non è ladron, nò io anima fuja.
Ma per quella virtù , per cui io movo
Li passi miei per sì selvaggia strada.
Danne un dei tuoi, a cui noi siamo a provo,
E che ne mo.-tri là dove si guada,
E che porti costui in su la groppa!
Che non è spirto , che per lo acre vada.
Chiròn si volse in su la destra poppa,
E disse a Nesso: torna, e sì li guida,
E fa cansar, se altra schiera v' intoppa!
Noi ci movemmo con la scorta fida
Lungo la proda del hoUor vermiglio,
Ove i holliti facén acri strida.
Io vidi gente sotto infino al ciglio,
E il gran centauro disse: ei son tiranni,
Che dièr nel sangue, e nello aver di piglio.
Qui\i si piangon li spietati danni:
Quivi è Alessandro, e Dionisio fero,
Che fé' Cicilia aver dolorosi anni.
E quella fronte, che ha il pel così nero,
È Azzolino, e quello altro, eh' é biondo,
È Obizzo da Esti, il qual per vero
Fu spento dal figliastro su nel mondo.
AUor mi volsi al poeta, e quei disse:
Questi ti sia or primo , ed io secondo !
Poco più oltre il centauro si affisse
Sovra una gente, che infino alla gola
Parca che di quel bulicame uscisse.
Mostrocci una ombra dallo un canto sola,
Dicendo: colui fesse in grembo a dio
Lo cor, che in su Tamigi ancor si cola.
Poi vidi genti, che di for del rio
Tenean la testa, ed ancor tutto il casso;
E di costoro assai riconobb' io.
Così a più a più si facea basso
Quel sangue sì, che cocea pur li piedi:
E quivi fu del fosso il nostro passo.
Si come tu da questa parte vedi
Lo bulicame, che sempre si scema.
Disse il centauro, voglio che tu credi.
Che da quest' altr" a più a più giù prema
11 fondo suo, infin eh' ei si raggiunge
Ove la tirannia convien che gema.
La divina giustizia di qua punge
Quello Attila, che fu flagello in terra,
E Pirro, e Sesto, ed in eterno munge
Le lagrime, che col bollor disserra
A ìiinicr da Corneto , a Uinicr Pazzo,
Che fecero alle strade tanta guerra.
Poi si rivolse, e ripassoesi '1 guazzo.
CANTO XIII.
ARGOMENTO.
Secondo girone del settimo cerchio: violenti contro
stessi, C(nif:i(iti in alberi, e tormentali dulie
Jrpic. Pier delle 1 ij^nc.
Non er' ancor di là Nesso arrivato,
Quando noi ti mettemmo per un bosco.
Che ila neun sentiero era segnato.
Non fronde verdi, ma di color fosco.
Non rami schietti, ma nodosi e involti.
Non pomi vi eran , ma stecchi con tosco,
Non han sì aspri sterpi , né sì folti
Quelle fiere selvagge, che in odio hanno
Tra Cecina e Corneto i loghi colti.
Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,
Che cacciar delle Strofade i Trojan! ,
Con tristo annunzio di futuro danno.
Ale hanno late, e colli, e visi umani,
Pie con artigli, e pennuto il gran ventre:
Fanno lamenti in su li alberi strani.
E il bon maestro: prima che più entre,
Sappi, che sei nel secondo girone.
Mi cominciò a dire, e sarai, mentre
Che su verrai nell' orribil sabbione.
Però riguarda ben, se tu vedrai
Cose, che torrien fede al mio sermone.
Io sentia da ogni parte tragger guai ,
E non vedea perdona che il facesse:
Per che io tutto smarrito mi arrestai.
Io credo , eh' ei credette , che io credesse.
Che tante voci uscisser tra quei bronchi
Da gente, che per noi si nascondesse:
Però, disse il maestro, se tu tronchi
Qualche fraschetta di ima di este piante.
Li pensier, che hai, si faran tutti monchi, i-
Allor porsi la mano un poco avante,
E colsi un ramicello da un gran pruno,
E il tronco suo gridò : per che mi schiante ?
Da che fatto fu poi di sangue bruno.
Ricominciò a gridar: per che mi scerpi?
Non hai tu spirto di pietate alcuno?
Omini fummo , or siamo fatti sterpi ;
ììen dovrebb' esser la tua man più pia.
Se state fossimo anime di serpi.
Come di un stizzo verde, che arso sia
Dallo un dei capi, che dallo altro geme,
E cigola per vento che va via,
Sì della scheggia rotta usciéno insieme
Parole e sangue: onde io lasciai la cima
Cadere, e stetti come 1' om che teme.
S' elli avesse potuto creder prima ,
Rispose il sa^io mio, anima lesa.
Ciò che ha veduto pur con la mia rima.
Non averebbe in te la man distesa:
Ma la cosa incredibile mi fece
Indurlo ad opra, che a me stesso pesa.
Ma dilli, chi tu fosti, si che in vece
Di alcuna ammenda tua fama rinfreschi
Nel mondo su , dove tornar li lece.
E il tronco: si col dolce dir mi adeschi,
Che io non posso tacere ; e voi non gravi
Per che io un poco a ragionar m' inveschi!
Io son colui, che tenni ambo le chiavi
Del cuor di Federigo , e che le volsi
Serrando e disserrando sì soiivi ,
Che dal segreto suo quasi ogni om tolsi :
Fede portai al glorioso uffizio.
Tanto che io ne perdei li sensi e i polsi.
5(5 La meretrice, che mai dall' ospizio
Di (ycsare non torse li occhi putti ,
IVlorte comune, e delle corti vizio,
Infiammò contra me li animi tutti,
E r iiinauimati infianunàr sì 1' Augusto
Che i lieti onor toriiaro in tristi lutti.
;2i)]
INFERNO. (XIII. 70—151. XIV. 1—39)
[30],
jO animo mio per disdegnoso >?usto,
Credendo col morir fuggir disdegno.
Ingiusto fece me contra me giusto.
'er le nove radici di esto legno
Vi giuro , che giammai non ruppi fede
Al mio signor, clic fu di onor si degno.
se di voi alcun nel mondo riede,
Conforti la memoria mia, che giace
Ancor del colpo , che invidia le diede !
In poco attese, e poi: da eh' ei si face.
Disse il poeta a me, non perder la ora.
Ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace!
>nde io a lui; dimandai tu ancora
Di quel, che credi, che a me satisfaccia!
Che io non potrei, tanta pietà mi accora,
ero ricominciò: se 1' om ti faccia
Liberamente ciò, che il tuo dir prega.
Spirito incarcerato , ancor ti piaccia
>i dirne, come l' anima si lega ^ A.
In questi nocchi: e dinne, se tu puoi, /vn*11^i", ulti
Se alcuna mai da tai membra si spiega !{.^pl;t«o«,
Jlor soffiò lo tronco forte, e poi
SI convertì quel vento in cotal voce:
Brevemente sarà risposto a voi.
|aando si parte 1' anima feroce
Dal corpo, ond' ella stessa si è dlsvelta,
Minòs la manda alla settima foce,
!ade in la selva, e non l' è parte scelta,
Ma là dove fortuna la balestra, - n
Quivi germoglia, come gran di spelta,
urge in vermena, ed in pianta silvestra.
Le Arpie, pascendo poi delle sue foglie,
Fanno dolore, ed al dolor finestra.
!ome le altre, verrem per nostre spoglie,
Ma non però che alcuna sen rivesta:
Che non è giusto aver ciò, che ora si toglie.
t..tril
' fttOt^t J
'..k;..
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lui le strascineremo , e per la mesta
Selva saranno i nostri corpi appesi,
Ciascun al prun delia ombra sua molesta,
[ci eravamo ancora al tronco attesi,
Credendo che altro ne volesse dire.
Quando noi fummo da un romor sorpresi,
ilmilemcnte a colui, che venire
Sente il porco e la caccia itila sua posta,
Che ode le bestie e le fras<;he stormire.
!d ecco due dalla sinistra costa
Nudi e grafllati, fuggendo si forte,
Che della selva rompién ogni rosta, .t-.kvi , ntJtt
Juel dinanzi: or accorri, accorri, morte!
E lo altro, a cui pareva tardar troppo,
Gridava: Lano, sì non furo accorto
iC g.imbe tue alle giostre del Toppo:
E poi che forse li fallia la lena,
Di sé e di un cespuglio fece mi groppo,
lirietro a loro era la selva piena
Di nere cagne bramose, e correnti, .-■-
Come veltri, che uscisser di catena,
Bn quel, che si appiattò, niiser li denti,"
K quel dilaceraro a brani» a brano ,
Poi sen \>orliir (|U(llo membra dol(;nti.
resemi allor la mìa scorta per mano ,
E inenommi al cespuglio, che piangea,
Per le rotture saiiguin«-nti , invano.
)h Jacopo, dicea , da ^anto Andrea,
Che ti è giiivato dì me fare schermo?
Che colpa ho io della tua vita rea?
)aando il maestro fu sovra caso fermo.
,.t,.,r*
Disse: chi fusti, che per tante punte
Soffi con sangue doloroso sermo ?
E quelli a noi: oh anime, che giunte
Siete a veder lo strazio disonesto.
Che ha le mie frondi sì da me disgiunte,
Raccoglietele al pie del tristo cesto!
Io fui della città , che nel Battista
Mutò il primo padrone: ond' ei per questo
Sempre con 1' arte sua la farà trista ;
E se non fosse, che in sul passo di Amo
Rimane ancor di lui alcuna vista.
Quei cittadin, che poi la rifondarno
Sovra il cener che di Attila rimase,
Avrebber fatto lavorare indarno.
Io fei gibetti a me delle mie case. jA^
CANTO XIV,
ARGOMENTO.
Terzo girone del scit!mo cerchio : violenti contro dio,
natura ed arte, esposti ad una piop^^ia di fuoco.
j Capaneo. Tempo. Sorgente t/e'
fiumi infernali.
Poi che la carità del natio loco
j Mi strinse, radunai le fronde sparte,
' E rendèle a colui , eh' era già fioco.
Indi venimmo al fine, onde si parte
I Lo secondo giron dal terzo, e dovo
I Si vede di giustizia orribil arte.
A hen manifestar le cose nove
j Dico, che arrivammo ad una landa,
I Che dal suo letto ogni pianta rimove.
jLa dolorosa selva 1' è ghirlanda
Intorno , come il fosso tristo ad essa :
I Quivi fermammo i piedi a randa a randa.
;Lo spazzo era »m' arena arida e spessa,
I Non di altra foggia fatta, che colei,
I Che dai pici di Caton fu già soppressa.
Oh vendetta di dio, quanto tu dei
j Esser temuta da ciascun, che legge
I Ciò che fu manifesto alti occhi miei!
jDi anime nude vidi molte gregge.
Che piangean tutte assai miseramente,
I E parca posta lor diversa legge.
Supin giaceva in terra alcuna gente;
Alcuna si sedea tutta raccolta ;
Ed altra andava continuamente.
Quella, che giva intorno, era più molta,
E quella uno, che giaceva al tormento;
Ma più al duolo a^ea la linirua sciolta.
Sovra tutto il sal)binn dì un «ader lento
Piovén di foro dilatale falde, ^UXT
Conu- di neve in alpe senza <entn.
Quali Alessandro in i|o«lle parti caldo
D'India \'nU' sima lo suo stuolo
riaunne caderr- inlino a (i-rra salde ;
Per cir ei pro>M<le a scalpitar lo snolo
Con le sue s«biere, perciò che il vapore
Mei si slingueva , mentre eh' era solo ;
Tale scenile\a lo eternale ardore,
Onde r arena si accendea com' esca
Sotto il focile a raddoppiar dolore.
[31]_
INFERNO. (XIV. 40—142. XV. 1—18)
[32]
Senza riposo mai era la tresca
Dello misere mani , or quindi , or quinci
Iscotendo da sé I' ardiira fresca.
Io cominciai : maestro , tu , che \inci
Tutte le cose, for che i dimon duri.
Che allo entrar della porta incontro uscinci,'
Chi è quel grande , che non par che curi
Lo incendio , e giace dispettoso e torto
Si che la pioggia non par che il marturi ?
E quel raedesmo , che si fiie accorto ,
Che io dimandava il mio duca di lui ,
Gridò: quale io fui rivo, tal son morto.
Se Giove stanchi il suo fabbro , da cui
Crucciato pr-se la folgore acuta,
Onde lo ultimo tU percosso fui,
O s' elli stanchi li altri a muta a muta
In >Iongibcllo alla fucina negra,
Gridando: buon Vulcano, ajuta, ajuta !
Sì com' el fece alla pugna di Flegra ,
E me saetti di tutta sua forza,
Non ne potrebbe aver vendetta allegra.
Allora il duca mio parlò di forza.
Tanto , che io non lo avea si forte udito :
Oh Capanco, in ciò, che non si ammorza
La tua superbia, sei tu qui punito.
Nullo mnrtiro , for che la tua rabbia,
Farebbe al tuo furor dolor compito.
Poi si rivolse a me con miglior labbia,
Dicendo : quel fu lo un dei sette regi ,
Che assiser Tebe, ed el»be, e par eh' egli a!)bia
Dio in disdegno , e poco par che il pregi.
Ma, come io dissi lui, li suoi dispetti
Sono al suo petto assai debiti fregi.
Or mi vien dietro, e guarda che non metti
Ancor li piedi ncll' arena arsiccia ,
Ma sempre al bosco li ritieni stretti!
Tacendo divenimmo là ove spiccia
For della selva un picciol fiumicello,
Lo cui rossore ancor mi racrnpriccia.
Quale del bulicame esce ruscello,
Che parton poi tra lor le peccatrici ,
Tal per l' arena giù ^cn giva quello.
Lo fondo suo , ed i'.uilio le pc-ndici
Fatt' eran pietra, e i margini da lato:
Per che io mi accorai, che il passo era liti.
Tra tutto lo altro, che io ti ho dimostrato.
Poscia che noi entriimmo per la porta ,
Lo cui sogUare a nessuno è negato.
Cosa non fu dalli tuoi occhi scorta
Notabile , com' è il presente rio ,
Che sopra se tutte fiammelle ammorta.
Queste parole fur del d*ica mio :
Per che io pregai, che mi largisse il pa?to.
Di cui largito mi ave\a il di>io,
In mezzo il mar siede un paese guasto,
Diss' egli allora, che si appella Creta,
Sotto il cui rcge fu gi.à il mondo casto.
Una montagna vi è, che già fu lieta
Di acqua , e di fronde , die si chiamò Ii'a ,
Ora è diserta , come cosa vieta.
Rea la Mxlse già per cuna fula
Del suo figliolo, e, per celarlo meglio.
Quando |>iangea, vi facea far le grida.
Dentro dal monte sta dritto un gran veglio.
Che ticn volte le spalle inver Uamiata,
E Roma guarda i-ì come suo speglio.
La sua tcbta ù di fin' uro formata,
E puro argento son le braccia e il petto,
Poi è di rame infìno alla inforcata:
Da indi 'ngiuso è tutto ferro eletto,
Salvo che il destro piede è terra cotta,
E sta in su quel, più clie in su lo altro eretto.
Ciascuna parte , for che 1' oro , è rotta
Da uni fe>sura, che lacrlir?e goccia,
Le quali accolte foran quella grotta.
Lor corso in questa valle si diroccia:
Fanno Acheronte, Stige, e Flegetonta:
Poi sen van giù per questa stretta doccia
Infin là , ove più non si dismonta ,
Fanno Cocito, e qual sia quello stagno.
Tu lo vedrai, però qui non si conta.
Ed io a lui : se il presente rigagno
Si deriva così dal nostro iiuiudo ,
Per che ci appar pure a questo vivagno?
Ed egli a me: tu sai, che il loco è tondo,
E tutto che tu sii venuto molto
Più a sinistra giù calando al fondo ,
Non sei ancor per tutto il cerchio volto.
Per che, se cosa ne apparisce nova,
Non dee addur maraviglia al tuo volto.
Ed io ancor : maestro , ove si trova
Flegetonte, e Lete, che dello un taci,
E lo altro di' che si fa di està piova?
In tutte tue question certo mi piaci ,
Rispose: ma il bollor dell' acqua rossa
Dovea ben solver la una, che tu faci.
Lete vedrai , ma for di questa fossa ,
Là dove vanno le anime a lavarsi.
Quando la colpa pentuta è rimossa.
Poi disse: ornai è tempo da scostarsi
Dal bosco: fa che di retro a me vegne!
Li margini fan via, che non son arsi,
E sopra lor ogni vapor si spegne.
CANTO XV.
ARGOMENTO.
Violenti contro natura. Brunetto Latini, maestro di
D. , gli predice il suo esilio.
Ora cen porta lo un dei duri margini,
E il fummo del ruscel di sopra aduggìa
Si, che dal foco salva 1' acqua, e li argini.
Quale i Fiamniinglii tra Guzzante e Bruggia,
Temendo il fiotto, che in ver lor si avventa,
I Fanno Io scheruu», per che il mar si fuggia.
E quale i l'adovan lungo la Hrenta,
I Per difender lor ville, e lor castelli,
j Anzi che Chiarentana il caldo senta;
jA tale imagine eran fatti quelli.
Tutto che né sì alti, nò sì grossi,
' Qual che si fosse, lo maestro felli.
, Già cravam dalla selva rimossi
I Tanto, che io non a^rei visto, dov' era,
I Per che io indietro rivolto mi fossi ,
Quando incontrammo di anime una schiera,
j Che venia lungo lo argine, e ciascuna
1 Ci riguardava, come suol da sera
JS]
INFERNO. (XV. 1&— 124. X\1. 1— 15)
[34]
iiaidar lo un lo altro sotto nova luna;
E ȓ ver noi aguzzavan le ciglia,
Come vecchio sartor fa nella cruna.
ofi adocchiato da cotdl famiglia.
Fui conosciuto da un , che mi prese
Per lo lembo, e gridò: qual maraviglia?
d io, quando il suo braccio a me distese,
Ficcai li occhi per lo cotto aspetto,
Si che il viso abbruciato non difese
5 conoscenza sua al mio intelletto :
E cliinando la mia alla sua faccia ,
Risposi : siete voi qui, ser Brunetto?
quelli: oh figliol mio, non ti dispiaccia,
Se Brunetto Latini un poco teco
Ritorna in dietro, e lascia 'ndar la traccia!
i'i:iji lui: quanto posso, ven preco :
E se volete, che con voi mi asseggia,
Farol, se piace a costui, che vo seco,
h ilgliol, disse, qual di questa greggia
Si arresta punto , giace poi cento anni v.l. U'
Senza arrostarsi, quando il foco il feggia^
ero va oltre ! io ti verrò ai panni ,
E poi rigiugnerò la mia masnada.
Che va piangendo i suoi eterni danni.
I non osava scender della strada
Per andar par di lui; ma il capo chino
Tenea, come om che riverente vada,
i cominciò : qual fortuna , o destino
Anzi lo ultimo dì qua giù ti mena?
E chi è questi che mostra il cammino?
^ su di sopra in la vita sei^ena,
Rispos' io lui, mi smarrii in una valle,
Avanti che la età mia fosse piena.
ar jer mattina le volsi le spalle:
Questi mi apparve , tornando io in quella ,
E riducerai a ca per questo calle,
d elli a me: se tu segui tua stella,
Non puoi fallire a glorioso porto,
Se ben mi accorsi nella vita bella,
se io non fossi si per tempo morto,
Veggendo il cielo a te cosi benigno,
Dato ti avrei alla opera conforto.
[a quello ingrato popolo maligno ,
Che discese di Fiesole ab antico ,
E tiene ancor del monte e del macigno,
i sì farà per tuo ben far nimico ; i
Ed è ragion; che tra li lazzi sorbi
Si disconvien fruttare al dolce fico.
ecchia fama nel mondo li chiama orbi ;
Gente avara, insidiosa, e superba:
Dai Inr costumi fa ciie tu ti forbj.
a tua fortuna tant' onor ti serha ,
Che la una parte e 1' altra avranno fame
Di te: ma lungi fìa dal becco la erba.
accian le bestie fiesobine strame
Di lor medesme, e non tocchin la pianta,
Se alcuna snrge ancor nel lor letame; , .'v
1 cui riviva la sementa Franta
Di quei lioman, che vi rimascr, quando
Fu fatto il nido di malizia tanta!
e fosse pieno tutto il mio dimando,
Risposi io lui , voi non sareste ancora
I Delia umana natura posto in bando ;
^hò in la mente mi è ìilta, ed or mi accora
La cara e buona iinaginc paterna
Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora
1' inicgnavate, corno 1' om bi eterna:
■<i.\
\
E quanto io 1' abbo in grado, mentre io tìto
Convien che nella lìngua mia si scema.
Ciò che narrate di mio corso, scrivo,
E serbolo a chiosar con altro testo
A donna, che il saprà, se a lei arrivo.
Tanto vogl' io, che vi sia manifesto,
Pur che mia coscienzia non mi garra.
Che alla fortuna, come vuol, son presto.
Xon è nova alli orecchi miei tale arra:
Però giri fortuna la sua rota ,
Come le piace , e il villan la sua marra !
Lo mio maestro allora in su la gota
Destra si volse indietro, e riguardommi :
Poi disse: ben ascolta, chi la nota.
Né per tanto di men parlando vommi
Con ser Brunetto , e dimando , chi sono
Li suoi compagni più noti e più sommi.
Ed egli a me: saper di alcuno è buono:
Delli altri fia laudabile tacerci.
Che il tempo saria corto a tanto suono.
In somma sappi, che tutti fur cherci,
E letterati grandi, e di gran fama,
Di un medesmo peccato al mondo lercL
Priscian sen va con quella turba grama,
E Francesco di Accorso anco, e vedervi,
Se avessi avuto di tal tigna brama ,
Colui potei, che dal servo dei servi
Fu trasmutato di Arno in Bacchiglione,
Ove lasciò li mal protesi nervi.
Di più direi; ma il venir e il sermone
Più lungo esser non può, però che io veggio
Là surger novo fummo dal sabbione.
Gente vien, con la quale esser non deggio.
Siati raccomandato il mio Tesoro,
Nel quale io vivo ancora; e più non cheggio.
Poi si rivolse, e parve di coloro
Che cori-ono a Verona il drappo verde
Per la campagna ; e parve di costoro
Quelli che vince, e non colui che perde.
"'<'i^t
CANTO XVI.
,t
ARGOMENTO.
Altri Sodomiti. Orlo del pozzo seguente. Mostro in
l^rospctto.
Già era in loco , ove si udia il rimbombo
Dell' ac(|ini, che cadea nello altro giro.
Simile a quel che le arnie fanno rombo.
Quando tre ombre insieme si partirò
Correndo da una torma, «lie pa>«ava,
Sotto la pio^^gia ildlo a-|iio m.irtiro.
Veniali ver noi, e ci.isriiiia gridava:
Sostati tu, elle allo iiliiti> ne sembri
Essere aU un di nostra terra prava.
Aimè,rlie piaglie vidi nei htr membri
Recenti e veicbie dalle flamine incese!
Ancor men diiol. pur che io me no rimembri.
.Alle lor grida il mio dottor si attese.
Volse il ^i>o ver me, e, ora usprtta.
Disse: a costor si vuole c^scr corlcbC.
3
[35]
INFERNO. (XVI. 16—130. XVir. 1—2)
E se non fosse il foco, che saetta
La natura del loco , io dicerei ,
Cile meglio stesse a te, che a lor, la fretta.
Ricominciar , come noi ristemmo , eì
Lo antico verso ; e quando a noi fur giunti ,
Fenno una rota di sé tutti e trei.
Qual soleano i campion far nudi ed unti,
Avvisando lor presa e lor Tantaggio,
Prima che sien tra lor battuti e punti:
Cosi , rotando , ciascuna il visaggio
Drizzava a me, sì che in contrario il colld
Faceva ai pie continuo viaggio:
Eh , se miseria di esto loco soilo
Rende in dispetto noi, e nostri preghi,
Cominciò lo uno, e il tristo aspetto e brollo,
La fama nostra il tuo animo pieghi
A dirne , chi tu sei , che i aìvì piedi
Così sicuro per lo inferno freghi. iaa^iÌam-
Questi, le orme di cui pestar mi vedi, i .'. '• '^
Tutto elle nudo e dipelato vada,
Fu di grado maggior, che tu non credi.
Kepote fu della buona Gualdrada:
Guidoguerra ebbe nome, ed in sua vita
Fece col senno assai, e con la spada.
Lo altro, ohe a presso me 1' arena trita,
È Tegghiajo Aldobrandi, la cui voce
Nel mondo su dovrebbe esser gradita.
Ed io , che posto son con loro in croce ,
Jacopo Rusticucci fui ; e certo
La fiera moglie più che altro mi noce;
Se io fussi stato dal foco coverto,
Gittato mi sarei tra lor di sotto,
E credo, che il dottor lo avria sofferto.
Ma per che io mi sarei bruciato e cotto,
Vinse paura la mia buona voglia,
Che di loro abbracciar mi facea p,;hiotto. ".a. ',
Poi cominciai : non dispetto , ma doglia
La vostra condizion dentro mi fisse
Tanto, che tardi tutta si dispoglia,
Tosto che questo mio signor mi disse
Parole , per le quali io mi pensai ,
Che , qnal voi siete , tal gente venisse.
Di vostra terra sono: e sempre mai
La opra di voi, e li onorati nomi
Con aflezion ritrassi, ed ascoltai.
Lascio lo fole, e vo pei dolci pomi
Promessi a me per lo verace duca :
Ma fino al centro pria convien che tornii "
Se lungamente 1' anima conduca
Le membra tue, rispose quelli allora,
E se la fama tua dopo te luca,
Cortesia e valor, di', ée dimora
Nella nostra città, sì come suolo,
0 se del tutto se n' è gito fuora?
Che Guglielmo liorsiere , il qual si duole
Con noi per poco, e va là co i compagni.
Assai ne cruccia con le sue parole.
La gente nova, e i subiti guadagni
Orgoglio e dismisura hanno ingradata,
Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni.
Così gridai cttn la faccia levata:
E i tre, che ciò inteser per risposta,
Guatar lo un lo altro, come al ver ei guata.
Se le altre volte sì poco ti costa,
Risposcr tutti, il satisfare altrui,
Felice te, che t>ì parli a tua postai
Però gc campi di csti lochi bui
E torni a riveder le belle stelle.
Quando ti gioverà dicere: io fui,
Fa che di noi alla gente favelle!
Indi rupper la rota, ed a fuggirsi
Ale sembìra-on le lor gambe snelle.
Un amen non saria potuto dirsi
Tosto così, com' ei furo spariti:
Per che al maestro parve di partirsi.
Io lo seguiva, e poco eravara iti,
Che il suon del!' acqua n' era sì vicino,
Che per parlar saremmo a pena uditi.
Come quel fiume, che ha proprio cammino ,
Prima da monte Veso in ver levante.
Dalla sinistra costa di Apennino ,
Che si chiama Acquacheta suso , avante
Che si divalli giù nel basso letto ,
E a Forlì dì quel nome è vacante.
Rimbomba là sovra san Benedetto p
Dalle alpe per cadèì-e ad una scesa y)\ ■■ >i
Dove dovria per mille esser ricetto:
Così giù da una ripa discoscesa '
Trovammo risonar quell' acqua tinta,
Sì che in poca ora avria la orecchia offesia:
Io avea una corda intorno cinta ,
E con essa pensai alcuna volta
Prender la lonza alla pelle dipinta.
Poscia che la ebbi tutta da me sciolta ,
Sì come il duca mi avea comandato,
Porsila a lui aggroppata e ravvolta.
Ond' ei si volse inver lo destro lato ,
Ed alquanto di lungi dalla sponda
La gittò giuso in quello alto burraio. '
E pur convien che novità risponda ,
Dicea fra me medesmo , al novo cenno.
Che il maestro con 1' occhio sì secondeu
Ahi quanto cauti li omini esser denno
Presso a color, che non veggon pur la opra.
Ma perentro i pensìer miran col senno !
Ei disse a me : tosto verrà di sopra
Ciò , che io attendo ; e che il tuo pensier sogna ,
Tosto convien che al tuo viso si scopra.
Sempre a quel ver, che ha faccia di menzogna.
De' 1' om chiuder le labbra infin eh' el puote;
Però che senza colpa fa vergogna;
Ma qui tacer noi posso: e per le note
Di questa commedia, lettor, ti giuro,
S' elle non sien di lunga grazia vote,
Che io vidi per quello aere grosso e scuro
Venir notando una figura in suso
Meravigliosa ad ogni cuor sicm'O,
Sì come torna colui, che va giuso
Talvolta a solver l' àncora, che aggrappa
O scoglio , od altro , che nel mare è chiuso ,
Che in su si stende, e da pie si rattrappa.
.CANTO XVII.
ARGOMENTO.
Fine del setllmo cerchio. Usurieri o violenti contri
r arie. (Giavfi^Uacci , Ubbriachi.,
Scrovigni) Gcrione.
Ecco la fiera con la coda aguzza.
Che pa^sa i mouti, e rompe i maxi ed armi;
m
INFERNO. (XVII. S— 186)
m
Ecco colei, che tutto il mondo appuzzai r-i Ui U ^
cominciò lo mio duca a parlarmi , ' ,jd^h,^
E accennolle , che Tenisse a proda , i
Vicino al fin dei passeggiati marmi:
quella sozza immagine di froda
Sen venne , ed arrivò la testa e il busto ;
Ma in su la riva non trasse la coda.
l faccia sua era faccia di om giusto;
Tanto benigna avea di for la pelle,
E di un serpente tutto lo altro fusto,
uo branche avea pilose infin le ascelle:
Lo dosso , e il petto , ed ambo e due le coste
Dipinte avea di nodi e di rotelle.
Dn più color sommesse e sopraposte
IVon fèr mai drappo Tartari, né Turchi,
jSè fur tai tele per Aragne imposte,
ome tal volta stanno a riva i burchi, / u.'-'^'
Che parte sono in acqua, e parte in terra,
E come là tra li Tedeschi lurchi ^,
p bivero si assetta a far sua guerra,
Coeì la fiera pessima si stava
Su r orlo, eh' è dì pietra e il sabbion serra.
el vano tutta sua coda guizzava,
Torcendo in su la venenosa forca.
Che a guisa di scorpion la punta armava,
0 duca disse : or conviea che si torca
La nostra via un poco , infino a quella
Bestia malvagia, che colà si corca, ..^■-'-
ero scendemmo alla destra mammella,
E dieci passi femmo in su lo stremo,
Per ben cessar l' arena e la fiammella:
quando noi a lei venati scmo.
Poco più oltre veggio in ru 1' arena
Gente seder propinqua al loco scemo.
uivi '1 maestro : acciò che tutta piena
Esperienza di esto giron porti ,
Mi disse, or va, e vedi la lor mena!
i tuoi ragionamenti sien là corti!
Mentre che torni, parlerò con questa,
Clic ne conceda i s.toi omeri fortL
osi ancor su per la strema testa
Di quel settimo cerchio tiitto solo
Andai , ove sedea la gente mesta,
er li occhi fori scoppiava lor duolo»
Di qua di là soccorèn con le mani.
Quando ai vapori, e quando al Culdo suolo.
fon altrimenti fan di state i cani
Or col cclTo , or coi pie, quando son morsi
O da pulci, o da mosche , o da tafanL
i*oi che nel viso a certi li occhi porsi,
Mei quali il doloroso foco casca ,
INon ne conobbi alcun , ma io mi accorsi ,
3ic dal colio a ciascun pendca una tasca,
Che avea certo colore , e certo t^e^no;
E quindi par che il loro occhio si pasca.
E come io riguardando tra lor vegno.
In una borna gialla vidi a/./iirro,
Clui di un lione a>oa faccia e ct>ntcgno.
Poi procedendo di mio sguardo il curro,
\idine un' altra, come sangue rossa,
Mo.-itraro una oca liianca più che burro.
Ed un , che di una scrofa azzurra e grossa
Segnato avea lo suo sa(clietto f/ianco,
Mi di-se: dio fai tu in questa fos-a.'*
Dr te ne va! e per che sei vivo anco,
Sappi , <:hu il mio vìcin \ italiano
Sederà qui dal luio sinistro fianco:
Con questi Fiorentìn son Padovano:
Spesse fiate m' intronan li orecchi.
Gridando: vegna il cavalier sovrano,
Che recherà la tasca coi tre becchi!
Quindi storse la bocca, e di for trasse
La lingua, come bue, che il naso lecchi.
Ed io temendo , noi più star crucciasse
Lui , che di poco star mi avea ammonito ,
Tornairn' indietro dalle anime lasse.
Trovai il duca mio , eh' era salito
Già su la groppa del fiero animale
E disse a me : or sic forte ed ardito !
Omai si scende per sì fatte scale:
Monta dinanzi, che io voglio esser mezzo,
Sì che la coda non possa far male.
Qual è colui, che ha si presso il riprezzo
Della quartana, che ha già le unghia smorte,
E trema tutto , pur guardando il rezzo , ^
Tal divenn' io alle parole porte:
J\Ia vergogna mi fér le sue minacce.
Che innanzi a buon signor fa servo forte,
lo mi assettai in su quelle spallacce:
Sì volli dir; ma la voce non venne.
Come io credetti, fa che tu mi abbracce!
Ma esso , che altra volta mi sovvenne
Ad alto forse , tosto che io montai ,
Con le braccia mi avvinse e mi sostenne
E disse : Gerion , moviti omai !
Le rote larghe, e lo scender sia poco!
Pensa la nova soma, che tu hai!
Come la navicella esce di loco
In dietro in dietro, sì quindi si tolse,
E poi che al tutto si sentì a gioco ,
Là ov' era il petto, la coda rivolse,
E quella tesa, come anguilla, mosse,
E con le branche lo acre a so raccolse.
Maggior paura non credo che fosse.
Quando Fetonte abbandonò li freni.
Per che il cicl, come appare ancor, ri cosse;
Xè quando Icaro misero le reni
Sentì spennar per la scaldata cera.
Gridando il padre a lui: mala via tieni,
Che fu la mia, quando vidi che io era
Nello acre da ogni parlo , e vidi spenta
Ogni veduta, ior che della fiera.
Ella sen va notando lenta lenta,
Kota , e discende , ma non me ne accorgt) ,
Se non che al viso, e di sotto mi venta.
Io scntìa già dalla man dc.-tra il gorgo
Far sotto nai un orribile stroscio:
Per che eoa lì occhi in giù la testa sporgo,
Allor fu' io più timido allo scoscio:
Però che io a idi focili, e sentii pianti.
Onde io tremando tutto mi rai roscio. .
E vidi poi, che noi vcdoa damanti,
Lo scendere e il girar per li gran mali,
Che si appressavan da di>cr^i cauli.
Come il fiilcon, eh' è stalo as-ai su lo ali,
Che, senza veder Judoni od ucicllo.
Fa dire al liilcoiiicrc : oinu- tu cali,
Dix code l,is>o , onde si move snello
Per cento rote, e da lungi si pone
Dal suo ur.u'stro, di^dcgnoso e fello:
Così ne pose al fondo (•erione
A pie a piò della stagliala rocca,
E , discanate le nostre pcrsoi\c ,
Si dileguò, corno da corda cocca.
[39]
INFERNO. (XVIir. 1 — 124)
[m
CANTO XVIII.
ARGOMENTO.
Ottavo cerchio de' frodolcnti , diviso in dieci bolge.
Seduttori, (^T^enedico Caccianimico. Jason) e adu-
latori {Alessio Interminei. Taide).
Loco è in inferno, detto Maleholge ,
Tutto di pietra, e di color ferrigno,
Come la cercliia, che d' intorno il volge.
Nel dritto mezzo del campo maligno
Vaneggia un pozzo assai largo e profondo ,
Di cui 'n suo loco dicerò 1' ordigno.
Quel cinghio, che rimane adunque tondo
Tra il pozzo e il pie dell' alta ripa dura
Ed ha distinto in dieci valli il fondo.
Quale, dove per guardia delle mura
Più e più fossi cingon li castelli,
La parte , dov' ei son , rende figura ,
Tale imagine quivi facean quelli:
E come a tai fortezze dai lor sogli
Alla ripa di for son ponticelli,
Così da imo della rocca scogli
/^yyn^C- Movèn, che ricidean li argini e i fossi
Infino al pozzo, che i tronca e raccogli,
u^^ Li questo loco dalla schiena scossi
Di Gerion trovammoci: e il poeta
Tenne a sinistra, ed io dietro mi mossi.
Alla man destra vidi nova pietà,
Kovi tormenti, e novi frustatori, Ai^'-^'^X
Di che la prima bolgia era repleta.
Nel fondo erano ignudi i peccatori:
Dal mezzo in qua ci venian verso il volto,
Di là con noi, ma con passi maggiori:
Come i Roman , per lo esercito molto ,
Lo anno del giubbileo, su per lo ponte.
Hanno a passar la gente modo tolto ,
Che dallo un lato tutti hanno la fronte
Verso il castello, e vanno a santo Pietro,
Dall' altra sponda vanno verso il monte.
Di qua, di là, su per lo sasso tetro
Vidi demon cornuti con gran ferze,
Che li battean crudelmente di retro.
Alii come facèn lor levar le berze
Alle prime percosse! è già nessuno
Le seconde aspettava, né le terze.
Mentre io andava, li occhi miei in uno
Furo scontrati; ed io si tosto dissi:
Già di veder costui non son digiuno.
Perciò a figurarlo i piedi alTissi:
£ il dolce duca meco si ristette, ,
Ed assenti che alquanto indietro gissi, (^'-■t'^k/
E quel frustato celar si credette
Bassando il viso ; ma poco li valse :
Che io diesi : tu , che V occhio a terra gotte ,
Se le fa'/.ion che porti non son false,
Venedico sei tu Caccianimico.
Ma che ti mena a sì pungenti salse?
Ed egli a me : mal volcntier lo dico :
Ma sforzami la tua chiara favella.
Che mi fa sovvenir del mondo antico.
Io fui colui, che la Ghìsola bella
Condussi a far la voglia dei Marchese,
Como che suoni la sconcia novella.
^f"
E non pur io qui piango Bolognese,
Anzi n'è questo loco tanto pieno ,
Che tante lingue non son ora apprese
A dicer sipa, tra Savena e il Reno.
E se di ciò vuoi fede , o testimonio ,
Recati a mente il nostro avaro seno!
Così parlando , il percosse un demonio
Della sua scuriada, e dls!«e: via,
Ruffian , qui non son femmine da conio.
10 mi raggiunsi con la scorta mia:
Poscia con pochi passi divenimmo
Dove uno scoglio della ripa uscia.
Assai leggeramente quel salimmo,
E volti a destra sopra la sua scheggia,
Da quelle cerchie eterne ci partimmo.
Quando noi fummo là, dov' ci vaneggia
Di sotto , per dar passo alli sferzati ,
Lo duca disse: attienti, e fa che foggia
Lo viso in te di questi altri mal nati ,
Ai quali ancor non vedesti la faccia,
Però che son con noi 'nsicme andati.
Dal vecchio ponte guardavam la traccia ,
Che venia verso noi dall' altra banda,
E che la ferza similmente scaccia.
11 buon maestro, senza mia dimanda.
Mi disse : guarda quel grande , che viene ,
E per dolor non par lacrima spanda.
Quanto aspetto reale anco ritiene !
Quelli è Jasòn, che per core, e per senno
Li Colchi del monton privati fene.
Elio passò per la isola di Lenno ,
Poi che le ardite femmine spietate
Tutti li maschi loro a morte dienno.
Ivi con segni, e con parole ornate
Isifile ingannò, la giovinetta.
Che prima le altre avea tutte ingannate.
Lasciolla quivi gravida , e soletta ;
Tal colpa a tal martiro lui condanna ;
E anche di Medea si fa vendetta.
Con lui sen va chi da tal parte inganna:
E questo basti della prima valle
Sapere, e di color, che in sé assanna!
Già eravam dove lo stretto calle
Con lo argine secondo s' incrocicchia,
E fa di quello ad un altro arco spalle.
Quindi sentimmo gente, che si nicchia -V:^,
Neil' altra bolgia , e che coi muso sbuffa ,
E sé medesma con le palme picchia.
Le ripe eran grommate di una muffa.
Per lo alito di giù, che vi si appasta,
[ Che con li occhi , e col naso facea zutTa.
Lo fondo è cupo sì , che non ci basta
Loco a veder, senza montare ai dosso
Dello arco , ove lo scoglio più sovrasta.
Quivi venimmo, e quindi giù nel fosso
Vidi gente attuffata in uno sterco,
Che ìialli uman privati parca mosso :
E mentre che io là giù con 1' occhio cerco,
\ìAì un col capo sì di merda lordo ,
Che non parca, s' era laico o cherco.
Quei mi sgridò: per che sei tu si 'ngordo
Di riguardar più me , che li altri brutti ?
Ed io a lui: per che, se ben ricordo.
Già ti ho veduto coi capelli asciutti ,
E sei Alessio Interminei da Lucca :
Però ti adocchio più , die li altri tutti.
Ed elii allor, battendosi la zucca:
*1]
INFERNO. (XVIII. 125—136. XIX. 1—109)
[42]
Qua giù mi hanno sommerso le lusinghe, . .
Onde io non ebbi mai la lingua stucca. it'jC'.WjJi
L presso ciò lo duca: fa che pinglie.
Mi disse, un poco il viso più avante.
Sì che la faccia ben con li occhi attinghe
»i quella sozza scapigliata fante ,.••-■-
Clie là si graffia con le unghie merdose,
Ed or si accoscia, ed ora è in piede stante!
^'aide è la puttana , che rispose ^ - -Vi-'c '
Al drudo suo, quando disse: ho io grazie
Grandi appo te? anzi maravigliose!
1 quinci sien le nostre viste sazie.
CANTO XIX.
ARGOMENTO.
Tersa bolgia dei simoniaci. Nicolò III, che attende
Bonifacio Vili, e Clemente V.
)h Simon mago, oh miseri seguaci.
Che le cose di dio, che di bontate
Deono essere spose, voi rapaci
'cr oro e per argento avolterate!
Or convien , che per voi soni la tromba ,
Però che nella terza bolgia state.
Jià eravamo alla seguente tomba
iVInntati, dello scoglio in quella parte,
Che a punto sovra il mezzo fosso piomba.
)h somma sapienza, quanta è 1' arte.
Che mostri in cielo, in terra, e nel mal mondo,
E quanto giusto tua virtù comparte 1
o vidi per le coste, e per lo fondo
Piena la pietra livida di fori
Di un largo tutti, e ciascuno era tondo,
lion mi parèn meno ampi , né maggiori ,
Che quei , che son nel mio bel san Giovanni
Fatti per loco dei battezzatòri.
jo un dclli quali , ancor non è molti anni ,
Rupp' io per un, che dentro vi annegava:
E questo fìa suggel , che ogni omo sganni !
?'or della bocca a ciascun soperrhiava
Di un peccator dei piedi, e delle gambe
Infino al grosso , e lo altro dentro stava.
[iC piante erano accese a tutti entrambe :
Per che sì forte gui/zavan le giunte.
Che spezzate avertan ritorte e stramlie.
Jual suole il fiammeggiiir delle cose unte
Moversi pur su per la estrema buccia ,
Tal era lì dai calcagni alle punte.
[Tliì è colui, maestro, che si cruccia
Guizziindo più che li altri suoi consorti,
Diss' io, e cui più roggia fiamniii succia.^
Ed cUi a me : se tu vuoi , che io ti porti
Là giù per quella ri|>a , che più giace,
Da Ini saprai di so, e dei suoi torti. 1*"
bld io: tanto mi è bel, quanto a t(. piace:
Tu sei signore, e sai , «;lie io non mi parto
Dal tuo volere, e sai {|ii(;l che si tace.
&llor venimmo in su lo argine quarto:
Volgemmo , e discendemmo n niaiu> bianca
Là giù nel fondo foracchiato ed arto.
E il buon maestro ancor dalla sua anca
Non mi dipose, sin mi giunse al rotto
Di quel, che sì piangeva con la zanca.
Oh qual che sei, che il di su tien di sotto.
Anima trista, come pai commessa.
Comincia' io a dir, se puoi, fa motto!
Io stava , come il frate , che confessa
Lo perfido assassin , che poi eh' è fitto ,
Richiama lui, per che la morte cessa:
Ed ei gridò : sei tu già costì ritto ,
Sei tu già costi ritto, Bonifazio.'
Di parecchi anni mi mentì io scritto.
Sei tu sì tosto di quello aver sazio.
Per lo qual non temesti torre a inganno
La bella donna, e di poi farne strazio?
Tal mi fec' io , quai son color , che stanno
Per non intender ciò eh' è lor risposto,
Quasi scornati , e risponder non sanno.
Allor Virgilio disse: dilli tosto.
Non son colui, non son colui, che credi.
Ed io risposi come a me fu imposto.
Per che lo spirto tutti storse i piedi:
Poi sospirando , e con voce di pianto
Mi disse: dunque che a me richiedi?
Se di saper eh' io sia ti cai cotanto ,
Che tu abbi però la ripa scorsa.
Sappi , che io fui vestito del gran manto :
E veramente fui figliuol della orsa.
Cupido si , per avanzar li orsatti ,
Che su lo avere, e qui me misi in borsa.
Di sotto al capo mio son li altri tratti.
Che precedetter me simoneggiando ,
Per la fessura della pietra, piatti.
Là giù cascherò io altresì, quando
Verrà colui , che io credea che tu fossi ,
Allor che io feci 'l subito dimando.
Ma più è il tempo già, che i pie mi cossi,
E che io son stato così sottosopra,
Ch' ei non starà piantato coi pie rossi:
Che dopo lui verrà, di più laida opra,
Di ver ponente un pastor senza legge,
Tal che convien , che lui e me ricopra.
Novo Jasòn sarà, di cui si legge
Nei Maccabei : e come a quel fu molle
Suo re, così fia a lui chi Francia regge.
Io non so se io mi fui qui troppo folle ;
Che io pur risposi lui , a questo metro :
Deh or mi di' , quanto tesoro volle
Nostro signore in prima da San Pietro,
Cir ei ponesse le chiavi in sua lialia?
Certo non chiese, se non: vicumii iliitro!
Nò Pier, né li altri «hiesero a .ìliitli.i
Oro , o argento , quando fu >ortito
Nel luogo, che perd»; 1' anima ria.
Però ti sta, che tu se' ben punito,
E guarda ben la mal ttilla niunrlii
Ch' esser ti fece coiilra ('arlo ardito!
E se non fo?>e, the ancor lo mi vieta
La riverenza delle sommo chia\i,
Che tu tenesti nella >it;i lieta,
lo userei parole ancor più gra^i;
('he la vostra a^ari/.ia il mondo attrista,
Calcando i buoni, e sollevando i pravi.
Di ^oi pastor si accor.>e il vangelista.
Quandi» colei, che siede sovra le acque,
Puttaneggiar coi regi a lui fu vista:
Quclki, che con le getto tctito nacque.
[43]
INFERNO. (XIX. 110 — 133. XX. 1 — 97)
[«],
E dalle diece corna ebbe argomento.
Fin che virtute al suo marito piacque.
Fatto vi avete iddio di oro e di argento:
E che altro è da voi alli idolatre,
Se non che elli uno, e voi ne orate cento?
Ahi Costantin , di quanto mal fu matre ,
Non la tua conversion, ma quella dote,
Che da te prese il primo ricco patre !
E mentre io Ù cantava cotai note,
O ira , o coscienza , che il mordesse » ^ ,
Forte spingava con ambo le piote.,.' i^v'j^"
Io credo ben, che al mio duca piacesse, ij
Con si contenta labbia sempre attese
Lo suon delle parole vere espresse.
Però con ambo le braccia mi prese,
E poi che tutto su mi si ebbe al petto.
Rimontò per la via, onde discese:
Kè si stancò di avermi a sé ristretto ,
Si mi portò sovra il colmo dello arco,
Che dal quarto al quinto argine è tragetto.
Quivi soavemente spose il carco.
Soave per lo scoglio sconcio ed erto.
Che sarebbe alle capre duro varco:
Indi un altro vallon mi tu gcoverto.
CANTO XX.
ARGOMENTO.
Indovini forzati a guardar indietro. Lao;o di Gar-
da. Origine di Mantova. Virgilio.
Di nova pena mi convien far Tersi,
E dar materia al ventesimo canto
Della prima canzon, eh' è dei sommerai.
Io era già disposto tutto quanto
A riguardar nello scoverto fondo.
Che si bagnava di angoscioso pianto:
E vidi gente per lo vallon tondo
Venir tacendo e lacrimando, al passo
Che fanno le letane in questo mondo.
Come il viso mi scese in lor più basso.
Mirabilmente apparve esser travolto
Ciascun dal mento al principio del casso :
Che dalle reni era tornato il volto ,
E indietro venir li cpnvenia.
Per che il veder dinanzi era lor tolto.
Forse per forza già di pariasia
Si travolse cosi alcun del tutto:
Ma io noi vidi, né credo che sia.
Se dio ti lasci, lettor, prender frutto
Di tua lezione , or pensa por te stesso ,
Come io potea tener lo viso asciutto ,
Quando la nostra imagine da presso
Vidi sì torta, che il pianto delli occM
Le natiche bagnava i)cr Io fesso !
Certo io piangca poggiato ad un dei rocclil
Del duro scoglio, .-ì che la mia scorta
Mi disse: ancor sei tu dclii altri sciocchi?
Qui vive la pietà, quando ù ben morta.
Chi è più scellerato dì colui.
Che al giudìcio divin pasuion comporta?
Drizza la testa , drizza , e guarda , a coi ,
Si aperse, alli occhi dei Teban, la terra,
Per che gridavan tutti , dove rui ,
Anfiarao? per che lasci la guerra?
E non restò di ruinare a valle
Fino a 3Iinòs, che ciascheduno afferra.
Mira, che ha fatto petto delle spalle:
Per che volle veder troppo davante,
Diretro guarda, e fa ritroso calle.
Vedi Tiresia, che mutò sembiante,
Quando di maschio femmina divenne ,
Cangiandosi le membra tutte quante:
E prima poi ribatter li convenne
Li duo serpenti avvolti , con la verga ,
Che riavesse le maschili penne.
Aronta è quei , che al ventre li si atterga ,
Che nei monti di Limi, dove ronca
Lo Carrarese, che di sotto alberga,
Ebbe tra bianchi marmi la spelonca
Per sua dimora : onde a guardar le stelle
E il mar noiT li era la veduta tronca.
E quella , che ricopre le maniraelle ,
Che tu non vedi, con le trecce sciolte,
Ed ha di là ogni pilosa pelle.
Manto fu, che cercò per terre molte.
Poscia si pose là, dove nacqa' io:
Onde un poco mi piace, che mi ascolte.
Poscia che il padre suo di vita uscio,
E venne ser^ a la città di Baco ,
Questa gran tempo per lo mondo glo.
Suso in Italia bella giace un laco
A pie delle alpe , che serra Lamagua
Sovra Tiralli, ed ha nome Benaco;
Per mille fonti credo e più si bagna.
Tra Garda e Val Camouica, Pennino
Dell' acqua che nel detto lago stagna.
Loco è nel mezzo là , dove il Trentino
Pastore, e quel di Brescia, e il Veronese
Segnar porla , se fesse quel cammino.
Siede Peschiera, bello e forte arnese.
Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
Onde la riva intorno più discese.
Ivi convien, che tutto quanto caschi
Ciò che in grembo a Benaco star non può,
E fassi fiume giù pei verdi paschi.
Tosto che r acqua a correr mette co' ,
]Von più Benaco, ma 3Iincio si chiama
Fino a Governo, dove cade in Po.
Non molto ha corso, che trova una lama,- r
Nella qual si distende, e la impaluda, ^^
E suol di state talora esser grama.
Quindi passando la vergine cruda
Vide terra nel mezzo del pantano.
Senza cultura, e di abitanti nuda-
Lì, per fuggire ogni consorzio umano.
Ristette coi suoi servi a far sue arti,
E visse, e vi lasciò suo corpo vano.
Li omini poi , che intorno erano sparti ,
Si accolsero a quel loco, eh' era forto^
Per lo pantan , che avea da tutte parti.
Fèr la città sovra quelle ossa morte ,
E per colei, che il loco prima elesse,
3Iautova 1' appellar, senz' altra sorte.
Già fur le genti sue dentro più spesse.
Prima che la mattia da Casalodi
Da Pinamonte inganno ricevesse.
Però ti assenno, che, se tu mai odi
}^]
INFERNO. (XX. 98—1 30. XX[. 1—88)
[46]
Originar la mia terra altrimenti.
La verità nulla menzogna frodi.
d io: maestro, i tuoi ragionamenti
Mi son sì certi, e prendon sì mia fede,
Che li altri mi sarian carboni spenti.
[a dirami della gente , che procede ,
Se tu ne vedi alcun degno di nota?
Che solo a ciò la mia mente rifiede. .
Ilor mi disse: quel, che dalla gola
Porge la barba in su le spalle brune,
Fu, quando Grecia fu dì maschi vota
, che a pena rimaser per le cune,
Augure , e diede il punto con Calcanta
In Aulide a tagliar la prima fune,
uripilo ebbe nome, e così '1 canta
L' alta mia tragedia in alcun loco ;
Ben lo sai tu, che la sai tutta quanta.
nello altro , che nei fianchi è così poco »
Michele Scotto fu, che veramente
Delle magiche frode seppe il gioco,
edi Guido Bonatti , vedi Asdente ,
Che avere atteso al cuojo ed allo sgago
Ora vorrebbe, ma tardi si pente.
edi le triste, che lasciaron lo ago,
Ija spuola, e il fuso, e lecersi indovine:
•Tecer malie con erbe e con imago.
a, Vienne ornai! che già tiene il confine
Di ambo e due li cmisperi, e tocca la onda,
Sotto Sibilla, Caino, e ie spine,
già jernotte fu la luna tonda:
Ben ten dee ricordar, che non ti nocqne
Alcuna volta per la selva fonda.
nù parlava, e andavamo introcquc.
CANTO XXI.
ARGOMENTO.
fuinta boln;ìa dclP ottavo cerchio: i harattlcrl nella
;[)ccc bollente. Dicci dcmoìij minacciosi o armali
osi di ponte in ponte altro parlando.
Che la mia commedia cantar non cura,
^ cnimmo , e tenevamo il colmo , quando
listemmo per veder l' altra fessura
Di Malebolge, e li altri pianti vani:
E vidila mirabilmente oscura.
'u;ilc nello arsenà dei \ iniziani
Bolle lo verno la tenace pece ,
A rimpalmar li legni lor non sani, Kf^V-*^
he navicar non ponno , e in quella vece
Chi fa buo legno novo , e chi ri^toppa
Le coste a quel , che più viaggi fece,
Ili ribatte da proda, e cbi da poppa.
Altri fa remi, ed altri voI;;e ^arte ,
Chi terzcrolo , ed artimon rinloppa:
\il , non per foco, ma per divina arte,
Bolliii là giuso una pegola spes.sn ,
CIk; invi»cava la ripa da ogi/i parte.
0 vedea lei , ma non vedeva in ciisa
Ma dir le bolle, clic il bollor levava,
lì gonfiar tutta, e ridcdor cauipret^ita.
MentTe io là giù fisamente mirava.
Lo duca mio, dicendo, guarda guarda,
Mi trasse a sé del loco, dove io stava.
AUor mi volsi come 1' om, cui tarda
Di veder quel , che li convien fuggire ,
E cui paura subita sgagliarda,
Che per veder non indugia il partire:
E vidi dietro a noi un diavol nero
Correndo su per lo scoglio venire.
Ahi quanto egli era nello aspetto fiero!
E quanto mi parca nello atto acerbo.
Con le ale aperte, e sovra i pie leggiero!.
L' omero suo , eli» era acuto e superbo ,
Carcava un peccator con ambo le anche,
Ed ei tenea dei pie gremito il nerbo.
Del nostro ponte, disse: oh Malebranche,
Ecco un delli anzian di santa Zita:
Mettetel sotto , ciie io torno per anche
A quella terra, che n'è ben fornita:
Ogni om vi è baratticr , for che Bontoro :
Del non per li denar sui si fa ita.
Là giù il buttò , e per lo scoglio duro
Si volsn, e mai non fu mastino sciolto
Con tanta fretta a seguitar lo furo.
Quei si attuffò, e tornò su convoito:
Ma i demon , che del ponte avean coverchio ,
Gridar , qui non ha loco il santo volto :
Qui si nuota altrimenti che nel Serchio:
Però se tu non vuoi dei nostri graffi,
Non far sovra la pegola soverchio !
Poi lo addentar con più di cento raffi,
Disscr: coverto convien che qui balli.
Sì che, se puoi, nascosamente accalTi.
IVon altrimenti i cuochi ai lor vassalli
Fanno attufTare in mezzo la caldaia
La carne con li unciu, per che non galli.
Lo bon maestro: acciò che non si paia.
Che tu ci sii, mi disse, giù ti acquatta
Dopo uno scheggio, che alcun schermo ti baia,
E per nulla ofTetision, che mi sia fatta.
Non temer tu! che io ho le cose conte.
Per che altra volta fui a tal baratta.
Poscia passò di là dal co' del ponte,
E com' ei giunse in su la ripa se^ta,
Mcslier li fu di aver sicura fronte.
Con quel furore, e con quella tempesta,
Ch' escono i cani addosso al poverello ,
Che di subito chiede, ove si arresta,
Usciron quei di sotto al ponticello ,
E volser contra lui tutti i roncigli :
Ma ci gridò: nctisun di voi sia fello!
Innanzi che lo uncin vosti'o mi pigli ,
Traggasi avanti lo un di voi, che mi oda,
E poi di roncigliarmi si consigli!
Tutti gridaron: >aùa Malacoda!
Per che un si mosse, e li altri steKor fermi,
E venne a lui, dicendo, che ti apprikdii.^
Credi tu, Malacoda, qui vrdeniii
Esser venuto , disse il mio maestro ,
Securo già da tulli i vo.stri sclieriui ,
San/a voler divino e fato destro .-'
liiisciami andar ! che nei ciclo è voluto,
Ch(^ Io nl(l^tri nltriii que-<to cammin Silvestro.
Allor li fu 1' orgoglio sì caduto,
(/he si lasi'iò cascar lo iwuiiio ai pi<Mli,
E diasc: omei costui non sia frrulu !
E il duca mio a me : uh tu , che «iodi
[47]
INFERNO. fXXl. 89—139. XXII. 1—70)
r48]
Tra li scheggion del ponte quatto quatto,'
Sicuramente ornai a me ti riedi!
Per che io mi mossi, ed a lui venni ratto:
E i diavoli si fecer tutti avanti,
Sì che io temetti, non tenesser patto.
E cosi vid' io già temer li fanti
Che uscivan patteggiati di Caprona,
Veggendo sé tra nemici cotanti.
Io mi accostai con tutta la persona
Lungo il mio duca, e non torceva li occhi
Dalla sembianza lor, eh' era non bona.
Ei chinavan li raffi , e : vnoi che io il tocchi ,
Diceva lo un con lo altro, in sul groppone?
E rispondean: sì, fa che li le accocchi!
Ma quel demonio, che tenea sermone
Col duca mio , si volse tutto presto ,
E disse: posa, posa. Scarmiglione!
Poi disse a noi: più oltre andar per questo
Scoglio non si potrà; però che giace
Tutto spezzato al fondo lo arco sesto.
E se lo andare avanti pur vi piace,
Andatevene su per questa grotta!^
Presso è un altro scoglio , che via face.
Jer, più oltre cinque ore che questa otta.
Mille ducento con sessanta sei
Anni compier, che qui la via fu rotta»
Io mando verso là di questi miei ,
A riguardar, se alcun se ne sciorina:
Gite con lor, eh' ei non saranno rei.
Tratti avanti, Alichino, e Calcabrina,
Cominciò egli a dire, e tu Cagnazzo,
E Barbariccia guidi la decina!
Libicocco vegna oltre, e Draghignazzo ,
Ciriatto sannuto, e Graffiacane, <rw>yi Tla^».^
E Farfarello, e Ruhicante pazzo!
Cercate intorno le bollenti pane!
Costor sien salvi insino allo altro scheggio ,
Che tutto intero va sopra le tane.
Oraè, maestro, che è quel, che io veggio?
Diss' io: deh, senza scorta andlamci soli.
Se tu sa' ir , che io per me non la cheggio ;
Se tu sei sì accorto , come suoli ,
Non vedi tu, che ei digrignan li denti,
E con le ciglia ne minaccian duoli?
Ed egli a me: non vo' che tu paventi.
Lasciali digrignar pure a lor senno,
Ch' ei fanno ciò per li lassi dolenti.
Per lo argine sinistro volta dienno;
Ma prima avea ciascun la lingua stretta
Coi denti Vtjrso lor duca per cenno.
Ed egli avea del cui fatto trombetta.
f
CANTO XXII.
ARGOMENTO.
Astuzia d' un harutiicrc, per uscir di mano di'
voli, clic scornati s' uzzvjfano Ira di loro.
lo vidi già cavalier mover campo,
E cominciare stormo, e far lor mostra.
E talvolta partir per loro scampo:
dia-
Corridor vidi per la terra vostra,
Oh Aretini, e vidi gir gualdane,
Ferir torneunienti , e correr giostra.
Quando con trombe, e quando con campane,
Con tamburi, e con cenni di castella,
E con cose nostrali , e con istrane ;
Né già con sì diversa cannamella
Cavalier vidi mover , né pedoni ,
Né nave a segno di terra, o di stella.
Noi andavam con li diece dimoni:
Ahi fiera compagnia! ma nella chiesa
Coi santi , ed in taverna coi ghiottoni.
Pure alia pegola era la mia intesa,
Per veder della bolgia ogni contegno,
E della gente, eh' entro vi era incesa.
Come i delfini , quando fanno segno
Ai marinar con lo arco della schiena.
Che si argomentin di campar lor legno,
Talor così ad alleggiar la pena
Mostrava alcun dei peccatori il dosso,
E nascondeva in men che non balena.
E come all' orlo dell' acqua di un fosso
Stanno i ranocchi pur col muso fori.
Sì che celano i piedi e lo altro grosso:
Sì stavan da ogni parte i peccatori;
Ma come si appressava Barbariccia,
Così si ritraean sotto i bollori.
Io vidi, ed anche il cor me ne accapriccia.
Uno aspettar così , com' egli 'ncontra ,
Che una rana rimane, e l' altra spiccia.
E Graffiacan , che li era più di contra.
Li arroncigliò le impegolate chiome,
E trassel su, che mi parve una lontra.
Io sapea già di tutti quanti 'l nome.
Sì li notai, quando furono eletti,
E poi che si chiamaro , attesi , come.
Oh Rubicante, fa che tu li metti
Li unghioni addosso si che tu lo scnoi !
GridaAan tutti insieme ì maladetti.
Ed io : maestro mio , fa , se tu puoi ,
Che tu sappi , chi é lo sciagurato
Venuto a man delli avversari suoi.
Lo duca mio li si accostò a Iato,
DomandoUo ond' ci fosse: e quei rispose:
lo fui del regno di Navarra nato.
Mia madre a servo di un signor mi pose.
Che mi avea generato di un ribaldo
Distruggitor di sé, e di sue cose.
Poi fui famiglio del bon re Tebaldo:
Quivi mi misi a far baratteria,
Di che rendo ragione in questo caldo.
E Ciriatto, a cui di bocca uscia
Da ogni parte una sauna, come a porco.
Li fé' sentir come la una sdruscia.
Tra male gatte era venuto il sorco;
Ma Barl)ariccia il chiuse con le braccia,
E disse: state in là, mentre io lo inforco:
Ed al maestro mio volse la faccia:
Dimanda, disse, ancor, se più disii
Saper da lui , prima che altri 'l disfaccia !
Lo duca: dunque or di' delli altri rii!
Conosci tu alcun, che sia Latino,
Sotto la pece ? e quelli : io mi partii
Poco è da un, che fu di là vicino:
Così foss' io ancor con lui coverto,
Che io non temerei unghia, nò uncino.
E Libicocco : troppo avcm solFcrto ,
:49]
INFERNO. (XXII. 71—151. XXIII. 1—40)
Disse , e preseli '1 braccio col runciglio ,
Si che , stracciando , ne portò un lacerto ,
Drap^hignazzo anclie i volle dar di piglio
Giuso alle gambe ; onde il decurio loro
Si Tolse intorno intorno con mal piglio.
Quando elli un poco rappaciati foro ,
A lui, che ancor mirava sua ferita,
Dimandò il duca mio, senza dimoro:
Chi fu colui , da cui mala partita
Di' , che facesti , per venire a proda ?
Ed ei rispose: fu frate Gomita,
Quel di Gallura, vasel di ogni froda,
Ch' ebbe i nimici di suo donno in mano ,
E fé' lor sì , che ciascun se ne loda :
Denar si tolse , e lascioUi di piano ,
Sì com' ei dice: e nelli altri ufici anche
Barattier fu non picciol, ma sovrano.
Usa con esso donno Michel Zanche
Di Logodoro; ed a dir di Sardigna
Le lingue lor non si sentono stanche.
Oh me! vedete lo altro, che digrigna:
Io direi anche : ma io temo , eh' elio
Non si apparecchi a grattarmi la tigna.
E il gran proposto volto a Farfarello,
Che stralunava li occhi per ferire,
Disse: fatti 'n costà, malvagio uccello!
Se voi volete o vedere, o udire.
Ricominciò lo spaurato appresso,
Toschi, o Lombardi , io ne fiirò venire.
Ma stien le male branche un poco in cesso ^
Si che non teman delle lor vendette ,
Ed io , seggendo in questo loco stesso ,
Per un, che io son, ne farò venir sette,
Quando sufolcrò, com' è nostro uso
Di fare altor, che fori alcun si mette.
Cagnazzo a cotal motto levò il muso
Crollando il capo, e disse: odi malizia,
Ch' egli ha pensato, per gittarsi giuso !
Orni' ei, che avea lacciuoli a gran divizia,
Rispose: malizioso son io troppo,
Quando io prociu'o ai miei maggior tristizia.
Alichin non si tenne , e di rintoppo
Aili altri, disse a lui: se tu ti cali,
lo non ti verrò dietro di galoppo.
Ma batterò sovra la i)ece le ali :
Lascisi 4 colle, e sia la ripa scudo,
A veder, se tu sol più di noi vali!
Oh tu che leggi, udirai novo ludo.
Ciascun dall' altra costa li occhi volse;
Quel primo, che a ciò fare era più crudo.
Lo INavarrese ben suo tempo colse,
Fermò le piante a terra, ed in un punto
Saltò , e dal proposto lor si sciolse.
Di clic ciascun di colpa fu compunto;
Ma quei più, che cagion fu del difetto.
Però si mosse , e gridò : tu sei giunto.
Ma poco i valse , rhù le ali al sospetto
Non poterò avanzar: quelli andò sotto,
E quei drizzò, volanilo, suso il petto.
^'on nltrimenli l' anitra di botto.
Quando il falcon si appressa, giù sì attufTa,
Ed «i rJLdrna su crucciato e rotto.
Irato (/'.tl< abrina delbi Itulla,
Vdiandii dietro li tenne, invaghito.
Che (|ii(i campasse, p«T aver la zutTo.
E come il barattier iu dispartito,
Corì volse li artigli ul buo compagno ,
[50]
E fu con lui sovra il fosso gremito.
Ma lo altro fu bene sparvier grifagno
Ad artigliar ben lui , ed ambo e due
Cadder nel mezzo del bollente stagno.
Lo caldo sghermitor subito fue:
Ma però di levarsi era niente,
Si aveano invischiate le ali sue.
Barbariccia con li altri suoi dolente
Quattro ne fé' volar dall' altra costa,
Con tutti i raffi , ed assai prestamente
Di qua di là discesero alla posta:
Porser li uncini verso 1' impaniati ,
Ch' eran già cotti dentro dalla crosta,
C noi lasciammo lor cosi 'mpacciati.
CANTO XXIII.
ARGOMENTO.
Sesta bolgia degV ipocriti vestiti di cappe di piombo
dorate. Catalano. Loderingo.
Taciti, soli, sanza compagnia
Ne andavam lo un dinanzi , e lo altro dopo ,
Come ì frati minor vanno per via.
Volto era in su la favola d' Isopo
Lo mio pensier per la presente rissa,
Dov' ei parlò della rana, e del topo:
Che più non si pareggia mo ed issa,
Che lo un collo altro fa , se ben si accoppia
Principio e fine, con la mente fissa:
E come lo un pensier dello altro scop^na ,
Così nacque di quello un altro poi,
Che la prima paura mi fé' doppia.
Io pensava così : questi per noi
Sono scherniti , e con danno e con beffa
Sì fatta, che assai credo, che lor noi.
Se la ira sovra il mal voler si aggueda ,
Ei ne verranno dietro più crudeli ,
Che cane a quella levre, eh' egli acceflb.
Già mi sentia tutti arricciar li peli
Della paura, e stava indietro intento,^
Quando io dissi : maestro , se non celi
Te e me tostamente, io pavento
Di Malebranche: noi li avem già dietro:
Io r imagino sì , che già li sento.
E quei : se io fossi d' impiombato vetro ,
La imagine di for tua non trarrei
Più tosto a me, che quella dentro impetro.
Pur mo veniéiui i tuoi pensier tra i niiei
Con simile atto, e con simile faccia,
Sì che da entnuiibì wn sol consiglio fei.
S' egli è che sì la destra costa giaccia.
Che noi possiam r.( 11' altra bolgia scendere
Noi fuggireni la iniaginata caccia.
Già non eompiè di tal «onsiglio rendere,
Clic io li vidi venir con le ali tese
Non molto Iiuigi , per volerne prender
Lo duca mio di subito mi prese,
Come la madre, che a ronu>re è desta
E ^ede presso n sé le fiauuue accese.
Che prende il figlio, e fugge, e non si arresta.
[51]
INFERNO. (XXIII. 41—148. XXtV. 1— 12)
Avendo più di lui che di sé cura,
Tanto che solo una camicia Testa:
E giù dal collo della ripa dura
Siipin si diede alla pendente roccia.
Che Io nn dei lati all' altra bolgia fura.
Non corse mai sì tosto acqua per doccia,
A volger rota di molin terragno,
Quando ella più verso le pale approccia y^'tL^ÌL'>
Come il maestro mio per quel vivagno, i;'... .: !>■,."
Portandosene me sovra il suo petto ,
Come suo figlio, non come compagno.
A pena furo ì pie suoi giunti al letto
Del fondo giù, eh' ei giunsero in sul colle
Sovresso noi, ma non li era sospetto;
Che 1' alta providenza, che lor volle
Porre ministri della fossa quinta,
Poder di partirs' indi a tutti tolle.
Là giù trovammo una gente dipinta,
Che giva intorno assai con lenti passi
Piangendo, e nel sembiante stanca e vinta.
Elli avean cappe con cappucci bassi
Dinanzi alli orchi, fatte della taglia.
Che in Giugni per li monaci fassi.
Di for dorate son, si eh' elli abbaglia.
Ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
Che Federigo le raettea di paglia.
Oh in eterno faticoso manto !
Noi ci volgemmo ancor pure a man manca
Con loro insieme, intenti al tristo pianto;
Ma per lo peso quella gente stanca
Venia si pian , che noi eravam novi
Di compagnia ad ogni mover di anca. "
Per che io al duca mio: fa che tu trovi
Alcun, che al fatto, o al nome si conosca,
E r occhio sì in andando intorno movi!
Ed un, che intese la parola tosca,
Diretro a noi gridò: tenete i piedi,
Voi, che correte sì per 1' aura fosca!
Forse che avrai da me quel, che tu chiedi;
Onde il duca si volse, e disse: aspetta,
E poi secondo il suo passo procedi!
Ristetti , e vidi duo mostrar gran fretta
Dello animo col viso, di Cfser meco;
Ma tardavali '1 carco, e la via stretta.
Quando fur giunti , assai con V occhio bieco
Mi rimiraron sanza far parola:
Poi si volsero in sé, e dicean seco:
Costui par vivo allo atto della gola;
E s' ei son morti, per qual privilegio
Vanno scoverti della grave stola?
Poi dissermi: oh Tosco, che al collegio
Dell' ipocriti tristi sei venuto,
Di' chi tu sei ? non lo avere in dispregio !
Ed io a loro: io fui nato e cresciuto
Sovra il bel fiume di Arno alla gran villa,
E son col corpo, che io ho sempre avuto.
Ma voi chi siete, a cui tanto distilla.
Quanto io veggio, dolor giù per le guance,
E che pena è in voi, che sì sfavilla?
E lo un ri-pnsc a me: le cappe rance
Son di piombo sì grosse, che lì pesi
Fan così cigolar le lor bilance.
Frati Godenti fummo , e Dolognesi ,
Io Catalano, e costui Lodcringo
>omati, e da tua terra insieme presi,
Come suole esser tolto un om solingo
Per conservar sua paco, o fummo t
[52J
pace, 0 fummo tali,
Che ancor sì pare intorno dal Gardingo.
Io cominciai: oh frati, i vostri muli —
Ma più non dissi: che alli occhi mi corse
Un , crocifisso in terra con tre pali.
Quando mi vide, tutto si distorse,
Soffiando nella barba coi sospiri :
E il frate Catalan, che a ciò si accorse,
Mi disse: quel confitto, che tu miri,
Consigliò i Farisei , che convenìa
Porre un om per lo popolo ai martiri.
Attraversato e nudo è nella via.
Come tu vedi; ed è mestier eh' el senta
Qualunque passa, com' ei pesa pria:
Ed a tal modo il socero si stenta
In questa fossa, e li altri dal concilio
Che fu per li Giudei mala sementa.
Allor vid' io maravigliar Virgilio
Sovra colui , eh' era disteso in croce
Tanto vilmente nello eterno esilio.
Poscia dirizzò al frate cotal voce:
Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci.
Se alla man destra giace alcuna foce,
Onde noi ambo e due possiamo uscirci
Senza costringer delli angeli neri.
Che vegnan da esto^ fondo a dipartirci.
Rispose adunque : più che tu non speri ,
Si appressa un sasso, che dalla gran cerchia
Si move , e varca tutti ì vallon feri ;
Salvo che a questo è rotto , e noi coperchia :
Montar potrete su per la mina ,
Che giace in costa, e nel fondo soperchia.
Lo duca stette un poco a testa china,
Poi disse: mal contava la bisogna
Colui, che i peccator di là uncina.
E il frate : io udii già dire a Bologna
Del diavol vizj assai, tra i quali udi'
Ch' egli è bugiardo, e padre dì menzogna.
A presso il duca a gran passi sen gì
Turbato un poco d' ira nel sembiante:
Onde io dall' incarcati mi parti'
Dietro alle poste delle care piante.
CANTO XXIV.
ARGOMENTO,
Difficile passao^gio alla settima bolgia dei ladri.
Vanni Fucci da Pistoja, MctamorfosL
Bianchi e Neri,
In quella parte del giovinetto anno,
Che il sole ì crin sotto lo Aquario tempra,
E già le notti al mezzo dì sen vanno,
Quando la brina in su la terra assempra
La imnginc di sua sorella bianca.
Ma poco dura alla sua penna tempra,
Lo villancllo, a cui la roba manca,
Si leva, e guarda, e vede la campagna
Biancheggiar tutta, ond' ci si batte 1' anca,.
Ritorna a casa, e qua e là si lagna.
Come il tapin , che non sa che sì faccia ;
Poi riedc, o la Bperanza ringavagna.
T53]
INFERNO. rXXTV. 13—146)
[54]
VejTgendo il mondo aver cangiata faccia
{n poco di ora, e prende suo vincastro,
E for le pecorelle a pascer caccia.
Cu^ì ini fece sbigottir lo mastro ,
Quando io li vidi sì turbar la fronte,
E così tosto al mal giunse lo impiastro:
Cile come noi venimmo al guasto ponte.
Lo duca a me si volse con quel piglio
Dolce, che io vidi in prima a pie del monte.
Le braccia aperse , dopo alcun consiglio
Eletto seco , riguardando prima
Ben la mina, e diedemi di piglio.
E come quei, che adopera, ed istima.
Che sempre par che innanzi si proveggia,
Così, levando me su Aer la cima
Di un rocchion , avvisava un' altra scheggia ,
Dicendo: sovra quella poi ti aggrappa:
Ma tenta pria, s' è tal eh' ella ti reggia!
Non era ^ia da vestito di cappa.
Che noi a pena, ei lieve, ed io sospinto,
{ Potevara su montar di chìa))pa in chiappa.
E se non fosse, che da quel precinto
Più che dallo altro , era la costa corta ,
Non so di lui , ma io sarei ben vinto.
Ma per che Malebolge inver la porta
Del bassissimo pozzo tutta pende.
Lo sito di ciascuna valle porta
Che la una costa surge, e l' altra scende:
Noi pur venimmo alfine in su la punta ,
Onde la ultima pietra si scoscende.
La lena mi era del polmon sì munta ,
Quando fui su, che io non ])otea più oltre,
Anzi mi assisi nella prima giunta.
Omai convien, che tu così ti spoltre, i^^S'
Disse il maestro: che, seggendo in piuma,'
In fama non si vien , né eotto coltre: .. S..
Sanza la qual , chi sua vita consuma ,
Cotal vestigio in terra di sé lascia,
Qual fummo in aere, ed in acqua la schiuma»
£ però leva su , vinci 1' ambascia
Con Io animo, che vince ogni battaglia, ^
Se col suo grave corpo non si accascia. . '
Più lunga scala convien, che si saglia:
Non basta da costoro esser partito :
Se tu m' intendi, or fa sì, che ti vaglia!
Levami allor, mostrandomi fornito
Meglio di lena, che io non mi sentia ,
E dissi: va, che io son forte ed ardito.
Su per lo scoglio prendenmio la via ,
Ch' era rocchioso, stretto, e malagevole}
Ed erto più assai, che quel di pria.
Parlando andava per non ))arer fievole:
Onde una voce uscio dallo altro fosso,
A parole formar disconvenevole.
Non so , che dis^c , ancor che sovra il dosso
Fossi dello arco già, che varca quivi:
Ma chi parlava, ad ira parca mosso.
lo era volto in giù , ma li occhi vivi
Non potèn ire al fondo per I' oscuro:
Pur che io: maestro, fa che tu arrivi
Dallo altro cinghio, e dismonti.ini lo muro!
Cile come io odo quinci , e non intendo ,
Co?i giù veggio, e niente afliguro.
Altra risposta, disse, non ti rendo.
Se non lo far : che la dimanda onesta
Si dee seguir con la opera, tacendo.
Noi didcendciumu il ponto dalla tcata
Ove si aggiunge con la ottava ripa,
E poi mi fu la bolgia manifesta:
E vidivi entro terribile stipa
Di serpenti di si diversa mena.
Che la memoria il sangue ancor mi ecipa.
Più non si vanti Libia con sua 'rena:
Che se chciidri, jaculi, e farce
Produce, e ceneri con anfisibena;
Xè tante pestilenze, né si ree
Mostrò giammai con tutta la Etiopia ,
Né con ciò , che di sopra il mar rosso ce.
Tra questa cruda , e tristissima copia
Correvan genti nude e spaventate,
Sanza sperar pertuso , o elitropia.
Con serpi le man dietro avean legate.
Quelle ficcavan per le ren la coda
E il capo, ed eraa dinanzi aggroppate.
Ed ecco ad un, eh' era da nostra proda.
Si avventò un serpente, che il trafìsse
Là dove il collo alle spalle si annoda.
Né O sì tosto mai , né 1 si scrisse ,
Com' ei si accese , ed arse , e cener tutto
Convenne che cascando divenisse :
E poi che fu a terra sì distrutto.
La polver si raccolse per sé stessa,
E in quel medesmo ritornò di butto :
Così per li gran savi si confessia ,
Che la fenice more , e poi rinasce ,
Quando al cinquecentesimo anno appressa.
Erba né biada in sua vita non pasce:
Ma sol d' incenso lagrime, e di amomo,
E nardi» , e mirra son le ultime fasce.
E quale è quei che cade , e non sa comò ,
Per forza di demon, che a terra il tira,
O di altra oppilazion, che lega 1' omo,
Quando si leva, che intorno si mira
Tutto smarrito dalla grande angoscia,
Ch' egli ha sofferta, e guardando sospira;
Tal era il peccator levato poscia.
Oh giustizia di dio quanto è severa,
Che cotai colpi per vendetta croscia!
Lo duca il dimandò poi , chi egli era :
Per eh' ei rispose: io piovvi di Toscana,
Poco tempo è, in questa gola fera.
Vita bestiai mi piacque , e non umana ,
Sì come a mul, che io fui: son Vanni Fucc
Bestia, e Pistoja mi fu degna tana.
Ed io al duca: dilli, che non mucci,
E dimanda, qual colpa qua giù il pinse:^
Che io lo vidi omo di sangue e di crucci,
E il peccator, che intese, non s' iiifuife,
]Ma drizzò verso me lo animo e il volto,
E di trista vergogna si dipinse:
Poi disse: più mi duol , che tu mi hai colto
Nella miseria , dove tu mi vedi ,
Che quand' io fui d< H' altra vita tolto.
Io non posso negar quel , che tu chiedi :
In giù s(m messo tanto, per che io fui
Ladro alia sagrestia dei belli arredi:
E falsiuncnte gin fu apposto altrui.
Ma per che di t.il vista tu non godi.
Se mai sarai di for dei lochi bui ,
Apri li ornrhi al mio annunzio, ed odi:
l'istoja in pria di Negri si dimagra ,
l'oi Firenze riiuio>n genti e modi.
Trat^ge Marte vapor di vai di Miigra,
Clr ù di torbidi nuvoli involuto,
4 ♦
[55]
E con tempesta impetuosa ed agra
Sopra campo Picen fia combattuto;
Ond' ei repente spezzerà la nthbia ,
Sì che ogni Bianco ne sarà ieruto;
E detto r ho, per che doler tea debbia.
I N FÉ R N O. (XXIV. 147—151. XXV. 1—116)
[56]
CANTO XXV.
ARGOMENTO.
Caco in forma di Centauro. Metamorfosi d' uomo
tu serpe , e di serpe in tiomo.
Al fine delle sue parole il ladro
Le mani alzò con ambo e due le fiche.
Gridando: togli dio, che a te le squadro
Da indi in qua mi fur le serpi amiche.
Per che una li si avvolse allora al collo,
Come dicesse: non vo' che più diche:
Ed un' altra alle braccia, e rilegoUo
Ribadendo sé stessa sì dinanzi ,
Che non potea con esse dare un crollo.
Ah Pistoja, Pistoja, che non stanzi
D' incenerarti, sì che più non duri,
Poi che in mal far lo seme tuo avanzi!
Per tutti i cerchi dello inferno oscuri
Spirto non vidi in dio tcinto superbo,
Non quel che cadde a Tebe giù dei mui'l.
El si fuggi , che non parlò più verbo.
Ed io vidi un Centauro pien di rabbia
Venir gridando : ov' è , oV è lo acerbo ?
Maremma non credo io, che tante ne abbia.
Quante bisce elli avea su per la groppa
Infìn ove comincia nostra labbia.
Sopra le spalle, dietro dalla coppa
Con le ale aperte li giaceva un draco,
E quello ailbca qualunque s' intoppa.
Lo mio maestro disse: quelli è Caco,
Che sotto il sasso di monte Aventino
Di sangue fece spesse volte laco.
Non va coi suoi fratei per un cammino,
I*er lo furar frodolente eh' ei fece
Del grande armento, eh' egli ebbe a vicino:
Onde cessar le sue opere bieco
Sotto la mazza di Ercole, che forse
Li ne die' cento , e non sentì le diece.
Mentre che sì parlava; ed ei trascorse,
E tre S|)iriti venner sotto noi,
Dei quai nò io, né il duca mio sì accorse,
Se non quando gridar: chi siete voi?
Per che nostra novella si ristette,
E intendemmo pure ad essi poi.
Io non li conoscea; ma ei seguette.
Come suol wgiiitar per alcun caso.
Clic lo un nomare allo altro conveuette,
Dicendo: Ciunfa dove fìa rimaso?
Per che io , ac<;iò <;lie il duca stesse attento.
Mi pnA '1 dito su dal mento al naso.
Se tu sci or, lettore, a creder lento
Ciò, cbe io dirò, non sarà maraviglia:
Cile io, clic il vidi, a pena il mi consento.
Come io tcnea levate in lur le ciglia ;
Ed un serpente con sei pie si lancia
Dinanzi allo uno , e tutto a lui si appiglia.
Coi pie di mezzo li avvinse la pancia,
E con li anterior le braccia prese.
Poi li addentò e la una e 1' altra guancia.
Li diretani alle cosce distese,
E niiseli la coda tr' ambo e due ,
E dietro per le ren su la ritcse.
EUera abbarbacata mai non fue
Ad alber sì, come la orribil fiera
Per le altrui membra avviticchiò le sue:
Poi si appiccar, come di calda cera
Fossero stati, e mischiar lor colore,
Ké lo un , nò 1' altro già parca quel , eh' era :
Come procede innanzi dallo ardore.
Per lo papiro suso un color bruno.
Che non è nero ancora , e il bianco more.
Li altri due riguardavano, e ciascuno
Gridava: oh me, Agnèl, come ti muti!
Vedi che già non sei né duo, nò uno..
Già eran li duo capi un divenuti ,
Quando ne apparver due figure miste
In una faccia, ov' eran due perduti.
Fersi le braccia due di quattro liste.
Le cosce con le gambe , il ventre e il casso
Divenner membra , che non fur mai viste.
Ogni primajo aspetto ivi era casso:
Due e nessun la imagine perversa
Parca, e tal sen già con lento passo.
Come il ramarro sotto la gran fersa
Dei di canicular, cangiando siepe.
Folgore par, se la via attraversa.
Così parca venendo verso 1' epe
Delli altri due un serpentello acceso ,
Livido e nero, come gran di pepe.
E quella parte, donde prima è preso
JVostro alimento, allo un di lor trafisse,
Poi cadde giuso innanzi lui disteso.
Lo trafitto il mirò , ma nulla disse :
Anzi coi pie fermati sbadigliava.
Pur come sonno , o febbre lo assalisse.
Elli il serpente, e quei lui riguardava;
Lo un per la piaga, e lo altro per la bocca
Fummavan forte, e il fummo s' incontrava.
Taccia Lucano omai , là dove tocca
Del misero Sabello , e di Nassidio ,
Ed attenda ad udir quel, che or si scocca!
Taccia di Cadmo , e di Aretusa Ovidio !
Che se quello in serpente, e quella in fonte
Converte poetando, io non lo invidio:
Che duo nature mai a fronte a fronte
Non trasmutò, sì che arabo e due le forme
A cambiar lor materie fosser pronte.
Insieme si risposero a tai norme,
Cile il serpente la coda in forca fesse,
E il feruto ristrinse insieme le orme.
Le gambe con le cosce seco stesse
Si appiccar sì , che in poco la giuntura
Non facea segno alcun, che si paresse.
Toglica la coda fessa la figura,
Che si perdeva là, e la sua pelle
Si facea molle , e quella di là dura.
Io vidi entrar le ))raccia per le ascelle,
E i duo pie della fiera , eh' eran corti ,
Tanto allungar, quanto accorciavan quelle.
Poscia li pie dirietro insieme attorti
Divcntaron Io uicmbro che 1' um cela,
I
[571
INFERNO. (XSV. 117—151. XX\T 1—86)
E il misero del suo ne area duo porti.
^lenire che il fummo Io uno e io altro vela
Di color novo, e genera il pel suso
Per la una parte, e dall' altra il dipela»
Lo un si levò, e lo altro cadde giuso.
Non torcendo però le lucerne empie,
Sotto le quai ciascun cambiava muso.
Quel, eh' era dritto, il trasse in ver le tempie,
E di troppa materia, che in là venne,
Uscir le orecchie delle gote scempie:
Ciò, che non corse in dietro, e si ritenne,
Di quel soverchio fé' naso alla faccia,
E le labbra ingrossò quando convenne:
Qnel, che giaceva, il muso innanzi caccia,
E le orecchie ritira per la testa,
Come face le corna la lumaccia;
E la lingua , che aveva unita e presta
Prima a parlar, si fende; e la forcuta
A'ello altro si richiude, e il fummo resta.
L' anima, eh' era fiera divenuta,
Si fugge sufolando per la valle,
E lo altro dietro a lui parlando sputa.
Poscia li volse le novelle spalle,
E disse allo altro: io vo', che Buoso corra,
Come fo io , carpon , per questo calle.
Cosi vid' io la settima zavorra
Mutare, e trasmutare, e qui mi scusi
La novità, se fior la penna abborra!
E avvegna che li occhi miei confusi
Fossero alquanto, e lo animo smagato.
Non poter quei fuggirsi tanto chiusi ,
Che io non scorgessi ben Puccio Sciancato:
Ed era quei, che sol dei tre compagni.
Che venner prima, non era mutato:
Lo altro era quel, che tu, Gaville, piagni.
[58]
CANTO XXVI.
ARGOMENTO.
Ottava lolgìa de' consifrllcri fraudolenti. Ulisse
Diomede.
Godi, Firenze, poi che sei si grande.
Che per mare e per terra batti le al! ,
E per lo inferno il tuo nome si spande!
Tra li ladron trovai cinque colali
Tuoi cittadini, ondo mi vicn vergogna,
E tu in grande onoranza non ne sali.
Ma so presso al mattin del ver si sogna.
Tu sentirai di qua da piccini tempo ,
Di quel che Prato, non che altri, ti agogna;
E se già fosse, non saria per tempo:
Cosi foKs' eì , da che pure esser dee!
Che più mi aggreverà , com' più mi attempo.
Noi ci partimmo, e su per le scalee,
CIk! ne avcan fatte i borni a scender pria,
Himontò il duca mio, e trasse mce,
£ proseguendo la solinga via
'l'ra le schegge, e trai rocchi dello scoglio.
Lo piò senza la man non hi spedia.
Allor mi dolfi, ed uru mi ridoglio.
Quando drizzo la mente a ciò che io vidi
E più lo ingegno affreno, che io non soglio
Per che non corra, che virtù noi guidi:
Sì che se stella buona, o miglior cosa
Mi ha dato il ben, che io stesso noi m' ìnviilL
Quante il villan, che al poggio si riposa.
Nel tempo, che colui, che il mondo schiara
La faccia sua a noi tien meno ascosa,^
Come la mosca cede alla zanzara,
Vede lucciole giù per la vallea ,
Forse colà, dove vendemmia ed ara.
Di tante fiamme tutta risplendea
La ottava bolgia, sì come io mi accorsi.
Tosto che fui là 've il fondo parca.
E qual colui, che si vengiò con li orsi,
Vide il carro di Elia al dipartire ,
Quando i cavalli al cielo erti levorsi.
Che noi potea sì con li occhi seguire,
Che vedesse altro, che la fiamma sola,
Sì come nuvoletta, in su salire;
Tal si movea ciascuna per la gola
Del fosso, che nessuna mostra il furto.
Ed ogni fiamma un peccatore invola.
jlo stava sovra il ponte a veder surto.
Sì che, se io non avessi un rocchion preso,
Caduto sarei giù senza esser urto.
E il duca, che mi vide tanto atteso,
Disse: dentro dai fochi son li spirti:
Ciascun si fascia di quel eh' egli è inceso.
Maestro mio, risposi, per udirti
Son io più certo ; ma già mi era avviso ,
Che così fosse, e già voleva dirti:
Chi è in quel foco, che vien sì diviso
Di sopra, che par surger della pira,
Ov' Eteócle col fratel fu miso?
Risposemi: là entro si martira
Ulisse, e Diomede, e cosi insieme
Alla vendetta corron, come alla ira:
E dentro dalla lor fiamma si geme
Lo aguato del cavai, che fé' la porta.
Onde uscì dei Romani 'l gentil seme.
Piangevisi entro V arte, per che morta
Deidamia ancor si duol di Achille ,
E del Palladio pena vi si porta.
S' ei posson dentro da quelle faville
Parlar , diss' io , maestro , assai tea priego ,
E rìpriego , che il priego vaglia mille ,
Che non mi facci dello attender nego.
Fin che la fiamma cornuta qua vegna.
Vedi, che del desio ver lei mi piego.
Ed egli a me: la tua preghiera è degna
Di molta lode, ed io però l' accetto;
Ma fa, che la tua lingua si sostegna!
Lascia parlare a me, che io ho concetto ^
Ciò, che tu vuoi, eh' ei sarebbero schiv!-
Per eh' ei fur Greci , forse del tuo detto.
Poi che la fianuna fu venuta quivi.
Ove parve al mio duca tempo e loco.
In questa forma lui parlare aiulivi.
Oh voi, che siete duo dentro ad un f oco , ^
Se io meritai di voi , mentre che io vistìì
So io merit.ii di voi a.-sai , o poro.
Quando nel mondo li alti versi scrissi.
Non vi niov<li- : ma lo un di voi dica,
Dove per lui perduto a morir gis-«i.
Lo maggior corno della fiamma antii-^i
Comiuciò u crolldi'ei , luormorandu ,
[59]
INFERNO. (XXVI. 87—142. XXVIL 1—56)
[601
Pur come quella, cui vento affatica.
Indi la cima qua e là menando.
Come fosse la lingua che parlasse,
Gittò voce dì fuori e disse : quando
Mi dipartii da Circe, che sottrasse
Me più di un anno là presso a Gaeta,
Prima che si Enea la nominasse:
Né dolcezza di figlio , né la pitta
Del vecchio padre, né il debito amore,
Lo qual dovea Penelope far lieta.
Vincer poterò dentro a me lo ardore.
Che io ebbi a divenir del mondo esperto,
E delli vizj umani , e del valore ;
Ma misi me per lo alto mare aperto
Sol con un legno, e con quella compagna
Ficciola , dalla qual non fui deserto.
Lo un lito e lo altro vidi infin la Spagna,
Fin nel Marocco, e la isola dei Sardi,
E le altre, che quel mare intorno bugna.
lo e i compagni eravam vecchi e tardi ,
Quando venimmo a quella foce stretta,
Ov' Ercole segnò li suoi riguardi ,
Acciò che 1' om più oltre non si metta;
Dalla man destra mi lasciai Sibilia,
Dall' altra già mi avea lasciata Setta.
Oh frati , dissi, che per cento miiia
Perigli siete giunti all' occidente,
A questa tanto picciola vigilia
Dei vostri sensi, eh' é del rimanente.
Non vogliate negar la esperienza ,
Diretro al sol, del mondo senza gente!
Considerate la vostra semenza !
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.
Li miei compagni fec' io si acuti
Con questa orazion picciola al cammino.
Che a pena poscia li avrei ritenuti.
E volta nostra poppa nel mattino,
Dei remi faceuuiio ale al folle volo.
Sempre acquistando del lato mancino.
Tutte le stelle già dello altro polo
Vedea la notte, e il nostro tanto basso.
Che non surgca di for del marin suolo.
Cinque volte racceso , e tante casso
Lo lume era di sotto dalla luna.
Poi eh' entrati era^ani nello alto passo.
Quando ne apparve una montagna, bruna
Per la distanza, e parvemi alta tanto.
Quanto veduta non ne aveva alcuna.
Noi ci allegraranu», e tosto tornò in pianto:
Che daUa nuova terra un turbo nacque,
E percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé' girar cor» tutte le acque,
Alla quarta levar la poppa in suso ,
E la prora ire in giù, come altrui piacque
In fin che il mar fu eopra noi ricbiusu.
CANTO XXVII.
ARGOMENTO.
Stato politico di Romagna. Guido Montefeltro,
guerriero , poi frate , dannato pel consigìto dato
a Bonifacio Vili, di prometter mollo
e mantener poco.
Già era dritta in su la fiamma e qneta.
Per non dir più , e già da noi sen già
Con la licenzia del dolce poeta :
Quando un' altra, che dietro a lei venia,
]\e fece volger li occhi alla sua cima
Per un confuso suon, che for ne uscia.
Come il bue cicilian, che mugghiò prima
Col pianto di colui (e ciò fu dritto)
Che lo avea temperato con sua lima.
Mugghiava con la voce dello afflitto,
Sì che con tutto eh' ei fosse di rame ,
Pure el pareva dal dolor trafitto ;
I Cosi , per non aver via , né foi'auie ,
I Dai principio nel foco, in suo linguaggio,
I Si convertivan le parole grame.
Ma poscia eh' ebber colto ìor viaggio
Su per la punta, dandole quel guizzo.
Che dato avea la lingua in lor passaggio ,
Udimmo dire : oh tu , a cui io drizzo
La voce , che parlavi ino , Lombardo ,
Dicendo : issa ten va , più non ti adizzo :
Per che io sia giunto forse alquanto tardo ,
Non t' incresca ristare a parlar meco !
Vedi, che non incresce a me, ed ardo.
Se tu pur mo in questo mondo cieco
Caduto sei di quella dolce terra
Latina , onde mia colpa tutta reco ,
Dimmi, se i Romagnoli han pace, o guerra;
Che io fui dei monti là intra Urbino,
l E il giogo, di che Tever si disserra.
;Io era ingiuso ancora attento e chino.
Quando il mio duca mi tentò di costa,
1 Dicendo: parla tu, questi è Latino.
Ed io , che avea già pronta la risposta ,
Sanza indugio a parlare incominciai:
Oh anima , che sei là giù nascosta ,
Romagna tua non é , e non fu mai
Sanza guerra nei cuor dei suoi tiranni :
Ma palese nessuna or ven lasciai.
Ravenna sta coni' é stata molti anni:
L' aquila da Polenta là si cova.
Si che Cervia ricopre coi suoi vanni.
La terra, che le' già la lunga prova,
E di Franceschi sanguinoso mucchio.
Sotto le branche verdi si ritrova.
E il mastin vecchio, e il novo da Veru<chio,
Che fecer di Montagna il mal governo.
Là dove soglion , fan dei denti succhio.
La città di Lamone , e di Santerno
Conduce il leonccl dal nido bianco ,
Che muta parte dalla state al verno ;
E quella, a cui il Savio bagna il fianco.
Cosi coni' ella sie' tra il piano e il monte.
Tra tirannia si vive e stato franco.
Ora chi sei, ti prego, che ne conte:
Non esser duro più, che altri i»ia stato.
[SI]
INFERNO. (XXVII. 57— 130. XXVIII. 1— 40)
[62]
Pe il nome tuo nel mondo teg'na fronte!
Po>(;ia che il foco alquanto elìbe rugghiato
Al modo suo, 1' aguta punta mosse
Di qua, di là, e poi die' cotal fiato
Se io credessi, che mia risposta fosse
A persona, che mai tornasse al mondo,
Questa fiamma starla senza più sco>;?p.
Ma perciò che giammai di questo fondo
Non tornò vivo alcun , se io odo il vero ,
Senza tema d' infamia ti rispondo.
I fui ora di arme, e poi fui cordigliero.
Credendomi sì cinto fare ammenda:
E certo il creder mio veniva intero ,
Se non fosse il gran prete, a cui mal prenda.
Che mi rimise nelle prime colpe:
E come, e quare, voglio che m' intenda.
Mentre che io forma fui di ossa e di polpe.
Che la madre mi die', le opere mie
Non furon leonine, ma di volpe.
Li accorgimenti, e le coperte vie
Io seppi tutte, e si menai lor arte.
Che ai fine della terra il suono liscie.
Quando mi vidi giunto in quella parte
Di mia età, dove ciascun dovrebbe
Calar le vele, e raccoglier le sarte,
Ciò, che pria mi piaceva, allor m' increhbe,
E pentuto , e confesso mi rendei ,
Ahi miser lasso! e giovato sarebbe.
Lo principe dei novi Farisei
Avendo guerra presso a Laterano,
E non coi Saracin , né con Giudei :
Che ciascun suo nimico era cristiano,
E nessuno era stato a vincer Acri,
Nò mercatante in terra di Soldano:
Ne sommo uficio, né ordini sacri
Guardò in sé, né in me quel capestro.
Che solea far li suoi cinti più macri.
Ma come Costantin chiese Silvestro
Dentro Siratti a guarir della lebbre.
Così mi chiese questi per maestro
A guarir della sua superba febbre :
Domandommi consiglio, ed io tacetti.
Per che le sue parole parver ebbre :
E poi mi disse: tuo cor non sospetti!
Fin or ti assolvo, e tu m' insegna fare,
Sì come Pellestrino in terra getti.
Lo ciel posso io serrare, e disserrare.
Come tu sai: però son due le chiavi.
Che il mio antecessor non ebbe care.
Allor mi pinser li argomenti gravi
lià ove il tacer mi fu avviso il peggio :
E dissi: padre, da che tu mi lavi
DI quel peccato, ove io mo cader deggio,
Lunga promessa con lo attender corto
Ti farà trionfar nello alto seggio.
Francesco venne poi, come io fui morto.
Per me: ma uu dei neri Cherubini
Li disse: noi ])ortar! non mi far torto!
Venir so ne dee giù tra i miei meschini,
Per che diede il consiglio frodoiente.
Dal quale in qua stato li sono ai crini:
Che assolver non si può chi non si ponte:
Né jientcrc e volere insieme puossi ,
Per la contraddizion , che noi consente
Oh me dolente, come mi riscossi.
Quando mi prese, dicendomi: forse
Tu non pcnsiavi che io loico foej^i.
A Minòs mi portò : e quelli attorse
1 Otto volte la coda al dosso duro,
E, poi che per gran rabbia la si morse,
I Disse : questi è dei rei del foco furo :
I Per che io là, dove vedi, son perduto,
I E sì vestito andando mi rancuro.
Quando elli ebbe il suo dir cosi compiuto,
La fiamma dolorando si partio ,
I Torcendo , e dibattendo il corno agnto.
jNoi passammo oltre ed io, e il duca mio.
Su per lo scoglio infino in su lo altro arco,
Che copre il fosso, in che si paga il fio,
A quei, che scommettendo acqulstan carco.
CANTO XXVIII.
ARGOMENTO.
Nona bolgia tli seminatori di discordie, che hanno
divise le membra. Macometlo, licrtramo
dal Bornio.
Chi porla mal pur con parole sciolte
Diccr del sangue, e delle piaghe a pieno,
Che i' ora vidi, per narrar più volte .^
Ogni lingua per certo verria meno.
Per lo nostro sermone, e per la mente,
Che hanno a tanto comprender poco seno.
Se si adunasse ancor tutta la gente
Che già in su la fortunata terra
Di Puglia fu del sangue suo dolente.
Per li Romani, e per la lunga guerra.
Che delle anella fé' sì alte spoglie.
Come Livio scrive, che \]on erra;
Con quella, che sentio di colpi doglie,
Per contrastare a Ruberto Guiscardo ,
E 1' altra, il cui ossame ancor si accoglie
A Ccpcran , là dove fu bugiardo
Ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo,
Ove senz' arme vinse il vecchio Alardo:
E qual forato suo membro , e qual mozzo
Mostrasse, da eguar sarebbe nulla
Il modo della nona bolgia sozzo.
Già veggia per mezzul perdere, o luHa,
Come io vidi un, così non si pertugia.
Rotto dal mento insin dove si trulla:
Tra le gambe pendcvan le mimigia;
La corata pareva, e il tristo ^iU•^•o,
Che merda fa di qu'-l, die ^i trangugia.
Mentre che tutto In lui veder mi attacco,
Guardommi , e c(»n le man si ap<Tse il petto.
Dicendo: or vedi, come io mi dilacco:
Vedi come storpiato è l^laninetto :
Dinanzi a me sen va piangendo Ali
Fesso nel volto dal mento al ciiitVetto:
E tutti li altri, i-lie tu ^edi qui,
Semiiiiitor di siandalo, e di scisma,
Fur vivi: e però son f(!s.-<i c«)sì.
Un diavolo è (pia dietro, che no accisma
Sì crudelmente, al taglio della spada
Rimettendo cia^tcun di questa risma ,
Quando uvèm volta la doh'uto strada:
[63]
INFERNO. (XXVIH. 41—142. XXIX. 1—10)
[64]
Però che le ferite son richiuse
Prima che altri dinanzi li rivada.
Ma tu chi sei , che in su lo scoglio muse ,
Forse per indugiar d' ire alla pena,
Ch' è giudicata in su le tue accuse ?
Kè morte il giunse ancor, né colpa il mena,
Rispose il mio maestro, a tormentarlo:
Ma per dar lui esperienza piena,
A me, che morto son, convien menarlo
Per lo inferno qua giù di giro in giro :
E questo è ver cosi, come io ti parlo.
Più fur di cento , che , quando lo udirò ,
Si arrestaron nel fosso a riguardarmi,
Per maraviglia obliando il martire.
Or di' a Fra Dolcin dunque, che si armi,
Tu, che forse vedrai il sole in breve,
S' egli non vuol qui tosto seguitarmi,
Sì di vivanda , che stretta di neve
Pkon rechi la vittoiùa al Noarese,
Che altiimenti acquistar non saria lieve.
Poi che lo un pie per girsene sospese,
Maometto mi disse està parola,
Indi a partirsi in terra lo distese.
Un altro , che forata avea la gola ,
E tronco il naso infin sotto le ciglia,
E non avea ma che una orecchia sola ,
Restato a riguardar per maraviglia
Con li altri , innanzi alli altri aprì la canna ,
Gh' era di for da ogni parte vermiglia,
E disse: oh tu, cui colpa non condanna,
E cui io vidi in su terra latina.
Se troppa simiglianza non m' inganna,
Rimembriti di Pier da 3Iedicina,
Se mai torni a veder lo dolce piano,
Che da Vercelli a Marcabò dichina.
E fa saper ai duo miglior di Fano,
A messer Guido , ed anche ad Angiolello ,
Che, se lo antiveder qui non è vano,
Gittati saran for di lor vascello ,
E mazzerati presso alla Cattolica,
Per tradimento di un tiranno fello.
Tra la isola di Cipri e di Majolica
Non vide mai sì gran fallo Nettuno ,
Non da pirati, non da gente argolica.
Quel traditor, che vede pur con lo uno,
E tien la terra , che tal è qui meco ,
Vorrebbe di vederla esser digiuno,
Farà venirli a parlamento seco;
Poi farà sì . che al vento di Focara
Non farà lor mesticr voto, né preco.
Ed io a lui : dimostrami , e dichiara ,
Se vuoi che io porti su di te novella,
Chi é colui dalla veduta amara?
Allor pose la mano alla mascella
Di un suo compagno, e la bocca li aperse,
Gridando: questi è desso, e non favella:
Questi scacciato il dubitar sommerse
In Cesare, afTermando, che il fornito
Sempre con danno lo attender soflcrse.
Oh quanto mi parca siiigottito
Con la lingua tagliata nella strozza
Curio , che a diccr lu così ardito !
Ed un , che avea la una e V altra man mozza
Levando i nionclicrin per 1' aura fosca ,
Si che il sangiic i'aica la factia sozza.
Gridò: ricordcrati anche del Mosca,
Che dissi, lasso! capo ha cosa fatta.
Che fu il mal seme per la gente tosra :
Ed io vi aggiunsi: e morte di tua schiatta:
Per eh' egli accumulando duol con duolo
Sen gio, come persona trista e matta:
Ma io rimasi a riguardar lo stuolo ,
E vidi cosa, che io avrei paura.
Senza più prova, di contarla solo;
Se non che conscienzia mi assicura,
La buona compagnia, che 1' om francheggia
Sotto r asbergo del sentirsi pura.
Io vidi certo, ed ancor par che io il reggia,
Un busto senza capo andar, sì come
Andavan li altri della trista greggia.
E il capo tronco tenea per le chiome
Pesol con mano, a guisa di lanterna,
E quei mirava noi, e dicea: o me!
Di sé faceva a sé stesso lucerna :
Ed eran due in uno , ed uno in due :
Com' esser può , quei sa , che sì governa.
Quando diritto a pie del ponte fue,
Levò il braccio alto con tutta la testa
Per appressarne le parole sue.
Che furo: or vedi la pena molesta
Tu, che spirando vai veggendo i morti:
Vedi se alcuna è grande come questa:
E per che tu di me novella porti.
Sappi che io son Beltram del Bornio , quelli
Che diedi al giovan re i mai conforti *
Io feci 'l padre e il figlio in sé ribelli:
Achitòfel non fé' più di Absalone,
E di David coi malvagi pungelli.
Per che io partii così giunte persóne.
Partito porto il mio cerebro , lasso !
Dal suo principio , eh' è in questo troncone.
Così si osserva in me lo contrapasso.
CANTO XXIX.
ARGOMENTO.
I Decima ed ultima bolgia delV ottavo cerchio: falsa-
tori di metalli. Griffolino e Capocchio.
La molta gente e le diverse piaghe
' Avcan le luci mie sì inebriate ,
Clie dello stare a piangere eran vaghe
Ma Virgilio mi disse: che pur guate?
Per che la vista tua pur sì sollolge
Là giù tra le ombre triste smozzicate?
Tu non hai fatto sì alle altre bolge:
Pensa , se tu annoverar le credi ,
Che miglia ventidue la valle volge:
E già la luna è sotto i nostri piedi:
Lo tempo è poco ornai, che n' è concesso:
Ed altro è da veder, che tu non vedi.
Se tu avessi, rispos' io a presso.
Atteso alla cagion, per dtc io guardava,
Forse mi avresti ancor lo star dimesso.
Parte sen già , ed io retro li andava ,
Lo duca già facendo la risposta,
E soggiungendo : dentro a quella cava ,
Dove io teneva or li occhi sì a posta,
65]
INFERNO. (XXIX. 20—1^. XXX. 1—2)
[66]
Credo che un spirto del mio Bangne pianga
La colpa , che là giù cotanto costa.
kllor disse il maestro : non si franga
Lo tuo pensier da qui innanzi sovra elio!
Attendi ad altro , ed ei là si rimanga !
Jliè io vidi lui a pie del ponticello
Mostrarti, e minacciar forte col dito.
Ed udii nominar Geri del Bello.
Tu eri allor si del tutto impedito
Sovra colui, che già tenne Altaforte,
Che non guardasti in là; si fu partito.
dh duca mio, la violenta morte,
Che non li è vendicata ancor, diss' io,
Per alcun, che della onta sia consorte.
Fece lui disdegnoso: onde sen gio
Senza parlarmi , si come io istimo :
Ed in ciò mi ha fatto elli a sé più pio.
Co^ì parlammo insino al loco primo,
Che dello scoglio 1' altra valle mostra ,
Se più lume vi fosse, tutto ad imo.
Quando noi fummo in su la ultima chiostra
Di Malebolge, si che i suoi conversi
Fotcan parere alla veduta nostra,
Lamenti saettaron me diversi ,
Che di pietà ferrati avèn li strali: i
Onde io li orecchi con le man copersi. |'
Qiial dolor fora, se delli spedali
Di Valdichiana tra il luglio e il settembre,
E di Maremma , e di Sardigna i mali
Fossero in una fossa tutti insembre,
Tal era quivi: e tal puzzo ne usciva,
Qual suol venir dalle marcite membre.
Noi discendemmo in su la ultima riva
Del lungo scoglio , pur da man sinistra.
E allor fu la mia vista assai più viva
Giù ver lo fondo, dove la ministra
Dello alto sire, infallìbil giustizia.
Punisco i fulsator, che qui registra.
Non credo , che a veder maggior tristizia
Fosse in Egina il popol tutto infermo ,
Quando fu lo aere sì pien di malizia ,
Che li animali infino al picciol vermo
Cascaron tutti , e poi le genti antiche ,
Secondo <;he i poeti hanno per fermo ,
Si ristorar di seme di formiche.
Oh' era a veder per quella oscura valle
Languir li spirti per diverse biche,
Qual sovra il ventre, e qual sovra le spalle
Lo un dello altro giacca , e qual carpione
Si trasmutava per lo tristo calle.
Passo passo andavam senza sermone.
Guardando ed ascoltando li ammalati,
Che non potc'n levar le lor persone.
Io vidi duo sedere a sé poggiati ,
Come a scaldar si apoggia tegghia a tegghia ,
Dal capo ni pie di scliianze nuiculati :
E non vidi giammai menare strcgghia
Da ragazzo aspettato dal signorso,
Né da colui, che mal volentier vegghia;
Come ciascun menava spesso il morso
Delle unghie sovra sé per la gran rabbia
Del pizzicor, che non ha più soccorso.
K si tracviin giù le unghie la scabbia,
(Jomc colui di scardova le scaglie,
O di aiir(» pesce, che più larghe lo abbia.
Oh tu, che con lo dita ti dismaglie,
Cominciò il duca mio allo un di loro.
E che fai di esse tal volta tanaglie,
Dinne, se alcun Latino è tra costoro.
Che son quinci entro, se la unghia ti basti
Eternalmente a cotesto lavoro !
Latin sem noi, che tu vedi si guasti
Qui ambo e due, rispose lo un piangendo:
Ma tu chi sei che di noi dimandasti.''
E il duca disse: io sono un che discendo i
Con questo vivo giù di balzo in balzo,
E di mostrar lo inferno a lui intendo.
Allor si ruppe lo comun rincalzo ,^_ - '"
E tremando ciascuno a me si volse
Con altri, che lo udiron di rimbalzo. :',4lÌi/<Ì«A^
Lo buon maestro a me tutto si accolse ^
Dicendo: di' a lor ciò che tu vuoli!
Ed io incominciai poscia eh' ei volse: ,
Se la vostra memoria non s' imboli ^^ ■<r'i<^
jVel primo mondo dalle umane menti.
Ma s' ella viva sotto molti soli.
Ditemi , chi voi siete , e di che genti !
La vostra sconcia e fastidiosa pena
Di palesarvi a me non vi spaventi !
Io fui di Arezzo , ed Albero da Siena,
Rispose lo un , mi fé' mettere al foco :
Ma quel, per che io morii, qui non mi mena.
Vero è , che io dissi a lui , parlando a gioco ,
Io mi saprei levar per lo aere a volo ,
E quei, che avea vaghezza, e senno poco,
Volle, che io li mostrassi 1' arte; e solo.
Per che io noi feci Dedalo, mi fece
Ai-dere a tal , che lo avea per figliolo ;
Ma nella ultima bolgia delle diece
Me per alchimia, che nel mondo usai.
Dannò Minòs , a cui fallar non lece.
Ed io dissi al poeta: or fu giammai
Gente sì vana come la sanese?
Certo non la francesca si di assaL
Onde lo altro lebbroso che m' intese.
Rispose al detto mio: trammene Stricca,
Che seppe far le temperate spese,
E Niccolò , che la costuma ricca
Del garofano prima discoperse
Neil' orto, dove tal seme si appicca;
E trammen la brigata, in che disperse
Caccia di Ascian la vigna e la gran fronda
E lo Abbagliato suo senno proferse.
Ma per che sappi, chi sì ti seconda
Centra i Sancsi, aguzza ver me l' occhio.
Si che la faccia mia ben ti risponda !
Sì vedrai, che io son la oml)ra di Capocchio,
Che falsai li metalli con ahhimia ,
E tcn dee ricordar, se ben ti adocchio,
Come io fui di natuia buona scimia.
CANTO XXX.
ARGOMENTO.
.tUri falsatori. Mina. Falsi vwucticrl, e lor scic.
Contesa d' uno con Siiwnc greco.
Nel tempo che Giunone era crucciata
Per Svmclè contra il sangue tcbano ,
5
[61]
INFERNO. (XXX. 3—130)
[68]
Come mostrò una ed altra fiata ,
Atamante divenne tanto insano ,
Che reggendo la moglie coi duo figli
Andar carcata da ciascuna mano ,
Gridò: tendiam le reti, si che io pigli
La lionessa e i lioncini al varco !
E poi distese i dispietati artigli, i
Prendendo lo un, che avea nome Learco,
E rotollo, e percosselo ad un sasso, i,-
E quella si annegò con lo altro carco. M^»^«^1«^'K'^
E quando l.i fortuna volse in basso
L' altezza dei Trojan, che tutto ardiva.
Si che insieme col regno il re fu casso,
Ecuba trista, misera, e cattiva,
Poscia che vide Polisena morta,
E del suo Polidoro in su la riva
Del mar si fu la dolorosa accorta:
Forsennata latrò, sì come cane;
Tanto il dolor le fé la mente torta!
Ma né di Tebe furie, né trojane
Si vider mai in alcun tanto crude,
Kon punger bestie, non che membra umane.
Quanto io vidi due ombre smorte e nude,
Che mordendo corrcvan di quel modo,
Che il porco , quando del porcil si schiude.
La una giunse a Capocchio, ed in sul nodo
Del collo lo assannò , sì che tirando
Grattar li fece il ventre al fondo sodo.
E lo Aretin , che rimase tremando ,
Mi disse: quel folletto è Gianni Schicchi,
E va rabbioso altrui così conciando.
Oh , diss' io hii , se lo altro non ti ficchi
Li denti addosso , non ti sia fatica
A dir chi è, pria che di qui si spiccili!
Ed egli a me : quella è l' anima antica
Di Mirra scelerata , che divenne
Al padre , for del dritto amore , amica.
Questa a peccar con esso così venne,
FalsiTicando sé in altrui forma,
Come lo altro , che in là sen va , sostenne,.
Per guadagnar la donna della torma,
Falsificare in sé Buoso Donati,
Testando, e dando al testamento norma.
E poi che i duo rabbiosi fur passati ,
Sovra i quali it» avea 1' occhio tenuto,
Rivnisilo a guardar li altri mal nati.
Io vidi un fatto a guisa di leuto, -a '^
Pur eh' egli avesse avuta 1' anguinaja
Tronca dal lato che 1' omo ha forcuto.
La grave idropisia, che si dispiija
Le membra con io umor che mal converte.
Che il viso non risponde alla ventraja.
Faceva a lui tener le labbra aperte ,
Come lo etico fa, che per la sete
Lo un verso il mento, e lo altro in su rivcrte.
Oh voi, che senza alcuna ])ena siete
(E non so io per che) nel mondo gramo,
Diss' egli a noi, guardate ed attendete
Alla miseria del maestro Adamo !
Io ebbi vivo assai di quel che io volli, ^
Ed ora, lasso, un gocciol di acqua bramo.
Lì ruscelletti , che dei verdi colli
Del Casentin disccndon giuso in Arno,
Facendo i lor cimali freddi e molli,
Sempre mi stanno innanzi , e non indarno :
Cile la immagine lor via più mi asciuga
Che il mille, oudc lo nel volto mi discarno..
La rigida giustizia, che mi fruga^, 'j ■",''
Tragge cagion del loco , ove io peccdi ,
A metter più li miei sospiri in fuga.
Ivi è Romena , là dove io falsai
La lega suggellata del Batista,
Per che io il corpo suso arso lasciai.
Ma se io vedessi qui 1' anima trista
Di Guido, o di Alessandro, o lii lor frate.
Per fonte Branda non darei la vista.
Dentro ci è la una già , so le arrabbiate
Ombre, che vanno intorno, dicon vero:
Ma che mi vai , che ho le membra legate ?
Se io fossi pur di tanto ancor leggiero.
Che io potessi in cento anni andare una oncia
Io sarei messo già per lo sentiero ,
Cercando lui tra questa gente sconcia ,
Con tutto eh* ella volge undici miglia ,
E men di un mezzo di traverso non ci ha.
Io son per lor tra sì fatta famiglia :
Ei m' indussero a battere i fiorini, ^i
Che avevan tre carati di mondig^lia./i'iVtìVf'V
Ed io a lui: chi son li duo tapini, t'
Che fuman, come man bagnata il verno,
Giacendo stretti ai tuoi destri C(»nfini ?
Qui li trovai, e poi volta non dierno ,
Rispose, quando io piovvi in questo greppo;
E non credo, che dieno in sempiterno.
La una è la falsa, che accusò Giuseppe.
Lo altro è il falso Sìnon Greco da Troja: ^
Per febbre acuta gittan tanto leppo. ' ?~
E lo un di lor , che si recò a noja
Forse di esser nomato sì oscuro, ^
Col pugno li percosse la epa croja ;
Quella sonò , come fosse un tamburo :
E mastro Adamo li percosse il volto
Col braccio suo, che non parve men duro,
Dicendo a lui : ancor che mi sia tolto
Lo mover , per le membra che son gravi ,
Ho io il braccio a tal mcstier disciolto:
Ond' ei rispose: quando tu andavi
Al foco, non lo avei tu così presto:
Ma sì e più lo avei, quando coniavL
E lo idropico : tu di' ver di questo ;
Ma tu non fosti sì ver testimonio ,
Là ove del ver fosti a Troja richiesto.
Se io dissi falso , e tu falsasti '1 conio ,
Disse Sinonc , e son qui per im fallo ,
E tu per più che alcun altro dimonio.
Ricorditi, spergiuro, del cavallo.
Rispose quei che aveva enfiata la epa:
E sieti rio, che tutto il mondo sallo.
E a te sia ria la sete , onde ti crepa ,
Disse il Greco, la lingua, e l' acqua marcia.
Che il ventre innanzi alli occhi sì ti assiepa. '
Allora il monetier : così si squarcia ;-^-, — -
La bocca tua per ciurmar, come suole; '• >
Che, se io ho sete, ed umor mi rinfarcia.
Tu hai r arsura , e il capo , che ti duole ,
E per leccar lo specchio di Narcisso,
INon vorresti a ii.vitar molte parole.
Ad ascoltarli era io del tutto fisso ,
Quando il nniestro mi disse: or pur mira.
Che per poco é che teco non mi risso.
Quando io il sentii a me parlar con ira,
Volsiuii verso lui con tal vergogna,
Che ancor per la memoria mi si gira.
E (^uulo ù quei, che suo dannaggio sogna,
[(i9]
I N F E R XP. (XXX. 137— 14S. XXXI. 1—109)
[70]
Che sognando desidera sognare, .,'. A. ■.•</'-'*>^
Si che quel eh' è, come non fosse, agogna,
T;il mi fec' io, non potendo parlare.
Che disiava scusarmi, e scusava
"^le tuttavia, e non mi credea fare.
Maggior difetto men vergogna lava.
Disse il maestro, che il tuo non è stato:
Però di ogni tristìzia ti disgrava!
£ fa ragion che io ti sia sempre a lato ,
Se più avvien che fortuna ti accoglia .\
Dove sien genti in simigliante piat^: ^^^^^^-^
Che voler ciò udire è bassa voglia.
CANTO XXXI.
ARGOMENTO.
Orribiìi giganti. Anteo pone i poeti al fondo
pozzo, che divide V ottavo dal nono cerchio.
Una raedesma lingua pria mi morse,
Sì che mi tinse la una e 1' altra guancia,
E poi la medicina mi riporse.
Così odo io , che soleva la lancia
Di Achille e del suo padre esser cagione
Prima di trista, e poi di buona mancia.
Noi demmo il dosso al misero vallone,
Su per la ripa che il cinge dintorno
Attraversando, senza alcun sermone.
Quivi ora men che notte, e men che giorno,
SI che il viso mi andava innanzi poco :
Ma io sentii sonare un alto corno, ^
Tanto che avrebbe ogni tuon fatto fioco , lu-vi«'<^^
Che, contra sé la sua via seguitando.
Dirizzò li occhi miei tutti ad un loco*-^ , ^
Dopo la dolorosa EOtta., quando - ^A-H.* V
Carlo Magno perde la santa gesta, ; .LW.tvVV,
Non sonò si terribilmente Orlando.
Poco portai in là volta la testa,
Che mi parve veder molte alte torri:
Onde io: maestro, di', che terra è questa?
Ed egli a me: però che tu trascorri
Per le tenebre troppo dalla lungi ,
Avvien che poi nel maginare aborri.
Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi.
Quanto il senso e* inganna di lontano.
Però alquanto più te stesso pungi !
Poi caramente mi prese per mano ,
E disse: pria che noi siam più avanti,
Acciò che il fatto men ti paja strano,
Sappi , che non son torri , ma giganti ,
E son nel pozzo intorno dalla ripa
Dall' ombelico in giiiso tutti quanti.
Come quando la nebbia si dissipa.
Lo sguardo a poco a poco raflignra
Ciò che cela il vapor che lo aere stipa:
Così forando 1' aura grossa e scura
Più, e più npprcssanilo in ver la sponda,
l'iiggi'iiii erriirc, e giiigm'ini piuirii :
Pero (he come in »>u la cerc-liia tonda
Monteregginn di torri si corona,
Cosi la proda , che il puzzo circonda ,
del
Torreggìavan di mezza la persona
Li orribili giganti, cui minaccia
Giove del cielo ancora, quando tona.
Ed io scorgeva già di alcun la faccia.
Le spalle, e il petto, e del ventre gran parte,
E per le coste giù ambo le braccia.
Natura certo quando lasciò T arte
Di sì fatti animali, assai fé' bene.
Per tor cotali esecutori a Marte;
E s' ella dì elefanti e di balene
Non si pente, chi guarda sottilmente.
Più giusta e più discreta la ne tiene:
Che, dove lo argomento della mente
Si aggiunge al mal volere, ed alla possa.
Nessun riparo vi può far la gente.
La faccia sua mi parca lunga e grossa.
Come la pina di san Pietro a Roma ,
Ed a sua proporzion eran le altre ossa,
Sì che la ripa , eh' era perizoma
Dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto
Di sopra, che di giungere alla chioma
Tre Frison si averian dato mal vanto :
Però che io ne vedea trenta gran palmi
Dal collo in giù, dove s' affibbia il manto.
Rafel mai amèch izabi almi,~
Cominciò a gridar la fiera bocca.
Cui non si convenien più dolci saIraJ.
E il duca mio ver lui: anima sciocca,
Tienti col corno, e con quel ti disfoga,
Quando ira od altra passion ti toccai
Cercati al collo, e troverai la soga
Che il tien legato, oh anima confusa,
E vedi lui, che il gran petto ti doga.
Poi disse a me: egli stesso si accusa:
Questi è Nembrotto , per lo cui mal coto
Pure un linguaggio nel mondo non si usa.
Lascianilo stare, e non parliamo a voto!
Che così è a lui ciascun linguaggio.
Come il suo ad altrui, che a nullo è noto.
Facemmo adunque più lungo viaggio
Volti a sinistra , ed al trar di un balestro ^
Trovammo lo altro assai più fiero e maggio.
A cinger lui , qual che fosse il maestro ,
Non so io dir: ma ei tenea succinto
Dinanzi lo altro, e dietro il braccio destro
Di una catena, che il teneva avvinto
Dal collo in giù, sì che in su lo scoperto
Si ravvolgeva infino al giro quinto.
Questo superbo voli' esser esperto
Di sua potenza contra il sommo Giove ,
Disse il mio duca, ond' egli ha cotal merlo.
Fialte ha nome, e fere le gran prove.
Quando i giganti lèr paura ai dei:
Le braccia, eh' ei menò, <,nammdi non move.
Ed io a lui: s' esser puote, io vorrei,
Che dello smisuralo Uriareo
Esperienza avesser li occhi miei.
Ond' ei rispo.-.e: tu vedrai Anteo
Presso di qui, che parla, ed è dìsciolto ,
Che ne porrà nel loniio di ogni reo.
Quel che tu vuoi ^cdcr, più là è molto,
i;d è lcgn((». e fatto come questo.
Salvo che più feroce par nel volto.
Non fu tremolo mai lanlo ruboto,
("he scotesse una torre ro.si forte.
Come Fialte a scotersi fu pre-Io.
Allor tcuietr io più che imi di morte;
5 *
pi]
INFERNO. fXXXI. 110—1*5. XXXII. 1—81)
[12]
E non \i era mestier più che la dotta,
Se io non avessi viste le ritorte.
Noi procedemmo più avanti allotta,
E venimmo ad Anteo, che ben cinque alle
Senza la testa uscia fuor della grotta.
Oh ta, che nella fortunata valle.
Che fece Scipion di gloria reda.
Quando Annibal coi suoi diede le spaile,
Recasti già mille lion per preda,
E che, se fossi stato all' alta guerra
Dei tuoi fratelli , ancor par eh' ei si creda
Che avrebbcr vinto i figli della terra;
Mettine giuso, e non ten venga schifo.
Dove Cocito la freddura serra! "^
Non ci far ire a Tizio , né a Tifo !
Questi può dar di quel , che qui si brama :
Però ti china, e non torcer lo grifo!
Ancor ti può nel mondo render fama :
Ch' ei vive, e lunga vita ancor aspetta.
Se innanzi tempo grazia a sé noi chiama.
Così disse il maestro : e quelli in fretta
Le man distese , e prese il duca mio ,
Ond' Ercole senti già grande stretta.
Virgilio, quando prender si sentio.
Disse a me: fatti 'n qua si che io ti prenda!
Poi fece si, che un fascio era egli ed io.
Qual pare a riguardar la Carisenda
Sotto il chinato, quando un nuvol vada
Sovra essa sì , eh' ella in contrario penda ,
Tal parve Anteo a me , che stava a bada
Di vederlo chinare, e fu tal ora
Che io avrei voluto ir per altra strada.
Ma lievemente al fondo , che divora
Lucifero con Giuda, ci posò:
Né sì chinato lì fece dimora,
E come albero in nave si levò.
CANTO XXXII.
ARGOMENTO.
IS'ono e ultimo cerchio di traditori fitti in gelo.
Quattro giri. Caino. Alberto Camicion de' Pazzi.
Àntenora. Bocca Abati.
Se io avessi le rime ed aspre e chiocce,
Come si converrebbe al tristo buco,
Sovra il quiil pontan tutte le altre rocce, <'"V'
Io premerei di mio concetto il suco
Più pienamente; ma per che io non le abbo ,
Non senz^ tema a dicer mi conduco:
Che non è impresa da pigliare a gabbo
Descriver fondo a tutto lo universo.
Né da lingua , «he chiami mamma o babbo.
Ma quelle donne ajntin il mio verso,
Che iijiitaro Anfioue a chiuder Tebe,
Sì che dal fatto il dir non sia diverso!
Oh sovra tutte mal creata plebe.
Che stai nel loco , onde parlare é duro >
Mei fosite state qui pcrore, o zebe.
Come noi fummo giù nel pozzo scuro
Sotto i pie del gigante assai più bussi ,
Ed io mirava ancora allo alto muro,
Dicere udimmi: guarda, come passi!
Fa si che tu non calchi con le piante
Le teste dei fratei miseri lassi !
Per che io mi volsi, e vidimi davante,
E sotto i piedi un lago, che per gelo
Avea di vetro, e non di acqua sembiante.
Non fece al corso suo sì grosso velo
Dì verno la Danoja in Austericchi ,
Né il Tanai là sotto il freddo cielo,
Com' era quivi: che, se Tambernicchì
Vi fosse su caduto, o Pietrapana,
Non avria pur dall' orlo fatto cricchi.
; E come a gracidar si sta la rana
I Col muso for dell' acqua, quando sogna
j Di spigolar sovente la villana, i ■ . t k
Lìvide infin là dove appar vergogna
Eran le ombre dolenti nella ghiaccia,
Mettendo i denti in nota di cicogna.
Ognuna in giù tenea volta la faccia:
Da bocca il freddo, e dalli occhi 'I cor tristo
Tra lor testimonianza si procaccia.
Quando io ebbi dintorno alquanto visto,
Volsimi ai piedi, e vidi due sì stretti,
Che il pel del capo avién insieme misto.
Ditemi voi, che si stringete i petti,
Diss' io, chi siete.'' e quei piegaro i colli,
E poi eh' ebber li visi a me eretti ,
Li occhi lor, eh' eran pria pur dentro molli,
Gocciar su per le labbra, e il gelo strinse
Le lacrime tra essi , e riserrolli :
Con legno legno spranga mai non cìnse
Forte così : ond' ei , come duo becchi ,
Cozzaro insieme; tanta ira li vinse!
Ed un, che avea perduti ambo li orecchi
Per la freddura , pur col viso in giue
Disse: per che cotanto in noi ti specchi?
Se vuoi saper, chi son cotesti due.
La valle, onde Bisenzio si dichina,
Del padi-e loro Alberto, e di lor fue.
Di un corpo uscirò: e tutta la Caina
Potrai cercare, e non troverai ombra
Degna più di esser fitta in gelatina:
Non quelli , a cui fu rotto il petto e la ombra
Con esso un colpo della man di Artù,
Non Focaccia, non questi che m' ingombra
Col capo sì, che io non veggio oltre più,
E fu nomato Sassol Mascheroni:
Se Tosco sei , ben dei saper , chi fu.
E per che non mi metti in più sermoni,
Sappi che io sono il Camicion dei Pazzi,
Ed aspetto Cari in, che mi scagioni.
Poscia vid' io mille visi cagnazzi
Fatti per freddo: onde mi vien riprezzo,
E verrà sempre dei gelati guazzi.
E mentre che andavamo in ver lo mezzo,
AI quale ogni gravezza si rauna,
Ed io tremava nello eterno rezzo:
Se voler fu, o destino, o fortuna,
Non 80, ma passeggiando tra le teste,
Forte percossi '1 pie nel viso ad una.
Piangendo mi sgridò: per che mi peste?
Se tu non vieni a crescer la vendetta
Di Monte Aperti, per che mi moleste?
Ed io: maestro mio, or qui mi aspetta.
Sì che io esca d' un dubbio per costui :
Poi mi farai, quantunque vorrai, fretta.
[73]
INFERNO. (XXXII. 85—189. XXXIll. 1—58)
[TU]
Lo duca stette: ed io dissi a colui.
Che bestemmiava duramente ancora: .
Qual sei tu, che così rampogni altrui P^m-Ìì*-*'^.
Or tu chi sei, che vai per 1' Antenora
Percotendo , rispose , altrui le gote ,
Si che , se fossi vivo , troppo fora ?
Vivo son io, e caro esser ti puote,
Fu mia risposta, se dimandi fama,
Che io metta il nome tuo tra le altre note. .
Ed egli a me: del contrario ho io brama.
Levati quinci, e non mi dar più lagna!
Che mal sai lusingar per questa lama.
Allor il presi per la cuticagna, >^(n.U:;R.y.v
E dissi: ei converrà, che tu ti nomi,
O che capei qui su non ti rimagna.
Ond' egli a me : per che tu mi dischiomi ,
' Non ti dirò eh' io sia, né mostrerolti.
Se mille fiate in sul capo mi tomi.
Io avea già i capelli in mano avvolti , ! :
E tratti li ne avea più di una ciocca,
Latrando lui con li occhi in giù raccolti,
Quando un altro grido: che hai tu. Bocca?
Non ti basta sonar con le mascelle,
Se tu non latri? qual diavol ti tocca?
Omai , diss' io , non vo' , che tu favelle ,
Malvagio traditori che alla tua onta
Io porterò di te vere novelle.
Va via , rispose , e ciò che tu vuoi conta ,
Ma non tacer, se tu di qua entro eschi.
Di quel eh' ebbe or così la lingua pronta!
Ei piange qui lo argento dei Franceschi ;
Io vidi, potrai dir, quel da Duera,
Là dove i peccatori stanno freschi.
Se fossi dimandato , altri chi vi era ,
Tu hai da lato quel di Beccaria,
Di cui segò Fiorenza la gorgiera.
Gianni del Soldanier credo che sia
Più là, con Ganellone, e Tribaldello,
Che apri Faenza, quando si dormia.
Noi cravam partiti già da elio.
Che io vidi due ghiacciati in una buca
Sì che lo un capo allo altro era cappello:
E come il pan per fame si manduca ,
Così '1 sovran li denti allo altro pose
Là ove il cervel si giunge con la nuca.
Non altrimenti Tideo sì rose
Le tempie a Mcnalippo per disdegno.
Che quei facea il teschio, e le altre cose..-:
Oh tu , che mostri per si bestiai segno
Odio sovra colui, che tu ti mangi.
Dimmi '1 per che, diss' io: per tal convegno
Che ,' se tu a ragion di lui ti piangi ,
Sappiendo chi voi siete, e la sua pecca,
Nel mondo suso ancor io te ne cangi ,
Se quella, con che io parlo, non si secca.
,c
CANTO XXXIII.
i
ARGOMENTO.
Conte Ugolino. Terzo giro del nono cerchio. Tolom-
meo. Frate Alberisro.
La bocca sollevò dal fiero pasto
Quel peccator, forbendola ai capelli
Del capo, eh' egli avea diretro guasto.
Poi cominciò : tu vuoi che io rinnovelli
Disperato dolor, che il cor mi preme,
Già pur pensando, pria che io ne favelli.
Ma se le mie parole esser den seme.
Che frutti infamia al traditor che io rodo,
Parlare e lagrimar vedrai insieme.
Io non so , chi tu sic , né per che modo
Venuto sie qua giù : ma Fiorentino
Mi sembri veramente, quando io ti odo.
Tu dei saper che io fui '1 conte Ugolino ,
E questi lo arcivescovo Ruggieri:
Or tiilirò, per che io son tal vicino.
Che per lo effetto dei suoi mai pensieri,
Fidandomi di lui, io fossi preso
E poscia morto, dir non è mestieri.
Però quel che non puoi avere inteso ,
Cioè, come la morte mia fu cruda.
Udirai e saprai, se mi ha offeso.
Brieve pertugio dentro dalla muda,
La qual per me ha il titol della fame,
E in che conviene ancor che altri si chiuda.
Mi avea mostrato per lo suo forame
Più lune già, quando io feci '1 mal sonno
Che del futuro mi squarciò il velame.
Questi pareva a me maestro e donno ,
Cacciando il lupo e i lupicini al monte.
Per che i Pisan veder Lucca non ponno.
Con cagne magre studiose e conte
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
Si avea messi dinanzi dalla fronte.
In picciol corso mi pareano stanchi
Lo padre e i figli, e con le acute sane
Mi parca lor veder fender li fianchi.
Quando fui desto innanzi la dimane.
Pianger sentii fra il sonno i miei figlioli ,
Ch' erano meco, e dimandar del pane.
Ben sei crudcl , se tu già non ti duoli ,
Pensando ciò, che il mio cor si annunziava:
E se non piangi, di che pianger suoli?
Già erani desti, e la ora si appressava,
Che il cibo ne soleva essere addotto,
E per suo sogno ciascun dubitava, .
Ed io sentii chiavar lo uscio di sotto^ ]^.<jicyMpK^
Alla orribile torre : ondo io guardai
Nel viso ai mici figlio! senza far motto.
Io non piangea, sì dentro impietrai:
Piangevan clli; ed Anselmuccio mio
Disse: tu guardi sì, padre: che hai?
Però non lacrimai, nò rispos' io
Tutto quel giorno, nò la notte a presso,
Infin che lo altro sol nel mondo uscio.
Come un poco di raggio si fu nu^so
Nel didoroso curcerc, ed io scorsi
Per quattro >isi il mio aspetto slessOy
Ambo lu mani per dolor mi morbi:
[!5I
JN PERNO. (XXXni. 59— 15X XXXIV. 1—20)
P6] ;
E quei pensando, che io il fessi per voglia
Di manicar, di subito levorsi,
E disser : padre , assai ci fia men doglia,
Se tu mangi di noi; tu ne vestisti
Queste misere carni , e tu le spogHa !
Quetàmi alior, per non farli più tristi-
Quel di e lo altro stemmo tutti muti.
Ahi dura terra, per che non ti apristi?
Poscia che fummo al quarto di venuti,
Gaddo mi si gittò disteso ai piedi.
Dicendo: padre mio, che non mi ajuti?
Quivi morì; e come tu mi vedi,
Vid' io cascar li tre , ad uno ad uno,
Tra il quinto dì e il sesto : onde io mi diedi
Già cieco a brancolar sopra ciascuno, ' <>■'•''' "
E tre di li chiamai , poi che fur morti :
Poscia più che il dolor potè il digiuno.
Quando ebl)e detto ciò , con li occhi torti
Riprese il teschio misero coi denti,
Che furo all' osso, come di uà can, forti.
Ahi Pisa, vituperio delle genti
Del bel paese là, dove il si sona;
Poi che i vicini a te punir son lenti.
Movasi la Capraja e la Gorgona,
E faccian siepe ad Arno in su la foce, _ ,
Sì eh' egli annieghi in te ogni persona. Q\AJiayi^^lfh^
Che se il conte Ugolino avea ria voce
Di aver tradita te delle castella,
INon dovei tu i figlioi porre a tal croce.
Innocenti facea la età novella,
>i0vella Tebe, IJguccione, e il Brigata,
E li altri due , che il canto suso appella.
Noi passamm' oltre, dove la gelata
JL^ Ruvidamente un' altra gente fascia.
Non volta in giù , ma tutta riversata.
Lo pianto stesso lì pianger non lascia, •'* «-^
F] il duol, che trova in su li occhi rintoppo /fcv<)t^
Si voi ve in entro a far crescer l' ambàsua: ^uJÌxdÌ-
Chè le lagrime prime fanno groppo, ■^
E sì come visiere di cristallo, j*' (
Riempion sotto il ciglio tutto il coppo. v1it»itlvlv(nv^
E avvegna che, sì come di un callo, 0
Per la freddura ciascun sentimento
Cessato avesse del mìo viso stallo, IVr* Au^vJy/
Già mi i>area sentire alquanto vento : *
Per che io, maestro mio, questo chi move?
]Non è qua giuso ogni vapore spento ? ,
Ond' egli a me: avaccio sarai, dove ';*'^-<"' ',
Di ciò ti farà 1' occhio la risposta, 0
Veggcndo la cagion che il fiato piove.
Ed un dei tristi della fredda crosta
Gridò a noi : oh anime crudeli
Tanto , clie data vi è la ultima posta.
Levatemi dal viso i duri veli,
Sì che io sfoghi '1 dolor che il cor m'impregna,
Un poco, pria che il pianto si raggicli !
Per che io a lui: se vuoi che io ti sovvegni^,
Likiy
Dimmi chi sei , e se io non ti disbrigo,
Al fondo della ghiaccia ir mi convegna.
Ri*po>e adunque: io son Frate Alberigo:
1(1 son quel delie frutta del mal orto,
Clic qui riprendo dattero per figo.
Oh , dir:..! Ini , or sci tu ancor minto?
VA egli a me: come il mio <;orpo stea
IScI mondo su, nulla scienzia porto.
Cotal vantaggio ha questa Tolommea,
Che spctjyc volte T anima ci cade
1
vtj.V
Innanzi che Atropòs mossa le dea.
E per che tu più volontier mi radè~
Le invetriate lacrime dal volto,
Sappi che, tosto che 1' anima trade;^^?i;i^K
Come fec' io, il corpo suo l' è iólfo
Da un dimenio , che poscia il governa,
Slenfie che il tempo suo tutto sia volto.
Ella ruina in sì fatta cisterna:
E forse pare ancor lo corpo suso
Della ombra , che di qua dietro mi verna :
Tu il dei saper, se tu vien pur mo giuso:
Egli è ser Briinca di Oria; e son più anni
Poscia passati eh' ei fu sì racchiuso.
Io credo, diss' io lui, che tu m' inganni:
Che Branca di Oria non morì unquanche,
E mangia, e bee, e dorme, e veste panni.
Nel fosso su, diss' ei, di Malebranche,
Là dove bolle la tenace pece,
ÌVon era giunto ancora Michel Zanche,
Che questi lasciò un diavolo in sua vece
Nel corpo suo, e di un suo prossimano.
Che il tradimento insieme con lui fece.
Ma distendi oramai in qua la mano.
Aprimi li occhi! ed io non li le apersi,
E cortesia fu luì esser villano.
Ahi Genovesi, omini diversi y
Di ogni costume, e pien di ogni magagna,Wu/
Per che non siete voi del mondo spersi?
Che col peggiore spirto di Romagna
Trovai un tal di voi , che per sua opra
In anima in Cocito già si bagna.
Ed in corpo par vivo ancor di sopra.
X:
CANTO XXXIV,
ARGOMENTO.
Gìudecca , vltimo fondo , centro delV universo , sede
di Lucifero, mostro immenso, dove si puniso: il
tradimento verso i benefattori. Giuda. Bruto.
Cassio. Salita neW emispcro opposto.
Vexilla Regis prodeunt ìnfeTui
Verso di noi: però dinanzi mira,
Disse il maestro mio, se tu il discerni!
Come , quando una grossa nebbia spira,
O quando lo eraisperio nostro annotta,
Par da lungi un mulin , che il vento gira,
Veder mi parve un tal dificio allotta: V,r, v
Poi per lo vento mi ristrinsi retro
Al duca mio; che non vi era altra grotta.
Già era (e con paura il metto in metro)
Là dove le ombre tutte eran coverte,
E trasparean come festnche, in vetro-
Altre sono a giacere , altre stanno erte.
Quella col capo, e quella con le piante,
Altra, come arco, il volto ili piedi inverte.
Quando noi fummo fatti tanto avaiite,
(/he al mio mac^stro piacque di mostrarmi
La creatura , eh' ebbe il bel sembiante,
Dinanzi mi si tolse , e le' ristarmi :
Ecco Dite, dicendo, ed ecco il loco,
["]
INFERNO. (XXXIV. 21—139)
[T8J
lu-.S
Ove convien, che dì fortezza ti armi!
Come io divenni allor gelato e fioco, 1-j^ >
JVol dimandar, lettor, elio io non lo scrivo.
Però che ogni parlar sarebbe poco.
Io non morii, e non rimasi vivo.
Pensa oramai per te, se hai fior d' ingegno,
Qual io diveiiui, di uno e di altro privo!
Lo imperator del doloroso regna
Da mezzo il petto uscia or della ghiaccia:
E più con un gigante io mi convegno.
Che giganti non fan con le sue braccia.
Vedi oggimai, quanto esser dee quel tutf^^
Che a cosi fatta parte si confaccia!
S' ei fu si bel, coui' egli è ora brutto,
E contra il suo fattore alzò le ciglia,
• Ben dee da lui procedere ogni lutto, i
Oh quanto parve a me gran meraviglia,
Quando vidi tre facce alla sua testa !
La una dinanzi, e quella era vermiglia.
Le altre eran due, che si aggiiftigén a quelita
Sovresso il mezzo di ciascuna spaila,
E si giungéno al loco della cresta :
E la destra parca tra bianca e gialla:
La sinistra a vedere era tal , quali
Vengon di là ove il JNilo si avvalla.
Sotto ciascuna uscivan due grandi ali.
Quanto si conveniva a tanto uccello ;
Vele di mar non vid' io mai cotali.
Non avean penne, ma di vispistrello
Era lor modo ; e quelle sv^qlazzayaj
Si che tre venti si movén da elio.
Quindi Cocito tutto si aggelava:
Con sei occhi piangeva, e per tre menti
Gocciava il pianto, e sanguinosa bava.
Da ogni bocca dirompea coi denti
Un peccatore a guisa di niaciulia.
Si che tre ne facea così dolenti.
A quel dinanzi il mordere era nulla,
Verso il graffiar, che tal volta la schiena ^^
Rimanea della pelle tutta Jjjculja- - ■'■■
Queir anima là su che ha maggior pena.
Disse il maestro , è Giuda Scariottt»,
Che il capo ha dentro , e for le gaiii!)e mena.
Delli altri due, che hanno il capo di soito,
Quei che pende dal nero «jpil" •< ^ Bruto. ...'
Vedi, come si storce, e non fa motto!
E lo altro è Cassio, che par si membruto.
Ma la notte risiirge, ed oramai
È da partir, che tutto av('in veduto.
Come a lui piacque, il collo li avvinghiai^
Ed ei prese di tempo e loco posto: "^
E quando le ali furo aperte assai.
Appigliò gè alle velutc coste.
Di vello in vello giù di-cese poscia
Tra il folto pelo e le gelate cro.-te.
Quando noi fummo là dove la coscia
Si volge a punto in sul grosso delle anche,
Lo duca con fatica e con angost-ìa
Volse la testa, ov' egli avea le zanche,
Eli aggruppossi al pel, come um clic eale„
I Si che in inferno io credea tornar anche»
i Attient*. ben ! che per siflatte scale.
Disse il maestro a>?jiando, come om lasso,
I Convensi dipartir da taiitò male.
I Poi uscì for per lo foro di un sasso,
I E pose me in su 1' orlo a sedere:
A presso porse a me lo accorto passo.
] Io levai li occhi, e credetti vedere
Lucifero , come ic lo avea lasciato,
E vidili le jairje in su tenere.
E se io divenni a :ora travagliato.
La gente grossa il pensi, che non vede.
Qua! è quel punto, che io avea passato!
Levati su, disse il maestro, in piede!
La via è lunga, e il cammino è malvagio,
E già il sole a mezza terza riede.
Non era camminata di palagio ^ K(\'
Ov' eravara, ma naturai burella, - >è;^W>'^ Kx «A^
Che avea mal suolo , e di lume disagio.
Prima che io dello abisso mi divella,
Maestro mio, diss' io, quando fui dritto,
A trarmi di erro un poco mi favella !
Ov' è la ghiaccia ? e questi com' è fitto
Si sottosopra? e come in sì poca ora
Da sera a mane ha fatto il sol tragitto?
Ed egli a me : tu immagini ancora
Di esser di là dal centro , ove io mi presi
Al pel del vermo reo che il mondo fora^
Di là fosti cotanto, quanto io scesi:
Quando mi volsi, tu passasti '1 punto,
Al qual si traggon da ogni parte i pesi :
E sei or sotto lo eraisperio giunto,
Ch' è opposito a quel , che la gran secca
Coverchia , e sotto il cui colmo consunto
Fu r om , che nacque e visse sanza pecca.
Tu hai li piedi in su picciola spera,
Cile r altra faccia fa della Giudecca^
Qui è da man, quando di là è sera:
E questi che ne fé' scala col pelo.
Fitto è ancora si come prima era.
Da questa parte cadde giù dal cielo :
E la terra, che pria di qua si sporse,
Per paura di lui fé' del mar velo,
E venne allo emisperio nostro : e forse
Per fuggir lui lasciò qui il loco voto
Quella, che appar di qua, e su ricorse.
Loco è là giù da Belzebù rimoto
Tanto , quanto la tomba si distende.
Che non per vista , ma per snono è noto
Di un ruscelletto , che quivi discende
Per la buca di un sasso, eh' egli ha roso
Col cor?o, eh' egli avvolge, e poco pende.
Lo duca ed io per quel cammino ascoso
Entrammo per t<»rnar nel chiaro mondo:
E senza cura aver dì alcun riposo
Salimmo su , ci primo , ed io .«secondo.
Tanto che io vidi delle cose belle.
Che porta il cicl, per lui pertugio tondo:
E quindi udciimuo a riveder lo utcllc.
PURGATORIO,
CANTO I.
ARGOMENTO.
Catone uticense, in cui guardia son posti i sette
regni del purgatorio , lascia andare i duo poeti.
Per correr miglior acqua alza le vele
Ornai la navicella del mio ingegno,
Che lascia dietro a sé mar si crudele:
E canterò di quel secondo regno,
Ove lo umano spirito si purga,
E di salire al ciel diventa degno.
Ma qui la morta poesia risurga,
Oh gante Muse , poi che vostro sono,
E qui Calliope alquanto surga,
Seguitando il mio canto con quel suono,
Di cui le piche misere sentirò
Lo colpo tal, che disperar perdono!
Dolce color di orientai zaffiro,
Che si accoglieva nel sereno aspetto
Dello aer puro, infino al primo giro,
Alli ochi mìei ricominciò diletto,
Tosto che io for uscii dell' aura morta,
Cile mi avea contristati li occhi e il petto.
Lo bel pianeta, che ad amar conforta,
Faceva rider tutto l' oriente,
Velando i pesci eh' erano in sua scorta.
Io mi volsi a man destra, e posi mente
Allo altro polo, e vidi quattro stelle
IVon viste mai, for che alla prima gente.
Goder pareva il ciel di lor fiammelle.
Oh settentrional vedovo sito,
Poi che privato sei di mirar quelle!
C(»me io dal loro eguardo fui partito.
Un poco me volgendo all' altro polo,
Là onde il carro già era sparito,
Vidi presso di me un veglio solo.
Degno di tanta reverenza in vista,
Che più non dee a padre alcun figliolo.
Lunga la barba di pel bianco mista
Portava ai suoi capelli simigliante,
Dei quai cadeva al petto doppia lieta.
Li raggi delle quattro luci sante
Fregiavan sì la sua faccia di lume,
Che io il vedea, come il sol fosse davante.
Chi feicte voi , che contra il cieco fiume
Fuggito avete la prigione eterna?
Dii^o' el , movendo quelle oneste piume.
Chi vi ha guidati? o chi vi fu lucerna.
Uscendo for della profonda notte,
Che sempre nera fa la valle infema?
Soli le leggi di abisso c(»sì rotte ?
O è mutato in ciel novo consiglio.
Che dannati venite alle mie grotte?
Lo duca mio allor ini à'ii: di piglio,
K con parole, e con mani, e con cenni
Ueverenti mi fé le gambe e il ciglio:
Poscia rispose lui : da me non venni :
Donna scese dal del, per li cui preghi
Della mìa compagnia costui sovvenni.
Ma da eh' è tuo voler, che più si spieghi
Di nostra condizion, com' ella è vera,
Esser non puote il mio che a te si neghi.
Questi non vide mai la ultima sera,
Ma per la sua follia le fu sì presso,
Che molto poco tempo a volger era.
Sì come io dissi, fui mandato ad esso
Per lui campare, e non ci era altra via
Che questa, per la quale io mi son messo.
Mostrata ho lui tutta la gente ria,
Ed ora intendo mostrar quelli spirti.
Che purgan sé sotto la tua balia.
Come io r ho tratto, saria lungo a dirti.
Dello alto scende virtii, che mi ajuta
Conducerlo a vederti e ad udirti.
Or ti piaccia gradir la sua venuta!
Libertà va cercando , eh' é sì cara,
Come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu il sai: che non ti fu per lei amara
In Utica la morte, ove lasciasti
La veste, che al gran dì sarà si chiara.
IVon son li editti eterni per noi guasti:
Che questi vive, e Minòs me non lega:
Ma son del cerchio , ove son li occbi cast
Di Marzia tua, che in vista ancor ti prega,
Oh santo petto, che per tua la tegni.
Per lo suo amore adunque a noi ti piega!
Lasciane andar per li tuoi sette regni!
Grazie riporterò di te a lei,
Se di esser mentovato là giù degiiL
Marzia piacque tanto alli occhi miei.
Mentre che io fui di là, diss' egli allora^
Che quante grazie volle da me, fei.
Or, che di là dal mal fiume dimora.
Più mover non mi può, per quella legge
Che fatta fu, quando io me ne uscii fora.
Ma se donna del ciel ti move e regge.
Come tu di', non ci è mestier lusinga:
Bastiti ben, che per lei mi richegge.
Va dunque, e fa, che tu costui ricinga
Di un giunco schietto, e che li lavi '1 viso
Sì che ogni sucidume quindi stinga !
Che non sì converria l' occhio sorpriso
Di alcuna nebbia andar davanti al primo
Ministro, eh' è di quei di paradiso.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo
Là giù colà, dove la batte la onda,
Porta dei giunchi sopra il molle limo.
Nuli' altra pianta che facesse fronda,
0 indurasse, vi puote aver vita.
Però che alle percosse non seconda.
Poscia non sia di qua vostra reddìta :
Lo sol vi mostrerà, che surge omai,
Prendere il monte a più lieve salita.
Così sparì : ed io su mi levai.
San/a parlare, e tutto mi ritrassi
1 Al duca mio , e li occhi a lui drizzai.
El cominciò : figliol , segui i miei passi !
Volgianci indietro, che di qua dichina
*1]
PURGATORIO. (I. 114—136. n. 1—96)
m
Questa pianura ai suoi termini bassi,
' iilba vincea già la ora mattutina,
Che fuggia innanzi, si che di lontano
Conobbi il tremolar della marina.
oi andavam per lo solingo piano.
Come om che torna alia smarrita strada,
Che infino ad essa li par ire in vano.
uando noi fummo, dove la rugiada
, Pugna col sole, e per essere in parte,
; Ove adorezza, poco si dirada,
mbe le mani in su la erbetta sparte
Soavemente il mio maestro pose:
Onde io, che fui accorto di su' arte,
oi*i ver lui le guance lacrimose:
Quivi mi fece tutto discoverto
Quel color, che lo inferno mi nascose.
eniinmo poi in sul lito diserto,
Che mai non vide navicar sue acque
Omo, che di tornar sia poscia esperto.
)iii\ì mi cinse, sì come altrui piacque.
Oh maraviglia ! che qual egli scelse
La umile pianta, cotal si rinacque
subitamente là, onde la svelse.
CANTO IL
ARGOMENTO.
^pictg^gla del mare. Un angelo in lieve larchclta vi
^vìiduce l' anime. Un'' ombra (Casella) canta una
I canzone del poeta, e tutte s' arrestano. Catone
I l riprende di negligenza.^
jfìà era il sole all' orizzonte giunto,
Lo cui meridian cerchio coverchia
Jcrurialem col suo più alto punto,
|IC la notte, che opposita a lui cerchia,
' Uscia di Gange for con le bilance,
I Che le caggion di man, quando sovercLia:
Sì <;he le bianche e le vermiglie guance,
Là dove io era, della bella Aurora
Per troppa etade divenivan rance.
Voi. eravara lunghe9:80 il mare ancora.
Come gente, che pensa a suo cammino,
Che va col core, e col corpo dimora:
Ed ecco, qual sul presso del mattino.
Per li grossi vapor Marte rosseggia
Giù nel ponente sopra il suol marino,
Cotal ini apparve, sì io ancor lo veggia,
j Un lume per lo mar venir si ratto,
I Che il mover suo nessim volar pareggia :
|Dal qual, come io un poco ebbi ritratto
L' occhio, per dimandar lo duca mio,
I UividiI più lucente, e maggior fatto.
Poi dia ogni lato ad e^sn mi appario
In non sapea che bianco, e di sotto
A poco a poco un altn» a lui ne uscio,
L(» mio maestro ancor non fece motto,
Mf^iitrc che i primi bianchi app.irser ali.
Allor che ben conobbe il giilcoito,
(iridò: fa, fa, clic le giiioctiiiii culi!
t'.eco lo angel di dio ! piega K- mani !
Ornai vedrai di sì fatti uficiali.
Vedi, che sdegna li argomenti umani,
Sì che remo non vuol, né altro velo,
Che le ali sue tra liti sì lontani.
Vedi, come le ha dritte verso il cielo.
Trattando lo aere con l' eterne penne,
Che non si mutan, come mortai pelo.
Poi come più e più verso noi venne
Lo uccel divino, più chiaro appariva;
Per che 1' occhio da presso noi sostenne.
Via chinai '1 giuso: e quei sen venne a riva
Con un vascello snelletto e leggiero.
Tanto che 1' acqua nulla ne inghiottiva.
Da poppa stava il cclestial nocchiero,
Tal che furia beato pur descripto,
E più di cento spirti entro sediero.
[n exitu Israel de Acgypto,
Cantavan tutti 'nsieme ad una voce
Con quanto di quel salmo è poscia scripto.
Poi fece il segno lor di santa croce:
Ond' ei si gittàr tutti in su la piaggia,
Ed el sen gi , com' el venne , veloce.
La turba, che rimase lì, selvaggia
Parca del loco, rimirando intorno.
Come colui , che nove cose assaggia.
Da tutte parti saettava il giorno
Lo sol, che avea con le saette conte
Di mezzo il ciel cacciato il capricorno:
Quando la nova gente alzò la fronte
Ver noi , dicendo a noi ; se voi sapete,
Mostratene la via di gire al monte !
E Virgilio rispose : voi credete
Forse, che siamo esperti di esto loco;
IVIa noi sem peregrio , come voi siete :
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco.
Per altra via, che fu sì asjìra e forte.
Che il salir oramai ne parrà gioco.
Le anime, che si fur di me accorte
Per lo spirare, che io era ancor vivo,
Maravigliando diventar© smorte:
E come a mcssagger, che porta olivo,
Tragge la gente, per udir novelle,
E di calcar nessun si mostra schivo,
Così al viso mio si affisar quelle
Anime fortunate tutte quante,
Quasi obbliando d' ire a farsi belle.
Io vidi una di lor traggersi avante
Per abbracciarmi , con sì grande alTetto,
Che mosse me a far il simigliante.
Oh ombre vane, for che nello aspetto!
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
E tante mi tornar con nulla al petto.
Di meraviglia, credo, mi dipinsi: _
Per che la onilira sorrise, e t^i ritrasse.
Ed io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
Soavemente disse, che io posasse:^
Allor conobbi chi era, e pregai.
Che , j)cr parlanni , un poco si arre.^taiise.
Kispnsemi : così , come io ti amai
^el mortai corpo , così ti amo sciolJa ;
Però mi arresto : ma tu per che vai .''
Casella mio , por tornare altra volta
lià dove io son , fo io questo viaggio:
Ma a te come ora tanta terra è tolta?
EA egli a me: nessun mi è fatto oltraf;gio.
Se quei, che leva, e quando e cui li piuce,
Più volte mi ha negato etto passaggio;
0
[83]
PURGATORIO. (II. OT— 183. Ut. 1—83)
Che di giusto Toler lo suo si face:
Veramente da tre mesi egli ha tolto
Chi ha voluto entrar con tutta jja<'e;
Onde io che ora era alla marina volto,
Dove r acqua di Tevere s' insala,
Benignamente fui da lui ricolto
A quella foce ov' egli ha dritta 1' ala :
Però che sempre quivi si ricoglie,
Qual verso di Acheronte non si cala.
Ed io: se nova legge non ti toglie
3Iemoria, o uso allo amoroso canto.
Che mi solca quietar tutte mie voglie,
Di ciò ti piaccia consolare alquanto
L' anima mia, che con la sua persona
Venendo qui è affannata tanto!
Amor, che nella mente vìi ragiona,
Cominciò egli allor sì dolcemente.
Che la dolcezza ancor dentro mi sona.
Lo mio maestro , ed io , e quella gente
Ch' eran con luì, parevfin sì contenti.
Come a nessun toccasse altro la mente.
Noi eravam tutti fissi ed attenti
Alle sue note: ed ecco il veglio onesto.
Gridando: che è ciò, spiriti lenti?
Qual negligenzia, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio,
Ch' esser non lascia a voi dio manifesto !
Come quando , cogliendo biada o loglio.
Li colombi adunati alla pastura
Queti senza mostrar lo usato orgoglio,
Se cosa appare , ond' elli abbian paura.
Subitamente lasciano star la esca.
Per che assaliti son da maggior cura,
Così vid' io quella masnada fresca
Lasciare il canto , e fuggir ver la costa,
Come om che va, né sa dove riegea:
Né la nostra partita fu men tosta.
CANTO III.
ARGOMENTO.
I due poeti cercano di salir la montagna malage-
vole, altissima e cinta de mare. Manfredi, re
di Puglia e di Sicilia.
Avvegnaché la subitana fuga
Dispergesse color per la campagna.
Rivolti al monte, ove ragion ne fruga,
Io mi ristrinsi alla fida compagna.
E come sare' io senza lui corso?
Chl_ mi avria tratto su per la montagna?
El mi parca da sé stesso rimorso:
Oh dignitosa co.scienzia e netta.
Come ti è piccini fallo amaro morso!
Quando li piedi suoi lasciar la fretta.
Che la oncstade ad ogni atto dismaga,
La mente mia, che prima era ristretta,
Lo intento ral largò, gì come vaga,
E diedi '1 vieto mio incontro al poggio, /' - ^
Che inverso il ciel più alto si dislaga.
Lo bol, chu dietro fiammeggiava roggio,
Rotto mi era dinanzi, alia figura.
Che aveva in me dei suoi raggi lo appoggio.
Io mi volsi da lato , con paura
Di esser abbandonato, quando io vidi
Solo dinanzi a me la terra oscura :
E il mio conforto : per che pur diffidi ?
A dir mi cominciò tutto rivolto;
Non credi tu me teco, e che io ti guidi?
Vespero è già colà dove sepolto
È il corpo, dentro al quale io facea ombra:
Napoli lo bave, e da Brandizio è tolto.
Ornai, se innanzi a me nulla si adombra,
Non ti maravigliar più che dei cieli.
Che lo uno allo altro raggio non ingombra.
A sofferir tormenti , caldi , e geli
Simili corpi la virtù dispone.
Che come fa, non vuol, che a noi sii veli.
Matto è chi spera, che nostra ragione
Possa trascorrer la infinita via
Che tiene una sustanzia in tre persone.
State contenti , umana gente , al quia :
Che, se potuto aveste veder tutto,
Mestier non era partorir Maria:
E disiar vedeste senza frutto
Tal , che sarebbe lor disio quetato,
Ch' eternalmente è dato lor per lutto :
Io dico di Aristotele, e di Plato,
E di molti altri: e qui chinò la fronte,
E più non disse, e rimase turbato.
Noi divenimmo in tanto a pie del monte
Quivi trovammo la rocca sì erta.
Che indarno vi sarien le gambe pronte*
Tra Lerici e Turbia la più diserta,
La più ruinata via è una scala,
Verso di quella, agevole ed aperta.
Or chi sa, da qual man la costa cala,
Disse il maestro mio, fermando il passOj
Sì che possa salir chi va senz' ala?
E mentre eh' el tenea il viso basso.
Esaminando del cammin la mente.
Ed io mirava suso intorno al sasso,
Da man sinistra mi apparì una gente
Di anime, che moviéno i pie ver noi,
E non pareva, sì veniano lente.
Leva, diss' io al maestro, li occhi tuoi!
Ecco di qua chi ne darà consìglio,
Se tu da te medesmo aver noi puoi.
Guardomnii allora , e con libero piglio
Rispose: andiamo in là, eh' ei vengon plano,
E tu ferma la speme, dolce figlio!
Ancora era quel popol di lontano.
Io dico, dopo i nostri mille passi,
Quanto un buon gittator trarrla con mano.
Quando si strinser tutti ai duri massi
Dell' alta ripa, e stetter fermi e stretti,
Come a guardar, chi va dubbiando, staesì.
Oh ben finiti , oh già spiriti eletti,
Virgilio incominciò, per quella pace.
Che io credo che per voi tutti si aspetti^
Ditene, dove la mcmtagna giace.
Si che possibii sia lo andare in suso?
Che il perder tempo, a chi più sa, più spiace.
Come le pecorelle escon del chiuso
Ad una, a due, a tre, e le altro stanno
Timidctte altt^rando 1' occhio e il muso,
E ciò, che fa la prima, le altre fanno,
Addossandosi a lei, e' ella si arresta,
mn
ro]
PURGATORIO. (III. 84—145. IV. 1—51)
m]
Semplici e quete , e lo imperché non samio,
ì vid' io mover a venir la testa /' ,
Di quella mandra- fortunata allotta, ji^U»»^
Pudica in faccia , e nello andare onesta. - '
ome color dinanzi TÌder rotta
La luce in terra, dal mio destro canto.
Sì che la ombra era da me alla grotta,
iistaro , e trasser se indietro alquanto,
E tutti li altri, che venièno a presso.
Non sapendo il per che, fero altrettanto.
anza vostra dimanda io vi confesso
Che questi è corpo uman, che voi vedete j
Per che il lume del sole in terra é fesso.
\on vi maravigliate, ma credete,
Che non senza virtù, che dal ciel vegna,
Cerchi di soperchiar questa parete!
^o*i 'l maestro: e quella gente degna.
Tornate, disse, intrate innanzi dunque!
Coi dossi delle man facendo insegna. 't
i! 1 un di loro incominciò: chiunque
Tu sei, così andando volgi '1 viso:
Pon mente , se dì là mi vedesti unque !
fo mi volsi ver lui , e guardai! fiso :
Biondo era, e bello, e di gentile aspetto:
Ma lo im dei cigli un colpo avea diviso.
Quando mi fui umilmente disdetto
Di averlo visto mai, el disse: or vedi!
E mostrommi una piiiga a sommo il pett^ì :
Poi sorridendo disse: io son Manfredi,
Nipote di Constanza Imperatrice:
Onde io ti prego , che, quando ta riedi,
Vadi a mia bella figlia , genitrice l /
Dell' onor di Cicilia, e di Aragona, |
E dlchi a lei il ver, se altro si dice.
Poscia che io ebbi rotta la persona
Di due punte mortali , io mi rende!
Piangendo a quei, che volentier perdona.
Orribil furon li peccati miei :
Ma la bont<à infinita ha si gran braccia,
Che prende ci«», che si rivolve a lei.
So il pastor di Cosenza, che alla caccia
Di me fu messo por Clemente, allora
Avesse in dio ben letta questa faccia,
Le ossa del corpo mio sarieno ancora
In co' del ponte, presso a Benevento,
Sotto la guardia della grave moraj ^«u^tA
Or le bagna la pioggia, e move il vento
Di for del regno , quasi lungo il Verde,
Ove le trasmutò a lume spento.
Per ior maledizion si non si perde,
Che non possa tornar lo eterno amore.
Mentre che la speranza ha fior del verde.
Vero ù, che quale in contumacia more
Di santa chiesa, ancor che al fin sì penta.
Star li convicn da questa ripa in fore
Per ogni tempo, eh' egli è stato, trenta,
In sua presunzion, se tal decreto
Più corto per buon pricghi non diventa.
Vedi oramai , se tu mi puoi far lieto,
Uivelando alla mia buona Constanzn,
(JouHi mi hai visto, ed anco esto divieta '\v' "
Che qui per quei di là molto si avanza. ' r
CANTO IV.
ARGOMENTO.
Osservarioni metafisiche sugli effetti d' «no ^«sa
attenzione} astronomiche. Sale il monte con pena.
Negligenti, Belacqua.
Quando per dilettanze , ower per doglie^
Che alcuna virtù nostra comprenda)
L' anima bene ad essa si raccoglie.
Par che a nulla potenzia più intenda.
E questo è contra quello error, che crede.
Che un' anima sopr' altra in noi si accenda.
E però , quando si ode cosa , o vede,
Che tenga forte a sé P anima volta,
Vassene il tempo, e 1' ora non se ne avvede.
Che altra potenzia è quella che lo ascolta,
Ed altra è quella che ha 1' anima intera:
Questa è quasi legata, e quella è sciolta.
Di ciò ebb' io esperienzia vera.
Udendo quello spirto , ed ammirando ;
Che ben cinquanta gradi salito era
Lo sole , ed io non mi era accorto, quando
Venimmo dove quelle anime ad una
Gridaro a noi : qui é vostro dimando ; .
Maggiore aperta molte volte impruna '^;^a*«/«*«.'
Con una forcatella di sue spine
L' om della villa, quando la uva imbruna,
Che non era lo calle , onde saline
Lo duca mio ed io a presso soli.
Come da noi la schiera si partine.
Vassi in Sanleo, e discendesi in Noli,
Montasi sii Bismantova in cacume
Con esso i pie: ma qui convien che om voH,
Dico con le ali snelle e con le piume
Del gran disio , diretro a quel condotto
Che speranza mi dava , e facea lume.
Noi salevam per entro il sasso rotto,
E da ogni lato ne stringea lo stremo,
E piedi e man voleva il suol di sotto.
Quando noi fummo in su 1' orlo supremo
Dell' alta ripa , alla scoperta piaggia.
Maestro mio , diss' io , che via faremo ?
Ed egli a me: nessun tuo passo caggia !
Pur suso al monte dietro a me acquista,
Fin che ne appnja alcuna scorta saggia
Lo sommo er' alto, che vincea la vista, , r ^,i
E la costa superba più assai, \J ^ ^^w
Che da mezzo quadrante al contro li«ta. t'CW^'»*»)
Io era lasso, quando io cominciai: ^-^s^u^v
Oh dolce padre, volgiti e riuiira.
Come io rimango sol, se non ristai!
Figliol mio, disse, infin qui\i ti tira!
Additandomi un balzo un poco in sue.
Che da quel lato il poggio tutto gira.
Sì mi spronaron le parole sue.
Che io mi sfttr/.ai , carpando a presso lui,
'i'anto che il cinghio sotto i pie uii fue.
A seder ci poneuuno ivi nml)o e dui
A'olti a levante , ond' cravam saliti.
Che suole a riguardar giovar)* altrui.
Li ocelli pria dirizzai ai bassi liti,
Poscia li alzai al sole, ed ammirava.
Che da sinistra n' cravam feriti.
.fJa
[Sì]
PURGATORIO. (IV. 58— 1S9. V. 1— 10)
Ben sì avvide il popfa , che io restava
Stupido tutto al carro della luce.
Ove tra noi ed aquilone intrava.
Ond' egli a me: se Castore e Polluce
Fossero in compagnia di quello specchio,
Che su e giù del suo lume conduce,
Tu vedresti '1 zodiaco rubecchio
Ancora alle orse più stretto rotare,
Se non uscisse for del cammin vecchio.
Come ciò sia, se il vuoi poter pensare,
Dentro raccolto immagina Sion
Con questo monte in su la terra stare.
Si che ambo e due hanno un solo orizzon,
E diversi emisperi : onde la strada,
Che, mal, non seppe carreggiar Feton,
Vedrai come a costui convien che vada
Dallo un, quando a colui dallo altro fianco,
Se Io intelletto tuo ben chiaro bada.
Certo, maestro mio, diss' io, unquanco
Non vid' io chiaro si come io discemo
Là dove mio ingegno parca manco,
Clie il mezzo cerchio del moto superno.
Che si chiama equatore in alcun' arte,
E che sempre rinian tra il sole e il verno,
Per la ragion, che di% quinci si parte
Verso settentrion , quando li Ebrei
Vedevan lui verso la calda parte.
Ma, se a te piace, volentier saprei.
Quanto avemo ad andar; che il poggio sale
Più che salir non posson li occhi miei.
Ed egli a me: questa montagna è tale,
Che sempre al cominciar di sotto è grave,
E quant' om più va su , e men fa male.
Però quando ella ti parrà soave
Tanto , che il su andar ti sia leggiero.
Come a seconda in giuso andar per nave,
Allor sarai al fin di esto sentiero.
Quivi di riposar lo affanno aspetta !
Più non rispondo, e questo so per vero.
E com' egli ebbe sua parola detta.
Una voce di presso sonò : forse
Che di sedere inprima avTai distretta.
Al suon di lei ciascun di noi si torse,
E vedemmo a mancina un gran petrone,
Del qual né io, né el prima si accorse.
Là ci traemmo, ed ivi eran persone,
Che si stavano alla ombra dietro al sasso,
Come ora per negligenza a star si pone.
Ed un di Inr, che mi sembrava lasso.
Sedeva ed abbracciava le ginocchia,
Tenendo il viso giù tra esse bas<o.
Oh dolce signor mio, diss' io, adocchia
Colui , che mostra sé più negligente, ^
Che se pigrizia fosse sua sirocchia. JcA/wJ^HJ^^
Allor si volse a noi , e pose mente, ^
Movendo il viso pur su per la coscia,
E disse: or va tu su, che sei valente!
Conobbi allor chi era: e quell' angoscia, > .
Che mi avacriava un poco ancor la lena^WitWfcv
Non m' impedì h» andare a lui: e poscia • ' .
Clic a lui fui giimtn, alzò la testa a pena,
Dicendo: hai ben veduto, come il solo
Dall' omero sinistro il carro mena?
Li atti suoi pigri , e le corte parole
Mo!<son le Itibbra mie un poco n riso:
Poi cominciai : itelacqiia , a me non dote
Di te ornai : ma dimmi , per che assiso
J.J'
Quiritta sei? attendi tu iscorta,
O pur lo modo usato ti hai ripriso?
Ed ei : frate , lo andar in su che porta ?
Che non mi lascerebbe ire ai martiri
Lo angel di dio , che siede in su la porta.
Prima convien , che tanto il ciel mi aggiri
Di for da essa, quanto io feci in vita.
Per che indugiai al fin li buon sospiri,
Se orazione in prima non mi aita.
Che sorga su di cor , che in grazia viva ;
L' altra che vai, che in ciel non è udita?
E già il poeta innanzi mi saliva,
E dicea : vieni ornai ! vedi eh' è tocco
Meridian dal sole , ed alla riva
Copre la notte già col pie Marrocco.
CANTO V.
ARGOMENTO.
Nomina alcuni negligenti.
Io era già da quelle ombre partito,
E seguitava le orme del mio duca.
Quando diretro a me drizzando il dito,
Una gridò: ve', che non par che luca
Lo raggio da sinistra a quel di sotto,
E come vivo par che si conduca!
Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
E vidile guardar per maraviglia
Pur me, pur me, e il lume, eh' era rotto.
Per che lo animo tuo tanto s' impiglia.
Disse il maestro, che lo andare allenti?
Che ti fa ciò, che quivi si pispiglia?
Vion dietro a me, e lascia dir le genti!
Sta come torre fermo , che non crolla
Giammai la cima, per soffiar dei venti.
Che sempre 1' omo, in cui pensier rampolla
Sovra pensier, da sé dilunga il segno,
Per che la foga Io un dello altro insolla.
Che poteva io ridir, se non: io vegno?
Dissilo alquanto del color consperso.
Che fa 1' om di perdon tal volta degno :
E intanto per la costa di traverso
Venivan genti innanzi a noi un poco.
Cantando Miserere a verso a verso.
Quando si accorser, che io non dava loco
Per Io min corpo al trapassar dei raggi,
Mutar lor canto in un O lungo e roco;
E due di loro , in forma di messaggi,
Corsero incontra noi, e dimandarne:
Di vostra condizion fatene saggi!
E il mio nuiestro : voi potete andarne,
E ritrarre a color , che vi mandaro.
Che il corpo di costui è vera carne.
Se per veder la sua ombra restaro,
Ciune io avviso, assai è lor risposto;
Faccianli onore: ed esser piut lor caro.
Vap(U'i accesi non vid' io sì tosto
Di prima notte mai fender sereno,
Né, sol calando, nuvole di agosto,
Che color non toroaseer suso in meno:
-89]
PURGATORIO. (V. 41—130. VI. 1 — 24)
[90]
E giunti là, con li altri a noi dier Tolta,
Come schiera, che corre senza freno.
)uesta gente, che prenne a noi, è inolta^
E vengonti a pregar, di!;se il poeta:
Vero pur va, ed in andando ascolta!
)li anima , che vai , per esser lieta.
Con quelle membra , con le quai nascesti,
Venian gridando, un poco il passo queta!
jìuarda , se alcun di noi unqua vedesti,
Sì che di lui di là novelle porti!
Deh per che vai? deh per clie non ti arresti?
Soi fummo tutti già per forza morti,
£ peccatori iniìno alla ultima ora:
Quivi lume del ciel ne fece accorti
si , che pentendo e perdonando , fora
Di vita uscimmo a dio pacifìcati,
Che del disio di sé veder ne accora.
Ed io: per che nei vostri visi guati,
Aon riconosco alcun; ma se a voi piace
Cosa che io possa, spiriti ben nati,
\\}ì dite ! ed io farò per quella pace.
Che dietro ai piedi di sì fatta guida
Di mondo in mondo cercar mi si face.
|E uno incominciò: ciascun si fida
Del beneficio tuo senza giurarlo.
Pur che il voler nonpossa non ricida:
Onde io che solo innanzi agli altri parlo.
Ti prego , se mai vedi quel paese,
Che siede tra Romagna e quel di Carlo,
Che tu mi sie dei tuoi preghi cortese
In Fano sì, che ben per me si adori.
Per che io possa purgar le gravi oflese.
Quindi fu' io : ma li profondi fori.
Onde uscì U sangue, in sul quale io sedea.
Fatti mi furo in grembo alli Antenori,
Là dove io più sicuro esser credea :
Quel da Esti '1 fc far, che mi avea in ira
Assai più là, che dritto non volea.
Ma se io fossi fuggito inver la Mira,
Quando io fui sovraggiunto ad Oriago,
Ancor sarei di là, dove si spira.
Corsi al palude, e le cannucce e il brago
M' impigliar sì, che io caddi, e li vid* io
Delle mie vene farsi in terra lago.
Poi disse un altro: deh, se quel disio
Si compia, che ti tragge allo alto monte,
Con buona pietate ajiita il mio !
Io fui di Montefeltro: io son Huonconte:
Giovanna, o altri non ha di me cura,
Per che io vo tra costur con bassa fronte.
Ed io a lui : qiial forza , o qual ventura
Ti traviò sì for di Campaldino,
Che non si seppe mai tua sepoltura?
Oh , rispos' egli , a pie del Casentino
Traversa un' acqua, che lia nome lo Archiano,
Che sovra lo Ermo nasce in Apennino.
Là ove il vocabol suo diventa vano
Arriva' io , forato nella gola,
Fuggendo a piedi insanguinando il piano.
Quivi perdei la vista, e la parola
Nel ncune di Maria finì , e quivi
Caddi, e rimase la mia carne sola.
Io dico il vero, o tu il ridi tra i vivi!
Lo angel di dio uii prese, e quel d' inferpo
Gridava: oh tu dal r.iel, per che mi pri»i?
Tu te n<! porti di contui lo etorno.
Per una lacrimetta, che il mi toglie:
Ma io farò dello altro altro governo.
Ben sai , come nello aere si raccoglie
Quello umido vapor, che in acqua riede.
Tosto che sale, dove il freddo il coglie.
Giunse quel mal voler, che pur mal chiede.
Con lo intelletto, e mosse il fumo e il vento
Per la virtù, che sua natura diede.
Indi la valle, come il dì fu spento.
Da Pratomagno al gran giogo coperse
Di nebbia, e il ciel di sopra fece intento
Sì, che il pregno aere in acqua si converse :
La pioggia cadde, e ai fossati venne
Di lei ciò, che la terra non sofferse:
E come ai rivi grandi si convenne.
Ver lo fiume real tanto veloce
Si minò, che nulla la ritenne.
Lo corpo mio gelato in su la foce
Trovò lo Archian rubesto: e quel sospinse
Nello Arno , e sciolse al mìo petto la croce.
Che io fei di me, quando il dolor mi vinse:
Voltommi per le coste, e per lo fondo,
Poi di sua preda mi coperse e cinse.
Deh , quando tu sarai tornato al mondo,
£ riposato della lunga via.
Seguitò il terzo spirito al secondo.
Ricorditi di me, che son la Pia:
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
Salsi colui , che innanellata pria.
Disposando, mi avea con la sua gemma.
CANTO VI.
ARGOMENTO.
Altri negligenti. Sordello. Invettiva glibiUinescu
contro le divisioni d' Italia, e contro il governo
di Firenze,
Quando si parte il gioco della zara.
Colui che perde si riman dolente.
Ripetendo le volte, e tristo impara:
Con lo altro se ne va tutta la gente:
Qual va dinanzi , e qual diretro il prende,
E qual da lato li si reca a mente:
Ei non si arresta, e questo e quello intende:
A cui porge la man, più non fa pressa:
E così dalla calca si difende.
Tal era io in quella turba spessa.
Volgendo a loro, e qua e là la faccia,
E promettendo mi sciogliea da essa.
Quivi era lo Aretin, clic dalle braccia
Fiere di Gliin di Tacco ebbe la morte,
E lo altro, che iinnegò nirrcndo in caccia.
Quivi pregava con le mani sporto
Federico Novello, e quel da Pisa,
('he fc' parer lo buon ,^Iar/.ucco forte.
Vidi Conto Orso , e 1' anima divisa
Dal corpo suo per astio e per inveggia.
Come dicea, non per colpa rommisa ;
Pier dalla ilroiria diro: o qui i>rovvpggia,
Mcntr' «t di qua, la donna di Itr.ilKinlu
Si che però non «ia di peggior greggia.
[91]
PURGATORIO. (VI. 25—151)
Come libero fui da tutte quante
Quelle ombre, che pregar pur, che altri pregli
Sì che si avacci '1 lor divenir sante.
Io cominciai: el par che tu mi nieghi.
Oh hice mìa, espresso in alcun testo,
Che decreto del cielo orazion pieghi ;
E questa gente prega pur di questo.
Sarebbe dunque loro speme vana?
O non mi è il detto tuo ben manifesto?
Ed egli a me: la mìa scrittura è piana,
£ la speranza di costor non falla,
Se ben si guarda con la mente sana.
Che cima di giudicio non si avvalla,
Per che foco di amor compia in un punto
Ciò che dee soddisfar chi qui si aetalla:
E là dove io fermai cotesto punto,
Kon si ammendava, per pregar, difetto,
Per che il prego da dio era disgiunto.
Veramente a cosi alto sospetto
Non ti fermar, se quella noi ti dice.
Che lume fia tra il vero e lo intelletto.
Non so se intendi: io dico di Beatrice:
Tu la vedrai di sopra, in su la vetta
Di questo monte ridente e felice.
Ed io: buon duca, andiamo a maggior fretta!
Che già non mi affatico , come dianzi,
E vedi ornai, che il poggio la ombra getta.
Koi anderem con questo giorno innanzi,
Rispose, quanto più potremo omai:
Ma il fatto è di altra forma, che non stanzi.
Prima che sii lassù, tornar vedrai
Colui , che già si copre della costa, ^ ^^ \^^
Si che i suoi raggi tu romper non fai. ''^*'*^''
Ma vedi là un' anima, che posta
Sola soletta verso noi riguarda:
Quella ne insegnerà la via più tosta.
Venimmo a lei: oh anima lombarda.
Come ti stavi altera e disdegnosa,
E nel mover delli occhi onesta e tarda !
Ella non ci diceva alcuna cosa,
Ma lasciavane gir, solo guardando
A guisa di leon , quando si posa.
Pur Virgilio si trasse a lei , pregando.
Che ne mostrasse la miglior salita,
E quella non rispose al suo dimando;
Ma di nostro paese e della vita
Ci chiese; e il dolce duca incominciava:
Mantova... e la ombra tutta in sé romita
Surse ver lui del loco, ove pria stava,
Dicendo: eh Mantovano, io son Sordello
Della tua terra: e lo un lo altro abbracciava.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
Nave senza nocchiero in gran tempesta,
Non donna di province, ma bordello!
Quell' anima gentil fu cosi presta,
Sol per lo dolce suon della sua terra,
Di fare al cittadin suo quivi festa,
Ed ora in te non stanno senza guerra
Li vivi tuoi , e lo un lo altro si rode
Di quei , che un muro ed una fossa serra.
Cerca, misera, intorno dalle prode
Le tue marine, e poi ti guarda in seno.
Se alcuna parte in te di pace gode!
^''^.^^l'. l'*^'" '^'•^ " «"acconciasse il freno
Giustiniano, se la sella è vota?
Senza esso fora la vergogna meno.
Ahi gente , che dovresti esser divota.
E lasciar seder Cesare in la sella,
Se bene intendi ciò, che dio ti nota.
Guarda, com' està fiera è fatta fcllaj^!:*tiV((vV
Per non esser corretta dalli sproni, ^
Poi che ponesti mano alla predella.V-.'--' *
Oh Alberto Tedesco, che abbandoni
Costei, eh' è fatta indomita e selvaggia,
E dovresti inforcar li suoi arcioni.
Giusto giudicio dalle stelle caggia
Sovra il tuo sangue , e sia novo ed aperto,
Tal che il tuo successor temenza ne aggia!
Che avete tu e il tuo padre sofferto,
Per cupidigia di costà distretti,
Che il giardin dello imperio sia diserto.
Vieni a veder Montecchi, e Cappelletti,
Monaldi, e Filippeschi , om senza cura.
Color già tristi , e costor con sospetti !
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura ,
Dei tuoi gentili, e cura lor magagne,' • '
E vedrai Santafior com' è sicura.
Vieni a veder la tua Roma che piagne,
Vedova, sola, e dì e notte chiama:
Cesare mio, perchè non mi accompagno?
Vieni a veder la gente quanto si amai
E se nulla di noi pietà ti move,
A vergognar ti vien della tua fama !
E se licito mi è , oh sommo Giove,
Che fosti 'n terra per noi crocifìsso,
Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
0 è preparazion, che nello abisso
Del tuo consiglio fai per alcun bene
In tutto dallo accorger nostro ascisso,
Che le terre d' Italia tutte piene
Son di tiranni, ed un Marcel diventa
Ogni villan che parteggiando viene?
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
Di questa digression, che non ti tocca,
Mercè del popol tuo, che si argomenta!
Molti han giustizia in cor, ma tardi scocca.
Per non venir senza consiglio allo arco :
Ma il popol tuo r ha in sommo della bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco:
Ma il popol tuo sollecito risponde
Senza chiamare, e grida: io mi sobbarco.
Or ti fa lieta, che tu hai ben onde!
Tu ricca , tu con pace , tu con senno !
Se io dico ver, lo effetto noi nasconde.
Atene e Lacedemona, che fenno
Le antiche leggi, e furon sì civili.
Fecero al viver bene un picciol cenno,
Verso di te, che fai tanto sottili
Provvedimenti, che a mezzo novembre
Non giunge quel, che tu di ottobre fili.
Quante volte del tempo , che rimembra.
Leggi, monete, uffici, e costume
Hai tu mutato , e rinnovato membre?
E se ben ti ricordi , e vedi lume.
Vedrai te simigliante a quella inferma,
Che non può trovar posa in su le piume,
Ma con dar volta suo dolore scherma.
)3]
PURGATORIO. (VII. 1 — 126)
[94]
CANTO VII.
JRGOMENTO.
La valletta de' principi.
oscia che le accoglienze oneste e liete
Furo iterate tre o quattro volte,
Sordel si trasse, e disse: voi chi siete?
rima che a questo monte fosser volte
Le anime deg-ne di salire a dio,
Fur le ossa mie per Ottavian sepolte.
) son Virgilio; e per nullo altro rio
Lo ciel perdei, che per non aver fc:
Così rispose allora il duca mio.
|iial è colui, che cosa innanzi a sé
Subita vede, onde si maraviglia.
Che crede, e no, dicendo: ella è, non è,
ili parve quegli, e poi chinò le ciglia,
Ed umilmente ritornò ver lui,
Ed abbracciollo ove il minor si appiglia.
)h gloria dei Latin, disse, per cui
Mostrò ciò che potea la lingua nostra!
O pregio eterno del loco onde io fui,
^ual merito, o qual grazia mi ti mostra?
Se io son di udir le tue parole degno.
Dimmi, se vien' d' Inferno, o di qual chiostra?
'cr tutti i cerchi del dolente regno.
Rispose lui , son io di qua venuto :
Virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
fon per far, raa per non fare ho perduto
Di veder lo alto sol, che tu disiri,
E che fu tardi per me conosciuto.
joco è là giù non tristo da martìri,
Ma di tenebre solo, ove i lamenti
INon eonan come guai, ma son sospiri.
filivi sto io coi parvoli innocenti,
Dai denti morsi delia morte, avante
Che fosser dalla umana colpa esenti.
Quivi sto io con quei , che le tre sante
\ irtù non si vestirò , e , senza vìzio,
Conobher le altre e seguir tutte quante.
Ma se tu sai, e puoi, alcuno indizio
Dà noi, per che venir possiam più tosto
lià dove il purgatorio ha dritto inizio.
Uìspose: loco certo non ci è posto:
Licito mi è andar suso ed intorno:
l'cr quanto ir posso, a guida mi ti accosto.
ÌVI.i vedi già, come dichina il giorno
£d andar su di notte non si potè :
Però è buon pensar di bel soggiorno.
Anime sono a destra qua rimote :
Se mi consenti, io ti merrò ad esse,
E non senza diletto ti fìen note.
Ck>m^ è ciò? fu risposto; chi volesse
Salir di notte, fora egli impedito
D' altrui? o pur saria eh' ci non potesse?
K il buon Sordello in terra (regi» il dito, .1 . '' •
Dicendo: vedi, sola questa riga
Non varcheresti, dopo il sol partito:.^
Non però che altra cosa desse briga, J irry^t ^^n
Che la notturna tenebra, ad ir suso:
Quella col non poter la voglia intriga.
Ben si poria con lei tornare in giuso,
E pasbcggiar la costa intorno errando,
Mentre che 1' orizzonte il dì tien chiuso.
Allora il mio signor, quasi ammirando,
Menane, disse, adunque là ove dici
Che aver si può diietto dimorando!
Poco allungati ci eravam di liei,
Quando mi accorsi , che il monte era scemo,
A guisa, che i valloni sceman quici.
Colà, disse quella ombra, ne anderemo
Dove la costa face di sé grembo,
E là il novo giorno attenderemo. >
Tra erto e piano era un sentiero sghembo, s.tAaX
Che ne condusse in fianco della lacca, {
Là dove più che a mezzo more il lembo.
Oro , ed argento fino , e cocco , e biacca.
Indico legno lucido e sereno, i /
Fresco smeraldo in la ora, che si fiacca, li^cw^
Dalla erba e dalli fiori entro quel serio '
Posti, ciascun saria di color vinto.
Come dal suo maggiore è vinto il meno.
Non avea pur natura ivi dipinto,
Ma di soavità di mille odori
Vi facea un incognito indistinto.
Salve, Regina, sul verde e su i fiori
Quivi seder cantando anime vidi,
Che per la valle non parean di fori.
Prima che il poco sole ornai si annidi.
Cominciò il Mantoan, che ci avea volti,
Tra color non vogliate che io vi guidi!
Da questo balzo meglio li atti e i volti
Conoscerete voi di tutti quanti, I '
Che nella lama giù tra essi accolti. .^tt^'U,iA"■'^^
Colui che più siede alto, ed ha sembianti I /
Di aver negletto ciò che far dovea,
E che non move bocca agli altrui canti,
Ridolfo imperator fu, che potea
Sanar le piaghe che hanno Italia morta.
Sì che tardi per altri si ricrea.
Lo altro, che nella vista lui conforta.
Resse la terra, dove 1' acqua nasce.
Che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:
Ottachero ebbe nome, e nelle fasce
Fu meglio assai che Vincislao suo figlio
Barbuto, cui lussuria ed ozio pasce.
E quel nasuto, che stretto a consiglio
Pare con lui, che ha sì benigno aspetto.
Morì fuggendo, e disfiorando il giglio:
Guardate là, come si batte il petto!
Lo altro vedete, che ha fatto alla guancb
Della sua palma, sospirando, letto!
Padre e socero son del mal di Francia:
Sanno la vita sua viziata e lorda,
E quindi viene il duol che sì li lancia.
Quel che par si membruto , e che si acconta
Cantando con colui dal muschio naso,
D' ogni valor portò cinta la corda.
E se re dopo lui fosse riinaso ^
Lo giovinetto che retro a lui siede.
Rene andava il valor di vaso in vaso;
Che non si puote dir delle altre rvóv,
Jacopo , e Federico hanno i reami :
Del retaggio miglior nessun possiede.
Rade volte risorge per li rami
La umana probitadc: e questo vuole
Quei che la dà , per che da lui si chiami.
Anco al nasuto vanno mie parole
Non mcn che allo altro, Pier, che con lui canU:
Onde Puglia e Provenza già sì duole.
[95]
PURGATORIO, (virm— im vm. i— m)
[96;
Tanto è del seme suo minor la pianta,
Quanto più che Beatrice e Margherita,
Cunstanza dì marito ancor i^i vanta.
Aedele il re della semplice vita
Seder là solo, Arrigo d' Inghilterra: .
Questi ha nei rami suoi migliore uscita^^'^M'^^"'**^'^
Quel , che più basso tra costor si atterra
Guardando insuso, è Guglielmo Marchese,
Per cui ed Alessandria, e la sua guerra
Fa pianger Monferrato e il Canavese,
CANTO Vili.
ARGOMENTO.
òiera. Due angeli armati. Biscia. Currado Mala-
spina predice al poeta V esilio.
£ra già la ora che volge il disio
Ai naviganti , e intenerisce il core,
Lo di che han detto ai dolci amici a dio,
E che lo novo peregrio di amore
Punge, se ode squilla di lontano,
Che paja il giorno pianger che si more:
Quando io incominciai a render vano
Lo udire, ed a mirare una delle alme
Siirta, che lo ascoltar chiadea con mano.
Ella giunse, e levò amhe le palme,
Ficcando li occhi verso 1' oriente.
Come dicesse a dio, di altro non calme. -
Te lucis ante sì divotamente
Le uscì di bocca, e con si dolci note.
Che fece me a me uscir di mente;
E le altre poi dolcemente e divote
Seguitar lei per tutto lo inno intero,
Avendo li occhi alle superne rote.
Aguzza qui, lettor, hen li occhi al vero!
Che il velo è ora ben tanto sottile,
Certo, che il trapassar dentro è leggiero,
lo vidi quello esercito gentile
Tacito poscia riguardare in sue,
Quasi aspettando, pallido ed umile,
E vidi uscir dello alto , e scender giue
Due angeli con due spade affocate
Tronche e private delle punte sue.
Verdi, come fogliette pur mo nate,
Erano in veste, che da verdi penne
Percosse traèn dietro e ventilate.
Lo un poco sovra noi a star si venne,
E lo altro scese in la opposita sponda,
Si <;he la gente in mf<izzo sì ctmtenne.
Ben discerneva in lor la testa bionda:
Ma nelle facce 1' occhio si smarria,
Come virtù, che a troppo si confondo.
Ambo vegnon del grembo di Maria,
Disse Sordello, a guardia della valle,
Per lo ser|iente che verrà via via.
Onde io che non sapeva, per qual csille.
Mi volsi 'ntorno, e stretto mi accostai
Tutto gelato ulU; fidate spalle.
E Sordello anche: av\itlliuiii omai
Tra le grandi ombre , u parleremo ad ejse !
Grazioso fia lor vedervi assai. . -
Soli tre passi credo iihe io scendesse,
E fui di sotto , e vidi un che mirava
Pur me, come conoscer mi volesse.
Tempo era già, che lo aer si annerava,
I Ma non sì, che tra li occhi suoi e i miei
Non dichiarisse ciò che pria serrava.
Ver me si fece, ed io ver Ini mi fei:
Giudice Nin gentil, quanto mi piacque,
Quando ti vidi non esser tra i rei!
Xullo bel salutar tra noi si tacque:
Poi dimandò: quanto è, che tu venisti
A pie del monte per le lontane acque.''
Oh, dissi lui, per entro i lochi tristi
\enni stamane, e sono in prima vita.
Ancor che l' altra sì andando acquisti,
E come fu la mia rì^^posta udita,
Sordello ed egli indietro si raccolse,
Come gente di subito smarrita.
Lo uno a Virgilio, e lo altro ad un si volse
Che sedea lì, gridando: su Currado,
\ieni a veder, che dio per grazia volse!
Poi volto a me: per quel singoiar grado,
Che tu dei a colui, che sì nasconde
Lo suo primo per che , che non li è guado,
Quando sarai di là dalle larghe onde,
Dì a Giovanna mia, che per me chiami
j Là dove alli 'nuocenti si risponde.
j \on credo che la sua madre più mi ami,
1 Poscia che trasmutò le bianche hende.
Le quai cnnvien , che misera ancor bramì.
Per lei assai di lieve si comprende,
Quanto in femmina foco di amor dura,
Se r occhio o il tatto sjjcsso noi raccende.
Non le farà sì bella sepoltura
La vipera , che i Milanesi accampa,
Come avria fatto il gallo di Gallura.
Così dicea , segnato della stampa
Nel suo aspetto di quel dritto zelo,
Che misuratamente in core avvampa.
Li occhi miei ghiotti andavan pure al cielo.
Pur là , dove le stelle son più tarde,
Sì come rota più presso allo stelo.
E il duca mio: fìgliol , che là su guarde?
Ed io a lui : a quelle tre facelle.
Di che il polo di qua tutto quanto arde.
Ed egli a me: le quattro chiare stelle.
Che vedevi staman , son di là basse;
E queste son salite ov' eran quelle.
Com' el parlava, e Sordello a sé il trasse.
Dicendo: vedi là il nostro avversaro,
E drizzò il dito , per che in là guatasse.
Da quella parte, onde non ha riparo
La picriola vallea, era una biscia,
Forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
Tra la erba e i fior venia la mala striscia,
Volgendo ad or ad or la testa, e il dos
Leccando, come bestia che si liscia.
lo noi vidi , e però dicer noi posso,
Como mosser li astor celestiali:
Ma vidi bene e lo uno e lo altro mosso.
Sentendo fender Io aere alle verdi ali,
Foggio il serpente, e li angeli dier volta
Suso alle poste rivol.indo eguali.
La ombra, che si era al Criiidice raccolta,
Quando chiamò per tutto quello assalto
l'unto non fu da me guardare i^ciolta.
97]
PURGATORIO. (VIU. 112—139. IX.l— 94)
e la lucerna, che ti mena in alto,
Trovi nel tuo arbitrio tanta cera,
Quanto è mestiere insino al sommo smalto^
ominciò ella, se novella vera
Di Valdimagra, o di parte vicina
Sai, dilla a me, che già grande là era!
hiamato fui Currado Mala^pina ;
]\on son lo antico, ma di lui discesi:
Ai miei portai lo amor, che qui raffina,
ih , dissi lui , per li vostri paesi
Giammai non fui; ma dove si dimora
Per tutta Europa , eh' ei non sien palesi ?
,a fama, che la vostra «asa onora,
Grida i signori, e grida la contrada.
Si che ne sa chi non vi fu ancora.
]d. io vi giuro, se io di sopra vada,
Che vostra gente orrata non si sfregia -."O^l'-'V '.
Del pregio della borsa, e della spadaT ^
dèo e natura sì la privilegia,
' Che, per che il capo reo lo mondo torca,
I Sola va dritta, e il mal cammin dispregia.
^d egli: or va, che il sol non si ricorca
Sette volte nel letto , che il montone
Con tutti e quattro i pie copre ed inforca,
3he cotesta cortese opinione
Ti fia chiavata in mezzo della testa
Con maggior chiovi, che di altrui sermone;
ìe corso di giudicio non ei arresta.
CANTO IX,
ARGOMENTO,
dlba. Sogna, e vien portato il poeta alla porta del
jiurgatorio.
La concubina di Titone antico
Già s' imbiancava al balzo di oriente, - )ì"nv>>^
For delle braccia del suo dolce amico:'
Di gemme la sua fronte era lucente,
Poste in figura del freddo animale.
Che con la coda porcote la gente:
E la n<»tte dei pasjii , con che sale,
Fatti avea due nel loco ov' eravamo,
E il terzo già chinava ingiuso le ale:
Quando io, che meco avea di quel di Adamo,
Vinto dal sonno in su la erba inchinai
Là ove già tutti e cinque sedevamo.
Nella ora, che comincia i tristi lai
La rondinella presso alla mattina,
Forse a memoria dei suoi priuii grai,
E che la mente nostra peregrina
Più dalla carne , e men dai pensier presa,
Alle sue vision quasi è divina.
In Hogno mi parca veder sospesa
Un' aquila nel ciel con penne di oro.
Con le ali aperte, ed a calare intesa:
Ed esser mi parca là, dove foro
Abliandonati i suoi da (;aniiiiedn,
Quando fu ratto al soinnio concistoro.
Fra me pensava: forse ijuesta ficdo
Tur qui per uso, e forse «li aitni loco
Disdegna di portarne bUdo in piede.
m
Poi mi parea, che più rotata un poco,
Terribil, come folgor, discendesse,
E me rapisse suso infino al foco.
Ivi parea , eh' ella ed io ardesse,
E si lo incendio immaginato cosse,
Che convenne che il sonno si rompesse.
Non altrimenti Achille si riscosse,
Li occhi svegliati rivolgendo in giro,
E non sapendo là dove si fosse.
Quando la madre da Chirone a Scìro
Trafugò lui dormendo in le sue braccia.
Là, onde poi li Greci il dipartirò.
Che mi scoss' io, sì come dalla faccia
Mi fuggì '1 sonno, e diventai smorto,
Come fa l' om , che spaventato agghiaccia.
Da lato mi era solo il mio conforto,
E il sole er' alto già, più di due ore,
E il viso mi era alla marina torto.
Non aver tèma , disse il mio signore ;
Fatti sicur, che noi siamo a buon punto.
Non stringer, ma rallarga ogni vigore!
Tu sei omai al purgatorio giunto:
Vedi là il balzo , che il ciiiude dintorno !
Vedi la entrata, dov' el par disgiunto!
Dinanzi all' alba , che precede il giorno.
Quando 1' anima tua dentro dorraia.
Sopra li fiori, onde là giù è adorno.
Venne una donna, e disse: io son Lucia:
Lasciatemi pigliar costui, che dorme!
Si lo agevolerò per la sua via.
Sordel rimase, e le altre gentil forme:
Ella ti tolse , e come il di fu chiaro,
Sen venne suso, ed io per le sue orme*
Qui ti posò : e pria mi dimostraro
Li occhi suoi belli quella entrata aperta,
Poi ella e il sonno ad una se ne atidaro
A guisa di oni, che in dubbio si raccerta,
E che muti 'n conforto sua paura,
Poi che la verità li è discoveita,
Mi cambia' io: e come senza cura
A'idemi 'l duca mio, su per lo balzo
Si mosse, ed io dietro inver l' altura.
Lettor , tu vedi ben , come io innalzo
La mia materia, e però con più arte
Non ti maravigliare, se io la rincalzo
Noi ci appressanuno, ed eravamo in pai (e.
Che là , dove pareami in prima un rotto.
Pur come un fesso che muro diparte,
Vidi una porta, e tre gradi di sotto
Per gire ad essa di color diversi.
Ed un portìer, clic ancor non facea motto.
E come 1' occhio più e più vi apersi,
Vidil seder sopra il grado soprano,
Tal nella faccia, che io non lo sofTcrsi:
Ed una spada nuda aveva in mano,
Che rifletteva i raggi sì ver noi.
Che io dirizzava spesso il viso ia vano.
Ditel costinci , che volete voi ?
Cominciò egli a dire: ov' è la scorta?
Guardate, riie il venir su non vi noi!
Donna del ciel, di queste cose accorta,
Rispose il mio maestro a Ini , pur dinanzi
Ne disse: andate là, che ivi ò la porta.
lùl ella i pafisi vostri in bene avanzi !
Ui<'iiiiiÌ!i(-iò il cortese porlinajo :
Venite dunque ai nostri gradi innanzi!
Là no venimmo: e lo scagliuu primajo
[99]
PURGATORIO. (TX. 95—145. X. 1—56)
[100]
Bianco marmo era sì pulito e terso,
Che io mi speccliiava in esso, qual io pajo.
Era il secondo tinto , più che perso,
Di una petrina ruvida ed arsiccia,
Crepata per Io lungo e per traverso.
Lo terzo, che di sopra si ammassiccia,
Porfido mi parea sì fiammeggiante,
Come sangue, che for di vena spiccia.
Sopra questo teneva ambo le piante
Lo angel di dio, sedendo in su la soglia.
Che mi sembiava pietra di diamante.
Per li tre gradi su di buona voglia
Mi trasse il duca mio, dicendo: chiedi
Umilemente, che il serrame scioglia!
Divoto mi gittai ai santi piedi,
Misericordia chiesi , che mi aprisse.
Ma pria nel petto tre fiate mi diedi.
Sette P nella fronte mi descrisse
Col punton della spada, e: fa che lavi,
Quando sei dentro, queste piaghe! disse.
Cenere, o terra, che secca si cavi,
Di un color fora col suo vestimento,
E di sotto da quel trasse due chiavi.
La una era di oro, e 1' altra era di argento:
Pria con la bianca, e poscia con la gialla
Fece alla porta si, die io fui contento.
Quandunque la una di este chiavi fdUa, , v \
Che non si volga dritta per la toppa, l'"l*v*<'*w*^^
Diss' egli a noi , non si apre questa calla.
Più cara è la una , ma 1' altra vuol troppa
Di arte e d' ingegno , avanti che disserri,
Per eh' ella è quella, che il nodo disgroppa.
Da Pier le tengo: e dissemi, che io erri
Anzi ad aprir, che a tenerla serrata.
Pur che la gente ai piedi mi si atterrì.
Poi pinse lo uscio alla parte sacrata.
Dicendo: entrate! ma facciovi accorti,
Che di for torna chi 'ndietro si guata.
E quando fur nei cardini distorti
Li spigoli di quella regge sacra, „ v*v{ ^ {«vL». j
Che di metallo son sonanti e forti, ^' » '
Non roggio sì, né si mostrò sì aera
Tarpèa , come tolto le fu il buono
Metello, per che poi rimase macra.
Io mi rivoUi attento al primo tuono,
E Te Dcum laiidamus mi parea
Udire in voce mista al dolce suono.
Tale immagine a punto mi rendea
Ciò che io udiva, qual prender si suole.
Quando a cantar con organi si stea.
Che or sì, or no s' intendon le parole.
CANTO X.
ARGOMENTO.
Porta del purgatorio diviso in sette balzi o giri pe'
peccati sette cardinali. Primo giro: i superbi, che
sostetigono gravi pesi. Intugliati intorno alcuni
esempi d' umiltà.
Poi fummo dentro al soglio della porta.
Che il malo amor delle anime disusa.
Per che fa parer dritta la via torta,
Sonando la sentii esser richiusa:
E se io avessi li occhi volti ad essa,
Qual fora stata al fallo degna scusa?
Noi salevam per una pietra fessa,
Che si moveva da una e d' altra parte.
Si come la onda , che fugge e si appressa.
Qui si convien usare un poco di arte.
Cominciò il duca mio , in accostarsi
Or quinci or quindi al lato, che si parte.
E questo fece i nostri passi scarsi
Tanto, che pria lo scemo della luna
Rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
Che noi fossimo for di quella cruna.
Ma quando fummo liberi e aperti
Là do^e il monte indietro si rauna,
Io stancato, ed ambi e due incerti
Di nostra via, ristemmo su in un piano
Soliiigo più , che strade per diserti.
Dalla sua sponda, ove confina il vano,
A pie dell' alta ripa, che pur sale,
Misurrebbc in tre volte un corpo umano :
E quanto l' occhio mio potea trar di ale,
Or dal sinistro , ed or dal destro fianco.
Questa cornice mi parca cotale.
Là su non eran mossi i pie nostri anco.
Quando io conobbi quella ripa intorno,
Che dritto di salita avea manco,
Esser di marmo candido, ed adorno
D' intagli sì, che non pur Policleto,
Ma la natura lì averebbe scorno.
Lo angel , che venne in terra col decreto
Della molti anni lacrimata pace.
Che aperse il ciel dal suo lungo divieto.
Dinanzi a noi pareva si verace,
Quivi intagliato in un atto soave,
Clio non sembiava immagine che tace.
Giurato si saria, eh' el dicesse Ave:
Però che ivi era immaginata quella.
Che ad aprir lo alto amor volse la chiave.
Ed avea in atto impressa està favella,
l'kce ancilla dei, sì propriamente,
Come figura in cera si suggella.
Non tener pur ad un loco la mente!
Disse il dolce maestro , che mi avea
Da quella parte , onde il core ha la gente :
Per che io uii mossi col viso, e vedea
Direlro da Maria per quella costa.
Onde mi era colui che mi movea.
Un' altra istoria nella roccia imposta:
Per che io varcai Virgilio, e femmi presso.
Acciò die fos^e alli occhi miei disposta.
Era intagliati» lì nel marmo istesso
Lo curro, u i boi, traendo 1' arca eanta,
101]
PURGATORIO. (X. 57-139. XI. 1-37)
Per che si teme ufÌGÌo non commesso,
inanzi parca gente , e tutta quanta
Partita in sette cori, ai duo miei sensi
Faceva dir , lo un no , lo altro si canta,
imilemente al fummo dell' incensi,
Che \i era immaj^inato , e li occhi e il naso,
Ed al sì ed al no discordi fensi.
[ precedeva al benedetto vaso
Trescando alzato lo umile salmista,
E più e men che re era in quel caso. .
i centra effigiata ad una vista ^
Di un gran palazzo Micòl ammirava,
Si come donna dispettosa e trista,
mossi i pie del loco, dove io stava,
Per avvisar da presso un' altra storia.
Che diretro a Micùl mi biancheggiava.
alvi era storiata 1' alta gloria
Del roman principato , il cui valore
Mosse Gregorio alla sua gran vittoria:
dico di Trajann imperatore :
Ed una vedovella li era al freno.
Di lagrime atteggiata e di dolore. <
'intorno a lui parca calcato e pieno
Di cavalieri , e le aquile dell' oro
Sovresso in vista al vento si moviéno.
la miserella infra tutti costoro
Parca dicer : Signor , fammi vendetta
Del mio figliol eh' è morto, onde io mi accoro!
ìd egli a lei rispondere: ora aspetta
Tanto che io torni! e quella: signor mio,
Come persona in cui dolor si aftrctta :
ìe tu non torni.'' ed el : chi fia dove io,
La ti farà ; ed ella : lo altrui bene
A te che fia , se il tuo metti in obblio ?
)nd' elli : or ti conforta! che conviene
Che io solva il mio dovere, anzi che io mova.
Giustizia vuole, e pietà mi ritiene.
!olui, che mai non vide cosa nova,
Produsse esto visibile parlare,
Kovello a noi, per che qui non si trova,
llentre io mi dilettava di guardare
Le immagini di tante umilitadi,
E per lo fakbro loro a veder care,
Seco di qua, ma fanno i passi radi.
Mormorava il poeta, molte genti: .
Questi ne invicranno allì alti gradi. »tv<.»s«^
li occhi miei, che a mirar erano intenti
Per veder novitadi, onde son vaghi.
Volgendosi ver lui non fiiron lenti.
Kon vo' per«i, lettor, che tu di smaghi
Di buon proponimento , per udire.
Come dio vuol , che il debito ^i paghi.
Non attender la forma del martire !
Pensa la succession! pen-^a che, a peggio,
Oltre la gran sentenzia non può ire !
Io cominciai : maestro , qncl , che io veggio
Mover a noi, non mi sembran persone,
E non so che ; sì nel veder van(;ggio.
Ed egli a me: la grave condizione
Di lor tormento u terra li rannic<-hia . , '
Sì , che i mici occhi pria n' eliber tenzone.
Ma guarda fiso là, e disviticchia
Col viso «|ucl, che vien sotto a quei sassi!
Già scorger puoi , rome ciascun si picchin-
oli superbi Cristian , miNcri, biH-ii, ,
Che della \i-ta della mente infermi,"
Eiduuza avete nei ritrosi pasei!
[102]
Non vi accorgete toì, che noi siam vermi
Nati a formar 1' angelica farfalla.
Che vola alla giustizia senza schermi?
Di che lo animo vostro in alto galla.''
Voi siete quasi entomata in difetto,
Sì come verme, in cui formazion falla. </< >
Come per sostentar solajo o tetto AuL^-
Per mensola tal voffa una figura
Si vede giunger le ginocchia al petto,
La qual fa del non ver vera rancura
Nascer a chi la vede; così fatti
Vid' io color, quando posi ben cura.
Vero è , che più e meno eran contratti.
Secondo che avean più e meno a dosso;
E qual più pazienza avca nelli atti,
Piangendo parea dicer : più non posso.
CANTO XI.
ARGOMENTO.
Parafrasi del Pater noster. Tra i Superbi un nobile,
un jHitore, un potente. Breve durata dell 'umana
storia.
Oh padre nostro, che nei cieli stai,
Non circonscritto, ma per più amore.
Che ai primi effetti di là su tu hai,
Laudato sia il tuo nome e il tuo valore
Da ogni creatura, com' è degno
Di rentier grazie al tuo dolce vapore!
Vegna ver noi la pace del tuo regno !
Che noi ad essa non potem da noi,
S' ella non vien, con tutto nostro ingegno.
Come del suo voler li angeli tuoi
Fan sacrifìcio a te , cantando osanna,
Co»i f.icciano li omini dei suoi !
Dà oggi a noi la cotidiana manna.
San/a la qual per questo aspro diserto
1 A retro va, chi più di gir si afl'anna.
jE come noi lo nuil, che avem sofferto,
' Perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
' Henigno, e non guardare al nostro merto!
Nostra virtù, che di leggier si adona,
I Non spcrmentar con lo antico avversare,
I ì\Ia libera da lui , che »ì la sprona !
Questa ultima preghiera, signor caro,
I Già non si fa per noi , che non bisogna,
j Ma per color, che dietro a noi rcstaro.
Così a sé e noi buona raniogna
Quelle ombre orando nndavan sotto il pondo,
I Simile a quel che tal volta si sogna,
{ Disparinentc angosciate tutte ii tondo,
E lasst; su per la prima cornice.
Purgando la caligine del mondo.
Se di là sempre ben per noi ^i dice.
Di qua che dire e far per lor si pnoto
Da i|ii<-i, <°lie hanno al voler bona radice?
Den si dee loro aitar lavar le note,
(vite portar (|uinei, sì clic mondi e Ic^i
l'ossano n>eìrK alle stellate rote.
Deh, se giustizia e pietà vi disgrcvi
[103]
PURGATORIO. (XT. 38—142. Xn. 1—17)
Tosto, 8Ì che possiate mover 1' ala,
Che secondo il disio vostro vi levi,
Mostrate, da qual mano inver la scala
Si va più corto; e se ci è più di un varco,
Quel ne insegnate, che meo erto cala!
Che questi che vien meco , per Io incarco
Della carne di Adamo, onde si veste,
Al montar su contra sua voglia è parco.
Le lor parole, che renderò a queste
Che dette avea colui cu' io seguiva,
Kon fur da cui venisser manifeste;
Ma fu detto: a man destra per la riva
Con noi venite, e troverete il passo
Possibile a salir persona viva.
£ se io non fossi impedito dal sasso,
Che la cervice mia superba doma,
Onde portar conviemmi '1 viso basso,
Cotesti, che ancor vive, e non si noma,
Guardere' io, per veder se io il conosco,
E per farlo pietoso a questa soma.
Io fui Latino , e nato di un gran Tosco :
Guiglielmo Aldobrandcschi fu mio padre:
Non so se il nome suo giammai fu vosco.
Lo antico sangue , e le opere leggiadre
Dei miei maggior mi fer sì arrogante,
Clie non pensando alla comune madre,
Ogni omo ebbi 'n dispetto tanto avante.
Che io ne morii, come i Sauesi sanno,
E salio in Carnpagnatico ogni fante.
Io sono Oniberto ; e non pure a me danno
Superbia fé', che tutti i mici consorti
Ha ella tratti seco nel malanno.
£ qui convien , che io questo peso porti
Per lei, tanto che a dio si satisfaccia.
Poi che io noi fei trai vivi, qui trai morti:
Ascoltando chinai in giù la faccia:
E un di lor (non questi che parlava)
Si torse sotto il peso, che lo impaccia,
£ videmi , e connbbemi , e chinmava,
Tenendo li occhi con fatica fisi
A me , che tutto chin con loro andava.
Oh, diss' io lui, non sei tu Oderisi,
L' onor di Eugubio, e 1' onor di quell' arte.
Che alluminare è chiamata in Parisi?
Frate, diss egli, più ridon le carte,
Che pennelleggia Franco Bolognese:
L' onore è tutto or suo, e mio in parte.
Ben non sare' io stato si cortese.
Mentre che io vissi, per Io gran disio
Della eccellenza , ove mio core intese.
Di tal superbia qui si paga il Co:
Ed ancor non sarei qui, se non fosse.
Che, possendo peccar, mi volsi a dio.
Oh vanagloria delle umane posse !
Coin' poco verde in su la cima dura.
Se non è giunta dall' etadi grosse I
Credette Ciinabue nella pintura
'J'ener Io cauijio, ed ora ha Giotto il grido,
Sì che la fama di colui è oscura.
C'oi-i ha tolto lo uno allo altro Guido
La gloria d(lla lingua: e forse è nato
Chi lo uno e lo altro caccerà di nido.
Xon è il raondan romoro altro che uu flato
Di vento, che or vien quinci, ed or vien quindi,
E muta nome, per che muta lato.
Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
Da te la carne, che se fonui morto
[104]
Innanzi che lasciassi il pappo e il dindi.
Pria che passin mille anni? clf è più corto
Spazio allo eterno, che un mover di ciglia
Al cerchio, che più tardi in cielo è torto.
Colui , che del cammin sì poco piglia
Dinanzi a te, Toscana sonò tutta
Ed ora a pena in Siena sen pii^piglia,
Ocd' era sire, quando fu distrutta
La rabbia fiorentina, che superba
Fu a quel tempo , sì come ora è putta.
La vostra nominanza è color di erba,
Che viene e va, e quei la discolora.
Per cui ella esce della terra acerba.
Ed io a lui: lo tuo ver dir m' incora
Buona umiltà, e gran tumor mi appiani:
Ma chi è quei, di cui tu parlavi ora?
Quegli è , ris^jose , provenzan Salvanì,
Ed è qui , per che fu presuntuoso
A recar Siena tutta alle sue mani.
Ito è così, e va senza riposo
Poi che morì: cotal moneta rende
A satisfar, chi è di là tropp' oso.
Ed io : se quello spirito che attende.
Pria che si penta, 1' orlo della vita.
Là giù dimora, e qua su non ascende.
Se buona orazion lui non aita,
Prima che passi tempo quanto visse.
Come fu la venuta a lui largita?
Quando vivca più glorioso, disse,
Liberamente nel campo di Siena,
Ogni vergogna deposta, si affisse:
E lì , per trar lo amico suo di pena.
Che sostenea nella prigion di Carlo,
Si condusse a tremar per ogni vena.
Più non dirò, e scuro so che parlo:
Ma poco tempo andrà, che i tuoi vicini
Faranno sì, che tu potrai chiosarlo.
Questa opera li tolse quei confini.
CANTO XII.
ARGOMENTO.
Esempj d' umiliata e punita superbia.
Di pari , come boi che vanno a giogo.
Mi andava io con quella anima carca,
Fin che il sofferse il dolce pedagogo.
Ma quando disse: lascia lui, e varca!
Che qui è buon con la vela e coi rem!.
Quantunque può ciascun, pinger sua barca:
Dritto , sì come andar vuoisi , rifemi
Con la persona, avvegna che i pensieri
Mi riuiiinesscro e chinati e scemi.
Io mi era mosso, e seguia volentieri
Del mio maestro i passi , ed ambi e dae
Già mostravam coni' eravam leggieri,
Quando mi disse: volgi li occhi in giuc!
Buon ti sarà, per alleggiar la via,
V'eder lo letto delle piante tue.
Come, per che di lor memoria fia,
Sovr' ai sepolti le tombe terragne.
105]
PURGATORIO. (XII. 18—136. XIII. 1—2)
[106]
Portan segnato quel eh' elli eran pria:
•nde li molte volte se ne piagne
Per la puntura della rimembranza.
Che solo ai pii dà delle calcagne:
1 vid' io lì , ma di miglior sembianza.
Secondo lo artificio , fig-iirato,
Quanto per via di for del monte avanza,
cdea colui, che fu nobil creato
Più di altra creatura, giù dal cielo
Folgoreggiando scender da un lato,
edera Briareo , fitto dal telo
Celestial , giacer dall' altra pjirte,
(ìrave alla terra per lo mortai gelo,
tedea Timbreo, vedea Pallade, e Marte
Armati ancora intorno al padre loro,
Mirar le membra dei giganti sparte,
i edea Nembròtto a pie del gran lavoro
Quasi smarrito, e riguardar le genti,
Che in Sennaàr con lui superbi foro.
Oh INiobe, con che occhi dolenti
\ edeva io te segnata in su la strada
Tra sette e sette tuoi figlioli spenti !
Oh Saul , come in su la propria spada
Quivi parevi morto in Gelboè,
Che poi non sentì pioggia , né rugiada !
Oli folle Aracne, si verlea io te.
Già mezza ragna, trista, in su li stracci
Della opera, che mal per te si fé' !
Oh Koboàm, già non par che minacci
Quivi il tuo segno; ma pien di spavento,
?^el porta un carro, prima che altri '1 cacci.
|M()strava ancora il duro pavimento.
Come AImcone a sua madre fc' caro
Parer lo sventurato adornamento.
Mostrava, come i figli si gittaro
Sovra Sennanherib dentro dal tempio,
E come morto lui quivi lasciaro.
Mostrava la ruina, e il crudo scempio,
Che fc' Tarairi, quando disse a Ciro:
Sangue sitisti, ed io di sangue ti empio.
Mostrava, come in rotta si fuggirò
Li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
E anche le reliquie del martiro.
Vedeva Troja in cenere e in caverne:
Oh Ilión, come te basso e vile
Mostrava il segno che li si discerne!
Qual di pcnnel fu maestro o di stile,
Che ritraesse le omltre e li atti, che ivi
Mirar farieno uno ingegno sottile.''
Morti li morti , e i vivi parcan vivi.
Kon vide mei di me, chi vide il vero, r<v>-^^
Quanto io calcai , fin che chinato givi.
Or superbite, e via col viso altiero.
Figlioli di Eva , e non chinate il volto.
Sì che veggiate il vostro mal sentiero!
Più era già per noi del monte volto,
E del cammin del sole assai più speso.
Che non stimava lo animo non sciolto,
Quando colui , che sempre innanzi atteso
Andava, cominciò: drizza la testa!
Mon è più tempo da gir sì sospeso.
Vedi colà un angel, che si appresta
Per venir verso noi; vedi, che torna
Dal servigio del dì 1' ancella sesta.
Di riveren/.a li atti e il viso adorna,
Sì che i diletti lo inviarci 'n sus(» !
Pensa che questo dì mai no» raggiorna!
Io era ben del suo ammonir uso.
Pur di non perder tempo, sì che in quella
Materia non potea parlarmi chiuso.
A noi venia la creatura bella.
Biancovestita, e nella faccia, quale
Par tremolando mattutina stella.
Le braccia aperse, ed indi aperse le ale:
Disse: venite, qui son presso i gradi,
Ed agevolemente omai si sale.
A questo invito vengon molto radi:
Oh gente umana per volar su nata.
Per che a poco vento così cadi?
Menocci ove la roccia era tagliata:
Quivi nii battéo le ali per la fronte,
Poi mi promise sicura 1' andata.
Come a man destra , per salire al monte,
Dove siede la chiesa, che soggioga
La ben guidata sopra Rubaconte,
Si rompe del montar V ardita foga
Per le scalee, che si fero ad etade,
Ch' era sicuro il quaderno e la doga:
Così si allenta la ripa , che cade
Quivi ben ratta dallo altro girone:
Ma quinci e quindi 1' alta pietra rade.
Noi volgendo ivi le nostre persone,
Beati pauperes spiritii , voci
Cantaron sì, che noi diria sermone.
Ahi quanto son diverse quelle foci
Dalle infernali! che quivi per canti
Si entra, e là giù per lamenti feroci.
Già montavam su per li scaglion santi.
Ed esser mi parca troppo più lieve,
Che per lo pian non mi parca davanti.
Onde io : maestro , di', qual cosa greve
Levata si è da me, che nulla quasi
Per me fatica andando si riceve.''
Rispose: quando i P, che son rimasi
Ancor nel volto tuo , presso eh' estinti
Saranno, come lo un, del tutto rasi,
Fien li tuoi pie dal buon voler sì vinti.
Che non pur non fatica sentiranno.
Ma fia diletto loro esser su pinti.
AUor fec' io come color, che vanno
Con cosa in capo non da lor saputa.
Se non che i cenni altrui suspicar fanno:
Per che la mano ad accertar si ajuta,
E cerca , e trova , e quello uficio adempie,
Che non si può fornir per la veduta.
E con le dita della destra scempie
Trovai pur sei le lettere, che incise
Quel dalle chiavi a me sovra le tempie:
A che guardando il mio duca sorrise.
CANTO XIIL
ytnCOMENTO.
Secondo balzo, ove si purpa V invidia. Sapia,
donna sancsc.
Noi crnvnmo ni sommo della scala.
Ove sccundaiucntu si risega
[lOÌ]
PURGATORIO. (XIII. 3— 136)
[108
Lo monte, che salendo altrui dlsmala.
Itì così una cornice lega
Dintorno il poggio, come la primaja,
Se non che lo arco suo più tosto piega.
Ombra non lì è , né segno che si paja:
Par si la ripa, e par sì la via schietta»
Col livido color delia petraja.
Se qui per dimandar gente si aspetta,
Ragionava il poeta , io temo forse,
Che troppo avrà d' indugio nostra eletta.
Poi fisamente al sole li occhi porse:
Fece del destro lato al mover centro,
E la sinistra parte di sé torse.
Oh dolce lume, a cui fidanza io entro
Per lo novo cammin, tu ne conduci,
Dicea, come condur si vuol quinci entro:
Tu scaldi 1 mondo : tu sovra esso luci :
Se altra cagione in contrario non pronta,
Esser den sempre li tuoi raggi duci.
Quanto di qua per un miglio si conta,
Tanto di là eravam noi già iti
Con poco tempo, per la voglia pronta.
E verso noi volar furon sentiti,
Kon però visti, spiriti parlando
Alla mensa di amor cortesi invitL
La prima voce , che passò volando,
f inum non habent, altamente disse,
E dietro a noi lo andò reiterando.
E prima, che del tutto non si udisse.
Per allungarsi , un' altra , io sono Oreste,
Passò gridando, ed anche non si affisse.
Oh, diss' io, padre, che voci son queste?
E come io dimandai , ecco la terza
Dicendo: amate da cui male aveste!
Lo buon maestro: questo cinghio sferza
La colpa della invidia, e però sono
Tratte da amor le corde della ferza.
Lo fren vuol esser del contrario suono :
Credo che lo udirai , per mio avviso.
Prima «he giunghi al passo del perdono.
Ma ficca li occhi |)er lo aere ben fiso,
E vedrai gente innanzi a noi sedersi,
E ciascun è lungo la grotta assido.
Allora più clic prima li orchi apersi,
Guardaimi innanzi, e vidi ombre con manti
Al color della pietra non diversi.
E poi che funiiiii) un poco più avanti,
l dii gridar: Maria, ora per noi!
(iridar: Michele, e Pietro, e tutti i Santi!
Non credo , che per terra vada ancoi
Omo sì duro , che non fosse punto
Per coinpassion di quel che io vidi poi:
Che, quando lui si presso di lor giunto.
Che li atti loro a me vcnivan certi
Per li occhi , fui di grave dolor munto.
Di vii cilicio mi parcan coperti,
E lo un sofTcria lo altro con la epalla,
E tutti dalla ripa eran sofierti.
Così li ciechi, il cui la rolm falla.
Stanno a perdoni a chieder lor bisogna,
E lo uno il capo sovra lo altro avvalla,
Per che in altrui pietà tosto si pogna.
Non pur per lo sonar delle parole.
Ma per la \Uta , e.lu; non meno agogna.
E rome alli orl)i non a|>|)roda il sole,
C«MÌ alle ombro, dove io parlava ora,
Luce del eie] di &ò largir non vuole:
Che a tutte un fil di ferro il ciglio fora,
E cuce, si come a sparvier selvaggio
Si fa, però che queto non dimora.
A me pareva andando fare oltraggio,
fedendo altrui, non essendo veduto;
Per che io mi volsi al mio consiglio saggio.
Ben sapeva ei che volca dir lo muto,
E però non attese mia dimanda :
Ma disse: parla, e sii breve ed arguto!
Virgilio mi venia da quella banda
Della cornice , onde cader sì puote.
Per che da nulla sponda s' inghirlanda.
Dall' altra parte mi eran le devote
Ombre, che per la orribile costura
Premevan sì , che bagnavan le gote.
Volsinii a loro , ed , oh gente sicura.
Incominciai, di veder lo alto lume.
Che il disio vostro solo ha in sua cura.
Se tosto grazia risolva le schiume
Di vostra coscienza, si che chiaro
Per essa scenda della mente il fiume.
Ditemi (che mi fia grazioso e caro).
Se anima è qui tra voi che sia latina :
E forse a lei sarà buon, se io 1' apparo.
Oh frate mio, ciascuna è cittadina
Di una vera città: ma tu vuoi dire,
Che vivesse in Italia peregrina.
Questo mi par^e per risposta udire
Più innanzi alquanto , che là dove io stava :
Onde io mi feci ancor più là sentire.
Tra le altre vidi una ombra, che aspettava
In vista; e se volesse alcun dir come.
Lo mento a guisa di orbo in su levava.
Spirto, diss' io, che per salir ti dome,
Se tu sei quelli che mi rispondesti,
Fammiti conto o per luogo, o per nome!
Io fui Senese, rispose, e con questi
Altri rimcndo qui la vita ria.
Lacrimando a colui , che se ne presti.
Savia non fui avvegna che Sapia
Fossi chiamata, e fui delli altrui danni
Più lieta assai, che di ventura mia.
E per che tu non credi che io t' inganni,
Odi, se fui, come io ti dico, folle.
Già disrendendo lo arco dei miei anni.
Erano i cittadin miei presso a Colle
In campo giunti coi loro avversari.
Ed io pregava dio di quel eh' ei volle.
Rotti fur quivi , e volti neili amari
Passi di fuga, e vcggendo la caccia.
Letizia presi a tutte altre dispari:
Tanto, che io volsi in su 1' ardita faccia.
Gridando a dio : ornai più non ti temo ;
Come fé' il merlo per poca bonaccia.
Pace volli con dio in su lo stremo
Della mia vita: ed ancor non sarebbe
Lo mio dover per pcnitenzia scemo.
Se ciò non fosse, <-he a memoria mi ebbe
Pier Pcttinagno in sue sante orazioni,
A cui di me per caritade increbbe.
Ma tu chi sei , che nostre condizioni
Vai dimandando , e porti li occhi sciolti.
Sì come io credo, e s|>irando ragioni.*'
Li occhi, diss' io, mi fieno ancor qui tolti.
Ma picciol tempo: (-he poca, è la ollesa
Fatta, per esser con invidia volti.
Troppa è più la paura, ond' è sospesa
S
109]
PURGATORIO (XIII. 137-154. XIV. l- ipi)
[110]
L' anima mia del tormento di sotto,
Clic già lo incarco di là giù rai pesa.
:d ella a me: chi ti ha dunque condotto
Qua su tra noi , se giù ritornar credi ?
Ed io : costui , eh' è meco , e non fa motto :
; ^ ivo sono : e però mi richiedi,
Spirito eletto, se tu vuoi che io mova
Di là per te ancor li mortai piedi.
)h questa è a udir sì cosa nova,
Rispose , che gran segno è che dio ti ami :
Fero col prego tuo talor mi giova !
i. chieggioti per quel, che tu più brami.
Se mai calchi la terra di Toscana,
Che ai miei propinqui tu ben mi rinfami.
Tu li vedrai tra quella gente vana,
Che spera in Talamone , e perderagli
Viìì di speranza , che a trovar Diana :
Ma. più vi metteranno li ammiragli.
CANTO XIV.
ARGOMENTO.
Luogo medesimo. Guido del duca da Brettinoro ,
Rinieri de' Calboli di Romagna,
Chi è costui, che il nostro monte cerchia,
Trima che morte li abbia dato il volo.
Ed apre lì occhi a sua voglia e coperchia?
|]\on so chi sia ; ma so eh' ei non è solo :
Dimandai tu , che più li ti avvicini,
E dolcemente, sì che parli, acculo!
Così duo spirti lo un allo altro chini
Ragionavan di me ivi a man dritta:
Poi fèr li visi, per dirmi, supini:
](! disse lo uno: oh anima, che fitta
^lel corpo ancora in^er Io ciel ten vai,
Per carità ne consola , e ne dittn.
Onde vieni , e chi sei ! che tu ne lai
Tanto maravigliar della tua grazia,
Quanto vuol cosa che non fu più mai.
Ed io : per mezza Toscana si spazia
Un fìumicel che nasce in Falterona,
E cento miglia di corso noi sazia:
Di sovra esso reco io questa persona.
Dirvi chi sia, saria parlare indarno:
Che il nome mio ancor molto non son^.
Se ben lo intendimento tuo accnrno t^v. V^uivK ir".
Con lo intelletto , allora mi ri-pose
Quei che prima dicea , tu parli di Arno.
E lo altro disse a lui : per che nascose
Questi '1 vocabol di quella riviera,
Pur come om fa delle orribili cose?
E la ombra, che di ciò dimandata era,
Si sdebitò cosi: non so; ma degno
lien è che il nome di tal valle pera:
Cile dal principio suo, dov' è sì pregno
Lo alpestro monte, ond' è tronco l'cloro.
Che in pochi lochi passa oltra quel segno,
Infin là , ove si rend<! per ristoro
Di quel , «he il ciel della marina asciuga.
Onde hanno i fnimi ciò clic va con loro.
Virtù così per nimica si fuga
Da tutti , come biscia , per sventura
Del loco, o per mal uso che li fruga:
Onde hanno sì mutata lor natura
Li abitator della misera valle.
Che par che Circe li avesse iu pastura.
Tra brutti porci più degni di galle
Che di altro cibo fatto in uman uso,
Dirizza prima il suo povero calle.
Botoli trova poi venendo giuso
Ringhiosi più che non chiede lor possa,
Ed a lor disdegnosa torce il muso.
Vassi caggendo , e quanto ella più ingrossa,
Tanto più trova di can farsi lupi
La maledetta e sventurata fossa.
Discesa poi per più pelaghi cupi,
Trova le volpi sì piene di froda.
Che non temono ingegno che le occupi.
Né lascerò di dir, per che altri mi oda:
E buon sarà costui, se ancor si ammenta
Di ciò , che vero spirto mi disnoda.
Io veggio tuo nipote, che diventa
Cacciator di quei lupi in su la riva
Del fiero fiume, e tutti li sgomenta.
Vende la carne loro, essendo viva:
Poscia li ancide, come antica belva:
Molti di vita, e sé di pregio priva.
Sanguinoso esce della trista selva:
Lasciala tal, che di qui a mille anni
Nello stato primajo non si riusciva.
Come allo annunzio dei dogliosi danni
Si turba il viso di cohii che ascolta,
Da qualche parte il periglio lo assanni,
Così vid' io I' altr' anima, che volta
Stava ad udir, turbarsi e farsi trista,
Poi eh' ebbe la parola a sé raccolta.
Lo dir della una, e dell' altra la vista
Mi fé voglioso di saper lor nomi,
E dimanda ne fei con prieghi mista.
Per che lo spirto che di pria parlómi,
Ricominciò : tu vuoi che io mi riduca
^el fare a te ciò che tu far non vuomi.
Ma da che dio in te vuol che traluca
Tanto sua grazia, non ti sarò scarso:
Però sappi, che io son Guido del Duca.
Fu il sangue mio d' invidia sì riarso.
Che, se veduto avessi om farsi lieto,
Visto mi avresti di livore sparso.
Di mia semenza cotal paglia meto.
Oh gente umana , per che poni '1 core
Là ov' è mestier di consorte divieto?
Qu(!sti è Rinier : questo e il pregio e 1' onore
Della casa da Calboli, ove nullo
Fatto si è reda poi «lei suo valore.
E non pur lo suo sangue è fatto briilh»
Tra il Po e il nutnte , e la marina e 1 Reno,
Del ben richiesto al vero rd al trastullo :
Che dentro a questi termini ù ripieno
Di venenosi sterpi, si che tardi
Per colti\are ornai verrcbber meno.
Ov' è il bui'M Licio , ed Arrigo iVIainardi,
Pier Travi TMiro, e (tuido di Carpigna?
Oh Ittiiuiignoli tornati in bastanli
Quando io Itnlogna un Fabbro si ralligna,
Qiutndo io Fiien/a un iiernnrdiu di Fosco,
Verga gentil di picciola gratnigna!
Non ti niìii'.i\ii;liiir, se io piiingo, Tun-o,
Quiuidu rimembro con («nido da Prata
[Ili]
PURGATORIO. (XIV. 105 — 151. XV. 1—73)
Ugolin di Azzo, che TÌvette nosco,
Fedeiigo Tignoso, e sua brigata,
La casa Trarersara , e li Anastagì ;
E la una gente e 1' altra è diretata.
Le donne e i caralier , li affanni e li agi,
Che ne invogliava amore e cortesia,
Là dove i cor son fatti sì malvagi.
Oh Brettinoro , che non foggi via.
Poi che gita se n' è la tua famiglia,
E molta gente, per non esser ria?
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia,
E mal fa Castroraro , e peggio Conio,
Che di figliar tai Conti più s' impiglia.
Ben faranno i Pagan da che il demonio
Lor sen gira: ma non però che puro
Giammai rimanga di essi testimonio.
Oh Igolin dei Fantnli, sicuro
È il nome tuo , da che più non si aspetta
Chi far lo possa tralignando oscuro.
Ma va via, Tosco, ornai, che or mi diletta
Troppo di pianger più che di parlare ;
Si mi ha nostra ragiitn la mente stretta!
Koi sapevara , che quelle anime care
Ci sentivano andar : però tacendo
Facevan n(»i del cammin confidare.
Poi fummo fatti soli procedendo,
Folgore parve, quando lo aere fende,
Voce, che giunse di contra, dicendo:
Ancideramrai qualunque mi prende.
E fuggio come tuon , che si dilegua.
Se subito la nuvola scoscende.
Come da lei lo udir nostro eb!)e tregua.
Ed ecco r altra con ȓ gran fracasso.
Che somigliò tonar, che tosto segua:
Io sono Aglauro. che di\enni sasso,
E allor , per istringermi al poeta.
In destro feci, e non innanzi '1 passo.
Già era 1' aura da ogni parte queta:
Ed el mi disse: quel fu il duro carao,
Che dovria 1' om tener dentro a sua meta,
jf Ma voi prendete la esca , sì che lo amo
Dello antico avversario a sé vi tira :
E però poco vai freno, o richianif.
Chiamavi 'l «;ielo , e intorno ^ i si gira
Mostrandovi le sue bellezze eterne :
E r occhio vostro pure a terra mira j
' . Onde vi batte chi tutto dlàcerne.
CANTO XV.
ARGOMENTO.
Un angelo invita i poeti a continuar la aaìila. Quis-
tioni tcologithti sulla beatitudine eterna. Ealasi
di D.
Quanto tra lo ultimar della ora terza,
E il principio del di par della spera,
Che sempre a guisa di fanciullo scherza,
Tanto pareva già inver la sera
Essere al sol del suo corso rimaso ;
Vespcro là, e qui mezza notte era:
I112J,
E i raggi ne ferian per mezzo il naso.
Per che per noi girato era si '1 monte.
Che già dritti andavamo inver 1' occaso ;
Quando io sentii a me gravar la fronte
Allo splendore assai più che di prima,
E stupor mi cran le cose non conte:
Onde io levai le mani inver la cima
Delle mìe ciglia , e fecimi '1 solecchio,'
Che del soverchio visibile lima.
Come quando dall' acqua e dallo specchio
Salta lo raggio in opposita parte.
Salendo su per lo modo parecchio
A quel che scende , e tanto si diparte
Dal cader della pietra in igual tratta.
Si come mostra esperienza e arte:
Così mi parve da luce ri fratta
Ivi dinanzi a me esser percosso:
Per che a fuggir la vista mia fu ratta.
Che è quel , dolce padre , a che non posso
Schermar lo viso tanto che mi vaglia,
Diss
e pare inver noi esser mosso r
Non ti meravigliar, se ancor ti abbaglia
La famiglia del cielo, a me rispose
Messo è, che viene ad invitar, che om saglia.
Tosto sarà , che a veder queste cose
Non ti fia grave, ma fleti diletto.
Quanto natura a sentir ti dispose.
Poi giunti fummo allo angel benedetto.
Con lieta voce disse : intrate quinci
Ad un scalèo vìe men che li altri eretto!
Noi montavamo , già partiti linci,
E Beati misericordcs fue
Cantato retro , e godi tu , che vinci !
Lo mio maestro ed io . soli arabo e due
Suso andavamo, ed io pensai, andando.
Prode acquistar nelle parole sue :
E dirizzami a Ini si dimandando:
Che volle dir lo spirto di Romagna,
E divieto e consorte menzionando?
Per eh' egli a me: di sua maggior magagna
Conosce il danno: e però non si ammiri.
Se ne riprende, per che men scn piagna.
Per che si appuntano i Aostri desiri,
Dove per compagnia parte si scema:
Invidia move il mantaco ai sospiri.
Ma se lo amor della spera suprema
Torcesse in suso il desiderio vostro.
Non vi sarebbe al petto quella tema;
Che per quanto si dice più li nostro.
Tanto possiede più di ben ciascuno,
E più di caritade arde in quel chiostro.
Io son dì esser contento più digiuno,
Diss' io , che se mi fosse pria taciuto,
E più di dubbio nella mente aduno.
Com' esser puote, che un ben distributo
I più posscdìtor faccia più ricchi
Di sé, che se da pochi è posseduto?
Ed egli a me: però che tu rificciù
La mente pure alle cose terrene.
Di vera luce tenebre dispicchi.
Quello infinito ed inelfabil bene.
Che là SII è, cosi corre ad amore.
Come a lucido corpo raggio viene.
Tanto si dà, quanto trova di ardore:
Sì che quantunque carità si stende.
Cresce sovra essa li» eterno valore.
E quanta gente più là su s' intende,
113]
PURGATORIO. (XV. 74-145. XVI. 1-49)
Più vi è da bene amare, e più vi si ama,
E come specchio, lo uno allo altro rende.
. >;e la mia ragion non ti disfama,
\ edrai Beatrice, ed ella pienamente
Ti torrà questa e ciajjcun' altra brama,
'rocaccia pur, che tosto sieno spente,
Come son già le due , le cinque piaghe,
Che si richiudon per esser dolente!
Jome io voleva dicer: tu mi appagbe.
Giunto mi vidi in su lo altro girone.
Si che tacer mi fèr le cose vaghe.
ivi mi parve in una visione
Estatica di subito esser ti-atto,
E vedere in un tempio più persone.
Ed una donna in su lo entrar, con atto
Dolce di madre, dicer: figliol mio.
Per che hai tu così verso noi fatto?
Eleo dolenti lo tuo padre ed io
[j Ti cercavamo, e come qui si tacque,
J Ciò , che pareva prima , dispario.
lindi mi apparve un' altra con quelle acque
Giù [ler le gote, che il dolor distilla.
Quando da gran dis[)etto in altrui nacque,
E dir: se tu sei sire della villa,
Del cui nome nei dei fu tanta lite,
Ed onde ogni scienzia disfavilla.
Vendica te di quelle braccia ardite,
Che abbracciar nostra figlia, oh Pisistrato!
E il signor mi parca benigno e mite
Risponder lei con viso temperato:
Che farera noi a chi mal ne desira,
Se quei che ci ama è per noi condannato?
Poi vidi genti accese in foco d' ira
Con pietre un giovinetto ancider, forte
Gridando a sé pur: martira, martira !
E lui vedea chinarsi per la morte
Che lo aggravava già , in ver la terra,
Ma dclli occhi facea sempre al ciel porte.
Orando lo alto sire in tanta guerra,
Che perdonasse ai suoi persecutori.
Con quello aspetto, che pietà disserra.
Quando 1' anima mia tornò di fori
Alle cose , che son for di lei vere.
Io riconobbi i miei non falsi errori.
Lo duca mio , che mi potea vedere
Far si, come om che dal sonno si slega.
Disse: che hai, che non ti puoi tenere?
Ma sei venuto più che mezza lega
Velando li occhi , e con le gambe avvolte,
A guisa di cui vino o sonno piega?
Oh dolce padre mio , se tu mi ascolte,
lo ti dirò , dÌ8s' io , ciò che mi apparve,
Quando le gambe mie furon sì tolte.
Ed ei : gè tu ave^éi cento larve
Sovra la faccia , non mi Srtricn chiuse
Le tue cogitazion , qiuintunquc parve.
Ciò che vedesti fu , per che non scuse
Di aprir lo core alle acque della pace,
Che dallo eterno fonte son dilTusc.
Non dimandai , che hai .^ per quel che face
Chi guarda pur con 1' occhio che non vede.
Quando disanimate» il corpo giace;
Ma dimandai per darti forza al piede.
(;o8Ì frugar conviene i pigri, lenti
Ad usar lor vigilia , quando riedc.
Noi andavam per lo vesperro attenti
Oltre , quanto poteau li occhi allungarsi.
[114]
Contra ì raggi serotini e lucenti :
Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
Verso di noi come la notte oscuro,
Né da quello era loco da cansarù ;
Questo ne tolse li occhi, e lo aere puro.
CANTO XVL
ARGOMENTO.
Terso balzo: iracondi purgati nel fumo. Marco Lom-
bardo s.ìdl' influsso degli astri. Sferza il romano
jìontefice.
Bujo d' inferno, e di notte privata
Di ogni pianeta sotto pover cielo,
Quanto esser può di nuvol tenebrata.
Non fece al viso mio sì grosso velo,
Come quel fummo , che ivi ci coperse.
Né al sentir di così aspro pelo ;
Che l' occhio stare aperto non sofferse:
Onde la scorta mia saputa e fida
Mi si accostò, e l' omero mi offerse.
Sì come cieco va dietro a sua guida
Per non smarrirsi , e per non dar di cozzo
In cosa che il molesti , o forse ancida.
Mi andava io per lo aere amaro e sozzo.
Ascoltando il mio duca, che diceva
Pur: guarda che da me tu non sie mozzo!
Io sentia voci, e ciascuna pareva
Pregar per pace e per misericordia
Lo agnél di dio, che le peccata leva.
Pur Agnus Dei eran le loro esordia :
Una parola in tutti era ed un modo,
Sì che parca tra esse ogni concordia.
Quei sono spirti, maestro, che i' odo?
Diss' io; ed egli a me: tu vero apprendi,
E d' iracondia van solvendo il nodo.
Or tu chi sei , che il nostro fummo fendi,
E di noi parli pur, come se tne
Partissi ancor lo tempo per calendi?
Così per una voce detto fue;
j Onde il maestro mie» disse: rispondi,
j E dimanda, se quinci si va suel
Ed io: oh creatura, che ti mondi,
j Per tornar bella a colui che ti fece,
I Maraviglia udirai, se mi secondi.
Io ti seguiterò quanto mi lece,
j Rispose: e se veder fuunno non lascia.
Lo udir ci terrà giunti in quella vece.
Allora incominciai: con quella fascia
1 Che la morte dissolve, inen vo suso,
E venni qui per la infernale ambascia.
E se dio mi ha in »ua grazia richiuso,
'l'auto eh' ei >uol che io veggia la stia corte,
1 Per modo tutto for del nu)derno uso.
Non mi celar, chi fosti anzi la nutrie,
j Ma diluii, e dimmi, se io vo bene al varco:
I E tue parole fuii le nr)str<; «corte.
I Lombardo fui, (! fui chiamato .ìlarco:
Del nu)ndo sep|ii , e qu<:l valore amai,
! Al quale ha or ciascun disteso lo arco;
Per montar bu direttamente vai:
rii5]
PURGATORIO. (XVr. 50 —145. XVII. 1— 24)
[IIG]
Così rispose , e soggiunse : io ti prego,
Che per me preghi , quando su sarai.
Ed io a lui: per fede mi ti lego
Di far ciò , che mi chiedi : ma io scoppio^
Dentro da un dubbio, se io non me ne spiego.
Prima era scfmpio, ed ora è fatto doppio
Kella sentenzia tua, che mi fa certo
Qui ed altrove quello, ove io lo accoppio.
Lo mondo è ben cosi tutto diserto
Di ogni virtute, come tu mi sone,
E di malizia gravido e coverto:
Ma prego che mi additi la cagione.
Si che io la vegga, e che io la mostri altrui:
Che nel ciel uno, ed un qua giù la pone.
Alto sospir, che duolo strinse in hui,
Mise for prima, e poi cominciò: frate,
Lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.
Voi che vivete, ogni cagion recate
Pur suso al ciel, così come se tutto
Movesse seco di necessitate.
Se così fosse, in voi fora distrutto
Libero arbitrio , e non fora giustizia.
Per ben letizia , e per mule aver lutto.
Lo cielo i vostri movimenti inizia,
Non dico tutti ; ma posto che io il dica.
Lume vi è dato a bene, ed a malizia^
E libero voler; che, se fatica
INelle prime battaglie col ciel dura, ,
Poi vince tutto, se ben si notricji. / T^' i
A maggior forza ed a miglior natura
Liberi soggiacete , e quella cria
La mente in voi , che il ciel non ha in sua cara.
però se il mondo presente disvia,
In voi è la cagione, in voi si cheggia;
Ed io te ne sarò or vera spia.
Esce di mano a lui, che la vagheggia,
Prima che sia , a guisa di fanciulla.
Che piangendo e ridendo pargoleggia, ■ '"jìC
L' anima semplicetta, che sa nulla, v^u'u*^^
Salvo che mossa da lieto fattore l, i j-
Volcntier torna a ciò che la trastulla. n'A^tluaA*»
Di picciol bene in pria sente sapore;
Quivi s' inganna, e dietro ad esso corre,
Se guida o frcn non torce suo amore.
Onde convenne leggi per fren porre.
Convenne rcge aver, che discernesse
Della vera cittade almen la torre.
Le leggi snn ; ma chi pon mano ad esse?
Kullo : però che il pastor , che precede,
Ilun)igar può, ma non ha le unghie fesse.
Per che la gente , che sua guida vede
Pur a quel ben ferire, ond' ella è ghiotta,
Di quel si pasce, e più oltre non chiede.
Ben puoi veder che la mala condotta
E la ragion , che il mondo ha fatto reo,
E non natura che in voi sia corrotta.
Soleva Uoma, che il buon mondo feo,
Duo soli aver, che la una e 1' altra strada
Facean vedere, e del mondo, e di deo.
Lo un lo altro ha spento, ed è giunta la spada
Col pa.>torale, e lo un e lo altro insicm
Per viva forza mal con\ien che vada:
Però che giunti , lo un lo altro non teme.
Se non mi credi, pon mente alla spiga!
Che ogni erba si conosee per lo seme.
In sul paese che Adice e Pò riga,
Solca valore e cortesia truvarcsi,
Prima che F'ederlco avesse briga:
Or può sicuramente indi passarsi ,
Per qualunque lasciasse, per vergogna
Di ragionar coi buoni, di appressarsi.
Ben vi en tre vecchi ancora, in cui rampogna
L' antica età la nova , e par lor tardo
Che dio a miglior vita li ripogna;
Currado da Palazzo, e il buon Gherardo,
E Guido da Castel, che mei si noma
Francescamente il semplice Lombardo.
Di' oggimai , che la chiesa di Roma,
Per confondere in sé duo reggimenti.
Cade nel fango , e sé brutta , e la soma.
Oh Marco mio , diss' io , bene argomenti ;
Ed or discerno , per che dal retaggio
Li figli di Levi furono esenti.
Ma qual Gherardo è quel, che tu per saggio
Di' eh' é rimaso della gente spenta,
In rimproverio del secol selvaggio.''
O tuo parlar m' inganna, od el mi tenta.
Rispose a me , che , parlandomi Tosco,
Par che del buon Gherardo nulla senta.
Per altro soprannome io noi conosco,
Se io noi togliessi da sua figlia Caja.
Dio sia con voi , che più non vegno vosco.
Vedi lo albór , che per lo fummo raja.
Già biancheggiare, e mi convien partirmi;
Lo angelo è ivi, prima che ne appaja:
Così tornò , che più non volle udirmi.
CANTO XVII.
ARGOMENTO.
Esce dal denso fumo , eh' è il simbolo deW ira. Ra-
pito in estasi vede tre csempj di questa passione. E
condotto da tin angelo al quarto balzo, ove si purgai
r accidia. Dell' amor di sé, ]
Ricorditi, lettor, se mai nelle alpe
Ti colse nebbia, per la qual vedessi
Kon altramente che per pelle talpe,
Come quando i vapori umidi e spessi
A diradar cominciansi , la spera
Del sol debilemente entra per essi;
E fia la tua immagine leggiera
In giugnere a veder, come io rividi
Lo sole in pria , che già nel corcar era.
Sì pareggiando i miei coi passi fidi
Del mio maestro, uscii for di tal nube,
Ai raggi morti già nei bassi lidi.
Oh immaginativa, che ne rubo
Tal volta sì di for , che om non si accorge,
Per che dintorno sonin mille tube,
Che move te , se il senso non ti porgo ?
Moveti lume che nel ciel s' informa
Per sé, o per voler che giù lo scorge. '^^f^^
Della empiezza di lei, che mutò forma ,.)■„; i\ n
Nello uccel , (^he a cantar più si diletta, >
N<'lla inunagine mia apparve la orma:
E qui fu la mia mente ^ì ristretta
Dentro da sé, che di for non venia
Cosa clic futj&e ailur da lei rccelta.
IIT]
PURGATORIO. (XVII. 25 — 139. XVIII. 1—6)
rii8]
oì piovve dentro all' alta fantasia
Un crocifisso dispettoso e fiero
IVelIa sua vista , e cotal si moria :
itorno ad esso era il grande Assuero,
Ester sua sposa, e il giunto Mardocheo,
'Che fu al dire ed al far così 'utero. \v\
! come questa immagine rompeo
Sé per eè stessa, a guisa di una bulla
Cui manca 1' acqua , sotto qual si feo,
urse in mia visione una fanciulla
Piangendo forte , e diceva : Oh regina.
Per che per ira hai voluto esser nulla
Lncisa ti hai per non perder Lavina:
Or mi hai perduta: io sono essa, che lutto,
Madre , alla tua pria che all' altrui ruma.
jOjne si ifrange il sonno, ove dilmtto ; :;: '''
LNova luce percote il viso clìuiso, '
Che fratto guizza, pria che moja tutto,
osi lo immaginar mio cadde giuso.
Tosto che il lume il volto mi percosse
Maggiore assai, che quello eh' è in nostro uso.
[o mi volgea per veder ove io fosse,
Quando una voce disse : qui si monta.
Che da ogni altro intento mi rimosse,
E fece la mia voglia tanto pronta
Di riguardar, chi era che parlava.
Che mai non posa, se non si raffronta.VCV : . :
Ma come al sol , che nostra vista gravà^" " ^ ■ ■
E per soverchio sua figura vela,
Così la mia virtù quivi mancava.
Questi è divino spirito , che ne la
Via di andar su ne drizza senza prego,
E col suo lume se medesmo cela.
Sì fa con noi , come 1' ora si fa sego :
Che quale aspetta prego , e 1' opo vede*^.
Malignamente già si mette al nego: ^
Ora accordiamo a t.into invito il piede:
Procacriani di salir pria che si ahbui: ^
Che poi non si porla , se il dì non riede.
Così disse il mio di:ca, ed io con lui
Volgemmo i nostri passi ad una scala:
E tosto che io al primo grado fui.
Sentii mi presso quasi un mover di ala»
E ventarmi nel viso, e dir: Beati
PacIJici, che son senza ira mala!
Già eran sopra noi tanto levati
Li ultimi raggi , che la notte segue,
Che le stelle appiirivan da più lati.
Oh virtù mia, per che sì ti dilegue?
Fra me stesso dicca , che mi sentiva
La possa delle gambe posta in tregue.
Noi cravam dove più non saliva
La scala su, ed eravamo affissi
Pur come nave che alla piaggia arriva:
Ed io attesi un poco, se io udissi
Alctma cosa nel novo girone :
Poi mi rivolsi al mio maestro e dissi:
Dolce mio padre, di', quale ofTensione
Si purga qui nel girou , dove semo?
Se i pie si stanno, non stoa tuo sermone!
Ed egli a me : h» amor del bene scemo
Di suo dover quiritta si ristora;
Qui si ribatte il mal t<irdiito remo.
Ma per clic più aperto intendi ancora,
\ olgi la mente a me , e prenderai
Alcun Imi (in frutto di nostra dimora.
Nò creator , nù creatura mai,
"^ Cominciò ei , figlio! , fu senza amore^
O naturale , o di animo ; e tu il sai.
Lo naturai è sempre senza errore ;
Ma lo altro puote errar per malo obbietto,
O per troppo , o per poco di vigore.
Mentre eh' egli è nei primi ben diretto,
E nei secondi sé stesso misura.
Esser non può cagion di mal diletto.
Ma quando al mal sì torce, o con più cura,
0 con men che non dee, corre nel bene,
Contra il fattore adopra sua fattura.
Quinci comprender puoi, eh' esser conviene
Amor sementa in voi di ogni virtute,
E di ogni operazion che merta pene.
Or per che mai non può dalla salute
Amor del suo subbietto volger viso.
Dall' odio proprio son le cose tute;
E per che intender non si può diviso,
I\è per sé stante, alcuno esser dal primo,
Da queir odiare ogni affetto è deciso.
Resta, se dividendo bene stimo.
Che il mal che si ama, è del prossimo: ed esso
Amor nasce in tre modi in vostro limo.
E, chi per esser suo vicin soppresso.
Spera eccellenza, e sol per questo brama
Ch' el sia di sua grandezza in basso messo.
E, chi podere, grazia, onore, e fama
Teme di perder , per che altri sormonti.
Onde si attrista sì, che il contraro ama.
Ed è, chi per ingiuria par che adonti.
Sì che si fa della vendetta ghiotto ;
E tal convien che il male altrui impronfi.
Questo triforme amor qua giù di sotto
Si piange : or vo' che tu dello altro intende,
Che corre al ben con ordine corrotto.
Ciascun confusamente un bene apprende,
Nel qual si quieti lo aniuio, e desira:
Per che di giugner lui ciascun contende.
Se lento amor in lui veder vi tira,
O a lui acquistar, questa cornice
Dopo giusto pentér ve ne martira.
Altro ben è , che non fa 1' om felice :
Xon è felicità , non è la buona
Essenzia di ogni ben frutto e radice.
Lo amor, che ad esso troppo si abbandona.
Di sovra a noi sì piange per tre cerchi;
Ma come tripartito si ragiona,
T;iccioIo , acciò che tu per te ne cerchi.
^3
CANTO XVIIl.
ARGOMENTO.
Continuazione , e ilifcxa del Ubero arbitrio. Ricmpj
per corrc^^rcrc l' accidia. Incontro d' un abate.
l'osto avrà fino al suo ragionamento
liO alto dottore , ed attento guardava
Nella mia vista, se io parca contento
Ed io, cui nova sete ancor frugava,
Di l'or taceva, o dentro lUcca : for^o
Lo troppo dimandar, che in fo, li grava.
[119J
PURGATORIO. (XVIII. 7 — 140)
Ma quel padre Terace, che si accorse
Del timido voler che non sì apriva,
Parlando di parlare ardir mi porse.
Onde io: maestro, il mio veder si avviva
Sì nel tuo lume , che io discerno cliiaro.
Quanto la tua ragion porti o descriva.
Però ti prego , dolce padre caro.
Che mi dimostri amore , a cui riduci
Ogni buon operare, e il suo contraro.
Drizza, disse, ver me le acute luci
Dello intelletto, e fleti manifesto
Lo error dei ciechi , che si fanno duci.
Lo animo , eh' è creato ad amar presto,
Ad ogni cosa è mobile che piace.
Tosto che dal piacere in atto è desto.
Vostra apprensiva da esser verace
Tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
Sì che lo animo ad essa volger face.
E se rivolto inver di lei si piega,
Quei piegar è amor , quello è natura,
Che per piacer di novo in voi si lega.
Poi come il foco movesi in altura.
Per la sua forma , eh' è nata a salire,
Là dove più in sua materia dura,
Co^ì lo animo preso entra in disire,
Ch' è moto spiritale, e mai non posa
Fin che la cosa amata il fa gioire.
Or ti puote apparer, quanto è nascosa
La veritade alla gente, che avvera
Ciascuno amore in sé laudahil cosa,
Però che forse appar la sua matera
Sempr' esser buona ; ma non ciascun segno
E buono , ancor che buona sia la cera.
Le tue parole, e il mio seguace ingegno,
Rispos' io lui, mi hanno amor discoverto:
Ma ciò mi ha fatto di dubbiar più pregno:
Che , se amore è di fore a noi offerto,
E r anima non va con altro piede,
Se dritto o torto va , non è suo merto.
Ed egli a me: quanto ragion qui vede,
Dir ti posso io : da indi in là ti aspetta
Pure a Beatrice, eh' è opra di fede.
Ogni forma sustanzial, che setta
È da materia, ed è con lei unita,
Specifica virtude ha in se collctta,
La qual senza operar non è sentita.
Né si dimo»tra, ma die per effetto.
Come per verde fronda in pianta vita:
Pero, là onde vegna lo intelletto
Delle prime notizie, omo non sape,
E dei primi appetibili lo affetto.
Che sono in voi , sì come studio in ape
Di far lo mele: e questa prima voglia
Morto di lode, o di biasmo non cape.
Or per che a questa ogni altra si raccoglia,
Innata vi é la virtù, che consiglia,
E dello assenso dee tener la soglia.
Qu«>ti é il j)rinci|)io, là onde si piglia
Ungion di meritare in voi , secondo / ^
Clic buoni e r«;i amori raccoglie e viglia.i'tv^r^f
Color che ragionando andiuo al fondò, """
Si accorHcr di c^ta inniita libcrtate:
Pero moralità lasciaro al mondo.
'Onde poniam , che di nccescitate
Sorga ogni amor, che dentro a voi si accende;
Dì ritenerlo é in voi la potestatc.
La nobile virtù Beatrice intende
[120].!
Per lo libero arbitrio ; e però guarda,
Che lo abbi a mente , se a parlar ten prende !
La luna , quasi a mezza notte tarda,
Facea le stelle a noi parer più rade.
Fatta come un secchion che tutto arda.
E correa centra il ciel per quelle strade.
Che il sole infiamma, allor che quel da Roma
Tra i Sardi e Corsi il vede, quando cade:
E quella ombra gentil, per cui si noma
Pietola più che villa Mantovana,
Del mio carcar diposto avea la soma:
Per che io, che la ragione aperta e piana
Sovra le mie questioni avea ricolta.
Stava come om , che sonnolento vana.
Ma questa sonnolenza rui fu tolta
Subitamente da gente , che dopo
Le nostre spalle a noi era già volta.
E quale Ismene già vide ed Asopo,
Lungo di sé di notte furia e calca.
Pur che i Teban di Bacco avésser opo;
Tale per quel giron suo passo falca, ; '- ," -
Per quel che io vidi di color venendo, . ''/
Cui buon volere e giusto amor cavalca.
Tosto fur sovra noi : per che correndo
Si movea tutta quella turba magna,
E due dinanzi grìdavan piangendo:
Maria corse con fretta alla montagna:
E Cesare , per soggiogare Ilerda,
Punse Marsilia/ e poi corse in Ispagna.
Ratto ratto , che il tempo non si perda
Per poco amor! gridavan li altri a presso.
Che studio di ben far grazia rinverda.
Oh gente , in cui fervore acuto adesso
Ricompie forse negligenza e indugio
Da voi per tiepidezza in ben far messo:
Questi, che vive (e certo io non vi bugio)
Vuole andar su , pur che il sol ni" riluca :
Però ne dite, ond' è presso il pertugio !
Parole furon queste del mio duca:
Ed un di quelli spirti disse: vieni ì
Diretro a noi , che troverai la buca. ' /
Noi siam di voglia a moverci sì pieni, '
Che ristar non potem : però perdona^
Se villania nostra giustizia tieni !
Io fui abate in San Zeno a Verona ;
Sotto lo imperio del buon Barbarossa,
Di cui dolente ancor Melan ragiona :
E tale ha già lo un piede entro la fossa.
Che tosto piangerà quel monistero,
E tristo fia di avervi avuta possa.
Per che suo figlio mal del corpo intero,
E della mente peggio , e che mal nacque,
Ila posto in loco di suo pastor vero.
Io non so s' el più disse, o s' el si tacque,
Tanto era già di là da noi trascorso :
Ma questo intesi , e ritener mi piacque*
E quei che mi era ad ogni opo soccorso,
Disse: volgiti in qua! vedine due
Air accidia venir dando di morso!
Diretro a tutti dicean : prima fue
Morta la gente, a cui il mar si aperse.
Che vedesse Giordan le rede sue.
E quella , che lo all'anno non soU'ersc
Fino alla fine col fìgliol di Anchisc,
Sé stessa a vita san/a gloria offerse.
Poi quando fur da noi tanto divise
Quelle ombre > che veder più non potersi.
121]
PURGATORIO. (XVIir. 141—145. XIX. 1—116)
[122]
Novo pensier dentro da me si mise,
)el qual più altri nacquero e diversi :
E tanto di uno in altro vaneggiai,
Che li ocelli per vaghezza ricopersi,
S il pensamento in sogno trasmutai.
CANTO XIX.
ARGOMENTO.
jp'^isione. Salita al quinto balzo, ove si purga F
Tizia. Papa Adriano T .
fella ora che non può il calor diurno
Intepidar più il freddo della luna,
Tinto da terra, o talor da Saturno,
Quando i geomanti lor maggior fortuna
Veggiono in oriente innanzi all' alba
Surger per via, che poco le sta bruna,
Mi venne in sogno una femmina balha,
Nelli occhi guercia , e sovra i pìe^distorta,
Con le manlhonche, e di colore scialba.
Io la mirava: e come il sol conforta
Le fredde membra , che la notte aggrava,
Così lo sguardo mio le facea scorta i
La lingua, e poscia tutta la drizzava
In poco di ora , e lo smarrito volto,
Come amor vuol , così le colorava.
Poi eh' eir avea il parlar così disciolto,
Cominciava a cantar sì, che con pena
Da lei avrei mio intento rivolto.
lo son , cantava , io son dolce sirena,
Che i marinari in mezzo il mar dismago ;
Tanto S(m di piacere a sentir piena.
Io trassi Ulisse dal suo cammin vago
Al canto mio: e qual meo si ausa,
Rado sen parte, sì tutto lo appago.
Ancor non era sua bocca ri(-hiusa,
Quando una donna apparve santa e presta
Lunghesso me, per far colei confusa.
Oh Virgilio, Virgilio, chi è questa?
Fieramente dicca; ed el venia
Con li occhi fitti pure in quella onesta.
L' altra prendeva, e dinanzi 1' apria.
Fendendo i drappi, e mostravami '1 ventre:
Quel mi svegliò col puzzo che ne uscia.
Io volsi li occhi al bu<m maestro ; e mentre
Vociò, come dicesse: eurgi, e vieni!
Troviam la porta, per la qual tu cntre!
Su mi levai : e tutti eran già pieni
Dello alto dì i giroii del sacro monte.
Ed andavam cui sol novo alle reni.
Seguendo lui portala la mia fronte,
Come colui, che l' ha di pensier carca,'
('he fa di sé un mezzo arco di ponte.
Quando io udii: venite, qui si %arca,
i'arlarc in modo soave e benigno,
Qual non si sente in questa mortai marca.
Con lo ali aperte, che pareau di cigno,
Volseci in su colui, che sì |)ai'lonne,
Tra ì due pareti del duro luiicigno.
Mosso lo penne poi, o ventilonne.
ava-
Qui higent, affermando esser beati.
Che avran di consolar le anime donne.
Che hai, che pure in ver la terrra guati?
La guida mia incominciò a dirmi.
Poco ambo e due dallo angel sormontati.
Ed io : con tanta sospcccion fa irmi
Novella vision , che a sé mi piega,
Sì che io non posso dal pensar partirmi.
Vedesti, disse, qucll' antica strega.
Che sola so^ra noi ornai si piagne?
Vedesti, come 1' om da lei si slega?
Bastiti, e batti a terra le calcagne!
Li occhi rivolgi al Indoro, che gira
Lo rege eterno con le rote magne!
Quale il falcon, che prima ai pici si mira,
Indi si volge al grido, e si protende
Per lo disio del pasto, che là il tira,
Tal mi fec' io: e tal, quanto si fende
La roccia per dar via a chi va suso.
Ne andai inSn dove il cerchiar si prende.
Come io nel quinto giro fui dischiuso.
Vidi gente per esso, clie piangea.
Giacendo a terra tutta volta in giuso.
Adhacsit pavimento anima mca,
Sentii dir lor con sì alti sospiri,
Che la parola a pena s' intendea.
Oh eletti di dio , li cui solTriri
E giustizia e speranza fan men duri.
Drizzate noi verso li alti saliri !
Se voi venite dal giacer sicuri,
E volete trovar la \ia più tosto,
Le vostre destre sien sempre di furi!
Così pregò il poeta, e sì risposto
Poco dinanzi a noi ne fu; per che io
Nel parlare avvisai lo altro nascosto:
E volsi li occhi alli occhi al signor mio ;
Ond' egli mi assentì con lieto cenno
Ciò, che chiedea la vista del disio.
Poi che io potei di me fare a mio senno,
Trassimi sopra quella creatura.
Le cui parole pria notar mi fenno.
Dicendo: spirto, in cui pianger matura
Quel , sanza il quale a dio tornar non pnossi.
Sosta un poco per me tua maggior cura!
Chi fosti, e per che volti avete i dossi
Al su, mi di', e se vuoi che io t' impetri
Cosa di là , onde io vivendo nios»i !
Ed egli a me: per che i nostri diretri
Rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima
Scias , quod cfio fui succcssor Pctri.
Intra Siestri e Cliiaveri si adima
Una fiumana beila, e del suo nome
Lo titol del mio sangue fa sua cima.
Un mese e poco più prova' io , «oiiic
Pesa il gran manto a «hi dal fango il guarda:
Che piuma sciiibran tutte le ali re some.
La mia com fusione, oiiiè! fu t.irda;
Ma come fatto fui ronian pastore,
(]osì scopersi la vita bugiarda.
Vidi, che lì non si a(-(|U(^ta>a il core.
Né più salir potca.-i in quella >ita;
Per che di questa in me si acceso umore.
Fino a ((ui'l punto uli^era o partita
Da dio aiiiiii.i fui, del tutti» a>ara:
Or, collie ^eili, qui ne son punita.
Quel che avarizia fa, qui .si dichiara
Li purguzion dello anime converse :
[123]
PURGATORIO. (XIX. 117— 145. XX. 1 — 021
E nulla pena il monte ha più amara.
Sì come r occhio nostro non si aderse
In alto , fisso alle cose terrene,
Cosi gùistizia qni a terra il merse.
Come avarizia spense a ciascun bene
Lo nostro amore, onde opera perdési,
Così {jiustizia qui stretti ne tiene
Kei piedi e nelle man legati e presi,
li quanto fia piacer del giusto sire,
Tanto staremo immobili e distesi.
Io mi era inginocchiato, e volea dire;
Ma come io incominciai , ed el si accorse,
Solo ascoltando , del mio riTerire,
Qual cagion, disse, in giù così ti torse?
Ed io a lui : per vostra dignitate
Mia coscicnzia dritta mi rimorse.
Drizza le gambe, e levati su, frate!
Rispose: non errar! che servo sono
Teco e con li altri ad una potestate.
Se mai quel santo evangelico sono.
Che dice ncque nubcnt , intendesti,
Ben puoi veder , per che io così ragiono.
Vattene ornai! non vo' che più ti arresti.
Che la tua stanza mio pianger disagia,
Col qual maturo ciò che tu dicesti.
Kipote ho io di là , che ha nome Alagia,
Buona da sé , pur che la nostra casa
Non faccia lei per esempio malvagia:
E questa sola mi è di là rimasa.
CANTO XX.
ARGOMENTO.
Escmp) di povertà , liberalità ed avarizia. Ugo Cia-
petta. Tremuoto del monte. Canto degli spirili.
Contra miglior voler voler mal pugna;
Onde contra il piacer mio , per piacerli,
Trassi dell' acqua non sazia la spugna.
Mossimi , e il duca mio si mosse per li
liochi spediti pur lungo la roccia.
Come si va per nuiro stretto ai merli:
Che la gente, che fonde a goccia a goccia
Per li occhi '1 mal che tutto il mondo oc<;iips,
Dall' altra parte in for troppo si approccia.
Maladetta sic tu, antica lupa,
Che più die tutte le altre bestie hai preda
Per la tua famii ganza line cupa!
Oh ciel, nel cui girar par che si creda
Le condi/ion di qua giù trasmutarsi,
Quando verrà per cui questa disceda?
Koi and.ivam coi passi lenti e scarsi,
Ed io attento alle ombre, che io sentia
rietosamcntc piangere e lagnarsi;
E per ventura lulii : dolce Maria,
Dinanzi a noi chi.unar così nel pianto,
C>(»me fa donna, che in partorir eia,
E seguitar: povera fosti tanto,
Quanto veder si può per quell' ospizio.
Ove sponcsti '1 tuo portato santo.
Seguentemente intci>i: oh buon Fabbrlzio^
iy^3é
Con povertà volesti anzi virtute.
Che gran ricchezza posseder con vizio.
Queste parole mi eran si piaciute.
Che io mi trassi oltre, per aver contezza,
Di quello spirto, onde parean venute.
Esso parlava ancor della larghezza,
Che fece Niccolao alle pulcelle.
Per condurre ad onor lor giovinezza.
Oh anima, che tanto ben favelle,
Dimmi chi fosti, dissi, e per che sola
Tu queste degne lode rinnovelle?
Non fia senza mercè la tua parola.
Se io ritorno a compier lo cammin corto
Di quella vita , che al termine vola.
Ed egli : io ti dirò , non per conforto.
Che io attenda di là , ma per che tanta
Grazia in te luce prima che sie morto.
Io fui radice della mala pianta, '
Che la terra cristiana tutta aduggia.
Sì che buon frutto rado se ne schianta.
Ma se Doagio, Guanto, Lilla, e BVuggla
Potesser , tosto ne saria vendetta ;
Ed io la cheggio a lui che tutto giuggia.
Chiamato fui di là Ugo Ciapetta:
Di me son nati i Filippi e i Luigi
Per cui novellamente è Francia retta.
Figliol fui di un beccajo di Parigi. •.re^^^CK'
Quando li regi antichi venner meno
Tutti , for che un redatto in panni bigi,
Trovami stretto nelle mani il freno
Del governo del regno , e tanta possa
Di novo acquisto , e sì di amici pieno,
Che alla corona vedova promossa
La testa di mio figlio fu, dal quale
Cominciar di costor le sacrate ossa.
Mentre che la gran dote provenzale
Al sangue mio non tolse la vergogna,
Poco valea , ma pur non facea male.
Lì cominciò con forza e con menzogna
La sua rapina, e poscia per ammenda
Ponti , e Normandi prese e la Guascogna.
Carlo venne in Italia, e per ammenda
Vittima fé di Curradino , e poi
Uispinse al ciel Tommaso per ammenda.
Tempo \eg<^^ io non molto dopo ancoi,
VAie tragge un altro Carlo for di Francia,
Per far conoscer meglio e sé, e i suoi.
Senz' arme n' esce, e solo con la lancia,
Con la qual giostrò Giuda, e quella pont<|
Sì, che a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
Quindi non terra , ma peccato ed onta
Guadagnerà perse, tanto più grave,
Quanto più lieve sìmil danno conta.
Lo altro che già uscì , preso di nave,
Veggio vender sua figlia, e patteggiarne.
Come fanno i corsar delle altre schiave.
Oh avarizia , che puoi tu più farne.
Poi che hai '1 sangue mio a te sì tratto.
Che non si cura della propria carne?
Per che men paja il mal futuro e il fatto.
Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso,
E nel vicario suo Cristo esser catto;
Veggiolo un' altra volta esser derìso;
A eggio rinnovellar lo aceto e il fele,
E tra vivi ladroni essere ancìso.
VegL'i" il novo Pilato sì crudele,
Che ciò noi sazia, ma senza decreto
1
I
125]
PURGATORIO. (XX. 93 — 151. XXI. 1 — 59)
[126]
Porta nel tempio le cupide Tel*».
)h signor mio, quando sarò io lieto
A veder la vendetta , che nascosa
Fa dolce la ira tua nel tuo segreto ?
Dio che io dicea di quella unica sposa
Dello spirito santo , e che ti fece i
Verso me \olger per alcuna chiosa, '^V^v;,"'-^
fanto è disposto a tutte nostre prece.
Quanto il di dura : ma quando si annotta,
Contrario suon prendemo in quella vece,
oi ripetiam Pigmalione allotta,
Cui traditore , e ladro , e patricida
Fece la voglia sua dell' oro ghiotta ; '
S la miseria dello avaro Mida,
Che seguì alla sua dimanda ingorda,
_Fer la qual sempre convicn che si rida.
Del folle Ac.im ciascun poi si ricorda.
Come furò le spoglie, sì che la ira
Di Giosuè qui par che ancor lo morda.
[ndi accusiam col marito Safira :
Lodiamo i calci eh' ebbe Eliodoro,
Ed in infamia tutto il monte gira
olinestor, che ancise Polidoro:
Ultimamente ci si grida : Crasso,
Dicci, che il sai, di che sapor è 1' oro!
Talor parliam lo un alto , e lo altro basso,
Secondo T aJFezion, che a dir ci sprona
Ora a maggioi-e ed ora a minor passo.
Però al ben, che il dì ci si ragiona,
Dianzi non era io sol : ma qui da presso
Non alzava la voce altra persona.
Noi eravam partiti già da esso,
E hrigavam di soverchiar la strada
Tanto, quanto al poter n' era permesso,
Qaando io sentii, come cosa che cada.
Tremar lo monte: onde mi prese im gelo,
Qual prender suol colui , che a morte vada.
Certo non si scotea sì forte Delo,
Pria che Latnna in lei facesse il nido,
A parturir li due occhi del ciclo.
Poi cominciò da tutte parti un grido
Tal, che il maestro inver di me si feo.
Dicendo: non dublnar, mentre io ti guido!
Ghria in excebis tutti Deo
Dicean , per quel che io da vicìn compresi.
Onde intender lo grido si poteo.
Noi ci rcstamnu» immobili e sospesi,
Come i pastor, che prima udir quel canto.
Fin che il tremar cessò , ed el compiési.
Poi ripigliammo nostro cammin santo.
Guardando le ombre che giacean per terra»
Tornate già in su lo u<^ato pianto.
Nulla ignoranza mai con tanta guerra
Mi fé desideroso di sapere.
Se la memoria mia in ciò non erra.
Quanta pareami allor pensando avere:
Né per la fretta dimandare era oso.
Né per me li potea cosa vedere:
Così mi andava timido e peosutjo.
CANTO XXI.
ARGOMENTO.
Il poeta Stazio.
La sete naturai , che mai non sazia
Se non con 1' acqua, onde la femminetta
Sammaritana dimandò la grazia,
Mi travagh"ava, e pungeami la fretta
Per la impacciata via dietro al mio duca,
E condoleumi alla giusta vendetta.
Ed ecco , si come ne scrive Luca,
Che Cristo apparve ai duo eh' erano in via.
Già surto for della sepulcral buca,
Ci apparve una ombra; e dietro a noi venia,
Da pie guardando la turba che giace:
j\'è ci addemmo di lei , sì parlò pria.
Dicendo : frati miei , dio vi dea pare !
Noi ci volgemmo subito, e Virgilio
Rendè lui '1 cenno che a ciò si conface,
Poi cominciò : nel beato concilio
Ti ponga in pace la verace corte.
Che me rilega nello eterno esilio!
Come, diss' egli, e parte andavam forte,
Se voi siete ombre , che dio su non degni,
Chi vi ha per la sua scala tanto scorte?
E il dottor mio: se tu riguardi i segni
Che questi porta , e che lo angel profGIa,
Ben vedrai , che coi buon convien eh' ci regni.
Ma per che Lachesì , che dà le fila,
Non li avea tratta ancora la conocchia,
Che Cloto impone a ciascuno , e compila,
L' anima sua, eh' è tua e mia sirocchia,
Venendo su, non potea venir sola.
Però che al nostro modo non adocchia.
Onde io fui tratto for dell' ampia gola
D' inferno per mostrarli , e mostrerolli
Oltre, quanto il potrà menar mia scola.
Ma dinne, se tu sai, per che tai crolli
Die' dianzi 'I monte, e per che tutti ad una
Parve gridare, inlìno ai suoi piò molli?
Si mi die', dimandando, per la cruna
Del mio disio, che pur con la s(>eranza
Si fece la mia sete men digiuna.
Quei cominciò : cosa non è , che ganza
Ordine senta la religione
Della montagna, o che sia for di usanza.
Libero è qui da ogni alterazione:
Di quel che il ciel da sé in sé riceve,
Esserci puote , e ncm di altro cagione.
Per che non pioggia, non grando, non neve,
Non rugiada, non brina più su cade.
Che la scaletta dei tre gradi breve.
Nuvole spesse non pajon , né rade.
Né corruscar, né figlia di TitiMnante,
Che di là cangia sovente «-.ontrade.
Serro vapor non surge più avante,
('he al sonuno dei tre gradi , che io parlai,
Dove ha il vicario di l'ietro le piante.
Trema forse più (l'in poco, od assai:
]\la per vento che in terra si nasconda.
Non so come, qua su non trema mai:
Tremaci, quando alcun' anima monda
Si beute, bì che turga, u che bi mova
[12T]
PURGATORIO. (XXL 60 — 136. XXII. 1 — 44)
[128] J li
Per salir sn , e tal grido seconda.
Della mondizia il sol voler fa prova,
Che tutto libero a mutar convento
L' alma sorprende , e di voler le giova.
Prima vuol ben ; ma non lascia il talento,
Che divina giustizia contra voglia,
Come fu al peccar, pone al tormento.
Ed io che son giiiciuto a questa doglia^^
Cinquecento anni e più, pur mo sentii
Lìbera volontà di miglior soglia.
Però sentirti '1 tremoto, e li pii
Spiriti per lo monte render lode
A quel signor, che tosto su 1' invii.
Cosi li disse: e però che si gode
Tanto del ber, quanto è grande la sete,
Non saprei dir quanto el mi fece prode.
E il savio duca: omai veggio la rete
Che qui vi piglia, e come si scalappia,
Per che ci trema , e di che congaudete.
Ora chi fosti , piacciati che io sappia,
E per che tanti secoli giaciuto
Qui sei, nelle parole tue mi cnppia!
ISel tempo che il buon Tito, con lo ajuto
Del sommo rege vendicò le fora
Onde uscì '1 sangue per Giuda venduto.
Col nome che più dura e più onora,
Era io di là, rispose quello spirto.
Famoso assai, ma non con fede ancora.
Tanto fu dolce mio vocale spirto,
Che Tolosano a sé mi trasse Roma,
Dove merlai le tempie ornar di mirto.
Stazio la gente ancor di là mi noma:
Cantai di Tebe, e poi del grande Achille:
Ma caddi 'n via con la seconda soma.
Al mio ardor fùr seme le f<i\ille.
Che mi scaldar, della divina fiamma.
Onde sono allumati più di mille :
Della Eneida dico , la qual mamma
Furami , e furami nutrice poetando :
Sanza essa non fermai peso di dramma.
E per esser vivuto di là , quando
Visse Virgilio, assentirei un sole
Più , che i(» non deggio , al mio uscir di bando.
Volser Virgilio a me queste parole
Con viso, che tacendo dicea: Taci!
Ma non può tutto la virtù che vuole;
Che riso e pianto son tanto seguaci
Alla passion, da che ciascun si epicca,
Che inen seguon voler nei più veraci.
Io pur sorrisi, come 1' om che ammicca:
Per che la ombra si tacque, e riguardommi
Nelli occhi , ove il sembiante più si ficca.
£ , se tanto lavoro in bene assommi.
Disse, j)er che la faccia tua testeso
Ln lampf'<rgiiir di riso dimostrommi?
Or son io da una parte e d' altra preso:
La una mi fa tacer , T altra scongiura,
Che io dica; onde io sospiro, e sono inteso.
Di', il mio maestro , e non aver paura.
Mi disse, di parlar, ma parla, e digli
Quel cir «1 diuianda con cotanta cura!
Onde io : forse che tu ti maravigli.
Antico spirto, del rìder che io fei:
Ma più di anmiirazìon vo', che ti pigli.
Questi, che guida in allo li occhi miei,
E quel ^irgilio, dal qual tu togliesti
Forze a cantar dclli omini e dei dei.
Se cagione altra al mio rider credesti.
Lasciala per non vera esser, e credi
Quelle parole, che di lui dicesti!
Già s' inchinava ab abbracciar li piedi
Al mio dottor: ma quei li disse: frate,
IVon far! che tu sei ombra, ed ombra vedi.
Ed ei surgendo: or puoi la quantitate
Comprender dello amor che a te mi scalda,
Quando dismento nostra vanitale,
Trattando le ombre come cosa salda.
CANTO XXII.
ARGOMENTO. \
Sesto balzo: i golosi. Continua Stazio. Albero nu's-^
tico. Esempj di sobrietà, -,
\
Già era lo angel dicti'O a noi rìmaso, ;
Lo angel, che ne avea volti al sesto giro, j
Avendomi dal viso un colpo raso, i
E quei che hanno giustizia in lor disiro.
Dello ne avean Beati, e le sue voci.
Con sltiunt senz' altro ciò fornirò,
Ed io più lieve che per le altre foci,
Mi andava sì, che senz' alcun labore
Seguiva in su li spix-iti veloci :
Quando Virgilio cominciò: amore
Acceso di virtù sempre altro accese,
Pur che la fiamma sua paresse fore.
Onde dalla ora, che tra noi discese
Nel limbo dello inferno Giovenale,
Che la tua afFezion mi fé palese,
Mia benvoglienza inverso te fu , quale
Più strinse mai di non vista persona;
Sì che or mi parran corte queste scale.
Ma dimmi, e come amico mi perdona.
Se troppa sicurtà mi allarga il freno,
E come amico omai meco ragiona:
ICome poléo trovar dentro al tuo seno
j Loco avarizia tra cotanto senno,
Di quanto per tua cura fosti pieno?
I Queste parole Stazio mover fenno
j Ln poco a riso pria; poscia rispose:
! Ogni tuo dir di amor mi è caro cenno.
Veramente più volte appajon cose.
Che danno a dubitar falsa matera.
Per le vere cagion che sono ascose.
La tua dimanda tuo creder mi avvera
Esser, che io fossi avaro in T altra vita,
Forse per quella cerchia, dove io era.
Or sappi , che avarizia fu partita
Troppo da me; e questa dismisora
Miglìfìja di lunari hanno punita.
E se non fosse, che io drizzai mia cura.
Quando io intesi là dove tu chiame
Crocciato quasi, alla umana natura.
Per che non reggi tu , oh sacra fame
Dell' oro , lo appetito dei mortali ?
^ oliando sentirei le gi(»stre grame.
Allor mi accorsi , che troppo aprir le ali
Potean le mani a spendere, e pentémi
yL29]
PURGATORIO. (XXn. 45-154. XXIII. 1 - 12)
Cosi di quel , come dellì altri mali,
janti rlsiirgeran coi crini scemi
Per la ip^noranza , che di questa pecca
Toglie il penttr rivendo , e nelli estremi !
sappi che la colpa , che rimbecca
Per dritta opposizione a!cun peccato,
Con CiSfiO insieme qni suo verde secca.
;rò se io son tra quella gente stato
Che piange 1' avarizia ,' per purgarmi
Per lo contrario suo mi è incttntrato.
r quando tu cantasti le crude armi
Della doppia tristizia di Giocasta,
Disse il cantor dei bucolici carmi,
er quel che Clio li con tcco tasta.
Non par che ti facesse ancor fedele
La fé, senza la qual ben far non basta.
B così è, qual sede, o qiiai candele
Ti stencbraron sì , che tu drizzasti
Poscia diretro al pescator le vele ?
d egli a lui: tu prima m' inviasti
Verso Parnaso a ber nelle sue grotte,
E prima a presso dio mi alluminasti,
acesti come quei che va di notte.
Che porta il lume dietro , e a sé non giova,
Ma dopo sé fa le persone dotte,
•uandu dicesti : secol si rinnova.
Toma giustizia, e primo tempo umano,
E progenie discende dal ciel nova,
er te poeta fui, per te cristiano.
Ma per che veggi mei ciò che io disegno,
A colorar distenderò "la mano.
ria era il mondo tutto quanto pregno
Della vera credenza, seminata
Per li messaggi dello eterno regno,
la parola tua sopra toccata
Si consonava ai novi predicanti,
Onde io a visitarli presi usata.
^ennermi poi parendo tanto santi,
Che, quando Domizian li pcrseguette,
Senza mio lacrimar non fur lor pianti.
'] mentre che di là ])er me si stette.
Io li sovvenni, e lor dritti costumi
Fcr dispregiare a me tutte altre sette.
i pria che io conducessi i Greci ai fiumi
Di Tebe poetando, ebh' io battesmo;
Ma per paura chiuso Cristian fumi,
jungamentc mostrando pagauesmo;
E questa tepidezza il quarto cerchio
Cercar mi fé più che il quarto centesmo.
Fu dunque, che levato hai '1 coperchio.
Che mi ascondeva quanto bene io dico.
Mentre che del salire avém soperchio.
Dimmi , dov' è Terenzio nostro antico,
Cecilio, IMauto, e Varrò, se lo sai?
Dimmi, se son dannati, ed in qual vico?
Costoro , e Persio , ed io , ed altri assai,
Rispose il duca mio , siam con quel Greco,
Che le muse lattar più che altro mai.
Nel primo cinghio del carcere cicco.
Spesse fiate ragioniam del monte,
Clio ha lo nutrici nostre sempre ecco.
Euripide vi è nosco, e Anacn^ontc,
Siiiionide, Agat«ine, ed altri piiìo
Greci, «he già Hi lauro ornar la fronte.
Quivi si veggion delle genti tue
Antigone , Dcililc , ed Argia,
Ed Ismene si trista corno fuo.
[130]
Vcdesi quella, che mostrò Langfa;
Evvi la figlia di Tiresla, e Teti,
E con le suore sue Deìdaraia.
Tacevansi ambo e due già li poeti,
Di novo attenti a riguardare intorno,
Liberi dal salire, e dai pareti; -^
E già le quattro ancelle eran del g^orno^~"
Himase a dietro, e la quinta era al temo,
Drizzando pure in su lo ardente corno,
Quando il mio duca : io credo , che allo stremo
Le destre spalle volger ci convegna
Girando il monte , come far solemo.
Così la usanza fu li nostra insegna:
E prendemmo la via con men sospetto,
Per lo assentir di quell' anima degna.
Essi givan dinanzi , ed io soletto
Diretro, ed ascoltala i lor sermoni.
Che a poetar mi davano intelletto.
Ma tosto ruppe le dolci ragioni
Un allier, che trovammo in mezza strada
Con pomi ad odorar soavi e buoni.
E come abete in alto si digrada
Di ramo in ramo, così quello in giuso,
Credo io, per che persona su non vada.
Dal lato , onde il cammin nostro era chiuso
Cadca dall' alta roccia un liquor chiaro,
E si spande\a per le foglie suso.
Li due poeti allo alber si appressare
Ed una voce per entro la fronde
Gridò : di questo cibo avrete caro.
Poi disse : più pensava Maria , onde
Fosser le nozze orrevoli ed intere.
Che alla sua bocca, che or per voi risponde:
E le Romane antiche per lor bere
Contente furon di acqua, e Daniello
Dispregiò cibo ed acquistò savere.
• Lo secol primo, che quant' or fu bello,
Fé' saporose con fame le ghiande,
E nettare per se(e ogni ruscello.
i\Iele e locuste furon le vivande,
Che nudriro il Battista nel diserto :
Per che egli è glorioso , e tanto grande.
Quanto per lo evangelio vi è aperto.
CANTO XXIII.
ARGOMENTO.
Forese loda la sua moglie, sferza le donne fiorcnUnc.
Mentre che lì occhi i)er la fronda verde
Ficcava io così , come far suole
Chi dietro allo uccellin sua vita perde.
Lo più che padre mi dicea, figliole,
Vieni oniiiiai ! che il tempo, che n' é imposto,
Più utilmente compartir t.i vuole.
Io voUi "l >iso, e il passo non men tosto,
A presso ai savj , che parlavan sic.
Che lo andar mi fucean di nullo costo.
Ed ecco iiianger e cantar si lidie,
Ltibia ;;u«, Ihminc , per modo
Tal, che diletto e doglia parturie.
»f
[131]
PURGATOniO. (XXIII. 13—133)
[1321
Oh dolce padre, che è quel che io odo?
Cominiùa' io; ed egli: ombre, clic vanno
Forse di lor dover solvendo il nodo.
Si come i peregria pensosi fanno,
Giiignendo per caraniin gente non nota,
Che si volgono ad essa, e non ristanno,
Così diretro a noi più tosto mota
Venendo, e trapassando ci ammirava
Di anime turba tacita e devota.
Kelli occhi era ciascuna oscura e cava,
Pallida nella faccia, e tanto scema.
Che dalle ossa la pelle s' informava. .
Non credo , che così a buccia strema jtii\*di , \'
Erisitón si fusse fatto secco, iv
Per digiunar , quando più n' ebbe tema.
Io dicea , fra me stesso pensando : ecco
La gente, che perde Gerusalemme,
Quando Maria nel figlio die' di becco!
Parean le occhiaje anella senza genmie.
Clii nel viso delli omini legge omo,
lien avria quivi conosciuto la emme.
Chi crederebbe, che 1' odor di un pomo
Sì governasse , generando brama,
E quel di un' acqua, non sapendo comò?
Già era in ammirar, che sì lì afrania.
Per la cagione ancor non manifesta
Di lor magrezza, e di lor trista squama:
Ed ecco del profondo della testa
Volse a me li occhi una ombra, e guardò fiso,
Poi gridò forte: qnal grazia mi è questa?
Mai non lo avrei riconosciuto al viso:
Ma nella voce sua mi fu palese
Ciò che lo aspetto in sé avea conquiso.
Questa favella tutta mi raccese
Mia conoscenza alla cambiata labbia,
E ravvisai la faccia di Forese.
Deh , non contendere all' asciutta scabbia,
Che mi scolora , pregava , la pelle,
j\è a difetto di carne che io abbia !
Bla dimmi '1 ver di te, e chi son quelle
Due anime, che là ti fanno scorta !
Non rimaner, che tu non mi favelle!
La faccia tua, che io lagrimai già morta,
Mi dà di pianger mo non minor doglia,
Risposi lui, veggendola sì torta.
Però mi di', per dio, che si vi sfoglia!
Non mi far dir, mentre io mi maraviglio:
Che mal può dir, chi è pien di altra voglia.
Ed egli a me: dello eterno consiglio
Cade virtù neil' acqua, e nella pianta
Kiuiasa a dietro , onde io sì mi assottiglio.
Tutta està gente, che piangendo canta,
Per seguitar la gola oltre misura.
In fame e in sete qui si ri là santa.
Di bere e di mangiar ne accende cura
L' odor eh' esce del pomo , e dello sprazzo,
Che si distende su per sua verdura.
E non pure ima volta , questo spazzo (
Girando, si rinfresca nostra pena:
Io dico pena, e. dcvria dir sollazzo:
Che quella voglia all(» alhero ci mena,
Che menò (Jrioto lieto a dire Eli,
Quando ne liberò con la sua vena.
Ed io a lui : l''ore^e, da qu<'l dì,
Nel qiial Iuuta^ti mondo a miglior vita.
Cinque anni non son volti inlìno a qui.
Se prima fu la possa in te finita
DI peccar più , che sorvenisse la ora
Del buon dolor, che a dio ne rimarita, /ì\i^'''
Come sei tu qua su venuto ? ancora 'jAC
Io ti credea trovar là giù di sotto.
Dove tempo per tempo si ristora.
Ed egli a me: sì tosto mi ha condotto
A ber lo dolce assenzio dei martiri
La Nella mia con suo pianger dirotto.
Con suoi preghi devoti, e con sospiri
Tolto mi ha della co^ti1, ove si aspetta,
E liberato mi ha dclli altri giri.
Tanto è a dio più cara e più diletta
La vedovella mia, clie tflnto amai.
Quanto in bene operare è più soletta;
Cile la Barbagia di Sardigna assai
Nelle femmine sue più è pudica.
Che la Barbagia dove io la lasciai.
Oh dolce frate, che vuoi tu che io dica?
Tempo futijro mi è già nel cospetto.
Cui non sarà questa ora nuilto antica,
Nel qual sarà in pergamo interdetto
Alle sfacciate donne fiorentine
Lo andar mostrando colle poppe il petto.
Quai Barbare fur mai , quai Saracino,
Cui bisognasse, per farle ir coverte,
O spiritali, 0 altre discipline?
Ma se le svergognate fosser certe
Di ciò, che il ciel veloce loro ammanna.
Già per urlare avTiau le bocche aperte.
Che se lo antiveder qui non m' inganna,
Prima fien triste, che le guance impeli
Colui , che mo si consola con nanna.
Deh frate, or fa che più non mi ti celi!
Vedi che non pur io , ma questa gente
Tutta rimira là dove il sol veli.
Per che io a lui: se ti riduri a mente,
Qual fosti meco, e quale io teco fui.
Ancor fia grave il memorar presente.
Di quella vita mi volse costui
Che mi va innanzi , lo altro ìer, quando tonda
^i si mostrò la suora di colui;
E il sol mostrai. Costui per la profonda
Notte menato mi ha dei veri morti
Con questa vera carne , che il seconda.
Indi mi lian tratto su li suoi conforti.
Salendo e rigirando la montagna,
Che drizza voi, che il mondo fece torti.
Tanto dice di farmi sua compagna.
Che io sarò là, dove sarà Beatrice:
Quivi convien , che senza lui rimagna.
Virgilio è questi, che così mi dice;
E additaiio; e questo altro è quella ombra.
Per cui scosse dianzi ogni pendice
Lo vostro regno , che da sé la sgombra.
133]
PURGATORIO. (XXIV. 1 — 125)
[134]
CANTO XXIV.
ARGOMENTO.
tRonaghinta da Lucca. Dello siile amoroso,
albero mistico. J^lJf'ctti della gola.
|iVè il dir lo anilnr, né lo andar lui più lento
Faoea ; ma ragionando andavaiii forte,
Si come nave pinta ('a buon vento.
E le ombre, che parean cose rimorte,
Per le fosse deiìi occhi ammirazione
Tracan di me, di mio vivere accorte.
Ed io continuando il mio sermone,
Dissi: ella sen va su forse più tarda.
Che non farebbe per altrui cagione.
Ma dimmi , se tu sai , dov' è Piccarda !
Dimmi, se io veggio da notar persona
Tra questa gente, che sì mi riguarda!
La mia sorella, che tra bella e buona
IVon so qual fosse più , trionfa lieta
INjiilo alt' Olimpo già di sua corona.
Sì disse prima, e poi: qui non si vieta
Di nominar ciascun , da eh' è sì munta
Ko4ra sembianza via per la dieta.
Questi (e mostrò col dito) è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
Di là da Ini, i)iù che le altre trapunta.
Ebbe la santa chiesa in le sue braccia:
Dal Torso fu , e purga per digiuno
Le anguille di Bolsena e la vernaccia.
Molti altri mi nomò ad uno ad uno:
E del nomar parean tutti contenti,
Sì che io però non vidi un atto bruno.
Vidi per fame a voto usar li denti
Ulialdin dalla Pila , e Bonifazio,
Che pasturò col rocco molte genti.
Vidi mcsser Marchese, eh' ebbe spazio
Già di bere a Forlì con men secchezza,
E sì fu tal, che non si senti sazio.
Ma come fa chi guardiv., e poi fa prezza
Più di un che di altro, fé' io a quel da Lucca,
Che più parca di me voler contezza.
Ei mormorava : e non so che gentucca
Sentiva io là , ov' ci sentia la piaga
Della giustizia, che sì li pilucca.
Oh anima , diss' io , che par' sì vaga
Di parlar meco , fa si che io t' intenda,
E te e me col tuo parlare appaga !
Feimnina è nata, e non porta ancor benda.
Cominciò ci , che ti farà piacere
La mia città, come che <im la riprenda.
Tu te ne andrai con questo antivedere;
Se nel mio moruu)rar prendesti errore,
Dichiareranti ancor le cose vere.
Ma di', se io veggio qui colui che fore
Trasse le novo rime, cominciando:
Donne, che avete inlclletto di «moie.
Ed io a hi! : io mi ^on un «he , quando
Amor mi spiiii , noto, ed in quel modo
Che ditta dentro , vo significando.
Oh frate, ì^^sa vcgg' io, diss' egli, il nodo,
Clio il \otaro, e (ìiiittone , e me ritenne
Di qua dal dolco «lil novo che i(» odo.
Io veggio ben , come le vostro penne
Diretro al dittator sen Tanno strette.
Che delie nostre certo non avvenne.
E qual più a gradire oltre si mette,
IVon vede più dallo uno allo altro stilo :
E qì!a*i contentandosi tacette.
y.. Come li augei, che vernan verso il Nilo,
Alcuna volta in nere fanno schiera.
Poi volan più in fretta , e vanno in filo,
Così tutta la gente che lì era,
Volgendo il viso rafi'rettò suo passo,
E per magrezza, e per voler leggiera.
E come r om , che di trottare è lasso.
Lascia andar li c<impag;ii , e sì passeggia.
Fin che si sfoglii lo affollar del casso.
Sì lasciò trapassar la santa greggia
Forese, e dietro meco sen veniva
Dicendo: quando fia che io ti ri'veggia?
Non so, rispos' io lui, quanto io mi viva:
3Ia già non ila il tornar mio tanto to,*to.
Che io non sia col voler prima alla riva.
Però che il loco u' fui a viver posto.
Di giorno in giorno più di ben si spolpa
Ed a trista mina par disposto.
Or va! diss' ei , che quei che più ne ha colpa,
yegg' io a coda di una bestia tratto
Verso la valle, ove mal non si scolpa.
La bestia ad ogni passo va più ratto.
Crescendo sempre, infin eh' ella il percote,
E lascia il corpo vilmente disfatto.
Xon hanno molto a volger quelle rote,
(E drizzò li occhi al cicl) che a te Ca chiaro
Ciò che il mio dir più dichiarar non potè.
Tu ti rimani ornai , che il tempo è caro
In questo regno sì , che io perdo troppo.
Acuendo teco si a paro a paro.
Qual esce alcuna volta di galoppo
Lo cavalier di schiera, che cavalchi,
E va per farsi onor del primo intoppo,
Tal sì partì da noi con maggior valchi :
j Ed io rimasi in via con essi due,
I Che fur del mondo sì gran marescalchi.
E quando innanzi a noi sì entrato fiie,
! Che li occhi miei si fòro a lui seguaci,
Come la mente alle parole sue,
Parvermi i rami gravidi e vivaci
Di un altro pomo , e non molto lontani,
Per esser pure allora volto in lati.
Vidi gente sotto css(» alzar le mani,
E gridar non so che verso le fronde,
Quasi bramosi fantolini e vani,
Che pregano, e il pregato non risponde:
Ma per fare esser ben lor voglia acuta,
Tien alto lor disio, e noi nasconde.
Poi si |)artì , si come ricreduta :
E noi venimmo al gran«le albero adesso.
Che tanti preghi e lacrime rifiuta.
Trapassate oltre, senza farvi presso!
Legno è più su , che fu morso du Evo,
E questa pianta si levò da esso.
Sì fra lo frasche non so chi diceva:
Per che Virgilio, e Stazio, ed io ristretti
Oltre amia vaili dal lato, che si leva.
Uicurdivi, dicea , dei maladetti
Nei nuvoli tiiriiiati, che satolli
Teseo coiiili<ilt( r coi dop|'J petti ;
E degli l'iblei , che al ber si mostrar molli,
Per che no i volle (ìedcòn compagni,
9 *
[135]
PURGATORIO. (XXTV. 12^—154. XXV. 1—01 )
Quando inver Madian discese i colli.
Si accojitati allo un dei due viragni,
Ptissamnio udendo colpe della gola,
Seguite già da nii<eri guadagni.
Poi rallarf^ati per la strada sola
Ben mille passi e più ci portammo oltre,
Contemplando ciascun , senza parola.
Che aniLite pensando si voi sol tre.''
Subita voce di*se : onde io mi scossi,
Come fan bestie spaventate e poltre.
Drizzai la testa per veder, chi fossi;
E giammai non si videro in fornace
Vetri , o metalli si lucenti e rossi,
Come io vidi un che dicea: se a voi piace
Montare in su, qui si convien dar volta:
Quinci si va, chi vuole andar per pace.
Lo aspetto suo mi avea la vista tolta ;
Per che io mi volsi retro ai miei dottori,
Come om che va secondo eh' egli ascolta.
E quale annunziatrine delli albóri
L' aura di maggio niovesi ed olezza,
Tutta impregnata dalla erba e dai fiori,
Tal mi sentii un vento dar per mezza
La fronte , e ben sentii mover la piuma,
Che fé' sentir di ambrosia la orezza.
E sentii dir: beati, cui alluma
Tanto di grazia , che Io amor del gusto
Nel petto lor troppo dislr non fuma,
Esurieudo sempre, quanto è giusto !
CANTO XXV.
ARGOMENTO.
Salgono al settimo balzo, ove si purga la lussuria.
Ccnerazioae i infusione deW anima nel corpo; corpo
aereo dopo la morte.
Ora era, onde il salir non volea storpio,
Che il sole avea il cerchio di merigge
Lasciato al tauro, e la notte allo ^corpio.
Per che, come fa 1' om che non si affigge.
Ma vassi alia via sua , che che li appaja^
Se di bisogno stimolo il trafigge,
Co!<i cntramiuo noi per la callaja
Uno innanzi altro , prendendo la scala,
Che p(;r artezza i salitor dispaja.
E quale il cicognin, che leva 1' ala
Per voglia di volare , e non si attenta
Di abbandonar Io nido, e giù la cala.
Tal era io con vo;j;Iia accesa e spenta
Di dimandar, venendo infino allo atto,
Cile fa colui che a dicer si argomenta.
Non lascio per lo andar che fosse ratto,
Lo doliMt padre mio, ma disse: scocca
Lo arco del dir, <;h(; infino al ferro hai tratto!
Allor siruraincnte aprii la bocca,
K cominciai : come si pu«'» far magro,
Là dine r opo di nutrir non tocca.''
Se ti anlm(■nta^^i, come; iVlcleagro
S( coiiHumò al consumar di un tizzo,
Non fura, dibse, a te questo si agro.
E se pensassi , come al vostro guizzo
Guizza dentro allo specchio vostra ìmage,
Ciò che par duro ti parrebbe vizzo.
Ma per che dentro a tuo voler ti adage.
Ecco qui Stazio: ed io lui chiamo e prco,
Che fia or sanator delle tue piage.
Se la veduta eterna li dispiego.
Rispose Stazio, là dove tu sie.
Discolpi me non potert' io far niego !
Poi cominciò : se le parole mie,
Figlio, la mente tua guarda e riceve,
Lume ti fieno al come, che tu die.
Sangue perfetto , che mai non si beve
Dalle assetate vene, e si rimane
Quasi alimento che di mensa leve.
Prende nel core a tutte membra umane
Virtute informativa, come quello
Che a farsi quelle per le vene vane.
Ancor, digesto scende ov' è più bello x.V^"^ |
Tacer, che dire: e quindi poscia geme.?
Sovr' altrui sangue in naturai vasello.
Ivi si accoglie lo uno e lo altro insieme.
Lo un disposto a patire, e lo altro a fare,
Per lo perfetto loco, onde si preme:
E giunto lui comincia a^ operare
Coagulando prima , e poi avviva
Ciò , che per sua materia fé' constare.
Anima fatta la virtute attiva,
Qual di una pianta, in tanto differente.
Che questa è in via , e quella è già a riva,
Tant' opra poi , che già si move e sente.
Come fungo mai-ino, ed ivi imprende
Ad organar le posse, end' è semente.
Or si spiega , figliolo, or si distende
La virtù , eh' è dal cor del generante,
Dove natura a tutte membra intende.
Ma come di animai divegna fante.
Non vedi tu ancor : questo è tal punto,
Che più savio di te già fece errante.
Si , che per sua dottrina fé' disgiunto
Dall' anima il possibile intelletto,
Per che da lui non vide organo assunto.
Apri alla verità, che viene, il petto,
E sappi che , si to.-to come al feto
Lo articolar del cerebro è perfetto.
Lo motor primo a lui si volge lieto
Sovra tant' arte di natura , e spira
Spirito novo di virtù repleto.
Che ciò , che trova attivo quivi , tira
In sua sostanzia, e fassi un' alma sola.
Che vive , e sente , e sé in sé rigira.
E per che meno ammiri la parola.
Guarda il calor del sol , che si fa vino.
Giunto allo umor che dalla vite cola!
E quando Lachcsi non ha più lino,
Solvesi dalla carne, ed in virtute
Seco ne porta e lo umano , e il divino.
Le altre potenzio tutte quasi mute ;
Memoria, intelligenzia, e volontade.
In atto molto più che prima acute.
Senz' arrestarsi, per sé stessa cade
Mirabilmente alla una delle rive:
Quivi conosce prima le sue strade.
Tosto che loco lì la circonscrive,
La \irtù informativa raggia intorno
Co'i e quanto nelle membra vive.
te come lo acre, quando è bcnj^vorno
i
.137]
PURGATORIO. (XXV.92- 139. XXVI^1-.T4)
[138]
Per lo altrui raggio, che in sé si riflette,
Di diversi color si mostra adorno,
losì lo acre vicin quivi si mette
In quella forma , che in lui suggella
Virtualmente 1' alma che ristette,
1 simiglujnte poi alla fiammella,
Che segue il foco là ovunque si mu
Segue allo spirto sua forma uovella.
ero che quindi ha poscia sua parut.i,
È chiamata ombra: e quindi organa poi
Ciascun sentire iiifino alla veduta.
Quindi parliamo , e quindi ridiam noi:
Quindi facciara le lacrime e i sospiri,
Che per lo monte aver sentili puoi,
econdo che ci affiggono i disiri,
E li altri affetti, la omhra si figura:
E questa è la cagion , di che tu miri
già venuto alla ultima tortura
Si era per noi, e volto alla man destra,
Ed eravamo attenti ad altra cura.
Juivi la ripa fiamma in for balestra, ...
E la cornice spira fiato in suso.
Che la rcHette, e via da lei sequestra:
Onde ir ne convenia dal lato schiuso
Ad uno ad uno , ed io temeva il foco
Quinci , e quindi temeva il cader giuso.
Lo duca mio dicea : per questo loco
Si vuol tenere alli occhi stretto il freno.
Però eh' errar potrelthesi per poco.
Summae Deus clementiae, nel seno
AI grande ardore allora udii cantando,
Che di volger mi fé' caler non meno.
E vidi spirti per la fiamma andando :
Per che io guardava ai loro ed ai miei passi,
Compartendo la vista a quando a quando.
A presso il fine che a quello inno fassi.
Gridavano alto, viriim non cognosco :
Indi ricominciavan lo inno ))assi.
Finitolo , anche gridavano : al bosco
Si tenne Uiana, ed Elice caccionne.
Che di Venere avea sentito il tosco. ■■' \,i\
Indi al cantar tornavano: indi donne" i ^
Gridavano , e mariti che fur casti,
Come virtute e matrimonio imponne.
E questo modo credo che lor basti '
Per tutto il tempo che il f«H;o li ahbrusa.
Con tal cura conviene , e con tai pasti,
Che la piaga daesezzo sia richiusa.
CANTO XXVI.
ARGOMENTO.
Guido Guinicclli. Arnaldo Daniello.
Mentre che si per I' orlo , uno innanzi altro,
(y'e ne andavamo , e spesso il buon maestro
Diceva: guarda! gio^i, <;bc io ti scaltro,
Fcriiuni 'I sole in su V omero destro,
Clic già , raggiando , tutto 1' ociidento
Mutava in bianco aspetto di cilcstro :
Ed io facca con lu ombra più rodente
Parer la fiamma, e pure a tanto indizio
! Vidi molte ombre andando poner mente.
Questa fu la cagion che diede inizio
Loro a parlar di me, e cominciarsi
A dir: colui non par corpo fittizio.
Poi verso me quanto jìotevan farsi,
Certi si feron , sempre con riguardo
Di non uscir , dove non fossero ar.-i.
Oh tu che vai, non per esser più tarilo,
Ma forse reverente, alli altri dopo,
Rispondi a me, che in sete ed in foco ardo!
Né solo a me la tua risposta é opo :
Che tutti questi ne hanno maggior sete,
Che di acqua fredda Indo o Etiópo.
Dinne, com' è, che fai di te parete
Al sol, come se tu non fossi ancora
Di morte entrato dentro dalla rete?
Sì mi parlava un di essi, ed io mi fora
Già manifesto, se io non fossi atteso
Ad altra novità che apparse allora;
Che per lo mezzo del cammino acceso
'tenne gente col viso incontro a questa.
La qual mi fece a rimirar sospeso.
Li veggio da ogni parte farsi presta
Ciascuna ombra, e basiarsi una con una
Senza ristar, contente a breve festa.
Cosi per entro loro schiera bruna
Si ammusa la una con 1' altra formica.
Forse a spiar lor via e lor fortuna.
Tosto che parton 1' accoglienza amica.
Prima che il primo passo lì trascorra,
Sopragridar ciascuna si alT.itica
La nova gente, Soddoma e Gomorra!
E r altra : nella vacca entra Pasite,
Per che il torello a sua lussuria corra.
Poi come grue , che alle montagne llife
Volasser parte , e parte in ver le arene.
Queste del gelo, quelle del sol schife.
La una gente sen va , 1' altra sen viene,
£ tornan lagrimando ai primi canti.
Ed al gridar, che più lor si conviene:
E raccostaiiji a me , come davanti,
Essi mcdesmi, «he mi avean pregato,
Attenti ad ascoltar nei lor seinbianli.
Io, che due volte avca visto lor grato,
Incominciai: oh anime sicure
Di aver, quando che sia, di pace stato,
jVon son rimase acerbe, nò mature
Le membra mie di là, ma son qui meco
Col sangue suo , e con le sue giunture.
Quinci su vo, per non esser più cieco.
Donna è di sopra , che no ac(iui>ta grazia,
Per che il mortai per vo.>tro mondo reco,
a se la vostra maggior voglia sazia
Tosto divcgna, sì che il cicl vi alberglii,
Clr è pieu di amore, o più ampio si spazia.
Ditemi, ac<iò «he ancor carie n(; terghi,
Chi siete voi , e chi è quella turba.
Che se ne va dirctro ai mostri terghi?
iVon altrimenti stii|>ido si turba
liO montanaro, e rimiranih» nmiimta.
Quando rozzo e salvatico s' inurba,
Cb<- ciascuna <iuibra fece in sua parata:
iVla poi che i'uron di stnp(U'(> scar<'lio,
Lo qual nclli alli cor tosto si attuta:
Hcalo t«', «he delle no^tre marche,
Uicoiiiinciò colei che pria ne cilici.
[13S]
PURGATORIO. (XXVI^75— 118^ XXVII. 1 — 45)
[140]^
Per viver meglio esperienza imbarclic !
La fjente, che non vien con noi, oltese
Di ciò, per che già Cesar trionfando
Regina contra sé chiamar s' intese:
Per» si parton Soddoma gridando
Rimproverando a sé, come hai udito,
E dan giunta all' arsura vergognando.
Nostro peccato fu erniafrodito.
Ma per che non servammo umana legge,
Seguendo come bestie lo appetito,
In obi)robrio di noi per noi si legge. ^
Quando partiamci , il nome di colei, ,' \
Che s' iiii!)estiò nelle imbestiate schegge.
Or sai nostri atti, e di che fummo rei:
Se forse a nome vuoi saper, chi semo,
Tempo non è da dire, e non saprei.
Farotti ben di me volere scemo:
Sou Guido Guinicelli, e già mi purgo,
Per ben dolermi , prima che allo stremo.
Quali nella tristizia di Licurgo
Si fèr duo figli a riveder la madre,
Tal mi fec' io , ma non a tanto ìnsurgo,
Quando io udii nomar sé stesso il padre
Mio e delli altri miei miglior, clie mai
Rime di anuìie u.-àr dolci e leggiadre;
E, senza udire e dir, pensoso andai
Lunga fiata rimirando luì,
l\é per h» foco in là più mi appressai.
Poi che del riguardar pasciuto fui.
Tutto mi oil'ersi pronto al suo servigio,
Con lo affermar , che fa credere altrui.
Ed egli a me : tu lasci tal vestigio,
Per quel che io odo , in me , e tanto chiaro,
Che Lete noi può torre, né far bigio. ^. ,,
Ma se le tue parole or ver giuraro,
Dinmii , che è cagion, per che dimostri
Nel dire, e nel guardar di avermi caro?
Ed io a Ini: li dolci detti vostri,
Che , tjuanto durerà lo uso moderno,
Farauiio <;ari ancora i loro inchiostri.
Oh frate, disse: questi, che io ti scerno
Col dito (e additò uno spirto innanzi).
Fu miglior fabbro del parlar materno.
Versi di amore , e prose di romanzi
Soverchiò tutti; e lascia dir li stolti,
Che quel di Lemosi credon die a%anzi!
A voce più che al ver drizzan li volti,
E cosi ferman sua opinione,
Prima che arte o ragion per lor si ascolti.
Così fer molti anticiiì di Giiittone,
Di grido in grido pur lui dando pregio.
Fin che Io ha vinto il ver con più persone.
Or se tu hai sì ampio privilegio.
Che licito ti sia lo andare al chiostro,
Nel quale è Cristo abate del collegio.
Pàli |ier mi; udir di un paternostro
Quanto liisogna a noi di (jnesto mondo,
0\e poter peccar non è più nostro.
Poi, forse per dar loco altrui, secondo
Che presso avea, disparve per lo foco,
Come per l' acqua il pesile andando al fondo.
Io mi feci al mo^truto innanzi un poco,
E dÌ8r<i, che al suo nome il mio desire
Apparecchiava grazioho hx.o.
£ì comincio liberami iite a dire;
Tali ni' uhhrlts vostre cortes dcman.
Clic cu non jiui ne vuoti a vos cobrìre.
Jcu sol Àrnaut, che jìlor, e vai cantan ;
Coiisiros vci la spassadu foUor,
Et vci gianscn te joi , che sper denari.
Ara vs predi per a elicila valor.
Che vs guida al som scns frcieh e sens calinu,
Aouc^«« i'((s a ievips de wa dolor:
Poi si ascose nel loco , che li affina.
CANTO XXVII.
ARGOMENTO.
A nome di Beatrice il poeta attraversa le fiamme
del pitrgaiorio. J isioue di Lia e Rachele, la vita
attiva e la contemplativa. ì irgilio lascia D.
in balia di sé stesso.
jSì come, quando i primi raggi vibra
Là dove il suo fattore il sangue sparse,
Cadendo Ibéro sotto 1' alta libra,
, E le onde in Gange da nona riarse,
I Sì stava il sole , onde il giorno sen giva,
Quando lo angel di dio lieto ci apparse,
; For (iella fiamma stava in su la riva,
ì E cantava: Jhati mundo cordeì
i In voce assai più che la nostra viva:
; Poscia : più non si va , se pria non morde,
> Anime sante, il foco: entrate in esso.
Ed al cantar di là non siate sorde !
j Sì disse, come noi li fummo presso:
Fer cl'.e io divenni tal, quando lo intesi,
I Qual è colui che nella fossa è messo.
I In su le mani tutto mi protesi.
Guardando il foco , e immaginando forte
Umani corpi già veduti accesi.
Volsersi verso me le buone scorte:
E Virgilio mi disse: figliol mio,
' Qui puotc esser tormento , ma non morte.
(Ricordati, ricordati! e se io
I Sovresso Gerion ti guidai salvo,
I Che farò or, che son più presso a dio?
Credi per certo che, se dentro allo alvo
I Di questa iiamma stessi ben mille anni,
Non ti potrebbe far di un capei calvo.
] E se tu forse credi che io t' inganni.
Fatti ver lei , e fatti far credenza
I Con le tue mani al lembo dei tuoi panni!
Fon giù omai, pon giù ogni temenza!
I Volgiti 'n qua, e vieni oltre sicuro!
I Ed io pur fermo , e contro a coscienza.
i Quando mi vide star pur fermo e duro,
Turbato un poco disse: or vedi, figlio,
I Tra Reatrice e te è questo muro.
I Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
I i'irauu) in su la morte, e riguardolla,
Allor che il gelso diventò vermiglio,
Cosi , la mia durezza fatta solla.
Mi volsi al savio duca , udendo il nome,
Che nella mente sempre mi rampolla. ;
Ond' ei crollò la testa, e disse: come, i
Voicmci star di qua? indi sorrise,
Como al fanciul si fa, eh' ù vinto al pome-
141]
PURGATORIO. (XXVIL 40- 142. XXVIII. l -25)
^oi dentro al foco innanzi mi si mise,
Pregando Stazio che venisse retro,
Che pria per lunga strada ci divijie.
Jome io fui dentro, in un Iiogliente vetro
Gittato mi sarei per rinfrescarmi,
Tanto era ivi Io incendio senza metro.
^0 dolce padre mio , per confortarmi,
Pur di Beatrice ragionando andava,
Dicendo : li occhi suoi già veder parmi.
jculdavaci una voce, clie cantava
Di là : e noi attenti pure a lei
Venimmo for, là ove si montava.
fenile, hcnedkti jìatris mei!
Sonò dentro ad un lume che lì era,
Tal che mi vinse, e guardar noi potei.
[jO sol scn va, soggiunse, e vien la sera:
Kon vi arrestate , ma studiate il passo.
Mentre che 1' occidente non si annera !
)rìtta salia la via perentro il sasso
Verso tal parte, che io toglieva i raggi
Dinanzi a me del sol, eh' era già hasso.
[U2]
[>itt/-H
E di pochi scaglion levammo i saggi
Che il sol colcar, per la omhra che si spense,
Sentimmo dietro ed io e li miei saggi.
B pria che in tutte le sue parti immense
Fosse orizzonte fatto di un aspetto,
E notte avesse tutte sue dispense,
Diascun di noi di un grado fece letto ;
Che la natura del monte ci affranse
\ La possa del salir, più che il diletto,
[mali si stanno ruminando inanse
Le capre, state riipidc e proterve
Sopra le cime, avante che sica pranse,
Tacite alla ouihra, mentre che il sol ferve.
Guardate dal pastor, che in su la verga
Poggiato si è , e lor poggiato serve; ,
B quale il mandrian, che fori alherga,
Lungo il peculio suo, queto pernotta,
Guardando, per che fiera non lo sperga;
Tali eravamo tutti e tre allotta.
Io come capra, ed ci come pastori,
I Fasciati quinci e quindi dalia grotta.
jPoco pareva lì del ciel di fori :
Ma per quel poco vedeva io le stelle
Di lor solere e j»iù chiare e nuiggiori.
Sì ruminando, e si mirando in quelle,
Mi prese il sonno; il sonno, che sovente.
Anzi che il fatto sia , sa le novelle.
Nella ora , credo , che dell' oriente
Prima raggiò nel monte Citerea,
Clic di foco di amor par sempre ardente,
Giov.ine e hella in sogno mi parca
Donna vedere andar per una landa
Cogliendo fiori ; e cantando dicca :
Sappia qualunque il mio nome dimanda,
Che io mi son Lia , e vo movendo intorno
Le lidie mani a farmi una ghirlanda.
Per piacermi allo specchio, qui mi adorno:
Ma mia suora llaclu'l mai non si smaga
Dal suo miraglio, «; si('.l(^ tutto giorno.
Fila è dei suoi Ix-ili oo.lii \(-dcr vaga,
Conu; io d<>llii adornarmi con le mani:
Lei lo vedere , e me 1' ornare appaga.
£ già per li siilundori anteliuani,
Che; tanto ni peregrio siirgon più grati.
Quanto, tornando, alltcrgan m(;n hiuLuii,
Le tenebre fuggiau da tutti i lati,
E il sonno mio con esse: onde io levami,
Vcggendo i gran mae-tri .<;ii'i levati.
Quel dolce pomo , che jier tanti rami
Cercando va la cura dei mortali,
Ogui porrà in pace le tue fami :
Virgilio inverso me queste cotali
Parole usò : e mai non furo strenne.
Che fi)sser di piacere a queste iguali.
{ Tanto voler sovra voler mi venne
I Dello esser su , che ad ogni passo poi
I Al volo mio sentia crescer le penne.
Come la scala tutta sotto noi
Fu corsa, e lumino in sul grado superno,
In me ficcò Virgilio li occhi suoi,
E disse : il temporal foco e lo etemo
Veduto hai , figlio , e sei venuto in parte,
Ove io per me più oltre non discerno.
Tratto ti ho qui con ingegno e con arte ;
Lo tuo piacere omai prendi per duce !
For sei dell' erte vie, for sei dell' arte.
Vedi il sole, che in fronte ti riluce.
Vedi la erbetta, i fiori, e li arltoscelli,
Che quella terra sol da sé produce.
Mentre che vegnon lieti li occhi belli.
Che lagrimaudo a te venir mi fenno,
Seder ti puoi , e puoi andar tra clli.
Non aspettar mio dir più, né mio cenno!
Libero , dritto , e sano è tuo arbitrio,
E fallo fora non fare a suo senno :
Per che io te sopra te corono e uiiu-io.
CANTO XXVIII.
ARGOMENTO,
Paradiso terrestre. Matclda.
Vago già di cercar dentro e dintorno
La divina foresta spessa e viva.
Che alli occhi temperava il novo giorno,
Senza più aspettar lasciai la riva.
Prendendo la campagna lento lento
Su per Io suol, clie da ogni parte oliva.
Un' aura dolce, senza luntamenlo
Avere in sé, ini feria per la fronte,
Non di più colpo che soave vento:
Per cui le fromlc tremolando pronte
Tutte quitnte pi<'gavano alla parte,
li la prima ombra gitta il santo monte;
Non però dal loro e-si r dritto sp.irtc
Tant(», clif li aiigcllclti per le cime
Lasciasser ili opcriiK! o^ni lor arte,
Ma con piena hti/.ia lo ori' |irime
f^antiindo rice\(Miiii intra le foglie,
Cile teneviin bordoiu^ alle sue rimo
Tal , qnal di rumo in ramo si raccoglie
P<-r la piiK-t.i in sul lilo di (}|iias»i,
Quando Koio MÌrocco for discioglie.
Già mi axMii trasportali) i lenti pa'^si
Dentro alla si-ha antita tanto, <:he in
Non potca ri\ edere. oniU; io mi entrale»! :
Ed ceco più andar mi tol>u un rio,
[143]
PURGATORIO. (XXVIII. 26-148)
[1+^]:
Clie inrer sinistra con sue picciole onde
Piegava la erba , che in sua ripa uscio.
Tutte le acque che son di qua più monde,
Parrieno avere in sé mistura alcuna
Verso di quella, die nulla nasconde;
A^"vegna che si mova bruna bruna
Sotto la orubra perpetua, che mai
Raggiar non lascia sole ivi , né luna.
Coi pie ristetti, e con li ocelli pa.*sai
Di là dal fiumicello , per mirare
La gran variazion dei freschi mai:
E là mi apparve, sì cora' egli appare
Subitamente cosa, che disvia
Per maraviglia tutto altro pensare,
Una donna soletta, che si pia
Cantando ed iscegliendo fior da fiore,
Ond' era pinta tutta la sua via.
Deh, bella donna, che ai raggi di amore
Ti scaldi , se io vo' credere ai sembianti.
Che soglion esser testimon del core,
Vegnati voglia di traggerti avanti,
Diss' io a lei , verso questa rivera,
Tanto che io possa intender che tu canti!
Tu mi fai rimembrar, dove e qual era
Proserpina nel tempo, che perdette
La madre lei , ed ella primavera.
Come si volge con le piante strette
A terra ed intra sé donna che balli,
E piede innanzi piede a pena mette,
Vol>e>i 'n sui vermigli ed in su i gialli
Fioretti verso me , non altrimenti
Che vergine, che li occhi onet-ti avvalli:
E fece i preghi miei esser contenti, ~"
Sì appressando sé, che il dolce sono
Veniva a me coi suoi intendimenti.
Tosto che fu là dove 1' erbe sono
Bagnate già dalle onde del bel fiume.
Di levar li occhi suoi mi fece dono.
Kon credo , che splendesse tanto lume
Sotto le ciglia a Venere trafitta
Dal figlio , for di tutto suo costume.
Ella ridca dall' altra riva dritta,
Traendo più color con le sue mani.
Che r alta terra senza seme gitta.
Ti'e passi ci facea il fiume lontani :
Ma Ellesponto, là ove passò Xerse,
Ancora freno a tutti orgogli umani.
Più odio da Leandro non soflcrse.
Per mareggiare intra Sesto ed Abido,
Che quel da me, per che allor non si aperse.
Voi siete novi , e forse i>er che io rido.
Cominciò ella, in questo loco eletto
Alla umana natura per suo nido,
Maravigliando tienvi alcun sospetto;
Ma luce rende il salmo Dctectasti,
Che potè disnebbiar vostro intelletto.
E tu che sei dinanzi , e mi pregasti,
Di' se altro vuoi udir ! che io venni presta
Ad ogni tua qnestion , tanto che basti.
L' acqua, dis<' io, e il suon della foresta
Impngnan dentro a me novella fede
Di co«a, che io udii contraria a questa.
Ond' ella : io dicerò come procede
Per sua cagion ciò clic ammirar ti face,
E purgherò la nebbia che ti fiede.
Lo sommo bene , che solo a sé piace,
Ecce r om buono , e il ben di questo loco
Diede per arra a hii di eterna pace.
Per sua difTalta qui dimorò poco:
Per sua diilalta in pianto ed in affanno
Cambiò onesto riso e dolce gioco.
Per che il turbar, che sotto da sé fanno
L' esalazion dell' acqua e della terra,
Che quanto posson dietro al calor vanno.
All' omo non facesse alcuna guerra,
Questo monte salio ver lo ciel tanto,
E libero è da indi , ove si serra.
Or per che in circuito tutto quanto
Lo aere si volge con la prima volta,
Se non li é rotto il cerchio d' alcun canto,
In questa altezza, che tutta è disciolta
Rello aere vivo , tal moto perente,
E fa sonar la selva per eh' è folta:
E la percossa pianta tanto potè,
Che della sua virtute 1' aura impregna,
E quella poi girando intorno scote:
E r altra terra, secondo eh' è degna
Per sé , o per suo ciel , concepe e figlia
Di diverse virtù diverse legna.
Non parrebbe di là poi maraviglia.
Udito questo , quando alcuna pianta
Senza seme palese vi si appiglia.
E saper dei, che la campagna santa, , i _, ^
Ove tu sei, di ogni semenza è piena, JK'-^'*
E frutto ha in sé , che di là non si schianìa^^
L' acqua che vedi, non surge di vena.
Che ristori vapor , che il gel converta,
Come r altra , che acquista e perde lena,
Ma esce di fontana salda" e certa,
Che taiito del voler di dio riprende.
Quanto ella >ersa da due parti aperta.
Da questa parte con virtù discende.
Che toglie altrui memoria del peccato:
Dall' altra di ogni ben fatto la rende.
Quinci Lete, così dallo altro lato
Eunoè si chiama , e non adopra.
Se quinci e quindi pria non è gustato.
A tutti altri sapor questo è di sopra:
E avvegna che assai possa esser sazia
La sete tua, per che io più non ti scopra,
Darotti un corollario ancor per grazia,
I Kè credo, che il mio dir ti sia men caro,
I Se oltre promission teco si spazia.
' Qu'illi , che anticamente poetare
I La età dell' oro, e suo stato felice,
i Forse in Parnaso esto loco sognaro.
I Qui fu innocente la umana radice :
Qui primarera sempre, ed ogni frutto
jNcttare è questo, di che ciascun dice.
I Io mi rivolsi a dietro allora tutto
1 Ai miei poeti, e vidi, che con riso
I Udito avevan lo ultimo costrutto :
' Poi alla bella donna tornai '1 viso.
^
45]
PURGATORIO. (XXrX. 1—125)
[146]
CANTO XXIX.
ARGOMENTO.
a ninfa e i tre poeti dall' una e dalV altra parte
lungo il fiume. Vista di cose che ricordano V A-
pocalisse.
alitando, come donna innamorata,
Continuò col fin di sue parole :
Beati quorum tecta sunt peccata !
come ninfe, che si givan sole
Per le selvatiche ombre disiando,
Qual di fuggir, qual di veder lo sole,
llor si mosse contra il fiume, andando
ISu per la riva, ed io pari di lei,
Ficciol passo con picciol seguitando.
gton eran cento tra i suoi passi e i miei,
Quando le ripe igualmente dièr volta,
Per modo, che a levante mi rendei.
iè anche fu così nostra via molta.
Quando la donna tutta a me si torse,
Dicendo: frate mio, guarda ed ascolta!
Sd ecco un lustro subito trascorse
Da tutte parti per la gran foresta, r:
Tal che di balenar mi mise in forse. '^'^ttu^V
\Ha. per che il balenar, come vien, resta,
£ quel durando più e più splendeva,
Nel mio pensar dicea: che cosa è questa?
Id una melodia dolce correva
Per Io aere luminoso: onde buon zelo
Mi fé' riprender lo ardimento di Eva:
Ch' ella, dove ubbidia la terra al cielo.
Femmina sola, e pur testé formata, 0
Non sofferse di star sotto alcun velo;
Sotto il qual se divota fosse stata,
Avria quelle inefTabili delizie
Sentite prima, e più lunga fiata.
Uentre io mi andava tra tante primizie
Dello eterno piacer tutto sospeso,
E desioso ancora a più letizie.
Dinanzi a noi tal , quale un foco acceso,
Ci si fé' lo aere sotto i verdi rami,
E il dolce suon per canti era già inteso :
Oh sacrosante vergini, se fami.
Freddi o vigilie mai per voi soffersi,
Cagion mi sprona che io mercè ne chiami.
Or convicn cìi' Elicona per me versi, .
Ed Urania ini ajiiti col suo coro
Forti cose a pensar, mettere in versi.
Poco più oltre sette an)eri di oro
Falsava nel jjarere il lungo tratto
Del mezzo, eh' era ancor tra noi e loro :
Ma quando io fui sì presso di lur fatto.
Che l'obbietto comun, che il senso inganna,
Non pcrdca per distanza alcun suo atto,
La virtù, che a ragion discorso annnannii, .
Sì com' elii eran candelabri, apprese,
E nelle voci del cantare osanna.
Di sopra riaimneggiiiva il bello arnese
Più chiaro assai, che luna per sereno
Di mezza n(»tte, nel suo mezzo mese.
Io ini rivolsi di ammirazion pieno
Al buon Virgilio: ed esso mi rispose
Con vista ciirca di stnpor non meno.
Indi rendei lo aspetto alle alte cose,
ìM^
Che si movieno incontro a noi si tardi.
Che foran vinte da novelle spose.
La donna mi sgridò: per che pur ardi
Sì nello aspetto delle vive luci,
E ciò che vien diretro a lor non guardi?
Genti vid' io allor, come a lor duci,
Venire a presso, vestite di bianco :
E tal candor giammai di qua non fuci.
L' acqua splendeva dal sinistro fianco,
E rendea a me la mia sinistra costa,
Se io riguardava in lei, come specchio anco.
Quando io dalla mia riva ebbi tal posta,
Che solo il fiume mi facea distante, '• l \
Per veder meglio, ai passi diedi sosta: J+W^"-*»^
E vidi le fiammelle andare avante.
Lasciando dietro a sé lo aere dipinto,
E di tratti pennelli avean sembiante, ^ ; , S^
Sì che lì sopra rimanea distinto
Di sette liste, tutte in quei colori,
Onde fa lo arco il sole, e Delia il cinto.
Questi ostendali dietro eran maggiori,
Che la mia vista: e, quanto a mio avviso,
Diece passi distavan quei di fori.
Sotto così bel ciel, come io diviso, .
Ventiquattro seniori a due a due
Coronati venian di fiordaliso.
Tutti cantavan: benedetta tue
Nelle figlie di Adamo , e benedette
Sieno in eterno le bellezze tue !
Poscia che i fiori e le altre fresche erbette,
A rimpetto di me dall' altra sponda,
Libere fur da quelle genti elette.
Sì come luce luce in ciel seconda.
Vennero presso a lor quattro animali,
Coronati ciascun di verde fronda.
Ognuno era pennuto di sei ali,
Le penne piene di occhi ; e li occhi di Argo,
Se fosser vivi, sarebber cotali.
A descriver lor forme più non spargo
Rime, lettor ; che altra spesa mi strigne
Tanto, che in questa non posso esser largo.
Ma leggi Ezechièì, che le dipigne.
Come le vide dalla fredda parte
Venir con vento, con nube, e con igne:
E quai li troverai nelle sue carte,
Tali eran quivi ; salvo che alle penne
Giovanni è meco, e da lui si diparte.
Lo spazio dentro a lor qjiattro contenne
Vn carro in su due rote trionfale.
Che al collo di un grifon tirato venne:
Ed esso tendea su la una e le altre alo
Tra la mezzana e le tre e tre liste.
Sì che a nulla fendendo facca male.
Tanto salivan, che non eran viste:
Le membra di oro avea, quanto ora uccello,
E bianche le altre, di vermiglio miste.
Non che Koma di carro così bello
Rallegrasse Affricano, ovvero Augusto ;
Ma quel del sol saria pover con elio:
Quel del sol, che sviando fu combusto,
l'or la ora/.ion della terra devota.
Quando fu (ìiove arcanamente giusto.
Tre donno in giro dalla destra rota
Venien danzando, la una tanto rossa,
Cile a pena fora dentro al foco unta:
L' ultra era rome so le carni e le ossa
Fossero stato di smeraldo fatte;
10
[147]
PURGATORIO. (XXIX. 126— 154. XXX. 1— fl3.)
La terza parea neve testé mossa:
Ed or parevan dalla bianca tratte,
Or dalla rossa, e dal canto di questa
Le altre togliean lo andare e tarde e ratte.
Dalla sinistra quattro facean festa,
In porpora vestite, dietro al modo
Di una di lor, che avea tre occhi in testa.
A presso tutto il pertrattato nodo
Vidi duo Tccchi in abito dispari,
Ma pari in atto, ognuno onesto e sodo. '^
Lo un si mostrava alcun dei famigliari
Di quel sommo Ippocràte, che natura
Alli animali fé', eh' ella ha più cari:
Mostrava lo altro la contraria cura,
Con una spada lucida ed acuta,
Tal che di qua dal rio mi fé' paura.
Poi vidi quattro in umile paruta,
E diretro da tutti un veg-lio solo
Venir dormendo con la faccia arguta.
E questi sette col primajo stuolo
Erano abituati ; ma di gìgli
Dintorno al capo non facevan brolo,
Anzi di rose e di altri fior vermìgli.
Giurato avria poco lontano aspetto,
Che tutti ardesser di sopra dai cigli.
E quando il carro a me fu a rimpetto.
Un tuon si udio : e quelle genti degne
Parvero aver lo andar più interdetto,
Fermandob' ivi con le prime insegne.
iièju.'-
CANTO XXX.
ARGOMENTO.
Bealrtce discende. Virgilio sparisce. Stazio rimane.
Quando il settentrion del primo cielo.
Che nò occaso mai seppe, né orto,
TVè di altra nebbia, che di colpa velo,
E che faceva lì ciascuno accorto
Di suo dover, come il più basso face
Qual timon gira per venire a porto,
Fermo si affisse; la gente verace
Venuta prima tra il grifone ed esso,
Al carro volse sé, come a sua pace:
Ed un di loro quasi dal ciel messo,
Tdii, sponsa, de Libano! cantando
Gridò tre volte, e tutti li altri a presso.
Quale i beati al novissimo bando
Surgcran presti, ognim di sua caverna,
La rinvestita voce allclujando,
Cotali in su la divina basterna \ Wij^c '^
Si levar cento , ad vocem tanti senis,
Ministri e messaggier di vita eterna.
Tutti dicean, benedictus qui venis !
E fior gittando di sopra e dintorno,
Mauibua o dalc lilia plenis!
Io vidi già nel cominciar del giorno
La parte orientai tutt' arrossata,
E lo altro ciel di liei sereno adorno,
E la faccia del sol nascere ombrata,
Si che, per ten)pcranza di vapori,
J}*%
L' occhio la eostenea lunga fiata:
Così dentro una nuvola di fiori,
Che dalle mani angfliclie saliva,
E ricadeva in giù, dentro e di fori,
Sovi'a candido vel, cinta di oliva.
Donna mi apparve sotto verde manto,
Vestita di color di fiamma viva.
E lo spirito mio, che già cotanto
Tempo era stato che alla sua presenza
Non era di stnpor tremando afTranto,
Sanza delli occhi aver più conoscenza,
^ Per occulta virtù, che da lei mosse,
T)i antico amor sentì la gran potenza.^
Tosto che nella vista mi percosse
L'alta virtù, che già mi avea trafitto,
Prima che io for di puerizia fosse,
Volsimi alla sinistra col respittp,
Col quale il fantolin corre alìa'~marama.
Quando ha paura, o quando egli è afflitto,
Per dicere a Virgilio: men che dramma
Di sangue mi è riraasa, che non tremi ;
Conosco i segni dell' antica fiamma.
Ma Virgilio ne avea lasciati scemi
Di sé, Virgilio, dolcissimo padre,
Virgilio, a cui per mia salute diemi :
Né quantunque perdco l'antica madre,
Valse alle guance nette di rugiada,
Che lagrimando non tornassero adre.
Dante, per che Virgilio se ne vada,
Non piangere anco, non piangere ancora!
Che pianger ti convien per altra spada.
Quasi ammiraglio, che in poppa ed in prora
Viene a veder la gente, che ministra
Per li alti legni, ed a ben far la incora,
In su la sponda del carro sinistra.
Quando mi volsi al suon del nome mio.
Che di necessità qui si rigistra,
Vidi la donna, che pria niì apparto,
Velata sotto 1' angelica festa,
Drizzar li occhi ver me di qua dal rio.
Tutto che il vel, che le scendea di testa.
Cerchiato dalla fronda di Minerva,
Non la lasciasse parer manifesta,
Regalmente nello atto ancor proterva
Continuò, come colui, che dice
E il più caldo parlar dietro riserva :
Guardami ben ! son ben , son ben Beatrice.
Come degnasti di accedere al monte?
Non sapei tu, che qui é 1' om felice?
Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte:
Ma veggendomi in esso io trassi alla erba;
Tanta vergogna mi gravò la fronte!
Così la madre al figlio par superba.
Coni' ella parve a me: per che di amaro
Sente il sapor della pietate acerba.
Ella si tacque, e li angeli cantaro
Di subito : In te, domine, speravi.
Ma oltra pcdcs mcos non passare.
Si come neve tra le vive travi
Per lo dosso d' Italia sì congela,
Sot'fìata e stretta dalli venti schiavi,
Poi liquefatta in sé stessa trapela, / !
Pur che la terra, che perde ombra, spiri.
Sì che par foco fonder la candela:
Così fui senza lagrime e sospiri
Anzi 'I cantar di quei, che notan sempre
Dietro alle note dclli clcrni giri.
iuw^'
149]
PURGATORIO. (XXX. 94—145. XXXI. 1—69)
[150]
Ha poi che intesi nelle dolci tempre
Lor compatire a me, più che se detto
Avesser: donna, per che sì lo stempre?
Lo giel , che mi era intorno al cor ristretto,
Spirito ed acqua fessi, e con angoscia
Per la hocca e per li occhi usci del petto.
i!la pur ferma in su la detta coscia
Del carro stando , alle sustanzie pie
Volse le sue parole così poscia:
Voi vigilate nello eterno die,
Sì che notte, né sonno, a voi non fura -.
Passo che faccia il secol per sue vie:
Dmle la mia risposta è con più cura.
Che m' intenda colui che di là piagne,
Per clie sia colpa e duol di una misura.
Ndn pur per opra delle rote magne,
Che drizzan ciascun seme ad alcun fine,
vSccondo che le stelle son compagne,
Ma per larghezza di grazie divine.
Che sì alti vapori hanno a lor piova,
Che nostre viste là non van vicine.
Questi fu tal nella sua vita nova
Virtualmente, clie ogni ahito destro
Fatto averehbe in lui rairal)il prova.
M.i tanto più maligno e più Silvestro
Si fa il terren col mal seme, e non colto,
Quanto el ha più di buon vigor terrestro.
Alcun tempo il sostenni col mio volto,
Mostrando li occhi giovinetti a lui.
Meco il menava in dritta parte volto.
Si tosto , come in su la soglia fui
Di mia seconda etade, e mutai vita,
Questi si tolse a me , e diessi altrui.
Quando di carne a spirto era salita,
E bellezza e virtù cresciuta mi era.
Fu' io a lui men cara e n?'?n gradita :
E volse i passi suoi per via non vera,
Immagini dì ben seguendo false,
Che nulla promission rendono intera.
Né lo impetrare spirazion mi valse.
Con le quali ed in sogno, ed altrimenti,
Lo rivocai ; sì poco a lui ne calse !
"Tanto giù cadde, che tutti argomenti
Alla salute sua cran già corti,
Por che mostrarli le ])er(hite genti.
Per questo visitai lo uscio dei morti,
£d a colui , che lo ha qua su condotto.
Li preghi miei piangendo fnron porti.
Lo alto fato di dio sarebbe rotto,
Se Lete si passasse , e tal vivanda . i
Fosse gustata, senza alcuno scotto, -^^'^'f^
Di pentimento che lacrime spanda, '-^^'^''r''
CANTO XXXI.
ARGOMENTO.
Dante, confessati i suoi errori, da Mtitdda tuffato
Lete, vede e contempla svclaliiincnte Ueaùice.
Oh tu , che sei dì I» dal fiume snero.
Volgendo suo jiarlare a me per pnnta,
nei
Clie pur per taglio mi era paruto acro.
Ricominciò seguendo senza cunta:
Di', di', se questo é vero? A tanta accusa
Tua eonfession conviene esser congiunta.
Era la mia virtù tanto confusa,
Che la voce si mosse, e pria si spense,
Che dalli organi suoi fosse dischiusa.
Poco sofferse; poi disse: che pense?
Rispondi a me ! che le memorie triste
In te non sono ancor dalle acque ofiense.
Confusione e paura insieme miste
Mi pinsero un tal sì for della bocca.
Al quale intender fur mestier le viste.
Come al balestro frange, quando scocca.
Da troppa tesa, la sua corda e lo arco,
E con men foga l' asta il segno tocca:
Sì scoppia' io sottesso grave carco.
Fuori sgorgando lacrime e sospiri,
E la voce allentò per lo suo varco.
Ond' eli' a me: perentro i miei disiri.
Che ti menavau ad amar lo bene.
Di là dal qual non è a che si aspiri,
Quai fosse attraversate , o quai catene
Trovasti, per che del passare innanzi
Dovessiti così spogliar la spene?
E quali agevolezze, o quali avanzi
ISella fronte delli altri si mostrare.
Per che dovessi lor passeggiar anzi?
Dopo la tratta di un sospiro amaro
A pena ebbi la voce, che rispose,
E le labbra a fatica la formaro.
Piangendo dissi: le presenti cose
Col falso lor piacer volser miei passi,
Tosto che il vostro viso si nascose.
Ed ella : se tacessi , o se negassi
Ciò che confessi , non fora men nota
La colpa tua; da tal giudice sassi!
Ma quando scoppia dalla propia gota
L' accusa del peccato , in nostra corte
Rivolge sé centra il taglio la rota:
Tuttavia per che mo vergogna porte
Del tuo errore, e per che altra volta.
Udendo le Sirene, eie più forte,
Pon giù il seme del piangere, ed ascolta!
Sì udirai , come in contraria parte
Mover dovcati mia carne sepolta.
Mai non ti appresentò natura od arte
Piacer , quanto le belle membra in che io
Rinchiusa fui , e che son terra sparte.
E se il sommo piacer si ti fallio
Per la mia morte , qual cosa mortale
Dovea poi trarre te nel suo disio?
Ben ti dovevi per lo prinu) strale
Delle cose f.illaci levar suso
Dirctro a me, che non era più tale.
Non ti dovea gravar le penne in giuso
Ad aspettar più colpi, o pargoletta,
O altra vanità, con sì breve uso.
Novo augellitto due o tre aspella:
Ma dinair/i dalli occhi dei pennuti
Rete si spiega indarno, o si saetta.
Qiuili i fanciulli vergognando muli.
Con li orchi a terra, stannosi ascoltando,
i'] sé riconoscendo, e ripentnti.
Tal mi slava io, ed ella disse: quando
Per udir ^ei dolente , al/.a la barba,
E prenderai più doglia, riguardando.
10 *
[151]
PURGATORIO. (XXXr. W— 145. XXXII. 1—43)
[152]
Con men di resistenza si dibarba
Robusto Cerro , o vero allo austral vento,
O vero a quel della terra d' larba,
Che io non levai al suo comando il mento:
E quando per la barba il viso chiese.
Ben conobbi '1 veien dello argomento.
E come la mia faccia si distese,
Posarsi quelle prime creature
Da loro aspersion 1' occhio comprese;
E le mie luci, ancor poco sicure,
Vider Beatrice volta in su la fiera,
Ch' è sola una persona in due nature.
Sotto suo velo , ed oltre la riviera
Verde , pareami più sé stessa antica
Vincer, che le altre qui , quando ella ci era.
Di penter si mi punse ivi la ortica.
Che di tutte altre cose, qual mi torse
Più nel suo amor, più mi si fé nimica.
Tanta riconoscenza il cor mi morse.
Che io caddi vinto : e quale allora femmi.
Salsi colei che la ragion mi porse.
Poi quando il cor virtù di for rendemmì,
La donna, che io avea trovata sola.
Sopra me vidi, e dicea: tiemmi , tiemmi!
Tratto mi avea nel fiume infino a gola,
E tirandosi me dietro , sen giva
Sovresso 1' acqua lieve come stola.
Quando fui presso alla beata riva,
Asperges me si dolcemente udissi,
Che io noi so rimembrar, non che io lo scriva.
La bella donna nelle braccia aprissi,
Abbracciommi la testa , e mi sommerse.
Ove convenne che io V acqua inghiottissi:
Indi mi tolse, e bagnato mi offerse
Dentro alla danza delle quattro beile,
E ciascuna col braccio mi coperse.
Noi sem qui ninfe, e nel ciel semo stelle?
Pria che Beatrice discendesse al mondo,
Fummo ordinate a lei per sue ancelle.
Merremti alli occhi suoi ; ma nel giocondo
Lume , eh' é dentro , aguzzeran li tuoi
Le tre di là, che miran più profondo.
Così cantando cominciaro, e poi
Al petto del grifon seco menarmi,
Ove Beatrice volta stava a noi.
Dìsser: fa che le viste non risparmi!
Posto ti avem dinanzi alli smeraldi,
Onde amor già ti trasse le sue armi.
Mille disiri più che fiamma caldi
Strinsermi li occhi alli occhi rilucenti.
Che pur sopra il grifon stavano saldi.
Come in lo specchio il sol, non altrimenti.
La doppia fiera dentro vi raggiava
Or con uni, or con altri reggimenti.
Pensa, lettor, se io mi maravigliava,
Quando velica la cosa in sé star queta^
E nello idolo suo si trasmutava.
Mentre che piena di stupore, e lieta
L' anima mia gustava di quei cibo,
Che saziando di sé, di sé asseta,
Sé dimoslriindo di più alto tribo
Nelli atti, le altre tre si fero avanti
Danzando al loro angelico caribo.
Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi!
y.rd la sua canzone, al tuo fedele.
Che por vederti ha mossi |tasHÌ tanti !
Per grazia fa noi grazia, che disvelo
A luì la faccia tua, f!Ì che discema
La seconda hellezza che tu cele!
Oh isplendor di viva luce eterna.
Chi pallido si fece sotto la ombra
Sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
Che non paresse aver la mente ingombra.
Tentando a render te, qual tu paresti
Là dove armonizzando il ciel ti adombra,
Quando nello aere aperto ti solvesti?
CANTO XXXII.
ARGOMENTO.
Oggetti misteriosi; pianta che perde e rinnova le fo-
glie; grifone, aquila, drago, volpe, mostro di sette
teste, meretrice, gigante, che vanno sopra din-
torno al bel carro trionfale di Beatrice.
Tanto eran li occhi miei fisi ed attenti
A disbramarsì la decenne sete,
Che li altri sensi mi eran tutti spenti:
Ed essi quinci e quindi avean parete
Di non caler; così lo santo riso
A sé tracli con l' antica rete !
Quando per forza mi fu volto il viso
Ver la sinistra mia da quelle Dee,
Per che io udia da loro un troppo fisa.
E la disposizion, che a veder ee
Nelli occhi pur testé dal sol percossi,
Sanza la vista alquanto esser mi fee:
Ma poi che al poco il viso riforraossi —
Io dico al poco, per rispetto al molto
Sensibile, onde a forza mi rimossi —
Vidi in sul braccio destro esser rivolto
Lo glorioso esercito, e tornarsi ■
Col sole, e con le sette fiamme al Tolto.
Come sotto li scudi per salvarsi
Volgesi schiera, e sé gira col segno.
Prima che possa tutta in sé mutarsi.
Quella milizia del celeste regno.
Che procedeva, tutto trapassonne,
Pria che piegasse il carro, il primo legno.
Indi alle rote si tornar le donne,
E il grifon mosse il benedetto carco.
Sì che però nulla penna crollonne.
La bella donna che mi trasse al varco,
E Stazio, ed io seguitavam la rota.
Che fé' la orbita sua con minore arco.
Sì passeggiando l' alta selva vota.
Colpa di quella, che al serpente crese.
Temprava ì passi un' angelica nota.
Forse in tre voli tanto spazio prese
Disfrenata saetta, quanto ernmo
Kimo!>si, quando Beatrice scese.
Io sentii mormorare a tntti : Adamo ;
Poi cerchiaro una pianta dispogliata
Di fiori, e di altra fronda, in ciascun ramo.
La coma sua, che tanto si dilata
Più, quanto più é su, fora dall' Indi
Nei boschi lor per altezza ammirata.
Beato sci, grifun, che non disciudi
153]
PURGATORIO. (XXXII. 44—160. XXXIII. l— 3)
Col becco di esto leg-no dolce al gusto,
Poscia che mal si torse il ventre quindi.
ZIosì d' intorno allo arl)ore robusto
Gridaron li altri: e lo animai binato;
Sì si conserva il seme di ogni giusto.
E volto al temo, eh' egli avea tirato,
Trasselo al pie della vedova frasca;
E quel di lei a lei lasciò legàTòT^
Come le nostre piante, quando casca
Giù la gran luce mischiata con quella,
Che raggia dietro alla celeste lasca,
Turgide fansi, e poi si rinnovella
Di suo color ciascuna, pria che il sole
Giunga li suoi corsier sotto altra stella;
.Men che di rose, e più che di viole,
Colore aprendo, s' innovò la pianta.
Che prima avea le ramora si sole.
Io non lo intesi, né qua giù si canta
Lo inno che quella gente allor cantaro,
jN'è la nota soffersi tutta quanta.
Se io potessi ritrar, come assonnaro
Li occhi jpjetatij udendo di Siringa,
Li occhi, a cui pur vegghiar costò sì caro,
Come pintor che con esemplo pinga.
Disegnerei come io mi addormentai:
Ma qual vuol sia che lo assonnar ben finga!
Però trascorro a quando mi svegliai,
E dico che un splendor mi squarciò il velo^'j.
Del sonno, ed un chiamar: sUrgì, che fai? '^
Quale a veder dei fioretti del melo,
Che del suo pomo li angeli fa ghiotti,
E perpetue nozze fa nel cielo,
Piero e Giovanni e Jacopo condotti,
E vinti, ritornaro alla parola.
Dalla qual furon maggior sonni rotti,
E videro scemata loro scola,
Così dì Moisè, come di Elia,
Ed al maestro suo cangiata stola.
Tal torna' io, e vidi quella pia
Sovra me starsi, che conducitrìce
Fu dei mici passi lungo il fiume pria^
jE tutto in dubbio dissi: ov' è Beatrice?
I Ed ella: vedi lei sotto la fronda
I Nova sedersi in su la sua radice.
Vedi la compagnia, che la circonda:
Lì altri dopo il grifon sen vanno suso
Con più dolce canzone e più profonda.
E 86 fu più lo suo parlar difTuso,
Non so : però che già nclli occhi mi era
Quella, che ad altro intender mi avea chiuso»
Sola sedeasi in su la terra vera,
Come guardia lasciata li del plaustro.
Che legar vidi alla biforme fiera.
In cerchio le facevan di sé claustro
Le sette ninfe, con quei lumi in mano.
Che son sicuri di aquilone e di austro.!
Qui sarai tu poco tempo silvano, Wi^-^va*
E gami m«co sanza fine clve
Di quella Roma, onde Cripto è Romano.
Però in prò del mondo, ch«^ mal vive.
Al carro tieni or li occhi, e quel che vedi,
Ritiirnatn di là, fa che tu scrìve!
Così Reatrice; ed io, che tutto ai piedi
Dei suoi comnndanic-nti era devoto.
La mente e li occhi, ov' ella volle, diedi.
Non scese mai con mì veloce molo
Foco di spessa nube, quando piove
[154]
Vi'
Da quel confine che più è remoto.
Come io vidi calar lo nccel di Giove
Per lo arbor giù, rompendo della scorza,
Kon che dei fiori e delle foglie nove:
E ferio il carro di tutta sua forza;
Ond' el piegò, come nave in fortuna,
Vinta dalle onde or da poggia or da orza
Poscia vidi avventarsi nella cana .
Del trionfai veicolo una volpe.
Che di ogni pasto buon parca digiuna.
Ma riprendendo lei dì laide colpe.
La donna mia la volse in tanta futa.
Quanto sofTerson le ossa senza polpe.
Poscia per indi, ond' era pria venuta,
L' aquila vidi scender giù nell' arca
Del carro , e lasciar lei di sé pennuta.
E qual esce di cor che si rammarca, -\f--'
Tal voce uscì del cielo , e cotal disse :
Oh navicella mia, com' mal sei carca!
Poi parve a me che la terra si aprisse
Tra 'mbe le rote, e vidi uscirne un drago,
Che per lo carro su la coda fisse:
E come vespa che ritragge lo ago,
A se traendo la coda maligna,
Trasse del fondo , e gissen vago vagO-
Quel che rimase, come di gramigna
Mvace terra, della piuma offerta.
Forse con intenzion sana e benigna.
Si ricoperse, e funne ricoperta
E la una e 1' altra rota e il temo , in tanto
Che più tiene un sospir la bocca aperta.
Trasformato così '1 dificio santo
Mise for teste per le parti sue,
Tre sovra il temo , ed una in ciascun canto.
Le prime eran cornute come bue:
Ma le quattro un sol corno avcan per fronte:
Simile mostro visto mai non fue.
Sicura , quasi rocca in alto monte.
Seder sovresso unti puttana sciolta
Mi apparve, con le ciglia intorno pronte.
E, come per che non li fosse tolta.
Vidi di costa a lei dritto un gigante :
E basiavansi insieme alcuna volta.
Ma per clic 1' occhio cupido e vagante
A me rivolse , quel feroce drudo
La flagellò dal capo insin le pianto.
Poi di sospetto pieno, e d' ira criulo
Disciolse il mostro, e trassel per la selva
Tanto , che sol dì lei mi fece scudo
Alla puttana ) ed alla nova belva.
CANTO XXXIIT.
ÀRGOMEyTO.
Altre cose e predizioni allcf^orichc. Dante hrvc ì* ac-
qua dclfiiiinc Jùmoè e si sente dc^iio di salire
III ciclo.
Dell'i, ì^encnml pentcx, alternando.
Or tre or quattro , dolce siihnodin
Lo donne iucoiuinci<iru lacrimando.
[155]
PURGATORIO. (XXXIII. 4—137)
[156]
/.
E Beatrice sospirosa e pia
Quelle ascoltava sì fatta, che poco
Più alla croce si cambiò Maria.
Ma poi che le altre verdini dier loco
A lei di dir, levata ritta in più,
Rispose colorata come foco :
Modicum , et non videbitis me :
Et iterum , sorelle mie dilette,
Modicum j et vos videbitis me.
Poi le si mise innanzi tutte e sette,
E dopo sé, solo accennando, mosse
Me, e la donna, e il savio che ristette.
Così sen giva : e non credo che fosse
Lo decimo suo passo in terra posto.
Quando con li occhi li occhi mi percosse.
E con tranquillo aspetto, vien più tosto,
Mi disse, tanto che, se io parlo teco,
Ad ascoltarmi tu sie ben disposto!
Sì come io fui, come io doveva, seco.
Dissemi : frate , per che non ti attenti
A dimandarmi omai, venendo meco?
Come a color, che troppo reverenti
Dinanzi a suo maggior parlando sono.
Che non traggon la voce viva ai denti,
Avvenne a me, che senza intero suono
Incominciai: madonna, mia bisogna
/ Voi conoscete, e ciò che ad essa è buono.
Ed ella a me: da tema e da vergogna
Voglio che tu omai ti disvìluppe.
Sì che non parli più come om che sogna.
Sappi che il vaso, che il serpente ruppe,
Fu, e non è: ma chi ne ha colpa, creda
Che vendetta di dio non teme suppe.
Non sarà tutto tempo sanza reda
L' aquila che lasciò le penne al carro:
Per che divenne mostro , e poscia preda.
Che io veggio certamente, e però il narro,
A darne tempo già stelle propinque.
Sicuro da ogn' intoppo e da ogni sbarro,
Nel quale un cinquecento diece e cinque
Messo di dio anciderà la fiija,
E quel gigante che con lei delinque.
E forse che la mia narrazion buja,
Qual Temi e Sfinge , men ti persuade,
Per che a lor modo lo intelletto attuja :
Ma tosto fien le fata le Na jade.
Che solveranno questo enigma forte.
San/a danno di pectore o di biade.
Tu nota, e sì come da me sun parte
Queste parole, sì le insegna ai vivi
Del viver, eh' è un correre alia morte!
Ed aggi a mente , quando tu le scrivi,
Di non celar , qual hai vista la pianta,
Cli' è or due volte dirubata quivi!
Qualunque ruba quella, o quella schianta,
Con bestemmia di fatto oH'ende a dio.
Che solo allo uso suo la cren santa.
Per morder quella , in pena ed in disio
Cinqucniillc anni e più l' anima prima
Bramò colui, che il morso in sé punio.
Dorme Io ingegno tuo, se non istima
Per singular cagione esser eccelsa
Lei tanto, e sì travolta nella cima.
E se stati non fossero acqua di Elsa
Li pensicr vani intorno alla tua niente,
E il piacer loro un Piranio alla gelsa,
Per tante circostanze bolamcntc
La giustizia di dio nello interdetto
Conosceresti allo alber moralutente.
Ma per che io veggio te nello intelletto
Fatto di pietra, ed impetrato e tinto,
Sì che ti abbaglia il lume del mio detto.
Voglio anche, e se non scritto, almen dipinto,
Che il te ne porti dentro a te, per quello, j i
Che si reca il bordon di palma cinto. ^A '
Ed io : sì come cera da suggello.
Che la figura impressa non trasmuta,
Segnato è or da voi lo mio cervello.
Ma per che tanto sovra mia veduta
Vostra parola disiata vola,
Che più la perde, quanto più si ajuta?
Per che conoschi, disse , quella scola
Che hai seguitata , e veggi sua dottrina
Come può seguitar la mia parola ;
E veggi vostra via dalla divina
Distar cotanto, quanto si discorda
Da terra il ciel che più alto festina.
Onde io risposi lei : non mi ricorda -^
Che io straniassi me giammai da voi,
Né honne coscienzia che rimorda.
E se tu ricordar non te ne puoi.
Sorridendo rispose , or ti i-ammenta.
Come di Lete tu bevesti ancoi:
E, se dal fummo foco si argomenta,
Cotesta oblivion chiaro conchiude
Colpa nella tua voglia altrove attenta.
Veramente oramai saranno nude
Le mie parole, quanto converrassi
Quelle scovrire alla tua vista rude.
E più corrusco , e con più lenti passi
Teneva il sole il cerchio di merigge,
Che qua e là , come li aspetti , l'assi.
Quando si affisser , sì come si affigge
Chi va dinanzi a schiera per iscorta.
Se trova novitate in sue vestigge,
Le sette donne al fin di una ombra smorta,
Qual sotto foglie verdi e rami nigrì.
Sopra suoi freddi rivi 1' Alpe porta.
Dinanzi ad esse Eufrates e Tigri
Veder mi parve uscir di una fontana,
E quasi amici dipartirsi pigri.
Oh luce, oh gloria della gente umana.
Che acqua è questa , che qui si dispiega
Da un principio , e sé da sé lontana ?
Per cotal prego detto mi fu : prega
Matelda che il ti dica! E qui rispose,
Come fa chi da colpa si dislega,
La bella donna: questo ed altre cose
Dette lì son per me: e son sicura
Che r acqua di Lete non liei nascose.
E Beatrice: forse maggior cura,
Che spesse volte la memoria priva.
Fatto ha la mente sua nelli occhi oscura.
Ma vedi Eunoé, che là deriva!
Menalo ad esso , e come tu set usa,
La tramortita sua virtù ravviva !
Come anima gentil, 4-he non fa scusa,
Ma fa sua voglia della voglia altrui,
'l'osto coni' è per segno for dischiusa.
Così poi «-he da essa preso fui,
La bella donna iiu)ssesi, ed a Sta/.io
Donnescamente disse: vien con lui!
Se io avessi, lettor, più lungo spazio
Da scrivere , io pur cantere' in parte
[157] PURGATORIO. (XXXIIT. 138— 145.J PARADISO. (I. i_91) [158]
Lo dolce ber , che mai non mi avria sazio.
]Ma per che piene son tutte le carte
Ordite a questa cantica seconda,
Non mi lascia più ir io fren dell' arte.
Io ritornai dalla santìssima onda
Rifatto sì , come piante novelle
Rinnovellate di novella fronda.
Puro e disposto a salire alle stelle.
PARADISO.
|v-
CANTO I.
ARGOMENTO.
Esordio ed invocazione. Natura del poeta cangiato.
Beatrice risolve alcuni dubbj.
jLa gloria di colui che tutto move,
Per lo universo penetra, e risplende
In una parte più , e meno altrove.
Nel ciel che più della sua luce prende
Fu' io, e vidi co>e che ridire
Nò sa né può qual di là su discende:
Per che appressando sé al suo disire
Nostro intelletto si profonda tanto,
Che retro la memoria non può ire.
Veramente quanto io del regno santo
Nella mia mente potei far tesoro.
Sarà ora materia del mio canto.
Oh buono Apollo, allo ultimo lavoro
Fammi del tuo valor sì fatto vaso,
Come dimanda dar lo amato alloro !
Lisino a qui lo un giogo di Parnaso
Assai mi fu : ma or con ambi e due
Mi è opo entrar nello aringo riraaso.
Entra nel petto mio , e spira tue,
Sì come quando Marsia traesti
Della vagina delle membra sue !
Oh divina virtù, se mi ti |)re»ti
Tanto , che la ombra del beato regno
Segnata nel mio capo io manifesti,
Venir vedràimi al tuo diletto legno,
E coronarmi allor di quelle foglie.
Che la materia e tu mi farai degno.
Sì rade volte , padre , se ne coglie,
Per trionfare o Cesare , o poeta,
(Colpa e vergogna delle umane voglie!)
Che partorir letizia in su la lieta
DclfK-a deità dovria la fronda
Peneia, quando alcun di sé asseta.
Poca f.ivilla gran fìaniina seconda :
Forse diretro a me con miglior voci
Si pregherà per che Cirra risponda.
Surge ai mortali per diverse foci
La lu(-erna del mondo : ma da quella,
Clic gingne quattro cerchi « r>n tre croci.
Con miglior corso , e con iiiigli(»rc stella
Esce congiunta, o la mondana cera
Più a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di là mane, e di qua sera
Tal foce e quasi tutto era là bianco
Quello emisperio, e 1' altra parte nera,
Quando Beatrice in sul sinistro fianco
A idi rivolta, e riguardar nel sole:
Aquila sì non li si affisse unquanco.
E sì come secondo raggio suole
Uscir del primo , e risalire insuso,
Pur come peregrin, che tornar vuole.
Così dello atto suo, per li occhi infuso
Nella immagine mia, il mio si fece,
£ fìssi li occhi al sole oltre a nostro uso.
.\Iolto è licito là, che qui non lece
Alle nostre virtù, mercè del loco
Fatto per proprio della umana spece.
Io noi soffersi molto , né sì poco,
Che io noi vedessi sfavillar dintorno,
Qual ferro che bollente esce del foco.
E disubito parve giorno a giorno
Essere aggiunto, come quei che puotc
Avesse il ciel di un altro sole adorno.
Beatrice tutta nell' eterne rote
Fissa con li occhi stava, ed io in lei
Le luci fìsse, di là su rimote,
Xel suo aspetto tal dentro mi fei,
Qual si fé Glauco nel gustar della erba,
Che il fé consorto in mar delli altri dei.
Friisumanar significar per vcrba
Non si poria: però lo esempio basti
A cui esperienza grazia serba!
Se io era sol di me quel che creasti
Novellamente, Amor, che il ciel governi.
Tu il sai, che col tuo hmie mi legasti.
'Quando la rota, che tu sempiterni
Desiderato, a sé nù fece atteso
Con r ariiuinia che temperi, e disoerni,
l'arvemi tanto allor del cit-lo acceso
Dalla fiamma del sol, che pioggia o fiume
Laco non fece mai tanto «li^trso.
La novità del suono e il grande lume
Di l(ir cagìou mi accesero un disio
ì\Iai ncui sentito di cotanto acume.
Ond' ella, che >(>ilca me sì come io.
Ad nc(|U('larMii lo aniiiu) commosso.
Pria che io a dimandar, la bocca aprio,
E cominciò: tu stesso ti fai grosso
Col fiilso inunaginar, sì che non vedi
Ciò che v(>dresti, se Io avessi scosso.
Tu non se' iu terra sì come tu credi:
[159]
PARADISO. (I 92—142. II. 1 — 71)
[160]
Ma folgore, fuggendo il primo gito,
Non corse come tu, che ad esso riedi.
Se io fui del primo dubbio disvestito.
Per le sorrise parolette brevi,
Dentro ad un novo più fui irretito;
E dissi: già contento requievi
Di grande ammirazion ; ma ora ammiro
Come io trascenda questi corpi lievi.
Ond' ella, a presso di un pio sospiro.
Li occhi drizzò ver me con quel sembiante.
Che madre fa sopra figliol deliro,
E cominciò: le cose tutte quante
liann' ordine tra loro: e questo è forma,
Che lo universo a dio fa simigliante.
Qui veggion le alte creature la orma
Dello eterno valore, il quale è fine,
Al quale è fatta la toccata norma.
JieìV ordine, che io dico, sono accline
Tutte nature, per diverse sorti
Più al principio loro e raen vicine:
Onde si movono a diversi porti
Per lo gran mar dello essere, e ciascuna
Con istinto a lei dato che la porti ;
Questi ne porta il foco inver la luna:
Questi nei cor mortali è permotore:
Questi la terra in sé stringe ed aduna.
Kè pur le creature, che son fore
D' intelligenzia, questo arco saetta,
Ma quelle, che hanno intelletto ed amore.
La providcnzia, che cotanto assetta,
Del suo lume fa il ciel sempre quieto,
?iel qual si volge quel, che ha maggior fretta:
Ed ora lì, come a sito decreto,
Ccn porta la virtù di quella corda,
Che ciò che scocca drizza in segno lieto.
Vero è, che come forma non si accorda
Molte fiate alla intenzion dell' arte.
Per che a risponder la materia è sorda,
Co^ì da questo corso si diparte
Talor la creatura che ha podere
Di piegar, così pinta, in altra parte.
(E si come vedersi può cadere
Foco di nul)e) se lo impeto primo
L' atterra torto da falso piacere,
Non dei più ammirar, se bene stimo.
Lo tuo salir, se non come dì un ri%o.
Se d' alto monte scende giuso ad imo.
Maraviglia sarebbe in te, se privo
D' impedimento giù ti fossi assiso,
Come materia quieto in foco vivo.
Quinci rivolse inver lo cielo il viso.
CANTO IL
ARGOMENTO.
Prima delle nove sfere del paradiso. Quistione
macchio della luna e sulla cosmogonia.
Oh voi, che siete in piccioletta barca,
Deciderosi tli ascoltar, seguiti
Dietro al mio legno, «;hc cantando varca,
Tornate a riveder li vostri liti.
autte
Non vi mettete in pelago, che forse,
Perdendo me, rimarreste smarriti.
L' acqua, che io prendo, già mai non si corse:
Minerva spira, e conducemi Apollo,
E nove muse mi dimostran le orse.
Voi altri pochi, che drizzaste il collo
Per tempo al pan delli angeli, del quale
Vivesi qui, ma non si vien satollo,
Metter potete ben per lo alto sale
Vostro navigio, servando mio solco
Dinanzi all' acqua, che ritorna eguale.
Quei gloriosi, che passaro a Coleo,
Non si ammiraron, come voi farete,
Quando vider Jason fatto bifolco.
La concreata e perpetua sete
Del deiforme regno cen portava
Veloci quasi come il ciel vedete.
Beatrice in suso, ed io in lei guardava:
E forse in tanto, in quanto un quadrel posa,
E vola, e dalla noce si dischiava,
Giunto mi vidi, ove mirabil cosa
Mi torse il viso a sé : e però quella.
Cui non potea mia opra esser ascosa.
Volta ver me si lieta, come bella:
Drizza la mente in dio grata, mi disse.
Che ne ha congiunti con la prima stella!
Parevami, che nube ne coprisse
Lucida, spessa, solida, e pulita,
Quasi adamante, che lo sol ferisse.
Per entro sé la eterna margherita
Ne ricevette, come acqua ricepe
Raggio di luce, permanendo unita.
Se io era corpo, e qui non si concepe.
Come una dimensione altra patio,
Ch' esser convien se corpo in corpo repe.
Accender ne dovria più il disio
pi veder quella essenzia, in che si vede
Come nostra natura in dio si unio.
Li si vedrà ciò che tenem per fede.
Non dimostrato, ma fia per sé noto,
A guisa del ver primo, che 1' om crede.
Io risposi: madonna, sì devoto,
Com' esser posso più, ringrazio lui.
Lo qual dal mortai mondo mi ha rimoto.
Ma ditemi, che sono i segni bui
Di questo corpo, che là giuso in terra
Fan di Cain favoleggiare altrui?
Ella sorrise alquanto e poi: s'egli erra
Ija opinion, mi disse, dei mortali.
Dove chiave di senso non disserra.
Certo non ti dovrien ptmger li strali
Di ammirazione ornai: più, dietro ai sensi
Vedi che la ragione ha corte le ali.
Ma dimmi quel che tu da te ne pensi.
Ed io: ciò che ne appar qua su diverso.
Credo che il fanno i corpi rari e densi.
Ed ella: certo assai vedrai sommerso
Nel falso il creder tuo, se bene ascolti
Lo argomentar, che io li farò avverso.
La spera ottava vi dimostra molti
Lumi, li quali nel quale, e nel quanto
Notar si posson di diversi volti.
Se raro e denso ciò f.icesser tanto,
Una sola virtù sarebbe in tutti
Più e mcn distributa, ed altrettanto. '
Virtù diverse esser convognon frutti
Di principj formali, e quei, for che una,
161]
PARADISO. (II. 72 — 148. III. 1—43 )
[162]
Seguiteriano a tua ragion distrutti.
kncor se raro fosse di quel bruno
Cagion, che tu dimandi, od oUre in parte.
Fora di sua materia sì digiuno
5^to pianeta, o, sì come coniparte
Lo grasso e il magro un corpo, così questo
Nel suo volume cangerebbe carte,
se il primo fosse, fora manifesto
.' Nella eclissi del sol, per trasparere
, Lo lume, come in altro raro ingesto.
[Questo non è: però è da vedere
j Dello altro : e s' egli avvien, che io lo altro cassi,
Falsificato fia lo tuo parere.
S' egli è, che questo raro non trapassi,
Esser conviene un termine, da onde
Lo silo contrario più passar non lassi:
Ed indi lo altrui raggio si rifonde
Così, come color torna per vetro.
Lo qual diretro a sé piombo nasconde.
Or dirai tu , eh' el si dimostra tetro
Quivi lo raggio più che in altre parti,
Per esser lì rifratto più a retro.
Da questa instanzia può diliberarti
Esperienza, se giammai la provi,
Ch' esser suol fonte ai rivi di vostre arti.
Tre specchj prenderai, e due rimovi
Da te di un modo, e lo altro più rimosso
Tr' ambo li primi li occhi tuoi ritrovi :
Rivolto ad essi fa, che dopo il dosso
Ti stea un lume, che i tre specchj accenda,
£ torni a te da tutti ripercosso :
Benché nel quanto tanto non si stenda
La vista più lontana, lì vedrai
Come con\ien, eh' egualmente risplenda.
Or come ai colpi delli caldi rai
Della neve riman nudo il suggetto,
E dal colore, e dal freddo prìmai,
Così rimaso te nello intelletto
Voglio informar di luce sì vivace.
Che ti tremolerà nel suo aspetto.
Dentro dal ciel della divina pace
Si gira un corpo, nella cui virtute
Lo esser di tutto suo contento giace.
Lo ciel segnentc, che ha tante vedute.
Quello esser parte per diverse essenze
Da lui distinte, e da lui contenute.
Li altri giron per varie diderenze
Le distinzion, che dentro da sé hanno,
Dispongono a lor fini, e lor semenze.
Questi organi del mondo così vanno.
Come tu vedi omai, di grado in grado,
Che di su prendono, e di sotto fanno.
Riguarda bene a me sì come io vado
Per questo laco al ver, che tu disiri.
Sì che poi sappi sol tener lo guado!
Lo moto e la virtù dei santi giri.
Come dal fabbro 1' arie del martello.
Dai beati niotor convien che spiri.
E il (-iel, cui tanti lumi fanno bello.
Dalla mente profonda, che lui v«ilve.
Prende In inuige, e fassene suggello.
E come r itliiiii dentro a vostra p(»lvc
Per dill't-renti membra, e conformato
A di\eri>e pott-nzie si risolve.
Così la intelligenzia sua bontatc
IV1ulti|*licata per le stelle, spiega,
Girando so sovra bua unitato.
Virtù diversa fa diversa lega
Col prezioso corpo, eh' eli' avviva,
I Nel qual, si come vita in voi, si lega.
Per la natura lieta, onde deriva,
La virtù mista per lo corpo luce,
I Come letizia per pupilla viva.
Da essa vien ciò, che da luce a luce
i Par differente, non da denso e raro:
Essa è formai principio, che produce.
Conforme a sua bontà, lo turbo e il chiaro.
CANTO ITI.
ARGOMENTO.
Nella luna stanno le professe, che tratte per violenza
dal chiostro non vi tornarono, ma vissero nella vir-
tù. Piccarda, sorella di Forese.
Quel sol, che pria di amor mi scaldò il petto,
Di bella verità mi avea scoverto.
Provando e riprovando, il dolce aspetto:
Ed io, per confessar corretto e certo
Me stesso, tanto, quanto si convenne.
Levai il capo a profferer più erto.
Ma visione apparve, che ritenne
A sé me tanto stretto, per vedersi.
Che di mia confession non mi sovvenne.
Quali per vetri trasparenti e tersi,
O ver per acque nitide e tranquille
Non sì profonde, che i fondi sien persi,
j Tornan dei nostri visi le postille
Debili sì, che perla in bianca fronte
Non vien men forte alle nostre pupille ;
I Tali vid' io più facce a parlar pronte;
Per che io dentro allo error contrario corsi
A quel, che accese amor tra 1' omo e il fonte.
; Subito, sì come io di lor mi accorsi.
Quelle stimando specchiati sembianti.
Per veder di cui fosser, li occhi torsi,
E nulla vidi, e ritorsili avanti
Dritti nel lume della dolce guida.
Che sorridendo ardea nelli occhi santi.
Non ti maravigliar, per che io sorrida,
Mi disse, a presso il tuo pueril coto.
Poi sopra il vero ancor Io pie non fida.
Ma te rivolvi, come suoli, a voto!
Vere sustanzie son ciò, che tu vedi,
Qui rilegate per manco «li voto.
Però parlii con esse, ed odi e credi.
Che la verace luce , che le appaga.
Da sé non lascia lor torrcr li piedi !
Ed io alla ombra, che parca più voga
Di ragionar, dri/.zammi, e cominciai
Quasi come om, cui troppa voglia smaga:
Oh ben creato spìrito, <lie ai rai
Di vita eterna la doIre/./a senti,
(/he non gustata non s'intende mai;
Grazioso mi fia, se mi contenti
Del nome tuo, e della vostra sorte.
Ond' ella pronta e con occhi ridenti :
La nostra carità non serra porte
11
fÌ63]
PARADISO. (III. 44 — 130. IV. 1 — 33)
[164]
A giusta voglia, se non come quella,
Cile vuol simile a sé tutta sua corte.
Io fui nel mondo vergine sorella ;
E se la mente tua ben si riguarda,
Non mi ti celerà io esser più bella,
Ma riconoscerai, che io son Piccarda,
Che, posta qui con questi altri beati,
Beata son nella spera più tarda.
Li nostri affetti , che solo infiammati
Son nel piacer dello spirito santo,
Letizian del suo ordine formati:
E questa sorte, che par giù cotanto,
Però n' è data , per che f ur negletti
Li nostri voti , e voti in alcun canto.
Onde io a lei : nei mirabili aspetti
Vostri risplende non so che divino,
Che vi trasmuta dai primi concetti:
Però non fui a rimembrar festino;
Ma or mi ajuta ciò che tu mi dici,
Sì che raffigurar mi è più latino.
Ma dimmi: voi, che siete qui felici,
Desiderate voi più alto loco,
Per più vedere, o per più farvi amici?
Con quelle altre ombre pria sorrise un poco;
Da indi mi rispose tanto lieta.
Che arder parea di amor nel primo foco :
Frate , la nostra volontà quieta
Virtù di carità, che fa volerne
Sol quel che avemo, e di altro non ci asseta.
Se disiassimo esser più superne,
Foran discordi li nostri disiri
Dai voler di colui , che qui ne cerne :
Che vedrai non capere in questi giri,
S' essere in caritate è qui necesse,
E se la sua natura ben rimiri ;
Anzi è formale ad esto beato esse,
Tenersi dentro alla divina voglia,
Per che una fansi nostre voglie stesse.
Sì che cnme noi sem di soglia in soglia
Per questo regno , a tutto il regno piace.
Come allo re, che in suo voler ne invoglia:
E la sua volontade è nostra pace:
Ella è quel mare, al qual tutto si move
Ciò , eh' ella cria , o che natura face.
Chiaro mi fu allor, come ogni dove
In cielo è paradiso , e se la grazia
Del sommo ben di un modo non vi piove.
Ma si com' egli avvien , che un cibo sazia,
E di un altro rimane ancor la gola,
Che quel si chiere , e di quel si ringrazia,
Cosi fec' io con atto e con parola.
Per apprender da lei, qual fu la tela,
Onde non trasse insino al co la spola.
Perfetta vita ed alto merto inciela
Donna più su, mi disse, alla cui norma
INel vdstro mondo giù si veste e vela;
Per che infino al morir si vegghì e dorma
Con quello sposo, che ogni voto accetta,
Che caritate a suo piacer conforma.
Dal mondo , per seguirla , giovinetta
Fuggimmi , e nel suo abito mi chiusi,
E pro^li^i la via dcUa sua setta.
Omini pdi a mal, più che a bene usi,
For mi rapinin della «hilce chiostra:
Dio 1(1 si sa qii.il (»oi mia vita fusi.
E quoto altro h|ilend(ir, eli»; ti «i mostra
Dulia mia destra parte, e che bi accendo
Di tutto il lume della spera nostra.
Ciò che io dico di me, di sé intende:
Sorella fu , e co?ì le fu tolta
Di capo la ombra delle sante bende.
Ma poi che pur al mondo fu rivolta
Contra suo grado, e contra buona usanza.
Non fu dal vel del cor giammai disciulta.
Questa è la luce della gran Costanza,
Che del secondo vento di Soave,
Generò il terzo, e la ultima possanza.
Così parlommi : e poi cominciò Ai E
MARIA, cantando, e cantando vanio.
Come per acqua cupa cosa grave.
La vista mia , che tanto la segolo.
Quanto possibil fu , poi che la perse,
^ olsesi al segno di maggior disio,
Ed a Beatrice tutta si converse :
Ma quella folgorò nello mio sguardo
Sì, che da prima il viso non sofferse;
E ciò mi fece a dimandar più tardo.
CANTO IV.
ARGOMEISTO.
Qmsilonì sul luogo de' beati , sulle due volontà del-
r uomo, e sul modo di supplire al non adempimento
de' voli.
Intra due cibi distanti e moventi
Di un modo , prima si morria di fame,
Che li ber' ora lo un si recasse a denti.
Sì si starebbe un agno intra due brame
Di fieri lupi , egualmente temendo :
Sì si starebbe un cane intra due dame.
Per che se io mi tiicea, me non riprendo,
Dalli mici dubbj di un modo sospinto,
Poi eh' era neces.-ario , uè commendo.
Io mi tacea: ma il mio disir dipinto
Mi era nel viso, e il dimandar con elio
Più caldo assai , che per parlar distinto.
Fé' si Beatrice , qu.il fé' Daniello,
Nabucodònosor levando d ' ira,
Che lo avea fatto ingiustamente fello.
E disse: io veggio ben come ti tira
Uno ed altro disio, sì the tua cura
Sé stessa lega sì , che for non spira.
Tu argomenti, se il buon voler dura.
La violenza altrui per qual ragione
Di meritar mi scema la misura?
Ancor di dubitar ti dà cagione.
Parer tornurii le anime alle stelle,
Secondi» l.i sentenza di Platone.
Queste son le questiou che nel tuo velie
Fontano igualemente : e però jjrìa
Tratterò quc^lla, che più ha di felle.
Dei Serafin colui , che più s' india,
Moisé, Samuello , e quel Giovanni,
Qual prender vogli , io dico, non Maria,
Non haiuio in altro cielo i loro scanni,
(/he questi spirli, che nu) ti apparirò,
Né hanno allo esser lur più o men anni;
!65]
PARADISO. (IV. 34-142. V. 1— 11)
[166]
la. tutti fanno bello il primo giro,
E difterenteiuente han dolce vita,
Fcr sentir più e nien lo eterno spiro.
• ili si mostraro, non per che sortita
Sia questa spera lor, ma per far segno
Della celestiai , che ha nien salita.
osi parlar conviensi al vostro ingegno,
Però che solo da sensato apprende
Ciò , che fa poscia d ' intelletto degno.
'er questo la scrittura condiscende
A vostra facultate , e piedi e mano
Attribuisce a dio, ed altro intende:
] santa chiesa con aspetto umano
Gabbrieir e Michel vi rappresenta,
E lo altro , che Tobbia rifece sano,
^uel che 'i'imeo delle anime argomenta,
l%on è simile a ciò che qui si vede,
Però che, come dice, par che senta.
)ii e che 1' alma alla sua stella riede.
Credendo quella quindi esser decìsa,
C^)iiando natura per forma la diede.
■l Torse sua sentenza è di altra guisa
Cile la voce non suona , ed esser potè
Ci>n intenzion da non esser derisa.
1' egi' intende tornare a queste rote
L' onor della inlìuenza, e il biasmo , forse
In alcun vero suo arco percote.
buesto principio male inteso torse
I Già tutto il mondo quasi , sì che Giove,
Mercurio, e Marte a nominar trascorse.
' altra dubitazion , che ti conimove.
Ila men velen , però che sua malizia
]Von ti porla menar da me altrove.
?arere ingiusta la nostra giustizia
Nelli occhi dei mortali , è argomento
Di fede, e non di eretica nequizia.
Ha per che potè vostro accorgimento
Ben penetrare a questa veritate.
Come disiri, ti farò contento.
Se violenza è, quando quel che paté,
Kìcnte conferisce a quel che sforza,
Aon fur queste alme per essa scusate:
yhù volontà , se non vuol , non si ammorza,
Ma fa come natura face in foco.
Se mille volte violenza il torza:
jPer che s' ella si piega assai o poco,
Segue la (orza: e cosi queste fero,
l'ossendo riliiggir nel santo loco,
e fosse stato il lor volere intero,
Come tenne Lorenzo in su la grada,
E fece Muzio alla sua man severo,
Cosi le avria ripinte per la strada,
Ond' cran tratte, come furo sciolte;
Ma cosi salda voglia è troppo rada.
E per queste parole, se ricoltc
Le hai, come dei, è lo argomento casso.
Che ti avria fatto noja ancor più volte.
Ma or ti si attraversa un altro passo
Dinanzi alli occhi tal , «;he per te stesso
ÌNon ne usciresti, pria saresti lasso,
lo ti ho per certo nella mente messo,
Che alma beata non poria m(;ntirc,
l'ero eh' è 8eni|ire al primo vero u prcsso:
E poi potesti da l'iccarda udire,
Che r alVezion del vel Costanza tenne,
Si cir ella par qui meco contraddire.
Molte fiate già, Irate, adiveune,
Che, per fuggir periglio, centra grato
Si fé di quel, che far non si convenne:
Come Almeone, che, di ciò pregato
Dal padre suo, la propria madre spense,
Per non perder pietà si fé spietato.
A questo punto voglio che tu penso,
Che la forza al voler si mischia, e fanno
Sì , che scusar non si posson le offense.
Voglia assoluta non consente al danno:
Ma consentevi in tanto, in quanto teme.
Se si ritrae , cadere in più affanno.
Però quando Piccarda quello spreme.
Della voglia assoluta intende, ed io
Dell' altra, si che ver diciamo insieme.
Cotal fu 1' ondeggiar del santo rio.
Che uscia del fonte, onde ogni ver deriva:
Tal pose in pace uno ed altro disio.
Oh amanza del primo amante, oh diva,
Diss' io a presso, il cui parlar m' innonda
E scalda sì, che più e più mi avviva.
Non é la voce mia tanto profonda,
Che basti a render voi grazia per grazia:
Ma quei , che vede e potè , a ciò risponda !
Io veggio ben, che giammai non si sazia
Nostro intelletto , se il ver non lo illustra.
Di for dal qual nessun vero si spazia.
Posasi in esso , come fera in lustra.
Tosto che giunto lo ha , e giugner puollo,
Se non ciascun disio sarebbe frustra.
Nasce per quello a guisa di rampollo
A pie del vero il dubbio : ed è natura,
Che al sommo pinge noi di collo in collo.
Questo m' invita, questo mi assicura
Con riverenza, donna, a dimandarvi
Di un' altra verità , che mi è oscura.
Io vo' saper , se 1 ' om può soddisfarvi
Ai voti manchi sì con altri boni.
Che alla vostra staterà non sicn parvL
Beatrice mi guardò con li occhi pieni
Di faville di amor, così divini,
Che , vinta mia virtù , diedi le reni,
E quasi mi perdei con li occhi chini.
CANTO V.
ARGOMENTO.
Soluzione della quistioiìc intorrio al voto. Secondo cie-
lo ^ Mercurio, di coloro, che il desiderio di fama
mosse a (gloriose imprese.
Se io ti fiammeggio nel caldo di amore
Di là dal modo che in terra si vede.
Sì che delli occhi tuoi vinco il valore,
Aon ti maravigliar! cliè ciò procede
Da perfetto veder die, come apprende,
Così nel bene appreso move il piede.
Io veggio ben sì come già risplende
Aello intelletto tuo la eterna luce.
Che vista sola sempre amore accende ;
K se altra cosa vostio amor seduce,
>on è bc non di quella alcun vestigio
[16T]
PARADISO. (¥^12-130)
[168]
Mal conosciuto, che quivi traluce.
Tu vuoi saper , se càìiì altro servigio
J'er manco voto si può render tanto,
Clie l'anim' assicuri di litìgio.
Si cominciò Beatrice questo canto :
E sì come oiu che suo parlar non spezza,
Continuò cosi 'i processo santo.
Lo maggior don , che dio per sua larghezza
Fesse creando , e alla sua Ijontate
Più conformato, e quel eh' ei più apprezza,
Fu della volontà la liberiate,
Di che le creature intelligenti,
E tutte e sole furo e son dotate.
Or ti parrà, se tu quinci argomenti.
Lo alto valor del voto s' è sì fatto,
Che dio consenta , quando tu consenti :
Che nel fermar tra dio e 1' omo il patto,
\ ittima fassi di questo tesoro.
Tal, qual io dico, e fassi col suo atto.
Dunque che render puossi per ristoro?
Se credi hene usar quel che hai offerto,
Di mal tolletto vuoi far huon lavoro.
Tu sei ornai del maggior punto certo.
Ma per che santa chiesa in ciò dispensa,
Che par contrario al ver, che io ti ho scoverto,
' Convienti ancor sedere un poco a mensa,
* Però che il cibo rigido , che hai preso,
Richiede ancora ajuto a tua dispensa.
Apri la mente a quel che io ti paleso,
E formalvi entro! che non fa scienza
Senza lo ritenere avere inteso.
Due cose si convegnono alla essenza
Di questo sacrilìcio : la una è quella
Di che si fa; I' altra è la convenenza.
Questa ultima giammai non si cancella
Se non servata , ed intorno di lei
Sì preciso di sopra si favella:
Però necessitato fu alli Ebrei
Pur r offerire, ancor che alcuna offerta
Si permutasse , come saper dei.
L' altra, che per materia ti è aperta,
l'uote ben esser tal, che non si falla,
Se con altra materia si converta.
Ma non trasuuiti carco alla sua spalla
Per suo ar!)itrio alcun . senza la volta
E delia cliiave bianca e della gialla;
Ed ogti'. peruiutanza credi stolta,
Se la cosa dimessa in la sorpresa,
Come il quattro nel sei, non è raccolta.
Però qualunque cosa tanto pesa
Per suo valor, che tragga ogni bilancia.
Soddisfar non si può con altra spesa.
Non prendano i mortali il voto a ciancia:
Siiite fedeli , ed a ciò far non biecì.
Come fu lepte alla sua prima mancia:
Cui più si conveiiìa dicer: mal feci,
l'Aie ^ervando far peggio: e così stolto
liitrovar puoi lo gran duca dei Greci;
Onde pian-ie Ifigenia il suo bel volto,
E fc pianger di sé e i folli e i savi,
Che udir parlar di co>i fatto colto.
Siate, crÌNtiaiii, a movervi più gravi!
Aon sìiite rouie penna ad ogni vento,
E non crediate, che ogni acqua vi lavi!
Avete il vecchio e il novo testamento,
E il pa^tor della chic a, vhf %i guida:
Questo vi babli a vostro balvaiueuto I
Se mala cupidigia altro vi grida,
Omini siate, e non pecore matte.
Sì che il Giiuleo tra voi di voi non rida!
Non fate come agnel, che lascia il latte
Della sua madre , e semplice e lascivo
Seco medesmo a suo piacer comltatte !
Così Beatrice a me come io lo scrivo :
Poi si rivolse tutta disiante
A quella parte, ove il mondo è più vìvo.
Lo suo tacere , e il trasmutar sembiante
Poser silenzio al mio cupido ingegno,
Che già nove quìstioni avea davaute.
E sì come saetta, che nel segno
Percote pria che sia la corda queta.
Così corremmo nel secondo regno.
Quivi la donna mìa vid' io sì lieta.
Come nel lume di quel ciel si mise.
Che più lucente se ne fé' il pianeta.
E se la stella si cambiò e rise,
Qual mi fec' io, che pur di mia natura
Trasmutabile son per tutte guise !
Come in peschiera, eh' è tranquilla e pura.
Traggono i pesci a ciò, che vien di fori
Per modo, che lo stimin lor pastura,
Si vid ' io ben più di ìnille splendori
Trarsi ver noi, ed in ciascun si udia:
Ecco chi crescerà li nostri amori !
£ si come ciascuno a noi venia,
Vedeasi la ombra piena di letizia
Nel folgor chiaro , che di lei uscia.
Pensa, lettor, se quel, che qui s' inizia,
Non procedesse, come tu avresti
Di più savere angosciosa carizia:
E i)cr te vederai , come da questi
Mi era in disio di udir lor condizioni.
Sì come alli occhi mi fur manifesti.
Oh bene nato , a cui veder li troni
Del trionfo eternai concede grazia,
Prima che la milizia si abbandoni.
Del lume che per tutto il ciel si spazia,
Noi semo accesi; e però, se disii
Di noi chiarirli, a tuo piacer ti sazia!
Così da un di quelli spirti pii
Detto mi fu, e da Beatrice: di', di'
Sicuramente, e credi come a dii !
Io veggio ben sì come tu ti annidi
Nel proprio lume, e che dalli occhi il traggi.
Per eh' ei corruscan , si come tu ridi :
Ma non so , chi tu sei, né per che aggi,
Anima degna , il grado delia spera.
Che si vela ai nutrtai con li altrui raggi.
Questo diss' io diritto alla lumiera,
Che pria mi avea )>arlato : ond' ella fessi
Lucente più assai di quel eh' ella era.
Sì come il sol , che si cela egli stessi
Per troppa luce, quando il caldo ha rose
Le temperanze dei vapori spessi:
Per più leti/àa sì mi si nascose
Dentro al suo raio la fìgiu-a santa,
E così chiusa chiusa mi rispose
Nel modo, che il seguente canto canta.
169]
PARADISO. (VI. 1 — 126)
rnoi
CANTO VI.
ARGOMENTO.
L' imperator Giustiniano^ Quadro della storia romana.
Poscia che Constanlin 1' aquila volse
Contra il corso del ciel , eh' ella seguio
Dietro allo antico , che Lavinia tolse.
Cento e cento anni e più lo uccel di dio
ISello stremo di Europa si ritenne
Vicino ai monti , dei qiiai prima uscio,
(E sotto la ombra delie sacre penne
Governò il mondo lì di mano in mano,
^ sì cangiando in su la mia pervenne.
lesare fui , e son Giustiniano,
Che per voler del primo amor, che io sento,
Dentro alle legjji trassi il troppo e il vano:
E prima che io alla apra fossi attento,
Una natura in Cristo esser, non piùe,
Credeva , e di tal fede era contento.
Ma il benedetto Agapito , che fue
Sommo pastore, alla fede sincera
Mi ridrizzò con le parole sue.
Io li credetti, e ciò che in sua fed' era
Veggio ora chiaro , sì come tu vedi
Ogni contraddizione e falsa e vera.
Tosto che con la chiesa mossi i piedi,
A dio per grazia piacque d' inspirarmi
Lo alto lavoro, e tutto in lui mi diedi.
E al mio Bellisar commendai le armi,
Cui la destra del ciel fu sì congiunta,
Che segno fu che io dovessi posarmi.
Or qui alla quistiun prima si appunta
La mia risposta , ma la condizione
Mi stringe a seguitare alcuna giunta,
Per che tu veggi , con quanta ragione
Si move contra il sacrosanto segno,
E chi '1 si appropria , e chi a lui si oppone.
Vedi quanta virtù lo ha fatto degno
Di reverenza, e cominciò dalla ora.
Che l'aliante morì , per darli regno.
Tu sai, eh' el fece in Alba sua dimora
Per trecento anni , ed oltre insino al fine,
Che i tre ai tre per lui pugnar ancora.
Sai quel che fé' dal mal delle Sabine
Al dolor di Lucrezia in sette regi.
Vincendo intorno le genti vicine.
Sai quel che fé' portato dalli egregi
Romani incontro a Itreniio, incontro a Pirro,
Incontro alli altri principi e collegi:
Onde Torquato e Quintio, che dal cirro
Negletto fu nomato, e i Deci e i Fabi
Ebber la fama, che volentier mirro.
Esso atterrò 1' orgoglio degli Anlbi,
Che diretro ad Anniltale passare»
Le alpestre rocce. Pò, di che tu labi.
Sotto esso giovanetti trionfaro
Scipione e Pompeo, ed a quel colle,
Sotto il qual tu nascesti , parvt; amaro.
Poi presso al tempo, elio tutto il ciel volle
Ridiir lo mondo a huo iiiotlo sereno,
Ce. are per voler di Roma il tolte:
E quel che fé' da \ aro innino al lleno,
Isara vide ed Era, e vide Senna,
Ed ogni valle, onde il Rodano è pieno.
Quel che fé' poi eh' egli uscì di Ravenna,
E saltò il Rubicon , fu di tal volo,
Che noi seguiteria lingua , né penna.
Inver la Spagna rivolse lo stuolo ;
Poi ver Uurazzo, e Farsaglia percosse
Sì, che il INil caldo sentis^si del duolo.
Antandro e Simoenta, onde si mosse,
Rivide, e là dov' Ettore si cuba,
E mal per Tolommeo poi si riscosse.
Da indi scese folgorando a Giuba:
Poi si rivolse nel vostro occidente.
Dove sentia la Pompejana tuba.
Di quel che fé' col bajulo seguente,
Bruto con Cassio nello inferno latra,
E Modona e Perugia fé' dolente.
Piangene ancor la trista Cleopatra,
Che, fuggendoli innanzi, dal colubro
Prese la morte subitana ed atra.
Con costui corse insino al lito rubro ;
Con costui pose il mondo in tanta pace,
Che fu serrato a Giano il suo delubro.
.Via ciò, che il segno, che parlar mi face.
Fatto avea prima, e poi era fatturo
Per lo regno mortai che a lui soggiace,
Diventa in apparenza poco e scuro.
Se in mano al terzo Cesare si mira
Con occhio ..'liaro , e con alletto puro ;
Che la viva gi-jstizia, che mi spira,
Li concedette in mano a quel che io dico.
Giuria di far vendetta alla sua ira.
Or qui ti ammira in ciò che io ti replico!
Poscia con Tito a far vendetta corse
Della vendetta del peccato antico.
E quando il dente longobardo morse
La santa chiesa, sotto alle sue ali
Carlo Magno vincendo la soccorse.
Ornai puoi giudicar di quei colali,
Che io accusai di sopra, e dei lor falli,
Che son cagion di tutti i vostri mali.
Lo uno al pubblico segno i gigli gialli
Oppone, e quel si appropria lo altro a parte,
Sì eh' è forte a veder chi più si falli.
Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
Sotto altro segno: che mal segue quello
Sempre chi la giustizia e lui diparte:
E non lo abbatta esto Carlo lutvello
Coi Guelfi suoi, ma tema delli artigli,
Che a più alto leon trasser lo vello.
.Molte fiate già pianser li figli
Per la colpa dui padre : e non si creda.
Che dio trasmuti le armi per suoi gigli-
Questa picciola stella si correda
Dei buoni spirti che son stati attivi.
Per che (Uiore e fama li su(-('eda:
E quando li desiri poggian quivi
Si dis> illudo, pui' convieu che i raggi
Del vero amore in su poggio mcn vi\L
Ma nel commeiisurar dei nostri gaggi
('«>1 merto , è |iarte di nostra letizia.
Per clic; non li vedi in minor, né maggi.
Quindi addolciare l.i viva giustizia
In noi lo all'etto hi , che non si potè
Torcer giamiiiai ad aliuna nequiziii.
Diverse vnri f.iiiuo dolij noie:
(/'osi di verni sianiii in iio^tr.i vita
Rundon dolce armonia tra queste rote,
[171]
PARADISO. rvLi^^~"^^^- ^"- ^~^^^)
[172]
E dentro alla presente margherita
Luce la luce di Romèo, di cui
Fu la opra grande e bella mal gradita.
Bla i Provenzali, che fér contra lui,
Non hanno riso : e però mal cammina,
Qual si fa danno del ben far di altrui.
Quattro figlie ebbe , e ciascuna reina,
Ramondo Berlinghieri , e ciò li fece
Romeo persona umile e peregrina:
E poi il mosser le parole biece
A dimandar ragione a questo giusto,
Che li assegnò sette e cinque per diece.
Indi partissi povero e vetusto:
E se il mondo sapesse il cor eh egli ebbe,
3Iendicando sua vita a frusto a frusto,
Assai lo loda, e più lo loderebbe.
CANTO VII.
ARGOMENTO.
V incarnazione del Jcrho, V immortalità dell'' anima,
e la risurrezione de' corpi.
Osanna sanctus Deus Sabaoth,
Superillustrans claritate tua
Fclices ignes horum malachoth. !
Cosi volgendosi alla rota sua
Fu ^iso a me cantare essa sustanza,
Sopra la qual doppio lume s' ìndua:
Ed essa e le altre mossero a sua danza,
E quasi velocissime faville
Mi si velar di subita distanza.
Io dubitava e dicea: dille dille!
Fra me, dille, diceva alla mia donna.
Che mi disseta con le dolci stille;
Ma quella reverenza, che s' indonna
Di tutto me, pur per B e per ICE,
Mi richinava come 1' om che assonna.
Poco sofTersc me cotal Beatrice,
E cominciò , raggiandomi di un riso
Tal, che nel foco faria 1' om felice.
Secondo mio infalliliile avviso,
Come giusta vendetta giustamente
Punita fosse, ti hai in pensier mise;
Ma io ti solverò tosto la niente,
E tu ascolta ! che le mie parole
Di gran sentenzia ti faran presente!
Per non soffrire alla virtù che vuole
Freno a suo prode, quelP oin che non nacque,
Dannando se, dannò tutta sua prole:
Onde la umana specie inferma giacque
Giù per secoli molti in grand ' errore.
Fin ciie al Verbo di dio di scender piacque;
L) la natura, che dal suo fattore
Si era allungata, unio ii s»; in persona
Con lo atto sol del suo eterno amore.
Or drizza il viso a quel che si ragiona!
Quesla naiura al ^iio fattore unita,
Qual fu creata, fu sincera e buona,
l'er sé stessa fu pur ella isbandita
Di paradiso, j»erò che si torse
Da via di verità e da sua vita.
La pena dunque, che la croce porse.
Se alla natura assunta si misura,
ISulla giammai sì giustamente morse:
E così nulla fu di tanta ingiura.
Guardando alla persona che sofferse,
In che era contratta tal natura.
Però di un atto uscir cose diverse:
Che a dio ed ai Giudei piacque una morte:
Per lei tremò la terra, e il ciel si aperse.
Non ti dee oramai parer più forte.
Quando si dice, che giusta vendetta
Poscia vengiata fu da giusta corte.
Ma io veggi' or la tua mente ristretta
Di pensier in pensier dentro ad un nodo.
Del qual con gran disio solver si aspetta.
Tu dici : ben discerno ciò che io odo :
Ma per che dio volesse, mi è occulto^
A nostra redenzion pur questo modo.
Questo decreto, frate, sta sepulto
Alli occhi di ciascuno , il cui ingegno
Nella fiamma di amor non è adulto.
Veramente, però che a questo segno
Molto si mira, e poco si discerne,
Dirò, per che tal modo fu più degno.
La divina bontà , che da sé speme
Ogni livore, ardendo in sé sfavilla,
Sì che dispiega le bellezze eterne.
Ciò che da lei senza mezzo distilla,
Non ha poi fine , per che non si move
La sua imprenta, quando ella sigilla.
Ciò che da essa sanza mezzo piove,
Libero è tutto, per che non soggiace
Alla virtute delle cose nove.
Più 1' è conforme, e però più le piace:
Che lo ardor santo che ogni cosa raggia,
Nella più simigliante è più vivace.
Di tutte queste cose si avvantaggia
La umana creatura, e se una manca.
Di sua nobilita convien che caggia.
Solo il peccato è quel che la disfranca,
E falla dissimile al sommo bene.
Per che del lume suo poco s' imbianca :
Ed in sua dignità mai non riviene.
Se non riempie, dove colpa vota,
Contra uial dilettar con giuste pene.
Nostra natura, quando peccò tota
Nel seme suo , da queste dignitadì,
Come di paradiso, fu remota:
Xè ricovrar poteasi, se tu badi
Ben sottilmente, per alcuna via.
Senza passar per un di questi guadi:
0 che dio solo per sua cortesia
Dimesso avesse , o che 1 ' om per sé isso
Avesse soddisfatto a sua follia.
Ficca mo 1 ' occhio perentro lo abisso
Dello eterno consiglio, quanto puoi
Al mio parlar distrettamente fìsso !
Non potea 1' omo nei termini suoi
Mai soddisfar, per non potere ir giugo
Con uuiiltale, ohbedieudo poi,
i^uanto disubbidendo intese ir suso:
K questa è la ragion per clie 1 ' ora fue
Da poter soddi«ifar per sé dischiuso.
Dunque a dio convenia con le vie sue
Riparar 1' omo a sua intera vita.
Dico con la una o ver con ambo e due.
fns]
PARADISO. (VII. 106— 148. Vili. 1 — 76)
[174]
Ma per che la opra tanto è più gradita
Deli' operante, quanto più appre^enta
Della bontà del core ond' è uscita,
La divina bontà , che il mondo iraprenta ,
Di proceder per tutte le sue vie
A rilevarvi suso fu contenta :
Né tra la ultima notte e il primo die
Si alto e sì magnifico processo
O per la una o per lo altro f»e o fie.
Che più largo fu dio a dar sé stesso,
Per far 1' om sufficente a rilevarsi,
Che s' egli avesse sol da sé dimesso.
E tutti li altri modi erano scarsi
Alla giustizia, se il fìgliol di dìo
Non fosse umiliato ad incarnarsi.
Or per empierti bene ogni disio,
' Ritorno a dichiarare in alcun loco.
Per che tu veggi lì così come io.
Tu dici : io veggio lo aere , io veggio il foco,
L'acqua, e la terra, e tutte lor misture
Venire a corruzione, e durar poco;
E queste cose pur fur creature:
Per che se ciò che ho detto è stato vero»
Esser dovrian da corruzion sicure.
lii angeli, frate, e il paese sincero
Nel qual tu sei, dir si posson creati,
Sì come sono in loro essere intero:
Ma li elementi che tu hai nomati,
E quelle cose che di lor si fanno,
Da creata virtù sono informati.
Creata fu la materia eh' elli hanno:
Creata fu la virtù informante
In queste stelle che intorno a lor vanno.
L' anima di ogni bruto e delle piante
Di complession potenziata tira
Lo raggio e il moto delle luci sante.
Ma nostra vita senza mezzo spira
La somma benignanza, e la innamora
Di sé, sì che poi sempre la disira.
E quinci puoi argomentare ancora
Nostra reeurrezion , se tu ripensi
Come la umana carrie fessi allora.
Che li primi parenti intrambo fensi.
CANTO Vili.
ARGOMENTO.
Terzo ciclo di Venere, rfc' puri amanti e dcfiU otti-
mi amici. Curio Martello, re d'> Lughiria. Come da
buon padre nasca Jì-rlio mm buono, e come r edu-
cazione s' opponga alle disposizioJii naturali.
Solca creder lo monilo in suo perirlo,
Che la bv.Un Ciprigna il folle amore
Uaggiasse volta nel terzo epiciclo ;
Per «:ho non pure a lei faccano onoro
Di sacrifìci e di votivo grido
Le genti anticho nello antico errore;
l>Ia Dione onoravano, e Cupido,
Quella per madre sua, quoto per figlio,
U tlictUH eh' ti bedeltc in grembo u^Dido :
E da costei, onde io principio piglio,
Pigliavano il vocabol della stella.
Che il sol vagheggia or da coppa, or da ciglio.
Io non mi accorsi del salire in ella;
Ma di esservi entro mi fece assai fede
La donna mia, che io vidi far più bella.
E come in fiamma favilla si vede,
E come in voce voce si discerné,
Quando una è ferma, e 1' altra va e rlede;
Md' io in essa luce altre lucerne
Moversi in giro più e men correnti.
Al modo , credo , di lor viste eterne.
Di fredda nube non disceser venti,
O visibili o no, tanto festini,
Che non paressero impediti e lenti
A chi avesse quei lumi divini
Veduto a noi venir, lasciando il giro
Pria cominciato in li alti serafini:
E dietro a quei che più innanzi apparirò.
Sonava Osanna, sì che unque poi
Di riudir non fui senza disiro.
Indi si fece lo un più presso a noi,
E solo incominciò : tutti sem presti
Al tuo piacer, per che di noi ti gioì.
Noi ci volgiam coi principi celesti
Di un giro , e di un girare , e di una sete.
Ai quali tu nel mondo già dicesti;
Voi, che intendendo il terzo ciel movete:
E sem sì pien di amor, che per piacerti
Non fia men dolce un poco di quiete.
Poscia che li occhi miei si furo offerti
Alla mia donna riverenti , ed essa
Fatti li avea di sé contenti e certi,
Rivolsersi alla luce che promessa •
Tanto si avea, e: di', chi sei tu, fue
La voce mia di grande afiTetto impressa.
Eh quanta e quale vid' io lei far pine
Per allegrezza nova che si accrebbe,
Quando io parlai, alle allegrezze sue!
Così fatta, mi disse, il mondo mi ebbe
Giù poco tempo, e se più fosse stato.
Molto sarà di mal che non sarebbe.
La mia letizia mi ti tien celato.
Che mi raggia dintorno e mi nasconde.
Quasi animai di sua seta fasciato.
Assai mi amasti, ed avesti ben onde:
Che , se i(» fossi giù stato , io ti mostrava
Di mio amor più oltre che le fronde.
Quella sinistra riva che si lava
Di Rodano , poi eh' é misto con Sorga,
Per suo signore a tempo mi a-:pctta\a;
E quel corno di Ausonia clic s' iuiborga
Di Hari, di Gaeta, e di Catona,
Da onde Tronto e Wrde in mare sgorga.
Fulgeaiui già in fronte la corona
Di queit.i terra clic il Danubio riga.
Poi «he le ri(i«' tedesi-lie altbandcuia :
E la bella Trina<'ria che caliga
'J"ra Pitchino e P«loro, sopra il golfo,
Che ri('<!ve da Kuro maggior briga,
Non per 'l'ilVo , ma per na>ccnte solfo.
Atte*! avr«'l»lic li suoi regi aurora
Nati |ii'r me di ('arlo e di Uiiloll'o,
Se mala bignoria , che semprt; accora
Li po|i(ili NUggetli, n(wi awsse
MorM» P.ilcrmo a gridar: mora, mura!
E HO mio frate questo unli\ edesse,
[175]
PARADISO. (VTTT. 77—148. IX. 1—40)
[176]
L' avara povertà di Catalogna
Già fuggiria, per che non li offendesse:
Cile veramente provveder bisogna
Per lui , o per altrui , si che a sua barca
Carcata più di carco non si pogna.
La sua natura , che di larga parca
Discese, avria mesitier di tal iniiizia,
Che non curasse di mettere in arca.
Però che io credo che 1' alta letizia
Che il tuo parlar m' infonde , signor mio,
Ore ogni ben si termina e s' inizia,
Per te si veggia, come la \egg' io;
Grata mi è più; ed anco questo ho caro,
Per che il discerni rimirando iddio.
Fatto mi hai lieto: e così mi fa chiaro.
Poi che parlando a dubitar mi hai mosso,
Come uscir può di dolce seme amaro.
Questo io a lui; ed egli a me: se io posso
Mostrarti un vero, a quel che tu dimandi,
Teriai lo viso come tieni '1 dosso.
Lo ben , che tutto il regno , che tu scandi,
Volge e contenta, fa esser virtute
Sua providenza in questi corpi grandi :
E non pur le nature provvedute
Son nella mente, eh' è da sé perfetta.
Ma esse insieme con la lor salute.
Per che quantunque questo arco saetta.
Disposto cade a provveduto fine,
Si come cosa in suo segno diretta.
Se ciò non fosse, il ciel che tu cammiue,
Producerebbe sì li suoi effetti,
Che non sarebber arte , ma mine :
E ciò esser non può, se 1' intelletti.
Che movon queste stelle, non son manchi,
E manco il primo che non li ha perfetti.
Vuoi tu che questo ver più ti s' imbianchi ?
Ed io: non già; per che impossibil veggio.
Che la natura , in quel eh' è opo , stanchi.
Ond' egli ancora: or di', sarebbe il peggio
Per r omo in terra, se non fosse cive?
Sì , rispos' io , e qui ragion non cheggio.
E può egli esser, se giù non si vive
Diversamente, per diversi ufici?
IVo , se il maestro vostro ben vi scrive.
Sì venne deducendo insino a quicì ;
Poscia conchiuse: dunque esser diverse
Convien dei vostri effetti le radici :
Per che un nasce Solone, ed altro Serse,
Altro Melchisedech, ed altro quello
Che volando per lo aere il figlio perse.
La circular natura, eh' è suggello
Alla cera mortai , fa ben su' arte.
Ma non distingue lo un dall' altro ostello.
Quinci adivien, eh' Esaù si diparte
Per seme da Jacob: e vien Quirino
Da si vii padre, che si rende a Marte.
Natura generata il suo cammino
Simil farebbe sempre ai generanti.
Se non vincesse il proveder divino.
Or quel , che ti era dietro, ti è davanti.
Ma per che kìii)|iì elio di te mi giovai
Un corollario vo^rli,, ,;i,e j,; ammanti.
Sempre natura, se fortuna trova
Di-<c()rtle a t-ù, come ogni altra semente.
Fori (li sua n-gion, fa mala prova.
E «e il mondo là giù ponesse mente
Al fuudauicntu che natura pone.
Seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete alla religione
Tal, che fia nato a cingersi la spada,
E fate re di tal, eh' è da sermone:
Onde la traccia vostra è for di strada.
CANTO IX.
ARGOMENTO.
Sfera medesima. Cunizza, sorella (V Ezzelin da Ro-
mano. Folco da Marsiglia.
Dapoi che Carlo tuo, bella Clemenza,
Mi ebbe chiarito , mi narrò 1 ' inganni
Che ricever dovea la sua semenza.
Ma disse: taci, e lascia volger li anni!
Sì che io non posso dir, se non che pianto
Giusto verrà diretro ai vostri danni.
E già la vita di quel lume sauto
Rivolta si era al sol , che la riempie,
Come qTiel ben che ad ogni cosa è tanto.
Ahi anime ingannate e fatture empie,
Che da sì fatto ben torcete i cori,
Drizzando in vanità le vostre tempie!
Ed ecco un altro di quelli splendori
V^er me si fece, e il suo voler piacermi
Significava nel chiarir di fori.
Li occhi di Beatrice eh' eran fermi
Sovra me, come pria, di caro assenso
Al mio disio certificato férmi.
Deh metti al mio voler tosto compenso,
Beato spirto, dissi, e fammi prova.
Che io possa in te rifletter quel che io penso!
Onde la luce, che mi era ancor nova,
Del suo profondo , ond' ella pria cantava,
Seguette come a cui di ben far giova.
In quella parte della terra prava
Italica , che siede intra Rialto,
E le fontane di Brenta e di Pia^-a,
Si leva un colle, e non surge molto alto.
Là onde scese già una facella,
Che fece alia contrada un grande assalto.
Di una radice nacqui ed io ed ella :
Cunizza fui chiamata , e qui rifulgo.
Per che mi vinse il lume di està stella.
Ma lietamente a me medesma indulgo
La cagion di mia sorte, e non mi noja,
Che forse parria forte al vostro vulgo.
Di questa luculenta e cara gioja
Del nostro cielo, che più mi è propinqua.
Grande fama rimase e, pria che moja.
Questo centesimo anno ancor s' incinqua.
Vedi, se far si dee I' omo eccellente.
Sì che altra vita la prima rclinqua.
E ciò non pensa la turba presente
Che Tagliamento ed Adige richiude,
]\è per (!sser battuta ancor si pentev
i>Ia tosto fia che Padova al palude
Cangerà 1' acqua, che Vincenza bagna.
Per essere al dover le genti crude.
E dove Silo e Cugnan ti accumpaj^na,
;i7ì]
PARADISO. (IX. 50— 142. X.l — 29)
Tal signoregijia e va con la testa alta,
Che già per lui carpir si fa la ragna.
Piangerà Feltro ancora la diilalta
Dello empio suo pastor, che sarà sconcia
Sì , che per sirail non si entrò in Malta.
Troppo sarebbe larga la bigoncia,
Che ricevesse il sangue ferrarese,
E stanco chi '1 pesasse ad oncia ad oncia,
Che donerà questo prete cortese
Per mostrarsi di parte: e cotai doni
Conformi fieno al viver del paese.
Su sono specchj , voi dicete troni,
Onde rifulge a noi dio giudicante
Sì che questi parlar ne pajon buoni.
Qui si tacette, e fecemi sembiante,
Che fosse ad altro volta i»er la rota,
' In cìie si mise com' era davante.
L' altra letizia che mi era già nota.
Preclara cosa mi si fece in vista,
Qual fin balascio in che Io sol pei'cota.
Per letiziar là su fulgor si acquista.
Si come riso qui: ma giù si abbuja
La ombra di for, come la mente è trista.
Dio vede tutto, e tuo veder s' inluia,
Diss'io , beato spirto , sì che nulla
Voglia di sé a te puote esser fuja.
Dunque la voce tua, che il ciel trastulla
Sempre col canto di quei fochi pii.
Che di sei ali fannosi cuculia.
Per che non soddisface ai miei disii?
Già non attendere' io tua dimanda,
Se io m' intuassi come tu t' iminii.
La maggior valle in che V acqua si spanda,
Incominciaro allor le sue parole,
For di quel mar che la terra inghh'landa,
Tra discordanti liti contra il sole
Tanto sen va , che fa meridiano
Là dove 1' orizzonte pria far suole.
Di quella valle fu' io littoi-ano
Tra Ebro e Macra, che per cammìn corto
Lo Genovese parte dal Toscano.
Ad un occaso quasi , e ad un orto
Buggea siede, e la terra onde io fui.
Che le' del sangue suo già caldo il porto.
Folco mi disse quella gente , a cui
Fu noto il nome mio: e questo ciclo
Di me s'imprcnta, 4;ome io fei di lui:
Che più non arse la figlia di llelo,
Mojando ed a Sìcheo , ed a Crcusa,
Dì me, infin che si convenne al pelo:
Nò quella Rodopea, che delusa
Fu da Demofoonte, nò Alcide,
Quando Iole nel core ebbe richiusa.
Non però qui si pente, ma si ride,
Kon della col|)a, che a mente non torna,
Ma del valore cIk; ordinò e provvide.
Qui si rimira nell' arte che adorna
Cotanto ell'etto, e discerncsi '1 bene.
Per che ni modo di su quel di giù torna.
Ma per che le tue voglie tutte j)iene
Ten porti che son nate in questa bpcra,
Procedere ancor oltre mi contiene.
Tu vuoi saper chi è in questa lumiera,
VAw, qui a presso me così Kcintilla,
Conu! raggio di sole in acqua mera. ^
Or sappi , che là entro si tranquilla
Uaab, ed u nueilr' ordine congiunta
[178]
Dì lui nel sommo grado si sigilla.
Da questo cielo , in cui la ombra si appunta.
Che il Vostro mondo face, pria che altr' alma
Del trionfo di Cristo fu assunta.
Ben si convenne lei lasciar per palma
In alcun cielo dell' alta vittoria
Che si acquistò con la una e 1' altra palma,
Per eh' ella favorò la prima gloria
Di Josuè in su la terra santa.
Che poco tocca al papa la memoria.
La tua città, che di colui è pianta,
Clie pria volse le spalle al suo fattore^
E di cui è la invidia tanto pianta.
Produce e spande il maladetto fiore.
Che ha disviate le pecore e li agni,
Però che fatto ha lupo del pastore.
Per questo lo evangelio e i dottor magni
Son derelitti, e solo ai decretali
Si studia sì, che pare ai lor vivagni.
A questo intende il papa e i cardinali:
Non vanno i lor pensieri a Nazzarette,
Là dove Gabbriello aperse le ali.
Ma Vaticano , e le altre parti elette
Di Roma, che son state cimitcrio
A la milizia che Pietro seguette.
Tosto libere fien dallo adulterio.
CANTO X.
ARGOMENTO.
Quarto cielo: il sole de' teologi più degni, dottori, pa-
dri di chiesa. Tommaso d' Aquino.
Guardando nel suo figlio con lo amore,
Che lo uno e Io altro eternalmente spira.
Lo primo ed inefiabile valore,
Quanto per mente o per occhio si gira.
Con tanto online fc', eli' esser non puote
Senza gustar di lui chi ciò rimira.
Lesa dunque, lettore, alle alte rote
Meco la vista dritto a quella parte,
Dove lo un moto e lo altro si percote,
E lì comincia a vagheggiar nell' arte
Di quel maestro , che dentro a sé V ama
Tanto, che mai da lei 1' occhio non parte!
Vedi, come da indi si dirama
L' obbliquo cerchio che i pianeti porta.
Per soddisfare al mondo che li chiama !
E se la strada lor non fosse torta,
Molta virtù nel ciel sareblìc invano,
E quasi ogni potenzia qua giù morta.
Cile se dal dritto più o nien lontano
Tosse il partire, assai siirtbbe manco,
E Ki\ e giù (Icir ordine mondano.
Or ti riman , lettor, sopra il tuo banco.
Dietro pensando a ciò clic si |ireliba,
S'esser vuoi lieto as..iii prima che stanco !
Mt-ssn ti ho iniian/.i; ornai |ier te ti cibai
('he a >è rìtorii- tiill.i la mia cura
Quella mali ria onile io son fatto scriba.
1,(1 mini>trii niii;:<ii>r dilla nadira.
Clic del valor del ciclo il nnuulo imprcnta,
12
[179]
PARADISO. (X. 30-148. XI. 1—3)
[180]
E col suo lume il tempo ne misura,
Con quella parte, che su si rammenta,
Congiunto si girava per le spire,
In che più tosto ogni ora lo appresentaj
Ed io era con lui: ma del salire
Non mi accors' io se non come ora si accorge
Anzi '1 primo pensicr del suo venire.
Eh Beatrice, quella che sì scorge
Di bene in meglio sì subitamente,
Che lo atto suo per tempo non si sporge,
Quanto esser convenia da sé lucente !
Quel eh' era dentro al sol, dove io entrami,
Non per color, ma per lume parvente,
Per che io lo ingegno , e 1' arte , e lo uso chiami.
Si noi direi, che mai s' immaginasse,
Ma creder puossi, e di veder si brami.
E se le fantasie nosti-e son basse
A tant' altezza, non è maraviglia,
Che sopra il sol non fu occhio che andasse.
Tal era quivi la quarta famiglia
Dello alto padre che sempre la sazia,
Mostrando come spira e come figlia.
E Beatrice cominciò : ringrazia.
Ringrazia il sol delli angeli , che a questo
Sensibil ti ha levato per sua grazia!
Cor di mortai non fu mai sì digesto
A divozion , ed a rendersi a elio
Con tutto il suo gradir cotanto presto.
Come a quelle parole mi fec' io ;
E sì tutto il mio amore in lui si mise,
Che Beatrice ecclissò nell' obblio.
Kon le dispiacque ; ma sì se ne rìse,
Che lo splendor delli occhi suoi ridenti
Mia mente unita in più cose divise.
Io vidi più fulgor vivi e vincenti
Far di noi centro, e di sé far corona.
Più dolci in voce, che in vista lucenti.
Così cinger la figlia di Latona
^edem tal volta, quando lo aere è pregno,
Sì che ritenga il fil che fa la zona.
Nella corte del ciel , onde io rivegno.
Si trovan molte gioje care e belle
Tanto, che non si posson trar del regno.
E il canto di quei lumi era di quelle:
Chi non s'impenna sì che là su voli,
Dal muto appetti quindi le novelle!
Poi si cantando qnegli ardenti soli
Si fnr girati intorno a noi tre \oltc.
Come stelle \icinc ai fermi poli.
Donne mi parver non da ballo sciolte,
Ma che sì arrestin tacite ascoltando,
Fin che le nove note hanno rìcoltc ;
E dentro all' un sentii cominciar: quando
Lo raio della grazia, onde sì accende
Ceraie amore, e che poi cresce amando,
Multipliciito in te tanto risplende,
Che ti conduce su per quella scala,
\] senza risalir nessim discende;
Qua! ti negasse il vin della sua fiala
Per la tua sete, in libertà non fora.
Se non come acqua, the, al mar non si cala.
Tu vuoi saper, di qnai piante s' infiora
QucNta gliirlanfla , clic intorno vagheggia
ÌjU bella donna, cIk; al cì(-l ti avvalora:
Io Ini delli ogni della santa greggia,
{;in- Domenico mena per cammino,
U ben b' impingua, se non si vaneggia.
Questi , che mi è a destra più vicino.
Frate e maestro fammi; ed esso Alberto
E di Cologna , ed io Thomas di Aquino.
Se sì di tutti li altri esser vuoi certo.
Diretro al mio parlar ten vien col viso
Girando su per Io beato serto !
Quello altro fiammeggiare esce del riso
Di Grazian , che lo uno e lo altro foro
Ajutò sì , che piacque in paradiso.
Lo altro, che a presso adorna il nostro coro,
Quel Pietro fu, che con la poverella
Offerse a santa chiesa il suo tesoro.
La quinta luce, eh' è tra noi più bella,
Spira di tale amor, che tutto il mondo
Là giù ne gola di saper novella.
Entro vi è 1' alta mente u sì profondo
Saper fu messo, che, se il vero è vero,
A veder tanto non surse il secondo,
A presso vedi '1 lume di quel cero
Che giuso in carne più a dentro vide
L' angelica natura e il ministero.
Neil' altra piccioletta luce i-ide
Queir avvocato dei tempi cristiani,
Del cui latino Agostin si provvide.
Or, se tu r occhio della mente trani'
Di luce in luce dietro alle mie lode.
Già della ottava con sete rimani.
Per veder ogni ben dentro vi gode
L' anima santa, che il mondo fallace
Fa manifesto a chi di lei ben ode.
Lo corpo, ond' ella fu cacciata, giace
Giuso in Cieldoro, ed essa da martiro
E da esilio venne a questa pace.
Vedi oltre fiammeggiar Io ardente spiro
D' Isidoro , di Beda , e di Riccardo,
Che a considerar fu più che viro.
Questi, onde a me ritorna il tuo, riguardo,
E il lume di uno spirto, che in pensieri
Gravi a morir li parve venir tardo.
Essa è la luce eterna di Sigieri,
Che leggendo nel viso degli strami
Sillogizzò invidiosi veri.
Indi, come orologio che ne chiami
Nella ora , che la sposa di dìo surge
A mattinar lo sposo per che lo ami,
Clie la una parte e l' altra tira ed urge,
Tin tin sonando con sì dolce nota.
Che il ben disposto spirto di amor turge:
Così vid' io la gloriosa rota
Moversi , e render voce a voce in tempra
Ed in dolcezza , eh' esser non può nota,
Se non colà, dove il gioir s'insempra.
CANTO XI.
ARGOMENTO.
Francesco d' Assisi.
Oh ingcn>!ata cura d(^i mortali.
Quanto son difettivi tiillogismi
Quei, che ti fanno in basso batter le ali!
[181]
PARADISO. (XI. 4 — 13T)
[182]
Chi dietro a jura , e chi ad aforismi
Sen giva, e chi sej2;uend(t sacerdi)zio,
E chi regnar per forza o per sofismi;
E chi rubare, e chi civil negozio.
Chi nel diletto della carne involto
Si affaticava, e chi si dava all' ozio:
Quando io , da tutte queste cose sciolto,
Con Beatrice mi era suso in cielo
Cotanto gloriosamente accolto.
Poi che ciascuno fu tornato ne lo
Punto del cerchio, in che avanti si era,
Fermarsi come a candellier candelo.
Ed io sentii dentro a quella lumiera.
Che pria mi avea parlato , sorridendo
Incominciar, facendosi più mera:
Così come io del suo raggio m' accendo,
Sì riguardando nella luce eterna
Li tuoi pensieri, onde cagioni, apprendo.
Tu dubbii, ed hai voler che si ricerna
In sì aperta e si distesa lingua
Lo dicer mio , che al tuo sentir si sterna,
Ove dinanzi dissi: u ben s' impingua,
£ là , u dissi : non siirse il secondo :
E qui è opo che ben si distingua.
La providenza, che governa il mondo
Con quel consiglio , nel quale ogni aspetto
Creato è vinto pria che vada al fondo,
Però che andasse ver lo suo diletto
La sposa di colui, che ad alte grida
Disposò lei col sangue benedetto,
In sé sicura, e anche a lui più fìda,
Due principi ordinò in suo favore,
Che quinci e quindi le fosser per guida.
Lo un fu tutto serafico in ardore.
Lo altro per sapienza in terra fue
Di cherubica luce uno splendore.
Dello un dirò , però che di ambi e due
Si dice lo un pregiando, qual che om prende.
Per che ad un fine fùr le opere sue.
Intra Tupino e 1' acqua, che discende
Dal colle eletto dal beato Ubaldo,
Fertile costa di alto monte pende.
Onde Perugia sente freddo e caldo
Da Porta Sole, e dirietro le piange
Per greve giogo Noceia con Gualdo.
Di quella costa là, dov' ella frange
Più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
Come fa questo tal volta di Gange.
Però chi di esso loco fa parole,
Non dica Assesi, che direbbe corto,
Ma Oriente, se proprio dir vuole.
Non era ancor molto lontan dall' orto,
Ch' el cominciò a far sentir la terra
Della sua gran virtude alcun confurto.
Che per tal donna giovinetto in guerra
Del padre corse , a cui come alla morte
La porta del piacer nessun disserra;
E dinanzi alla sua spiritai corte,
Fd coram patre le si fece unito,
Poscia di dì in dì l' amò più forte.
QiHista, privata del primo marito,
Millo o cento anni e più dispettu e scura
Fino a costui si stette senza invito.
Nò valse udir, che hi trovò sicura
Con Amiclate al suou della sua voce
Colui, che a tutto il mond(t lo' paura:
Nò vttUo esser costante, nò feroce.
Si che dove Maria rimase gìuso,
Ella con Cristo salse in su la croce.
Ma per che io non proceda troppo cluu-;o
Francesco e povertà per questi amanti
Prendi oramai nel mio parlar diffuso !
La lor concordia, e i lor lieti sembianti
j Amore, e maraviglili, e dolce sguardo
! Faceano esser cagion di peiisier santi.
Tanto che il venerabile Bernardo
I Si scalzò prima, e dietro a tanta pace
I Corse, e correndo li parv' esser tardo.
Oh ignota ricchezza, oh ben ferace!
Scalciasi Egidio , e scalciasi Silvestro
I Dietro allo sposo ; sì la sposa piace.
'Indi sen va quel padre e quel maestro
Con la sua donna, e con quella famiglia,
Che già legava lo umile capestro;
Né li gravò viltà di cor le ciglia
Per esser fi di Pietro Bernardone,
Né per parer dispetto a maraviglia.
Ma regalmente sua dura intenzione
Ad Innocenzio aperse , e da lui ebbe
Primo sigillo a sua religione.
Poi che la gente poverella crebbe
! Dietro a costui, la cui mirabil vita
j Meglio in gloria del ciel si canterebbe,
Di seconda corona redimita
Fu per Onorio dallo eterno spiro
La santa voglia di esto archimandrita:
E poi che , per la sete del martiro.
Nella presenza del Soldan superba
Predicò Cristo , e li altri che il seguirò,
E per trovare a conversione acerba
Troppo la gente, e per non stare indarno,
Reddissi al frutto della italica erba.
Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno
Da Cristo prese lo ultimo sigillo.
Che le sue membra due anni portarno.
Quando a colui, che a tanto ben sortillo,
Piacque di trarlo suso alla mercede,
Ch' el meritò nel suo farsi pusillo.
Ai frati suoi, sì come a giuste erede.
Raccomandò la donna sua più cara,
E comandò che 1' amassero a fede:
E del suo grembo 1' anima preclara
Mover si volse, tornando al suo regno.
Ed al suo corpo non volso altra bara.
Pensa oramai qual fu colui , che degno
Collega fu a mantener la barca
Di Pietro in alto mar per dritto segno !
E questi fu il nostro patriarca.
Per che qual segue lui, com' ei comanda,
Discerner puoi, che buona merce carca.
Ma, il suo peculio di nova vivanda
E fatto ghiotto sì , cir esser non potè
Che per diversi salti non si spauda :
E quanto le sue pecore riuiotc
E vagabonde più da esso vanno.
Più tornano all' in il di latte vote.
Ben son di quelle, che teuuuu) il danno
E stringonsi al pastor; ma son si poche,
('he lo cappt! fornisce poco panno.
Or se h^ mie parole non son fioche,
Se l'.i tua audienza ù st.ita attenta,
Se ciò (In- ho detto nll.i nuiile rivoclic.
In parte Ha la tua voglia coiitenla:
Per che vedrai la pianta on:le si scheggia,
12 *
[183]
PARADISO. (XI. 138 — 139. XII. 1 — 119)
[184]
E vedrà' il coreggièr che argomenta
U ben s' impingua , se non si vaneggia.
CANTO XII.
ARGOMENTO.
(J San Bonaventura racconta la vita di san Domenico ,
dà contezza d' altri celesti.
Sì tosto come la ultima parola
La benedetta fìamiua per dir tolse,
A rotar cominciò la santa mola:
£ nel suo giro tutta non si \ohe,
Prima che un' altra di un cerchio la chiuse,
£ moto a moto , e canto a canto colse :
Canto , che tanto vìnce nostre muse,
Nostre sirene, in quelle dolci tube,
Quanto primo splendor quel che rifuse.
Come si volgon per tenera nube
Due archi paralleli e concolori,
Quando Giunone a sua ancella jube,
Nascendo di quel di entro quel di fori,
A guisa del parlar di quella vaga.
Che amor consunse, come sol vapori:
E fanno qui la gente esser presaga
Per lo patto che dio con Noè pose
Del mondo , che giammai più non si allaga :
Così di quelle sempiterne rose
Volgeansi circa noi le due ghirlande,
E sì la estrema alla intima rispose.
Poi che il tripudio e 1' altra festa grande.
Sì del cantare, e sì del fiammeggiarsi
Luce con luce gaudiose e blande.
Insieme a punto, ed a voler quietarsi;
Pur come li occhi , che al piacer che ì move
Conviene injiieme chiudere e levarsi;
Del cor della una delle luci nove
Si mosse voce, che lo ago alla stella
Parer mi fece in volgermi al suo dove,
E cominciò : lo amor che mi fa bella.
Mi tragge a ragionar dello altro duca,
Per cui del mio sì ben ci si favella.
Deffno è che dov' è lo un, lo altro s' induca
Si, che com' elii ad una militaro.
Così la gloria loro insieme luca.
Lo esercito di Cristo, che sì caro
Costò a riarmar, dietro alla insogna
Si movca tardo , suspicioso e raro ;
Quando lo imperador , che sempre regna.
Provvide alla milizia eh' era in forse.
Per sola grazia, non per esser degna:
E , com' è detto , a sua sposa soccorse
Con duo campioni, al cui fare, al cui dire
Lo popol dis^iato si raccorse.
In quella parte, ove surge ad aprire
Zelfiro dolce le novelle fronde.
Di che si vede europa rivestire,
Non molto lungi al percoter delle onde,
Dietro alle quali per la lunga foga
Lo sol tal volta ad ogni om si nasconde.
Siede la fortunata Callaroga
Sotto la protczion del grande scudo.
In che soggiace il leone , e soggioga.
Dentro vi nacque lo amoroso drudo
Della fede cristiana, il santo atleta,
Benigno ai suoi , ed ai nimici crudo :
E come fu creata , fu repleta
Sì la sua mente di viva virtute,
Che nella madre lei fece profeta.
Poi che le sponsalizie fur compiute
Al sacro funte intra lui e la fede,
U si dotar di mutua salute.
La donna, che per lui lo assenso diede.
Vide nel sonno il mirabile frutto.
Che uscir dovea di lui e dell' erede;
E per che fosse , quale era , in costrutto,
Quinci si mosse spirito a nomarlo
Del possessivo di cui era tutto:
Domenico fu detto : ed io ne parlo
Sì come dello agricola, che Cristo
Elesse all' orto suo per ajutarlo.
Ben parve messo e famigliar di Cristo,
Che il primo amor , che in lui fu manifesto,
Fu al primo consiglio che die Cristo.
Spesse fiate fu tacito e desto
Trovato in terra dalla sua nutrice.
Come dicesse: io son venuto a questo.
Oh padre suo veramente Felice !
Oh madre sua veramente Giovanna,
Se interpretata vai come si dice !
Non per lo mondo, per cui mo si affanna
Diretro ad Ostiense ed a Taddeo,
Ma per amor della verace manna.
In picciol tempo gran dottor si feo,
Tal che si mise a circuir la vigna,
Che tosto imbianca se il vignaro è reo.
Ed alla sedia , che fu già benigna
Più ai poveri giusti , non per lei.
Ma per colui che siede e che traligna,
Non dispensar e o due o tre per sei,
Non la fortuna di prima vacante,
Aon decimas, qitae suiit paiiperiim dei,
Addimandò ; ma centra il mondo errante
Licenzia di combatter per lo seme,
Del qual ti fascian ventiquattro piante.
Poi con dottrina e con volere insieme.
Con lo uficio a[(ostolico si mosse,
Quasi torrente che alta vena preme,
E nelli sterpi eretici percosse
Lo impeto suo più vivamente quivi,
Dove le resistenze eran più grosse.
Di lui si fecer poi diversi rivi,
Onde r orto cattolico si riga
Sì, che i suoi arbuscflli stan più vivi.
Se tal fu la una rota della biga.
In che la santa chiesa si difese,
1 E vinse in campo la sua civil briga,
jBen ti dovrebbe assai esser palese
I La eccellenza dell' altra , di cui Tomma
j Dinanzi al mio venir fu sì cortese.
:Ma la orbita, che fé' la parte sonmia
,, Di sua circonferenza, è derelitta
I Sì, eh' è la muila dov' era la gromma.
ILa sua famiglia, che si mosse dritta
I Coi piedi alle sue orme, è tanto volta,
Che quel diniinzi a quel dirctro gitta:
E tosto si avvedi-)! della ricolta
Della mala coltura, quando il loglio
;i85]
PARADISO. (XII. 120—145. XIII.l — 97)
[186]
Si lagnerà che 1' arca li sia tolta.
Ben dico , chi cercasse a foglio a foglio
INostro Tolurae, ancor troveria carta
U leggerebbe : io mi son quel che io soglio.
Ma non fia da Casal né d' Acquasparta,
Là onde vegnon tali alla scrittura.
Che uno la fugge , e lo altro la coarta.
Io son la vita di Bonaventura
Da Bagnoregio , che nei grandi ullci
Sempre posposi la sinistra cura,
[laminato ed Agnstin son quici.
Che fùr dei primi scalci poverelli.
Che nel capestro a dio si fero amici.
Ugo da Sanvittore è qui con elli,
E Pietro Mangiadore, e Pietro Ispano,
Lo qual giù luce in dodici libelli:
Natan profeta, e il metropolitano
Crisostomo, ed Anselmo, e quel Donato,
Che alla prim' arte degnò poner mano;
Babau è qui , e lucerai da lato
Il Calabrese abate Giovacchino
Di spìrito profetico dotato.
Ad inveggiar cotanto paladino
Mi mosse la infiammata cortesia
Di fra Tommaso, e il discreto latino,
E mosse meco questa compagnia.
CANTO XIII.
ARGOMENTO.
San Tommaso solve un dubbio.
Immagini chi bene intender cupe
Quel che io or vidi, e rìtcgna la image,
Mentre che io dico , come ferma rupe,
Quindici stelle che in diverse plage
Lo cielo avvivan di tanto sereno,
Che soverchia dello aere ogni compage!
Immagini quel carro, a cui il seno
Basta del nostro ciclo e notte e giorno.
Si che al volger del temo non vien meno!
Immagini la bocca di quel corno.
Che si comincia in punta dello stelo,
A cui la prima rota va d' intorno,
Aver fatto di se duo segni in ciclo,
Qual fece la figliola di Minoi
Allora che sentì di morte il gielo:
E lo un nello altro aver li raggi suoi,
Kd ambi e due girarsi per niiiniera.
Che lo uno andasse al pria, lo altro al poi:
Ed avrà quasi la ombra della vera
CostcIIa/.iono, e della doppia dan/<t.
Che cìrciiliiva ì! punto, dove io era;
Poi eh' è tanto di là da nostra usanza.
Quanto di là dal mover della Chiana
Si niovc il ci«-l, che tiiltì li altri avanza.
Lì hì cantò non I{iic«;(» , non Peana,
iMa tre persone in divina natura,
K(i in una |>ersona essa e la umana.
Compiè il ciintarc e il volger sua misura,
Ed attescr a noi quei mmù lumi,
Felicitando sé di cura iu cura.
Ruppe il silenzio nei concordi numi
Poscia la luce, in che mirabil vita
Del poverel di dio narrata fumi,
£ disse: quando la una paglia è trita.
Quando la sua semenza è già riposta,
A batter 1' altra dolce amor m' invita.
Tu credi , che nel petto , onde la costa
Si trasse, per formar la bella guancia,
Il cui palato a tutto il mondo costa,
Ed in quel , che forato dalla lancia,
E poscia e prima tanto soddisfece.
Che di ogni colpa vince la bilancia^
Quantunque alla natura umana lece
Aver di lume, tutto fosse infuso
Da quel valor , che lo uno e lo altro fece :
E però miri a ciò, che io dissi suso.
Quando narrai, che non ebbe secondo
Il ben che nella quinta luce è chiuso.
Oi'a apri li occhi a quel che io ti rispondo,
E vedrai il tuo credere e il mio dire
Nel vero farsi come centro in tondo.
Ciò che non more, e ciò che può morire.
Non è se non splendor di quella idea.
Che partorisce amando il nostro sire;
Che quella vera luce, che s' inea
Dal suo lucente, che non si disuna
Da lui nò dallo amor, che a lor s' intrea,
Per sua bontate il sua raggiare aduna,
Quasi specchiato in nove sussistenze,
Eternahnente rimanendosi una.
Quindi discende alle ultime potenze
Giù di atto in atto tanto divenendo,
Che più non fa che brevi contingenze;
E queste contingenze essere intendo
Le cose generate, che produce
Con seme e senza seme il cicl movendo.
La cera di costoro , e chi la duce.
Non sta di un modo , e però sotto il segno
Ideale poi più e mcn traluce :
Ond' egli avvien, che un medesimo legno.
Secondo specie, meglio e peggio frutta,
E voi nascete con diverso ingegno.
Se fosse a punto la cera dedutta,
E fosse il cielo in sua virtù suprema.
La luce del suggel parrebbe tutta.
! Ma la natura la dà sempre scema, -'
Similemente operando allo artista
Che ha lo abito dell' arte , e man che trema.
Però se il caldo amor la chiara vista
Della prima virtù dispone e segna.
Tutta la perfezion ([uivi t.i acquista.
Così fu fatta già la terra degna
Di tutta r animai perfezione :
Così fu fatta la ^ ergine pregna.
Si che io commendo tua opinione:
Che la umana natura mai non fur.
Né fia, qual fu in quelle diu- persone.
Or se io iu>n procedessi avanti piùe;
Dunque comm^ costui fu senza pare?
Coniincerebbcr le parole tiu!.
Ma, per clic piija ben ciuci che non paro.
Pensa, chi era, e la ragion che il nu)SdC,
Quando fu detto chiedi, a dimandare.
Non ho |)arlati» sì , « he tu non posse
Ben veder eh' «-l fu re che chiese senno,
Acciò che re suflit'ientc fosse:
Non pei' sapere il numero , in cJie cnno
fl87]
PARADISO. (XIII. 98 — 142. XIV. 1 — tfi)
[188] 1
Lì motor di qua su , o se necesse
Con contingente mai necesse fenno:
Non si est dare primitm motum esse,
O ise del mezzo cerchio far si potè
Triangol, sì che un retto non avesse:
Onde, se ciò che io dissi e questo note,
Regal prudenza è quel vedere impari.
In che lo strai di mia intenzion per cote:
E , se al siirse drizzi li occhi chiari,
Vedrai aver solamente rispetto
Ai re che sono molti, e i huon son rari.
Con quer.ta distinzion prendi '1 mio detto:
E così puote star con quel che credi
Del primo padre e del nostro diletto.
E qiusto ti fia sempre piombo ai piedi,
Ter farti mover lento come om lasso,
Ed al sì ed al no che tu non vedi:
Che quegli è tra li stolti bene a basso,
Che senza distinzion afferma e niega
Così nello un come nello altro passo :
Per eh' egl' incontra che più volte piega
La opinion corrente in falsa parte,
E poi lo affetto lo intelletto lega.
Vie più che indarno da riva si parte.
Per che non torna tal qual ei si move.
Chi pesca per lo vero, e non ha 1' arte:
E di ciò sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso, Brisso, e molti.
Li quali andavan e non sapean dove.
Sì fé' Sabello , ed Arrio , e quelli stolti,
Che furon come spade alle scritture
In render torti li diritti volti.
Non sien le genti ancor troppo sicure
A giudicar, sì come quei che stima
Le biade in campo pria che sien mature!
Cile io ho veduto tutto il verno prima
11 prun mostrarsi rigido e feroce,
Poscia portar la rosa in su la cima:
E legno vidi già dritto e veloce
Correr lo mar per tutto il suo cammino,
Perire al fine allo entrar nella foce.
Non creda monna Berta e ser ÌVIartino,
Per vedere un furare, altr' offerere,
Vederli dentro al consiglio divino!
Che quel può smgere, e quel può cadere.
CANTO XIV.
ARGOMENTO.
Altro quesito teologico. Quinto cielo, Marte, di quelli,
che militarono per la fede.
Dal centro al cerchio, e el dal cerchio al centro
Movesi r acqua in un rotundo vaso.
Secondo eh' è percosso fori o dentro.
Nella mia mente fé' subito caso
Qiu;sto che io dico , hi come si tacque
La glorin.-a vita di Tonmiaso,
Per la similitudine che nacque
Del suo parlare e di quel di Beatrice,
A cui sì cominciar, dopo lui, piacque.
A costui fa mestieri, e noi vi dice
Né con la voce, né pensando ancora,
Di un altro vero andare alla radice.
Diteli, se la luce, onde s' infiora
Vostra sustanzia, rimarrà con voi
Eternalmente sì coni' ella è ora.
E se rimane, dite come, poi
Che sarete visibili rifatti,
Es>er potrà che al veder non vi nói.
Come da più letizia pinti e tratti
Alla fiata quei, che vanno a rota,
Levan le voci e rallegrano li atti.
Così alla orazion pronta e devota
Li santi cerchi mostrar nova gìoja
Nel torneare , e nella mira nota.
Qual si lamenta per che qui si mojei
Per viver colà su, non vide quive
Lo refrigerio della eterna ploja.
Quello uno e due e tre che sempre vive,
E regna sempre in tre e due e uno.
Non circonscritto, e tutto circonscrive,
Tre volte era cantato da ciascuno
Di quelli spirti con tal melodia,
Che ad ogni mcrto saria giusto mnno :
Ed io udii nella luce più dia
Del minor cerchio una voce modesta.
Forse qual fu dello angelo a Maria,
Risponder: quanto fia lunga la festa
Di paradiso, tanto il nostro amore
Sì raggerà d' intorno cotal vesta.
La sua chiarezza seguirà lo ardore,
Lo ardor la visione, e quella è tanta,
Quanto ha di grazia sopra suo valore.
Come la carne gloriosa e santa
Fia rivestita , la nostra persona
Più grata fia per esser tuttaquanta:
Per che si accrescerà ciò che ne dona
Di gratuito lume il sommo bene;
Lume che a lui veder ne condiziona:
Onde la vision crescer conviene,
Crescer lo ardor, che di quella si accende,
Crescer lo raggio, che da esso viene.
IVIa sì come carbon che fiamma rende,
E per vivo candor quella soperchia,
Sì che la sua parvenza si difende.
Così questo fulgor, che già ne cerchia,
Fia vinto in apparenza dalla carne,
Che tutto dì la terra ricoperchia j
Né potrà tanta luce affaticarne,
Che li organi del corpo saran forti
A tutto ciò che potrà dilettarne.
Tanto mi parver subili ed accorti
E lo uno e lo altro coro a dicer amme,
Che ben mostrar disio dei corpi morti ;
Forse non pur per lor, ma per le mamme,
Per li padri , e per li altri che fùr cari
Anzi che fosser sempiterne fiamme.
Ed ecco intorno di chiarezza pari
Nascer un lustro sopra quel che vi era,
A guisa di orizzonte che rischiari.
E BÌ come al salir di prima sera
Comincian per lo ciel nove parvenze.
Sì che la vista pare e non par vera.
Parventi li novelle sussistenze
Cominciare a vedere e fare un giro
Di for dalle altre due circonferenze.
Oh vero sfavillar del santo spiro,
189]
PARADISO. (XIV. 7T - 139. XV. 1 - 58)
Come sì fece subito e candente
Alli occhi miei, che vinti noi soffrirò!
la Beatrice sì bella e ridente
Mi si mostrò, che tra le altre redute
Si vuol lasciar che non seguir la mente.
Quindi ripreser li occhi miei virtute
E rilevarsi , e vidimi translato
Sol con mia donna in più alta salute.'
ìcn mi accors' io, che i' era più leviito,
Per lo affocato riso della stella.
Che mi parca più roggio che lo ns;tto.
;pon tutto il core, e con quella favella
Ch' è una in tutti, a dio feci olocausto,
Qual conveniasi alla grazia novella :
non er' anco del mio petto esausto
Lo ardor del sacrifìcio, che io conobbi
ÌGsso litare stato accetto e fausto;
jè con tanto lucore e tanto robbi
Mi apparvero splendor dentro ai duo raggi,
Che io dissi: oh Eliós, che si li addobbi!
Come distinta da minori in maggi
Lumi biancheggia tra i poli del mondo
Galassia sì , che fa dubbiar ben saggi,
Si costellati facean nel profondo
Marte quei rai lo venerabil segno.
Che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo ingegno :
Che in quella croce lampeggiava Cristo,
Si che io non so trovare esemplo degno.
Ma chi prende sua croce e segue Cristo,
Ancor mi scuserà di quel che io lasso,
Veggendo in quello nibòr balenar Cristo.
Di corno in corno , e tra la (-ima e il basso.
Si movean lumi scintillando forte
Nel congiungersi insieme e nel trapasso.
Cosi si veggion qui diritte e torte
Veloci e tarde, rinnovando vista,
Le minuzie dei corpi lunghe e corte
Moversi per lo raggio , onde si lista
Tal volta la onilira, che per sua difesa
La gente con ingegno ed arte acquista.
E come giga ed arpa in tempra tesa
Di molte corde fan dolce tintinno
A tal da cui la nota non è intesa.
Cosi dai lumi che lì in' apparinno
Si accogliea per la croce una melode.
Che mi rapiva sen/a intender Io inno.
Ben mi accors' io eh' ella era di aite lode,
Però che a me venia : risurgi e vinci.
Come a colui che non intende ed ode.
Io m' innamorava tanto quinci.
Che infino a lì non fu alcuna cosa,
Che mi legasse con sì dolci vinci.
Forse la mia parola par tropp' osa,
Posponendo il piacer delti occhi belli,
Nei quai mirando mio dir>io si apposa.
Ma chi si avvede, che i vìvi suggelli
Dì ogni belle/za più fanno più suso,
E che io non mi era lì rivolto a quelli,
Escusiir puouuni dì quel che io mi accuso
Per iscu-iiirnii , e vedermi dir vero:
Che 'I piacer santo non è (|ui dischiuso,
Per che «i fa, montando, più eiucero.
[190]
CANTO XV.
ARGOMENTO.
Cacciaguida , trisavolo del -poeta. Lor genealogia.
Antichi costumi di Firenze.
Benigna volontade, in che si liqua
Sempre lo amor , che drittamente spira,
Come cupidità fa nella iniqua.
Silenzio pose a quella dolce lira,
E fece quietar le sante corde,
Che la destra del cielo allenta e tira.
Come saranno ai giusti prieghi sorde
Quelle sustanze che, per darmi voglia
Che io le pregassi, a tacer fur concorde?
Ben è che senza termine si doglia
Chi, per amor di cosa che non duri
Eternalmente, quello amor si spoglia.
Quale per li seren tranquilli e puri
Discorre ad ora ad or subito foco,
Movendo li occhi che stavan sicuri,
E pare stella che tramuti loco,
Se non che dalla parte , ond' el si accende.
Nulla si perde, ed esso dura poco;
Tale dal corno che in destro si stende,
Al pie di quella croce corse im astro
Della costellazion che lì risplende.
Ne si partì la gemma dal suo nastro,
Ma per la lista radiai trascorse,
Che parve foco dietro ad alabastro:
Sì pia la ombra di Anchise si porse,
Se fede merta nostra maggior musa.
Quando in Eliso del figlioi si accorse.
0 sanguis mcus! o Sìiperiufusa
Gratia Dei! sicut libi, cui
Bis iinquam cadi janua reclusa?
Cosi quel lume, onde io mi attesi a luì:
Poscia rivolsi alla mia donna il viso,
E quinci e quindi stupefatto fui:
Che dentro alli occhi suoi ardeva un riso
Tal , che io pensai coi miei toccar lo fondo
Delia mia gloria e del mio paradiso.
Indi ad udire ed a veder giocondo
Giunse lo spirto al suo principio cose.
Che io non intesi, sì parlò profondo:
Nò per elezinn mi sì nascose.
Ma per necessità: che il suo connetto
Al segno dei mortai si soprappeso.
E quando lo arco dello ardente aff<"lto
Fu sì scoccato, che il parlar disrese
Invcr lo segno del nostro intelletto,
La prima cosa che per me s' inte-e.
Benedetto sic tu , fu , trino ed uno.
Che nel mio seme sei t.mto cortese !
E seguitò: grato e lontan diijiuno
Tratto, leggendo nel niiigno volume,
1J non si unita mai biiiiico uè bruno.
Soluto hai, figlio, dentro u questo lume,
In che io ti parlo, mercè di colei
Che allo ulto volo ti ^estì le pilline.
Tu credi cIk; a me tuo pen>ier mei
Da qiu'l « Ir è primo così come raja
Dello un, se t.ì ciuioscc . il cinque e il sei.
E però che io mi sia e per che io paja
[191]
PARADISO. (XV. 59—148. XVI. 1—32)
[192]
Più gaudioso a te, non mi dimandi,
Che alcun altro in questa turba gaja.
Tu credi '1 yero , che i minori e i grandi
Di questa vita niiran nello spcf^lio,
In che prima che pensi il pensier pandi. ^
Ma per che il sacro amore, in die io veglio
Con perpetua vista, e che mi asseta
Di dolce desiar, si adempia meglio,
La voce tua sicura, balda, e lieta
Suoni la volontà, suoni '1 desio,
A che la mia risposta è già decreta.
Io mi volsi a Beatrice: e quella udio
Pria che io parlassi , e arrissemi un cenno
Che fece crescer le ali al voler mio.
Poi cominciai cosi: lo affetto e il senno,
Come la prima equalità vi apparse.
Di un peso per ciascun di voi si fenno,
Però che il sole vi allumò ed arse
Col caldo e con la luce, e si eguali.
Che tutte simiglianze sono scarse.
3Ia voglia ed argomento nei mortali.
Per la cagion, che a voi è manifesta,
Diversamente son pennuti in ali.
Onde io , che son mortai , mi sento in questa
Disagguaglianza; e però non ringrazio
Se non col core alla paterna festa.
Ben supplico io a te, vivo topazio,
Che questa gìoja preziosa ingemmi,
Per che mi facci del tuo nome sazio.
Oh fronda mia, in che io compiacemmi,
Pure aspettando, io fui la tua radice;
Cotal principio, rispondendo, femmì.
Poscia mi disse: quel, da cui si dice
Tua cognazione, e che cento anni e piue
Girato ha il monte in la prima cornice,
Mio figlio fu, e tuo bisavol fue:
Ben si convien, che la lunga fatica
Tu li raccorci con le opere tue.
// Fiorenza dentro dalla cerchia antica
/ Ond' ella toglie ancora e terza e nona,
Sì stava in pace sobria e pudica.
Non avea catenella , non corona,
Non doime contigiate, non cintura
Che fosse a veder più die la persona.
Kon faceva nascendo ancor paura
La figlia al |>adre; che il tempo e la dote
Non fuggian quinci e quindi la misura.
Non avea case di famiglia vote;
Non vi era giunto ancor Sardanapalo
A mostrar ciò , che in camera si potè.
Non era vinto ancora Montcnialo
Dal vostro uccellatoi', che , com' è vinto
Nel montar su, così sarà nel calo.
Bellincion Berti vid' io andar cinto
Di cuojii e di osso, e venir dallo specchio
La donna r^ww senza il viso dipinto:
£ ^idi i\\w\ di ^(■rli e quel del Veccliio
Eojiicr contenti alla pelle scojìprta,
E le sue donne ni fuso ed al pennecchio.
Oh fortunate ! e «:iascuna era certa
Della sua He|)nliura , ed ancor nulla
Era per Francia nel letto deserta.
La una veggliiava a studio della culla,
E con.-iilanil(» n<avii lo idioma
(Jlie pria li iiadri e le madri trastulla:
L' altra, traendo alla roica la chioma,
Favoleggiava con la tua famiglia
Dei Trojan! , di Fiesole, e di Roma.
Saria tenuta allor tal mjiraviglia
Una Ciangliella, un Lapo Salterello,
Qual or saria Cincinnato , e Corniglia.
A così riposato, a così bello
Viver di cittadini , a così fida
Cittadinanza, a così dolce ostello.
Maria mi die, chiamata in alte grida:
fi nello antico nostro batisteo
Insieme fui cristiano e Cacciaguida.
Moronto fu mio frate, ed Eliseo;
Mia donna venne a me di Val di Pado,
E quindi '1 soprannome tuo si feo.
Poi seguitai lo imjìerador Currado,
Ed el mi cinse della sua milizia,
Tanto per bene oprar li venni in grado.
Dietro li andai incontro alla nequizia
Di quella legge , il cui popolo usurpa
Per colpa dei pastor vostra giustizia.
Quivi fu' io da quella gente turpa
Disviluppato dal mondo fallace,
Il cui amor molte anime deturpa,
E venni dal martirio a questa pace.
CANTO XVI.
ab.gomet!ìt:o.
Continuazione.
Oh poca nostra nobilita di sangue,
Se gloriar di te la gente fai
Qua giù dove lo affetto nostro langue,
Mirabil cosa non mi sarà mai:
Che là dove appetito non si torce.
Dico nel cielo , io me ne gloriai.
Ben sei tu manto che tosto raccorce.
Sì che, se non si appon di die in die,
Lo tempo va dintorno con le force.
Dal voi che prima Roma soflerie.
In che la sua famiglia men persevra,
Ricominciaron le parole mie:
Onde Beatrice , di' era un poco scevra.
Ridendo parve quella die tussio
Al primo fallo scritto di Ginevra.
Io cominciai: voi siete il padre mio.
Voi mi date a parlar tutta haldezza:
Voi mi levate sì , che io son più che io.
Per tanti rivi si empie di allegrezza
La mente mia, che di sé fa letizia,
Per che può sostener che non si spezza.
Ditemi dunque, cara mia primizia,
Quai tur li vostri antichi , e quai fur li anni
Che si scgnaro in vostra puerizia?
Ditemi dell' ovil di san Giovanni,
Quanto er' allora, e chi eran le genti
'i"ra esso degne di più alti scanni?
Come si avviva allo spirar dei venti
Carbone in fiamma, così vidi quella
Luce risplendere ai miei blandimenti.
E come alli occhi mici si fé' più bella,
Cosi con voce più dolco e soave,
193]
Ma non con questa moderna favella,
ìisseini: da quel dì che fu detto Jve
Al parto in che mia madre, clx' è or santa,
Si alleviò di me ond' era {;;rave,
U suo Leon cinquecento cinquanta
E trenta fiate venne questo foco
A rinfiammarsi sotto la sua pianta.
Lii antichi miei ed io nacqui nel loco,
I Dove si trova pria lo ultimo sesto
Da quel che corre il vostro annual gioco.
nasti dei miei maggiori udirne questo:
Chi ei si furo , ed onde venner quivi,
1 Più è tacer , che ragionare , onesto.
fTutti color, che a quel tempo eran ivi
j Da portar arme tra Marte e il Batista,
I Erano il quinto di quei che son vivi:
Ma la cittadinanza, eh' è or mista
Di Campì , e di Certaldo , e di Figghine,
' Pura vedeasi nello ultimo artista.
Oh quanto fora meglio esser vicine
Quelle genti, che io dico, ed al Galluzzo
Ed a Trespiano aver vostro confine,
Che averle dentro , e sostener lo puzzo
Del villan di Aguglion, di quel da Signa,
Che già per barattare ha 1' occhio aguzzo !
Se la gente, che al mondo più traligna,
JVon fosse stata a Cesare noverca.
Ma come madre a suo figlioi benigna.
Tal fatto è Fiorentino, e cambia e marca,
Che si sarebbe volto a Simi fonte
Là dove andava lo avolo alla cerca.
Sariesi Montemurlo ancor di Conte;
Sarien i Cerchi nel piever di Acone,
E forse in Valdigrievc i Buondelmonte.
Sempre la confusion delle persone
Principio fu del mal della cittade,
Come del corpo il cibo che si appone.
E cieco toro più avaccio cade,
Che cieco agnello , e molte volte taglia
Più e meglio una, che le cinque spade.
Se tu riguardi Luni ed Urbisaglia
Come son ite, e cmue se ne vanno
Diretro ad esse Chiusi e Sìnigaglia,
Udir come le schiatte si disfanno.
Non ti parrà nova cosa nò forte.
Poscia che le cittadi termine hanno.
Le vostre cose tutte hanno lor morte,
. Sì come voi ; ma celasi in alcuna
Che dura molto , e le vite son corte.
E come il volger del ciel della luna
Copre e discopre i liti senza posa,
Così fa di Fiorenza la fortuna.
Per che non dee parer miraltil cosa
Ciò che io dirò dclli alti Fiorentini
Dei quai la fama nel tem|)n è nascosa
Io vidi li ligiii, e vidi i Catellini.
Filippi, Greci, Ormanni, ed Alberichi,
Già nel calare, illustri cittadini:
E vidi così grandi , come antichi,
Con quel della Sannella quel dell' Arca,
E Soldanieri, ed Ardingiii , e Itostichi.
Sovra la porta che al presente è carca
Di nova fellonia di tanto peso.
Che t(»st., fiii jattura della barca,
Erano i llavignani, ond' è disceso
Il (Jonti; (illido, e qualunque del nome
Dello alto Uellinciune ha puHcia pruéo.
PARADISO. (XVI. 83 — 154)
[194]
Quel della Pressa sapeva già come
Regger si vuole, ed avea Galigajo
Dorato in casa sua già lo elso e il pome.
Grande era già la colonna del vajo.
Sacchetti, Giuochi, Sisanti, e Barucci.
E Galli , e quei che arrossan per Io stajo.
Lo ceppo , di che nacqtiero i Calfucci,
Era già grande , e già erano tratti
Alle curuli Sizii , ed Arrigucci.
Oh quali io vidi quei che son disfatti
Per lor superbia ! e le palle dell' oro
Fiorian Fiorenza in tutti suoi gran fatti.
Così facién i padri dì coloro
Che, sempre che la vostra chiesa vaca,
Si fanno grassi stando a consistoro.
La oltracotata schiatta, che s' indraca
Dietro a chi fogge, ed a chi mostra il dente
O ver la borsa, come agnel si placa,
Già venia su , ma di picciola gente.
Si che non piacque ad Ubertin Donato
Che poi '1 socero il fesse lor parente.
Già era il Caponsacco nel mercato
Disceso giù da Fesoli , e già era
Buon cittadino Giuda, ed Infangato.
Io dirò cosa incredibile e vera:
Nel picciol cerchio si entrava per porta,
Che si nomava da quei della Pera.
Ciascun , che della bella insegna porta
Del gran barone, il cui nome e il cui preo'io
La festa di Tommaso riconforta,
Da es«o ebbe milizia e privilegio;
Avvegna che col popol si ranni
Oggi colui che la fascia col fregio.
Già eran Guaherotti , ed Importuni,
Ed anco saria Borgo più quieto,
Se di novi vicin fosser digiuni.
La casa, di che nacque il vostro fleto.
Per lo giusto disdegno che vi ha morti,
E pose fine al vostro viver lieto,
Era onorata essa e suoi consorti.
Oh Buondelmonte, quanto mal fuggisti
Le nozze sue per li altrui conforti !
I Molti sarebber lieti che son tristi,
Se dio ti avesse conceduto ad Ema
La prima volta che a città venisti.
Ma convenìasi a quella pietra scema
Che guarda il ponte, che Fiorenza fesse
l'ittima nella sua pace postrema.
Con queste genti e con altre con esse
\hV io Fiorenza in sì fatto riposo,
Che non avea cagione onde piangesse.
Con queste genti vid' io glorioso
E giusto il popol suo tanto, che il giglio
Kon era ad asta mai posto a ritroso,
Kè per division fatto vermiglio.
13
[195]
PARADISO. (XVII. I — m)
[196] Ift
CANTO XVII.
ARGOMENTO.
Continuazione e fine del colloquio. Ode D. predirsi
i mali dclV esilio, ed e invitato a scriver
il gran viaggio.
Qual Tenne a Climenè per accertarsi
Di ciò che area incontro a sé iiilito,
Quei che ancor fa li padri ai figli scarsi;
Tale era io, e tale era sentito
E da Beatrice e dalia santa lampa,
Che pria per me avea mutato sito.
Per che mia donna: manda for la vampa
Del tuo disio , mi disse , si eh' ella esca
Segnata hene della interna stampa:
Non per che nostra conoscenza cresca
Per tuo parlare, ma per che ti aùììi
A dir la sete, sì che 1' om ti mesca.
Oh cara pianta mia, che sì t' insusi.
Che, come veggion le terrene menti
Non capere in triangol due ottusi,
Così vedi le cose contingenti
Anzi che sieno in sé , mirando il punto
A cui tutti li tempi son presenti.
Mentre che io era a Virgilio congiunto
Su per lo monte che le anime cura,
E discendendo nel mondo defunto,
Dette mi fur di mia vita futura
Parole griivi ; avvegna che io mi senta
Ben tetragono ai colpi di ventura.
Per che la voglia mia sario contenta
D intender qual fortuna mi si appressa,"
Che saetta previsa vien più lenta.
Coj^ì diss' io a quella luce stessa,
Che pria mi avea parlato, e, come volle
Beatrice, fu la mia voglia confessa.
Né per ambage, in che la gente folle
Già 8' inveiscava, pria che fosse ancìso
Lo agnél di dio che le peccata toUe;
]VIa per chiare parole, e con preciso
Latin rispose quello amor paterno,
Cliiuso e parvente del suo proprio riso:
La contingenza, clie for del quaterno
Della vostra materia non si stende,
Tutta è dipinta nel cospetto eterno,
Necessità però quindi non prende,
Se non come dal viso, in che si specchia
N'ive che per torrente giù discende.
Da indi, sì come viene ad orecchia
DdIcc armonia da organo, mi viene
A vista il tempo che ti si apparecchia.
Qual si partì Ippolito d' Atene
Per la spietata e perfida noverca,
Tal di l'iorenza partir ti conviene.
Questo si vuole, e questo già si cerca;
E tosto verrà fatto a chi ciò pensa
Là dove Cristo tutto dì si merca.
La colpa seguirà la jiarte ofTensa
III grido, come suol; ma la vendetta
Fia testimonio al ver die la dispensa.
Tv lascerai ogni cosa dih^tta
Più caramente: e qiict^to è quello strale
Che lo arco dello esilio pria saetta.
Tu proverai si come sa di sale
Il pane altrui, e com'è duro calle
Lo scendere e il salir per le altrui scale.
E quel, che più ti graverà le spalie.
Sarà la compagnia malvagia e scempia.
Con la qual tu cadrai in questa valle.
Che tutta ingrata , tutta matta ed empia
Si farà contra te; ma poco a presso
Ella , non tu , ne avrà rossa la tempia.
Di sua bestialitate il suo processo
Farà la prova , sì che a te fia hello
Averti fatta parte per te stesso.
Lo primo tuo rifugio e il primo ostello
Sarà la cortesia del gran Lombardo,
Che in su la Scala porta il santo uccello :
Che in te avrà sì benigno riguardo.
Che del fare e del chieder tra voi due
Fia prima quel che tra li altri è più tardo.
Con lui vedrai colui che impresso fue
Nascendo sì da questa stella forte.
Che mirabili fien le opere sue.
Non se ne sono ancor le genti accorte
Per la novella età, che pur nove anni
Son queste rote intorno di lui torte.
Ma pria che il Guasco lo alto Arrigo inganni,
Parran faville della sua virtute
In non curar di argento né di affanni.
Le sue magnificenze conosciute
Saranno ancora sì , che i suoi nimici
Non ne potran tener le lingue mute.
A lui ti aspetta ed a suoi benefici:
Per lui fia trasmutata molta gente.
Cambiando condizion ricchi e mendici:
E portcraine scritto nella mente
Di lui, e noi dirai: e disse cose
Incredibili a quel che fia presente.
Poi giunse: figlio, queste son le chiose
Di quel che ti fu detto ; ecco le insidie
Che dietro a pochi giri son nascose!
Non vo' però che ai tuoi vicini invidie,
Poscia che s'infutura la tua vita
Via più là, che il punir di lor perfìdie.
Poi che tacendo si mostrò spedita
L' anima santa di metter la trama
In quella tela che io le porsi ordita.
Io cominciai come colui che brama.
Dubitando , consiglio da persona
Che vede, e vuole drittamente, ed ama:
Ben veggio , padre mio , si come sprona
Lo tempo verso me per colpo darmi
Tal ch'è più grave a chi più si abbandona.
Per che di pro^ edenza è buon che io mi armi,
Sì che , se loco mi é tolto più caro.
Io non perdessi li altri per miei carmi.
Giù per lo mondo senza fine amaro,
E per lo monte, del cui bel cacume
Li occhi della mia donna mi levaro,
E poscia per lo ciel di lume in lume,
Ho io appreso quel che, se io ridico,
A molti fia sapor di forte agrume:
E , se io al vero son timido amico.
Temo di perder viver tra coloro,
Che questo tempo chiameranno antico.
La luce, in che rideva il mio tesoro
('he io trovai lì, si fc' prima corrusca,
Quale a raggio di sole specchio di oro:
Indi risposo : coscienza fusca,
1971
O della propria o deli' altrui vergogna
Pur sentirà la tua parola brusca.
Mh nondimen , rimossa ogni menzogna,
Tutta tua vision fa manifesta,
E lascia pur grattar dov'è la rogna !n\
,Cliè , se la voce tua sarà molesta
Nel primo gusto, vital nutrimento
Lascerà poi , quando sarà digesta.
uesto tuo grido farà come vento.
Che le più alte cime più percote:
E ciò non fa di onor poco argomento.
[Però ti son mostrate in queste rote,
IVel monte e nella valle dolorosa
Pur le anime che son di fama note:
Che lo animo di quel che ode , non posa,
. Me ferma fede per esempio che haja
La sua radice incognita e nascosa,
Nò per altro argomento che non paja.
PARADISO. (XVII. 125 — 142. XVIII. 1 — 104)
lA^S
CANTO XVIII.
ARGOMENTO.
Giove cielo de' principi.
Già sì godeva solo del suo verbo
Quello specchio beato, ed io gustava
Lo mio , temprando il dolce con lo acerbo ;
E quello donna, che a dio mi menava,
Disse: muta pensieri pensa che io sono
Presso a colui che ogni torto disgrava !
Io mi rivolsi allo amoroso suono
Del mio conforto, e, quale io allor vidi
INclii occhi santi amor , qui lo abbandono :
Non per che io pur di-i mio parlar diffidi.
Ma per la mente che non può reddire
Sovra sé tanto , se altri non la guidi.
Tanto posso io di quel punto ridire,
Che , rimirando lei , lo mio aifetto
Libero fu da ogni altro disire.
Fin che il piacere eterno, che diretto
Raggiava in Beatrice dal bel viso,
Mi contentava col secondo as|>etto,
Vincendo me col lume di un sorriso,
Ella mi disse: volgiti, ed ascolta!
Che non pur nei miei or-rhi ù paradiso.
Come si vede qui alcuna volta
Lo alletto nella vista, e' etlo è tanto,
Che da lui sia tutta 1' anima tolta,
Così nel fianunrggiar del fulgor santo,
A (-Ili mi volsi , conohbi la voglia
In lui di ragionarmi ancora alquanto.
£i cominciò: in questa quinta soglia
Dello albero che vive della cima,
E frutta sempre, e mai non perde foglia.
Spiriti son beati che giù, prima
Che venissero al ciel, fiir di gran voce,
Sì che <>i;ni musa ne sarebbe opima.
Però mira nei corni della croce :
Quello, che io nomerò, lì farà lo atto
Che l'.i in nnlx; il suo foco veloce.
Io vidi per la croce un lume tratto
Dal nomar Josuè, com ei si Feo:
Né mi fu noto il dir prima che il fatto.
Ed al nome dello alto Maccabeo
Vidi moversi un altro roteando:
E letizia era ferza dei palèo.
Cosi per Carlo Magno, e per Orlando
Due ne segui lo mio attento sguardo.
Come occhio segue suo falcon volando.
Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
E il duca Gottifredi la mia vista.
Per quella croce , e Roberto Guiscardo.
Indi tra le altre luci mota e mista
Mostrommi 1' alma , che mi avea parlato,
Qual era tra i cantor del cielo artista.
Io mi rivolsi dal mio destro lato,
Per vedere in Beatrice il mio dovere
O per parole, o per atto segnato.
Io vidi le sue luci tanto mere.
Tanto gioconde, che la sua sembianza
Vinceva ii altri , e io ultimo solere.
E come per sentir più dilettanza
Bene operando 1' om , di giorno in giorno
Si accorge che la sua virtute avanza.
Sì m'accors' io , che il mio girare intorno
Col cielo insieme avea cresciuto lo' arco,
Veggendo quel miracol più adorno.
E quale è il trasmutare in picciol varco
Di tempo in bianca donna, quando il volto
Suo si discarchi di vergogna il carco.
Tal fu nelli occhi miei , quando fui volto.
Per lo candor della temprata stella
Sesta , che dentro a sé mi avea ricolto.
Io vidi in quella giovial facella
Lo sfavillar dello amor, che lì era.
Segnare alli occhi miei nostra favella.
Che, come augelli surti di riviera.
Quasi congi^atulando a lor pasture.
Fanno di sé or tonda or altra schiera,
Si dentro ai lumi sante creature
Volitando cantavano , e faciensi
Or D, or ì. or L. in sue figure.
Prima cantando a sua nota moviensi ;
Poi, diventando lo un di questi segni,
Un poco si arrestavano e taciensi.
Oh diva Pegaséa, che 1' ingegni
Fai gloriosi, e rendili longevi,
Ed essi teco le cittadi e i regni,
Illustrami di te sì che io rilevi
Le lor figure come io le ho concette !
Paja tua possa in questi versi brevi!
Mostrarsi dunque cinque volte setto
Vocali e consonanti: ed io notai
Le parti sì, come n)i parler dette.
Dililiitc jusdtiam priniai
Fur verbo e nome di tutto il dipinto:
Qui Jiiilicatis tcrriim fur sczzai.
Poscia nella M. del \oc.ib(il qninU»
Rimaser ordinate, sì clic (■'io^c
Pareva argento li di oro distinto.
E vidi scenilcr altre luci dove
Era il colmo della !\1 , e li quetarsi
Cantando, credo, il ben che a sé le move.
Poi , come nel p(r<t>lrr dei ciocchi arsi
Sorgono innumcriiiiili ra\ille,
Onde li ^tolti xigliono agMrar>i,
Risorger parler quindi più di mille
Luci, e halir, quali asMii e quali poro,
.[199]
PARADISO. (X\Iir.l05-36. XIX. 1 — 88)
[200]
Si cfime il sol , che le accende , sortille :
E , quietata ciascuna in suo loco,
La testa e il collo di un' acjuìla vidi
Rappresentare a quel distinto foco.
Quei, che dipinge li, non ha clii i guidi;
3Ia esso guida , e da lui si rammenta
Quella virtù eh' è forma per li nidi.
L' altra beatitudo, che contenta
Pareva prima d'ingigliar.-i alla emme,
Con poco moto seguitò la imprenla.
Oh dolce stella, quali e quasite gemme
Mi dimostraron , che nostra giustizia
Effetto sia del ciel che tu ingemme!
Per che io prego la mente, in che s' inizia
Tuo moto e tua virtute , che rimiri
Ond' esce il fummo che tuoi raggi vizia,
Sì che un' altra fiata ornai si adiri
Del comperare e vender dentro al
Che si murò di segni e di martiri.
Oh milizia del ciel , cu' io contemplo,
Adora per color che sono in terra
Tutti sviati dietro al malo esemplo !
Già si solea con le spade far guerra:
Ma or si fa togliendo or quindi or quivi
Lo pan che il pio padre a nessun serra.
Ma tu , che sol per cancellare scrivi,
Pensa , che Pietro e Paolo , che morirò
Per la vigna, che guasti, ancor son vivi!
Ben puoi tu dire: io ho fermo il disiro
Sì a colui che volle viver solo,
E che per salti fu tratto a martire.
Che io non conosco il pescator, né Polo.
CANTO XIX.
ARGOMENTO.
Onde io a presso: oh perpetui fiori
Della eterna letizia , che pur uno
Parer mi fate tutti i vostri odori.
Solvetemi, spirando, il gran digiuno,
Che lungamente mi ha tenuto in fame,
Non trovando lì in terra cibo alcuno.
Ben so io che, se in cielo altro reame
La divina giustizia fa suo specchio,
Che il vostro non 1' apprende con velame.
Sapete , come attento io mi apparecchio
j Ad ascoltar; sapete, quale è quello
Dubbio, che mi è digiun cotanto vecchio.
I Quale falcon, che uscendo del cappello,
I Move la testa, e con le ali si plaude
Voglia mostrando , e facendosi bello,
Vid' io farsi quel segno, che di laude
I Della divina grazia era contesto.
Con canti , quai si èa chi là su gaude, ^
Poi cominciò: colui, che volse il sesto "
Allo estremo del mondo, e dentro ad esso
Distinse tanto occulto e manifesto,
Non potco suo valor sì fare impresso
In tutto lo universo , che il suo verbo
Non rimanesse in infinito eccesso.
E ciò fa certo , che il primo superbo.
Che fu la somma di ogni creatura,
Per non aspettar lume cadde acerbo.
E quinci appar , che ogni minor natura
E corto recettacolo a quel bene,
Cli' è senza fine , e sé con sé misura.
Dunque nostra veduta, che conviene
Essere alcun dei raggi della mente,
Di che tutte le cose son ripiene.
Non può di sua natura esser possente
Tanto , che suo principio non discerna
Molto di là, da quel eh' egli è, parvente.
Però nella giustizia sempiterna
La vista, che riceve il vostro mondo.
Come occhio per lo mare entro s' interna:
Che, benché dalla proda veggia il fondo,
In pelago noi vede, e nondimeno
„ , , ., ,. , T TI- 1 ^ j È li, ma cela lui lo esser profondo.
Parla V aquila^ e gh solve vn dubbio, se senza la fede ^^^^ ^^^ ^^ ^^ ^^^ ^..^^ dal sereno.
cristiana alcuno jìossa salvarsi.
ad alcuni regnanti.
Rimproveri
Parca dinanzi a me con le ali aperte
La bella iinage, che nel dolce fruì
Liete faceva le anime conserte.
Parca ciascuna rubinetto, in cui
Raggio di sole ardesse sì acceso.
Clic nei miei occhi rifrangesse lui.
E «pici , che mi convien ritrar testeso.
Non portò voce mai , né scrisse inchiostro,
Nò fu per fantasia giammai compreso;
Che io vidi, ed anche udii parlar lo rostro,
K sdiiiir nella voce ed io e mio,
Quando era nel concetto noi e nostro.
E comincio: i)cr esser giusto e pio
Son io qui esaltato a questa gloria,
(Jlie non ti lascia vincer a disio:
Ed in terra la-(ciai la mia memoria
Sì l'atta , che le genti li iiialvage
CoMimcndan lei , ma nrtn seguon la storia.
Così un sol calor di molte br.ige
Si fa sentir, come di molti amori
Us('i\a bulu un suun di quella imnge.
Che non si turba mai ; anzi è tenebra,
Od ombra della carne, o suo veleno.
Assai ti è mo aperta la latebra,
Che ti ascondeva la giustizia viva.
Di che facci quistion cotanto crebra.
Che tu dicevi : un om nasce alla riva
Dello Indo , e quivi non è chi ragioni
Di Cristo, né chi legga, né chi scriva;
E tutti suoi voleri ed atti buoni
Sono, quanto ragione umana vede.
Senza peccato in vita od in sermoni.
More non battezzato e senza fede ;
Ov' é questa giustizia che il condanna?
Ov' è la colpa sua, s' elli non crede?
Or tu chi sei che vuoi sedere a scranna
Per giudicar da lungi mille miglia
Con la veduta corta di una spanna ?
Certo a colui , che meco si assottiglia,
Se la scrittura sopra voi non fosse,
Da dubitar sarebbe a maraviglia.
Oh terreni animali, oh menti grosse!
La prima volontà, eh' è per sé buona,
Da sé, eh' é sommo ben, mai non si mosse.
Cotanto è giunto, quanto a lei consuona,
iOl]
PARADISO. fXTX. 80 — 148. XX.i-^H)
[202]
Nullo creato bene a sé la tira,
Ma essa, radiando, lui ca<^iona. x^
uale sovra esso il nido si rigira,
r Poi che ha pasciuti la ciccigna i figli,
I E come quel , eh' è pasto , la rimira.
Potai si fece , e si levai li cigli,
I La benedetta immagine , che le ali
Movea sospìnte da tanti consigli,
Roteando cantava, e dioea: quali
Son le mie note a te, che non le intendi,
Tal è il giudicio eterno a voi mortali.
Poi si quetaro quei lucenti incendi
Dello spirito santo ancor nel segno,
Che fé' i Romani al mondo reverendi,
Esso ricominciò; a questo regno
.Non salì mai chi non credette in Cristo
]Nè pria , né poi eh' el si chiavasse al legno.
Ma vedi, molti gridan Cristo Cristo,
Che saranno in giudicio assai men prozìe
A lui, che tal, che non conobbe Cristo
E tai Cristian dannerà la Etiope,
Quando si partiranno i duo collegi, ?
Lo uno in eterno ricco, e lo altro inóep'p»'
Che potran dir li Persi ai vostri regi, .'
Com' ei vedranno quel volume aperto.
Nel qual si scrivon tutti suoi dispregi!
Li sì vedrà tra le opere di Alberto
Quella , che tosto moverà la penna.
Per che il regno di Praga fia deserto.
Lì si vedrà il duol , die sopra Senna
Induce, falseggiando la moneta,
Quel che morrà di colpo dì cotenna.
Li si vedrà la superbia, che asceta.
Che fa lo Scotto e lo Inghiiese folle
Sì , che non può soiTrir dentro a sua meta.
V'edrassi la lusssuria e il viver molle
Di quel di Spagna, e di quel di Boemmq,
Che mai valor non conoì)be, né volle.
Vedrassi al Ciotto di Gerusalemme
Segnata con una I. la sua bontadc,
Quando il contrario segnerà una emme.
Vedrassi 1' avarizia e la viltade
Di quel che guarda la isola del foco,
Dove Anchise fini la lunga etade:
£ a dare ad intender quanto è poco;
La sua scrittura lìen lettere mozze,
Che noteranno molto in parvo loco.
E parranno a ciascun le opere sozze
Del Harba , e del fratel , che tanto egregia
Nazione e due corone han fatto bozze.
E quel di Portogallo e di Norvegia
Lì si conosceranno, e quel di Rascia
Che male ha visto il conio di Mnegia.
Oh beata Ungheria, se non si lascia
Più malmenare ! e beata Navarra,
Se si armasse del monte che la fascia !
E creder dee ciascun , che già per arra
Di questo, ì\ic<»sia e l'^iunigosta
Per la lor bestia si lamenti e garra,
Che dal fianco delle altre non si ecobta.
CANTO XX.
ARGOMENTO.
Lode di re antichi Trajano e Rifeo di Troja , am-
messi al cielo, perchè illuininati.
Quando colui, che tutto il mondo alluma.
Dello emi»perio nostro sì discende.
Che il giorno da ogni parte si consuma;
Lo ciel , che sol di lui prima si accende,
Subitamente si rifa parvente
Per molte luci , in clic una risplende, ^x
E questo atto del ciel mi venne a mente.
Come il segno del mondo e dei suoi duci
Nel benedetto rostro fu tacente :
Però che tutte quelle vive luci,
^ ie più lucendo, cominciaron canti
Da mia memoria labili e caduci.
Oh dolce amor, che di riso ti ammanti,
Quanto parevi ardente in quei flailii.
Che avién spirito sol di pensier santi!
Poscia che i cari e lucidi lapilli,
Onde io vidi 'ngemmato il sesto lume,
Poser silenzio alli angelici squilli,
Udir mi parve un moruioi-ar di fiume.
Che scende chiaro giù di pietra in pietra,
Mostraiulo la uliertà del suo cacume.
E, come suono al collo della cetra
Prende sua forma, e sì come al pertugio
Della sampogna vento che penetra,
Così , rimosso d' aspettare indugio,
Quel mormorar deli' aquila salissi
Su per lo collo , come fosse bugio,
Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
Per lo suo becco in forma di parole,
Quali aspettava il core , ove io le scrissi.
La parte in me, che vede, e paté il sole
Nelle aguglie mortali, incominciummi:
Or fisamente riguardar si vuole:
Per che dei fochi , onde io figura fommi.
Quelli , onde 1' occhio in testa mi scintilla.
Di tutti i loro gradi son li sommi :
Colui, che luce in mezzo per pupilla,
Fu il cantor dello spirito santo,
Che 1' arca traslatò di villa in villa:
Ora conosce il merto del suo canto.
In quanto afl'etto fu del suo consiglio
Per lo remunerar, eh' é altrettanto.
Dei cinque, che mi fan cerchio per ciglio,
Colui , che più al liec(-o mi si accosta,
La vedovella consolò del figlio :
Ora conosce, quanto caro corta
Non seguir Cristo, per la esperienza
Di qucrta dolce vita e della ojiposta.
K quel, che sego»' in la cir( nnr( renza,
I>i che riigioiio , per lo arco (.np(Tno,
Morte indugiò per vera penitcn/.a:
Ora conosco, che il giudit'io et<iiio
Non si traiiimita, per che dcgiu) prece
Fa craslino là giù dell' odierno.
Lo altro, cIh5 segue, con le leggi e mero
Sotto buona inten/i(Mi, clic to' mal frutto,
Per cedere al pastor ci fece (ìreco:
Ora conosce, come il mal deiluilo
[203]
PARADISOjXX. 59—148. XXI. 1 — 31)
[204]
■p
Dal suo bene operar non li è nocivo,
Avvpgna che sia il mondo indi distrutto.
E quel, che Aedi nello arco declivo,
Guigiiehno fu , cui quella terra plora,
Che piange Carlo e Federico vivo :
Ora conosce, come s' innamora
Lo ciel del giusto rege, ed al sembiante
Del suo fulgóre il fa vedere ancora.
Chi crederebbe giù nel mondo errante,
Che Riféo trnjano in questo tondo
Fosse la quinta delle luci sante?
Ora conosce assai di quel che il mondo
Veder non può della divina grazia;
Benché sua vista non discerna il fondo.
Qual aUodetta , che in aere si spazia
Prima cantando , e poi tace contenta
Della ultima dolcezza che la sazia,
Tal mi sembiò la immago della imprenta
Dello eterno piacere, al cui disio
Ciascuna cosa, qual ella è, diventa.
Ed avvegna che io fossi al dubbiar mio
Lì, quasi vestro allo color, che il veste;
Tempo aspettar tacendo non patio :
Ma della bocca: che cose son queste?
Mi pinse con la forza del suo peso:
Per che io di corruscar vidi gran feste.
Poi a presso con 1' occhio più acceso
Lo benedetto segno mi rispose,
Per non tenermi in ammirar sospeso :
Io veggio che tu credi queste cose.
Per che io le dico, ma non vedi come,
Sì che, se son credute, sono ascose.
Fai come quei che la cosa per nome
Apprende ben , ma la sua quiditate
Veder non puote, se altri non la prome.
Re"""W7n caelorum violenzia paté
Di caldo amore e di viva speranza.
Che vince la divina volontate,
Non a guisa che l' omo all' om sopranza;
Ma vince lei , per che vuole esser vìnta,
E vinta vince con sua benignanza.
La prima vita del ciglio e la quinta
Ti fa maravigliar, per che ne vedi
La region delli angeli dipinta.
Dei corpi suoi non uscir, come credi,
Gentili , ma cristiani in ferma fede,
Quel dei passuri , e quel di passi piedi :
Cile la una dallo inferno , u non si riede
(ìianiniai a buon voler, tornò alle ossa,
E ciò di viva speme fu mercede:
Di viva speme, che mise sua possa
Mei preghi fatti a dio per suscitarla
Si , che potesse sua voglia esser mossa.
L' anima gloriosa, onde ti parla,
Tctriiata nella carne in che fu poco,
Ot^dette in lui che poteva ajutarla,
E , <-redendo , si accese in tant«) foco.
Di vero amor, che alla morte seconda
Fu degna di venire a questo gioco.
L' altra per grazia, che da sì profonda
F'oiitaiia stilla, che mai creatura
Non pin^c r occhio in-iìno alla prima onda,
Tutto suo amor là giù pose a drittura :
Per che di gr;izia in grazia iddio li aperse
L' <iccliio alla no^tl•a rcdenzioii futura:
Onde credette in quella, e non sofferse
Da indi 1 puzzo più del piigancniiio.
E riprendeane le genti perverse.
Quelle tre donne li fur per battesrao.
Che tu vedesti dalla destra rota,
Dinanzi al battezzar più di un millcsmo.
Oh, predestinazion , quanto rimota
E la radice tua da quelli aspetti.
Che la prima cagion non veggion tota!
E voi mortali , tenetevi stretti
A giudicar ! thè noi , che dio vedemo,
Non conosciamo ancor tutti li eletti:
Ed enne dolce così fatto scemo.
Per che il ben nostro in questo ben si affina,
Che quel che vuole iddio , e noi volemo.
Così da quella immagine divina,
Per farmi chiara la mia corta vista,
Data mi fu soa\e medicina.
E , come a buon cantor buon citarista
Fa seguitar lo guizzo della corda,
In che più di piacer lo canto acquista,
Si , mentre che parlossi , mi ricorda
Che io vidi le due luci benedette,
Pur come batter di occhi si concoi'da,
Con le parole mover le fìainmctte.
CANTO XXT.
ARGOMENTO.
Settimo cielo di Saturno, soggiorno cZe' contemplanti.
Alta scala mistica. S. Pier Damiano,
Già eran lì occhi miei rifissi al volto
Della mia donna, e lo animo con essi,
E da ogni altro intento si era tolto:
Ma quella non ridea : ma , se io ridessi,
IMi cominciò, tu ti faresti quale
Fu Semelè, quando di cener fessi:
Che la bellezza mia , che per le scale
Dello eterno palazzo più si accende.
Come hai veduto , quanto più si sale.
Se non si temperasse, tanto splende,
Che il tuo mortai podere al suo fulgóre
Sarebbe fronda che trono scoscende.
Noi sem levati al settimo splendore.
Che sotto il petto del Icone ardente
Raggia mo misto giù del suo valore.
Ficca dirietro alli occhi tuoi la mente,
E fa di quelli spechi alla figura
Che in questo specchio ti sarà parvente.
Qual sapesse qual era la pastura
Del viso mio nello aspetto beato.
Quando io mi trasmutai ad altra cara.
Conoscerebbe quanto mi era a grato
Ubbidire alla mia celeste scorta.
Contrappcsando lo un con In altro lato.
Dentro al cristallo che il vocabol porta,
Cerchiando il mondo, del suo chiaro duce
Sotto cui giacque ogni malizia morta.
Di color di oro, in che raggio tralucc,
Vid' io uno scaleo eretto in suso
Tanto, che noi seguiva la mia luce.
^ Vidi anche per li gradi scender giuso
205]
PARADISO. (XXf. 32 — 142. XXIL 1 — io)
[206]
Tanti splendor, che io pensai che ogni lame,
Che par nel ciel, quindi fosse diffuso.
Z , come per lo naturai costume
Le poje insieme al cominciar del giorno
Si movono a scaldar le fredde piume,
^oi altre vanno via senza ritorno,
Altre rivolgon sé onde son mosse,
E alti'c roteando fan soggiorno,
Tal modo parve a me che quivi fosse
In quello sfavillar , che insieme venne
Si come in certo grado si percosse :
quel, che presso più ci si ritenne.
Si fé' sì chiaro, che io dicea pensando,
Io veggio ben lo amor che tu mi accenne.
la quella , onde io aspetto il come e il quando
Del dire e del tacer , si sta ; onde io
"Contra il disio io ben, se io non dimando.
?er eh' ella, che vedeva il tacer mio
Nel veder di colui che tutto vede.
Mi disse; solvi il tuo caldo disio!
IjEd io incominciai: la mia mercede
Non mi fa degno della tua risposta ;
Ma, per colei che il chieder mi concede,
Vita beata, che ti stai nascosta
Dentro alla tua letizia , fammi nota
La cagion che sì presso mi ti ha posta,
di' , per che si tace in questa rota
La dolce sinfonia di paradiso.
Che già per le altre sona sì devota.
jTu hai lo udir mortai sì come il viso.
Rispose a me ; onde qui non si canta
Per quel che Beatrice non ha riso.
|Giù per li gradi della scala santa
Discesi tanta sol per farti festa ?
Col dire e con la luce che mi ammanta :
IVè più amor mi fece esser più presta ;
Che più e tanto amor quinci su ferve
Si, come il fiammeggiar ti manifesta.
Ma r alta carità , die ci fa serve
Pronte al consiglio che il mondo goTerna,
Sorteggia qui sì , come tu osserve.
Io veggio ben, diss' io, sacra lucerna.
Come libero amore in questa corte
Basta a seguir la providenza eterna.
Ma questo è quel , che a cerner mi par forte ;
Per che predestinata fosti sola
A questo uficio tra le tue consorte.
Non venni prima alla ultima parola,
Che del suo mezzo f(;ce il lume centro,
Girando sé come veloce mola.
Poi rispose lo amor che vi era dentro :
Luce divina sovra me si appunta.
Penetrando per questa onde io m' inventro :
La cui virtù col mio veder congiunta
Mi leva sovra me tanto, che io veggio
La somma essenzia, della quale è munta.
Quinci vien 1' allegrezza onde io fiammeggio,
Per che alla vista mìa , quanto ella è chiara,
La cliirità della fiamma pareggio.
Ma qneli' alma nel ciel clic più si ^chiara,
Quel Serafin , che in dio 1' occhio ha più figso,
Alia dimainhi tua non sati.Nfàra:
Però die si h' iniiollra nello abisso
Dello eterno statuto quel che chiedi.
Che da ogni creata vista è scisso.
Ed al mondo mortai , (jiiando tu riedi,
Questo rapporta si , che non presuma
A tanto segno più mover li piedi!
La mente, che qui luce, in terra fuma:
Onde riguarda, come può, laggiùe
Quel che non punte, per che il ciel lo assuma.
Sì mi prescrisser le parole sue.
Che io lasciai la quistione, e mi ritrassi
A dimandar umilmente chi fue.
Tra due liti d' Italia surgon sassi,
E non molto distanti alla tua patria
Tanto, che i toni assai suonan più bassi,
E fanno un gibbo, che si chiama Catiia,
Disotto al quale é consecrato un ermo,
Che suol esser disposto a sola latria.
Così ricominciommi '1 terzo sermo,
E poi continuando disse: quivi
Al servigio di dio mi fei sì fermo.
Che pur con cibi di liquor di ulivi
Lievemente passava e caldi e gielì,
Contento nei pensier contemplativi.
Render solca quel chiostro a questi cieli
Fertilemente; ed ora è fatto vano
Sì, che tosto convien che si riveli.
In quel loco fu' io Pier Damiano:
E Pietro peccator fu nella casa
Di nostra donna in sul lito adriano.
Poca vita mortai mi era rimasa.
Quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
Che pur di male in peggio si travasa.
Venne Cephas, e venne il gran vasello
Dello spirito santo , macri e scalzi
Prendendo il cibo da qualunque ostello:
Or yoglion quinci e quindi chi rincalzi
Li moderni pastori, e chi li meni.
Tanto son gravi, e chi dirietro li alzi.
Copron dei manti loro i palafreni,
Sì , che due bestie van sotto una pelle :
Oh pazienza, che tanto sostieni! ^
A questa voce vid' io più fiammelle
Di grado in grado scendere e girarsi.
Ed «Igni giro le facea più belle.
Dintorno a questa vennero e fermarsi,
E fero un grido di sì alto suono,
Che non potrebbe qui assomigliarsi
uNè io lo intesi, si mi vinse il tuono.
CANTO XXII.
ARGOMENTO.
S. lìcnetlcllo. Ascensione in Gemini. Sguardo per
le sfere trascorse e sul ;)iccio/o nostro globo.
Oppresso di stupore alla mia guida
Mi volsi come parvoi , che rirorcc
Sempre colà dove più sì (-iinlìdn.
K quella, rome madre che soccorre
Subito al figlio [lallido ed anelo
Con la sua voce, che il suol ben disporre,
>li disse: non sai (u che tu sei 'n «'ido,
E non sui tu che il cielo è ludo santo,
E ciò, die ri si fa, ^ien da biinn zelo?
Como ti avrebbe trasmutato il canto
[2C7]
PARADISO. (XXII. 11 — 144)
[208]
Ed io rMendo, mo pensar lo puoi,
P«iì»cia che il grido ti ha mosso cotanto ;
Jk'el qual se inteso avessi i preghi suoi,
Già ti sarebbe nota la vendetta,
La qual vedrai innanzi che tu muoi.
La spada di qua su non taglia in fretta,
Sé tardo inache al parer di colui,
Che desiando o temendo 1' aspetta.
Ma rivolgiti ornai inverso altrui!
Che assai illustri spiriti vedrai,
Se, come io dico, lo aspetto ridui.
Come a lei piacque li occhi ritornai,
K vidi cento sperule , che insieme
Più si abbellivan con mutui rai.
Io stava come qisei che in gè repreme
La punta del disio , e non si attenta
Del dimandar , sì del troppo si teme :
E la maggiore e la più luciilenta
Di quelle margherite innanzi fessi.
Per far di sé la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udii : se tu vedessi,
Come io , la carità che tra noi arde,
Li tuoi concetti sarebbero espressi;
Ma per che tu aspettando non tarde
Allo alto fine, io ti farò risposta.
Pure al pensier, da che sì ti riguarde.
Quel monte, a cui Cassino è nella costa.
Fu frequentato già in su la cima
Dalla gente ingannata e mal disposta
E quel son io che su vi portai prima
Lo nome di colui , che in terra addusse
La verità che tanto ci sublima:
E tanta grazia sopra me rìlusse,
Che io ritrassi le ville circonstanti
Dallo empio culto, che il mondo sedusse.
Questi altri fochi tutti contemplanti
Omini furo , accesi di quel caldo,
Che fa nascere i fiori e i frutti santi.
Quivi è Maccario , quivi è Ronioaldo :
Qui sono i frati miei, che dentro ai chiostri
Fermar li piedi e tennero il cor saldo.
Ed io a lui : lo affetto , che dimostri
Meco parlando , e la buona sembianza,
Che io veggio e noto in tutti lì ardor vostri,
Così mi ha dilatata mia fidanza,
Come il sol fa la rosa, quando aperta
Tanto divien , quanto ella ha di possanza.
Però ti prego , e tu , padre , mi accerta,
Se io posso prender tanta grazia , che io
Ti veggia con immagine scoperta.
Ond' egli: oh frate, il tuo alto disio
Sì adempierà in su la ultima spera,
Ove sì adempion tutti lì altri e il mio.
Ivi è perfetta, matura, ed intera
(Tinscuna disianza: in quella sola
K ogni parte là dove gempr' era :
Per die non è in loco, e non s'impola:
E nostra scala infìno ad essa varca,
Onde vAif'ì dal vìs(» ti s'invola.
Infìn là su la vide il patriarca
Jacob i:i|)orger la superna parte,
Quando li apparve dì angeli sì carca.
Ma per salirla mo nessim diparte
Da terra i piedi , e la regola mia
Himasa è giù pi-r danno delie carte.
Le mure, che soleano esser badia,
Fatte sono spelonche, e le cocolle
Sacca son piene di farina ria.
Ma grave usura tanto non si tolle
Contra il piacer dì dìo , quanto quel frutto,
Che fa il cor dei monaci si folle.
Che , quantunque la chiesa guarda , tutto
È della gente che per dio dimanda.
Non di parenti , né di altro più brutto.
La carne dei mortali è tanto blanda,
Che giù non basta buon cominciamento
Dal nascer della quercia al far la ghianda.
Pier cominciò sanza oro e sanz' argento,
Ed io con orazioni e con digiuno,
E Francesco umilmente il suo convento.
|E, se guardi al principio di ciascuno.
Poscia riguardi là dov'è trascorso,
I Tu vederai del bianco fatto bruno.
Veramente Glordan volto retrorso
Più fu, e il mar fuggir, quando dio volse,
Mirabile a veder, che qui il soccorso.
Così mi disse: ed indi si rìcolse
Al suo collegio, e il collegio si strinse:
Poi come turbo in su tutto si avvolse.
La dolce donna dietro a lor mi pinse
Con un sol cenno su per quella scala;
Sì sua virtù la mia natura vinse!
Né mai qua giù, dova si monta e cala.
Naturalmente fu sì ratto moto,
Che agguagliar si potesse alla mia ala.
Se io torni mai, lettore, a quel divoto
Trionfo , per lo quale io piango spesso
Le mie peccata , e il petto mi perento,
Tu non avresti in tanto tratto e messo
Nel foco il dito , in quanto io vidi '1 segno
Che segue il tauro , e fui dentro da esso.
Oh gloriose stelle, oh lume pregno
Di gran virtù , dal quale io riconosco
Tutto , qual che si sia , il mio ingegno !
Con voi nasceva e si ascondeva vosco
Quegli , eh' é padre di ogni mortai vita.
Quando io sentii da prima lo aere tosco:
E poi , quando mi fu grazia largita
Di entrar nell' alta rota che vi gira,
La vostra region mi fu sortita.
A voi divotamente ora suspira
L' anima mia , per acqui»tfir virtute
Al passo forte che a sé la tira.
Tu sei sì presso alla ultima salute,
Cominciò Beatrice, che tu dei
Aver le bici tue chiare ed acute.
E però , prima che tu più t' inlei.
Rimira in giuso , e vedi quanto mondo
Sotto lì piedi già esser ti fei !
Sì che il tuo cor, quantunque può, giocondo
Sì appresentì alla turba trionfante.
Che lieta vien per questo etera tondo.
Col viso ritornai per tutte quante
Le sette spere , e vidi questo globo
Tal, che io sorrisi del suo vìi sembiante.
E quel consiglio per migliore appróbo
("he lo ha per meno: e chi ad altro pensa,
Chiamar si jiote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incenda
Senza quella ombra , che mi fu cagione
Per che già la credetti rara e densa.
Lo aspetto del tuo nato, Iperiono,
Quivi sostenni , e vidi come sì move
Circa e vicino a lui I\laja e Dione.
1091
Px^RADlSO. (XXII. 145 — 154. XXIII. 1 — 111)
[210]
)iiindi m' apparve il temperar di Giove
Tra il padre e il figlio , e quindi mi fu chiaro
11 variar che fanno di lor dove:
C tutti e sette mi s^i dimostraro
Quanto son grandi, e quanto son veloci,
E come sono in distante riparo.
7 ajola, che ci fa tanto feroci,
M Yolgendom' io con li eterni gemelli,
Tutta mi apparve tra colli e le foci ;
Poscia rivolsi li occhi ahi occhi belli.
CANTO XXIII.
ARGOMENTO.
Beatrice in atto iV aspettare gran meraviglia. Trionfo
di Gesù.
Come lo augello intra le amate fronde
Posato al nido dei suoi dolci nati.
La notte, che le cose ci nasconde,
Clie per veder li aspetti desiati,
E per trovar lo cibo onde li pasca,
In che i gravi lahor li sono grati.
Previene il tempo in su 1' aperta frasca,
E con ardente afletto il sole aspetta,
Fiso guardando, pur che 1' alba nasca;
Così la donna mia si stava eretta
Ed attenta, rivolta inver la plaga.
Sotto la quale il sol mostra men fretta;
Si che , veggcndola io sospesa e vaga,
Fecirai quale è quei , che disiando
Altro vorria, e sperando si appaga.
Ma poco fu tra uno ed altro quando ;
Del mio attender dico , e del vedere
Lo ciel venir più e più risctiiarando.
E Beatrice disse: ecco le schiere
Del trionfo di Cristo, e tutto il frutto
Uicolto del girar di queste spere!
Parvemi clic il suo viso ardesse tutto :
E li ocelli avea di letizia sì pieni,
Che passar mi convien senza costrutto.
Quale nei plcnilunìi sereni
Trivia ride tra le ninfe eterne,
Che dipingono il ciel per tutti i seni,
Vid' io sopra mìgliaja di lucerne
Un sol, che tutte quante l' aixendea.
Come fa il nostro le viste superne :
E per la viva luce trasparea
La lucente sustanzia tanto chiara
Mei viso mio , che non la sostcnca.
E Ueatricc , dolce guida e cara,
Allor mi disse: quel, che ti sopranza,
E virtù da cui nulla si ripara.
Quivi ù la sapienza e la possanza.
Che aprì le strade tra il ci<lo e la terra,
Onde fu già sì lunga desianza.
Come foco di nube si disserra
Per dilat.irsi sì , che non vi cape,
E f(ir di sua natura in giù kì atterra:
Così la mente mia tra quelle dape
Fatta più grande, di sé stessa uscio,
E che si fesse rimembrar non sape.
Apri li occhi e riguarda qual sono io:
Tu hai vedute cose , che possente
Sei fatto a sostener lo riso mìo.
10 era come quei, che si risente
Di visione obblita , e che s' ingegna
Indarno di ridurlasi alla mente;
Quando io udii questa proflerta degna
Di tanto grato , che mai non si estingue
Del libro , che il preterito rassegna.
Se mo sonasser tutte quelle lingue,
Che Polinnia con le suore fero
Del latte lor dolcissimo più pingue.
Per ajutarmi, al millesmo del vero
Non si verria cantando il santo riso,
E quanto il santo aspetto facea mero.
E così figurando il paradiso
Convien saltar il sagrato poema.
Come chi trova suo cammin reciso.
Ma chi pensasse il poderoso tema,
E 1' omero mortai che se ne carca.
Noi biasmerebbe se sotto esso trema.
Non è paraggio da picciola barca ^
Quel , che fendendo va 1' ardita prora,
Né da nocchier che a sé medesmo parca.
Per che la faccia mia si t' innamora,
Che tu non ti rivolgi al bel giardino.
Che sotto i raggi di Cristo s' infiora ?
Quivi è la rosa, in che il Verbo divino
Carne si fece; quivi son li gìgli,
Al cui odor si apprese il buon cammino.
Così Beatrice: ed io, che ai suoi consigli
Tutto era pronto, ancora mi rendei
Alla battaglia dei debili cigli.
Come a raggio di sol , che puro mei
Per fratta nube, già prato di fiori
Vidcr coperto di ombra li occhi miei;
Vid' io così più turbe di splendori
Fulgurati di su da raggi ardenti,
Sanza veder principio di fulgóri.
Oh benigna virtù , che sì T imprenti.
Su ti esaltasti per largirmi loco
Alli occhi lì che non eran possenti.
11 nome del bel fior, che io sempre invoco
E mane e sera, tutto mi ristrinse
Lo animo ad avvisar lo maggior foco.
E , come ambe le luci mi dipinse
Il quale e il quanto della viva stella.
Che là su vìnce come qua giù vinse,
Perentro il ciclo srese ima facella.
Formata in cerchio a guisa di corona,
E elusela e girossi intorno ad ella.
Qualunque melodia più dolce suona
Qua giù, ed a sé più l' anima tira.
P.iriebite nube che squ.iniata tuona,
Com|iarata al sonar di i|U(lla lira.
Onde s' incoronava il l»cl zalViro,
Del quale il ciel più chiaio s' inzafTira.
Io sono aiiiDre angelico, che giro
L' alta letizia , che spira del veutro
Cile lu albergo del nostro disiro;
E (iireromiui , donna del ciel, mentre
Cli«- seguirai tuo llglio . e farai dia
Più la spera supri-ma, per che lì cnlrc.
Così la circolata melodia
Si sigillava, e tulli li allri l'imi
Facciin sonar il nume di MVUIA.
14
[211]
PARADISO. (XXllI. 1 12—139. XXIV. 1—94)
[212]
Lo real manto di tutti i volumi
Del mondo, clie più ferve e più si avviva
Nello alito di dio e nei costumi,
Avea sopra di noi la interna riva
Tanto distante, che la sua parvenza
Là, dove io era, ancor non mi appariva:
Però non ebber li occhi miei potenza
Di seguitar la coronata fiamma,
Che si levò a presso a sua semenza.
E, come fantolin , che 'nver la mamma
Tende le braccia, poi che il latte prese,
Per lo animo che in fin di for s' infiamma,
Ciascun di quei candori in su si stese
Con la sua fiamma sì, che lo alto affetto,
Ch' elli avveano a Maria, mi fu palese.
Indi rimaser li nel mio cospetto.
Regina cadi cantando sì dolce.
Che mai da me non si parti 'l diletto.
Oh quanta è la libertà che si soffolce
In quelle arche ricchissime , che foro
A seminar qua giù buone bobolce !
Quivi si gode e vive del tesoro,
Che si acquistò piangendo nello esilio
Di Babilòn, ove lasciò 1' oro.
Quivi trionfa sotto lo alto fiiio
Di dio e di Maria , di sua vittoria
E con lo antico e col novo concilio
Colui , che tien le chiavi di tal gloria.
CANTO XXIV.
ARGOMENTO.
San Pietro esamina Dante sulla fede.
Oh sodalizio eletto alla gran cena
Del benedetto agnello , il qual vi ciba
Sì, che la vostra voglia è sempre piena:
Se per grazia di dio questi preliba
Di quel che cade dalla vostra mensa.
Anzi che morte tempo li prescriba;
Ponete mente all' affezione immensa,
E roratelo alquanto : voi bevete
Sempre del fonte, onde vien quel oh' ei pensa.
Così Beatrice: e quelle anime liete
Si fòro spere sopra fissi poli,
Fìammaudo forte a guisa di comete.
E, come cerchi in tempra di oriuoli
Si giran si , che il primo a clii pon mente
Quieto pare , e lo ultimo che voli,
Così quelle carole differente-
iDCìite danzando , della sua ricchezza
Mi si faccan stimar veloci e lente.
Di quella, che io notai di più bellezza,
Vid' io uscire un foco sì felice.
Che nullo vi 'asciò di più chiarezza;
E tre fiate intorno di Beatrice
Si volse con un canto tanto divo,
Che la mia fantasia noi mi ridice :
Però salta la penna , e non lo scrivo.
Che lii iniuiaginc nostra a cotai pieghe,
^un clic il purluro, ù troppo color vivo.
Oh santa suora mia, che sì ne preghe
Divota , per lo tuo ardente affetto
Da quella bella spera mi disleghe:
Poscia , fermato il foco benedetto.
Alla mia donna dirizzò lo spiro.
Che favellò così come io ho detto.
Ed ella : oh luce eterna del gran viro,
A cui nostro signor lasciò le chiavi,
Ch' ei portò giù di questo gaudio miro,
Tenta co.«tui dei punti lievi e gravi.
Come ti piace , intorno della fede,
Per la qual tu su per lo mare andavi!
S' egli ama bene, e bene spera, e crede.
Non ti è occulto , per «;he il viso hai quivi,
Ove ogni cosa dipinta si vede.
Ma , per che questo regno ha fatto civi,
Per la verace fede, a gloriarla.
Di lei parlare è buon che a luì arrivi.
Sì come il baccellier si arma e non parla,
Fin che il maestro la quistion propone
Per approvarla , non per terminarla,
Così mi armava io di ogni ragione,
Mentre eh' ella dicea, per esser presto
A tal querente e a tal professione.
Di', buon cristiano, fatti manifesto:
Fede che è .'' Onde io levai la fronte
In quella luce, onde spirava questo.
Poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
Sembianze femmi , per che io spandessi
L' acqua di for del mio interno fonte.
La grazia , che mi dà , che io mi confessi.
Comincia' io , dallo alto primipilo.
Faccia li miei concetti bene espressi!
E seguitai: come il verace stilo
Ne scrisse, padre, del tuo caro frate.
Che mise Roma teco nel buon filo,
Fede è sostanzia di cose sperate,
Ed argomento delle non parventi :
E questa pare a me sua quiditate.
Allora udii : dirittamente senti.
Se bene intendi , per che la ripose
Tra le sustanze, e poi tra li argomenti.
Ed io a presso : le profonde cose.
Che mi largiscon qui la lor parvenza,
Alli occhi di là giù son sì nascose.
Che lo esser loro vi è in sola credenza,
Sovra la qual si fonda 1' alta spene,
E però di sustanza prende intenza:
E da questa credenza ci conviene
Solligizzar senz' avere altra vista:
Pero che intenza di argomento tiene.
Allora udii : se quantunque si acquista
Giù per dottrina fosse così inteso.
Non vi avria loco ingegno di sofista.
Così spirò da quello amore acceso;
Indi soggiunse: assai bene è trascorsa
Di està moneta già la lega e il peso :
Ma dimmi , se tu 1' hai nella tua borsa.
Ed io: sì, la ho si lucida e sì tonda.
Che nel suo conio nulla mi s' inforsa.
A presso usci della luce profonda,
Che li splendeva: questa cara gioja,
Sovra la quale ogni virtù si fonda.
Onde ti venne .^ ed io: la larga ploja
Dello spirito santo , eh' è diffusa
In su le vecchie e in su le nove cuoja,
È sillogismo, che la mi ha conchiusa
213]
PARADISO. (XXIV. 95— 154. XXV. 1-59)
Acutamente sì , che in verso di ella
Ogni diraostrazifin mi pare ottusa.
fo udii poi: r antica e la novella
Proposizion , che così ti conchiude.
Per che 1' hai tu per divina favella?
Kd io: la prova, che il ver mi dischiude,
Son le opere seguite, a che natura
Kon scaldò l'erro mai , né -hattc ancude.
isposto fummì: di', chi ti assicura,
Che quella opere fosser quel medcsmo
Che vuol provarsi ? non altri il ti giura.
Se il mondo si rivolse al cristianesmo,
JDiss' io , senza miracoli , questo uno
E tal, che li altri non sono il centesmo:
^hè tu entrasti povero e digiuno
Il In campo a seminar la hnona pianta,
Il Che fu già vite, ed ora è fatta pruno.
ItFinito questo , 1' alta corte santa
I Risonò per le spere: un dio lodiamo!
II IVella melode che là su si canta.
|j£ quel baron , che si di ramo in ramo
Esaminando , già tratto mi a^ ea.
Che alle ultime fronde appressavamo,
^Ricominciò : la grazia, che donnea
Con la tua mente, la bocca ti aperse
Insino a qui , come aprir si dovea ;
{Sì che io approvo ciò che fori emerse:
Ma or conviene esprimer quel che credi,
E onde alla credenza tua si ofTerse.
j Oh santo padre e spirito, che vedi
Ciò che credesti, sì che tu vincesti
Ver lo sepolcro più giovani piedi,
Comincia' io : tu vuoi <:he io manifesti
La forma qui del pritnto creder mio,
Ed anco la cagion di lui chiedesti.
Ed io rispondo : io credo in uno dio
Solo ed eterno , che tutto il cìei move,
Non moto, con amore e con disio:
Ed a tal creder non ho io pur prove
Fisice e metafisice; ma dalmi
Anche la verità che quinci piove
Per Moisè , per profeti , e per salmi.
Per lo evangelio, e per voi che scriveste,
Poi che lo ardente spirto vi fece almi.
E credo in tre persone eterne, e queste
Credo una essenza sì una , e sì trina,
Che solferà congiunto sinit et cste.
Della profonda condizion divina.
Clic io tocco mo , la mente mi sigilla
Più volte la evangelica dottrina.
Questa è il principio: questa è la favilla.
Che si dilata in fiamma poi vivace,
E , come stella in cielo , iu me scintilla.
Come il signor, che ascolta quel che i piace.
Da indi abbraccia il servo, gratulaiulo
Per la novella, tosto eh' el si tace.
Cosi benedicendomi cantando.
Tre volte cinse me, kì come io tacqui,
Lo apostolico lume, al cui comando
Io avea detto; sì nel dir li piacqui!
[214]
CANTO XXV.
ARGOMENTO.
San Jacopo esamina D. sulla speranza.
Se mai continga, che il poema sacro.
Al quale ha posto mano e cielo e terra
Sì, che mi ha fatto per molti anni macro
Vinca la crudeltà, che for mi serra
Del bello ovile, ove io dormii agnello
Nimico ai lupi , che li danno guerra,
Con altra voce ornai, con altro vello
Ritornerò poeta, ed in sul fonte
Del mio battesmo prenderò il cappello:
Però che nella fede, che fa conte
Le anime a dio , quivi entra' io , e poi
Pietro per lei sì mi girò la fronte.
Indi si mosse un lume verso noi
Di quella spera, onde uscì la primizia.
Che lasciò Cristo dei vicarj suoi.
E la mia donna piena di letizia
Mi disse: mira, mira! ecco il barone.
Per cui là gin si visita Galizia.
Sì come, quando il colombo si pone
Presso al compagno, e lo uno allo altro pànde
Girando e mormorando, 1' affezione,
Così vid' io lo un dallo altro grande
Principe glorioso essere accolto,
Laudando il cibo che là su si prande.
Ma poi che il gratular si fu assolto.
Tacito, corani me, ciascun si affisse
Ignito sì , che vinceva il mio volto.
Ridendo allora Beatrice disse:
Inclita vita, per cui la larghezza
Della nostra basilica si scrisse.
Fa risonar la speme in questa altezza!
Tu sai, che tante fiate la figuri,
Quanto .Tcsù ai tre fé' più chiarezza.
Leva la testa , e fa che ti assicuri !
Che ciò , che vien qua su dal mortai inondo,
Convien che ai nostri raggi si maturi.
Questo conforto del foco secondo
Mi venne : onde io levai li occhi ai monti.
Che r incur'>aron pria col trop|)o pondo.
Poi che per grazia vuol, che tu ti affronti
Nel nostro Imperadore, anzi la morte
Neil' aula più secreta coi suoi Conti,
Sì , che , veduto il ver di questa corto,
La speme , che là giù bene innamora.
In te ed in altrui di ciò conforle.
Di' quel eh' ella è, di' come se ne infiora
La mente tua, e di' onde a te venne:
Così seguii) il secondo lume ancora.
E quella pia, che guidò le |iennc
Delle mie ali a così alto volo,
Alla risposta cosi mi prevenne:
La chiesa militante alcun figliolo
Non ha con più s|)eranza, coni' è scritto
Nel sol, cIh^ raggia tutto nostro stuolo:
Però li è c(uic( liuti» , che di Kgitto
Vegna in (ìerusalcmme per vedei-e.
Anzi ihv. il niililar li sia prescritto.
Li altri due punti , che non per sapere
Son dimandati, ma per eh' ei rapporti
14 *
[215]
PARADISO. (XXV. 60 — 130. XXYI. 1— 41 .)
[216]
Quanto questa TÌrtìi ti è in piacere,
A lui la:>c' io : che non li saran forti,
>è di jattanzia: ed elii a ciò risponda,
E la grazia di dio ciò li comporti.
Come discente, che a dottor seconda
Pronto e libante in quello eh' e^li è sperto,
Per che la sua bontà si diriascoiula:
Speme, diss' io, è uno attender certo
Della gloria futura, che produce
Grazia divina e precedente niortr:
Da molte stelle mi vien que.-ita hice;^
3Ia quei la distillò nel mio cor pria,
Che fu sommo cantor del sommo duce.
Sperino in te, nell' alta Teodia,
Dice, color che sanno il nome tuo:
E chi noi sa, s' egli ha la fede mia?
Tu mi stillasti con lo stillar suo
jVella epistola poi sì , che io son pieno,
Ed in altrui vostra ploja repluo.
3Ientre io diceva, dentro al vivo seno
Di quello incendio tremolava un lampo
Subito e spesso a guisa di baleno.
Indi spirò: lo amore, onde io avvampo
Ancor ver la virtù, che mi seguette,
Inlln la palma ed allo uscir del campo.
Vuol che io respiri a te, che ti dilette
Di lei : ed emmi a grado che tu diche
Quello che la speranza ti promette.
Ed io: le nove e le scritture antiche
Pongono il segno, ed esso lo mi addita.
Delle anime, che dio si ha fatte amiche.
Dice Isaia , che ciascuna vestita
]\ella sua terra fia di doppia vesta,
E la sua terra è questa dolce vita.
E il tuo fratello assai vie più digesta
Là , dove tratta delle bianche stole,
Questa rivelazion ha manifesta.
E prima, presso il fin dì este parole,
Sperent in te di sopra noi si udì,
A che risposer tutte le caròle:
Poscia tra esse un lume si schiarì
Si, che, se il cancro avesse un tal cristallo.
Lo inverno avrebbe un mese di un sol di,
E come surge, e va, ed intra in ballo
Vergine lieta, sol per fare onore
Alla novizia, e non per alcun fallo,
Così vid' io lo schiarato splendore
Vinire ai due, che si volgeano a rota,
Qual convenìasi al loro ardente amore.
Misesi lì nel canto e nella nota;
E la mia donna in lor tenne lo aspetto,
Pur come sposa tacita ed immota.
Questi è colui, che giacque sopra il petto
Del nostro pellicano: e questi fuc
In su la croce al grande uficio eletto.
La donna mia così : ne però pine
Mosse la vista sua da stare attenta
Poscia che prima alle parole sue.
Quale è colui, che adocchia e si argomenta
Di veder eclissar lo sole un poco,
(Jliè , per veder, non vedente diventa,
Tal mi tee' io a quello nlliino foco,
IVIentre che detto fu : per <-lie ti abbagli
l'er ■\efl(T «;osa che (pii non ha loco?
In t'erra è terra il mio ci)i])o, e saragli
'l'iinto con li altri, che il numero nostro
Con lo eterno proposito ti agguagli.
Con le due stole nel beato chiostro
Son le due luci sole che salirò:
E questo apporterai nel mondo vostro.
A questa voce lo infiammato giro
Si quietò conesso il dolce mischio.
Che si facea del suon nel trino spiro
Sì, come, per cessar fatica o rischio,
Li remi pria nell' acqua ripercossi
Tutti si posan al sonar di un fischio.
Ahi quanto nella mente mi commossi.
Quando mi volsi per veder Beatrice,
Per non poter vederla , ben che io fossi
Presso di lei e nel mondo- felice.
I
CANTO XXVI.
ARGOMENTO.
S. Giovanni esamina sulla carità. Adamo parla di
sua felicità e sventura , e del primo linguaggio.
Mentre io dubbiava per lo viso spento.
Della fulgida fiamma, che lo spense,
Usci un spiro che mi fece attento.
Dicendo : in tanto che tu ti rinsense
Delia vista, che hai in me consunta.
Ben è che ragionando la compense.
Comincia dunque e di', ove si appunta
L' anima tua , e fa ragion che sia
La vista in te smarrita e non defunta!
Per che la donna, che per questa dia
Region ti conduce, ha nello sguardo
La virtù eh' ebbe la man di Anania.
Io dissi : al suo piacere e tosto e tardo
Vegna rimedio alli occLi, che fur porte.
Quando ella entrò col foco, onde io sempre ardo.
Lo ben , che fa contenta questa corte.
Alfa ed omega è di quanta scrittura
Mi legge amore e lievemente , e forte.
Quella medesma voce, che paura
Tolta mi avea del subito abbarbaglio^
Di ragionare ancor mi mise in cura
E disse: certo a più angusto vaglio
Ti conviene schiarar : dicer convienti.
Chi drizzò lo arco tuo a tal bersaglio.
Ed io : per filosofici argomenti,
E per autorità che quinci scende.
Cotale amor convien che in me s' ìmprenti;
Che il bene , in quanto è ben , come s' intende,
Così accende amore , e tanto maggio.
Quanto più di bontade in sé comprende.
Dunque alla essenza, ov' è tanto vantaggio.
Che ciascun ben , che for di lei si trova.
Altro non è che del suo lume un raggio;
Più che in altra convien che si mova
La mente, amando, di ciascun che cerne
Lo vero in che si fonda questa prova.
Tal vero allo intelletto mio sterne
Colui , che mi dimostra il primo amore
Di tutte le sustanzie sem|)iterne.
Stcrnel la voce del verace autore.
Che dice a Moisò , di sé parlando,
217]
^MPI^- (XXVI. 42-142. XXVII. 1—19)
[218]
Io ti farò vedere og^ni valore,
ternilmi tu ancora, incominciando
Lo alto preconio, che grida lo arcano
Di qui là giù sovra ad ogni altro bando,
d io udii: per intelletto umano,
E per autoritade a lui concorde,
Dei tuoi amori a dio guarda il sovrano,
a di' ancor , se tu senti altre corde
Tirarti verso lui sì, che tu suone
Con quanti denti questo amor ti morde,
on fu latente la santa intenzione
Deir aguglia di Cristo , anzi mi accorsi
Ove menar volea mia professione,
ero ricominciai : tutti quei morsi.
Che posson far lo cor volgere a dio,
Alla mia caritate son concor^i :
che lo essere del mondo, e lo esser mìo,
Lfi morte , eh' el sostenne per che io viva,
E quel, che spera ogni fedel come io,
Con la predetta conoscenza viva.
Tratto mi hanno del mar dello amor torto,
E del diritto mi han posto alla riva.
Le f rondi , onde s' infronda tutto 1' orto
I Dell' ortolano eterno , amo io cotanto,
Quanto da lui a lor di bene è porto.
I Sì come io tacqui , un dolcissimo canto
Risonò per lo cielo , e la mia donna
Dicea con li altri: Santo, Santo, Santo.
E, come al lume acuto si disonna,
Per lo spirto visivo che ricorre
Allo splendor che va di gonna in gonna,
E lo svegliato ciò che vede abborre.
Sì nescia è la sua subita vigilia.
Fin che la stiniativa noi soccorre.
Così delli occhi miei ogni quisquilia
Fugò Beatrice col raggio dei suoi.
Che refulgea da più di mille miiia:
Onde mei che dinanzi vidi poi,
£ quasi stupefatto dimandai
Di un quarto lume che io vidi tra noi.
£ la mia donna : dentro da quei rai
Vagheggia il suo fattor l' anima prima.
Che la prima virtù creasse mai.
Come la fronda, che flette in cima
Nel transito del vento, e poi si leva
Per la propria virtù che la sublima,
Fec' io in tanto in quanto ella diceva,
Stupendo , e poi mi rifece sicuro
Un disio di parlare onde io ardeva:
E cominciai: oh pomo, che maturo
Solo prodotto fosti, oh padre antico,
A cui ciascuna sposa è figlia e nuru.
Devoto, quanto posso, a te supplico,
Per che mi parli : tu vedi mia voglia ;
E, per udirti tosto, non la dico.
Tal volta un animai coperto broglia
Sì, che lo alletto convicn che si paja.
Per lo seguir che face a lui la invoglia:
E similmente 1' anima primaja
Mi facea trasparer per la coperta
Quanto ella a compiacermi venia gaja.
Indi spirò: senza essermi profferta
Da te la voglia tua disccrno meglio.
Che tu qualunque cosa ti è più certa:
Per che io la veggio nel verace speglio
Che fa di sé parcglio le altre cose,
E nulla face lui di sé parcglio.
Tu vuoi udir quanto è che dio mi pose
Nello eccelso giardino , ove costei
A così lunga scala ti dispose :
E quanto fu diletto alii occhi miei,
E la propria cagion del gran disdegno,
E lo idioma che usai e che io fei.
Or, figliol mio, non il gustar del legno
Fu per sé la cagion di tanto esilio,
Ma solamente il trapassar del segno.
Quivi, onde mosse tua donna Virgilio,
Quattromila trecento e due volumi
Di sol desiderai questo concilio :
E vidi lui tornare a tutti i lumi
Della sua strada novecento trenta
Fiate, mentre che io in terra furai.
La lingua , che io parlai , fu tutta spenta
Innanzi che alla opra inconsumabile
Fosse la gente di Nembrot attenta :
Che nullo alletto mai razionabile
Per lo piacere uman che rinnovella.
Seguendo il cielo , sempre fu durabile.
Opera naturale è che ora favella:
Ma cosi 0 così , natura lascia
Poi fare a voi secondo che vi abbella.
Pria che io scendessi alla infernale ambascia,
El sì appellava in terra il sommo bene,
Onde vien la letizia che mi fascia :
ELI si chiamò poi: e ciò conviene:
Che lo uso dei mortali è come fronda
In ramo, che sen va, ed altra viene.
IVel monte , che si leva più dalla onda.
Fu' io con vita pura e disonesta
Dalla prima ora a quella , eh' è seconda.
Come il sol muta quadra, alla ora sesta.
CANTO XXVIT.
ARGOMENTO.
Gaudio celeste. Eloquente collera di S. Pietro, f'oìo
alla nona sfera, il primo mobile. lìeatricc ripren-
de il secolo , ed annunzia migliori destini.
AI Padre, al figlio, allo spirito santo
Cominciò Gloria tutto il paradiso
Sì , che m' innebbriava il dolce canto.
Ciò, che io vedeva, mi sembrava un riso
Dello universo: per che mia ebbrezza
Entrava per lo udire e per lo viso.
Oh gioja ! oh ineffabile allegre/za !
Oh vita intera di amore e di pace!
Oh sanza brama sicura rirchc/./,a!
Dinanzi alli occhi mici le quattro face
Stavano accese, e quella, che pria venne,
Incominciò a farsi più vivace:
R tal nella sembianza sua divenne,
Qual diverrebbe Giove, s' egli e Marte
Fossero augelli v cambiassrr.->i penne.
La provedcn/a , che quivi comparto
\ i(-e ed ofliiio, nel beato c(U-o
Silenzio piloto a>ea da ogni part;^,
Quando io udii: se io mi trascoloro,
[219]
PARADISO. (XX VII. 20-148)
Non ti niiiravigliar ! che, dicendo io,
Vedrai trascolorar tutti costoro.
Quegli, che usurpa in terra il loco mio,
li loco mio , il loco mio , che vaca
Nella presenza del figlici di dio.
Fatto ha del cimiterio mio cloaca
Del sangue e della puzza, onde il perverso,
Che cadde di qua su là giù si placa.
Di quel color, che per lo sole avverso
Nube dipinge da sera e da mane,
Vid' io allora tutto il del cosperso.
E , come donna onesta che permane
Di sé sicura, e per 1' altrui fallanza,
Pure ascoltando timida si fané.
Così Beatrice trasmutò sembianza:
E tale eclissi credo che in ciel fue
Quando patì la suprema possanza.
Poi procedetter le parole sue
Con voce da so tanto transmutata,
Che la sembianza non si mutò piùe:
Non fu la sposa di Cristo allevata
Del sangue mio , di Lin , di quel dì Cleto,
Per essere ad acquisto di oro usata.
Ma per acquisto di esto viver lieto
E Sisto , e Pio , Calisto , ed Urbano
Sparser lo sangue dopo molto fleto.
Non fu nostra iutenzion che a destra mano
Dei nostri successor parte sedesse,
Parte dall' altra del popol cristiano :
Né che le chiavi, che mi fur concesse,
Divenisser signaculo iu vessillo
Che contra i battezzati combattesse;
Né che io fossi figura di sigillo
Ai privilegi venduti e mendaci.
Onde io sovente arrosso e disfavillo.
In vesta di pastor lupi rapaci
Si veggion di qua su per tutti i paschi.
Oh dilesa di dio , per che pur giaci!
Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
Si apparecchian di bei-e: oh buon principio,
A che vii fine convien che tu caschi!
Ma l' alta previdenza, che con Scipio
Difese a Roma la gloria del mondo,
Soccorra tosto sì come io concipio:
E tu , figliol , che per lo mortai pondo
Ancor giù tornerai, apri la bocca,
E non asconder quel che io non ascondo !
Sì , come di vapor gelati fiocca
In giuso lo aer nostro , quando il corno
Della capra del ciel col sol si tocca,
In su vid' io così lo etera adorno
Farsi , e fioccar di vapor trionfanti,^
Che fatto avean con noi quivi soggiorno.
Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
E seguì fin che il mezzo per lo molto
Li tolse il trapassar del più avanti;
Onde la donna, che mi vide assolto
Dello attendere in su, mi disse: ndima
11 viso, e guarda come tu sci volto!
Dalla ora, che io avea guardato prima.
Io vidi mosso ine per tutto lo arco,
Che fa dal mez/.o al fine il |>rimo clima,
Sì , che io vedea di là da Gade il varco
Folle di IJlisbC , e di qua presso il lito.
Nel qnal si fece Europa didce carco:
E più mi fora discoperto il sito
Di questa ajola ; ma il sul procedca
[220]
Sotto i miei piedi un segno più partito.
La mente innamorata, che donnea
Con la mia donna sempre, di ridure
Ad essa li occhi più che mai ardea.
E se natura o arte fé' pasture
Da pigliare occhi per aver la mente,
In carne umana, o nelle sue pitture.
Tutte adunate parrebber niente
Ver lo piacer diviu, che mi rifulse
Quando mi volsi al suo viso ridente.
E la virtù, che lo sguardo m' indulse,
Del bel nido di Leda mi divelse,
E nel ciel velocissimo m' impulse.
Le parti sue vivissime ed eccelse
Si uniformi son, che io non so dire
Qual Beatrice per loco mi scelse.
Ma ella, che vedeva il mio disire.
Incominciò ridendo tanto lieta.
Che dio parca nel volto suo gioire.
La natura del mondo , che quieta
Il mezzo, e tutto lo altro intorno move,
Quinci comincia come da sua meta.
E questo ciclo non ha altro dove,
Che la mente divina, in che si accende
Lo amor che il volve, e la virtù eh' ei piove.
Luce ed amor di un cerchio lui comprende
Sì, come questo li altri, e quel precinto
Colui , che il cinge , solamente intende.
Non è suo moto per altro distinto :
Ma li altri son misurati da questo,
Sì come diece da mezzo e da quinto.
E , come il tempo tenga in cotal testo
Le sue radici , e nelli altri le fronde,
Omai a te puot' esser manifesto.
Oh cupidigia, che i mortali ailonde
Sì sotto te, che nessuno ha podere
Di trarre li occhi for delle tue onde !
Ben fiorisce, nelli omini 'l volere:
Ma la pioggia continua converte
In hozzacchioni le susine vere.
Fede ed innoceirzia son reperto
Solo nei pargoletti: e poi ciascuna
Pria fugge che le guance sien coperte.
Tale, balbuziendo, ancor digiuna,
Che poi divora con la lingua sciolta
Qualunque cibo per qualunque luna:
E tal balbuziendo ama ed ascolta
La madre sua, che con loquela intera
Disia poi di vedcila sepolta.
Così si fa la pelle bianca nera
Nel primo aspetto della bella figlia
Di quel , che apporta mane e lascia sera.
Tu , per che non ti facci maraviglia.
Sappi che in terra non è chi governi:
Onde si svia la lunana famiglia.
Ma prima che Gennajo tutto si sverni.
Per la ccntesma , eh' è là giù negletta,
Ruggeran sì questi cerchi superni,
Che la fortuna, che tanto si aspetta,
Le poppe volgerà u son le prore
Sì, che la classe correrà diretta:
E vero frutto verrà dopo il fiore.
221]
PARADISO. (XXVIII. 1 — 125)
[222]
CANTO XXVIII.
ARGOMENTO.
Visione delia divina essenza , circondata dai nove
degli angeli distinti in tre gerarchie.
Poscia che contro alla vita presente
Dei miseri mortali aperse il vero
Quella che imparadisa la mia mente,
Come in ispecchio fianmia di doppiero
Vede colui , che se ne altuma retro,
Prima «he 1' abbia in vista od in pensiero,
E gè rivolve per veder, se il vetro
Li dice il vero , e vede eh' el si accorda
Con esso , come nota con suo metro ;
Così la mici memoria si ricorda
Che io feci , riguardando nei belli occhi.
Onde a piji^liarmi fece amor la corda:
E, come io mi rivolsi, e furon tocchi
Li miei da ciò che pare in quel volume.
Quandunque nel suo giro ben si adocchi,
Un punto vidi che raggiava lume
Acuto sì, che il viso, eh' egli affoca,
Chiuder conviensi per Io forte acume.
£ quale stella par quinci più poca.
Parrebbe luna , locata con esso,
Come stella con stella si colloca.
Forse cotanto, quanto pare a presso
Alò cigner la luce che il dipigne.
Quando il vapor , che il porta , più è spesso.
Distante intorno al punto un cerchio d' igne
Si girava sì ratto , ehe avria vinto
Quel moto, che più tosto il mondo cigne:
E questo era da un altro circoncinto,
E quel dal terzo, e il tcr/o poi dal quarto,
Dal quinto il quarto, e poi dal gesto il quinto.
Sopra scn giva il settimo sì sparto
Già di larghezza, che il messo di Juno
Intero a contenerlo sarebbe arto :
Così r ottavo, e il nono: e ciascheduno
Più tardo si movea , secondo eh' era
In nimiero distante più dallo uno :
E quello avoa la fiamma più sincera,
Cui raen distava la favilla jìura.
Credo però che più di lei s' invera.
La donna mia, che mi vedeva in cura
Forte sospeso, disse: da quel punto
Uepende il cielo e tutta la natura.
Mira quel cerchio che più li è congiunto,
E sappi, che il suo movere è si tosto
Per lo affocato amore, ond' egli è punto.
Ed io a lei : se il mondo fosse posto
Con r ordine, che io veggio in quelle rote,
Sazio mi avrebbe ciò che mi ù proposto:
Ma nd mondo sensibile si piu)tc
Veder le cose tanto più divine.
Quanto elle son dal centro più remote.
Onde , so il mio disio dee aver fine
In questo miro ed angelit^o tempio.
Che solo amore e luce ha per confine,
Udir convicmmi ancor, come Io esemplo
E Io esemplare non vanno di un modo ;
Che io per me indarno a ciò contemplo.
Se li tuoi diti min sono a tal nodo
Sufficienti , non è maraviglia,
Tanto per non tentare è fatto sodo.
Così la donna mia ; poi disse : piglia
Quel che io ti dicerò , se vuoi saziarti.
Ed intorno da esso ti assottiglia!
Li cerchi corporali sono ampi ed arti
Secondo il più e il men della virtute.
Che si distende per tutte lor parti.
Maggior bontà vuol far maggior salute:
Maggior salute maggior corpo cape,
S' egli ha le parti ugualmente compiute.
Dunque costui, che tutto quanto rape
Lo alto universo, secondo, risponde
Al cerchio che più ama e che più sape.
Per che se tu alla virtù circondo
La tua misur*, non alla parvenza
Delle sostanze che ti appajon tonde,
T«i vederai mirabii conveuenza
Di maggio a piùe, e di minore a meno.
In ciascun cielo , a sua intelligenza.
Come rimane splendido e sereno
Lo emispero dello aere, quando soffia
Borea da quella guancia ond' è più leno,
Per che si purga, e risolve la roffia,
Che pria turbava, sì che il ciel ne ride
Con le bellezze di ogni sua poroffia;
Così fec' io poi che mi provvide
La donna mia del suo risponder chiaro,
E come stella in cielo il ver si vide,
E, poi che le parole sue ristaro,
JNon altrimenti ferro dirfavilla
Cile bolle, come i cerchi sfavillaro.
Lo incendio lor seguiva ogni scintilla:
Ed erau tante , che il numero loro
Più che il doppiar delli scacchi s' immilla-
lo sentiva osannar di coro in coro
Al punto fìsso , che li tiene aili ubi,
E terrà sempre, nei quai sempre foro:
E quella, che vedeva i pensier dubi
Nella mia mente, disse: i cerchi primi
Ti hanno mostrato serali e cherùbi.
Così veloci segiumo i soni vimi.
Per simigliarsi al punto quanto ponno,
E possnn quanto a veder snn sublimi.
Quelli altri amori, che intorno li vunno,
Si chiaman troni del divino aspetto,
Per che il primo tcrnaro terminouno.
E dei siipcr che tutti hanno diletto.
Quanto la sua veduta si profonda
Nel vero, in che sì queta ogni intelletto.
Quinci si può veder, come si fonda
Lo esser beato nello atto che vede.
Non in quel che ama , c-lie poscia socomla :
E del vedere è misura mercede.
Che grazia i)artoris<e e l)ona voglia;
Così di grado in gratlo si procede.
Lo altro fernaro , che così gernu)glia
In questa primavera sempiterna.
Che notturno ariete non dispoglia,
Perpetualenu;nte osaima sverna
Con tre melòde, che sonano in treo
Ordini di h-ti/.i.i onde s' interna.
Io essa gerarchia son le alle dee.
Prima dominazioni, e poi viitudi:
L' online <«tzo di pndestadi ce.
Poscia nei due penultimi tripudi
Principati ed arcangeli ^i girano :
[223]
PARADISO. (XKVITT. 12«— 130. XXIX. 1—1 Oìr)
[224]
Lo ultimo è tutto di angelici ludi.
Questi ordini di su tutti si ammirano,
E di giù vincon sì , che verso dio
Tutti tirati sono e tutti tirano.
E Dionisio con tanto disio
A contemplar questi ordini si mise,
Che li nomò, e distinse come io.
Ma Gregorio da lui poi si divise:
Onde, sì tosto come li occhi aperse
In questo ciel , di sé mede^mo rise.
E , se tanto secreto ver profTerse
Mortale in terra , non voglio che ammiri
Che chi '1 vide qua su liei discoperse,
Con altro assai del ver di questi giri.
CANTO xxrx.
ARGOMENTO.
Creazione e ribcUione degli angeli. Invettiva contro
a' vani e cattivi predicatori.
Quando amho e due li figli di Latona
Coperti del montone e della libra
Fanno dell' orizzonte insieme zona,
Quanto è dal punto che il zenit i libra,
Iiifin che lo uno e lo altro da quel cinto
Cambiando lo eniisperio si dilibra,
Tanto col volto di riso dipinto
Si tacque Beatrice riguardando
Fiso nel punto che mi aveva vinto :
Poi cominciò : io dico , e non dimando
Quel che tu vuoi udir, per che io I' ho visto
Ove si appunta ogni ubi ed ogni quando.
Non per avere a sé di bene acquisto,
Ch' esser non può , ma per che suo splendore
Potesse risplendendo dir : suhsisto.
In sua eternità di tempo fore, ,
For di ogni altro comprender, come i piacque,
Si aperse in nove amor lo eterno amore.
]\è prima quasi torpente si giacque :
Cbè né prima , né poscia procedette
Lo discorrer di dio sopra queste acque.
Forma e materia congiimte e pnrette
l sciro ad esser che non avea fallo.
Come di arco tricordo tre saette;
E, come in vetro, in aml)ra, od in cristallo
Raggio risplende si , che dal venire
Allo esser tutto non é intervallo,
Cofì 'l triforme efletto dal suo sire
Nello esser suo raggiò insieme tutto
Sanza disten...ion nello esordire.
(Concreato fu onliiie e costrutto
Alle Mistan/ii-, e quelle t'oron cima
"Sci mondo, in clie puro atto fu prodotto.
Pura potenzia tenne la parte ima:
>(;l iiHZZ<i strinse potenzia con atto
Tal vime, < In; giauunai non si divima.
JertHiiuio vi seri-se lungo tratto
Dei secoli delli anj^eli creati,
Anzi che lo altro mondo fosse fatto.
Ma qucBto vero è ecritto in molti lati
Dalli scrittor dello spirito santo:
E tu te ne avvedrai , se bene guati.
Ed anche la ragione il vede alquanto.
Che non concederebbe, che i motori
Sanza sua perfezion fosser cotanto.
Or sai tu dove e quando questi amori
Furon eletti e come ; sì che spenti
Nel tuo disio già sono tre ardori.
Né giugneriesi , numerando , al venti
Sì tosto , come delli angeli parte
Turbò il subietto dei vostri elementi.
L' altra rimase , e cominciò quest' arte,
Che tu discerni, con tanto diletto.
Che mai da circuir non si diparte.
Principio del cader fu il maladctto
Superbir di colui , che tu vedesti
Da tutti i pesi del mondo costretto.
Quelli, che vedi qui, furon modesti
A riconoscer sé della bontate,
Che li avea fatti a tanto intender presti:
Per che le viste lor furo esaltate
Con grazia illuminante e con lor merto
Sì, che hanno piena e ferma volontate.
E non voglio che dubbi , ma sii certo,
Che ricever la grazia è meritóro.
Secondo che lo affetto 1' è aperto.
Ornai dintorno a questo consistoro
Puoi contemplare assai , se le parole ,
Mie son ricolte, senz' altro ajutoro.
Ma per che in terra per le vostre scole
Si legge, che l' angelica natura
E tal, che intende, e si ricorda, e vuole;
Ancor dirò, per che tu veggi pura
La verità , che là giù si confonde,
Equivocando in sì fatta lettura.
Queste sustanzie, poi che fur gioconde
Della faccia di dio , non volser viso
Da essa, da cui nulla si nasconde;
Però non hanno vedere interciso
Da novo obbietto, e però non bisogna
Rimemorar per concetto diviso.
Sì che là giù non dormendo si sogna,
Credendo e non credendo dicer vero:
Ma nello uno è più colpa e più vergogna.
Voi non andate giù per un sentiero,
Filosofando; tanto vi trasporta
Lo amor dell' apparenza, e il suo pensiero-
Ed ancor questo qua su si comporta
Con men disdegno, che quando é posposta
La divina scrittura, o quando è torta.
Non vi si pensa quanto sangue costa
Seminarla nel mondo , e quanto piace
Chi umilmente con essa si accosta.
Per apparer ciascun s' ingegna , e face
Sue invenzioni , e quelle son trascorse
Dai predicanti, e il vangelio si tace.
Un dice, che la luna si ritorse
Nella passion di Cristo, e s' interpose.
Per che il lume del sol giù non si porse
E mente ; che la luce si nascose
Da sé: però all' Ispani e all' Indi,
Come ai Giudei, tale eclissi rispose.
Non ha Firenze tanti Lapi e Hindi,
Quante sì fatte favole per anno
In pergamo si gridan quinci e quindi:
Sì , che le pecorelle , che non sanno,
Tornan dai pasco pasciute di vento,
225]
PARADISO. (XXIX. 108 — 145. XXX. 1^79^
E non le scusa non veder lo danno,
fon disse Cristo al suo primo convento :
Andate e predicate al mondo ciance.
Ma diede lor verace fondamento :
^ quel tanto sonò nelle sue guance
Si , che a pugnar , per accender la fede,
Dello evangelio fero scudi e lance.
|[)ra si va con motti e con iscede
A predicare , e pur che ben si rida.
Gonfia il cappuccio, e più non si richiede.
Uà tale uccel nel becchetto si annida,
Che , se il volgo il vedesse , non torrebbe
La perdonanza, di che si confida.
[Per cui tanta stoltezza in terra crebbe,
j Che sanza prova di alcun testimonio
Ad ogni promission si converrebbe.
i questo ingrassa il porco santo Antonio,
Ed altri assai, che sono ancor più porci.
Pagando di moneta sanza conio.
Ma, per che sem digressi assai, ritorci
Li occhi oramai verso la dritta strada
Sì, che la via col tempo si raccorci !
Questa natura sì oltre s'ingrada
In numero , che mai non fu loquela,
Kè concetto mortai che tanto vada.
E, se tu guardi quel che si rivela
Per Daniel , vedrai che in sue migliaja
Determinato numero si cela.
La prima luce, che tutta la raja,
Per tanti modi in essa si ricepe,
Quanti son li splendori , a che si appaja.
Onde , però che allo atto che concepc
Segue lo afTetto , di amor la dolcezza
Diversamente in essa ferve e tepe.
Vedi lo eccelso omai e la larghezza
Dello eterno valor, poscia che tanti
Speculi fatti si ha , in che si spezza,
Uno manendo in sé come davanti.
CANTO XXX.
JRGOMENTO.
Ascensione aW empireo. Trionfo degli angeli e de
Forse seimila miglia di lontano
Ci ferve la ora sesta, e questo mondo
China già la oinl)ra quasi al letto piano,
Quando il mezzo del cielo a noi profondo
Comincia u farsi tal , che alcuna stella
Perde il parere iiifìno n questo fondo:
E, come vien la chiarissima ancella
Del 81)1 più oltre, così il del si chiude
Di vista in vista infino alla più bella;
Non altrimenti 'I trionfo , che Inde
Sempre dintorno al punto che mi vinse,
Parendo inchiuao da quei eh' cgl' inchiudc,
beati.
[226]
A poco a poco al mio veder si estinse:
Per che tornar con li occhi a Beatrice
Kulla vedere ed amor mi costrinse.
Se quanto infìno a qui di lei si dice
Fosse conchiuso tutto in una loda,
Fora sarebbe a fornir questa vice.
La bellezza, che io vidi, si trasmoda
Non pur di là da noi , ma certo io credo,
Che solo il suo fattor tutta la goda.
Da questo passo vinto mi concedo
Più che giammai da punto di suo tema
Suprato fosse comico o tragedo.
Che , come sole il viso che più trema
Così lo rimembrar del dolce riso
La mente mia da sé medesma scema.
Dal primo giorno che io vidi '1 suo viso
In questa vita, insino a questa vista,
Non è il seguire al mio cantar preciso; j
Ma or convien , che il mio seguir desista'
Più dietro a sua bellezza poetando,
Come allo ultimo suo ciascuno artista.
Cotal, qual io la lascio a maggior bando
Che quel della mia tuba, che deduce
L' ardua sua materia terminando,
Con atto e voce di spedito duce
Ricominciò : noi semo usciti fore
Del maggior corpo al ciel eh' è pura luce:
Luce ìntellettual piena di amore.
Amor di vero ben pien di letizia.
Letizia che trascende ogni dobuore.
Qui vederai la una e 1' altra milizia
Di paradiso, e la una in quelli aspetti
Che tu vedrai alla ultima giustizia.
Come subito lampo, che discetti
Li spiriti visivi sì che priva
Dello atto 1' occhio dei più forti obbietti,
Cosi mi circonfulse luce viva,
E lasciommi fasciato di tal velo
Del suo fulgor, che nulla mi appariva.
Sempre lo amor , che queta questo cielo,
Accoglie in sé con si fatta salute,
Per far disposto a sua fiamma il candelo.
Non fur più tosto dentro a me venute i
Queste parole brievi , che io compresi
Me sormontar di sopra a mia viriate;
E di novella vista ini raccesi
Tale, che nulla luce è tanto mera.
Che li occhi miei non si fosser difesi:
E vidi lume in forma di rivera
Fulvido di fulgóri, intra due rive
Dipinte di mirabil primavera.
Di tal fiumana uscian faville vive,
E da ogni parte si inettean nei fiori,
Quasi rubin che oro circ(»n-;cri\e.
Poi , «;ome inebriate dalli odori,
lliprofondavan su nel miro gnrge,
E, se una cntr.oa, un altra no usria fuori.
Lo alto disio , che ino t'inriaiiiiiia ed urge.
Di aver notizia di ciò clie tu ^ei.
Tanto mi piace più quanto più tnrgc.
Ma ili ipiesl' acqua eon\ien che tu bei
Prima elie tanta sete in te si sazii ;
Cosi ini disse il sol delli ocrhi mici:
Anrlie soggiunse: il fiume, e li topazii,
('II' entrai) ed escoii , e il rider «lell' erbe
Son di lor ^ero ombriferi prefa/.ii:
Non che du su Hien questo coso acerbe,
15
[22T]
PARADISO. (XXX. 80 — 148. XXXL 1—48)
[228]
Ma è il difetto dalla parte tua,
Che non hai viste ancor tanto superbe.
Non è fantin che sì subito rua
Col volto verso il latte, se si svegli
Molto tardato dalla usanza sua,
Come fec' io per far migliori speglj
Ancor delii occhi, chinandomi alla onda
Che si deriva , per che vi simmegli.
E , sì come di lei bevve la gronda 'y^rx) ; y
Delle palpebre mie, così mi parve
Di sua lunghezza divenuta tonda.
Poi, come gente stata sotto larve.
Che pare altro che prima, se si sveste
La sembianza non sua in che disparve,
Così mi si cambiare in maggior feste
Li fiori e le faville sì, che io vidi
Ambe le corti del ciel manifeste.
Oh isplendor di dio , per cu' io vidi
Lo alto trionfo del regno verace,
Dammi virtude a dir come io lo vidi !
Lume è là su che visibile face
Lo creatore a quella creatura.
Che solo in lui vedere ha la sua pace:
E si distende in circular figura
In tanto , che la sua circonferenza
Sarebbe al sol troppo larga cintura.
Fassi di raggio tutta sua parvenza,
Reflesso al sommo del mobile primo,
Che prende quindi vivere e potenza:
E , come clivo in acqua di suo imo
Si specchia quasi per vedersi adorno.
Quanto è nell' erbe e nei fioretti opimo,
Sì eoprastando al lume intorno intorno
Vidi specchiarsi in più di mille soglie.
Quanto da noi là su fatto ha ritorno.
E , se lo inSmo grado in sé raccoglie
Si grande lume , quanta è la larghezza
Di questa rosa nell' estreme foglie?
La vi^ta mia nello ampio e nell' altezza
Xon si smarriva, ma tutto prendeva
11 quanto e il quale di quella allegrezza.
Presso 0 lontano li né pon , né leva :
Che, dove dio senza mezzo governa.
La legge naturai nulla rilieva.
Nel giallo della rosa sempiterna.
Che si dilata, digrada, e ridole
Odor di lode al sul, che sempre verna,
Qual é colui che tace e dicer vuole,
Mi trasse Beatrice , e disse : mira
Quanto è il convento delle bianche stole !
Vedi nostra città quanto ella gira!
Vedi li nostri scannLsì ripieni,
Che poca gente omai ci si disira!
In quel gran seggio, a che tu li orchi tieni.
Per la corona che già vi è su posta,
Prima che tu a queste nozze ceni.
Sederà 1' alma, che fia giù augosta
Dello alto Arrigo, che a dri/.zare Italia
Verrà in prima eh' ella sia disposta.
La cieca cupidigia, che vi ammalia.
Simili fatti vi ha al fantolino.
Chi; inuor di fame e caccia via la balia;
E fia prefetto nel foro divino
Allora tal , che palese e coverto
Non anderà cr»n lui per un cammino.
Ma poco poi Harà da dio solferto
Nei santo ufficio : eh' el e&ià detruso
Là dove Simon mago è per suo merto,
E farà quel di Alagna esser più giuso.
CANTO XXXI.
ARGOMENTO.
Due corti celesti. Beatrice sul suo trono manda an
Bernardo al poeta. Gloria della reina del cielo.
In forma dunque di candida rosa
Mi si mostrava la milizia santa,
Che nel suo sangue Cristo fece sposa.
Ma r altra, che volando vede e canta
La gloria di colui che la innamora,
E la bontà che la fece cotanta.
Sì u>me schiera di api che s' infiora,
Una fiata, ed altra si ritorna
Là, dove il suo lavoro s'insapora.
Nel gran fior discendeva, che si adorna
Di tante foglie, e quindi risaliva
Là , dove il suo amor sempre soggiorna.
Le facce tutte avean di fiamma viva,
E le ali di oro , e lo altro tanto bianco,
Che nulla neve a quel termine arriva.
Quando scendean nel fior di banco in banco,
Porgevan della pace e dello ardore,
Ch' elli acquistavan ventilando il fianco.
Né lo interporsi tra il disopra e il fiore
Di tanta plenitudine volante
Impediva la vista e lo splendore;
Che la luce divina è penetrante
Per lo universo , secondo eh' è degno,
Si che nulla le puote essere ostante.
Questo sicuro e gaudioso regno.
Frequente in gente antica ed in novella,
Viso ed amore avea tutto ad un seguo.
Oh trina Iure , che in unica stella
Scintillando a lor vista sì li appaga.
Guarda qua giuso alla nostra procella]
Se i Barbari venendo da tal plaga.
Che ciascun giorno di Elice si copra.
Rotante col suo figlio nnd' ella è vaga,
V'eggendo Roma e 1' ardua sua opra
Stiipefaceansi, quando Laterano
Alle cose mortali andò di sopra;
Io, eh' era al divino dallo umano.
Ed allo eterno dal tempo venuto,
E di Fiorenza in popol giusto e sano,
Di <!he stupor dovca esser compiuto !
C(;rto tra es>o e il gaudio mi facea
Libito non udire , e starmi muto.
E, quasi peregrio che si ricrea
Nel tempio del suo voto riguardando,
E spera già ridir com' egli stea,
Si per la viva luce passeggiando
Menava io li occhi per li gradi,
Mu su, mo giù, e mu ricircolando.
229]
PARADISO. (XXXJ. 49-142. XXXII. 1—23)
[230]
S redea Tisi a carità guadi
Di altrui lume fregiati e del suo riso,
£ di atti ornati di tutte onestadi.
La forma general di paradiso
Già tutta lo mio sguardo avea compresa,
lu nulla parte ancor fermato fiso:
E volgeami con voglia riaccesa
Per dimandar la mia donna di cose,
Di che la mente mia era sospesa.
Uno intendeva, ed altro mi rispose:
Credea veder Beatrice, e vidi un sene
A'estito con le genti gloriose.
Diffuso era per li occhi e per le gene
Di henigna letizia in atto pio,
Quale a tenero padre si conviene.
E,d, ella ov'è ? di subito diss' io.
Ond' egli: a terminar lo tuo disiro
Mosse Beatrice me del loco mio :
E , se riguardi su nel terzo giro
Dal sommo grado, tu la rivedrai
Kel trono , che i suoi merti le sortirò.
Senza risponder li occhi su levai,
E vidi lei che si fiicea corona,
Riflettendo da sé li eterni rai.
Da quella region , che più su tuona.
Occhio mortale alcun tanto non dista.
Qualunque in mare più giù si abhaudona,
Quanto lì da Beatrice la mia vista :
Ma nulla mi facea ; cliè sua effige
Non discendeva a me per mezzo mista.
Oh donna, in cui la mia speranza vige,
£ che sufi'risti per la mia salute
In inferno lasciar le tue vestige.
Di tante cose, quante io ho vedute,
Dal tuo podere e dalla tua hontate
Riconosco la grazia e la virtute.
Tu mi hai di servo tratto a liliertate
Per tutte quelle vie, per tutt' i modi,
Che di ciò fare avei la potestate.
La tua munificenza in me custodi.
Sì che I anima mia, che fatta hai sana,
Piacente a te dal corpo si disnodi!
Cosi orai, e quella sì lontana,
Come parea, sorrise e riguardommì.
Fui si tornò alla eterna fontana.
E il santo sene: acciò che tu assommi
Perfettamente, disse, il tuo cammino,
A che prego ed amor snnto matidoinmi,
Vola con li ocelli per questo giardino!
Che veder lui ti acconcierà lo sguardo
Più a montar per lo raggio divino.
E la regina del ciel , onde io ardo
Tutto di amore, ne farà ogni grazia.
Però che io sono il suo fedel Bernardo.
Quale è colui, che forse di Croazia
\iene a veder la Veronita nostra.
Che per l'anticii fama non »i sazia.
Ma dice nel pe^^icr, fin clic si mostra,
Signor mio (ìisù Cristc» re verace,
Or fu sì fatta la sembianza vostra?
Tale era io mirando la vivace
Carila di colui, che in questo mondo
Cont('ni|il,mdo gi^tò di quella pace.
i'iglioi di grazia, questo e.-<>tr giocondo,
(/ominriò l'gli, non ti sarà noto
Tenendo li pur occhi qua gìuso al fondo:
Mu guarda i cerchi lino al più rimuto,
Tanto che veggi seder la regina.
Cui questo regno è suddito e divoto!
Io levai li occhi ; e , come da mattina
La parte orientai dell' orizzonte
Soverchia quella dove il sol declina.
Così , quasi di valle andando a monte
Con li occhi vidi parte nello estremo
Vincer di lume tutta l'altra fronte.
E, come quivi, ove si aspetta il temo.
Che mal guidò Fetonte, più s'infiamma,
E quinci e quindi il lume si fa scemo,
Così quella pacifica Orifiamma
]\el mezzo si avvivava, e da ogni parte
Per egual modo allentava la fiamma.
Ed a quel mezzo con le penne sparte
Vid' io più di mille angeli festanti,
Ciascun distinto e di fulgóre e di arte,
Vidi quivi ai lor giochi ed ai lor canti
Ridere una bellezza, che letizia
Era nelli occhi a tutti li altri santi.
E , se io avessi in dir tanta divizia,
Quanta in immaginar, non ardirei
Lo minimo tentar di sua delizia.
Bernardo, come vide li occhi miei
Nel caldo suo caler fissi ed attenti,
Li suoi con tanto affetto volse a lei,
Che i miei di rimirar fé' più ardenti.
CANTO XXXII.
ARGOMENTO.
San Bernardo dimostra al poeta V anime beate del
vecchio e del nuovo testamento, v jsli cliiuriicc un
dubbio intorno a' bambini.
Affetto al suo piacer qtiel contemplante
Libero ufficio di dottore assunse,
E cominciò queste parole sante:
La piaga che Maria richiuse ed unse,
.Quella che tanto è bella d.ii suoi piedi.
£ colei che l' aper.-e e che la pun»e.
Neil' ordine, che fanno i terzi sedi,
Siede Rachel di sotto da costei
Con Beatrice, sì come tu vedi.
|Sara, Rebecca, Judit, e colei,
I Che fu bisava al cantor che per doglia
Del fallo disse Miscnrc mei.
Puoi tu veder cosi di soglia in soglia
1 Giù digradar, couie io «he a proprio nome
I Vo per la rosa giù di foglia in foglia,
E dal settimo grado in giù, m come
Insino ad es>o. suicedono Ebree,
Diiiuund<t dil lior tutte le chiome:
Per che. secondo lo sguardo che fec
La fede in ('ri-to, qucte sono il muro
A chi! si p.irton le s.icre scalee.
Da «picsta partf, onde il fiore è mnturo
Di tutte le sue foglie, sono assisi
15 *
[231]
PARADISO. (XXXII. 24 — 151)
[232]
Quei, che credettero in Cristo venturo.
Dall' altra parte , orde sono intercisi
Di voto i semicircoli, si stanno
Quei, che a Cristo venuto ebber li visi.
E , come quinci il glorioso scanno
Della donna del citlo, e li altri scanni
Di sotto lui cotanta cerna fanno,
Cosi di contra, quel del gran Giovanni,
Che sempre santo il diserto e il niartiro
Sofferse, e poi lo inferno da due anni:
E sotto lui co>ì cerner sortirò
Francesco , Benedetto , e Augustino, '
E li altri sin qua giù di giro in giro.
Or mira lo alto provveder divino :
Che lo uno e lo altro aspetto della fede
Egualmente empierà questo giardino.
E sappi che dal grado in giù, che fiede
A mezzo il tratto le due discrezioni,
Per nullo proprio merito si siede,
Ma per lo altrui con certe condizioni:
Che tutti questi sono spiriti assolti
Prima che avesser vere elezioni.
Ben te ne puoi accorger per li volti,
Ed anche per le voci puerili.
Se tu li guardi bene, e se li ascolti.
Or dubbi tu, e dubitando sili :
Ma io ti solverò forte legame,
In che ti stringon li pensier sottili.
Dentro all' ampiezza di questo reame
Casual punto non puote aver sito.
Se non come tristizia, o sete, o fame:
Che per eterna legge è stabilito
Quantunque vedi, si che giustamente
Ci si risponde dallo anello al dito.
E però questa festinata gente
A vera vita non è sinc causa
Intra sé qui più e meno eccellente.
Lo rege, per cui questo regno pausa
In tanto amore ed in tanto diletto,
Che nulla voiontade è di più ausa,
Le menti tutte nel suo lieto aspetto
Creando, a suo piacer di grazia dota
Diversamente : e qui basti Io effetto.
E ciò espresso e chiaro vi si nota
INella scrittura santa in quei gemelli,
Che nella madre ebber la ira comniota.
Però, secondo il color dei capelli
Di cotal grazia , lo altissimo lume
Degnamente convien che s'incappelli.
Dunque sanza mercè di lor costume
Locati son per gradi differenti,
Sol differendo nel primiero acume.
Bastava lì nei secoli recenti
Con la innocenza, per aver salute,
Solamente la fede dei parenti.
Poi che le prime etadi fur compiute,
Convenne ai maschi alle innocenti penne
Per circoncidere, acquistar virtute.
Ma, poi clic il tempo della grazia venne,
Senza battesmo perfetto di Cristo
Tale innocenza là giù si ritenne.
Riguarda ornai nella faccia, che a Cristo
Più si assomiglia; che la sua chiarezza
Sola ti può disporre a veder Cristo.
Io vidi sopra lei tanta allegrezza
Piover, portata nelle menti sante
Create u trasvolar per quell' altezza.
Che, quantunque io avea visto davante.
Di tanta ammirazion non mi sospese,
Né mi mostrò di dio tanto sembiante.
E quello amor, clic primo lì discese,
Ciuitando Ave Maria gratta piena;
Dinanzi a lei le sue ali distese.
Rispose alla divina cantilena
Da tutte parti la beata corte
Sì, che ogni vista sen fé' più serena.
Oh santo padre, che per me comporte
Lo esser qua giù, lasciando il dolce loco,
Nel qual tu siedi per eterna sorte,
Qual è quelle angel, che con tanto gioco
Guarda nelli occhi la nostra regina,
Innamorato sì, che par di foco?
Così ricorsi ancora alla dottrina
Di colui, che abbelliva di Maria,
Come del sol la stella mattutina.
Ed egli a me: baldezza e leggiadria.
Quanta esser puote in angelo ed in alma,
Tutta è in lui, e sì volcm che sia:
Per eh' egli è quello, che portò la palma
Giuso a Maria , quando il fìgliol di dio
Carcar si volle della nostra salma.
Ma vieni omai con li occhi, sì come io
Andrò parlando, e nota i gran patrie!
Di questo imperio giustissimo e pio!
Quei due, che seggon là su più felici.
Per esser propinquissìmi ad Augusta,
Son di està rosa quasi due radici.
Colui , che da sinistra le si aggiusta,
E il padre per lo cui ardito gusto
La umana specie tanto amaro gusta.
Dal destro vedi quel padre vetusto
Di santa chiesa, a cui Cristo le chiavi
Raccomandò di questo fior venusto.
E quei , che ■\ide tutt' i tempi gravi
Pria che morisse, della bella sposa,
Che si acquistò con la lancia e coi davi,
Siede lunghesso: e lungo lo altro posa
Quel duca, sotto cui visse di manna
La gente ingrata mobile e ritrosa.
Di contro a Pietro vedi sedere Anna
Tanto contenta di mirar sua figlia.
Che non move occhio per cantare 0sanna5
E contro al maggior padre di famiglia
Siede Lucia, che mosse la tua donna,
Quando chinavi a ruinar le ciglia.
Ma, per che il tempo fugge che ti assonna,
Qui l'arem punto, come buon sartore
Che, com' egli ha del panno, fa la gonna:
E drizzeremo li occhi al primo amore.
Sì che, guardando verso lui, penetri
Quanto é possibil per lo suo fulgore.
Veramente, né forse, tu ti arretri
Movendo le ali tue, credendo oltrarti:
Orando grazia convien che s'impetri,
Grazia da quella che puote ajutarti:
E tu mi segui con l'affezione,
Sì che dal dicer mio lo cor non parti !
E cominciò quelita santa orazione.
233]
PARADISO. (XXXIII. 1 — 122)
CANTO XXXIII.
ARGOMENTO.
Lodi e preghiere alla Vergine. D. contempla svelata-
mente dio. Giunto al termine di sue brame, ter-
mina il poema.
Vergine madre, fifjlla del tuo figlio,
Liuile ed alta piìi che creatura.
Termine fisso di eterno consiglio,
Tu sei colei che la umana natura
Nobilitasti si , che il suo fattore
jNon disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese lo amore,
Per lo cui caldo nella eterna pace
Così è germinato questo fiore.
Qui sei a noi meridiana face
Di caritade, e giuso intra mortali
Sei di speranza fontana vivace.
Donna, sei tanto grande , e tanto vali,
Che qual vuol grazia, e a te non ricorre,
Sua disianza vuol volar senz' ali.
La tua benignità non pur soccorre
A chi dimanda, ma molte fiate
Liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pìetate,
In te magnificenza , in te si aduna
Quantunque in creatura è di bontate.
Or questi , che dalla infima lacuna
Dello universo in sin qui ha vedute
Le vite spiritali ad una ad una.
Supplica a te per grazia di virtute,
Tanto che possa con li occhi levarsi
l'iù alto verso la ultima salute.
Ed io , che mai per mio veder non arsi
Più che io fo per lo suo, tutt' i miei preghi
Ti porgo, e prego che non sieno scarsi,
Per che tu ogni nube li disleghi
Di sua mortalità con preghi tuoi,
Si che il sommo piacer li si dispieghi.
Ancor ti prego , regina , che puoi
Ciò che tu vuoli, che cttnservi sani,
Dopo tanto veder, li allctti suoi.
Vinca tua guardia i movimenti umani!
Vedi Beatrice con quanti beati
Per li miei preghi ti chiudon le mani.
Li occhi da dio diletti e venerati
Fissi neir oratnr ne «liuinstraro.
Quanto i devoti preghi le son grati.
Indi allo eterno hiuie si dri/.zaro,
Nel qual non si dee «reder che s'invii
Per creatura Tocchio tanto chiaro.
Ed io, che al fine di tutti ì di.->ii
Mi appropìinpiava sì come io dovca,
Lo ardor del ilcsidcrio in nx; finii.
Bernardo mi accennava, e surridea,
Per clic io guiirdassi in huso : ma io era
(ìià per me stesso tal (|ual ei volca:
Che la mia vista, venenilo >iiic<-i'ii,
E più «• più entrava per lo raggio
Dell' alla liu'.e die d.i >è è vera.
Da quinci iiuianzi il mio veder fu maggio
[234]
Che il parlar nostro, che a tal vista cede
E cede la memoria a tanto oltraggio.
Quale è colui che sonniando vede,
E dopo il sogno la passione impressa
Rimane, e lo altro alla mente non riede,
Cotal sono io; che quasi tutta cessa
Mia visione, ed ancor mi distilla
Kel core il dolce che nacque da essa.
Cosi la neve al sol si disigilla:
Cosi al vento nelle foglie levi
Si perdea la sentenza di Sibilla.
Oh somma luce, che tanto ti levi
Dai concetti mortali, alla mia mente
Ripresta un poco di quel che parevi,
E fa la lingua mia tanto possente.
Che una favilla sol della tua gloria
Possa lasciare alla futura gente!
Che per tornare alquanto a mia memoria,
E per sonare un poco in questi versi,
Più si conceperà di tua vittoria.
Io credo, per lo acume che io soffersi
Del vivo raggio, che io sarei smarrito,
Se li occhi miei da lui fossero aversi.
E mi ricorda, che io fui più ardito
Per questo a sostener tanto che io giimsi
Lo aspetto mio col valore infinito.
Oh abbondante grazia, onde io presunsi
Ficcar lo viso per la luce eterna
Tanto, che la veduta vi cnnsunsi!
Nel suo profondo vidi che s'interna
Legato con amore in un volume
Ciò, che per lo universo si squaterna;
Sustanza, ed accidenze, e Inr costume,
Quasi condati insieme per tal modo.
Che ciò che io dico è un semplice lume.
La forma universal di questo nodo
Credo che io vidi, per che più di largo,
Dicendo questo, mi sento che io godo.
Un punto solo mi è maggior letargo,
Che venticinque secoli alla impresa
Che fé' Nettuno ammirar la ombra di Argo.
Cosi la mente mia tutta sospesa
Mirava fissa, immollile, ed attenta,
E sempre di mirar faceasi accesa.
A quella luce cotal si diventa,
,Che volgersi da lei per altro aspetto
E impossibil che mai si consenta:
Però che il ben , eh' è del vedere obbìetto,
l'utto si accoglie in lei ; e for di quella
E difettivo ciò eh' è li perfetto.
Ornai sarà più corta mia favella,
Pure a quel che io ricordo, che di un fante
(^he bagni ancor la lingua alla iiiauinirlla:
Non per che più che un semplice ^elnl>iante
Fosse nel vi^o hiiiie che io mirava.
Che tal è sempre qual »i era davaiite;
"Ma jxT la vi.^ta, che ^i u\>al(ira\a
In me •^^uardainlo una sola parvenza,
Mutandiiin' io, a me si tra>aglia>a.
Nella profonda o chiara sus>i...t(ii7.a
Dello alto lume |iar\eriui tre giri
Di tre colori e di una < (iiitinen/a:
E lo un dallo altro, come Iri da iri,
l'area riflesso: e il terzo parca foco
(he quinci e quindi egiialiiieute si spiri.
Oh quanto è corto il dire, e come fioco
Al mio concetto! o questo a quel che io vidi
[235]
PARADISO. (XXXIII. 123—145)
E tanto, che non basta a dicer poco.
Oh hice eterna, che sola in te sidi.
Sola t' intendi, e da te intelletta.
Ed intendente te ami ed arridi !
Quella circulazion, che si concetta
PareTa in te, come lume riflesso
Dalli occhi miei alquanto circonspetta,
Dentro da sé del suo colore istcsso
Mi parve pinta della nostra effige :
Per che il mio tìso in lei tutto era messo.
Qual è il geometra che tutto si affige
Per misurarlo cerchio, e non ritrova.
Pensando, quel principio ond' egli indige,
lale era io a quella vista nova:
Veder voleva , come ei convenne
La imago al cerchio, e come vi s' ìndAva:
3Ia non eran da ciò le proprie penne;
Se non che la mia mente fu percossa
Da mi fulgóre, in che sua voglia venne.
Ali alta fantasia qui mancò possa:
Ma già volgeva il mio disiro e il velie.
Sì come rota eh' egualmente è mossa.
Lo amor che move il gole e le altre stelle.
PETRARCA.
SAGGIO SOPRA IL PETRARCA.
Francesco Petrarca nacque in Arezzo ai 20 lu-
lio del 1304 tla Ser Petracco , notajo fìorenlino,
da Eletta Canigiani , esiliati da Firenze nel
|302, per esser della fazione de' Biancbi. Dojoo
ette mesi incirca con sommo pericolo di vita fu
Urtato air Incisa, podere di Petracco nella
ralle d'Arno. In età di sette anni si trasferì a
Hsa: instruitovi ne' primi rudimenti da Bar-
laamo, monaco basiliano, dopo sette mesi passò
In Avignone, e quindi a Carpentrasso , ove im-
)arò la grammatica, rettorica, e dialettica, e,
jer riuscire leggista, andò , giunto a ' quindici
inni, a Monpellieri, quindi, dopo quattro anni,
Bologna, dove trovò fra gli altii professori
ICino da Pistoja. Do})0 la morte di suo padre
lel 1326, tornando in Avignone, per ordinare
le cose sue, i-inunziò allo studio odiato delle
leggi, dandosi alle lettere, e principalmente alla
volgar poesia, con che acquistossi in poco tempo
l'amicizia di Giacomo Colonna, vescovo lombe-
riense, e del suo fratello Giovanni Cardinale.
Ai di 6 d^aprile nel 1327, assistendo nella chie-
sa delle religiose di S. Clara ai divini uffìzj, in-
namorossi di madomia Laura, figlia di Odiberto
di Noves, cavaliere, e di Ermessende, e mari-
tata nel diciottesimo anno ad Ugo de Sade, la
quale da quel tempo innanzi per anni trenta
uno divenne l'oggetto perpetuo delle sue rime.
Per }nczzo di Giacomo Colonna conobbe nel
1330 due giovani : Luigi, }iato alle rive del Reno,
dotto da lui Socrate, e Lelio, nato alle rive del
Tevere, coi quali contrasse amicizia strettissima,
Stefano il vecchio, padre del cardinale, detto
da lui fenice rinata dalle ceneri di lloma anti-
ca ; e Giov. di S. Vito, il di lui fratello, pro-
scritto da Bonifazio Vili.
Il suo amore invan combattuto lo spinse a
viaggiare. Visilata perciò nel 1331 la Francia,
la Fiandra, e parte della Germania, tornò però
già verso l'autunno dell' istcsso amio in Avigno-
ne. Ivi nel 1339 da Simone Memmi pittore,
allievo di Giotto, fece ritrarre il suo bene, e di-
venne amico di Sennureio del Beno. Dopo setto
anni imbarcossi in Marsiglia per Italia, e, tro-
vato l'agro romano in preda allo gnenc intesti-
ne de' baroni roiìiaiii, si rifugiò in Capianica,
presso Orso, conte dell' Anguillara, donde le-
vollo Giacomo con Stefano suo fiatello, condu-
ccndolo con una scorta di cento cavalli a Roma.
Quindi imbarcatosi corse le coste della Spagna,
vide il fianco occidentale de' Pirenei, e i lidi
britanni, e meritò d'aver posto fra i primi e
più dotti \àaggiatori d'Europa.
Tornato in Avignone, stanco, per quanto
J5are, dello sterile amore platonico , ebbe da
ima donna, di cui s'ignora perfino il nome, nel
1337 un figlio, Giovanni, clie perde poscia nel-
la 2)este sopravvenuta in ^Milano nel 1361; e
nel 1343 una figlia chiamata Francesca, mari-
tata a Franceschino da Brossano. Fiifugiossi in
Valchiusa, solitaria valle amenissima, quindici
miglia da Avignone, dove per più anni dimo-
rò, non lasciando però d'andare spesso a veder
la sua Laura, e studiando indefessamente gli
autori antichi. In questo tempo, nel 1339, prin-
cij)iò a scrivere ancora la sua affrica, poema
in lingua latina, donde sperava gloi-ia immor-
tale, e che finì poscia, riacceso dalla natura ri-
dente in un luogo chiamato Selva piana, vicino
a Pai'ma. In fatti la fama del suo poema volava
per tutto, sicché in un giorno ebbe lettere dal
senatore di Roma, e da Roberto Bardi, cancel-
liere dell' università di Parigi, che l'invitarono
a recarsi nelle due città, per prender la corona
poetica d'alloro. Ebbro di questo onore, e
stando perplesso, a qual partito dovesse appi-
gliarsi, scrisse, paragonandosi al JN'umida Siface,
al cardinale, da cui vcimc esortato a preferire
quella, clic dalla patria gliveiùva ollerta. An-
dò dunque a Roma, passando prima per Na-
poli, a fine di aver il giudizio del re Roberto,
filosofo e mecenate dei dotti, il quale, giudica-
tolo degno della corona e jn'cgatolo di restare,
ma non avendo potuto riuscirvi, lo fece ono-
revolmente accompagnare a Roma , ove gli 8
d'aprile del 1341 Orso dell' Anguillara, sena-
tore, alla ])resenza del jiojiolo e del sonalo, lo
cinse della corona, donde fece dono allinnua-
gine di S. Pieiro nel Valicano.
Da indi in qua divcinic l'uomo del suo se-
colo, ne vi fu principe, o signore, che non
s'a livellasse a colmarlo di diplomi e di titoli,
die noi volesse aver presso di so, o non lo im-
[liogassc in ambascerie e noi maneggi j>iii dilll-
lili di sialo. (^osì nel 1342 '^^''■'d rimoslranze,
inutili bensì, a Clemente VI, in nome de' Ro-
mani, i quali, morto Benedetto XII, vollero
supplicar Clemente di ricondurre ìa cattedra
IV
SAGGIO SOPRA IL PETRARCA.
pontificia in Roma. Da Clemente e dal cardi-
nal Colonna fu spedito nel 1343 alla corte di
Napoli, dove vide Tassassinio dell' infelice re
Andrea. Da Napoli recossi in Parma 5 ma, es-
sendo nata nell'anno seguente la guerra fra Azzo
e Lucchino Visconti, e vedendo Parma cinta
d'armati, sene scappò in Bologna, quindi, in-
vitato dal sovrano della Scala, a Verona. Ot-
tenne varie lucrose dignità, ma tutte chericali.
Egli però non volle mai conseguire l'ordine sa-
cerdotale, anzi ricusò V offerta di un vesco-
vado.
Intanto nel 1347 un cancelliere in Campi-
doglio, Niccolò di Lorenzo, comunemente cliia-
mato Cola di Rienzo, cacciato il senato, volendo
l'istabilire gli ordini antichi, fé cesi capo della
romana repubblica sotto nome di tribuno. Il
Petrarca, entusiastico ammiratore della gloria
romana antica, spenta oramai nelle domestiche
discordie continue, messe a guadagno da po-
poli forestieri, sperando di veder risorgere la
patria amata, applaudi da bella prima all' im-
prese giuste di quell'uomo onorato da tutti.
Ma vedendolo poscia infeiiore alla propria idea
conceputa, e vaso poco capace di tal disegno
grandioso, considerando l'inutile immolazione
di tre Colonnesi, posposti anzi alla salute della
patria e tardi pure da lui compianti, udendo al-
fine, che il suo eroe era fuggito da Roma come
un codardo e un ti-aditore, disperò di Roma fatta
in brani , d' Italia devastata , e disse di non
aver che dare altro, che lagrime.
Dolente di così sinistro esito si rivolse in
Italia, dove da' signori di Verona, di Mantova,
di Ferrara, di Capra e di Padova gloriosamente
accolto, ebbe pur la disgrazia di perdere nella
gran peste del 1348 Franceschino degli Albizzi,
Oio. Bardi, il cardinale Colonna, il fedelissimo
suo Sennuccio, e finalmente la sua Laura. In
quel suo tanto dolore, come naufrago appiccan-
dosi all' ultima asse, persuaso, che la salvezza
dell' Italia non si possa originare sennon dall'im-
peratore, o dal pontefice, una volta ancora nel
1350si volse all' imperatore Carlo IV di Lussem-
burgo, invocandolo a sanare le piaghe letali. Si
condusse poscia in Firenze, ove acquistò l'ami-
cizia di Giovanni Boccaccio, di Francesco Nelli,
e di Zanobl Slrala; quindi in Arezzo, Roma,
Padova, e si toinò in Avignone, dove vedendosi
riuscire invano ogni fatica di voler indurre pa|)a
Clemente a porgcic alcun riparo a Roma adìil-
ta, dopo aver riuniti iu uno i discordi voleri
dei due più possenti personaggi di Napoli, il
siniscalco Acciaioli e Giovanni Barrili, si rico-
vera nel suo transalpino parnaso, Valchiusa,
onde si diparte per Pultima volta, riconducen-
dosi in Milano, dove Giovanni Visconti, ax'ci-
vescovo e sovrano, lo riceve affezionatamente
e lo elegge a suo consigliere nel governo di
quella provincia. Poco dopo mori l'arcives-
covo, lasciando eredi i tre nipoti Matteo, Ber-
nabò e Galeazzo. Dopo vai'ie e difficili mission:
in Germania, Francia e in altre tex^re, dopo avei
persuaso papa Urbano V, successor d' Innocen-
zo VI sempliciotto^ a trasferire la santa sede in
Viterbo, dopo le nobilissime fatiche di promuo-
vere lo studio della classicità, scelse nel 1370
Arquato, ameno e dilettevole luogo in uno dei
colli euganei, dove fra quei poggi rivestiti di
ulivi e di viti, fabbricatosi una casetta di gio-,
conda vista e dilettevole, ricoverò colla sua dol-
ce famigliuola. Ma assalito da violentissim
febbri letargiche, nò cangiando il tenore dell
sua vita troppo frugale per la sua vecchiezza,!
astretto in oltre ad abbandonare quell' asil
nella guerra accesa fra il Carrarese ed i Vene
ziani, tornatovi alfine, poco dopo spirò nella'
notte del 18 di luglio del 1374, l'antivigilia]
del settantesimo anniversario della sua nascita,
dove fu trovato morto nella sua biblioteca col
capo reclinato sopra un libro aperto. Fu il suo
corpo riposto in Arquato avanti la porta della
chiesa in un' arca di marmo rosso sostenuta da
quattro colonnette, fatta ergere da Franceschino
da Brossano, suo genero ed ex-ede.
Fu il Pelx-arca di statura piuttosto gi'ande,
bello ed avveixente di persona, di colore txa il
bianco e il bruno , e di vista vivace e acuta, do-
tato d'una destrezza mix'abile, e d'una comples-
sione sana. Da giovane dilettossi degli abiti
puliti, e molto coltivò la chioma, benché
segli incanutisse px-ima de' venticinque aimi,
donde si consolò cogli esempj di Cesare e Vix-gi-
lio, grigi in gioventù. Fu ix^acondo alquanto,
ma benevolo ed amorevole in uno , stimolato
dalla carne. Amò la patx'ia, odiò gli Fx'ancesi,
da lui chiamati pazzi snervati, ed i Tedeschi,
schiavi brutali. L'invidia massimamente vei'so
Dante, nata dalla sua vanità, rimase iu lui dor-
migliosa; dirado pei'ò egli proferì quel jiome, ed
affettò di non leggex-e mai le opere di Dante, o
s'egli non poteva scmpx'e scansax'si dal pai'lax'e
del suo predecessoi'e, ne parlò per rilevarne
)iultosto i difetti, che l'eccellenze. La morte
di Laura e di molti amici della gioventù, spe-
cialmente quella di tutti i Colonna, la veigo-
gnosa disfatta di Cola di Rienzo, le civili guei'X'e
d'Italia, il colmo della consumata corruzione
nella chiesa, la barbara ed arrogante ignoran-
za de' Icltex'ati del suo secolo, la peste, clie de-
SAGGIO SOPRA IL PETRARCA.
.olò il mezzodì d'Europa, e l'invasione di Na-
poli per gli [Jnglieri, tutto contribuì a renderlo
nalinconico , bramoso di guadagnare il cielo,
uesto robusto sentimento di religione tenne
utte le passioni di lui in lotta costante, e, ac-
uistando intensità dall' azione, valse unicamen-
e ad irritarlo e a turbare le facoltà dell' animo
uo, che furono anzi veementi, che vigorose.
In somma dunque tre furono le tendenze
[jpriniarie della vita del Petrarca : l'amor patrio
Inodrito dall'orgoglioso entusiasmo per la gloria
iantica dell' Italia in confronto con lo scadimen-
'to di essa per mezzo d'ignoi'anza, di lussuria, di
discordie, e di snervatezza comune dell' età
sua — fattezza di tutti gì' Italiani nobili mo-
derni sino al di d'oggi, di cui già detto è stato
j abbastanza! — l'amor e lo studio delle lette-
re , e della poesia j e finalmente l'amor platoni-
co ovvero ideale.
In quanto alla poesia del Petrarca, e' risulta
da quanto è stato detto e nelP introduzione al
al parnaso e nel coinento, ch'egli, qual lirico, ben-
jlcbè squisitissimo in quella età del rinascimento
delle lettere, varca pure una sfera di sogettività
assai angusta, monotona ed uniforme, distinta
non di rado di antitesi, di giuocolini, bisticci
e concetti contorti, alTettati, operosi, (di modo
che dirsi potrebbe ''chi può dir, com' egli arde,
è 'n picciol fuoco") in liiigua elegante, armoniosa,
nitida e tersa bensì, ma sconvolta eziandio tal-
ora, scompigliata, abbagliante, e poco chiara.
Or siccome ogni poeta, mentre traspianta nel
mondo il suo concetto , ha da pruovar Tin-
fluenza inevitabile del tempo, il quale, poco più
egli mai nel disegno, o nella pianta ! Somiglia
invero ad un teatro di fantocci dove, dopoché
un fantoccio sopravvenuto ha ingojato l'altro,
Tultimo si sprofonda nella rovina del teatro in-
tero, e non lascia allo spettatore sennon un vuoto
immenso. Ciò nonostante non nieghiamo, che
in taluni poemi spira veramente T anima di
poeta, laddove nella più parte di essi si scorge
soltanto un intendimento laborioso, ch'assotti-
glia, sofìstica e sforza le nozioni, alle quali poi
la fantasia presta il vestimento e il corredo. In-
tanto se o Natura o Tempo men favorevoli in-
vidiarono ad esso talora la forza oi'iginale, fres-
ca e prò creatrice dell' anima, tornar pur fecero
quel suo studio indefesso e la perpetua contem-
plazione mentale dei poeti provenzali e degli
autori classici antichi al prò ed alla coltura della
lingua volgar illustre, cui lo stile e'foggiò e per-
fezionò miracolosamente e da rettorico eccel-
lente. Merito tanto maggiore, quanto piìi roz-
zo, barbaro ed arrogante era il di lui secolo !
Ma non minore pur fu quel suo merito della
letteratura degli antichi, li quali egli stesso, al
parer nostro, forse in danno delP originalità
propria, imitò pur troppo. Questi già sin dall'
età verde e'ii ricercava senza posa ne' nascon-
digli delle biblioteche monastiche, e così non
perdonando a danaro, quando era povero, ne a
fatica, quando era già vecchio ed informo, mer-
cè la sua diligenza eie ricerche degli amici, ac-
cumulò biblioteca sceltissima, non solamente
di autori latini, ma di grechi ancora, allo stu-
dio de' quali s'accostò dietro la scorta del mo-
naco calabrese Barlaamo, tuttoché vi fosse in-
poco meno, appassa la freschezza ed offusca lo terrotto di modo, ch'appena leggesse greco. Ai-
splendore delP interno intuito vivo, forza è, le sue ricerche premurosissime intanto dovette
che ancora di questi difetti del Petrarca s'in-i l'Italia le opere d'Omero, d'Esiodo, d'Euripide,
colpi il tempo, a cui scontò il tributo; mentre- | e di Sofocle. Donò poscia nel 1362 la sua bi-
che le forme artifiziose de' poeti siciliani, pro-lblioteca, o gran parte almeno, al V^cneziani, a
venzali e spagnuoli erano l'archetipo, ch'egli es- condizione, che fosse aperta al comodo della
presse poetando in lingua volgare, ch'era per gioventù studiosa. In contraccambio gli ven-
scaltrirsi e appropriarsi il campo della poesia ne per decreto della signoria assegnala una ca-
per mezzo di Dante e di esso lui. Dall' altra
parte pero, essendo egli incontrastabile, clic,
quanto più organico, originale e vero genio e
sa assai comoda per sua abitazione. Da questa
sua donazione ebbe origine la colclne libreria di
S. Marco, accresciuta dipoi dai Cardinali IJcssa-
il poeta, tanto piii agevolmente ci vinca le dif- rione, e Grimani. Ma de' codici del P. nessuno
ficoltà meccaniche, di modo, che non si seno- forse è giunto ai dì nostri, essendo già nel so-
pra la traccia del lavoro e della ])cna, non pò- colo decimo sesto la maggior parie di ossi guas-
trassi non isccmaie il merito veramente poetico ta e consumala dall' umido di qucU' atmos-
del Petrarca. Di ciò, se quantità di sonelli, fera paludosa. Combattè inoltre gli errori del
canzoni e sestine non ne facessero fede, potreb- secolo suo astrologici, alcliimislici, promosse
bcro sicuramente convincerci i Irioiifi. Impc- lo studio della geografia, e raccolse ne' >iai;gi
rocche (|ueslo poema morale, siasi imilazione suoi un medagliorc, come scoria più fida noi la-
d'allri parccclij provenzali anteriori, o dell' Al- herinlo di cronologie e di genealogie di dinastie
lighicri, quanto fiacco, staccalo e mal sodo e scomparse. i'inaluicnlc mostrando l'insulfi-
VI
SAGGIO SOPRA IL PETRARCA.
cieiiza della dottrina d'Aristotele, prodigò le
sue lodi al divino suo Platone , più affine al
cristianesimo.
Con questo siam arrivati al punto di dire
qualche cosa del suo amore, e di Laura. Es-
sendo Platone come un Giano, e guardando si
indietro all'anticliità, di cui esso fu la cima, e
SI avanti alP età moderna, poiclaè col cristiane-
simo a primeggiar cominciava l'idea, ed una ten-
denza ideale, e si cambiava affatto lo stato del-
le donne e dell' amore, naturalmente ancoi'a vi
si trasferi la teorica platonica dell'amore, la
quale si riduce ad una riconoscenza o rammen-
tanza quasi predestinata d^anime preesistenti in
altri mondi, che già adunate in un coro segui-
rono il lor dio, a cui di rialzarsi cercano per
A ia di virtù. A promuovere ed a coltivare ques-
ta idea mirabilmente cospirarono la religione,
e la scolastica, quai forze ideali, la cavalleria
ed i costumi sociali dell'età, come le corti d'a-
more, i giuochi floreali, quai forze reali. Quel-
la supei'stizione dunque, quel raffinamento, ed
arguto sottilizzare, quella fermezza e gentilezza
faceta si riti-ovan ancora nell' amor del Petrar-
ca. Peccato ^)erò, che, per mancanza di even-
ti esterni, di nodi più tenaci, in somma di base
reale, quell' idealità si attenua sino alla nuvo-
losità, o pure ad un' aria tanto pura, che vi si
perde la lena ed il polso ! massimamente dirim-
petto all' amor molto meno platonico, che il
])oeta nodriva per filtra donna, il quale effetti-
vamente è irrisione amara dell' altro, benché
congcdiato nel quadragesimo anno. Ma pre-
scindendo ancora da questo, il tutto si cambia
in giuoco poco dilettevole, se più fiso guardia-
mo Laura, nata intorno al 1328, o 1330, madre
d' ondici figli, morta vittima di pestilenza il 6
d'aiM-ile l'anno 1348. "A giudicare da' primi ri-
tratti di Laura," dice Lgo Foscolo, " una po-
lita fronte con occhj neri, rilevati da bianca
carnagione ed aurea chioma, ecco gli unici rari
ornamenti, ch'ella sortisse da natura. Oltre il
difetto d'armonia nelle proporzioni, le sue fat-
tezze rivelano V afiettazionc e la malizia di una
aria francese, non animata jiè dall' attrattivo
colore delle italiane, uè dalla gaja serenità dello
inglesi l>ellezzc. Da alcuni tocchi qua e là spar-
si ne' diversi scritti del Petrarca pare, che la
figura di lei fosse meno abbellita dalla regolari-
ivL e digintà, che da graziosa eleganza, e le più
potenti lusinghe le derivarono dà' sospiri e da'
sorrisi, dalla melodia della voce, dalla dolce
elofjucnza degli occhj, e sopra tutto dalla natu-
rale mobilità del volto, sul quale il mistero
" "'i' abituale pensosità era accresciuto dal su-
bitaneo animarsi ed impallidire." tJi potrebbe
forse aggiungere a ciò un tocco di dolore e di
malinconia nata del di lei matrimonio meno fe-
lice, essendo egli ceito, ch'una sua figlia, chia-
mata Ogiera , cosi palesamente macchiò l'onor
del sangue suo, da meritar d'esser rinchiusa in
un chiostro, e probabile, che il marito sensua-
le, che già sette mesi dopo la di lei morte si
ammogliò di nuovo , mentre portava ancora
il lutto per essa, fosse ancora geloso e pieno di
sospetto, mentre i parenti vegliavano ansiosa-
mente la di essa onestà. Di questa pure ella stes-
sa fu senz' altro molto fida conservatrice^ o per
accortezza, o perchè non riamava il poeta,
benché amasse la passione da esso lei inspuata,
e" il bel nome, chelunge e presso col suo dire
il poeta famoso le acquistava." Che da una
qualche civetteria furbesca, da certi ingegni ed
arti non la assolverà certamente chi avrà letto
il capitolo secondo del trionfo della Morte, o
ponderato il lungo e continuo dibattersi del
l'amante, simile ad una ftirfalla trafitta dallo spi-
letto, e in generale il tenore sforzato e con-
torto di siffatto connnerzio. Che che ne sia,
siffatto amor fantastico, tutto conforme al ge-
nio di quel secolo, divenne ancora nel Petrar-
ca il eentro, ove s'adunavano tutte le sue forze
intellettuali e sensitive adoperate a stento ad ab-
bellirlo. E, benché pingendo il romanzo, le
smanie ed i trastulli, le sinuosità ed i meandri
d'un cuor amoroso, sia spesse volte manierista,
non dimeno ci palesa dilicatezza, elasticità ed
intrinsichezza d' alma gentil e nobile, disprezzo
sodo del volgo, alto entusiasmo per la gloria
della patria, per la scienza, e la letteratura de-
gli anticlii, atta a dissipare le tenebre de' secoK
di mezzo, e finalmente un desiderio insaziabile
d'un esser incorruttibile eterno, il quale, oppos-
to alla sua persuasione della miseria e del nulla
di questo mondo, mantenne ed alimentò quella
tensione, anzi tenzone, ch'è retaggio d'anime
privilegiate, e promotrice de' secoli. Quindi
quella sua inquietudine, accanto al desio di ri-
poso, queir ambizione e vanità accanto al dis-
prezzo delle cose mondane, quella ritiratezza e
misantropia accanto al bisogno d'esser amato, al-
la benevolenza, al continuo viiiggiare e coglier
l'applauso quasi importuno e la venerazione su-
perstiziosa de' contemporanei, quella intolle-
ranza delle sue opinioni accanto ad una pedan-
tesca gravità ed una simulala modestia, in som-
ma quel contrasto di virtù e di )iei, che sono il
retaggio della carne; necessario, per quanto pa-
re, a livellare massimamente ingegni più subli-
mi cogli altri, e ad inculcare il modo religiosa-
SAGGIO SOPRA IL PETRARCA
VII
mente da tenersi dagli uomini, tuttocliè, simile
al santo catino mitico, sempremai da loro si
discosti. —
Notizie letterarie e biografiche hanno Qua-
drio, Tlraboschi , Cresclmbeni, £beri's allgenj.
bibliogr. Lexicon, sotto l'art. Petrarca — Gùi-
guenéhìst.lil. d'it. — Slsmondi de la litérat. du
midi de l'Europe — /FacA/e^-^'ò-Handb. d. Gesch.
der Liter. To. U. f. 172. s. — Marsand
nell' edizione del canzon. del Petrarca. Padua
1819. n. 4. — Saggi sopra il Peti-arca pubbli-
cati in Inglese da Ugo Foscolo e tradotti in Ita-
liano. Lugano 1824. 8- Curiosità letteraria,
perchè pruova rozzissima ed imperfetta della ti-
pografia, è V Edizione singolarissima del canzo-
niere del Petrarca, descritta ed illustrata dalFav-
vocato Domenico Fiossi, con un Facsimile in ra-
me. Trieste 1826. 8. distribuita dall'autore sol-
tanto fra i di lui amici. Forse la medesima edi-
zione, che si trova citata nel catalogo del Lord
Spencer Voi. IV. f. 141 — 143. Di un iMs. au-
tografo del poeta pur ora trovato da irrighi
iii Pietroburgo, e del di lui critico prezzo non
lece giudicare ancora.
Del resto, seguendo Tesempio di Biagiolie di
Marsand, abbiamo a posta omesso in questa nos-
tra edizione la giunta aldina d'altre poesie del
Petrarca, da lui stesso rifiutate colle proposte
d' alcuni poeti di que' tempi al Petrarca.
PETRARCA.
PARTE PRIMA
DELLE
RIME.
SOXETTO I.
oi , eh' ascoltate in rime sparse il suono
Di quei so.spiri, ont!' io niiilriva il core
In sul mio primo giovenile errore,
Quand' era in parte altr' uom da quel eh' i' sono!
>el vario stile , in eh' io piang^o e ragiono
Fra le Tiine speranze, e '1 van dolore.
Ove sia chi per prova intenda amore,
Spero trovar pietà, non che perdono.
la ben veggi' or, !«ì come al popol tutto
Favola fui gran tempo , onde sovente
Di me medesmo meco mi vergogno :
del mio vaneggiar vergogna è i frutto,
E '1 pentirsi, e '1 conoscer chiaramente,
Che quanto piace al mondo è breve sogno.
S 0 X E T T o II.
'er far una leggiadra sua vendetta,
E punir in mi dì ben mille oflcse,
Celatamente Amor l' arco riprese,
Com' uom , eh' a nocer luogo e tempo aspetta.
Era la mia vìrtute al cor ristretta,
Per far ivi e negli ocdij sue difese,
Quando '1 colpo mortai laggiù discese,
Ove solca spuntarci ogni saetta.
Però turbata nel primii-ro assalto,
Kon ebbe tanto nò vigor , nò spazio.
Che potesse al bisogno prender 1' arme,
Ovvero al poggio faticoso ed alto
Ritrarmi accortamente dallo »tr>i/io.
Del qual oggi vorrebbe , e non può aiturme.
S 0 \ E T T o III.
Era '1 giorno, rh' al sol si scolorare
l'cr la pietà del suo fattore i rai,
Quand' io fui preso, e non me ne guardai,
Che i be' vostr' occb j , donna , mi Icgaro.
Tempo non mi parca da far riparo
Contr' a' colpi d' Amor; però n' andai
Seciir senza sospetto : onil«! i miei guai
INel comune dtdor s' incouiinciaro.
Trovommi Amor del tutto disarmato,
Ed aperta la ^ia per gli occlij al core.
Che di lagrime bon fatti uscio e varco.
Però, al mio parer, non gli fu onore
Ferir me di saetta in quello stato,
E a voi armata non mostrar pur 1' arco.
S 0 \ E T T o l\.
Quel, eh' infinita provvidenza ed arte
Mostrò nel suo mirabil magistero.
Che criò questo e quell' altro emispero,
E mansueto più Giove, che Marte,
Venendo in terra a illuminar le carte,
Ch' avean molt' anni già celato il vero,
Tolse (iiovanni dalla rete , e Piero,
E nel regno del ciel fece lor parte.
Di sé , nascendo , a Roma non fé' grazia,
A Giudea sì : tanto sovr' ogni stato
Umiltate esaltar sempre gli piacque!
Ed or di picciol borgo un sol n' ha dato
Tal , che natura e 'i loco si ringrazia.
Onde si bella donna al mondo nacque.
S 0 \ E T T 0 V.
Quand' io movo i sospiri a chiamar voi,
E '1 nome , che nel cor mi scrisse Amore,
LAUdando s' incomincia a udir di fore
Il suon de' primi dolci accenti suoi.
Vostro stato UKal, che 'ncontro poi,
Raddoppia all' alta impresa il mio valore:
Ala, TAci , grida il fin; «;liè f<irlo onore
K' d' altri omeri soma, che da' tiu)>.
Così LAI dare e Riverire insegna
La voce stessa, pur eli' altri vi chiami,
Oh d' ogni reverenza e d' onor degna!
Se non che forse Apollo si disdegna,
Ch' a parlar de' suoi sempre verdi rami
Lingua mortai presuntuosa vegna.
Sonetto VI.
Si traviato è '1 folle mio desio
A seguitar costei , che 'n fuga è volta,
E de' lacci d' Amor leggiera e sciolta
^ ola dinan/.i al lento correr mio.
Clic, quanto ricliiamando più 1' invio
Per la senira strad.i, meo in' a^rolta.
IV«; mi vale sprtuiarlo, t» dargli volta;
Ch' Amor per t>ua natuni il fa restio,
[»]
RIME DEL PETRARCA.
[+]
E poiché 'l fren per forza a sé raccoglie.
In mi rimango in signoria di lui,
Che mal mio grado a morte mi trasporta,
Sol per venir al lauro , onde si coglie
Acerbo frutto , che le piaghe altrui,
Gustando, affligge più che non conforta.
Sonetto V II.
La gola, e '1 sonno, e 1' oziose piume
Hanno del mondo ogni virtù sbandita;
Ond' è dal corso suo quasi smarrita
Nostra natura vinta dal costume:
Ed è si spento ogni benigno lume
Del ciel, per cui s' informa umana vita,
Che per cosa mirabile s' addita
Chi vuol far d' Elicona nascer fìume.
Qual vaghezza di lauro? qual di mirto?
Povera e nuda vai. Filosofia,
Dice la turba al vii guadagno intesa.
Pochi compagni avrai per 1' altra via :
Tanto ti prego più , gentile spirto,
Non lassar la magnanima tua impresa!
Sonetto Vili.
A pie de' colli, ove la bella vesta
Prese delle terrene membra pria
La donna , che colui , eh' a te n' invia,
Spesso dal sonno lagrimando desta,
Libere in pace passavam per questa
Vita mortai , eh' ogni animai desia,
Senza sospetto dì trovar fra via
Cosa, eh' al nostr' andar fosse molesta.
Ma del misero stato, ove noi semo
Condotte dalla vita altra serena,
Un sol conforto , e della morte , avemo :
Che vendetta è di lui , eh' a ciò ne mena,
Lo qual in forza altrui, presso all' estremo,
Riman legato con maggior catena.
SOTVETT o IX.
Quando '1 pianeta, che distingue 1' ore,
Ad albergar col Tauro si ritorna.
Cade virtù dall' infiammate corna,
Che veste il mondo di novel colore;
E non pur quel, che s' apre a noi di fore.
Le rive e i colli di fioretti adorna,
Ma dentro , dove giammai non s' aggiorna,
Gravido fa di sé il terrestre umore,
Onde tal frutto e simile si colga.
Così costei, eh' è tra le donne un sole,
In me, movendo de' begli occhj i ral,
Cria d' amor pensieri , atti , e parole :
Ma come eh' ella li governi , o volga,
Primavera per me pur non è mai.
Sonetto X.
Gloriosa Colonna, in cui s' ajìpoggia
Nostra speranza, e '1 gran nome latino,
Ch' anc<»r non torse dal vero cammino
L' ira di Giove per ventosa pioggia!
Qui non palazzi, non teatro, o loggia,
Ma 'n lor vece un abete, un faggio, un pino
Tra r erlii verde, e 'I bel monte vicino,
Onde si srende poetando , e poggia,
Levan di terra al ciel nostr' intelletto:
E 'I rnssigniiol , che dolcemente all' ombra
Tutte le notti si lamenta e piagne,
D' amorosi pensieri il cor ne 'ngombra.
Ma tanto ben sol tronchi , e fai imperfetto
Tu , che da noi , signor mio , ti scompagno.
Ballata I.
Lassare il velo, o per sole o per ombra.
Donna , non vi vìd^ io.
Poi che 'n me conosceste il gran desio,
Ch' ogni altra voglia dentr' al cor mi sgombra.
Mentr' io portava ì be' pensier celati,
C hanno la mente desiando morta,
Vidivì di j)ietate ornare il volto.
Ma, poi eh' Amor di me vi fece accorta,
Fur i biondi capelli allor velati,
E r amoroso sguardo in sé raccolto.
Quel che più desiava in voi, m' è tolto.
Sì mi governa il velo,
Che per mia morte , ed al caldo , ed al gelo.
De' be' Tostr' occhj il dolce lume adombra.
Sonetto XI.
Se la mia vita dall' aspro tormento
Si può tanto schermire, e dagli affanni,
Ch' i' veggia, per virtù degli ultim' anni,
Donna, de' be' vostr' occhj il lume spento,
E i cape' d' oro fin farsi d' argento,
E lasciar le ghirlande, e i verdi panni,
E '1 viso scolorir, che ne' miei danni
Al lamentar mi fa pauroso e lento,
Pur mi darà tanta baldanza Amore,
Ch' i' vi discovrirò de' miei martiri
Qua' sono stati gli anni, e i giorni, e 1' ore.
E se '1 tempo è contrario ai be' desiri,
Non fia , eh' almen non giunga al mio dolore
Alcun soccorso di tardi sospiri.
Sonetto XII.
Quando fra 1' altre donne ad ora ad ora
Amor vien nel bel viso di costei,
Quanto ciascuna é men bella di lei.
Tanto cresce '1 desio, che m' innamora.
r benedico il loco , e '1 tempo , e 1' ora,
I Che sì alto miraron gli occhj miei,
E dico: Anima, assai ringraziar dei,
Che fosti a tanto onor degnata allora.
Da lei ti vien 1' amoroso pensiero,
Che, mentre '1 segui, al sommo ben t' in^ia.
Poco prezzando quel, eh' ogni uom desia;
Da lei vien 1' animosa leggiadri i,
Ch' al ciel ti scorge per destro sentero,
Sicch' i' vo già della speranza altero.
Ballata II.
Occhj miei lassi , mentre eh' io vi giro
Nel bel viso di quella , che v' ha morti,
Pregovi , siate accorti !
Che già vi sfida Amore, ond' io sospiro.
Morte può chiuder sola a' miei pensieri
L' amoroso cammìn , che li conduce
Al dolce porto della lor salute.
Ma puossi a voi celar la vostra luce
Per meno oìibietto , penihè meno interi
Siete formati, e di minor virtute.
P(!rò dolenti , anzi che sian venute
L' ore del pianto , che son già vicine,
Prendete or alla fine
Breve conforto a sì lungo martiro.
Sonetto XIll.
Io mi rivolgo indietro a ciascun passo
C()l corpo stanco, eh' .1 gran pena porto,
E prendo allor del vostr' aere conforto.
Che '1 fa gir oltra , dicendo : oimè lasso !
>]
RIME DEL PETRARCA.
m
DÌ , ripensando al dolce ben , eh' io lasso,
Al canimin lungo, ed al mio viver corto,
Fermo le piante sbigottito e smorto,
E gli occlij in terra lacrimando abbasso,
alor m' assale in mezzo a' tristi pianti
Un dubbio, come possan queste membra
Dallo spirito lor viver lontane.
[a rispondemi Amor : non ti rimembra,
Che questo è privilegio degli amanti
Sciolti da tutte qualitati umane?
Sonetto XIV,
lovesi '1 recchierel canuto e bianco
Del dolce loco, ov' ha sua età fornita,
E dalla famigliuola sbigottita,
Che vede '1 caro padre venir manco.
(idi traendo poi T antico fianco
Per r estreme giornate di sua vita,
Quanto più può , col buon voler s' aita,
lldtto dagli anni, e dal cammino stanco,
viene a Roma, seguendo '1 desio.
Per mirar la sembianza di colui,
Ch' ancor lassù nel ciel vedere spera.
U)i\ , lasso , talor vo cercand' io,
Donna, quant' è possibile, in altrui
ha desiata vostra forma vera.
S 0 M E T T O XV.
'iovonmi amare lagrime dal viso
Con un vento angoscioso di sospiri,
Quando in voi addivien che gli occhj girl.
Per cui sola dal mondo io son diviso.
(IO è, che '1 dolce mansueto rìso
Pur acqueta gli ardenti miei desiri,
E mi sottragge al foco de' martiri,
Alentr' io son a mirarvi intento e liso:
lii gli spiriti miei s' agghiaccian poi
Ch' i' veggio al dipartir gli atti soavi
Idrcer da me le mie fatali stelle.
(illibata al fin con 1' amorose chiavi
1/ anima esce del cor, per seguir voi,
h con molto pensiero indi si svelle.
Sonetto XVI.
)iinnd' io son tutto volto in quella parte,
()\e '1 bel viso di madonna luce,
E m' è rimasa nel pensier la luce,
Cile m' arde e strugge dentro a parte a parte,
»]" , che temo del cor , che mi si parte,
E veggio presso il fin della mia luce,
Vonunenc in guisa d' orbo senza luce,
Che non sa, ove si vada, e pur si parte.
Wi davanti ai colpi della morte
Fuggo ; ma non sì ratto , che 'l desio
Meco non venga , come venir sole.
Tacito vo; che le parole morte
l'arian pianger la gente , ed io desio.
Che le lagrime mie si spargan sole.
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tono animali al mondo di sì altera
Vista, che 'ncontr' al sol pur r-i difende
Altri, però che '1 gran lume gli offende,
INon «'(«con fuor, se non verso la sera:
id altri col desio folle, che spera
Gioir forse nel foeo , per<-hè splende,
l'rovan 1' altra virtù, quella che 'nccndc.
Lasso, il min loco è 'n questa ultima schiera.
ZW V non Hon forte ad aspettar la luce
Di questil donna, e non su fare schermì
I Di luoghi tenebrosi, o d' ore tarde.
Però con gli occhj lagrimosi e 'nferrai
1 Mio destino a vederla mi conduce;
I E eo ben, eh' i' vo dietro a quel, che m' arde.
i Sonetto XVIII.
Vergognando talor, eh' ancor si taccia.
Donna, per me vostra bellezza in rima,
Ricorro al tempo , eh' i' vi vidi prima.
Tal che nuli' altra fia mai che mi piaccia.
Ma trovo peso non dalle mie braccia,
Kè ovra da polir con la mìa lima :
Però lo 'ngegno, che sua forza estima,
Neil' operazion tutto s' agghiaccia.
Più volte già per dir le labbra apersi:
Poi rimase la voce in mezzo '1 petto.
Ma qual suon poria mai salir tant' alto?
Più volte incominciai di scriver versi:
Ma la penna, e la mano, e V intelletto
Rimaser vinti nel primiero assalto^
So;vETTo XIX.
Mille fiate, oh dolce mia guerriera.
Per aver co' begli occhj vostri pace,
V aggio proferto il cor; ma a voi non piace
Mirar sì basso con la mente altera.
E se di lui fors' altra donna spera.
Vive in speranza debile e fallace:
Mio, perchè sdegno ciò, eh' a voi dispiace,
Esser non può giammai così , com' era.
Or s' io lo scaccio, ed e' non trova in Toi
IVeir esilio infelice alcun soccorso,
Kè sa star sol, né gire, ov' altri '1 chiama
Poria smarrire il suo naturai corso;
Che grave colpa fia d' ambeduo noi,
E tanto più dì voi , quanto più v' ama.
Sestina I.
A qualunque animale alberga in terra.
Se non se alquanti , eh' hanno in odio il sole.
Tempo da travagliare è quanto è '1 giorno;
Ma poi che '1 ciel accende le sue stelle,
Qual torna a casa, e qual s' annida iu selva,
Per aver posa ahucno infin all' alba.
Ed io, da che comincia la beli' alba
A scuoter 1' ombra intorno della terra.
Svegliando gli animali in ogni selva,
Non ho mai triegua di sospir col sole.
Poi , quand' io veggio fiammeggiar le stelle,
Vo lagrimando e desiando il giorno.
Quando la sera scaccia il chiaro giorno,
E le tenebre nostre altrui iann" alba,
Miro pensoso le cruilelì st«l!e.
Che m' hanno fatto di seii.-ibil t«rra,
E iiiaiedico il di, eh' i" vidi '1 sole.
Che mi fa in vista un noni nudrìto in selva.
Non credo, che pascessc inni per selva
Si aspra fera, o di notte, o di giorno,
(Jome costei, eh' i' piango all' ombra e al sole:
E non mi stanca prinut sonno, «)d alba ;
(;iir, bciieir i' sia mortai corpo di terra.
Lo mio (ermo desir vien «lalle >lelle.
Prima ch" i' torni a voi , lucenti stelle,
() Iiiiiii ^iii iH'ir nuuirosa selva,
Lix'iandii il corpo, che Ha trita terra.
\ ('de~^' io in lei jiielà, eh' in un sol giorno
Può ii.->torar moli' anni, e innanzi 1' all);i
Puummi arricchir dui lranu)n(ar del ride!
1 ♦
m
RIME DEL PETRARCA.
Con lei foss'io, da che si parte il sole,
E non ci vedess' altri, che le stelle
Sol una notte, e mai non fo>»e 1' alba,
E non si trasformasse in verde selva
Per uscirmi di braccia, come il giorno,
Che Apollo la segiiia quaggiù per terra !
Ma io sarò sotterra in secca selva,
E '1 giorno andrà picn di minute stelle,
Prima th' a sì dolce alba arrivi il sole.
C A !V z O !V E I.
Nel dolce tempo della prima etade,
Che nascer vide , ed ancor quasi in erba.
La fera voglia , che per mio mal crebbe,
Perchè cantando il duol si disacerba,
Ciuiterò, com' io vissi in libertade.
Mentre Amor nel mio albergo a sdegno s' ebbe:
Poi seguirò, sì come a lui ne 'ncrebbe
Troppo altamente , e che di ciò m' avvenne ;
Di eh' io son fatto a molta gente esempio:
Benché '1 mio duro scempio
Sia scritto altrove, sì che mille penne
Ne son già stanche, e quasi in ogni valle
Rimbombi '1 siion de' miei gravi sospiri,
Ch' acquistan fede alla penosa vita.
E se qui la memoria non m' aita,
Come suol faie, iscusinla i martiri,
Ed un pensier , che solo angoscia dàlie
Tal, eh' ad ogni altro fa voltar le spalle,
E mi face obbliar me stesso a forza,
Cile tien di me quel dentro, ed io la scorza.
r dico, che dal dì , che '1 primo assalto
Mi diede Amor, molt' anni eran passati,
Si eh' io cangiava il giovenile aspetto,
E d' intorno al mio cor pensier gelati
Fatto avean quasi adamantino smalto,
Ch' allentar non lasciava il duro affetto.
Lagrima ancor non mi bagnava il petto.
Né rompea il sonno ; e quel che 'n me non era,
Mi pareva un miriicolo in altrui.
Lasso, che son? che fui?
La vita il fin, e '1 di loda la sera.
Che sentendo il crudel , di eh' io ragiono,
Infin allor percossa di suo strale
Non essermi passata oltra la gonna,
Prese in sua scorta una possente donna.
Ver cui poco giammai mi valse, o vale
Ingegno , o forza , o dimandar perdono.
E i duo mi trasformaro in quel eh' i' sono,
Facendomi d' uom vivo un lauro verde,
Cijc per fredda stagion foglia non perde.
Qn.il mi fec' io , quando primier m' accorsi
Della trasfigurala mia p(;rsona,
E i capei vidi far di quella fn)nde,
Di che speriito avea già lor corona,
E i piedi , in eh' io mi stetti , e mossi , e corsi,
Com' (tgni membro all' anima risponde.
Diventar due radici sovra 1' onde,
Non di Penco, ma d' un più altero fiume,
E 'n duo rami mutarsi ambe le braccia!
Nò meno ancor m' agghiaccia
L' esser c(»vcrto poi di bianche piume.
Allorché fulminato e morto giacque
Il mio sperar, che troppo alto montava.
Cile , perdi' io iion snpea , dove , né quando
Mei ritrovassi, solo lagrimando
Lsi, 've tolto ini fu, dì e notte andava
[S]
Ricercando dal lato , e dentro all' acque :
E giammai poi la mia lingua non tacque,
Mentre poteo , del suo cader maligno :
Ond' io presi col suon color d' un cigno.
Così lungo 1' amate rive andai,
Che volendo parlar cantava sempre,
Mercè chiamando con estrania voce.
Né mai in si dolci , o in sì soavi tempre
Risonar seppi gli amorosi guai,
Che '1 cor s' umiliasse aspro e feroce.
Qual fu a sentir, che '1 ricordar mi coce?
Ma molto più di quel eh' é per innanzi,
Della dolce ed acerba mia nemica
E bisogno, eh' io dica,
Benché sia tal , eh' ogni parlare avanzi.
Questa, che col mirar gli animi fura,
M' aperse il petto, e '1 cor prese con mano,
Dicendo a me: di ciò non far parola!
Poi la rividi in altro alìito sola,
Talch' io non la conobbi , (oh senso wnano! )
Anzi le dissi 'l ver pien di paura:
Ed ella, nell' usata sua figura
Tosto tornando , fecemi , oimé lasso !
D' un quasi vivo e sbigottito sasso.
Ella parlava si turbata in vista,
Che tremar mi fea dentro a quella petra
Udendo: i' non son forse, chi tu credi.
E dicea meco: se costei mi spetra.
Nulla vita mi fia nojosa, o trista.
A farmi lagrimar, signor mio, riedi !
Come , non so , pur io mossi indi i piedi.
Non altrui incolpando , che me stesso,
Mezzo tutto quel dì tra vivo e morto.
Ma perché 'l tempo é corto.
La penna al buon voler non può gir presso ;
Onde più cose nella mente scritte
Vo trapassando , e sol d' alcune parlo.
Che meraviglia fanno a chi le ascolta.
Morte mi s' era intorno al core avvolta,
Né tacendo potea di sua man trarlo,
O dar soccorso alle virtuti afflitte.
Le vive voci m' erano interditte :
Ond' io gridai con carta, e con inchiostro:
Non son mio, no: s' io moro, il danno è vostro.
Ben mi credea dinanzi agli occhj suoi
D' indegno far così di mercè degno :
E questa speme m' avea fatto ardito.
Ma talor umiltà spegne disdegno,
Talor lo 'nliamma: e ciò sepp' io da poi
Lunga stagion di tenebre vestito :
Ch' a quei prieghi il mio lume era sparito.
Ed io non ritrovando intorno intorno
Ombra di lei, né pur de' suoi piedi orma,
Coni' uom, che tra via dorma,
Gittaimi stanco sopra V erba un giorno.
Ivi accusando il fuggitivo raggio
Alle lagrime triste allargai l freno,
E lasciaile cader, come a lor parve.
Né giammai neve sotto al sol disparve,
Com' io sentii me tutto venir meno,
E farmi una fontana a pie d' un faggio,
(ìran temi») umido tenni quel >inggio.
Chi udì mai d' uom vero nascer fonte ?
E parlo coso manifeste e conte.
L' alma, eh' è sol da Dio fatta gentile
Clio già d' altrui non può venir tal grazia,
'9]
RIME DEL PETRARCA.
Slmile al suo fattor stato ritiene:
Però di perdonar mai non è sazia
A chi col core, e col sembiante umile
Dopo quantunque ofl'ese a mercè viene:
E se contra suo stile ella sostiene
D' esser molto pregata, in lui si specchia;
E fai, perche U peccar più si parente :
Che non hen si ripente
Dell' un mal , chi dell' altro s' apparecchia.
Poi che madonna da pietà commossa
Degnò mirarmi, e riconobbe, e vide
Gir di pari la pena col peccato.
Benigna mi ridusse al primo stato.
Ma nulla è al mondo, in eh' uom saggio si fide:
Ch' ancor poi ripregando, i nervi e l' ossa
Mi volse in dura selce, e cosi scossa
Voce rimasi dell' antiche some,
Chiamando morte e lei sola per nome.
BSpirto doglioso errante , mi rimembra,
Per spelunche deserte e pellegrine
Piansi molt' anni il mio sfrenato ardire:
Ed ancor poi trovai di quel mal fine,
E ritornai nelle terrene membra,
Credo , per più dolor ivi sentire.
I' seguii tanto avanti il mio desire,
Ch' un dì cacciando, si coni' io solca.
Mi mossi, e quella fera bella e cruda
In una fonte ignuda
Si stava, quando '1 sol più forte ardea.
Io , perchè d' altra vista non ni' appago.
Stetti a mirarla : ond' ella ebbe vergogna,
E per farne vendetta , o per cclarse,
L' acqua nel viso con le man mi sparse.
Vero dirò, forse e' parrà menzogna,
Ch' i' sentii trarmi della propria immago,
Ed in un cervo solitario e vago
Di selva in selva ratto mi trasformo,
Ed ancor de' mici can fuggo lo stormo.
Canzon, i' non fu' mai quel nuvol d' oro.
Che poi discese in preziosa pioggia.
Si che '1 foro di Giov(! in parte spense:
Ma fui ben fiamma, eh' un bel guardo acccnse,
E fui r uccel , che più per 1' aere poggia.
Alzando lei, clic ne' mici detti onoro:
Kè per nova figura il primo alloro
Seppi lasciar; che pur la sua dolce ombra
Ogni nien bel piacer del cor mi sgombra.
Sonetto \X.
Se 1' onorata fronde , che prescrive
L' ira del <!Ìcl, quaiulo 'I gran Giove tona,
Non m' avesse disdetto la corona.
Che snoie ornar chi poetando scrive,
r era amico a queste vostre dive.
Le qna' vilmente il secolo abbandona:
Ma quella ingiuria già lungo mi sprona
Dall' inventrire delle prime olive:
Che non bolle la polver d' Etiopia
Sotto '1 più ardente sol, com' io sfavillo.
Perdendo tanto amata cosa propia.
Cercato dunque fonte; più tranquillo!
Che 'I mio d' ogni licor so>lieMe inopia.
Salvo di quel, che lagrimando stillo.
So\KTTO WF.
Amor piangeva, ed io con lui talvolta,
Dal qual mici passi non fùr mai lontani.
[10]
IMirando per gli effetti acerbi e strani
L' anima vostra de' suoi nodi sciolta.
Or eh' al dritto cammin l' ha Dio rivolta,
Col cor, levando al cielo ambe le mani.
Ringrazio lui , eh' i giusti prieghi umani
Benignamente , sua mercede , ascolta.
I E se tornando all' amorosa vita.
Per farvi al bel desio volger le spalle.
Trovaste per la via fossati, o poggi.
Fu per mostrar, quant' è spinoso 'l calle,
E quanto alpestra e dura la salita,
Onde al vero valor couvien eh' uom poggi.
SOXETTO XXII.
Più di me lieta non si vede a terra
Nave dall' onde combattuta e vinta.
Quando la gente di pietà dipinta
Su per la riva a ringraziar s' atterra;
Né lieto più del career si disserra
Chi 'ntorno al collo ebbe la corda avvinta.
Di me, veggendo quella spada scinta,
Che fece al signor mio sì lunga guerra.
E tutti voi , eh' Amor laudate in rima.
Al buon tpstor degli amorosi detti
Rendete onor, eh' era smarrito in prima!
Che più gloria è nel regno degli eletti
D' un spirito converso, e più s' estima,
Che di novantanove altri perfetti.
Sonetto XXIII.
Il suecessor di Carlo , che la chioma
Con la corona del suo antico adorna.
Prese ha già l' arme, per fiaccar le corna
A Babilonia, e chi da lei si noma.
E '1 vicario di Cri^to con la soma
Delle chiavi e del manto al nido torna ;
Sì che, s' altro accidente noi di>torna.
Vedrà Bologna, e poi la nobil Roma.
La mansueta vostra e gentil' agna
Abbatte i fieri lupi : e così vada
Chiunque amor legittimo scompagna !
Consolate lei dunque, eh' ancor bada,
E Roma , che del suo sposo >i lagna,
E per Gesù cingete omai la spada!
Canzone II.
Oh aspettata in elei beata e bella
Anima, che di nostra umanitade
Vestita vai, iu)n come l' altre carca.
Perchè ti sian iiieti dure orm.ii le ^tra(lc,
A Dio diletta obbediente ancella.
Onde al suo regno di qua giù ^i varca.
Ecco novellanu-nte all.i tua barca.
Ch' al cieco mondo ha già volte le spalle,
Per gir a miglior porto,
D' un vento occidental dolce conforto,
I Lo qual per mezzo questa oscura %alle.
Ove piangiamo il no-tro v V altrui torto,
I La condurrà de' lacci antichi sciolta
Per drittis>imo calle
Al verace oriente, ov' ella è volta.
Forse i devoti e gli amorosi preghi,
! E le lagrime sante de' mortali
j Son giunte innan/i alla pietà superna,
E forse non fùr mai tante, ne tal<,
(he per merito lor punto si pieghi
I Fuor di fììo cor.NO la gin>li/ia «terna :
i Ma quel benigno re, che 'I ciel governa,
I Al sacro luco, ove fu posto in croce.
[11]
RIME DEL PETRARCA.
[12]
Gli occhj per grazia gira ;
Onde nel petto al novo Carlo spira
La vendetta, eh' a noi tardata noce.
Sì che raolt' anni Europa ne sospira:
Così soccorre alla sua amata sposa.
Tal che sol della voce
Fa tremar Babilonia, e star pensosa.
Chiunque alberga tra Garonna e '1 monte,
E 'ntra 'I Rodano, e '1 Reno , e 1' onde salse,
Le 'nsegne cristianissime accompagna,
Ed a cui mai di vero pregio calse,
Dal Pireneo all' ultimo orizzonte.
Con Aragon lascerà vota Ispagna,
Inghilterra con 1' isole, che bagna
L' oc«-ano intra '1 carro e le colonne,
Infin là, dove sona
Dottrina del santissimo Elicona,
Varie di lingue , e d' arme , e delle gonne,
All' alta impresa caritate sprona.
Deh qual amor sì licito, o sì degno.
Qua' figli mai, quai donne
Furon materia a sì giusto disdegno?
Una parte del mondo è, che si giace
Mai sempre in ghiaccio ed in gelate nevi.
Tutta lontana dal cammin del sole.
Là, sotto i giorni nubilosi e brevi,
INemica naturalmente di pace
Nasce una gente, a cui 'l morir non dole.
Questa, se più devota, che non sole,
Col tedesco furor la spada cigne:
Turchi, Arabi, e Caldei,
Con tutti quei , che speran negli Dei,
Di qua dal mar, che fa 1' onde sanguigne,
Quanto sian da prezzar, conoscer dei:
Popolo ignudo, paventoso e lento.
Che ferro mai non strigne.
Ma tutti i colpi suoi commette al vento!
Dunque ora è '1 tempo da ritrarre il collo
Dal giogo antico , e da squarciare il velo,
Ch' è stato avvolto intorno agli occhj nostri;
E che '1 nobile ingegno , che dal ciclo
Per grazia ticn dell' immortale Apollo,
E r eloquenza sua virtù qui mostri
Or con la lingua, or con laudati inchiostri:
Perchè d' Orfeo leggendo, e d' Anfione,
Se non ti maravigli,
Assai men fia eh' Italia co' suoi figli
Si desti al suon del tuo chiaro sermone.
Tanto, che per Gesù la lancia pigli:
Che, s' al ver mira questa antica madre.
In nulla sua tenzone
Fùr mai cagion sì belle, o sì leggiadre.
Tu, eh' hai , per arricchir d' un bel tesauro
Volte r antirlie e le moderne carte,
Volando al elei con la terrena soma.
Sai dall' imperio del figliuol di Marte
Al granile Angusto, che di verde lauro
Tre volte trionfando ornò la chioma,
Neil' altrui ingiurie del suo sangue Roma
Spesse fiate quanto fu cortese:
Ed or perchè non fia
Cortese no , ma conoscente e pia
A vendicar le dispictatc olTese
Col (ìglinol glorioso di Maria?
Che dunque la nemica parte spera
Neil' umane difese.
Se Cristo sta dalla contraria schiera?
Pon mente al temerario ardir di Serse,
Che fece, per calcar i nostri liti,
Di novi ponti oltraggio alla marina:
E vedrai nella morte de' mariti
Tutte vestite a brun le donne perse,
E tinto in rosso il mar di Salamina.
E non pur questa misera mina
Del popolo infelice d' oriente
Vittoria ten promette,
Ma IWaratona, e le mortali strette,
Che difese il Leon con poca gente.
Ed altre mille, eh' hai scoltate e lette.
Perchè inchinar a Dio molto conviene
Le ginocchia e la mente,
Che gli anni tuoi riserva a tanto bene.
Tu vedrà' Italia e 1' onorata riva,
Canzon, eh' agli occhj miei cela e contende
Non mar , non poggio , o fiume,
Ma solo Amor, che del suo altero lume
Più m' invaghisce, dove più m' incende:
Né natura può star contra '1 costume.
Or movi , non smarrir 1' altre compagne !
Cbè non pur sotto bende
Alberga Amor, per cui si ride e piagne.
C A IN Z O K E III.
Verdi panni, sanguigni, oscuri, o persi
Non vestì donn<a unquanco,
Né d' or capelli in bionda treccia attorse
Sì bella, come questa, che mi spoglia
D' arbitrio , e dal cammin di libertade
Seco mi tira sì , eh' io non sostegno
Alcun giogo men grave.
E se pur s' arma talor a dolersi
L' anima, a cui vien manco
Consiglio , ove '1 martir 1' adduce in forse,
Rappella lei dalla sfrenata voglia
Subito vista , che del cor mi rade
Ogni delira impresa, ed ogni sdegno
Fa '1 veder lei soave.
Di quanto per Amor giammai soffersi,
Ed aggio a soffrir anco.
Fin che mi sani '1 cor colei , che 'I morse
Rubella di mercè, che pur lo 'nvoglia.
Vendetta fia; sol che contra umiltade
Orgoglio ed ira il bel passo , ond' io vegno,
Non chiuda, e non inchiave.
Ma l' ora , e '1 giorno, eh' io le luci apersi
Nel bel nero, e nel bianco,
Che mi scacciar di là , dove Amor corse.
Novella d' està vita, che m' addoglia,
Furon radice e quella, in cui 1' etade
Nostra si mira, la qual piombo, o legno
Vedendo è chi non pavé.
Lagrima dunque, che dagli occhj versi
Per qiurlle, che nel manco
Lato mi bagna cbi primier s' accorse,
Qiiadreila, dal voler mio non mi svoglia:
Che 'n giusta parte la sentenza cade:
Per \vì sospira 1' alma, ed ella è degno
Cile le sue piaghe lave.
Da me son fatti i miei pensitr diversi:
Tal già, qual io mi stanco,
L' amata spada in sé stessa contorse.
[13]
RIME DEL PETRARCA.
["]
Né quella prego, che però mi scioglia:
Che men son dritte al ciel tutt' altre strade,
E non s' aspira al glorioso regno
Certe in più salda nave.
Benigne stelle, che compagne fèrsi
Al fortunato fianco,
Quando '1 bel parto giù nel mondo scorse?
Ch' è stella in terra, e, come in lauro foglia,
Conserva verde il pregio d' onestade,
Ove non spira folgore , né indegno
Vento mai, che 1' aggrave.
So io ben , eh' a voler chiuder in versi
Sue laudi , fora stanco,
Chi più degna la mano a scriver porse.
Qual celia è di memoria , in cui s' accoglia
Quanta vede virtù , quanta beltade,
Chi gli occhj mira d' ogni valor segno.
Dolce del mio cor chiave?
Quanto U sol gira, Amor più caro pegno,
Doima, di voi non ave.
Sestiwa n.
Giovane donna sott' un verde lauro
Vidi più bianca, e più fredda, che neve
Non percossa dal sol molti e molt' anni :
E '1 suo parlar , e '1 bel viso , e le chiome
Mi piacquer si, eh' i' 1' ho dinanzi agli occhj.
Ed avrò sempre, ov' io sia, in poggio, o 'n riva.
Allor saranno i miei pensieri a riva,
Che foglia verde non si trovi in lauro.
Quando avrò queto il core, asciutti gli occhj,
Vedrem ghiacciar il foco, arder la neve.
Non ho tanti capelli in queste chiome.
Quanti vorrei quel giorno attender anni.
Ma perché vola il tempo , e fuggon gli anni
Si , eh' alla morte in un punto s' arriva,
O con le brune , o con le bianche chiome,
Seguirò r ombra di quel dolce lauro
Per lo più ardente sole , e per la neve.
Finche 1' ultimo di chiuda quest' occhj.
Non fùr giammai veduti sì begli occhj
O nella nostra etade, o ne' prim' anni;
Che mi struggon così , come '1 sol neve :
Onde procede lagrimosa riva,
Ch' Amor conduce a pie del duro lauro,
Ch' ha i rami di diamante, e d'or le chiome.
Io temo di cangiar pria volto e chiome,
Che con vera pietà mi mostri gli occhj
L' idolo mio scol|)ito in vivo lauro :
Che, s' al contar non erro, oggi ha sett' anni.
Che sospirando vo di riva in riva
La notte , e '1 giorno, al caldo, ed alla neve.
Dentro pur foco, e fuor candida neve
Sol con questi ponsicr, con altre chiome
S(;m|ire piangendo andrò per ogni riva,
Per far forse pietà venir negli oc<;hj
Di tal, che nascerà d(»pu niill' anni;
Se tanto viver può ben culto lauro.
L' auro <! i topa'/j al sol sopra la ne\n
\ ini-.on !<■ Iiiiiii<l<; rliiuuKi, presso agli occlij.
Che nieiian gli anni mici si tosto a riva.
So INETTO WIV.
Quo^t' anima gentil, che si di|iarto
Anzi tempo chiamata all' altra vita,
Se là suso è, quant' esser de', gradita,
Terrà del ciel la più beata parte.
S' ella riman fra '1 terzo lume e Marte,
Fia la vista del sole scolorita,
Poich' a mirar sua bellezza infinita
L' anime degne intorno a lei fien sparte.
Se si posasse sotto '1 quarto nido,
Ciascuna delle tre saria men bella.
Ed essa sola avria la fama, e i grido.
Nel quinto giro non abitrebb' ella;
Ma se A ola più alto, assai mi fido.
Che con Giove fia vinta ogni altra stella.
Sonetto XXV.
Quanto più m' avvicino al giorno estremo.
Che r umana miseria suol far breve,
Più veggio 'l tempo andar veloce e leve,
E '1 mio di lui sperar fallace e scemo.
r dico a' miei pensier : non molto andremo
D' amor parlando ornai; che '1 duro e greve
Terreno incarco come fresca neve
Si va struggendo; onde noi pace avremo.
Perché con lui cadrà quella speranza,
Che ne fé' vaneggiar sì lungamente;
E '1 riso, e '1 pianto, e la paura, e 1' ira.
Sì vedrem chiaro poi, come sovente
Per le cose dubbiose altri s' avanza,
E come spesso indarno si sospira.
S O X E T T o XXVI.
Già fiammeggiava 1' amorosa stella
Per r oriente, e 1' altra, che Giunone
Suol far gelosa, nel settentrione
Rotava i raggi suoi lucente e bella;
Levata era a filar la vecchierella
Discinta e scalza, e desto avea 'I carbone,
E gli amanti pungea quella stagione.
Che per usanza a lagrimar gli appella:
Quando mia speme già condotta al verde
Giunse nel cor, non per 1' usata via.
Che r sonno tenea chiusa, e 'l dolor molle.
Quanto cangiata , oinié , da quel di pria !
E parca dir: perché tuo valor perde?
Veder quest' occhj ancor non ti si toile.
Sonetto XXMl.
Apollo , s' ancor vive il bel desio.
Che t' infiammava alle tessaliche onde,
E se non hai 1' amate chiome bionde.
Volgendo gli anni, già poste in oldilio.
Dal pigro gelo, e dal tenipo aspro e rio.
Che doni, quanto 'I tuo viso s' asconde.
Difendi or 1' onorata e sacra fronde.
Ove tu prima, e poi fu' invescat' io,
E per virtù dell' amorosa speme.
Che ti sostenne nella vita acerba.
Di queste impression V acre disgombra!
Sì vedrem poi per maraviglia insicuie
Seder la detona nostra sopra V erba,
E far delle sue braccia a sé stess' ombra.
Sonetto XXVIU.
' Solo e pensoso i più deserti rampi
\o iiii^iirandii a p.l^^i tardi e hiiti,
E gli occlij porlo per fiigf;irc intenti
j Dom; \('-li;;io niu.in 1' arena stampi.
Altro schcrino non trovo , che mi scampi
Dal manifesto accorger dello genti,
[15]
BIME DEL PETRARCA.
_ffl
Percliè negli atti d' allegrezza spentì
Di fuor si legge , com' io dentro avvampi.
Si oh' io mi creilo ornai , die monti, e piagge,
E fiumi, e selve sappian, di che tempre
Sia la mia vita , eh' è celata altrui.
Ma pur sì aspre vie , né sì selvagge
Cercar non so, eh' Amor non venga sempre
Ragionando con meco, ed io con lui.
SoiV ETT o XXIX.
S' io credessi per morte Cf^sere scarco
Del pensier amoroso , che m' atterra.
Con le mie mani avrei già posto in terra
Queste membra nojose, e quello incarco.
3Ia perch' io temo , che sarebbe un varco
Di pianto in pianto , e d' una in altra guerra,
Di qua dal passo ancor, che mi si serra,
Mezzo rimango, lasso, e mezzo il varco.
Tempo ben fora omai d' avere spinto
L' ultimo strai la dispietata corda,
Neil' altrui saìigue già bagnato e tinto!
Ed io ne prego Amore , e quella sorda.
Che mi lasciò de' suoi color dipinto,
E di chiamarmi a sé non le ricorda.
C A \ Z 0 X E IV.
Sì è debile il filo, a cui s' attiene
La gravosa mia vita,
Che, s' altri non 1' aita,
Ella (ìa tosto di suo corso a riva :
l'ero che dopo 1' empia dipartita.
Glie dal dolce mio bene
Feci , sol una spene
E' stata iiifin a qui cagion, eh' lo viva,
Dicendo : perchè priva
Sia dell' amata vista,
Mantienti, anima trista !
Che sai, s' a miglior tempo anco ritorni
Ed a più lieti giorni.''
O se '1 perduto ben mai si racquista?
Questa speranza mi sostenne un tempo;
Or vien mancando, e troppo in lei m' attempo.
Il tempo passa, e l' ore son si pronte
A fornire il viaggio,
("Ir assai sjjazio non aggio
Pur a pensar, com' io corro alla morte.
A pena spunta in oriente un raggio
Dì sol, eh' air altro monte
Dell' avverso orizzonte
Giunto '1 vedrai per vie lunghe e distorte,
I-c vite son sì corte,
Si gravi i corjii e frali
Degli uomini mortali,
Clic, quand' io mi ritrovo dal bel viso
Contanto esser diviso,
Col de^io non possendo mover l' ali,
Poco in' avanza del conforto usato;
Nò so, qiiant' io mi viva in questo stato.
Ogni loco m' attrista, ov' io non veggio
Quc' begli occhj soavi,
("he porlaron le chiavi
De' miei dolci pensier, mentr'a Dìo piacque:
E perchè 'l duro esilio più m' aggravi,
S' io dormo , o vado , o seggio,
Altro giammai non chicggio;
E ciò eh' io vidi dopo lor, mi spiacque.
Quante montagne, ed acque,
Quanto mar, quanti fiumi
M' ascondon que' duo lumi,
Che quasi un bel sereno a mezzo 'l die
Fèr le tenèbre mie.
Acciò che '1 rinjembrar più mi consumi:
E quant' era mia vita allor giojosa,
M' insegni la presente aspra e nojosa.
Lasso , se ragionando si rinfresca
Queir ardente desio,
Che nacque il giorno, eh' io
Lasciai di me la miglior parte addietro,
E s' Amor se ne va per lungo obblio;
Chi mi conduce all' esca,
Onde '1 mio dolor cresca.'*
E perchè pria tacendo non m' impetro?
Certo, cristallo, o vetro
Non mostrò mai di fore
Nascosto altro colore,
Che r alma sconsolata assai non mostri
Più chiari i pensier nostri,
E la fera dolcezza, eh' è nel core,
Per gii occhj , che di sempre pianger vaghi
Cercali di e notte pur chi glieu' appaghi.
Novo piacer , che negli umani ingegni
Spesse volte si trova,
D' amar, qual co*a nova
Più folta schiera di sospiri accogUa!
Ed io son un di quei, che '1 pianger giova:
E par ben , eh' io m' ingegni,
Che dì lagrime pregni
Sien gli occhj miei, siccome 'I cor di doglia.
E perchè a ciò m' invoglia
Ragionar de' begli occhj.
Né cosa, è che mi tocchi,
0 sentir mi si l'accia così addentro.
Corro spesso e rientro
Colà, donde più largo il diiol trabocchi;
E eien col cor punite ambe le luci
Ch' alla strada d' amor mi furon duci.
Le trecce d' or, che dovrien far il sole
D' invidia molta ir pieno,
E '1 bel guardo sereno,
Ove i raggi d' amor sì caldi sono.
Che mi fanno anzi tempo venir meno,
E r accorte parole
Rade nel mondo, o sole,
Che mi fèr già di sé cortese dono,
Mi son tolte: e perdono
Più lieve ogni altra ollesa.
Che r essermi contesa
Quella benigna angelica salute,
Che '1 mio cor a virtute
Destar solca con una voglia accesa ;
Tal eh' io non penso udir cosa giammai,
Che mi conforti ad altro, eh' a trar guai.
E per pianger ancor con più diletto,
Le man bianche sottili,
E le braccia gentili,
E gli atti suoi soavemente alteri,
E i dolci sdegni alteramente miiili,
E 'l bel giovenil petto,
Torre d' alto intelletto,
Rli celan questi luoghi alpestri e feri:
E non so , s' io mi speri
Vederla anzich' io mora:
Però eh' ad ora ad ora
l^]
RIME DEL PETRARCA.
[18J
S' erge la speme , e poi non sa star ferma ;
la ricadendo afferma
i mai non \eder lei , che '1 ciel onora ,
've alberga onestate e cortesia,
dov io prego che '1 mio albergo eia.,
Canzon, s' al dolce loco
La donna nostra Tedi ;
Credo ben , che tu credi
ella ti porgerà la bella mano,
Ond' io son si lontano.
bn la toccar ; ma riverente a' piedi
di', eh' io sarò là, tosto eh' io possa,
spirto ignudo , od uom di carne e d'ossa !
Sonetto XXX.
irso, e' non ftiron mai fiumi, né stagni,
Né mare, ov' ogni rivo si disgombra.
Né di muro , o di poggio , o di ramo ombra,
Né nebbia , che '1 ciel copra , e '1 mondo bagni,
è altro impedimento , ond' io mi lagni.
Qualunque più 1' umana vista ingombra,
Quanto d' un vel , che due begli occhj adombra,
E par che dica : or ti consuma , e piagni !
! quel lor inchinar, eh' ogni mia gioja
Spegne, o per umiltate, o per orgoglio,
Cngion sarà, che 'nnanzi tempo i' moja.
3 d' una bianca mano anco mi doglio,
Ch' è stata sempre accorta a farmi noja,
E contra gli occhj miei s' è fatta scoglio.
Sonetto XXXI.
o temo si de' begli occhj 1' assalto.
Ne' quali amore e la mia morte alberga,
Ch' i' fuggo lor, come fanciul la verga,
£ gran tempo è, eh' io presi '1 primier salto.
>a ora innanzi faticoso od alto
Loco non fia, dove '1 voler non s' erga.
Per non scontrar chi i miei senesi disperga,
Lasciando, come suol, me freddo smalto.
)Dnque s' a veder voi tardo mi volsi,
Per non ravvicinarmi a chi mi strugge,
Fallir forse non fu di scusa indegno.
'ìù dico, che '1 tornare a quel eh' uom fogge,
E i cor , che di paura tanta sciolsi,
Fur della fede mia non Icggier pegno.
Sonetto XXXII.
S' amore, o morte non dà qualche stroppio
Alla tela novella, eh' ora ordisco,
E s' io mi svolvo dal tenace visco,
Mentre che 1' un con 1' altro vero accoppio,
I' farò forse un mio lavor si doppio
Tra lo stil de' moderni e '1 scrmon prisco,
Che (paventosamente a dirlo ardisco)
InfiM a Roma n' udirai lo scoppio.
IVLi però che ini manca a fornir 1' opra
Alquanto delle fila benedette,
Cli' avan/aro a quel mìo dilotto padre,
Perchè ticn' verso me le man sì strette
Contra tua usanza? I' prego che tu 1' opra,
E vedrai riuscir cose leggiadre.
Soxetto XXXIII.
Quando dal proprio sito si rimove
1/ arbor, di' amò già Felio in corpo umano,
Sospiia e suda all' opera \Hlcano,
Per rinfrescar 1' aspro saette a (iiove.
Il qual or tona, or nevica, ed or piove.
Senza onorar più Celare ^ che Giano:
La terra piagne, e '1 sol ci sta lontano,
Che la sua cara amica vede altroAe.
Alior riprende ardir Saturno e iMarte,
Crudeli stelle, ed Orione armato
Spezza a' tristi iiorcliif r governi e sarte.
Kolo a Nettuno , ed a Giunon turl)ato
Fa sentir , ed a noi , c<ime si parte
il bel viso dagli angeli aspettato.
Sonetto XXXIV.
,Ma poi che '1 dolce riso umile e piano
Fili non asconde sue bellezze nove,
Le braccia alla fucina indarno move
L' antiquissimo fabbro ^iciliano :
Cir a Giove tolte son 1' arme di mano
Temprate in Mongibello a tutte prove,
E sua sorella par , che si rinnovo
Nel bel guardo d' Apollo a mano a mano.
Del lito Occidental si move un fiato,
Che fa securo il navigar senz' arte,
E desta i fior tra 1' erba in ciascun prato.
Stelle nojose fuggon d' ogni parte
Disperse dal bel viso innamorato.
Per cui lagrime molte son già sparte.
Sonetto XXXV.
11 figliuol di Latona avea già nove
Volte guardato dui balcon sovrano
Per quella, eh' alcun tempo mosse in^-ano
I suoi sospiri , ed or gli altrui comiuove :
Poi che cercando stanco non seppe , ove
S' albergasse da presso, o di lontano,
Mostrossi a noi qual uom per doglia insano.
Che molto amata cosa non ritrove.
E cosi tristo standosi in disparte,
Tornar non vide il vi?o, che laudato
Sarà, s' io vivo, in più di mille carte:
E pietà lui mcdesmo avea cangiato
Sì , che i begli occhj lagrimavan parte :
Però r aere ritenne il primo sfato.
Sonetto XXXM.
Quei, eh' in Tessaglia ebbe le man si pronte
A farla del civil sangue vermiglia.
Pianse morto il marito di stia figlia,
Raffigurato alle fattoz.e conte.
E '1 pastor, eh' a Golia ruppe la fronte.
Pianse la ribellante sua famiglia,
E sopra 'I buon Saul cangiò le ciglia,
Ond' assai può dolersi il fiero monte.
^la voi, che mai pietà non discolora,
E eh' avete gli schermi sempre accorti
Contra 1' arco d' Amor, che indarno tira,
Mi vedete straziare a mille morti.
Né bigrima però discese ancora
Da' be' vostr' occhj , ma disdegno ed ira.
Sonetto XXXVII.
Il mio avversario, in cui veder solete
(ili occfij vostri, (ir Amore e "1 ciel onora,
Viìw le non sue bellezze v' innamora,
Più l'Ile 'n gui^a mortai soa^i e lieto.
Per consiglio di Ini, donna, m' avete
SiMcciato del mio dolce albergo fora.
iMi.ero esilio! avvegna eh' io non fora
D' abitar degno, ove ^oi sola siete.
Ma s' io v' era con saldi cbio>i fisso,
Non devea specchio far\i per mio danno,
A voi stessa piacendo, a^'pra e superba.
2
[19]
RIME DEL PETRARCA.
[20]
Certo, se vi rimembra di Narcìsso,
Quesito e quel corso ad un termino vanno;
Benché di sì bel fior sìa indegna i' erba.
Sonetto XXXV III.
L' oro, e le perle, e i fior vermigli, e i bianchi,
Che '1 verno devria far languidi e secchi,
Son per me acerbi e velenosi stecchi,
Ch' io provo per lo petto, e per li fianchi.
Però i dì miei fien lagrimosi e manchi,
Che gran duol rade volte avvien che 'nvecchì :
Ula più ne 'ncolpo i micidiali specchi,
Che 'n vagheggiar voi stessa avete stanchi.
Questi poser silenzio al signor mio,
Che per me vi pregava ; ond' ei si tacque,
Veggendo in voi finir vostro desio.
Questi fur fabbricati sopra 1' acque
D' abisso, e tinti nell' eterno obblio.
Onde '1 principio di mia morte nacque.
Sonetto XXXIX.
Io sentìa dentr' al cor già venir meno
Gli spirti, che da voi ricevon vita,
£ , perchè naturalmente s' aita
Contra la morte ogni animai terreno,
Largai '1 desio , eh' i' teng' or molto a freno,
E misil per la via quasi smarrita,
Però che dì e notte indi m' invita.
Ed io contra sua voglia altronde '1 meno.
E' mi condusse vergognoso e tardo
A riveder gli occhj leggiadri, ond' io.
Per non esser lor grave, assai mi guardo.
Vivrommi un tempo ornai ; eh' al viver mio
Tanta virtute ha solo un vostro sguardo:
E poi morrò , s' io non credo al desio.
Sonetto XL.
Se mai foco per foco non si spense,
Né fiume fu giammai secco per pioggia.
Ma sempre T un per l' altro simil poggia,
E spesso r un contrario l' altro accense,
Amor, tu eh' i pensier nostri dispense,
Al qual un' alma in duo corpi s' appoggia.
Perchè fa' in lei con disusata foggia
Men per molto voler le voglie intense?
Forse, sì come '1 INil d' alto caggendo
Col gran suono i vicin d' intorno assorda,
E 'l sol abbaglia chi ben fiso il guarda,
Così 'I desio, che seco non s' accorda,
Nello sfrenato obbietto vien perdendo,
E per troppo spronar la fuga è tarda.
Sonetto XLl.
Perch' io t' abbia guardato di menzogna
A mio podere, ed onorato assai.
Ingrata lingua , già però non m' hai
Kcndiito onor , ma fatto ira, e vergogna;
Che, quando piò '1 tuo ajuto mi bisogna
Per dimandar mercede, allor ti stai
Sempre piò fredda, e se parole fai.
Sono impcrrette, e q<iasi d' uom , che sogna.
La(rriine trinte, e voi tutte le notti
\r accom|)agnate, ov' io vorrei star solo,
Poi fuggite ilinan/.i alla mia pace.
E voi si pronti a darmi angoscia e duolo.
Sospiri, nllor traete lenti e rotti:
Sola la vitfta mia del cor non tace.
Canzone V.
Nella stagion, che '1 ciel rapido inchina
Verso occidente, e che 'l dì nostro vola
A gente, che di là forse 1' aspetta,
Veggendosi in lontan paese sola
La stanca vecchiarella pellegrina,
Raddoppia i passi , e più e più s' affretta,
E poi cosi soletta
Al fin di sua giornata
Talora è consolata
D' alcun breve riposo, ov' ella obblia
La noja e 'l mal della passata via.
Ma lasso , ogni dolor , che U dì m' adduce.
Cresce , qualor s' invia
Per partirsi da noi 1' eterna luce.
Come 'l sol volge le 'nfiammate rote.
Per dar luogo alla notte, onde discende
Dagli altissimi monti maggior l' ombra,
L' avaro zappator l' arme riprende,
E con parole, e con alpestri note
Ogni gravezza del suo petto sgombra;
E poi la mensa ingombra
Di povere vivande.
Simili a quelle ghiande.
Le quai fuggendo tutto '1 mondo onora.
.Via chi vuol , si rallegri ad ora ad ora,
Ch' i' pur non ebbi ancor, non dirò lieta.
Ma riposata un' ora,
Né per volger di ciel, né di pianeta.
Quando vede '1 pastor calare i raggi
Del gran pianeta al nido, ov' egli alberga,
E 'mbrunir le contrade d' oriente,
Drizzasi in piedi , e con 1' usata verga
Lasciando 1' erba, e le fontane, e i faggi.
Move la schiera sua soavemente :
Poi lontan dalla gente
O casetta , o spelonca
Di verdi frondi 'ngiimca.
Ivi senza pensier s' adagia e dorme.
Ahi crudo Amor, ma tu allor più m' nforme
A seguir d' una fera, che mi strugge.
La voce, e i passi, e l' orme,
E lei non stringi , che s' appiatta e fugge.
E i naviganti in qualche chiusa valle
Gcttan le membra , poi che '1 sol s' asconde.
Sul duro legno , e sotto l' aspre gonne.
Ma io, perchè s' attuffì in mezzo l' onde,
E lasci Spagna dietro le sue spalle,
E Granata , e Marocco , e le Colonne,
E gli uomini, e le donne,
E 'l mondo, e gli animali
Acquetino i lor mali,
Fine non pongo al mio ostinato aflannn,
E duoliiii , cir ogni giorno arrogo al danno:
Ch' i' son già pur crescendo in questa voglia
Ben presso al deiim' anno.
Né posso 'ndovinar , chi me ne scioglia.
E perché un poco nel parlar mi sfogo.
Veggio la sera i buoi tornare scittiti
Dalle campagne, e da' solcati cidli.
I miei sospiri a ine perchè non tolti
Quando die sia.'' per«^liù no 'l grave giogo.''
Percbè di e notte gli ocibj miei son molli.''
Misero me, clic volli,
Quaiulo priniier si ÌÌfU
Li tenni nel bel viso,
[21]
RIME DEL PETRARCA.
[22]
Per iscolpirlo immaginando in parte,
Onde mai né per forza , né per arte
Mosso sarà , fin eh' i' sia dato in preda
A chi tutto diparte?
V\è so ben anco, che di lei mi creda.
Canzon , se 1' esser meco
Dal mattino alla sera
T' ha fatto di mia schiera,
Tu non vorrai mostrarti in ciascnn loco,
E d' altrui loda curerai sì poco,
Ch' assai ti fia pensar di poggio in poggio
Come ra' ha concio '1 foco
Di questa viva petra , ov' io m' appoggio.
Sonetto XLII.
Poco era ad appressarsi agli occhj miei
'La luce, che da lunge gli abbarbaglia,
Che , come vide lei cangiar Tessaglia,
Cosi cangiato ogni mia forma avrei.
E s' io non posso trasformarmi in lei
Più eh' i' mi sia , non eh' a mercè mi vaglia ;
Di qual pietra più rigida s' intaglia,
Pensoso nella vista oggi sarei,
O di diamante, o d' un bel marmo bianco
Per la paura forse, o d' un diaspro
Pregiato poi dal volgo avaro e sciocco.
E sarei fuor del grave giogo ed aspro,
Per cu' i' ho invidia di quel vecchio stanco.
Che fa con le sue spalle ombra a Marocco.
Ballata III.
Non al suo amante più Diana piacque.
Quando per tal ventura tutta ignuda
La vide in mezzo delle gelid' acque,
Ch' a me la pastorella alpestra e cruda
Posta a bagnare un leggiadretto velo,
Ch' a Lauro il vago e biondo capei chiuda;
Tal che mi fece or, quand' egli arde il cielo,
Tutto tremar d' un amoroso gelo.
Canzone VI.
Spirto gentil , che quelle membra reggi.
Dentro alle qua' peregrinando alberga
Un signor valoroso , accorto , e sitggio,
Poi che se' giunto all' onorata verga.
Con la qual Roma e suo' erranti correggi,
E la richiami al suo anti<M) viaggio :
Io parlo a te, però eh' altrove un raggio
INon veggio di virtù, eh' al mondi> è spenta,
Né trovo, chi di mal far si vergogni.
Che s' aspetti non so, né che s' agogni
Italia , che suoi guai non par che senta,
Vecchia, «t/iosa, e lenta.
Dormirà sempre, e nor. ila chi la svegli?
Le man 1' avess' io avvolte entro i capegli!
JNon spero, che giammai dal pigro sonno
Mova la testa, per cbiainar eh' noni faccia;
Si gravcnu;iit(^ è opprc.-<<a, e di tal soma!
Ma non sen/.a dcslino alle tue bra(-t:ia.
Che scuoter forte, e sollevarla |)(»nii(»,
E or comuH^sso il nostri» capo , Umna.
Pon mano in quella venerabìl cbioma
Seruraincnte, e nelle trecce sparte.
Si che la negliitt(>.-.a esca del fango !
r, che (li e notte del suo htray/io piango.
Di mia speran/.a ho in tv la maggior parto:
Che, bc 'I popol di Alarle
Dovesse al proprio onor alzar mai gli occhi
Parmi pur, eh' a' tuoi di la grazia tocchi. '
L' antiche mura , eh' ancor teme , ed ama,
E trema '1 mondo , quando si rimembra
Del tempo andato , e 'ndietro si rivolve,
E i sassi , dove fùr chiuse le membra
Di tai, che non saranno senza fama,
Se 1' universo pria non si dissolve,
E tutto quel, eh' una mina involve.
Per te spera saldar ogni suo vizio.
Oh grandi Scipioni , oh fedel Bruto,
Quanto v' aggrada , s' egli è ancor venuto
Komor laggiù del ben locato uffizio !
Come ere', che Fabrizio
Si faccia lieto , udendo la novella !
E' dice: Roma mia sarà ancor bella!
E se cosa di qua nel ciel si cura,
L" anime, che là su son cittadine.
Ed hanno i corpi abbandonati in terra,
Del lungo odio civil ti pregan fine,
Per cui la gente ben non s' assicura;
Onde '1 cammino a' lor tetti si serra,
Che fùr già sì devoti, ed ora in guerra
Quasi spelunca di ladron son fatti.
Tal eh' ai buon solamente uscio si chiude,
E tra gli altari, e tra le statue ignude
Ogni 'mpresa crudel par che si tratti.
Deh quanto diver^i atti!
Né senza squille s' incomincia assalto.
Che per Dio ringraziar fùr poste in alto.
Le donne lagriniose , e 'l volgo inerme
Della tenera etate, e i vecchj stanchi,
Ch' hanno sé in odio , e la soverchia vita,
E i neri fraticelli , e i bigi , e i bianchi,
Con r altre schiere travagliate e 'n ferme
Gridano : oh signor nostro, aita , aita !
E la povera gente sbigottita
Ti scopre le sue piaghe a mille a mille,
Ch' Annibale, non eh' altri, farian pio:
E se ben guardi alla magion di Dio,
Ch' arde oggi tutta, assai poche faville
Spegnendo , fien tranquille
Le voglie, che si uiostran sì 'nfiammate :
Onde fien 1' opre tue nel ciel laudate.
Orsi, lupi, leoni, aquile, e serpi
Ad una gran marmorea Colonna
Fanno noja so\ente, ed a sé danno.
Di costor piagne quella gentil donna,
Che t' ha chiamato, acciò che di lei sterpi
Le male piante, che fiorir non sanno.
Passato é già più che 'I mille.-'inr anno.
Che 'n lei mancar qiull' anime leggiadre,
('he locata V avean là dov' eli' era.
Alii nova gente «tltra mi..>ura altera,
Irreverente a tanta ed a tal madre !
Tu marito, tu padre;
Ogni soccorso di tua man s' attende:
Che 'I maggior padre ad altr' opera intende.
Rade voltt^ addi^ien, eh' all' alte imprese
Fortuna inginiio»a non contrasti,
V,W agli a^inlo^i fatti mal s' accorda.
Ora, Ngoiiilirando 1 passo, onde tu intrasti,
Fanuni>i perdonar inolt' altre ofTive,
CW aliiicii <pii da sé stessa ^i discorda :
l'ero che, quanto '1 mondo si ricorda.
Ad uom mortai non fu aperta la vi.i
2 *
[^3J
RIME DEL PETRARCA.
[24]
Per farsi, come a te, di fama eterno :
Che puoi drizzar , s' io non falso discirno.
In stato la più nobil monarchia.
Quanta gloria ti ila
Dir: gli altri T aitar giovane e forte;
Questi in vecchiezza la scampò da morte.
Sopra '1 monte tarpeo, canzon, vedrai
Un cavalier, eh' Italia tutta onora.
Pensoso più d' altrui , che di sé stesso.
Digli : un, che non ti vide ancor da presso,
Se non come per fama uom s' innamora.
Dice, che Roma ogni ora
Con gli occhj di dolor bagnati e molli
Ti chier mercè da tutti sette i colli.
Ballata. IV.
Perch' al viso d' amor portava insegna.
Mosse una pellegrina il mio cor vano,
Ch' ogni altra mi parca d' onor men degna.
E lei seguendo su per 1' erbe verdi
Udii dir alta voce di lontano:
Ahi quanti passi per la selva perdi!
Allor mi strinsi all' ombra d' un bel faggio,
Tutto pensoso, e rimirando intorno
Vidi assai periglioso il mio viaggio,
£ tornai 'ndietro quasi a mezzo il giorno,
Ballata V.
Quel foco , eh' io pensai , che fosse spento
Dal freddo tempo, e dall' età men fresca,
Fiamma e martir nell' anima rinfresca.
Non fùr mai tutte spente, a quel eh' i' veggio,
Ma ricoperte alquanto le faville;
E temo, no '1 secondo error sia peggio.
Per lagrime , eh' io spurgo a mille a mille,
Convien , che '1 duol per gli occbj si distille
Dal cor, eh' ha seco le faville e 1' esca,
Non pur qual fu , ma pare a me che ex-esca.
Qual foco non avrian già spento e morto
L' onde, che gli occlij tristi versan sempre?
Amor (avvegna mi sia tardi accorto)
Vuol, che tra duo contrarj io mi distempre,
E tende lacci in sì diverse tempre,
Che, quand' ho più speranza, che '1 cor n' esca,
Allor più nel bel viso mi rinvesca.
Sonetto XLIII.
Se col cieco desir, che '1 cor distrugge,
Contando 1' ore non m' inganno io stesso,
Ora , mentre eh' io parlo , il tempo fugge,
Cli' a me fu , insieme ed a mercè , promesso.
Qual' ombra è sì crudel, che i seme adugge,
Ch' al desiato frutto era sì presso.''
£ dentro dal mio ovil qnal fera rogge?
Tra la spiga e la man qual muro è messo?
Lasso, noi so: ma sì conosco io bene.
Che, per far più dogliosa la mia vita,
Amor m' addusse in sì giojosa spene.
Ed or di quel, eh' io ho letto, mi sovviene:
Che 'nnanzi al dì dell' ultima partita
Uom beato chiamar non si conviene.
Sonetto XLIV.
Mie venture al venir son tarde e pigre.
La speme incerta, e '1 desir monta e cresce:
Onde i lasciar e 1' a-pettar m' incresce,
£ poi al partir son più levi, che tigre.
Lasso , le nevi fien tepide e nigre,
E 'l mar senz' onda, e per l' alpe ogni pesce,
E corcherassi 'l sol là oltre , ond' esce
D' un medesimo fonte Eufrate e Tigre,
Prima eh' i trovi in ciò pace, né tregua,
O Amor, o madonna altr' uso impari.
Che m' hanno congiurato a torto incontra.
E s' i' ho alcun dolce , è dopo tanti amari.
Che per disdegno il gusto si dilegua.
Altro mai di lor grazie non m' incontra.
Sonetto XLV.
La guancia, che fu già piangendo stanca,
Riposate su 1' un, signor mio caro,
E siate omal di voi slesso più avaro
A quel crudel , che i suoi seguaci 'mbianca :
Con r altro richiudete da man manca
La strada a' messi suoi, eh' indi passaro.
Mostrandovi un d' agosto, e di gennaro,
Perch' alla lunga via tempo ne manca:
E col terzo bevete un suco d' erba,
Che purghi ogni pensier, che '1 cor afflige.
Dolce alla fine , e nel principio acerba.
Me riponete, ove '1 piacer si serba.
Tal eh' i' non tema del nocchier di Stige,
Se la preghiera mia non è superba!
Ballata VI.
Perchè quel , che mi trasse ad amar prima.
Altrui colpa mi toglia.
Del mio fermo voler già non mi svoglia.
Tra le chiome dell' or nascose il laccio.
Al qual mi strinse, Amore;
E da' begli occhj mosse il freddo ghiaccio,
Che mi passò nel core
Con la vertù d' un subito splendore.
Che d' ogni altra sua voglia
Sol rimembrando ancor 1' anima spoglia.
Tolta m' è poi di que' biondi capelli.
Lasso, la dolce vista,
E '1 volger de' duo lumi onesti e belli
Col suo fuggir m' attrista :
Ma perché ben morendo onor e' acquista.
Per morte, né per doglia
Non vo', che da tal nodo Amor mi sciojlia.
Sonetto XLVI.
L' arbor gentil , che forte amai molt' anni.
Mentre i bei rami non m' ebber' a sdegno,
Fiorir faceva il mio debile ingegno
Alla sua ombra , e crescer negli aflunni.
Poi che, securo me di tali inganni.
Fece di dolce sé spietato legno,
r rivolsi i pensier tutti ad un sogno.
Che parlan sempre de' lor tristi danni.
Che porà dir chi per amor sospira,
S' altra speranza le mie rime nove
Gli avcsser data , e per costei la perde ?
Né poeta ne colga mai, né Giove
La privilegi : ed al sol venga in ira
Tal, che si secchi ogni sua foglia verde!
Sonetto XLVII.
Benedetto sia '1 giorno, e '1 mese, e 1' anno,
E la stagione, e 'l tempo, e l' ora, e 'l punto,
E '1 bel piiesc, e 'l loco, ov' io fui giunto
Da duo begli occhj, che legato m' hanno:
E benedetto il primo dolce aflanno,
25]
RIME DEL PETRARCA.
[26]
Ch' i' ebbi ad esser con Amor congiunto,
E 1' arco, e le saette, ond' i fui punto,
E le piaghe , eh' inOn al cor mi vanno !
Benedette le voci tante, eh' io.
Chiamando il nome di mia donna, ho sparte,
E i sospiri , e le lagrime , e '1 desio !
E benedette sian tutte le carte,
Ov' io fama le acquisto , e '1 pensier mio,
Ch' è sol di lei, sì eh' altra non v' ha parte!
Sonetto XLVIII.
Padre del ciel, dopo i perduti giorni,
Dopo le notti vaneggiando spese
Con quel fero desio , eh' al cor s' accese.
Mirando gli atti per mio mal sì adorni.
Piacciati omai col tuo lume, eh' io torni
Ad altra vita, ed a più belle imprese.
Sì eh' avendo le reti indarno tese
Il mio duro avversario se ne scorni !
Or volge , signor mio , 1' undecira' anno,
Ch' i' fui sommesso al dispietato giogo,
Che sopra i più soggetti è più feroce.
Miserere del mio non degno affcinno !
Riduci i pensier vaghi a miglior luogo !
Rammenta lor, com' oggi fosti in croce!
Ballata VII.
Volgendo gli occhj al mio novo colore,
Che fa di morte rimembrar la gente,
Pietà vi mosse: onde benignamente
Salutando teneste in vita il core.
La frale vita, eh' ancor meco alberga,
Fu de' begli occhj vostri aperto dono,
E della voce angelica soave.
Da lor conosco 1' esser , ov' io sono :
Che, come suol pigro animai per verga,
Così destaro in me 1' anima grave.
Del mio cor, donna, 1' una e 1' altra chiave
Avete in mano: e di ciò son contento,
l'resto di navigar a ciascun vento:
Ch' ogni cosa da voi m' è dolce onore.
Sonetto XLIX.
Se voi poteste per turbati segni»
Ter chinar gli occhj , o per piegar la testa,
0 per esser più d' altra al fuggir presta.
Torcendo '1 viso a' preghi onesti e degni,
Lp( ir giammai, ovver per altri 'ngegni,
Del petto , ove dal primo lauro innesta
Amor più rami , i' dirci ben , che questa
Fosse giusta cagione a' vostri sdegni:
('III; gentil pianta in arido terreno
Far che si disconvenga , e però lieta
Naturalmente quindi si diparte.
Ma poi vostro destino a voi pur vieta
E' esser altrove ; provvedete almeno
Di non star sempre in odiosa parte.
Sonetto L.
Lusso, che mal accorto fui da prima,
Nel giorno, eh' n ferir mi venne Amore,
Clr a iiasso a passo è poi fatto si^^norc
Della mia vita , e posto in su la cima.
Io non CI (-dea . per l'or/a di sua lima,
Che pmito di IVruic/./.a , o di valore
Mancasse mai nell' indurato core;
Ma co>i va chi sopra 1 v«!r s' estima.
Da ora innan7.i ogni difesa è tnrda
.\ltra, che di provar, ■' assai o poco
Questi preghi mortali Amore sguarda.
Non prego già, né puote aver più loco.
Che misuratamente il mio cor arda;
Ma che sua parte abbia costei del fuco.
Sestina III.
L' aere gravato e 1' importuna nebbia
Compressa intorno da rabbiosi venti,
Tosto convien che si converta in pioggia:
E già son quasi di cristallo i fiumi,
E 'n vece dell' erbetta per le valli
Non si vede altro che pruine, e ghiaccio.
Ed io nel cor vie più freddo che ghiaccio,
Ho di gravi pensier tal una nebbia,
Qual si leva talor di queste valli
Serrate incontr' agli amorosi venti,
E circondate di stagnanti fiumi.
Quando cade dal ciel più lenta pioggia.
In picciol tempo passa ogni gran pioggia,
E '1 caldo la sparir le nevi e '1 ghiaccio,
Di che vanno superbi in vista i fauni :
Kè mai nascose il ciel sì folta nebbia.
Che, sopraggiunta dal furor de' venti.
Non fuggisse dai poggi, e dalle valli.
Ma, lasso , a me non vai fiorir di valli ;
Anzi piango al sereno, ed alla pioggia,
Ed a' gelati , ed a' soavi venti :
Ch' allor fia un dì madonna senza 'I ghiaccio
Dentro, e di fuor senza 1' usata nel>bia,
Ch' i' vedrò secco il mare, e laghi, e fiumi.
Mentre eh' al mar discenderanno i fiumi,
E le fere ameranno ombrose valli,
Fia dinanzi a' begli occhj quella neb1>ia,
Che fa nascer de' mici continua pioggia,
E nel bel petto 1' indurato ghiaccio.
Che trae del mio sì dolorosi venti.
Ben debb' io perdonare a tutt' i venti,
Per amor d' un, che 'n mezzo di duo fiumi
Mi chiuse tra '1 bel verde e 'l dolce ghiaccio.
Tal eh' i' dipinsi poi per mille valli,
L' ombra, ov' io fui ; che né calor , né pioggia.
Né suon curava di spezzata nebbia.
Ma non fuggio giammai nebbia per venti.
Come quel dì; né mai fiume per pioggia;
Né ghiaccio, quando '1 sole apre le valli.
Sonetto LI.
Del mar tirreno alla sinistra riva.
Dove rotte dal vento piangon 1' onde,
Subito vidi queir altera fronde.
Di cui convien, che 'n tante carte scriva.
Amor, che dentro all' anima bolliv,i.
Per rimcmbianza delle trecce bionde
Mi spinse; onilo in un rio, che 1' erba asconde.
Caddi , non già come persona viva.
Solo ov' io era tra boschetti e colli,
Vergogna ebbi di me; eh' al cor gentile
Basta ben tanto; ed altro spron non volli.
Piacemi alnien d' aver cangiato »tilc
Dagli ocrhj a' pie, se del lor esser molli
Gli altri asciugasse un più cortese aprile.
So \ etto LII.
L' aspetto sacro della terra vostra
ì\li fa del mal passato traggcr guai,
Gridando: ktn su, misrro, che l'ai.''
E la via di «alir al ciel lui mostra
["]
RIME DEL PETRARCA.
.[28]
Ma con questo pensier un altro giostra,
E dice a me : perchè fuggendo vai ?
Se ti rimembra, il tempo passa ornai
Di tornar a veder la donna nostra.
r, che '1 suo ragionar intendo allora,
M' agghiaccio dentro, in guisa d' uoro, eh' ascolta
Novella, che di subito 1' accora.
Poi torna il primo , e questo dà la volta.
Qual vincerà , non so : ma 'nfino ad ora
Combattut' hanno, e non pur una volta.
So.\ETTO LUI.
Ben sapev' io , che naturai consiglio.
Amor, contra di te giammai non valse:
Tanti lacciuol , tante impromesse false,
Tanto provato avea '1 tuo fero artiglio.
Ma novamente , ond' io mi meraviglio,
(Dirol come persona a cui ne calse,
E che '1 notai là sopra V acque salse,
Tra la riva toscana, e 1' Elba, e i Giglio)
r foggia le tue mani, e per cammino
Agitandom' i venti, e '1 cielo, e 1' onde,
M' andava sconosciuto e pellegrino ;
Quand' ecco i tuoi ministri (i' non so donde).
Por darmi a diveder , eh' al suo destino
Mal chi contrasta e mal chi si nasconde.
Canzone VII.
Lasso me , eh' i' non so in qual parte pieghi
La speme, eh' è tradita ornai più volte:
(;hè se non è chi con pietà m' ascolte.
Perchè sparger al ciel sì spessì preghi .''
Ma s' egli avvien , eh' ancor non mi gi nieghi
Finire anzi '1 mio fine
Queste voci meschine,
Non gravi al mio signor , perdi' io '1 ripreghi
Di dir libero un dì tra 1' erba e i fiori :
Drez et raison es qui eu ciani emdemori.
Ragion è hen , eh' alcuna volta i' canti.
Però eh' ho sospirato sì gran tempo ;
(/he mai non incomincio assai per tempo,
Per adeguar col riso i dolor tanti.
E s' io potessi far, eh' agli occhj santi
Porgesse alcun diletto
Qualche dolce mìo detto.
Oh me beato sopra gli altri amanti I
IMa più, quand' io dirò senza mentire:
Donna mi incga, per eh' io voglio dire.
Vnsihi pensier, che così passo passo
Scorto ra' avete a ragionar tunt' alto,
\ ed«'te che madonna ha 'l cor di smalto
Si forte, eh' io per me dentro noi passo.
Ella non degna di luirar sì basso,
Che di nostre parole
Curi; che '1 ciel non vuole,
Al qual pur contrastando i" son già lasso:
Onde, come nel cor m' induro e 'naspro ,
C'osi nei mio parlar voglio esser aspro.
Che parlo? o do^e sono? e chi m' inganna
Altri, di' io ^te.-iso , e 'I desiar soverchio?
(»ià, s' i' tra<(!(irro il ciel di cerchio in cerchio,
Ne-sun piiiiK'ta a pianger ini condanna.
Se morlal velo il inio cedere appanna,
(/'he («dpa è delle stelle,
O delle co:^e belle?
Meco si sta chi dì e notte m' afTanna.
Poi che de! suo piacer ini fc' gir grave
{ju dolce vista e '/ 6<7 guardo soave.
Tutte le cose , di che '1 mondo è adorno,
Uscir buone di man del mastro eterno :
Ma me, che così a dentro non dìscerno,
Abbaglia il bel , che mi ^i mostra intorno :
E s' al vero splendor giammai ritorno,
L' occhio non può star fermo ;
Cosi r ha fatto infermo
Pur la sua propria colpa, e non quel giorno,
Ch' io '1 volsi 'nver 1' angelica beltade
Nel dolce tempo della prima etade.
Canzone Vili.
Perchè la vita è breve,
E r ingegno paventa all' alta impresa,
Aè di lui, né di lei molto mi fido;
Ma spero, che sia intesa
Là, dov' io bramo, e là, dov' esser deve
La voglia mia, la qual tacendo i' grido:
Occhj leggiadri , dov' amor fa nido,
A voi rivolgo il mio debile stile,
Pigro da sé, ma '1 gran piacer lo sprona:
E chi di voi ragiona,
Tien dal soggetto un abito gentile,
Che con 1' ale amorose
Levando , il parte d' ogni pensier vile.
Con queste alzato vengo a dire or cose,
Ch' ho portate nel cor gran tempo ascose,
Xon perdi' io non m' av veggi a,
Quanto mia laude è ingiuriosa a voi :
Ma contrastar non posso al gran desio,
Lo qual è in me , da poi
Ch' i' vidi quel , che pensier non pareggia.
Non che 1' agguagli altrui parlar, o mìo.
Principio del mio dolce stato rio.
Altri che voi so ben che non m' intende.
Quando agli ardenti rai neve divegno.
Vostro gentile sdegno
Forse di' allor mia ìndegnitate offende.
Oh, se questa temenza
Non temprasse 1' arsura, che m' incende.
Beato venir men ! che 'n lor presenza
M' è più caro il morir , che '1 viver senza.
Dunque di' ì' non mi sfaccia.
Si frale oggetto a sì possente foco,
]\on è proprio valor , che me ne scampi ;
Ma la paura un poco.
Che 'l sangue vag<» per le vene agghiaccia.
Risalila '1 cor, perchè più tempo avvampi.
Oh poggi , oh valli, oh fiumi, oh selve, oh campì,
Oh testiiiKin «Iella mia grave vita.
Quante Attlte m' iuli»te chiamar morte?
Ahi dolorosa sorte!
Lo star mi strugge, e '1 fuggir non m' aita.
Ma se maggior paura
Non m' aflreiiasse , via corta e spedita
Trarrebbe a fin quest' aspra pena e dura :
E la colpa è di tal , che non ha cura.
Dolor , perchè mi meni
Fuor di caminin a dir quel eh' i' non voglio?
Sostìcn, clr io vada ove '1 piacer mi spigne.
Già di voi non mi doglio,
Occhj sopra '1 mortai corso sereni,
Né di lui , di' a tal nodo mi distrigne.
A ('(lete ben, quanti color dìpigne
Amor sovente in mezzo del mio volto;
E potrete pensar, qual dentro fammi.
La' ^e die notte stammi
i;9]
RIME DEL PETRARCA.
[30]
Addosso col poder , eh' ha in voi raccolto,
Luci beate e liete !
Se non che '1 veder voi stesse v' è tolto :
]Mii quante volte a me vi rivolgete,
Conoscete in altrui quel che voi siete,
a voi fosse sì notca
La divina incredibile bellezza,
Di eh' io ragiono, come a chi la mira,
Misurata allegrezza
Non avria '1 cor: però forse è remota
Dal vigor naturai, che v' apre e gira.
P'elice r alma , che per voi sospira,
Lumi del ciel , per li quali io ringrazio
La vita , che per altro non m' è a grado.
Oimè ! perchè si rado
\Ii date quel, dond' io mai non son sazio?
Perchè non più sovente
Mirate, qual Amor di me fa strazio.''
E perchè mi spogliate immantinente
Del ben , eh' ad ora ad or 1' anima sente ?
ùco , eh' ad ora ad ora
(\ostra mercede,) i' sento in mezzo 1' alma
Lna dolcezza inusitata e nova,
La qual' ogni altra salma
Di nojosi pensier disgombra allora
Sì, che di mille un sol vi si ritrova:
(^Jiiel tanto a me, non più, del viver giova.
E se questo mio ben durasse alquanto,
Nullo stato agguagliarsi al mio potrebbe.
Ma forse altrui farebbe
Livido, e me superbo 1' onor tanto:
Però , lasso, convicnsi
Che r estremo del riso assaglia il pianto,
E 'nterrompendo quelli spirti aceensi
A me ritorni , e di me stesso pensi.
j' amoroso pensiero
Ch' alberga dentro, in voi mi si discopre
Tal, che mi trae del cor ogni altra gioja:
Onde parole ed opre
Escon di me sì fatte allor, eh' i' spero
Farmi immortai , perchè la carne moja
I Fugge al vostro ai)parire angoscia e noja,
E nel vostro partir tornano insieme :
Ma perchè la memoria innamorata
Chiude lor ptti I' entrata.
Di là non vanno dalle parti estreme :
Onde s' alcun bel frutto
Nasce di me, da voi vien prima il seme.
Io per me son quasi im terreno asciutto
Colto da voi, e '1 pregio è vostro in tutto.
Canzon , tu non m' acqueti , anzi m' inriauiini
A dir di quel, eh' a me stesso m' invola:
Però sia certa di non esser sola!
Caivzonk IX.
Gentil mia donna, i' veggio
Nel mover d<;' vostr' occhj un dolce lume,
Che mi mostra la via, «h' al ciel conduce,
E per lungo coslitme
Dentro là, do>e sol con Amor seggio,
Q^a^i visibilmente il cor tralitt:c.
Quesf è la vinta , eh' a lieo far m' induco
K che mi scorge al glorioso line :
Questa sola dal >olgo m' allontana;
Né f;ianmiai lingua innana
Contar poria quel , che le due divine
Luci Mentir mi fanno,
E quando '1 verno sparge le pruine,
E quando poi ringiovcnisce 1' anno,
Qual era al tempo del mio primo affanno.
Io penso : se là suso,
()nde '1 motor eterno delle stelle
Degnò mostrar del suo lavoro in terra,
Son r altr' opre sì belle,
Aprasi la prigion, ov' io son chiuso,
E che '1 cammino a tal vita mi serra.
Poi mi rivolgo alla mia usata guerra.
Ringraziando natura, e '1 dì eh' io nacqui,
Che riserbato m' hanno a tanto bene,
E lei , eh' a tanta spene
Alzò '1 mio cor , che 'nsin' allor io giacqui
A me nojoso e grave.
Da quel dì innanzi a me medesmo piacqui.
Empiendo d' un pensier alto e soave
Quel core, ond' hanno i begli occhj la chiave.
Né mai stato giojoso
Amor, o la volubile fortuna
Dieder a chi più fùr nel mondo amici,
Ch' i' noi cangiassi ad una
Rivolta d' occhj, ond' ogni mio riposo
Vien , com' ogni aibor vien da sue radici.
A^aghe faville angeliche, beatrici
Della mia vita , ove '1 piacer s' accende.
Che dolcemente mi consuma e strugge,
Come sparisce e fugge
Ogni altro lume, dove '1 vostro splende.
Così dello mio core.
Quando tanta dolce7za in lui discende.
Ogni altra cosa, ogni pensier va fore;
E sol ivi con voi rimansi Amore.
Quanta dolcezza unquanco
Fu in cor d' avventurosi amanti accolta
Tutta in un loco , a quel eh' i' sento , è nulla,
Quando voi alcuna volta
Soavemente tra 'I bel nero e '1 bianco
Volgete il ìume, in cui Amor si tr.istulla :
E credo, dalle fasce e dalla culla
Al mio 'mperfetto, alla fortuna avversa
Questo rimedio provvedesse il cielo.
Torto ini face il velo,
E la man, che sì spesso s' attraversa
Fra '1 mio sommo diletto
E gli occhj; onde dì e notte si rinveriia
Il gran desio per isfogar il petto,
Che forma ticn dal variato aspetto.
Percir io veggio (e mi spiace)
Che naturai mia dote a me non vale.
Né mi fa degno d' un sì caro sguardo,
Sforzomi d' esser tale,
Qual all' alta speran/a si confiire.
Ed ili foco gentil, ond' io Intt' ardo.
S' al licn veloce, ed al contrario tardo,
Disprc;[;iati>r di quanto M mondo brama
Per sollecito ^tlldio pos.-o l'arme,
l'otrcbbe forse aitarinc
Nel benigno giudiiio una tal fama.
(\;rto il fin de' mici pianti.
Che non iP allromle il cor doglioso cliiamn.
Vien da' begli oci lij al (In dolce tremanti,
l illima speme ih;' cortc.-<i amanti
Cnn/on , 1' una sorella è poi o innanzi.
I E r altra sento in i|nel medesmo albergo
I Apparccchiurbi : ond' io più carta \ergo.
[31]
RIME DEL PETRARCA.
Canzone X.
Poi clic per mio destino
A dir mi sforza quell' accesa voglia,
Che m' ha sforzato a sospirar mai sempre,
Amor, eh' a ciò m' invoglia,
Sia la mia scorta, e nsegnimi '1 cammino,
E col desio le mie rime contempre !
Ma non in guisa, che lo cor si stempro
Di soverchia dolcezza, coro' io temo
Per quel, eh' i' sento, ov' occhio altrui non giugne ;
Che '1 dir m' infiamma e pugne;
Kè per mio 'ngcgno (ond' io pavento e tremo)
Si come talor suole.
Trovo 'I gran foco della mente scemo;
Anzi mi struggo al suon delle parole.
Pur coni' io fossi un uom di ghiaccio alsolc.
Kel cominciar credia
Trovar, parlando al mio ardente desire
Qualche hreve riposo, e qualche tregua.
Questa speranza ardire
Mi porse a ragionar quel eh' i' sentia:
Or m' ahlìandona al tempo e si dilegua.
Ma pur convien , che 1' alta impresa segua,
Continuando 1' amorose note ;
Sì possente è il voler , che mi trasporta !
E la ragione è morta,
CJie tenea '1 freno, e contrastar noi potè.
Mostrimi almen , eh' io dica,
Amor, in guisa, che, se mai percote
Gli orecchj della dolce mia nemica,
Kon mia, ma dì pietà la faccia amica.
Dico : se 'n quella etate,
Cli' al vero onor fùr gli animi si accesi,
L' industria d' alquanti uomini s' avvolse
Per diversi paesi,
Poggi ed onde passando, e l' onorate
Cose cercando, il più bel fior ne colse.
Poi che Dio , e Natura , ed Amor volse
Locar compitamente ogni virtute
In quei he' lumi , ond' io giojoso vìvo.
Questo e quell' altro rivo
Non convien, eh' ì' trapasse , e terra mute,
A lor sempre ricorro.
Come a fontana d' ogni mìa salute,
E quando a morte desiando corro,
Sol di lor vista al mio stato soccorro.
Come a forza di venti
Stanco nocchier di notte alza la testa
A' duo lumi, eh' ha sempre il nostro polo,
Così nella tempesta
Cir i' sostengo d' amor, gli occhj lucenti
Sono il mio segno, e '1 mio conforto solo.
Liisso, ma troi)po è più quel eh' io ne 'ovolo
Or quinci, or quindi, com' Amor m' informa,
Che quel, che vicn da grazioso dono:
E quei poco eh' i' sono,
I^Ii fa di lor una perpetua norma :
Poi eh' io li vidi in prima.
Senza lor a li(;n far non movsi un' orma:
Co>ì gli ho di me posti in sulla cima.
Che '1 mio valor per sé falso b' estima!
V non porla giammai
Immaginar , non che narrar gli "effetti.
Che nel mìo cor gli ocehj soavi fanno.
Tolti gli altri diletti
Di que-ta vita ho per minori assai,
E tiitt' altre bellezze indietro vanno.
i?2]
Face triinquilla senz' alcuno affanno,
Simile a quella, che nel ciel eterna,
Move dal loro innamorato rìso.
Cosi vedess' io fiso,
-Com' Amor dolcemente li governa,
Sol un giorno da presso.
Senza volger giammai rota superna.
Né pensassi d' altrui, né dì me stesso,
E 'l batter gli occhj mici non fosse spesso!
Lasso , che desiando
Vo quel, eh' esser non puote in alcun modo,
E vìvo del desir fuor di speranza!
Solamente quel nodo,
Cli' Amor circonda alla mia lìngua, quando
L' imiana vista il troppo lume avanza,
Fosse disciolto ! i' prenderei baldanza
Di dir parole in quel punto sì nove,
Che fariaii lagrimar chi le 'ntendesse.
Ma le ferite impresse
Volgon per forza il cor piagato altrove;
Ond' io divento smorto,
E '1 sangue sì nasconde, i' non so dove;
Né rimango qual era, e sommi accorto.
Che questo è '1 colpo, dì che Amor m' ha morto
Canzone, i' sento già stancar la penna
Del lungo e dolce ragionar con lei ; ^
Ma non di parlar meco ì pensier miei.
S O X E T T o LIV.
Io son già stanco di pensar, sì come
I miei pensier in voi stan»;hì non sono,
E come vita ancor non abbandono.
Per fuggir de' sospir sì gravi some;
E come a dir del viso e delle chiome,
E de' begli occhj , ond' io sempre ragiono.
Non è mancata omaì la lingua, e '1 suono,
I Dì e notte chiamando il vostro nome ;
j E che ì pie miei non son fiaccati, e lassi
A seguir 1' orme vostre in ogni parte,
1 Perdendo inutilmente tanti passi;
Ed onde vien 1' inchiostro, onde le carte,
j Ch' i' vo empiendo di voi : se 'ii ciò fallassi,
! Colpa d' amor, non già difetto d' arte.
' Sonetto LV' .
' I begli occhj , ond' ì' fui percosso in guisa,
I Ch' e' medesmi poriau saldar la piaga,
I E non già virtù d' erbe, o d' arte maga,
I O di pietra dal mar nostro divisa,
! M' hanno la vìa sì d' altro amor precìsa,
Ch' un sol dolce pensier 1' anima appaga:
! E se la lingua di seguirlo è vaga,
La scorta può, non ella, esser derisa.
Questi son que' begli occhj, che l' imprese
Del mio signor vittoriose fanno
In ogni parte, e più sovra '1 mio fianco.
I Questi son que' begli occhj , «he mi stanno
Sempre nel cor con le faville accese,
Fcrch' io dì lor parlando non mi stanco.
Sonetto LVI.
I Anmr con sue promesse lusingando
JMi ricondusse alla prigione antica,
E die' le chiavi a quella mia nemica,
Ch' ancor me di me stesso tiene in bando.
! Non me n' avvidi, lasso, se non quando
I Fu' in lor forza , ed or i;(»n gran fatica
(Chi '1 crederà, perché giurando il dica.'')
{ In libertà rit(U'no so-:pirando.
I
33]
RIME DEL PETRARCA.
[34]
■] rome vero prigioniero afHitto,
Delle catene mie gran parte porto,
E '1 cor negli occhj , e nella fronte ho scritto.
Quando sarai del mio colore accorto,
Dirai: S' i' guardo e giudico ben dritto.
Questi avea poco andare ad esser morto.
Sonetto LVII.
'cr mirar Policleto a prova fiso
dm gli altri, eh' cbber fama di quell' arte,
iVlilP anni non vedrian la minor parte
Della beltà, che in' bave il cor conquiso.
Vlii certo il mio Simon fu in paradiso,
Onde questa gentil donna si parte ;
I^i la vide, e la ritrasse in carte,
ì^er far fede qua giù del suo bel viso.
L opra fu ben di quelle , che nel cielo
Si ponno immaginar , non qui fra noi,
,i Ove le membra fanno all' alma velo.
iportcsia fé; né la potea far poi
» Che fu disceso a provar caldo e gelo ;
E del mortai sentiron gli occhj suoi.
Sonetto LV'III.
Quando giunse a Simon 1' alto concetto,
Cir a mio nome gli pose in man lo stile,
S' avesse dato all' opera gentile
Con la figura voce ed intelletto,
Di sospir molti mi sgombrava il petto:
Che ciò, eh' altri han più caro, a me fan vile,
Però che 'n vista ella si mostra umile,
Promettendomi pace nell' aspetto.
Ha poi eh' i' vengo a ragionar con lei ;
Benignamente assai par che m' asculte,
Se risponder savesse a' detti miei.
Pigmalion , quanto lodar ti dei
Dell' immagine tua, se mille volte
N' avesti quel, eh' i' sol' una vorrei!
Sonetto LIX.
S' al principio risponde il fine e '1 mezzo
Del quartodecim' anno , eh' io sospiro.
Più non mi può scampar 1' aura, uè '1 rezzo;
Sì crescer sento '1 mio ardente desiro !
Amor , con cui i pensier mai non han mezzo.
Sotto '1 cui giogo giammai ncm respiro.
Tal mi governa, eh' i' non son già niezzo
Per gli occhj , eh' al mio mal sì spesso giro.
Così mancand(» vo di giorno in giorno
Si chiusamente , eh' io sol me n' accorgo,
E quella, che guardando il cor mi strugge.
Ap|)ena infin a qui 1' anima scorgo ;
Sé so, quanto fia meco il suo soggi'imo:
Che lu morte «' appressa , e 'I viver fugge.
Sestina \\.
Oli è fermato dì menar sua vita
Su pi;r r onde fallaci , e per gli scogli,
Scevro da iìH)rte con un picriol legni»,
Non può molto lonluno esser d.il fine:
Pelò sareìibe ila ritrarsi in porto,
Mentre al governo ancor crede la vela.
L' aura soave, a cui governo e vela
Coiiiini.'>i enlriinilo all' amorosa vita,
E siier.iiido venire n miglior porto.
Poi mi ntniliisse in |)iù di mille scogli :
E le Ciigiiin del mio doglioso fine
^011 pur d' intorno uvea, ma dentro ni legno.
Chiuso gran tempo in questo cieco legno
Errai senza levar occhio alla vela,
Ch' anzi '1 mio dì mi trasportava al fine:
Poi piacque a lui , che mi produsse in vita,
Chiamarmi tanto indietro dagli scogli,
Ch' almen da lunge m' apparisse il porto.
Come lume di notte in alcun porto
Vide mai d' alto mar nave, né legno.
Se non gliel tolse o tempestate, o scogli;
Così di su dalla gonfiata vela
Vid' io le 'nsegne di quell' altra vita:
Ed allor sospirai verso '1 mio fine;
Non perch' io sia securo anco del fine:
Che , volendo col giorno essere a porto,
E gran viaggio in così poca vita.
Poi temo, che mi veggio in fragil legno,
E più eh' i' non vorrei , piena la vela
Del vento , che mi pinse in questi scogli.
S' io esca vivo de' dubbiosi scogli,
Ed arrive il mio e»ilio ad un bel fine,
Ch' i' sarei vago di voltar la vela,
E 1' ancore gittare in qualche porto ;
Se non eh' i' ardo come acceso legno ;
Sì m' è duro a lasciar 1' usata vita!
Signor della mia fine , e della vita,
Prima eh' i' fiac(-hi il legno tra gli scogli.
Drizza a buon porto I' affannata vela !
Sonetto LX.
Io 6on sì stanco sotto 1 fascio antico
Delle mie colpe, e dell' usanza ria,
Cli' i' temo forte di mancar tra via,
E di cadere in man del mio nemico.
Ben venne a dilivrarmi un grand" amico
Per somma ed iiiefTabil cortesia;
Poi volò fuor della veduta mia
Sì, eh' a mirarlo indarno m' affatico.
Ma la sua voce ancor qua giù rimbomba:
Oh voi, che travagliate, ecco '1 cammino!
Venite a me, se 'l passo altri non serra!
Qual grazia, qual amore, o qual destino
Mi darà penne in guisa di colomba,
Ch' i' mi riposi, e levimi da terra?
Sonetto LXI.
Io non fu' d' amar voi lassato unquanco,
Madonna , né sarò, mentre eh' io viva :
Ma d' odiar me inedesmo giunto a riva,
K del continuo Ingriinar son stanco.
E voglio anzi un sepoli-ro bello e bianco.
Che '1 vostro nome a mio danno si scriva
In alcun marmo, ove ili spirto priva
Sia la mia carne, che può star seco anco.
IV-rò s' ini cor pien d' amorosa fede
Può coiilciitarvi , senza f.irne strazio,
Piacciavi ornai di questo aver mercede!
S<r n altro modo cerca d' esser sn/io
Vostro sdegno, erra, « non fia quel che crede:
Di che Amor e me stesso assai ringrazio.
S o > K t T o LXII.
Se bianche non son prima ambe le tempie,
(/ir a poco a poco piir che 'I tempo iiiidclii,
Sicuro non sarò, bendi' io m' arrisclii
'l'alor , ov' Amor 1' arco lira ed empie.
Non temo già, che più mi strn/j , u scempie.
3
[35]
RIME DEL PETRARCA.
[36]
Né mi ritenga , perchè ancor m' inviceli!,
Né m' apra il cor , perchè di fuor 1' in» iìchi
Con sue saette velenose ed einjiie.
Lagrime oniai dagli occhj uscir non ponno ;
Ma di gir infin là sanno il viaggio,
Si eh' appena fia mai eh' il passo chiuda.
Ben mi può riscaldar il fiero raggio,
Non sì eh' i' arda; e può turb.ìrnii il sonno,
Ma romper no , 1' immagine aspra e cruda.
So\ E TTO LXIII.
P. Occhj, piangete; accompagnate il core,
Che di vostro fallir morte sostiene. —
0. Cosi genipre facciamo; e ne con^iene
Lamentar più 1' altrui, che '1 nostro errore. —
P. Già prima ebbe per voi 1' entrata Amore
Là, onde ancor, come in suo albergo, viene. -
0. Noi gli aprimmo la via per quella spene,
Che mosse dentro da colui, che more. —
P. Non son, com' a voi par, le ragion pari:'
Che pur voi foste nella prima vista
Del vostro, e del suo mal cotanto avari. —
0. Or questo è quel, che più eh' altro n' attrista ;
Che i perfetti giudirj son si rari,
£ d' altrui colpa altrui biasmo s' acquista.
Sonetto LXI V.
Io amai sempre, ed amo forte ancora,
E son per amar più di giorno in giorno
Quel dol<-e loco, ove piangendo torno
Spesse fiate, quando Amor m' accora.
E son fermo d' amare il tempo , e 1' ora,
Ch" ogni vii cura mi levar d' intorno,
E più colei, lo cui bel viso adorno
Di ben far co' suo' esempj m' innamora.
Ma chi pensò veder mai tutti in.>.ieme.
Per assalirmi '1 cor , or quindi or quinci.
Questi dolci nemici , eh' i' tant' amo ?
Amor , con quanto sforzo oggi mi vinci !
E se non eh' al desio cresce la speme,
r cadrei morto , ove più viver bramo.
Sonetto LX V.
Io avTÒ sempre in odio la fenestra,
Onde Amor in' avventò già mille strali,
Perch' alquanti di lor non fùr mortali;
Ch' è bel morir, mentre la vita è destra.
Ma 'I sovrastar nella prÌ!;ion tcrrestra
Cagion m' è, lasso, d' infiniti mali:
E più mi duul, che sien meco iiiimorlalt,
Poiché r alma dal cor non yi sc^pe^tra.
Misera! che dovrebbe esser accorta
Per lunga sperienza ornai, che '1 tempo
Non è chi 'ndietro volga, o chi 1' ailreni.
Più volte r ho con tai parole scorta :
^ attene , trista ! che non va per tempo,
Chi dopo lascia i suoi dì più sereni.
Sonetto LWI.
Si tosto , come avvicn che 1' arco scocchi
BufMi sagittario , di lontan discerne,
Qnal colpo è da sprezzare, e qnal d' averne
Fede, eh' al destinato segno tocchi.
Similemente il colpo de' vostr' occhj,
Donna, sentiste allo mie parti interne
Dritto passare; onde convien, eh' eterno
Lagrime per la piaga il cor trabocchi.
E certo eon, che voi diceste allora:
Misero amante ! a che vaghezza il mena ?
Ecco lo strale, ond' Amor vuol, eh' e' mora!
Ora veggendo, come il duol m' alìVcna,
Quel, che mi fanno i miei nemici ancora.
Non è per morte, ma per più mia pena.
Sonetto LX VIL
Poi clic mia speme è lunga a venir troppo,
E della vita il trapassar sì corto,
Aorreimi a miglior tempo esser accorto,
Per fuggir dietro più che di galoppo :
E fuggo ancor così debile e zoppo
Dall' un de' lati, ove '1 desio m' ha storto,
Securo ornai ; ma pur nel vÌl-o porto
Segni, eh' io presi all' amoroso intoppo.
Ond' io consiglio voi, che siete in via,
Volgete i passi, e voi, cu' amore avvampa.
Non v' indugiate sull' estremo ardore !
Che, perdi' io viva, di mille un non scampa*
Era ben forte la nemica mia,
E lei vid' io ferita in mezzo '1 core.
Sonetto LXVIII.
Fuggendo la prigione, ov' Amor m' ebbe
Molt' anni, a far di me quel, eh' a lui parve,
Donne mie, lungo fora a ricontarve,
Quanto la nova libertà m' increbbe.
Diceami '1 cor, che per sé non saprebbe
Vivere un giorno, e poi tra Aia m' apparve
Quel traditor in sì mentite larve,
Che più saggio di me ingannato avrebbe.
Onde più volte sospirando indietro,
Dissi: oimè , il giogo, e le catene, e i ceppi
Eran più dolci, che 1' andare sciolto.
Misero me! che tardo il mio mal seppi!
E con quanta fatica oggi mi spetro
Dell' error , ov' io stesso m' era involto !
Sonetto LXIX.
Erano i capei d' oro all' aura sparai,
Che 'n mille dolci nodi gli avvolgea,
E '1 vago lume oltra misura ardea
Di quei begli occhj , eh' or ne son si scardi,
E '1 viso di pietosi color farsi.
Non so se vero , o falso , mi parca.
r, che r esca amorosa al petto avea,
Qnal meraviglia, se di suhit' arsi?
Non era 1' andar suo cosa mortale,
Ma d' angelica forma , e le parole
Sonavan altro , che pur voce umana.
Uno spirto celeste, un vivo sole
Fu quel, eh' i' vidi : e se iu)n fosse or tale,
Piaga per allentar d' arco non sana.
Sonetto LXX,
La bella donna, che cotanto amavi,
Subitamente s' é da noi partita,
E, per quel eh' io ne speri , al cicl salita ;
Sì furon gli atti suoi dolci e soavi!
Tempo é da ricovrare ambe le chiavi
Del tuo cor , eh' ella possedeva in vita,
E seguir lei per via dritta e spedita.
Peso terren non sia più che t' aggravi!
Poi <-.he se' sgtunbio della maggior salma,
L" altre puoi ginso agevolmente porre.
Salendo quasi un pellegrino scarcu.
Ben vedi omai , siccome a morte corre
Ogni cosa creata , e quanto all' alma
BieiOgna ir lieve al periglioso varco.
[3Ì]
RIME DEL PETRARCA.
[38]
Sonetto LXXI.
Piangete, donne, e con toì pianga Amore!
Piangete, amanti, per ciascun paese,
Poi che morto è colui, che tutto intese
In farvi, mentre ■visse al iiiondo, onore.
Io per me prego il mio acerbo dolore,
INon sian da lui le lagrime contese,
E mi sia di sospir tanto cortese,
Quanto bisogna a disfogare il core.
Piangan le rime ancor, piangano i versi!
Perchè '1 nostro amoroso messcr Cino
IVovellamente s' è da noi partito.
iPianga Pistoja, e i cittadin perversi,
Che perdut' hanno si dolce micino,
E rallegrisi il cielo, ov' egli è gito!
Sonetto LXXII.
Più Tolte Amor ra' avea già detto: scrivi.
Scrivi quel che vedesti, in lettre d' oro,
Sì come i mici segnaci discoloro,
E 'n un momento li fo morti e vivi.
Un tempo fu, che 'n te stesso '1 sentivi,
Volgare esempio all' amoroso coro :
Poi (li man mi ti tolse altro lavoro ;
Ma già ti raggians' io, mentre fuggivi.
E gè i begli occhj , ond' io mi ti mostrai,
E là dov' era il mio dolce ridutto.
Quando ti ruppi al cor tanta durezza,
Mi rendon 1' arco, eh' ogni cosa spezza;
Forse non avrai sempre il viso asciutto:
Ch' i' mi pasco di lagrime, e tu 1 gai.
Sonetto LXXIII.
Qnando giugne per gli occhj al cor profondo
L' immagin donna, ogni altra indi si parte,
E le virtù, che l' anima comparte,
Lascian le membra quasi ìmmobii pondo.
E dei primo miracolo il secondo
Nasce talor , che la scacciata parte.
Da sé stessa fuggendo , arriva in parte.
Che fa vendetta , e '1 suo esilio giocondo.
Quinci in duo volti un color morto appare;
Perchè il vigor, che vivi li mostrava.
Da nessun lato è più là, dove stara.
E di que^^lo in quel dì mi ricordava,
CIi' i' ^idi duo amanti trasformare,
E far, qual io mi soglio in vista fare.
Sonetto LXXIV.
Cosi potess' io ben chiuder in versi
I miei pensier , come nel cor li chiudo,
Ch' animo al mondo non fu mai sì crudo,
Ch' i' non facessi per pietà dolersi.
Ma voi , occhj beati , ond' io soilcrsi
Quel colpo , ove non valse elmo , nò scudo,
Di fuor e dentro mi cedete ignudo,
Renchè 'n laiii(!nti il duol non si riversi:
Poi che vostro vedere in me risplendc,
Come raggio di sol traluce in vetro,
liasti dunque il desio, senza eli' io dica.
Laiiso, non a I\laria, non nocque a Pietro
La fede , eh' a me sol tanto è nemica ;
E so che, altri che voi, n(^-sun m' intende.
S ON e tt o LWV.
Io fion dell' aspettar omai sì vinto,
E della lunga guerra de' sospiri,
Ch' i' aggio in odio la speme, e i dei>irì,
Ed ogni laccio, ondo '1 mio cor è uv\into.
Ma '1 bel viso leggiadro, che dipinto
Porto nel petto, e veggio, ove eh' io miri
Mi sforza ; onde ne' primi cmpj martiri
Pur son contra mia voglia risospinto.
Allor errai, quando 1' antica strada
Di libertà mi fu precisa e tolta:
Che mal si segue ciò , eh' agli occlij aggrada.
Allor corse al suo mal libera e sciolta,
Or a posta d' altrui convien che vada
L' anima , che peccò sol una volta.
Sonetto LXXVI,
Ahi bella libertà, come tu m' hai,
Partendoti da me , mostrato , quale
Era '1 mio stato , qnando 'i primo strale
Fece la piaga, ond' io non guarrò mai!
Gli occhj invaghirò allor ^^ de' lor guai.
Che '1 frcn della ragione ivi non vale;
Perdi' hanno a schifo ogni opera mortale:
Lasso ! cosi da prima gli avvezzai.
ÌVè mi lece ascoltar chi non ragiona
Della mia morte; che s^l del suo nome
A o empiendo 1' aei-e , che sì dolce suona.
Amor in altra parte non mi sprona,
Kè i pie sanno altra via, né la man, come
Lodar si pessa in carte altra persona.
Sonetto LXXVIL
Orso , al vostro destrier si può ben porre
Un fren, che di suo corso indietro il volga;
Ma '1 cor chi legherà, che non si sciolga.
Se brama onore, e '1 suo contrario abborre.'
Non sospirate ! a lui non si può torre
Suo pregio, perch' a voi 1' andar si tolga;
Che, come fama pubblica divolga.
Egli è già là , che nuli' altro il precorre.
Basti, che si ritrovo in mezzo '1 campo
Al destinato dì , sotto quell' arme.
Che gli dà il tempo , amor, virtute, e '1 sangue,
Gridando: d' un gentil de.-ire avvampo
Col signor mio , che non può seguitarme,
E del non esser qui si strugge, e langue.
Sonetto LXXVIII,
Poi che voi ed io più volte abbiam provato.
Come 1 nostro sperar torna fallace,
Dictr' a quel sommo ben, che mai non spiace,
Levate '1 core a più felice stato!
Questa vita terrena è qua-i un prato,
('he '1 serpente tra' (ìiui e 1' erba giace,
E s' alcuna sua vir.ta agli occhj piace,
E per lasciar più 1' aniuio invescato.
Voi dunque, se cercate aver la mente
Anzi r estrj-mo di qwcta giamuiai,
Seguite i pochi , e non la a olgar gente !
Ben si può (lire a me: frate, tu vai
Alustrando altrui la via. do\o sovente
Fosti smarrito , ed or se' più che mai.
Sonetto LWIX.
Quella foncstra, ove 1' nn sol si >cdc,
Quando a lui piace, e 1' altro in sulla nona,
E quella, do\c 1' acre tVcildo suon.i
Ne' brevi gi<»riii , quando borea 1' fìcde ;
E I sasso , ove a' gran dì pensosa siede
Madonna, e sola seco si ragiona,
('on quanti luoglii sua bella persona
Cloprì unii d' ombra, n disegnò col piede;
E '1 fiero passo, ove iir aggiunse Amore;
3 ♦
[39]
RIME DEL PETRARCA.
[40]
E la noTa station, che d' anno in anno
Mi rinfresca in quel dì 1' antiche piaghe;
E '1 volto, e le parole, che mi stanno
Altamente confitte in mezzo '1 core,
Fanno le luci mie di pianger Aaghe.
Sonetto LXXX.
Lasso ! hen so , che dolorose prede
Di noi fa quella, eh' a nuli' uom perdona,
E che rapidamente n' abbandona
II mondo, e picciol tempo ne tien fede.
leggio a molto languir poca mercede,
E già r ultimo dì nel cor mi tuona.
Per tutto questo Amor non mi sprigiona,
Che r usato tributo agli (tcchj chiede.
So , come i dì , come i momenti , e 1' ore
]Ne portan gli anni, e non ricevo inganno,
Ma forza assai maggior, che d' arti maghe.
La Aoglia e la ragion combattut' hanno
Sette e sett' anni, e vincerà il migliore;
S' anime son qua giù del ben presaghe.
Sonetto LXXXI.
Cesare, poi che '1 traditor d' Egitto
Gli fece il don dell' onorata testa.
Celando 1' allegrezza manifesta,
Pianse per gli occhj fuor, sì come è scritto.
Ed Annibal, quand' all' imperio afflitto
Vide farsi fortuna sì molesta.
Rise fra gente lagrimosa e mesta.
Per isfogare il suo acerbo despitto.
E così avvien, che 1' animo ciascuna
Sua passìon sotto '1 contrario manto
Ricopre con la vista or chiara, or bruna.
Però, s' alcuna volta i' rido, o canto,
Facciol, perdi' i' non ho se non quest' una
Via da celare il mio angoscioso pianto.
Sonetto LXXXII.
Vinse Annibal , e non seppe usar poi
Ben la vittoriosa sua ventura:
Però , signor mio caro , aggiate cura,
Che similmente non avvegna a voi!
L' orsa rabbiosa per gli orsacchj suoi,
Che trovaron di maggio aspra pastura,
Rode sé dentro, e i denti, e 1' unghie indura,
Per vendicar suoi danni sopra noi.
Mentre 'l novo d(»lor dunque 1' accora,
j\on riponete 1' onorata spada,
Anzi seguite là, dove vi chiama
A ostra fortuna, dritto per la strada,
Che vi piu't dar , dopo la morte ancora,
Mille e miir anni al mondo onore e fama!
Sonetto LXXXlll.
L' a*pfttata virtù, che 'n voi fiorifa.
Quando Amor cominciò darvi battaglia,
Produce or frutto, che quel fiore agguaglia,
E che mìa speme fa venire a ri\a.
Però mi di<;e 'l cor, eh' io in <;arte scriva
Cosa, onde '1 vostro nome in pregio saglìa :
Che 'n nulla parte sì saldo s' intiiglia.
Per far «li marmo una persona viva.
Oedetc voi , che Cesare , o Marcello,
0 Paolo , od African fossìn cotali
Per in«;ude gianmiai, ni- per martello?
Pandolfo mio, <|ii<>l' opere son frali
Al lungo andar; ma 'I nostro studio è quello,
Clic fa per famu gli uomini immortali.
Canzone XI.
Mai non to' più cantar, com' io soleva;
Ch' altri non m' intendeva, ond' ebbi scorno;
E puossi in bel soggiorno esser molesto.
Il sempre sospirar nulla rileva.
Già su per 1' alpi neva d' ogn' intorno.
Ed è già presso al giorno, ond' io son desto.
Un atto dolce onesto è gentil cosa.
Ed in donna amorosa ancor m' aggrada.
Che 'n vista vada altera e disdegnosa,
Non superba e ritrosa.
Amor regge suo imperio senza spada.
Chi smarrit' ha la strada . torni 'ndietro !
Chi non ha albergo , posisi in sul verde !
Chi non ha 1' auro , o '1 perde,
Spenga la sete sua con un bel vetro!
r die' in guardia a san Pietro ; or non più , no !
Intendami chi può, eh' i' m' intend' io.
Grave soma è un mal fio a mantenerlo.
Quanto posso, mi spetro, e sol mi sto.
Fetonte odo, che 'n Po cadde e morìo.
E già di là dal rio passato è '1 merlo.
Deh venite a vederlo ! or io non voglio.
Non è gioco uno scoglio in mezzo 1' onde,
E 'ntra le fronde il visco. Assai mi doglio,
Quaiid' un soverchio orgoglio
Molte virtuti in bella donna asconde,
Alcun è, che risponde a chi noi chiama:
Altri , a chi '1 prega , si dilegua e fugge :
Altri al ghiaccio si strugge;
Altri dì e notte la sua morte hi*ama.
Provverbio, Ama chi V ama, è fatto antico.
1' so ben quel eh' io dico. Or lassa andare!
Che convien eh' altri impare alle sue spese.
Un' umil donna grama un dolce amico.
Mal si conosce il fico. A me pur pare
Senno a non cominciar tropp' alte imprese,
E per ogni paese è buona stanza.
L' infinita speranza uccide altrui :
Ed anch' io fui alcuna ^olta in danza.
Quel poco , che m' avanza,
Fia chi noi schifi , s' i' '1 vo' dare a lui.
r mi fido in colui , che il mondo regge,
E che i seguaci suoi nel bosco alberga ;
Che con pietosa verga
Mi meni a pasco ornai tra le sue gregge.
Forse eh' ogni uom, che legge, non s' intende;
E la rete tal tende, che non piglia:
E chi troppo a.-:sottiglia, si scavezza.
Non sia zoppa la legge , ov' altri attende !
Per bene star si scende molte miglia.
Tal par gran meraviglia , e poi si sprezza.
Una chiusa bellezza è più soave.
Benedetta la chiave , che s' avvolse
Al cor, e >(-iolse 1' alma, e scossa 1' have
Ili catena si grave,
E 'nfiniti sospir del mio sen tolse!
Là, do\e più mi dolse, altri si dolc;
E dolendo addolcisce il mio dolore:
Ond' io ringrazio Amore,
Che più noi sento, ed è non men che suole.
In silenzio parole accorte e saggc !
E 1 siion che mi sottragge ogni altra cura,
E la prigìon usctura , «»v' è '1 bel lume.
Le notturne viole per le piagge,
E le fere selvagge eutr' alle mura,
U]
RIME DEL PETRARCA.
[42]
E la dolce paura , e 'l bel costume,
E (li duo fonti un fiume in pace volto,
Dov' io bramo , e raccolto ove che sia,
Amor, e gelosia ra' hanno il cor tolto,
E i segni del bel volto,
Che mi conducon per più piana via
Alia speranza mia , al fin degli affanni.
Oh riposto mio bene, e quel che segue,
Or pace , or guerra , or tregue.
Mai non m' abbandonate in questi panni !
e' passati miei danni piango e rido.
Perchè molto mi fido in quel , eh' i' odo.
Del presente mi godo, e meglio aspetto,
E vo contando gli anni , e taccio , e grido,
E 'n bel ramo m' annido, ed in tal modo,
Ch' i' ne ringrazio e lodo il gran disdetto,
Che 1' indurato affetto al fine ha vinto,
E nell' alma dipinto 'i' sare' udito,
E mostratone a dito' ed hanae estinto
(Tanto innanzi son pinto,
Ch' il pur dirò) 'non fostu tanto ardito.'
Chi m ha i fianco ferito, e chi '1 risalda?
Per cui nel cor vie più che 'n carte scrivo.
Chi mi fa morto e vìvo.''
Chi 'n un punto m' agghiaccia e mi riscalda.
Ballata Vili.
Tova angeletta sovra 1' ale accorta
Scese dal cielo in sulla fresca riva,
Là, ond' io passava sol per mio destino.
Poi che senza compagno e senza scorta
Mi vide, un laccio, che di seta ordiva.
Tese fra I' erba , ond' è verde '1 cammino.
Alior fui preso, e non mi spiacque poi;
Si dolce lume uscia degli occhj suoi!
Sonetto LXWIV.
Son veggio , ove ecampar mi possa omai ;
Sì lunga guerra i begli occhj mi fauno,
Ch' io temo, lasso, n<» '1 soverchio affanno
Distrugga 'l cor, che triegua non ha mai.
Fuggir vorrei; ma gli amorosi rai.
Che dì e notte nella mente stanno,
Risplcndon sì , cir al quintodeciDi' anno
M' abbagliali più, che l pi-iiuo giorno assai.
E 1' immagini lor son si cosparte,
Che volver non mi posso , ov' io non veggia
O quella , o simil indi accesa luce.
Solo di un laur(» tal selva verdeggia.
Che 'l mio avversario con mirabil' arte
Vago fra i rami, ovunque vuol, m' adduce-
S o \ K T T o L\\\ V.
Avventuroso più d' altro terreno,
Ov' Amor vidi già fermar le piante,
Ver me volgendo quelle luci sante.
Che fanno intorno a sé 1' a(;re sereno,
Prima porla per teiupo venir meno
lln' iinmagiiie salda di diiimante.
Che r atto dolce non mi stia davaiite,
Uel qual ho la memoria e l cor si pieno.
Né tante volte ti vedrò giaiiiuiai,
CI ' i' non m' inchini a ricercar dell' orme,
Che 'l bel piò fece in quel cortese giro.
Ma s<! 'n cor valoroso amor non dorme,
Prega, .Soiiniiccio mio, quiuido 'l vedrai,
Dì qualche lagriuietta, o d' un ^osplro.
S<.NK,,o lAWVI.
Lasflo , quante fiate Amor m" assale.
Che fra la notte u '1 di son più di mille.
Torno, dov' arder vidi le faville,
Che '1 foco del mio cor fanno immortale.
Ivi m' acqueto , e son condotto a tale,
Ch' a nona , a vespro , all' alba . ed alle squille
Le trovo nel pensier tanto tranquille.
Che di nuli' altro mi rimembra , o cale.
L' aura soave, che dal chiaro viso
Move col suon delle parole accorte.
Per far dolce sereno , ovunque spira.
Quasi un spirto gentil di paradiso.
Sempre in quell' aere par che mi conforte,
Sì che '1 cor lasso altrove non respira.
Sonetto LXXXVII.
Perseguendomi Amor al luogo usati».
Ristretto in guisa d' unni . eh' a*petta guerra,
Che si provvede , e i passi intorno serra.
De' mie' antichi pensier mi stava armato.
Volgimi, e vidi un' umbra, che da lato
' Stampava il sole, e riconobbi in terra
j Quella che , se '1 giudicio mio non erra,
I Era più degna d' immortale ^tato.
r dicea fra mio cor: perchè paventi?
I Ma non fu prima dentro il pensier giunto,
i Che i raggi, ov' io mi struggo, eran presenti.
; Come col balenar tuona in un punto,
1 Così fu" io da' begli occhj lucenti,
E d' un dolce saluto insieme aggiunto.
Sonetto LXXXVllI.
La donna, che 'l mio cor nel viso porta,
Là dove sol fra bei pensier d' amore
Sedea, m' apparve; ed io, per farle onore.
Mossi con fronte reverente e smorta.
Tosto che del mio stato fossi accorta,
A me si \olse in sì novo colore,
Ch' avrebbe a Giove nel maggior furore
Tolto r arme di mano , e 1' ira morta.
I' mi riscossi, ed ella oltra, parlando.
Passò , che la parola i' non soffer.>i,
Xè '1 dolce sfavillar degli occhj suoi.
Or mi ritrovo pìeii di sì diversi
Piaceri in quel saluto ripensando,
Che duol non sento , né sentii ma' poi.
Sonetto LXXXIX.
iSennuccio, i' vo' che sappi, in qual maniera
: Trattato sono , e qual vita è la mia.
I Ardomi e struggo ancor , com' io solia ;
I Laura mi volve, e son pur quel eh' i" lu" ir.i.
iQui tutta umile, e qui la vidi altera;
i Or aspra, or piana, or dispietata, or pia;
i Or vestirsi onestate, or leggiadria,
i Or mansueta, or disdegnosa e fera.
Qui cantò dolcemente, e qui s' assise;
Qui si rivolse, e qui rattcnne il passo.
Qui co' begli occhj mi tran.->e il core.
Qui disse Ulta parola, e qui sorrise,
Qui cangiò 'l viso. In quegli pensier, lasso.
>ottc e dì tiemmi il signor nostro Amore.
I Sonetto XC.
Qui dove mezzo son , Scnniiccio mio.
((/'o.-ì ci fo>s' io intero, e voi contento')
I \ Clini fiiggeiiilo la tempesta e l vento,
I ('ir hanno Mibito fatto il tempo rio.
Qui son seciiro , e v(tv\i dir, perch* io
j IVon, ciuut^ soglio, il folgorar pavento.
I E perchè mitigalo , non che spento,
[43]
RIME DEL PETRARCA.
[441 I
Né mica troYO il mio ardente desio.
Tosto che giunto al amorosa reggia
Vidi , onde nacque Laura dolce e pura,
Cii' acqueta 1' aere, e mette i tuoni in bando,
Amor neir alma, ov' ella signoreggia,
Raccese il foco, e spense la paura:
Che farei dunque gli occhj suoi guardando?
Sonetto XCl.
Dell' empia Babilonia, ond' è fuggita
Ogni vergogna , ond' ogni bene è_ fori,
Albergo di dolor, madre d' errori,
Son fuggii' io per allungar la -vita.
Qui mi sto solo, e, come Amor m' invita,^
Or rime e versi, or colgo erbette e fiori,
Seco parlando, ed a' tempi migliori
Sempre pensando ; e questo sol m' aita.
Kè del vulgo mi cai, né di fortuna,
]Vè di me molto, né di cosa vile;
Kè dentro sento, né di fuor gran caldo;
So due persone chieggio, e vorrei 1' mia
Col cor ver me pacificato e umile ;
L' altro col pie, sì come mai fu, &aIdo,
Sonetto XCII.
In mezzo di duo amanti onesta altera
Vidi una donna, e quel signor con lei, ^
Che fra gli uomini regna, e fra gli Dei,
E dall' un lato il sole , io dall' altr' era.
Poi che s' accorse clìiusa dalla spera
Dell' amico più bello, agli occhj miei
Tutta lieta si volse ; e ben vorrei.
Che mai non fosse inver di me più fera.
Subito in allegrezza si converse
La gelosia, che 'n su la prima vista
Per sì alto avversario al cor mi nacque.
A lui la faccia lagrimosa e trista
Un nuviletto intorno ricoverse ;
Cotanto I' esser vinto gli dispiacque!
Sonetto XCIIL
Pien di quella ineffabile dolcezza,
Che del bel viso trasser gli occhj miei
Kel dì , che volentier chiusi gli avrei,
Per non mirar giammai minor bellezza.
Lasciai quel eh' i' più bramo: ed ho sì a^'^ezza
La mente a contemplar sola costei,
Ch' altro non vede , e ciò che non è in lei
Già per antica usanza odia e disprezza.
In una valle chiusa d' ogn' intorno,
Ch' é refrigerio de' sospir miei lassi,
Giunsi sol con Amor, pensoso e tardo.
\\\ non donne, ma fontane e sassi,
E 1' immagine trovo di quel giorno.
Che '1 pcnsier mio figura ovunqii' io sguardo.
Sonetto XCIV.
Se 'I sasso , end' è più chiusa questa valle,
Di che '1 suo proprio nome si deriva,
Tenesse volto per natura schiva
A Roma il viso, ed a Babel le Kpallc,
I mici sospiri più benigno calle
Avrian, per gire ove lor spene è viva:
Or vanno spiu>i , e pur ciascuno arriva
Là , dov' io 'I mando , che sol un non falle.
£ son di là sì ddlcenientc accolti,
Com' io m' accorgo , die nessun mai torna.
Con titl diletto in quelle partì stanno.
Degli occUj è '1 duol, che toiito che u' aggiorna.
Per gran desio de' bei luoghi a lor tolti
Danno a me pianto, ed a' pie lassi affanno.
Sonetto XCV\
Rimansi addietro il scstodecim' anno
De' miei sospiri, ed io trapasso innanzi
Verso r estremo, e parmi, che pur dianzi
Fosse '1 principio di cotanto affanno.
L' amar m' é dolce, ed utile il mio danno,
E '1 viver grave, e prego, eh' egli avanzi
L' empia fortuna , e temo, non chiuda anzi
Morte i begli occhj , che parlar mi fanno.
Or qui son , lasso , e voglio esser altrove,
E vorrei più volere, e più non voglio,
E per più non poter, fo quant' io posso.
E d' antichi desir lagrime nove
Provan , coni' io son pur quel eh' i' mi soglio '
]\é per mille rivolte ancor son mosso.
Canzone XIL
Una donna più bella assai che '1 sole,
£ più lucente, e d' altrettanta etade.
Con famosa beltade
Acerbo ancor mi trasse alla sua schiera.
Questa in pensieri , in opre , ed in parole,
Però eh' è delle cose al mondo rade,
Questa per mille strade
Sempre innanzi mi fu leggiadra altera:
Solo per lei tornai da quel eh' i' era,
Poi eh' i' soffersi gli occhj suoi da presso;
Per suo amor m' er' io messo
A faticosa impresa assai per tempo,
Tal che , s' i' arriì o al desiato porto.
Spero per lei gran tempo
Viver, quand' altri mi terrà per morto.
Questa mia donna mi menò molt' anni
Pien di vaghezza giovenile ardendo,
Sì com' ora io comprendo.
Sol per aver di me più certa prova,
Mostrandomi pur 1' ombra , o '1 velo , o i panni
Talor di sé, ma '1 viso nascondendo:
Ed io, lasso, credendo
Vederne assai, tutta 1' età mia nova
Passai contento, e 'l rimembrar mi giova.
Poi eh' alquanto di lei veggi' or più innanzi,
r dico che pur dianzi,
Qual' io non 1' avea vista infin allora,
Mi si scoverse: onde mi nacque un ghiaccio
Kel core , ed evvi ancora,
E sarà gemiirc, fin eh' io le sia in braccio.
Ma non mei tolse la paura o '1 gelo:
Che pur tanta baldanza al mio cor diedi,
Ch' i' le mi strinsi a' piedi
Per più dolcezza trar degli occhj suoi.
Ed ella, che rimosso avea già il velo
Dinanzi a' miei, mi disse: amico, or vedi
Com' io son bella, e cliiedi
Quanto par si convenga agli anni tuoi.
Madonna, dissi, già gran tempo in voi
Posi '1 mio amor, eh' io sento or ei 'nfiammato ;
Ond' a me in questo stato
Altro volere, o disvoler m' è tolto.
Con voce allor di si mirabil tempre
Rispose, e con un volto.
Che temer e sperar mi farà sempre :
Rado fu al mondo fra così gran turba,
Chi, udendo ragionar del mio valore.
i-r,]
RIME DEL PETRARCA.
[46]
Non sì sentisse al core,
Per l)reve tempo alinen, qualche favilla:
>5>i r avversaria mia, che '1 ben perturba,
Tosto la spegne ; end' ogni virtù more,
E regna altro signore,
Clic promette una vita più tranquilla.
Della tua mente Amor, che prima aprilla,
Mi dice cose veramente, ond' io
Veggio, che il gran desio
; Pur d' onorato fin ti farà degno,
E come già se' de' miei rari amici,
Donna vedrai per segno,
Che farà gli occhj tuoi vie più felici.,
volea dir: qncst' è ìmunssibil cosa ;
Quand' ella: or mira, e leva gli occhj un poco,
In più riposto loco
Donna , eh' a pochi bi mostrò giammai.
Ratto inchinai la fronte vergognosa.
Sentendo novo dentro maggior foco :
Ed ella il prese in gioco.
Dicendo : i' veggio ben , dove tu stai.
Sì come '1 sol co' suoi possenti rai
Fa subito sparir ogni altra stella,
Co^i par or men bella
La vista mia , cui maggior luce preme.
Ala io però da' miei non ti diparto:
Che questa e me d' un seme,
Lei davanti , e me poi , produsse un parto.
lappcsi intanto di vergogna il nodo,
Cii' alla mia lingua era distretto intorno
Su nel primiero scorno,
AUor quand' io del suo accorger m' accorsi :
E 'ncominciai: s' egli è ver quel eh' i' odo,
Beato il padre, e benedetto il giorno,
Ch' ha di voi T mondo adorno,
E tutto il tempo, eh' a vedervi io cotoi!
E se mai della via dritta mi torsi,
Duolmene forte assai più eh' i' non mostro;
Ma se dell' esser vostro
Fossi degno udir più , del dcsìr ardo.
Pensosa mi rispose, e casi fiso
Tenne '1 suo dolce sguardo,
Ch' al cor mandò con le parole il viso.
Sì come piacque al nostro eterno padre,
Ciascima di noi due nacque immortale.
Miseri! a noi che vale?
Me' v' era, che da noi fosse 'I difetto.
Amate, belle, giovani e leggiadre
Fummo alcun tempo ed or biam giunte a tale,
Che costei batte 1' ale,
Per tornar all' antico suo ricetto.
r per me sono un' ombra , ed or t' ho detto,
Quanto per te sì breve intender puossi.
Poi che i pie suoi fùr mossi,
Dicendo , non temer eh' i' m' allontani !
Di verde lauro una gliìrlanda colse,
La qual con le sue mani
Intorno intorno alle mie tempio avvolse.
Canzon , chi tua ragion cliiamasse oscura.
Di : non ho cura ; perihù tosto spero,
(Jlr altro messaggio il vero
Farà in più chiara voce mani Testo.
Io venni sol per isvcgliare altrui.
Se , chi m' impose questo,
Non w' ingannò, quand' io parli' da lui.
So?.'ETTO XCVI.
Quelle pietose rime , in eh' io m' accorsi
Di vostro ingegno , e del cortese affetto,
E!)ben tanto vigor nel mìo cospetto,
Che ratto a questa penna la man porsi.
Per far voi certo , che gli estremi morsi
Di quella , eh' io con tutto '1 mondo aspetto,
Mai non sentii , ma pur senza sospetto
InSn all' uscio del suo albergo corsi.
Poi tornai 'ndielro , perch' io vidi scritto
Di sopra 'I limitar, che "1 tempo ancora
Non era giunto al mio viver prescrìtto,
Bench' io non ^i leggessi il dì, nò I' ora.
Dunque s' acqueti ornai '1 cor vostro afflitto,
E cerchi uom degno, quando sì 1' onora!
Ballata IX.
Or vedi, Amor, che giovinetta donna
Tuo regno sprezza , e del mio mal non cura,
E tra duo ta' nemici è sì secura.
Tu se' armato , ed ella in trecce e 'n gonna
Si siede , e scalza in mezzo i fiori e 1' erba,
Ver me spietata , e centra te superba.
I' son prigion : ma se pietà ancor serba
L' arco tuo saldo , e qualcuna saetta,
Fa di te e di me, signor, vendetta!
Sonetto XCVII.
Diciassett' anni ha già rivolto il cielo,
Poi che 'n prima arsi , e giammai non mi spensi ;
Ma quando avvien , eh' al mio stato ripensi,
Sento nel mezzo delle fiamme un gelo.
\ero è "1 proverbio, ch" altri cangia il pelo
Anzi che 'l vezzo: e, per lentar i sensi,
Gii umani affetti non scm meno intensi:
Ciò ne fa l' ombra ria del grave velo.
Oimè lasso ! e quando fia quel giorno.
Che mirando '1 fuggir degli anni miei
Esca del foco, e di sì lunghe pene?
\edrò mai 'I dì, che pur, quant' io vorrei,
Queir aria dolce del bel viso adorno
Piaccia a quest' occhj, e quanto si conviene?
Sonetto XCVIII.
Quel vago impallidir , che 'I dolce riso
D' un' amorosa nebbia ricoperse,
Con tanta maestade al cor s' ofl'erse,
Che gli si fece incontro a mezzo 'l viso.
Conobbi allor, sì come in paradiso
Vede r un l' altro; in tal guisa s' aperse
Quel pietoso pensier , eh' altri non si-ersc ;
Ma vidir io, eh' altrove non m' affiso.
Ogni angelica vista , ogni atto umile.
Che giammai in donna, ov' anuir fosse, apparve.
Fora uno sdegno a lato a quel eh' i' dico.
Chinava a terra il bel ginirdo gentile,
E tacendo dice» (coni' a me parve)
Chi m' allontana il mìo fedele amico ?
Sonetto X('I\.
Amor, Forfuna, e hi mia mente schi\a
Di ipicl che vede, e nel passato volta,
M' iiffliggon sì, eh' io porto alcuna volta
Invidia u quei, che son sull' altra riva.
Amor mi struggo 'l cor, Eortuna il priva
D' ogni conforto, onde la mente stolta
S' adira, o piagno; e così in pena molta
Sempre convien che combattendo viva.
[*T]
RIMK DKL PETRARCA.
[48]
Xè spero, i «ìolci dì tornino indirfro.
Ma pur di male in peggio quel clf avanza:
l] di mio corso ho già passato il mezzo.
Las>o! non di diamante, ma d' un vetro
Veggio di man cadérmi ogni speranza,
r tutt' i miei pensìer romper nel mezzo.
Canzone XIII.
Se 'I pensier, che mi strugge,
Com' è pungente e saldo,
Cosi vestisse d' im color conforme,
Forse tal m' arde e fugge,
Ch' avria parte del caldo;
E desteriasi Amor là, dov' or dorme.
Men solitarie 1' orme
Foran de' miei pie lassi
Per campagne , e per colli :
Men gli occhj ad ogni or molli.
Ardendo lei , che come un ghiaccio stassi ;
E non lassa in me dramma,
Che non sia foca o fiamma.
Però oh' Amor mi sforza,
E di saver mi spoglia,
Parlo in rim' aspre , e di dolcezza ignude.
Ma non sempre alla scorza
Ramo, né 'n fior, né 'n foglia
Mostra di fuor sua naturai virtiide.
Miri ciò , che '1 cor chiude,
Amor, e que' hegli occhj,
Ove si siede all' ombra.
Se '1 dolor, che si sgombra,
Av\ ien che 'n pianto , o 'n lamentar trahocchi :
L' un a me noce , e V altro
Altrui, eh' io non lo scaltro.
Dolci rime leggiadre.
Che nel primiero assalto
D' Amor usai , quand' io non ehlii altr' arme.
Chi verrà mai, che sqiiadre
Questo mìo cor di sm.iUo,
Ch' aimcn , com' io solca, po-sa sfogarrac.''
Ch' aver dentr' a lui panne
Un, che madonna sempre
Dipìnge, e di lei parla.
A voler poi ritrarla
Per me non hasto , e par eh' io me ne stempro.
Lasso, così m' è scorso
Lo mìo dolce soccorso.
Come fancìul, eh' appena
Volge la lingua e snoda,
Che dir non sa, ma 1 più tacer gli è noja.
Cosi '1 desir mi mena
A dire, e vo' che m' oda
La mia dolce nemica, anzi eh' io raoja.
Se forse ogni sua gìoja
Nel suo bel viso è solo,
E di tutt' altro è schiva,
Odìl tu, verde riva,
E presta a mici sospìr sì largo volo,
Che sempre ei ridica,
Come tu 111' cri amica!
Ben ^ai , che si bel piede
Non toccò terra iin(|uanco.
Come quel , di die già segnata fosti ;
Onde 'I cor lasso rìede
Col tormentoso fianco
A partir teco i lor pcii>ìer nascosti.
Cofì avctìtu riposti
De' bei vestigi sparsi
Ancor tra' fiori e 1' erba,
Che la mìa vita acerba
Lagrìmando trovasse ove acquetarsi.
Ma come può, s' appaga
L' alma dubbiosa e vaga.
Ovunque gli occhj volgo.
Trovo un dolce sereno,
Pensando : qui percosse il vago lume.
Qualunque erba o fior colgo.
Credo, che nel terreno
Aggia radice, ov' ella ebbe in costume
Gir fra le piagge , e '1 fiume,
E talor farsi un seggio
Fresco , fiorito , e verde.
Cosi nulla sen' perde,
E più certezza averne fora il peggio.
Spirto beato, quale
Se', quando altrui fai tale?
Oh poverella mìa, come se' rozza!
Credo, che tei conoschi ;
Rimanti in questi boschi !
Canzone XIV.
Chiare , fresche , e dolci acque,
Ove le belle membra
Pose colei, che sola a me par donna;
Gentil ramo, ove piacque
(Con sospìr mi rimembra)
A lei , di fare al liei fianco colonna;
Erba e fior, che la gonna
Leggiadra ricoverse
Con r angelico seno;
Aèr sacro sereno,
Ov' Amor co' begli occhj il cor m' aperse,
Date udienza insieme
Alle dolenti mie parole estreme!
S' egli è pur mìo destino,
E '1 cielo in ciò s' adopra,
Ch' Amor quest' occhj lagrìmando chiuda,
Qualche grazia il meschino
Corpo fra voi ricopra,
E tornì r alma al proprio albergo ignuda.
La morte fia men cruda,
Se questa speme porto
A quel duldiìoso passo :
Che lo spirito lasso
Non porla mai 'n più riposato porto.
Nò 'n più tranquilla fossa.
Fuggir la carilo travagliata, e 1' ossa.
l'empo verrà ancor forse,
Cir all' usato soggiorno
Torni la fera bella e mansueta,
E là 'v' ella mi scorse
Nel benedetto giorno,
Volga la ^ista desiosa e lieta.
Cercandomi; ed, oh pietà!
Già terra infra le pietre
Vedendo, Amor l' inspiri
In guisa, che sospiri
Si doli;ciuentc, che mercè m' impctre,
E faiM'.ia forza al ciclo.
Asciugandosi gli occhj col bel velo»
Da' be' rami scendca,
Dolce nella memoria
Una pioggia di fior sovra '1 suo grembo ;
Ed ella si scdea
19]
RIME DEL PETRARCA.
[50]
Umile in tanta gloria,
Coverta già dell' amoroso nembo :
Qual fior cadea ^iil lembo
Qual sulle trecce bionde,
Ch' oro forbito e perle
Eran quel di a vederle :
Qual si posava in terra , e qiial sulF onde,
Qual con un vago errore
Girando parea dir: qui regna Amore.
Quante volte diss' io
Allor pien di spavento :
, Costei per ferifio nacque in paradiso;
Così carco d' obbiio
li divin portamento,
E '1 volto, e le pai'ole, e '1 dolce riso
M' aveano, e si diviso
Dall' immagine vera,
Ch' i' dicea sospirando:
Qui come venn' io, o quando?
Credendo esser in ciel , non là, dov' era.
Da indi in qua mi piace
Qnest' erba si, eh' altrove non ho pace.
Se tu avessi ornamenti , quanti' hai voglia,
Potresti arditamente
Uscir del bosco , e gire infra la gente.
C A N z 0 X E XV.
quella parte, dov' amor mi sprona,
Convien , eh' io volga le dogliose rime.
Che son segnaci della niente afilitta.
Quai fien ultime, lasso, e qua' fìen prime?
Colui, che del mio mal meco ragiona,
Mi lascia in dubbio; si confuso ditta!
Ma pur quando 1' istoria trovo scritta
In mezzo '1 cor , che sì spesso rincorro.
Con la sua propria man , de' miei martiri
Dirò, perchè i sospiri
Parlando han triegua , ed al dolor soccorro.
Dico, che, perdi' io miri
Mile cose diverse attento e fiso.
Sol una donna veggio, e '1 suo bel viso.
?oi che la dispictata mia ventura
M' ha dilungato dal maggior mio bene,
Kojosa, inesorabile e superba.
Amor col rimembrar sol mi mantiene.
Onde, e' io veggio in giovenil figura
Incominciarsi '1 mondo a ve.-tir d' erba,
l'armi vedere in quella etadc acerba
La bella giovinetta, eh' ora è donna.
Poi che sormonta riscaldando il sole.
Farmi , qual' esser sole
Fiamma d' aintir, che 'n cor alto b' indonna:
Ma quando il dì si dole
Di lui , che ]iasso passo addietro torni,
leggio lei giunta a' suoi perfetti giorni.
In ramo fronde, ovver violo in terra
Mirandi» alla stiigitm , <:he '1 freddo perde,
K le stelle migliori acr/tiistan for/.a,
Ne^li occbj ho pur le violette e 'I verde.
Di di' era nel principio di mia guerra
Amor aratato m, di' ancor mi sfornii:
K quella dol(-c leggiadrcl'a scorza.
Che ricopria le parf^olette membra,
Dov' o<,^gi alberga ì' anima gentile,
Ch' (Igni altro piacer ^ile
Sem1)rar mi la; hi forte mi rimembra
Del portamento umile
Ch' allor fioriva, e poi crebbe anzi agli anni,
Cagion sola, e riposo de' mie' affanni.
Qualor tenera neve per li colli
Dal sol percossa veggio di lontano.
Come '1 sol neve, mi governa amore.
Pensando nel bel viso più che umano.
Che può da lunge gli occhi miei far molli.
Ma da presso gli abbaglia , e vìnce il core ;
Ove fra '1 bianco e 1' aureo colore
Sempre si mostra quel , che mai non vide
Occhio mortai, eh' io creda, altro che '1 mio;
E del caldo desio,
Ch' è quando i' sospirando ella sorride,
M' infiamma sì , che obbiio
Niente apprezza, ma diventa eterno;
Né state il cangia, né lo spegne il verno.
Non vidi mai dopo notturna pioggia
Gir per l' aere sereno stelle erranti,
E fiammeggiar fra la rugiada e 'I gelo,
Ch' i' non avessi i begli occbj davanti,
0>c la stanca mia vita s' appoggia,
Qual' io li vidi all' ombra d' un bel velo.
E si come di lor bellezze il cielo
Splendea quel dì , così bagnati ancora
Li veggio sfavillar; ond' io sembr' ardo.
Se '1 sol levarsi sgiiardo.
Sento il lume apparir , che m' innamora :
Se tramontarsi al tardo,
Parmel veder, quando si volge altrove.
Lasciando tenebroso, onde si move.
Se mai candide rose con vermìglie
In vasel d' oro vider gli occbj miei,
Allor allor da vergine man colte,
Veder pensaro il viso di colei,
Ch' avanza tutte 1' altre meraviglie
Con tre belle eccellenze in lui raccolte:
Le bionde trecce sopra '1 collo sciolte,
Ov' ogni latte perderla sua prova,
E le guance, di' adorna un dolce foco-
Ma pur che 1' ora un poco
Fior bianchi e gialli per le piagge mova.
Torna alla mente il loco,
E '1 primo dì, eh' i' vidi a Laura sparsi
I capei d' uro , ond' io si subit' arsi.
Ad una ad una annoverar le stelle,
E 'n picciol vetro chiuder tutte 1' acque
Forse crcdea, quando in sì poca carta
Novo pensìer di ricontar mi nacque.
In quante parti il fior dell' altre belle
Stando in sé stessa, ha la sua luce sparta;
Acciò che mai da lei non mi diparia.
Né farò io : e se pur talor fuggo,
In cielo e 'n terra m' ha racchiusi i passi.
l'erché agli occbj miei hit-A
Semi»re è presente : ond' io tutt«» mi struggo ;
K cori meco sta-si,
Ch' altra non ^cgf^io mai , n«- veder bramo,
Né 'I nome d" altra ne' so>pir miei chiamo.
Dcn sai, can/oii, che i|iiant' io parlo, è nulla
Al celato amoroso mio pensiero.
Che dì e notte nella mente porto;
Solo per cui conforto
In così lunga guerra anco non pero :
(Ile lieo 111° avria già morto
Ij» lontananza del mio cor piangendo;
Ma quinci dall.i uuutc indugio prendo.
[51]
RIME DEL PETRARCA.
[521
Canzone. XVI.
Italia mia, benché '1 parlar sia indarno
Alle piaghe mortali,
Che nel bel corpo tuo sì spesse Teggio,
Piacerai almen, che i miei sospir fien, quali
Spera '1 Tevero , e 1' Arno,
E '1 Po , dove doglioso e grave or seggio.
Rettor del cìei, io chicggio.
Che la pietà, che ti condusse in terra,
Ti volga al tuo diletto almo paese.
Vedi, signor cortese,
Di che lievi cagion che crudel guerra,
E i cor , eh' indura , e serra
Marte superbo e fero.
Apri tu, Padre, e 'ntenerisci, e snoda!
Ivi fa, che '1 tuo vero
(Qual io mi sia) per la mia lingua s' oda
Voi, cui Fortuna ha posto in mano il freno
Delle l)elle contrade.
Di che nulla pietà par che vi stringa,
Che fan qui tante pellegrine spade?
Perchè '1 verde terreno
Del barbarico sangue si dipinja?
Vano crror vi lusinga:
Poco vedete , e parvi veder molto :
Che 'n cor venale amor cercate, o fede.
Qual più gente possiede,
Colui è più da' suoi nemici avvolto.
Oh diluvio raccolto
Di che deserti strani.
Per inondare i nostri dolci campi!
Se dalle proprie mani
Questo n' avvien, or chi fia che ne scampi?
Ben provvide Natura al nostro stato
Quando dell' alpi schermo
Pose fra noi, tedesca rabbia.
Ma '1 desir cieco, e 'ncontra '1 suo ben fermo
S' è poi tanto ingegnato,
Ch' al corpo sano ha procuralo scabbia.
Or dentro ad una gabbia
Fere selvagge, e mansuete gregge
ili'"
Ed è questo del seme,
S' annidan si, che sempre il miglior geme;
Per più dolor , del pop il senza legge,
Al qual, come si legge,
Mario aperse si '1 fianco,
Che memoria dell' opr.i anco non langue;
Quando assetato e stanco
Non più bevve del fuimu acqua, che sangue.
Cesare taccio , che per ogni piaggia
Fece '1 erbe sanguig.ie
Di lor vene, ove 'l nostr>> ferro mise.
Or par , non so per che stelle maligne,
Che '1 cielo in odio n' aggia.
Vostra mercè, cui tanto si commise,
Vostre voglie divise
Guaetan del mondo la pia bella parte.
Qual colpa, qual giudizio, o qual destino
Fastidire il vicino
Povero, e le fortune afflitte e sparto
Perseguire, e 'n disparte
Cercar gente, e gradire.
Che sparga 'I sangue, e venda V alma a prezzo?
Io parlo per ver dire,
Non per odio d' altrui , né per disprezzo.
Kè v' accorgete ancor per tante prove
Del bavarico inganno,
Ch' alzando '1 dito con la morte scherza.
Peggio è lo strazio, al mio parer, che '1 danno.
\la '1 vostro sangue piove
Più largamente, eh' altr' ira vi sferza.
Dalla niiittina a terza
Di voi pensate , e vcderete , come
Tien caro altrui, chi tien sé cosi vile.
Latin sangue gentile,
Sgombra da te queste dannose some!
Non far idolo un nome
Vano senza soggetto !
Che '1 furor della sua gente ritrosa
Vincerne d' intelletto,
Peccato è nostro, e non naturai cosa.
Non è questo il terreo, eh' i' toccai pria?
Non è questo '1 mio nido.
Ove nutrito fui si dolcemente?
Non è questa la patria , in eh' io mi fido,
Madre benigna e pia.
Che copre 1' uno e 1' altro mio parente?
Per Dio, questo la mente
Talor vi mova, e con pietà guardate
Le lagrime del popol doloroso,
Che sol da voi riposo
Dopo Dio spera: e pur che voi mostriate
Segno alcun di pìetate,
Virtù contra furore
Prenderà 1' arme, e fia '1 combatter corto?
Cile r antico valore
Negl' italici cor non é ancor morto.
Signor, mirate, come '1 tempo vola,
E si come la vita
Fugge, e la morte n' è sovra le spalle!
Voi siete or qui; pensate alla partita;
Che r alma ignuda e sola
Convicn eh' arrivo a quel dubbioso calle.
Al passar que^^ta valle
Piacciavi porre giù 1' odio e lo sdegno.
Venti contrarj alla vita serena:
E quel, che 'n altrui pena
Tempo si spende, in qualche atto più degno
O di mano, o d' ingegno.
In qualche bella lode.
In qualche onesto studio si converta!
Così qua giù si gode,
E la strada del cicl si trova aperta.
Canzone, io t' ammonisco
Che tua ragion cortesemente dica:
Perchè fra gente altera ir ti conviene,
E le voglie son piene
Già dell usanza pessima ed antica,
Del ver senjpre nemica.
Proverai tua ventura
Fra magnanimi pochi, a chi '1 ben piace.
Dì lor: chi m' assicura?
r vo gridando: Pace, pace, pace!
Canzone XVII.
Di pensier in pensier, di monto in monte
Mi guida amor, eh' ogni segnato calle
Provo contrario alla tranquilla vita.
Se 'n solitaria piaggia, ri\o, o fonte.
Se 'nfra duo poggi siede ombrosa valle,
Ivi s' acqueta 1' alma sbigottita :
E com' amor la 'nvìla,
Or ride, or piange, or teme, or e' assicura,
I
,3]
RIME DEL PETRARCA.
[54]
E '1 volto, che lei segue, oV ella il mena,
Si turba e rasserena,
Ed in un esser picciol tempo dura.
Onde, alla vista, uom di tal vita esperto
Diria: questi arde, e di suo stato è incerto,
'er alti monti, e per selve aspre trovo
Qualche riposo : ogni abitato loco
È' nemico mortai degli occhj miei.
A ciascun passo nasce un pensier novo
Della mia donna , che sovente in gioco
Gira '1 tormento, eh' i' porto per lei:
Ed a pena vorrei
Cangiar questo mio viver dolce amaro
Ch'i' dico: forse ancor ti serba amore;
Ad un tempo migliore:
Forse a te stesso vile, altrui se' caro.
1; Ed in questa trapasso sospirando,
1' Or potrebb' esser vero? or come? or quando?
Dve porge ombra un pino alto, od un colle,
i Taìor m' arresto , e pur nel primo sasso
Disegno con la mente il suo bel viso.
1 1 Poi eh' a me torno , trovo il petto molle
! Della pietate, ed allor dico: ahi lasso,
I Dove se' giunto , ed onde se' diviso ?
Ma mentre tener fiso
, Fosso al primo pensier la mente vaga,
: E mirar lei , ed obbliar me stesso,
Sento Amor sì da presso,
i Che del suo proprio error 1' alma s' appaga:
I In tante parti , e sì bella la veggio,
Che, se 1' error durasse, altro non cheggio.
ir '1 ho più volte (or chi fia, che mei creda?)
Neil' acqua chiara, e sopra 1' erba verde
Veduta viva, e nel troncon d' un faggio,
E 'n bianca nube sì fatta, che Leda
Avria ben detto, che sua figlia perde.
Come stella , che '1 sol copre col raggio.
E quanto in più selvaggio
Loco mi trovo , e 'n più deserto lido,
Tanto più bella il mio pensier 1' adombra.
Poi , quando '1 vero sgombra
Quel dolce error, pur lì medesmo assido
Me freddo, pietra morta in pietra viva.
In guisa d' uom , che pensi , e pianga , e scriva.
Ove d' altra montagna ombra non tocchi
Verso '1 maggiore e "1 più spedito giogo.
Tirar mi suol un desiderio intenso.
Indi i miei danni a misurar con gli occhj
Comincio , e 'ntanto lagrimando sfogo
Di dolorosa nebbia il cor condenso,
Allor , eh' i' miro e penso,
Quant' aria dal bel viso mi diparte.
Che sempre m' è si presso, e sì lontano.
Poscia fra me pian piano:
Clic sai tu lasso? forse in qiu-lla parto
Or di tua lontananza t<i cospira:
Ed iu questo pensier 1' alma respira.
Canzon , oltra queir alpe
Là, do^c il cielo è più sereno e lieto,
Mi rivedrai sovr' un rusccl corrente,
()\e r aura .-i sente
D' ini fresco ed odorilcro laureto.
Ivi è 'I mio cor, e quella, che 'l ni' invola:
Qui veder puoi 1' immagine mia «ola.
S o \ K T T o C.
Poi cho 'I caramin m' è chiuso di mercede,
Per disperata via son dilungato
Dagli occhj , ov' era , i' non so per qual fato.
Riposto il guldardon d' ogni mia fede.
Pasco '1 cor di so'spir, eh' altro non chiede,
E di lagrime vivo, a pianger nato:
Né di ciò donimi , perchè in tale stato
E' dolce '1 pianto più, eh' altri non crede.
E solo ad una immagine m' attegno.
Che fé' non Zeusi, o Prassitele, o Fidia,
Ma miglior mastro , e di più alto 'ngogno.
Qual Scizia m' assicura , o qual Numiclia,
S' ancor non sazia del mio esilio indegno
Così nascosto mi ritrova invidia?
Sonetto CI.
Io canterei d' amor sì novamentc,
Ch' al duro fianco il dì mille sospiri
Trarrei per forza, e mille alti desiri
Raccenderci nella gelata mente.
E '1 bel viso vedrei cangiar sovente,
E bagnar gli occhj, e più pietosi giri
Far, come suol, chi degli altrui martiri
E del suo error, quando non vai, si pente.
E le rose vermiglie infra la neve
Mover dall' ora, e discovrir l' avorio.
Che fa di marmo chi da presso '1 guarda:
1 E tutto quel , perchè nel viver breve
! Non rincresco a me stesso , anzi mi glorio
I D' esser servato alla stagion più tarda.
! Sonetto CII.
ì S' amor non è; che dunque è quel eh' i' sento?
I Ma s' egli è amor, per Dio, che cosa, e quale?
j Se buona, ond' è 1' effetto aspro e mortale?
i Se ria , ond' è sì dolce ogni tormento ?
S' a mia voglia ardo, ond' è '1 pianto e 'l lamento :
S' a mal mio grado, il lamentar che vale?
Oh viva morte, oh dilettoso male.
Come puoi tanto in me, s' io noi consento?
E s' io '1 consento ; a gran torto mi doglio.
Fra si contrari venti in fragil barca
Mi trovo in alto mar senza governo,
Sì lieve di saver, d' error sì carca,
Ch' i' medesmo non so quel eh' io mi voglio,
E tremo a mezza state, ardendo il verno.
Sonetto CHI.
Amor m' ha posto come segno a strale,
Com' al sol neve, come cera al foco,
E come nebbia al vento ; e son già roco.
Donna, mercè chiamando, e voi non cale.
j Dagli occhj vostri uscio '1 colpo nu)rtale,
Contra cui non mi vai tempo, né loco:
Da veti sola procede (e parw un ploro)
! Il sole, e 1 foco, e l vento, ond' io son tale.
! I pensier son saette, e '1 viso un sole.
I E 'I desir foco, e 'nsicme con quest" arme
i Mi punge Amor, m' abbaglia, e mi distrugge:
I E r angelico canto, e le parole
j Col dolce spirto , ond' io non posso aitarme,
I Son r aura, innanzi a cui mia vita fogge.
I S O !t E T T 0 CI V.
Ip.icn non trovo, e non ho da far guerra, _
K temo, r >pero , ed ardo, e son un ghiaccio,
l-; \ol(» sopra 'l cielo, e giaccio in terra,
K nulla stringo, e tutto 'l mondo ablirarrio.
'l'ai ni' ha in prigion , che non m' apre, né serra.
, Né per, suo mi ritien, nò scioglie il laccio,
4 '«^
[55]
RIME DEL PETRARCA.
[56]
E non m' ancide Amor, e non mi sferra,
Né mi VHol vivo , nò mi trae d' impaccio.
Veggio senz' occbj , e non Lo lingua , e grido,
E bramo di perir , e cheggio aita,
Ed ho in odio me stesso, ed amo altrui.
Pascomi di dolor , piangendo rido ;
Egualmente mi spiace morte e vita.
In questo stato son, donna, per vui.
Canzone XVIII.
Qual più diversa e nova
Cosa fu mai in qualche stranio clima,
Quella, se ben si stima.
Più mi rassembra; a tal son giunto, Amore.
Là onde '1 dì vien foro,
Vola un augel, che sol senza consorte
Di volontaria morte
Rinasce, e tutto a viver si rinnova.
Così sol si ritrova
Lo mio voler, e così in sulla cima
De' suoi alti pensieri al sol si volve;
E così si risolve;
E così torna al suo stato di prima:
Arde, e more, e riprende i nervi suoi,
E vive poi con la fenice a prova.
Una pietra è sì ardita
Là per r indico mar, che da natura
Tragga a sé il ferro, e il fura
Dal legno in guisa, che i navigli afTonde,
Questo prov' io fra 1' onde
D' amaro pianto, che quel bello scoglio
Ha col suo duro orgoglio
Condotta, ov' affondar convien, mia vita:
Così r alma ha sfornita
Furando 'i cor, che fu già cosa dura,
E me tenne un , eh' or son diviso e sparso,
Un sasso a trar più scarso
Carne, che ferro: oh cruda mia ventura!
Che 'n carne essendo, veggio trarmi a riva
Ad una viva dolce calamita.
Neil' estremo occidente
Una fera è soave e queta tanto,
Che nulla più; ma pianto,
E doglia, e morte dentro agli occbj porta:
Multo conviene accorta
Esser qual vista mai ver lei si giri:
Pur che gli orchj non miri,
L' altro puossi veder securainentc.
Ma io incauto, dolente.
Corro sempre al mio male, e so ben, quanto
N' lio sofferto, e n' aspetto: ma 1' ingordo
Voler, eh' è cicco e sordo.
Sì mi trasporta , che '1 bel viso santo
E gli occbj vaghi (ìcn cagion , eh' io pera,
Dì questa fera, angelica, innocente.
Surge nc;l mezzogiorno
Una fontana, e tlen nome del sole.
Clic per natura soie
Bollir le notti, e 'n sul giorno esser fredda,
E tanto si raflVcdda,
Quanto '1 sol monta, e qi:anto è più da presso:
Così avvlcn a me stesso.
Che son funte di lagrime, e soggiorno.
Quando 'l bel lume adorno,
Cli' è 'l mio sol, s' allontana, e triste e sole
Son le mio luci, e notte oscura é loro:
Ardo allor; ma se 1' oro
E i rai veggio apparir del vivo sole,
Tutto dentro e di fuor sento cangiarrac,
E ghiaccio farme : così freddo torno.
Un' altra fonte ha Epiro,
Di cui si scrive, eh' essendo fredda ella,
Ogni spenta facella
Accende , e spegne qual trovasse accesa.
L' anima mia, eh' offesa
Ancor non era d' amoroso foco,
Appressandosi un poco
A quella fredda, eh' io sempre sospiro,
Arse tutta, e martìro
Simil giammai né sol vide , ne stella,
Ch' un cor di marmo a pietà mosso avrebbe.
Poi che 'nfiamraata 1' ebbe,
Ri>pcnrcla virtù gelata e bella.
Così più volte ha '1 cor racceso e spento;
Io 'l so , che '1 sento , e spesso me n' adiro.
Fuor tutt' i nostri lidi
Neil' isole famose di Forttma
Di!c fonti ha: chi dell' una
Beo, muor ridendo, e chi dell' altra, scampa.
Siiuil fortuna stampa
Mia vita, che morir poria ridendo
Del gran piacer , eh' io prendo,
So noi temprassen dolorosi stridi.
Amor, eh' ancor mi guidi
Pur all' ombra di fama occulta e bruna,
Tacercm questa fonte, eh' ognor piena,
Ria con più larga vena
Veggiara, quando col tauro il sol s' aduna.
Così gli occbj mici piangon d' ogni tempo.
Ma più nel tempo, che madonna vidL
Chi spiasse, canzone,
Quel eh' i' fo, tu puoi dir: sott' un gran sasso
la una chiusa valle , ond' esce Sorga,
Si sta , né chi lo scorga
V è, se no Amor, che mai noi lascia un passo,
E r immagine d' una, che lo strugge;
Che per sé fugge tutt' altre persone.
S 0 IV E T T o CV.
Fiamma dal ciel sulle tue trecce piova,
Malvagia, che dal fiume, e dalle ghiande
Per r altru' impoverir se' ricca e grande,
Poi che di mal oprar tanto ti giova!
Nido di tradimenti, in cui si cova
Quanto mal per lo mondo oggi sì spande,
Di vin serva . di letti , e di vivande.
In cui lussuria fa l' ultima prova !
Per le camere tue fanciulle e vccchj
Vanno trescando, e Bcizebub in mezzo
Co' mantici, e col foco, e con gli specchj.
Già non fostu nudrita in piume al rezzo,
Ma nuda al vento , e scalza fra gli stccclii,
Or vivi sì , eh' a Dio ne venga il lezzo.
[ Sonetto CVI,
iL' avara Babilonia ha colmo il sacco
D' ira di Dio , e di vizj cnii)j e rei
Tanto, che scoppia, ed ha l'atti suoi Dei
Non Giove e Palla, ma A encre e Bacco.
Aspettando ragion mi struggo e fiacco;
3Ia pur nuovo solilan v«'ggio per lei,
Lo qual farà, non già cjtiand' io vorrei.
Sol una sede, e qudla fia in Baldacco.
GÌ' idoli suoi saranno in terra sparsi,
371
RIME DEL PETRARCA.
[581
E le torri snperbe al ciel iiemiclie,
E i suoi terrier di fuor come dentr' arsi.
nimc belle, e di virtiite amiche
Terranno 'i mondo, e poi vcdrem lui fursi
Aureo tutto , e pien deli' opre antiche.
Sonetto CV'II.
fontana di dolore , albergo d' ira.
Scola d' errori , e tempio d' eresia,
Già Roma , or Babilonia {aha e ria,
j! Ver cui tanto si piagne, e si sospira;
Ì)h fucina d' inganni, oh prigion dira,
f Ove '1 ben more, e '1 mal si nutre e crìa,
i^ Di \ivi inferno , un gran miracol fia,
(! Se Cristo teco al fine non s' adira.
Ip^ ondata in casta ed uinil poAcrtate,
i! Contr' ai tuoi fondatori alzi le corna,
i Putta sfacciata; e dov' hai posto spene?
;\cgli adulterj tuoi, nelle mal nate
Klcchczze tante? or Constantin non torna;
jj Ma tolga il mondo tristo, che '1 softieue.
I Sonetto CVIII.
^aanto più disiose 1' ali spando
Verso di voi , oh dolce schiera amica,
Tanto fortuna con più visco intrica
Il mio volare, e gir mi face errando.
Il cor, che mal suo grado attorno mando,
E con voi sempre in quella valle aprica,
Ove il mar nostro più la terra implica;
L' altr' ier da lui partintiui lagriuiando.
!' da man manca, e' tenue il cainmin dritto;
1' tratto a forza, ed ei d' amore scorto:
Egli in Gerusalemme , ed io in Egitto.
Ma sofferenza è nel dolor conforto:
Che , per lungo uso già fra noi prescritto,
Il nostro esser insieme è raro, e corto.
Sonetto CIX.
Amor, che nel pensier mio vive e regna,
E i suo seggio maggior nel mio cor tiene,
Talor armato nella fronte viene :
Ivi ei loca, ed ivi poa sua insegna.
Qnella, eh' amare e sofTerir ne 'nsegna,
E vuol, che '1 gran desio, T accesa spene.
Ragion, vergogna, e reverenza afTrcnc,
Di nostro ardir fra sé stessa si sdegna.
Onde Amor paventoso fugge al coro.
Lasciando ogni sua iinjiresa; e pìììgnc, e trema:
Ivi s' asconde, e non app.ir più foro.
Che poss' io far, temendo il mio signoro,
Se non star seco in^in all' ora estrema?
Che bel fin fa, chi ben amando more.
Sonetto CX.
Come talora al calilo tempo solo
Semplicetta farfalla al lume a\~vc7.zn.
Volar negli ocrbj alimi pf;r sua vaglirzxi,
Ond' avvien , eh' ella m«ire, altri si dole,
Coxl seinpr' io corro al fiiliil mio sole
Degli orelij, onde mi ^ien (anta dolcezza,
Che 'I frcn delia r.igione Amor non prezza,
K chi di^ccrnc è vinto da chi vuole.
E veggio ben, ipianl' cili a schivo m' hanno,
E so, di' i' ne morrò veraci uh lite:
Cile mia %irlù non può conda 1' alFuuno.
Ma 8Ì m' abbaglia Auiur soavemente.
Ch' i' piango ¥ altrui noja , e no '1 mio danno,
£ cieca al suo morir 1' alma consente.
Sestina V.
.\lla dolce ombra delle belle frondi
Corsi fuggendo un dispietato lume.
Che 'nCn qua giù ra' ardea dal terzo cielo,
E disgombrava già di neve i poggi
L' aura amorosa, che rinnova il tempo,
E finrian per le piagge 1' erbe e i rami.
Xon vide il mondo sì leggiadri rami.
Ne mosse '1 vento mai sì verdi frondi.
Come a me si mostrar quel primo tempo:
Tal che temc:ido dell' ardente lume
Non volsi al mio refugio ombra di poggi.
Ma della pianta più gradita in ciclo.
Un lauro mi difese allor dal cielo:
Onde più volte vago de' bei rami
Da poi son gito per selve, e per poggi,
Né giammai ritrovai tronco, né frondi
Tanto onorate dal superno lume.
Che non cangiasser qualitate a tempo.
Però più fermo ogni or di tempo in tempo
Seguendo, ove chiamar m' udia dal cielo,
E scorto da un soave e chiaro lume.
Tornai sempre devoto ai primi rami,
E quando a terra son sparte le frondf,
E quando 'l sol fa verdeggiar i poggi.
Selve, sassi, campagne, fiumi, e poggi,
Quant' è creato, vince e cangia il tempo;
Ond' io chieggio perdono a queste frondi.
Se rivolgendo poi molt' anni il cielo
Fuggir disposi gì' invescati rami,
Tosto eh' incominciai di veder lume.
Tanto mi piacque prima il dolce lume,
Ch' i' passai con diletto assai gran poggi,
Per poter appressar gli amati rami :
Ora la vita breve, e '1 loco, e 1' tempo
Mostranmi altro scntier di gir al ciclo,
E di far frutto, non pur fiorì e fiondi.
Altro amor, altre frondi, ed altro lume,
Altro salir al ciel per altri poggi
Cerco (che n' è ben tempo), ed altri rami.
S OXBTTO C\l.
Quand' io v' odo parlar si dolcemente,
Coni' Amor proprio a' suoi seguaci in.-lill.i.
L' acceso mio desir tutto sfavilla,
Tal che 'nfiammar dovria 1' ani sue «pcnle.
Trovo la bella donna allor presente.
Ovunque mi fu mai dolce, o tranquilla,^
Neil' abito, eh' al suon non d" altra squilla,
Ma di sospir mi fa destar so\ente.
Le chitnuc aU' aura sparge , e lei conversa
Indietro veglilo, e così bella ricdc
Nel cor, ccuuc colei, che tien la chiame:
Ma '1 soverchio piacer, clic s' at'ravcrsa
All.i mia lingua, qual dentro ella ficde.
Di mostrarla in paleso ardir non ha^c.
Sonetto C\1I.
ii\é così bello il scil giammni lcvar>i,
I (Quando 1 ciel fosM- più di nebbia srarro,
I Sé di>po pioggia \idi 1 celo-ti^ arco
I Per T acce in color tanti cariarsi,
iln quanti fiammeggiando trasfurmar>i
RIME DEL PETRARCA.
[60]
Nel dì , eh' io presi 1' amoroso incarco,
Quel viso, al qual (e son nel mio dir parco)
Nulla cosa mortai puote agguagliarsi.
r vidi Amor , che i begli occhj volgea
Soave sì , eh' ogni altra vista oscura
Da indi in qua ra' incominciò a parere.
Sennuccio, il vidi, e 1' arco, che tendea,
Tal, che mia vita poi non fu secura,
Ed è sì vaga ancor del rivedere.
S 0 W E T T O CXIII.
Forami ore '1 sol occide i fiori e l' erba,
O dove vince lui '1 ghiaccio e la neve.
Forami ov' è 'I carro suo temprato e leve,
Ed ov' è chi cel rende , o chi cel serba !
Pomm' in umil fortuna, od in superba.
Al dolce aèr sereno , al fosco , e greve,
Pommi alla notte, al di lungo ed al breve,
Alla matura etate, od all' acerba!
Pomm' in cielo , od in terra , od in abisso.
In alto poggio, in valle ima, e palustre,
Libero spirto , od a' suoi membri affisso !
Pommi con fama oscura , o con illustre ;
Sarò qual fui, vivrò cora' io son visso,
Continuando il mio sospir trilustre.
Sonetto CXIV.
Oh d" ardente virtute ornata e calda
Alma gentil, cui tante carte vergo,
Oh sol già d' onestate intero albergo,
Torre in alto valor fondata e salda !
Oh fiamma, oh rose sparse in dolce falda
Di viva neve , in eh' io mi specchio e tergo !
Oh piacer, onde 1' ali al bel viso ergo,
Che luce , sovra quanti 'l sol ne scalda !
Del vostro nome, se mie rime intese
Fossin sì lunge, avrei pìen Tile e Battro,
La Tana, il Nilo, Atlante, Olimpo e Calpe.
Poi che portar noi posso in tutte quattro
Parti del mondo, udrallo il bel paese,
Ch' apennin parte, e '1 mar circonda, e 1' alpe.
Sonetto CXV.
Quando '1 voler, che con dno sproni ardenti,
E con nn duro fren mi mena e regge,
Trapassa ad or ad or 1' nsata leggo,^
Per far in parte i mici spirti contenti)
Trova chi le paure e gli ardimenti
Del cor profondo nella fronte legge,
E vede Amor , che sue imprese corregge,
Folgorar ne' turbati occhj pungenti.
Onde, come colui, che '1 colpo teme
Di Giove irato, si ritraggo indietro,
('tu'; gran temenza gran desire afl'rena.
Ma freddo foco . e paventosa speme
Dell' alma, che traluce come un vetro,
l'alor !>ua dolce vista rasserena.
Sonetto CXVL
Non Te!<in , Po, \ aro , Arno, Adige, e Tebro,
Eufrate, Tigre, Nilo, Lrmo, Indo, e Gange,
lana, l^t^o, Alleo, Garonna, e '1 mar che frimge,
Kodano, Ihero, llcn, Senna, Albia , h]ra, Eiiio;
Non edra, abete, pin, faggio, o ginHlno
Poria i foco allentar, clic '1 cor tritilo auge,
Qnant' un bel rio , di' ad ogni or meco piange
Con r arboscel, ciie 'n rime orno e celebro.
Quest' un soccorso trovo tra gli assalti
D' amore, onde convien eh' armato viva
La vita , che trapassa a si gran salti.
Così cresca 'l bel lauro in fresca riva,
E chi '1 piantò, pensier leggiadri ed alti.
Nella dolce ombra, al suon dell' acque scriva!
Baiiata X.
Di tempo in tempo mi si fa men dura
L' angelica figura, e '1 dolce riso,
E r aria del bel viso,
E degli occhj leggiadri meno oscura.
Che fanno meco ornai questi sospiri.
Che nascean di dolore,
E mostravan di fore
La mia angosciosa e disperata vita?
S' avvien, che '1 volto in quella parte giri.
Per acquetar il core,
Farmi veder Amore
Mantener mia ragion, e darmi aita:
Né però trovo ancor guerra finita.
Né tranquillo ogni stato del cor mio :
Che più m' arde '1 desio.
Quanto più la speranza m' assicura.
Sonetto CXVII.
P. Che fai, alma? che pensi? avrem mai pace?
Avrem mai tregua? od avrem guerra eterna?
A. Che fia di noi, non so ; ma in quel eh' io scerna
A' suoi begli occhj il mal nostro non piace. —
P. Cile prò , se con quegli occhj ella ne face
Di state un ghiaccio, un foco quando verna? —
A. Ella no, ma colui, che li governa. —
P. Questo eh' è a noi, s' ella sei vede e tace? —
J. Talor tace la lingua, e 'l cor si lagna
Ad alta vece, e 'n vista asciutta e lieta
Piange, dove mirando altri noi vede. —
P. Per tutto ciò la mente non s' acqueta.
Rompendo '1 duol, che 'n lei s' accoglie e stagna
Ch' a gran speranza uom misero non crede.
Sonetto CXVHL
Non d' atra e tempestosa onda marina
Fuggio in porto giammai stanco nocchiero.
Com' io dal fosco e torbido pensiero
Fuggo, ove '1 gran desio mi sprona e 'nchino.
Né mortai vista mai luce divina
Vinse, come la mia quel raggio altero
Del bel dolce soave bianco e nero.
In che i suoi strali Amor dora ed affina.
Cieco non già, ma faretrato il veggo.
Nudo , se non quanto vergogna il vela,
Garzon con l' ali, non pinto , ma vivo,
Indi mi mostra quel, eh' a' molti cela:
Ch' a parte a parte entr' a' begli occhj leggo
Quant' io parlo d' amore, e quant' io scrivo.
Son e tto CXIX.
Questa umil fera , un cor di tigre , o d' orsa,
Che 'n vista umana, e 'n forma d' angel ^ienc,
la riso e 'n pianto, fra paura e spcne
Mi rota sì , eh' ogni mio stato inforsa.
Se 'n br<!ve non m' accoglie , o non mi smorsa.
Ma jMir, come suol far, fra due mi tiene,
Per quel, eh' io sento al cor gir fra le vene
Dolce veneno. Amor, mia vita è corsa.
Non può più la virtù fragile e stanca
Tante varictati ornai soffrire:
il]
RIME DEL PETRARCA.
[62]
Che 'n un punto arde, agghiaccia, arrossa, e 'mbianca.
i^-^gendo spera i suoi dolor finire,
Come colei, che d' ora in ora manca:
jChc ben può nulla, chi non può morire.
Sonetto. CXX.
caldi sospiri, al freddo core,
(Rompete il ghiaccio, che pietà contende,
E se prego mortale al ciel s' intende,
[Morte o mercè sia fine al mio dolore!
dolci pensier, parlando fore
j Di quello , ove '1 bel guardo non s' estende !
Se pur sua asprezza , o mia stelJa n' olTende,
J Sarem fuor di speranza, e fuor d' errore.
|ir si può ben per voi, non forse appieno,
Che '1 nostro stato è inquieto e fosco,
Si come il suo pacifico e sereno.
fite securi omai, eh' Amor vien vosco,
E ria fortuna può ben venir meno,
S' ai segni del mio sol 1' aere conosco.
Sonetto CXXI.
e stelle , e '1 cielo , e gli elementi a prora
Tutte lor arti, ed ogni estrema cura
Fuser nel vivo lume, in cui natura
Si specchia, e '1 sol, eh' altrove par non trova,
i' opra è si altera , sì leggiadra e nova,
Che mortai guardo in lei non s' assicura;
Tanta negli occhj bei fuor di mi^iura
Par, eh' Amor e dolcezza e grazia piova!
/ aere percosso da' lor dolci rai
S' infiamma d' onestate, e tal diventa,
&Che '1 dir nostro , e '1 pensier vince d' assai,
aiiso dcsir non è, eh' ivi si senta;
Ma d' onor, di virtute. Or quando mai
Fu per somma beltà vii voglia spenta?
Sonetto CXXII.
^on fùr mai Giove e Cesare sì mossi,
A fulminar colui , questo a ferire,
Che pietà non avesse spente 1' ire,
E lor dell' usat' arme anibeduo 8C0S.4.
Piangea madonna; e '1 mio signor, eh' io fossi.
Volse, a vederla, e suoi lamenti a udire,
l'er colmarmi di doglia e di desire,
E ricercarmi le midolle e gli ossi.
^uel dolce pianto mi dipinse Amore,
Anzi scolpio, e que' detti soa^i
Mi scrisse entr' un diamante in mezzo '1 core.
Ove con salde ed ingegnose cliiavi
Ancor torna so\ente a trarne fore
Lagrime rare, e sospir lunglii e gravi.
Sonetto CXXllI.
I' vidi in terra angelici costumi,
E celesti bellezze al mondo sole,
Tal che di rimembrar mi giova e dole:
Che quant' io miro, par sogni, ombre, e fumi:
E ^idi lagriuiar qne' duo bei lumi,
Ch' han fatto mille volte in\idia ai sole,
Ed udii 60i>pirando dir parole,
Che farian gir i mmili, e ttar i fiumi.
Amor, cenno, valor, pictato, e doglia
Facean piangendo un più dolce concento
D' ogni altro , che nel mondo udir si soglia ;
Ed era 'I cicalo all' armonia sì 'ntento,
(;he non si vedca in ramo mover foglia;
Tanta dolcezza avca pien 1' acro, o '1 vento!
Sonetto CXXIV.
Quel sempre acerbo ed onorato giorno
Mandò sì al cor 1' immagine sua viva,
Che 'ngegno, o stil non fia mai, che '1 descrìva.
3Ia spesso a lui con la memoria torno.
L' atto d' ogni gentil pietate adorno,
E '1 dolce amaro lamentar, eh' i' udi\'a,
Facean dubbiar, se mortai donna, o diva
Fosse, che '1 ciel rasserenava intorno.
La testa or fino , e calda neve il volto,
Ebeno i cigli, e gli occhj eran due stelle,
Ond' amor 1' arco non tendeva in fallo:
Perle e rose vermiglie, ove 1' accolto
Dolor formava ardenti voci e belle,
Fiamma i sospir, le lagrime cristallo.
Sonetto CXXV.
Ove eh' i' posi gli occhj lassi, o giri.
Per quietar la vaghezza, che gli spinge,
Trovo chi bella donna ivi dipinge.
Per far sempre mai verdi i miei desiri.
Con leggiadro dolor par, eh' ella spiri
Alta pietà , che gentil core stringe :
Oltra la vista, alle orecchie orna e'nfinge
Sue voci vive , e suoi santi sospiri.
Amor e '1 ver fùr meco , a dir che quelle,
Ch' i' vidi , eran bellezze al mondo sole,
Mai non vedute più sotto le stelle.
Xè sì pietose e sì dolci parole
S' udiron mal, né lagrime sì belle
Di sì begli occhj uscir mai vide il sole.
Sonetto CXXVI.
In qual parte del ciel, in quale idea
Era r esempio , onde natura tolse
Quel bel viso leggiadro, in eh' ella volse
Mostrar qua giù , quanto là su potea ?
Qual ninfa in -fonti, in selve mai qual dea
Chiome d' oro sì fino all' aura sciolse?
Quand' un cor tante in se virtuti accolse?
Benché la somma é di mia morte rea.
Per divina bellezza indarno mira
Chi gli occhj di costei giammai non vide,
Come soavemente ella li gira.
IVon sa coni' Amor sana , e come ancide,
Chi non sa , come dolce ella sospira,
£ come dolce parla, e dolce ride.
Sonetto CXWII.
Amor ed io sì pien di meraviglia.
Come chi mai cosa incredibil ^ide,
Miriam costei, quand' ella paria o ride.
Che sol sé stessa, e nuli' altra simiglia.
Dal bel seren delle tranquille ciglia
Sfa\illan sì le mie due t-tclle fide,
Ch' altro lume non é, eh' inlìaiiiini, o guide
Chi d' amar altamente si con>!glia.
Qual miracolo é quel, quandi) fra 1' erba
Quasi un fior siede? ov\er quand' ella premo
Col suo candido hcno un verde cespo?
Qual dolcezza è nella ^tagionc acerba
\ Cderla ir sola coi pen>ier suoi 'nsicme,
Tessendo un cer<:hio all' oro terso e crespo?
Sonetto CXXMII.
Oh paesi sparsi , oh pensier vaghi e pronti.
Oh tenace memoria, oh fero ardore,
Oh poB.sentc desire, oh debii core,
Oh occhj nùci, occhj non già, ma fonti!
[63]
RIME DEL PETRARCA.
[64]
Oh fronde , onor delle famose fronti.
Oh sola insegna al gemino valore.
Oh faticosa vita, oh dolce errore,
Che mi fate ir cercando piagge , e monti !
Oh bel riso, ov' amor insieme pose
Gli sproni e '1 fren, ond' e' mi punge e Tolve,
Com' a lui piace , e calcitrar non vaie !
Oh anime gentili ed amorose,
S' alcuna ha i mondo, e voi nude ombre e polve,
Deh restate a veder, qual è '1 mio male!
Sonetto CX\1S.
Lieti Cori e felici , e ben nate erbe,
Clic madonna pensando premer suole,
Piaggia , eh' ascolti sue dolci parole,
E del bel piede alcun vestigio serbe.
Schietti arboscelli , e verdi froudi acerbe,
Amorosettc e pallide vjole,
Ombrose ^elve, ove pcrcote il sole.
Che vi fa co' suoi raggi alte e superbe,
Oh soave contrada, oh puro fiume.
Che bagni '1 suo bel viso , e gli occhj chiari,
E prendi qualità dal vivo lume,
Quanto v' invidio gli atti onesti e cari!
Non fia in voi scoglio omai, che per costume
D' arder con la mia fiamma non impari.
S o X E T T o CXXX.
Amor, che vedi ogni pensiero aperto,
E i duri passi , onde tu sol mi scorgi,
Nel fondo del mio cor gli occhj tuoi porgi
A te palcic, a tntt' nitri coverto:
Sai quel, che per seguirti ho già sofferto,
E tu pur via di poggio in poggio sorgi
Vi giorno in giorno , e di me non t' accorgi,
Che son sì stanco, e 'l sentier m' è tropp' erto.
Ben vegg' io di lontano il dolce lume.
Ove per aspre vie mi sproni e girij
Ma non ho , come tu, da volar piume.
Assai contenti lasci i miei desiri,
Fur che ben desiando i' mi consume ;
Kè le dispiaccia, che per lei sospiri.
Sonetto CXXXl.
Or che 'l elei, e la terra, e '1 vento tace,
E le fere, e gli augelli il sonno affrena,
Kotte 'l caro stellato in giro mena, ^
E nel suo Ietto il mar senz' onda giace,
Vegghio, penso, ardo, piango, e chi mi sface,
Sempre iii' è innanzi per mia dolce pena.
Guerra è Ì mio stato, d' ira e di duol piena,
E sol di lei pensando ho qualche pace.
Così sol d' una chiara tonte viva
Move 'l dolce e 1' amaro, ond io mi pasco:
Una man sola mi riaiana, e punge.
E perchè i mio martir non giunga a riva,
Mille volle il dì moro, e mille nasco;
Tanto dalla salute mia son lungo!
Sonetto CXXXII.
Come 'l candido piò per l' crl)a fresca
1 dolci passi onestamente move,
\ irta , che 'ntorno i fiori apra e rinpve,
Delle tenere piante sue par eh' csi^i.
Amor, che solo i cor leggiadri invesca,
^^• degna di prosar Mia l'orza altrove.
Da' begli occhj un j>iai:er (>ì caldo piove,
Cir i' non curo altro ben , nò bramo altr' osca.
E con r andar, o col boave sguardo
S' accordan le dolcissime parole.
E r atto mansueto, umile, e tardo.
Di tai quattro faville, e non già sole,
Nasce 'l gran foco, dì eh' io vivo ed ardo,
Che son fatto un augel notturno al sole.
Sonetto CXXXllI.
S' io fossi stato fermo alla spelonca,
Là dov' Apollo diventò jirofeta,
Fiorenza avria fors' oggi il suo poeta.
Non pur Verona , e Mantova , ed Arunca.
Ma perchè '1 mio terren più non s' ingiunca
Dell' umor di quel sasso, altro pianeta
Convien eh' i' segua, e del mio campo mieta
Lappole e stocchi con la falce adunca.
L' oliva è secca , ed è rivolta altrove
L' acqua, che di Parnasso si deriva.
Per cui in alcun tempo ella fioriva.
Così sventura, ovver colpa mi priva
D' ogni buon frutto, se 1' eterno Giove
Della sua grazia sopra me non piove.
Sonetto CXXXIV.
Quando Amor i begli occhj a terra inchina,
E i vaghi spirti in un sospiro accoglie
Con le sue mani, e poi in voce gli scioglie
Chiara, soave, angelica, divina,
Sento far del mio cor dolce rapina,
E sì dentro cangiar pensieri e voglie,
Ch' i' dico : or fien di me l' ultime spoglie,
Se °l ciel sì onesta morte mi destina.
Ma '1 suon, che di dolcezza i sensi lega,
Col gran desir d' udendo esser beata
L' anima al dipartir presta raffrena.
Cosi mi vivo , e così avvolge e spiega
Lo stame della vita, che m' è data,
Questa sola fra noi del ciel sirena.
Sonetto CXXXV.
Amor mi manda quel dolce pensiero.
Che secretarlo antico è fra noi due,
E mi conforta, e dice, che non fue
Mai, com' or, presto a quel eh' i' bramo, e spero,
Io, che talor menzogna, e talor vero
Ho ritrovato le parole sue.
Non so, s' il creda, e vivomi intra due,
Né sì né no nel cor mi sona intero.
In questa passa 'l tempo, e nello specchio
Mi veggio andar ver la stagion contraria
A sua improme.isa , ed alla mia speranza.
Or sia che può, già sol io non invecchio:
Già per etate il mio desir non varia:
Ben temo il viver breve, che n' avanza.
Sonetto CXXXM.
Picn d' un vago pensier, che mi disvia
Da tutti gli altri, e fammi al mondo ir solo,
Ad or ad or a me stesso m' involo.
Pur lei cercando, che fuggir dovria,
E vcggiola passar sì dolce e ria,
Che r alma trema per levarsi a volo.
Tal d' armati sospir conduce stuolo
Questa bella d' amor nemica, e mia!
Ben, s' io non error, di pietatc un raggio
Scorgo fra '1 nnbiloso altero ciglio,
Che 'n parte rasserena il cor doglioso.
Allor raccolgo l" alma , e poi eh' i' aggio
Di scovrirle il mio mal preso consiglio.
Tanto le hu a dir, che incomiaciur non o»o.
55]
RIME DEL PETRARCA.
[66]
Sonetto CXXXVIT.
ili volte già dal bel semliiante umano
Ho preso ardir con le mie fide scorte
D' assalir con parole oneste, accorte.
La mia nemica, in atto umile e piano.
anno poi gli occhj suoi mio pensier vano ;
Perdi' ogni mia fortuna, ogni mia sorte.
Mio ben , mio male , e mia vita , e mia morte
Quel, che solo il può far, 1' ha posto in mano.
nd' io non potè' mai formar parola,
Cli' altro che da me stesso fosse intesa,
Così m' ha fatto Amor tremante e fioco!
', veggi' or ben , che caritate accesa
Lega la lingua altrui , gli spirti invola.
Chi può dir com' egli arde, è ^n picciol foco.
Sonetto CXXXVllI.
li unto m' ha Amor fra belle e crude braccia,
Che m' ancidono a torto, e s' io mi doglio,
Doppia 'l martir; onde pur, com' io soglio,
11 meglio è, eh' io mi mora amando, e taccia.
he porla questa il Ren, qualor più agghiaccia.
Arder con gli occhj, e romper ogni aspro scoglio,
Kd ha sì egual alle bellezze orgoglio.
Che , di piacere altrui , j)ar che le spiaccia.
lilla posso levar io per mio 'ngegno
Del bel diamante, ond' eli' ha il cor sì duro,
L' altro è d' un marmo, che si mova e spiri
ed ella a me , per tutto '1 suo disdegno,
Torrà giammai , né per sembiante oscuro
Le mie speranze e i miei dolci sospiri.
Sonetto CXXXIX.
)h invidia, nemica di virtute,
Cir a' bei principj volentier contrasti,
Ver qnal scntier così tacita intrasti
In quel bel petto, e con qual' arti II mute.^
)ii radice n' hai svelta mia salute.
Troppo felic* amante mi mostrasti
A quella, che miei preghi umili e casti
diadi alcun tempo, or par eh' odj e refute.
u' però che con atti acerbi e rei
Del mio ben pianga, e del mio pianger rida,
Porla cangiar sol im de' pensier miei:
lion, perchè mille volte il dì m' ancida,
Fia, eh' io non 1' ami, e eh' i' non speri in lei:
Che , s' ella mi epaventa , Amor m' aflida.
Sonetto CXL.
Airando '1 sol de' begli oc<.h.j sereno,
Ov' è chi spesso i miei dipinge e bagna,
Dal cor 1' anima stanca si scompagna,
Per gir nel paradiso suo terreno.
'oi trovandol di dolce e d' amar pieno.
Quanto al nu)ndo si tesse opra d' aragna
\ede; onde seco, e con Amor si lagna,
Ch' ha sì caldi gli spron , sì duro il freno.
Per questi estremi duo cnntrarj e misti,
Or con voglie gelate, or ccui accese.
Stassi così fra misera e ft^lice.
Ma pochi lidi, e molli pensier tristi,
E i più si pento dell' ardile imprese;
Tal frutto naice di colai radice!
S o N i; T t o CXLl.
Fera stella, se 'l rido ha forza in noi,
Quaiit' alcun crede, fu, sotlo eh' io nacqui,
I È fera cuna, dove nato giacqui,
I E fera terra, ov' i pie mossi poi,
lE fera donna, che con gli o«chj suoi,
I E con r arco, a cui sol per segno piacqui,
1 Fé la piaga, ond'. Amor, teco non tacqui;
' Che con quell' arme risaldarla puoi.
Ma tu prendi a diletto i dolor miei,
Ella non già , perché non son più duri,
E '1 colpo è dì saetta , e non di spiedo.
Pur mi consola , che languir per lei
Meglio è, che gioir d' altra; e tu mei giuri
Per r orato tuo strale, ed io tei credo.
Sonetto CXLIL
Quando mi viene innanzi il tempo e '1 loco,
: Ov' io perdei me stesso, e 'l caro nodo,
! Ond' Amor di sua man m' avvinse in modo,
j Che r amar mi fé dolce, e '1 pianger gioco.
Solfo ed esca son tutto, e 'l cor un foco
Da quei soavi spirti , i quai sempr' odo,
Acceso dentro sì , eh' ardendo godo,
E di ciò vivo , e d' altro mi cai poco.
Quel sol , che solo agli occhj miei risplende.
Coi vaghi raggi ancor indi mi scalda
A vespro, tal qual era oggi per tempo.
E così di lontan m' alluma e 'ncende.
Che la memoria , ad ognor fresca e salda.
Pur quel nodo mi mostra , e 'l loco , e '1 tempo.
Sonetto CXLUL
Per mezzo i boschi inospiti e selvaggi,
Onde vanno a gran rischio uomini ed arme,
Vo slcur' io ; che non può spaventarnie
Altri che '1 sol , eh' ha d' amor vivo i raggi.
E vo cantando (oh pensier miei non saggi !)
Lei , che '1 ciel non porla lontana farme,
Ch' i' r ho negli occhj , e veder seco parme
Donne , e donzelle , e sctno abeti e faggi.
Panni d' udirla, udendo I rami, e 1' ore,
E le frondi , e gli augel lagnarsi , e 1' acque
Mormorando fuggir per 1' erba verde.
Raro un silenzio , un solitario orrore
D' ombrosa selva mai tanto mi piacque;
Se non che del mio sol troppo si perde.
Sonetto CXLIV.
Mille piagge in un giorno, e mille rivi
Mostrato m' ha per la famosa Ardcnna
Amor, eh' a' suoi le piante e i cori impenna,
Per farli al terzo ciel volando ir vi^i.
Dolce m' è sol senz' arme esser stato ivi.
Dove armato fier Marte, e non accenna.
Quasi senza governo, e senz' antenna
Legno in mar, pien di peujier graii e schivi.
Pur giunto al fin della giornata or'inra,
Riiiuinbrando ond' io vegno , e con quai piume,
Sento di troppo ardir nascer paura.
Ma 'i bel paese, e 1 dilettoso fiume
Con serena accoglienza ra<>i«nra
li cor già volto , ov' abita il suo lume.
Son etto CXLV.
Amor mi sprona in im tempo, ed nfiVena,
As^ccnra, e spaMiita, arde , ed agghiaccia,
(Jr.uli>ce, e sd«gna , a sé mi chiama e sca«cia.
Or mi tiene in speranza, ed or in pena.
Or allo, or basso il mio cor lasso mena.
Ondo '1 vago der.ir perde la traccia,
E 'I «no sommo piacer par che gli spiacciu;
D' crror bi novo la mia menlc è piena!
5
[67]
RIME DEL PETRARCA.
[68]
Un amico pensier le mostra il rado,
Non d' acqua, che per gli occhj si risolva,
Da gir tosto ove spera esser contenta.
Poi, quasi maggior forza indi la svolva,
Convien eh' altra via segua , e mal suo grado
Alla sua lunga , e mia morte consenta.
S o >" E T T o CXLV'I.
Ceri , quando talor meco s' adira
La mia dolce nemica, eh' è si altera,
Un conforto m' è dato, eh' i' non pera.
Solo per cui virtù 1' alma respira.
Ovunqu' ella sdegnando gli occhj gira,
Che di luce privar mia vita spera.
Le mostro i miei pien d' umiltà si rera,
Ch' a forza ogni suo sdegno indietro tira.
Se ciò non fosse , andrei non altramente
A Tcder lei , che '1 volto di Medusa,
Cile facea marmo diventar la gente.
Così dunque fa tu, eh' i' veggio esclusa
Ogni altr' aita . e '1 fuggir vai niente
Dinanzi all' ali , che '1 signor nostro usa.
So!VETTo CXLVn.
Po, ben può' tu portartene la scorza
Di me con tue possenti e rapid' onde,
Ma lo spirto, eh' iv' entro si nasconde,
Non cura nò di tua, nò d' altrui forza:
Lo qual, senz' alternar poggia con oraa,
Dritto per l' aure al suo desir seconde,
Battendo l' ali verso 1' aurea fronde,
L' acqua , e '1 vento , e la vela , e i remi sforza.
Re degli altri , superbo altero fiume.
Che 'neon tri il sol , quando e' ne mena il giorno,
E 'n ponente abbandoni un più bel lume.
Tu te ne vai col mio mortai sul corno,
L' altro coverto d' amorose piume
Torna volando al suo dolce soggiorno.
Sonetto CXLVin.
Amor fra 1' erbe una leggiadra rete
D' oro e di perle tese sott' un ramo
Dell' arbor sempre verde, eh' i' tant' amo.
Benché n' abbia ombre più triste, che liete:
L' esca fu '1 seme , eh' egli sparge e miete,
Dolce ed acerbo, eh' io pavento e bramo:
Le note non fùr mai, dal di eh' Adamo
Aperse gli occhj, sì soavi e quete:
E '1 chiaro lume, che sparir fa '1 sole.
Folgorava d' intorno e 'l fune avvolto
Era alla man , eh' avorio e neve avanza.
Così caddi alla rete, e qui m' han colto
Gli atti vaghi , e 1' angeliche parole,
E '1 piacer, e '1 desire, e la speranza.
Sonetto CXLIX.
Amor, che 'ncende '1 cor d' ardente zelo,
Di gelata paura il tìen costretto,
E qual sia più, fa dubbio all' intelletto.
La speranza, o il timor, la fiamma, o '1 gelo.
Trem' al più caldo , ard' al più freddo cielo,
Sempre pien di desire, e di sospetto,
Pur come donna in un vestire schietto
Celi un uum vivo, e sott' un picciol velo.
Di queste pene è mia propria la prima
Arder dì e notte , e quanto è '1 dolce male
Nò 'n pensier cape, non che 'n versi, o 'n rima:
h' altra non già, che 'i mio bel foco è tale,
I
Ch' ogni uom pareggia , e del suo lume in cima
Chi volar pensa , indarno spiega 1' ale.
Sonetto CL.
Se '1 dolce sguardo di costei m' ancide,
E le soavi parolette accorte,
E s' amor sopra me la fa sì forte,
Sol quando parla, ovver quando sorride,
Lasso ! che fia , se forse ella divìde
O per mia colpa, o per malvagia sorte.
Gli occhj suoi da mercè, sì che di morte
Là dov' or m' assccura , allor mi sfide?
Però s' i' tremo , e vo col cor gelato,
Qualor veggio cangiata sua figura.
Questo tener d' antiche prove è nato.
Femmina è cosa mobil per natura:
Ond' io so ben , eh' un amoroso stato
In cor di donna picciol tempo dura.
Sonetto CLI.
Amor, natura, e la beli' alma umile,
Ov' ogni alta virtute alberga e regna,
Contra me son giurati. Amor s' ingegna,
Ch' io mora affatto , e 'n ciò segue suo stile ;
Natura tien costei d' un sì gentile
Laccio, che nullo sforzo è che sostegna;
Ella è sì schiva, eh' abitar non degna
Più nella vita faticosa e vile.
Così lo spirto d' or in or vien meno
A quelle belle care membra oneste.
Che specchio eran di vera leggiadria.
E s* a morte pietà non stringe il freno.
Lasso ! ben veggio , in che stato son queste
Vane speranze , ond' io viver solia.
Sonetto CLII.
Questa fenice dell' aurata piuma
Al suo bel collo candido gentile
Forma senz' arte un sì caro monile,
Ch' ogni cor addolcisce e '1 mio consuma.
Forma un diadema naturai, eh' alluma
L' aere d' intorno , e '1 tacito focile
D' Amor tragge indi un liquido sottile
Foco , che m' arde alla più algente bruma.
Purpurea vesta d' un cerculeo lembo
Sparso di rose i begli omeri vela :
Novo abito , e bellezza unica e sola.
Fama nell' odorato e ricco grembo
D' arabi monti lei ripone e cela,
Che per lo no>~tro ciel sì altera vola.
Sonetto CLlil.
Se Virgilio ed Omero avesser visto
Quel sole , il qual yegg'' io con gli occhj mici,
Tutte lor forze in dar fama a costei
Avrian posto , e 1' un stil con 1' altro misto :
Di che sarebbe Enea turbato e tristo.
Achille, Ulisse, e gli altri semidei,
E quel, che resse anni cinquantasei
Sì bene il mondo, e quel, eh' ancise Egisto.
Quel fior antico di virtuti e d' arme.
Come sembiante stella ebbe con questo
Novo fior d' onestate e di bellezze!
Ennio di quel cantò ruvido carme;
Di quest' altr' io : ed oh pur non molesto
Gli bia '1 mio 'ngegno, e '1 mio lodar non sprc/ze !
S o .% E T T o CLIV.
Giunto Alessandro alla famosa tomba
Del fero Achille, sospirando Aiate:
[69]
RIME DEL PETRARCA.
[70]
Oh fortunato, che gì chiara tromba
Trovasti, e chi di te si alto scrisse!
Ma questa pura e candida colomba,
A cui non so s' al mondo mai par \Uee,
Nel mio stii frale assai poco rimbomba;
Così son le sue sorti a ciascun fisse!
Cile d' Omero di^nissima, e d' Orfeo,
0 del pastor, eh' ancor Mantova onora,
Ch' andasser sempre lei sola cantando,
Stella difforme, e fato sol qui reo
Commise a tal , che '1 suo bel nome adora,
Ma forse scema sue lodi parlando.
Sonetto CLV.
\lmo sol, quella fronde, eh' io sola amo,
Tu prima amasti, or sola al bel soggiorno
Verdeggia, e senza par, poi che 1' adorno
Suo male e nostro vide in prima Adamo.
stiamo a mirarla: i' ti pur prego e chiamo,
Oh sole , e tu pur fuggi e fai d' intorno
Ombrare i poggi , e te ne porti i giorno,
E fuggendo mi toi quel , eh' i' più bramo.
J ombra, elie cade da queir umil colle,
0\e sfavilla il mio soave foco,
Ove '1 gran lauro fu picciola verga,
l'ifscendo, nientr' io parlo, agli occhj tolte
Li! dolce vista del beato loco,
Ove '1 mio cor con la sua donna alberga.
Sonetto CLVI.
^a-?a la nave mia colma d' obblio
Per aspro mare , a mezza notte , il verno.
Infra Scilla e Cariddi , ed al governo
Siede '1 signor, anzi '1 nemico mio:
\. ciascun remo un pcnsier pronto e rio,
Che la tempesta e '1 fin par eh' abbi' a scherno:
La vela rompe un vento umido eterno
Di sospir. di speranze, e di desio.
Pioggia di lagrimar , nebbia di sdegni
Bagna e rallenta le già stanche sarte.
Che son d' errfir con ignoranza attorto:
ilielansi i duo miei dolci usati segni,
Morta fra 1' onde è la ragione, e 1' arte;
Tal eh' incomincio a disperar del porto.
Sonetto CLVII.
Jns candida cerva sopra 1' erba
Verde m' apparve con due corna d' oro,
Fra due riviere, all' ombra d' un alloro,
Levando '1 sole alla stagion acerba.
Sra sua vista sì dolce superba,
Ch' i' lasciai per seguirla ogni lavoro,
Come r avaro , che 'n cercar tesoro
Con diletto 1' affanno disacerba.
Sessun mi tocchi, al bel collo d' intorno
Scritto avea di diamanti e di topazj ;
I Libera farmi al mio Cesare parve.
pd era il sol già volto a mezzo giorno.
Gli occhj miei stanchi, e di mirar non sazj,
I Quand' i' caddi nell' acqua , ed ella sparve.
Sonetto CLVIII.
Si come eterna vita è veder Die»,
Né più hi brama, nò bramar più lice,
Co*ì me, dimiia, il voi ^eder felice
Fa in questo breve e frale viver mìo.
io voi «tessa, com' or, bella vid' io
Giammai, se vero al cor i' occhio ridice,
Dolce del mio pensier ora beatrice.
Che vince ogni alta speme, ogni desio.
E se non fosse il suo fuggir sì ratto,
Più non dimanderei ; che s' alcun vive
Sol d' odore, e tal fama fedo acquista,
Alcun d' acqua, o di foco il gusto e '1 tatto
Acquetan, cose d' ogni dolzor prive,
r perchè non della vostr' alma vista?
Sonetto CLIX.
Stiamo, Amor, a veder la gloria nostra.
Cose sopra natura altere e nove!
Vedi ben, quanta in lei dolcezza piove.
Vedi lume, che 'l cielo in terra mostra.
Vedi quant' arte dora, e 'niperla, e 'nnostra
L' abito eletto, e mai non vi^to altrove;
Che dolcemente i piedi e gli occhj move
Per questa di bei colli ombrosa chiostra!
L' erbetta verde, e i fior di color mille
Sparsi sotto quell' elee antiqua e negra,
Pregan pur , che '1 bel pie li prema , o tocchi,
E '1 ciel di vaghe e lucide faville
S' accende intorno , e 'n vista si rallegra
D' esser fatto seren da sì begli occhj.
Sonetto CLX.
Pasco la mente d' un sì nubii cibo,
Ch' ambrosia e nettar non invidio a Giove ;
Che, sol mirando, obblio nell' alma piove
D' ogni altro dolce, e Lete al fondo bibo.
Tabu* eh' odo dir cose, e 'n cor describo,
Perchè da sospirar sempre ritrove.
Ratto per man d' Amor, né so licn dove.
Doppia doli:ezza in un volto delibo;
Che quella voce infln al ciel gradita
Suona in parole sì leggiadre e cjire.
Che pensar noi porla chi non 1' ha udita.
Allor insieme in men d' un palmo appare
Visibilmente, quanto in questa vita
Arte, ingegno, e natura, e '1 ciel può fare.
Sonetto CLXI.
L' aura gentil , che rasserena i poggi,
Destando i fior per questo ombroso bosco,
Al soave suo spirto riconosco.
Per cui convien , che 'n pena e 'n fama poggi.
Per ritrovar, ove '1 cor lasso appoggi,
Fugge dal mio natio dolce aer tosco ;
Per far lume al pen»ier torbido e fosco,
Cerco l mio sole , e spero vederlo oggi:
Nel qual provo dolcezze tante e tali,
Ch' amor per forza a lui mi riconduce ;
Poi si m' abbaglia , che '1 fuggir m' è tardo.
Io chiedrci a scampar non arme, anzi ali;
Ma perir mi dà 'I ciel per questa luce,
Che da lunge mi struggo, e da press' ardo.
Sonetto CLXII.
Di dì 'n di vo cangiando il viso e '1 pelo,
Né però smorso i dolce inescati ami,
Né sbranco i verdi ed invescati rami
Dell' arbor , che né sol cura, né gelo.
Senz' acqua il mare , e senza stelle il ciclo
Fia innanzi, eh' io non sempre tema, e brami
La sua beli' ombra, e eh' i' non odj , ed ami
L' alta piaga amoro>^a , che mal celo.
Non spero del mio all'anno aver mai posa,
liifìn cir i' mi disosso, e snervo, e spolpo:
Oh la uciuica uiia pietà n* avebsc!
5 *
[71]
RIME DEL PETRARCA.
[12]
Esser pnò in prima ogn' impossibil cosa,
C1i' altri , che morte od ella , sani '1 colpo,
Ch' amor co' suoi begli occbj al cor m' impresse.
Sonetto CLXIII.
L' anra serena , che fra verdi fronde
3ìormorando a ferir nel volto viemrae.
Fammi ri^ovvenir, qiiand' amor diemme
Le prime piaghe sì dolci e profonde ;
E 'i bel viso veder, eh' altri m' asconde,
Che sdegno o gelosia celato tiemme,
E le chiome, or avvolte in perle e 'n gemme,
Allora sciolte, e sovra or terso bionde,
Le quali ella spargea sì dolcemente,
E raccogliea con si leggiadri modi.
Che ripensando ancor trema la niente.
Torsele il tempo poi in più saldi nodi ;
E strinse '1 cor d' un laccio sì possente,
Che morte sola fia eh' indi lo snodi.
Sonetto CLXIV,
L' aura celeste, che 'n quel verde hiuro
Spira, ov' Amor ferì nel fianco Apollo,
Ed a me pose un dolce giogo al collo,
Tal che mia libertà tardi restauro.
Può quello in me, che nel gran vecchio mauro
Medusa, quando in selce trasformoUo :
Né posso dal bel nodo omai dar crollo.
Là 've sol perde , non pur 1' ambra o V auro :
Dico le chiome bionde, e '1 crespo laccio,
Che si soavemente lega e stringe
L' alma, che d' umiltiite e non d' altr' armo.
L' ombra sua sola fa '1 mio core un ghiaccio,
E di bianca paura il viso tinge ;
Ma gli occlij hanno virtù di farne un marmo.
Soletto CLXV.
L' aura soave , eh' al sol spiega e vibra
L' auro, eh' Amor di sua man fila e tesse.
Là da' begli occhj e dalle chiome stesse
Lega '1 cor lasso, e i levi spirti cribra.
Non ho midolla in osso , o sangue in fibra,
Ch' i' non senta tremar , pur eh' i' m' appresse,
Dov' è chi morte e vita insieme spesse
A olte in frale bilancia appende e libra,
Vedendo arder i lumi, ond' io ni' accendo,
E folgorar i nodi , ond' io son preso.
Or sutr omero destro, ed or sul manco.
r noi posso ridir, che noi comprendo:
Da tu' due luci è I' intelletto o/leso,
E di tanta dolcezza oppresso e stanco.
S o N^E t T o CLX VL
Oh bella man, che mi distringi '1 core,
E 'n poro spazio la mia vita chiudi,
.M.in , ov' ogni artn , e tutti loro studi
l'o'cr natura e Ì eie! , per farsi onore !
Di ciiKiiu; perle orienta! colore,
E sol nelle mie piag'ic acerbi e crudi
Diti si-liictti soavi , a tempo ignudi
C(»nseiite or voi , per arricchirmi , Amore.
Candido, le;rgiad retto, e <:aro guanto,
CJIie copria netto avorio , e IVc-iclie rose.
Citi vide al mondo mai sì dolci spoglie?
Co/i avess' lo del liei velo altrettanto !
Oh incostanza dell' umane cose!
l'ur quc^to è furto , e vicn, eh' i' me ne epoglìc.
Sonetto CLXVIL
Non pur queir una bella ignuda mano,
Che con grave mio danno si riveste,
Ma r altra , e le duo braccia accorte e preste
Sono a stringere il cor timido e piano.
Lacci Amor mille, e nessun tende invano
Fra quelle vaghe nove forme oneste,
Ch' adornan sì 1' alto abito celeste,
Ch' aggingner noi può stil, né 'ngegno umano:
Gli occhj sereni , e le stellanti ciglia.
La bella bocca angelica , di perle
Piena e di rose , e di dolci pcirole,
Che fanno altrui tremar di meraviglia,
E la fronte , e le chiome , eh' a vederle
Di state a mezzo dì vincono il sole.
Sonetto CLXMH.
3Iia ventura ed Amor m' avean sì adorno
D' un beli' aurato e serico trapunto,
Ch' al sommo del mio ben quasi era aggiunto.
Pensando meco a chi fu quest' intorno:
Né mi ricde alla mente mai quel giorno,
Che mi fé ricco e povero in un punto,
Ch' i' non sia d' ira e di dolor compunto,
Pien di vergogna , e d' amoroso scorno,
Che la mia nobil preda non più stretta
Tenni al bisogno , e non fui più costante
Contra lo sforzo sol d' un' angioletta,
0 fuggendo, ale non giunsi alle piante.
Per far almen di quella man vendetta.
Che degli occhj mi trae lagrime tante.
Sonetto CLXIX.
D' un bel, chiaro, polito, e vivo ghiaccio
Move la fiamma, che m' incende e strugge,
E sì le vene e '1 cor m' asciuga e sugge,
Che 'n visibilmente i' mi disfaccio.
Morte , già per ferire alzato 'l braccio.
Come irato ciel tona , o leon rugge.
Va perseguendo mia vita , che fugge.
Ed io pien di paura tremo e taccio.
Ben poria ancor pietà con amor mista,
Per sostegno di me, doppia colonna
Porsi fra l' alma stanca , e '1 mortai colpo :
Ma io noi credo , né 'l conosco in vista
Di quella dolce mia nemica , e donna.
Né di ciò lei , ma mia ventura incolpo.
Sonetto CLXX.
Lasso, eh' i' ardo, ed altri non mei crede!
Sì crede ogni uom , se non sola colei,
Ch' é sovr' ogni altra, e eh' i' sola vorrei.
Ella non par che '1 creda , e sì sei vede.
Infinita bellezza , e poca fede.
Non vedete voi 'l cor negli occhj miei ?
Se non fosse mia stella , i' pur dovrei
Al fonte di pietà trovar mercede.
Quest' arder mio , di che vi cai sì poco,
E i vostri onori in mie rime diffusi
Ne porian' infiammar fors' ancor mille :
Ch' i' veggio nel pensier , dolce mio f«ico.
Fredda una lingua , e duo begli occhj chiusi
Ilimaner dopo noi , pien' di fa^ ille.
Son etto CLXXL
Anima , che diverse cose tante
Vedi, odi, e leggi, e parli, e scrìvi, e pensi;
Occlij miei vaghi, e tu fra gli altri sensi,
I
n]
RIME DEL PETRARCA.
P4]
Clie scorgi al cor 1' alte parole sante,
cr quanto non vorreste, o poscia od ante,
L?;^er giunti al cammin , clie sì mal tiensi,
Per non trovarvi i duo bei lumi accensi,
INè r orme impresse dell' amate piante?
Ir con si chiara luce, e con tai segni
Errar non dessi in quel breve viaggio.
Che ne può far d' eterno albergo degni,
forzati al cielo , oh stanco mio coraggio,
Per la nebbia entro de' suoi dolci sdegni
Seguendo i passi onesti , e '1 divo raggio !
Sonetto CLXXII.
)oIci ire , dolci sdegni , e dolci paci,
Dolce mal, dolce affanno, e dolce peso,
Dolce parlar, e dolcemente inteso.
Or di dolce ora, or pien di dolci faci!
lima, non ti lagnar , ma soffri e taci,
E tempra il dolce amaro , che n' ha offeso,
VaA dolce onor, che d' amar quella hai preso,
A cu' io dissi: tu sola mi piaci.
"or-e ancor fia chi sospirando dica
l'into di dolce invidia: assai sostenne
Per bellissimo amor questi ài suo tempo ;
Utrì : oh fortuna agli occhj miei nemica!
Perchè non la vid' io? perchè non venne
Ella più tardi, ovver io più per tempo?
Canzone XIX.
»' il dissi mai , eh' i' venga in odio a quella.
Del cui amor vivo, e senza '1 qual morrei!
S' il dissi, oh' i miei dì sian pochi e rei,
E di vii signoria 1' anima ancella!
S' il di^si, contra me s' armi ogni stella,
E dal mio lato sia
Paura e gelosia,
E la nemica mia
Più feroce ver me sempre, e più bella!
S' il dissi, Amor I' aurate sue quadrella
Spenda in me tutte, e 1' impiombate in lei!
S' il dissi, cielo e terra, uomini e Dei
Mi sian contrarj , ed essa ognor più fella !
S' il dissi, chi con sua cieca facclla
Dritto a morte m' invia.
Pur , come suol , si stia,
Ne mai più dolce o pia
Ver me si mostri in atto , od in favella !
S' il dissi mai, di quel eh' i' men vorrei,
Piena trovi quest' aspra e breve via !
S' il dissi, il fero ardor, che mi disvia.
Cresca in me, quanto il fìcr ghiaccio in costei!
S' il dissi, unqua non veggian gli occhj mici
Sol chiaro, o sua sorella,
Né donna, né don'/.clla,
Ma terribil procella,
Qual Faraone in perseguir gli Ebrei !
S' il dissi, co' sospir, quant' io mai fei.
Sia pietà per ine inorta , e cortesia !
S' il diissi , il dir s' iiinaspri, che h'udìa
Sì dolce allor, che vinto mi rendei!
S' il dissi, io s|>ia(-c!a a (inella, eh' i' torrei
Sol chiuso in fosca cella,
Dal di, che la inaminella
Lahciai , fui elic si svelta
Da me 1' alma, adorar! forse '1 farci.
Ma s' io noi dis^i, chi sì dolce apria
Mio cor a speme nell' età novella,
Regga ancor questa stanca navicella
Col governo di sua pietà natia,
INè diventi altra, ma pur qual eolia
Quando più non potei,
Che me stesso perdei,
Né più perder dovrei !
Mal fa, chi tanta fé sì tosto obblia!
Io noi dissi giammai, né dir poria
Per oro, o per cittadi, o per castella.
Vinca '1 ver dunque, e si rimanga in sella,
E vinta a terra caggia la bugia!
Tu sai in me il tutto. Amor: s' ella ne spia,
Dinne quel, che dir dei;
r beato direi
Tre volte, e quattro, e sei.
Chi , dovendo languir , si morì pria.
Per Rachel' ho servito , e non per Lia :
Né con altra saprei
Viver , e sosterrei.
Quando '1 ciel ne rappella,
Girmen con ella la sul carro d' Elia.
Canzone XX.
Ben mi credea passar mio tempo omai.
Come passato avea quest' anni addietro,
Senz' altro studio , e senza novi ingegni :
Or , poi che da madonna i' non impetro
L' usata aita, a che condotto m' hai.
Tu 'i vedi , Amor ; che tal' arte m' insegni ;
Non so, s' i' me ne sdegni.
Che 'n questa età mi fai divenir ladro
Del bel lume leggiadro.
Senza '1 qual non vivrei in tanti alTanni.
Cosi avess' io i prim' anni
Preso lo stil, eh' or prender mi bisogna!
Che 'n giovenil fallire é men vergogna.
Gli occhj soavi, ond' io soglio aver vita,
Delle divine lor alte bellezze
Fùrmi in sul cominciar tanto cortesi,
Che 'n guisa d' uom, cui non proprie ricchezze
Ma celato di fuor soccorso aita,
Vissimi , che né lor , né altri otl'esi.
Or bendi' a me ne pesi.
Divento ingiurioso ed importuno:
Che '1 poverel digiuno
Vien ad atto talor, eh' in miglior stato
Avria in altrui biasmato.
Se le man di pietà invidia m' ha chiuse,
Fame amorosa, e '1 non poter mi scuse.
Ch' i' ho cercate già vie più di mille
Per provar senza lor , se mortai cosa
Mi potesse tenere in vita un giorno:
L' anima, poi eh' altrove non ha posa.
Corre pur all' angelielic faville ;
Ed io , che son di cera , al foco torno,
E i)ongo mente intorno,
Ove oi fa inen guardia a quel, eli' i' bramo;
E come augello in ramo.
Ove men lenu-, wi più to^to é colto,
('osi dal suo bel volto
L' involo or uno, ed or un altro sguardo
E di ciò insieme mi luilrico , ed ardo
Di mia morte mi pasco, e vivo in fiamme;
Strano cibo, e mirabii salamandra!
Ma miraeol non è; da tal «i voie.
Felice agnello alla penosa inandra
[T5]
RIME DEL PETRARCA.
_[Ì6]
Mi giacqui un tempo ; or all' estremo famme
E fortuna, ed amor, pur come sole.
Cosi rose e viole
Ha primavera , e 1 verno ha neve e ghiaccio :
Però, s' i' mi procaccio
Quinci e quindi alimenti al viver curto,
Se vuol dir, che sia furto.
Sì ricca donna deve esser contenta,
S' altri vive del suo , eh' ella noi senta.
Chi noi sa, di eh' io vivo, e vissi sempre
Dal di, che prima que' begli occhj vidi.
Che mi fecer cangiar vita e costume?
Per cercar terra e mar da tutti lidi.
Chi può saver tutte 1' umane tempre.'
L' un vive, ecco, d' odor là sul gran fiume;
Io qui di foco e lume
Queto ì frali e famelici mìei spirti.
Amor (e vo' ben dirti),
Disconviensi a signor 1' esser si parco.
Tu hai gli strali e 1' arco :
Fa ti tua man, non pur bramando, i' mora:
Ch' un bel morir tutta la vita onora.
Chiusa fiamma è più ardente , e se pur cresce.
In alcun modo più non può celarsi.
Amor, i' '1 so, che '1 provo alle tue mani.
Vedesti ben, quando si tacito arsi;
Or de' miei gridi a me medesmo incresce,
Che vo nojaudo e prossimi , e lontani.
Oh mondo, oh pensier vani!
Oh mia forte ventura a che m' adduce!
Oh di che vaga luce
Al cor mi nacque la tenace speme,
Onde 1' annoda e preme
Quella, che con tua forza al fin mi mena!
La colpa è vostra, e mio '1 danno e la pena.
Così di ben amar porto tormento,
E del peccato altrui cheggio perdono,
Anzi del mio : che dovea torcer gli occly
Dal troppo lume , e di sirene al suono
Chiuder gli orecchj : ed ancor non men' pento,
Che di dolce veleno il cor trabocchi.
Aspett' io pur che scocchi
L' ultimo colpo, chi mi diede il primo,
E fia , e' i' dritto estimo,
Un modo di piotate occider tosto.
Non essend' ei di^iposto
A far altro di me, che quel che soglia:
Che ben mor, chi morendo esce dì doglia.
Canzon mia , fermo in campo
Starò: eh' egli è disnor morir fuggendo.
E me stesso riprendo
Di tni lamenti : sì dolce è mia sorte.
Pianto, sospiri, e morte.
Servo d' amor, che queste rime leggi,
Ben non ha '1 mondo, che '1 mio mal pareggi.
Sonetto CLXXIII.
Rapido fiume, che di alpestre vena
Rodendo intorno, onde '1 tuo nome prendi,
Notte e dì meco desioso scendi,
Ov' amor me , te sol natura mena,
fattene innanzi ! il tuo corso non frena
Né etanchezza, nò sonno, e pria che rendi
Suo dritto al mar, fiso, u' si mostri, attendi
L' erba più verde, e 1' aria più serena:
Ivi è quel nostro \ì\o e dolce «ole,
Ch' adorna e 'ufioru la tua riva manca.
Forse (oh che spero!) il mio tardar le dole.
Baciale '1 piede, o la man bella e bianca!
Dille: il baciar sia 'n vece di parole!
Lo spirto è pronto, ma la carne è stanca.
Sonetto CLXXIV.
I dolci colli, ov' io lasciai me stesso,
Partendo , onde partir giammai non posso,
Mi vanno innanzi , ed emmi ognor addosso
Quel caro peso , eh' amor m' ha commesso.
Meco di me mi meraviglio spesso,
Ch' i' pur vo sempre, e non son ancor mosso
Dal bel giogo più volte indarno scosso;
Ma coni' più me n' allungo, e più m' appresso.
E qiial cervo ferito di saetta
Col ferro avvelenato dentr' al fianco
Fugge, e più duolsi, quanto più s' affretta,
Tal io con quello strai dal lato manco,
Che mi consuma , e parte mi diletta.
Di duol mi struggo, e di fuggir mi stanco.
Sonetto CLXXV.
Ricercando del mar ogni pendice,
Non dall' Ispano Ibero all' indo Idaspe,
Ne dal lito vermiglio all' onde caspe.
Né 'n ciel , né 'n terra è più d' una fenice.
Qual destro corvo , o qiial manca cornice
Canti '1 mio fato.'' o qual Parca 1' innaspe?
Che sol trovo pietà sorda com' aspe,
Misero , onde sperava esser felice.
Ch' i' non vo' dir di lei; ma chi la scorge,
Tutto '1 cor di dolcezza , e d' amor 1' empie,
Tanto n' ha seco, e tant' altrui ne porge!
£ per far mie dolcezze amare ed empie,
O s' infinge, o non cura, o non s' accorge
Del fiorir queste innanzi tempo tempie.
Sonetto CLXX\T
Voglia mi sprona, amor mi guida e scorge,
Piacer mi tira, usanza mi trasporta,
Speranza mi lusinga e riconforta,
£ la man destra al cor già stanco porge.
II misero la prende, e non s' accorge
Di nostra cieca, e disleale scorta:
Regnano i sensi, e la ragion è morta.
Dell' un vago desio 1' altro risorge.
Virtute, onor, bellezza, atto gentile.
Dolci parole ai bei rami m' han giunto.
Ove soavemente il cor s' invesca.
Mille trecento ventisette appunto,
Suir ora prima il dì sesto d' Aprile
Nel laberinto intrai, uè veggio ond' esca.
Sonetto CLXX VII.
Beato in sogno , e di languir contento,
D' abbracciar 1' ombre, e seguir 1' aura estiva.
Nuoto per mar, che non ha fondo o riva.
Solco onile, e 'n rena fondo, e scrivo in vento.
E il sol vagheggio sì , eh' egli ha già spento
Col suo splendor la mia virtù visiva.
Ed una cerva errante e fuggitiva
Caccio con un bue zoppo e 'n fermo e lento.
Cieco e stanco ad ogni altro, eh' al mio danno,
Il qual dì e notte palpitando cerco,
Sol amor, e madonna, e nutrtc chiamo.
Cosi vent' anni (grave e liuigo affanno !)
Pur lagrime, e sospiri, e dolor merco.
In talo stella presi 1' esca e i' amo.
n]
RIME DEL PETRARCA.
Sonetto CLXXVIII.
l'razie , eh' a pochi il ciel largo destina,
Rara virtù , non già. d' iirnana gente.
Sotto biondi capei canuta mente,
E 'n uniil donna alta beltà divina,
leggiadria singolare e pellegrina,
E 1 cantar, che nell' anima si sente,
L' andar celeste , e '1 vago spirto ardente,
Ch' ogni dur rompe, ed ogni altezza inchina,
; que' begli occhj, che i cor fanno smalti,
Possenti a rischiarar abisso e notti,
E torre V alme a' corpi, e darle altrui,
'ol dir pien d' intelletti dolci ed alti,
(Jon i sospir soavemente rotti, —
Uà questi magi trasformato fui.
Sestina VI.
inzi tre d^ creata era alma in parte
Da por sua cura in cose altere e nove,
E dispregiar di quel , eh' a molti è 'n pregio :
Quest' ancor dubbia del fatai suo corso,
Sola pensando, pargoletta, e sciolta
Intrò di primavera in un bel bosco.
jira un tenero fior nato in quel bosco
Il giorno avanti e la radice in parte,
Ch' appressar noi poteva anima sciolta;
Che v' eran di lacciuo' forme si nove,
E tal piacer precipitava al corso.
Che perder liberiate iv' era in pregio.
Caro, dolce, alto, e faticoso pregio,
Clie 'ratto mi volgesti al verde bosco,
Usato di sviarne a mezzo '1 corso !
Ed ho cerco poi '1 inondo a parte a parte,
Se versi, o pietre, o buco d' erbe nove
Mi rendesser un di la mente sciolta.
Ma, lasso! or veggio, che la carne sciolta
ria di quel nodo , ond' è i suo maggior pregio,
Prima che medicine antiche o nove
Saldin le piaghe, eh' i' presi 'n quel bosco
Folto di spine: ond' i' ho ben tal parte,
Che zoppo n' esco , e 'ntraivi a si gran corso.
Pien di lacci, e di stecchi, un duro corso
Aggio a fornire, ove leggera e sciolta
Pianta avrebbe uopo, e sana d' ogni parte.
Ma tu, signor, eh' hai di pietate il pregio.
Porgimi la man destra in questo bosco!
Vinca 'l tuo sol le mie tenebre nove !
Guarda '1 mio stato alle vaghezze nove.
Clic 'nternimpeiido di mia vita il corso,
M' han fatto abitator d' omliroso bosco !
Rendimi, s' esser può, libera e sciolta
L' errante mia consorte, e fia tuo '1 pregio,
S' ancor tei-.o la trovo in miglior parte.
Or ecco in parte le question mie nove:
S' alcun pregio in me vive o 'n tutti» è curio.
O r alma bciolta , o ritenuta al bosco ?
So>KTTO CIAXIX.
In nohil sangue y ita umile e queta.
Ed in alto inlcllilto lui puro core,
Frutto senile in sul gioveiiil fiore,
E in appetto pensoso anima lieta,
Raccolto ha 'u (juesta donna il suo pianeta,
Anzi 'I re delle stelle, e 'I vero «uiorc.
Le degne lodi, e 'I gran pregi», e "1 valore,
Ch' è da stancar ogni divin poeta.
Amor ti è in lei con uneitatc aggiunto.
[78]
Con beltà naturale abito adomo.
Ed un alto, che parla con silenzio,
E non so che negli occhj , che 'n un punto
Può far chiara la notte, oscuro il giorno,
E '1 mele amaro, ed addolcir 1' assenzio.
Sonetto CLXXX.
Tutto 'I di piango , e poi la notte , quando
Prendon riposo i miseri mortali,
Trovom' in pianto, e raddoppiarsi i mali;
Così spendo 'l mio tempo lagrimando.
In tristo umor vo gli occhj consumando,
E 1 cor in doglia , e son fra gli animali
L' ultimo si , che gli amorosi strali
Mi tengon ad ognor di pace in bando.
Lasso ! elle pur dall' uno all' altro sole,
E dall' un' ombra all' altra ho già il più corso
Di questa morte, che si chiama vita.
Più r altrui fallo, che "l mio mal, mi dolo;
Che pietà viva, e '1 mio fido soccorso
Vedem' arder nel foco , e non m' aita.
Sonetto CLXXXI.
Già desiai con sì giusta querela,
E 'n sì fervide rime farmi udire,
Ch' un foco di pietà fessi sentire
Al duro cor, eh' a mezza state gela,
E r empia nube , che 'l raffredda , e vela,
Rompesse all' aura del mio ardente dire,
O fessi queir altru' in odio venire.
Che i belli , onde mi struggo , occhj mi cela.
Or non odio per lei, per me pietate.
Cerco: che quel non vo,' questo non posso:
Tal fu mia stella , e tal mia cruda sorte !
Ma canto la divina sua beliate,
Che, quand' i' sia di questa carne scosso,
I Sappia '1 mondo, che dolce è la mia morte.
, Sonetto CLXXXII.
Tra quantimque leggiadre donne , e belle
I Giunga costei, «;h' al mondo ncui ha pare,
j Col suo bel >iso suol dell altre fare
i Quel, che fa "I di delle minori stelle.
: Amor par, eh' all' oreci^hie mi favelle,
j Dicendo: quando' questa in terra appare,
Fia '1 viver bello ; e poi "1 ^eJrem turbare,
I Perir virtutì, e 'l mio regno con elle.
1 Come natura al ciel la luna , e '1 sole,
I All' aere i venti , alla terra erbe e fronde,
I All' uomo e 1' intelletto, e le pande,
I Ed al mar ritogliessc i pesci e 1' onde.
Tanto , e più fien le cose oscure e sole,
I Se morte gli occhj suoi chiude, ed asconde.
! Sonetto CLXXMII.
j II cantar novo , e '1 pianger degli augelli
j In sul di fanno risentir le valli,
' E 'l moruutrar <le' liquidi cristalli
Giù per lucidi frecciti ri^i, e snelli.
Quella, eh' ha neve il volto, oro i capelli,
j Nel cui amor non fùr mai uganni . nò falli,
Destami al suoii degli amorosi balli,
Peltiuinido al suo Aceihio i bianchi velli.
Così mi sveglio a sabotar l' aurora
E 'I sol, di' è ^eco, e più 1' altro, ond' io fui
INe' priiu' anni abbagliato, e siuio ancora.
r gli ho veduti aloni giorno ambediii
Levarsi iu.-ìeme , e n un pimt(», e 'n un' ora
Quel far le stelle, e que«to sparir lui.
RIME DEL PETRARCA.
[80]
Sonetto CLXXXIV.
Onde tolse Amor 1' oro, e di qiial vena,
Per far due trecce bionde? e' n quali spine
Colse le rose, e 'n qual piaggia le brine
Tenere e fresche, e die' lor polso e lena?
Onde le perle, in eh' ei frange ed affrena
Dolci parole, oneste, e pellegrine?
Onde tante bellezze, e sì divine
Di quella fronte più che '1 ciel serena?
Da quali angeli mosse, e di qual spera
Quel celeste cantar, che mi disfacc
Sì . che m' avanza ornai da disfar poco ?
Di qual sol nacque V alma luce altera
Di que begli occhj , ond' i' ho guerra e pace,
Che mi cuocono '1 cor in ghiaccio e 'n foco?
Sonetto CLXXXV'.
Qual mio destin , qual forza o qual inganno
Mi riconduce disarmato al campo
Là , 've sempre son vinto , e s' io ne scampo,
Meraviglia n' avrò; s' i' moro, il danno?
Danno non già, ma prò; sì dolci stanno
Ael mio cor le faville , e '1 chiaro lampo,
Che r abbaglia, e lo strugge, e 'n eh' io m' avvampo;
E son già ardendo nel vegesim' anno.
Sento i messi di morte, ove apparire
Veggio i begli occhj , e folgorar da lungo :
Poi , s' avvien eh' appressando a me li gire,
Amor con tal dolcezza m' unge e punge,
Ch' i' noi so ripensar, non che ridire:
Che né 'ngegno , né lingua al vero aggiunge.
Sonetto CLXXXM.
P. Liete e pensose, accompagnate e sole
Donne, che ragionando ite per via;
Ov' è la vita , ov' è la morte mìa ?
Perchè non è con voi , com' ella sole?
D. Liete siam per memoria di quel sole ;
Dogliose per sua dolce compagnia.
La qual ne toglie invidia e gelosia,
Che d' altrui ben , quasi suo mal , si dole.
P. Chi pon freno agli amanti, o dà lor legge?
D. Nessun all' alma ; al corpo ira ed asprci za :
Que^to ora in lei, talor si prova in ni>i.
Ma spesso nella fronte il cor si legge :
Si vedemmo oscurar l' alta bellezza,
E tutti rugiadosi gli occhj suoi.
Sonetto CLXXXVIL
Quando '1 sol bagna in mar 1' aurato carro,
E r aer nostro, e la mia mente iiul)runa.
Col ciclo, e con le stelle, e con la luna
In' angosciosa e dura notte innarro.
Poi, lasso! a tal, che non m' ascoltii , narro
'l'ulte le mie fatiche ad una ad una,
E col mondo, e con mia cieca fortuna,
Con itinitr . c(in madonna , e meco garro.
Il sonno e 'n band(»; e del riposo è nulla:
Ma sospiri e lamenti infìn all' alba,
E lagrime , che V ahna agli occhj invia.
Vien poi r aurora, e 1' aura fosca inalba,
Me no; ma 'I sol, die 'I cor in" arde e trastulla.
Quel può solo addolcir la doglia mia.
Sonetto CLXWVIII.
S" una fede amorosa , un cor non finto,
1 1. languir dolce , un desiar cortese,
S° oneste voglie in gentil foco accuse.
S' un lungo error in cieco laberinto.
Se nella fronte ogni pensier dipinto,
Od in voci interrotte appena intese,
Or da paura , or da vergogna offese,
S' un pallor di viola , e d' amor tinto,
S' aver altrui più caro che sé stesso.
Se lagrimar e sospirar mai sempre.
Pascendosi di duol, d' ira, e d' affanno,
S' arder da lunge , ed agghiacciar di presso
Son le cagion , eh' amando i' mi distcm|ire.
Vostro , donna , '1 peccato , e mio fia 'l danno
Sonetto CLXXXIX.
Dodici donne onestamente lasse,
Anzi dodici stelle, e n mezzo un sole
Vidi in una barchetta, allegre, e sole,
Qual non so s' altra mai onde solcasse.
Siniil non credo, che Giason portasse
Al vello, ond' oggi ogni uom vestir si vole,
Né 1 pastor, di che ancor Troja si dole,
De' qua' duo tal romor al mondo fasse.
Poi le vidi in un carro trionfale,
E Laura mia con suoi santi atti schifi
Sedersi in parte, e cantar dolremente;
Non cose umane, o vision mortale.
Felice Autumedon ' felice Tifi,
Che conduceste sì leggiadra gente!
Sovetto CXC.
Passer mai solitario in alcun tetto
Non fu, quant' io, né fera in alcun bosco:
Ch' i' non veggio 'l bel viso, e non conosco
Altro sol, né quest' occhj hann' altro obbietto.
Lagrimar sempre è i mio sommo diietto.
Il rider doglia , il cibo assenzio e tosco.
La notte affanno, e '1 ciel seren m" è fosco
E duro campo di battaglia il letto.
Il sonno é veramente , qual u( m dice,
Parente della morte, e '1 cor sottragga
A quel dolce pensier, che 'n vita il tiene.
Solo al mondo paese almo felice,
Verdi rive, fiorite ombrose piagge,
Voi possedete, ed io piango '1 mio bene.
Sonetto CXCI.
Aura , che quelle chiome bionde e crespe
Circondi e movi, e se' mossa da loro
Soavemente , e spargi quel d(»lce oro,
E poi '1 raccogli, e 'n bei nodi *l rincrcspe;
Tu stai negli occhj, ond' amorose vespe
Mi pungon si , che 'nfin qua il sento e ploro,
E vacillando cerco il mio tesoro,
Coni' animai, che spesso adombro e 'ncespe :
Ch' or mei par ritrovar, ed or m' accorgo,
Ch' i' ne son lunge; or mi sollevo, or caggio :
Cir or quel eh' i' bramo, or quel eh' è vero, scorgo.
Aér felice, col bel vivo raggio
Rimanti ! e tu , corrente e chiaro gorgo.
Che non poss' io cangiar tcco viaggio ?
Sonetto CXCII.
Amor con la man destra il lato manco
M' aperse, e piantovv entro in mezzo 'i core
l'n lauro verde kì , che di colore
Ogni smeraldo avria ben vinto e stanco.
Vomer di penna con sospir del fianco,
E 'I piover giù d.igli eiccbj un dolce umore
ì L' adornar sì , eh' al ci«l n' andò 1' odore,
I Qual non so già, se d' altre frondi unquanco.
I
*1]
RIME DEL PETRARCA.
ima, onor, e TÌrtiite , e leggiadria,
(lista bellezza in abito celeste,
Son le radici della nobil pianta.
' il la mi trovo al petto , ove eh' i' sia ;
Felice incarco ! e con preghiere oneste
L' adoro , e 'ncliino , come cosa santa.
Sonetto CXCIII.
ijintai; or piango, e non men di dolcezza
'Del pianger prendo, che del canto presi;
Ch' alla cagion , non all' efletto , intesi
Son i miei sensi vaghi pur d' altezza.
dì e mansuetudine, e durezza
|Ed atti fieri, ed umili, e cortesi
Porto egualmente, né mi gravan pesi,
IN è r arme mie punta di sdegni spezza.
;ngan dunque ver me 1' usato stile
Amor, madonna, il mondo, e mia fortuna,
Ch' r non penso esser mai se non felice.
'(hi,o mora, o languisca, un più gentile
Stato del mio non è sotto la luna :
I Si dolce è del mio amaro la radice !
I Sonetto CXCIV.
piansi ; or canto , che '1 celeste lume
(^nel vivo sole agli occhj miei non cela,
Sci qual onesto amor chiaro rivela
Sua dolce forza, e suo santo costume:
ule e' suol trar di lagrime tal fiume,
Per accorciar del mio viver la tela,
(he non pur ponte, o guado, o remi, o vela,
^la scampar non potieiumt ale , né piume,
profond' era, e di si larga vena
H pianger mio, e sì lungi la riva,
VAv i' vi aggiungeva col pensier appena.
)n lauro , o palma , ma tranquilla oliva
l'ictà mi manda, e 'i tempo rasserena,
E 1 pianto asciuga , e vuol ancor eh' i' viva.
Sonetto CXCV,
mi vivea di mia sorte contento.
Senza lagrime, e senza invidia alcuna.
Che, s' altro amante ha più destra fortuna,
Mille piacer non vogliono un tormento,
r que' begli occhj, ond' io mai non mi pento
Delle mie pene , e men non ne voglio una.
Tal nebbia copre , si gravosa e bruna,
Che '1 sol della mia vita ha quasi spento,
natura, pietosa e fera madre,
Onde tal possa, e sì contrarie voglie,
Di far cose, e disfar tanto leggiadre?
' un vivo fonte ogni poter s' accoglie:
Ma tu, come '1 consenti, oh sommo padre,
Che del tuo caro dono altri ne spoglie?
So NETTO C\C\ L
incitnrc Alessandro V ira vinse,
E fcl minor in parte, che Filippo;
Che gli vai, se Pirgotele , e Lisippo
L' intagliar solo, ed Apellc il dipinse?
i' ira 'l'idèo a tal rabbia sospinse.
Che morend' ci si rose Menalippo:
L' ira cieco del tutto, non pur lippo,
Fatto uvea Siila, ali ultimo 1' cstinse.
al \alentiiiinii, eh' a simil pena
Ira ctmdiice, e sai, quei che ne moro,
A.jai«! in molti , e po' in sé stesso forte.
ra è breve furor, e chi noi frena,
K furor lungo , che '1 suo possessore
Spesso a vergogna, e tulor mena a morte.
[82]
Sonetto CXC\TI.
Qual ventura mi fu, quando dall' uno
De' duo i più begli occhj , che mai furo,
Mirandol di dolor turbato e scuro,
Mosse virtù, che fé '1 mio infermo, e bruno!
Send' io tornato a solver il digiuno
Di veder lei , che sola al mondo curo,
Fummi '1 ciel ed amor men che mai duro,
Se tutte altre mie grazie insieme aduno:
Che dal destr' occhio, anzi dal destro sole
Della mia donna al mio destr' occhio venne
U mal, che mi diletta, e non mi dole:
E pur, come intelletto avesse e penne,
Passò, quasi una stella, che 'n ciel vole,
£ natura e pietate il corso tenne.
Sonetto CXCHIL
Oh cameretta, che già fosti un porto
Alle gravi tempeste mie diurne,
Fonte se' or di lagrime notturne,
Che '1 di celate per vergogna porto.
Oh letticciuol, che requie eri, e conforto
In tanti affanni, di che dogliose urne
Ti bagna Amor con quelle mani eburne,
Solo ver me crudeli a sì gran torto!
\è pur il mio secreto , e '1 mio riposo
Fuggo , ma più me stesso , e '1 mìo pensiero ;
Che seguendoi talor levomi a volo.
U vulgo a me nemico ed odioso
(Chi 1 pensò mai ?) per mio refugio chero :
Tal paura ho di ritrovarmi solo!
Sonetto CXCIX,
Lasso , amor mi trasporta ov' io non voglio ;
E ben m' accorgo , che '1 dover si varca:
Onde, a chi nel mio cor siede monarca,
Son importuno assai più, eh' i' non soglio.
\è mai saggio nocchier guardò da scoglio
Nave di merci preziose carca,
Quant' io sempre la debile mia barca
Dalle percosse del suo duro orgoglio.
Ma lagrimosa pioggia , e fieri venti
D' infiniti sospiri or l' hanno spinta,
Ch' é nel mio mar orribil notte e verno,
Ov altrui noje, a sé doglie e tormenti
Porta , e non altro , già dall' onde viotai
Disarmata di vele, e di governo.
Sonetto CO.
Amor, io fallo, e veggio il mio fallire:
Ma fo sì com' uom, eh' arde, e '1 f«>co ha 'n seno;
Che '1 duol pur cresce, e la ragion vien meno,
Ed è già quasi vinta dal martire.
Solea frenare il mio caldo delire.
Per non turbar il bel > iso sereno:
IVon posso |)iù , di man m' hai tolto il freno;
E r alma disperando ha pre^o ardire.
Però, s' oltra suo !>tile ella s' a\ venta,
Tn 'ì fai, clic sì r accendi, e sì la sproni,
Ch' ogni aspra ^ia per sua salute tenta.
E più 'I fanno i celesti e rari doni,
Cir ha in sé madonna: or fa nimen, eh' ella il senta
E le mio colpe a sé stessa perdoni.
Sestina VII.
I Non ha tanti animali il mar fra l' onde,
{ Né là su sopra l cerchio della luna
I Vide unii tante stelle alcuna notte,
6
[83]
RIME DEL PETRARCA.
[841
Né tanti augelli albergan per li boschi,
Nò tant' erbe ebbe mai campo né piaggia,
Quanti ha '1 mio cor pensier ciascuna sera.
Di di in dì spero omai 1' ultima sera,
Che scevri in me dal vivo terren 1' onde,
E mi lasci dormire in qualche piaggia;
Che tanti affanni uom mai sotto la luna^
Non sofferse, quant' io: sannoisi i boschi,
Che sol YO ricercando giorno e notte.
I' non ebbi giammai tranquilla notte.
Ma sospirando andai mattina e sera.
Poi eh' amor femmi un cittadin de' boschi.
Ben fia in prima, eh' i' posi il mar senz' onde,
E la sua luce avrà '1 sol dalla luna,
E i fior d' aprii morranno in ogni piaggia.
Consumando mi vo di piaggia in piaggia
il di pensoso; poi piango la notte,
Né stato ho mai, se non quanto la luna. [^
Ratto , come imbrunir veggio la sera,
Sospir del petto, e degli occhj escon onde.
Da bagnar i' erbe, e da crollare i boschi.
Le città son nemiche, amici i boschi
A' miei pensìer, che per quest' alta piaggia
Sfogando vo col mormorar dell' onde
Per lo dolce silenzio della notte;
Tal eh' io aspetto tutto '1 dì la sera,
Che '1 sol si parta e dia luogo alla luna.
Deh or foss' io col vago della luna
Addormentato in qualche verdi boschi,
E questa, eh' anzi vespro a me fa sera.
Con essa , e con amor in quella piaggia
Sola venisse a stars' ivi una notte,
E '1 dì si stesse , e '1 sol sempre nell' onde !
Sovra dure onde al lume della luna,
Canzon , nata di notte in mezzo i boschi.
Ricca piaggia vedrai diman da sera.
Sonetto CCI.
Real natura, angelico intelletto,
Chiar' alma , pronta vista , occhio cerviero.
Provvidenza veloce, alto pensiero,
E verr.inento degno di quel petto!
Scudo di donne un bel numero eletto
Per adornar il dì festo ed altero.
Subito scorse il buon giudicio intero
Fra tanti, e si bei volti, il più perfetto:
L' altre maggior di tempo , o di fitrtuna
Trarsi in »!isparte comandò con mano,
E caramente accolse a sé queir una:
Gli occlìj e la fronte con sembiante lunano
Bacciolle sì, che rallegrò ciascuna:
Me empiè d' invidia 1' atto dolce e strano.
Sestina Vili.
Là ver I' aurora , che si dolce 1' aura
Al tnnpo nuovo suol muovere i fiori,
E gli augelktti inconiinciar lor vcr.-i.
Si dolcemente i pensier dentro all' alma
Mover mi sento a cbi gli ha tutti in forza.
Che ritornar convienimi alle mie note.
Ttmprar potè»-;' io in si soavi note
I miei sori|)iri, eh' addoloisser Laura,
Facendo a lei raf;i(in, eh' a me fa forza!
IMa pria (ia 1 verno la Rla>^ion de' fiori,
Cli' amor fiorisca in (|iu-lla nobil' alma.
Che non curò giammai rime , né versi.
Quante lagrime, lasso, e quanti versi
Ho già sparli al mio tempo ! e 'n quante note
Ho riprovato umiliar quell' alma!
Ella si sta pur com' aspr' alpe all' aura
Dolce , la qual ben move frondi e fiori,
Ma nulla può, se 'ncontr' ha maggior forza.
Uomini e Dei solca vincer per forza
Amor, come si legge in prosa, e 'n versi.
Ed io '1 provai sul primo aprir de' fiorL
Ora né '1 mio signor, né le sue note.
Né '1 pianger mio , né i preghi pon far Laura
Trarre o di vita, o di martir quest' alma.
All' ultimo bisogno, oh miser' alma,
Accampa ogni tuo ingegno , ogni tua forza.
Mentre fra noi di vita alberga 1' aura!
Nuli' al mondo è , che non possano i versi :
E gli aspidi incantar sanno in lor note,
Non che '1 gelo adornar di novi fiori.
Ridon or per le piagge erbette e fiori:
Esser non può , che qnell' angelic' alma
Non senta '1 suon dell' amorose note.
Se nostra ria fortuna è di più forza,
Lngrimando , e cantando i nostri versi,
E col bue zoppo andrem cacciando 1' aura.
In rete accolgo 1' aura, e 'n ghiaccio i fiori,
E 'u versi tento sorda e rìgid' alma.
Che uè forza d' amor prezza, né note.
Sonetto CCII.
r ho pregato Amor, e nel riprego,
Che mi scusi appo voi, dolce mia pena,
Amaro mio diletto , se con piena
Fede dal dritto mìo sentier mi piego.
r noi posso negar, donna , e noi nego.
Che la ragion, eh' ogni buon' alma affrena.
Non sia dal voler vinta; ond' ei mi mena
Talor in parte, ov' io per forza il sego.
Voi con quel c(»r, che di sì chiaro ingegno.
Di sì alta virtute il cielo alluma.
Quanto mai piovve da benigna stella,
Dovete dir pietosa e senza sdegno:
Che può questi altro.'' il mio volto '1 consuma:
Ei perché ingordo, ed io perché sì bella?
Sonetto CCIII.
L' alto signor , dinanzi a cui non vale
Nasconder, né fuggir, né far difesa.
Di bel piacer m' avea la mente accesa
Con un ardente ed amoroso strale.
E benché '1 primo colpo aspro e mortale
Fosse da sé, per avanzar sua impresa,
Una saetta di pietate ha presa,
E quinci e quindi '1 cor punge, ed assale.
L' una piaga arde, e versa foco e fiamma.
Lagrime 1' altra, che '1 dolor distilla
Per gli occhj mìei del vostro stato rio.
Né per duo fonti sol una favilla
Rallenta dell' incendio , che m' infiamma,
Anzi per la pietà cresce '1 desio.
S 0 w E T T o CCI V.
Mira quel colle, oh stanco mio cor vago!
Ivi lasciammo jer lei, eh' alcun tempo ebbe
Qualche cura di noi , e le ne 'ncrcbbc,
Or vorria trar degli occhj nostri un lago.
Torna tu in là! eh' io d' esser sol in' appago.
Tenta, se forse ancor tempo sarebbe
5]
RIME DEL PETRARCA.
[86]
Dii scemar nostro duol, che "nfin qui crebbe,
Oli del mio mal partecipe e presajifo !
( tu, eh' hai post» te stesso in obblio,
E parli al cor pur coin' e' fos^c or teco,
[Vli-^cro e pien di pensier rani e sciocchi,
ti' al dipartir del tuo sommo desio
Tu ten' andasti , e' si rimase seco,
E si nascose dentro a' suoi begli occhj.
Sonetto CCV.
] esco , ombroso , fiorito , e Terde colle,
Ov' or pensando , ed or cantando siede,
lE fa qui de' celesti spirti fede
IQuelIa, eh' a tutto 'i mondo fama tolle,
]j mio cor , che per lei lasciar mi volle,
E fb' gran senno, e più, se mai non riede,
'Vfi, or contando , ove da quel bel piede
Segnata è 1' erba, e da quest' occhj molle.
I co si stringe, e dice a ciascun passo:
Deh , fosse or qui quel miser pur un poco,
Ch' è già di pianger e di viver lasso !
la sei rido, e non è pari il gioco;
Tu paradiso, ì' senza core un sasso,
Oh sacro avventuroso e dolce loco !
Sonetto CCVI.
miil mi preme , e mi spaventa '1 peggio,
A! qual veggio si larga e piana via,
Ch i' son intrato in simil frenesia,
E con duro pensier tcco vaneggio.
■ ^o , se guerra, o pace a Dio mi cheggio:
Chù '1 danno è grave, e la vergogna ù ria.
Ma perchè più languir? dì noi pur fia
Quel , eh' ordinato è già nel sommo seggio.
ench' i' non sia di quel grande onor degno,
Che tu mi fai , che te ne 'nganna amore,
Che spesso occhio ben san fa veder torto,
ur d' alzar 1' alma a quel coleste regno
Yj '1 mio consiglio, e di s|)rotiare il core:
Perchè '1 carain è lungo, e '1 tempo è corto.
Sonetto CCVII.
uè rose fresche , e colte in paradiso
L' altr' ier nascendo, il di primo di maggio,
Bel dono, e d' un amante antico e saggio,
Tra duo minori egualmente diviso,
on si dolce parlar , e con un riso
Da far innamorar un uom selvaggio,
Di sfavillante ed amoroso raggio
E r uno e 1' altro fé' cangiar il viso,
on vede un simil par d' amanti il sole,
Dicea ridendo e sospirando insieme,
K stringendo ambedue volgcasi attorno.
0HÌ partìa le rose , e le parole,
Onde 'l cor lasso ancor s' allegra e teme.
Oh felice eloquenza ! oh lieto giorno !
Sonetto CCVIII.
i' aura , che 'l verde lauro , e 1' aureo crine
Soavemente sospirando rao^c.
Fa con sue viste Icggiadretto e nove
Ij' anime da' lor corpi pellegrine,
'andida rona nata in dure spine,
Quando fu\ chi «uà pari al mondo trovo?
Gloria di noxtra ef.ite ! oh vivo (ìiove,
Manda, prego, il iiiitt in prima, che 'I suo fine,
Sìrir io non veggia il gran publtlico danno,
E '1 mondo rimaner senza '1 suo sole,
Né gli occhj miei, che luce altra non hanno,
Kè l' alma, che pensar d' altro non vole,
Né r orecchie, eh' udir altro non sanno
Senza 1' oneste sue dolci parole.
Sonetto CCIX.
Parrà forse ad alcun, che 'n lodar quella,
Ch' i' adoro in terra, errante sia '1 mio stile,
Facendo lei sovr' ogni altra gentile,
Santa, saggia, leggiadra, onesta e bella.
A me par il contrario; e temo, eh' ella
Non abbi' a schifo il mio dir troppo umile.
Degna d' assai più alto e più sottile;
E chi noi crede, venga egli a vederla!
Sì dirà ben : quello , ove questi aspii'a,
È cosa da stancar Atene, Arpìno,
Mantova, e Smirna, e 1' una e 1' altra lira.
Lingua mortale al suo stato divino
Giunger non potè: amor la spinge e tira,
Non per elezion , ma per destino.
Sonetto CCX.
Chi Tuoi veder, quantunque può natura
E '1 ciel tra noi , venga a mirar costei,
Ch' è sola un sol, non pur agli occhj miei,
Ma al mondo cieco, che virtù non cura.
E venga tosto ; perchè morte fura
Prima i migliori , e lascia star i rei.
Questa, aspettata al regno degli Dei,
Cosa bella mortai passa e non dura.
Vedrà, s' arriva a tempo, ogni virtute.
Ogni bellezza, ogni real costume
Giunti in un corpo con mirabil tempre.
Allor dirà, che mie rime son mute,
L' ingegno ofteso dal soverchio lume ;
Ma se più tarda , avrà da pianger sempre.
Sonetto CCXI.
Qual paura ho , quando mi torna a mente
Quel giorno , eh' i' lasciai grave e pensosa
Madonna, e '1 mio cor seco! e non è cosa,
Che si volentier pensi , e sì sovente.
r la riveggio starsi umilemente
Tra beile donne, a guisa d' una rosa
Tra minor fior, né lieta né dogliosa,
Come chi teme, ed altro mal non sente.
Deposta avea 1' usata leggiadria.
Le perle, e le ghirlande, e i panni allegri,
E il riso , e '1 canto , e 'l parlar dolce umano.
Così in dubbio lasciai la vita mia.
Or tristi augurj , e sogni , e pensier negri
31i danno assalto; e piaccia a Dio che 'u vano!
Sonetto CCXIL
Solca lontana in sonno consolarme
Con quella dolce angelica sua vista
Madonna: or mi spaventa, e mi contrista;
Nò di duol, uè di tema po-iso aitanue:
Che spesso nel suo volto veder panne
Vera pietà con grave dolor mista.
Ed udir cose, onde '1 cor fede acquista,
(>he di gioja , e di speme si disarmo.
Non ti so^\i('n di queir ultima sera,
Dice ella, <-h' i' lasciai gli «tccbj tuoi molli,
E sforzata dal tempo nu-n' andai.''
1' non tei pulci dire allor, né Aolli,
Or tei dico per ro-^a esperta e ìera:
I Non sperar di % cdcriui in terra mai !
G *
[8t]
RIME DEL PETRARCA.
[88]
Sonetto CCXIU.
Oh ^misera ed orribil visione!
E dunque Ter, che 'nnanzi tempo spenta
Sia 1' alma luce , che suol far contenta
Mia vita in pene, ed in speranze bone?
Ma com' è che sì gran romor non sone
Per altri mcs«i , o per lei stessa il senta?
Or ffià Dio e natura noi consenta,
E falsa sia mia trista opinione !
A me pur giova di sperare ancora
La dolce vista del bel viso adorno,
Che me mantiene, e '1 secol nostro onora.
Se per salir all' eterno soggiorno
Uscita è pur del beli' albergo fora.
Frego non tardi il mio ultimo giorno.
Sonetto CCXIV.
In dubbio di mìo stato or piango , or canto ;
E temo , e spero , ed in sospiri , e 'n rime
Sfogo '1 mio incarco: amor tutte sue lime
Usa sopra '1 mio cor afflitto tanto.
Or fia giammai, che quel bel viso santo
Renda a qucst' occhj le lor luci prime ?
(Lasso! non so che di me stesso estime:)
0 li condanni a sempiterno pianto?
E per prender il ciel debito a lui,
jNon curi che si sia di loro in terra,
Di eh' egli è '1 sole, e non veggiono altrui?
In tal paura, e 'n si perpetua guerra
Vivo , eh' i' non son più quel che già fui ;
Qual chi per via dubbiosa teme, ed erra.
So NETTO CCXV.
Oh dolci sguardi, oh parolette accorte,
Or fia mai '1 dì, eh' io vi riveggia ed oda?
Oh chiome bionde, di che '1 cor m' sinnoda
Amor , e così preso il mena a morte l
Oh bel viso a me dato in dura sorte,
Di eh' io sempre pur pianga, e mai non goda!
Oh dolce inganno, ed amorosa froda,
Darmi un piacer, che sol pena m' apporte !
E se talor da' begli occhj soavi,
Ove mia vita , e '1 mio pensiero alberga,
Forse mi vien qualche dolcezza onesta,
Subito , acciò eh' ogni mio ben disperga,
E m' allontano, or fa cavalli, or navi
Fortuna, eh' al mio mal sempr' è si presta.
Sonetto CCWI.
Io pur ascolto , e non odo novella
Della dolce ed amata mia nemica,
Kè so, che me ne pensi, o che mi dica,
Sì 'I cor tema , e speranza mi pimtella
Norque ad alcuna già l' esser sì bella :
QiiCfta più d' altra è bella, e più pudica.
For^e vuol Dio tal di virtute amica
Torre alla terra, e 'n ciel farne una stella,
Anzi un sole: e se questo è, la mia vita
I mici corti riposi, e i lunghi aflanni
Son giunti al line. Oh dura dipartita,
Perche lontaii in' hiii fatto da' miei danni
La mia favola breve è già compita,
E fornito il mio tempo a mezzo gli ano
S o \ K T T o CCXVII.
La sera desiar, odiar V a<irora
Soglion questi tranquilli, e lieti amanti;
A me doppia la bcra e doglia , e pianti.
La mattina è per me più felice ora :
Che spesso in un momento apron allora
L' un sole e 1' altro quasi duo levanti.
Di beliate e di lume si sembianti,
Ch' anco '1 ciel della terra s' innamora,
Come già fece allor, eh' i primi rami
Verdeggiar, che nel cor radice m' hanno;
Per cui sempre altrui più che me stesa' ami.
Così di me due contrarie ore fanno,
E chi m' acqueta , è ben ragion eh' i' hrami,
E tema, ed odj, chi m' adduce affanno.
Sonetto CCXVIIL
Far potess' io vendetta di colei,
Che guardando, e parlando mi distrugge,
E per più doglia poi s' asconde e fugge,
Celando gli occhj a me sì dolci e rei!
Così gli afflitti e stanchi spirti miei
A poco a poco consumando sugge,
E 'n sul cor, quasi fero léon, rogge
La notte allor , quand' io posar dovrei.
L' alma, cui morte del suo albergo caccia,
Da me si parte, e, di tal nodo sciolta
Vassene pur a lei, che la minaccia.
Meravigliomi ben , s' alcuna volta,
Mentre le parla, e piange, e poi 1' abbraccia,
Non rompe '1 sonno suo, s' ella 1' ascolta.
Sonetto CCXIX.
In quel bel viso, eh' i' sospiro e bramo.
Fermi eran gli occhj desiosi e 'ntensi,
Quand' Amor porse, quasi a dir: che pensi?
Queir onorata man , che secondo amo.
n cor preso ivi, come pesce all' amo,
Onde a ben far per vivo esempio viensi.
Al ver non volse gli occupati sensi,
O come novo augello al visco in ramo.
Ma la vista privata del suo obbietto,
Quasi sognando , si facea far via.
Senza la qual' il suo ben è imperfetto:
L' alma, tra l' una e 1' altra gloria mia,
Qual celeste, non so , novo diletto,
E qual strania dolcezza si sentia.
Sonetto CCXX.
Vive faville uscian de' duo bei lumi
\er me sì dolcemente folgorando,
E parte d' un cor saggio sospirando
D' alta eloquenza sì soavi fiumi,
Che pur il rimembrar par mi consumi,
Qualora a quel dì torno ripensando.
Come veniéno i miei spirti mancando
Al variar de' suoi duri costumi.
L' alma nudrita sempre in doglie e 'n pene
(Quanf è 'l poter d' una prescritta usanza!)
Contra '1 doppio piacer sì iufenna fue,
Ch' al gusto sol del disusato bene.
Tremando or dì paura, or di speranza,
D' abbandonarmi fu spesso intra due.
Sonetto CCXXL
Cercato ho sempre solitaria vita
(Le rive il sanno, e le campagne, e i boschi)
Per fuggir quest' ingegni sordi e loschi.
Che la strada del ciel hanno smarrita:
E se mia voglia in ciò fosse compita,
Fuor del dolce aere de' paesi toschi
89]
RIME DEL PETRARCA.
[90]
Ancor m' a"»ria tra' suoi be' colli foschi
Sorga, eh' a pianger, e a cantar ni' aita.
la mia fortuna a me sempre nemica
3Ii risospigne al loco , ov' io mi sdegno
^'etler nel fango il bel tesoro mio.
Ula man , ond' io scrivo , è fatta amica
A questa volta: e non è forse indegno:
Amor sei vide, e sai madonna, ed io.
Sonetto CCXXII.
a tale stella duo begli occhj vidi,
Tutti pien d' onestate , e di dolcezza,
Che , presso a quei d' amor leggiadri nidi.
Il mio cor lasso ogni altra vista sprezza.
\im si pareggi a lei qual più s' apprezza
In qualch' etade, in qualche strani lidi;
INon chi recò con sua vaga bellezza
In Grecia affanni, in Troja ultimi stridì;
S on la bella romana , che col ferro
Apri '1 suo casto e disdegnoso petto;
Non Polissena, Issifile, ed Argia.
Questa eccellenza è gloria (s' i' non erro)
Grande a natura, a me sommo diletto:
Ma che ? vien tardo , e subito va via.
Sonetto CCXXIH.
f^>i]al donna attende a gloriosa fama
Di senno, di valor, di cortesia,
>liri fiso negli occhj a quella mia
ÌNemica, che mia donna il mondo chiama!
Come s' acquista onor, come Dio s' ama,
Cora' è giunta onestà con leggiadria,
Ivi s' impara, e qual' è dritta via
Di gir al ciel , che lei aspetta e brama.
Ivi '1 parlar, che nullo stile agguaglia,
E '1 bel tacere, e quei santi costumi,
Ch' ingegno uman non può spiegare in carte.
L' infinita bellezza, eh' altrui abbaglia,
Non vi s' impara; che quei dolci lumi
S' acqulstan per ventura, e non per arte.
Sonetto CCXXIV,
M. Cara la vita , e dopo lei mi pare
Vera onesttà, che 'n bella donna sia. —
L' ordine volgi; e' non fùr , madre mia.
Senza onestà mai cose belle, o care;
£ qual si lascia di suo onor privare,
Nò donna è più, nò viva, e se, qua! pria,
Appare in vista , è tal vita aspra e ria
Vie più che morte, e di più peno amare.
Né di Lucrezia mi maravigliai;
Se non come a morir le bisognasse
Ferro, e non le bastasse il dolor solo. —
P. Vengan quanti filosofi fur mai
A dir di ciò! Tutte lor vie fien basse,
E quest' una vedremo alzarsi a volo.
Sonetto CCXXV.
Arlior vittoriosa trionfale,
Onor d' imperadori, e di poeti.
Quanti m' hai fatto dì dogliosi o lieti
In questa breve mia vita mortale !
Vera donna, ed a cui di nulla ciilc.
Se nctn d' onor, clic sovr' ogni altra mieti
Nò d' amor visco temi, o lacci, o reti,
N«! 'iiganno altrui contia 'I tuo senno vale.
Gentilezza di sangue, o 1' altre cure
Cose tra noi, porlo, e riiliini, ed oro,
Quasi vii soma cgualiuonto dispregi.
L.
L' alta beltà, eh' al mondo non ha pare,
Noja te , se non quanto il bel tesoro
Di castità par, eh' ella adorni, e fregi.
Canzone XXI.
r vo pensando, e nel pensier m' assale
Una pietà si forte di me stesso,
Che mi conduce spesso
Ad altro lagrimar, eh' i' non soleva:
Che vedendo ogni giorno il fin più presso,
Mille fiate ho chieste a Dio quell' ale,
Con le quai del mortale
Career nostr' intelletto al ciel si leva.
Ma infin a qui niente mi rileva
Prego, o sospiro, o lagrimar, eh' io faccia;
E cosi per ragion convien che sia:
Che , ehi , possendo star , cade tra via,
Degno è, che mal suo grado a terra giaccia.
Quelle pietose braccia,
In eh' io mi fido, veggio aperte ancora;
Ma temenza m' accora
Per gli altrui esempj , e del mio stato tremo,
Ch' altri mi sprona, e son forse all' estremo.
L' un pensier parla con la mente, e dice:
Che pur agogni.^ onde soccorso attendi?
Misera! non intendi.
Con quanto tuo disnore il tempo passa?
Prendi partito accortamente, prendi,
E del cor tuo divelli ogni radice
Del piacer, che felice
Noi può mai fare, e respirar noi lassa!
Se, già è gran tempo, fastidita e lassa
Se' di quel falso dolce fuggitivo, «
Che 'I mondo traditor può' dare altrui,
A che ripon' più la speranza in lui.
Che d' ogni pace, e di fermezza è privo?
Mentre che '1 corpo è vivo ,
Ha tu '1 fren in balia de' pensier tuoi.
Deh, stringilo or che puoi!
Che dubbioso è '1 tardar, come tu sai,
E '1 cominciar non fia per tempo omai.
Già sai tu ben, quanta dolcezza porse
Agli occhj tuoi la vi.-ta di colei,
La qual' anco vorrei,
Ch' a nascer fosse, per più nostra pace.
Ben ti ricordi (e ricordar ten' dei)
Dell' immagine sua, quand' ella corse
Al cor, là dove forse
Non potea fiamma intrar per altrui face.
Ella r accese: e se 1' ardor fallace
Durò molt' anni in aspettando un giorno.
Che per nostra salute uuqua non viene,
Or ti solleva a più beata spcne,
3Iirando 'I ciel, che ti si vulve intomo,
Immortal ed adorno!
Che dove del mal suo qua giù sì lieta
Vostra vaghezza acciueta
Un mover d' occhio, un ragionar, un canto.
Quanto fia quel pi.uer , se questo è tanto ?
Dall' altra parte un pensier dolco ed agro
Con faticosa e diirttevoi salma
Sedendoci entro 1' alma,
Prriuc 1 cor ili desio, di speme il pasce:
('bò sol per fama gloriosa ed alma
Non sento, iiiiand' io iigghiaccio, o quand* io Hagi
S' io son pallido o magro,
E 8' io r uccido, più forte rinasce.
[91]
RIME DEL PETRARCA.
[92]
Questo, d' allor eh' i' m' addormiva in fasce,
Venuto è di dì in di crescendo meco,
E temo che un sepolcro ambeduo chiuda.
Poi che fia l' ahna delie membra ignuda.
Non può questo desio più venir seco.
Ma se '1 latino e '1 greco
Parlan di me dopo la morte, è un vento,
Ond' io, perchè pavento
Adunar sempre quel eh' un' ora sgomlire,
Vorre' il vero abbracciar, lasciando 1' ombre.
Ma queir altro voler, di eh' i' son pieno.
Quanti presso a lui nascon par eh' adugge:
E parte il tempo fugge.
Che scrivendo d' altrui, di me non calme,
E '1 lume de' begli occhj , che mi strugge
Soavemente al suo caldo sereno,
Mi ritien con un freno,
Contra cui nullo ingegno , o forza valme.
Che giova dunque perchè tutta spalmc
La mia barchetta, poi che 'nfra gli scogli
È ritenuta ancor da ta' duo nodi ?
Tu, che dagli altri, che 'n diversi modi
Legano '1 mondo , in tutto mi disciogli,
Signor mio , che non togli
Omai dal volto mio questa vergogna?
Ch' a guisa d' uom che sogna.
Aver la morte innanzi gli occhj parme,
E vorrei far difesa , e non ho 1' arme.
Quel eh' i' fo, veggio, e non m' inganna il vero
Mal conosciuto , anzi mi sforza amore,
Che la strada d' onore
Mai non lascia seguir , chi troppo 'l crede :
E sento ad or ad or venirmi al core
Un leggiadro disdegno aspro , e severo,
eh' ogni occulto pensiero
Tira in mezzo la fronte, ov' altri '1 vede:
Che mortai cosa amar con tanta fede.
Quanta a Dio sol per debito conviensi,
Più si disdice a chi più pregio brama.
E questo ad alta voce anco richiama
La ragione sviata dietro ai sensi:
Ma perchè l' oda , e pensi
Tornare il mal costume oltre la spigne,
Ed agli occhj dipigne
Quella , che sol per farmi morir nacque,
Perch' a me troppo, ed a sé stessa piacque.
Tsc so , che spazio mi si desse il cielo,
Quando novellamente io venni in terra
A soffrir 1' aspra guerra,
Che 'ncontra me medesmo seppi ordire;
Né posso il giorno, che la vita serra,
Antiveder per lo corporeo velo;
Ma variarsi il pelo
Veggio , e dentro cangiarsi ogni desire.
Or eh' i' mi credo al tempo del partire
Esser vicino , o non molto da luiige.
Come chi 'l perder face accorto e saggio,
Vo ripensando , ov' io lasciai '1 viaggio
Dalla man destra, eh' a buon porto aggiunge:
E dall' un lato punge
Vergogna, e duol, che 'ndietro mi rivolve,
Dall' altro non ra' assolve
Un piacer per usanza in me sì forte,
Ch' a patteggiar n' ardisce con la morte.
Canzon, qui sono, ed ho '1 cor vie più freddo
Della paura, che gelata neve,
Sentendomi perir senz' alcun dubbio :
Che pur deliberando ho volto al subbio
Gran parte omai della mia tela breve :
Né mai peso fu greve,
Quanto quel, eh' i' sostegno in tale stato:
Che con la morte a lato
Cerco del viver mio novo consiglio,
E veggio 'l meglio, ed al peggior m' appiglio.
Sonetto CCXXVI.
Aspro core e selvaggio, e cruda voglia
In dolce umile angelica figura.
Se l' impreso rigor gran tempo diu^,
Avran di me poco onorata spoglia :
Che quando nasce e muor fior, erba, e foglia,
Quando è 'l dì chiaro, e quando è notte oscura,
Piango ad ognor. Ben ho di mia ventura,
Di madonna, e d' amore, onde mi doglia.
Vivo sol di speranza, rimembrando.
Che poco umor già per continua prova
Consumar vidi marmi, e pietre salde.
Non è sì duro cor, che lagrimando.
Pregando , amando , talor non si smova,
Né sì freddo voler, che non si scalde.
Sonetto CCXXVII.
Signor mio caro, ogni pensier mi tira
Devoto a veder voi, cui sempre veggio:
La mia fortuna (or che mi può far peggio?)
Mi tiene a freno, e mi travolve, e gira.
Poi quel dolce desio, eh' amor mi spira.
Menami a morte , eh' i' non me n' aweggio,
E mentre i miei duo lumi indarno cheggio,
Dovunqu' io son , dì e notte si sospira.
Carità di signore, amor di donna
Son le catene, ove con molti affanni
Legato son , perdi' io stesso mi strinsi.
Un lauro v erde , una gentil colonna.
Quindici r una, e 1' altro diciott' anni
Portato ho in seno, e giammai non mi ecinsi.
PARTE SECONDA
DELLE
RIME.
Sonetto CCXXnn.
)imè il bel viso ! cime il soave sguardo !
Oimè il leggiadro portamento aitero!
Oiniò '1 parlar , eh' ogni aspro ingegno e fero
Faceva umile, ed ogni uom vii gagliardo!
Z (lime il dolce riso, ond' uscio '1 dardo,
Di che morte , altro Lene ornai non spero !
Alma x-eal, dignissima d' impero,
Se non fossi fra noi scesa sì tardo !
?er voi convien eh' io arda, e 'n voi respire:
Cli' i' pur fui vostro : e se di voi son privo,
\ ia men d' ogni sventura altra mi dole.
Di speranza m' empieste, e di desire,
Quand' io partii dal sommo piacer vivo,
Ala '1 vento ne portava le parole.
C A IV Z 0 X E XXII.
Che debb ' io far ? che mi consigli, amore ?
Tempo è hen di morire :
EA ho tardato più , eh' i' non vorrei.
Madonna è morta, ed ha seco '1 mio core;
E volendol seguire,
Interromper convien qucst' anni rei:
Perchè mai veder lei
Di qua non spero, e 1' aspettar ra' ù noja.
Poscia eh' ogni mia gioja
Per lo suo dipartire in pianto è volta,
Ogni dolcezza di mia vita è tolta.
Amor, tu '1 senti, ond' io teco mi doglio,
Quant' è il danno aspro e grave,
E so, che del mio mal ti pesa e dolc,
Anzi del nostro, perdi' ad uno scoglio
Avem rotto la nave.
Ed in un pimto n' è scurato il sole.
Qual ingegno a parole
Foria agguagliar il mit» doglioso stato?
Ahi orbo mondo ingrato.
Gran cagion hai di dover pianger meco ;
Che quel ben , eh' era in te , perdut' hai seco.
Caduta è la tua gloria, e tu noi vedi;
Nò degno cri , mcntr' ella
Visse qua giù, d' aver sua conoscenza,
Me d' esser tocco da' suoi santi piedi:
Perchè cosa si bella
Dovea 'l cicl adornar di sua presenza.
Ma io , lasso , che senza
Lei né vita mortai, né me stesa' amo.
Piangendo la richiamo.
Questo in' avanza di cotanta sprne,
E questo solo ancor qui mi mantiene.
Oimè , terra è fatto il suo ìtel viso,
Che solca far del ciclo
E del ben di là su fede fra noi.
L' invisibii sua forma è in paradiso
Disciolta di quel velo.
Che qui fece ombra al fior degli anni suoi.
Per rivestirsen poi
Un' altra volta, e mai più non spogliarsi,
Quand' alma e bella farsi
Tanto più la vedrera , quanto più vale
Sempiterna bellezza, che mortale.
Più che mai bella , e più leggiadra donna
Tornami innanzi , come
Là , dove più gradir sua vista sente.
Quest' è del viver mio 1' una colonna;
L' altra è '1 suo chiaro nome.
Che sona nel mio cor sì dolcemente.
Ma tornandomi a mente,
Cile pur morta è la mia speranza viva
Allor eh' ella fioriva.
Sa ben Amor, qual io divento, e spero
Vedal colei, eh' è or sì presso al vero.
Donne, voi che miraste sua beltate,
E r angelica vita,
Con quel celeste portamento in terra,
Di me vi doglia, e vincavi pietate!
Non di lei , eh' è salita
A tanta pace, e me ha lasciato in guerra
Tal, che, s' altri mi serra
Lungo tempo il cammin da seguitarla,
Qtiel , eh' Amor meco parla,
Sol mi ritien, eh' io non recida il nodo:
Ma e' ragiona dentro in cotal modo:
Pon freno al gran dolor, che ti trasporta!
Che per soverchie voglie
Si perde '1 cielo, ove '1 tuo core aspira,
Dov' è viva colei , eh' altrui par morta,
E di sue belle spoglie
Seco sorride, e sol di te sospira,
E, sua fama, che spira
In molte parti ancor per la tua lingua.
Prega che non estingua,
Anzi la voce al suo nome rischiari, ^
Se gli occhj suoi ti fùr dolci ne cari.
Foggi '1 sereno, e '1 verde!
Non t' appressar, ove sia riso, o canto,
Canzon mia , no , ma ]iianto.
ÌNon fa per te di star fra gente allegra,
Vedova sconsolata in veste negra.
So\KTTO CCXXIX.
Ilotta è r alta colonna , e '1 verde lauro,
(]|ie farean oinlira al mio staw'o pensiero.
IVrdul' ho quel, che ritrovar non siicro
Dal borea all' austro, o dal mar indo al mauro.
Tolto m' hai, luorlc, il mio doppio tesaiiro.
[95]
RIME DEL PETRARCA.
[96]
Che mi fea viver lieto e gire altero ;
E ristorar noi può terra, né impero,
Aè gemma orientai, né forza d' auro.
Ma se consentimento è di destino.
Che pose' io più se no aver l' alma trista,
Umidi gli occhj sempre , e '1 viso chino ?
Oh nostra vita, eh' è sì bella in vista,
Cora' perde agevolmente in un mattino
Quel, che 'n molt' anni a gran pena e' acquista'
C A A Z O A E XXIII.
Amor, se vuoi, eh' io torni al giogo antìro,
Come par che tu mostri, un' altra prova
Maravigliosa e nova.
Per domar me , convienti vincer pria.
Il mio amato tesoro in terra trova,
Che m' è nascosto , ond' io son si mendico,
E '1 cor saggio pudico.
Ove suol albergar la vita mia:
E s' egli è ver , che tua potenza sia
Nel ciel sì grande , come si ragiona,
E neir abisso, (perché qui fra noi
Quel , che tu vali e puoi.
Credo che 'l senta ogni gentil persona)
Ritogli a morte quel , eh' ella n' ha tolto,
E ripon' le tue insegne nel bel volto!
Riponi entro '1 bel viso il vivo lume,
Cli' era mia scorta , e la soave fiamma,
Ch' ancor, lasso, in' infiamma
Essendo spenta; or che fea dunque ardendo?
E' non si vide mai cervo, né damma
Con tal desio cercar fonte , né fiume,
Qual io il dolce costume,
Ond' ho già molto amaro , e più n' attendo.
Se ben me stesso , e mia vaghezza intendo,
Che mi fa vaneggiar sol del pensiero,
E gir in parte , ove la strada manca,
E con la mente stanca
Cosa seguir, che mai giugner non spero.
Or al tuo richiamar venir non degno.
Che signoria non hai fuor del tuo regno.
Fammi sentir di quel!' aura gentile
Di fuor, sì come dentro ancor ^i sente,
La qual' era possente
Cantando d' acquetar gli sdegni, e l' ire.
Di serenar la tempestosa mente,
E sgombrar d' ogni nebbia oscura e vile.
Ed alzava il mio stile
Sovra di sé , dov' or non poria gire.
Agguaglia la speranza col desire,
E poi che 1' alma è in sua ragion più forte.
Rendi agli occhj, agli orcccbj il proprio obbietto,
Senza '1 qual imperfetto
E lor oprar , e '1 mio viver è morte.
Indarno or sopra me tua forza adopre.
Mentre 'I mio primo amor terra ricopre.
Fa , eh' io rivcggia il bel guardo , eh' un sole
Fu sopra 'I ghiaccio, ond' io s(»lea gir carco!
Fa, eh' io ti trovi al varco,
Onde hcn/a tornar passò 'I mÌ4) core !
Prendi i dorati strilli , e prendi l' arco,
E facciamisi udir hi come suole,
Col hiion delle parole.
Nelle quiili io 'inpariii che cosa è amore !
Movi la lingua, ov' enino a twlt' ore
Diripo^ti gli ami, (»v' io fui preso, e 1' esca,
Ch' i' bramo 8cm)>re, e i tuoi lacci nascondi
Fra i capei crespi e biondi !
Che '1 mio voler altrove non s' invesca.
Spargi con le tue man le chiome al vento !
Ivi mi lega, e può' mi far contento.
Dal laccio d' or non fia mai chi mi scioglia.
Negletto ad arte , e 'nnanellato, ed irto ;
Né dall' ardente spirto
Della sua vista dolcemente acerba.
La qual dì e rotte più che lauro , o mirto
Tenea in me verde 1' amorosa voglia.
Quando si veste e spoglia
Di fronde il bosco , e la campagna d' erba.
Ma poi che morte é stata sì superba.
Che spezzò '1 nodo, ond' io temea scampare,
Né trovar puoi, quantunque gira il mondo,
Di che ordiscili '1 secondo,
Che giova. Amor, tuo' ingegni ritentare?
Passata è la stagion , perduto hai l' arme.
Di eh' io tremava: omai che puoi tu farme?
L' arme tue furon gli occhj , onde 1' accese
Saette uscivan d' invisibil foco,
E ragion temean poco,
(Che contra 'l ciel non vai difesa umana)
Il pensar e '1 tacer , il riso e 'l gioco,
L' abito onesto , e '1 ragionar cortese.
Le parole che, intese,
Avrian fatto gentil d' alma villana,
L' angelica sembianza umile e piana,
Ch' or quinci, or quindi udia tanto lodarsi,
E '1 sedere , e lo star , che spesso altrui
Poser in dubbio , a cui
Dovesse il pregio di più laude darsi.
Con quest' arme vincevi ogni cor duro:
Or se' tu disarmato ; i' son securo.
Gli animi , eh' al tuo regno il cielo inchina.
Leghi ora in uno, ed or in altro modo:
Ma me sol ad un nodo
Legar potei , che '1 ciel di più non volse.
Queir uno é rotto ; e 'n libertà non godo.
Ma piango e grido : ahi nobil pellegrina,
Qual sentenza divina
Me legò innanzi, e te prima disciolse?
Dio , che sì tosto al mondo ti ritolse.
Ne mostrò tanta e sì alta virtute,
Solo per infiammar nostro desio.
Certo omai non tein' io.
Amor , della tua man nove ferute,
Indarno tendi 1' arco , a voto scocchi :
Sua virtù cadde al chiuder de' begli occhi.
Morte m' ha sciolto , Amor , d' ogni tua legge
Quella, che fu mia donna, al cielo è gita,
Lasciando trista e libera mia vita.
Sonetto CCXXX.
L' ardente nodo, ov' io fui d' ora in ora,
Contando anni ventuno interi preso,
Morte disciolse, né giammai tal peso
Provai , né «;redo eh' uom di dolor mora.
Non volendomi Amor perder ancora.
Ebbe un altro lacciuol fra l' erba teso,
E di nov' esca un altr«) foco acceso.
Tal che a gran pena indi scampato fora.
E se non fos»e esperienza molta
De' primi ailanni , i' sarei preso ed arso.
Tanto più , quanto son ineu verde legno.
Morte m' ha liberato un' altra volta,
91]
RIME DEL PETRARCA.
[98]
E rotto '1 nodo, e '1 foco ha spento e sparso,
Contra la qual non \al forza né 'nge;^no.
Sonetto CCXXXI.
la vita fngge, e non s' arresta un' oi-a,
E la morte TÌen dietro a gran giornate,
E le cose presentì, e le passate
Mi danno guerra, e le future ancora;
; '1 rimembrar , e 1' aspettar m' accora
Or quinci or quindi gì, che 'n ventate,
Se non eh' i' ho di me stesso piotate,
r sarei già di questi pensicr fora.
ornami avanti , s' alcun dolce mai
Ebhe '1 cor tristo; e poi dall' altra pai'te
Veggio al mio navigar turbati i venti.
e^gio fortuna in porto , e stanco omai
Il mio nocchier, e rotte arbore e sarte,
E i lumi bei , che mirar soglio , spenti.
So \ ETTO CCXXXII.
lìv fai? che pensi? che pur dietro giiardi
Nel tempo, che tornar non puote omai.
Anima sconsolata? che pur vai
Giugnendo legne al foco, ove tu ardi?
jG soa^i parole, e i dolci sguardi,
Ch' ad un ad un descritti e dipint' hai,
Son levati da terra ; ed è (ben sai)
Qui ricercarli intempestivo e tardi.
)ch, non rinnovellar quel che n' ancide!
Non seguir più pensier vago fallace,
Ma saldo e certo, eh' a buon fin ne guide!
archiamo '1 ciel, se qui nulla ne piace;
(he mal per noi quella beltà si vide,
Se viva e morta ne dovca tor pace.
Sonetto CCXXXIII.
)ateml pace, oh duri mici pensieri!
Aon basta ben, eh' Amor, Fortuna, e Morte
Mi fanno guerra intorno , e 'n su le porte,
Senza trovarmi dentro altri guerrieri ?
■1 tu , mio cor, ancor se' pur qual eri,
Disleale a me sol; che fere scorte
\<ù ricettando, e sei fatto consorte
De' miei nemici si pronti e leggieri.
n te i secreti suoi messaggi Amore,
In te spiega Fortuna ogni sua pompa,
E Morte la memoria di quel col|)o,
Pie r avanzo di me convien che rompa:
I In te i vaghi pensier s' arman d' errore:
Perchè d' ogni mio mal te solo incolpo.
Sonetto CCXXXIV.
Dcchj mici, oscurato è '1 nostro sole,
Anzi è salito al cielo, ed ivi splende:
Ivi '1 vedremo ancora , ivi n' attende,
E di nostro tardar forse gli dolo.
Orecchie mie , 1' angeliche parole
Suonano in parte , ov' è chi meglio intende.
Più mìei, vostra ragion là non si stende,
Ov è colei , eh' esercitar \i sole.
Dunque perchè mi date questa guerra?
(ìià di pcrd(a' a voi cngion non fui
lederla, udirla, e ritrovarla in terra.
Morte biahmate; anzi laudale Ini,
Che lega e Hciogli(;, e 'n un punto apre o serra,
E dopo '1 pianto uà far lieto altrui!
Sonktto CC\XX\'.
Poi che la vista angelica serena
Per subita partenza in gran doloro
Lasciato ha 1' alma , e 'n tenebroso orrote.
Cerco parlando d' allentar mia pena.
Giusto duol certo a lamentar mi mena:
Sassel chi n' è cagion, e sallo Amore:
Ch' altro rimedio non avea '1 mio core
Contra i fastidj, onde la vita è piena.
Quest' un , Morte , m' ha tolto la tua mano,
E tu , che copri , e guardi , ed hai or teco.
Felice terra , quel bel viso umano,
Me dove lasci sconsolato e cieco.
Poscia che '1 dolce ed amoroso e piano
Lume degli ocrhj miei non è più meco?
Sonetto CCXXaVI.
S' Amor novo consiglio non n' apporta.
Per forza converrà che U viver cange ;
Tanta paura e duol 1' alma trista ange.
Che '1 desir vive , e la speranza è morta.
Onde si sbigottisce e sì sconforta
Mìa vita in tutto , e notte e giorno piango
Stanca, senza governo, in mar, che frange,
E 'n dubbia a ia senza fidata scorta.
Immaginata guida la conduce,
Che la vera è sotterra, anzi è nel cielo;
Onde più che mai chiara al cor traluce,
Agli occhj no: eh' un doloroso velo
Contende lor la desiata luce,
£ me fa sì per tempo cangiar pelo.
Sonetto CCXXXVO.
NelF età sua più bella , e più fiorita,
Quand' aver suol amor in noi più forza,
Lasciando in terra la terrena scorza,
È Laura mia vital da me partita,
E vìva, e bella, e nuda al ciel salita.
Indi mi signoreggia, ìndi mi sforza.
Deh , perchè me del mio mortai non scorza
L' ultimo dì, eh' è primo all' altra vita,
Che, come ì miei pensier dietro a lei vanno.
Così lieve, e spedita, e lieta 1' alma
La segua , ed io sìa fuor di tanto afianno ?
Ciò che s' indugia, è proprio per mio danno,
Per far me stesso a me più grave salma.
Oh che bel morir era oggi è terz' anno !
Sonetto CCXXXVIIL
Se lamentar augelli , o verdi fronde
Mover soavemente all' aura estiva,
O roco mormorar dì lucid' onde
S' ode d' una fiorita e fresca riva,
Là' v' io scggia d' amor pensoso e scrìva:
Lei, che '1 ciel ne mostrò , terra n' asconde,
Veggio , ed odo , ed intendo : eh' ancor viva
Dì si lontano a' sospir mici risponde.
Deh, perchè innanzi tempo ti consume?
Mi dice con pietatc: a che pur versi
Degli occhj tnsti un dolorost) fiume ?
Di me non pianger tu ! rh' i miei dì fèrsì,
Morendo, eterni; e nell' elcrno lume.
Quando mostrai di chiuder , gli occhj apersi.
Sonetto CCXXXIX.
Mai non fui 'n parte, ove sì chiar vedessi
Q\ìv\ che veder vorrei , poi eh' io noi vidi,
>è dove in tanta liliertà mi stessi,
Kè 'mpiesKÌ '1 ciil di sì amorosi stridi.
Né giammai ^idi valle aver sì spc8«i
Luoghi da sospirar riposti e fidi;
[99]
RIME DEL PETRARCA.
il?»]
Né credo già, eh' Amor in Cipro avessi,
O in altra riva sì soavi nidi.
L' acque parlan d' amore, e 1' ora, e i rami,
E gli augelletti , e i pesci , e i fiori , e l" erba,
Tutti insieme pregando, eh' i' sempr' ami.
Ma tu , ben nata , che dal ciel mi chiami.
Per la memoria di tua morte acerba
Preghi, eh' i' sprezzi '1 mondo, e suoi dolci ami
S O X E T T o CCXL.
Quante fiate al mio dolce ricetto,
Fiitrtrcndo altrui, e, s' esser può, me stesso,
Vo con gli occlij bagnando 1' erba , e '1 petto,
Rompendo co' sospir 1' aere da presso l
Quante fiate sol, pien di sospetto,
Per luoghi ombrosi e foschi mi son messo,
Cercando col pensier 1' alto diletto.
Che morte ha tolto, ond' io la chiamo spesso!
Or in forma di ninfa, o d' altra diva.
Che del più chiaro fondo di Sorga esca,
E pongasi a seder in sulla riva,
Or r ho veduta su per 1' erba fresca
Calcare i fior, com' una donna viva.
Mostrando in vista, che di me le 'ncresca.
Sonetto CCXLI.
Alma felice, che sovente torni
A consolar le mie notti dolenti
Con gli occhj tuoi , che morte non ha spenti,
Ma sovra '1 mortai modo fatti adorni !
Quanto gradisco, eh' i miei tristi giorni
A rallegrar di tua vista consenti !
Così incomincio a ritrovar presenti
Le tue bellezze a' suo' usati soggiorni.
Là 've cantando andai di te molt' anni,
Or, come vedi, vo di te piangendo;
Di te piangendo no , ma de' miei danni.
Sol un riposo trovo in molti affanni:
Che , quando torni , ti conosco , e 'ntendo
Air andar, alla voce, al volto, a' panni.
Soletto CCXLIL
Discolorato hai, Morte, ii più bel volto.
Che mai si vide, e i più begli occhj spenti;
Spirto più acceso di virtuti ardenti
Del più leggiadro, e più bel nodo hai sciolto.
In un momento ogni mio ben m' hai tolto ;
Posto hai silenzio a' più soavi accenti,
Che mai s' udirò, e me pien di lamenti:
Quant^ io veggio, m' è noja, o quaut' io ascolto.
Ben torna a consolar tanto dolore
Madonna, ove pietà la riconduce;
]\ù trovo in questa vita altro soccorso;
£ se, com' ella parla, e come luce.
Ridir potessi, accenderci d' amore,
NuD dirò d' uom, un cor di tigre o d' orso.
Sonetto CCXLIII.
SI breve è '1 tempo, e '1 pensier sì veloce,
Che mi rcndon madonna co!>ì morta,
Cli' al gran dolor la medicina è corta:
Pur, iiicntr' io veggio lei, nulla mi noce.
Amor, che m' ha legati» e tieinuii in croce,
Trema, quando la vede in sulla porta
Dell' alma, (»ve ni' ancide ancor u'i scorta,
Sì dolce in virata, e si soave in voce.
Come dimna in kuo albergo altera viene
Scacciando dell' oscuro o grave coro
Con la fronte serena i pensier tristi.
L' alma, che tanta luce non sostiene.
Sospira, e dice: oh benedette 1' ore
Del dì, che questa via con gli occhj apristi
Sonetto CCXLIV.
Né mai pietosa madre al caro figlio.
Né donna accesa al suo sposo diletto
Die' con tanti sospir, con tal sospetto.
In dubbio stato sì fedel consiglio,
Come a me quella, che '1 mio grave esiglio.
Mirando dal suo eterno alto ricetto,
Spesso a me torna con l'usato affetto,
E di doppia pietate ornata il ciglio.
Or di madre, or d' amante, or teme, or arde
D' onesto foco, e nel parlar mi mostra
Quel, che 'n questo viaggio fugga, o segua,
Contando i casi delia vita nostra,
Pregando, eh' al levar 1' alma non tarde:
E sol, quant' ella parla , ho pace , o tregua.
Sonetto CCXLV.
Se quell' aura soave de' sospiri,
Ch' i' odo di colei , che qui fu mìa
Donna , or é in cielo , ed ancor par qui sia,
E viva, e senta, e vada, ed ami, e spiri,
Ritrar potessi , oh che caldi desirì
Movrei parlando! sì gelosa e pia
Torna , ov' io son , temendo non fra via
Mi stanchi , o 'ndietro , o da man manca girL
Ir dritto alto m' insegna; ed io , che 'ntendo
Le sue caste lusinghe, e i giusti preghi.
Col dolce mormorar pietoso e basso,
Secondo lei convien mi regga, e pieghi,
Per la dolcezza , che del suo dir prendo,
Ch' avria virtù di far piangere un sasso.
Sonetto CCXLVI.
Sennuccio mio , benché doglioso e solo
M' abbi lasciato, i' pur mi riconforto.
Perché del corpo , ov' eri preso e morto,
Alteramente se' levato a volo.
Or vedi insieme 1' uno e 1' altro polo,
Le stelle vaghe , e lor viaggio torto,
E vedi '1 veder nostro , quanto é corto ;
Onde col tuo gioir tempro '1 mio duolo.
Ma ben ti priego, che 'n la terza spera
Guitton saluti , e messer Cino , e Dante,
Franceschin nostro , e tutta quella schiera.
Alla mia donna puoi ben dire, in quante
Lagrime i' vivo, e son fatto una fera,
Membrando '1 suo bel viso, e 1' opre sante.
Sonetto CCXLVII.
r ho pien di sospir quest' uer tutto,
D' aspri colli mirando il dolce piano.
Ove nacque colei , eh' avendo in mano
Mio cor in sul fiorire, e 'n sul far fruito,
E gita al cielo, ed liauuui a tal condutto
Col subito partir, che di lontano
Gli occli.j miei stanchi , lei cercando invano.
Presso di sé non lascian loco asciutto.
Non é sterpo , né sasso in questi monti,
Non ramo, o fnuida verde in queste piagge,
Non fior in queste valli, o foglia d' erba.
Stilla d' acqua non vìen di que.-te fonti,
]\é fiere han questi boschi sì scUagge,
Che non sappian , quant' é mia pena acerba.
S O N E T T o CCXLVIII.
L' alma mia fiamma oltra le belle bella,
Oh' ebbe qui '1 ciel sì amico , e sì curtcde,
101]
RIME DEL PETRARCA.
[102]
Anzi tempo per me nel suo paese
È ritornata , ed alia par sua stella.
>r comincio a svegliarmi e veggio, eh' ella
Per lo migliore al mio dcsir contese,
E quelle voglie giovenili accese
Temprò con una vista dolce e fella.
lei ne ringrazio e '1 suo alto con.*iglio,
Che col bel viso , e co' soavi s^degni
Fecemi ardendo pensar mia salute.
>h leggiadre arti , e lor effetti degni !
L' un con la lingua oprar, 1' altra col ciglio.
Io gloria in lei , ed ella in me virtute !
S0T«ETT0 CCXLIX.
lome va 'I mondo ! or mi diletta e piace
Quel, che più mi dispiacque; or veggio e sento,
Che, per aver salute, ebbi tormento,
E breve guerra per eterna pace.
Ih speranza, oh desir sempre fallace!
£ degli amanti più , ben per un cento ;
Oh quant' era '1 peggior farmi contento
Quella, eh' or siede in cielo, e 'n terra giace!
la '1 cieco amor e la mia sorda mente
Mi traviavan sì , eh' andar per viva
Forza mi convenia, dove morte era.
lenedetta colei , eh' a miglior riva
\ olse 'I mio corso , e 1' empia voglia ardente
Lusingando affrenò , perdi' io non pera.
Sonetto CCL.
fiiand' io veggio dal ciel scender 1' Aurora
Con la fronte di rose, e co' crin d' oro,
Amor m' assale , ond' io mi discoloro
E dico sospirando : ivi è Laura ora.
Ih felice Titon! tu sai ben 1' ora
Da ricovrare il tuo caro tesoro;
Ma io , che debbo far del dolce alloro,
Che, se '1 vo' riveder, convien eh' io mora?
M)stri dipartir non son sì duri;
(Jli' almen di notte suol tornar colei,
(Jhc non ha a schifo le tue bianche chiome.
-e mie notti fa triste, e i giorni oscuri
Quella, che n' ha portato i pensier miei,
IN è di bè m' ha lasciato altro che '1 nome.
SONKTTO CCLL
ìli occhj , di eh' io parlai sì caldamente,
F le braccia, e le mani, e i piedi, e '1 viso,
Che m' avean si da me stesso diviso,
F fatto singular dall' altra gente,
iC crespe chiome d' or puro lucente,
il '1 lampeggiar dell' angelico riso,
('he solean fare in terra un paratliso,
Foca polvere son, che nulla sente:
ùl io pur vivo ; onde mi doglio e sdegno,
Kimaso senza '1 lume , eh' amai tanto,
la gran fortuna, e 'n disarmato legno.
)r sia qui fine al mio auuiroso canto!
Secca è la vena dell' usato ingegno,
£ la cetcra mia ricolta in pianto.
Sonetto CCLII.
>' io avcAgi pensato, «;hc sì care
Fossin le voci de' sospir mie' in rima,
Fatte 1' avrei dal sospirar mio prima
In numero più spesse, in stil più rare.
Aorta colei, che mi facca parlare,
E elle ai stava de' pcnoier mie' in cima,
Non posso , e non ho più sì dolce lima.
Rime aspre e fosche far soavi e chiare.
E certo, ogni mio studio in quel temp' era
Pur di sfogare il doloroso core
In qualche modo, non d' acquistar fama:
Pianger cercai, non già del pianto onore.
Or vorrei ben piacer : ma quella altera
Tacito stanco dopo sé mi chiama.
Sonetto CCLIIL
Solcasi nel mio cor star bella e viva,
Cora' alta donna in loco umile e basso:
Or son fatt' io per 1' ultimo suo passo
Non pur mortai, ma morto, ed ella è diva.
L' alma d' ogni suo ben spogliata e priva,
Amor della sua luce ignudo e casso
Dovrian della pietà romper un sasso:
Ma non è chi lor duol riconti, o scriva;
Che piangon dentro, ov' ogni orecchia è sorda.
Se non la mia, cui tanta doglia ingombra
Ch' altro che sospirar nulla m' avanza.
Veramente siam noi polvere ed ombra.
Veramente la voglia è cieca e 'ngorda.
Veramente fallace è la speranza!
Sonetto CCLIV.
Solcano i mìei pensier so.ivemente
Di lor obbietto ragionar insieme :
Pietà s' appressa, e del tardar si pente:
Forse or parla di noi, o spera, o teme.
Poi che 1' ultimo giorno e 1' ore estreme
Spogliar di lei questa vita presente,
Nostro stato dal ciel vede, ode, e sente:
Altra di lei non è rimasa speme.
Oh miracol gentile! oh felice alma!
Oh beltà senza esempio altera, e rara,
Che tosto è ritornata, ond' ella uscio!
Ivi ha del suo ben far corona e palma
Quella, eh' al mondo sì famosa e chiara
Fé' la sua grau virtute, e '1 furor mio.
Sonetto CCLV.
F mi soglio accusare, ed or mi scuso.
Anzi mi pregio , e tengo assai più caro.
Dell' onesta prigion, del dolce amaro
Colpo, eh' i' portai già molt' anni chiuso.
Invide Parche, sì repente il fuso
Troncaste, eh' attorcea soave e chiaro
Stame al mio laccio , e quell' aurato e raro
Strale, onde morte piacque oltra nostr' uso!
Che non fu d' allegrezza a' suoi di mai,
Di libertà, di vita alma si vaga,
Che non cangiasse '1 suo naturai modo,
Togliendo anzi per lei sempre trar guai,
Che cantar per qualunque , e di tal piaga
Morir contenta, e viver in tal nudo.
Sonetto CCLM.
Due gran nemiche insieme erano aggiunte,
Kellczza ed onestà . con pace tanta.
Che mai rebellion 1' anima santa
Non sentì, poi eh' a star seco fùr giunte.
Ed or per morte son sparAC , e disgiunte :
L' una è nel ciel , che se ne gloria , e vanta,
L' altra sotterra, eh' i begli occhj aiumiuita,
Ond' uscir già tante amorose punte.
L' atto soa\e, e 'I parlar saggio uuu'le,
(/iuì inovea d' alto htcu , e '1 dolce sguardo,
Che piagava 'I mio core , e ancor 1' accenna,
Sono sparili: e s' al seguir son tardo,
1 *
[103]
RIME DEL PETRARCA.
[104]
Forse avrerrà , che 1 bel nome gentile
Consacrerò con questa stanca penna.
Sonetto CCLVII.
Quand' io mi volgo indietro a mirar gli anni,
Ch' hanno fuggendo i miei pensieri sparsi,
E spento '1 foco , ov' agghiacciando i' arsi,
E finito '1 riposo pien d' affanni.
Rotta la fé degli amorosi inganni,
E sol due parti d' ogni mio ben farsi,
L' una nel cielo, e 1' altra in terra starsi,
E perduto '1 guadagno de' miei danni:
r mi riscuoto e trovomi sì nudo,
Ch' i' porto invidia ad ogni estrema sorte;
Tal cordoglio e paura ho di me stesso!
Oh mia stella; oh fortuna, oh fato, oh morte.
Oh per me sempre dolce giorno e crudo,
Come m' avete in basso stato messo!
Sonetto CCLVIII.
Ov' è la fronte , che con picciol cenno
Volgea '1 mio core in questa parte, e 'n quella?
Ov' è '1 bel ciglio , e 1' una e 1' altra stella,
Ch' al corso del mio viver lume denno?
Ov è '1 valor, la conoscenza, e '1 senno,
L' accorta, onesta, umìl, dolce favella?
Ove son le bellezze accolte in ella.
Che gran tempo di me lor voglia fenno?
Ov' è r ombra gentil del viso umano,
Ch' óra e riposo dava all' alma stanca,
E là 've i miei pensier scritti eran tutti?
Ov è colei, che mia vita ebbe in mano?
Quanto al misero mondo, e quanto manca
Agii occhj miei! che mai non fieno asciutti.
Sonetto CCLIX.
Quanta invidia io ti jjorto , avara terra,
Ch' abbracci quella, cui veder m' è tolto;
E mi contendi 1' aria del bel volto.
Dove pace trovai d' ogni mia guerra!
Quanta ne porto al ciel, che chiude e serrai
E sì cupidamente ha in sé raccolto
Lo spirto dalle belle membra sciolto,
E per altrui sì rado si disserra!
Quanta invidia a quell' anime, che 'n sorte
Hann' or sua santa e dolce compagnia,
La qual' io cercai sempre con tal brama!
Quanta alla dispictata e dura morte,
Ch' avendo spento in lei la vita mìa,
Stassi ne' suoi begli occhj, e me uou chiama.
Sonetto CCLX.
Talle , che de' lamenti miei se' piena,
Fiume , che spesso del mio pianger cresci.
Fere silvestri, vaghi augelli, e pesci,
Che r una e 1' altra verde riva alTrena,
Aria de' miei sospir calda e serena.
Dolce sentier, che si amaro riesci.
Colle, che mi piacesti, or mi rincresci,
Ov' ancor per usanza amor mi mena!
Ben riconosco in voi l' usate forme,
Non , lasiio , in me , che da sì lieta vita
Son fatto albergo d' infinita doglia.
Quinci vedca '1 mio bene, e per quest' orme
'l'orno a veder, ond' al ciel nuda è gita,
Lasciando in terra la sua bella spoglia.
Som; t r o CCLXI.
Levommì il mio pensiero iu parte , ov' era
Quella, eh' io cerco, e non ritrovo in terra;
Ivi fra lor, che '1 terzo cerchio serra.
La rividi più bella, e meno altera.
Per man mi prese, e disse: in questa spera
Sarai ancor meco , se '1 desir non erra,
r son colei, che ti die' tanta guerra,
E compie' mia giornata innanzi sera.
Mio ben non cape in intelletto umano.
Te solo aspetto , e quel che tanto amasti,
E là giuso è rimaso , il mio bel velo.
Deh, perchè tacque, ed allargò la mano?
('h' al suon de' detti sì pietosi e casti
Foco mancò, eh' io non rimasi in cielo.
Sonetto CCLXIL
Amor, che meco al buon tempo ti stavi
Fra queste rive a' pensier nostri amiche,
E , per saldar le ragion nostre antiche,
Meco e col fiume ragionando andavi!
Fior, frondi , erbe, ombre, antri, onde, aure soavi.
Valli chiuse, alti colli, e piagge apriche.
Porto dell' amorose mie fatiche.
Delle fortune mie tante, e sì gravi!
Oh vaghi abitator de' verdi boschi!
Oh ninfe , e voi , che 'l fresco erboso fondo
Del liquido cristallo alberga, e pasce!
I dì miei fùr sì chiari, or son sì foschi,
('ome morte che 'l fa. Così nel mondo
Sua ventura ha ciascun dal dì, che nasce.
Sonetto CCLXIIL
Mentre che '1 cor dagli amorosi vermi
Fa consumato , e 'n fiamma amorosa arse,
Di vaga fera le vestigia sparse
Cercai por poggi solitarj , ed ermi ;
Ed ebbi ardir cantando di dolermi
D' amor, di lei, che sì dura m' apparse:
Ma 1' ingegno, e le rime erano scarse
In quella etate a' pensier novi e 'nfermi.
Quel foco è morto, e '1 copre un picciol marmo;
Che, se col tempo fosse ito avanzando.
Come già in altri , infino alla vecchiezza,
Di rime armato , ond' oggi mi disarmo,
Con stil canuto avrei fatto, parlando.
Romper le pietre, e pianger di dolcezza.
Sonetto CCLXIV.
Anima bella, da quel nodo sciolta.
Che più bel mai non seppe ordir natura,
Fon' dal ciel mente alla mia vita oscura,
Da sì lieti pensieri a pianger volta!
La falsa opinion dal cor s' è tolta,
Che mi fece alcun tempo acerba e dura
Tua dolce vista : ornai tutta secura
Volgi a me gli occhj , e i miei sospiri ascolta !
Mira '1 gran sasso, donde Sorga nasce;
E vedra'vi un , che sol tra 1' erbe e l' acque
Di tua memoria , e di dolor si pasce.
Ove giace '1 tuo albergo, e dove nacque
H nostro amor, vo' eh' abbandoni e lasce.
Per non veder ne' tuoi quel, eh' a te epiacqae.
Sonetto CCLXV.
Quel sol , che mi mostrava il caramln destro
Di gire al ciel con gloriosi passi,
Tornando al sommo sole , in pochi gassi
Chiuse 'I mio lume , e 'l suo career terrestre.
Ond' io son fatto un animai Silvestro,
('he co' piò vaghi , solitarj , e lassi
Porto '1 cor grave, e gli occhj umidi e baaii
105]
RIME DEL PETRARCA.
[106]
:
Al mondo, eh' è per me un deserto alpestro.
si To ricercando ogni contrada,
Ov' io la TÌdi, e sol tu, che m' affllf^i.
Amor, TÌen' meco, e mostrimi, ond' io vada.
liei non trov' io ; ma suoi santi vestigi
Tutti rivolti alla superna strada
Veggio lunge da' laghi averni e stigi.
Sonetto CCLXM.
lo pensava assai destro esser sull' ale,
Kon per lor forza , ma di chi le spiega.
Per gir cantando a quel bel nodo eguale,
Onde morte m' assolve, amor mi lega.
'rovaimi all' opra via più lento e frale,
D' im picciol ramo , cui gran fascio piega,
E dissi: a cader va chi troppo sale,
Xè si fa ben per uom quel , che '1 ciel nega.
ai non poria volar penna d' ingegno,
Non che stil grave, o lingua, ove natura
Volò tessendo il mìo dolce ritegno.
Seguilla Amor con sì mirabil cura
In adornarlo , oh' i' non era degno
Pur delia vista, ma fu mia ventura.
Sonetto CCLXVII.
Jaella, per cui con Sorga ho cangiai' Amo,
Con franca povertà serve ricchezze,
Volse in amaro sue sante dolcezze,
Ond' io già vissi, or me ne struggo e scarno.
Da poi più volte ho riprovato indarno
Al secol, che verrà, l' alte bellezze
Finger cantando, acciò che l' ame e prezzo;
Né col mio stile il suo bel viso incarno.
Le lode mai non d' altra, e proprie sue.
Che 'n lei fùr, come stelle in cielo sparte,
tPur ardisco ombreggiar, or una, or due:
a poi eh' i' giungo alla divina parte,
Ch' un chiaro e breve sole al inondo fue ;
Ivi manca l' ar Aìt , 1' ingegno , e l' arte.
Sonetto CCLXVllI.
alto e novo miracol , eh' a' di nostri
Apparve al mondo , e star seco non volse,
Che eoi ne mostrò 'l ciel, poi se l ritolse,
Per adornarne i suoi stellanti chiostri,
Tuoi, eh' i' dipinga a chi nol\ide, e l' mostri.
Amor, che 'n prima la mia lingua sciolse,
Poi mille volte indarno all' opra volse
Ingegno, tempo, penne, carte, e 'nchiostri.
Non eon al sommo ancor giunte le rime :
In me '1 conosco , e provai ben chiunque
£ 'nOn a qui, che d' amor parli, o scriva.
Chi sa pensare il ver , tacito estimo,
Ch' ogni stil vince, e poi sospire: adunque
Beati gli occhj, che la vidcr vivai
Sonetto CCLXIX.
Zefiro torna , e 'l bel tempo rimena,
E i fiori e r erbe, sua dolce famiglia,
E garrir l'rogne, e pianger filomena,
E primavera candida e vermiglia.
Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena.
Giove b' allegra di mirar sua figlia,
L' aria , e T acqua , e la terra «; d' amor piena.
Ogni animai d' amar si riconsiglia.
Ma per mo, lasso, tornano i più gravi
Sn8|iiri, che del cor profondo traggo
Quella, eh' al ciel se ne portò le diiavi.
E contar augcUetti, e liurir piagge,
E 'n belle donne oneste atti soavi,
Sono un deserto , e fere aspre e selvagge.
Sonetto CCLXX.
I Quel rosignnol , che si soave piagne
Forse suoi figli, o sua cara consorte.
Di dolcezza empie il cielo e le campagne
Con tante note si pietose, e scorte;
E tutta notte par che m' accompagne^
E mi rammenti la mia dura sorte :
Ch' altri che me non ho, dì cui mi lagne;
Che 'n Dee non credev' io regnasse morte.
Oh che lieve è ingannar chi s' assecura!
Que' duo bei lumi assai più che '1 sol chiari
Chi pensò mai veder far terra oscura?
Or conosco io, che mia fera ventura
Vuol, che vivendo e lagrimando impari,
Come nulla qua giù diletta, e dura.
Sonetto CCLXXI.
Né per sereno cielo ir vaghe stelle,
Né per tranquillo mar legni spalmati.
Né per campagne cavalieri armati,
Né per bei boschi allegre fere, e snelle,
Né d' aspettato ben fresche novelle.
Né dir d' amore in stili alti, ed ornati.
Né tra chiare fontane e verdi prati
Dolce cantare oneste donne -, e belle.
Né altro sarà mai , eh' al cor m' aggiunga ;
Sì seco il seppe quella seppellire,
Che sola agli occhj miei fu lume, e speglio.
Noja m' è '1 viver si gravosa, e lunga,
Ch' i' chiamo il fine per lo griin desile
Di riveder cui non veder fu 'l meglio.
Sonetto CCLXXIL
Passato é 'l tempo ornai, lasso, che tanto
Con refrigerio in mezzo 1 foco vissi,
Passata è quella , di eh' io piansi, e scrissi,
Ma lasciato m' ha ben la penna, e 1 pianto.
'Passato è '1 viso sì leggiadro, e santo;
Ma passando, i dolci occlij al cor m' ha fissi,
Al cor già mio, che, seguendo, partissi,
Lei , ch* avvolto l' avea nel suo bel manto.
Ella 'l se ne portò sotterra e 'n cielo,
Ov' or trionfa, ornata dell' alloro,
Che meritò la sua invitta onestate.
Così disniolto dal moria! mio velo,
Ch' a forza mi tien qui , foss' io con loro
Fuor de' sospir fra 1' anime beate I
Sonetto CCLXXllI.
Mente mia, che, presaga de' tuoi danni.
Al tempo lieto già pensosa e trista,
Si intentamente nell' amata vista
Requie cercavi de' futuri affanni :
Agli atti, alle parole, al viso, ai panni.
Alla nova pietà con dolor mi»ta.
Potei ben dir , se del tutto cri avvista.
Questo è 1' ultimo dì de' miei dolci anni.
Qual dolcezza fu quella , oh miscr' alma !
Clinic ardevamo in quel punto, eh' i' vidi
Gli occlij, i qiiai non dovea riveder mai!
Quando a lor, come a duo amici più fidi.
Partendo, in guardia la più nobii saluuu
1 miei cari pensieri e 'l cor, lasciai.
SONKTTO CCLXXIV.
Tutta la mia fiorita e verde efade
PiUiiaTa, 0 'ntepidir i>enlia giù i fono.
[lOt]
RIME DEL PETRARCA.
[108]
Ch' ar>:e '1 mìo cor, ed era giunto al loco,
Ove scende la vita , eh' al fjn cade.
Già incominciava a prender securtade
La mia cara nemica a poco a poco
De' suoi sospetti , e rivolgeva in gioco
Mie pene acerbe sua dolce onestade.
Presìso era '1 tempo , dov' Amor si scontra
Con castitate, ed agli amanti è dato
Sedersi insieme, e dir che loro incontra.
Morte el)be invidia al mio felice stato,
Anzi alla speme, e fcglisi all' incontra
A mezza via, come nemico armato.
Sonetto CCLXXV.
Tempo era ornai da trovar pace, o tregua
Di tanta guerra, ed erane in via forse,
Se non che i lieti passi indietro torse
Chi le disagguaglianze nostre adegua.
Che come nebbia al vento si dilegua.
Così sua vita subito trascorse
Quella , che già co' begli occhj mi scorse,
Ed or convien , che col pensier la segua.
Poco aveva a 'ndugiar; che gli anni e '1 peìù
Cangiavimo i costumi, onde sospetto
Non fora il ragionar del mio mal seco.
Con che onesti sospiri 1' avrei detto
Le mie lunghe fatiche, eh' or dal cielo
Aede, son certo, e duolsene ancor meco!
Sonetto CCLXXVL
Tranquillo porto avea mostrato amore
Alla mia lunga e torbida tempesta,
Fra gli anni dell' età matura onesta.
Che i vizj spoglia, e virtù veste, e onore.
Già traluceva a' begli occbj il mio cor*»
£ r alta fede non più lor molesta.
Ahi morte ria , come a schiantar se' presta
Il frutto di molt' anni in sì poche ore!
Pur vivendo veniasi , ove deposto
In quelle caste orecchie avrei parlando
De' miei dolci pensier 1' antica soma:
Ed ella avrebbe a me forse risposto
Qualche santa parola sospirando,
Cimgiati i volti, e 1' una e 1' altra coma.
Sonetto CCLXXVIL
Al cader d' una pianta, che si svelse,
Come quella, che ferro o vento sterpe,
Spargendo a terra le sue spoglie eccelse,
Mostrando al sol la sua squallida sterpe,
Vidi un' altra, eh' Amor obbietto s«;clse,
Subbictto in me Calliope ed Euterpe,
Che '1 cor m' avvinse, e proprio albergo felse,
Qual per tronco, o per muro edera serpe.
Quel vivo lauro, ove solean far nido
Gli alti pensieri, e i miei sospiri ardenti,
Clie de' bei rami mai non mosser fronda.
Al cicl traslato , in quel suo albergo fido
Lasciò radici, onde con gravi accenti
E ancor chi chiami , e non e (;hi risponda.
Sonetto CCLXXVllL
I di miei più leggicr, che nessun cervo.
Fuggir «om ombra , e non vider più bene,
Ch' un batter d' occhio, e poche ore serene,
Ch' amare e di.lci nella mente servo.
Misero mondo, instabile, e protervo!
Del tutto è cieco, chi 'n te pon sua spene;
Che 'n te mi fu 1 c(»r tolto, ed or sei tiene
Tal , eh' è già terra , e non giunge osso a nervo.
Ma la forma miglior, che vive ancora,
E vivrà sempre su nell' alto cielo,
Di sue bellezze ognor più m' innamora.
E vo sol in pensar cangiando '1 pelo,
Qual' ella è oggi, e in qual parte dimora,
Qual a vedere il suo leggiadro velo.
Sonetto CCLXXIX.
Sento '1 aura mia antica, e i dolci colli J
Veggio apparir, onde 'l bel lume nacque, ^
Che tenne gli occhj miei, mcntr' al ciel piacque,
Bramosi e lieti , or li tien tristi e molli.
Oh caduche speranze, oh pensier folli!
Vedove 1' erbe , e torbide son F acque,
E vóto , e freddo '1 nido , in eh' ella giacque,
]\el qual io vivo , e morto giacer volli,
Sperando alfìn dalle soavi piante,
E da' begli occhj suoi, che '1 cor m' haim' arso,
Ripposo alcun delle fatiche tante.
Ho servito a signor crudele, e scarso:
Ch' arsi quanto '1 mio foco ebbi davante.
Or vo piangendo il suo cenere sparso.
Sonetto CCLXXX.
E questo '1 nido, in che la mia fenice
Mise r aurate, e le purpuree penne,
Che sotto le sue ali il mio cor tenne,
E parole e sospiri anco ne elice?
Oh del dolce mio mal prima radice,
Ov' è '1 bel viso, onde quel lume venne.
Che vivo, e lieto ardendo mi mantenne.''
Sola eri in terra, or se' nel ciel felice;
E me lasciato hai qui misero , e solo,
Tal che pien di duo! sempre al loco torno,
Che per te consecrato onoro, e colo,
Veggendo a' colli oscura notte intorno.
Onde prendesti al ciel 1' ultimo volo,
E dove gli occhj tuoi solean far giorno.
Sonetto CCLls^XXI.
Mai non vedranno le mie luci asciutte
Con le parti dell' animo tranquille
Quelle note, ov' amor par che sfaville,
JE pietà di sua man 1' abbia costrutte.
Spirto già invitto alle terrene lutte,
Ch' or su dal ciel tanta dolcezza stille,
Ch' allo stil , onde morte dipartille.
Le disviate rime hai ricondutte!
Di mie tenere frondi altro lavoro
Credea mostrarti- e qual fero pianeta
Ne 'nvidiò insieme.? Oh mio nobil tesoro,
Ch' innanzi tempo mi t' asconde, e vieta.
Che col cor veggio, e con la lingua onoro.-*
E 'n te, dolce sospir, 1' alma s'acqueta.
Canzone XXIV.
Standomi un giorno solo alla finestra,
Onde cose vedea tante , e sì nove,
Cli' era sol di mirar quasi già stanco,
Una fera m' apparve da man destra,
Con fronte umana da far arder Giove,
Cacciata da duo veltri , un nero , un bianco.
Che r uno e 1' altro fianco
Della fera g<^ntil mordean sì forte,
Ch' in poco tempo la mcnaro al passo,
Ove, chiuda in un sasso.
Vinse molta bellezza acerba morte,
E mi l'è sospirar sua dura sorte.
Indi per alto mar vidi una nave.
Con lo sarte di seta, e d' or la vela,
09]
RIME DEL PETRARCA.
[110]
Tutta d* avorio, e d' ebeno contesta,
f; 1 mar tranquillo, e 1' aura era soave,
E "1 ciel , qual è , se nulla nube il vela :
Ella carca di ricca merce onesta.
Poi repente tempesta
Orientai turbò si l'aere e l'onde,
Che la nave percosse ad uno scoglio.
Oh che grave cordoglio !
Breve ora oppresse , e poco spazio asconde
L' alte ricchezze, a nuli' altre seconde.
] un boschetto novo i rami santi
Fiorian d' un lauro giovenetto e schietto,
Ch' un degli arbor parca di paradiso.
¥j di sua ombra uscian sì dolci canti
Di varj augelli, e tanto altro diletto,
Che dal mondo m' avean tutto diviso.
E mirandol' io fiso,
Cangiossi 'l ciel intorno, e tinto in vista
Folgorando '1 percosse, e da radice
Quella pianta felice
Subito svelse; onde mia vita è trista:
Che simil' ombra mai non si racquista.
liiira fontana in quel medesmo bosco
Sorgea d' un sasso, ed acque fresche e dolci
Spargea soavemente mormorando.
Al bel seggio riposto ombroso e fosco
ÌNè pastori appressavan , nò bifolci,
^la. ninfe, e muse a quel tenor cantando.
Ivi m' assisi, e quando
Più dolcezza prendea di tal concento,
E di tal vista, aprir vidi uno speco,
E portarsene seco
La fonte , e 'I loco ; ond' ancor doglia sento,
E sol della memoria mi sgomento.
Il a strania fenice, ambedue V ale
Di porpora vestita, e '1 capo d' oro
\ edendo per la selva , altera e sola,
\ cder forma celeste ed immortale
Prima pensai , fin eh' allo svelto alloro
Giunse, ed al fonte, che la terra invola.
Ogni cosa al fin vola :
Che mirando le frondi a terra sparse,
E '1 troncon rotto, e quel vivo umor secco.
Volse in sé stessa '1 becco
Quasi sdegnando, e 'n un punto disparse;
Onde '1 cor dì pictate, e d' amor m' arse.
.Ifiu vid' io per entro i fiori e 1' erba
Pensosa ir sì leggiadra e bella donna,
Clic mai noi penso, eh' i' non arda e treme;
llniile in sé, ma 'ncontr' amor superba,
Fd avea in dosso sì candida gonna,
Si tc^ta, eh' oro e neve parca insieme:
Ma le parti supreme
Diano avvolte d' una nebbia escara.
Punta poi nel tallon d' un picciol angoe,
Come fior colt«> langue,
Lieta si dipartìo, non che sicura.
Ahi nuli' altro che pianto al mondo dura !
Janzon, tu puoi ben dire:
Questo sei visioni al signor mio
lloa fatto uu dolce di morir desio.
Ballata XI.
imor, quando fiori»
Mia spenc, e 'i guidardon d' ogni mia fede.
Tolta m' è quella, oud' altcndca mercede.
Ahi dispietata morte ! ahi crudel vita !
L' una m' ha posto in doglia,
E mie speranze acerbamente ha spente;
L' altra mi tien qua giù centra mia voglia;
E lei, che se n' è gita
Seguir non posso, eh' ella noi consente.
Ma pur ognor presente
Nel mezzo del mio cor madonna siede,
E qual' è la mia vita , ella sei vede.
C A X z 0 N B XXV.
Tacer non posso , e temo non adopre
Contrario effetto la mia lingua al core,
Che vorria far onore
Alla sua donna, che dal ciel n' ascolta.
Come poss' io, se non m' insegni. Amore,
Con parole mortali agguagliar 1' opre
Divine, e quel che copre
Alta uroiltate in sé stessa raccolta?
Nella bella prigione , ond' or é sciolta.
Poco era stata ancor 1' alma gentile
Al tempo, che di lei prima m' accorsi:
Onde subito corsi
(Ch' era dell' anno , e di mia etate aprile)
A coglier fiori in quei prati d' intorno.
Sperando agli occhj suoi piacer sì adorno.
Muri eran d' alabastro, e tetto d' oro,
D' avorio uscio , e fenestre di zaffiro.
Onde '1 primo sospiro
Mi giunse al cor , e giugnerà 1' estremo.
Indi i messi d' Amor armati uscirò
Di saette e di foco : ond' io di loro
Coronati d' alloro.
Pur com' or fosse , ripensando , tremo.
D' un bel diamante quadro , e mai non scemo,
Vi si vedea nel mezzo un seggio altero,
Ove sola sedea la bella donna.
Dinanzi una colonna
Cristallina, ed iv' entro ogni pensiero
Scritto, e fuor tralucea sì chiaramente.
Che mi fca lieto, e sospirar sovente.
Alle pungenti , ardenti , e lucid' arme.
Alla vittoriosa insegna verde.
Centra cu' in campo perde
Giove, ed Apollo, e Polifcmo , e Marte,
Ov' é '1 pianto ognor fresco, e si rinverde.
Giunto mi vidi, e non possendo aitarme.
Preso lasciai mcnarme,
Ond' or non so d' uscir la via, né 1' arte.
Ma sì com' uom talor, che piange, e parte,
Aede cosa, che gli occhj e '1 cor alletta.
Cosi c<dei, per eh' ut son in prigione.
Standosi ad un balcone,
Che fu sola a' suoi dì cosa pcrfcttìi,
Ctuiiiuciai a mirar con tal desio ,
Che ine stesso, e '1 mio mal posi in obblio.
I' era in terra , e 'I cor in paradiso.
Dolcemente nbbliando ogni altra cura,
E mia viva figura
Far seiilia un marmo, e 'iiipicr di meraviglia,
Qiiand' una donna assai pronta e sicura.
Di tempo luitica. e giurane del vi^o,
\ citcìiildiiii si fiso
AlP atto d<'ll.i fronte , o delle ciglia,
' Meco, mi di'^^(; , meco ti consiglia!
I ('ir i' son d' altro poder , che tu non credi,
E so far lieti e tribti in un momento.
[Ili]
RIME DEL PETRARCA.
[112]
Più leggiera, che '1 vento,
E reggo, e volvo quanto al mondo veili.
Tien pur gli occhj , com' aquila , in quel 6ol«!
Parte dà orecchj a queste mie parole l
Il dì che costei nacque, eran le stelle.
Che producon fra toì felici e£fett!,
In luoghi alti ed eletti,
L' una ver l' altra con amor converse.
Venere e '1 padre con benigni aspetti
Tenean le parti signorili e belle,
E le luci empie e felle
Quasi in tutto del ciel eran disperse.
Il gol mai si bel giorno non aperse,
L' aere e la terra s' allegrava, e 1' acque
Per lo mar avean pace, e per 11 dami.
Fra tanti amici lumi
Una nube lontana mi dispiacque.
La qual temo , che 'n pianto si risolve.
Se pietate altramente il ciel non voivc.
&)m* ella venne in questo viver bass<»,
Ch' , a dir il ver , non fu degno d' averla.
Cosa nova a vederla,
Già santissima e dolce, ancor acerba.
Parca chiusa in or fin candida perla.
Ed or carpone , or con tremante passo
Legno , acqua , terra , o gasso.
Verde facea, cliiara, soave, e V erba
Con le palme , e co' pie fresca e superba,
E fiorir co' begli occhj le campagne.
Ed acquetar i venti, e le tempeste,
Con voci ancor non preste
Di lingua, che dal latte si scompagne,
Chiaro mostrando al mondo sordo e cieco,
Quanto lume del ciel fosse già seco.
Poiché, crescendo in tempo ed in virtute,
Giunse alla terza sua fiorita etatc,
Leggiadria nò beltate
Tanta non vide il sol, credo, giammai.
Gli occhj pien di letizia e d' onestate,
E '1 parlar di dolcezza e di salute.
Tutte lìngue son mute
A dir di lei quel , che tu sol ne sai.
Sì chiaro ha 'l volto di celesti rai.
Che vostra vista in lui non può fermarse,
E da quel suo bel carcere terreno
Di tal foco hai '1 cor pieno,
Ch' altro più dolcemente mai non arse.
Ma parmi, che sua subita partita
Tosto ti fia cagion d' amara vita.
Detto questo, alla sua volubil rota
Si volse, in eh' ella fila il nostro stame.
Trista e certa indovina de' miei danni:
Che dopo non molt' anni
Quella, perdi' io ho di morir tal fame,
Canzon mia, spense morte acerba e rea.
Che più bel corpo uccider non potca.
S 0 X E T T 0 CCLXXXn.
Or hai fatto 1' estremo di tua possa,
Oh cnidcl morte ! or hai 'I regno d' Amore
Impoverito; nr di bellezza il fiore
E 'I lume hai spento, e chiuso in poca fossa.
Or hai spogliata nostra vita, e scossa
D' ogni ornamento, e del sovran suo onore;
Ma la fama , e 1 valor , che mai non more,
Non è in tua forza: abbiti ignude 1' ossa!
Che r altro ha 'i cielo , e di sua chiaritate,
Quasi d' un più bel sol , s' allegra , e gloria,
E fia ai mondo de' buon sempre in memoria.
Vinca '1 cor vostro in sua tanta vittoria,
Angel novo , là su di me pietate,
Come vinse qui '1 mio vostra beltate!
Sonetto CCLXXXIH.
L** aura, e 1' odore, e '1 refrigerio, e V ombcs
Del dolce laiu'O, e sua vista fiorita,
Lume e riposo di mia stanca vita.
Tolto ha colei , che tutto '1 mondo sgombra.
Come a noi '1 sol , se sua soror 1' adombra,
Così, r alta mia luce a me sparita,
Io cheggìo a morte incontr' a morte aita :
Di sì scuri pensieri Amor m' ingombra !
Dormito hai, bella donna, un breve sonno;
Or se' svegliata fra gli spirti eletti.
Ove nel suo fattor V alma s' interna.
E, se mie rime alcuna cosa ponno,
Consecrata fra i nobili intelletti
Fia del tuo nome qui memoria etema.
Sonetto CCLXXXIV.
L' ultimo , lasso , de' miei giorni allegri,
Che pochi ho visto in questo viver breve,
Giunt' era, e fatto '1 cor tepida neve.
Forse presago de' dì tristi e negri.
Qual ha già i nervi, e i polsi , e i pensier egri.
Cui domestica febbre assalir deve,
Tal mi sentia , non sapend' io , che leve
Venisse '1 fio de' miei ben non integri.
Gli occhj belli , ora in ciel chiari , e felici
Del lume, onde salute e vita piove,
Lasciando i miei qui miseri , e mendici,
Dicean lor con faville oneste e nove: i
Rimanetevi in pace , oh cari amici !
Qui mai più no , ma rivedrenne altrove.
SoisBTTO CCLXXXV.
Oh giorno! oh ora! oh ultimo momento!
Oh stelle congiurate a 'mpoverirme!
Oh fido sguardo, or che volei tu dirme,
Partend' io per non esser mai contento?
Or conosco i miei danni; or mi risento:
Ch' i' credeva (ahi credenze vane e 'nllraie!)
Perder parte, non tutto, al dipartirme.
Quante speranze se ne porta il vento !
Che già il contrario era ordinato in cielo.
Spegner 1' almo mio lume, ond' io vivea,
E scritto era in sua dolce amara vista.
Ma innanzi agli occhj m' era posto un velo.
Che mi fea non veder quel eh' i' vedea;
Per far mia vita subito più trista.
Sonetto CCLXXXVL
Quel vago, dolce, caro, onesto sguardo
Dir parca: to* di me quel che tu puoi!
Che mai più qui non mi vedrai da poi,
Ch' avrai quinci '1 pie mosso a mover tardo.
Intelletto veloce più che pardo.
Pigro in antivedere i dolor tuoi,
('ome non vcdc:«tù negli occhj suoi
Quel, che ved' ora .'' ond' io mi strugga , ed ardo,
Taciti , sfavillando oltra lor modo,
Dicean : oh lumi amici, che gran tempo
Coo tal dolcezza feste di noi spcccl\j.
113]
RIME DEL PETUARCA.
[114]
! riel n' iu-ipetta ; a toì parrà per tempo :
Ma chi ne strinse qui, dissolve il nodo,
E '1 vostro, per farv' ira, tuoI che 'nvccchj.
C A IV z o A' E XXVI,
(iolea dalla fontana di mia vita
AUontanarnic , e cercar terre e mari,
]Von mio voler, ma mia stella seguendo;
E sempre andai (tal' amor diemnii aita)
In quelli esilj , quanto e' vide, amari,
Di memoria, e di speme il cor pascendo.
Or, lasso, alzo la mano, e V arme rendo
Air empia, e violenta mia fortuna.
Che privo m' ha di sì dolce speranza.
Sol memoria m' avanza,
E pasco '1 f^-ran desir sol di quest' una.
Onde r alma vien men, frale e digiuna.
Jome a corricr tra via , se 'I cibo manca,
Convien per forza rallentar il corso,
Scemaniio la virtù, che '1 fca gir presto,
Così, mancando alla mia vita etanca
Quel caro nutrimento , in che di morso
Dio', chi 'I mondo fa nudo, e '1 mìo cor mesto,
Il dolce acerbo , e '1 bel piacer molesto
Mi si fa d' ora in ora; onde '1 cammino
Sì breve non fornir spero e pavento.
Kebbia o polvere al vento
Fuggo, per più non esser pellegrino :
E cosi vada, s' è pur mio destino!
lai questa mortai vita a me non piacque,
(Sassel' Amor, con cui spesso ne parlo)
Se non per lei, che fu 'l suo lume, e '1 mio.
Poi che 'n terra morendo, al ciel rinacque
Quello spirto , ond' io vissi , a seguitarlo
Licito fosse! è '1 mio sommo desio.
Ma da dolermi ho ben sempre, perch' io
I Fui mal accorto a provveder mio stato,
I Ch' Amor mostrommi sotto quel bel ciglio,
I Per darmi altro consiglio:
1 Cile tal mori già tristo e sconsolato,
Cui poco innanzi era '1 morir beato.
Segli occhj, ov' abitar solca '1 mio core,
Fin che mia dura sorte invidia n' ebbe,
Che di sì ricco albergo il pose in bando.
Di sua man propria avca descritto Amore
Con lettre di pietà quel , eh' avverrebbe
Tosto del mio si lungo ir desiando.
Bello e dolce morire era allor quando,
Morcnd' io, non moria mia vita insieme,
Anzi vivea di me 1' ottima parte.
Or mie speranze sparte
Ila morte , e poca terra il mio ben preme ;
E vivo , e mai noi penso , eh' i' non treme.
Se stato fosse il mio poco intelletto
Meco al bisogno , e non altra vaghezza
DIi' avesse desviando altrove volto,
Nella fronte a madonna avrei ben Ietto:
jil Jìn sc^ ffitinlo f/' ogjit tua dolcezza.
Ed al principio del tuo amaro molto.
Quc><to intendendo , dolcemente sciolto
In sua presenza del mortai mio velo,
E di questa nojosa e grave carne,
INitca innanzi lei andarne
A veder prepnrar sua sedia in cielo:
Or r andrò dietro ornai con altro pelo.
Canzon , s' uom tro\ i in suo amor viver qucto.
Di': uiuor, mentre se' lieto:
Che morte al tempo è non duol, ma refu"-io,
E chi ben può njorir, non cerchi indugio.
Sestina IX.
Mìa benigna fortuna, e '1 viver lieto,
I chiari giorni, e le tranquille notti,
E i soavi sospiri , e 'l dolce stile.
Che solca risonar in versi e 'n rime,
^ olti subitamente in doglia e 'n pianto,
Odiar vita mi fanno, e bramar morte.
Crudele , acerba , inesorahil morte,
Cagion mi dai di mai non esser lieto.
Ma di menar tutta mia vita in pianto,
E i giorni oscuri, e le dogliose notti!
l mie' gravi sospir non vanno in rime,
E '1 mio duro martir vince ogni stile.
Ov' è condotto il mio amoroso stile?
A parlar d' ira, a ragionar di morte.
U' sono i versi, u' son giunte le rime.
Che gentil cor udia pensoso e lieto ?
Ov' è '1 favoleggiar d' amor le notti.-*
Or non pari' io, nò penso altro, che pianto.
Gfià mi fu col desir sì dolce il pianto,
Che condia di dolcezza ogni agro stile,
E vegghiar mi facea tutte le notti.
Or m' è il pianger amaro più che morte,
Non sperando mai '1 guardo onesto e lieto,
Alto soggetto alle mie basse rime.
Chiaro segno Amor pose alle mie rime
Dentro a' begli occhj, ed or l' ha posto ia pianto.
Con dolor rimembrando il tempo lieto :
Ond' io vo col pensier cangiando stile,
E ripregando te , pallida morte.
Che mi sottragghi a sì penose notti.
Fuggito è 'l sonno alle mie crude notti,
E '1 suono usato alle mie roche rime,
Che non sanno trattar altro, che morte;
Così è 'l mio cantar converso in pianto.
Non ha 'l regno d' Amor sì vario stile:
Ch' è tanto or tristo , quanto mai fu lieto.
Nessun visse giammai più di me lieto :
Nessun vive più tristo e giorni , e notti,
E doppiando 'l dolor , doppia lo stile.
Che trae del cor sì lagrimose rime.
Vissi di speme, or vivo pur di pianto:
Nò contra morte spero altro , che morte.
Morte m' ha morto , e sola può far morte,
Ch' i' torni a riveder quel viso lieto.
Che piacer mi facea i sospiri, e "l pianto»
L' aura dolce , e la pioggia alle mie notti,
Quando i pensieri eletti tessea in rime,
Amor alzando il mio debile stile.
Or avess' io un si pietoso stile,
Che Laura mia potesse torre a morte,
Coni' Euridice Orfeo sua, senza rime:
Cir i' vigerci ancor più che mai lieto.
S' esser non può, quabun.i d' rste notti
Chiuda omai queste due fonti di pianto!
Amor, i' ho molli e iiiolt' anni pianto
IMit» grave danno in doloroso siile,
INè da te spero mai men fere notti.
E però mi son mosso a pregar morte,
('he ini tollu di qui per t'armo lieto,
Ov' è colei , eh' i' canto e piango in rime.
Se si alto pon gir mie stanche rimo.
Ch' aggiungan lei, eh' è fuor d' ira e di pianto.
[115]
RIME DEL PETRARCA.
[116]
E fa '1 ciei or di sue bellezze lieto,
Ben riconoscerà '1 luutéito stile,
Che già forse le piacque , anzi che Morte
Chiaro a lei giorno, a me fesse atre notti.
Oli voi, che sospirate a miglior notti,
Ch' ascoltate d' amore o dite in rime,
Pregate non mi sia più sorda Morte,
Porto delle miserie, e fin del pianto.
Muti una volta quel suo antico stile,
Ch' ogni uomo attrista, e me può far sì lieto!
Far mi può lieto in una , o 'n poche notti :
E 'n aspro stile, e 'n angosciose rime
Prego, che '1 pianto mio finisca morte.
So^ETTo CCLXXXMI.
Ite, rime dolenti, al duro sasso,
Che 'I mio caro tesoro in terra asconde!
Ivi chiamate chi dal ciel risponde.
Benché '1 mortai sia in loco oscuro e basso.
Ditele , eh' i' son già di viver lasso.
Del navigar per queste orriltili onde;
Ma ricogliendo le sue sparte fronde
Dietro le vo pur cosi passo passo.
Sol di lei raggionando viva e morta.
Anzi pur viva , ed or fatta immortale.
Acciò che '1 mondo la conosca ed ame.
Piacciale al mio passar esser accorta,
Ch' è presso ornai ! Siami all' incontro , e quale
Ella è nel ciclo, a sé mi tiri e chiame!
SOTSETTO CCLXXXVIII.
S' onesto amor può meritar mercede,
E se pietà ancor può , quant' ella suole,
Mercede avrò; che più chiara che '1 sole
A Madonna, ed al mondo é la mia fede.
Già di me paventosa , or sa , noi crede,
Che quello stesso , eh' or per me si vole,
Sempre si volse, e s' ella udia parole,
O vedea '1 volto, or 1' animo e '1 cor vede.
Ond' io spero, che 'nfin al ciel si doglia
De' miei tanti sospiri , e così mostra
Tornando a me si piena di pietate.
E spero, eh' al por giù di questa spoglia
\enga per me con quella gente nostra,
Vera amica di Cristo, e d' onestate.
Sonetto CCLXXXIX.
Vidi fra mille donne una già tale,
('ir amorosa paura il cor m' assalga,
Mirandola in immagini non false.
Agli spirti celesti in vista eguale.
Niente in lei terreno era, o mortale,
Sì come a cui del ciel , non d' altro , calse.
L' alma, <;h' arse per lei si spesso, ed alee,
A aga d' ir seco aperse ambedue 1' ale.
Ma tropp' era alta al mio peso terrestre;
K poco pili ni' uscì 'n tutte di vista:
Di i;lie pensando ancor m' agghiaccio, o torpo.
Oh belle, ed alle, e lucide finestre,
Onde colei , che molla gente attrista,
Trovò la via d' entrare in sì bel corpo!
Sonetto CC\C.
Tornami a mente, anzi v' è dentro, quella,
(.'h' ìnrli per Lete esser non può sbandita,
Qiial' io la vidi in snlP eia finrita.
Tutta accesa de' raggi di bua htella.
Sì nel mio primo occorso onesta e bella
Veggiolain sé raccolta, e si romita,
Ch' i' grido: eli' è ben dessa; ancor è in vita,
E 'n don le cheggio sua dolce favella.
Talor risponde, e talor non fa motto:
J', coni' uom , eh' erra, e poi più dritto estima,
Dico alla mente mia: tu se 'ngannata.
Sai, che 'n mille trecento quarant' otto,
Il di sesto d' aprile, in 1' ora prima,
Del corpo uscio queir anima beata.
Sonetto CCXCL
Questo nostro caduco e fragil bene,
Ch'é vento ed ombra, ed ha nome beltate,
Non fu giammai , se non in questa etate,
Tutto in un corpo , e ciò fu per mie pene.
Che natura non vuol, né si conviene,
Per far ricco nn, por gli altri in povertate.
Or versò in una ogni sua largitate.
Perdonimi qnal' è bella, o si tiene!
IVon fu simil bellezza antica, o nova,
Kè sarà, credo; ma fu sì coverta,
Ch' appena se n' accorse il mondo errante.
Tosto disparve; onde '1 cangiar mi giova
La poca vista a me dal cielo offerta.
Sol per piacer alle sue luci sante.
Sonetto CCXCIL
Oh tempo , oh ciel volubil , che fuggendo
Inganni i ciechi e miseri mortali !
Oh dì, veloci più che vento e strali!
Or ab esperto vostre frodi intendo.
Ma scuso voi, e me stesso riprendo;
Che natura a volar v' aperse 1' ali,
A me diede occlij , ed io pur ne' miei mali
Li tenni; onde vergogna e dolor prendo.
E sarebbe ora , ed è passata omai.
Da rivoltarli in più sicura parte,
E poncr fine agi' infiniti guai.
Xè dal tuo giogo , Amor , 1' alma si parte.
Ma dal suo mal; con che studio, tu '1 sai:
Non a caso é virtute, anzi è beli' arte.
Sonetto CCXCIIL
Quel , che d' odore e di color vince»
L' odorifero e lucido oriente,
Frutti, fiori, erbe, e frondi, onde '1 ponente
D' ogni rara eccellenza il pregio avea,
Dolce mio lauro , ov' abitar solca
Ogni bellezza , ogni virtute ardente.
Vedeva alla sua ombra onestamente
Il mio signor sedersi, e la mia dea.
Ancor io il nido di pensieri eletti
Posi in quell' alma pianta, e 'n foco, e 'n gelo.
Tremando , ardendo , assai felice fui.
Pieno era '1 mondo de' suo' onor perl'ettii
Allor che Dio, per adornarne il cielo.
La si ritolse , e cosa era da lui.
Sonetto CCXCIV.
Lasciato hai , Morte , senza sole il mondo
Oscuro e freddo , Amor cieco ed inerme,
Leggiadria ignuda , le bellezze inferme.
Me sconsolato , ed a me grave pondo,
Cortesia in bando, ed onestate in fondo.
Doglioin' io sol , né sol ho da dolerme.
Che sveli' hai di virtute il chiaro germe,
Spento il primo valor: qual fia il secondo?
rianger i' aer, e la terra, e '1 mar dovrebbe,
L' uman Icgnaggio, che, senz' ella, è quasi
1L7]
RIME DEL PETRARCA.
[1181
Senza fior prato, o senza gemma anello.
Non la conobbe il mondo, mentre 1' ebbe :
Conobbir io, eh' a pianger qni rimasi,
E '1 ciel, che del mio pianto or si fa bello.
Sonetto CCXCV-
Conobbi, quanto il elei gli occlij m' aperse,
Quanto studio ed amor m' alzaron 1' ali,
Cose nove e leggiadre, ma mortali,
Che 'n un soggetto ogni stella cosperse.
L' altre tante, sì strane e sì diverse
Forme altere, celesti, ed immortali,
Perchè non furo all' intelletto eguali,
La mia debile vista non sofferse.
Onde, quant' io di lei parlai, né scrissi,
Cli' or per lodi anzi a Dio preghi mi rende,
Fu breve stilla d' infiniti abissi :
Che stile oltra I' ingegno non si stende, ^
E , per aver uom gli occbj nel sol fissi.
Tanto si vede men, quanto più splende.
Sonetto CCXCVl.
Dolce mio caro e prezioso pegno.
Che natura mi tolse, e '1 ciel mi guarda.
Deh , come è tua pietà ver me sì tarda,
Oh usato di mia vita sostegno?
Già suo' tu far il mio sonno almen degno
Della tua vista , ed or sostien*, eh' i' arda
Senz' alcun refrigerio; e chi '1 ritarda?
Pur là su non alberga ira , né sdegno,
Onde qua giuso un ben pietoso core
Talor si pasce degli altrui tormenti.
Sì eh' egli è vinto nel suo regno Amore.
Tu, che dentro mi vedi, e '1 mio mal senti,
E sola puoi finir tanto dolore,
Con la tua ombra acqueta i miei lamenti!
Sonetto CCXCVII.
i Deh , qual pietà , qual angel fu sì presto
A portar sopra '1 cielo il mio cordoglio?
Ch' ancor sento tornar , pur come soglio,
Madonna in quel suo atto dolce onesto,
Ad acquetar il cor misero e mesto ,
Piena sì d' umiltà, vota d' orgoglio,
E 'n somma tal^ eh' a morte i' mi ritoglio,
E vivo, e '1 viver più non ra' è molesto.
Beata se', che puoi beare altrui
Con la tua vista, ovver con le parole
Intelletto da noi soli ambcdui.
Fedel mio caro , assai di te mi dnic ;
Ma pur per nostro ben dura ti fui,
Vice, e cos' altre d' arrestar il sole.
Sonetto CCXCVIII.
Del cibo, onde 'l signor mi« sempre abbonda,
Lagrime e doglia, il cor lasso nndrisco,
E s|iesso tremo, e spesso impallidisco.
Pensando alla sua piaga aspra, e profonda.
Ma chi nò prima simil , né seconda
Ebbe ili suo tempo , al letto , in eh' io languisco,
Men tal, eh' appena a rimirarla ardisco,
E pietosa e' as:<ide in sulla sponda.
Con quella uiau , che tanto desiai,
I\r asciuga gli occbj , e col sim dir m' apporta
Dohuzza , eh' uom mortai non sentì mai.
Cile vai, dice, a saver, chi si sconforta?
Non pianger più! non m' hai tu pianto assai?
Ch' or fostù vivo, com' io non hoii morta.
Sonetto CCXClX.
Ripensando a quel , eh' oggi il ciel onora.
Soave sguardo, al chinar V aurea testa,
Al volto , a quella angelica modesta
Voce, che m' addohiva, ed or m' ancora,
Gran meraviglia ho, com' io viva ancora,
Aè vivrei già, se, chi tra bella e onesta,
Qual fu più, lasciò in dubbio, non ?ì presta
Fosse al mio scampo là verso 1' aurora.
Oh che dolci accoglienze, e caste, e pie!
E come intentamente ascolta e nota
La lunga istoria delle pene mie !
Poi che '1 dì chiaro par che la percota.
Tornasi al ciel , che sa tutte le vie.
Umida gli occbj , e 1' una e 1' altra gota.
Sonetto CCC.
Fu forse un tempo dolce cosa amore.
Non perch' io sappia il quando ; or è si amara.
Che nulla più. Ben sa '1 ver chi 1' impara,
Com' ho fatt' io con mio grave dolore.
Quella, che fu del secol nostro onore.
Or è del ciel, che tutto orna e rischiara.
Fé' mia requie a' suoi giorni e breve, e rara.
Or m' ha d' ogni riposo tratto fore.
Ogni mio ben crudel morte m' ha tolto ;
Né gran prosperità il mio stato avverso
Può consolar di quel bel spirto sciolto.
Piansi, e cantai, non so più mutar verso;
Ma dì e notte il duol nell' alma accolto
Per la lingua e per gli occbj sfogo e verso.
Sonetto CCCI.
Spinse amor e dolor, ove ir non debbe,
La mia lingua avviata a lamentarsi,
A dir di lei, per eh' io cantai, ed arsl,^
Quel che, se fosse ver, torto sarebbe.
Ch' assai 'l mio stato rio quetar do^Tebbe
Quella beata, e "l cor racconsolarsi.
Vedendo tanto lei domesticarsi
Con colui , che vivendo in cor sempr' ebbe.
E ben m' acqueto, e me stesso consolo.
Né vorrei rivederla in questo inferno,
Anzi voglio morire e viver solo.
Che pili bella che mai con 1' occhio interno
Con gli angeli la veggio alzata a volo,
A' pie del suo e mio signore eterno.
Sonetto CCCIL
Gli angeli eletti, e 1' anime beate
Cittadine del cielo, il primo giorno,
Che madonna passò, le fùr intorno
Piene di meraviglia e di pietate.
Clie luce é questa, e qual nova beliate?
Dicean tra lor, perch' abito sì adorno^
Dal mondo errante a quesf alto soggiorno
Non sali mai in tutta qnc.-ta etatc.
Ella, contenta aver cangiato albergo.
Si paragona pur coi più perfetti,
E parte ad or ad or ^i volge a tergo,
Mirando, s' io la segno , e par eh' aspetti.
Ond' io voglie e pensier tutti al ciel ergo.
Perdi' io l' odo pregar pur, eh' i' m" affretti.
Sonetto CCCIIL
Donna, che lieta col principio nostro
Ti >U\ì , come tua vita alma richiede,
Assisa in alla e gloriosa sede,
E d' altro ornala, che di perle, o d' ostro,
8 +
[119]
RIME DEL PETRARCA
[120]
Oh delle dunne altero e raro mostro,
Or nel Tolto di lui, che tutto vede,
Vedi '1 lulo amore, e quella pura fede.
Per eh' io tante versai lagrime, e 'nchiostro;
E senti , che ver te il mìo core in terra
Tal l'u , qual ora è in cielo, e mai non voi»!
Altro da te, che '1 sol degli occlij tuoi.
Dunque per ammendar la lunga guerra.
Per cui dal mondo a te sola mi volsi.
Prega, eh' i' venga tosto a star con voi!
Sonetto CCCIV.
Da' più begli occhj , e dal più chiaro viso.
Cile mai splendesse , e da' più bei capelli.
Che facean 1' oro e '1 sol jiarer men belli,
Dal più dolce parlar, e dolce riso.
Dalle man , dalle braccia , che conquiso.
Senza moversi, avrian quai più rebelli
Fùr d' Amor mai , da' più bei piedi snelli,
Dalla persona fatta in paradiso,
Prendean vita i miei spirti. Or n' ha diletto
Il re celeste , e ì suo' alati corrieri.
Ed io son qui rimaso ignudo, e cieco.
Sol un conforto alle mie pene aspetto:
Ch' ella , che vede tutti i miei pensieri,
M' impetre grazia, eh' i' possa esser seco.
Sonetto CCCV\
E' mi par d' ora in ora udire il messo.
Che madonna mi mando a sé chiamando;
Così dentro e di fuor mi vo cangiando,
E sono in non molt' anni si dimesso,
Ch' appena riconosco omai me stesso I
Tutto '1 viver usato ho messo in bando;
Sarei contento di sapere il quando,
Ma pur dovreI)be il tempo esser da presso.
Oh felice quel di, che, del terreno
Carcere uscendo , lasci rotta e sparta
Questa mia grave, e frale, e mortai gonna,
E da si folte tenebre mi parta,
Volando tanto su nel bel sereno,
Ch' i' vcggia il mio signore, e la mia donna!
Sonetto CCCVI.
L' aura mia sacra al mio stanco riposo
Spila si spesso , eh' i' prendo ardimento
Di dirle il mal , eh' i' ho sentito e sento ;
Cbè, vivend' ella, non sarei stato oso.
Io 'ncomincio da quel guardo amoroso,
Cile fu principio a si lungo tormento.
Poi seguo, come misero e contento.
Di dì in dì, d' ora in ora amor m' ha roso.
Ella si tace, e di pietà dipinta
Fiso mira pur me, parte sospira»
E di lagrime oneste il viso adorna.
Onde 1' anima mia dal dolor vinta,
Mentre piangendo allor seco s' adira,
Scioila dal sonno a sé stessa ritorna.
Sonetto CCCVII.
Ogni giorno mi par più di mill' anni,
Ch' i' segua la mia fida e cara duce.
Che mi cctndusse al mondo, or mi conduce
Per miglior via a vita senza affanni,
E non mi posson ritener gì' inganni
Del mondo, clT il (-(inosco, e tanta luce
Dentr' al mio core infin dal ciel traluce,
Ch' incomincio a contare il tempo, e i danni.
Kè minacce temer del)!);i di morte,
Che '1 re Bollerbc con piii grave |)ena.
Per farme a seguitar costJinte e forte;
Ed or novellamente in ogni vena
latrò di lei , che m' era data in sorte,
E non turbò la sua fronte serena.
Sonetto CCCVIII.
Non può far morte il dolce viso amaro,
Ma 'l dolce viso dolce può far morte.
Cile bisogna a morir ben altre scorte?
Quella mi scorge , ond' ogni bene imparo.
E quei, che del suo sangue non fu avaro,
Che col pie ruppe le tartaree porte.
Col suo morir par, che mi ricoaforte ; ""
Dunque vien', morte ! il tuo venir m' è caro.
E non tardar ! eh' egli è ben tempo omai :
E se non fosse, e' fu 'l tempo in quel punto,
Che madonna passò di questa vita,
D' allor innanzi un di non vissi mai :
Seco fu' in via , e seco al fin son giunto,
E mia giornata ho co' suoi piò fornita.
Canzone XXVII.
Quando il soave mio fido conforto.
Per dar riposo alla mia vita stanca,
Ponsi del letto in sulla sponda manca
Con quel suo dolce ragionare accorto,
Tutto di pietà e di paura smorto
Dico: onde vien' tu ora, oh felice alma?
Un ramoscel di palma.
Ed un di lauro trae del suo bel seno
E dice: dal sereno
del empireo, e di quelle sante parti
Mi mossi , e vengo sol per consolarti.
In atto ed in parole io la ringrazio
Umi!emente, e poi dimando: or donde
Sai tu 'l mio stato? Ed ella: le trisi' onde
Del pianto, di che mai tu non se' sazio.
Con r aura de' sospir, per tanto spazio
Passano al cielo, e turban la mia pace;
Sì forte ti dispiace.
Che di questa miseria sia partita,
E giunta a miglior vita.
Che piacer ti dovria, se tu m' amasti,
Quanto in sembianti, e nel tuo dir mostrasti.
Rispondo : io non piango altro , che me stesso.
Che son rimaso in tenelire, e 'n martire,
Certo sempre del tuo al ciel salire,
Come di cosa, eh' uom vede da presso.
Come Dio e natura avrcbben messo
In un cor giovenil tanta virtute.
Se r eterna salute
Non fosse destinata al suo ben fare?
Oh dell' anime rare,
Ch' altamente vi>esti qui fra noi,
E che subito al ciel^volabti poi !
Ma io che debbo altro , che pianger sempre
Misero e sol? che senza te son nulla?
Ch' or foss' io spento al latte ed alla culla.
Per non provar dell' amorose tempre!
Ed ella: a che pur piangi, e ti distempre?
Quant' era meglio alzar da terra 1' ali,
E le cose mortali,
E q<ieste dolci tue fallaci ciance
Librar con giusta lanche,
E seguir me, s' è Acr, che tanto m' ami.
Cogliendo omai qualcun di questi rami!
Io volca dimandar, rispond' io allora.
Che voglion importar quelle due frondi?
121]
RIME DEI PETRARCA.
[122]
Ed ella: tu medesmo ti rispondi,
ru, la cui penna tanto l' una onora!
Palma ò vittoria; ed io giovane ancora
Vinsi '1 mondo, e me stessa: il lauro segna
Trionfo, ond' io son deg^na,
Mercè di quel signor, che mi die' forza.
Or tu , s' altri ti sforza,
A lui ti volgi , a lui chiedi soccorso.
Si che siani seco al fine del tuo corso !
on questi i capei biondi, e 1' aureo nodo.
Dico io, eh' ancor mi stringe, e quei begli occbj?
Che fiir mio sol? IXon errar con gli sciocchi,
INè parlar, dice, o creder a lor modo!
Spirito ignudo sono, e 'n ciel mi godo.
Quel , che tu cerchi , è terra già molt' anni ;
Ma per trarli d' afTanui,
.M' è dato a parer tale; ed ancor quella
Sarò più che mai bella,
A te più cara sì selvaggia e pia,
Salvando insieme turi salute, e mia,
' lùango ; ed ella il volto
("on le sue man m' asciuga, e poi sospira
Dolcemente, e s' adira
Con parole, che i sassi romper ponno.
Li dopo questo si parte ella, e '1 sonno.
Canzone XXVIII.
^iitil' antiquo mio dolce, empio signore,
l'atto citar dinan/.i alla reina,
Che la parto divina
Ticn di nostra natura e 'n cima sede,
Ivi, cora' oro, che nel foco affina,
Mi ra])pre»ento carco di dolore,
Di paura , e d' orrore.
Quasi uom , che teme morte , e ragion chiede :
E ncomincio: madonna, il manco piede
Giovinetto pos' io nel costui regno:
Ond' altro , di' ira e sdegno
Non ebbi mai, e tanti e si diversi
Tormenti ivi solFer.-i,
di' alfine vinta fu qiicU' infinita
Mia pazienza, e 'n odio ebbi la vita.
CiKsì '1 mio tempo infin qui trapassato
E in fiamma, e 'n pene; e quante utili oneste
Vie sprezzai , quante feste,
Per ser\ ir questo lusinghicr crudele !
E qual ingegno ha sì parole preste.
Clic stringer possa '1 mio infelice stato,
E le mie d' csto ingrato
Tante e sì gravi, e si giuste querele?
Oh poco mei, molto aloè con fele!
In quanto amaro ha la mia vita avvezza
Con sua falsa dolcezza.
La qual lìf attrasse all' amorosa^ schiera !
Che, s' ì' non m' inganno, era
Disposto a sollevarmi alto da lena:
E' mi tolse di pace, e pose in guerra.
Questi m' ha fatto men amare Dio,
eh' i' non do^ea, e men curar me stesso;
l'er una donna ho messo
Egualniont»! in non cale, ogni jionsicro :
Di «•io m' è sialo «:on>iglier sol esso,
Scmpr' aguzzando il giovenil desio
All' <inpia cote, ond' io
Sperai riposo ni suo giogo a^prn o fero.
Misero , a che quel chiaro ingegno altero.
E 1' altre doli a me date dal cielo ?
Che To cangiando '1 pelo,
Né cangiar posso 1' ostinala voglùì;
Così in tutto mi spoglia
Di libertà questo crudel, eh' i' accuso,
Ch' amaro AÌ\er m' lia volto in dolce uso.
Cercar m' ha fatto deserti paesi.
Fiere, e ladri rapaci, ispidi dumi.
Dure genti e costumi.
Ed ogni error , che i pellegrini intrica.
Monti , valli , paludi , e mari , e fiumi,
31ille lacciuoli in ogni parte tesi,
E '1 verno in strani mesi
Con pericol presente, e con fatica.
Né costui, nò queir altra mia nemica,
Ch' i' fuggia , mi lasciavan sol un punto.
Onde, s' i' non son giiuito
Anzi tempo da morte acerba e dura,
Pietà celeste ha cura
Di mia salute, non questo tiranno,
Che del mio duol si pasce, e de! mio danno.
Poi che suo fui , non ebbi ora tranquilla,
Né spero aver, e le mie notti il sonno
Sbandirò , e più non ponno
Per erbe , o per incanti , a sé ritrarlo.
Per inganni e per forza è fatto donno
Sovra miei spirti, e non sonò poi squilla,
Ov' io sìa in qualche villa,
Ch' i' non 1' udissi, ci sa che '1 vero parlo:
Che legno vecchio inai non rose tarlo,
Come questi '1 mio core , in che s' anuida,
E di morte lo sfida.
Quinci nascon le lagrime, e ì martiri.
Le parole e i sospiri,
Di eh' io mi vo stancando , e forse altrui.
Giudica tu, che me conosci, e lui!
il mio avversario con agre rampogne
Comincia : oh donna , intendi 1' altra parte,
Cile '1 vero , onde si parte
Quest' ingrato, dirà senza difetto.
Questi in sua prima età fu dato all' arte
Da vender parolette, anzi menzogne;
Né par, che si vergogne,
Tolto da quella noja al mio diletto.
Lamentarsi di me, che puro e netto
Contra "1 desio, che spes>o il suo mal vele.
Lui tenni , ond' or si dolo,
In dolce vita, eh" ei miseria chiama;
Salito in qualche fama
Solo per me, che '1 suo intelletto alzai,
Ov' alzato per sé non fora mai.
Ei sa, che '1 grande Atride, e V alto Achille,
Ed Aunib.il al terrea xoMo amaro,
E di tutli il più chiaro.
Un altro, e di >irlute, e di fortuna,
Com' a ciascun le sue stelle ordinaro,
Lasci. li cadere in vii amor d' ancille;
Ed a cosini di mille
Donne elette ecci-lienli n' elessi una,
(,)iial non sì >e(lrà mai sotto l<i luna,
lienchè liUire/ìa ritoiiias:>c U Koma.
I'] sì dolce idioma
Le diiili, ed un cantar tanto soave,
CIk- pensier basso , e grave
Non piitt'- mai durar dinanzi a io'.
Qiusti h' con costui gì' inganni miei.
[123]
RIME DEL PETRARCA.
fl24
Qaesto fu il fel, questi gli sdegni, e 1' ire
Più dolci assai , che di nuli' altra il tutto.
Di buou seme mal frutto
Mieto, e tal merito ha chi 'ngrato eerre.
Sì r avea sotto 1' ali mie condutto,
Ch' a donne e cavalier piacea '1 suo dire,
E si alto salire
Il feci, che tra' caldi ingegni ferve
Il suo nome , e de' suoi detti conserve
Si fanno con diletto in alcun loco,
Ch' or saria forse un roco
Mormorador di corti, un uora del vulgo.
I' r esalto e divulgo
Per quel eh' egli imparò nella mia scola,
E da colei , che fu nel mondo sola.
E , per dir all' estremo il gran servigio.
Da mill' atti inonesti V ho ritratto.
Che mai per alcun patto
A lui piacer non potco cosa vile,
Giovane schivo , e vergognoso in atto,
Ed in pensier , poi che fatt' era uom ligio
Di lei , eh' alto vestigio
L' impresse al core, e fecel suo simile.
Quanto ha del pellegrino , e del gentile.
Da lei tiene, e da me, di cui si bi.uma.
Mai notturno fantasma
D' error non fu si pien , com' ei ver noi,
Ch' è in grazia , da poi
Che ne conobbe , a Dio ed alla gente ;
Di ciò il superbo si lamenta e pente.
Ancor (e questo è quel , che tutto avanza)
Da volar sopra Ù ciel gli avea dat' ali
Per le cose mortali.
Che son scala al fattor , chi ben 1' estima :
Che mirando ei ben fiso , quante e quali
Eran virtuti in quella sua speranza,
D' una in altra sembianza
Potea levarsi all' alta cagion prima:
Ed ei r ha detto alcima volta in rima.
Or m' ha posto in obblio con quella donna,
Ch' i' gli die' per colonna
De la sua frale vita. A questo un strido
Lagrimoso alzo, e grido:
Ben me la die', ma tosto la ritolse.
Risponde: io no, ma chi per se la volse.
Alfìn arabo conversi al giusto seggio,
Io con tremanti, ei con voci alte, e crude,
Ciascun per se conchiude:
Nobile donna , tua sentenza attendo.
Ella alior sorridendo :
Piaceini aver vostre questioni udite;
Ma più tempo bisogna a tanta lite.
Sonetto CCCIX.
Dicemi spesso il mio fidato speglio,
Ij' animo stanco, e la cangiata scorza,
E la scemata mia destrezza e forza:
Non ti nasconder più ! tu se' pur veglio.
Obbedir a niitiira in tutto è il meglio,
Clr a conteiul('r «-on lei il tempo ne sforza.
Subito allor, com' acqua il foco ammorza,
D' un lungo «• grave honno ini risveglio,
E veggio ben, che '1 imstro vìver vola,
E eh' esser non »i può più d' una volta.
E 'n mezzo 'l cor mi nona una parola
Di lei , eh' è or dai tiuo bel nudo sciolta.
Ma ne' suoi giorni al mondo fu sì sola,
Ch' a tutte, s' i' non erro, fama ha tolta.
SOKKTTO CCCX.
Volo con 1' ali de' pensieri al cielo
Sì spesse volte , che quasi un di loro
Esser mi par, eh' hann' ivi il suo tesoro,
Lasciando in terra lo squarciato velo.
Talor mi trema '1 cor d' un dolce gelo.
Udendo lei, per eh' io mi discoloro,
Dirmi: amico, or t' am' io, ed or t' onoro.
Perdi' hai costumi variati, e '1 pelo.
Menami al suo signore; allor m' inchino
Pregando umilementc , che consenta,
Ch' i' sti' a veder e 1' uno e 1' altro volto.
Risponde: egli è ben fermo il tuo destino;
E, per tardar ancor vent' anni, o trenta,
Parrà a te troppo , e non fia però multo.
Soletto CCCXI.
Morte ha spento quel sol, eh' abbagliar suohni,
E 'n tenebre son gli occlij interi e saldi :
Terra è quella, ond' io ebbi e freddi, e caldi,
Spenti son i miei lami or querce, ed olmi;
Di eh' io veggio '1 mio ben, e parte duolmi.
Non è chi faccia e paventosi, e baldi
I miei pensier, né chi gli agghiacci, e scaldi,
Né chi gli empia di speme, e di duol coIiuL
Fuor di man di colui, che punge e molce,
Che già fece di me >ì lungo strazio.
Mi trovo in liberiate amara e dolce.
Ed al Signor, eh' i' adoro, e eh' i' ringrazio.
Che pur col ciglio il ciel governa e folce,
Torno stanco di viver , non che sazio.
S o \ E T T o CCCXII.
Tennemi Amor anni ventuno ardendo
Lieto nel foco, e nel duol pien di speme;
Poi che madonna e '1 mìo cor seco insieme
Salirò al ciel, dieci altri anni piangendo.
Omai son stanco, e mia vita riprendo
Di tanto error, che di virtute il seme
Ha quasi spento , e le mie parti estreme.
Alto Dio , a te devotamente rendo.
Pentito, e tristo de' miei sì spesi anni,
Che spender si doveano in miglior uso.
In cercar pace, ed in fuggire all'anni.
Signor , che 'n questo career ra' hai rinchiuso,
Trammene salvo dagli eterni danni !
Ch' i' conosco '1 mio fallo, e non lo scuso.
Sonetto CCCXIIL
V vo piangendo i miei passati tempi,
1 quai posi in amar cosa mortale,
Senza levarmi a volo, avend' io 1' ale.
Per dar forse di me non bassi esempi.
Tu, che vedi i miei mali indegni ed empi,
Re del cielo invisibile, immortale,
Soccorri alT alma disviata e frale,
E '1 suo difetto di tua grazia adempì!
Sì che, s' io vissi in guerra, ed in tempesta.
Mora in pace, ed in porto e, se la stanza
Fu vana, almen sia la partita onesta.
.1 quel poco di viver, che m' avanza,
Ed al morir degìii esser tua man presta!
Tu sai ben , che 'n altrui non ho speranza.
S 0 !\ K T T o CCCXIV.
Dolci durezze, e placide repulse.
Piene di casto amore, e di pietate.
125]
RIME DEL PETRARCA.
[126]
Leggiadri sdegni, che le mie infìaniniate
Voglie temprai-o (or me n' accorgo), e 'nsuUe,
entìl parlar, in cui chiaro refnl?e
Con somma cortesia somma onestate.
Fior di virtù, fontana di heltatc,
Ch' ogni hasso pensier del cor nr avulse,
ivino sguardo da far 1' uom felice,
; Or fiero in afiVenar la mente ardita
A quel , che giustamente sì disdice,
r presto a confostar mia frale vita —
Questo hel variar fu la radice
Di mia salute , eh' altramente era ita.
Sonetto CCCXV.
plrto felice, che si <loIcemente
Vtdgei quegli »)cclij più chiari che '1 sole,
E formavi i sospiti , e le parole
Vìve , eh' ancor mi suonan nella mente,
ria ti vid' io d' onesto foco ardente
Mo^er i pie fra 1' erbe, e le vi((le,
Non come donna, ma com' angel sole,
Di quella, eh' or m' è più che mai presente;
,ii qr.al tu poi, tornando ni tuo fattore,
Lasciasti in terra, e quel soave velo,
(he per alto destin ti venne in sorte.
.(■1 tuo partir parti del mondo amore
E cortesia , e '1 sol cadde del cielo,
E dolce incominciò farsi la morte.
Sonetto CCCXVL
)eh porgi roano all' affannato ingegno,
Amor, ed allo stile stanco e frale,
Per dir di quella , eh' è fatta immortale,
E cittadina del celeste regno !
)ammi , signor , che '1 mio dir giunga al segno
Delle sue lode , ove per sé non sale.
Se virtù , se beltà non ebbe eguale
11 mondo, che d' aver lei non fu degno.
.Risponde : quanto '1 ciel ed io possiamo,
ì E i buon consigli, e il conversar onesto.
Tutto fu in lei , di che noi morte ha privi.
Forma par non fu mai dal dì , eh' Adamo
Aperse gli occhj in prima, e basti or questo!
Piangendo il dico, e tu piangendo scrivi!
Sonetto CCCXVIL
V ago augelletto , che cantando vai,
Ovver piangendo il tuo tempo passato,
\ edendoti la notte . e '1 verno a Iato,
1^ 1 dì dopo le spalle , e i mesi gai,
Se, come i tuoi gravosi all'anni sai,
Cosi sapessi il mio simile stato,
Verresti in grembo a questo sconsolato,
A partir seco i dolorosi guai.
I' non so, se le parti sarian pari.
Che qiuìlla, cui tu piangi, è forse in vita;
Di eh' a me morte e 'I elei son tanto avari:
Ma la stagione e 1' ora tnci gradita,
('ol membrar de' dolrì anni, e degli amari,
A parlar tcco con pietà in' invita.
Canzone XXIX.
Vergine bella, che, di sol vestita,
C'Oronata di stelle, al komiiu» solo
l'iacesti si , che 'n te sua liiiu; ascose,
Amor mi s|>ing<; n dir di te parole.
Ma non so 'ncominc.iar sen/.a tu' aita,
E «li colui, eh' amando in te si pose.
Invoco lei, che ben sempre rispose,
Chi la chiamò con fede.
^ ergine , s' a mercede
Miseria estrema dell' umane cose
Giammai ti volse, al mio prego t' inchina!
Soccorri alla mia guerra,
Bench' i' sia terra, e tu del ciel regina.
\ ergine saggia , e del bel numero una
Delle beate vergini prudenti,
Anzi la prima, e con più chiara lampa!
Oh saldo scudo dell' afflitte genti
Centra colpi di morte, e di fortuna.
Sotto 'l qual si trionfa, non pur scampa!
Oh refrigerio al cieco ardor , eh' avvampa
Qui fra mortali sciocchi !
tergine, que' begli occhj,
Clie vider tristi la spietata stampa
Ne' dolci membri del tuo caro figlio.
Volgi al mio dubbio stato.
Che sconsigliato a te vien per consìglio !
Vergine pura, d' ogni parte intera.
Del tuo parto gentil figliuola e madre,
Ch' allumi questa vita , e l' altra adorni.
Per te il tuo figlio, e quel del sommo padre.
Oh finestra del ciel lucente, altera.
Venne a salvarne in su gli estremi giorni:
K fra tutt' i terreni altri soggiorni
Sola tu fosti eletta,
tergine benedetta.
Che '1 pianto d' Eva in allegrezza torni.
Fammi , cbè puoi , della sua grazia degno,
Senza fine oh beata.
Già coronata nel superno regno !
\ <rgìne santa , d' ogni grazia piena.
Che per vera ed altissima imiiltate
Salisti al ciel , onde miei preghi ascolti,
Tu partoristi il fonte di pietate,
E di giustizia il sol, che rasserena
Il secol pien d' errori oscuri, e folti.
Tre dolci e cari nomi hai 'n te raccolti:
M.idre, figliuola, e sposa;
A ergine gloriosa,
Donna del re , che nostri lacci ha sciolti,
E fatto '1 mondo libero e felice,
INelle cui sante piaghe
Prego, eh' appaghe il cor, vera beatrice.
Vergine sola al mondo senza esempio,
('he '1 ciel di tue bellezze innamorasti.
Cui né prima fu simìl , né seconda!
Santi pensieri, atti pietosi e casti
Al vero Dio >a(°rato e >ìvo tempio
Fecero in tua virginità fe<-onda.
Per le può la mia vita esser gioconda,
S' a' tuo' preghi, oh .Maria,
Vergine dolce e pia,
Ove l fallo abbondò, la grazia abbonda.
Con le ginoccbia dilla mente inchine
Prego, che >ia mia scorta,
IO la mia torta via drizzi a buon fine.
^'ergine chiara, «; stabile in eterno,
Di questo t<-uip(>toso mare stella,
D" ogni fedcl norrhicr fidala guida,
Pon' mente, in che lerriliile procella
r mi ritroso i,ol senza governo.
Ed ho già da ^ icin 1' ultime slrida !
[121]
RIME DEL PETRARCA.
[I2a]
3Ia pnr in te 1' anima mia si fida
l^eccatrice . ì' noi nejjo,
Vergine, ma ti prego,
Che '1 tuo nemico del mio mal non rida.
Hicorditi, che fece il peccar nostro
Prender Dio . per scamparne,
l'mana carne al tuo virginal chiostro.
Vergine, quante lagrime ho già sparte.
Quante lusinghe, qaanti preghi indarno,
Pur per miapena , e per mio grave danno!
Da poi eh' i' nacqui in sulla riva A' Arno,
Cercando or questa, ed or queir altra parte,
fson è stata mia vita altro , eh' all'anno.
Mortai bellezza, atti, e parole ra' hanno
Tutta ingombrata 1' alma.
Vergine sacra ed alma,
Non tiirdar , eh' i' son forse all' nltim' anno.
1 di miei più correnti, che saetta,
Fra miserie e peccati
Son seu' andati, e sol morte n' aspetta.
Vergine, tale è terra, e posto ha in doglia
Lo mio cor , che, vivendo , in pianto il tenne,
E di mille miei mali un non sapea,
E per saperlo, pur quel, che n' avvenne.
Fora avvenuto, eh' ogni altra sua voglia
Era a me morte, ed a lei fama rea.
Or tu, donna del ciel, tu nostra Dea,
Se dir lice e conviensi,
Vergine d' alti sensi.
Tu vedi il tutto, e quel, che non potea
Far altri, è nulla alla tua gran virtute,
Por fine al mio dolore,
Ch' a te onore, ed a me fia salute.
Vergine, in cui ho tutta mia speranza.
Che possi e vogii al gran bisogno aitartue,
JNon mi lanciare in su 1' estrema passo !
Non guardar me , ma chi degnò crcarnie,
No '1 mio valor, ma 1' alta sua semltianza,
Ch' è iu me, ti mova a curar d' u«<m sì basso!
Medusa , e 1' error mìo m' han fatto un sasso
D' umor vano stillante;
Vergine , tu di sante
Lagrime e pie adempì '1 mio cor lasso!
Cii' almen 1' ultim>> pianto sia divoto,
Senza terrestro limo,
Come fu 1 primo non d' insania voto.
V'ergine umana , e nemica d' orgogli<t.
Del comune principio amor t' indura !
Misercre d' un cor contrito umile !
Che, se poca mortai terra caduca
Amar con sì mirabil fede soglio.
Che dovrò far di te , cosa gentile ?
Se dal mio stato assai misero e vile
Per le tue man resurgo.
Vergine, i' sacro, e purgo
Al tuo nome e pensieri, e 'ngegno, e stile,
La lingua, e '1 cor, le lagrime, e i sospiri.
Scorgimi al miglior guado,
E prendi in grado i cangiati desiri !
Il dì s' appressa, e non potè esser lunge;
Sì corre il tempo e vola,
Vergine unica e sola,
E '1 core or conscienza, or morte punge.
Raccomandami al tuo figliuol, verace
l'omo, e verace Dio,
Ch' accolga 'I mio spirto ultimo in pace!
PARTE TERZA
DELLE
R IME.
TRI O N F I.
TRIONFO D' AMORE.
Capitoio Primo.
Nel tempo , che rinnova i mìei sospiri,
Per la dolce memoria di quel giorno,
Che fu principio a si lunghi martiri.
Scaldava il sol già 1' uno e 1' altro corno
5 Del Tauro, e la fanciulla di Titone
Correa gelata al suo antico soggiorno.
Amor , gli sdegni , e '1 pianto , e la stagione
Ricondotto m' aveano al chiuso loco,
Ov' ogni fascio il cor lasso ripone.
10 Ivi fra r crhe, già del pianger fioco,
Vinto dal sonno, vidi una gran luce,
E dentro assai dolor con hreve gioco.
Vidi un vittorioso e sommo duce,
Pur com' im di color, clic 'n Campidoglio
15 Trionfai carro a gran gh)ria conduce.
Io , che gioir di tal vista non soglio,
Per lo secol nojoso , in eh' io ini trovo,
Vóto d' ogni valor, pien d' ogni orgoglio,
L' abito altero, inusitato, e novo
20 Mirai, alzando gli occhj gravi e stanchi ;
Ch' altro diletto, che 'raparar, non provo.
Quattro destrier via più che neve bianchi,
Sopr' un carro di foco un garzon crudo,
Con arco in mano, e con saette a' fianchi,
25 Contra le quai non vai elmo, né scudo,
Sopra gli omeri avea sol due grand' ali
Di color mille, e tutto 1' altro ignudo;
D' intorno innumcrahili mortali,
Parte presi in battaglia, e parte uccisi,
SO Parte feriti da' pungenti strali.
Vago d' udir novelle, oltra mi misi
Tanto, eh' io fui nell' esser di quegli uno,
Ch' anzi tempo ha di vita Amor divi^L
Allor mi strinsi a rimirar, s' alcuno
S5 Ilironnsccsisi nella folta schiera
Del re sempre di lagrime digiuno.
Nessun vi riconobbi; e, s' alcun v' era
Di mia notizia, avea cangiato vista
Per morte , «i per prigion crudele e fera.
40 Ln' om))ra alquanto men che 1' altre trista
Mi si fc' incontro e mi chiamò per nome.
Dicendo : qntvsto per amar s' acquista.
Ond' io iiieravigliiind» dissi: or come
Conosci me, eh' io t«! non riconosca?
45 V.A ci: qlIe^to m' av^icn per 1' aspre some
De' legami, eh' io porto, o 1' aria fovea
Contende agli occhj tuoi : ma vero amico
Ti sono, e teco nacqui in terra tosca.
Le sue parole e '1 ragionar iintlco
50 Scoperson quel, che '1 viso mi celava,
E cosi n' ascendemmo in luogo aprico.
E cominciò: gran tempo è, eh' io pensava
Vederti qui fra noi, che da' prim' anni
Tal presagio di te tua vista dava.
55 E' fu ben ver: ma gli amorosi affanni
Mi spaventar sì, eh' io lasciai 1' impresa;
Ma squarciati ne porto il petto e i panni.
Così diss' io , ed ei , quand' ebbe intosa
La mia risposta, sorridendo disse:
00 Oh, figliuol mio, qual per te fiamma è accesa !
Io non r intesi allor, ma or sì fisse
Sue parole mi trovo nella testa.
Che mai più saldo in marmo non si scrisse.
E per la nova età, eh' ardita e presta
()5 Fa la mente e la lingua , il dimandai :
Dimmi, per cortesia, che gente è questa?
Di qui a poco tempo tu 'I saprai
Per te stesso , rispose , e sarai d' elli ;
Tal per te nodo fassi, e tu noi sai.
TO E prima cangerai volto e capelli.
Che '1 nodo, di eh' io parlo, si discioglia
Dal collo, e da' tuo' piedi ancor ribelli.
Ma, per empir la tua giovenil voglia.
Dirò di noi, e prima del magi^iore,
75 Che così vita e lihert^'i ne sj)oglia.
Qucst' è colui , che '1 mondo chiama Amore,
Amaro , come vedi , e vedrai mcglic»,
Quando fia tuo, come nostro signore.
Mansueto fanciullo, e fiero veglio,
80 Ben sa chi '1 prova ; e fiati cosa piana
Anzi miir anni e 'niìn ad or ti sveglio.
Ei nacque d' ozio, e di lasci\ia umana,
IVudiito di pensier dolci e soavi,
Fatto signor e Dio da gente vana.
85 Qual è morto da lui, qual con più gravi
Leggi mena sua vita aspra ci! acerba
Sotto mille catene, e mille chiavi.
Quel, che 'n xi signorile e ci superba
\ ista vien prima, è ('esar, che 'n Egitto
yO Cleopatra legò tra i fiori e 1' erba.
Or di lui si trionfa, od è ben dritto,
Se vinse il mondo, ed altri ha vinto lai,
Cile del siiti viiiritor si glorie il vitto.
L' altro e 1 liuo figlio [e pur umò costui
9
[131]
TRIONFO D' AMORE. L (95-lGO) li. (1-C6)
[1321
95 Più giastamente) egli è Cesare Augusto,
Che Livia sua pregando tolse altrui.
Nerone è '1 terzo , dispietato e 'ngiusto.
Vedilo andar pien d' ira, e di disdegno;
Femmina '1 vinse, e par tanto robusCO.
1W> Vedi '1 buon Marco d' ogni laude degno,
Pien di filosofia la lingua e l petto;
Pur Faustina il fa qui star a segno.
Que' duo pien di paura e di sospetto,
L' un è Dionisio , e 1' altro è Alessandro :
105 Ma quel del suo temer ha degno effetto.
L' altro è colui, che pianse sotto Antandro
La morte di Creusa , e 'I suo amor tolse
A quel , che '1 suo fìgliuol tolse ad Evandro.
Udito hai ragionar d' un, che non volse
110 Consentir al furor della matrigna,
E da' suoi preghi per fuggir si sciolse,
Ma quella intcnzion casta e benigna
L' uccise ; sì 1' amor in odio torse
Fedra amante, terribile, e maligna!
115 Ed ella ne morio, vendetta forse
D' Ippolito , di Teseo , e d' Adrianna,
Ch' amando , come vedi , a morte corse.
Tal biasma altrui, che sé stesso condanna.
Che chi prende diletto di far frode,
120 Non si de' lamentar , s' altri 1' inganna.
Vedi '1 famoso con tante sue lode
Preso menar fra due sorelle morte,
L' una di lui , ed ei dell' altra gode.
Colui, eh' è seco, è quel possente e forte
125 Ercole , che Amor prese , e 1' altro è Achille,
Ch' ebbe in suo amor assai dogliosa sorte.
Queir altro è Demofonte, e quella è Fille;
Queir è Giason , e quell' altra è Medea,
Ch' Amor e lui segui per tante ville:
130 E quanto al padre, ed al f ratei fu rea,
'Tanto al suo amante più turbata e fella,
Che del suo amor più degna esser credea.
Isifìle vien poi , e duolsi anch' ella
Del barbarico amor . che '1 suo le ha tolto.
135 Poi vien colei, eh' ha '1 titol d' esser bella.
Seco ha 'l pastor, che mal il suo bel volto
Mirò sì fiso, ond' uscir gran tempeste,
£ funne il mondo sottosopra volto.
Odi poi lamentar fra 1' altre meste
HO Enone di Paris , e Menelao
D' Elena, ed Ermiòn chiamare Oreste,
E Laodamia il suo Frotesihio,
Ed Argia Polinice, assai più fida,
Che r avara moglier d' Anfiarao
145 Odi i pianti, e i sospiri, odi le strida
Delle misere accese, che gli spirti
Renderò a lui , che n tal modo or le guida.
Non poria mai di tutti il nome dirti:
Che non uomini pur, ma Dei gran parte
150 Kuipion del bosco degli ombrosi mirti.
Velli \ en» re bella , e con lei Marte
Cinto di ferro i piò, le braccia, e '1 collo,
K Fiutone, e Froscrpina in disparte.
Vedi (ìiiuion golosa , e '1 biondo Apollo,
155 Clic solca diNprezzar l' etate , e l' arco,
Che gli diede in Tessaglia poi tal crollo.
Che debb' io dir? in un passo mcn tari:o:
Tutti son qui prigion gli Dei di Varrò;
E di lacciuoli iniiiiniiraliil carco
160 Vien catcnato Giove innanzi al carro.
Capitolo Secondo.
15
20
Stanco già di mirar, non sazio ancora.
Or quinci or quindi mi volgca guardando
Cose , eh' a ricordarle è breve 1' ora.
Giva '1 cor di pensier in pensier, quando
5 Tutto a sé 'l trasser duo, eh' a miauo a mano
Passavan dolcemente ragionando.
Mossemi '1 lor leggiadro abito strano,
E 'l parlar percgrin , che ra' era oscuro :
Ma I' interprete mio me 'l fece piano.
10 Poi eh' io seppi, chi eran, più sicuro
M' accostai lor; che l' un spirito amico
Al nostro nome, 1' altro era empio e duro.
Fecimi al primo: oh Mussinissa antico.
Per lo tuo Scipione, e per costei,
Cominciai, non t' incresca quel eh' io dico!
Miromuii, e disse: volentier saprei,
Chi tu se' innanzi , da poi che sì bene
Hai spiato amboduo gli affetti miei.
L' esser mio, gli risposi, non sostiene
Tanto conoscitor; che così lunge
Di poca fiamma gran luce non viene.
Ma tua fama real per tutto aggiunge;
E tal , che mai non ti vedrà , né vide,
Col bel nodo d' amor teco congiunge.
25 Or dimmi, se colu' in pace vi guide,
(E mostrai '1 duca lor) cho coppia è questa,
Che mi par delle cose rare e fide?
La lingua tua al mio nome sì presta,
Prova , diss' ei , che '1 sappi per te stesso :
Ala dirò, per sfogar l' anima mesta.
Avendo in quel soram' uom tutto T cor messo
Tanto, eh' a Lelio ne do vanto appena.
Ovunque fùr sue insegne, fui lor presso.
A lui fortuna fu sempre serena :
Ma non già quanto degno era '1 valore,
Del qual più, eh' altro mai, 1' alma ebbe piena.
Poi che r arme romane a grand' onore
Per r estremo occidente furon sparse.
Ivi n' aggiunse , e ne congiunse Amore.
40 Né mai più dolce fiamma in duo cor arse,
Kè sarà, credo, oimé, ma poche notti
Fùr a tanti desir pur brevi , e scarse.
Indarno a maritai giogo condotti ;
Che del nostro furor scuse non false,
E i legittimi nodi furon rotti.
Quel, che sol più, che tutto '1 mondo, valse.
Ne dipartì con sue sante parole :
Che de' nostri sospir nulla gli calse.
E benché fosse, onde mi dolse e dole.
Pur vidi in lui chiara virtute accesa;
Che 'u tutto é orbo chi non vede il sole.
Gran giustizia agli amanti è grave offesa:
Però di tanto amico un tal consiglio
Fu quasi un scoglio all' anu)rosa impresa.
55 Padre m' era in onor, in amor figlio,
Fratel negli anni; ond' obbedir convenne,
Ma col cor tristo , e con turbato ciglio.
Cos questa mia cara a morte venne.
Che, vedendosi giunta in forza altrui.
Morir innanzi , che servir , sostenne.
Ed io del mio dolor ministro fui.
Che 'l pregator e i preghi fùr sì ardenti,
Ch' ollesi me , per non offender lui.
E mandailc 'l vcnen con sì dolenti
Pensier , coni' io so bene , ed ella il crede,
E tu , se tanto o quanto d' amor senti.
W
I
30
85
45
50
I
60
65
.33]
TRIONFO D AMORE. 11. (67-187) UI. (1 — 12)
[134]
Pianto fu il mio di tanta sposa erede ;
In lei ogni mio ben , ogni speranza
Perder elessi, per non perder fede.
0 Ma cerca ornai , se trovi in questa danza
Miral)il cosa, perchè 'I tempo è le^e,
E più dell' opra, che del jjiorno, avanza.
Pien di pietate er' io pensando il breve
Spazio al gran foco di duo tali amanti :
fS Parearai al sol aver il cor di neve,
Quand' udii dir su nel passar avanti :
Costui certo per sé già non mi spiace,
Ma ferma son d' odiarli tutti quanti.
Pon , dissi, '1 cor, oh Sofonisba, in pace!
^0 Che Cartagine tua per le man nostre
Tre volte cadde, eil alla terza giace.
Ed ella: altro vogl' io che tu mi mostre.
S' Africa pianse , Italia non ne rise :
Domandatene pur l' istorie vostre !
^5 Intanto il nostro e suo amico si mise
Sorridendo con lei nella gran calca,
E fùr da lor le mie luci divise.
Com' uom , che per terren dubbio cavalca.
Che va restando ad ogni passo, e guarda,
90 E "1 pensier dell' andar molto diffalca,
Cosi l' andata mia dubbiosa e tarda
Facean gli amanti, di che ancor ni' aggrada
Saper, quanto ciascun, e 'n qtial foco arda.
r vidi un da man manca fuor di strada,
05 A guisa di chi brami , e trovi cosa,
Onde poi vergognoso e lieto vada,
Donar altrui la sua diletta sposa :
Oh sommo amor, oh nova cortesia!
Tal, eh' ella stessa lieta e vergognosa
00 Parca del cambio, e givansì per via
Parlando insieme de' lor dolci affetti,
E sospirando il regno di Soria.
Trassimi a quei tre spirti, che ristretti
Erano per seguir altro cammino,
.05 E dissi al primo : 1' prego che m' aspetti.
Ed egli al suon del ragionar latino
Turbato in vista si ritenne un poco,
E poi , del mio voler quasi indovino.
Disse: io Seleuco son, e questi è Antioco,
Ilo 3Iio figlio, che gran guerra ebbe con voi:
Ma ragion contra forza non ha loco.
Questa mia prima, sua donna fu poi.
Che, per scamparlo d' amorosa morte,
Gli diedi; e '1 don fu licito fra noi.
L15 Stratonica è '1 suo nome, e nostra sorte,
Come vedi , è indivisa , e per tal segno
Si vede il nostro amor tenace e forte.
Fu contenta costei lasciarmi il regno.
Io '1 mio diletto , e questi la sua vita,
120 Per far vie più che sé , 1' un I' altro degno.
E se non fosse la discreta aita
Del fisico gentil , che ben s' accorse,
L' età sua 'n sul fiorir era fornita.
Tacendo, amando quasi a morte corse,
125 E r amar forza , e '1 tacer fu virtutc.
La mia, vera pietà, eh' a lui soccorse.
Così disse, e com' uom, che voler mute,
C'ol fin delle parole i passi volse,
('11' appena gli potei render salute.
130 Poiché dagli occlij miei I' ombra si tolse,
Uiiiiasi grave , e sospirando andai ;
('he '1 mio cor dal suo dir non si disciolse,
Infìn che ini fu detto : troppo stai
In un pensier alle cose diverse,
135 E '1 tempo eh' è brevissimo, ben sai.
Non menò tanti armati in Grecia Serse,
Quant' ivi erano amanti ignudi e presi,
'Tal che 1' occhio la vista non sofl'erse.
Yarj di lingue, e varj di paesi,
liO Tanto che di mille un non seppi '1 nomo,
E fanno istoria que' pochi, eh' io 'ntesi.
Perseo era 1' uno, e volli saper, come
Andromeda gli piacque in Etiopia,
Vergine bruna i begli occhj , e le chiome.
145 Ivi '1 vano araator , che , la sua propria
Bellezza desiando, fu distrutto.
Povero sol per troppo averne copia.
Che divenne un bel fior scnz' alcun frutto,
E quella che, lui amando, in viva voce
150 Fecesi '1 corpo un duro sasso asciutto.
Ivi queir altro al mal suo sì veloce
Ifi, eh' amando altrui, in odio s' ebbe.
Con più altri dannati a simil croce,
Gente, cui per amar viver increbbe,
155 Ove raffigurai alcun moderni,
Ch' a nominar perduta opra sarebbe.
Quei duo, che fece Amor compagni eterni.
Alcione e Ceice, in riva al mare
Fare i lor nidi a più soavi verni,
160 Lungo costor pensoso Esaco stare.
Cercando Esperia, or sopr' un sasso assiso,
Ed or sott' acqua , ed or alco volare,
£ vidi la crude! figlia di Mso
Fuggir volando , e correr Atalanta
165 Di tre palle d' or vinta , e d' un bel viso ;
E seco Ippomenés, che fra cotanta
Turba d' amanti e miseri cursori
Sol di vittoria si rallegra, e vanta.
Fra questi favolosi e vani amori
170 Vidi Aci, e Galatea, che 'n grembo gli era,
E Polifemo farne gran romori.
Glauco ondeggiar per entro quella schiera
Senza colei , cui sola par che pregi,
Nomando un' altra amante acerba e fera,
175 Carmente, e Pico, un già de' nostri regi.
Or vago augello , e chi di stato il mosse,
Lasciogli '1 nome, e '1 real manto, e i fregi.
Vidi 'I pianto d' Egeria, e 'n vece d' osse
Scilla indurarsi in petra aspra ed alpestra,
180 Che del niar siciliano infamia fosse.
E quella , che la penna da man destra,
Come dogliosa e disperata scriva,
E '1 ferro ignudo tien dalla sincstra.
Pigmalion con la sua donna viva.
185 E mille, che 'n Castalia, ed Aganippe
A idi cantar per 1' una e 1' altra riva,
E d' un pomo beflata al fin ('idippe.
Capitolo T k k z o.
Era si pieno il cor di meraviglie,
Cir io Sitava come 1' uom , che non può dire,
K tace, e guarda pur eh' altri il consiglic.
Quando 1' amico mio: «lie fai? che miiTr"
5 ('be pcnfi.- disM-; non sai tu ben, eh' io
Son della turba, e mi convien seguire.''
Frate, ri>po>i . e tu sai 1' esser mio,
E r amor di saper , che m' ha sì acceso,
('he r opra è ritardata dal desio.
10 Ed egli : i' t' avea già tacendo inteso.
Tu vuoi saper, chi son qiiest' altri ancora.
r tei dirò, se 'I dir non m' è conteso.
y *
[135]
TRIONFO D' AMORE. Uh (13—146)
Vedi quel grande, il quale ogni uomo onora:
Egli è Pompeo , ed ha Cornelia geco,
15 Cile del tìI Tolomeo si lagna, e plora.
L' altro più di lontan , queir è '1 gran Greco,
IVè vede Egisto, e l' empia Clitenneftra ;
Or puoi veder Amor, s' egli è ben cieco.
Altra fede, altro amor, vedi Ipcrmestra;
20 Vedi Piramo e Tisbe insieme all' ombra,
Leandro in mare, ed Ero alla finestra.
Quel si pensoso è Ulisse, affabil ombra,
Che la casta mogliera aspetta e prega ;
Ma Circe amando glicl ritiene e 'ngombra.
25 L' altr' è '1 figliuol d' Amilcar, e noi piega
In cotant' anni Italia tutta e Roma,
Vii femminella in Puglia il prende, e lega.
Quella, che '1 suo signor con breve chioma
Va seguitando, in Ponto fu reina:
30 Or in atto servii sé stessa doma.
L' altra è Porzia, che '1 ferro al foco affina,
Quel' altra è Giulia, e duolsi del marito,
Ch' alla seconda fiamma più s' inchina.
Volgi in qua gli occhj al gran padre schernito,
35 Che non si pente , e d' aver non gì' incresce
Sette e sett' anni per Racht'l servito.
Vivace amor, che negli afTanni cresce!
Vedi '1 padre di questo, e vedi l' avo,
Come di sua magion sol con Sarra esce.
40 Poi guarda, come amor crudele e pravo
Vinr.e David , e sforzalo a far 1' opra.
Onde poi pianga in luogo oscuro e cavo.
Simile nebbia par eh' oscuri e copra
Del più saggio figliuol la chiara fama,
45 E '1 parta in tutto dal signor di sopra.
Ve' I' altro, che 'n un punto ama e disama:
Vedi Tamar , eh' al suo frate Absalone
Disdegnosa e dolente si richiama.
Poco dinanzi a lei vedi Sansone,
50 Ma più forte, che saggio, che per ciance
In grembo alla nemica il capo pone.
Vedi qui ben, fra quante spade e lance
Amor, e '1 sonno, ed una vedovetta
Con bel parlar e sue pulite guance
&5 Vince Oloferne , e lei tornar soletta
Con un' ancilla, e con I' orribil teschio,
Dio ringraziando, a mezza notte, in fretta.
Vedi Sichen, e '1 suo sangue, eh' è meschiu
Della circoncision , e delia morte,
60 E '1 padre colto e '1 popolo ad un Teschio ;
Questo gli ha fatto il subito amar forte.
Vedi Assuero , e 'I suo amor in qiial modo
Va medicando, acciò che 'n pace il porte.
Dall' un si scioglie, e lega all' altro nodo:
65 Cotale ha questa malattia rimedio,
Come d' asse si trae chiodo con chiodo.
Vuoi veder in un cor diletto e tedio.
Dolce ed amaro.'' or mira il fero Erode!
Ch' amor e crudeltà gli han posto assedio.
10 Vedi, rom' arde prima, e poi si rode
Tardi pentito di sua feritate
Marianne chiamando , che non I* ode.
Vedi tre belle dcmne innanu>rate,
Procri, Artemisia, con Deidamia,
15 Ed altrettante ardite e scellerate,
Semiramis, e Kibli, e Mirra ria,
C(»mo ciascuna par die si vergogni
Della sua non conce>sa e torta via.
J^cco quii, che le carte empion di sogni,
[136]
80 Lancilotto, Tristano , e gli altri erranti,
Onde convien, che '1 vulgo errante agogni.
Vedi Ginevra , Isotta , e 1' altre amanti,
E la coppia d' Arimino, che 'nsieme
Vanno facendo dolorosi pianti.
85 Così parlava : ed io , com' uom che teme
Futuro male, e trema anzi la tromba.
Sentendo già, dov' altri ancor noi preme,
Avea color d' uom tratto d' una tomba,
Quand' una giovinetta ebbi da Iato
90 Pura vie più, che candida colomba.
Ella mi prese, ed io, eh' arci giurato
Difendermi da uom coperto d' arme,
Con parole e con cenni fui legato.
E come ricordar di vero parme,
95 L' amico mio più presso mi si fece,
E con un riso; per più doglia darme.
Dissemi entro 1' orecchie: ornai ti lece
Per te stesso parlar con chi ti piace,
Che tutti Siam macchiati d' una pece.
100 Io era un di color, cui più dispiace
Dell' altrui ben, che del suo mal, vedendo.
Chi m' avea preso in llbertate e 'n pace:
E , come tardi dopo '1 danno intendo,
Di sue bellezze mia morte facea,
105 D' amor, di gelosia , d' invidia ardendo.
Gli occhj dal suo bel viso non volgea,
Com' uom, eh' è infermo, e di tal cosa ingordo,
Ch' al gusto è dolce , alla salute è rea.
Ad ogni altro piacer cieco era e sordo.
Ilo Seguendo lei per si dubbiosi passi,
Ch' i' tremo ancor , qualor me ne ricordo.
Da quel tempo ebbi gli occhj umidi e bassi,
E '1 cor pensoso , e solitario albergo,
Fonti , fiumi , montagne , boschi, e sassi.
115 Da ìndi in qua cotante carte aspergo
Di pensieri , di lagrime , e d' inchiostro,
Tante ne squarcio , n' apparecchio , e vergo.
Da indi in qua so, che si fa nel chiostro
D' Amor, e che si teme, e che si spera,
120 A chi sa legger nella fronte il mostro.
E veggio andar quella leggiadra fera.
Non curando di me, nò di mie pene,
Di sua virtute, e di mie spoglie altera.
Dall' altra parte, s' io disccrno bene,
125 Questo signor, che tutto 'I mondo sforza,
Teme di lei ; ond' io son fuor di spene,
Ch' a mia difesa non ho ardir , né forza :
E quello, in eh' io sperava, lei lusinga,
Che me e gli altri crudelmente scorza.
130 Costei non è chi tanto o quanto stringa,
Cosi selvaggia e ribellante suole
Dall' insegne d' Amor andar solinga.
E veramente è fra le stelle un solo
Un singular suo proprio portamento,
133 Suo riso, suoi disdegni e sue parole.
Le chiome accolte in oro, o sparse al vento,
Gli occhj eh' accesi d' un celeste lume
M' infiamman si , eh' i' son d' arder contento.
Chi porla 'l mansueto alto costume
110 Agguagliar mai parlando, o la virtute,
Ov' è '1 mio siil quasi al niiir picciol fiume ?
Nove cose, e giammai più non vedute,
]Vè da veder giammai più d' una volta.
Ove tutte le lingue sarian mute !
145 Cosi preso mi trov(» , ed ella sciolta,
E prego giorno e notte, oh stella iniqua!
((
13Ì]
TRIONFO D'AMORE. III. (147 — 190) IV. (1—88)
[138]
Ed ella appena di mille uno ascolta.
Dura legge d' Amor ! ma benché obliqua,
Servar couTÌensi, però eh' ella aggiunge
50 Di cielo in terra, universale, antiqua.
Or so , come da sé il cor si disgiunge,
E come sa tur pace, guerra , e tregua,
E coprir suo dolor, quand' altri '1 punge.
E so , come in un punto si dilegua,
55 E poi si sparge per le guance il sangue.
Se paura o vergogna avvien che '1 segua.
So, come sta tra' fiori ascoso 1' angue.
Come sempre fra due si vegghia e dorme.
Come senza languir si more e languc.
GO So della mia nemica cercar 1' orme,
£ temer di trovarla, e so, in qunl guisa
L' amante nell' amato si trasforme.
So , fra lunghi sospiri e brevi risa,
Stato, voglia, color cangiare spesso,
[65 Viver, stando dal cor 1' alma divisa.
So mille volte il dì ingannar me stesso.
So, seguendo '1 mio foco, ovunque fugge.
Arder da lungo, ed agghiacciar da presso.
So , coro' Amor sopra la mente rugge,
L70 E com' ogni ragione indi discaccia,
E so , in quante maniere il cor si strugge.
So , di che poco canape s' allaccia
Un' anima gentil , quand' ella è sola,
E non è chi per lei difesa faccia.
Il') So, com' Amor saetta, e come vola,
E so, com' or minaccia, ed or perente.
Come ruba per forza, e come invola,
E come sono instabili sue rote,
Le speranze dubbiose, e '1 dolor certo,
180 Sue promesse di fé come son vote,
Come neir ossa il suo foco coperto,
E nelle vene vive occulta piaga.
Onde morte è palese, e 'ncendio aperto.
In somma so, coni' è incostante e vaga,
1S5 Timida , ardita vita degli amanti ;
Ch' un poco dolce molto amaro appaga.
E so i costumi, e i lor sospiri, e i canti,
E '1 parlar rotto, e '1 subito silenzio,
E 'l brevissimo riso , e i liuighi pianti,
190 E qual è '1 mei temprato con 1' assenzio.
Capitolo Quarto.
Poscia che mìa fortuna in forza altrui
M' eiibe sospinto, e tutti incidi i nervi
Di libcrtate, ov' alcun tempo fui,
Io, eh' era più sabatico, che i cervi,
5 Hatto doiucsticato fui con tutti
I miei infelici e miseri ccuiservi.
E lo fati<;hc lor ^idi, e i lor lutti.
Per che torti ^(;ntieri , e con qual' arte
All' amorosa greggia «;ran ciuidtitti.
10 Mentre eh' i' volgea gli orclij in ogni parto,
S' i' ne vedessi alcun di chinra fama,
0 per antiihc! , o per iiuxUrne carte.
Vidi colui, che sola f'iuridicc; ama,
E lei segue all' inferno, e p(;r lei morto
15 Con la lingua già fredda l.i richiama.
Alceo conobbi , a dir d' amor sì scorto,
l'iudaro , Anarrcontcr , clic rimesse
Avea sue nuise sol d' Amoro in pr»rto.
Virgilio vidi , e; panni intorno adesso
20 ('ompagni d' ulto ingegno, e da trastullo,
Di quei, che voicntier già 4 mondo eJe*jC.
L' un' era Ovidio, e 1' altr' era Catullo,
L' altro Properzio, che d' amor cantaro
Fervidamente, e l' altr' era Tibullo.
I 25 Una giovane greca a paro a paro
{ Coi nobili poeti già cantando,
i Ed avea un suo stil leggiadro e raro.
I Così, or quinci or quindi rimirando,
! Vidi in una fiorita e verde piaggia
I 30 Gente, che d' amor givan ragionando.
Ecco Dante e Beatrice, ecco Selvaggia,
Ecco Cin da Pistoja, Guitton d' Arezzo,
Che , di non esser primo , par eh' ira aggio.
Ecco i duo Guidi , che già furo in prezzo,
85 Onesto Bolognese , e i Siciliani
Che fùr già primi, e quivi eran da sezzo.
Senuuccio e Franceschin , che fùr sì umani.
Com' ogni uom vide, e poi v' era un drappello
Di portamenti, e di volgari strani.
40 Fra tutti il primo Arnaldo Daniello,
Gran maestro d' amor, eh' alla sua terra
Ancor fa onor col suo dir novo e bello.
Eranvi quei, eh' Amor sì leve afferra,
L' un Pietro, e 1' altro, e '1 raen famoso Arnaldo,
45 E quei, che fùr conquisi con più guerra;
r dico r uno e 1' altro Raimbaldo,
Che cantar pur Beatrice in Monferrato,
E '1 vecchio Pier d' Alvernia con Giraldo.
Folchetto, eh' a Marsiglia il nome ha dato,
50 Ed a Genova tolto, ed all' estremo
Cangiò per miglior patria abito e stato.
Gianfrè Rudel , eh' usò la vela e 'l remo,
A cercar la sua morte, e quel Guglielmo,
Che per cantar ha '1 fior de' suoi dì scemo.
55 Amerigo, Bernardo, Ugo, ed Anselmo,
E mille altri ne vidi , a cui la lingua
Lancia e spada fu sempre, e scudo, ed ehno.
E poi convicn che '1 mio dolor distingua;
A olsimi a' nostri , e vidi '1 buon Tinnnsso,
CO Ch' ornò Bologna, ed or Mesisina impingua.
Oh fugace dolzezza ! oh viver lasso !
Chi mi ti tolse sì tosto dinanzi,
Senza '1 qual non sapea mover un passo?
Dove se' or, che meco eri pur dianzi.^
65 Ben' è '1 viver mortai, che sì n' aggrada.
Sogno d' infermi, e fola di romanzi.
Poco era fuor della comune strada,
Quando Socrate e Lelio vidi in prima;
Con lor più lunga via convien eh' io ^ada.
70 Oh qual coppia d' amici ! che né 'n rima
Poria, né 'n prosa assai ornar, nò 'n versi,
Se, come dee, virtù nuda si stima.
Con questi duo cercai nu>nti diversi.
Andando tutti e tre sem|ire ad un giogo:
75 A questi le mie piaghe tutte ajiersi.
Da costor non mi può tempo , nò luogo
l)i\ider mai, sì cinue spero, e bramo,
Infili al cener del funereo rogo.
Con costor colsi 'I glorioso ramo,
80 Onde forse anzi tempo ornai le tempie
In m(;iiioria di (|nella, eh' i' tant' amo.
Ma |iiir di lei , elur l cor di pensier m" cuipie,
^on potei coglier mai ramo, nò foglia;
Sì fùr le sue radici acerbe ed empie!
85 Onde, henclu- talor doler mi soglia,
Com' uom, eh' è offeso, qiielcbecon (iiir^C or<hj
\ idi, lu' ù un freii, ch(> mai più non mi doglia.
Materia da coturni , e non da succhi.
[139] TR. 1) AM. (IV. 89 — 16(?.), DELLA CASTITÀ. (I. 1—30) fl40j
A edcr preso colui , eh' è fatto Ueo
})<> Da tardi ingegni , rintuzzati , e sciocchi.
Ma prima vo' seguir, chR di noi feo,
Poi seguirò quel, che da altrui sostenne.
Opra non mia , ma d' Omero , o d' Orfeo.
Seguimmo il suon delle purpuree penne
<)5 De' volanti corsier per mille fosse,
Fin che nel regno di sua madre venne;
Né rallentate le catene , o scosse,
Ma straziati per selve, e per montagne,
Tal che nessun sapea , in qual mondo fosse,
100 Giace oltra, ove 1' Egeo sospira e piagne,
Un' isoietta delicata e molle
Più eh' altra, che '1 sol scalde, o che '1 mar bagne.
Nel mezzo è un ombroso e verde colle
Con sì soavi odor, con sì dolci acque,
105 Ch' ogni maschio pensier dall' alma lolle.
Quest' è la terra , che cotanto piacque
A Venere , e 'n quel tempo a lei fu sacra,
Che '1 ver nascoso e sconosciuto giacque,
Ed anco è di valor sì nuda e macra,
Ilo Tanto ritien del suo primo esser vile.
Che par dolce a' cattivi, ed a' buoni aera.
Or quivi trionfò 'l signor gentile
Di noi, e d' altri tutti, eh' ad un laccio
Presi avea dal mar d' ìndia a quel di Tile.
115 Pensier in grembo, e vanitale in braccio,
Diletti fuggitivi, e ferma noja,
Rose di verno , a mezza state il ghiaccio.
Dubbia speme davanti, e breve gioja.
Penitenza e dolor dopo le spalle,
120 Qual nel regno di Roma, o 'n quel di Troja.
E rimbombava tutta quella valle
D' acque, e d' augelli, ed eran le sue rive
Bianche , verdi , vermiglie , perse , e gialle.
Rivi correnti di fontane vive
12.'> Al caldo tempo su per 1' erba fresca,
E l' ombra folta, e 1' aure dol<;i estive.
Poi , quando '1 verno l' àer si rinfresca,
Tepidi soli, e giochi, e cibi, ed ozio
Lento, che i semplicetti cori invesca.
130 Era nella stagion , che 1' equinozio
Fa vincitor il giorno, e Progne riede
Con la sorella al suo dolce negozio.
Oh di nostra fortuna instabil fede!
In quel loco, in quel tempo, ed in quell' ora,
lo5 Che più largo tributo agli occhj chiede,
Trionfar volse quel, che '1 vulgo adora;
E vidi a qual servaggio, ed a qual morte.
Ed a che strazio va chi s' innamora.
Errori , sogni , ed immagini smorte
140 Eran d' intorno all' arco trionfale,
E fal^e opinioni in su le porte,
E lubrico sperar su per le scale,
E dannoso guadagno, ed util danno,
E gradi , ove più scende chi più sale,
145 Stanco riposo , e riposato affanno,
Chiaro disnor, e gloria oscura e nìgra,
Perfida leaUate , e fido inganno,
Sollecito furor , e ragion pigra.
Career, ove si vien per strade aperte,
150 Onde per strette a gran pena si migra,
Ratte scese all' entrar , all' uscir erte,
Dentro confusion torbida, e mischia
Di doglie eerte, e d' allegrezze incerte.
Non bollì mai A'ulcan , Lipari, od Ischia,
155 Stromboli, o Mongibello in tanta rabbia:
Poco ama sé, ehi 'n tal gioco s' arrischia.
In così tenebrosa e stretta gabbia
Rinchiusi fummo, ove le penne usate
]\Iutai per tempo, e la mia prima labbia.
IGO E 'ntanto, pur sognando liberiate,
L' alma, che '1 gran desio fea pronta e leve,
Consolai con veder le cose andate.
Rimirando , er' io fatto al sol di neve,
Tanti spirti , e sì chiari in career tetro,
165 Quasi lunga pittura in tempo breve,
Che '1 pie va innanzi, e 1' occhio torna indietro.
TRIONFO DELLA CASTITÀ.
Quando ad un giogo , ed in un tempo quivi
Domita r alterezza degli Dei
E degli uomini vidi al mondo divi,
r prcbi esempio de' lor stati rei,
5 Facendomi profitto 1' altrui male
In consolar i casi e dolor miei ;
Che, s' io veggio d' un arco e d' uno strale
Febo percosso, e '1 giovane d" Abido,
L' un detto Dio , 1' altr' uom puro mortale,
lo E veggio ad un laceiuol Giunone e Dido,
Ch amor pio del suo sposo a morte spinse,
Non quel d' Enea, eom' è '1 pubblico grido,
Non mi deltbo doler, s' altri mi vinse
Giovane incanto, disarmato, e solo,
15 E HC la mia nemica Amor non strinse.
Non è ancor giiHta assai ragion di duolo,
Che in abito il ri\iiii, eh' io ne piansi,
Si tiilte gli eran 1' ali , e '1 gire a volo.
Non con altro romor di petto dansi
20 Duo leon fieri, o duo folgori ardenti,
Ch' a cielo , e terra , e mar dar loco fansi,
Ch' i' vidi Amor con tutti suo' argomenti
Mover contra colei , di eh' io ragiono,
E lei pili presta assai che fiamma, o venti.
25 Non fan sì grande e sì lerribil suono
Etna, qualor da Encelado è più scossa,
Scilla e Cariddi , quand' irate sono,
Che vie maggior in sulla prima mossa
Non fosse del dubbioso e grave assalto,
30 Ch' i' non credo ridir sappia, né possa.
Ciascun per sé si ritraeva in alto,
Per veder meglio , e 1' orror dell' impresa
1 cori e gli occhj avea fatti di smalto.
Quel vincitor , che prima era all' offesa,
35 Da man dritta lo strai , dall' altra I' arco,
E la corda all' orecchia avea già tesa.
Non corse mai si leveniente al varco
Di fuggitiva cerva un leopardo
Libero in selva, o di catene ecarco.
411
TRIONFO DELLA CASTITÀ. (40 — 173)
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Che non fosse stato ivi lento e tardo;
Tanto Amor venne pronto a lei ferire
Con le faville al volto , orni' io tutt' ardo !
Combattea in me con la pietà il desire,
Che dolce m' era si fatta compagna,
Duro a vederla in tal modo perire.
Ma virtù , che da' buon' non si scompagna,
Mostrò a quel punto ben, coni' a gran torto,
Chi abbandona lei, d' altrui si lagna.
Che giammai schermidor non fu si accorto
A schifar colpo , né nocchier sì presto
A volger nave dagli scogli in porto.
Come uno schermo intrepido ed onesto
Subito ricoperse quel bel viso
Dal colpo , a chi 1' attende , agro e funesto.
I' era al fin con gli occhj e col cor fiso,
Sperando la vittoria, ond' esser sole,
E per non esser più da lei diviso,
Come chi smisuratamente vuole,
Ch' ha scritto, innanzi eh' a parlar cominci,
Negli occhj e nella fronte le parole,
Volea dir io: signor mio, se tu vinci,
Legami con costei , s' io ne son degno,
Kè temer, che giammai mi scioglia quinci!
Quand' io 'i vidi pien d' ira , e di disdegno
Sì grave, eh' a ridirlo sarian vinti
Tutti i maggior, non che '1 mio basso ingegno,
Che già in fredda onestate erano estinti
I dorati suoi strali accesi in fiamma
D' amorosa beliate, e 'n piacer tinti.
Non ebbe mai di vero valor dramma
Camilla , e 1' altre andar use in battaglia
Con la sinistra sola intera mamma.
Non fu sì ardente Cesare in Farsaglia
Contra '1 genero suo, com' ella fuc
Contra colui , eh' ogni lorica smaglia.
Armate eran con lei tutte le sue
Chiare virtuti ; oh gloriosa schiera !
E teneansi per mano a due a due.
Onestate e vergogna alla front' era.
Nobile par delle virtù divine.
Che fan costei sopra le donne altera.
Senno e modestia all' altre due confine.
Abito con diletto in mezzo '1 core.
Perseveranza e gloria in sulla fine,
Bell' accoglienza, e accorgimento fore,
Cortesia intorno intorno, e puritate,
Timor d' infamia , e sol desio d' onore,
Pensicr canuti in ginvenil' etate,
E , la concordia , eh' è sì rara al mondo,
V era con castità somma beliate.
Tal venia contr' Amor , e 'n sì secondo
Favor del cielo, e delle ben nate alme,
Che della vista ei non solTcrse il pondo.
Mille e mille famose e care salme
Torre gli vidi, e scuotergli di mano
Mille vittoriose e chiare palme.
Non fu 'l cader di subito sì strano
Dopo tante vittorie ad Anniballe
Vinto alla fin dal giovane romano ;
Né giacque sì smarrito nella vallo
Di Terebinto quel gran l''ili.->teo,
A cui tutto Israel dava le spalle.
Al primo sasso del garzon ebreo ;
Né C'irò in Scizia , ove la vcdov' orba
La gran vendetta e niemorabii l'co.
Com' uom, eh' è tiauo, e 'u un momento ammorba.
Che sbigottisce, e duolsi, o colto in atto
Che vergogna con man dagli occhj forba,
Cotal er' egli , ed anco a peggior patto,
110 Che paura e dolor, vergogna ed ira
Eran nel volto suo tutti ad un tratto.
Non freme così 'l mar quando s' adira,
Non Inarime allor che Tifeo piagne.
Non Mongibel, s' Encelado sospira.
115 Passo qui cose gloriose e magne,
Ch' io vidi, e dir non oso: alla mia donna
Vengo, ed all' altre sue minor compagne.
Ella avea in dosso il dì candida gonna,
Lo scudo in man, che mal vide Medusa,
120 D' un bel diaspro era i^^ una colonna.
Alla qual d' una in mezzo Lete infusa
Catena di diamante, e di topazio,
Ch' al mondo fra le donne oggi non s' usa,
Legar il vidi , e farne quello strazio,
125 Che bastò ben a mill' altre vendette ;
Ed io per me ne fui contento e sazio.
Io non poria le sacre benedette
Vergini, eh' ivi fnr, chiudere in rima;
Non Calliope e Clio con 1' altre sette.
luO Ma d' alquante dirò, che n sulla cima
Son di vera onestate, infra le quali
Lucrezia da man destra era la prima,
L' altra Penelopea: queste gli strali
E la faretra, e l' arco avean spezzato
135 A quel protervo, e spennacchiate 1' ali.
Virginia appresso il fiero padre, armato
Di disdegno, di ferro, e di pietate,
Ch' a sua figlia , ed a Roma cangiò stato,
L' un' e r altra ponendo in liberiate;
Ilo Poi le Tedesche, che con aspra morte
Servar la lor barbarica onestate.
Giudit ebrea, la saggia, casta, e forte,
E quella Greca, che saltò nel mare.
Per morir netta , e fuggir dura sorte.
145 Con queste, e con alquante anime chiare
Trionfar vidi di colui, che pria
Veduto avea del mondo trionfare.
Fra r altre la Veslal vergine pia.
Che baldanzosamente corse al Tibro,
150 E , per purgarsi d' ogni 'nfamia ria.
Portò dal fiume al tempio acqua col cribro :
Poi vidi Ersilia con le sue sabine,
Schiera, che del suo nome empie ogni libro.
Poi vidi fra le donne peregrine
155 Quella, che per lo suo diletto e fido
Sposso , non per Enea , volse ir al fine.
Taccia '1 vulgo ignorante, i' dico Dido,
Cui studio d' onestate a morte spinse,
Non vano amor, coni' è '1 pubbliio grido.
IGO Al fin vidi una, che si chiuse, e strinse
Sopr' Arno per servarsi, e non le valse;
Che forza altru' il suo bel pensicr vinse.
Era 'I trionfo, dove 1' onde salse
Percoton Baja; eh' al tepido verno
l(i5 Giunse a man destra, e 'n terra ferma salse
Indi fra monU^ Harlmro, ed \«(M-no,
L' anticiiis.-'imo allirrgo di Sibilla
Passando, se n" andar dritto a Linterno;
In così angu>ta e solitaria ^illa
170 Era 'I grand' noni, che d" AflVira s' appella.
IVrilié prima col ferro al vivo ajirilla.
Qui dell' ostile onor V alta novella
Non scemato con gli occhj a tutti piucqac.
[143] TR. D. CAST. ( 174—193), DELLA MORTE 1.(1 — 96) [144]
E la più casta era ivi la più bella.
175 Kè '1 trionfo d' altrui seguire spiacque
A lui che, se credenza non è vana.
Sol per trionfi e per imperj nacque.
Così giugnernmo alla città soprana
Nel tempio pria, che dedicò Sulpizia,
180 Per spegner della mente fiamma insana.
Passanmio ai tempio poi di Pudicizia,
Cli' accende in cor gentil' oneste voglie,
Non di gente plebea, ma di patrizio.
Ivi spiegò le gloriose spoglie
185 La bella vincitrice, ivi depose
Le sue vittoriose e sacre foglie:
E '1 giovane toscan , che non ascose
Le belle piaghe, che '1 fèr non sospetto;
Del comune nemico in guardia pose,
190 Con parecchj altri ; e fummi '1 nome detto
D' alcun di lor, come mia scorta seppe,
Ch' avean fatto ad Amor chiaro disdetto;
Fra' quali vidi Ippolito, e Gioseppe.
TRIONFO DELLA MORTE.
Capitoi.0 Primo.
Questa leggiadra e gloriosa donna,
Ch' è oggi nudo spirto , e poca terra,
£ fu già di valor alta colonna.
Tornava con onor dalla sua guerra
5 Allegra, avendo vinto il gran nemico,
Che con suo' inganni tutto '1 mondo atterra.
Non con altr' arme , che col cor pudico,
E col bel viso, e co' pensieri schivi.
Col parlar gaggio, e d' onestate amico.
10 Era miracol novo a veder quivi
Rotte r arme d' Amor , arco e saette,
E quai morti da lui, quai presi vivi.
La beila donna e le compagne elette.
Tornando dalla nobile vittoria,
15 In un bel drappelletto ivan ristrette.
Poche eran, perchè rara è vera gloria,
Ma ciascuna per sé parea ben degna
Di poema chiarissimo, e d' istoria.
Era la lor vittoriosa insegna
20 In campo verde un candido arraellino,
Ch' oro fino , e topazj al colio tegna.
Non uman veramente, ma divino
Lor andar era, e lor sante parole:
Beato è ben chi nasce a tal destino !
25 Stelle chiare pareano, e in mezzo un sole.
Clic tutte ornava , e non toglica lor vista.
Di rose incoronate , e di viole.
E come gentil cor onore acquista.
Così venia quella brigata allegra,
30 Quand' io vidi un' insegna oscura, e trista,
Ed una donna involta in veste negra.
Con un furor, quai io non so, se mai
Al tempo de' giganti fosse a Flcgra,
Si mosse, e disse: oh tu, donna, che vai
85 Di gloventute e di bellezze altera,
E di tua vita il termine non sai,
r son colei , che sì importuna e fera
Chiamata son da voi , e sorda , e cicca,
Gente, a cui tà fa notte innanzi sera.
40 r ho «oiKJott' al fin la gente greca,
E la tnijana, all' ultimo i Romani
Con la mìa spada, la qnal punge, e eeca,
E popoli altri bai'liareschi e strani,
È giungendo, qiiand' altri non m' aspetta,
t5 Ilo intitnotti mi Ih; pcnsier vani.
Or a VOI, quando \ \iver più diletta,
Drizzo '1 mio cor«io, innanzi che foi
fortuna
Nel vostro dolce qualche amaro metta.
In costor non hai tu ragione alcuna,
50 Ed in me poca, solo in questa spoglia;
Rispose quella, che fu nel mondo una:
Altri so che n' ara più di me doglia,
La cui salute dal mio viver pende,
A me fia grazia , che di qui mi scioglia.
55 Quai' è chi 'n cosa nova gli occhj intende,
E vede , ond' al principio non s' accorse.
Sì eh' or si maraviglia , or si riprende,
Tal si fé' quella fera , e poi che 'n forse
Fu stata un poco , ben le riconosco,
60 Disse, e so quando '1 mio dente le morse.
Poi col ciglio men torbido, e men fosco
Disse: tu, che la bella schiera guidi,.
Pur non sentisti mai mio duro tosco.
Se del consiglio mio punto ti fidi,
65 Che sforzar posso, egli è pur il migliore
Fuggir vecchiezza , e suoi molti fastidj.
r son disposta farti un tal onore,
Quai altrui far non soglio, e che tu passi
Senza paura e senz' alcun dolore.
70 Come piace al signor, che 'n cielo stassi,
E indi regge, e tempra 1' universo.
Farai di me quel, che degli altri fassì.
Così rispose: ed ecco da traverso
Piena di morti tutta la campagna,
75 Che comprender noi può prosa , ne verso.
Da India, dal Catai , Marrocco, e Spagna
Il mezzo avea già pieno, e le pendici,
Per molti tempi, quella turba magna.
Ivi eran quei, che fùr detti felici,
80 Pontefici, regnanti, e 'mperadori.
Or sono ignudi , miseri e mendici.
U' son or le ricchezze .'' u' son gli onori,
E le gemme , e gli scettri , e le corone.
Le mitre con purpurei colori?
85 Miser, chi speme in cosa mortai pone !
Ma chi non ve la pone? e s' ei si trova
Alla fine ingannato , è ben ragione.
Oh ciechi, il tanto nlTalicar che giova?
Tutti tornate alla gran madre antica,
90 E 'l nome ^ ostro appena si ritrova.
Pur delle mille un' utile fatica.
Clic non sian tutte vanità palesi,
Chi 'ntenile i vostri studj, sì me '1 dica.
Che vale a soggiogar tanti paesi,
95 E triluitarie far le genti strane
Con gli animi al suo danno sempre accesi?
145] TRIONFO DELLA MORTE. I. (0^ — 112) n. (1-.57) [146]
00
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L25
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L40
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155
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Dupo r imprese perigliose e vane,
E col sangue acquistar terra e tesoro,
Vìe più dolce si trova V acqua e '1 pane,
E 'I vetro, e '1 legno, che le gemme e V oro.
Ma per non seguir più sì lungo tema.
Tempo è , eh' io torni al mio primo lavoro.
I' dico , che giunt' era 1' ora estrema
Di quella breve vita gloriosa
E '1 dubbio passo , di che '1 mondo trema,
Er' a vederla un' altra valorosa
Schiera di donne, non dal corpo sciolta,
Per saper, s' esser può Morte pietosa.
Quella bella compagna er' ivi accolta
Pur' a veder e contemplar il fine.
Che far conviensi, e non più d' una volta.
Tutte sue amiche , e tutte eran vicine :
Allor di quella bionda testa svelse
Morte con la sua mano un aureo crine.
Così del mondo il più bel fiore scelse,
Non già per odio , ma per dimostrarsi
Più chiaramente nelle cose eccelse.
Quanti lamenti lagrimosi sparsi
Fur' ivi, essendo quei begli occhj asciutti.
Per eh' io lunga stagion cantai, ed arsi!
E fra tanti sospiri e tanti lutti
Tacita e lieta sola si sedea.
Del suo bel viver già cogliendo i frutti.
Vattene in pace, oh vera mortai Dea,
Diceano; e tal fu ben ; ma non le valse
Contra la morte in sua ragion sì rea.
Che fia dell' altre, se quest' arse ed also
In poche notti, e si cangiò più volte?
Oh umane speranze cieche e false!
Se la terra bagnar lagrime molte
Per la pietà di quel!' alma gentile,
Chi '1 vide, il sa: tu 'i pensa, che 1' ascolte.
L' ora prim' era , e '1 dì sesto d' Aprile,
Che già mi strinse, ed or, lasso, mi sciolse.
Come Fortuna va cangiando stile!
Ncssim di servitù giammai si dolse.
Né di morte, qiiant' io di libertate
E della vita , eh' altri non mi tolse.
Debito al mondo , e deìtito all' etate
Cacciar me innanzi, eh' era giunto in prima,
Nò a lui torre ancor sua dignitate.
Or qual fosse '1 dolor, qui non sì stima,
Ch' appena oso pensarne, non eh' io sia
Ardito di parlarne in verso, o 'n rima.
Virtù morta è , bellezza e cortesia.
Le belle donne intorno al casto Ietto
Triste diceano: ornai di noi che fia?
Chi vedrà mai in donna atto perfetto?
Chi udirà il parlar di saper pieno,
E 'I canto pien d' angelico diletto?
Lo spirto, per partir dì quel bel seno,
Con tutte sue virtuti in su romito,
Fatt' avea in qu«-lla parte il ciel sereno.
Nessun degli avversarj iti sì ardito,
<'h' apparisse giammai con vista oscura,
Finché Morte il suo assalto cblie fornito.
Poi che, deposto il pianto, e la paura.
Pur al liei vi.so era ciascuna intenta,
E per disperazion fatta sicura,
Non com(; fiamma, che per forza è Rpenta,
Ma che per se lucilesma si c(msume.
Se n' andò in pace 1' anima contenta.
A guisa d' un soave o chiaro lume,
Cui nutrimento a poco a poco manca,
165 Tenendo al fin il suo usato costume.
Pallida no, ma più che neve bianca.
Che senza vento in un bel colle fiocchi,
Parea posar, come persona stanca.
Quasi un dolce dormir ne' suoi begli occhj,
170 Sendo Io spirto già da lei diviso.
Era quel, che morir chiaman gli sciocchi.
Morte bella parea nel suo bel viso.
Capitolo seco?; do.
La notte, che seguì I' orribil caso.
Che spense '1 sol , anzi 'I ripose in cielo,
Ond' io son qui coni' uora cieco rimaso,
Spargea per 1' aere il dolce estivo gelo,
5 Che con la bianca amica dì Tìtone
Suol de' sogni confusi torre il velo;
Quando donna sembiante alla stagione,
Dì gemme orientali incoronata.
Mosse ver me da mille altre corone ;
10 E quella man già tanto desiata
A me parlando e sospirando porse,
Ond' eterna dolcezza al cor m' è nata:
Riconosci colei , che prima torse
I passi tuoi dal pubblico viaggio,
15 Come '1 cor giovenil di lei s' accorse.
Così pensosa in atto umile e saggio
S' assise , e seder femmi in una riva,
La qual' ombrava un bel lauro, ed un faggio.
Come non conosco io I' alma mia diva?
20 Risposi in guisa d' uom, che parla, e plora.
Dimmi pur , prego , se sei morta , o viva.
Viva son io, e tu sei morto ancora,
Diss' ella, e sarai sempre ìnfin che giunga
Per levarti dì terra 1' ultim' ora.
25 Ma '1 tempo è breve, e nostra voglia è lunga.
Però t' avvisa, e 'I tuo dir stringi, e frena,
Anzi che '1 giorno già vicin n' aggiunga!
E io : al fin di quest' altra serena,
Ch' ha nome vita , che per prova '1 sai,
80 Deh dimmi, se 'I morir è sì gran pena.
Rispose: mentre al vulgo dietro vai,
Ed ali' opinion sua cieca e dura,
Esser felice non può' tu giammai.
La morte è fin d' una prigion oscura
35 Agli animi gentili ; agli altri è noja,
Ch' hanno posto nel fango ogni lor cura.
Ed ora il morir mio , che si t' annoja,
Ti farebbe allegrar , se tu sentissi
La millesima parte di mia gioja.
40 Così parlava, e gli occhj ave' al ciel fissi
Divotamente : poi mise in silenzio
Quelle labbra rosate, infin eh' io dissi:
Siila, Mario, Neron, (ì.ijo, e Mezenzio,
Fianchi, stomachi, feldiri ardenti fanno
45 Parer la morto amara più eh' assenzio.
Negar, disse, non posso, clic T all'anno.
Che va innanzi al morir, non doglia forte,
E più la tema dell' eterno danno;
Ma pur che 1' alma in Dio si riconforte,
50 E '1 cor, che n sé medesmo forse è lasso.
Che altro eh' un sospir breve è la morte?
r avea già vicin 1' ultimo passo.
La carne inferma , e 1' anima ancor pronta,
Quaiid' udii dir in un suon tristo e basso:
55 Oh misero colui, eh' i giorni conta,
E pargli r un milP anni , e 'ndarno vive,
£ bccu in terra inai non si rallrontu!
10
[147]
TRIONFO DELLA MORTE. II. (58 — 190)
J148]
E cerca '1 mar, e tutte le sue rive,
E scnuire un stile, ovunqu' e' fosse, tenne,
60 Sol di lei pensa, o di lei parla, o scrive
AUor in quella parte, onde 'i suon venne,
Gli oc.clij languidi volgo, e veggio quella,
Ch' aniho noi , me sospinse , e te rilcune.
Riconohhila al volto, e alla favella,
65 Che spesso ha già 1 mio cor racconsolato,
Or grave e saggia, allor one^ta e hella.
E quand' io fui nel mio più bello stato,
Aeir età mia più verde, a te più cara,
Ch' a dir ed a pensar a molti ha dato:
70 Mi fu la vita poco men che aniara,
A rispetto di quella mansueta
E dolce morte , eh' a' mortali è rara. ^
Cile 'n tutto quel mio passo er' io più lieta^
Che qual d' esilio al dolce albergo riede,
75 Se non che mi stringea sol di te pietà.
Deh, madonna, diss' io, per quella fede,
Che vi fu, credo, al tempo manifesta.
Or più nel volto di chi tutto vede,
Creovvi Amor pensier mai nella testa
80 D' aver pietà del mio lungo martire,
Non lasciando vostr' alta impresa onesta?
Che i vostri dolci sdegni, e le dolc' ire,
Le dolci paci ne' begli oc(;hj scritte
Tenner molt' anni in dubbio il mio desire,
85 Appena ebb' io queste parole ditte,
Ch' i' vidi lauipeggiar quel dolce riso,
Ch' un sol fu già di mie virtuti afflitte.
Poi disse sospirando: mai diviso
Da te non fu 'I mio cor, giammai fia,
90 Ma temprai la tua fiamma col mio viso.
Perchè a salvar te e me nuli' altra via
Era alla nostra giovinetta fama,
Kè per ferza è però madre men pia.
Quante volte diss' io: questi non ama,
95 Anv i arde ; onde convien eh' a ciò provvcggia :
E mal può provveder chi teme, o brauia.
Quel di for miri, e quel dentro non veggia:
Questo fu quel, che ti rivolse, e strinse
Spesso, come cavai fren, che vaneggia.
100 Più di uiille fiate ira dipinse
Il volto mio , eh' amor ardeva il_ core.
Ma voglia in me ragion giammai non vinse.
Poi se vinto ti vidi dal dolore,
Drizzai 'n te gli occhj allor soavemente,
105 Salvando la tua vita, e 1' nostro onore.
E se fu passion troppo possente,
E la fronte, e la voce a salutarti
Mossi, or timorosa, ed or dolente.
Questi fùr teco mici 'ngegni, e mie arti,
110 Or benigne accoglienze, ed ora sdegni:
Tu '1 sai, che n' liai cantato in molte, parti.
Ch' i' vidi gli occhj tuoi talor sì pregni
Di lagrime, eh' io dissi: questi è corso
A morte, non l' aitando, i' veggio i segni.
115 Allor |)rovvldi d' onesto soccorso.
'lalor ti vidi tali sproni al fianco,
Ch' i' dissi : qui convien più duro morso.
Cosi caldo , vermiglio , freddo e bianco.
Or tri^to, or lieto, infin qui t' ho condutto
120 Salvo, ond' io mi rallegro, benché stanco.
Ed io : madonna, assai fora gran frutto
Questo d' ogni mia fé, pur eh' io 'I credessi,
Dissi treiiiando , e non vm\ viso asciutto.
Di poca fede rio , so noi sapesisi!
125 Se non fosse ben ver, perchè 'I direi?
Rispose, e 'n vista parve s' accendessi.
S' al mondo tu piacesti agli occhj miei.
Questo mi taccio: pur quel dolce nodo
Mi piaique assai, che 'ntorno al cor avei:
130 E piacenii '1 bel nome, se l ver odo.
Che lunge e presso col tuo dir m' acquisti;
Né mai 'n tuo amor richiesi altro, che modo
Quel mancò solo , e mentre in atti tristi
Volei mostrarmi quel , eh' io vedea sempre,
135 II tuo cor chiuso a tutto 'i mondo apristi.
Quinci '1 mio gelo, ond' ancor ti distemprc:
Che concordia era tal tiell' altre cose,
Qual giunge amor, più* eh' onestate il tempre.l
Fùr quasi eguali in noi fiamme amorose,
140 Almen poi eh' io m' avvidi del tuo foco;
Ma r un le appalesò, 1' altro le ascose.
Tu eri di mercè chiamar già roco,
Quand' io tacca , perchè vergogna e tema
Facean molto desir parer si poco.
145 Non è minore il duol, perdi' altri '1 prema,
Né maggior per andarsi lamentando:
Per fizion non cresce il ver, uè scema.
Ma non si ruppe almen ogni vel, quando
Sola i tuoi detti te presente accolsi,
150 Vir inù non osa il nostro amor, cantando?
Teco era '1 cor, a me gli occhj raccolsi:
Di ciò, come d' iniqua parte, duelli.
Se '1 meglio, e '1 più ti diedi, e '1 men ti tolsi
Né pensi che, perché ti fosscr tolti
155 Ben mille volte, e più di mille e mille
Henduti, e con pietate a te fùr volti.
E state foran hir luci tranquille
Sempre ver te , se non eh' ebbi temenza i
Delle pericolose tue faville.
160 Più ti vo' dir , per non lasciarti senza
Una conclusìon, eh' a te fia grata
Forse d' udir in su questa partenza:
In tutte l' altre cose assai beata.
In una sola a me stessa dispiacqui,
165 Che 'n troppo umil terren mi trovai nata.
Duolmi ancor veramente, eh' io non nacqui
Almen più presso al tuo fiorito nido;
Ma assai fu bel paese, ov' io ti piacqui.
Che potea '1 cor, del qual sol io mi fido,
170 Volgersi altrove, a te essendo ignota;
Ond' io fora men chiara, e di men grido.
Questo no , rispos' io : perchè la rota
Terza del eiel m' alzava a tanto amore,
Ovunque fosse, stabile ed immota.
175 Or che si sia, diss' ella, i' n' ebbi onore,
('h' ancor mi segue : ma per tuo diletto
Tu non t' accorgi del fuggir dell' ore.
Vedi r Aurora dell' aurato letto
liiuienar a' mortali il gii)rno , e '1 sole
180 Già fuor dell' oceiino infili al petto.
Questa vien per ])artirci , onde mi dole;
S' a dir hai altro , studia d' esser breve,
E col tempo dispensa le parole!
Quant' io soflersi mai , soave e leve,
185 Dissi, ih' ha fatto il parlar dolce e pio;
Ma 'l viver senza voi in' è duro e greve.
Però saper vorrei , madonna , s' io
S<ui per tardi seguirvi o se per tempo.
Ella già mossa dis>e: al creder mio,
190 Tu stara' in terra henza me griui tempo.
149]
TRIONFO DELLA FAMA. L (1—126)
[150]
TRIONFO DELLA FAMA.
Capitolo primo.
Da poi che Morte trionfò nel volto.
Che di me stesso trionfar snlea,
E fu del nosttro mondo il suo sol tolto,
Partissi quella dispietata e rea,
5 Pallida in Arista, orribile, e superba,
Che '1 limie di beltate spento avea;
Quando mirando intortio su per 1' erba,
Vidi dall' altra parte giunger quella.
Che trae V uom del sepolcro, e 'n vita il serba.
10 Qual in sul giorno I' amorosa stella
Suol venir d' oriente innanzi al sole.
Che s' accompagna volentier con ella;
Cotal venia; ed io: dì quali scole
Verrà il maestro , che descriva appieno
15 Quel, eh' i' vo' dir in semplici parole?
Era d' intorno il ciel tanto sereno,
Che pur tutto '1 desio, eh' ardea nel core,
L' occhio mio non potea non venir meno.
Scolpito per le fronti era '1 valoi-e
20 Dell' onorata gente , dov' io scorsi
Molti di quei, che legar vidi Amore.
Da man destra, ove gli occhj prima porsi,
La bella donna avea Cesare, e Scipio;
Ma qual più presso , a gran pena m' accorsi
25 L' un di virtute, e non d' amor mancipio:
L' altro d' entrambi : e poi mi fu mostrata
Dopo sì glorioso e bel principio
Gente di ferro e dì valor armata.
Siccome in Campidoglio al tempo antico
80 Talora o per via sacra , o per via lata.
Venian tutti in quell' ordine eh' i' dico,
F. leggeisi a ciascun intorno al ciglio
11 nome al mondo più dì gloria amico.
r era intento al nobile lìisbiglio,
35 Al volto, agli atti, e dì que' primi due
L' un seguiva il nipote, e 1' altro il figlio,
Che sol seiiz' alcun par al mondo fue,
E quei, che volscr' a' nemici armati
Chiudere il passo con le membra sue,
40 Duo padri da tre figli accompagnati ;
L' un giva innanzi , e duo ne venian dopo,
E 1' ultimo era 1 primo tra' laudati.
Poi fiammeggiava a guisa d' un piropo
Colui , che col consiglio , e con la mano
45 A tutta Italia giunse al maggior uopo.
Di Claudio dico, che notturno e piano,
Come '1 Metauro vide, a purgar venne
Di ria semenza il ituon campo romano.
Egli ebl)e occhj al veder, al volar penne,
50 Ed un gran vecchio il secondava appresso.
Che con arte Annilialh; a bada tinne.
Un altro Fabio , e duo (latini con esso,
Duo Paoli, duo Hruti , e duo ^larcelli,
Un llegol , eh' amò Uoma, e non sé stesso,
55 Un Curio, <ul un Fabrizio, assai più belli
Con la lor po\ertà, che Mida, o Crasso
Con r oro, ond' a virtù furon ribelli.
Cincinnato, e Serran , che soli» un passo
Senza coNtor n«in vanno, e 'I gran Cauimillo
60 Di viver prima che di ben far lasso :
Perch' il sì alto grado il citi sortillo,
Che eua chiara virtute il ricondusse»
Ond' altrni cieca rabbia dìpartillo.
Poi quel Torquato, che '1 figliuol percnsse,
65 E viver orbo per amor solTerse
Della milizia , perch' orba non fusse.
L' un Uecio, e 1' altro, che col petto aperse
Le schiere de' nemici : oh fiero voto !
Che '1 padre, e '1 figlio ad una morte offerse.
70 Curzio con lor venia non men devoto,
Che dì sé e dell' arme empiè lo speco
In mezzo '1 foro orribilmente vóto.
Mummio, Levino, Attilio, ed era seco
Tito Flaminio , che con forza vinse,
75 Ma assai più con pietate, il popol greco.
Eravi quel, che '1 re dì Siria cinse
D' un magnanimo cerchio, e con la fronte,
E con la lingua a suo voler lo strinse ;
E quel , eh' armato sol difese il monte,
80 Onde poi fu sospinto, e quel, che solo
Centra tutta Toscana tenne il ponte;
E quel, che 'n mezzo del nemico stuolo
Mosse la mano indarno , e poscia 1' arse.
Si seco irato, che non sentì '1 duolo;
85 E chi 'n mar prima vincitor apparse
Contr' a' Cartaginesi, e chi lor navi
Fra Sicilia e Sardigna ruppe , e sparse.
Api)io conobbi agli occhj , e a' suoi , che gravi
Furon sempre e molesti all' umil plebe j
90 Poi vidi un grande con atti soavi;
E se non che '1 suo lume all' estremo hebe,
Fors' era 1 primo , e certo fu fra noi,
Qual Bacco, Alcide, Epaminonda a Tebe:
Ma 'I peggio è viver troppo : e vidi poi
95 Quel, che dell' esser suo destro e leggiero
Ebbe 1 nome , e fu "1 fior degli anni suoi.
E quanto in arme fu crude e severo,
Tanto quel , che "I seguiva , era benigno,
INon so , se miglior duce , o cavaliere,
100 Poi venia quel, che 'i livido maligno
Turaor di sangue bene oprando oppresse,
Volumnio nnbil d' alta laude digno.
Cosso, Fìlon , Rutilio , e dalle spesse
Luci in disparte tre soli ir vedeva,
105 E membra rotte, e smagliate arme e fesse,
Lucio Dentato, e Marco Sergio, e Sceva;
Quei tre folgori, e tre scogli dì guerra;
Ma r un ri(» successor dì fama \q\a:
Mario poi , che Giugurta e i Cimbri atterra,
110 E 'I tedesco furor, e Fulvio Fiacco,
Ch' agi' ingrati troncar a bel studio erra.
E 'I più nobile Fulvio , e sol un Gracco
Di quel gran nido garrulo e inquieto,
Che fé 'I popol roman più volte stracco.
115 E quel, che parve altrui Itcato e lieto,
Son dico fu: che non chiaro si vedo
I II chiuso cor in suo alto secreto;
Metello dico, e suo padre, e suo rede;
('he già dì ALicediuiia , e de' .Numidi,
120 E di Creta, e di Spagna addusser prede.
Poscia Wspasiiin col figlio ^idi,
II buono, e i bullo, non già '1 bello e 'I rio.
E 1 buon Nierva, e 'i'rajan, principi fidi.
Elio \driano, e M suo Antonio l'io;
125 Itella succes^ionc ìnfino a .'Marco,
Ch' ebbcr' ahueno il naturai desio.
10 *
[151] TRIONFO DELLA FAMA. I. (127—130) II. (1—129) fl52]
Mentre che" vago oltra con gli occlij varco,
^idi '1 gran fondator, e i regi cinque:
L' altr' era in terra di mal peso carco,
130 Come addiviene a chi virtù relinque.
Capitolo secondo.
Pien d' infinita e nobil meraviglia
Presi a mirar il buon popol di 3Iarte;
Ch' al mondo non fu mai simil famiglia.
Giugnca la vista con 1' antiche carte,
5 Ove son gli alti nomi e i sommi pregi,
E sentia nel mio dir mancar gran parte.
Ma disviarmi i peregrini egregi,
Annii)al primo, e quel cantato in versi
Achille, che di fama ebhe gran fregi:
10 I di!o chiari Trojan! , e i duo gran Pers^i:
Filippo, e '1 figlio, che, da Pella agi' Indi
Correndo, vinse paesi diversi.
Vidi r altr' Alessandro non lunge indi
Non già correr così , eh' ebb' altro intoppo.
15 Quanto del vero onor, Fortuna, scindi!
I tre Teban, eh' io dissi, in un bel groppo:
jVeir altro , Ajace , Diomede , e Ulisse,
Che desiò del mondo veder troppo.
Nestor , che tanto seppe, e tanto visse;
20 Agamennon', e jMenelao, che 'n spose
Poco felici al mondo fèr gran risse.
Leonida, eh' a' suoi lieto propose
Un duro prandio, una terribil cena,
E n poca piazza fé mirabil cose.
25 Alcibiade, che sì spesso Atena,
Come fu suo piacer, volse e rivolse
Con dolce lingua, e con fronte serena.
Milciade , che '1 gran giogo a Grecia tolse,
E '1 buon figliuol , che con pietà perfetta
30 Legò sé vivo , e '1 padre morto sciolse.
Temistocle , e Teseo con questa setta :
Aristide, che fu un greco Fabrizio.
A tutti fu crudelmente interdetta
La patria sepoltura , e 1' altrui vizio
85 Illustra lor; cliè nulla meglio scopre
Contrarj duo, eli' un picciol interstizio.
Foción va con questi tre di sopre.
Che di sua terra fu scacciato e morto ;
Molto contrario il guidardon dall' opre!
§0 Coni' io mi volsi , il buon Pirro ebbi scorto,
E '1 buon re Massinissa: e gli era avviso,
D' esser senza i Roman , ricev er torto.
Con lui mirando quinci e quindi fiso,
leron siracusan conol)l)i , e '1 crudo
45 Amilcare da lor molto diviso.
Vidi, qual uscì già del foco ignudo
Il re di Lidia; manifesto esempio.
Che poco vai contra fortiuia scudo !
Vidi Siiace pari a simil scempio :
50 IJrenno, sotto cui cadde gente molta,
E poi cadd' ci sotto 'I famoso tempio.
In aliU(» diversa, in popol folta
Fu quella scliiera, e mentre gli occhj alti ergo,
\ idi una parte tutta in se raccolta:
55 E <|U(;I, «iic volse a Dio far grande albergo,
Per aìiitar fra gli uomini, era '1 primo;
Ma I Ili II;' l'' (ipra, gli venia da tergo.
A lui lo dc.-iliiiatd , onde da imo
l'irdushc al M)uimo 1' edificio santo,
CO Non tal dentro arc^bitetto , com' io stimo.
Poi quel , di' a Dio familiar fu tanto,
In (grazia a parlar 8c«:o a faccia a faccia ;
Che nessun altro se ne può dar vanto.
E quel che, come un animai s' allaccia,
65 Con la lingua possente legò il sole,
Per giugner de' nemici suoi la traccia.
Oh fidanza gentil ! chi Dio ben cole,
Quanto Dio ha creato, aver soggetto,
E '1 ciel tener con semplici parole !
70 Poi vidi '1 padre nostro, a cui fu detto,
Ch' uscisse di sua terra, e gisse al loco,
Ch' all' umana salute era già eletto.
Seco '1 figlio, e '1 nipote, a cui fu '1 gioco
Fatto delle due spose; e 'I saggio e casto
75 Giosef dal padre allontanarsi un poco.
Poi stendendo la vista, quant' io basto,
Rimirando, ove V occhio oltra non varca.
Vidi '1 giusto Ezechia, e Sanson guasto.
Dì qua da lui, chi fece la grand' arca,
80 E quel, che cominciò poi la gran torre,
Che fu sì di peccato, e d' error carca.
Poi quel buon Giuda, a cui nessun può torre
Le sue leggi paterne, invitto e franco,
Com' uom, che per giustizia a morte corre.
85 Già era il mio desir presso che stanco,
Quando mi fece una leggiadra vista
Più vago di veder, eh' io ne foss' anco.
Io vidi alquante donne ad una lista.
Antiope, ed Orizia armata e bella,
90 Ippolita del figlio afflitta e trista,
E Menalippe, ciascuna sì snella.
Che vincerle fu gloria al grande Alcide,
Che r una ebbe, e Teseo 1' altra sorella.
La vedova, che sì sicura vide
95 Morto '1 figliuol , e tal vendetta feo.
Ch' uccise Ciro, ed or sua fama uccide.
Però vedendo ancora il suo fin reo.
Par che di novo a sua gran colpa moja;
Tanto quel dì del suo nome perdéo !
100 Poi vidi quella, che mal vide Troja,
E fra queste una vergine latina,
Ch' in Italia a' Trojan fé tanta noja.
Poi vidi la magnanima reina,
Ch' una treccia rivolta , e 1' alti'a sparsa
105 Corse alla babilonica mina.
Poi vidi Cleopatra ; e ciascun' arsa
D' indegno foco , e vidi in quella tresca
Zenobia del suo onor assai più scarsa.
Beli' era, e nell' età fiorita e fresca:
110 Quanto in più gioventute , e 'n più bellezza.
Tanto par eh' onestà sua laude accresca.
Nel cor femmineo fu tanta fermezza.
Che col bel viso, e con I' armata coma
Fece temer chi per natura sprezza.
115 P parlo dell' imperio alto di Roma,
Che con arme assalio , bendi' all' estremo
Fosse al nostro trionfo ricca soma.
Fra i nomi , che 'n dir brei e ascondo e premo,
Non fia Giudit la vedovctta ardita,
120 Che fé' 'I folle amator del capo scemo.
Ma Nino, ond' ogn' istoria umana è ordita,
Dove lass' io? e 'I suo gran successore,
(/he superbia condusse a bestiai vita?
Belo dove riman , fonte d' errore,
125 Non per sua colpa.'' dov' è Zoroastro,
Che fu dell' arte magica inventore?
E chi de' nostri duci , che 'n duro astro
Passar r Eiifratt;, face 'I mal governo,
All' italiche doglie fiero impiastro?
153] TRIONFO DELLA FAMA, n. (130-163) m. (1-99) [154]
150
153
l30 Ov è '1 gran IMitridate, qucll' eterno
Nemico de' Roman, che sì ramingo
Fuggi dinanzi a lor la state e '1 verno?
Moke gi'an cose in pìcciol fascio stringo.
Ov' è il re Artù , e tre Cesari Augusti,
135 Un d' Affrica, un di Spagna, un Loteringo?
Cingean costu' i suoi dodici robusti :
Poi venia solo il buon duce Goffrido,
Che fc' r impresa santa , e i passi giusti.
Questo, di eh' io mi sdegno, e 'ndarno grido,
140 Fece in Gerusalém con le sue mani
Il mal guardato e già negletto nido.
Ite, superbi e miseri cristiani.
Consumando 1' un 1' altro , e non vi caglia,
Che '1 sepolcro di Cristo è in man di canil
113 Raro, o nessun, eh' in alta fama saglia,
Vidi dopo costui, s' io non ra' inganno,
O per arte di pace, o di battaglia.
Pur, com' uomini eletti ultimi vanno,
Vidi verso la fine il Saracino,
Che fece a' nostri assai vergogna e danno.
Quel di Luria seguiva il Saladino:
Poi '1 duca di Lancastro, che pur dianzi
Er' al regno de' Franchi aspro vicino.
Miro , com' uora, che volentier s' avanzi,
S' alcuno vi vedessi, qual egli era
Altrove agli occhj miei veduto innanzi:
E vidi duo , che si partir jersera
Di questa nostra etate, e del paese:
Costor chìudean quell' onorata schiera:
Idi} Il buon re sicilian, eh' in alto intese,
E lungo vide, e fu verainent' Argo:
Dall' altra parte il mio gran Colonnese,
Magnanimo, gentil, costante, e largo.
Capitolo Terzo.
Io non sapea da tal vista Icvarme;
Qnand' io udii: pon' mente ììU' aJtro Iato!
Che s' acquista ben pregio altro clie d' arme.
Volsimi da man manca, e vidi Plato,
5 Che 'n quella schiera and») più presso al segno.
Al qua! aggiunge a chi dal cielo è dato.
Aristotele poi pien d' alto ingegno ;
Pitag(»ra , che primo luniiementc
Filosofia chiamò per nome degno.
10 Socrate, e Senofonte, e queil' ardente
Vecchio , a cui fùr le muse tanto amirlie,
Ch' Argo, e Micena, e Troja se ne sente.
Questi «auto gli errori e le fatiche
Del figliMol di Laerte , e della Diva,
Primo pittor delle nicuu)rie anti<;he.
A m;in ii man con lui cantando giva
11 iMiuiloan , che di par seco giostra,
Ed uno, al cui passar I' erba fioriva.
Quest' è quel .Marco 'l'uilio , in cui si mostra
Chiaro, quanl' ha eloquenza e frutti, e fiori;
Questi fion gli or<;hj della lingua nostra.
Dopo venia Denio>ti'nc, «;he fuori
E di speranza ornai del primo loco,
Non ben contento de' sec<inili onori.
25 Un gran foigor parca tutto di foco :
Esriiine il dica , <!ie 'I potè sentire.
Quando presso al huo timn parve già reco.
Io 0(10 posso per ordine riiiire,
Quc-.t(» o «juel , do%«; mi vedessi, o quando,
30 l'i (|ual innan/i andar, e qiiiil seguire;
Che cose innuineriibili pcns.iiulo,
E mirando la turba tato e tanta,
15
20
L' occhio il pensier ni' andava desviando.
Vidi Solón, di cui fu 1' util i>ianta,
35 Che, s' è mal eulta, mal frutto produce;
Con gli altri sei , di cui Grecia si vanta.
Qui vid' io nostra gente aver per duce
A'arrone, il terzo gran lume romano.
Che, quanto '1 miro più, tanto più luce.
40 Crispo Salustio, e seco a mano a mano
Uno, che gli ebbe invidia e videi torto,
Cioè 'l gran Tito Livio padovano.
Mentr' io mirava, subito ebbi scorto
Quel Plinio veronese, suo vicino,
45 A scriver molto, a morir poco accorto.
Poi vidi '1 gran platonico Plotino,
Che, credendosi in ozio viver salvo,
Prevento fu dal suo fiero destino,
qual seco venia dal matern' alvo ;
50 E però provvidenza ivi non valse:
Poi Crasso, Antonio, Ortensio, Galba, e Calvo
Con Pollion , che 'n tal superbia salse.
Che centra quel d' Arpino armar le lingue
Ei duo cercando fame indegne e false.
55 Tucidide vid' io, che ben distingue
1 tempi, e i luoghi, e loro opre leggiadre,
E di che sangue qual campo s' impingue.
Erodoto , di greca istoria padre,
Vidi; e dipinto il nobil geometra
60 Di triangoli, tondi, e forme quadre.
E quel , che 'nver di noi divenne petra,
Porfirio, che d' acuti sillogismi
Emj)iè la dialettica faretra.
Facendo contra '1 vero arme I sofi-fuii,
63 E quel di Coo , che fé' vie miglior 1' opra.
Se ben intesi fosser gli aforismi.
Apollo , ed E^culapio gli son sopra
Chiusi, cir appena il viso gli comprende.
Sì par, che i nomi il tempo limi, e copra!
70 Un di Pergamo il segue; e da lui pende
L' arte guaita fra noi , allor non vile,
Ma breve e os(-ura, ei la dichiara, e stende.
Vidi Anasarco intrepido e virile,
E Senocrate jìiù saldo , eh' un sasso,
75 Che nulla forza il volse ad atto vile.
Vidi Archimede star col viso basso,
E Denu)crito andiir tutto i)ensoso,
Per suo voler di lume e d" oro casso.
Vid' Ippia il vecchierel , che già fu oso
80 Dir: i' so tutto, e poi di nulla certo,
iMa d' ogni cosa .Arcliesilao dubbioso.
Vidi in suoi detti Eraclito coperto,
E Diogene cinico in suoi fatti
Assai più , che non vnol vergogna . aperto
85 E quel , che lieto i suoi campi disfatti
\i(le, e ile?erti , d' altra uicnc carco,
Credendo averne invidiosi patti.
Iv' era il curioso Dicearco,
Ed in suoi magisteri assai dispari
90 Quintiliano, e Seneca, e Plutarco.
Vidi^i alquanti, eh' bau turbati i mari
(Jou %enti avver-i ed intelletti vaghi.
Non per saper, ma per contender chiari.
Urtar, come leoni, v conie draglii
*)5 Con le code avviuchiar>i. Or che è questo,
('ir ognun d<'l ^no saper par che s' appaghi?
Cameade vidi io ^ulli studj ^ì desto.
Che parbind' egli, il vero e "I falso appena
Si dibcerneu; co»i nel dir fu presto.
[1551TRIONFO DELLA FAMA(!iI 100 — 121)DELTEMPO.(l-96)[156]
100 La liiTig'a vita, e la sua lar/^a rena
D' ingegno po«e iu accordiir !e parti,
105
110
— --o'O'-" r"-" ••■ " — 1 ^•'
Che *l furor letterato a guerra mena.
Né 'l potéo far : che come crebber 1' arti.
Crebbe I' invidia, e coi sapere insieme
Ne' cuori enfiati i suoi veneni sparti.
Centra '1 buon sire, che 1' umana speme
Alzò, ponendo 1' anima immortale,
S' armò Epicuro, onde sua fama geme,
Ardito a dir, eh' ella non fosse tale:
Cosi al lume fu famoso, e lippo
Con la hrigata al suo maestro eguale;
Di Metrodoro parlo, e d' Aristippo.
Poi con gran subbio, e con mirabil fuso
Vidi tela sottil tesser Crìsippo.
115 Degli Stoici '1 padre alzato in suso,
Per fiir chiaro suo dir, vidi Zenone
Mostrar la palma aperta, e 1 pugno chiamo,
E per fermar sua bella intenzione.
La sua tela gentil tesser Cleante,
120 Che tira al ver la vaga opinione.
Qui lascio, e più di lor non dico avante.
TRIONFO DEL TEMPO.
Dell' aureo albergo con 1' aurora innanzi
Sì ratto usciva 'I sol cinto di raggi.
Che detto aresti : e' si corcò pur dianzi.
Alzato un poco, come fanno i saggi,
5 Guardoss' intorno, ed a sé stesso disse:
Che pensi? ornai convien, che più cura aggi.
Ecco, s' un uom famoso in terra visse,
E di sua fama per morir non esce.
Che sarà della legge, che '1 ciel fìsse?
10 E se fama mortai morendo cresce.
Che spegner si doveva in breve , veggio
Nostra eccellenza al fine; onde m' incresce.
Che più s' aspetta , o che potè esser peggio ?
Che più nel ciel ho io, che 'n terra un uomo,
15 A cui esser cgual per grazia cheggio?
Quattro cavai con quanto studio comò,
Pasco neir oceano , e sprono , e sferzo,
E pur la fama d' un mortai non domo?
Ingiuria da corruccio e non da scherzo,
20 Avvenir questo a me ; s' io foss' in cielo,
Non dirò primo, ma secondo, o terzo.
Or convien, che s' accenda ogni mio zelo
Sì, eh' al mie» volo V ira addoppj i vanni:
Ch' io porto invidia agli uomini, e noi celo.
25 De' quali veggio alcun dopo mill' anni,
E mille e mille più chiari , che 'n vita,
Ed io m' avanzo di perpetui alTanni.
Tal son, qual era, anzi che stabilita
Fosse la terra, dì e notte rotando
30 Per la strada rotonda , eh' è inlìnita.
Poi che questo ebbe detto , disdegnando
Riprese il corso più veloce assai,
Che falcon d' alto a sua preda volando.
Più dico, né pensicr porla giaumiui
35 Seguir suo volo, non che lingua, o etile,
Tal che con gran paura il riniirai.
Allor tf-nn' io il viver nostro a vile
Per la mirabil sua velocitate.
Me |)iù eh' innanzi noi tenca gentile.
40 E par\('ini mirabil vanitate
rcniiar in cioè il cor, che 'I tempo preme,
Che mentre più le stringi , sou passate.
Però chi dì ^u(> xtiito (-ura, o teme,
Prov\eggia lien , iiientr' è 1' arliitrio intero,
45 Fondar in lue»» stabile sua speitie!
Che quant' io vidi 1 tciujio andar leggiero
Dopo la guida sua, che mui non posa,
1' nul dirò , perché poter oul spero.
r vidi '1 ghiaccio, e li presso la rosa,
50 Quasi in un punto il gran freddo , e 'I gran caldo ;
Che pur udendo par mirabil cosa.
Ma chi ben mira col giudicio saldo.
Vedrà esser così ; che noi vid' io ;
Di che contra me stesso or mi riscaldo.
55 Seguii già le speranze, e '1 van desio;
Or ho dinanzi agli occhj un chiaro specchio,
Ov' io veggio me stesso , e 'i fallir mio.
E quanto posso, al fine m' apparecchio,
Pensando '1 breve viver mio, nel quale
CO Stamane era un fanciullo, ed or son vecchio.
Che più d' un giorno é la vita mortale
Nubilo, breve, freddo, e pien di nnja?
Che può bella parer, ma nulla vale?
Qui r umana speranza, e qui la gioja,
65 Qui i miseri mortali alzun la testa,
E nessun sa, quando si viva, o moja.
Veggio la fuga del mio vìver presta.
Anzi di tutti , e nel fuggir del sol»
La mina del mondo manifesta.
^y Or vi riconfortate in vostre fole.
Giovani, e misurate il tempo largo!
Che piaga antiveduta assai men dolc.
Forse che 'ndarno mie parole spargo ;
Ma io v' animnzio , che voi sete offesi
75 Di un grave e mortifero letargo.
Che volan 1' ore, i giorni, e gli anni, e i mesi,
E 'nsieme con brevissimo intervallo
Tutti avemo a cercar altri paesi.
Non fate contra '1 vero al core un callo,
80 Come siete usi , anzi volgete gli occhj,
Mentr' emendar potete il vostro fallo!
Non aspettate, che la morte scocchi.
Come fa la più parte: che per certo
Infinita é la schiera degli sciocchi.
85 Poi eh' i' ebbi veduto , e veggio aperto
Il volar, e 1 fuggir del gran pianeta,
Ond' i' ho danni, e 'nganni assai sofferto.
Vidi una gente andarsen qiieta queta.
Senza temer di tempo, o di sua rabbia,
90 Che gli avea in guardia istorico, o poeta.
Di lor par più, che d' altri, invidia s' abbia.
Che per sé st«s>i son levati a volo,
Uscendo fuor ilella comune gabbia.
Contra costor colui , che splende solo,
95 S' ap|>arecchiava con maggiore sforzo,
E riprendeva un più spedito volo.
157]TRIONFODELTEMPO(97— 145)DELLAD1VINITA.(1— 68)[158]
A' snoi corsici' raddoplat' era I' orzo,
E la reina, di eh' io sopra dissi,
Volea d' alcun de' suoi già far divorzi).
.00 Udii dir, non so a chi, ma '1 detto scri?;si:
In questi umani, a dir proprio, ligustri,
Di cieca (lìjblivione oscuri abissi,
Volgerà il sol non pur anni, ma lustri,
E secoli vittor d' ogni cerebro,
JI5 E vedrà' il vaneggiar di questi illustri.
Quanti fùr chiari tra Penéo ed Ebro,
Che son venuti, o verran tosto meno!
Quant' in sul Xanto, e quant' in vai di Tebro !
Un dubbio verno , un instabil sereno
liO E vostra fama, e |)oca nebbia il rompe,
E '1 gran tempo a' gran nomi è gran venenu.
Passan vostri trionfi, e vostre pompe,
Passan le signorie, passano i regni.
Ogni cosa mortai tempo interrompe;
L15 E ritolta a' men buon', non dà a' più degni,
E non pur quel di fuori il tempo sol^e.
Ma le vostre eloquenze, e i vostri ingegni.
Così fuggendo il mondo seco volve,
jVù mai si posa, né s' arresta, o torna,
120 Fin che v' ha ricondotti in poca polve.
Or perchè umana gloria ha tante corna,
Non è gran meraviglia, s' a fiaccarle
Alquanto oltra 1' usanza si soggiorna.
Ma chennque si pensi il vulgo, o parie,
125 Se '1 viver vostro non fosse sì breve.
Tosto vedreste in polve ritornarle.
Udito questo (perchè al ver si deve
Mon contrastar , ma dar jierletta fede)
Mdi ogni nostra gloiia al sol di ne^e,
130 E vidi '1 tempo rimenar tal prede
De' vostri nomi, eh' i' gli ebbi per nulla,
Benché la gente ciò non sa, né crede.
Cieca, che sfinpre al vento si trastulla,
E pur di false opinion si pasce,
135 Lodando più '1 morir vecchio, che 'n culla.
Quanti felici son già morti in fasce!
Quanti miseri in ultima vecchiezza!
Alcun dice: beato è chi non nasce!
Ma per la turba a' grandi errori avvezza,
ilo Dopo la lunga età sia 'l nome chiaro.
Che è questo però, che sì s' apprezza ?
Tanto vìnce, e ritoglie il tempo avaro:
Chiamasi fama, ed è morir secondo,
Né più, che contra '1 primo, é alcim riparo.
145 Cosi '1 tempo trionfa i nomi, e '1 mondo!
TRIONFO DELLA DIVINITÀ,
Da ])oi clic sotto 'I ciel cosa non vidi
Stabile e ferma , tutto sbigottito
Mi volsi e dissi: guarda, in che ti fidi?
Risposi : nel signor , che mai fallito
3 INon ha promessa a chi »i fid.i in lui:
3Ia veggio ben, che '1 mondo m' ha schernito,
E sento quel eh' io sono, e quel eh' i' fui,
E veggio andar, anzi volar il tempo,
E doler mi vorrei , né so di cui.
1() Che la colpa é pur mia, che più por tempo
Dovea aprir gli occlij , e non tardar al fine .
Ch' a dir il vero , ornai tro[i]io ni' attempo.
Ma tarde min fùr mai griizie diiiiie:
in quelle spero, ciie 'n me ancor faranno
Alte operazioni e pellegrine.
Così detto , e rispo.^to : or se non stanno
Que^te cose , che "1 elei volge e governa,
Dopo molto voltar, che line aranno?
Questo pensava , e mctntre più s' interna
La mente mia, veder mi parve im utondo
!\ov(» , in etate immollile ed el(;rna,
E '1 sole, e tutto '1 ei);l di.'-f.M-e a t(»ndo
Con le sue stelle, ancor la terra, e 1 mare,
E rifarne un piii bello, e più giocondo.
25 Qual meraviglia elib' io, (piando restare
\'u\'\ in un pie colui, che n ai nini stette.
Ma discorrendo ^uol tutto cangiare!
E le tre parti sue vidi ristrette
Ad una sola , e quell' una esser ferma.
Sì ebe, <;on>e solca, più n(ni s' airrctte!
E qna-*i in (erra d' erba ignuda ed erma,
>è (ia , nò fu, nò mai v' era air/.i , o dielr>).
Clic amara vita fanno, varia e 'ni'erma.
Passa '1 piiirier, sì come solo in vetro,
15
20
30
35 Anzi più assai, però che nulla il tiene.
Oh qual grazia mi fia, se mai l' impetro,
Ch' i' vcggia i\i presente il sommo bene.
Non alcun mal , che solo il tempo mesce,
E con lui si diparte, e con lui viene!
iO Non avrà albergo il sol in tauro, o 'n pesce.
Per lo cui variar nostro lavoro
Or nasce, or more, ed or scema, ed or cresce
Beati spirti , che nel sommo coro
Si troveranno, o trovano in tal grado,
45 Che sia in memoria eterna il nome loro!
Oh felice colui, che trova il guado
Di questo alpesiro e rapido torrente,
Ch' ha nome vita, eh' a molti è si a grado!
Misera la volgare e cieca gente,
50 Che pon qui sue speranze in cose tali.
Che 1 tempo le ne porta sì repenu!
Oh veramente sordi, ignudi, e frali.
Poderi d' argomeiito, e di consiglio,
Egri del tutto , e miseri mortali !
55 Quel , che 1 mondo g(»verna pur col ciglio,
(/he conturba ed ac'jueta gli elementi.
Al e;ii saper nini pur io non m' appiglio.
Ma gli aiig<-li ne son lieti e i-ontenti
Di veder delle mille parli l' una,
v'iO E in <:ìò si stanno desiosi e 'nt(-nti.
Oh Mient(? ><ig<i '>1 lui sempre digiuna!
\ cIk; t.iiiti pen-'ierì.'' un' (U°a sgoinlira
Quel , l'In; "o molt' anni appena si raguna.
Quel, iIk; r anima nostra preme e 'ngombra,
<)5 Dianzi, adesso, ier, diman , mattino e sera,
TiiUi in un punto passeraii, coiu' omLra.
Non a\rà loco fu, sarà, né era,
Ma è kolo in prosente, e ora, e oggi.
[159]
TRIONFO DELLA DIVINITÀ. (69-145)
[160]
E sola eternità raccolta e 'ntera.
70 Quanti spianati dietro e innanzi poggi,
Ch' occupavan la vista! e non fia in cui
Nostro sperar e rimembrar s' appoggi J
La qiial varietà fa spesso altrui
Vaneggiar sì, che '1 viver pare un gioco,
75 Pensando pur, che sarò io? che fui?
Non sarà più diviso a poco a poco.
Ma tutto insieme , e non più state , o verno,
Ma morto '1 tempo, e variato il loco:
E non avranno in man gli anni '1 governo
80 Delle fame mortali, anzi chi fia
Chiaro una volta, fia chiaro in eterno.
Oh felici queir anime, che 'n via
Sono o saranno di venir al fine.
Di eh' io ragiono , quandunqu' e' si sia !
85 E tra 1' altre leggiadre e pellegrine,
Beatissima lei, che morte ancise
Assai di qua dal naturai confine !
Parranno allor 1' angeliche divise,
E r oneste parole , e i pensier casti,
90 Che nel cor giovenil natura mise.
Tanti volti , che '1 tempo e morte han guasti,
Torneranno al lor più fiorito stato,
E vedrassi, ove. Amor, tu mi legasti,
Ond' io a dito ne sarò mostrato :
95 Ecco chi pianse sempre, e nel suo pianto
Sopra '1 riso d' ogni altro fu beato.
E quella, di cu' ancor piangendo canto.
Avrà gran meraviglia di sé stessa,
Vedendosi fra tutte dar il vanto.
100 Quando ciò fia, noi so, sassel proprio essa;
Tanta credenza a' più fidi compagni
Di si alto secreto ha chi s' appressa.
Credo, che s' avvicini, e de' guadagni
Veri e de' falsi si farà ragione:
l05 Che tutte fieno allor opre di ragni.
Vedrassi, quanto in van cura si pone,
E quanto indarno s' affatica, e suda,
Come sono ingannate le persone.
Nessun secreto lìa chi copra , o chiuda,
110 Fia ogni conscienza o chiara , o fosca,
Dinanzi a tutto '1 mondo aperta e nuda.
E fia chi ragion giudichi e conosca ;
Poi vcdrcm prender ciascun suo viaggio,
Come fiera cacciata si rimbosca.
115 E vcderassi in quel poco paraggio.
Che vi fa ir superbi , oro e terreno
Essere stato danno, e non vantaggio.
E 'n disparte color, che sotto '1 freno
Di modesta fortuna ebbero in uso
120 Senz' altra pompa di godersi in seno.
Questi cinque trionQ in terra giuso
Avem veduti, ed alla fine il sesto,
Dio permettente , vederem là suso ;
E '1 tempo a disfar tutto , così presto,
125 E morte in sua ragion cotanto avara.
Morti saranno insieme e quella, e questo.
E quei, che fama meritaron chiara.
Che '1 tempo spense, e i bei visi leggiadri.
Che 'mpaliìdir fé '1 tempo, e morte amara:
130 L' obblivion , gli aspetti oscuri ed adri.
Più che mai bei tornando , lasceranno
A morte impetuosa, ai giorni ladri.
Neil' età più fiorita e verde avranno
Con immortai bellezza eterna fama :
135 , Ma innanzi a tutti, eh' a rifar si vanno,
I E quella , che piangendo il mondo chiama
Con la mia lingua, e con la stanca penna:
I Ma '1 ciel pur di vederla intera brama.
A riva un fiume, che nasce in Gebenna,
140 Amor mi die' per lei sì lunga guerra.
Che la memoria ancora il core accenna.
Felice sasso, che '1 bel viso serra!
Che poi eh' avrà ripreso il suo bel velo.
Se fu beato chi la vide in terra,
145 Or che fia dunque a rivederla in cielo?
Fine de' Trionfi.
ARIOSTO.
DISCORSO DELLA VITA E DELLE POESIE
o I
LODOVICO ARIOSTO.
Uà Niccolò Ariosto, gentiluomo ferrarese, capi- i gentiluomini della sua corte, sin da' primi mesi
ano per Ercole I, duca secondo di Ferrara, della del 1518, e nelle maggiori e più difficili occor-
:iUadella di Reggio, e dalla Daria Malaguzzi, gen-|renze sue, e in quelle d' Alfonso suo fratello
ildonnareggiana, nacqueLodo vico Ariosto, succeduto nel ducato ad Ercole, loro padie nel
1505, stimò suo vantaggio di valersi di lui.
Il che si vide nelle due molto imperlanti spedi-
zioni a Giulio secondo, la prima in dicembre
del 1509, per impetrar dal papa soccorso e di
danaro e di truppe a favore del duca minacciato
e assalito dalla repubblica di Venezia j l'altra tra
il primo di giugno e li 9 d" agosto del 1510, per
mitigare quel focoso pontefice irato. Si distinse
per altro ancora il nostro Lodovico senza dubbio
nino di cinque fratelli e di altrettante sorelle,
l giorno 8 di settembre dell' anno 1474. Dalla
uà fanciullezza fece conoscere 1' inclinazione e
ibililà sua nelle poetiche invenzioni, componen-
io drammaticamente in volgai'e la favola di Tis-
>c, la qualpoi s' industriò di rappresentare, aju-
cilo dai suoi fratelli. Per ubbidire a suo padre
mpicgò cinque anni (1489 — 1494) della sua
[ioventù- nello studio delle leggi, ma con tanta
icchlezza ed avversione, che, non corrisponden- in una di quelle diverse scaramucce che si at-
lo vàie speranze il profitto, fu pei-suaso il padre itaccarono li 22 di novembre avanti all' ultima
i lasciarlo in libertà di applicarsi, dove l'inclina- battaglia alla Pollicella. Fu in corte del card
:ione il portava. Studiò di nuovo accuratajuen-
e la lingua latina sotto Gregorio da Spoleti, ai-
ora in casa del Sgr. Rinaldo daEste in Ferrara,
! con ardore si diede all' esame de' più eccel-
enli scrittori di quella, massimamente de' poeti.
|)i provò a ridurre la commedia italiana sulle
naie, che, per farselo maggiormente grato, pensò
l'Ariosto di comporre un poema in lode di lui
e della sua casa, prendendo a compire la tela
ordita dal conte Bojardo nel suo Innamoralo.
Dopo dieci anni o undici al più di lavoro molle
volte intermesso, si credette di aver condotto atalc
■egolc della greca e della latina, componendo 'stato il suo poema da poterlo pubblicare colle stara,
n prosa prima del 1500 la Causarla e i 'S«/j-|pe, a fine di averne comodamente non solo il <tìu_
»oói7/, che poi più tardi in versi sdruccioli tra- dizio de' suoi amici, maTunivcrsal sentimento e
lusse. Si dolse molto della partenza di Grcgo- poi richiamarlo a un' esalta correzione. Il che si
io nel 1499 con Isabella, duchessa di Milano, 'fece nel 1516, e con moltissime correzioni, mu-
)orlata in Francia col figlio prigione. La morte tazioni e giunte di sei canti di nuovo il 1 d' ot-
»oi del jKadre, avvenuta in febbrajo del 1500,!lobre del 1532. Frattanto intiepidito e scon-
;li tolse in gran parte il comodo e il tempo di cerlalo dalla disgrazia, che dopo quindici aiuii
n-oscguirc gP intrapresi esercizj nella latina e^di fedele e faticoso servigio imontiò del suo
taliaiia ])ocsia, ])oiclic dovette darsi a uii bri-|])aclronc , e liavaglialo da ostinati litij>i che il
[OSO mcslierc molto diverso, e lutto nuovo ])cr patrimonio gli minacciavano, o nulla attese per
ui, qual fu il regolamento de' suoi domestici molto Icmpo, o j)oco e con pocogcnio , alla revi-
ilaii, non di maniera però, che affatto se ne! sione del suo poema; di maniera che sul fine
listogliesse: mcntrechc furono lavori di quel della sua vita ebbe a dolersi, clic il suo /'«/-/ojo
cmpo in buona parte le sue liriche poesie ila- della sua compiuta collezione mancasse parte
iant; e Ialine. Per mezzo di queste si {wfi nolo por colpa delle sue domestiche occuiiazioni e
[ talento di lui al cardinale Ippolito d'Eslc, li- liavcisie, e parte per volere de' suoi padroni
liuolo del duca Ercole I, il quale il volle lia' che di continuo il distrassero in via"<ti in le"a-
IV
DISCORSO DELL' ARIOSTO.
zioni e governi. Qualunque pure inoltre si fosse j 1520. Ma nel rimetterla sulla scena la ritoccò j,
il concetto, che sul principio avesse di quel, in molti luoghi non senza notabili cangiamenti,
poema quel principe, — il suo giudizio poco Per la recita di queste commedie non risparmiò j
principesco noto e basso assai dinota purtroppo il duca Alfonso veruna spesa, perchè si alzasse
la natm-a di quel suo padronaggio — cello e,
che non passarono diciotto mesi, che l'Ariosto fu
privato del frutto delle onorevoli sue fatiche per
questo solo, che nell' andata del cardinale in
Ungheria li 20 d' ottobre del 1517, per fermar-
visi due anni e alquanti mesi, egli, per l'atten-
zione, che richiedeva la poco stabile sua salute,
e per la cura, che doveva aUa sua famiglia, si
uno stabile teatro nella sala del suo palazzo, di-
rimpetto al vescovado, secondo l'architettura]
dal poeta isLesso ideata e diretta, il quale ri-
uscì di tanta vagliezza e ^lagnificenza , che il
più bello e il più ricco non era mai stato veduto a
que' tempi. Vennero con sommo applauso e diletto
rappresentate più volte a diversi principi le so-
pradette commedie da gentiluomini ed onorate
scusò di seguirlo ( v. sat. 1.). Da quel punto lo persone, come a quell' età si costumava; e fino il
privò non già della sua carica, vantaggiosa più principe D.Francesco, altro figliuolo del duca, non
al cardinale, che al poeta, ma almeno della sua isdegnò di recitare il prologo della Lena la prima
grazia, e diede segni d'averlo in odio e in dispetto, volta , che l'anno 1528 fi-i posta sulla scena.
Lo ristorò di questa perdita il duca Alfonso, che| Oltre 1' impresa d' un nuovo poema coli' ab-
1' accolse appresso di sé tra' gentiluomini suoi j bozzarne que' cinque canti, che dopo la sua
familiari, e gli assegnò anzi nella cancelleria di morte furono col Fuiioso stampati, non già per
Milano, che sborsò un salario di 21 lire per mese, infrappoili in diversi luoghi del suo poema com^
insieme con vettovaglia per tre servitori e due pito, molte altre cose compose per esercizio e
cavalli.
Godè di quiete nel nuovo servigio per li suoi
studj sino al febbrajo del 1522, dove fu spedito
dal duca commissario nella Garfagnana, in occa-
sioni assai torbide e pericolose di fazioni e di
masnadieri (sat. 4- )• Cavalcando là un giorno
colla sua famiglia, eh' erano da sei o sette ca-
valli, e convenendogli presso Rodea passar per
mezzo aduna compagnia d' uomini armati, che
sedevano sotto diverse ombre, andò oltre, non
senza qualche sospetto ; ed essendo passato avan-
ti un tiro di mano, colui, eh' era capo loro,
dimandò al servitore, eh' era più addietro degli
altri, chi fosse il gentiluomo ; e udito, eli' era
Lodovico Axiosto , subito si mise a corrergli die-
tro, e riverentemente salutatolo gli disse, eh'
era Filippo Pacchione, capo di ladroni, egli
domandò perdono, se non gli avea fatto motto
nel passar oltre, poiché non sapeva, chi egli
fosse, ma che, avendolo inteso poi, era venuto
per conoscerlo di vista, come molto prima l'avea
conosciuto per fama. Ecco un incontro, dal
quale si conosce, come possano talvolta gareg-
giare in condiscendenza un ladro e un niecciiale!
Finito il tempo del suo governo, che fu di
tre anni, si restituì Ariosto a Ferrara; dove per
compiacere al duca , che diletto trovava nelle
sceniche rappresentazioni, si diede a comporre
le tre ultime sue commedie, la Lena, il Negro-
mante, e la Scoi aulica, la qual ultima poi non
per prova, e spezialmente si applicò alle tradu-
zioni in Italiano di varj romanzi spagnuoli, fran-
cesi, e di molte commedie di Plauto e di Te-
renzio.
Fu conosciuto il sommo valor dell' Ariosto
da' primi ingegni della sua età, co' quali tenne
perfetta anùcizia, ed onorevole ricordanza ne fece
nel suo poema; ma singolarmente fu stimato e
ammirato da' primarj signori d'£uro})a , fra'
quali Pimperador Carlo V nel novembre del 1532
trovandosi in Mantova , volle di propria mano
pubblicamente onorarlo della corona d'alloro.
In quella notte preceduta all' ultimo giorno
del 1532, in cui s' incendiò quella parte del pa-
lazzo ducale , dov' era il superbo teatro sopra-
mentovato, cominciò 1' Ariosto a sentire una
ostruzione nel collo della vescica, male ch«
in cinque mesi lo condusse al sepolcro , il ch«
avvenne la sera de' sei di giugno 1533, cinquan-
tanovesimo della sua vita. Fu sotterrato assa:
semplicemente, portato da quattro uomini, e con
due lunù soli alla clncsa veccliia di San Bene*
detto ; ma 1' umile suo sepolcro fu da molti poet
onorato con greche, latine e italiane composi-;
zioni. Quaranta anni dopo, a spese di Agosti-!
no Mosti, che giovanotto sotto PArioslo si appli-
cò a' poetici studj, gli fu eretto nella nuova chiesi
de' monaci Benedettini, nella cappella alla destrJ
dell'aliai- maggiore, un più dccoi'oso sepolcro,
e voile il Mosti il contento di trasportarvi colle
condusse a comjìimcnto, lasciandola abbozzata pro|iric mani, non senza molte lagrime, le ossa
sino alla terza scena dell' atto terzo. Vero è di lui il giorno sesto di giugno dei 1573- Ma
però, olle il Negromante l'avea composto al nel 1612 un nuovo sepolcro assai magnifico nell'
tempo di Leone X, prima de' 16 di gemi ajo del 'altra cappella a sinistra dell' altare suddetto gli
DISCORSO DELL' ARIOSTO-
fu innalzato da Lodovico suo pronipote, e un
nuovo trasporto vi fu fatto delle sue ceneri, dove
sino al presente si conservano.
Da' suoi poemi, e spezialmente dalle sue sa-
lire abbiamo una chiara e sincera esposizione
delle doti dell' animo suo assai conformi alla più
onesta e regolata morale, come affabilità nel con-
versare, schiettezza e lealtà nel px'ocedere, mo-
destia e rispetto , giustizia, mansuetudine, pia-
cevolezza, moderazione nel desiderio d'onori,
sobrietà, e nobil entusiasmo di libertà. In quanto
poi agli amori suoi donneschi , li rende scusa-
bili l'universal genio e la libertà del suo secolo.
Sicuro egli è, che due figliuoli si procacciò, Vir-
ginio e Giovanbatista , l'uno canonico della cat-
tedrale di Ferrara, l'altro capitano della milizia
del duca. Se d' una stessa donna , Orsolina,
nascessero ambidue, noti è certo. Meritò egli
dunque le lodi atti-iWitcgli in varj poemi , tra'
quali trascriviamo qui il sonetto del cavalier Lui-
gi Lamberti, scritto nell' occasione dell' ultimo so-
lenne trasporto delle ceneri dell' Ariosto :
Se grido nniversal d'umana lode.
Di stiipor figlia e di commosso affetto,
Può dolcemente rallegrare il jietto
D' immortai vate , che nel cicl si gode.
Gioisci or si, che n' hai hen donde, o prode
Cigno da Febo a &i gran voli eletto,
Scoltando i plausi, ond' oggi il tuo diletto
Suol t' esulta , e del Po tutte le prode.
Ma più che all' opra de' scarpelli industri.
Più che alle ricdie pompe, e alhi canora
Voce, eh' odi sonar, di spirti illustri.
Godi, che fra lo stuol, clic Pindo onora,
Pel giro , or presso di sessanta lustri,
11 più grande di Te non sursc ancora.
Per compire il ritratto di questo pocla clas-
sico italiano, si permetta ora di dare qualcJie
cenno sui poemi suoi in particolare.
In quanto dunque la poesia e Parmonia del-
l'invisibile e del visil)ile, del mondo reale ed ideale,
in quanto perciò ella e astrclla alle leggi dcHa
natura e dell' inlcllcllo concoidi insieme e a lor
modo paralkìlc, mancar ella non può, né devo
di base e di fondo istorico e reale dall' una, e
di quanto è stato ognora lior e corona dell' in-
IcUclto, dall' altra parte. Un albero ella sem-
bra, che, abbarbicalo ncll' imo grembo della
tcira , innalza allo nubi la sua cima, simile a
qucU' albero, che in ogni milulogia i simbolo
dell' universo. E conio qucll' albciu \as.si tlira-
mando tra per lo spazio indnilo, cosi pure la
poesia vediamo eh' ella ò, o più o mono, bone
e dono comune di tulle le nazioni, ed dadi, dio
ne formano le parli diverse, con questa differen-
za però , che , mentre ninna n' è assolutamente
esclusa, pur questa parte, o quella prepondera
nell' una , o nell' altra ; e laddove Tantica età
pagana, abbandonata e quasi devoluta alla na-
tura, è in preferenza obbiettiva e plastica, lamo-
derna cristiana è suggettiva e pittoresca ; quel-
la il mondo d' adempimento , questa il mondo
di desiderio. Ma siccome quella, immersa e
sprofondata, per dir rosi, nella natura, non
potendo pure mancare d' un elemento ideale, l'
ebbe nella mitologia, cosi questa, riscattata e
quasi apostatata dallanatura, divota all' intelletlo,
non potette andar scevra d'un elemento reale,
e trovollo nella storia, che pure al fondo non e
altro fuorché incarnazione , riscatto, espiazione
e redenzione. Questa metamorfosi dell' intel-
letto umano , il quale , essendo creato secondo
l'immagine di Dio, é insieme divino, niun poeta
forse r ha mai con più gran forza e A'igore effi-
giata e rappresentala, che il Dante, come e sta-
to detto a luogo suo.
Or siffatto compartimento e conforme al te-
nor di tutta la storia. Che, posciaché Roma,
insaziabile di conquiste, con ingordigia non me-
no snaturata, irreligiosa e fastosa, che pernizio-
sa , considerando se sola qual centi'o del mon-
do, ingojati tulli gì' imperj , e quanto il mondo
antico vantava di tesori d' arte e di scienza, non
potè piu'e, scomposta, marcia e soluta in se,
qualora, contenere, non che organizzare quel-
l'infinità di forze e di doti, anzi irritato ebbe con-
tro a sé tutto il settentrione barbaro , ma fresco
e robusto; posciaché frattanto il cristianesimo,
additando beni celesti e intellelluali eterni, ebbe
consolate 1' anime oppresse e affili le dalle tribola-
zioni di questo secolo; e posciaché, per riunire
quelle forze sparse ed erranti, e per por argine agli
avversar] pagani, Carlo Magno, bilanciando ben
la conlesa dell' aulico e del nuovo mondo (con-
tesa tra carne e spirito ! ) , concentrò e consolidò
questo ultimo noi crisliancsimo : si cambiò poco
a ])o(o il sembiante del mondo. Tanti e tanti
ruiDiio in fatti i tli lui sforzi, e (|Uollide" suoi pa-
ladini od eroi , con tanti sagrilizj furono com-
piali ed acquistali i vantaggi noccssarj allo slabi-
linicnlo d'un mondo nuovo, tanto fu inspirato
ed infiammalo quel nuovo mondo di quella sua
idea costitutiva più sublime, che, bramando
una mitologia conforme, intraprese le crocialo;
di modo clic col tciii])o Carlo, qual cpiailro ab-
brunilo ocoollonlc, cinto il taj)o dclf auioola ili
mai loro o di santo , divenne il centro d'un cor-
cliio di tradizioni miliclio, elio, offrendo bensì
in sé un 'opposizione risultante e condizionata
VI
DISCORSO DELL' ARIOSTO.
dal vivo giuoco delle forze , venne arriccliito di
quanto simboleggiò quelle forze miracolose so-
Araumane, cbe produssero un mondo nuovo.
IS^el che , se le fate e i gciij e tutto quel mondo
fantastico e sereno danno una tempra orientale
a queUe finzioni, si noti, che, come sempre,
dove si tratta di trasformazione intellettuale, spi-
ra quel fresco soffio orientale, che già mormorò
intorno alla culla dell' umanità, così pur qui
fai manifesta l'influenza degli Arabi sui secoli di
mezzo. Questo cerchio fu sì particolare e pro-
prio a' Francesi o Normandi, come da un altro
!;anto quel del re Artù e del santo catino , e quel
degli Amadissi a' Butani. Fonte di questo
cerchio mitico carolino fu la cronaca di Tur-
])ino, scritta per quanto si vuole, intorno al
1095 e citata tante volle dalP Ariosto *.
Che questo cerchio mitico carolino è il car-
dine, sul quale si gira l'Orlando furioso, co-
me pure il Morgante Maggiore di Luigi Pulci
(nato 1431, morto 1487), e l'Orlando innamo-
rato di Matteo Maria Bojardo, conte di
Scandiano (nato 1430, morto 1494) , di cui il
poema ariosteo è quasi una continuazione, ma
sostanzievole , soda e di man maestra , scritta
coli' intento di glorificare la casa d'Este , rino-
mata, più di quel che merita, negli annali della
storia a causa del suo padronaggio letterario *.
Furono però già appassite e scolorate al tempo
d'Ariosto quelle figure e forme d' un mondo mi-
racoloso, già l'oggetto di credenza divota; e co-
me pur Omero avea fatto uso degli elementi d'un
mondo anteriore mitico a modo suo, più proprio
però alla natura e alle leggi del poema eroico,
eh' al profondo senso originario de' miti, ante-
ponendo il simulacro all' idea, così 1' Ariosto
ancora si servì della sua materia in modo con
forme al genio lieve, sereno e fantastico, ad
una ener"ia ed elasticità sensuale , che non dis-
degna gli scherzi egli spropositi di questo mondo
Con libertà dunque sfrenata, impaziente di quaL
sivo"lia legge egli si abbandonò intieramente ad
una fantasia creatrice sovrana , al giuoco magico
di forme e figure fresche aiìbllate , e lussuriò
in continue vicende, combinazioni nuove, e
nebbiosi scioglimenti. Laonde il suo Furioso è
unlabberinto d'avventure fabulose, di fatti an-
tichi trasformati, or mitologizzali, per dir cosi,
or involti in allegoria, ricco di rimembranze
del passalo e di risguardi a' casi e alle persone
dell' età sua, pieno d' allusioni satiriche, d
1 V. Ludvv. Uhi and uber das altfranz. Kpos, nel
giornale detto le Muse. — GiJrres, die deutschcu
Volksbiichtr (Ileidclb. 1807. 8.), p. 100 ss.
2 Come «arii detto nella vita del lasso.
fattezze fm-besche e lascive, e di quadri salaci.'
Manca il poema d' unità epica, e di regolartes,
silura e sviluppo, che pare che il poeta abbia
interrotti e sciolti a posta e con capriccio ; gli
elementi particolaii sono spesse volte infilzati
senza combinazione interna e con transizioni
arbili'arie ; vi si desidera non di rado un disegno
fisso , sodo e fermo ; ma la rappresentazione de*
gruppi particolari, le narrazioni e le descrizioni
hanno compiuta evidenza pittoresca , e spirano
una vita iucca , una sensualità vigorosa, e insieme
una profonda ironia veramente poetica; di colpi
grandiosi da maestro e di sorprese varie v' è
abbondanza. Le stanze sono armoniose ; la lin-
gua, salvo alcune noncuranze geniali, ha solida
dovizia , e correggimento maschio. Pare che
la governi con freno d' oro, e che la guidi do-
vunque vuole , di modo che le rime in apparenza
le più bizzarre e strane si adunino a formare
un senso comodo , convenevole , pieno di brio,
consono e armonioso.
Quanto potremmo forse aggiunger in oltre,
per ritrarre il carattere e lo stile del poeta, lo
dica in vece nostra un passo , quanlunquee in de-
bil metro' da noi tradotto , del poeta tedesco,
cui il nome immortale orna il nostro parnasso.
Quel passo si trova nel dramma intitolato ' Tasso '
e concerne 1' Ariosto.
A g-uisa che con gaje spoglie verdi
Natura ammanta il colmo petto iiiterno,
Ei quanto mai può render degno 1' uomo
D' amor e di rispetto , tutto il cinge
Del iìorìdo velame delia fiaba.
Contento , esperienza ed intelletto,
E senno, gusto, e sentimento puro
Del l)en verace sembran ne' suoi canti
Idealmente in uno ed in persona
Sotto alberi fioriti riposarsi,
De' fior nevosi lesti e molli all' ombra,
Di rose coronati, tra i prestigj
iMaglii e i furbeschi giochi d' amoretti.
Mormora appresso il rio dell' abbondanza
l'icno di varj pesci portentosi.
Di rari augelli l' aria si riempie.
Di strane gregge al)bonda e prato e bosco.
Scaltrezza spia nel verde mezzo ascosa.
D' insù d(»rata nube la sapienza
Ad or ad or sublimi detti intona,
Mentre sul ben temprato liuto il fero
Delirio par sossopra andar frugando,
E pur ben ricompone i moti suoi.
Oltre r Orlando furioso si han d'Ariosto cin-
que cauli d' un nuovo poema cavalo dal mede-
simo cerchio mitico; selle &uti/T tradotte in In
i|
DISCORSO DELL' ARIOSTO.
VII
glese da Gen^. Markham, 1608. 4. come 1' Or-
lando furioso da John Harington, 1591 — v.
Drake , Shaksp. and bis tinie (Lond. 1817. II,
4. j Voi. I. p. 505. S.629. s. — importanti prin-
cipalmente, perchè sono ritratto anzi dell' uomo
nelle varie situazioni della sua vita , e de' suoi
punti di vista riguardo alla vita , che acerbe in-
vettive , o castighi crucciosi di vizj e difetti del
suo tempo; rime, o molli e teneri sfoghi schietti
e naturali senza pretensione alcuna ; cinque
commedie., cioè la Cassar ia, i Suppositi, la
\Lenay il Negromante, la Scolastica, tutti in
i versi sdruccioli, benché le due primiere fossero
I originalmente state in prosa, modellate secondo
i Plauto e Terenzio , regolari bensì , ma freddic-
|)ce, e smorte ne' ceppi del? imitazione; erbo-
lato , saggio della nobiltà deli' uomo , e dell'
arte della medicina ; Lettere , e due libri di poe-
mi latini.
In quanto alla letteratura ed all' edizioni
dell' Ariosto, si vegga Fr. ^dolf JEbert allge-
meines bibliographisches Lexikon (Lips. 1821.
1) 5 sotto 1' articolo: Ariosto.
Il testo, che qui diamo, è quel, che nascer
dovette da un riscontro delle migliori edizioni
si antiche , che moderne , fralle quali siano men-
tovate soltanto quella delle opere in versi e in
prosa, italiane e latine di Lod. Ar. con dichia-
I razioni (di G. And. Baratti), di\'ise in sei tomi.
[Venezia, 1766; la pisana in sei tomi, del 1815;
la fernoviana in cinque tomi, Jena 1805; e la
milanese del 1812 in cinque volumi. In questa
fatica, disdegnando a posta ogni arcaismo affet-
tato d' ortografia , il quale , lungi dall' essere
ruggine veneranda , mentrechè confonde coloro,
che non ne sono pratici , non sarà desiderato da'
conoscitori, abbiamo adottato quella lezione,
che ci sembrò la più convenevole all' oggetto,
al senso, ed al poeta, di che conto è stato ren-
duto nel comento. Il riscontro di tutti i pen-
timenti del poeta , quantunque interessanti per
altro, non parve convenevole alla brevità di-
segnata, a fin di chiosare cose più necessarie.
E così questo comento barottiano in parte,
oltre le critiche annotazioni, contiene in bre-
ve quanto richiedeva la storia e la lingua , sal-
vo le trivialità , massimamente mitologiche,
delle quali la notizia o è da supporsi , o da
acquistarsi a buon prezzo ; di modo che ancor
così speriamo d' incontrare con questa nitida
edizione il gradimento e P indulgenza degli ami-
ci della letteratura italiana poetica.
ORLANDO FURIOSO
D I
LODOVICO ARIOSTO.
CANTO PRIMO.
ARGOMENTO.
Segue Rina do il stto destricr lìajardo,
Ed Angelica incontra, che fuggia;
Seco s' azzuffa Ferraii gagliardo.
Poi torna al fonte, ou' era giunto pria.
Conosce Sacripante agli atti , al guardo
La bella donna , e gli si mostra pia.
Rinaldo intanto soprnggiungc ratto.
Da lunge grida, e lo disturba affatto.
1. Le donne , i cavalicr , V arme, gli amorì,
Le cortesie, 1' audaci imprese io cinto,
die turo ai teni|io , che |)assar(» i Mori
D' Africa il mare, e in Francia nocqucr tanto;
Sejj^nendo 1' ire, e i giovenil Inrori
D' Af^ramante lor re, che si die ^anto
Di vendicar la morte di Trojano
Sopra re Carlo , imperator Homaiw).
2. Dir»'» d'()rlan<lo in un mcfh'smo fratto
Cosa non distia in prosa mai, né in rima;
Che per am(»r M-nne in l'nrorc, <• malto,
D' noni, che sì »a<!;^<;^io era .stimato prima;
Se da colei, che tal qnasi ni' ha fatto,
('he '1 poco in<^e|;;no ad <»ra ad or mi lintu,
IVlc ne sarà però tanto concesso.
Che mi hasti a finir qnanto lio promes:f)0.
3. l'iacciavi, generosa F'a-cnlca prole.
Ornamento t; splendor del secol nostro,
IpiMilito, afrj^radir qne<to che \n(.Ie,
I', diir\i s(»l può 1 nmil scr\o \ostro!
<,)n<l, eh" io ^i d<;l)l)(), pos.-o di parole
l'afgan- in parte, e d'opera d'inchio.-.tro.
^(•, elle poco io \i dia, da impntar sono;
Che quanto io posso dar, tutto vi dono.
4. Tol sentirete, fra i più degni eroi,
Che nominar con laude m'apparecchio,
Ricordar quel Unggier, <lie fu di voi
E de' vostri avi illu^tri il ceppo vecchio.
L' alto valore e i chiari «j^esti suoi
Vi farò udir, se voi mi date orecchio:
E vostri alti pensier cedano un poco.
Si elle tra h)r miei versi ahbiano lo<'0.
5. Orlando, che f]^ran tempo innamorato
Fu della bella Any^elica, e per lei
In India, in Media, in Tarlarla lasciato
Avea itrfìnitì ed immortai trofei.
In Ponente con essa era tornato,
DoAe, sotto i ffran monti Pirenei,
Con la gente di Francia e di Lamagna,
Re Carlo era attendato alla campagna ;
6. Per fare al re ^lar^ilio, e al re Agramante
Battersi an<-or del folle ardir la gnaniia,
D'a\er condotto, l'nn d'Africa quante
Genti erano atte a portar spada e lancia ;
L'altro, d'aver spinta la Spagna innante,
A distru/.ion del bel regno di P'rancia.
E cosi Orlando arri\ò quivi appunto;
l\Li tosto si penti d'esservi giunto:
7. Che gli fu tolta la sua donna poi;
(Ecco il gindicio unian come spi'sso erra !)
<^uella. cl;e dagli operj ai liti eoi
A^«■a dife.-a con >i hmga guerra.
Or tolta gli è fra tanti amici suoi.
Seu'/.a spada adoprar, nella sua terra.
Ilsa^io imperator, ch'e.>tinguei- >ols'e
Un gravo incendio, fu, che gliela tolse.
8. Nata pochi di innanzi era una gara
Tra il conte Ori. nulo e 1 mio ciigin Rinaldo;
(^hé amliiduo a\ean per la bellezza rara
D'amoro>o di~io l'animo caldo.
Carlo, che non a^ea tal lite cani.
Che gli riiulea l'.ijnlo lor men saldo,
(Quella donztlla, che la causa n'era,
ToUe, e die in mano ul duca di Damiera.
m
ORLANDO FURIOSO. (I. ft_24)
r*l
9, In premio promettendola a quel d'essi,
Che in quel conflitto, in quella gran giornata,
Dcgl' infedeli più copia uccidessi,
E di sua man prestasse opra più grata.
Contrari ai voti poi furo i successi :
Che 'n fuga andò la gente battezzata,
E con molti altri fu '1 duca prigione
E re*tò abbandonato il padiglione ;
10. Dove, poiché rimase la donzella,
' Ch' esser dovea del vincitor mercede.
Innanzi al caso era salita in sella,
E, quando bisognò, le spalle diede,
Presaga, che quel giorno e.-scr rubella
Dovea fortuna alla cristiana fede.
Entrò in un bosco, e nella stretta via
Rincontrò uu cavalìer , eh' a piò venia.
11. Indosso la corazza, l' elmo in testa,
La spada al fianco, e in braccio avea lo scudo ;
E più leggier correa per la foresta,
Ch' al palio rosso il villan mezzo ignudo.
Timida pastorella mai sì presta
Kon vol?e piede innanzi a serpe crudo,
Come Angelica tosto il freno torse, ^
Che del guerrier, eh' a più venia, s'accorse.
12. Era costui qtiel paladin gagliardo,
Figliuol dWmon, signor di Mont' Albano,
A cui pur dianzi il suo dcstrier Kajardo,
Per strano caso, uscito era di mano.
Come alla donna egli drizzò lo sguardo.
Riconobbe, quantunque di lontano.
L'angelico scmiiiante, e quel bel volto,
Ch' all' amorosa rete il tenea involto.
13. La donna il palafreno addietro volta,
E per la selva a tutta briglia il caccia;
Né per la rara più, che per la folta.
La più >icura e miglior via procaccia ;
Ma pallida, tremando, e di sé t(dta,
La.-cia cura al destrier , che la via faccia.
Di su, di giù, neir alta selva fiera
Tanto girò, che venne a una riviera.
14. Su la riviera Fen-aù trovosse
Di sudor pieno, e tutto polveroso.
Dalla battaglia dianzi h> rimosse
Un gran di-io di l)ere e di riposo;
E poi, malgrado suo, qni\i fcrmosse,
r<rcb«; dell" acqua ingordo, e frettoloso.
L'elmo nel fiinne jÌ la>riò cadere,
^ò ra>ea potuto anco riavere.
15. Quanto potea più forte, ne veniva
Gridando la donzella spa^entata.
A quella voce salta in su la riva
Il Saracino, e nel vi-o la guata ;
E la conosce subito <h' arriva,
IJcncliè di timor pallida e turbata,
E ^i(•^ più di, cii<; nini nudi n<)\<lla,
Che bcnza dubbio cU' è Angelica bella.
16. E perchè era cortese, e n' avca forse
Non meli dcj due cugini il petto caldo,
L'ajuto. clic p<»t<-a, tutto le porse:
Pur. cKiiir a\e->e !" elmo, ardito e baldo,
l'ra-sc la .-pada. <' minai riandò corse,
Do\e |io('0 di Ini tiiiir-a lliiialdo.
l'in ^(dlc ^" eran già iio" pur veduti.
Ma al paragon dell' arme c«>nubciuti.
17. Cominciar quivi una crudel battaglia.
Come a pie si trovar , coi brandi ignudi.
Non che le piastre, e la minuta maglia.
Ma ai colpi lor non reggerian gì' iiuudi.
Or, mentre 1' un con l' altro si travaglia,
Bisogna al palafren, che '1 passo stiuij :
Che, quanto può menar delle calcagna.
Colei lo caccia al bosco e alla campagna.
18. Poiché s' affaticar gran pezzo invano
I due guerrier, per por 1' un 1' altro sotto;
Quando non meno era con 1' arme in mano
Questo di quel, né quel di questo dotto;
Fu primiero il signor di Mont' Albano,
Che al cavalier di Spagna fece motto ;
Sì come quel , eh' ha nel cor tanto foco,
Che tutto lì' arde , e non ritrova loco.
19. Disse al pagan : Me sol creduto avrai,
E pur avrai te meco ancora offeso:
Se questo av\icn, jierché i fulgenti rai
Del nuovo sol t' abbiano il petto acceso,
Di farmi qui tardar, che guadagno hai?
Che, qn.uiiìo ancor tu m' abbi nuirto, o presQ»
Non però tua la bella donna fia,
Che, mentre noi tardiam, se ne va via.
20. Quanto fia meglio, amandola tu ancora.
Clic tu le venga a traversar la strada,
A l'itenerìa , e farle far dimora.
Prima che più lontana se ne vada.
Come r a^ remo in potcstade, allora.
Di chi esser de', si jirovi con la spada!
Non so altramente, dopo un lungo affanno.
Che possa riuscirne altro, che danno.
21. Al pngan la proposta non dispiacque:
Così in differita la tenzone;
E tal tregua tra lor subito nacque.
Sì r odio e r ira va in obblivione,
Che 'l pag.mn, al partir dalle fresche ncque,
N(Ui lasciò a predi il buon figliuol d' Amone:
C<m preghi invita, e al fin lo toglie iu groppa,
E per r orme d' Angelica galoppa.
22. O gran bontà de' cavalieri antiqui!
Eran rivali, eran di i'é diversi,
E si sentian degli aspri colpi iniqui
Per tutta la persona anco doleiv-ì ;
E pur per selve oscure e calli obblìqui
Iiisìcine ^an, senza sospetto a>cr>i.
Da quattro siinnii il de-trior |)unt<) arriva.
Dove una strada in duo si dipartila.
23. E come quei, che non sapeun, se 1' una,
O r altra via face<se la donzella,
l'ero ch(^ senza differenza alcuna
Apparta in ambedue l' orma novella.
Si mi>ero, ad aibilrio di l'orluiia,
Hiiialdo a questa, il Saracino a (|wclla.
Pel boxo Ferraù mollo s' avvoUe,
E ritrovossi alfine, onde t-i tolse.
24. Pur si ritrova ancor snlla riviera.
Là do^e 1' elmo gli cascò iiell' ond«j.
l'oi(dié la donna ritrovar non spera.
Per aver I' elmo, clic U fiume gli asconde.
Li (|U(lla patte, onde cadnlo gli era,
Di.-ci'iidc nell estreme umide s|)onde;
ì\Li (jucllo era sì fitto nella salibìa,
Chg molto avrà da far prima che 1' aì)bia.
[51
ORLANDO FURIOSO. (I. 25-40)
[6]
25. Con un gran ramo d' albero rimondo,
Di che avea fatto una pertica lunga,
Tenta il fiume , e ricerca insino al fondo,
Kè loco lascia , ove non batta e punga.
Mentre con la maggior stizza del mondo
Tanto r indugio suo quivi prolunga,
lede di mezzo il fiume un cavaliero
Infino ai petto uscir , d' aspetto fiero.
26. Era , fuorcliè la testa , tutto armato,
Ed avea un' elmo nella destra mano ;
Avea il medesimo elmo , che cercato
Da Ferraù fu lungamente in vano.
A Ferraù parlò come adirato,
E disse : Ah mancator di fé , marrano.
Perchè di lasciar 1' elmo an<;he t' aggrevi,
• Che render già gran tempo mi dovevi ?
27. Ricordati , pagan , quando uccidesti
D' Angelica il fiatel , che son qucU' io :
Dietro r altre arme tu mi promettesti
Fra podii di gettar 1' cimo nel rio.
Or, se Fortuna, quel che non volesti
Far tu, pone ad effetto il voler mio,
IVon ti turbare: e, se turbar ti dei.
Turbati , che di l'è mancato sei !
Ma , se desir pur hai d' im elmo fino,
Trovane un altro, ed «abbil con più onore!
Un tal ne porta Orlando paladino,
Ln tal Rinaldo, e forse anco migliore.
L' un fu d' Almonte, e 1' altro di Mambrino.
Acqiìista un di quei due col tuo valore,
E questo, eh' hai già di lasciarmi detto.
Farai bene a lasciarmelo in effetto.
21). Air apparir, che fece all' improvviso
Dell' acqua l' <tml»ra, ogni pelo aiTÌcciossi,
E scolorossi al Saracino il viso ;
La voce , (;h' era per uscir, fermossi.
Udendo poi dall' Argalia, eh' ucciso
Qui>i a%ea già (che 1' Argalia noraossi).
La rotta fede cosi iniproverarse,
Di scorno e d' ira dentro e di fuor arse.
iìO. Né tenij)o avendo a pensar altra scusa,
E conoscendo ben, die '1 ver gli disse,
Resto senza risposta a bocca chiusa.
Ma la vergogna il cor sì gli trafisse.
Che giurò per la vita di Lanfu>a,
IVon Aoier mai, eh' altro elmo lo copriss**,
Se non quel buono, che già in Aspramontc
Trasse del capo Orlando al fiero Almonte
31. E servò meglio questo i;iiuanu'nto.
Che non a>ca quirll' altro fatto prima.
Quindi si piirte tiiiito mal contento,
Che molti giorni poi >i rodt; e lima.
S<d di cercare il paladino è intenti»
Di «pia, di là, doM- trovarlo sliniii.
Altra avventura al buon Rinaldo accado.
Che da costui tenea di^ erse btrade.
32. \on molto va Rinaldo, che si vede
Saltare innanzi il >tio destricr IVroc(! :
Ferma, Riijiirdo mio, deb ferma il piede
Che r (>»«;!• r-enza te troppo mi nuoci-,
l'er questo il de^trier >ordo a lui non riedo,
Anzi piò se ne va sempre \eIoce.
Segiu! Rinaldo, e d' ira si distrugge.
Mu scgtiiliiuuu Angelica, che fugge.
33. Fugge tra selve spaventose e scure.
Per lochi inabitati , ermi e selvaggi.
Il mover delle f rondi e di verzure,
Che dì ceni sentia , d' olmi , e di faggi,
Fatto le avea con subite paure
Trovar di qua e di là strani viaggi;
Ch' ad ogni ombra veduta o in monte, o in valle,
Temea Rinaldo aver sempre alle spalle.
34. Qual pargoletta damma o capriola.
Che, tra le frondi del natio boschetto.
Alla madre veduta abbia la gola
Stringer dal pardo, e aprirle il fianco, o il petto.
Di selva in selva dal crudel s' invola,
E di paura trema , e di sospetto :
Ad ogni sterpo, che passando tocca.
Esser si crede all' empia fera in bocca.
35. Quel dì , e la notte , e mezzo 1' altro giorno
S' andò aggirando, e non sapeva, dove;
Trovossi alfine in un boschetto adorno,
Che lievemente la fresca aura move.
Due chiari rivi , niornu)ra!ido intorno.
Sempre l' erbe vi fan tenere e nuove;
E rendea ad ascoltar dolce concento
Rotto tra picciol sassi il correr lento.
36. Quivi parendo a lei d' esser sicura
E lontana a Rinaldo mille miglia.
Dalla via stanca e dall' estiva arsura,
Di riposare alquanto si consiglia.
Tra fiori smonta, e lascia alla pastura
Andare il palafren senzti la briglia;
E quel va errando intorno alle chiare onde,
Che di fresch' erbe a> ean piene le sponde.
•37. Ecco non lungi mi bel cespuglio vede
Di spin fioriti e di vermiglie ro,-e.
Che delle liquide onde a specchio siede,
Cliiuso dal Sol fra 1' alte querce ombrose;
Cosi vuoto nel mezzo , che concede
Fresca stanza fra 1' ombre più nascose;
E hi foglia co' r.imi in modo è mista.
Che '1 sol non v' entra, non che minor vista.
38. Dentro letto vi fan tenere erbette,
Che ÌM>itano a posar chi s' appresenta.
La bella d(»nna in mezzit a quel si mette,
Ivi si corca, ed ivi s' addiuiiienta;
Ma non per lungo spazio così stette,
Cile un calpestio le par che ^ enir senta :
Chetii si leva, e appresso alla ri>iera
Aede , eh' armato un cavalier giunt' era.
39. S' egli è amico, o nemico, non comprende:
Tema e speranza il dubbio cor le scuote;
E di quella avM'ntnia il (ine altende,
Né pur d un sol siojiir 1" aria percuote.
Il cavaliero in riva al fitime scinde
Sopra r un braccio a riposar le gote;
i;d in un gran pen-ier tanto penelriL,
Che par cangiato in inscusibil pietra
40. Pensoso più d' un" ora a capo basso
Stette, Signore, il cabalici- doleiUe:
l'oi comini'ió, con Miono afilitto e lasso,
A l.uuentarsi sì soaMUiente,
('Ir avrebbe di pietà spezzato un sasso,
l na tigre crudel fatta clemente.
Sospirando piangea, tal eh' un rnsccllo
l'arean le guance, e 'l petto un Mongiliello.
1 *
m
ORLANDO FURIOSO. (I. 41— 5fi)
[8]
41. Pensier, dìcea, che '1 cor m' agfghlacci ed ardi,
E cau*i il duol, che sempre il rode e lima!
Che debbo far, poiché soii giunto tardi,
E eh' altri a corre il frutto è andato prima ?
Appena avuto io n' ho parole e sguardi,
Ed altri n' ha tutta la spoglia opima.
Se non ne tocca a me frutto , né fiore.
Perché affligger per lei mi vo' più il core ?
42. La verginella è simile alla rosa, ^
Cile 'n bel giardìn , su la nativa spina.
Mentre sola e sicura si riposa,
Né gregge , né pastor se le avvicina :
L' aura soave, e 1' alba rugiadosa,
L' acqua, la terra al suo favor s' inchina :
Giovani vaghi , e donne innamorate
Amano averne e seni e tempie ornate;
43. 3Ia non sì tosto dal materno stelo
Rimossa viene, e dal suo ceppo verde.
Che quanto avea dagli uomini e dal cielo
Favor , grazia e bellezza , tiitto perde.
La vergine, che '1 fior , di che più zelo,
Cile de' begli occhj e della vita , aver de'.
Lascia altrui corre, il pregio, eh' avea innanti.
Perde nel cor di tutti gli altri amanti.
44. Sia vile agli altri , e da quel solo amata,
A cui di sé lece sì larga copia.
Ah fortuna crudel, fortuna ingrata!
Trionfau gli altri , e ne mor' io d' inopia.
Dunque esser può, che non mi sia più grata?
Dunque poss' io lasciar mia Aita propia?
Ah , più tosto oggi manchino i dì miei,
Ch' io viva più, s' amar non debbo lei !
45. Se mi dimanda alcun, chi costui sia,
Clie versa sopra il rio lagrime tante.
Io dirò, che egli è il re di Circassia,
Quel d' amor travagliato Sacripante:
lo dirò, ancorché di sua pena ria
Sia prima e sola causa essere amante,
E pure un degli amanti di costei:
E ben riconosciuto fu da lei.
4(». Appresso, ove il sol cade, per suo amore
Venuto era dal capo d' Oriente:
Che seppe in India, con suo gran dolore.
Come ella Orlando seguitò in l'unente;
Poi seppe in Francia, die l' iniperatore
Sequestrata I' avea dall' altra gente,
E promessa in mercede a <;hi di loro
Più quel giorno ajutasse i gigli d' oro.
47. Stato era in campo , e avea veduta quella.
Quella rotta , che dianzi eld)e re Curio,
("creò vestigio d' Angelica liella,
l\è potuto avea ancora ritrovarlo.
Questa è dunque la trista e ria novcllil.
Che d' amorosa doglia fa penarlo,
Affligger, lamentarsi, e dir parole.
Che di pietà potrian fermare il sole.
48. Mc-ntrc costui co.>ì s' affligge e duole,
V, fa degli oi-chj suoi tepida fonte,
E dice quirite e molte altre parole,
Che non mi par bisogno esser racconto,
L' uvventurosa sua fortuna vuole,
Ch' alle ore«-rliie d' Angelica «ien conte,
E cosi quel ne viene a mi' ora, u un puntn,
Che iji mille unni, o mai più, ntui è raggiuMto.
49. Con molta attenzion la bella donna
Al pianto , alle parole , al modo attende
Di colui, che in amarla non assonna;
]\è questo è il primo dì, eh' ella 1' intende:
Ma dura e fredda più d' una colonna,
Ad averne pietà non però scende ;
Come colei, eh' ha tutto il mondo^a sdegno,
E non le par , eh' alcun sia di lei degno.
50.
Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola
Le fa pensar di tor costui per guida:
Che chi neir acqua sta fin' alla gola,
Ben é ostinato , se mercé non grida.
Se questa occasione or se 1' invola.
Non troverà mai più scorta sì fida;
Ch' a lunga prova conosciuto innante
S' avea quel re fedel sopra ogni amante.
51
52
Ma non però disegna dell' affanno,
Che lo distrugge , alleggerir chi T ama,
E ristorar d' ogni passato danno
Con quel piacer, eh' ogni amator più brama;
j\Ia alcuna finzione , alcuno inganno,
Di tenerlo in speranza, ordisce e trama;
Tanto eh' al suo bisogno se ne serva,
Poi torni all' uso suo dura e proterva.
E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
Fa di sé bella ed improvvisa mostra.
Come di selva , o fuor d' ombroso speco
Diana in scena, o Clterea si mostra;
E dice all' apparir : Pace sia teco ;
Teco difenda Dio la fama nostra ;
E non comporti contra ogni riigione,
Ch' abbi di me sì falsa opinione !
53. Non mai con tanto gaudio , o stupor tanto
Levò gli occhj al figliuolo alcuna madre,
Ch' avea per morto sospirato e pianto.
Poiché senza esso udì tornar le squadre^
Con quanto gaudio il Saracin , con quanto
Stupor r alta presenza e le leggiadre
Blanierc, e '1 vero angelico sembiante
Improvviso apparir si vide innante.
54. Pieno di dolce e d' amoroso affetto
Alla lìua donna, alla sua diva corse.
Che con le braccia al collo il tenne stretto —
Quel eh' al Catai non avria fatto forse.
Al patrio regno , al suo natio ricetto.
Seco avendo costui, 1' animo torse;
Subito in lei s' avviva la speranza,
Di tosto riveder sua ricca stanza.
55. Ella gli rende conto pienamente
Dal giorno , che mandato fu da lei
A (huiiaiidar soccorso in Oriente
Al re de' sericani Nabatei ;
E come Orlando la guardò soa ente
Da umrte, dadisnor, da casi rei ;
E «'he '1 fior virginal c(»sì avea salvo,
Come se lo portò dal materno alvo.
Forse era ver, ma non i)etò credibile
A <;hi del senso suo fosse signore:
Ma parvo facilmente a lui possibile,
(/'ir era perduto in \'n- più grave errore.
Quel, che l' uom vede, amor gli fa invitàbìtc;
E r invi-ibil fa Acden^ amore.
Questo creduto fu : cliè "I miser euole
D.ir facile credeii/.a u quel , che vuole.
5r>.
[9]
ORLANDO FURIOSO, fi. 57-72)
[10]
57. Se mal sì seppe il cavalier d' Anelante
Pig^liar, per sua sciocchezza, il tempo buouo,
Il danno se n' avrà ; che da qui innante
Kol chiamerà Fortuna a sì gran dono,
(Tra sé tacito parla Sacripante.)
Ma io per imitarlo già non sono,
Che lasci tanto ben , che m' è concesso,
£ eh' a doler poi m' abbia di me stesso.
58. Corrò la fresca e mattutina rosa,
Che , tardando , stagion perder polria.
So ben , eh' a donna non si può far cosa,
Che più soave e più piacevo! sia,
Ancorché se ne mostri disdegn(»>a,
E talor mesta e ilebil se ne stia.
R'on starò, per repulsa, o finto sdegno,
Ch' io non adombri e incarni il mio disegno.
59. Così dice egli ; e mentre s' apparecchia
Al dolce assalto , un gran rumor , clie suona
Dal vicin bosco, gì' introna 1' orecchia
Si, che malgrado 1' impresa abbandona,
E si pon r ehno; eh' avea usanza vecchia
Di portar sempre armata la persona.
Viene al destriero, e gli ripon la briglia,
Rimonta ùi sella, e la sua lancia piglia.
60. Ecco pel bosco un cavalier venire,
11 cui sembiante è d' uom gagliardo e fiero :
Candido, come neve, è il suo vestire;
Un bianco pennoncelio ha per cimiero.
Re Sacripante, che non può patire,
Che quel con 1' importuno suo sentiero
Gli abbia interrotto il gran piacer, eh' avea,
Con vista il guarda disdegnosa e rea.
61. Come è più appres^o, lo sfida a battaglia;
Che crede ben fargli votar 1' arcione.
Quel , che di lui non stimo già ciie vaglia
Ln grano meno, e ne f.i paragone,
L' orgogliose minacce a ine/zo taglia.
Sprona a un tempo , e la lancia in resta pone.
Sacripante ritorna con tempesta,
E corronsi a ferir tota per testa.
62. Non sì vanno i leoni, o i tori in salto
A dar di petto , ed a cozzar sì crudi,
Come quei duo guerrieri al fiero assalto,
Che parimente si pas^àr gli scudi.
Fé' lo scontro tremar dal bas^io all' alto
L' erbose valli insino ai pogi;i ignudi ;
E ben giovò, che fur buoni e perfetti
Gli usberghi ci, che lor salvaro i petti.
63. Già n(»n fero i cavalli imi correr torto,
Anzi cozzaro a guisa ili moiiloiii.
Quel del giierrier pagali morì di corto,
Cli' era vivendo in numero de' l>iioiii :
Queir altro cadde ancor, ma fu risorto
Tosto cir al fianco si senti gli sproni.
QiK-l del re Saraciii rotò di>te.->o
Addosso il suo signor con tutto il peso.
64. L' incognito <-ampion, clit^ restò ritto,
E vide r altro col ra\all<» in terra.
Stimando avere as-ai di quel ( onliitto,
Non hi curò di rinnovar la glicini ;
Ma, dove p(;r la rx-ha «'■ il caiiiiiiiii dritto,
('orrendo a tutta iirìglia si disserra,
E primarlic di briga cM-a il pagano,
La miglio, o poro meno, è già lontimo.
C5. Quale stordito e stupido aratore,
Poich' è passato il fulmine , si leva
Di là , dove 1' altissimo fragore
Presso agli uccisi buoi steso 1' avevji.
Che mira senza fronde e senza onore
Il pin , che di lontan veder soleva :
Tal si levò il pagano , a pie rimaso.
Angelica presente al duro caso.
66. Sospira e geme , non perchè V annoi,
Che piede, o braccio s' abbia rotto, o smosso;
Ma per vergogna sola, onde a' dì suoi,
]\è pria, né dopo, il viso ebbe sì rosso:
E più , eh' oltre il cader, sua donna poi
Fu , che gli tolse il gran peso d' addosso.
Muto restava, mi cred' io, se quella
Non gli rendea la voce e la favella.
67. Deh , disse ella , signor , non \i rincresca !
Che del cader non è la colpa vostra.
Ma del cavallo , a cui riposo ed esca
IMeglio si convenìa , che nuova giostra.
Né per ciò quel guerrier sua gloria accresca !
Ch' essere stato il perditor dimostra :
Così , per quel eh' io me ne sappia , stimo.
Quando a lasciare il campo è stato il pruuo.
68. Mentre costei conforta il Saracino,
Ecco, col corno e con la tasca al fianco,
Galoppando venir sopra im ronzino
Un messaggier, che parca affiitto e stanco;
Che , come a Sacripante fu vicino.
Gli domandò, se con lo scudo bianco
E con un bianco pennoncelio in testa,
Mde un guerrier passar per la foresta.
69. Rispose Sacripante: Come vedi,
M' ha qui abbattuto , e se ne partì or' ora.
E, perdi' io sappia chi m' ha messo a piedi.
Fa che per nome io lo conosca ancora !
Ed egli a lui : Di quel , che tu mi chiedi.
Io ti satisfarò senza dimora:
Tu dei saper, «-he ti levò di sella
L' alto valor d' una gentil donzella.
70. Ella è gagliarda, ed è più bella molto;
Né il suo famoso nome anco t' ascondo :
Fu nradaiiiaiite quella , che t' ha tolto
Quanto oiior mai tu guadagna>ti al mondo.
Poii-h' ebbe così detto , a freno sciolto
li Saracin lasciò poco giocondo,
(JIk- non sa, che s<i dica, o che ^i faccia.
Tutto avvampato di vergogna in faccia.
71. Poiché gran pezzo al ca>o intervenuto
Ebbe pensato in vano, e fiiialiiu'iite
Si trovò da una feiiimina alibattnto.
Che pensandovi più, più didor .«ente;
3Iontò r altro de»tricr, tacito e muto,
E senza far parola, clirtaiiiinte
ToUe Angelica in groppa, e diirerilln
A più lieto uso, a staii/.a più tranquilla.
72. Non furo iti due miglia, che sonare
Odoii la »rha, cliir li cinge intorno,
(/Oli tal riiiiiiire e strepito, che par»'
Clic tremi la for«-,sta d' ogn" intorno;
E poro dopo 1111 gran di>tricr n' appar<*,
D' oro giicriiito , r riccamente adorno.
Clic salta iiiaccliie e rivi, ed a IracashO
Arbori iiicim, r ciò, che vieta il piu^o.
[li;
ORLANDO FURIOSO. (1. 7S-81)
[121
73. Se gì' intricati rami e 1' aer fosco
• (Dijse la donna) agli occlij non contende,
Hajardo è quel destrier , eh' in mezzo il 1)0S(M)
Con tal mraor la chiusa via é^i fende.
Que>to è certo Bajardo ; io 'l riconosco :
Deh come ben nostro bisogno intende !
Che un sol ronzin per due saria mal' atto;
E ne ^ien egli a satisfarci ratto.
74. Smonta il Circasso, ed al destrier s' accosta,
E si pensava dar di mano al^ freno :
Con le groppe il destrier gli fa risposta,
Che fu presto al girar , come un baleno ;
Ma non arriva, dove i calci apposta.
Misero il cavalier, se giungca appieno!
• Che ne' calci tal possa avea il cavallo,
Ch' avrìa spezzato un monte di metallo.
75. Indi va mansueto alla donzella,
Con umile sembiante e gesto umano,
Come intorno al padrone il can saltella.
Che sia due giorni , o tre stato lontano.
Bajardo ancora avea memoria d' ella.
Che in Albracca il servia già di sua mano
Nel tempo , che da lei tanto era amato
Rinaldo, allor crudele, allora ingrato.
76. Con la sinistra man prende la briglia.
Con r altra tocca e palpa il collo e il petto.
Quel destrier, di' avea ingegno a maraviglia,
A lei , come un agn^l , si fa soggetto.
Intanto Sacripante il tempo piglia.
Monta Bajardo , e l' urta , e lo tien stretto.
Del ronzin disgi-avato la donzella
Lascia la groppa , e si ripone in sella.
77. Poi rivolgendo a caso gli occhj , mira
Venir sonando d' arme un gran pedone ;
Tutta s' avvampa di dispetto e d' ira;
Che conosce il figliuol del duca Amone.
Più che sua vita 1' ama egli e desira;
L' odia e fugge ella più , che gru falcone.
Già fu , eh' egli odiò lei più che la morte ;
Ella amò lui: or han cangiato sorte.
78. E questo hanno causato due fontane,
Clie di diverso effetto hanno liquore,
Ambe in Ardenua , e non sono lontane :
D' amoroso dÌ!.io 1' una empie il core;
Chi bce dell' altra, senza amor rimane,
E volge tutto in ghiaccio il prinu» ardcH'c.
Rinaldo gustò d' una , e amor lo strugge ;
Angelica dell' altra , e l' odia e fugge.
79. Quel liquor di secreto venen misto.
Che muta in odio 1' amorosa cura.
Fa che la donna , che Rinaldo ha visto.
Nei sereni occhj subito s' oscura,
E con vorc tremante , e viso tristo.
Supplica Sacripante e lo scongiura.
Che quel gucrrier più appresso non attenda,
i\Ia che insieme con lei la foga prenda.
30. Son dunque, disse il Saracino, sono
Dunque in sì poco credito con vuì,
('he mi stimiate inutile , e non buono
Da potervi difender da costui?
Le battaglie d' Albracca già vi sono
Di mente uscite? e la notte, ('h' io fui
Per la salute vostra , solo e nudo.
Contro Agricane e tutto il canij.-o, scudo ?
81 . Non risponde ella , e non sa , che si faccia :
Percl.è Rinaldo ornai 1' è troppo appresso,
Che da lontano al Saracin minaccia,
Come vide il cavallo e conobbe esso,
E rironobbc V angelica faccia.
Che r amoroso incendio in cor gli ha messo.
Quel che seguì tra questi due superbi,
Vo' che per 1' altro canto si riserbi.
[13]
ORLANDO FURIOSO. (II. 1_121
Ii£
CANTO SECONDO.
ARGOMENTO.
Un vecchio astuto, d' amoroso fuoco
Per Angelica acceso , e negromante.
Fra ì dui rivai , che non V avean da giuoco,
Fa che la pugna non procede ovante.
jS'e va in Parigi, ed in lontano loco
Mandato vicn Rinaldo , eh' era amante.
Pinabel Rrudamantc mal condotta
Fa cader da un gran monte in una grotta.
1. Ingiustissimo Amor, perchè si raro
Corrispondenti fili nostri desiri ?
Onde, perfi'O, avvien , che t' è sì caro
Il discorde voler, clie in due cor miri?
Ir non mi lasci al facil g-uado e chiaro,
E nel più cieco e map's^ior fondo tiri ?
Da chi di.sia il mio amor, tu mi richiami;
E chi ra' ha in odio, vuoi eh' adori ed ami.
2. Fai , clie a Rinaldo Anj^clica par hella,
Quando esso a hi bratto e spiaccvol pare:
Quando le ])area hello , e 1' amava elhi,
E,'.^li odiò lei, quanto si può i)ii'i odiare.
Ora s' afilifT'.ve indarno e si flaji^ella;
(/0>i rendalo ben f^li è ]ìiu'c a |)<ire.
Ella r ha in odio; e V odio è di tal sorte,
Clic più tosto, che lui, vorri'a la Hiortc.
3. Rinaldo al Saracin con molto orp-oijlio
Gridò: scendi, ladron, del mi(» cavallo!
Che mi sia tolto il mio, patir non ^co^^j-lio,
ÌMa ben fo, a chi lo vuol, <;aro costallo.
E levar (piesta donna anco ti vo,'.;^lio5
Che sarebbe a lasciartela <^ran l'alio,
isi perfetto dcstrier, donna sì de/ina,
A un ladron nini mi par che si convcgna.
4. Tu te ne menti, che lailrone io sia,
Rispose il Saracin non meno altiero:
Chi dicesse a tv ladro, la diria
(Quanto io u' odo per fama) |»iù c'on vero,
Ija prova or si >cdrà, chi di noi sia
l'iù dej^no della donna e del destriero;
Henchè, quanto a lei, teco io mi «•ouvegTia,
Che non è cosa al mondo altra »ì dc<|;na.
5. Cmuo sop;lion talor due can mordcMiti,
O per insidia, o per altro imIìo mossi,
Av\i(iniir>i (li^ri;;naiiil() i l'cnli.
Con occlij biechi , e più ( h • bran^ia rossi,
Indi a' morsi >enir, di r.ibbia ardenti,
Cauì afilli rinirhj e rabbullali do.ssi :
C;osi alli^ spade dui f;;ridi e d.ill" onte
Venne il CircnsiiU e «i»cl di Cliiaraniontc.
6. A piedi è r un , 1' altro a cavallo. Or quale
Credete eh' abbia il Saracin vantaggio ?
Né ve n' ha però alcun ; che così vale
Forse ancor men, eh' uno inesperto paggio:
Che '1 destrier, per istinto naturale,
Non A olea fare al suo signore oltraggio :
jVè con man , uè con spron potea il Circasso
Farlo a volontà sua mover mai passo.
7. Quando ci'cde cacciarlo, egli s' arresta;
E , se tener lo vuole , o corre , o trotta,
Poi sotto il petto si caccia la testa,
Giuoca di schiena , e mena calci in frotta.
Vetlendo il Saracin , eh' a domar questa
Bestia superba era mal tempo allotta,
Fei'ma le miin sul primo arcione, e s' alza,
E dal sinistro fianco in piedi sbalza.
8. Sciolto che fu il pagan con leggier salto
Dall' ostinata furia di Bajardo,
Si vide cominciar ben degno assalto
D' un par di cavalier tanto gagliardo.
Suona r un brando e Y altro, or basso or' alto.
Il martel di Vulcano era più tardo
jVella spelonca affumicata, dove
Battea all' incudc i folgori di Giove.
9. Fanno ^ or con lunghi , ora con finti e gcar*i
Colpi veder, che mastri son del gioco;
Or li vedi ire altieri , or ranniccliiarsi,
Ora coprirsi , ora mostrarsi un poco,
Ora crescere innanzi, ora ritrarsi,
Ribatter colpi, e spesso lor dar loco,
Girarsi intorno , e donde l' uno cede,
L' altro a^ cr posto iaimantiuente il piede.
10. Ecco Rinaldo con la spada addosso
A Sacripante tutto s' abbandona:
E quel porge lo scudo , eh' era d' osso.
Con la piastra d' acciar temprata e buona.
Tagliai Fiis'ieria , ancorché molto grosso.
Ne geme la lor(;sta , e ne risuona.
L' o.-so , e 1' acciar ne va . che par di ghiaccio,
E hucia al Saracin stordito il braccio.
11. C'(une vide la timida donzella
Dal fiero colpo uscir tanta mina,
Per gran timor cangiò la faccia bella,
Quale il reo. eh' al sup|ilicio s' avvicina;
i\è le par, che ^i sia da tard.ir, s' ella
Non '\U()I di quel Itinaldo e.^>er rapina;
Di ipiel Rinaldo, eh' ella tanto odiaviL,
Quanto esso lei mi.^er.imente amava.
12. A (dta il cavallo, e neli<i sel>a folta
Lo caccia per un a>pr(» e slictto calle;
E spesso il \ìso smorto addietro volta.
Viu: le par, che Rinaldo abbia alle ^pallc.
Fuggendo non a\ea fatto \ì,i nn>lta,
Clu- scontrò nn' cremila in una \allc,
Ch' nwti lunga la barba a mezzo il petlo.
Devoto e venerabile d' appetto.
[15]
ORLANDO FURIOSO. .(II. is-28)
[16]
13. Dagli anni e dal digiuno attenuato,
Sopra un lento asinel se ne veniva,
E parca, più eh' alcun fosse mai stato.
Di coscienza scrupolosa e schiva.
Come egli vide il viso delirato
Della donzella, che sopra gli arriva,
Dcbil quantunque, e mal gagliarda fosse,
Tutta per carità se gli commosse.
14. La donna al fraticel chiede la via,
Che la conduca ad un porto di mare;
Perchè levar di Francia si vorria,
Per non udir Rinaldo nominare.
Il frate, che sapea negromanzia,
IN'on cessa la donzella confortare.
Che presto la trarrà d' ogni periglio;
Ed ad una sua tasca die di piglio.
15. Trassene un libro , e mostrò grand'effetto ;
Che legger non finì la prima faccia,
Ch' uscir fa un spirto , in forma di valletto,
E gli comanda quanto vuol, che faccia.
Quel se ne va, dalla scrittura astretto.
Dove i due cavalieri a faccia a faccia
Eran nel bosco, e non stavano al rezzo.
Fra' quali entrò con grande audacia in mezzo.
16. Per cortesia, disse, un di voi mi mostre,
Quando anco uccida 1' altro, che gli vaglia?
Che merlo avrete alle fatiche vostre,
Finita che tra voi sia la battaglia,
Se 'l conte Orlando, senza liti, o giostre,
O senza pure aver rotta una maglia,
Verso Parigi mena la donzella.
Che v' ha condotti a questa pugna fella?
17. Vicino un miglio ho ritrovato Orlando,
Che ne va con Angelica a Parigi,
Di voi ridendo insieme e motteggiando,
Che senza frutto alcun siate in litigi.
11 meglio forse vi sarebbe or, quando
INon son più lungi, a seguir lor vestigi;
Che, se in Parigi Orlando la può avere,
;Non ve la lascia mai più rivedere.
18. Veduto avreste i cavalicr turbarsi
A queir annunzio, e mesti e sbigottiti,
Senza occhj e senza mente nominarsi.
Che gli aves,>e il rivai cosi scherniti,
Ma il buon Kinaldo al suo cavallo trarsi
Con sospir , cbc parean del fuoco usciti,
E giurar per isdcgno e per furore.
Se giiuige Orlando, di cavargli il core.
19. E, dove aspetta il suo Bajardo, passa,
E sopra vi si lancia, e via galoppa:
>t; al cavalicr, che a più nel bosco lassa.
Pur dice addio, non che T inviti in groppa.
Ìj allì^lo^o cavallo urta e friicassji.
Punto dal suo signor, ciò eh' egli intoppa,
Non pornio fosse, o fiumi, o sassi, o spiiu;
Far, (Ih; dal corso il corridor declinc.
20. Sif^nor, non voglio, che vi paja strano.
Se llinaldi» or sì tosto il (kstricr piglia,
VAìv già (lii'i giorni ha seguitalo in vano,
^(- gli bit |)(itiili) mai toci'ar la briglia,
Fec(; il d(-tri<r, < li' avca intelletto umano,
>oii per vizio seguirsi V.iulc miglia,
Ma per guidar, ^\\>\^• la donna gi>a,
11 buu signor, du chi bramar 1' udiva.
21. Quando ella si fuggi dal padiglione,
La vide, ed appostolla il buon destriero,
Che si trovava aver vuoto l' arcione.
Però che n' era sceso il cavali ero,
Per combatter di par con un barone,
Che men di lui non era in arme fiero:
poi ne seguitò l'orme di lontano.
Bramoso porla al suo signore in mano.
22. Bramoso di ritrarlo, ove fosse ella,
Per la gran seha innanzi se gli messe;
]\è lo volea lasciar montare in sella,
Perchè ad altro camrain non lo Aolgesee.
Per lui trovò Rinaldo la donzella
Una e due volte, e mai non gli successe;
Che fu da Fcrraù prima impedito.
Poi dal Circasso, come avete udito.
23. Ora al demonio, che mostrò a Rinaldo
Della donzella li falsi vestigi,
Credette Bajardo anco, e stette saldo
E mansueto ai soliti servigi.
Rinaldo il caccia, d' ira e d' amor caldo,
A tutta briglia, e sempre inver Parigi;
E vola tanto col disio, che lento,
jVon eh' un destrier , ma gli parrebbe il vento.
24. La notte appena di seguir rimane.
Per affrontarsi col signor d' Anglante;
Tanto ha creduto alle parole vane
Del messaggier del cauto negromante.
]\on cessa cavalcar sera e dimane,
Che si vede apparir la terra avantc,
Dove re Carlo , rotto e mal condotto.
Con le reliquie sue s' era ridulto.
25. E perchè dal re d' Africa battaglia
Ed assedio v' aspetta, usa gran cura
A raccor buona gente e vettovaglia.
Far cavamenti , e riparar le mura :
Ciò, eh' a difesa spera che gli vaglia,
Senza gran differir, tutto procura:
Pensa mandare in Inghilterra , e trarne
Gente, onde possa un nuovo campo farne:
26. Che vuole uscir di nuovo alla campagna,
E ritentar la sorte della guerra.
Spaccia Rinaldo subito in Bretagna,
(Bretagna, che fu poi detta Inghilterra.)
Ben dell' andata il paladin si lagna;
INon eh' abbia cosi in odio quella terra.
Ma perchè Carlo il manda allora allora,
]Nè pur lo lascia un giorno far dimora.
27. Rinaldo mai di ciò non fece meno
Volentier cosa, poiché fu distolto
Di gir «ercaiulo il bel viso sereno,
(Mie gli a^ea il cor di mezzo il petto tolto.
Ma, per ubbidir Carlo, nondimeno
A qiulla via si fu subito volto,
Ed a ('alesse in poche ore trovossi;
E giiuito , il dì medesimo imbarcossì.
28. Contea la volontà d' ogni nocchiero,
Pel gran desir, che di tornare avea.
Entrò nel mar, eh' era turliato e fiero,
E gran procella minruxiar pan^a.
Il ^ento si sdf'gnò, che dall' altiero
Si>r(z/ar si vidtr, v. con tempesta rea
Sollevò il mare intorno, e con tal rabbia,
Clic li mandò a bagnar bino alla gabbia.
[It]
ORLANDO FURIOSO. (II. 29—44.)
29. Calano tosto i mai-inari accorti
Le maggior vele, e pensano dar volta,
E ritornare in quei niedei^mi porti,
Donde in mal punto avean la nave sciolta.
JNon convien , dice il vento , eli' io comporti
Tanta licenzia , che v' avete tolta :
E soffia e grida , e nanfragio minaccia,
Se altrove van , che dove egli li caccia.
30. Or- a poppa, or all' orza hanno il crudele.
Che mai non cessa, e vien più ognor crescendo.
Essi di qua di là con umil vele
Vansi aggirando, e 1' alto mar scorrendo-
Ma perchè varie fila a varie tele
Uopo mi son, che tutte ordire intendo,
Lascio Rinaldo, e 1' agitata prua,
E torno a dir di Bradamante sua.
Io parlo di quell' inclita donzella,
Per cui re Sacripante in terra giacque,
Che , di questo signor degna sorella.
Del duca Amone e di Beatrice nacque.
La gran possanza , e il molto ardir di quella
Non mono a Carlo , e a tutta Francia piacque,
Che più d' un par^^gon ne vide saldo,
Che '1 lodato valor del huon Rinaldo.
La donna amata fu da un cavaliero,
Che d' Africa passò col re Agramante,
Che partorì del seme di Ruggiero
La disperata figlia d' Agolante.
E costei, che né d' orso, nò di fiero
Leone u.>^cì, non sdegnò tal' amante;
Benché concesso , fuor che vedersi una
Volta , e parlarsi , non ha lor fortuna.
Quindi cercando Bradamantc già
L' amante suo, eh' avea nome dal padre,
Cosi siciira senza compagnia.
Come avesse in sua guardia mille squadre:
E, fatto eh' ehhe il re di (Jircasfia
Battere il Aolto dell' antica madre,
Traver.-ò un ])osco , e dopo il bosco un monte,
Tanto che giunse ad una l»ella fonte.
La fonte discorrea per mezzo un prato,
D' arhori antichi e di ))ell' onihre adorno.
Che i viandanti col mormorio grato
A bere invita , e a far seco soggiorno.
Un cullo monticel dal manco lato
Le difende il calor del mezzo gìcu'no.
Quivi, come i begli occlij |)riiini torse,
D' un cavalier la giovane s' accorse;
D' un cavalier, eh' all' onjbra d' un liosduetto,
Nel margin Acrde e biiinco e ros.-^o e giallo,
Sedea pensoso e tacilo e soletto
Sopra (jiiel (tliiaro (; liquido cristallo.
Lo scucio lutn lontan jìciide v. V elnietlo
Dal faggio, o\f'. legato era il <:avallo;
Ed avea gli occlij molli e '1 viso basso,
E si mostrava addoloralo e lassù.
Questo desìr, eh' a lutti sta nel core,
De' fatti altrui senipii^ cercar nmellu.
Fece a qm-l cavalier del siu> dolore
La cagion donrandar dalla donzella.
Esili r aperse, e (ulta nut<irò fuore,
Dal «orlcM- parlar iikks»»» di quella,
E dal semliiaute allier, eh' al primo sguardo
Gli oeuibrò di gucrrier molto gagliardo.
XI8]
37. E cominciò: Signore, io conduce»
Pedoni e cavalieri, e venia in campo
Là dove Carlo Marsilio attendea,
Pcrcliè al scender del monte avesse inciampo ;
E una giovane bella meco avea.
Del cui fervido amor nel petto avvampo;
E ritrovai presso a Rodonna armato
Un, elle frenava un gran destriero alato.
38. Tosto che '1 ladro, o sia mortale, o sia
Lina delle infernali anime orrende.
Vede la l;ella e cara donna mia,
Come falcon, che per ferir discende,
Cala e poggia in uno attimo , e tra via
Getta le mani, e lei smarrita prende.
Ancor non m' era accorto dell' assalto.
Che della donna io sentii '1 grido in alto.
39. Cosi il i-apace nibbio furar suole
Il misero pulcin presso alla chioccia.
Che di sua inavvertenza poi si duole,
E in van gli grida, e in van dietro gli croccia.
Io non posso seguire un uom, che vole,
Chiuso tra monti, a pie d' una erta roccia.
Stanco ho il destrier, che muta appena i passi,
Neil' aspre vìe de' faticosi sassi.
40. Ma, come quel, che raen curato atTei
Vedermi trar di mezzo il petto il core.
Lasciai lor via seguir quegli altri miei.
Senza mia guida e senza alcun rettore.
Per gli scoscesi poggi e manco rei
Presi la via , che mi mostrava amore,
E dove mi parca, che quel rapace
Portasse il mio conforto e la mia pace.
41. Sei giorni me n' andai mattina e sera.
Per balze, e per pendici orride e sti-ane.
Dove non via , dove senlier non era.
Dove né segno di vestigia umane :
Poi giunsi in una valle inculta e fiera.
Di ripe cinta, e spaventose tane.
Che nel mezzo su un sasso avea un castello
Forte, e ben posto, e a maraviglia bello.
42. Da lungi par che come fiamma lustri.
Né sia di (erra cotta, né di marmi.
Come più m' avvicino ai muri illustri,
L' o|)ra i)iù bella e più mira])il parmi.
E seppi poi, come i demonj industri.
Da sun'umigi tratti, e sacri carmi.
Tutto d' acciajo avean cinto il bel loco,
Temprato all' onda ed allo sligio foco.
43. Di si forbito acciar luce ogni torre,
Ch(! non ^'t può né ruggine, né macchia.
Tutto il j)i'>es{! giorno e notte scorre,
E poi là dentro il rio ladron ^' immacchin.
(lo.'^a non lia ripar ch(^ coglia torre:
Sol dietro in ^aii se gii lie>(enmiia e gracclùa.
Qui%i la donna, anzi il mio cor, mi tiene,
Ch(! ili mai ric(tvrar Liscio ogni spene.
44. -Ahi las.so ! che poss' io più, che mirare
La rocca lungi, ove il mio ben m' è chiut>u.''
Come la vtdpe, che l llglio gridare
Nel nido oda ilelT aquila di giuso,
S' aggira iiiloriio , «• non sa che si fare.
Poiché r ali non ha da gir là suso.
Erio è quel sas.so sì, tale è il castello.
Che non \i può salir chi non è augello.
2
[19]
ORLANDO FURIOSO. (IL 45-60.)
[20]
45. Mentre io tardava quivi, ecco venire
Duo cavalier , eh' avean per guida un nano,
Che la speranza aggiunsero al desire :
Ma ben fu la speranza e il desir vano.
Ambi erano gucrrier di sommo ardire.
Era Gradasso V un, re sericano,
Era r altro Ruggier , giovane forte,
Pregiato assai nell' africana corte.
46. Vengon , mi disse il nano , per far prova
Di lor virtù col sir di quel castello,
Che per via strana, inusitata e nova
Cavalca armato il quadrupede augello.
Deh, signor, diss' io lor, pietà vi mova
Del duro caso mio spietato e fello !
Quando , come ho speranza , voi linciate,
Vi prego, la mia donna mi rendiate !
47. E come mi fu tolta , lor narrai.
Con lagrime affermando il dolor mio.
Quei , lor mercè , mi proferirò assai,
E giù calaro il poggio alpestre e rio.
Di lontan la battaglia io riguardai,
Pregando per la lor vittoria Dio.
Era sotto il castel tanto di piano,
Quanto in due volte si può trar con mano.
48. Poiché fur giunti a pie dell' alta rocca,
L' uno e 1' altro volea combatter prima.
Pure a Gradasso , o fosse sorte, tocca,
O pur, che non ne fé' Ruggier più stima.
Quel Serican si pone il corno a bocca ;
Rimbomba il sasso , e la fortezza in cima.
Ecco apparire il cavaliero armato
Fuor della porta , e sul cavallo alato.
49. Cominciò a poco a poco indi a levarse,
Come suol far la peregrina grue.
Che correr prima, e poi veggiamo alzarse
Alla terra vicina un braccio o due ;
E , quando tutte sono all' aria sparse,
Velocissime mostra 1' ali sue.
Sì ad alto il negromante batte 1' ale,
Ch' a tanta altezza appena aquila sale.
50. Quando gli parve poi, volse il destriero,
Che chiuse i vanni , e venne a terra a piombo,
Come casca dal ciel falcon maniero,
Che levar veggia l' anitra, o il colombo.
Con la lancia arrestata il cavaliero
L' aria f';ndendo vicn d' orribil rombo :
Gradasso appena del calar s' avvede.
Clic se lo sente addosso, e che lo fiede.
51. Sopra Gradasso il mago l' asta roppe.
Ferì Gradasso il vento e 1' aria vana.
Per questo il volator non interroppc
11 batter 1' ale, e quindi s' allontana.
Il grave scontro fa chinar le groppe
Sul verde prato alla gagliarda affana.
Griidassn avea una aliana la più bella,
E la miglior, che mai portasse scila.
52. Sino alle stelle il volator trascorse.
Indi girosftì, e tornò in fretta al basso,
E percosse Ruggier, che non s' accorse;
Ruggier, clic tutto intento era a Gradasso.
Ruggier del grii\e coljx) si distorse,
E 'I suo dcstricr piti rinculò d' un passo;
E quando si voltò, per lo! ferire,
Da se lontano il vide al eie! salire.
53. Or su Gradasso , or su Ruggier percote,
Nella fronte , nel petto e nella schiena ;
E le botte di quei lascia ognor vote,
Perch' è sì presto , che si vede appena.
Girando va con spaziose rote,
E quando all' uno accenna , all' altro mena :
All' uno e all' altro sì gli occhj abbarbaglia,
Che non ponno veder, donde gli assaglia.
54. Fra due guerrieri in terra , ed uno in cielo
La battaglia durò sin a quell' ora.
Che , spiegando pel mondo oscuro velo,
Tutte le belle cose discolora.
Fu quel eh' io dico, e non v'aggiungo un pelo.
Io '1 vidi, io r so, né m' assicuro ancora
Di dirlo altrui : che questa maraviglia
Al falso più eh' al ver si rassomiglia.
55. D' un bel drappo di seta avea coperto
Lo scudo in braccio il cavalier celeste.
Come avesse , non so , tanto sofferto
Di tenerlo nascosto in quella veste ;
Che immantinente, che lo mostra aperto.
Forza è , chi '1 mira , abbarbagliato reste,
E cada, come corpo morto cade,
E venga al negromante in pctestade.
56. Splende lo scudo a guisa di piropo,
E luce altra non è tanto lucente.
Ciiderc in terra allo splendor fu d' uopo.
Con gli occlij abbacinati e senza mente.
Perdei da lungi anch' io li sensi , e dopo
Gran spazio mi riebbi finalmente,
]Nè più i guerrier , nò più vidi quel nano.
Ma vuoto il campo , e scuro il monte e il piano.
57. Pensai per questo , che 1' incantatore
Avesse ambidue colti a un tratto insieme,
E tolto per virtù dello splendore
La libertade a loro , e a me la speme.
Cosi a quel loco, che chiudea il mio core.
Dissi, partendo, le parole estreme.
Or giudicate , s' altra pena ria,
Che causi amor, può pareggiar la mia!
58. Ritornò il cavalier nel primo duolo,
Fatta che n' ebbe la cagion palese.
Questo era il conte Pinabel, figliuolo
D' Anselmo d' Altaripa, maganzese,
Che tra sua gente scellerata solo
Leale esser non volle , né cortese ;
Anzi ne' vizj abbominandi e brutti,
Non pur gli altri adeguò, ma passò tutti.
59. La bella donna con diverso aspetto
Stette ascoltando il Maganzese cheta;
Che, come prima di Ruggier fu detto.
Nel viso si uiostrò più clic mai lieta:
Ma quando sentì poi, di' era in distretto,
Turbossi tutta d' amorosa pietà,
Né per una, o due volte contentossc,
Che ritornato a replicar le fosse.
60. E poich' alfin le parve esserne chiara,
Gli disse: Cavalier, datti riposo!
(3lié lieo piu) la mia giunta esserti cara.
Parerti questo giorno avventuroso.
Andiam più- tosto a quella stanza avara,
Che sì ricco tesor ci tiene ascoso!
Né spesa sarà in van questa fatica.
Se fortuna non m' è troppo nemica.
I
:2i]
ORLANDO FURIOSO. (II. 61—76.)
[22]
61. Rispose il cavalier: Tu tuoi, che io passi
Di nuovo i monti, e mostriti la \ia?
A me molto non è perdere i passi,
Perduta avendo ogni altra cosa mia.
Ma tu per balze, e ruinosi sassi
Cerchi entrare in prigione; e cosi sìa;
Non hai di che dolerti di me poi;
Ch' io tei predico , e tu pur gir vi ìtioì.
62. Cosi dice egli , e torna al suo destriero,
£ di quella animosa si fa guida,
Che si mette a periglio per Ruggiero,
Che la pigli quel mago , o che 1' ancida.
In questo , ecco alle spalle il messaggiero,
Che, aspetta, aspetta! a tutta voce grida ;
Il messaggier, da chi '1 Circasso intese,
Che costei fu , eh' all' erba lo distese.
63. A Bradamante il messaggier novella
Di Mompolieri e di Narbona porta,
Ch' alzato gli stendardi di Castella
Avcan , con tutto il lito d' Acquamorta ;
Y, elle Marsiglia , non v' essendo quella.
Che la dovea guardiir, mal si contorta;
E consiglio e soccorso le dcmianda
Per questo messo , e se le raccomanda.
64. Questa cittade , e intorno a molte miglia
Ciò , che fra A'aro e Rodano al mar siede,
Avea r imperator dato alla figlia
Del duca Amone, in eli' avea speme e fede;
Però che '1 suo valor con maraviglia
Riguardar suol , quando armeggiar la vede.
Or, com' io dico, a dimandare ajuto
Quel messo da Marsiglia era venuto.
G.'t. Tra sì e nò la giovane sospesa,
Di voler ritornar dubita un poco.
Quinci r onore e il debito le pesa,
Quindi r incalza 1' amor(»so foco.
Fermasi alfui di seguitar 1' impresa,
E trar Ruggier dell' incantato loco,
E, quando sua virtù non possa tanto,
Almcn restargli prigioniera a canto.
66. E fece scusa tal , clic quel messaggio
Parve contento rimanere e cheto.
Indi girò la briglia al suo viaggio
Con l'inabcl, che non ne par^e lieto:
Che seppe esser costei di quel lignaggio.
Che tanto lia in odio in pubblico e Li secreto ;
E già s' avvisa le future angosce,
Se lui per Maganzese ella conosce.
67. Tra casa di Maganza e di Cliiarmonte
Era odio aulico, e nenii(-izia intensa;
E più voitt^ s' av(!an rotta la fronte,
E sparso di lor sangue copia immensa:
E però pel suo cor 1' iniquo conte
Tradir 1' incauta giovane; >i pensa,
O, come prima comodo gli accada,
Lasciarla sola, e trovar altra strada.
68. F' tanto gli occupò la fantasia
Il nativo odio, il dubltio <■ la paura,
Che inavvfulutauientc uscì di via,
E ritrov(ls^i in una selva oscura,
Che nel nuv/.zo avea un moiit»;, die finfa
La nuda cima in una piclra dura;
E la figlia del duca di Dordona
Gii è sempre dietro,, e mai non 1' abbandona.
69. Come sì vide il Maganzese al bosco,
Pensò torsi la donna dalle spalle.
Disse : prima che 'l ciel torni più fosco,
Verso un albergo è meglio farsi il calle.
Oltra quel monte , s' io lo riconosco,
Siede un ricco castel giù nella valle.
Tu qui m' aspetta ; che dal nudo scoglio
Certificar con gli occhj me ne voglio.
70. Così dicendo , alla cima superna
Del solitario monte il destrier caccia.
Mirando pur, se alcuna via discerna,
Come lei possa tor dalla sua traccia.
Ecco nel sasso trova una caverna,
Clic si profonda più di trenta braccia :
Tagliato a picchi ed a scarpelli il sasso
Scende giù al dritto , ed ha una porta al basso.
71. jNel fondo avea una porta ampia e capace,
Che in maggior stanza largo adito dava,
E fuor n' uscia splendor, come di face.
Che ardesse in mezzo alla montana cava.
Mentre quivi il fellon sospeso tace.
La donna , che da lungi il seguitava,
Perchè perderne l' orme si temea,
Alla spelonca gli sopraggiungea.
72. Poiché si vede il traditore uscire
Quel, eh' avea prima disegnato , in vano,
O da sé torla , o di farla morire,
Nuovo argomento immaginossi e strano.
Le si fé' incontra , e su la fé' salire
Là , dove il monte era forato e vano,
E le disse , eh' avea visto nel fondo
Una donzella di viso giocondo,
73. Che a' bei sembianti , ed alla ricca vesta.
Esser parca di non ignobil grado,
Ma, quanto più potea , turbata e mesta,
Mostrava esservi chiusa suo mal grado:
E per saper la condizion di questa,
Ch' avea già cominciato a entrar nel guado ;
E eh' era uscito dell' interna grotta
Un , che dentro a furor 1' avea ridotta.
74. Bradamante, che, come era animosa,
Così mal cauta , a Pinabcl die fede,
E d' ajutar la donna disiosa,
Si pensa come por ccdaggiù il piede.
Ecco d' un olmo alla cima frondosa
Volgendo gli occhj, un lungo ramo vede;
E con la spada quel subito tronca,
E lo declina giù nella spelonca.
75. Dove è tagliato , in man lo raccomanda
APinabello, e poscia a quel s' apprende:
Prima giù i piedi nella tana manda,
E sulle hraccia tutta si sospciidc.
Sorride Pinabello, e Iv di)iiiaii(la,
CoMu- ella salii; e le mani apre e stende.
Dicendole: Qui fosser teco iii>ieme
Tutti li tuoi , eh' io ne spegncsiii il seme !
76. Non, come volse Pinalu'IIo, avvenne
Dell' iiuiocentc gimaiu- la sorte;
Perchè giù dirocciuuio , a ferir venne
l'riuia nel rullilo il ramo siildo e forte.
Ben >i spe/'/.ò , ma laiilo la so.steiine,
('he 'I suo fallir Li liberò da morte,
(riacqiie ^(orllila la donzella alquanto,
Come io vi hcgiiirò ncU' altro canto.
2 *
[23]
ORLANDO FURIOSO. (III. i — 12)
[24]
CANTO TERZO.
ARGOMENTO.
Bradamante dalV empio cavaliero
Fatta cader nella caverna dura
Vede di $è e del seme di Ruggiero
La stirpe, or cosi illustre, allora oscura.
Quindi lui , che d' Atlante è prigioniero.
Di tosto liberar cerca e procura :
Melissa ne V informa , e dclV anello
Le dà notizia ; alfin trova Brunello.
1. Chi mi darà la voce e le parole
Convenienti a si nobil sogf^etto ?
Clii r ale al yerso presterà , che vole
Tanto, che arrivi all' alto mio concetto?
Molto maggior ài quel furor, die suole,
Bea or convicn , che mi riscaldi il petto;
Che questa ])arte al mio Signor si dchhe,
Clie canta gli avi, onde ì' origin' ebbe,
2. Dì cui fra tutti li signori illustri,
Dal ciel sortiti a governar la terra,
Konvedi, o Fcho, che '1 gran mondo lustri,
Più gloriosa stirpe , o in pace, o in guerra ;
I\è cJie sua nohiltadc abbia piti lustri
Serbala , e scrijerà , se in me non erra
Quel profetico lume , «he m' inspiri,
Finché d' intorno al polo il ciel s' aggiri.
3. E volendone appien dicer gli onori,
Bisogna non la mìa , ma quella cetra,
Con che tu, dopo i gigantei furori.
Rendesti grazia al regnator dell' etra.
Se ihtrumcnti avrò mai da te migliori,
Atti a scolpire in così degna pietra,
In queste helle immagini disegno ^
Forre ogni mìa fatica, ogni mio ingegno.
4. Levando intanto queste prime rudi
Sc-iglìc n' andrò con lo scarpello inetto :
Forse eh' ancor con pìii solerti studj
Poi rìdtarò questo lavor perfetto.
IVla ritorniamo a quello, a cui nò scudi
Potrau, né usbergliì, assicurare il petto i
Parlo di Pinabello di Maganza,
Che d' uccider la donna ebbe speranza.
5. Il traditor pensò, che la donzella
Foxse nell allo precipizio morta;
K con iialliila taccia lanciò quella
Tri^ta, e. \n-ì- lui coiitamiiiata porta,
]•; tornò ()r('sto a rimontare in sella;
l'i come quel, eh' avca 1' anima torta,
l'er ginginr <()lpa a colpa , r fallo a fallo,
])i liradamanle ne menò il cavallo.
6. Lasciam costui , che , mentre all' altrui vila;
Ordisce inganno, il suo morir procura,
E torniamo alla donna, che tradita
Quasi ebbe a un tempo morte e sepoltura.
Poich' ella si levò tutta stordita,
Ch' avea percosso in sulla pietra dura,
Dentro la porta andò , eh' adito dava
Rella seconda , assai più larga , cava.
7. La stanza quadra e spaziosa pare
Una devota e venerahll chiesa,
Che su col(»nnc alalìastrine e rare
Con bella architettura era sospesa.
Sorgea nel mezzo un ben locato altare,
Cli' avea dinanzi una lampada accesa;
E quella di splendente e chiaro foco
Rendea gran lume all' uno e all'altro loco.
8. Di devota umiltà la donna tocca.
Come si vide in loco sacro e pio,
Incominciò col core e con la hocca,
Inginocchiata, a mandar prieghi a Dio.
\Jn picciol uscio intanto stride e crocea,
Ch' era all' incontro , onde ima donna usci»
Discinta e scalza , e sciolte avea le chiome,
Che la donzella salutò per noìne,
9. E disse : 0 generosa Bradamante,
Non giunta qui senza voler divino.
Di te più giorni m' ha predetto limante
Il profetico spirto di Merlino,
Che visitar te sue reliquie sante
Dovevi per insolito cammino ;
E qui son stata , accioech' io ti riveli
Quel eh' han di te già statuito i cieli.
10. Questa è 1' antica e raemorahil grotta,
Che edificò Merlino, il savio mago, ^
Che forse ricordare odi talotta,
Dove ingannoUo la donna del Lago.
Il sepolcro è qui giù, dove corrotta
Giace la carne sua; dove egli, vago
Di satisfare a lei, che gliel suase,
^ ivo corcossi , e morto ci rimase.
11. Col corpo morto il vivo spirto alberga,
Siuch' oda il suon dell' angelica tromba,
Cile dal ciel lo bandisca , o che ve 1' erga.
Secondo che sarà corvo , o colomba.
A ive la vcx'c, e come chiara emerga.
Udir potrai dalla marmorea tomba;
Che le passate e le future «;ose,
A chi gli domandò , sempre rispose.
12. Piò giorni son, che in questo ciniìtcrio
Venni di rimotissim(» paese.
Peritile circa il mio studio alto misterio
Mi faces.sc i>lcrlin nu-glio palese:
E perchè ebbi vederti desiderio,
Poi <:i son stata oltre il disegno un mese;
('Alò JMerlin, che 'I ver sempre mi predisse.
Termine al venir tuo questo dì iissc.
25]
ORLANDO FURIOSO (IH. 13-28)
[26]
13. Stassi d' Araon la shigottita figlia,
Tacita e fissa al ragionar tìi quej^ta,
Ed ha si pieno il cor di meravigìia.
Che non sa, s' ella dorme, o sella è desta;
E con rimesse e vergognose ciglia,
Come quella , che tutta era modesta.
Rispose: Di che merito son io,
Che antiveggian profeti il venir mio ?
14. E lieta dell' insolita avventura,
Dietro alla maga subito fu mo^Mi,
Che la condusse a quella sepoltura,
Che chiudea di Merlin 1' anima e l' ossa.
Era queir arca d' una pietra dura.
Lucida e tersa , e come fiamma rossa.
Tal eh' aUa stanza , benché di sol priva.
Dava splendore il lume , che n' usciva.
15. O che natura sia d' alcuni marmi.
Clic movan V ombre a guisa di facelle,.
O forza pur di sufTumigj e carmi,
E segni impressi all' osservate stelle.
Come più questo verisimil parmi;
Discopria lo splendor più cose belle
E di scultura e di color, che intorno
Il vcnerabil loco aveano adorno.
16. Appena ha Bradamante dalla soglia
Levato il piò nella secreta cella,
Che '1 vivo spirto dalla morta spoglia
Con chiarissima voce le favella :
Favorisca fortuna ogni tua voglia,
O casta e nobilissima donzella.
Del cui ventre uscirà il setiie fecondo.
Che onorar deve Italia, e tutto il mondo *
17. L' antico sangue, che venne da Troja,
Per li duo miglior rivi in te commisto
Produrrai' ornamento, il fior, la gioja
D' ogni lignaggio , eh' abbia il sol mai ^ i.=t(»
Tra r Indo e '1 Tago , e '1 IXiio e la Danojir,.
Ti-a quanto è in mezzo Antartico e Calisto:
^ella itrogenie tua con sonnni onori
Saran marchesi, duchi e imperatori.
18. I capitani e i cavalicr robusti
Quindi usciran , che col ferro e col senno
Ricuperar tutti gli onor vetusti
Dell' arnie invitte alla sua IhiSia denno.
Quindi terran lo sc(;ttro i signor giusti,
Clic, come il savio Augusto e INuiiia fenno.
Sotto il benigno e buon governo loro
Ritorneran la prima età dell' oro.
19. Aci'iò dunque il voler del ciel si metta
In elTctto per te, che di Kiiggiero
T' ha per moglìer fin da principio eletta,
Segui animosamente il tuo s(;ntiero !
Che cosa non sarà , che s' intrometta,
Da poterti turbar quoto pensiero.
Sì che non mandi al primo assalto in terra
Quel rio ladron , eh' ogni tuo 1)en ti serra.
20. Tacque Merlino, avendo co~i detto,
Ed agio all' opre della maga diede,
Cir a itradamante dimostrar i' aspetto
Si preparava di riascun suo erede.
Avca di spirti un gran numero eletto,
IVon so, ne dall' iiircrno , o da (piai sede,
E tutti (|Nelli in un luogo rac< ulti,
Sotto abiti diversi, e varj volti.
21. Poi la donzella a sé ricliiama in chiesa,
Là , dove prima avea tirato un cerchio.
Ole la potea capir tutta distesa,
Ed avea un palmo ancora di soverchio :
E perchè dagli spirti non sia oiTesa,
Le fa d' un gran pentacolo copercliio,
E le dice, che taccia, e stia a mirarla;
Poi scioglie il libro , e co' demonj parla.
22. Eccovi fuor della prima spelonca,
Cile gente intorno al sacro cerchio ingrossa,-
Bla , come vuole enti-ar , la via 1' è tronca,
Come lo cinga intorno muro o fossa.
In quella stanza , ove la bella conca
In sé chiudea del gran profeta F ossa,
Entravan 1' ombre , poich' avean tre volte
Fatto d' intorno lor debite volte.
23. Se i nomi e i gesti di ciascun vo' dirti,
Dicea r incantatricc a Bradamante,
Di questi, eh' or per gì' incantati spirti.
Prima che nati sien , ci sono avante.
Non so veder , quando abbia da spedirti :
Che non basta una notte a cose tante;
Sì eh' io te ne verrò scegliendo alcuno
Secondo il tempo , e che sarà opportuno.
24
25
26.
27
28
Vedi quel primo , che ti rassomiglia ^
Ne' bei sembianti , e nel giocondo aspetto .-'
Capo in Italia fia di tua famiglia,
Del seme di Ruggiero in te concetto.
Veder del sangue di Fontier vermigli.!
Per mano di costai la terra a^'petto,
E vendicato il tradimento e il torto
Centra quei, che gli avranno il padre morto.
Per opra di costui sarà disorto
Il re de' Longobardi Desiderio.
D' Este e di Calaón per questo merto _
Il bel domino avrà dal sommo imperio.
Quel che gli è dietro, è il tuo niinjte Vberto,
Onor dell' arme , e del paese esperio :
Per costui coritra Barbari difesa
Più d' una volta Ca la santa chiesa-
Vedi qui Alberto , invitto capitano.
Che ornerà di trofei fanti deluorì.
Ugo il figlio è con lui, che di .Milano
Farà 1' acquisto, e spiegherà i colubri.
Az'zo è queir altro, a cui resterà In mano,
Dopo il fratello, il regno degT Insubri.
Ecco Albertazzo, il cui savio consiglio
Torrà d' Italia Beringiirio e il figlio ;
E sarà degno , a cui Cesare Ottone
Alda, sua figlia, in matrimonio aggmn?:».
Veli un altro l'go: o l)ella Mic<e->>ione,
Che dal patrio valor non ?i diiiinga!
Co>tuisarà, che per giu>ta cagione
Ai superbi Uiunan V orgoglio emungn;
Clic 1 terzo Ottone «• il pont<'fuc tolga
Delle iii.in loro , e "1 grave assedio sciolga.
Vedi Folco, che par che al suo germ.uio
Ciò che in Italia avea, tutto abbia dato,
E vada a pos-eilere indi lontiino
In m«'7,zo a;; li Alatiianui un gr.in ducato,
E dia alla casa di Sau^ogna mano,
Che caduta sarà tutta da un laio;
!•; per la linea della madre creile
Con la progenie sua la terrà in piede.
ORLANDO FURIOSO (III. 29-44.)
[28]
29. Questo, eh' or a noi viene, è il secondo Azzo,
Di cortesia più che di guerre amico,
Tra due figli , Bertoldo ed Albertazzo.
Vinto dall' un sarà il secondo Enrico,
E del sangue tedesco orribil guazzo
Parma vedrà per tutto il campo aprico;
Dell' altro la contessa gloriosa,
Saggia e casta Matilde, sarà sposa.
30. Virtù il farà di tal connubio degno :
Ch' a quella età non poca laude estimo,
Quasi di mezza Italia in dote il regno,
E la nipote aver d' Enrico primo.
Ecco di quel Bertoldo il caro pegno,
Rinaldo tuo , eh' avrà 1' onore opimo
D' aver la chiesa dalle man riscossa
Dell' empio Federico Barbarossa.
31. Ecco un' altro Azzo, ed è quel, che Verona
AwÀ in poter col suo bel tenitorio ;
E sarà detto marchese d' Ancona
Dal quarto Ottone , e dal secondo Onorio.
Lungo sarà, s' io mostro ogni persona
Del sangue tuo , eh' avrà del concistorio
Il gonfiilone, e s' io narro ogni impresa
Vinta da lor per la romana chiesa.
32. Obizzo vedi e Folco , altri Azzi , altri Ughi,
Ambì gli p]nrichi , il figlio al padre accanto ;
Duo Guelfi , de' quai 1' uno Umbria soggiughi,
E vesta di Spoletì il ducal manto.
Ecco chi '1 sangue e le gran piiighe asciughi
D' Italia afflitta , e volga in riso il pianto :
Di costui parlo (e mostrolle Azzo quinto)
Onde Ezellin fia rotto, preso e estinto.
33. Ezellino , immanìssimo th-anno,
Clie fia creduto figlio del demonio,
Farà , troncando i sudditi , tal danno,
E distruggendo il bel paese ausonio,
Che pietosi appo lui stati saranno
Mario, Siila, Xeron, Cajo ed Antonio.
E Federico imperator secondo
Fia per quest' Azzo rotto , e messo al fondo.
34. Terrà costui con più felice scettro
La beila terra, clie siede sul fiume.
Dove chiamò con lagrimoso plettro
Febo il figliuol , eh' avca mal retto il lume,
Quando fu pianto il fabuloso elettro,
E Cigno si vestì di bianche piume;
E questa di mille o)d>lighi mercede
Gli donerà 1' apostolica sede.
35. Dove lascio il fratello Aldobrandino,
Che , per dare al pontefice soccorso
Contra Otton quarto, e 'I campo ghibellino.
Che sarà presso al Campidoglio corso,
Ed a^ rà preso ogni loco vicino,
£ po.'-lo agli Umbri ed ai Piceni il morso;
^^; potendo prestargli ajuto senza
Slolto tesor, ne chiederà a Fiorenza?
36. E non avendo gioja, o miglior pegni,
Per sicurtà darallc il frate in mano;
Spiegherà i suoi littorio»] segni,
E romperà l' cstrcito gerniauo :
In beggi(t riporrà la chiesa , e degni
Darà ^llp|lli( j ai (nuli di Celano;
Ed al scr\izio del sommo paNtorc
Finirà gli aiuii buoi nel più bel fiore:
37. Ed Azzo_ il suo fratel lascierà erede
Del dominio d' Ancona e di Pisauro,
D' ogni città, che da Troento siede.
Tra il mare e 1' Apennin sino all' Isauro.
E di grandezza d' animo e di fede
E di virtù , miglior che gemme ed auro :
Che dona e tolle ogni altro ben fortuna;
Solo in vii'tù non ha possanza alcuna.
38. ì edi Rinaldo , in cui non minor raggio
Splenderà di valor , purché non sia
A tanta csaltazion del bel lignaggio
Morte, o fortuna, invidiosa e ria. —
Udu-ne il duol fin qui da Napoli aggio,
Dove del padre allor statico fia.
Ora Obizzo ne vien, che giovinetto
Dopo r avo sarà principe eletto.
39. Al bel dominio accrescerà costui
Reggio giocondo, e Modena feroce.
Tal sarà il suo valor , che signor lui
Domanderanno i popoli a una voce.
ì edi Azzo sesto, un de' figliuoli sui,
Gonfalonier della cristiana croce:
Avrà il ducato d' Andria con la figlia
Del secondo re Cario di Siciglia.
40. A' edi in un bello ed amichevol groppo
Delli principi illustri 1' eccellenza,
Obizzo, Aldobrandin, ÌNiccolò Zoppo,
Alberto, d' amor pieno e di clemenza.
10 tacerò , per non tenerti troppo.
Come al bel regno aggiungeran Faenza,
E con maggior fermezza Adria, che valse
Da sé nomar 1' indomite acque salse ;
41. Come la terra , il cui produr di rose
Le die piacevol nome in greche voci ;
E la città, che in mezzo alle piscose
Paludi del Pò teme ambe le foci.
Dove abitan le genti disiose.
Che '1 mar si turbi , e sieno i venti atroci.
Taccio d' Argenta , di Lugo , e di mille
Altre castella e popolose ville.
42. A e' Niccolò, che tenero fanciullo
11 popol crea signor della sua terra,
E di Tideo fa il pensicr v ano e nullo,
Che contra lui le civili arme aflerra.
Sarà di questo il pueril trastullo
Sudar nel ferro, e travagliarsi in guerra;
E dallo studio del tempo primiero
Il fior riuscirà d' ogni guerriero.
43. Farà de' suoi ribelli uscire a voto
Ogni (li.^cgno, e lor tornare in danno;
Ed ogni stratagemma avrà si noto,
Che sarà duro il poter fargli inganno.
Tardi di questo s' avvedrà il terzo Oto ,
E di Reggio e di Parma aspro tiranno.
Che da costui spogliato a un tempo fia
E del dominio , e della vita ria.
44. Avrà il bel regno poi sempre augumcnto,
Senza torcer mai pie dal canunin dritto ;
Né ad alcun farà mai più nocumento.
Da cui prima non sia d ingiima afflitto:
Ed é per questo il gran inotor contento,
Che non gli sia alcun termine prescritto.
Ma duri prosperando in iift^glio sempre,
Finché bi volga il cicl nelle gue tempre.
ORLANDO FURIOSO. (HI. 45—60.)
m
45
46.
47.
Vedi Leonello , e vedi il primo duce,
Fama della sua età , 1' inclito Berso,
Che siede in pace , e più trionfo adduce
Di quanti in altrui terre abbiano corso.
Chiuderà Marte, ove non veggia luce,
E stringerà al furor le mani al dorso.
Di questo signor splendido ogni intento
Sarà, che '1 popol suo viva contento.
Ercole or vien , che al suo vicin rinfaccia,
Col pie mezzo arso , e con quei debol passi,
Come , a Budrio col petto e con la faccia
Il campo volto in fuga gli fermassi ;
Non perchè in premio poi guerra gli faccia,
Né per cacciarlo sin nel Barco passi.
Questo è il signor , di cui non so esplicarme,
Se fia maggior la gloria o in pace , o in arme.
Terran Pugliesi , Calabri e Lucani
De' gesti di costui lunga memoria,
Là , dove avrà dal re de' Catalani
Di pugna singoiar ia prima gloria ;
E nome tra gV invitti capitani
Si acquisterà con più d' una vittoria;
Avrà per sua virtù la signoria
Più di trenta anni a lui debita pria.
48<
49
E quanto più avere obbligo si possa
A principe , sua terra avrà a costui ;
Non perchè fia delle piìludi mossa
Tra campi fertilissimi da lui ;
Non perchè la farà con muro e fossa
Meglio capace a' cittadini sui,
E r ornerà di templi e di palagi,
DI piazze , di teatri , e di mille agi :
Non perchè dagli artigli dell' audace
Aligero leon terrà difesa ;
Non perchè , quando la gallica face
Per tutto avrà la bella Italia accesa,
Si starà sola col suo stato in pace,
E dal timore e da' tributi illesa :
Non sì per questi ed altri benefity
Saran sue genti ad Ercol debitrici,
50. Quanto che darà lor 1' inclita prole,
n giusto Alfonso , e Ippolito benigno,
Che sariin , quai 1' antica fama suole
Narrar de' figli del tindareo cigno,
Cli' alternamente si piivan del sole,
Per trar 1' un 1' altro dell' acr maligno.
Sarà ciascuno d' essi e pronto e forte
L' altro salvar con sua perpetua morte.
51. B grande amt)r di questa bella coppia
Renderà il popol suo via più sicuro,
Che se per opra di Vulcan , di d(>|)pia
Cinta di ferro avesse intorno il muro.
Alfonso è quel, che col sapere a<;coppìa
Si la bontà , che al secolo futuro
La gente crederà, che sia dal cielo
Tornata Astrea , dove può il caldo e il gelo.
52. A grand' uopo gli fia I' esser prudente,
E di vabtre l'Lssiinigliarsi al padre:
Che sì ritroverà con ]io(-a gcwitc,
Da un lato, nw.r U: veneziane squadro.
Colei dall' altro , clu; più giustamente
Non HO ^ se dovrà dir matrigna, o madre;
Ma se pur madre, a lui poco più pia,
Che Medea a i figli, o Progne btulu aia.
53. E quante volte uscirà, giorno o notte.
Col suo popol fedel fuor della terra,
Tante sconfitte e memorabil rotte
Darà a' nemici , o per acqua , o per terra.
Le genti dì Komagna, mal condotte
Contra i vicini , e lor già amici in guerra,
Se n' avvedranno , insanguinando il suolo,
Che serra il Po , Santerno e Zanniolo.
54. Ne' medesmi confini anco saprallo
Del gran pastore il mercenario Ispano,
Che gli avrà dopo con poco intervallo
La Bastia tolta , e morto il castellano,
Quando 1' av rà già preso ; e per tal fallo,
Non fia, dal minor fante al capitano.
Chi del racquisto e del presìdio ucciso
A Roma riportar possa l'avviso.
55. Costui sarà col senno e con la lancia,
Ch' avrà 1' onor nei campi di Romagna,
D' aver dato all' esercito di Francia
La gran vittoria contra Giulio e Spagna.
Nuoteranno i destrier fin' alla pancia
Nel sangue uman per tutta la campagna;
Ch' a seppellire il popol verrà manco
Tedesco , Greco , Ispano , Italo , e Franco.
56. Quel, che in pontificale abito imprime
Del purpureo cappel la sacra chioma,
E il liberal, magnanimo, sublime
Gran cardinal della chiesa di Roma,
Ippolito, eh' a prose, a versi, a rime
Darà materia eterna in ogni idioma ;
La cui fiorita età vuole il ciel giusto.
Ch'abbia un Maron, cora' un altro ebbe Augusto.
57. Adornerà la sua progenie bella.
Come orna il sol la macchina del mondo,
Molto più della luna e d' ogni stella;
Ch' ogn' altro lume a lui sempre è secondo.
Costui con pochi a piedi , e meno in sella,
^ eggio uscir mesto , e poi tornar giocondo ;
Che quindici galee mena cattive,
Oltra mill' altri legni , alle sue rive.
58. Vedi poi r uno e 1' altro Sigismondo,
Vedi d' Alfonso i cinque figli cari.
Alla cui fama ostar, che di sé il mondo
Non empia, i monti non potran, uè i mari.
Gener del re di Francia, Ercol secondo,
ET un; quest' altro, acciò tutti gì' impari,
Ippolito è, che n«)n con minor raggio.
Che 'l zio , risplenderà nel suo lignaggio.
59. Francesco il terzo , Alfonsi gli altri dui
Ambi son detti. Or , come io di?>^i prinui,
S' ho da mostrarti ogni tuo ramo , il cui
Valor la stirpe sua tanto sublima,
Bisognerà, che si ri^clliari e abbui
Più volte iirima il cicl , eh' ii» te gli esprima;
E sarà tempo ormai, quando ti piaccia,
Ch' io dia licenza all' ombre, e di' io mi taccia.
60. Co>i con volontà della donzella
I/a «lotta inraiilalri<c il libro chiuse.
Tulli gli spirti allora ncllii cella
Sparirò in fretta, o\v. erau 1' ossa chiuse.
Qui Bradaiiianle, poirbè in favella
ÌM fu con^e^^u usar, la bocca scliiuse
E domandò: Chi son li due si tristi,
Cile tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti. ^
[31]
ORLANDO FURIOSO. (III. oi-tO)
132]
61. Veniano sospirando , e gli occlij bassi
Parean tener , ci' ogni baldanza privi ;
E gir loiitan da loro io vedea i passi
Dei frati , sì che ne pareano schifi. _
Parve eh' a tal domanda si cangiassi
La maga in viso , e fé' degli occlij rii i ;
E grid() : Ah sfortunati , a quanta pena
Lunijo instigar d' uomini rei vi mena !
62. Oli buona prole, oli degna d' Ercol buono,
]Von vinca il lor fallir vostra boutade !
Di vostro sangue i miseri pur sono:
Qui ceda la giustizia alla pietade!
Indi soggiunse con più basso suono:
Dì ciò dirti più innanzi non accade.
Statti col dolce in bocca , e non ti doglia,
Ch" amareggiare alfin non te la voglia !
f>3. Tosto che spunti in ciel la prima luce,
Piglierai meco la più dritta via,
Ch' al lucente castel d' acciar conduce,
Dove Iluggier vive in altrui balia.
Io tnnto ti sait) compagna e duce,
Che tu sia fuor dell' a^pi•a selva ria.
T' insegnerà, poiché sarem sul mare,
Sì ben la via, che non potresti errare.
64. Quivi r audace giovane rimase
Tutta la notte , e gran pezzo ne spese
A parlar con Merlin , che le sùi.se
Rendersi tosto al suo Ruggier cortese.
Lasciò dipoi le sotterranee case,
Che di nuovo splendor 1' aria s' accese,
Per un cammin gran spazio oscuro e cieco.
Avendo la spirtal femmina seco ;
65. E riuscirò in un burrone ascoso
Tra monti inaccessibili alle genti ;
E tutto '1 dì, senza pigliar riposo,
Saliron balze , e traversar torrenti :
E perchè men 1' andar fosse nojoso,
Di piacevoli e bei ragionamenti,
Di quel , che fu più a conferir soave,
L' aspro caumiin faccan parer men grave :
Ufi. De' quali era però la maggior parte,
Ch' a Uradamante vien la dotta maga
Mostrando, con clic astuzia e con qual' arte
Prcsccdcr de' , se di Ruggiero è vaga.
Se tu fossi, dicea, l'allade, o Marte,
E conducessi gente alla tua paga,
Più che non ha il re Carlo e il re Agraraantc,
Non dureresti contra il negromante:
67. Clu-, oltre che d' acciar murata eia
La rocca inespugnabile e tant' alla;
Oltre che '1 suo dcstrier si faccia via
Per mezzo l' aria, ove galoppa e salta,
Ila lo scudo mortai, che come pria
Si scopre, il suo splendor sì gli occhj assalta,
La vista toglie, e tanto occupa i sensi.
Clic come morto rimaner conviensi.
68. E se forse ti pensi, che ti vaglia
Combattvndo tener serrati gli occhj ;
(yome potrai saper nella battaglia,
Quando ti >rlii\i, o 1' avversario tocchi?
Ma per luf^girc il liune, eh' altbarbaglia,
E "li altri incinti di colui far s(ioc,<:hi,
'l'i mo.-'trero un rimedio, una via presta;
.\è altra in tutto '1 mondo è, se non questa.
69. Il re Agramante d' Africa un' anello,
Che fu rubato in India a una regina,
Ha dato a un suo baron , detto Rrunello,
Che poche miglia innanzi ne cammina ;
Di tal virtù, che cìii nel dito ha quello,
Confra il mal degl' incanti ha medicina.
Sa di furti e d' inganni Brunel, quanto
Colui , che tìen Ruggier , sappia d' incanto.
70. Questo Brunel sì pratico e sì astuto,
Come io ti dico, è dal suo re mandato,
Acciocché col suo ingegno , e con 1' ajuto
Di questo anello in tai cose provato,
Di quella rocca , dove è ritenuto.
Tragga Ruggier: che così s' è vantato.
Ed ha così jjromesso al suo signore,
A cui Ruggiero è più d' ogn' altro a core.
71. 7*Ia perchè il tuo Ruggiero a te sol abbia,
E non al re Agramante, ad obbligarsi,
Che tratto sia dell' incantata gabbici,
T' insegnerò il rimedio , che de' usarsi.
Tu te n' andrai tre dì lungo la sabbia
Del mar, che ormai è presso a dimostrarsi;
Il terzo giorno in un albergo teco
Arri^ era costui , eh' ha 1' anel seco.
72. La sua statura , acciò tu lo conosca.
Non è sci palmi , ed ha il capo ricciuto.
Le chiome ha nere , ed ha la pelle fosca,
Pallido il viso, oltre il dover barbuto,
Gli occhj gonfiati, e guardatura losca,
Schiaci-iato il naso , e nelle ciglia irsuto.
L' abito , acciocch' io lo dipinga intero,
E stretto e corto , e sembra di corriere.
73. Con esso lui t' accaderà soggetto
Di ragionar di quegl' incanti strani :
IMostra d' aver , come tu a^xai in effetto,
Disio, che '1 mago sia teco alle mani!
Ma non mostrar , che ti sia stato detto
Di quel suo anel , che fa gì' incanti vani !
Egli t' offerirà mostrar la via
Fino alla rocca , e farti compagnia.
74. Tu gli va dietro ; e come t' avvicini
A questa rocca, si eh' ella si scopra,
Dagli la m(ute; né pietà t' inchini,
Che tu non metta il mio consiglio in opra !
Né far, eh' egli il pensier tuo s' indovini,
E eh' abbia tempo, che 1' anel lo copra;
Perchè ti sparirla da gli occhj tosto
Ch' in bocca il sacro anel s' avesse posto.
75. Così parlando , giunsero sul mare.
Dove presso a Rordea mette Garonna.
Quivi, luui senza alquanto lagrimare.
Si dipartì l' una dall' altra diurna.
La figliuola d' Amon, che, per slegare
Di prigione il suo amante, non assonna,
Camminò tanto , che Acnnc una sera
Ad un albergo, ove Rrunel prim' era.
76. Conosce ella Rrunel , come lo vede,
Di cui la forma uvea scolpita in mente.
Onde ne \iene, ove ne va, gli chiede;
Quel le risponde, e d' ogni cosa mente.
La donna, già iirc\ista , non gli cede
In dir menzogne, e simula ugualmente
E patria, e stirpe, e sella, e nome, e sesso,
E gli volta alle uian più* gli occhj (spesdo.
[33]
ORLANDO FURIOSO. (III. 77. IV. 1 — io)
77. Gli ra gli occhj alle man spesso voltando,
In dubbio sempre esser da lui rubata ;
INè lo lascia venir troppo accostando,
Di sua condizion bene informata.
Stavano insieme in questa guisa , quando
L' orecchia da un roraor lor fu intronata.
Poi vi dirò, Sij^nor, che ne fu causa,
Ch' a^TÒ fatto al cantar debita pausa.
[34]
CANTO QUARTO.
ARGOMENTO.
Libera V animosa Bradamante
Il suo Ruggiero da lei tanto amato ^
E quel per opra poi del mago Atlante
Dair alato destriero è via portato.
Rinaldo, che d^ Angelica era amante.
Da Carlo in Inghilterra vien mandato,
E di Ginevra ode Vaccusa fella ;
Indi salva da morte una donzella.
1. Quantunque il simular sia le più volte
Ripreso, e dia di mala mente indicj,
Si trova pure in molte cose e molte
Aver fatti elidenti benclicj,
E danni, e biasmi, e morti aver già tolte;
Che non conversiam sempre con gli amici
In questa assai più oscura , che serena
Vita mortai, tutta d' invidia piena.
2. Se , dopo lunga prova , a gran fatica
Trovar si può , chi ti sia amico vero,
Ed a chi senza alcun sospetto dica,
E discoperto mostri il tuo pensiero;
Che de' far di lluggicr la bella amica
Con quel lirunel , non puro e non sincero.
Ma tutto simulato e tutto fìnto,
Come la maga gliel' avca dipinto?
8. Simula anch' ella, e così far conviene
Con c.<so lui, di fìn/ioni padre;;
E, «'ouie io dissi, spesso ella gli tieno
Gli occlij alle man, eh' cran rapaci e ladro.
E(xo all' orecchie un gran romor lor viene.
Disse la donna: O gloriosa madre!
O re del ciel! che cosa sarà questa .-^
E dove era il romor, si trovò presta.
4. E vede 1' oste, e tutta la famiglia,
E chi a finestre, e chi fuor nella vin,
'J'ener ledati al <-iel gli oeclij e le ciglia,
Come r eelis...c , o la cometa sia.
Vede la donna mi' alta maraviglia.
Che di h-ggier creduta non tiiu ia :
Vede paN>arc un gran dotriero alato,
Che porta in aria un cavaliere armato.
5. Grandi eran 1' ale, e di color diverso,
E vi sedea nel mezzo un cavaliero,
Di ferro armato luminoso e terso,
E ver Ponente avea dritto il sentiero.
Calossi, e fu tra le montagne immerso;
E, come dicea 1' oste, e dicea il vero,
Queir era un negromante, e facea spesso
Quel varco , or più da lungi , or più da presso.
6. Volando talor s' alza nelle stelle,
E poi qua^i talor la terra rade;
E ne porta con lui tutte le belle
Donne, che trova per quelle contrade:
Talmente , che le misere donzelle,
Ch' abbiano , o aver si credano beltade,
e Come affatto costui tutte le invole)
Non escon fuor, si che le veggia il sole.
7. Egli sul Pireneo tiene un castello.
Narrava 1' oste, fatto per incanto,
Tutto d' acciajo, e sì lucente e bello,
Ch' altro al mondo non è mirabil tanto.
Già molti cavalier sono iti a quello,
E nessun del ritorno si dà vanto ;
Si eh' io penso, signore, e temo forte,
O che sian presi , o sian condotti a morte.
8. La donna il tutto ascolta, e le ne giova
Credendo far, come farà per certo.
Con r anello mirabile tal prova,
Che ne fìa il mago e il suo castel diserto,
E dice all' oste: Or un de' tiu)ì mi trova,
Che più di me sia del viaggio o?perto !
Ch' io non posso durar, tanto ho il cor vago
Di far battaglia contro a questo mago.
9. Non ti mancherà guida, le rispose
Rrunello allora, e ìtv. verrò teco io;
IMeco lio la strada in scritto , ed altre cose.
Che li l'aran jiiacere il venir mio.
V <ille dir dell' anel , ma non I' espose,
Né chiarì più, per non pagarne il fio.
Grato mi fia, dis.ve «Ila, il venir tuo;
Volendo dir, eh' indi 1' uoel fìa suo.
10. Quel cir era utile n dir , disse ; o quel tacque.,
('Ite nuocer le polca col Siiracino.
A\ea r o>(e «in de^liicr, eh' a costei piacque,
("h" era buon da Jialtaglia e da cauunino ;
Compenditi, e parti^.^i, come nacque
Del bel giorno seguente il mallntiuo:
Prc.M- la via per una stretta uille.
Con Urunellu ora innanzi , ora alle spalle.
a
[35]
ORLANDO FURIOSO. (IV. 11 — 26)
11. Di monte in monte, e d' uno in altro bosco,
Giunsero , ore 1' altezza di Pirene
Può dimostrar, se non è 1' aer fosco,
E Francia, e Spagna, e due diverse arene;
Come Apennin scopre il mar schiaTO e il tosco
Dal giogo , onde a Camaldoli si viene.
Quindi per aspro e faticoso calle
Si discendea nella profonda valle.
12. Vi sorge in mezzo un sasso, che la cima
D' un bel muro d' acciar tutta si fascia;
E quella tanto verso il ciel sublima.
Che, quanto ha intorno, inferior si lascia.
Non faccia, chi non vola, andarvi stima;
Che spesa indarno vi saria ogni ambascia.
Brunel disse: Ecco dove prigionieri
Il mago tien le donne e i cavalieri!
13. Da quattro canti era tagliato, e tale.
Che parca dritto a fil della sinopia.
Da nessun lato né sentier, né scale
V eran, che di salir facesser copia:
E bene appar, che d' animai, eh' abbia ale,
Sia questa stanza nido e tana propia.
Quivi la donna esser conosce 1' ora
Di tor r anello e far, che Brunel mora.
14. 3Ia le pare atto vile a insanguinarsi
D' un uoni senza arme, e di sì ignobii sorte;
Che ben potrà posseditrice farsi
Del ricco anello, e Ini non porre a morte.
Brunel non avea mente a riguardarsi;
Si eh' ella il prese, e lo legò ben forte
Ad un abete, eh' alta avea la cima;
Ma di dito 1' anel gli trasse prima,
15. Né per lagrime , gemiti e lamenti.
Che facesse Brunel, lo volse sciorre.
Smontò della montagna a passi lenti.
Tanto che fu nel pian sotto la torre:
E , perché alla battaglia s' appresenti
Il negromante, al corno suo ricorre;
E dopo il suon , con minacciose grida
Lo chiama al campo, ed alla pugna sfida.
16. Non stette molto a uscir fuor della porta
L' incantator, eh' udì il suono e la voce.
L' alato corridor per 1' aria il porta
Contra costei , che sembra uomo feroce.
La donna da principio si conforta.
Che vede, che colui pocc» le nuoce;
Non porta lancia, nò spada, né mazza,
Cli' a forar 1' abbia , o romper la corazza.
17. Dalla sinistra sol lo sciulo avea
Tutto coperto di seta vermiglia;
Nella man destra un lilno, onde facea
Na.-<er, leggendo, l' alta maraviglia;
Che la lancia talor correr purea,
E fatto avea a più d' un lìattcr le ciglia:
Talor pania ferir «;on mazza o stocco,
E lontiiiiii era , e non avea ab-un tocco.
18. Non é fìnto il ilestrier, ma naturale,
Ch* luiii giiiini'iita generò d' un grifo.
Simile al padre avea la piuma e i' ale,
Lì piedi iititi-n'iiri , il «-apo e il grifo;
In tutte r altre ineinbra parca (piale
Era la inaiire. e rliìnuia^i Ippogrifo;
Che nei monti Kilci v«Migon , ma nirì.
Multo di Li dagli aggliiarciati maru
ffl
19. Quivi per forza lo tirò d' incanto ;
E poiché r ebbe , ad altro non attese,
E con studio e fatica operò tanto,
Ch' a sella e briglia il cavalcò in un mese;
Così che in terra , e in aria , e in ogni canto
Lo facea volteggiar senza contese.
Non finzicm d' incanto , come il resto,
Ma vero e natm-al si vedea questo.
20. Del mago ogni altra cosa era figmento.
Che comparir facea per rosso il giallo ;
Ma con la donna non fu di momento,
Che, per 1' anel, non può a edere in fallo.
Più colpi tuttaA ia disserra al vento,
E quinci e quindi spinge il suo caA allo, j
E si dibatte , e si travaglia tutta, j
Com' era, innanzi che venisse, instrutta:
21. E poiché esercitata si fu alquanto
Sopra il destricr , smontar volse anco a piede.
Per poter meglio al fin venir di quanto
La cauta maga instruzion le diede.
Il mago vien per far 1' estremo incanto;
Che del fatto ripar né sa, né crede:
Scopre Io scudo , e certo si presume
Farla cader con l' incantato lume.
22. Potea così scoprirlo al primo tratto.
Senza tenere i cavalieri a bada :
Ma gli piacea veder qualche bel tratto.
Di correr 1' asta , o di girar la spada ;
Come si vede, eh' all' astuto gatto
Scherzar col topo alcuna volta aggrada,
E poiché quel piacer gli viene a noja.
Dargli di morso, e alfin voler che moja.
23. Dico che '1 mago al gatto, e gli altri al topo
S' assomigliar nelle battaglie dianzi;
Ma non s' assomigliar già così, dopo
Che con l' anel si fé' la donna innanzi.
Attenta e fissa stava a quel eh' era uopo,
Acciocché nulla seco il mago acanzi;
E come vide, che lo scudo aperse.
Chiuse gli occhj , e lasciò quivi caderse.
24. Non che il fulgor del lucido metallo.
Come soleva agli altri, a lei nocesse;
]Ma così fece , acciocché dal cavallo
Contra sé il vano incantator scendesse.
Né parte andò del suo disegno in fallo;
Che to.-to eh' ella il capo in terra messe,
Accelerando il volator le penne
Con larghe ruote in terra a por si venne.
25. Lascia all' arcion lo scudo, che già posto
Avea nella coperta, e a pie discende
Aerso la donna, che, come riposto ■
Lupo alla macchia, il capriolo attende; \
Senza più indugio ella si leva, tosto
Che r ha vicino, e ben stretto lo prende.
Avea lasciato quel misero in terra
Il libro, che facea tutta la guerra;
26. E con una catena no correa.
Che solca portar cinta a simil uso ;
Perchè non incu legar «olcì credea.
Che per addietro altri legare era uso.
La donna in terra posto già 1' avea;
St; (|uel non si dires<-, io Ikui l' cscuso;
('bè troppo era la cosa dilFerentc
Tra uu debii vecchio, e lei tanto possente.
I
[37]
ORLANDO FURIOSO. (IV. 27—42)
[38]
-7. Disegnando levargli ella la testa,
Alza la man vittoriosa in fretta;
Ma poiché '1 viso mira , il colpo arresta,
Quasi sdegnando sì bassJi vendetta.
Un veneraliil vecchio in faccia mesta
Vede esser quel , eh' ella ha giunto alla stretta;
Che mostra al viso crespo e al pelo bianco
Età di settanta anni , o poco manco.
28. Tommilavita, giovane, per Dio!
Dicea il vecchio picn d' ira e di dispetto.
Ma quella a torla avea sì il cor restio.
Come quel di lasciarla avria diletto.
La donna di sapere ebbe disio,
Chi fosse il negromante, ed a che effetto
Edificasse in quel luogo selvaggio
La rocca , e faccia a tutto il mondo oltraggio.
~9. Kè per maligna intenzione , ahi lasso !
Disse piangendo il vecchio incantatore.
Feci la bella rocca in cima al sasso,
INè per avidità son rubatore ;
Ma per ritrar sol dall' estremo passo
Un cavalier gentil , mi mosse amore,
Che, come il ciel mi mostra, in tempo breve
Morir cristiano a tradimento deve.
30. Non vede il sol tra questo e il polo auetrioo,
Un giovane sì bello e sì prestante;
Ruggiero ha nctmc , il qual da piccolino
Da me nutrito fu , eh' io sono Atlimte.
Disio d' onore, e suo fiero destino
L' lian tratto in Francia dietro al re Agramante;
Ed io , che I' amai sempre più che figlio.
Lo cerco trar di Francia e di periglio.
81. La bella rocca solo edificai,
Per tenervi Ruggier sicuramente.
Che preso fu da me , come sperai
Che fossi oggi tu preso similmente;
E donne e c;a\alier, che tu vedrai.
Poi ci ho ridotti , ed altra nobii gente ;
Acciocché, quando a vo,:j;lia sua non esca.
Avendo compagnia, inen gli rincretica.
33. Purch' uscir di lassù non si dimande,
1)' ogni altro gaudio lor cura mi tocca:
Che, quanto averne da tutte le bande
Si può del mondo, è tutto in quella rocca:
Suoni, canti, vestir, giuochi, vivande.
Quanto può cor pensar , può chieder bocca.
Ben seminato avea, ben cogliea il frutto;
Ma tu l^ei giunto a disturbarmi il tutto.
83. Deh ! se non hai del viso il cor men bello,
Non impedire il mio consiglio onesto!
Piglia lo s«;udo, eh' io tei dinio, e quello
Destrier, che va per 1' aria così presto,
E non t' impacciar oltra n«'l castelh» !
O tranne uno, o du(; amici, e lascia il resto!
O tranne tutti gli altri , «; più non clien».
Se non che tu mi la»ci il mi(» Ruggiero.
34.
E se disposto sei volerinci t<»rre,
Deh! prima ahiu-n, <:lie tu '1 rimeni in Francia,
Piacciati questa afflitta anima sciorre
Della suii Ncor/.a, ormai putrida e rancia!
Ri^pohc la donzella: Lui vo' jiorre
In libertà; tu, se sai , gracchia e ciancio.
Nò mi oHerir di dar h» scudo in dono,
U quel detitrier ! chù mici , non più tuoi , Mtno.
35. Né , s' anco stesse a te di torre e darli.
Mi parrebbe , che '1 cambio convenisse.
Tu di', che Ruggier tieni, ]ìer vietarli
il malo influsso di sue stelle fisse.
O che non puoi s.iperlo, o non schivarli,
Sappiendol , ciò che '1 ciel di lui prescrisse.
Ma se '1 mal tuo , eh' hai sì vicin , non vedi
Peggio r altrui , eh' ha da venir , prevedL
36. Non pregar , eh' io t' uccida ! che i tuoi prieghi
Sariano indarno ; e , se pur i uoi la morte,
Ancorché tutto il mondo darla nieghi.
Da sé la può a^er sempre animo forte:
Ma , priaehé l' alma dalla carne sleghi,
A tutti i tuoi prigioni apri le porte !
Così dice la donna, e tuttavia
U mago preso incontra al sasso inila.
37. Legato della sua propria catena
N' andava Atlante , e la donzella appresso :
Che così ancor se ne fidava appena,
Benché in vista parca tutto rimesso.
Non molti passi dietro se lo mena,
Ch' a pie del monte han ritrovato il fesso,
E gli scaglioni , onde si monta in giro,
Finché alla porta dei castel salirò.
38. Di sulla soglia Atlante un sasso tolle
Di caratteri e strani segni sculto.
Sotto vasi vi son , che chiamano olle,
Che fuman sempre, e dentro han foco occulto:
L' incantator le spezza, e a un tratto il colle
Riman deserto , inospite, ed inculto;
Né muro appar , né torre in alcun lato,
Come ce mai castel non vi sia stato.
39. SI)rigossi dalla donna il mago allora,
Come fa spesso il tordo dalla ragna;
E con lui sparve il suo castello a un' ora,
E lasciò in libertà quella compagna.
Le donne e i cavalier si trovar fuora
Delle superl)e stanze alla campagna;
E furon di lor molti a chi ne dolse;
Cile tal franchezza un gran piacer lor tolse.
40. Quivi é Gradasso, quivi è Sacripante,
Quivi é Prasildo , il nobil cavaliero,
Che con Rinaldo venne di Levante,
E seco Iroldo , il par d' amici vero.
Alfin trovò la bella Itradamantc
Quivi il desiderato suo Ruggiero,
Che , poiché n' ebbe (;crta conoscenza,
Le fé' buona e gratissima accoglienzii,
41. Come a colei , che più che gli occlij .sui,
Più »he '1 suo cor, più che la propria vita,
Ruggiero amò dal tiì , eh' essa jitr Ini
Si trassi; 1' elmo , on«lc ne In Iciila.
Lungo sarebbe a dir come, e da cui,
E quanto nella selva a>|)ra e roiuita
Si cer«:àr poi la noti*;, e il giorno chiaro,
Né, se non qui, mai '^iù si ritruvaro.
42., Or, che quivi la vede e sa lien, di' ella
È ^tata sola la sua redentrice.
Di tanto gaudio ha pieno il cor, che appella
Sé fiirtunalo ed unici» rdii-e.
S('c>cro il uKinlc, e disiuontaro in quella
>ali<'. <)«<■ fu la doini.i vincitrice,
E «love l" Ippogiifo trovaro anco,
Cir uvea lo scudo, ma coperto, al fianco.
3 *
[39]
ORLANDO FURIOSO. (IV. 43-58)
[40]
43. La donna va per prenderlo nel freno,
E quel r aspetta finché se gli accosta;
Poi spiega r ale per 1' aer sereno,
E si rlpon non lungi a mezza costa.
Ella lo segue, e quel né più né meno
Si leva ia aria, e non troppo si scosta;
Come fa la cornacchia in secca arena,
Che dietro il cane or qua or là si mena.
44. Rug-gier , Gradasso , Sacripante , e tutti
Quei cavaller, che scesi erano insieme,
Chi di sii, chi di giù si son ridutti,
Dove, clie torni il volatore, han speme.
Quel, poiché gli altri invano ebbe condutti
Più volte , e sopra le cime supreme,
E negli umidi fondi tra quei sassi.
Presso a Ruggiero alfin ritenne i passi.
45. E questa opera fu del vecchio Atlante,
Di cui non cessa la pietosa voglia
Di trar Ruggier del gran periglio instante :
Di ciò sol pensa, e di ciò solo ha doglia.
Però gli manda or l' Ippogrifo avantc,
Perché d' Europa con questa arte il toglia.
Ruggier lo piglia , e seco pensa trarlo ;
Ma quel s' arretra, e non vuol seguitarlo.
46. Or di Frontin queir animoso smonta,
(Frontino era nomato il suo destriero^
È sopra quel, che va per 1' aria, nionta,
E con gli spron gli attizza il core altiero.
Quel corre alquanto, ed indi i piedi ponta,
E sale inverso il ciel, vìa più leggiero
Che 'l girifalco , a cui leva il cappello
Il mastro a tempo, e fa veder V augello.
47. La bella donna , che sì in alto vede,
E con tanto periglio , il suo Ruggiero,
Resta attonita in modo, che non riede
Per lungo spazio al sentimento vero.
Ciò, ciie già inteso avea di Ganimede,
Cii' al del fu assunto dal paterno impero.
Dubita assai che non accada a quello
Non men gentil di Ganimede, e bello.
48. Con gli occhj fissi al cicl lo segue, quanto
Basta il veder; ma, poiché si dilegua,
Sì che la vista non può correr tanto.
Lascia clic sempre 1' animo lo segua.
Tuttavia con sospir, gemito e pianto
Non ha, né vuole aver pace, né tregua.
Poiché Ruggier di vista se le tolse.
Al buon destricr Frontin gli occhj lùvolse,
49. E sì dcli!)crò di non lasciarlo.
Che fosse in preda a chi venisse prima,
IMa di condurlo seco, e dipoi darlo
Al suo signor, eh' anco veder pur stima.
Poggia r augel, né può Ruggier frenarlo:
Di sotto rimaner vede ogni cima,
Va\ abbassarci in guisa, «he non scorge,
Dove é piano il terren, né dove sorge.
50. Pollile sì ad alto vien , eh' un pi(;ciol punto
Lo può stimar chi dalla terra il mira,
Prcniie la via ver.'-o o\e <'ade appunto
11 Sol, quando col granchio si raggira,
E p«"r r aria ne va, come legno unto,
A cui nel mar propizio vento spira.
Lasciamlo andar, «In; farà buon cammino!
E torniamo a Rinaldo paladino!
51. Rinaldo 1' altro , e 1' altro giorno scorse.
Spinto dal vento, un gran spazio di mare.
Quando a Ponente, e quando contra V Orse,
Che notte e dì non cessa mai solflare.
Sopra la Scozia ultimamente sorse,
Dove la selva calidonia appare,
Che spesso fra gli antichi ombrosi corri
S' ode sonar di bellicosi ferri.
52. Vanno per quella i cavalieri erranti
Incliti in arme di tutta Bretagna,
E de' prossimi luoghi , e de' distanti.
Di Francia, di Norvegia e di Lamagna.
Chi non ha gran valor, non vada innanti!
Che dove cerca onor , morte guadagna.
Gran cose in essa già fece Tristano,
Lancilotto , Galasso , Artù e Galvano,
53. Ed altri cav alieri , e della nova
E della vecchia Tavola famosi.
Restano ancor di più d' una lor prova
Li monumenti e li trofei pomposi.
L' arme Rinaldo , e il suo Bajardo trova,
E tosto si fa por ne' liti ombrosi,
Ed al nocchier comanda che si spicche,
E lo vada aspettare a Beroicche.
54. Senza scudiero e senza compagnia
Va il cavalier per quella selva immensa.
Facendo or una , ed or un' altra via,
Dove più aver strane avventure pensa.
Capitò il primo giorno a una badia.
Che buona parte del suo aver dispensa
In onorar nel suo cenobio adorno
Le donne e i cavalier , che vanno attorno.
55. Bella accoglienza i monachi e 1' abbate
Fero a Rinaldo, il qual domandò loro,
(Non prima già, che con vivande grate
Avesse avuto il ventre ampio ristoro)
Come dai cavalier sien ritrovate
Spesso avventure per quel tenitoro.
Dove si possa in qualche fatto egregio
L' uora dimostrar , se merta biasmo , o pi'«gio.
56. Risposergli, che errando in quelli boschi
Trovar potila strane avventure e molte:
Ma come i luoghi, i fatti ancor son foschi;
Che non se n' ha notizia le più volte.
Cerca , dlceano , andar , dove conoscili,
Che r opre tue non restino sepolte !
Perché dietro al periglio e alla fatica
Segua la fama, e il debito ne dica.
57. E se del tuo valor cerchi far prova,
T' é preparata la più degna impresa,
Che nella antica etade, o nella nova
Giammai da cavalier sia stata presa.
La figlia del re nostro or si ritrova
Bisognosa d' ajuto e di difesa
('(Ultra un baron , che Lurcanio si chiama,
Che torle cerca e la vita e la fama.
58. Questo Lurcanio al iiailrt; l' ha accusata
(Forse per odio più , cIh; per ragione^
Àverbi , a mezzanotte, ritrovata
'i'rarre un suo amante a sé sopra un verone.
Per le h'ggi del regno condannata
Al foco ha , se non trova campione,
Che fra un mese, oggimai iiresso a finirò,
L' iniquo accusalur faccia mentire.
41]
ORLANDO FURIOSO. (IV. 59— «)
[42]
59. L' aspra legge di Scozia, empia e severa
A uol, eh' ogni donna, e di ciascuna sorte.
Cli' ad uom si giunga, e non gli sia mogliera,
Se accusata ne viene, abbia la morte.
>.è riparar sì può , eh' ella non pera,
Quando per lei non venga un guerrier forte,
Che tolga la difesa, e che sostegna,
Che sia innocente , e di morire indegna.
60. Il re dolente per Ginevra bella,
(Che così nominata è la sua figlia)
Ha pubblicato per città e castella.
Che, s' alcun la difesa di lei piglia,
E che r estingua la calunnia fella,
(Purché sia nato di noliil famiglia)
L' avrà per moglie, ed uno stato, quale
Fia convenevol dote a donna tale.
GÌ. 3Ia se fra un mese alcun per lei non viene,
0 venendo non vince, sarà uccisa.
Simile impresa meglio ti conviene.
Che andar pei bosciiì errando a questa guisa.
Oltre che onor e fama te n' avviene.
Che in eterno da te non fsa divisa,
Guadagni il fior eli quante belle donne
Dall' Indo sono all' atlantee colonne ;
62. E una ricchezza appresso, ed uno stato,
Che sempre far ti può viver contento;
E la grazia del re, se suscitato
Per te gli fia il suo onor, eh' è quasi spento.
Poi per cavalleria tu se' obbligalo
A vendicar di tanto tradimento
Costei, che. per comune opinione,
Di vera pudicizia è un paragone.
63. Pensò Rinaldo alquanto, e poi rispose:
Una donzella dunque de' morire,
Penile lascid sfogar nelle amorose
Sue braccia al suo amator tanto dc:»ire ?
Sia maladelto chi tal legge pose,
E maladctto chi la può patire!
Debitamente muore una crudele,
\on chi dà vita al suo asnator fedele.
64. Sia vero, o falso, che Ginevra tolto
S' abbia il sut» amante, io non riguardo a questo.
D' averlo fatto la loderei molto,
Quando non fosse stato manifesto.
Ho in sua difesa ogni pen>ier rivolto.
Datemi pure un che mi guidi presto,
E, dove sia 1' accusator, mi mene!
Ch' io spero in Dio Ginc%ra trar di pene.
65. \ou vo' già dir, eh' ella non I' abbia fatto ;
Che, noi sapendo, il falso dir potrei :
Dirò ben, che non de', per simil atto,
Pnni/.ion cadere; alcuna in lei ;
E dirò, che fu ingiu.^to, o <;he fu matto,
Chi fece prima gli statuti rei ;
E, come ini(|ui, rivocar si denno,
E nuova legge far con miglior senno.
66. S' un medesimo ardor, s' un desir pare
Inchina e sforza 1' uno e 1' altro sesso
A quel soave fin d' amor, che pare
All' ignorante vulgo un grave eccesso.
Perchè sì de' punir donna, o biasmare,
Clie con uno, o più d'uno abbia conunesso
Quel, che 1' uom fa con quante n' ha appetito,
E lodato ne va, non che impunito ?
67. Son fatti in questa legge disuguale
Veramente alle donne espressi torti ;
E spero in Dio mostrar, eh' egli è gran male,
Che tanto lungamente si comporti.
Rinaldo ebbe il consenso universale,
Che fur gli antichi ingiusti e male accorti,
Che consentirò a cosi iniqua legge ;
E mal fa il re, che può, né la corregge.
68. Poiché la luce candida e vermiglia
Dell' altro giorno aperse 1' eraispero,
Rinaldo 1' arme e il suo Bajardo piglia,
E di quella badia tolle un scudiero,
Che con lui viene a molte leghe e miglia,
Sempre nel bosco orribilmente fiero.
Verso la terra, ove la lite nova
Della donzella de' venire in prova.
69. Avean, cercando abbreviar cammino.
Lasciato pel sentier la maggior via,
Quando un gran pianto udir sonar vicLio,
Che la foresta d' ogni intorno empia.
Bajardo spinse lun, 1' altro il ronzino
Verso una valle, onde quel grido uscia;
E fra due mascalzoni una donzella
Vider, che di lontan parca assai bella,
IO. Ma lagrimosa e addolorata, quanto
Donna, o donzella, o mai persona fosse.
Le sono due col ferro nudo accanto.
Per farle far 1' erbe di sangue rosse.
Ella con prieghi dill'erendo alquanto
GÌAa il morir, sinché pietà si mosse.
Venne Rinaldo; e come se n' accorse.
Con alti gridi e con minacce accor^e.
71 . \ oltaro i malandrin tosto le spalle,
Cile "1 soccorso lontan vidcr ^enire,
E s' appiattar nella profonda valle.
Il paladin non li cui-ò seguire.
Venne alla donna, e, qual gran colpa dalle
Tanta ptinizion, cena d' udire;
E, per tcnipo avanzar, fa allo scudiero
Lcvai-la in groppa, e torna al suo sentiero.
12. E cavalcando poi meglio la guata
Molto esser bella, e di maniere accorte,
Ancorché fosse tutta >pa\entata
Per la paura, vìi' ebbe della morto,
l'oidi' ella fu di nuo\o iloniamlata,
(Ili r aAca tratta a >i inrclicc sorte,
liicoininciò con umil xocc a dire
Quel , eh' io vo' all' altro canto differire.
[43]
ORLANDO FURIOSO. (V. 1-12Ì
[**]
CANTO QUINTO.
ARGOMENTO.
Lurcanio stima che H fratel sia morto
Per Vamor, che a Ginevra esso portava ;
E lei d'impudicizia accusa a torto
Al re, che molto la figliuola amava.
Ma a tempo le ha Rinaldo ajiito porto.
Che intese chiaro, come il ver si stava.
Va nella terra, e uccide Polinesso;
QueUohalsuo error, priachè si muoja, espresso.
1. Tutti gli altri animai, che eono in terra,
O che \ivon quieti, e stanno in pace,
O, se vengono a rissa e si fan guerra.
Alla femmina il maschio non la face.
L' orsa con 1' orso al bosco sicura erra.
La leonessa appresso il leon giace,
Col lupo vive la lupa sicura,
Né la giovenca lia del torel paura.
2. Ch' al)l)ominevol peste, che Megera
Evenuta a turbargli umani petti?
Che si sente il marito e la mogliera
Sempre garrir d' ingiuriosi detti,
Stracciar la faccia, e far livida e nera,
Bagnar di |)ianto i geniali letti,
E non di pianto sol, ma alcuna volta
Di sangue gli ha bagnati 1' ira stolta.
3. Parmi non sol gran mal, ma che 1' nora faccia
Cuiitra natura, e Aa di Dio ribello,
Che s' induce a percuotere la faccia
Di bella donna, o romperle un capello.
Ma «hi 1(! dà vencMio, o chi le cactùa
L' alma dal corpo con laccio, o coltello,
Ch' uonm sia quel, non crederò in eterno,
Ma in vista umana un spirto dell' inferno.
4. Cotali esser doveano i due ladroni,
Che Uinaldo cacciò dalla donzella
Da lor condotta in quei scuri valloni,
l'erchc n(Ui se n' udisse più novella.
Io lasciai, cir ella render le cagioni
S' apparecchiava di .>-ua sorte fella
Al paladin, che le fu buono amico;
Or ^egucndo i' istoria, così dico.
5. La donna incominciò : Tu intenderai
La maggior crudcltade, e la più espressa.
Clic in Tebe, o in Argo, o clic in Micene mai,
O in ludico |>iù crucici fosse commessa.
E, p'C rolainld il sole i chiarì cai,
Qui Mu:n eh" all' altre region s' appressa,
(Jredo, eh' a noi mal volentieri arrivi,
Fcrcliù veder bì crudcl gente bchivi.
6. Ch' agli nemici gli nomini sien crudi.
In ogni età se n' è veduto esempio ;
Ma dar la morte a chi procuri e siudj
Il tuo ben sempre, è troppo ingiusto ed empio.
E acciocché meglio il vero io ti denudi.
Perchè costor volesser fare scempio
Degli anni verdi miei centra ragione,
Ti dirò da principio ogni cagione.
7. Voglio che sappi, signor mio, eh' essendo
Tenera ancora, alli servigi venni
Della figlia del re, con cui crescendo
Buon luogo in corte, ed onorato tenni.
Crudele Amore, al mio stato invidendo.
Fé' che seguace (ahi lassa !) gli divenni :
Fé' d' ogni cavalier, d' ogni donzello
Parermi il duca d' Albania più bello.
8. Perchè egli mostrò amarmi più che molto,
Io ad amar lui con tutto il cor mi mossL
Ben s' ode il ragionar, si vede il volto ;
Ma dentro il petto mal giudicar puossi.
Credendo, amando, non cessai, che tolto
L' ebbi nel letto , e non guardai ch io fossi
Di tutte le real camere in quella.
Che più secreta avea Ginevra bella ;
9. Dove tenea le sue cose più care,
E dove le più volte ella dormia.
Si può di quella in su un verone entrare,
Che fuor del muro al discoperto uscia :
Io facea il mio amator quivi montare,
E la scala di corde, onde salia,
10 stessa dal veron giù gli mandai,
Qualvolta meco averlo desiai.
10. Che tante volte ve lo fei venire,
Quante Ginevra me ne diede 1' agio.
Che solca mutar letto, or per fuggire
11 tempo ardente, ora il brumai malvagio.
]Von fu veduto d' alcun mai salire.
Perocché quella parte del palagio
Risponde verso alcune case rotte.
Dove nessun mai passa o giorno, o notte.
11. Continuò per molti giorni e mesi
Tra noi secreto l' anuu-oso giom.
Scmiire crebbe l' amore, e sì iii accesi,
Che tutta dentro io mi sentia di foco:
E cieca ne fui sì, eh' io non «-ompresi,
Cli' egli finge; a molto e amava poco,
Ancorché li suo' inganni discoperti
Esser doveanmi a mille segni <;erti.
12. Dopo alcun di si mostrò nuovo amante
Della bella (àinevra. lo non >o appunto,
S' allora cominciasse, o pure innante
Dell' amor mio n' avesse il cor già punto.
Vetli, se in me venuto era arrogante,
Se imperio nel mio «or s' ave; a assunto!
(;iiè mi ^copcr^e, e non t-bbe rossore
Chiedermi ajuto in questo nuovo amore.
ORLANDO FURIOSO. (V. 13-28)
[46]
13. Ben diceva, eh' ugnale al mio non era,
Né vero amor, quel eh' egli avea a costei;
Ma, simulando esserne acceso, spera
Celebrarne i legittimi imenei.
Dal re ottenerla fia cosa leggiera,
Qualor vi sia la volontà di lei ;
Che di sangue e di stato in tutto il regno
Non era, dopo il re, di lui '1 più degno.
14. Mi persuade, se per opra mia
Potesse al suo signor genero farsi,
(Che veder posso, che se n' alzeria
A quanto presso al re possa uomo alzarsi)
C3ie me n' avria buon merto, e non saria
Mai beneficio tal per iscordarsi,
E eh' alla moglie, e eh' ad ogn' altro innante
Mi porrebbe egli in sempre essermi amante.
15. Io, eh' era tutta a satisfarlo intenta,
Né seppi, o volli contradirlo mai,
E sol quei giimii io mi vidi contenta,
Ch' averlo compiaciuto mi trovai.
Piglio r occasion, che s' appresenta,
Di parlar d' esso, e di lodarlo assai,
Ed ogni industria adopro, ogni fatica.
Per far del mio amator Ginevra amica.
16. Feci col core e con 1' effetto tutto
Quel, che far si poteva; e sallo Dio;
Né con Ginevra mai p(»tei far frutto,
Ch' io le ponessi in grazia il dura mio.
E questo, che ad amar ella avea indutto
Tutto il pensiero e tutto il suo disio,
Un gentil cavalier, bello e cortese,
Venuto in Scozia di lontan paese.
Che con un suo fratel ben giovinetto
Venne d' Italia a stare in questa corte,
Sì fé' ncir arme poi tanto perfetto.
Che la Bretagna non avea il più forte.
11 re l' aula^ a e ne mostrò l' elTetto ;
Che gli donò di non picciola sorte
Castella, e ville, e giurisdizioni,
E lo fé' grande al par de' gran baroni .
Grato crii al re, più grato era alla figlia
Quel cavalier, chiamato Ariodante,
Per esser valoroso a meraviglia ;
Ma più, eh' ella sapea, che T era amante.
Né Vesuvio, nò il monte di Siciglia,
Né Troja avvampò mai di fianune tante,
Quanto ella conoscea, che per suo amore
Ariodante ardea per tutto il core.
L' amar, che dunque ella facca colui
Con cor sincero e con perfetta fede.
Fé', che pel du('a male udita fui,
Né mai risposta da sperar ini diede;
Anzi, quanto io pregala più per lui,
E gli stiuliava d' impietrar nHM'cedc,
Ella, biasmandoi sempre e dispregiando.
Se gli venia più sempre inimicando.
^. Io confortai l' amator mio sovente.
Che volesse lasciar la ^ana impresa,
^è si sptuasst; mai Aolger la mente
Di costei, trt)ppo ad altro amore intesa;
E gli feci conoscer chiaramente,
Come era si d' Ari()dant<; accesa.
Che quanta at-qna è nel mar, picciola dramma
Non spcgncriti della uuu inuuent>u fiamiiia.
IT
18.
L9
21. Questo da me più volte PoIìrcsso
(Cile cosi nome ha il duca) avendo udito,
È ben compreso, e AÌsto per sé stesso,
Che molto male era il suo amor graditt».
Non pur di tanto amor si fu rimesso,
Ma di vedersi un altro preferito.
Come superbo, co^ì mal sofferse.
Che tutto in ira e in odio sì converse:
22. E tra Gine^Ta e V amator suo pensa
Tanta discordia e tanta lite porre,
E farvi nimicizia così intensa,
Che mai più non si possano comporre;
E por Ginevra in ignominia immensa.
Donde non s' abbia, o viva, o morta, a torre :
Né dell' iniquo suo disegno meco
Volle o con altri ragionar, che seco.
23. Fatto il pensier : Diilinda mia, mi dice,
(Che così son nomata) saper dei.
Che come suol tornar dalla radice
Arbor, che tronchi , e quattro volte e sei,
Così la pertinacia mia infelice.
Benché sia tronca dai successi rei,
Dì germogliar non resta ; che venire
Pur vorria al fin di questo suo desìre.
24. E non lo bramo tanto per diletto.
Quanto perché vorrei vincer la prova;
E, non potendo farlo con effetto,
S' io lo fo immaginando, anco mi gioTa.
Voglio, qualvolta tu mi dai ricetto.
Quando allora Ginevra sì ritrova
Nuda nel letto, che pigli ogni vesta,
Ch' ella posta abbia, e tutta te ne vesta.
25. Come ella s' orna, e come il crin dispone.
Studia imitarla, e cerca il più che sai.
Dì parer dessa ; e poi sopra il verone
A mandar giù la scala ne verrai.
10 verrò a te con immaginazione
Che quella sia, di cui tu ì panni avrai,
E così spero, me stesso ingannando.
Venire in breve il mio de-^ir scemando.
2fi. Così disse egli. Io, che divisa e sce^Tft,
E lungi era da me,^ non posi mente.
Che questo, in che pregando egli persevra,
Era nna fraudc pur troppo evidente:
E dal veron, co' panni di Ginevra,
riandai la scala, onde sali sovente;
E non m' ac<u)rsi priuui dell' inganno.
Che n' era già tutto accaduto il danno.
27. Fatto in quel tempo con Ariodante
11 duca avea (|ne.»te parole, o tali;
(^hé grandi amici erano stati, innante
(;iie per Ginevra si fcssou rivali.
Mi meraviglio (incomin(iò il mio amante),
Ch' aAcndoti io, fra tutù li mie' jiguali.
Sempre a>ut«) in ri>pct[o e >empre amato,
lo bia da te sì mal rhnuncrat«i.
28. Io son ben certo, che comprendi e sai
Di (lincerà e di me 1' antico amore;
K per spo.-a legillima oggimai
l'cr impetrarla mhi «lai mio NÌgnore.
i'erchè mi turbi (u? perchè pur vai
Senza frutto in co-tei ponendo il core ?
lo beiu! a te ri>pel(o avrei, per Dio,
S' io nel tuo grado f(ts>i, e tu nel mìo.
[*^]
ORLANDO FURIOSO. (V. 29-«)
[48]
29. Ed io (rispose Ariodante a lui)
Di te mi meraviglio maggiormente:
Che di lei prima innamorato fui,
Che tu r avessi vista solamente ;
E so che sai, quanto è 1' amor tra nui,
Ch' esser non può di quel che sia più ardente,
E sol d' esserrai moglie intende e hrama,
E so, che certo sai, eh' ella non t' ama.
30. Perchè non hai tu dunque a me '1 rispetto
Per r amicizia nostra, che domande,
Ch' a te aver deljlia, e eh' io t' avre' in effetto.
Se tu fossi con lei di me più grande ?
]Nè men di te per moglie averla aspetto,
Se l)en tu sei più ricco iu queste bande.
Io non son meno al re, che tu sia, grato.
Ma più di te dalla sua figlia amato.
31. Oh, disse il duca a lui, grande è cotesto
Errore, a che t' ha il folle amor condotto.
Tu credi esser più amato : io credo questo
Mcdesmo ; ma si può vedere al frutto.
Tu fammi ciò, eh' hai seco, manifesto.
Ed io il secreto mio t' aprirò tutto;
E quel di noi, che manco aver si veggia,
Ceda a chi vince, e d' altro si proveggia !
32. E sarò pronto, se tu vuoi, eh' io giuri,
Di non dir cosa mai, che mi riveli.
Così voglio, eh' ancor tu m' assicuri,
Che quel, eh' io ti dirò, sempre mi celi.
Venner dunque d' accordo agli scongiuri,
E posero le man su gli evangelj ;
E poiché di tacer fede si diero,
Ariodante incominciò primiero ;
33. E disse per lo giusto e per lo dritto.
Come tra sé e Ginevra era la cosa :
Ch' ella gli avea giurato, e a bocca, e in scritto,
Che mai non saria ad altri, eh' a lui, sposa;
E, se dal re le venia contraditto.
Gli promettea di sempre esser ritrosa
Da tutti gli altri maritaggi poi, ^
E viver sola in tutti i giorni suoi,
34. E eh' esso era in speranza, pel valore,
Cli' avea mostrato in arme a più d' un tìegno,
Ed era per mostrare, a laude, a onore,
A beneficic» del re e del suo regno.
Di crescer tanto in grazia al suo signore,
Che sarebbe da lui stimato degno.
Che la figiiuola sua per moglie avesse,
Poii-hè piacere a lei cosi intendesse.
35. Poi disse: A questo termine son io.
Né credo già, eh' alcun mi ^ enga appresso ;
Né cerco più di questo, né disio
Dell' amor d' essa aver segno più espresso;
ÌNé più vorrei, se non quanto da Dio
Per coiinnliio legìttimo é concesso.
E '>aria in vano il domandar più innanzi;
('ile di bontà so come ogn' altra acanzi.
36. I'oi< h' citbe il vero Ariodante esposto
Delia men^é, eh' aspetta a sua fatica,
Poline-so, clic già s' avea proposto
Di far (ìinevra al suo amator nemica,
(Joniiiirió : Sei ila me mollo di.^costo,
H \(i', riie di tua bocca aiic(t tu '1 dica;
E, del n»io ben ceduta la radii;c,
Che confejisi, me boIu csser felice.
37. Finge ella teco, né t' ama, né prezza;
Che ti pasce di speme e di parole ;
Oltra questo, il tuo amor sempre a sciocchezza,
Quando racco ragiona, imputar suole.
Io ben d' esserle caro altra certezza
Ceduta n' ho, che di i>romesse,e fole;
E tei dirò sotto la fé in secreto,
Benché farei più il debito a star cheto.
33. ìVon passa mese, che tre, quattro, e sei,
E talor dieci notti io non mi trovi
Nudo abbracciato in quel piacer con lei,
Ch' all' amoroso ardor par che sì giovi.
Sì che tu puoi veder se a' piacer miei
Son d' agguagliar le ciance, che tu provi.
Codimi dunque, e d' altro ti provedi,
Poiché si inferior di me ti vedi !
39. Non ti vo' creder questo (gli rispose
Ai'iodantc), e certo so che menti,
E composto fra te t' hai queste cose.
Acciocché dall' impresa io mi spaventi.
Ma perché a lei son troppo ingiuriose.
Questo, eh' hai detto, sostener convienti ;
Che non bugiardo sol, ma voglio ancora,
Che tu sci traditor, mostrarti or' ora.
40. Soggiunse il duca: Non sarebbe onesto,
Che noi volessim la battaglia torre
Dilquel, che t' offerisco manifesto,
Quando ti piaccia, innanzi agli occhj porre.
Resta smarrito Ariodante a questo,
E per r ossa un tremor freddo gli scorre;
E, se creduto ben gli avesse appieno,
Venia sua vita allora allora meno.
41. Con cor trafitto, e con pallida faccia,
E con voce tremante e bocca amara
Rispose: Quando sia, che tu mi faccia
Veder questa a\"ventura tua si rara.
Prometto di costei lasciar la traccia,
A te sì liberale, a me sì avara.
Ma eh' io tei voglia creder, non far stima,
S' io non lo veggio con questi occhj prima !
42. Quando ne sarà il tempo, avviserotti,
Soggiunse Polinesso, e dipartisse.
Non credo, che passar più di due notti,
Ch' ordine fu, che '1 duca a me venisse.
Per scoccar dunque i lacci, che condotti
Avea sì cheti, andò al rivale e disse,
Che s' ascondesse la notte seguente
Tra quelle case, ove non sta mai gente :
43. E diinostrogli un luogo a dirimpetto
Di (|tul verone, ove solca salire.
Ariodante avea preso sospetto,
Cile lo cercasse far quivi venire,
('ome in un luogo, dove avesse eletto
Di por gli agguati, e farvelo morire,
Sotto «|ucsta finziou, che vuol mostrargli
Qiu'l di Ginevra, che impossibil pargli.
44. Di volervi venir prese partito.
Ma in guisa, che di hii non sia men forte;
Pcrclu'*, accadendo che fosse assalito,
Si tro>i sì, clu! non tema di morte.
Un siu) fratelit» avea saggio ed ardito,
Il più fanuiso in arme della corte,
Detto liurcanio; e avea più cor con ceso.
Che tìK dicci altri avesse avuto appresso.
49]
ORLANDO FURIOSO. {A^45_60)
[50]
45. Seco chiaraollo e volle, clic prendesse
L' arnie, e la notte lo menò con Ini.
Kon che '1 secreto suo già gli dicesse ;
Kè r avria detto ad esso, né ad altrui.
Da sé lontano un trar di pietra il messe.
Semi senti chiamar, vien (disse) a niii;
Ma se non senti, prima eh' io ti chiami,
jVon ti partir di qui, frate, se m" ami 1
46. Va pur, non du])itar, disse il fratello.
E così venne Ariodantc cheto,
E si celò nel solitario ostello,
Ch' era d' intorno al mio veron secreto.
Vien d' altra parte il fraudolente e fello,
Che d' infamar GincAra era sì lieto,
. E fa il segno, tra noi solito innante,
A me, clic dell' inganno era ignorante.
47. Ed io con \c^tc candida, e fregiata
Per mezzo a liste d' oro, e d' ogni intorno,
E con rete pur d'or tutta adonilirata
Di hei flocchi vermigli al capo intorno,
(Foggia, che sol fu da Ginevra irsata,
Son da alcun' altra,) udito il segno, torno
Sopra il veron, die in modo era locato,
Che ini scopria diinianzi e d' ogni lato.
48. Lurcanio in questo mezzo dubitando.
Che '1 fratello a pericolo non vada,
O, come è pur comun desio, cercando
Di spiar sempre ciò, che ad altri accada,
L' era pian pian venuto seguitando.
Tenendo 1' ombre e la più oscura strada;
E a mendi dicci passi a lui discosto
Kel medesimo ostel s' era riposto.
19. \on sapendo io di questo cosa alcuna,
Venni al veron nell' abito, eh' ho detto.
Sì come già venuta era più d' una,
E più dì due fiate a buono effetto.
Le vesti si vedean chiare alla lima;
IVè dissimile essendo anch' io d' aspetto,
^è di persona da Ginevra nudto.
Fece parere un per un altro il volto.
50. E tanto più, eh' era gran spazici in mezzo
Fra dove io ^cnni, e quelle incnltc case,
Ai due fratelli, che stavano al rezzo,
]| duca agevolmente persuase
Quel eh' era falso. Or pensa, in che ribrezzo
Ariodantc, in clie dohu- rimase !
A ieii Poliiiesso, e alla sciila s' appoggia,
(Jhe giù mandaigli, e monta in sulla Itiggia.
51. A prima giunta io gli getto le ìiraccia
Al collo; eh' io non penso esser veduta;
Lo bacio in bocca, e per tutta la faccia,
Come far soglio ad ogni sua ACiuita.
Egli più dell' usato si procaccia
D' accarezzarmi, e la sua fialide ajiita.
Queir altro, al rio spettacolo condutto,
Misero sta huitano e vede il tutto.
i2. ('ade in tanto dolor, che si dispone
Allora allora di \oler morire;
E il pomo della spada in t<-rra pone,
Mie sulla punta si mìUh IViire.
Lurcanio, clic cimi grande ammirazione
Avea ceduto il dtua u uu- salire,
Ma non già conosciuto, chi si fosse.
Scorgendo 1' atto del fratcl, si mosse,
53. E gli vietò, che con la propria mano
jVon si passasse in quel furore il petto.
S' era più tardo, o poco più lontano,
\on giungea a tempo, e non faceva effetto.
Ah misero fratel, fratello insano!
(Gridò) perdi' hai perduto 1' intelletto,
Ch' una femmina a morte trar ti debbia.^
Ch' ir possan tutte, come al vento nebbia!
54. Cerca far morir lei, che morir merta,
E serva a più tuo onor tu la tua morte !
Fu da amar lei, quando non t' era aperta
La fraudo sua; or è da odiar ben forte.
Poiché con gli occhj tuoi tu vedi certa,
Quanto sia meretrice , e di che sorte.
Serba quest' arme, che volti in te stesso,
A far dinanzi aj re tal fallo espresso !
55. Quando si vede Ariodantc giunto
Sopra il fratel, la dura impresa lascia;
Ma la sua intenzion da quel, eh' assunto
Avea già di morir, poco s' accascia.
Quindi si leva, e porta, non che punto.
Ma trapassato il cor d' estrema amliascia.
Pur finge col fratel, che quel furore
Non abbia più, che dianzi avea, nel core.
56. Il seguente mattin, senza far motto
Al suo fratello, o ad altri, in via si messe.
Dalla mortai dis|)crazion condotto;
j\è di lui, |)er più d^ fu chi sapesse.
Fdorcliè '1 duca e il fratello, ogni iiltro indotta
Era. chi mosso al dipartir 1' avesse.
ISella casa del re di lui diversi
Ragionamenti, e in tutta Scozia fèrsi.
57. In capo d' otto, o di più giorni, in corte
Venne innanzi a Ginei ra un viandante,
E novella arrecò dì mala sorte,
Che s' era in mar sommerso Ariodante
Di volontaria sua libera morte,
Non per colpa di Borea, o di Levante:
D' un sasso, die sul mar sporgea molt' alto,
Avea col capo in giù preso un gran salto.
58. Colui dicea: Priacliè Acuisse a questo,
A me, che a caso riscontrò per via,
Disse: Vien meco, acciocché manifesto
Per te a Ginevra il mio successo t'ia;
E dille poi, che la cagioii del resto,
Che tu Acdrai di me, eh' or ora fia,
E stato sol, percir ho troppo veduto:
Felice, se senza occhj io fossi suto !
59. Eramo a caso sopra (/iipobasso,
Clic verso Irlanda alquanto sporge in mare:
Così dicendo, di cima d' un sasso
Lo vidi a capo in giù soft' accpia andato.
lo lo lasciai nel mare, ed a gran passo
Ti son venuto la nuova a portare,
(■inora sbigottita, e in >iso smorta,
Uimase, a quello anniin/.io, mezza morta.
60. 0 Dio! che dissi- «• lece, poicJiè sola
Si ritrovò nel suo fui. ito ielto !
Percosse il s<'iio, e si stracciò la stola,
i; fece air aureo criii danno e dispetto,
Ui|ielriido siMcnlc la parola,
('ir \iindaii(c a%ca ili estremo detto:
Che la cagioii del suo caso empio e tristo
Tuttu venia per aver troppo aìsIo.
[51]
ORLANDO FURIOSO. (V. «i_w)
61. II rumor scor?e di costui per tutto.
Che per dolor s' avea dato la morte.
Ui questo il re non tenne il viso asciutto,
Kù cavalier, né donna della corte.
Di tutti il suo l'ratel mostrò più lutto,
E si sommerse nel dolor ti lorte,
Ch' ad esempio di lui contra sé stesso
Voltò quii»i la man, per irgli appresso.
62. E molte volte ripetendo seco,
Che fu Ginevra , che '1 fratel gli estinge,
E che non fu , se non quelT atto bieco.
Che di lei vide, eh' a morir lo spinse;
Di voler vendicarsene sì cieco
Venne, e si V ira e si il dolor lo vinse,
Che di perder la grazia vilipese.
Ed aver 1' odio del re e del paese,
63. E innanzi al re , quando era più di gente
La sala piena, se ne venne e disse:
Sappi , signor , che di levar la mente
Al mio fratel, sì eh' a morir ne gis^e,
Stata è la figlia tua sola nocente!
Ch' a lui tanto dolor 1' alma trafisse
D' aver veduta lei poco pudica.
Che più che vita, ebbe la morte amica.
64. Erane amante; e perchè le sue voglie
Disoneste non fur, noi v«»' coprire:
Per virtù meritarla aver per moglie
Da te sperava , e per fedel servire :
Ma, mentre il lasso ad odorar le foglie
Stava lontano, altrui vide salire,
Salir sul r arhor riserbato, e tutto
Essergli tolto il disiato frutto.
65. E seguitò , come egli avea vednt»
Venir Ginevra sul verone; e come
Mandò la scnila, onde era a lei venuto
Un drudo suo , di che egli non sa il nome ;
Che s' avea, per non esser conosciuto.
Cambiati i panni, e nascose le chiome.
Soggiunge, che c(m l'arme egli volea
Frovar, tutto esser ver ciò, che dìcea.
66. Tu puoi pensar, se 'l padre addolorato
Kiman , quando accusar sente la figlia ;
Si, perchè ode di lei quel, die pensato
Mai non avrebbe, e n' ha gran meraviglia;
Si, perchè sa, «lie fia necessitato.
Se la difesa alcun giierrier non piglia.
Il qiial Lurcanìo possa far mentire,
Di condannarla, e farla poi morire.
67. Io non credo , signor , che ti sia nova
La legge nostra, ohe comlanna a morte
Ogni donna e donzella . che si pntva
Di sé far copia altrui, eh' al c»uo consorte.
Morta ne vien , se in un ine>e non trova
In sua difesa un cavalier .-i forte,
Clie «M)ntra il falso arni.-ator sostegna.
Che via inn<M;ente, e di morire indegna.
68. Ha l'atto il re bandir, per liberarla,
(Che pur gli par, eh' a torto sia accusata^
l'Air \iitil per moglie, e e(»n gran dote, darla
A chi torrà T iiiiuniia, che l è data.
Cile per lei 4-unlpari^ca, ntm si parla,
Guerriero ancora, hìv/à 1' nn 1' altro goata ;
C1ié quel JiUrcaiiio in arine è ^o^ì fiero,
Che pur che di lui tema ugni guerriero.
[52]
69. Atteso ha 1' empia sorte, che Zerbino,
Fratel di lei, nel regno inni si trove.
Che ^a già molti mesi peregrina,
Mostrando di sé in arme inclite prove:
Che, quando si trovasse più vicino
Quel cavalier gagliardo, o in luogo, dove
Potesse avere a tempo la novella,
Kun mancheria d' ajutu alla sorella.
10. Il re, che intanto cerca di sapere
Per altra prova, che per arme ancora.
Se sono queste ac<Mi.-e o fiil>e, o vere.
Se dritto, o torto é, che sua figlia mora,
Ha fatto prender certe cameriere,
Che lo dovrian saper , se vero fora:
Ond' io previdi, che, se presa era io.
Troppo periglio era del duca , e mio.
71. E la notte medesima mi tras>i
Fuor della corte, e al duca mi condussi,
E gli feci veder, quanto importas^i
AI capo d' ambedue, se presa io fiissi.
Lodommi , e disse, eh' io non dubitassi:
A' suoi conforti poi venir m' indussi
Ad una sua fortezza , eh' è qui presso.
In compagnia di due , che mi diede esso.
72. Hai sentito, signor, con quanti etl'ettì
Dell' amor mio tei Folinesso certo:
E s' era debitor, per tai rispetti,
D' avermi caia , o no , tu '1 vedi aperto.
Or senti il guiderdon , <^h' io ricevetti ;
Vedi la gran mercè del mio gran mcito;
Aedi, se deve, per amare assai.
Donna sperar d' essere amata mai !
73. Che questo ingrato, perfido e crudele,
Della mia fede ha preso dubbio al fine.
Venuto è in sospiziiui, eh' io non rivele
A lungo andar le fraudi sue volpine.
Ha finto, acciocché m' allontani e cele.
Finché l' ira e 1' furor del re decline,
Adler mandarmi ad un suo luogo forte,
E mi volea mandar dritto alla morte.
74. Che di secreto ha commesso alla guida.
Che, come m' abbia in queste selve tratta,
Per degno premio di mia l'è, m' uccida.
Cosi r iiitenzion gli venia fatta.
Se tu inni eri appresso alle mie grida.
Ve', come Amor ben ehi lui segue tratta!
Ctisì narrò Dalinda al paladino,
Seguendo tutta volta il lor cammino.
75. A cui fu sopra ogni avventura grata
Questa , d' aver trovata la donzella ,
('he gli avea tutta 1' istoria narrata
Dell' innocen/a di Ginevra bella.
E ^e sperato aveii ( quando accusata
Anc(u' fosse a nigioii ) d' ajiitar quella,
Con via iiiiiggior l>aliliin/,a or viene in prova,
Poiché evidente la calunnia trova.
76. E verso la città di santo Andrea,
Dove era il re c(mi tutta la famiglia,
E la battaglia siiigolar dovea
Esser della ([ucrela della figlia.
Andò Uiiialdo (jiianto andai' potea,
Fini'lié vicino giunge a poche miglia.
Alla «iltà vicini) giunse, dove
Trovò un scudier, eh' avea più fresche nove:
[53]
ORLANDO FURIOSO. (V. 11-02)
m
77. Ch' un cavaliero strano era tenuto,
rii' a difender Ginevra s' avea ti>lto,
Con non usate insegne, e sconosciuto;
l'eroccliè sempre ascoso andava molto,
E che , dapoichè v' era , ancor veduto
]Von gli avea alcuno al discoperto il volto:
E che '1 proprio scudier, che gli ser^ia,
Dicca giurando : Io non so dir , chi sia.
78. Non cavalcaro molto, che alle mura
Si trovar della terra, e in sulla porta.
Dalinda andar più innanzi a^c-a ]iauraj
Pur va, poiché Rinaldo la coiii'orta.
La porta è chiusa, ed a chi n" avea cura
Rinaldo domandò: Questo che importa?
E fogli detto : Perchè il popol tutto
A veder la battaglia era ridutto,
79. Che tra Lurcanio e un cavaliere istrano
Si fa neir altro capo della terra,
Ove era un prato spazioso e piano,
E che già cominciata hanno la guerra.
Aperto fu al signor di Mont' Albano,
E tosto il portinar dietro gli serra.
Per la vuota città Rinaldo jiassa,
Ma la donzella al primo albergo lassa,
80. E dice, che sicura ivi si stia.
Finché ritorni a lei, che sarà tosto ;
E verso il campo poi ratto s' invia,
Dove li due guerrier dato e risposto
Molto s' aveano, e davan tuttavia.
Stava Lurcanio di mal cor disposto
Contro Ginevra ; e 1' altro in sua difesa
Ben sostcnea la favorita impresa.
81. Sei «ravalier con lor nello steccato
Erano a piedi, armati di «-orazza.
Col duca d' Albania, eh' era montato
Su un possente corsier di buona razza:
Come a gran contestabile, a lui dato
I.a guardia fu del campo e della piazza;
E di \eder Ginevra in gran periglio
Avea '1 cor lieto, ed orgogliose» il c-iglio.
82. Rinaldo se ne va tra gente e gente,
Fussi far largo il buon (lestrier Hajardo:
Chi la tempesta del suo venir sente,
A dargli via non par zoppo, né tardo.
Rinaldo vi compar sopra eminente,
E ben rassembra il fior d' ogni gagliardo:
l'oi si ferma all' incontro, ove il re siede.
Ognun s' accosta per udir, che chiede.
83. Rinaldo disse al re : Magno signore.
Non lasciarla Itattaglia più seguire!
Perché, di questi due qualunque muore,
Sappi, eh' a torto tu '1 lasci nutrire.
L' un crede aver ragione, ed é in errore,
E dice il falso, e non sa di mentire;
Ma quel medcsmo error, vhc 'I suo germano
A morir trasse, a lui pon 1' nruie in mano.
84. L' altro non sa, se s' abbia dritto, o torto;
Ma sol per gentilezza e per boutade
In pericol si é posto d' esser morto.
Per non lasciar morir tanta birllade.
Io la salute all' innocenza porto ;
Porto il contrario a clii usa faUitade.
Ma, per Dio, questa pugna prima parti
Poi mi dà udienza n quel, eh' io vo' nai
narrarti 1
85. Fu djiir autorità d' un uom si degno
Come Rinaldo gli parea al sembiante.
Si mosso il re, che disse e fece segno,
Che non andasse più la pugna innante.
Al quale insieme, ed ai baron del regno,
E ai cavalieri, e all' altre turbe tante,
Rinaldo fé' 1' inganno tutto espresso,
Ch' avea ordito a Gine^Ta Polinesso.
86. Indi s' offerse dì voler provare
Con r arme, eli' era ver quel, eh' avea detto.
Cliiamasi Polinesso, ed ei compare.
Ma tutto conturbato nell' aspetto :
Pur con audacia cominciò a negare.
Disse Rinaldo: Or noi ^edrem 1' effetto.
L' uno e 1' altro era armato, il campo fatto,
Si che senza indugiar vengono al fatto-
87. 0 quanto ha il re, quanto ha il suo popol caro
Che Ginevra a prov.ìr s' abbia innocente!
Tutti han speranza, che Dio mostri chiaro
Ch' impudica era detta ingiustamente.
I Crudel, superbo, e riputato avaro
Fu Polinesso, iniquo e fraudolente;
Si che ad alcun miracolo non fia,
Che r inganno da lui tramato sia,
88. Sta Polinesso con la faccia mesta.
Col cor tremante, e con pallida guancia,
E al terzo suon mette la lancia in resta:
Cosi Rinaldo inverso lui si lancia;
Che, disioso di finir la festa,
Mira a passargli il petto con la lancia.
Né discorde al desir segui 1' effetto;
Che mezza 1' asta gli cacciò nel petto.
89. Fisso nel tronco lo trasporta in terra,
Lontan dal suo destrier più di sei braccia.
Rinaldo smonta subito, e gli afferra
L' elmo, priachè si levi, e gli lo slaccia.
Ma quel, che non può far più troppa guerra.
Gli domanda mercè con umil faccia,
E gli confessa, udendo il re e la corte,
La fraude sua, che 1' ha condotto a morte.
90. Non fini il tutto, e in mezzo la parola
E la voce e la vita 1' abbandona.
Il re, che liberata la figliuola
Vede da morte, e da fama non buona.
Più s' allegra, gioisce, e racconsola.
Che, s' avendo perduta la corona,
Ripor se la vedesse allora alb»ra :
Si che Rinaldo unicamente onora.
91. E, poich' al trar dell' elmo conosciuto
L' ebbe, perdi' altre volte V avea > isto,
Levò le inani a Dio, che d' un ajuto.
Come era quel, gli avea sì ben provvisto.
Queir altro cavalier, che sr«»nosriuto
Soccorso avea Ginevra al caso tristo.
Ed armato per lei s' era condotto,
Stat(» da parte era a vedere il tutto.
92. Dal re pregato fu di dire il nome,
O di lanciarsi almen ^cder scoperto.
Perchè da lui fosse |)r( inìato, come
Di sua buona tiilcn/.ion ctiiidcva il merto.
Quel, dopo lunghi preghi, dalle cbionie
Si levò r «'Imo, «• IV palese e certe»
Quel, che ne-U' altnt canto ho da seguire.
Se grato vi sarà l' istoria udire.
4 *
[55]
ORLANDO FURIOSO. (VI. 1_12)
[56]
CANTO SESTO.
ARGOMENTO.
Intesa V innocenza della figlia
Il re le fa marito Artodante.
Ituggicr sulV ippogrifo, onde le ciglia
Dolse in guardar tanV alto a Bradamante,
Ne va ad Alcina. Astolfo lo consiglia.
Cangiato in mirto, a non passar più ovante.
Ruggier cerca ridursi a miglior stato,
Ma da più mostri è il buon voler turbato.
1. Miser, chi male oprando si confida,
Ch' ognor star delihia il maleficio occulto!
Che, quando og'ni altro taccia, intorno grida
L' aria, e la terra ijstejisa, in eh' è sepulto:
E Dio fa spesso, che '1 peccato guida
Il peccator, poich' alcun di gli ha indulto,
Che sé medesmo, senza altrui richiesta,
Inavvedutamente manifesta.
2. Avca creduto il miser Polinesso
Totalmente il delitto suo coprire,
Dalinda consapevole d' appresso
Levandosi, che sola il potea dire:
E, aggiungendo il secondo al primo eccesso,
AlTrctto il mal, che potea differire,
E potea differire, e schivar forse ;
Ma, sé stesso spronando, a morir corse;
S. E perde amici a un tempo, e vita, e stato,
£ onor, che fu molto più grave danno.
Dissi di sopra, che fu assai pregato
Il cavalier, che ancor chi sia non sanno.
Alfio si trasse 1' elmo, e '1 vis(» amato
S«;operse, che più volte veduto hanno;
K dimostrò, come era Ariodante,
l'cr tutta Scozia lagrimatu innante;
4. Ariodante, che Ginevra pianto
Avea per morto, e '1 fratel pianto avea,
Il re, la corte, il popol tutto quanto;
Di tal bontà, di tal valor splciidea.
Ailiiiiqnc il peregrio mentir, di quanto
Diiin/.i (li lui narrò, quivi appartai ;
K fu pur ver. «'he dal sasso marino
(•ittar»i in mar io vide a capo chino.
5. Ma, (-ome avvitane a un dispentto spesso,
Che da loiitan hrauui e disia la mitrte,
E r oilia, poirlu"; se la veile appresso,
(Tanto gli \ìnrv il passo acerbo e forte) ;
Ariodante. poicln- in mar fu mc-so,
Si penti di morire; e, coui<; forte,
K come dc>tro, e più d' ogni altro ardito,
Si miec a nuoto, e rilornos>i al lilo,
6. E, dispregiando, e nominando folle
Il desir, eh' ebbe, di lasciar la vita,
Si mise a camminar bagnato e molle,
E capitò all' ostel d' un eremita.
Quivi secretamente indugiar volle
Tanto che la novella avesse udita,
Se del caso Ginevra s' allegrasse,
O pur mesta e pietosa ne restasse.
7. Intese prima, che per gi*an dolore
Ella era stata a rischio di morire.
La fama andò di questo in modo fuore.
Clic ne fu in tutta 1' isola che dire ;
Contrario effetto a quel, che per errore
Credea aver visto con suo gran martire!
Intese poi, come Lurcanio avea
Fatta Ginevra appresso il padre rea.
8. Contra il fratel d' ira minor non arse,^
Che per Ginevra già d' amore ardesse ;
Che troppo empio e crudele atto gli parse.
Ancoraché per lui fatto 1' avesse.
Sentendo poi, che per lei non comparse
Cavalier, che difenderla volesse;
Che Lurciinio sì forte era e gagliardo,
Ch' ognun d' andargli contra avea riguardo.
9. E chi n' avea notizia, il riputava
Tanto discreto, e sì saggio ed accorto.
Che, se non fosse ver qnel, che narrava.
Non si porrebbe a rischio d' esser morto :
Per questo la più parte dubitava
Di non pigliar questa difesa a torto.
Ariodante, dopo gran discorsi,
Pensò all' accusa del fratello opporsi.
10. Ahi lasso ! io non potrei, seco dicca,
Sentir per mia cagion perir costei.
Troppo mia morte fora acerba e rea.
Se innanzi a me morir vedessi lei.
Ella è pur la mia donna, e la mia dea;
Questa è la luce pur degli occhj miei.
Convien, eh' a dritto, o a torto per suo scampo
Pigli r impresa, e resti morto in campo.
11. So, eh' io m' appìglio al torto ; e al torto sia:
E ne morrò, nò questo mi sconforta;
Se non eh' io so, che per la morte mia
Sì l>ella donna ha da restar poi morta.
Un sol confiU'to nel morir nn fia,
Che, se '1 suo Polinesso amor le porta,
Chiaramente vedere avrà potuto,
Che n()n s' è mosso ancor per darle ajuto:
12. E me, che tanto espressamente ha offeso.
Vedrà, per l<ù salvare, a morir giunto.
Di mio fratello insi«;me, il quale acceso
Tanto foco ha, vendichcrommi a nn punto:
(^li' io lo farò doler, poit-hè compreso
11 fine avrà del suo crudele assunto:
('reduto ven<ii(-are avrà il germano,
E gli avrà dato morte di sua mano.
I
[■>V
ORLANDO FURIOSO. (VI. 13-28)
[58]
13. Concliiuso oh' ebbe questo nel pens:iero,
Nuove arme ritrovò, nuovo cavallo,
E sopravveste nera, e scudo nero
Portò, freg-iato a color verde e «giallo.
Per avventura si trovò un scudiero
Ignoto in quei paese, e menato hallo;
È sconosciuto, come ho già narrato,
S' apprescntò contra il fratello armato.
14. Narrato v' ho , come il fatto successe,
Come fu conosciuto Ariodante.
Non minor gaudio n' ebbe il re , eh' avesse
Della figliuola liberata innante.
Seco pensò, che mai non si potesse
Trovare un più fedele e vero amante;
Che, dopo tanta ingiuria, la difesa
Di lei contra il fratel proprio avea presa.
15. E per sua incllnazion , eh' assai 1' amava,
E per li jìrcghi di tutta la corte,
E di Rinaldo , che più d' altri instava,
Della bella figlinola il fa consorte.
La duchèa d Albania, eh' al re tornava.
Dappoiché Poline^so ebbe la morte,
In miglior tempo discadcr non puote.
Poiché la dona alla sua figlia in dote.
16. Rinaldo per Dalinda impetrò grazia,
Che se n' andò di tanto errore esente ;
La qual per voto , e perchè molto sazia
Era del mondo , a Dio volse la mente.
Monaca s' andò a render fino in Dazia,
E si levò di Scozia immantinente.
Ma tempo è omai di ritrovar Ruggiero,
Che scorre il ciel suU' animai leggiero.
17. Benché Ruggier sia d' animo costante,
Ne cangiato abbia il solito c(»lore,
lo non gli voglio creder, che tremante
Non abbia dentro, più che foglia, il core.
Lasciato avea di gran spazio distante
Tutta r Europa, ed era uscito fiiore
Per molto spazi;» Il segno, che prescritto
Avea già a' naviganti Ercole invitto.
18. Queir ippogriio , grande e strano augello.
Lo porta via con tal prestcv.za d' ale.
Che lascerìa di lungo tratto quello
Celer ministro del fnliuiiieo str.ile.
Non va per 1' aria altro animai sì snello,
Cbe di velocità gli fi>s>c uguale.
Credo, eh' appena il tuono e la saetta
Venga in terra dal < iel con nniggior fretta.
19. Poiché r augel trascorso ebbe gran spazio
P(n- linea dritta, e senza mai piegarsi,
Con iarglie ruote, ornai deir aria sazio,
Cominciò sopra un' i^ola a calarsi,
Pari a quella, ove, dopo lungo strazio
Far del suo amante, e lungo a Ini celarsi,
lia ^ei-gine Aretusa [uismì in \iu\»
Di sotto il mar, per canunin cieco e strano.
20. Non vide né '1 più b<-l, né '1 più giocondo
Da tutta r aria, ove le penne ste>e;
Né, se tutto c(;rcato a\esse il inoiulo,
ledria di questo il più gentil paese;
()%e, dopo un girarci di gran tondo,
('on KMg;i;i<'r fvrn il granile ang«l dis(;esc.
(jil(e pianure e delii.ati colli.
Chiare acque , umbruse ripe , e prati molli.
21. Vaghi boschetti di soavi allori.
Di palme e di anicnissime mortelle,
Cedri ed aranci , eh' avean frutti e fiori.
Contesti in varie forme , e tutte belle,
Facean riparo ai fervidi calori
De' giorni estivi, con lor spesse ombrelle;
E tra qnc' rami con sicuri voli
Cantando se ne giano i rossignuoli.
22. Tra le purpuree rose e i bianchi gigli,
Che tepid' aura freschi ognora serba,
Sicuri si vedean lepri, e conigli,
E cervi con la fronte alta e superba,
Senza temer, eh' alcun gli uccida o pigli»
Pascano, o stiansi ruminando l' erba.
Saltano i dàini , e i capri snelli e destri,
Che sono in copia in que' luoghi campestri.
23. Come sì presso é 1' ippogrifo a terra,
Ch' esser ne può men periglioso il salto,
Ruggier con fretta dell' arcion si sferra,
E si ritrova in suU' erboso smalto.
Tuttavia in man le redini si serra.
Che non vuol, che '1 dcstrier più vada in alto;
Poi lo lega nel margine marino
A un verde mirto, in mezzo un lauro e un pmo.
24. E quivi appresso , ove sorgea una fonte.
Cinta di cedri e di fe(M)nde jìalme.
Pose lo scudo , e 1' elmo dalla fronte
Si trasse, e disarmossi ambe le palme;
Ed ora alla marina , ed ora al monte
Volgea la faccia all' aure fresche ed alme.
Che r alte cime con mormorii lieti^
Fan treuudar de' faggi e degli abeti.
25. Bagna talor nella chiara onda e fresca
Le asciutte labbra , e con le man diguazza,
Acciocché delle vene il calor esca,
Che gli ha acceso il portar della corazza.
Né maraviglia é già, dv ella gì' incresca;
Che non é stato un far vederci in piazza,
Ma, senza mai posar, d' arme gnernito,
Tremila miglia, ognor correndo, era ito.
2(5. Quivi stando il dcstrier, eh' a^ea lasciato
Tra le più dense frasche alla fresca ombra.
Per fuggir si rivtdta, spaventato
Di non so che, che dentro al bosco adombra,
E fa crollar si il mirto , ove è legato.
Che delle fn>ndi iotorno il pie gì ingombra.
Crollar fa il mirto, e fa cader la foglia.
Né succede però , che se ne scioglia.
27, Come ceppo talor, die le midolle
Rare e vóto abbia , e posto al loco sia,
P«ii«hè per gran «-iilor quclT aria molle
Resta consunta, che in iiicz/.o 1 «lupia.
Dentro risnona, e ceni >tr< pito bolle,
'J'anto che quel furor tro>i la ^ia:
Co>\ mormoni, e stride, e .«.i «■orrncxi»
Quel mirto olVesi», e al fine apre la bucata,
28. Onde con inc-la e (lebil %oce uscio
Esp(;«lita e clliari^>iula l'avella,
E di>se: Se tu >ei cor!c«c e i>io.
C<Miie «liiiHH-tri alla pi-escnza bilia.
ÌA-Mi i|U<-sto animai dall' arbor mio?
D.isti, clic 1 mio mal proprio mi lìagdla.
Scir/.a altiM pena, senza altro dolore,
Cir a tormcnlariiii ancor venga tli fuorc.
[59]
ORLANDO FURIOSO. (VI. 29 -44)
[60]
29
30
Al primo suon di queliti voce tor^^e
Ruggiero il viso , e subito levosse ;
E , poich' uscir dall' arbore s' accorse.
Stupefatto vei*tò più che mai fosse.
A levarne il de.^trier subito corse,
E eoa le guance di vergogna rosse,
Qual «he tu sii, perdonami, dicea,
O spirto umano, o boschereccia dea!
Il non aver saputo, che s' asconda
Sotto ruvida scorza umano spirto,
M' ha lasciato turbar la bella fronda,
E fare ingiuria al tuo vivace mirto :
Ma non restar però, che non risponda,
Clii tu ti sia, che 'n corpo orrido ed irto,
Con voce e razionale anima vivi — •
Se da grandine il ciel sempre ti schivi!
31. E se ora, o mai potrò questo dispetto
Con alcun beneficio compensarle,
Per quella bella donna ti prometto,
Quella, che di me tìen la miglior parte
Ch' io farò c(m parole e con etletto,
Cli' avrai giusta cagion di me lodarle.
Come Ruggiero al suo parlar fin diede,
Tremò quel mirto dalla cima al piede.
32. Poi sì vide sudar su per la scorza,
Come legno dal bosco allora tratto,
Che del foco venir sente la forza,
Posciachè invano ogni ripar gli lia fatto,
E cominciò: Tua cortesia mi sforza
A discoprirti in un medesmu tratto.
Chi fossi io prima, e chi converso m' aggìa
In questo mirto in suir amena s|)iaggia.
33. II nome mio fu Astolfo, e paladino
Era di Francia, assai tcimito in guerra:
D' Orlando e di Rinaldo era cugino,
La cui fama alcun termine non serra;
E sì spettava a me tutto il domino,
Dopo il mio padre Otton, dell' Inghilterra.
Leggiadro e bel fui si, che di me accesi
Più d' una donna, e alfin me solo olTesi.
84. Ritornando io da quelle isole estreme
Cile da Levante il mare ìndico lava.
Dove Rinaldo ed alcun' altri insieme
Meco fur chiusi in parte oscura e cava,
E donde liberati le supreme
Forze n' avean del cavalier di Brava,
Ver Ponente io venia lungo la sabbili.
Che del settentrion sente la rabbia:
35. E come la via nostra, e '1 duro e fello
Destin ci trasse, uM;immo una mattina
Sopra la bella spiaggia, uve un castello
Siede t-ìil mar della possente Alcina.
Trovammo lei, eh' uscita era di quello,
E stava sola in ripa alla marina,
E senza rete e senz<i amo traeva
Tutti li pesci al liti», che voleva.
Veloci vi correvano i delfini ;
\ i venia a bocca aperta il grosso tonno,
I capidogli co' vecciii marini
Vcngou, turbati dal lor pign» sunno.
Mule, Malpe, salmoai e coracini
Nuutano a schiere, in più fretta che ponno,
Pistrìci, fisiteri, orche e balene
Ericon del mar con mostruose schiene.
86
.31. Veggiamo ima balena, la maggiore,
Che mai per tutto il mar veduta fosse;
Undici passi e più dimostra, fuorc
Dell' onde salse, le spailacce grosse.
Caschiamo tutti insieme in uno errore;
(Percjr era ferma, e che mai non si scosse)
Ch' ella sia un'' isoletta, ci credemo.
Così distante ha 1' un dall' altro estremo.
38. Alcina ì pesci uscir farea dell' ncque
Con semplici parole e puri incanti.
Con la fata Morgana Alcina nacque,
Io non so dir, s'a un parto, o dopo, o ìnnantf.
Guaidommi Alcina, e subito le piacque
L' aspetto mio, come mostrò ai sembianti,
E pensò con astuzia e con ingegno
Tormì a' compagni ; e riusci 'l disegno.
39. Ci venne incontra con allegra faccia,
Con modi graziosi e riverenti,
E disse: Cavalier, quando vi piaccia
Far oggi meco i vostri alloggiamenti,
Io vi farò veder nella mia caccia
Di tutti i pesci sorti ditTerenti
Chi scaglioso, chi molle, e chi col pelo;
E saran più, che non ha stelle il cielo.
40. E volendo vedere una sirena.
Che col suo dolce canto accheta il mare,
Passiam di qui fin su quell' altra arena,
Dove a quest' ora suol sempre tornare.
E ci mostrò quella maggior balena,
Che, come io dissi, un' isoletta pare.
Io, che sempre fui troppo (e me n' ìncresce)
Volonteroso, andai sopra quel pesce.
41. Rinaldo m' accennava, e similmente
Dudon, eh' io non v' andassi; e poco valse.
La fata Alcina con faccia rìdente,
Lasciando gli altri due, dietro mi salse.
La balena all' ufficio diligente,
Nuotando se n' andò per 1' onde salse.
Di mia sciocchezza tosto fui pentito;
Ma troppo mi trovai lungi dal lito.
42. Rinaldo si cacciò nell' acqua a nuoto
Per ajutarmi, e quasi si sommerse,
Perchè levossi un furioso Noto,
Che d' ombra il cielo e '1 pelago coperse.
Quel che di lui segni poi, n<m m' è noto.
Alcina a confortarmi sì converse;
E quel dì tutto, e la notte, che venne.
Sopra quel mostro in mezzo il mar mi tenne ;
48. Finché venimmo a quest' ìsola bella,
Di cui gran parte Alcina ne pos.^iede:
E r ha usurpata ad una sua sorella,
Che '1 padre già lasciò del tutto erede.
Perchè sola legìttima avea quella,
E (come alcun notizia me ne diede.
Che pienamente iiistrutto era di questo)
Sono quest' altre due nate d' incesto.
44. E, come sono inique e scellerate,
E piene d' ogni vizio infame e brutto,
Cor^ì qiH-lla, vivendo in caslitate,
Posto ha nelle virtuti il suo c(»r tutto.
Contra lei queste due son c<uigiuratc,
E già più d' un esercito hanno instrutto,
Per cacciarla dell' isola, e in più volte
Più di cento castella l' hanno tolte.
[81]
ORLANDO FURIOSO. (VI. 45_eo1
[62]
45. Né ci terrebbe ormai spanna di terra
Colei, che Logistilla è nominata,
Se non clic quinci un golfo il passo serra,
E quindi una montagna inabitata ;
Sì come tien la Scozia e 1' Inghilterra)
Il monte e la riviera s^eparata.
Kè però Alcina, né Morgana resta.
Che non le \oglia tor ciò, che le resta.
46. Perché di \izj é questa coppia rea,
Odia colei, perclié é pudica e santa.
Ma, per tornare a quel, di' io ti dicca,
£ seguir poi, coni' io divenni pianta;
Alcina in givin dcli/ie mi tenca,
E del mi() amore ardeva tutta quanta :
Ké min(»r fìamiiia nel mìo <u»re accese
Il veder lei si bella e si cortese.
47. Io mi godea le delicate membra :
Pareami aver qui tutto il ben raccolto,
Che fra' mortali in più parti si smeinlira,
A chi più, ed a chi meno, e a ne--uii molto.
]\è di Francia, né d' altro mi rimcmlira;
Stavami sempre a contemplar quel volto :
Ogni pensiero, ogni mio l)el disegno
In lei finia, né passava oltre il segno.
48. Io da lei altrettanto era, o più, amato.
• Alcina più non si curava il' altri:
Ella ogni altro suo amante avea lasciato ;
Che innanzi a me ben ce ne tur degli altri.
Me consiglier, me avea dì e notte a lato,
E me fé' quel, che comandava agli altri.
A me credeva, a me si riportava,
]\é notte o dì con altri mai parlava.
49. Deh ! perché vo le mie piaghe toccando,
Senza speranza poi di medicina.''
Perché l' avuto ben vo rimembrando,
Quando io patisco estrema disciplina.''
Quando credea d' esser felice, e quando
Credca, eh' ama»' più mi dovesse Alcina,
Il cor, che m' avea «lato, si rit«»lse,
E ad altro nuovo amor tutta si volse.
50. Conobbi tardi il suo m<d>ile ingegno,
Usato amare e disamare a un punto.
Non era stato oltre a due mesi in regno,
Cli' un nuovo amante al liu>go mio fu assunto.
Uà sé cacciommi la t'ala ctm sdegno,
E dalia grazia sua in' ebbe ilisgiunto;
E seppi poi, che tratti a simil porto
Aveii mill' altri amanti, e tutti a torto.
51. E perché essi non ^ adano pel lunndu
Di lei narrando la vita lasciva.
Chi quìi, chi là jicr lo tenen fecondo
Li iimta, altri in abete, altri in oli^a,
Altri in palma, altri in cedro, altri secondo
Che vedi me, su que.-ta verde riva.
Altri in lii|uiiio fonI<% alcuni in f<-ra.
Come più aggriula a quella fata altera.
S, Or tu, die sei per non usata viii.
Signor, venuto all' isola fatale,
Acciocdr ahuno amante p<'r le sìa
CouMM-so In pietra, o in onda, o fatto tale-,
Avrai d' Aliina si-cllr«» e >ignoriiL,
E sarai lido >opra ogni miirtale.
Ma certo sii di giunger Ui>to al pa>.«n
D'entrar o in t'era, u in fonie, u in legno, nin sasso.
33. Io te n' ho dato volentieri avviso.
Non di' io mi creda, che debbia giovarle-;
Pur meglio fìa, che non vadi improwLs»,
E de' costumi suoi tu sappia parie;
Che forse, come é differente il \iso,
E' difl'erente ancor 1' ingegno e 1' arte.
Tu saprai forse riparare al danno.
Quel che saputo mill' altri non hanno.
54. Ruggier, che conosciuto avea per fama,
Ch' Astolfo alla sua donna cugin era,
Si dolse assai, che in steri! pianta e grama
Mutato avesse la scmbianya vera;
E per amor di quella, che tanto ama.
Purché sapulo avesse, in che maniera
Cili avria fallo servigio; ma ajutarlo
In altro non polca, che in confortarlo.
55. Lo fé' al meglio che seppe e domandoUi
Poi, se via e' era, eh' al regno guidas^i
Dì I.ogislilla, o per piano, o per colli.
Sì che per quel d' Alcina non andassi.
Che ben ve n' era un' altra, rìtornolli
L' arbore a dir, ma piena d' aspri sassi,
S' andando un poco innanzi alla man destra,
Salisse il poggio invcr la cima alpestra:
56. Ma che non pensi già, che seguir possa
Il suo cammin per quella strada troppo :
Incontro avrà di gente ardita grossa
E fiera compagnia con duro intoppo.
Alcina ve gli lìen per muro e fossa,
A chi volesse uscir fiH)r del suo groppo.
Ruggier quel mirto ringraziò del lutto,
Poi da lui si parli dotto ed instrullo.
57. Venne al cavallo, e lo disciolse, e pre^e
Per le redini, e dietro se lo trasse;
Né, come fece prima, più 1' ascese.
Perché mal grado suo non lo portasse.
Seco pensava, come nel paese
Di LogislìCla a salvamento andas>e.
Era disposto e fermo usare ogni opra.
Che non gli avesse imperio Alcina sopra.
< 58. Pensò di rimontar sul suo ca^ allo,
f E per r aria spnuiarlo a nuovo corso;
Ala dubitò dì far poi maggior fallo:
i Che troppo mal qiu-l gli ubbidiva al morso.
I Io passerò per f«»rza, s' io non fallo,
I Dicea tra sé: ma vano era il discorso.
i ]^on fu duo miglia liuigi alla marina,
{ Che la bella città vide d' Alcina.
59. Lontan sì v<;de una muraglia lunga,
Clu! gira intorno, e gran paese -eira ;
E par, che la sua alte/za al ciel s" ìiggiuuga
E d' oro sìa ilall' alla cima a It-rra.
Alcun dal mio parer qui >i dilunga.
E dice, eh' ella è alebiiiiìa: e forse ch" erra.
Ed anco l'orse meglio dì me iiilemle.
A me pur oro, poiché ^ì rispleiide.
60. Come fu press<i alle -i ricche mura.
Vììv M mondo altre non ha della lor sort<'.
Lasciò la str.idii, die per la pianura
Ampia e diritta andana alle gran porte;
Ed a limo di-s(ra. a quella |iiù -iciira,
di' al monte già, pìegossi il giierrier forte:
>Li to.-to ritrovò 1' iniqua frotta.
Dui cui furor gii fu turbala e mlta.
[63]
ORLANDO FUBIOS^O. (VI. 61-70)
fil. IVoii fu veduta mai più strana torma.
Più mostruosi Tolti, e peggio fatti.
Alcun dal collo in giù d'uomini lian forma,
Col viso altri di sciniic. altri di gatti ;
Stampano alcun co' pie caprìgni 1' orma.
Alcuni son centauri agili ed atti ;
Son giovani impudenti, e vecclij stolti;
Chi nudi, e chi di strane pelli involti.
62. Clii senza freno in su un destrier galoppa;
Clii lento va con 1' asino, o col bue:
Altri saliscc ad un centauro in groppa;
Struzzoli molti han sotto, aquile e grue.
Ponsi altri a bocca il corno, altri la coppa;
Chi femmina, e chi maschio, e chi ambedue.
(;iii porta uncino , e chi scala di corda,
Chi pai di ferro, e chi una lima sorda.
(io. Di questi il capitano si vedea
Aver gonfiato il ventre , e '1 viso grasso ;
Il qual su una testuggine scdea,
Che con gran tardità mutava il passo.
Avea di qua e di là chi lo reggca,
Perdi' egli era ebbro , e tenea il ciglio basso.
Altri la fronte gli asciugava e il mento;
Altri i panni scotea per fargli vento.
64. Un, eh' avea umana forma, i piedi, e 'I ventre,
E collo avea di cane, orecchie e testa, ^
Centra Ruggiero abbaja, accìocch' egli entre
^ella l)eUa città , eh' addietro resta.
Rispose il cavalier: ^ol farò, mentre
Avrà forza la man di regger questa —
E gli mostra la spada, di cui volta
Avea r aguzza punta alla sua volta.
65. Quel mostro lui ferir vuol d' una lancia ;
Ma Ruggier presto se gli avventa addosso :
Una stoccata gli trasse alla pancia,
E la fé' un palmo i-iuscìr pel dosso.
Lo scudo imbraccia, e qua e là si lancia.
Ma r inimico stuolo è troppo grosso: j
L' un quinci il punge, V altro quindi afferra: i
Egli s' arrosta , e fa lor aspra guerra. I
66. L' un sino a' denti, e l' altro sino al petto j
Partendo va di quella iniqua razza;
Ch' alla sua spada non s' oppone elmetto,
j\è scudi», né panziera, né corazza.
Ma da tutte le parti è co.sì a.^tretto,
Che bisogno saria , per trovar piazza,
E tener da sé largo il popol reo,
D' aver più braccia e man, che Briarco.
67. Se di scoprire avesse avuto avviso
liO scudo . che già fu del negromante;
I» dico quel, eh' abljarliagliava il aÌsoì, .
Quel, eh' all' arcione avea lasciato AUMtc;
Suliito avria quel brutto stuol conquiso,
E l'attosel cader cieco davante:
E forse ben , vha dispri-zzò quel modo,
Perchè virtude usar volse, e non frodo.
(ìH. Sia quel che può, più tosto vuol morire,
Che reiul<T>i prigione a si vii gente.
Eccoti intanto dalla porta uscire
Del nuiri» , di' io dicea, d' oro liurcntc,
Due giovimi , cir ai gesti ed al vestire
Non eran da stimar nate uuiihncntc,
>è da pa-lor nutrile cimi disagi,
Ma fra delizie di real palagi.
[64]
6 ' L' una e 1' altra sedea su' nn liocorno
Candido più, che candido armellino.
L' una e 1' altra era bella, e di si adorno
Abito, e modo tanto pellegrino.
Che all' uom guardando e contemplando intorno
Bisognerebbe avere occliio divino.
Per far di lor giudizio; e tal saria
Beltà, s' avesse corpo e leggiadria.
'JO. L' una e 1' altra n' andò, dove npl prato
Ruggiero è opj>resso dallo stuol villano.
Tutta la turba si levò da lato;
E quelle al cavalier porser la mano,
Che , tinto in viso di color rosato.
Le donne ringraziò dell' atto umano,
E fu contento, compiacendo loro.
Di ritornarsi a quella porta d' oro.
71. L' adornamento, che s' aggira sopra
La bella porta, e sporge un poco avante.
Parte non ha, che tutta non si copra
Delle più rare gemme di Levante.
Da quattro parti si riposa sopra
Grosse colonne d' integro diamante.
O vero , o falso , eh' all' occhio risponda,
Non è cosa più bella , o più gioconda.
72. Su per la soglia, e fuor per le colonne,
Corrou scherzando lascive donzelle,
Che , se i rispetti dd>iti alle donne
Servasser più, sariau forse più belk:
Tutte vestite eran di verdi gonne,
E coronate di frondi novelle.
Queste, con molte olTerte e con buon viso
Ruggier fecero entrar nel paradiso:
73. Che si può ben così nomar quel loco.
Ove mi credo che nascesse Amore.
]\on vi si sta , se non in danza e in gioco,
E tutte in festa vi si spendon 1' ore.
Pensier canuto , né molto , né poco.
Si può qui>i albergare in alcun core.
jVou entra quivi disagio , né inopia.
Ma vi sta ognor col corno pien la copia.
74. Qui , dove con serena e lieta fronte
Par, eh' ognor rida il grazioso aprile,
Giovani e donne son : qual presso a fonte
Canta *;on dolche e dilettoso stile;
Qual, d' un arbore all' ombra, e qual d' un monte,
() giuoca, o danza, o fa cosa non vile;
E qual , liuigi dagli altri , a un suo fedele
Discopre l' amorose sue querele.
75. Pt'r le cime de' pini e degli allori.
Degli alti faggi e degl' irsuti abeti,
^(>lan scherzaiulo i pargoletti Amori,
Di lor vittorie altri godendo lieti.
Altri pigliando a saettare i cori
La mira qiiiiuli , altri tendendo reti.
('Ili tempra dardi ad un ruscd più basso,
E ehi gli aguzza ad un volubil sasso.
76. Qui^i a Ruggiero mi gran corsier fu dato,
Fort«;, gagliardo, f^ tutti» di pel sauro,
Ch' a\(-a il bel guernimento ricamato
Di preziose gemme e di (in auro;
E fu lanciato in guardia quell' alato.
Quel di<; solca iililtidin- al secchio Mauro,
A un giovaiK', che dietro lo menassi
Al buon Ruggier con mcn frettusi pacifii.
[65]
ORLANDO FURIOSO. (VI. rr— 81. VU. ]_e)
[66]
. Quelle due belle giorani amorose,
Ch' avean Kuggier dall' empio litiiol difeso,
Dall' empio stuol, clie dianzi se gli oppose
Sn quel cnmmin, eli' avea a man destra preso,
Gii dissero: Signor, le rirtuose
Opere vostre , che già abbiamo inteso,
Ne fan sì ardite, che 1' ajuto vostro
Vi chiederemo a beneficio nostro.
79.
Oltre che sempre ci turbi il cammino.
Che libero saria, se non foss' ella.
Spesso correndo per tutto il giardino
Va disturbando or questa cosa, or quella.
Sappiate, che del popolo assassino.
Che vi assalì fuor della porta bella.
Molti suoi figli son , tutti seguaci,
Empj com' ella, inospiti e rapaci.
80.
. Noi troverera tra via tosto una lama.
Che fa due parti di questa pianura.
Una crudel , che Erifila s-i chiama.
Difende il ponte, e sforza, e inganna, e fura
Chiunque andar nell' altra ripa brama;
Ed ella è gigantcssa di statura ;
Li denti ha lunghi , e velenoso il morso,
Acute r ugne, e graffia come un oi'so.
81. Le donne molte grazie riferirò
Degne d' un cavalier , come quell' era :
E cosi ragionando ne vcniro,
Dove videro il ponte e la riviera;
E di smeraldo ornata e di zaffiro
Su r arme d' or vider la donna altera.
Bla dir neir altro canto niifcrisco,
Come Kuggicr con lei si pose a risco.
lluggier rispose : Non eh' una battaglia.
Ma per voi sarò pronto a farne cento.
Di mia persona, in tutto quel che vaglia,
Fatene voi , secondo il vostro intento !
Che la cagion, eh' io vesto piastra e maglia,
Non è per guadagnar terre , né argento,
Ma sol per farne beneficio altrui;
Tanto più a belle donne, come vui.
CANTO SETTIMO.
ARGOMENTO.
Ruggier la gigantessa abbaile e stende,
Fi ne va drillo a ritrovar Àlcina,
Clic con finta bella tanto V accende,
CK ei più non pensa ad altra disciplina.
Ma la maga , che rf' esso cura prende,
Gli porta del suo mal la medicina;
Che con V anel gli mostra a parte a parie
Le celate bruttezze in lei con urte.
1. Chi va lontan dalla sua patria, vede
Cose da quel , che già oredea , h)ntane,
Che, narrandole poi, non se gli crede,
E stimato bugi.irdo ne rimane:
Che '1 volgo sciocco non gli viu)l dar fede, ;
Se non le vede e tocca chiiire e piane.
Por f|ucsto io so , che l' inesperienza
Farà al mio canto dar poca credenza.
2. Poca, o molta eli' io n' abbia , non bisogna,
Ch' io ponga mente al ^olgo sciocco e ignaro.
A ^oi hO ben, che non parrà menzogna,
Che '1 lume del discorso aveie cliian» ;
Ed a voi soli ogni mio intento agogna,
Che I frutto sia di niiir fatiche «aro.
I(t ^i luHiiai, <-|ie 'I ponte e la risiera
Vider, clu; in guardia a\ea Drifila allicrn.
3. Quell' era armata del più fin metallo,
Ch' avean di più color gemme di>tinto;
Rubin vermiglio , crisolito giallo,
Verde smeraldo , con flavo giacinto.
Era montata , ma non a cavallo :
In vece awn di quello un lupo spinto;
Spinto avea un lupo , ove si passa il fiume,
Con ricea sella fuor d' ogni costume.
4. Non credo, eh' un si grande Apulia n' abbia;
Egli era grosso ed alto più d' un bue.
Con fren spumar non gli facea le labbia.
Né so, come lo regga a coglie sue.
Ija sopravA'esta di color di sabbia,
Suir arme avea la maladetta lue ;
Era, fuorché '1 color, di quella sorte,
Che i vescovi e i prelati usano in corte.
5. Ed avea nello scudo e sul cimiero
Una gonfiata e velenosa bolla.
Le donne la mostraro al ca^aliero.
Di qua dal ponte per gio^lrar ridotta,
E fargli sc«)rno , e rompergli il sentiero,
Conu- ad alcuni usata era lalolta.
Ella a Unggier, che torni a di«-fro, grida:
Quel piglia un' asta , e la minaccia e sfida.
6. Non mcn la gigantessa ardita e presta
Sprona il gran lupo, e nell' arcion si serra,
E pon la lancia a nuv./o il cor>o in resta,
E fa tremar nel suo %enir bi terra.
Ma pur sul prato al fiero incontro resta;
('bè sotto r elmo il buon Itnggicr 1" alferra,
E dell' arci(ui cimi tal funu' la «accia,
Che lu riporta 'uidielro oltra sei braccia.
[6Ì]
ORLANDO FURIOSO. (VII. ìr-22)
[68]
7. E già , tratta la spada , eh' avea cinta,
Venia a levarle la te>ta superba :
E ben Io potea far, che come estinta
Eriiila giacca tra' fiori e 1 erba.
Ma le donne gridar: Basti sia vinta!
Senza pigliarne altra vendetta acerba
Ripon, cortese cavalier , la spada;
Passiamo il ponte , e seguitiam la strada!
8. Alquanto malagevole ed aspretta
Per mezzo un bosco presero la via,
Clie, oltra che sassosa fosse e stretta.
Quasi su dritta alla collina già.
Ma poiché furo ascesi in sulla vetta,
Uscirò in spaziosa prateria,
Dove il più bel palazzo e '1 più giocondo
Vider , che mai fosse veduto al mondo.
9. La bella Alcina venne un pezzo innante
Verso Ruggier fuor delle prime porte,
E lo raccolse in signoril sembiante,
In mezzo bella ed onorata corte.
Da tutti gli altri tanto onore, e tante
Riverenze fur fatte al guerrier forte,
Che non ne potrian far più, se tra loro
Fosse Dio sccso dal superno coro.
10. ^on tanto il bel palazzo era eccellente.
Perchè vincc.-sc ogni altro di riccliezza,
Quanto eh' avea la più piacevol gente
Che fosse al mondo, e di più gentilezza.
Poco era l' un dall' altro differente
E di fiorita etade, e di bellezza.
Sola di tutti Alcina era più bella,
Si come è bello il sol più d' ogni stella.
11. Di persona era tanto l>en formata.
Quanto me' finger san pittori industri.
Con bionda chioma, lunga ed annodata,
Oro non è, che più risplenda e lustri.
Spargea^i per la guancia delicata
Misto color di rose e di ligustri.
Di terso avorio era la fronte lieta,
Che lo spazio finia con giusta meta.
12. Sotto due negri e sottilissimi archi
Son due negri oc( hj, anzi due chiari soli,
Pietosi a riguardare, a mover panili.
Intorno a cui par eh' Anuir scherzi e voli,
E eh' indi tutta la faretra scarehi,
E che vi.-ibilmente i cori involi ;
Quindi il na>o per mezzo il viso scende,
Cile non trova V invidia, ovel' emende.
13. Sotto quel sta. cjiia>i fra due vallette,
La biicca, sjvirsa di natio cinal)ro.
QiTni due filze son di perle elette,
Clie (binde ed apre \ìiì belb» e dolce labro.
Quindi esco;i le cortesi parolette,
])a render molle ogni (;<ir rozzo e scabro:
Qui^i ^i forma cjuel ■«Mive rìso,
(Jh' apre a sua posta in terra il paradiso.
14. Kianea neve è il bel collo, e 'l petto latte:
Il collo è tondo, il petto è coluut e largo:
Due poma acerbe, e pur d' avorio fatte,
\ engorio e \.im, comk; onda al primo margo,
Quando piao-M)! aura il mar combatte.
N(m potn'a 1" altre purti \eder Argo:
liei) ^i può gindiear, elie corrir,pondc
A ({nel, eh' appar di fuor, (pul, che u' asconde.
15. Mostran le braccia sue misura giusta,
E la candida man spesso si vede,
Lunghetta alquanto, e di larghezza angusta^
Dove né nodo appar, né vena eccede.
Si vede al fin della persona augusta
Il breve, a?ciutto e ritondetto piede.
Gli angelici sembianti nati in cielo
Kon si ponno celar sotto alcun velo.
16. Avea in ogni sua parte un laccio teso,
O parli, o rida, o canti, o passo mova:
]Né maraviglia è, se Ruggier n' è preso.
Poiché tanto benigna se l.i tro^ a.
Quel, che di lei già avea dal mircO inteso,
Com' è perfida e ria, poco gli giova :
Che inganno, o tradimento non gli è o.wisO
Che possa star con sì soave riso.
17. Anzi pur creder vuol, che da costei
Fosse converso Astolfo in soli' arena
Per li suoi portamenti ingrati e rei,
E sia degno di questa, e di più pena:
E tutto quel, eh' udito avea di lei.
Stima esser falso, e che vendetta mena,
E mena astio ed invidia quel dolente
A lei biasraare, e che del tutto mente.
18. La bella donna, che cotanto amava,
Novellamente gli è dal cor partita;
Che per incanto Alcina glielo lava
D' ogni antica amorosa sua ferita,
E di sé sola, e del suo amor lo grava,
E in quello essa riman sola scolpita:
Si che scusare il buon Kuggier si deve.
Se si mostrò quivi incostante e lieve.
1
; 19. A quella mensa cetere, arpe e lire,
E diversi al;ri dilettevol *noni
Faceano intorno 1' aria tintinnire
D' armonia dolce e di concenti buoni.
IVon vi mancava chi cantando dire
D' amor sapesse gaudj e passioni ;
0 con inven/.ioni e poesie
Rappresentasse grate fantasie.
20. Qual mensa trittnfante e sontuosa
Di quaKivoglia successor di >ino,
O qual mai tanto celebre e famosa,
Di Cleopatra al vincitor latino,
Potria a questa esser par, che 1' amorosa
Fata avea posta innanzi al paladino?
Tal udn cred' io che s' apparecchi, doT«
Ministra Ganimede al sommo Giove.
21. Tolte che fur le mense e le vivande,
Facean sedendo in cerihio un gioco lieto.
Che neir orecchio 1' un l' altro domande,
Come pili piace lor, qualche secreto ;
II che agli amanti fu comodo grande
Di scoprir r amor lor senza divieto ;
E fiiroii lor eoiicliisi'oiii e-treme
Di ritrovarsi quella noite insieme.
22. Finir quel gioco tosto, e molto innanzi
Che non solca là th-nlro esser costume.
Con torchj allora i paggi entrati innanij
Le tenebre l'acciàr ('oii mollo lume.
Tra bella compagnia dietro e dinanzi
Andò liiiggiero a rilro\ar \r piume,
III una adorna e fresca cameretta,
Per la miglior di tutte l" altre eletta.
[69]
ORLANDO FURIOSO. (VH. 23— S8)
im
23
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26.
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28.
29.
W
E poiché di confetti e di buon vini
Di nuovo fatti fur debiti inviti,
K partir gli altri riverenti e chini,
Ed alle stanze lor tutti son iti :
Ruggiero entrò ne' profumati lini,
Che pareano di man d' Ararne nsciti
Tenendo tuttavia 1' oi-eccliie attente,
Se ancor venir la bella donna sente.
Ad ogni picciol moto, eh' egli udiva.
Sperando, che fosse ella , il capo alzava.
Sentir credeasi, e spesso non sentiva;
l'oi del suo errore accorto sospirava.
Talvolta nscia del letto, e T u-cio apriva.
Guatava fuori, e nulla vi trovava ;
E maledi ben mille volte 1' ora.
Che facea al trapassar tanta dimora.
Tra sé dicea sovente : Or si parte ella ;
E cominciava a noverare i passi,
Ch' esser potean dalla sua stanza a quella,
Dove aspettando sta, che Alcina passi.
E questi, ed altri, primachè la bella
Donna vi sia, vani disegni fassi :
Teme di qualche impedimento spesso,
Che tra '1 frutto e la man non gli sia messo.
Alcina, poich' ai preziosi odori.
Dopo gran spazio, pose alcuna meta,
Venuto il tempo, che più non dimori,
Ormai che 'n casa era ogni cosa cheta,
Della camera sua sola uscì fuori,
E tacita n' andò per via secreta,
Dove a Ruggiero avean timore e speme
Gran pezzo intorno al cor pugnato insieme.
Come si vide il successor d' Astolfo
Sopra apparir quelle ridenti stelle,
Cora' abbia nelle vene acceso zolfo.
Non par, che capir possa nella pelle.
Or fino agli occlij ben ntiota nel golfo
Delle delìzie e delle cose belle,
Salta del letto, e in lìracrtt» la raccoglie,
INè può tanto a-pettar, eh' ella si spoglie;
Renelle né gonna, né faldiglia avesse:
Che venne avvolta in r.n leggier zendado,
Che sopra una camicia ella si messi-,
Rianca e sottil nel più eccellente grado.
Come Ruggiero abbracciò lei, gli cesse
Il manto, e restò il vel sottile e rado,
Che non coi)ria dinanzi, né di dietro,
l'iù clie le rose, o i gigli un (Jilaro vetro.
Non così strettamente edera preme
Pianta, ove intorno abbarìticata s' alibi»,
Come si stringon li due amanti insieme,
Cogliendo dcllt» spirto in sulle labbia
SÒBAC fior, qual non produce seme
Indo, o saheo nell' odorata sabbia.
Del gran piiicer eh' avean, lor dicer tocca;
Cile spesso areali più d' una lingua in bocca.
Queste cose là dentro cran secreto,
O, se pur non scerete, almen taciute:
Che raro fu tener le lalihra chele
Riasmo ad alcun, ma lien spesso virtutfi-
Tutte proferte, ed accitglienze liete
Fanno a Uuggier quelle persone astute;
Ognun lo ri\crisce, e se gli inchina:
Clio cosi vuol i' innamorata Alcina.
31. Non è diletto alcun, che di fuor reste:
Che tutti son nell' amorosa stanza;
E due e tre volte il di mutano veste.
Fatte or ad una, or ad un' altra usanza.
Spesso in conviti, sempre stanno in feste.
In giostre, in lotte, in scene, in bagno, in danza.
Or presso ai fonti, all' ombre de' poggetti,
Leggon d' antichi gli amorosi detti ;
32. Or per 1' ombrose valli, e lieti colli
Tanno cacciando le paurose lepri ;
Or con sagaci e mi i fagian folli
Con strepito uscir fan di stoppie e vepri ;
Or a' tordi lacciuoli, or vischi molli
Tendon tra gli odoriferi ginepri;
Or con ami inescati ed or con reti
Turbano a' pesci i grati lor secretL
33. Stava Ruggiero in tanta gioja e festa.
Mentre Carlo é in travaglio, ed Agramantc;
Di cui r istoria io non vorrei per questa
Porre in obblio, né lasciar Bradamante,
Che con travaglio e con pena molesta
Pianse più giorni il disiiito amante,
Ch' iixcA per strade disusate e nove
Veduto portar via, né sapea, dove.
34. Di costei, prima che degli altri, dico.
Che molti giorni andò cercando invano
Pe' boschi ombrosi e per lo campo aprico.
Per ville, per città, per monte e piano,
Né mai potè saper del caro amico,
Che di tanto intervallo era lontano.
Neil' oste saracin spesso venia.
Né mai del suo Ruggier ritrovò spia.
35. Ogni di ne domanda a più di cento.
Né alcun le ne sa mai render ragioni;
D' alloggiamento va in alloggiamento,
Cerc-andone trabacche e patliglioni.
E lo può far; che senza impedimento
l'assa^ra cavalieri e tra pedoni,
Merc^ r anel, che fuor d' ogni uman uso
La fa sparir, quando 1' é in bocca chiuso.
3fi. Né può, né creder vuol, che morto sia;
Perché di sì grande uom 1' alta ruina
Dair onde idaspe udita si sana,
Fin dove il sole a riposar declina.
Non sa né dir, né immaginar, che via
Far jtossa, o incielo, o in terra; e pur meschina
ÌAì va cercando, e jier compagni mena
S(»spiri e pianti, ed ogni acerlia pena.
37. Pensò alfin dì tornare alla spelonca,
Dove «'ran l' «)ssa dì .\Ierlin profeta,
E gridar tanto intorno a quella conca.
Che "1 freddo marmo si movesse a pietà ;
Che, se vivea liuggiero. o gli iiM-a tronca
1/ alta necessità la ^ita licLii.
Si sapria quindi, e poi >" appiglierebbe
A quel miglior consiglio, che n* avrebbe.
38. Con questa intenzion prese il cammino
Verso le selve prossiuu- a l'ontiero.
Dove la vocal lonilia di Merlino
Era 1). licosa in loco iilpestro e fiero.
Ma quella maga, che Hcmpre \irino
Tenuto a Hnidamante avea il pensiero;
Quella, dico io, che nella liella grotta
L' ave^i della sua stirpe instrutta e dotta :
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[71]
ORLANDO FURIOSO. (VII. 39—54)
[72]
S9. Quella benigna e saggia incantatrice,
La quale ha sempre cura di costei,
Sapendo, eh' esser de' progenitrice
D' uomini invitti, anzi di semidei,
Ciascun dì vnol saper, che fa, che dice,
E getta ciascun dì sorte per lei.
Di Uuggier liberato, e poi perduto,
E dove in India andò, tutto ha sapcito.
40. Ben veduto 1' avea su quel cavallo,
Cile regger non potea, eh' era sfrenato,
Scostarsi di lunghissimo intervallo
Per sentier periglioso e non usato;
E ben sapea, che stava in gioco e in ballo
E in cibo, e in ozio molle e delicato,
]Vè più memoria avea del suo signore,
INè della donna sua, nò del suo onore.
41. E così il fior de' più begli anni suoi
In lunga inerzia aver potila consunto
Sì gentil cavalìer, per dover poi
Perdere il corpo e 1' anima in un punto ;
E queir odor, che sol riraan di noi,
Posciachè '1 resto fragile è defunto.
Che trae 1' uom del sepolcro, e in vita il serba,
Gli saria stato o tronco, o svelto in erba.
42. 5Ia quella gentil maga, che più cura
N' avea, eli' egli medesmo di sé stesso,
Pensò di trailo per via alpestra e dui-a
Alla vera virtù, malgrado d' esso —
Come eccellente medico, che cura
Con ferro e fuoco, o con veleno spes.«o.
Che, se ben molto da principio ofl'ende,
Poi giova alfine, e grazia se gli rende.
43. Ella non gli era facile, e talmente
Fattane cieca di soverchio amore,
Che, come facea Atlante, solamente
A dargli vita avesse posto il core.
Quel più tosto A olea che lungamente
Vivesse senza fama e senza onore, »
Che, con tutta la lode, che sia al mondo,
Mancasse un anno al suo viver giocondo.
44. L' avea mandato all' isola d' Alcina,
Perchè obbliasse 1' arme in quella corte;
E come mago di somma dottrina,
Ch' asar sapea gì' in(;anti d' ogni sorte,
Avea il cor stretto di quella regina
INeir amor d' esso, d' un laccio sì forte,
Clic njin se n' era mai per poter sciorre.
Se invecchiasse Uuggier più di jVcstorrc.
45. Or, tornando a colei, eh' era presaga
Di quanto de' av^enil•, di(!o, che tenne
La dritta via, do^c 1' errante e vaga
Figlia d' Amun seco a incontrar si venne.
Dradamante, vedendo la sua maga,
IMuta la pena, clic prima sostenne,
Tutta in speranza; e quella 1' apre il vero,
Ch' ad Alciiui è condotto il suo Ruggiero.
46. La giovane riman presso che morta,
Quando ode, die '1 suo amante è così lungo,
E più che nel suo amor periglio porta.
Se gran rimcilio, e subito non giunge.
Ma la benigna maga la conforta,
E presta pon 1' impia>tro, ove il duol punge,
E le promette e giura in pochi giorni
Far, che Uuggiero a ri\eder lei torni.
47. Dachè, donna, dicea, 1' anello hai teco.
Che vai contra ogni magica fattura,
Io non ho dubliio alcun, che, s' io 1' arreco
Là, dove Alcina ogni tuo ben ti fura,
10 non le rompa il suo disegno, e meco
Non ti rimeni la tua dolce cara.
Me n' andrò questa sera alla prim' ora,
E sarò in India al nascer dell' aurora,
48. E seguitando, del modo narrolle,
Che disegnato avea d' adoperarlo,
Per trar del regno effemminato e molle
11 caro amante, e in Francia rimenarlo.
Bradamante 1' auel del dito toUe;
]Sè solamente avria coluto darlo.
Bla dato il core, e dato avria la vita,
Purché n' avesse il suo Ruggiero aita.
49. Le dà 1' anello, e le si raccomanda,
E più le raccomanda il suo Ruggiero,
A cui per lei mille saluti manda ;
Poi prese ver Provenza altro sentiero.
Andò r incantatrice a un' altra banda,
E per porre in effetto il suo pensiero,
Un palafreu fece apparir la sera,
Gli' avea un pie rosso, e ogni altra parte nera.
50. Credo fosse un Alchino, o un Farfarello,
Clie dall' inferno in quella forma trasse;
E scinta e scalza montò sopra a quello,
A chiome sciolte, e orribilmente passe.
Ma ben di dito si levò 1' anello,
Perchè gi' incanti suoi non le vietasse;
Poi con tal fretta andò, che la mattina
Si ritrovò uell' isola d' Alcina.
51. Quivi mirabilmente trasmutossc.
S' accrebbe più d' un palmo di statura,
E fé' le membra a proporzion più grosse;
E restò appunto di quella misura.
Che si pensò, che '1 negromante fosse,
Quel che nutrì Ruggier con sì gran cura.
^ estì di lunga barba le mascelle,
E fé' crespa la fronte e 1' altra pelle.
52. Di faccia, di parole, e di sembiante
Si lo seppe imitar, che totalmente
Potea parer F incantatore Atlante.
Poi si nascose, e tanto pose mente,
Che da Ruggiero allontanar 1' amante
Alcina vide un giorno finalmente.
E fu gran sorte ; che di stare, o d' ire
Scnz' esso un' ora mal potea patire.
53. Soletto lo troAÒ, come lo volle.
Che si godea il mattili fresco e sereno.
Lungo un bel rio, che discorrea d' un colle,
Verso un laghetto limpido ed ameno.
Il suo vestir delizioso e molle
Tutto era d' ozio e di lascivia pieno;
(-he di sua man gli avea di seta e d' oro
Tessuto Alcina con sottil lavoro.
54. Di ricche gemine un splendido monile
Gli disccndea dal collo in mezzo il petto;
E neir uno e nell' altro già virile
Braccio girava un lu<i(!o cerchietto.
Gli avea ftirato mi fil d' oro sottile
Ambo r orecdiie in forma d' anelletto,
E due gran perle pendevano quindi,
Qual mai non ebboii gli Arabi, uè gì' Indi.
[73]
ORLANDO FURIOSO. (VII. 55— TO)
[U]
55. Umide area V inanellate rliiome
De' più soavi odor, che ^ieiio in prezzo.
Tutto ne' gesti era amoroso, come
Fosse in Valenza a servir donne avvezzo.
]Von era in lui di sano altro , che '1 nome.
Corrotto tutto il resto , e più che mezzo.
Così Ruggier fu ritrovato, tanto
Dall' esser suo mutato per incanto.
56. Nella forma d' Atlante se gli affaccia
Colei , che la sembianza ne tenea,
Con quella grave e venerahil faccia,
Che Ruggier sempre riverir solca,
Con queir occhio pien d' ira e di minaccia,
Che sì temuto già fanchìUo avea ;
Dicendo; E questo dunque il frutto, eh' io
Lungamente atteso ho del sudor mio?
57. Di mcdoUe già d' orsi e di leoni
Ti porsi io dunque li primi alimenti;
T' ho , per caverne ed orridi burroni.
Fanciullo avvezzo a strangolar serpenti.
Pantere e tigri disarmar d' unghioni,
Ed a' vìvi cinghiai trar spesso i denti.
Acciocché, dopo tanta disciplina,
Tu sii r Adone, o 1' Atide d' Alcina?
58. E questo quel , che 1' osservate stelle,
Le sacre fibre e gli accoppiati punti,
Responsi, augurj, sogni, e tutte quelle
Sorti, ove ho troppo i miei studj consunti.
Di te promesso fin dalle manmielle
M' avean, comeqiicst' anni fiisser giunti,
Che in arme 1' opre tue così preclare
Esser dovcan , che sariiin senza pare ?
59. Questo è ben veramente alto principio,
Onde si può sperar, che tu sia jiresto
A farti un Alessandro, un Giulio, un Scipio.
Chi potea, oimè ! di te mai creder questo,
Che ti facessi d' Alcina mancipio.-'
E perchè ognun lo veggia manifesto,
Al collo ed alle bra{;cia hai la catena,
Con che ella a voglia sua preso ti uicna.
60. Se non ti muovon le tue proprie laudi,
E r opre eccelse, a che t' ha il cielo eletto.
La tua succession perchè defraiuli
Del ben , che mille volte io t' ho predetto?
Deh ! por<;hè il ventre eteniamente claudi,
Dove il ciel vuol, che sia jìcr te concetto
La gloriosa e soprumana prole,
Ch' esser de' al moiulo più chiara, che '1 sole?
61. Deh! non vietar, che le più nolìil' alme.
Che bian formate nell' eterni! idee,
Di tempo in tempo abbian corp(»rec salme
Dal ceppo, che radice in tv, aver d(!e !
Deh ! non vietar mille trionfi e palme,
Con (die, dopo aspri danni e piaghe ree,
Tuoi figli, tuoi nipoti <; siu;<"essori
Italia torneran ne 'primi onori!
62. Non eh' a piegarti a questo tante e tante
Anime belle aver do\csscr pondo,
(/he ciliare, iilii^lri, inclite, imititi e sante
Sini p(;r fiorir dall' arbor tuo fe<:oiido ;
Ma ti dovria una coppia (rsser l»a>tante,
Ippolito e 1 fratel: ciiè pochi il mondo
Ha tali avuti ancor fin al di d' oggi,
l'er tutti i gradi, onde a virtù si poggi.
63. Io solca più di questi due narrarti,
Ch' io non facea di tatti gli altri insieme ;
Sì perchè essi terran le maggior parti,
Che gli altri tuoi, nelle virtù supreme;
Sì perchè al dir di lor mi vedea darti
Più attenzion , che d' altri del tuo seme.
Vedea goderti , che sì chiari eroi
Esser dovessin de' nipoti tuoi.
64. Clie ha costei, che t' hai fatto regina,
Che non abbian mill' altre meretrici ?
Costei, che di tant' altri è concubina,
Ch' al fin sai ben, s' ella suol far felici?
Ma perchè tu conosca, clii sia /Ucina,
Levatone le fra-.idi e gli artifici,
Ticn questo anello in dito, e torna ad ella,
Ch' avveder ti potrai, come sia bella.
65. Rnggier si stava vergognoso e muto,
Blirando in terra, e mal sapea, che dù-e;
A cui la maga nel dito minuto
Pose r anello, e lo fé' risentire.
Come Ruggiero in sé fu rivenuto,
Di tanto scorno si vide assalire,
Ch' esser vorria sottei'ra mille braccia,
Che alcun veder non lo potesse in faccia.
66. Nella sua prima forma in un istante^
Così parlando, la maga rivenne:
Né bisognava più quella d' Atlante,
Seguitone 1' effetto , per che venne.
Per dirvi quel, eh' io non vi dissi innante,
Costei Jlelissa nominata venne,
Ch' or dio a Rnggier di sé notizia vera,
E dissegli, a che effetto venuta era.
Mandata da colei , che d' amor piena,
Sempre il' disia, né iiiù può starne senza,
Per liberarlo da quella catena.
Di che lo cinse magica violenza;
E preso avea d' Atlante di Carena
La forma, per trovar meglio credenza:
Ma poich' a sanità 1' ha ornai ridotto.
Gli vuole aprire, e far che vcggia il tutto.
Quella donna gentil , che t' ama tanto.
Quella, che del tuo amor degna sarebbe,
A cui, se non ti scorda, tu sai, quanto
Tua liìicrtà, da lei servata, debbc,
Questo anel, che ripara ad ogni incanto.
'i'i manila; e co.-ì il cor mandato avrebbe,
S' avesse avuto il cor così virtiito,
Ctune r anello , alta alla tua salute.
E seguitò narrandogli V amore.
Che IJradamaiite gli ha portato e porta:
Di quella insieme commendò il >alore,
In quanto il vero e l' allV/ion comporta;
Ed usò modo e termine migliore,
("he si ((unenga a mi-ssaggiera accorta;
Ed in queir odio Alcina a Uuggier podC,
In che soglion>i a^er l' orribil cose.
In odio gliela po'^e, ancorché tanto
L' amas>c diaii/.i: r non aì paja strano.
(,)iiando il suo amor per forza era d' incanto,
Cir (•«.■;en(lo>i 1' anel, rimale a ano.
l'ece r ami palcx- ancor, cJie <pianto
Di beltà .Vicina a^ea, tutto era strano;
Estrano avea, o non sito, dal pie alLi treccia:
11 bel no tiparvc, e le rc6tò la feccia.
67.
68.
69.
70.
[75]
ORLANDO FURIOSO. (VII. 71 — ro)
[t6]
71.
Come fanciullo, che maturo frutto
Ripone, e poi si scorda, ove è riposto,
E dopo molti giorni è ricondotto
Là, dove trova a caso il suo deposto,
Si maraviglia di vederlo tutto
Putrido e guasto, e non come fu posto,
E dove amarlo , e caro aver solia,
L' odia , sprezza , n' ha schivo , e '1 gcita via :
72. Così Ruggier, poiché 3Ieli-sa fece,
Ch' a riveder se ne tornò ia fata
Con queir anello, innanzi a cui non lece,
Quando s" ha in dito, usare opra incintala,
Ritrova, contra ogni sua stima, in vece
Della bella, che dianzi avca lasciata,
Donna sì laida, che la terra tutta
Tsè la pili Tecchia avca, né la più brutta.
73. Pallido, crespo e macilente avea
Alcina il viso , il crin raro e canuto :
Sua statura a sei palmi non giungea :
Ogni dente di bocca era caduto ;
Che più d' Ecuba e più della Cumea,
Ed avea più d' ogni altra mai vivuto:
Ma sì r arti usa al nostro tempo ignote.
Che bella e giovanetta parer puote.
74. Giovane e bella ella sì fa con arte
Sì, che molti ingannò, come Ruggiero:
Ma r anel venne a interpretar le carte.
Che già molti anni avean celato il vero.
Miracol non è dunque , se si parte
Dell' animo a Ruggiero ogni pensiero,
Ch' avea d' amare Alcina, or che la trova
In guisa che sua fraudo non le giova.
75. Ma, come I' avAÌsò Melissa, stette
Senza mutare il solito sembiante,
Finché ddì' arme sue, più dì neglette,
Si fu vestito dal capo alle piante;
E, per non farle ad Alcina sospette,
Finse provar, se in esse era ajutante.
Finse provar, s' egli era fatto grosso,
Dopo alcun di, che non l' ha avute iadoseo.
76. E Balisarda poi si mise al fianco;
(Che così nome la sua spada avca)
È lo scudo mirabile tiilse anco,
Che non pur gli occhj alibarbagliar solea,
Ma r anima facea sì venir manco,
Che dal corpo esalata esser parca.
Lo tolse, e col zendado, in che trovollo.
Che tutto lo copria, sei mise al collo.
77. Venne alla stalla, e fece briglia e sella
Porre a un destricr più che la j)ece nero.
Così Melissa 1' avca instrutto; eli' ella
Sapea, quanto nel corso era leggiero.
Chi lo conosce , Rabican 1' appella;
Ed è quel proprio , che col cavaliero,
Del quale i venti or pres.so al mar fan giow),
Portò già la balena in questo loco.
78. Potea aver F ippogrifo similmente,
Che presso a Rabicano era legato ;
]\Ia gli avea detto !a maga : Abbi mente,
Ch' egli è , come tu sai , troppo sfrenato :
E gli diede intenzion, che '1 dì frCguentè
Gli lo trarrebbe fuor di quello stato,
Là dove ad agio poi sarebbe instrutto,
Come frenarlo , e farlo gir per tutto.
79. ]\è sospetto darà , se non lo toUe,
Della tacita fuga , che apparecchia.
Fece Ruggier, come Melissa volle,
Ch' invisibile ognor gli era ali" orecchia.
Così fingendo , del lascivo e m >lle
Palazzo uscì della puttana vecchia,
E si venne accostando ad una porta.
Donde è la via, eh' a Logistilla il porta.
80. Assaltò gli guardiani all' improvviso,
E sì cacciò tra lor col ferro in mano;
E qnal lasciò ferito , e quale uc<-iso,
E corse fuor del ponte a mano a mano;
E , prima che n' avesse Alcina avviso.
Di molto spazio fu Ruggier lontano-
Dirò neir altro canto, che via tenne,
Poi, come a Logistilla se ne venne.
[7^]
ORLANDO FURIOSO. (Vili, i — 12)
JTS]
CANTO OTTAVO.
ARGOMENTO.
Fugge Ruggier da Alcina. Astolfo toma
Per opra di Melissa in corpo umano :
Fa gente in Iiìghilterra, e non soggiorna,
Per ispcdirsi, il Sir di Munf Albano.
Angelica di tal bellezza adorna
E condotta per cibo a un pesce strano ;
Orlando il suo mal sogna, e si diparte
Da Carlo, per cercarla in ogni parte.
1. 0 quante sono ìncantatrici, o quanti
Incantator tia noi, che non si sanno ;
Che con lor arti uomini e donne, amanti
Di sé, cangiando i visi h)r, fatto hanno f
Non con spirti costretti tali incanti,
INè con osservazion di stelle fanno.
Ma con simulazion, menzogne e frodi
Legano i cor d' indissoluhil nodi.
2. Chi r anello d' Angelica, o più tosto
Clii avesse quel della ragion, potria
Vedere a tiitti il viso, che nascosto
Da finzione e da arte non saria.
Tal ci par hello e buono, che, deposto
Il liscio, hrntto e rio forse; parria.
Fu gran ventura quella di Knggìero,
Ch' ehhe 1' anel, che gli scoperse il vero.
ftuggier, coin' io dicea, dissimulando.
Su Kaltican venne alla porta armato,
Trovò le guardie sprov>edute, e qiiando
Giunse tra lor, iu>n tenne il lirando a lato.
Chi morto, e chi a mal termine las(-iando.
Esce flel ponte, e 'l rastrello ha spezzalo.
Prende ai hct-co la via ; ma poco (-orre,
Ch' ad uu de' ser^ i disila fata tx-corre.
4. 11 servo in jingno avea un aug«>l grifagno,
Che volar con jìlacer Iacea ogni giorno,
Ora a canipagna, ora a un micino stiigno.
Dove era sempre da fiir preda inlr)rno.
Avea da lato il (;an, fido <:(im|ingni> ;
Cavah'ava im riinzin non troppo adorno.
Hen p(!nsò, «:he Knggier d((\«!,i fuggire;,
(Quando lo vide in tal fretta venire.
5. Se gli fo' inciMilni. e con semhiante altero
(ìli domandò, perchè in tal fretta gis>e.
Ilispouder non gli vol>e il liuon lluggiero:
l'en io colui, più certo clu; fuggisse.
Di volerlo iirre^lar fece pensieri»,
K dihtiiiilinilo il hr.K'cio manco, disse:
(;he dirai tu, se snl>ito ti fermo?
Se conlra questo augel non avrai schermo?
6. Spinge r augello; e qncl batte sì 1' ale.
Che non 1' avanza Rabican di corso.
D(l palafreno il cacciator giù sale,
E tutto a un tempo gli ha levato il mor^o.
Quel par dall' arco un avventato strale.
Di calci formidabile e di morso ;
E 'l servo dietro si veloce viene,
Che par, che 'l vento anzi che 'l foco il mene.
7. Non vuol parere il can d' esser più tar.lo ;
Ma segue Rabican con quella fretta,
Con che la lepre suol seguire il pardo.
Vergogna a Ruggier par, se non aspetta :
Voltasi a quel, che vient-ì a piò gagliardo,
Né gli vede arme, fiiorch' una bacchetta,
Quella, con che ubbidire al cane insegna:
Ruggier di trar la spada si disdegna.
8. Quel se gli appressa, e forte lo percuote;
Lo morde a un tempo il can nel piede manco.
Lo sfrenato destrier la groppn scuote
Tre volte e più, né falla il destro fianco.
Gira r augello, e gli fa mille ruote,
E con r ugna sovente il ferisce anco ;
Sì il destrier con lo strido impaurisce,
Ch' alla mano e allo spron poco ubbidisce.
9. Ruggiero alfin costretto il ferro caccia ;
E perchè tal molestia se ne vadn.
Or gli animali, or quel villan minaccia
Col taglio, e con la punta della spada.
Quella importinia turba più 1' impaccia;
Presa ha chi qua, ehi là tutta la strada.
Vede Ruggiero il disonore e il danno.
Che gli a-verrà, s«; più tardar lo fanne».
10. Sa, eh' ogni poco più. eh' ivi rimane,
Ah;ina avrà col popolo alle spalle.
Di trombe, di tamburi e di rampane
Già s' ode alto romore in ogni valle.
Contra un servo senz' arme, e contra un cane
Gli par eh' a usar la spada troppo falle.
Meglio V più bre\e è dunqiu\ eh" egli scopra
Lo scudo, che d' Atlante era .»tato opra.
11. Levò il drappo vermiglio, in che coperto
Già molti giorni lo .•-cndo si tenne.
Fece r elVetto mille -, olte e>|ierlo
Il lume, o^e a ferir ne<ill occbj venne:
Uc-ta d.:i sen>i il cacciator de.-erto,
('ade il cane <• il nnr/in, cadon le penne,
('he in aria sostener 1' augel in)n ponno:
Lieto Ruggier li lascia in pi-eda al sonno.
12. .'\l<-iiia, eh' a^ea intanto avuto a^vi^o
Di Knggier. che «forzalo a\ea la porla,
E della guani!. I buon nunu-ro ucciso.
Fu, linla d.il dolor, per restar morta.
Si|uarcio>.-i i panni, e si percos.-e il \iso,
l'I sciocca uominos>i e malaccorta.
E fece dare ali" arme inuuaulinentr,
i: intorno a ^è raccor tutta sua gente.
ORLANDO FURIOSO. (Vili. 13-28)
[791
13. E poi ne fa due parti, e manda 1' una '
Per quella strada, ove Ruggier cammina;
Al porto r altra suliito raguna,
L' imbarca, e uscir la fa nella marina ;
Sotto le Tele aperte il mar s' imbruna.
Con questi Ta la disperata Alcina,
Che "1 desiderio di lìiiggicr sì rode,
Che lascia sua città senza custode.
li. Non lascia alcuno a guardia del palagio ;
n che a 3ielissa, che slava alla posta,
Per liberar di quel regno malvagio
La s"en£e, che in miseria v' era posta,
Diede comodità, diede grande agio
Di gir cercando ogni cosa a sua posta ;
Immagini abbruciar, suggelli torre,
E nodi e rombi e turbini disciorre.
15, Indi pe' campi accelerando i passi,
Gli antichi amanti, eh' erano in gran torma,
Conversi in fonti, in fere, in legni e in sassi.
Fé' ritornar nella lor prima forma ;
E quei, poich' allargati furo i passi,
Tutti del buon Ituggier seguiron 1' orma :
A Logiitilla si salvaro, ed indi
Tcrnaro a' Sciti, a' Persi, a' Greci, agi' Indi.
IG. Li rimandò l^Ielissa in lor paesi,
Con obbligo di mai non esser sciolto.
Fu innanzi agli altri il duca degl' Inglesi
Ad esser ritornato in mnan volto ;
Che "1 parentado, in questo, e li cortesi
Preghi del buon Uuggier gli giovar molto.
Oltre i preghi, Uuggier le die 1' anello,
Perché meglio potesse ajutar quello.
17. A' preghi dunque di Ruggier rifatto
Fu il paladin nella sua prima faccia.
Nulla pare a 3Ielissa d' aver fatto,
Quando ricovrar 1' arme non gli faccia,
E quella lancia d' or, eh' al primo tratto,
Quanti ne tocca, della sella caccia.
Dell' Argalia, poi fu d' Astolfo lancia,
E molto" onor fé' all' uno e all' altro in Francia.
18. Trovò Melissa questa lancia d' oro,
Ch' Alciiia avea riposta nel palagio,
E tutte r arme, che del duca foro,
E gli fur tolte nell' ostel malvagio.
IMonlò il destrier del negromante ^loro,
E fé' mont.'re Astolfo in groppa ad agio;
E quindi a Logistilla si condusse
D' un' ora prima, che Ruggier vi fusse.
19. Tra duri sassi e folte spine già
Ruggiero intanto in^er la fata saggia,^
Di balzo in ])alzo, e d' una in altra via,
Aspr.i, solinga, inospita e selvaggia;
Tanto eh' a gran fatica riuscia.
Sulla fervida nona, in una spiaggia,
Tra 1 mare e '1 monte, al mezzodì scoperta,
Arsiccia, nuda, sterile e deserta.
20. Percuote il sole ardente il vicin colle;
E del calor. die si rillette addietro.
In uhkIo r aria <; l' arena ne. liolle,
Clu; haria tnipiio ii Tar rK|MÌdo il \etro.
Star.-<i ebeti) hììiù augello alT ombra molle:
Sol la cicala col nojoso metro.
Fra i densi rami d«;l fronzuti» stelo,
Le \alli e i monti assorda, e '1 mare e '1 cielo.
[80
21. Quivi il caldo, la sete e la fatica,
Ch' era di gir per quella via arenosa,
Facean, lungo la spiaggia erma ed aprica,
A Ruggier compagnia grave e no.josa.
Ma perchè non con\icn, che sempre io dica,
Né eh' io vi occupi sempre in una cosa,
10 lascerò Ruggiero in questo caldo,
E girò in Scozia a ritrovar Rinaldo.
22. Era Rinaldo molto ben veduto
Dal re, dalia iìgliuoia e dal paesi^;
Poi la cagion, che qtiivi era venuto.
Più ad agio il paladin l'ere palese:
Che in nome del suo re chiedeva ajuto,
E dal regno di Scozia, e dall' Inglese;
Ed ai preghi soggiunse anco di Carlo
Giustissime cagion di dover farlo.
23. Dal re senza indugiar gli fu risposto,
Che, di quanto sua forza s' estendea.
Per utile ed onor sempre disposto
Di Carlo e dell' imperio esser volea ;
E che fra pochi dì gli avìTebbe posto
Più cavalieri in punto, che potea ;
E, se non eli' esso era oggimai pur vecchio,
Capitano verria del suo apparecchio.
24. Né tial rispetto ancor gli parria degiìo
Di farlo rimaner, se non avesse
11 figlio, che di forza e più d' ingegno
Dignissimo era, a chi '1 governo desse.
Benché non si trovasse allor nel regno ;
]\Ia che sperava, che venir dovesse,
Mentre eh' insieme aduneria lo stuolo,
E eh' adunato il troveria il figliuolo.
25. Così mandò per tutta la sua terra
Suoi tesorieri a far cavalli e gente,
Niivi apparecchia, e munizion da guerra,
VettoA aglìa e denar maturamente.
Venne intanto Rinaldo in Inghilterra;
E "l re, nel suo partir, cortesemente
Insino a Berolcche accompagnollo,
E visto pianger fu, quando lasciollo.
26. Spirando il vento prospero alla poppa.
Monta Rinaldo, ed addio dice a tutti ;
La fune indi al viaggio il nocdiier sgroppa,
Tanto che giunge, ove nei salsi flutti
Il bel Tamigi amareggiando intoppa.
Con gran flusso del mar quindi condutti
I naviganti ])er camrain sicuro,
A vela e remi insino a Londra furo.
27. Rinaldo avea da Carlo, e dal re Ottone,
Che con Carlo in Parigi era assediato,
Al principe di Vallia commissione
Per contrassegni e lettere portato,
Cbe ciò, che potea far la regione
Di fanti e di ciivalli in ogni lato.
Tutto debba a Calesio traghittarlo,
Sì clic ajutar si possa Francia e Carlo.
28. Il principe, cb' io dico eh' era, in veoe
D' Otton. rimiiso nel seggio reale,
A Rinaldo d' Anion tanto onor lece.
Clic non r avrclfbe al suo re fatto uguale.
Indi alle sue domande satisfece;
Pcrcbé a tutta lii gente marziale,
E di Hretagna, e dell' isole intorno,
Di ritrovar:)! ai mar prefisse il giorno.
181]
ORLANDO FURIOSO. (Vili. 20—44)
[82]
29. Signor, far mi convien, corno fa il buono
Sonator sopra il suo strumento arguto,
Clic spesso luuta corda, e varia suono.
Ricercando ora il grave, ora 1' acuto.
Mentre a dir di Rinaldo attento sono,
D' Angelica gentil m' è sovvenuto,
Di che lasciai, eh' era da lui fuggita,
E eh' avea riscontrato un eremita.
•ji). Alquanto la sua istoria vo' seguire.
Dissi, che domandava con gran cura,
Come potesse alla marina gire ;
Che di Rinaldo avea tanta paui-a,
Che, non passando il mar, credea morire,
]\c in tutta Europa si tenea sicura:
Ma r eremita a bada la tenea.
Perchè di star con lei piacere avea.
•)1. Quella rara bellezza il cor gli accese,
E gli scaldò le frigide raedolle :
31a poiché vide, clie poco gli attese,
E eh' oltra soggiornar seco non volle,
Di cento pimte V asinelio offese,
]Nè di sua tardità ])erò lo tulle,
E poco va di passo, e men di trotto,
ISè stender gli si vuol la bestia sotto.
'j'i. E perchè molto dilungata s' era,
E poco più n' avria perduta 1' orma,
Ricor>e il frate alla spelonca nera,
E di demonj uscir fece una torma;
E ne sceglie uno di tutta la schiera,
E del bisogno suo prima 1' informa.
Poi lo fa entrare addosso al corridore,
Che via gli porta con la donna il core.
•jtj. E qual sagace can nel monte usato
A volpi , o lepri dar spesso la caccia.
Che, se la fera andar vede da un lato,
]\e va da un altro, e par sprezzi la traccia;
Al varco poi lo sentono arrivato.
Che r ha già in bocca, e 1' apre iilianco e straccia:
Tal r eremita per diversa strada
Aggiungerà la donna, ovunque vada.
34. Che sia il disegno suo, ben io comprendo;
E dirollo anco a voi. ma in altro loco.
Angelica, di ciò nulla temendo,
Cavalcava a giornate, or molto, or poco.
I\el cavallo il demon si già coprendo.
Come si copre alcuna a olla il foco.
Che con sì grave incendio poscia a^vamjìa,
Che n«)n si estingue, e appena se ne scampa.
35. Poiché la donna preso eblie il sentiero
Dietro il gran mar, «lic li (ìuasconi hna.
Tenendo appre«:>o iilf itiu\v il suo de^triero,
l)o\e l' umor la ^ia piii l'erma da^a,
Quel le fu tr.itto dal dcnionio fiero
IVeir acqua, sicché dentro \i nuotala.
]Non sa, clic far, la timida iloiizella,
Se non tenersi ferma in sulla sella.
86. Per tirar briglia, non gli può dar volta;
l'ili e più .xeinpi'c (|uel »i caccia in alto.
Ella leiK-a la ve^ta in su i-a<-i-olta,
P<r non bu<;narla, e. traea i piedi in alto.
Per le i-palU; la iliioma iva disciolla,
E r aur.i le Iacea lascilo as.Nallo.
Stavano cheti tulli i maggior venti.
Forse a tanta beltà col unire attenti.
I 37. Ella Tolgea i begli occhj a terra invano,
Che bagnavan di pianto il viso e '1 seno;
i E vedea il lito andar sempre lontano,
1 E decrescer più sempre, e venir meno.
i il destrier, che nuotava a destra mano,
Dopo un gran giro la portò al terreno,
Tra scuri sassi e spaventose grotte,
Già cominciando ad oscurar la notte.
»jS. Quando si vide sola in quel deserto.
Che a riguardarlo sol mcttca paura,
j\eir ora, che nel mar Febo coperto
L' aria e la terra avea lasciata oscura,
Fcrmossi in atto, eh' avria fatto incerto
Chiunque avesse visto sua figura,
S' ella era donna sensitiva e vera,
0 sasso colorito in tal maniera.
39. Stupidii, e fissa nell' incerta sabbia.
Co' capelli disciolti e rabbuffati.
Con le man giunte e con immote labbia,
1 languidi occli.j al cicl tenea levati.
Come accusando il gran motor, che 1' abbia
Tutti inclinati nel suo danno i fati.
Immota, e come attonita ste' alquanto.
Poi sciolse al duolla lingua, e gli occhj al pianto.
40. Dicea: Fortuna, che più a far ti resta.
Perchè di me ti sazj, e ti disfami.^
Che dar ti posso omai più, se non questa
Misera vita.-' ma tu non la brami;
Ch' or a trarla del mar sei stata presta,
Quando potea finir suoi giorni grami.
Perchè ti parve di voler più ancora
Vedermi tormentar prima eh' io mora.
41. Ma che mi possi nuocere, non veggio,
Più di quel, che sin qui nociuto m' hai.
Per te cacciata son del real seggio.
Dove più ritornar non spero mai;
Ho perduto 1' onor, eh' è stato peggio:
Che, se ben con cfFctto io non peccai,
Io do però materia, eh' ognun dica.
Ch' essendo vagabonda, io sia impudica.
42. Che aver può donna al mondo più di buono,
A cui la castità levata sia.-*
Mi nuoce, oimè ! eh' io son giovane, e sono
Tenuta bella, o sia vero, o bugia.
CJià non ringrazio il ciel di questo dono;
Che di qui nasce ogni mina mia.
Morto per questo fu Argalia mio frate;
Che poco gli giocar l' arme incantate.
43. Per questo il re di Tartaria Agricane
Di>fe<'e il genitor mio (Talal'ione,
Che in India «lei Calajo era gran Cane:
Ond' io son giunta a tal condi/ione.
Che muto aII)ergo da Mia u dìiiianc.
Si' r aMT, se r oiior, >e le pcr>one
M' hai tolto, e fatto il mal, che far mi puoi,
A che più dogli.i anco serliar mi ^iioi?
44. Se r alfogiiniii in mar morie non era
A tuo senno crndcl, piirch" io ti >a/j,
IVon ricuM), che mandi alcuna fera.
Che mi di* ori, e non mi tenga in strazj.
D' ogni marlir. rhe sin, piirrir io ne pera,
Es.-er non può, eh' sis.-ai luni ti ringia/j.
C'ohì dicea la donna con gran pianto.
Quando le apparse l' eremita u canto.
[83]
ORLANDO FURIOSO. (Vili. 45— ro)
m
45. Avea mirato dall' e>treina cima
D' un rilevato sasso V eremita
Angelica, che giunta alla parte ima
E dello scoglio, afflitta e s^bigottita.
Era sei giorni egli venuto prima ;
Ch' un demonio il portò per via non ti'ita:
E venne a lei fingendo divozione.
Quanta avesse mai Paolo o Ilarione.
46. Come la donna il cominciò a vedere,
PrCf^e, non conoscendolo, conforto,
E cej:sò a poco a poco il suo temere,
Bench' ella avesse ancora il viso smorto.
Come fu presso, disse: Miserere,
Padre, di me, che son giunta a mal porto :
E con voce interrotta dal singulto
Gli disse quel, eh' a lui non era occulto.
47. Comincia 1' eremita a confortarla
Con alquante ragion hellc e divote,
E pon le antraci man, mentrechè parla,
Or per lo seno, or per 1' umide gote:
Poi più sicnit» va per ahhracciarla,
Ed ella sdegnnsetta lo percuote
Con una man nel petto, e Io rispinge,
E d' onesto rossor tutta si tinge.
48. Egli, eh' allato avea una tasca, aprilla,
E trassene un' ampolla di liquore,
E negli occlij possenti, onde sfavilla
La più cocente face eh' abbia Amore,
Spruzzò di quel leggiermente una stilla,
Che di farla dormire ebbe valore:
Già resupiiia nell' arena giace
A tutte voglie del secchio rapace.
49. Egli r abhraccìa, ed a piacer la tocca,
Ed ella dorme, e non può fare ischerrao.
Or le bacia il bel petto, ora la bocca:
]\on è chi il veggia in quel loco aspro ed ermo,
Ma neir incontro il suo destrier trabocca;
Ch' al de»i(» non risponde il corpo infermo.
Era mal atte», per<hè avea troppi anni ;
E potrà peggio, quanto più 1' afTanni.
50. Tutte le vìe, tutti lì modi tenta;
Ma quel pigro rozzon non però salta:
Indarno il frcn gli scuote, e lo tormenta,
E non può far, che tenga la testa alta.
AUìn presso alla donna s" addormenta,
E nuova altra seiiigura anco 1 a.<salta.
INon comincia fortuna mai per poco,
Quiindo un mortai >i piglia a scherno e a gioco.
51. Bisogna, primacli' io vi narri il caso,
Ch' im poco dal sentier dritto mi torca,
]\(l mar di tramontana iiiver V occaso,
OUr«- r Irlanda un' isola si corca,
Ebiida nominata, ove è rimaso
Il popol raro, poi< he la brutta orca,
E r altro marin gregge la distrusse,
Che in sua v«'ndetta Proteo vi condusse.
52. Narran 1' anticlie i>torie, o vere o false,
Che tenne- già qiul luogo un re possente,
Ch' ebbe mia figlia, in cui belle/za valse
E grazia sì, che potè facilmente,
Poi«hè mo>(ro'si in suH' ar«'ne salse,
Prot«!(t hipiriarc in mezzo l' accjue ardente;
E quella, un di che sola ritrovolla.
Compresse, e di sé gravida lasciolla.
53.
La cosa fu gravissima e molesta
Al padre, più d' ogni altro empio e severo;
]\è per iscusa, o per pietà la testa
Le perdonò: sì può lo sdegno fiero!
Kè per vederla gravida si resta
Di subito eseguire il crudo impero ;
E '1 nipotin, che non avea pecctato.
Prima fere morir, che fosse nato.
54.
Proteo marin, che pasce il fiero armento)
Di Nettuno, che 1' onda tutta regge,
Sente della sua donna aspro tormento,
E per grand' ira r^mpe ordine e legge.
Si, che a mandare in terra non è lento
L' or<lie, le foche, e tutto il marin gregge,
Che distruggon non sol pecore e huoi.
Ma ville e borghi, e li cultori suoi.
55. E spesso vanno alle città murate,
E d' ogni intorno lor mettono assedio.
INOtte e dì stanno le persone armate
Con gran tinuu'e e dispiacevol tedio:
Tutte hanno le camiiagne abbandonate ^
E per trovarvi al fin qualche rimedio,
Aiutarsi a consigliar di queste cose
All' oracol, che lor così rispose :
50. Che trovar bisognava mia donzella,
Clie fosse all' altra di bellezza pare,
Ed a Proteo sdegnato ofierir quella.
In cambio della morta, in lito al mare.
S' a sua satisfazion gli parrà bella.
Se la terrà, né li verrà a sturbare :
Se per questo nim sta, se gli apprcsenti
L<na, ed un' altra, finché si contenti.
57. E così cominciò la dura sorte
Tra quelle, che più grate eran dì faccia,
Ch a Proteo ciascun giorno una si porte,
Finché trovino donna, che gli piaccia.
La prima e tutte l' altre ebbono morte;
Che tutte giù pel ventre se le caccia
In' orca, che restò presso alla foce,
Poìcliè '1 resto partì del gregge atroce.
58. O vera o falsa che f«)sse la cosa
Di Proteo, (cir io in>n so, che me ne dica)
Servossi in quella terra, con tal chiosa,
Contra le donne un' empia legge antica:
Che di lor carne 1' orca mostruosa.
Che A'iene ogni dì al lito si nutrica.
Bench' esser donna sia in tutte le bande
Danno e sciagura, quivi era più grande.
59. Oh misere donzelle, che trasporte
Fortuna ingiuriosa al lito infausto,
Dov(; le gf'iiti stan sul nrare accorte,
l'er far delle straniere empio olocaii.-tc» !
Che , conu^ più di fuor ne sono morte,
11 niiiin-r delle loro é meno esiiu^to ;
IMii, |ierchè il \cnto ognor preda nou mona,
Uicercando ne \an p<'r ogni artnia.
(iU. A aii discorrendo tutta la marina
Con l'uste e grippi, ed altri legni loro,
E da lontana |)arte e da vicina
Portan sollevaimmto al lor martoro.
Molte donne han p«-r l'orza e per rapina,
Alcune' i>er lusin!;be, altre per oro;
E sem|)re da diverse regioni
!N' haiinti pieno le t«>rri e le prigioni.
[85]
ORLANDO FURIOSO. (VIU. 61— W)
[86]
(il. Passando una lor fusta a terra a terra
Innanzi a quella solltariii riva,
Uovo fra sterpi in siili" erbosa terra
La sfortunata Angelira dormiva,
Smontare alquanti galeotti in terra,
Per riportarne legna ed acqua viva ;
E di quante mai fur belle e leggiadre,
Trovare il fiore in braccio al santo padre.
62. Oh troppo cara, oh troppo eccelsa preda
Per si barbare genti e si villane !
Oh fortuna cruciti, chi fia che "1 creda,
Ciie tanta forza hai nelle co>e umane.
Che \>tv til)o d' un jiiostro tu conceda
La gran beltà, che in hidia il re Agiii-..ne
Fete venir dalle t.iucajce porte,
Cun mezza Scizia, a guadagnar la rac.rte?
G3. La gran beltà, che fu da Sacripant.-
l'offta ini. anzi al tuo onore e al suo bel regno ;
La gran beltà, eh' al gran signor d' AiigLinte
ALic( Ilio la chiara fama e 1' alto ingegno ;
La gran beltà, che fc' tutto Le^ ante
Sottosopra voltar?!, e stare al segno,
Cra mai ha (ci)?ì rliiiasa ù »ola)
Chi le dia ajutu pur d' una parola.
u4. La bella donna, di gran sonno oppressa,
Incatenata fu piiiiia, che desta.
Portare il frate incantator con essa
Nel legno picn di turba afflitta e mesta.
La vela, in cima all' arbore rimessa,
Rendè la nave all' isola fmiesta,
Dove chiuscr hi donna in rocca forte,
Fino a quel dì, di' a lei ti-ccò la sorte.
()5. Ma potè si, per esser tanto bella,
La fiera gente muovere a pleiade,
Che multi dì le dill'eriron quella
Morte, e serbarla a gran neces?itiide;
E linch' ebber di fumé altra donzella,
Perdonare all' angelica beltade.
Al mo^tro fu condotta fìniiliuciite.
Piangendo dietro a lei tutta hi gente.
66. Chi narrerà 1' angosce, i pianti e i gridi,
L' alta querela, elio nel ciel penetrar'
.Marii\iglia ho, cl-.e non s' aprirò i lidi,
Quando fu posta in >ulla fredda pietra,
l)o\c in catena, priva di sus.'-idj,
.alerte aspettai a abboinino^a e tetra.
Io noi dirò; «he si il dolor mi muove,
Che mi sfor/.a a ^ oltar le rime altrove,
67. E trovar moì non tanto luguliri,
FiiK'hè 1 mio t<pirto stanco si riabbia:
Che non potrian gli squallidi coliiliri.
Nò r orba tigre ac«H'sa in maggior rabbia,
Né ci«i, che dall' Atlantt; ai liti rubri
\eneiiosoerra per la calda sabbia,
Né veder, né pensar senza ciu'doglio
Angelica legata al nudo scoglio.
68. Oh! se r avesse il mio Orlando naputo,
Cli' era per ritrovarla ito a Parigi;
O li due, che ingannò (|nel vecchio astuto
lUA messo, che venia dai luoglii »tigi ;
Fra iiiiMe morti, per donarle ajiito,
Cercalo avriau gli angelici vestigi.
Ma che fariano, avendone anco spili,
Poiché distanti bun di tanta ^ iu ?
69. Parigi intante avea 1' assedio intomo
Dal famose figliuol del re Trojano,
E venne a tanta estremitade un giorno,
Che n' andò quasi al suo nemico in mano :
E, se non che li voti il ciel piacerne.
Che dilagò di pioggia oscura il piano,
Cadea quel dì per 1' africana lancia
11 santo imperio, e "1 gran nome di Francia.
70. Il somme Creator gli ecchj rivolse
Al giusto lamentar del vecchio Carlo,
E con subita pioggia il foco tolse,
Né forse uman saper potea smorzarlo.
Savio chiunque a Dio sempre si volse!
Ch' altri non puote mai meglio ajutaiio.
Ben dal devoto re fu conosciuto.
Che si salvò per Io di^ ino njuto.
II. La notte Orlando alle nojose piume
Del veloce peusiir fa parte assai:
Or quinci, or quindi il volta, or lo rassjtmu
Tiitt«» in un loco, e non lo ferma mai —
Qual (!' acqua chiara il tremolante lume
Dal s<!l percossa, o da' notturni rai,
Per gli ampli tetti va con lungo salto
A destra ed a sinistra, e basso ed alto.
72. La doana sua, che gli ritorna a mente.
Anzi che mai non era indi partita.
Gli raccende nel «ore, e fa più ardente
La fiamma, che nel di parea sopita.
Costei vj'iiiita seco era in Ponente
Fin dal Catajo, e qui 1' avea smarrita,
I\é ritrovato poi vestigia d' ella.
Che Carle rotto fu presso a Uordella.
73. Di questo Orlando avea gran doglia, e seco
Indarno a sua sciocchez/a ripensava.
Cor mio, dicea, come v ilmente teco
Mi son portato! Oimé! quanto mi grava,
Che, potendoti aver notte e dì meco.
Quando la tua bontà non mei negava,
T' abbia lasciato in man di \amo porre.
Per non sapermi a tanta ingiuria opporre!
74. Non aveva ragione io di sJMisarme?
E Carlo non m' avria forse disdetto.
Se pur disdetto e chi potea sforzarme.''
Chi mi ti velea torre al mio dispetto.'
Non potev' io venir piuttosto ali .iriiie,
Ijasciar j>iuttosto traimi il cor del petto.-'
Ma né ('arie, né tutta la sua gente
Di tormiti per forza «-ra possente.
75. .Vlmen 1' avesse posta in guardia liiiona
Dentro a P.irigi, e in qualche rocca forte!
Clic r abbia data a \aiiio, mi consona
Sol, perché a perder 1' abbia a questa ^orte.
VAù la dovisi guardar meglin persona
Di me P cir io dovea farlo fino a morte;
(ìuartlarla più che 1 cor, elie gli occhj miei:
E dovea, e potea farlo , e pur noi lei.
76. Dell ! dove senza me. dolce mia vita,
Uìmara sei sì giovane e sì bella.''
Come. poì( Ile la luce é dipiirtita,
Kiiiian tra' liosclii I.i smarrita agnella,
(Mie dal pastor s|)er<iiido e>ser udita.
Si va l.iguaiido in questa parte e in quella.
Tanto «he 'I lupo 1° ode da lontano,
E '1 mibcre pastor ne piange invano.
[87]
ORLANDO FURIOSO. (Vili. 77-91)
[88]
77. Dove, speranza mia, dove ora sci?
Vai tu soletta forse ancora errando?
O pur t' hanno trovata i Inpi rei,
Senza la guardia del tuo fido Orlando?
E '1 fior, che in ciel potea ponili fra ì Dei,
Il fior, che intatto io mi venia serbando,
Per non turbarti, oimè! V animo casto,
Oimè, per forza avranno colto e guasto ?
78. Oh infelice ! oh misero ! che voglio.
Se non morir, se '1 mio bel fior colto hanno?
O sommo Dio! fammi sentir cordoglio
Prima d' ogni altro, che di questo danno!
Se questo è ver, con le mie man mi toglio
La vita , e 1' alma disperata danno.
Così piangendo forte , e sospirando,
Seco dicca 1' addolorato Orlando.
79. Già in ogni parte gli animanti lassi
Davan riposo ai travagliati spirti,
Chi sulle piume, e chi sui duri sassi,
E chi suir erbe, e chi su' faggi o mirti.
Tu le palpebre, Orlando, appena abbassi,
Punto da' tuoi pensieri acuti ed irti;
]\è quel sì breve e fuggitivo sonno
Goder in pace anco lasciar ti ponno.
80. Parca ad Orlando, su una verde riva
D' odoriferi fior tutta dipinta,
]Mirare il bello avorio, e la nativa
Porpora, eh' avea Amor di sua man tinta,
E le due chiare stelle, onde nutriva
Nelle reti d' Amor V anima avvinta:
Io parlo de' begli occbj e del bel volto.
Che gli hanno il cor di mezzo il petto tolto.
81. Sentia il maggior piacer, la maggior festa,
Cì\e sentir possa alcun felice amante:
IMa ecco intanto uscire una tempesta.
Clic struggea i fiori, ed abbattea le piante.
INon se ne suol veder simile a questa,
Quando giostra aquilone, austro e levante:
Parca che, per trovar qualche cojierto,
Andasse errando invan per un deserto.
82. Intanto 1' infelice (e non sa come)
Perde la donna sua per l' acr fosco ;
Onde di qua e di là del suo bel nome
Fa risonare ogni campagna e bosco ;
E, mentre dice indarno: Miscn» me!
Chi ha cangiata mia dob-c/.za in tosco ?
Ode la donna sua , che gli domanda
Piangendo ajuto, e se gli raccomanda.
84.
Senza pensar, che sian l' immagin false,
Quando per tema, o per disio si sogna.
Della donzella per modo gli calse,
Che stima giunta a danno, od a vergogna,
Che fulminando fiuir del letto salse.
Di piastra e maglia, quanto gli bisogna.
Tutto guarnissi, e Brigliadoro tolse,
j\è di scudiero alcun servisiio volse.
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87
83. Onde par eh' esca il grido, va veloce,
£ quinci e quindi s' an'ati(-a assai.
Oh quanto è il suo dolore aspro ed atroce,
Che non può rivedere i dolci rai !
Ecco eh' altronde ode da un' altra voce:
K(»n sperar più gioirne in terra mai !
A quc.'-to orribil grido ri,-.vegliossi,
E tutto pien di lagrime trovossi.
Ul. Il qual , poiché mnlr.te ebbe d' Almonlc
Le glorio»»- insegne , anilò alla porta,
E dis-e neir orecrbii»: lo sono il conte,
A un ca|)ilan, cli<; vi fai.ea la scinta;
E. fatto>i abba>sar subito il ponte,
Per quella strada, «lie più lutile porta
Agi' inÌMiii:i, se n' andò diritto.
Quel clu- segui, n(!ir altro canto è scritto.
E per poter entrare ogni sentiero,
Che la sua dignità macchia non pigli,
Kon r onorata insegna del Quartiero,
Distinta di color bianchi e vermigli.
Ma portar volse un ornamento nero,
E forse accioccir al suo dolor simigli?
E quello avea già tolto a un' Araostante,
Ch' uccise di sua man pochi anni innante.
Da mezza notte tacito si parte,
E non saluta, e non fa motto al zio,
]\è al fido suo compagno Brandimarte,
Che tanto amar solca, pur dice addio.
Ma poiché '1 sol con I' auree chiome sparte
Del ricco albergo di Titone uscio,
E fé' r ombra fuggire umida e nera,
S' avvide il re, che '1 paladìn non v' era.
Con suo gran dispiacer s' avvede Carlo,
Cbe partito la notte è il suo nipote,
Qaand' esser dovea seco, e più ajutarlo,
E ritener la collera non puote,
Ch' a lamentarsi d' esso, ed a gravarlo
Non incominci di hiasmevol note,
E minacciar, se non ritorna, e dire,
Che lo farla di tanto error pentire.
Brandimarte, eh' Orlando amava a pare
Di sé medesmo, non fece soggiorno;
O che sperasse farlo ritornare,
O sdegno avesse udirne biasmo e scorno;
E volse appena tanto dimorare,
Ch' uscisse fuor nell' oscurar del giorno.
A Fiordi ligi sua nulla ne disse.
Perchè '1 disegno suo non gì' impedisse.
89. Era questa una donna, che fu molto
Da lui diletta, e ne fu raro senza.
Di costumi , di grazia e di bel volto
Dotata, e d' accortezza e di prudenza.
E, se licenzia or non n' aveva tolto,
Fu, che sperò tornarle alla presenza
Il di medesmo: ma gli accadde poi,
Che lo tardò più dei disegni suoi.
90. E poich' ella aspettato quasi un mese
Indarno 1' ebbe, e che tornar noi vide.
Di desiderio si di lui s' accese,
(/he si partì senza compagni, o guide,
E cercandone andò molto paese,
Come r istoria al luogo suo decide.
Di questi due non ^ i dico or più innante ;
Che più m' importa il cavalier d' Anglante;
88
[89J
ORLANDO FURIOSO. (TX. 1 — 12 )
[mi]
CANTO NONO.
ARGOMENTO.
Ode Orlando il costume empio d' Ebuda,
Che le donzelle al marin mostro espone ;
E stimando di quella gente cruda
Fosse Angelica preda, irvi propone.
Ma poi d' Olimpia , di conforti ignuda,
Inteso i casi, le sue forze pone
In sua difesa, e fatto venir meno
Cimosco , le ritorna il suo Bireno.
1. Che non pnò far d' un cor , eh' abbia soggetto
Questo crudele e traditore Amore,
Poich' ad Orlando piiò levar del petto
La tanta fé, che deve al suo signore?
Già savio e pieno fu d' og'ni rispetto,
E della santa chiesa difensore ;
Or, per un vano amor, poco del zio,
E di sé poco , e men cura di Dio.
2. Ma r escuso io pur troppo , e mi raIle<Tro
Nel mio difetto aver compaj^no tale ;
Ch' anch' io sono al mio ben languido ed egro,
Sano e gagliardo a seguitare il male.
Qiu;l se ne va tutto vestito a negro,
ì\è tanti amici al)Iian(h)nar gli cale,
E passa, dove d' Alii(!a e di Spagna
La gente era attendata alla campagna.
3. Anzi non attendata ; perchè sotto
Alberi e tetti 1' ha sparsa la pioggia:
A dieci, a venti, a quattro, a sette, ad otto,
Chi più distante, e chi più presso allog^gia.
Ognuno dorme travagliato e i-otto ;
Chi steso ili terra, e chi alla man s' appog'gia.
J)ormono, e 'l ccuite uccider ne può assai;
]Nè però stringe Durindana nuii.
ì. Di tanto core è il generoso Orlando,
Che non degna ferir gente, che dorma.
Or (piesto , e quando quel luogo <u-rcaudo
Aa, per trovar d<;lla sua doiuia 1' orma.
Se trovii alcim , che vegglii , sospirando
Gliene <li|iinge 1' ahito e la forma,
E poi io priega , v.Uv per «M>rtesia
(ir insegni andare in parte, ove ella sia.
5. 1") poiché venne il dì chiaro <; lucente, j
Tutto cercò 1' (r^er<•ito uuirc-co :
E lu'U lo polca far r^iiiir.iuieiite,
A\ciulo indosso r aitilo aralursco:
Ed ajulollo ili qiM'.td piiriiuriili'.
('he >a|)e\ii aldo idioma, clic francc*co ;
E r africano a\ea tanto espedito,
Clic parca nato a Tripoli , e nutrito.
6*. Quivi il tutto cercò , dove dimora
Fece tre giorni, e non per altro efletto.
Poi dentro alle cittadi, e a' borghi fuora,
]Von spiò sol per Francia e suo distretto,
7tla per Uà ernia e per Guascogna ancora
llivide sino all' ultimo borglietto,
E cercò da Provenza alla Bretagna,
E dai Piccardi ai termini di Spagna.
7. Tra il fin d' ottobre, e il capo di novembre,
Nella stagion , che la frondosa vesta
Vede levarsi, e discoprir le mcmbre
Trepida pianta , finché nuda resta,
E van gli augelli a strette schiere insembre,
Orlando entrò nell' amorosa inchiesta;
Né tutto il verno appresso lasciò quella,
Né la lasciò nella stag-ion novella.
8. Passando un giorno , come avca costume
D' un paese in un altro , arrivò , dove
Parte i Normandi dai Britoni un fiume,
E verso il viciii mar clieto si muove,
('h' allora gonfio e bianco già di spume,
ì'er neve sciolta e per montane piove;
E r ìmpeto dell' acqua avea disciolto,
E tratto seco il ponte , e '1 passo tolto.
!). Con gli occh j cerca or questo lato , or quello
Lungo le ripe il paladin , se vede
(Quando né pesce egli non é, né augello)
C/'ome abbia a por nelT altra ripa ii piede ;
Ed ecco a sé venir vede im battello,
Nella ("ui poppa una donzella ^ie(!e,
("he di volere a lui venir fa segno,
Né lascia poi, eh' arrivi in terra il legno.
10. Prora in terra non pon ; clié d' esser c^irca
(y'ontra sua Aolontà forse snsjìctta.
Orlando prega lei, che nella barca
Seco lo tolga , ed oltre il fiume il metta.
Ed ella a lui: (^uì cavalier non varila,
11 qiial sulla fé sua non mi pn):uet!a
Di fare una battaglia, a mia ricliicsia.
La più giusta del mondo, e la più oiiota.
11. Sicché , se avete, cavalier, desirc
Di por per me nell' altra ripa i passi,
Prometlelemi , ]>rimaché finire
(^ue.-.t' altro uuve prossimo ,>i lassi,
(/'ir al re d" Iberiiia v' aiiilcrete a unire,
Appresso al (|iial la bella ami, ita f.i>si,
Per di^lriigger quell" isola d" Ebuila,
(Jlic ili quante il mar cinge è la più cruda.
12. \ oi dovete sa|)er , vW olire 1' Irlanda,
Fra molle, «he >i son , V isola giace
Noni. Ila l')biiil,i, che per leg'^'c manda
Itili), indo inloi-iio il suo popol nipace,
E, c{iiiiiile donne |iiiò pigliar, vivanda
Tutte de>lina a un aniiiial mumci;,
('In; \ieiie ogni di al lilo, e sempro nuora
Donna o d<ui/.ella, onde si pasca, ti-o\a :
[911
ORLANDO FURIOSO. (IX. 13 — 28)
[92]
23.
24
13. Che iiiiiT.inti e C(ir ur, cl:e \anno attorno, I 21.
Ve ne fan cojìia , e più delle più belle.
Ben potete contare, una per giorno.
Quante morte vi sian donne e donzelle.
Ma, se pietade in voi trova so^igiorno,
Se non siete d' Amor tutto riìselle,
Siate contento es.-er tra questi eletto,
Clic van per far ^ì fruttuoso effetto.
li. Orlando vol-e appena ;idire il tutto.
Che giurò d' esser prÌ!!!o a qiieila impresa,
Come quel, eh' alcun atto iniquo e brutto
ISon [HO sentire, e d' ascoltar gli \ìv^ìi
V. fu il pensare, indi a temere iudiitti».
Che quella gente Angelica abbia prc^a,
Pdichè cercata l' ha per tanta via,
"Sé potutone ancor ritrovar spìa.
15. Questa immaginayion sì gli confuse,
E sì gli tolse ogni primier disegno.
Che, quanto in fretta più potea , conchiusc
Di navigare a quello iuiqiio regno.
ISè prima i' altro sol nel mar j^i chiuse,
Che presso a San 3Ialò ritrovò un legno,
jVel qual si pose; e, fiitto alzar le vele,
Passò la notte il monte San Michele.
16. Breaco e Laudriglier lascia a man manca.
Fi va radendo il gran lito britone,
K poi si drizza inver T arena bianca,
Onde Inghilterra si nomò Albione:
3la il vento , eh' era da merigge , manca,
E soffia tra il ponente e l' aquilone
Con tanta forza , che fa al basso porre
Tutte le vele , e sé per poppa torre
17. Quanto il naviglio innanzi era venuto
In quattro giorni, in un ritornò indietro,
Aell" allo mar dal buon nocchier tenuto,
Che non dia in terra, e sembri un fragil vetro.
Il vento poi, che furioso sut(»
Fu qualtro giorni, il quinto cangiò metro.
Lasciò senza contrasto il legno entrare,
Dove il firme d' Anversa ha foce in mare.
18. Tostochè nella foce entrò lo stiinco
Nocchier col legno afflitto, e il lito prese,
Fuor fi" una terra, che sul destro fianco
Di quel fiume sfide^ a , un vecchio scese
Di molta età , per quanto il crine bianco
Ne dava indizio; il qual tutto cortese
Dopo i saltiti al conte rivoltosa!,
Che capo giudicò che di lor fosse; '
19. E da parte il pregò d' una donzella, 27.
Ch" a lei v«-iiir non gli paresse grave,
La qual ritroverebbe, oltre che liclla, 1
l'iù eli' allra al mondo affabile e soave;
0\^er fo.se contento aspettar, eh' ella
Airrcbbc a tro\ar lui fino alla nave,
Né più restio volesse esser di quanti
Quivi eran giunti cavalieri erranti.
20. Che nessun altro cavalier, che arriva ' 28.
O per ferra, o psr mare, a questa foce.
Di ragionar con la donzella scliiva,
I'«;r consigliarla in un suo caso atroce.
L'dilo quc-lo, Orlando in sulla riva.
Senza punto indugiarsi, usrj veloce,
E , cojvie umano e picn di cortesia,
Dove il vecchio il menò, pre;>e la vìa.
Fu nella terra il paladin condutto
Dentro un palazzo . ove al salir le scale
Una donna trovò piena di lutto,
Per quanto il vir-o nu hicca segnale,
E i negri panni, che coprian per tutto
E le logge, e le camere, e le sale;
La qual , dopo accoglienza grata e onesta,
Fattoi seder, gli disse in voce mesta:
Io voglio, che sappiate, che figliuola
Fui del conte d' Olanda, a lui sì grata,
CQuantunqne prole io non gli fossi sola,
Ch' era da due fratelli accompagnata)
Ch' a quanto io gli chiedea, da lui parola
Contraria non mi fu mai replicata.
Standomi lieta in questo stato, avvenne,
Che nella nostra terra un duca venne.
Duca era dì Selandia , e se ne giva
Verso Bis<aglia a guerreggiar co' Mori.
La bellezza e 1' età, che 'n lui fioriva,
E li non più da me sentiti amori,
Con poca guerra me gli fer cattiva ;
Tanto più che , per quel , eh' aj parea fuori.
Io credea, e credo, e creder credo il vero,
Ch' amasse, ed ami me con cor ^incero.
Quei giorni , che con noi contrario vento.
Contrario agli altri , a me propi,.io , il teuiie,
Ch' agli altri fur quaranta, a me un luoniento,
Cosi al fuggire ebbon veloci penne,
Fummo più volte insieme a parlamento;
Dove che 'l matrimonio con solenne
Rito , al ritorno suo , saria tra nui,
3Ii promise egli , ed io '1 promisi a lui-
25. Bireno appena era da noi partito,
CChé cosi ha nome il mio fedele amante^
Che l re di F'risa , la qual, quanti» il lito
Del mar divide il fiume, è a noi di-t,inte.
Disegnando il fìgliuol farmi marito.
Ch' unico al mondo avea, nomato Arbante,
Per li più degni del suo stati» manda
A domandarmi al mio padre in Olanda.
26. Io , eh' all' amante mio dì quella fede
Mancar non possu, che gli aveva data,
E, aucorch' io possa, amor non mi concede.
Che poter voglia, e eh' io sia tanto i.igrata;
Per minar la pratica, che Ìtì piede
Era gagliarda, e presso al fin guidata.
Dico a mio padre , che , primaché in Frisa
Mi dia marito, io voglio esser uccisa.
Il mio buon padre, al qual s(»l pìacea, quanto
A me placca , né mai tnriiar mi volse,
Per consolarmi, e far cessare il pianto,
Ch' io ne Iacea , la pratica di?ciolse ;
Di che il superbo re di Frisa tanto
Disdi'gno prese., e a tanto odio si volse,
Ch' entrò in Olanda, e cominciò la guerra,
Cile tutto il sangue mio cacciò sotterra.
Oltre che sia robusto, e sì possente.
Che pochi pari , a nostra età . ritrova,
E sì astuto ili mai far, eli' altrui niente
La possanza, i' ardir, l' ingegno gi(»va.
Porta ulciin' arme, che 1' antica gente
Non vide mai, né, fiiorch' a lui, la nuova:
l^n ferro bugio, lungo da due liraccia.
Dentro a cui polve (;d una palla caccia.
93]
ORLANDO FURIOSO. (IX. ^9-44)
[94]
29. Col fuoco dietro, ove la canna è chiusa.
Tocca un spiraglio , che si vede appena,
A guisa che toccare il medico usa,
Dove è hìsogno d' allacciar la vena ;
Onde vien con tal suim la piilla esclusa,
Che si può dir , che tuona e che balena :
\è men, che soglia il fulmine, t)-e pa ?a,
Ciò che tocca , arde , abbatte , apre e fracassa
Ji-J. Pose due volte il nostro caiii;)0 in rotta
Con questo inganno, e i miei fratelli uccise;
Nel primo assalto il primo, die la ìvitta.
Roteo r usbergo, in mezzo il ci»r g!i mi~e:
Neil' altra zuffa all' altro, il quale in frotta
Fuggiti , dal c(U'po r anima disise,
E lo feri lontan dietro la spalla,
E fuor del petto uscir fece la palla.
31. Difenf1en''o>ì poi mio padre un giorno,
Dentro un cartel , clie sol gli era riinaso,
Che tutto il resti) avea perdiito intiKui),
Lo fé' con siiiiil (;i>lpo ire ali" occaso;
Che mentre andava, e che ficea ritorno,
Provvedendo or a questo , or a quel ca,«o,
Dal traditor fu in mezzo gli oc(;lij colto,
Che r avea di lontan di mira tolto.
G2. Morti i fratelli e '1 padre, e rimala io
Dell' isola d" Olanda unica erede.
Il re di Frisa, perchè avea disio
Di ben fermare in quello stato il piede,
IVIi fa sapere, e cosi al popol mio.
Che |)ace, e che ripo'^o mi concede,
Qnan'lo io voglia or quel, che non \olsi innante,
Tor per marito il suo figliuolo Arbante.
33. Io , per r odio non si , che grave [Hìrto
A lui , e a tutta la >\m iniqua schiatta,
11 qual m' ha due fratelli e '1 padre morto,
S.iccbe^giiita la patria, arsa e disf.itt.i,
Come , perchè a colui non vo' far torto,
A cui già la prcmiessa aveia fatta,
Ch' altr' nomo non saria , che mi sposasse,
Finché di Spagna a me non ritorna>se:
34. Per un mal, eli' io patisco, ne vo' cento
Patir, rispondo, e far di tutto il resto,
Esser morta, arsa viva, e che sia al vento
La cener sparsa, innnnzirliè far qucyto.
J^Uidiii la gente mia dì questo intento
Tornii; < -li priega, e chi mi fa prototo,
Di dargli in ni;uio me e la terra, prima
Che la mia ostin<i/ion tutti ci opprimi).
ó5. CoHÌ , poicliè i prote>ti e i pregili i. ivano
Vider gittarsi, e che pur stava dura,
Presero accordo co! !• risone, e in mano
(("ome avean di-ttoj uli dier me. e lo mura.
<^uel , senza farmi alcuno allo villano,
Della vita e «lei regno m' a-siciira,
Pnrcb' io indobi^ca 1<; indurate voglie.
K ('he d' Arliante suo mi faccia moglie.
31). lo , che sforzar cosi mi veggio , voglio,
Per uscirgli di man, perder la vita;
Ma, se pria non mi ■Nctidico, mi do^-I'o
Più, che di (pianta ingiuria alibia palila.
Fi» pensier molli, i; veg^^io al mio cordoglio,
(;he -olo il simular può dan- aita.
Fingo, ch" io brami, non che non mi piaccia,
('he mi piiiloiii, e sua nuora mi faciia.
37. Fra molti, eh' al servìzio erano stati
Già di mio padre, io scelgo duo fratelli
Di grande ingegno e di gran cor dotati,
]Ma più di vera fede, come quelli.
Che cresciutici in coite ed alleviiti ^
S*i Min con noi da teneri zitelli,
E tanto miei , che poco lor parria
La vita por per la salute mia.
38. Comunico con loro il mio disegno :
Es?i prometton d' essermi in ajuto.
L' un viene in Fiandra, e v' apparecchia un legno;
L' altro meco in Olanda ho ritenuto.
Or, mentre i forestieri, e quei del regno
S' invitano alle nozze , fu saputo,
Che Bireno in Biscaglia avea un' armata,
Per venire in Olanda , apparecchiata :
Perrocchè, fatta la prima battaglia.
59.
Dove fu rotto un mio fratello e ucciso,
Spacciar tosto un corrier feci in Biscaglia,
Che portasse a Bireno il tristo avviso:
li qu:il , inentrechè s' arma e si travaglia,
l>al re di Frisa il resto fu conquido.
Bireno, che di ciò nulla sapea.
Per darci ajuto , i legni sciolti avea.
40. Di questo avuto avviso il re frisone
Delle nozze al figliuol la cura lassa.
E con r armata sua nel mar si pone ;
Trova il duca , lo rompe , arde e fracassa,
E, come vuol fortuna, il fa prigione:
Ma di ciò ancor la nuova a noi non passa.
3li sposa intanto il giovane , e >i vuole
Meco corcar , come si corchi il sole.
41. Io dietro alle cortine avea nasaìso
Quel mio fedele, il qnal nulla si mosse
l'rimacliè a me venir vide lo sposo ;
E non r attese che corcato fosse.
Che alzò un' acci-tta , e con sì valoroso
Braccio dietro nel capo lo percosse,
Che gli le-.o la vita e la parola:
10 s.iltai presta , e gli segai la gola.
42. Come cadei-e il 1)uc suole al macello,
C.idde il malnato giovane, in dispetto
Del re (amo?co, il più d" ogni altix» fello,
((Jliè r empio re di Fri^-a è co>ì detto)
(he morto l' uno e 1' altro mio fratello
IM" a\ea col padre, e, jier meglio soggetto
Farsi il mio stato, mi volea per niior".
E l'or?e un giorno uccisa a>ria me ancora.
43. Priiiiacir altro disturlto vi si metta.
Tolto quel, che più \ale, e meno jiesa,
11 mio ciiiir|iagiio al mar mi cala in fretta
l'alia fine tra a un cana|ie >o-pe>a,
là. doM- aUento il suo fratello appetta
Sopra la barca, eh' avea in Fi.indrii prisa.
Deiiimo le vele ni venti, e i remi ali" aeque.
E tutti ci saUium, come a Dio |>iacquc.
41. Non so, se'l n- di Fri>a più dolente
Del lìgliuol morto, o se più d ira acceso
Fo-se iMiilra di me, che 'l dì seguente
(ìiiiii>elà. dove si trovò ^i oll'eso.
Superbo riloiniMa egli e sua gente
Della littoria, e di Itireno pre.>o,
E credendo venire a nozze o a fe«ta,
0«riii i-osii |ro\ò scura e fiuiesta.
ORLANDO FURIOSO. (IX. 45-60)
[9i)j
•15. La pietà del figliiiol, l'odio cli'aAcva
A me, r.è di, nò notte il lascia mai.
Ma perchè il pianger morti non rileva,
E la vendetta sfoga l'odio assai,
La parte del pensier, ch'esser doTCAa
Della pietadc in sospirare e in guai, _
Auol, che con l'odio a investigar s'nnisca,
Come egli m'abbia in mano, e mi punisca,
46. Quei tutti, che sapeva, e gli era dotto,
Che mi fossino amici, o di quei miti,
Che m'aveano ajutata a far l'effetto,
Uccise, o lor hcni arse, o li fc' rei.
Volse uccider Direno in mio dispetto ;
Cile d'altro sì doler non mi potrei :
Gli parve poi, se vivo lo tenesse,
Che per pigliarmi in man la rete avesse.
47. 3Ia gli propone una crudele e dura
Condizion: gli fa termine un anno,
Al fin del qual gli darà morte oscura,
Se prima egli, per forza, o per inganno.
Con amici e parenti non procura
Con tutto ciò, clie ponno e ciò, che sanno,
Di darmegli in prigion: sì che la via
Di lui salvare è sol la morte mia.
48. Ciò che si possa far per sua salute,
Fuorcliè perder me stessa, il tutto ho fafto.
Sci ca^tclla ehhi in Fiandra, e l'iio vendiiie,
E'I poco ol nu»lt() prezzo, ch'io n'ho tratto
Parte, tentando per per.-onc astute
I guardiani corrompere, ho dijtratto,
E parte per far movere alli danni
Di queir empio, or gl'Inglesi, or gli Alamanni.
49. I mezzi o che non ahliìano potuto,
O che non a1)hian fatto il dover loro,
Mlianno dato parole, e non ajuto,
E sprezzano or, che n'han cavato l'oro :
E presso al fine il termine è venuto,
Dopo il qual né la forza, nè'l tesoro
Potrà giunger più a tempo, sì che morte
E strazio sclu\i al mio caro consorte.
50
Mio padre e' miei fratelli mi son stati
Morti per lui, per lui toltimii il regno;
Per lui quei pochi beni, che restali
^l'eran, del ^ivcr mio soli sostegno,
Per trarlo di prigione ho dissipati;
INè mi resta ra, in clu; più far disegno,
Se non d'andarmi io stessa in mano a porre
Di sì crudel nemico, e Ini disciorre.
51
Se dunque da fare altro non mi resta.
Né si trova al suo scam]>o altro ri|)aro.
Che per lui por questa mia Aita, questa
Mia Aita per lui por mi sarà caro.
Ma sola una paura mi nu)lesta,
(;iic non saprò far jiatto cosi chiaro,
Che m'assicuri, die non >ia il tirainio,
Poich'avuta m'avrà, per fare inganno.
52. lo dubito, che, poiché m'avrà in gabbia,
E fatti avrà di me tutti gli stra/.j.
^è Direno |ier (juesto a lasciar abltia.
Sì ch'esser \n-r me s<:iolto mi ringriizj;
Come perjiiro, e piiii di tanta rabbia,
Che di me sola uccider non si sazj ;
E quel, cb'aM'à di me, ut- più né meno
Faccia di poi del miecro Direno.
53. Or la cagìon, che conferir con voi
Mi fa i miei casi, e ch'io li dico a quanti
Signori e cavalicr vengono a noi,
E solo, acciò, parlandone con tanti,
M'insegni alcun d'assicurar, che, poi
Ch'a quel crudel mi sia condotta avanti,
Non abbia a ritener Direno ancora,
Kè voglia, morta me, ch'esso poi mora.
54. Pregato ho alcun guerrier, che meco sin,
Quando io mi darò in mano al re di Frisa ;
Ma mi prometta, e la sua l'è mi dia,
Che questo cambio sarà fatto in guisa,
Ch'a un tempo io data, e liberato sia
Direno; sic(;hè, quando io sarò uccisa,
Morrò contenta, poiché la mia morto
Avià dato la vita al mio consorte.
55. ]Sè, fino a questo dì, trovo chi toglla
Sopra la fede sua d'assicurarmi,
Che, quando io sia condotta, e che mi voglia
Aver quel re, senza Direno darmi,
Egli non lascerà contra mia v oglia.
Che presa io sia; sì teme ognun qtiell' armi:
Teme quell' armi, a cui par che non possa
Star piastra incontra, e sia, quanto vuol, grossa.
56. Or, se in voi la virtù non é difforme
Dal fior sembiante,, e dall' erculeo aspetto,
E credete poter darmegli, e torme
Anco da lui, quando non vada retto.
Siate contento d'esser meco a porme
Nelle man sue: ch'io non avrò sospetto.
Quando voi siate meco, se ben io
Poi ne morrò, che mora il signor mio.
57. Qui la donzella il suo parlar conchiuse.
Che con pianto e sospir spesso iiiterroppe-,
Orlando, poich'olla la bocca chiuse.
Le cui voglie al ben far mai non fur zoppe,
In parole con lei non si diffuse,
Che di natura non n'usava troppe,
Ma le promise, e la sua fé le diede.
Che farla più di quel, ch'ella gli chiede.
58. Non è sua intcnzion, ch'ella in raan vada
Del suo nemico, per salvar Direno ;
Den salverà ambedue, se la sua spada
E l'usato valor non gli vien mono.
D medesimo dì piglian la strada,
Poich' hanno il vento prospero e sereno.
11 paladin s'affretta; che di gire
All' isola del mostro avea desire.
59. Or volta all' una, or volta all' altra banda
Per gli alti stagni il buon nocchier la vela:
Scopr(! un' isola e ini' altra di Zelanda,
Scopro una iiiiiaitzi, e un' altra addietro cela.
Orlando sannita il terzo dì in Olanda:
Ma non smonta colei, che si querela
Del re di Frisa: Orlando vuol, che intenda
La mort(! di «luol rio, priniacbé sc(rnda.
60. Nel lito armato il paladino A-ar('a
Sopra mi <Mu\-ior di pel tra higio e ncrro,
Nutrito in Fiandra, «^ nato in Dauimarci,
(«r.iiule e possente assai più clie b^ggiero ;
Porocb'avca, ((inuido si mise in barca.
In Drotagna lasciato il suo destrieri».
Quel Drigliador sì bolbt e sì gagliardo.
Che non ha par.igon, fu(U'chù Dajardo.
[9T]
ORLANDO FURIOSO. (IX. 61-70)
[98]
61. Giunge Orlando a Dordrecche, e quivi trova
Di molta gente armata in sulla porta;
Si perchè sempre, ma più qiianiio è nuova,
Seco ogni signoria sospetto porta ;
Sì, perchè dianzi giunta era una nuova,
Che di Selandiii con armata scorta
Di navigli e di gente un cugin viene
Di quel signor, che qui prigioa si tiene.
62. Orlando pricga uno di lor, che vada,
£ dica al re, eh' lui cavaliero errante
Disia con lui provarsi a lancia e a spnda ;
Ma che vuol, che tra lor sia patto innante,
Che se '1 re fa, che chi lo slìdu, cada,
La donna ahhia d'aver, eli' uccise Ar')antc;
Clìè '1 caviilitr 1' ha ia loco non lontano,
Da poter sempre mai dargliela in mano :
63. Ed all' incontro vuol, die 'I re prometta,
di', ove egli vinto nella pugna sia,
Bireno in libertà subito metta,
E che lo lasci andare alla sua via.
11 tante al re fa 1' ambasciata in fretta:
Ma quel, che né virtù, uè cortesia
Conobbe mai, drizzò tutto il suo intento
Alla fraude, all' inganno, al tradimento.
64. Gli par, eh' avendo in mano il cavaliero,
Avrà ia donna ancor, che sì 1' ha offeso,
Se in possanza di lui la donna è Aero
Che si ritrovi, e il fante ha ben inteso.
Trenta uomini pigliar fece sentiero
Diverso dalla porta, ov' era atteso,
Che, dopo occulto ed assai lungo giro,
Dietro alle spalle al paladino uscùo.
65. Il traditore intanto dar parole
Fatto gli avca, finché i cavalli e i fanti
Vede esser giunti al loco, ove li vuole;
Dalla porta esce poi con altrettanti.
Come le fere e 'l bosco cinger suole
Perito cacciator da tutti i canti;
Come presso a A'olana i pesci e l' onda
Con lunga rete il pescator circonda:
66. Così per ogni via dal re di Frisa,
Che quel gu(;rrier non fugga, si provvede.
A'ivo lo vuole, e non in altra guisa:
1'] questo far sì l'aciliiunte crede.
Che '1 fulmine terrc-tre, con che uccisa
Ila tanta e tanta gente, ora non chiede;
Che quivi non gli par che si convegna,
Dove pigliar, non far morir, disegna.
67. Qual cauto uccellator, che serba vivi.
Intento a maggior pn;da, i primi augelli,
l'erchè in più qnantitad(; altri cattici
Faccia col gictco e col zimbel di quelli :
Tal esser volse il re (Jimosco quivi.
Ma già non volse Orlanilo esser di quelli,
('he si lascian pigliare al primo tratto,
E to8to ruppe il cerchio, eh' avean fatto.
68. Il cavalier d' Anglante, ove più spesse
Vide le genti e V arme, abbassò 1' asta,
i!d uno in quella, *; poscia un altro uu^^se,
lì un altro, e un altro, che sembrar di pa<«tu ;
V, fino a sei ve n'infilzò, e li resse
'J'utti lina lancia: e, perch' ella non basta
A più rapir, lasciò il settimo fuore,
Ferito fti, clic di quel colpo muore.
69. Non altrimenti nell' estrema arena
Vcggiam le rane de' canali e fosse.
Dal cauto arcier, nei fianchi e nella schiena,
L' una vicina all' altra e>ser percosse,
I\è dalla frec<:ia, finché tutta piena
]\on >ia da un capo all' altro, esser rimosse.
La grave lancia Orlando da sé scaglia,
K con la spada entrò nella battaglia.
70. Rotta la lancia, quella spada strinse,
Quella, che mai non fu menata in fallo,
E ad ogni colpo, o taglio, o punta, estinse
Quando uomo a piedi, e quando uomo a cavallo:
Dove toccò, sempre in Aermiglio tin>e
L'azzurro, il bianco, il verde, il nero e '1 giallo.
Duolsi Ciinosio, che la canna e 'I foco
Seco or non ha, quando v' avricUi più loco:
71. E con gran voce e con miiiarce chiede,
Che portati gli sian ; ma poco é udito :
Che chi ha ritratto a salvamento il piede
Nella città, non è d' uscir più ardito.
Il re frison, che fuggir gli altri vede.
D'esser salvo egli ancor piglia partito.
Corre alla ]iorta, e vuole alzare il ponte:
Ria troppo è presto ad arrivare il conte.
72. Il re volta le spalle, e signor lassa
Del ponte Orlando, e d' ambedue le porte;
E fugge, e inaanzi a tutti gli altri passa.
Mercé «he 'I su(» destrier corre più forte.
Non mira Orlando a quella plebe bassa;
A u«)le il fellon, non gli altri. porr(' a morte:
jMa il suo destrier sì al corso poco vale.
Che restio sembra, e chi fugge abbia l' ale.
73. D'una in un' altra via si leva ratto
Di vista al paladin : ma indugia ]>oco,
Che torna con nuove armi: che s' ha fatto
Portare intanto il cavo ferro, e l foco;
E dietro un «tanto postosi di piatto,
L' attende, conu^ il ca<ciatore al loco
Co' cani armati, e con lo spiedo attende
Il fior cinghiai, che ruinoso scende,
74. Che spezza i rami, e fa cadere i sassi,
E, ovunque «Irizzi 1' orgogliosa fronte.
Sembra, a tanto riuuor, «Ik^ si frac.issi
La selva inl(U-no, e che si svella il iiutnte.
Sta ('imosco alla posta, acciò non passi,
Seir/a pagargli il fio, 1' audace conte.
Tosto «'h' appare, allo spiriiglio tei'ca
Col foco il ferro, e qiu'l subito ^(•0(•ca.
75. Dietro lampeggia a gnì-^a di baleno,
Dinanzi si (>|)pia, e manda in arni il tuono.
Treman le mnr.i. «• sotto i pie il tt-rreno ;
Il ciel rimbomba al pavrnlo.-o sikhio.
L' iirdent»' slral, <lie spezza, e venir uu-no
Fa ciò che incanirà, e a nessim dà perdono,
Sibila e stride; ma, couh- è il delire
Di quel brutto as.^assin, non va a ferire.
7G. O sia la fretta, o sia la troppa voglia
D' uccider f|uel bacon, eh' errar lo faccia;
<) sia, che 'I cor, (remando, come foglia,
Faccia in>iemc tremare e mani e bracci.i ;
O la bonlà divina, che non voglia.
Che 1 suo ledei cimpion sì (osto giaccia:
Quel colpo al mentre del des(rier si torre,
Lu cacciò in terra, onde mai più non kurse-
[99]
ORLANDO FURIOSO. (IX. 77 92)
[iOOJ
77. C.ide A ten-ii il ravallo e 'l cavaliero:
La preme 1' un, la tocca l" .litro appena,
Che si leva si tle^tr» e ?ì k-g^gicni,
Come cresciuto gii sia possa e lena.
Quale il libico Anteo seiupie più fiero
Sorger solca dalla percossa arena,
Tal sorger parve, e che la forza, quando
Toccò il terren, si raddoppiasse a Orlando.
78. Chi vide mai dal cicl cadere il foco,
Che con sì orrendo suon Giove di-serra,
E penetrare, ove un rinchiuso loco
Carbon con zollo e con sahiitro serra;
Ch' appena ari iva, appena tocca un poco.
Che par, eh' avvampi il <;iel , non clic la terra,
Spezza le mura, e i gra^i marmi svelle,
£ fa i sassi volar sino alle stelle,
79. S' immagini, che tal, poiché cadeudt»
Toccò la terra, il paladino fosse.
Con sì fiero semlìiaiite aspro ed orrendo,
Da far tremar nel ciel Marte , si ui(».-.>e.
Di che smarrito il re fii-on , torcendo
La briglia indietro, per fuggir voltosse:
I\Ia gli fu dietro Orlando con più fretta,
Che non e^ce dall' arco una saetta.
80. E quel, che non avea potuto prima
Fare a cavallo , or farà essendo a piede.
Lo seguita sì ratto, eh' ogni stima
Di chi noi vide, ogni credenza e.cede.
Lo giunse in poca strada , ed alia cima
Dell' elmo alza la spada, e sì lo fiede.
Che gli parte la testa fino al collo,
L in terra il manda a dar l' ultimo crollo.
81. Ecco levar nella città si sente
Nuovo rumor, nuovo menar di spade;
Che l cugin di lìireno, con la gente,
Ch' avea condotta dalle sue contrade.
Poiché la porta ritrovò patente,
Era Acniito dentro alla cittade,
Dal paladino in tal timor ridutta,
Cile senza intoppo la può scorrer tutta.
82. Fugge il popolo in rotta, che non scorge,
Ci'.i questa gente >ia , né che domandi.
H'a poich' uno ed un altro pur s' accorge,
All' abito e al parlar, che son h'elanài,
Chiede lor pace, e "l foglio !)ianco porge,
E dice al capitan, che gli comandi,
E dar gli vuol contra i Frisoni ajuto.
Che 'l suo duca in prigion gli lian ritenuto.
83. Quel popol sempre stato era nimico
Del re di Fri.-a . e d' ogni suo seguace,
l'crchè morto gli avea il -ignore antico,
Ma pili, pcrch' era in into, empio e rapace.
()rlan(lo s" interpose, coii'.e amico
D' ambe le parti, e fece lor far pace;
Li- quali unite , non lasciar Frisone
Che non morisse, o non fosse prigione.
84. Ij<; porle delh; carceri gittate
A terra sono , e non si cerca chiave.
Direno al conte con parole grate
Mostra e isccr 1' obbligo, che gli havc.
Indi insieme, e con molte altre brigate,
Se IK- xanno, o\e attende Olimpia in nave.
Cosi la doima. a (-ni di ragion spelta
li duiiiiniu dell' isola, tua detta;
85.
Quella, che quivi Orlando avea condutto,
Kon con pensier, che far dovesse tanto;
Che le parca bastiir, che, posta in lutto
Sol lei, lo sposo avesse a trar di pianto,
Lei riverisce e onora il popol tutto.
Lungo saiebbe a raccontarvi , quanto
Lei Bireno accarezzi, ed ella lui,
Quai grazie al eonte rendano ambedui.
86. Il popol la donzella nel paterno
Seggi;» rimette , e fedeltà le giura.
Ella a Bireno , a cui con iiodo eterno
La legò Amor d' una catena dura,
Dello stato e di sé dcnia il goveriu) :
Ed egli, tratto poi «la un' altra cura.
Delie fortezze e di tutto il domiiio
Dell' isola giiardian lascia il cugino :
87. Che tornare in Selandia avea disegno,
E menar seco la fedel consi»rte;
E clicca voler fare indi nel regno
Di Frisa esperienza di sua sorte;
Perché di ciò 1' assicurava un pegno,
Ch' egli aiea in mano, e lo stimava forte:
La figliucla del re , che fra i cattivi.
Che vi tur multi, avea trovata quivi:
88. E dice , eh' egli vuol , eli' un suo germano,
Ch' era minor d' età, l' ahbia per moglie.
Quindi si parte il senator romano
Il di medesnu), che Bireno scioglie.
]\on volse porre ad altra cosa mano,
Fra tante e tante guadagnate spoglie.
Se non a quel tormento, eh' abbiam detto
Ch' al fulmine assimiglia in ogni effetto.
ti). L' intenzion non già , perchè lo tolle,
Fu per voglia d' usarlo in sua difesa;
Che sempre atto stiun» d' animo molle
Gir con vantaggio in qual si voglia impresa;
Sia per gittarlo in parte, onde non volle,
Che mai potesse ad uom più fr.re offesa.
E la polve e le palle e tutto il resto
Seco portò, eh' apparteneva a questo:
5)0. E cosi, poiché fuor della marea
Nel più protolido unir si vide uscito.
Si, che segno lontan nini si vedea
Del destro più, né del sinistro lito.
Lo tolse, e disse: Perché più non stea
]\Iai eavalier per le d' essere ardilo.
Né, quanto il buono vai, mai più si vanti
11 rio per te valer, qui giù rimanti!
f)J, O maladetto , o abbominoso ordigno,
Cile fabbricato nel tar;areo fondo
Fosti per man dì Bei/.elìà maligno,
C'Iit^ rniinir per te disegnò il ir.ondo,
Air inferno, onde uscisti, ti r.issigno !
Così dicendo , lo git!ò in profondo.
Il vento intanto le gonfiale \el(^
Spiiige alla vìa deli' isola crudele.
02. Tanto desire il p.iladino preme
Di sa|)er , se la iloniia ì\i si tro\a,
(Jir ama a-sai |)iù, ehi- tutto il mondo insieme
Né un' ora senza lei >iver gii gio\a,
Cile, se in Ibernia nnùie il piede, teme
Di non dar lem|io a (|ii<ilche cosa nuova:
Si «'ir abbia poi da dire invano: Ahi lasso,
( h' al \enir mio non alVrettai più il passo!
[101]
ORLANDO FURIOSO. (IX. 93.94. X. 1—10)
[102]
93. Né scala in Inghilterra, né in Irlanda
>liiì lasciò far, nò sul contrario lito.
Mii lasciamolo andar , dove lo n^anda
!1 nudo arcier , che 1' ha nel cor ferito,
l'rimach' io più ne parli, io to' in Olanda
Tornare, e toì meco n tornarvi imito;
Che. come a me, so spiacerclihe a voi.
Che quelle nozze fos?:iii senza noi.
94
Le nozze belle e sontuose fanno,
3Ia non sì sontuose, né sì belle.
Come in Selandia dicon che saranno.
Pur non disegno, che vegniate a quelle;
Perchè nuovi accidenti a nascer hanno
Per disturbarle ; de' quai le novelle
Air altro canto vi farò sentire.
Se all' altro canto rai verrete a udire.
CANTO DECIMO.
ARGOMENTO.
Olimpia lascia il vii Jìireno ingrato,
Àrdi'Jìfìo tutto di novello amore.
Dalle forze d' Alvina alfin campato
Rvggier cavalca alla fata migliore,
La qiial gli torna il suo corsiero alato;
E la gente, che va alV imperatore.
Vede a Tamigi; e daW orca marina
Salva la donna, del Calai regina.
[. Fra quanti amor, fra quante fedi al mondo
Mai si trovar, fra quanti cor costanti,
Fra quanti , o ])er dolente, o per giocondo
Stato, fér prove mai famosi aniiiiiti,
Piuttosto il jìrimo loco, che 'I se<(>ndo.
Darò ad Olimpia; <', s»; pur non va iiinanti,
Hen vdglio dir. che fra gli antichi e nuovi
Maggi(U' dcir amor suo non si ritrovi,
1. E clie eon tante e con sì chiare no!«
ni questo ha fatto il su(» liinmo certo.
Clic douiui più far certo uomo non piuitc,
Qiiand' ance» il petto e '1 cor mostrasse aperto
K, se anime sì fide e sì devote
1)' un reciproci» amor deniu) aver merto,
Dico, cir Olimpia è degna, che non meno,
Au/i pili die sé, ancor T ami Hireiio;
K che non pur non 1' abbandoni mai
Per altra donna, se l)en fosse quella,
Cir i']iir(i|ia eil A^ia mi>e in tanti guai,
O fv. alira ha maggior titolo di liclla;
IMa, piuttosto cIh^ lei, lasci, co' rai
Del sol, r odilo e il giist(» , *• la favella,
K la Aita, e la fama, e se altra cosa
Dire, o |iensar si può più pr(■/i^»^a.
Se Hireiio anni lei, eouu* ella amalo
liiieno uvea ; se fu sì a lei fedel»-.
CoUH! ella a lui; se mai non ha voltato
Ad altra ^ia, che a seguir lei, le \ i\r ;
Oppur, se a tanta servitù fu ingrato,
A tanta fede «• a tanto auuir crudele:
lo vi vo' dire, e far di maraviglia
Stringer le labbra, ed inarcar le ciglia.
5. E poiché nota 1 empietà vi fia.
Che di tanta bontà fu a lei mercede.
l)(ume, alcuna di voi mai |>iù non sia.
Che a parole d' amante al>bia a dar fede!
L' amante, per aver quel che disia.
Senza guardar, che Dio tutto ode e ve;le.
Avviluppa i)r(imesse e giuramenti,
Che tutti spar^^jon poi per l aria i venti.
6. I giuramenti e le promesse vanno
Dai venti in aria dis-ipate e sparse,
Tostoclìè trntta qni'sti amiinti s' hanno
1/ avirla sete, che gli acce>e ed arse.
Siate a' prieghi ed a' pianti, che vi fanno,
Per qiiesto e-empio . a credere j;iù scarse!
Ben è ielice quel , donne mie care,
Ch' essere accorto all' altrui spe^e im;iare.
7. Guardatevi da questi, che. sul fiin-c
De' lor hegli anni, il viso bau sì polito;
(]hè presto nasce in loro , e |)resto muore,
(gitasi un foco di paglia , ogni appetito.
Come segue la lejire il cacciatore
Al freddo, al calcio. aUa montagna, al lito,
I\è più la stima , poiché presa vefle.
E sol dietro a chi fugge alfretta il piede:
8. Così fan questi giovani , che tanto
Clic vi mostrate lor dure e proterve,
V amano e ri\('riscono con quanto
SUuIio de' far. chi led<'lmente serve:
IMa non sì foste) si |)otran dar vanto
Della vittoria, che di donne ser^e
Ai d«vrrete esser l'afe, e da >oi lol.o
Aedrete il falso anu)re. e altrove volto.
9. Non vi vieto |ier questo, (eh' a\rei torto)
Che vi lasciate amar; che, senza amante,
Sareste ciuue iiiculta vite in orlo.
("he non ha palo, o>e s" appoggi, o piante.
Sol la prima lanugine vi e>orlo
'liitla a fuggir, >oliiI)ile <• incosfinte,
E corre i frutti non accrl)i e duri,
.Ma che non sien p«-rò tnippo maturi.
10. Di >opra io vi dicea , eh' una figliu:ila
Del re di Frisa quiti lianiu» troiata.
Che iia , per i|iianto n' lian mo>so parol.i.
Da nircno al fratel per moglie data.
!Ma, a dire il \ero , esso %* a\ea la gola:
('he vitanda era troppo delicata:
E riputato a^ria corle>ia sciocca.
Per darla altrui, levarcela di liocca
7 ♦
[103]
ORLANDO FURIOSO. (X. 11-26)
[104]
11. La damigella non passava ancora
Quattordici anni , ed era bella e fresca.
Come rosa, che spunti allora allora
Fuor della buccia, e coi sol nuovo cresca.
Non pur di lei Bireno s' innamora,
3Ia foco mai co?ì non accese esca,
Kù se lo poiignn 1' invide e nemiche
Mani talor nelle mature spiche,
12. Come egli se n' accese immantinente.
Come egli n' ar?e fin nello medolle;
Chù sopra il padre morto lei dolente
Vide di pianto il bel viso far molle :
E come suol, se 1' acqua fredda sente,
Quella restar , che prima al foco bolle.
Così r ardor, eh' accese Olimpia, vinto
Dal nuovo successore, in lui fu estinto.
13. Non pur sazio di lei , ma fastidito
N' è già cosi, che può vederla appena;
E sì dell' altra acceso ha l' appetito.
Che ne morrà, se troppo in lungo il mena.
Pur, finché giunga il dì, eh' ha statuito
A dar fine al disio , tanto l' affrena.
Che par, eh' adori Olimpia, non che V ami,
E quel che piace a lei, sol voglia e brami.
14. E se accarezza 1' altra, (che non punte
Far, che non l' accarezzi più del dritto)
Non è chi questo in mala parte note.
Anzi a pictade, sinzi a b<nità gli è ascritto:
Che rilevare un , che fortuna ruote
Talora al fondo , e consolar l' aKlitto,
Mai non fu biasmo, ma gloria sovente;
Tanto più una fanciulla, una innocente.
15. Oh sommo Dio , come i giudicj umani
Spesso offuscati son da un neml)o oscuro !
I modi di Bireno , empj e profani,
Pictofi e santi riputati furo.
1 marinari, già messe le mani
Ai remi , e sciolii dal lito sicuro,
Poitavan lieti pe' salati stagni
Verso Selandia il duca e i suoi compagni;
16. Già dietro rimasi erano e perduti
Tutti di ■\ista i termini d' Olanda;
Che , per non toccar l'ri>a , più tenuti
S' eran ver Scozia alla ^inistra banda;
Quando da un vento far sopravvenuti,
Ch" errando in alto mar tre dì li nnmda.
Sorsero il terzo , già presso alla sera,
Dove inculta e deserta un' isola era.
17. Tratti che si fur dentro un piccini seno,
Olimpia venne in terra, e con diletto
In c<Mnpagiùa dell' infcdel Binano
Cenò contenta , e fuor d' ogni sospetto:
Indi con Ini là, do^e io loco ameno
'JVso era nn padiglione, entrò nel letto.
Tutti gli altri compagni rilornaro,
E sopra i legni lor .-i riposaro.
18. il travaglio del mare e la paura,
Che tenuta alcun dì 1' av(^ano desta;
Il ritr(i\ai>i al lito tua sicura,
Lontana dal rnnitir , nell.i foresta ;
I'^ clur iie«snn pendice, nessuna cura.
Poiché '1 suo amante ha seco, la molesta,
Fur ragion , eh' eltbe Olimpia sì gran sonno,
Che gli orsi e i ghiri aver maggior noi ponno.
19. Il falso amante, che I pensati ingannì
Vegghiar facean, come dormir lei sente,
Pian piano esce del letto, e, «le' suoi panni
Fatto nn fastel , non si veste altramente ;
E lascia il padiglione, e, come i vanni
Nati gli sian , rivola alla sua gente,
E li risveglia, e senza udirsi un grido.
Fa entrar nell' alto , e abbandonare il lido.
20. Rimase addietro il lito, e la meschina
Olimpia, che dormì senza de.^tarse,
Finché r Aurora la gelata brina
Dalle dorate r:!ote in terra sparse,
E s' udir le Alcioni alla marina
Dell' anti(M) inf<irtunio lamentarse.
Né desta, né dormendo, ella la mano
Per Bireno abbracciar stese , ma invano.
21. Nessuno trova ; a sé la man ritira :
Di nuovo tenta, e pur nessuno trova:
Di qua r nn braccio , e di là 1' altro gira.
Or r una, or 1' altra gamba, e nulla giova.
Caccia il sonno il timor; gli occhj apre, e mira;
Non vede alcuno. Or già non scalda e cova
Più le vedove piume, ma si getta
Del letto, e fuor del padiglione in fretta,
22. E corre al mar , graffiandosi le gote,
Presaga e certa omai di sua fortuna.
Si straccia i crini , e '1 petto si percuote,
E va guardando (che splendea la luna^
Se veder cosa, fuorché 'l lito, puote;
Né , fuorché 'l lito , vede cosa alcuna.
Bireno chiama , e al nome di Bireno
liispondean gli antri , che pietà n' a^ iéno.
Quivi sorgea nel lito estremo un sasso,
23.
Ch' avep.no 1' onde , col picchiar frequente,
Cavo , e ridotto a guisa d' arco, al basso,
E stava sopra il mar curvo e pendente:
Olimpia in cima vi salì a gran passo,
(Così la tacca 1' animo possente)
E di Imitano le gonfiate vele
"\ ide fuggir del suo signor crudele,
24. Aide lontano, o le parve vedere;
Cile r aria chiara ancor non era molto.
Tutta tremante si lasciò cadere,
Più bianca , e più, che neve, fredda in volto.
IVla poiché di legarsi elibe potere,
Al cammin delle iiav i il grido volto.
Chiamò, quanto potca chiamar più forte,
Più volte il nome del crudel consorte :
25. E dove non potca la debil voce.
Suppliva il pianto, e 1 batter palma a palma.
Dove fuggi, crudel, così veloce?
Non ha il tuo legno la debita salma;
Fa, che levi me ancor: poco gli nuoce,
Clic porti il corpo , poiché porta 1' alniiU
E con le braccia e con le vesti segno
Fa tuttavia, perché ritorni il legno.
26. Ma i venti , che portavano le vele
Per r alto mar di quel giovane infido,
Portavano anco i preghi e l<; querele
Dell' infelice Olimpia, o 'i pianto e '1 grido;
lia «piai tre volle , a sé stcsssa crudele.
Per affogarsi si spiccò dal lido:
Piin^ alfin si levò da mirar V acque,
E ritornò, dove la notte giacque;
[105]
ORLANDO FURIOSO. (X. 2T— 42)
.
[106]
27. E con la faccia in giù stesa sul letto,
Bagolandolo ili pianto, dice a lui:
lersera desti insìciuc a due ricetto,
Perchè insieme al levar non siamo dui?
Oh perfido Bireno! Olimaladetto
Giorno , eh' al mondo p:cnerata fui !
Che debbo far ? Che poss' io far qui sola ?
Chi mi dà ajuto, cime! chi mi consola?
28. Uomo non veggio qui , non ci veggio opra,
Donde io pos.*a stimar, eh' uomo qui sia:
Kave non veggio , a cui salendo sopra.
Speri iillo scampo mio ritrovar via.
Di disagio morrò , né chi mi copra
Gli occhj sarà , nò chi sepolcro dia,
Se forse in ventre lor non me lo danno
Jlupi, oimè! che in queste selve stanno.
29. Io sto in sospetto , e già di veder parmi
Di questi boschi orsi o leoni uscire,
O tigri , o fere tal , che natura armi
D' aguzzi denti , e d' unghie da ferire.
jHa quai fere crudel potriano farmi,
Feracrudel, peggio di te morire?
Darmi una morte, so, lor parrà asvai;
ÌL, tu di mille , oimè ! morir mi fai.
80. Ma presuppongo ancor, eh' or ora arrivi
Nocchicr, che per pietà di qui mi porti,
E così lupi , orsi e leoni schivi,
Strazj , disagi, ed altre orrihil morti:
Mi porterà forse in Olanda, s' ivi
Per te si guardan le fortezze e i porti?
Mi porterà alla terra, ove soii nata.
Se tu con fraudo già me 1' hai levata ?
31. T» m' hai lo stato mio , sotto pretesto
Di parentado e d' amicizia, tolto.
Ben ft)sti a porvi le tue genti [iresto,
Per avere il dominio a te rivolto.
'J'(»rnerò in Fiandra , ove lio venduto il resto,
IM eh' io vivea , benché non fosse molto,
Per sovvenirti , e di prigione trarte?
Meschina! dove andrò? ^on si», in qual parte.
32. Debbo forse ire in Frisa , ove io potei,
E per te non vi volsi , e.-ser regina ?
Il «he dc^l padre e «le' fratelli miei,
E d' ogni altro mio ben fu la mina.
Quel «;li' ho fatt«> per te , iu)u ti vorrei,
Ingrato, improxerar, né di>eipliiia
Dartene, cIk; n<ui uien di nu; lo sai :
Or ecco il guiderdou , che me ne dai!
83. Deh! purché da color, che \nnno in corso,
Io non sia])resa, e poi venduta schiava;
Priniarhè que^t«>, il lupo, il leon , V orso
Venga, e la tigre, e «)gn' altra fera bra^a.
Di cui r ugna mi stratMM , e franga il morso,
E inm'ta mi strascini alla sua (;ava!
C«isì dicendo, le mani si caccia
Me' clipei d' oro , e a cio(H;a il ciocca straccia.
34. C«)rre di nuovo in sull' <;strema sabbia,
E ru«tta il capo , e sparge all' aria il crine,
E sembra fors<>nnata, <; «^h' atldoss«) abbia,
>*ni IMI demonio sol, ma le d<-cini-;
O qual Eciiba. già conversa in rabbia,
V'ist«>si morto P«tlidoro alfìno.
Or si ferma su un Hass«i, e giuirda il mare,
Né meii d' un vero suttso un kiiu>o pare.
35. Ma lascìamla doler, finch' io ritorno,
Per voler di Ruggier dirvi pur anco,
Che nel più intenso ardor del mezzogiorno
Cavalca il lito , aflaticato e stanco.
Percuote il sol nel colle , e fa ritorno ;
Di sotto bolle il sabbion trito e bianco:
Mancava all' arme , eh' avea indosso , poco
Ad esser, come già, tutte di foco.
36. Mentre la sete , e dell' andar fatica
Per r alta sabbia, e la solinga via
Gli facean, hmgo quella spiaggia aprica,
Nojosa e dispiacevol compagnia.
Trovò , eh' all' ombra d' una torre antica,
Che fuor dell' onde appresso il lito uscia,
Della corte d' Alcina eran tre donne,
Che le conobbe ai gesti ed alle gomie.
37. Corcate su tappeti alessandrini
Godeansi il fresco rezzo in gran diletto.
Fra molti vasi di diversi vini,
E d' ogni buona sorte di confetto.
Presso la spiaggia co' flutti marini
Scherzando le aspettava un lor legnetto.
Finché la vela empiesse agevol ora ;
Ch' un fiato pur non ne spirava allora.
38. Queste, eh' andar per la non ferma sabbia
Yider Ruggiero al suo viaggio dritto,
Che sculta avea la sete in sulle labbia,
Tutto picn di sudore il viso afllitto,
Gli cominciaro a dir , che sì non abbia
11 cor volonteroso al cammin fitto,
(]h' alla fresca e dolce ombra non si pieghi,
E ristorar lo stanco corpo nieghi.
39. E di lor una s' accostò al cavuUo
Per la staffa tener , che ne scendesse ;
L' altra con una coppa di cristallo
Di vin spumante più sete gli messe.
Ma Ruggiero a quel suou non entrò in ballo ;
Perchè d' ogni tardar , che fatto avesse.
Tempo di giunger dato avria ad .Vicina,
Che venia dietro ed era omaì vicina.
10. Non così fin salnitro e zolfo puro.
Tocco dal fuoco , subito s' avvampa,
Né cosi freme il mar, quando 1" oscuro
Turbo dis«K'nde, e in nie/.zo se; gli accampa.
Come, vedendo, che Ruggier sicuro
Al suo dritto cammin V arena stam[>a,
E «'he le sprezza, (e pur si tenean belle)
D' ira arse e di furor la terza d" elle.
41. Tu non sci né gentil, né ca^aliero,
(Dice gridando quanto può più Torte)
Ed liai rubate 1' arme, e ipui de^t^ic^o
Non saria tuo per Atrun' altra ^orte;
E c«)si, ««tme lu'u m' appongo al vero.
Ti vedessi punir di d«'gna nuirte.
Che (ox>ì fatto in quarti, arso o impiccato,
Itruttt» ladron, viliau, superbo, ingrato!
42. Oltre a quc^te e uutit' altre ingiiuiose
Parole , «he gli usò la doiuia altera,
Aiicor«:lié mai Ruggier non le ri-p«tse,
C'Iie «li .■>! \ìl ten/on poco oiior .-pera.
Con l«^ sorelle to>to ella si pose
Sul legno in mar , «he al (or servigio v" era,
Ed alIVettando i remi lo >egMÌ\a.
\ eili-ndol tuttavia dietro alla ri\.i
[lOÌ]
ORLANDO FURIOSO. (X. 43-58)
[108]
4o. Minaccia sempre , maledice, eincarca;
Cile V onte sa trovar per ogni punto.
Intanto a quello stretto , onde si varrà
Alla fata più bella, è Rnggier giunto,
Dove un verrhio nocchiero una sua barca
Scioglier dall' altra ripa vede RpjMinto.
Come, avvisato e già provvisto, (piivi
Si stia aspettando, che Ruggiero arrivi.
44. Scioirlie il nocchier, come venir lo ve.!.',
Di trasportarlo a miglior ripa lieto;
Che, se la farcia psiò del cor dar fede,
Tutto l)enigno e tistfo era discreto.
Pose Uuggier sopra il navìglio il piede,
Dio ringraziando, e ]>er lo mar quieto
Ragionando venia col galeotto
Saggio, e di lunga esperienzia dotto.
45. Quel lodava Ruggier, che si s' avesse
Saputo a tempo tor da Alcina, e innantì
Che 'I calice incantato ella gli desse,
Cli' avea alfin dato a tutti gli altri amanti ;
E poi , che a Logistilla si traesse,
Dove veder potria costumi santi.
Bellezza eterna , ed infinita grazia,
Clie 'l cor nudrisce e pasce, e mai non sazi.i.
46. Coste? . dicea , stupore e riverenza
Induce all' alma , ove si scopre j)riiua.
Conteniiila meglio poi 1' alta presenza.
Ogni altro hen ti par di poca stima.
D suo amore ha dagli altri differenza:
Speme, o timor, negli altri, il cor ti lima;
In questo il desiderio più iu)n chiede,
E contento rimnn , come la vede.
47. Ella t' insegnerà studj più grati,
Che su()ni, danze, odori, hngni e cibi;
lila come i pen-ier tiu)i meglio formati
Poggin più ad alto, che per 1" aria ì nihi;
E come della gloria de' beati
Ael mortai corpo ])arte si delibi.
Co-ì parlando il marinar veniva
LontaiK» ancora alla sicura riva,
48. Quando vide scoprire alla marina
Molti naviglj . e tutti alla sua volta.
Con quei ne vien 1' ingiiu'iata Alcina;
E molta di sua gente avea rac<-olta.
Per por lo stato e sé stessa in mina,
O racqui>tar la cara cosa tolta.
E ben' è Ani(»r di «;iò cagion non lieve.
Ma r ingiuria n(m inen , cJie ne riceve.
4fl. Ella non ebbe sdegno , dacliè nacqite.
Di questo il maggior mai, eh' ora la rode:
Onde fa i remi sì affrettar per 1" acque,
Che la spuma ne sj)arge ambe le jirode.
Al gran rumor uè mar, uè ripa t:i(que.
Ed eco risonar jx-r tutto s' ode.
Scopri, Ruggier, lo scudo! che bisogna;
Se non , sci morto o preso «-on vergogna.
50. Co-i disse il nocchier di Eogistilla:
Ed, oltre il d»-tlo, egli luedesnu) prese
La tasca, e dallo scudo di|)arlilla,
E fé" il lume di quel chiaro e |)ales<-.
L' incantalo splendor, che ne sfuviila,
Gli ocehj degli awersiirj co-i olfese.
Che li le' re.-lar ciechi allora allora,
E cader chi da poppa, e chi da prora.
5L Un, eh' era alla veletta in sulla rocca,
Dell' armata d' Alcina si fu accorto,
E la campana martellando tocca.
Onde il soccorso \ìvn subito al porto.
L' artiglieria, come tempesta, fiocca
Centra chi vuole a! bunti Ri'ggier far torto;
Sì, che gli venne d' ogni parte aita,
Talché salvò la libertà e la vita.
52. Giunte soil quattro donne in sulla spiaggia.
Che subito ha mandate Logistilla:
La valorosa Andronica, e la saggia
Fronesia , e 1' onestissima Dicilhi,
E Sofrosìna casta., che, come aggia
Quivi a far più, che 1' altre, arde e sfavilla.
L' esercito, eh' al mondo è sen.a pare.
Del castello esce , e si distende al mare.
53. Sotto il Castel , nella tranquilla foce,
Di molti e grossi legni era un' armata,
Ad un botto di squilla , ad una voce,
Giorno e notte a battaglia apparecchiata.
E così fu la pugna aspra ed atroce
E per acqua e per terra incominciata,
Per cui fu il regno sottosopra volto,
Ch' avea già Alcina alla sorella tolto.
54. Oh di quante battaglie il fin successe
Diverso a quel, che si credette innante!
Non sol eh' Alcina allor non riavesse
(Come stimossi) il fuggitivo amante.
Ma delle navi , che pur dianzi spesse
Fur sì , eh' appena il mar ne capi.i tante,
Fuor della fiamma , che tutt' altre avvampa,
C<in un legnetto sol misera scampa.
55. Fuggesi Ah'ina , e sua misera genie
Arsa e presa riiuan, rotta e soujuuTsa.
D' aver Ruggier perduto ella si sente
Via più doler , che d' altra cosa avA ersa.
iNotte e dì per Ini geme amaramente.
E lagrime |>er Ini dagli ocehj versa,
E, per dar fine a tanto aspro martire,
S]ies-o si duol di nini j)otcr morire.
56. Morir non ptiote alcuna fata mal,
Finché '1 sol gira, o '1 ciel non muta stilo.
Se ciò non fosse, era il dolore assai.
Per mover Cloto ad innasparle il filo;
O, qual Didon, finia col ferro i guai;
O la regina splendida del Nilo
Avria imitata con mortifer sonno:
Ma le f.ite morir sempre non ponno.
57. l'orniamo a quel di eterna gloria degno
Ruggiero, e Alcina stia nella sua pena!
Dico (li Ini. che poiihè l'uor del legno
Si fu condotto in j)iù sicura arena.
Dio ringra/ianilo. che tntto il disegno
Gli era successo, al mar voltò la s(-hiena.
Ed allrellando per 1' asciutto il piede.
Alla rocca ne va, che qiiiii siede.
58. Né la più forte ancor, né la più bella
Mai Aide occhio imtrlal . pri'iui, né dopo.
Soti di più pre/.'/.o h* mura di quella.
(>lie se diamante fos-ino, o piropo.
Di tai geuinu- ((uaggìù inni si faxclla.
Ed a chi ^ noi notizia averne, é d uo|)0
('he vada quivi; che ncui credo altrove.
Se n(ui forse su in «iel . se ne rilro^e.
i09]
ORLANDO FURIOSO. (X. 59-74)
[110]
59. Quel clie più fa, che lor s'inchina e cede
0""ni altra gemma, è, clic mirandi» in esse,
L'uom sino in mezzo ali' iinima s^i voile,
Vede suoi vizj e sue AÌrtiidi espresse,
Sicché a lusinghe poi di sé non crede,
]\c a clii dar hiasnio a torto js^li volesse:
Tassi, mirando allo specchio lucente,
Sé stesso conoscendosi prudente.
CO. Il chiaro lume lor, che imita il sole,
Manda splendore in tanta copia intorno,
Che, chi riia, ovunque sia, sempre che vuole,
Febo, mal grado tuo, si può far giorno.
Ré mirahil vi ?on le pietre sole,
Ma la materia e 1' arlificio a. i orno
Contendon ^ì, che mal giudicar puo^^si,
Qual delle due eccellenze maggior fossi.
61. Sopra gli altissimi archi, che puntelli
Pareau , che del elei fossino a vederli,
Eran gi.udin sì spaziosi e belli,
(/he j.aria al piano anco fati<;a averli:
A erdeggiar gli odoriferi lubuscelli
Si pon veder fra i luminosi merli;
Che adorni son, l'estate e'I verno, tutti
Di vaghi fiori e di maturi frutti.
62. Di così nobili arbori non suole
Prodursi fuor di questi hei giardini ;
I\é di tai r(»se , o di simil viole.
Di gigli, di amaranti, o di gesmini.
Altrove appar , come a mi medesmo sole
E nasca , e viva , e morto il capo inchini,
E come lasci vedovo il suo stelo
11 fior , soggetto al variar del cielo :
63. Ma quivi era perpetua la verdura,
Perpetua la heltà de' fiori eterni:
]Son, che benignità della natura
Sì temperatamente li governi;
Ma Logi-tìlla, con suo studio e cura,
Senza b^^ogno de' moti superni,
(Quel che agli altri impossibile parca)
Sua primavera ognor ferma tenea.
64. Logistilla mostrò m(»lto aver grato,
Ch"a lei venisse mi sì gentil signore,
E comaiulò , che fosse accarezzato,
E die studiasse ognim di fargli onore.
Gran pe zo innau/.i Astolfo era arrivato,
Che visto da lluggier fu di buon core:
Fra poclii gioiiii ^ciuier gli altri tutti,
Ch' all' esser lor Melissa avca ridutti.
(i§. Poiché ffi fur posati im giorno e dui,
Venne Kuggiero alla fata prudente
Col duca Asttilfo, che non meu di lui
Avea desir di riveder Pont-iite.
Melissa le parlò per ambedui,
E supplica la fata umìlemente,
Cile li concigli, favorisca e ajiilì
Si , che ritorniu donde eraa venuti.
(>6. Disse la fata: lo ci porrò il pensiero,
E Tra due dì ti; li darò e.-^peiiili.
Di -< iure poi tra sé, conu; Kiiggiero,
E dopo Ini , collie <|iicl duca aiti :
Co.icliiiiile iiiiìii, rlie'l \olator destriero
Uiionii il primo agli a(|uilaui liti ;
iMa prima \uol, che ne gli faccia mi morso,
Con clic 1(» volga, o gli ruil'reiii il cordo.
67. Gli mostra, come egli abbia a far, se vnoI(*.
Che poggi in alto , e come a far , che cali,
E come, se vorrà, che in giro vole,
O v-ada ratto, o che si stia sull' ali;
E quali effetti il cavalier far suole
Di buon destriero in piana terra, tali
Iacea lluggier, che mastro ne divenne,
Per l'aria , del destrier , ch'avea le penne.
G8.
Poiché Ruggier fu d'ogni cosa in pmito,
Dalla fata gentil commiato prese.
Alla qual restò poi sempre congiunto
Di grande amore, e uscì di quel paese.
Prima di lui, che se n'andò in buon punto,
E poi dirò, come il guerriero inglese
Tornasse, con più tempo e più fatica.
Al magno Carlo, ed alla corte amica.
69
Quindi parti Ruggier; ma non rivenne
Per quel!a via , che fé' già suo mal grado
Allorché sempre 1' ippogrifo il tenne
Sopra il mare , e terren vide di rado ;
Ma potendogli or far batter le penne
Di qua, di là, dove piìi gli era a grado,
Volle al ritorno far nuovo sentiero,
Come , schivando Erode , i magi fero.
10. Al venir quivi era , lasciando Spagna,
Venuto India a trovar per dritta riga.
Là , dove il mare orientai la bagna,
Dove una fata avea con 1' altra briga.
Or veder si dispose altra campagna,
Che quella, dove i venti Eolo instiga,
E finir tutto il cominciato tondo,
Per aver, come il sol, girato il mondo.
11. Quinci il Catajo, e quindi Mangiana
Sopra il gran Quinsaì vide passando:
Voltò sopra l' Imavo , e Sericana
Lasciò a man destra ; e sempre declinando
Dagl' iperborei Sciti all' onda ircana,
Giunse alle parti di Sarmazia; e quando
Fu , dove Asia da Europa ^i divide,
Russi e Pruteni , e la Pomeria vide.
12. Renelle di Ruggier fosse ogni desire
Di ritornare a Bradamante presto.
Pur, gustato il piacer, eh' avea di gire
(y'erraiido il mondo , non restò per questo,
Cir alli Polac( hi , agli I nglieri venire
Ron volesse anco, alli Germani, e al resto
Di quella boreale orrida terra,
E venne alfin nell' ultima Inghilterra.
73. Non crediate. Signor, che però stia
Per >ì lungo camiiiin sempre siili' alo.
Ogni scr.i air albergo se ne già,
Scliiv.indo a suo poier d' alloggiar male,
E spe.M- giorni e me-i in questa via;
Sì di veder la terra el mar gli cale.
Or presso a Londra giunto una mattina.
Sopra Tamigi il volator d«alina,
74. l><ne ne' prati alla città vicini
\ iile adunali iKniiiiii d'arine e fanti,
Cir a siioii ili lioiiibe e a siion di tamburini
\ liliali, parliti a belle sebiere, acanti
II liiioii Uiiialilo, oiior «!<■' paladini,
Di'l qual, se vi ricorda, io dissi ìiinanli.
Che, mandalo da Carlo, era venuto
III queste parli a ricercare ajuto.
ORLANDO FURIOSO. (X. 15-90)
[mi
75. Giunse appunto Ruggier, che si facca
La bella mostra fuor di quella terra;
E per sapere il tutto , ne chiedea
Un cavalier, ma scese prima in terra:
E quel , ch'affabil era , gli dicea,
Che di Scozia e d'Irlanda, e d Inghilterra,
E dell' isole intorno, cran le scliicre,
Che quivi alzate avean tante bandiere:
76. E finita la mostra che faceano,
Alla marina si distenderanno,
Dove aspettati, per solcar l'Oceano,
Son dai naviglj, che nel porto stanno.
I Franceschi assediati si recreano,
Sperando in questi, che a salvar li vanno.
Ma acciocché te n'informi pienamente,
10 ti distinguerò tutta la gente.
77. Tu vedi ben quella bandiera grande,
Ch' insieme pon la fiordiligi e i pardi;
Quella il gran capitano all' aria spande,
E quella han da seguir gli altri stendardi.
II suo nome, famoso in queste bande,
È Leonetto, il fior delli gagliardi.
Di consiglio e d' ardire in guerra mastro,
Del re nipote, e duca di Lincastro.
78. La prima appresso il gonfalon reale.
Che '1 vento tremolar fa verso il monte,
E tien nel campo verde tre bianche ale,
Porta Riccardo, di Varvecia conte.
Del duca di Glocestra è quel segnale,
Ch' ha due corna di cervo, e mezza fronte:
Del duca di Chiarenza è quella face;
Queir arbore è del duca d' Eborace.
79. Vedi in tre pezzi una spezzata lancia.
Gli è il gonfalon del duca di Norfozia.
La fulgure è del buon conte di Cimcia;
11 grifone è del conte di Pembrozia;
Il duca di Sufolcia ha la bilancia.
Vedi quel giogo, che due serpi assozia,
É del conte d' Esénia; e la ghirlanda
In campo azzurro ha quel di Norbclanda.
80. Il conte d' Arindelia è quel, eh' ha meijfo
In mar quella barchetta, che s' affonda.
Vedi il marchese di Bardei, e appresso
Di Marchia il conte, e 'l conte di Ritmonda;
Il primo porta in bianco un monte fesso,
L' altro la palma, il terzo un pin nell' onda.
Quel di Dorsczia è conte, e quel d' Antona;
Che 1' mio ha il carro, e I' altro la corona.
81. Il falcon, che sul nido i vanni inchina.
Porta Raimondo, il conte di Devonia:
11 giallo e negro ha quel di A'igorina;
Il can quel d' Erbia, un orso quel d' Ogonia.
La croce, che là vedi, cristallina
E del ricco prelato di Battonia.
Vedi nel bigio una spezzata sedia,
E del duca Ariman di Sormosedia.
82. Gli uomini d' arme, e gli arcieri a cavallo
Di quarantaduomila nuincr fanno;
Sono duo tanti, o di cent*» non fallo.
Quelli, clic a pie nella Iiattaglia vanno.
Mira quei segni, un bigio, un verde, un giallo,
E di nero e d' az7.ur listato un pann«) ;
Goffredo, Enrico, Ermante ed Odoardo
Guìdan pedoni, ognun cui suo atendardo.
rii2i
83. Duca di Bocchingamia è quel dinnantc;
Enrico ha la contèa di Sarisberia ;
Signoreggia Biirgcnia il vecchio Krinantej
Queir Odoardo è conte di Croìsberia.
Questi alloggiati più verso Levante
Sono gì' Inglesi. Or volgiti all' Esperia,
Dove si veggion trentamila Scotti,
Da Zerbin , figlio del lor re, condotti.
84. Vedi, tra due unicorni, il gran leone.
Che la spada d' argento ha nella zampa;
Quello è del re di Scozia il gonfalone;
Il suo figliuol Zcrliino ivi s' accampa.
Non è un sì bello in tante altre persone:
Natura il fece, e poi ruppe la stampa :
Non è , in cui tal virtù , tal grazia luca,
O tal possanza; ed è di Rosela duca.
85. Porta in azzurro mia dorata sbarra
Il conte d' Ottonici nello stendardo :
L' altra bandiera è del duca di Marra,
Che nel travaglio porta il leopardo.
Di più colori e di più augei bizzarra
Mira r insegna d' Alcabrun gagliardo.
Che non è duca, conte, né marchese,
Ma primo nel sabatico paese.
86 Del duca di Trasfordia è quella insegna.
Dove è r augel, eh' al sol tien gli occhj franchi.
Lnrcanio conte, che in Angoscia regna,
Porta quel tauro , eh' ha duo veltri ai fiancliì.
Vedi là il duca d' Albania , che segna
Il campo di colori azzurri e bianchi.
Queir avoltor, eh' un drago verde lania,
E r insegna del conte di Boccania.
87. Signoreggia Forbesse il forte Armano,
Che di bianco e di nero ha la bandiera ;
Ed ha il conte d' Erelia a destra mano,
Che porta in campo verde una lumiera.
Or guarda gì' Ibernesi appresso il piano:
Sono due squadre, e 'l conte di Childera
Mena la prima ; il conte di Dcsmonda
Da fieri monti ha tratta la seconda.
I 88. Nello stendardo il primo ha un pino ardente;
L' altro nel bianco una vermiglia banda.
Non dà soccorso a Carlo solamente
La terra inglese, e la Scozia, e l' Irlanda;
]Ma vien di Svezia e di Norvegia gente,
Da Tilc, e fin dalla remota Islanda;
Da ogni terra in somma, che là giace,
Nimica naturalmente di pace.
89. Sedici mila sono , o poco manco.
Delle spelonche usciti e delle selve.
Hanno peloso il viso, il petto, il fianco,
E dossi, e braccia, e gambe, c»»me belve.
lnt«)rno allo stendardo tutto biancc»,
Par, che quel pian di lor lance s' inselvo:
Così Moratto il porta , il capo loro,
Per dipingerlo poi di sangue moro.
90. Mentre Ruggier di quella gente bella.
Che per soc<Murer Francia si prepara.
Mira le a arie; insegne, e ne lineila,
E de' signor britanni i nomi impara,
Uno ed un altro a lui, per luirar quella
Bestia, sopra cui biede, unica o rara,
Maraviglioso corre , e stupefatto ;
E toaitu il cerchio intorno gli fu fatto,
[113]
ORLANDO FURIOSO. (X. 91 — 106)
91. Sicché, per dtare ancor più maraviglia,
E per pigliarne il buon Ruggier più gioco,
Al volante cor:<ier scuote la briglia,
E con gli sproni al fianchi il tocca un poco.
Quel verso il elei per 1' aria il cammin piglia,
E lascia ognuno attonito in quel loco.
Quindi Ruggier, poiché di banda in banda
Vide gì' Inglesi, andò verso 1' Irlanda ;
92. E vide Ibernia fabulosa, dove
n santo vecchiarcl fece la cava,
In che tanta mercè par che si trove.
Che 1' uom vi purga ogni sua colpa prava.
Quindi poi sopra il mare il destrier muove,
Là dove la minor Bretagna lava;
E nel passar vide, mirando a basso,
Angelica legata al nudo sasso ;
93. Al nudo sasso, all' Isola del pianto,
(Che r isola del pianto era nomata
Quella, che da crudele e fiera tanto
Ed inumana gente era abitata)
Che, come io vi dicea sopra nel canto,
Per varj liti sparsa iva in armata
Tutte le belle donne depredando,
Per farne a un mostro poi cibo nefando.
94. Vi fu legata pur quella mattina,
Dove venia per trangugiarla viva
Quel smisurato mostro, orca marina.
Che d' abliorrcvol esca si nutriva.
Dissi di sopra, come fu rapina
Di quei, che la trovaro in sulla riva
Dormire al vecchio incantatore accanto,
Ch' Ivi 1' avea tirata per incanto.
95. La fiera gente inospitale e cruda
Alla bestia crudcl nel lito espose
La bellissima donna così ignuda.
Come natura prima la compose.
Un velo non ha pure, in che rincliiuda
I bianchi gigli e le vermiglie rose,
Da non cader per luglio, o per decembre,
Di che son sparse le polite lucmbre.
96. Creduto avrla, clic fosse statua finta,
0 d' alabastro, o d' altri marmi illustri,
Ruggiero, e sullo scoglio cosi avvinta
Per artifìcio di scultori industri.
Se non vedea la lagrima distinta
Tra fres(;he rose e candidi ligustri
Far rugiadose le crudette pome,
E 1' aura sventolar l' aurate chiome.
97. E come ne' begli occhj gli occhj affisse,
Della sua Hradamanlc gli sovvenne.
Pictade e amore a un tempo Io trafisse,
E dì piangere appena si ritenne;
E dolcemente alla d(ur/.ella disse,
Polche dei suo deslrier frenò le penne:
O donna, degua sol della catena,
Con che i suoi ser\i Amor legati mena,
98. E ben di qne>to, e d' ogni male indegna!
Chi è quel crudel, vìu:, con voler jìcrverso,
D' iuiporluno livor stringendo segna
Di queste b«llo man l avorio terso?
For/.a è, (;he a quel parlare ella divegna,
Qiial i: di grana un bianco avorio asp«Tso,
Di he vedendo qii(;||(> pinti igninb;
Che, ancorché belle sian, ^ergogna chiude.
Jili]
99. E coperto con man s' avrebbe il volto
Se non eran legate al duro sasso ;
Ma del pianto, eh' almen non l' era tolto
Lo sparse, e sì sforzò di tener basso,
E dopo alcun slngozzo il parlar sciolto.
Incominciò con fioco suono e lasso.
Ma non seguì, che dentro il fé' restare
Il gran rumor, che si sentì nel mare.
100. Ecco apparir Io smisurato mostro.
Mezzo ascoso nell' onda, e mezzo sorto.
Come sospinto suol da borea ed ostro
Venir lungo naviglio a pigliar porto,
Così ne viene al cibo, che 1' è mostro,
La bestia orrenda ; e I' intervallo è corto.
La donna é mezza morta di paura,
Kè per conforto altrui si rassicura.
101. Tenea Ruggier la lancia non in resta.
Ma sopra mano, e percoteva 1' orca.
Altro non so che s' assimigli a questa
Ch' una gran massa, che s' aggiri e torca;
IVè f(«-ma ha d' animai, se non la testa,
Ch' ha gli occhj e 1 denti fuor, come di porca.
Ruggiero in fronte la feria tra gli occhj ;
3Ia par che un ferro, o un duro sasso tocclii.
102. Poiché la prima botta poco vale.
Ritorna per far meglio la seconda.
L' orca, che vede sotto le grandi ale
L' ombra di qua e di là correr sull' onda
Lascia la preda certa litorale,
E quella vana segue furibonda ;
Dietro quella si volve e si raggira:
Ruggier giù cala, e spessi colpi tira.
103. Come d' alto venendo aquila suole,
Ch' errar fra Y erbe a isto abbia la biscia,
O che stia sopra un nudo sasso al sole.
Dove le spoglie d' oro abbella e liscia,
Non assalir da quel lato la vuole.
Onde la velenosa e sofl'ia e striscia,
Ma da tergo 1' adugna, e batte i vanni,
Acciò non le si volga, e non V azzanni :
104. Così Ruggier con l'asta e con la spada,
Non dove era de' denti armato il muso,
Ma vuol, che'l colpo tra 1' orecchie cada,
Or sulle schiene, or nella coda giuso.
Se la fera si volta, ei mnta strada,
Ed a tempo giù cala, e poggia in suso;
Ma, come sempre giunga irt un diiispro.
Non può tagliar lo scoglio duro ed aspro.
105. Siniil battaglia fa la mosca audace
Ctuitra il mastio nel polveroso agosto,
O nel mese dinnanzi, o nel seginirc,
L' mio «li spicbe, e T altro picn di mo<ito.
Negli occlij il punge, e nel grifo uutrdace
Aolagli intorno, v gli sta ><Mnpre acrosto;
E quel sonar fa spesso il dente ax'intto.
Ma un tratto «h'egli arrivi, appaga il tutto.
100. Sì forte ella nel mar balte la coda,
CIk; la tiiini» al cirl 1' acqua iruial/are,
'l'alche non sa, se 1' al<- in aria snoda,
() pur !>e'l suo d<'-<lrier nuota nel uiar<*.
(ìli è spe>M), che di-ia tro\ar>i a proda ;
Che, se lo >prn//.o ha in tal modo a durare.
Teme >i l'ale innallì all' ippc»griro,
(/'he brami invano avere o /.ucca, o •iciiii'o
[115]
ORLANDO FURIOSO. (X. 104-115)
[116]
107. Prese nuovo consiglio, e fu il migliore,
DI vincer con altre arme il mostro crndo.
Abbarbagliar lo yhoI con lo splendore,
Ch' era incantato nel coperto scudo.
Vola nel lito, e per non far errore,
Alla donna legata al sasso nudo
Lascia nel minor dito della mano
L'anel, che potea far l'incanto vano.
108. Dico l'anel, clie Bradamante avea.
Per liberar Ruggier, tolto a Briuiello,
Poi, per trarlo di man d' Alrina rea.
Mandato in India per Melissa ha quello.
Melissa (come dianzi io vi dicea)
In ben di molti adoperò 1' anello,
Indi a Riiggier 1' avea restituito,
Dal qual poi sempre fu portato in dito.
109. Lo dà ad Angelica ora, perchè teme,
Clie del suo scudo II folgorar non viete ;
E perchè a lei ne sien difesi insieme
GII occhj, che già 1' aveau preso alla rete.
Or viene al lito, e sotto il ventre preme
Ben mezzo li mar la snrisurata cete.
Sta Ruggiero alla posta e leva II velo,_
E par, eh' aggiunga mi altro sole al cielo.
110. Feri negli occhj 1' Incantato lume
111. La bella donna tuttavolta II prega,
Che invan la dura squama oltre non pesti.
Torna per Dio, signor ! prima mi slega,
(Dicea piangendo) che V orca si desti !
Portami teco, e In mezzo II mar mi annega ;
Non far, che In ventre al brutto pesce Io resti!
Ruggier, commosso dunque al giusto grido.
Slegò la donna, e la levò dal Udo.
112. 11 destrier punto, penta i pie all' arena,
E sbalza in aria, e per lo del giiloppa,
E porta il cavaliero in sulla schiena,
E la donzella dietro in sulla groppa.
Cosi privò la fera della cena.
Per lei soave e delicata troppa,
I Ruggier si va volgendo, e mille baci
' Figge nel petto e negli occhj vivaci.
[ll3. Non più tenne la via, come propose
Prima, di circondar tutta la Spagna,
Ma nel propinquo lito il destrier pose,
Dove entra in mar più la minor Bretagna.
Sul lito un bosco era di querce ombrose,
1 Dove ognor par che Filomena piagna ;
Che In mezzo avea un pratel con una fonte,
! E quinci e quindi im solitario monte.
1114. Quivi II bramoso cavaller ritenne
I L' audace corso, e nel pratel discese,
E fé' raccorrò al suo destrier le penne,
I aia non a tal, che più le avea distese.
Del destrier sceso, appena si ritenne
! Di salir altri ; nui tennel 1' arnese ;
L' arnese II tenne, che bisognò trarre,
E contra il suo desir mise le sbarre.
Di quella fera, e fece al modo usato.
Quale o trota, o scnglion va giù pel fiume,
Ch' ha coti calcina il montanar turbato.
Tal si vedea nelle marine schiume
Il mostro orriliilmente riversato.
DI qua, di là Ruggier percuote assai,
Ma di ferirlo via non ti'ova mai.
115. Frettoloso, or da questo, or da quel canto
Confusamente l' arme si levava.
Non gli parve altra volta mai star tanto ;
Che, se un laccio sclogllea, due n' annodava,
aia troppo è lungo oniai, Signore, Il canto,
E forse eh' anco 1' ascoltar vi grava,
Sì, eh' io differirò l' istoria mia
In altro tempo, che più grata sia.
[117]
ORLANDO FURIOSO. (XI. 1 — 12)
[118]
CANTO UNDECIMO.
ARGOMEyrO.
Angelica, daìV orca liberata,
Con r anello a liuagier fugge (lavante,
Il qual in una selva mentre guata.
Tede una domia in braccio ri' un gigante.
L* un segue, V altro fugge ; e via portata
Gli è la sua bella e cara Bradamantc.
Orlando Glimpia dal rio mostro scioglie,
E quella Oberto poi prende per moglie.
1. Qnantunqne debil freno a mezzo il corso
Animoso tlestrier spesso raccol<;a,
llaro è però, die di ragione il morso
Libidinosa furia addietro voifj^a.
Quando il piacere ha in pronto : a guisa d'orso,
Che dal mei non sì tosto si distolga,
Poiché glie n' è venuto odore al naso,
0 qualche stilla ne gustò sul vaso.
2. Qual ragion Ila, che U huon Ruggier ralTrenc,
Si che non voglia ora pigliar diletto
D' Angelica gentil, che nuda tiene
Nel solitario e comodo boschetto?
Dì Bradamante più non gli sovviene,
Che tanto aver solca fissa nel petto ;
E se ne gli so^vien pur, come prima, \
Pazzo è, se questa ancor non prezza e stiina, |
3. Con la qual non saria stato quel crudo |
Zcnocrate di li;ì più continente.
Gittate) area Uuggier l' asta e lo scudo,
E si traea 1' altre arme impaziente,
Quando, abl)as?ando nel bel ccu-po ignudo
La donna gli occlij vergognosamente,
Si vide in dito il prezioso anello.
Che già le tolse ad Albracca Brunello.
4. Questo è r ancl, eh' ella portò giù in Francia
La prima volta, che le' qu<l camiuino
Col l'ratel >uo, che v' iirreco la l.miia,
La qual iu ])()ì d' Aslollò pal.tditui.
<"on (picsto le' gì' iiu lUili u-cire in ciancia.
Di Malagigì al jx'tron di Mcilino.
Con questo Orlando ed altri una mattina
Tolse di servitìi di Dragontina:
5. (AMI qiu;sto usci in\i.^iliil dilla torre.
Dove 1' a\ea rinchiuda un vecchio rio.
A che Aoglio io tutte siu; prove accorre,
Se le hapele voi c(»»ì cdinc io?
Druucl hiii nel giroii gliel wìììw a torre;
('II' Agraiuanle d' merlo vhUr di>io.
Da indi in quii scuiiin; lortiiiia a sdegno
Lbbe cosici, (ìathè le tol.-e il regno.
6. Or che sei vede, come ho detto, in mano.
Sì di stupore e d' allegrezza è piena,
Che, quasi dubbia di sognarsi invano.
Agli occhj, alla man sua dà fede appena.
Del dito se lo leva, e a mano a mano
Sci chiude in bocca; e in men che non balena.
Così dagli occhj di Ruggier si cela.
Come fa il sol, quando la nube il vela.
7. Ruggier pur d' ogn' intorno riguardava,
E s' aggirava a cerco, come un matto :
]\Ia poiché dell' ancl si ricordava,
Scornato si rimase e stupefatto ;
E la sua inavvertenza bestemmiava,
E la donna accusava di quell' atto
Ingrato e discortese, che renduto
In ricompensa gli era del suo ajuto.
8. Ingrata damigella, è questo quello
Guiderdone, dicea, che tu mi rendi,
Che piuttosto involar vogli 1' anello,
Ch' averlo in don? Perchè da me nolpi-endi?
]Von pur quel, ma lo scudo, e il destricr snello,
E me ti d(»no, e come vuoi, mi spendi,
Solchè 'l bel viso tuo non mi nascondi !
Io so, crudel, che m' odi, e non rispondi.
9. Cosi dicendo, intorno alla fontana
Brancolando n' andava, come cieco.
Oh quante volte abbracciò I' aria vana,
Sperando la donzella abbracciar seco !
Quella, che s' era già fatta lontana,
I\Iai non cessò d' andar, che giunse a im speco.
Che sotto un monte era, capace e grande,
Dove al bisogno suo trovò vivande.
10. Quivi un vecchio pastor, che di cavalle
Un grande armento avea, facea soggiorno.
Le giumente pascean giù per la valle
Le tenere erbe ai freschi riv i intorno.
Di <|uà, di là dall' antro <rano stalle.
Dove fuggiano il sol del mezzogiorno.
Angelica quel dì lunga dimena
Là dentro fece, e non fu vista ancora.
11. E circa il vespro, poiché rinfrcscosij,
E le fu avviso esser posata assai,
In certi drappi niz/.i av viluppossi,
Dis^iiuil troppo ai portanienli gai,
Cylie verdi, gialli, pcr?i, azzurri e rossi
El>be, e di (piante foggt^ liinui mai.
I\on le |>uò tor jx-rò tanto uuiil goniiii.
Che bella non ra.-^.^cuiitri, e nobii donna.
12. Taccia, chi loda l'illidc o Neera,
O Aniarilli, o (ìalalca fugace;
('ile d' e.-sc alcuna sì bella non era,
Titiro e Melibeo, c«)u vo>tra pace.
I,a bella donna trae fuor della schiera
Dille giiiiiKiUe una, che più le piace;
Allora allora m- le fece iiuiante
L n pen^ier di tornarsene iu Le^ ante.
8 *
[119]
ORLANDO FURIOSO. (XI. 13-28)
[120]
ly. Ruggiero intanto, poich' ebbe gran pezzo
Indarno atteso, s' ella si scopriva,
E che s' avvide del suo error da sezzo,
Che non era vicina e non V udiva;
Dove lasciato avea il cavallo, avvezzo
In cielo e in terra, a riraont.ir veniva,
E ritrovò , che s' avea tratto il morso,
E salia in aria a più libero corso.
14. Fu grave e mala giunta all' altro danno,
Vedersi anco restar s-enza V augello.
Questo , non men che '1 femminile inganno.
Gli preme il cor; ma più che questo e quello,
Gli preme, e fa sentir nojoso aftanno
L' aver perduto il prezioso anello;
Ver le virtù non tanto, che 'n lui sono,
Quanto che fu della sua donna dono.
15. Oltre modo dolente si ripose
Indosso r arme, e lo scudo alle spalle.
Dal mar slungossi , e per le piagge erbose
Prese il cammin verso una larga valle,
Do^ e per mezzo all' alte selve ombrose
yide il più largo e '1 più segnato calle.
Kon molto va , eh' a destra , ove più folta
E quella selva , un gran strepito ascolta.
l6 Strepito ascolta , e spaventevol suono
D' arme percosse insieme ; onde s' affretta
Tra pianta e pianta, e trova due, che sono
A gran battaglia in poca piazza e stretta.
]Von s' hanno alcun riguardo , né perdono,
Per far , non so di che , dura vendetta.
L' uno è gigante alla sembianza fiero,
Ardito r altro e franco cavaliero.
17. E questo con Io scudo e con la spada
Di qua di là saltando si difende.
Perchè la mazza sopra non gli cada,
Con che il gigante a due man sempre offende.
Giace morto il cavallo in sulla strada.
Ruggier si ferma , e alla battaglia attende,
E tosto inchina 1' animo , e disia,
Che vincitore il cavalier ne sia.
18. Non che per questo gli dia alcun ajuto,
Ma si tira da parte, e sta a vedere.
Ecco col biiston gra^e il più membruto
Sopra r elmo a due man del minor fere.
Della percossa è il caAalier caduto.
L' altro, «Jie '1 vide attonito giacere.
Per dargli mm'te I' elmo gli di-laccia,
E fa sì , che Ruggier lo vede in faccia.
19. Vede Ruggier della sua dolce e bella
E carissima donna Hradamantc
Scoperto il viso ; e lei vede esser quella,
A cui dar morte vuol I' empio gigante;
Sicché a battaglia subito 1' appella,
E con la >paila nuda »i fa innante:
Ma <|u<-l , che uuo'n a pugna non attende,
La donna tramortita in braccio prende
20. E >-(•. V arreca in spalla, e ^ia la porta,
Come; lupo talor pi(-<'iolo agnello,
0 r aquila portar nelT ungliia tortil
Suole o t'uidMiho, o ^iiuile altro augello.
Vede Rng;;i<r , quanto il suo ajuto importa,
E vien correndo a più poter; ma (piello
Con tanta fretta i Ium;;Iiì pil^^i mena,
Che con gli occbj Ruggier lo segue appena.
21. Cosi correndo 1' uno, e seguitando
L' altro per un sentiero omliroso e fosco,
Che sempre si venia più dilatando,
In un gran prato uscir fuor di quel bosco. —
Non più di questo ; eh' io ritorno a Orlando,
Che 'I folgor, che portò già il re Cimosco,
Avea gittato in mar nel maggior fondo.
Perchè mai più non si trovasse al mondo.
22. 3Ia poco ci giovò; che '1 nimico empio
Dell' umana naturii , il qual del telo
Fu r in-.entor, eh' ebbe da quel 1" esemplo,
Ch' apre le nubi, e in terra ^ien dal ciclo,
Con qua>i non minor di quello scempio.
Che ci die, quando Eva ingannò col melo.
Lo fece ritrovar da un negromante
Al tempo de' nostri avi, o poco innante.
23. La macchina infernal di più di cento
Passi d' acqua, ove ascosa ste' molt' anni,
Al sommo tratta per incantamento,
Prima portata fu tra gli Alamanni,
Li quali uno ed un altro esperimento
Facendone, e il demonio, a' nostri danni,
Assottigliando lor via più la mente.
Ne ritrovaron 1' uso finalmente.
24. Italia e Francia , e tutte 1' altre bande
Del mondo bau poi la crudel' arte appresa.
Alcuno il bronzo in cave forme spande,
Che liquefatto ha la fornace accesa;
Bugia altri il ferro; e ehi picciol, chi grande
Il vaso forma, che più e meno pesa;
E qual bombarda, e qual nomina scoppio,
Qual semplice cannon, qual cannon doppio,
25. Qual ssigra , qual falcon , qual colubrina
Sento nomar, come al suo autor più aggrada,
Che '1 ferro spezza, e i marmi apre e mina,
E , ovunque passa , si fa dar la strada.
Rendi , miser soldato , alla fucina
Pur tutte r arme, eh' hai, fino alla spada,
E in spalla un scoppio , o un arcobugio prendlf
Che senza , Io so , non toccherai stipendj.
26. Come trovasti, o scellerata e brutta
Invcnziiin, mai loco in uman core?
Per te la militar gloria è distrutta,
Per te il mestier dell' arme è senza onore;
Per te è il valore e la virtù ridotta,
Che spesso par del Ituono il rio migliore;
Non più la gagliardia , non più 1' ardire
Per te può in campo al paragon venire.
27. Per te son giti ed anderan sotterra
Tanti signori e cavalieri tanti,
Primachè sia finita questa guerra,
Cile 1 nutndc», ma più Italia, ha messo in pianti.
Cile, s' io v' ho dett(», il detto mio non erra,
Che ben fu il più crudele, e il più di quanti
Mai furo al mondo ingegni empj e maligni,
Clii immaginò sì abbominosi ordigni.
28. E crederò, che Dìo, perchè vendetta
Ne sia in eterno, nel profondo chiuda
I)(;l cieco abisso quella maladetta
Anima appresso al maladetto Giuda.
Ma ^cguitiaulo il cavalier. che in fretta
Itrama trovarsi all' isola d' Ebuda,
Dove le liellt^ donne e delicate
Son per vivanda a uu mariu mostro date.
[121]
ORLANDO FURIOSO. (XI. 29 - « )
[122]
29. Ma quanto avea più fretta il paladino,
Tanto parca che men V avesse il vento.
Spiri , o dal lato destro , o dal timncino,
O nelle poppe , sempre è cojÌ lento,
Che si può far con lui poco camiiiino,
E rimanea tal volta in tutto spento.
Soffia talor sì avverso, che gli è forza
0 di tornare, o d' ir girando all' orza.
30. Fu volontà di Dio , che non venisse,
Priraachè '1 re d' Ibernia, in quella parte;
Perchè con più facilità seguisse
Quel, c:h' udir vi farò fra poche carte.
Sopra r isola sorti. Orlando disse
Al suo n()C(;hiero : Or qui potrai fcrinarte,
E '1 hattel darmi ; che portar mi voglio,
Senz' altra compagnia , sopra lo scoglio ;
31. E voglio la maggior gómona meco,
E r àncora maggior , eh' abbi sul legno.
Io ti farò veder, perchè 1' arreco,
Se con quel mostro ad affrontar mi vegno.
Gittar fé' in mare il pali.*chermo seco.
Con tutto quel , eh' era atto al suo disegno ;
Tutte r arme lasciò , fuorché la spada,
E ver lo scoglio sol prese la strada.
32. Si tira i remi al petto, e tien le spalle
Volte alla parte, ove discender vuole;
A guisa che, del mare , o della valle
Uscendo al lito, il salso granchio suole.
Era neir ora, che le chiome gialle
La bella Aurora avea spiegate al sole,
"Mezzo scoperto ancora , e mezzo ascoso,
Kon senza sdegno di Titon geloso.
83. Fattosi appresso al nudo scoglio, quanto
Potria gagliarda man gittare un sasso,
Gli pare udire e non udire lui pianto.
Si all' orecchie gli vien debole e lasso.
Tutto si volta sul sinistro canto,
E , posto gli occhj appresso all' onde al basso,
Vede una donna nuda, come nacque.
Legata a un tronco, e i pie le bagnan I' acque
34. Perchè gli è ancor lontana , e perchè china
La faccia tien, non ben , chi sia, discerne.
Tira in fretta ambi ì remi, e s' avvicina
C(m gran disio di più notizia averne :
Ma mugghiar sente in questo la marina,
E rimbomltar le selve e le caverne;
Gonfiansi F (»nde, ed c(-co il iiutstro appare,
Che sotto il petto ha quasi ascuso il uuu'C>
35. Come d' oscura valle umida ascende
Nube di pioggia e di tempesta pregna,
Che, più che <;ie(a notte, si distende
Per tutto il mondo , e par che '1 giorno spegna
Così nuota la fera, e del mar prende
Tanto, che si |)uò dir, che tutto il tegna.
Frenu)no 1' onde. Orlando in sé raccolto
La mira allìer, né cangia cor, né \olto:
'•jiì. \] come quel, eh' avea il pcnsier ben fermo
Di quanto volea far, si ino.-sf? ratto;
E perché alla donzella essere schermo,
V. la fera a.ssalir potesse a un tratto,
Entrò fra T orca e lei col palischrruu),
IS(;1 fodero biM-iiindo il brando piatto ;
L' lincora <-ou la gómona in man preso,
Poi con gran cor T orribil mostro attese.
37. Tostochè r orca s' accostò , e scopei-sc
Lui nello s<hifo con poco intervallo,
Per inghiottirlo tanta bocca aperse,
Ch' entrato un uomo vi saria a cavallo.
Si spinse Orlando innanzi , e se 1' immerse
Con quella àncora in gola, e, s' io non fallo.
Col battello anco, e l' àncora attaccolle
E nel palato e nella lingua molle;
38. Sicché né più si pon calar di sopra.
Né alzar di sotto le mascelle orrende;
Cosi, chi nelle mine il ferro adopra.
La terra , ovunque si fa via , sospende.
Che subita n'iina non lo copra,
Mentre mal cauto al suo lavoro intende.
Da un amo all' altro l' àncora è tanto alta,
Che non v ' arriv a Orlando , se non salta.
39. flesso il puntello , e fattosi sicuro.
Che 'l mostro più serrar non può la bocca.
Stringe la spada , e per queir antro oscuro
Di qua e di là con tagli e punte tocca.
Come si può , poiché son dentro al muro
Giunti i nemici, ben difender rocca,
Cosi difender 1' orca si potea
Dal paladin , che nella gola avea.
40. Dal dolor vinta, or sopra il mar si lancia,
E mostra i fianchi e le scagliose schiene.
Or dentro vi si attuffa, e con la pancia
Muove dal fondo , e fa salir 1' arene.
Sentendo 1' acqua il cavalier di Francia,
Che troppo abbonda, a nuoto fuor ne viene.
Lascia 1' ancora fitta , e in mano prende
La fune, che dall' àncora depende,
41. E con quella ne vien nuotando in fretta
Verso lo scoglio , ove , fermato il piede,
Tira r àncora a sé , che 'n bocca stretta
Con le due punte il brutto mostro fiede.
li' orca a seguire il cànape è costretta
Da. quella forza , eh' ogni forza eccede —
Da quella forza, «he più in una sc'ossa
Tira, che in dieci un àrgano far possa.
42. Come toro salvatico, eh' al corno
Gittar si senta un improvviso laccio,
Salta di qua, e di là, s' aggira intorno.
Si colca e leva , e non può uscir d' impiiccio :
Cosi fuor del suo antico aluu) soggiorno
L' orca tratta per forza di quel braccio,
Con mille guizzi e mille strane ruote
Segue la fune, e scior non se ne puotc.
43. Di bocca il sangue in tanta copia fonde.
Che questo oggi il mar rosso si può dire,
Dove in tal guisa ella percuote 1" onde,
(;ir in.-ino al fondo le \edrcste aprire;
Ed or ne bagna il cielo, e il lume asconde
Del chiaro sol, tanto h- fa salire.
Uimbombano al rmuor. che intorno s
Le seUe, i nutnti , e le lontane prode
ode,
quando
44. Fuor della grotta il vecchio Proteo
Ode tanto rumor, sopra il mar e.-ce,
E, visto entrare e uscir dell' orca Orlando,
E al lito trar si suii>urato pesc(>,
l''ugge per V allo Oceano, obbllando
Lo sparro gregge; e sì il tumtillo cr('>ce.
Che , fatto al carro i >uoi dcllini [xirre.
Quel dì Nettuno in Etiopia corre.
[123]
ORLANDO FURIOSO. fXL 45-60)
45. Con Melicerta in collo Ino piangendo,
E le Nercidi co' capelli sparsi,
Glauci e Tritoni, e gli altri, non sapendo
Dove, chi qua, chi là van per salvarsi.
Orlando al lito trasse il pesce orrendo,
Col qnal non bisognò più affaticarsi;
Che pel travaglio e per V avuta pena
Prima morì, che fosse in suU' arena.
46. Dell' isola non pochi erano corsi
A riguardar quella battaglia strana,
I quai, da vana religion rimorsi,
Così sant' opra riputar profana;
E dicean, che sarebbe un nuovo torsi
Proteo nemico , e attizzar 1' ira insana.
Da fargli porre il maria gregge in terra,
E tutta rinnovar 1' antica guerra;
47. E che meglio sarà di chieder pace
Prima all' oileso Dio, cìie peggio accada:
E questo si farà, quando V audace
Gittato in mare a placar Pròteo vada.
Come dà fuoco V una ali" altra face,
E tosto alluma tutta una contrada.
Così d' un cor nell" altro si diffonde
L' ira , che Orlando vuol gittar nell' onde.
48. Chi d* una fromba, e chi d' un arco armato,
Clii d' asta, chi di spada, al lito scende,
E dinnanzi e di dietro, e d' ogni lato,
Lontano e appresso , a più poter 1' oflende.
Di si bestiale insulto , e troppo ingrato,
Gran maraviglia il paladin si prende.
Pel mostro ucciso ingiuria far si vede.
Dove aver ne sperò gloria e mercede.
49. Ma, come 1' orso suol, che per le fiere
Menato sia da Russi o Lituani,
Passando per la via, poco temere
L' importuno abbajar de' picciol cani,
Che pur non se li degna di vedere:
CoM poco temea di que' villani
II paladin, clie con un soffio solo
INc potrà fracassar tutto lo stuolo.
50. E ben si fece far subito piazza,
Cile lor si volse, e Durindana prese.
S' avea creduto quella gente pazza,
Che le dovesse far poclie contese,
Quando né indosso gli vedca corazTU,
iSè scudo iu braccio, né alcun altro arnese;
Bla non sajìca che, dal capo alle piante,
Dura la pelle avea più che diamante.
51. Quel clie d' Orlando agli altri far non lece.
Di far degli altri a lui già non è tolto :
Trenta ne uccise , e fm-o in tutto die«e
Dotte; o, se più, non le passò di molto.
Tosto intorno sgombrar 1' arena fece,
E i>i'r hlegar la donna era già v(tlto,
Quanilo nuovo tumulto e nuovo grido
le risonar da un' altra parte il lido.
52. Mentre avea il paladin da questa banda
Co>ì tenuto i biir!)ari ÌMi|iediti,
Eran m-ii/.u <'ontra^to (pici iP Irlanda
Da più parli imU' i.^ola salili,
E, spenta ogni pielà , strage nefanda
Dì cpiel |Mi|Mil laccali p«-r liitli i liti :
Eo^Be giii-lizìa , o losse ci udeltadc,
^è bCbau riguardavano, uè elude.
[124];
53. Nessun i-ipar fan gì' isolani, o poco;
Parte, che colti son troppo jni|)roA^iso,
Parte, che poca gente ha il picciol loco,
E quella poca è di nessuno avviso.
L' aver fu messo a sacco, e messo fuoco
Fu nelle caso, il popolo fu ucciso.
Le mura fur tutte adeguate al suolo.
Non fu lasciato vivo un capo solo.
51. Orlando . come gli appartenga nulla
L' alto rumor, le strida e la mina,
"^ iene a colei, che sulla pietra brulla
Avea da divorar 1' orca marina.
Guarda, e gli par conoscer la fanciulla,
E più gli pare, più che s' anicina:
Gli pare Olimpia ; ed era Olìmpia certo.
Che di sua fede ebbe sì iniquo merto.
55. Misera Olimpia, a cui dopo lo scorno,
Che le fé' Amore, anco Fortuna cruda
Mandò i corsari, e fu il medesmo giorno,
Che la portare all' isola d' Ebuda.
Riconosce ella Orlando nel ritorno,
Che fa allo scoglio; ma, perdi' ella è nuda,
Tien basso il capo ; e non che non gli parli,
Bla gli occhj non ardisce al viso alzarli.
56. Orlando domandò, che iniqua sorte
L' avesse fatta all' isola venire.
Di là , dove lasciata col consorte
Lieta r avea, quanto si può più dire?
Non so, disse ella, s' io v'iio, che la morte
Voi mi schiva>te, grazie a riferire,
O da dolermi, che per voi non sia
Oggi finita la miseria mia.
57. Io v' !io da ringraziar, eh' una maniera
Di morir mi schivaste troppo enorme;
Che troppo saria enorme , se la fera
Nel brutto ventre avesse avuto a porrne:
Ma già non vi ringrazio , eh' io non pera ;
Che morte sol può di miseria torme.
Ben vi ringrazierò , se da voi darmi
Quella vedrò, che d' ogni duol può trarmi.
58. Poi con gran pianto seguitò, dicendo,
Come Io sposo suo 1' avea tradita;
Che la lasciò suU' isola dormendo.
Donde ella poi fu dai corsar rapita.
E, mentre ella parlava, rivolgendo
S' andava in quella guisa, che scolpita
O dipinta è Diana nella fonte,
Che getta 1' acqua ad Attenne in fronte:
59. Che, quanto può, nasconde il petto e'I ventre,
Pili liberal de' fianchi e delle rene.
Brama Orlando, che in porto il suo legno entre;
Che lei . «;he sciolta avea «lallc catene,
A orria coprir d' alcuna vesta. Or mentre
(Jir a ((ue>to è intento , Oberto sopravv iene,
Oberto, il re d' Ibcrnìa, eh' a>ea inteso,
Che '1 luarin mostro era sul lito steso,
CO. E clic nuotando un cavaliero era ito
A jioigli ili gola un' iincora assai grave,
E cl:c r avea co^ì tirato al lito.
Come fti suol tirar coiitr' acqua nave.
Oblilo, per Acder, se riferito
('(lini , da chi 1' lia inteso , il vero gli havc.
Se ne aìcu quivi, e la sua genie intanto
Arde e distrugge Ebuda in ogni canto.
[125]
ORLANDO FURIOSO. CXI. 61 — TC)
[126]
61. n re d' Ilternia, ancorché fosre Orlando
Dì sangue tinto, e d' acqua molle e brntto,
Brutto del sangue , che si tras.*e , quando
Uscì dell' orca , in eh' era entrato tutto,
Pel conte I' andò pur raffigurando;
Tanto più , che nell' animo avea ìndutto,
Tostocliè del valor sentì la nuova,
Ch' altri, eh' Orlando, non faria tal prova.
62. Lo conoscea, perdi' era stato infante
D' onore in Francia; e se n' era partito,
Per pigliar la corona, 1' anno innante,
Del padre suo, ch'aera di vita uscito.
Tiinte volte veduto , e tante e tante
Gli avea parlato, eh' era in infinito.
Lo corse ad abbracciare e a fargli festa,
Trattasi la celata , eh' avea in testa.
63. Non meno Orlando di veder contento
Si mostrò il re, che 'l re di AcHcr lui.
Poiché furo a iterar 1' abbracciaracnto
Una o due volte tornati aniJiedui,
]Varrò ad Obcrto Orlando il tradimento,
Che fu fatto alla giovane, e da cui
Fatto le fu : dal perfido liircno.
Che via d' ogni altro lo dovea far meno.
64. Le prove gli narrò, che tante volte
Ella d' amarlo dimostrato avea;
Come i parenti e le sostanze tolte
Le furo, e alfin per lui morir volea;
E eh' esso testimonio era di molte,
E renderne buon conto ne potca.
Mentre parlava . i begli occhj sereni
Della donna di lagrime eran pieni.
65. Era il bel viso suo , qual esser suole
Dì primavera alcuna volta il cielo.
Quando la pioggia cade, e a un tempo il sole
Sì sgombra intorno il nubiloso velo.
E , come il rosignnol dolci carole
Mena ne' rami allor del verde stelo :
Così alle belle lagrime le piume
Si bagna Amore, e gode al chiaro lume:
66. E nella face de' begli occhj accende
L' aurato strale, e nel ruscello ammorza,
Che tra vermigli e bianchi fiori scende;
E, tem|)rato che 1' ha, tira di forza
Contra il garzon , «:Iie ne scudo dil'ende,
Né maglia doppia, ne, ferrigna scorza;
Che, mentre sta a mirar gli occhj e le chiome,
Si sente il cor ferito, e non sa come.
67. Le bellezze d' Olimpia eran di quelle,
Che son più rare ; e non la fronte sola.
Gli occhj e le guance e i»; i^hioiiK^ a^«•a belle,
La bocca, il naso, gli omeri, e la gola;
Mti disccndend(» giù dalle mammelle,
Lo parli, che solca (-oprir la stola,
Far di tanta eccellenza , eh' aiiteporse
A quante n' avea il mondo , poteau forse.
68. Vinceano di candor le nevi intatte,
Ed eran più cb' avorio a toccar molli.
Le poppe ritondctte parcau laUc,
C;iie fuor de' gimicbi alliua allora tulli:
Spazio fra lor tal disceiulea , qual fatte
EsM-r vcggiaiu \'v,i piccolini colli
L' ombrose valli, in sua stagione amene.
Che '1 verno abbia di neve allora piene.
09. I rilevati fianchi , e le belle anche,
E netto , più che specchio , il ventre piano,
Pareano fatti, e quelle cosce bianche.
Da Fidia a torno, o da più dotta mano.
Dì quelle parti debbovì dir anche,
Cile pur celare ella bramava in vano?
Dirò in somma, che in lei, dal capo al piede,
Quant' esser può beltà, tutta si vede.
10. Se fosse stata, nelle vaUì idée.
Vista dal pastor frigio, io non so quanto
Vener, scbben vincea quell' altre Dee,
Portato avesse di bellezza il vanto;
Kè forse ito saria nelle amìclée
Contrade esso a violar l' ospizio santo;
Ma detto avria: Con iMencIao ti resta.
Elena, pur; eh' altra io non vo' che questa.
71. E, se fosse costei stata a Crotone,
Quando Zeusi l' immagine far volse.
Che por dovea nel tempio di Giunone,
E tante belle nude insieme accolse,
E che, per una farne in perfezione.
Da chi una parte, da chi un' altra tolse,
Non avea da torre altra che coseti;
Che tutte le bellezze erano in lei.
73. Io non credo, che mai Bireno nudo
Vedesse quel bel corpo; eh' io son certo.
Che stato non saria mai così crudo,
Clie r avesse lasciata in quel deserto.
Che Oberto se n' accende, io vi concludo.
Tanto, che '1 fuoco non può star coperto:
Si studia consolarla, e darle speme,
di' uscirà in bene il mal, eh' ora la preme.
73. E le promette andar seco in Olanda ;
Né, finché nello stato la rimetta,
E eh' abbia fatto giusta e memoranda
Dì quel perjuro e traditor vendetta,
Non cesserà con ciò, che po>sa Irlanda,
E lo farà, quanto potrà più, in fretta:
Cercare intanto in quelle case e in queste
Facea dì gonne e dì femminee veste.
74. Bisogno non sarà, per trovar gonne,
Cli' a cercar fuor dell' ìsola si mande ;
Ch' ogni di se n' avea da quelle donne.
Che dell' avido mostro eran vivande.
Non fé' molto cercar, che ritrovonne
Di varie f*>gge Olterto copia grande.
E fé' vestire Olimpia; e ben gì" increbbe
Non la poter vestir, come vorrcbc.
75. Ma nò sì bella seta , o sì fin ore.
Mai Fiorentini industri tcs.<er fenno,
Né chi ricama, lece mai la^oro,
Postovi tempti. diligenza e siim<».
Che potesse a costui panr decoro.
Se l(» fes.s<^ :\Iiiurva. o il Dio di Lenno ;
E degno di coprir sì lielle membre.
Ole forza é ad ora ad or >e ne rimendtre.
76. Per più rispetti il paladino molto
Si dimo-trò di questo amor contento;
Cbè, «dtre clie 'I re non lascerebbe assolto
Bireno andar di tanto tradimento.
Sarchile aiM-h" «-s-o , per tal mezzo, tolto
Di grave e di nojoso iinpe<limento.
Quivi, non per Olimpia, ma venuto
Per dar, se v' era, alla sua donna ajnto.
[127] ORLANDO FURIOSO. (XI. 17-83. XII. 1 — 4)
[128]
78
77. Ch' ella non v' era , si chiarì di corto,
Ma già non si chiarì, se v' era stata ;
Perchè ogni nomo nell' isola era morto,
Né un sol rimaso di sì gran brigata.
n di seguente si partir del porto,
E tutti insieme andaro in mi' armata.
Con loro andò in Irlanda il paladino ;
Che fu, per gire in Francia, il suo cammino.
Appena un giorno si fermò in Irlanda;
Non valser preghi a far, che più \ì stesse:
Amor, che dietro alla sua donna il manda,
Di fermarvisi più non gli concesse.
Quindi si parte, e prima raccomanda
Olimpia al re, e che servi le promesse;
Benché non bisognasse; che le attenne
Molto più che di far non si convenne.
Così, fra pochi dì gente raccolse,
E fatto lega col re d' Inghilterra,
E con r altro di Scozia, gli ritolse
Olanda , e in Frisa non gli lasciò terra ;
Ed a ribellione anco gli volse
La sua Selandia; e non finì la guerra,
79
80,
Olimpia Oberto si pigliò per moglie,
E di contessa la fé' gran regina.
Ma ritorniamo al pahniin , che scioglie
Nel mar le vele, e notte e dì cammina;
Poi nel medesmo porto le raccoglie.
Donde pria le spiegò nella marina ;
E sul suo Brigliadoro armato salse,
E lasciò addietro i venti e 1' onde salse.
81
Credo , che 'I resto di quel verno cose
Facesse , degne di tenerne conto ;
Ma fur sin' a quel tempo sì nascose,
Che non è colpa mia, s'*or non le conto:
Perchè Orlando a far 1' opre virtuose
Più , che a narrarle poi , sempre era pronto ;
Né mai fu alcuno de' suoi fatti espresso.
Se non quando ebbe i testimonj appresso.
82. Passò il resto del verno cosi cheto.
Che di lui non si seppe cosa vera;
]\Ia poiché '1 sol nell" animai discreto
Che portò Friso . illuminò la sfera,
E Zefiro tornò soave e lieto
A rimenar la dolce primavera,
D' Orlando usciron le mirabìl prove
Co' vaghi fiori e con l' erbette nove.
Clie gli die morte: né però fu tale
La pena, eh' al delitto andasse eguale
83. Di piano in monte , e di campagna in lido,
Pien di travaglio e di dolor ne già.
Quando, all' entrar d' un bosco, un lungo grido,
Un alto duol l' orecchie gli feria.
Spinge il cavallo , e piglia il brando fido,
E, donde viene il suon, ratto s' invia.
Ma differisco un' altra volta a dire
Quel, che seguì, se mi vorrete udire.
CANTO DUODECIMO
ARGOMENTO.
Orlando seguitando un cavaliero,
Ch' Angelica , il suo ben , ne porta via.
Arriva ad un palazzo, ove Ruggiero
Giunse insieme , e 'l gigante in compagnia.
Orlando n' esce , ed è al litigio fiero
Con Ferrali , che V cimo suo desia.
Fa co' pagani una lodcvol prova.
Indi Isabdla in una grotta trova.
1. Cerere, poiché dalla madre idea
T(»rnando in fretta alla solìnga valle,
lià , dove calca la montagna etnèa
Al fulminato Kncclado le s|)alle,
La figlia non trovò, dove 1' avca
l^ifciata, fuor d ogni segualo calle;
Fatto cU' eblK! alle gnauic, al petto, ai crini
E agli occhj danno, alfin svelse due pini,
2. E nel fuoco gli accese di Vulcano,
E die' lor non potere esser mai spenti ;
E portandosi questi, imo per mano,
Sul carro , che tiravan due serpenti,
Cercò le selve , i campi , il monte , il piano,
Le valli , i fiumi , gli stagni , i torrenti,
La terra e '1 mare ; e poiché tutto il mondo
Cercò di sopra, andò al tartareo fondo.
3. Se in poter fosse stato Orlando pare
All' eleusina Dea, come in disio.
Non avria, per Angelica ccirare,
Las<:iato o selva, o campo, o stagno, o rio,
O valle, o monte, o piano, o terra, o mare,
Il cielo , e 'l fondo dell' eterno obblio ;
Ma poiché '1 carro e i draghi non aven,
La già cercando al meglio che potea.
4. L' ha cercata per Francia; or s' apparecchia
Per Italia cercarla e per Lamagna,
Per la nuova Castiglia e per la vecchia,
E poi passare in Libia il mar di Spagna.
Mentre pensa così, sente all' orecchia
l'na ^oce venir, che par che piagna.
Si spinge innanzi , e sopra un gran destriero
Tnittar si \ede innanzi un cavaliero,
[129]
ORLANDO FURIOSO. (XU. 5—20 )
[130]
5. Che porta in braccio e suU' arcion davante
Per forza una mestìssinia donzella.
Piiinge ella, si dibatte, e fa sembiante
Di gran dolore , ed in soccorso appella
Il valoroso prìncipe d' Anglante,
Che, come mira la giovane bella.
Gli par colei , per cui la notte e 'I giorno
Cercato Francia avea dentro e d' intorno.
6. Non dico , eh' ella fosse , ma parca
Angelica gentil , eh' egli tanto ama.
Egli , che la sua donna e la sua dea
Vede portar si addolorata e grama,
Spinto dall' ira e dalla furia rea,
Con voce orrenda il ca>alier richiama;
Richiama il cavaliero e lo minaccia,
E Brigliadoro a tutta briglia caccia.
7. IVon resta quel fellon , né gli risponde,
All' alta preda , al gran guadagno intento,
E si ratto ne va per quelle fronde,
Che saria tardo a >eguitarlo il vento.
L' un fugge e 1' altro caccia ; e le profonde
Selve s' odon sonar d' alto lamento.
Correndo uscirò in un gran prato , e quello
A\ ea nel mezzo un grande e ricco ostello.
8. Di varj marmi con sottil lavoro
Enincato era il palazzo altiero.
Corse dentro alla porta messa d' oro.
Con la doirzella in braccio , il cavaliero.
Dopo non molto giunse Brigliadoro,
Clic porta Orlando disdegnoso e fiero.
Orlando, come è dentro , gli occhj gira,
Kè più il guerrier, né la donzella mira.
9. Subito smonta, e fulminando passa,
Dove più dentro il bel tetto s' alloggia ;
Corre di qua, corre di là, né lassa.
Che non vegga ogni camera , ogni loggia.
Poiché i secreti d' ogni stanza bas^a
Ila cerco invan , su per le scale poggia,
E non men perde anco a i-ercar di s(»pra.
Che perdesse di sotto , il tempo e 1' opra.
10. D' oro e di seta i letti ornati vede :
Rulla de' muri appar, né de' pareti;
Che quelli , e '1 suolo , ove si mette il piede,
Son da cortine ascosi e da tappeti.
Di su , di giù va il conte Orlando e riedc,
Ré per qiu;sto può far gli occhj mai lieti.
Che riveggiano Angelica, o quel ladro.
Che n' ha portato il bel viso leggiadro.
11. E mentre or quinci, or quindi invano il passo
Movca , picn di travaglio e di pensieri,
Ferraù , Hrandiniarte v. il re Gradasso,
Re Sa(-ripant(; ed altri cavalieri
\ i ritrovò , eh' andavano alto e basso,
Ré men facean di lui vani sentieri,
E si rauimarica^an del malvagio
ln>isibil signor di quel palagio.
12. Tutti cercando il van , tutti gli danno
('ol|iii di furto alcun , i^Ih; lor fatto iihbia.
Del deslrier, che gli hit tolto, altri è in affanno ;
Cir aliliia perduta altri la donna, arrabbia;
Altri d' altro l' accusa; e cosi statnio.
Che non si san partir di quella galtbia:
E vi son molti . a questo inganno pre«ii,
Stali le settimane intere e i me&i.
13. Orlando , poiché quattro volte e sei
Tutto cercato ebbe il palazzo strano,
Disse fra sé : Qui in dimorar potrei
Gìttare il tempo e la fatica invano,
E potria il ladro aver tratta costei
Da im' altra uscita , e molto esser lontano.
Con tal pensiero uscì nel verde prato.
Dal qual tutto il palazzo era aggirato.
14. Mentre circonda la casa silvestra,
Tenendo pure a terra il viso chino,
Per veder , s' orma appare , o da man destra,
O da«inistra, di nuovo cammino.
Si sente richiamar da una finestra,
E leva gli occhj ; e quel parlar divino
Gli pare udire , e par che miri il viso
Che r ha da quel che fu , tanto diviso.
15. Pargli Angelica udir, cbe supplicando
E piangendo gli dica: Aita, aita!
La mia virginità ti raccomando
Più che r anima mia, più che la vita.
Dimquc in presenza del mio caro Orlando
Da questo lariro mi sarà rapita?
Piuttosto di tua man dammi la morte,
Che venir lasci a si infelice sorte!
16. Queste parole una ed un' altra volta
Fauno Orlando tornar per ogni stanza.
Con passione e con fatica m(»lta,
Ma temperata pur d' alta speranza.
Talor si ferma, ed una voce ascolta.
Che di quella d' Angelica ha sembianza,
E , s' egli è da una parte, suona altronde.
Che chieggia ajuto , e non sa trovar , donde.
17. Ma tornando a Ruggier, eh' io lasciai, quando
Dissi, che per sentiero ombroso e fosco
Il gigante e la donna seguitando,
In un gran prato uscito era del bosco,
1(» di(H), eh' arrivò qui, dove Orlando
Dianzi arrivò (se "1 loco riconosco^.
Dentro la porta il gran gigante passa ;
Ruggier gli é appresso , e di seguir non lassa.
18. Tostoché pon dentro alla soglia il piede,
Per la gran corte e per le logge mira,
Ré più il gigante , iiè la donna v<'de,
E gli occhj indarno or quinci , or quindi aggira
Di su , di giù va molte volte e riede,
Ré gli siiciedc mai quel cbe desira.
Ré si sa iuuuaginar, dove sì tosto
Con la diuuia il fellon >i sia nascosto.
19. Poiché rivisto ha quattro volte o cinque
Di su, di giù, camere e logge e sale.
Pur di nuovo ritorna , e non relinque,
(^he non ne cerchi fin sotto h^ scale.
Con epeme alfin , che sian nelle propinque
Selve, si parte; ma una >oce. (|nale
Richiamò Orlantlo , lui chiamò non manco,
E nel p.ilaz/o il fé" ritornar anco.
20. lina voce mcdcsma , una persona,
CIk' p. trota era Angelica ìmI Orlando,
Parve a Unggic- la donn i di Dordona,
Clic lo tcnca di m'- iMcdcsmo in hando.
Se con (ìradasso, o con alciui ragiona
Di quei, «h' anda>an nel pala/./o errando,
A tulli par chi; quella cosa sia.
Che più ciascun per tè brama e desia.
9
[131]
ORLANDO FURIOSO. (XII. 21-SO)
[132]
21. Questo era un nuovo e disusato incanto,
Ch' avea composto Atlante di Carena,
Perchè Ruggier fosse occupato tanto
In quel travaglio , in quella dolce pena.
Che '1 mal influsso n' andasse da canto,
L' influsso, eh' a morir giovane il mena.
Dopo il Castel d' acciar , che nulla giova,
E dopo Alcina , Atlante ancor fa prova.
22. Non pur costui , ma tutti gli altri ancora,
Che di valore in Francia hau maggior fama,
Acciocché di lor man Ruggier non mora.
Condurre Atlante in questo incanto trama :
E , mentre fa lor far quivi dimora,
Perchè di cibo non patiscan brama,
Si ben fornito avea tut:o il palagio.
Che donne e cavalicr vi stanno ad agio.
23, Ma torniamo ad Angelica, che seco
Avendo queir anel miral)il tanto,
Che in bocca a veder lei fa 1' occhio cieco,
Kel dito r assicura dall' incanto ;
E ritrovato nel montano speco
Cibo avendo e cavalla , e \cste , e quanto
Le fu bisogno, avea fatto disegno
Di ritornare in India al suo bel regno.
24. Orlando volentieri , o Sacripante
Voluto avrebbe in compagnia: non eh' ella
Più caro avesse 1' un, che 1' altro amante,
Anzi di par fu a lor desii rubella;
Ma dovendo, per girsene in Levante,
Passar tante città, tante castella,
Di compagnia bisogno avea, e di guida;
Né potea aver con altri la più fida.
^. Or r uno, or 1' altro andò molto cercando,.
Primachè indizio ne trovasse, o spia;
Quando in cìttadi, e quando in ville, e quando
In alti boschi, e quando in altra via.
Fortuna alfin là , dove il conte Orlando,
Ferraù e Sacripante era , la invia,
Con Ruggier, con Gradasso, ed altri molti.
Che v' avea Atlante in strano intrico avvolti.
26. Quivi entra, che veder non la può il mago,
E cerca il tutto , ascosa dal suo anello,
E trova Orlando, e Si^cripante v.ngo
Di lei cercare invan per quello ostello.
Vede come , fingemlo la sua immago.
Atlante usa gran fraude a questo e a quello.
Chi tor debba di lor , molto rivolve
Nel suo pensier, nò ben se ne risolve.
27. Non sa stimar , chi sia per lei migliore,
Il conte Orlando , o il re de' ficr Circassi.
Orlando la potrà con più valore
Meglio salvar n<;' perigliosi passi ;
Ma, se sua guida il fa, sei fa signore,
Ch' ella non vede come poi 1' abbassi,
Qualunque volta, di lui sazia, farlo
\oglia minore, o in Francia rimandarlo.
28. Ma il Circasso depor, quando le piaccia.
Potrà , se ben 1' a\ess«! posto in cieb».
Questa solii cagion vuoi, eh' ella il faccia
Sua scorta, e mostri avergli fede e zelo.
li' anel t^a^^c di boi^a , e di sua faccia
Levo dagli occlij a Sacripante il velo.
Credette a lui sol dimostrarsi, e avvenne,
^'h' Oriundo e Ferraù le 8upravvcmie.
29. Le sopravvenne Ferraù ed Orlando;
Che r uno e 1' altro parimente giva
Di su, di giù, dentro e di fuor cercando
Del gran palazzo lei , eh' era lor diva.
Corser di par tutti alla donna, quando
Nessuno incantamento gì' impediva;
Perchè 1' anel, eh' ella si pose in mano,
Fece d' Atlante ogni disegno vano.
30. L' usbergo indosso aveano, e 1' elmo In teàta
Due di questi guerrier , de' quali io canto.
Né notte o di, dappoich' entrare in questa
Stanza, gli aveano mai messi da canto;
Che facile a portar , come la vesta,
Era lor, perchè in uso 1' avean tanto.
Ferraù il terzo era anco armato, eccetto
Che non avea, né volea avere elmetto,
31. Finché quel non avea, che '1 paladino
Tolse Orlando al fratel del re Trojano:
Ch' allora lo giurò , che 1' elmo fino
Cercò dell' Argalia nel fiume invano :
E se ben quivi Orlando ebbe vicino.
Né però Ferraù pose in lui mano.
Avvenne, che conoscersi tra loro
Non si poter, mentre là dentro foro.
32. Era cosi incantato quelF albergo,
! Che insieme riconoscer non poteansi.
I Né notte mai , né di , spada né usbergo,
Né scudo pur dal braccio rimoveansi.
I lor cavalli con la sella al tergo,
I Pendendo i morsi dall' arcion, pasceansi
i In una stanza , che presso all' uscita
! D' orzo e di paglia sempre era fornita.
j 33. Atlante riparar non sa, né puote.
Che in sella non rimontino i guerrieri.
Per correr dietro alle vermiglie gote,
All' auree chiome , ed a' begli occhj neri
I Della donzella, che in fuga percuote
I La sua giumenta, perchè volentieri
j Non vede li tre amanti in compagnia,
I Che forse tolti un dopo l' altro avria.
i 34. E poiché dilungati dal palagio
Gli ebbe sì , che temer più non dovea,
Che contra lor 1' incantator malvagio
Potesse oprar la sua fallacia rea,
I L' anel , che le schivò più d' un disagio,
i Tra le rosate labbra si chiudea ;
Donde lor sparve subito dagli occhj,
E li lasciò come insensati e sciocchi.
35. Comeché fosse il suo priraier disegno
Di voler seco Orlando o Sacripante,
CU' a ritornar 1' avessero nel regno
Di Galafron, nell' ultimo Levante:
Le vennero ambedue subito a sdegno,
E si mutò di voglia in un istante,
E senza più obbligarsi o a questo , o S quello,
Pensò bastar per ambedue il suo anello.
36. Volgon pel bosco or quinci, or quindi in frot
Quegli scherniti la stupida faccia,
(!ome il cane talor, se gli è intercetta
O lepre , o volpe , a cui dava la caccia.
Che d' improvviso in qualche tana stretta,
O in folta ma(H'liia , o in un fosso si caccia.
Di lor 8Ì ride Angelica proterva,
Cho non ò vifitu , e i lor progressi osserva.
[133]
ORLANDO FURIOSO. (XII. 37-52)
_[134]
37. Per mezzo il bosco appar sol una strada:
Credono i cavalier, che la donzella
Innanzi a lor per quella se ne vada;
Che non se ne può andar, se non per quella.
Orlando corre, e Fcrraìi non bada,
Kè Sacripante mcn sprona e puntella,
Angelica la briglia più ritiene,
E dietro lor con minor fretta viene.
38. Giunti che fur correndo, ove i sentieri
A perdi r si venian nella foresta,
E cominciar per 1' erba i cavalieri
A riguiirdar , se vi trovavan pesta :
Ferraù, che potea, fra quanti altieri
Mai fosser , gir con la corona in testa,
Si volse con mal viso agli altri dui,
E gridò lor: Dove venite vui?
39. Tornate addietro, o pigliate alti-a via,
Se non volete rimaner qui morti!
]Vè in amar, né in seguir la donna mia.
Si creda alcun, che compagnia comporti!
Disse Orlando al Circasso : Che potria
Più dir costai , s' ambi ci avesse scorti
Per le più vili e timide puttane,
Che da conocchie mai tracsser lane?
40. Poi, Tolto a Ferraù, disse: Uom bestiiile,
S' io non guardassi , che senza elmo sei,
Di quel eh' hai detto , s' hai ben detto o malo.
Senz' altro indugio accorger ti farci.
Disse il Spagnuol: Di quel, eh' a me non cale.
Perchè pigliarne tu cura ti dei?
Io sol contro ambedue per far son buono
Quel che detto ho, senza cimo, come sono.
41. Deh! disse Orlando al re di Circassia,
In mio servìgio a costui 1' elmo presta.
Tanto eh' io gli abbia tratta la pazzia,
Ch' altra non vidi mai simile a questa.
Rispose il re: Chi più pazzo saria?
Ma se ti par pur la domanda onesta.
Prestagli il tuo ! eh' io non sarò men atto,
Che tu sia forse, a castigare un matto.
42. Soggiunse Ferraù : Sciocchi voi , quasi
Che, se mi fosse il portare cimo a grado,
Voi senza non ne foste già rimasi;
Che t«>lti i vostri avrei, vostro mal grado.
Ma, per narrarvi in parte li miei casi.
Per voto così senza me ne vado,
Ed anderò, flnch' io non ho quel fino,
Che porta in capo Orlando paladino.
43. Dunque, rispose sorridendo il conte,
Ti pensi a capo nudo esser bastante.
Fare ad Orlando quel clic in Aspramonto
Egli già fece al figlio d' Agolantc?
Anzi cred' io , se tei vedessi a fronte,
Kc treiuere.-ti dal capo alle piante :
Ron che volessi 1' cimo, ma daresti
L ' altre arme a lui di patto, che tu veetL
44. 11 vantator Spagnuol disse: Già molte
Fiate e molte ho co^ì Orlando astretto.
Che facilmente l' arme gli avrei tolte,
Quante indosso n' avea, non che l' elmetto;
E s' io noi feci , occorrono alle volte
Pensier, che prima non ^" aveano in petto.
Kon n' ebbi, già fu, voglia; or 1' aggio, e spero,
Che mi potrà succeder di leggiero.
45. Non potè aver più pazienza Orlando,
E gi'idò : Mentitor , brutto marrano,
In che paese ti trovasti, e quando,
A poter più di me con 1' arme in mano ?
Quel paladin, di che ti vai vantando,
Son io, che ti pensavi esser lontano.
Or vedi, se tu puoi I' elmo levarme,
O s' io son buon per torre a te 1' altre arme.
46. Né da te voglio un mìnimo vantaggio.
Cosi dicendo, 1' elmo si disciolse,
E lo sospese a un ramoscel di faggio,
E quasi a un tempo Durindana tolse.
Ferraù non perde di ciò il coraggio;
Trasse la spada , e in atto si raccoke,
Onde con essa e col levato scudo
Potesse ricoprirsi il capo nudo.
47. Così li duo guerrieri incomincìaro,
Lor cavalli aggirando , a volteggiarsi,
E dove r arme si giungeano , e raro
Era più il ferro, col ferro a tentarsi.
Non era in tutto il mondo un altro paro.
Che più di questo avesse ad accoppiarsi.
Pari eran di vigor, pari d' ardire,
Né r un , né 1' altro si potea ferire.
48. Clr abbiate. Signor mio, già inteso, estimo,
Cile Ferraù per tutto era fatato,
Fuorché là, doAe 1' alimento primo
Piglia il bambin nel ventre ancor sen-ato;
E, finché del sepolcro il tetro limo
La faccia gli coperse, il luogo armato
Usò portar, dov' era il dubbio, sempre
Di sette piastre fati e a buone tempre.
49. Era ugualmente il principe d' Anglante
Tutto fatato, fuorché in una parte.
Ferito esser potea sotto le piante ;
Ma le guardò con ogni studio ed arte.
Duro era il resto lor , più che diamante,
Se la fama dal ver non si diparte,
E r uno e 1' altro andò , più per ornato.
Che per bisogno, alle sue imprese ai'iuato.
50. S' incrudelisce e innaspra la battaglia,
D' orrore in vista, e di ^paAento piena.
Ferraù , quando punge e quando taglia.
Né mena botta, che non Aada piena:
Ogni colpo d' Orlando o piastra, o maglia
E schioda , e rompe , ed apre , e a strazio mena.
Angelica invisibil lor pon mente.
Sola a tanto spettacolo presente.
51. Intanto il re di Circassia, stimando.
Che poco innan/.i Angelica corresse,
Poiché attaccati Ferriiù ed Orlando
A idc restar, per quella via si uiessc.
Che si credea, che la don/ella, quando
Da lor dì.-.parve, seguitata avesse;
Sicché a quella battaglia la figliuola
Di (ìalafroii fu tesliiiionio sola.
52. Poiché orribil , <ome «'la, espaient»)sa
L' ebbe da parte ella iiiiiata alquanto,
E che le pai"\e a>s.ii peric-nlosa.
Così dall' un, come ilalP altro canto;
Di >o(l«rr iKnilà volonterosa,
Di>egMÒ r elmo top, per mirar, quanto
Farìano i duo giierrier , vi»tosel tt)lto;
Dell con pcusicr, di nini tenerlo multo.
9 *
[135]
ORLANDO FURIOSO. (XII. 53 — 68)
[136]
53. Ha ben di darlo al conte intenzione ;
Ma se ne vuole in prima pigliar gioco.
L' elmo dispicca, e in grembo se io pone,
E sta a mirare i cavalieri un poco :
Dì poi si parte, e non fa lor sermone;
E lontana era un pezzo da qnel loco,
Primachè alcun di lor v' avesse niente ;
Si r uno e r altro era nell' ira ardente.
54
Ma Ferrai! , che prima v' ebbe gli occhj,
Si dispiccò da Orlando , e disse a lui :
Deh ! come n' ha da male accorti e sciocchi
Trattati il cavalier, eh' era Con nui !
Che premio fia, eh' al vincitor più tocchi,
Se il beli' elmo involato n' ha costui ?
Ritrassi Orlando , e gli occhj al ramo gira ;
]Von vede T elmo, e tutto avvampa d' ira.
55
E nel parer di Ferraù concorse,
Che '1 cavalier , che dianzi era con loro,
Se lo portasse; onde la briglia torse,
E fé' sentir gli sproni a Brigliadoro.
Ferraù, che del campo il vide torse.
Gli venne dietro , e poiché giunti foro.
Dove nell' erba appar 1' orma novella,
Ch' avea fatto il Circasso e la donzella,
56. Prese il sentiero alla sinistra il conte.
Verso una valle , ove il Circasso era ito ,•
Si tenne Ferraù più presso al monte.
Dove il sentiero Angelica avea trito.
Angelica , in quel mezzo , ad una fonte
Giunta era ombrosa, e di giocondo sito,
Ch' ognun, che passa , alle fresche ombre invita;
^è, senza ber, mai lascia far partita.
57. Angelica sì ferma alle chiare onde.
Non pensando, che alcun le sopravvegna;
E per lo sacro anel, che la nascttnde,
Ron può temer, che caso rio le avvegna.
A prima giunta in sull' erbose sponde
Dei rivo , 1' elmo a un ramoscel consegna.
Poi cerca , ove nel bosco è miglior frasca,
La giumenta legar , perchè si pasca.
58. Il cavalier di Spagna , che venuto
Era per l' orme , alla fontana giunge.
Non r ha sì tosto Angelica veduto,
Che gli dispare, e la cavalla punge.
L' elmo, che sopra 1' erba era (-aduto,
Ritor non può , che troppo resta lunge.
Come il pagan d' Angelica s' accorse,
Tosto ver lei pien di letizia corse.
59. Gli sparve, come io dico, ella davante,
CJome fantasma al dipartir del sonno.
Cercando egli la va per quelle piante.
Nò i miseri occhj più veder la ponno.
Kestemmiando Maconc e Trivigante,
E di sua legge ogni maestro e donno.
Ritornò Ferraù verso la fonte,
Li' neir erba giacca 1' elmo del conte.
60. liO r:<onobI»e toscochè mirollo.
Per lettere , oh' avea scritte nell' orlo.
Che (liccan , dove Orlando guadagnollo,
E come, e quando, ed a chi fé' deporlo.
Armosseiie il pagano il capi: e 'I collo,
Che non lasciò, pe.' duol eli' avea, di torlo;
Pel duol , eh' avea di quella, che gli sparve,
Come Hparir tiogliun notturne larve.
61- Poich' allacciato s' ha il buon elmo in testa,
Avviso gli è , che , a contentarsi appieno,
Sol ritrovare Angelica gli resta,
Che gli appare e dispar, come baleno.
Per lei tutta cercò 1' alta foresta ;
E poich' ogni speranza venne meno
Dì più poterne ritrovar vestigi,
Tornò al campo spagnuol verso Parigi;
62. Temperando il dolor, che gli ardea il petto.
Di non aver sì gran desir sfogato,
Col refrigerio di portar 1' elmetto,
Cile fu d' Orlando , c«)nie avea giurato.
Dal conte , poiché '1 certo gli fu detto,
Fu lungamente Ferraù cercato ;
Né fin quel dì dal capo glielo sciolse,
Che fra duo ponti la vita gli tolse.
63. Angelica invisibile e soletta
^ ìa se ne va, ma con turbata fronte;
Che dell' elmo le duol , che troppa fretta
Le avea fatto lasciar presso alla fonte.
Per voler far quel , eh' a me far non spetta,
(Tra sé dìcea) levato ho l' elmo al conte.
Questo é pel primo merito assai buono
Di quanto a lui pur obbligata sono.
64 Con buona intenzione, e sallo Dio,
Benché diverso e tristo effetto segua.
Io levai r elmo; e solo il pensier mio
Fu, di ridur quella battaglia a tregua;
E non , che per mio mezzo il suo desio
Questo brutto Spagnuol oggi consegua.
Così di sé s' andava lamentando,
D' aver dell' el no suo privato Orlando.
65. Sdegnata e mal contenta la via prese.
Che le parca miglior, verso Oriente.
Più volte ascosa andò talor palese.
Secondo era opportuno , infra la gente.
Dopo molto veder molto paese,
Giunse in un bosco , dove iniquamente
Fra duo c(tnipagiii morti un giovinetto
Trovò, eh' era ferito in mezzo il petto.
66. Ma non dirò d' Angelica or più innante,
Che molte cose ho da narrarvi prima;
Né sono a Ferraù , né a Sacripante,
Sino a gran pezzo, per donar più rima.
Da lor mi leva il principe d' Anglante,
Che di sé vuol , che innanzi agli altri esprima
Le fatiche e gli aflanni, che sostenne
Nel gran desio dì che a fin mai non venne.
67. Alla prima città , eh' egli ritrova,
(Perché d' andare occulto avea gran cui'a)
Si pone in capo una barbuta nuova.
Senza mirar, s' ha debil tempra o dura.
Sia qual si vuol, poco gli nuoce, o giova;
Sì nella fatagion si rassicura.
Così coperto seguita V imhiesta,
Né notte o giorno, « pioggia, o sol V aiTCSta.
68. Era neir ora , che traia i cavalli
Febo del mar con rugiadoso pelo,
E r Aurora di fior vermigli e gialli
Venia spargendt» d' ogni intorno il cielo,
E lasciato le ^telle aveano i balli,
E , p>'r partirri , postosi già il velo,
Quando, appresso a Parigi un dì passando,
Mutftrò di sua viitù gran segno Orlando.
[137]
ORLANDO FURIOSO. (XII. 69-8Ì)
[138]
69. In due squadre incontrossi; e Manilardo
Ne reggca 1' una , il Saracin canuto,
Re di Gorizia, già fiero e gagliardo.
Or miglior di consiglio , che d' ajuto :
Guidava 1' altra sotto il !^uo stendardo
Il re di Tremisen , eh' era tenuto
Tra gli Africani cavalier perfetto :
Alzirdo fu, da chi 1 conobbe, detto.
70. Questi con 1' altro esercito pagano
Quella invernata avean fatto soggiorno,
Chi presso alla città, chi più lontane».
Tutti alle ville , o allo castella intorno :
Che avendo speso il re .4graniante in vano,
Per espugnar Parigi , più d' un giorno,
Volse tentar 1' assedio finalmente,
Poiché pigliar non lo potca altramente.
71. E per far questo, avea gente infinita:
Che oltre a quella, che con lui giunta era,
E quella , che di Spagna avea seguita
Del re iVIiirsilio la real bandiera,
Molta di Francia n' avea al soldo unita:
Che da Parigi insino alla riviera
D' Arli con parte di Guascogna, eccetto
Alcune rocche, avea tutto soggetto.
72. Or cominciando i trepidi ruscelli
A sciorre il freddo ghiaccio in tepide onde,
E i prati di nuove erbe, e gli arbuscelli
A rivestirsi di tenera fronde,
Ilagimò il re Agramante tutti quelli.
Che segiiian le fortune sue seconde.
Per farsi rassegnar l' armata torma;
Indi alle cose sue dar miglior forma.
73. A questo effetto il re di Tremisenne
Con quel della Norizia ne venia,
Per là giungere a tempo, ove si tenne
Poi conto d' «tgni squadra, o huona, o ria.
Orlando a caso ad incontrar si venne.
Come io v' ho detto, in questa compagnia,
Cercando pur colei , com' egli era uso,
Che nel career d' Amor lo tenea chiuso.
74. Come Alzirdo appressar vide quel conte.
Che di valor non avea pari al mondo
In tal sembiante, in si superba fronte.
Che 'I Dio dcir arme a lui parca i^econdo,
Restò stupito alle fattezze conte.
Al fiero sguardo, al viso fiirìbonilo,
K lo stimò guerrier d' alta prodezza :
Ma ebbe del provar troppa vaghezza.
ìi. Era giovane Alzirdo ed arrogante,
Per molta forza e per gran cor pregiato.
Per giostrar spinse il suo cavallo innante.
Meglio per lui, «e fosse in schi<;ra stato;
Che nello scontri» il principe d' Anglante
Lo fé' cader per mezzo il cor pa.ssato.
Giva in fuga il desfrier di timor pieno;
Cile su non v' era chi regge!.^e il freno.
16. liCivasi un grido subito ed orrendi».
Chi; d' ogn' intorno n' ha i' aria ripiena,
('omo fi vede il giovane c.idindo
Spicciare il sangue di sì larga vena.
La turba verso il conte vico fremendo
Disordinata, e tagli i- ponte uu-na :
Ma quella è più, che con pennuti dardi
Tcmpesln il liiir de' cuvalier g.iglianli
77.
78.
79.
80
81.
82.
83.
84
Con qual rumor la setolosa frotta
Correr da monti suole, o da campagne,
Se 'l lupo uscito di nascosa grotta,
O 1' orso sceso alle minor montiigne,
In tener porco preso abbia taloha ,
Che con grugnito e gran strìdor si lagne :
Con tal lo stuol barbarico era mosso
Verso il conte, gridando : Addosso, addosso !
Lance , saette e spade ebbe 1' u>bcigo
A un tempo mille, e lo scudo altrettante;
Chi gli percote con la mazza il tergo.
Chi minaccia da lato, e chi davante.
Ma quel, eh' al timor mai non diede alhergo.
Estima la vii turba e l' arme tante,
Quel che, dentri» alla mandra , ali' aer ciilpo,
11 nuiner dell' agnelle estimi il lupo.
ÌVuda avea in man quella fulminea spada,
Che posto Iia tanti Saracini a n>orte.
Dunque chi vuol, di quanta turba cada.
Tenere il conto, ha impresa dura e forte.
Rossa di sangue già correa la strada,
Capace ajipena a tante genti morte ;
Perchè nò targa, né cappel difende
La fatai Durindana, ove discende.
Né vesta piena di cotone, o tele,
Che circondino il capo in mille volti.
]Non pur per 1' aria gemiti e querele.
Ma volan braccia e spalle, e capi M-iolti.
Pel campo errando va morte crudele
In molti, varj , e tutti orribii volti;
E tra sé dice: In man d' Orlando vaici
Durindana per cento di mie falci.
Una percossa appena 1' altra aspetta.
Bentosto cominciar tutti a fuggire:
E quando prima ne veniano in fretta,
Perdi' era sol, credeanselo inghiottire;
Non è chi , per levar,»! della stretta,
L' amico aspetti, e cerchi insieme gire:
Chi fugge a piedi in qua, chi colà sprona;
JNessun domanda, se la strada è buoiiu.
Virtute andava intorno con lo speglio,
Che fa veder nell' anima ogni ruga :
Nessun vi si mirò, se non un veglio,
A cui il sangue 1' età, non l" ardir, scinga.
Aide costui , quanto il morir sia uu-glio,
Che con suo disonur mettersi in fuga;
Dico il re di Norizia , onde la lancia
Arrestò contra il paladin di Francia,
E la rup|)e alla penna dello scudo
Del fiero conte, che nulla si mos>e.
Egli, I ir aM-a alla posta il brando laido.
Uè Manilardo al trapassar percosse.
Fortuna I' ajiilò. che "1 ferro crudo
In man d' Orlando al venir giù voltos.se:
Tirarti i colpi a filo ognor tutu lece;
Ma pur di sella stramazzar lo fece.
Stordito dell' arrioii quel re straiunz/a.
.Non .si rivolge Orlando a rivederlo,
('Ile gli altri taglia, lron<:a. fende, amiiiazxii.
A tulli pare in sulle spaile averlo.
CoiiM- per r aria, ove bau si larga ])iaz7.a.
Fnggoii gli storni dall' audace siiieilo :
Così di quella M|uadni ormai disfalla
Altri cade, altri fugge, altri s' appiatta
[139]
ORLANDO FURIOSO. (XH. 85-94)
[140!
85. Non cessò pria la sanguinosa spada.
Che fu ili viva gente il campo voto.
Orlando è in dubbio a ripigliar la strada,
Benché gli sia tutto il pac.-^e noto:
O da man destra, o da sinistra vada,
Il pensier dall' andar sempre è rimoto;
D' Angelica cercar, fuorcli' ove sia,
Sempre è in timore, e far contraria via.
86. n suo cammìn, di lei chiedendo spesso,
O per li campi, o per le selve tenne;
E siccome era uscito di so stesso.
Uscì di strada, e a pie d' un monte venne,
Dove la notte fuor d' un sasso fesso
Lontan vide un splendor batter le penne.
Orlando al sasso per veder s' accosta.
Se quivi fosse Angelica riposta.
87. Come nel bosco dell' imiil ginepre,
O nella stoppia alla campagna aperta,
Quando si cerca la paurosa lepre
Ter traversati solchi e per via incerta,
Si va ad ogni cespuglio, ad ogni vepre,
Se per ventura vi fosse coperta:
Così cercava Orlando con gran pena
La donna sua, dove speranza il mena.
88. Verso quel raggio andando in fretta il conte
Giunse, ove nella selva si diffonde
Dall' angusto spiraglio di quel monte,
Ch' una capace grotta in sé nasconde ;
E trova innanzi nella prima fronte
Spine e virgulti , come mura e sponde.
Per celar quei, che nella grotta stanno.
Da chi far lor cercasse oltraggio e danno.
81>. Dì giorno ritrovata non sarebbe ;
Ma la facea di notte il lume aperta.
Orlando pensa ben quel, eh' esser debbe;
Pur vuol saper la cosa anco più certa.
Poiché legato fuor Brigliadoro ebbe,
Tacito viene alla grotta coperta,
E fra gli spessi rami nella buca
Entra, senza chiamar, chi T introduca.
90. Scende la tomba molti gradi al basso,
Dove la viva gente sta sepolta.
Era non poco spazioso il sas^so.
Tagliato a piuite di scarpelli in volta;
Rè di luce diurna in tutto casso,
Benché 1' entrata non ne dava molta ;
Ma ne veniva assai da una finestra.
Che sporgea in un pertugio da man destra.
91. In mezzo la spelonca, appresso a un foco,
Era una donna di giocondo viso:
Quindici anni passar dovea di poco.
Quanto fu al conte al primo sguardo avAÌso;
Ed era bella sì , che facea il loco
Sabatico parere un paradiso.
Bendi' avca gli occhj di lagrime pregni,
Del cor dolente manifesti segnL
92. V era ima vecchia, e facean gran contese,
Come uso femminil spesso esser suole;
Ma , come il conte nella grotta scese,
Finiron le dispute e le parole.
Orlando a salutarle fu cortese.
Come con donne sempre esser si tuoIc;
Ed elle si levaro immantinente,
E lui risalutar benignamente.
93. Gli è ver, che si smarrirò in faccia alquant
Come improvviso udiron quella voce,
E insieme entrare armato tutto quanto
Vider là dentro un uom tanto feroce.
Orlando domandò, qual fosse tanto
Scortese, ingiusto, barbaro ed atroce,
Che nella grotta tenesse sepolto
Un sì gentile ed amoroso volto?
91. La vergine a fatica gli rispose.
Interrotta da fervidi singozzi,
Che da' coralli e dalle preziose
Perle uscir fanno i dolci accenti mozzL
Le lagrime scendean tra gigli e rose,
Là dove avvien , eh' alcuna se n' inghiozzl.
Piacciavi udir nell' altro canto il resto.
Signor; che tempo è ornai di finir questo.
[141]
ORLANDO FURIOSO. (XIII. 1—12)
[142]
CANTO DECIMOTERZO.
ARGOMENTO.
Racconta la mestissima Isabella
Ad Orlando con faccia lacrimosa
La fiera sua fortuna acerba e fella,
Che la teneva in quella grotta ascosa.
Uccide i malandrini Orlando, e quella
Seco ne mena afflitta e dolorosa.
Per liberar Ruggier va Bradnmante,
E prigiona ella ancor resta d' Atlante.
1. Ben furo avventarosi i cavalieri,
Cli' erano a quella età, che ne' valloni,
Kelle scure spelonche e boschi fieri,
Tane di serpi , d' orsi e di leoni,
Trovavan quel, che ne' palazzi altieri
Appena or trovar pon giudici huoni:
Donne, che nella lor più fre!.ca etade
Sieu degne d' aver titol di beltade.
2. Di sopra vi narrai, che nella grotta
Avea trovato Orlando una donzella,
E che le dimandò, eh' ivi condotta
L' avesse. Or seguitando dico , eh' ella
(Poiché più d' un singozzo 1' ha interrotta)
Con dolce e soavissima favella
Al conte fa le sue sciagure note,
Con quella brevità che meglio puote.
3. Bencir io sia certa, dice, o cavaliere,
Cli' io porterò del mio parlar supplizio,
Percliè a colui , che qui m' ha chiusa , spero
Che costei ne darà subito indizio.
Pur son disposta non celarti il vero,
E vada la mia vita iu precipizio.
E che aspettar poss' io da lui più gioja,
Che si disponga un di voler, eh' io muoja?
4. Isabella son' io, che figlia fui
Del re mal fortunato di Galizia ;
Ben dissi fui ; eh' or non soli più di Ini,
Ma di dolor, d' alTanuo e di uu'stizia —
Ci>lpa d' Amor ! v.W io non sapr«'i, di cui
Dolermi più, che della sua nequizia,
Che dolcemente ne' priucipj applaude,
E tesse di nascosto inganno e i'raudc.
5. Già mi vivcn di mia sorte felice.
Gentil, giovane, ricca, onesta e liella;
lile e povera or sono, ora inl'elice;
E, s' altra è peggior sorte, io sono in quella.
Ma voglio Niippi 111 prima radice,
C;iie prodiisse «|uel mal, che mi flagella;
E beurliè ajulo poi da te non esca,
Poco non mi parrà, che te n' incrctjca.
6. Mio padre fé' in Bajona alcune giostre,
Esser denno oggiraai dodici mesi.
Trasse la fama nelle terre nostre
Cavalieri a giostrar di più paesi.
Fra gli altri (o sia eh' Amor cosi mi mosti'e,
O che virtù pur sé stessa palesi)
Mi parve da lodar Zerbino solo.
Che del gran re di Scozia era figliuolo:
7. Il qual, poiché far prove in campo vidi
Miracolose di cavalleria,
Fui presa del suo amore, e non m' avvidi,
Ch' io mi conobbi più non esser mia.
E pur, benché '1 suo amor così mi guidi.
Mi giova sempre avere in fantasia,
Ch' io non misi il mio core in luogo immondo.
Ma nel più degno e bel, eh' oggi sia al mondo.
8. Zerbino di bellezza e di valore
Sopra tutti i signori era eminente.
Mostrommi, e credo mi portasse amore,
E che di me non fosse meno ardente.
Non ci mancò chi del comune ardore
Interprete fra noi fosse sovente.
Poiché di vista ancor fummo disgiunti;
Che gli animi restar sempre congiunti:
9. Perocché , dato fine alla gran festa,
n mio Zerbino in Scozia fé' ritorno.
Se sai, che cosa é amor, ben sai, che mesta
Restai , di lui pensando notte e giorno ;
Ed era certa , che non men molesta
Fiamma intorno il suo cor facea soggiorno.
Egli non fece al suo desio più schermi,
Se non che cercò \'m di seco aAcriui.
10. E «perché vieta la diversa fede,
Essendo egli cristiano, io saracina,
Ch' al mio padre per moglie non mi cliicdc,
Per furto indi levarmi si destina ;
Fuor della ricca mia patria, che siedo
Tra verdi campi, allato alla marina,
Aveva un Ind giardiu sopra una riva,
Che i colli intorno e tutto il mar scopriva.
11. Gli parve il luogo a fornir ciò disposto,
Che la diversa religion ci vieta;
E mi fa saper 1' ordine, che posto
Avea, di l'ar la nostra vita lieta.
Appresso a santa Marta avea nascosto
Con gente armata una galea secreta.
In guardia d' Odoriro di lliseaglìa,
E ia mare e iu terra mastro di battaglia.
12. Né potendo in persona far 1' effetto.
Perdi' egli allora era dal padre antico
A iLir soccorso al re di Francia astretto,
Mauileria in vece sua questo Odorico,
('he fra ditti i red<-li amici eletto
S' a>ea p<'l più h-dele, e pel y'iii amico
E ben e.-<.>>er do^ca, se i benefici
Sempre hanno forza d' acquietar gli amici.
[143]
ORLANDO FURIOSO. (XIII. 13-28)
[144]
13. Verria costruì sopra un naviglio armato,
Al terminato tempo , indi a levarmi.
E così venne il giorno desiato,
Che dentro il mio gìardin lasciai trovarmi.
Odorico la notte , accompagnato
Di gente valorosa all' acqua e all' armi.
Smontò ad un fiume alla città vicino,
E venne chetamente al mio giardino.
14. Quindi fui tratta alla galea spalmata,
Primachè la città n' avesse avvisi.
Della famiglia ignuda e disarmata
Altri fuggirò, altri restaro uccisi;
Parte cattiva meco fu menata.
Cosi dalla mia terra io mi divisi ;
Con quanto gaudio , non ti potrei dire,
Sperando in breve il mio Zerbin fruire.
15. Voltati sopra Mongia eramo appena.
Quando ci assalse alla sinistra sponda
Vn vento, che turbò l' aria serena,
E turbò il mare, e al ciel gli levò 1' onda.
Salta un maestro , eh' attraverso mena,
E cresce ad ora ad ora , e soprabbonda ;
E cresce e soprabbonda con tal forza,
Che vai poco alternar poggia con orza.
16. Non giova calar vele, e l' arbor sopra
Corsia legar , né minar castella ;
Che ci veggiam , mal grado , portar sopra
Acuti scogli appresso alla Roccella.
Se non ci ajuta quel, che sta di sopra,
Ci spinge in terra la crudel procella.
Il vento rio ne caccia in maggior fretta,
Che d' arco mai non sii avventò saetta.
17. Vide il periglio il Biscaglino, e a quello
Usò un rimedio, che fallir suol spesso:
Ebbe ricorso subito al battello,
Calossi , e me calar fece con esso ;
Sceser due altri , e ne scendea un drappello,
Se i primi scesi 1' avesser concesso :
Ma con le spade li tenner discosto,
Tagliar la fune, e ci allargammo tosto.
18. Fummo gittati a salvamento al lito
Noi , che nel palischermo eramo scesi,
Periron gli altri col legno sdrucito ;
In preda al mare andar tutti gli arnesi.
All' eterna boutade, all' infinito
Amor, rendendo grazie, le man stesi,
Che non m' avesse dal furor marino
Lasciato tor di riveder Zerbino.
1!>. Comedi' io avessi sopra il legno e vesti
I.Misciato, e gioje, e V altre cose care,
Porcile la speme di .''erbin mi re.-ti,
(Contenta soii , che s' abh.'«i "l resto il mare.
Non sono, ove scendemmo, j 'iti pesti
D' alcun senticr, nò intorno al.'.'crgo appare,
Ma solo il monte, al qual mai sei?UHe fiede
L' Oli.".'.""''" *^"P» il vexjio, e '1 mare 11 picdc.
20. Qoi^i il crudo tiranno Amor, che sempre
D' ogni promessa tiua fu disleale,
E Hcmpre guarda , come involva e btempre
Ogni nostro disegno razionale.
Mutò, l'.on tri-te e disoneste tempre
Mìo conforto in dolor, mio ben*; in male;
VAù: qu«;ir amico , in <-.lii Zerbin sì crede.
Di desir arae, ed agghiacciò di fede.
21. O che ra' avesse in mar bramata ancora,
Né fosse stato a dimostrarlo ardito;
O cominciasse il desiderio allora,
Che r agio v' ebbe dal solingo lito:
Disegnò quivi, senza più dimora,
Condurre a fin l' ingordo suo appetito,
Ma prima da sé torre un delli dui.
Che nel battei campati eran con nui.
22- Queir era uomo di Scozia, Almonìo detto,
Che mostrava a Zerbin portar gran fede,
E commendato per guerrier perfetto
Da lui fu , quando ad Odorico il diede.
Disse a costui , che biasmo era e difetto,
Se mi traeauo alla Roccella a piede,
E lo pregò , di' innanzi volesse ire
A farmi incontra alcun ron/in venire.
23. Almonio, che di ciò nulla temea.
Immantinente innanzi il cammin piglia
Alla città, che '1 bosco ci ascondea,
E non era lontana oltra sei miglia.
Odorico scoprir sua voglia rea
All' altro finalmente si consiglia;
Sì, perché tor non se lo sa dappresso,
Sì, perché avca gran confidenza in esso.
24. Era Corchi) di Bilbao nomato
Quel, di eh' io parlo, che con noi rimase,
Che da fanciullo picciolo allevato
S' era con lui nelle medesme case.
Poter con lui comunicar l' ingrato
Pensiero il traditor si persuase,
SpeiMndo, di' ad amar saria più presto
Il piacer dell' amico , che l' onesto.
25. Corebo , che gentile era e cortese.
Non lo potè ascoltar senza gran sdegno;
Lo chiamò traditore , e gli contese
Con parole e con fatti il rio disegno.
Grande ira all' uno e all' altro il core accese,
E con le spade nude ne fer segno.
Al trar de' ferii, io fui dalla paura
Volta a fuggir per l' alta selva oscura.
26. Odorico, che mastro era di guerra.
In pochi colpì a tal vantaggio venne.
Che per morto lasciò Corebo in terra,
E per le mie vestige il cammin tenne.
Prestogli Amor fse '1 mio creder non erra).
Perché potesse giungermi, le penne,
E gì' insegnò molte lusinghe e preghi,
Con che ad amarlo e compiacer mi pieglii —
27. Ma tutto indarno; che fermata e certa
Piuttosto era a morir , eh' a satisfarli.
Poich' »)gni prego , ogni lusinga esperta
Ebbe, e minaci^e, e non p<»tean giocarli,
Si ridusse alhi forza a faixìa aperta.
Nulla mi vai , che supplicando parli
Della fé , eh' avea in lui Zerbino avuta,
E ('II' Io nelle sue man in' era creduta.
28. Poiché gittar mi vidi i pricghi invano,
Né mi sperare altronde altro soccorso,
E che più sempre cupido e villano
A me venia, come famelitu» orso:
Io mi difesi con piedi e con mano.
Ed adopraivi sin all' iigne e 1 morso;
Pdaigli il mento, e gli graffiai la pelle,
Con stridi che n' andavano alle bielle.
[145]
ORLANDO FURIOSO. (XIII. 29 — 41)
[146]
29. Non so, se fosse caso, o li miei gridi,
Che si doveano udir lungi una lega,
Oppur , eh' usati sian correre ai lidi.
Quando na\iglio alcun si i-onipe, o annega:
Sopra il monte una turba apparir vidi,
E questa al mare e verso noi si piega.
Come la Tede il Biscaglin venire,
Lascia 1' impresa , e voltasi a fuggire.
30. Centra quel disleal mi fu ajutrìce
Questa turba, signor; ma a quella immage.
Che sovente in proverbio il volgo dice,
Cader della padella nelle brage.
Gli è ver, eh' io non son stata sì infelice,
]Vè le lor menti ancor tanto malvage,
Ch' a1>biano violata mia persona :
Non che sia in lor virtù, né cosa buona;
31. Ma perchè, se mi sei-ban, come io sono,
Vergine , speran vendermi più molto.
Finito è il mese ottavo, e viene il nono,
Che fu il mio vivo corpo qui sepolto.
Del mio Zerbino ogni speme aI)bandono ;
Che già, per quanto ho da' lor detti accolto,
M^ han promessa e venduta a un mercadante,
Che portare al soldan mi de' in Levante.
32. Così parlava la gentil donzella
E spesso con singhiozzi e con sospiri
Interrompea 1' angelica favella,
Da movere a pietade aspidi e tiri.
Mentre sua doglia cosi rinnovella,
O forse disacerba i suoi martiri.
Da venti uomini entrar nella spelonca
Armati, chi di spiedo, e chi di ronca.
33. Il primo d' essi, uom di spietato viso,
Ha solo un occhio , e sguardo scuro e bieco ;
L' altro , d' un colpo , che gli avea reciso
Il naso e la mascella , è fatto cieco.
Costui vedendo il <;avariero assiso
Con la vergine bella entro lo speco.
Volto a' compagni, disse: Ecco augel nuovo,
A cui non tesi , e nella rete il trovo.
84. Poi disse al conte : Uomo non vidi mai
Più comodo di te, né più opportuno.
Non so , se ti se' apposto , o se lo sai,
Perchè te 1' abbia forse detto alcuno,
Che sì beli' arme io desiava assai,
E questo tuo leggiadro abito bruno.
Venuto a tempo \ eramcntc sei.
Per riparare agli bisogni miei.
35. Sorrise amaramente, in pie salito
Orlando, e le' risposta al mascalzone:
10 ti venderò 1' arnu; ad un |)ai'tilo.
Che non ha mercadanle in sua ragione.
Del fuoco, eh' a^ea presso, indi i'a|>ito
l'icn di fuoco e di fumo uno s(i/.zon(;
l'rasse, e percosse il malandrino a caso,
Dove confìna con le ciglia il naso.
86. liO stizzonc ambe le palpebre colse,
Ma maggior danno fé' nella siniijtra;
Che qiieliii parte misera <;lì lolse,
i'ìu: della luce sobi rra miuihtra:
^è d' ae<(-(-iirlo contentar si volse
11 colpo fier, se ancor nini lo registra
Tra quegli -pirli, clu; co' suoi compagni
Fu blur Chiroa dentro ai bollenti blagui.
37. Nella spelonca una gran mensa siede.
Grossa duo palmi , e spaziosa in quadro,
Che, sopra un mal pulito e grosso piede
Cape con tutta la famiglia il ladro.
Con queir agevolezza , che si vede
Gittar la canna lo Spagnuol leggiadro.
Orlando il grave desco da sé scaglia,
Dove ristretta insieme è la canaglia.
38. A chi '1 petto, a chi '1 ventre, a chi la testa,
A ehi rompe le gambe, a chi le braccia.
Di che altri muore, altri storpiato resta:
Chi meno è offeso , di fuggir procaccia.
Così talvolta un grave sasso pesta
E fianchi e lomlìi, e spezza capi e schiaccia,
Giltato sopra un gran drappel di bisce.
Che dopo il verno al sol si goda e lisce.
39. Nascono casi , e non saprei dir , quanti •
Una muore , una parte senza coda;
Un' altra non si può mover davanti,
E 'l deretano indarno aggira e snoda;
Un' altra , eh' ebbe più propizj santi,
Striscia fra 1' erbe, e va serpendo a proda.
Il colpo orribil fu , ma non mirando,
Poiché lo fece il valoroso Orlando.
40. Quei, che la mensa o nulla, o poco offese,
(E Turpin scrive appunto che fur settej
Ài piedi raccomandan sue difese.
Ma neir uscita il paladin si mette ;
E, poiché presi gli ha senza contese,
Le man lor lega con la fime strette.
Con una fune al suo bisogno destra.
Che ritrovò nella casa silvestra.
41. Poi gli strascina fuor della spelonca.
Dove facea grande ombra nn vecchio sorbo.
Orlando con la spada i rami tronca,
E quelli attacca per vivanda al corbo.
Non bisognò catena in capo adonca;
Che, per purgare il mondo di quel morbo,
L' arbor medesmo gli uncini prcstollì,
Con che pel mento Orlando ivi attaccoUì.
42. La donna vecchia , amica a' malandrini,
Poiché restar tutti li vide estinti,
Fuggì piangendo , e con le mani ai crini.
Per selve e boscherecci labirinti.
Dopo aspri e malagevoli canunini,
A gravi passi , e dal timor sospìnti,
In ripa nn fiiune in un guerrier scontrosso:
Ma differisco a raccontar , chi fo!.se,
43. E torno all' altra , che si raccomanda
Al paladin , clu; non la lasci sola,
E dice di seguirlo in ogni banda.
Corte<cnu>Mt(! Orlando la consola:
E quindi, poicir u>r] roii la gliirlandii
Di rose; adorna, e di pnr|iurea .>tola
La bianca Aurora al solito cammino,
Partì <:on Isabella il p>iladino.
44. Senza trovar rosa , che degna sìa
D' istoria, molti giorni insieme andaixi
E (inuhnentc mi ra>alier per >ia,
(/he prigione er.i fratto, risconlraro.
('Ili ^o^^e, dirò poi; rì\ or nu' ne s^ia
Tal, di chi lulir non \i sarà meu caro :
La figliuola d' Amon, la qual lasciai
Languida dianzi in uuuiro.xi guai.
10
[147]
ORLANDO FURIOSO. (XIII. 45—60)
45
46
La bella donna , disiando invano,
Cii' a lei facesse il suo Riig-g^ier ritorno,
Stava a Marsilia , ove allo stiiol pagano
Dava da travaj^liar quasi oj^ni giorno ; _
Il qual scorrea rubando in monte e in piiino
Per Lingiiadoca e per Provenza intorno :
Ed ella ben facea 1' ufficio vero
Di savio duca, e d' ottimo guerriero.
Standosi quivi , e di gran spazio essendo
Passato il tempo , che tornare a lei
Il suo Ruggier dovea, nò Io vedendo,
Vivea in timor di mille casi rei.
Un dì fra gli altri , che di ciò piangendo
Stava solinga , le arrivò colei.
Che portò nell' anel la medicina,
Che sanò il cor, eh' avea ferito Alcina.
47
Come a so ritornar senza il suo amante,'
Dopo sì lungo termine , la vede,
Resta pallida e smorta , e sì tremante,
Che non ha forza di tenersi in piede.
Ma la maga gentil le va davante
Ridendo, poiché del timor s' avvede,
E con viso giocondo la conforta,
Qual aver suol, chi buone nuove apporta.
48. Non temer, disse, di Ruggier, donzella!
Ch' è vivo e sano, e, come suol , t' adora:
Ma non è già in sua libertà; che quella
Pur gli ha levata il tuo nimico ancora;
Ed è bisogno che tu monti in sella,
Se brami averlo, e che mi segui or ora.
Cile, se mi segui, io t' aprirò la via,
Donde per te Ruggier libero fia.
49. E seguitò narrandole di quello
Magico error, che gli avea ordito Atlante,
Che , simulando d' essa il viso bello,
Che cattiva parca del rio gigante,
Tratto r avea nell' incantato ostello,
Dove sparito poi gli era damante;
E come tarda , con simile i'iganno.
Le donne e i cavalier, che di là vaimo.
50
A tutti par, r incantator mirando.
Mirar quel, che per se l)rama ciascuno:
Donna, sciuiier, compagno, amico; quando
Il de.-iderio iiman non è tiitt' uno.
Quindi il palagio van tutti cercando
Con lungo afl'aniio, e senza frutto alcuno:
E tanta è la speranza e '1 gran desire
Del ritrovar, che non ne san partire.
51
Come tu giungi, disse, in quella parte,
Che giace presso all' incantata stanza,
Verrà l' incantatore a ritrovarle.
Che terrà di Ruggiero ogni sembianza,
E ti farà parer, con sua mal' arte,
Ch' ivi lo vinca alcun di più possanza,
Acciocché tu per ajufarlo vada.
Dove con gli altri poi li tenga a bada.
52. Penile gì' inganni, in che son tanti e tanti
Caduti , non ti colgan , sì<; avvertita.
Che, M! ben di Ruggier viso e sembianti
Ti parrà di ^cder, che chieggia aita.
Non gli dar ftd(r tu; ma, come avanti
Ti virn, fagli bi-ciiir 1' indegna vita:
Nò dubitar p<;riio , che Ruggier moja.
Ma ben colui , che li dà tanta noju !
53. Ti parrà duro assai (lien lo conosco)
Uccider un, che sembri il tuo Ruggiero;
Pur non dar fede all' occhio tuo , clic losco
Farà 1' incanto , e ccleragli il ver((.
Fermati pria eh' io ti conduca al bosco.
Sì, che poi non si cangi il tuo pensiero !
Che sempre di Ruggier rimarrai pri^a,
Se lasci , per viltà , che '1 mago viva.
54. La valorosa giovane , con questa
Inlenzion , che 'l fraudolente uccida,
A pigliar 1' arme, ed a seguire è presta
Melissa , che sa ben , quanto l' è fida.
Quella , or per terren culto , or per foresta
A gran giornate in gran fretta la guida,
Cercando alleviarle tuttavia
Con parlar grato la nojosa via.
55. E , più di tutti i bei ragionamenti.
Spesso leripetea, che uscir di lei
E di Ruggier doveano gli eccellenti
Principi , e gloriosi semidei.
Come a Slelissa fossino presenti
Tutti i secreti degli eterni Dei,
Tutte le cose ella sapea predire,
Ch' avcan per molti secoli a venire.
56. Deh! come, o prudentissima mia scorta,
(Dicea alla maga 1' inclita donzella)
Àlolti anni prima tu m' hai fatto accorta
Di tanta mia viril progenie bella,
Così d' alcuna donna mi conforta.
Che di mia stirpe sia, se alcuna in quella
Metter si può tra belle e virtuose.
E la cortese maga le rispose:
57. Da te uscir veggio le pudiche donne.
Madri d' imperadori e di gran regi,
Reparatrici , e solide colonne
Di case illustri e di dominj egregi.
Che men degne non son nelle lor gonne.
Che in arme i cavalier di sonimi pregi.
Di pietà, di gran cor, di gran prudenza.
Di somma e incomparabil continenza.
58. E se avrò da narrarti di ciascuna.
Che nella stirpe tua sia d' onor degna.
Troppe» sarà ; eh' io non ne veggio alcuna,
Che passar con silenzio mi convegna.
Ma ti farò tra mille scelta d' una
O di due coppie, acciocch' a fin ne vegna.
jVella spelonca perchè noi dicesti.
Che r immagini ancor vedute avresti?
59. Della tua chiara stirpe uscirà quella
D' opere illustri e di bei studj amica,
Ch' io non so ben , se più leggiadra e bella
Mi debba dire, o più saggia e pudica.
Liberale e magnanima Isabella,
Che del bel lume suo , di e notte , aprica
Farà la terra, clu; sul Rienzo siede,
A cui la madre d' Orno il nome diede: '
60. Dove onorato e splendido certame
Avrà col suo dignissimo consorte.
Chi di lor più le virtù prezzi ed ame,
E chi meglio a|)ra a cortesia le porte.
Se un narrerà, *.\\ al Taro, e nel reiuno
Fu a liberar da' (ìalli Italia forte,
L' altra dirà: Sol perchè casta visse,
Penelope non fu minor d' Llisse.
[148]
[149]
OKLANDO FURIOSO. (XIII. 6I-W)
[150]
61. Gran cose e molte in brevi detti accolgo
Di questa donna, e più dietro ne lasso,
Che in quelli dì , eh' io mi levai dal volgo,
Mi fé' chiare Merlin dal cavo sasso :
E , se in questo gran mar la vela sciolgo,
Di lungo Tifi in navigar trapasso.
Conchiudo in somma, eh' ella a\Tà per dono
Della virtù e del ciel ciò eh' è di buono.
62. Seco avrà la sorella Beatrice,
A cui si converrà tal nome appunto ;
Ch' essa non sol del ben , che quaggiù lice,
Per quel che vivcrà , toccherà il punto,
Ma avrà forza di far seco felice
Fra tutti i ricchi duci il suo congiunto,
11 qual, come ella poi lascerà il mondo,
Così degl' infelici andrà nel fondo.
63. E ]Moro, e Sforza, e viscontei colubri,
Lei viva, formidabili saranno
Dalle iperboree nevi ai lidi rnbrì.
Dall' Indo ai monti, eh' al tuo mar via danno.
Lei morta, andran col regno dcgl' Insubri,
E con grave di tutta Italia danno.
In servitute; e fia stimata, senza
Costei , ventura la somma prudenza.
64. Vi saranno altre ancor, eh' avranno il nome
Mcdesmo , e nasceran molti anni prima ;
Di che una s' ornerà le sacre chiome
Della corona di Pannonia opima ;
Un' altra , poiché le terrene some
Lasciate avrà , fia, nell' ausonio clima,
CoUocata nel numer delle Dive,
Ed avrà incensi e immagini votive.
65. Dell' altre tacerò ; che, come ho detto.
Lungo sarebbe a ragionar di tante.
Benché per s«; ciascuna abbia suggetto
Degno , eh' eroica e chiara tuba caute.
Le Bianche , le Lncrezie io terrò in petto,
E le Costanze, e l' altre, che di quante
Splendide case Italia reggeranno,
Reparatrici e madri ad esser hanno.
66. Più , eh' altre fosser mai , le tue faraìglie
Saran nelle lor donne avventurose;
Non di('o in quella \)'iii delle lor figlie.
Che neir alta onestà dello lor spose.
E acciò da te notizia anco si piglio
Di questa parte , che Merlin mi espose.
Forse percli' i(» 'I do\cssi a te ridire,
Ilo di parlarne non poco desire.
67. E dirò prima di Uicciarda, degno
J]seiiipio (li fortezza e d' onestade.
Vedova rimarrà giovane a sdegno
Di fortuna; il che spesso ai buoni accade.
I figli , pri\i del paterno regno.
Esuli andar vedrà in strane contrade,
Fanciulli in man degli a^^ersarj loro:
Ma in fine avrà il suo mah; ampio ristoro.
68. Dell' alta stirpe d' Aragona antica
ìSon tacerò la splendida regina.
Di cui n«: saggia ^ì , uè ^ì pudica
Veggio istoria hidar greca o Ialina,
Mò a cui Fortuna più si mostri amica,
Poii'ln- sarà dalla lionlà divina
Eletta madre a partorir la hella
Progenie. Alfonso, Ippolito e Isabella.
69. Costei sarà la saggia Leonora,
I Clie nel tuo felice arbore s' innesta,
I Che ti dirò della seconda nuora,
j Succeditrice prossima di questa,
! Lucrezia Borgia , di cui d' ora in ora
j La beltà , la virtù , la fama onesta
' E la fortuna crescerà non meno.
Che giovin pianta in morbido terreno ?
70. Qual lo stagno all' argento, il rame all' oro,
\ Il campestre papavero alla rosa.
Pallido salce al sempre verde alloro.
Dipinto vetro a gemma prezio.<a.
Tale a costei , eh' ancor non nata onoro,
Sarà ciascuna insino a qui famosa
Di singoiar beltà, di gran prndenza,
E d' ogni altra lodevole eccellenza.
71. E sopra tutti gli altri incliti pregi.
Che le saranno e a viva e a morta dati.
Si loderà, che dì costumi regi
Ercole e gli altri figli avrà dotati,
E dato gran principio ai ricchi fregi.
Di che poi s' ornerimno in toga, e armati:
Perchè 1' odor non se ne va sì in fretta.
Che in nuovo vaso , o buono o rio , si metta.
12. Non voglio, clic in silenzio anco Renata
Di Fi-ancia, nuora dì costei, rimagna.
Di Luigi il duodecimo re nata,
E dell' eterna gloria di Bretagna.
Ogni virtù, che in donna mal sia sfata.
Dappoiché 'l fuoco scalda, e 1' acqua b.igna,
E gira intorno il cielo , insieme tutta
Per Renata adornar veggio ridutta.
73. Lungo sarà, che d' Alda di Sansogna
Narri , o della contessa di Celano,
O di Bianca IMaria di Catalogna,
O della figlia del re siciliano,
O della bella Lippa da Bologna,
E d' altre; che , s' io vo' di mano in mano
Venirtene dicendo le gran lode,
Entro in un alto mar, che non ha prode.
74. Poiché le raccontò la maggior parte
Della futura stirpe a suo grand' agio,
Più volte e più le replicò dell' arte,
Ch' avea tratto Itnggier deiitro al palagio.
Melissa si fermò, poiché In in ])arte
Vicina al luogo del vecchio malvagio;
E non le jiarve di venir piò innante,
Perché vedala non fosse da Allintc.
j5. e la don/ella di nuovo ronsij^lia
Di quel , che mille volte ormai le ha detto.
La lascia sola: e quella oltre a due miglia
Non cavalcò per un sentiero stretto,
Che vide quel, eh' al suo KMgj;ier simiglia,
E due giganti di crudele aspetto
Intorno a>ea, che lo slriufican sì forte,
Cir era vicino esser condotto a morte.
16. Come la donna in tal periglio vede
Cedui , che di liuggiiro ha tutti i s«'gnì,
Suhito «aniiia in so>pi/.ion la f«'de,
Suhilo olililia tutti i suoi bei disegni.
Che sia in odio a ìlclissa Ituggicr credo
Per nuova ini;iuria, e non intesi sdi-giu",
]'! c:erchi far, con disusata trama,
C'bc sia morto da lei , che <-osì 1' ama.
10 *
[151] ORLANDO FURIOSO^ (XIII. -Sf7- 83. XIV. 1-4) [152J
ti. Seco dicea : Non è Ruggier costui,
Che col cor sempre , ed or con gli occhj veggio ;
E s' or non veggio e non conosco lui, ^
Chi mai vedere , o mai conoscer dcggip ?
Perchè voglio io , delia credenza altrui,
Che la veduta mia giudichi peggio ?
Che , senza gli occhj ancor , sol per se stessa
Può il cor sentir , se gli è lontano , o appresso.
18. Mentiechè così pensa , ode la voce,
Che le par di Ruggier , chieder soccorso,
E vede quello a un tempo , che veloce
Sprona il cavallo , e gli rallenta il morso ;
E r un nemico e 1' altro suo feroce,
Che lo segue e lo caccia a tutto corso.
Di lor seguir la donna non rimase,
Che si condusse alle incantate case,
7!). Delle quai non più tosto entrò le porte,
Che fu sommersa nel comune errore.
Lo cercò tutte per vie dritte e torte,
In van di su, di giù, dentro e di fuore;
Né cessa notte, o dì; tanto era forte
L' incanto; e fatto avea 1' incantatore,
Cile Ruggier vede sempre, e gli favella,
Né Ruggier lei , né lui riconosce ella.
80. Ma lasciam Bradamante , e non v' ìncrcsca
Udir , che così resti in quell' incanto !
Che , quando sarà il tempo , eh' ella n' esca,
La farò uscire , e Ruggiero altrettanto.
Come raccende il gusto il mutare esca,
Così mi par , che la mia istoria , quanto
Or qua or là più variata sia.
Meno, a chi 1' udirà, nojosa Ila.
81. Di molte fila esser hisogno parme
A condur la gran tela, eh' io lavoro?
E però non vi spiaccia d' ascoltarme,
Come, fuor delle stanze, il popol Moro
Davanti al re Agramante ha preso 1' arme.
Che , molto minacciando ai gigli d' oro,
Lo fa assemhrare ad una mostra nuova.
Per saper quanta gente si ritrova.
82. Perchè , oltre i cavalieri , oltre i pedoni,
Ch' al numero sottratti erano in copia,
Mancavan capit.ini, e pur de' huoni,
E di Spagna e di Libia e d' Etiopia,
E le diverse squadre e le nazioni
Givano errando senza guida propia.
Per dare e capo ed ordine a ciascuna.
Tutto il campo alla mostra si raguna.
83. In supplimento delle turbe uccìse
Nelle battaglie, e ne' fieri conflitti,
L' un signore in Ispagna , e 1' altro mise
In Africa , ove molti erano scritti.
E tutti alli lor ordini divise,
E sotto i duci lor gli ebbe diritti.
Differirò , Signor, con grazia vostra,
Neil' altro canto l' ordine e la mostra.
CANTO DECIMOQUARTO.
ARGOMENTO.
Fatto avendo la mostra il re Agramante
Velie sue genti, egli s' avvede tardo.
Che con due schiere (il che non seppe avantc)
Mancava insieme Alzirdo e Manilurdo.
Va per trovar il gran signor d' Anglantc,
E trova Doralicc , Mandricardo.
Regge Michel di Rinaldo i vestigi,
Mentrechè i Mori assaltano Parigi.
Nei molti assalti , e nei crndel conflitti,
Ch' avuti avea con Fraru;ia Africa e Spagna,
Morti erano infiniti e derelitti
A! lupo, al c<»rvo, all' a(|uila grifagna;
E bencliè i Frimclii fopisero più affiitti,
Clie tutta avcan perduta la campagna.
Più i>i doh^ano i Saracin, p(?r molti
Princij)! e gran baron , eli' cran h»r tolti.
2. Ebbon vittorie così sanguinose.
Che lor poco avanzò di che allegrarsi :
E se alle antique le moderne cose.
Invitto Alfonso , denno assimigliarsi,
La gran vittoria, onde alle virtuose
Opere vostre può la gloria darsi.
Di che aver sempre lagriniose ciglia ^
Ravenna debbe , a queste s' assimiglia :
3. Quando , cedendo Morini e Piccardi,
L' esercito noriinindo e 1' aquitauo,^
Voi nel mezzo assaliste gli stendardi
Del quasi vincitor nimico ispano ;
Seguendo voi quei giovani gagliardi,
Che uKu-itàr con valorosa niano^
Quel dì da voi, per onorati doni,
L' else indorate , e gì' iiulorati sproni.
4. Con si animosi petti, che vi foro
Vicini , o poco liuigi al gran periglio,
Crolla^t»! sì le ricche ghiaiule d' oro,
Sì rcuupeste il baston giallo e vermiglio,
Cir a voi si deve il trionfale alloro,
Che non fu guasto , uè sfiorato il giglio.
D' un' altra fronde v' orna anco la chioma
L' aver serbalo il suo I'"al)rizio a Roma.
[153]
ORLANDO FURIOSO. (XIV. 5 — 20)
[154]
5. La gi-an Colonna del nome romano,
Clic voi prendeste , e che serbaste intera,
Vi dà più onor , che se di vostra mano
Fosse caduta la milìzia fiera,
Quanta n' ingrassa il campo raTegnano,
E quanta se n' andò senza bandiera
D' Aragon , di Castiglia e di \avarra.
Veduto non giovar spiedi , nò carra.
6b Quella vittoria fu più di conforto,
Che d' allegrezza ; perchè troppo pesa
Centra la gioja nostra il veder moi-to
Il capitan di Francia, e dell' impresa;
E seco avere una procella assorto
Tanti principi illustri , che a difesa
De' regni lor , de' lor confederati,
Di qua dalle fredde Alpi eran passati.
7. Nostra salute , nostra vita In questa
Vittoria suscitata si conosce,
Che difende , che '1 a erno e la tempesta
Di Giove irato sopra noi non croscè :
Ma né goder possiam, nò fai-ne festa,
Sentendo i gran rammarichi e 1' angosce,
Che, in vesta bruna e lagrimosa guancia,
Le vedovelle fan per tutta Francia.
8. Bisogna , che proveggia il re Luigi
Di nuovi capitani alle sue squadre,
Che, per onor dell' aurea fiordilìgi,
Ciistighino le man rapaci e ladre.
Che suore e frati, e bianchi e neri e hìgì.
Violato hanno , e sposa, e figlia, e madre;
Gittato in terra Cristo in sacramento.
Per torgli un tabernacolo d' argento.
9. O misera Ravenna, t' era meglio
Clic al vincitor non fessi resistenza ;
Far, eh' a te fosse innanzi Brescia speglio.
Che tu lo fossi a Rimino e a Faenza.
Manda , Luigi , il buon Trivulzio veglio.
Che insegni a questi tuoi più confinenza,
E conti lor , quanti , per simil torti.
Stati ne sian per tutta Italia morti !
10. Come dì capitani l)isogna ora,
Che '1 re di Francia al campo suo proveggia.
Così Marsilio, ed Agramante allora,
Ver dar buon reggimento alla sua greggia,
Dai lochi, dove il ^erno fé' ilimora,
Vuol, che in campagna all' ordine si veggia.
Perchè, vedendo, ove bisogno sia,
Guida e governo ad ogni scliicra dia,
11. Marsilio prima, e poi fece Agramante
Passar la gente sua schiera \h'v schiera.
I Catalani a tutti gli altri innante
Di l)orif<;bo van con la biiiidicra.
Dopo vien senza il suo re Folvirantc,
Clic per man di Rinaldo già morto era,
La gente di Xavarra; e lo re i>pano
Halle dato Itjoiicr |)er ca])i(ano.
12. Raingantc del popol di Leone,
(irandonio cura d(;gli Algarbi |>iglia:
II Iratel di Miir.silio, Falsirone,
ila seco armala la minor Ciistiglia.
Scgiicui di Madiira^sii il goiil'iilone
Quei, che laxiato bau Malaga <• Siviglia,
Dal mar di (iade a Conbna Irconda
Lu verdi ripe, «tvunque il Reti inonda.
13. Stordilano e Tessira e Baricondo,
L' un dopo r altro mostra la sua gente;
Granata al primo , Ulisbona al secondo,
E 3Iajorica al terzo è ubbidiente.
Fu d' Ulisbona re (tolto dal mondo
Larbin) Tessira, di Larbin parente.
Poi vien Galizia, che sua guida, in vece
Di 3Iaric()ldo , Serpentino fece.
14. Quei di Toledo, e quei di Calatrava,
Di eh' ebbe Sinagon già la bandiera,
Con tutta quella gente, che si lava
In Guadiana , e bee della riviera,
L' audace Matalista governava.
Bianzardin quei d' Asturga in una schiera,
Con quei di Salamanca e di Piagenza,
D' Avila , di Zamorra e di Palenza.
15. Di quei di Saragosa, e della corte
Del re Marsilio , ha Ferraù il governo.
Tutta la gente è ben armata e forte.
In questi è Malgarino e Balinverno,
Maizarise e Morgante, eh' una sorte
Area fatto abitar paese esterno ;
Che , poiché i regni lor lor f uron tolti,
Gli avea 3Iarsilio in corte sua raccolti.
16. In questa è di Marsilio il gran bastardo,
Follicon d' Almeria , con Doriconte,
Bavarte , e l' Argalifa ed Analardo,
Ed Archidante, il sagontino conte,
E r Ammirante, e Langhiran gagliardo.
E Malagur , eh' avea 1' astuzie pronte ;
Ed altri ed altri , de' quai penso , dove
Tempo sarà , di far veder le prove.
17. Poiché passò 1' esercito di Spagna
Con bella mostra innanzi al re Agramante,
Con la sua squadra apparve alla campagna
Il re d'Oran , che quasi era gigante.
L' altra, che vien, per IMartasin ^i lagna,
li qual morto le fu da Bradaniante;
E si duol, eh' una femmina si vanti
D' a^cre ucciso il re de' Garamantì.
18. Segue la terza schiera di Marmonda,
Ch' Argosto morto abbandonò in Guascogna.
A questa im capo, come alla seconda,
E come anco alla quarta, dar bi-ogna.
Quantun(|ue il re Agramante non abbonda
Di caiììtani , pur ne finge e sogna:
Dunque Ruraldo, Ormida, Arganio elesse,
E, dove uopo ne fu, guida li messe.
19. Diede ad Arganio quei di Libicana,
Clic piangean nioito il negro Dudriiiasso.
Guida Kriinello i suoi di Tiiigilana,
Con viso nubiloso, e ciglio ba>so:
Che, poiché nella >clva non lontana
Dal Castel, eh' ci)i)c Aliante in cima ai sasso,
(ìli fu tolto r anrl da Kradamanle,
Caduto era in di>grazia al re Agramante:
20. E , KC 'I fratel di Ferraù , Isoliero,
Cir air arbore legato ritrovollo,
Aon facci fede innaii/i al re del vero,
A\r«bbe dato in >ullc rorilie un crtillo.
I\lutò, a' preghi di molli, il re pcii>i«'ro.
Già a>endo latto ptngli il biccio al cidlo :
(ìlielo fece levar, ma rixriiarlo
Pel primo error; che poi giurò impiccarlo.
[155]
ORLANDO FURIOSO. (XIV. 21-30)
[156]
21. Siedi' avea causa di venir Brunello
Col viso mesto e con la testa china.
Segnia poi Farurante , e dietro a quello
Evan cavalli e fanti di Manrina.
Tenia Libanio appresso, il re novello:
La gente era con lui di Costantina;
Perocché la corona e '1 baston d' oro
Gli ha dato il re , che fu di Pinadoro.
22. Con la gente d' Esperia Sondano,
"^ E Dorilon ne vien con quei di Setta :
Ne vien co' Nasamoni Puliano :
Quelli d' Araonia il re Agricalte affretta ;
Malabuferso quelli di Fizano :
Da Finaduro è 1' altra squadra retta,
Che di Canaria viene e di Marocco :
Balastro ha quei, che fur del re Tardocco.
23. Due squadre, una di Malga, una d' Arzillii.
Seguono , e questa ha il suo signore antico,
Quella n' è priva; e però il re sortilla,
E diella a Corinéo , suo fido amico :
E così della gente d' Alraansilla,
Ch' ebbe Tanfirion , fé' re Caico ;
Die quella di Gctulia a Rimedonte;
Poi vien con quei di Cosca Balinfrontc.
24 Quell' altra schiera è la gente di Bolg;: ;
* Suo re è Clarindo , e già fu Blirabaldo :
Vien Baliverzo, il qual vo' che tu tolga
Di tutto il gregge pel maggior ribaldo.
Non credo in tutto il campo si disciolga
Bandiera, eh' abbia esercito più saldo
Dell' altra, conche segue il re Sohrino,
?^è più di lui prudente Saracino.
25. Quei di Bellamarina, che Gualciotto ^
Solca guidare, or guida il re d' Algierl,
Rodomonte di Sarza , che condotto
Di nuovo avea pedoni e cavalieri ;
Che mentre il sol fu nubiloso sotto
Il "-ran centauro , e i corni orridi e fieri,
Fu^in Africa mandato da Agramante,
Onde venuto era tre giorni innante.
26. ^on avea il campo d' Africa più forte,
Né Saracin più audace di costui ;
E più temean le parigine porte.
Ed avcan più cagion di temer lui,
Che Marsilio, Agramante, e la gran corte,
Ch' avea seguit<» in Francia questi dui;
E più d' ogni altro , che facesse mostra.
Era nimico della fede nostra.
27. Vien Prusione, il re dell' Alvaracchic;
Poi quel della Zumara, Dardinello.
Non so, s' abbiano <» nottole o cornacchie,
O altro manco ed importuno augello,
Il qual dai tetti e dalle fronde gracchie
Futuro mal, predetto a questo e a quello.
Che fissa in ciel nel dì seguente ì: V ora.
Che r uno e 1' altro in quella pugna mora.
28. In campo non arcano altri a venire.
Che «luci di 'l'r(;mi>enne e di ^orizia;
Nò hi vtrdea alla mostra comparire
Il BCgno lor , ni: «lar di t-ò notizia.
Non sapendo Agiamanti^, <:he si dire,
N«; che peiif-ar di (|iic>ta lor pigrizia,
Uno scudiero allìii gli fu cotulntto
Del re di Tremi.-en , che narrò il tutto ;
29. E gli narrò, eh' Alzirdo e Manilardo,
Con molti altri de' suoi , giaceano al campo.
Signor, dìss' egli, il cavalier gagliardo,
Ch' ucciso ha i nostri , ucciso avrìa il tuo campo,
Se fosse stato a torsi via più tardo
Di me, eh' appena ancor così ne scampo-
Fa quel de' cavalieri e de' pedoni,
Che '1 lupo fa di capre e di montonL
30. Era venuto pochi giorni avante
Nel campo del re d' Africa un signore;
Né in Ponente era, né in tutto Levante
Di più forza di lui , né di più core.
Gli facea grande onore il re Agramante,
Per esser costui figlio e successore
In Tartaria del re Agrican gagliardo:
Suo nome era il feroce Mandricardo.
31. Per molti chiarì gesti era famoso,
E di sua fama tutto il mondo empia;
Ma lo facea più d' altro glorioso,
Ch' al Castel della fata di Soria
L' usbergo avea acquistato luminoso,
Ch' Ettor trojan portò mille anni pria.
Per strana e formidabile avventura,
Che 'l ragionarne pur mette paura.
32. Trovandosi costui dunque presente
A quel parlare, alzò 1' ardita faccia,
E si dispose andare immantinente.
Per trovar quel guerrier, dietro alla raccia.
Ritenne occulto il suo pensiero in mente,
O sia perché d' alcun stima non faccia,
O perché tema, se '1 pensier palesa,
Ch' un altro innanzi a lui pigli 1' impresa.
33. Allo scudier fé' dimandar, come era
La sopravvesta di quel cavaliero.
Colui rispose : Quella è tutta nera.
Lo scudo nero , e non ha alcun cimiero.
E fu, Signor, la sua risposta vera ;
Perché lasciato Orlando avea il quartìero ;
Che , come dentro 1' animo era in doglia,
Così imbrunir di fuor volse la spoglia.
3i. Marsilio a Mandricardo avea donato
Un dcstrier bajo, a scorza di castagna,
Con gambe e chiome nere , ed era nato
Di frisa madre, e d' un villan di Spagna.
Sopra vi salta Mandricardo armato,
E galoppando va per la campagna,
E giura non tornare a quelle schiere,
Se non trova il campion dall' arme nere ;
35. Molta incontrò della paurosa gente.
Che dalle man d' Orlando era fuggita.
Chi del figliuol , chi del fratel dolente,
Che innanzi agli occlij siuoi perde la vita.
Atuora la codarda e trista mente
Nella pallida faccia era scolpita;
Ancor, per la paura, che avuta hanno,
Pallidi, muti ed insensati vanno.
36. Non Ce' huigo cammlr» , che venne, dove
Cruilcl spettacolo ebbe , ed inumimo,
Ma t(\-.tinu)nio alle mirabil prove.
Che fur racconto innanzi al re Africano.
Or mira questi, or <(uelli nu)rti, e muo^c,
E vuol li; piaghe misurar con mano,
Mosso da strana insidia, eh' egli porla
Al cavalier , eh' avea la gente morta.
[157]
ORLANDO FURIOSO. (XIV. 37-52)
[158]
37. Come lupo o mastin , eh' ultimo giugne
Al bue lasciato morto da' villani,
Che trova sol le corna, 1' ossa e 1' ugne,
(Del resto son sfamati augelli e cani)
Riguarda invano il teschio, che non ugne:
Così fa il crudel Barbaro in quei piani.
Per duol bestemmia, e mostra invidia immensa.
Che ven ne tardi a cosi ricca mensa.
38. Quel giorno e mezzo 1' altro , segue incerto
D cavalier dal negro , e ne domanda.
Ecco vede un pratel d' ombre coperto,
Che si d' un alto fiume si ghirlanda,
Che lascia appena un bre^c spazio aperto,
Dove r acqua si torce ad altra banda.
Un simil luogo con gii-evol onda
Sotto Otricoli il Tevere circonda.
39. Dove entrar sipotea, con 1' arme indosso
Stavano molti cavalieri armati.
Chiede il pagan , chi gli avea in stuol sì grosso.
Ed a che efietto , insieme ivi adunati ?
Gli fc' risposta il capitano , mosso
Dal signoril sembiante, e da' fregiati
D' oro e di gemme arnesi di gran pregio,
Che lo mostravan cavaliero egregio :
40. Dal nostro re siam , disse, di Granata
Cliìamati in compagnia della figliuola.
La quale al re di Sarza ha maritata,
Benché di ciò la fama ancor non vola.
Come, appresso la sera, racchetata
La cicaletta fia, eh' or s' ode sola.
Avanti al padre fra 1' Ispane torme
La condurremo : intanto ella si dorme.
41. Colui , che tutto il mondo vilipende,
Disegna di veder tosto la prova.
Se quella gente o bene , o mal difende
La donna, alla cui guardia si ritrova.
Disse: Costei, per quanto se n' intende^
E bella, e di saperlo ora mi giova.
A lei mi mena, o falla qui venire!
Ch' altrove mi convien subito gire.
13. Esser per certo dei pazzo solenne,
Rispose il Granatin : nò più gli disse :
Ma il Tartaro a ferir tosto Io venne
Con r asta bassa, e il petto gli tralìsse,
Che la corazza il colpo non sostenne,
E forza fu, che morto in terra gisse.
L' asta ricovra il figlio d' Agricanc,
Perchè altro da ferir non gli rimane.
43. Non porta spada , né l)aston ; che , quando
L' arme acquistò, clic fur d' Etfcor trojano,
Perchè trovò, clic lor mancava il brando,
Gli convenne giurar (uè giurò invano),
Che, finché non togliea quella d' Orlando,
Mai non porrebbe ad altra spada mano.
Diuiiidana, che Almonle ehix; in gran stima,
E Orlando or porta , Ettor portava prima.
44. Grande è l'ardir del Tartaro, che vada
Con di^vantaggio tal contra coloro.
Gridando: VAù mi \uol vietar la strada?
E con la lan(Ma si caciùò tra l(»ro.
Chi r asta abbassa , e chi trae fuor la spada,
E d' (»gni intorno subito gli foro.
Egli ne fece morire una frotta,
Prùuuchù quella lancia fossc rotta.
45. Rotta che se la vede , il gran troncone.
Che resta intero , ad ambe mani afferra,
E fa morir con quel tante persone.
Che non fu vista mai più crudel guerra.
Come tra' Filistei 1' ebreo Sansone,
Con la mascella , che levò di terra.
Scudi spezza, elmi schiaccia, e un colpo spesso
Spegne i cavalli ai cavalieri appresso.
46. Corrono a morte quei miseri a gara,
Né, perché cada 1' un, 1' altro andar cessa ;
Che la maniera del morire amara
Lor par più assai , che non é morte istessa.
Patir non ponno , che la vita cara
Tolta lor sia da un pezzo d' asta fessa,
E sieno , sotto alle picchiate strane,
A morir giunti , come bisce o rane.
47. Ma , poiché a spese lor si furo accorti.
Che male in ogni guisa era morire,
Sendo già presso alli duo terzi morti.
Tutto r avvanzo cominciò a fuggire.
Come del proprio aver via se gli porti.
Il Saracin crudel non può patire,
Ch' alcun di quella turba sbigottita
Da lui partir si debba con la vita.
48. Come in palude asciutta dura poco
Stridula canna, o in campo arida stoppia,
Contra il soffio di Borea , e contra il fuoco.
Che '1 cauto agricoltore insieme accoppia.
Quando la vaga fiamma occupa il loco,
E scorre per li solchi , e stride , e scoppia :
Cosi costor contra la furia accesa
Di Mandricardo fan poca difesa.
49. Posciach' egli restar vede 1' entrata,
Che mal guardata fu , senza custode,
Per la via , che di nuovo era segnata
Neil' erba , e al suon de' rammarichi, ch" ode,
Viene a veder la donna di Granata,
Se di bellezze è pari alle sue lode.
Passa tra i corpi della gente morta.
Dove gli dà , torcendo , il fiume porta ;
50. E Doralice in mezzo il prato vede
(Che così nome la donzella avea),
La qual , sofl'olta dall' antico piede
D' un frassino silvestre, si dolca.
Il pianto, come un rivo, che succede
Di viva vena, nel bel sen aulea;
E nel bel viso si vedea, che insieme
Dell' altrui mal si duole , e del suo temo.
51. Crebbe il timor, come venir lo vide
Di sangue brutto , e con farcia empia e oscura ;
E 'I grillo sino al elei 1' aria di>idc,
Di >è e della sua gente per piinra:
Che, olire i cavalier, v" ciano guide,
Che della bella infante av( ano cura.
Maturi verdi j , e assai donne e don/elle
Del regno di Granata, e le più belle.
52. Come il Tartaro vede ([nel bel viso.
Che non lia p.iriigone in tutta Spagna,
E eh' ha nel pianto (or eh" esser de' nel riso?)
Tesa d' Auu)r 1' inolricaliil ragna.
Non sa, se vi^e o in terra, o in paradiso.
Ne d(*lla sua vittoria altro guadagna.
Se lutn clic in lUiUi della sua prigioniciii
Si dà prigione, o uon sa, in qual maniera.
[159]
ORLANDO FURIOSO. (XIV. 53—68)
[160]
53. A lei però non sì concede tanto.
Che del travaglio suo le doni il frutto.
Benché piangendo ella dimostri, quanto
Possa donna mostrar dolore e lutto.
Egli , sperando volgerle quel pianto
In sommo gaudio , era disposto al tutto
alenarla seco ; e sopra un bianco ubino
aiontar la fece , e tornò al suo cammino,
54. Donne e donzelle , e vecchj , ed altra gente,
Ch' eran con lei venuti di Granata ,
Tutti licenziò benignamente,
Dicendo : Assai da me fia accompagnata j
10 mastro , io balia , io le sarò sergente
In tutti i suoi bisogni ; addio brigata !
Così , non gli potendo far riparo,
Piangendo e sospirando se n' andaro
55. Tra lor dicendo : Quanto doloroso
Ne sarà il padre, come il caso intenda!
Quanta ira , quanto duol ne avrà il suo sposo !
O come ne farà vendetta orrenda !
Deh ! perchè a tempo tanto bisognoso
Non è qui presso a far, che costui renda
11 >ang!'.e illustre del re Stordilano,
Primachè se lo porti più lontano !
50. Della gran preda il Tartaro contento, _
Che fortuna e valor gli ha posta innanzi,
Di trovar quel dal negro vestimento
Non par eh' abbia la fretta, eh' avea dianzi.
Correva dianzi ; or viene adagio e lento,
E pensa tuttavia, dove si stanzi,
Dove ritrovi alcun comodo loco,
Per esalar tanto amoroso foco.
57. Tuttavolta conforta Doralice,
Che avea di pianto gii occhj e 'I viso molle:
Compone e finge molte cose, e dice,
Che per fama gran tempo ben le volle,
E che la patria e '1 suo regno felice.
Che 4 nome di grandezza agli altri tolle.
Lasciò , non per vedere o Spagna , o Francia,
Ma sol per contemplar sua bella guancia.
58. Se, per amar, 1' uora deve essere amato,
Merito il vostro amor ; che v' ho amata io.
Se per stirpe , di me chi ò meglio nato.
Che 'l possente Agri(;an fu il padre mio?
Se per ricchezze, chi ha di me più stato,
Che di dominio io cedo solo a Dio?
Se per valor , credo oggi avere esperto,
Ch' essere amato per valore io merto.
5!). Queste parole , ed altre assai , che Amore
A Mandricardo di sua bocca ditta,
\'an dolcx-mente a c(in>olare il core
Della donzella di paura afflitta.
Il timor cessa, e poi cessa il dolore,
Che le avea quasi 1' anima trafìtta.
Ella «-omincia con più pazienza
A dar più grata al nuovo amante udienza;
(JO. Poi , con risposte^ più benigne molto,
A mo>trargli.'.i adabile e cortese,
E nctn ncgiirgli «li iVuinar nel volto
Talor le luci di pietad(! accese:
Onde il pagati, clic dallo stial fu colto
Altre volle d' Amor, certezza prese.
Non che speranza, ehi; la donna bidia
Non yjLii'A a' »uoi di:sir bciiipre rubcUu.
(il. Con questa compagnia lieto e giojoso.
Che sì gli satisfa, sì gli diletta,
Essendo presso all' ora , che a riposo
La fredda notte ogni animale alletta,
A^edendo il sol già basso e mezzo ascoso.
Cominciò a cavalcar con maggior fretta.
Tanto , eh' udì sonar zufToli e canne,
E vide poi fumar a ille e capanne.
63. Erano pastorali alloggiamenti ;
Miglior stanza , e più comoda , che bella.
Quivi il guardian cortese degli armenti
Onorò il cavaliero e la donzella,
Tanto , che si chiamar di lui contenti :
Che non pur per cittadi e per castella,
Ma per tugurj ancora e per fenili
Spesso si trovan gli uomini gentili.
63. Quel, che fosse dipoi fatto all' oscuro
Tra Doralice e '1 figlio d' Agricanc,
Appunto raccontar non mi assicuro.
Siedi' al giudicio di ciascun rimane.
Creder si può , che ben d' accox-do furo ;
Che si levar più allegri la dimane,
E Doralice ringraziò il pastore.
Che nel suo albergo le avea fatto onore.
64. Indi, d' uno in un altro luogo errando.
Si ritrovaro alfin sopra un bel fiume,
Che con silenzio al mar va declinando,
E se A ada , o se stia , mal si presume ;
Limpido e chiaro si , che in lui mirando.
Senza contesa al fondo porta il lume.
In ripa a quello, a una fresca ombra e bella.
Trovar due cavalieri e una donzella.
65. Or r alta fantasia, che un sentier solo
Non vuol eh' io segua ognor, quindi mi guida
E mi ritorna , ove il moresco stuolo
Assorda di rumor Francia, e di grida,
D' intorno il padiglione, ove il figliuolo
Del re Trojano il santo imperio sfida;
E Rodomonte audace se gli vanta
Arder Parigi, e spianar Roma santa;
66. Venuto ad Agramante era all' orecchio.
Che già gì' Inglesi avean passato il mare;
Però Slarsilio , e il re del Garbo vecchio,
E gli altri capitan fece chiamare.
Consiglian tutti a far grande apparecchio.
Sicché Parigi possano espugnare:
Ponno esser certi, che più non s' espugna,
Se noi fan, primachè 1' ajuto giugna.
67. Già scale innumerabili per questo
Da' luoghi intorno avean fatto raccorrà.
Ed assi , e travi , e vimine contesto,
Che le poteano a diversi usi porre,
E na\i e ponti: e più facea, che '1 resto,
II primo e '1 secondo ordine disporre
A dar 1' assalto; ed egli vuol venire
Tra quei , che la città deano assalire.
68. L' imperatore il dì che '1 dì prccesee
Della battaglia, le' dentro a Parigi
Per tutt« celebrare uffici e messe
A preti e frati bianchi, neri, e bigi;
E le genti , che dianzi eran confesse,
E di man tolt^ agi' inimici stigi,
Tolte comunicar, non altramente,
Ch' avessino u morire il dì seguente.
[161]
ORLANDO FURIOSO. {XIV. 69—84)
[162]
(J9. Ed egli, tra baroni e paladini,
Principi ed oratori, al maggior tempio
(;on molta religione a quei divini
Atti intervenne, e ne die agli altri esempio.
Con le man giunte, e gli occhj al del supini,
Disse: Signor, bench' io sia iniquo ed cmpin,
IVon voglia tua bontà, per mio fallire,
Che '1 tuo popol fedele abbia a patire !
70. E, s' egli è tuo voler, eh' egli patisca,
E eh' abbia il nostro error degni supplici,
Almen la punizion si differisca.
Sicché per man non sia de' tuoi nemici!
Che , quando lor d' uccider noi sortisca,
Che nome avemo pur d' esser tuoi amici,
I pagani diran, che nulla puoi,
Che perir lasci i partigiani tuoi,
71. E per un , che ti sia fatto ribelle,
Cento ti si faran per tutto il mondo ;
Talché la legge falsa di Babelle
Caccerà la tua fede, e porrà al fondo.
Difendi queste genti , che son quelle,
Che il tuo sepolcro hanno purgato e mondo
Da' brutti cani, e la tua santa chiesa
Con li vicarj tuoi spesso difesa.
72. So , che i meriti nostri atti non sono
A satisfare al deliito d' un' oncia;
Né doverao sperar da te perdono.
Se riguardiamo a nostra vita sconcia:
>Ia se vi aggiiigni di tua grazia il dono,
>ostra ragion fia ragguagliata e concia:
\è del tuo ajuto disperar possiamo,
C^ualor di tua pietà ci ricordiamo.
't'ò. Così dicea 1' impcrator devoto.
Con uiniltade e contrizion di core:
(iiunse altri prieghi e convenevol voto
Al gran bi.sogno, e ali" alto suo splendore.
IVon fu il caldo prc^gar d' efletto vuoto;
Perocché '1 genio siu), l' angel migliore,
I prieghi tolse, e spiegò al ciel le penne,
Ed a narrare al Salvator li venne.
74. E furo altri infìniti in quello istante
Da tali messaggier portati a Dio,
Che , come gli ascoltar 1' anime sante,
Dipinte di pietade il viso pio.
Tutte miiaro il sempiterno amante,
E gli mostraro il coniun lor disio.
Che la giusta ora/ion fosse esaudita
Del popolo Cristian, che chiede aita.
r5. E la bontà incflabile, che invano
Non fu pregata mai da cor fedele,
Leva gli occhj pietosi, e fa con ninno
Cenno, che venga a sé 1' angel Michele.
Aa, gli disse, all' esercito cristiano.
Che dianzi in Piccanh'a calò le vele,
E al muro di Parigi 1' appresenta
Sicché il campo nimico non lo senta!
Trova prima il Silenzio, e da mia parte
fili di', che tcco a questa impresa ^ciiga;
Cir egli ben piov\eder con ottima arte
Saprà, di quanto provved<!r conveiigii.
Fornito questo, subito va in parte,
Dove il suo seggio iii Discordia tenga:
Dille, che I' cbcu e '1 focii seco pr«!nda,
£ nel campo do' Mori il fuoco accenda;
77. E tra quei, che vi son detti più forti
Sparga tante zizanie e tante liti,
Che combattano insieme , ed altri morti
Altri ne sieno presi , altri feriti,
E fuor del campo altri lo sdegno porti,
Sicché il lor re poco di lor s' aiti !
]Non replica a tal detto altra parola
Il benedetto augel, ma dal ciel vola.
78. Dovunque drizza Michel angel 1' ale,
Fuggon le nubi, e toma il ciel sereno.
Gli gira intorno un aureo cerchio , quale
Veggiam di notte lampeggiar baleno.
Seco pensa tra via, dove si cale.
Il celeste corrier, per fallir meno,
A trovar quel nimico di parole,
A cui la prima commission far vuole.
79. Vien scorrendo, ov' egli abiti, ov' eHi usi-
E si accordaro iufin tutti i pensieri,
Che de' frati e de' monachi rinchiusi
Lo può trovare in chiese e in monasteri.
Dove sono i parlari in modo esclusi,
Che '1 Silenzio , ov e cantano i salteri,
Ove dormono, ove hanno la piatanza,
E Analmente é scritto in ogni stanza.
80. Credendo quivi ritrovarlo, mosse
Con maggior fretta le dorate penne;
E di veder eh' ancor Pace vi fosse,.
Quiete e Carità, sicuro tenne.
Ma dall' opinion sua ritrovosse
Tosto ingannato , che nel chiostro venne :
IVon è Silenzio quivi; e gli fu ditto.
Che non v' abita più, fuorché in iscritto.
81. Né Pietà, né Quiete, né Umiltado,
Né quivi Amor, né quivi Pace mira.
Ben vi fur già, ma nell' amica etade;
Che le cacciar Gola, Avarizia ed Ira,
Superbia^ Invidia, Inerzia e Crudcltade.
Di tanta novità 1' angel si ammira :
Andò guardando qTiella brutta schiera,
E vide, eh' anco la Discordia v' era,
82. Quella, che gli avea detto il padre eterno.
Dopo il Silenzio , che trovar dovesse.
Pensato avea di far la via d' A^erno,
('he si credea, che tra' dannati stesse;
E ritrovolla in questo nuovo inferno
(Chi 'I crederla?) tra santi uffici e messe.
Par di straim a .Michel, eh' ella \i già.
Che per trovar credea di far gran via.
83. La conobbe al vestir di color cento.
Fatto a liste ineguali ed infinite,
(Jh' or l<i coprono, or no; che i passi e 'I vc.ito
Le giano aprendo, eh' erano sdru<-ite.
I crini avea qual d' oro, e qual d' argento,
E neri e bigi, e aver pareano lite;
Altri in tr(?ccia , altri in nastro eran raccolti.
Molli alle spalle, alcuni al petto sciolti.
84. Di citatorie piene e di libelli,
D' esamine e (li carte di procure,
Avea le mani e il s«-no , e gran fastelli
Di chios<\ di i(»n«igli e di letture;
Per cui le facnllà de' poverelli
Non sono mai nclh- citlà sirnre.
Avea dietro, dinanzi, e d' ambi i lati
Notai , procuratori ud avvocati.
11
[163]
ORLANDO FURIOSO. (XIV. 85-100)
[164
85. La chiama a sé Michele, e le comanda,
Che tra i più forti Saracini scenda,
E cagion trovi, che , con memoranda
Ruina, insieme a guerreg-giar gli accenda.
Poi del Silenzio nuova le domanda:
Facilmente esser può, eh' essa n' intenda.
Siccome quella, che, accendendo fuochi,
Di qua e di là va per diversi lochi.
86. Rispose la Discordia: Io non ho a mente,
In alcun loco averlo mai veduto:
Udito r ho ben nominar sovente,
E molto commendarlo per astuto.
Ma la Fraude , una qui di nostra gente.
Che compagnia talvolta gli ha tenuto,
Penso, che dir te ne saprà novella ; ,
E verso una alzò il dito , e disse : E quella.
87. Avea piacevol viso , abito onesto.
Un umil volger d' occhj, un andar grave,
Un parlar sì benigno e si modesto.
Che parca Gabriel, che dicesse : Ave.
Era brutta e deforme in tutto il resto,
Ma nascondea queste fattezze prave
Con lungo abito e largo; e sotto quello
Attossicato avea sempre il coltello.
88. Domanda a costei 1' angelo , che via
Debba tener, sicché '1 Silenzio trove?
Disse la Fraude : Già costui solia
Fra virtudi abitare , e non altrove,
Con Benedetto e con quelli d' Elia,
Nelle badie, quando erano ancor nuove.
Fé' nelle scuole assai della sua vita,
Al tempo di Pitagora e d' Archita.
8J). Mancati quei filosofi e quei santi.
Che lo soleau tener pel cammin ritto,
Da'xli onesti costumi, eh' avea iunanti,
Fece alle scelleraggini tragitto.
Cominciò andar la notte con gli amanti,
Indi co' ladri , e fare ogni delitto.
Molto col Tradimento egli dimora;
Veduto r ho con I' Omicidio ancora.
90. Con quei , che falsau le monete , ha usanza
Di ripararsi in qualche buca scura.
Così spesso compagni muta e stanza,
Che il ritrovarlo ti saria ventura;
Ma pur ho d' insegnartelo speranza.
Se d' arrivare a mezza notte hai cura
Alla casa del Sonno, senza fallo
Potrai , che quivi dorme , ritrovallo.
91. Benché soglia la Fraude esser bugiarda,
Pure è tanto il suo dir simile al vero,
Che r angelo le crede: indi non tarda
A volarsene fuor del monastero.
Tempra il batter dell' ali, e studia e guaitla
Giungere in tempo al fin del suo sentiero,
Ch' alla casa del Sonno , che ben , dove
Era , sapea , questo Silenzio trove.
02. Giace in Arabia una valletta amena.
Lontana da citladi e da villaggi.
Che all' omlira di duo monti é tutta piena
D' anticli! abeli e di robusti faggi.
Il sole iiid.iriio il chiaro dì vi nu;na,
Cile non \i |iiiò mai penetrar co' raggi,
Sì gli è la via da' folli rami tronca,
E quivi voti'a HOlterru una spelonca.
93. Sotto la negi-a selva una capace
E spaziosa grotta entra nel sasso.
Di cui la fronte 1' edera seguace
Tutta aggirando va con torto passo.
In questo ail)ergo il grave Sonno giace;
L' Ozio, da un canto, corpulento e grasso;
Dall' altro , la Pigrizia in terra siede.
Che non può andare, e mai reggesi in piede,
94. Lo smemorato Ohblio sta sulla porta:
Non lascia entrar, né riconosce alcuno;
Non ascolta imbasciata, né riporta,
E parimente tien cacciato ognuno.
Il Silenzio va intorno , e fa la scorta :
Ha le scarjìe di feltro, e '1 mantel bruno;
Ed a quanti ne incontra , di lontano.
Che non debban lenù', cenna con mano.
95. Se gli accosta all' orecchio , e pianamente
L' angel gli dice: Dio vuol, che tu guidi
A Parigi Rinaldo con la gente,
Che per dar mena al suo signor sussidj ;
Ma che lo facci tanto chetamente.
Che alcun de' Saracin non oda i gridi ;
Sicché più tosto, che ritrovi il calle
La fama d' avvisar , gli abbia alle spalle.
96. Altramente il Silenzio non ripose.
Che col capo accennando, che l'aria;
E dietro ubbidiente se gli pose,
E furo al primo volo in Piccardia.
Michel mosse le squadre coraggiose,
E fé' lor breve un gran tratto di via.
Sicché in un di a Parigi le condusse.
Né alcun s' a^'AÌde, che miracol fussc.
97. Discorreva il Silenzio, e tutta volta
E dinanzi alle squadre, e d' ogn' intorno
Facea girare un' alta nebbia in volta.
Ed avea chiaro ogni altra parte il giorno;
E non lasciava qnesta nebbia folta,
Che s' udisse di fuor tromba, né corno.
Poi n' andò tra' pagani , e menò seco
Un non so che, eh' ognun fé' sordo e cieco.
98. Mentre Rinaldo in tal fretta venia,
Che ben parca dall' angelo condotto,
E con silenzio tal , che non s' udia
Nel campo saracin farsene motto,
Il re Agramante avea la faateria
Messa ne' borghi di Parigi , e sotto
Le minacciate mura in sulla fossa,
Per far quel dì 1' estremo di sua possa.
99. Chi può contar 1' esercito , che mosso
Questo dì contra Carlo ha il re Agramante,
Conterà ancora in suU' ombroso dosso
Del silvoso Appennin tutte le piante;
Dirà, quante onde, quando é il mar più gross
Bagnano i piedi al inauritano Atlante,
E per quanti occbj il ciel le furtive opre
Degli amatori a mezza notte scopre.
100. Le campane si sentono a martello
Di spessi colpi e spaventosi tocche ;
Si vede molto in qm^sto tempio e in quello
Alzar di mani , e dimenar di bocche.
S(' il te-ioro paresse a Dio sì bello,
('ouu; all(^ nosti't; o|)ìnioni sciocche.
Questo era il dì , <:lic 'I santo c(Micistoro
Fatto avria in terra ogni sua statua d' oro.
165]
ORLANDO FURIOSO. (XIV. 101 — 116)
[166]
101. S' odon rammarirare ì vecclij giusti,
Clie s' erano ser))ati ia quegli ailanni,
K nominar felici i sacri busti,
Composti in terra già miìiti e molti anni.
Ma gli animosi giovani rolìusti,
Che miran poco i lor propinqui danni,
Sprezzando le ragion de' più maturi,
Di qua , di là \anno correndo ai muri.
102. Quivi erano baroni e paladini.
Re, duchi, cavalier, mardiesi e conti,
Soklati forestierii e cittadini,
Per Cristo e per suo onore a morir pronti,
Che , per uscire addosso ai Saracini,
Pregan 1' iinpcrator, che abbassi i ponti.
Gode egli di veder I' iiiiimo audace;
Ma di lasciarli uscir lor non compiace;
LOS. E li dispone in opportuni lochi,
Per impedire ai l)arl)ari la via.
Là si contenta clie ne vadan pochi ;
Qua non basta una grossa compagnia.
Alcuni han cura maneggiare i fochi.
Le macchine altri , ove bisogno sia.
Carlo di qua, di là non sta mai fermo.
Va soccorrendo , e fa per tutto schermo.
.04. Siede Parigi in una gran pianura,
Neil' ombilico a Francia, anzi nel core.
Gli passa la riviera entro le mura,
E corre, ed esce iu altra parte fuorc;
Ma fa un' isola prima, e vi assicura
Delle città una [)arte , e la migliore:
L' altre due (cliè in tre parti è la gran terra)
Di fuor la fossa, e dentro il fuuue s;erra.
.05. Alla città , che molte miglia gira,
Da molte parti si può dar battaglia;
Ma percliè sol da ini canto assalir mira,
Kè volenticr l' esercito sbaraglia,
Oltre il fiume Agramante si ritira
Verso Ponente, ac(-i(>ccliè quindi assaglia;
Perocché né cittade, nò cam])agna
Ha dietro, se non sua, fui alla Spagna.
06. Dovunque intorno il gran muro circonda,
Gran munizioni a^ea già Carlo fatte,
Fortificando d' argine ogni spoiula
Con scannafossi dentro , e casematte.
Oiule entra nella terra , onde esce 1' onda,
Grossissime catene a\ èva tratte :
Ma fece, ])iii eh' altrove, provvedere,
Là dove avea più causa di temere.
107. Con occlij d' Argo il figlio di Pipino
Previde, ove assalir do\ea Agramante;
E non fc(;e di.^cgiK» il Saracino,
A cui n(Ui fossi; riparato innante,
Vaìh Fcrraù , Isolicro (! Serpentino,
Graiidonìo, I''aUir(ine e ISaIngantc,
E con ciò, che di Spagna a^('a menato,
Uestò Marsilio alla campagna armato.
108. Sobria gli era a man manca ia ripa a Senna,
Con l'uiian, con Darilincl d' Almonte,
('ol re d' Oran, eh' esser giganl»; accenna,
Lungo sei hrac( ia da' piedi alla fronte.
Deh! per( iu- a mover nien son in la |ienna,
Ch(! «juelle genti amiivir 1' arme iironle?
Che "I re di Sarza , pien d' ira «• di sdegno,
Gridìi e heeleiumiii, e aoa può t.tar più a segno.
109. Come assalire o vasi pastorali,
0 le dolci reliquie de' convivj
Soglion, con rauco suon di stridule ali.
Le impronte mosche a' caldi giorni estivi;
Come gli storni a' rosseggianti pali
^ anno di mature uve : così quivi,
Empiendo il ciel di grida e di romori,
ì eniano a dare il fiero assalto i MorL
110. L' esercito Cristian sopra le mura
Con lance , spade , e scure , e pietre , e fuoco.
Difende la città senza paura,
E il barbarico orgoglio estima poco;
E dove morte uno ed un altro fura.
Non è chi per viltà ricusi il loco.
Tornano i Saracin giù nelle fosse,
A furia di ferite e di percosse.
111. Non ferro solamente vi si adopra,
Ma grossi sassi , e merli integri e saldi,
E muri dispiccati con molt' opra,
Tetti di torri, e gran pezzi di spaldi.
L' aeque ì»ollenti , che vengon di sopra,
Portano a' Mori insttpportabil caldi;
E male a questa pioggia si resiste,
Cii' entra per gli elmi , e fa accecar le viste ;
112. E questa più nocca , che '1 ferro quasi.
Or che de' far la nebbia di calcine?
Or che dovcano far gli ardenti vasi
Con oglio e zolfo, e peci, e trementine?
I cerclij in munìzion non son rimasi,
Che d' ogni intorno hanno di fiamma il crine:
Questi, scagliati per diverse bande,
Mettono a' Saracini aspre ghirlande.
113. Intanto il re di Sarza avea cacciato
Sotto le mura la schiera seconda.
Da lìuraldo e da Ormida accompagnato,
Quel Garamante , e (|ue^to di Marmonda.
Clarindo e Soridan gli sono a lato,
Né par die 1 i"e di Setta si nasconda.
Segue il re di Marocco, e qiiel di Cosca,
Ciascun, perchè '1 valor suo si conosca.
114. Nella bandiera, eh' è tutta vermiglia,
Ilodomonte di Sarza il leon spiega,
Che la feroce bocca ad una briglia,
Clic gli pon la sua donna, aprir non nega.
Al leon sé medesimo assimiglia;
E per la donna , che lo frena e lega.
La bella Doralice ha figiu'ata.
Figlia di Stordilan , re di Granata.
115. Quella che tolto avea, come io narrava,
Ile Maniiricardo (^e dis?i do^e, «■ a cui),
Era costei , che Kodonu)nte amava
Più che I suo regno, e più che gli occly sui;
E cortesia e ^alor per lei mostrala.
Non già sapendo, eh' era in forza altrui.
S(; saputo r a^esrc, allora allora
Fatto a> ria quel , che lo' quel giorno ancoro.
116. Sono appoggiate a un tempo mille scale,
Clu; non han inea di due per ogni grado.
Spinge il secondo i|uel , eh' innanzi sale,
('Ile 1 terzo lui mondir fu suo mal grado.
Chi per virtù, chi per paura mì\v:
('onvien , eh' ognun per forza entri nel guado;
('he qnali:ni|ii(> s' adagia, il re d' Algicre,
Uodomonte crudele, uccide o fere.
Il +
16Ì]
ORLANDO FURIOSO. (XIV. in-132)
[168]
117. Ognun dunque si sforza di salire,
Tra '1 fuoco e le ruine , in sulle mura.
Ma tutti gli altri guardano, se aprire
Veggiano passo, ove sia poca cura.
Sol Rodomonte sprezza di venire,
Se non, dove la via meno è sicura:
Dove nel caso disperato e rio
Gli altri fan voti, egli bestemmia Dio.
118. Armato era d' un forte e duro usbergo,
Cile fu di drago una scagliosa pelle.
Di questa già si cinse il petto e 'l tergo
Quello avol suo , eh' edilìcò Babelle,
E si pensò cacciar dell' aureo albergo,
E torre a Dio il governo delle stelle.
L' elmo e lo scudo fece far perfetto,
E il brando insieme, e solo a questo effetto.
119. Rodomonte, non già men di Nembrotte
Indomito, superbo e furibondo,
Che d ire al ciel non tarderebbe a notte,
Quando la strada si trovasse al mondo.
Quivi non sta a mirar, se intere o rotte
Sìcno le mura, o s' abbia 1' acqua fondo:
Passa la fossa, anzi la corre, e vola
Neil' acqua e nel pantan fino alla gola.
120. Di fango brutto, e molle d' acqua, vanne
Tra il fuoco e i sassi, e gli archi, e le balestiT,
Come andar suol tra le palustri canne
Della nostra Malica porco silvestre.
Che col petto, col grifo e con le zanne
Fa, dovunque si volge, ampie finestre.
Con lo scudo alto il Saracin sicuro
Ke vien sprezzando il cicl, non che quel muro
121. Non sì tosto all' asciutto è Rodomonte,
Che giunto si senti su le hcrtresche.
Che dentro alla muraglia facean ponte
Capace e largo alle squadre franccsche.
Or si vede spezzar più d' una fronte,
Far chieriche maggior delle fratesche;
Braccia e capi volare, e nella fossa
Cader da' muri una fiumana ros»a.
122. Getta il pagan lo scudo, e a due man prende
La cruda spada, e giunge il duca Arnolfo.
Costui venia di là, dove discende
L' acqua del Reno nel salato golfo.
Quel miser contra lui non si difende
Meglio, che faccia contra il fuoco il zolfo,
E cade in terra , e dà 1' ultimo crollo,
Dal capo fesso un palmo sotto il collo.
123. Uccise di rovescio in una wìta
Anselmo, Oldrado, Spincloccio e Prando:
Il luogo stretto e la gran turba folta
Fece girar sì pienamente il Itrando.
Fu la prima uietade a Fiandra tolta,
L' altra scemata al popolo nonnando.
Divise appresso dalla fronte al petto.
. Ed indi al ventre , il mugaiizes(! Orghctto.
124. Getta da' merli Aiuh-opono e Moschinu
Giù nella fossa. Il primo è sacerdote:
Non adora il secondo altro clu; 'I vino,
E le bigoiK-e a un sorso n' ha già vote;
Come veleno , e sangue viperino.
L' acqua foggia, quanto fuggir si punte:
Or quivi muore; <• quel, che più 1' anno.ja,
E il sentir, che nell' acqua se ne muja.
125. Tagliò in due parti il provenzal l'uigi,
E passò il petto al tolosano Arnaldo;
Di Torse Oberto , Claudio , Ugo e Dionigi
Mandar lo spirto fuor col sangue caldo ;
E, presso a questi, quattro da Parigi,
Gualtiero, SataUone, Odo ed Ambaldo,
Ed altri molti , eh' io non saprei , come
Di tutti nominar la patria e '1 nume.
126. La turba dietro a Rodomonte presta
Le scale appoggia, e monta in più d' un loco.
Quivi non fanno i Parigin più testa ;
Che la prima difesa lor vai poco.
San ben , eh' alli nemici assai più resta
Dentro da fare, e non 1' avran da giuoco;
Perchè tra il muro e l' argine secondo
Discende il fosso orribile e profondo.
127. Oltrachè i nostri facciano difesa
Dal basso all' alto , e mostrino valore.
Nuova gente succede alla contesa,
Sopx'a r erta pendice interiore,
Che fa con lance e con saette offesa
Alla gran moltitudine di fuore.
Che credo ben , che saria stata meno,
Se non v' era il figliuol del re UUeno.
128. Egli questi conforta, e quei riprende,
E lor mal grado innanzi se li caccia.
Ad altri il petto, ad altri il capo fende,
Che per fuggir veggia voltar la faccia.
Molti ne spinge ed urta; alcuni prende
Pe' capelli , pel collo e per le braccia,
E sossopra laggiù tanti ne getta.
Che quella fossa a capir tutti è stretta.
129. Mentre lo stuol de' Barbari si cala,
Anzi traboi'ca al periglioso fondo.
Ed indi cerca per diversa scala
Di salir sopra l' argine secondo.
Il re di Sarza, come avesse un' ala
Per ciascun de' suoi membri, levò il pondo
Di sì gran corpo , e con tante arme indosso,
E netto si lanciò di là dal fosso.
130. Poco era men di trenta piedi , o tanto ;
Ed egli il passò destro , come un veltro,
E fece nel cader strepito . quanto
Avesse avuto sotto i piedi il feltro ;
Ed a questo ed a quello affrappa il manto.
Come sien 1' arme di tenero peltro,
E non di ferro, anzi pur sien di scorza;
Tal la sua spada , e tanta è la sua forza !
131. In questo tempo i nostri, da (-hi tese
L' insidie son nella cava profonda.
Che v' han scope e fascine in c«»|)ia stese,
Intorno a' quai di molta pece abbonda,
^è jKTÒ alcuna si vede pah'se,
Bcncliè n' è piena 1' una e 1' altra sponda,
Dal fond4) cupo fino all' orlo quasi ;
E senza fin v' hanno appiattati vasi,
132. Qual con salnitro, qual con ogiio, quale
Con zolfo, qual con altra simil cstra:
I nostri in (|uesto tempo , perchè male
Ai Saracini il folle ardir riesca,
Ch' eran nel fosse» , e per di^ erse scale
Cr('(l<-an m(»ntar sulT ultima bcrtresca,
l'dit(» il s<-gno , (la opportuni lochi
Di qua e di là fenno avvampare i fuochi.
[169] ORLANDO FURIOSO. (XIV. 133. 134. XV. 1 — 10) [ITO]
133. Tornò la fiamma sparsa, tutta in una
Che tra una ripa e 1' altra ha '1 tutto pieno ;
E tanto ascende in alto, eh' alla luna
Può d' appresso asciugar 1' umido seno.
Sopra si volve oscura nebbia e bruna,
Che 'i sole adombra , e spegne ogni sereno.
Sentesi un scoppio in un perpetuo suono,
Simile a un grande e spaventoso tuono.
134. Aspro concento, orribile armonia
D' alte querele , d' ululi e di strida
Della misera gente , che peria
"Sei fondo, per cagìon della sua guida,
Istranamente concordar s' lulia
Col fiero suon della fiamma omicida.
Non più, Signor, non più di questo canto;
Ch' io son già rauco , e vo' posarmi alquanto.
CANTO DECIMOQUINTO.
ARGOMENTO.
Mentrechè 7 re Marsilio, e 'l re A^ramante
Danno a Parigi aspra battaglia e dura,
Da LogistiUa , avendo un libro avante,
Astolfo parte , ed ha scorta sicura.
Tira alla rete sua Caligorante ;
La vita a Orril , tagliando i crini , fura.
Ritrova Saiisonetto; indi Grifone
Ha della donna sua nuove non buone.
1. Fa il TÌncer sempre mai laudabil cosa,
Vincasi o per fortuna, o per ingegno.
Gli è ver, che la vittoria sanguino>a
Spe>so far suole il capitan men degno ;
E quella eternamente è gloriosa,
E de' divini onori arriva al segno,
Quando , servando i suoi senza alcun danno,
Sì fa, che gì' inimici in rotta vanno.
2. La vostra, Signor mìo, fu degna hida.
Quando al Leone, in mar tanto feroce,
Ch' avea occupata 1' una e 1' altra proda
Del Pò, da Francolin fino alla foce,
Fa«e-ite sì , eh' ancorché ruggir 1' oda,
S" io vedrò voi , non temerò la voce.
Come vincer si de', ne dimostraste;
Che uccidente i nemici , e noi salvaste.
8. Questo il pagan, troppo in suo d.inno audace
Kou seppe far, che i suoi nel fosso spinse,
Dove la fianuiia subita e vorace
Non perd«uiò ad alcini , ma tutti estìnse.
A tanti non saria stato capace
Tutto il gran fosso ; ma il fuoco restrinse.
Restrinse i corpi , e in pidve li ridusse,
Acciocch' abile a tutti il luogo fusse.
4. I ndici mila, e^l otto sopra venti
Si ritnnàr n<ir airix^ata buca,
("Ile v' erano disce.-.i mal ciHiIrnti;
Mii coM xille il piK-o saggio duca.
Qiii^i ira tanto Inme or sono spenti,
E la torace tìanuna li inannra ;
E llo(lon>onte, causa del mal loro,
Se ne \a e^cntc du tuuto martoro:
5. Cile tra' nemici alla ripa più intema
Era passato d' un mirabil salto.
Se con gli altri scendea nella caverna,
Qfiesto era ben il fin d' ogni suo assalto.
Rivolge gli occhj a quella valle inferna,
E quando vede il fuoco andar tant' alto,
E di sua gente il pianto ode e lo strido,
Bestemmia il ciel con spaventoso grido.
6. Intanto il re Agramantc mosso avea
Impetuoso assalto ad una porta:
Che . mentre la crudel battaglia ardea
Quivi, ove è tanta gente afflitta e morta,
Quella sprovvista forse esser credea
Di guardia, che bastas-e alla sua scorta.
Seco era il re d' Arzilla Bambirago,
E Baliverzo , d' ogni vizio vago ;
7. E Corineo ni Mulga , e Prusione,
II ricco re dell' isole beate;
Malabuferso, che la regione
Tien di Fi/.an sotto continua estate;
Altri signori, ed altre assai persone
Esperte nella guerra, e bene armate;
E molti ancor senza valore, e nudi.
Che '1 cor non s' armerian con mille scudi.
8. Trovò tutto il contrario al suo pensiero
In questa parte il re de' Saracini ;
Perchè in persona il capo dell' impero
V era, re Carlo, e de' suoi |)al.i(lini,
Ile Salamone, ed il danese l ggiero.
Ed ambo i Guidi, ed ambo gli Angelini,
E 1 dut-a di Baviera, e Ganellone,
E Berlingliier, e Avolio, e Avino, e Ottone.
9. Gente infinita poi di minor conto.
De' Franchi , de' Tedeschi e de' Lombardi.
Presente il >no >ignor . cia^itnu) pronto
.A far>i riputar fra i più gagliardi.
Di ((iiesto altrove io >o' rrnderti conto;
Che ad un gran duca è for/.a eh' io riguardi
Il qnal mi grida, e di lontano accenna,
E prega, eh' io noi lasci nella penna.
10. (»li è tempo , eh' io ritorni , ove lai^ciiii
1/ a>\eMtnroso .Astolfo d' Ingbilterra,
Che 'I lungo e>ilio adendo in odio ornai.
Di desiderio ardea della sua t<-rra ;
(/«•me glien avea data pur assai
Speme colei, che .Alcina liiise in guerra.
Ella di riiuandiirx-lo a^ea cura
Per la via più e^pcditu e più sicura.
[171]
ORLANDO FURIOSO. (XV. 11-26)
[172]
11. E cosi una galèa fu apparecchiata,
Di che miglior mai non solcò marina:
E perdio ha dubliio pur tutta fiata,
Che non gli turbi il ^no viaggio Alcina,
Vuol Logi.>tilla , che con l'orto armata
Andronica ne \i^■^a., e Sofrosiina,
Tanto che nel mar ci' Arabi, o nel golfo
De' Persi, giunga a salvamento Astolfo.
12. Piuttosto vuol , che volteggiando rada
Gli Sciti e gì' Indi , e i regni nabatei,
E torni poi per così lunga strada
A ritrovare i Persi e gli Eritrei,
Che per quel boreal pelago vada,
Che turban sempre iniqui venti e rei :
E sì qualche stagion povcr di sole,
Che starne senza alcuni mesi suole.
13. La fata , poiché vide acconcio il tutto,
Diede licenza al duca di partire,
Avendol prima ammaestrato, e instrutto
Di cose assai, che fora lungo a dire;
E per scl'.ivar, che non sia più ridntto
Per arte maga, onde non possa uscire,
Un bello ed util libro gli uvea dato.
Che per suo amore avesse ognora a lato.
14. Come 1' uom riparar debba agi' incanti.
Mostra il libretto, che costei gli diede;
Dove ne tratta, o più dietro, o più innantì,
Per rubrica e jier indice si vede.
Un altro don gli fece ancor, che quanti
Doni fur mai, di gran vantaggio eccede;
E questo fu , d' orri!»il suono un corno,
Che fa fuggire ognun , che i' ode intorno.
15. Dico, che 'l corno è di sì orribil suono.
Che, ovunque s' ode, fa fuggir la gente:
]\on può trovarsi al mondo un cor si buono,
Che possa non fuggir , come lo sente.
Rumor di vento e di tremuoto , e '1 tuono,
A par del suon di qiu-sto, era nicntc-
(](Mi nuilto rctVrir di grazie, jìrese
Dalla fata licenzia il buon Inglese.
IG. Lasciando il porto e 1' onde più tranquille,
Con felice aura , che alla poppa spira.
Sopra le ricche e popolose ville
Dell' odorifera India il duca gira,
S<;oprendo a detra ed a sinistra mille
Isole sparse; e Uinto va, che mira
La terra di 'r<u«unaso , onde il nocchiero
Più a tramontana poi volge il sentiero.
17. Quasi radendo T aurea Chersonesso,
La l)ella armata il gr.!ii pelago frange;
E costeggiando i ricihi liti spesso,
Vede, c(,me nel mar biiiiicheggi il Gange;
E Taprobanc vede, e Cori appre-so,
E vede il mar, <bc fra i duo liti s' angc.
Dopo gran ^ìa furo a (Jochin<» , e quindi
L^^:iro fuor dei termini degl' Iiuli.
18. Scorrendo il duca il mar con si fedele
E sì sicura scorta, int(;nder vuoh;,
E ne domanda Andronica, se de lo
Parli , I ir lian nome dal cader del onlCf
Mai legno alciui , «:h<! ^ aila a remi e a vele,
^^•l luare oricnlab! apparir suole;
E s<; anilar (mio, >eiiz.i toccar mai terra.
Chi J'Iudia icioglia. in Fr>mcia o in iH^hilterra.
19. Tu dei sapere, Andronica rispondo.
Che d' ogn' intorno il mar la terra abbraccia;
E van r una ncU' altra tutte V onde.
Sia dove bolle , o dove il mar s' agghiaccia.
Ma perchè qui davante si dirtonde,
E sotto il mezzodì molto si caccia
La terra d' Etiopia , alcuno ha detto,
Ch' a Nettuno ir più innanzi ivi è interdetto.
20. Per questo dal nostro indico Levante
Nave non è, che per Europa scioglia;
Né si muove d' Europa navigante.
Che in queste nostre parti arrivar voglia.
Il ritrovarsi questa terra avantc
E questi e quelli al ritornare invogliar
Che credono , veggendola sì lunga,
Che con 1' altro emisperio si congiunga.
21. Ma, volgendosi gli anni, io veggio uscire
Dall' estreme contrade di Ponente
Nuovi Argonauti e nuovi Tifi, e aptiro
La stratia ignota infino al dì presente;
Altri volteggiar V Africa , e seguire
Tanto la costa della negra gente,
Cile passino quel segnct, ove ritorno
Fa il sole a noi, lasciando il capricorno}
22. E ritrovar del lungo tratto il fine.
Che questo fa parer duo mar diversi j
E scorrer ttitti i liti, e le vicine
Isole d' Indi, d' Arabi e di Persi:
Altri lasciar le destre e le mancine
Rive, che due per opra erculea fersi;
E , del sole imitando il cammin tondo,
Ritrovar nuove terre, e nuovo mondo.
23. Veggio la santa croce, e veggio i segni
Imperiai nel verde lito eretti.
A eggio altri a guardia de' battuti legni.
Altri all' acquisto del paese eletti:
A eggio da dieci cacciar mille, e i regni
Di là dall' India ad Arisgon suggctti,
E veggio i capitan di Carlo quinto.
Dovunque vanno, aver per tutto vinto.
24. Dio vuol, eli' ascosa anticamente questa
Strada sia stata , e ancor gran tempo stia.
Nò che prima si sappia , che la sesta
E la seltiiua età passata sia:
E serba a farla al tempo manifesta.
Che vorrà porre il mondo a monarchia
Sotto il più saggio imperatore e giusto.
Che sia stato , o sarà mai dopo Augusto.
25. Del sangue d' Austria e d' Aragona io veggi
Nascer sul Reno alia sinistra riva
In princijìc, al valor del qual pareggio
Nessun valor, di cui si parli, o scriva.
Astrea veggio per lui riposta in seggio.
Anzi di nuirta ritornala viva,
E 1(! virtù, che cacciò il mondo, quando
Lei cacciò ancora, uscir p(!r lui di bando.
2G. Per questi merli la biuità suprema
Non solauiente di (|uel grande impero
Ila disegnato eh' abbia il diadema,
Cli' ebbe Augusto, Trajan, Marco e Severo,
Ma <r ogni terra e (iuiiu;i e quindi estrema,
i'Aiv. mai né al sol, né all' aniut apre il sentiero ;
E vuol, che sotto a questo imperatore
Solo un o\ile sia, solo un pastore.
[173]
ORLANDO FURIOSO. (XV. 27-42)
[174]
27. E perch' abbian più facile successo
Gli ordini in cielo eternamente scritti,
Gli pon la somma Provyidenza appresso
In mai-e e in terra capitani invitti.
Veggio Ernando Cortese, il quale ha messo
Nuove città sotto i cesarei editti,
E regni in Oriente si remoti,
Cli' a noi , che siamo in India , non son noti.
28. Veggio Prosper Colonna, e di Pescara
Veggio un marchese , e veggio, dopo loro,
Un giovane del Vasto , che fan cara
Parer la bella Italia ai gigli d' oro.
Veggio, eh' entrare innanzi si prepara
Quel terzo agli altri a guadagnar l' alloro;
Come buon corridor, eh' ultimo la>sa
Le mosse, e giunge, e innanzi a tutti passa.
29. Veggio tanto il valor, veggio la fede
Tanta d' Alfonso (che '1 suo nome è questo),
Che in così acerba età, che non eccede
Dopo il vigesimo anno ancora il sesto,
L' imperator 1' esercito gli crede;
Il qual salvando, salvar non che 'i resto,
Ma farsi tutto il mondo ubbidiente,
Con questo capitan, sarà possente.
30. Come con questi, ovunque andar per terra
Si possa, accrescerà 1' imperio antico,
Così per tutto il mar, che in mezzo serra
Di là r Europa , e di qua 1' Afro aprico,
Sarà vittorioso in ogni guerra,
Poich' Andrea Doria s' avrà fatto amico.
Questo è quel Doria, clie fa dai pirati
Sicuro il vostro mar per tutti i lati.
31. INon fu Pompejo a par di costui degno,
Se ben vinse e cacciò tutti i corsari;
Peroc<-hè quelli al piii possente regno
Che fosse mai , non poteano esser pari ;
3Ia questo Doria sol col proprio ingegno
E proprie forze purgherà que' mari;
Sicché da Calpe al Aito , ovunque s' oda
Il nome suo , tremar veggio ogni proda.
32. Sotto la fede entrar, sotto la scorta
Di questo capitan, di eh' io ti parlo,
Veggio in Italia, ove da lui la porta
Gli sarà aperta alia corona, Carlo.
Veggio, clic '1 premio cIk; di ciò rijìorta,
N(ui tien |ier sé , ina fa alla patria darlo :
C(»n preghi otlien , «;lic in libertà la metta.
Dove altri a sé 1' avria forse suggetta.
33. , Questa ]iie(à , eh' egli alla patria mostra,
E degna di piti onor d' ogni baltiiglia.
Che in Fraiuia, o in Spugna, o nella f(;rra vostra
\ incesse (tÌiiIìo, o in Africa, o in Tessaglia:
Né il grande Ottavic» , né chi seco giostra
Di pari, Antonio, in più onorair/a saglia
IV g«!sti suoi ; che ogni lor huidc; aumu>rzn
L' avere usato alla lor patria forza.
34. Qiu-sti ed ogni altro , «he la patria tenta
Di libera far serva , si arrossisca ;
Né , dove il nome d' Andrea Doria senta.
Di l<;var gli <»cchj in ^i^o d' uomo ardisca!
leggio Carlo, che 'I premio gii augumcnta :
Cile , olire quel che in comiin vuol clic fruisca.
Gli dà la riera terra, che a' Vorinandi
Sarà principio a farli in Puglia grandi.
35. A questo capitan non pur cortese
Il magnanimo Carlo ha da mostrarsi,
Ma a quanti avrà, nelle cesaree imprese,
Del sangue lor non ritrovati scarsi.
D' aver città, d' aver tutto un paese
Donato a un suo fedel , più rallegrarsi
Lo veggio, e a tutti quei, che ne son degni,
Che d' acquistar nuov' altri imperj e regni.
36. Così delle vittorie, le qnai, poi
Cli' un gran numero d' anni sarà corso,
Daranno a Carlo i capitani suoi,
Facea col duca Andronica discorso;
E la compagna intanto a' venti eoi
Viene allentando e raccogliendo il morso,
E fa, eh' or questo , or quel propizio 1' esce,
E , come vuol , li minuisce e cresce.
37. Veduto aveano intanto il mar de' Persi
Come in sì largo spazio si dilaghi.
Onde vicini in pochi giorni fersi
Al golfo, che nomar gli antichi maghi.
Quivi pigliaro il porto, e fur conversi
Con la poppa alia ripa i legni vaghi:
Quindi, slcur d' Alcina, e di sua guerra,
Astolfo il suo cammin prese per terra.
38. Passò por più d' un campo e più d' un bosco,
Per più d' un monte, e per più d' una valie,
Ove ebbe spesso all' aer chiaro e al fosco
I ladroni, ora innanzi, or alle spalle;
Vide leoni , e draghi picn di tosco,
Ed .iltre fere attravcrsiirgli il calle;
Ma non sì tosto avea la borea al como^
Che spaventati gli fuggian d' intorno.
39. Vìen per I' Arabia, eh' è detta Felice,
Ricca di mirra e d' odorato incenso.
Che per suo albergo V unirà fenice
Eletto s' ha di tutto il mondo immenso;
Finché r onda trovò vendicatrice
Già d' Israel, che per divin consenso
Faraone sommerse e tutti i suoi ;
E poi venne alla terra degli Eroi.
-10. Lungo il fiume Trajano egli cavalca
Su quel de.-trier, che al mondo è senza pare.
Che tanto leggermente e corre e valca.
Che neir arena l' orma non n appiire.
L' erlia non pur, non pur la neve c.ilra ;
Co' piedi asciutti andar potria sul mare;
E sì si stende al ciu'so, e si s' aflVeUa,
Che passa e vento, e folgore, e saetta.
41. Questo é il destrirr, che fu dell' Argalia,
Che di fi. mima e di venlo era conretto,
E, sen/.a lieno e lii ida , .-i uiitria
Dell' aria pura; e Uahirin lu detto.
Venne seguend»» il dura la sua via,
Dove dà il Mio a quel (liiuir ricetto;
E, primaclié giunge-.-c in sulla foce,
A ide un legno venire a sé vcltice.
42. Naviga in sulla poppa un eremita
Con bianca barba a mez/.o il petto lunga.
Che sopra il legno il p.iladino invita,
E, (ìgiiuol mio, gli srida dalla lunga,
Se non t' è in odio la tua propria vita.
Se non brami , che inort*- oggi ti giunga.
Venir ti piaccia su que>l' altra arena!
Cile u morir quella via dritto ti mena.
[175]
ORLANDO FURIOSO. (XV. 43-58)
[176]
43. Tu noa andrai più che sei miglia innante,
Che troverai la sanguinosa stanza.
Dove s' alberga un orribil gigante,
Che d' otto piedi ogni statura avanza.
Non abbia cavalier, nò viandante
Di partirsi da lui vivo speranza;
Che altri il crudel ne scanna, altri ne scuoja;
Molti ne squarta, e vivo alcun ne ingoja.
44. Piacer, fra tanta crudeltà, si prende
D' una rete , eh' egli ha , molto ben fatta.
Poco lontana al tetto suo la tende,
E nella trita polve in modo appiatta,
Che . chi prima noi sa , non la comprende,
Tanto è sottil, tanto egli ben 1' adatta;
E con tai gridi i peregrin minaccia,
Che spaventati dentro ve li caccia:
45. E con gran risa avviluppati in quella
Se li strascina sotto il suo coperto ;
Né cavalier riguarda, né donzella,
O sia di grande, o sia di pic(;i()l merto;
E mangiata la carne , e le cervella
Succhiate e 'l sangue , dà l'ossa al deserto ;
E dell' umane pelli intorno intorno
Fa il suo palazzo orribilmente adorno.
46. Prendi quest' altra via, prendila, figlio,
Che fin al mar ti fia tutta sicura!
Io ti ringrazio , padre , del consiglio,
Rispose il cavalier senza paura;
Ma non estimo per 1' onor periglio,
Di che assai più che della Aita ho cura.
Per far, eh' io passi, invan tu parli meco;
Anzi vo' al dritto a ritrovar lo speco.
47. Fuggendo, posso con disnor salvarmi;
Ma tal salute ho , più che morte , a schivo.
S' io vi vo', al peggio, che potrà incontrarmi,
Fra molti resterò di \ita privo.
Ma, quando Dio così mi drizzi 1' armi,
Che colui morto , ed io rimanga vivo.
Sicura a mille renderò la via,
Si che r util maggior, che 'I danno fia.
48. Metto all' incontro la morte d' un solo
Alla salute di gente infinita.
Vattene in pace, rispose, figliuolo:
Dio mandi in difension della tua vita
L' arcangelo >Ii<;hel dal sommo polo!
E benedillo il semplice eremitiu
Astolfo lungo il MI tenne la strada,
Sperando più nel suon, che nella spada.
49. Giace, tra 1' alto finme e la palude,
Picciol s-entir nell' arenosa riva:
La solitaria casa lo rinchiude,
D' iiinanitadc e di commercio priva.
Son fisse intorno teste e membra nude
Dell' infelice gente, che vi arriva:
Non vi è finestra, non vi è merlo alcuno,
Onde penderne almen non si vcggia uno.
50. C^ual nelle alpine ville o ne' castelli
Suol (:iuciat(»r , «Jie gran perigli ha scorsi,
Sulle porte attaccar 1' irsute pelli,
L' orr'uU: zaiiii)«, « » gro>si capi d' orsi:
Tal dimostrava il (ìi-r gigante quelli,
Che di niaggior virtù gli erano occorsi:
D' altri infiniti sparse appajon I" os^a,
Ed è di sangue uman piena ogni fossa.
51. Stassi Caligorante in sulla porta,
(Cile cosi ha nome il dispìetato mostro,
Ch' orna la sua magion di gente morta,
Come alcun suol de' panni d' oro o d' ostro).
Costui per gaudio appena si comporta,
Come II duca lontan se gli è dimostro ;
Che eran duo mesi , e '1 terzo ne venia,
Che non fu cavalier per quella via.
52. Ver la palude, eh' era scura, e folta
Di verdi canne , in gran fretta ne viene;
Che disegnato avea correre in volta,
E uscire al paladin dietro alle schiene;
Che nella rete, che tenea sepolta
Sotto la polve, di cacciarlo ha spene.
Come avea fatto agli altri peregrini.
Che quivi tratto avean lor rei destini.
53. Come venire il paladin lo vede,
Ferma il destrier , non senza gran sospetto,
Che non vada in que' lacci a dar del piede.
Di che il buon vecchiarel gli avea predetto.
Quivi il soccorso del suo corno chiede,
E quel suonando fa 1' usato effetto:
Nel cor fere il gigante , che 1' ascolta.
Di tal timor , eh' addietro i passi volta.
54. Astolfo suona , e tuttavolta bada ;
Cile gli par sempre , che la rete scocchi.
Fugge il fellon , nò vede , ove si vada ;
Che, come il core, avea perduti gli (»cchj.
Tanta è la tema , che non sa far strada.
Che ne' suoi proprj agguati non trabocchi.
Va nella rete , e quella si disserra,
Tutto r annoda , e lo distende in terra.
55. Astolfo, che andar giù vede il gran peso,
Già sicuro per sé, v' accorre in fretta,
E con la spada in man, d' arcion disceso,
Va per far di mille anime vendetta.
Poi gli par , che , se uccide un , che sia preso,
Viltà più, che virtù, ne sarà detta;
Che legate le braccia , i piedi e il collo
Gli vede si, che non può dare un crollo.
56. Avea la rete già fatta Vulcano
Di sottil fil d' acciar, ma con tal' arte,
Che saria stata ogni fatica in vano
Per ismagliarne la più debol parte ;
Ed era quella , clie già piedi e mano
Avea legati a Venere ed a Marte.
La fé' il geloso . e non ad altro effetto,
Che per pigliarli insieme ambi nel letto.
57. Mercurio al fabbro poi la rete invola, !
Che doride pigliar con essa vuole,
Cloride bella, «he per l' aria vola
Dietro air Aurora , all' apparir del sole,
E dal raccolto lembo della stola
Gigli spargendo va , rose e viole.
Mercurio tanto questa ninfa attese.
Che con la rete in aria un dì la prese.
58. Dove entra in mare il gran fiume etiope,
Par, che la Dea presa volando fosse:
Poi nel tempio d' Anuliide a Canopo
La rete molli se«-oli serbosse.
Caligorante, tre mila anni dopo.
Di Li, dove era sacra, la riuutsse.
S(^ ne portò la rete il ladron empio.
Ed arse la cittade, e rubò il tempio.
;m]
ORLANDO FURIOSO. (XV. 59-74)
[ns]
59. Quivi adattoUa in modo in suU' arena,
die tutti, quei, eh' avean da lui la caccia.
Vi davan dentro; ed era tocca appena,
Che lor legava e collo, e piedi, e braccia.
Di questa levò Astolfo una catena,
E le man dietro a quel fellon n' allaccia;
Le braccia e '1 petto in p^uisa g^liene fascia^
Che non può sciorsi; indi levar lo lascia.
60. Dagli altri nodi avendol sciolto prima,
(Ch' era tornato uman più che donzella,)
Di trarlo seco, e di mostrarU» stima
Per ville, per cittadi e per ca^tclla.
Vuol la rete anco aver, di che né lima,
Kè martel fece mai cosa piii bella:
]Ne fa soraier cohii, eh' alla cattena
Con pompa trionfai dietro si mena.
61. L' elmo e lo scudo anche a portar gli diede
Come a valletto, e seguitò il cammino.
Di gaudio empiendo, ovunque metta il piede,
Che ir possa ormai sicuro il pellegrino.
Astolfo se ne va tanto, che vede.
Che a' sepolcri di Menfi è già vicino,
Menfi per le piramidi famoso:
Vede air incontro il Cairo populoso.
62. Tutto il popol correndo si traea
Per vedere il gigante smisurato.
Come è possibil, 1' un 1' altro dicea.
Che quel piccolo il grande abbia legato?
Astolfo apjjena innanzi andar potea,
Tanto la calca il preme da ogni lato,
E, come cavalier d' alto valore,
Ognun r ammira, e gli fa grande onore.
63. Non era grande il Cairo così allora,
Come se ne ragiona a nostra etade;
Cile il popolo capir, che vi dimora,
Non pon diciotto mila gran contrade;
E che le case hanno tre palchi, e ancora
Ne dormano infiniti in sulle strade;
E che l snidano v' abita un castello
Mirabil di grandezza, e ricco e bello;
64. E che quindici mila suoi vassalli,
Che son cristiani rinnegati tutti.
Con mogli, con famiglie e con cavalli,
Ila sotto nn tetto sol quivi ridutti.
Astolfo Acder Miole, ove s' avvalli,
E quanto il Nilo entri nei salsi flutti
A Daiiiiata; eh' avca quivi inteso.
Qualunque passa, restar morto, o preso;
65. Perocché in ripa al Nilo in sulla foce
Si rijiara un ladron dentro una torre,
Che a' paesani e a' peregrini nuoce,
E fin al Cairo, ognun riibaiid«t, s<-orrc.
Non gli può alcun resistere; ed ha voce.
Che 1' uom gli cerca iiivan la vita torre:
Cento mila ferite egli ha già avuto,
Kè ucciderlo però mai si è potuto.
p6. INt veder, se può far romper»! il filo
Alla l'aria di Ini, sicrlu- non \i\a,
Asloll'o viene a ritrovare Orrilo
(Co>i avea nome), e a Daiiiiata arri^a.
Ed indi passa, ove entra in mare il Mio,
E vede la gran torre in sulla riva.
Dove s' alberga 1' anima incantata.
Clic A' un folletto nacque e d' una fata.
67. Quivi ritrova, che crudel battaglia
Era tra Orrilo e due guerrieri accesa.
Orrilo è solo, e sì que' due travaglia,
Ch' a gran fatica gli pon far difesa.
E quanto in arme 1' uno e 1' altro vaglia
A tutto il mondo la fama palesa:
Questi erano i due figli d' Oliviero,
Grifone il bianco, ed Aquìlante il nero.
68. Gli è ver, che 'I negromante venuto era
Alla battaglia con vantaggio grande;
Che seco tratto in campo avea una fera.
La qual si trova solo in quelle bande;
Vive sul lito, e dentro alla riviera,
E i corpi umani son le sue vivande
Delle persone misere ed incaute
De' viandanti, e d' infelici naute.
69. La bestia nell' arena appresso il porto
Per man de' due fratei morta giacca;
E per qu«sto ad Orrìl non sì fa torto.
Se a un tempo 1' uno e 1' altro gli nocca.
Più volte r iian smembrato, e non mai morto
Né per sinemlirarlo uccider si |)otea;
Che, se tagliata o mano o gamba gli era.
La rappiccava, che parca di cera.
70. Or fin ai denti il capo gli divide
Grifone, or Aquilante fin al petto:
Egli de' colpi lor sempre si ride.
S' adiran essi, che non hanno effetto.
Chi mai d' alto cader V argento vide,
Che gli alchimisti hanno mercurio detto,
E spargere e raccor tutti ì suoi membri.
Sentendo di costui, se ne rimembri.
71. Se gli spiccano il capo. Orrilo scende.
Né cessa brancolar, finché lo ti'ovi.
Ed or pel crine, ed or pel naso il prende,
Lo salda al collo, e non so, con che chiovì.
Pigliai talor Grifone, e '1 braccio stende.
Nel fiume il getta, e non par, eh' anco giovi:
Che nuota Orrilo al fondo, come un pesce,
E coi suo capo ealvo alla ripa esce.
72. Due belle donne onestamente ornate,
1/ una vestita a bianco, e 1' altra a nero.
Che della pugna causa erano state.
Stavano a riguardar 1' assalto fiero.
Queste eran quelle due benigne fate,
(;iie avean nutriti i figli d' Oliviero,
pitiche li tiasson teneri zittelli
Dai curvi artigli di due grandi augelli,
73. Che rapiti gli avevano n Gismonda,
E portati lontan dal suo paese.
]\la non bisogna in ciò. eh' io mi diffonda;
Chi a tutto il mondo è V i-toria palese;
Deiichè r autor nel padre si confonda.
Che un per un altro (io non so coiiu-) i)rcse.
Or la battaglia i duo giovani f.uino,
Che le duo donne ambi pregati n' hanno.
74. Era in quel clima già sparito il giorno,
Air i-^ole aiictu- alto di Fortuna;
L' ombre avean tolto ogni vedere attorno
Sotto r incerta e mal coniprc>a luna,
Qii.indo alla rocca OrriI fece ritorno.
Poicir all.i biama, e alla sorella bnina
Piacque di dilfcrir 1' aspra battagliti,
Fiiichò '1 sol nuuvu all' orizzonto saglia.
12
[119]
ORLANDO FURIOSO. (XV. 75—90)
[180]
75. Astolfo, che Grifone ed Aqnilante
Ed air insegne, e più al ferir gagliardo,
Riconoficinto area gran pezzo innante,
Lor non fu altero a salutar, né tardo.
Essi, vedendo, che quel, che '1 gigante
Traea legato, era il baron dal Pardo,
(Che così in corte era quel duca detto)
Raccolser lui con non minore affetto.
76. Le donne a riposare i cavalieri
Menaro a un lor palagio indi vicino.
Donzelle incontra vennero e scudieri,
Con torchj accesi, a mezzo del cammino.
Diero a chi n' ebbe cura i lor destrieri ;
Trassonsi 1' arme, e dentro un bel giardino
Trovar, che apparecchiata era la cena
Ad mia fonte limpida ed amena.
77. Fan legare il gigante alla verdura
C»)n un' altra catena molto grossa.
Ad una quercia di molt' anni dura,
Che non si romperà per ima scossa;
E da dicci sergenti averne cura,
CJiie la notte discior non se ne possa,
Ed assalirli, e forse far lor danno.
Mentre sicuri e senza guardia stanno.
78. All' abbondante e sontuosa mensa.
Dove il manco piacer fur le vivande,
Del ragionar gran parte sì dispensa
Sopra d' Orrilo, e del miracol grande,
Che quasi pare un sogno a chi vi pensa,
Che or capo, or brjiccìo a terra se gli mande.
Ed egli Io raccolga e Io raggiugna,
E più feroce oguor torni alla pugna.
79. Astolfo nel suo libro avca già Ietto —
Quel, che agi' incanti riparare insegna, —
Che ad OrriI non trarrà l' alma del petto,
Finche un crine fatai nel capo tegna;
Ma, se lo svelle , o tronca, fìa constretto,
Che, suo malgrado, fuor 1' alma ne vegna.
Questo ne dice il libro ; ma non, come
Conosca il crine in così folte chiome.
80. Non raen della vittoria si godea.
Che s(! n' avesse Astolfo già la palma.
Come chi speme in pochi colpi avea
Svellere il crine al negromante e 1' alma.
Però di queir impresa promette»
Tor su gli omeri suoi tutta la salma;
Orril farà morir, quando non spiaccia
Ai duo fratei, eh' egli la pugna faccia.
81. Ma quei gli danno volentier l' impresa.
Certi, che debbia affaticarsi invano.
Era già 1' altra aurora in cielo ascesa,
Quando calò dai muri Orrilo al piano,
'J"ra il duca e lui fu la battaglia accesa.
La ma/za 1' un, l' altro ha la spada in mano.
Di mille attf^nde Astolfo un colpo trarne.
Che lo spirto gli sciolga dalla carne.
82. Or cader gli fa il pugno con la mazza,
Or r imo, (u- l' altro braccio con la mano ;
Quando taglia a traverso la corazza,
E quando il va troncando a brano a brano:
Ma raccogli»!ndo sempre dalla pia/za
Va le sue menibra Orrilo, e si fa sano.
Se in cento pizzi ben 1' avesse fatto,
K(-dintcgrarsi il vedea A.^tolfo a un tratto.
83. Alfin di mille colpi un gliene colse
Sopra le spalle ai termini del mento;
La testa e 1' elmo dal capo gli tolse,
Kè fu d' Orrilo a dismontar \nn lento.
La sanguinosa chioma in man s' a^ volse,
E risalse a cavallo in un momento,
E la portò, correndo centra '1 Nilo,
Che riaver non la potesse Orrilo.
84. Quel sciocco, che del fatto non si accorse.
Per la polve cercando iva la testa :
Ma come intese il corridor via torse.
Portare il capo suo per la foresta.
Immantinente al suo dcstrier ricorse,
Soj)ra vi sale, e di seguir non resta,
^'olea gridare : Aspetta, volta, volta !
Ma gli avea il duca già la bocca tolta.
85. Pur, che non gli ha tolto anco le calcagna,
Sì riconforta, e segue a tutta briglia.
Dietro il lascia gran spazio di campagna
Quel Rabican, che corre a maraviglia.
Astolfo intanto per la cuticagna
Va dalla nuca fin sopra le ciglia
Cercando in fretta, se '1 crine fatale
Conoscer può, clie Orril tiene immortale.
86. Fra tanti e innumerabili capelli,
Un più dell' altro non si stende, o torce.
Qual dunque Astolfo sceglierà di quelli,
Che, per dar morte al rio ladron, raccorce?
Bleglio è, disse, che tutti io tagli o svelli:
JNè si trovando aver rasoi, né force.
Ricorse immantinente alla sua spada.
Che taglia sì, che si può dir, che rada;
87. E, tenendo quel capo per lo naso,
Dietro e dinanzi lo dischioma tutto.
Trovò fra gli altri quel fatale a caso.
Si fece il viso allor pallido e brutto;
Travolse gli occhj, e dimostrò all' occaso,
Per manifesti segni, esser condotto,
E '1 busto, che scguia troncato al collo.
Di sella cadde, e die l' ultimo crollo.
88. Astolfo, ove le donne e i cavalieri
Lasciato avea, tornò col capo in mano.
Che tutti avea di morte i segni veri,
E mostrò il ti'onco, ove giacca lontano.
Non so ben, se lo vider volentieri,
Ancorché gli mostrasser viso umano;
Cile la intercetta lor vittoria forse
D' invidia ai duo germani il petto morse.
80. Kè, che tal fin quella battaglia avesse,
Credo più fosse alle due donne grato.
Queste, perchè più in lungo si traesse
De' diu) fratelli il doloroso fato.
Che in Francia par che in ln-eve esser dovesse
Con loro Orrilo avean quivi azzuffato,
Con speme di tenerli tanto a bada.
Che la trista inlluenza se no vada.
90. T«)stochè 'l castcllan di Damlata
Certi fi(;ossi, eh' era morto Orrilo,
La colomba lasciò, che avea legata
Sotto r ala la lettera col filo.
Quella andò al C.iiro, c>l indi fu lasciata
Un' altra altrove, come quivi è stilo;
Sicché in pocbissinie ore andò I' avviso
Per tutto Egitto, eh' era Ori-ilo ucciso.
[181]
ORLANDO FURIOSO. (XV. 91 — 105)
[182]
91. n duca, come al fin trasse 1' impresa.
Confortò molto i nobili garzoni.
Benché da sé t' avean la voglia intesa,
IVé bisognavan stimoli, né sproni:
Che, per difender della santa chiesa
E del romano imperio le ragioni,
Lasciasser le battaglie d' Oriente,
E cercassino onor nella lor gente.
92. Così Grifone ed Aquilante tolse
Ciascuno dalla sua donna licenzia ;
Le quali, ancorché lor ne increbbe e dolse
Non \i seppon però far resistcnzia.
Con essi Astolfo a man destra si volse,
Che sì deliberar far riverenzia
Ai santi luoghi, ove Dio in carne visse,
Priraachè vei'so Francia si Acnijse.
93.
Potuto avrian pigliar la via mancina,
Ch' era più dilettevole e più piana,
E mai non si scostar dalla marina ;
Ma per la destra andaro orrida e strana.
Perché 1' alta città di Palestina,
Per questa, sei giornate é men lontana.
Acqua si trova, ed erba in questa via;
Di tutti gli altri ben v' è carestia.
94
Sicché, prima eh' entrassero in viaggio,
Ciò che lor bisognò, fecion raccorre,
E carcar sul gigante il carriaggio,
Ch' avria portato in collo anco una torre.
Al finir del caramiiio aspro e selvaggio,
Dall' alto monte alla lor vista occorre
La santa terra, ove il superno Amore
Lavò col proprio sangue il nostro errore.
95. Trovano in suU' entrar della cittade
Un giovane gentil, lor conoscente,
Sansonetto da 3Iccca, oltre 1' ctade,
Ch' era nel primo fior, molto prudentei,
D' alta cavalleria, d' alta boutade
Famoso e riverito fra la gente.
Orlando lo converse a nostra fede,
E di sua man battesmo anco gli diede.
Quivi lo trovan, che disegna a fronte
Del calife d' Egitto una fortezza;
E circondar vuole il Calvario iiu)nte
Dì muro di due miglia di lunghczziu
Da lui raccolti fur con quella fronte,
Che può d' interno amor dar più (•hiai'ezza ;
E dentro accompagnati, e con grand' agio
Fatti alloggiar nel suo rcal palagio.
Avea in governo egli la terra, e in vece
Dì Carlo vi reggca l' imperio giusto.
Il duca Astolfo a costui ilono fece
Di quel sì grande e smisurato busto,
Che a piutar pesi gli varrà per diece
li<•^tie «la soma, tanto <'ra robusto,
Diegii Astolfo il gigante, e dirgli appresso
La rete, che
96
97
sua forza V a\<;a messo
105. P<;rò U-vii p(-nsier, senza i>arlarnc
Con A(|uilaiite, girsene soletto
Sin dentro d' Antiochia, v quindi trarne
Colei, che tratti» il cor ^li a^ea d< I petto,
'rro\ar «dlui, «he ;;liel" ha tolta. «• farno
\<tidetta tal, che ne sia ^elnp^(! detto.
Dirò, rome ad clVctto il pcusier messe,
Neil' altro canto, o ciò che ne successe.
98. Sansonetto all' incontro al duca diede
Per la spada una cinta ricca e bella,
E diede spron per 1' uno e 1' altro piede.
Che d' oro avean la fibbia e la girella;
Ch' esser del cavalier stati si crede.
Che liberò dal drago la donzella.
Al Zaffo avuti, con molt' altro «arnese,
Sansonetto gii avea, quando lo prese.
99. Purgati di lor colpe a un monasterio.
Che dava di sé odor di buoni esempj.
Della passion dì Cristo ogni misteri©
Contemplando n' andar per tutti i tempj.
Che or, con eterno obbrobrio e vituperio,
AUi Cristiani usurpano i 3Iorì empj.
L' lluropa é in arme, e di far gùerx-a agogna
In ogni parte, fuorché ove bisogna.
100. Mentre avean quivi 1' animo divoto,
A perdonanze e a cerimonie intenti,
Lin peregrio di Grecia, a Grifon noto,
Rovelle gli arrecò gravi e pungenti.
Dal suo primo disegno e lungo voto
Troppo diverse e troppo differenti;
E quelle il petto gì' infiammaron tanto,
Che gli scacciar 1' oi-azion da canto.
101. Amava il cavalier, per sua sciiigura.
Una donna, che avea nome Origille:
Di più bel volto e di miglior statura
]\on se ne sceglierebbe una tra mille;
Ma disleale, e di sì rea natura.
Che potresti cercar cittadi e ville.
La terra ferma e 1' isole del mare,
Ké credo, eh' una le trovassi pare.
102. Kella città di Costantin lasciata
Grave l' avea dì febbre acuta e fiera.
Or, quando rivederla alla tornata.
Più che mai bella, e di goderla spera,
Ode il jneschin, che in Antiochia andata
Dietro un sin» nuovo amante ella se n' era,
Aon le parendo ormai di più patire,
Che abbia in sì fresca età sola a doriuìre.
103. Da indi in qua, eh' ebbe la trista nuova.
Sospirava Grifon notte e dì sempre.
Ogni piacer, che agli altri aggrada e giova,
l'ar, che a costui piii T animo distempre.
Pensilo ognun, nelli cui danni prova
Amor, se li suoi strali liau buone tempre.
Ed era grave sopra ogni martire.
Che il nuli, eh' avea, si vergognava a dire.
104. Questo, perché mille fiate innante
Già ripreso l avea di quell' auutre.
Di lui più saggio il fratello Aquihuite,
E cercato colei trargli del core,
C(dei, che al suo giuiru io era, di quante
Feumiine rie si tro>in, la peggiore.
Griltui r escusa, se 1 fratel la danna:
Che le più volte il parer proprio inganna.
12 *
[183]
ORLANDO FURIOSO. (XVI. 1-12)
[184]
CANTO DECIMOSESTO.
ARGOMENTO.
Con Origine trova il vii Martano
Grifone , e suo fratello stima e crede.
Giugne al campo il signor di Moni' Albano,
A tempo che 'l suo ajuto più richiede.
Rodomonte in Parigi, ei fuor nel piano
Fa gran mortalità, travaglia efiede.
Dell' uno e V altro son le prove tali,
Che posson stare a una bilancia eguali.
1. Grarl pene in amor si proTan molte,
Di che patito io n' ho la niag-gior parte,
E quelle in danno mio sì ben raccolte,
Ch' io ne posso parlar, come per arte.
Però , s' io dico , e s' ho detto altre volte,
E quando in voce , e quando in vive carte.
Che un mal sia lieve, un altro acerbo e fiero,
Date credenza al mio giudizio vero !
2. Io dico e dissi, e dirò fin<;h' io viva.
Che chi si trova in degno laccio preso,
Se ben di sé vede sua donna schiva.
Se in tutto avversa al suo desire acceso,
Se bene amor d' ogni mercede il priva,
Poscia<hè il tempo e le fatiche ha speso.
Purché altamente abbia locato il core,
Pianger non de' , se ben languisce e muore.
3. Pianger de' quel, che già sia fatto servo
Di duo vaghi occlij e d' una bella treccia,
Sotto »;ui si nasconda nn cor protervo,
Che poco puro abbia con molta feccia.
\orria il niiser fuggire, e come cervo
Ferito , ovunque va , porta la freccia.
Ha di sé stesso e riel suo amor vergogna,
j\è r osa dire , e iii^ an »anarsi agogna.
4. In questo caso é il gi<»vane Grifone,
Che non .si può emendare, e '1 suo error vede;
Aede, quanto vilmente il suo cor pone
In Origlile iniqua e ^enza fede;
Pur dal mal uso è %inta la ragione,
K pur r arbitrio all' appetito (ede:
i'r-ilida sia quantunque, ingrata e ria.
Sforzato è di cercar, dov' ella sia.
5. Dico , la Ixlla istoria ripigliando,
Che u-( 1 (Icllii ciitii secrctanu-nte,
Né parlarne s' ardi col fratel, quando
Ripreso in>aii da lui ne fu sovente.
Verso Uiuna , n sini,,t,ii declinando.
Prese la \ia piò piana ,; pi,, ^drente:
F'u in sei giorni a I)aiiias( o di S(>na,
Indi verbo Antiochia ac ne •'iu.
6. Scontrò presso a Damasco il cavaliere,
A cui donato avea Origille il core,
E convcnian di rei costumi in vero,
Come ben si convien 1' erba col fiore :
Che r uno e 1' altro era di cor leggiero;
Perfida 1' una, e 1' altro traditore;
E copria 1' uno e 1' altra il suo difetto.
Con danno altrui , sotto cortese aspetto.
7. Come io vi dico , il cavalier venia
Su un gran destrier con molta pompa armato.
La perfida Origille in compagnia
In un vestire azzur, d' oro fregiato,
E duo valletti , donde si servia
A portar elmo e scudo, aveva allato;
Come quel , che volea con bella mostra
Comparire in Damasco ad una giostra.
8. Una splendida festa, che bandire
Fece il re di Damascc» in quelli giorni.
Era cagion di far quivi venire
I cavalier, quanto potean più adorni.
Tostoché la puttana comparire
Vede Grifon , ne teme oltraggi e scorni:
Sa, che 1' amante suo non è si forte,
Che contra lui 1' abbia a campar da morte.
9. Ma, siccome audacissima e scaltrita.
Ancorché tutta di paura trema,
S' acconcia il viso, e sì la voce aita.
Che non appare in lei segno di tema.
Col drudo avendo già 1' astuzia ordita.
Corre, e, fingendo una letizia estrema,
Verso Gli fon 1' aperte braccia tende,
Lo stringe al collo , e gran pezzo ne pende.
10. Dopo , accordando alTettùosi gesti
Alla soavità delle parole,
Direa piangendo: Signor mio, son questi
D(!biti prenij a chi t' adora e cole,
Che sola senza te già un anno resti,
E va per 1' altro , e ancor non te ne duole?
E , se io stava aspettare il tiu) ritorno,
Kon so, se mai veduto avrei quel giorno.
11. Quando aspettava , che di jNicosia,
Dove tu te n' andasti alla gran corte,
Tornassi a me , che con la febbre ria
La.-iciata avevi in dubbio della morte,
Int(^-i , che passato cri in Soria ;
II che a patir mi fu sì duro e foric.
Che , non sapendo , come io ti seguissi,
Quasi il cor di man propria mi trafissi.
12. Ma fortiuia di nu- con d(>|)pìo dono
Mostra d' aver, quel che non hai tu, cura.
Mandommi il fratel mio, col quale io sono
Sin qnì scuota del mio onor sicura;
Ed or mi manda questo iiu^ontro biu>no
Di te, eh' io stimo sopra ogni avventura ^
E bene a tempo il fa; che, piò tardando,
31orta sarei, te, signor mio, bramando.
185]
ORLANDO FURIOSO. (XVI. 13-28)
ri86]
13. E seguitò la donna fraudolente,
Di cui i' opere fur più che di volpe,
La sua querela così astutamente,
Che riversò in Grifon tutte le colpe.
Gli fa stimar colui, non che parente,
Ma che d' un padre seco al)hia ossa e polpe ;
E con tal modo sa tesser gì" inganni.
Che men verace par Luca e Giovanni.
lì. Non pur di sua perfidia non riprendo
Grifon la donna iniqua più che bella;
Non pur vendetta di colui non prende.
Che fatto s' era adultero di quella;
Ma gli par fare assai, se si difende,
Che tutto il hiasmo in lui non riversi ella;
E, come fosse suo cognato vero,
D' accarezzar non cessa il cavaliero.
15. E con lui se ne vien verso le porte
Di Damasco, e da lui sente tra via,
Che là dentro dovea splendida corte
Tenere il ricco re della Soria,
E che ognun quivi , di qualunque sorte,
0 sia Cristiano, o d' altra legge sia,
Dentro e di fuori ha la città sicura
Per tutto il tempo, che la festa dura.
16. Non però son di seguitar sì intento
L' istoria della perfida Origlile,
Che a' giorni suoi !U)n pure un tradimento
Fatto agli amanti avca , ma mille e mille,
Cli' io non ritorni a riveder dugento
Mila persone o ^jìù delle scintille
Del fuoco stuzzicato , ove alle mura
Di Parigi facean danno e paura.
17. Io vi lasciai, come assaltato avea
Agramante una porta della terra,
Che trovar senza guartlia si credea;
Né più riparo altrove il passo serra;
Perchè in persona (Jarlo la tenea.
Ed avea seco i mastri delia guerra ;
Duo Guidi, duo Angelini, un Angciiero,
Avino, Avolio , Ottone e Berlinghiero.
18. Innanzi a Carlo , innanzi al re Agnimanto
L' un stuoh» e l' altro si vuol far vedere,
Ove gran loda, ove mercè ahhondaiitc
Si può acquistar, facx-ndo il !suo dovere.
1 Muri non però fèr prove tante,
Che par ristoro al dainio aliliian d' avere;
Perchè ve ne restar morti parccuhj.
Che agli altri fur di folle audacia spccclij.
19. Grandine senihran le spesse saette
Dal muro sopra gì' iniini(-i sparte.
Il grido infin al ciel |)aura mette,
Che fa la nostra e la ciiiitrat'ia parte.
Ma Carlo mi poco ed Agramante aspetto;
Ch' io vo' contar dell' africaiu» Mart<<,
Rodomonte terrihilc «-d orrendo,
(yhe \a per mezzo la città «;orrendo.
Non so, Signor, se più vi ricordiate
Di «picsto Saracin tanto kÌc-iuo,
(he morto le mi<; fr,.|,ti ;n,.ii |a<ciiito
'l'ia il secondo ripiiro e l |iriiiio muro.
Dalla r.ipace fiaiiima devorate;
Che non fu iimi spettacolo più oscuro.
Dissi, eh' ciitiò d' un salto nella terra
Sopra la fossa, che la cinge e serra.
21. Quando fu noto il Saracino atroce
All' arme istiane, e alla scagliosa pelle.
Là , dove i vecchj e '1 popol men feroce
Tendean 1' orecchie a tutte le novelle,
Levossi un pianto, un grido, un' alta voce,
Con un batter di man, che andò alle stelle j
E chi potè fuggir, non vi rimase.
Per serrarsi ne' templi e nelle case.
22- Ma questo a pochi il brando rio concede,
Che intorno ruota il Saracin robusto.
Qui fa restar con mezza gamba un piede,
Là fa un caj.'O sbalzar lungi dal busto ;
L' un tagliare a traverso se gli vede.
Dal capo all' anche un altro fender giusto;
E di tanti, eh' uccide, fere e caccia,
Non se gli vede alcun segnare in faccia.
I 23. Quel , che la tigre dell' armento imbelle
j Ne' campi ircani , o là vicino al G.iiige,
j O il lupo delle capre e dell' agnelle
Nel monte, che Tiféo sotto si frange,
I Qlli^i il crudel pagan facea di quelle,
! Non dirò squadre, non dirò falange,
[ Ma vulgo e pj)pi)lazzo voglio dire,
j Degno, primachè nasca, di morire.
24. Non ne trova un , che veder possa in fronte
j Fra tanti che ne taglia , fora e svena.
1 Per quella strada, che vien dritto al ponte
! Di san Michel, sì pop(data e piena,
1 Corre il fiero e terribil Rodomonte,
E la sanguigna spada a cerchio mena.
I Non riguarda né al servo, nò al signore,
! Né al giusto ha più pietà, che al peccatore.
! 25. Relìgion non giova al sacerdote.
Né r innocenza al pargoletto giova;
Per sereni occhj , o per vermiglie gote
Mercè né donna, né donzella trova:
La vecchiezza si «accia e si percuote:
Né quivi il Sara<'in fa maggior |)rova
Di gran Aalor, che di gran crudeltade;
Che non di^cerne sesso, ordine, etadc.
26. Non pur nel sangue iiman 1' ira si stende
Dell' empio re , capo e signor degli empj.
Ma coiitra i tetti ancor , sicché ne incende
Le belle case e i prolànati tempj.
Le cas(^ eran , per quel che se n' intende,
Quasi tutte di legno in quelli tempi:
E ben creder si può, che in Parigi ora
Delle dieci le sei son così ancora.
27. Non par, quantunque il fuoco ogni cosa arda.
Che sì grande odio aia-or saziar si possa.
Dove s' aggrappi con le mani , guarda,
Sic<hè mini un tetto ad ogni scossa.
Signor»; , avete a creder , che bombaritu
Mai non vedeste a Padova sì grossa,
('li<; tanto muro possa far «adere.
Quanto fa in una scossa il re if Algierc.
28. ìlentn; «|ni>i col ferro il maladett^i
E culi le fiaiiiiiu; l'arca tanta guerra.
Se di fuor Agraiiianl»- aresse astretto.
Perduta era quel di tutta la terra.
!Ma non v' ehi»' agio; che gli fu interdc'lto
Dal palailin. <'li<; \eiiia d' lnghilt<-rra,
('o! popolo alle '>palle inglese e scotto.
Da! Silenzio e dall' an";elo condotto.
[18ì]^
ORLANDO FURIOSO. (XVI. 2D— 44)
[188]
29. Dio volse, nell' entrar, che Rodomonte
Fé' nella tcn-a, e tanto fuoco accese,
Che presso ai muri il fior di Chiaraniontc,
Rinaldo g:itinse, e seco il campo inglese.
Tre leghe sopra avea gittato il ponte,
E torte vie da man sinistra prese,
Qie, disegnando i Barbari assalire,
11 fiume non 1' avesse ad impedire.
30. Mandato avea sei mila fanti arcieri
Sotto r altera insegna d' Odoardo,
E duo mila cavalli, i più leggieri,
Dietro alla guida d' Ariman gagliardo;
E mandati gli avea per li sentieri.
Che vanno e vengon dritto al mar piccardo,
CJie a porta san i^Iartino e san Dionigi
Entrassero a soccorso di PàrigL
31. I carriaggi e gli altri impedimenti
Con lor fece drizzar per questa strada.
Egli, con tutto il resto delle genti.
Più sopra andò girando la contrada.
Seco avea navi e ponti, ed argomenti
Da passar Senna, che non hen si guada.
Passato ognuno , e dietro i ponti rotti,
KeUe lor schiere ordinò Inglesi e Scotti.
32. Ma prima quei haroni e capitani
Rinaldo intorno avendosi ridutti
Sopra la riva, eh' alta era dai piani,
Sicché poteano udirlo e veder tutti.
Disse : Signor , hen a levar le mani
Avete a Dio, che qui v' abbia condutti,
Perchè, dopo un brevissimo sudore.
Sopra ogni nazion vi doni onore.
33. Per voi saran due principi salvati.
Se levate 1' assedio a quelle porte;
n vostro re, che voi siete obbligati
Da servitù difendere e da morte;
Ed uno impcrator de' più lodati.
Che mai tenuto al mondo abbiano corte;
E con loro altri re, duchi e marchesi.
Signori e cavalier di più paesi —
34. Sicché, salvando una città, non soli
Parigini obbligati vi saranno,
Che molto più, che per li proprj duoli,
Timidi, aHìitti e sbigottiti stanno^
Per le lor mogli e per li lor figliuoli.
Che a un mcdesmo pericolo seco hanno,
E per le sante vergini rinchiuse,
Ch' oggi non sien de' voti lor deluse.
33. Dico, salvando voi questa cittade,
V o1)l)ligate non solo i Parigini,
Ma d' ogni intorno tutte; le contraile.
]Son jìarlo sol de' popoli vicini;
Ma non è terra per cristlanitade,
Cbc non abl)ia quii dentro cittadini;
Sicché, vincendo, a^ete da tenere.
Che, più elle Francia, v' abbia obbligo avere.
36. Se donavan gli antichi una corona
A chi halvasse a un cittadin la vita,
Or, clic degna m«!rcede a voi si dona.
Saitando moltitudine infinita?
Ma bc, da in\l(lia o da viltà, ci buon»
E sì banta opra rimarrà impedita,
Credet(;mi, clic, prese quelle mura,
^è Italia, uè Luinagna anco è sicura.
37.
Né qualunque altra parte, ove 8' adori
Quel, che volse per noi pendei sul legno.
]\é voi crediate aver lontani i 3Iori,
]Né, che pel mar sia forte il vostro regno;
Che, s' altre volte quelli, uscendo fuori
Di Zibeltarro, e dell' erculeo segno,
Riportar preda dall' isole vostre,
Che faranno or, s' avran le terre nostre?
38
3Ia, quando ancor nessun onor, nessuno
Util v' inanimasse a questa impresa,
Coraun debito é ben soccorrer 1' uno
L' altro, che militìam sotto una chiesa.
Ch' io non vi dia rotti i nimici, alcuno
Kon sia che tema, e con poca contesa;
Che gente mal esperta tutta panni,
Senza possanza, senza cor, senz' armL
39. Potè con queste e con miglior ragioni,
Con parlar espedito e chiara voce,
Eccitar quei magnanimi baroni
Rinaldo, e quello esercito feroce;
E f n , com' è in proverbio , aggiunger sproni
Al buon corsier, che già ne va veloce.
Finito il ragionar, fece le schiere
Mover pian pian sotto le lor bandiere.
40. Senza strepito alcun, senza rumore
Fa il tripartito esercito venire.
Lungo il fiume a Zerbin dona 1' onore
Di dover prima i Barbari assalire;
E fa quelli d' h'ianda, con maggiore
Volger di via, più tra campagna gire;
E i cavalieri e i fanti d' Inghilterra
Col duca di Lincastro in mezzo serra.
41. Drizzati che gli ha tutti al lor cammino,
Cavalca il paladin lungo la riva,
E passa innanzi al buon duca Zerbino,
E a tutto il campo , che con lui veniva ;
Tanto che al re d' Orano e al re Sobrino,
E agli altri lor compagni soprarriva.
Che mezzo miglio appresso a quei di Spagna
Guardavan da quel canto la campagna.
42. L' esercito Cristian, che con si fida
E sì sicura scorta era venuto,
Ch' ebbe il Silenzio e l' angelo per guida,
Kon potè omai patir più di star muto.
Sentiti gì' inimici , alzò le grida,
E delle trombe udir fé' il suono arguto;
E con r alto rumor, eh' arrivò al cielo.
Mandò neir ossa a' Saracini il gelo.
43. Rinaldo innanzi agli altri il destrier punge
E , con la lancia per cacciarla in resta.
Lascia gli Scotti un tratto d' arco lungo,
Cbé ogni indugio a ferir sì lo molesta.
Come groppo «li vento talor giunge,
Che si trae dietro un' orrida tempesta;
Tal fuor di squadra il cavalier gagliardo
Venia spronando il corridor Bajardo.
Al comparir del paladin di Francia
I
44.
Dan segno i Mori alle future angosce:
Tremare a tutti in man vedi la lancia,
1 piedi in stafi'a , e nell' arcion le cosce.
Re Puliano sol non unita guancia;
Cile questo esser Rinaldo non conosce;
Né pensando trovar sì duro intoppo,
Gli muove il destrier contra di galoppo ;
189]
ORLANDO FURIOSO. (XVI. 45—60)
[190]
45. E sulla lancia nel partir si stringe,
E tutta in se raccoglie la persona;
Poi con ambo gli sproni il destrier spinge,
E le redine innanzi gli abbandona.
Dall' altra parte il suo valor non finge,
E mostra in tatti quel, che in nome suona,
Quanto abbia nel giostrare e grazia ed arte
Il figliuolo d' Amone, anzi di Marte.
46. Furo al segnar degli aspri colpi pari ;
Che si posero i ferri ambi alla testa:
Ma furo iu arme ed in virtù dispari;
Che r un via passa, e 1' altro morto resta.
Bisognan di valor segni più chiarì,
Che por con leggiadria la lancia in resta:
Ma fortuna anco più bisogna assai ;
Che senza, vai virtù raro, o non mai.
47. La buona lancia il paladin racquista,
E verso il re d' Oran ratto si spicca,
Che la persona avca povera e trista
Di cor, ma d' ossa e di gran polpe ricca.
Questo por tra bei colpi si può in lista,
Benché in fondo allo scudo gli 1' appicca;
E chi non vuol lodarlo , abbialo escuso,
Perchè non si potca giunger più in suso.
18. Non Io ritien lo scudo, che non entre,
Benché fuor sia d' acclar, dentro di palma,
E che da quel gran colpo uscir pel ventre
Non faccia 1' ineguale e picciol' alma.
Il destrier, che portar si crcdea, mentre
Durasse il lungo dì, sì grave salma.
Riferì in mente sua grazie a Rinaldo,
Che a quello incontro gli schivò un gran caldo.
19. Rotta r asta, Rinaldo il destrier volta
Tanto leggler, che fa sembrar eh' «abbia ale,
E , dove la più stretta e maggior folta
Stipar si vede, impetuoso assale.
Mena Fusberta sanguinosa in volta,
Che fa l' arme parer di vetro frale.
Tempra di ferro il suo tagliar non schiva,
Cile non vada a trovar la carne vi^a.
iO. Ritrovar poche tempre e pochi ferri
Può la tagliente spada, ove s' incappi.
Ma targhe, altre di cuojo, altre di cerri.
Giubbe trapunte e attorcigliati drapjii.
Giusto è I)eu dunque , che Rinaldo atterri
Qualunque assale , e fori , e squarci e allrappi ;
Che non più si difende da sua spada,
Ch' erba da falce, o da tempesta i)iada.
il. La prima schiera era già messa iu rotta,
Quando Zerbin con 1' antiguardia arriva.
Il cavaliere innanzi alla gran frotta
(Um la lancia arrestata ne veniva.
La gente gotto il suo pcuuon coiulotta
f'on non minor fierezza lo seguiva:
Tanti lupi parcan , tanti leoni,
Wie andassero assalir capro, o montoni.
Vi. Spinse n un tempo ciascuno il suo cavallo.
Poiché fur presso; e sparì immanlìiicnte
Quel breve spazio. qiKil poco intervallo,
Che si vciloa fra i' una <; 1' altra genio.
Non fu Kcntito mai più strano ballo:
Cile ferian gli Scozzesi solameulo ;
Solaiiu-nlo i jìagani eraii distrutti,
C/'oine sol per morir f<»sser coiululti.
53
54
36,
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58,
59.
60
Parve più freddo ogni pagan, che ghi.-iccio;
Parve ogni Scotto più che fiamma caldo.
I Mori si crcdean, che avere il braccio
Dovesse ogni Cristian , eh' ebbe Rinaldo.
Mosse Sobrino i suoi schierati avaccio,
Senza aspettar che lo invitasse araldo.
Dell' altra squadra questa era migliore
Di capitano , d' arme e di valore.
D' Africa v' era la men trista gente.
Benché né questa ancor gran prezzo vaglia.
Dardinel la sua mosse incontinente,
E male armata, e peggio usa in battaglia;
Bendi' egli in capo area 1' elmo lucente,
E tutto ora coperto a piastra e a maglia.
Io credo, che la quarta miglior sia.
Con la quale Isolicr dietro venia.
Trasone intanto, il buon duca dì Marra,
Che ritrovarsi all' altra impresa gode.
Ai cavalieri suoi leva la sbarra,
E seco invita alle famose lode,
Poiché Isolier con quelli di Navarra
Entrar nella battaglia vede ed ode.
Poi mosse Ariodante la sua schiera,
Che nuovo duca d' Albania fatt' era.
L' alto rimior delle sonore trombe.
De' timpani , e de' barbari stromenti,
Giunti al continuo suon d' archi, di frorabe,
Di macchine, di ruote e di tormenti,
E quel, di clie più par clic il cicl rimbombc.
Gridi, tumulti, gemiti e lamenti,
Rendono un alto suon, eh' a quel s' accorda,
Con che i vicin , cadendo , il Nilo assorda.
Grande ombra d' ogni intorno il cielo involve,
Nata dal saettar delli duo campi,
L' alito, il fumo del sudor, la polve.
Par che nell' aria oscura nebbia stampi.
Or qua 1' un campo , or 1' altro là si volve ;
Vedreste or come un segua, or come scampi,
Ed ivi alcuno, o non troppo di^i:jo,
RJraimcr morto , ove ha il nimico ucciso.
Dove una squadra per stanchezza è mossa,
Un' altra si fa tosto andare innauti.
Dì qua, di là la gente d' arme ingrossa;
Là cavalieri, e qua si metton fanti.
La terra , che sosticn 1' assalto , è rossa ;
Mutato ha il verde ne' sanguigni manti;
E , dov' erano i fiori azzurri e gialli.
Giacciono uccisi or gli uomini e 1 cavalli.
Zerbin facea le più inir.ibii pio-.c
Clic mai facesse di sua eia g,ii/i)nc.
L' esercito pagan, che intorno |iio\e,
Taglia ed uccide, e mena a di?truzi(UJC.
Ariodante alle sue genti nuove
Mostra di Mia virtù gran paragone,
E dà di sé timore e iiiarin iglia
A quelli di Navarra e di Cartiglia.
Chcliudo V. >lo>co , i duo figli bastardi
Del tuorlo ('alabruii , re d' Ar.igona,
Ed un, clic reput.ito Ira" gagli.irdi
Era, ('aliunidor da ititnreilnna,
S' ax'an hi--i°ialo addietro gli stendardi, -
E, cre<lcndo a(-(|ni>tar gloria e corona
Pur uc(-id<T Zerbin, gli furo addo-so,
E ne' fianchi il destrier gli lianui> peri'^x'o.
[191]
ORLANDO FURIOSO. (XVI. 61— T6)
01. Piif^jiato da tre lance il destiier morto
Cade: ma il buon Zerbin subito è in piede,
€hè a quei, eh' al suo cavallo han fatto torto.
Per vendicarlo va, dove li vede :
E prima a 3Iosco, al g^iovane inaccorto,
Che g^li sta sopra, e di pigliar sei crede,
Siena di punta , e lo passa nel fianco,
E fuor di sella il caccia freddo e bianco.
62. Poicl'è si vede tor , come di furto,
Chelindo il fratel suo , di furor pieno
Aenne a Zerbino, e pensò dargli d' urto:
Ma gli prette egli il corridor pel freno.
Tramiselo in terra , onde non è mai surto.
E non mangiò mai più biada, né fieno;
Cile Zerbin sì gran forza a un colpo mise.
Che lui col suo signor d' nn taglio uccise.
63. Come Calamidor quel colpo mira,
Volta la briglia per levarsi in fretta ;
Ma Zerbin dietro un gran fendente tira,
Dicendo: Traditore, a-petta, aspetta!
Kon va la botta, ove n' andò la mira;
^'on che però lontana vi si metta.
Lui non potè arrivar; ma il destrier prese
Sopra la groppa, e in terra lo distese.
64. Colui lascia il cavallo , e via carpone
Va per campar: ma poco gli successe:
Che venne a caso , che '1 duca Trasone
Gli passò sopra , e col peso 1' oppresse.
Ariodante e Lurcanio si pone,
Dove Zerbino è fra le genti spesse,
E seco hanno altri, e cavalieri e conti,
Che fanno ogni opra, che Zerbin rimonti.
65. Menava Ariodante il brando in giro ;
E ben lo seppe Artalico e Margano ;
Ma molto più Etearco e Casimiro
La po>sanza sentir di quella mano.
1 primi duo feriti se ne giro ;
Rimaser gli altri duo morti sul piano.
Lurcanio fa veder, quanto sia forte.
Che fere , urta , riversa , e mette a morte.
66. Non crediate. Signor, che fra campagna
Pugna minor , che presso al fiume , sia,
Nò che addietro 1' esercito rimagna.
Che di Lincastro il buon duca seguia.
Le bandiere assali questo di Spagna,
E molto ben di par la cosa già;
Che fanti, cavalieri e capitani
Di qua e di là sapean menar le mani.
67. Dinanzi viene Oldrado e Fieranionte,
X^n du(ui di Gloccstra, im d' Eborace;
C<ui lor Riccardo , di Varvecia conte,
E di Chiarenza il duca Enrico audace.
Han Matali.->ta e Folliconc a fronte,
E Haricondo, ed ogni lor seguace.
Tiene il |>rimo Almeria, tiene il gecondo
Granata, tien Majorca Baricondo.
68. La fiera pugna un pezzo andò di pare.
Clic vi bi discernea poco vantaggio.
Acdcasi (»r V uno, or V altro, ire e tornare,
Come le biade al ventolin di maggio,
O come soi)ra il lito un moliil ni. ire
Or viene, or va, ne nini liiiie un viaggio.
Poiché Fortuna eblte scb(;rz.ito un pezzo.
Dannosa ai Mori ritorno da .«czu.
[192
69. Tutto in un tempo il duca di Glocestm
A IMatalista fa votar 1' arcione.
Ferito a un tempo nella spalla destra
Fieramonte riversa Follicone;
E r un pagano e 1' altro si sequestra,
E tra gì' Inglesi se ne va prigione;
E Baricondo a un tempo riman senza
^ ita per man del duca di Chiarenza.
70. Indi i Pagani tanto a spaventarsi,
Indi i Fedeli a pigliar tanto ardire,
Che quei non facean altro che ritrarsi,
E partirsi dall' ordine, e fuggire:
E questi andare innanzi , ed avvanzarsl
Sempre terreno, e spingere e seguire;
E, se non vi giungea chi lor die' ajuto,
Il campo da quel lato era perduto.
71. Ma Ferraù, che sin qui mai non s' era
Dal re Marsilio suo troppo disgiunto,
Quando vide fuggir quella bandierii,
E r esercito suo mezzo consunto,
Spronò il cavallo, e dove ardea più fiera
La battaglia, lo spinse, e arrivò appunto
Che vide dal destrier cadere in terra
Col capo fesso Olimpio dalla Serra,
72. Un giovinetto, che col dolce canto
Concorde a! suon della cornuta cetra
D' intenerire un cor si dava vanto.
Ancorché fosse più duro che pietra.
Felice lui, se contentar di tanto
Onor sapeasi , e scudo , arco e faretra
Avere in odio , e scimitarra e lancia.
Che lo fecer morir giovane in Francia!
73. Quando lo vide Ferraù cadere.
Che solca amarlo , e avere in molta stima,
Si sente di lui sol via più dolere.
Che di miir altri, che periron prima;
E sopra chi l' uccise in modo fere.
Che gli divide 1' elmo dalla cima,
Per la fronte . jx-r gli occhj e |>er la fatela.
Per mezzo il petto , e miu'to a terra il caccia,
74. Né qui s' indugia, e 'l brando intorno mota
Che ogni elmo rompe, ogni lorica smaglia:
A chi segna la fronte, a chi la gota.
Ad altri il capo, ad altri il braccio taglia;
Or questo , or quel di sangue e d' alma vuot
E ferma da quel canto la battaglia,
Onde la spaventata ignobil frotta
Senza ordine fuggia , spezzata e rotta.
75. Entrò nella battaglia il re Agramante,
D' uccider gente, e di far prove vago,
E seco ha Baliverzo e Faruraiite,
Prusion , Soridano e Baiuliiragt» :
Poi son le genti senza nome tante.
Che del lor sangue oggi faranno un lago,
Che megli»! conterei ciascuna foglia.
Quando 1' autunno gli arbori ne spoglia.
76. Agramante dal muro una gran banda
Di fanti avendo e di cavalli tolta,
('ol re di Feza subito li manda.
Che dietro ai pailiglion piglia la volta,
E vadano ad opporsi a quei d' Irlanda,
Le cui squadre vedtsi con fretta molta.
Dopo gran giri e larghi avvolgimenti,
Venir per occupar gli alloggiauu^iiti.
[193]
ORLANDO FURIOSO. (XVI. YT— 89)
[194]
T7
78,
79.
80.
81.
*82.
Fa il re di Fczn ad eseguir ben presto ;
Cile ogni tardar troppo nociuto arria.
Raguna intanto il re Agramante il resto,
Parte le squadre , e alia battaglia invia.
Egli \a al fiume; che gli par, che in quest
Luogo del suo venir bisogno sia,
E da quel canto un messo era venuto
Del re Sobrino a domandare ajuto.
Tenera in una squadra più di mezzo
n campo dietro , e sol del gran romore
Tremar gli Scotti; e tanto fu il ribrezzo,
Clv abbandonavan 1' ordine e 1' onore.
Zerbin, Lurcanio e Ariodantc in mezzo
Vi restar soli incontra quel furore,
E Zerbin, eh' era a pie, vi perla forse;
Ma il buon Uln.ildo a tempo se n' accorse.
Altrove intanto il paladin s' avesi
Fatto innanzi fuggir cento bandiere.
Or, che 1' orecchie la nocella rea
Del gran periglio di Zerbin gli fei'c,
Che a piedi fra la gente cirenea
Lasciato solo aveano le sue schiere,
Volta il cavallo, e, dove il campo scotto
Vede fuggir, prende la via di butto.
Dove gli Scotti ritornar fuggendo
Vede, s' appara e grida: Or dove andate.'
Perchè tanta viltade in voi comprendo,
Che a sì vii gente il campo abbandonate?
Ecco le spoglie, delle quali intendo
Cli' esser dovean le vostre chiese ornate?
Oh che laude, oli che gloria, che '1 figliuolo
Del vostro re si lasci a piedi e solo!
Da im suo scudiere una grossa asta afferra)
E vede Prusion poco lontano.
Re d' Alvarac<hic, e addosso se gli serra,
E dell' arcion lo porta morto al piano.
Morto Agricalte e Rambirago atterra;
Dopo fere aspramente Soridano,
E, come gli altri, 1' avria messo a morte,
Se nel ferir la lancia era più forte.
Stringe Fusberta, poiché T asta è rotta^
E tocca Serpentin, qiu-l dalla Stella.
Fatate 1' arme avea, ma quella botta
Pur tramortito il manda fuor di sella;
E cosi al duca della gente scotta
Fa piazza intorno spaziosa e bella,
SìccIjc senza contesa un destrier puotc
Salir di quei , che vanno a selle vuote.
83. E ben si ritrovò salito a tempo;
Che forse noi facca, se più tardava;
Perchè Agramante e Dardinello a un tempo
Sobrin col re Balastro v' arrivava.
Ma egli, che montato era per tempo,
Di qua e di là col brando s' aggirava,
Mandando or questo, or quel giù nell' inferno
A dar notizia del viver moderno.
84. Il buon Rinaldo , il quale a porre in terra
I più dannosi avea sempre riguax-do.
La spada contra il re Agramante afferra,
Che troppo gli parca fiero e gagliardo;
(Facea egli sol, più che mille altri, guerra)
E se gli spinse addosso con Bajardo:
Lo fere a punto, ed urta di traverso.
Sicché lui col destrier manda riverso.
85. Mentre di fuor con si crudel battaglia
Odio, rabbia, furor, V un T altro offende,
Rodomonte in Parigi il popol taglia,
Ije belle case e i sacri templi incende.
Carlo , che in altra parte si travaglia,
Questo non vede, e nulla ancor ne intende;
Odoardo raccoglie ed Arimanno
]Nella città col lor popol britanno.
86. A lui venne un scudicr pallido in volto,
Che potea appena trar del petto il fiato.
Oimè! signore, oimè! replica molto.
Primach' abbia a dir altro incominciato;
Oggi il romano imperio, oggi è sepolto;
Oggi ha il sno popol Cristo abbandonato.
II demonio dal cielo è piovuto oggi.
Perchè in questa città più non s' alloggi.
87. Satanasso, perdi' altri esser non puote,
Strugge e rùina la città infelice.
Volgiti, e mira le fumose ruote
Della rovente liarama predatrice !
Ascolta il pianto , che nel ciel percuote,
E faccian fede a quel, che il servo dice!
L'n solo è quel, che a ferro e a Inoro sfi't^ge
La bella terra, e innanzi ognun gli fugge.
88. Quale è colui, che prima oda il tumulto,
E delle sacre squille il batter spesso.
Che veggia il fuoco, a nessun' altro occulto
Cir a sé, che più gli tocca, e gli è più presso:
Tal è il re Carlo, udendo il nuovo insulto.
E conoscendo! poi con 1' occhio istcsso :
Onde lo sforzo di sua miglior gente
Al grido drizza, e al gran ruuior^ che gente.
89. De' paladini e de' gucrrier più degni
Carlo si chiama dietro una gran parte,
E v«-r la pia/za la drizzare i segni.
Che '1 pagan s' era tratto in quella parte.
Ode il rumor, vede gli «)rriliil segni
Di crudellà, 1' umane mcmiua sparte.
Ora non più! riloriii un" altra >olta
Chi vulentier la bella iuluria accolta!
13
[195]
ORLANDO FURIOSO. (XVII. 1-12)
ri961
CANTO DECIMOSETTIMO.
ARGOMENTO.
Esorta prima ogni suo paladino,
E poscia va V Imperator romano
Contro di Rodomonte. A Norandino
Giunge il forte Grifon col rio Martano.
Quel vince in giostra, e questo gli è vicino j
Ma timido è di cuor, e vii di mano.
S' usurpa poi con V arme sue V onore;
E Grifon ne riceve onta e disnore.
1. Il giusto Dio , quando ì peccati nostri
Han di renit>sion passato il segno,
Acciocché la giustizia sua dimostri
Uguale alla pietà , spesso dà regno
A tiranni atrocissimi ed a mostri,
E dà lor foraa, e di mal fare ingegno.
Per questo Mario e Siila pose al mondo,
E duo JNeroni , e Cajo furibondo,
2. Domiziano , e I' ultimo Antonino,
£ tolse dalla immonda e ba?sa plebe.
Ed esaltò all' imperio Massimino ;
E nascer prima fé' Creonte a Tebe;
E die Mezenzio al popolo sigilino,
Che fé' di sangue uman grasse le glebe,
E diede Italia, a' tempi meo rimoti,
In preda agli Unni , ai Longobardi , ai Gfoti.
3. Che d' Attila dirò? che dell' iniquo
Ezzcllin da Roman ? che d' altri cento,
Che, dopo un lungo andar sempre in obbliquo,
]\e manda Dio per pena e per tormento?
Di que.:to abliiam , non pure al tempo antiquo,
Ma ancora al nostro, chiaro esperimento,
Quando a noi , greggi inutili e mal nati,
Ha dato per guardiau lupi arrabbiati,
4. A cui non par eh' abbia a bastar lor fame,
eh' abbia il lor ventre a capir tanta carne;
K cliiani-.ui lupi di piti ingorde brame,
\ÌA bo-cbi oltniinontanl , a divorarne.
Di Tra>im«'no 1' inscpnlto (»^same,
K di Canne e di Trebbia poco parnc
Verso quel, che le ripe e i cani|)i ini^rassa,
Dov' Adda, e Meila, e Ronco, e Tarro passa.
5. Or Dio consente , che n(»i siam puniti
Da popoli di noi forse peggiori,
l'cr li iiioliiplicati ed inliniti
No.-tri iK^taiidi obbrobn'o.-i errori.
Tempo \errà, die a depredar lor liti
Andremo noi , se mai isarem migliori,
E i;he i peccati lor f^iiiii'^ano al s<gno,
Che r elcrnu bontà umo\aiio a sdegno.
6. Doveano allora aver gli eccessi loro
Di Dio turbata la serena fronte ;
Che scorse ogni lor luogo il Torco e '1 Mmto,
Con stupri, uccision, rapine ed onte:
Ma, più di tutti gli altri danni, foro
Gravati dal furor di Rodomonte.
Dissi , eh' ebbe di Ini la nuova Cai-lo
E che in piazza venia per ritrovarlo,
7. Vede tra via la gente sua troncata.
Arsi i palazzi , e róinati i templi.
Gran parte della terra desolata:
Mai non si vider sì cinideli esempli.
Dove fuggite, turba spaventata?
Non è tra voi, chi '1 danno suo contempli?
Che città , che refugio più vi resta.
Quando si perda sì vilmente questa?
8. Dunque un uoni solo , in vostra terra preso,
Cinto di mura, onde non può fuggire,
Si partirà , che non 1' avrete offeso.
Quando tutti vi avrà fatto morire?
Così Carlo dicea, che, d' ira acceso,
Tanta vergogna non potea patire,
E giunse , dove iniianti alla gran corte
Vide il pagan por la sua gente a morte.
9. Quivi gran parte era del popolazzo,
Spcnmdovi trovare ajuto , ascesa.
Perchè forte di mura era il palazzo,
Con munizion da far lunga difesa.
Rodomonte, d' orgoglio e d' ira piizzo,
Solo s' avea tutta la piazza presa;
E r una man , che prezza il mondo poco,
Ruota la spada , e 1' altra getta il fuoco.
10. E della regal casa alta e sublime
Percuote e risonar fa le gran porte.
Gettan le turbe dalle eccelse cime
E merli e torri , e si metton per morte.
Guastare i tetti non è alcun, che stime;
E legne e pietre vanno ad una sorte.
Lastre e colonne, e le dorate travi.
Che furo in prezzo alli lor padri, e agli avi.
11. Sta sulla porta il re d' Algier , Immote
Di chiaro ac(^iar, che 'l capo gli arma, e '1 busto>
Come iis(;ito di tenebre serpente,
Poicliè ha lasciato ogni squallor vetusto,
Del nuovo scoglio altero, e che si sento
Riiigiovciiito, e più che mai robusto,
Tre lingue vibra , ed ha negli occhj fuoco ;
Dovunque pas^a, ogni animai dà loco.
12. Non sasso, merlo , tra'» e , arco o balestra,
Nò ciò, che sopra il Saracin percuote,
Ptiniio allentar la sanguinosa destra,
Cile la gran porta taglia, spezza e scuote;
E dentro l'atto v' ha tanta finestra,
('he li<;ii ^ edere, e %eiliito esser puote
Dai \isi iiiipres.'«i di color di morte,
Che tutta piena quivi hanno la corte.
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ORLANDO FURIOSO. (X\TI. 13—28)
[198]
16
13. Sonar per gii alti e spaziosi tetti
S' odono gridi e femminil lamenti.
Le afflitte donne, percuotendo i petti,
Corron per casa pallide e dolenti,
E abbraccian gli usci , e i geniali letti.
Che tosto hanno a lasciare a strane gentL
Tratta la cosa era in periglio tanto,
Quando '1 re giunse, e i suoi baroni accanto.
14. Carlo si volse a quelle man robuste,
Ch' ebbe altre volte a' gran bit^ogni pronte.
]\on sete quelle voi, che meco fuste
Contra Agolante (disse) in Aspramonte?
Sono le torze vostre ora sì fruste,
Che, se uccideste lui, Trojano , e Ahnonte,
Con cento mila , or ne temete un solo,
Pur di quel sangue, e pur di quello stuolo?
15. Perchè debbo vedere in voi fortezza
Ora minor, eh' io la vedessi allora?
Mostrate a questo can vostra prodezza,
A questo can, che gli uomini divora!
Un magnanimo cor morte non prezza.
Presta o tarda che sia, purché ben muora.
Ma dubitar non posso, ove voi sete,
Che fatto sempre vincitor m' avete.
Al fin delle parole urta il destriero
Con i' asta bassa al Saracino addosso.
Mossesi a un tratto il paladino Uggiero;
A un tempo Narao ed Olivier si è mosso,
Avino, Avolio, Ottone e Bcrlinghiero,
Che un senza 1' altro mai veder non posso;
E ferir tutti sopra a Rodomonte,
E nel i>etto, e ne' fianchi, e nella fronte.
17. Ma lasciamo per Dio , Signore , ornai
Di parlar d' ira, e di cantar di morte,
E sia per questa volta detto assai
Del Saracìn non men crudel, che forte!
Che tempo è ritornar, dov' io lasciai
Grifon giunto a Damasco in sulle porte,
Con Origlile perfida, e con quello,
Ch' adultero era , e non di lei fratello.
18. Delle più ricche terre di Levante,
Delle più popolose e meglio ornate,
Si dice esser Damasco, che distante
Siede a Gerusalem sette giornate,
In un piano fruttìfero e abbondante,
^lon men giocondo il verno , che 1' estate.
A questa terra il primo raggio tulle
Della nascente aurora un vicin colle.
Per la città duo fiumi rristallìni
V^anno innai'fiaiulo per di^cr.>i rivi
Un numero infinito di giardini,
Non mai dì fior, non mai dì frondi privi.
Dicchi ancor, che macinar mulini
Potrfan far l' acque Linfe, che son quivi
E chi va per le vìe, vi sente fuorc
Dì tutte quelle case uscire odore.
Tutta coperta è la strada maestra
Dì panni di diversi cobtr lieti,
E d' odorifera erba, e dì siivcstrn
Fronda, la terra e tutte le pareti:
Adorna «ni ogni porta, ogni finestra
Dì finissimi drappi e dì ta|>peti ;
Ma più dì belle e ben ornate dtmnc
Di ricche gemine, e dì superbe gonne.
21. Vedeansi celebrar dentn» alle porte
In molti luoghi sollazzevol balli,
Il popò! , per le vie di miglior sorte.
Maneggiar ben guarniti e bei cavalli.
Facea più bel veder la ricca corte
De' signor, de' baroni e de' vassalli,
Con ciò che d' India e d' eritree maremme
Di perle aver si può, d' oro e di gemme.
22. Venia Grifone e la sua compagnia.
Mirando e quinci e quindi il tutto ad agio.
Quando fermoUì im cavaliero in via,
E li fece smontare a un suo palagio,
E per r usanza, e per sua cortesia,
Di nulla lasciò lor patir disagio.
Li fé' nel bagno entrar, poi con serena
Fronte gli accolse a sontuosa cena:
23. E narrò lor, come il re Norandino,
Re di Damasco e di tutta Soria,
Fatto avea il paesano e '1 peregrino,
Ch' ordine avesse di cavalleria,
Alla giostra invitar, che al mattutino
Del di seguente in piazza si faria ;
E che, se avean valor pari al sembiante,
Potrian mostrarlo , senza andar più innante.
24. Ancorché quivi non venne Grifone
A questo effetto, pur V invito tenne;
Che , qual volta se n' abbia occasione,
Mostrar virtude mai non disconv^enne.
Interrogollo poi della cagione
Di quella festa, e s' ella era solenne
Usata ogni anno , o pure impresa nuova
Del re , che i suoi veder volesse in pro^a.
25. Rispose il cavalier: La bella festa
S' ha da far sempre ad ogni quarta luna.
Dell' altre, che verran , la prima è questa;
Ancora non se n' è più fatta alcuna.
Sarà in memoria, che salvò la testa
11 re in tal giorno da una gran fortuna,
Daiwirhè quattro mesi in doglie e in pianti
Sempre era stato , e con la morte innanti.
26. Ma, per dirvi la cosa pienamente.
Il nostro re, che ì\(»randin s' appella,
Molti e molt' anni avuto ha il core ardente
Della leggiadra e sopra ogni altra bella
Figlia del re di Cipro; e, finalniciite
Avutala per Mu»glie, iva con quella,
(^)n cavalieri e donne in compagnia,
E dritto avea il caiumin verso Soria.
27. Ma poiché fummo tratti a piene vele
Lungi dal porto nei Carpa/io iniquo,
La tempesta saltò tanto crudele.
Che sbigottì fin al padrone antiquo,
'i'rc dì e tre notti andaiunu> errando ne le
]\lìnac(-ìose mule, per cauiinino oiiltliquo.
l'scìnnuo alfin nel lilo stanchi e molli.
Tra freschi ri>i ombrosi, e ^erdì lolli.
28. Piantare ì padiglioni , e le cortine
Fra gli arl)ori tirar faccnuno lieti:
S' appareci-liiauo 1 fuochi e le cucine.
Le mense d' altra parte in su tappeti.
Intanto il re ciriaiido iiiic \ii'iiu-
\ alli era andato , v a' boschi più secreti.
Se ritrova>se capre, o daini, o ce^^ì;
E r arco gli portar dietro duo ?er\i.
13 ♦
[199]
ORLANDO FURIOSO. (XVII. 29 — 44)
[200]
29. Mentre aspettiamo in gran piacer sedendo,
Che da cacciar ritorni il s^ignor nostro.
Vedemmo I' orco a noi venir correndo
Lungo il lito del mar, tcrribil mostro.
Dio vi guardi, Signor, che '1 viso orrendo
Dell' orco agli occlij mai vi sia dimostro!
Meglio è per fama aver notizia d' esso,
Ch' andargli si, che Io reggiate, appresso.
30. Non ri può comparir, quanto sia lungo;
Sì smisuratamente è tutto grosso.
In luogo d' occhj, di color di fungo
Sotto la fronte ha due coccole d' osso.
Verso noi vien, come vi dico, lungo
Il lito, e par, che un raonticel sia mosso.
Mostra le zanne fuor, come fa il porco;
Ha lungo il naso, il sen bavoso e sporco.
31. Correndo viene, e 'I muso a guisa porta,
Che '1 bracco suol, quando entra in sulla traccia.
Tutti, che lo veggiam, con faccia smorta
In fuga andiamo, ove il timor ne caccia.
Poco il veder lui cieco ne conforta,
Quando, fiutando sol, par, che più faccia,
Ch' altri non fa, rh' abbia odorato e lume;
E bisogno al fuggire eran le piume.
32. Corron chi qua, chi là; ma poco lece
Da lui fuggir, veloce più che 'I Noto.
Di quaranta persone appena diece
Sopra il naviglio si salvaro a nuoto.
Sotto il braccio un fastel d' alcuni fece;
Nò il grembo si lasciò, né il seno vuoto:
Un suo capace zaino empissene anco.
Che gli pendea, come a pastor, dal fianco.
33. Portocci alla sua tana il mostro cieco.
Cavata in lito al mar dentr' uno scoglio.
Di marmo così bianco è quello speco,
Come esser soglia ancor non scritto foglio.
Quivi abitava una matrona seco,
Di dolor piena in vista e di cordoglio;
Ed avea in compagnia donne e donzelle
D' ogni età, d' ogni sorte, e brutte e belle.
34. Era presso alla grotta, in eh' egli stava,
Quasi alla cima del giogo superno,
IJn' altra non minor di quella cav.i.
Dove del gregge suo Iacea governo.
Tanto n' avea, che non si numerava;
E n' era egli '1 pastor la state e '1 verno.
Ai tempi suoi gli apri\a, e teiica chiuso,
Per spasso che n' avea, più che per uso.
35. L' umana carne meglio gli sapeva;
E prima il fa veder, clie all' antro arrivi:
Che tre de' nostri giovani, eh' aveva.
Tutti li mangia, anzi trangugia vivi.
Vicine alla .»talla, e un gnin sasso ne leva,
Ne caccia il gregge, e noi ri»(rrra quivi.
Con quel sen va do^e il suol far satollo,
Sonando una zampogna, eh' avea Li collo.
30. II signor nostro, intanto ritornato
Allii inariiia, il suo flanno comprende;
Cli«'; tro\a gran silenzio in ogni Iato,
Voli fr.iMuli. e padiglioni e tende.
Né ca pcn-ar, «hi ^ì 1' ubbia rubato,
E pi<n di gran timore al lilo sc(rnde.
Onde i nocchieri huoi vede in disparte
Surpar lor ferri, e in opra por le sarto.
37.
38.
Tostoch' essi lui vcggiono sul lito.
Il palischermo mandano a le\ arlo :
Ma non sì tosto ha Norandino udito
Dell' orco, che venuto era a rubai'lo.
Che, senza più pensar, piglia partito,
Dovunque andato sia, di seguitarlo.
Vedersi tor Lucina sì gli duole,
Che o racquistarla, o non più viver vuole.
Dove vede apparir lungo la sabbia
La fresca orma, ne va con quella fretta.
Con che lo spinge 1' amorosa rabbia.
Finché giunge alla tana, eli' io v' ho detta,
Ove con tema, la maggior che s' abbia
A patir mai, 1' orco da noi s' aspetta.
Ad ogni suono di sentirlo parci,
Che afiamato ritorni a divorarci.
39.
40,
Quivi fortuna il re da tempo guida.
Che senza 1' orco in casa era la moglie.
Come ella il vede: Fuggine, gli grida:
Misero te, se I' orco ti ci coglie !
Coglia, disse, o non coglia, o salvi o uccida;
Che miserrimo io sia, non mi si toglie.
Disir mi mena , e non error di via,
Che ho di morir presso alla moglie mia.
Poi seguì , dimandandole novella
Di quei, che prese I' orco in sulla riva;
Prima degli altri, di Lucina bella.
Se r avea morta, o la tenea cattiva.
La donna umanamente gli favella,
E lo conforta, che Lucina è viva,
E che non è alcun dubbio, eh' ella mora;
Clio mai femmina 1' orco non divora.
41. Esser di ciò argomento ti poss' io,
E tutte queste donne, che son meco :
Né a me, né a lor mai 1' orco é stato rio,
Purché non ci scostiam da questo speco.
A chi cerca fuggir, pon grave fio,
Né pace mai pòn ritrovar più seco :
O le sotterra vive, o le incatena,
O fa star nude al sol sopra l' arena.
42. Quando oggi egli portò qui la tua gente,
Le femmine dai maschi non divise;
Ma sì, come gli avea, confusamente
Dentro a quella spelonca tutti mise.
Sentirà a naso il sesso differente.
Le donne non temer, che sieno uccise:
Gli uomini, siine certo; ed empirannc
Di quattro il giorno, o sei, 1' a\ide canne.
43. Di levar lei di qui non ho consiglio.
Che dar ti possa; e contentar ti puoi.
Che nella vita sua non è periglio :
Starà qui al bene e al mal, eh' avremo noi.
Ma vattene per Dio, vattene, figlio,
Che r orco non ti senta, e non t' ingoi l
Tostoché giunge, d' ogni intorno annasa,
E sente sin a un topo, che sia in casa.
44. Rispose il re, non si voler partire,
Se non vedea la sua Lucina prima,
E che |)iuttosto appresso lei morire.
Che viverne loiitan faceva stiniiu
Quaiulo vede ella, non potergli dire
Cosa, che 'I muova dalla voglia prima,
Per ajutarlo fa luiovo disegno,
E polivi ogni uua industria, ogni suo ingegno.
1
I
201]
ORLANDO FURIOSO. (XVH. 45-60)
[202]
45. Morte avea in casa, e d' ogni tempo appese,
Con lor inalili, assai capre, ed agnelle,
Onde a se ed alle sue tacca le spese,
E dal tetto pendea più d' una pelle.
La donna fa', che '1 re del grasso prese.
Che avea un gran hecco intorno alle hudelle,
E che se n' unse dal capo alle piante.
Finché r odor cacciò, di' egli ehhe innante:
46. E poiché '1 tristo puzzo aver le parve,
Di che il fetido hecco ognora sape,
Piglia r irsuta pelle, e tutto entrarve
Lo fé' ; eh' ella è sì grande, che lo cape.
Coperto sotto a cosi strane larve,
Facendol gir carpon, seco lo rape
Là, dove chiuso era d' un sasso grave
Della sua donna il hel viso soave.
47. Norandino uhhidisce, ed alla huca
Della spelonca ad aspettar si mette.
Acciò col gregge dentro si conduca;
E fino a sera disiando stette.
Ode la sera il suon della samhuca,
Con che invita a lasciar V umide erbette,
E ritornar le pecore all' alhergo
Il fier pastor, che lor venia da tergo.
48. Pensate voi, se gli tremava il core,
Quando l' orco senti, che ritornava,
E che '1 viso crudel, pieno d' orrore
Vide appressare all' uscio della cava!
Ma potè la pietà più, che 'l timore :
S' ardea, vedete, o se fingendo amava.
Vien r orco innanzi, e leva il sasso, ed apre:
Norandino entra fra pecore e capre.
49. Entrato il gregge, l' orco a noi discende;
Ma prima sopra sé 1' uscio si chiude.
Tutti ne va fiutando ; alfìn duo prende,
Che vuol cenar delle lor carni cnule.
Al rimembrar di quelle zanne orrende
Kon posso far, che ancor non tremi e 6udc.
Partito r ()rco, il re gitta la gonna,
Cli' avea di becco, e abbraccia la sua donna.
50. Dove averne piacer deve e conforto,
V'cdendol quivi, ella n' ha alTannu e noja.
Lo vede giunto, ove lia da restar morto,
E non può far però, eh' essa non muoja.
Con tutto il mal, diceiigli, eh' io sopporto,
Signor, sentia non m('dio(;rc gioja,
Che ritrovato non t' cri con uni,
Quando dall' orco oggi qui tratta fui.
51. Che, ec 1)en il trovarmi ora in ])ro<:into
D' uscir di vita, m' era acerbo e forte,
Pur mi sarei, conica è (-omune instinto,
Doluta sol della mia trista s(u-te:
Ma ora, o prima, o poiché tu r-ia estinto,
Più mi dorrà la tua, che la mia morte.
E seguitò mostrando assai più aHainu»
Di quel di INoraiulin, che del suo danno.
Ì2. La speme, disse; il re, mi fa venire,
Cli' ho di salvarti, e tutti questi trro;
K, h' io noi posso f.ir, nu-giio è morire.
Clic senza te, mio sol, \hvr mai «;ieco.
Come io «i Acnni, mi potrò partire,
E voi lutt' altri ne verrete meco,
Se non avrete, couu; io non ho avuto,
Schivo a pigliare odor d' annual bruto.
53. La fraude insegnò a noi, che contra il naso
Dell' orco insegnò a lui la moglie d' esso,
Di vestirci le pelli, in ogni caso
Ch' egli ne palpi, nell' uscir del fesso.
Poiché di questo ognun fu persuaso.
Quanti dell' un, quanti dell' altro sesso
Ci ritroviamo, uccidiam tanti becchi,
Quelli che più fetean, eh' eran più vecchi.
54. Ci ungerao i corpi di qiiel grasso opimo,
Cile ritroviamo all' intestine intorno,
E dell' orride pelli ci vestimo.
Intanto uscì dell' aureo albergo il giorno.
Alla spelonca, come apparve il primo
Raggio del sol, fece il pastor ritorno,
E, dando spirto alle sonore canne.
Chiamò il suo gregge fuor delle capanne.
55. Tenea la mano al buco della tana.
Perchè col gregge non uscissim noi.
Ci prendea al varco, e quando pelo, o lana
Sentia sul dosso, ne lasciava poi.
Uomini e donne uscimmo per si strana
Strada, coperti dagl' ii-siiti cuoj ;
E r orco alcun di noi mai non ritenne.
Finché con gran timor Lucina venne.
5C. Lucina, o fosse, perdi' ella non volle
Ungersi, come noi, che schivo n' ebbe;
O eh' avesse 1' andar più lento e mollo,
Che r imitata bestia non avrebbe ;
O, quando 1' orco la groppa toccollc.
Gridasse, per la tema, che le accrebbe;
O che se le sciogliessero le chiome:
Sentita fu, né ben so dirvi come.
57. Tutti eravam si intenti al caso nostit),
Cile non avemmo gli occhj agli altrui fatti.
10 mi rivolsi al grido, e vidi il mostro,
Che già gi' irsuti spogli le a^ea tratti,
E fattola tornar nel cavo chiostro.
Noi altri, dentro a nosti-e gonne piatti.
Col gregge andanmio, ove il pastor ci mona.
Tra verdi colli in una piaggia amena.
58. Quivi attendiamo, infinché, steso all' ombra
D' un bosco opaco, il nasuto orco dorma.
Chi lungo il mar, chi verso il monte sgombra;
Sol Norandin non vuol seguir nostr' orma.
L' amor della sua donna sì lo'ngombra,
Ch' alla grotta tornar vuol fra la torma,
Né partirsene mai fin alla morte.
Se non racquista la fedel con.-orle.
51). Che, quando dianzi avea all' uscir del chiuso
Vedutala restar cattiva sola.
Fu per gittarsi dal dolor confuso
Spont;in<;ament(; al vorace orco in gola;
E si nu>>se, e gli corse iiifino al muso,
]\é fu lontano a gir a.)tto la mola:
Ma pur lo tenne in mandra la speranza.
Vài' uvea di trarla ancor di quella sl^uwi.
CU. La sera, quando alla spelonca mena
11 gregge r orco, e noi fuggiti s<'nte,
E di' ha da rimaner |>ri>o di cena.
('biama Lucina (!' ogni mal iincciite.
E la <'ond.iiina a st.ir sempre in citeiis
Allo scoperto sul sa-^so emiiicnie.
\edela il re per sua cagitui patire.
E bi distrugge, e »ol n«m può morire
|203]-
ORLANDO FURIOSO. (XVII. 61—76)
[204]
GÌ. Mattina e sera 1' infelice amante
La può veder , come s' affligga e piagna :
Che le ^a niisito fra le capre avante,
Torni alla stalla , o torni alla campagna.
Ella con viso lueeto e snpplicante
Gli accenna , che per Dio non vi rimagna,
Perchè vi età a gran rischio della vita,
Kè però a lei può dare alcuna aita.
G2. Cosi la moglie ancor dell' orcopriega
11 re , che se ne vada ; ma non giova :
Che d' andar mai senza Lucina niega,
E sempre più costante si ritrova.
In questa servitudc, in che lo lega
Pleiade e amor, stette con lunga prova
Tantn, che a capitar venne [a quel sasso
Il figlio d' Agricane , e '1 re Gradasso,
63. Dove con loro audacia tanto fenno,
Che liberaron la bella Lucina;
Benché vi fu ventura più che senno ;
E la portar correndo alla marina,
E al padre suo , che quivi era , la dernio s
E questo fu nell' ora mattutina,
Che Norandin con 1' altro gregge stava
A ruminar nella montana cava.
64. Ma poiché il giorno aperta fu la sbarra,
E sejjpe il re la donna esser partita,
Che la moglie dell' orco glielo narra,
E come appunto era la cosa gita ;
Grazie a Dio rende , e con voto n' innarra,
Ch' essendo fuor di tal miseria uscita.
Faccia, che giunga, onde per arme possa,
Per prieghi , o per tesoro esser riscossa.
65. Pien di letizia va con 1' altra schiera
Del simo gregge , e viene ai verdi paschi,
E quivi appetta, finch' all' ombra nera
U mostro per dormir nell' erba caschi :
Poi ne vien , tutto il giorno e tutta sera,
E alfin sicnr, che l' orco non lo 'ntasclii,
S«>pra un naviglio monta in Satalia,
E son tre mesi , che arrivò in Soria.
60. In Ilodi, in Cipro , e per città e castella
E d' Africa, e d' Egitto, e di Turclua,
Il r(! cercar fé' di Lucina bella,
Né fin r altr' ieri aver ne potè spia.
L' altr' ier n' ebbe dal suocero noveUaj
Che f.cco r avea salva in Nicosia,
Dappoiché molti di vento crudele
Era stato contrario alle sue vele.
67. Per allegro/za della buona nuova
Prepara il nostro re la ricca festa,
E vuol, eh' ad ogni quarta luna nuova
Ina Mi n' abbia a far simile a questa;
Cile la Hieinoria rinfrescar gli giova
De' quattro mesi, che in irsuta vesta
Fu tra il gregge dell' orco; e un giorno, quali
Sani dimane, uscì di tanto male.
68. Quoto , eh' io v' ho narrato , in parte vidi.
In parte udii da chi trovossi al lutto;
Dal re \i diro, che calende ed idi
Vi stette, iiirntrlu', vdl.^c in riso il lutto;
E, KV. n' udilc unii far altri gridi,
Direte a chi li fa , 4 1,,; ,„i,l n' ,'• in^trutto
Il gentil uomo in tal modo a (ìrifone
Della festa narrò 1 alta cagione.
C9. Un gran pezzo di notte si dispensa
Dai cavalieri in tal ragionamento ;
E conchiudon , che amore e pietà immensa
Mostrò quel re con grand' esperimento.
Andaron , poiché si levar da mensa,
Ove ebbon grato e buono alloggiamento.
Nel seguente mattin sereno e chiaro
Al suon dell' allegrezze si destaro.
70. Vanno scorrendo timpani e trombette,
E ragunando in piazza la cittade.
Or, poiché di cavalli e di carrette,
E rimbombar di gridi odon le strade,
Grifon le Incide arme si rimette,
Che son di quelle, che si trovan rade;
Che le avea impenetrabili e incantate
La fata bianca di sua man temprate.
71. Quel d' Antiochia , più d' ogni altro vile,
Armosfii seco e campagnia gli tenne.
Preparate avea lor l' oste gentile
Nerbose lance e salde, e grosse antenne,
E del suo parentado non umile
Compagnia tolta, e seco in piazza venne;
E scudieri a cavallo , e alcuni a piede,
A tai servigi attissimi , lor diede.
73. Giunsero in piazza , e trassersi in disparte,
Né pel campo curar far di sé mostra,
Per veder meglio il bel popol di Marte,
Che ad uno , o a due , o a tre veniano in giostra
Chi con colori accompagnati ad arte
Letizia, o doglia alla sua donna mostra;
Chi nel cimier , chi nel dipinto scudo
Disegna Amor , se 1' ha benigno , 0 crudo.
73. Soriani in quel tempo aveano usanza
D' armarsi a questa guisa di Ponente.
Forse ve gli inducea la vicinanza
Che de' Franceschi avean continuamente ;
Che quivi allor reggean la sacra stanza,
Dove in carne alutò Dio onnipotente,
Ch' ora i superi)! e miseri Cristiani,
Con biasmo lor , lasciano in man de' cani.
7ì. Dove abbassar dovrebbono la lancia
In augumento della santa fede,
Tra lor si dan nel petto e nella pancia,
A destruzion del poco, che si crede.
Voi , gente ispana, e voi , gente di Francia,
Volgete altrove, e voi , Svizzeri, il piede,
E voi. Tedeschi, a far più degno acquisto !
Che quanto qui cercate , è già di Cristo.
75. Se cristianissimi esser voi volete,
E voi altri cattolici ncuiiati.
Perchè di Cristo gli uomini uccidete.''
Perchè de' beni lor son dispogliati?
Perché Genisalem non riavete,
Cile tolto è stato a voi da' rinnegati?
Perchè Costantinopoli , e del nuuido
La miglior pai-te 04;cupa il Turco immondo ?
76. Non hai tu , Spagna, 1' Africa vicina,
Che t' ha ^ia più di questa Italia «ifTesa?
E pur, |w-r dar travaglio alla meschina,
Las4-.i la prima tua sì beila impresa !
O d' ogni vizio fetida sentina !
Dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa,
Ch' ora di questa gente, ora di quella.
Clic già bcrva ti fu , sei fatta ancella !
Il
205]
ORLANDO FURIOSO. (XVII. t7-92)
r206
n
78.
19,
JO.
H.
S.
Se 'I diiLbio di morir nelle tue tane,
Svizzer, di fame, in Lombardia ti guida,
E ti'a noi cerchi o chi ti dia del pane,
O per uscir d' inopia , chi t' uccida :
Le ricchezze del Turco hai non lontane.
Cacciai d' Europa, o ahnen di Grecia snida f
Così potrai o dal digiuno trartì.
O cader con più merto in quelle parti.
Quel, che a te dico, io dico al tuo vicino
Tedesco ancor. Là le ricchezze sono,
Che vi portò da Roma Costantino :
Portonne il meglio, e fé' del resto dono.
Fattolo ed Ermo , onde si trae l' or fmo,
Migdonia e Lidia,, e quel paese buono
Per tante laudi in tante istorie noto,
Non è, se andar vi vuoi, troppo remoto.
Tu , gran Leone , a cui prcmon le terga
Delle chiavi del cicl le gravi some,
Kon lasciar, che nel sonno si sommerga
Italia, se la man 1' hai nelle chiome!
Tu sei pastore; e Dio t' ha quella verga
Data a portare , e scelto il fiero nome,
Perchè tu ruggi , e che le hracda stenda.
Sicché dai lupi it gregge tuo difenda.
Ma d' un parlar nell' altro, ove son ito
Si lungi dal cammin, eh' io facev' ora?
Non lo credo però sì aver smarrito,
Ch' io non lo sappia ritrovare ancora.
Io dieea, che in Soria si tenen il rito
D' armarsi, che i Franceschi aveano allora;
Sicché bella in Damasco era la piazza
Di gente armata d' elmo e di corazza.
Le vaghe donne gettano dai palchi
Sopra i giostranti fior vermigli e gialli.
Mentre essi fanno, a suon degli oricalchi.
Levare a salti ed aggirar cavalli.
Ciascuno, o bene o mal eh' egli cavalchi.
Vuol far quivi vedersi, e sprona, e dalli;
Di eh' altri ne riporta pregio e lode,
Muove altri a riso, e gridar dietro s' ode.
Della giostra era il prezzo un^ armatura^
Glie fu donata al re pochi di innante,
Che sulla strada ritrovò a ventura
Ritornando d' Armenia un mercatante,
li re di nol)ili:s8Ìma testura
La sopravveste all' arme aggiunse, e (ante
Perle vi poeiC intorno, e gemme, ed oro,
Clic la fece valer molto tesoro.
Se conosciute il re quell' arme avesse,
Care avute le avria sopra ogni arnese,
Kè in premi(» della giostra 1' avria messe,
Comechè libeiUl lof^se e cortese.
Lungo saria, chi raccontar videssc.
Oli le avea si sprezzati; e vilipese.
Clic 'n mezzo della strada le las<ùiissc
Pr<-da a chiunque o innanzi, o in<lietro andirs.^.
I)r que^to ho da «untarvi più di sotto:
Or dirò di (;rìron, eh' alla sua giunta
Un pajo e più di lanct; trovò rotto,
Menato più d' un (a;;;lio v tV una pimtir.
De' più niri e più fidi al re fur otto,
Cile quivi insirine hvi><ib lega conginnta;
Giovani in arnie pratichi ed imlii>tri.
Tutti o signori , o di fumiglic illustri.
85. Q»eì rispondean nella sbarrata piazza,
Per un dì, ad uno ad uno, a tutto 'l miìndo-.
Prima con lancia, e poi con spada, o mazz»
Finch' al re dì guardargli era giocondo;
E si foravan spesso la corazza ;
Per giuoco in somma qui faccan, secondo
Fiin li nimici capitali, eccetto
Che potea il re partirìi a suo diletto.
86. Quel d' Antiochia , un uom senza ragione.
Che Martano il codardo nominosse.
Come se della forza di Grifone,
Poìch' era seco, partecipe fosse.
Audace entrò nel marziale f^one,
E poi da canto ad aspettar fermosse.
Sinché finisse una battaglia fiera,
Che tra duo cavalier cominciata era,
87. Il signor ^ Seleucìa , di quegli uno.
Che a sostener l' impresa aveano tolto,
Combattendo in quel tempo con Ombrano,
Lo feri d' una punta in mezzo 'l volto.
Sicché r uccise: e pietà n' ebbe ognuno.
Perchè buon cavalier lo tenean molto,
Ed, oltre la bonta<le, il più cortese
Non era stato in tutto quel paese.
88. Veduto ciò, Martano ebbe paura.
Che parimente a sé non avvenisse,
E, ritornando nella sua natura,
A pensar cominciò, come fuggisse.
Grifon , che gli era appresso , e n' avea cura,
Lo spinse pur, poich' assai fece e disse,
Contra un gentil guerrier , che s' era nsoeso,
Come si spinge il cane al lupo addosso,
89. Che dieci passi gli va dietro o venti,
E poi si ferma, ed abbajando guarda.
Come digrigni i minacciosi denti.
Come negli occhj orribil fuoco gli axda.
Quivi, ov' erano e principi presenti,
E tanta gente nobile e gagliarda.
Fuggì 1' incrontro il timido .Martano,
E torse il freno e 'I capo a destra mano.
90. Pur la colpa potea dare al cavallo.
Chi di scusarlo avesse tolto il peso ;
Ma con la spada poi fé' sì gran fallo,
('he non 1' avria Demostene difeso.
Di carta armato par, non di metallo;
Sì teme da ogni coijJO essere oll'c-o!
Fugge>i alfine, e gli ordini disturba.
Ridendo int<H-no a Ini tutta la turba.
91. Il liatter delle mani, il grido intorno
Se gli levò del po|ii)lazzo tutto.
Coiik; lupo cacciato, le" ritorno
Martano in molta fi-etta al mio ridotto.
Rota {ìrifone, e gli par dello scorno
Del S410 (-onipagno isxr mari hiato e brutto:
Esser correbbe stato in mezzo il fiimro
Piuttosto, che trovarci in questo U)Co.
92. Arde nel core, e fuor nel sifn avvampa.
Come sia tutta sua i|ii<-lla vergogna;
Perchè l' opere sue di quella stampa
Aedcre aspetta il po|Hilo et! agogna;
Sicché riiiilga chiara più. che lampa.
Sua virtù , questa \olta gli bisogna;
(.'hù iiii' oncia, un dito sol d' orror che faccia.
Per la m<ila iiiipn'ssiou porrà sci braccia-
[20t]
ORLANDO FURIOSO» (XVU. 93-108)
[208]
93. Già la lancia avca tolta sulla coscia
Grifon , eh' errare in arine era poco uso.
Spinse il cavallo a tutta briglia, e poscia
Ch' alquanto andato fu, la mise suso,
E portò nel ferire estrema angoscia
Al baron rii Simonia, che andò giuso.
Ognun maravigliando in pie si leva;
Che 1 contrario di ciò tutto attendeva.
94. Tornò Grifon con la medcsma antenna,
Clic intera e ferma ricovrata avea,
Ed in tre pezzi la ruppe alla penna
Dello scudo, al signor di Lodicea.
Quel, per cader, tre volte e quattro accenna;
Che tutto steso alla groppa giacca:
Pur rilevato alfiu la spada strinse,
Voltò il cavallo , e ver Grifon si spinse.
95. Grifon , che '1 vede in sella, e che non basta
Sì fiero incontro , perchè a terra vada,
Dicea fra su : Quel che non potè 1' asta,
In cinque colpi , o 'u sei farà la spada.
E sulla tempia subito V attasta
D' un dritto tal , che par che dal ciel cada ;
E un altro gli accompagna , e un altro appresso,
Tanto , che l' ha stordito , e in terra messo.
96. Quivi erano d' Apamìa duo germani.
Solili in giostra rimaner di sopra,
Tir^e e Corimbo ; ed ambo per le mani
Del figlio d' Olivier cadder sozzopra.
L' uno gli arcion lascia allo scontro vani,
Con r altro messa fu la spada in opra.
Già per comun gindicio si tien certo.
Che di costui fia della giostra il merto.
97. Nella lizza era entrato Salinterno,
Gran diodarro , e maliscalco regio,
E che di tutto '1 regno avea il governo,
E di sua mano era guerriero egregio.
Costui, sdegnoso, che un guerriero esterno
Del)ba portar di quella giostra il pregio,
Piglia una lancia , e verso Grifon grida,
E molto minacciandogli lo sfida.
tì8. Ma quel con un lancion gli fa risposta,
Ch' avea per lo miglior fra die«:i eletto;
E per non far error, lo scudo ajìpnsta,
E >ia lo passa, e la corazza e 4 petto.
Passa il ferro crudel tra costa e costa,
E fuor pel tergo \m palmo esce di netto.
Il colpo, eccetto al re, fu a tutti caro;
Che ognuno odiala Salinterno avaro.
99. Grifone appresso a questi in terra getta
Duo di ]>ama?co , Ermolilo <; Carmondo.
La milizia del re dal primo è retta,
Del mar grande ammiraglio è quel secondo.
Lancia alli» scontro V \in la sella in fretta;
Addosso air altro si riversa il pondo
Del rio de^trier, che sostener non puoto
L' alto vulor , con che Grifon percuote.
100. Il signor di Seleucia ancor restava,
Miglior guerrier di tutti gli altri sette;
E ben l.i Mia posranza accompagnava
Con dolricr liuotio , e con aruu; pertettr.
Dove dell' clnio la ^i^ta si chiava,
li' asta allo scimlro f uno e V altro mette:
Pur (ìrìi'on inagginr colpo al pagaa di«;dc,
Cile lo fc' btallcggiar dui uuinco piede.
^!
101. Gittaro i tronchi , e si tornaro addosso.
Pieni di molto ardir , co' brandi ignudi.
Fu il pagan prima da Grifon percosso
D' un colpo , che spezzato avria le incudi.
Con quel fender si vede e ferro ed osso
D'un, eh' eletto s' avea tra mille scudi;
E , se non era doppio e fin 1' arnese.
Feria la coscia, ove cadendo scese.
102. Feri quel di Seleucia alla visiera
Grifone a un tempo; e fu quel colpo tanto,
Che r avria aperta e rotta , se non era
Fatta , come l' altre arme , per incanto.
Gli è un perder tempo , che '1 pagan più fera,
Cosi son r arme dure in ogni canto ;
E in più parti Grifon già fessa e rotta
Ha r armatura a lui , né perde botta.
103. Ognun potea veder , quanto di sotto
Il signor di Seleucia era a Grifone;
E se partir non li fa il re di botto,
Quel che sta peggio , la vita vi pone.
Fé' Norandino alla sua guardia motto,
Ch' entrasse a distaccar i' aspra tenzone.
Quindi fu r uno, e quindi l' altro tratto;
E fu lodato il re di sì buon atto.
104. Gli otto , che dianzi avean col mondo impresa, „
E non potuto durar poi contra uno.
Avendo mal la parte lor difesa,
Usciti eran del campo ad uno ad uno.
Gli altri , eh' eran venuti a lor contesa.
Quivi restar senza contrasto alcuno,
Avendo lor Grifon solo interrotto
Quel , che tutti essi avean da far contr'otto.
105. E durò quella festa così poco,
Che in men d' un' ora il tutto fatto s' era.
Ma Norandin, per far più lungo il gioco,
E per continuarlo infino a sera.
Dal palco scese, e fé' sgombrare il loco^
E poi divise in due la grossa schiera;
Indi, secondo il sangue, e la lor prova,
Gli andò accoppiando , e fc' una giostra nuora*
106. Grifone intanto avea fatto ritorno
Alla sua stanza, pieu d' ira e di rabbia;
E più gli preme di Martan lo scorno,
Che non giova 1' onor , eh' esso vinto abbia
Quindi, per tor 1' obbrobrio, eh' avea intorno,
Martano adojira le mendaci labbia,
E r astuta e bugiarda meretrice.
Come meglio sapea, gli era ajutrice.
107. O sì, o nò, che '1 giovin gli credesse,
Pur la scusa accettò, come discreto,
E pel suo meglio allora allora elesse
Quindi levarsi tacito e secreto.
Per tema che , se '1 popolo vedesse
Martano comparir, non stesse cheto.
('osi per una via nascosa e corta
Esciro al cainmin lor fuor della porta.
108. Grifone, o eh' egli, o che '1 cavallo fuFM
Stanco , o gravasse il sonno pur le ciglia,
Al primo albergo «he trovar, fermosse,
('Ile non erano andati oltre <i due miglia.
Si trasse l' elmo , e tutto disarmosse,
E trar fece a' cavalli e sella e briglia,
E poi serrossi in camera soletto,
E nudo per dormire entrò nel letto.
9,
I
209]
ORLANDO FURIOSO. (XVII. 109—124)
L09. Non ebbe cosi tosto il capo basso,
Che chiuse gii occhj, e fu dal sonno oppresso
Così profondamente, che mai tasso,
Kè ghiro mai s' addormentò, quant' esso.
Martano intanto ed Origille a spasso
Entraro in un giardin, eh' era lì presso.
Ed un inganno ordir, che fu il più strano,
Che mai cadesse in sentimento umano.
.10. Martano disegnò torre il destriero,
I panni e 1' arme, che Grifon s' ha tratte,
E andar innanzi al re pel cavaliero.
Che tante prove a^ea giostrando fatte.
L' effetto ne seguì, fatto il pensiero.
Tolle il destrier più candido, che latte.
Scudo e cimiero, ed arme e sopravveste,
E tutte di Grifon 1' insegne veste.
11. Con gli scudieri e con la donna, dove
Era il popolo ancora, in piazza venne,
E giunse a tempo, che fìnian le prove
Di girar spade e d' arrestare antenne.
Comanda il re, che '1 cavalier si trovo.
Che per cimiero avea le bianche penne,
Bianche le vesti, e bianco il corridore:
Che 1 nome non sapea del vincitore.
L2. Colui, che indosso il non suo cuojo aveva,
Come r asino già quel del leone,
Cliiamato se n' andò, come attendeva,
A INorandino, in loco di Grifone.
Quel re cortese incontro se gli leva,
L' abbraccia e bacia, e allato se lo pone.
Né gli basta onorarlo, e dargli loda;
Che vuol, che '1 suo valor per tutto s' oda;
13. E fa gridarlo al suon degli oricalchi
Vincitor della giostra di quel giorno.
L' aita voce ne va per tutti i palchi.
Che '1 nome indegno udir fa d' ogni intorno.
Seco il re vuol, eh' a par a par cavalchi.
Quando al palazzo suo poi fa ritorno;
E di sua grazia tanto gli comparte,
Che basteria, se fosse Ercole o Marte.
14. Bello ed ornato alloggiamento dielli
In corte, ed onorar fece con lui
Origille anco; e nobili donzelli
Mandò con essa, e cavalieri sui.
Ma tempo è, eh' anco di (ìrifon favelli,
Il qual né dal compagno, ne da altrui
'l'emendo inganno, aiìdormentato s' era,
l\è mai si risvegliò ha alla sera.
15. Poiché fu desto, e clic dell' ora tarda
S' accorse, uscì di camera con fretta.
Dove il falso cognato e la bugiarda
Origille lasciò con 1' altra setta :
E, quando non li trova, e clic riguarda
Non v' esser 1' arme, né i panni, sospetta:
Ma il veder poi più sospettoso il fece
L' insegne del compagno in quella vece.
G. Sopravvieu l' oste, e di colui 1' infiu-ma,
f'Iu' già gran pezzo, di biaiich' arme adorno,
Cini la donna, e col resto della torma
A\ca nella città latto ritorno.
Trova (irilone a po(-o a poco 1' orma,
Ch' ascosa gli avcii amor fin a «(ini giorno;
E, con suo gran dohir vede, c>,^er quello
Adulter d' Origille, e non fratello.
[21"1
117. Di sua sciocchezza indarno ora si duole
Cli' avendo il ver dal peregrino udito
Lasciato mutar s' abbia alle parole
Di chi 1' avea più volte già tradito.
Vendicar si potea, né seppe; or vuole
L' inimico punir, che gli è fuggito.
Ed è costretto, con troppo gran fallo,
A tor di quel vii uom 1' arme e '1 cavallo.
118. Eragli meglio andar senz' arme, e nudo,
Che porsi indosso la corazza indegna,
O che imbracciar 1' abbominato scudo,
0 por suir elmo la beffata insegna :
Ma per seguir la meretrice e '1 drudo.
Ragione in lui pari al disio non regna.
A tempo venne alla città, eh' ancora
Il giorno avea quasi di vivo un' ora.
119. Presso alla porta, ove Grifon venia,
Siede a sinistra un splendido castello.
Che, più che forte, e eh' a guerre atto eia,
Di ricche stanze è accomodato e bello.
1 re, i signori, i primi di Soria
Con alte donne in un gentil drappello
Celebravano quivi in loggia amena
La real, sontuosa, e lieta cena.
120. La bella loggia sopra il muro usciva,
Con r alta rocca fuor della cittade,
E lungo tratto di lontan scopriva
I larghi campi e le diverse strade.
Or, che Grifon verso la porta arriva.
Con queir arme d' obbrobrio e di viltade,
Fu, con non troppo avventurosa sorte,
Dal re veduto, e da tutta la corte:
121. E riputato quel, di eh' avea insegna,
Mosse le donne e i cavalieri a riso.
II vii Martano, come quel, che regna
In gran favor, dopo '1 re é il primo assiso,
E presso a lui la donna di sé degna;
Dai quali Nurandin con lieto viso
^ (lise saper, chi fosse quel codardo.
Che così avea al suo onor poco riguardo,
122. Che, dopo una sì trista e brutta pruova.
Con tanta fronte or gli tornava innante.
Dicea : Questa mi par cosa assai nuova,
Ch' essendo voi guerrier degno e prestante.
Costui compagno abbiate, che non trova
Di viltà pari in terra di Levante.
Il fate f»»rse per mostrar maggiore,
Per tal contrario, il vostro alto valore.
123. Ma ben vi giuro per gli eterni Dei,
Che, se non fosse eh' io riguardo a ^uì,
La pubblica ignominia gli farei,
C'ir io soglio fare agli altri pari u lui:
P<upetua ri<(>rdanza gli darei,
('ome oguor di viltà niiiiiro fui.
I\la sappia, se iiiipiinito se ne parte,
Grado a voi, che '1 ineuaste in quc::>ta porte.
124. Colui, che fu di tutti i \ì/.j il vaso,
Ui.->pt>se: Allo ^ignor, dir non sapria,
(.'Ili sia costui; eli' io 1' ho trovato a caso,
ì ( iieinlo d' Aniioeliia in sulla via.
11 suo beiiiliiaiite in' UNea persuaso,
(Ite fo->se tle^no di mia compagnia;
Che intesa non n' avea prova, né vista,
Se non quella, clic fece oggi assai tri^ta:
14
[211]
ORLANDO FURIOSO. (XVR. 125- 135)
125. La qual mi spiacque si, che restò poco,
Clie, per punir 1' estrema sua \iltade.
jN'on gli facessi allora allora un gioco,
Che non toccasse più lance, né spade.
Ma ebbi, più eh' a lui, rispetto al loco,
E riverenza a vostra maestade:
Kè per me voglio, che gli sia guadagno
L' essermi stato un giorno o due compagno:
126. Di che contaminato anco esser panne;
E sopra il cor mi sarà eterno peso,
Se, con vergogna del mestier dell' arme,
Io lo vedr») da voi partire illeso:
E meglio, che lasciarlo, satisfarme
Potrete, se sarà da un merlo impeso:
E fia lodevol opra e signorile.
Perchè sia esempio e specchio ad ogni vile.
127. Al detto suo Martano Origlile ave,
Senza accennar, confermatrice presta.
Kon son, rispose il re, 1' opre sì prave,
Ch' al mio parer v' abbia d' andar la testa.
Voglio, per pena del peccato grave.
Che sol rinnovi al popolo la festa.
E tosto a un suo baron, che fé' venire,
Impose, quanto avesse ad eseguire.
128. Quel baron molti armati seco tolse.
Ed alla porta della terra scese,
E quivi con silenzio li raccolse,
E la venuta di Grifone attese;
E neir entrar sì d' improvviso il colse,
Che fra i duo ponti a salvamento il prese,
E lo ritenne, con beffe e con scorno.
In ima oscura stanza infin al giorno.
129. Il sole appena avea il dorato crine
Tolto di grembo alla nutrice antica,
E cominciava dalle piagge alpine
A cacciar 1' ombre, e far la cima aprica,
Quando, temendo il vii Martan, eh' alfine
Grifone ardito la sua causa dica,
E ritorni la colpa, ond' era uscita,
Tolse licenza; e fece indi partita;
130. Trovando idonea scusa al prego regio,
Che non stia allo spettacolo ordhiato.
Altri doni gli avea fatto, col pregio
Della non sua vittoria, il signor grato,
E sopra tutto, un ampio privilegio,
Dov' era d' alti onori al sommo ornato.
Lasciamlo andar ; eh' io vi prometto certo.
Che la mercede avrà, secondo il mcrto.
i 131. Fu Grifon tratto a gran v ergogna in piazza.
Quando più si trovò piena di gente.
Gli avean levato 1' elmo e la corazza,
E lasciato in farsetto assai vilmente;
E, come il conducessero alla mazza,
Posto 1' avean sopra im carro eminente.
Che lento lento tiraAan due vacche.
Da lunga fame attenuate e fiacche.
132. Venian d' intorno all' ignobil quadi-iga
Vecchie sfacciate, e disoneste putte,
Di che n' era una, ed ora un' altra auriga,
E con gran biasmo lo mordeano tutte.
Lo poneano i fanciulli in maggior briga;
Che, oltre le parole infami e brutte,
1 L' avrian co'sassi insino a morte offeso.
Se dai più saggi non era difeso.
133. L' arme, che del suo male erano state
I Cagion, che di lui fèr non vero iudicio,
Dalla coda del carro strascinate,
Patian nel fango debito supplicio.
Le ruote innanzi a un tribunal fermate
Gli fero udir dell' altrui maleficio
La sua ignominia, eh' in su gli occhj detta
Gli fu, gridando un pubblico trombetta.
134. Lo levar quindi, e lo mostrar per tutto
Dinanzi a templi, ad officine, e a case,
Dove alcun nome scellerato e brutto,
Che non gli fosse detto, non rimase.
Fuor della terra all' ultimo condutto
Fu dalla turba, che si persuase
Bandirlo, e cacciare indi a suon di busse.
Non conoscendo ben, chi egli si fussc.
135. Sì tosto appena gli sferraro i piedi,
E liberargli 1' una e l' altra mano,
Che tor lo scudo, ed impugnar gli vedi
La spada, che rigò gran pezzo il piano.
Non ebbe contra sé lance, né spiedi;
Che senz' arme venia il popolo insano.
Neil' altro canto differisco il resto;
Che tempo è ornai. Signor, di finir questo.
:i3]
ORLANDO FURIOSO. (XVIll. 1-12)
[214]
CANTO DECXMOTTAVO.
ARGOMENTO.
Rodomonte esce di Parigi fuore,
E va là, dove lo conduce un nano.
Grifon racquista il suo perduto onore,
E vien punito il traditor Martano.
Uccide DardincUo , e vincitore
È d' Agramante il Sir di Montalbano.
Marfisa injesta il mare , e H bel Medoro
E Cloridan ne portano il re loro.
1. Magnanimo Signore, ogni vostro atto
Ho sempre con rtigion laudato, e laudo,
Benché col rozzo stil, duro e mal atto
Gran parte della gloria vi defraudo :
Ma più dell' altre una virtù m' ha tratto,
A cui col core e con la lingua applaudo;
Che, s' ognun trova in voi ben grata udienza.
Non vi trova però facil credenza.
2. Spesso in difesa del hiasmato assente
Indur vi sento una ed ini' altra scusa,
O riserbargli almcn, finché presente
Sua causa dica, 1' altra orecchia chiusa,
E sempre, primacliè dannar la gente,
Vederla in faccia, e udir la ragion eh' usa;
Differire anco e giorni, e mesi ed anni,
Primachè giudicar negli altrui danni.
8. Se jVorandino il simil fatto avesse.
Fatto a Grifon non avria quel, che fece.
A voi utile e onor sempre successe;
Denigrò sua fama egli più, che pece.
Per lui sue genti a morte fiu(m messe;
Che fé' Grifone, in diece tagli e in diece
Punte, che trasse pien d' ira, e l)i///,arro,
Che trenta ne cascaro appresso al carro.
Van gli altri in rotta, ove il timor li caccia,
Chi qua, clii là, pc' campi e per le strade,
E chi d' entrar ncdla città procac-cia,
E r un snir altro nella porta cade.
Grifon non fa parole, e non minaccia;
Ma, la>^ci;indo lontana ogni pictade.
Mena tra il vulgo incruM; il ferro intorno,
E gran vendetta fa d' ogni su(» s<-,orno.
5. Di quei, che primi giuns«'ro alla porta,
Che le piiinle a l(\arsi ehhono pronic.
Parte, al hisoM^iio suo molto più accorta,
Clu; degli iiiniii, alzò >uliito il ponte.
Piangendo parte, e con la faccia smorta
Fuggendo andò, senza mai \olf:^cr fronte;
E nella terra per tutte le bande
Levò grido e tumulto, e nniior grande.
6. Grifon gagliardo duo ne piglia in quella.
Che '1 ponte si levò , per lor sciagura.
Sparge dell' uno al campo le cervella,
Che lo percuote ad una cote dura.
Prende 1' altro nel petto, e 1' arrandeila
In mezzo alia città sopra le mura.
Scorse per 1' ossa ai terrazzani il gelo.
Quando vider colui venir dal cielo,
7. Fur molti, che temer, che '1 fier Grifone
Sopra le mura avesse preso un salto.
]Non vi sarebbe più confusione,
Se a Damasco il Soldan desse F assalto.
Un mover d' arme, un correr di persone,
E di talacimanni un giùdar d' alto,
E di tamburi un suon misto e di trombe
Il mondo assorda, e '1 cicl par ne rirabombe.
8. 3Ia voglio a un' altra volta differire
A ricontar ciò, che di questo av\enne.
Del buon re Carlo mi convien seguire,
Che contra Rodomonte in fretta venne.
Il qual le genti gli facea morire.
10 \'i dissi, eh' al re compagnia tenne
11 gran Danese, e Namo ed Oliviero,
E Avino , e Avolio , e Ottone , e Berlinghiero.
9. Otto scontri di lance, che da forza
Di tali otto guerrier cacciati foro.
Sostenne a un tempo la scagliosa scorza,
Di di' area armato il petto il crudo Moro,
Come legno si drizza, poiché 1' orza
Lenta il nocchier, che crescer sente il coro ;
Così presto rizzossi Rodouuinte
Dai colpi, che gittar doveano un monte.
10. Guido , Ranier , Riccardo , Salanione,
Ganellon traditor, Turpiii fedele,
Angiolieri, Angiolino, l ghetto, Ivone,
Marco, e Matteo dal pian di san Michele,
E gli otto, di che dianzi tei menzione,
Son tutti intorno al S.iracin crudele;
Arimanno, e Odoardo d* InghilUrra,
Ch' entrati eran pur dianzi nella terra.
11. Non così freme in sullo scoglio alpino
Di ben fondata rocca alta parete.
Quando il furor di borea o di g.irbino
Svelle dai monti il frassino e 1' .ibcte,
('omc freni*' d' orgoglio il Saracino,
Di sdegno acceso, e di >angMÌgna sete;
E come a un t<'mpo è il tuono e la siictta,
Così r ira dell" empio e la \endetta.
12. l>Iena alia te.«(a a (pici , che gli è più presso.
Cir c,!;li è il misero l ghetto di Dordon.i:
Lo |ioMc in tei-ra iosìiio ai denti l'c>so,
('(imet'Iic r elmo cr.i di (empia buona,
l'ercosso III (ulto in un (eiii|io anch' osso
Da molti colpi in tutta la persona;
iMa non ^li laii più, eli' all' incudc Ingo,
Sì duro intorno hn lo scaglioso drago.
14 *
[215]
ORlìNDO FURIOSO. (XVIII. 1S-2S)
[216]
13. Furo tutti i ripar . fu la'ttade
D' intorno intorno abbandoi'* tutta;
Che la gente alla piazza, di'. accade
Maggior bisogno, Carlo aTea^i""**
Corre alla piazza da tutte le sF^
La turba, a chi il fuggir sì poctri«a.
La persona del re sì i cori accende,
Ch' ognun prend' arme, ognuno aniniF^""*
14. Come se dentro a ben rinchiusa gabbia I
D' antica leonessa usata in guerra, j
Perdi' averne piacere il popol abbia,
Talvolta il tauro indomito si serra ;
I leoncin, che veggion per la sabbia
Come altero, e mugghiando animoso erra,
E veder si gran corna non son usi,
Stanno da parte timidi e confusi;
15. Ma se la fiera madre a quel si lancia,
E neir orecchio attacca il crudcl dente.
Vogliono anch' es^i insanguinar la guancia,
E vengono in soccorso arditamente;
Chi morde al tauro il dosso, e chi la pancia:
Così contra il pagan fa quella gente.
Da tetti e da finestre, e più da presso
Sopra gli piove un nembo d' arme , e spesso.
16. Dei cavalieri e della fanteria
Tanta è la calca, eh' appena vi cape.
La turba , che vi vien per ogni via,
V abbonda ad ora ad or spessa, come ape:
Che quando disarmata e nuda sia
Più facile a tagliar, che torsi o rape,
Non la potria , legata a monte a monte.
In Tenti giorni spegner Rodomonte.
17. Al pagan , che non sa , come ne possa
Venire a capo , omai quel gioco incresce
Poco, per far di mille o di più rossa
La terra intorno , il popolo discresce.
Il fiato tuttavia più se gì' ingrossa
Sicché comprende alfin, che, se non esce
Or eh' ha vigore , e in tutto il corpo è sano,
Vorrà da tempo uscir, che sarà invano.
18. Rivolge gli occhj orribili , e pon mente,
Clie d' ogni intorno sta chiusa 1' uscita:
Ma con ri'iina d' infinita gente
L' aprirà to.-to , e la farà espedita.
E<!co vibrando la spada tagliente,
Clie vien qiicU' empio, ove il furor Io 'nvita,
Ad assalire il nuovo stuol britanno.
Che vi trasse Odoardo ed Arimanno.
19. Clii ha visto in piazza romjìere steccato,
A cui la folta turba ondeggi intorno.
Immansueto toro accanoggialo,
Stimolato e percosso tiitto il giorno ;
Che '1 popol se ne fugge spaventato.
Ed egli or questo, or quel leva sul corno,
P<nsi che tale, o più terribil fosse
Il crudele African, quando si mosse.
20. Quindici o venti ne tagliò a traverso,
Altri tanti lasciò del capo tronchi,
Ciascun d' un <:i>l|)o sol dritto o riverso;
Che ^ili, o salci par che poti, o tronchi,
Tutto (li KangHf il ficr pagano asperso,
Lasciando «N'ipi feshi e- bracci monchi,
E spalle, V gambe, vA altre nu-uibra sparte,
Ovimque il passo volga, ulfin si parte.
23
21. Della piazza si vede in guisa torre,
Cile non si può notar, eh' abbia paura:
Ma tuttavolta col pensier discorre.
Dove sia per uscir via più sicura.
Capita alfin, dove la Senna corre
Sotto all' isola, e va fuor delle mura.
La gente d' arme, e '1 popol fatto audace,
Lo stringe e incalza, e gir noi lascia in pace.
22. Qual per le selve nomadi o massile
Cacciata va la generosa belva.
Che ancor fuggendo mostra il cor gentile,
E minacciosa e lenta si riusciva ; _
"^al Rodomonte , in nessun atto vile, |
i" '^«•ana circondato e fiera selva
i;f ^"^ e di spade, e di volanti dardi,
ir, ^. fiume a passi lunghi e tardi.
Si tira al .
„ , '*e e più r ira il sospinse,
E SI tre voli, fy^^, vi tornò in mezzo,
Ch' essendone già ,^^ ritinse,
Ove di sangue la spa-..,|j j^ezzo.
E più di cento ne levò «ij^j^ vinse
Ma la ragione alfin la rau andasse il lezzo,
Dì non far sì, eh' a Dio n .jo^ijo
E dalla ripa per miglior con^^jj^ peri'^lio.
Si gittò all' acqua, e uscì di'
-^zzo r acque,
24. Con tutte l' arme andò per mjg
Come se intorno avesse tante ga.^cqi,e
Africa , in te pari a costui non n,i;i)al!e.
Benché d' Anteo ti vanti, e d' An^^cquc
Poiché fu giunto a proda , gli disp
Che si vide restar dopo le spalle
Quella città, eh' avea trascorsa tutta^.
E non r avea tutta arsa, né distrutt
25. E sì lo rode la superbia e 1' ira, a,
Che per tornarvi un' altra volta guard
E di profondo cor geme e sospira, 'rda.
Né vuoine uscir , che non la spiani ed a
Ma lungo il fiume in questa furia mirai.
Venir chi 1' odio estingue, e 1' ira tardi»
Chi fosse, io vi farò bentosto udire;
Ma prima un' altra cosa v' ho da dire.
26. Io v' ho da dir della Discordia altiera,
A cui r angcl ^lichele avea commesso,
Ch' a battaglia accendesse e a lite fiera !sso.
Quei, che più forti avea Agramante appre
Uscì de' frati la mcdesma sera,
Avendo altrui 1' ufficio suo commesso;
Lasciò la Fraude a guerreggiar il loco,
Finché tornasse, e a mantenervi il fuoco.
27. E le parve, eh' andria con più possanza,
Se la Superbia ancor seco menasse;
£ perchè stavan tutte in una stanza,
Non fu bisogno, che a cercar V andasse.
La Superbia v' andò , ma non che senza
La sua vicaria il monaster lasciasse:
Per pochi dì , che credea starne assente.
Lasciò r Ipocrisia loc»)tenente.
28. L' iuiplacabil Discordia in compagnia
Della Superbia si mise in cauuuino,
E ritrovò, che la mcilesma via
Facea, per gire al campo Saracino,
L' afflitta e sconsolata Gelosia; i
E venia seco un nano pirciolino, \
II qual mandava Doralice bella
AI re di Sarza a dar di sé novella.
21Ì]
ORLANDO FURIOSO. (XVIII. 29—44)
[218]
29. Quando ella venne a Mandricardo in mano
(Ch' io v' ho già raccontato , e come , e dove),
Tacitamente avea commesso al nano,
Che ne portasse a questo re le nove.
Ella sperò , che noi saprebbe invano,
Ma che far si vedria mirabil prove,
Per riaverla , con crudel vendetta,
Da quel ladron , che gliel' avea intercetta.
30. La Gelosia quel nano avea trovato,
E la cagion del suo a enir compresa.
A camminar se gli era messa allato,
Parendole aver luogo a questa impresa.
Alla Discordia ritrovar fu grato
La Gelosia ; ma più , quando ebbe intesa
La cagion del venir ; che le potca
Molto valere in quel, che far volea.
31. D' inimicar con Rodomonte il figlio
Del re Agrican , le pare aver suggetto.
Troverà a sdegnar gli altri altro consiglio ;
A sdegnar questi duo questo è perfetto.
Col nano se ne vien, dove 1' artiglio
Del ller pagano avea Parigi astretto ;
E capitaro a un punto in sulla riva,
Quando il crudel del fiume a nuoto usciva.
32. Tostochè riconobbe Rodomonte,
Costui della sua donna esser messaggio,
Estinse ogn' ira , e serenò la fronte,
E si sentì brillar dentro il coraggio.
Ogn' altra cosa aspetta che gli conte,
Primachè alcuno abbia a lei fatto oltraggio.
Va contra il nano, e lieto gli domanda:
Ch' è della donna nostra .'' ove ti manda ?
33. Rispose il nano : Né più tua , né mia
Donna dirò quella, eh' è serva altrui.
Ieri scontrammo un cavalicr per via,
Che ne la tolse, e la menò cim lui.
A quello annunzio entrò la Gelosia
Fredda , come aspe , ed abbracciò costui.
Seguita il nano, enarragli, in che guisa
Un sol r ha presa , e la sua gente uccisa.
ìi, L' acciajo allora la Dis(;ordia prese,
E la pietra focaja , e picchiò un poco,
E r esca sotto la Superbia stese,
E fu attaccato in un momento il foco;
E sì di questo l' anima s' accese
Del Saracin , che non trovava loco.
Sospira e freme con sì orribil faccia,
Che gli elementi e tutto il ciel minaccia.
3S. Come la tigre , poiché invan discendo
Nel voto albergo, e per tutto s' aggira,
E i cari figli all' ultimo comprende
Esserle tolti , avvampa di tant' ira,
A tanta rabbia, a tal furor s' estende.
Che né a monte , né a rio , nò a notte mira.
Né lunga via, nò grandine raflVena
L' odio, che dietro al prcdator la mena:
86. Così fiirendn il Saracin bizzarro
Si volge al nano , e dice : Or là t'invia !
E n<m UNpetta né destrier , né <arro,
E non fa motto alla sua compagnia.
Va con più fretta, «;lie non va il ramarro.
Quando il «icl arde, u traversar la via!
Destrier non lia; ma il primo for <iiscgna.
Sia di clii vuol , che ad incontrar lo vegna.
37. La Discordia , eh' udì questo pensiero,
Gur.rdò ridendo la Superbia , e disse,
Che volea gire a trovare un destriero.
Che gli apportasse altre contese e risse,
E far volea sgombrar tutto il sentiero,
Ch' altro che quello in man non gli venisse ;
E già pensato avea , dove trovarlo :
Ma costei lascio , e torno a dir di Carlo.
38. Poich' al partir del Saracin si estinse
Carlo d' intorno il periglioso fuoco,
Tutte le genti all' ordine restrinse.
Lascionne parte in qualche debilloco;
Addosso il resto ai Saracini spinse,
Per dar lor scacco , e guadagnarsi il gioco ;
E li mandò per ogni porta fuore.
Da san Germano , mfm a san Vittore ;
39. E comandò , eh' a porta san Marcello,
Dov' era gran spianata di campagna,
Aspettasse 1' un l' altro, e in un drappello
Si ragunasse tutta la compagna.
Quindi , animando ognuno a far macello
Tal , che sempre ricordo ne rimagna.
Ai lor ordini andar fé' le bandiere,
E di battaglia dar segno alle schiere.
40. Il re Agramante in questo mezzo in sella,
Malgrado dei Cristian , rimesso s' era,
E con r innamorato d' Isabella
Facea battaglia perigliosa e fiera.
Col re Sobrin Lurcanio si martella.
Rinaldo incontra avea tutta ima schiera,
E con virtude e con fortuna molta
L' urta, r apre, mina, e mette in volta.
41. Essendo la battaglia in questo stato,
L' imperadore assalse il retroguardo.
Dal canto, ove Marsilio avea fermato
Il fior di Spagna intorno al suo stendardo.
Con fanti in mezzo, e cavalieri allato,
Re Carlo spinse il suo popol gagliardo.
Con tal rumor di timpani e di trombe.
Che tutto il mondo par che ne rimbombe.
42. Cominciavan le schiere a ritirarse
De' Saracini , e si sarebbon volte
Tutte a fuggir spezzate , rotte e sparse,
Per mai più non potere esser raccolte ;
Ma '1 re Grand<niio , e F'alsiron comparse,
Che stati in maggior briga eran più volte,
EBalugante, e Serpentin feroce,
E Ferraù, che lor dicea a gran voce:
43. Ah, dicea, valentuomini, ah compagni.
Ali fratelli, tenete il luogo vostro!
I nimici faranno opra di ragni.
Se non manchiamo noi del dover nostro.
Guardate V alto onor, gli anipj guadagni.
Che Fortuna, vincendo, oggi ci ha mostro!
Guardate la vergogna e 'I daiuio estremo,
Ch' essendo vinti , a patir sempre avremo!
44. Tolto in quel tempo una gran lancia avea,
E contra Herlingliicr venne di bolt»),
Che sopra 1' Argalilla ronihattea,
E r elmo nella fronte gli a\ea rotto,
(ìittollo in terra , e con la spada rea
Appresso a lui ne fé' cader forse (ttto.
Per ogni botta almanco, che disserra,
Cader fa sempre un ca^aliero in terra.
[219]
ORLANDO FURIOSO. ( XVIII. 45 - 60 )
[220]
45. In altra parte ucciso arca Rinaldo
Tanti pagan , eh' io non potrei contarli.
Dinanzi a lui non stava ordine saldo ;
Vedreste piazza in tntto il campo darli.
Non nicn Zerbin, non nien Lurcanio è caldo:
Per modo fan , eh' og-nnn sempre ne parli.
Questo di punta avea Balastro ucciso,
E quello a Finadur 1' elmo diviso.
46. L' esercito d' Alzerhe avea il primiero,
Che poco innanzi aver solca Tardocco.
L' altro tenea sopra le squadre impero
Di Zamoro , e di Saffi , e di Marocco.
Non è tra gli Africani un cavaliero,
Che di lancia ferir sappia, o di stocco?
Mi si potrebbe dir : ma passo passo
Nessun di gloria degno addietro lasso.
47. Del re della Zumara non si scorda
Il nobil Dardinel , figlio d' Almonte,
Che con la lancia Ul)erto da Mirforda,
Claudio dal Bosco, Elio, e Dulfin dal Monte,
E con la spada Anselmo da Stanforda,
E da Londra Raimondo , e Pinaraonte
Getta per terra, ed erano pur forti.
Duo storditi , un piagato , e quattro morti.
48. Ma con tutto '1 v.ilor , che di sé mostra,
Non può tener sì ferma la sua gente,
Sì ferma , che aspettar voglia la nostra,
Di numero minor, ma più valente.
Ha più ragion di ppada , e più di giostra,
E d' ogni cosa a guerra appartenente.
Fugge la gente maura, e di Zumara,
Di Setta, di Marocco, e di Canara.
49. Ria più degli altri fuggon quei d' Alzerhe:
A cui si oppose il nobil giovinetto.
Ed or con pricghi , or con parole acerbe
Ridur lor cerca 1' animo nel petto.
Se Almonte meritò , che in voi si serbe
Di lui memoria , or ne vedrò 1' efl'etto.
10 vedrò, dicea lor, se me, suo figlio,
Lasciar vorrete in così gran periglio.
50. State , vi priego per mia verde etade.
In cui solete aver sì larga speme !
Deh! non vogliate andar per fil di spade.
Che in Africa non torni ili noi seme!
Per tutto ne saran chiuse le strade,
Se non andiam raccolti, e stretti insieme;
Troppo alto muro e troppo larga fossa
E il monte e '1 mar, priache tornar si possa.
51. Molto è meglio morir qui , eh' ai supplici
Darsi , e alla discrezion di questi cani.
State saldi, per Dio, fedeli amici!
Che tutti son gli altri rimedj vani.
Nou han di noi più vita gì' inimici,
Più d' un' alma non han , più di due mani.
Cosi dicendo il giovinc^tto forte.
Al conte d' Ottonici diede la morte.
52. Il rimembrare Almonte così accese
Ij' esen ito afriian , cIk; foggia prima,
Che le liriuciii e le uiani in sue difese
Meglio, «Ile rivoltar le spalle, estima.
(»ugli(-lMio (111 IJiiniii 11 erii un Inglese
Maggior di tutti, e Diirditiello il cima,
E lo pareggia agli altri, e appresso taglia
11 capo ad Aramon di Cornovaglia.
53. Morto cadea questo Aramone a valle,
E v' accorse il fratel, per dargli ajuto;
Ma Dardinel 1' aperse per le spalle,
Fin giù , dove lo stomaco è forcuto.
Poi forò il ventre a Bogio da Vergalle,
E lo mandò del debito assoluto :
Avea promesso alla moglier fra sei
Mesi, vivendo, di tornare a lei.
54. Vide non lungi Dardinel gagliai-do
Venir Lurcanio, eh' avea in terra messo
Dorchin passato nella gola, e Gardo
Per mezzo il capo infin ai denti fesso ;
E eh' Alteo fuggir volse , ma fu tardo ;
Alteo , eh' amò quanto il suo core istesso ;
Che dietro alla collottola gli mise
Il fier Lurcanio un colpo , che 1' uccise.
55. Piglia una lancia, e va per far vendetta,
Dicendo al suo Macon (se udir lo puote)
Che, se morto Lurcanio in terra getta.
Nella moschea ne porrà l' arme vote.
Poi , traversando la campagna in fretta,
Con tanta forza il fianco gli percuote.
Che tutto il passa fin all' altra banda.
Ed ai suoi , che lo spoglino , comanda.
56. Non è da domandarmi, se dolere
Se ne dovesse Ariodante il frate,
Se desiasse di sua man potere
Por Dardinel fra l' anime dannate.
Ma noi lascian le genti adito avere.
Non men delle infedel le battezzate.
Vorria pur vendicarsi, e con la spada
Di qua di là spianando va la strada.
57. L' rta , apre , caccia , atterra , taglia e fende
Qualunque lo 'rapedisce , o gli contrasta ;
E Dardinel , che quel desire intende,
A volerlo saziar già non sovrasta ;
Ma la gran moltitudine contende
Con questo ancora , e i suoi disegni guasta.
Se i Mori uccide l' un , l' altro non manco
Gli Scotti uccide, e 'l campo inglese e '1 franco
58. Fortuna sempre mai la via lor tolse.
Che per tutto quel dì non s' accozzare.
A più famosa man serbar 1' un volse ;
Che r uomo il suo destin fugge di raro.
Ecco Rinaldo a questa strada volse.
Perchè alla vita d' un non sia riparo.
Ecco Rinaldo vien; Fortunali guida,
Per dargli onor , che Dardiuello uccida.
59. IMa sia per questa volta dotto assai
Dei gloriosi fatti di Ponente!
Tempo è eh' io torni , ove Grifon lasciai.
Che tutto d' ira e di disdegno ardente
Faeea , con più timor , che avesse mai,
Tumultuar la sbigottita gente.
Re Norandino a quel rumor eorso era
Con più di mille armati in una schiera.
60. Re Norandin con la sua corte armata
Vedendo tutto '1 popolo fuggire,
Venne alla porta in battaglia ordinata,
E quella ìvac alla sua giunta aprire.
Grifone intanto avendo già cacciata
Da sé la turba seiiuu'a, e senza ardire,
La spre/./.ata armatura in sua difesa
(Qual ella fosse) avea di nuovo presa;
221]
ORLANDO FURIOSO. (XVIII.
61
iCì)
[222]
CI. E presso a un tempio ben murato e forte,
Clie circondato era d' un' alta fossa,
In capo un ponticel si fece forte.
Perchè chiuderlo in mezzo alcun non possa.
Ecco gridando e minacciando forte
Fuor della porta esce una squadra grossa.
L' animoso Grifon non muta loco,
£ fa sembiante , che ne tema poco.
62. E poich' avvicinar questo drappello
Si vide, andò a trovarlo in sulla strada,
E molta strage fattane e macello,
(Che menava a due man sempre la spada)
Ricorso avea allo stretto ponticello :
E quindi li tenea non troppo a bada:
Di nuovo usciva, e di nuovo tornava,
E sempre orribil segno vi lasciava.
63. Quando di dritto, e quando di riverso,
Getta or pedoni , or cavalieri in terra ;
11 popol contra lui tutto converso
Più e più sempre inaspera la guerra.
Teme Grifone alfin restar sommerso,
Sì cresce il mar, che d' ogni intorno il serra;
E nella spalla e nella coscia manca
£ già ferito , e pur la lena manca.
64. Ma la virtù , eh' a' suoi spesso soccorre,
Gli fa appo Norandin trovar perdono.
Il re, mentre al tumulto in dubbio corre,
Vede , che morti già tanti ne sono.
Vede le piaghe, che di man d' Ettorre
Pareano uscite ; un testimonio buono,
Che dianzi esso avea fatto indegnamente
Vergogna a un cavalier molto eccellente.
Poi , come gli è più presso , e vede in fronte
Quel, che la gente a morte gli ha condutta,
£ fattosene avanti orribil monte,
E di quel sangue il fosso e 1' acqua brutta;
Gli è avviso di veder proprio sul ponte
Orazio sol contra Toscana tutta:
£ per suo onore, e perchè glicn' increbbe,
Ritrasse i suoi , né gran fatica v' ebbe.
36. Ed alzando la man nuda e senz' arme,
Antico segno di tregua o di pace.
Disse a Grifon : Non so, se non chiamarmc
D' avere il torto, e dir, che mi dispiace;
Ma il mio poco giudicio, e lo instigarme
Altrui , cadere in tanto crror mi face.
Quel , elle di fare io mi credea al più vile
Gucrrier del mondo , ho fatto al più gentile.
i7. £, sebbene ali' ingiuria ed a quel!' onta,
Ch' oggi fatta ti fu per ignoranza,
L' onor , clic ti fai qui , s' adegna e sconta,
O (per più vero dir) supera e avanza;
La satisfazion ci sarà pronta
A tutto mio sapere, o mia ]iossanza,
Quando io conosc^a di poter far quella
Per oro, per cittadi, o per castella.
i8. Chiedimi la metà di questo regno,
CIi' io Hon per fartene oggi possessore
Che r alta tua virtù non ti fa degno
Di qucHt«> sol, ma «h' io ti doni il core;
£ la tua mano in que^lo m«'zzo , pegno
Di fé, mi domi, e di perpetuo amore !
Cohì dicendo da cavallo scchc,
E ver Grifon lu destra mano stese.
69. Grifon , vedendo il re fatto benigno
Venirgli per gittar le braccia al collo,
Lasciò la spada e 1' animo maligno,
E sotto r anche , ed umile abbracciollo.
Lo vide il re di due piaghe sanguigno,
E tosto fé' venir chi medicollo.
Indi portar nella cittade adagio,
E riposar nel suo real palagio ;^
70. Dove , ferito , alquanti giorni , innante
Che si potesse armar, fece soggiorno.
Ma lascio lui: thè al suo frate Aquilante
Ed ad Astolfo in Palestina torno,
Che di Grifon, poiché lasciò le sante
Mura, cercare lian fatto più d' un giorno
In tutti i lochi in Solima devoti,
£ in molti ancor dalla città remoti.
71. Or né V uno , né 1' altro é si indovino,
Che di Grifon possa saper che sia ;
Ma venne lor quel greco peregrino,
IVcl ragionare, a caso a darne spia.
Dicendo , eh' Origlile avea il cammino
Vex'so Antiochia preso di Soria,
D' un nuovo drudo , eh' era di quel loco.
Di subito arsa , e d' improvviso fuoco.
72. Dimandogli Aquilante, se di questo
Così notizia avea data a Grifone :
E , come 1' affermò , s' avvisò il resto,
Perché fosse partito , e la cagione.
Ch' Origlile ha seguito , é manifesto.
In Antiochia, con intenzione
Di levarla di man del suo rivale
Con gran vendetta e memorabil male.
73. Non tollerò Aquilante, che "1 fratello
Solo , e senz' esso a quell' impresa andasse,
E prese 1' arme, e venne dietro a quello:
Ma prima pregò il duca, che tardasse
L' andata in Francia ed al paterno ostello,
Finch' esso d' Antiochia ritornasse.
Scende al Zaffo, e s' imbarca; che gli pare
E più breve , e miglior la via del mare.
74. Ebbe un ostro scilocco allor possente
Tanto nel mare, e sì per lui disposto,
Che la terra del Surro il dì seguente
Vide, e Saffetto, un dopo l' altro tosto.
Passa Baratti e 1 Zibeletto , e sente.
Che da man manca gli è Cipro discosto.
A Tortosa di Tripoli, e alla Lizza,
E al golfo di Lajazzo il cammin drizza.
75. Quindi a Levante fé' il nocchier la fronte
Del naviglio voltar snello e veloce,
Ed a sorger n' andò sopra l" Orontc,
E colse il tempo , e ne pigliò la for«.
Gittar fece Aquilante in terra il ponte,
£ n' uscì armato sul dotrier feroce,
£ contra il fiume il ciimiiiin dritto tcimc.
Tanto , che in Antiochia se ne venne.
76. Di quel ciarlano ivi ebbe ad informarsc.
Ed udì , die a Damasco se n' era ilo
(;«ni Origille, o^e una gio.>.tia farse
Dovea solenne, e per reale in\ilo.
'l'auto d' andargli dietro il de.-ir 1' ai>e,
(Vrfo , che 1 ^U(» german 1' abbia seguito.
Che d' Antiochia anco quel dì si tolle :
Mu giù per mar più ritornar non volle.
[223]
ORLANDO FURIOSO. (XVIIl. '?7— 92)
[224]
77. Verso Lidia e Larissa il camniìn piega :
Resta più sopra Aleppc ricca e piena.
Dio, per mostrar, eh' ancor di qua non niega
IMerccde al bene, ed al contrario pena,
Slartano appresso a !\Iamiiga una lega
Ad incontrar?i in Aquilante mena.
Hklartano si facea con bella mostra
Portare innanzi il pregio della giostra-
78. Pensò Aquilante, al primo comparire,
Clie '1 vii Martano il suo fratello fosse;
Che r ingannaron 1' arme , e quel vestire
Candido più , che nevi ancor non mosse ;
E con queir Oh , che d' allegrezza dire
Si suole, incominciò: ma poi cangiosse
Tosto dì faccia e di parlar , eh' appresso
S' aA-AÌde meglio, che non era desso.
79. Dubitò che , per fraude di colei,
Ch' era con lui , Grifon gli avesse ucciso.
E dimmi , gli gridò , tu eh' esser dei
Un ladro e un traditor , come n' hai viso.
Onde hai quest' arme avute .-^ onde ti sei
Sul buon de?trier del mio fratello assiso ?
Dimmi, se '1 mio fratello è morto o vivo,
Come dell" arme e del destrier V hai privo?
80. Quando Origlile udì 1' irata voce,
Addietro il palafren per fuggir volse;
Ma di lei fu Aquilante più veloce,
E feccia fermar, volse, o non volse.
Martano , al minacciar tanto feroce
Del cavalier, che si improvviso il colse,
Pallido trema, come al vento fronda,
]Nè sa quel, che si faccia, o che risponda.
81. Grida Aquilante, e fulminar non resta,
E la spada gli pon dritto alla strozza,
E giurando minaccia , che la testa
Ad Origille e a lui rimarrà mozza,
Se tutto il fatto non gli manifesta.
Il mal giunto Martano alquanto ingozza,
E tra sé volve, se può sminuire
Sua grave colpa; e poi comincia a dire:
82. Sappi , signor , che mia sorella è questa,
Kata di buona e virtuosa gente,
Benché tenuta in vita di^ionesta
L' abbia Grifone obbrobriosamente :
E tale infamia essendomi molesta,
]Nè per forza sentendomi possente
Di torla a sì grand' uom , feci disegno
D' averla per astuzia e per ingegno.
83. Tenni modo con lei , eh' avea desire
Di ritornare a più lodala vita,
Che, essendosi Grifon messo a dormire,
Chetamente da lui fesse partita.
Così fec' ella; e perdi' egli a seguire
Non n' abbia, ed a turbar la tela ordita,
]\oi lo liisciamiiio disarmato e a piedi,
E qua venuti siam, come tu vedi.
84. Potea>i dar di somma astuzia vanto:
Che colui facilmente gli crcjdea,
E, fuor «he II torgli arme e destriero, c qnanto
Tenesse di (cibili, non gli nocca,
Se non vulca pulir sua scusa tanto,
Clic la facesse di incnzofrnii rea.
Buona era ogni altra parte, se non quella
Che la fvmuunu u lui fosse sorella.
85. Avea Aquilante in Antiochia inteso
Essergli concubina , da più genti ;
Onde gridando di furore acceso:
Falsissimo ladron , tu te ne menti ;
Un pugno gli tirò di tanto peso,
Che nella gola gli cacciò due denti,
E senza più contesa ambe le braccia
Gli volge dietro , e d' una fune allaccia.
88. E parimente fece ad Origille,
Benché in sua scusa ella dicesse assai.
Quindi li trasse per casali e ville,
Ké li lasciò fin a Damasco mai ;
E delle miglia mille volte mille
Tratti gli avrebbe con pene e con guai,
Finch' avesse trovato il suo fratello.
Per farne poi , come piacesse a quello.
87. Fece Aquilante lor scudieri e some
Seco tornare , ed in Damasco venne,
E trovò di Grifon celebre il nome
Per tutta la città batter le penne.
Piccioli e grandi, ognun sapea già, come
Egli era , che sì ben corse 1' antenne.
Ed a cui tolto fu, con falsa mostra,
Dal compagno la gloria della giostra.
88. Il popol tutto al vii Martano infesto,
L' uno all' altro additandolo , lo scopre.
Non è , dicean , non è il ribaldo questo.
Che si fa laude con 1' altrui buone opre ?
E la virtù di chi non è ben desto.
Con la sua infamia e col suo obbrobrio copre ?
Kon è r ingrata femmina costei.
La qual tradisce i buoni, e ajuta i rei?
89. Altri dicean: Come stan bene insieme.
Segnati ambi d' un marchio e d' una razza!
Chi li bestemmia, chi lor dietro freme.
Chi grida: Impicca, abbrucia, squarta, ammazza
La turba per veder s' urta , e si preme,
E corre innanzi alle strade , alla piazza.
1 enne la nuoAa al re , che mostrò segno
D' averla cara più , che un altro regno.
90. Senza molti scudier dietro o davante,
Come si ritrovò , si mosse in fretta,
E venne ad incontrarsi in Aquilante,
Che avea del suo Grifon fatto vendetta;
E quello onora con gentil sembiante,
Seco r invita e seco lo ricetta,
Di suo consenso avendo fatto porre
I duo prigioni in fondo d' una torre.
91. Andaro insieme, ove del letto mosso
Grifon non s' era, poiché fu ferito;
Che, vedendo il fratel, divenne rosso:
Che bea stimò, eh' avea il suo caso udito.
E , poiché motteggiando un poco addosso
Gli andò Aquilante , misero a partito
Di dare a quelli duo giusto martcu'o,
Acanti in man degli avvci'sarj loro.
92. 'iuole Aquilante, vuole il re, che mille
Slra/j ne sieno fatti; ma Grifone,
P(M(;liè non osa dir sol d' Origlile,
Air un<» e air altro vuoi, che si perdono.
Disse assai cose, e mollo bene ordille;
Fogli risposto. Or, per conclusione,
I>lartano é disegnalo in mano al boja,
Clr abbia a scoparlo, e non però che moja.
;225]
ORLANDO FURIOSO, (XVIII. 93-108)
93
94
95.
9G.
97.
98.
100.
Legar Io fanno, e non tra' fiori e l' erba,
E por tutto scopar 1' altra mattina.
Origlile cattiva si riserba
l'incbc ritorni la bella Lucina,
Al cui saggio parere, o lieve, o acerba,
Kinietton quei signor la disciplina.
Quivi stette Aqnìlante a ricrearsi
Fincbè '1 fratcl fu sano , e potè armarsi.
Re Norandin, che temperato e saggio
Divenuto era, dopo un tanto errore,
Non potea non aver sempre il coraggio
Di penitenza pieno e di dolore,
D' aver fatto a colui danno ed oltraggio,
Che degno di mercede era, e d' onore;
Sicché di e notte avca il pensiero intento,
Per farlo rimaner di sé contento:
E statuì, nel pubblico cospetto
Della città di tanta ingiuria rea,
Con quella maggior gloria , che a perfetto
Cavalicr per un re dar si potea,
Di rendergli quel premio, che intercetto
Con tanto inganno il traditor gli avea :
E per ciò fé" bandir per quel paese.
Che farla un' altra giostra indi ad un mese.
Di che apparecchio fa tanto solenne.
Quanto a pompa rcal possibil sia.
Onde la fama con veloci penne
Portò la nuova per tutta Soria,
Ed in Fenicia e in Palestina venne,
E tanto, che ad Astolfo ne die spia,
Il qual col viceré deliberossc,
Che quella giostra senza lor non fosse.
Per guerrier valoroso e di gran nome '
La vera istoria Simsonetto vanta.
Gli die battesmo Orlando, e Carlo, come
V ho detto, a governar la terra santa.
Astolfo con costui levò le some,
Per ritrovarsi, ove la fama canta,
Sicché d' intorno n' ha pi<'na ogni orecchia.
Che in Damasco la giostra s' apparecchia.
Or cavalcando per quelle contrade
Con non lunghi viaggi, agiati e lenti.
Per ritrovarsi fresclii alla cittadc
Poi di Damasco il dì de' torniamenti,
Scontraro, in una croce di due strade,
Persona , che al vestire e a' movimenti
Avea sembianza d' uomo , e femmin' era,
Nelle battaglie a maraviglia fiera.
La vergine Marfisa si nomava.
Di tal valor, che con la spada in mano
Fece più volte al gran signor di Krava
Sudar la fronte, e a quel di Montalbano;
E '1 dì e la notte armata sempre andava
Di qua, di là cercando in monte e in piano
Con cavalieri erranti riscontrarsi,
Ed imnu)rtale e gloriosa farsi.
Coni' ella vide Astolfo e Sansonetto,
Che appresso le veiiian con 1' anno indosso,
Prodi guerrier le parvero all' aspetto,
Ch' erano amhedue grandi, e di bnttn osso;
E, perchè di provarsi avria diletlo,
Per isfidarlì a>ea il destrier già mosso,
Qmmdo, affissando 1' occhio più vicino,
Conosciuto ebbe il duca paladino.
[228]
101. Della piacevolezza le sowenne
Del cavalier, quando al Calai seco era,
E lo chiamò per nome , e non si tenne
La man nel guanto , e alzossi la visiera,
E con gran festa ad abbracciar lo venne,
Comechè sopra ogn' altra fosse altiera.
Non men dall' altra parte riverente
Fu il paladino alla donna eccellente.
102. Tra lor si domandaron di lor via;
E poich' Astolfo , che prima rispose,
Narrò, come a Damasco se ne già,
Dove le genti in arme valorose
Avea invitato il re della Soria,
A dimostrar lor opre virtuose:
MarCsa, semjìre a far gran pruove acoesa.
Voglio esser con voi, disse, a questa impresa.
103. Sommamente ebbe Astolfo grata quc^(a
Compagna d' arme, e così Sansonetto.
Furo a Damasco il di innanzi la festa,
E di fuora nel borgo ebbon ricetto;
E sin all' ora, che dal sonno desta
L' Aurora il vecchiarel già suo diletto,
Quivi si riposar con maggior agio,
Che se smontati fossero al palagio.
104. E poiché il nuovo sol lucido e chiaro
Per tutto sparsi ebl)e i fulgenti raggi.
La bella donna e i duo guerrier s' ai'maro,
Mandato avendo alla città messaggi,
(/he, come tempo fu. lor rapportare,
Che per veder spezziir frassini e faggi,
Re IVorandino era venuto al loco,
Ch' avea costituito al fiero gioco.
105. Senza più indugio alla città ne vanno,
E per la via maestra alla gran piazza.
Dove, a>pettando il real segno, stanno
Quinci e quindi 1 guerrier di buona razza.
I premj , che quel giorno si daranno
A chi vince, è uno stocco ed una mazza,
Guerniti riccamente , e un destrier , quale
Sia convenevol dono a un signor tale.
lOG. Avendo Norandin fermo nel core,
Che , come il primo pregio , il secondo anco,
E d' ambedue le giostre il sommo onore
Si debba guadagnar Grifone il bianco;
Per dargli tutto quel, eh' uoni di valore
Dovrebbe aver, né dcbbe far con manco.
Posto con r arme in questo ultimo pregio
Ila stocco e mazza, e de^trier molto egregio.
107. L' arme , che nella giostra fatta dianzi
Si doveano a Gril'on , che "I tutto vinse,
E che usurpate avea con tristi avanzi
Martano , che Grifone esser ci finse,
Quivi si fece il re pendere innanzi,
E il ben guernito stocco a quelle cinse,
E la mazza all' nrcion del dcslrier messe,
Perchè Grifon 1' un pregio e l' altro avesse.
108. ìMa che sua intenzione avesse efTetto,
\ ietò quella magnanima guerriera,
('he con A.-tnllo e col buon Sansonetto
In pia/za niio\amfn(e venuta era.
('ostei , vedendo 1' arme, eh' io v' ho detto.
Subito n' ebb«' conoscenza vera ;
Perocché già sue furo, e 1' ebbe rare,
Quanto si suol le cose ottime e rare ;
15
[227]
ORLANDO FURIOSO. (XVIII. 109-124)
[228]
109.
110.
111.
113.
Benché 1' avea lasciate in sulla strada
A quella volta, che le fur d' impaccio.
Quando , per riaver sua buona spada,
Correa dietro a Brunel dep;no di laccio.
Questa istoria non credo che m' accada
Altramente narrar , però la taccio :^
Da me vi basti intendere, a che guisa
Quivi trovasse I' arme sue Marfìsa.
Intenderete ancor , che , come 1' ebbe
Riconosciute a manifeste note,
Per altro , che sia al mondo , non le avrebbe
Lasciate un di di sua persona vote.
Se più tenere un modo , o un altro debbe
Per raccjuistarle, ella pensar non puote;
Ma se gli accosta a un tratto , e la man stende,
E senz' altro rispetto se le prende.
E per la fretta, eh' ella n' ebbe, avvenne
Ch' altre ne prese, altre raandonne in terra.
Il re, che troppo offeso se ne tenne.
Con uno sguardo sol le mosse guerra;
Che '1 popol , che 1' ingiuria non sostenne.
Per vendicarlo, e lance e spade afferra,
Kon l'amracntando ciò, che i giorni innanti
Nocque il dar noja ai cavalieri erranti.
Né fra vermigli fiori , azzurri e gialli,
A'ago fanciullo alla stagion novella,
]Nè mai si ritrovò fra suoni e balli
Più volentieri ornata donna e bella.
Che fra stre])ito d' arme e di cavalli,
E fra punte di lance e di quadrclla,
Dove si sparga sangue , e si dia morte,
Costei si trovi, oltre ogni creder forte.
Spinge il cavallo, e nella turba sciocca
Con r asta bassa impetuosa fere,
E chi nel collo, e chi nel petto imbrocca,
E fa con 1' urto or questo, or quel cadere.
Poi con la spada uno ed un Jiltro tocca,
E fa qual senza capo rimanere,
E qual con rotto , e qual passato al fianco,
E qual del braccio privo , o destro , o manco.
114. L' ardito Astolfo e '1 forte Sansonetto,
Ch' avean con lei vestita e piastra e maglia,
Benché non venner già per tal effetto.
Pur, vedendo attaccata la battaglia,
Abbassan la visiera dell' elmetto,
E poi la lancia per quella canaglia;
Ed indi van con la tagliente spada
Di qua di là , facendosi far strada.
I cavalier di naziim diverse,
Cir erano per giostrar quivi ridutti,
Vedendo 1' arme in tal furor (onverse,
E gii aspettati giochi in gravi lutti,
Cile la ciigion eli' avesse; di dobu'sc
lia plebe irata, non sapeano tutti,
IVè che al re tanta ingiuria fosse fatta,
Stavan con dubiiia mente, e stupefatta:
Di che altri a favorir la turba venne,
C'Iic tardi poi n(ui se ne fu a p(;ntire;
Altri , a cui la città più non attenne,
Clic gli ^trani(•ri , ar<<ir»e a dipartire;
Altri, più maggio, in man la hriglia tenne,
ÌMirandit, doNd quc>to avesse a uscire.
Di quelli fu (iriloiu;, «d Aquilaiite,
Che per vendicar l arme andaro innante.
113
115.
IH).
117. Essi , vedendo il re , che di veneno
Avea le luci inebriate e rosse,
Ed essendo da molti istrutti appieno
Della cagion, che la discordia mosse,
E parendo a Grifon, che sua non meno,
Che del re Norandin, 1' ingiuria fosse;
S' avean le lance fatte dar con fretta,
E venian fulminando alla vendetta.
118. Astolfo, d' altra parte , Rabicano
Venia spronando a tutti gli altri innante,
Con i' incantata lancia d' oro in mano,
Che al fiero scontro abbatte ogni giostrante.
Feri con essa, e lasciò steso al piano
Prima Grifone, e poi trovò Aquilaute,
E dello scudo toccò 1' orlo appena.
Che lo gettò riverso in sull' arena.
119. I ca^ alier di pregio e di gran pruova
Votan le selle iiuianzi a Sansonetto.
L' uscita della piazza il popol trova.
Il re n' arrabbia d' ira e di dispetto.
Con la i)rima corazza e con la nuova
Marfisa intanto , e V uno e 1' altro elmetto,
Poiché si vide a tutti dare il tergo,
Vincitrice venia verso 1' albergo.
120. Astolfo e Sansonetto non fur lenti
A seguitarla, e seco a ritornarsi
Verso la porta (che tutte le genti
Le davan loco) , ed al rastrel fermarsi.
Aquilaute e Grifon , troppo dolenti
Di vedersi a un incontro riversarsi,
Tenean per gran vergogna il capo chino,
]\é ardian venire innanzi a IVorcUidino.
121. Presi e montati eh' hanno i lor cavalli.
Spronano dietro agi' inimici in fretta.
Lì segue il re con molti suoi vassalli.
Tutti pronti o alla morte , o alla vendetta.
La sciocca turba grida: Dalli, dalli;
E sta lontana, e le novelle aspetta.
Grifone arriva, ove volgean la fronte
1 tre compagni , ed avean preso il ponte.
122. A prima giunta Astolfo raffigura,
I Che avea quelle medesime divise,
I Avea il cavallo, avea quell' armatura,
Cli' ebbe dal di, che Orril fatale uccise.
ISé miratol , né posto gli avea cura,
Quando in piazza a giostrar seco si mise.
Quivi il conoblte, e salutollo, e poi
Gli domandò delli compagni suoi ;
123. E perché tratto avean quell' arme a terra.
Portando al re si poca riverenza.
De' suoi compagni il duca d' Inghilterra
Diede a Grifon non falsa conoscenza.
D(!ir arme, eh' attaccata avean la guerra.
Disse, (;lie non n' avea troppa scienza:
Ma, perché con Marfisa era venuto,
Dar le volea con Sansonetto ajutu>
124. Quivi c(ui Grifon stando il paladino,
Viene; Aquilaute, e lo <;onosce tosto,
('Ile parlar col fratel T ode vicino,
E il voler cangia, eh' era mal ilispostn.
Giuiigcan moki di (pici di INOrandiiio,
Ma troppo non ardiaii venire ac(;ostu;
E tanto più, veiicndi» i |>arlam(;iiti.
Stavano cheti , e per udire intenti.
229]
ORLANDO FURIOSO. (XVUI. 125-140)
123. Alcun, che intende quivi esser Marfisa,
Che tiene al mondo il vanto in esser forte,
Volta il cavallo, e Norandino avvisa.
Che , s' oggi non vuol perder la sua corte,
Proveggìa, priniachè sia tutta uccisa.
Di man trarla a Tisiifone e alla morte;
Perchè Marfisa veramente è stata,
Che r armatura in piazza gli ha levata.
L'iO. Come il re Norandin ode quel nome
Cosi temuto per tutto Levante,
Che facea a molti anco arricciar le chiome.
Benché spesso da lor fosse distiinte;
E certo, che ne debbia venir, come
Dice quel suo, se non pro'Jcde innante.
Però li suoi, che già mutata l' ira
Hanno in timore, a sé richiama e tira.
i27. Dall' altra parte , i figli d' Oliviero
Con Sansonctto e col figliuol d' Ottone
Supplicando a Marfisa, tanto fero.
Che si die' fine alla crudcl tenzone.
Marfisa, giunta al re, con viso altero
Disse: Io non so, signor, con che ragione
Vogli quest' arme dar, che tue non sono.
Al vincitor delle tue giostre in dono.
.28. Mie son quest' arme, e 'n mezzo della via.
Che vien d' Armenia, un giorno le lasciai,
Perchè seguire a più mi convenia
Un rubator, che m' avea offesa assai.
E la mia insegna testimon ne fia.
Che qui si vede, se notizia n' liaì.
E la mostrò con la corazza impressa,
Ch' era in tre parti una corona fessiu
.29. Gli è ver , rispose il re , che mi fur date,
Son pochi dì, da un mercatante armeno:
E , se voi me l' aveste domandate,
L' avreste avute, o vostre, o no die sieno:
Che, a^vengach' a Cìrifon già 1' ho donate,
Ho tanta fede in lui , che nondimeno,
Per<;hè a voi darle avcsfi anche potuto,
Volentieri il mio don m' avria renduto.
30. Non bisogna allegar, per farmi fede.
Che vostre si«!n, «;hc tengan vostra insegna;
Basti il dirmelo voi; che vi ^i crede
Più, eli' a qual altro testimonio vegna.
Che vostr*; sian vostr' arme , si concede
Alla \irtii dì maggior premio degna.
Or ve r alibiate, e più non si contenda;
E Grifon maggior premio da me prenda!
131. Grifon, «he poco a core av(!a quell' arme,
Ma gran di»io , che 'l re si satisfaccia,
Gli dis^e: Assai potete couipciisarme,
Se mi fate sap<;r, eli' io ^i compiaccia.
Tra sé dist-e i>Iarfi>a: esser qui parmc
li' onor mio in tutto. 1] <-on benigna faccia
A olle; a (ìril'oii dell' arnu; esser cortese,
E iinaluiente in tlon da Ini le prese.
132. Nella città con pace e <:on amore
Tornaro, o\e U: fott; raddoppiarsi.
Poi la giostra si le', di die i onore
E 'I pregio a Sansoiielto lece darsi:
('he Astolfo V i duo fratelli, e la migliore
Di lor, Marfi>a , non \olsou |)ro\arsi;
('ercando, couu; amici v buon compagni,
Che Sansonctto il pregio ne guatlagni.
[230]
133. Stati che sono in gran piacere e in festa
Con Norandino otto giornate o dicce.
Perchè 1' amor di J'rancia li molesta.
Che lasciar senza lor tanto non lece,
Tolgon licenzia ; e ■Marfisa , che questa
Via disiava, coni[)agnia lor fece.
Marfisa avuto avea lungo desire
Al paragon de' paladin venire,
134. E far esperienza, se 1' effetto
Si pareggiava a tanta nominanza.
Lascia un altro in suo loco Sansonctto,
Che di Gerusalcm regga la stanza.
Or questi cinque in un drappello eletto,
Che pochi pari al mondo han di possansa.
Licenziati dal re Norandino,
"\ anno a Tripoli , e al mar , che v' è vicino.
135. E quivi una caracca ritrovaro,
Che per ponente mercanzie raguna.
Per loro e pe' cavalli s' accordare
Con un vecchio padron, eh' era da Luna.
Mostrava d' ogni intorno il tempo chiaro,
Ch' avrian per molti di buona fortuna.
Sciolser dal lito, avendo iu-ia serena,
E di buon vento ogni lor vela piena.
136. L' isola sacra all' amorosa Dea
Diede lor sotto un' aria il primo porto,
Cile, non eh' a offender gli uomini sia rea.
Ma stempra il ferro , e quivi è il v iver corto.
Cagion n' è un stagno , e certo non dovea
Natura a Famagosta far quel torto,
D' appressarle Costanza acre e maligna,
Quando al resto di Cipro è sì benigna.
137. Il grave odor, che la palude esala.
Non lascia al legno far troppe» soggiorno.
Quindi a un greco levante spiegò ogni ala.
Volando da man destra a Cipro intorno,
E surse a Pafo , e pose in terra scala,
E i naviganti usiùr nel lito adorno,
Chi per mercé levar, chi per vedere
La terra d' amor piena e di piacere.
138. Dal mar sei miglia o sette , a poco a poco
Si va salendo in verso il colle ameno.
Mirti e cedri, e naranci , e lauri il loco,
E mille altri soavi arbori han pieno.
Serpillo e persa, e rose , e gigli , e croco
Spargcui dall' odorifero terreno
l'anta soavità , che in mar sentire
La fa ogni vento , che da terra spire.
139. Da limpida fontana t(itt<i quella
Piaggia rigando va un ruscd fecondo.
Ben si può dir, che sia di \ Ciurr bella
Il luogo diletlevoh^ e giocondo;
Che v' è ogni donna allatto, ogni donzella
Pia(-e\ol più, eh' altrove sia nel uu)ndo,
K fa la l)ea, che tutte arduo d' amore,
Gio>ani e vecchie inlino all' ultime ore.
140. Qui\i tidono il uu-ile>ÌMio, che udito
Di iiucina e ddl' orco li.unio in Soria,
y. ci>me dì tornare ella a marito
Facea nuo\o apparecchio in \icosia.
Quinili il padroni; (essendosi e>pedito,
V. spiranilo buon vento alla sua >ìa)
li' luicore sarpa , e fa girar la proda
Aersu ponente, ed ugni vela «nodu.
15 *
[231]
ORLANDO FURIOSO. (XVIII. 141 — 150)
[2321
141. Al vento di niac.>tro alzò la nave ;149>
Le vele all' orza, ed allargossi in alto. :
In ponente lìbecchio, «-lie j^oave i
Parve a inincipio, e finché '1 sol stette alto.
E poi si fé' verso la sera j;^rav<\ !
Le leva incontra il mar con fiero a^^salt(», [
Con tanti tnoni e tanto ardor (ii lampi, \
Che par che '1 del si spezzi e tutto avvampi. '
142. Stcndon le r.iiJ)i un tenebroso velo, 150.
Che né sole apparir lascia , né stella. |
Di sotto il mar , di sopra nnigge il cielo, j
Il vento d' ogni intorno , e la jiroreìla, (
Che di pioggia oscnris>inia e di gelo |
I naviganti miseri flagella: |
E la notte più sempre si dilTonde I
Sopra r irate e formidabil onde. j
143. I naviganti a dimostrare effetto 151.
Vanno dell' arte, in che lodati sono: 1
Chi discorre fischiando col fraschetto, |
E quanto han gli altri a far, niostr.i col suono ■
Chi r ancore apparecchia da rispetto,
E chi a mainare, e chi alla scotta é buono; j
Chi 'I timone, chi 1' arbore assicura, !
Chi la coperta di sgombrare ha cura.
144. Crebbe il tempo crudel tutta la notte 152.
Caliginosa e più scura , che inferno.
Tien per l' alto il padrone, ove men rotte
Crede 1' onde trovar, dritto il governo,
E volta ad ora ad or contra le botte
Del mar la proda, e dell' orribil verno;
Non senza speme mai , che , come aggiorni,
Cessi Fortuna, o più placabil tornì.
145. Non cessa , e non si placa , e più furore
Mostra nel giorno; se pur giorno é questo, j
Che si conosce al numerar dell' ore,
Non che per lume già sia manifesto. !
Or con minor speranza, e più timore
Si dà in poter del vento il padron mesto : |
Volta la poppa all' onde, e il mar crudele
Scorrendo se ne va con umll vele.
14G. Mentre Fortuna in mar questi travaglia, 154.
ÌVon lascia anco posar quegli altri in terra, j
Che sono in Francia, ove s' uccide e taglia [
Co' Saracini il popol d' Inghilterra.
Quivi Rinaldo assale, apre e sbaraglia j
Le schiere avverse, e le bandiere attei-ra.
Di-ssi di lui , che 'l suo destrier Bajardo i
Mosso avca contra Dardinel gagliardo. !
147. Vide Rinaldo il segno del «juartiero, 155.
Di che superbo era il figlinol d' Almonte;
E lo stimò gagliardo e buon guerriero, |
(Jhc concorrer d' insegna ardia col conte. i
A enne più appresso, e gli parca più vero; j
('he avea d' intorno uomini uccisi a monte. ,
Meglio é, gridò, che prima io svella e spenga 'f
Que^to mal germe, che maggior divenga. '
148. Dovunque il viso drizza il paladino, 1156.
liCvaKi ognuno, e gli dà larga strada. |
>é men sgombra il Fedel, che '1 Saracino; '
Si riverita è la famosa spada! '
Rinaldo , fuorché Dardinel meschino, '
Non vede alcinio , e lui seguir n(m bada,
(irida: Fanciullo, gran briga ti diede
Chi ti lii8<-iò di qucbto scudo crede.
153
Vengo a te per provar, se tu m' attendi,
Come ben guardi il quartier rosso e bianco ;
Che s' ora contra me non lo difendi.
Difender contra Oliando il potrai inanro.
Risposv? Dardinello: Or chiaro apprendi,
Che, s' il) lo porto, il so difender anco;
E guadagnar più onor, che briga posso
Del paterno quartier candido e rosso.
Perché fanciullo io sia, non creder farnie
Però fuggire, o che '1 quartier ti dia!
La vita mi torrai , se mi toi 1' arme :
Ma spero in Dio, eh' anzi iì contrario fia.
Sia quel che vuol , non potrà alnm biasmarme
Che mai traligni alla progenie mia.
Così dicendo , con la spada in mano
Assalse il civalier da Montalbano.
Un timor freddo tutto '1 sangue oppresse,
Che gli Africani aveano intorno al core,
Come viiier Rinaldo, che si messe
Con tanta ralibia incontra a quel signore.
Con quanta andria un leon, eh' al prato avesse
Visto un torci, che ancor non senta amore,
il primo che ferì, fu il Saracino;
Ma picchiò invan suli' elmo di Mambrino.
Rise Rinaldo, e disse: Io vo' ta senta,
S' io so meglio di te trovar la vena.
Sprona, e a un tempo al destrier la briglia allenta.
E d' una punta con tal forza mena,
D' una punta , eh' al petto gli appresenta,
Che gli la fa a])parir dietro alla schiena.
Questa trasse, al tornar, l' alma col sangue;
Di sella il corpo uscì freddo ed esangue.
Come purpureo fior languendo more,
Che '1 vomere al passar tagliato lassa;
O come , carco di soa erchio umore.
Il papaver nell' orto il capo abbassa:
Così , giù della faccia ogni colore
Cadendo , Dardinel di vita passa.
Passa di vita, e fa passar con luì
L' ardire e la virtù di tutti i sui.
Qual soglion '1 acque per umano ingegno
Stare ingorgate alcuna volta , e chiuse.
Che, quando lor vien poi rotto il sostegno,
Cascano, e van con gran rumor diffuse:
Tal gli African, che avean qualche ritegno,
Mentre virtù lor Dardinello infuse,
Ne Aanno or sparti in questa parte e in quella
Che r han veduto uscir morto di sella.
Chi vuol fuggir, Rinaldo fuggir lassa,
Ed attende a cacciar chi vuol star saldo.
Si cade ovtmque Ariodantc passa,
Che molto va qtiel dì presso a Rinaldo.
Altri Lionctto, altri Zerbin fracassa,
A gara ognuno a far gran pruo^e caldo.
Carlo fa il suo dover, lo fa Oliviero,
Turpino e Guido, e Salomone e Uggiero.
I Mori fur quel giorno in gran periglio,
Che 'n Pagania non ne tornasse testa.
Ma 'I saggio re di Spagna dà di piglio,
E se ne va <-on quel , clu; in man gli resta.
Restar»! in ilanno tien miglior consiglio,
(;iic tutti i dcnar perdere e la vesta.
Meglio é ritrarsi e salvar qualche schiera.
Clic, stando, esser cugiun, eho '1 tutto pera.
iS
i
"233]
ORLANDO FURIOSO. (XVIII. 157-172)
[234]
ir^T, Verso gli alloggiamenti i segni invia,
Ch' eran serrati d' argine e di fosisa,
Con Stordilan , eoi re d' Andologia,
Col Portughe»e in una squadra grossa.
Manda a pregare il re di Barbarla,
Che si cerchi rìtrar meglio che possa;
E, se quei giorno la persona e '1 loco
Potrà salvar , non avrà fatto poco.
158. Quel re, che si tenca spacciato al tutto,
Né mai credea più riveder Biserta,
Chi; con viso sì orribile e sì brutto
Unquanco non arca Fortuna esperta,
S' allegrò , clic Marsilio avca ridotto
Parte del campo in sicurezza certa,
Ed a ritrarsi cominciò , e a dar volta
Alle bandiere, e fé' suonar raccolta.
I5y. Ma la più parte della gente rotta
Né tromba, né tainbur, né segno ascolta.
Tanta fu la viltà, tanta la dotta.
Che in Senna se ne vide allogar molta.
11 re Agramante vuol ridar la frott.; ;
Seco ha Sobrino, e van scorrendo in volta;
E con lor s' affatica ogni buon duca,
Che ne' ripari il campo si riduca.
GO. Ma né il re, né Sobrio, né duca alcuno
Con prieghi, con minacce e con affanno
Ritrar può il terzo , non eh' io dica ognuno,
Dove 1' irtsegne mal seguite vanno.
Morti o fuggiti ne son due per uno,
('iie ne rimane, e quel non senza danno.
Ferito é chi di dieti'o, e chi davanti,
Mii travagliati e lassi tutti quanti.
GÌ. E con gran tema sin dentro alle porte
De' forti alloggiamenti ebbon la caccia :
Ed era lor quel luogo anco mal forte,
Con ogni provveder, che vi si faccia;
Cl>é ben pigliar nel crin la buona sorte
Carlo sapea, quando volgea la faccia;
Se non venia la notte tenebrosa,
Che staccò il fatto, ed acquetò ogni cosa,
G2. Dal Creatore accelerata forse,
Che della sua fattura ebbe pietade.
Ondeggiò il sangue per campagna, e corse,
Come un gran fìnuu;, e dilagò le strade.
Ottantamila corpi numerorse,
(^he l'iir quel dì messi per fìl di spade;
\ illanì , e lupi us(;ìr poi delle grotte
A dispogliarli e a divorar, la notte.
fio. Carlo non torna più dentro alla terra,
IMa contra gì' inimici fuor s' accampa,
Ed in assedio le lor t(!nde serra.
Ed alti e spessi fuochi intorno avvampa.
Il pagan si provvede e cava terra,
Fos^i e ripari e bastioni stampa.
\:i rivedendo, e ticn le guardie deste;
Né tutta notte mai 1' arme si svelte.
M. Tutta la notte, per gli alloggiaujenli
De' mal numi Saracini oppres^i.
Si vcrsau pianti , gemiti e lamenti,
M.ì . (pianto pili si può, cheti e soppicssi;
Altri, penile gli aniiri hanno, e i patx-iili
Labiali morii; ed altri per sé stessi,
(Ile SOM fcrili, o con disagio stanno:
Ma più i; la tema del futuro danno.
1G5
166.
167.
188.
Duo 3Iori Ivi ixa gli altri si trovaro
D' oscura stirpe nati in Tolomitta,
De' quai 1' istoria, per esempio raro
Di vero amore, é degna esser descritta.
Cloridano e Medor si nominaro,
Ch' alla fortuna prospera e all' afflitta
Aveano sempre amato Dardinello,
Ed or passato in Francia il mar con quello.
Cloridan, cacciator tutta sua vita,
Di robusta persona era ed isnella.
Medoro avea la guancia colorita,
E bianca, e grata nell' età novella;
E fra la gente a quella impresa uscita
Non era faccia più gioconda e bella.
Occhj avea neri , e chioma crespa d' oro,
Angel parea di quei del sonmio coro.
Erano questi duo sopra i ripari
Con molti altri, a guardar gli alloggiamenti,
Quando la Notte fra distanze pari
]\lirava il ciel con gli occhj sonnolenti.
Medoro quivi in tutti i suoi parlari
Non può far, che '1 signor suo non rammenti
Dardinello d' Almonte, e che non piagna,
Che resti senza onor nella campagna.
Volto al compagno, disse: 0 Cloridano,
Io non ti posso dir, quanto m' incres«;a
Del mio signor, che sia l'imaso al piano,
Per lupi e cerbi , oimé ! troppo degna esca ;
Pensando , come sempre mi fu umano,
Mi par, che, quando ancor questa anima esca
In onor di sua fama, io non compensi.
Né sciolina verso lui crii obblighi immensi.
1G9.
Io voglio andar, perché non stia insepulto
In mezz(» alla campagna, a ritrovarlo:
E forse Dio vorrà, eh' io vada occulto
Là , dove tace il campo del re Carlo.
Tu rimarrai: che, quando in t:iel sia sculto,
Ch' io vi debl)a morir, potrai narrarlo;
Che, se Fortuna vieta si beli' opra.
Per fama almeno il mio buon cor si scopra.
110. Stupisce Cloridan , che tanto core,
Tanto amor, tanta fede abbia un fanciullo,
E cerca assai, perché gli porta auu)re.
Di fargli quel pensiero irrito e nullo:
Ma non gli vai, perché un sì gnin doIoiiB
Non riceve conforto, né trastullo.
I\ledoro era disposto o di morire.
O nella tomba il stm signor coprire.
ITI. Veduto che noi piega e che noi move,
Cloridan gli risponde: E verrò anch' io.
Anch' io vo' pormi a sì lodevol )irovc ;
Anch' io famosa morte amo e disio.
Qual cosa sarà unii, che più mi giove,
S' io roto senza te, Medoro mio.''
Morir tcco con l' arme è iiu-glio iiu>I(o,
Che poi di diu>l, se avvien che mi sii tolto.
172. Cosi disposti , misero in quel loco
Le succes>i^e guardie , e se ne vanno.
Eascian fosse e stcìcati , e dopo poco
Tra' nostri son, che senza cura stanno.
Il campo donne, O tutto è spento il fuoco.
Perché de" Saracin poca tema hanno.
Tra r urine e carriaggi stan ridersi.
Nel vin, nel sonno iusiiio agli occhj iininrr>i.
[235]
ORLANDO FURIOSO. (XVDI. 17S-188)
173. Fci-mossì alquanto Cloridano e disse:
ìN'on son mai da lasciar 1' occasioni.
Di questo stuol, «he '1 mio signor trafisse,
]Non debito far, Medoro, occisioni.'*
Tu, porcile sopra alcun non ci venisse,
Gli occlij e gli orecchj in ogni parte poni;
Ch" io m' ofterisco farti con la spada
Tra gì' inimici spaziosa strada.
174. Così disse egli , e tosto il parlar tenne,
Ed entrò dove il dotto Alleo dormia,
Che r anno innanzi in corte a Carlo renne, •
Medico e mago, e pien d' astrologia.
Ma poco a questa volta gli sovvenne;
Anzi gli disse in tutto la bugia.
Predetto egli s' avea, che d' anni pieno
Dovea morire alla sua moglie in seno;
175. Ed or gli ha messo il cauto Saracino
La punta della spada nella gola.
Quattro altri uccide appresso all' indovino.
Che non han tempo a dire una parola.
Mcnzion de' nomi lor non fa Turpino,
E il lungo andar le lor notizie invola;
Dopo essi Palidon da Moncalieri,
Clic sicuro dormia fra duo destrieri.
176. Poi se ne vicn, dove col capo giace
Appoggiato al barile il miscr Grillo.
Avealo voto, e avea creduto in pace
Goder un sonno placido e tranquillo.
Troncogli il capo il Saracino audace;
Esce col sangue il vin per uno spillo.
Di che n' ha in corpo più d' una bigoncia;
E di ber soglia, e Cloridan lo sconcia.
177. E presso a Grillo, un Greco ed un Tedesco
Spegne in duo colpi , Andropono e Corrado,
Che della notte avean goduto al fresco
Gran parte , or con la tazza , ora col dado.
Felici, se veggliiar sapeano a desco,
rinchè dell' Indo il sol passasse il guado!
Ma non polria negli uomini il destino.
Se de! futuro ognun fosse indovino.
178. Come imjìasto leone in stalla piena.
Che lunga fame abbia smagrito e asciutto,
Uccide, scanna, mangia, e a strazio mena
L' infermo gregge in sua balia condutto;
Così il crudcl pagan nel sonno svena
La nostra gente, e fa macel per tutto.
La sjtada di Medoro anco non ebe ;
Ma si sdegna ferir 1' ignobil plebe.
IT!). Venuto era, ove il duca di Labretto
Con una dama stia dormia abbracciato;
E r un con 1' altro si tenea sì stretto,
Che non saria tra lor 1' aere entrato.
Medoro ud ambi taglia il capo netto;
0 felice moriie ! o dolce fato!
Che come erano i corpi , ho così fede
Cir andar 1' alme abbracciate alla lor eeile.
180. Malindo uccise, e Ardalii-o il fratello.
Che del < onte di Fiandra <rano iigli ;
E r mio i; r altro ca%alier no\eilo
Fatto n\<-ii ('arlo, e aggiunto all' arme i
l'ercliè il giorno ambedirtr «l' o>til mattilo
(y'on gli htiicchi Ituiiar AÌde vermigli.
E terre in l"ri>a a^ea promesso loro,
E date avriu ; ma lo vietò Medoro.
[236]
g'gi'!
181- GF insidiosi ferri eran Aicini
Ai padiglioni, che tiraro in volta
Al padiglion di Carlo i paladini,
Facendo ognun la guardia la sua volta,
Quando dall' empia strage i Saracìni
Trasson le spade, e diero a tempo volta;
Che irapossibil lor par, tra si gran torma.
Che non s' abbia a trovare un, che non dorma.
182, E benché possan gir di preda carchi,
Salvia pur sé, che fanno assai guadagno.
Ove più crede aver sicuri i varchi.
Va Cloridano , e dietro il suo compagno.
Vengon nel campo, ove fra spade ed archi,
E scudi e lance , in un vermiglio stagno
Giaccion poveri e ricchi, e re e vassalli,
E sozzopra con gli uomini i cavalli.
183, Quivi de' corpi 1' orrida mistura,
Che piena avea la gran campagna intorno,
Potea far Aaneggiar la fedel cura
De' duo compagni , insino al far del giorno,
Se non traea fuor d' una nube oscura,
A' prieghi di 3Iedor , la Luna il corno.
Medoro in ciel divotamente fisse
Verso la luna gli occhj , e così disse :
j 164. O santa Dea, che dagli antichi nostri
Debitamente sei detta triforme.
Che in cielo, in terra e nell' inferno mostri
L' alta bellezza tua sotto più forme,
E nelle selve di fere e di mostri
Vai , cacciatrice , seguitando 1' orme ;
]\Iostrami, ove '1 mio re giaccia fra tanti,
Che vivendo imitò tuoi studj csanti !
185. La luna, a quel pregar, la nube apet-sc,
O fosse caso , o pur la tanta fede ;
Bella come fu allor , eh' ella s' offerse,
E nuda in braccio a Endimion si diede.
Con Parigi , a quel lume , si scoperse
L' un campo e 1' altro, e '1 monte e '1 pian sì vede.
Si videro i duo colli di lontano,
Martire a destra, e Lerì all' altra mano.
186. Rifulse lo splendor molto più chiaro,
Ove d' Almonte giacca morto il figlio.
Medoro andò piangendo al signor caro.
Che conobbe il quartier bianco e vermiglio ;
E tutto '1 viso gli bagnò d' amaro
Pianto , che n' nxen un rio sotto ogni ciglio,
In sì dolci atti, in sì dolci lamenti.
Che potea ad ascoltar fermare i >enti:
187. Ma con sommessa voce, e ajipena udita.
Non che risguardi a non si f.ir sentire,
Perch' abbia alcun pensier della sua vita;
Piuttosto r odia, e ne vorrebbe uscire;
Ma per tiuu)r , che non gli sia imp(;dita
L' <»pera pia, che qui>i il fé' Aenire.
Fu il morto re su gli omeri sospeso
Di tramendue, tra lor partendo il peso.
188. A anno affrettando i passi, quanto ponno.
Sotto r amata soma, che gì' ingombra:
E già venia chi della luce è donno.
Le stelle a tor del ciel, di terra 1' ombra.
Quando Zerbino, a cui del petto il sonno
L' alta virlude, ove è bisogno, sgombra,
(cacciato avendo tutta notte i Mori,
Al campo si traea nei primi albori:
[237] ORLANDO FURIOSO. (XVUI. 189-192. XIX. 1—8) [238]
189
190
E seco alquanti cavalieri avea,
Che videro da [unge i duo compagni.
Ciascuno a quella parte si traea,
Sperandovi trovar prede e guadagni.
Frate, bisogna, Cloridan dicea,
Gittar la soma, e dare opra ai calcagni;
Che sarebbe pensier non troppo accorto,
Perder duo vivi per salvare un morto.
E gittò il carco , perchè si pensava,
Che '1 suo Medoro il simil far dovesse:
Ma quel meschin, che '1 suo signor più amava,
Sopra le spalle sue tutto lo resse.
L' altro con molta fretta se n' andava,
Come r amico a paro o dietro avesise.
Se sapea di lasciarlo a quella sorte,
Mille aspettate avria, non eh' una morte.
191. Quei cavalier con animo disposto.
Che questi a render s' abbiano , o a morire,
Chi qua, chi là si spargono, ed han tosto
Preso ogni passo, onde s-i possa uscire.
Da loro il capitan poco discosto
Più degli altri è sollecito a seguire;
Che in tal guisa vedendoli temere,
Certo è , che sian delle nimiche schiere.
192. Era a quel tempo ivi una selva antica,
D' ombrose piante spessa , e di virgulti ;
Che, come labirinto, entro s' intrica
Di stretti calli , e sol da bestie culti.
Speran d' averla i duo pagan sì amica,
Ch' abbia a tenerli entro a' suoi rami occulti
Ma chi del canto mio i>iglia diletto,
Uà' altra volta ad ascoltarlo aspetto
O A N T O D E C I M O N O N O.
ARGOMENTO.
Ucciso è Cloridan, Medor ferito
E vicino a sentir V estremo male :
Poi dalla bella angelica è guarito ;
Ella piagata rf' amoroso strale.
Marfisa co' covipagni intende il rito
Del femminil diuppello marziale:
Nove guerrieri uccide, e con Guidone
Fa poi fino alla notte aspra tenzone.
Alcun non può saper , da chi sìa amato.
Quando felice in sulla ruota siede ;
Perocch' ha i veri e i finti amici allato,
Che mostran tutti una medesma fede.
Se poi fri cangia in triste» il lieto :<tato,
Volta la turba adclatrice il piede;
E quel, che di cor ama, riuian forte,
Ed ama il suo signor dopo la morte.
Se, come il viso, si mostrasse il core,
Tal nella corte è grande, e gli altri prciuc,
E tal è in poca grazia al suo ..migliore,
C'Iie la lor sorte nuiteriaiio insieme.
Qiie«t(» umil diverria tosto il maggiore;
Staria quel grande infra le turbe e.-tremc.
!Vla torniamo a Medor fedele e, grato,
Che in vita e in morte ha il suo sigm)rc aiiiuto.
Cercando già nel più intricato calle
Il giovine ìnf(;lice <ii salv.ir>i;
Ma il gra\e peso, eh' avea sulle spalle,
(ìli Iacea uscir tutti i partiti scarsi.
^nn conoKcr il paese, v la >ia falle,
E torna fra le spine a iiivilMp|*ar>i.
Lungi da lui tratto al sicuro s' era
L' altn», che a\ca la spalla più leggiera.
4'. Cloridan s' è ridutto, ove non sente
Di chi segue lo strepito e '1 rumore.
Ma quando da Medor si vede assente,
Gli pare aver lasciato addietro il core.
Deh ! come fui , dicea , si negligente.
Deh ! come fui sì di me stesso fuore.
Che senza te, Medor, qui mi ritrassi,
]Nè sappia, quando, o do\e io ti iodciassi!
5. Così dicendo, nella torta via
Dell' intricata selva si ricaccia.
Ed . onde era venuto , si ravvia,
E torna di sua morte in sulla traccia.
Ode i cavalli e i gridi tuttavia,
E la nimica voce, che minaccia;
All' ultimo ode il suo 3ledoro, e vede,
Clic tra molti a cavallo è solo a pietle.
6. Cento a cavallo — e gli son tutti intorno —
Zerbin comanda , e grida , die sia preso.
L' infelice s' aggira , come un torni»,
E, quanto può, si tien da h>r difeso.
Or dietro quin-cia. or olmo, or faggio, or orno,
INè si discosta mai dal caro pc^o.
L' ha riposato allìn snll' erba, quando
Regger noi puote , e gli va intorno errando:
7. C(»me orsa, che l" alpestre cac-t latore
Aella pietrosa tana assalita ablìia.
Sta s(»pra i figli c(»n incerlo core.
E freme in suono di pietà e di rabbia.
Ira la invita, e naturai furore
A spiegar V ugne, e a insanguinar le labbia.
Amor la intenerisce, e la ritira
A riguardare ai lìgli in mezzo all' ini.
8. Cloridan, che non sa, ctìine 1" ajnli,
E cir «rssi-r vuole a nH»rir seco ancora.
Ma non die in nu>rte prima il >ivcr imiti,
('h(; vi.i non Inni, o*e più d' \ì\ì ne mora;
Mette siiir an-o un de' suoi strali acuti.
E nascoso con (|ud si ben laxora.
(;iie fora ad uno Scotto le cervella.
E bciiza vita il fa cader di sdlii.
[2391
ORLANDO FURIOSO. (XIX. 9—24)
[240J
!>. Vulg;on»i tutti ^li altri a quella banda,
Onde era uscito il calamo oiuicida.
Intiinto un altro il Saracin ne manda.
Perchè 'l secondo allato al primo uccida;
Che mentre in fretta a questo e a quel domanda,
Ch tirato al)l)ia l' arco , e forte grida.
Lo strale arriva , e gli passa la gola,
E gli taglia per mezzo la parola.
10. Or ZerLin , eh' era il capitano loro,
Non potè a questo aver più pazienza.
Con ira e con furor venne a Medoro,
Dicendo: Ne farai tu penitenza.
Stese la mano in quella chioma d' oro,
E strascinollo a sé con violenza:
]\Ia, come gli occhj a quel bel volto mise,
Gli ne venne pietade, e non 1' uccise.
11. Il giovinetto si rivolse a' prieghì,
E disse: cavalier, per lo tuo Dio,
Non esser si crudel, che tu mi nieghi,
Ch' io seppellisca il corpo del re mio !
Non vo' eh' altra pietà per me ti pieghi.
Né pensi , che di vita abbia disio.
Ho tanta di mia vita, e non più, cura,
Quanta, che al mio signor dia sepoltura.
12. E se pur pascer vuoi fiere ed augelli.
Che in te il furor sia del teban Creonte,
Fa lor ccmvito de' mici membri, e quelli
Seppellir lascia del figliuol d' Almontc!
Così dicea Medor con modi belli,
E con parole atte a voltare un monte;
E si commosso già Zerbino avea.
Che d' amor tutto, e di pietade ardea.
13. In questo mezzo un cavalier villano.
Avendo al suo signor poco rispetto.
Ferì con una lancia sopra mano
Al supplicante il deliciito petto.
Spiacque a Zerbin l' atto crudele e strano
Tanto più , che del colpo il giovinetto
A ide cader sì sbigottito e smorto.
Che in tutto giudicò, che fosse morto.
11. E se ne sdegnò in guisa, e si ne dolse.
Glie disrie: Invendicato già non fia.
E pien di mal talento si rivolse
Al cavalier, che fé' 1' impresa ria.
Ma quel prese vantaggio , e se gli tolse
Dinanzi in un momento , e fuggì via.
Cl«)ridan, che Medor vede per terra,
Salta del bosco a discoperta guerra,
15. E getta r arco, e tutto pien di rabbia
Tra gì' inimici il ferro intorno gira.
Più per morir, che per pensicr, eh' egli abbia
Di far vendetta , che pareggi 1' ira.
Del proprio sangue rosseggiar la sabbia
Fra tante spade, e al Ha venir si mira;
E tolto che si sente ogni pitterò.
Si lascia accanto il suo Medor cadere.
16. Seguon gli Scotti, ove la guida loro
l'cr I' alta selva alto disdegno mena,
l'oichù lasciato ha 1' uno e I' altro Moro,
L' un morto in tutto, e 1' altro \ivo appena,
(ìiacque gran pezzo il giovane Medoro,
Spicciando il ««angiie da ^i larga vena,
Che di sua vita al fìn saria venuto.
Se non surpravvenia chi gli die' ajuto
17.
Gli sopravvenne a caso una donzella
Avvolta in pastorale ed uraii veste.
Ma di real presenzia, e in viso bella,
D' alte maniere, e accortamente oneste.
Tanto è, eh' io non ne dissi più novella,
Che appena riconoscer la dovreste.
Questa, se noi sapete. Angelica era,
Del gran Cau del Catai la figlia altera.
18
19
21
Poiché '1 sno anello Angelica riebbe,
Di che Brunel 1' avea tenuta priva.
In tanto fasto, in tanto orgoglio crelibe,
Ch' esser parca di tutto '1 mondo schiva.
Se ne va sola , e non si degnerebbe
Compagno aver qual più famoso viva.
Si sdegna a rimembrar, che già suo amante
Abbia Orlando nomato, o Sacripante:
E sopra ogn' altro error via più pentita
Era del ben , che già a Rinaldo v olse.
Troppo parendole essersi avvilita,
Che a riguardar sì basso gli occhj volse.
Tanta arroganza avendo Amor sentita,
Più lungamente comportar non volse.
Dove giacca Medor, si pose al varco,
E r aspettò , posto lo strale all' arco.
20. Quando Angelica vide il giovinetto
Languir fei-ito, assai vicino a morte,
Che del suo re, che giacca senza tetto.
Più che del proprio mal , si dolca forte
Insolita pietade in mezzo al petto
Si senti entrar per disusate porte.
Che le fé' il duro cor tenero e molle,
E più, quando il suo caso egli narroUc.
E rivocando alla memoria 1' arte.
Che in India imparò già, di chiurgia,
(Che par , che questo studio in quella parte
Nobile e degno, e di gran laude sia,
E senza molto rivoltar di carte,
Che '1 padre ai figli ereditario il dia)
Si dispose opi rar con succo d' erbe,
Che a più matura vita lo riserbe.
E ricordossi , che passando avea
V^eduta un' erba in una piaggia amena.
Fosse dittamo , o fosse panacea,
O non so qual , di tal elTetto piena.
Che stagna il sangue, e della piaga rea
Leva ogni spasmo e perigliosa pena.
La trovò non lontana; e, quella colta.
Dove lasciato avea Medor, die' volta.
23. Nel ritornar s' incontra in un pastore.
Che a cavallo pel bosco ne venita
Cercand<» una giuvenca, che già fuore
Duo dì di mandra , e senza guardia giva.
Seco lo trasse , ove jierdea il vigore
Medor col sangue, che del petto usciva,
E già n' avea di tanto il terreo tinto,
Ch' era ornai presso a rimanere estinto.
24. Del pahifreno Angelica giù scese,
E scendere il pastor si-co fece anche.
Pestò ciui sassi 1' erba, indi la prese,
E succo ne ca^ò fra le man bianche:
Nella piaga ne infuse, e ne distese
E pel petto e pel ventre, e fino all' anche:
E fu di tal virtù questo liquore.
Che stagnò il sangue, e gli tornò il vigore,
22
[241]
ORLANDO FURIOSO. (XIX. 25-40)
[242]
25. E gli die' forza, che potè salire
Sopra il cavallo , che '1 pastor condusse.
]\on però volse indi Medor partire,
Primachè in terra il suo signor non fusse;
E Cloridan col re fé' seppellire,
E poi , dove a lei piacque , si ridusse :
Ed ella , per pietà , nell' umil case
Del cortese pastor seco rimase.
26. Né, finché no '1 tornasse in sanitade,
Volea partir; cosi di lui fé' stima,
Tanto s' intenerì della pietade
Che n' ebbe, come in terra il vide prima!
Poi , vistone i costumi e la beltade.
Roder si senti il cor d' ascosa lima:
Roder si sentì il core, e a poco a poco
Tutto infiammato d' amoroso fuoco.
27. Stava il pastore in assai buona e bella
Stanza , nel bosco infra duo monti piatta.
Con la moglie e co' figli, ed avea quella
Tutta di nuovo , e poco innanzi fatta.
Quivi a Medoro fu per la donzella
La piaga in breve a sanità ritratta.
Ma in minor tempo si sentì maggiore
Piaga di questa avere ella nel core.
28. Assai più larga piaga e più profonda
Nel cor sentì da non veduto strale.
Che da' begli occhj e dalla testa bionda
Di Medoro avventò 1' arcier , eh' ha V ale.
Arder si sente , e sempre il fuoco abbonda,
E più cura 1' altrui, che '1 proprio male.
Di sé non cura, e non è ad altro intenta,
Che a risanar chi lei fere e tormenta.
29. La sua piaga più s' apre e più incrudisce,
Quanto più l' altra si ristringe e salda.
Il giovane si sana; ella languisce
Di nuova febbre, or agghiacciata, or calda.
Di giorno in giorno in lui beltà fiorisce;
La misera si strugge, come falda
Strugger di neve intempestiva suole.
Che in loco aprico abbia scoperta il sole.
30. Se di desìo non vuol morir, bisogna,
Che senza indugio ella sé stessa aiti.
E ben le par, che di quel, eh' essa agogna,
Non sìa tempo aspettar, eh' altri la inviti.
Dunque, rotto ogni freno di vergogna,
La lingua ebbe non raen, che gli occhj arditi,
E di quel colpo dimandò mercede,
Che , forse non sapendo , esso le diede.
31. O conte Orlando, o re di Circassia,
Vostra inclita virtù, dite, che giova?
Vostro alto onc^r, dite, in che prezzo sìa?
O che mercè v«>stro servir ritrova?
Mostratemi una sola cortesia.
Che mai costei v' usasse, o vecchia o nuova,
Per riccunpcnsa e guiderdono , o inerto
Di quanto avete già per lei soflcrto.
32. Oh , 8C potessi ritornar mai vivo,
Quanto ti parria duro, o re Agricanc,
Cliù già mostrò costei sì av(;rti a schivo.
Con repulse crudeli ed inumane!
O Ferniù , o mille altri , eh' io non scrivo.
Che avete fatto mille prove vane
Per questa inarata , quanto aspro vi fora,
Se a costui in braccio voi la vedeste ora!
33. Angelica a Medor la prima rosa
Coglier lasciò, non ancor tocca innante;
Né persona fu mai sì avventurosa.
Che 'n quel giardin potesse por le piante.
Per adombrar, per onestar la cosa,
Si celebrò con cerimonie sante
Il matrimonio, eh' auspice ebbe Amore,
E pronuba la moglie del pastore.
34. Fersi le nozze sotto all' umil tetto,
Le più solenni, che vi potean farsi;
E più di un mese poi stero a diletto
I duo tranquilli amanti a ricrearsi.
Più lunge non vedea del giovinetto
La donna, né di lui potea saziarsi.
Né, per mai sempre pendergli dal collo,
II suo disir sentia di lui satollo.
35. Se stava all' ombra , o se del tetto usciva,
Avea, dì e notte, il bel giovine allato.
Mattina e sera or questa, or quella riva
Cercando andava , o qualche verde prato.
Nel mezzo giorno un antro li copriva.
Forse non men di quel comodo e grato,
Ch' ebber, fuggendo 1' acque, Enea e Dido,
De' lor secreti testimonio fido.
36. Fra piacer tanti , ovimque un arbor dritto
Vedesse ombrare , o fonte , o rivo puro,
V avea spillo , o coltel subito fitto ;
Così, se v' era alcun sasso men duro.
Ed era fuori in mille luoghi scrìtto,
E così in casa in altri tanti il muro,
Angelica e Medoro in varj modi.
Legati insieme di diversi nodi.
37. Poiché le parve aver fatto soggiorno
Quivi più eh' abbastanza, fé' disegno
Di fare in India nel Catai ritorno,
E Medor coronar del suo bel regno.
Portava al braccio un cerchio d' oro, adorno
Di ricche gemme, in testimonio e segno
Del ben, che '1 conte Orlando le volea;
E portato gran tempo ve 1' avea.
38. Quel donò già Morgana a Ziliante,
Nel tempo, che nel lago ascoso il tenne;
Ed esso , poiché al padre jMonodante
Per opra e per virtù d' Orlando venne,
Lo diede a Orlando: Orlando, eh' era amante.
Di porsi al braccio il cerchio d' or sostenne,
Avendo disegnato di donarlo
Alla regina sua, di eh' io vi parlo.
39. Non per amor del paladino , quanto
Perché era ricco , e d' artifìcio ogrt-gio,
Caro avuto 1' avea la donna tanto.
Che più non si può aver cosa di pregio.
Se lo serbò nelT isola del pianto.
Non so già dirvi, con che privilegio,
Là, dove esposta al marin mostro nuda
Fu dalla gente inospitale e cruda.
40. Quivi, non si tro\iuuln altra mercede,
Che al buon pastore ed alla moglie dessi,
('he serviti gii a>ea con sì gran lede.
Dal dì, che nel suo albergo si fnr messi,
Levò dal braccio il «tTchio , e glielo diede.
l] volse per suo amor , che lo tcne^^i.
Indi siiliron vcr^o la montagna.
Che divide la Francia dalla Spagna.
lU
[243]
ORLANDO FURIOSO. (XIX. 41— 56)
[244]
41. Dentro a Valenza , o dentro a Barcellona
Per qualche giorno avean pensato porsi,
Finché accadesse alcuna nave buona.
Che per Levante apparecchiasse a sciorsi.
Videro il mar scoprir sotto a Girona,
Nel calar giù delli montani dorsi ;_
E costeggiando a man sinistra il lite,
A Barcellona andar pel cammin trito.
42. Ma non vi giunser prima , che un uoni pazzo
Giacer trovaro in sull' estreme arene,
Che, come porco, di loto e di guazzo
Tutta era brutto , e volto , e petto , e schiene.
Costui si scagliò lor , come cagnazzo,
Clie assalir forestier subito vienne,
E die' lor noja , e fu per far lor scorno.
Ma di Marfisa a ricontar vi torno.
43. Di Marfisa, d' Astolfo, d' Aquiiante,
Di Grifone, e degli altri io vi vo' dire,
Che travagliati, e con la morte innante,
Mal si poteano incontra il mar sc»:ei.:iire :
Che sempre più superba e più arrogante
Crescea fortuna le minacce e 1' ire:
E già durato era tre di lo sdegno,
Kè di placarsi ancor mostrava segno.
44. Castello e ballador spezza e fracassa
li' onda nimica , e 1' vento cgnor più fiero.
Se parte ritta il verno pur ne lassa,
La taglia, e dona al mar tutta il nocchiero.
Chi sta col capo chino in una cassa,
Sulla carta appuntando il suo sentiero,
A lume di lanterna piccolina;
E chi col torchio giù nella sentina.
45. Un sotto poppa , un altro sotto prora
Si tiene innanzi 1' oriuol da polve,
E torna a rivedere, ogni mezz' ora.
Quanto è già corso , ed a che via si volve.
Indi ciascun con la sua carta fuora
A mezza nave il suo parer risolve.
Là dove a un tempo i marinari tutti
Sono a consiglio dal padron ridutti.
46. Chi dice : Sopra Liuiissò venuti
Siamo , per quel che io trovo , alle seccagne.
Clii , di Tripoli appresso i sassi acuti,
Dove il mar le più volte i legni fragne.
Chi dice: Siamo in Satalìa perduti,
Per cui più d' un nocchier sospira e piagne.
Ciascun secondo il parer suo argomenta;
Ma tutti ugual timor preme e sgomenta.
47. Il terzo giorno con maggior dispt^tto
Gli asjale il vento, e '1 mar più irato freme;
E r un ne spezza e portane il trìncbetto,
E '1 tinion r altro , e chi lo volge insieme.
Ben è di forte e di marmoreo jìctto,
E più duro, eli' acciar, clii ora non teme.
Marfisa , clje già fu tanto sicura,
Kon negò , che quel giorno ebbe paura.
48. Al monte Sinai fu peregrino,
A Galizia promc-sso, a Cijiro , a Roma,
Al sepolcro, alla \(;rgine»r Ettino,
E flc celebre luogo altro si noma.
Sul mare inliuito , e s|)esso al ciel vicino
L' afllitto e coti(|iia>siitolcgno toma;
Di mi, per min Iraviiglio, avca il padrone
Fatto r arlior tagliar dell' artimone.
49. E colli e casse, e ciò che v' è di grave,
Gitta da prora , e da poppa , e da sponde,
E fa tutte sgombrar camere e giave,
E dar le ricche merci all' avide onde.
Altri attende alle trombe, e a tor di nave
L acque importune , e il mar nel mar rifonde ;
Soccorre altri in sentina , ovunque appare
Legno da legno aver sdrucito il mare.
50. Stero in questo travaglio , in questa pena
Ben quattro giorni , e non avean più schermo ;
E n' avria avuto il mar vittoria piena,
Poco più , che '1 furor tenesse fermo.
Ma diede speme lor d' aria serena
La disiata luce di sant' Ermo,
Che in prua jU una cocchina a por si venne ;
Che più non v' erano arbori , né antenne.
51. Veduto fiammeggiar la bella face,
S' inginocchiai'o tutti i naviganti,
E domandaro il mar tranquillo e pace,
Con umidi occhj e con voci tremanti.
La tempesta crudel , che pertinace
Fu fin allora , non andò più innanti.
Maestro e traversia più non molesta,
E sol del mar tiran libecchio resta.
52. Questo resta sul mar tanto possente,
E dalla negra bocca in modo esala.
Ed è con lui sì rapido il torrente
Deli' agitato mar, che in fretta cala,
Che porta il legno più velocemente,
Che pellegrin falcon mai facesse ala.
Con timor del nocchier , che al fin del mondo
Kon lo trasporti , o rompa , o cacci al fondo.
53. Rimedio a questo il buon nocchier ritrova,
Che comanda gittar per poppa spere,
E caluma la gómona, e fa prova
Di duo terzi del corso ritenere.
Questo consiglio , e più 1' augurio giova
Di chi avea acceso in proda le lumiere.
Questo il legno salvò , che perla forse,
E fé', che in alto mar sicuro corse.
54. Nel golfo di Lajazzo in ver Soria,
Sopra una gran città si trovò sorto,
E sì vicino al lito , che scopria
L' uno e 1' altro castel, che serra il porto.
Come il padron s' accorse della via,
Che fatto avea, ritornò in viso smorto;
Che né porto pigliar quivi Aolea,
Nò stare in alto , né fuggir potea.
55. Né potea stare in alto, né fuggire;
Che gli arbori e 1' antenne avea perdute:
Eran tavole e travi, pel ferire
Del mar , sdrucite , macere e sbattute.
E '1 pigliar porto era un voler morire,
O pt^rpetuo legarsi in servitute:
Che riman serva ogni jiersona , o morta.
Che quivi (irroro, o ria fortuna porta.
56. TiO stare in dubbio era con gran periglio,
Che non salisser genti della terra
Con legni armati, e al suo desser di pìglio.
Mal atto a star sul mar , non che a far guerra.]
Mentre il padron non sa pigliar consiglio,
Fu domaiuiato da (jnel d' Ingliilterra,
VAìè gli tenea sì 1' animo sospeso?
E perchè già non avea il porto preso?
[245]
ORLANDO FURIOSO. (XIX. 57—72)
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59.
. n padron narrò a lui , che quella riva
Tutta tenean le femmine omicide,
Di cui r antica legge ognim , che arriva,
Ih perpetuo tien servo , o che 1' uccide.
E questa sorte solamente schiva
Chi nel campo dieci uomini conquide,
E poi la notte può assaggiar nel letto
Dieci donzelle con carnai diletto.
E se la prima prova gli vien fatta,
E non fornisca la seconda poi,
Egli vien morto , e chi è con lui , si tratta
Da zappatore, o da guardian di huoi.
Se di far 1' uno e altro è persona atta,
Impetra libertade a tutti i suoi ;
A sé non già; eh' ha da restar marito
Di dieci donne , elette a suo appetito.
Non potè udire Astolfo senza risa
Della vicina terra il rito strano.
Sopravvien Sansonetto, e poi Marfisa,
Indi Aquilante , e seco il suo germano :
Il padron parimente lor divisa
La causa . che dal porto il tien lontano.
Voglio, dicea, che innanzi il mar m' affoghi,
Cli' io senta mai di servitude i gioghi.
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62.
tftì
Del parer del padrone i marinari
E tutti gli altri naviganti furo;
Ma Marfisa e i compagni eran contrari.
Che, più che 1' acque, il lito avean sicuro.
Via più il vedersi intorno irati i mari,
Che cento mila spade, era lor duro.
Parca lor questo, e ciascun altro loco
Dove arme usar potean , da temer poco.
Bramavano i guerricr venire a proda;
Ma con maggior baldanza il duca inglese.
Che sa , come del corno il rumor s' oda,
Sgombrar d' intorno si farà il paese.
Pigliare il porto 1' nna parte loda,
E r altra il biasma , e sono alle contese :
Ma la più forte in guisa il padron stringe.
Che al porto, suo mal grado, il legno spinge.
Già , quando prima s' erano alla vista
Della città crudel sul mar scoperti,
Veduto aveano nna galea provvista
Di molta ciurma, e di nocchieri esperti.
Venire al dritto a ritrovar la trista
Nave, confusa di consigli incerti;
Che , r alta proni alle sue poppe basse
Legando , fiutr dell' empio mar la trasse.
63. Entrar nel porto rimorchiando , e a forza
Di remi più , «he per favor di vele,
Perocché 1' alternar di poggia e d' orza
Avca levato il vento lor (-rudcle.
Intanto ripigliar la diuM scorzii
I cavalieri, e il brando lor fedele.
Ed al padrone, «-d a ciast-un rhv. teme.
Non cessai! dar v.o' lor contorti speme.
64. Fatto è il porto a sembian/a d' una luna,
E gira più di quattro miglia intorno.
Seicento passi è in bocca, ed in ciascuna
Parte una rocca ha nel finir del conio.
Non teuu; alcun assalto di fortuna.
Se non <|uando gli vien dal iui"/./.ogiornn.
A guisa di teatro se gli stende
La città a cerco , o verso il poggio ascende.
65. Non fa quivi si tosto il legno sorto,
(Già r avviso era per tutta la terra)
Che fur sei mila femmine sul porto
Con gli archi in mano, in abito di guerra:
E per tor della fuga ogni conforto.
Tra r una rocca e 1' altra il mar si serra:
Da navi e da catene fu rinchiuso,
Che tenean sempre instrutte a cotal uso.
66. Una , che d' anni alla Cumea d' Apollo
Potea uguagliarsi , e alla madre d' Ettorre,
Fé' chiamare il padrone e domandoUo,
Se si volean lasciar la vita torre,
O se voleano pure al giogo il collo,
Secondo la costuma , sottoporre.
Degli due 1' uno aveano a torre, o quivi
Tutti morire , o rimaner cattivi.
67. Gli è ver, dicea, che s' uora si ritrovasse
Tra voi cosi animoso e così forte,
Che con tra dieci nostri uomini osasse
Prender battaglia, e desse lor la morte,
E far con dieci femmine bastasse
Per una notte ufficio di consorte,
Egli si rimarria principe nostro,
E gir voi ne potreste al cammin vostro.
68. E sarà in vostro arbitrio il restar anco.
Vogliate o tutti, o parte; ma con patto.
Che , chi vorrà restare , e restar franco,
IMarito sia per dieci femmine atto.
Ma, quando il guerrier vostro possa manco
Dei dieci , che gli fian niniici a un tratto,
O la seconda prova non fornisca,
Vogliam voi siate schiavi , egli perisca.
69. Dove la vecchia ritrovar timore
Credea nei cavalier , trovò baldanza ;
Che ciascun si tenea tal feritore.
Che fornir 1' uno e 1' altro avea speranza:
Ed a Marfisa non mancava il core.
Benché non atta alla seconda danza:
Ma , dove non 1' aitasse la natura.
Con la spada supplir stava sicura.
70. Al padron fu commessa la risposta.
Prima conchiusa per comun consiglio,
Ch' avean , chi lor potria di sé, a lor posta.
Nella piazza e nel letto far periglio.
Levan 1' ollese, ed il nocchier s' accosta.
Getta la fune, e le fa dar di piglio,
E fa acconciare il ponte, onde i guerrieri
Escono armati , e tranno i lor destrieri.
71. E quindi van per mezzo la cittade,
E vi ritrovan le donzelle altere
Succinte cavalcar per le contrade.
Ed in piazza armeggiar, rouH- guerriero.
Né calzar qui\i spron, né cinger spade,
Né cosa d" arme pon gli uomini avere.
Se non dieii alla volta, per rispetto
Dell' antica costiuua , eh' io v' ho detto.
72. Tutti gli altri alla spola, all' ago, al fuso,
Al pettine ed al naspo sono intenti,
Con ^esli fenwuinil, che \anno giuso
\u>ui al pie, die li la iiiidli e lenti.
Si lengtino in catena alcuni , ad uso
D" arar la terra, o di guardar gli armenti.
.Soli pochi ì iiiasclij , e non son ben, per mille
Feiuuiiiie, cento fra citladi e ville.
10 *
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ORLANDO FURIOSO. (XIX. T3— 88)
[248]
73. Volendo torre i caralieri a sorte
Chi di ior debba per comune scampo
L' ima decina in piazza porre a morte,
E poi r altra ferir nell' altro campo,
Kon disegnavan di Marfisa forte;
Stimando , ohe troA ar dovesse inciampo
Nella seconda giostra della sera;
Che ad averne vittoria abil non era.
74. Ma con gli altri esser volse ella sortita.
Or sopra lei la sorte in somma cade.
Ella dicea : Prima v' ho a por la vita,
Che v' abbiate a por voi la libertade.
Ma questa spada (e Ior la spada addita,
Che cinta avea^ \i do per sicurtade,
Ch' io \ì sciorrò tutti gì' intrichi al modo,
Che fé' Alessandro il gordiano nodo.
75. Non vo' mai più , che forestier si lagni
Di questa terra, finché '1 mondo dura.
Cosi disse, e non poterò i compagni
Torle quel, che le dava sua ventura.
Dimque , o che in tutto perda , o Ior guadagni
La libertà , le lasciano la cura.
Ella, di piastre già guernita e maglia,
S' appresentò nel campo alla battaglia.
76. Gira una piazza al sommo della terra.
Di gradi a sedere atti intorno chiusa.
Che solamente a giostre , a simil guerra,
A cacce , a lotte , e non ad altro s' usa.
Quattro porte ha di bronzo , onde si serra.
Quivi la moltitudine confusa
Dell' armigere femmine si trasse,
E poi fu detto a Marfisa, eh' entrasse.
77. Entrò Marfisa su un destrier leardo.
Tutto sparso di macchie e di rotelle.
Di picciol capo e d' animoso sguardo,
D' andar superbo e di fattezze belle.
Pel maggiore e più vago, e più gagliardo
Di mille, che n' avea con briglie e selle,
Scelse in Damasco, e realmente ornollo,
Ed a Marfisa Norandin donoUo.
78. Da mezzogiorno , e dalla porta d' Austro
Entrò Marfisa , e non vi stette guari,
Che appropinquare e risonar pel claustro
Udì di trombe acuti suoni e chiari ;
E vide poi di verso il freddo plaustro
Entrar nel campo i dicci suoi contrarj.
Il primo cavalìer, che apparve innante.
Di ^aler tutto il resto avea sembiante.
79. Quel venne in piazza sopra un gran destriero
Che, fuorcliè in fronte e nel pie dietro manco,
Era, più che mai corbo , oscuro e nero;
Nel pie e nel capo avea alcun pelo bianco.
Del color del cavallo il cavalicro
Ac.-tito, volea dir, che come manco
Dell' oscuro era il chiaro, era altrettanto
Il riso in lui , verso 1' oscuro pianto.
80. Dato che fu della battaglia il segno,
Nove gucrricr I il^t<' (liiiinro a un tratto :
Ma qiurl dal nero vhhi- il vantaggio u sdegno;
Si ritirò. 111! di giontrar fece atto.
A noi, cir alle leggi innanzi di quel regno,
Cir alla sua cortesia sia contraflatto.
Si trae da parie, v. sta a veder le prove,
Ch' una sol' a>ta farà contra nove.
81. Il destrier, eh' avea andar trito e soave,
Portò air incontro la donzella in fretta,
Che nel corso arrostò lancia si grave,
Clie quattro uomini avriano appena retta.
L' avea pur dianzi al dismontar di nave
Per la più salda in molte antenne eletta.
Il fier sembiante, con eh' ella si mosse,
Mille facce imbiancò, mille cor scosse.
82. Aperse al primo, che trovò, sì il petto,
Cile fora assai, che fosse stato nudo.
Gli passò la corazza e il soprappetto,
Ma prima un ben ferrato e grosso scudo :
Dietro le spalle un braccio il ferro netto
Si vide uscir ; tanto fu il colpo crudo !
Quel fitto nella lancia addietro lassa,
E sopra gli altri a tutta briglia passa.
83. E diede d'urto a chi venia secondo.
Ed a chi terzo sì terribil botta.
Che rotto nella schiena uscir del mondo
Fé' r uno e 1' altro, e della sella a im' utta;
Sì duro fu r incontro , e di tal pondo,
Sì stretta insieme ne venia la frotta !
Ho veduto bombarde a quella guisa
Le squadre aprir, che fé' lo stuol Marfisa.'
84. Sopra di lei più lance rotte furo ;
Ma tanto a quelli colpi ella si mosse,
Quanto, nel giuoco delle cacce, un muro
Si muova a' colpi delle palle grosse.
L' usbergo suo di tempra era sì duro,
Che non gli potean contra le percosse,
E per incanto al fuoco dell' inferno
Cotto e temprato all' acque fu d' Averno.
85. Al fin del campo il destrier tenne e volse,
E fermò alquanto ; e in fretta poi lo spinse
Incontra gli altri , e sbaraglioUi e sciolse,
E di Ior sangue infin all' elsa tinse.
All' uno il capo, all' altro il braccio tolse,
E un altro in guisa con la spada cinse,
Che '1 petto in terra andò col capo ed ambe
Le braccia, e in sella il ventre era e le gambe
86. Lo partì, dico, per dritta misura
Delle coste e dell' anche alle confine,
E lo fé' rimaner mezza figura,
Qual dinanzi alle immagini divine
Poste d'argento , e più di cera pura,
Son da genti lontane e da vicine,
Che a ringraziarle , e sciorre il voto vanno
Delle domande pie, ch'ottenute hanno.
87. Ad uno , che foggia , dietro si mise ;
Nò fu a iiiezzo la piazza , che lo giunse,
E '1 capo e '1 collo in modo gli divise,
Che medico mai più non lo raggiunse.
In somma tutti , un dopo Taltro , uccise,
O ferì sì , ch'ogni a Igor n'emunse ;
E fu sicura, che levar di terra
Mai più non si potrian, per farle guerra.
88. Stato era il cavalier sempre in un canto,
Che la decina in piazza avea condotta,
Perocché contra un solo andar con tanto
Vantaggio , opra gli parve iniqua e brutta.
Or, che p(T una man torsi da canto
A ide si tosto la c<)ni|)agna tutta.
Per dimostrar, che la tardanza fosse
Cortesia stata, e non timor, si mosse.
[249]
ORLANDO FURIOSO. (XIX. 89—101)
[250]
89. Con man fé' cenno di Tolere, innanti
Clic facesse altro , alcuna cosa dire ;
E non pensando , in sì yiril sembianti,
Che s'avesse una virgine a coprire,
Le disse : Cavaliero , ornai di tanti
Esser dei stanco, eh' hai fatto morire;
E , s' io volessi piii di quel , che sei,
Stancarti ancor , discortesia farei.
90. Che ti riposi insino al giorno novo,
E doman torni in campo , ti concedo.
Non mi fìa onor, se teco oggi mi provo;
Che travagliato e lasso esser ti credo.
Il travagliare in arme non m'è novo,
3Vè per si poco alla fatica cedo,
Disse Marfisa , e spero , che a tuo costo
Io ti farò di questo avveder tosto.
91. Della cortese offerta ti ringrazio:
Ma riposare ancor non mi bisogna,
E ci avanza del giorno tanto spazio,
Che a porlo tutto in ozio è pur vergogna.
Rispose il cavalier: Foss' io sì sazio
D' ogn' altra cosa, che '1 mio core agogna,
Come t'ho in questo da saziar! Ma vedi,
Che non ti manchi il dì , più che non credi.
93. Così disse egli, e fé' portare in fretta
Due grosse lance, anzi due gravi antenne,
Ed a Marfisa dar ne fé' l'eletta,
Tolse l'altra per sé, che indietro venne.
Già sono in punto , ed altro non s'aspetta,
Che un alto suon, che lor la giostra accenne
Ecco la terra e l'aria e'I mar rimbomba
Nel mover loro al primo suon di tromba.
93- Trar fiato, bocca aprire, o batter occhj
Non si vedea de' riguardanti alcuno;
Tanto a mirare , a chi la pahna tocchi
De' duo campioni, intento era ciascuno!
Marfisa, accioccliè dell' arcion trabocchi.
Sicché mai non si levi il gnerrier bruno,
Drizza la lancia ; e '1 guerrier bruno forte
Studia non raen di por Marfisa a morte.
94. Le lance ambe di secco e sottil salce,
Non di Cerro sembrar grosso ed acerbo,
Cosi n'andaro in tronchi fin al calce ;
E r incontro ai dcstrier fu sì superbo.
Che parimente parve da una falce
Delle gambe esser lor tronco ogni nerbo.
Caddero ambi ugualmente ; ma i campioni
Fur presti a disbrigarsi dagli arcioni.
95. A mille cavalieri alla sua vita
Al primo incontro avea la sella tolta
Marfisa, ed ella mai non n'era uscita;
E n'uscì, come udite, a questa volta.
Del caso strano non pur sbigottita.
Ma quasi fu per rimanerne stolta.
Parve anco strano al cavalier dal nero,
Che non solca cader già di h^ggiero.
96. Tocca avcan nel cader la tc^rra appena,
Che furo in pìcnli , e rinnovar !' assalto.
Tagli e punte a furor quivi si mena;
Quivi ripara or scudo, or lama, or salto.
Vada la botta vota , o vada piena.
L'aria ne stride , e ne risuona in alto.
Quegli elmi, quegli U'>berglii, quegli scudi
Mostrar, eh' erano saldi più che inciidi.
97. Se dell' aspra donzella il braccio è gl'ave.
Né quel del cavalier nimico è lieve.
Ben la misura ugual 1' un dall' altro bave:
Quanto appunto 1' un dà, tanto riceve.
Chi vuol due fiere audaci anime brave,
Cercar più là di queste due non deve.
Né cercar più destrezza, né più possa.
Che n'han tra lor quanto più aver si possa.
98. Le donne, che gran pezzo mirato hanno
Continuar tante percosse orrende,
E che ne' cavalier segno d'affanno
E di stanchezza ancor non si comprende,
De' duo miglior guerrier lode lor danno,
Che sien tra quanto il mar sue braccia stende.
Par lor, che se non fosser più che forti.
Esser dovrian sol del travaglio morti.
99. Ragionando tra sé dicea Marfisa:
Buon fu per me , che costui non sì mosse ;
Che andava a rischio di restarne uccisa,
Se dianzi stato co' compagni fosse;
Quando io mi trovo appena a questa guisa
Di potergli star conti-a alle percosse.
Così disse Marfisa; e tutttivolta
Non resta di menar la spada in volta.
100. Buon fu per me, dicea quell' altro ancora.
Che riposar costui non ho lasciato.
Difender me ne posso a fatica ora.
Che dalla prima pugna è travagliato.
Se fin al nuovo dì facea dimora
A ripigliar vigor, che saria stato?
Ventura ebbi io , quanto più possa aversi.
Che non volesse tor quel, eh' io gli offersi.
101. La battaglia durò fino alla sera;
Né chi avesse anco il meglio, era palese;
Né r un né 1' altro più , senza lumiera.
Saputo avria , come schivar 1' offese.
Giunta la notte, all' inclita guerriera
Fu primo a dire il cavalier cortese :
Che farem , poiché con ugual fortuna
N"ha sopraggiunti la notte importuna?
102. Meglio mi par, che '1 vìver tuo prolunghi
Almeno insino a tanto, che s' aggiorni.
Io non posso concederti, che aggiungili
Fuor eh' una notte piccìola ai tinti giorni.
E di ciò, che non gli abbia aver più lunghi,
La colpa sopra me non vo' che torni:
Torni pur sopra alla spietate legge
Del sesso femminil, che '1 loco regge.
103. Se di te duolmi , e di questi altri tuoi,
Lo sa colui , che nulla cosa ha oscura.
Co' tiu)i compagni star meco tu puoi:
Con altri non avrai stanza ^i^llra;
Perchè la tiuba , a cui i muriti suoi
Oggi uccisi hai, già contra te ouigiurn.
Ciascun di questi, a cui dato hai la morte,
Era di dieci femmine consorte.
104. Del danno, eh' lian da te rice^nt' oggi,
Disian nttvanta femniinf vendetta:
Sicché, se meco ad albergar non poggi.
Questa notte assalito esser t' aspetta.
Disse Marfisa: Accetto che m' alloggi;
('on sicurtà, che non sia men perfetta
In te la fede, e la l)ontà del core.
Che sia l ardire , e 'I corporal valore.
[251] ORLANDO FURIOSO. (XIX. 105 — 108. XX. 1-8) [252]
105, Sia che t' incresca, che m' al)bi ad uccidere,
Ben ti può increscer anco del contrario.
Fin qui non credo, che t' abbi da ridere,
Perch' io sia men di te duro avversario.
O la pugna seguir vogli, o dividere,
O farla all' uno o all' altro luminarlo,
Ad ogni cenno pronta tu m' avrai, ^
E come, ed ogni volta, che vorrai.
106. Cosi fu differita la tenzone
Finché di Gange uscisse il nuovo albore,
E si restò senza conclusione.
Chi d' essi duo guerrier fosse il migliore.
Ad Aquilante venne ed a Grifone,
E così agli altri il liberal signore,
E li pregò, che fino al nuovo giorno
Piacesse lor di far seco soggiorno.
107. Tenner I' invito senza alcun sospetto;
Indi a splendor di bianchi torchj ardenti.
Tutti salirò, ov' era un rcal tetto.
Distinto in molti adorni alloggiamenti.
Stupefatti al levarsi dell' elmetto.
Mirandosi, restaro i combattenti;
Che '1 cavalier, per quanto apparea fuora,
Non eccedeva i diciotto anni ancora.
108. Si maraviglia la donzella, come
In arme tanto un giovinetto vaglia;
Si maraviglia 1' altro , eh' alle chiome
S' avvede, con chi avea fatto battaglia;
E si domandan T un con F altro il nome,
E tal debito tosto si ragguaglia.
Ma, come si nomasse il giovinetto,
JNeU' altro canto ad ascoltar v' aspetto.
CANTO VENTESIMO.
ARGOMENTO.
Pi sé conto a Marfisa dà Grifone,
E narra la cagion del rito strano.
Partonsi, e Astolfo a bocca il corno pone,
E le donne , e ciascun fugge lontano.
È Grifone e 'i fratel posto in prigione.
Marfisa Pinabel getta nel piano;
Dei panni giovami veste Gabrina,
Indi la dà a Zcrbin per disciplina.
Le donne antiche hanno mirabil cose
Fatto ncir arme e nelle sacre muse,
E di lor opre belle e gloriose
Gran lume in tutto il mondo si diffuse.
Arpalicc e Camilla son famose,
Perchè in battaglia erano esperte ed use:
Saffo e Corinna , perchè furon dotte,
Splendono illustri, o mai non veggon notte.
Le donne son venute in eccellenza
Di ciascun' arte, ove hanno posto cura;
E qualunque all' istorie abbia avvertenza,
"Se sente ancor la fama non oscura.
Se 'I mondo n' è gran tempo stato senza,
Aon però sempre il mal influssi» dura,
E forse ascosi han lor dei)iti onori
L' invidia, o il non saper degli scrittori.
Den mi par di veder, «ih' al seco! nostro
Tanta virtù fra belle dcuine emerga,
Che può dar opra a carte «-d ad incliiostro,
Penile ne' futuri anni bi disperga,
E perchè, odioM; lingue, il mal dir vostro
Con vostra eterna inlaMiia si sommerga;
E le lor lodi appariranno in guisa,
Che di gran lunga avanzcran Marfisa.
4. Or, pur tornando a lei, questa donzella
"Al cavalier, che 1' usò cortesia.
Dell' esser suo non nega dar novella,
Quando esso a lei voglia contar , chi ei
Sbrigossi tosto del suo debito ella,
Tanto il nome di lui saper disia!
Io son, disse, Marfisa: e fu assai questo;
Che si sapea per tutto '1 mondo il resto.
5. L' altro comincia, poiché tocca a lui.
Con più proemio a darle di sé conto,
Dicendo: Io credo, che ciascun di vui
Abbia della mia stirpe il nome in pronto;
Che non pur Francia e Spagna , e i vicin sui.
Ma r India, l' Etiopia e il freddo Ponto
Han chiara cognizion di Chiaramente,
Onde uscì il cavalier, eh' uccise Almonte,
6. E quel, che a Chiariello e al re Mambrino
Diede la morte, e il rcsgno lor disfece.
Di questo sangue, dove nell' Eusino
L' Istro ne vien con otto corna o diece.
Al duca Amone , il qual già peregrino
Vi capitò, la madre mia mi fece;
E r anno è ormai, eh' io la lasciai dolente,
Per gire in Francia a ritrovar mia gente.
7. Ma non potei finire il mio viaggio;
Che qua mi spinse un tempestoso noto.
Son dieci mesi , o più , cbe stanza v' aggio.
Che tutti i giorni e tutte 1' ore noto.
INominato son io Guidon Selvaggio,
Di poca prova ancora, e poco noto,
Uccisi qui Argib)n da Melibea,
Con dieci cavalier, che seco avea.
8. Feci la prova ancor delle donzelle:
Così u' ho die<i a' miei piaceri allato,
Ed alla scelta mia son le più belle,
E son le più gentil di questo stato:
E qiu^st(^ reggo, e tutte 1' altre; eh' elle
Di sé in' hanno governo e scettro dato.
Così daranno a qualunque altro arrida
Fortuna sì, che la decina ancida.
[253]
ORLANDO FURIOSO. (XX. 9—24)
[254]
9. I caralier domandano a Guidone,
Come ha si pochi niasclij il tenitore,
E s' alle mogli hanno sHfcgezione,
Come es^se 1' han negli altri lochi a loro.
J)Use Guidon: Più Aoltc la cagione
Udita n' ho, dappoiché qui dimoro;
E vi sarà (secondo eh' io 1' ho udita)
Da me, poiché V aggrada, riferita.
10. Al tempo , che tornar, dopo anni venti,
Da Troja i Greci ; che durò 1' assedio
Diece , e diece altri da contrarj venti
Furo agitati in mar con troppo tedio ;
Trovar, che le lor donne alli tormenti
Di tanta assenzia avean preso rimedio.
Tutte s' avean giovani amanti eletti,
Per non si raffreddar sole ne' letti.
11. Le case lor trovaro i Greci piene
Degli altrui figli , e per parer comune
Perdonano alle mogli; die san bene.
Che tanto non potean viver digiune.
Ma ai figli degli adulteri conviene
Altrove procacciarsi altre fortune;
Che tollerar non vogliono i mariti,
Che più alle spese lor sieno nutriti.
12. Sono altri esposti, altri tenuti occulti
Dalle lor madri , e sostenuti in vita.
In varie squadre quei, eh' erano adulti,
Feron , chi qua, chi là, tutti partita.
Per altri 1' arme son , per altri culti
Gli studj e r arti, altri la terra trita;
Serve altri in corte, altri é giiardian di gregge,
Come piace a colei, che quaggiù regge.
lo. Parti fra gli altri un giovinetto , figlio
Di Clitennestra, la crudel regina.
Di diciotto anni, fresco, come un giglio,
O rosa colta allor di su la spina.
Questi , armato nn suo legno , a dar di piglio
Si pose, e a depredar per la marina,
In compagnia di cento giovinetti
Del tempo suo , per tutta Grecia eletti.
U. I Cretesi in quel tempo, che cacciato
Il crudo Idomenéo del regno aveano,
E per as>icurarsi il nuovo stato,
D' uomini e d' arme adunazion faceano;
Fero, con buon stipendio, lor soldato
Falanto (cosi al giovine diceano) ,
E lui, con tutti quei, che seco avca,
Poser per guardia alla città Dittea.
15. Fra cento alme città, eh' erano in Creta,
Dittea più ricca e più lìiaccAol' era,
Di helle donne ed amoro.xe lieta.
Lieta di giochi da mattina a sera:
E, coni' era ogni tempo consueta
D' accarezzar la gente forestiera,
Fé' a costor sì , che molto non rimase
A fargli anco signor delle lor case.
10. Eran giovani tutti, e helli affatto;
Che 'I fior di (irccìa avea Kalaiito eletto:
Sicch' alle helle donne, al lìiiino tratto
Clu! v" apparir, trassero i cor d<'l p«tto.
Poiché, non nicn che helli, ancora in fatto
Si dimostrar buoni e gagliardi al letto,
Si l'ero ad ess(^ in pcxlii di sì grati,
Che sopra ogni altro ben n' erano umuti.
17. Finita che d' accordo è poi la guerra,
Per cui stato Falanto era condutto,
E lo stipendio militar si serra,
Sicché non v' hanno i giovani più frutto,
E per questo lasciar voglion la terra:
Fan le donne di Creta maggior lutto,
E per ciò vcrsan più dirotti pianti,
Che se i lor padri avessin morti avanti.
18. Dalle lor donne i giovani assai foro,
Ciascun per sé, di rimaner pregati:
Né volendo restare, esse con loro
K' andar, lasciando e padri, e figli, e frati,
Di ricche gemme e di gran somma d' oro
Avendo i lor domestici spogliati:
Cile la pratica fu tanto secreta.
Che non senti la fuga uomo di Creta.
19. Si fu propizio il vento, sì fu 1' ora
Comoda, che Falanto a fuggir colse.
Che molte miglia erano usciti fuora.
Quando del danno suo Creta si dolse.
Poi questa spiaggia, inabitata allora,
Trascorsi per fortuna li raccolse.
Qui si posaro, e oui sicuri tutti
Meglio del furto lor videro i fruttL
20. Questa lor fu per dieci giorni stanza
Di piaceri amorosi tutta piena.
Ma come spesso avvien, che 1' abbondanza
Seco in cor giovanil fastidio mena,
Tutti d' accordo fur di restar sanza
Femmine, e liberarsi di tal pena.
Che non è soma da portar si grave.
Come aver donna, quando a noja s' have.
21. Essi , che di guadagno e di rapine
Eran bramosi , e di dispendio parchi,
Vider, eh' a pascer tante concubine,
D' altro, ched' aste avean bisogno, e d' ardii:
Sicché sole lasciar qui le meschine,
E se n' andar, di lor ricchezze carchi.
Là dove in Puglia in ripa al mar poi sento
Ch' edificar la terra di Tarento.
22. Le donne, che si videro tradite
Da' loro amanti , in chi più fede aveano.
Restar per alcun dì sì sbigottite.
Che statue immote in lito al mar parcano.
Visto poi, che da gridi e da infinite
Lagrime alcun profitto non traeano,
A pensar cominciaro , e ad aver cura.
Come ajutarsi in tanta lor sciagura.
23. E proponendo in mezzo i lor pareri.
Altre diceano : In Creta è da torniusi,
E piuttosto air arbitrio de' severi
Padri ed offesi lor mariti darsi.
Che ne' deserti liti e boschi fieri
Di disagio e di fame consumarsi.
Altre dicean, die ìov ^aria più onesto
Allogarsi nel mar, che mai far questo,
24. E che manco mal era, meretrici
Andar pel iiionilo. andar mendiche O schiave,
Che sé stes>e offerire alli supplici.
Di eh' «'raii degne 1" opere lor prave.
Questi e siiiiil partili le infelici
Si pro|ionean , <-iasciiii più duro e grave.
Tra loro al Vìiw una Oroiilca h^osse,
Cir origine traea dal re .>Iinosse,
[255]
ORLANDO FURIOSO. (XX. 25-40)
[256]
25. La più giovan dell' altre , e la più bella,
E la più accorta , e eh' avea meno errato.
Amato avea Falanto , e a lui pulzella
Datasi , e per lui il padre avea lasciato.
Costei, mostrando in viso ed in favella
Il magnanimo cor d' ira infiamraatOj
Redarguendo di tutte altre il detto,
Suo parer disse , e fé' seguirne effetto,
26. Di questa terra a lei non parve torsi,
Che conobbe feconda, e d' aria sana,
E di limpidi fiumi aver discorsi,
Di selve opaca , e la più parte plana,
Con porti e foci , ove dal mar ricorsi
Per ria fortuna avea la gente estrana.
Che or d' Africa portava , ore d' Egitto
Cose diverse , e necessarie al vitto.
27. Qui parve a lei fermarsi , e far vendetta
Del viril sesso , che le avea sì offese.
Vuol, eh' ogni nave, che, da' venti astretta,
A pigliar venga porto in suo paese,
A sacco , a sangue , a fuoco alfin sì metta,
Né della vita a un sol si sia cortese.
Cosi fu detto , e così fu conchiuso ;
£ fu fatta la legge , e messa in uso,
28. Come turbar 1' aria sentiano , armate
Le femmine correan sulla marina.
Dall' implacabil' Orontea guidate.
Che die' lor legge, e si fé' lor regina;
E delle navi ai liti lor cacciate
Faceano incendj orribili e rapina,
Uom non lasciando vivo , che novella
Dar ne potesse o in questa parte , o in quella.
29. Così solinghe vissero qualch' anno
Aspre nimiche del sesso virile.
Ma conobbero poi , che '1 proprio danno
Procaccerian , se non mutavan stile ;
Che, se di lor propagine non fanno^
Sarà lor legge in breve irrita e vile,
E mancherà con l' infecondo regno.
Dove di farla eterna era il disegno.
30. Sicché , temprando il suo rigore un poco,
Scelsero, in spazio di quattro anni interi,
Pi quanti capitaro in questo loco,
Dieci belli e gagliardi cavalieri,
Clie per durar ncU' amoroso gioco
Contr' esse cento fosser buon guerrieri.
Esse in tutto cran cento , e statuito
Ad ogni lor decina fu un marito.
31. Prima ne fur decapitati molti,
Clie riuscirò al paragon mal forti.
Or questi dieci a buona prova tolti,
Del letto e del governo ebbcr consorti ;
Fac<;ndo lor giurar, che, se più colti
Altri uomini verriano in questi porti.
Essi sarian, che, spenta ogni pietade,
Li porriano ugualmente a lil di spade,
32. Ad ingrossare ed a figliar appresso
Ijc donne, indi a temere inconiinciaro»
Che tanti na>4x-rJan del viril sesso.
Che «-.ontra lor non avrìan poi riparo;
E al fine in man degli uomini rimesso
Saria il governo, ih' elle avean si caro;
Sicch' ordinar, mentre cran gli anni imbeUi,
Far bi, che mai non fosson lor ribelli.
33. Perchè il sesso viril non le soggioghi,
Uno ogni madre vuol la legge orrenda,
Che tenga seco , e gli altri o li soffoghi,
O fuor del regno li permuti, o venda.
Ne mandano per questo in varj luoghi,
E a chi li porta, dicono, che prenda
Femmine, se a baratto aver ne puote.
Se no , non torni almen con le man vote.
34. Nò uno ancora alleverian, se senza
Potessm fare e mantenere il gregge.
Questa è quanta pietà, quanta clemenza
Più a' suoi eh' agli altri usa 1' iniqua legge.
Gli altri condanna con ugual sentenza;
E solamente in questo si corregge,
Che non ^tioI, che, secondo il primier uso,
Le femmine gli uccidano in confuso.
35. Se dicci, o venti, o più persone a un tratto
Vi fosser giunte, in carcere eran messe,
E d' una il giorno , e non di più , era tratto
Il capo a sorte, che perir dovesse
Nel tempio orrendo, eh' Orontea avea fatto
Dove un' altare alla Vendetta eresse;
E dato all' im de' dieci il crudo ufficio
Per sorte era , di farne sacrificio.
36. Dopo moU' anni alle ripe omicide
A dar venne di capo un giovinetto.
La cui stirpe scendea dal buono Alcide,
Di gran valor nell' arme, Elbanio detto.
Qui preso fu , eh' appena se n' avvide,
Come quel , che venia senza sospetto,
E con gran guardia in stretta parte chiuso.
Con gli altri era serbato al crudel uso^
37. Di viso era costui bello e giocondo,
E di maniere e di costumi ornato,
E di parlar sì dolce e sì facondo,
Ch' un' aspe volentier l' avria ascoltato:
Sicché , come di cosa rara al mondo,
Dell' esser suo fu tosto rapportato
Ad Alessandra, figlia d' Orontea,
Che, di molt' anni grave, anco vivea.
38. Orontea vivea ancora, e già mancate
Tutte eran l' altre, eh' abitar qui prima;
E dieci tante, e più n' erano nate,
E in forza eran cresciute, e in maggior stima.
Né tra dieci fucine , che serrate
Stavan pur spesso, avean più d' una lima:
E dieci cavalieri anco avean cura
Di dare a chi venia fiera avventura.
39. Alessandra, bramosa di vedere
n giovinetto, eh' avea tanta lode.
Dalla sua madre in singoiar piacere
Impetra sì, eh' Elbanio vede ed ode;
E, quando vuol partirne, rimanere
Si sente il core, ove é chi il punge e rode.
Legar si sente , e non sa far contesa,
E alfin diil suo prigion si trova presa.
40. Elbanio tlisse a lei : Se di pietade
S' avesse, donna, qui notizia ancora.
Come se n' ha per tutt' altre contrade,
Dovunque il vago sol luce e colora.
Io mi oserei, per vostr' alma beltade,
Ch' ogn' iuiiuio gentil di sé innamora,
Cliicdervi in don la vita mia, che poi
Saria ©gnor presto a spenderla per voi.
I
257]
ORLANDO FURIOSO. (XX. 41 — 56)
[258]
41. Or, quando fuor d' ogni ragion qui sono
Privi d' umanitade i cori umani,
]\on vi domanderò la vita in dono,
Cile i prieghi miei so ben che sarian vanì ;
Ma che da cavaliero, o tristo o buono
Ch' io sia , possa morir con 1' arme in mani,
E non come dannato per giudicio,
0 come animai bruto in sacrificio.
42. Alessandra gentil, eh' umidi avea,
Per la pietà del giovinetto , i rai,
Rispose: Ancorché più crudele e rea
Sia questa terra, eh' altra fosse mal,
IVon concedo però, che qui Medea
Ogni femmina sia, come tu fai;
E , quando ogni altra cosi fosse ancora,
Me sola di tante altre io vo' trar fuora,
43. E , se ben per addietro io fossi stata
Empia e crudel, come qui sono tante,
Dir posso, che suggello, ove mostrata
Per me fosse pietà, non ebbi avante.
Ma ben sarei di tigre più arrabbiata,
E più duro avrei il cor, che di diamante,
Se non m' avesse tolto ogni durezza
Tua beltà , tuo valor , tua gentilezza.
44. Così non fosse la legge più forte.
Che contra i peregrini è statuita,
Come io non schiverei con la mia morte,
Di ricomprar la tua più degna vita!
Ma non è grado qui di sì gran sorte,
Che ti potesse dar libera aita :
E quel , che chiedi ancor, benché sia poco,
Difficile ottener fia in questo loco.
45. Pur io vedrò di far, che tu 1' ottenga.
Che alibi , innanzi al morir , questo contento.
Ma mi dubito ben , che te n' avvenga.
Tenendo il morir lungo , più tormento.
Soggiunse Elbanio : (Quando int;ontro io venga
A dieci armato, di tal cuor mi sento,
Che la ^ ita ho speranza da salvarme,
E uccider lor , se ttitti fosser arme.
46. Alessandra a quel detto non rispose
Se non un gran sospiro , e dipartisse,
E portò nel partir mille amorose
Punte nel cor, mai non sanabii , fìsse.
^cnne alla madre, e volontà le pose
Di non lasciar, che '1 cavalier morisse,
Quando si dimostrasse co.^i forte,
Cile solo avesse posto i dieci a morte.
47. La regina Orontea fece raccorrò
Il suo consiglio, e disse: A noi conviene
Sempre; il miglior, clu- ritroviamo, porre
A guardar nostri porti e no>tre arene.
E per saper, ehi ben lasciar, chi torre.
Prova è sempre da far, quando egli avviene,
Per non patir con nostro danno a torto.
Che regni il vile, e chi Ini valor, sia morto.
48. A me par, se a voi par, che statuito
Sia, eh' ogni cavalier p<;r lo avvenire.
Che hirtiina abbia tratto al nostro lite,
Priiiiac.li' al t(;mpio .-! farria iiiorirp,
Possa egli sili, ti(; gli piar*- il partito,
Incontra i dicci alla battaglia uscire,
E , tu', di tutti viiiierli è possente.
Guardi egli il porto, e seco ubbia altra gente.
49. Parlo così, perchè abbiam qui un prigione.
Che par, che vincer dieci s' offerisca.
Quando sol vaglia tante altre persone,
Dignissimo è , per Dio , che s' esaudisca.
Così in contrario avrà punizione.
Quando vaneggi, e temerario ardisca.
Orontea fine al suo parlar qui pose,
A cui delle più antiche una rispose :
50. La principal cagion, che a far disegno
Sul commercio degli uomini ci mosse,
Non fu , perchè a difender questo regno
Del loro ajuto alcun bisogno fosse;
Che per far questo abbiamo ardire e ingegno
Da noi medesinc , e a sulficienza posse:
C(»sì senza sapessimo far anco,
Che non venisse il propagarci manco !
51. Ma , poiché senza lor questo non lece.
Tolti abbiam , ma non tanti , in compa"-nia.
Che mai non sia più d' uno incontra diece.
Sicché aver di noi possa signoria.
Per concepir di lor questo si fece,
]\on che di lor difesa uopo ci sia.
La lor prodezza sol ne vaglia in questo,
E sieno ignavi e inutili nel resto !
52. Tra noi tenere un nom , che sia sì forte,
Contrario è in tutto al principal disegno.
Se può un solo a dieci uomini dar morte,
Quant'ì donne farà stare egli al segno?
Se i dieci nostri fosser di tal sorte,
Il primo di n' avrebbon tolto il regno.
]Von è la Aia di dominar, se vuoi
Por r arme in mano a chi può più di noi.
53. Pon mente ancor , che quando così aiti
Fortuna questo tuo, che i dicci uccida,
Di cento donne, diede' lor mariti
Iiiui.:rrau prive, sentirai le grida.
Se vui)l campar, proponga altri partiti,
Ch' esser di dieci giovani omicida !
Pur, se per far con cento donne è buono
Quel, che dieci fariano , abbia perdono.
54. Fu d' Artemia crudel questo il parere.
CCosi avca nome^ e non mancò per lei
Di far nel tempio Elbanio rimanere
Scannato innanzi agli spietati Dei.
Ma la madre Orontea, «:lie compiacere
A (lise alla figlia, re[)licò a colei
Altre ed altre ragioni, e modo tenne.
Che nel senato il suo parer s' ottenne.
55. L' aver Elbanio di bellezza il vanto
Sopra ogni cavalier. ihc fosse al mondo.
Fu tu;' «or delle gio>ani di tanto,
Ch' erano in quel consiglio, e di tal pondo,
('he 1 parer delle vecchie andò da canto,
Clic con Artemia volcan far. secondo
1/ ordine antico; né lontan fu molto
Ad esser p«'r fasore lilbanio assolto.
56. Di perdiinargli in soiiiina fu conchiuso,
IMa poiclié la dei ina a\e»e spento,
1", clic lidi' alilo as>alto fos.->»' ad uso
Di dicci iloiiiK- buono, e non di cento.
Di career l' allro giorno fu dixbiiiso;
E, avuto arme «• cavallo a suo talento,
C'ontra dieci giicrrier solo hì mise,
E r lino appresso all' altro in piazza uccìse.
lì
[259]
ORLANDO FURIOSO. (XX. 57 — 72)
[260]
57. Fu la notte seguente a pro^ a messo
Centra dieci donzelle ignudo e solo,
Dove cLbe all' ardir suo sì buon successo,
Che fece il saggio di tutto lo stuolo :
E questo gli acquistò tal grazia appresso
Ad Orontea, che 1' ebbe ppr figliuolo,
E gli diede Alessandra, e 1' altre nove,
Con chi avea fatto le notturne prove.
58. E lo lasciò con Alessandra bella.
Che poi die nome a questa terra, erede,
Con patto, eh' a serbare egli al)bia quella
Legge, ed ogni altro, che da lui succede.
Che ciascnn, che giammai sua fiera stella
Farà qui por lo sventurato piede.
Elegger possa, o in sacrificio dar*i,
O con dieci guerrier solo provarsi:
59. E , se gli avvien , che '1 di gli uomini uccida,
La notte con le femmine si provi :
E quando in questo ancor tanto gli arrida
La sorte sua , che vincitor si trovi,
Sia del femmineo stuol principe e guida,
E la decina a scelta sua rinnovi.
Con la qual regni , fincli' un altro arrivi.
Che sia più forte , e lui di vita privi.
60. Appresso a duemila anni il costume empio
S' è mantenuto , e si mantiene ancora;
E sono pochi giorni, che nel tempio
Un infelice peregria non mora.
Se cnntra dieci alcun chiede, ad esempio
D' Elbanio . armarsi (che ve n' è talora).
Spesso la vita al primo assalto lassa,
]\è di mille uno all' altra prova passa.
61. Pur ci passano alcuni, ma si rari,
Cile sulle dita annoverar si ponno.
Uno di questi fu Argilon ; ma guarì
Con la decina sua non fu qui donno ;
Che, cacciandomi qui venti contx-ai'j,
Gli occhj gli chiusi in sempiterno sonno.
Cosi foss' io con lui morto quel giorno,
Primachè viver servo in tanto scorno!
62. Che piaceri amorosi, e riso e gioco.
Che suole amar ciascun della mia etade.
Le porpore e le gemme, e 1' aver loco
Innanzi agli altri nella sua cittade,
Potuto hanno , per Dio , mai giovar poco
All' uom, clic privo sia di libertade:
E '1 non poter mai più di qui levarmi
Servitù grave e intoilerabil parmi.
63. Il vedermi lograr de' miglior anni
Il più bel fiore in si vile opra, e molle,
Tiemmi il cor sempre in stimolo e in alTannl,
Ed ogni gusto di piacer mi tolle.
La fama del mio sangue spiega ì vanni
Per tutto il mondo, e fin al ciel s' eslolle;
CJhè forse buona parte anch' io n' avrei,
S' esser potessi co' fratelli miei.
64. Panni , clic ingiuria il mio destlu mi faccia,
Avendomi a sì vii servigio «detto;
Come <:bi ncll' armento il destrier caccia,
11 qual d' occhj , o di piedi a1d>ia dil'elto,
(), per altro accidente, «;Ih' dispiaccia.
Sia fallo air arme e a miglior u.>i» inetto.
^è Hperando io, ne non per morte, uscire
Di si vii servitù, bramo morire
65. Guidon qui fine alle parole pose,
E maledì quel giorno per isdegno,
Il qual de' cavalieri e delle spose
Gli die' vittoria in acquistar quel regno.
Astolfo stette a udire, e si nascose
Tanto , che si fé' certo a più d' un segno,
Che , come detto avea , questo Guidone
Era figliuol del suo parente Amone.
66. Poi gli rispose : Io sono il duca inglese,
Il tuo cugino Astolfo , ed abbracciollo,
E con atto amorevole e cortese,
Non senzii sparger lagrime, baciollo.
Caro parente mio , non più palese
Tua madre ti potea por segno al collo i
Ch' a farne fede, che tu sei de' nostri,
Basta il valor, che con la spada mostri.
67. Guidon, eh' altrove avria fatto gran festa
D' aver trovato un si stretto parente,
Quìaì r accolse con la faccia mesta.
Perchè fu di vedervelo dolente.
Se vive, sa, che Astolfo schiavo resta,
Kè il termine è più là, die '1 dì seguente:
Se fia- libero Astolfo, ne muor esso:
Sicché '1 ben d' uno è il mal dell' altro espresso.
68. Gli duol, che gli altri cavalieri ancora
Abbia, vincendo, a far sempre cattivi;
Né più , quando esso in quel contrasto mora.
Potrà giovar, che servitù lor schivi:
Che se d' un fango ben li porta fuora,
E poi s' inciampi, come all' altro arrivi.
Avrà lui senza prò vinto Marfisa,
Ch' essi pur ne fien schiavi , ed ella uccisa»
69. Dall' altro canto, avea 1' acerba etade,
La cortesia , e '1 valor del giovinetto,
D' amore intenerito , e di pleiade
Tanto a Marfisa ed ai compagni il petto,
Che, con morte di lui lor libertade
Esser dovendo, aveau quasi a dispetto:
E, se Marfisa non può far con manco,
Che uccider lui , vuol essa morir anco.
70. Ella disse a Guidon: Vientene insieme
Con noi , eh' a viva forza uscircin quinci.
Deh ! (rispose Guidon) lascia ogni speme
Di mai più uscirne , o perdi meco , o vinci !
Ella soggiunse: Il mio cor mai non teme
Di non dar fine a cosa, che cominci;
Né trovar so la più sicura strada
Di quella, ove mi sia guida la spada.
71. Tal nella piazza ho il tuo valor provato.
Che, s' io son teco, ardisco ad ogni impresa.
Quando la turba intorno allo steccato
Sarà dimane in sul teatro ascesa.
Io vo' , che r nccidiam per ogni lato,
O vada in fuga, o cerchi far difesa,
E di' indi a' lupi e agli avvoltoi del loco
Lasciamo i corpi , e la cittade al foco.
72. Soggiunse a lei Guidon: Tu m' avrai pronto
A seguitarti, ed a morirti accanto.
Mii vi^i riuiìiner non facciam conto!
Bastar ik^ può di v<-n(licar<ù alquanti»:
Che sp(;sso dieci mila in piazza conto
Dd popol femminile, vi\ altrettanto
Resta a guardiire e |iorto , e rocca, e mura.
Né alcuna via d' uscir trovo sicura.
[261]
ORLANDO FURIOSO. (XX. T3 - 88)
[262]
73. Disse Marfisa: E molto più sieno elle
Degli uomini, che Serse ebbe già intorno,
E sieno più dell' anime ribelle
Che uscir del ciel con lor perpetuo scorno:
Se tu sei meco, o almen non sii con quelle,
Tutte le voglio uccidere in un giorno.
Guidon soggiunse: Io non ci so ria alcuna,
Ch' a valer n' abbia , se non vai quest'una.
74. Ne può sola salvar, se ne succede,
Quest' una, eh' io dirò, eh' or mi sovviene.
Fuorch' alle donne, uscir non si concede,
Kè metter piede in sulle salse arene.
E , per questo , commettermi alla fede
D' una delle mie donne mi conviene.
Del cui perfetto amor fatta ho sovente
Più prova ancor , eh' io non farò al presente.
75. Non men di me tormi costei disia
Di sei-^itù, purché ne venga meco;
Che cosi spera , senza compagnia
Delle rivali sue, eh' io vi\a seco.
Ella nel porto o fusta o saettia
Farà ordinar, mentre è ancor 1' aer cieco.
Che i marinari vostri troveranno
Acconcia a navigar, come vi vanno.
76. Dietro a me tutti in un drappel ristretti,
Cavalieri , mercanti e galeotti,
Che ad albergarvi sotto a questi tetti
Meco, vostra mercè, siete ridotti.
Avrete a farvi ampio senticr co' petti,
Se del nostro cammin siamo interrotti.
Così spero , ajiitandoci le spade,
Ch' io vi trarrò della crudel cittade.
77. Tu fa, come ti par, disse Marfisa;
Ch' io son per me d' uscir di qui sicura.
Più facil fia , «he di mia mano uccisa
La gente sia, che è dentro a queste mura,
Cile mi veggi fuggire, o in altra guisa
Alcun poi«sa notar, eh' abl)ia paura.
A o' uscir di giorno, e sol per forza d' arme;
Che per ogn' altro modo obbrobrio panne.
78. S' io ci fossi per donna conosciuta.
So, eh' avrei dalle d<»nnc onore e pregio,
E voicnticri io <;i sarei tenuta,
E tra le prinu^ forse del collegio:
Ma con <;ost<iro essen(lo<;i ^«tiiuta.
Non ci vo' d' essi aver piii privilegio.
Tro|)po error Hua, (-h' io mi stessi, o andassi
Libera, e gli altri in servitù lasciassi.
79. Queste parole, ed altre seguitando,
Mostrò iMarlìsa, vUc 'I rispetto solo,
C/h' a>ea al periglio di;' ((.nipagni , ("quando
Potria loro il suo ardir toriiart; in duolo)
La tenea , «lu^ con alto <; ineiuorandt»
Segno d' ardir non assalia lo stuolo;
E per qiie>to a (ìiiidon lascia la cura
D' usar la >ia, che più gli par sicura.
80. Guidon la notle c(in Alcria |)arla :
(Così avcii nome la |>ii'i lìda moglie)
Né bisogno gli fu molto pregarla,
(;hè la trovò disposta alle; sue voglie.
Ella tol-e una na\e, e Ice*! armarla,
E \' arrecò le sue più ricche s|ioglic.
Fingendo di voleri-, al nuovo albore,
Con le compagn»! uscir»; in corso fuore.
81. Ella avea fatto nel palazzo innanti
Spade e lance arrecar, corazze e scudi,
Onde armar si potessero i mercanti
E i galeotti , eh' eran mezzi nudi.
Altri dormirò, ed altri stèr vegghianti.
Compartendo tra lor gli ozj e gli studj.
Spesso guardando, e pur con 1' arme indosso.
Se r oriente ancor si facea rosso.
82. Dal duro volto della terra il sole
Non tollea ancora il velo oscuro ed atro.
Appena avea la licaonia prole
Per li solchi del ciel volto 1' aratro.
Quando il femmineo stuol, che veder vuole
11 fin della battaglia, empì il teatro.
Come ape del suo claustro empie la soglia,
Che mutar regno al nuovo tempo voglia.
83. Di trombe , di tambur , di suon di corni
Il popol risuonar fa cielo e terra,
Cosi citando il suo signor , che torni
A terminar la cominciata guerra.
Aquilante e Grifon stavano adorni
Delle lor arme, e il duca d' Inghilterra,
Guidon, 3Iarfisa e Sansonetto, e tutti
Gli altri , chi a piedi , e chi a cavallo instrutti.
84. Per scender dal palazzo al mare e al porto,
La piazza traversar si convenia.
Né v' era altro cammin lungo, né corto;
Così Guidon disse alla compagnia.
E poiché di ben far molto conforto
Lor diede , entrò senza rumore in via,
E nella piazza, dove il popol era,
S' appresentò con più di cento in schiera.
85. Molto affrettando i suoi compagni, andava
Guidone all' altra porta per uscire:
Ma la gran moltitudine, che stava
Intorno armata , e sempre atta a ferire.
Pensò , c(uue lo v ide , che menava
Seco quegli altri, che volea fuggire;
E tutta a un tratto agli archi suoi ricorse,
E parte, onde s'uscia, venne ad opporsc.
86. Guidone e gli altri cavalier gagliardi,
E sopra tutti lor Marfisa forte.
Al menar delle man non furou tardi,
E molto fèr per islorzar le porte.
Ma tanta e tanta copia era de' dardi,
Che con ferite de' c(»uipagtii , e morte.
Piov cauo lor di sopra , e d' ogni intorno,
Ch' alfin temean d" averne daimo e scorno.
87. D' ogni guerrier 1' usbergo era perfetto;
Che, se non era, avean più da temere.
Fu UKuto il deslrier sotto a SanM)netto;
Quel di Marfisa v' elibe a rimanere.
Astolfo tra sé disse: Ora che aspetto,
l'hv mai mi possa il corno più valere?
lo vo' veder, lìoicbè non gicna spada,
S' io so col corno assicurar la strada.
88. Come ajutar nelle fiutone estreme
Sempre si suol, si pone il corno a bocca.
Par che la terra e tutto 'I umndo treiuc,
Qnaiulo V orriliil siion nelT aria sco«-c4l.
Sì nel cor deil.i genie il liuuu' preme,
Che per di>io di fuga si trabocca
(ìiii d<-l teatro sbigottita e smorta.
Non che lasci la guardia della porta.
17 *
[263]
ORLANDO FURIOSO. (XX. 89 — 104)
[264]
89. Come talor sì gitta e sì periglia
E da finestra e da sublime loco
L' esterrefatta subilo famiglia,
Che vede appresso e d' ogni intorno il fuoco,
Che , mentre le tenea gvaxì le ciglia
Il pigro sonno, crebbe a poco a poco:
Così , messa la vita in abbandono,
Ognun fuggia lo spaventoso suono.
90. Di qua, di là, di su, dì giù, smarrita
Sorge la turba , e di fuggir procaccia.
Son più di mille a un tempo ad ogni uscita:
Cascano a monti , e 1' mia 1' altra impaccia.
In tanta calca perde altra la vita,
Da palchi e da finestre altra si schiaccia:
Più d' un braccio si rompe e d' una testa,
Di che altra morta, altra storpiata resta.
91. Il pianto e '1 grido ìnsino al ciel saliva,
D' alta rùina misto, e di fracasso.
Affretta, ovunque il suon del corno arriva,
La turba spaventata in fuga il passo.
Se udite dir, che d' ardimento priva
La vii plebe si mostri , e di cor basso,
Non vi maravigliate; che natura
E della lepre aver sempre paura.
92. Ma che direte del già tanto fiero
Cor dì MariL<a e di Guidon Selvaggio?
De' duo giovani figli d' Oliviero,
Che già tanto onorare il lor lignaggio ?
Già centomila avean stimati un zero,
E in fuga o»* se ne van senza coraggio,
Come conigli, o timidi colombi,
A cui vicino alto rumor rimbombi.
93. Così noceva a' suoi , come agli strani.
La forza , che nel corno era incantata.
Sansonetto , Guidone e i duo germani
Fuggon dietro a Marfisa spaventata ;
Né fuggendo ponno ir tanto lontani.
Che lor non sia 1' orecchia anco intronata.
Scorre Astolfo la terra in ogni lato.
Dando via sempre al corno maggior fiato.
94. Chi scese al mare, e chi poggiò su al monte,
E chi tra i boschi ad occultar si venne;
Alcuna , senza mai volger la fronte,
Fuggir per dieci di non si ritenne:
Usci in tal punto alcuna fuor del ponte,
Che in vita sua mai più non vi rivenne.
Sgombrare) in modo e piazze , e templi , e case,
Che quasi vota la città rimase.
95. Marfisa e '1 buon Guidone , e i duo fratelli,
K Sansonetto, pallidi e tremanti.
Foggiano inverso il mare, e dietro a quelli
Foggiano i marinari e i mercatanti.
Ove Aleria trovar, che fra i castelli
Loro avea im legno a|)i);ircccliiato innanti.
Quindi , poiché in gran fictla li racc(»lse.
Die' i remi iilT acqua, ed ogni vela sciolse.
90. Dentro e d' intorno il duca la cittadc
Avea scorsa dai colli inlino all' onde,
Fatto HM-.i Tdte rimaner le strade;
Ognun lo fugge , ognun se gli nasconde.
Molte trovate fur, che per viltade
S' eran gittale in parti oscure e immonde,
E molte, non >iipen(lo , ov«! s' andare,
Me>sesi annoto, eil affogate in mare.
97. Per trovare i compagni il duca viene.
Che si credea di riveder sul molo.
Si volge intorno , e le deserte arene
Guarda per tutto , e non v' appare un solo.
Leva più gli oc«!lij , e in alto a vele piene
Da sé lontani andar li vede a volo,
Sicché gli convien fare altro disegno
Al suo cammin , poiché partito é il legno.
98. Lasciamolo andar pur; né vi rincresca,
Che tanta strada far debba soletto
Per terra d' infedeli , e barbaresca.
Dove mai non si va senza scjspetto !
Non é periglio alcuno , onde non esca
Con quel suo corno , e n' ha mostrato effetto ;
E de' compagni suoi pigliamo cura,
Ch' al mar fuggian , tremando dì paiu-a.
99. A piena vela si caccìaron lunge
Dalla crudele e sanguinosa spiaggia;
E poiché di gran lunga non li giunge
L' orribil suon , eh' a spaventar più gli aggìa.
Insolita vergogna si li punge,
Che, come un fuoco, a tutti il viso raggia:
L' un non ardisce mirar 1' altro, e stassì
Tristo , senza parlar , con gli occhj bassi.
100. Passa il nocchiero , al suo viaggio intento,
E Cipro e Rodi , e giù per 1' onda egea
Da sé vede fuggire isole cento.
Col periglioso capo di Malea;
E con propizio ed immutabil vento.
Asconder vede la greca Morea;
Volta Sicilia , e per lo mar tirreno
Costeggia dell' Italia il lito ameno ;
101. E sopra Luna ultimamente sorse.
Dove lasciato avea la sua famiglia ;
Dio ringraziando , che '1 pelago corse
Senza più danno , il noto lito piglia.
Quindi un noccliier trovar per Francia sciorse,
Il qual di venir seco li consiglia ;
E nel suo legno ancor quel di montare,
Ed a iMarsUia in breve si trovare.
102. Quivi non era Bradamante allora,
Ch' aver s(»lea governo del paese ;
Che, sevi fosse, a far seco dimora
Gli avria sforzati con parlar cortese.
Sceser nel lito , e la medesima ora
Dai quattro cavalier congedo prese
Marlisa, e diilla donna del Selvaggio,
E pigliò alla ventura il suo viaggio,
103. Dicendo, che lodevole non era
Ch' andasser tanti cavalieri insieme;
Che gli storni e i colombi vanne» in schiera,
I daini e i cervi, e ogni animai che teme;
Ma r audace falcon, 1' aquila altera.
Che neir ajuto altrui non metton spem
Orsi, tigri, lecui, soli ne vanno.
Che di più forza alcun tiuu)r non hanno.
104. Nessun degli altri fu di quel pensiero;
Siedi' a lei sola toccò a far partita.
Per mezzo ì bosclii e per strano sentiero
Dunque ella se n' andò sola e romita.
(rriiiMit- il bianco , ed Aquilante il nero
Pi".!iàr con gli altri duo la via più trita,
E giunsero a un (pastello il di seguente.
Dove albergati far cortesemente.
[265]
ORLANDO FURIOSO. fXX. ]«5 — 120^
[266]
105. Cortesemente dico, in apparenza:
Ma tosto vi sentir contrario effetto :
Che '1 signor del castel , benivolenza
Fingendo e cortesia, lor die' ricetto;
E poi la notte , che sicuri senza
Timor dormian , li fc' pigliar nel letto ;
Né prima li lasciò , che d' osservare
Una costuma ria li fé' giurare.
106. Ma vo' seguir la hellicosa donna,
Prima, Signor, che di costor più dica.
Passò Druenza, il Rodano e la Sonna,
E ìcnne appiè d' una montagna aprica.
Qni^ i , lungo un torrente , in negra gonna
Vide venire una femmina antica,
Che stanca e lassa era di lunga via,
Ma via più afflitta di malinconia.
107. Questa è la vecchia, clie solca sentire
Ai malandrin nel cavernoso monte,
Là , dove alta giustizia fé' venire,
A dar lor morte, il paladino c(uite.
La vecchia, che timore ha di morire.
Per le cagion, che poi vi saran conte.
Già molti di va per via oscura e fosca,
Fuggendo ritrovar, chi la conosca.
108. Quivi d' cstrano cavalier sembianza
L'ebbe Marfisa all' abito e all' arnese,
E perciò non fuggi , coni' avea usanza
Fuggir dagli altri , eh' eran del paese ;
Anzi con sicurezza e con baldanza
Si fermò al guado , e di lontan l' attese :
Al guado del torrente, ove trovolla,
La vecchia le uscì incontra e salutolla.
100. Poi la pregò , che seco oltr'a quell'acque
Neil' altra ripa in groppa la portasse.
IMarfisa, (;hc gentil fu dacché nacque.
Di là dal fìumicel seco la trasse,
E portarla anch' un pezzo non le spiacque,
, Finch' a miglior cammin la ritornasse,
Fuor d' un gran fango; e al fin di quel sentiero
Si videro all' incontro un cavaliero.
HO. Il cavalier su ben guernita sella,
Di lucide arme e di bei panni ornato.
Verso il fiume venia, da una donzella
E da un solo scudiero accompagnato.
La donna, eh' a^ca seco, era a^sai bella,
Ma d' altero sembiante , e poco grato,
Tutta d' orgoglio e di fastidio piena,
Del cavalier ben degna , che la mena.
111. Pinabello , un de' conti miigan/.esi,
Era quel cavalier, eh' ella avea seco,
Quel medesmo, che dianzi a pochi mesi
liradamante giltò nel cavo spiM^o.
Quei sospir, que singulti così accesi,
Quel pianto, che l(» te' già quasi cieco.
Tutto fu p(T costei . eh' <tr seco avea,
Chel negromante allor gli ritenca.
112. Ma poiché fu levato di sul colh;
L' incantato castel del vecchio Atlante,
E che potè ciascuno ire, ove; \ollr.
Per opra e per virtù di liradaniante:
('(»^t('i , di' alii disii facile e molle
Di Piiiabel sempre era slata innante,
Si tornò a Ini , ed in sua compagnia
Da un castello ad un altro or >e ne già.
113. E, siccome vezzosa era, e mal usa,
Quando vide la vecchia di Marfisa,
Non si potè tenere a bocca chiusa
Di non la motteggiar con beffe e risa.
Marfisa altera , appresso a cui non s' usa
Sentirsi oltraggio in qualsivoglia guisa,
Rispose, d'ira accesa, alla donzella.
Che di lei quella vecchia era più bella,
114. E eh' al suo cavalier volea provallo,
Con patto di poi torre a lei la gonna
E il palafren, eh' avea, se da cavallo
Gittava il cavalier , di chi era donna.
Pinabel , che farla, tacendo, fallo,
Di risponder coli' arme non assonna.
Piglia lo scudo e 1' asta, e '1 destrier gira,
Poi vien Marfisa a ritrovar con ira.
115. Marfisa incontro una gran lancia afferra,
E nella vista a Pinabel 1' arresta,
E sì stordito lo riversa in terra.
Che tarda un' ora a rilevar la testa.
jMarfisa vincitrice della guerra
Fé' trarre a quella giovane la vesta,
Ed ogni altro ornamento le fé' porre,
E ne fé' il tutto alla sua vecchia torre.
116. E di quel giovanile abito volse
Che si vestisse e se n' ornasse tutta;
E fé', che 1' palafreno anco si tolse.
Che la giovane avea quivi condutta.
Indi al preso cammin con lei si volse.
Che , quanto era più ornata , era più brutta.
Tre giorni se n' andar per lunga strada.
Senza far cosa, onde a parlar m' accada.
117. Il quarto giorno un cavalier trovaro.
Che venia in fretta galoppando solo.
Se di saper, chi sia, forse v' è caro,
Dicovi, che è Zerbin, di re figliuolo,
Di virtù esempio , e di bellezza raro,
Che sé stesso rodea d' ira e di duolo
Di non aver potuto far vendetta
D' un, che gli avea gran cortesia interdetta.
118. Zerbino indarno per la selva corse
Dietro a quel suo, che gli avea fatto oltraggio:
Ma sì a tempo cohii seppe via torse.
Si seppe nel fuggir prender vantaggio,
Si il bosco, e sì una nebbia lo soccorse,
Ch' avea offuscato il mattutino raggio.
Che di man di Zerltin si levò netto,
Finché r ira e '1 furor gli usci del petto.
119. N(m potè, ancorché Zerbin fosse irato.
Tener, vedendo quella vecchia, il riso;
('he gli |)area dal gio^eniic ornato
Troppo diverso il brutto aulico viso;
Ed a Marfisa, che le wn'ui allato.
Disse: (ìuerrier, (u sei pien d'ogni av\iso,
Che damigella di tal sorte gnidi.
Che non temi trovar, chi te la in%idi.
120. Avea la donna (>e la crespa buccia
Può danit; indi/io) più della Sibilla,
M parca, cosi ornata, una bertuccia.
Quando per mover riso alcun > estilla;
Eli or più liiiitta par, cIh; si cori-uccia.
E che dagli occlij 1' ira le sra\illa:
Che a donna non si fa maggior dispetto,
(he qnaiulo, o vecchia, o brutta le vicii delio.
[267]
ORLANDO FURIOSO. (XX. 121-J36)
[2G8]
121. Mostrò turbarsi 1' inclita donzella.
Per prenderne piacer, come si prese;
E rispose a Zerbin : Mia donna è bella,
Per Dio, via più, che tu non sei cortese;
Comech' io creda, che la tua favella
Da quel, che sente 1' animo, non scese.
Tu fingi non conoscer sua beltade,
Per cscusar la tua somma viltade.
122. E chi saria quel cavalier, che questa
" Si "^iovane e sì bella ritrovasse
Senza più compagnia nella foresta,
E che di farla sua non si provasse?
Sì ben, disse Zerbin, teco s' assesta.
Che saria mal, eh' alcun te la levasse;
Ed io per me non son così indiscreto.
Che te ne privi mai; stanne pur lieto!
123. Se in altro conto aver vuoi a far meco,
Di quel, eh' io vaglio, son per farti mostra;
Ma per costei non mi tener sì cieco.
Che solamente far voglia una giostra.
O brutta , o bella sia , restisi teco !
Non vo' partir tanta amicizia vostra.
Ben vi siete accoppiati: io giurerei,
Com' ella è bella, tu gagliardo sei.
124. Soggiunse a lui Marfisa: Al tuo dispetto
Di levarmi costei provar convienti.
]Non vo' patir, che un sì leggiadro aspetto
Abbi veduto , e guadagnar noi tenti.
Rispose a lei Zerbin: Non so, a che effetto
L' uom si metta a periglio , e si tormenti,
Per riportarne una vittoria poi,
Che giovi al vinto, e il vincitore annoi.
125. Se non ti par questo partito buono,
Te ne do un altro; e ricusar noi dei.
Disse a Zerbin Marfisa: che s' io sono
Vinto da te, m' abbia a restar costei;
Ma s' io te vinco, a forza te la dono.
Dunque proviam, chi de' star senza lei !
Se perdi , converrà , che tu le faccia
Compagnia sempre , ovmique andar le piaccia.
126. E così sia , Zerbin rispose ; e volse,
A pigliar campo , subito il cavallo.
Si levò sulle staffe, e si raccolse
Fermo in arcione; e per non dare in fallo,
Lo sciuio in mezzo alla donzella colse:
Ma parve urtasse un monte di metallo ;
Ed ella in guisa a lui toccò l' elmetto,
Che stordito il mandò di sella netto.
127. Troppo spiacque a Zerbin l' esser caduto.
Che in altro scontro mai più non gli avvenne,
E n' av(!a mille e mille egli abbattuto;
Ed a perpetuo scorno se lo tenne.
Stette per lungo spazio in terra muto,
E pili gli dolse, poiché gli sovvenne,^
Cb' av<-a promesso , e die gli convenia
Aver la brutta vcccliia in compagnia.
128. Tornando a lui la vincitrice in sella,
Disse ridendo : Questa t'appresento ;
E <|naiito pili la veggio e grata e bella,
Tanto, eli' ella hia tua, più mi contento.
Or tu in mio loco sei (^anipion di quella.
Ma la tua tè non t-v. ne porti il vento,
(Ah; per sua guida e scorta tu non vada,
Come hai promesso, ovunque andar 1' aggrada.
129. Senza aspettar risposta, urta il destriero
Per la foresta, e subito s' imbosca.
Zerbin, che la stimava un cavaliero,
Dice alla vecchia; Fa eh' io lo conosca!
Ed ella non gli tiene ascoso il vero,
Onde sa, clie lo 'ncende e, che 1' attosca:
Il colpo fu di man d' una donzella.
Che t' ha fatto votar , disse , la sella.
130. Pel suo valor costei debitamente
Usurpa a cavalieri e scudo e lancia,
E venuta è pur dianzi d' Oriente
Per assaggiare i paladin di Francia.
Zerbin di questo tal vergogna sente,
Che non pur tinge di rossor la guancia,
Ma restò poco di non farsi rosso
Seco ogni pezzo d' arme, eh' aAca indosso.
131. Monta a cavallo , e sé stesso rampogna.
Che non seppe tener strette le cosce.
Tra sé la vecchia ne sorride , e agogna
Di stimolarlo, e di più dargli angosce.
Gli ricorda , che andar seco bisogna ;
E Zerbin , eh' obbligato si conosce,
L' orecchie abbassa, come vinto e stanco
Destrier, ch'ha in bocca il fren, gli sproni al fianco.
132. E sospirando : Oimè ! fortuna fella,
Dicea, che cambio è questo che tu fai?
Colei, che fu sopra le belle bella,
Ch' esser meco dovea, levata m' hai:
Ti par, che in luogo ed in ristor di quella
Si debba por costei, eh' ora mi dai?
Stare in danno del tutto era men male,
Che fare un cambio tanto diseguale.
133. Colei, che di bellezze e di virtuti
Unqua non ebbe, e non avrà mai pare.
Sommersa, e rotta tra gli scogli acuti.
Hai data a' pesci, ed agli augei del mare;
E costei , che dov ria già aver pasciuti
Sotterra i vermi, liai tolta a preservare
Dieci , o venti anni più , che non dovevi.
Per dar più peso agli mie' affanni grevi.
134. Zerbin così parlava ; uè men tristo
In parole e in sembianti esser parca
Di questo nuovo suo sì odioso acquisto,
Che della donna, che perduto avea.
La vecchia, ancorché non avesse visto
Mai più Zerbin , per quel eh' ora dicea,
S'avvide esser colui, di che notizia
Le diede già Isabella di Galizia.
135. Se vi riccorda quel, eh' avete udito,
Costei dalla spelonca ne veniva.
Dove Isabella , che d' anM)r ferito
Zeiliino avea, fu molti di cattiva.
Più volte ella le avea già riferito,
Conu; lasciasse la paterna riva,
E come, rotta in mar dalla procreila.
Si salvasse alla spiaggia di Uocella.
136. E sì spesso dipinto di Zerbino
Le avea il bel viso, e le fattezze conte,
Ch' ora lulendoi parlare, e più vicino
Gli occlij alzandogli meglio nella fronte,
\'uh; «"sscr ((lu-l, per cui sempre meschino
Fu d' Isabella il cor nel cavo monte;
Clic di non veder lui più si lagnava,
Che d' esser fatta ai malandrini schiava.
[269]
ORLANDO FURIOSO. (XX. 137—114. XXI.
1 — r
[2Ì0]
137. La vecchia, dando alle parole udienza,
Che con sdegno e con duol Zerbino versa,
S' avvede ben , eh' egli ha falcia credenza,
Che sia Isabella in mar rotta e sommersa :
E bendi' ella del certo abbia scienza,
Per non lo rallegrar, pur la pert'ersa
Quel che far lieto lo potria, gli tace,
E sol gli dice quel, che gli dispiace.
138. Odi tu, gli disse ella, tu, che sei
Cotanto altier, che sì mi scherni e sprezzi,
Se sapessi, che nuova ho di costei.
Che morta piangi, mi faresti vezzi.
Ma , piuttosto che dirtelo , torrei,
Che mi strozzassi, o fessi in mille pezzi;
Dove, s' eri ver me più mansueto,
Forse aperto t' avrei questo secreto.
139. Come il mastin , che con furor s' avventa
Addosso al ladro, ad acchetarsi è presto,
Che quello o pane o cacio gii appresenta,
O che fa incanto appropriato a questo :
Così tosto Zerl)ino umil diventa,
E vien bramoso di sapere il resto.
Che la vecchia gli accenna, che di quella,
Che morta piange , gli sa dir novella.
140. E volto a lei con più piacevol faccia.
La supplica, la pi'ega, la scongiura
Per gii uomini e per Dio , che non gli taccia
Quanto ne sappia, o buona, o ria ventura.
Cosa non udirai, che prò ti faccia.
Disse la vecchia pertinace e dui-a :
j\on è Isal)ella , come credi , morta,
Ma viva sì, che a' morti invidia porta.
141. E capitata in questi pochi giorni.
Che non n' udisti , in man di più di venti ;
Sicché qualora anco in man tua ritorni.
Ve', se sperar di corre il fior convienti.
Ah vecchia maladetta, come adorni
La tua menzogna! e tu sai pur, se menti.
Se ben in man di venti eli' era stata,
]\on r avea alcun però mai violata.
142. Dove r avea veduta , domandclle
Zerbino, e quando? ma nulla n' invola;
Che la vecchia ostinata mai non volle
A quel , eli' ha detto , aggiunger più parola.
Prima Zerbin le fece un parlar molle.
Poi minaccioUe di tagliar la gola;
Ma tutto è invan ciò che minaccia e prega;
Che non può far parlar la brutta strega.
143. Lasciò la lingua all' ultimo in riposo
Zerbin , poiché '1 parlar gli giovò poco ;
Per quel , che udito avea , tanto geloso.
Che non trovava il cor nel petto loco ;
D' Isabella trovar sì disioso.
Che saria , per vederla , ito nel fuoco.
j 3Iii non poteva andar più che volesse
Colei , poich' a Marfisa lo promesse.
144. E quindi per solingo e strano calle,
I Dove a lei piacque , fu Zerl)in condotto.
I Kè per o poggiar monte , o scender valle,
I Mai si guardaro in faccia , o si fùr motto.
I Ma poich' al mezzodì volse le spalle
Il vago sol , fu il lor silenzio rotto
I Da un cavalier, che nel cammiu scontraro.
I Quel che seguì, nell' altro canto è chiaro.
CANTO VENTESIMOPRIMO.
ARGOMENTO.
Zerbin, clic di virtù fit paragone.
Per mantener sua fc costante e forte.
Con Ermonide piglia aspra tenzone,
Quello scavalca , e lo ferisce a morte;
Da cui, qual sia Gabrina, e la cagione
Intende poi di sua malvagia soì-tc.
E mentre ciò gli punge e preme il core.
Lo toglie a quel pensier grave rumore.
\è fune intorno «Tederò che stringa
Soma così, né co>ì legno chiodo,
(/'omo la le, di' una bt-ir alnni cinga
Del suo tenace indir-soluliil nodo.
Né dagli anlidii pur cIh: si di|iinga
La santa i'V- \i'stitii in altro iiioilo.
Che d' mi vd bianco, die lu copra tutta;
Cir ini sol punto, un sol uro hi può iar brutta
2. La fede unqua non deve esser corrotta,
O data a un solo , o data insiciiie a mille,
E cosi in una selva, in una grotta.
Lontan dalle cittadi e dalie >ille.
Come dinanzi a' tribunali , in frolla
Di testimon, di scritti, e di poslillc
Senza gilll•ar(^, o segno allro più espresso,
Basti una volta , die s' abbia promesso.
3. Quella servò, come servar si drbbe.
In ogni impresa il ca\alicr Zerbino,
E quivi dimostrò, die conto n'ebbe.
Quando si toUt- d.ii proprio cammino.
Per andar con cost«-i . la (|ual gì' increbbe,
Come se avesse il morbo si >i(ino,
Oppur la morte stessa: ina potcu
Più die '1 disio, qnd che promesso a>ea.
i. Dissi di lui, ch<- di cederla sotto
La sua condotta tanti» al cor gli preme,
(;he n' arrabliia di duol , uè le fa motto,
E vanno muli e taciturni insieme.
Dissi, che poi fu quel silcii/.iu rotto,
('he ni iniMido il sol mostrò le ruote estreme.
Da un ca^ alien» avvcnliinxo errante,
Che in mcv./o dcJ citmmin lur bi fé' innante
[271]
ORLANDO FURIOSO. (XXI. 5 — 20)
[272]
5. La vecchia , che conobbe il cavaliere,
Ch' era nomato Ermonide d' Olanda,
Che per insegna ha nello scudo nero
Attraversata una vermiglia banda,
Posto r orgoglio e quel sembiante altero.
Umilmente a Zerbin si raccomanda,
E gli ricorda quel , eh' esso promise
Alla guerriera, che in sua man la mise.
6. Perchè di lei nimico, e di sua gente.
Era il guerrier, che contra lor venia.
Ucciso ad essa avea il padre innocente.
Ed un fratel, che solo al mondo avia;
E tuttavolta far del rimanente.
Come degli altri, il traditor disia,
Fincli' alla guardia tua, donna, mi senti,
Dicea Zeibin, non vo' che tu paventi.
7. Come più presso il cavalier sì specchia
In quella faccia , che si in odio gli era :
O di combatter meco t' apparecchia,
Gridò con voce minacciosa e fiera,
O lascia la difesa della vecchia,
Che di mia man , secondo il merto, pera !
Se combatti per lei , rimarrai morto :
Che così avviene a chi s' appiglia al torto.
8. Zerbin cortesemente a lui risponde,
Ch' egli è desir di bassa e mala sorte,
Ed a cavalleria non corrisponde,
Che cerchi dare ad una donna morte.
Se pur combatter vuol, non si nasconde;
Ma che prima consideri , che importe,
Ch' un cavalier, com' era egli, gentile,
Voglia por man nel sangue femminile.
9. Queste gli disse e più parole invano ;
E fu bisogno alCn venire ai fatti.
Poiché preso abbastanza ebbon del piano,
Tornarsi incontra a tutta briglia ratti.
]Non van sì presti i razzi fuor di mano.
Che al tempo son delle allegrezze tratti,
Come andaron veloci i duo destrieri
Ad incontrare insieme i cavalieri.
10. Erraonide d' Olanda segnò basso.
Che per passare il destro fianco attese;
Ma la sua debol lancia andò in fracasso,
E poco il cavalier di ScozLa offese.
Non fu già r altro colpo vano e casso;
Ruppe lo scudo, e sì la spalla prese.
Che la forò dall' uno all' altro lato,
E riversar fé' Ermonide sul prato.
11. Zerbin, che si pensò d' averlo ucciso,
Di pietà vinto scese in terra presto,
E levò r elmo dallo smorto viso;
E quel guerrier, come dal soniu) desto,
Senza parlar guardò Zerbino fiso,
E poi gli disse: Non m' è già molesto,
Ch' io sia da te abbattuto ; che ai sembianti
Mostri esser fior de' cavalieri erranti ;
12. Ma ben mi duol, che questo per cagione
D' una femmina perfida m' avviene,
A cui non so come tu sia campione.
Che troi)po al tuo valor si disconviene.
E quando tu sajicssi la cagione,
Cir a vendicarmi di costei mi mene,
Avresti, ognor che 'l rimembrassi, affanno,
D' aver, per campar lei, fatto a me d inno.
13. E , se spirto abbastanza avrò nel petto,
Ch' io '1 possa dir (ma del contrario temo),
Io ti farò veder, che in ogni effetto
Scellerata è costei più, che in estremo.
Io ebbi già un fratel, che giovinetto
D' Olanda si partì , donde noi semo,
E si fece d' Eraclio cavaliero,
Ch' allor tenea de' Greci il sommo impero.
14. Quivi divenne intrinseco e fratello
D' un cortese baron di quella corte.
Che nei confin di Servia avea un castello.
Di sito ameno, e di muraglia forte.
Nomossi Argéo colui, di eh' io favello.
Di questa iniqua femmina consorte.
La quale egli amò sì , che passò il segno,
Ch' a un uom si convenia, come lui degno.
15. Ma costei , più volubile , che foglia,
Quando 1' autunno è più privo d' umore,
Che '1 freddo vento gli alberi ne spoglia,
E le soffia dinanzi al suo furore.
Verso il marito cangiò tosto voglia,
Che fisso qualche tempo ebbe nel core,
E volse ogni pensiero , ogni desio
D' acquistar per amante il fratel mio.
16. ^la né sì saldo all' impeto marino
L' Acrocerauno d' infamato nome,
]Vè sta sì duro incontro Borea il pino.
Che rinnovato ha più di cento chiome.
Che, quanto appar fuor dello scoglio alpino.
Tanto sotterra ha le radici : come
Il mio fratello a' pricghi di costei,
Kido dì tutti i vizj infandi e rei.
17. Or, come a^'^iene a un cavaliere ardito,
Che cerca briga , e la ritrova spesso,
Fu in una impresa il mio fratel ferito,
Molto al Castel del suo compagno appresso,
Dove venir senza aspettare invito
Solca, fosse o non fosse Argeo con esso;
E dentro a quel per riposar fermosse
Tanto, che del suo mal libero fosse.
18. Mentre egli quivi sì giacca , convenne,
Che in certa sua bisogna andasse Argeo.
Tosto questa sfacciata a tentar venne
Il mio frcitello, ed a sua usanza feo.
Ma quel fedel non oltre più sostenne
Avere ai fianchi un stimolo sì reo ;
Elesse, per servar sua fede appieno,
Di molti mal quel, che gli parve meno.
19. Tra molti mal gli parve elegger questo:
Lasciar d' Argeo 1' intrinsichezza antiqua,
Lungi andar sì , che non sia manifesto
Mai più il suo nome alla femmina iniqua.
Bencliè duro gli fosse, era più onesto.
Che satisfare a quella voglia obbliqua,
O che accusar la moglie al suo signore,
Da cui fu amata a par del proprio core.
20. E delle sue ferite ancora infermo
L' arme si veste, e del castcl si parte,
E con animo va costante e fermo,
Di non mai piti tornare in quella parte.
Ma non gli vai ; che ogni difesa e schermo
Gli dissipa fortuna con nuova arte.
Ecco il marito, che ritorna intanto,
E trova la moglicr, che fa gran pianto,
[273]
ORLANDO FURIOSO. (XXL 21—36)
I^Iil
21. E scapiijliatii , e con la faccia rossa ;
E le domanda, di che sia turbata.
Priinach' ella a rispondere sia mossa,
Pregar si lascia più d' una fiata,
Pensando tuttavia , come si j)o.ssa
Vendicar di colui, die 1' ha lasciata.
E ben convenne al suo mobile ingegno
Cangiar 1' amore in subitano sdegno.
22. Deh! disse alfine, a che 1' error nascondo,
Che ho commesso, signor, nella tua assenza?
Che quando ancora io 1 celi a tutto 'i mondo.
Celar noi posso alla mia conscienza.
L' alma , che sente il suo peccato immondo,
Paté dentro da sé tal penitenza,
Ch' avanza ogni altro corporal martire,
Che dar mi possa alcun del mio fallire;
23. Quando fallir sia cuiel, che si fa a forza.
M.i sia quel che si vuol , tu sappil anco,
Poi con la spada dalla immondii scorza
Si^iogii lo spirto ininiaculato e bianco,
E le mie luci eternamente ammorza !
Cile, dopo tanto vituperio, almanco
'JYnerlc basse ognor non mi bisogni,
E di ciascun, eh' io vegga, io mi vergogni.
24. Il tuo compagno ha 1' onor mio distrutto,
Questo corpo per forza ha violato;
E , perchè teme , eh' io ti narri il tutto,
Or si parte il villan senza conmiiato.
In odio con quel dir gli cl)bc ridutto
Ctdui, che più d' ogni altro gli fu grato.
Argeo lo crede , ed altro non aspetta,
Ma piglia r arme, e corre a far vendetta.
25. E come quel, eh' avea il paese noto,
Lo giunse , che non fu troppo lontano :
Che '1 mio fratello debole ed egroto,
Senza sospetto se ne già pian piano.
E brevemente iii un luogo remoto
Pose , per vendicarsene , in lui mano.
IVou trova il fratel mio scusa, che vaglia;
Cile in sonmia Argeo con lui vuol la battaglia.
20. Era I' nn sano, e pien di nuovo sdegno,
Iniermo 1' altro , ed all' usanza amico.
Sicché ebbe il fratel mio poco ritegno
Coiitra '1 compagno , fattogli nemico.
Dunque Filandro, di tal sorte indegno,
(Dell' infelice giovane ti dico,
Così avea nome), non soflVendo il peso
Di si fiera battaglia , rct-iò preso.
27. Non piaccia a Dio , che mi conduca a tale
11 mio giust(» furore , ci tuo dcmerto,
(ìli disse Argeo, che mai sia micidiale
Di te, cfie amava; e me tu amavi certo,
Dcnchè nel fin ux; 1' hai mostrato m.ile.
Pur voglio a tutto il mondi» fare aperto,
Che, come fui nel tem|)o dtdl' anmre,
Così neir <idio son di te migliore.
28. Per altro modo punirò il tuo fallo,
('Ile le mie man più nel tuo sangue porre,
('osi dicendo, fece sul cavallo
Di verdi rami una bara comporre,
E, quasi morto, in quella riportallo
Dentro til castello in unu cbiu^a torre.
Dove in perpclm» per punizione
Condannò 1' innocente a «tar prigione.
29. Non però eh' altra cosa avesse manco,
t Che la libertà prima del partire;
Perchè nel resto, come sciolto e franco,
i Vi comandava, e si facea ubbidire.
]'.Ia non essendo ancor 1' animo stanco
Di questa ria del suo pcnsier fornire,
(^uasi ogni giorno alia prigion veniva;
Che avea le chiavi , e a suo piacer 1' apriva,
30. E movea sempre al mio fratello assalti,
E con maggiore audacia, che dapprima.
(Questa tua fedeltà, dicca, che vaiti,
Poic'iè perfidia per tutto si stima?
Oh che trionfi gloriosi ed alti !
Oh che superbe spoglie e preda opima!
Oii che merito aifiii te ne risalta.
Se, come a traditore, ognun t' insulta?
31. Quanto utilmente, quanto con tuo onore
M' avresti dato quel , che da te volli !
Di questo sì ostinato tuo rigore
La gran mercè, che fu guadagni, or tolli
In prigion sci ; né crederne uscir fuore,
Se la durezza tua prima non molli.
Ma, quando mi conijìiacci , io farò trama
Di racqui^ta^tì e libertadc e fama.
32. No, non, disse Filandro, aver mai spene.
Che non sia, come sisol, mia vera fede!
Se ben contra ogni dt-liito mi avviene,
Ch' io ne riporti sì dura mcrceile,
E di me creda il mondo men che bene :
Basta, che innanti a quel, che '1 tutto vede,
E mi può ristorar di grazia eterna,
Chiara la mia innocenza si discerna.
33. Se non basta, eh' Ar?:eo mi tenga preso,
T<;lgaini ancor questa noiosa vita !
Fiir^e non mi fia il premio in cicl conteso
Delia buona opra, qui poco gradita.
Forse egli , die da me si chiama ofTeso,
Quando sarà quest' anima partita.
S' avvedrà poi d' avermi fatto torto,
E piangerà il fedel compagno morto.
34. Cosi più volte la sfacciata donna
TcMita Filaiulro, e (orna senza frutto.
Ma il cieco suo desir, che non assonna
Trar del suo sctdlerato amor costrutto.
Cercando va più dentro , eh' alla gonna,
Suoi ^izj antichi, e ne discorie il tutto.
Mille pcnsier fa d' uno in altro modo,
Primacbè fermi in alcun de>si il chiodo.
35. Stette sei mesi, che non mise piede.
Come prima facea, nella prigione:
Di che il miser Filandro e spera e crede,
Che costei più non gli abbili alle/ione,
Ecco fortuna . al mal propizia , diede
A cpiesta scellerata o(•ca^iolle
Di metter fin , con mcmorabil male.
Al suo cieco appetito irrazionale.
za. Antica ioimici/.ia avea il marito
Con un barou . detto Morando il Ix'llo,
Clic, non >'e->>einlo \rgco, spessii era ardito
Di com'r Milo, e fin dentro al castello:
Ma se Argro \' era, non tema lo n\ilo,
ISè s' accostu>a a dieci miglia a quello.
Or per poterlo iiuhir, che ci veni-se,
D' ire in ticnit^lem por voto dist>e.
18
[275]
ORLANDO FURIOSO. (XXI. 37 — 52)
[276]
37. Disse d' andare ; e partesi , eh' oj;nuno
Lo Tede , e fa di ciò -ipiirii^er le n:rida.
]Nè il suo pensier, fuorché la inojj^lie, alcuno
Puote saper; che sol di lei si fida.
Torna poi nel castello all' aer bruno,
Né mai , se non la notte , ivi s' annida,
E con mutate insegne al nuovo albore,
Senza vederlo alcun, sempre esce fuorc.
38. Se ne va in questa e in quella parte errando, j
E volteggiando al suo castello intorno,
Pur per veder , se "1 credulo Morando
Volesse far , come solca , ritorno.
Stava il di tutto alla foresta , e quando
Nella marina vedea ascoso il giorno.
Venia al castello , e per nascose porte
Lo togliea dentro 1' infedel consorte.
39. Crede ciascun, fuorché 1' iniqua moglie, !
Che molte miglia Argeo lontan si trove. I
Dunque il tempo opportuno ella si toglie. \
Al fratel mio va con malizie nuove, I
Ha di lagrime, a tutte le sue voglie,
Un nembo , che dagli occhj al sen le piove. :
Dove potrò, dicea. trovare ajuto, !
Che in tutto 1' onor mio non sia perduto ?
40. E col mio quel del mìo marito insieme?
n qual, se fosse qui, non temerci.
Tu conosci Plorando, e sai, se teme.
Quando Argeo non ci sente, uomini e Dei.
Questi, or pregando, or minacciando, estreme •
Prove fa tuttavia; né alcun de' miei '
Lascia che non contamini , per trarmi '
A' suoi desii ; né so , s' io potrò aitarmi.
41. Or , eh" ha inteso il partir del mio consorte,
E che al ritorno non sarà si presto,
Ha avuto ardir d' entrar nella mia corte
Senza altra scusa e senz' altro pretesto:
Che, se ci fosse il mio signor per sorte,
Non sol non avria audacia di far questo,
Ria non si terria ancor, per Dio, sicuro
D' appressarsi a tre miglia a questo muro.
42. E quel che già per messi ha ricercato.
Oggi me r ha richiesto a fronte a fronte,
E con tai modi , che gran dubbio è stato
Dell' avvenirmi disonore ed onte ;
E se non che parlar dolce gli ho usato, j
E finto le mìe voglie alle sue pronte,
Saria a forza di quel suto rapace,
Che spera aver per mie parole in pace.
43. Promesso gli ho , non già per osservargli.
Che fatto per timor luillo é il contratto ;
Ma la mia intenziou fu per vietargli
Quel , clie per forza avrebbe allora fatto.
Il caso è qui : tu sol puoi rimediargli ; [
Del mìo onor altrìmente sarà tratto,
E di quel del mio Argeo, che già m' liai detto
Avere o tanto, o più, che 1 proprio, a petto.
44. E se questo mi nìcghi, io dirò diuiqiie.
Che ìli te non sia la fé, di che ti vanti,
Ma clic fu sol per crudeltà, qualunque
\ (tha liai spn y,/,iiti i mìci supplici pianti.
Non per ri^p(•ttn al<:uii d' Arg»'o; quantunque
M'Iiai questo ^<:ud() ognora opi>o>to inuiuiti.
Saria stata tra noi la co>a occulta;
Ma (fi qui aperta infamia mi risulta.
45. Non si convien , disse Filandro , tale
Prologo a me, per Argeo mio dìspo^to.
Narrami pur quel, che tu vuoi; che, quale
Sempre fui, di sempre essere ho proposto:
E benché a torto io ne riporti male,
A lui non ho questo peccato imposto.
Per lui son pronto andare anco alla morte,
E siami contro il mondo, e la mia sorte.
46. Rispose r empia: Io voglio, che tu spenga
Colui , che '1 nostro disonnr procura.
Non temer, che alcun mal dì ciò t' a'^ienga !
Ch' io te ne mostrerò la via sicura.
Deve egli a me tornar, come rivenga
Sull 'ora terza la notte più scura;
E , fatto un segno , di eli' io 1' ho avvertito,
10 r ho a tor dentro , che non sìa sentito.
47. A te non graverà prima aspettarmc
Nella camera mìa, dove non luca,
Tanto che dispogliar gli faccia l' arme,
E quasi nudo in man te lo conduca.
Cosi la moglie conducesse panne
11 suo marito alla tremenda buca;
Se per dritto costei moglie s' appella.
Più che furia infernal crudele e fella.
48. Poiché la notte scellerata venne,
Fuor trasse il mio fratel con l' arme in mano,
E neir oscura camera lo tenne.
Finché tornasse il niiser castellano.
Come ordine era dato, il tutto av\enne:
Che "I consìglio del mal va raro in\ano.
Cosi Filandro il buono Argeo i)ercossc.
Che si pensò , che quel Plorando ftisse.
49. Con esso un colpo il capo fesse e il collo;
Ch" elmo non v' era, e non vi fu riparo.
Pervenne Argeo , senza pur dare un crollo.
Della misera vita al fine amaro :
E tal r uccise , che mai non pensollo,
Né mai r avria creduto. O caso raro !
Che, cercando giovar, fece all' amie»
Quel, di che peggio non si fa al nimic».
50. Posciachè Argeo non conosciuto giacque,
Renile a Gabrina il mio fratel la spad.i.
Gabrina é il mane di costei, che nacque
Sol per tradire ognun , che in man le cada.
Ella, che '1 ver fino a queir ora tacque.
Vuol , clic Filandro a riveder ne vnda
Col lume in mano il morto, ond' egli è reo;
£ gli dimostra il suo compagno Argeo.
51. E gli minaccia poi , se non consente
All' amoroso suo lungo desìre.
Dì palesare a tutta quella gente
Quel, eh' egli ha fatto, e noi può contraddire
E lo farà vituperosamente.
Come assassino e tradìtor, morire,
E gii ricorda , che sprezzar la fama
Non de', se ben la vita sì poco ama.
52. Pìen dì paura e dì dolor rimase
Fìlaiulro, poiché del suo error s' accorse.
Qua>i il primo furor gli persuase
1)' uccider que>ta, e stt-Ite un pezzo in forse:
E se non che nelle nimiche case
Si ritro^ ò , che la ragion soccorse,
Non sì tro\audo a^er altr' arme in mano,
Co' denti la stracciava a bnmo a bnuio.
[2T7]
ORLANDO FURIOSO. (XXI. 5S — 68)
[278J
53. Come nell' alto mar legno talora,
Che da duo Tenti sia percosso e vìnto,
Ch' ora uno innanzi 1' ha mandato , ed ora
Un altro al primo termine respinto,
E r han girato da poppa e da prora,
Dal più possente alfin resta sospinto:
Cosi Filandro, tra molte contese
De' duo pensieri, al manco rio s' apprese.
54. Ragion gli dimostrò il pericol grande,
Oltre il morir, del fine infame e sozzo,
Se r omicidio nel Castel si spande ;
E del pensar il termine gli è mozzo.
Voglia, o non voglia, alfin convien, che mande
L' amarissimo cali('e nel gozzo.
Pur finalmente nell' afflitto core
Più dell' ostinazion p(»tè il timore.
53. 11 timor del supplicio infame e hrutto
Prometter fece con mille scongiuri,
Che farìa di Gahrina il voler tutto,
Se di quel loco si partian sicuri.
Cosi per forza colse 1' empia il frutto
Del suo desire, e poi lasciar quei muri.
Così Filandro a noi fece ritorno,
Di sé lasciando in Grecia infamia e scorno.
56. E portò nel cor fisso il suo compagno,
Che così scioccamente ucciso avea,
Per far, con sua gran noja, empio guadagno
D' una Progne crudel, d' una Medea.
E se la fede e '1 giuramento, magno
E duro freno , non Io ritcnea,
Come al sicuro fu , morta 1' a^rehbe :
Ma, quanto più si puote , in odio V ebbe.
57. Non fu da indi in qua rider mai visto;
Tutte le sue parole erano meste.
Seuipre sospir gli us(;ian del petto tristo,
Ed era divenuto im nuovo Oreste,
Poiché la madre uccise e '1 sacro Egitto,
E che r nitrici furie ebbe moleste:
E, senza mai cessar, tanto 1' afflisse
Questo dolor, che infermo al letto il fisse.
58. Or questa meretrice , che sì pensa,
Quanto a ques^t' altro suo poco sia grata,
Muta la fiamma, già d' amore intensa,
In odio, in ira ardente ed arrabbiata;
ISè meno è c(u;tra al mio fratello acccnsa,
Cile fosse contra .\rgco la scellerata;
E dispone tra se levar dal mondo.
Come il primo marito , anco il secondo.
59. Un medico trovò d' inganni pieno.
Sufficiente ed atto a simil uopo,
Che sapea meglio uccider di ^eiicno.
Che risanar gì' infirmi di ^cilopl^;
E gli pri)nii>e innanzi più che meno
Di quel, che domaiulò, lionargli , dopo
('II' aves>e, con moitircro liiiuore.
Levatole dagli occbj il ^uo f-ignore.
60. Già in mia presenza, e d' altre più persone,
\enia col to^co in mano il vecchio ingiusto,
Dii cudo , eh' era buona po/.ione
l)a ritornare il mio fralcl robu>to.
]Ma (ìaìirìna con nuova intenzione,
l'riacltc r inlcrino ne lurba^^e il gu>to.
Per tor.-i il cl^n^a^le^ol(• ti' ap|iresM»,
O per ntui dargli ipul eh' nwn promo«>«o,
61. La man gli prese, quando appunto dava
La tazza , dove il tosco era celato,
Dicendo: ingiustamente è, se ti grava,
Ch' io tema per costui, eh' ho tanto amato.
^ oglio esser certa che bevanda prava
Tu non gli dia, nò succo a>"\elenato:
E per questo mi par, che "1 beveraggio
Non gli abbia a dar, se non ne fai tu il saggio.
62. Come pensi , signor , che rimanesse
Il miser vecchio conturbato allora.''
La brevità del tempo sì 1' oppresse,
Che pensar non potè , che meglio fora.
Pur, per non dar maggior sospetto, elesse
Il calice gustar senza dimora;
E r infermo , seguendo una tal fede,
Tutto il resto pigliò, che se gli diede.
63. Come sparvier, che nel piede grifagno
Tenga la starna, e sia per trarne pasto,
Dal can , che si tenea fido compagno.
Ingordamente è sopraggiimto e guasto:
Così il medico , intento al rio guadagno,
Donde sperai a ajuto , ebbe contrasto.
Odi di somma audacia esempio raro :
E così avvenga a ciascun altro avaro!
64. Fornito questo , il vecchio s" era messo,
Per ritornare alla sua stanza, in via.
Ed usar qualche medicina appresso,
Che lo salvasse dalla |)este ria;
!Ma da Gabrina non gli fu concesso.
Dicendo non voler, eh' andasse, pria
Che '1 succo nello stomaco digesto
Il suo valor facesse manifesto.
65. Pregar non vai. né far di premio ofTcrta,
Che lo voglia lasciar quindi partire.
Il disperato , poiché vede certa
La morte sua , né la poter fuggire,
Ai circo>tanti fa la cosa aperta.
Né la seppe costei troppo coprire.
E co^ì quel , che fece agli altri spesso
Quel buon medico, alfin fece a sé stesso.
66. E iseguitò con 1' alma quella, eh' era
Già del mio frate camminata innanzi.
Noi circostanti, che la <Misa vera
Dal \c(ihio udiimno , che le" pochi avanzi.
Pigliammo ((nota ahliouiinevol fera.
Più (;ruilel di qualini(jnc in sel\a stanzi,
E la serrammo in t< lK'lu•o^o loco.
Per condannarla al meritato fuoco.
67. Questo Ernu)nide disse : e più volerli
Seguir, <"om' ella di prigion Ic^ossi;
3la il (Ittldi- della piaga >i V .iggrc\a,
('he pallido nell' erba ri*(r.>o>>i.
Inlanlo duo scudier. che seco aveva,
l'atto una bara avean di rami groa^i :
l'iriuonide si fece in i|iiella porre,
Clr indi ahranu-nle non >i potea torre.
fi8. Zerbin col ca^alier fece sua scusa,
('he gì' iiuie-cea d" avergli l'alto oll'esa ;
!Ma , come pur tra cavalieri s'usa.
Colei . che venia seco, avea dife.<n,
("II" allrauienle sua fé saria confusa;
l'ercbè , qtiaiulo in sua guardia 1" avea |)resa,
VroMiì>e a ►uà possanza ili >al>arla
Coiitra ogiiiiii , che veni^^e a disturbarla,
1» *
[279] ORLANDO FURIOSO. (XX[^69 — 72. XXII. 1 — 8) [280]
69. E , se in altro potea stratificargli,
Prontissimo offeriasi alla sua voglia.
Kispose il cavalier , che ricordargli
Sol vuol , che da Gahrina si discioglia,
Priraach' ella ahbia cosa a macchinargli,
Di eh' esso indarno poi !?i penta e doglia.
Gahrina tenne sempre gli ocdij bassi,
Perchè non ben risposta al vero dassi.
70. Con la Tecrhia Zerbin quindi partisse
Al già promesso debito viaggio,
E tra sé tutro il dì la maledisse,
Cile far gli lece a quel barone oltraggio:
Ed or , che pel gran mal , clie gli ne disse
Chi lo sapea, di lei fn instriitto e saggio.
Se prima 1' avea a noja e a dispiacere.
Or r ordia sì , che non la può vedere.
71. Ella, c)ìc di Zerbin sa 1' odio appieno,
Kè in niiibi volontà vuoi esser vinta,
Un' ouciii a lui non ne riporta meno ;
La tieu di quarta, e la rità di quinta.
Nel core era gonfiata di veneno,
E nel viso iiitrimenti era dipinta.
Dunque nella concordia, eh' io vi dico,
Tenean lor via per mezzo il bosco antico.
72. Ecco , volgendo il sol verso la sera,
Udiron gridi e gtrt'j)iti e percosse.
Che faccan segno di battaglia fiera.
Che. quanto era il rumor, vicina fosse.
Zerbino , per veder la cosa eh' era.
Verso il rumore in gran fretta si mosse;
Né fu Gabrina lenta a seguitarlo.
Di quel , che avvenne, all' altro cinto io parlo.
CANTO VENTESIMOSECONDO.
ARGOMENTO.
L' incantato palagio al mago Atlante
Disfà V Inglese , e volge in fuga quello.
Si riirovan Ruggiero e Bradamantc,
E van per trar da morte un damigello
Ad un Castel. Conosce nel sembiante
La donna il traditor di Pinabello.
Quattro guerricr Ruggiero abbatte in fretta.
E poi lo scudo entro d' un pozzo getta.
1. Cortesi donne, e grate al vostro amante,
Voi , che d' un solo amor siete contente,
Comeché certo sia , fra tante e tante.
Che rarissime siate in questa mente;
Non vi dispiaccia quel , eh' io di<si innante.
Quando contra Gabrina fui si ardente,
E se ancor son per spendervi alcun verso,
Di lei biasmando 1' animo perverso.
2. Ella <Ta tale; e, come imposto fammi
Da chi può in me, non prc-terisco il vero.
Per questo io non oscuro gli onor sommi
D' una e d' un' altra, eh' abl)ia il <;or sincero.
Quel , che 'l maestro suo per trenta nummi
Diede a' Giudei, non nocque a (ìianni, o aPit
Né d' IpiTinc-tra é la faina men bella,
Sebben di tante inique era sorella.
3. Per una , che I)iasmar cantando ardisco.
Che r ordinata istoria così vuole,
liodarnc; cento incontra m' ofìerisco,
E far lor virtù iJiiara più che '1 sole.
Ma tornainlo al lavor, che vario ordisco,
(^In- a molti, lor nurcé, graJo esser suole,
Del cavalier di Scozia io vi dìcea.
Che un alto gr'iAa appresso udito avea.
ro;
4. Fra due montagne entrò in un stretto calle.
Onde uscia il grido; e non fu molto innante,
Che giunse, dove in una chiusa valle
Si vide un cavalier morto davante.
Chi sia, dirò; ma prima dar le spalle
A Francia voglio, e girmene in Levante,
Tanto eh' io trovi Astolfo jìaladino,
Che per Ponente avea preso il cammino.
5. Io lo lasciai nella città crudele.
Onde col suon del forniidabll corno
Avea cacciato il popolo infedele,
E gran periglio toltosi d' intorno,
Ed a' compagni fatto alzar le vele,
E dal lito fuggir con grave scorno.
Or seguendo di lui, dico , che prese
La via d' Armenia, e uscì di quel paese:
6. E dopo alquanti giorni in Natòlia
Trovossi, e in verso Bursia il cammin tenne;
Onde, continuando la sua via.
Di qua dal mare in Tracia se ne venne.
Lungo il Danubio andò per 1' Unglieria,
E . come avesse il suo destrier le penne,
I Ì^IoraA i e i Boemi passò in meno
Di venti giorni , e la Franconia , e il Reno.
7. Per la selva d' Ardenna in Aquisgrana
Giunse, e in Brabante, e in P'iandra a Ifin s' imbarca.
L' aura, che soffia verso Tramontana,
La vela in guisa in sulla prora carca.
Che a mezzo giorno Astolfo non lontana
^ede Inghilterra, ove nel lito varca.
Salta a cavallo , e in tal modo lo punge,
Ch' a Londra quella sera ancora giunge.
8. Quivi sentendo poi , che '1 vecchio Ottone
Già molti mesi innanzi era in Parigi,
E che di novo quasi ogni barone
Avea imitato i suoi degni vestigi,
D' andar subito in Francia si dispone,
E cosi (orna al porto di l'amigi ;
Onde, con le vele alte uscendo fuora,
\ erso Culessio fc' driivzar la prora.
[281]
ORLANDO FURIOSO. (XXIF. 9-24)
[282]
9. Un ventolin , che leggermente all' orza
Ferendo , avea adescato il ìef- no all' onda,
A poco li poco cresce e si rinforza,
Poi vien A, eh' al nocchier ne sojìrahbonda.
Che gli volti la poppa alfine, è forza;
Se non, j;li caccerà sotto la sponda.
Per la scliiciia del usar ticn (ìrilto il legno,
E fa carainin diverso al suo disegno.
10. Or corre a destra, ora a sinistra mano,
Di qua, di là, dove fortuna spinge,
E piglia terra aliin pre-so a Roano,
E come prima il dolce lito attinge,
Fa rimetter la sella a Hiibicano,
E tutto s' arma, e la spada si cinge:
Prende il camiiiino ,, ed lia fcco quel corno,
Che gli vai più, che mille uomini intorno.
11. E giunse, traversando una foresta,
A pie d' un coVle, ad una chiara fonte,
Neil' ora, che '1 monton di pascer resta
Chiuso in capanna, o sotto un cavo monte;
E dal gran caldo e dalla sete infc-ta
A inio si trasse 1' elmo d illa fronte,
Legò il destrier tra le più spesse fronde,
E poi venne per bere alle fresche onde.
12. Non avea messo ancor le labbra in molle,
Ch' un villanel, che v' era ascoso appresso,
Sbuca fuor d' una macchia, e il destrier tolle;
Sopra vi sale , e se ne va con esso.
Astolfo il rumor sente, e il capo estolle;
E poiché '1 danno suo vede sì espresso,
Lascia la fonte , e sazio senza bere
Gli va dietro correndo a più potere.
13. Quel ladro non si stende a tutto corso,
Cile dileguato .nÌ saria di botto;
^la, or lenti'.ndo , or raccogliiMido il morso,
Se ne va di galojipo, e di buon trotto.
Escon del bosco dopo un gran discorso,
E r imo e r altro alfin si fu ridotto
Là, dove tanti nobili baroni
Eran, senza prigion, più che prigioni.
14. Dentro il palagio il villanel si caccia
Con quel destrier, che i venti al corso adegna.
Forza è, ch'Astolfo, il qiial lo scudo impaccia,
L' elmo e l' altre arme, di lontan lo segua.
Pur giunge anch' egli ; e tutta (ludla traccia
C;ii(! fin qui a^ca ^eguita, si dilegua,
('ile più uè Uabicau, nò il ladro vitdc,
E gira gli occhj, e indarno allretla il piede.
15. Aft'retta il piede, e va cercando invano
E le logge, e le camere, e le sale;
Ma per trovare il perfido villano.
Di sua fatica nulla »i prevale.
Non sa, dove alibia ascoso HaI)ic.ino,
Quel suo veloci! sopra ogni animale,
E ^^•nza frutto alcun tulio (pul gidrno
('creò di ^u, di giù, dentro e «1' intorno.
l-'i. Confuso e lasso d' iig<;irarsi lauto,
S' awidn, rhe (|u<l luco era incmlato,
E del liliretlo, ih' avea sfimpn- accanto,
<1ic LogÌNiillii i„ India gli a.ca dato,
Acciocclir , ricadendo iu nuovo incanto,
Potc-sc (iit.ir,i, .si It, ricordato;
Ali' indice riciuM-, e \i(ii; to>to,
A quante carte era it rimedio posto.
17. Del palazzo incantato era diiTuso
Scritto nel lihro; e v' eran scritti i modi
Di fare il mago rimaner confuso,
E a tutti quei prigion disciorrc i nodu
Sotto la soglia era uno spirto chiuso.
Che iacea questi inganni e queste frodi;
E levata la pietra, ov' è sepolto, _
Per lui sarà il palazzo in fumo sciolto.
18. Desideroso di condurre a fine
Il paladin sì gloriosa impresa,
]\on tarda più, che '1 braccio non ìnchine
A prosar, quanto il grave marmo pesa.
Come Atlante le man vede vicine
l'cr far, che 1' arte sua sia vilipesa,
Sospettoso di quel , che può avvenire,
Lo va con nuovi incanti ad assalire.
19. Lo fa, con diaboliche sue larve,
Parer da quel diverso, che solca.
Gigante ad altri , ad altri un villan parve,
Ad altri un cavalier di faccia rea.
Ognuno in quella forma, in che gli apparve
ISel bosco il mago, il paladin vedea;
Sicché, per riaver quel, che gli tolse
11 mago, ognuno al paladin si volse.
20. Ruggier, Gradasso, Iroldo , Bradaniante,
Brandimarte, Prasildo, altri guerrieri,
In questo nuovo error si fero innante.
Per distruggere il duca accesi e fieri.
Ma ricordossi il corno in quello istante,
Che fé' loro abbassar gli animi altieri.
Se non si snccorrea col grave suono,
Morto era il paladin senza perdono.
21. Ma tostochè si pon quel corno a bocca,
E fa sentire intorno il suono orrendo,
A guisa di colombi , quando scocca
liO scoppio , vanno i cavalier fuggendo.
Kon meno al negromante fuggir tocca.
Non men fuor della tana esce temendo,
Pallido e sbigottito, e se ne shuiga
Tanto , che '1 suono orribil non lo giunga.
22. Fuggì il guardian co' suoi prigioni, e dopo
Delle stalle fuggir molti cavalli,
Cli' altro che lune a ritenerli era uopo,
E seguirò i padron per varj calli.
In casa non restò gatta, né topo
Al suon , che par che dica: Dalli, dalli!
Sarebbe ito con gli altri Uabicaiio,
So non eh' all' uscir venne al duca in mano.
23. Astolfo, |)oi(h' ebbe cacciato il i"«ig«»>
Levò di sulla soglia il gra^e sasso,
E vi ritrovò sotto alcuna iuimago.
Ed altre cose, che di scri\cr lasso;
E di distrugger quello incanto vagQ,
Di ciò . «;he vi trovò , fece fracasso.
Come gli mostra il liluo , vUt'. far debbia;
E si s( iol>c il pala/./.o in fumo e in nebbia.
2-1. Cenivi trovò, che di catena d' oro
Di Ituggiero il cavallo era legato:
Parlo di (juel, che 'I negromante moro,
Per mandarlo ad Vicina, gli aNca dato;
A cui poi Logi.'.tilla le' il lavoro
D<-l freno, ond' era in l''r.in(-i.i ritornato,
E giralo dall' India all' Inghilterra
Tutto avea il lato destro della terra.
[283]
ORLANDO FURIOSO. (XXII. 25— 40)
[284]
25. Non so, se tÌ ricorda, rlie la briglia
Laj^ciò attaccata all' arbore (jnei giorno.
Che nuda da Riiggìer spari la figlia
Di Galafrone, e gli fc' 1' alto scorno.
Fé' il volante destricr, con maraviglia
Di chi lo vide , al mastro suo ritorno,
E con Ini stette infìn al giorno sempre,
Che dell' incanto fur rotte le tempre.
26. Non potrebbe esser stato più giocondo
D' altra avventura Astolfo , che di questa ;
Che per cercar la terra e '1 mar . secondo ,
Ch' avea desir , quel che a cercar gli resta,
E girfir tutto in pochi giorni il mondo,
Troppo venia questo ippogrifo a sesta.
Sapea egli ben, quanto a portarlo era atto;
Che r avea altrove assai provato in fatto.
27. Quel giorno in India lo provò, che tolto
Dalla savia Melissa fu di mano
A quella scellerata , che travolto
Gli avea in mirto silvestre il a iso umano :
E ben vide e notò , come raccolto
Gli fu sotto la briglia il capo vano
Da Logistilla; e Aide, come instrutto
Fosse Ruggier di farlo andar per tutto.
28. Fatto disegno 1' ippogrifo torsi,
La sella sua, che appresso avea, gli messe,
E gli fece, levando da più morsi
Ina cosa ed un'' altra, un che lo i'es.se;
Che dei destrier, che in fuga erano corsi,
Qnivi attaccate erau le briglie spesse.
Ora un jx-nsicr di Rabicano solo
Lo fa tardar, che non si leva a aoIo,
29. D' amar quel Rabicano aA'ea ragione.
Che non n' era un miglior per correr lancia;
E r avea dall' estrema regione
Dell' India caAalcato insin in Francia,
l'ensa egli molto , e in sonuna si dispone
Darne più tosto ad un suo amico mancia.
Che , la^(•iandolo qui^ i in sulla strada,
Se r abbia il primo , che a passarvi accada.
30. Stava mirando, se vedea venire
l'el bosco o cacciatore, o alcun villano,
Dii cui far si potesse indi seguire
A qualche terra, e trarvi Rabicano.
Tutttt quel giorno, e sin all' apparire
Dell' altro , stette riguardando invano.
L' altro mattiu, «li' era auc(u' 1' aer fosco.
Veder gli parve un cavalier pel bosco,
31. Manli bisogna, s' io ao' dirvi il resto,
Ch' io tro\i Ruggier prima, e Hradaniante.
l'oichè si tacque il corno . e che da questo
LiM!o la bella cop[>ia fu distante,
(ìuardò Ruggiero , e fu a c;onosccr presto
Quel , che fin qui gli av(;a nascoso Allaate.
Fatto avea Atlante;, che (in a qiu^ll' oru
Tra lor non s' erau conosciuti ancora.
32. Ruggier riguarda Hradamante, ed ella
Riguarda Ini cou alta maraviglia,
Che tanti dì 1' aliltia olVusrato quella
lilu>ion sì r animo e le ciglia.
Ruggiero ahlìraccia la sua donna bella.
Che, più < he ^o^a, nr-di\ifii vermiglia;
E iKii di sulla bocca i primi (lori
Cogliendo vien de' suoi liiati anuiri.
33. Tornaro ad iterar gli abbracciamenti
Mille fiate , ed a tenersi stretti
I duo felici amanti, e sì contenti,
Ch' appena i gaudj lor capìano i petti.
Molto lor dnol, che per incantamenti,
Mentrechè fu negli errabondi tetti,
Tra lor non s' eran mai riconosciuti,
E tanti lieti giorni eran perduti.
34. Rradamantc, disposta di far tutti
I piaceri , che far vergine saggia
Debbia ad un suo amator, sicché di lutti.
Senza il suo onore offendere , il sottraggia,
Dice a Ruggier, se a dar gli ultimi frutti
Lei non a noi sempre aver dura e selvaggia.
La faccia domandar per buoni mezzi
Al padre Amon; ma prima si battezzi.
35. Ruggier , che tolto avria non solamente
Viver cristiano per auu)r di questa,
Coni' era stato il padre, e anticamente
L' avolo , e tutta la sua stirpe onesta.
Ma , per farle piacere , immantinente
Data le avria la vita , che gli resta :
Non che nell' acqua, disse, ma nel fuoco
Per tuo amor porre il capo mi fia poco,
3fi. Per l)attezzarsi dunque , indi per sposa
La donna aver , Ruggier si mise in via.
Guidando Rradamante a \allombrosa;
(('osi fu nominata una badia
Ricca e bella, né men religiosa,
E cortese a c;!iinnque a i Acnia)
E trovaro, all' uscir della foresta.
Donna, che molto era nel a iso mesta.
37. Ruggier, che sempre uman , sempre cortole
Era a ciascun, ma più alle donne molto.
Come le belle lacrime comprese
Cader rigando il delicato volto,
N' ebbe pietade, e di disir s' accese
Di sapere il suo affanno ; ed a lei volto,
Dopo onesto saluto domandolle,
Perchè aAca sì di pianto il viso molle.
38. Ed ella , alzando i begli umidi rai,
Umanissimamente gli rispose,
E la (ragion de' suoi penosi guai.
Poiché le domandò, lottagli espo!»e.
Gentil signor , disse ella, intenderai,
Che queste guaine son sì lacrimose
Per la pietà , che a un giovinetto porto,
Che in un castel qui presso oggi fia morto.
39. Amando una gentil giocane e bella,
Che di Mar>ilio re di Spagna è figlia;
Sotto un vel bianco , e in femminil gonnella,
Fiiùa la voce e il volger delle ciglia.
Egli ogni notte si giiK^ea con quella,
Senza darne sospetto alla famiglia;
]\Ia »! secreto alcuno esser non puote,
Che a lungo andar non sia chi '1 vegga e note.
40. Se n'ac'corse uno , e ne parlò con dui.
Li dui con altri , infinchè al re fu detto.
A enne un fedel del re 1' altrieri a nui,
('he (juesti amanti fé' pigliar nel letto;
E nella rociM gli ha fatto amitedui
Dixi-ameute chiudere; in distretto;
Né credo per tutt' oggi , «;h' abbia spazio
11 gioA in , che neni mora in pena e in strazio.
[285]
ORLANDO FURIOSO. (XXU. 41-56)
[286]
Fuggita ine ne son , per non vedere
Tal ciiidcltù ; che vivo 1' arderanno
IVè cosa mi jiotreblìe |iiù dolere,
Che faccia di si bel giovane il danno.
Kè potrò aver giammai tanto piacere,
Che non si volga subito in affanno,
Che della crudel fiamma mi rimembri,
Ch' abbia arsi i belli e delicati membri.
Bradamante ode , e par rlie as«ai le prema
Questa novella, e molto il cor 1' annoi;
]\è par . che men per quel dannato teina,
Cl\e se fosse uno de' fratelli suoi.
Kè certo la paura in tutto scema
Era di cansa, come io dirò poi.
Si volse ella a Ruggiero e disse : Parme,
Che in favor di costui sicn le nostr' arme.
E disse a quella mesta: Io ti conforto,
Che tu vegga di porci entro alle mura ;
Che, se '1 giovine ancor non avran morto.
Più non r iiccidcran; stanne; sicura !
Ruggiero avendo il cor benigno scorto
Delia sua donna, e la pietosa cura,
Sentì tutto infiannnar;.i di desirc
Di non lasciare il giov ine morire.
Ed alla donna, a cui dagli occhj cade
Un rio di pianto, dice: Or che s' aspetta?
Soccorrer qui , non lacrimare accade.
Fa, eh' ove è questo tuo, pur tu ci metta!
Di mille lance trar , di mille spade
Tel pronicttiam , purché ci meni in fretta.
Ma studia il passo più che puctì, che tarda
iVon sia r aita, e in tanto il fuoco 1' arda!
L' alto parlare e la fiera sembianza
Di quella coppia a maraviglia ardita,
Ebbon di tornar forza la speranza
Colà, dond' era già tutta l'uggita.
Ma perchè an4;or, più che la lontananza,
Temeva il ritrovar la >ia inii)edita,
E che saria per questa in(iarno presa,
Stava la donna in ^è tutta sospesa.
Piti disse lor : Facendo noi la vìa,
Che dritta e piana va sin a quel loco,
Credo, che a teni|io \ì si giungeria,
Che non sarebbe ancora acceso il fuoco;
Ma gir convìen per co,-ì torta e ria,
Che 'I termine d' un giorno saria po<;o
A riu><rirne; e quando y'i saremo,
Che troviam morto il giofine, mi temo.
E |)er(-hè non andiaiii, disse Ruggiero,
Per la più corta.'' lì la donna ri-^pose:
Perchè un castel de' <;onti da Ponliero
Tra via si trovii, ove un costuiiu; pose.
Kon son tre gìoriù ancora , iniquo u fiero
A cavalieri <; a donne avventurose,
Pinabeilo, il |H-'rj>;ior uomo, «he viva,
l'igliuol del <:onte Anselmo d' Altariva.
Quindi né ravalicr, uè donna |>a<sa.
Che se ne v.id.i ^en/.a ingiuria e «Ianni.
|j' niu) e r altra a pie nrsta, ma vi lassa
Il ^urrrier 1' arme, e la dony.ella i panni.
Miglior «avalier lancia non abba>sa,
K non alibasso i i Fniniia già molt" anni.
Di quattro, clw; ^Muralo hanno al «listello
La legge mantener di l'inalicllo.
49. Come 1' usanza, che non è più antiqua
Di tre di, cominciò, vi vo' narrare;
E sentirete , se fu dritta , o obbliqua
Cagion , che ì cavalier fece giurare.
Pinabello ha una donna così iniqua,
Cosi bestiai, che al mondo è senza pare;
Che con lui, non so dove, anilimdo un giorno,
Ritrovò un cavalier, che le fé' sconto.
50. II cavalier, perchè da lei beffato
Fu d' una vecchia , che portava in groppa.
Giostrò con Pinabel , eh' era dotato
Di poca forza, e di superbia tropi)a;
Ed abbattello , e lei smontar nel prato
Fece, e provò, se andava dritta, o zoppa.
Lasciolla a piede, e fé' della gonnella
Di lei vestir 1' antica damigella.
51. Quella, che a pie riu)ase, dispettosa
E di vendetta ingorda e sttii)onda.
Congiunta a Pinabel, che d' ogni cosa.
Dove sia da mal far , ben la seconda,
j\è giorno mai, né notte mai riposa,
E dice, che non fìa mai |)iù gioconda,
Se mille cavalieri e mille donne
Non mette a piedi, e lor tolle arme e gonne.
52. Giunsero il di medesmo, come accade,
Quattri» gran cavalieri ad un suo loco,
Li quai di riinotissinie contrade
Venuti a queste parti eran di poco;
Di tal valor, che non lia nostra etade
Tanti altri buoni al bellic(»so gioco :
Aquilante, Grifone e Sansonetlo,
Ed un Guidon Selvaggio giovinelto.
53. Pinabel con sembiante assai cortese
Al Castel, eh' io v' ho detto, li raccolse;
La notte poi tutti ned letto prese,
E presi tenne, e prima n(tn gli sciolse
Che li fece giurar, che un' ainio e un mese
(Qui'sto fu appunto il termine, che tolsc_)
Stariano quivi, e s|jogli(r<'bl)on quanti
Vi capitasser cavalieri erranti,
51. E le donzelle , eh' avcsser con loro,
Porriano a piede, e torrian lor le Acsti.
Così giurar, così costretti fttro
Ad osservar, benché turbati e me>ti.
]\t>n par, che fin a qui contro cosioro
Alcun possa giostrar, che a pie non ri'>ti ;
E capitati ^^ sono infiniti.
Che a pie , e senz' amie se ne son partiti.
55. E ordine tra lor, die chi per sorte
Esce fuor prima, ^ada a correr solo ;
Ma se trova il nimico <-osì foiie.
Che resti in sella, e gclli Ini nel ^nolo,
Sono o!»bligali gli altri inlin a morte
l'igiiar r iiiiproa ludi in uno stuolo.
Aedi or, »c <'iascnn d' «>«i é co>ì buono.
Quel «tIi' esser de', s<; tutti in>icme sono
5f>. Poi non coniienr all' iuiport.in/a nostra,
('he ne vieta ogni indugio, o<;ni dimora,
('he punto vi feriiiiale a ijuclla giostra.
E prc>ii|ipongo , chi* riix-iate ancora ;
(Jlié vostra alta prc>en/.ia lo diino>tra:
ì\la non è n»sa da fare in un' oni :
Ed è gran dubbio, rh<- 'I giov, un- s' ard.i.
Se tuli" o<r<'ì a socmrrcrlo >i larda
ORLANDO FURIOSO. (XXIL^T-^
"288
57
58
59.
60
Di.■^^e ilu<?gier : Non riguardiamo a questo :
Facciam noi quel, che si può far per ma;
AMiia chi regge il ciel cura <kl resto,
O hi fortuna, ee non tocca a hii!
Ti Ga per questa giostra manifesto,
Se huonì siamo iV ajutar coku,
Che per cagion sì debole e sì lieve.
Come n' hai detto, oggi bruciar si deve.
Senza risponder altro, la donzella
Si mise per la via , eh' era più corta.
Più di tre miglia non andar per quella,
Che si trovaro al ponte ed alla porta,
Dove si perdon l' arme e la gonnella,
E della vita gran dubbio si porta.
Al primo apparir lor , di sulla rocca
È clùduo botti la campana tocca:
Ed ceco della porta con gran fretta
Trottando su un roir/ino un vecchio uscio ;
E quel venia gridando: Aspetta, aspetta!
Restate, olà! che qui si pagali fio;
E se r usanza non v' è stata detta.
Che qui si tien , or ve la vo' dir io ;
E contar loro incominciò di quello
Costume, che servar fa Pìnabello.
Poi scuitò, volendo dar consigli,
Cora' era usato agli altri cavalieri. ^
Fate spogliarla donna, dicca, figli,^
E voi r arme lasciateci , e i destrieri,
E non vogliate mettervi a perigli ^ _
B' andare incontra a tai quattro guerrieri .
Per tutto vesti, arme e cavalli s' hanno;
La vita sol mai non ripara il danno.
61. Non più, disse Ruggier, non più! clV io son(,
Del tutto inforraatissimo ; e qui venni.
Per far prova di me, se coȓ buono
In fatti son , come nel cor mi tenni.
Arme , vesti , e cavallo altrui non dono,
S' altro non sento , che minacce e cenni ;
E son ben certo ancor, che per parole
Il mio compagno le sue dar nini vuole.
6*» Ma, per Dio, fa eh' io vegga tosto in ftontc
"' Quei, che ne voglion torre arme e cavallo;
Che abbiamo da passar anco quel monte,
E qui non si può far troppo intervallo.
Rispose il vecchio: Eccoti fuor del ponte.
Chi vien per farlo ; e non lo disse in fallo :
Che un cavalier n' uscì , che sopravveste
Vermiglie avea, di bianchi fior conteste.
«3. Bradnmantc pregò molto Ruggiero,
die le lasciasse in cortesia 1' assunto
Di gittiir della sella il cavaliere,
Ch' avea di fiori il bel vestir trapunto:
Ma non potè impetrarlo; e fu mestiero
A lei far ciò , <.he Ruggi(!r volse appunto.
Egli volse r impresa tutta avere,
e"b rad amante si stesse a vedere.
64. Ruggiero al vecchio domandò, chi fosse
Qucr-to primo, eh' uacia luor della porta.
E San>on('tto, disse, eh' alle rosse
Vesti conosco e i bianchi fior , che porta.
L' uno di (|ua, 1' altro di là si mosso
Senza parlarsi, a fu l' indugia corta ;_
Che wi audaro a trovar <-,o' ferri bassi,^
Molto allVettaiulo i lor dostrkai i passi.
03. In questo mezzo, della rocca usciti
Eran con Pinabel molti pedoni.
Presti per levar l' arme ed es[(editi
Ai cavalier, eh' uscian fuor degli arcioni.
"\ eniansi incontra i cavalieri arditi
Fermando in sulle reste i gran Inncioni,
Grossi duo palmi, di nativo ceiTO,
Che quasi erano uguali insino al ferro.
66. Di tali n' avea piìi d' una decina
Fatto tiigliar di su lor ceppi \ivi
SansonetU) a una seha indi vicina,
E portatone duo per giostra quivi.
Aver scudo e corazza adamantina^
Bisogna ben , che le percosse schivi.
Aveane fatto dar, tostochè venne,
L' uno a Ruggier , l' altro per se ritenne.
67. Con questi, che passar dovean gV inondi,
Sì ben ferrate avean le punte estreme.
Di qua e di là fermandoli agli scudi,
A mezzo il c(trso si scontraro insieme. _
Quel di R'ìggiero , cb.e i dciuoiìj ignudi
Fece sudar, poco del colpo teme;
Dello scudo vo' dir , che fece Atlante,
Delle cui forze io v' iio già detto innante.
68. Io v' ho già detto, che con tanta forza
E' incantato splendor negli occhj fere,
Che al discoprirsi ogni veduta ammorza,
E tramortito 1' uom f.i rimanere.
Perciò, se un gran bisogno non lo sforza,
D' un vcl coperto lo solca tenere.
Si crede, eh' anco impenetrabil fosse,
Poich' a questo incontrar nulla si mo.;sc.
69. L' altro, eh' ebbe 1' artefice mcn dotto,
Il gravissimo colpo non sofferse;
Come tocco dal fulmine, di botto
Die' loco al ferro, e pel mezzo s' aperse.
Die' loco al ferro, e quel trovò di sotto
Il braccio, eh' assai mal si ricoperse;
Sicché ne fu ferito Sansonetto,
E della sella tratto al suo dispetto.
10. E questo il primo fu di quei compagni.
Che quivi mantenean l' usaiiza iella,
Che delle spoglie altrui non fo' guadagni,
E eh' alla giostra uscì fuor della sella.
Convien, chi ride, anco talor si lagni,
E fortuna talor trovi ribella.
Quel dalla rocca replicando il botto,
Ne fece agli altri cavalieri motto.
71. S' era accostato Pìnabello intanto
A Bradamante , per saper , chi fosse
Colui, che con prodezza e valor tanto
Il cavalier del suo castel percusse.
La giustizia di Dio , per dargli quanto
Era il merito suo, ve lo condusse.
Su quel destricr medesimo, che innante
Tolto avea per inganno a Bradamante.
72. Fornito appunto era l' ottavo mese.
Che con lei ritrovandosi al cammino,
Se vi ricorda, qiu^sto Maganzese,
La gittò nella tomba di >lerlino;
Quando da morte un ramo la difese, ^
Che s<!co cadde, anzi il suo buon destino;
E tfiissene, credendo nello speco
Ch' ella fosse «sepolta, il dcstrier seco.
[289]
ORLANDO FURIOSO. (XXU. 73-88)
[290]
73. Bradamante conosce il suo cavallo,
E conosce per lui I' iniquo conte;
E pi)ichè ode lii voce, e vicino hallo
Con majjgior attenzion mirato in fronte:
Questo è il traditor , disse , senza fallo.
Che procacciò di farmi oltrajfgio ed onte.
Ecco il peccato suo , che 1' ha condutto.
Ove avrà de' suoi merli il premio tutto.
74. Il minacciare, e '1 por mano alla spada
Fu tutto a un tempo , e 1' aA ventarsi a quello ;
Ma innanzi tratto gli levò la strada,
Clie non potè fuggir verso il castello.
Tolta è la speme , eh' a salvar si vada,
Come volpe alla tana, Pinahello.
Egli gridando e senza mai far testa,
Fuggendo si cacciò nella foresta.
75. Pallido e sbigottito il miser sprona;
Cile posto ha nel fuggir 1' ultima speme.
L' animosa donzella di Dordona
Gli ha il ferro ai fianchi, e lo percuote e preme.
\u-n con lui sempre, e mai non '1 abbandona.
Grande è il rumore, e '1 bosco intorno geme.
]\ulla al Castel di questo ancor s' intende,
Ferocch' ognuno a Ruggier solo attende.
76. Gii altri tre cavalier della fortezza
Intanto erano usciti in sulla via,
Ed avean seco quella male avvezza,
Che v' avea |)osta la costuma ria.
A ciascun di lor tre, che 'l morir prezza
Più, eh' aver vita, che con bia.^mo sia,
Di vergogna arde il viso , e '1 cor di duolo,
Che tanti ad assalir vadano un solo.
77. La criMlel meretrice, eh' avea fatto
Por quella iniqua usanza , ed osservarla,
Il giuramento lor ricorda , e il patto,
di' essi fatto le iiveau di vendicarla.
Se sol con questa lancia te gli abbatto,
Perchè mi vuoi con altre accompagnarla?
Dicea Guidon Selvaggio, e s' io ne mento,
Levami il capo poi, eh' io son contento.
78. Cosi dicea Grifon , così Aquilante:
Giostrar da solo a sol volea ciascuno,
E jìreso e morto rimanere innante,
Ch' incontra un sol voler andar più d' uno.
La donna dicea loro: A che far tante
Parole qui senza profitto alcuno.''
Per torre a colui 1' arme io v' ho qui tratti.
Non per far nuove leggi e nuovi patti.
79. Quando io v' a^ ea in prigione, era da farmc
Queste ^cuse , e non ora , che son tarde.
Aoi dovete il preso ordine servarmc,
Kon vostre lingue far vane e. bugiarde.
Iluggic'r gridava loro: Eccovi l' arme,
Ecco il «lestrier, eh' ha nuove e sella e barde;
1 panni della doinia (uc-ovi ancora;
So li volete, a che più far dimora.''
80. La donna del ca.-tel da miì lato preme,
llngglcr dall' altro li chiama e rampogna,
'lantd che a f<»r/,a ^i spi< curo in>ieme,
Ma nel vi.-o inliauunali di >ergogna.
Dinanzi appar\e 1' mio e 1' altro seme
Del marchese onorato di llorgogiia;
Ma (Jiiidon, che più gra\e ebbe il camallo,
Venia lor dietro con poco inter\ullo.
81. Con la medesima asta, con che avea
Sansonetto abbattuto , Huggier viene
Coperto dallo scudo, clie solca
Atlante aver sui monti di Pirene;
Dico quello incantato, che splendca
'lanto, che umana vista noi sostiene;
A cui Ruggier per 1' ultimo soccorso
Kei più gravi perigli avea ricorso.
82. Benché sol tre fiate bisognolli,
E certo in gran periglio, usarne il lume:
Le prime due, quando dai regni molli
Si trasse a più laudevole costume ;
La terza, quando i denti mal satolli
Lasciò dell' orca alle marine spume.
Che dovean devorar la bella nuda,
Cile fu , a chi la campò , poi cosi cruda.
83. Fuorché queste tre volte, tutto '1 resto
Lo tenea sotto un velo in modo ascoso,
Ch' a discoprirlo esser potea ben presto,
Clic del suo ajuto fosse bisognoso.
Quivi alla giostra ne venia con questo.
Come io v' ho detto ancor, cosi animoso,
Che quei tre cavalier, che vcdea innanti,
Manco temea , che pargoletti infanti.
84. Ruggier scontra Grifone, ove la penna
Dello scudo alla vista si congiuKgc.
Quel di cader da ciascun lato accenna,
Ed alfin cade, e resta al destrier lunge.
Metto allo scudo a lui Grifon 1' antenna,
IMa per traverso, e non per dritto giunge;
E perchè Io trovò forbito e netto,
L' andò strisciando , e fé' contrario efTetto.
85. Ruppe il velo e squarciò , che gli copria
Lo spaventoso ed incantato lampo.
Al cui splendor cader si convenia
Con gli occhj ciechi, e non vi slia alcun scampo.
Aquilante, che a par seco venia,
Stracciò l' avanzo , e fé' lo scudo vampo.
Lo splendor feri gli o(!chj ai duo fratelli,
Ed a Guidon, che correa dopo quelli.
80. Chi di qua, chi dì là cade per terra:
Lo scudo non pur lor gli occhj abbarbiiglia
Ma fa, die ogni altro senso attonito erra.
Ruggier, che non sa il fin della battaglia,
Volta il cavallo, e nel volture all'erra
La spada sua, che sì ben punge e taglia;
E nessun vede, che gli ,-ia ali incontro.
Che tutti eran caduti a quello scontro.
87. I cavalieri , e insieme quei . di' a piede
Erano usciti , e così Iv donne anco,
E non meno i destrieri in guisa ^edc,
Che par che per morir battano il fianco.
Prima fi maraviglia, e poi s' a^^ede,
Che'l X'io ne pendea dal lato manco;
Dico il velo di seta, in che solca
Chiuder la luce di quel caso rea,
88. Pr<'sto .««i volge, e nel volt.ir cercando
Con gli ocdij va 1' amata sua guerriera.
E ^iiii là, doM- era cimasa . quando
La |iriiiia gio-tra cominciata k' era.
Peii>a . di' andata sia, non la tro^.l^llo.
A %ietar, «Ile quel giovine non pera.
Per dubbio, eh' ella ha forse, che non s" arda
In que.>lo mezzo, che a giostrar »i larda.
19
[291]
ORLANDO FURIOSO. (XXII. 89-98)
[292]
89. Fra gli altri, che giacean. Tede la donna,
La donna, che 1' avea quivi guidato.
Dinanzi se la pon , siccome assonna,
E \ia cavalca tutto conturbato.
D' un manto, eh' essa avea sojira la gonna,
Poi ricoperse lo scudo incantato,
E i sensi riaver le fece tosto
'" Che'i nocivo splendor ebbe nascosto.
90. Via se ne va Ruggier con faccia rossa.
Che per vergogna di levar non osa.
Gli par, eh' ognuno iraproverar gli possa
Quella vittoria poco gloriosa.
Ch' emenda poss' io fare, onde rimossa
Mi sia una colpa tanto obbrobriosa?
Che ciò , eh' io vinsi mai , fu per favore,
Diran, d'incanti e non per mio valore.
91. Mentre così pensando seco giva.
Venne in quel, che cercava, a dar di cozzo;
Che 'n mezzo della strada soprarriva.
Dove profondo era cavato un pozzo.
Quivi r armento alla calda ora estiva
Sì ritraea, poich' avea pieno il gozzo.
Disse Ruggiero: Or provveder bisogna,
Che non mi facci, o scudo, più vergogna.
92. Più non starai tu meco; e questo sia
L' ultimo biasmo, eh' ho d' averne al mondo.
Così dicendo, smonta nella via.
Piglia una grossa pietra, e di gran pondo,
E la lega allo scudo , ed ambi invia
Per 1' alto pozzo a ritrovarne il fondo.
E dice: Costà giù statti sepulto,
£ teco stia sempre il mio obbrobrio occulto!
93. Il pozzo è cavo, e pieno al sommo d' acque;
Greve è lo scudo, e quella pietra greve:
Non si fermò, finché nel fondo giacque:
Sopra si chiuse il liquor molle e lieve.
Il nobil atto e di splendor non tacque
La vaga Fama , e divulgoUo in breve,
E di rumor n'empì, sonando il corno,
E Francia, e Spagna, e le provincie intorno.
94. Poiché di voce in voce si fé' questa
Strana avventura in tutto il mondo nota,
Molti guerrier si misero all' inchiesta,
E di parte vicina, e di remota:
Ma non sapcan , qual fosse la foresta,
Dove nel pozzo il sacro scudo nuota;
Che la donna , che fé' l'atto palese.
Dir mai non volse il pozzo , né il paese.
95. Al partir che Ruggier fé' dal castello,
DoAe avea vinto con poca battaglia,
Cile i quattro gran carapion di Pinabello
Fece restar, come uomini di paglia,
Tolto lo scudo, avea levato quello
Lume, che gli occhj e gli animi abbaibaglia ;
E quei, che giaciuti eran come morti.
Pieni di meraviglia eran risorti.
96. ]\é per tutto quel giorno si favella
Altro fra lor, che dello strano caso,
E come fu, che ciascun d' essi a quella
Orribil luce vinto era rimaso.
Mentre parlan dì questo , la novella
Vien lor di Pinabel giunto all' occaso.
Che Pinabello è morto, hanno 1' avviso,
Ma non sanno però, chi 1' abbia ucciso.
97. L' ardita Bradamante, in questo mezzo,
Giunto avea Pinabello a un passo stretto,
E cento volte gli avea fin a mezzo
Messo il brando pe' fianchi e per lo petto.
Tolto eh' ebbe dal mondo il puzzo e'I lezzo.
Che tutto intorno avea il paese infetto.
Le spalle al bosco testimonio volse
Con quel destrier, che già il fellon le tolse.
98. Volle tornar, dove lasciato avea
Ruggier, né seppe mai trovar la strada.
Or per valle, or per monte s' avvolge»,
Tutta quasi cercò quella contrada :
Non volse mai la sua fortuna rea.
Che via trovasse, onde a Ruggier si vada.
Questo altro canto ad ascoltare aspetto.
Chi dell' istoria mia prende diletto.
[293]
ORLANDO FURIOSO. (XXUl. 1 — 12)
[294]
CANTO VENTESIMOTERZO.
ARGOMENTO.
Poggia per V aria sul cavallo alato
Astolfo ; ed è dappoi preso Zerbino
Dal fiero Anselmo , e a morte condannato ;
iV'è campato dal conte paladino.
Toglie ad Ippalca Rodomonte irato
Il destrier di Ruggicr , detto Frontino.
Combatte Mandricurdo e Orlando; eviene
In parte ei tal , che pazzo ne diviene.
1. Studisi ognun giovare altrui ; che rade
Volte il ben far senza il suo premio fia;
E s' è pur senza, alracn non te ne arcade
Morte, né danno, né ignominia ria.
Chi nuoce altrui, tardi o per tempo cade
Il debito a scontar, che non s' obitlia.
Dice il proverbio , che a trovar si vanno
Gli uomini spesso, e i monti fermi stanno.
2. Or vedi quel, eh' a Pinabello avviene,
Per essersi portato iniquamente.
E giunto in somma alle dovute pene,
Dovute e giuste alla sua ingiusta mente.
E Dio , che le più volte non sostiene
Veder patire a torto un innocente,
Salvò la donna; e salverà ciascuno.
Che d' ogni fellonia viva digiuno.
8. Credette Pinabel questa don/.ella
Già d' aver morta, e colà giù sepolta;
Né la pensava mai veder, ncni eh' ella
Gli avesse a tor degli error sin)i la multa:
Aè il ritrovarsi in mezzo h; castella
Del padre in alcun util gli risulta.
Quivi Altaripa era tra monti (ieri,
Vicina al tcnitorio di Pontieri.
4. Tenea queir AUaripa il vecchio conto
Anselnu» , di chi u^i (jti(;>to nial>agio.
Che, per fuggir la man di (Jliiaramuntc,
D' amii'i e di soccorso ebbe (lisa<;io.
La donna al traditore a|>piè il' un monte
Tolse r indegna \ita a suo grande; agio:
Che d' altro ajuto i|nel non si pro\vetl<-,
Che d' alti gridi , e di chiamar luen-edo.
5. Morto cir ella eltbe il falso cavalicro,
Che lei voluto avea già porr*; a morte,
Volse tornare , ove lasciò lluggi«Mo ;
Ma non lo consenti (.uà dura r-orte,
Clic la fé' traviar per un sentiero
Clu; la portò, do\' era spesso e forte.
Dove piò strano e piò solingo il bosc(»,
Liitociaiido il sol già il mondo all' uer f(»scu.
6. Kè sapendo ella, ove potersi altrove
La notte riparar, si fermò quivi
Sotto le frasche in sull' erbette nuove.
Parte dormendo , finché '1 giorno arridi,
Parte mirando ora Saturno, or Giove,
Venere e Marte, e gli altri erranti divi,
Ma sempre, o vegli, o dorma, con la mente
Contemplando Ruggier, come presente.
7. Spesso di cor profondo ella sospira.
Di pentimento e di dolor compunta,
Ch' abbia in lei , più che amor , jiotuto 1' ira.
L'ira, dicea, m' ha dal mio amor disgiunta.
Almen ci avessi io posto alcuna mira,
Poich' avea pur la mala impresa assunta,
Di saper ritornar, donde io veniva!
Che ben fui d' occhj e di memoria priva.
8. Queste ed altre parole ella non tacque,
E molte più ne ragionò col core.
Il vento intanto di sospiri, e 1' acque
Di pianto facean pioggia, e di dolore.
Dopo una lunga aspettazion pur nacque
In Oriente il desiato albore;
Ed ella prese il suo destrier, che intomo
Giva pascendo , ed andò contra il giorno.
9. Né molto andò , che si trovò all' uscita
Del bosco , ove pur dianzi era il palagio,
Là dove molti dì 1' avea schernita
Con tanto error 1' incantator malvagio.
Ritrovò quivi Astolfo, che fornita
La briglia all' ippogrifo avea a grand' agio,
E stava in gran pensier di Rabicano,
Per non sapere , a chi lasciarlo in mano.
10. A caso si trovò , che fuor di testa
L' elmo allor s' avea tratto il paladino;
Sicché , tosto eh' usci della foresta,
llradamante conobbe il suo cugino.
Di ioutau salutollo , e con gran festa
Gli corse , e V abbracciò poi più vicino,
E noniinossi, ed alzò la visiera.
È chiaramente fé' veder , chi eli" era.
11. Non potea Astolfo ritrovar jìcrsona,
A chi il sm) Rabican nu-giio lasciasse.
Perchè «iovesse averne gnurdia buona,
E renderglielo poi , come tornasse.
Della figlia d<-l duca di Dordiuia;
E parvegli , «he Dio gliela mandasse.
lederla volentier sempre solca,
3la pel bisogno or più , eh' egli n' avea.
12. Dappoiché due e tre volte ritornati
Fral<rnam(iit<' ad abliracciar si foro,
E si l'ur r uno all' alt io domandati,
(^Hl molta all'c/.ion , «lell" esser lorn,
Astolfo disse : Ormai , sc dei peiuiatì
A o' il pacsc <°er('ar, troppo dimoro.
Ed aprendo alla donna il suo pensiero,
\cdcr le fece il vid.itor destriero.
19 *
[295]
ORLANDO FURIOSO. (XXIIT. 13- 28)
[296]
13. A lei non fu di molta meraviglia
Veder spiegare a quel dcstricr le penne.
Che altra volta , reggendogli la briglia
Atlante incantator, contra le venne,
E le fece doler gli occlij e le ciglia;
Sì fisse dietro a quel volar le tenne,
Quel giorno, che da lei Ruggier lontano
Portato fu per caraniin lungo e strano.
14. Astolfo disse a lei , che le volea
Dar Itabiciin , che sì nel corso affretta,
Che, se scoccando 1' arco si movea,
Si solca lasciiir dietro la saetta;
E tutte r arme ancor, quante n' avea;
Che vuol che a Montalban gliele rimetta,
E gli le serbi fin al suo ritorno.
Che non gli fanno or di bisogno intorno.
15. Volendosene andar per 1' ari,i a volo,
Aveasi a far , quanto potea più , leve.
Ticnsi la spada e '1 corno, ancorché solo
Bastargli il corno ad ogni rischio deve.
Bradaniante la lancia, che 'I figliuolo
Portò di Galafrone , anco riceve ;
La lancia, che di quanti ne percote,
Fa le selle restar subito vote.
16. Salito A>t<dfo sul destrier volante.
Lo fa nio'. ei- per 1' aria lento lento,
Indi lo caccia sì, che Bradamante
Ogni vista ne perde in un inouicnto.
Co^ì si parte , col pilota innante,
Il nocchìer, che gli scogli teme, e '1 vento;
E poiché 'I porti» e i lìti addietro lassa,
Spiega ogni vela, e innanzi ai venti passa.
17. La donna, poiché fu pai-tito il duca,
Rimase in gran travaglio della mente;
Che non sa, come «t'Montalban conduca
L' armatura e il destrier del suo parente ;
Perocché '1 cor le cuoce e le manuca
L' ingorda voglia e '1 desiderio ardente
Di riveder Ruggier, che, se non prima,
A \'allombrosa ritrovarlo stima.
18. Stando quivi sospesa, per ventura
Si ^ede innan/i giungere un villano.
Dal qual fa rassettar quel!' armatura,
Come si punte, e por su Rabicano;
Poi di menarsi dietro gli die' cura
I due ca^ alli , ini carco , e 1' altro a mano.
Ella n' avea due jn-inia ; che a^ea qiu;llo,
Sopra il quul levò 1' altro a Pinabello.
19. Di A'allombrosa pensò far la strada,
Che trovar quivi il siu) Ruggiero ha speme.
Ma qual più breve, o qual miglior vi vadd,
Poco disceriu;, e d'ire errando teme.
II villan nini avea della contrada
Pratica molta, ed erreranno insieme.
Pur andare a ventura ella ^i messe,
Do\e p(;nsò, che '1 loco esser dovesse.
20. Di qii;i, di lii si Aol-e; né persona
Incontro mai da dounindar la via.
Si tro>ò Mhcir del |)om-o in sulla nona,
Do%e un ca-lel poco lontan scopria.
Il qiial la ciuiii il un nionticel corona:
Li> mira, t: Montalban le par vUr. t-ia:
Ld era certo Montalliano; e in quello
Avea la iniitire ed alcun sin» fratello.
21.
Come la donna conosciuto ha il loco.
Nel cor s' attrista, e più eh' io non so dire.
Sarà scoperta, se si ferma un poco.
Né più le sani lecito partire.
Se non si i)arle , 1' amoroso foco
L' arderà sì , che la farà morire :
Non vedrà |jìù Ruggier, né farà cosa
Di quel , eh' era ordinato a Vallombrosa.
22. Stette alquanto a pensar, poi si risolse
Di voler dare a Montalban le spalle;
E verso la badia pur si ri\olse,
Che quindi ben sapea, qual era il calle.
Ma sua fortima, o buona o trista, volse,
Che , primach' ella uscisse della valle,
Scontrasse Alardo , un de' fratelli sui,
Né tempo di celarsi ebbe da lui.
23. Veniva da partir gli alloggiamenti
Per quel contado a' cavalieri e a' fanti ;
Che , ad istanza di Carlo , nuove genti
Fatto avea dalle terre circostanti.
I saluti e i fraterni abiiraciMamenti
Con le grate accoglienze andaro innanti ;
E poi di molte cose a paro a paro
Tra lor parlando , in Montalban toi-naro.
24. Entrò la bella donna in xMontalhano,
Dove 1' avea con lacrimosa guancia
Beatrice molto desiata invano,
E fattone cercar per tutta Francia.
Or quivi i baci, e il giunger mano a mano
Di madre e di fratelli , estimo ciancia.
Verso gli avuti con Ruggier complessi,
Cli' avrà nell' alma eternamente iinprcssi.
25. Non potendo ella andar, fece pensiero.
Che a Vallombrosa aUri in suo nome andasse
Immantinente ad avvisar Ruggiero
Della cagion, eh' andar lei non lasciasse;
E lui pregar , s' era pregar mestiero.
Che quivi per suo anu>r si battezzasse,
E poi venisse a far quanto era detto,
Sicché si desse al matrimonio cfictto.
26. Pel medesimo messo fé' disegno
Di mandare a Ruggiero il suo cavallo.
Che gli solca tanto esser caro; e degno
D' essergli caro era ben senza fallo :
Che iu>n s' avria trovato in tutto '1 regn
De' Saracin , né sotto il signor gallo,
Più bel destrier di questo, o più gagliardo.
Eccetto IJrigliador, soli, e Bajardo.
27. Ruggier quel dì , che troppo audace scese
Suir ippogrifo, e verso il ciel levosse,
Lasciò Frontino, e Bradamante il prese;
Frontino , che '1 destrier così n<»mosse.
Marulollo a Montalbano, e a buone spese
Tener lo fece; e mai non cavalcossc,
Se non per br<!ve spazio e a picciol passo;
Siccir era, più che unti, lucido e grasso.
28. Ogni sua donna tosto, ogni donzella
Pon seco in opra , e con sottil lavoro
Fa sopra seta candida e nutrella
Tesser rii-amo di finis.^im' oro,
E <ii <|iiel coprt; ed orna briglia e sella
Del buon d(>trier ; poi sceglie una di loro.
Figlia di (allitrelìa, sua nutrit^e,
D' ogni secreto suo fida uditrice.
[297]
ORLANDO FURIOSO. (XXIII. 20—44)
[298]
29. Quanto Rng-»?ier 1' era nel core impresso.
Mille volte narrato a\ca a costti ;
La l)eltà, la virtiitle, i niotli d' csSQ
Esaltato 1' a^ea fin sopra i Dei.
A sé cliiiiniolla, e disse: Miglior messo
A tal bisogno elc^p^cr non potrei ;
Che (li te uè più lido, né piiì saggio
Imbasiìatore , Ippalca mia , non aggio.
30. Ippalca la donzella era nomata.
Va, le dice, e le insegna ove de' gire;
E pienamente poi 1' ebbe informata
Di quanto avesse al suo signore a dire,
E far la scusa , se non era andata
Al monaster, che non fu per mentire,
Ma che fortuna, che di noi potea
Più, che noi stessi, da imputar s' avca.
31. Montar la fece su tm ronzino, e in mano
La ricca briglia di Frontin le messe;
E se si jiuzzo alcuno , o sì ^ illano
Trovasse, che levar glielo volesse,
Per fargli a una parola il cervcl sano,
Di chi fosse il dc>trier, sol gli dicesse:
Che non sapea sì ardito cavallcro.
Che non tremasse al nome di Ruggiero.
32. Di molte cose V ammonisce, e molte,
Che trattar con Ruggiero abbia in sua vece;
Le quai , poich' ebbe Ippalca ben raccolte.
Si pose in via , né più dimora fece.
Per strade e campi , e seh e oscure e folte
Cavale») delle miglia più di dicco,
Che non fu a darle noja chi venisse,
INO a domandarla pur dove ne gisse.
33. A mezzo il giorno , nel calar d' un monte,
In una stretta e malagevol via
Si %enne ad incontrar con Rodomonte,
Che armato im pi(-(Mol nano , e a piò scguia.
li Moro alzò ver lei 1' altera fronte,
E hesteiiimiò 1' eterna jerarchia,
Poiché sì bel destrier, si bene ornato
Non avea in man d' un ca^alìer trovato.
34. Avea giurato, che '1 primo cavallo
Torria per forza, che tra via incontriisse.
Or questo é stato il prinu», e trovato hallo
Più bello, e i)Ìm per lui, che m;!Ì trovasse:
ì\Ia torlo a una donzella gli par fallo;
E pur agogna averlo, e in dubbio »tasse.
Ìjo mira, h» contempla, e dice spesso:
Deh ! perché il suo signor non è coti esso ?
35. Dell, ci fosse egli! gli rispose Ippalca,
Che li faria cangiar for.-e pensiero.
Assai più di le ^al, chi lo cavalca;
I\è il» pareggia ni mondi» altro guerriero.
Chi è, le dissi; il Mcuo , che sì lalca
L' onore altrui? Rispos' ella: Ruggiero.
Il quel s<»ggiunse: Adimque il de>[rier voglio.
Poiché il Ruggier, sì gr.in campion, h» loglio;
3G. Il qiial , se sarà ver, come In parli,
Che sia sì forle, e jiiù il' ogn' altro vaglia,
^oo iIh! il distrier, ma la Mttura darli
('oii\irraniini, e in isiio arbitrio l\,i I.i taglia.
Chi" Rodomonte io sono, liai da narrarli,
E die, se pur vorrà meco battaglia.
Mi tro\erà; che iiviiii(|iie io vada o stia.
Mi fa sempre apparir la luce mia.
37. Dovunque io vo, sì gran vestigio resta.
Che non lo lascia il fulmine maggiore.
Così dicendo , avea tornato in testa
Le redini dorate al corridore.
Sopra gli salta; e lacrimosa e mesta
Rimane Ippalca; e spinta da! dolore
RIinaccia Rodomonte, e gli dice onta.
IVon r ascolta egli, e su pel poggio monta.
38. Per quella via, dove lo guida il nano,
Per trovar Mandricardo e Doralice,
Gli viene Ippalca dietro di lontano,
E lo bestemmia sempre e maledice.
Ciò, che di questo avvenne, altrove è piano.
Turpin , che tutta questa i>toria dice,
Fa qui digresso , e torna in quel paese.
Dove fu dianzi morto il Maganzese.
39. Dato avea appena a quel loco le spalle
La figliuola d' Amon, che in fretta già,
Che v' arrivò Zerbin per altro calle.
Con la fallace secchia in compagnia;
E giacer vide il corpo nella valle
Del cavalier, che non sa già, chi sia;
Ma , come quel , eh' era cortese e pio,
Ebbe pietà del caso acerbo e rio.
40. Giaceva Pinahello in tcri*a spento,
Versando il sangue per tante ferite,
Ch' esser dovcano assai, se più di cento
Spade in sua morte si fossero unite.
Il cavalier di Scozia non fu lento
Per r orme, che di fresco erau scolpite,
A porsi in avventura, se potea
Saper, chi l' omicidio fatto avea.
41. Ed a Gabrina dice , che 1' aspettc,
Che senza indugio a lei farà ritorno.
Ella presso al cadavero si mette,
E fissamente vi pon gli occhj intorno;
Perché, se cosa v' ha, che le dilette,
]Non vuol cir un morto invan più ne sia adorno;
Come colei , che fu , tra 1' altre note,
Quanto avara esser più femmina puute.
42. Se di portarne il furto ascosamente
Avesse avuto modo , o alcuna spejne,
La soprav\esta fatta riccamente
Gli a\ rebbe tolta , e le beli' arme insieme.
Ma qu(;l , che può celarsi agevolmenti-.
Si piglia, e '1 re.-to fin al cor le preme:
Fra r altre spoglie un bel liiiti» leporine,
E se ne legò i fianchi infra due gonne.
43. Poco dopo arrivò Zerbin , che avea
Seguito iman di ni-adamante i passi,
Perchè trovò il senlicr , che si toneii
In molti rami, eh' ivano alti e bassi;
E poro oiiiai del giorno riiiianca,
^è Milea al bujo star fra (jiii'lli sassi;
E per trovare albergo die' Ir .'.palle.
Con r empia \ cecilia, alla fune. la \ane.
-14. Quindi pi-e^so a duo miglia ritro^aro
In gran castri, rhe fu ditto \llari\a,
Dine per star la notte si lerniaro.
Che già a gr.in volo in v< ivo il citi saliva.
INon y'i stir molto, che un lamenlo amaro
1/ orecchie d" ogni piirlc lor firi\a ;
E »eggoii lacriiiiur da tutti gli oixlij,
C4)mc la cosa a lutto il pipol tocchi.
[299]
ORLANDO FURIOSO. (XXIII. 45-60)
45. Zerbino dimandonne , e gli fu detto.
Che venut' era al conte Anselmo avviso.
Che fra duo monti in un sentiero stretto
Giacea il suo figlio Pinabello ucciso.
Zerbin, per non ne dar di sé sospetto.
Di ciò si finge novo, e abbassa il viso;
Ma pensa ben, che senza dubbio sia
Quel, eh' egli trovò morto iji sulla via.
46. Dopo non molto la bara funebre
Giunse a splendor di torchj e di facelle.
Là , dove fece le strida più crebre
Con un batter di man gire alle stelle,
E con più vena fuor delle palpebre
Le lacrime innondar per le mascelle;
Ma più dell' altre nubilose ed atre
Era la faccia del misero patte.
47. Mentre apparecchio si facea solenne
Di grandi esequie , e di funebri pompe.
Secondo il modo ed ordine, che tenne
L' usanza antica , e che ogni età corrompe :
Da parte del signore un bando venne,
Che tosto il popolar strepito rompe,
E promette gran premio a chi dia avviso,
Chi stato sia , che gli abbia il figlio ucciso.
48. Di voce in voce, e d' una in altra orecchia
Il grido e 'l bando per la terra scorse,
Finché r udì la scellerata vecchia,
Che di rabbia avanzò le tigri e 1' orse,
E quindi alla ruina s' apparecchia
iJì Zerbino, o per l' odio, che gli ha forse,
O per vantarsi pur, che sola priva
D' uraanitade in uman corpo viva;
49. O fosse pur per guardagnarsi il premio.
A ritrovar n' andò quel signor mesto,
E dopo un verisimil suo proemio
Gli disse, che Zerbin fatto avea questo;
E quel bel cinto si levò di gremio,
Che 'l miser padre, a riconoscer presto,
Appresso il testimonio e tristo ufficio
Dell' empia vecchia, ebbe per chiaro inillcio:
50. E lacrimando al ciel leva le mani,
Che 'l figliuol non sarà senza vendetta.
Fa circondar 1' albergo ai terrazzani ;
Che tutto 'l popol s' è levato in fretta.
Zerbin , che li nimici aver lontani
Si crede , e questa ingiuria non aspetta
Dal conte Anselmo , che si chiama offeso
Tanto da lui , nel primo sonno è preso,
51. E quella notte in tenebrosa parte
Incatenato , e in gra> i ceppi messo.
Il sole ancor non ha le luci sparte,
Che r ingiusto siipplicio è già conunesso;
Che nel Un-o medesimo si squarte,
Dove fu '1 mal, eh' hanno imputato ad esso.
Altra esamina in ciò non si facea;
Uastava, che 'l signor cosi credea.
52. Poiché r altro mattin la bella Aurora
L' aer scrcn fé' bianco e rosso e giallo,
Tutto '1 popol gridando : Mora , MU)ra !
Vien per punir /crbin del non suo fallo.
Lo sciocco vulgo r iU'coiiipagna fuora
Senz' ordine, ciii a piede, e chi a cavallo;
E 'l cavalier di Sco/.iii a capo chino
Ke vien legato in su un piccini ronzino.
[300]
53. Ma Dio, che spesso gì' innocenti ajuta,
Né lascia mai chi in sua bontà si fida,
Tal difesa gli avea già provveduta,
Che non v' è dubbio più, eh' oggi s' uccida.
Quivi Orlando arrivò, la cui venuta
Alla via del suo scampo gli fu guida.
Orlando giù nel pian vide la gente,
Clve traea a morte il cavalier dolente.
51. Era con lui quella fanciulla , quella,
Cile ritrovò nella selvaggia grotta.
Del re Galego la figlia isabella,
In poter già de' malandrin condotta,
Poiché lasciato avea nella procella
Del truculento mar la nave rotta;
Quella, che più vicino al core avea
Questo Zerbin, che 1' alma, onde vivea.
55. Orlando se 1' avea fatta compagna.
Poiché della caverna la riscosse.
Quando co>tei li vide alla campagna,
Domandò Orlando , chi la turba fosse.
]\on so, diss' egli; e poi sulla montagna
Lasciolla, e verso il pian ratto si mosse;
Guardò Zerbino , ed alla vista prima
Lo giudicò baron di molta stìuua.
56. E, fattosegli appresso , domandollo,
Per che cagione, e dove il menin preso.
Levò il dolente cavaliero il collo,
E meglio avendo il paladino inteso.
Rispose il vero ; e così ben narrollo.
Che meritò dal conte esser difeso.
Ben avea il conte alle parole scorto,
Ch' era innocente, e che moriva a torto.
57. E poich' intese, che commesso questo
Era dal conte Anselmo d' Altariva,
Fu certo, eh' era torto manifesto;
Che altro da quel fellon mai non deriva.
Ed oltre a ciò, l' uno era all' altro infesto.
Per 1' antichissimo odio , che bolliva
Tra 'l sangue di Maganza e di Chiarmonte,
E tra lor eran morti, e danni, ed onte.
58. Slegate il cavalier , gridò , canaglia.
n conte a' masnadieri , o eh' io v' uccido.
Clù é costui , che sì gran colpi taglia ?
Rispose un, che parer volle il più fido;
Se di cera noi fossimo, o di paglia,
E di fuoco egli, assai fora quel grido.
E venne centra il paladin di Francia.
Orlando centra lui chinò la lancia.
59. La lucente armatura il Maganzese,
Che levata la notte avea a Zerbino,
E postasela indosso, non difese
Contro r aspro incontrar del paladino.
Sopra la de>tra gaaiuia il ferro prese:
L' elmo non passò già, perdi' era fino;
Ma tanto fu della percossa il crollo,
Che la vita gli tolse, e ruppe il collo.
60. Tutto in un corso, senza tor di resta
La lancia, passò un altro in mezzo il petto.
Qui\i lasciolla, e la mano ebbe presta
A Durindana, e nel drappel più stretto
A chi lece due |>arti della testa,
A chi le\ò dal busto il capo netto;
Forò la gola a molli, e in un momento
N' uccise e mise in rotta più di cento.
[301]
ORLANDO FURIOSO. (XXIII. 61-76)
[3021
61. Più del terzo n' ha morto , e 1 resto caccia,
E taglia, e fende, e fere , e fora, e tronca.
Chi io scudo , e chi 1' ehiio , che lo 'mpaccia,
E chi lascia lo spiedo, e chi la ronca;
Chi al lungo, chi al traverso il caniniin spaccia;
Altri s' appiatta in bosco , altri in spelonca.
Orlando , di pietà questo dì privo,
A suo poter non vuol lasciarne un vivo.
G2. Di cento venti (che Turpin sottrasse
Il conto) ottanta ne perirò almeno.
Orlando finalmente si ritrasse ,
Dove a Zerbin tremava il cor nel seno.
Se al ritornar d' Orlando s' allegrasse,
IVon si potria contare in versi appieno.
Se gli saria per onorar prostrato ;
Ma si trovò sopra il ronzin legato.
63. Mentrechè Orlando , poiché lo disciolse,
L' ajutava a ripor 1' arme sue intorno,
Che al capitan della sbirraglia tolse.
Che per suo mal se n' era fatto adorno :
Zerbino gli occhj ad Isabella volse,
Che sopra il colle avea fatto soggiorno,
E poiché della pugna vide il fine.
Portò le sue bellezze più vicine.
61. Quando apparir Zerbin si vide appresso
La donna, che da lui fu amata tanto,
La bella donna , che per falso messo
Credea sommersa , e n' ha più volte pianto.
Come un ghiaccio nel petto gli sia messo.
Sente dentro agge!ar^i , e trema alquanto ;
Ma tosto il freddo manca , ed in quel loco
Tutto s' avvampa d' amoroso foco.
()5. Di non tosto abbracciarla lo ritiene
La riverenza del signor d' Anglante;
Perché si pensa, e senza dnbhio tiene,
Che Orlando sia della don/ella amante.
Così cadendo va di pene in pene,
E poco dura il gaudio, eh' ebbe innante;
E vederla d' altrui peggio sopporta,
Che non fé', quando udì , eh' ella era morta.
<)(>. E molto più gli du(»l, che sia in podestà
Del cavaliero, a cui cotanto debbe ;
Perdio volerla a lui levar, né onesta,
]\è forse impresa facile sarebbe.
Nessun altro da sé lasciar con questa
Preda partir senza rumor vorrebbe ;
Ma verso il conte il suo debito chiede,
Che se lo lasci por sul collo il piede.
67. Giunsero taiùturni ad una fonte,
Dove sniontaro, e fér quale lie dimora.
Trassesi l' elmo il travagliato conte,
Ed a Zerbin lo fece trarre; aii<;ora.
Vede la donna il suo amatore in fronte,
E di subito gaudio si scolora ;
Voi torna , come fiore umido suole.
Dopo gran pioggia, all' apparir del solo;
(iH. E s(;n7.a indugio, e scnz' altro rispetto,
('orre al f,uo curo amante, e il rollo abbraccia;
E non può trar parola fuor del petto,
M.i di lacrinn; il nen bagna, e la l'accia.
Orlando, attento all' amoroso all'etto,
Senzai Ile più chiarezza se gli faccia,
\'uU- a tutti gì' indizj manifesto,
Ch' altri es»er, che Zerbin, non polca questo.
69
Come la voce aver puote Isabella,
■Von ben asciutta ancor 1' umida guancia.
Sol della molta cortesìa favella.
Che le avea usata il paladin di Francia.
Zerbino , che tenea questa donzella
Con la sua vita pari a una bilancia.
Si getta a' pie del conte , e quello adora,
Come a chi gli ha due vite date a un' ora.
TO
12
Molti ringraziamenti e molte offerte
Erano per seguir tra i cavalieri,
Se non udian sonar le vìe coperte
Dagli arbori di frondi oscuri e neri.
Presti alle teste lor, eh' eran scoperte.
Posero gli elmi , e presero i destrieri ;
Ed ecco un cavaliero e una donzella
Lor sopravvien, ci»' appena erano in sella.
71. Era questo guerrier quel Mandricardo,
Che dietro Orlando in fretta si condusse,
Per vendicare Alzirdo e Manilardo,
Che '1 paladin con gran valor percusse ;
Quantunque poi lo seguitò più tardo.
Che Doralice in suo poter ridusse.
La quale avea , con un troncon di cerro.
Tolta a cento guerrier carchi di ferro.
jVon sapea il Saracin però , che questo
Ch' egli seguia , fosse il signor d' Anglante ;
Ben n' avea indizio e segno manifesto,
Ch' esser dovea gran cavaliero errante.
A lui mirò , più eh' a Zerbino , e presto
Gli andò con gli occhj dal capo alle piante ;
E i dati contrassegni ritrovando
Disse : Tu se' colui , eh' io vo cercando.
73. Sono omai dieci giorni , gli soggiunse,
Che di cercar non lascio i tuoi vestigi;
Tanto la fama stimolommi e piuise.
Che di te venne al campo di Parigi,
Quando a fatica un vivo sol vi giunse
Di mille , che mandasti ai regni stigi,
E la strage contò, che da te venne
Sopra i INorizj e quei di Treni iseiuie.
74. Kon fui , come Io seppi , a seguir lento,
E per V ederti , e per provarti appresso :
E perché m' informai del guernimento,
Ch' hai sopra 1' arme , io so , che tu sei desso.
E , se non 1' avessi anco , e che fra cento.
Per celarti da me, ti fossi messo,
Il tuo fiero sembiante mi faria
Chiaramente veder , che tu quel sia.
75. Non si \mò , gli rispose Orlando , dire,
Che cavalier non sii «1" alto valore;
Pcroccliè si magnanimo desire
Non mi credo allH-rgassc in iimil core.
Se i volermi veder ti fa venire,
\o' che mi veggi dentro , come fuorc.
Mi leverò qnest' elmo dalle tempie,
Accioccli' appiuito il tuo dcsir s' adempie.
76. Ma , poirliè ben m' avrai veduto in faccia.
Air altro desìilcrio ancora attendi!
Resta, che alla cagion tu satisfaccia.
Che fu, clu- dietro questa via mi prendi;
Che >eggi. se 'I ^alor mio t^i contine in
A quel seiiibiunte lìcr, che si comniendi.
Orsù , disse il pagano , al rimanente !
Che al primo ho satisfatto inter.iuientc.
[303]
ORLANDO FURIOSO. (XXIil. 17 — 02)
[304]
77. Il conte tuttavia dal capo al piede
Va cercando il pagan tutto con gli occhj:
Mira ambi ì fiauclii, indi 1' arcion, né vede
Pender nò qua , né là mazze , nò stocchi.
Gli domanda , di che arme si provvede,
Se avvicn , che con la lancia in fallo tocchi.
Rispose c[uel: ]\on ne pigliar tu cura!
Coòì a molt' .litri ho ancor fatto paura.
78. Ho sacramento di non cìnger spada,
Finch' io non tolgo Durindana al conte;
E cercando lo vo per ogni strada,
Perchè più d' una posta meco sconte.
Lo giurai , se d' intenderlo t' aggrada.
Quando mi posi quest' elmo alla fronte.
Il qual , con tutte l' altr' arme , eh' io porto,
Era d' Ettor, che già mill' anni è morto.
79. La spada sola manca alle buone arme:
Come rubata fu, non ti so dire.
Or, che la porti il paladino, parme,
E di qui vien , eh' egli ha sì grande ardire.
Ben penso , se con lui pos^o accozzarmc,
Fargli il mal tolto ornai restituire.
Cercolo ancor , che vendicar disio
Il famoso Agrican , genitor mio.
80. Orlando a tratlimento gli die' morte ;
Ben so , che non potca farlo altramente.
Il conte più non tacque, e gridò forte:
E tu , e quiilunque il dice , se ne mente.
Ma quel, che cerchi, t' è venuto in sorte.
Io sono Orlando, e uccisil giustamente;
E questa è quella spada, che tu cerchi,
Che tua sarà, se Ci)n virtù la merchi.
81. Quantunque sia debitamente mùi,
Tra noi per gentilezza si contenda.
Né voglio in questa pugna eh' ella sia
Più tua, che mia, ma a un arbore s' appenda.
Levala tu liberamente via.
Se avvien, che tu ra' uccida, o che mi prenda.
Così dicendo , Durindana prese,
E in mezzo il campo a un arbuscel 1' appese.
82. Già r mi dall' altro è dipartito lunge.
Quanto sarebbe un mezzo tratto d' arco ;
Già r uno «-nutra l' altro il destrier punge,
Né delle lente redini gli è parco;
Già r "ino e 1' altro di gran colpo aggiunge,
Dove per l' elmo la veduta ha varco.
Parvero l'aste, al rompersi, di gelo,
E in mille schegge andar volando al cielo.
83. 1/ una e 1' altra asta è forza , che si spezzi,
Che non vogtion piegarsi i cavalieri,
I ca^alier, che tornano co' pezzi,
Che son restati appresso i calci intieri.
Quelli, che sempre fur nel ferro avvezzi.
Or , come duo villan per sdegno fieri
^icl partir acque , o termini di prati.
Fan crudel zufla di duo pali armati.
84. Non stanno 1' aste a quattro colpi eaidc,
E mancan nel furor di quella pugna.
Di qua e di là si fan l' ire più calde,
Né (la ferir lor re.^ta altro, che pugna.
S<liiodano piastic; , o straceian maglie e falde,
Purcbé la man , dove s' aggraflì , gingna.
Non desideri alcun, perché più vaglia,
Martcl più grave .o più dura tanaglia.
85. Come può il Sarncin ritrovar sesto
Di finir con suo onore il fiero invito.-'
Pazzia sarebbe il perder tempo in questo,
Che nuoce al feritor più eh' al ferito.
Andò alle strette 1' uno e l' altro, e presto
Il re pagano Orlando ebbe ghermito.
Lo stringe al petto , e crede far le |)rove.
Che sopra Anteo fé' già 'l figliuol di Giove.
86. Lo piglia con molto impeto a traverso:
Quando lo spinge, e quando a sé lo tira;
Ed è nella gran collera sì immerso,
Che, ove resti la briglia, poco mira.
Sta in sé raccolto Orlando , e ne va verso
Il suo vantaggio, e alla vittoria aspira:
Gli pon la cauta man sopra le ciglia
Del cavallo , e cader ne fa la briglia.
87. Il Saracino ogni poter vi mette,
Che lo soffoghi, o dell' arcion lo svella
Negli urti il conte ha le ginocchia strette.
Né in questa parte vuol piegar, né in quella.
Per qi'.cl tirar, che fa il pagan, costrette
Le cinghie son d' abbandonar la sella.
Orlando é in terra , e appena sei conosce.
Che i piedi ha in staffa, e stringe ancor le cosce.
88. Con quel rumor, clie un sacco d' arme cade,
Risuona il conte , come il campo tocca.
Il destrier, eh' ha la testa in libertade.
Quello, a chi tolto il freno era di bocca,
Non più mirando i boschi , che le strade,
Con ruiuoso corso si trabocca,
Spinto di qua e di là da timor cieco,
E Mandricardo se ne porta seco.
89. Doralice, che vede la sua guida
Uscir del campo, e torlesi d' appresso,
E mal restarne senza si confida,
Dietro, correndo, il suo ronzin gli ha messo.
Il pagan per orgoglio al destrier grida,
E con mani e con piedi il batte spesso,
E, come non sia bestia, lo minac<;ia.
Perchè si ferun , e tuttavia più il caccia.
90. La bestia , eh' era spaventosa e poltra,
Senza guardarsi ai pie, corre a traverso.
Già corso avea tre miglia , e seguiva oltra,
Se un fosso a quel desir non era avverso,
Clie , senza aver nel fondo o letto , o coltra,
Ricevè r uno e 1' altro in sé riverso.
Die' Mandricardo in terra aspra percossa ;
Né però si fiaccò, né si ruppe ossa.
91. Quivi si ferma il corridore alfine;
Ma non si può guidar , che non lia freno.
Il Tartaro lo tien preso nel crine,
E tutto è di fiu'ore e d' ira pieno.
Pensa, e non sa quel , che di far destine.
Pongli la briglia del mio palafreno !
La donna gli dicea; che non è molto
Il mio feroce, o sia col freno, o sciolto.
92. Al Saracin lìarea discortesia \
ha profferta accettar di Doralice:
]Ma IVen gli farà aver per altra via
Fortuna, a' suoi d(^>ii uu>lto fautrice.
Quivi (ìabrina s(-ellerata invia,
('be , poi(-liè di Zeibin fu traditrice.
Foggia, come la lupa, che lontani
Oda venire i cacciatori e i cani.
[305]
ORLANDO FURIOSO. (XXIII. 93-108)
[306]
93. Ella avea ancora indosso la gonnella
E quei medesini giovanili ornati.
Che furo alla vezzosa damigella
Di Pinabel, per lei vestir, levati;
Ed avea il palafreno anco di quella,
De' buon del mondo , e degli avvantaggiati ;
La vecchia sopra il Tartaro trovosse,
Che ancor non s' era accorta, che vi fosse.
94. L' abito giovanil mos?e la figlia
Di Stordilano, e Mandricardo a riso,
Vedendolo a colei , che rassomiglia
A un babl)HÌno, a un bertuccione in viso.
Disegna il Saracin torle la briglia
I Pel suo destriero , e riuscì 1' avviso.
Toltogli il morso, il palafren minaccia.
Gli grida, lo spaventa, e in fuga il caccia.
95. Quel fugge per la selva, e seco porta
La quasi morta vecchia di paura.
Per valli e monti , e per ^ia dritta e torta,
Per fossi e per pendi('i alla Aentnra.
Ma il parlar di costei sì non m' importa,
Ch' io non debba d' Orlando aver piìi cura.
Che alla sua sella ciò, eh' era di guasto,
Tutto ben racconciò senza contrasto.
96. Rimontò sul destriero , e ste' gran pezzo
A riguardar, che '1 Saracin tornasse;
]Nè '1 vedendo apparir, volse da sezzo
Egli esser quel , eh' a ritrovarlo andasse.
IVla, come costumato e ben avvezzo.
Non prima il paladin quindi si trasse.
Che con dolce parlar , grato e coi'tese,
Buona licenza dagli amanti prese.
97. Zerbin dì quel partir molto si dolse ;
Di tenerezza ne piagnca Isabella.
AOlcano ir seco; ma il conte non volse
Lor compagnia, bench" era buona e bella;
E con questa ragion se ne «lisciolse,
Che a guerrier non è infamia sopra quella,
Che, quando cerchi un suo nemico, prenda
Compagno, che 1' ajuti, e che "1 difenda,
98. Li pregò poi , che, quando il Saracino,
Primachè in lui , si riscontrasse in loro,
Gli dicesser, che Orlando avria vicino
Ancor tre giorni per quel tenitoro ;
Ma che dopo sar<!bbe il suo cammino
Aerso le 'usegne de' bei gigli d' oro.
Per esser con l' esercito di Carlo ;
Perchè, volendol, sappia, onde chiamarlo.
9f). Quelli promiser farlo volentieri,
E ijuesta, e ogni altra cosa al suo comando.
l'eroi! camuiiu diverso i (a\alieri.
Di «pia /crbiiio. e di là il conte Orlando.
Primachè pigli il ccuitc altri sentieri.
All' arbor fols<;, e a sé ripose il brando,
l'I, dove iiief;lio col jìiigan pensosse
Di potersi incontrarti, il destrier mosse.
<i((. Lo strano «orso, «hi! teiuH! il cavallo
Del Sara«in , p«'l b«)sco s«'ir/.a ^ ia,
l'ccf, «'II' Orlando andò duo giorni in fallo,
\è lo trovò , ni: |)ot«' a\«'riie spia,
(iiiinse ad un rivo, «In! pan-a cri>fallo,
\illc «ni spond«; un bel pratel lioria,
ni nativo «Milor vago «; di|)iiito,
E di molli e begli arbori distinto.
102
101. II merigge facea grato lo rezzo
AI duro armento, ed al pastore ignudo
Sicché né Orlando senlia alcun ribrezzo
Che la corazza avea, 1' elmo e lo scudc).
Quivi egli entrò per riposarvi in mezzo,
E v' ebbe travaglioso albergo e crudo,
E più, che dir si possa, empio soggiorno,
Queir infelice e sfortunato giorno.
^ olgendosi ivi intomo , vide scritti
Molti arboscelli in sull' ombrosa riva.
Tostoché fermi v' ebbe gli occhj e fìtti.
Fu certo, esser di man della sua diva.
Questo era un di quei luoghi già descritti,
Ove sovente con 3Iedor veniva.
Da casa del pastore, indi vicina,
La bella donna del Catai regina.
103. Angelica e 3Iedor con cento nodi
Legati insieme, e in cento luoghi vede.
Quante lettere son, tanti son chiodi.
Co' quali amore il cor gli punge e fiede.
^a col pensier cercando in milie modi
Non creder quel, che al suo dispetto crede:
Ch' altra Angelica sia, creder .-i sforza,
Ch' abbia scritto il suo nome in quella scorza.
104. Poi dice: Conosco io pur queste note;
Di tali io n' ho tante vedute e lette.
Finger questo Medoro ella si puote;
Forse eh' a me quest») cognome mette.
Con tali opinion dal ver remote,
Usando fraude a sé medesmo, stette
Nella speranza il mal contento Orlando,
Che si seppe a sé stesso ir procacciando.
103. Ma sempre più raccende e più rinnova,
Quanto spegner più cerca il rio sospetto;
Come 1' incauto aiigel, «he si ritrova
In ragna, o in vis(;o aver dato dì petto.
Quanto più batte I' ale, e più si prova
Di disbrigar, più vi si lega stretto.
Orlando viene, «»ve s' incurva il monte
A guisa d' arco in sulla chiara fonte.
100. Avevano in sull' entrata il luogo adorno,
Co' piedi storti, edere e viti erranti.
Quivi solcano, al più cocente giorno.
Stare abbracciati i duo felici amanti.
'i ' aveano i nomi lor dcnlro e d' intorno.
Più che in altro «le' luoghi cii«()s.tanti.
Scritti, qiial con carbone, e qual con gesso.
E qual c«Mi punte «li coltelli impresso.
107. Il mesto ccuite a pie qiii\i «lis«-cse,
E vi«le in siilT entrala dilla grotta
l'arole assai, che di siiu man di^lese
Mediu-o avea, che parean .xritte alhitta.
Del gr.iu piacer, «he lu-lia grotta prese,
Questa sentenza in ver>i avea ridotta.
Che fos.v«- (-ulta in mio linguaggio, io penso,
Ed era nella nostra tale il senso:
108. Li«tc piante, verdi erbe, limpid' acque,
Spcioiii-a o|),ic.i , e di IVcdilc ombre grata,
Dine la bella \iig(lica. ilu! nacque
Di (iiilal'ron, «la molli invano amala,
Sp«'sM) in-llc mie brat ( ia nuda giacque,
D«'lla «iniKidiià. ebe (|ni in" è data.
Io poveni ìlnlof ricoiiipcnsan i
D' altro non posso, cJie «1' ognor lodarvi,
20
[307]
ORLANDO FURIOSO. (XXIII. 109-124)
_[308]ì
109. E dì pregare ogni signore amante,
E cavalieri e damigelle, e ognuna
Perdona , o paesana , o riandante,
Che qui sua volontà meni , o fortuna,
Ch" all' erba, all' ombra, all' antro, al rio, alle piante
Dica : Benigno abbiate e sole e luna !
E delle ninfe il coro , che provveggia.
Che non conduca a voi pastor mai greggia !
110. Era scritto in arabico, che '1 conte
Intendca cosi ben , come latino.
Fra molte lingue e molte , eh' avea pronte,
Prontissima a^ea quella il paladino,
E gli schivò più volte e danni ed onte.
Che si trovò tra il popol Saracino.
Ma non si vanti , se già n' ebbe frutto ;
Ch' un danno or n'ha, che può scontargli il tutto.
111. Tre volte , e quattro , e sei lesse lo scritto
Queir infelice, e pur cercando invano,
Che non vi fosse quel , che v' era scritto,
E sempre lo vedea più chiaro e piano ;
Ed ogni volta in mezzo il petto afllitto
Stringersi il cor sentia con freddii mano.
Rimase alfin con gli occhj e con la mente
Fissi nel sasso , al sasso indifferente.
112. Fu allora per uscir del sentimento ;
Si tutto in preda del dolor si lassa!
Credete a chi n' ha fatto esperimento,
Che questo è il duol , che tutti gli altri passa.
Caduto gli era sopra il petto il mento.
La fronte priva di baldanza, e bassa;
3\è potè aver (che '1 duol 1' occupò tanto)
Alle querele voce, umore al pianto.
113. L' impetuosa doglia entro rimase.
Che volea tutta uscir con troppa fretta.
Così veggiam restar 1' acqua nel a asc.
Che largo il ventre, e la l)occa abbia stretta;
Che nel voltar , che si fa in sulla base,
L' umor, che vorria uscir, tanto s' affretta,
E neir angusta via tanto s' intrica.
Che a goccia a goccia fuor esce a fatica.
114. Poi ritorna in sé alquanto , e pensa , come
Possa esser, die non sia la cosa vera;
Che voglia alcun cosi infamare il nome
Della sua donna, e crede e brama e spera:
O graA ar lui d' insn|)portabil some
Tanto di gelosia, che se ne pera,
Ed abbia quel , sia chi si voglia stato.
Molto la man di lei bene imitato.
115. In cosi poca , in cosi debol speme
Sveglia gli spirti, e li rinfranca un poco.
Indi al suo lirigliadoro il dosso preme.
Dando già il sole alla sorella loco.
^on molto va, che dalle vie supreme
De' tetti uscir vede il vapor del foco.
Sente cani abliajar, muggire armento,
Viene alla villa, e piglia alloggiamento.
Ufi. lianguido smonta, e lascia IJrigliailoro
A un (li-creto garzon , che n' abbia <;ura:
Altri il disarma, altri gli s|)roni d' oro
Gli leva, altri a forbir va 1" armatura.
Era questa la i iifiu , ove Medoro
Giacque ferito, «; v' elilie alta avventura.
Colcarsi Orlando, e non n^nar domanda,
Di dolor sazio , e non d' altra vivanda.
117.
Quanto più cerca ritrovar quiete,
Tanto ritrova più travaglio e pena ;
Che dell' odiato scritto ogni parete,
Ogni uscio , ogni finestra vede piena.
Chieder ne vuol , poi tien le labbra chete ;
Che teme non si fcir troppo serena,
Troppo chiara la cosa, che di nebbia
Cerca offuscar, perchè men nuocer debbia.
118
Poco gli giova usar fraude a sé stesso ;
Che, senza domandarne, è chi ne parla.
Il pastor , che lo vede cosi oppresso
Di sua tristizia , e che vorria levarla,
L' istoria nota a sé , che dicea spesso,
Di quei duo amanti , a chi volea ascoltarla.
Che a molti dilettevole fu a udire.
Gì' incominciò senza rispetto a dire,
119. Come esso, a' preghi d' Angelica bella,
Portato avea Medoro alla sua villa,
Ch era ferito gravemente, e eh' ella
Curò la piaga , e in pochi dì guarilla ;
Ma che nel cor d' una maggior di quella
Lei feri Amore, e di poca scintilla
Le accese tanto e si cocente foco,
Che n' ardea tutta , e non troA ava loco ;
120. E senza aver rispetto , eh' ella fusse
Figlia del maggior re , eh' abbia il Levante,
Da troppo amor costretta, si condusse
A farsi moglie d' un povero fante.
All' ultimo r istoria si ridusse,
Che '1 pastor fé' portar la gemma innante.
Che alla sua dipartenza, per mercede
Del buon albergo. Angelica gli diede.
121. Questa conclusion fu la secure.
Che '1 capo a un colpo gli levò dal collo,
Poiché d' innumerabil battiture
Si vide il manigoldo Amor satollo.
Celar si studia Orlando il duolo, e pure
Quel gli fa forza, e male asconder puoUo;
Per lacrime e sospir , da bocca e d' oc( hj
Convien , voglia o non voglia , alOn che scocchi
122. Poich' allargare il freno al dolor puote, I
i Che resta solo, e senza altrui rispetto,
! Giù dagli occbj rigando per le gote
' Sparge un fiume di lacrime sul petto.
Sospira e geme , e va con spesse ruote [
Di qua, di là tutto cercando il letto;
E più duro che un sasso , e più pungente,
Che se fosse d' urtica , se lo sente.
123. In tanto aspro travaglio gli soccorre,
Che nel medesmo letto , in che giaceva,
L' ingrata donna venutasi a porre
Col suo drudo più volte esser doveva.
Non altramente or quella piuma abborrc,
Ké con minor prestezza se ne leva.
Che dell' erba il villan, che s' era messo
Per chiuder gli occhj, e vegga il serpe approdo
124. Quel letto, quella casa, quel pastore
Imuiantinente in tant' odio gli casca,
Che , senza aspettar luna , u che 1' albore.
Che va dinanzi al nuovo giorno , nasca.
Piglia r arme e '1 destriero , ed esce fuore
Per mez/.o il bosco alla più oscura frasca;
E quando poi gli è avviso d' esser solo.
Con gridi ed urli apre le porte al duolo.
[309]
ORLANDO FURIOSO. (XXIU. 126 — 136)
[310]
125. Di pianger mai , mai di gridar non resta,
Nò la notte , né '1 dì si dà niiii pace,
Fugge cittadi e borghi, e alla foresta
Sul terren duro al discoperto giace.
Di sé si maraviglia, che abbia in testa
Una fontana d' acqua si vivace,
E come sospirar possa mai tanto,
E spesso dice a sé così nel pianto :
126. Queste non son più lacrime , che f uore
Stillo dagli occhj con sì larga vena.
Non suppliron le laciime al dolore;
Finir, clie a mezzo era il dolore appena.
Dal fuoco spinto ora il vitale umore
Fugge per quella via , che agli occlìj mena ;
Ed é quel , che si versa , e trarrà insieme
E '1 dolore e la vita all' ore estreme.
127. Questi, che indizio fan dei mio tormento,
Sospir non sono , né i sospir son tali.
Quelli han tregua talora; io mai non sento
Che '1 petto mio meii la sua pena esali.
Amor, che m' arde il cor, fa questo vento,
Mentre dibatte intorno al fuoco 1' ali.
Amor, con che miracolo lo fai,
Che 'n fuoco il tenghi , e noi consumi mai ?
128. Non son , non sono io quel , che pajo in viso.
Quel , eh' era Orlando , è morto ed é sotterra :
La sua donna ingratissima I' ha ucciso ;
Sì, mancando di fé' , gli ha fatto guerra !
Io son lo spirto suo da lui diviso,
Che in quest' inferno tormentandosi erra,
Perché con 1' cnnbra sia, che sola avanza.
Esempio a chi in amor pone speranza.
129. Pel bosco errò tutta la notte il conte;
E allo spuntar della diurna fiamma,
Ij«» tornò il suo destin sopra la fonte,
Dove Medoro isculse 1' epigrainina.
Veder 1' ingiuria sua scritta nel nu)nte
L' accese sì, che in lui non re^tò dramma.
Che non fosse odio, rabbia, ira e furore;
Né più indugiò , che trasse il brando fuore.
130. Tagliò lo scritto e '1 sasso, e fino al cielo
A volo alzar fé' le ininutc schegge.
Infelice queir antro , ed ogni stelo.
In cui Medoro e Angelica si legge !
('osi restar quel di, eh' ombra, né gelo
A pastor mai non daraii più , né a gregge;
E quella fonte, già sì chiara e pura,
Da cotanta ira fu poco sicura :
131,
132,
133.
il34
135.
136.
Che rami e ceppi , e tronchi , e sassi e zolle
Non cessò di gittar nelle beli' onde,
Finché da sommo ad imo sì turbolle,
Che non furo mai più chiare, né monde.
E , stanco alfin , e allln di sudor molle.
Poiché la lena vinta non risponde
Allo sdegno , al grave odio , all' ardente ira.
Cade sul prato , e verso il ciel sospira.
Afflitto e stanco alfin cade nell' erba,
E ficca gli occhj al cielo, e non fa motto.
Senza cibo e dormir così si serba.
Che '1 sole esce tre volte , e torna sotto.
Di crescer non cessò la pena acerba.
Che fuor del senno alfin 1' ebbe condotto.
Il quarto dì , da gran furor commosso,
E maglie e piastre si stracciò di dosso.
Qui riman 1' elmo, e là riman lo scudo,
Lontan gli arnesi, e più lontan 1' usbergo;
L' arme sue tutte , in somma vi concludo,
Avean pel bosco difTerente albergo.
E poi si squarciò i panni, e mostrò ignudo
L' ispido ventre , e tutto '1 petto e 1 tergo ;
E cominciò la gran follia sì orrenda,
Che della più non sarà mai chi 'ntenda.
In tanta rabbia, in tanto furor venne.
Che rimase <»fliiscato in ogni senso.
Di tor la spada in man non gli *ov~*enne,
Che fatte a^ ria mirabil cose , penso.
Ma né quella , né scure , né bipenne
Era bisogiu) al suo vigore immenso.
Quivi fé' ben delle sue prove ecc^else;
Che un alto pino al primo crollo svelse:
E svelse, dopo il primo, altri parecchj,
Come fosser finocclij, ebuli , o aneti;
E fé' il siniil di querce, e d' olmi vecchj.
Di faggi e d' orni e d' ilici e d' abeti.
Quel eh' un uccellator, che s' apparecchi
Il campo mondo, fa, per por le reti.
De' giunchi, e delle stoppie, e dell' urtiche,
Facea di ccrri e d' nltre piante antiche.
I pastor , che sentito hanno il fracasso,
La^ciando il gregge sparso alla foresta.
Chi di qua, chi di là, tutti a gran passo
Ai ■\eiigono a veder, che cosa è questa.
Ma son giunto a quel seguo, il (jual s" io pa^^o.
Vi potria la mia istoria e^ser mole^ta ;
Ed io la v(t' piutto^to dillVrire,
Che v' abbia per liuighezza a fastidire.
20 ♦
[311]
ORLANDO FURIOSO. (XXIV. 1—12)
[312]
CANTO VENTESIMOQUARTO.
ARGOMENTO.
H cortese Zcrbin benignamente
Grato pcrdon concede ad Odorico.
Per la spada fZ' Orlando arditamente
JNe mvor per man del Tartaro nimico.
Con Rodomonte poi di sdegno ardente
Combatte, e al/in desio di gloria amico,
Tratti ad un messo a lor venuto avante.
Ambi spinge in ajuto d' Argamante.
1. Clii mette il pie sull' amorosa pania,
Cerchi ritrarlo , e non \' invet^chi 1' ale !
Che non è in somma amor , se non insania,
A giudizio de' savj universale:
E sebhen , come Orlando, ognun non smania,
Suo furor mostra a qualche altro segnale.
E quale è di pazzia segno più espresso,
Che , per altri , voler perder sé stesso ?
2. , Varj gli effetti son, ma la pazzia
E tutt\ una però, che li fa uscire.
Gli è come una gran selva, ove la via
Conviene a forza, a chi vi va, fallire.
Chi su , chi giù , chi qua , chi là travia.
Per concludere ia somma , io vi vo' dire,
A chi in amor s' inveccliia , oltre ogni pena.
Si convengono i ceppi o la catena.
3. Ben mi si potria dir: Frate, tu vai
L' altrui mostrando, e non vedi il tuo fallo.
10 vi rispondo , che comprendo assai
Or, che di mente ho lucido intervallo:
Ed ho gran cura, e spero farh) ouiai,
Di riposarmi, e d' uscir fuor di hallo;
]\Ia tosti» far, come vorrei, noi posso.
Che 'i nulle è penetrato infin all' osso.
4. Signor, neir altro canto io vi dicea.
Clic '1 forsennato e fiuioso Orlando
trattesi 1' arme, e siiarse al campo avea.
Squarciati i |)anni , e via gittato il brando,
S\elte le piante , e risonar facea
I cavi sassi, e V alte sel\e, quiindo
Alcun ])asfori al simn trasse in quel Iato
Lor btelhi , o qualche lor grave peccato.
5. A iste del ]>azzo 1' iiu^redibil prove
Poi |)iù appresso, e la possanza estrema,
Si Aoltan |)cr fuggir, ma non sanno ove,
Sic come av>iene in snhilaua tema.
11 pazzo dielro lor ratto si muove.
Uno ne piglia, e del v.ì\h> lo scema,
('on la fai'ililà, che torcia alciuio
Dall' arhor pome, o vago fior da! pruno.
6. Per una gamba il grave tronco prese,
E quello usò per mazza addosso al resto.
In terra un pajo addormentato stese,
Che al novissimo di forse fia desto.
Gli altri sgombraro subito il paese,
Ch' ebbono il piede, e il buon avviso presto.
Kon saria stato il pazzo a seguir lento.
Se non eh' era già volto al loro armento.
7. Gli agricoltori , accorti agli altru' esempli,
Lascian nei campi , aratri e marre , e falci ;
Chi monta sulle case, e chi su i templi,
(Poiché non son sicuri olmi, né salci)
Onde r orrenda furia si contempli.
Che a pugni, ad urti, a morsi, a graffi, a calci,
Cavalli e buoi romjìc, fracassa e strugge;
E ben é corridor chi da lui fugge. l
8. Già potreste sentir, come rimbombe
L' alto rumor nelle propinque ville, ;
D' urli e di corni e rusticane trombe,
E più spesso, che d' altro, il suou di squille;
E con spuntoni, ed archi, e spiedi, e frombe,
Veder dai monti sdrucciolarne mille.
Ed altrettanti andar da basso ad alto,
Per fare al pazzo un villanesco assalto.
9. Qual venir suol nel salso lito 1' onda.
Mossa dall ' austro , che a principio scherza,
Che maggior della prima è la seconda,
E con i)iù forza poi segue la terza.
Ed ogni volta più 1' umore abbonda,
E nell' arena più stende la sferza:
Tal contra Orlando 1' empia turba cresce.
Che giù da balze scende, e di valli esce.
10. Fece morir dicce persone e diece.
Che senza ordine alcun gli andaro in mano;
E questo chiaro esperimento fece,
Ch' era assai più sicur starne lontano.
Trar sangue da quel corpo a nessun lece.
Che lo fere e percuote il ferro invano.
Al conte il Re del cìei tal grazia diede, i
Per porlo a guardia di sua santa fede.
11. Era a periglio di morire Orlando,
Se fosse di morir stato capace :
Potea imparar, eh' era a gittare il brando,
E poi voler senz' arme esser audace.
La turba già s' andava ritirando.
Vedendo «)gni suo colpo uscir fallace.
Orlando, poi<;hè più nessun 1' attende.
Verso un borgo di case il cammiu prende.
12. Dentro non vi trovò picciol, nò grande;
Che 'I borgo ognun per tema avea lasciato.
V erano in copia povere vivande,
Convcni(!nti a un pastorale stato.
Senza il pane disccrner dalle ghiande,
Dal digiuno e dall' imix^to (taccialo.
Le mani e il dente lasciò andar di botto
In quel, che trovò prima, o crudo, o cotto.
[313]
ORLANDO FURIOSO. (XXIV. 13-28)
[314]
13. E quindi, errando per tutto il paese,
Dava la caccia e agli uomini , e alle fere ;
E scorrendo pe' boschi , talor prese
I capri snelli , e le damme leggiere :
Spesso con orsi e con cinghiai contese,
E con man nude li pose a giacere,
E di lor carne, con tutta la spoglia.
Più volte il ventre empì con fiera voglia.
14. Di qua, di là, di su, di giù discorre
Per tutta Francia , e un giorno a un ponte arriva.
Sotto cui largo e pieno d' acqua corre
Un fiume d' alta e discoscesa riva.
Edificato accanto avea una torre.
Che d' ogni intorno di lontan scopriva.
Quel che fé' qui , avete altrove a udire.
Che di Zerbin mi con^ien prima dire.
15. Zerbin, dappoiché Orlando fu partito.
Dimorò alquanto , e poi prese il sentiero,
Che '1 paladino innanzi gli avea trito,
E mosse a passo lento il suo destriero.
Non credo, che due miglia anco fosse ito,
Che trar vide legato un cavaliero
Sopra un piccol ronzino, e d' ogni lato
La guardia aver d' un cavaliero armato.
16. Zerbin questo prigion conobbe tnsto
Che gli fu appresso, e così fé' Isabella.
Era Odorico il Bi,->caglin , che posto
Fu come lupo a guardia dell' agnella.
L' avea a tutti gli amici suoi preposto
Zerbino, in confidargli la donzella,
Sperando , che la fede , che nel resto
Sempre avea avuta, avesse ancora in questo.
17. Come era appunto quella cosa stata,
Venia Isabella r.iccontando allotta;
Come nel palischermo fu sahata,
Primach' avesse il mar la nave rotta ;
La forza, che le avea Odorico usata,
E come tratta poi fosse alla grotta.
]Nè giunta era anco al fin di quel sermone.
Che trarre il malfattor vider prigione.
18. I duo, che in mezzo avcan preso Odorico,
D' Isabella notizia ebbono vera,
E s' avvisaro esser di lei 1' amico,
E '1 signor lor, colui che a|)presso 1' era;
Ma più, che n(;IIo scudo il segno antico
Mder dipinto di sua stirpe altera;
E troAi'ir, poidiè guardar meglio al viso,
Che s' era al vero apposto il loro avviso.
19. Saltaro a piedi, e con aperte braccia
Correndo se n' andar verso Zerltino,
E r abliracciaro , ove 'I maggior s' abbraccia.
Col (-ajio nudo, e col ginocciiio chino.
Zerbin guardando I' uno e V altro in faccia^
Vide esser 1' \in Corebo il Itiscaglino,
Almonii) r altro, eh' egli avea mandati
Con Odorico in sul naviglio armati.
20. Alnionìo disse: Poiché piace a Dio,
La sua mercè , che si.i Isabella Irro,
lo posso ben comprender, signor mit>,
(/'he inilia cosa nova ora t' arn-co,
S' il» vo' dir la cagiou , cIk; que-to rio
Fa, rhr. così legato vedi mirro;
Che da costei , che più si liti V «illesa,
Appunto a>rai tutta 1' istoria intesa.
21. Come dal traditore io fui schernito.
Quando da sé levomrai, saper dei,
E come poi Corebo fu ferito.
Che a difender s' avea tolto costei.
Ma quanto al mio ritorno sia seguito,
IVè veduto, né inteso fu da lei.
Che te r abbia potuto riferire;
Di questa parte dunque io ti vo' dire.
22. Dalla cittade al mar ratto io veniva
Con cavalli , (^he in fretta avea trovati.
Sempre con gli occhj intenti, s'io scopriva
Costor, che molto addietro eran restati.
Io vengo innanzi , io vengo in sulla riva
Del mare , al luogo , ove gli avea lasciati ;
Io guardo, né di loro altro ritrovo.
Che nell' arena alcun vestigio novo.
23. La pesta seguitai, che mi condusse
Nel bosco fier; né molto addentro fui.
Che, dove il suon 1' orreccliie mi percusse.
Giacere in terra ritrovai costui.
Gli domandai, che della donna fusse,
Che d' Odorico , e chi avea offeso lui.
10 me n' andai , poiché la cosa seppi,
11 traditor cercando per quei greppi.
24. Molto aggirando vommi, e per quel giorno
Altro vestigio ritrovar non posso.
Dove giacca Corebo , alfiu ritorno.
Che fatto appresso avea il terren sì rosso,
Che , poco più , che vi facea soggiorno,
Gli saria stato di bisogno il fosso,
E i jireti e i frati piii per sotterrarlo,
Che i medici e che '1 letto , per sanarlo.
25. Dal bosco alla città feci portallo,
E posi in casa d' un ostier, mio amico,
Che fatto sano in poco tciinine hallo.
Per cura ed arte d' un chirurgo antico.
Pili, d' arme provveduti, e di cavallo,
Corebo ed io cercammo d' Odorico,
Che in corte del re All'oiiso di liiscaglia
Trovammo, e qui\i fui seco a battaglia.
26. La giustizia del re, che il loco franco
Della pugna mi diede, e la ragione.
Ed oltre alla ragion la fortuna anco,
Che spesso la vittoria, o^e a noi, pone.
Mi gioxàr si, che di iim potè manco
Il traditore; onde fu mio prigione.
Il re, udito il gran fallo, mi concesse
Di poter farne quanto mi piacesse.
27. Non 1' ho voluto uccider, né lasciarlo,
Ma, come vedi, trarloti in catena;
Perché vo' eh' a te stia di gimliciirlo,
Se morire , o tener si dcAC in pena.
L' a\«Te inteso , «-h' eri appresso u Carlo,
E 1 de>ir di trovarti qui mi mena.
Hingrazio Dio, die mi fa in qucstii partC|
D(Me lo sperai meno, ora troMirte.
28. Kiiigra/iol anco, che la tua Isabella
Io A<'ggo (e non so come), che teco hai,
Di cui, per opra del IVllon, nocella
Pensai vhv non aM'ssi ad udir mai.
Znliiiio ascolta Almoiiio, e non favella,
l'crmaiido gli occlij in Odorico assai,
I\oii si per otiio, «-onu-clié j^-l' incresce,
Che a ti mal fin tanta amici/.ia gli esce.
[3191
ORLANDO FURIOSO. (XXIV. 61-76)
[320]!'
61. Di prestezza Zerbin pare una fiamma
A torti, ovunque Durindana cada.
Di qua, di là saltar, come una dammn,
Fa il suo destrier, dov' è miglior la strada.
E ben convicn, che non ne perda dramma;
Che andrà, se un tratto il coglile quella spada,
A ritrovar gì' innamorati spirti,
Ch' empion la selva degli ombrosi mirti.
62. Come il veloce can, che '1 porco assalta.
Che fuor del gregge errar vegga nei campi.
Lo va aggirando , e quinci e quindi salta.
Ma quello attende, eh' una volta inciampi:
Così, se vien la spada o bassa, od alta.
Sta mirando Zerbin , come ne scampi ;
Come la vita e 1' onor salvi a un tempo.
Vicn sempre 1' occhio, e fere, e fogge a tempo.
63. Dall' altra parte, ovunque il Saracino
La fiera spada vibra, o piena, o vota.
Sembra fra due montagne un vento alpino.
Che una frondosa selva il marzo scota;
Ch' ora la caccia a terra a capo chino,
Or gli spezzati rami in aria ruota.
Benché Zerbin più colpi e fugga e sellivi,
]Von può schivare alfin , eh' un non gii arrivi.
64. Non può schivar alfine un gran fendente,
Che tra '1 brando e lo scudo entra sul petto.
Grosso r Usbergo , e grossa parimente
Era la piastra, e 'l panziron perfetto:
Pur non gli stèrrin contra, ed ugualmente
Alla spada crudel dieron ricetto.
Quella calò tagliando ciò che prese,
La corazza , e 1' arcion fin sull' arnese.
65. E, se non che fu scarso il colpo alquanto,
Per mezzo lo fenrica , come una canna ;
Ma penetra nel vivo apjjena tanto.
Che poco più che la pelle gli danna.
La non profonda piaga è lunga , quanto
Non si misureria con una spanna.
Le lucid' arme il caldo sangue irriga
Per sino al pie di rubiconda riga.
66. Così talora un bel purpureo nastro
Ilo veduto partir tela d' argento
Da quella bianca man più che alabastro,
Da <;ni partire il cor spesso lui sento.
Quivi poco a Zerbin vale esser mastro
Di gnerra, ed aver forza, e più ardimento;
Che di finezza d' arme, e di possanza
Il re di Tartaria tropi)o 1' avanza.
67. Fu questo colpo del pagan maggiore
In ajjparenza , che fosse in (^ll'c^tto ;
'J'alch' Isaliella se ne sente il core
Fendere in mezzo all' agghiacciato petto.
Zerbin, pien d' ardimento e di calore.
Tutto s' infiamma d' ira e di dispetto;
E quanto più ferire a due man puote,
In mezzo l' elmo il Tartaro percnotc.
68. Qiia>i snl collo del de>trier piegosso,
Per 1' a-pra botta, il Saracin superbo;
E, quando V elmo senza incanto fosse,
Partito il capo gli avria il colpo acerbo.
Con poco diIVcrir ben vendicosse,
IVè dis-e: A un' altra ^oUa io te la serbo;
E la spada gli al/ò v(mvo 1' elmetto,
Sperandoci tagliarlo inlino al petto.
69. Zerbin, che tenea 1' occhio, ove la mente,
Presto il cavallo alia man destra volse;
Non sì presto però , che la tagliente
Spada fuggisse, che Io scudo colse.
Da sommo ad imo ella il partì ugualmente,
E di sotto il braccial ruppe e disciolse,
E lui ferì nel braccio, e poi l' arnese
Spezzogli , e nella coscia anco gli scese.
70. Zerbin di qua, di là cerca ogni via,
Né mai di quel, che vuol, cosa gli avviene;
Che r armatura , sopra cui feria,
Un picciol segno pur non ne ritiene.
Dall' altra parte il re di Tartaria
Sopra Zerbino a tal vantaggio viene.
Che r ha ferito in sette parti, o in otto,
Tolto lo scudo, e mezzo F elmo rotto.
71. Quel tuttavia va più perdendo il sangue:
Manca la forza, e ancor par che noi senta.
Il vigoroso cor, che nulla langue,
Val sì, che '1 debil corpo ne sostenta.
La donna sua, per timor, fatta esangue,
Intanto a Doralice s' appresenta,
E la prega e la supplica per Dio,
Che partir voglia il fiero assalto e rio.
72. Cortese, come bella, Doralice,
Né ben sicura, come il fatto segua,
Fa volentier quel , eli' Isabella dice,
E dispone il suo amante a pace e a tregua.
Così, a' preghi dell' altra, l' ira ultricc
Di cor fugge a Zerbino, e si dilegua.
Ed egli, ove a lei par, piglia la strada,
Senza finir 1' impresa della spada.
73. Fiordiligi, che mal vede difesa
La buona spada del misero conte.
Tacita duolsi, e tanto le ne pesa.
Che d' ira piange , e battesi la fronte.
Vorria aver Brandimarte a quella impresa;
E se mai lo ritrova , e gli lo conte,
Non crede poi, che Mandricardo vada
Lunga stagione altier di quella spada.
7i. Fiordiligi, cercando pure invano
Va Brandimarte stu) mattina e sera,
E fa cammin da lui molto lontano,
Da lui , che già tornato a Parigi era.
Tanto ella se n' andò per monte e piano,
Che giunse, ove, al passar d' una ri\iera.
Vide e conobbe il miscr paladino.
Ma diciain quel, eh' avvenne di Zerbino.
75. Che 'l lasciar Durindana, sì gran fallo
Gli par, che più d' ogni altro mal gii incres
Quantunque appena star possa a cavallo,
Per molto sangue , che gli è uscito ed esce.
Or, poiché dopo non troppo intervallo
Cessa con 1' ira il caldo , il dolor cresce ;
Cresce il dolor si impetuosamente,
Che mancarsi la vita se ne sente.
76. Per debolezza più non ytotvn gire,
Sì che fernmssi appresso una fontana.
Non sa, che far, né che si debba dire
Per ajntallo, la donzella umana.
Sol di di-agio lo vede nu)rire;
Che quindi é troppo ogni città lontana.
Dove in quel punto al medico ricorra,
Che per pietade, o premio gli soccorrn.
[321]
ORLANDO FURIOSO. (XXIV. 77-92)
[322]
77. Ella ron sn , se non invan dolersi,
Chiamar lortuna e '1 cielo empio e crudele.
Percliè, ahi lastra! dicea, non mi sommersi,
Qiumdo levai nell' ocoan le vele?
Zia"l)in, che i languidi ocrh.j ha in lei conversai,
Sente più doglia, eh' ella isi querele,
Cl»e della passio» tenace e foi;tc,
Che 1' ha condotto ornai vicino a morte.
18. Cosi, cor mio, vogliate, le diceva,
Dappoich' io sarò morto, amarmi ancora,
Come solo il lasciarvi è che m' aggrava
Qui senza guida, e non già perdi' io mora:
Che, se in sicura parte m' accadeva
Finir della mia vita 1' nltim' ora.
Lieto e contento , e fortunato appieno
Morto sarei , poich' io vi moro in seno.
19. Ma poiché '1 mio destino iniquo e duro
Vuol, eh' io vi lasci, e non so in man di cui,
Per questa hocca e per questi occlij giuro,
Per queste cìiiome, onde allacciato fui,
Che disperato nel profondo oscuro
Vo dell' inferno, ove il pensar di vui,
Ch' al)bia cosi lasciata, assai più ria
Sarà d' ogni altra pena , che vi sia.
80. A questo la mestissima Isabella,
Declinando la faccia lacrimosa,
E congiungendo la sua hocca a quella
Di Zerhin , languidetta come rosa,
Rosa non colta in sua stagion , siedi' ella
Impallidisca in sulla sede omI)rosa,
Disse : Non vi pensate già , mia vita,
Far senza me quest' ultima partita!
•il. Di ciò , cor mio , nessun timor vi tocchi !
CIi' io vo' seguirvi , o in cielo , o nell' inferno.
Convien , che 1' uno e 1' altro spirto scocchi,
Insieme vada, insieme stia in eterno.
Kon sì tosto vciliò chiuderai gli occhj,
O die m' uccid«rà il dohtrc interno,
O , se quel non può tanto , io vi prometto
Con questa spada oggi passarmi il petto.
82. De' corpi nostri ho ancor non poca speme,
Che me' morti, che vivi, ahhian ventura.
Qui forse alcun capiterà, che insieme,
Mosso a pietà, darà lor sepoltura.
Così dicendo, le reliquie estreme
Delio spirto vital, <-he morte fura.
Va ricogliendo con le labbra meste,
Fincli' una minima aura ve ne reste.
83. Zcr1>iii, la debil voce rinforzando.
Disse: !<» vi prego e su|)pli<'o, mia diva,
Per quello amor, die mi mostraste, quando
Per me lasciaste la paterna riva,
E, se c(uiiaiular posso, io vel «comando,
Che, finché pia<'cia a Dio , restiate viva,
Nò mai per caso poniate in obbli(»,
Che, quanto amar si può, v' abbia amato io.
W4. Dio vi provvcdcrà d' ajuto forse.
Per lilierarvi d' ogni atto villano,
Ciniie fé', quando alla spcloiKii torse,
Per indi trar\i, il s(;nator romano.
C«»si , lii Hiia mercè , già > i soc«;orsc
Nel mare, e contra il Itist-aglin profano.
E ne pure avverrà, che poi si deggia
Morire , allora il minor mal s' deggin.
85. Non credo . che quest' ultime parole
Potesse esprimer si , che fosse inteso ;
E finì , come il debil lume suole,
(.'ili cera manchi, od altro, in che sia acceso.
Oli potrà dire appien, come si duole,
Poiché si vede pallido e disteso
La giovinetta , e freddo come ghiaccio.
Il suo caro Zerbin restare in braccio ?
86. Sopra il sanguigno corpo s' abbandona,
E di copiose lacrime lo bagna;
E stride sì , che intorno ne risuona
A molte miglia il bosco e la campagna;
Né alle guance, né al petto sì perdona,
Che r uno e 1' altro non percota e fragna;
E straccia a torto T auree crespe chiome.
Chiamando sempre invan I' amato nome.
87. In tanta rabbia , in tal furor sommersa
L' avea la doglia sua, che facilmente
Avria la spada in sé stessa conversa.
Poco al suo amante in qiiesto ubbidiente,
Se un eremita, eh' alla fresca e tersa
Fonte avea usanza di tornar sovente
Dalla sua, quindi non lontana, cella,
Non e' opponea , venendo , al voler d' ella.
88. Il venerabil uom , eh' alta bontcìde
Avea congiunta a naturai prudenza.
Ed era tutto pien di caritade.
Di buoni csempj ornato , e d' eloquenza.
Alla giovan dolente persuade.
Con ragioni efficaci , pazienza,
Ed innanzi le pon, come uno specchio,
Donne del testamento e novo e vecchio.
89. Poi le fece veder, come non fusse
Alcun, se ntìn in Dio, vero contento,
E eh' eran 1' altre transitorie e llusse
Speranze umane, e di poco momento;
E tant<» seppe dir, che la ridusse
Da quel crmlele ed ostinato intento.
Che la vita seguente ebbe disio
Tutta al servigio dedicar di Dio.
yO. Non che lasciar del suo signor voglia iinque
. Né '1 grand' amor, né lo reliquie morte;
Convien che Y abbia, ovunque stia, e o>-unque
Vada , e che seco , e notte e dì , le porte.
Quindi, ajiitando i' eremita dunque.
Ch' era della sua eia valido e forte.
Sul mesto suo destrier Zerbin posaru,
E molti dì per quelle selve andaro.
DI. Non volse il cauto vecchio ridur seco
Sola con s«)lo la giovane Itclia,
Là, dove ascosa in un selvaggio speco
Non lungi avea la solitaria cella,
l'"ra sé di<endo: (^on periglio arreco
In una man la paglia e la faiella.
\é si fida in sua età. né in sua prudenza,
(Jhe di sé faccia tanta esperienza.
1.12. Di condurla in Provenza eb?»e pensiero,
Non lontano a IMarsilia. in un castello,
l)o>e di sante donne ui\ iiiDiiastero
Kicdiissiiiio era. e d' edifìcio bello;
l'I . p<'r portarne il morto ca^aliero,
('oiiiposto in una cassa UAcaiio quello,
(;iie in un caste!, eh' era tra vìa, si fece,
làinga e capare, u ben chiusa di pece.
21
[323]
ORLANDO FUHIOSO. (XXIV. 93-108)
[324]
93. Più e più giorni gi'an spazio di terra
Cercato, e sempre per loclii più inculti;
Che , piena essendo ogni cosa di guerra,
Voleano gir , più che poteano , occulti.
Alfine un cavalier la \ia lor serra,
Che lor fé' oltraggi, e rìis(ìne;^ti insulti;
Di cui dirò , quando il suo loco fia :
Ma ritorno ora al re di Tartaria.
94. Avuto eh' ebbe la battaglia il fine.
Che già t' ho detto, il giovin si raccolse
Alle fresche ombre, e all' onde cristalline,
Ed al destrier la sella e 1 freno tolse,
E lo lasciò per 1' erbe tenerine
Del prato andar pascendo , ove egli volse :
Ma non ste' molto, che vide lontano
Calar dal monte un cavaliero al piano.
95. Conobbel, come prima alzò la fronte,
Doralice, e mostrollo a Mandricardo,
Dicendo : Ecco il superbo Rodomonte,
Se non m' inganna di lontan lo sguardo:
Per far teco battaglia cala il monte.
Or ti potrà giovar 1' esser gagliardo.
Perduta avermi a grande ingiuria tiene,
Ch' era sua sposa, e a vendicarsi viene.
96. Qual bnon astor, che 1' anitra o l' acceggin.
Starna o colombo , o simil altro augello
Venirsi incontra di lontano veggia,
Leva la testa , e si fa lieto e bello :
Tal Mandricardo, come certo deggia
Di Rodomonte far strage e macello,
Con letizia e baldanza il destrier piglia,
Le staffe ai piedi, e alla man dà la briglia.
97. Quando vicini far sì, eh' udir chiare
Tra lor poteansi le parole altiere.
Con le mani e col capo a minacciare
Incominciò gridando il re d' Algiere,
Ch' a penitenza gli faria tornare.
Che . per un temerario suo piacere,
Non avesse rispetto a provocarsi
Lui, eh' altamente era per vendicarsi.
98. Rispose M.mdricardo: Indarno tenia
Chi mi vuol impaurir per minacciarmc.
Co?i fanciulli o femmine spaventa,
O allri, che non sappia, <he sieno arme;
Me non, cui la battaglia più talenta
D' ogni riposo ; e son per ado|;rarme
A |iiè , a ca\a!lo, arnnito e dis, innato,
Sia alla campagna, o sia nello steccato.
99. Kcco sono aj W oltraggi, al grido, all' ire,
Al trar de' brandi, al crudel suon de' ferri;
Come vento, che prima appena spire,
Poi cominci a crollar frassini e cerri.
Ed indi oscura polve in cielo aggire,
Indi gli arbori svella, e case atterri,
Sommerga in inar<!, e porti ria tempesta
Che '1 gregge spar.sO uccida alla foresta.
100. De' duo |>agani , senza pari in terra,
Gli anda(-i^^imi cor, le forze estreme
l'artori-cono tcilpi , ed uini guerra
Coii\cnient(r a si feroce seme.
Del grande e (irribii suon trema la tcrr:i,
Quantlo le spade son pcjrcosse insieme :
Gettano V arme infMi al ciel scintille,
Anzi lampade accese, a mille a mille.
101. Senza mai ripo.«arsi , o pigliar fiato,
Dura fra quei duo re 1' aspra battaglia,
Tentando tira da questo , or da quel lato
Aprir le piastre, e penetrar la maglia;
]\è perde 1' un , nò l' altro acquista il prato,
Ma , come intorno sian fosse o muraglia,
0 troppo costi ogni oncia di quel loco,
Non si parton d' un cerchio angusto e poco.
102. Fra mille colpi il Tartaro una volta
Colse a due mani in fronte al re d' Algiere,
Che gli fece veder girare in volta
Quante mai furon fiaccole e lumiere.
Come ogni forza all' African sia tolta,
Le groppe del destrier col capo fere.
Perde la staffa, ed è, presente quella
Che cotant' ama, per uscir di sella.
103. Ma , come ben composto e valido arco
Di fino acciaro , in buona somma greve.
Quanto si china più , quanto è più carco,
E più lo sforzan martinclli e leve.
Con tanto più furor, quando è ptii scarco.
Ritorna, e fa più nnil , che non riceve:
Cooì queir African tosto risorge,
E doppio il colpo all' inimico porge.
104. Rodomonte a quel segno , ove fu colto.
Colse appunto il figliuol del re Agricane.
Per questo non potè nuocergli al volto,
Che in difesa tro^ò 1' arme trojane;
Ma stordì in modo il Tartaro, che molto
Non sapea , s' era vespero o dimane.
L' irato Rodomonte non s' arresta,
Che mena 1' altro , e pur segna alla testa.
105. Il cavallo del Tartaro , eh' abborre
La spada, che fischiando cala d' alto.
Al suo signor con suo gran mal soccorre:
Perchè s' arretra per fuggir d' un salti» ;
11 brando in mezzo il capo gli trascorre,
Cl:è al signor, non a lui, movea 1' assalto.
Il mi?er non avea 1' elmo di Troja,
Come il padrone; on.le convien clic muoja.
106. Quel cade , e Mandricardo in piedi guizza,
Non più stordito, e Durindana aggira;
Veder morto il cavallo entro gli attizza,
E fuor divampa un grave incendio d' ira.
L' African, per urtarlo, il destrier drizza;
Ma non più Mandricardo si ritira.
Che scoglio far soglia dall' onde; e avvenne
Che '1 destrier cadde, ed egli in pie si tenne.
107. L' African , che mancarsi il destrier sente,
Lascia le staffe , e su gli arcion si ponta,
E resta in piedi , e sciolto agevobnente,
Così r un altro poi di pari affninta.
La pugna, più che mai, ribolle ardente,
E r odio, e r ira, e la superbia monta;
Ed era per seguir; ma quivi giunse
In fretta un mcssaggier, che li disgiunse.
108. Vi giunse un nu'ssaggier del popol moro.
Di molii, che per Francia eran mandati,
A richiannirc agli stendardi loro
1 capitani, e i cavali<-r [trinati;
Per(-liè r imperator «lai gigli d' oro
Gli avea gli alloggiitmenli già assediati;'
E, se non è il so(H:orso a venir presto,
L' eccidio buo conosco manifesto.
f325] ORLANDO FURIOSO. ( XXIV. 109 — 115. XXV. 1 — 4 ) [326]
109. Riconobbe il messaggio i cavalieri.
Oltre all' insegne, oltre alle sopravveste,
Al girar delle spade e ai colpi fieri,
Ch' altre man non farebbono , che queste.
Tra lor però non osa entrar, che sperì,
Che , fra tant' ira , sicurtà gli preste
L' esser messo del re; né si conforta
Per dir, eh' ambasciator pena non porta.
110. Ma viene a Doralice, ed a lei narra,
Ch' Agramante, Marsilio e Stordilano,
Con pochi , dentro a mal sicura sbarra,
Sono assediati dal popol cristiano.
]\arrato il caso, con prieghi ne inarra,
Che faccia il tutto ai duo guerrieri piano,
K che gli accordi insieme, e, per lo scampo
Del popol saracin, li meni in campo.
111. Tra ì cavalier la donna di gran core
Si mette, e dice loro: Io vi comando,
Per quanto so che mi portate amore,
Clic riserbiate a miglior uso il brando,
E ne vegnate subito in favore
Del nostro campo Saracino , quando
Si trova ora assediato nelle tende,
£ presto ajuto, o gran ruina attende.
115
112, Indi il messo soggiunse il gran periglio
Dei Saracini, e narrò il fatto appieno,
j; diede insieme lettere del figlio
Del re trojano al figlio d' Uli'eno.
Si piglia finalmente per consiglio,
Che i duo guerrier, deposto ogni veneno,
Facciano insieme tregua, fin al giorno
Che sia tolto 1' assedio ai Mori intorno:
113. E , senza più dimora , come pria
Liberato d' assedio abbian lor gente,
Non s' intendano aver più compagnia,
flia crudel guerra, e inimicizia ardente.
Finché con 1' arme diffinito sia,
Chi la donna aver de' meritamente.
Quella, nelle cui man giurato fue.
Fece la sicurtà per ambedue.
114. Quivi era la Discordia impaziente,
Inimica di pace e d' ogni tregua ;
E la Superbia v' è, che non consente,
Nò vuol ])atir , che tale accordo segua:
Ma più di lor può Amor, quivi presente,
Di cui r alto valor nessuno adegua;
E fé' che indietro, a colpi di saette,
E la Discordia e la Superbia stette.
Fu conclusa la tregua fra costoro.
Siccome piacque a chi di lor potea.
Vi mancava uno de' cavalli loro,
Che morto quel del Tartaro giacca;
Però vi venne a tempo Brigliadoro,
Che le fresche erlie lungo il rio pascea.
Ma al fin del canto io mi trov(» esser giunto,
Sicch' io farò, con vostra grazia, punto.
CANTO V E N T E S T M O 0 X^ T N T O.
ARGOMENTO.
Libera Ricciardetto il buon Ruggiero,
Per Fiordispina condannato al foco ;
Quinci mosso alV avviso d' Aldigiero,
Di por la vita a risco estima poco.
Descrive in una Icttra il suo jìcnsicro
A Bradamante : ed indi giunto al loco
Da' Maganzesi eletto, ritrovaro
Un cavalier^ eh' a tutti lor fu caro.
Oh gran contrasto in giovenil pensiero,
Dcsir di huidc, ed impeto d' Amore!
Rè, chi più vaglia, ancor 8Ì trova il vero;
Cile resta or questo , or quel supcriore.
Neil' uno ebbe, e nell' altro cavalicro
Quivi gran forza il debito e i' onore.
Che r amorosa lite n' interiiKtHso,
Finché uuccorno il ctuiipo lur s' avesse.
Ma più ve 1' ebbe Amor; che, se non era.
Che così comandò la donna loro,
Kon si sciogliea quella battaglia fiera,
Che r un n' avrelibe il trionl'ale alloro;
Ed Agramante invan con la sua schiera,
L' ajuto a\ria aspeltato di cosioro.
Dunque Anu»r sempre rio non si ritrova:
Se spesso nuoce, anco taholta gi(»a.
. Or r «no e V altro cavalier pagano.
Che tutti han difleiiti i suoi litigi.
Va, per salvar V c-ercito afiicano.
Con la donna g<-ntil Aer.-.o l'arigi;
E va con essi ancora il piccini nano,
Che seguitò del Tarlaro ì vestigi.
Finché con lui <-ouil<it(o a rrnnti- a fronte
Avea quivi il gelo-o lloiloinonte.
(^apitaro in lui prato, o>e a diletto
Erano cavnli<'r so|ira un ruscello.
Duo di>arniati, e duo, eh' a^ean 1' elmetto.
V, una dinuMi con lor, di vi^o hello,
(hi f'osrrr ((uclli , altrove \\ fii dcild.
Or no; cliè di Kuggii-r prima favello,
Del buon Kiiggicr, <li cui \i fu ii.iiratn.
Che lo scudo nel po/zo avea giltaJo
2\ +
[32Ì]
ORLANDO FURIOSO. (XXV. 5—20)
[3281
5. Non è dal pozzo ancor lontano un miglio,
Che venire un corrier vede in grnn fretta,
l)i quei, che manda di Trojano il figlio
Ai cavalieri, onde soccorso aspetta;
Dal qual ode, che Carlo in tiil periglio
La gente saracina tien ristretta,
Che, se non è clii tosto le dia aita,
Tosto r onor vi lascerà, o la vita.
6. Fu da molti pensicr ridutto m forse
Ruggicr , che tutti 1' assalirò a un tratto.
Ma qual per lo miglior dovesse torse,
Kè luogo avea, nò tempo a pensar atto.
Lasciò andare il messaggio , e '1 freno torse
Là, dove fu da quella donna tratto:
Ole ad ora ad or in modo egli affrettava,
Che nessun tempo d' indugiar le dava.
7. Quindi, seguendo il cammin preso, venne.
Già declinando il sole, ad una terra,
Che '1 re Marsilio in mezzo Francia tenne,
Tolta di man di Carlo in quella guerra.
Né al ponte, nò alla porta si ritenne;
Che non gli niega alcuno il passo , o serra ;
Bench' intorno al rastrello e in sulle fosse
Gran quantità d' uomini e d' arme fosse.
8. Perdi' era conosciuta dalla gente
Quella donzella, che avea in compagnia,
Fu lasciato passar liberamente,
Né domandato pure, onde venia.
Giunse alla piazza, e di foco lucente,
E piena la trovò di gente ria,
E vide in mezzo star con viso smorto
Il giovine dannato ad esser Morto.
9. Ruggier, come gli alzò gli occhj nel viso,
Cile cliino a terra, e lacrimoso stava.
Di veder Bradamante gli fu avviso;
Tanto il giovine a lei rassomigliava!
Più dcssa gli parca, quanti» più fiso
Al volto e alla persona il riguardava;
E fra >è disse : O questa è Bradamante,
0 eh' io non son llnggier, com' era innante.
10. Per tropiMi ardir si sarà f(»rse messa
Del gar/.on condennato alla difesa :
E, poiché mal la cosa 1' è successa.
Ne sarà stata, com' io veggo, presa.
Deh ! porcile tanta fretta , che con essa
Io non potei trouirmi a questa impresa?
Ma Dio ringrazio, che ci son venuto,
Ch' a tempo ancora io potrò darle ajuto.
11. E , senza i)iù indugiar , la spada stringe,
(Che avea all' altro castel rotta la lancia)
Ed addosso il volgo inerme il destrier si)ingo
Ver lo petto , pe' fianchi , e per la pancia.
Mena la spada a cerco, ed a chi cinge
La fronte, a chi la gola, a chi la guancia.
Fugge il pnpol gridando, e la gran frotta
Resta o sciancata , o con la testa rotta.
12. Cowm; stormo d' augci, che in ripa a un stagno
Vola >it'iu'(), e a s\ia pastura attcìule, i
Se illl|)^ov^i^l) dal ciel falcon grifagno
(ili dà nel mezzo, ed un ne batte, o prende,
Si sparge in fuga, ognun lascia il compagno, {
E dello s<-ani|)o suo cura si prende: |
Cosi veduto avrchte far costoro,
Tostoehc '1 buon Ruggicr diede fra loro, 1
13. A quattro, o sei dai colli i capi netti
Levò Ruggier, eh' indi a fuggir furienti;
Ne divise altrettanti infin ni pelli,
Fin agli occhj infiniti , e fin ai denti.
Concederò , che non trovasse elmetti.
Ma ben di ferro assai cuffie lucenti ;
E s' elmi fini anco vi fosser stati.
Cosi gli avrebbe, o poco men, tagliati.
14. La forza di Ruggier non era quale
Or si ritrovi in ca^alier moderno.
Nò in orso, né in leon, né in animale
Altro più fiero, o nostrale, od esterno.
Forse il tretnuoto le sarebbe uguale,
Forse il gran diavol, non quel dell' inferno,
Ma quel del mio Signor , che va col foco,
Ch' a cielo e a terra, e a mar si fa dar loco^
15. D' ogni suo colpo mai non cadea mauro
D' un uomo in terra , e le più volte un pajn,
E quattro a mi colpo, e cinque n' uccise anco.
Sicché si venne tosto al centinajo.
Tagliava il brando , che trasse dal fianco,
Come \\n tenero latte, il duro acciajo.
Falerina, per dar morte ad Orlando,
Fé', nel giardin d' Organa, il crudel brando.
16. Averlo fatto poi ben le rincrebbe.
Che '1 suo giardin disfar vide con esso.
Che strazio dtuique , che mina dcbi)c
Far or, che in man di tal guerriero è messo?
Se mai Ruggier furor, se mai forza ebbe,
Se mai fu l' alto suo valore espresso,
Qui r ebbe , il pose qui , qui fu veduto,
Sperando dare alla sua donna ajuto.
17. Qual fa la lepre centra i cani sciolti,
Facea la turba centra lui riparo:
Quei, che restaro uccisi, furo» molti.
Furo infuiiti quei, che 'n fuga andaro.
Avea la donna intanto i lacci tolti,
Ch' ambe le mani al giovine legaro;
E. come potè meglio, presto arnu)ilo;
Gli die' una spada in mano, e un scudo al collo.
18. Egli , che molto è offeso, più che puote,
Si cerca vendicar di quella gente;
E quivi son sì le sue forze note,
Ciie riputar si fa prode e valente.
Già avea attuffato le dorate ruote
Il sol nella marina d' Occidente,
Quando Ruggier vittorioso , e quello
Giovine seco, uscir fuor del castello.
19. Quando il garzon sicuro della vita
Con Ruggier si trovò fuor delle porte.
Gli rendè molta grazia ed infinita
Con gentil modi e con parole accorte.
Che, non lo conoscendo, a dargli aita
Si fosse messo a rischio della morte,
E pregò, che '1 suo nome gli dicesse.
Per sapere, a chi tanto obbligo avesse.
20. Veggo, dicea Ruggier, la f.iccia bella
E le luUe fattezz<^ e '1 bel sembiante,
Ma la soavità della favella
Non odo già della mia llradamante;
Né la relazion di grazie é quella,
Ch' ella usar debba al suo fe.Iele amante:
Ma, se pur «jucsta è Bradamante, or come
Ila sì tosto in obbliu mes«o il mio nome ?
[329]
ORLANDO FURIOSO. fXXV. 21-30)
[3307
21
Per ben saperne il certo , accortamente
Rnnrgier gli disse: Io v' ho verliito altrove,
Ed ho pensato, e penso, e finalmente
Non so , né posso ric(»rdarmi , dove.
Ditemcl voi, se vi ritorna a mente,
E fate che 'l nome anco uiiir mi f:ioTe,
Acciocch' io saper possa, a cui mia aita
Dal foco abbia salvata og-gi la vita.
22
23
Che voi ni' abitiate visto, esser potria.
Rispose quel, che non so, dove, (» qnando.
IJen vo pel mondo aneli' io la parte mia,
Strane avventure or qua , or là cercando.
Forse una mia sorella stata fia.
Che veste 1' arme, e porta allato il brando,
Che nacque meco , e tanto mi somiglia,
Che non ne può dìscerner la famiglia.
Né primo , né secondo , né ben quarto
Sete (li quei, eh' errore in ciò jireso hanno;
]\é '1 padre, né i fratelli, né chi a un parto
Ci produsse amiti, scernere ci sanno.
Gli è ver, che questo crin raccorcio e sparto,
Ch' io porto , come gli altri uomini fanno,
Ed il suo lungo, e in treccia al capo avvolta,
Ci solca far già difi'erenza molta.
24. Ma, poiché un giorno ella ferita fu
Nel capo (lungo saria a dirvi, come,)
E , per sanarla , un servo di Gesù
A mezza orecchia le tagliò le cJiiome,
Alcun segn(t tra noi non re*tò più
Di difi'erenza , fuorché '1 sesso e 'I norac.
Ricciardetto son io , Bradamante ella,
Io fratel di Rinaldo , essa sorella.
25. E , se non v' increscesse 1' ascoltarmi.
Cosa direi , che vi faria stupire,
La qual m' occorse per assimigliarmi
A lei , gioja al principio , e al fin martire.
Ruggiero, il qual più graziosi carmi,
Fiù dolce i>toria non potrebbe udire,
Che dove alcun ricordo intei-venissc
Della sua donna, il pregò sì, che disse:
26. Accadde ii questi di , die pc' vicini
Boschi passando la sorella mia.
Ferita da uno stuol di Saracini,
Che senza i' elmo la trovar per vìa,
Fu di scorciarsi astretta i lunghi crini.
Se sanar volse d' una piaga ria,
Ch' avea, con gran periglio, nella testa;
E così scorcia errò per la foresta.
27. Errando giunse ad una ombrosa fonte;
E, perchè afilitta e stanca ritrovosse.
Dal destrier six'sc, e disarmò la fronte,
E sulle tentare erbe addormentos,-e.
Io nini credo, che favola bi conte.
Che più, di questa istoria, bella fosse.
Fiordispina di Spagna soprarriva,
Che per cacciar nel bosct» ne veniva:
28. E quando ritrovò la mia sirocchia
Tutta coperta d' arme, eccetto il viso,
Cir avea la spada in luogo di (ronorrhù),
Ee fu % edere un cavalieru uvvi>o.
lia faccia «; lo vìril fattezze adocchia
Tanto, che se ne sente il «ror «onqui-n,
La inula a mrcia , e ti a 1' ombri>se friMidr
Luiige dagli altri alfin seco s' a.-conde.
29. Poiché 1' ha seco in solitario loco,
Dove non teme d' esser sojtraggiunta.
Con atti e con parole a poco a poco
Le scopre il fisso cor di grave jtiuita:
Con gli occhj ardenti, e co' sospir di foco
Le mostra 1' ahna di di^io consunta:
Or si scolora in viso, or si raccende;
Tanto s' arrischia, eh' uh bacio ne prende.
30. La mia sorella avea ben conosciuto,
Che questa donna in cambio V avea tolta,
]Né dar poteale a quel bisogno ajuto,
E si trovava in grande impaccio avvolta.
Gli é meglio, dicea seco, s' io rifiuto
Que.^ta avuta di me credenza st(vlta,
E s' io mi mostro fennniua gentile.
Che lasciar riputarmi un uomo vile.
31. E dicea il ver; eh' era viltade espressa,
Conveniente a un uom fatto di stucco,
Con cui sì bella donna fosse raes^a
Piena di dolce e di nettareo succo,
E tutta\ia stesse a parlar con essa.
Tenendo basse l' ale, come il cucco.
Con modo accorto ella il parlar ridusse,
Che venne a dir, come donzella fosse:
32. Che gloria, qual già Ippolita e Camilla,
Cerca nell' arme; e in Africa era nata.
In lito al mar, nella città d' Arzilla,
A scudo e a lancia da fanciulhi u>ata.
Per questo ntm si smorza una scintilla
Del foco della d(unia innamorata.
Questo rimedio all' alta piaga è tardo ;
Tanto avea Amor cacciato innanzi il dardo!
33. Per questo non le par men bello il viso,
Men bel lo sguardo, e men belli i costumi;
Perciò non torna il cor. che, già diviso
Da lei, godea dentro gli amati lumi.
Vedendola in quel!' abito , 1' è avviso.
Che più» far, che 'l desìr non la consumi;
E quando, eh' ella é pur femmina, pen^a,
So>pira e piange, e mostra doglia immensa.
34. Chi avesse il suo rammarico e '1 suo pianto
Quel giorno udito, avria pianto eon lei.
Qnai tonuenti, dicea, furon mai tanto
("rudcl, che più non sian crud<'!i i miei?
D' ogni altro amore, o scellerato, o *anto.
Il desiato fin sperar potrei ;
Saprei partir la rosa dalle spinr:
Solo il mio desiderio è senza fine.
35. Se pur volevi , Amor , darmi tormento.
Che t' incresce-sc il mio felice stati>,
D' alcun martir dolevi star conlcnto.
Che fos>e anc(»r negli altri aujanli u-ato.
]Né tra gli uomini mai, né tra 1' aniu-nlo.
Che feunnina ami femuiina , ho trovato.;
Non par la donna all' altre doiuu' brll.i,
Né a cerve cerva, né all' aguelle agnelln.
3G. In terra , in aria , in mar sola >pn io.
Che patisco da t(^ sì diu'o sceui|iio;
E questo bui fatto, acfiorrhè l' ermr mio
Sia neir imperio tuo 1' ultimo esempio.
La moglie del re Nino eblie d«'.io,
Il figlio amando, scellerate» «-d empio;
E Mirm il padre, e la (/'relense il i<in>;
I>la gli è più folle il mio, eh' alcun di»' Ior<<.
[331]
ORLANDO FURIOSO. (XXV. 3Tf — 52)
[332]
'ò7. La femmina nel niasiichio fé' di:$egno,
S|>eronne i[ fine , ed ebbelo , come odo.
r<i>ife nella vacca entrò di legno;
Altre per altri mezzi e vario modo.
M.i, se volasse a me con ogni ingegno
Dedalo , non potria scioglier quel nodo,
Cile fece il mastro troppo diligente,
datura , d' ogni cosa più possente.
38. Cosi si duole, e si consuma ed ange
La bella donna, e non s' acclieta in fretta.
Talor si batte il viso, e il capei frange,
t di sé contra sé cerca vendetta.
La mia sorella per pietà ne piange,
t'A è a sentir dì quel dolor costretta.
Del folle e van disio si studia trarlii ;
Bla non fa alcun profitto , e invano parla.
oO. Ella, eh' ajnto cerea, e non conforto.
Sempre più si lamenta , e più si duole.
Era del gioriut il termine ormai corto,
Che rosseggiala in occidente il sole;
Ora opportuna da ritrarsi in porto
A chi la notte al bosco star non vuole ;
Quando la donna invitò Bradamante
A questa terra sua poco distante.
40. Non le seppe negar la mia sorella ;
E così insieme ne vennero al loco,
Dove la turba scellerata e fella
l'osto m' avria, se tu non v' eri, al foco.
Fece là dentro Fiordispina bella
La mia sirocchia accarezzar non poco:
E , rivestita di femminil gonna,
Conoscer fé' a ciascun , eh' ella era donna.
41. Perocché, conoscendo, che nessuno
Util traea da quel virile aspetto,
]Non le parve anco di voler, eh' alcuno
Biasmo di sé per questo fosse detto.
Fello anco , acciocché '1 mal, eh' avea dall' uno
Virile abito, errando, già concett»»,
Ora con V altro, discoprendo il vero,
Provasse di cacciar fuor del pejisiero,
42. Comune il Ietto cbhon la notte insieme,
Ma molto diflerente eblidu riposo;
Cile r una dorme, e 1' altra piange e geme,
Che sempre il suo desir sia più focoso.
E se '1 sonno talor gli occhj le preme,
Quel breve sonno è tutto immaginoso :
Le par veder, clic 1' ciel le abbia concesso
bradamante cangiata in miglior sesso.
43. Come 1' infermo acceso di gnin sete,
Se ili quella ingorda voglia s' addormenta,
Neil' interrotta e torbida quiete,
D' ogni acqua, che mai vide, si rammenta:
Cosi a costei di far sue voglie liete
L' iinmiigine del sonno rappresenta.
Si desta, e nel destar mette la mano,
E ritrova pur sempre il sogno v.iiio.
44. Quanti preghi, la notte, quanti voti
OlVerse al suo Macone, e a tulli i Uei,
Che, con iniracoli apparenti e indi,
Mutassero in miglior sesso costei!
Ma tutti vede andar d' efletto voti;
E forse ancora il « i<l ridea di lei.
Puasa la notte , e Febo il capo liioiido
Trtieu del mare , e «lava luce al luouJo.
45. Poiché '1 dì venne, e che lasciaro il letto,
A Fiordispina s' nugumenta doglia;
Che Bradamante ha del partir già detto,
Cii' uscir di questo impaccio avea gran voglia.
La gentil donna un ottimo ginetto •
In don da lei vuol che partendo toglia,
Guernito d' oro , ed una siipravvesta,
Che riccamente ha di sua man contesta.
46. AccompagnoUa un pezzo Fiordispina,
Poi fé' piangendo al suo castel ritorno.
La mia sorella si ratto cammina,
Che venne a Montalbano anco quel giorno.
Noi, suoi fratelli, e la madre meschina.
Tutti le siamo festeggiando intorno;
Clìè, di lei non sentendo, avuto forte
Dubbio e tema avevam della sua morte.
il. Miranuuo , al trar dell' elmo , al mozzo crine,
Ch' intorno al capo prima s' avvolgeaj
Così le sopravveste peregrine
Ne fèr maravigliar, eh' indosso avea: i
Ed ella il tutto dal principio al fine j
Narronne, come dianzi io vi dicea: }
Ccnne ferita fosse al bosco , e come '
Lasciasse, per guarir, le belle chiome; '
48. E come poi, dormendo in ripa all' acque,
La bella cacciatrice sopraggiunse,
A cui la falsa sua sembianza piacque;
E come dalla schiera la disgiunse
Del lamento di lei poi nulla tacque,
Che di pietade 1' anima ci punse;
E come alloggiò seco , e tutto quello
CJie fece , linchè ritornò al castello.
49. Di Fiordispina gran notizia ebb' io,
Che in Siragozza , e già la vidi in Francia;
E piacquer molto all' appetito mio
I suoi begli occhj e la polita guancia:
Ma non lasciai fermarvisi il disio ;
Che r amar senza speme è «ogno e ciancia.
Or, quando in tal ampiezza mi si porge,
L' antica fiamma subito risorge.
50. Di questa speme Amore ordisce i nodi,
Che d' altre fila ordir non li potea.
Onde mi piglia, e mostra insieme i modi.
Che dalla donna avrei quel, eh' io chicdea.
A succeder saran facil le frodi ;
Cile , come spesso altri ingannato avea
La simiglianza, eh' ho, di mia sorella,
Forse anco ingannerà questa donzella.
51. Faccio, o noi faccio? Aldn mi par, che buoni
Sempre cercar quel, che diletti, sia.
Del mio pensier con altri non ragiono,
Né vo', che in ciò consiglio altri mi dia.
Io vo la notte , ove qucll' arme sono,
Che s' avea tratte la sorella mia;
Tolgole, e col destrier suo via cammino;
Né sto aspettar, che luca il mattutino.
52. Io me ne vo la notte. Amor è duce,
A ritrovar la Iiella Fiordispina;
E v' arrivai, che non era la luce
Del sole ascosa ancor nella marina.
Beato é, <-lii correndo si c(Miduce,
Prima degli altri, a dirlo alla regina,
Da lei sperandi» , pei' l' annunzio buono,
Acquistar grazia, u riportarne dono!
[333]
ORLANDO FURIOSO. (XXV. ns — 68)
[334]
53
54,
t
56.
51.
58.
59.
)0.
Tutti ra' aveano tolto cosi in fililo,
Come hai tu fatto ancor, per Brarlaniante;
Tanto più, che le \es-ti cl:lii, e 1 camallo,
Con che partita era ella il giorno inn.inte.
Vien Fionlispina di poco intervallo
Con fc-te incontra, e con caiezzc tante,
E con ."j allegro tìso, e sì ginnindo,
Che più gioja mostrar non potria al mondo.
Le belle braccia al collo indi mi getta,
E dolcemente stringe, e bacia in bocca.
Tu puoi pensar, s' allora la saetta
Dirizza Amor, so in mezzo il cor mi tocca.
Per man mi piglia, e in camera con fretta
Mi mena ; e non ad altri , eh' a lei , toci-a.
Che dair elmo allo spron 1' arme mi slacci,
E nessun altro vuol , che se n' impacci.
Poi fatta^i arrecare una sua veste
Adorna e ricca, di sua man la spiega,
E, come io fo-;si fcnunina, mi Aeste,
E in reticella d' oro il cria mi lega.
Io muovo gli occhj con maniere itncste,
JNè eh' io sia donna , ah-uu mio gesto niega.
La voce, che accusar mi potea forse.
Si ben usai, eh' alcun non se n' accorse.
Uscimmo poi là, dove erano molte
Persoìie in sala, e cavalieri e donne,
Dai quali funmio con 1' onor rac'col'c,
Ch' alle regine tassi, e gran madonne.
Quivi d' alcuni mi risi io più volte.
Che, non sapendo ciò, che sotto gonne
Si nascondesse valido e gagliardo,
Mi vagheggiavan con lascivo sguardo.
Poiché si fece la notte più grande,
E già un pezzo la mensa era levata,
La mensa, che fu d' ottime vivande,
Secondo la stagione, apparecchi. l'a,
Non aspetta la donna , eh' io doiinindo
Quel, che in' era cagion del venir stata:
Ella ni' invita per sua cortesia.
Che quella notte a giacer seco io stia.
Poiché donne e donzelle ornai levate
Si furo, e paggi e canu-rieri intorno,
Essendo ambe nel letto (ii>pogliate,
Co' torelli accei, che parca «li giorno,
Io cominciai: Non %i maravigliate,
Madonna , sc sì tosto :i voi ritorno.
Che forse v' anda\ute inunaginiindo
Di non mi riveder, fm Dio ^a quando.
Dirò prima la causa del partire,
Poi del ritorno V udirete ancora.
Se '1 vostro ardor, madoiuia, inliepidire
Potuto aves^i col mio far dimora,
Vivere in vostro servigio, e morire
coluto avrei , uè starne senza un' ora ;
Ma, visto, quanti) il mio star vi nt.res-i.
Per non poter far meglio, andare elessi.
Fortuna mi (irò fuor <lel cammino
III mezzo un bosci: d' intricali rami,
Dove odo un grido risonar vicino,
(/ome di donna, che soccorso chi.im*.
A' accorro, e sopra iiu lago cri>tallino
Ritrovo un Fauno, eh' avea preso agli nnii
In mezzo 1' acqua una donzella nuda,
E mangiarsi il rrudel la volca cruda.
61. Colà mi trassi, e con la spada in mano,
Perch' ajutar non la potea altramente.
Tolsi Ci vita il pescntor villano:
Ella saltò neir acqua immantinente.
jVoii m' avrai, dis.-e, dato ajnto invano;
Ben ne sarai {;»"e"i'''t"? ^ riccamente.
Quanto chieder saprai; perchè son ninfa.
Che vivo dentro a questa chiara linfa,
fi2. Ed ho possanza far cose stupende,
E sforzar gli elementi e la natura.
Chiedi tu , quanto il mio valor s' estende.
Poi lascia a me di satisfarti cura!
Dal ciel l.i luna al mio cantar discende,
S agghiaccia il fuoco, e V aria si fa dura.
Ed ho tiilor, con semplici parole,
Mossa la terra, ed ho fermato il sole.
(i3. jNon le domando, a qnesta offeita, nnire
Tesor, né dominar popoli e terre,
Né in più virtù, nò in più ^igor salire,
jNè vincer con onor tutte le guene;
Ma sol, che qualche via, donde il de ire
Vostro s' adempia, mi schiuda e disscrre.
]\è più le domando un, eh' un altro effetto,
3Ia tutta al suo giudicio mi rimetto.
04. Ebbile appena mia domanda esposta,
Qi' un' altra volta la vidi attuU'ita,
>>è fece al mio parlare altra risj'osta.
Che di spruzzar ver me l' acqua incantata.
La qual non prima al viso mi s" acco^t<^
Ch' io, non so come, son tutta mutata:
Io '1 veggo, io 'l sento, e appe:ia vero panni.
Sento in maschio, di femmina, mutarmi:
65. E se non fosse, che senza dimora
Vi potrete chiarir, noi credereste;
E qual neir altro sesso , in questo ancora
Ilo le mie voglie ad ubbiilirvi preste.
Comandate lor pur, che fieno or ora,
E sempn- mai per voi vigili e deste.
Così le dissi, e feci, eh' ella stes-a
Tn)vò con man la veritade e^prcs-a.
66. Come interviene a chi già fuor di speme
Di cosa sia, che nel pensier molt' abbia.
Che, mentre più d' esserne privo gem?'.
Più se 11' afiligge, e se ne strugge e arrabbia:
Se ben la trova poi, tanto gli preme
Ij' aver gran tempo semin.ito in sabbia,
E la di.-perazion V lia sì mal uso,
Cile non crede a sé stesso, e ^ta confuso
67. Così la donna, poiché tocca e vede
Quel, di che avuto avea tanfo de^ire,
.\gli oi'clij, al tatto, a sé >te»a neii crede,
K .^ta diibliio.-a ancor di non dormire;
E buona prova lii^ognò a far fede.
Che sentia cpiel , che le purea ^enti^r.
Fa, Dio, disrio <lla, sc son sogni que-li,
Cli' io dorma sempre, e mai più iioii mi d^^ti
68. Non rumor di tamburi , o suoii di trombe
Furoii principio all' amoroso iissallo;
ila baci, che imilavan le colombe,
Davnn seguo or ili gire, or di far alto,
l satinilo allr' armo, che snette, o fromho.
lo senza scale in sulla rocni salto,
E lo stend.irdo piantovi di botto,
E la nemica mia mi caccio sotto.
[335]
ORLANDO FURIOSO. (XXV. (59—81)
[336]
69. Se ili quel ìcM), Li notte <1ìiiimti,
Fieli di sospiri e di querele gravi,
Non stette r altra poi senza altrettanti
Ilisi, feste, gioir, giuochi soavi.
Non con più noi'.i i ile.-isuo^i acanti
Le colonne circondano e le travi,
Di quelli, con che noi legammo stretti
E colli, e fianchi, e braccia, e gambe, e petti.
70. La cosa stava tacita fra noi,
Sicclic durò il piat^er per alcun mese.
Par si trovò chi se n' accorse poi,
Tantoché, con mio danno, il re 1' intese.
Voi , che mi liher.'.ste da quei suoi,
C!ie nella piazza avc.in le ii.rmme accese,
Coniprcniicre oggimai potete il resto:
M.i i)io sa ben , con che dolor ne resto.
71. Così a Iluggier narrava Uicciardetto,
E la notturna via facea mcii grave,
Salendo tuttavia verso un poggctto
Cinto di ripe , e di pendici (Mve.
Un erto calie, e pien di sassi, e stretto
Apria il camniin con faticosa chiave.
Sedca al sommo nn caste! detto Agrismonte,
Ch' avca in guardia Aldigier di Chiaramontc.
72. Di Buovo era costui figliuol bastardo,
Fratel di Malagigi e di Viviano,
(/hi legittimo dice di Gerardo,
È testimonio temerario e vano.
Fosse , come si voglia , era gagliardo,
Prudente , liberal , cortese , umano ;
E facea quivi le fraterne mura,
La notte e il dì , guardar con buona cura.
73. Ucaccolsc il cavalier cortesemente,
Come dovea, il cugin suo Ricciardetto,
Ch' amò, come fratello; e parimente
Pu bea vi<to Iluggier per suo rispetto:
]\Ia non gli usci già incontra allegr<imentc,
Come cr.i usato , anzi con tristo aspetto ;
Pcrclsè un avviso il giorno avuto avea.
Che nel viso e nel cor mesto il iacea,
74. A Uicciardetto , in cambio di saluto.
Disse: Fratello, abbiam nova non buona.
Per c<utissimo messo oggi In» saputo,
Che Hertolagi iniquo di iiajcma
Con Lanfusa crudel s' è contenuto,
, Che preziose spoglie esso a lei dona,
Ed essa a lui pon nostri frati in mano,
Il tuo buon Malagigi e il tuo Viviano.
15. Ella, dal di, che Ferrali li prese.
Gli ha ognor tenuti in loco oscuro e fello.
Finche "1 brutto contratto e discortese
IN' ira fatto con costui, di df io favello.
IjÌ de' maadiir domane al Maganzese,
Nei coiifin tra Uajona e un suo castello.
Verrà in persona egli a pagar la mancia,
Che compra il miglior sangue, che sia iu Francia.
70. ilinaldo nostro n' Ito avvisato or ora,
Ed hi» cacciato il messo di galoppo ;
Ma non mi par, eh' arrivar possa ad ora,
Che non hia tarda, che '1 caimiiiiio è troppo,
lo non ho meco gente da uscir inora:
L* animo è pronto , ma il potere è zoppo.
Se gli Ila quel Iraditor, li fa morire,
Siccìiù non so che far, non so che dire.
77. La dura nuova a Ricciardetto i^piace,
E , perchè spiace a lui , spiacc a Ruggiero,
Che, poiché questo e quel vede, che tace,
Nò trae profitto alcun del suo pensiero,
Disse con grande ariiir: Datevi pace!
Sopra me qucst' impresa tutta chero;
E questa mia varrà, per mille spade,
A riporvi i fratelli in libertadc.
18. Io non voglio altra gente , altri sussidj,
Ch' io credo bastar solo a questo fatto.
Io vi domando solo un che mi guidi
Al luogo, ove si dee fare il baratto:
10 vi farò sin qui sentire i gridi
Di chi sarà presente al rio contratto.
Così dicea; nò dicea cosa nuova
All' u» de' due, che n' avca visto prova.
79. L' altro non 1' ascoltava, se non quanto
S' ascolti un, di' assai parli, e sappia poco:
Ma Ricciardetto gli narrò da canto.
Come fu per costai tratto del foc<»;
E eh' era certo , che maggictr del vanto
Faria veder l' effetto a tempo e a loco.
Gli diede all(»r udienza più che prima,
E lùverillo, e fé' di lui gran stima,
80. Ed alla mensa, ove la copia fuse
11 ctuno , r onorò , come suo donno.
Quivi, senz' altro ajuto, si conchiuse,
Che lib erare i do fnitelli poiino.
Intanto sopravvenne, e gli occhj chiuse
Ai signori , e ai sergenti il pigro sonno,
Fuorch' a Ruggicr, che, per tenerlo desto.
Gli punge il cor sempre un pcnsier molesto.
81. L' assedio d' Agraniantc, eh' avea il giorno
Udito dal corrier, gli sta nel core.
Ben vede, eh' ogni minimo soggiorno,
Che faccia d' ajutarlo, è suo disnore.
Quanto gli sarà infamia, quanto scorno.
Se co' nemici va del suo signore!
Oh come a gran viltade , a gran delitto.
Battezzandosi alior, gli sarà ascritto!
82. Potria in ogni altro tempo esser creduto,
Che vera religion 1' avesse mosso;
]Ma ora, che bisogna col suo ajuto
Agl'amante d' assedio esser riscosso,
Piuttitsto da ciascun sarà tenuto,
Che timore e viltà 1' abbia percosso,
Ch' alciuia opinion di miglior fede:
Questo il cor di Ruggier stimola e fede.
83. Che s' abbia da partire, anco lo punge.
Senza licenza della sua regina.
Quando questo peusicr, quando quel giunge,
Che 'l dubbio cor diversamente inchina.
Gli era 1' avviso riuscito luiige
Di trovarla al castel di Fiordi-pina,
Dove insieme dovean , come lio già detto,
In soccorso venir di Ricciardetto.
84. Poi gli sovvien , eh' egli le avca promesso
Di seco a Vallombrosa ritrovarsi.
P<!nsa, eh' andar v' abbia ella, e quivi d' eS80
Che non ve '1 trovi poi, mar.ivigliarsi.
Potesse almen mandar lettera , o messo
Sicch' ella non avesse a lamentarsi.
Che, oltre eh' egli mal le avea ubbidito,
Senza far motto ancor fosse partito.
[337]
ORLANDO FURIOSO. (XXV. 85 — 97)
85. Poiché più cose immaginate s' cLbe,
Pensa scriverle alfiu quiuito gli accadii ;
E, bendi' egli non sappia, come debbe
La lettera inviar, siccìiò ben vada,
Kon però vuol restar; che ben potrebbe
Alcun messo fedel trovar per strada.
Più non indugia, e salta delle piume.
Si fa dar carta , inchiostro , penna e lume.
86. I camerier discreti ed avveduti
Arrecano a Ruggier ciò, che comanda.
Egli comincia a scrìvere , e i saluti,
Come si suol, nei primi versi manda;
Poi narra degli avvisi , che venuti
Son dal suo re, eh' ajuto gli domanda,
E , se r andata sua non è ben presta,
O morto, o in man degl' inimici, i-esta,
87. Poi seguita, eh' essendo a tal partito,
E che a lui per ajuto si volgea,
Vedesse ella , che ^1 biasmo era infinito,
Se a quel punto negar glielo volea ;
E eh' esso, a lei dovendo esser marito,
Guardarsi da ogni macchia si dovea;
Che non si convenia ('on lei, che tutta
Era sincera , alcuna cosa brutta.
E se mai per addietro un nome chiaro
Ben oprando cercò di guadagnarsi,
E guadagnato poi , se avuto caro,
Se cercato 1' avea di conservarsi,
Or lo cercava, e n' era fatto avaro,
Poiché dovea con lei participarsi,,
La qiial , sua moglie , e totalmente in dui
Corpi esser dovea un' anima con luì,
89. E sì, come già a l)occa le avea detto,
Le ridicea per questa carta ancora :
Finito il tempo , in che per fede astretto
Era al suo re, (piando non prima muora.
Che si farà Cristian co*i d' efletto,
Come di buon voler stato era ognora,
E eh' al i)adrc e a Rinaldo e agli altri suoi
Per moglie domandar la farà poi.
90. Voglio , le soggiiuigea , quando vi piaccia,
L' assedio al mio .«.iguor levar d' intorno,
Acciocché r ignorante vulgo taccia,
11 qiial direbbe, a mia vergogna v. scorno:
Ruggi<'r, mentre Agiamant*; elibe bonaccia,
Mai non l' al)l)an(!onò , notte né giorno;
Or , che fortinia per Carlo si piega.
Egli col vincitor 1' insegna spiega.
[338]
91. Voglio quindici dì termine, o Tenti
Tanto che comparir possa una volta
Sicché degli africani alloggiamenti
La grave ossidion per me sia tolta :
Intanto cercherò convenienti
Cagioni, e che sien giuste, di dar volta.
Io \ì domando per mio onor sol questo ;
Tutto poi vostro è di mia vita il resto.
92. In simili parole si diffuse
Ruggier, che tutte non so dirvi appieno;
E segui con molt' altre, e non conclude.
Finché non vide tutto il foglio pieno:
E poi piegò la lettera, e la chiuse,
E suggellata se la pose in seno.
Con speme , che gli occorra , il' dì seguente.
Chi alla donna la dia sccretamente.
93. Chiusa eh' ebbe la lettera, chiuse anco
Gli occhj sul letto, e ritrovò quiete;
Che 'l sonno venne, e sparse il corpo stanco
Col ramo intinto nel liquor dì Lete;
E posò, finch' un nembo rosso e bianco
Di fiori sparse le contrade liete
Del lucido oriente, d' ogni intorno
Ed indi uscì dell' aureo albergo il giorno.
94. E poiché a salutar la nuova luce
Pe' verdi rami incominciar gli augelli,
Aldigier , che voleva esser il duce
Di Ruggiero e dell' altro, e guidar quelli.
Ove fac(-ian , che dati in mano al truce
Bertolagi non sinio i duo fratelli,
Fu '1 primo in piede; e, quando sentir lui,
Del letto uscirò anco quegli altri dui.
95. Poiché vestiti furo, e bene armati,
Co' duo cugin Ruggier si mette in via.
Già molto indarno avendoli pregati,
Che questa impi-esa a lui tutta si dia :
Ma essi, per desir, eh' han de' lor frati,
E perché lor parca discortesia,
Stcron negando più duri, che sassi,
!^é consentiron mai, che solo andassi.
96. Giunsero al loco il dì , che si dovea
Malagigi mutar ne' carriaggi.
Era un' ampia campagna, clie giacca
Tutta scoperta agli apollinei raggi ;
Quivi né allòr, né mirto si vedrà,
INO cipressi, né ^ra^^ini , né faggi.
Ma nuda ghìara, e qualche iimil virgulto,
ISon mai da marra, o mai da vomer cullo.
97. I tre guerrieri ardili si fcrmaro.
Dove ini sentier fcndea quella pianiim,
E giunger quivi un ca^alicr iiiiraro,
(Jir a\«a d' oro fregiata V armafura.
E per insegna, in cam|io verde il raro
E bello aiigel, clic più d' un mcoI dura.
Signor, non piti, cbè giunlii al tiu mi seggio
Di qucbto canto, e riposarmi chieggio.
22
[339]
ORLANDO FURIOSO. (XXVI. 1 — 12)
[340]
CANTO VENTESIMOSESTO.
ARGOMENTO.
Malagigi dichiara le figure,
Che ad una fonte veggonsi scolpite.
Soprnvvien Mandricardo , e gravi e dure
Pugne ha con quel d' Àlgieri , e nova lite.
Avvicn eh' ancor Ruggier con ambi cure
Di guerreggiar , ed ambi a zuffa invite :
Ma Doralice via porta il ronzino,
E si rivolgon tutti a quel cammino.
1. Cortesi donne el)be 1' antica etade,
Che le virtù, non le ricchezze amaro.
Al tempo nostro si ritrovan rade,
A cui , più del guadagno , altro sia caro.
Ma quelle clie, per lor vera Lontade,
Non seguon delle più lo stile avaro,
Vivendo, degne son d' esser contente,
Gloriose e immortai, poiché fian spente.
2. Degna d' eterna laude è Bradamantc,
Cile non amò tesor, non amò impero,
Ma la virtù, ma 1' animo prestante,
Ma r alta gentilezza di Ruggiero,
E meritò, che ben le fosse amante
Un così valoroso cavaliero,
E , per piacere a lei, facesse cose
Rei secoli a venir miracolose.
3. Ruggier , come di sopra vi fu detto,
Co'' duo di Cliiararaonte era venuto.
Dico c(m Aliligier, con llicciardctto.
Per dare ai duo fratei prigioni ajiito.
Vi dissi ancor , che di superbo aspetto
Venire un cavaliero aA'ean veduto.
Che portiiva 1' augcl, che si rinnova,
E sempre unico al mondo si ritrova.
ì. Come dì questi il cavalicr s' accorse.
Clic stavan per ferir quivi suU' ale.
In prova disegnò «li voler jiorse,
S' alla semhiany.a avean virtiule uguale.
Edi voi, disse loro, alciuio forse,
Che provar voglia, <hi di noi più vale,
A colpi o della lancia, o della spada.
Finché r un resti in scila, e l' altro cada.-'
5. Farei, disse Aldigier, tcco , o volessi
Menar la spada a coito, o correr 1' asta;
Ma un' altra ini])r('sa , che , se qui tu stessi,
Veder potresti , questa in modo guasta,
Ch' a parlar tcco (rum cIk; ci traessi
A correr gio>tra ) appriia il temj)0 basta;
Seicento uomini al \ar(-o, o più, attendiamo,
Co' quai d' oggi provarci obbligo abbiiuno.
6. Per tor lor duo de' nostri , che prigioni
Quinci trarran , jiietade e amor n' ha mosso.
E seguitò narrando le cagioni,
Che li fece venir con 1' arme indosso.
Sì giusta è qne^ta scusa, che m' opponi.
Disse il guerrier, che contraddir non posso,
E fo certo giudicio , che voi siate
Tre cavalier, che pochi pari abbiate.
7. Io chiedea un colpo, o due con voi scontrarmc
Per veder , quanto fosse il valor vostro ;
Ma , quando all' altrui spese dimostrarme
Lo vogliate, mi basta, e più non giostro.
Vi prego ben. che por con le vostr' arme
Qnest' elmo io possa, e questo scudo nostro;
E spero dimostrar, se con voi vegno,
Che di tal compagnia non sono indegno.
8. Farmi veder , che alcun saper desia
Il nome di costui , che , quivi giunto,
A Ruggiero e a' compagni si offeria
Compagno d' arme al periglioso punto.
Costei , non più costui , detto vi sia,
Era Marfisa , che diede 1' assunto
Al misero Zerbin della ribalda
Vecchia Gabrina , ad ogni mal si calda.
9. I duo di Chiaramente e il buon Ruggiero
L' accettar voicntier nella lor schiera;
Ch' esser crcdeano certo un cavaliero,
E non donzella, e non quella, eh' eli' era.
Kon molto dopo scoperse Aldigiero,
E veder fé' ai compagni una bandiera,
Che facea 1' aura tremolare in voltii,
E molta gente intorno avea raccolta.
10. E , poiché più lor fnr fatti vicini,
E che meglio notar 1' abito moro,
Conolìbero , che gli cran Saracini,
E videro i prigioni , in mezzo a loro
Legati , e tratti su picciol ronzini
A' Maganzesi , per cambiarli in oro.
Disse Marfisa agli altri: Ora che resta.
Poiché son qui, di cominciar la festa?
11. Ruggier rispose: Gì' invitati ancora
Non ci son tutti , e manca una gran parte.
Gran ballo s' apparecchia di far ora;
E, perché sia solenne, usiamo ogni arte!
Ma far non ponuo ornai Ituiga dimura.
Così dicendo , veggono in disparte
Venire i traditori di Maganza,
Siccii' eran presso a cominciar la danza.
12. Giungean dall' una paiate i Maganzesi,
E condu(!ean ('on loro i muli carchi
D' oro e di vesti e d' altri ricchi arnesi.
Dall' altra , in mozzo a lance, spade ed ardii,
A Cnian dolenti i due; gerniani presi.
Che si \ ('deano esser attesi ai varchi ;
E SJertoIagi , ou)[)io nemico loro,
Udian parlar col capitano moro.
[341]
ORLANDO FURIOSO. (XXVI. 13 — 28)
[342]
13. Né di Buovo il fìgliuol, né quel d' Ainone,
Veduto il Mnganzese, indugiar puote:
La lancia in resta i' uno e 1' altro pone,
E 1' uno e 1' altro il traditor percuote.
L' un gli pas-sa la pancia e '1 primo arcione,
E r altro il viso per mezzo le gote.
Così n' andasser pur tutti i malvagi,
Come a quei colpi n' andò Bertolagi !
14. Marfisa con Ruggiero a questo segno
Si muove, e non aspetta altra trombetta;
]\è prima rompe 1' arrestato legno,
Che tre, 1' un dopo F altro, in terra getta.
Dell' asta di Ruggìer fu il jìagan degno,
Che guidò gli altri , e uscì di vita in fretta ;
E per quella medesima con lui,
Lno ed un altro andò nei regni bui.
15. Di qui nacque un error tra gli assaliti.
Che lor causò lor ultima mina.
Da un lato , i Maganzcsi esser traditi
Credeansi dalla squadra saracina ;
Dall' altro, i Mori in tal modo feriti,
L' altra schiera chiamavano assassina;
E tra lor cominciar, con fiera clade,
A tirar archi, e a menar lance e spade.
16. S<ilta ora in questa squadra, ed ora in quella
Ruggiero, e via ne toglie or diece, or venti.
Altrettanti per man della donzella
Di: qua e di là ne son scemati e spenti.
Tanti si veggon gir morti dì sella,
Quanti ne toccan le spade taglienti,
A cui dan gli elmi e le corazze loco,
Come nel bosco i secchi legni al foco.
17. Se mai d' aver veduto vi ricorda,
O rapportato v' ha fama all' orecchie,
Come, allor«-hè '1 collegio si discorda,
E vansi in aria a far guerra le pecchie,
Entri fra lor la rondinella ingorda,
E mangi, e uccida, e guastine parecchie,
Dovete immaginar, che similmente
Ruggier fosse, e Marfisa in quella gente.
18. Non così Ricciardetto e il suo cugino
Tra le due genti variavan danza;
Perchè , lasciando il campo Saracino,
Sol tcneau 1' occhio all' altrr» di iMaganza.
Il fratel di Rinaldo paladino
Con molto animo avea molta possanza,
E quivi raddojìpiar gliela farca
L' odio, che contra ai Maganzesi avca.
19. Facca parer questa nicdesma causa
Un leon fiero il l)astardo di Ruom),
(]he con la spada, senza indugio e |)ausa.
Fende ogni ehno, o lo >chiai-cia, come un uovo.
E qual persona non saria stata ausa.
Non saria comparita un Kttor niitivo,
IVlarfisa avendo in <:onipagnia, e Ruggiero,
C'ir cran la scelta e '1 fior d' ogni guerriero ?
20. Marfìsa tuttavolta comliattcndo,
Spesso ai com))agni gli occlij rivoltava,
E , di lor forza paragon vedendo,
Con nu-ravigliii tutti li lodava.
>la di Ruggier pure il valor stupendo
E senza pari al mondo le seml)ra>a:
E talor si credea, clic fos>e Marte
Sce:>u dai quinto ciclo in quella parie.
21. IMirava quelle orril)ili percosse,
Miravale non mai calare in fallo.
Parca , che contra Balisarda fosse
Il ferro carta, e non duro metallo.
Gli elmi tagliava, e le corazze grosse,
E gii uomini fendca fin sul cavallo,
E li mandava in parte uguali al prato,
Tanto dall' un , quanto dall' altro lato.
22. Continuando la medesma botta
Uccidea col signore il cavallo anche.
I capi dalle spalle alzava in frotta,
E spesso i busti dipartia dall' anche ;
Cinque e più a un colpo ne tagliò talotta;
E, se non che pur dubito , che manche
Credenza al Acr, eh' ha faccia di menzogna.
Di più direi; ma di men dir bisogna.
23. Il buon Turpin , che sa , che dice il vero,
E lascia creder poi quel, che all' uom piace,
Narra mirabil cose di Ruggiero,
Ch" udendol, il direste voi mendace.
Così parca di ghiaccio ogni guerriero
Contra Marfisa, ed ella ardente face;
E non men di Ruggier gli occhj a sé trasse,
Ch' ella di lui 1' alto valor mirasse.
24. E , s' ella lui Marte stimato avea.
Stimato egli avria lei forse Bellona,
Se per donna così la conoscea,
Come parea il contrario alla persona.
E forse cmulazion tra lor nascea
Per quella gente misera, non buona,
Nella cui carne, e sangue, e nervi, ed ossa
Fan prova, chi di loro abbia più possa.
25. Bastò di quattro 1' animo e '1 valore
A far , eh' un campo e 1' altro andasse rotto.
Non restava arme, a chi f uggia, migliore,
Che quella , che si porta più di sotto.
Beato , chi il cavallo ha corridore !
Che in prezzo non è quivi ambio , né trotto :
E chi non ha destrier , quivi s' .ivi ede,
Quanto il mestier dell' arme è tristo a piede.
26. Riman la preda e '1 campo ai vincitori;
Che non è fante, o mulattier, «he resti.
Là i Maganzcsi, e qua fuggono i .ìlori;
Quei lasciano i prigion , le some questi.
Furon, con lieti >isi, e più coi cori,
Rlalagigi e Viviano a scioglier presti.
Non tur men diligenti a sciorre i paggi,
E por le some in terra , e i carriaggi.
27. Oltre una buona quantità d' argento,
Che in diverse vasella era formato,
E<l alcun nmlicbre Ae>tiui(iito
Di lavoro bcllissiuu) fregiato.
E per stanze reali un paramento
D' oro e di seta, in Fiandra lavorato,
Ed altre cose ricclu- in copia grande,
Fiaschi di vin tro\àr, pane e vivande.
28. Al trar di-gli «Imi. tutti vidcr, come
Avea l(U' dato ajuto mia (lon/«'lln.
Fu conosciuta all' anri-e crespe chioine
Ed alla taccia delicata e bella.
L' onorai) nutlto, e i)regano , che '1 nome
ni gloria «li'guii nini as«-tuida ; «-d ella.
Clic M-mprc tra >x\ì amiti «-rii cortese,
A dar di sé nuti/.ia non contese.
22 ♦
[343]
ORLANDO FURIOSO. (XXVI. 29-1^)
[344]
29. Non si ponno saziar di l'i^uardarla.
Che tal visita 1' avean nella battag^Iia.
Sol mira ella Riiggier , sol con lui parla ;
Altri non prezza, altri non par che vaglia.
Vengono i servi intanto ad invitarla
Coi compagni a goder la vettovaglia,
Che apparecchiata avean sopra una fonte,
Che dit'endea dal raggio estivo un monte.
30. Era una delle fonti di Merlino,
Delle quattro di Francia da lui fatte,
D' intorno cinta di bel marmo fuio,
Lucido e terso, e bianco più che latte.
Quivi d' intaglio con lavor di^ino
Avea 5Ierlino immagini ritratte.
Direste , che spiravano , e , se prive
Ron fossero di voce , eh' eran vive.
31. Quivi una bestia uscir della foresta
Parea, di crudel vista, odiosa e brutta,
Ch' avea 1' orecchie d' asino , e la testa
Di lupo, e i denti, e per gran fame asciutta;
Branche avea di leon; 1' altro, che resta,
Tutto era volpe; e parea scorrer tutta
E Francia e Italia, e Spagna ed Inghilterra,
L' Europa e i' Asia, e alìln tutta la terra.
32. Per tutto avea genti ferite e morte,
La bassa plebe, e i più superbi capi;
Anzi nocer parea molto più forte
A re , a signori, a principi, a satrapi.
Peggio facea nella romana corte ;
Che v' avea uccisi cardinali e papi,
Contaminato a'vea la bella sede
Di Pietro, e messo scandal nella fede.
33. Par, che dinanzi a questa bestia orrenda
Cada ogni muro , ogni ripar , che tocca :
]\on si vede città, che si difenda;
Se 1' apre incontra ogni castello e rocca.
Par, che agli onor divini anco s' estenda,
E sia adorata dalla gente sciocca,
E che le chiavi s' arroghi d' avere
Del cielo e dell' abisso in suo potere.
34. Poi si vedea , d' imperiale alloro
Cinto le chiome, un cavalier venire
Ctm tre giovani a par, che i gigli d' oro
Tessuti avean nel lor real vestire;
E con insegna simile con loro
Parea i\n leon contra quel mostro uscire.
Arta lor nomi, chi sopra la testa,
E chi nel lembo scritto della vesta.
35. L' un, eh' avea fin all' elsa nella pancia
La spada immersa alla maligna fera,
Fran<;csco primo avea scritto di Francia;
Massimiliano d' Austria a par sec(» era;
E Carlo quinto, imperator, di lancia
Avea passato il mostro alla giu'giera;
E r altro, che di strai gli figge il petto,
L' ottavo Enrico d' Inghilterra è detto.
Sf). Decimo ha quel Leon scritto sul dosso,
Ch' al biotto m»t»tro i denti ha n(;gli orecchj,
E tanto r lia giù travagliiUo e scosso.
Che vi sono arrivati altri parecch.j.
Pare;» del mondi) «igni timor rimosso;
Eli in «tmend.i degli errori vecchj
]\obil gente arcoriea, non piii» molta.
Onde alla belva era la vita tolta.
37. I cavalieri stavano e Marfisa
Con desiderio di conoscer questi.
Per le cui mani era la besria uccisa.
Che fatti avea tanti luoghi atri e mesti.
Avvegnaché la pietra fosse inrisa
De' nomi lor, non eran manilesti.
Si pregavan tra lor , che , se sapesse
L' istoria alcuno , agli altri la dicesse,
38. Voltò A'iviano a Malagigi gli occhj.
Che stava a udire , e non iacea lor motto.
A te, disse, narrar 1' istoria tocchi,
di' esser ne dei , per quel eh' io vegga , dotto
Chi son costor, che, con saette e stocchi
E lance, a morte han I' animai condotto?
Rispose Malagigi : Non è istoria.
Di eh' abbia autor fin qui fatta memoria.
31). Sappiate, che costor, che qui scritto hanno
Nel marmo i nomi , al mondo mai non furo.
Ma fra settecent' anni vi saranno.
Con grande onor del secolo futuro.
Merlino, il savio incantator britanno.
Fé' far la fonte al tempo del re Arturo,
E di cose, eh' al mondo hanno a venire.
La fc' da buoni artefici scolpire.
40. Questa bestia crudele uscì del fondo
Dell' inferno a quel tempo, che fur fatti
Alle campagne i termini , e In il pondo
Trovato, e la misura, e scritti i patti.
Ma non andò a principio in tutto '1 mondo;
Di sé lasciò molti paesi intatti.
Al tempo nostro in molti lochi sturba.
Ma i popolari ollende, e la 'ài turba.
41. Dal suo principio infin al secol nostro
Sempre è cresciuto, e sempre andrà crescendo
Sempre crescendo, al lungo andar, fia il mostr
Il maggior, che mai fosse, ed il più orrendo
Quel Piton, che per carte e per inchiostro
S' ode , che fu si orribile e stupendo,
Alla metà di questo non fu tutto,
Nò tanto abbominevul , nò sì brutto.
42. Farà strage crudel, nò sarà loco,
Cile non guasti, contamini ed infetti;
E quanto mostra la scoltura , è poco
De' suoi nefandi e abbominosi elfettì.
Al mondo, di gridar mercè già l'oco.
Questi, dei quali i nomi abbiamo letti.
Che chiari splenderan più che piropo.
Verranno a dare ajuto al maggior uopo.
43. Alla fera crudele il più molesto
Non sarà di Francesco, il re de' Franchi:
E ben convien , che molti ecceda in questo,
E nessun prima, e pochi n' abbia ai fianchi.
Quando in splendor real , quando nel resto
Di virtù , farà molti parer manchi,
Che già parvcr compiuti ; ccune cede
Tosto ogni altro splendor , che '1 sol sì vede.
44. L' anno primicir del fortunato regno.
Non lerma ancor ben la corona in fronte.
Passerà l' Alpe?, e romp«!rà il disegno
Di chi all' incontro avrà occu))ato il monte;
Da giusto spinto e generoso sdegni».
Che vtriulicale ancor non sieno 1' onte,
('Ih; dal furor, d<i paschi e mandrc uscito,
L 'esercito di Francia avrà patito.
[345]
ORLANDO FURIOSO. (XXVI. 45—60)
[346]
45
I
46
41
48
49,
50
51.
52
E quindi scenderà nel ricco piano
Di Lombardia , col fior di Francia intorno,
E si i' Elvezio spezzerà, che invano
Farà mai più pensier d' alzare ii corno.
Con g^rande, e della chiesa, e dell' impano
Campo, e del fiorentin, vergogna e scorno,
Espugnerà il Castel, che prima stato
Sarà non espugnabile stimato.
Sopra ogni altr' arme, ad espugnarlo, molto
Più gli varrà quella onorata spada.
Con la qual jiriraa avrà di vita tolto
Il mostro corrottor d' ogni contrada.
Convien, eli' innanzi a quella sia rivolto
In fuga ogni stendardo , o a terra vada,
Nò fossa , nò ripar , nò grosse mura
Possan da lei tener città sicura.
Questo prìncipe avrà quanta eccellenza
Aver felice imperator mai debbia;
L' animo del gran Cesar , la prudenza
Di chi mostroHa a Trasimeno e a Trebbia,
Con la fortuna d' Alessandro , senza
Cui saria fumo ogni disegno, e nebbia:
Sarà si liberal, eh' io lo contemplo
Qui non aver né paragon , nò esemplo.
Così diceva Malagigi , e messe
Desire ai cavalier d' aver contezza
De) nome d' alcun altro, di' uccidesse
L' infernal bestia , a uccider gli altri avvezza.
Quivi un Bernardo tra' primi si lesse,
Clie Merlin molto nel suo scritto apprezza:
Fia nota per costui, dicea , Bibiena,
Quanto Fiorenza sua vicina , e Siena.
Kon mette piedi innanzi ivi persona
A (ìismondo , a Giovanni, a Ludovico;
Un Gonzaga, un Salviati , un d'Aragona,
Ciascuno al I)rutto mostro aspro nimico.
^'' ò Francesco Gonzaga, nò abbandona
Le sue vestige il figlio Federico ;
Ed ha il cognato e il genero vicino.
Quel di Ferrara , e quel duca d' Urbino.
Dell' un di questi il figlio Gnidoltahio
Non vuol, clic 'i padre, o eh' altri addieti'O il metta.
Con Ottol>on dal P'iisco , Sinibaldo
Caccia la fera, e van di pari in fretta.
Luigi da Ìmh/aAo lì ferro caldo
Fatto nel collo le ha d' una saetta,
Che con 1' arco gli dio Febo, quando anco
Marte la spada sua gli mise al fianco.
Duo Ercoli , duo Ippnliti da Estc,
Un altro Ercole , mi altro Ippolito anco
Da Gonzaga, e de' M'-diri, !(; jx-ste
Seguon del mostro, e 1' han cacciando stanco.
IVè (ìiuliano al ligiiuol, nò par clu; reste
Ferrante al fratel dietro ; nò <li<; manco
Andrea Doria sia pronto; nò v.ìu^ lassi
Francesco Sforza, eh' i\i u(»mo lo passi.
Del generoso , illustre e chiaro sangue
D' Avalo vi sou dui, eh' bau per in^^egna
Lo scoglio, cIm!, dal capo ai piedi d' angue.
Par «:lie 1' empio TilV-o sotto si tegna.
fiiUì è di qne>li duo, per far esangue
L' «rribii iiKistro, elii più innanzi vegnn.
L' uno l''riinci's<o di IVseara in\itto,
L' altro Alfoni.0 del \abto ai piedi ha scritto.
53
54
Ma Consalvo Ferrante ove ho lasciato,
L' ispano onor, che in tanto pregio v' era.
Che fu da Malagigi sì lodato,
Che pochi il pareggiar di quella schiera .=*
Guglielmo si vedea di Monferrato
Fra quei, che morto avean la brutta fera ;
Ed eran pochi, verso gì' infiniti
Ch' ella v' avea, chi morti, e chi feriti.
In giuochi onesti , e parlamenti lieii,
Dopo mangiar, spesero il caldo giorno.
Corcati su finissimi tappeti.
Tra gli arbuscelli, ond' era il rivo adomo.
Malagigi e Vivian, pcrcliè quieti
Più fosser gli altri, tencan 1' arme intorno,
Quando una donna senza compagnia
lider, che verso lor ratto venia.
55. Questa era quella Ippalca , a cui fu tolto
Frontino , il buon destrier , da Rodomonte.
L' avea il di innanzi ella seguito molto,
Pregandol ora, ora dicendogli onte:
Ma, non giovando, avea il cammin rivolto,
Per ritrovar Ruggiero in Agrismonte.
Tra via le fu, non so già <-.ome, detto,
Che quivi il troveria con Ricciardetto.
50. E perchè il luogo ben sapea , (chò v' era
Stata altre voltej se ne venne al dritto
Alla fontana, ed in quella maniera
Yc lo trovò, eh' io v' Iio di sopra scritto.
Ma, come buona e cauta messaggera,
Che sa meglio eseguir, che non V è ditto,
Quando vide il fratel di Bradamante,
Non conoscer Ruggier fece sembiante.
57. A Ricciardetto tutta rivoltosse,
Sì, come drittamente a lui \enisse;
E quel, che la conobbe, se le mosse
Incontra , e domandò , dove ne gisse.
Ella, che ancor avea le luci rosse
Del pianger lungo, sospirando disse:
(^Ma disse forte , acciocché fosse espresso
A Ruggiero il suo dir , che gli era presso :)
59. Mi traca dietro, disse, per la briglia.
Come imposto mi avea la tua sorella.
Un bel cavallo, e buono a meraviglia,
Ch' ella molto ama, e che Frontino appella.
E r avea tratto più di trenta miglia
Verso Marsilia, ove venir dcbb' ella
Fra pochi giorni , e dov' ella mi disse,
Ch' io r a>pettas^i, finche vi venisse.
59. Era sì baldanzoso il creder mio,
Ch' io non stimava alcun di cor sì saldo,
Che me 1' avesse a ti>i-, dicendogli io,
Ch' era della soiella «li Uinaldo:
Ma vano il mio «lisegno jer m uscio,
('Ilo me lo l<tlse un saraciii ribaldo ;
]\è, per udir, di chi Frontino fussc,
A volermelo rendere s' indusse.
Ttitt' jeri ed ogi^i 1' ho pregato; e quando
Ilo \i>to iixir prirglii e miiiacce iinano,
i^laleilic-rndol mollo , e lie>t( imniaiido,
L' ho lasciato di (pii poco lontano,
I)o\e, il (-a>allo e sé mollo airiniiando,
S' a.juta, quanto può, con 1' ariiu^ in mano
C'oiitra nn giierrier, che in tal tiM\airlio il mette,
Che spero, eh' abbia u far le mie %endelle.
(>0
[34Ì]
ORLANDO FURIOSO. (XXVI. 61—76)
[348
61
Ruggiero , a quel parlar, salito in picc'c,
CIi' avea potuto appena il tutto udire,
Si volta a Riecinrdetto , e per mercede,
E premio e guiderdon del ben serrire,
Prieglii aggiungendo senza fin , gli chiede,
Che con la donna solo il lasci gire
Tanto , che '1 Saracin gli sia mostrato,
Ch' a lei di mano ha il buon destrier levato.
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A Ricciardetto , ancorché discortese
n concedere altrui troppo paresse.
Di terminar le a sé debite imprese,
Al Aoler di Ruggier pur si rimesse:
E quel licenza dai compagni prese,
E con Ippalca a ritornar si messe.
Lasciando a quei, che riniancan, stupore,
Kon meraviglia pur del suo valore.
Poiché dagli altri allontanato alquanto
Ippalca r ebbe, gli narrò, che ad esso
Era mandata da colei, che tanto
Avea nel core il suo valore impresso ;
E senza finger più , seguitò , quanto
La sua donna , al partir , le avea commesso,
E che, se dianzi avea altrimenti detto,
Per la presenza fu di Ricciax'detto.
Disse, che chi le avea tolto il tlestiicro,
Ancor detto 1' avea con molto orgoglio:
Perché so , che '1 caA allo é di Ruggiero,
Più volentier per questo te lo toglio.
S' egli di racquistarlo avrà pensiero,
Fagli saper, che asconder non gli voglio,
Ch' io son quel Rodomonte, il cui valore
Mostra per tutto il mondo il suo splendore.
65. Ascoltando Ruggier mostra nel volto.
Di quanto sdegno acceso il cor gli sia;
Sì , perché caro avria Frontino molto,
Si, perchè venia il dono, onde venia;
Sì , perché in suo dispregio gli par tolto.
A ede , che biasmo e disonor gli Ila,
Se torlo a Rodomonte non s' affretta,
E sopra lui non fa degna vendetta.
La donna Ruggier guida, e non soggiorna,
Clic por lo l)rama col pagano a fronte;
E giunge , ove la strada fa due corna,
L' un va giù al piano, e l' altro va su al monte;
E quci-to e quel nella vallea ritorna,
Dov' ella avea lasciato Rodomonte.
Aspra , ma breve , era la via del colle,
L' altra più lunga assai , ma piana e molle.
Il desiderio , che conduce Ippalca,
D' aver Frontino, e vendicar 1' oltraggio,
Fa, che 1 seiitier della montagna calca.
Onde molto |)iii corto era il viiigj!;!!).
Per r altra intanto il re d' Algier cavalca
Col Tartaro , e con gli altri , clic detto haggio,
E giù nel pian la \ia più facil tiene,
INé eoa Ruggiero ad incontrar si viene.
Già son le lor querele diderite,
Finclié soccorso ad Agrainanle sia,
(Questo Kai>ete) ed han d' ogni l(»r lite
La cagiiui , Udialice , in coni|iag(iia.
Ora il i>ur((>;s(i deir istoria udite!
Alla foiitanii è hi loi- dritta via,
Ove Aldigicr, Mailìha e Ricciardetto,
Malagigi e \iviun btannu a dilettto.
QCi
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69. Marfisa , a' i)reghi de' compagni , avea
Aeste da donna, ed ornamenti presi,
Di quelli , eh' a Lanfusa si credea
Mandare il traditor de' Maganzesi;
E benché veder raro si solca
Senza l' usbergo e gli altri buoni arnesi.
Pur quel dì se li trasse, e come donna,
A' prieghi lor, lasciò vedersi in gonna.
70. Tostoché vede il Tartaro Marfisa,
Per la credenza, eh' ha di guadagnarla.
In ricompensa e in cambio ugual, s' avvisa.
Di Doraliee , a Rodomonte darla ;
Siccome amor si regga a questa guisa,
Che vender la sua donna , o permutarla
Possa r amante, né a ragion s' attristi,
Se, quando una ne perde, una n' acquisti.
71. Per dunque provedergli di donzella.
Acciò per sé quest' altra si ritegna,
Marfisa, che gli par leggiadra e bella,
E d' ogni cavalier femmina degna.
Come abbia ad aver questa, come quella
Subito cara, a lui donar disegna;
E tutti i cavalier, che con lei vede,
A giostra seco , ed a battaglia chiede.
72. j\Ialagigi e Yivian , che l' arme aveano
Come per guardia e sicurtà del resto,
Si mossero dal luogo , ove scdeano,
L' un . come l' altro , alla battaglia presto,
Perdié giostrar con ambedue credeano:
Ma r Alrican , che non venia per questo,
]\on ne fé' segno , o movimento alcuno,
Sicché la giostra restò lor contra uno.
73. Yivìano è il primo, e con gran cor si muoT»
E nel venire abbassa im' asta grossa ;
E 'l re pagan dalle famose prove
Dall' altra parte vicn con maggior possa:
Dirizza 1' uno e 1' altro, e segna, dove
Crede meglio fermar l' a. pra jiertrossa.
Viviano indarno all' elmo il pagan fere.
Che non lo fa piegar, non che cadere.
i 74. Il re pagan, eh' avea più 1' asta dura.
Fé' lo scudo a A ivian parer di ghiaccio ;
! E fuor di sella in mezzo alla verdura.
All' erlìe e ai fiori il fé' cadere in braccio.
Yien 3Ialagigi , e penisi in avventura
Di vendicare il suo fratello avaccio;
Ma poi d' andargli appresso ebbe tal fretta,
Che gli fé' compagnia, più che vendetta.
75. L' altro fratel fu , prima del cugino.
Con r iirme indosso, e sul destrier salito,
E disfidato contra il Saracino,
AiMine a scontrarlo a tutta briglia ardito.
Risonò il colpo in mezzo all' ehno fino
Di quel jiagau sotto la vista un dito.
A (ilo al ciel r asta in quattro tronchi rotta,
Ma non mosse il pagan per quella botta.
76. Il ])agan ferì lui dal lato manco;
E perché il colpo fu con troppa f(»rza,
Poco lo scudo , e la corazza manco
(«li valse, <;he s' a|)rìr, come «ina scorza.
Passò il lerr(» crudel l' omero bianco:
Piegò Aldigicr ferito a poggia e ad orza;
Tra fiori ed erlie alfm si vede avvolto.
Rosso suir arme, e pallido nei volto.
[349]
ORLANDO FURIOSO. (XXVI. 77—92)
[350]
I
77. Con molto ardir vìen Ricciardetto appresso,
E nel venire arresta sì gran lancia,
Che mostra ben , come ha mostrato spesso,
Che degnamente è paladin di Francia;
Ed al pagan ne facea segno espresso.
Se fosse stato pari alla bilancia;
Ma sozzopra n' andò , perchè il cavallo
Gli cadde addosso, e non già per suo fallo.
78. Poich' altro cavalier non si dimostra,
Che al pagan per giostrar volti la fronte,
Pensa aver guadagnato della giostra
La donna, e venne a lei presso alla fonte,
E disse: Damigella, siete nostra,
S' altri non è per voi , che in sella monte.
Noi jiotete negar , né farne scusa,
Che di ragion di guerra così s' usa.
79. Marfisa, alzando con un viso altero
La faccia, disse: Il tuo parer molto erra.
Io ti concedo , che diresti il vero,
Ch' io sarei tua per la ragion di guerra.
Quando mio signor fosse, o cavaliero
Alcun di questi , eh' hai gittato in terra.
Io sua non son, né d' altri son, che mia:
Dunque me tolga a me, chi mi disia!
80. So scudo e lancia adoperare anch' io,
E più d' un cavaliero in terra lio posto.
Datemi 1' arme, disse, e il destrier mio,
Agli scudier, che 1' uhbidiron tosto.
Trasse la gonna, ed in farsetto uscio,
E le belle fattezze, e il ben disposto
Corpo mostrò , (-he in ciascuna sua parte,
Fuorché nel viso , assiinigliava a Marte.
81. Poicliù fu armata, la spada si cinse,
E sul dcsttier montò d' un leggier siilto,
E qua e là tre volte e più lo spinse,
E quinci e quindi fc' girare in alto;
E poi, sfidando il Saracino, strinse
La grossa lancia , e couiiiu:iò 1' assalto.
Tal nel campo trojan Pentesilea
Contra il tessalo Achille esser dovea.
82. Le lance infìn al calce si fiaccaro,
A quel su|)er!»o scontro, come vetro;
Kè però chi le corsero , piegaro,
Che si notasse, \m dite» solo addietro,
Marfisa , che volila <;oiioscer chiaro,
S' a più streta battaglia siinil metro
Le servirebbe contra il lìcr pagano.
Se gli rivolse con la tpada in mano.
S3. Bestemmiò il ciclo e gli elementi il crado
Pagan, poiché restar la ^ide in scila.
Ella, <;lie gli |i<'iisò romper lo scudo,
Non meu sdegnosa coiiira il cicl favella.
Cìià r uno e 1' altro ha in mano il ferro nudo,
E sulle latnr arme .^i martella :
L' aruHr fatali bau |iarimcnt<; intorno.
Che mai non l)i>ogiiàr più <li qiul giorno.
M. Si buona è <|uclla iiia-^lra e qirclla magìia,
Che spada, o lancia non le taglia, o fora;
Sicché polca seguir 1" a>|ua battaglia
Tutto quel giorno, e 1' altro ap|)rcss() ancora.
M.i ilodomiintc in mc/zo lor si scaglia,
E ri|>i(nde il ri\al dclbi dimora,
Dicendo: Se batliigliu i>im- far vuoi,
Finiam la comiiu;iaiii o^i^^i lin ii„i.
85. Facemmo, come sai, tregua, con patto
Di dar soccorso alla milizia nostra:
Non debbiam, priraaché sia questo fatto,
Incominciare altra battaglia, o giostra.
Indi a Marfisa , riverente in atto.
Si volta, e quel messaggio le dimostra,
E le racconta , come era venuto
A chieder lor per Agramante ajuto.
86. La prega poi , che le piaccia , non solo
Lasciar quella battaglia, o differire.
Ma che voglia in ajuto del figliuolo
Del re trojan con esso lor venire;
Onde la fama sua con maggior volo
Potrà far meglio infin al ciel salire.
Che , per querela di poco momento.
Dando a tanto disegno impedimento.
87. 3Iarfisa, che fu sempre disiosa
Di provar quei di Carlo a spada e a lancia,
Né r a^ea indotta a venire altra cosa
Di sì lontana regione in Francia,
Se non per esser certa, se famosa
Lor nominanza era per vero, o ciancia.
Tosto d' andar con lor partito prese.
Che d' Agramante il gran bisogno intese.
88. Ruggiero in questo mezzo avea seguito
Indarno Ippalca per la via del monte,
E trovò, giunto al loco, che partito
Per altra via se n' era Rodomonte;
E pensando , che lungi non era ito,
E che '1 sentier tenea dritto alla fonte,
Trottando in fretta dietro gli venia
Per r orme, eh' eran fresche in sulla vìa.
85). Volse , che Ippalca a IMontalban pigliasse
La via, eh' una giornata era vicino;
Perché, se alla fontana ritornasse.
Si torria troppo dal dritto cammino;
E disse a lei , che già non dubitasse
Che non s' avesse a ricovr.ir Frontino;
Ben le fareblìe a ^^lontalbano , o dove
Ella si trovi , udir tosto le nuove.
90. E le diede la lettera , che scrisse
In Agrismonte , e che si portò in seno;
E molte cose a bocca anco le disse,
E la pregò, che V escusasse api)ieno.
Nella memoria Ippalca il tutto fisse,
Prese licenza, e voltò il palafreno;
E non cessò la buona uu'ssaggiera.
Che in Montalban si ritrovò la sera.
91. Seguia Ruggiero in fretta il Saracino
Per r orme , eh' appari<in nella via piana;
Ma non lo giunse prima, che \iiiiu)
Con Mantlricardo il vide alla fontiina.
Già prouK's>o s' aveaTi , clic per canunin»
L' un non farebbe all' altro cosa stnina.
Né fi neh' al campo >i fo-;se soccorso.
A cui (^arlo era apprcs>o a porre il morso.
93. Qiii^i giunto lìuggiir l'rontin conobbe,
E conobbe |icr Ini , chi addosso gli era;
E .sulla lancia fé' le spalle gi»bbe,
E slìdò r African con voce altera.
Rodomonte i|im-I dì fé' più che (ìiobbo,
Poicliè domò la >ini superbia fiera,
K ricusò la pugna, eh' a\ea us.m/.n
Di sempre egli cercjir ctui ogni in^tan/a.
[351]
ORLANDO FURIOSO. (XXVI. 93—108)
93. Il primo giorno e 1' ultimo, che piig^a
Mai ricusasse il re d' Algier, fu questo:
Ma tanto il desiderio , che si giugna
In soccorso al suo re , gli pare onesto,
Che, se credesse aAcr Kuggier nell' ugna
Più, che mai lepre il pardo isnello e presto,
IS'on si vorria fermar tanto con lui,
Che fesse un colpo della spada, o dui.
94. Aggiungi, che sapea, eh' era Ruggiero,
Che seco per Frontin facea battaglia.
Tanto famoso , eh' altro caraliero
IS'on è , che a par di lui di gloria saglia ;
li' uom , che bramato ha di saper per yero
Esperimento, quanto in arme Taglia.
E pur non vuol seco accettar 1' impresa;
Tanto r assedio del suo re gli pesa!
95. Trecento miglia sarebbe ito e mille,
Se ciò non fosse, a comperar tal lite:
Ma , se r avesse oggi sfidato Achille,
Più fatto non avria di quel, che udite;
Tanto a quel punto sotto le faville
Le fiamme avea del suo furor sopite!
Karra a Ruggier, perchè pugna rifiliti.
Ed anco il prega, che 1' impresa ajuti;
96. Che facendo] , farà quel , che far deve
Al suo signore un cavalier fedele :
Semprechè questo assedio poi si leve,
Avran ben tempo da finir querele.
Ruggier rispose a lui: Mi sarà lieve
Differir questa pugna fincliè de le
Forze di Carlo si tragga Agramante,
Parche mi rendi il mio Frontino innante.
97. Se di provarti , eli' hai fatto gran fallo,
E fatto hai cosa indegna ad un uom forte,
D' aver tolto a una donna il mio cavallo.
Vuoi, eh' io prolunghi, finché siamo in corte,
Lascia Frontino, e nel mio arbitrio dallo!
!Non pensare altramente, eh' io sopporte,
Che la baittigiia qui tra noi non segua,
O eh' io ti faccia sol d' un' ora tregua.
98. 3Icntre Ruggiero all' African domanda
O Frontino, o battaglia allora allora,
E quello in Iiuigo e 1' uno e 1' altro manda,
Kè vuol dare il destrier, né far dimora,
>ìandricardo ne vien da un' altra banda,
E mette iii campo un' altra lite ancora,
Poicliè vede Ruggier, che per insegna
Porta r augel, che sopra gli altri regna.
99. Nel campo azzur 1' aquila bianca avea,
Clie de' Trojiuii fu V in^egna bella.
Perchè Ruggier V origine traca
Dal fortissimo Ettor, portava quella.
Ma questo .'Mandricardo non sapea,
]\è vuol patire, e grande ingiuria appella,
Che nello scudo un altro debba porre
L' aquila bianca del famoso Etturre.
100. Portava ìMandricardo similmente
L' augel, che rapì in Ida Ganimede.
Come r cl)be quel dì , che fu viru-ente
Al cast<;l periglioso , per mercede,
Credo y'ì sia <<ui 1' altre istorie a niente^
E come quella fitta gli lo diede,
C(m tutlx; le beli' arme, clie \ ulcano
Avea già date al cavalier trojano.
[352]
102.
101. Altra volta a battaglia erano stati
Mandricardo e Ruggier solo per questo;
E per che caso fosser distornati,
10 noi dirò; che già v' è manifesto.
Dopo non s' eran mai più raccozzati,
Se non quivi ora ; e Mandricardo presto.
Visto lo scudo, alzò il superbo grido
Minacciando, e a Ruggier disse: Io ti sfido.
Tu la mia insegna, temerario, porti;
Nò questo è il primo di, eh' io te 1' ho detto;
E credi , pazzo , ancorch' io tei comporti,
Per una volta, eh' io t' ebbi rispetto:
Ma , poiché nò minacce , né conforti
Ti pon questa follia levar del petto,
Ti mostrerò, quanto miglior partito
T' era, d' avermi subito ubbidito.
]103. Come ben riscaldato arido legno
A picciol soffio su))ito s' accende.
Così s' avvampa di Ruggier lo sdegno.
Al primo motto, che di questo intende-
Ti pensi, disse, farmi stare al segno.
Perchè quest' altro ancor meco contende:
Ma mostrerotti, eh' io son buon per torre
Frontino a lui, lo scudo a te d' Ettorre.
,104. Un' altra volta pur per questo venni
Teco a battaglia, e non é gran tempo anco;
Ma d' ucciderti allora mi contenni.
Perchè tu non a^evi spada al fianco.
Questi fatti saran , quelli fur cenni ;
E mal sarà per te quell' augel bianco,
Ch' antica insegna è stata di mia gente:
Tu te r usurpi, io '1 porto giustamente.
105. Anzi t' usurpi tu 1' insegna mia,
Rispose Mandricardo, e trasse il brando,
Quello, che poco innanzi per follia
Avea gittato alla foresta Orlando.
11 buon Ruggier, che di sua cortesia
Non può non sempre ricordarsi , quando
Vide il pagan , eh' avea tratta la spada.
Lasciò cader la lancia nella strada.
106. E tutto a un tempo Balisarda stringe.
La buona spada, e me' lo scudo imbraccia.
]Ma r Africano in mezzo il destrier spinge,
E ^larfisa con lui presta si caccia;
E r uno questo, e 1' altro quel rispinge,
E pregano ambedue, clie non si faccia.
Rodomonte si duoi, che rotto il patto
Due volte ha 3Iandricardo , che fu fatto.
107. Prima , credendo d' acquistar 3Iarfisa,
Fermato s' era a far più d' una giostra;
Or, per privar Ruggier d' una divisa,
Di curar poco il re Agramante mostra.
Se pur, dieea, dei fare a questa guisa,
Finiam prima tra noi la lite nostra,
Conveniente e più debita assai,
Ch' alcuna di quest' altre, che prese hai!
108. Con tal condizion fu stal)ilita
La tregua, e questo accoriio, eh' è fra nui.
Come la pugna teco avrò finita.
Poi del destrier risponderò a «uìstui:
Tu del tuo sciulo, rimaiundo in vita,
I<a lite avrai da terminar con lui.
]\la ti darò da far tanto, mi spero.
Che non n' avanzerà troppo a Ruggiero.
[353]
ORLANDO FURIOSO. (XXVI. 109-124)
[354]
lOy. La parte, che ti jiensi , non n avrai,
Rispose Mandricardo a Rodomonte :
Io te ne darò più, clie non vorrai,
E ti farò sudar dal più alla fronte;
E me ne rimarrà per darne assai,
Come non manca mai 1' acqua del fonte,
Ed a Rngp;iero , ed a mill' nitri seco,
E a tutto il mondo , che la voglia meco.
110. Moltiplicavan 1' ire e le parole,
Quando da questo , e quando da quel lato.
Con Rodomonte e con Riig-gier la vuole
Tutto in un tempo Mandricardo irato.
Ruggier , che oltraggio sopportar non suole,
Kon vuol più accordo , anzi litigio e piato.
Marfisa or va da questo , or da quel canto,
Per riparar; ma non può sola tanto.
111. Come il villan, se fuor per 1' alte sponde
Trapela il fiume . e cerca nova strada,
Frettoloso a vietar , che non affonda
I verdi paschi e la sperata biada,
Chiude una via e;! un' altra, e si confonde;
Che , se ripara quinci che non cada,
Quindi vede lasci.ir gli argini molli,
E fuor 1' acqua spicciar con più rampolli:
112. Così , mentre Ruggiero e Mandricardo
E Rodomonte son tutti sozzopra,
Ch' ognun vuol dimostrarsi più gagliardo,
Ed ai compagni rimaner di sopra,
Marfìsa ad ac(;hctarli ave riguardo,
E s' afl'atica , e perde il tempo e 1' opra ;
Che , come ne spicca imo e lo ritii'a,
Gli altri duo risalir vede con ira.
US. Marfisa , che volca porli d' accordo,
Dicea: Signori, udite il mio consiglio!
Differire ogni lite è buon ricordo,
Finch' Agramante sia fiu)r di periglio.
Se ognun vuole al suo fatto esser ingordo,
Anch' io con Mandricardo mi ripiglio,
E vo' vedere allìn , se guadiigtiarme,
Couie egli ha detto , è buon per forza d' arme.
114. Ma , 86 sì de' soccorrere Agramante,
Soccorrasi, e tra noi non si contenda'.
Per me non si starà d' andare innante,
Disse Ruggicr, purché '1 dcstrier si renda,
O che mi dia il cavallo (a far di tante
Una parola) o che da me il difenda!
O che qui morto ho da restare, o eh' io
In campo ho da tornar sul destrier mìo.
115. Rispose Rodomonte : Ottener questo
Non fìa co>ì , come quell' altro, lieve.
£ seguitò di<!endo: Io ti protesto.
Che, s' alcun danno il nostro re riceve,
Fiu per lini colpa ; eh' io p(;r me non resto
Dì fare a tempo quel, che far si deve,
Ruggiero a quel protesto poto bada;
Ma, stretto dal furor, stringe la spada.
116. AI re d' Algier come cinghiai si scaglia, '
l'i r urta con lo scudo e con la spalla,
E in modo lo disordina e sitaraglia,
Che fa, che d' una staffa il pie gli falla.
Mandricardo gli grida: O la battaglia
Differisci, Ruggiero, o nu!Co falla!
E crudele e fellon, più cIk; urai fosse,
Ruggier 8uir elmo in questo dir percosse.
117. Fin sul collo al destrier Ruggier s' inchina,
Né, quando volse, rilevar si puote;
Perchè g'ì sopraggiunge la ruina
Del figlio d' Ùlien, che lo percuote.
Se non era dì tempra adamantina.
Fesso r elmo gli avria fin tra le gote.
Apre Ruggier le mani per 1' ambascia,
E r una il freii , 1' altra la spada lascia.
118. Se lo porta il destrier per la Campania;
Dietro gli resta in terra Balisarda.
Marfisa, che quel dì fatta compagna
Se gli era d' arme , par eh' avvampi ed arda,
Che solo fra que' duo così rimagua;
E , come era magnanima e gagliarda.
Si drizza a Mandricardo, e col potere,
Ch' avea maggior , sopra la testa il fere.
119. Rodomonte a Ruggier dietro si spinge :
Vinto è Frontin , s' un' altra gli n' appicca.
Ma Ricciardetto con Vivian si stringe,
E tra Ruggiero e '1 Saracin si ficca.
L' uno urta Rodomonte , e lo rispinge,
E da Ruggier per forza lo dispicca.
L' altro la spada sua , che fu Viviano,
Pone a Ruggier , già risentito , in mano.
120. Tostochè '1 buon Ruggiero in se ritorna,
E che \ ivian la spada gli apprescnta,
A vendicar 1' ingiuria non soggiorna,
E verso il re d' Algier ratto s' a>"\enta,
Come il Icon, che tolto sulle corna
Dal bue sia stato, e clie '1 dolor non senta,
Sì sdegno , ed ira , ed impeto 1' affretta.
Stimola e sferza a far la sua vendetta.
121. Ruggier sul capo al Saracin tempesta ;
E se la spada sua si ritrovasse.
Che , come ho detto , al cominciar di questa
Pugna, di man gran fulloiiiii gii trasse,
Mi credo , eh' a difendere la testa
Di Rodomonte l' elmt» non bastasse;
Ij' elmo , che fece il re far di Babelle,
Quando mover pen^ò guerra alle stelle.
1 122. La Discordia, credendo, non potere
i Altro esser quivi , che contese e risse,
j Nò vi dovesse nuiì più luogo avere
0 pace, 0 tregua, alla sorella disse,
Ch' ornai sicuramente a rivedere
1 monachetti suoi seco venisse.
Lasciamle andare, e stiani noi, dove in fronte
Ruggiero avea ferito Rodomonte !
J12S. Fu il colpo di lluggicr di si gran forza,
Che fece in sulla grop|)a di Frontini»
Percjioter 1' elmo, (• «(uclla dura s((u-/,a,
1 Di eh' avea armato il dosso il Saracino,
I E lui tre volte e quadro a poggia e ad orza
I Piegar per gire in (erra a ca|)o chino;
I K la spada egli ancora a^ria perduto.
Se legata alla man non fo^^e suta.
121. Avea Marfi.sa a Mandricardo intanto
Fatto sudar la fronte , il viso e il petto,
' Ed eglia>e>aa lei tatto altrettanto:
Ma kÌ r UNlurgo d' amili era perfetto,
I Che mai poter falsarlo in nessun canto,
i E stati eraii i-iii qui pari in effetto:
I i\1a in un voltar, che fere il suo destriero,
Hisogno ebbe 31aWisu di Kuggieru.
23
[355]
ORLANDO FURIOSO. (XXVI. 125-137)
125. Il destrier di Marfisa , in un voltarsi,
Che fece stretto, ov' era molle il prato.
Sdrucciolò in guisa , che non potè aitarsi
Di non tutto cader sul destro lato ;
E nel volere in fretta rilevarsi.
Da Brigliador fu per traverso urtato,
Con che il pagan poco cortese venne.
Sicché cader di nuovo gii convenne.
126. Ruggier, che la donzella a mal partito
Vide giacer, non differì il soccorso.
Or che l' agio n' avea, poiché stordito
Da sé lontan quell' altro era trascorso.
Ferì suir elmo il Tartaro, e partito
Quel colpo gli avrìa il capo , come un torso,
Se Ruggier Balisarda avesse avuta,
O Mandricardo in capo altra barbuta.
t*i'«bi
131.
127.
Il re d' Algicr , che si risente , in questo
Si volge intorno , e Ricciardetto vede,
E si ricorda , che gli fu molesto
Dianzi , quando soccorso a Ruggier diede.
A lui si drizza ; e saria stato presto
A dargli del ben fare aspra mercede,
Se, con grand' arte e nuovo incanto, tosto
Kon se gli fosse Malagigi opposto.
128.
Malagigi, che sa d' ogni malia
Quel , che ne sappia alcun mago eccellente.
Ancorché 'I libro suo seco non sia,
Con che fermare il sole era possente.
Pur la scongiurazione , onde solia
Comandare ai demonj , aveva a mente :
Tosto in corpo al ronzino un ne costringe
Di Doralice, ed in furor lo spinge.
129. Nel mansueto uhino, che sul dosso
Avea la figlia del re Stordilano,
Fece entrare un degli angel di Minosso,
Sol con parole, il frate di Viviano;
E quel, che dianzi mai non s' era mosso,
Se non quanto ubbidito avea alla mano.
Or d' improvviso spiccò in aria un salto,
Che trenta pie fu lungo , e sedici alto.
Fu grande il salto, non però di sorte.
Che ne dovesse alcun perder la sella.
Quando si vide in aito , gridò forte,
Che si tenne per morta, la donzella.
Quel ronzin, come il diavol se lo porte,
Dopo un gran saito , se ne va con quella,
Che pur grida soccorso , in tanta fretta,
Che non 1' avrebbe giunto una saetta.
132.
133.
134,
135.
130.
136
Dalla battaglia il figlio d' Uh'eno
Si levò al primo snon di quella voce,
E dove fin-iava il palafreno,
Per la donna ajutar, n' andò veloce.
Mandricardo di lui non fece meno,
Xè più a Ruggier, né più a Marfisa nuoce;
Ma, senza chieder loro o paci, o tregue,
E Rod(imoiite e Doralice segue.
Marfisa intanto si levò di terra,
E tutta ardendo di disdegno e d' ira,
Crcdesi far la sua vendetta , ed erra,
Che troppo lungi il suo nemico mira:
Ruggier , eh' aver tal fin vede la guerra,
Rugge , come un leon , non che sospira :
Ben sanno , che Frontino e Brigliadoro
Giunger non ponno coi cavalli loro.
Ruggier non vuol cessar, finché decisa
Col re d' Algier non 1' abbia del cavallo;
Kon vuol quietare il Tartaro Marfisa,
Che provato a suo senno anco non hallo.
Lasciar !a sua querela a questa guisa,
Parre))be all' uno e all' altro troppo fallo.
Dì comune parer disegno f.issi,
Di chi offesi gli avea seguire i passi.
Nel campo saracin li troveranno.
Quando non possan ritrovarli prima;
Che per levar 1' assedio iti saranno,
Primaché 1 re di Francia il tutto opprima.
Così diritlamente se ne vanno.
Dove averli a man salva fanno stima.
Già non andò Ruggier coì»! di botto,
Che non facesse ai suoi compagni motto.
Ruggier se ne ritorna , ove in disparte
J>a il Iratel delia sua donna bella,
E se gli profferisce in ogni parte
Amico per fortuna, e buona, e fella:
Indi lo prega , e lo fa con beli' arte,
Cile saluti in suo nome la sorella ;
E questo così ben gli venne detto,
Che né a lui die' , né agli altri , alcun sospetto.
E «la lui , da Vivian , da Malagigi,
Dal ferito Aldigier tolse commiato.
Si profferirò anch' essi alli servigi
Di ini , debitor sempre in ogni lato.
Marfisa avea sì il cor d' ire a Parigi,
Cli« '1 salutar gli amici avea scordato;
Ma Malagigi andò tanto , e Viviano,
Che pur la salutaron di lontano :
137. E così Ricciardetto; ma Aldigiero
Giace, e convien, che suo mal grado resti.
Verso Parigi avean preso il sentiero
Quelli duo prima , ed or lo piglian questi.
Dirvi, Signor, ncil' nitro canto spero
Miracolosi , e so|)i'auniani gesti,
Clic, con diuino degli uomini di Carlo,
Ambe le cop|:ie fér, di eh' io vi parlo.
357]
OKLAADO FURIOSO. (XXVll 1—12)
[358]
CANTO V E N T E S I M O S E T T I M O.
ARGOMENTO. «.
Mandricardo , e Ruggiero , e Rodomonte
E Marfisa , seguendo i rei vestigi
Di Doralice , con ardita fronte
Assaltan Carlo , e '/ cacciano in Parigi.
Di poi fra loro con orgogli ed onte
Sono a contese , e terribil litigi.
Il figlio d' Ulieno è rifiutato
Da Doralice, e si diparte armato.
1. Molti coné;igIi delle donne sono j 8
Meglio improvviso, eh' a pensarvi , usciti; I
Cile questo è speciale e proprio dono |
Fra tanti e tanti lor dal eie! larghiti. 1
Ma può mal quel degli uomini e;»ser buono, i
the maturo discorso non aiti, '
0>e non s' abbia a ruminarvi sopra
Speso alcun tempo , e molto studio ed opra. i
2. Parve, e non fu però buono il consiglio 9
Di Malagigi , ancorché , come ho detto,
Per questo di grandissimo periglio
Liberasse il cugin suo Kicciardetto.
A levar indi ll(»donionte e il figlio
Del re Agrican lo spirto avea costretto,
Ron avvertend*», «he sarebbon tratti,
Dove i Cristian vi rimarrian disfatti.
8. Ma, 86 spazio a pensarvi avesse a>uto, 10.
Creder si può, che dato similmente
Al suo cugino avria debito ajuto,
^è fatto danno alla cristiana gente.
C'omandare alh» spirto avria ixtluto,
Cir alla via di Levante , o di Ponente
Sì dilungata avesse la donzella.
Che non n' udisse Francia più novella»
4. Co»i gli amanti suoi 1' avrian seguita, { H
Come a Parigi , anco in ogni altro loco.
Ma fu <|U(;sta avvertenza inavvertita
Da Maliigigi , perpen>ar>i poco;
E la Malignità dal vìvi bandita.
Che sempre v«>rria sangue , e strage , e foco,
Prese la via, donde più Carlo afllisso.
Poiché nessuna il mastro le prescrishe.
5. Il palafrcn , cir hwaì il denutnio al fianco, 1".
Portò la spa\«-ii(al>t Doriilicc,
Che non potò arrc-^larla fmme, e manco
Fos>a, bosco, palude, erta, o penilice,
Fiiuliè, per nic/.y.o il campo inglese e franco,
E r altra moltitudine fautrice
Dell' insegna di Cristo , rassegnata
Non r ebbe ul padre suo , ru di (ìranatu.
Rodomonte col figlio d' Agricane
La seguitaro il primo giorno un pezzo,
Che le vcdean le spalle, ma lontane;
Di vista poi perderonla da sezzo,
E venner per la traccia , come il cane
La lepre, o il capriol trovare avvezzo ;
Né si fermar, che furo in parte, dove
Di lei, eh' era col padre, ebbono nove.
. Guardati, Carlo! che ti viene addosso
Tanto furor, eh' io non ti veggo scampo.
Kè questi pur , ma U re Gradasso è mosso
Con Sacripante a danno del tuo campo.
Fortuna, per toccarti fin all' osso,
Ti tolle a un tempo 1' uno e 1' altro lampo
Di forza e di saper , che vivea teco ;
E tu rimaso in tenebre sei cicco.
Io ti dico d' Orlando e di Rinaldo;
Che r uno al tutto furioso e folle.
Al sereno, alla pioggia, al fi-eddo, al caldo,
INudo va discorrendo il piano e '1 colle.
L' altro , con senno non troppo più saldo,
D' appresso al gran bisogno ti si tolle;
Che , non trovando Angelica in Parigi,
Si parte, e va cercandone vestigi.
Un fraudolente vecchio incantatore
Gli fé' , come a principio vi si disse,
Cr(!dcr, per un fantastico suo errore,
Chf con Orlando Angelica venisse ;
Onde, di gelosia tocco nel core.
Della miigginr, eh' amante mai sentisse,
^ enne a Parigi ; e come apparve in corte,
D' ire in Bretagna gli toccò per sorte.
Or, fatta la battaglia, onde portonne
Egli 1' onor d' aver chiuso Agramante,
Tornò a Parigi ; e monistcr di dimne,
E case, e rocche cercò tutte quante.
Se murata non è tra le colonne,
L' avria trottata il curioso amante.
Vedendo alfin, eh' ella non v' è, nò Orlando,
Ambedue va con gran di^io cercando.
Ponsò, che dentn» .Anglante, o dentro a Bra>u
Se la godesse Orlando in lesta e in gioco;
E qua e là, |)er ritrovarla, ambiva,
Né in quel la ritrovò, né in questo loco.
A Parigi di luiovo ritornala,
Pensando , i:he tardar dovesse poco
Di capitare il paladino al ^arco ;
Che 1 suo star fuor non era senza incarco.
Un giorno, o du<' nella città soggiorna
Rinaldo, e poicb' Orhmdo tutti arriva.
Or ^erso .'\ngbint<-, or ^erso Kra^a torna,
(/creando, ao di lui novella (uli\a.
('.ivalca, e quando annotta , e quando aggiorna,
Alla fr(S<'u alba, e ali ardente ora estima,
K fa al lume del s(de e della lima
Dugciito %ulte questa ^i.i, non eh' unii.
[359]
ORLANDO FURIOSO. (XXVII. 13-28)
[360
13 Ma r antico avversario, il qual fece Eva
All' interdetto pomo alzar la mano,
A Carlo un giorno i lividi occlij leva.
Che '1 buon Rinaldo era da lui lontano;
E vedendo la rotta, che poteva _
Darsi in quel punto al popolo cristiano,
Quanta eccellenza d' arme al mondo fusse
Fra tutti i Saracini, ivi condusse.
14. Al re Gradasso, e al buon re Sacripante,
Ch' eran fatti compagni all' uscir fuore
Della , piena d' error , casa d' Atlante,
Di venire in soccorso mise in core.
Alle genti assediate d' Agramante,
E a destruzion di Carlo imperatore;
Ed egli per 1' incognite contrade
Fé' lor la scorta , e agevolò le strade.
15. Ed ad un altro suo diede negozio
D' affrettar Rodomonte e Mandricardo
Per le vestige , donde 1' altro sozio
A condur Doralice non è tardo.
Ke mandò ancora un altro, perchè in ozio
Kon stia Marfisa, né Ruggier gagliardo;
Ma chi guidò 1' ultima coppia, tenne
La briglia più, né, quando gli altri, venne.
16. La coppia di Marfisa e di Ruggiero
Di mezz' ora più tarda si condusse;
Perocch' astutamente 1' angel nero.
Volendo alli Cristian dar delle busse,
Provvide, che la lite del destriero
Per impedite il suo desir non fusse,
Che rinnovata si saria, se giunto
Fosse Ruggiero e Rodomonte a im punto.
17. I quattro primi si trovaro insieme,^
Onde potean veder gli alloggiamenti
Dell' esercito oppresso, e di chi 'l preme,
E le bandiere, che feriano i venti.
Si consigllaro alquanto, e far 1' estreme
Conclusion de' lor ragionamenti,
Di dare ajuto, mal grado di Carlo,
Al re Agramante, e dell' assedio trarlo.
18. Stringonsi insieme, e prendono la via^
Per mezzo , ove s' alloggiano i Cristiani,
Gridando, Africa e Spagna, tuttavia,
E si scoprirò in tutto esser pagani.
Pel ci<mpo. Arme! Arme! risonar s' udia;
Ma menar si sentir prima le mani,
E della retroguardia una gran frotta,
Kon eh' assalita sia, ma fugge in rotta.
19. L' esercito Cristian , mosso a tumulto,
Sozzopra va, senza sapere il fatto.
Estima alcun , che sia un usato insulto.
Che Svizzfiji o Guasconi ahltiano fatto ;
Ma, perdi alla più parte è il caso occulto,
S' aduna insieme ogni nazion di fatto.
Altri a suon di tamburo, altri di tromba:
Grande è il rumore, e fin al cicl rimboiulia.
20. Il magno imperator, fuorché la testa,
È tutto armato , e i paladini ha presso,
E domaiul.indo vien, che «u)sa è questa,
CIh: le sipiadre in disordine gli ha me. so,
E iiiina<:( iando, or qiuisti , or <|uogli arresta;
E vede a molti il viso e il pt'tto fesso.
Ad altri insanguinato il <-apo , o il gozzo.
Alcun tornar con mano , o braccio mozzo.
21. Giunge più innanzi, e ne ritrova molti
Giacere in terra, anzi in vermiglio lago,
]\el proprio sangue orriiùlmente involti,
Né giovar lor può medico , né mago ;
E vede dalli busti i capi sciolti,
E braccia e gambe con crudele immago;
E ritrova , dai primi alloggiamenti
Agli ultimi , per tutto uomini spenti.
22. Dove passato era il picciol drappello,
Di chiara fama eternamente degno.
Per lunga riga era rimaso quello
Al mondo sempre memorabii segno.
Carlo mirando va il crudel macello
Meraviglioso, pien d'ira e di sdegno;
Come alcuno , in cui danno il folgor venne.
Cerca per casa ogni sentier, che tenne.
23. Non era alli ripari anco arrivato
Del re african questo primiero ajuto,
Che con Marfisa fu da un altro lato
L' animoso Ruggier sopravvenuto.
Poich' una volta, o due l' occhio aggirato
Ebbe la degna coppia , e ben veduto,
Qual via più breve per soccorrer fosse
L' assediato signor, ratto si mosse.
24. Come, quando si dà fuoco alla mina,
Pel lungo solco della negra polve.
Licenziosa fiamma arde e cammina.
Siedi' occhio addietro appena se le volve,
E qual si sente poi 1' alta mina.
Che 'l duro sasso, o il grosso muro solve;
Così Ruggiero e 31arfisa veniro,
E tai nella battaglia si sentirò.
25. Per lungo e per traverso a fender teste
Incominciaro, e a tagliar braccia e spalle
Delle turbe, che mal erano preste
Ad espedire e sgombrar loro il calle.
Chi ha notato il passar delle tempeste,
Ch' una parte d' un monte , o d' una valle
Ollende, e 1' altra lascia, s' appresenti
La via di questi duo fra quelle genti.
26. Molti , che dal furor di Rodomonte,
E di quegli altri primi eran fuggiti.
Dio ringraziavan , eh' avea lor si pronte
Gambe concesse, e piedi sì espediti;
E poi , dando del petto e della fronte
In Marfisa e in Ruggier, vedean scherniti,
Come r uom , né per star , né per fuggire,
Al suo fisso destin può contraddire.
27. Chi fugge r un pericolo, rimane
Neil' altro, e paga il fio d' ossa e di polpe.
Cosi cader co' figli in bocca al cane
Suol, sperando fuggir, timida volpe,
Poiché la caccia dell' anti<.he tane
li suo vicin , che le dà mille colpe,
E cautamente con fumo e con foco
Turbata 1' ha da non temuto loco.
28. Nelli ripari entrò de' Saracini
Marfisa con Ruggiero a salvamento.
Quivi tutti , con gli occhj al cicl supini,
Dio ringraziar del luKuio avvenimento.
Or non v' é più tinu)r de' paladini;
Il pili tristo pagan ne sfida (x>nto;
Ed é concluso, che senza riposo
Si torni a far il campo sanguinoso.
![361]
ORLANDO FURIOSO. (XXVH. 29—44)
[362]
SI
29. Corni , Lussoni , timpani moreschi
Enipieno il cicl di formitlabìl suoni.
]Neir aria tremolare ai venti freschi
Si veggon le bandiere e i gonfidoni.
Dall' altra parte i capitan carlesclii
Strìngon con Alamanni e con Britoni
Quei di Francia, d' Italia, e d' Inghilterra,
E si mesce aspra e sanguinosa guerra.
30. La forza del tcrrihil Rodomonte,
Quella di Mandricardo furibondo.
Quella del buon Ruggier, di ^irtù fonte.
Del re Gradasso , si famoso al mondo,
E di Marfisa 1' intrepida fronte,
Col re circasso , a nessun mai secondo,
Feron chiamar San Gianni e San Dionigi
Al re di Francia, e ritrovar Farigi.
Di questi cavalieri e di Marfisa
L' ardire invitto e la mirabil possa
Kon fu, Signor, di sorte, non fu iti guisa,
Ch' immaginar, non che descriver, possa.
Quindi si può stimar, che gente uccisa
Fosse quel giorno, e che crudel percossa
Avesse Carlo. Arroge poi con loro,
Con Ferrali, più d' un famoso Moro.
Molti per fretta s' affogare in Senna,
Che '1 ponte non potea supplire a tanti;
E disiar, come Icaro , la penna,
Perchè la morte avean dietro e davanti.
Eccetto Uggieri , e il marchese di Vienna,
I paìadin fur presi tutti quanti.
Olivier ritornò ferito s(»tto
La spalla destra , Uggier col capo rotto.
E se, come Rinaldo e come Orlando,
Lasciato Brandinrartc avesse il gioco,
Carlo n' andava di l'arigi in bando.
Se polea \ivo uscir di sì gian foco.
Ciò, che potè, fé' Brandimarte; e quando
^ion potè più , diede alla furia lo( o.
Così fortuna ad Agramante arrise,
Ch' un' altra volta a Carlo assedio mise.
34. Di vedovelle i gridi e le querele,
E d' orfani fanciulli , e di vecchj orbi,
Neil' eterno seren , dove Michele
Scdea, salir fuor di questi aeri torbi,
E gli fecion a eder , come il feihle
Fopol preda de' lupi er.i , e de' corbì.
Di Francirf, d' Inghilterra, e di Lamagna,
Che tutta a\ean coperta la campagna.
35. Nel viso «' arrossì 1' angel beato.
Parendogli , die ni il fosse ubbidito
Al Creatore, e si chiamò ingannato
Dalli Discordia perfida, e tradito.
D' ai-ceiider liti tra i pagani dato
Ii<; avea I' assunto, e mal era eseguito;
Au7.i tutto il contrario al >uo dis(;gii(>
l'area a\er fatto , a chi guardava al segno.
SO. Collie ser>o fcdel, che jiiù d' amore.
Che di memoria aliboiidi, e che s' avveggia
.\\vr ìì\i's>;\ in oblilio «:o.-a , eh' a core.
Quanto la vita e l' anima, aver deggia,
Studia (Oli fretta d' emendar 1' errine,
Né vuol, (he prima il >uo ^ign(lr lo veggia:
C-'o.si r angelo a Dio salir iiim volse,
Se dell' obbligo prima non mì sciolse.
37. Al monistcr , dove altre volte avea
La Discordia veduta, drizzò 1' ali.
Trovolla che in capitolo sedea
A nova elezion degli officiali,
E di veder diletto si prendea
Volar pel capo a' frati i breviali.
Le man le pose 1' angelo nel crine,
E pugna e calci le die' senza fine;
38. Indi le ruppe un manico di croce
Per la testa , pel dosso , e per le braccia.
Mercè, grida la misera a gran voce,
E le ginocchia al divin nunzio abbraccia.
Michel non l' abbandona , che veloce
Nel cam|)o del re d' Africa la caccia,
E poi le dice: Aspettati aver peggio,
Se fuor di questo campo più ti veggio !
39. Comcchè la Discordia avesse rotto
Tutto il dosso e le braccia, pur temendo
Un' altra volta ritrovarsi sotto
A quei gran colpi , a quel furor tremendo,
Corre a pigliare i mantici di botto,
Ed agli accesi fochi esca aggiungendo,
Ed accendendone altri , fa salire
Da molti cori un alto incendio d' ire.
M.
41.
E Rodomonte, e Mandricardo, e insieme
Ruggier n' infiamma sì , che innauiù al Moro
Li fa tutti venire, or che non preme
Carlo i pagani , anzi il vantaggio è loro.
Le difl'erenze narrano , ed il seme
Fanno saper, da cui prodotte foro;
Poi del re si rimettono al parere,
Chi di lor prima il campo debba avere.
Marfisa del suo caso anco favella,
E dice, che la pugna vuol finire,
Che cominciò col Tartaro, perdi' ella
Provocata da lui vi fu a venire;
Nò, per dar loco all' altre, vi. Ica quella
Un' ora, non che un giorno, diiVeriie;
Ma d' esser prima fa 1' instanza grande,
Ch' alla battaalia il Tartaro domaiuie.
42
Non men vuol Rodomonte il primi» campo
Da terminar col suo ristai I' iiiipiesa,
Che, per soci^orrer 1' africano campo.
Ha già iiiterrolta, e fin a <jui so>[iesa.
Mette Ruggier le Mie piirolc a campo.
E dice, «he patir troppo gli pesa.
Che Riidomonle il suo de.-tiier gli tc:iga,
E eh' a pugna con lui prima non veng;:.
43, Per più intricarla, il Tartaro vini anche,
E niega, che Ruggiero ad alenii patto
Debba 1' aquila aver dall' ale liiandie;
E d' ira e di furori; è iiisi matto.
Che vuol, quando dagli altri tre non manche.
Combatter tutte le querele a un tratto.
Nò più dagli altri ancor saria mancato.
Se 1 consenso del re vi fos.->e stato.
44. (^in pregili il re Agraniiinte, e linon ricordi.
Fa quanto può, |ierdiè la pace >egua;
E quando allìii tutti li vedi; sordi,
ISè voler assenlire a paci-, o a tregua
\a di>coi-i-eiido, cdiiie .iliiien gli acciu'di.
Siedi»; r un do|io 1' altro il campii a-segua ;
E pel miglior partito alliii gli occorre,
Ch' ognuno a sorte il campo s' abbia a torre.
[383]
OULANDO FURIOSO. (XXVII 45 — 60)
[au-i
45- Fé' quattro Ijrc\ i porre : un Mandricardo
£ Rodomonte insieme scritto avca ;
Neil' altro era Rug-giero e Mandricardo;
Rodomonte e Riiggier l' altro dicea;
Dicca 1' altro iìlarfisa e Mandricardo :
Indi air arbitrio deli' in:$tabil Dea
Li fece trarre; e '1 primo fu il !<ig^nore
Di Sarza a uscir con 3Iandricardo fuore.
46 Mandricardo e Rnggier fu nel secondo,
Nel terzo fu Ruggiero e R()d(tmonte;
Restò Marfisa e 3I.mdricardo in fondo,
Di che la donna el)lie turbata fronte.
Nò Rnggier più di lei parve giocondo;
Sii , che le forze de' duo priiiìi pronte
llan tra lor da finir le liti, in guisa
Che non ne fia per sé , nò per Marfisa.
47. Giacca non lungi da Parigi un loco.
Che volgea un miglio, o poco meno, intorno;
Lo cingca tutto un argine, non poco
Sublime , a guisa d' un teatro adorno.
Un Castel già \ì fu , ma a ferro e a foco
Lo mura e i tetti, ed a mina andoriio.
Un simil può vederne in sulla strada,
Qual volta a Borgo il Parmigiano vada-
48 In questo loco fu la lizza fatta,
Di brevi legni d' ogni intorno chiusa.
Per giusto spazio quadra , al bisogno atta,
Con due capaci porte, come s' usa.
Giunto il di, eh' al re par che si combatta
Tra i cavalier , che non ricercan scusa,
Furo appresso alle sbarre in ambi i lati
Cuntra i rastrelli i padiglion tirati.
49. Nel padiglion, eh' è più verso Ponente,
Sta il re d Algier, eh' ha membra di gigante.
Gli pon lo scoglio imlosso del serpente
L' ardito Ferraù con Sacripante:
Il re Gradasso e Falsiron possente
Sono in queir altro al lato di Levante,
L mctton di sua man l' arme trojane
In dosso al succe.-sor del re Agricane.
50 Sedeva in tribunale ampie» e sublime
11 re d' Africa, e seco era 1' ispano.
Poi Stordilano, e 1" altre genti prime,
Che riveria I' e-ercito pagano.
Beato , a chi pòn dare argini e cime
D' arbori stanza, che gli alzi dal piano!
Grande è la «;alca , e grande in ogni lato
Popolo ondeggia intorno al gran steccato.
51. Eran con la regina di Castiglìa
R(!gin<' e principesse e nobil donne
i)' Aragi.n , di Granata, e di Siviglia,
K fin di prtssso all' atlaiitce colonne;
Tra" q :ai di Stordilan sedca la figlia,
Che di duo drappi avca le ricche gonne,
L' un d' un rosso mal tinto, e l' altro verde;
Ma il primo quasi imbianca, e il color perde.
52. In abito succinto era Marfìsa,
Qual si convenne a donna ed a guerriera.
Termoodonte forse a quella guisa
^idt: Ippolita ornarsi, e la sua schiera.
Già con la cotta d' arme, alla divisa
Del re Agiamanlc, in campo vcniit' era
L' araldo a far divieto, e mi^ltcr leggi,
Che nò in latti» , né in detto alcun parte»"-!.
53. La spessa turba aspetta disiando
La pugna , e spesso incolpa il venir tardo
De' duo famosi cavalieri, quando
S' ode dal padiglion di Mandricardo
Alto rumor, che vien moltiplicando.
Or sappiate , Signor , che '1 re gagliardo
Di Sericana, e '1 Tartaro possente.
Fanno il tumulto e '1 grido , che si sente,
51. Avendo armato il re di Sericana
Di sua man tutto il re di Tartaria,
Per porgli al fianco la spada sovrana,
Che già d' Orlando fu , se ne venia;
Quando nel pomo scritto Durindana
Vide, e '1 quartier, eh' Almonte aver solia.,
Ch' a quel mcschin fu tolto ad una fonte,
Dal giovanetto Orlando in Aspramontc.
55. Vedendola, fu certo, eh' era quella
Tanto famosa del signor d' Anglante,
Per cui , con grande armata , e la più bella
Clic giammai si partisse di Levante,
Soggiogato avea il regno di Castella,
E Francia vinta esso pochi anni innante:
Ma non |)hò immaginarsi, come a-venga,
Ch' or iMandricardo in suo poter la tenga.
56. E dimandogli, se per forza, o patto
L' avesse tolta al conte, e dove, e quando;
E M,indri(;ardo disse, eh' avea fatto
Gran battaglia per essa con Orlando ;
E come finto quel s' era poi matto,
Cosi coprire il suo timor sperando,
Ch' era d' aver continua guerra meco,
Finché la buona spada avesse seco.
57. E dicea , che imitato avea il Castore,
Il qual si strappa i genitali sui.
Vedendosi alle spalle il cacciatore,
Cile sa , che non ricerca altro da lui.
Gradassi) non udì tutto il tenore,
Che disse: Non vo' darla a te, né altrui.
Tanto oro, tanto affanno, e tanta gente
Ci ho speso, che é ben mia debitamente.
58. Cercati |)ur fornir d' un' altra spada,
Cli' io voglio que.-^ta; e non ti paja nuovo!
Pazzo, o saggio eh' Orlando se ne vada,
Averla intendo , ovunque io la ritrovo.
Tu senza testimonj in sulla strada
Te r usurpasti ; io qui lite ne muovo
La mia ragion dirà mia scimitarra;
E faremo il giudicio nella sbarra.
59. Prima di guadagnarla t' apparecchia.
Che tu l' adopri c(nitra Rodomonte.
Di comprar prima l' arme é usanza vecchia,
Cir alla battaglia il cavalier s' all'roiite
Più dohe suini non mi viene ali orecchia.
Rispose, alzando il Tartaro la fronte,
Che quando di battaglia alcun mi tenta:
Ma fa, clic Rodomonte lo con^enta!
60. Fa, che sia tua la prima, e diesi tolga
Il re di .Sarza la tenzon secondti;
E non ti dubitar, eh' io non mi volga,
E eh' a te ed ad ogni altro io non risponda.
Rnggier gridò: Non vo", che si disciolga
Il patto, o più la sorte si confonda.
O Rodomonte in campo prima saglia,
O ili la sua dopo la mia battaglia.
[365]
ORLANDO FURIOSO. (XXVII. «1-76)
[366]
61. Se di Gradasso la ragion prevale,
Prima acquistar, die porre in opra I' arme,
jSè tu r aquila mia dalle liianclie ale
Prima usar dei , che non me ne di>arme.
Ma, poich' è stato il mio voler ^'ìh tale,
Di mia sentenza non voglio appellarmc.
Che sia seconda la baitagiia mia,
Quando del re d' Algier la prima sia.
62. Se turberete voi 1' (»r(!ine in parte,
Io totalmente turberollo ancora.
Io non intendo il mio scudo lasciarte.
Se contra me non lo combatti or ora.
Se r mio e 1' altro di voi l'osse Marte,
Rispose Mandricardo irato all«)ra,
Non saria 1' un né 1' altro atto a vietarme
La buona spada, o quelle nobili arme.
63. E tratto dalla collera avventosse
Col pugno chiuso al re di Sericana,
E la man dcstr.i in modo gli percosse,
Ch' abbandonar gli fece Durindana.
Gradasso, non credendo, eh' egli l'osse
Di così l'olle audacia , e così insana,
Coìto improvviso fu , che stava a bada,
E tolta si trovò la buona spada.
6i. Così scornato, di vergogna e d' ira
Nel viso avvampa, e par che getti foco;
E j)iù r affligge il caso , e lo martira,
Poiché gli accade in sì palese loco.
Rramoso di vendetta si rit.'ra,
A trar la scimitarra , addietro un poco.
Mandricardo in sé tanto si confida,
Che Ruggier anco alla battaglia slida.
!»5. Venite pur innanzi ambedue insieme,
E vengane per terzo Rodomonte,
Africa, Spagna, e tiiJtti V uman seme!
Ch' io son per sempre mai volger la fronte.
Così dicendo quel, die nulla t«^me,
Mena d' intorno la spada d' Almonte,
Lo scudo imbrac<;ia , disdegnoso e fiero,
Contra Gradasso, e coiitra il buon Ruggiero.
i6. Lascia la cura a me, dicca Gradasso,
Ch' io guarisca costui della pazzia!
Per Dio, dicea Ruggier, non te la lasso,
Ch' esser con\ien questa battaglia mia.
Va indi<tro tu! va\>i pur tu! né pus^o
Però tornando, gridan tuttavia;
Ed attaccossi la battaglia in t(-rzo,
Ed era per uscirne un strano scherzo,
57. Se molti non si fossero inlerjiostì
A quel furor, non ceni tn)p|)o consiglio;
Ch' a spese lor ((nasi imparar, che eo>li
Volere altri sahar con suo periglio.
Kè tutto I moiulo mai gli avria composti.
Se non venia, ol re di Spagna, il figlio
Del famoso 'J'ro.jano, al cui <'ospctto
Tutti ebbon riterenza e gran rispetto.
Si fé' Agramanle la eagion esporre
Di qui sta nuo\a lite così ardente;
Poi molto aflaticossi per disporr»-.
Che per quella giornata solamente
A Maiidiicardo la spada d' Ettorre
Concedesse (iraduwso umanamente.
Tanto, eh' avesse fìn 1' aspm c(uite«a,
Ch' uvea giù contra Rodomonte presa.
69. Mentre studia placarli il re Agramante.
Ed or con questo , ed or con quel ragiona.
Dall' altro padiglion tra Sacripante
E Rodomonte un' altra lite suona.
Il re circasso , come é detto innante.
Stava di Rodomonte alla persona.
Ed egli e Ferrali gli aveano indotte
L' arme del suo progenitor Xembrotte.
70. Ed eran poi venuti, ove il destriero
Facea, mordendo, il ricco fren spumoso:
10 dico il buon Frontin , per cui Ruggiero
Stava irac-ondo, e più che mai sdegnoso.
Sacripante, eh' a por tal cavaliero
In campo avea, mirava curioso,
Se ben ferrato, e ben guernito, e in punto
Era il destrier, come doveasi appunto:
TI. E venendo a guardargli più a minuto
I segni e le fattezze isnelle ed atte,
Ebbe fuor d' ogni dubbio conosciuto.
Che questo era il destrier suo Frtuitalatte,
Che tanto caro già s' avea tenuto.
Per cui già avea mille querele fatte ;
E poiché gli fu tolto, un tempo volse
Sempre ire a piede; in modo gliene dolse!
72. Innanzi Albracca glielo avea Brunello
Tolto di sotto quel medesmo giorno ,
Ch' ad Angelica ancor tolse 1' lineilo.
Al conte Orlando Balisarda e "I curno,
E la spada a Marflsa; ed avea quello,
Dopoché fece in Africa ritorno.
Con Balisarda insieme a Ruggier dato,
11 qual r avea Frontin poi nominato.
73. Quando conobbe non si apporre in fallo,
Disse il Circ.isso al re d' Algier rivolto:
Sappi, signor, che questo é mio cavallo,
Ch' ad Albracca per furto mi fu tolto.
Ben avrei testimonj da proxa'lo:
Ma , perché son d.i noi lontani molto,
S' alcun lo nega , io gli vo' »<)-teiiere
Con r arme in man le mie parole vere.
71. Ben son contento, per la compagnia
In questi pochi di st^sta fra noi.
Che prestato il cavallo oggi ti -ia,
Ch' io veggo ben . che senza f.ir non puoi ;
Però con patto, se per cosa mii',
E prestata da me, c(nios«-er aiioÌ ;
.'\ltrament(! d' a>erlo non f.ir stiina,
0 se non lo comliatti meco prima.
75. Rodomonte, del ((uale un [liù orgogli 'so
Non ebbe mai tulio il mcstier dell arme ;
VI (piale in i-s«-r forte e coriiggioso
Ali'uit antico d' agguagliar non parnx :
Rispose: Sacripante, ogni altro, di" o<n.
Fuorché tu, fosse in Ini modo a pirlarme.
('ou suo mal si saria tosto a^tediito.
Che iii(*glio era per lui di nascer muto.
76. Ma, per la <'oui|iagnia , che, come bai dette
Nox'llameiile insieme abbiamo pre<a,
Ti siui contento aM-r tanto ris;^etto,
Cir io t' ammonisca n tardar questa im]>reMi.
Finché della battaglia ^cggi eiretlo,
(^'lie fra il Tartaro e me tosto tia accesa ;
Dove poi'ti un esempio innanzi «pero,
('ir avrai di grazia u dirmi: \libi il dcsfrieio!
|"367]
ORLANDO FURIOSO. (XXVU. T7-92)
[368
n. Gli è teco cortesia 1' esser villano.
Disse il Circasso pian d' ira e di sdegno:
Ma più chiaro ti dico ora , e più piano,
Ciic tn non faccia in quel destiier disegno;
Che te h> di feudo io , tanto che in mano
Questa vindice mia spada sostegno ;
E mctterovvi in.-;!no all' ugna e il dente.
Se non potrò difenderlo altramente.
78. Vciiner dalle parole alle contese,
Ai gridi, alle minacce, alla battaglia.
Che per molt' ira in più fretta s' accese.
Che s' accendesse mai per fuoco paglia.
Rodomonte ha 1' usbergo ed ogni arnese:
Sacripante non ha piastra, né maglia;
Ma par, sì ben con lo schermir s' adopra,
Che tutto con la spada si ricopra.
19. Non era la possanza e la fierezza
Di Rodomonte (^ancorch' era infinita)
Più che la provvidenza e la destrezza.
Con che sue forze Sacripante aita.
Non voltò ruota mai con piii prestezza
Il macigno sovran , che '1 grano trita,
Che faccia Sacripante or mano, or piede,
Di qua, di là, dove il bisogno vede,
80. Ma Ferraù, ma Serpentino arditi
Trasson le spade, e si cacciar tra loro,
Dal re Grandonio , da Isolier seguiti,
Da molt' altri signor del popol moro.
Questi erano i romori , i quali uditi
Neil' altro padiglion fur da costoro.
Quivi per accordar venuti invano
Col Tartaro , Ruggiero , e '1 Sericano.
81. Venne chi la novella al re Agramante
Riportò certa , come pel destriero
Avea con Rodomonte Sacripante
Incominciato un aspro assalto e fiero.
Il re confuso di discordie tanti;,
Dis.-e a Marsilio: Al)bi tu qui pensiero.
Che fra questi guerrier non segua peggio.
Mentre all' altro disordine io proveggio l
82. Rodomonte, che '1 re, suo signor, mira.
Frena l' orgoglio, e torna indietro il passò;
Né con minor rispetto si ritirii.
Al venir d' Agramante, il re circasso.
Quei d(Miianda la causa di tant' ini,
Con real viso, e parlar grave e basso,
K cerca, poiché n' ha compreso il tutto,
Porli d' accordo , e non vi fa alcun frutto.
83. Il re circasso il suo destrier non vuole
Ch' al re d' Algier più lungamente resti,
Se non s' umilia tanto di parole,
Che lo venga a pregar, che glielo presti.
Rodomonte superbo , come suole,
Gli risjionde : Né '1 ciel , né tu faresti.
Clic cosa , che per forza a^ er potessi.
Uà altri, clie da me, mai conoscessi.
84. Il re chiede al Circasso, che ragione
Ila nel cavallo, e come gli fu tcdto.*
E quel di parte in parte il tutto e.-ipone,
Ed ('^punendo s' arrossisce in volto.
Quando gli narra, che '1 sottil ladrone,
Che in un alto puui'ir l' aveva colto.
La «ella ku quattro aste gli siill'olse,
E di sotto il destrier nudo gli toUv-
85.
Marfisa, che tra gli altri al grido venne,
Tostochè '1 furto del cavallo udì.
In viso si turbò, che le sovvenne,
Che perde la sua spada ella quel dì,
E quel destrier , che purve aver le penne
Da lei fuggendo, riconobbe qui;
Riconobbe anco il buon re Sacripante,
Che non avea riconosciuto innante.
86.
Gli altri, eh' erano intorno, e che vantarsi
Brunel di questo aveano udito spesso,
\ erso lui cominciaro a rivoltarsi,
E far palesi cenni, eh' era desso.
Marfisa sospettando , ad informarsi
Da questo e da quell' altro , eh' iivea appresso.
Tanto, che venne a ritrovar, che quello,
Che le tolse la spada, era Brunello.
87. E seppe , che pel furto , onde era degno,
Clie gli annodasse il collo un capestro unto,
Dal re Agramante al tingitano regno
Fu con esempio inusitato assunto.
Marfisa, rinfrescando il vecchio sdegno,
Disegnò vendicarsene a quel punto,
E punir scherni e scorni , che per strada
Fatti le avea sopra la tolta spada.
88. Dal suo scudicr 1' elmo allacciar si fece.
Che del resto dell' arme era guernita ;
Senza usbergo io non troAO che mai diece
Volte fosse veduta alla sua vita,
Dal giorno , che a portarlo assuefece
La sua persona , oltre ogni fede tardità.
Con r elmo in capo andò , dove fra i primi
Brunel sedea negli argini sublimi.
89. Gli diede a prima giunta ella di piglio
In mezzo il petto , e da terra levollo,
Come levar suol col falcato artiglio
Talvolta la rapace aquila il pollo ;
E là , dove la lite innanzi al figlioj
Era del re trojan , così portollo.
Brunel, che giunto in male man si vede,
Pianger non cessa, e domandar mercede.
90. Sopra tutti i rumor , strepiti e gridi.
Di che '1 campo era pien quasi uguabucnte»
Brunel , eh' ora pleiade , ora susfidj
Doniiindando >enia, così si sente,
Ch' al suono di rammarichi e di stridi
Sì fa d' int(U'no accor tutta la gente.
Giunta innanzi al re d' Africa Alarfisa,
Con viso alticr gli dice in questa guisa :
91. Io voglio questo ladro , tuo vassallo,
Con le mie mani impender per la gola,
Perché il giorno medesmo, che '1 cavallo
A costui tulle , a me la spada invola.
Ma s' egli é alcun , che voglia dir , eh' io tà
Facciasi innanzi, e dica una parola!
Che in tua presenza gli vo' sostenere,
Che se ne mente , e eh' io fo il mio dovere.
92. Ma perché si potria forse iin|>ntarme,
Cli' ho atteso a farlo in nie///.o a tante liti,
Montreché qii(>sti più famosi in arme
D' altre quereh; son tutti impediti.
Tre giiu'iii ad iiiipir(-arlo io ><>' indugiarnie.
Intanto, o vieni, o manda, chi 1' aiti!
Che dopo, se non fia chi melo vieti.
Farò di lui mille uccellacci lieti.
369]
ORLANDO FURIOSO. (XX\TI. 93 — 108)
[370]
93. Di qui presso a tre leghe, a quella torre,
Che siede innanzi ad un picciol boschetto,
I Senza più compagnia mi vado a porre,
Che d' una mia donzella e d' un valletto.
! Se alcuno ardisce di venirmi a torre
Questo ladron, là Acnga, eh' io 1' aspetto,
Cosi disse ella; e dove disse, prese
Tosto la via , né più risposta attese.
9i. Sul collo innanzi del destrier si pone
Brunel, che tuttavia tien per le chiome.
Piange il misero , e grida , e le persone,
In chi sperar solca , cliiama per nome.
Resta Agraraante in tal contu>ione
Di questi intrichi, che non vede, come
Poterli sciorre, e gli par via più greve,
Che Marfisa Brunel così gli leve.
95. Non che 1' apprezzi, o che gli porti amore.
Anzi più giorni snn, che 1' odia molto,
E spesso ha d' impiccarlo avuto in core,
Dapoichè gli era stato 1' anel tolto :
Ma quest' atto gli par confra il suo onore,
Sicché n' avvampa di vergogna in volto.
Vuole in persona egli seguirla in fretta,
E a tutto suo poter farne vendetta.
96. Ma il re Sohrino, il quale era presente,
Da questa impresa molto il dissuade,
Dicendogli , che mal conveniente
Era all' altezza di sua mae?tade.
Se hen avesse d' esserne vincente
Ferma speranza, e certa sicnrtadc;
Più, eh' onor, gli Ila biasmo, che si dica,
Ch' abbia vinta una femmina a fatica.
97. Poco r onore, e molto era il periglio
D' ogni battaglia , die con lei pigliasse ;
E che gli diiAa per migiiiu- consiglio,
Che Brunello alle for(-lie aver lasciasse;
E se credesse, che un alzar di ciglio
A torlo dal capestro gli bastasse,
Non do^ea alzarlo , per non contraddire.
Che s' abbia la giustizia ad eseguire.
I. Potrai mandare un , che Marfisa preghi,
Dicea, che in questo giiulice ti fac«ria.
Con promis^ion , che al ladi<incel si leghi
]1 laccio al collo , e a lei si soddisfaccia ;
E quando anco ostinata te lo neghi.
Se r al)l)ia, e il suo de>ir tutt(» compiaccia:
Purché da tna amicizia non ^i spicc-hi,
Brunello e gli altri ladri tutti impicchi.
). Il re Agriiiniint(! voleiitier s' attenne
Al parer di Sobrin , discreto e saggio,
E Marlìsa lasciò, che non h; ^enne,
Kè patì, eh' altri andas.se a farle oltraggio;
Rè (li farla pregare anco sosteinie,
E tollerò, Di(» sa, con die coraggio,
per potere acchctur liti maggiori,
£ del suo campo tor tanti riunuri.
100. Di ciò si rid(! la Discordia pazza,
Che pace; o tregua oiiiai più tviiw. poco.
Scorre di (pia e di là tutta la piazza,
Né può trovar p<'r allegrezza loco.
La Superbia con lei salta e ga\a///.a,
E legna ed esca mi giiiiigcntlo al foco,
E grida sì , v\ìv. (in ncll' alto regno
Muiidu a Midid della vittoria t.v":in).
101. Tremò Parigi, e torbidossi Senna
All' alta voce, a queir orribil grido;
Rimbombò il suon fin alla selva Ardenna,
Sicché lasciar tutte le fere il nido.
Udiron 1' Alpi, e il monte di Gebenna,
Di Blaja e d' Arli e di Roano il lido :
Rodano e Sonna udì, Garonna e il Reno;
Si strinsero le madri i figli al seno.
102. Son cinque cavalier, eh' han fisso il cliiodo
D' essere i primi a terminar su<i lite,
L' una neir altra avviluppata in modo.
Che non 1' avrebbe Apoiline espedite.
I Comincia il re Agrauiante a sciorre il nodo
I Delle prime tenzon, di' aveva udite.
Che per la figlia del re Stordiiano
' Eran tra il re di Scizia, e il suo africano.
|i03. Il re Agramante andò, per porre accordo,
I Di qua e di là più volte, a questo e a quello;
E a questo e a quel più volte die ricordo
Da signor giusto , e da fedel fratello :
E quando parimente trova sordo
1/ un come 1' altro, indomito e rnbello
I Di voler esser (]uel, che resti senza
La donna, da cui vien lor dilTerenza:
104. S' appiglia alfin , come a miglior partito,
Di che ambedue si contentar gli amanti,
Che della bella donna sia marito
L' uno de' duo, quel che vuol essa innanti,
E da quanto per lei sia stabilito.
Più non fi jios.-a andar dietro, né avanti.
Air uno e all' altro piace il compromesso.
Sperando , eh' esser debbia a favor d' esso.
105. Il re di Sarza, che gran tempo prima
Di Alandricardo ama^a Doralice,
Ed ella 1' avea posto in sulla cima
D' ogni favor, eh' a donna casta lice,
Che debba in util suo venir estima
I La gran sentenza , che "I può far felice.
j\é egli avea questa credenza solo,
! Ma con lui tutto il barbaresco stuolo.
il06. Ognun sapea ciò, eh' egli avea già fatto
j Per essa in giostre, in torniamenti, in guerra;
E . (;he stia Mandricardo a questo patto,
Dic(mo tutti , che vaneggia ed erra.
Ma quel, che più fiate, e più di piatto
Con lei fu, mentre il sol stava sotterra,
E sapea, quanto avea di certo in mano,
Ridea del popolar giiidicio vano.
107. Poi lor convenzion ratificaro
In mail del re quei duo prodi! f.imosi.
Ed indi alla donzella se n' andaro;
Ed ella abbassò gli ocdij vergognosi,
E dis.-e, die più il Tart.iro avea caro;
Di che tutti re>làr iiiarav iglio>i,
Ro(loiiionl(r sì atliniito e smarrito,
Che di levar non er.i il viso, ardito.
108. ^la , poidié r usala ira cacciò qii(*ILi
Vergogna, cIk; gli avea la faccia Unta,
lngiu^la e faUa la Miiten/a appella;
E la spada iiiipiigii.mdo, di' egli jm cinta.
Dice, lubiido il re e gli altri, che vuol, (IT dia
(ìli dia perduta i|iiesla causa, o milita,
l'I non r arbitrio di feiiimiiia lieve,
('he kcuipre inchiim a quel, che mcii f.ir deve.
24
[371]
ORLANDO FURIOSO. (XXVII. 109-124)
[:ni
109. Di nuovo Mandricardo era riporto,
Dicendo: Vada pur, come ti pare !
Sicché, priraachè '1 legno entrasse in porto,
\' era a solcare un gran spazio lìi mare;
Se non che '1 re Agramante diede torto
A Rodomonte , clie non può cliiamnre
Più 3Iandricardo per qiielhi querela,
E fé' cadere a quel furor la vela.
110. Or Rodomonte, che notar si vede
Dinanzi a quei signor di doppio scorno,
Dal suo re, a cui per riverenza cede,
E dalla donna sua , tutto in un giorno,
Quivi non volse più fermare il piede,
E dalla molta turba, eh' avca intorno,
Seco non tolse più, che duo sergenti,
Ed usci de' moreschi alloggiamenti.
111. Come , partendo , afflitto tauro suole,
Che la giuvenca al vincitnr cesso abbia,
Cercar le selve e le rive più sole
Lungi dai paschi, o qualche arida sahbia,
Dove muggir non cessa all' ombra e al sole,
]Nè però scema 1' amorosa x-abhia:
Così sen va, di gran dolor confuso,
Il re d' Algier, dalla sua donna escluso.
112. Per riavere il buon destrier , si mosse
Ruggier, che già per questo s' era armato;
3Ia poi di 3Iandricardo ricordosse,
A cui della battaglia era obl)ligato.
Non seguì Rodomonte , e ritornosse,
Per entrar col re tartaro in steccato,
Primach' entrasse il re di Sericana,
Che r altra lite avea di Durindana.
113. Veder torsi Frontin troppo gli pesa
Dinanzi agli occbj , e non poter vietarlo ;
Ma , dato eh' abbia fine a questa impresa,
Ha ferma intenzion di rico^ rarlo.
Ma Sacripante, che non ha contesa,
Come Ruggier, che possa distornarlo,
E che non ha da far altro, che questo,
Per r orme vien di Rodomonte presto.
114. E tosto r avria giunto, se non era
L n caso strano , che trovò tra via,
Che lo fé' dimorar fin alla sera,
E perder le vestige , che seguia.
Trovò nna donna , che nella riviera
Di Senna era caduta , e vi peria.
Se a darle tosto ajiito non veniva.
Saltò neir acqua, e la ritrasse a riva:
115. Poi, quando in sella volse risalire,
Aspettato non fu dal suo destriero,
(^lie fin a sera si fece seguire,
E non si lasciò prender di h-ggiero.
Precelo alfin, ma non seppe venire
Più, donde s' era tolto dal sentiero;
Dngcnto miglia errò tra piano e munte,
Primachè ritrovasse Rodomonte.
116. Dove trovollo , e come fu conteso,
Con di^vantaggio assai di Sacripante;
Come perde il cavallo, e restò preso,
Or non dirò; eh' ho da narrarvi innante,
Di quanto >(lcgn(t e di ([uanta ira acceso
Contra la donim , e c(intr;i il re Agramante,
Del campo Rodonionte >i partiscc,
U ciò, che contra i' uno e I' altro disse.
117. Di cocenti sospir 1' aria accendea,
Dovunque andava il Saracin dolente.
Eco, per la pietà, che gli n' avea.
Da' cavi sassi rispondea sovente.
Oh femminile ingegno, egli dicea,
Come ti volgi , e nuiti facilmente.
Contrario oggetto proprio della fede!
Oh infelice, oh miser, chi ti crede!
118. Né lunga servitù, né grande amore,
Cile ti fu a mille prove manifesto,
Ebbono forza di tenerti il core,
Che non fosse a cangiarsi almen sì presto.
Non , perché a Mandricardo inferiore
Io ti paressi, di te privo resto;
Né so trovar cagione ai casi miei,
Se non quest' una , che femmina sei.
119. Credo , che t' abbia la natura e Dio
Produtto, o scellerato sesso, al mondo
Per una soma , per un grave fio
Dell' uom, che senza te saria giocondo;
! Come ha produtto anco il serpente rio,
E il lupo, e r orso, e fa 1' aer fecondo
i E di mosche, e di vespe, e di tafani,
j E loglio e avena fa nascer tra i grani.
1 120. Perchè fatto non ha 1' alma natura,
Che senza te potesse nascer 'uomo,
Come s' innesta, per umana cura,
L' un sopra 1' altro il pero, il sorbo, e '1 pomo?
Bla quella non può far sempre a misura;
Anzi, s' io vo' guardar, come io la nomo,
j Veggo , che non può far cosa perfetta,
i Poiché Natura femmina vien detta.
il21. Non siate però tumide e fastose,
j Donne, per dir, che 1' uom sia vostro figlio;
j Che delle spine ancor nascon le rose,
I E d' una fetida erba nasce il giglio:
Importune, superbe, dispettose,
I Prive d' amor , di fede e di consiglio,
j Temerarie, crudeli, inique, ingrate,
I Per pestilenza eterna al mondo nate!
'122. Con queste, ed altre, ed infinite appresso
Querele il re di Sarza se ne giva.
Or ragioiiaiulo in un parlar sommesso.
Quando in un suon, che di lontan s' udiva,
! In onta e in biasmo del femmineo sesso :
' E certo da ragion si dispartiva;
Che, per una, o per due, che trovi ree,
\ Che cento buone sicn , creder si dee.
: 123. Sebben di quante io n' abbia fin qui amate,
Non n' abbia mai trovata una fedele.
Perfide tutte io non vo' dir, né ingrate,
Ma darne colpa al mio destin crudele.
Molte «)r ne sono, e più già ne son state,
(Jhe non dan causa ad uom, che »i (luercle ;
Ma mia fortuna vuol, che, s' una ria
Ne sia tra cento, io di lei preda sia.
124. Pur vo' tanto cercar primach' io mora.
Anzi primachè '1 criii più mi s' imbianchi.
Che forse dirò un dì, che per me ancora
Alcinia sia, che di sua fé non manchi.
Se questo avvicn, (che di speranza fuora
Io non ne son) nini lia mai, eh' io mi stanchili
Di farla, a mia possanza, gloriosa.
Con lingua, con inchiostro, e in verso, e in prosa
i 3T3]
ORLANDO FURIOSO. (XXVII. 125-140)
[3T4]
25. 11 Saraciii non avea manco sdegno
Centra il suo re , che centra la donzella ;
E cosi di ragion passava il segno,
Biasniando lui , come biasinando quella.
Ha disio di veder, che sopra il regno
Gli cada tanto mal, tanta procella,
Che ili Africa ogni casa si funesti,
Kè pietra salda sopra pietra resti ;
.25. E che, spinto del regno, in duolo e in lutto
Viva Agramante, misero e mendico;
E eh' esso sia, che poi gli renda il tutto,
E Io riponga nel suo seggio antico,
E della fede sua produca il frutto,
E gli faccia veder , che un vero amico
A dritto e a torto esser dovea preposto,
Se tutto '1 mondo se gli fosse opposto.
27. E così, quando al re, quando alla donna,
Volgendo il cor turl)ato , il Saracino
CaA alca a gran giornate , e non assonna,
E poco riposar lascia Frontino.
Il dì seguente, o 1' altro, in sulla Senna
Si ritrovò 5 eh' avea dritto il cammino
Verso il mar di Provenza , con disegno
Di navigare in Africa al suo regno.
.28. Di barche, e di sottil legni era tutto,
Fra r una ripa e 1' altra, il fiume pieno.
Che, ad uso dell' esercito, condutto
Da molti lochi vettovaglie .ivieno;
Perchè in poter de' ]\Iori era ridiitto,
Acuendo da Parigi al lito ameno
D' Acqnamorta, e voltando inver la Spagna,
Ciò che v' è da man destra di campagna.
i29. Le vettovaglie in carra ed in giumenti,
Tolte fuor delle navi, erano carche,
E tratte, con la scorta delle genti.
Ove venir non si potea con hart-he.
A^ean piene le ripe i grassi armenti
Qui^i condotd da diverse marche,
E i conduttori intorno alla riviera
Per varj tetti albergo avean la sera.
130. Il re iV Algicr, perchè gli sopravvenne
Quivi la notte , e 1' aer nero e cieco,
D' un ostier paesan V iu\it(» tenne,
Che lo pregò, che rimanesse seco.
Adagiato il destrier, la nu^nsa veiuic
Di varj cibi, e di viu cor.»o e greco:
Che '1 Saracin nel resto alla moresca.
Ma volse far nel bere alla francesca.
131. L' oste, con buona mensa e miglior viso.
Studiò di fare a Kodomontt; oniu'e ;
Che la pres(!nza gli «lie' certo avviso,
Ch' era uomo illustre, e pieii d' alto valore :
Ma quel, che da sé stesso era diviso,
Rè quella sera avea ben seiM» il c«»re,
Che mal suo grado s' era riccuidotto
Alla donna già siui , non Iacea motto.
182. 11 buon ostier, che fu dei diligenti,
Che mai si sien per !•' rancia ricordati,
Quando tra le lu-micbe e strane genti
li' albergo e i beni suoi s' avea salvati,
P«T servir quivi, alcuni suoi parenti
A tal servigi!» pronti, avea chiamati;
De' quai non era alcun di parlar oso.
Vedendo il Saracin unito e pensoso.
13. Di pensiero in pensiero andò vagando
Da sé stesso lontano il pagan molto,
Col viso a terra chino, né levando
Si gli occlij mai, eh' alcun guardasse in volto.
Dopo un lungo star cheto, sospirando,
Siccome d' un gran sonno allora sciolto
Tutto si scosse, e insieme alzò le ciglia,
E voltò gli occlìj air oste e alla famiglia.
134. Indi ruppe il silenzio , e con senil)ianti
Più dolci un poco , e viso men turbato,
Domandò all' oste e agli altri circostanti
Se d' essi alcuno avea mogliere allato.
Che r oste, e che quegli altri tutti quanti
L' aveano, per risposta gli fu dato.
Domanda lor quel, che ciascun si crede
Della sua donna nel servargli fede.
135. Eccetto V oste, fèr tutti risposta,
Cile si credeano averle e ca>te, e buone.
Disse r oste: Ognun pur creda a sua posta,
Ch' io so , eh' avete falsa opinione.
Il vostro sciocco credere ^i costa,
Ch' io stiìui ognun di aoì senza ragione;
E così far questo signor deve anco.
Se non vi vuol mostrar nero per bianco.
136. Perchè, siccome è sola la fenice,
'Sii mai più d' una in tutto il mondo vive.
Così, né mai più d" uno esser si dice.
Che della moglie i tradimenti schive.
Ognun si crede d' esser quel felice,
D' esser quel sol , eh' a questa palma arrive.
Come è possibil, che v' arrivi ognuno,
Se non ne può nel mondo esser più d' uno?
137. Io fui già nell' error, che siete voi.
Che donna casta anco più d' una fussc.
Un gentil uomo di Venezia poi,
Che qui n)ia buona sorte già condusse.
Seppe far sì, con veri esempj suoi.
Che fuor dell' ignoranza mi ridusse.
Gian Francesco \ alerio era nomato,
Che '1 nome suo non mi s' è mai scordato.
138. Le fraudi, che le mogli e che le amiche
Sogliono usar, sapea tutte per conto;
E sopra ciò moderne istorie e antiche,
E proprie esperienze avea sì in pronto,
Che mi mostrò , che mai donne pudiche
Rou si trovare», o p(»vere , o di conto;
E, s' una casta più dell' altra parse.
Venia, perchè più acciuta era a celarsc.
139. E fra r altre, che tante me ne disse,
Che non ne posso il ter.o ricord.irmi,
Si nel capo ima istoria mi si scrisse,
Che n(ui si scurisse mai più saldo in marmi;
lì ben parria a ciasitnno, che 1' udisse,
Di queste rie quel, eh" a mi- parve, e parmi:
E se, signore^, a vi)i non spìacu udire,
A lor confusion ve la ^u' dire.
HO. Rispose il Saracin : Che puoi tu farmi,
VAìv più al presente mi diletti e piaccia.
Clic dirmi istorili, e qualclie esempio darmi,
f'Iie con r o)iinion mia si confaccia.-'
Penile io |)Ossa lulir nu-glio , e tu narrarmi,
Si<-dimi inciMilra, eh' io ti vegga in faccia!
Ma nel canto, che segue, io v' ho da dire
Quel , che fo' 1' oste a Uodonu)nte udire.
24 ♦
[375]
ORLANDO FURIOSO. (XXVIII. 1 - 12)
[3T(
CANTO VENTESIMOTTAVO.
ARGOMENTO.
Rodomonte dalV oste intende indegno
Biasimo delle donne. Ah lingua fella!
Portesi col -pcnsier ri' ir nel suo regno^
E poi si ferma in una chiesa bella;
Ma non depone giù V ira e lo sdegno.
Per fin che vede il volto d' Isabella.
Di lei s' accende, e H monaco barbato
Si dispon con furor torsi da lato.
1. Donne, e toI, che le donne avete in pregio,
Per Dio , non date a questa istoria orecchia,
A questa , che 1' ostier dire in dispregio,
E in vostra infamia e biasmo s' apparecchia!
Benché né macchia vi può dar, né fregio
Lingua si vile, e sia 1' usanza vecchia.
Che '1 volgare ignorante ognun riprenda,
E parli più di quel , che meno intenda.
2. Lasciate questo canto ! che senz' esso
Può star r istoria, e non sarà men chiara.
Mettendolo Turi)ino, aneli' io 1' lio messo,
Non per malevolenza, né per gara.
Ch' io v' ami, oltre mia lingua, che l'ha espresso,
Che mai non fu di celebrarvi avara,
>' ho fatto mille pi-ove, e v' ho dimostro,
Ch' io son , né potrei esser , se non a ostro.
3. Passi chi vuol, tre carte, o quattro, senza
Lcggci-ne verso ; e chi pur legger vuole,
Gli dia quella medesima credenza,
C^he si suol dare a finzioni e a fole!
Ma, tornando al dir nostro, poich' udienza
Apparecchiata vide a sue parole,
E (laisi luogo incontra al cavaliero,
Co?ì r istoria incominiciò 1' ostiero :
4. Astolfo, re de' Longobardi, quello,
A cui lasciò il fratel monaco il regno,
Fu nella giovinezza sua sì l)ello,
Che mai pochi altri giunsero a quel segno.
]\' a^ria a fatica un tal fatto a pennello
Apelle, o Zeu^i, o se v' è alcun più degno.
Dello era, ed a ciascun (;osì |)area;
Ma di molto egli ancor più si tenea.
5. Non stimava egli, tanto per 1' altezza
Del grado suo, d' avere ognun minore,
^è tiinto, clic di genti e di ricchezza
Di tutti i re vicini era il maggiore,
Quantocbi' di presc-nza e di bellezza
Avea per tutto 1 nu>Mdo il priuui onore,
(ìodca, di qnc-to udendoci dar loda,
(guanto di cosa volcnlier più s' oda.
6. Tra gli altri di sua corte, avea assai grato,
Fausto Latini, un cavalier romano,
Con cui sovente essendosi lodato.
Or del bel viso, or della bella mano.
Ed avendolo un giorno domandato.
Se mai veduto avea , presso o lontano,
Altro uora di forma cosi ben composto.
Centra quel , che credea , gli fu risposto.
7. Dico, rispose Fausto, che secondo
Ch' io veggo , e che parlarne odo a cIascuilO||
INella bellezza hai pochi pari al mondo,
E questi pochi io li restringo in uno.
Quest' uno è un fratel mio, detto Giocondo.
Eccetto lui, ben crederò, eh' ognuno
Di beltà molto addietro tu ti lassi.
Ma questo sol credo t' adegui e passi.
8. Al re parve impossibil cosa udire,
Che sua la palma infin allora tenne j
E d' aver conoscenza alto desire
Di si lodato giovane gli venne.
Fé' sì con Fausto , che di far venire
Quivi il fratel prometter gli convenne;
Bendi' a poterlo indtu* , che ci venisse.
Saria fatica , e la cagion gli disse :
9. Che '1 suo fratello ei-a uom, che mosso il pi(
Mai non avea di Roma alla sua vita.
Che del ben, che fortuna gli concede,
Tranquilla, e senza affanni ave<i nodrita:
La roba, di che '1 padre il lasciò erede,
Ne mai cresciuta a^ea, né minuita;
E che parrebbe a lui Pavia lontana
Più, che non parria a un altro ire alla Tan;
10. E la difficultà saria maggiore !
A poterlo spiccar dalla mogliere.
Con cui legato era di tanto amore.
Che, non volendo lei, non può volere.
Pur , jìer ubbidir lui , che gli è signore
Disse d' andare , e far oltre il potere.
Giunse il re ai preghi tali offerte e doni,
Che di negar non gli lasciò ragioni.
11. Partissi , e in pochi giorni ritrovossc
Dentro di lloma alle paterne case.
Quivi tanto pregò, che '1 fratel mosse
Sicch' a venire al re gli persuase;
E fece ancor, benché difiicil fosse,
Clic la cognata tacita rimase,
Proponendole il ben, che n' usciria.
Oltre eh' (tbbligo sempre egli le ayria.
12. Fisse Giocondo alla partita il giorno,
Trovò cavalli e scrvit(ui intanto.
Vesti fé' far, per comparire adorno;
Che talor cresce una bella un bel manto.
La notte al lato, e 'l dì la moglie intorno,
Con gli occbj iid ora progni di \iianto
Gli dice, die non sa, come patire
Potrà tal lontananza , e non morire ;
rsn]
ORLANDO FURIOSO. (XXVIII. 13—28)
[378]
13. Che , pensandone sol , dalla radice
Sveller si sente il cor dal lato manco.
Deh! vita mia, non piangere, le dice
Giocondo, e seco piange egli non manco;
Cosi mi sia questo cammin felice.
Come tornar vo' fra duo mesi almanco :
Kè mi faria passar d' un giorno il segno,
Se mi donasse il re mezzo il suo regno.
14. ]Nè la donna perciò si riconforta :
Dice , che troppo termine si piglia ;
E s' al ritorno non la trova morta.
Esser non può , se non gran meraviglia.
]Non lascia il dutil, che giorno e notte porla,
Che gustar cibo , e chiuder possa ciglia;
Talché per la pietà Giocondo spesso
Si pente, eh' al fratello abbia promesso.
15. Dal collo un suo monile ella si sciolse,
Ch' una crocetta avea ricca di gemme
E di sante reliquie, che raccolse
In molti luoghi un pellegrin boemme ;
Ed il padre di lei , che in casa il tolse.
Tornando infermo di Gerusalemme,
Venendo a morte poi , ne lasciò crede ;
Questa levossi , ed al marito diede,
16. E che la porti per suo amore al collo,
Lo prega, sicché ognor gli ne sovvenga.
Piacque il dono al marito, ed accettollo,
Non perchè dar ricordo gli convenga.
Che né tempo , né assenza mai dar crollo,
Ké ])Uona o ria fortuna, che gli avvenga,
Potrà a quella memoria salda e forte,
Ch' ha di lei sempre, e avrà dopo la morte.
17. La notte, eh' andò innanzi a quella aurora,
Che fu il termine estremo alla partenza.
Al suo (iiocondo \y>ic , die 'u braccio mora
La moglie, che n' ha tosto da star senza.
Mai non si dorme, e innanzi al giorno un' ora
^ iene il marito all' ultima licenza.
Montò a cavallo, e si parli in ell'etto;
E la moglier si ricorcò nel Ietto.
18. Giocondo ancor duo miglia ito non era.
Che gli venne la croce raccordala,
Cir avea sotto il guancial messa la sera,
Poi, per obblivion, 1' avea lasciala.
Lasso! (dicea tra se) di che maniera
Troverò scusa, clie mi sia ac(;etlata.
Che mia moglie non creda, che gradito
Poco da me sia 1' amor suo infinito?
19. Pensa la scusa , e poi gli cade in mente,
Che non sarà accettabile, né buona,
Mandi faiiiìgii, o mandici altra gente,
S' egli mcilcf-ino non ^ì va in pcr»ona.
Si Icrma, v al fralel (lic(;: Or pianamente
Fin a Itaccano al primo albergo sprona!
('Ile dentro a Kiiiiia è forza cIT io ri\ada,
E credo anco ili giungerti per ^lrada.
20. Non potria fare altri il bisogno mio;
Né dubitar, eh' io sarò to.-lo Irco.
Voltò il ronzili di trotto, e disse addio,
Né de' famigli suoi volse alcun «eco.
Già comiiiciina, quando pas.-<ò il rio,
Diiiair/i al sole a fuggir I' aer cieco.
Smonta in < a-a . va al Iclto, e la consorte
Quivi ritrova addoriiicnlala forte.
21. La cortina levò senza far motto,
E vide quel , clie men veder crcdea.
Che la sua casta e fedel moglie sotto
La coltre, in braccio a un giovane giacca.
Riconobbe 1' adultero di biitto,
Per la pratica lunga, che n' avea;
Ch' era della famiglia sua un garzone.
Allevato da lui, d' umil nazione.
22. Se attonito restasse, e mal contento,
Meglio è pensarlo , e farne fede altrui,
Ch' esserne mai per far 1' esperimento.
Che, con suo gran dolor, ne fé' costui.
Dallo sdegno assalito, ebbe talento
Di trar la spada, e ucciderli ambedui:
]\Ia dall' amor , che porta , a suo dispetto.
All' ingrata moglier, gli fu interdetto.
23. Né lo lasciò questo ribaldo amore
(Vedi , se se 1' avea fatto vassallo !)
Destarla pur , per non le dar dolore,
Che fosse da lui colta in sì gran fallo.
Quanto potè più tacito uscì fuore,
Scese le scale, e rimontò a cavallo;
E , punto egli d' amor , così lo punse,
Ch' all' albergo non fu , che '1 fratel giunse.
24. Cambiato a tutti parve esser nel volto ;
Vider tutti, che '1 cor non avea lieto;
Ma non v' é, chi s' apponga già di molto,
E possa penetrar nel suo secreto.
Credeano, che da lor si fosse tolto
Per gire a Roma, e gito era a Corneto.
Che amor sia del mal causa, ognun s' avvisa,
Ma non é già chi dir sappia , in che guL^a.
25. Estimasi il fratel , che dolor abbia
D' aver la moglie sua sola lasciata ;
E pel contrario duolsi egli ed arrabbia,
Che rimasa era troppo accompagnata.
Con fronte <-respa, e con gonfiate labbia
Sta r infelice, e sol la terra guata.
Fausto, eh' a confortarlo usa ogni prova,
Perchè non sa la causa , poco giov a.
26. Di contrario liquor la piaga gli unge,
E, dove tor dovria, gli accresce doglie;
Dove dovria saldar, più T apre e punge:
Questo gli fa col ricordar la moglie.
Né posa di, né notte; il sonno lungo
Fugge col gusto, e mai non si raccoglie;
E la faccia, che dianzi era si bella.
Si cangia sì , che più non sembra quella.
27. Par, che gli occbj sì ascondan nella testa.
Cresciuto il naso par nel vìm» scarno:
Della beltà si jnica gliene re.>ta.
Che ne potrà far parai^one indarno.
Col diiol \eiine una li libre .-i molcsla,
Che lo fé' soggiornare all' Arbia e all' Arno;
E se di bello avi-a serbata cosa,
Tosto rcv-tò, come al sol colla rosa.
28. (ìllie eh" a Kaii-lo iiicrcsca del fratello,
(^hi; reggia a siiiiil Icriiiiiie coiidiitlo,
A ia più gì' iiici'fsce. che bugiardo a (|uello
PriiK'ipe. Il cbi lodollo, parrà in tulio.
IVlo.strar di (ulti gli uomini il più bello
(ìli a\ca |iri)iiir>so, e mostrerà il più brullo.
Ma pur conliiiiiaiido la sua via,
Seco lu trasse allìii dentro ii l'uria.
[379]
ORLANDO FURIOSO. (XXVIU. 29—44)
[3b(
29. Già non atioI , che lo veg'gìa il re impro'v'^ iso.
Per non mostriiisi dì giiitlicio privo;
Ma per lettere innanzi gli dà avviso,
Che '1 suo fratel ne viene appena vivo,
E eh' era stato all' aria del bel viso
Un affanno di cor tanto nocivo,
Accompagnato da una febbre ria,
Che più non parea quel , eh' esser soh'a.
30. Grata ebbe la venuta di Giocondo,
Quanto potesse, il re d' amico avere;
Che non avea desiderato al mondo
Cosa altrettanto , che di lui vedere.
IN'è gli spiace vederselo secondo,
E di bellezza addietro vimanei'e;
Benché conosca , se non fosse il male,
Che gli saria superiore , o uguale.
31. Giunto, lo fa alloggiar nel suo palagio.
Lo visita ogni giorno , ognora n' ode,
Fa gran provision, che stia con agio,
E d'onoi-arlo assai si studia e gode.
Langue Giocondo , che '1 pensier malvagio,
Ch' ha della ria moglier, sempre lo rode;
Kè 'l veder giochi, né musici udire,
Dramma del suo dolor può minuire.
32. Le stanze sue , che sono appresso al tetto
L' ultime , innanzi hanno una sala antica.
Quivi solingo, perchè ogni diletto,
Perdi' ogni compagnia prova nimica.
Si ritraea, sempre aggiungendo al petto
Di più gravi pensier nova fatica ;
E trovò quivi, or chi Io crederia?
Chi lo sanò della sua piaga ria.
33. In capo della sala, ove è più scuro,
Che non vi s' usa le finestre aprire,
Vede, che 'l palco mal si giunge al muro,
E fa d' aria più chiara un raggio uscire.
Pon r occhio quindi , e vede quel , che diu'o
A creder fora a chi T udisse dire:
Non r ode egli d' altrui, ma se lo vede;
Ed anco agli occhj suoi proprj non crede.
34. Quivi scopria della regina tutta
La più secreta stanza, e la più belili,
Ove persona non verria introdutta.
Se per molto fedel non V avesse ella.
Quindi mirando vide in strana lutta,
Ch' un nano avviticchiato era con quella;
Ed era quel piccin stato si dotto,
Che la regina avea messa di sotto,
35. Attonito Giocondo e stupefatto,
E credendo sognarci, un pezzo stette;
E quando vide pur, eh' egli era in fatto,
E n«tn in sogno, a se stesso credette.
A uno scrignuto mostro, e contrafiatto
Dimqiie, disse, costei si sottomette.
Che '1 maggior re del mondo ha per marito.
Più bello e più cortese.'' oh che appetito!
3(1. E della moglie sua, che così spesso
Più d' ogni altra l)ia>ma\a, ricordosse,
l'crcbè l ragazzo s' avea tolto a|)presM);
Ed or gli parve, the cscusabii fosse.
Non «Mii colpa sua, più clie del se»so,
Che d' un si>l mimmo mai non ciintcìitosse ;
E s' han tutte una uiaccliia d' un inchiostro,
Almen l«i buu non s' uvea tolto un mostro.
37. Il di seguente alla medesima ora.
Al medesimo luogo fa ritorno,
E la regina e il nano vede ancora,
Che fanno al re pur il mcdesnu» scorno :
Trova r altro dì ancor , che si lavora,
E r altro, e alfin non si fa festa giorno;
E la regina, che gli par più strano.
Sempre si duol , che poco 1' ami il nano.
38. Stette, fra gli altri, un giorno a veder, eh' e!
Era turbata, e in gran malinconia;
Che due volte chiamar per la donzella
Il nano fatto avea, né ancor Aenia.
Mandò la terza volta , ed udì quella,
Che, Madonna, egli giunca, riferia ;
E per non stare in perdita d' un soldo,
A voi niega venire il manigoldo.
39. A sì strano spettacolo Giocondo
Rasserena la fronte e gli occhj e '1 viso;
E quale in nome , diventò giocondo
D' effetto ancora, e tornò il pianto in riso.
Allegro torna, e grasso e rubicondo.
Che sembra un cherubin del paradiso,
Cb.e il re, il fratello, e tutta la famiglia
Di tal mutazion si meraviglia.
40. Se da Giocondo il re bramava udire,
Onde venisse il subito conforto,
]Non inen Giocondo lo bramava dire,
E fare il re di tanta ingiuria accorto.
]\Ia non vorria, che, più di sé, punire
Volesse il re la moglie di quel torto;
Sicché, per dirlo, e non far danno a lei,
11 re fece giurar sull' agnusdei.
41. Giurar lo fé', che né per cosa detta,
]Nè che gli sia mostrata, che gli spiaccia,
Ancorch' egli conosca, else diretta-
Mentc a sua maestà danno si faccia,
Tardi , o per tempo mai farà vendetta ;
E di più, vuole ancor, che se ne taccia
Sì, che né il malfattor giammai comprenda
In fatto o in detto , che "1 re il caso intenda.
42. Il re, eh' ogni altra cosa, se non questa,
Creder potria, gli ginrò largamente.
Giocondo la cagion gli manifesta,
Ond' era molti dì stato dsilente;
Perché trovata avea la disonesta
Sua moglie in braccio d' un suo vii sergente,
E che tal pena alfin 1' avrebbe morto.
Se tardato a venir fosse il conforto.
43. IMa in casa di sua alte/.za avea veduto
Cosa, che molto gli scemava il dtuilo;
Che, sebbene in obbrobrio era caduto,
Era almen certo di non v' esser solo.
Così dicendo, e al bnrolin venuto,
Gli dimostro il bruitissinio omicriuolo.
Che la giumenta altrui sotto si tiene.
Tocca di sproni, e fa giocar di schiene.
44. Se parve al re vituperoso 1' atto,
liO creilcrete ben, seiizaih' io 'l giurì.
IVe fu per arrabbiar, per venir nuitto,
INc fu per dar del capo in tutti i muri.
Fu per gridar, fu per non stare al patto;
Ma forza é, clu; la bocca alfin >i turi,
E che r ira trangugi amara ed aera.
Poiché giurato a^eu suU' ostia sacra.
181]
ORLANDO FURIOSO. ( XXV1IL45--60)
[382]
15.
16.
17.
Che debbo far , che mi consigli , frate,
DUse a Giocondo , poiché tu mi tolli,
Che con degna vendetta e crndeltate
Questa giustissima ira io non satolli?
Èasoiam , disse Giocondo , queste ingrate,
E proviam , se son 1' altre così molli !
Facciam delle lor femmine ad altrui
Quel , eh' altri delle nostre han fatto a nui.
Ambi giovani siamo , e di bellezza,
Che facilmente non troviamo pari.
Qnal femmina sarà, che n' usi asprezza,
Se coiitra i brutti ancor non han ripari?
Se beltà non varrà, nò giovinezza,
Varranne almen 1' aver con noi danari.
INon vo', che tornì, die non abbia prima
DI mille mogli altrui la spoglia opima.
La lunga assenza, il veder varj luoghi,
Praticare altre femmine di fuore,
Par , che sovente disacerbi e sloghi
Dell' amorose passioni H core.
Lauda il parer; nò vuol, che si proroghi
Il re r andata, e fra pochissime ore.
Con duo scudieri, oltre alla compagnia
Del cavalier roman , si mette in via.
18. Travestiti cercaro Italia e Francia,
Le terre de' Fiamminghi e degl' Inglesi ;
E quante ne vedean di bella guancia,
Trovavan tutte ai preghi lor cortesi.
Davano , e data loro era la mancia,
E spesso rimetteano i dauar spesi.
Da lor pregate fiiron molte , e foro
Anch' altrettante, che pregaron loro.
In questa terra un mese, in quella dui
Soggiornandi) , accertarsi a v ra prova,
Che non men nelle lor, che ncU' altrui
Femmine fede e castità si trova.
Dopo alcun tcuipo increbbe ad ambedui
Di sempre procacciar di cosa nova;
Che mal poteano entrar nell' altrui porte,
Senza mettersi a rischio della morte.
iO. Gli è meglio una trovarne, che di faccia
£ di costumi ad aml)i grata sia,
Clie lor comunemculc soddisfaccia,
E non n' abbian d' aver mai gelosia.
E perchè, dicoa il ro, vuoi, che mi spiaccia
Aver più te, eh' un altro in compagnia?
So ben, che in tutto il gran femmineo sIììì;1o
Una non è, che stia <;ontenta a un solo.
j»l. Una, senza sforzar nostro potere.
Ma quando il naturai Itisogiio inviti,
In fe.ta godereuu)ci , e in piacM'rc;
Che mai contese non avrcm , nò liti.
Né credo, che i>i dt-blia ella dolere:
Cile m' anco ogni altra av(rsse duo mariti.
Più eh' ad un solo, a duo saria f<;dek',
Kè forse h' udirian tante querele.
Di quel, che disse il re, molto contento
llimaiu;r par\e il giovani; romano.
Duii<|U(; fermati in tal proponimento,
('«Tcàr molte uKMitagne e molto piano,
'l'ro^aro alfin , s(;condo il loro intento,
Ina (igliuola d' un ostieri» i>paiio.
Che tenea albergo ni porto di \ alen/.a,
Hella di modi , e bella di presenza.
J9,
)2
53. Era ancor sul fiorir di primavera
Sua tenerella e quasi acerba etaile.
Di molti figli il padre aggravato era,
E nimico mortai di povertade;
Sicché a dispnrlo fu cosa leggiera.
Che desse lor la figlia in potestade,
Ch' ove piacesse lor, potessin trarla.
Poiché promesso avean di ben trattarla.
54. Pigliano la fanciulla , e piacer n' hanno
Or r uno, or V altro, in caritade e in pace;
Come a vicenda i mantici , che danno,
Or r uno, or 1' altro, fiato alla fornace.
Per veder tutta Spagna indi ne vanno,
E passar poi nel regno di Slface,
E '1 dì , che da Valenza si partirò,
Ad albergare a Zattiva veniro.
55. I padroni a veder strade e palazzi
Ne vanno, e lochi pubblici e divini;
Che usanza han di pigliar simil sollazzi
In ogni terra , ove entran peregrini ;
E la fanciulla resta co' ragazzi.
Altri i letti, altri acconciano i ronzini;
Altri hanno cura, che sia, alla tornata
Dei signor lor, la cena apparecchiata.
56. Neir albergo un garzon stava per fante,
Che in casa della giovane già stette
A' servigi del padre , e d' essa amante
Fu da' primi anni, e del suo amor godette.
Ben s' adocchiar, ma non ne fér sembiante;
Ch' esser notato ognun di lor temette:
Ma tostoché i padroni e la famiglia
Lor dieron luogo , alzar tra lor le ciglia.
57. Il fante domandò, dove ella gisse,
E qual dei duo signor l' avesse seco ?
Appunto la Fiammetta il fatto disse.
(Così avea nome, e quel garzone il Greco.)
Quando sperai, che '1 tempo, oiraù , venisse.
Il Greco le dicea, di viver teco,
Fiaunnetta, anima mia, tu te ne vai,
E non so più di rivederti mai.
58. Fannosi i dolci miei disegni amari,_
Poiché sei d' altri , e tanto mi ti scosti.
Io disegnava , avendo alcun danari
Con gran fatica e gran sudor riposti.
Che avanzato m' avea de' miei salarj,
E delle benandate di molti osti.
Di tornare a Valenza, e donrandarti _
Al padre Ino per moglie, e di sposarti.
59. La f.inciiilla negli omeri si siringe,
E risponde, «;be fu tardo a venire.
Piange il Greco, e sospira, e piirte finge.
Vuoimi, dice, lasciar co>i nutrire?
Con [r. tui- br.iccia i fianchi almen mi cinge;
liasciami di-fogar tanto desire!
Che iiuianziitbè tu parta , ogni momento.
Che teco io >tia, mi la morir conlento.
60. La pìifosa fanciulla rispondendo:
(Vedi, dicea, che mrn di te noi bramo;
Ma né lnogi>, né tempo ci compreiulo
Qui, dove in mezzo di tanti occhj >i.nuo.
il («reco soggiungra: ('erto mi rendo,
Vìw se un terzo ami me di quel . ih' io l' amo.
in qni'-ta notte almen troverai loro.
Clic ci poi rem godere insieme mi poco.
[383]
ORLANDO FURIOSO. (XXVIIl. 61-70)
[38-
61. Come potrò? diceag;!! la faiicìiiHfi,
Che sempre in mezzo a duo la notte giaccio ;
E meco or 1' uno , or 1' altro si trastulla,
E sempre all' un di lor mi trovo in braccio.
Questo ti fia , soggiunse il Greco, nulla;
Che ben ti saprai tor di questo impaccio,
E uscir dimezzo lor, purché tu voglia;
E dei voler, quando di me ti doglia.
62. Pensa ella alquanto, e poi dice, che regna,
Quando creder potrà, che ognuno dorma,
E pianamente, come far convegna,
E dell' andare e del tornar 1' informa.
Il Greco, siccome ella gli disegna,
Quando sente dormir tutta la torma,
Viene all' uscio, e lo spinge, e quel gli cede ;
Entra pian piano , e va a tenton col piede.
63. Fa lunghi ì passi , e sempre in quel di dietro
Tutto si ferma, e 1' altro par che muova
A guisa, che di dar tema nel vetro,
Non che '1 terreno abbia a calcar , ma 1' aora ;
E tien la mano innanzi simil metro :
Va brancolando infinchè '1 letto trova;
E di là, dove gli altri avean le piante,
Tacito si cacciò col capo innante.
64. Fra 1' una e 1' altra gamba di Fiammetta,
Che supina giacca, diritto venne;
E quando le fu a par , 1' abbracciò stretta,
E sopra ki sin presso al dì si tenne.
Cavalcò forte, e non andò a staffetta.
Che mai bestia mutar non gli convenne:
Che q\iesta pare a lui , che si ben trotte,
Che scender non ne vuol per tutta notte.
65. Avea Giocondo , ed avca il re sentito
II calpestio, che sempre il letto scosse;
E r uno e 1' altro , d' iìì\ crror schernito,
S' avea creduto, che '1 compagno fosse.
Poi»-h' ebbe il Greco il suo cammin fornito,
Siccome era venuto , anco tornosse.
Saettò il sol dall' orizzonte i raggi :
Sorse Fiammetta , e fece entrare i paggi.
6j. Il re disse al compagno motteggiando:
Frate, molto cammin fatto aver dei,
E tempo è ben, che ti ri|)osi, quando
Stato a cavallo tutta notte sei.
Giocondo a lui rispose di rimando,
E disse: Tu di' quel, eh' io a dire avrei.
A te tocca posare, e prò ti faccia.
Che tutta notte hai cavalcato a caccia.
67. Anch' io , soggi(mse il re , senza alcun fallo.
Lasciato a^ria il mio cau correre un tratto.
Se m' avessi prestato un po' il cavallo,
'J'anto , c'he 'I mio bisogno avessi fatto.
Giocondo replicò : 8<hi tuo vassallo,
E |)ii()i far meco, e ronijìcre ogni patto,
Sicché non convenia tai cenni usare;
Hcti mi potevi dir: Lasciala stare!
C8. Tanto reiìlica 1' un, tanto soggiunge
L' altro, <lie sono a grave lite in>iemc.
Vengoii da' nu)tti ad un parlar, che punge;
Che ad aiulicdiu; V es>er bell'aio preme.
Cliianiiin l'iauiinctta , clui non era lungc,
E della Iraudc cocr >co|)rrta teme,
l'er l'are in vi><» T uno all' altro dire
Quei, che negando ambi parean mentire.
69. Dimmi , le disse il re con fiero sguardo,
E non temer di me , né di costui :
Chi tutta notte fu quel sì gagliardo,
Che ti godè, senza far parte altrui.''
Credendo 1' un provar l'altro bugiardo.
La risposta aspettavano ambedui.
Fiammetta a' piedi lor si gittò, incerta
Di viver più , vedendosi scoperta.
70. Domandò !or perdono , che d' amore,
Ch' a un giovinetto avea portato , spinta,
E da pietà d' un tormentato core.
Che molto aAea per lei patito, vinta,
Caduta era la notte in quell' errore;
E seguitò , senza dir cosa finta,
Come tra lor con speme si condusse,
Ch' ambi credesson , che '1 compagno fussc.
71. Il re e Giocondo si guardaro in viso,
Di maraviglia e di stupor confusi ;
Né d' aver anche udito lor fu avviso,
Ch' altri duo fussin mai cosi delusi.
Poi scoppiaro ugualmente in tanto riso,
Che con la bocca aperta e gli occhj chiusi.
Potendo appena il fiato aver dal petto,
Addietro si lasciar cader sul letto.
72. Poicli' ebbon tanto riso , che dolere
Se ne sentiano il petto , e pianger gii occhj,
Disson tra lor : Come potremo a^ ere
Guardia, che la moglier non ne 1' accocchi,
Se non giova tra duo questa tenere,
E stretta sì, che 1' uno 1' altro tocchi?
Se più che crini avesse occhj il marito,
]Non potria far , che non fosse tradito.
73. Provate mille abbiamo , e tutte belle,
Né di tante una è ancor , che ne contraste.
Se proviam 1' altre, fian simili anch' elle;
Ma per ultima prova costei baste !
Dunque possiamo creder, che più felle
Konsien le nostre, o men dell' altre caste;
E se son , come tutte I' altre sono,
Che torniamo a godercele , Ila buono.
74. Conchiuso eh' ebbon questo, chiamar fèì-o
Per Fiammetta medesima il suo amante,
E in presenza di molti gliela diéro
Per moglie, e dote , elicgli fu bastante;
Poi montaro a cavallo, e il lor sentiero,
Ch' era a ponente , volsero a Levante,
Ed alle mogli lor se ne tornaro,
Di che affanno mai più non si pigliaro.
75. 1/ ostier qui fine alla sua istoria pose,
Che fu con molta attenzione udita.
Udilla il Saracin , né gli rispose
Parola mai, sinché non fu finita:
Poi disse: Io credo ben, che dell' ascose
Femminil frodo sia copia infinita;
Né si potria della millesma parte
Tener memoria con tutte le carte.
76. Quivi era un noni d' età, eh' avea più retta
Opinion degli altri , e ingegno e ardire,
E non potcìidi» oniai , che sì negletta
Ogni leiumina fosse, più ])atire,
Si volse a quel . eh' a\ea I' istoria detta,
E gli disse: assai cose udiiimio dire,
Che verilade in sé non lianiio alcuna;
E lieii di ({ueste è la tua favola una.
385]
OHLA]\DO FURIOSO. (XXVUl. KT— 92)
[386]
77. A cìn te In narrò , non do credenza,
S' CTangeìi»ta oen iosse nel resto ;
di' opinione, più eh' esperienza
Ch' abbia di donne, lo Iacea dir questo.
L' avere ad una, o due inalivolenza
Fa, eh' odia e biasnia 1' altre oltre all' onesto:
Ma, se gli passa 1' ira, io to' tu 1' oda,
Più eh' ora biasmo , anco dar lor gran loda.
78. E se Tonà lodarne, avrà maggiore
n campo assai , eh' a dirne mai non ebbe.
Di cento potrà dir degne d' onore.
Verso una trista, cìie biasmar si «lebbe.
IVon biasmar tutte, ma serbarne fuore
La bontà ri' infinite si dovrebbe;
E se '1 Valerio tuo disse altramente,
Disse per ii'a, e non per quel, che gente.
79. Ditemi un poco, è di voi forse alcuno,
Ch' abbia servato alla sua moglie fede?
Che neglìi andar, quando gli sia opportuno,
All' altrui donna, e darle ancor mercede?
Credete in tutto '1 mondo trovarne uno?
Chi '1 dice, mente; e folle è ben chi '1 crede.
Trovatene voi alcuna, che vi chiami;
]Von parlo delle pubbliche ed infami.
80. Conoscete alcun voi, che non lasciasse
La moglie stila, ancorché fosse bcllei,
Per seguire altra donna , se sperasse
In breve e facilmente ottener quella?
Che farebbe egli , quando lo pregasse,
O desse premio a lui donna, o donzella?
Credo, per compiacere or queste, or quelle,
Che tutti lasceremniovi la pelle. |
81. Quelle, che i lor mariti hanno lasciati,
Le più volte cagione avuta n' hanno.
Del suo di casa li veggon sfogliati,
E che fuor , dell' altrui bramosi , vanno.
Dovriano amar , volendo esser amati,
E tor con la misura, eh' a lor danno.
Io farei, se a me stesse il darla e torre.
Tal legge, eh' noni non ^ì potrebbe opporre.
82. Sari'a la legge, eh' ogni donna, colta
In adulterio, fosse messa a morte.
Se provar non potesse, che una volta
Avesse adulterato il suo consorte.
Se provar lo potesse , andrebbe assolta,
Rè temeria il marito, né la corte.
Cristo ha lasciato nei precetti suoi:
Kon fare altrui quel, che patir non vuoi!
L L' incontinenza v, quanto mal si puote
Imputar Inr, non già a tutto lo stuolo.
Ma in questo, chi ha di noi più Itruttc note?
Cile continente non si trova un ^olo.
E molto più n' ba ad arrossir le gote,
Quando licsteunnia, ladroneccio, dolo.
Usura ed omicidio, e se v' è p«'ggio,
Karu, se non diigli uomini, far veggio.
84. Ap|trcsso all(r ragioni a>ca il sinc(;ro
E giusto vccrliio in pronto alcun esempio
Di «lonne , clic ru'; in fatto, uè in pensiero
Mai di lor castità patiron scempio:
Ma il .Saracin , che foggia udire il ^ero,
Lo minar<-iit con »iso cruilo ed empio,
Sicché lo fece per tìmtu- tacerti ;
Ma già non lo mutò di suo parere.
85. Posto eh' ebbe alle liti e alle contese
Termine il re pr.gan , lasciò la mensa ;
Indi nel letto per dormir si stese.
Fin al partir dell' aria scura e densa.
JMa della notte a sospirar 1' offese
Più della donna, eh' a dormir, dispensa,
i^'iiindi parte all' uscir del nuovo raggio,
E far disegna in nave ij suo viaggio.
86. Perocch' avendo tutto quel rispetto,
Ch' a buon cavallo dee buon cavaliero,
A quel suo bello e buono, clj' a dispetto
Tenea di Sacripante e di Jluggiero,
Vedendo per duo giorni avctlo stretto
Più, che non si dovria sì buon destriero,
Lo pon, per riposarlo, e lo rassetta
In una barca, e per andar più in fretta.
SI. Senza indugio al nocchier varar la barca,
E dar fa i remi all' acqua dalla sponda.
Quella, non molto grande e poco carca,
Se ne va per la Senna giù a seconda.
IVon fugge il suo pensier , né se ne scarca
Rodomonte per terra, né per onda:
Lo trova in sulla proda e in sulla poppa,
E se cavalca, il porta dietro ia groppa.
88. Anzi nel capo, o sia nel cor gli siede,
E di fuor caccia ogni conforto, e serra.
Di ripararsi il misero non vede,
Dappoiché gì' inimici ha nella terra.
]\on sa, da chi operar possa mercede.
Se gli fanno i domestici suoi guerra.
La notte e "1 giorno, e sempre é combtttuto
Da quel crudel , che dovria dargli ajuto.
89. Naviga il giorno, e la notte seguente
Rodomonte , col cor d' affanni grave,
E non si può V ingiuria tor di mente.
Che dalla donna e dal suo re avuto bave;
E la pena e il dolor medesmo sente,
Che sentiva a cavallo, ancora in nave:
Né spegner può, per star nell' acqua il foco;
]\é può stato mutar per mutar loco.
90. Come r infermo che, dirotto e stanco
Di febbre ardente, va cangiando lato;
O sia suir uno, o sia sull altro fianco
Spera aver, se si volge, miglior stato,
Né sul destro riposa, né sul manco,
E per tutto ugualmente é travagliato:
Co>i il pagano al male , ond' era infermo.
Mal trova in terra , e male iu acqua schermo.
91. Non i>uote in na^c aver più pazienza,
E si fa porre in terra llodi)nu)nte.
Lion passa e \ ienna , indi \ alenza,
E vede in A\ignoiu! il ricco ponte;
Che queste terre ed altre nliliidicn/a,
(■he s«ui tra il finnu- e il «cltilicro monte,
Rendeano al re Agr.inuiiilc e al re di >ipagna
Dal dì, che far signor della camp^igna.
iì2. Verso Ac(|uamorta a man dritta si tenne.
Con animo in Algicr passare iu fretta;
E sopra un liinue ad una ^illa venne,
E da IJacco e da Cerere diletta,
('Ile, p«'r le spesse ingiurie, che sostenne
K.ii soldati, a \otarsi fu co>trc!ta.
Quinci il gran mare, e quindi nelT apriche
\alli vede ondeggiar le bionde spiclie.
[387]
ORLANDO FURIOSO. (XXVIII. 93 — 102)
r38^
93. Quivi ritrova una pìccola chiesa
Di uuovo sopni un nionticel murata,
Che, poiché intorno era la guerra accesa,
I sacerdoti vota avean lasciata.
Per stanza fu da Rodomonte i>resa;
Che pel sito, e perch' era sequestrata
Dai campi, onde avea in odio udir novella,
Gli piacque sì, che mutò Algieri in quella.
IM. Mutò d' andare in Africa pensiero;
Sì comodo g-ii parve il hiogo e hello !
Famigli e carriaggi e 'I suo destriero
Seco alloggiar fé' nel mcdesuu» ostello.
Vicino a poche leghe il Mompolicro,
E ad alcun altro ricco e buon castello
Siede il villaggio, allato alla riviera.
Sicché d' avervi ogni agio il modo v' era.
95. Standovi un giorno il Saracin pensoso.
Come pur era il più del tempo usato,
Vide venir per mezzo un prato erhoso.
Che d' un picciol sentiero era segnato,
Una donzella di viso amoroso.
In compagnia d' un monaco barbato;
E si traeano dietro un gran destriero
Sotto una soma coperta di nero.
9G. Chi la donzella, chi 'l monaco sia.
Chi portin seco , vi deve esser chiaro.
Conoscere Isabella si dovria,
Che '1 corpo avea del suo Zerbino caro.
Lasciai, che per Provenza ne venia
Sotto la scorta del vecchio preclaro,
Che le avea persuaso tutto il resto
Dicare a Dio del suo vivere onesto.
97. Comechè in viso pallida e smarrita
Sia la donzella , ed abbia i crini inconti,
E facciano i sospir continua uscita
Del petto acceso, e gli occhj sien due fonti,
Ed altri testimoni d' una vita
Misera e grave in lei si veggan pronti:
Tanto però di bello anco le avanza,
Che, con le Grazie, Amor vi può aver stanza.
98. Tostorhè '1 Saracin vide la bella
Donna apparir , mise il pensiero al fondo,
Ch' avea di biasmar sempre, e d' odiar quella
Schiera gentil, che pur adorna il mondo,
E ben gli par dignissima Isabella,
In cui IdC.ir debba il suo amor secondo,
E spegner totalmente il primo , a modo
Che dall' asse si trae chiodo con chiodo.
99. Incontra se le fece, e col più mollo
Parlar, che seppe, e col miglior sembiante,
Di sua condizione domaiidollc ;
Ed ella ogni pcnsier gli spiegò innante,
Come era per lasciar il mondo folle,
E farsi amica a Dio con opre sante.
j Ride il pagano altier, che in Dio non crede,
I D' ogni legge nimico, e d' ogni fedo ;
100. E chiama intenzione erronea e lieve,
E dice, che per certo ella troppo erra;
[ Nò men biasmar, che l' avaro si deve,
Che 'l suo ricco tesor mette sotterra,
Alcun util per sé non ne riceve,
E dall' uso degli altri uomini il serra.
Chiuder leon si deano, orsi e serpenti,
E non le cose belle ed innocenti.
101. Il monaco, eh' a q;icsto avea l' orecchia,
ì E per soccorrer la giovane incauta.
Che ritratta non sia per la via vecchia,
Sedea al governo, qual pratico nauta,
Quivi di spiritai cibo apparecchia
Tosto una mensa sontuosa e lauta ;
Ma il Saracin, che con mal gusto nacque,
Non pur la saporò, che gli dispiacque.
102. E poiché invano il monaco intcrroppe,
E non potè mai far sì, che tacesse,
E che di pazienza il freno ropsie,
I Le mani addosso con furor gli messe.
i Ma le parole uiie parervi troppe
1 Potriano omai , se più se ne dicesse ;
Sicché iùiirò il canto , e mi fla specchio
Quel che , per troppo dire , accadde al vccehi
.389]
ORLANDO FURIOSO. (XXIX. 1—12)
[390]
CANTO VENTESIMONONO.
ARGOMENTO.
La pudica Isabella , con pensiero
Di mantener sua castitade , è presta
Ad iridar ebbro Rodomonte fiero
Dal collo a dipartir la bella testa.
Esso fa vn ponte , ed al suo cimitero
Sacra V arme d' ognuno, e scpravvesta.
S' azzuffa con Orlando, di' ìndi passa,
E di pazzia diversi segni lassa.
Oh degli uomini inferma e instabii mente !
Come Siam presti a variar disegno!
Tutti i pensier mutiamo facilmente,
Più quei . che nascon d' amoroso gdegno.
Io vidi dianzi il Saracin sì ardente
('ontra le donne, e passar tanto il segno.
Che, non che spegner 1' odio, ma pensai,
Che non dovesse intiepidirlo mai.
Donne gentil, per qnel , eh' a biasmo vostro
Parlò contra il do^er, sì offeso sono.
Che finché, con suo mal, non gli dimostro,
Quanto abbia fatto error, non gli perdono,
lo farò sì , con penna e con iiicliiostro,
Ch' ognun vedrà, che gli era utile e buono
Aver taciuto , e morder-i ìiik-o poi
Prima la lingua, che dir mal di voi.
Ma che parlò come ignorante e sciocco,
Ve lo dimostra chiara esperienza.
Già Ciintra tutte trasse fuor lo stocco
Dell' ira, senza farvi dill'erenza;
Poi d' Isabella un guardo sì 1' ha tocco,
Clic subilo gli fa muliir sentenza.
Già in cambio di qucll' altra la disia;
L' ha vista appena, e non sa ancor, chi sia.
E, come il nuovo amor lo punge e scalda,
Muove alcune ragion di poco frutto,
Per rcMupcr qu<;Ua mentt! intera e salda,
Ch' ella avea fissa al creatctr del tutto.
Ma r eremita, che l' è scudo e falda.
Perchè il casto pensier non sia distrutto,
Con argomenti più validi e fermi,
Quante» più può, le fa ripari e schermi.
Poiché r empio pagan molto ha soflcrto
Con lunga noja (pici monaco audace,
K t;he gli ha detto invan, eh' al suo deserto
Senza h-i può tornar, quando gli piace,
E (^he nuocer si \edc a >iso aperto,
E che seco non vuol tregua, m- pace;
La mano al mento con furor gli stese,
E tanto ih; pelò, quanto ne prese.
6. E si crebbe la furia, che nel collo
Con man lo stringe a guisa di tanaglia,
E poich' una e due volte raggindlo.
Da sé per I' aria verso il m.ir h» scaglia.
Che n' avvenisse, né dico, né sollo.
Varia fama è di lui, né si ragguaglia.
Dice alcun, che sì rotto a un sa.-.-o resta
Che 1 pie non si discerné dalla testa;
7. Ed altri, che a cadere andò nel mare,
Cli' era più di tre miglia indi lontano;
E che mori, per non saper notare,
Fatti assai preghi ed orazioni invano:
Altri , che un santo il venne ad ajutare.
Lo trasse al lito con visibil mano.
Di queste, qual si vuol, la vera sia;
Di lui non parla più 1' istoria mia.
8. Rodomonte crudel, poiché levato
S' ebbe da canto il garrulo eremita,
j Si ritornò con aìso men turbato
Verso la donna mesta e sbigottita,
j E col parlar, eh' é fra gli amanti usato,
Dicea , eh' era il suo core e la sua vita,
E '1 suo ciuiforto, e la sua cara speme,
I Ed altri nomi tai, che vanno insieme.
I 9. E si mostrò sì costumato allora,
! Che non le fece alcun segno di forza.
Il semliiante gentil, che l" innamora,
i L' usalo orgoglio in lui ^peglle ed ammorza:
j E , benché 'l frutto trar ne possa fuora,
Passar non però vuole oltre alla scorza;
; Cile non gli par , che potesse esser buono,
j Quando da lei non V accettasse in dono.
' 10. E cosi di disporre a poco a poco
I A' suoi piaceri Isabella credea.
I Ella, che in >ì soliiigo e strano loco,
I Qual tcpo in jìiede al gatto si vedea,
j Vorria trovarsi innanzi in mezzo il foco;
i E seco tuttavolta rivolgea,
S' alcun partito, alcuna ^ia foss(; atta
A trarla quindi immactilata e intatta.
I 11. Fa neir animo suo pro|ioiiimento
Di darsi c(ui sua m.iii prima la morte.
Che i barbaro crudel n' alibia il suo intento,
I E che le sia cagion d' errar sì forte
Contra quel cavaiier, <-li<' in braccio spento
L' avea crudele e dispiclata sorte;
A cui fatto lia\(*, col peii>icr devoto,
Della Mia casliti'i perpetuo ^oto.
! 12. Crescer jiiù sempre V appetito cie^-o
^'ede del re |iagiin , né sa, che farsi.
I lien sa, che vuol venire all' atto liieco.
Ove i cinitrast! suoi (ulti fieu scarsi.
I Pur discorrendo molte co-»e seco,
11 modo trovò aHìii di ri|iararsi,
E di salvar la castità sua, come
' iti V i dirò , con lungo e chiaro nome.
25 ♦
[391]
ORLANDO FURIOSO. (XXIX. 13-28)
\zf):\
13. Al brutto Sararin , clie le venia
Già contra con parole e con efFetti
Privi di tutta quella col•te^ia,
Che mostrata le avea ne' primi detti:
Se fate , che con voi sicura io sia
Del mio onor, disse, e eh' io non ne sospetti,
Cosa all' incontro vi darò, che molto
Più vi varrà , eh' avermi 1' onor tolto.
14. Per un piacer di sì poco momento,
Di che n' ha sì al)hondanza tutto '1 mondo,
IVon disprezzate mi perpetuo contento,
Un vero gaudio, a nullo altro secondo!
Potrete tuttavia ritrovar cento,
E mille donne di viso giocondo;
Ma chi vi possa dar questo mio dono,
]\essuno al mondo, o pochi altri ci sono.
15. Ho notizia d' un' erba, e 1' ho vei'uta
Venendo, e so, dove trovarne appresso.
Che, bollita con ellera e con ruta,
Ad un fuoco di legna di cipresso,
E fra mani innoreiiù indi premuta.
Manda un liquor , che , clii si bagna d' esso
Tre volte iì corpo , in tal modo 1' indura,
Che dal ferro e dal fuoco l' assicura.
16. Io dico, se tre volte se n' immolla,
Un mese invulnerabile si tr<»va.
Oprar conviensi ogni mese 1' ampolla,
Che sua virtù più termine non giova.
Io so far r acqua, ed oggi ancor f.irolla,
Ed oggi ancor voi ne vedrete proNa:
E vi può, s' io non fallo, esser più grata.
Che d' aver tutta Europa oggi acquistata.
17. Da voi dimando in guiderdon di questo.
Che sulla fede vostra mi giuriate,
Clie ne in detto , né in opera molesto
Mai più sarete alla mia ca>titate.
Così dicendo, Rodomonte onesto
Fc' ritornar, che in tanta vohtntate
Venne, eh' invulncrabil si facesse,
Che più, eh' ella non disse, le promesse.
18. E serveralle, finché venga fatto
Della mirabir acqiia espcrien/.a ;
E sforzerassi intanto a non far atto,
A non far segno alciin di violenza.
Ma pensa poi di non tenere il patto;
Perchè non ha timor, né riverenza
Di Dio, o di santi; e, nel manc.ir di fede.
Tutta a lui la bugiarda Africa cede.
19. Ad Isabella il re d' Algier scongiuri
Di n()n la molestar fé' più di mille,
Purch' essa lavorar 1' acttjua procuri.
Che far lo può, qr.al fu già Cigno e Achille.
Ella per balze e per valloni oscuri.
Dalle città lontana, e dalle ville,
Uicoglie di moli' erbe, e il Saracino
Kon r abbandona, e l' è sempre vicino.
20. Poiché in più parti, quanto era abbastanza,
Colsoii dell' erbe, con radici e senza,
Tardi si ritoriiaro alla lor stanza,
D«>ve quel i)aragon di continenza
Tutta la notte >pende, che 1' avanza,
A bollir eilx' <on molta avvertenza;
E a tutta 1' o|)ra e a tutti quei misteri
Si tro^Ti ognor presente il re d' Algicri,
21. Che , producendo quella notte in gioco
Con quelli pochi servi, eh' cran seco,
Sentia, per lo calor del vicin foco,
Ch' era rinchiuso in quello angusto speco
Tal sete, che bevendo or molto, or poco,
Duo barili votar pieni di greco.
Cli' aveaiio tolto, uno o due giorni innanti,
I suoi scudieri a certi viandanti.
22. Non era Rodomonte usato al vino,
Perché la legge sua lo vieta e danna;
E, poic'jé lo gustò, liquor divino
Gli par, miglior che '1 nettare, o la manna;
E, riprendendo il rito Saracino,
Gran tazze e pieni liasclii ne tracanna.
Fece il buon vino , eli' andò spesso intorno.
Girare il capo a tutti, come un torno.
23. La donna , in questo mezzo , la raldaja
Dal fuoco tolse, ove quell' erbe cosse,
E disse a Rodomonte: Acciocché paja.
Che mie |)arole al vento non ho mosse,
Quella , che "l ver dalla bugia dispaja,
E che può dotte f.ir le genti grosse.
Te ne t'arò 1' esperienza ancora,
jNon neir altrui , ma nel mio corpo or ora.
24. Io voglio a fare il saggio esser la prima
Del felice liquor di virtù pieno.
Acciò tu forse non facessi stima,
Che ci fosse mortifero veneno.
Di questo bagneromiui dalla cima
Del capo giù pel colio e per lo seno;
Tu poi tua forza in me prova , e tua spada.
Se questa abbia vigor, se quella rada!
25. Bagnossij come disse, e lieta porse
Air incauto pagano il collo ignudo;
Incauto , e vìnto anche dal vino f.u'se.
Incontro a cui non vale elmo, né scudo.
Queir uom bestini le prestò fede, e scorse
Si con la mano, e sì col ferro crudo,
Che del bel capo, già d' .\movo albergo.
Fé' tronco rimanere il petto e il tergo.
26. Quel fé' tre balzi , e funne udita chiara
Voce , eh' uscendo nominò Zerbino,
Per cui seguire ella trovò sì rara
Via di fuggir di man del Saracino.
Alma, che avesti più la fede cara,
E'I nome , quasi ignoto e peregrino
Al tempo nostro, della caslitade,
Che la tua vita e la tua verde etade;
27. Vattene in pace, alma beata e bella!
Così i miei versi avessin forza, come
llen m' iill'aticlicrei , con tutta quella
Alte, che tanto il i)arlar orna e Ciunc,
Perché mille e mill' anni, e pij, novella
Sentisse il mondo del tuo chiaro nome!
Vattene in pace alla superna sede,
E lascia all' altre esempio di tua fede!
28. All' atto incomparabile e stupendo.
Dal cielo il creator giù gli occhj volse
E disse: Più di quella ti commendo,
La cui morte a 'l'arqiiinio il regno tolse;
E per questa una legge fare intendo,
'J'ra (|nelle mie, «he mai tenjpo non sciolse.
La qual per le inviolabili acqivc giuro.
Che non muterà secolo futuro.
393]
ORLANDO FURIOSO. fXXIX. 29-41)
[394]
29,
30
81.
S2.
33
34
35.
36.
Per r avvenir vo' , clic ciascuna, eli' aggia
II nome tuo, sia di sublime ingegno,
E sia bella , gentil , cortese e saggia,
E di vera onestade arrivi al segno;
Onde materia agli scriltori caggia
Di celebrare il nome inclito e degno;
Talché Parnaso, Pindo ed Elicone
Sempre Isabella , Isabella risuone.
Dio cosi disse, e ì'c' serena intorno
L' aria, e tranquillo il mar, più che mai fiis
Fé' r alma casta al terzo ciel ritorno,
E ili braccio al suo Zcrbin si riconiUisse.
Rimase in terra (;on vergogna e scorno
Quel fier senza pietà nuovo Breu^se,
Che, poiché '1 troppo vino ebbe digesto,
Biasmò il suo errore , e ne restò funesto.
Placare , o in parte satisfar pensosse
All' anima beata d' Isabella,
Se , poich' a niiirtc il corpo le percosse,
Desse almcn vita alla iiiPaioria d' ella.
Trovò per mezzo, acciocché così fosse,
Di convertirle quella chiesa, quella.
Dove al)itava, e dove ella fu uccisa.
In un sepolcro ; e vi dirò , in che guisa.
Di tutti ì luoghi inturno fa venire
Mastri, chi per amore, e ciii per tema;
E, fatto ben sei mila uomini luiirc,
De' gravi sassi i vicia monti scema,
E ne fa una gran massa stiibilire,
Che dalla cima era alla parte estrema
Novanta braccia; e vi rincliiude dentro
La chiesa , che i duo amanti ave nel centro.
Imita quasi la superba mole,
Che fé' Adriano all' onda tiberina.
Presso al sepolcro una torre alta vuole,
Ch' abitarvi alcun tempo si destina.
Un ponte stretto, e di due braccia sole
Fece sul!' acqua, che correa vicina.
liUngo il ponte, ma largo era sì poco.
Che dava ai)pcna a duo cavalli loco;
A duo cavalli , che venuti a paro,
O che insieme si fossero scontrati ;
E non avea né sponda, né riparo,
E si potea v.kUt da tutti i Liti.
II passar quindi vuol che costi caro
A' guerrieri, o pagani, o l)attezzati;
Che delle spoglie lor mille trofei
Promette al cimitcrio di costei.
In dicci giorni, e in manco, fu perfetta
L' opra del ptuiticcl, vìiv passa il (ìiime;
Ma non fu già il sepolcro c<»sì in frettii,
Né la torre condotta al suo ca< iiuic.
Pur fu levata sì , eh' all.i veletta
Starvi in cima una guardia avea costume,
(;hc d' ogni cavalicr , che venia al punte,
Col corno tacca segno a iloiìomonle.
V, (piel s' arnniva, o se gli venia a opporre,
Ora suir una, ora sull' alira riva:
Che, se '1 gueriicr venia di ver la torre,
Suir altra (iroda il re d' Algier veniva.
Il ponli(<'Il(> è il campo, o\e si corre;
E >e 'I ibstricr poco «lei s<'gno u.>ci\a,
Cadca nel tìume, eh' allo era e profonilo.
Ugual periglio a quel non uvea il mondo.
37. Aveasi immaginato il Saracino,
Che, per gir spesso a rischio di cadere
Dal ponticel nel (lume a capo cìiino,
Dove gli converria molt' acqua bere,
Del fallo , a che V indusse il troppo vino,
Dovesse netto e mondo rimanere;
Come r acqua, non men che '1 vino, estingua
L' error, che fa pel vino o mano, o lingua.
38. Molti, fra pochi dì, vi capitare.
Alcuni la via dritta vi condusse,
Che a quei, che verso Italia, o Spagna andare.
Altra non era, che più trita fusse;
Altri r ardire, e più che vita caro
L' onore, a farvi di sé prova, indusse;
E tutti, ove acquistar credean la palma,
Lasciavan I' arme, e molti insieme 1' alma.
39. Di quelli, eh' abbattea, s' eran pagani.
Si contentava d' aver spoglie ed armi,
E di chi prima furo, i nomi piani
Vi facea sopra, e sospendeale ai marmi:
Ma ritenea in prigion tutti i cristiani,
E, che in Algier poi li mandasse, parmi.
Finita ancor non era 1' opra, quando
Vi venne a capitare il pazzo Orlando.
40. A caso venne il furioso conte
A capitar su questa gran riviera.
Dove , come io vi dico , Rodomonte
Far in fretta facea , né finita era
La torre , né il sepolcro , e appena il ponte ;
E di tutt' arme, fuorché di vi>iera,
A queir ora il pagan si trovò in punto,
Ch' Orlando al fiume e al p«Mite é sopraggiunto.
41. Orlando , come il suo furor lo caccia,
Salta la sbarra, e sopra il ptuite corre ;
Ma Ilodomonte, con turbata faccia,
A piò, coni' era innanzi alla gran torre,
Gli grida di lontiuio , e lo miniccia,
Né se gli degna con la spada t)|)porre :
Indi^creto viìlan, l'erma le pii'.ntc,
Temerario , importuno ed arrogante !
42. Sol per signori e cavalieri é fatto
Il ponte, non per te, bestia balorda!
Orlando, eh' era in gran pensier distratto,
A icn pur innanzi , e fa 1' orecchia sorda.
Bisogna , eh' io c;!stighi questo malto.
Disse il pagano, e con la voglia ingorda
Venia per traboccarlo giù ncll' (uida.
Non peurando tro>ar, chi gli ri.>ponda.
43. In questo tempo una gentil don/ella.
Per jiassar sovra il ponte, al fiume arriva,
lifggiadramcnle ornata, in viso bella,
E iw' sembianti accortamente schifa.
Era, se vi ricorda, Signor, quella.
Che per ogni altra via cenando giva
Di lirandimarte , il ^uo aiiiator , vei<tigì.
Fuorché do^c era, «lenirò di Parigi.
44. Neil' arrivar di Fiordiligi al ponte,
Che così la donzella nomala era,
()r!an«lo s' attaccò c«m UodomoutP,
('he lo volea gittar m-lia rixiera.
La (huuri, eh' a\ea pratica del conto.
Subito n ebbe cono^ceir/.a vera,
E r«>lò «I ulta iiiiintvigliii piena
Della i'ullia, clic così uudii il mena-
[395]
ORLANDO FURIOSO. (XXIX. 45-GO)
\'òm
45. Ffi'uiasi a riguiirdtrr, che fine avere
Deliba il furor dei duo tanto possenti.
Per far del ponte 1' un 1' altro cadere,
A por tutta lor forza sono intenti.
Come è , eh' un pazzo debba sì valere ?
Seco il fiero pagan dice tra' denti:
E qua e là si volge e si raggira,
Pieno di sdegno e di superbia e d'ira.
46. Con r una e 1' altra man va ricercando
Far nuova presa, ove il suo meglio Acde;
Or tra le gambe, or fuor gH pone, quando
Con arte il destro, e quando il raanix) piede.
Simiglili Rodomonte intorno a Orlando,
Lo stolido orso, che sveller si crede
L' arbore, onde è caduto; e, come n' abbia
Quello ogni colpa, odio gli porta, e rabbia.
47. Orlando , che F ingegno avea sommerso,
Io non so dove, e sol la forza usava,
L' estrema forza, a cui per 1' tmivcrdo
Nessuno , o raro parag<ui si dava.
Cader del ponte si lasciò riverso
Col pagano abbracciato , come sitava.
Cadon nel fiume, e vanno al fondo insieme;
]Ne salta in aria 1' onda , e il lito geme.
48. L' acqua li fece distaccare in fretta.
Orlando è nudo , e nuota , com' un pesce
Di qua le braccia, e di là i piedi getta,
E viene a proda; e come di fuor esce,
Correndo va, uè per mirare aspetta,
Se in biasmo, o in loda questo gli riesce.
Ria il pagan, che dall' arme era imj)edito.
Tornò più tardo, e con più alTanao al lito.
49. Sicuramente Fiordilìgi Intanto
Avea passato il ponte e la riviera,
E guardato il sepolcro in ogni canto,
Se del suo Brandimarte insegna v' era.
Poiché né 1' arme sue vede, né il manto,
Di ritrovarlo in altra parte spera.
Ma ritorniamo a ragionar del conte,
Cile lascia addietro e torre, e fiume, e ponte.
59. Pazzia sarà , se le pazzie d' Orlando
Prometto raccontarvi ad una ad nna ;
Che tante e tante fur , eh' io non so , quando
Finir : ma ve n' andrò scegliendo alcuna
Solenne, ed atta da narrar cantiindo,
E eh' all' istoria mi parrà opportuna;
"Sii quella tatuerò miracolosa,
Che le' nei Pirenei sopra Tolosa.
51 . Trasi;orso avea molto paese il conte,
Come dal grave suo furor fu spinto ;
Ed alfin capitò sopra quel monte,
Per cai dal Franco è il Tarracon distinto;
Tenendo tuttavia volta la fronte
Verso là, dove il sol ne viene estinto;
E quivi giunse in un angusto calle,
Che pendea sopra una prolVuida valle.
52. Si vennero a incontrar con esso al varco
Duo boscherecci giovani, cbe innante
Avcan di legna un loro asino carco;
E, perchè ben s' accorsero al sembiante,
CI»' avea di cr-rv(d sano il capo scarco,
di gridano con voce minacciante,
O eh' addietro, o da parte se ne vada,
E che si levi di mezzo la strada.
53. Orlando non risponde altro a qtu;l detto.
Se non , che con furor tira d' un piede,
E giunge appunto 1' asino nel jietto.
Con quella forza, che tutte altre eccede;
Ed alto il leva si , eh' uno augeUetto.
Che voli in aria, sembra a chi lo vede.
Quel va a cadere alla cima d' un colle,
Ch' un miglio oltre la valle il giogo estolle.
54. Indi verso i duo giovani s' avventa.
Dei quali mi, più che senno, ebbe ventura:
Che dalla balza, che due volte trenta
Braccia cadea, si gittò per paura:
A mezzo il tratto, trovò molle e lenta
Una macchia di rubi e di verzura,
A cui bastò graffiargli un poco il volto ;
Del resto lo mandò libero e sciolto.
55. L' altro s' attacca ad un scheggion , eh' uscin
Fuor della roccia, per salirvi sopra;
Perché si spera, s' alla cima arriva,
Di trovar via , che dal pazzo lo copra.
Ma quel nei piedi (che non vuol, che vivaj
Lo ])iglia , mentre di salir s' adopra,
E quanto più sbarrar puote le braccia,
Le sbarra si, eh' in duo pezzi lo straccia;
56. A quella guisa, che veggiam talora
Farsi d' un airon , farsi d' un pollo.
Quando si vuol delle calde interiora,
Che falcone, o che astor resti satollo.
Quanto è ben accaduto, che non mora
Quel, che fu a risco di fiaccarsi il collo!
Che ad altri poi questo niiracol disse.
Sicché 1' udì Turpino , e a noi lo scrisse.
57. E queste, ed altre assai cose stupende
Fece nel traversar della montagna.
Dopo molto cercare alfin discende
A'erso merigge alta terra di Spagna,
E lungo la marina il cammin preiule.
Che intorno a Tarracona il lito bagna;
E, come vu(»l l;i furia, che lo mena.
Pensa farsi un albergo in quella arena,
58. Dove dal sole alquanto si ricopra;
E nel sabbi(ui si caccia arido e trito.
Stando co?ì, gli venne a caso sopra
Angelica la bella, e il suo marito,
Ch' eran , siccome io vi narrai di sopra,
Scesi dai monti in siili' ispano lito.
A men d' un bracitio ella gli giunse appresso
Perché non s' era accorta ancora d' esso.
59. Che fosse Orlando, nulla le sovviene;
Troppo è diverso da quel , eh' esser suole.
Da indi in qua, che quel furor lo tiene,
E sempre andato nudo all' ombra e al sole.
Se fosse nato all' a|n-ica Siene,
O dove Aminone il Garamante cole,
O presso ai monti, onde il gran Nilo spiccia,
]\on dovrebbe la carne a>er più arsiccia.
60. Quasi ascosi avea gli occhj nella testa,
lia faccia macra , e come un osso asciutta;
La chioma rabbiiflata , orrida e mesta;
La barba folta, spa\entosa e brutta.
Non più a vederlo Angelica fu presta,
Che fosse a ritornar tremando tutta.
Tutta tremando , e empiendo il ciel di grida,
Si volse per ajiitu alla sua guida.
39T1
ORLANDO FURIOSO. (XXIX. 61 — 74)
;398]
(il. Come di lei s' accorse Orlanilo stolto, j 68,
Fcr ritenerla si levò eli botto, [
C(»sì gli piacque il delicato volto,
Cosi ne venne immantinente «ghiotto. i
D' averla amata e riverita m()!to i
Ogni ricordo era in lui guasto e rotto.
Le corre dietro, e ticii quelia maniera,
Che tcrria il cane a seguitar la fei-a. |
62. Il giovane, che '1 pazzo seguir Tede 6J>.
La donna sua, gli urta il camallo addosso,
E tutto a un tempo lo percuote e licde,
Come lo trova, che gli volta il do^^o.
Spic<;iir dal busto il capo se gli crede;
Ma la pelle tro^ ò dura , cctme osso.
Anzi via più eh' acciar : eh' Orlaiuio nato
Iinpenetrabil era, ed alTatato.
,63. Come Orlando senti battersi dietro, 70.
Girossi , e nel girare il pugno strinse,
E con la forza, che passa ogni metro,
Ferì il de>tricr, che '1 Saracino spinse.
Ferii sul capo, e, come t'osse vetro,
Lo spezzò sì, clie quel cavallo estinse;
E rivoltossi in un mede^mo istante
Dietro a colei , che gli fuggiva iimante.
64. Caccia Angelica in fretta la giumenta, 71,
E con sferza e con sprou t(»cca e ritocca ;
Che le parrebbe a quel bisogno lenta,
Se ben volasse più , che strai da cocca.
Dell' anel , eh' ha nel dite» , si rammenta,
Clie può salvarla , e se lo getta in bocca ;
E r anel , che non perde il suo costume,
La fa sparir, come ad un soffio il lume.
65. O fosse la paura, o che pigliasse ; 73.
Tanto dlsconcio nel nmtar l' anello,
Oppur che la giumenta traboccasse.
Che non posso alltrmar questo, né quello;
Nel mede>!no momento , che si trasse
L' anello in bocca, e celò il viso bello,
Levò le gambe, ed uscì dell' arcione,
£ si trovò riversa in sul sabbione.
Più corto , che quel salto era due dita, i 73,
Avviluppata rimanea col matto.
Che con 1' urt<» le avria tolta la vita;
Ma gran ventura 1' ajutò a quel tratto.
Cerchi pur, eh' altro furto le dia aita
D' un' altra be»tia, come prima ha fatto;
Che più nt>n è per riaver mai f(uesta,
Ch' innanzi al paladin 1' arena pesta.
67. Non dubitate già, eh' ella non h' abbia 74
A provvedere; o seguitiamo Orlando,
In cui non cessa V imp<-t<» <^ la rabbia.
Perchè si vada Angelica celando. !
Segue la bestia per la nuda sabbia,
E 8R le vi(>n più sempre appros>im.iiulo ;
Già già la tocca , ed (;cc(» 1' ha nel crine, i
ludi nel freno, e la ritiene al line. |
Con quella festa il paladin la piglia,
Ch' un altro avrebbe fatto una donzella.
Le rassetta le redini e la briglia,
E spicca un salto, ed entra nella sella,
E correndo la caccia molte miglia,
Senza riposo . in questa parte e in quella.
Mai non le leva nò sella, né freno,
Né le lascia gustare erba, né fieno.
Volendosi cacciare oltre una fossa,
Sozzopra se ne va con la cavalla.
Non nocque a lui , né sentì la percossa.
Ma nel fondo la misera si spalla.
Non vede Orlando , come trar la possa,
E finalmente se l' arreca in spalla,
E su ritorna, e va, con tutto il carco,
Quanto in tre volte non trarrebbe un arco.
Sentendo poi , che gli gravava tropi)n,
La pose in terra, e volea trarla a mano.
Ella il seguia con passo lento e zoppo.
Dicea Orlando: Cammina! e dicea invano:
Se r avesse seguito di galoppo,
Assai non era al doiilerio insano.
Alfin , dal capo le levò il capestro,
E dietro la legò sopra il pie dcstio.
E così la strascina , e la conforta.
Che lo potrà seguir con maggior agio.
Qual leva il pelo , e quale il cuojo porta.
Dei sassi , eh' eran nel cammin malvagio.
La mal condotta bestia restò morta
Finalmente di strazio e di disagio.
Orlando non le pensa , e non la guarda,
E, via correndo, il suo canunin non tarda.
Di trarla, ancorché morta, non rimase.
Continuando il corso ad occidente ;
E tuttavia saccheggia ville e case,
Se bisogno di cibo aver si .-«ente;
E frutte e carne e pan, purch' egli invase,
llapi>ce, ed usa forza ad ogni gente:
Qual lascia morto, e qual .-torpiato lassa;
Poco si ferma, e sempre iimauzi passa.
Avrebbe così fatto, o poco manco.
Alla sua donna , se non s' ascondea ;
Perché non di.^cernea il nero dal bianco,
E di giovar noccudo si credea.
Deh! maladetto sia 1' anello, ed anco
Il cavalier, che dato glielo avea!
(;hè, >e non era, avreltbe Orlando fatto
Di sé vendetta, e di mill' altri a un tratto.
Né questa sola, ma fosser pur state
In man d' Orlando quante oggi ne sono;
CW ad ogni modo tutte sono ingrate.
Né sì trova tra loro oncia di buono.
Ma priuiacbè le corde rallcnlate
Al canto disugual rendano il suono,
Fia meglio dilIVrirlo a un' altra volta,
Acciò mcu bia nojoso a chi V ascoltii.
[3S9]
ORLANDO FURIOSO. (XXX. 1 — 12)
[Mn\
CANTO TRENTESIMO.
ARGOMENTO.
Orlando lascia in diverso sentiero
Di diverse pazzie fiero sembiante.
Uccide Mandricardo il buon Ruggiero:
Di lui si lagna e duolsi lìradamante,
Che ferito ed infermo nel pensiero.
Le manca alle promesse fatte avante.
n buon Rinaldo a Montalban venuto
Va per dar co' fratelli a Carlo ajuto.
1. Quando vincer dall' impeto e dall' ira
Si lascia la ragion , né si difende,
E che '1 cieco furor sì innanzi tira
O mano, o lingua, che gli amici offende;
Se ben dipoi si piange e si sospira,
Non è per questo, che 1' error s' emende.
Lasso ! io mi doglio e affliggo invan di quanto
Dissi per ira al fin dell' altro canto.
2. Ma simile son fatto ad un infermo,
Che dopo molta pazienza e molta.
Quando con tra il dolor non ha più schermo,
Cede alia rabbia, e a lìes.'emmiar si volta.
Manca il dolor, nò l' impeto sta fermo,
Che la lingua al dir mal Iacea sì sciolta;
E si ravvede e pente, e n' ha disnetio ;
Ma quel eh' ha detto , non può far non detto.
3. Ben spero , donne , in vostra cortesia
Aver da voi perdon, poich' io vel cliieggio.
Voi scuserete, che per frenesia,
Vinto dall' aspra passion , vaneggio.
Date l;' colpa alla nimica mia.
Che mi fa star, eh' i(» non potrei star peggio,
E mi fa dir quel, di eh' io son poi gramo:
Sallo yio, s' ella ha il torto, e sa, s' io 1' amo.
4. INon mcn son fuor di me, che fosse Orlando,
E non son men di lui di scusa degno,
VAi or per li monti, or i)er le piagge errando,
Si:ore in gran parte di Marsilio il regno,
Molti di la cavalla strascinando
Morta, com' era, senza alcun ritegno:
Ma giunto , ove un gran fiume entra nel mare, ,
Gli in forza il cadavero lasciare.
5. Vj , perchè sa nuotar , come una lontra,
Entra nel fiume, e sorge all' altra riv.i.
Ecco un pa^tor sopra un cavali;» incontra.
Che per alibcvcrarlo al fiume arriva.
Colili, licucbè gli vada Orlando incontra,
lVr<:liè egli è sob». e mulo, nmi lo schiva.
A (urei del tuo ron/.in, gli di>.«e il matto,
{/'on la giiuuenta mia fare un baratto.
6. Io te la mostrerò di qui, se vuoi,
Clie morta là sull' altra ripa giace:
La potrai far tu medicar dipoi;
Altro difetto in lei non mi dispiace.
Con q!ialche aggiunta il ronzio dar mi puoi:
Smontane in cortesia , perchè mi piace.
Il pastor ride, senz' altra risposta
Va verso il guado , e dal pazzo si scolta.
7. Io voglio il tuo cavallo: olà! non odi?
Soggiunse Orlando, e con furor si mosse.
Avea un basion con nodi spessi e sodi
Quel pastor seco, e il paladin percosse.
La rabbia e l' ira passò tutti i modi
Del conte, e parve fier più che mai fosse.
Sul ca;io del pastore un pugno serra,
Che spezza l' osso, e morto il caccia in terra
8. Salta a cavallo, e per diversa strada
Va discorrendo, e molti pone a sacco.
Non gusta il ronzio mai fieno , né biada,
Tantoché in pochi dì ne riman fiacco.
Ma non però , eh' Orlando a piedi vada ;
Che di vetture vuol vivere a macco;
E quante ne trovò, tante ne mise
In uso, poiché i lor padroni uccisie.
9. Capitò alfine a Maiega, e più danno
\ì fece, cìi' egli avesse altrove fatto;
Che oltreché ponesse a saccomanno
Il popol sì, che ne restò disfatto,
Né si potè rifar quel, né 1' altro anno, ,
Tanti n' uccise il periglioso matto,
\i spianò tante case, e tante accese.
Che disfo' più clic 'l terzo del paese.
10. Quindi partito, venne ad una terra,
Zizera detta , che siede allo stretto
Di Ziheltarro, o viu)i di Zibclterra;
Cile r uno e l' altro nume le vien detto ;
Ove una barca , che sciogliea da terra,
Vide piena di gente da diletto.
Che sollazzando all' aura mattutina
Già per la tranquillissima marina.
11. Cominciò il pazzo a gridar forte: Aspetta! >
Che gli venne disio d' andare in barca;
Ma ben invano e i gridi e gli urli getta,
(;hé voleiitier tal merce non si carca.
Per 1' acqua il legno va con quella fretta,
Che va jicr 1' aria irondinc , che varca.
Orlando urta il cavallo, e batte e stringe,
E c(ui un mazzafrusto all' acqua il spinge.
12. Forza è, eh' alfin ncll' aiiqua il cavallo entK
Che invan contrasta, e spende invano ogni opra
lìiigna i giiutcchj , e poi la groppa e "l ventre,
Indi la testa, e ap|)ena appar di sopra.
'J'oruiirc addietro non si speri, mealre
La verga tra 1' orecchie se gli ailopra.
elisero, o si con vien tra ^ia affogare,
0 nel lito african passare il mare !
•01]
ORLANDO FURIOSO. [XXX. 13-28)
[402]
o. Non vede Orlando più poppe, nò sponde.
Che tratto in mar V avean dal lito asciutto,
Che son troppo lontane, e le nasconde
Agli occhj bassi 1' alto e mohil flutto ;
E tuttavìa il destrìer caccia tra l' onde,
Ch' andar di là dal mar dispone in tutto.
Il destrier, d' acqua pieno, e d' abiia voto,
Finalmente finì la vita e il nuoto.
4. Andò nel fondo , e \ì traea la salma,
Se non si tenea Orlando in sulle braccia.
Mena le gambe , e 1' una e 1' altra pabna,
E soffia , e 1' onda spinge dalla faccia.
Era r aria soave, e il mare in calma;
E ben vi bisognò più che bonaccia;
Ch' ogni poco che '1 mar fosse più sorto,
Restava il paladin nell' acqua morto.
.3. Ma la fortuna, che de' pazzi ha cura.
Del mar lo trasse nel lito di Setta,
la una spiaggia, lungi dalle mura,
Quanto sarian duo tratti dì saetta.
Lungo il mar molti giorni alla ventura
\ orso levante andò correndo in fretta.
Finche trovò, dove tendca , sul lito.
Dì nera gente esercito infinito.
G. Lasciamo il paladin, eh' errando vada!
Ben dì parlar di lui tornerà tempo.
Quanto, Signore, ad Angelica accada,
Dappoiclì' uscì dì man del pazzo a tempo,
E come a ritornare in sua contrada
Trovasse e buon naviglio , e miglior tempo,
E dell' India a Ì^Iedor desse lo scettro,
Forse altri canterà con miglior plettro.
.7. Io sono a dir tante altre cose intento.
Che di seguir più questa non mi cale.
Volger convienimi il bel ragionamento
Al Tartaro, che, spento il suo rivale,
Quella bellezza si godea contento,
A cui non resta in tutta Europa eguale,
Posciachè se n' è Angelica partita,
E la casta Isabella al ciel salita.
Della sentenza Mandricardo altero.
Che in suo favor la bella ilonna diede,
Kon può fruir tutto '1 diletto intero,
Che contra lui son altre liti in piede.
L' una gli muove il giovane lluggicro.
Perchè l' a((uila bianca non gli cede;
L' altra il famoso re di Sericaiia,
Che da lui vuol la spada Durindana.
S' affatica Agr:nnante, nò disciorre,
Né Marsilio con Ini, sa questo intrico;
Né solamente non li può disporre,
Che voglia V un dell' altro esser amico ;
Ma che Uuggiero a Mandricardo torre
Lasc'.ì In scuiìo (\c\ Trojaiu> antico,
O Gradasse» la spada non gli ^ieti,
Tanto, elle questa o quella lite accheti.
Uuggicr non vuol , «he in altra pugna vada
('on io suo si.udo ; uè (ìradasso vuole
Che, fuor che contra sé, porti la spada.
Che 'I glorioso Orlando portar suole.
Alfin veg<;ianio, in cui la sort<^ t'ada,
DÌHse yXgrauiaiitc , e non ^iaii più parole!
Veggiani r|uc'l che fortuna iw. ilisponga ;
E bia preposto quel, eh' ella preponga!
18
L9
20.
21. E, se compiacer meglio mi volete
Onde d' aver ve n' abbia obbligo ognora
Chi de' dì voi combatter, sortirete, '
3Ia con patto, eh' al primo, che esca fuora
Ambedue le querele in man porrete;
Sicché, per sé vìncendo, vinca ancora
Pel compagno, e perdendo 1' un di vuì,
Cosi perduto abbia per ambiduì.
22. Tra Gradasso e Ruggier credo che sia
Dì valor nulla, o poca differenza;
E dì lor qual si vuol venga fuor pria.
So, che in arme farà per eccellenza.
Poi la vittoria da quel canto stia,
Che vorrà la divina provvidenza:
Il cavalier non avrà colpa alcuna.
Ma il tutto ìmputerassi alla fortuna.
23. Stèron taciti al detto d' Agramante
E Ruggiero e Gradasso; ed accordarsi,
Che, qualunque di loro uscirà innante,
E r una briga e i' altra al)bia a pigliarsi.
Così in duo brevi, eh' avean siniigliante
I Ed ugual forma, i nomi lor notarsi,
j E dentro un' urna quelli hanno rinchiusi,
I ì ersati molto , e sozzopra confusi.
24. Un semplice fanciul nell' urna messe
La mano , e prese un breve ; e venne a caso '
Che in questo il nome di Ruggier si lesse.
Essendo quel del Serican rimaso.
Non si può dir, quanta allegrezza avesse.
Quando Ruggier si senti trar del vaso,
E d' altra parte il Sericano doglia:
Ma quel, che manda il ciel, forza é che toglia.
25. Ogni suo studio il Sericano , ogni opra
A favorire, ad jijutar converte.
Perché Ruggiero abbia a restar di sopra,
E le cose in suo prò , eh' a^ ea già esperte,
Come or di spada, or di sciulo si copra,
Qual sien botte fallaci, e qual sien eerte.
Quando tentar , quando schivar fortuna
Sì dee, gli torna a mente ad una ad una.
26. Il resto di quel di, che dall' accordo
¥j dal trar delle sorti sopravvanza,
È speso dagli amici in dar ricordo.
Chi all' unguerricr, chi all'altro, com'è usanza.
Il pojiol , di veder la pugna ingordo,
S' affretta a gara d' occupar la stanza;
Né basta a untiti innanzi giorno andarvi.
Che voglicni tutta notte anco vegghiarvi.
27. La sciocca turba di>iosa attende.
Che i duo buon cavalier vengano in prova;
Che non mira piò lungi, né comprende
Di quel, eh' innanzi agli occhj >i ritnna.
ila Sobrino , e Mar>ilio , e clii piò intende,
E \eile ciò che nuoce, e ciò che gio^a,
Ria^ula qm;sla battaglia, ed .Agramante,
Che coglia comportar, che >ada innante.
28. Né cessan ricordargli il gra\e danno,
Che u' ha d' a^ere il |)op(i| «.aracino,
Mnora Uuggiiro, o il tartaro tiranno.
Quel, che pnlì.>s(» è dal suo ller dentino;
D' un ^ol di lor na piò lii>ogno a>raiuio
Per conlra>lare al liirjio di Pipino,
Che di dieci altri mila, che ti >oiio.
Tra* quai fatica è ritro^anr un binino.
2(;
[403]
ORLANDO FURIOSO. (XXX. 29—44)
[40
29. Conosce il re Agriimante , eli' egli è vero.
Ma non può più negar ciò , eh' ha promesso.
Ben prega Mandricardo e il buon Ruggiero,
Che gli ridonin quel , eh' ha lor concesso j
E tanto più, che il lor litigio è un zero,
Kè degno in prova d' arme esser rimesso;
E, se in ciò pur noi vogliono ubbidire,
Vogliano almen la pugna dilTerire.
30. Cinque, o sei mesi il singoiar certame,
O meno, o più si differisca, tanto
Che cacciato abbian Carlo del reame,
Tolto lo scettro , la corona e il manto.
Ma r uno e 1' altro, ancorché voglia e brame
Il re ubbidir , pur sta duro da canto ;
Che tale accordo obbrobrioso stima
A chi '1 consenso suo vi darà prima.
31. Ma più del re, ma più d' ognun, che invano
Spenda a placare il Tartaro parole.
La bella figlia del re Stordilano
Supplice il priega , e si lamenta e duole.
Lo prega, che consenta al re africano,
E voglia quel , che tutto il campo vuole.
Si lamenta e si duol , che per lui sia
Timida sempre, e piena d' agonia.
32. Lassa! dicea, che ritrovar poss' io
Rimedio mai, eh' a riposar mi vaglia,
S' or contra questo , or quel , novo disio
Vi trarrà sempre a vestir piastra e maglia?
Ch' ha potuto giovare al petto mio
Il gaudio , che sia spenta la battaglia
Per me da voi contra quell' altro presa,
Se un' altra non minor se n' è già accesa ?
83. Oimè! eh' invano io me n' andava altera,
Ch' un re sì degno , un cavalier sì forte,
Per me volesse, in perigliosa e fiera
Battaglia, porsi al rischio della morte;
Ch' or veggo , per cagion tanto leggiera,
jNon meno esporvi alla niedesma sorte.
Fu naturai ferocità di core,
Ch' a quella v' instigò , più che '1 mio amorc;
34. ]Ma s' egli «; ver, che '1 vostn) amor sìa quello.
Che vi sforzate di mostrarmi ognora.
Per lui vi prego , e per quel y^ran lliigello.
Che mi percuote 1' alma, e che m' accora.
Che non vi caglia, se '1 candido augello
Ila nello scudo quel Ruggiero ancora.
Utile, o danno a voi non so che importi.
Che lasci quella insegna , o che la porti.
35. Poco guadagno, e perdita uscir molta
Della battaglia può, clic per far sete.
Quando abbiate a Rug^Ier 1' aquila tolta.
Poca mercè d' un gran travaglio avrete;
Ma se f(utuna le spalle vi volta.
Che non però nel crin pie^a tenete,
Causate un danno, che, a pensarvi solo.
Mi Éicnto il petto già sparar di duolo.
36. Quando la vita a v(»i per voi non sia
Cara, e più amiate nn' aquila dipinta.
Vi hìa alincri cara per la vita mia!
'S(m »arà T una senza 1' altra estinta,
^on già morir con voi grave mi fia;
Son di ncguirvi in Aita e in morte accinta;
Ma non Aorni morir t^ì nuli contenta,
Come io morrò , se dopo voi son spenta.
37. Con taì parole, e simili altre assai,
Cile lagrime accompagnano e sospiri,
Pregar non cessa tutta notte mai,
Perchè alla pace il suo amator ritiri.
E quel , suggendo dagli umidi rai
Quel dolce pianto , e quei dolci martiri
Dalle vermiglie labbra più che rose,
Lagrimando egli ancor, così rispose:
38. Deh! vita mia, non vi mettete affanno.
Deh! non, per Dio, di così lieve cosa!
Che, se Carlo, e '1 re d' Africa, e ciò eh' hai
Qui di gente moresca e di franciosa,
Spicgasser le banJiere in mio sol danno,
Voi pur non ne dovreste esser pensosa.
Ben mi mostrate in poco conto avere.
Se per me un Rnggier sol vi fa temere.
39. E vi dovria pur rammentar , che solo,
(E spada io non avea , né scimitarra )
Con un troncon di lancia , a un grosso stuolo
D' armati cavalier tolsi la sbarra.
Gradasso, ancorché con vergogna e duolo
Lo dica, pure a chi '1 d<nnanda, narra,
Che fu in Soria a un cistel mio prigioniero ;
Ed è pur d' altra fama, che Ruggiero.
40. Non nega similmente il re Gradasso,
E sallo Isolier vostro , e Sacripante,
Io dico Sacripante , il re circasso,
E '1 famoso Grifone ed Aquilante,
Cent' altri, e più, che pure a questo passo
Stati eran presi alcuni giorni innante,
Blacomettani e gente di battesmo.
Che tutti liberai quel dì medesmo.
41. Non cessa ancor la maraviglia loro
Della gran prova, eh' io feci quel giorno.
Maggior, che se l' esercito del Moro
E del Franco inimici avessi intorno.
Ed or potrà Rnggier, giovane soro.
Farmi da solo a solo o danno , o scorno ?
Ed or , eh' ho Durindana , e 1' armatura
D' Ettnr, vi de' Rnggier metter paura?
42. Deh ! perchè dianzi in prova non venni io.
Se far di voi con 1' arme io potca acquisto?
So , che v' avrei si aperto il valor mio,
Ch' avreste il fin già di Rnggier previsto.
Asciugate le lagrime, e, per Dio,
Non mi fate un augtuno cosi tristo,
E siate certa, che '1 mio onor m' ha spinto.
Non nello- scudo il bianco augel dipinto !
43. Così disse egli ; e molto ben risposto
Gli fu dalla mestissima sua donna,
Che non pur lui mutato di proposto.
Ma di luogo avria mossa una colonna.
Ella era per dover vincer lui tosto.
Ancorché armato , e eh' ella fosse in gonna ;
E r avca indotto a dir , se '1 re gli parla
D' accordo più, che volea contentarla.
44. E lo facea , se non , tostocli' al sole
La vaga Aurora fé' 1' usata scorta,
L' animoso Rnggier, «he uu)strur vuole.
Che con ragion la bella aquila porta,
Per non udir più d' atti e di parole
DilaziiMi, ma far la lite corta,
Dove circonda il popol lo steccato,
Sonundt» il corno s' apprescnta armato.
405]
ORLANDO FURIOSO. (XXX. 45—60)
15. Tostochè sente il Tartaro superbo,
Ch' alla battaglila il suono altier Io sfida,
IVon vuol più dell' accordo intender verbo.
Ma sì lancia del Ietto, ed arme grida;
E si dimostra si nel viso acerbo,
Che Doralice ij;tessa non si fida
Di dirgli più di pace , né di tregna ;
E forza è infin , che la battaglia segua.
VS. Subito s' arma , ed a fatica aspetta
Da' suoi scudieri i debiti servigi:
Poi monta sopra il buon cavallo in fretta,
Che del gran difensor fu di Parigi,
E vien correndo inver la piazza eletta
A terminar con 1' arme i gran litigi.
Yi giunse il re e la corte allora allora,
Sicch' air assalto fu poca dimora.
;7. Posti lor furo , ed allacciati in testa
I lucidi elmi , e date lor le lance.,
Segue la tromba a dare il segno presta,
Che fece a mille impallidir le guance.
Poserc» r aste i cavalieri in resta,
E i corridori punsero alle pance,
E venncr con tal impeto a ferirsi.
Che parve il cicl cader , la terra aprirsi.
8. Quinci e quindi venir si vede il bianco
Augel, che GioAe per l' aria sostenne,
Come nella Tessaglia si vide anco
Venir più volte , ma con altre penne.
Quanto sia 1' uno e 1" altro ardito e franco,
Mostra il j)ortar delle massicce antenne;
E molto più , eh' a quell' ini-ontro duro
Qual torre ai venti, o scogli all' onde furo.
9. I tronchi fino al ciel ne sono ascesi.
Scrive Turpin , verace in questo loco,
Che due o tre giù ne; torniiro accesi,
Ch' eran saliti alla sfera del foco.
I cavalit'ri i lìrandl arcano presi,
¥j , come quei , che si temean<» poco,
Si ritornaro incontra, e a prima giunta
Ambi alla vista si ferir di punta.
»0. Ferirsi alla vi^i(■ra al primo tratto,
E non miraron , per mettersi in terra.
Dare ai ca^ alli morte ; eh' è mal atto,
Perdi' essi non han col|)a della guerra.
Chi pensa, che tra lor fosse tal patto,
Kon sa 1' usanza antica , e di molto erra.
Senz' altro patto , «ra vergogna e fallo,
E biasmo eterno , a chi feria '1 cavallo.
il. Ferirsi all<i visiera , eh' era doppia,
Ed up|>ena anco a tanta furia resse.
li' un c(il|io ;ippres>o all' altro si raddoppia;
Le botte più (-Ile grandiiH^ soii spesse.
Che sprz'/a fronde; e rami , e grano, e stoppia,
E uscire in>aii fa la s|ierata messe.
Se Durindana e lialis.irda taglia,
Supirte, e quanto in (|uc>te mani vaglia.
i2. ÌMa degno di ^è colpo ancor non fanno;
Sì r uno (; r allro ben s'a snll' avviso!
Usci da !Maiidri(-arilii il primo danno,
Pi!r <^ui fu quasi il bitoii lluggiero ucciso.
D" uno (li (pici gran colpi, «he far sanno,
Gli fu lo siiiiio per iiic/./o di\iso,
E la corazza apertaf-li dì sotto,
E fin sul \ìvo il crudel brando ha rotto.
[406]
53
L' aspra percossa agghiacciò il cor nel petto,
Per dubbio di Ruggiero , ai circostanti,
Nel cui favor si conoscea 1' affetto
Dei più inchinar , se non di tutti quanti ;
E se fortuna ponesse ad effetto
Quel, che la maggior parte vorria innanti,
Già Mandricardo saria ranrto, o preso;
Sicché il suo colpo ha tutto il campo offeso.
54. Io credo, che qualche angel s' interpose,
Per salvar da quel colpo il cavaliero.
Ma ben , senza più indugio , gli rispose
Terribil più che mai fosse Ruggiero.
La spada in capo a Mandricardo pose;
Ma sì lo sdegno fu subito e fiero,
E tal fretta gli fé', eh' io men l' incolpo,
Se non mandò a ferir di taglio il colpo.
55. Se Balisarda lo giungea per dritto,
L' elmo d' Ettorrc era incantato invano.
Fu sì del colpo Mandricardo afflitto.
Che si lasciò la briglia uscir di mano:
D' andar tre volte a(xenna a capo fitto,
Mentre scorrendo va d' intorno il piano
Quel Brigliador, che conoscete al nume
Dolente ancor delle mutate some.
56. Calcata serpe mai tanto non ebbe,
Né ferito leon , sdegno e furore.
Quanto il 'lartaro, poiché sì riebbe
Dal colpo, che di sé Io trasse fuore:
E quanto 1' ira e la superbia crebbe.
Tanto , e più crebbe in lui forza e valore.
Fe«;e spiccare a Brigliadoro un salto
"\erso Ruggiero, e alzò la la spada in alto.
57. Levossi in sulle staffe, ed all' elmetto
Segnogli, e sì credette veramente
Partirlo a quella volta fino al petto:
Ma fu di luì Ruggìer più diligente.
Che , prìachè 'l braccio scenda al duro effetto.
Gli caccia sotto la spada pungente,
E gli fa nella maglia ampia finestra,
Che sotto difendea l' ascella destra;
58. E Balisarda al suo ritorno trasse
Di fuori il sangue tepido e vermiglio,
E vietò a Durindana, che calasse
Impetuosa con tanto periglio;
Benché fin sulla groppa sì piegasse
Iluggiero, e per dolor stringesse il ciglio;
E, s' cimo in ca|)o avca di pcggior tempre.
Gli era quel colpo memorabii sempre.
59. Uiiggier non cessa, e spìnge il suo cavallo,
E Maiidri(-ardo al destro fianco trova.
Quivi s(-elta finezza di metallo,
E ben condotta tempra, |iii(-o giova
Contra la spada , clu; non sciinle in fallo,
('he fu incantata, non per altra pro>a.
Cile per far, eh' a' suoi colpi nulla vaglia
Piastra incantala, ed iiicanl.ita maglia.
60. Taglionne quanto ella ne jirese , e insieme
liasciii ferito il Tartaro nel fianco.
Che 1 ciel lic^lcmiiiia , e di laiit' ira freme,
Clic l tempestoso iii.tr è orriliil manco.
Or s" appartrrliia a por le forze estreme!
Lo scudo, o\e in a//.iirro è l' augel l>ian(?0,
\ iato da sdegno , si gitlò lontano,
E uiikc al brando e 1' tuia e l' altra mano.
[407]
ORLANDO FURIOSO. (XXX. 61 — 70)
[40
61. Ah! disse a lui Ruggìer, senza più, basti
A mostrar, che non merli quella inseg^na,
Ch' or tu la getti , e dianzi la tagliasti ;
Piò potrai dir mai più, che ti convegna.
Cosi dicendo, forza è, eh' egli aitasti,
Con quanta furia Durindana regna,
Che si gli grava, e sì gli pesa in fronte,
Clie più leggier potea cadervi un monte;
62. E per mezzo gli fende la visiera ;
Buon per lui, che dal viso si discosta;
Poi cal«» suir arcion, che ferrato era,
]Vè Io difese averne doppia crosta :
Giunse allìn suU' arnese, e, come cera,
L' aperse con la falda sopra posta ;
E ferì gravemente nella coscia
Ruggier , sicch' assai stette a guarir poscia.
63. Dell' un , come dell' altro , fatte rosse
Il sangue 1' arme avea con doppia riga;
Talché diverso era il parer, chi fosse
Di lor , eh' avesse il meglio in quella briga.
3Ia quel dubbio Ruggier tosto rimosse.
Con la spada, che tanti ne castiga.
Mena di punta, e drizza il colpo crudo^
Onde gittato avea colui lo scudo.
64. Fora della corazza il Iato manco,
E di venire al cor trova la strada ;
Cile gli entra più d' un palmo sopra il fianco;
Sicché convien , che Mandricardo cada
D' ogni ragion, che può nell' augel bianco,
O che può aver nella famosa spada ;
E della cara vita cada insieme,
Che più , che spada e scudo , assai gli preme.
65. IVon morì quel racschin senza vendetta;
Ch' a quel medesmo tempo , che fu colto,
La spada , poco sua , menò di fretta,
Ed a Ruggiero aAria partito il volto.
Se già Ruggier non gli avesse intercetta
Prima la forza , e assai del vigor tolto.
Di forza e di vigor troppo gli tolse
Dianzi, che sotto il destro braccio il colse.
66. Da Mandricardo fu Ruggier percosso
Nel punto, eh' egli a Ini tolse la vita;
Talch' un cerchio di ferro, ancorché grosso,
E una curfia d' acciar ne fu parlila.
Durindana tagliò cotenna ed osso,
E nei capo a Ruggiero entrò due dita.
Ruggier stordito in terra si riversa,
E di sangue un ruscel dal capo versa.
07. 11 primo fu Rnggier, che andò per terra,
E di poi stette 1' altro a cader tanto,
Che qua?i crede ognun , clic della guerra
Riporti Maiulricardo il pregio e '1 Aanto:
E Doralice sua, che con gli altri erra,
E che quel dì più volte ha riso e pianto,
Dio ringraziò con mani al ciel supine,
Ch' avesse avuto la pugna tal fine.
08. Ma, poicli' appare a manifesti segni
Vivo chi vive, e s-enza vila il morto,
Nei jielti dei l'autor mutano regni.
Di Ili nu>ti/.iii , e di qua vien conforto.
I re , i "ignori , i eavalier più degni
Con Ruggier , che a fatica era risorto,
A ^allegrar^i , «d al)hracciar>i vanno,
E gloria senza fine , e onor gli danno.
69. Ognun s' allegra con Ruggiero, e sente
Il medesmo nel cor, eh' lia nella bocca.
Sol Gradasso il pensiero ha differente
Tutto da quel, che fuor la lingua scocca.
Mostra gaudio nel viso , e occultamente
Del glorioso acquisto invidia il tocca,
E maledice , o sia dentino , o caso.
Il qual trasse Ruggier prima del vaso.
70. Che dirò del favor , che delle tante
Carezze, e tante, affettuose e vere.
Che fece a quel Ruggiero il re Agramante,
Senza il qual dare al vento le bandiere,
Né volse mover d' Africa le piante.
Né senza lui si fidò in tante schiere?
Or che del re Agricane ha spento il seme.
Prezza più lui, che tutto il mondo insieme.
71. Né di tal volontà gli uomini soli
Eran verso Ruggier , ma le donne anco.
Che d' Africa e di Spagna fra gli stuoli
Eran venute al tenitorio franco:
E Doralice istessa, che con duoli
Piangea 1' amante suo pallido e bianco,
Forse con 1' altre ita sarebbe in schiera,
Se di vergogna un duro frcn non era.
72. Io dico forse, non eh' io ve V accerti;
Ma potrebbe esser stato di leggiero;
Tal la bellezza, e tali erano i merli,
I costumi e i sembianti di Ruggiero !
Ella per quel , che già ne siamo esperti,
Sì faeil era a variar pensiero,
Che , per non si veder priva d' amore,
Avria potuto in Ruggier porre il core.
73. Per lei buono era vivo Mandricardo ;
Ma che ne volea far dopo la morte.-*
Pro^-A eder le convien d' un , che gagliardo
Sia notte e di ne' suoi bisogni , e forte.
Non era stato intanto a venir tardo
II più perito medico di corte,
Che, di Ruggier veduta ogni ferita,
Già r avea assicurato della vita.
74. Con molta diligenza il re Agramante
Fece corcar Ruggier nelle sue tende ;
Che notte e di veder sei vuole innante.
Sì r ama , e sì di lui cura si prende.
Lo scudo al letto , e 1' arme tutte quante,
Che fur di Mandricardo , il re gli appende :
Tutte le appende , eccetto Durindana,
Che fu lasciata al re di Sericana.
75. Con r arme 1' altre spoglie a Ruggier sono)
Date di Mandricardo, e insieme dato
Gli é Brigliador, quel destrier bello e buono, i
Che per furore Orlando avea lasciato.
Poi qu(;llo al re diede Ruggiero in dono.
Che s' avvide , eh' assai gli saiia grato.
Non i)iù di questo , che tornar bisogna
A chi Ruggiero invan sospira e agogna.
76. Gli amorosi tormenti , che sostenne
Bradamante aspettiuulo, io v' ho da dire.
A !M(iiitall)<uio Ijipalca a lei rivenne,
E nuova le recò del suo desire.
Prima di quanto di Friuitin le avvenne
Con Rodcunonle , I' ehhe a riferire;
l'iti di Ruggier, chi; ritrovò alla fonte
Con Ricciardetto , e i frati d' Agrismonte ;
109]
ORLANDO FURIOSO. (XXX. 7?— 92)
[410]
F7. E che con esso lei s' era partito,
Con speme di trov.ire il Saracino,
E punirlo di quanto avea fallito
D' aver tolto a una donna il suo Frontino ;
J] che '1 disegno poi non j^^li era uscito.
Perchè diverso avea fatto il cammino.
La cagion anco, perchè non venisse
A Montalban lluggier, tutta le disse:
rS. E riferille le parole appieno,
Che in sua scusa Ruggler le avea commesse;
Poi si trasse la lettera di seno,
Ch' egli le die', perdi' ella a lei la desse.
Con viso più turbato , che sereno.
Prese la carta Bradamantc , e lesse,
Che , se non fosse la credenza stata
Già di veder lluggier, fora più grata.
Ì9. L' aver Ruggiero ella aspettato , e in vece
Di lui vedersi ora appagar d' un scritto,
Del bel viso turbar 1' aria le fece
Di timor, di cordoglio e di despitto.
Baciò la carta diece volte e diece,
Avendo a chi la scrisse il cor diritto.
Iie lacrime vietar , che su vi sparse.
Che con sospiri ardenti ella non 1' arse.
BO. Lesse la carta quattro volte e sei,
E volse, eh' altrettante I' imbasciata
Replicata le fosse da colei,
Che r una e 1' altra avea quivi arrecata;
Pur tuttavia piangendo , e crederei,
Cile mai non si saria più racchetata,
Se non avesse avuto pur conforto
Di rivedere il suo Ruggicr di corto.
Bl. Termine a ritornar quindici, o venti
Giorni avea Ruggier tolto , ed afierraato
L' avea ad Ippalca poi con giuramenti
Da non temer, (Aie mai fosse mancato.
Chi ra' assicura, oimè ! degli accidenti,
Ella dicea, eh' han forza in ogni lato.
Ma nelle guerre più, che non distorni
Alcun tanto Ruggier, che più non torni."*
82. Oimè, Ruggiero, oimè! chi avria creduto,
Ch' avendoti amato io più di me stessa.
Tu più di me, non eh' altri, ina potuto
Abbi amar gente tua nemica espressa?
A chi opprimer dovresti, d(»ni ajuto;
Chi tu dovrc-ti aitare , è da te «)pprcssa.
Non so , se biasmo , o laude esser ti credi,
Che al premiar e al punir sì poco vedi.
88. Fu morto da Trojan , non so se '1 sai,
n padre tuo , ma fnio i sassi il sanno ;
E tu del fìglio di Trojan cura hai,
Che n<m riceva alcun disnor, nò danno.
E questa la vendetta , che ne fai,
Ruggiero.-' E a quei, che vendicato 1' hanno,
Rendi tal premio, che d(;l sangu(; loro
Me fai morir di strazio e di luarloro?
84. Dicea la donna al suo Ruggiero assente
Queste p.irole, va\ altre lacrimaiulo,
Non ima Hola ^olta, ma soveiitt;.
Ippalca hi venia pur «Mtnfortando,
Chi! Ruggicr selcerebbe iiiteraiiieiitc
Sua fiih; , (; «:ir (;]|ii (' aspettas.oc, quando
Altro far non potoa, fin a qu(;l giorno,
Cir avea Ruggier prescritto ul suo ritorno.
85. I conforti d' Ippalca, e la speranza,
Cile degli amanti suol esser compagna,
Alla tema e al dolor tolgon possanza
Di far, che Bradamante ognora piagna.
In Montalban , senza mutar mai stanza,
Voglion, che fino al termine rimagna.
Fino al promesso termine, e giurato.
Che poi fu da Ruggier mal osservato.
86. Ma eh' egli alla promessa sua mancasse.
Non però deve aver la colpa all'atto;
Che una causa, ed un' altra si lo trasse.
Che gli fu forza preterire il patto.
Convenne , che nel Ietto si corcasse,
E più d' un mese si stesse di piatto.
In dubbio di morir, sì '1 dolor crebbe
Dopo la pugna , che col Tartaro ebbe.
87. L' innamorata giovane 1' attese
Tutto quel giorno, e dcsioUo invano ;
Ne mai ne seppe, fuor quanto n' intese
Ora da Ippalca, e poi dal suo germano,
Che le narrò, che Ruggier lui difese,
E Malagigi liberò , e Viviano.
Questa novella, ancorché avesse grata,
Pur di qualche amarezza era turbata;
88. Che di Marfisa in quel discorso udito
L' alto valore e le bellezze avea.
Udì, come Ruggier s' era partito
Con esso lei, e che d' andar dicea
Là , dove con disagio in debol sito
Mal sicuro Agramante si tenea.
Si degna compagnia la donna lauda,
aia non, che se n' allegri, o che 1' applauda.
89. Né picciolo è il sospetto, che la preme,
Che, se MarGsa è bella, come ha fama,
E che fino a quel dì sicn giti insieme,
E maraviglia, se Ruggicr non V ama.
Pur non vuol creder anco , e spera e teme,
E '1 giorno, che la può far lieta o grama.
Misera aspetta, e sospirando stassi.
Da Montalban mai non movendo ì passi.
90. Stando ella quivi, il principe, il signore
Del bel castello, e il primo de' suoi fiati,
Io non dico d' etadc , ma d' onore.
Che di lui prima duo n' erano nati,
Rinaldo, che di gloria e di splendore _
Gli ha, come il sol le stelle, illuininati.
Giunse al castello un giorno in sull.i nona.
Né, fuorché un paggio, era con lui persona.
91. Cagion del suo venir fu , che da Brava
Ritornandosi un di verso Parigi,
Come v' ho detto, che so>eiite andava.
Per ritrovar d' Angelica vc.-tigi,
Avea sentila la novella prava
Del suo ^i>iallo e del suo Malagigi,
Ch' eran per esser dati al >l.igair/.ege,
E perciò ad Agrismonle la via prese;
92. Dove intendendo poi, eh' eran salvati,
E gli iivcerMUJ lor lumti e distrutti,
E ìlarfisa e Uugy;icro erano stati.
Che gli accano a quei termini ridditi ;
E suoi fratelli . <r >iii»i ciigia tornati
A iMoiitalbaiio in>i('iiir erano tolti;
(ìli par\e ognora un anno di trovarsi
Con e^BU lor là dentro ad abbra('<'iai>i.
[411]
ORLANDO FURIOSO. (XXX. 93—95 XXXI. 1—8) [412 &
gS. Venne Rinaldo a Montalbano , e quivi
Madre , moglie abbracciò , figli e fratelli,
E i cugini, che dianzi crnn cattivi;
E parve, quando egli arrivò tra quelli,
Dopo gran fame, irondine , che arrivi
Col cibo in bocca ai pargoletti augelli:
E , poiché un giorno vi fu stato , o dui,
Partissi, e fé' partire altri con lui.
J)5. E ben lor disse il ver; eh' ella era inferma,
Ma non per febbre, o corporal dolore;
Era il disio , che 1' alma dentro inferma,
E le fa alterazion patir d' amore.
Rinaldo in Montalban più non si ferma,
E seco mena di sua gente il fiore.
Come a Parigi appropinquossi , e quanto
Carlo ajutò, vi dirà 1' altro canto.
94. Ricciardo , Alardo , Ricciardetto , e d' ossi
Figli d' Amone, il più vecchio Guicciardo,
Slalagigi e Vivian si furon me.*si
In arme , dietro al paladin gagliardo.
Bradamante , aspettando , che e' appressi
Il tempo , eh' al desio suo ne vien tardo.
Inferma , disse alli fratelli , eh' era,
E non volse con lor venire in schiera.
CANTO TRENTESTMOPRIMO.
ARGOMENTO.
Combatte con Guidon Rinaldo ardito^
E poscia lo conosce per fratello.
Rompe indi seco in un drappello unito
Agramante , e gli porge aspro flagello.
Con Rodomonte al fiero ponte uscito
Ha Brandimarte grave aspro duello ;
li' è preso ; ed il Signor di Montalbano
Combatte il suo dcstrier col Sericano.
Che dolce più , che più giocondo stato
Saria di quel d' un amoroso core.»
Che viver più felice e più l)eato,
Che ritrovarsi in servitù d' amore?
Se non fosse l' uom sempre stimolato
Da quel sospetto rio , da quel timore,
Da quel inartir, da quella frenesia,
Da quella rabbia, detta gelosia.»
;. Perocch' ogni altro amaro, clie si pone
Tra questa soavissiuia dolcezza,
E un angumento , una perfezione,
Ed un condurre amore a più finezza,
L' a«;que parer fa saporite e biu»ne
La sete, e il cibo pel digiun s' apprezza.
^(»n conosce la pace, e non l' estima,
Chi provato non ha la guerra prima.
;. Se ben non veggon gli occhj ciò , che Tede
Ognora il core, in pace si sopporta.
Lo ^tar lontano, p«»i , quando si riede.
Quanto più lungo fu , più riconforta.
L(» stare io Mr>itù senza mercede,
Purché non roti la speranza morta,
Patir hi può -, elle premio al ben servire
Pur viene allin , se ben tarda a venire.
4. Gli sdegni, le repulse, e finalmente
Tutti i martir d' amor , tutte le pene
Fan , per lor rimembranza , che si sente
Con miglior gusto un piacer , quando viene:
Ma, se r internai peste un' egra mente
Avvien che infetti , ammorbi ed avvelcne,
Se ben segue poi festa ed allegrezza,
Kon la cura 1' amante, e non 1' apprezza.
5. Questa è la cruda e avvelenata piaga,
A cui non vai liquor, non vale impiastro,
'Sé murmure, né immagine di saga,
]\è vai lungo osservar di benigno astro,
Kè quanta esperienza d' arte maga
Fece mai 1' inventor suo Zoroastro:
Piaga crudel, che sopra ogni dolore
Conduce 1' uora , che disperato muore !
6. Oh incurabile piaga, che nel petto
D' un amator si facile s' imprime,
Non men per falso , che per ver , sospetto !
Piaga , che l' uom sì crudelmente opprime.
Che la ragion gli offusca , e 1' intelletto,
E lo trae fuor delle sembianze prime !
Oh iniqua gelosia, che così a torto
Levasti a Bradamante ogni conforto!
7. Aon di questo , che Ippalca e che '1 fratcll(r'
Le avea nel core amaraiiiante impresso,
Ma dico d' un annunzio crudo e fello,
Che le fu dato pochi giorni appresso.
Questo era nulla , a paragon di q<iello,
Ch' io vi dirò, ma dopo alcun digresso.
Di Rinaldo ho da dir primieramente.
Che ver Parigi vien con la sua gente.
8. Scontraro il dì seguente inver la sera
Un cavalier , eh' avea una donna al fianco,
Con scudo e sopravvesta tutta nera.
Se n<ui che per traverso ha un fregio bianco.
Sfidò alla giostra Ricciardetto, eh' era
Dinanzi, e vista avea di guerrier franco;
E quel , che mai nessun ricusar volse,
Girò la briglia, e spazio a correr tolse.
H3]
ORLANDO FURIOSO. (XXXI. 9 — 24)
^414]
9. Senza dir altro , o più notìzia darsi
Dell' esser lor , si vengono all' incontro.
Rinaldo , e gli altri cavalier fermarsi,
Ver veder , come seguirla lo scontro.
Tosto costili per terra ha da versarsi.
Se in luogo fermo a mio modo lo incontro,
Dicca tra sé medesmo Ricciardetto :
Ma contrario al pensier seguì 1' effetto;
0. Perocché lui sotto la vista offese
Di tanto colpo il cavalier estrano,
Che lo levò di sella, e lo distese
Più di due lance al suo destrier lontano.
Di vendicarlo incontinente prese
L' assunto Alardo , e ritrovossi al piano
Stordito , e mal acconcio ; sì fu crudo
Lo scontro fier, che gli spezzò lo scudo.
.1. Guicciardo pone incontinente in resta
L' asta, che vetle i duo germani in terra,
Benché Rinaldo gridi; Resta, resta!
Che mia convien che sia la terza guerra.
Ma 1' elmo ancor non ha allacciato in testa;
Sicché Guicciardo al corso si disserra;
Ké più degli altri si seppe tenere,
E ritrovossi subito a giacere.
.2. Vuol Ricciardo , Viviano e Malagigi,
E r un prima dell' aliro , esser in giostra;
Ma Rinaldo pon fine ai lor litigi,
Che innanzi a tutti armato si dimostra,
Dicendo loro : E tempo ire a Parigi ;
E saria troppo la tardanza nostra,
S' io volessi aspettar linché ciascuno
Di voi fosse abbattuto ad uno ad uno.
S. Dissel tra sé, ma non die fosse inteso;
Che saria stato agli altri ingiuria e scorno.
L' uno e l' altro del campo avea già preso,
E si faceano incontro aspro ritorno.
Non fu Rinaldo per terra disteso,
Che valca tutti gli altri, eh' avea intomo.
Le lance si fiaciàr come di vetro,
Kè i cavalier si piegar oncia addietro.
.4. L' uno e 1' altro ravallo in guisa «rfosse,
Che lor fu f<uva in terra jior le groppe.
Dajardo innnantineiite ridri'/zosse,
Tanto eh' appena il corrile iiiterroppe;
Sinistraiiiente sì 1' altro percosse.
Che la spalla e la schiena insieme roppe.
Il cavalier, che '1 destrier morto vede,
Lascia le staffe, ed è subito in piede.
.5. Ed al figlio d' Aiiion , che già rivolto
Tornava a lui con bi man vota, disse:
Signore, il buon de>trier, clic tu in' hai tolto,
Pirrrliè caro mi fu, iiientreché visse.
Mi faria uscir del mio «libito molto.
Se co>ì iiiMiidicato si morisse;
Sicché vientcìie , e la ciò, che tu puoi,
Perché baltiiglia esser convien tra noi.
U». Disse Rinaldo a lui : Se 'I destrier morto,
E iKui altro, ci de' porre a battaglia,
Un de' mici ti darò, piglia contorto,
Cile mcn del tuo non crederò che vaglia.
Colui soggiunse: Tu sci mal accorto.
Se creder vuoi, che d' mi destrier mi raglia.
Ma poiché non coiiipicnili ciò, eli' io voglio.
Ti spiegherò più cliiarauienle il foglio.
17. Vo' dir, che rai parria commetter fallo,
Se con la spada non ti provassi anco,
E non sapessi , se in qnest' altro ballo
Tu mi sia pari , o se più vali , o manco.
Come ti piace, o scendi, o sta a cavallo.
Purché le man tu non ti tenga al fianco,
10 son contento ogni vantaggio darti.
Tanto alla spada bramo di provarti
18. Rinaldo molto non lo tenne in lunga,
E disse : La battaglia ti prometto ;
E , perchè tu sia ardito , e non ti punga
Di questi , di' ho d' intorno , alcun sospetto.
Andranno innanzi, finch' io li raggiunga;
Kè meco resterà , fuorch' un valletto,
Che mi tenga il cavallo. E così disse
Alla sua compagnia , che se ne gisse.
1!). La cortesia del paladin gagliardo
Commendò molto il cavaliere strano.
Smontò Rinaldo, e del destrier Bajardo
Diede al valletto le i*edine in mano;
E poiché più non vede il suo stendardo,
11 qnal di lungo spazio è già lontano,
Lo scudo imbraccia, e stringe il brando fiero,
£ sfida alla battaglia il cavaliero.
20. E quivi s' incomincia una battaglia.
Di eh' altra mai non fu più fiera in vista.
Non crede 1' un , che tanto 1' altro vaglia,
Che troppo lungamente gli resista.
Ma , poiché '1 paragon ben li ragguaglia,
Né r un dell' altro più s' allegra, o attrista,
Pongon r orgoglio ed il furor da parte.
Ed al vantaggio loro usano ogni arte.
21. S' odon lor colpi dispietati e crudi
Intorno rimbombar con suono orrendo.
Ora levando i canti a' grossi scudi,
Schiodando or piastre, e quando maglie aprendo.
Né qui bisogna tanto, che si studj
A ben ferir, quanto a parar, volendo
Star r uno all' altro jiar; eh' eterno danno
Lor può causare il primo error, che fanno.
22. DuW) r assalto un' ora , e più che "1 mezzo
D' un' altra, ed era il sol già sotto 1' onde.
Ed era spai*so il tenebroso rezzo
Dell' orizzon fin all' estreme sponde.
Né riposato, o fatto altro intermezzo
Avcano alle percosse furibonde
QiR'sti guerrier, <he non ira, o rancore.
Ma tratto all' arme uvea disio d" oiioi-c.
23. Rìvolve tuttavia tra sé Rinaldo,
Chi sia r cstrano cavalier si forte.
Che non pur gli sia contili ardilo e saldo,
Ma spesso il mena a rischio dilla morte,
E già tanto travaglio e tanto caldo
Gli ha posto, che del fin dubita forte;
E volenticr , se con suo onor potesse,
Vorria, che quella pugna riiiianisse.
24. Dall' altra parte il cavaliero istrano,
(Tlie siiiiiliiiente non avea iioti/.ia.
Clic quel fosse il signor di Montalbaiio,
Quel si famoso in tutta la niili/,ia,
die gli uvea incontri con la spada in mano
('oiidotto cosi poca iiiiiiici/.ia.
Era certo, che d' iiom di più eccellenza
Nini |)otossìn d.ir I' nniie esperienza.
[415]
ORLANDO FURIOSO. (XXXI. 25-40)
[4IC
34,
35
25. Vorrebbe dell' impresa esser digiuno, 1 33.
Ch' avea di vendicare il suo cavallo ;
£ . se potesse senza biasmo alcuno.
Si trarrla fuor del periglioso ballo.
11 mondo era già tanto oscuro e bruno,
Che tutti i colpi quasi ivano in fallo :
Poco ferire, e men parar sapeano,
Ch' appena in man le spade si vedeano.
26, Fu quel da 3Iontalbano il primo a dire,
Che far battaglia non denno all' oscuro,
Ma quella indugiar tanto, e difierire,
Ch" avesse dato volta il pigro Arturo;
E che può intanto al padiglion venire,
Ove di so non sarà men sicuro,
Ma servito, onorato, e ben veduto,
Quanto in loco, ove mai fosse venuto.
27- Non bisognò a Rinaldo pregar molto,
Che '1 cortese baron tenne 1' invito.
ÌNe vanno insieme, ove il drappel raccolto
lìi Montalbano era in sicuro sito.
Rinaldo al suo scudiero avea già tolto
Un bel cavallo, e molto ben guernito,
A spada e lancia, e ad ogni prova buono,
Ed a quel cavalier fattone dono.
28. Il guerrier peregrin conobbe quello
Esser Rinaldo, che venia con esso;
Che, primachè giungessero all' ostello,
Venuto a caso era a nomar sé stesso :
E , perchè V un dell' altro era fratello,
Si sentì dentro di dolcezza oppresso,
E di j)ictoso affetto tocco il core,
E lacrimò per gaudio e per amore.
29. Questo guerriero era Guidon Selvaggio,
Che dianzi , con Marfisa e Sansonetto
E i figli d' Olivier, molto viaggio
Avea fatto per mar, come v' ho detto.
Di non veder più tosto il suo legnaggio
11 fellon Pinabel gli avea interdetto,
Avendol preso, e a bada poi tenuto
Alla difesa del suo rio statuto.
30. Guidon, che questo esser Rinaldo udio.
Famoso sopra ogni famoso duce,
Cli' avuto avea più di veder disio,
Che non ha il cieco la perduta luce,
Con molto gaudio disse: Oh sign(u- mio,
Qual fortuna a combatter mi conduce
Con voi , che lungamente ho amato ed amo,
E sopra tutto il mondo onorar bramo f
31. Mi partorì Costanza nell' estreme
Ripe del mar eusino. Io son Guidone,
Concetto dell' illustre inclito seme.
Come ancor voi, del generoso Amone.
Di voi vedere , e gli altri nctstri insieme,
11 desiderio è del venir cagione ;
E. dove mia intenzion fu d' onorarvi,
^li veggo esser venuto a ingiuriarvi. i
32. Ala scusimi appo voi d' un error tanto, 40.
Cir io non Ilo voi, nò gli altri conosciuto !
E tt" emendar si piìò , ditemi , quanto i
Far debbo; che in ciò far nulla rifiuto,
l'oichè bi fu da questo e da quel cauto
De' compie-»! iterati al fin venuto,
Rii^iuiée a ini Rinaldo: \on vi caglia
Meco scusarvi più ilclla battaglia ;
Che per certificarne, che voi sete
Di nostra antica stirpe lui vero ramo,
Dar miglior testimonio non potete,
Che 1 gran valor, che in voi chiaro provìanic
Se più pacifiche erano e quiete
Vostre maniere, mal vi credevamo;
Che la damma non genera il leone,
]\è le colombe 1' aquila o '1 falcone.
Non , per andar , di ragionar lasciando,
Non di seguir, per ragionar, lor via.
Vennero ili padiglioni , ove narrando
Il buon Rinaldo alla sua compagnia.
Che questo ei-a Guidon , che desiando
Veder , tanto aspettato aveano pria ,
Molto gaudio apportò nelle sue squadre,
E parve a tutti assiniigliarsi al padre.
Non dirò 1' accoglienze, che gli fero
Alardo, Ricciardetto e gli altri dui.
Che gli fece Viviano ed Aldigiero,
E Malagigi, frati e cugin sui,
Ch' ogni signor gli fece, e cavaliero.
Ciò, che egli disse a loro, ed essi a lui;
3Ia vi concluderò , che finalmente
Fu ben veduto da tutta la gente.
36. Caro Guidone a' suoi fratelli stato ^
Credo sarebbe in ogni tempo assai ;
Ma lor fu al gran bisogno ora più grato,
Ch' psser potesse in altro tempo mai.
Posciachè "1 nuovo sole incoronato
Del mare uscì di luminosi rai,
Guidon, coi frati e coi parenti in schiera,
Se ne tornò sotto la lor bandiera.
37. Tanto un giorno ed un altro se n' andavo, ^
Che di Parigi alle assediate pcu'te
A men di dieci miglia s' accostare.
In ripa a Senna, ove per buona sorte
Grifone ed Aquilante ritrovare,
I duo guerrier dall' armatura forte;
Grifone il bianco, ed Aquilante il nero,
Che partorì Gismonda d' Oliviero.
SS. Con essi ragionava una donzella.
Non già di vii condizione in vista,
ClfC di sciamito bianco la gonnella
Fregiata intorno avea d' aurata lista ;
Molto leggiadra in apparenza, e bella.
Fosse quantunque lagrimosa e trista ;
E mostrava ne' gesti e nel sembiante
Di cosa ragionar molto importante.
Conobbe i cavalier, come essi lui,
Guidon . che fu con lor pochi «lì innanzi.
Ed a Rinaldo disse: Eccovi dui,
A cui van pochi di valore innanzi ;
E , se per Carlo ne verrau con nui,
Non ne staranno i Sariu-ini innanzi.
Rinaldo di (ìnidon conferma il detto.
Che r uno e 1' altro era guerrier perfetto.
Gli avea riconosciuti egli non manco;
Perocché quelli sempre erano usati,
L' un tutto nero, e 1' altro tutto bianco
Aestir suir arme, e nu)lto andare ornati.
Dair altra parte essi conobber anco,
E salutar Guidon, Rinaldo e i frati.
Ed abbrac(^iàr Rinaldo, corno amico,
Messo da parte ogni ior odio antico.
39.
f
417]
ORLANDO FURIOSO. (XXXF. 41 — 56)
[418]
41. S' ebbero un tempo in onta e in gran dispetto
Per Truffaldiu, che fora lungo a dire;
Ma quivi insieme con fraterno affetto
S' accarezzar, tutte obbliando 1' ire.
Rinaldo poi si volse a Sansonetto,
Ch' era tardato un poco più a venire,
E lo raccolse col debito onore,
Appieno instrutto del suo gran valore.
42. Tostochè la donzella più vicino
Vide Rinaldo , e cnno^ciuto 1' ebbe,
Ch' avea notìzia d' ogni paladino,
Gli disse una novella, che gì' increbbe,
E cominciò : Signore , il tuo cugino,
I A cui la chiesa e l' alto imperio debbe.
Quel già si saggio ed onorato Orlando,
E fatto stolto , e va pel mondo errando.
143. Onde causato così strano e rio
Accidente gli sia, non so narrarte;
La sua spada e l' altr' arme ho vedute io,
Che per li campi avea gittate e sparte;
E vidi un cavalier cortese e pio,
Che le andò raccogliendo da ogni parte,
E poi di tutte quelle un arbuscello
Fé', a guisa di trofeo, pomposo e bello.
44. Ma la spada ne fu tosto levata
Dal figliuol d' Agricane, il dì medesmo.
Tu puoi considerar, quanto sia stata
Gran perdita alla gente del battesrao,
L' esser un' altra volta ritornata
Durindana in poter del paganesmo.
INO Brigliadoro mcn , eh' errava sciolto
Intorno all' arme, fu dal pagan tolto.
IT). Son pochi dì, eh' Orlando correr vidi,
Senza vergogna e senza senno, ignudo,
Con urli spaventevoli e con gridi.
Ch' è fatto pazzo, in sonuna ti conchiudo:
E non avrei, fuorch' a questi occhj fidi,
("leduto mai sì acerbo caso e crudo,
l'oi narrò, che lo vide giù dal ponte
Abbracciato cader con Rodomonte.
46. A qualunque io non creda esser nimico
D' Oliando, soggiungea, di ciò favello,
Accioccir alcun di tanti , a eh' io io dico,
Mosso a pietà del caso strano e fello,
Cerchi o a Parigi, o in altro luogo amico
Ridurlo, finché si purghi il cervello.
Ben 80, se Brandimarte n' avrà nova,
Sarà per farne ogni possibil prova.
47. Era costei la bella Fiordiligi,
Più cara a Brandimarte, che sé stesso,
La qual, per lui trovar, venia a Parigi:
E della s|)ada ella soggiunse appresso,
(/he discordia e conte!>a e gran litigi
Tra il SericaiU) e '1 Tartaro avea messo,
E di' avuta 1' avea, poiché fu casso
Ui vita Mandricardo, allin Gradasso.
48. Di così strano e misero accidente
Rinaldo senza fin si lagna e duole;
^è il core intenerir nieii se ne sente,
Che coglia intenerirai il gliiaccio al sole;
E con disposta ed immutabii mente,
Ovuiujuc Orlando sia, cercar lo \uole.
Con bp«-ine, poiché ritrovato V abbia,
Di furio risanar di quella rabbia.
49. Ma già lo stuolo avendo fatto unire,
Sia volontà del cielo, o sia avventura,
Vuol fare i Saracin prima fuggire,
E liberar le parigine mura.
Ma consiglia 1' assalto differire,
Che vi par gran vantaggio, a notte scura,
Nella terza vigilia , o nella quarta,
Ch' avrà 1' acqua di Lete il sonno sparta.
50. Tutta la gente alloggiar fece al bosco,
E quivi la posù per tutto "1 giorno.
3Ia, poi'.lié '1 sol, lasciando il mondo fosco.
Alla nutrice antica fé' ritorno,
Ed orsi e capre , e serpi senza tosco,
E r altre fere ebbono il cielo adorno,
Che state erano ascose al maggior lampo.
Mosse Rinaldo il taciturno campo :
r>l. E venne, con Grifon, con Aquilante,
Con Vivian , con Alardo e con Guidone,
Con Sansonetto , agli altri un miglio innante,
A cheti passi , e senza alcun sermone.
Trovò dormir 1' ascolta d' Agramante;
Tutta r uccise, e non ne fé' un prigione.
Indi arrivò tra I' altra gente mora.
Che non fu visto, né sentito ancora.
53. Del campo d' infedeli a prima giunta
La ritrovata guardia all' improvviso
Lasciò Rinaldo sì rotta e consunta,
Ch' un sol non ne restò, se non ucciso.
Spezzata che lor fu la prima punta,
1 Saracin non l' avean più da riso;
Che sonnolenti, timidi ed inermi,
Poteano a tai guerrier far pochi schermì.
53. Fece Rinaldo, per maggior spavento
De' Saracini, al mover dell' assalto,
A trombe e a corni dar subito vento,
E gridando il suo nome alzare in alto.
Spinse Bajardo , e quel non parve lento,
Che dentro all' alte sbarre entrò d' un salto,
E versò «:avalier, pestò pedoni.
Ed atterrò trabacche e padiglioni.
54. Non fu si ardito tra il popol pagano,
A cui non s' arricciassero le chiiuue,
Quando sentì Rinaldo e Montalbano
Sonar per 1' aria il formidato nome.
Fugge col campo d' Africa 1' lspaiu>,
Né perde tempo a caricar le some;
Ch' as|)ettar quella furia più non vuole,
Ch' aver provata anco ^i piagne e duole.
55. Giiidon Io segue e non fa men di lui ;
Né nuMi fanno i diu) figli d" Olivier.»,
Alardo e Rie«'iardctto , e gli altri dui.
Col brando Sansonetto apre il sentiero.
Aldigiero e ^i^iau |)ro>are altrui
Fan, quanto in arme 1' uno t' 1' altro è fiero:
C«)sì fa «tgnim, che segue lo steiulardu
Di Chiaramonto , da guerrier gagliardo.
50. Settecenti» con lui tenea Rinaldo
In ^lontalltano, e intorno a quelle ville.
Usati a portar 1' arnu> al freddo e al caldo.
Non già più rei ile' Mirmiilou d' Achille.
Ciascun d' O'-i al iti^ogno era bì saldo,
('he cento infiline non fuggian per mille;
E se uu potean uuilli bceglier fuori,
(/he d' alcun de' famosi eran migliori.
2Ì
[419]
ORLANDO FURIOSO. (XXXL 57-72)
[420
57. E , se Rinaldo ben non era molto
Ricco , né di città , né di tejioro,
Facea sì con parole e con buon volto,
E ciò eh' avea, partendo ognor con toro,
Ch' un di quel nunier mai non gli fu tolto.
Per offerire altrui più somma d^ oro.
Questi da Montaiban mai non riraove.
Se non lo stringe un gran bisogno altrove.
58. Ed or, perch' abbia il Magno Carlo ajuto,
Lasciò con poca guardia il suo castello.
Tra gli African questo drappel venuto,
Questo drappel. del cui valor favello,
Ke fece quel, che del gregge lanuto
Sul falantéo Galeso il lupo fello,
O quel che soglia del barbato, appresso
Il barbaro Cinifio, il leon spesso.
59. Carlo, eh' avviso da Rinaldo avuto
Avea , che presso era a Parigi giunto,
E che la notte il campo sprovve(Uito
Volea assalir, stato era in arme e in punto,
E quando Jìisognò , venne in ajuto
Coi paladini ; e ai paladini aggiunto
Avea il figliuol del ricco Monodante,
Di Fiordiligi il fido e saggio amante,
(jO. Ch' ella , più giorni , per si lunga via
Cercato avea per tutta Francia invano.
Quivi, all' insegne, che portar solia.
Fu da lei conosciuto di lontano.
Come lei Brandimarte vide pria.
Lasciò la guerra , e tornò tutto umano,
E corse ad abbracciarla, e d' amor pieno
Mille volte bacioUa, o poco meno.
61. Delle lor donne e delle lor donzelle
Si lìdàr molto a quell' antica etade,
Senz' altra scorta andar lasciando quelle
Per piani e monti, e per strane contrade;
Ed al ritorno 1' han per buone e belle,
Kè mai tra lor suspicione accade.
Fiordiligi narrò quivi al suo amante.
Che fatto stolto era il signor d' Anglante.
62. Brandimarte sì strana e ria novella
Creder ad altri aj>pena avria potuto ;
Ma la credette a Fiordiligi bella,
A cui già maggior cose avea creduto.
Non jìur d' averlo udito gli di<:e ella.
Ma che con gli occlij proprj l' ha veduto ;
Cb' ha conoscenza e pratica d' Orlando,
Quanto alcun altro; e dice, dove e quando.
63. E gli narra del ponte periglioso,
Cbe Rodomonte ai cavalier difende,
Ove un sepolcro ad(u-na, e fa pomposo
Di sopravveste, e d' arnie di cbi prende.
ISarra , <h' ha visto Orlaiulo furioso
Far cose <|uivi orribili e stupende ;
('ile nel (iume il pagau mandò riverso,
Con gran periglio dì restar sommerso.
64 Brandimarte, che 'I conte ama\a, quanto
Si può compagno amar, fratello, o figlio,
Dii-po-to di o-rc.irlo, e di far tanto,
Non ri(U..aiMl<> alfaimo, nò periglio,
('be per opra <li medico o d' ini^into
Si ponga a quel fur(»r quab'he consiglio,
Così come lro\oHr-i armato in sella,
Si inì?e in via c(ui la sua donna bella.
65.
66.
67.
68
69.
70
Verso la parte, ove la donna il conte
Avea veduto, il lor cammin driz/aro,
Di giornata in giornata, finch' al ponte.
Che guarda il re d' Algier, si vilrovaro.
La g'.jardia ne fé' segno a Rodomonte,
E gli scudieri a un tempo gli arrecaro
L' arme e il cavallo, e quel si trovò in punto,
Quando fu Brandimarte al passo giunto.
Con voce, qual conviene al suo furore.
Il Saracino a Brandimarte grida :
Qualunque tu ti sia, che per errore
Di via, o di mente, qui tua sorte guida,
Scendi , e spogliati l' arme , e faune onore
Al gran sepolcro , innanzich' io t' uc. ida,
E che vittima all' ombre tu sia ofi'crto !
Ch' io '1 farò poi, né te n' avrò alcun merto.
Non volse Brandimarte a quell' altero
Altra risposta dar , che della lancia.
Sprona Batoido, il suo gentil destriero,
E inverso quel con tanto ardir si lancia,
Che mostra, che può star d' animo fiero
Con qualsivoglia al mondo alla liilancia;
E Rodomonte, con la lancia in resta.
Lo stretto ponte a tutta briglia pesta.
Il suo destrier, eh' avea continuo uso
D' andarvi sopra, e far di quel sovente
Quando uno, e quando un altro cader giuso.
Alla giostra correa sicuramente.
L' altro, del corso insolito confuso,
Venia dubbioso , timido e tremente.
Trema anco il ponte , e par cader nell' onda,
Oltrech' è stretto , e che sia senza sponda.
I cavalier, di giostra ambi maestri.
Che le lance avean grosse , ctìuie travi,
Tali, qual fur ne' lor ceppi silvestri.
Si dieron colpi non troppo soavi.
Ai lor cavalli esser possenti e destri
Non giovò iiHtlto agli aspri colpi e gravi ;
Che *■! versar di pari aiiibi sul ponte,
E seco i signor lor tutti in un monte.
71
Nel volersi levar con quella fretta.
Che lo spronar de' fianchi insta e richiede,
L' asse del pontìcel lor fu sì stretta.
Che non trovaro , ove fermare il piede;
Sicché una sorte ugnale ambi li getta
Neil' acqua, e gran rimbombo al ciel ne rieJe
Simile a quel , eh' usci del nostro fiume,
Quando ci cadde il mal rettor del lume.
I duo camalli andar con tutto 'l pondo
De' cavalier , che stèron fermi in sella,
A cercar la riviera inaino al fonilo ,
Se v' era ascosa alciuia ninfa bella.
Non è già il primo salto, né 'l sccomlo.
Che giù del ponte abbia il pagano in quella
Onda spiccato col destriero audace;
PeiV» sa ben, come quel fondo giace.
72. Sa, dove è saldo, e sa, dove è più molle;
Sa, dove è 1' acqua bassa, e dove è l' alta.
Dal fiume il capo , il petto e i fianchi estolle,
E liraiulimarte a gran vantaggio assalta.
Br;indimarte il correntt; in giro tolle.
Nella sabbia il destrier, che '1 fondo smalta,
Tutte» si ficca , e non può riaversi.
Con riscliio di restarvi ambi sommersi.
t21]
ORLANDO FURIOSO. (XXXI. 73-88)
[422]
3. L' onda si leva, e li fa andar sozzojna,
E dove è più protonda li trasporta.
Va Brandiinarte sotto, e 'I destrier sopra.
Fiordiligi dal ponte , afflitta e smorta,
E le lagrime e i voti e i preghi adopra.
Ah, R(»domonte, per colei, cJie morta
Tu riverisci , non esser si fiero,
Ch' affogar lasci un tanto cavaliero !
fi. Deh ! cortese signor , s' unqua tu amasti,
Di me, eh' amo costui , pietà ti vegna !
Di farlo tuo prigion , per Dio , ti basti !
Che s' orni il sasso tuo di quella insegna,
Di quante spoglie mai iu gli arrecasti,
Questa fla la più beila, e la più degna.
E seppe sì ben dir, eh' ancorché f(tsse
Si crudo il re pagan , pm- lo commosse ;
<5. E fé', che 'l suo nmator ratto soccorse,
Che sotto acqua il destrier tenea sepolto,
E della vita era venuto in forse,
E senza sete avea bevuto molto.
Ma ajuto non però prima gli porse,
Clie gli ebbe il brando , e di poi 1' elmo tolto.
Dell' acqua mezzo morto il trasse, e porre
Con molti altri lo fé' nella sua torre.
76. Fu nella donna ogni allegrezza spenta,
Quando prigion vide il suo amante gire;
Ma di questo pur meglio si contenta,
Che di vederlo nel fiume perire.
Di sé stessa, e non d' altri si lamenta;
Cile fu cagion di farlo ivi venire.
Per avergli narrato , eh' avea il conte
Riconosciuto al periglioso ponte.
n. Quindi si parte, avendo già concetto
Di menarvi Rinaldo paladino,
O il Selvaggio (Guidone , o Sansonetto,
O altri della corte di l'ipino.
In acqua e in terra ca^alier perfetto,
Da poter contrastar col Saracino;
Se non più forte, aluien più fortunjito,
Che Ur<tndimartc suo non era stato.
18. Va molti giorni , primarlu'- s' abbatta
In alcun cavalier , eh' abbia scnibiaiitc
D" esiser, come lo vuol , percliè combatta
Col Saracino, e liberi il suo amante.
Dopo molto cenuir di persona atta
Al suo bisogno, un le vien pur avante,
- Che sopra^ vestii avea ricca ed ornata,
A tronchi di cipres^^i ricamata.
19. Chi costui fosse, altrove ho da narrarvi;
Che jìrima ritornar voglio a l'arigi,
E della gran s('()nfitta seguitarvi,
Cir a' Mori die Uiiialdo e Vlalagigi.
Quei «'he fuggirò, io non saprei contarvi,
Né quei che tur cacciati ai liuuii stigj.
Levò a 'l'urpino il conto T aria oscura.
Che di contarli s' aica preso cura.
80. Nel primo sonno dentro al padiglione
Dorinia Agramantc^ , e un c.ivalier lo decita,
Dii cndogli , che fia l'atto prigione,
Se la foga min è \'ui più che presta.
Guarda il re ìnt(M-no , v. la conliisioiH;
V«de dei suoi , che van , senza far testa,
Chi qua, clii lù fuggendo inermi e nudi;
('he non lian l<;mpo dì più- tor gli sciuli.
83
Tutto confuso, e privo di consìglio,
Si iacea porre irnlosso la corazza.
Quando con Falsiron vi giunse il figlio
Grandonio e Balugante , e quella razza ;
E al re Agramante mostrano il periglio
Di restar morto, o preso in quella piazza;
E che può dir , se salva la persona,
Che fortuna gli sia propizia e buona.
Così Marsilio , e cosi il buon Sobrino,
E cosi di<;on gli altri ad una voce,
Cli' a sua distrnzion tanto è vicino,
Qnanto a Rinaldo, il qual ne vien veloce;
Che, se aspetta, che giunga il paladino
Con tanta gente , e un uom tanto feroce.
Render certo si può , eh' egli , e ì suoi amici,
Rìmarran morti, o in man degl' inimici.
Ma ridur si può in Arli, o sia in Xarbona,
Con quella poca gente, eh' ha d' intorno;
Che 1' una e l' altra terra è forte e buona
Da mantener la guerra più d' un giorno :
E quando salva sia la sua persona,
Si potrà vendicar di questo scorno,
Rifacendo 1' esercito in un tratto.
Onde alfin Carlo ne sarà disfatto.
81. 11 re Agramante al parer lor s' attenne.
Benché '1 partito fosse acerbo e duro.
Andò verso Arli, e parve aver le penne
Per quel cammin , che più tro^ò sicuro.
Oltre alle guide, in gran favor gli venne.
Che la partita fu per 1' aer scuro.
Aentimila, tra d' Africa e di Spagna,
Fur , eh' a Rinaldo uscir fuor della ragna.
85. Quei eh' egli uccise , e quei che i suo' fratelh*,
Quei che i duo figli del signor di A ienna.
Quei . che provaro enipj nemici e felli
I settecento, a cui Rinaldo accenna,
E quei che spense Sansonetto , e quelli
Che nella fuga s' ad'ogaro in Senna,
Chi potesse ("oiitar , conteria ancora
Ciò che sparge d' aprii Favonio e Flora.
86. Estima alctm , che Malagigi parte
Kella littoria avesse delbi notte;
]\on che di sangue le compagne sparte
Fosser per lui, né per lui teste rotte;
Ma che gf inlVrnali angeli per arte
Facesse uscir dalle tartaree grotte,
E con tante bandiere e tante lance.
Che in>iem(' più non ne porrian due France;
81. E che facesse udir tanti metalli.
Tanti tamburi, e tiUiti mu\\ ^uoni,
Tanti aiiniiriri in aocc di cavalli,
l'ariti gridi e ttunulli di |)((loni.
Che ris(Hiar e piani e uuwiti e valli
Dovean «Ielle longin<|U(ì regioni:
Ed a' >lori con (|ue>to un liiiior diede,
Che li fece \ oliare in foga il piede.
88. INon si scordò il re d' Africa Kuggiero,
Cir era ferito, e stava ancora graM-:
Quanto potè più a<'i oncio ^u un destriero
liO lece por, eh' a^ea I" andar >oa>e;
E, poiché r el)lie tratto. in<- il s<>iitiero
Fu più ^i^llro, il le' ptoare in na%e,
I! ^(>rso Arli portar comodHinenle,
l)t)^e w' nvca a raccor Ihiiìi la gente.
Té "^
[423]
ORLANDO FURIOSO. (XXXI. 89 — 104)
[421
89. Quei eh' a Rinaldo e a Carlo dièr le spalle,
Far, credo, centomila, o poco manco,
Per campag-ne , per bosichi , e monte , e valle
Cercar© iiticir di man del popol franco.
Ma la più parte trovò chiuso il calle,
E fece rosso , ov' era verde e bianco.
Così non fece il re di Sericana,
Ch' avea da lor la tenda più lontana.
90. Anzi , come egli sente , clic '1 signore
Di 3Iontalbano è questo , che gli assalta.
Gioisce di tal giubilo nel core,
Che qua e là per allegrezza salta.
Loda e ringrazia il suo sommo Fattore,
Che quella notte gli occorra tant' alta
E sì rara avventura, d' acquistare
Bajardo , quel destrier , che non ha pare.
91. Avea quel re gran tempo desiato,
Credo eh' altrove voi 1' abbiate letto,
D' aver la buona Durindana allato,
E cavalcar quel corridor perfetto;
E già, con più di centomila armato.
Era Aenuto in Francia a questo effetto;
E con Ilinahlo già sfidato s' era.
Per quel cavallo , alla battaglia fiera ;
92. E sul lito del mar s' era condutto,
Ove dovea la pugna diffiiiire:
Ma Malagigi a turbar venne il tutto,
Che fc' il cugin mal grado suo partire,
Avendol sopra un legno in mar ridutto.
Lungo sana tutta l' istoria dire.
Da indi in qua stimò timido e vile
Sempre Gradasso il paladin gentile.
93. Or che Gradasso esser Rinaldo intende
Costui, eh' assale il campo, se u' allegra.
Si veste l' arme, e la sua Alfana prende,
E cercando lo va per 1' aria negra;
E quanti ne riscontra , a terra stende,
Ed in confuso lascia afflitta ed egra
La gente, o sia di Libia, o sia di Francia;
Tutti li mena a un par la buona lancia.
94. Lo va di qua , di là tanto cercando,
dilaniando spesso, e quanto può più forte,
E sempre a quella parte dec.iinando,
Ove jìiù folte son le genti morte,
Ch' alfin s' incontra in lui brando per brando,
Poiché le lance loro ad una sorte
Eriin salite, in mille schegge rotte.
Sin al carro stellato della notte.
95. Quando Gradasso il paladin gagliardo
Conos('e, non pen-liè ne Aegga insegna,
I\Ia per gli orrendi colpi, e per (Jajardo,
Che par , c-he sol tutto quel < iimi)o tegna,
!\(m è, gridando, a iin|)r(»\ crargli tardo
La prova, che di sé l'ciu; non degna;
Ch' al dato campo il giorno non compar
Che tra lor la battaglia dovea farse.
9fì. Soggiunse poi: Tu forse avevi speme.
Se i)(it(\i na.(!onderti quel punto,
Cile non mai più per raccozzarci insieme
Fossiiiu) al mondo; or vedi, eh' io t'ho giunto.
Sii certo, t.v, tu andassi ncll' estreme
Fosse di Stigfr, o fossi in cielo assunto.
Ti seguirò, quando abbi il destrier tcco,
Ncir aita luce , e giù nel mondo cieco.
97. Se d' aver meco a far non ti dà il core,
E vedi già , che non puoi stirmi a paro,
E più stimi la vita , che l' onore,
Senza periglio ci puoi far riparo,
Quando mi lasci in pace il corridore,
E viver puoi , se sì t' è il viver caro:
Ma vivi a pie; che non merti cavallo,
S' alla cavalleria fai sì gran fallo.
98. A quel parlar si ritrovò presente.
Con Ricciardetto , il cavalier Selvaggio ;
E le spade ambi trassero ugualmente.
Per far parere il Serican mal saggio ;
Ma Rinaldo s' oppose immantinente,
E non pati , che se gli fesse oltraggio,
Dicendo : Senza voi dunque non sono,
A chi m' oltraggia , per risponder buono ?
99. Poi se ne ritornò verso il pagano,
E disse : Odi , Gradasso ! io voglio farte.
Se tu m' ascolti, manifesto e piano,
Ch' io venni alla marina a ritrovarte;
E poi ti sosterrò con l' arme in mano.
Che t' avrò detto il vero in ogni parte;
E sempre che tu dica, mentirai,
Ch' alla cavalleria mancassi io mai.
100. Ma ben ti prego , che , primachè sìa
Pugna tra noi , tu pienamente intenda
La giustissima e vera scusa mia,
Acciocch' a torto più non mi riprenda,
E poi Bajardo al termine di pria
Tra noi vorrò eh' a piedi si contenda.
Da solo a solo in solitario lato.
Siccome appunto fu da te ordinato.
101. Era cortese il re di Sericana,
Come ogni t;or magnanimo esser suole,
Ed è contento udir la cosa piana,
E come il paladin scusar si vuole.
Con lui ne v iene in ripa alla fiumana.
Ose Rinaldo in semplici parole
Alla sua vera istoria trasse il velo,
E chiamò in testimonio tutto '1 cielo.
102. E poi chiamar fece il figliuol di Buovo,
L' uom , che di questo era informato appieno,
Ch' a parte a parte replicò di nuovo
L' incanto suo, né disse più, né meno.
Soggiunse poi Rinaldo : Ciò , eh' io provo
Col testimonio, io vo' che 1' arme sieno,
Che ora , e in ogni tempo , che ti piace.
Te n' abbiano a far prova più verace.
103. II re Gradasso, che lasciar non volle.
Per la seconda, la querela prima.
Le scuse di Rinaldo in pace tolle ;
Ma, se son vere, o false, in dubbio stima.
]N()u tolgon campo j)iù sul lito molle
Di Barcelona, ove lo tolser prima,
Ma s' a(-cordaro per l' altra mattina
Tro^ arsi a una fontana indi vicina ;
104. Ove Rinaldo seco abbia il cavallo,
Che posto sia comun(;iiieiite in mezzo.
Se '1 re uccide; Rinaldo , o il fa vassallo.
Se ne pigli il destrier senz' altro mezzo;
Ma se (Gradasso é quel , che faccia fallo.
Che sia condotto all' ultimo rilirezzo,
O, per più non poter, che gli si renda.
Da lui Rinaldo Durindana prenda.
i25] ORLANDO FURIOSO. (XXXI. 105 — 110. XXXII. 1—0) [426]
i5. Con marcaviglia molta, e più dolore
Come \' ho detto , area Rinaldo udito
Da Fiordiligi bella , eh' era fuore
Dell' intelletto il suo cugino uscito.
Avea dell' arme inteso anco il tenore,
E del litigio , che n' era seguito,
E che in somma Gradasso avea quel brando,
Ch' ornò di mille e mille palme Orlando.
16. Poiché furon d' accoi-do , ritornosse
Il re Gradasso ai servitori sui.
Benché dal paladin pregato fosse.
Che ne venisse ad alloggiar con lui.
Come fu giorno, il re pagano armosse.
Così Rinaldo; e giunsero ambedui,
Ove dovea, non lungi alla fontana,
Combattersi Bajardo e Durindana.
Della battaglia, che Rinaldo avere
Con Gradasso dovea da solo a solo,
Parean gli amici suoi tutti temere,
E innanzi il caso ne faceano il duolo.
Molto ardir, molta forza, alto sapere
Avea Gradasso ; ed or che del figliuolo
Del gran Milone avea la spada al fianco,
Dì timor per Rinaldo era ognun bianco.
108. E , più degli altri , il frate di Viviano
Stava di questa pugna in dulibio e ia tema ;
Ed anco volentier vi porrla mano,
Per farla rimaner d' effetto scema;
3Ia non vorria, che quel da Siontalbano
Seco venisse a nimicizia estrema,
Ch' anco avea di quell' altra seco sdegno,
Che gli turbò, quando il levò sul legno.
109. Ma stiano gli altri in dubbio, in tema, e in doglia.
Rinaldo se ne va lieto e sicuro,
Sperando, eh' ora il biasmo se gli toglia,
Ch' avere a torto gli parca pur duro ;
Slccliè quei da Pontieri e d' Altafogiia
Faccia cheti restar, come mai furo.
Va con baldanza, e sicurtà di core
Di riportarne il trionfale onore.
110. Poiché r un quinci, e 1' altro quindi giimto
Fu quasi a un tempo in sulla chiara fonte,
S' accarezzaro , e fero a punto a punto
Così serena ed amichevoi fronte,
Come di sangue e d' amistà congiunto
Fosse Gradasso a quel di Chiaramonte.
Ma, come poi s' andassero a ferire.
Vi voglio a un' altra volta differire.
CANTO TRENTESIMOSECONDO.
ARGOMENTO.
Bradamante Ruggiero aspetta tnvanOf
K per annunzio rio prende sospetto
Che V amor di Marfisa a sé lontano
Lo tenga , avendo rf' essa acceso il petto.
Si parte , ed alla rocca di Tristano
Giunge; ma pria con glorioso effetto
Tre re de'' lor destrieri abbatte, e a sera
F' e accolla , e seco tien la messaggiera.
Sowicmmi , che cantare io vi dovea
(Già Io promisi, e poi m' usri di niente^
D' una sospi/ion , (-he fatta a\ ca
La bella donna di Rnggier dolente,
Dell' altra più spiace^dle e più rea,
E di più acute» e \en<'noso dente,
Cbe , per qn<!l eh' ella udì dit Uicciardetto,
A divorarle il cor 1' entrò nel petto.
2. Dovea cantarne, <d altro inconiiiiciai,
Perchè Uiniildo in mc/zo s(>|i|)r;i\ \(nnc,
E poi (ìiiidoii mi die clic fan; assai,
C'Iie tra r.uninino a bada un pezzo il tenne.
D' una (o.ii In un' ullra in modo entrai,
Che mal di BiiKlainante mi so^^enne.
SoMicuuucne ora, e vo' narrarne innanti
Che di Rinaldo e di Gradasso io canti.
3. Ma bisogna anco, primacli' io ne parli.
Che d' Agramante io vi ragioni un poco,
Ch' avea ridotte le reliquie in Arli,
Cile gli restar del gran notturno foco,
Quando a raccor lo sparso campo, e a darli
Soccorso e vettovaglie, era atto il loco.
L' Africa incontra, e la Spagna ha vicina,
Ed é in sul fiume assiso alla marina.
4. Per tutto '1 regno fa scriver .Miirsilio
Gente a piedi e a cavallo, e tri>ta e buona.
Per forza e per amore «igni naviglio
Atto a battaglia, s' arma in Barcelona.
Agramante ogni dì chiama a concilio,
]\è a spesa, uè a fatica si perdona.
Intanto gra%i esazioni e spesse
Tutte hanno le città d' Africa oppresse.
5. Egli ha fatto offerire a Rodomonte,
Perchè ritorni, (ed iui|)('lrar noi [luote)
Ina cugina sua, figlia d' Aluionte,
E "I bel regno d' Oran dargli per dote.
I\()u «i \(d>e r allier mover dal jionte,
0\v. tant' arme, e tante selle vote
Di quei, die son già (.ijiitaii al passo.
Ila ragnnate, che ne copre il sasso.
0. C>ià non Aolse Marfisa imitar V atto
Di Uod(iMu>n(e ; an/.i , coni' ella intese,
(ir Agramante da Carlo era disf.itto.
Sue genli morie, sa» cbeirgiate e prese,
E cIh^ con poi Ili in Arli era rilrallo.
Senza asp(tlar<- imito, il camiuin prese,
^ennc in ajnlo della bua corona,
E r aver gli profersc . e la perdona :
[427]
ORLANDO FURIOSO. ( XXXll. 7 — 22)
7. E gli menò Brunello, e gli ne fece
Libero dono , il qiial non avea offeso.
L' avea tenuto diece giorni , e diece
Notti , sempre in timor d' essere appeso ;
E poiché né <;on forza, né con prece
Da nessun Aide il patrocinio preso.
In sì sprezzato sangue non si volse
Bruttar T altere mani , e io disciolse
8. Tutte r antiche ingiurie gli riraesis*,
E seco in Arli ad Agramante il trasse.
Ben dovete pensar , che gaudio avesse
Il re di lei, eh' ad ajutarlo andasse.
E del gran conto , eh' egli ne facesse,
Volse, che Brunel prova le mostrasse;
Che quel , di eh' ella gli avea fatto cenno.
Di volerlo impiccar, fé' da buon senno.
9. 11 manigoldo , in loco inculto ed ermo.
Pasto di corvi e d' avoltoi lasciollo.
Ruggier, eh' un' altra volta gli fu schermo,
E che il laccio gli avria tolto dal collo,
La giustizia di Dio fa eh' ora infermo
S' è ritrovato, ed ajutar non puoUo;
E quando il seppe, era già '1 fatto occorso,
Sicché restò Brunel senza soccorso,
10. Intanto Bradamante iva accusando.
Che cosi lunghi sian quei venti giorni,
Li quai finiti, il termine era, quando
A lei Ruggiero, ed alla fede torni.
A chi aspetta di carcere , o di bando
Uscir , non par che '1 tempo più soggiorni
A dargli lihertade, o dell' amata
Patria, vista gioconda e desiata.
11. In quel duro aspettare, ella tal volta
Pensa , eh' Eto o Piroo sia fatto zo|)po,
O sia la ruota guasta , eh' a dar volta
Le par che tardi , oltr' all' usato , troppo.
Più lungo dì quel giorno, a cui, per molta
Fede, nel ciclo il giusto Ebreo fé' intoppo;
Più della notte, eh' Ercole produsse.
Parca a lei , eh' ogni notte , ogni dì fus«e.
12. O quante volte da invidiar le dicro
E gli orsi, e i ghiri, e i sonnaccliiosi tassi!
Che quel tempo voluto avrebbe intero
Tutto dormir , che luai non si destassi ;
Ké potere altro udir, finché Ruggiero
Dal pigro sonno lei non richiamassi.
Ala non pur questo non può far, ma ancora
INon può dormir di tutta notte un' ora.
13. Di qua, di là va le nojose piume
Tutte premendo, e mai non si riposa:
Spesr-o aprir la finestra ha per ««(stumc,
Per veder, s' imco di Titon la sposa
Sparge dinanzi al mattutino lume
Il bianc!» giglio e la v<!riiiiglia rosa;
i\(»n meno ancor, poich' é nasici iito il gi'irno,
Briima vedere il «:iel di stelle a:!orno.
14. Poiché fu quattro, o cinque giorni appresso
Il tiiinide a finir, piena di spenc,
Stava a>p(ttando d' «»ra in ora il messo,
Che le apportasse!: Ecco Ruggier, «he viene!
IMontava sopra un" alta tori(! spes-o,
(;iie i folli li(iK<lii e le campagne; amene
Scopria d' intorno, e puite dell.i via.
Onde di Francia a ,\lontalban A eia.
15. Se di lontano o splendor d' arme vede,
O cosa tal, che a cavalier simiglia.
Che sia il suo disiato Ruggier crede,
E rasserena i begli occbj e le ciglia;
Se disarmato, o viandante a piede,
Che sia messo di lui, speranza piglia;
E , se ben poi fallace la ritrova,
Pigliar non cessa ima ed un' altra nuova.
16. Credendolo incontrar, talora armossì,
Scese dal monte, e giù calò nel piano;
]\è lo trovando , si sperò , che fossi
Per altra strada giunto a Montalbano;
E col desir, con eh' avea i piedi mossi
Fuor del castel, ritornò dentro invano.
Kè qua, né là trovollo , e passò intanto
Il termine aspettato da lei tanto.
17. Il termine passò d' uno, di dui,
Di tre giorni, di sei, d' otto, e di venti;
Né vedendo il suo eposo, né di lui
Sentendo nuova , incominciò lamenti,
Ch' avrian mosso a pietà ne' regni bui
Quelle Furie erinite di serpenti;
E fece oltraggi a' begli occhj divini,
Al bianco petto, agli aurei crespi crini.
18. Dunque fia ver , dicca , che mi convegna
Cercare un , che mi fugge , e mi s' asconde ?
Dunque debbo prezzare un , che mi sdegna ?
Debbo pregar chi mai non mi risponde.''
Patirò , che chi ra' odia , il cor mi tegna ?
Un , che sì stima sue virtù profonde,
Che bisogno sarà, che dal ciel scenda
Immortai dea, che il cor d' amor gli accenda
19. Sa questo altier, ch'io 1' amo , e ch'iol' adori
Né mi vuol per amante, né per serva.
Il crudel sa , che per lui spasmo e moro,
E dopo morte a darmi ajuto serva.
I] , perché io non gli narri il mio martoro
Atto a piegar la sua voglia proterva,
Da me s' asconde , come aspide suole.
Che , per star empio , il canto udir non vuole,
20. Deh ! ferma , Amor , costui , che così sciolto
Dinanzi al lento mio correr s' affretta;
O tornami nel grado, onde m' hai tolto.
Quando né a te, né ad altri era soggetta!
Deh! come é il mio sperar fallace e stolto.
Che in te con preghi mai pietà si metta;
Che ti diletti, anzi ti pasci, e vivi
Di trar dagli occhj lagrimosi rivi!
21. Ma di che debbo lamentarmi, ahi lassa!
Fuorcììé del mio desire irrazionale?
Ch' alt» mi le\a, e sì nell" aria passa,
Che arriva in parte, ove s' abbrucia 1' ale,
Poi, non potendo sostener, mi lassa
Dai ciel c.ider; né ((ui (iiiisce il male;
Che le rimette , e di nuovo arde ; ond' io
Non ho mai fini; al precipizio mio.
22. Anzi via più <he del de-^ir, mi deggio
Di me doler, che sì gli apersi il seno,
Onde caccìiita ha la riigioii di seggio,
Ed ogni mio pitlcr può di lui meno.
Quel mi trasporta ogn<u- <li male in peggio,
Né b» possi> I regnar , che non ha freno;
E mi fa i-erla, che mi iu(;na a morte,
Perch' aspettando il mal , noccia più forte.
t291
ORLANDO FURIOSO. (XXXII. 23 — 38)
[430]
Deh ! perchè voglio anco di me dolermi ?
Ch' error, se non d' amarti, nnqiia commessi
Che meraviglia, se fragili e i.ifermi
Femminil sensi far subito ojìjircjsi ?
Perchè dovev' io usar rijiari e schermi.
Che la somma heltà non n}i piacessi.
Gli alti sembianti e le sagge parole?
elisero è ben , chi veder schiva il sole.
Ed , oltre al mio destino , io ci fui spinta
Dalle parole altrui degne di fede.
Sonmia felicità mi fu dipinta,
Ch' esser dovca di questo amor mercede.
Se la persua?ii)ne, oimè! fu fìnta.
Se fu inganno il ccin-iglio , die mi diede
3Terlin , posso di lui ben lamentarmi,
?\la non d' amar Ruggier posso ritrarmi.
Di Merlin posso, e di Melissa insieme
Dolermi, e mi dorrò d' essi in eterno.
Che dimostrare i frutti del mio s-.ine
311 fero dagli spirti dell' inferno.
Per pormi sol , con questa falsa speme.
In servitù ; né la cagion discerno,
Se non eh' erano forse invidiosi
De' miei dolci , sicuri , ahni riposi.
J6. Si r occupa il dolor, che non avanza
Loco , ove in lei conforto abbia ricetto :
Ma, mal grado di quel, vien la speranza,
E vi vuole alloggiare in mezzo il petto,
Ilinfrescandole pur la rimeml)ranza
Di quel, che al suo partir 1' Ita Ruggier detto:
E vuol, contra il parer degli altri alletti.
Che d' ora in ora il suo ritorno aspetti.
Questa speranza dunque la sostenne,
Finiti i venti giorni, un mese appresso;
Sicché '1 dolor sì forte non le tenne,
Ctune tenuto avria, 1' animo oppresso.
Un di , che per la strada se ne venne.
Che, per trovar Ruggier, solca far spesso,
INovella udì la misera, else insieme
Fé', dietro all' altro ben, fuggir la speme.
J8. Venne a incontrare un cavalier gtiascone,
Che dal campo african Aeriia diritto,
Ove era slato da qu«l dì prigicnie.
Che fu innanzi a Parigi il gran conllitto.
Da lei fu molto posto per ragione.
Finché si venne al terauine prescritto.
Dimandò di Ruggiero , e in lui fermosse,
Kè fuor di que.-to segno più si mosse.
19. Il cavalier buon conto ne rendette;
Clic ben conoscca tutta qu«'lla corte ;
E narrò di Ruggier, clic; conlrastette
Da solo a solo a Mandricardo forte ;
E come egli 1' uccise , e poi ne stette
Ferito più d' un mesi; presso a niorl*; :
E, b' ora la sua istoria (jiii i-on<;lusa.
Fatto avria di Ruggier la vera scu^n.
50. Ma, come poi soggiunse, una donzella
K^ser ni-l campo, nomata .Marlisa,
Clic men non era. iln; gagiiania , bella,
ÌSè meno esperta d' arme in ogni gui.»a;
Clic lei Ruggiero amava, v Ruggier ella;
Cir egli da lei, eh" ella da lui di\isa
Si vedea raro, e eh' ivi ognuno cre<lr,
Cliij d' abbiano Ira lor data la fede;
31. E che , come Ruggier si faccia sano,
n matrimonio puhblicar si deve;
E eh' ogni re, ogni princi[)e pagano
Gran piacere e letizia ne riceve ;
Che , dell' uno e dell' altro soprumano
Conoscendo il valor, sperano in breve
Far una razza d' uomini da guerra.
La più gagliarda , che mai fosse in terra.
32. Credea il Guascon quel che dicea, non senza
Cngion; che, nell' esercito de' Mori,
Opinione, e univei'sal credenza,
E pubblico parlar n" era di fuori.
I molti segni di benivolenza
Striti tra lor facean questi l'omori :
Che tosto , o huona , o ria , che la fama esce
Fuor d' una bocca , in infinito cresce.
33. L' esser venuta a' Mori ella in aita
Con lui, né senza lui comparir mai,
Avea questa credenza stabilita;
Sia poi r avea cresciuta pur as^ai,
Ch' essendosi del campo già partita
Portandone Brunel, come io contai.
Senza esservi d' alcuno richiamata,
Sol per veder Ruggier v' era tornata.
34. Sol per lui visitar , che gravemente
Languia ferito , in campo venuta era.
>on una sola volta, ma sovente,
Ai stava il giorno, e si partia la sera.
E molto più da dir dava alla gente,
Ch' essendo conosciuta così altera.
Che tolto '1 mondo a sé le ])area vile.
Solo a Ruggier fosse benigna e umile.
35. Come il Guascon questo afTermò per vero.
Fu Bradamante da cotanta pena,
Da cordoglio assalita co?ì fiero,
Che di quivi cader si tenne ap|)cna.
A "Ito, senza fnr motto, il suo destriero.
Di gelo.-ia , d' ira e di rabbia piena,
E, da sé discacciata ogni speranza.
Ritornò furibonda alla sua stanza,
36. E senza disarmarsi, sopra il letto,
Col viso volta in giù , tutta si stese ;
Ove , per non gridiir , siccbè sospetto
Di sé facesse, i iKinni in bocca prese,
E repetendo quel . che 1' avea detto
II cataliero, in tal dolor discese.
Che, più non lo potendo sollerire.
Fu forza a disfogarlo, e così dire:
37. Misera, a chi mai più creder <!ebb" io.-*
A o' dir. cir ognuno è perfido e criulele.
Se perfiilo e cruih-l sei, Ruggier mio,
(Ik^ sì pietoso lenni , e si fedele.
Qual crudeltà . (piai tradimento rio
I nqua s' \n\\ per Iragicbe ijiurtle,
('he non trovi minor, se pensar mai
Al min merto e al tuo debito corrai?
38. Perchè. Ruiigier, come di te non vive
Ca\alier di più ardir, di più b<dle/./n,
^è clic, a gran pez/.<» , al tuo »aloif arrivo,
>è a' tuoi coitomi, uè a li:a gentilr//a;
Percbè non fai. clic fra liir illustri <■ dive
A irlù si dica ancor, eh' alibi feriiiez'Mi .'*
Si dica, cir abbi iiniolabii tede.
Adii ogni altra virtù a' inchina erode?
[431]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIl. 39 — 54)
[432
39. Non sai , che non compar , se non v' è quella,
Alcun valore, alcun nobil costume,
Come né cosa , e sia quanto vuol bella,
Si può vedere, ove non splenda lume?
Facil ti fu ingannare una donzella.
Di cui tu signor eri , idolo e nume,
A cui potevi far con tue parole
Creder , che fosse oscuro e freddo il sole.
40. Crudel, di che peccato a doler t' hai,
Se d' uccider chi t' ama non ti penti ?
Se '1 mancar di tua fé sì leggier fai,
Di <:he altro peso il cor gravar ti senti?
Come tratti il nemico, se tu dai
A me, che t' amo si, questi tormenti?
Ben dirò, cì;e giustizia in ciel non sia,
S' a veder tardo la vendetta mia.
41. Se d' ogni altro peccato assai più quello
Dell' empia ingratitudine 1' uom grava,
E per questo dal ciel 1' angel più bello
Fu relegato in parte oscura e cava,
E se gran fallo aspetta gran flagello,
Quando debita emenda il cor non lava.
Guarda, eh' aspro flagello in te non scenda.
Che mi se' ingrato , e non vuoi farne emenda !
42. Di furto ancora , oltre ogni vizio rio.
Di te, crudele, ho da dolermi molto.
Che tu mi tenga il cor , non ti dico io ;
Di questo io vo' che tu ne vada assolto:
Dico di te, che t' eri fatto mio,
E po'- contra ragion mi ti sei tolto.
Renditi, iniquo, a me! che tu sai bene,
Che non si può salvar, chi 1' alti'ui tiene.
43. Tu m' hai, Ruggier, lasciata: io te non voglio,
Né la-ciarti volendo anco potrei :
Ma , per uscir d' affanni e di cordoglio,
Posso e voglio finire i giorni miei.
Di non morirti in grazia sol mi doglio:
Che , se concesso m' avessero i Dei,
Ch" io fl)S^i niiirta, quando t' era grata,
Morte non fu giammai tanto beata.
4ì. Cosi dicendo , di morir disposta.
Salta del letto , e di rabl)ia infiammata
Si pon la spada alla sinistra costa.
Ma si ravvede poi , che tutta è armata.
Il miglior spirto in questo le s' accosta,
E nel cor le ragicma: Oh donna, nata
Di tanto alto lignaggio, adunque vuoi
Finir con si gran biasuio i giorni tuoi?
45. Non è meglio , eh' al campo tu ne vada,
Ove morir si può con laude ognora?
Quivi, s' avvien, che innanzi a Kuggier cada,
Del morir tuo si dorrà forse ancora ;
Ma se a morir t' avvien per la sua spada.
Chi ^a^i mai, che più contenta mora?
Ragione é ben, che di vita ti privi,
l'uiclr è cagion, che in tanta pena vivi.
46. Verrà f(U'se anco, che, primaché mori,
Fanti vendetta di quella Vliirfisa,
Che t' ha, enn fraudi e disonesti amori
Da te Uiiggicro alienando , uccisa.
Questi pcn-icii piu\ero miglitui
Alla donzella; e to>to una divisa
Si fé' suir arme, die volea inferire
Disperazione , e voglia di morire.
47. Era la sopravvesta del colore,
In che riman la foglia, che s' imbianca.
Quando dal ramo è tolta , o che 1' umore,
Che facea vivo 1' arbore , le manca.
Ricamata a tronconi era, di fuore.
Di cipresso , che mai non si rinfranca,
Poich' ha sentita la dura bipenne.
L' abito al suo dolor molto convenne.
48. Tolse il destrier , eh' Astolfo aver solca,
E quella lancia d' or, che, sol toccando,
Cader di sella ì cavalier facea.
Perchè gliela die Astolfo , e dove, e quando,
E da chi prima avuta egli 1' avea.
Non credo che bisogni ir replicando.
Ella la tolse , non però sapendo.
Che fosse del valor , eh' era , stupendo.
49. Senza scudiero , e senza compagnia
Scese dal monte, e si pose in cammino
Verso Parigi alla più dritta via,
Ov' era dianzi il campo Saracino ;
Che la novella ancora non s' udia,
Che r avesse Rinaldo paladino,
Ajutandolo Carlo e Malagigi,
Fatto tor dall' assedio di Parigi.
50. Lasciati avea i Cadurci , e la cittade
Di Caorse alle spalle , e tutto 1 monte,
Ove nasce Dordona, e le contrade
Scopria di ì\Ionferrante e di Clarmonte,
Quando venir per le medesrae strade
Vide una donna di benigna fronte,
Ch' uno scudo all' arcione avea attaccato,
E le venian tre cavalieri allato.
51. Altre donne e scudìer venivano anco,
Qual dietro, e qual dinanzi, in limga schiera.
Domandò ad un, che le passò da fianco,
La figliuola d' Amon, chi la donna era?
E quel le disse : Al re del popol franco
Questa donna mandata messaggiera
Fin di là dal polo artico è venuta
Per lungo mar, dall' isola Perduta.
52. Altri Perduta , altri ha nomata Islanda
L' isola, donde é la regina d' essa,
Di beltà sopra ogni beltà miranda.
Dal ciel non mai , se non a lei , concessa.
Lo scudo, che vedete, a Carlo manda;
Ma ben con patto e condizione espressa.
Che al miglior cavalier lo dia, secondo
Il suo parer , eh' oggi si trovi al mondo.
53. , Ella, come sì stima, e come in vero
E la più bella donna, che mai fosse,
Cosi vorria tro^ are un cavalieró,
Cile sopra ogni altro avesse ardire e possej
Perchè fondato e fisso è il suo pensiero.
Da non (uuler per cento mila scosse,
Che sol chi terrà in arme il primo onore,
Abbia ad esser suo amante e suo signore.
54. Spera, che in Francia , alla famosa corte
Di Carlo Magno, il cavalier si trove,
Che d' esser, più d'ogni altro, ardito e forte
Abbia fatto vetler con mille prove.
I tre, «-he suo con lei, come sue scorte,
Be sono tutti, edirowi an<o do^e:
Uno iu Svezia, uno in d'ozia, in Norvegia uno,
Clio pochi pari in arme hanno, o nessuno.
433]
ORLANDO FURIOSO. (XXXU. 55—70)
55.
56.
Questi tre, la cui terra non vicina,
Ma men lontana è all' isola Perduta,
Detta così, perchè quella marina
Da pochi naviganti è conosciuta.
Erano amanti , e son , della regina,
E a pari per moglier Y hanno voluta ;
E , per aggradir lei , cose fatto hanno,
Che , finché giri il eie! , dette saranno.
Ma nò questi ella , né alcun altro vuole.
Che al mondo in arme esser non creda il primo
Ch' abhiate fatto prove (lor dir suole)
In questi luoghi appresso , poco io stimo ;
E s' un di voi, qual fra le stelle il soie.
Fra gli altri duo sarà, hen lo sublimo;
Ma non però , che tenga il vanto parme
Del miglior cavalier , eh' oggi porti arme.
')7. A Carlo Magno , il quale io stimo e onoro
Pel più savio signor , che al mondo sia,
Son per mandare un ricco scudo d' oro.
Con patto e condizion, eh' essolo dia
Al cavaliero , il quale abbia fra loro
Il vanto e il primo onor di gagliardia.
Sia il cavaliero , o suo vassallo , o d' altri,
11 parer di quel re vo' che mi scaltri.
>8. Se , poiché Carlo avrà lo scudo avuto,
E r avrà dato a quel sì ardito e forte,
Che d' ogni altro migliore abbia creduto.
Che 'n sua si trovi , o in alcun' altra corte,
Uno di voi sarà, che, con V iijuto
Di sua virtù , lo scudo mi riporte.
Porrò in quello ogni amore, ogni disio,
E quel sarà il marito e '1 signor mio.
■j9. Queste parole lian qui fatto venire
Questi tre re dal mar tanto discosto.
Che riportarne lo scudo, o morire
Per man di chi 1' avrà , s' hanno proposto.
Stc' molto attenta Bradamante a udire
Quanto le fu dallo scuilier risposto ;
11 qual poi r entrò innanzi , e così punse
Il suo cavallo , che i compagni giunse.
60. Dietro non gli galoppa, né gli corre
Ella , eh' adagio il suo camniin dispensa,
E molte cose tuttavia dis«;orre.
Che son per accadere ; e in somma pensa.
Che questo scudo in Francia sia por porre
Discordia, rissa, e nimicizia immensa
Fra' jialadini ed altri , se vuol Carlo
Chiarir, chi sia il miglior, e a colui darlo.
61. Le preme il cor questo pensier; ma molto
Più glielo jireme , e strugge in peggior guisa
Quel, eh' eblte prima di Kuggicr, che tolto
11 suo amor le abltia, v datolo a Marfisa.
Ogni suo senso in questo é sì sepolto,
Che non mira la strada, né divisa.
Ole arrivar, né se troverà innanzi
Comodo albergo , ove la notte stanzi.
62. Come nave, che vento dalla ri^a,
O qualcir altro accidente abbia disciolt;
^a, di nocchiero <? di governo jiriva.
Ove la porti, «> meni il fìumt; in \olta:
Così r amante giovane vi-niva.
Tutta in pensare al sue» lluggier rivolta.
Ove vu<il Kabit^an ; che molte miglia
Lontano e il cor, che do' girar la briglia.
[434]
66
63. Leva alfin gli occhj, e vede il sol, che 'I terc^o
Avea mostrato alle città di Bocco, °
E poi s' era attulTato come il mergo.
In grembo alla nutrice ultra Marocco :
E, se disegna, chela frasca albergo
Le dia ne' campi, fa pensier di sciocco;
Che soffia un vento freddo , e 1' aria «-reve
Pioggia la notte le minaccia, o neve.
64. Con maggior fretta fa mover il piede
Al suo cavallo ; e non fece via molta,
Che lasciar le campagne a un pastor vede.
Che s' avea la sua gregge innanzi tolta.
La donna a lui con molta instanza chiede,
Che le insegni, ove possa esser raccolta
O bene, o mal: che mal sì non s' alloggia,
Che non sia peggio star fuori alla pioggia'.
65. Disse il pastore : Io non so loco alcuno,
Ch' io vi sappia insegnar, se non lontano
Più di quattro , o di sei leghe , fuorch'uno.
Che si chiama la rocca di Tristano :
Ma d' alloggiarvi non succede a ognuno ;
Perché bisogna, con la lancia in mano,
Che se 1' acquisti , e che se la difenda
Il cavalier , che d' alloggiarvi intenda.
Se, quando arriva un cavalier, si trova
Vuota la stanza, il castellan V accetta ;
Ma vuol, se soppravvien poi gente nuova
Ch' uscir fuori alla giostra gli prometta. '
Se non vien, non accade, che si muova:
Se vien ,^ forza è , che 1' arme si rimetta,
E con lui giostri , e chi di lor vai meno,
Ceda r albergo, ed esca al ciel sereno.
Se duo, tre, quattro, o più guerrieri a un tratto
Vi gìungon prima, in pace albergo v' hanno;
E chi di poi vien solo, ha peggior patto.
Perché seco giostrar quei più lo fanno.
Così, se prima un sol si sarà fatto
Quivi alloggiar, con lui giostrar vori-anno
Iduo, tre, quattro, o più , che verrandopo;
Sicché, s' avrà valor, gli fia grand' uopo.
68. Non men, se donna capita, o donzella
Accompagnata, o sola, a questa rocca,
E poi v' arridi un' altra, alla più bella
L' albergo , ed alla men star di fuor tocca.
Domanda Bradamante, ove sia quella;
E il buon pastor non pur dice con bocca,
Ria le dimostra il loco anco con mano.
Da cinque, o da sei miglia indi lontano.
69. La donna , ancorché llabican ben trotto.
Sollecitar però non lo sa tanto
Per quelle vie tutte fangose, e rotte
Dalla stagion , eh' er<i pio\(isa alquanto,
("he prima arrivi, che la ricia notte
Fatto abbia oscuro il moiulo in ogni canto.
Tro^ò «-Illusa la porla; e a chi n" avea
La guardia, ilisse, eh" alloggiar volea.
70. Ilispose quel, cb' era occupato il loco
Da doiuie e daguerricr, che M-nner dianzi,
i-I stanano a>pcttaiuio intorno al foco,
("be ptista ro>sc lor la cena innanzi.
Per lor non cr<(lo 1' avrà fatta il cuoco,
S' ella v' é ancor, né 1' bau mangiata innanzi,
Disse la donna: Or va! clié qui gli attendo;
Che Bo r usanza , e di ser\ aria intendo.
28
67.
[435]
ORLANDO FURIOSO. (XXXII. iri-86)
[436]
71. Parte la guardia , e porta 1' imbasciata
Là , dove i cavalier stanno a grand' agio.
La qual non potè lor troppo esser grata.
Ch' all' aer li fa uscir freddo e malvagio,
Ed era una gran pioggia incominciata.
Si levan pure , e piglian 1' arme adagio ;
Restano gli altri ; e quei , non troppo in fretta,
Escono insieme, ove la donna aspetta.
72. Eran tre cavalier , che valcan tanto,
Cile pochi al mondo valean più di loro ;
Ed eran quei, che '1 dì medesmo accanto
Veduti a quella messagicra foro,
Quei , che in Islanda s' avean dato vanto
Di Francia riportar lo scudo d' oro ;
E perchè avean meglio i cavalli punti.
Prima di Bradamante erano giunti.
73. Di loro in ai'me pochi eran migliori:
Ma di quei pochi ella sarà hen 1' una;
Che a nessun patto rimaner di fuori
Quella notte intendea, molle e digiuna.
Quei d' entro alle finestre e a' corridori
Miran la giostra al lume della luna.
Che mal grado de' nuvoli lo spande,
E fa veder, benché la pioggia è grande.
lì. Come s' allegra un ben acceso amante,
Ch' a' dolci furti per entrar si trova.
Quando alfin senta, dopo indugie tante,
Clie 1' taciturno chiavistel si muova:
Così volonterosa Bradamante
Di far di sé coi cavalieri prova
S' allegrò , quando udì le porte aprire.
Calare il ponte , e fuor li vide uscire.
75. Tostochè fuor del ponte i gucrrier vede
Uscir insieme , o con poco intera allo,
Si volge a pigliar campo , e di poi riede
Cacciando a tutta briglia il buon cavallo,
E la lancia arrestando, che le diede
II suo cugin , che non si corre in fallo ;
Che fuor di sella è forza che trabocchi,
Se fosse Marte, ogni guerrier, che tocchi.
76. Il re di Svezia, che priniicr si mosse,
Fu primier anco a riversarsi al piano;
Con tanta forza 1' elmo gli |)ercosse
L' asta , che mai non fu abbassata invano.
Poi corse il re di Gozia, e ritrovosse.
Co' piedi in aria , al suo dcstricr lontano.
Kimase il terzo sottoso|)ra volto
]Neir acqua, e nel pantan mezzo sepolto.
71. Tostoch' ella in tre colpi tutti gli ebbe
Fatti andar co' piedi alti , e i capi bassi,
Alla rocca ne va, dove aver debbo
La notte albergo : ma prima che passi,
V è chi la fa giurar, che u' uscirebbe
Sempre, eh' a giostrar fuori altri cliiamassi.
Il signor di là dentro che '1 valore
Ben n' ha veduto , le fa grande onore.
78. CoM le fa la donna, che venuta
Era , con quelli tre , quivi la sera,
Come io dicea, dall' isola Perduta,
Mandata al re di Francia messagiera.
Cortesemente a lei , clic la saluta,
Siccome graziosa e aflabil cni,
Si leva incontra, e , con faccia serena.
Piglia per mano , e seco al fuoco nicna.
79. La donna, cominciando a disarmarsi,
S' avea lo scudo , e dipoi 1' elmo tratto.
Quando una cuffia d' oro , in clie celarsi
Solcano i capei lunghi, e star di piatto,
Uscì con 1' elmo, onde caderon sparsi
Giù per le spalle , e la scoprirò a un tratto,
E la feron conoscer per donzella,
Kon men , che fiera in arme , in viso bella.
80. Quale, al cader delle cortine, suole
Parer fra mille lampade la scena,
D' archi , e di più d' una superba mole,
D' oro e di statue e di pitture piena;
O , come suol fuor della nube il sole
Scoprir la faccia limpida e serena :
Così, 1' elmo levandosi dal aìso,
Mostrò la donna aprisse il paradiso.
81. Già son cresciute, e fatte lunghe in modo
Le belle chiome, che taglioUe il frate,
Che dietro al capo ne può fare un nodo,
Bencliè non sian, come son prima state.
Cile Bradamante sia , tien ferma e sodo.
Che ben 1' avea veduta altre fiate,
II signor della rocca , e più che prima
Or r accarezza, e mostra farne stima.
82. Siedono al foco , e con giocondo e onesto
Ragionamento dan cibo all' orecchia,
Mentre , per ricreare ancora il resto
Del corpo , altra vivanda s' apparecchia.
La donna all' oste domandò , se questo
Modo d'albergo è nuova usanza , o vecchia,
E quando ebbe principio, e chi la pose?
E il cavaliero a lei così rispose :
83. Kel tempo, die regnava Fieramente,
Clodionc, il figliuolo, ebbe un' amica
Leggiadra e bella, e di maniere conte,
Quanto altra fosse a quella etade antica;
La quale amava tanto , che la fronte
Kon rivolgea da lei, più che si dica
Che facesse da Ione il suo pastore;
Perchè avea ugual la gelosia all' amore.
84. Qui la tenea, che '1 luogo avuto in dono
Avea dal padre , e raro egli n' uscia ;
E con lui dieci cavalier ci sono,
E de' miglior di Francia tuttavia.
Qui stando, venne a cipitarci il buono
Tristano , ed una donna in compagnia,
Liberata da lui podi' ore innante.
Che traea presa a forza un fier gigante.
85. Tristano ci arrivò , che '1 sol già volto
' Avea le spalle ai liti di Siviglia;
' E domandò qui dentro esser raccolto,
j Perchè non e' è altra stanza a dieci miglia.
Ma Cloiììon, che molto amava e molto
I Era geloso , in somma si consigliai,
[ Che lorcstier, sia chi si voglia, mentre
I Ci stia la beila donna, qui non cntre.
. 86. Poicliè con lunglic ed iterate preci
Non potè aver qui albergo il cavaliero:
Or quel, che far con preghi io non ti feci.
Che 'l facci, disse, tuo malgrado, spero.
E sfidò Clodi(ui con tutti i dieci,
Che tenea appresso , e con un grido altero
Se gli oflersc con lancia e spada in mano
Provai', che discortese era e villano;
431]
ORLANDO FURIOSO. (XXXII. 87-102)
[438]
1^7. Con patto che, se fa, che con lo stuolo
Suo cada in terra , ed ci stia in sella forte,
Nella rocca alloggiar vuol egli solo,
E vuol gli altri serrar fuor delle porte.
Per non patir quest' onta, va il figliuolo
Del re di Francia a rischio della morte ;
Ch' aspramente percosso cade in terra,
E cadon gli altri , e Tristan fuor li serra.
,88. Entrato nella rocca , trova quella.
La qual vi ho detto , a Clodion si cara,
E eh' avea a par d' ogni altra fatto bella
Natura , a dar bellezze cosi avara.
Con lei ragiona : intanto arde e martella
Di fuor r amante aspra pas.-ione amara ;
H qual non differisce a mandar preghi
Al cavalier , che dar non gliela neghi.
89. Tristano , ancorché lei molto non prezze,
Né prezzar, fuorch' Isotta , altra potrebbe ;
Ch' altra né eh' ami vuol , né clic accarezze,
La pozion , che già incantata bebbe ;
Pur, perché vendicarsi dell' asprezze.
Che Clodion gli ha usate, si vorrebbe:
Dì far gran torto mi parria , gli disse,
Che tal bellezza del suo albergo uscisse.
90. E , quando a Clodion dormire incresca
Solo alla frasca, e compagnia domandi,
Una giovane ho meco bella e fresca,
Non però di bellezze così grandi.
Questa, sarò contento, che fuor esca,
E che u])bidisca a tutti i suoi comandi:
Ma la più bella mi par dritto e giusto.
Che stia con quel di noi , eh' è più robusto.
Escluso Clodione e mal contento
Andò sbuffando tutta notte in volta,
Come se a quei, che nell' alloggiamento
Dorniiano ad agio, fesse egli 1' ascolta;
E molto più , che del freddo e del vento,
Si dolca della donna , che gli è tolta.
La mattina Tristano , a cui ne increbbe,
Gli la rendè, donde il dolor Cu ebbe.
91.
92. Perchè gli disse, e lo fc' chiaro e certo,
Che, qual trovolla, tal gli larendea;
E Itenchè degno era d' ogni onta, in merto
Della discortcria, eh' u&ata avea,
Pur contentar d' averlo allo scoperto
Fatto star tutta notte, ^i volea:
Ne r esciisa a(M-,ettò , che fosse niuoce
Stato cagion di così grave errore:
93. Cir amor de' far gentile un cor villano,
E non far d' un gentil contrario effetto.
Partito che si fu di qui Tristano,
Clodion non sto' molto a mutar tetto.
Ma prima consegnò la rocca in mano
A un cavalier, che molto gli era accetto.
Con patto , eh' egli , e chi da lui venisse,
Quest' uso in albergar sempre seguisse:
94. Che 'I cavalier , eh' abbia maggior possanza,
E la donna beltà, seinpre ci alloggi,
E chi vinto riiiian , vuoti la stanza.
Dorma sul prato , (» nitrose sct^ndu e poggi.
E iìnaimente ci le' por 1' usiin/.a,
Clie vedete durar lìn al dì d' •>ggi.
Or, mentre il cavalier questo dicca,
Lo ucal«:o por la mensa fatto uvea.
ÌH)
97.
98
95. Fatta 1' avea nella gran sala porre.
Di che non era al mondo la più bella.
Indi , con torchi accesi , venne a torre
Le belle donne, e le condusse in quella.
Bradamante, all' entrar, con gli occhj scorre
E similmente fa l' altra donzella, '
E tutte piene le superbe mura
ì eggon di nobilissima pittura.
Di si belle figure è adorno il loco,
Cl\e per mirarle obblian la cena quasi,
Ancorché ai corpi non bisogni poco.
Pel travaglio del dì lassi rimasi,
E lo scalco si doglia, e doglia il cuoco,
Che 1 cibi lascio raffreddar nei vasi.
Pur fu chi disse: Meglio Ha, che voi
Pasciate prima il ventre , e gli occhj poi.
S' erano assisi , e porre alle vivande
Voleano man, quando il signor s' avvide,
Che r alloggiar due donne è un error grande.
L' una ha da star, l' altra convien che snide:
Stia la più bella, e la men fuor si mande,
Dove la pioggia bagna, e '1 vento stride:
Perché non vi son giunte ambedue a un' ora,
L' una ha a partire, e 1' altra ha a far dimora.
Chiama duo vecch. j , e chiama alcune sue
Donne di casa, a tal giudicio buone,
E le donzelle mira, e di lor due,
Chi la più bella sia, fa paragone.
Finalmente parer di tutti fue,
Ch' era più bella la figlia d' Amone;
E non nien di beltà l' altra vincea.
Che di valore i guerrier Aiuti avea.
99. Alla donna d' Islanda, che non sanza
Molta sospizion stava di questo.
Il signor disse : Che serviam 1' usanza.
Non v' ha , donna , a parer se non onesto.
A voi convien prot^acciar d' altra stanza.
Quando a noi tutti é chiaro e manifesto,
Che costei di bellezze e di sembianti,
Ancorch' inculta sia , vi passa innanti.
Come si vede in un momento oscura
Nube salir d' umida valle al cielo.
Che la faccia , che prima era sì pura,
Coi>re del sol con tenebroso velo :
VaìA la donna , alla sentenza dura.
Che fuor la caccia , ove è la pioggia e 'I "-elo
Cangiar si vede, e non parer più quella.
Che fu pur <lianzi sì gioconda e bella.
S' impallidisce, e tutta cangia in viso,
Che tal sentenza udir poco le aggrada.
Ma Hradamante, con un saggio av\iso.
Che per pietà non mkiI , clic se ne vada,
Hispose: A me non par, che bni deciso,
Né che ben giii>t(» alcun giudicio e atla,
Ove prima non s' oda quanto neghi
La parte, o affermi, e sue ragioni alleghi.
,100
101
102.
Io, cir a difender qne.-.la causa toglio,
Dii-o , o più bella, o iiien eh' io tiia di lei.
Non v<iini cmiie donna (jui, né MX'-li»
C'Iie bian di donna ma i progressi mici.
Ma chi dirà, se tutta non mi spoglio,
S' io sono, o ti' il» non son quel. « h" è costei.*
!■; qu«'l, che non si sa, non si de' dire,
E tanto men , quando altri n' ha a patire.
2H *
[439] ORLANDO FURIOSO. (XXXII. 103 — 110- XXXIIl. 1-4) [440
103. Ben son degli altri ancor , eh' hanno le chiome
Lunghe, com' io, né donne son per questo.
Se come cavalier la stanza , o come
Donna , acquistata m' ahbia , è manifesto.
Perchè dunque Toletc darmi nome
Di donna , se di maschio è ogni mio gesto ?
La legge vostra rnol, clie ne sian spinte
Donne da donne, e non da guerrier, vinte.
104. Poniamo ancor, che, come a voi pur pare.
Io donna sia, (che non però il concedo)
Ma che la mia beltà non fosse pare
A quella di costei, non però credo,
Clìe mi vorreste la mercè levare
Di mìa virtù, se ben di viso io cedo.
Perder, per men beltà, giusto non parml
Quel, eh' ho acquistato per virtù con 1' armi.
105. E quando ancor fosse 1' usanza tale,
Clic chi perde in beltà, ne dovess' ire.
Io ci vorrei restare, o bene, o male
Che la mia ostìnazion dovesse uscire.
Per questo , che contesa diseguale
Ètra me, e questa donna, vo' inferire;
Che contendendo di beltà, può assai
Perdere, e meco guadagnar non mai.
106. E se guadagni e perdite non sono
In tutto pari, ingiusto è ogni partito;
Siedi' a lei per ragion, sì ancor per dono
Speziai, non sia 1' albergo probito.
E s' alcuno di dir, che non sia buono
E dritto il mio giudicio, sarà ardito,
Sarò per sostenergli a suo piacere.
Che '1 mio sia vero, e falso il suo parere.
107. La figliuola d' Amon, mossa a pletade,
Che questa gentil donna debba a torto
Esser cacciata, ove la pioggia cade.
Ove nò tetto, ove né pure è un sporto,
Al signor dell albergo persuade
Con ragion molte, e con parlare accorto.
Ma molto più con quel, eh' alfin concluse,
Che resti cheto , e accetti le sue scuse.
108. Qual, sotto il più cocente ardore estivo.
Quando di ber più desiosa è 1' erba,
11 fior, eh' era vicino a restar pri^o
Di tutto queir umor , che in vita il serba.
Sente 1' amata pioggia, e si fa vivo:
Così , poiché difesa sì superba
Si vide apparecchiar la messaggera,
Lieta e bella tornò, come prim' era.
109. La cena, stata lor buon pezzo avante,
Né ancor pur tocca , alfiu godersi in festa,
Senzaché più di cavaliero errante
Nuova venuta fosse lor molesta.
La goder gli altri , ma non Bradamante,
Pure all' usanza addolorata e mesta;
Che quel timor, che quel sospetto ingiusto,
Che sempre avea nel cor, le tollea il gusto.
110. Finita eh' ella fu , che saria forse
Stata più lunga, se '1 desir non era
Di cibar gli occhj , Bradamante sorse ;
E sorse appresso a lei la messaggera.
Accennò quel signore ad un, che corse,
E prestamente allumò molta cera,
Cile splender fé' la sala in ogni canto.
Quel che segui , dirò nell' altro canto.
CANTO TRENTESTMOTERZO.
ARGOMENTO.
In una sala Bradamante vede
Diverse guerre de' Francesi arditi
Fatte in Italia, in cui fermar il piede
Non vuole il cicl, ma che da lor s' aiti.
Rinaldo e 'i Scrican combatte a jìicde
Per Jìajardo , del qual eran a liti.
Astolfo giugne in Etiopia , e caccia
L' Arpie in inferno , u' fa che 'l corno taccia.
Timagora , Parrasio , Polignoto,
Protogene, Timantc, Apollodoro,
Apelle, più di tutti questi noto,
E Zeusi , e gli altri , die a qiu;i tempi foro,
De' qua! la fama (mal grado di doto.
Clic Bpensn i corpi , e dipoi 1' opre loro)
Sempre starà, (luche si legga e scrivii,
Mercè degli scrittori, al mondo viva;
E quei, che furo a' nostri dì, o son ora, >
Leonardo, Andrea Mantegna, Gian Bellino,
Duo Dossi, e quel, che a par sculpe e coloro,
Michel, più che mortale, Angel divino,
Bastiano, Rafael, Tizian, che onora
Non men Cador, che quei Venezia e Urbino^
E gli altri, di cui tal 1' opra si vede,
Qual della prisca età si legge e crede;
Questi, che noi veggiam pittori, e quelli.
Che già mille e mill' anni in pregio furo.
Le cose, che son state, co' pennelli
Fatt' hanno, altri sull' asse, altri sul maro;
Non però udiste antichi , né novelli
Vedeste mai dipingere il futuro ;
E pur si sono istorie anco trovate.
Che son dipinte, ìnnanziché sien state.
Ma di saperlo far non si dia vanto
Pittore antico, nò pittor moderno;
E ceda pur quest' arte al solo incanto.
Del qual treiiian gli spirti dell' inferno.
La sala, eh' io dicca nell' altro canto,
Merlin col libro, o fosse al lago averno,
O fosse sacro alle nursine grotte.
Fece far dai dciuonj in mia notte.
141]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIU. 5 — 20)
[442]
c.
8.
y.
IO
11
12
Quest' arte, con che i nostri antichi fenno
3Iirande prove, a nostra etade è estinta.
3Ia ritornando , ove aspettar mi dcnno
Quei , che la sala hanno a veder dipinta,
Dico, che a uno scudier fu fatto cenno,
Ch' accese i torch. j , onde la notte , vinta
Dal gran splendor, si dileguò d' intorno;
INè più vi si vedrìa , se fosse giorno.
Quel signor disse lor: Vo' che sappiate,
Che delle guerre, che son qui ritratte,
Fino al dì d' oggi poche ne son state,
E son prima dipinte, che sian fatte:
Chi r ha dipinte, ancor 1' ha indovinate.
Quando vittoria a^Tan, quando disfatte
In Italia saran le genti nostre.
Potrete qui veder, come si mostre.
Le guerre, che i Franceschi da far hanno
Di là dall' Alpe , o bene , o mal successe,
Dal tempo suo fino al millcssim' anno
Merlin profeta in questa sala messe.
Il qual mandato fu dal re britanno
Al franco re, che a Marcomir successe:
E perchè lo mandasse , e perchè fatto
Da Merlin fu il lavor , vi dirò a un tratto.
Re Fieramonte, che passò primiero
Con r esercito franco in Gallia il Reno,
P(»ichè quello occupò, facea pensiero
Di porre alla superba Italia il freno.
Faceal , perciocché più '1 romano impero
Vedea di giorno in giorno venir meno ;
E per tal causa col britanno Arturo
Volse far lega ; eh' ambi a un tempo furo.
Artur , che impresa ancor senza consiglio
Del profeta Merlin non fece mai,
(Di Merlin, dico, del demonio figlio,
Che del futuro antivedeva assai)
Per lui seppe , e saper fece il periglio
A Fieramonte, a che di molti guai
Porrà sua gente, s' entra nella terra
Che Apennin parte , e '1 mar e l' Alpe serra.
Merlin gli fé* veder , che quasi tutti
Gli altri , che poi di Francia si:ettro avranno,
O dì ferro gli eserciti distrutti,
U di fame , o di peste si vedranno ;
E che brevi allegrezze e lunghi lutti.
Poco guadagno ed inlìnito danno
Riporteran d' Italia ; che non lice.
Che 'l giglio in quel terreno abbia radice.
Re Fieramonte gli prestò tal fede.
Che altn»ve disegnò volger 1' armata;
E Merlin , che così la cosa vede
Cli' abbia a venir, come se già sia stata,
Aver, a' preghi di quel re, si crede
La sala per incanto istoriata,
Onde de' Franchi ogni futuro gesto,
Come già stato sia, fa manifesto;
Acciò chi poi succederà, comprenda,
Che , rome ha da acquistar vittoria e onore,
Qualor d' Italia la difesa prenda
incontra ogni altro barbaro furore,
VaììÌ, seavvien, che a danneggiarla scenda,
Per porle il giogo , e farsene signore,
Comprenda, dieo, e rendasi ben «erto,
Cir oltre u qu(;i monti avrà il s(|>olrro aperto-
13. Così disse, e menò le donne, dove
Incomincian 1' istorie; e Sigisberto
Fa lor veder, che pel tesor si muove.
Che gli ha Maurizio imperatore offerto.
Ecco che scende dal monte di Giove
]Vel pian, dal Lambro e dal Ticino aperto.
Vedete Entar, che non pur 1' ha respinto,
Ma volto in fuga , e fracassato e vinto.
11. Vedete Clodoveo , che a più di cento
Mila persone fa passare il monte.
Vedete il duca là di Benevento,
Che con numer dispar vien loro a fronte.
Ecco fìnge lasciar 1' alloggiamento,
E pon gli agguati : ecco , con morti ed onte,
Al vin lombardo la gente francesca
Corre , e riman come la lasca all' esca.
15. Ecco in Italia Childeberto, quanta
Gente di Francia , e capitani invia ;
Kè, più che Clodoveo , si gloria e vanta,
Ch' abbia spogliata , o vinta Lombardia ;
Che la spada del ciel scende con tanta
Strage de' suoi , che n' è piena ogni via.
Morti di caldo , e di profluvio d' alvo.
Sicché di dieci non ne torna un salvo.
16. Mostra Pipino , e mostra Carlo appresso,
Come in Italia im dopo Y altro scenda,
E v' abbia questo e quel lieto successo:
Che venuto non v' è, perchè 1' offenda;
Ma r uno, acciò "1 pastor Stefano oppresso,
L' altro Adriano , e poi Leon difenda.
L' un doma Aistulfo; el' altro vince e prende
Il successore , e al papa il suo onor rende.
17. Lor mostra appresso un giovane Pipino,
Che con sua gente par, che tutto copra
Dalle Fornaci al lito palcstino,
E faccia , con gran spesa e con lung' opra.
Il ponte a Malamocco ; e che vicino
Giunga a Rialto , e vi combatta sopra:
Poi fuggir sembra , e che i suoi lasci sotto
L' acque , che '1 ponte il vento e 'l mar gli han rotto.
18. Ecco Luigi borgognon , che scende
Là , dove par che resti vinto e preso,
E che giurar gli faccia, chi lo prende.
Che più dall' arme sue non sarà offeso.
Ecco, che '1 giuramento vilipende;
Ecco di niu)vo cade al laccio teso ;
Ecco vi lascia gli oc(-hj , e come talpe,
Lo riportano i suoi di qua dall' Alpe.
11). Vedete un Ugo d' Arli far gran fatti,
E che d' Italia eaccia i Bercngari ;
E di»!, o tre volte gli ha rotti «• disfatti,
Or dagli Inni rimessi, or dai Ha\ari.
Poi ila più forza è stretto di far patti
Con r inimico , e non sta in vita guari,
Né guari, dopo lui , y't sta V erede,
E '1 regno int«'gro a Berengario cede.
20. Vedete un altro C'arlo , che a' conforti
Del l)uon pastor foro in Italia ha messo,
E in due fiere liatlaglie ha duo re morti,
.^lanl'redi prima, e (,'orradiiio appres>o.
Poi la sua gente, ebe cimi intlle torti
Seiiitira tenere il nuo^o regno oppresso,
Di qua e di là per la città divisa.
Vedete, u uu suon di vespro, tutta uccisa.
[443]
ORLANDO FURIOSO. ( XXXIU. 21 - 36 )
I!!^l
21. Lor mostra poi (ma vi parea intervallo
Di molti e molti, non eh' anni, ma lustri)
Scender dai monti un capitano gallo,
E romper guerra ai gran Visconti illustri ;
E con gente francesca a pie e a cavallo.
Par eh' Alessandria intorno cinga e lustri;
E che '1 duca il presidio dentro posto,
E fuor abbia 1' agguato un po' discosto;
22. E la gente di Francia mal accorta.
Tratta con arte, ove la rete è tesa,
Col conte Armeniaco, la cui scorta
L' avea condotta all' infelice impresa.
Giaccia per tutta la campagna morta,
Parte sia tratta in Alessandria presa;
E di sangue non men, che d' acqua, grosso.
Il Tanaro si vede il Po far rosso.
23. Un, detto della Marca, e tre Angioini
Mostra, 1' un dopo 1' altro, e dice: Questi
A' Bruci, a' Danni, a' Marsi , a' Salentiui
Vedete, come son spesso molesti:
Ma né de' Franchi vai, né de' Latini
Ajuto, sicché alcun di lor vi resti;
Ecco li caccia fuor del regno , quante
Volte vi vanno, Alfonso, e poi Ferrante.
2i, Vedete Carlo ottavo , che discende
' Dall' Alpe , e seco ha il fior di tutta Francia ;
Che passa il Liri, e tutto il regno prende
Senza mai stringer spada, o abbassar lancia,
Fuorché lo scoglio, che a Tifeo si stende
Sulle braccia, sul petto, e sulla pancia;
Che del buon sangue d' Avalo al contrasto
La virtù trova d' Inico del Vasto.
25. n signor della rocca, che venia
Quest' istoria additando a Bradamante,
Mostrato che 1' ebbe Ischia, disse: Pria
Ch' a veder altro più vi meni avante, 1
10 vi dirò quel , che a me dir solia 1
11 bisavolo mio, quand' io era infante, |
E quel , che similmente mi dicea j
Che da suo padre udito anch' esso avea, |
26. E '1 padre suo da un altro, o padre, o fosse
Avolo, e r un dall' altro, sino a quello, j
Ch' a udirlo da quel proprio ritrovosse, )
Che r immagini fé' senza pennello, !
Che qui vedete bianche , azzurre e rosse. !
Ldì, che, quando al re mostrò il castello, \
Ch' or mostro a voi su questo altero scoglio, j
Gli disse quel , che a voi riferir voglio. j
27. Udì, che gli dicea, che in questo loco i
Di quel buon cavalier, che lo difende j
Con tanto ardir, che par disprezzi il foco, |
Che d' ogn' intorno e sino al Faro incende, I
pascer dchlìc in quei tempi , o dopo poco, j
(K ben gli disse 1' anno e le calende) |
Un ca>aliero , a cui sarà secondo
Ogni altro , che sin qui sia stato al mondo.
28. Non fu ÌVireo sì bel, non sì eccellente
Di forza Achille, e non sì ardito Ulisse; ,
Non si velucc Lada , n(tn prudente j
^icistor, che tanto seppe, e tanto visse; |
^on tanto lilicral, tanto clemente j
L' antica fania ('«issare descrisse, '
Che , verr.0 1' noni , che in Ischia nascer deve, i
Non abbia ogni lor vanto a restar lieve.
29.
E se si gloriò 1' antica Creta,
Quando il nepote in lei nacque di Celo;
Se Tebe fece Ercole e Bacco lieta;
Se si vantò dei duo gemelli Delo;
Né questa isola avrà da starsi cheta.
Che non s' esalti , e non si levi in cielo.
Quando nascerà in lei quel gran marchese,
Che avrà sì d' ogni grazia il ciel corteée.
30
31
32
33
Merlin gli disse, e replicogli spesso,
Cli' era serbato a nascere all' etade,
Che più il romano imperio saria oppresso.
Acciò per lui tornasse in libertade.
Ma , perché alcuno de' suoi gesti appresa
Vi mostrerò, predirli non accade.
Così disse , e tornò all' istoria , dove
Di Carlo si vedean 1' inclite prove.
Ecco, dicea, si pente Lodovico
D' aver fatto in Italia venir Carlo ;
Che sol per travagliar 1' emulo antico
Chiamato ve 1' avea, non per cacciarlo;
E se gli scopre, al ritornar, nimico,
Co' Veneziani in lega , e vuol pigliarlo.
Ecco la lancia il re animoso abbassa,
Apre la strada, e lor mal grado passa.
Ma la sua gente, che a difesa resta
Del uuovo regno, ha ben contraria sorte;
Che Ferrante , con 1' opra , che gli presta
Il signor mantuan , torna si forte,
Che in pochi mesi non ne lascia testa,
O in terra , o in mar , che non sia messa a morte
Poi , per \\n uom , che gli è con fraudc estinto
Non par che senta il gaudio d' aver vinto
Cosi dicendo , mostragli il marchese
Alfonso di Pescara , e dice : Dopo
Che costui comparito in mille imprese
Sarà più risplendente, che piropo,
Ecco qui neir insidie, che gli ha tese,
Con un trattato doppio , il rio Etiopo,
Come scannato di saetta cade
li miglior cavalier di quella etade.
84. Poi mostra, ove il duodecimo Luigi
Pfissa con scorta italiana i monti,
E, svelto il Moro, pon la Fiordiligi
Nel fecondo terren , già de' Visconti.
Indi manda sua gente pe' vestigi
Di Carlo, a far sul Garigliano i ponti,
La quale appresso andar rotta e dispersa
Si vede, e morta, e nel fiume sommersa.
35. A cdete in Puglia non minor macello
Dell" esercito franco in fuga volto;
E Con^alvo Ferrante ispano è quello,
Che due volte alla trappola l' ha colto.
E , <H)nie qui turbato , così bello
Mostra Fortuna al re Luigi il volto,
Nel ricco pian che , fin dove Adria stride.
Tra' r Apennino e 1' Alpe , il Po divide.
Così dicendo , sé stesso riprende,
Che quel, eh' avea a dir prima, abbia lanciato,
E torna addietro, e mostra uno, che vende
Il caste! , che '1 signor suo gli avea dato :
Mostra il perfido Svizzero, che prende
Colui, eh' a sua dil'esa 1' ha assoldato;
Le qua! due cose, senza abbas>.ar lancia,
Ilan dato la vittoria al re di Francia.
8,
t
86
t45]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIII. 37-52)
[446]
7. Poi mostra Cesar Borgia, col favore
Di questo re, farsi in Italia grande;
Ch' ogni baron di Roma, ogni signore
Soggetto a lei, par che in esìlio mande.
Poi mostra il re, che di Bologna fuore
Leva la sega, e vi fa entrar le ghiande :
Poi, come volge i Genovesi in fuga,
Fatti ribelli, e la città soggiuga.
Vedete , dice poi , di gente morta
Coperta in Ghiaradadda la campagna.
Par , eh' apra ogni cìttade al re la porta,
E che Venezia appena vi rimagna.
Vedete come al papa non comporta
Che , passati i confini di Romagna,
Modena al duca di Ferrara toglia ;
]\'è qui si fermi, e '1 resto tor gli voglia:
9. E fa all' incontro a lui Bologna torre.
Che v' entra la Bentivola famiglia.
Vedete il campo de' Francesi porre
A sacco Brescia, poiché la ripiglia,
E quasi a un tempo Felsina soccorre,
E '1 campo ecclesiastico scompiglia;
E r uno e 1' altro poi nei luoghi bassi
Par si riduca del lito di Chiassi.
0. Di qua la Francia , e di là il campo ingrossa
La gente Ispana , e la battaglia è grande.
Cader si vede , e far la terra rossa
La gente d' arme in ambedue le l)ande.
Piena di sangue uman pare <tgni fossa ;
Marte sta in dubbio , u' la vittoria mande.
Per virtù d' un Alfonso alfin si Acde,
Che resta il Franco, e che 1' Ispano cede;
L E che Ravenna saccheggiata resta.
Si morde il Papa per dolor le labbia,
E fa dai monti, a guisa di tempesta,
Scendere in fretta una tedesca rabbia,
Ch' ogni Francese, senza mai far testa,
Di qua dall' Alpe par che cacciat' abbia,
E che posto un rampollo abbia del Moro
Kel giardino, onde svelse i gigli d' oro.
3. Ecco torna il Francese: eccolo rotto
Dall' infedele Elvezio, che in suo ajuto.
Con troppo rischio, ha il giovane ciuidotto,
Del quale il padre a^ca preso e venduto.
Vedete poi 1' esercito , rha sotto
La mota di Fortuna era caduto.
Creato il nuovo re, che si prepara
Dell' onta vendicar, eh' ebbe a Novara:
13. E con miglior auspizio cc(ro ritorna.
Vedete il re Francesco innanzi a tutti,
Clic così rompe a' Svizzeri le corna,
Clie poco resta a non gli aver distrutti;
Sicché '1 titolo mai più non gli adorna.
Clic usurpato s' avran quei villan brutti,
Cile domator de' principi , e difesa
Si nonicran della cristiana chiesa.
ì. Ec<;o, mal grado della lega, prende
Milano , V. accorda il giovane Sforzesco.
Ecco Borbon , che la città difende.
Pel re di Fnuicia, dal furor tcd«s(0.
Eccovi poi, che, mentre altro^(! attende
Ad altre magne impresi; il re Franr<-8C0,
Kù sa, quanta superbia <; crudt;Uadu
li«ino i Muui, gli è tolta la cittude.
45. Ecco un altro Fi-ancesco , che assimiglia
Di virtù all' avo, e non di nome solo;
Che , fatto uscirne i Galli , si ripiglia.
Col favor della chiesa , il patrio suolo.
Francia anco torna, ma ritien la briglia,
Kè scorre Italia, come suole, a volo;
Che '1 buon duca di Mantiia sul Ticino
Le chiude il passo, e le taglia il cammino.
46. Federico, che ancor non ha la guancia
De' prìmi fiori sparsa, si fa degno
Di gloria eterna, eh' abbia con la lancia.
Ma più con diligenza e con ingegno,
Pavia difesa dal furor di Francia,
E del Leon del mar rotto il disegno.
Vedete duo marchesi , ambi terrore
Di nostre genti, ambi d' Italia onore;
47. Ambi d' un sangue, ambi in un nido nati.
DI quel marchese Alfonso il primo è figlio,
Il qual, tratto dal Negro negli agguati,
Vedeste il terren far di sé vermiglio.
Vedete , quante volte son cacciati
D' Italia i Fmnchi pel costui consiglio.
L' altro, di sì benigno e lieto aspetto,
Il Vasto signoreggia, e Alfonso è detto.
48. Questo è il buon cavalier, di cui dicea,
Quando 1' isola d' Ischia vi mostrai.
Che già profetizzando detto avea
Merlino a Fieramonte cose assai;
Che diflerù-e a nascere dovea
Nel tempo, che d' ajuto più che mai
L' afllitta Italia, la chiesa e l' impero
Contra ai barbari insulti avria mestiere.
49. Costui dietro al cugin suo di Pescara,
Con r auspizio di Prctsper colonnese.
Vedete, come la Bicocca cara
Fa parere all' Elvezio , e più al Francese.
Ecco di nuovo Francia si prepara
Di ristaurar le mal successe imprese.
Scende il re con un campc» in Lombardia;
Un altro, per pigliar Napoli, invia.
50. Ma quella, che di noi fa, come il vento
D' arida polve, che 1' aggira in volta,
La leva lino al cielo , e in un momento
A terra la ricaccia, onde 1' ha tolta.
Fa , che intorno a Pavia crede di cento
Mila perstuie aver fatto raccolta
Il re, che mira a quel, che di man gli esce.
Non , se la gente sua si scema , o cresce.
51. Così per colpa de' ministri avari,
E per bontà del re, che se ne fida,
Sotto r insegne si raccolgon rari,
Quando la notte il campo all' arme grida;
Che >i vede assalir dentro ai ripari
Dal sagace Spagnuol, che con la guida
Di duo del sangue d' Avalo , ardiriu
Farcii nel cielo e nell' inferno via.
52. Vedete il meglio della nobillade
Di tutta Francia alla campagiui estinto.
Vedete , quante lance e quante spade
ilan d' ogn' intorno il re iinimoso «intu.
Vedete, che "I d<v.triir sotto gli rade.
Né per questo ^i rendi;, o cliiiuua ^inlo;
Itcnchè a lui soh» attenda, a Ini sol corra
Lo stuul nemico, e non è cJii 1 soccorra.
[447]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIII. 53—68)
[448
53. n re gagliardo si difende a piede,
E tutto dell' ostil sangue sì bagna.
Ma virtù alfine a troppa forza cede.
Ecco il re preso , ed eccolo in Ispagna ;
Ed a quel di Pescara dar si vede,
Ed a chi mai da lui non si scompagna,
A quel del Vasto , le prime corone
Del campo rotto , e del gran re prigione.
5i. Rotto a Pavia 1' un campo , 1' altro eh' era,
Per dar travaglio a Napoli , in cammino,
Restar si vede , come , se la cera
Gli manca o 1' olio , resta il lumicino.
Ecco, che '1 re nella prigione ibera
Lascia i figliuoli , e torna al suo domino.
Ecco fa a un tempo egli in Italia guerra ;
Ecco altri la fa a lui nella sua terra.
55. Vedete gli omicidj e le rapine
In ogni parte far Roma dolente,
E con ineendj e stupri le divine
E le profane cose ire ugualmente.
Il campo della lega le ruine
Mira d' appresso , e '1 pianto e '1 gi-ido sente ;
E , dove ir dovria innanzi , torna indietro,
E prender lascia il successor di Pietro.
56. Manda Lotrecco il re con nuove squadre,
Non più per fare in Lombardia 1' impresa.
Ma per levar delle mani empie e ladre
Il capo , el' altre membra della chiesa;
Che tarda si , che trova al santo Padre
Non esser più la libertà contesa.
Assedia la cittade, ove sepolta
E la sirena , e tutto il regno volta.
57. Ecco r armata imperiai si scioglie.
Per dar soccorso alla città assediata;
Ed ecco il Doria , che la via le toglie,
E r ha nel mar sommersa, arsa e spezzata.
Ecco Fortuna , come cangia voglie.
Sin qui a' Francesi sì propizia stata.
Che dì febbre gli uccide , e non di lancia.
Sicché dì mille un non ne torna in Francia.
58. La sala queste ed altre istorie molte,
Che tutte saria lungo riferire.
In varj e bei colori avea raccolte,
Ch' era ben tal , che le potea capire.
Tornano a rivetlerle due e tre volte;
Né par , che se ne sappiano partire ;
E rìleggon più volte quel , eh' in oro
Si vede scritto sotto il bel lavoro.
59. Le belle donne , e gli altri quivi stati.
Mirando e ragionando insieme un pezzo,
Fur dal signore a riposar menati,
Ch' onorar gli osti sii<»i molto era avvezzo,
(iià scudo tutti gli altri addormentati,
lìra<l amante a col<-ar si va dassezzo;
E si volta or su questo, or su qiu:l fianco.
Né può dormir sul destro, né sul manco.
60. Pur chiude alquanto, appresso all' alba, i lumi,
E di vcd<*r le paro il suo Ruggiero,
Il qual le dica: Perché ti consumi.
Dando (rcdcnzii a quel, clic non é vero?
I'm vedrai prima all' erta andare i fiumi,
Che ad allri unii , che a te , volga il pensiero.
S' io non auiiiK^i te , ni il cor potrei,
Né ie pupille amar degli occhj miei.
61. E par che le soggiunga : Io son venuto
Per battezzarmi , e far quanto ho promesso ;
E s' io son stato tardi , m' ha tenuto
Altra ferita, che d' amore, oppresso. j
Fugge.NÌ in questo il sonno , né veduto
E più Ruggier, che se ne va con esso.
Rinnova allora i pianti la donzella,
E nella mente sua così favella:
62. Fu quel, che piacque, un falso sogno; e quosl
Che mi tormenta, ahi lassa! é im vegghiar vep
Il ben fu sogno , a dileguarsi presto ;
Ma non è sogno il martir aspro e fiero.
Perché or non ode e vede il senso desto
Quel, che udire e veder parve al pensiero?
A che condizione , occhj miei , sete.
Che chiusi il bene , e aperti il mal vedete ?
63. Il dolce sonno mi promise pace,
Ma r amaro vegghiar mi torna in guerra:
Il dolce sonno é ben stato fallace,
Ma r amaro vegghiare , oimé ! non erra.
Se '1 vero annoja , e il falso sì mi piace,
Non oda , o vegga mai più vero in terra !
Se 'l dormir mi dà gaudio , e il vegghiar guai,
Possa io dormir senza destarmi mai!
64.
65.
66
Oh felici animai, che un sonno forte
Sei mesi tien , senza mai gli occhj aprire !
Che s' assimigli tal sonno alla morte,
Tal vegghiare alla vita, io non vo' dire;
Ch' a tutt' altre contraria la mia sorte
Sente morte a vegghiar, vita a dormire.
Ma , se a tal sonno morte s' assimiglia.
Deh! morte, or ora chiudimi le ciglia!
Dell' orizzonte il sol fatte avea rosse
L' estreme parti , e dileguate intorno
S' eran le nubi , e non parca che fosse
Simile all' altro il cominciato giorno,
Quando svegliata Bradamante armosse,
Per fare a tempo al suo cammin ritorno,
Rendute avendo grazie a quel signore
Del buon albergo, e dell' avuto onore.
E trovò , che la donna messaggera,
Con damigelle sue , con suoi scudieri
Uscita della rocca, vcnut' era
Là , do^ e r attendean quei tre guerrieri,
Quei, che con 1' asta d' oro essa la sera
Fatto avea riversar giù dei destrieri;
E che patito avean con gran disagio
La notte 1' acqua, e il vento, e il ciel mah-agio]
67
Arroge a tanto mal , che a corpo vuoto
Ed essi e i lor cavalli eran rimasi,
Battendo i denti , e calpestando il loto ;
Ma quasi lor più incrcsce, e senza quasi
Incrc.sce, e preme più, che farà noto
La me^saggiera, appresso agli altri casi.
Alla sua donna, che la prima lancia
Gli abbia abbattuti, eh' han trovatala Francia
68. E presti o di morire, o di vendetta
Subii(» fiir del rice^ uto oltraggio,
Acciò la messaggiera. che fu detta
Lllania, che nomata più non aggio,
La mala opinion , eh' a^ ea concetta
Forse di lor, si tolga del coraggio,
La figlinola d' Amon sfidano a giostra
Tostuchè fuor del ponte ella si mostra ;
449]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIU. 69-84)
[450]
C9. Non pensando però, che sia donzella j
Che nessun gesto di donzella avea ;
Bradamante ricusa , come quella,
Ch' in fretta già, né soggiornar volea.
Pur tanto e tanto fur molesti , eh' ella,
Che negar senza hiasmo non potea,
Abbass») i' asta , ed a tre colpi in terra
Li mandò tutti, e qui finì la guerra;
70. Che , senza più voltarsi , mostrò loro
Lontan le spalle, e dileguossi tosto.
Quei, che per guadagnar lo scudo d' oro,
Di paese venian tanto discosto,
Poiché senza parlar ritti si foro,
(Che ben 1' avean con ogni ardir deposto)
Stupefatti parean di maraviglia,
ISè verso Ullania ardian d' alzar le ciglia:
71. Che con lei molte volte per cammino
Dato s' avean troppo orgogliosi vanti,
Che non è cavalier, nò paladino,
Ch' al minor di lor tre durasse avanti.
La donna, perché ancor più a capo chino
A adano , e più non sian cosi arroganti.
Fa lor saper, che fu femmina quella,
iNon paladin, che li levò di sella.
72. Or che dovete, dice ^Ua, quando
Cosi v' abbia una feir . a abbattuti,
Pensar, che sia Rinak- , o che sia Orlando,
Non senza causa in tant' onore avuti.''
Se un d' essi avrà lo scudo , io vi domando,
Se migliori di quel che siate suti
Contra una donna, contra lor sarete?
Noi credo io già, né voi forse il credete.
l'j. Questo vi può bastar ; né vi bisogna
Del valor vostro aver più chiara prova ;
E quel di voi, che temerario agogna
Far di sé in Francia esperienza nuova,
Cerca giungere il danno alla vergogna,
In che jeri ed oggi s' è trovato e trova;
Se forse egli non stima utile e onore,
Qualor per man di tai guerrier si muore.
74. Poiché l)en certi i cavalieri fece
Ullania, che quella era una dinizella,
La qual fatto avea nera , più <;he pece,
La fama lor, eh' esser solca sì bella,
E do>e una bastava, più di dicce
Persone il detto confermar di quella.
Essi fnr per voltar 1' arnie in sé stessi,
Da tal dolor, da tanta rabbia oppressi.
75. E dallo sdegno e dalla furia s|iinti,
L' arme si spoglian , quante ti hanno indosso,
Né si lascian la spada, onde eran cinti,
E del caste! la gittano nel l'osso ;
E giuran, p()i< he gli ha una donna vinti,
E fatto sul terrei! batteri; il ilo.>so,
Che, per purgar sì grave <;rror , staranno
Senza mai vestir 1' arme intero un ainu);
76. E clic ne andranno a |>iè pur tuttavia,
O sia la strada piana, o scimmia, o eaglia:
Né, poiclié r ainio an<;o lìnito sia,
Sarai) \>rr cavalcare, o votir maglia,
S' allr' arnie, altro dcstricr da lor non fia
(ìiiadagnato per lor/.a di b,ill.igli>i.
Cuci ^en7.' arine, per punir lor fallo,
Lssi u piò 86 n' undùr, gli altri n cavallo.
77. Bradamante la sera ad un castello,
Ch' alla via di Parigi si ritrova.
Di Carlo, e di Rinaldo suo fratello.
Che avean rotto Agramante, udì la nuova.
Quivi ebbe buona mensa, e buono ostello;
Ma questo, ed ogn' altro agio, poco giova;
Che poco mangia, e poco dorme, e poco
Non che posar, ma ritrovar può loco.
78. Non però di costei voglio dir tanto,
Ch' io non ritorni a quei duo cavalieri,
Che d' accordo legato aveano, accanto
La solitaria fonte, i duo destrieri.
La pugna lor, di che vo' dirvi alquanto,
Non é per acquistar terre, né imperj.
Ma , perché Durindana il più gagliardo
Abbia ad avere, e a cavalcar Bajardo.
79. vSenzachè tromba , o segno altro accennasse,
Quando a mover si avean , senza maestro.
Che lo schermo e '1 ferir lor ricordasse,
E lor pungesse il cor d' animoso estro,
L' uno e 1' altro d' accordo il ferro trasse,
E si venne ca trovare agile e dentro.
Gli spessi e gravi colpi a farsi udire
Licominciaro , ed a scaldarsi 1' ire,
80. Due spade altre non so per prova elette
Ad esser ferme, e solide , e ben dure.
Che a tre colpi di quei si fosser rette,
Ch' erano fuor di tutte le misure.
Ma quelle fur di tempre sì perfette.
Per tante esperienze sì sicure.
Che ben poteano insieme riscontrarsi
Con mille colpi e più, senza spezzarsi.
81. Or qua Rinaldo, or là mutando il passo.
Con gran destrezza , e molta industria ed arte,
Fuggia di Durindana il gran fracasso;
Che sa ben , come spezza il ferro , e parte.
Feria maggior percosse il re Gradasso,
Sia quasi tutte al vento erano sparte;
E se cogliea talor , coglieva in loco.
Ove potea gravare e nuocer poco.
82. L' altro con più ragion sua spada inchina,
E fa spesso al pagan stordir le braccia;
E quando ai fianchi , e quando ove confina
La corazza con l' elmo, gli la caccia;
Ma trova 1' armatura adainanlina
Siedi' una maglia non ne rompe, o straccia.
Se dura e forte la ritrova tanto,
Avvien , perdi' ella é fatta per incanto.
83. Senza prender riposo erano stali
Gran pezzo tanto alla battaglia fi.-i,
Che volto gli ocdij in ne.'«.>iin mai de' lati
Aveano, fuorché nei turbati vi>i;
Quando d.i un' altra zolla di.^tornati,
E da tanto furor fiiroii ili\i>i.
Ambi voltalo a un gran ^^^•epito il ciglio,
E videro Bajardo in gran periglio.
84. Vider Bajardo a zulTa con un mostro.
Cir er.i più di luì grande, ed era augello.
Avea )iiù lungo di tre braccia il ro»lro ;
L' altre faltcz/.e aAca di pipi»tr<'llo.
Avrà la piiiiiia negra, come iiidiio>tro ;
Avea r artiglio grande, acuto e fello;
Occhio di loi:o, e sguardo avea criuUh' ;
L' ale avea grandi , clic parean due v de.
2»
[451]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIII. 85 — 100)
[452i
85. Forse era vero aiigel ; ma non so, doTC,
O quandc» un altro ne sia stato tale.
INOn ho veduto mai , né letto altrove,
Fuorché in Turpin , d' un sì fatto animale.
Questo rispetto a credere ini move,
Che r augel fosse un diabolo infernale,
Che Malagigi in quella forma trasse,
Acciocché la battag^lia disturbasse.
80". Rinaldo il credette anco , e gran parole
E sconce poi con Miilagigi n' ebbe.
Egli già confessar non gli lo vuole;
E perchè tor di colpa si vorrebbe,
Giura pel lume che dà lume al sole,
Che di questo imputato esser non debbe.
Fosse augello , o demonio , il mostro scese
Sopra Bajardo, e con 1' artiglio il prese.
87. Le redine il destrier , eh' era possente,
Subito ro.nipe, e con sdegno e con ira
Contra 1' augello i calci adopra, e '1 dente:
Ma quel veloce in aria si ritira,
Indi ritorna, e con 1' ugna pungente
Lo va battendo , e d' ogn' intorno aggira.
Biijardo offcjo, e che non ha ragione
Di schermo alcun, ratto a fuggir si pone.
88. Fugge Bajardo alla vicina selva,
E va cercando le più spesse fronde.
Segue di sopra la pennuta belva
Con gli occhj fissi, ove la Aia seconde;
Ma pure il buon destrier tanto s' inselva,
C!ie alfin sotto una grotta si nasconde.
Poiché r alato ne perde la traccia,
Ritorna in cielo , e cerca nuova caccia.
89. Rinaldo e '1 re Gradasso , che partire
\ eggono la cagion della lor pugna,
Restan d' accordo quella dilTerirc,
Finché Baj;»rdo salvino dall' ugna.
Che per la scura selva il fa fuggire ;
Con patto , che qual d' essi lo raggiugna,
A quella fonte lo restituisca,
Ove la lite lor poi si fniisca.
yO. Seguendo si partir dalla fontana,
L' erbe novellamente in terra peste.
Mrdto da lor Bajardo s' alhnitana,
Cir ebbon le piante in seguir lui mal preste.
Gradasso, che non Ituigi avea 1' Allana,
Sopra \\ salse , e per quelle foreste
Molto lontano il paladiii lasciosse.
Tristo, e peggio c(nitento, che mai fosse.
91. Rinaldo perde Y orme in pochi passi
Del suo destrier, che fé' strano viaggio;
('11' andò rivi cercando , arbori e sassi.
Il più sprno-o luogo, e il più selvaggio,
A<<;ioccbé da quella ugna si celassi,
Clie cadendo dal ciel gli facea oltraggio.
Rinaldo dopo la fatica vana
Ritornò ad aspettarlo alla fontana;
D'i. Se da Gradasso vi fosse condotto,
Si<r<uuc tra lor dianzi si contenne:
Ma , poicliò far si vide poco frutto,
Dolente
piedi in campo se ne venne.
Or torniamo a quell' altro, al quale in tutto
Diverso da Uinaldo il caso av\enne.
>(Ui per ragion, ma per suo gran destino,
Sentì annitrire il buon destrier vicino;
93. E lo trovò nella spelonca cava.
Dall' avuta paura anco sì oppresso,
Ch' uscire allo scoperto non osava.
Perciò r ha in suo potere il pagan messo.
Ben della convenzion si ricordava,
CI»' alla fonte tornar dovea con esso; t
Ma non é più disposto d' osservarla, j
E cosi in mente sua tacito parla:
94. Abbial chi aver lo vuol con lite e guerra! i
Io d' averlo con pace piìi disio.
Dall' URO all' altro capo della terra
Già venni, e sol per far Bajardo mio:
Or eh' io r ho in mano, ben vaneggia ed erri
Chi crede , che dcpor lo voless' io.
Se Rinaldo lo vuol , non disconviene,
Come io già in Francia, or s' egli in India viene
95. Non men sicura a lui fia Sericana,
Che già due volte Francia a me sia stata.
Cosi dicendo, per la ^ia più piana
Ne venne in Arli, e vi trovò 1' armata;
E quivi con Bajardo e Durindana
Si partì sopra una galèa spalmata.
Ma questo a un' altra volta ; eh' or Gradasso,
Rinaldo, e tutta Francia addietro lasso.
96. Voglio Astolfo seguir, eh' a sella e a morso
A uso facea andar di palafreno
L' Ippogrifo per 1' aria a sì gran corso.
Che r aquila e il falcon vola assai meno.
Poiché de' Galli ebbe il paese scorso
Da un mare all' altro , e da Pirene al Reno,
Tornò verso ponente , alla montagna,
Che separa la Francia dalla Spagna.
9T. Passò in Na varrà, ed indi in Aragona,
Lasciando, a chi 'I vedea, gran meraviglia.
Restò lungi a sinistra Tarracona,
Biscaglia a destra, ed arrivò in Castiglia.
Vide Galizia , e il regno d' Llisbona ;
Poi volse il corso a Cordova e Siviglia:
Kè lasciò presso al mar , né fra campagna
Città, che non vedesse in tutta Spagna.
98. Vide le Gade, e la meta che pose
Ai primi naviganti Ercole invitto.
Per r Afri<;a vagar poi si dispose >
Dal mar d' Atlante ai termini d' Egitto.
Vide le Baleariche famose,
E vide Evizi appresso al cammìn dritto.
Poi volse il freno , e tornò verso Arzilla,
Sopra 'I mar, che da Spagna dipartilla.
99. Vide Marocco , Fcza , Orano , Ippona,
Algier, Bnzéa, tutte città superbe,
Ch' hanno d' altre città tutte corona.
Corona d' oro, e non di fronde, o d' erbe.
Verso Diserta e 'l'nnigi poi sprona;
Vide Ca|)isse, e 1' isola d' Alzerbe,
E Tripoli, e Berniche, e Tolomitta,
Sin dove il A ilo in Asia si tragitta.
100. Tra la marina, e la silvosa schiena
Del fiero Atlante, vide ogni contrada:
Poi die' le spalle ai monti di Carena,
E sopra i Cirenei prese la strada;
E tra^«•rsando i campi dt-ll' arena,
Venne a' coiifìu di Niibìa in Albajada.
Rimase dietro il ciiniter di Batto,
E il gran tempio d' Amon , eh' oggi è disfatto.
15
it53]
ORLANDO FURIOSO. (XXXUl. 101-116)
[454]
>1. Indi g:iiJn.«e afl iin' altra Treni Lsennc,
Che di 3Iiiumetto pur segue lo stilo.
Poi volse agli altri Etiopi le penne,
Che contra questi son di là dal ^Nilo;
Alla città di Nuhia il cammin tenne,
Tra Uohada e Coalle , in aria a filo.
Questi cristiani son , quei saracini,
E stan con 1' arme in man sempre ai confini.
)2. Senapo , imperator dell' Etiopia,
Che in luogo tien di scettro in man la croce,
Di gente, di cittadi e d' oro ha «;opia
Quindi fin là, dove il mar rosso ha foce ;
E serva quasi nostra fede propia,
Che può salvarlo dall' esilio atroce.
Gli è (s' io non piglio errore) in questo loco,
Ove al hattesmo loro usano il foco.
)3. Dlsmontò il duca Astolfo alla gran corte
Dentro di ^luhia, e visitò il Senapo.
11 castello è più ricco assai , che forte,
Ove dimora d' Etiopia il capo.
Le catene dei ponti e delle porte,
Gangheri , e cliiavisìei da piedi a capo,
E finalmente tutto quel lavoro.
Che noi di ferro usiamo , ivi usan d' oro.
)4. Ancorché del finissimo metallo
Vi sia tale ahhondanza , è pure in pregio ;
Colonnate di limpido cristallo
Son le gran logge del palazzo regio.
Fan rosso , hianco , verde , azzurro e giallo
Sotto i bei palchi un rilucente fregio,
Divisi tra proporzionati spazj
Rubin, smeraldi, zaffiri, e topazj.
)5. In mora, in tetti, in pavimenti sparte
Eran le perle, eran le ricche gemme.
Quivi il balsamo nasce; e poca parte
1\' ebbe , appo questi , mai Gerusalemme.
Il nuischio , eh' a noi vien, quindi si parte;
Quindi vien 1' ambra, e cerca altre maremme;
Vengoii le cose , in soiimia , da quel canto.
Che ne' paesi nostri v aglion tanto.
06. Si dice, che 'l soldan , re dell' Egitto,
A quel re dà tributo, e sta .-uggetto.
Perchè è in poter di lui dal canunin dritto
Levare il Mio, e dargli altro ricetto;
£ per que>to lasciar subito affiitto
Di fame il Cairo , e tutto quel distretto.
Senapo detto è da' sudditi suoi ;
Gii (liciam Presto, o Pretejanni noi.
07. Di quanti re mai d' Etiopia foro.
Il più ricco fu <|uesto, (; il più possente.
i\Iii <:on tutta sua possa e suo tesoro.
Gli occhj perduti avea miseramente.
E quoto era il minor d' ogni martoro :
Gioito er<'i più no.joso e più spiac'ente.
Che, quantunque ric('liis>imo si chiame.
Crucialo era da perpetua fame.
08. Se \ìvr mangiare o hcr quell" infelice
\<Miia cacciato dal bi>ogno grande,
'l'osto npparia 1' iufcriial schiera nitrii»;.
Le mostruose arpie;, brutte e nefande,
(Jhc cui grilo e con 1' ugna predatrice
Spargeano i vasi, e rapian le vivande,
E (|nei, che nini cnpia lor ventre ingordo,
\ i rimanea contaminato e lordo.
!lC9. E questo, pcrch', essendo d' anni acerbo,
j E vistosi lev ato in tanto onore,
I Che, oltre alle ricche? ze, di più nerbo
I Era di tutti gli altri, e di più core.
Divenne, come Lucifer, superbo,
E pensò mover guerra al suo Fattore.
Con la sua gente la via prese al dritto
I Al monte, onde esce il gran fiume d' Egitto.
jilO. Inteso avea, che su quel monte alpestre.
Ch' oltie alle nubi , e presso al elei si leva,
j Era quel paradiso, che terrestre
Si dice, ove abitò già Adamo ed Eva.
Con cammelli , elefanti , e con pedestre
Esercito , orgoglioso si mo^ ev a.
Con gran desir, se v' abitava gente,
Di farla alle sue leggi ubbidiente.
111. Dio gli represse il temerario ardire,
E mandò 1' angel suo tra quelle frotte.
Che centomila ne fece morire,
E condannò lui di perpetua notte.
Alla sua mensa poi fece venire
L' orrendo mostro dall' infernal grotte,
Che gli rapisce e contamina i cibi.
Né lascia, che ne gusti, o ne delibi.
112. Ed in disperazion continua il messe
Uno , che già gli avea profetizzato.
Che !e sue mense non sariano oppresse
Dalla rapina, e dall' odore ingrato,
Quando v enir per 1' aria si vedesse
Vn cavalier sopra un cavallo alato.
Perchè dunque impossibil parca questo,
Privo d' ogni speranza vivca mesto.
113. Or che con gran stupor vede la gente
Sopra ogni muro , e sopra ogn' alta torre
Entrare il cavaliero , immantinente
E chi a narrarlo al re di > tibia corre,
A cui la profezia ritorna a mente ;
Ed obbliando per letizia torre
La fedel verga, con le mani innante
Yien, brancolando, al cavalier volante.
114. Astolfo nella piazza del castello
Con spaziose ruote in terra scese.
Poiché fu il re condotto innanzi a quello,
Inginocchiossi , e le man giunte stese,
E disse: Angel di Dio, Alessia nodello!
S" io non merto perdono a tante olVese,
]\lira , che proprio è a noi peccar sovente,
A voi pei d. mar sempre a chi si pente.
115. Del mio error <(iiis;ipe>oh> . non chieggio.
Né chiederti ardirei gli antichi liiiiii.
Ch(! tu lo possa far, ben creder (leggio ;
Che sei de' cari a Dio beati iiuiiii.
'l'i basti il gran iiiartir, « h' io ncui ci veggio,
Senzachè ogiior la fame mi consumi.
Almen disca<cia le letiib" arpie.
Che non rapiscan le vitande mie!
116. E di marmore un Iciiipio ti prometto
Edìricar iicH' alta reggia mia,
(he tutte d' oro aliliia le porte, e il tetto,
E deiilnt e fuor di gemme ornato sia;
il dal tuo ^allto n(iiii(> sarà detto,
E del iiiirai'ol tuo sciiipilo fìa.
Così tiic<a quel re, che nulla vede,
Cercando iiivnu baciare al duca il piede.
29 *
L-' J
r„ - -UT, -, ^ ! J
i^e bon messia nnvpl hA j-^i • i
Ma .«n mortale, e peccatore anch' fo '
Io S! ^?'''^' ^ "'^ concessa, indegno.
Pe. n?„"f" '"'r''' «'^'^'"'^^'"^' «•' mostro rio
Pei morte, o fuga ioti ],.vi dui regno.
» 10 11 fo, me non, ma Dio ne loda solo
Che per tuo ajuto qui mi drizzò il ,olo !
Fa questi voti a Dio, debiti a lui '
A lui le duesc edifica, egli altari!*
Cosi parlando andavano arahiduì
Icrso .1 castello fra i baron preclari.
Il re comanda ai servitori sui
Che subito il convito si prepa'ri;
Sperando che non debba esser-li tolta
La vivanda di mano a questa v'o/ta"^
^:;^,r^.1f'!^-!---n«nente
118
119.
--" """.^"''" saia immantiiK
Apparecchiossi il convito solenne
Col Senapo ^ assise solamente
Il ducaAstolfo, e la vivanda venne.
Ecco per r aria lo stridor si sente
Percossa mtorno dall' orribil penne.
liatte dal cielo a odor delle vivande.
^■^■Vohn?r"' '" ""^ ^'^'"^••«' « tutte
Pei h,nl-. f""^ ^''^" P^"''^^ « ^™«rte,
Per lunga fame attenuate e asciutte
Ombih a veder, più che la mo^t^
L alacce grand, avean, deformi e brutte
Le man rapaci, e I' ugne incurve e forte
Grande e fetido il venfre, e lun4 coda '
Come di serpe, che s'aggira e ^noSa'
121. Si sentono venir per 1' aria, e quasi
|J':i;ei5iti^-r---7s
Astolfo, come 1' ,ra lo sospinge,
Contra gì' mgordi augelli?! L'ro stringe.
1— Uno sul collo, un altro sulla groppa
Ma TI' V^'^""^ P^"«' « «hi^erala-
Ma, come fera ,n su un sacco di stonoa
Poi langue ,1 colpo , e senza effetto Sa''
E quei non vi lasciar piatto, „è coppa "'
Che fosse intatta; né sgombkr la sala
Pnniachè le rapine e if fiero pasto '
Coutaminato U tutto avesse e guLto
"'Nef ducVT?'^ '': ^^••'°* speranza
Ed .u, cheti a'?" ^'' •'i-«coiassi ;
E co,,.hiude tra sé E^^i"^'
Per discacciare i mostri, 'ottima S.
Di';a';rcera vtV\ -^ ^?' ^"«' '^--^
Acciocché tu?ti come Si" '' ''"''
Non abbiano a'ftZ:. lo'rTu'":'"''
Prende la bnVJia ° * u ^"f ^^^'^a-
Ma ™„„„ i„ V„s„ £T ""» l""'».
Tant!, J '""^ '"''■'*' '« ^«na ro-o^ia
lanto che sono all' iIh* :.^ '"oo'»?
Ove il Nilo 1.". • "'V^'™*» ™on'e,
[»C
125.
127,
128
Quasi della montagna alla radice
Entra sotterra una p^rofonda gJo «a
Che certissima porta esser siXe '
Qui'V'é ":rVr'-"^ei'Talotta.
V""i s e quella turlia predatrice
^ gm sm di Cucito in sulla ni-oda
Ali ,„fer„„l caliginosa bar»
i"T-iiif-;f.t:,ittr-'™-
E fé raccorrò al suo destrier le ulon,.
Poiché rta („ i' ] ",;''kÌ "!'" «".!""""!
Finire Uea.t'c'"4«a.''S",4f;«"°-
(■5T]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIV. 1-12)
[458]
CANTO TRE N TESI MOQU ARTO.
ARGOMENTO.
Dalla mìsera Lidia Astolfo intende
La crudeltà , che lei in inferno pose :
Poi nel terrestre paradiso ascende.
Ove informato vicn di molte cose,
lede il senno d' Orlando, indi lo prende:
E 7 suo, che nel fiutar se lo ripose:
Poi vede i velli della nostra vita,
Come si fila, e come è compartita.
1. Oh fameliche, inìque e fiere arpìe,
CIi' all' accecata Itiilia, e iV error piena.
Per punir f<irse antiche colpe rie,
In ogni mensa alto giudicio mena !
Innocenti fanciulli , e madri pie
Cascan di fame , e veggon , eh' una cena
Di questi mostri rei tutto divora
Ciò, che del viver lor sostegno fora.
2. Troppo fallò chi le spelonche aperse,
Che già moU' anni erano state cliiusc,
Onde il fct«)ro e 1' iiigurdigiii emerse,
Ch' ad animorhare Italia si dilluse.
Il bel vivere allora si sommerse,
£ la cpiicte in tal modo s' escluse.
Che in guerre, in povertà sempre, e in aflanni
£ dopo stata , ed è per star molt' anni ;
Finch' ella un giorno a' neghittosi figli
Scuota la chioma , e cacci fuor di Lete,
Gridando lor: Aon Ila chi russimiglì
Alla virtù di (Jnlai e di Zete?
Che le mense dal pn/./.o e dagli artigli
Liberi, e torni a lor mondi/.ia liete.
Come essi già quc^ile di Fineo, e dopo
Fé' il paladin quelle del re etiope?
Il paladin col suono orriliil venne
Le lirntte arpie <-acciand(> in fuga e in rotta,
Tantoché a pie d' ini monte si ritenne,
Ove esse erano entrato in una grotta.
L' orecchie attente alU» spiraglio tenne,
£ r aria ne sentì percossa e. rotta
Da pianti ed urli, e da lamento eterno;
Segno evidente, quivi esser 1 inferno!
Astolfo si pensò d' entrar\i dentro,
E veder quei, eh' haiuio perduto il giorno,
K penetrar la terra (in al ccMiIro,
E le ìiolg»; infcTna! (X-rcare intorno.
Di che dehho tenn-r , dicea, «' io v' entro.
Che mi pos«iit ajutar sempre «;ol corno?
Farò liiggir l'Iutone e .Satanasso,
E '1 cai) Iriraucc leverò dal paMO.
3
6. Dell' alato destrier presto discese,
E lo lasciò legato a un arbocello ;
Poi si calò nell' antro , e prima prese
Il corno , avendo ogni sua speme in quello.
]\on andò molto innanzi , che gli offese
Il naso e gli orchj un fumo oscuro e fello.
Più che di pece grave, e che di zolfo.
Non sta d' andar , per questo , innanzi Astolfo.
7. Ma quanto va più innanzi , più s' ingrossa
Il fumo e la caligine, e gli pare,
Che andare innanzi più troppo non possa,
Che sarà forza addietro ritornare.
Ecco , non sa, che sia , vede far mossa
Dalla volta di sopra, come fare
Il cadavero appeso al vento suole,
Che molti dì sia stato all' acqua e al sole.
8. Sì poco , e quasi nulla era di luce
In quella affumicata e nera strada,
Che non comprende e non discerne il duce.
Chi questo sia, che sì per 1' aria vada;
E per notizia averne , si conduce
A dargli uno , o duo colpi della spada.
Stima poi, eh' uno spirto esser quel debbia;
Che gli par di ferir sopra la nebbia.
9. Allor sentì parlar con voce mesta:
Deh! senza fare altrui danno, giù cala!
Pur troppo il negro fumo mi molesta.
Che dal fuoco infcrnal qui tutto esala.
Il duca stupefatto allor s' arresta
E dice all' omiira: Se Dio tronchi ogni ala
Al fumo , sicché a te più non ascenda,
INon ti dispiaccia, che '1 tuo stato intenda!
10. E se vuoi, che di te porti novella
Nel mondo su , per satisfarti sono.
L' ombra rispose: Alla luce alma e bella
Tornar per fama ancor si mi par buono.
Che le parole è forza che mi s. ella
Il gran desir, eh' ho, d' aver poi tal dono,
E che '1 mio nome e 1' esser mio ti dica,
Benché 'I parlar mi sia noja e fatica.
11. E cominciò: Signor, Lidia snn io,
Del re di Lidia in grandi; alte/./a nata,
Qui dal giudicio altissimo di Dio
Al fumo eternamente condannata.
Per esser stata al lido amante mio.
Mentre i(» vissi , spiacevole ed ingraia.
D' altre innnilt; è que-ta grotta piena,
Pobte per simil falh» in simil peint.
12. Sta la cruda Ana<s:irete più al lnH90,
Ov' è maggi(ue il fumo, e più martire,
itestò ronversti al uuiiido il corpo in saiwo,
E r anima qua giù veiuir a patire.
Poiché ^ed<'r [ler lei 1' alìlitto e buso
Suo amante apiieso potè soll'erire.
Qui presso è Dnliie , eh' or s' avvede, qinuito
Erriitjric u far Apollo corixr tanto.
[459]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIV. 13 — 28)
f460|#
13
14
16
Lungo i^tii-ia, ne gT infelici spirti
Delle femmine ingrate, che qui stanno.
Volessi ad uno ad uno riferirti ;
Che tanti son, che in infinito vanno.
Più lungo ancor saria gli uomini dirti,
A' quai r essere ingrati lia fatto danno,
E che puniti sono in peggior loco.
Ove il fumo gli acceca, e cuoce il foco.
Perchè le donne più facili e prone
A creder son , di più supplicio è degno
Chi lor fa inganno. Il sa Teseo e Giasone,
E chi turbò a Latin 1' antico regno.
Sallo chi incontra sé il frate Assalone,
Per Tamar, trasse a sanguinoso sdegno;
Ed altri ed altre ; elio sono infiniti,
Che lasciato han , chi mogli , e chi mariti.
15. Ma , per narrar di me , più che d' altrui,
E palesar 1' error, che qui mi trasse.
Bella, ma altiera più, sì in vita fui,
Che non so , s' altra mai mi s' agguagliasse;
Né ti saprei ben dir di questi dui,
Se in me 1' orgoglio, o la beltà avanzasse;
Quantunque il fasto e V alterezza nacque
Dalla beltà , che a tutti gli occhj piacque.
Era in quel tempo in Tracia un cavaliere.
Estimato il miglior del mondo in arme.
Il qual , da più di un testimonio vero.
Di singoiar beltà senti lodarrae;
Talché spontaneamente fé' pensiero
Di volere il suo amor tutto donarme,
Stimando meritar , per suo valore,
Che caro aver di lui dovessi il core.
In Lidia venne, e d' un laccio più forte
Vinto restò , poiché veduta m' ebbe.
Con gli altri cavalier si mise in corte
Del padre mio, dove in gran fama crebbe.
L' alto valore, e le più d' una sorte
Prodezze , che mostrò , lungo sarebbe
A raccontarti , e il suo merto infinito,
Quando egli avesse a più grato uora servito.
Panfilia e Caria , e il regno de' Cilici,
Per opra di costui, mio padre vinse;
Che r esercito mai contra i nemici.
Se non quando volea costui , non spinge.
Costui , poiché gli pari e i benefici
Suoi meiitarlo , un di col re si strinse
A domandargli , in premio delle spoglie
Tante arrecate , eh' io fossi sua moglie.
19, Fu repulso dal re , che in griinde stato
Maritar disegnava la figliuola ;
jVon a costui , clie cav aiier privato
Altro non tien , che la ^ irtude sola ;
E 1 padre mio , troppo al guadagno dato,
E all' avarizia, d' ogni vizio scuola,
Tanto apprezza costumi , o virtù ammira,
Quanto 1' a^ino fa l suon della lira.
20. Alce^te, il cavalier, di eh' io ti parlo,
(Che co>ì nome avea) poiclié si ve<le
Kcpul-o dii (Ili più gratificarlo
Era più debiti)!', commiato chiede;
E lo minaccia nel partir, di farlo
Peiitir , clic 1,1 fi;j^linola non gli dic;!e.
Se n' andò al re d' Armenia, emulo antico
Del re di Lidia, e capital nemico;
18
21.
21
25
E tanto stimolò , che lo dispose
A pigliar r arme, e far guerra a mio padre.
Esso, per V opre sue chiare e famose.
Fu fatto capitan di quelle squadre.
Pel re d' Armenia tutte 1' altre cose
Disse che acquisteria : sol le leggiiidre
E lielle membra mie volea per frutto
Dell' opra sua , vinto eh' avesse il tutto.
Io non ti potre' esprimere il gran danno,
Ch' Alccste al padre mio fa in quella gueirn.
Quattro eseri-iti rompe, e in meu d' un anno
Lo mena a tal, che non gli lascia terra.
Fuorché un caste! , eh' alte pendici fanno
Fortissimo ; e là dentro il re si serra
Con la famiglia , che più gli era accetta,
E col tesor , clie trar vi puote in fretta.
Quivi assedionne Alceste , ed in non molto
Termine a tal disperazion ne trasse.
Che per buon patto avTia mio padre tolto,
Che moglie e serva ancor me gli lasciasse.
Con la metà del regno , s' indi assolto
Restar d' ogni altro danno si sperasse.
\edersi iu lireve dell' avanzo privo
Era ben certo , e poi morir cattivo.
Tentar , primaché accada , si dispone
Ogni rimedio, che possibil sia;
E me, che d' ogni male era cagione,
Fuor della rocca, ov' era Alceste, invia.
Io vo ad Alceste, con intenzione
Di dargli in preda la persona mia,
E pregar , che la parte , che vuol , tolga
Del regno nostro , e l' ira in pace volga.
Come ode Alceste, eh' io vo a ritrovarlo,
]Mi viene incontra pallido e tremante.
Di vinto e di prigione , a riguardarlo.
Più che di vincitore, avea sembiante.
Io , che conosco , eh' arde , non gli parlo.
Siccome avea già disegnato innante:
Vista r occasion , fo pensier nuovo,
Conveniente al grado . in eh' io lo trovo.
26
A maledir comincio 1' amor d' esso,
E di sua crudeltà troppo a dolermi.
Che iniquamente abbia mio padre oppresso,
E che per forza abbia cercato avermi ;
Che con più grazia gli saria successo
Indi a non molti dì, se tener fermi
Saputo avesse i modi cominciati,
Ch" al re ed a tutti noi sì furuu grati.
27. E sebben da principio il padre mio
Gli avea negata la domanda onesta,
Perocché di natura è un poco rio,
ì\è n)ai si piega alla prima riciiie»ta,
Farsi perciò di ben servir restio
>on doveva egli, e aver l' ira sì pi-esta;
Anzi , ognor meglio oprando . tener certo
Venire in breve al desiato merto.
28. E (piando anco mio padre a lui ritroso
Stato fosse, io l' a\rei tanto pregato,
Che a\ria 1' amante mio fatto mio sposo.
Pur. se veduto io 1" a\c.-?i ostinato.
Avrei fatto tal' opra ili nascoso.
Che di me Alceste si saria lodato.
Ma . poiché a lui tentar parve altro modo.
Io di mai non 1' amar fisso avea il chiodo.
*6I]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIV. 29 — 44)
[462]
E sebben era a lui venuta, mossa
Dalla pietà, che al mio patire portava,
Sta certo, che non molto fruir possa
Il piacer, che al dispetto mio gli dava:
Ch' era per far di me la terra ros^a,
Tostoch' io avessi alla sua \ Ofelia prava
Con questa mia persona satisfatto
Di quel , che tutto a forza saria fatto.
0. Queste parole , e simili altre usai,
Poiché potere in lui mi vidi tanto;
E il più pentito lo rendei, che mai
Si trovasse nell' eremo alcnn santo.
Mi cadde a' piedi, e supplicommi a?sai,
Che col coltel , che si levò da canto,
E volea in ogni modo , eli' io '1 pigliassi,
Di tanto fallo suo mi vendicassi.
Poich' io lo trovo tale, io fo disegno
li.i gran vittoria insino a! fin segsiire.
(ili do speranza di farlo anco degno,
Che la persona mia potrà fruire.
Se, emendando il suo error, 1' antico regno
AI (ladre mio farà restituire,
E nel tempo a venir vorrà acquistarnie
fetrìcndo, amando, e non mai più per erme.
Cosi far mi promise ; e nella rocca
Intatta mi mandò, come a lui venni,
>.(■ di baciarmi pur s' ardì la bocca.
^ (di , se al collo il giogo ben gli tenni;
\ t(!i, se btn Amor per me Io tocca.
Se convien , che per lui più strali impenni !
Al re d' Armenia andò , di cui do\ea
E.-ser, per patto, ciò che si prendea;
E con quel miglior modo , che usar puote,
liO pr(!ga, che al mio padre il regno lassi.
Del qual le terre ha depredati! e vote,
ìa\ a goder 1' antica Armenia passi.
(,^iicl re, d' ira infiaannando ambe le gote,
l)i>se ad Alceste, che non vi pensassi;
< he non si volea t(»r da quella guerra,
l'incile mio padre a^ea palmo di terra.
E se Alceste è mutato alle; parole
D' una vii femminella, abbiasi il danno!
(ìià a' prieghi esso di lui perder non ^uole
Quel, eh' a fatica ha preso in tutto un anno.
Di nuovo Alceste il prega, e poi si duole,
Che seco e/letto i prieghi .suoi non fanno.
Air ultimo s' adira, e lo miiia(-cia,
Che vuol , per forza o per amor , Io faccia.
L' ira multiplicò sicché gli s|iinsc
Dalle male paroh; a' peggior fatti.
Alc(;st«; contra il re la sjiarla strinse
Fra mille, che in mu) ajuto s' eran tratti,
E mal grado h»r tutti , ivi 1' estinse ;
E quel dì ancor gli Armeni ehlie disfatti,
Vauì r ajuto de' (Jilici e de' 'l'rai i.
Che pagava egli, e d' altri suoi seguaci.
Seguitò la ^iltoria, ed a sue spese.
Senza dispttndio alcun del pmlr»- mio,
l\e r<!»dè tutto il regno in mcn d' titi mese.
Poi, per ricompi iiKarn<; il (l:iiuu> rio,
Olire alle spoglie, che n<! diede, prese
hi \>,{ìU:, e gravò in parti; di gran Ho
Ann. -ni» e C«p|iadoria , che confina;
E scofcu Ircania lui sulla marina.
37. In luogo dì trionfo , al suo ritorno,
Facemmo noi pensier dargli la morte.
Restammo poi, per non ricever scorno;
Che lo veggiam troppo d' amici forte.
Fingo d' amarlo , e più di giorno in giorno
Gli do speranza d' essergli consorte.
Ma prima contro altri nemici nostri
Dico voler che sua virtù dimostri:
38. E , quando sol , quando con poca gente.
Lo mando a strane imprese e perigliose,
Da farne morir mille agevolmente.
Ma a lui successer ben tutte le cose ;
Che tornò con vittoria , e fu sovente
Con orribil persone e mostruose.
Con giganti a battaglia , e Le.>trigoni,
Ch' erano infesti a nostre regioni.
39. Non fu da Euristeo mai , non fu mai tanto
Dalla matrigna esercitato Alcide,
In Lerna , in Nemea, in Tracia, in Erimanto,
Alle valli d' Etolia , alle Numide,
Sul Tebro, suU' Ibero, e altrove, quanto,
Con prieghi finti, e con voglie omicide.
Esercitato fu da me il mio amante.
Cercando io pur di torlomi davante,
40. Né potendo venire al primo intento,
Vengone ad un di non minore effetto.
Gli fo quei tutti ingiuriar, eh' io sento
Che per lui sono, e a tutti in odio il metto.
Egli, che non sentia maggior contento,
Che d' ubbidirmi, senza alcnn ri.^petto
Le mani ai cenni miei sempre avea pronte.
Senza guardare un più d' un altro in fronte.
41. Poiché mi fu, per questo mezzo, avviso.
Spento aver del mio padre ogni nimico,
E per lui stesso Alceste aver conquiso.
Che non si avea , per noi , lasciato amico.
Quel, eh' io gli avea con simulato >iso
('elato fin aUor, chiaro gli e^j)Iìco;
Che grave e capitale odio gli porto,
E pur tuttavia cerco , che sia nnu'to.
12. Considerando poi, s' io lo facessi,
Che in pnbl)iica ignominia ne verrei,
(Sapeasi trojipo , quanto io gli dovessi,
E crnd<!l detta sempre ne Siirei)
Mi par\e far assai , eh' io gli toglicssi
Di mai M-iiir più innanzi agli oct-hj mici:
Né veder, né parlare mai gli ^olsi,
Né me^so udii , né lettera ne tolsi.
43. Questa mia ingratitiuline gli diede
Tanto martir, che allin , dal dolor vinto,
E dopo un lungo doinaiidar mercede,
Infermo cadde, e ne riuia>e «si loto.
Per jiena , che al fallir mio >i riihiede.
Or gli occlij ho lacriuio,->i, e il ^ iso tinto
Del negro turno, e co>i a\rò in eterno;
Che nulla redenzione è nell' inferno.
44. Poiché non parla più Lidia infelice,
\ii il duca per saper, s" altri \ì stanzi;
IMa la caligin alta, eh' era ullrice
Dell' opre ingrate , «ì gì' ingrossa innanzi,
Che and, ire iiii palmo sol più non gli lice.
Anzi a forza (ornar gli coiniene; anzi.
Perché la >ila non gli sia intercetta
Dal fumi), i passi accelerar con fretta.
[463]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIV. 45 — 60)
[464;
45. Il mutar spesso delle piante ha vista
Di corso, e non di chi passeggia, o trotta.
Tanto , salendo in \erso 1' erta , acquista,
Che vede, dove aperta era, la grotta;
E r aria, già caliginosa e trista,
Dal lume cominciava ad esser rotta.
Alfin con molto aft'anno e grave amhascia
Esce dell' antro, e dietro il fumo lascia.
46. E perchè del tornar la via sia tronca
A quelle hestie, eh' han si ingorde 1' epe,
Ran-una sassi, e molti arhori tronca,
Che v' eran, qnal d' amorao, e qiial di pepe,
E , come può , dinanzi alla spelonca
Fahhrica di sua man quasi una siepe;
E gli succede così hen quell' opra,
Che più le arpie non torneran di sopra.
47. Il negro fumo della scura pece.
Mentre egli fu nella caverna tetra,
Non macchiò sol quel , che apparìa, ed infece,
Ma sotto i panni ancora entra e penetra.
Sicché, per trovar acqua, andar lo fece
Cercando un pezzo ; e alfin fuor d' una pietra
Vide una fonte uscir nella foresta,
Kella qual si lavò dal piò alla testa.
48. Poi monta il volatore, e in aria s' alza,
Per giunger di quel monte in sulla cima,
Che non lontan, con la superna balza,
Dal cerchio della luna esser si stima.
Tanto è il desir, che di veder lo 'ncalza.
Che al cielo aspira, e la terra non stima.
Dell' aria più e più sempre guadagna,
Tanto, che al giogo va della montagna.
49. Zafir, ruhini, oro, topazj e perle
E diamanti, e crisoliti, e giacinti
Potriano i fiori assimigliar, che per le
Liete piagge v' avea l' aura dipinti:
Si verdi l' erbe, che, potendo averle
Qua giù , ne foran gli smeraldi vinti ;
]Nè men belle degli arbori le frondi,
E di frutti e di fior sempre fecondi.
50. Cantan fra i rami gli augeliettì vaghi ^
Azzurri e bianchi e verdi e rossi e gialli.
Murmuranti ruscelli e cheti laghi
Di limpidezza vincono i cristalli.
Una dolce aura, che ti par che vaghi
A un modo sempre, e dal suo stil non falli,
Facea si 1' aria tremolar d' intorno.
Che non potea nojar calor del giorno;
51. E quella ai fiori, ai pomi e alla vcrzura
Gli odor diversi depredando giva,
E di tutti faceva una mistura.
Che di soavità l' alma nutriva,
Surgca un piilazzo in mezzo alla jìianura,
Ch' acceso esser parca di fiamma viva;
Tanto >plendore intorno , e tanto hiiue
Raggiava fuor d' ogni mortai costume!
52. Astolfo il suo dostrier vei-so il palagio.
Che pili di trenta miglia intorno aggira,
A pass» lento fa movere ad agio,
E quiiK^i e quindi il bel paese ammira;
E giudica, ii|i))() quel, brutto e lUiilvagio,
E che ^ia al cit-io ed a natura in ira
QiK>to , che aliitìaiu noi , fetido mondo ;
Tanto ò soave quel , chiaro e giocondo!
53. Come egli è presso al luminoso tetto,
Attonito riman di maraviglia;
Che tutto d' una gemma è il muro schietto,
Più di carhonchio lucida e vermiglia.
Oh stupenda opra ! oh dedalo architetto !
Qual fabbrica tra noi le rassimiglia?
Taccia qualunque le miral)il sette
Muli del mondo in tanta gloria mette!
54. Nel lucente vestihulo di quella 5?
Felice casa un vecchio al duca occorre,
Che '1 manto ha rosso, e bianca la gonnella,
Che r un può al latte, e 1' altro al minio oppone
I crini ha bianchi , e hianca la mascella
Di folta barba, che al petto discorre;
Ed è sì venerabile nel viso,
Ch' un degli eletti par del paradiso.
55. Costui con lieta faccia al paliidìno.
Che riverente era d' arcion disceso.
Disse: Oh baron, che per voler divino
Sei nel terrestre paradiso asceso ;
Comechè né la causa del cammino,
]\è il fin del tuo desir da te sia inteso.
Pur credi , che non senza alto misterio
Venuto sei dall' artico eniisperio.
56. Per imparar, come soccorrer dei
Carlo , e la santa Fé tor di periglio.
Venuto meco a consigliar ti sei,
Per così liuiga via senza consiglio.
Né a tuo saper, né a tua virtù vorrei,
Ch' esser qui giunto attribuissi, o figlio;
Che né il tuo corno, né il cavallo alato
Ti valea, se da Dio non t' era dato.
57. Ragionerem più ad agio insieme poi,
E ti dirò, come a proceder hai;
Ma prima vienti a ricrear con noi.
Che '1 digiun lungo de' nojarti ormai.
Continuando il vecchio i detti suoi.
Fece meravigliare il duca assai;
Quando , scoprendo il nome suo , gli disse,
Esser colui, che 1' evangelio scrisse,
58. Quel tanto al Redentor caro Giovanni,
Per cui 'l sermone tra i fratelli uscio,
Che non dovea per morte finir gli anni ;
Sicché fu causa, che 'l figliuol di Dio
A Pietro disse: Perché pur t' affanni.
S' io vo', che così aspetti il venir juio?
Benché non disse : Egli non de' morire.
Si vede pur , che così volse dire,
59.. Quivi fu assunto, e trovò compagnia;
Che prima Enoc il patriarca v' era;
Eravi insieme il gran profeta Elia,
Che non hau vista ancor l' ultiuui sera;
E fuor neir aria pestilente e ria
Si goderan 1' eterna primavera,
Fìncbé dian segno l' angeliche tu1)e.
Che torni Cristo in sulla bianca nube.
60. Con accoglienza grata il cavaliero
Fu dai santi allog<:>iato in ima ^tal.za.
Fu provvisto in un' altra al suo destriero
Di buona biada, che gli fu abbastanza.
D(;' frutti a lui del paradiso diero.
Di tal saj'Or, (;he , a suo giudicio, sanza
Scusa non siuio i iliu> primi parenti,
Se per quei fur eì poco ubbidienti.
*65].
ORLANDO FURIOSO. (XXXIV. 61 — 76)
[466]
il. Poiché a natura il duca avventuroso
Satisfece tlì quel , che se le debbe,
Come col cibo, così col riposo,
Chù tutti e tutti i comodi cjuivi ebbe;
Lasciando già 1' Aurora il vecchio sposo,
Cli' ancor per lunga età mai non le inerebbe,
Si vide incontra, nell' uscir del letto,
Il discepol da Dio tanto diletto,
[|2. Che lo prese per mano, e seco scorse
Di molte cose di silenzio degne,
E poi disse: Figliuol, tu non sai forse,
Che in Francia accada , ancorché tu ne vegne.
Sappi, che '1 vostro Orlando, perchè torse
Dal caramin dritto le commesse insegne,
E punito da Dio , che più s' accende
Contra chi egli ama più, quando s' offende.
()Z. Il vostro Orlando , a cui nascendo diede
Somma possanza Dio con sommo ardire,
E fuor dell' uman uso gli concede,
Che ferro alcun non lo può mai ferire,
Perchè a difesa di sua santa fede
Così voluto r ha constituiro,
Come Sansone incontra a' Filistei
Constituì a difesa degli Ebrei;
Ì6i. Renduto ha il vostro Orlando al suo signore
' Di tanti beneficj iniquo merto ;
Che , quanto aver più lo dovea in favore,
IN' è stato il fedel j)opol più deserto;
Si accecato 1' avea 1' incesto amore
D' una pagana, cW avea già soflerto
Due volte e più venir, empio e crudele,
Per dar la morte al suo cngin fedele.
65. E Dio per questo fa, eh' egli va folle,
E mostra nudo il ventre, il petto e il fianco;
E r intelletto si gli oH'usca e tolle.
Che non può altrui conoscere, e se manco.
A questa guisa si legge, che volle
Nabuccodonosor Dio punire anco ;
Che sette anni il iiianilò di furor pieno.
Sicché , qual bue , pasceva 1' ciba e '1 fieno.
6G. Ma perchè assai minor del paladino.
Che di Nabucco, é stato pur V eccesso.
Sol di tre me.>i dal voler divino
A purgar questo error termine è messo.
^è ad altro efletto per tanto caiiunino
Salir qua su t'ha il Uedentor concesso.
Se non perché da noi modo tu apprenda.
Come ad Orlando il suo senno si renda.
07. Gli è ver, che ti bisogna altro viaggio
Far meco , e tutta abbandonar la terra.
Nel «■erchio della luna a menar t' aggio,
(he dei pianeti a noi più prossini' erra;
l'erdiè la medicina, che può saggio
Uender Orlando, là dentro si serra,
(^oine la luna questa notte sia
Sopra noi giunta , ci porremo in via.
C8. Di questo , e d' altre i;ose fu difliiso
Il |>arlar dell' apostolo quel giorno.
i\la poiché 1 sol s' elibe n<'l mar rinchiuso
K .-opra liir levò la luna il corno,
I II c.irni app(irei'('liios.si , «IT cni iid uso I
D andar scorri-iido per (|U('i cicli iiilor(n):
(^iiil già nelle montagne di (iiiidea
Da' mortali ucchj Elia levalo a\ea.
69. Quattro destrier, via più che fiamma, rossi
Al giogo il santo evangelista aggiunse- '
E poiché con Astolfo rassettossi,
E prese il freno, inverso il ciel li punse.
Rotando, il carro per 1' aria levossi,
E tosto in mezzo il fuoco eterno giunse*
Che '1 vecchio fé' miracolosamente.
Che, mentre lo passar, non era ardente.
70. Tutta la sfera varcano del foco,
Ed indi vanno al regno della luna.
Veggon per la più parte esser quel loco.
Come un acciar, che non ha macchia alcmia;
I^, Io trovano uguale, o minor poco
Di ciò, eh' in questo globo si raguna.
In questo ultimo globo della terra
Mettendo il mar, che la circonda e serra.
71. Quivi ebbe Astolfo doppia mcravifriia
Cile quel paese appresso era sì grande.
Il quale a un picciol tondo rassimiglia
A noi, che lo miriara da queste bande;
E /;h' aguzzar conviengli arabe le ciglia.
S'indi la terra, e '1 mar, che intorno spande
Discerner vuol; che, non avendo luce, '
L'immagin lor poco alta si conduce.
72. Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
Sono lassù, che non son qui tra noi.
Altri piani, altre valli, altre montagne,
Ch' han le cittadi , hanno i castelli suoi;
Con case , delle quai mai le più nia"-ne
Non vide il paladin prima, né poi;
E vi sono ampie e solitarie selve,
Ove le ninfe ognor cacciano belve.
73. jVon stette il duca a ricercare il tutto •
Che là non era asceso a quello effetto.
Dall' apostolo santo fu condulto
In un vallon fra due m<intagne stretto,
Ove mirabilmente era ridutto
Ciò che si perde, o per nostro difetto,
0 per colpa di tempo, o di fortuna:
Ciò, che si perde qui, là si raguna.
74. Non pur di regni , o di ricchezze parlo.
In che la ruota in^tabile lavora ;
Ma di quel, che in poter di tor, di darlo
Non ha fortuna, intender voglio ancora.
Molta fama è lassù, che, come tarlo,
Il tempo a lungo andar qua giù diwira.
Lassù infiniti prieghi e voti stanno,
Che da noi peccatori a Dio si fanno ;
75. Le lacrime e i sospiri degli amanti,
L' inutil tempo, che si perde a gioco,
E r ozio huigo d' utuniiii ignoranti ;
Anni dì>egni, che non han mai loco:
I vani de.-ìderj sono tanti.
Che la più parte ingoiubran di quel loco:
Ciò che, in somma, quaggiù perdesti mai.
Lassù salendo, ritro>ar potrai.
76. Passando il paladin per quelle biche
Or di questo, or di quel chiede alla guida.
Aide un monte di tuiiiiile \e;.>i(he.
Che dentri» parca a\rr tumulti e grida;
E seppe , eh' eran l<- corone antichu
E de-li A»iij, e d.ll.i terra liihi,
E de" l'ir.M ^^ «le' (ùcd, , ]„■ già furo
Inditi, ed or n' è quasi il uomo oscuro.
30
[46Ì]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIV. T7 — 92)
[468]
77. Ami d' oro e d' argento appresso vede
In una massa, eh' erano quei doni,
Che si fan , con speranza di mercede,
Ai re, agli avari principi, ai patroni.
Vede in ghirlande ascosi lacci, e chiede
Ed ode , che son tutte adulazioni.
Di cicale scoppiate immagine hanno
Versi, che in laude dei signor si fanno.
78. Di nodi d'oro, e di gemmati ceppi
Vede, eh' han forma i mal seguiti amori.^
V eran d' aquile artigli; e che fiir, seppi,
L' autorità, che a' suoi danno i signori. ^
I mantici, che intorno han pieni i greppi,
Sono i fumi dei principi, e i favori,
Che danno un tempo ai Ganimedi suoi,
Che se ne van col fior degli anni poi.
79. Ruine di cittadi e di castella
Stavan con gran tesor quivi sozzopra:
Domanda, e sa, che son trattati, e quella
Congiura, che si mal par che si copra.
Vide serpi con faccia di donzella.
Di monetieri e di ladroni 1' opra.
Poi vide hocco rotte di più sorti,
Ch' era il servir delle misere corti.
80. Di versate minestre ima gran massa
Vede, e domanda al suo dottor, che importe.
L' elemosina è, dico, che si lassa
Alcun , che fatta sia dopo la morte.
Di varj fiori ad un gran monte passa,
Ch' ehbe già buon odore , or puzza forte.
Questo era il dono, se però dir lece,
Che Costantino al buon Silvestro fece.
81. Vide gran copia di panie con visco,
Ch' erano, oh donne, le bellezze vostre.
Lungo sarà, se tutte in verso ordisco
Le cose, che gli far quivi dimostre;
Che dopo mille e mille io non finisco;
E vi son tutte 1' occorrenze nostre.
Sol la pazzia non v' è poca, nò assai;
Che sta qua giù, né se ne parte mai.
82. Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,
Ch' egli già avea perduti, si converse:
Che, se non era interprete con lui,
Non discernea le forme ior diverse.
Poi giunse a quel, che par sì averlo a nui.
Che mai per esso a Dio voti non ferse;
10 dico il senno; e n' era quivi un monte,
Solo assai più, che l' altre cose conte.
83. Era, come un liquor sottile e molle.
Atto a esalar, se non si ticn ben chiuso;
E si vedea raccolto in varie ampolle,
Qual più , qual mcn capace , atte a quell' uso.
Quella è maggior di tutte, in che del folle
Signor d' Anglante era il gran senno infuso;
E fu dall' altre conosciuta, quando
Avea scritto di fuor: Senno d' Orlando.
84. E così tutte r altre avcan scritto anco
11 nome di color, di chi fu il senno.
Del suo grim parte \'uk', il duca franco:
Ma mollo ]>in maravigliar lo feinm
Molti, eh' egli credea, che dramma manco
Kon dovessero averne, e quivi donno
Chiara notizia, che n(; tenean poco;
Che molta quantità n' era in quel loco.
85. Altri in amar lo perde, altri in onori,
Altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze.
Altri nelle speranze de' signori,
Altri dietro alle uiagiche sciocchezze,
Altri in gemme , altri in opre di pittori.
Ed altri in altro, che più d' altro apprezze.
Di sofisti e d' astrologi raccolto,
E di poeti ancor ve u' era molto.
86. Astolfo tolse il suo, che gliel concesse
Lo scrittor dell' oscura apocalisse.
L' ampolla, in eh' era, al naso sol sì messe,
E par, che quello al luogo suo ne gisse;
E che Turpin da indi in qua confesse,
Ch' Astolfo lungo tempo saggio visse;
Ma eh' uno error, che fece poi, fu quello.
Che un' altra volta gli levò il cervello.
87. La più capace e piena ampolla, ov' era
Il senno, che solca far savio il conte,
Astolfo tolle; e non è sì leggiera.
Come stimò , con l' altre essendo a monte.
Primacliè '1 paladin da quella sfera
Piena di luce alle più basse smonte,
Menato fu dall' apostolo santo
In un palagio, ov' era mi fiume accanto;
88. Ch' ogni sua stanza avea piena dì velli
Di lin , di seta , di coton , di lana,
Tinti in varj colori, e brutti e belli.
Nel primo chiostro una femmina cana
Fila a un aspo traea da tutti quelli;
Come veggiam , 1' estate , la villana
Traer dai bachi le bagnate spoglie,
Quando la nuova seta si raccoglie.
89. V è chi, finito un vello, rimettendo
Ne viene un altro, e chi ne porta altronde*
Un' altra delle filze va scegliendo
Il bel dal brutto , che quella confonde.
Che lavor si fa qui.'' eh' io non 1' intendo,
Dice a Giovanni Astolfo ; e quel risponde :
Le vecchie son le Parche , che con tali
Stami filano vite a voi mortali.
90. Quanto dura un de' velli, tanto dura
L' umana vita, e non di più un momento.
Qui tien 1' occhio la Morte e la Natura,
Per saper l' ora, eh' un debba esser spento.
Sceglier le belle fila ha 1' altra cura;
Perchè sì tesson poi per ornamento
Del paradiso; e de' più brutti stami
Si fan per li dannati aspri legami.
91. Dì tutti ì velli, eh' erano già messi
In aspo, e scelti a farne altro lavoro,
Erano in brevi piastre i nomi impressi.
Altri di ferro, altri d' argento, o d' oro;
E poi fatti n' avean cumuli spessi.
Dei quali, senza mai farvi ristoro.
Portarne via non si vedea mai stanco
Un vecchio, e ritornar sempre per anco.
92. Era quel vecchio si espedito e snello,
Che per correr parca, che fosse nato;
E da quel nu>nte il lembo del mantello
Portava pien del nome altrui segnato.
Ove n' andava, e perchè facca quello,
Neil' altro canto vi sarà narrato.
Se d' avernt! piacer segno farete
Con quella grata udienza, che solete.
469]
ORLANDO FURIOSO. (XXXV. 1 — 12)
[470]
CANTO TRENTESIMO QUINTO.
ARGOMENTO.
Gli scrittori , e i poeti parimente
Dall' apostol diviii sono lodati.
Abbatte Bradamante arditamente
Bodomoiite , che tanti ha scavalcati.
Manda Frontino al suo Riiggier dolente '.
Lo sfida , e poi tre cavalieri pregiati
Manda giù del destriero a capo chino
Grandonio , Ferrauto e Serpentino.
1. Chi salìiii per me, madonna, in cielo
A riportarne il mio perduto ingegno.
Che, poich' lisci da' he' vostri occhi il telo,
Che '1 cor mi fisse, ognor perdendo vegno?
Né di tanta jattura mi querelo,
Purché non cresca , ma stia a questo segno ;
Ch' io dii1>ìto, se |)iù si va scemando,
Di venir tal, qual ho descritto Orlando.
2. Per riaver l' ingegno mio, m' è avviso,
Che non l)i^ogna, che per 1' aria io poggi
Nel ccrcliio della luna, o in paradiso;
Che "I mio non credo che tant' alto alloggi.
Ne' hei vostri occhj e nel sereno viso.
Nel sen d' avorio e alahastrini poggi
Se ne va errando ; ed io con qtiestn lahhia
Lo corrò, se vi par, eh' io lo riahhia.
3. Per gli ampli tetti andava il paladino
Tutte mirando le future vite;
Poich' ehhe visto sul Fatai mulino
A'oigersi quelle, eh' erano già ordite,
E scorse un vello, che più che d' or fino
Splender |)area; nò sarian gemme trite,
Se in filo si tirassero con arte.
Da comparargli alla millesma parte.
4. ^lirahihiienti! il Ixl vello gli ])iacque,
Che, tra inliiiiti , paragcui non ehhe;
K di sapere alto di^io gii nacque.
Quando sarà tal vita, e a chi si dehbc.
L' c^angelista nulla gliene tacque;
Che M-nti anni principio prima avrebbe,
Che col iM , e col D, l'os>e notato
L' anno corrente dal \ erho incarnato.
5. K come di splendore e «li Ixdtadc
Quel vello non avea isimih;, o pare,
Co'i saria la fortunata elade,
CUv do\<!a uscirne, al mondo singolare;
Perche tutte le grazie indite e rade,
CU alma natura, o proprio studio ilare,
() heniirna fortiuia ad uomo punte.
Avrà in perpetua ed infallihii dote.
G. Del re de' fiumi tra I' altere coma
Or siede iimil, diceagli, e picciol borgo
Dinanzi il Po; di dietro gli soggiorna
D' alta palude un nebuloso gorgo,
Che, volgendosi gli anni, la piii adorna
Di tutte le città d' Italia scorgo.
Non pur di mura e d'ampli tetti regi,
Ma di bei studj , e di costumi egregi.
7. Tanta esaltazione , e così presta,
Non fortuita, o d' avventura casca,
Ma r ha ordinata il ciel , perchè sia questa
Degna, in che 1' uom, di eh' io ti parlo, nasca:
Che, dove il frutto ha da venir, s' innesta,
E con studio si fa crescer la frasca;
E r artefice 1' oro affinar suole.
In che legar gemma di pregio vuole.
8. Né sì leggiadra , né si bella veste
Unqua ebbe altr' alma in quel terrestre regno;
E raro é sceso , e scenderà da queste
Sfere superne un spirito sì degno,
Come , per farne Ippolito da Èste,
N' bave r eterna mente alto disegno.
Ippolito da Este sarà detto
L' uomo, a chi Dio sì ricco dono ha eletto.
9. Quegli ornamenti, che, divisi in molti,
A molti basterian per tutti ornarli,
In suo ornamento avrà tutti raccolti
Cctstui , di eh' hai voluto eh' io ti parli.
Le virtudi per lui , per lui soflolti
Saran gli studj; e, s' io vorrò narrar li
Alti suoi merti, aUin son si lontano,
Ch' Orlando il senno aspetterebbe invano.
10. Così venia 1' imitator di Cristo
Ragionando col duca; e poiché tutte
Le stanze del gran luogo ehbono visto,
Onde r umane vite eran condotte.
Sul fiume uscirò, che, d' arena misto,
Con r onde discorrea torbide e brutte;
E vi trovar quel vecchio in sulla ri^a,
Che con gì' impressi nomi ^ì veni\a.
11. Non so, se vi sia a mente; io dico quello,
Ch' al fin dell' altro canti» y\ biM-iai,
Vecchio di faccia , e si di membra snello,
C^he d' ogni cervo è più veloce assai.
Degli altrui nomi egli s' empia il uumtello,
Sceura>a il monte, e non fini\a mai;
Ed in quel fiume , che Lete si noma,
Scalcala, anzi perdeu la ricca soma.
VI. Dici» che, come a^^i^a in sulla sponda
Del fiuuu', qm-l prodigo secchio scuote
11 lembt» |iieni> , e nella torbid' onda
Tutte lascia cader l' impressi' note.
In numer senza fin se ne profonda,
Ch' un minimo uso aver non se ne piiotc;
I! di Olito migliiiJH, che l' arena
Sul fonilo imohe, un se ne ser^a appena.
3» *
[471]
ORLANDO FURIOSO. (XXXV. 13 — 28)
[4T2]
13. Lungo e d' intorno quel fiume volando
Givano corvi ed avidi avoUoiù,
3Iulacchie, e varj augelli, che gridando
Facean discordi strepiti e romori ;
Ed alla preda correan tutti, quando^
Sparger vcdean gli amplissimi tesori;
E chi nel becco, e chi nell' ugna torta
Ne prende; ma lontan poco li porta.
14. Come vogliono alzar per 1' aria i voli.
Non han poi forza, che '1 peso sostegna;
Sicché coiivicn, che Lete pur involi
De' ricchi nomi la memoria degna.
Fra tanti augelli son duo cigni soli,
Bianchi , Signor , come è la vostra insegna,
Che vengou lieti riportando in hocca
Sicuramente il nome, che lor tocca.
15. Così , contra i pensieri empj e maligni
Del vecchio, che donar li vorria al fiume,
Alcun ne salvan gli augelli benigni;
Tutto r avanzo o!)blivion consume.
Or se ne van notando i sacri cigni,
Ed or per 1' aria battendo le piume,
Finché, presso alla ripa del fiume empio,
Trovano un colle, e sopra il colle un tempio.
16. Air Immortalitade il luogo è sacro,
Ove una bella ninfa giù del colle
Tiene alla ripa del letéo lavacro,
E di bocca dei cigni i nomi tolle,
E quelli affigge intorno al simulacro,
Che Li mezzo il tempio una colonna estolle.
Quivi li sacra, e ne fa tal governo,
Che vi si pon veder tutti iu eterno.
17. Chi sìa quel vecchio, e perchè tutti al rio
Senza alcun frutto i bei nomi dispensi,
E degli augelli, e di quel luogo pio,
Onde la bella ninfa al fiume viensi.
Aveva Astolfo di saper disio
I gran mister j e gl'incogniti sensi;
E domandò di tutte queste cose
L' uomo di Dio, che così gli rispose:
18. Tu dei saper, che non si muove fronda
Laggiù , che segno qui non se ne faccia.
Ogni effetto convien , che corrisponda
In terra e in ciel, ma con diversa faccia.
Quel vecchio, la cui barba il petto inonda,
Veloce sì , che mai nulla l' impaccia.
Gli effetti pari , e la medesima opra,
Che '1 Tempo fa laggiù , fa qui di sopra.
19. Volte che son le fila in sulla ruota.
Laggiù la vita umana arriva al fine,
La lama là, qui ne riman la nota,
Che immortali sariano ambe e divine.
Se non che qui quel dalla irsuta gota,
E laggiù il Tempo ognor ne fa rapine.
Questi le getta, come vedi, al rio,
E quel r immerge nell' eterno obblìo.
20. E, come qua su i corvi e gli avoltori
E le mulact^hie e gli altri varj augelli
S' affaticano tutti per trar fuori
Dell' acqua i nomi, che veggion più belli;
Così laggiù rutTiaiii , adulatori,
Huil'on , cinedi, accusatori, e quelli.
Che vivono alh; corti, e che vi sono
l'iù grati as&ai, che 'l virtuusiu e '1 buono;
21. E son chiamati cortigian gentili.
Perchè sanno imitar 1' asino e '1 ciacco ;
De' lor signor, tratto die iv abbia i fili
I/a giusta Parca, anzi Venere e Bacco,
Questi, di eh' io ti dico, inerti e vili,
Nati solo ad empir di cibo il sacco,
Portano in bocca qualche giorno il nome;
Poi neir obblio lascian cader le some.
22. Ma come i cigni , che cantando lieti
Rendono salve le medaglie al tempio;
(yosì gli uomini degni da' poeti
Son tolti dall' obblio , più che morte empio.
Oh bene accorti principi e discreti,
Cile seguite di Cesare 1' esempio,
E gli scrlttor vi fate amici, donde
Non avete a temer di Lete 1' onde!
23. Son, come i cigni, anco i poeti rari,
Poeti , che non sicn del nome indegni ;
Sì , perchè il cicl degli uomini preclari
Non paté mai, che troppa copia regni;
Sì per gran colpa dei signori avari,
Che lascian mendicare i sacri ingegni ;
Che le virtù premendo ed esaltando
I vizj , cacciau le buone arti in bando.
24. Credi , che Dio questi ignoranti ha privi
Dell' intelletto , e loro offusca i lumi,
Che della poesia gli ha fatti schivi.
Acciocché morte il tutto ne consumi.
Oltreché del sepolcro usclrian vivi,
Ancorch' a^esser tutti i rei costumi,
Purché sapessin farsi amici Cirra,
Più grato odoi'e avrian , che nardo o mirra.
25. Non sì pietoso Enea , né forte Achille
Fu , come è fama , né si fiero Ettorre ;
E ne son stati mille, e mille, e mille.
Che lor si pon con verità anteporre.
Ma i donati palazzi e le gran ville
Dai discendenti lor, gli han fatto porre
In questi senza fin sublimi onori,
Dall' onorate man degli scrittori.
26. Non fu sì santo, né benigno Augusto,
Come la tuba di Virgilio suona.
L' aver avuto in poesia buon gusto,
La proscrizione iniqua gli perdona.
Nessun sapria, se Neron fosse ingiusto,
Né sua fama saria forse nien buona,
(Avesse avuto e terra e ciel nemici^
Se gli scrittor sapea tenersi amici.
27. Omero Agamennon vittorioso,
E fé' i Trojan parer vili ed inerti,
E che Penelopca fida al suo sposo
Dai prochi mille oltraggi avea sofferti:
E se tu vuoi, che 'l ver non ti sia ascoso,
Tutta al contrario l' istoria converti :
Che i Greci rotti, e che Troja vittrice,
E che Penelopca fu meretrice.
28. Dall' altra parte , odi , che fama lascia
Elisa, di' ebbe il cor tanto pudico;
Che riputata viene una bagascia,
Solo, perché Maron non le fu amico.
Non ti maravigliar, eh' io n' abbia arabaiscia,
E 6C di ciò diffusamente io dico:
Gli scrittori amo, e fo il debito mìo ;
Ch' ul vostro mondo fui scrittore anch' Io.
473]
ORLANDO FURIOSO. (XXXV. 29-44)
[*^-^]
29. E sopra tutti gli altri io feci acqnijto,
Che non mi può levar tempo, né morte;
E ben convenne al mio lodato Cristo
Rendermi guiderdon di si gran sorte.
Duolmi di quei , che sono al tempo tristo,
Quando la cortesìa chiuse ha le porte,
Che con pallido viso e macro e asciutto
La notte e 'I di vi picchian senza frutto.
30. Sicché, continuando il primo detto,
Sono i poeti e gli studiosi pochi ;
Che, dove non han pasco, nò ricetto,
Insin le fere abbandonano i lochi.
Così dicendo il vecchio benedetto
Gli occhj inflannnò , che parvero due fochi ;
Poi , volto al duca con un saggio riso,
Tornò sereno il conturbato viso.
31. Resti con lo scrittor dell' evangelo
Astolfo ormai! di' io voglio far un salto,
Quanto sia in terra a venir fin dal cielo;
Ch' io non posso più star suU' ali in alto.
Torno alla donna, a cui con grave telo
Mosso avea gelosia crudele assiilto.
Io la lasciai, che avea, con breve guerra,
Tre re gittati , un dopo 1' altro, in terra;
32. E che, giunta la sera ad un castello,
Ch' alla via di Parigi si ritrova,
D' Agramante, che rotto dal fratello
S' era ridotto in Arli, ebbe la nuova.
Certa , che '1 suo Uuggier fosse con quello,
Tostoclr apparve in ciel la luce nuova,
A'crso Provenza , dove ancora intese.
Che Carlo lo seguia, la strada prese.
33. Verso Provenza per la via più dritta
Andando, s' incontrò in una donzella.
Ancorché fosse lacrimosa e afilitta.
Bella di faccia, e di maniere beila.
Questa era quella sì d' amor trafitta
Per lo figliuol di Monodante, quella
Donna gentil , eh' avea lasciato al ponte
L' amante suo prigion di Rodomonte.
34. Ella venia cercando un ca^alicro,
Ch' a far battaglia usato, come lontra,
In acqua e in terra fosse, e così fiero,
Che lo potesse al pagan porre incontra.
La sconsolata amica di Ruggiero,
Come quest' altra sconsolata incontra.
Cortesemente la saluta, e poi
Le chiede la cagiun dei dolor suoi.
35. Fiordiligi lei mira, e veder parie
Un cavalicr, eh' al suo bisogno fia;
£ comincia del ponte a ricontarle.
Ove impedisce il re d' Algicr la via ;
E eh' era stato appresso di l(!\arle
L' amante suo; non <-he più forte eia,
Ma sapca dar^i il Saracino astuto,
Col ponte stretto, e con quel fiume, njuto.
30. Se sei, dicca, sì ardito e si cortese,
Come ben mostri V uno e T altro io \ista.
Mi vendica, per Dio, di chi mi prese
R mio signore, e mi fa gir sì trista!
O consigliuini alm«;no in che paese
Poss' io tniviuir un, che a colui resista,
E sappia tanto d' arme e di battaglia,
Clic '1 fiume e 'l ponte al pagan poco vaglia !
37. Oltreché tu farai quel , che conviensì
Ad uom cortese, e a cavaliero errante,
In beneficio il tuo valor dispensi
Del più fede! d' ogni fedele amante.
Dell' altre sue virtù non appartiensi
A me narrar, che sono tante e tante.
Che chi non n' ha notizia, si può dire.
Che sia del veder privo , e deli' udire.
38. La magnanima donna, a cui fu grata
Sempre ogni impresa , che può farla degna
D' esser con laude e gloria nominata,
Subito al ponte di venir disegna;
Ed ora tanto più eh' é disperata,
Yien volentier , quando anco a morir vegna;
Che credendosi, misera! esser priva
Del suo Ruggiero, ha in odio d' esser viva.
39. Per quel eh' io vaglio , giovane amorosa,
Rispose Bradaraante, io m' offerisco
Di far 1' impresa dura e perigliosa.
Per altre cause ancor, eh' io preterisco,
Ma più, che del tuo amante narri cosa.
Che narrar di pochi uomini avvertisco,
Che sia in amor fedel : eh' a fé ti giuro.
Che in ciò pensai, eh' ognun fosse perjuro.
40. Con un sospir quest' ultime parole
Finì , con un sospir , eh' uscì dal core ;
Poi disse: Andiamo! e nel seguente sole
Giunsero al fiume, e al passo pien d' orrore.
Scoperte dalla guardia , che vi suole
Farne segno col corno al suo signore.
Il pagan s' arma e , quale é "l suo costume.
Sul ponte s' appresenta in ripa al fiume.
41. E come vi corapar quella guerriera.
Di porla a morte subito minaccia,
Quando dell' arme, e del destricr, su eh' era,
Al gran sepolcro oblazion non faccia.
Bradamante , che sa 1' istoria vera,
Come per lui morta Isabella giaccia.
Che Fiordiligi detto gliel' avea,
Al Suracin superbo rispondea:
42. Perché vuoi tu , bestiai , che gì' innocenti
Facciano penitenza del tuo fallo .^
Del sangue tuo placar costei con\ienti;
Tu l' uccidesti , e tutto '1 mondo sallo:
Sicché di tutte 1' arme , e guernimenti
Di tanti, che gittati hai da cavallo.
Oblazione e vittima più accetta
Avrà , eh' io te l' uccida in sua vendetta.
43. E di mia man le fia più grato il dono.
Quando, come ella fu, son tionna anch' io.
Rè qui tenuta ad altro elletto senio,
Ch' a vendicarla : e questo sol disio.
Ma far tra noi prima alcim patto è buono.
Che '1 tuo valor si compari col mio.
S' abbattuta sarò, di me farai
Quel , che degli altri tiuti prigion fati' hai :
44. IMa s' io t' abbatto, come io credo e >pcro.
Guadagnar soglio il (no camallo e 1' armi,
E «piclle otVcrir sob» al cimit<-ro,
E tutte r altri! distaccar dai unirmi;
E voglio , clic tu lasci ogni guerriero.
Rispose Rodomonte: (ìiiislo parmi.
('he sia, COMIC tu di': ma i pri<;ion darti
Giù non potrei, eh' io non gli ho in queste parli
ORLANDO FURIOSO. (XXXV. 45-60)
[475]___
45. Io gli ho al mio regno in Africa mandati :
Ma ti prometto, e ti do ben la fede,_
Che , se m' avvien . per casi inopinati,
Che tu stia in sella , e eh' io rimanga a piede,
Farò, che saran tutti liberati
In tanto tempo, quanto si richiede
Di dare a un messo, che in fretta si mandi
A far quel che, s' io perdo, mi comandi.
46. Ma , se a te tocca star di sotto , come
Più si contiene, e certo so che fia,
Non vo', che lasci 1' arme, né il tuo nome.
Come di vinta , sottoscritto sia :
Al tuo bel viso, a' begli occhj, alle chiome,
Che spiran tutti amore e leggiadria, ^
Voglio donar la mia vittoria; e basti,
Che ti disponga amarmi, ove m' odiasti.
47. Io son di tal valor, son di tal nerbo,
Ch' aver non dei d' andar di sotto a sdegno.
Sorrise alquanto, ma d' un riso acerbo,
Che fece d' ira, più che d' altro, segno,
La donna; né rispose a quel superbo,
Ma tornò in capo al ponticel di legno.
Spronò il cavallo, e con la lancia d' oro
Venne a trovar quell' orgoglioso Moro.
48. Rodomonte alla giostra s' apparecchia,
Viene a gran corso, ed è si grande il suono.
Che rende il ponte, che intronar I' orecchia
Può forse a molti , che lontan ne sono.
La lancia d' oro fé' 1' usanza vecchia ;
Che quel pagan , sì dianzi in giostra buono.
Levò di sella, e in aria lo sospese.
Indi sul ponte a capo in» giù lo stese.
49. Nel trapassar ritrovò appena loco,
Ove entrar col destrier quella guerriera,
E fu a gran rischio, o ben vi mancò poco,
Cli' ella non traboccò nella riviera:
Ma Rabicano, il quale il vento e '1 foco
Concetto avean, si destro ed agii era.
Che nel margine estremo trovò strada,
E sarebbe ito anco su un fil di spada.
50. Ella si volta, e contra l' abbattuto
Pagan ritorna, e con leggiadro motto:
Or puoi, disse, veder, chi abbia perduto,
E a chi di noi tocchi lo star di sotto.
Ui meraviglia il pagan resta muto,
Cli' una donna a cader 1' abbia condotto,
E far risposta non potè, o non volle,
E fu come uom pien di stupore, e folle.
51. Di terra si levò tacito e mesto,
E, poich' andato fu quattro o sei passi,
Lo scudo e 1' cimo, e dell' altre arme il resto
Tutto si trasse, e gittò contra i sassi,
E solo , e a pie fu a dileguarsi presto ;
Non che commission prima non lassi
A un suo scudier, che va«la a far 1' effetto
Dei prigion suoi, secondocliè fu detto.
52. Partissi, e nulla poi più se n' intese,
Se non , che stava in una grotta scura.
Intanto Hradanrante avea sospese
Di costui r arme all' alta sepoltura,
E fattone; levar tutto 1' arnese,
11 qual dei cuvalieri alla scrittura
(yonoblte della corte esser ili Carlo:
Non le>ò il resto, e non lasciò levarlo.
[4761
53. Oltr' a quel del figliuol di Monodante,
V è quel di Sansonetto e d" Oliviero,
Che , per trovar il principe d' Anglante,
Quivi condusse il più dritto sentiero.
Quivi fur presi, e furo il giorno innante
Mandati via dal Saracino altiero.
Di questi r arme fé' la donna torre
Dall' alta mole, e chiuder nella torre.
54. Tutte r altre lasciò pender dai sassi,
Che fur spogliate ai cavalier pagani.
V eran 1' arme d' un re, del quale i passi
Per Frontalatte mal fur spesi , e vanì.
Io dico r arme del re de' Circassi,
Che, dopo lungo errar per colli e piani,
A'enne quivi a lasciar 1' altro destriero,
E poi senz' arme andossene leggiero.
55. S' era partito disarmato e a piede ' '\
Quel re pagan dal periglioso ponte.
Siccome gli altri , eh' eran di sua fede.
Partir da sé lasciava Rodomonte.
Ma di tornar più al campo non gli diede
\ Il cor , eh' ivi apparir non avria fronte ;
I Che, per quel che vantossi, troppo scorno
Gli saria farvi in tal guisa ritorno.
51». Di pur cercar nuovo desir lo prese
Colei , che sola avea fissa nel core.
Fu 1' avventura sua, che tosto intese.
Io non vi saprei dir, chi ne fu autore,
Ch' ella tornava verso il suo paese;
Onde esso, come il punge e sprona amore.
Dietro alla pesta subito si pone.
Ma tornar voglio alla figlia d' Amone.
57. Poiché narrato ebbe con altro scritto.
Come da lei iu liberato il passo,
A Fiordiligi, eh' avea il core afflitto,
E tenea il viso lagrimoso e basso,
Domandò umanamente, ov' ella dritto
A olea che fosse, indi partendo, il passo.
Rispose Fiordiligi: 11 mio cammino
Vo', che sia in Arli, al campo Saracino;
58. Ove naviglio , e buona compagnia
Spero trovar da gir nell' altro lito.
]>iai non mi fermerò , finch' io non sia
Venuta al mio signore e mio marito.
A oglio tentar , perché in prigion non slia,
Più modi e più ; che se mi vien fallito
Questo , che Rodomonte t' ha promesso.
Ne voglio avere uno, ed un altro appresso.
59. Io m' oflerisco , disse Bradamantc,
D' accompagnarti un pezzo della strada,
Tantoché tu ti vegga Arli davaiite;
Ove p(!r amor mio vo', che tu Aada
A trovar quel Kuggier del re Agraniante,
Che del suo nome ha piena ogni contrada,
E che gli rendi questo biu)n destriero.
Onde abbattuto ho il Saracino altiero.
(jO. \ oglio, eh' ajipnnto tu gli dica questo:
Un cavalier, che di provar si crede,
E faie a tutto '1 mondo manifesto,
Che contra lui sei mancator di fede,
Acciò ti trovi apparecchiato e presto.
Questo destrier , pcrch' io tei dia , mi diede.
Dice , che trovi tua piastra e tua maglia,
E che r aspetti a far teco battaglia.
m]
ORLANDO FURIOSO. (XXXV. 61— T6)
[4T8]
il. Digli questo , e non altro ! e se quel Tuole
Saper da te, eh' io son, di che noi sai!
Quella rispose, umana come suole:
Non sarò stanca in tuo servigio mai
Spender la vita , non che le parole :
Che tu ancora per me così fatto hai.
Grazie le rende Bradamante, e piglia
Frontino , e glielo porge per la briglia.
)2. Lungo il fiume le belle e pellegrine
Giovani ranno a gran giornate insieme,
Tantoché veggon Arli, e le vicine
Rive odon risonar del mar, che freme:
Bradamante si ferma alle confine
Quasi de' borghi , ed alle sbarre estreme,
Per dare a Fiordiligi atto intervallo,
Clie condurre a Ruggier possa il cavallo.
Go. Vien Fiordiligi ed entra nel rastrello,
Nel ponte e nella porta; e seco prende
Chi le fa compagnia fin' all' ostello,
Ove abita Ruggiero , e quivi scende ;
E secondo il mandato al damigello
Fa r imbasciata, e il buon Frontin gli rende.
Indi va, che risposta non aspetta,
Ad eseguù-e il suo bisogno in fretta.
61. Ruggier riman confuso e in pensier grande,
E non sa ritrovar capo , né via
Di saper, chi lo sfidi, e clii gli mande
A dire oltraggio , e a fargli cortesia.
Che costui senza fede lo domande,
O possa domandar uomo che sia.
Non sa veder , né immaginare ; e prima,
Ch' ogn' altro sia, che Bradiimante, stima.
65. Che fosse Rodomonte, era più presto
Ad aver, che fosse altri, opinione;
E perchè ancor da lui liehba udir questo,
Pensa, né immaginar può la cagione.
Fuorché con lui, non sa di tutto '1 resto
Del mondo , con chi lite abbia , e tenzone,
lutanti» la donzella di Dordona
Chiede battaglia, e forte il corno suona.
66. Vien la nuova a Marsilio e ad Agramante,
Ch' un cavalier di fuor chiede battaglia.
A caso Serpentin lor era avante,
Ed impetrò di vestir piastra e maglia,
E promise pigliar questo arrogante.
Il pnpol venne sopra la nuiraglia;
Né fanciullo restò , né restò meglio,
Che non fosse a veder, chi fesse meglio.
67. Con ricca sopprawesta , e bello arnese,
Serpentin dalla Stella in giostra venne.
Al primo scontro in terra si distese;
Il destriero a^er parM! a fuggir penne.
Dietro gli corse la dtuina «^ttrtese,
E per la briglia al Saracin lo tenne;
E disse: Monta, e fa, die 'I (uo signore
Mi mandi un cavalier di le migliore!
68. 11 re Afriran, eh' era con gran famiglia
Sopra li; mura alla giostra micino.
Del cortes»! atto assai si mcra\ig!ia,
Ch' usato ha la ilonzella a Scri><-ntino.
Di ragion può pigliarlo , e non lo piglia,
Di<-c\a niicndo il popol Saracino.
Serpentin gitmgc, e, come ella comanda.
Un miglior da bua parte al re domanda.
69. Grandonlo di Voltema furibondo,
n più superbo cavalier di Spagna,
Pregando fece si , che fu il secondo,
Ed usci con minacce alla campagna.
Tua cortesia nulla ti vaglia al mondo;
Che quando da me vinto tu rimagna.
Al mio signor menar preso ti voglio:
Ma qui morrai, s' io posso, come soglio.
70. La donna disse a lui: Tua villania
Non vo' , che men cortese far mi possa,
Ch' io non ti dica, che tu torni pria,
C;iie sul duro terren ti doglian 1' ossa.
Ritorna, e di' al tuo re da parte mia.
Che per simile a te non mi son mossa;
Ma per trovar guerrier, che "1 pregio vaglia,
Son qui venuta a domandar battaglia.
71. Il mordace parlare, acre ed acerbo
Gran foco al cor del Saracino attizza ;
Sicché , senza poter replicar verbo,
Volta il destrier con collera e con stizza.
Volta la donna , e contra quel superba
La lancia d' Oro, e Rabicano drizza.
Come r asta fatai lo scudo tocca.
Coi piedi al cielo il Saracin trabocca.
72. Il destrier la magnanima guerriera
Gli prese, e disse: Pur tei prediss' io,
Che far la mia ambasciata meglio t' era.
Che della giostra aver tanto disio.
Di' al re, ti prego, che fuor della schiera
Elegga un cavalier, che sia par mio;
Né voglia con voi altri alTaticarme,
Ch' avete poca esperienza d' arme.
73. Quei dalle mura, che stimar non sanno,
Chi sia il guerriero in sull' arcion sì saldo.
Quei più famosi nominando vanno,
Che tremar li fan spesso al maggior caldo.
Che Brandimarte sia, molti detto hanno;
La più parte s' accorda esser Rinaldo.
3Iolti su Orlando avrian fatto disegno ;
Ma il suo caso sapean di pietà degno.
74. La terza giostra il figlio di Lanfusa
Chiedendo, disse: Non che vincer speri.
Ma perchè di cader più degna scusa
Abbian , c<idendo aneli" io , questi guerrieri.
E poi di tutto quel , che in giostra s' usa,
Si mise in punto ; e di cento destrieri.
Che tenea in stalla, d' un tolse 1' eletta,
Ch' avea il correre acconcio, e di gran fretta
75. Contra la donna per giostrar si fece;
Ma prima salutolla, ed ella lui.
Disse la donna : Se saper mi lece,
Ditemi in cortesia , chi siete vui.
Di questo Ferraù le satisfece,
(.'II' u»ò di rado di celarsi altrui.
Ella soggiunse: \oì già non rifìnto ;
3Ia avria più volentieri altri coluto.
76. E chi.' Ferraù disse; ella rispose:
Ruggiero. E appena il potè proferire,
E spars»! ti' un color . come di rose.
La Ix'llis.sinia faccia in questo dire.
Soggiunse al tlctti) poi: le «ni famose
Lod»! a (.il pru(Ma ni' bau f.itto \(Miirc.
Altro non bramo, e d' altro non mi cale.
Che di provar, conio egli in giostra vale.
[479] ORLANDO FURIOSO. (XXXV. 77 — 80 XXXVI. 1 — 8) [480
77. Semplicemente di:«se le parole,
Che forse alcuno ha già prese a malizia.
Rispose Ferraù : Prima si vuole
Provar tra noi, chi sa più di milizia.
Se di me avvien quel, che di molti suole,
Poi verrà ad emendar la mia tristizia
Quel gentil cavalier, che tu dimostri
Aver tanto disio, che teco giostri.
78. Parlando tutta volta la donzella
Teneva la visiera alta dal viso.
3Iirando Ferraù la faccia hella,
Si sente rimaner mezzo conquiso,
E taciturno dentro a sé favella:
Questo un angcl mi par del paradiso;
K ancorché con la lancia non mi tocchi,
Abbattuto son già da' suoi begli occhj.
79. Preson del campo , e , come agli altri avvenni
Ferraù se n' uscì di sella netto.
Bradiiniante il destricr suo gli ritenne,
E disse: Torna, e serva quel eh' hai detto!
Ferraù vei'gognoso se ne venne,
E ritrovò Ilnggier, eh' era al cospetto
Del re Agramantc , e gli fece sapere,
Ch' alla battaglia il cavalier lo chere.
80. Ruggier, non conoscendo ancor, chi fosse.
Che a sfidar lo mandava alla battaglia,
Quasi certo di vincere, allegrosse,
E le piastre arrecar fece , e la maglia ;
jNè r aver visto alle gravi percosse,
Che gli altri sian caduti, il cor gli smaglia.
Come s' armasse , come uscisse , e quanto
Poi ne seguì, lo serbo all' altro canto.
CANTO TRENTESIMOSESTO.
ARGOMENTO.
Con la lancia incantata abbatte e stende
Bradamante Marfisa, ond' ha sospetto:
Indi V un campo e V altro V arme prende,
E nel combatter fa V usato effetto.
Col suo Ruggier , di cui sì amor V accende,
Si riduce in un comodo boschetto.
La disturba Marfisa; e nel fin quella
Ode e conosce di Ruggier sorella.
1. Convien, eh' ovunque sia, sempre cortese
Sia un cor gentil, eh' esser non può altramente;
- Che per natura e per abito prese
Quel, che di mutar poi non è possente,
Convien , eh' ovunque sia , sempre palese
L'n cor villan si mostri similmente.
Natura inchina al nriale, e viene a farsi
L' abito poi difficile a rautarmi.
2. Di cortesia, di gentilezza esemp.j
Fra gli antichi guenicr si vider molti,
E pochi fra i moderni; ma degli cniiij
Costumi avvien, eh' assai ne vj-gga e ascolli.
In quella guerra, Ippolito, che i tempj
Di segni ornaste, agi' inimici tolti,
E che traeste lor galee cattive,^
Di preda cardie, alle paterno rive;
3. Tutti gli atti crudeli ed ìnimiani,
Che llsi^^se mai Tartaro , o Turco , o Moro,
ISon già con volontà de' Veneziani,
Che sempre e^eml)io di giustizia foro,
Lsaron 1' empie e scellerato mani
De' rei soldati, mercenarj loro.
lo non dico or di tanti acccNÌ fochi,
Ch' ar«on le ville, e i nostri ameni lochi:
4. Benché fu quella ancor brutta vendetta,
Massimamente centra voi , che appresso
Cesare essendo, mentre Padua stretta
Era d' assedio, ben sapca, che spesso
Per voi più d' una fiamma fu interdetta,
E spento il foco ancor, poiché fu messo.
Da' villaggi e da' templi, come piacque
All' alta cortesia, che con voi nacque.
5. Io non parlo di questo, né di tanti
Altri lor discortesi e crudeli atti,
Ma sol di quel, che trar dai sassi i pianti
Debbe poter, qual volta se ne tratti;
Quel dì, Signor, che la famiglia innauti
Mostra mandaste là, dove ritratti
Dai legni lor, con importimi auspici,
S' erano in luogo forte gì' inimici.
0. Qual Ettore ed Enea sin dentro ai flutti,
Per abbruciar le navi greche, andarn:
Un Ercol vidi e un Alessandro, indulti
Da troppo ardir, partirsi a paro a paro;
E spronando i destrier, passarci tutti,
E i nemici turbar fin nel riparo ;
E gir sì innanzi, eh' al secondo molto
Aspro fu il ritornare , e al primo tolto.
7. Salvossi il Ferruffin , restò il Cantelmo.
Che cor, duca di Sora, clie consiglio
Fu allora il tuo , che trar vedesti 1' elmo,
Fra mille spade, al generoso figlio,
E menar preso in nave, e sopra un schelmo
'J'roncargli il capo.^ Dcn mi maraviglio,
Che darti morte lo spettacol solo
INOn potè , quanto il ferro al tuo figliuolo.
8. SchiaA nn crudele, onde hai tu il modo appres
Della milìzia? In qual Sci/ia s' intende,
Che uccider si dcbb' un, poich' egli è preso,
Che r(-nde 1' arme, e più non si difende.'*
Dunque uccidesti lui , perchè ha difeso
La patria? Il sole a ti>rto oggi risplende,
Crtidel secolo , poiché pieno sei
Di Tiesti , di Tantali , e di Atrei.
ORLANDO FURIOSO. (XXXVI. 9-24)
i81]
9 Fc«ti, barbar crudcl, del capo scemo
'n pili ardito garzon , che di sua etade
Fosse da un polo all' altro, e dall' estremo
Lito degl' Indi, a quello , ove il sol cade.
Fotea in Antropofago e in Polifemo
La beltà e gli anni suoi trovar pietade.
Ma non in te, più crudo e più fellone
D' ogni Ciclope, e d' ogni Lestrigone.
10 Simil esempio non credo che sia
'Fra gli antichi guerrier, de' quai gli studj
Tutti fur gentilezza e cortesia ;_
Né dopo la vittoria erano crudi,
Bradamante non sol non era ria ^
A quei, eh' avca, toccando lor gli scudi,
Fatto uscir della sella; ma tcnea
Loro i cavalli, e rimontar facea.
11. Di questa donna valorosa e bella
"lo vi dissi di sopra, che abbattuto
Aveva Serpentin , quel dalla Stella,
Grandonio di Volterra , e Ferrauto,
E ciascun d' essi poi rimesso in sella;
E dis4 ancor , che il terzo era venuto
Da lei mandato a disfidar Ruggiero,
Là dove era stimata un cavahero.
12. Ruggier tenne 1' invito allegramente,
"*E r armatura sua fece venire.
Or , mcntrechè s' armava al re presente,
Tornaron quei signor di nuovo a dire,
Chi fosse il cavalier tanto eccellente,
Che di lancia sapea sì ben ferire;
E Ferraù , che parlato gli avea,
Fu domandato, se lo conoscea.
13. Rispose Ferraù: Tenete certo.
Ole non è alcun di quei , eh' avete detto.
A me parca, che 'l vidi a viso aperto.
Il fratel di Rinaldo giovinetto;
Ma , poich' io n' ho 1' alto valore esperto,
E so, che non può tanto Ricciardetto,
Penso, che sia la sua sorella molto.
Per quel eh' io n' odo, a lui simil di volto.
14 Ella ha ben fama d' esser forte a paru
'Del suo Rinaldo, e d' ogni paladino;
Ma per quanto io ne veggo oggi, mi pare,
Che vai più del fiatel, più del cugino.
Come Rnggier lei sente ricordare.
Del vermiglio color, che 'l mattutino
Sparge per l' aria, si dipinge in faccia,
E nel cor trema, e non sa, che si faccia.
15 A questo annunzio, stimulato e punto
Dall' amorosi» stiiil, dentro inriuimuarse,
E per r ossa sentì tutlt» in un ponto
Correre un ghiaccio, che l timor v. spar^;
Timor , eh' un nuovo sdegno abbia consunto
Quel grande amor, die già per lui si 1 ar^c .
Di ciò confuso, non si risolvea,
Se incontra uscirle, o pur restar dovea.
16 Or quivi ^itrovando^i Marfisa,
C1,e d- uscire alla gio^tra av«a gran voglia,
Ed era armata; (perchè in altra gni-a
E raro, o notte o di, che tu la coglia) _
Sentendo , che lluggier h arma , s avvisa,
Che di quella vittoria ella m spoglia,
Se lascia, che Ruggiero esca fuor prima,
Penna ire innanzi, e averne il pregio blima.
[482]
17. Salta a cavallo, e vien spronando in fretta.
Ove nel campo la figlia d' Amone
Con palpitante cor Ruggiero aspetta,
Desiderosa farselo prigione;
E pensa solo, ove la lancia metta,
Perchè del colpo abbia minor lesione.
Slarfisa se ne vien fuor della porta,
E sopra l' cimo una fenice porta;
18. O sia per sua superbia, dinotando
Sé stessa unica al mondo in esser forte;
O pur sua casta intenzion lodando.
Di viver sempre mai senza consorte.
La figliuola d' Amon la mira; e quando
Le fattezze, eh' amava, non ha scorte,
Come si nomi, le domanda; ed ode
Esser colei, che del suo amor si gode,
19. O per dir meglio, esser colei, che crede,
Che goda del suo amor ; colei , che tanto
Ha in odio e in ira, che morir si vede,
Se sopra lei non vendica il suo pianto.
Volta il cavallo, e con gran fiu-ia riede,
]\~on per desir di porla in terra, quanto
Di passarle con 1' asta in mezzo il petto,
E libera restar d' ogni sospetto.
20. Forza è a ÌMarfisa, che a quel colpo vada
A provar, se '1 terreno è duro, o molle,
E cosa tanto insolita le accada,
Ch' ella n' è per venir di sdegno folle.
Fu in terra appena, che trasse la spada,
E vendicar di quel cader si volle.
La figliuola d' Amon , non meno altiera,
Gridò: Che fai.^" tu sei mia prigioniera.
21. Se ben uso con gli altri cortesia,
Usar teco, Marfisa, non la voglio,
[ Come a colei , che d' ogni villania
I Odo che sei dotata e d' ogni orgoglio.
I Marfisa, a quel parlar, fremer s' udia,
I Come un vento marino in uno scoglio.
I Grida, ma sì per rabbia si confonde,
! Che non può esprimer fuor quel, che risponde.
22. Mena la spada , e più ferir non mira
Lei, che '1 destrier , nel petto e nella pancia:
Ma Bradamante al suo la briglia gira,
E quel da parte subito si lancia,
E tutto a un tempo, con isdegno ed ira
La figliuola d' Amon spinge la lancia,
E con quella Marfisa tocca appena.
Che la fa riversar sopra l' arena.
23. Appena ella fu in terra, che rizzojse,
Cercando far <:<ni la spada mar opra.
Di nuovo r a^ta Hrailauiante mosse,
E Marfisa di nuovo andò so/./.opra.
Benché possente HradamaiUe fosse,
>on però sì a Marfisa era di sopra.
Che l' avesse ogni c<dpo riversata ;
Ma tal virtù nell' asta era incantata.
24. .Alcuni cavalieri, in questo mezzo,
Alcuni, dico, dilla parte nostra
Se n' erano tenuti, dove in mezzo
Ìj' un (Miiipo e r altro si facea la giostra,
(('he non eran lontani un miglio e mezzo)
^ (duta la virtù, che 'I suo dimostra;
Il suo, che non eoiiosrono altramente.
Che per un cavaliur della lor gente.
31
[483]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVI. 25-40)
[484]
25. Questi, vedendo il generoso figlio
Di Trnjano alle inui-a approssimarsi,
Per ogni caso , per ogni periglio
Kon volse sprovveduto ritrovarsi :
E fé' , che molti all' arme dier di piglio,
E che fuor dei ripari appresentàrsi.
Tra questi fu Ruggiero , a cui la fretta
Di Marfisa la giostra avea intercetta.
26. L' innamorato giovane mirando
Stava il successo , e gli tremava il core,
Della sua cara moglie dubitando ;
Che di Marfisa hen sapea il valore.
Dubitò, dico, nel principio, quando
Si mosse l' una e l' altra con furore ;
Ma , visto poi , come successe il fatto.
Restò meraviglioso e stupefatto.
27. E poiché fin la lite lor non ebbe.
Come avean 1' altre avute al primo incontro,
Kel cor profondamente gli n' increbbe,
Dubbioso pur di qualche strano incontro.
Dell' una egli, e dell' altra il ben vorrebbe;
Ch' ama ambedue: non che da porre incontro
Sien questi amori : è 1' un fiamma e furore,
L' altro benivolenza più eh' amore.
28. Partita volentier la pugna avria,
Se con suo onor potuto avesse farlo ;
]Ma quei , eh' egli avea seco in compagnia,
Perchè non vinca la parte di Carlo,
Che già lor par , che superior ne sia,
Saltan nel campo , e vogliono turbarlo.
Dall' altra parte i cavalier cristiani
Si fanno innanzi, e son quivi alle mani.
29. Di qua, di là gridar si sente all' arme,
Come usati eran far quasi ogni giorno.
IMonti chi è a pie , chi non è armato , s' arme.
Alla bandiera ognun faccia ritorno,
Di<;ea . con chiaro e bellicoso carme.
Pili d' lina tromba, che scorrea d' intorno;
E come quelle svegliano i cavalli.
Svegliano i fanti i timpani e i taballi.
30. La scarjimuccia fiera e sanguinosa.
Quanto si possa immaginar, si mesce.
La d(tnna di Dordona valorosa,
A cui mirabilmente aggrava e incresce.
Che quel , di eh' era tanto disiosa.
Di por Marfisa a morte, non riesce,
Di qua , di là si volge e si raggira.
Se Ruggier può veder, per cui sospira.
31. Lo riconosce all' aquila d' argento,
Ch' ha nello scudo azzurro il giovinetto.
Ella con gli occhj e col pensiero intento
Si ferma a contemplar le spalle e 'l petto.
Le leggiadre fattezze , e '1 movimento
Pieno di grazia; e poi, con gran dispetto,
Immaginando, eh' altra ne gioisse,
Da furore assalita, «;osì disse:
32. Dunque baciar sì belle e dolci labbia
Dev«' altra, se baciar non le poss' io?
Ah! non eia vero già, eh' altra mai t' abbia!
Che d' altra esser non dei, se non sei mio.
Pintto^to , che morir sola di rabbia,
l'c meco di mia man morir disio;
(;hè , se ben qui ti perdo, almen I' inferno
Poi mi ti renda, e stii meco in eterno!
33. Se tu m' uccidi , è ben ragion , che deggi
Darmi della vendetta anco cor.forto;
Che voglion tutti gli ordini e le leggi,
Che chi dà morte altrui , debba esser morto.
Kè par, eh' anco il tuo danno il mio pareggi;
Che tu mori a ragione , io moro a torto.
Farò morir chi brama , oimè ! eh' io mora,
Ma tu, crudel, chi t' ama, e chi t' adora.
34. Perchè non dei tu , mano , esser ardita
D' aprir col ferro al mio niiuicu il core.
Che tante ^olte a morte m' ha ferita
Sotto la pace in sicurtà d' amore?
Ed or può consentir tonni la ^ita,
Kè pur aver pietà del mio dolore.
Contra questo empio ardisci, animo forte.
Vendica mille mie con la sua morte!
35. Gli sprona contra in questo dir ; ma prima,
Guardati, grida, perfido Ruggiero !
Tu non andrai, s'io posso, della opima
Spoglia del cor d' una donzella, altiero.
Come Ruggiero ode il parlare, estima.
Che sia la moglie sua, com' era in vero;
La cui voce in memoria sì ben ebbe,
Che in mille riconoscer la potrebbe.
36. Ben pensa quel , che le parole denno
Voler inferir più , eh' ella l' accusa.
Che la convenzion , che insieme fenno,
Kon le osservava; onde, per farne scusa,
Di volerle parlar le fece cenno ;
Ma quella già, con la visiera chiusa.
Venia , dal dolor spinta e dalla rabl)ia.
Per porlo , e forse ove non era sabbia.
37. Quando Ruggier la vede tanto accesa.
Si ristx-inge nell' arme e nella sella,
La lancia arresta, ma la tiea sospesa.
Piegata in parte, ove non noccia a quella.
La donna , eh' a ferirlo e a fargli offesa
Venia con mente di pietà rubella,
Kon potè softcrir , come fu appresso,
Di porlo in terra , e fargli oltraggio espresso.
38. Così lor lance van d' effetto vuote
A queir incontro ; e basta ben , s' Amore
Con r un giostra e con l' altro , e li percuote
D' un' amorosa lancia in mezzo il core.
Poiché la donna sofferir non puote
Di far onta a Ruggier, volge il furore,
Che r arde il petto, altrove, e vi fa cose.
Che saran , finché giri il ciel , famose.
39. In poco spazio ne gittò per terra
Trecento , e più , con quella lancia d' oro.
Ella sola quel dì vinse la guerra,
Mi?e ella sola in fuga il popol moro.
Ruggier di qua di là s' aggira ed erra,
Tanto, che se le accosta, e dice: Io moro,
S' io non ti parlo. Oimè ! che t' ho fatt' io.
Che mi debbi fuggire ? Odi, per Dio!
40. Come ai meridional tepidi venti,
Che spirano dal mare il fiato caldo,
Le nevi si disciolguno, e i torrenti,
E '1 ghiaccio , che pur dianzi era sì saldo;
Così a quei preghi, a quei brevi lamenti
Il cor d<^lla sorella di Rinaldo
Subito ritornò pietoso e molle.
Che r ira , più che marmo , indurar volle.
485]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVI. 41 — 56)
[486]
41. Non Aiiol dargli , o non piiote , altra risposta,
Ma da traverso sprona Ral>i(!ano,
E, quanto può, dagli altri !<i discosta,
Ed a Ruggiero accenna con la mano.
Fuor della moltitudine in riposta
Valle si trasse, ov' era un picciol piano,
Che in mezzo avea un boschetto di cipressi,
Che parean d' una stampa tutti impressi.
42. In quel boschetto era di bianchi marmi
Fatta di nuovo un' alta sepoltura.
Chi dentro giaccia, era con Itievi carmi
Notato , a chi saperlo avesse cura.
Ma quivi giunta Bradamante, parmi,
Che già non pose mente alla scrittura.
Ruggier dietro il cavallo alì'retta e punge
Tanto, eh' al bosco e alla donzella giunge.
-\o. Ma ritorniamo a 3Iarfisa , che s' era
In questo mezzo in sul destrier rimessa,
E venia per trovar quella guerriera.
Che r avea al primo scontro in terra messa ;
E la \n\e partir fuor della scliiera,
E partir Ruggier vide, e seguir essa;
Nò si pensò , che per amor seguisse,
Ma per finir con 1' arme ingiurie e risse.
44. Urta il cavallo , e vien dietro alla pesta
Tanto , eh' a un tempo con lor quasi arriva.
Quanto sua giunta ad ambi sia molesta.
Chi vive amando, il sa, scnzach' io '1 scriva.
IVIa Bradaniantc offesa più ne resta,
Che colei vede , onde il suo mal deriva.
Chi le può tor, ("he non creda esser vero,
Che r amor ve la sproni di Ruggiero?
15. E perfido Ruggier di nnovo chiama.
Non ti bastava, perfido, diss' ella,
Che tua perfidia sapessi per fama.
Se non mi facevi anco veder quella?
Di cacciarmi da te >eggo eh' Imi brama,
E per sbramar tua coglia iniqua e fella,
10 vo' morir; ma sforzerommi ancora,
Che iniiora meco, chi è cagion, eh' io mura.
46. Sdegnosa più, che vipera, s>i spicca.
Così «licendo, e ^a «;ontra Marfisa,
Ed allo s(Mulo r asta sì le appi(-ca,
Che la fa adilietro riversar in guisa,
Che qiia.-i mezzo 1' elmo in terra fìcea.
Né si può dir, (he sia colta improvvisa;
Anzi fa iiu^ontra ciò, che far si puote;
Eppur in terra del capo percuote.
47. La figlinola d' Amon , che vuol morire,
O dar niiirte a Marfisa , è in tiinta rabbia,
Che non ha mente di nuovo a ferire
Con r asta, (uide a gittar di nuovo I' abbia;
Ma le pensa dal busto dipaitire
11 capo, mezzo fit;o nella >abbia.
Getta da sé la lancia d' oro , e prende
La spada , e del destrier subito scende.
48. Ma tarda è la sua giunta; che si trova
Mariìsa incontra, e di tant' ira piena,
l'oicliè s' ha \i'^ta alla M-conda prova,
(Jader sì fucilinente siili' arena,
('he pregar nulla, e nulla gridiir gio\a
A Ruggier, «he. di «[ueslo a\ea gran pena:
Sì r odio o r ira le guerrier»; abbaglia,
Che fan da disperate la battaglia.
49. A mezza spada vengono di botto
E per la gran superbia, che 1' ha accese,
^ an pur innanzi , e si son già sì sotto
C'h' altro non pon , che venir alle prese.
Le spade, il cui bisogno era interrotto,
Lascian cadere, e cercan nuove offese.
Prega Ruggiero, e supplica ambedue;
Ma poco frutto han le parole sue.
j 50. Quando pur vede, che '1 pregar non vale,
I Di partirle per forza si dispone.
j Leva di mano ad ambedue il pugnale,
j Ed al pie d' un cipresso lo ripone.
I Poiché ferro non han più da far male,
Con prieghi e con minacce ^' interpone:
Ma tutto è invan ; che la battaglia fanno
! A pugni e a calci, poich' altronon hanno.
. 51. Ruggier non cessa : or 1' una, or 1' altra prende
I Per le man , per le braccia , e la ritira,
I E tanto fa , che di Marfisa accende
Contra di sé, quanto si può più, 1' ira.
Quella, che tutto il mondo vilipende,
j All' amicizia di Ruggier non mira: '
' Poiché da Bradamante si distacca,
! Corre alla spada, e con Ruggier s' attacca.
52. Tu fai da discortese e da villano,
Ruggiero, a disturbar la pugna altrui.
Ma ti farò penlir (;()n questa mano,
Che vo' che basti a vincervi ambedui.
Cerca Ruggier con parlar molto luuano
Marfisa mitigar ; ma ccuitra lui
La troAa in modo di>degiiosa e fiera,
Ch' un perder tempo ogni parlar seco era.
53. All' ultimo Ruggier la spada trasse,
Poiché r ira anco lui fé' rubicondo.
Non credo, che spettacolo mirasse
Atene, o Roma, o luogo altro del mondo,
Che così a' riguardanti dilettasse,
Come dilettò questo, e fu giocondo
Alla gelosa Bradamante, quando
(Questo le pose ogni so>petto in bando.
54. La sua spada avea tolta ella di terra,
E tratta s' era a riguardar da parte,
E le parea veder, che 1 Uii» di guerra
Fosse Ruggiero alla possanza e all' arte.
Una furia infernai, quando si .-ferra.
Sembra Marfisa, se quel >einbra .blatte.
Vero è, »;he un pezzo il giovine gagliardo
Di non far il potere ebbe riguardo.
55. Sapea ben la virtù della sua spada.
Che tante esperienze n' ha già fatto.
Ove giunge, con\ien che ^e ne v.ula
L' incanto, o nulla gio\i. e ^tia di piatto;
Sicché ritien, che '1 colpo >.uo nini cada
Di taglio, o punta, ma sempre di piatto.
Ebbe a questo Ruggier lunga avvertenza:
Ma perde pur un tratto la pazienza;
56. P«'rchè .>larfì>a una percos>a orrenda
(Jli mena, per dividergli la te>ta,
Leva lo scudo, che "I ca|)o difenda,
Ruggiero , e '! colpo in .snll' aquila pe,»ta.
\ iela I' incanto , che lo spezzi , o fenda ;
Ma di stordir n«in però il brac<-io resta ;
K "' uvea altr' arme, vìw quelle d' Lttorre,
Gli potea il fiero colpo il braccio torre;
31 ♦
[48T]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVI. 57—72)
[488]
57. E saria sceso indi alla testa, dove
Disegnò di ferir 1' aspra donzella.
Ruggiero il braccio manco appena muove,
Appena più sostien 1' aquila bella.
Per questo ogni pietà da se rimove:
Par, che negli occbj avvampi una faccUa,
E quanto può cacciar, caccia una punta.
MarGsa, mal per te, se n' eri giunta!
58. Io non vi so ben dir, come si fosse;
La spada andò a ferire in un cipresso,
E un palmo, e più nell' arbore cacciosse,
In modo era piantato il luogo spesso.
In quel momento il monte e '1 piano scosse
Un gran tremuoto; e si sentì con esso
Da queir avel , che in mezzo il bosco siede,
Gran voce uscir, eh' ogni mortale eccede.
59. Grida la voce orribile: Non sia
Lite tra voi! Gli è ingiusto ed inumano,
Ch' alla sorella il fratel morte dia,
0 la sorella uccida il suo germano.
Tu , mio Ruggiero , e tu , Marfisa mia,
(Credete al mio parlar, che non è vano!)
In un medesimo utero, d' un seme
Foste concetti, e usciste al mondo insieme.
CO. Concetti foste da Ruggier secondo;
Vi fu Galaciclla genitrice;
1 cui fratelli, avendone dal mondo
Cacciato il genitor vostro infelice,
Senza guardar, eh' avesse in corpo il pondo
Di voi, eh' usciste pur di lor radice,
La fèr, perchè s' avesse ad affogare,
Su un debil legno porre in mezzo al mare.
(il. Ma fortuna , che voi, benché non nati,
Avea già eletti a gloriose imprese.
Fece, che '1 legno ai liti inabitati
Sopra le sirti a salvamento scese,
O^e, poiché nel mondo v' ebbe dati,
L' anima eletta al paradiso ascese,
Come Dio volse, e fu vostro destino.
A questo caso io mi trovai vicino.
G2. Diedi alla madre sepoltura onesta,
Qual potea darsi in sì deserta arena;
E voi teneri, avvolti nella vesta,
IVIeco p(»rtai sul monte di Carena ;
E mansueta uscir della foresta
Feci , e lasciare i figli una leena.
Delle cui poppe dieci mesi e dieci
Ambi nutrir con molto studio feci.
03. Un giorno, che d' andar per la contrada,
E dalla stanza allontanar m' occorse,
\i soppravvenne a caso una masnada
D' Aral>i , e rìcordarvene de' forse.
Che te, Jlarfi)<a, tolser nella strada;
Ma non poter Ruggier , (;he meglio corse.
Restai della tua perdita dolente,
E di Ruggier guardian più diligente.
ai. Ruggier, se ti guardò, mentre che visse,
Il tuo iiiuestro Atlante, tu Io sai.
Di t<: sentii predir le stelle fisse,
C!hc tra' (/ririliiini a tradìgion morrai ;
E penile il ur.il influsso non seguisse,
l'cnertene lontan ni' affaticai.
Né ohlare al fin potendo alla tua voglia,
liirertiio caddi , e mi morii di doglia.
G5,
Ma innanzi a morte qui, dove previdi
Che con Alarfisa aver pugna dovevi,
Feci raccor, con infernal sussidj,
A formar questa tomba , i sassi grevi ;
Ed a Caron dissi con alti gridi:
Dopo morte non vo' lo spirto levi
Di questo bosco, finché non ci giugna
Ruggier con la sorella per far pugna.
G6
Così lo spirto mio per le belle ombre
Ha molti di aspettato il venir vostro.
Sicché mai gelosia più non t' ingombre,
Bradamaute, eh' ami Ruggier nostro.
Ma tempo è ornai , che della luce io sgombre,
E mi conduca al tenebroso chiostro.
Qui si tacque; e a Marfisa, ed alla figlia
D' Amon lasciò , e a Ruggier , gran meraviglia.
67. Riconosce Marfisa per sorella
Ruggier , con molto gaudio , ed ella lui ;
E ad abbracciarsi, senza offender quella.
Che per Ruggiero ardea, vanno ambidui;
E rammentando dell' età novella
Alcune cose : Io feci , io dissi , io fui ;
Vengon trovando con più certo effetto
Tutto esser ver quel , eh' ha lo spirto detto.
G8. Ruggiero alla sorella non ascose.
Quanto avea nel cor fissa Bradamante;
E narrò con parole affettuose
Delle obbligazion, che le avea tante;
E non cessò , che in grande amor compose
Le discordie, che insieme ebbono avante,
E fé' , per segno di pacificarsi,
Ch' umanamente andaro ad abbracciarsi.
69. A domandar poi ritornò Marfisa,
Chi stato fosse , e di che gente il padre ;
E chi r avesse morto, ed a che guisa;
Se in campo chiuso, o fra 1' armate squadre;
E chi commesso avea , che fosse uccisa
Dal mare atroce la misera madre;
Che, se già 1' avea udito da fanciulla.
Or ne tenea poca memoria , o nulla.
70. Ruggiero incominciò, che da' Trojani,
Per la linea d' Ettorre , erano scesi ;
Che poiché Astianatte dalle mani
Campò d' Ulisse, e dagli agguati tesi,
Avendo un de' fanciulli coetani
Per lui lasciato, uscì di quei paesi,
E dopo un lungo errar per la marina,
Venne in Sicilia, e dominò Messina.
71. I descendenti suoi di qua dal Faro
Signoreggiar della Calabria parte ;
E dopo più successioni andaro
Ad abitar nella città di Marte.
Più d' un imperatore e re preclaro
Fu di quel sangue in Roma, e in altra parte,
Cominciando a Constante e a Constantinu,
Sino a re Carlo, figlio di Pipino.
72. Fu Ruggier primo , e Giambaron di questi,
Buovo, Rambaldo , e alfin Ruggier secondo,
Che fé' , come da Atlante udir potesti,
Di nostra madre 1' utero fecondo.
Della progenie nostra i chiari gesti
Per r istorie vedrai celebri al mondo.
Segui poi, come venne il re Agolantc
Con Ahiioutc , e col padre d' Agraiuantc ;
i89]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVI. 73 — 84)
[490]
i3. E come menò seco una donzella,
Ch' era sua figlia, tanto valorosa,
Che molti paladln gittò di sella,
E di Ruggiero alfin venne amorosa;
E per suo amor del padre fu ribella,
E Ijattezzossi , e diventogli sposa.
Narrò , come Beltramo traditore
Per la cognata arse d' incesto amore,
li. E che la patria, e 'I padre, e duo fratelli
Tradì , cosi sperando acquistar lei.
Aperse Risa alli nemici; e quelli
Fèr di lor tutti i portamenti rei.
Come Agolante, e i figli iniqui e felli
Poser Galaciella, che di sei
Mesi era grave , in mar senza governo,
Quando fu tempestoso , al maggior verno.
15. Stava Marfisa con serena fronte.
Fissa al parlar, che '1 suo gcrman facea;
E d' esser scesa dalla bella fonte,
Ch' avea si chiari rivi, si godea.
Quinci Mongrana, e quindi Chiaramonte,
Le due progenie , derivar sapea,
Ch' al mondo fur molti e molti anni e lustri
Splendide, e senza par d' uomini illustri.
16. Poiché '1 fratello alfin le venne a dire.
Che '1 padre d' Agramente e 1' avo e'I zio
Ruggiero a tradigion feron morire,
E posero la moglie a caso rio,
Kon lo potè più la sorella udire.
Che lo interroppc , e disse : Fi-atel mio.
Salva tua grazia, avuto hai troppo torto,
A non ti vendicar del padre morto.
17. Se in Almontc e in Trojan non ti potevi
Insanguinar, eh' erano morti innante,
Dei figli vendicar tu ti dovevi.
Perchè, vivendo tu, vive Agramante?
Questa ò una macchia , che mai non ti levi
Dal viso , poiché dopo offese tante
Non pur posto non hai questo re a morte,
Ma vivi al soldo suo nella sua corte.
18. Io fo ben voto a Dio (eh' adorar voglio
Cristo, Dio vero, eh' adorò mio padre).
Che di questa armatura non mi spoglio.
Finché Ruggier non vendico, e mia madre:
E vo' dolermi, e finora mi doglio
Di te, se più ti veggo fra le squadre
Del re Agramante , o d' altro signor moro.
Se non col ferro in man per donno loro.
19. Oh come, a quel parlar, leva la faccia
La bella Bradaniante, e ne gioisce!
E conforta Ruggier, che cosi faccia,
Come Marfisa sua ben 1' ammonisce;
E venga a Carlo , e conoscer si faccia.
Che tanto onora, lauda e riverisce
Del suo padre Ruggier la chiara fama,
Ch' ancor guerrier senz' alcun par lo chiama!
80. Ruggiero accortamente le rispose.
Che da principio questo far dovea;
Ma per non ben aver note le cose,
Come ebbe poi , tardato troppo avea.
Or, essendo Agramante, che gli pose
La spada al fianco , farebbe opra rea
Dandogli morte, e saria traditore;
Che già tolto r avea per suo signore.
81. Ben , come a Bradamante già promesse,
Promettea a lei di tentar ogni via.
Tanto eh' occasione , onde potesse
Levarsi con suo onor, nascer faria.
E se già fatto non 1' avea, non desse
La colpa a lui, ma al re di Tartaria,
Dal qual , nella battaglia che seco eblic,
Lasciato fu, come saper si debbe.
82. Ed ella, eh' ogni dì gli venia al letto.
Buon testùnon, quanto alcun altro, n' era.
Fu sopra questo assai risposto e detto
Dall' una e dall' altra inclita guerriera.
L' ultima conclusion , 1' ultimo effetto
E, che Ruggier ritorni alla bandiera
Del suo signor , finclié cagion gli accada,
Che giustamente a Cai-lo se ne vada.
83. Lascialo pure andar, dicea Marfisa
A Bradamante, e non aver timore!
Fra pochi giorni io farò bene in guisa.
Che non gli fia Agramante più signore.
Così dice ella ; né però divisa.
Quanto di voler fare abbia nel core.
Tolta da lor licenzia, alfin Ruggiero,
Per tornare al suo re, volgea il destriero,
81. . Quando im pianto s' udì dalle vicine
Valli sonar , che li fé' tutti attenti.
A quella voce fan I' orecchie chine.
Che di femmina par , che si lamenti.
Ma voglio questo canto abbia qui fine,
E di quel, che vogl' io, siate contenti;
Che miglior cose vi ])rometto dire.
Se all' altro canto uii verrete a udire.
[491]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVII. 1-12)
CANTO TRENTESIMOSETTIMO.
ARGOMENTO.
Trovano i tre , che san dì sopra detti,
Vllania, a cui inimico empio tiranno
Marganor con non piii veduti effetti
Aveva fatta aspra vergogna e danno,
lìitendon le cagion di quei difetti,
E giusta pena all' uom ribaldo danno.
Contraria legge poi fecero porre
Alla legge crudel di Marganorre.
Se, come in acquistar qimich' altro dono,
Clic senza industria non può dar natiu'a,
Affaticate notte e dì si sono,
Con somma diligenza e lunga cura.
Le valorose donne ; e se con buono
Successo n' è uscit' opra non oscura;
Così si fossin poste a quej^li studj,
Clic immortai fanno le mortai virtudi !
2
E che per sé medesime potuto
Ave-isin dar memoria alle lor lode,
Non mendicar dagli scrittori ajuto.
Ai quali astio ed invidia il cor sì rode,
Che 'l hen, che ne pon dir, spesso è taciuto,
E '1 mal , quanto ne san , per tutto s' ode ;
Tanto il lor nome sorgerla, che forse
"\'iril fama a tal grado unqna non sorse.
3. Non hasta a molti di prestarsi 1' opra
In far 1' un 1' altro glorioso al mondo,
Cli' anco studian di far, che si discopra
Ci«'», che le donne hanno fra lor d' immondo.
Non le vorrian lasciar venir di sojìra,
E, quanto pon, fan per cacciarle al fondo.
Dico gli antichi; quasi 1' onor dchlùa
D' esse il loro oscurar , come il sol nebbia.
4. Ma non ebbe, e non ha mano, né lingua,
Formando in aocc, o d(!scrivendo in carte,
(Quantunque 'I mal, quanto può,accrescc e impingua,
E minuendo il ben va con ogni arte)
Poter però, clic delle donne estingua
La gloria sì, che non ne resti parte;
Ma non già tal , che presso al segno giunga ;
Né eh' anco se gli accosti di gran lunga.
5. Ch' Arpalicc non fu, non fu Toniiri,
Non fu chi Turno , n(ui chi Ettor soccorse,
Non chi seguila da' bidoni e Tiri
Andò per lungo mare in Libia a porse;
Non Zenobia, non quella che gli Assirj,
I l'ersi e gì' Indi c<»u vittoria scorse;
Non fur quest(r, e poc-lic altre, degne sole,
Di cui per arme eterna fama vule.
6. E di fedeli , e caste , e saggc , e forti
State ne son, non pure in Grecia e in Roma,
Ma in ogni parte, ove fra gl'Indi, e gli orti
Delle Esperide il sol spiega la chioma;
Delle quai sono i pregi e gli onor morti,
Sicché appena di mille una si noma;
E questo, perché avuto hanno ai lor tempi
Gli scrittori bugiardi, invidi, ed empj.
7. Non restate però , donne , a cui giova
Il ben oprar, di seguir vostra via;
Né da vostra alta impresa vi rimuova
Tema, che degno onor non vi si dia!
Che, come cosa buona non si trova.
Che duri sempre , così ancor né ria.
Se le carte sin qui state , e gì' inchiostri
Per voi non sono , or sono a' tempi nostri.
8. Dianzi Marnilo ed il Pontan per vui
Sono, e duo Strozzi, il padre e '1 figlio, stat
C é il Bembo , e' é il Cappel, e' è chi, qual 1
leggiamo, ha tali i cortigian formati.
C è un Luigi Alaman , ce ne son dui,
Di par da Marte e dalle Muse amati,
Aml)i del sangue, che regge la terra,
Che '1 Menzo fende , e d' alti stagni serra.
9. Di questi r uno , oltreché '1 proprio iustinto
Ad onorarvi, e a riverirvi inchina,
E far Parnasso risonare, e Cinto
Di vostra laude, e porla al ciel vicina;
L' amor, la fede, il saldo e non mai vinto
Per minacciar di strazj e di ruina,
Animo, eh' Isabella gli ha dimostro.
Lo fa assai più, che di sé stesso, vosti-o:
10. Sicché non é per mai trovarsi stanco
Di farvi onor ne' suoi vivaci carmi:
E s' altri vi dà biasmo, non é chi anco
Sia più pronto di lui per pigliar 1' armi:
E non ha il mondo cavalier , che manco
La vita sua per la virtù risparmi.
Dà insieme egli materia, ond' altri scriva,
E fa la gloria altrui, scrivendo, viva.
11. Ed é ben degno, che sì ricca donna.
Ricca di tutto quel valor, che possa
Esser fra quante al nuuido portin gonna,
3Iai non si sia di sua costanza mussa ;
E sia stata per lui vera colonna,
S|)rezzan(lo di Fortuna ogni ixrcossa;
Di lei degno egli, e degna ella di lui;
Né meglio a' accoppiaro iniqua altri dui.
12. Nuovi trofei pon sulla riva d' Oglio,
Che in mezzo a ferri , a fuochi , a navi, a ruc
Ila sparso alcun tanto ben scritto foglio,
Che '1 virili fiume invidia aver gli punte.
Appresso a questo un Ercol Biiiitivogiio
Fa chiaro il \()stro «nior con chiare note;
E Renato Triviilzio, e 'l mio Guidetto,
E U Molza , a dir di vui da Febo eletto.
•93]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVU. 33-28)
[494]
3. C è il duca de' Carnuti, Ercol, figliuolo
Del duca mio , che siiiega 1' ali , come
Canoro cigno , e va cantando a volo,
E fui al cielo udir fa il vostro nome.
C" è il mio signor del Vasto, a cui non solo
Di dare a mille Atene e a mille Rome
Di sé materia ha.sta , eh' anco accenna
A olervi eterne far con la sua penna.
i. Ed oltre a questi, ed altri, eh' oggi avete,
Che v' hanno dato gloria , e ve la danno,
^ oi per voi stesse darvela potete;
Poiché multe , lasciando I' ago e 'I panno,
Son con le Muse a spegnersi la sete
Al fonte d' Aganippe andate, e vanno,
E ne ritornan tai , che l' opra vostra
E più bisogno a noi , che a voi la nostra.
5. Se chi sian queste, e di ciascuna voglio
llcndcr huon conto, e degno pregio darle,
Bisognerà, eh' io verghi più d' un foglio,
E eh' oggi il canto mio d' altro non parie:
E se a lodarne cinque, o sei ne toglio.
Io potrei i' altre olFendere, e sdegnarle.
Che farò dunque.'' Ilo da tacer d' ognuna,
Oppur fra tante sceglierne sol una?
16. Sceglieronne una, e sceglierolla tale.
Che superato avrà 1' invidia in modo,
Che nes>uii' altra potrà aAere a male.
Se r altre taccio , e se lei sola lodo.
Quest' una ha non pur sé fatta ininiortale
Col dolce stil , di che il miglior non odo;
Ma può qualunque, di cui parli, o scriva,
Trar del sepolcro, e far eh' eterno viva.
lì. Come Febo la candida sorella
Fa più di luce adorna, e più la mira,
Che Venere, o che Maja, o eh' altra stella.
Che va col cielo , o che da sé si gira :
Così facondia più, eh' all' altre, a quella,
1)1 eh' io vi parlo, e più dolcezza spira;
E dà tal forza all' alte sue parole,
Cli' orna a' dì nostri il ciel d' un altro sole.
18. Vittoria é il nome; e ben conviensi a nata
Fra le vittorie, ed a chi, o vada, o stanzi.
Di trofei sempre, e di triiuifi ornata.
La vittoria abbia seco, o dietro o innanzi.
Questa é un' altra Arlemisìa, che lodata
Fu di pietà \erso il suo Mausolo; arr/.is
Tanto maggior, quanto è più as^ai beli' oiira,
Che por sotterra un uom , trarlo di sopriu
19. So Laodamia, se la uu)glier di Hruto,
S' Arria, s' Argia, s' Evadue , e s' altre molte
Meritar laude per av<r voluto,
Morti i mariti, esser con lor sepolte;
Quanto onore a \ ittoria é più do\uto,
Che di Lete, e «lei rio, chv. no\e ■»oUo
L' ombre circonda, ha tratto il «uo consorte,
Mal grado delle rarclie, e della M(M-te.^
20. Se al fiero Achille invidia (hlla chiara
M(;onia tromba il .Macedonico ebbe;
Quanto, invitto Francesco di l'escara,
Maggituc a te, se vives>e or, 1' a\rebbo,
Che bÌ casta luogliere , e a ti; «ì cara
Canti r eterno onor, che ti ^i deldte;
E che per lei sì il nome tuo rimboinbc,
Cile da bramar non Imi più chiare ti-oiiibc!
21. Se quanto dir se ne potrebbe, o quanto
10 n' ho desir, volessi porre in carte,
Ne direi lungamente; ma non tanto,
Ch' a dir non ne restasse anco gran parte;
E di Marfisa e de' compagni intanto
La bella istoria rimarria da parte,
La quale io vi promisi di seguire,
Se in questo canto mi verreste a udire.
22. Ora essendo voi qui per ascoltarmi,
Ed io per non mancar della promessa.
Serberò a maggior ozio di provarmi,
Ch' ogni laude di lei sia da me espressa:
Kon perdi' io creda bisognar miei carmi
A chi se ne fa copia da sé stessa.
Ma sol per satisfare a quejto mio.
Ch' ho d' onorarla, e di lodar, disio.
23. Donne, io conchiudo insomma, eh' ogni etate
Molte ha di voi degne d' istoiia avute;
3Ia , per invidia di scrittori , state
Non siete dopo nunte conosciute;
11 che più non sarà , poiché voi fate
Per voi stesse immortai vostra virtute.
Se far le due cognate sapean questo.
Si sapria meglio ogni lor degno gesto.
24. Di Bradamante e di Marfisa dico.
Le cui vittoriose inclite prove
Di ritornare in luce m' aiìatico;
Ma delle diece mancanmi le nove.
Queste, eh' io so, ben volentieri esplico;
Sì, perché ogni beli' opra si de', dove
Occulta sia, scoprir; sì, perché bramo
A voi, donne, aggradii-, eh' onoro ed amo.
25. Stava Ruggier, eom' io vi dissi, iu atto
Di partirsi , ed avea commiato preso,
E dall' arbore il brando già ritratto,
Che, come dianzi, non gli fu conteso;
Quando un gran pianto, che non lungo tratto
Era lontan , lo fé' restar sospeso ;
E con le donne a quella via si mosse,
Per ajutar, dove bisogno fosse.
26. Spingonsi innanzi, e via più chiaro il suon ne
Viene, e via più son le parole intese.
Giunti nella vallea tro\aii tre donne,
('he fan quel duolo, assai strane in arnese;
Che (in all' oinbilico ha lor le goiuic
Scorciate non so chi , poco cortese ;
E per non saper meglio elle celarsi
Sedeauo in terra , e non ardiau levarsi.
27. ('ome quel figlio di ^ulc;lll, che %enno
Fuor della pohe senza iiiaMìe in \ita,
E l'allude nutrir le' ceni solenne
Cura d' Aglauro , al veder troppo arditii,
Seilciido, asi'osi i brutti pi^di (enne
Sulla (jiiadriga, da Ini prima ordita;
(Josì quelle tre giovani le cose
Secreto lor tenean, sedendo, ascose.
28. Lo spettacolo enorme e disonolo
L' una e 1' altra iiiaguaiiiuia guerriera
Fé' del cobo-, «he nei giardiii di Pesto
Esser III ro>a siinl da |>riiiia\cra.
Uiguardò Hradariianle, e manifesto
'l'opto le fu, che l Mania una d' esse l'ViU
1 llaiiia , cIk; dall' isola Perduta
In Francia iiu;^uggiera era venuta.
ORLANDO FURIOSO. [XXXVII. 29-41)
£49dL_
29. E riconobbe non mcn l' altre due, i
Che, dove vide lei, Aide esse ancora; !
Bla se n' andarou le parole sue ]
A quella delle tre, eh' ella più onora;
E le domanda, chi sì iniquo fue, i
E sì di legge e di costumi fuora,
die quei secreti agli occbj altrui riveli,
Che, quanto può, par che natura celi.
50. Ullania, che conosce Bradamante,
Non meno eh' alle insegne, alla favella,
Esser colei, che pochi giorni innante
Avea gittati i tre guerrìer di sella,
Karra, che ad un castel poco distante
Una ria gente, e di pietà rubella,
Oltre all' ingiuria di scorciarle i panni,
L" avea battuta, e fattole siltri danni.
51. Kè le sa dir , che dello scudo sia,
Nò dei tre re, che per tanti paesi
Fatto le avcan si lunga compagnia, _
Kon sa, se morti, o sian restati presi;
E dice, che ha pigliata questa via,
Ancorch' andare a pie molto le pesi,
Per richiamarsi dell' oltraggio a Carlo,
Sperando, che non sia per tollerarlo.
52. Alle guerriere ed a Ruggier, che meno
Non bau pietosi i cor, eh' audaci e forti,
De' bei visi turbò 1' acre sereno
L' udire, e più il veder sì gravi torti;
Ed obbliando ogni altro aliar che aviéno,
E senzachè li preghi, o che gli esorti
La donna aflìitta. a far la sua vendetta,
Piglian la via verso quel luogo in fretta.
33. Di comune parer le soprav-veste,
Mosse da gran bontà, s'aveano tratte,
Che a ricoprir le parti meno oneste
Di quelle sventurate assai furo atte.
Bradamante non vtiol, eh' Ullania pcs^e
Le strade a pie, eh' avea a piede anco fatte,
E se la leva in groppa del destriero,
L' altra Marfisa, e 1' altra il buon Ruggiero.
3i. Ullania a Bradamante, che la porta.
Mostra la via, che va al castel i)iù dritta.
Bradamante all' incontro lei conforta,
Che la vendicherà di chi V ha afflitta.
Lascian la valle, e per via lunga e torta _
Saf^lìono un colle, or a man manca, or dritta;
E prima il sol fu dentro il mare ascoso,
Che volesser tra via prender riposo.
35. Trovare una -villetta, che la schiena
D' un erto colle , aspro a salir , tenea,
Ove ebbon buon alltergo e buona cena,
Quale aver in quel h)co si potea.
Si mirano d' intorno, e quivi piena
Ogni parte di donne si vedea,
Quai giovani , quai veccliie , e in tanto stuolo
Faccia non v' appari» d' un uomo solo.
S6. Non più a Giason di meraviglia denno,
Nò agli Argonauti, die venian con lui.
Le donne, che i mariti iiioiir fenno,
E i figli e i padri co' fratelli uni.
Sicché per tutta l' isola di Lerino
Di Airil faccia non si vidcr dui.
Che Ruggier quivi, e chi con Ruggier era,
Meraviglia ebltc all' alloggiar la sera.
[496
37. Fero ad Ullania, ed alle damigelle,
Che venivan con lei, le due guerriere
La sera provveder di tre gonnelle.
Se non così polite, almeno intere.
A sé chiama Ruggiero una di quelle
Donne, eh' .abitan quivi, e vuol sapere.
Ove gli uomini sian, eh' un non ne vede;
Ed ella a lui questa risposta diede:
38. Questa , che forse è meraviglia a voi,
Che tante donne senza uomini siamo,
E grave e intollerabii pena a noi,
Che qui bandite misere viviamo.
E perchè il duro esilio più ci annoi.
Padri, figli, e mariti, che sì amiamo,
Aspro e lungo divorzio da noi fanno,
Come piace al crudel nostro tiranno.
39. Dalle sue terre, le quai son vicine
A noi due leghe, e dove noi slam nate,
Qui ci ha mandate il barliaro in confine,
Prima di mille scorni ingiuriate;
Ed ha gli uomini nostri , e noi meschine
Di morte e d' ogni strazio minacciate,
Se quelli a noi verranno , o gli fia detto,
Che noi diam lor, venendoci, ricetto.
40. Nimico è si costui del nostro. nome,
Che non ci vuol, più eh' io vi dico, appresso,
Né eh' a noi venga alcun de' nostri, come
L' odor r ammorbi del femmineo sesso.
Già due volte 1' onor delle lor chiome
S' hanno spogliato gli alberi, e rimesso.
Da indi in qua , che '1 rio signor vaneggia
In furor tanto; e non è chi '1 correggia;
41. Che '1 popolo Ita di lui quella paura.
Che maggiore aver può 1' uom della morte;
Ch' aggiunto al mal voler gli ha la natura
Una possanza fuor d' umana sorte.
Il corpo suo di gigantca statura
E più, che di cent' altri insieme, forte.
Né pur a noi, sue suddite, è molesto,
Ma fu alle strane ancor peggio di questo.
42. Se r onor vostro, e queste tre vi sono
Punto care, eh' avete in compagnia,
Più vi sarà sicuro , utile e buono,
Non gir più innanzi, e trovar altra via.
Questa al castel dell' uom, di eh' io ragiono,
A provar mena Li costuma ria.
Che v' ha posta il crudel con scorno e danno
Di donne e di guerrier, che di là vanno.
43. Marganorre il fcllon, (cosi sì chiama
Il signor, o il tiran di quel castello)
Del quai Nerone, o s' altri é, eh' abbia fama
Di crudcllà, non fu più iniquo e fello.
Il sangiu; uman , ma '1 femminil più brama.
Che 'l lupo non lo brama dell' agnello.
Fa con onta scacciar le donne tutte.
Da lor via sorte a quel castel conduttc.
44. Perchè quell' empio in tal furor venisse, •
Volser le donni! intendere, e Itnggicro.
Pregar colei, clic in cortoia scgdisisc.
Anzi, che cominciasse il (;onto intero.
Fu il sigin)r dei cast(J , la donna disse, '
Sempre crud<-l, seui|)re inumano o. fiero.
Ma tenne un tempo il cor maligno ascolto,
I Né si lasciò conoscer cosi tosto.
•97]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVII. 45 — 60)
[498]
15. Clic, mentre duo suoi figli erano vivi,
Molto diversi dai paterni stili,
Ch' amavan forestieri , ed eran schivi
Di mideltade, e degli altri atti vili,
Quivi le cortesie fiorivan, quivi
I bei costumi, e 1' opere gentili:
Che 'i padre mai, quantunque avaro fosse,
Da quel , che lor piacea , non li rimosse.
16. Le donne e i cavalier, che questa via
Facean talor, venian sì hen raccolti.
Che si partian dell' alta cortesia
Dei duo germani innamorati molti.
Ambedue questi di cavalleria
Parimente i santi ordini avean tolti ;
Cilandro 1' un, l' altro Tanacro detto,
Gagliardi, arditi, e di reale aspetto.
17. Ed eran veramente, e sarian stati
Sempre di laude degni , e d' ogni onore,
Se in preda non si fossino si dati
A quel desir, che nominiamo amore;
Per cui dal buon sentier fur traviati
Al labirinto ed al cammin d' errore;
E ciò, che mai di buono aveano fatto,
Restò contaminato e brutto a un tratto.
48. Capitò quivi un cavalier di corte
Del greco imperator, che seco avea
Ina sua donna di maniere accorte,
Bella, quanto bramar più si potea.
Cilandro in lei s' innamorò ^ì forte.
Che morir, non 1' avendo, gli parca;
Gli parca, che dovesse, alla partita
Di lei, partire insieme la sua vita.
49. E perchè i prieghi non v' avriano loco,
Di volerla per forza si dispose.
Armossi, e dal ca^tel lontano un poco,
Ove passar dovean , cheto s' as(!0?c.
L usata audai ia e 1' a^loro^o foco
]\on gli lasciò pensar troppo le cose;
Sicché, vedendo il cavalier venire,
L' andò lancia per lancia ad assalire.
50. Al primo incontro credea porlo in terra,
Portar la d(uiua e la littoria indietro;
Ma il cavalier, che mastro era di guerra,
L' usbergo gli spezzò, come di vetro.
Venne la nuo^a al padre nella terra,
Che lo fé' riportar sopra un feretro,
E ritrovando! morto, con gran pianto
Gli die' sepolcro agli antichi a\i accanto.
Bl. Né più però, nò manco si contese
L'albergo e 1' a«(-oglienza a questo e a quello;
Perchè non ineii Tanacro era «-ortese,
Né meno era g«'Util di ,-uo fratello.
L' anno medtsmo, di lontiin pae^e
Con la moglii; tm baron venne al ca^tcIlo;
A maraviglia egli gagliardo, ed ella,
Quanto si pos^a dir, leggiadra e bella;
52. \è meo , che bella , onesta e valorosa,
E degna veramente d' ogni loda.
Il cavalier di stir|)e generosa,
Di tanto ardir, quanto più d' altri s' oda.
E ben convien>i a tal valor, che cosa
Di tanto prezzo, e .-ì cii'elli-nte goda.
Olindro il cav.ilier da Lnngavilla,
La donna nomùuita era Drurilla.
53. Non men di questa il giovane Tanacro
Arse, che '1 suo fratel di quella ardesse
Che gli fé' gustar fine acerbo ed ai-ro
Dal desiderio ingiusto, eh' in lei messe;
Non men di lui di violar del sacro
E santo ospizio ogni ragione elesse.
Piuttosto che patir, che '1 duro e forte
Nuovo desir lo conducesse a morìe.
51. 3la, perch' avea dinanzi agli occhj il tema
Del suo fratel, che n' era stato morto.
Pensa di torla in guisa, che non tema,
Ch' Olindro s' abbia a vendicar del torto.
Tosto s' estingue in lui, non pur si scema,
Quella virtù, su che solca star sorto.
Che non lo sommergean de' vizj V acque.
Delle quai sempre al fondo il padre giacque.
55. Con gran silenzio fece quella notte
Seco raccor da vent' uomini aimati;
E lontan dal Castel, per certe grotte.
Che si trovau tra vìa. mise gli a^-o-uati.
Quivi ad Olindro il dì le strade rotte,
E chiusi i passi fur da tutti i lati;
E benché fé' lunga difesa e molta.
Pur la moglie e la vita gli fu tolta.
56. Ucciso Olindro , ne menò cattiva
La bella donna, addolorata in guisa,
Ch' a patto alcim restar non volca viva,
E di grazia chiedea d' essere uccisa.
Per morir »i gittò giù d' una riva.
Che vi trovò sopra un vallone assisa;
E non potè morir, ma con la te»ta
Rotta rimase, e tutta fiacca e pesta.
57. Altramente Tanacro riportarla
A casa non potè , che in una bara.
Fece con diligenza medicarla;
Che perder non volea preda >i cara.
E mentre che s' indugia a risanarla,
Di (celebrar le nozze si prepara;
Ch' aver sì bella donna e >ì pudica
Debbe nome di moglie , e non d' amica.
58. Non pensa altro Tanacro , altro non brama,
D' altro non cura, e d' altro mai non parla.
Si vede averla olìesa. e se ne; chiama
In colpa; e ciò che può, fa d' emendarla.
Ma tutto è invano: quanto egli più 1' ama.
Quanti» più s' ailatica di placarla,
l'ant' ella odia più lui; tanto è più forte.
Tanto è più ferma in voler porlo a morte.
59. Ma non però quest' odio così ammorza
La cono>ceiiza in lei, clie non comprenda.
Che, se vuol far quanti» di>egna, è forzii
Che sitimli, ed occulte in>i(iie tenda;
E che "1 desir sotto contraila s<-orza
(Il (|uale è s(»l , come Tanacro ollenda)
\'*'der gli faccia, e, clic si mo>tri tolta
Dal prinu» amori! e tutto a lui ri\(ilta.
60. Simula il viso pace, ma vendetta
Cbiania il cor dentro, e ad altro non attende.
Molle c(»sc ri>ol'.;e, alcune acielta.
Altre ne lascia, ed altre in dubbio appende.
Le par, che, quando essa a morir si metta.
Avrà il suo intento; e quiti alfin s' apprende.
E do^e meglio può morire, o qinindo.
Che '1 suo caro marito >endicaudo.^
32
[499]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVH. 61 — 70)
[5001
61. Ella si mostra tutta lieta, e finge
Di queste nozze aver sommo disio,
E ciò che può indugiarle , addietro spinge,
Non eh' ella mostri averne il cor restio.
Più dell' altre s' adorna e si dipinge;
Olindro al tutto par messo in oljblio.
Ma che sìan fatte queste nozze , vuole,
Come nella sua patria far si suole.
62. Non era però ver, che questa usanza.
Che dir v(ìlea, nella sua patria fosse;
Ma perchè in lei peiisicr mai non avanza,
Cile spender possa altrove , imsniiginosse
Una bugia, la qual le die' speranza
Di fiir morir, chi '1 suo signor percosse:
E disse di voler le nozze a guisa
Della sua patria, e 'I modo gli divisa.
63. La vedovella, che marito prende.
Deve prima, dicea, che a lui s' appresso,
Placar 1' alma del morto , che ella offende,
Facendo celebrargli ufficj e messe,
In remission delle passate mende,
Kel tempio, ove di quel son 1' ossa messe;
E dato fin eh' al sacrificio sia.
Alla sposa 1' anel lo sposo dia.
64. Ma eh' abbia, in questo mezzo, il sacerdote
Sul vino, ivi portato a tal efletto,
Appropriate orazion devote,
Sempre il liquor benedicendo, detto:
Indi, che 'l fiasco in una coppa vote,
E dia agli sposi il vino benedetto.
Ma portare alla sposa il vino tocca,
Ed esser prima a porvi su la bocca.
65. Tanacro, che non mira, quanto importe,
Ch' ella le nozze alla sua usanza faccia,
Le dice: Purché 1 termine si scorte
D' esser insieme, in questo si compiaccia;
Kè s' avvede il meschin , eh' essa la morte
D' Olindro veiulirar così procaccia,
E si la voglia ha in un oggetto intensa,
Che sol di quello , e mai d' altro non pensa.
66. Avea seco Drusilla una sua vecchia,
Che, seco presa, seco era rimasa.
A sé chiamolla, e le disse all' orecchia,
Sicché non potè udire uomo di casa :
Un subitano tosco m' apparccciiia,
Qual so, che sai comporre, e me lo invasa!
Ch' ho trovato la via di vita torre
11 traditor, figlinol di Marganorre.
67. K me so c<mie , e te salvar non meno;
flia dilTerisco a dirtelo più iid agio.
Andò la vecchia, e apparecchiò il veneno,
Ed a(M;onciollr) , e ritornò al palagio.
Di ^in dolce di Candia un fiasco pieno
Tro\ò da por ceni quel f^uttco malvagio ;
E lo serbò pel giorno delle nozze;
Ch' omai tutte l' indugie erano mn/zc.
68. Lo statuito giorno al tempio venne.
Di gemme orniìta, e di leggiadre gonne;
0\e «I' Olindro, come gli ctnivenne.
Fatto a\ea 1' arca alzar su due colonne.
Quivi r ufli(-i(i si cantò solenne.
Trassero a nilirlo tutti, uomini e donne,
E liete» Marganor più dell' usato,
Vcinic col figlio e con gli umici allato.
69. Tostoch' al fin le sante esequie foro,
E fn col tosco il vino benedetto,
Il sacerdote in una coppa d' ora
Lo versò, come avea Drusilla detto.
Ella ne bebbe quanto al suo decoro
Si conveniva , e potea far l' efletto ;
Poi die' allo sposo, con viso giocondo,
Il nappo; e quel gli fé' apparire il fondo.
70. Renduto il nappo al sacerdote, lieto
Per abbracciar Drusilla apre le braccia.
Or qui\i il dolce stile e mansueto
In lei si cangia , e quella gran bonaccia.
Lo spinge addieiro , e gli ne fa divieto,
E par, eh' arda negli occhj e nella faccia,
E con voce terribile e incomposta
Gli grida: Traditor, da me ti scosta!
71. Tu dunque avrai da me sollazzo e gioja,
Io lagrime da te, martiri e guai.'*
10 vo' per le mie man, eh' ora tu muoja :
Questo è stato venen , se tu noi sai.
Ben mi duol, eh' hai troppo onorato boja.
Che troppo lieve e f.icil morte fai;
Che mani e pene io non so sì nefande,
Che fossin pari al tuo peccato grande.
72. Mi duol di non vedere in questa morte
11 sacrifi<;io mio tutto perfetto:
Che , s' io '1 poteva far di quella sorte,
Ch' era il disio, non avria alcun difetto.
Di ciò mi scusi il dolce mio consorte ;
Riguardi al buon volere, e 1' abbia accetto!
Che, non potendo, come avrei voluto,
10 t'ho fatto morir , come ho potuto.
73. E la punizioji , che qui , secondo
11 desiderio mio , non posso darti,
Spero r anima tua nell' altro mon.do
Veder patire, ed io starò a mirarti.
Poi disse, alziinilo con viso giocondo
I tor'ùdi occlij alle superne parti:
Questa vittima, Olindro, in tua vendetta
Col buon voler della tua moglie accetta,
74. Ed impetra per me dal Signor nostro
Grazia, che in paradiso oggi io sìa teco!
Se ti dirà, che senza merto al nostro
Regno anima non vicn, di, eh' io 1' ho meco;
Che di quc.-t' empio e scellerato mostro
Le spoglie opime al santo tempio arreco.
E che inerti esser pon mnggior di questi,
Spegner sì brutte e abbominose pesti?
75. Finì il parlare insieme con la vita;
E nu>rta anco parca lieta nel volto,
D' a^er la crudeltà così punita
Di clii il caro marito le avea tolto.
Non so, se prevenuta, o se seguita
Fu dallo spirto di Tanacro sciolto.
Fu pre^enuta, credo: eh' cll'etto ebbe
Prima il Aeneno in lui, perchè più bebbe.
70. Marganor , che cader vede il figliuolo,
E poi recitar nelle sue braccia estinto.
Fu per morir con lui, dal grave duolo,
(/'II' all.i sprovvista lo trafisse, vinto.
Duo u' ebbe un tempo, or si ritrova solo.
Du(; femmine a qu<^l termine I' han spinto»
La morto all' un dall' una fu causata,
l'i 1' altra all' altro di sua man 1' ha data.
►01]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVII. 77 — 92)
[502]
Amor, plrtà, sdegno, dolore ed ira,
Disio di molte e di vem'etta insiieine,
Queir infelice ed orbo padre aggira,
Clie come il raar, che turbi il vento, freme.
Per vendicarsi va a Drusilla, e mira,
Che di sua vita ha chiu^c 1' ore estreme;
E come il punge e sferza 1' odio ardente,
Cerca offendere il corpo, che non sente.
i. Qual serpe, che nell' asta, eh' alla sabbia | 86
La tenga fissa, indarno i denti metta;
O qual mastin , eh' al ciottolo , che gli abbia
Gittate il viandante, corra in fretta,
E morda invano con stizza e con rabbifi,
Kè se ne voglia andar senza vendetta:
Tal Marganor, d' ogni mastin, d' ogJii angue
A ia più crudel, fa contiti il corpo esangue.
79. E poiché, per sfracciai-lo , e farne scempio, 87,
Kon si sfogta il fellon, né disacerba,
Vien fra le donne, di che è pieno il tempio,
]Nè più r una dell' altra ci riserba.
Ma di noi fa col brando crudo ed empio
Quel, che fa con la falce il villan d' erba.
Non vi fu alciin ripar, che in un momento
Trenta ne uccise, e ne ferì ben cento.
80. Egli dalla sua gente è sì temuto, 88,
Ch' uomo non fu, eh' ardisse alzar la testa.
Fuggon le donne col popol minuto
Fuor della chiesa , e <;hi può uscir, non resta.
Quel pazzo impeto alGn fu ritenuto
Dagli amici con preghi , e forza onesta,
E lasciando ogni cosa in pianto al l)asso,
Fatto entrar nella rocca in cima al sasso.
81. E tuttavia la collera durando, 89
Di cacciar tutte per partito prese,
Poiché gli amici e '1 popolo, pregando,
Che non ci uccise affatto , gli contese :
E quel medesiJU) di fé' andare un bando,
Che tutte gli sgombrassimo il paese ;
E darci qui gli piacque le conlJne.
Misera, chi al castel più s' avvicine!
82. Dalle mogli così furo i mariti, 90,
Dalle madri così i figli divi»i.
Se alcuni sono a noi venire arditi,
Noi sappia già chi Marganor u' avvisi;
Che di multe gravis.^ime puniti
N' ila moki, e molti crudelmente uccìsi.
Al suo ca>tello ha poi fatto una legge,
Di cui pcggior non s' ode, né si legge.
83. Ogni donna, che troviu nella valle, 91.
La legge vuol (eh' alcuna pur vi cade)
Che percuotan <-.on aìuiìiiì alle ^palle,
E la faccian Hgomlirar ciucate contrade;
Ma scorciar prima i paiuii , e mo.slrar fallo
Quel, che natura asconde ed oneslade.
E s' alcuna vi va, eh' armata s(-orta
Abbia di cavalier, vi resta morta.
84. Quelle , eh' hanno |)er scorta cavalieri, ! 92.
Sdii da (pioto ninii<:o di pielate, j
Come vittime, tratti; ai cimiteri
De' morti figli , e di sua man scannate. 1
Le%a con ignominia arme (; d<'>tri(TÌ,
E poi cat'cia in prigion chi 1' lia guidate. i
E io può far; che sempre, notte e giorno,
Si trova più di mille uomini iuturnu. |
E dir di più VI voglio ancora , eh' esso.
Se alcun ne lascia, vuoi, che prima giuri
Suir ostia sacra , che '1 femmineo sesso
In odio avrà, finché la vita duri.
Se perder queste donne, e voi appresso
Dunque vi pare , ite a veder quei muri,
Ove alberga il fellone , e fate prova.
Se 'n lui più forza, o crudeltà si trova.
Così dicendo , le guerriere mosse
Prima a pietade, e poscia a tanto sdegno,
Che se , come era notte , giorno fosse,
Sarian corse al castel senza ritegno.
La bella compagnia quivi pososse,
E tostodiè r aurora fece segno.
Che dar dovesse al sol loco ogni stella,
Ripigliò l' arme, e si rimise in sella.
Già sendo in atto di partir , s' udirò
Le strade risonar dietro le spalle
D' un lungo calpestio, che gli occhj in giro
Fece a tutti voltar giù nella valle:
E lungi , quanto esser potrebbe un tiro
Di mano , andar per uno strelto calle
Vider da forse venti armati in schiera.
Di che parte in arcion, parte a pied' era,
E che traean con lor sopra un cavallo
Donna, eh' al viso aver parca molt' anni,
A guisa, che si mena un, che per fallo
A foco , o a ceppo , o a laccio si condamù.
La qual fu, non ostante 1' intervallo,
Tosto riconosciuta al viso e a'panni.
La riconobber queste della villa
Esser la cameriera di Drusilla;
La cameriera, che con lei fu presa
Dal rapace Tanacro, come ho detto.
Ed a chi fu dappoi dala 1' impresa
Di quel venen , che fé' il crudele effetto,
Non era entrata ella con l' altre in chiesa.
Che di quel, che seguì, stava in sospetto;
Anzi in quel tempo della villa uscita,
Ove esser sperò salva, era fuggita.
Avuta Marganor poi di lei spia.
La qual s' era ridotta in Ostericche,
Non ha cessato mai di cercar via,
Come in man 1' al)bia, acciò l' abbrucio impicche;
E finalmente 1' avarizia ria
l^lossa da doni, e da proferte ricche.
Ila fatto, che un baron, eh' assicurata
L' avea in sua terra, a >Iarganor V ha data,
E mandata gliel' ha fin a Costanza
Sopra un soiiiier, come la merce s' usa,
Legata e stretta , e toltole po.-sanza
Di far par«»i«! , e in una ca>>a chiusa:
Onde poi que.->ta genie 1' ha, ad instanza
Dell' uom, eh' ogni pleiade ha da ^è esclusa.
Quivi cond(»tta , <(»u disegno, eh' abbia
L' empio a >fogar sopra di lei sua rabbia.
CoiiU! il gran fiume, che di \ esulo esce,
Quanto più iruiair/.i , e verso il mar discende,
E clic con lui Lauibro e Ticiii si mesce,
Ed Adda, e gli altri, onde tributo prende,
Tanto più altero e impetuoso cresce:
('osi Kuggicr , quante più «'olpe iiilriulc
Di Margiiuor , così le due guerriere
Se gli fan cuiilra più sdc<;nose e fiere,
32 *
[503]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVIl. 93-108)
[504],
93. Elle fur d' odio, elle fur d' ira tanta
Contra il criidel, per tante colpe, accese,
Che di punirlo, mal grado di quanta
Gente egli avea , conclusion si pre^c.
Ma dargli presta morte, troppo siinta
Pena lor parve, e indegna a tante offese;
Ed era meglio fargliela sentire,
Fra strazio prolungandola e uiartire.
94. Ma prima liberar la donna è onesto,
Che sìa condotta da quei birri a m(u-te.
Lentar di briglia col calcagno presto
Fece a' presti destrier far le vie corte.
Non ebbon gli assaliti mai di questo
Un incontro più acerbo, né più forte:
Sicché han di grazia di lasciar gli scudi,
E la donna, e l' arnese, e fuggir nudi:
95. Siccome il lupo , che di preda vada
Carco alla tana, e quando più si crede
D' esser sicnr, dal cacciator la strada,
E da' suoi cani attraversar si vede.
Getta la soma , e dove appar men rada
La scura macchia innanzi, affretta il piede,
Già men presti non fur quelli a fuggire,
Che si fussin quest' altri ad assalire.
98. Kon pur la donna e 1' arme vi lasciiiro,
Ma de' cavalli ancor lasciaron molti,
E da rive e da grotte si lanciaro.
Parendo lor così d' esser più sciolti.
Il che alle donne ed a Ruggier fu caro ;
Che tre di quei cavalli ebbono tolti.
Per portar quelle tre, che '1 giorno d' jeri
Feron sudar le groppe ai tre destrieri.
97. Quindi espediti seguono la strada
Verso r infame e dispietata villa.
Voglion, che seco quella vecchia vada,
Per veder la vendetta di Drusilla.
Ella , che teme , che non ben le accada.
Lo nega indarno, e piange e grida e strilla;
Ma per forza Ruggier la leva in groppa
Del buon Frontino, e via con lei gahippa.
98. Giunsero in somma, onde vedeano al basso
Dì molte case un i-icco borgo e grosso.
Che non serrava d' alcun lato il passo,
Perchè né muro intorno aven , né fosso.
Avea nel mezzo un rilevato sasso,
Ch' un' alta rocca so?tenea sul dosso.
A quella si drizzar con gran baldanza,
Ch' esser sapean di Marganor la stanza.
99. Tostochè son nel borgo , alcuni fanti,
Che v' erano alla guardia dell' entrata.
Dietro chiudon la sbarra, e già daviiiilì
A eggon, <;he l' altra usc'ita era serrata;
Ed creo Marganorre, e seco alcjnaiiti
A pie e a <'a\allo, e tutta gente armata.
Che con broi parole, ma orgogliose.
La ria costuuia di sua terra espose.
100. Marfì'ia , la qnal prima avea composta
Con Uradiiinante e con Ruggier la c(»-:a.
Gli spronò incontra in cambio di risposta;
E coni' «ni possente e valorosa,
Senzii <:h' abbaisi lancia, o che slu posta
In opra quella spada si fauutsa.
Col pugno in guisa 1' eliuo gli martella,
Che lo fa tramortir sopra l.i sella.
101. Con Marfìsa la gìovjinc di Francia
Spinge a un tempo il destrier; né Ruggier resta,
]\la con tanto valor corre la lancia.
Che sei , senza levarsela di resta,
]N' uccide, uno ferito nella pancia,
Duo nel petto , un nel collo, un nella testa :
Nel sesto , che foggia , 1' asta si roppe,
Ch' entrò alle schiene , e riuscì alle poppe.
102. La figliuola d' Amon , quanti ne tocca
Con la sua lancia d' or, tanti n' atterra:
Fulmine par, che '1 cielo ardendo scocca,
Che ciò, che incontra, spezza, e getta a terra.
Il popol sgombra , chi verso la rocca.
Chi verso il piano; altri si chiude e serra,
Chi nelle cliiese , e chi nelle sue case.
Né, fuorché morti, in piazza uomo rimase.
103. IMarfisa 3Iarganorre avea legato
Intanto con le man dietro alle rene,
Ed alla veccliia di Drusilla dato,
Ch' appagata e contenta se ne tiene.
D' arder quel borgo poi fu ragionato,
S' a penitenza del suo error non viene.
Levi la legge ria di Marganorre.
E questa accetti, eh' essa vi vuol porre.,
104. Non fu già d' ottener questo fatica,
i Che quella gente, oltre al timor, eh' avea.
Che più faccia iMarfisa, che non dica,
Ch' uccider tutti, ed abbruciar vclea,
Di Marganorre affatto era nemica,
! E della legge sua crudele e rea :
I Ma '1 popolo facea, come i più fanno,
I Che ubbidiscou più a quei, che più in odio hanno
105. Perocché l' un dell' altro non si fida,
j E non ardisce conferir sua voglia.
Lo lascian, eh' un bandisca, un altro uccida,
A quel r avere , a questo 1' onor toglìa.
Ma il cor, che tace qui, su nel ciel grida,
Finclié Dio e santi alla vendetta invoglia;
I La qual, sebben tarda a venir, compensa
I L' indugio poi con punizione immensa.
106. Or quella turba, d' ira e d' odio pregna, .
Con fatti e con mal dir cerca vendetta.
Coni' é in proverbio; Ognun corre a far legna
Air arbore, che '1 vento in terra getta.
Sia Marganorre esempio di chi regna!
Che chi mal opra, male al fme aspetta.
Di vederlo punir de' suoi nefandi
Peccati , avean piacer pìccoli e grandi.
107. Molti , a chi fur le mogli , o le sorelle,
0 le figlie , o le madri da lui morte,
Non più celando 1' aiiiuu» ribelle,
Correan per dargli di lor man la morte:
E con fatica lo difeser qu(dle
Magnanime guerriere, e Ruggier forte,
Che disegnato aveaii farlo morire
D' affanno , di disagio e di martire.
108. A quella vecchia, che 1' odiava, quanto
Femmina odiiire alcun nemico possa,
Nudo ili mano lo dier, legato tanto,
Cbe non si scioglierà per una scossa;
Ed ella, per veiiiletta (l<-l suo pianto,
Gli aiulò facendo la persona rossa
('(ui un stimolo aguzzo, <:h' un villano,
Gie quì\i sì tro\ò, le pose in mano.
11
l
)05]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVII. 109—122)
[506]
)9. La messag:giera , e le sue giovani anco.
Che queir onta non son mai per scordarsi,
Non s' hanno più a tener le mani al fianco.
Né meno, che la vecchia, a vendicarsi;
Ma si è il de»ir d' offenderlo , che manco
Viene il potere, e pur vorrian sfofj^arsi.
Chi con sassi il pcrcote, (-hi con 1' ugne;
Altra lo morde, altra cogli aghi il pugne.
10. Come torrente, che superbo faccia
Lunga pioggia talvolta, o nevi sciolte.
Va ruinoso , e giù da' monti caccia
Gli arbori e i sassi , i campi e le ricolte :
Vien tempo poi , che l' orgogliosa faccia
Gli cade , e sì le forze gli son tolte,
Ch' un fanciullo , una femmina per tutto
Passar lo puote, e spesso a piede asciutto:
11. Cosi già fu, che Marganorre intorno
Fece tremar, dovunque udiasi il nome;
Or venuto è chi gli ha spezzato il corno
Di tanto orgoglio , e sì le f(U'ze dome.
Che gli pon far sin ai bambini scorno,
Clii pelargli la barba, e chi le chiome.
Quindi Ruggiero e le donzelle il passo
Alla rocca voltar, eh' era sul sasso.
112. La die' senza contrasto in poter loro.
Chi v' era dentro, e così i ricchi arnesi.
Che in parte messi a sacco , in parte foro
Vati ad Ullania , ed a' compagni offesi.
Ricovrato vi fu Io scudo d' oro,
E quei tre re , eh' avea il tiranno presi,
Li quai venendo quivi , come parmi
U' avervi detto , erano a pie , senz' armi.
113. Perchè dal dì, che fur tolti di sella
Da Bradaraante, a pie sempre eran iti
Senz' arme, in compagnia della donzella.
La qual venia da sì lontani liti.
Non so, se meglio, o peggio fu di quella.
Che di lor armi non fussin guerniti.
Era ben meglio esser da lor difesa;
Ma peggio assai , se ne perdcan 1' impresa.
114. Perchè stata sari'a, com' eran tutte
Quelle, eli' armate avean seco le scorte,
Al cimiterio misere conduttc
Dei duo fratelli, e in sacrifìcio morte.
Gli è pur mcn che morir, nu)strar le brutte
E disoneste parti , duro e forte ;
E sempre que-to, e ogni altro obbrobrio ammorza
11 poter dir, che le sia fatto a forza.
115. Primacir indi si partan le guerriere,
Fan venir gli abitanti a giuramento,
Che daranno i mariti alle mogliere
Della terra e di tutto il reggimento;
E castigato con pene ^e^cre
Sarà, chi contrastare abbia ardimento.
In somma quel, eh' altrove è del marito,
Che sia qui della moglie, è btutuitu.
116. Poi si feron promettere, eh' a quanti
Mai verrian quivi, non darian ricetto
O fo!:sin cavalieri , o fossin fanti,
]Vè entrar li lascerian pur sotto un tetto
Se per Dio non giurassino e per santi,
O s' altro giuramento v' è più stretto,
Che sarian >euipre delle donne amici,
E dei nemici lor sempre nemici;
117. E s' avranno in quel tempo, e se saranno
Tardi o più tosto , mai per aver moglie,
Che sempre a quelle sudditi saranno,
E ubbidienti a tutte le lor voglie.
Tornar Marfisa , primach' esca V anno.
Disse , e che perdan gli arbori le foglie ;
E se la legge in uso non trovasse.
Foco e ruina il borgo s' aspettasse.
118. Né quindi si partir, che dell' immondo
Luogo, dov' era, fèr Drusilla torre,
E col marito in un avel, secondo
Ch' ivi potean più riccamente , porre.
La vecchia facea intanto rubicondo
Con lo stimolo il dosso a Marganorre:
Sol si dolca di non aver tal lena,
Che potesse non dar tregua alla pena.
119. L' animose guerriere allato un tempio
Videro quivi una colonna in piazza.
Nella qual fatt' avea quel tiranno empio
Scriver la legge sua crudele e pazza.
Elle, imitando d' un trofeo l' esempio.
Lo scudo v' attaccaro e la corazza
Di Marganorre, e 1' elmo, e scriver fenno
La legge appresso, eh' esse al loco denno.
120. Quivi s' indugiar tanto, che Marfisa
Fé' por la legge sua nella colonna,
Contraria a quella, che già v' era incisa
A morte ed ignominia d' ogni donna.
Da questa compagnia restò divisa
Quella d' Islanda, per rifar la gonna;
Che comparire in corte obbrobrio stima.
Se non si veste ed orna, come prima.
121. Quivi rimase Ullania, e Marganorre
Di lei restò in potere; ed essa poi,
Perchè non s' abbia in qualche modo a sciorrc,
E le donzelle un' altra volta annoi,
Lo fé' un giorno saltar giù d' una torre.
Che non fé' il maggior salto a' giorni suoi.
Non più di lei , né più dei suoi si parli.
Ma della compagnia, che va verso Arli.
122. Tutto quel giorno, e 1' altro fin appresso
L' ora di terza andaro; e poiché furo
Giunti , dove in due strade é il cauiniin fesso,
L' una va al cam|)o, e V altra d' .Arli al iniiro;
'J'ornàr gli ainanli ad abbracciarsi , e spesso
A tor commiato, e fciiipre acerbo e duro.
Alfio le donne in campo , e in Arli é gito
Ruggiero, ed io il mio cauto ho qui Unito.
[507]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVIII. 1 — 12)
CANTO TRENTESIMOTTAVO.
[508
*
ARGOMENTO.
Ruggier TÌtorna in Arli al re Agramante
Pel debito servar di cavaliero.
A Carlo va Marfisa e Bradamante ;
Dal paradiso scende Astolfo altiero :
E come aveva disegnato avante,
U Africa guasta e le si mostra fiero.
Carlo e 'Z re moro due guerrier perfetti
Hanno , per terminar la guerra , eletti.
1. Cortesi donne, che benigna udienza
Date a' miei versi , io \i reggo al sembiante,
Che quest' altra sì subita partenza,
Che fa Riiggier dalia sua fida amante,
Vi dà g-ran noja , e avete displicenza
Poco minor , eh' avesse Bradamante ;
E fate anco argomento , eh' esser poco
In lui dovesse 1' amoroso foco.
2. Per ogni altra cagion , che allontanato
Centra la voglia d' essa se ne fusse.
Ancorché avesse più tesor sperato,
Che Creso o Crasso insieme non ridusse,
10 crederla con voi , che penetrato
Non fosse al cor lo strai , che lo percusse ;
Ch' un almo gaudio , un cosi gran contento
Non potrebbe comprare oro , nò argento.
3. P»u- per salvar 1' onor, non solamente
Di scusa, ma di laude è degno ancora.
Per salvar , dico , in caso eh' altramante
Facendo, biasmo ed ignominia foca :
E se la donna fosse renitente,
Ed ostinata in fargli far dimora,
Durebhc di sé indizio e < hiaro segno
O d' amar poco , o d' aver poco ingegno.
4. Che, se 1' amante dell' amato deve
La vita amar più della propria , o tanto,
(lo parh) d' un amante , a cui non lieve
Colpo d' amor passò più là del manto)
Al piacer tanto più, cJi' esso rice\e,
L' onor di quello antepor deve, quanto
L' onore è di più pregio, che la vitii,
Ch' a tutti altri piaceri è preferita.
5. Fece Ruggiero il debito a seguire
11 suo hignor ; che non se ne potea,
Se non con ignominia, dipartire;
Che ragion di lasciarlo non avca.
E t-e Ainionte gli fc' il padre morii-e,
Tal colpa in Agramante non cadea,
Che in molti cHUti avca con Kuggicr poi
Emendato ogni error dei uiuggiur euoi.
6. Farà Ruggiero il debito a tornare
Al suo signore; ed ella ancor lo fece.
Che sforzar non lo volse di restare,
Come potea , con iterata prece.
Ruggier potrà alla donna satisfare
A un altro tempo , s' or non satisfece ;
Ma all' onor, chi gli manca d' un momento,
Non può in cento anni satisfar, né in cento.
7. Torna Ruggiero in Arli , ove ha ritratta
Agramante la gente, che gli avanza.
Bradamante e Marfisa, che contratta
Col parentado avean grande amistanza,
Andaro insieme, ove re Carlo fatta
La maggior prova avea di sua possanza,
Sperando , o per battaglia, o per assedio.
Levar di Francia cosi lungo tedio.
8. Di Bradamante, poiché conosciuta
In campo fu , si fé' letizia e festa.
Ognun la riverisce e la saluta.
Ed ella a questo e a quel china la testa.
Rinaldo , come udì la sua venuta.
Le venne incontra; né Ricciardo resta,
Né Ricciardetto , od altri di sua gente,
E la raccoglion tutti allegramente.
9. Come s' intese poi, che la compagna
Era Marfisa , in arme sì famosa,
Che dal Catajo ai termini di Spagna
Di mille chiare palme iva pomposa,
Non è povero, o ricco, che rimagna
Nel padiglion; la turba disiosa
Vien quinci e quindi, e s' urta, storpia e preme
Sol per veder sì bella coppia insieme.
10. A Carlo riverenti appresentàrsì.
Questo fu il primo dì, scrive Turpino,
Che fu vista Marfisa inginocchiarsi ;
Che sol le parve il figlio di Pipino
Degno , a cui tanto onor dovesse faisi,
Tra quanti , o mai nel popol Saracino,
O nel cristiano , imperatori e regi
Per virtù vide , o per ricchezze egregi.
11. Carlo benignamente la raccolse,
E le uscì incontra fuor dei padiglioni;
E che sedesse a lato suo poi volse,
Sopra tutti i re , principi e baroni.
Si die' licen7.a a chi non se la tolse.
Sicché tosto restaro i pochi e buoni.
Restaro i paladini e i gran signori;
La vilipesa plebe andò di fuori.
12. 3Iarfisa cominciò con grata voce:
Eccelso , invitto e glorioso Augusto,
Ch<; dal mar indo alla tirintia foce,
Dal bianco Scita all' Etiope adusto
Riverir fai la tua c^indida croce;
Né di te regna il più saggio, o '1 più giusto!
Tua fama , eh' alcun termine non serra.
Qui trutta m' ha fin dall' estrema terra.
09]
ORLANDO FURIOSO. XXXVIII. 13—28)
[510]
:o.
;. E per narrarti il ver, sola mi mosse
Invidia , e sol per farti guerra io venni,
Acciocché sì possente un re non fosse,
Che non tenesse la lej^ge , eh' io tenni.
Per questo ho fatto le ciiiiij)iigne rosse
Del Cristian sangue ; ed altri fieri cenni
Era per farti da crudel nemica,
Se non cadea chi mi t' ha fatto amica.
Quando nuocer pensai più alle tue squadre,
Io trovo (e come sia, din» più ad agio).
Che 'I huon Ruggier di Risa fu mio padre.
Tradito a torto dal fratel malvagio.
Portommi in corpo mia misera madre
Di là dal mare, e nacqui in gran disagio.
]Nutrimmi un mago iuliii al settimo anno,
A cui gli Arabi poi rubata m' hanno;
E mi venderò in Persia per ischiava
A un re , che poi cresciuta io posi a morte,
CIh! mia verginità tor mi cercata.
Uccisi lui con tiitta la sua corte,
l'utta cacciai la sua progenie prava,
E presi il regno ; e tal fu la mia s«»rte.
Che diciotto anni d' uno, odi duo mesi
Io non passai, che sette regni presi.
FJ di tua fama invidiosa , come
10 t' ho già detto, avea fermo nel core
La grande altezza abbatter del tuo nome,
liirsc il faceva, o f«»rse era in errore;
-Ma or avvien , che quc»ta voglia dome,
i; l'accia cader 1' ale al mio furore
L' avere inteso, poiché qui son giunta,
(.\>me io ti son d' afllnità congiunta.
E come il padre uùo parente e servo
l'i fu , ti son parente e serva anch' io ;
E quella invidia e quell' odio protervo,
11 qual io t' ebbi un teuipo, or tutto obblio:
An/i contra Agramaiite io lo riservo,
E contra ogni altro, che bia al padre, o al zio
Di lui stato parente ; che l'ur rei
DI porre a morte i genitori miei.
E seguitò, voler cristiana farsi;
E dappoich' avrà estinto il re Agramunte^
Voler, piacendo a Carlo, ritornarsi
A battezzare il suo regno in Levante;
Ed indi contra tutto il mondo armarsi.
Ove Macon s' adori, e Trivigante;
E con promis^iou, eh' ogni suo acquisto
Sia dell' imperio , e della fé di Cristo.
L' impcrator , che n(m meno eloquente
Era , che fosse valoroso e saggio,
Molto esultando la donna et-cellentc,
E nndta il padre, e molto il suo lignaggio,
Kisposc ad ogni parte umanamente,
E mostrò in rronte aperto il suo coraggio;
E conchiusc neir ultima parola,
Per parente accettarla, e per figliuola.
E qui si lev a , e di nuovo V abbraccia^
E rome figlia, bacìa nella fronte,
tengono tutti con allegra faccia
Quei di Mongrana, e quei di (^hiaramontfr.
Iiiuij;o a dir fi)ra , quanto onor Ir faccia
Ilinaldo, rlu! di lei le pro\e cenile
Ardalo avea più volte al paragone,
Quando Albraccii asticdiùr col kUo!":inuio.
21. Lungo a dir fora , quanto il giovinetto
Guidon s' allegri di veder costei,
Afjuilante, e Grifone, e Sansonetto,
Ch' alla cittì crudel furon con lei;
Malagigi, e Viviano, e Ricciardetto,
Ch' all' uccision de' Maganzesi rei,
E di quei venditori empj di Spagna
L' aveano avuta sì fedel compagna.
22. Apparecchiar per lo seguente giorno,
Ed ebbe cura Carlo egli medesmo.
Che fosse un luogo riccamente adorno.
Ove prendesse Marfisa battesmo.
I vescovi, e gran chierici d' intorno,
Che le leggi sapean del cristianesmo,
Fece raccorje , acciò da loro in tutta
Lu santa fé fosse Marfisa instrutta.
23. Venne in pontificale abito sacro
L' arcivesco Turpino, e battczzoUa.
Carlo dal salutifero lavacro
Con cerimonie debite levolla.
Ma tempo è ormai , eh' al capo , voto e maero
Di senno, si soccorra con l' ampolla,
Con che dal ciel più basso ne venia
II duca Astolfo sul carro d' Elia.
24. Sceso era Astolfo dal giro lucente
Alla maggiore altezza della terra
Con la felice ampolla, che la mente
Dovea sanare al gran mastro di guerra.
L'ii' erba quivi di virtù eccellente
Mostra Giovanni al duca d' Inghilterra:
Con essa vuol, eh' al suo ritorno tocdù
Al re di Nubia, e gli risani gli occhj,
25. Acciò, per questi e per li primi merli
Gente gli dia, con che Riseria assaglia:
E come poi quei pitpoli inesperti
Aliai, ed acconci ad uso di battaglia,
E senza danno p.issi |)e' deserti.
Ove r arena gli uomini abbarbaglia,
A punto a punto l' ordine, che legna.
Tutto il vecchio santissimo gì' in>egna.
26. Poi lo fé' rimontar su quello alato,
Cir é di Ruggiero , e fu prima d' Atlante.
Il paladin la>ciò, licenziato
Da san («iovanni. le contrade sante,
E secondììuilo il I\il(> a lato a lato,
TojIo i Nubi a|<paiir si vide innante,
E nella lena, che del regno è capo.
Scese dall' uria , e ritrovò il Senapo.
27. Molto fu il gaudio e molta fu la gio.ja.
Che portò a quel signttr nel siu» ritorno ;
Che ben si ric(U'da\a della noja,
(.'begli atea tolta dell arpie d' intorno.
Ma, poiché la gr(>s>e/,/,a gli disciioja
Di queir uniur, che già gli tolse il giorno.
E che gli rende la vista di luiiua,
1/ adora «; cole, e come un Dio sublima,
28. Sicché non pur la gente , che gli chietlc
Per mover f;uerra al regno di Ri>crta,
Ma (-entiimila sopni gli ne diede,
E gli f»;' ancor di su.i persona •►Iferhi.
La gentf ii|t|>ena . di' era tutta a piedf,
Pole.» caiiir iirll.i < ,iin|)agiia aperta;
(he di camalli ha quel paese inopia.
Ma d' elefanti u di cuiumelU copii».
ORLANDO FURIOSO. (XXXVIII. 29- M)
1511]
29. Lii notte innanzi al di, che a suo cammino
L' erieicito di Niihia dovea porse,
3lontò sull' ippogril'o il paladino,
E verso mezzodì con fretta c»)rse,
Tantoché giun^^e al m»)nte, che 1' auètrino
Vento produce, e spira contra 1' Orse.
Trovò la cava, onde per stretta Locca
Quando si desta, il furioso scocca:
30. K come laccordogli il suo maestro,
Avea seco arrecato un utre voto,
11 qiial, mentre nell' antro oscuro alpestro
Aflaticato dorme il fiero Xoto,
Allo spiraglio pon tacito e destro;
Ed è r agguato in modo al vento ignoto,
Che, credendosi uscir fuor la dimane,
Preso e legato in quello utre rimane.
31. Di tanta preda il paladino allegro
Ritorna in Nuhia, e la medesma luce
Si pone a camminar col popol negro,
E vettovaglia dietro si conduce.
A salvamento con lo stuolo integro
Verso r Atlante il glorioso duce
Pel mezzo vien della minuta saltbia,
Senza temer, che '1 vento a nuocer gli abbia.
32. E giunto poi di qua dal giogo, in parte,
Onde il pian si discopre, e la marina,
Astolfo elegge la più nobil parte
Del campo, e la meglio atta a disciplina;
E qua e là per ordine la parte
A pie d' un colle, ove nel pian confina.
Quivi la lascia, e sulla cima ascende
In vista d' uom, che a gran pensieri intende.
33. Poiché, inchinando le ginocchia, fece
Al santo suo maestro orazione,
Sicuro, che sia udita la sua prece.
Copia di sassi a far cader si pone.^
Oh quanto , a chi ben crede in Cristo , lece !
I sassi , fuor di naturai ragiiuie
Crescendo , si vedean venire in giuso,
E formar ventre e gambe, e collo, e muso:
34. E con chiari annitrir giù per quei calli
Venian saltando, e giunti poi nel piano
Scuotean le groppe, e fatti eran cavalli,
Chi bajo , e chi leardo , e chi rovano.
La turba, eh' ajpettando nelle valli
Stava alla posta, lor dava di mano;
Sicché in |)oche ore fur tutti montati,
Che con sella e con freno erano nati.
35. Ottanta mila, cento e due in un giorno
Fé' di pedoni Astolfo cavalieri.
Con questi tutta scorse Africa intorno,
Faceiidii prede, incendj e prigioneri.
Posto Agramante avea, fin al ritorno.
Il re di Fer.^a e '1 re degli Algazeri,
CaA re liran/ardo a guardia del paese;
E questi si fér contra al duca inglese.
30. Prima avendo spacciato un sottil legno,
Cir a vele e a remi andò battendo 1' ali,
Ad Aijriuuante avvi,>ò, come il regno
Patia dal re de' ]\ubi oltraggi e unili.
(ìiorno <; notl(; andò quel senza ritegno,
Tantocbé giiiii«e ai liti pr«)ven/ali;
E tr'Mo in Arli il suo re mezzo oppresso,
Che '1 campo a\ca di Carlo un miglio uj'presso.
[512]
37. Sentendo il re Agramante, a che periglio,
Per guadagnare il regno di Pipino,
Lasciava il suo , chiamar fece a consiglio
Principi e re del popol Saracino ;
E poicli' una o due volte girò il ciglio.
Quinci a Marsilio , e quindi al re Sobrino,
1 qnai d' ogni altro fiir, che vi venisse,
I duo più antichi e saggi, cosi disse:
38. Quantunque io sappia, come mal convegna,
A un capitano dir: non mei pensai.
Pur lo dirò : che , quando un danno vegna
D' ogni discorso uman lontano assai,
A quel fallir par che sia scusa degna.
E qui si versa il caso mio : eh' errai
A lasciar d' arme 1' Africa sfornita,
Se dalli Nubi esser dovea assalita.
3!). Ma chi pensato avria, fuorché Dio solo,
A cui non é cosa futura ignota,
Che dovesse venir con sì gran stuolo
A farne danno , gente sì remota,
Tra i quali e noi giace 1' instabll suolo
Di queir arena , ognor da' venti mota ?
Pur é venuta ad assediar Diserta,
Ed ha in gran parte 1' Africa deserta.
40. Or sopra ciò vostro consiglio chieggio,
Se partirmi di qui senza fiir frutto,
Oppur seguir tanto 1' impresa deggio.
Che prigion Carlo meco abbia condutto:
O Clune insieme io salvi il nostro seggio,
E que^to imperiai lasci distrutto.
S' alcun di voi sa dir , prego noi taccia,
Acciò si trovi il meglio, e quel si faccia.
41. Così disse Agramante , e volse gli occhj
Al re di Spagna, die gli sedea appresso,
Come mostrando di voler, che tocchi
Di quel , eh' ha detto , la risposta ad esso.
E quel , poiché sorgendo ebbe i ginocchj
Per riverenza, e così il capo flesso,
Kel suo onorato seggio si raccolse.
Indi la lingua a tai parole sciolse:
42. O bene, o mal, che la fama ci apporti.
Signor , di sempre accrescere ha in usanza.
Perciò non sarà mai, eh' io mi sconforti,
O mai più del dover pigli baldanza
Per casi , o buoni , o rei , che sieno sorti ;
]Ma sempre avrò di par tema e speranza,
Cli' esser debban minori, e non del modo,
Ch' a noi per tante lingue venir odo.
43. E tanto men prestar gli debbo fede.
Quanto più al verisimile s' oppone.
Or s' egli é verisimile, si vede,
Ch' abbia con tanto numer di persone
Post(» nella pugnace Africa il piede
Vn re di sì lontana regione,
Traversando 1' arene, a cui Camliise
Con mal augurio il popol suo coiimiise.
44. Crederò lien, che sian gli Arabi scesì
Dalle uutntagne, ed abbiati dato il guasto,
E saci-lu'ggi.ito , e niorti uomini , e presi,
Ove trovato avran poco c;ontrasto ;
E die Hranzardo, che di quei ])aesi
Luog(»ten(;nt<! e viceré é rimasto,
Per le decine scriba le migliiija,
Acciò la bcusa sua più degna puja
)13]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVIII. 45 — 60)
15. V'o' concedergli ancor, che siano i Nubi
Per miracol dal ciel forse piovuti,
O for^e ascosi venner nelle nubi,
Poiché non fiir mai per camniin veduti.
Temi tu, che tal gente Africa ruhi,
Scbben di più soccorso non 1' ajuti ?
Il tuo presidio avria ben trista pelle.
Quando temesse un popolo sì imbelle.
[(). Ma se tu mandi ancorché poche navi,
Purché si veggan gli stendardi tuoi,
Aon scioglieran di qua sì tosto i cavi,
CJie fuggiranno ne' confini suoi,
Questi, o sien Nubi, o sieu Arabi ignavi,
1 Ai quali il ritrovarti qui con noi.
Sepurato pei mar dalia tua terra,
Ha dato ardir di romperti la guerra.
|17. Or piglia il tempo, che, per esser senza
Il suo nipote Carlo, hai di vendetta!
Poich' Orlando non e' è, far resistenza,
' Non ti può alcun della nemica setta.
i Se per non veder lasci, o negligenza,
L' onorata vittoria , che t' aspetta,
Volterà il calvo, ove ora il crìn ne mostra,
Con molto danno, e lunga infamia nostra.
48. Con questi, ed altri detti accortamente
L' Ispano persuader vuoi nel concilio.
Che non esca di Francia questa gente,
Finché Carlo non sia spinto in esilio.
jMa il re Sobria, che vide apertamente
II cammino, a che andava il re Marsilio,
Che più per 1' util proprio queste cose,
Che pel comun dicea, così rispose:
49. Quando io ti confortava a stare in pace,
Foss' io stato, signor, falso indovino!
O tu , se io dovea pur esser verace.
Creduto avessi al tuo fedel Sobrino,
£ non piuttosto a Rodomonte audace,
A Marbalusto, a Alzirdo e a Martassino!
Li quali ora vorrei qui aver a fronte;
Ma vorrei più degli altri liodomunte,
50. Per rinfacciargli, che volea di Francia
Far qiH'l, che si faria d' un fragii vetro,
E in cielo e ncll' iuferno la tua lancia
Seguire;, nn'/.ì lasciarsela di dietro.
Poi nel bisctgno si gratta la pancia,
Neil' o/io iuuuerso alibominosu e tetro ;
Fd io, clie per |)rcdirti il vero allora
Codardo detto fui , son tcco ancora ;
51. E sarò sempre mai , fiiich' io finisca
Questa vita , eh' aucorrhè d' anni grave,
P()r^i incontra ogni dì per te s' arrisca
A qualunque di Francia più nome bave.
^ié cara alcun, sia chi si ^uol, die ardisca
Di dir , chi; I' opre mie mai fosscr prave.
E non han più di me fatto, né tanto
Molti, che si donar di me più vanto.
52. Dico così, ]>cr dimostrar, che (|uc}ln,
C;ir io dis.-i allora, e che ti voglio or dire,
Ne da villade vicn , né da «or fello.
Ma da amor vero, e da ledei .scr\ire.
In (i c(Miforto, di' al paterno ostello
l'iiillo>to, che tu puoi, vogli rcilire;
Che poni Miggio si può dir colui.
Che perde il buo, per acquistar V altrui.
J514]
53. Se acquisto e' è , tu '1 sai. Trentadnì fummo
Re , tuoi vassalli , a uscir teco del porto •
Or, se di nuovo il conto ne rassunimo,
C è appena il terzo, e tutto '1 resto é morto.
Che non ne cadan più , piaccia a Dio summo !
Ma, se tu vuoi seguir, temo di corto,
Che non ne rimarrà quarto, né quinto,
£ '1 miser popol tuo ila tutto estinto.
54. Ch' Orlando non ci sia, ne ajuta; eh' ove
Siam pochi , forse alcun non ci saria.
Ma per questo il periglio non rimuove,
Sebben prolunga nostra sorte ria.
Ecci Rinaldo, che per molte prove
Mostra, che non minor d' Oi lindo sia.
55.
56.
C è il suo lignaggio, e tutti i paladini,
Timore eterno a' nostri Saracini.
Ed hanno appresso quel secondo Marte
(Benché i niinici al mio dispetto lodo);
Io dico il valoroso Brandimarte,
Non men d' Orlando ad ogni prova sodo;
Del qual provata ho la virtude in parte.
Parte ne veggo all' altrui spese, ed odo.
Poi son più dì, che non e' è Orlando stato,
E più perduto abbiam , che guadagnato.
Se per addietro abbiam perduto, io temo.
Che da qui innanzi perderem più in grosso.
Del nostro campo IMandricardo é scemo.
Gradasso il suo soccorso n' ha rimosso ;
Marfisa n' ha lasciati al punto estremo,
E così il re d' Algicr, di cui dir posso,
Che , se fosse fedel , com' è gagliardo,
Poe' uopo era Gradasso , o Maudricardo.
57.
Ove sono a noi tolti questi ajuti,
E tanti mila son dei nostri morti,
E quei, eh' a venir han, son già venuti,
Né s' aspetta altro legno, che u' apporti;
Quattro son giunti a Carlo, non tenuti
Manco d' Orlando, o di Rinaldo forti;
E con ragion; che da qui sino a Battro
Potresti mal trovar tali altri quattro.
58. Non so, se sai, chi sia Guiilon Selvaggio,
E Sansonetto, e i figli d' Oliviero.
Di questi fo più stima, e più tema aggio.
Che d' ogni altro lor i!uca e cavalieri).
Che di Lamagna, o d' altro stran linguaggio
Sia contra noi per ajtitar 1' impero:
Benché importa anco assai la gente nuova,
Ch' a' nostri danni in campo si ritrosa.
59. Quante volte uscirai alla campiigna,
Tante avrai la peggiore, o sarai rollo.
Se spesso perde il «-aiiipo Africa e Spagna,
Quando siaiii stati sedici per otto;
('he sarà , poidi' Italia e clic liiiiiiiigna
('on Francia è unita, e 1 popolo anglo e scotto,
E ch<^ sei contra dodici saranno?
Ch' altro si può sperar, die biasiuo e danno?
La geut<; qui , là perdi a un tempo il regno,
Se in (jiiCNta iiiijircsa più duri (Kotiiiato;
Ove, s' al ritornar muti di:4<-gno,
L' avanzo di noi Kcr>i con lo >tato.
liasciar ìlaiviiio é di te ca-<o indegno,
Cli' ognun te ne terrebbe molto ingrato:
Ma e' è riiiieilio: far con ('arto pa<e;
Ch' n lui deve piacer, se a te pur piace.
33
(;o
[515]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVIII. 61-T6)
[5161
61. Pur, se ti par, che non ci sia il tuo onore,
Se tu, che prima offeso sei, la chiedi;
E la battaglia più ti sta nel core,
Che, come sia fin qui successa. Tedi,
Studia ahnen di restarne vincitore !
Il che forse avverrà, se tu mi credi,
Se d' ogni tua querela a un cavaliero
Darai T assunto, e se quel fia Ruggiero.
62. Io '1 so, e tu '1 sai, che Ruggier nostro è tale,
Che già da solo a sol con 1' arme in mano
Non men d' Orlando, o di Rinaldo vale,
Kè d' alcun altro cavaller cristiano :
Ma se tu vuoi far guerra universale,
Ancorché '1 valor suo sia soprumano,
Egli però non sarà più , che un solo,
Ed avrà di par suoi contra uno stuolo.
63. A me par, se a te par, eh' a dir si mandi
Al re Cristian, che per finir le liti,
E perchè cessi il sangue, che tu spandi
Ognor de' suoi, egli de' tuo' infiniti.
Incontra un tuo guerrier tu gli domandi.
Che metta in campo uno de' suoi più arditi;
E faccian questi duo tutta la guerra.
Finché r un vinca , e 1' altro resti in terra ;
64. Con patto, che, qual d' essi perde, faccia,
Che '1 suo re all' altro re tributo dia.
Questa condizion non credo spiaccia
A Carlo, ancorché sul vantaggio sia.
Mi fido sì nelle robuste braccia
Poi di Ruggier, che vincitor ne fia;
E ragion tanta è dalla nostra parte.
Che vincerà, s' avesse incontra Marte.
65. Con questi, ed altri più efficaci detti
Fece Sobrin sì, che '1 partito ottenne;
E gì' interpreti fur quel giorno eletti,
E quel di a Carlo 1' imbasciata venne.
Carlo, eh' avea tanti guerrier perfetti.
Vinta per sé quella battaglia tenne,
Di cui r impresa al buon Rinaldo diede.
In chi avea , dopo Orlando , maggior fede.
66. Di questo accordo lieto parimente
L' un esercito e l' altro si godea;
Che '1 travaglio del corpo e della mente
Tutti avea stanchi , e a tutti rincrescca.
Ognun di riposare il rimanente
Della sua vita disegnato avea;
Ognun maledicea 1' ire e i furori,
Ch' a risse e a gare avean lor desti i cori.
67. Rinaldo, che esaltar molto si vede.
Che Carlo in lui di quel, che tanto pesa.
Via più che in tutti gli altri , ha avuto fede.
Lieto si mette all' onorata impresa.
Ruggier non stima, e veramente crede,
Che contra sé non potrà far difesa; •
Che suo pari esser possa, non gli è avviso,
Sebben in campo ha Mandricardo ucciso.
68. Ruggier, dall' altra parte, ancorché molto
Onor gli sia, che '1 suo re l' abbia eletto,
E pel miglior di tutti i buoni tolto,
A cui commetta un si importante effetto.
Pur mostra affanno, e gran mesti/.ia in volto;
Non per paura, clic gli turbi il petto;
Che, non eh' un koI Rinaldo, ma non teme,
Se fosse con Rinaldo Orlando insieme;
69. Ma perché vede esser di lui sorella
La sua cara e fidissima consorte,
Cb' ognor scrivendo stimola e martella,
Come colei, eh' é inguriata forte.
Or, s' alle vecchie offese aggiugne quella
D' entrare in campo a porle il frate a morte,
Se la farà d' amante così odiosa,
Ch' a placarla mai più fia dura cosa.
70. Se tacito Ruggier s' affligge ed auge
Della battaglia, che mal grado prende.
La sua cara moglier lagrima e piange.
Come la nuova indi a poche ore intende.
Batte il bel petto, e l' auree chiome frange,
E le guance innocenti irriga e offende;
E chiama, con rammarichi e querele,
Ruggiero ingrato, e il suo desCin crudele.
71. D' ogni fin, che sortisca la contesa,
A lei non può venime altro , che doglia.
Ch' abbia a morir Ruggiero in questa impresa,
Pensar non vuol, che par che 'l cor le togli».
Quando anco , per punir più d' una offesa,
Ija mina di Francia Cristo voglia;
Oltreché sarà morto il suo fratello.
Seguirà un danno a lei più acerbo e fello:
72. Che non potrà, se non con biasmo e scornò,
E nimicizia di tutta sua gente.
Fare al marito suo mai più ritorno.
Sicché lo sappia ognun pubblicamente.
Come s' avea , pensando notte e giorno,
Più volte disegnato nella mente;
E tra lor era la promessa tale.
Che '1 ritrarsi e il pentir più poco vale.
73. Ma quella, usata nelle cose avverse
Di non mancarle di soccorsi fidi,
Dico Melissa maga , non sofferse
Udirne il pianto e i dolorosi gridi ;
E venne a consolarla , e le prof erse.
Quando ne fosse il tempo , alti sussidj
E disturbar quella pugna futura.
Di eh' ella piange e si pon tanta cura.
74. Rinaldo intanto , e 1' inclito Ruggiero
Apparecchiavan 1' arme alla tenzone.
Di cui dovea l' eletta al cavaliero.
Che del romano imperio era campione;
E come quel che, poiché '1 buon destriero
Perde, Bajardo, andò sempre pedone,
Si elesse a pie, coperto a piastra e a maglia,
Con r azza e col pugnai far la battaglia.
75. O fosse caso, o fosse pur ricordo
Di Malagigi suo , provido e saggio,
Che sapea, quanto Balisarda ingordo
Il taglio avea da fare all' arme oltraggio.
Combatter senza spada fur d' accordo
L' uno e 1' altro guerrier, come detto aggio.
Del luogo s' accordar presso alle mura
Dell' antico Arli , in una gran pianura.
76. Appena avea la vigilante Aurora
Dall' ostel di Titon fuor messo il capo.
Per dare al giorno terminato , e all' ora,
Ch' era prefissa alla battaglia, capo.
Quando di qua e di là vennero fuora
I deputati; e questi in ciascun capo
Degli steccati i padiglion tiraro,
Appresso ai quali ambi un aitar fermaro.
.17]
ORLANDO FURIOSO. (XXXVm. n— 00)
[518]
7. Non molto dopo, instrutto a schiera a schiera
Sì vide uscir 1' esercito pagano.
In mezzo armato, e sontuoso v' era
Di bacharica pompa il re Africano,
E su un bajo corsier di chioma nera,
ì)ì fronte bianca, e di duo piò bai/ano;
A pari a par con lui venia Ruggiero,
A cui servir non è Marsilio altiero.
8. L' elmo, che dianzi con travaglio tanto
Trasse di testa al re di Tartaria;
L' elmo, che, celebrato in maggior canto,
Portò il trojano Ettor mill' anni pria,
Gli porta il re Marsilio a canto a canto.
Altri principi ed altra baronia
S' hanno partite 1' altre arme fra loro,
Ricche di gioje , e ben fregiate d' oro.
^0.
il.
!'9. Dall' altra parte, fuor dei gran ripari
Re Carlo uscì con la sua gente d' arme,
Con gli ordini medesmi e modi pari.
Che terria , se venisse al fatto d' arme.
Cingonlo intorno i suoi famosi pari ;
E Rinaldo è con lui con tutte 1' arme,
Fuorché 1' elmo , che fu del re Mambrino,
Che porta Uggier danese, paladino:
£ di due azze ha il duca INamo V una,
E r altra Salaraon, re di Bretagna.
Carlo da un lato i suoi tutti raguna ;
Dall' altro son quei d' Africa e di Spagna,
Nel mezzo non appar persona alcuna;
Voto riman gran spazio di campagna;
Che, per bando comune, a chi vi sale.
Eccetto ai duo guerrieri, è capitale.
Poiché dell' arme la seconda eletta
Si die' al campion del popolo pagano,
Duo sacerdoti , 1' un dell' una setta,
L' altro dell' altra, uscir coi libri in mano.
In quel del nostro é la vita perfetta
Scritta di Cristo; e l' altro è 1' Alcorano.
Con quel dell' evangelio si fé' innante
L' imperator; con 1' altro il re Agrasnante.
Giunto Carlo all' aitar, che statuito
I suoi gli aveano, al cit'I levò le palme,
E disse: Oh Dio, eh' hai di morir patito
Per redimer da morte le nostr' alme!
Oh Donna, il cui valor fu sì gradito,
Che Dio prese da te 1' umane salme,
E nove mesi fu nel tuo santo alvo.
Sempre serbando il fior virgineo salvo;
53. Siatemi testimoni , eh' io prometto
Per me, e per ogni mia successione.
Al re Agramante, ed a chi dopo eletto
Sarà al governo di sjia regione.
Dar venti some ogni anno d' oro s<-hietto,
S' oggi qui riman vinto il mio campione;
E clr io prometto subito la tregua
Incumiuciar, che poi perpetua bcgua!
52
84. E se 'n ciò manco, subito s' accenda
La formidabil ira d' ambidui ;
La qual me solo e i miei figliuoli offenda
Non alcun altro, che sia qui con nui;
Sicché in brevissima ora si comprenda.
Che sia il mancar della promessa a vui.
Così dicendo Carlo, sul vangelo
Tenea le mano, e gli occhj fissi al cielo.
85,
m
87,
Si levan quindi, e poi vanno all' altare
Cile riccamente avean pagani adorno ;
Ove giurò Agramante, eh' oltre al mare
Con r esercito suo faria ritorno,
Ed a Carlo darla tributo pare,
Se restasse Ruggicr vinto quel giorno;
E perpetua tra lor tregua saria,
Coi patti, eh' avea Carlo detti pria.
E similmente con parlar non basso
Cliiamando in testimonio il gran 3Iaumette
Sul libro, che in man tiene il suo papasso'
Ciò che detto ha, tutto osservar promette. '
Poi del campo si partono a gran passo
E tra i suoi T uno e 1' altro si rimette*
Poi quel par di campioni a giurar venne
E '1 giuramento lor questo contenne:
Ruggier promette, se dalla tenzone
n suo re viene, o manda a disturbarlo.
Che né suo guerrier più, né suo barone
Esser mai vuol, ma darsi tutto a Carlo.
Giura Rinaldo ancor, che, se cagione
Sarà del suo signor quindi levarlo.
Finché non resti vinto egli, o Rufo-ìero
Si farad' Agramante cavaliero.
Poiché le cerimonie finite hanno,
Si ritorna ciascun dalla sua parte;
Né v' indugiano molto, che lor danno
Le chiare trombe segno al fiero Marte.
Or gli animosi a ritrovar si vanno.
Con senno i passi dispensando, ed arte
Ecco si vede incominciar l' assalto.
Sonar il ferro, or girar basso, or alto.
89. Ora innanzi col calce, or col martello
Accennan, quando al capo, e quando al piede,
Con tal destrezza, e con modo sì snello
Ch' ogni credenza il raccontarlo eccede.
Ruggier, che combattea contra il fratello
Di chi la misera alma gli possiede,
A ferir lo venia con tal riguardo.
Che stimato ne fu manco gagliardo.
90. Era a parar, più eh' a ferire, intento,
E non sapea egli stesso il suo desire.
Spegner Rinaldo saria mal contento,
Né vorria volentieri egli morire.
Ma ecco giunto al termine mi sento.
Ove convien i' istoria dillerirc.
Neil' altre» canto il resto intenderete,
S' udir neir altro canto mi vorrete.
&8.
33 *
[519]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIX. 1 — 12.)
imi
CANTO TRENTESIMONONO.
ARGOMENTO.
Ingannato Àgramante rompe il patto.
Che con V imperator già fatto avea;
Ed è il campo di lui rotto e disfatto,
E ne ottiene quel fin , c/t' egli dovea.
Presso Biserta essendo Orlando tratto
Riceve il senno, che 7 duca tenea.
Con più legni Àgramante in mar si pone,
Ed assalilo vicn dal buon Dudone.
. ^ L' affanno di Rng^gier ben reramente
E sopra ogni altro duro, acerbo e forte,
Di cui travaglia il corpo , e più la mente,
Poiché di due fuggir non può una morte ;
O da Rinaldo, se di lui possente
Fia meno ; o se fia più , dalla consorte.
Che, se 'l fratel le uccide, sa che incorre
IVeir odio suo , che più che morte abborre.
Rinaldo, che non ha sirail pensiero,
In tutti i modi alla vittoria aspira;
Mena dell' azza dispettoso e fiero,
Quando alle braccia, e quando al capo mira.
Volteggiando con 1' asta il buon Ruggiero
Ribatte il colpo, e quinci e quindi gira;
E se percuote pur, disegna loco.
Ove possa a Rinaldo nuocer poco.
Alla più parte de' signor paglini
Troppo par diseguale esser la zuffa.
Troppo è Ruggier pigro a menar le mani;
Troppo Rinaldo il giovane ribuffa.
Smarrito in faccia il re degli Africani
Mira r assalto, e ne sospira e sbuffa,
Ed accusa Sobrin , da cui proi^e
Tutto r error, che il mal consìglio diede.
Melissa, in questo tempo, eh' era fonte
DI quanto sappia incantatore, o mago,
Avea cangiata la fcnniiinil fronte,
E del gran re d' Algier presa I' imago.
Sembrava al viso e ai gesti Rodomonte,
E parca armata di jielle di drago;
E tal lo scudo, e tal la spada al fianco
Avea, quale usava egli, e nulla manco.
Spinse il demonio innanzi ai mesto figlia
Del re trojan», in forma di rav;:H«,
E con gran voce e con loricato ciglio
Disse: Signor, questo è pur troppi» fallo,
CAi' un giovane inesperto a far periglio,
Contra un si forte e si famoso Gallo
Abbiate eletto, in cohìi di tal sorte.
Che '1 regno e 1' ouor d' Africa ii' importe.
6. Non sì lasci seguir questa battaglia,
Cile ne sareltbe in troppo detrimento!
Su Rodomonte sia ; né ve ne caglia,
L' avere il patto rotto, e '1 giuramento!
Dimostri ognun, come sua spada taglia!
Poich' io ci sono, ognun di voi vai cento.
Potè questo |)arlar sì in Àgramante,
Che, senza più pensar, si cacciò innante.
7. Il creder d' aver seco il re d' Algieri
Fece, che si curò poco del patto;
E non avria di mille cavalieri,
Giunti in suo ajuto , sì gran stima fatto.
Perciò lance abbassar, spronar destrieri
Di qua, di là, veduto fu in un tratto.
Melissa , poiolié con sue finte larve
La battaglia attaccò, subito sparve.
8. I duo campion, che veggono tiu-barsi
Contra ogni accordo , contra ogni promessa,
Senza più 1' un con 1' altro travagliarsi,
Anzi ogni ingiuria avendosi rimessa,
Fede si dan, né qua, né là impacciarsi,
Finché la cosa non sia meglio espressa.
Chi stato sia, che i patti ha rotto innante,
O '1 vecchio Carlo, o '1 giovane Àgramante;
9. E replicar con novi giuramenti
D' esser nemici a chi mancò di fede.
Sozzopra se ne van tutte le genti;
Chi porta innanzi, e chi ritorna il piede;
Chi sia fra i vili, e chi tra i più valenti,
In un atto medesimo si vede.
Son tutti parimente al correr presti ;
Ma quei corrono innanzi, e indietro questi.
10. Come levrier, che la fugace fera
Correre intorno , ed aggirarsi mira,
]\é può con gli altri cani andare in schiera,
Che i cacciator lo tien , si strugge d' ira,
Si tormenta, s' affligge e si dispera.
Schiattisce indarno , e si dibatte , e tira :
Così sdegnosa infili allora stata
Marfisa era quel dì con la cognata.
11. Fin a queir ora avean quel dì vedute
Si rilucile prede in spazioso piano ;
E che fosser dal patto ritenute
Di non poter seguirle, e porvi mano,
Rammaricate s' erano, e dolute,
E n' avean molto sospirato invano.
Or che i patti e le tregue vider rotte,
Liete saltar nell' africane frotte.
12. Marfisa cacciò 1' asta per lo petto
Al primo, che scontrò, due braccia dietro;
Poi trasse il brando, e in itien che non 1' ho detto,
Spezzò quattro elmi , che sembrar di vetro.
Hradaiuante non le' minore effetto:
Ma r asta d' or tenne diverso metro:
Tutti quei, che toccò, per terra mise;
Duo tanti far, ne però alcuno uccise.
.21]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIX. 13 — 28)
[522]
Questo sì presso V una all' altra fero, . 21
Che testiraonie se ne fiir tra loro. j
Poi sì scostaro , ed a ferir si dicro, 1
Ove le trasse 1' ira, il popol moro.
Chi potrà conto a\er d' Oji^ni guerriero, '
Ch' a terra mandi quella lancia d' oro ?
0 d' ojj^ni testa, che tronca, o divisa
Sia dall' orribil «:pada di Marfisa.*'
Come al soffiar de' più benigni venti, 22,
Quando Apennin sciiopre 1' erbose spalle, j
Movonsi a par due torbidi torrenti, i
Che nel cader fan poi diverso calle;
Svellono i sassi , e gli arbori eminenti I
Dall' alte ripe, e portan nella valle
Le biade e i campi, e quasi a gara fanno
A chi far può, nel suo cammin, più danno:
15. Cosi le due magnanime guerriere, 23
Scorrendo il camp(> per diversa strada,
Gran strage fan nell' africane schiere,
I L' una con 1' asta, e l' altra con la spada. |
Tiene Agramante ajìpena alle bandiere
La gente sua, che in fuga non ne vada. j
luvan domanda, invan volge la fronte, i
I ÌNè può saper , che sia di Rodomonte. '
IG. A conforto di lui rotto avea il patto, 21.
(Cosi credea) che fu solennemente, I
1 dei chiamando in testimonio, fatto;
Poi s' era dileguato si repente. ]
]\è Sobrio vede ancor. Sobrio ritratto i
In Arli s' era, e dettosii innocente; !
Perchè di quel pergiuro aspra vendetta |
Sopra Agramante il di medesmo aspetta. !
17. Marsilio anco è fuggito nella terra, ! 25.
Si la religion gli preme il core. |
Perciò male Agramante il passo serra
A quei, che mena Carlo imperatore,
D'Italia, di Lamagna e d' Inghilterra,
Che tutte genti son d' alto valore.
Ed hanno i paladin sparsi tra loro.
Come le gemme in un ricamo d' oro.
18. E presso ai paladini alcun perfetto, 2G,
Quanto esser possa al moncb» , cavalicro ;
Guidon Selvaggio , 1' intrepido petto,
E i duo famosi figli d' Oliviero.
Io non voglio ridir, eh' io 1' ho già detto.
Di quel par di donzctlle ardito e fiero.
Questi uccidcan di genti Saracino
Tanto, elle non v' è numero, nò fine.
19. Ma differendo questa pugna alquanto, '• 27
Io vo' passar senza naviglio il mare.
Mon ho con quei di Francia da far tanto, :
Ch' io non m' abbia d' /lytolfo a ricordare. I
La grazia, «;he gli die' i' a|)ostol santo.
Io v' ho già d(^tto ; e detto aver ini pare.
Che '1 re Hran/ardo e '1 re dell' Algazera, I
Per girgli inc(nitra , armasse ogni sua schiera. '
20. Fnrnn di quei . eh' aviT poteano in frotta, -8.
Le Hcliiere di ditta Africa raccolti',
Non ni(;n d' inleroia <^là, cIk- di perfetta;
Qua^ì eir ancor le reniinine tur tolte.
Agramante, oslinato alla vendetta,
Avea già vota 1' Africa due volte.
Poche genti rimale erano , e quello
Esercito fucean timido e imbelle.
Ben lo mostrar ; che lì nemici appena
Vider lontan , che se n' andaron rotti.
Astolfo come pecore li mena
Dinanzi ai suoi , di guerreggiar più dotti,
E fa restarne la campagna piena.
Pochi a Biserta se ne son ridotti.
Prigion rimase Bucifar gagliardo ;
Sah ossi nella terra il re Branzardo,
Via più dolente sol dì Bucifaro,
Che se tutto perduto avesse il resto.
Biserta è grande , e farle gran riparo
Bisogna; e senza lui mal può far questo.
Poterlo riscattar molto avria caro.
Mentre vi pensa , e ne sta affiitto e mesto,
Gli viene in mente, come tien prigione
Già molti mesi il paladin Dudone.
Lo prese sotto a Monaco in riviera
n re di Sarza nel primo passaggio.
Da indi in qua prigion sempre stato era
Dudon , che del danese fu lignaggio.
Mutar costui eoi re dell' Algazera
Pensò Branzardo, e ne mandò messaggio
Al capitan de' Kubi ; perchè intese
Da vera spia , eh' egli era Astolfo inglese.
Essendo Astolfo paladin, comprende,
Che dee aver caro un paladino sciorre.
Il gentil duca , come il caso intende,
Col re Branzardo in un voler concorre.
Liberato Dudon, grazie ne rende
Al duca, e seco si mette a disporre
Le cose , che appartengono alla guerra,
Cosi quelle da uiar, come da terra.
Avendo Astolfo esercito infinito
Da non gli far sette Afriche difesa,
E rammentando , come fu ammonito
Dal santo vecchio , che gli die V im|)rcsa.
Di tor Provenza , e d' Acquamorta il lito
Di man de' Saracin , che 1' avean presa,
D' una gran turba fece nuova eletta,
Quella eh' al mar gli parve nnmco inetta.
Ed avendosi piene ambe le palme,
Quanto potean capir, di varie fronde,
A lauri, a cedri tolte, a olive, a palme,
Venne sul mare , e le gittò nell' onde.
Oh felici , e dal ciel ben dilette alme !
Grazia, che Dio raro a' mortali infonde!
O stupendo miracolo , che nacque
Di quelle frondi , come fur nell' acque !
Crebbero in quantità fuor d" ogni >tiina:
Si feron curve e grosse e lunghe e gra\i.
Le vene, eh' attraverso aveano prima,
Mutaro in dure spranghe, e in gro^se travi;
E rimanendo acute in\er la cima,
'l'utte in \in tratto di>entaron navi.
Di dilVerenti qualitadi , e tante,
Quante raccolte fur da varie piante.
Miracol fu veder le frondi sparte
Proibir fu>te, gab'-e, inni da gabbia.
Eli mirabile ancor, che >ele e >arte
E remi avean , quanto ab un b^gno n'.ibbia.
Non iii.incò al duca poi chi a^e.^se l arie
Di governarsi alla ventosa rabbia:
('he di Sardi e di Cor>ì non remoti,
Noccliier, padron, pennesi ebbe, e piloti.
[523]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIX. 29-44)
29. Quelli, che entraro in mar, contati foro
Ventisei mila, e gente d' ogni sorte.
Dudone andò per capitano loro,
Cavalier saggio, e in terra e in acqua fitrte.
Stava r armata ancora al lito moro.
Miglior vento aspettando, che la porte.
Quando un naviglio giunse a quella riva,
Che di presi guerrier carco veniva.
30. Portava quei, eh' al periglioso ponte.
Ove alle giostre il campo era si stretto.
Pigliato avea 1' audace Rodomonte,
Come più volte io v' ho di sopra detto.
Il cognato tra questi era del conte,
E '1 t'edel Brandimarte, e Sansonetto,
Ed altri ancor, che dir non mi hisogna,
D' Alamagna, d' Italia e di Guascogna.
31. Quivi il nocchier , eh' ancor non s' era accort<
Delli nemici, entrò con la galea.
Lasciando molte miglia addietro il porto
D' Algieri, ove calar prima volea,
Per un vento gagliardo , eh' era sorto
E spinto oltre il dover la poppa avea.
Venir tra i suoi credette, e in loco fido.
Come vien Progne al suo loquace nido.
32. Ma , come poi 1' imperiale augello,
I gigli d' oro , e i pardi vide appresso,
Restò pallido in faccia, come quello.
Che '1 piede incauto d' improvviso ha messo
Sopra il serpente venenoso e fello.
Dal pigro sonno in mezzo 1' erhe oppresso;
Che spaventato e smorto si ritira,
Fuggendo quel, eh' è pien di tosco e d' ira.
33. Già non potè fuggir quindi il nocchiero,
Né tener seppe i prigion suoi di piatto.
Con Brandimarte fu , con Oliviero,
Con Sansonetto , e con molti altri tratto.
Ove dal duca, e dal figliuol d' Uggieru
Fu lieto viso alli suoi amici fatto;
E per mercede lui, che li condusse,
Volson, che condannato al remo fusse.
34. Come io vi dico, dal figliuol d' Ottone
I cavalier Cristian luron ben visti,
E di mensa onorati al padiglione,
U' arme, e di ciò che bisognò, provvisti.
Per amor d' essi differì Dudone
L' andata sua; clic non minori acquisti
Di ragionar con tai baroni estima.
Che d' ester gito uno, o due giorni prima.
35. In che stato, in che termine si trove
E Francia e Carlo , istruziun vera ebbe,
E dove più sicuramente, e dove.
Per far migliore effetto, calar debbo.
Mentre da lor venia intendendo nuove, j
S' udì un rumor, che tuttavia più crebbe; |
E un dar all' arme ne seguì sì fiero, |
Che fece a tutti far più d' un pensiero. i
36. Il duca Astolfo e la compagnia bella,
Clic ragionando insieme si trovaro, i
In un mi>mfnt<» armati furi» , e in sella, I
E verso il maggior grido in fretta andare. I
Di qua di là c(rrcaiHÙ> pur novella
Di quel rumore , in loc(» capituro.
Ove videro un noni tanto feroce, i
Che, nudo e buIu, a tutto '1 campo nuoce. I
I 37. Menava un suo baston di legno in volta,
I Ch' era sì duro e sì grave e sì fermo,
I Clic declinando quel , Iacea ogni v«»lta
Cadere in terra un uom peggio, clic infermo.
Già a più di cento avea la vita tolta,
]\è pili se gli facea riparo, o schermo,
I Se non tirando di lontun saette;
D' appresso non è alcun già, che T aspette.
38. Dudone, Astolfo, Brandimarte , essendo
Corsi in fretta al romore, ed Oliviero,
Della gran forza e del valor stupendo
Stavan meravigliosi di quel fiero ;
Quando venir su un palafren correndo
A ider una donzella in vestir nero,
Cile (;orse a Brandimarte, e salutollo,
E gli alzò a un tempo ambe le braccia al collo.
39. Questa era Fiordiligi , che sì acceso
Avea d' amor per Brandimarte il core,
Che, quando al ponte stretto il lasciò preso.
Vicina ad impazzar fu di dolore.
Di là dal mare era passata, inteso
Avendo dal pagan , che ne fu autore,
Che mandato con molti cavalieri
Era prigion nella città d' Algieri.
40. Quando fu per passare, avea trovato
A Marsiiia una nave di Levante,
Ch' un vecchio cavaliero avea portato
Della famiglia del re Monodante,
11 qual molte province avea cercato,
Quando per mar, quando per terra errante,
Per trovar Brandimarte; che nuova ebbe
Tra via di lui, che 'n Francia il troverebbe.
il. Ed ella , conosciuto , che Bardino
Era costui; Bardino, che rapito
Al padre Brandimarte piccolino,
Ed a rocca Silvana avea nutrito,
E la cagione intesa del cammino.
Seco fatto r avea scioglier dal lito,
Avendogli narrato, in che maniera
Brandimarte passato in Africa era.
■12. Tostochè furo a terra, udir le nuove,
Ch' assediata da Astolfo era Biserta.
Cile seco Brandimarte si ritrovo,
Udito avean, ma non per cosa certa.
Or Fiordiligi in tal fretta si muove.
Come lo vede, che ben mostra aperta
Quella allegrezza, che i pi-ecessi guai
Le fero la maggior , eh' avesse mai.
43. Il gentil cavalier non men giocondo
Di veder la diletta e fida moglie,
Ch' amava più , che cosa altra del mondo,
L' abbraccia e stringe , e dolcemente accoglie :
]\è jier saziare al primo, nò al secondo,
Kè al tery.(» bacio era l' accese voglie,
Se non , eh' alzando gli occhj , ebbe veduto
Bardin, che con la donna era venuto.
44. Stese le mani, ed abbracciar lo volle,
E insieme diunandur, perchè venia;
Ma di poterlo far tempo gli lolle
11 <-.am|)o , che in disordine foggia
Dinanzi a quei baston , che '1 nudo folle
Menava intorno , e gli facea dar via.
Fiordiligi mirò quel nudo in fronte,
E gridò u Brandimartu: Eccovi il conte!
25]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIX. 45 — 60)
[526]
3. Astolfo tutto a un tempo, eh' era quivi.
Che questo Orlando fosse , ebbe palese
Per alcun se^no , che da' vecchj divi
Su nel terrestre paradiso intese.
Altramente restavan tutti privi
Di cognizion di quel signor cortese,
Che , per lungo sprezzarsi , come stolto,
Avca di fera , più che d' uomo , il volto.
5. Astolfo per pietà, che gli trafisse
Il petto e il cor, si volse lagrimando.
Ed a Dudon, che gli era appresso, disse.
Ed indi ad Oliviero : Eccovi Orlando !
Quei, gli occlij alquanto e le palpebre fisse
Tenendo in lui, 1' andar raflìgurando;
E '1 ritrovarlo in tal calaniitade
Gli empì di meraviglia e di pietade.
17. Piangcano quei signor per la più parte;
Sì lor ne dolse, e lor n' increbbe tanto!
Tempo è, lor disse Astolfo, trovar arte
Di risanarlo, e non di fargli il pianto.
E saltò a piede, e così Brandiniarte,
Sansonetto , Oliviero, e Dudon santo;
E si avvcntaro al nijiote di Carlo
Tutti in un tempo , che volcan pigliarlo.
8. Orlando, che si vide fjir il cerchio,
3Ienò il baston da disperato e folle,
Ed a Dudon , che si facea coperchio
Al capo dello scudo, ed entrar volle.
Fé' sentir, eh' era grave di sopcrcliio;
E se non che Olivier col brando tolle
Parte del colpo , avria il Itastone ingiusto
Rotto Io scudo, i' elmo, il capo, e il busto.
19. Lo scudo roppc solo, e suH' elmetto
Tempestò si, che Dudon cadde in terra.
Menò la spada a un tempo Sansonetto,
E del baston più di duo braccia afferra
Con valor tal, che tutto il taglia netto.
Brandimarte , eh' addosso se gli serra,
Gii cinge i fianchi quanto può, con amlie
Le braccia, e Astolfo il piglia nelle gambe.
50. Scuotesi Orlando, e lungi dieci passi
Da sé r Inglese fé' cader ri\rr^o.
Non fa però , che Brandimarte il lassi,
C|ie con più forza T ha i)reso attraverso.
Ad Olivier, che troppo innanzi fassl.
Menò un pugno sì duro, e sì perverso,
Che lo fé' cader pallido ed «ssangiio,
E dal naso e dagli occlij uscirgli il sangue.
51. E se non era 1' elmo più che buono,
Che nvea Olivier, l' avria quel pugno uccido.
Cadde però , come se fatto dono
Avesse dello spirto al paradiso.
Dud(»nc e Astolfo, die levati sono,
Ben<:liè Oiulone abbia gonfiato il viso,
E Sansonetto, che '1 bel colpo ba fatto.
Addosso u Orlando son tutti in un tratto.
52. Dudon con gran vigor dietro 1' nbbraccìn,
Pur tentando <;ol jiit; farlo cadere :
AKttdfo 0 gli altri gli bau pir:.(; le braccia,
Né lo pon lutti iii>i<;iiic an<o tenere.
Chi ba vi>lo toro, a cui si dia la caccia,
E cir al li; oiiTcbie abbia le zanne fiere.
Correr miiggliiando, e trarre, ovunque corre,
1 cani geco, e non potersi sciorre;
53. Immagini, che Orlando fosse tale.
Che tutti quei guerrier seco traea.
In quel tempo Olivier di terra sale
Là, dove steso il gran pugno 1' avea;
E visto , che così si potea male
Far di lui quel , che Astolfo far volea,
Si pensò un modo, ed ad effetto il messe,
Di far cader Orlando, e gli successe.
54. Si fé' quivi arrecar più d' una fune,
E con nodi correnti adattò presto ;
Ed alle gambe ed alle braccia alcune
Fé' porre al conte , ed attraverso il resto.
Di quelle i capi poi partì in comune,
E li diede a tenere a quello e a questo.
Per quella via , che maniscalco atterra
Cavallo, o bue, fu tratto Orlando in terra.
55. Com' egli è in ten-a, gli son tutti addosso,
E gli legan più forte e piedi e mani.
Assai di qua, di là s' è Orlando scosso;
Ma sono i suoi rinforzi tutti vani.
Comanda Astolfo, che sia quindi mosso;
Che dice v<der far , che si risani.
Dudon, eh' è grande, il leva in sulle schiene,
E porta al mar sopra 1' estreme sirene.
56. , Lo fa lavare Astolfo sette volte,
E sette volte sott' acqua 1' attuffa.
Sicché dal viso e dalle membra stolte
Leva la brutta ruggine e la muffa;
Poi con certe erbe , a questo effetto colte,
La bocca chiuder fa, che soffia e sbuffa.
Che non volea , eh' avesse altro meato,
Onde spirar, che per lo naso, il fiato.
57. Aveasi Astolfo apparecchiato il vaso,
In che '1 senno d' Orlando era rinchiuso,
E quello in modo appropinqiiogli al naso,
Che nel tirar, che fece, il fiato in suso,
Tutto il votò. 3Ieraviglioso caso !
Che ritornò la mente al primier uso,
E ne' suoi bei discorsi 1' intelletto
Rivenne, più che mai, lucido e netto.
58. Come chi da nojoso e grave sonno.
Ove o vedere abbominevol forme
Di mostri , che non son , uè eh' esser ponno,
O gli par cosa far strana ed enorme,
Ancor si meraviglia , poiché donno
E fatto de' suoi sensi, e che non dorme;
C'osi , poiché fu Orlando d' error tratto,
Restò meraviglioso e stupefatto.
59. E Brandimarte , e il fratel d' Aldabella,
E quel, che '1 senno in capo gli ridusse,
Pur pensando riguarda, e non fa\ella,
Come egli quivi , o quando ^i condii.-se.
(ìirava gli oci-hj in (piesta partii e in quella,
]Né sapea inimagiiiar, dove ^i fiisse.
Si meraviglia, che nudo hi v«-de,
E tante Inni ha dalle spalle al piede,
00. Poi disse, come già disse Sileno
A quei, clur lo legar nel cavo speco:
Solfile me! con v i.-o hi 8ereno,
("oh guardo si uien dell' usato Iiicco,
Che fu hlegalo ; v de' panni, eh' avìeno
F.illi arrecar, parlieiparon seco.
Consolandolo tutti del dolore.
Che lo preiuea , di quel passato errore.
[52T]
ORLANDO FURIOSO. (XXXIX. 61 — 16)
61. l'oichè fu all' esser primo ritornato
Orlando , più che mai sago io e virile,
D' amor si trovò insieme liberato ;
Sicché colei , che sì bella e gentile
Gli parve dianzi, e eh' avea tanto amato.
Non stima più , se non per cosa vile.
Ogni suo studio, ogni disio rivolse
A racquistar quanto già amor gli tolse.
62. Narrò Bardino intanto a Brandimarte,
Che morto era il suo padre Monodante,
E che a chiamarlo al regno egli da parte
Veniva , prima del fratel Gigliante,
Poi delle genti , eh' abitan le sparte
Isole in mare, e 1' ultime in Levante,
Di che non era un altro regno al mondo
Sì ricco , popoloso , o sì giocondo.
63. Disse , tra più ragion , che dovea farlo :
Che dolce cosa era la patria ; e quando
Si disponesse di voler gustarlo,
Avria poi sempre in odio andare errando.
Brandimarte rispose , voler Carlo
Servir per tutta questa guerra , e Orlando ;
E se potea vederne il fiu , che poi
Penseria meglio sopra i casi suoi.
64. 11 di seguente, la sua armata spinse
Verso Provenza il figlio del Danese;
Indi Orlando col duca si ristrinse.
Ed in che stato era la guerra, intese.
Tutta Diserta poi d' assedio cinse.
Dando però 1' onore al duca inglese
D' ogni vittoria; ma quel duca il tutto
Pacca , come dal conte venia instrutto.
65. Ch' ordine abbian tra lor, come s' assaglia
La gran Diserta , e da che lato , e quando.
Come fu presa alla prima battaglia,
Chi neir onor parte ebbe con Orlando,
S' io non vi seguito ora, non vi caglia;
Ch' io non me ne vo molto dilungando.
In questo mezzo di saper vi piaccia.
Come dai Franchi i Mori hanno la caccia.
66. Fu quasi il re Agramante abbandonato
Nel pcricol maggior di quella guerra;
Che con molti pagani era tornato
Ma^^ilio e '1 re Sobrio dentro la terra,
Poi suir armata e questo e quel montato,
("he dubbio avean di non salvarsi in terra;
E duci e cavalier del popol moro
Gioiti seguito avean 1' esempio loro.
67. Pure Agramante la pugna sostiene;
E quando finalmente più non puote,
Volta le spalle, e la via dritta tiene
Alle porte non troppo indi remote.
Kabican dietro in gran fretta gli viene,
(;be Itradiiniantc stimola e percote.
1)' uccìderlo era disiosa molto,
Clic tante volte il suo Uuggier le ha tolto.
68. Il mede.smo desir Marfisa avea,
Per far del padre suo tarda vendetta;
E con gli ^l>^()ni , quanto più potea,
Facea al dc^trier sentir, eh' ella avea fretta.
Ma n«; l' una , nò l' altra vi giiingea
Si a tempo , che lii via fosse intercetta
Al re d" entrar nelhi città serrata,
Ed indi poi bah urei in buU' annata.
[528]
69. Come due belle e generose nardc.
Che fuor del lasso sien di pari uscite,
Posciachè i cervi , o le capre gagliarde
Indarno aver si veggano seguite,
Vergognandosi qua^i, che fur tarde,
Sdegnose se ne tornano, e pentite:
Così tornar le due donzelle, quando
Videro il pagan salvo , sospirando.
70. Non però si fermar , ma nella frotta
Degli altri, che fuggivano, cacciarsi.
Di qua , di là facendo ad ogni botta
Molti cader, senza mai più levarsi.
A mal partito era la gente rotta,
Che per fuggir non potea ancor salvarsi ;
Ch' Agramante avea fatto , per suo scampo,
Chiuder la porta , eh' uscia verso il campo,
71. E fatto sopra il Rodano tagliare
I ponti tutti. Ah sfortunata plebe.
Che, dove del tiranno utile appare.
Sempre è in conto di pecore e di zebe!
Cbi s' affoga nel fiume, e chi nel mare;
Chi sanguinose fa di sé le glebe:
j\I(ilti perir, pochi restar prigioni,
Che pochi a farsi taglia erano buoni.
72. Della gran moltitudine eh' uccisa
Fu d' ogni parte in questa ultima guerra,
(Benché la cosa non fu ugual divisa,
Ch' assai più andar dei Saracin sotterra
Per man di Bradamante e di Marfisa)
Se ne vede ancor segno in quella terra;
Che presso ad Arli , ove il Rodano stagna,
Piena di sepolture è la campagna.
73. Fatto avea intanto il re Agramante sciorre,
E ritirare in alto i legni gravi,
Lasciando alcuni , e i più leggieri a torre
Quei, che volean salvarsi in sulle navi.
\ì ste' duo dì, per chi fuggia raccorre;
E perchè i venti eran eontrarj e pravi,
Fece lor dar le vele il terzo giorno.
Che in Africa credea di far ritorno.
74. Il re Marsilio, che sta in gran paura,
Ch' alla sua Spagna il fio pagar non tocche,
E la tempesta orribilmente oscura
Sopra i suoi campi all' ultimo non scocche,
Si tv porre a Valenza , e con gran cura
Cominciò a riparar castella e rocche,
E preparar la guerra , che fu poi
La sua mina , e degli amici suoi.
75. Verso Africa Agramante alzò le vele
De' legni male armati , e voti quasi,
D' uomini voti, e pieni di quer<'le.
Perchè in Francia i tre quarti eran rimasi.
Chi chiama il re superbo, chi crudele,
("hi stolt») ; e come avviene in simil casi,
Tutti gli voglion mal ne' lor secreti ;
Ma timor u' hanno , e stan per forza cheti.
76. Pur duo talora , o tre schiudon le labbia,
Che amici sono, e che tra lor s' hau fede,
E sfogano la collera e la rabbia ;
E 1 misero Agramante ancor si crede,
CAìv ognun gli |)orti amore, e pietà gli abbia.
E questo gì' intera ien , perchè non vede
Mai ^i.-i, .se non fìnti, e mai non ode,
Se non adulazion , menzogne e frode.
I
5^9J
ORLANDO FURIOSO. (XXXIX. ìì — 86)
[530]
77. Erasi cons5j;:liato il re afriofino
Di non smontar ne! porto di Diserta;
Perocch' avea del popol nubiano,
Che qnel lito tonca , novella certa ;
Ma tenersi di sopra sì lontano,
Che non fosse acre la discesa, ed erta;
Mettersi in terra, e ritornare al dritto,
A dar soccorso al suo popolo afflitto.
78. Ma il suo fiero destin , che non risponde
A quella intenzion provida e saggia.
Vuol, che r armata, che nacque di fronde
Miracolosamente nella spiaggia,
K vien solcando inverso Francia 1' onde,
Con questa ad incontrar di notte s' aggia,
A nuhiloso tempo, oscuro e tristo,
l'crchè sia in più disordine sprovvisto.
79. Xon ha avuto Agraraante ancora spia,
Ch' Astolfo mandi un' armata sì grossa ;
^è creduto anco a chi '1 dicesse avria,
Che cento navi un ranuiscel far possa:
K vien senza temer, che intorno sia
Chi contra lui s' ardisca di far mossa,
Kè pone guardie, né velette in gahhia.
Che di ciò che si scuopre, avvisar T abbia.
80. Sicché i navigli , che da Astolfo avuti
Avea Dudon , di buona gente armati,
E che la sera avean questi veduti,
Ed alla Tolta lor s' cran drizzati,
Assalirò i niniici sprovveduti,
Gittaro i ferri , e sonsi incatenati,
l'oiclr al parlar certificati foro,
Ch' erauo Mori, ed inimici loro.
81. Neil' arrivar, che i gran navigli fenno,
Spirando il vento a lor desir secondo,
I Nei Saracin con tale impeto denno,
r Cile molti legni ne cacciaro al fondo ;
Poi cominciaro a oprar le mani e il senno,
E ferro e fuoco , e sassi di gran pondo
Tirar con tanta e sì fiera tempesta,
Cile mai non ebbe il mar simile a questa.
82. Quei di Dndone, a cui possanza e ardire,
r*!ù del solito lor, dato è di sopra.
Che venuto era il tempo di punire
I Saracin di più d' una mal' opra.
Sanno appresso e lontan sì ben ferire,
(he non trova Agramante, ove si cuopra.
di cade sopra un nembo di saette,
Da lato ha spade e graffi, e picche e accette.
83. D' alto cader sente gran sassi e gravi,
Da macchine cacciati e da tormenti;
E prore e poppe fracassar di navi,
Ed aprir usci al mar larghi e patenti;
E '1 maggior danno è degl' incendj pravi,
A nascer presti , ad ammorzarsi lenti!
La sfortunata ciurma si vuol torre
Del gran periglio , e via più ognor vi corre.
84. Altri, che '1 ferro e 1' inimico caccia.
Nel mar si getta, e vi s' alloga, e resta.
Altri , che muove a tempo piedi e brarria,
\ii per salvarsi, o in quella barca, o in questa;
Ma quella , grave oltre il dover , lo scaccia,
E la man, per salir troppo molesta.
Fa restare attaccata nella sponda ;
Ritorna il resto a far sanguigna 1' onda.
85. Altri , che spera in mar salvar la vita,
O perderlavi alnien con minor pena,
Poiché nuotando non ritrova aita,
E mancar sente 1' animo e la lena.
Alla vorace fiamma, eh' ha fuggita,
La tema d' annegarsi anco riraena;
S' abbraccia a un legno, eh' arde, e per timore
Ch' ha di due morti, in ambe se ne muore.
86. Altri , per tema di spiedo o d' accetta,
Che vede appresso , al mar ricorre invano ;
Perchè dietro gli vien pietra , o saetta.
Che non lo lascia andar troppo lontano.
Ma saria forse, mentreché diletta
II mio cantar, consiglio utile e sano
Di finirlo , piuttosto che seguire
Tanto, che y' annojasse il troppo dire.
34
[531]
ORLANDO FURIOSO. (XL. 1-12)
[532]
CANTO QUARANTESIMO.
ARGOMENTO.
Fugge Agramante da Dudon spezzato,
E vede la sua terra arder lontano ;
Poscia in certa umil isola arrivato
Trova Gradasso il gran re sericano.
Per suo consiglio Orlando vien sfidato
Con altri due guerrier dal re pagano.
Vien Ruggier a battaglia con Dudone,
E sette regi in libertà ripone.
1. Lungo sarebbe, se i diversi casi
Volessi dir di quel naval conflitto;
E raccontarlo a voi mi parria quasi,
Magnanimo figliuol d' Ercole invitto,
Portar , come si dice , a Samo vasi,
Nottole a Atene, e crocodili a Egitto:
Che, quanto per udita io ve ne parlo,
Signor , miraste , e feste altrui mirarlo.
2. Ebbe lungo spettacolo il fedele
Vostro popol, la notte e '1 dì che stette.
Come in teatro , l' ininiiche vele
Rlirando in Pò, tra ferro e fuoco astrette.
Che gridi udir si possano, e querele,
Cli' onde veder ài sangue umano infette,
Per quanti modi in tal pugna si muora.
Vedeste , e a molti il dimostraste allora.
3. Noi vidi io già , eh' era sei giorni innanti,
Mutando ognora altre vetture, corso
Con molta fretta e molta ai piedi santi
Del gran pastore a domandar soccorso.
Poi nò cavalli bisognar , né fanti ;
Che intanto al Leon d' or 1' artiglio e '1 morso
Fu da voi rotto sì, che più molesto
Non r ho sentito da quel giorno a questo.
4. Ma Alfonsin Trotto , il qual si trovò in fatto,
Annibale, e Pier Moro, e Afranio, e Allicrto,
E tre Ariosti , e il Bagno , e il Zerbiiuilto
'J'anto me ne contar , eh' io ne fui certo.
Me ne chiarir poi le bandiere allatto,
A istone al tempio il gran numero ollerto,
E quindici galóo. eh' a queste rive
Con mille legni star vidi cattive.
5. Chi vìd(! qucgl' incend.j e quei naufragi,
Le tante u<;cisi(ini e fi diver>e.
Che , vendicando i nostri arsi palagi,
Fincht; fu proo <»gni naviglio, ferse.
Potrà veder U- indili anco e i disagi,
Clie '1 uiihir popol d' Africa soflerso
Col re Agramante in ine/,/.o 1' onde salse,
La scura notte , che Uudon l' assalse.
6. Era la notte, e non si vedea lume.
Quando s' incominciar 1' aspre contese :
Ma poiché '1 zolfo e la pece e '1 bitume
Sparso in gran copia ha prore e sponde accese,
E la vorace fiamma arde e consume
Le navi e le galèe poco difese.
Sì chiaramente ognun si vedea intorno,
Che la notte parca mutata in giorno.
T. Onde Agramante, che, per 1' aer scuro,
Non avea 1' inimico in sì gran stima,
Né aver contrasto si credea sì duro.
Che resistendo alfin non lo reprima.
Poiché rimosse le tenebre furo,
E vide quel, che non credeva prima.
Che le navi nemiche eran due tante.
Fece pensier diverso a quel d' avante.
8. Smonta con pochi , ove in più lieve barca
Ha Brigliadoro, e 1' altre cose care.
Tra legno e legno taciturno varca.
Finché si trova in più sicuro mare.
Da' suoi lontan , che Dudon preme e carca,
E mena a condizioni acre ed amare.
Gli arde il foco , il mar sorbe , il ferro strugge :
Egli , che n' è cagion , via se ne fugge.
9. Fugge Agramante , ed ha con lui Sobrino,
Con cui si duol di non gli aver creduto,
Quando previde con occhio divino,
E '1 mal annunziò, eh' or gli è venuto.
Ma torniamo ad Orlando paladino.
Che, primaché Diserta abbia altro ajuto.
Consiglia Astolfo , che la getti in terra,
Sicché a Francia mai più non faccia guerra.
10. E così fu pubblicamente detto,
Che '1 campo in arme al terzo dì sia ìnstrutto.
Molti navigli Astolfo a questo effetto
Tenuti avea, né Dudon n' ebbe il tutto;
De' quai diede il governo a Sansonetto,
Sì buon guerriero al mar, come all' asciutto;
E quel si pose, in suU' ancore sorto,
Contra Diserta, un miglio appresso al porto.
11. Come veri cristiani, Astolfo e Orlando,
Che senza Dio non vanno a rischio alcuno,
Neil' esercito fan pubblico liando,
Che sicno orazion fatte, e digiuno,
E che si trovi il terzo giorno , quando
Si darà il segno , apparecchiato ognuno
Per espugnar Hiscrta, <;lie dato hanno.
Vìnto che s' abbia, a fuoco e a saccomanno.
12. E così, poiché le astinenze e i voti
Devotamente celebrati foro,
Parenti , amici e gli altri insieme noti
Si cominciaro a convitar tra loro.
Dato restauro a' corpi esausti e voti,
Ahluacciaiidosi insieme lagrimoro,
'J'ra loro usando i modi e le parole,
Che tra i più cari al dipartir si suole.
533]
ORLANDO FURIOSO. (XL. J3-28)
13. Dentro a Biserta i sacerdoti santi
Supplicando coi popolo dolente,
Btittonsi il petto, e con dirotti pianti
Chiamano il lor Macon, che nulla sente.
Quante vigilie, quante oflcrte, quanti
Doni promessi son privatamente!
Quanti in pubblico templi , statue , altari,
Memoria eterna de' lor casi amari!
14. E poiché dal Cadi fu benedetto,
Prese il popolo 1' armo , e tornò al muro.
Ancor giacea col suo Titon nel letto
La bella Aurora , ed era il cielo oscuro.
Quando Astolfo da un canto, e Sansonetto
Da un altro, armati agli ordini lor furo;
E poiché '1 seg-no , che die' il conte , udù'O,
Kiscrta con grande ìmpeto assalirò.
15. Avea Biserta da duo canti il mare,
Sedea dagli altri duo nel lito asciutto.
Con fabbrica eccellente e singolare
Fu anticamente il suo muro construtto.
Poco altro ha che 1' ajuti, o la ripare;
Cile , poiché '1 re Branzardo fu ridutto
Dentro di quella, pochi mastri, e poco
Potò aver tempo a riparare il loco.
l(i. Astolfo dà r assunto al re de' Neri,
Che faccia ai merli tanto nocumento,
Con falariche , (ionde e con arcieri.
Che levi d' allacciarsi ogni ardimento;
Slccliè passin pedoni e cavalieri
Fin sotto la muraglia a salvamento.
Che vengon, chi di pietre, e chi di travi,
Chi d' assi, e chi d' altra materia gravi.
17. Chi questa cosa, e clii quel!' altra getta
Dentro alla l«)ssa, e vien di mano in mano;
Di cui r acqua il dì innanzi fu intercetta,
^. Sicché in più parti si scopria il pantano.
H Ella fu piena , ed atturata in fretta.
Ut e fatto ugiuilc insin al muro il piano.
Astolfo , ()rlatido ed ()li^ ier prociu'a
Di far salire i fanti in sulle mura.
18. I Nubi , d' ogni indugio im|)azienti.
Dalla speranza del guadagno tratti,
^On mirando a' pericoli imminenti.
Coperti da testuggini e da gatti,
Con arièti, e lor altri istrumentì
A fori'.r torri, e p(trte romper atti,
Tosto si fero alla città vicini:
^è trovaro spro> visti i Saracini,
19. Che ferro e foco , e merli , e tetti gravi
Cader facendo a guisa di tempeste.
Per forza aprian le tavole e le travi
Delle macchine in lor danno conteste.
Keir aria oscura, e ne' principi pravi
I\Iolto patir le batt(;zzate test*;;
Ma, poiché i sole u^i'i dal ricco albergo,
Voltò Fortuna ai Saracini il tergo.
20. Da tutti i canti rinforzar 1' a-salto
Fé' il conte Orlando, (; da mare e da terra.
Sanscnietto , eh' avea l' armata in alto.
Entrò n(;l porto, e s' accostò alla terra;
E con frombe e con archi Iacea d' alto,
E con varj tormenti «vstrema guerra ;
E facea inHÌenu; espedir lance e scale.
Ogni apparecchio e munizion navale.
[534]
21
Facea Oliviero, Orlando e Brandimarte
E quel, che fu sì dianzi in aria ardito
Aspra e fiera battaglia dalla parte.
Che lungi al mare era più dentro al lito.
Ciascun d' essi venia con una parte
Dell' oste, che s' avean quadripartito.
Quale a mur, quale a porte, e quale altrove,
Tutti davan di sé lucide prove.
22. Il valor di ciascun meglio si puote
IVder così, che se fosser confusi;
Chi sia degno di premio , e chi di note,
Appare innanzi a mill' occhj non chiusi.
Torri di legno trannosi con rote,
E gli elefanti altre ne portan, usi.
Che su lor dossi così in alto vanno.
Che i merli sotto a molto spazio stanno.
23. Vien Brandimarte, e pon la scala a' muri
E sale, e di salire altri conforta.
Lo seguon molti intrepidi e sicuri ;
Che non può dubitar, chi 1' ha in sua scorta.
Kon è chi miri, o chi mirar si curi.
Se quella scala il gran peso comporta.
Sol Brandimarte agi' inimici attende;
Pugnando sale, e alfine un merlo prende,
24. E con mano e con pie quivi s' attacca,
Salta su i merli, e mena il brando in volta.
Urta, riversa e fende, e fora e ammacca
E di sé mostra csperienzia molta.
Ma tutto a un tempo la scala si fiacca.
Che troppa soma, e di soperchio ha tolta;
E fuorché Brandimarte, giù nel fosso
Vanno sozzopra 1' uno all' altro addosso.
25. Perciò non perde il cavalier 1' ardii-e,
Né pensa riportare addietro il piede.
Benché de' suoi ncm vede alcun seguire.
Benché bersaglio alla città si vede.
Pregavan molti , e non volse egli udire,
Che ritornasse; ma dentro si diede;
Dico, che giù nella città d' un salto
Dal muro entrò, che trenta braccia era alto.
26. Come trovato avesse o piume, o paglia.
Presse il duro terren senza alcun danno;
E quei, cir ha intorno, afl'rappa e fora e ta«»'lia.
Come s' alIVaiipa e fora e taglia il panno.
Or contra questi, or contra quei si scaglia,
E quegli e questi in fuga se ne vanno.
Pensano quei di fuor, che l' hiin veduto
Dentro saltar, che tardt» fia ogni ajuto.
Per tutto '1 campo alto rumor si spande
Di V(»ce in voce, e '1 mormorio, e "1 bisbi"-lio.
La vaga Fama intorno si la grande,
E narra, ed aiurescenilo va il periglio.
Ove era Orlando, (penile da più bande
Si dava assalto) ttw. d" Oticnu- il tiglio,
0\e Olivier, quella volando \enne,
Senza posar mai le veloci penne.
28. Questi guerrieri, e più di tutti Orlando,
Cir amano itriiinlimarte , e l hanno in pre'MO.
ledendo, che, se vaii troppo indugiando,
Pcrderaniu» un compagno losì «'gregio,
Piglian le scale , e qua e là iniuitando.
Mostrano a gara animo altero e regio,
C'on hi audace sembiante e sì gagliardo.
Che i neinì(-i tremar fan con lo sguardo.
34 *
27
[535]
ORLANDO FURIOSO. (XL. 29 — 4i)
[536]
29. Come nel mar, die por tempestìi ficrac,
Assaglitm r acque il temerario leiifiio,
C]h' or dalla prora, or dalle parti estreme
Cercano entrar con ralihia e con isiiegno:
Il pallido noccliier sospira e geme,
Cli' ajutar deve , e non lia cor , nò ingegno ;
Un' onda viene alfin, eh' occupa il tutto,
E, dove quella entrò, segue ogni flutto:
30. Così, dappoich' ebbono presi i muri
Quc.-ti tre primi, fu sì largo il p.isso,
Cile gli altri omai seguir ponno sicuri,
Cile mille scale hanno fermato al basso.
Aveano intanto gli arieti duri
Rotto in più lochi , e con sì gran fracasso,
Che si poteva in più che in una parte,
Soccorrer 1' animoso Brandimarte.
31. Con quel furor, che '1 re de' fiumi altero,
Quando rompe talvolta argini e sponde,
E che nei campi ocnéi s' apre il sentiero,
E i grassi solchi e le biade feconde,
E con le sue capanne il gregge intero,
E coi cani i pastor jiorta nell' onde;
Guizzano i pesci agli olmi in sulla cima,
Ove solean volar gli augelli in prima :
82. Con quel furor 1' impetuosa gente
Là, dove avea in più parti il muro rotto.
Entrò col ferro e con la face ardente
A distrugger il popol mal condotto.
Omicidio , rapina , e man violente
jNel sangue e nell' aver , trasse di botto
La ricca e trionfai città a mina.
Che fu di tutta 1' Africa regina.
33. D' uomini morti pieno era per tutto,
E delle innumerabili ferite
Fatto era un stagno più scuro e più brutto
Di quel, che cinge la città di Dite.
Di casa in casa un lungo incendio indutto
Ardea palagi , portici e iiicschite.
Di pianti, d' urli, e di biittuti petti
Suonano i voti e depredati tetti.
34. I vincitori uscir delle funeste
Porte vedeansi di gran preda onusti,
Chi <on bei va?i . e chi con ri((-lie ^ este.
Chi con rapiti argenti a" Dei Actusti:
Chi tiaea i figli, e chi le madri meste.
Fur fatti stupri, e mille altri atti ingiusti,
D'i quali Orlando una gran parte intere,
]\è lo potè vietar, uè '1 duca inglese.
35. Fu Hucifar deli' Algiizera morto
Con esso un colpo da Oli>i('r gagliardo.
Perduta ogni speranza, ogni (onforto,
S" ucci.-e di Mia mano il re Hrarizardo.
Con tre ferite, oiid*- morì di c'mto.
Fu pre.-o Foho dal dina dal l'ardo.
Questi eraii tre, che al >iio parlir lasciato
Avea Agramante a guardia dello stato.
30. Agramante , che intanto avea deserta
L' armata, e con Sidiriii n' era fuggito,
Piange da linigi , e so>pirò Hiserta,
Ceduto si gran fiamiiia arder >ul iito.
Poi pili d' iippres^o ebbe no\ ella certa,
('((ine della Mia t<rra il caso era ito;
E d' uccider «e stesso in pciisier >enne,
E lo facea, ma il re Sobrio lo tenne.
37. Dicea Sobrin: Che più vittoria lieta.
Signor, potrebbe il tuo nemico avere,
Che la tua morte udire, onde quieta
Si spereria |)oi l' Afrii-a godere?
Questo contento il viver tuo gli vieta;
Quindi avrà cagion sempre di temere.
Sa ben, che lungamente Africa sua
Esser non può , se non per morte tua.
38. Tutti i sudditi tuoi , morendo , privi
Della speranza , un ben , che sol ne resta.
Spero , che n' abbi a lilierar, se vivi,
E trar d' aflaniio , e ritornare in festa.
So che, se muori , sempre siam cattivi,
Africa sempre tributaria e iiie-ta.
Dunque, se in util tuo viver non vnoi,
Vivi, signor, per non far danno ai tu
39. Dal Soldano d' Egitio, tuo vicino,
Certo esser puoi d' aver denari e gente.
Mal volentieri il figlio di Pipino
In Africa vedrà tanto potente.
Verrà con ogni sforzo Norandino,
Per ritornarti in regno, il tuo parente.
Armeni. Turchi, Per.-i, Arali! e Medi,
Tutti in soccorso avrai, se tu li chiedi.
40. ('on tali e slmil detti il vecchio accorto
Studia tornare il suo signore in speme
Di racquistarsi 1' Africa di corto;
Ma nel suo cor forse il contrario teme.
Sa ben , quant' è a mal termine e a mal porto,
E come spesso iman so.-pira e geme
Chiunque il regno suo si lascia torre,
E per soccorso a' Barbari ricorre.
41. Annibale e Jugnrta di ciò foro
Buon testimonj, ed altri al tempo antico;
Al tempo nostro, Lodovico il Moro,
Dato in poter d' un altro Lodovico.
A ostro Iratello , Alfonso, da costoro
Ben ebbe esempio , (a voi , Signor mio , dico)
Che sempre ha riputato jiazzo espresso
Chi più si fida in altri, che in sé stesso.
12. E però nella guerra, che gli mosse
Del pontefice irato un duro sdegno.
Ancorché nelle debili >ue pos,-e
Aon potesse egli far molto disegno,
E chi lo dil'endea, d' Italia fosse
Spinto, e n' avesse il suo nemico il regno;
]Vò per minacce mai , nò per promesse
S' indusse, che lo stato altrui cedesse.
43. Il re Agramante all' oriente avea
Volta la prora, e s' era spinto in alto.
Quando da terra una tempesta rea
Mosse di liiinda impetuoso assalto.
Il nocchier, eh' al governo vi sedea.
Io veggo, disse, alzando gli occlij ad alto,
I Ila procella apjiarei^chi.ir ^ì grave.
Che contrastar non le potrà la nave.
44. S' attendete, signori, al mio consiglio.
Qui da mail manca ha un' isola vicina,
A coi mi par, eh' abbiamo a dar di pìglio,
Finche pa-.-i il fiuvir di Ila marina.
Consenti il re Agiaiuaiite. e di periglio
li>cì , piglìaiiilo la spiaggia mancina.
Che, per siiliiie i!<^' nocchieri, giace
Tra gli Afri , e di \ ulcan l' alta faruace.
j37]
ORLANDO FURIOSO. (XL.
60)
[538]
i5. D' abitazioni è l' iisolctta rota,
Piena d' uniil mctrtelle e di ginepri,
Gioconda solitudine e remota
A cervi, a daini, a caprioli, a lepri;
E , fuorch' a pescatori , è poco nota ;
Ove sovente a' rimondati vepri
Sospendon, per seccar, 1' umide reti:
Dormono intanto i pesci in mar quieti.
46. Qui^i trovar, che s' era un altro legno,
Cucciato da fortuna, già ridutto.
li gran guerrier, che in Sericana ha regno,
licvato d' Arli , uvea quivi condutto.
Con modo riverente , e di so degno,
L' un re con 1' altro ^' abbracciò all' asciutto;
Cli' erano aulici , e poco innanzi furo
Compagni d' arme al parigino nuiro.
•IT. Con molto dispiacer Gradasso intese
Del re Agramaiite le fortune avver?e;
l^oi confortollo , e come re cortese.
Con la propria persona >e gli oirer.-e.
3Ia, eh' egli anda>se all' infedel paese
1)' Egitto, perajuto, non soll'erse.
Che vi sia, disse, periglioso gire,
Dovria Pompejo i profugi ammonire.
i*5. E perchè detto m' hai , che con 1' ajuto
Degli Etiopi sudditi al Seuapo,
Astolfo a torti 1' Africa è venuto,
E eh' arsa ha la città , che n' era capo,
E eh' Orlando è con lui , che dijuiiuito
Poco innanzi di senno ave\a il capo;
iMi pare al tutto un ottimo rimedio
Aver pensato, a farti uscir di tedio.
49. Io piglierò , per amor tuo , 1' impresa
D' entrar col conte a singoiar certame.
Contra me so, che non avrà difesa,
Se tutto fosse di ferro, o di rame.
» Morto lui , stimo la cristiana chiesa
<^uel, che 1' agnelle il Iiiiio, eh' abbia fame.
1I(» poi pensato, e mi fia cosa lieve.
Di fare i Anbi uscir d' Africa in breve.
50. Farò, che gli altri \nhi, che da loro
Il Mio parte, e la diverga legge,
K gli Arabi, e i MacroliJ, questi d <iro
Uicchi e di gente, e quei d' equino gregge,
IVm>ì e Caldei (perchè tutti costoro
Con altri nn)lti il mio scettro corregge)
Farò, che in ^ubia lor faran tal guerra,
Che non si fermeran nella tua terra
.51. AI re Agramante as.-ai parve opportuna
Del re Gra(la?so la seconda offerta ;
E >i chiamò olibligalo alla iVutuiia,
(/he r a\ea tratto ali iaola deverta;
Ma non vuol torre a coiiili/ionf; alcuna,
Se rac(|ni>tar (-redes^c; indi Itiserta,
Ciu- battaglia per lui (ìrada^ro prenda;
Che in ciò gli par, che 1' onor troppo oflenda.
5!^. Si; a di>ndur s' ha Orlando, son qucU' io,
Ui.>posv , a coi la pugna più cnnxicne;
E prtMito vi sarò: poi faccia Dio
Di me, come gli pare, ornale, o bene!
Faciìam, dis>e (ìradasso, a modo mio,
A nn MU(no modo, che in p(ii>icr mi viene!
Quota battaglia piglianu> ambedui
IiM-ontni Urlando, e un altro sia con lui.
55
5«
53. Purch' io non resti fuor , non me ne lagno,
Disse Agramante , o sia primo , o secondo.
Ben so , che in arme ritrovar compagno
Di te miglior non si può in tutto 1 mondo.
Ed io, disse Sobrin, dove rimagno?
E se vecchio vi pajo , vi rispondo,
Ch' io debbo esser più esperto ; e nel periglio,
Presso alla forza , è buono aver consiglio.
54. D' una vecchiezza valida e robusta
Era Sobrino, e di famosa prova;
E dice, che in vigor 1' età vetusta
Si sente pari alla già verde e nuova-
Stimata iu la sua domanda giu?ta,
E senza indugio un messo si ritrova,
li qual si mandi agli africani lidi,
E da lor parte il conte Orlando sfldi ;
Che s' abbia a ritrovar con numer pare
Di cavalieri armati in Lipadusa.
(Un' isoletta e questa, che dal mare
Medesmo , che li cinge , è circonfusa.)
Kon cessa il messo a vela e a remi andare.
Come quel , che prestezza al bisogno usa,
Che fu a Diserta; e trovò Orlando quivi,
Ch' a' suoi le spoglie dividea , e i cattivi.
L' invito di Gradasso e d' Agramante
E di Sobrino, in pubblico fu espresso,
Tanto giocondo al principe d' Anglantc,
Che d' ampli doni onorar fece il messo.
Avea dai suoi coniiiagni udito innante.
Che Durindana al lianco s' avea messo
11 re Gradasso ; onde egli , per desirc
Di racquistarla , in India volea gire,
Stimando, non aver Gradasso altrove,
Poich' udì, che di Francia era partito.
Or più vicin gli è offerto luogo, dove
Spera, che '1 suo gli fia restituito.
Il bel corno d' Almonte anco lo move
Ad accettar sì volentier 1' invito,
E Brigliiuior non men , che sapea in mano
Esser venuti al figlio di Trojano.
38. Per compagno s' elegge alla battaglia
Il fedel lìrandimarte, e '1 suo cognato.
Provato ha, quanto l' uno e V altro vaglia;
Sa, che da entrambi è soumianiente am.ito.
Buon destrier, buona piastra e bi-.oua maglia,
E spade cerca, e lance in ogni Iato
A sé e a' compagni; che sappiate, parme.
Che nessun d' essi avea le solile arme.
59. Orlando , come io v' Iu» detto più volte,
Delle sue spar.^tr per furor la terra;
Agli altri lui UodouKinte h' hu- tolte,
Clr or alta torre iu ripa nn iiinuc >erra.
Non se IU? può per Alili a a\<r molte:
Sì, perchè in Franci.t avea (r.ilto alla guerra
Il re Agr.imanle ciò, eh' era di buono;
Sì , perchè poche in .Vfrica ne sono.
Ciò. che di rugginoso e di brimito
A\er fi i>uò , fa ragiiuare Orlando;
E co' cou)pagni intiinlo \a |iel lito
Della futura piign.i ragiiuiando.
(ìli av\icn, «ir e^M mio fuor del campo uscito
Più di (re mii^lia, egli onbj al mare ul/.aniio.
\ ide calar cou le \ele alte un legno
A ertio il litn itfrican senza ritegno.
57
GO
[539J
ORLANDO FURIOSO. (XL. 61— 70)
[540
61. Senza nocchieri e senza naviganti,
Sol, come il vento e sua fortuna il mena,
Tenia con le vele alte il legno avanti,
Tanto, che si ritenne in sull' arena.
Ma priraachè di questo più vi canti,
L' amor, eh' a Ruggier porto, mi rimena
Alla sua istoria , e vuol , eh' io vi racconte
Di lui, e del guerrier di Chiararaonte.
62. Di questi duo guerrier dissi, che tratti
*S' erano fuor del marziale agone.
Visto convenzion rompere, e patti,
E turbarsi ogni squadra e legione.
Chi prima i giuramenti abbia disfatti,
E stato sia di tanti mal cagione,
O r imperator Carlo, o il re Agramante,
Studian saper da chi lor passa avante.
63. Un servitore intanto di Ruggiero,
Ch' era fedele e pratico ed astuto,
Ké pel conflitto dei duo campi fiero
Avea di vista il padron mai perduto.
Venne a trovarlo , e la spada e '1 destriero
Gli diede, perchè a' suoi fosse in ajiito.
Montò Ruggiero, e la sua spada tolse;
Ma nella zuffa entrar non però volse.
64. Quindi si parte; ma prima rinnova
La convenzion, che con Rinaldo avea,
Che, se perjuro il suo Agramante trova.
Lo lascerà con la sua setta rea.
Per quel giorno Ruggier fare altra prova
D' arme non volse, ma solo attcndca
A fermar questo e quello, e a domandarlo,
Clii prima ruppe, o '1 re Agramante, o Carlo.
65. Ode da tutto '1 mondo, che la parte
Del re Agramante fu, che ruppe prima.
Ruggiero ama Agramante, e se si parte
Da lui per questo, error non lieve stima.
Fur le genti africane e rotte e sparte,
(Questo ho già detto innanzi) e dalla cima
Della volubil rota tratte al fondo,
Come piacque a colei, eh' aggira il mondo.
66. Tra sé volve Ruggiero , e fa discorso,
Se restar deve , o il suo signor seguire.
Gli pon r amor della sua donna un morso,
Per non lasciarlo in Africa più gire.
Lo volta e gira, ed a contrario corso
liO sprona , e lo minaccia di punire,
Se 'l patto e '1 giuramento non tien saldo.
Che fatto avea col paladin Rinaldo.
67. Non men dall' altra parte sferza e sprona
La vigilante e stimolosa cura,
Che, se Agramante in quel caso abbandona,
A viltà gli sia ascritto, ed a paiiriu
Se del restar la causa parrà bu(Mia
A molti, a nutlti ad accettar fia dura.
Molti diran, che non si de' osservare
Quel, eh' era ingiusto e illicito a giurare.
68. Tutto quel giorno e la notte seguente
Stette Koliiigi» , e così l' altro giorno,
Pur travagli.iiulo la dubltiosa mente.
Se partir deve, o far quivi soggiorno.
Pel signor siui conchiude flnahuenle
Di fargli dietro in Africa ritorno.
Polca in lui molto il conjugalc amore;
Ma vi potea più il debito o 1' onore.
69. Torna verso Arli; che trovarvi spera
L' armata ancor, che in Africa il trasporti.
Né legno in mar, né dentro alla riviera,
Ké Saracini vede, se non morti.
Seco al partire ogni legno , che v' era.
Trasse Agramante, e '1 resto arse nei porti.
Fallitogli il pensier, prese il cammino
Verso Marsilia pel lito marino.
IO. A qualche legno pensa dar di piglio,
Ch' a prieghi , o forza il porti all' altra riva.
Già v' era giunto del Danese il figlio
Con r armata de' Barbari cattiva.
Non si saria potuto un gran di miglio
Gittar neir acqua ; tanto la copriva
La spessa moltitudo delle navi
Di vincitori e di prigioni gravi!
71. Le navi de' pagani, eh' avanzato
Dal foco e dal naufragio quella notte,
Eccetto poche, che in fuga n' andaro,
Tutte a Marsilia avea Dudon condotte.
Sette di quei , che in Africa regnaro,
Che , poiché le lor genti vider rotte,
Cimi sette legni lor s' cran renduti,
Stavan dolenti , lagrimosi , e muti.
72. Era Dudon sopra la spiaggia uscito,
Ch' a trovar Carlo andar volea quel giorno,
E de' cattivi , e di lor spoglie ordito
Con lunga pompa avea un trionfo adorno.
Eran tutti i prigioii stesi nel lito,
E i Nubi vincitori allegri intorno.
Che faceano del nome di Dudone
Intorno risonar la regione.
73. Venne in speranza di lontan Ruggiero,
Che questa fosse armata d' Agramante,
E per saperne il vero , urtò il destriero ;
Ma riconobbe, come fu più innante
Il re di Nasamona prigioniero,
Bambirago, Agricalte e Farurante,
Manilardo, e Balastro, e Rimedonte,
Che piangendo tenean bassa la fronte.
74. Ruggier, che gli ama, sofferir non puote,
Che stian nella miseria , in che li trovii.
Quivi sa, cii' a venir con le man vuote
Senza usar forza , il pregar poco giova ;
La lancia abbassa, e chi li tien percuote,
E fa del suo valor 1' usata prova.
Stringe la spada , e in un piccini momento
Ne fa cadere intorno più di cento.
t 75. Dudone ode il rumor, la strage vede,
Che fa Ruggier, ma chi sia, non coiu)s(?e.
Vede i suoi , eh' hanno in fuga volto il piede.
Con gran timor, con pianto e v.tm angosce.
Presto il dcstrier, lo scudo, e l' <'lmo chiede,
Clu; già avea armato e petto, e braccia, e cosci
Salta a cavallo , e si fa dar la lancia,
E n(Mi obblia, che è paladin di Francia.
76. Grilla, che si ritiri ognun d.i canto;
Spinge il cavallo, e la sj-ntir gli sproni.
Ruggier cent' altri n' avea uccisi intanto,
E gran speranza dato a (|U(;i prigioni;
E come venir vide Uuihui santo
S«»lo a cavallo , e gli altri esser pedoni,
Stimò , che capo e che signor lor fo^se,
E contra lui cini gran desir si mosse.
["I
ORLANDO FURIOSO. (XL. «—82. XLl 1—6)
[542]
7. Già mosso prima era Dudon ; ma quando
Senza lancia Riiggier vide venire,
Lunge da se la sua gettò , sdegnando
(,011 tal vantaggio il cavalier ferire.
Ruggiero al cortese atto riguardando,
Disse fra sé : Costui non può mentire,
Cii' uno non sia di quei guerrier perfetti,
Che paladin di Francia sono detti.
8. Se impetrar lo potrò, vo', che '1 suo nome,
Innanzichè segua altro, mi palese:
E così domandollo, e seppe, come
Era Dudon , lìgliuol d' Uggier danese.
Dudon gravò Kuggier poi d' ugual some,
E parimente lo trovò cortese.
Poiché i nomi tra lor s' ehbono detti,
Si disfidaro, e vennero agli effetti.
ìi). Avca Dudon quella ferrata mazza,
Che in mille imprese gli die' eterno onore.
Con essa mostra ben , eh' egli é di razza
Di quel Danese pien d' alto valore.
La spada, eh' apre ogni elmo, ogni corazza.
Di che non era al mondo la migliore.
Trasse Ruggiero, e fece paragone
Di sua virtude al paladin Dudune.
80. Ma, perchè in mente ognora avea di meno
Offender la sua donna , che potea,
Ed era certo , se spargea il terreno
Del sangue di costui, che 1' offendea;
Delle case di Francia instrutto appieno,
La madre di Dudone esser sapea
Armeilina, sorella di Beatrice,
Ch' era di Bradamante genitrice.
81. Per questo mai di punta non gli trasse,
E di taglio rarissimo feria.
Schermiasi , ovunque la mazza calasse,
Or ribattendo , or dandole la via.
Crede Turpin, che per Ruggier restasse,
Che Dudon morto in pochi colpi avria.
Né mai , qualunque a olla si scoperse,
Ferir, se non di piatto, lo sofl'erse.
83. Di piatto usar potea, come di taglio,
Ruggier la spada sua, eh' avea gran schiena,
E quivi a strano gioco di sonaglio
Sopra Dudon con tanta forza mena,
Che spesso agli occhj gli pon tal barbaglio.
Che si ritien di non cadere appena.
Ma, per esser più grato a chi m' ascolta,
Io differisco il canto a un' altra volta.
CANTO Q U A R A N T E S I M O P R I M O.
m
ARGOMENTO.
Ruggier per ritrovare il re Àgramante
Coi sette regi in un naviglio ascende.
Poi cade in mare , e con la morte avante
Il flutto salvo a un eremita il rende.
Intanto con Orlando il re prestante
D* Àfrica, e seco la battaglia prende
Gradasso con Sobrino, e ti' altra parte
Oliviero; ed è ucciso Brandimartc.
1. L' odor, eh' è sparso in ben nutrita e bella
O chioma o barlta, o delicata vesta
Di giovane leggiadro, o di donzella,
CJlie amor sovente liigriinaiido desta,
Se spira, e fa sentir di m'; novella,
K dopo molti giorni ancora resta.
Mostra con chiaro (;d e\i<lente elletto,
Come a prinripic» binnio <;ra e perfetto.
2. L' almo liquor, che ai mietitori suoi
l'eee Iran» •;ii.'«lar «un >ìuì ^ran danno,
E che hi di<e cIh; già a Celti «; Boi
Fé' pas.-«ar 1' Alpe, e non sentir I' alT.innn,
Mostra , c.Im! dol(;c era a ]iriiieipio , poi
the si serba ancor dolce al Un dell' aiuio.
L' arbor, eh' al tempo rio foglia non perde.
Mostra , eli' a prinnivera era anc«»r verd«!.
3. L' inclita stirpe, che per tanti lustri
MostW) di cortesia sempre gran limie,
E par, eh' ognor più ne ri.splenda e lastri.
Fa, che con chiaro indizio si presume,
Che chi progenerò gli Estensi illustri,
Dovea d' ogni laudabile costume,
Che sublimare al ciel gli uomini suole.
Splender non men, che fra le stelle il sole.
4. Ruggier, come in ciascun suo degno gesto
D' alto valor , di cortesia solca
Dimostrar chiaro segno e manifesto,
E sempre più magnanimo apparea,
Cosi verso Dndon Io mostrò in questo;
Col qual , come di sopra io \i dieea,
Dissimulato avea , quanto era forte.
Per pietà , clic gli avca , di porlo a morte.
5. Avca Dudon ben conosciuto <erto.
Che ucciderlo Ruggier non 1' ha voluto,
Perch' or s' è ritrovato allo !>n>p<Tto,
Or stanco sircbè più non lia polnto.
Poiché rbian» cnniprende, e ^ed»- aperto,
Cile gli h;i rispetto, e ebe va ritenutt^
Quanto di forza e di vigor vai meno,
Di cortesia non vuitl ee<iergli almeno.
fl. Per Dio, dice, signor, pace faiTÌtimo!
Cir esser non pnò più la vittoria mia.
Esser nini può più mia, che già mi chiamo
^into, e prigion della tua eorte>ia.
Ruggier ri.s'o.^e : Ed io la pace bramo
Non iiien di te, ma die con paltò sia,
Cbe questi .sette re, eh' hai qui b'gati.
Lasci , che in libertà mi bieno dati.
[543]
OilLANDO FURiOSO. (XLI. ? — 22)
r54«
7. E gli mob^trò quei sette re , eh' io dissi,
Che stavano legati a capo chino,
E gli soggiunse , che non gì' impedissi
Pigliar con essi in Africa il canimino.
E così furo in libertà remissi
Quei re, che gliel concesse il paladino.
E gli concesse ancor, che un legno tolse,
Quel eh' a lui parve, e verso Africa sciolse.
8. n legno sciolse, e fé' scioglier la vela,
E si die' al vento perfido in possanza,
Che da principio lu gonfiata tela
Dri/.7.«> a cammino, e die' al nocchier baldanza
II lito fugge, e in tal modo si cela,
Clie par, che ne sia il mar rimaso sanza.
KcU' oscurar del giorno fece il vento
Chiara la sua perfidia e '1 tradimento.
9. IHutossi dalla poppa nelle sponde,
Indi alla prora, e qui non rimase anco.
Ruota la nave, ed i nocchier confonde,
Ch' or di dietro, or dinanzi, or loro è al fianco.
Sorgono altere e minacciose 1' onde. !
Muggendo sopra il mar va il gregge bianco. '
Di tante morti in dubbio e in pena stanno,
Quante son 1' acque , eh' a ferir li vaimo.
10. Or da fronte, or da tergo il vento spira, !
E questo innanzi, e quello addietro caciaia: '
Un altro da traverso il legno aggira,
E ciascun pur naufragio gli minaccia.
Quel, che siede al governo, alto sospira,
Pallido e sbigottito nella faccia,
E grida invano , e Invan con mano accenna,
Or di voltare, or di calar 1' antenna.
11. Ma poco il cenno, e '1 gridar poco vale.
Tolto è il veder dalla piovosa notte:
La voce, senza udirsi, in aria sale.
In aria, che feria con maggior botte,
De' naviganti il grido universale,
E 'l fremito dell' onde insieme rotte;
E in prora e in poppa, e in ambedue le bande
Kon si può cosa udir, che si comande.
13. Dalla rabbia del vento, che sì fende
Nelle ritorte , escono orribil suoni.
Di spessi lampi l' aria si raccende;
Risuona il citi di spaventosi tuoni.
V è chi corre al timon, chi i remi prende.
Van per uso agli ul'ficj , a che son buoni.
Chi s' affatica a sciorre, e chi a legare;
Vota altri 1' acqua , e torna il mar nel mare.
13- Ecco stridendo l' orrihil procella,
Che '1 repentin furor di ISorea spinge,
lia vela t onlra 1' arbore flagella ;
Il mar si leva, e quasi il cielo attinge.
Frangonsi i remi , e di fortuna fella
Tanti» la rabbia impetuosa stringe,
Che la prora si volta , e verso 1' onda
Fé' rimaner la disarmata sponda.
li. Tutta sotto acqua va la destra bandn,
E sta per ri^(■r^ar di sopra il fon«I«.
Ognun, gridando, a Dio si raccomanda,
("bc più cIh: rrrli son gire; al profondo.
D' uno in lui altro mal Forturth manda;
Il jtrimo scorre, e vi«n dietro il seccndo.
Il legno vinto in più parti si lassa,
E dentro V inimica onda vi passa.
15. Move crudele e spaventoso assalto
Da tutti i lati il tempestoso verno.
Veggon talvolta il mar venir tant' alto.
Che par, eh' arrivi insin al ciel superno.
Talor fan sopra 1' onde in su tal salto,
Cir a mirar giù, par !or veder l' inferno.
O nulla , o poca speme è , che conforte ;
E sta presente inevitabil morte.
16. Tutta la notte per diverso mare
Scorsero errando, ove caccioUi il vento.
Il fiero vento , che dovea cessare
Nascendo il giorno , ripigliò augumento.
Ecco dinanzi un nudo scoglio appare;
Voglion schivarlo, e non v' hanno argomento.
Li porta, lor mal grado, a quella via
Il crudo vento e la tempesta ria.
17. Tre volte e quattro il pallido nocchiero
Mette vigor , perchè '1 timon sia v olto,
E trovi più sicuro altro sentiero:
Ma quel si rompe , e poi dal mar gli è tolto.
Ha sì la vela piena il vento fiero.
Che non si può calar poco, nò molto.
Kè tempo han di riparo o di consiglio ;
Che troppo appresso è quel mortai periglio.
X8. Poiché senza rimedio si comprende
La irreparabil rotta della nave.
Ciascuno al suo privato utile attende,
Ciascun salvar La vita sua cura ave.
Chi può più presto , al palischermo scende;
!Ma quello è fatto subito sì grave
Per tanta gente, che sopra v' abbonda,
Che poco avanza a gir sotto la sponda.
19. Ruggier, che vide il comito e '1 padrone
E gli altri abbandonar con fretta il legno,
Come seiiz' arme si trovò in giubbone,
Campar su quel battei fece disegno;
Ma lo trovò sì carco di persone,
E tante venner poi, che 1' acque il segno
Passare in guisa , che per troppo pondo
Con tutto il carco andò '1 legnetto al fondo;
20. Del mare al fondo, e seco trasse quanti
Lasciaro a eua speranza il maggior legno.
Allor s' udì con dolorosi pianti
Chiamar soccorso dal celeste regno:
31a quelle voci andare poco innanti ;
Che A enne il mar pien d' ira e di disdegno,
E subito occupò tutta la vìa.
Onde il lamento e 1 flebil grido ascia.
21. Altri laggiù, senza apparir più, resta;
Altri risorge, e sopra l' ondò sbalza.
Chi vien nuotando, e mostra fuor la testa;
Chi mostra un braccio, e chi ima gamba scalzi
Ruggier, che '1 minacciar della tempesta
Temer non vuol , dal fondo al sonnno e' alza,
E vede il nudo scoglio non lontano,
Ch' egli e i compagni avean fuggito invano.
22. Spera per forza di piedi e di braccia
Nuotando di salir sul lito asciutto.
Soffiando viene, e lungi dalla faccia
L' onde respinge, e 1' importuno Hutto.
Il vento intanto , « la tempesta caccia
Il legno voto , e abbandonato in tutto
Da cpielli , che , per lor pessima sorte.
Il disio di campar trasse alla morte.
ORLANDO FURIOSO. (XLI. 23-38)
[546]
i3. Oh fallace degli uomini credenza!
Campò la nave, che dovea perire.
Quando il padrone e i galeotti senza
Governo alcun 1' avcan lasciata gire.
Parve, che si mutasse di sentenza
Il vento, poiché ogni uom vide fuggire.
Fece, che '1 legno a miglior via si torse,
Kè toccò in terra, e in sicura onda corse.
24. E dove col nocchier tenne via incerta,
Poiché non 1' ebbe, andò in Africa al dritto,
E venne a capitar presso a Biserta
Tre miglia , o due, dal lato verso Egitto;
E nell' arena sterile e deserta
Restò, mancando il vento e V acqua, fitto.
Or quivi soppravvenne, a spasso andando,
Come di sopra io vi narrava , Orlando.
25. E disioso di saper, se fusse
La nave sola , e fosse o vota, o carca.
Con Brandimarte a quella si condusse,
E col cognato in una lieve barca.
Poiché sotto coverta s' introdusse.
Tutta la ritrovò d' uomini scarca.
^i trovò sol Frontino, il buon destriero,
1/ armatura e la spada di Ruggiero ;
20. Di cui fu per campar tanta la fretta,
Ch' a tor la spada non ebbe pur tempo.
Conoblic quella il paladin , che detta
Fu Balisarda, e che già sua fu un tempo.
So, che tutta r istoria avete letta,
Come la tolse a Falcrina , al tempo
Che le distru?:sc anco il giardin si bello;
E come a lui poi la rubò Brunello ;
27. E come sotto il monte dì Carena
Brunel ne fé' a Ruggiero libero dono.
Di che taglio ella fosse , e di che schiena,
N' avea già fatto esperimento buono;
10 dico Orlando ; e però n' ebbe piena
Letizia, e ringrazionne il sommo Trono,
E si credette , e spesso il disse dopo.
Che Dio gli la mandasse a sì grand' uopo;
28. A sì grand' uopo , come era , dovendo
Condurci col signor di Sericana,
Ch' oltreché di valor fu^se tremendo,
Sapea , eh' avea Bajardo e Durindana.
L' altra armatura, non la conoscendo,
Kon apprezzò per cosa si soprana.
Come chi ne fc' prova: apprezzò quella
Per buona sì , ma per più ricca e bella.
29. E perché gli facean poco mcsticro
L' arme, eh' era invi<ilabilc e aliatalo,
Contento fu cIk! V a\e.<se Oliviero;
11 brando nò , che .-.«-l pose egli a lato.
A Brandimarte consegnò il destriero.
Co.-ì diviso, ed ugualmente dato
Volse, che fosse a ciasrhedun compagno.
Che insieme si trovar , di quel guadagno.
30. Pel dì della battaglia ogni guerriero
Studia aver ricco e nuovi» aliito indosso.
Orlanib» ricamar fa nel quarticro
L' alto Baltcl dal fulmine percosso.
In «;an d' argento aver vuole Oliviero,
Che giaccia, e che la lassa ab1)ia huI do^so,
C-on un uu>tl<», che dica: Finché vegna;
E vuol d' oro la vesta , e di sé degna.
31. Fece disegno Brandimarte , il giorno
Della battaglia , per amor del padre,
E per suo onor, di non andare adorno,
Se non di sopravveste oscure ed adre.
Fiordiligi le fé' con fregio intorno.
Quanto più seppe far , belle e leggiadre.
Di ricche gemme il fregio era contesto
D' un schietto drappo , e tutto nero il resto.
32. Fece la donna di sua man le sopra-
A esti , a cui 1' arme converrian più fine.
Di cui r usbergo il cavalier si copra,
E la groppa al cavallo , e 'I petto e '1 crine.
Ma da quel dì , che cominciò quest' opra.
Continuando a quel , che le die' fine,
E dopo ancora, mai segno di riso
Far non potè, né d' allegrezza in viso.
33. Sempre ha timor nel cor, sempre tormento.
Che Brandimarte suo non le sia tolto.
Già r ha veduto in cento luoghi e cento
In gran battaglie e perigliose avvolto ;
Ké mai , come ora , simile spavento
Le agghiacciò il sangue , e impallidille il volto :
E questa novità d' aver timore
Le fa tremar di doppia tema il core.
34. Poiché son d' arme e d' ogni arnese in punto,
Alzano al vento i cavalier le vele.
Astolfo e Sansonetto con V assunto
Riman del grand' esercito fedele.
Fiordiligi c(»l cor di timor punto.
Empiendo il ciel di voti e di querele,
Quanto con vista seguitar le punte,
Segue le vele in alto mar remote.
35. Astolfo a gran fatica, e Sansonetto
Potè levarla da mirar nelT onda,
E ritrarla al palagio, ove sul letto
La lasciaro alfannata e tremebonda.
Portava intanto il bel numero eletto
De' tre buon cavalier 1' aura seconda :
Andò il legno a trovar 1' isola al dritto,
Ove far si dovea tanto conflitto.
36. Sceso nel lito il cavalier d' Anglante,
Il cognato Oliviero e Brandimarte,
Col padiglione il lato di levante
Primi occupar, né forse il fér senz' arte.
Giunse quel dì medesimo Agramante,
E s' accampò dalla contraria parte:
Ma , perchè molto era inchinata 1' ora,
Diflerìr la battaglia nell' aurora.
37. Di qua e di là fin alla nuova luce
Stanno alla guardia i servitori armati.
La sera, Brniuiimarte si conduce
Là, tiove ì Saracin sono alloggiati,
E parla, con licenza del suo duce.
Al re africaii : ch'amici erano stali;
E Brandimarte già con la h.indiera
Del tv. Agrauiante , in Francia passato era.
38. Dopo ì saluti , e 'I giunger mano a mano,
]\loUu ragion, siccome amico, disse
Il IVdcl ca\alicro al re pagano,
Perchè a quota battaglia non venisse;
E ili riporgli ogni cittade in mano.
Che sia tra 1 Nilo, e 'l segno, «h' Ercol lì>>e.
(/on volontà «l' Orlando, gli ollVria,
So creder volci ul figlio di Maria.
35
[551]
ORLANDO FURIOSO. (XLI. 71-86)
[552
71. Scontrossi col re d' Africa Oliviero,
E fiir di quello incontro a paro a paro.
Brandimarte restar senza destriero
Fece Sobrin ; ma non si seppe ciliare,
Se v' ebbe il destrier colpa, o il cavallero;
Ch' avvezzo era Sobrin cader di raro.
O del destriero , o suo pur fosse il fallo,
Sobrin si ritrovò giù del cavallo.
72. Or Brandimarte , che vide per terra
Il re Sobrin , non 1' assalì altramente,
Ma centra il re Gradasso si disserra,
Ch' avea abbattuto Orlando parimente.
Tra il marchese e Agramante andò la guerra.
Come fu cominciata primamente :
Poiché si rupper 1' aste negli scudi,
S' eran tornati incontra a stocchi ignudi.
73. Orlando, che Gradasso in atto vede.
Che par , eh' a lui tornar poco gli caglia,
]Nè tornar Brandimarte gli concede,
(Tanto lo stringe, e tanto lo travaglia)
Si volge intorno, e similmente a piede
Vede Sobrin, che sta senza battaglia:
Ver lui s' avventa , e al mover delle piante
Fa il ciel tremar del suo fiero sembiante.
74. Sobrin, che di tanto uom vede 1' assalto,
Stretto neir arme s' apparecchia tutto.
Come nocchiero , a cui vegna a gran salto,
Muggendo incontra, il minaccioso flutto.
Drizza la prora, e, quando il mar tanto alto
Vede salire, esser vorria all' asciutto.
Sobrin lo scudo oppone alla ruina.
Che dalla spada vitn di Falerina.
75. Di tal finezza è quella Balisnrda,
Che r arme le pon far poco riparo.
In man poi di persona sì gagliarda.
In man d' Orlando.^ unico al mondo, o raro,
Taglia lo scudo, e nulla la ritarda,
l'erchè cerchiato sia tutto d' acciaro:
Taglia lo scudo , e sino al fondo fende,
E sotto a quello in sulla spalla scende.
70. Scende alla spalla , e perchè la ritrovi
Di doppia lama, e di maglia coperta,
Non vuol però , che molto olia le giovi.
Che di gran piaga non la lasci aperta.
Mena Sobrin; ma indarno è, che si provi
Ferire Orlando, a cui per grazia certa
Diede il motor del cielo e delle stelle.
Che mai forar non se gli può la pelle.
77. Raddoppia il colpo il valoroso conte,
E pensa dalle spalle il capo torgli.
Sobrin, che sa il valor di (Jliiarainontc,
E che poco gli vai lo scudo opporgli,
S" arretra, ma non tanto, che la fronte
finn venisse anco Balisarda a corgli.
Di piatto fu, ma il colpo tant(» follo,
Ch' ammaccò 1' elmo, e gì' intronò il cervello.
78. Cadde Sobrin del fiero colpo in terra,
Onde a gran pozzo poi non è risorto.
Crede fìnila avor con Ini la guerra
Il paladino, e «he si giaccia morto;
E verrfo il io Grada>so si disserra.
Che Brandiinarto non moni a mal porto ;
Che 'I pagali d' arme e di spada 1' avanza,
E di destriero, e forse di possanza.
. L' ardito Brandimarte in su Frontino,
Quel buon destrier , che di Uuggier fu dianzi,
Si porta così ben col Saracino,
Che non par già, che quel troppo I' avanzi:
E s' egli avesse usbergo così fino,
Come il pagan, gli starla meglio innanzi:
Ma gli convien, che mal si sente armato.
Spesso dar luogo , or d' uno , or d' altro Iato.
80. Altro destrier non è, che meglio intenda.
Di quel Frontino, il cavaliero a cenno.
Par che , dovunque Durindana scenda,
Or quinci, or quindi <ibbia a schivarla senno.
Agramante e Olivier battaglia orrenda
Altrove fanno, e giudicar si donno
Per duo guerrier di pari in arme accorti,
E poco difterenti in esser forti.
81. Avea lasciato, come io dissi, Orlando
Sobrino in terra, e contra il re Gradasso
Soccorrer Brandimarte desiando,
Come si trovò a pie, venia a gran passo.
Era vicin per assalirlo, quando
Vide in mezzo del campo andare a spasso
Il buon cavallo, onde Sobrin fu spinto,
E per averlo presto si fu accinto.
82. Ebbe il destrier, che non trovò contesa,
E levò un salto, ed entrò nella sella j
Neil' una man la spada tien sospesa.
Mette 1' altra alla briglia ricca e bella.
Gradasso vede Orlando , e non gli pesa,
Ch' a lui ne viene, e per nome 1' appella.
Ad esso e a Brandimarte e all' altro spera
Far parer notte , e che non sia ancor sera.
83. Voltasi al conte e Brandimarte lassa,
E d' una punta lo trova al caniaglio.
Fuorché la carne, ogni altra cosa passa;
Per forar quella è vano ogni travaglio.
Orlando a un tempo Balisarda abbassa.
Non vale incanto, ov' ella mette il taglio.
L' elmo, lo scudo, 1' usbergo e 1' arnese
Venne fendendo in giù ciò, eh' ella prese:
84. E nel volto e nel petto e nella coscia
Lasciò ferito il re di Sericana,
Di cui non fu mai tratto sangue, poscia
Ch' ebbe quell' arme: or gli par cosa strana.
Che quella spada (e n' ha dispetto e angoscia)
Le tagli or sì ; né pur è Durindana.
E se più lungo il colpo era, o più appresso,
L' avria dal capo insino al ventre fesso.
85. Non bisogna più aver nell' arme fede.
Come avea dianzi; che la pro^a è fatta.
Con più riguardo e più ragion procode.
Che non solca; meglio al parar si adatta,
Brandimarte, che Orlando entrato vede,
Che gli ha di man quella battaglia tratta.
Si pone in mozzo all' una e all' altra pugna,
Perchè in ajuto, ove è bisogno, giugna.
86. Essendo la battaglia in tale stato,
Sobrin , eh' era gia(-into in terra molto.
Si levò, poiché in sé fu ritornato;
E mollo gli dolca la spalla e 'l volto.
Alzò la ^ ista , e mirò in ogni lato ;
Poi, dove vide il suo signor, rivolto,
Per dargli ajuto i lunghi passi torse,
Tacito sì, eli' alcun non so n' accorse.
53]
ORLANDO FURIOSO. (XLl. 8T-102)
[554]
57. Vìen dietro ad Olivier, che tenca gli occhj
Al re Agraniante, e poco altro attendea j
E gli ferì nei deretan ginocclij
Il destrier , di percossa in modo rea,
Che senza indugio è forza che trabocchi.
Cade Olivier, né '1 piede aver potea,
Il manco pie , eh' al non pennato caso
Sotto il cavallo in staffa era rimaso.
SS. Sobrin raddoppia il colpo, e di riverso
Gli mena, e se gli crede il capo torre;
Ma lo vieta 1' acciar lucido e terso,
Che temprò già Viilcan, portò già Ettorre.
Vede il periglio Brandimarte, e verso
j II re Sobrino a tutta briglia corre,
j E lo fere in sul capo , e gli dà d' urto.
■ Ma il fiero vecchio è tosto in piò risorto,
89. E torna ad Olivier , per dargli spaccio,
Sicch' espedito all' altra vita vada,
0 non lasciare almen , eh' esca d' impaccio,
Ma che si stia sotto '1 cavallo a bada.
Olivier, eh' ha di sopra il miglior braccio,
Sicché si può difender con la spada,
Di qua, di là tanto perente e punge,
Clie, quanto è lunga, fa Sobrin star lunge.
90. Spera, s' alquanto il tien da sé rispìnto,
In poco spazio uscir di quella pena.
Tutto di sangue il vede molle e tinto,
E che ne versa tanto in sul!' arena,
Che gli par, eh' alibia tosto a restar vinto:
Debole è sì, che si sostiene appena.
Fa per levarsi Olivier molte prove,
Ké da dosso il destrier però si muove.
91. Trovato ha Brandimarte il re Agramante,
E cominciato a tenii)estargli intorno.
Or con Frontin gli è al fianco, or gli è davante
Con quel Frontin, che gira, come un torno.
Buon cavallo ha il figliuol di Monodante;
Non r ha peggiore il re di 3Iezzogiorno.
Ha Brigliador , che gli donò Ruggiero,
Poiché lo tolse a Mandrìcardo altiero.
92. Vantaggio ha bene assai dell' armatura;
A tutta prova 1' ha buona e perfetta.
Brandimarte la sua tolse a ventura,
Qual potò avere a tal bisogno in fretta;
Ma sua animosità sì l' assicura,
Che in miglior tosto di cangiarla aspetta,
Come<;hé '1 re alriran d' aspra percossa
La spalla destra gli abbia fatto rossa,
93. E serbi da Gradasso anco nel fianco
Piaga da non pigliar però da gioco.
Tanto r attese al var<;o il giicrricr franco,
Che di cucciar la spada (i-o\ò lo<-o.
Spezzò lo s(;udo, e l'ori il braccio manco,
E poi nella man destra il toccò un poco.
Ma questo un scherzo si può dire, e un spasso
Verso quel , che fa Orlando e '1 re Gradasso.
94. Gradasso ha mezzo Orlando disarmato,
L' elmo gli ha in cima, e da duo lati rotto,
E fattogli cader lo s( iido al prato,
1 sbergo e maglia apertiigli di ^otto.
,Non r ha fcrilo già; eli' era all'alato.
Ma il paladino ha lui peggio coiulntlo:
In fa«:ci.i, nella gola, in mezzo il petti»
L' ha ferito, oltre a quel, che già v' ho detto.
95. Gradasso disperato, che si vede
Del proprio sangue tutto molle e brutto,
E eh' Orlando del suo dal capo al piede
Sta, dopo tanti colpi, ancora asciutto.
Leva il brando a due mani, e ben si crede
Partirgli il capo, il petto, il ventre e 'l tutto ;
E appunto , come vuol, sopra la fronte
Percote a mezza spada il fiero conte.
96. E se era altri eh' Orlando, l' avria fatto,
L' avria sparato fin sopra lascila;
Ma, come colto l' avesse di piatto,
La spada ritornò lucida e bella.
Della percossa Orlando stupefatto,
Vide, mirando in terra, alcuna stella.
Lasciò la briglia . e 'l brando avria lasciato :
Ma di catena al braccio era legato.
97. Del suon del colpo fu tanto smarrito
Il corridor, eh' Orlando avea sul dorso,
Che discorrendo il polveroso lito.
Mostrando già, quanto era buono al corso.
Dalla percossa il conte tramortito
Non ha valor di ritenergli il morso.
Segue Gradasso, e l' avria tosto giunto,
Poco più che Bajai'do avesse punto.
98. Ma nel voltar degli occhj il re Agramante
Vide condotto all' ultimo periglio;
Che neir elmo il figliuol di Monodante
Col br.iccio manco gli ha dato di piglio,
E gli r ha dislacciato già davante,
E tenta col pugnai novo consiglio.
Né gli può far quel re difesa molta,
Perchè di man gli ha ancor la spada tolta.
99. Volta Gradasso, e più non segue Orlando;
Ma, dove vede il re Agramante, accorre.
L' incauto Brandimarte , non pensando,
Ch' Orlando costui lasci da sé torre,
Non gli ha né gli occhj , né '1 pensiero, instando
Il coltel nella gola al pagan porre.
Giunge Gradasso, e a tutto siu) potere
Con la spada a due man l- elmo gli fere.
100. Padre del ciel, dà fra gli eletti tuoi
Spiriti luogo al martir tuo fedele,
Che , giunto al fin de' tempestosi suoi
Viaggi, in porto omai lega le vele!
Ah Durindana, dunque esser tu puoi
Al tuo signore Orlando sì crudele,
Che la più grata compagnia e più fida,
Ch' egli abbia al mondo, innanzi tu gli uccìda.''
101. Di ferro un cerchio grosso era due dita
Intorno all' elmo , e fu ta;?liato e rotto
Dal graAÌssiiiio colpo, e fu partita
lia curiìa dell' acciar, eh' era di sotto,
lirandiuiarte <'(in l'accia .«bigotlita
Giù del destrier si ri\er>ò di botto,
E fuor del ììì\)0 fé' con larga vena
Correr di sangue un fiume in sull' arena.
102. Il conte si ri>ente, e gli occhj gira.
Ed ha il suo lirandiuiarte in terra ^corlo;
E sopra in atto il Serican gli mira,
VAìv ben «oiuK-ier può, che gliel' ha morto.
Non so, si^ ili Ini potè più il duolo, o 1' ira;
I\la da piangere il tempo avea sì corto.
Che restò il diiido , e 1' ira usci più in fretta.
Ma tempo è oiuai , che fine al canto io niella.
[555]
ORLANDO FURIOSO. (XLll. 1 — 12)
[556]
CANTO QUARANTESIMOSECONDO.
ARGOMENTO.
H roman senator , signor d' Ànglante,
Con V alto suo valor quasi divino,
Uccide ilfier Gradasso, e 'Z re Àgramante;
Conserva , e medicar fa il buon Sobrino,
Pel suo Ruggier sospira Bradamante ;
]S'è meno ancor Rinaldo paladino
Si lagna per Angelica. E lo scioglie
Lo sdegno ; e poscia un cavalier V accoglie.
1. Qnal duro freno , o qual ferrigiio nodo,
Qual, s' esser può, catena dì diamante
Farà, che 1' ira servi ordine e modo,
Che non trascorra oltre al prescritto innante,
Quando persona, che con saldo chiodo
T'abbia già fissa amor nel cor costante,
Tu vegga, o per violenza, o per inganno,
Patire o disonore, o mortai danno?
2. E s' a crudel, s' ad inumano effetto
Queir impeto talor 1' animo svia,
Merita scusa; perchè allor del petto
Kon ha ragione imperio, né balia.
Achille, poiché sotto il falso elmetto
Vide Patroclo insanguinar la via,
D' uccider chi 1' uccise non fu sazio,
Se noi traea, se non ne facea strazio.
3. Invitto Alfonso, simile ira accese
La vostra gente il di, che vi percosso
La fronte il grave sasso, e sì v' offese,
Ch' ognun pensò , che 1' alma gita fosse.
L' accese in tal furor, che non difese
Vostri nemici argine, o mura, o fosse,
Clie non fossino insieme tutti morti,
Senza lasciar chi la novella porti.
4. H vedervi cader causò il dolore,
Che i vostri a furor mosse, e a crudcltade.
S' eravate in pie voi, forse minore
Licenza avriano avute le lor spade.
Eravi assai, che la Bastia in manco ore
V' aveste ritornata in potcstadc,
Che tolta in giorni a voi non era etata
Da gente cordovesc, e di Granata.
5. Forse fu da Dìo vindice permesso.
Che vi trovaste a quel caso impedito ;
Acciocché 'l crudo e scellerato eccesso,
Che dianzi fatto avcan, fosse punito;
Che, poiché in lor man vinto si fu messo
Il inÌBcr Vcritidcl , lasso e ferito,
Scnz' arme, fu tra r,«!nto spade ucciso
Dal popul la più parte circoncibo.
6. Ma, perdi' io vo' conchiudere, vi dico,
Che nessun' altra qtieU' ira pareggia,
Quando, Signor, parente, o socio antico
Dinanzi agli occbj ingiuriar ti veggia.
Dunque é ben dritto, per sì caro amico.
Che subit' ira il cor d' Orlando feggia,
Cbc dell' orribil colpo, che gli diede
Il re Gradasso, morto in terra il vede.
7. Qual nomade pastor, che vedut' abbia
Fuggir strisciando l' orrido serpente,
Cile il figlinol, che giocava nella sabbia.
Ucciso gli ha col venenoso dente,
Stringe il baston con collera e con rabbia;
Tal la spada d' ogni altra più tagliente
Stringe con ira il cavalier d' Aiiglante.
Il primo, che trovò, fu il re Agramante,
8. Che sanguinoso, e della spada privo.
Con mezzo scudo, e con 1' elmo disciolto,
E ferito in più parti , eh' io non scrivo,
S' era di man di Brandimarte tolto,
Come di pie all' astor sparvier mal vivo,
A cui lasciò la coda invido, o stolto.
Orlando giunse , e mise il colpo giusto,
Ove il capo si termina col busto.
9. Sciolto era 1' elmo, e disarmato il collo,
Sicché lo tagliò netto, come un giunco.
Cadde, e die' nel sabbion 1' ultimo crollo
Del regnator di Libia il grave trunco.
Corse lo spirto all' acque, onde tiroUo
Caron nel legno suo col graffio adunco.
Orlando sopra luì non si ritarda.
Ma trova il Serìcan con Balisarda.
10. Come vide Gradasso d' Agramante
Cadere il busto dal capo diviso.
Quel , eh' accaduto mai non gli era innante.
Tremò nel core , e si smarrì nel viso ;
E all' arrivar del cavalier d' Anglante,
Presago del suo mal, parve conquiso.
Per schermo suo partito alcun non prese.
Quando il colpo mortai sopra gli scese.
11. Orlando lo ferì nel destro fianco
Sotto r ultima costa; e il ferro, immerso
I\el ventre , un palmo uscì dal lato manco.
Di sangue fin all' elsa tutto asperso.
Mostrò ben, che di man fu del più franco
E del miglior gucrrier dell' universo
Il colpo, eh' im signor condusse a morte.
Di cui non era in pagania il più forte.
12. Di tal vittoria non troppo giojoso,
Presto di sella il paladin si getta,
E col aìso turbato e lagrimoso
A I^randiuinrte suo corre a gran fretta.
Gli vede intorno il capo sanguinoso,
L' elmo, che par eh' aperto abbia un' accetta.
Se fosse stato fral più che di scorya.
Difeso non 1' avria con minor forza.
57]
ORLANDO FURIOSO. (XLII. 13 — 28)
[558]
-G.
17.
18.
19.
20.
Orlando 1' elmo gli levò dal tìso,
E ritroTÒ, che '1 capo sino al naso
Fra r uno e l' altro ciglio era diviso.
Ma pur gli è tanto spirto anco rimaso,
Che de' suoi falli al re del paradiso
Può domandar perdono anzi 1' occaso;
E confortare il conte, che le gote
Sparge di pianto, a pazienza puotc,
E dirgli: Orlando, fa che ti ricordi
Di me neir orazion tue grate a Dio !
Kè iiien ti raccomando la mia Fiordi. . .
Ma dir non potè , Ligi ; e qui finio.
E voci e suoni d' angeli concordi
Tosto in aria s' udir , che l' alma uscio,
La qual, disciolta dal corporeo velo,
Fra dolce melodia salì nel cielo.
Orlando , ancorché far dovea allegrezza
Di si devoto fine , e sapea certo,
Che Brandimartc alla suprema altezza
Salito era, che '1 ciel gli vide aperto;
Pur dalla umana volontade , avvezza
Coi fragil sensi , mal era solTerto,
Ch' un tal , più che fratel , gli fosse tolto,
E non aver di pianto umido il volto.
Sobrin, che molto sangue avea perduto.
Che gli piovca sul fianco e sulle gote,
Riverso già gran pezzo era caduto,
E aver ne dovea omai le vene voto.
Ancor giacca Olivier, nò riavuto
Il piede avea ; né riaver lo puote.
Se non ismosso , e dello star, che tanto
Gli fece il destrier sopra, mezzo infranto:
E se '1 cognato non venia ad aitarlo,
(Siccome lagrimoso era e dolente)
Per sé medesmo non potea ritrarlo;
E tanta doglia e tal martir ne sente.
Che, ritratto che l' ebbe, né a mutarlo,
Ké a fermarvisi sopra era possente:
£d ha insieme la gaml>a sì stordita,
Che mover non si può , se non si aita.
Della vittoria poco rallegrossc
Orlando; troppo gli era a(!er!)o e duro
Veder, che morto Hrantlimarte fosse,
Kè del cognato molto e>^er sicuro.
Sobrin, che vivea ancora, ritrovitssc;
Ma poco chiaro avea con molto oscuro :
Che la sua vita per 1' uscito sangue
Era vicina a rimanere esangue.
Lo fece tor, che tutto era sanguigno,
Il conte, e medicar discretamente,
E cnnfortotlo con parlar benigno,
Come se stato gli fosse pariiitc :
Che dopo il fatto nulla di maligno
In sé tcnea , ma tutto era clemente.
Fece dei morti arme e «cavalli torre;
Del resto a' servi lor lasciò disporre.
Qui della istoria mia, rh<; non sia vera,
Federico Fiilgoso è in dnbbio al(|iiiinlo,
Che, con 1' armata a^endtt la ri\i<'ra
Di Darberia trascorsa in ogni canto,
Capitò quivi , e 1' isola sì fiera,
Montnosa e incgnal ritrovò tanto,
Che non è, dire, in tntto il luogo strano,
Ove un sul pie si puHsa metter piano :
21. Né verisimil tien, che nell' alpestre
Scoglio sei cavalieri, il fior del mondo,
Potessin far quella battaglia equestre.
Alla quale objezion cosi rispondo :
Ch' a quel tempo una piazza delle destre,
Che sleno a questo, avea lo scoglio al fondo,
Ma poich' un sasso , che '1 tremuoto aperse,
Le cadde sopra , tutta la coperse.
22. Sicché, o chiaro fulgor della fulgosa
Stirpe , o serena , o sempre viva luce.
Se mai mi riprendeste in questa cosa,
E forse innanzi a quello invitto duce,
Per cui la vostra patria or si riposa.
Lascia ogni odio, e in amor tutta s' induce.
Vi prego, che non siate a dirgli tardo,
Ch' esser può, che né in questo io sia bugiardo.
23. In questo tempo alzando gli occhj al mare,
Vide Orlando venire a vela in fretta
Un naviglio leggier, che di calare
Facea sembiante sopra 1' isoletta.
Di chi si fosse, io non voglio or contare,
Perch' ho più d' uno altrove, che m' aspetta.
Veggiamo in Francia, poiché spinto n' hanno
I Saracin, se mesti, o lieti stanno.
24. Veggìam , che fa quella fedele amante,
Che vede il suo contento ir sì lontano ;
Dico la travagliata Bradamante,
Poiché ritrova il giuramento vano,
Ch' avea fatto Ruggicr pochi di innante.
Udendo il nostro , e 1' altro stuol pagano.
Poich' in questo ancor manca, non le aNun/a.
In eh' ella debbia più metter speranza:
25. E ripetendo i pianti , e le querele.
Che pur troppo domestiche le furo,
Tornò , a sua usanza , a nominar crudele
Ruggiero, e '1 suo destin spietato e duro.
Indi , sciogliendo al gran dolor le vele,
II ciel, che consentia tanto pergiuro,
Né fatto n' avea ancor segno evidente.
Ingiusto chiama, debole e impotente.
26. Ad accusar jMclissa si converse,
E maledir 1' oracol della grotta,
Ch' a lor mendace suasion s' inuuerse
Kel mar d' amore, ov' è a morir condotta.
Poi con Marfisa ritornò a dolerse
Del suo fratel, che le ha la fede rotta.
Con lei grida e si sfoga, e le domanda
Piangendo ajuto, e se le rnccomaiula.
27. Marfisa si ristringe nelle spalle,
E quel sol che può far, le dà conforto.
Né crede, che Rnggier mai co»ì falle,
Ch' a lei non debba ritornar di rorlo;
E se non torna pur , sna fede dalle,
Ch' ella non patirà si grave torto,
O che battaglia piglicrà con esso,
0 gli farà osservar ciò , eh' ha promesso.
28. Cosi fa, eh' ella un poro il duol ralfrena,
Ch' avendo ove sfogarlo , è niciui acerbo.
Or eh' abbiam vi>ta liradamantt» in pena,
('liiamar Uuggi<-r perginro , empio e ...uperbo.
^ cggianut ancor, se miglior vita iiniia
il fratel suo , che non ha polso , o ncrlni.
Osso, o medolla. che non senta imIiIo
Delle fiuuuuc d' uiuur; dico Rinaldo.
[559]
ORLANDO FURIOSO. (XLII. 29-4Ì)
[560]
29. Dico Rinaldo, il qiial, come sapete,
Angelica la bella amava tanto.
]Sc r avea tratto all' amorosa rete
Si la beltà di lei, come 1' incanto.
Aveano gli altri paladin quiete.
Essendo ai 3Iori ogni vigore affranto;
Tra i vincitori era rimaso solo
Egli cattivo in amoroso duolo.
30. Cento messi a cercar, che di lei fusse,
Avea mandato, e cerconne egli stesso.
AlGne a Malagigi si ridusse.
Che nei bisogni suoi 1' ajutò spesso.
A narrare il suo amor se gli condusse
Col viso rosso e col ciglio dimesso;
Indi lo prega, clic gì' insegni, dove
La desiata Angelica si trove.
31. Gran meraviglia di si strano caso
Va rivolgendo a Malagigi il petto.
Sa , che sol per Rinaldo era rimaso
D' averla cento volte, e più nel letto;
Ed egli stesso, acciocché persuaso
Fosse di questo, avea assai fatto e detto
Con prieghi e con minacce, per piegarlo,
Kè avuto avea giammai poter di farlo.
32. E tanto più , eh' allor Rinaldo avrebbe
" Tratto fuor Malagigi di prigione.
Fare or spontaneamente lo vorrebbe,^
Che nulla giova, e n' ha minor cagione.
Poi prega lui, che ricordar si debbe
Pur quanto ha offeso in questo oltr' a ragione,
Che per negargli già, vi mancò poco
Di non farlo morire in scuro loco.
33. Ma, quanto a Malagigi le domande
Di Rinaldo importune più pareano.
Tanto, che 1' amor suo fosse più grande,
Indizio manifesto gli f accano.
I preghi, che con lui vani non spande,
Fan, che subito immerge nell' oceano
Ogni memoria della ingiuria vecchia,^
E che a dargli soccorso s' apparecchia.
34. Termine tolse alla risposta, e spene
Gli die', che favorcvol gli saria,
E che gli saprà dir la via, che tiene
Ann'cliea, sia in Francia, o dove sia.
E quindi Malagigi al luogo viene,
Ove i demonj scongiurar solia,
Ch' era fra monti inaccessibil grotta.
Apre il libro , e gli spirti chiama in frotta :
35. Poi ne sceglie un, che de' casi d' amore
Area notizia, e da lui saper volle.
Come sia, che Rinaldo, eh' avea il core
Dinanzi si duro, or l' abbia tanto molle.
E di quelle due fonti ode il tenore,
Di che r una dà il foco, e 1' altra il lolle;
E al mal , «;he 1' una fa , nulla soccorre.
Se non 1' altra acqua, <;he contraria corre.
80. Ed ode, come avendo già di quella,
Che r amor caccia, bevuto Rinaldo,
Ai lun^lii preghi d' Angelica bella
Si dimostrò v.»-\ ostinato e ualdo ;
E die poi, giunto, per sua inìqua stella,
A ber n<-ir altra 1' auu)rosu cahhN
Tornò ad air.-.ir , per forza di quelle acque,
Lie, che pur dianzi oltr' al dover gli ^piacque.
37
Da iniqua stella e fler destin fu giunto
A ber la fiamma in quel ghiacciato rivo;
Perclic Angelica venne quasi a un punto
A ber nell' altro di dolcezza pi ivo.
Che d' ogni amor le lasciò il cor si emunto,
Ch' indi ebbe lui, più che le serpi, a schivo.
Egli amò lei ; e 1' amor giunse al segno.
In eh' era già di lei 1' odio e lo sdegno.
38
abbia
Del caso strano di Rinaldo appieno
Fu Malagigi dal demonio istrutto,
Che gli narrò d' Angelica non meno,
Ch' al giovane african si donò in tutto,
E come poi lasciato avea il terreno
Tutto d' Europa, e per 1' instabil Hutto
Verso India sciolto avea dei liti Ispani
SuU' audaci galee de' Catalani.
39. Poiché venne il cugìn per la risposta.
Molto gli dissuase Malagigi
Di più Angelica amar, che s' era posta
D' un vilissimo Barbaro ai servigi,
Ed ora sì da Francia si discosta,
Che mal seguir se ne potria i vestigi;
Ch' era oggiraai più là, eh' a mezza strada,
Per andar con Medoro in sua contrada.
40. La partita d' Angelica non molto
Sarebbe grave all' animoso amante ;
]Vè pur gli avria turbato il sonno, o tolto
Il pensier di tornarsene in Levante:
Ma sentendo, eh' avea del suo amor colto
Un Saracino le primizie innante,
Tal passione e tal cordoglio sente,
Che non fu in vita sua mai più dolente.
41. Non ha poter d' una risposta sola;
Trema il cor dentro, e treman fuor le labbia;
Non può la lingua disnodar parola ;
La bocca ha amara, e par, che tosco v'
Da Malagigi subito s' invola,
E come il caccia la gelosa rabbia,
Dopo gran pianto , e gran rammaricarsi.
Verso Levante fa pensier tornarsi.
42. Chiede licenza al figlio di Pipino,
E trova scusa, che '1 destrier Bajardo,
Che ne mena Gradasso Saracino,
Contra il dover di cavalier gagliardo.
Lo move per suo onore a quel cammino.
Acciocché vieti al Serican bugiardo
Di mai vantarsi, che con spada o lancia
L' abbia levato a un paladin di Francia.
Lasciollo andar con sua licenza Carlo,
Benché ne fu con tutta Francia mesto;
Ma finalmente non seppe negarlo,
Tanto gli parve il desiderio onesto,
^uol Dudon, vuol Guidone accompagnarlo.
Ma lo nega Rinaldo a quello e a questo.
Lascia Parigi , e se ne va a ia solo,
Pien di sospiri e d' amoroso duolo.
Senipre ha in menmria, e mai non se gli tot
Ch' averla mille volte avea potuto,
E mille volte avea ostiuiiti» e folle
Di sì rara beltà fatto rifiuto,
E di tanto piac,<u' , eli' aver non volle,
Sì bello e sì liuon tempo era perduto,
Ed ora el(;gg(!rel)be un giorno corto
Averne solo , e rimaner poi morto.
13
44.
561]
ORLANDO FURIOSO. (XLII. 45-60)
[562]
45. Ha sempre in mente , e mai non se ne parte,
Come esser puotc, eh' un povero fante
Abbia del cor di lei spinto da parte
Merito e amor d' ogni altro primo amante.
Con tal pensier , che '1 cor gli straccia e parte,
Rinaldo se ne va verso Levante,
E dritto al Reno e a Basilea si tiene,
Finché d' Ardenna alla gran selva viene.
-16. Poiché fu dentro a molte miglia andato
Il paladin pel bosco avventuroso,
Da ville e da castella allontanato.
Ove aspro era più il luogo e periglioso,
Tutto in un tratto vide il ciel turbato,
Sparito il sol tra nuvoli nascoso,
Ed uscir fuor d' una caverna oscura
Un strano mostro in femminil figura.
47. Mille occhj in capo avea senza palpebre;
Non può serrarli , e non credo , che dorma.
Non men che gli occhj , avea 1' orrecchie crebre ;
Avea, in loco di crin, serpi a gran torma.
Fuor delle diaboliche tenebre
INel mondo uscì la spaventevol forma.
Un fiero e maggior serpe ha per la coda,
Che pel petto si gira , e che 1' anuoda.
ÌS. Quel, eh' a Rinaldo in mille e mille imprese
Più non avvenne mai, quivi gli avviene;
Che come vede il mostro, eh' all' offese
Se gli apparecchia , e eh' a trovar lo viene,
Tanta paura, quanta mai non scese
In altri forse , gli entra nelle vene.
Ma pur r usato ardir simula e finge,
E con trepida man la spada stringe.
49. S' acconcia il mostro in guisa al fiero assalto,
Che si può dir , che sia mastro di guerra.
Vibra il serpente venenoso in alto,
E poi contra Rinaldo si disserra.
Di qua, di là gli vien sopra a gran salto.
Rinaldo contra Ini vaneggia ed erra:
Colpi a dritto e a riverso tira assai.
Ma non ne tira alciui , che fera mai.
50. Il mostro al petto il serpe ora gli appicca.
Che sotto r arme , e sin nel cor 1' agghiaccia:
Ora per la visiera glielo ficca,
E fa , eh' erra pel collo e per la faccia.
Rinaldo dall' impresa si di>pi(-ca,
E quanto può con sproni il destricr caccia;
Ma la furia internai già non par zoppa,
Che spicca un sulto , e gli è subito in groppa.
51. Vada a traverso, o a dritto, ove sì voglia,
Sempre ha con lui la inaladetta peste;
Né sa modo trovar, clic se ni- scioglia,
Hcnehè 'I destrier di calcitrar non rote.
Tremo a Uinaldo il cor, come una foglia;
Non eh' al(ranien(e il serpe lo moleste;
Ma tanto orror n(; sente, <; tanto schivo.
Che i-itride «; g(!ine, e duolsi . «IT egli è vivo.
52. N«d più tristo sentier, nel peggior calle
Scorrendo >a, nel più intricato bosco,
0\e ha più asprezza il balzo, ove la valle
r, più spinosa, ov' è 1' aer jìiù fosco,
<;o>i sperando torsi dalU; spalle
Quel limito, altliominoso , orrido tosco:
!•; ne saria mal capitato forse,
Se tosto non giungeu chi lo hocoorsc.
53. Ma lo soccorse a tempo un cavaliero
Dì bello ai-mato e lucido metallo.
Che porta un giogo rotto per cimiero.
Di rosse fiamme ha pìen lo scudo giallo,
Così trapunto il suo vestire altero,
Così la soppravvcsta del cavallo.
La lancia ha in pugno , e la spada al suo loco,
E la mazza all' arcion, che getta foco.
54. Piena d' un foco eterno è quella mazza,
Che, senza consumarsi, ognora avvampa.
Né per buon scudo , o tempra dì corazza,
O per grossezza d' elmo se ne scampa.
Diuique sì debbe il cavalier far piazza,
Giri ove vuol i' inestinguibil lampa :
Né manco bisognava al guerrier nostro
Per levarlo dì man del crudel mostro.
55. E come cavalier d' animo ealdo.
Ove ha udito il rumor, corre e galoppa,
Tanto , che vede il mostro , che Rinaldo
Col brutto serpe in mille nodi aggroppa,
E sentir fagli a un tempo freddo e caldo ;
Che non ha via di torlosi di groppa.
Va il cavaliero , e fere il mostro al fianco,
E lo fa traboccar dal lato manco.
5f). Ma quello è appena in terra , che sì rizza,
E il lungo serpe intorno aggira e vibra.
Quest' altro più con 1' asta non 1' attizza.
Ma dì farla col fuoco sì delibra.
Ija mazza impugna , e dove il serpe guizza.
Spessì , come tempesta , ì colpi libra ;
Né lascia tempo a quel brutto animale,
Che possa farne im solo , o bene , o male.
57. E mentre addietro il caccia , o tiene a bada,
E lo pcrcote, e vendica mille onte.
Consiglia il paladin , che se ne vada
Per quella via, che s' alza verso il monte.
Quel s' appiglia al consiglio , ed alla strada,
E senza tlietro mai volger la fronte.
Non cessa, che dì vista se gli tolle.
Benché molto aspro era a salir quel colle.
58. Il cavalier, poìch' alla scura buca
Fece tornare il mostro dell' inferno,
Ove rode sé stesso, e sì maniu;a,
E da mille occhj ^ersa il pianto eterno.
Per esser di Rinaldo guida e duca
(ìli salì dietro , e sul giogo superno
(ìli fu alle spalle, e si mise con lui.
Per trarlo fuor de' luoghi oscuri e bui.
59. Come Rinaldo il vide ritornato,
Gli disse, cIk! gli avea grazia infinita.
E rir era debitoria in ogni lato
Di porre al beneficio suo l.i y'itn.
Ptii io doiuanda, come sia nomato,
.A('< io dir sappia, clii gli lia dato aita,
i: ha guerrieri possa, e innanzi a (/arlo.
Dell' alla sua Inuità si^mpre es.iltarlo.
GO. Ui>|>os(^ il i-a^alier: \on ti riiu'resca.
Se 'I nonu^ mio scoprir nuli ti soglio ora!
Ben tei diro, primacii' un passo «cresca
L' (uiibra ; <'hè ci sarà poca dimora,
'l'rovaro and. nulo ìnsienu- uà' ai'qua ficsra.
l'\w. col suo iMorniorio Iacea talora
Pastori o AJaniianti al chiaro rio
Venire, e berne V amoroso obblio
a6
[563]
ORLANDO FURIOSO. (XLII. 61 -76)
[564]
61. Signor, queste eran quelle gelide acque,
Quelle, che spengon 1' amoroso caldo,
Di cui bevendo, ad Angelica nacque
L' odio, eh' ebbe di poi sempre a Rinaldo.
E s' ella un tempo a lui prima dispiacque,
E se neir odio il ritrovò sì saldo,
Non derivò, Signor, la causa altronde.
Se non d' aver bevuto di queste onde.
62. Il cavalier, che con Rinaldo viene.
Come si vede innanzi il chiaro rivo.
Caldo per la fatica il destrier tiene,
E dice: Il posar qui non fia nocivo.
Non fia, disse Rinaldo, se non l)ene;
Ch' oltreché prema il mezzogiorno estivo,
M' ha cosi il brntto mostro travagliato,
Che '1 riposar mi fia comodo e grato.
63. L' uno e 1' altro smontò del suo cavallo,
E pascer lo lasciò per la foresta;
E nel fiorito verde a rosso e a giallo
Ambi si trasser 1' elmo della testa.
Corse Rinaldo al liquido cristallo,
Spinto da caldo e da sete molesta,
E cacciò a un sorso del freddo liquore
Dal petto ardente e la sete, e 1' amore.
64. Quando lo vide 1' altro cavalicro
La bocca sollevar dall' acqua molle,
E rjtrarne pentito ogni pensiero
Di quel desir, eh' ebbe d' amor si folle,
Si levò ritto , e con sembiante altero
Gli disse quel, che dianzi dir non volle:
Sappi , Rinaldo , il nome mio è lo Sdegno,
Venuto sol per sciorti il giogo indegno.
65. Così dicendo , subito gli sparve,
E sparve insieme il suo destrier con lui.
Questo a Rinaldo un gran miracol parve;
S' aggirò intorno, e disse: Ove è costui?
Stimar non sa, se sian magicht; lar\e,
Che Malagigi, un de' ministri sui.
Gli abbia mandato a romper la catena,
Che lungamente 1' ha tenuto in pena;
66. Oppur che Dio dall' alta gerarchia
Gli abbia, per inefTalìil sua boutade.
Mandato, come già mandò a Tobia,
Un angelo a levar di cecitade.
Ma buono, o rio demonio, o quel che sia,
Che gli ha renduta la sua libertade,
Ringrazia e loda, e da lui sol conosce.
Che sano ha il cor dall' amorose angosce.
67. Gli fu nel primicr odio ritornata
Angelica , e gli parve troppo indegna
D' esser , non che sì Inngi seguitata.
Ma che per lei pur mezza lega vegna.
Per riaver Uajardo tutta fiata,
Verso India in Sericana andar disegna.
Sì perchè l' onor suo Io stringe a farlo,
Sì per averne già parlato a Carlo.
68. Giunse il giorno s(tgn(;nte a liasilea.
Ove la nuo^a era venuta innante,
Che il conte Orlando aver pugna «lovea
Contra Gradasso e; contra il re Agramantc.
Aè questo per avviso kÌ sa[)ea,
Cir ave-^e dato il cavali<:r d' Angliuite;
Miì di Sicilia in fretta venut' era
Ciii la nocella v' apportò per vera.
69. Rinaldo vuol trovarsi con Orlando
Alla battaglia, e se ne vede lunge.
Di dieci in dieci miglia va mutando
Cavalli e guide, e corre, e sferza, e punge.
Passa il Reno a Costanza, e in su volando
Traversa 1' Alpe, ed in Italia giunge;
Verona addietro, addietro Mantoa lassa,
Sul Pò si trova, e con gran fretta il passa.
70. Già s' inchinava il sol molto alla sera,
Ed apparia nel ciel la prima stella,
Quando Rinaldo in ripa alla riviera
Stando in pens er, s' avea da mutar sella,
O tanto soggiornar, che 1' aria nera
Fuggisse innanzi all' altra aurora bella,
Venir si vede un cavaliero innanti.
Cortese nell' aspetto e ne' sembianti.
71. Costui, dopo il saluto, con bel modo
Gli domandò , se aggiunto a moglie fosse.
Disse Rinaldo : Io son nel giogal nodo ;
Ma di tal domandar meravigliosse.
Soggiunse quel : Che sia così , ne godo.
Poi , per chiarir , perchè tal detto mosse.
Disse : Io ti prego , che tu sia contento,
Ch' io ti dia questa sera alloggiamento:
72. Che ti farò veder cosa , che debbe
Ben volentier veder chi ha moglie allato.
Rinaldo, sì perchè posar vorrebbe,
Ormai di correr tanto affaticato.
Sì perchè di vedere e d' udir ebbe
Sempre avventure un desiderio innato,
Accettò r offerir del cavaliero,
£ dietro gli pigliò nuovo sentiero.
73. Un tratto d' arco fuor di strada uscirò,
E innanzi un gran palazzo si trovaro.
Onde scudieri in gran frotta veniro
Con torchj accesi, e fero intorno chiaro.
Entrò Rinaldo , e voltò gli occhj in giro,
E vide loco , il qual si vede raro.
Di gran fabbrica , e bella , e ben intesa ;
Né a privato uom convenia tanta spesa.
74. Di serpentin , di porfido le dure
Pietre fan della porta il ricco volto.
Quel che chiude è di bronzo, con figure.
Che sembrano spirar, movere il volto.
Sotto un arco poi s' entra , ove misture
Di bel nuisaico ingannan 1' occhio molto.
Quindi si va in un quadro, eh' ogni faccia
Delle sue logge ha lunga cento braccia.
75. La sua porta ha per sé ciascuna loggia,
E tra la porta e sé ciascuna ha un arco.
D' ampie/za pari son, ma varia foggia
Fé' d' oniamenti il mastro lor non parco.
Da ciascun arco s' entra , ove si (loggia
Sì facii , che un somier vi può gir carco.
Un altro arco dì su trova ogni scala,
E tì' entra per ogni arco in una sala.
76. Gli archi di sopra escono fuor del segno
Tanto, che fan coperchio alle gran porte j
E ciascun due «.olonne ha per sostegno.
Altre di bronzo , altre di pietra forte.
Lungo sarà, s(! tutti vi disegno
(ìli ornati alloggiamenti della corte;
Ed olirà quel, die appar, quanti agi sotto
La cava terra il mastro avea ridotto.
)65]
ORLANDO FURIOSO. (XLII. 77—92)
7. L' alte colonne e ì capitelli d' oro,
Di che i g^eramati palchi cran soffulti,
I peregrini marini , che \ì foro
Da dotta mano in varie forme sculti,
Pitture e getti , e tant' altro lavoro,
BencJiè la notte agli occhj il più ne occulti,
Mostran, che non bastaro a tanta mole
Di duo re insieme le ricchezze sole.
ÌS. Sopra gli altri ornamenti ricchi e belli,
Ch' erano assai nella gioconda stanza,
V era una fonte, che per più ruscelli
Spargea freschissime acque in abbondanza.
Poste le mense avean quivi i donzelli,
Ch' era nel mezzo per ugual distanza.
Vedeva , e parimente veduta era
Da quattro porte della casa altera.
79. Fatta da mastro diligente e dotto
La fonte era , con molta e sottil' opra.
Di loggia a guisa, o padiglion, che, in otto
Facce distinto, intorno adombri e copra.
Un ciel d' oro, che tutto era di sotto
Colorito di smalto, le sta sopra;
Ed otto statue son di marmo bianco,
Che sostengon quel ciel col bi-accio manco.
80. Nella man destra il corno d' Amaitca
Sculto avea lor 1' ingenioso mastro.
Onde con grato murmurc cadea
L' acqua di fiiore in vaso d' alahastro;
Ed a sembianza di gran donna avea
Ridotto con grand' arte ogni pilastro.
Son d' abito e di faccia differente.
Ma grazia hanno e beltà tutte ugualmente.
81. Fermava il pie ciascun di questi segni
Sopra due belle immagini più basse.
Che con la bocca aiierta facean segni.
Che 'I canto e V aiinonia lor dilettasse :
E queir atto , in che son , par (^he disegni,
Che r opra e studio lor tutto lodasse
Le l)elle donne, clic su gli omeri hanno,
Se fosser quei, di cui in sembianza stanno.
82. I simulacri inferiori in mano
Avean limghe ed amplissime scritture,
Ove facean con molta laude piano
1 nomi (Ielle più degne figiu-e;
E mostravano an<-iir poco lontano
1 propi'j loro in note non ostuin;.
I\1iró Hinahio a lume di doppieri
Le donne ad una ad una, e i cavalieri.
83. La prima inscrizion, clic agli occhj occorre,
Con lungo onor liUcrezia itorgia nt>iiiii,
La (Mii billcz/.a «-d (uie-tà prcporri-
Debbe alT antica la sua patria Konia.
1 duo , die voluto bari s()|)ra ^<è torre
Tanto eccellente ed oinuala s(min,
Noma io scritto , Antonio 'i'<-baldco.
Ercole Strozza, un Lino, ed uno Orfeo.
81. Non men gioconda statua , uè mcn bella,
Si vede appreso, e la scriltiira dice:
Ecco la figlia d' Ercole , tabella,
Per cui Ferrara si terrà l'elict;
Ma più, perchè in lei nata sarà quella,
("Ile d' altro ben, che p^o^p('ra e fautrice
E briiigiia Foriiiiia dar Iv. deve,
\olgendo gli anni nel suo corso lie\e.
[566]
85. I duo , che mostran disiosi affetti.
Che la gloria di lei sempre risuone,
Gian Giacobi ugualmente erano detti,
L' uno Calandra , e 1' altro Bardeione.
Nel terzo e quarto loco, ove per stretti
Rivi i' acqua esce fuor del padiglione,
Due donne son, che patria, stirpe, e onore
Hanno di par, di par beltà e valore.
86. Elisabetta 1' una, e Leonora
Nominata era 1' altra : e fia , per quanto
Narrava il marmo sculto, d' esse ancora
Sì gloriosa la terra di Pianto,
Cile di VirgiHo, che tanto 1' onora.
Più che di queste, non si darà vanto.
Avea la prima appiè del sacro lembo
Jacobo Sadoleto , e Pietro Bembo.
87. Un elegante Castiglione, e un culto
Muzio Arelio dell' altra eran soste'-^ni.
Di questi nomi era il bel marmo sculto.
Ignoti allora, or sì famosi e degni,
^eggon poi quella, a cui da! cielo indulto
Tanta virtù sarà, quanta ne regni,
O mai regnata in alcun tempo sia,
Versata da fortuna or buona, or ria.
S8. Lo scritto d' oro esser costei dichiara
Lucrezia Bentivoglia; e fra le lode
Pone di lei, che "1 duca di Ferrara
D' esserle padre si rallegra e gode.
Di costei canta con soave e chì<ira
Voce un Cammil , che '1 Reno e Felsìna ode
Con tanta attenzion, tanto stupore.
Con quanta Anfriso udì già il suo pastore.
89. Ed un , per cui la terra , ove 1' Isauro
Le sue dolci acque insala in maggior vase.
Nominata sarà dall' Indo al ]\lauro,
E dall' aiistrine all' iperboree case,
A ia più , che per pesare il roiiian a\iro,
Di che perpetuo nome le rimase.
Guido Postumo, a cui doppia corona
Pallade quinci , e quindi Febo duna.
90. L' altra, che segue in ordine, è Diana.
Non guardar, dice il marmo scritto, eh' ella
Sia altera in vista; che nel core iiiiiana
Non sarà però men, che in viso bella.
Il dotto Celio CaliMgnin lontana
Farà l.i gb»ria e 1 bel nome ili quella
Ael regno di M»iiiese, in qin I di .Suba,
In India e Spagna udir con chiiira tuba;
91. Ed tin Marco Cavallo, che tal fonte
Farà di jtoesia na»rer «1' Ancona,
Qiial fé' il ca\<illo alato iix'ir del monte.
Non so, se di Pariiiiso , o d' Klicona.
Beatri<-e appresso a questa alz,i la fronte,
Di cui lo scritto suo così ragiona :
Beatrice bea vivendo il suo cmisorte,
E lo lascia infelice alla sua morte,
92. Anzi tutta 1' Italia, clic con lei
Fia trionfante, e senza lei cattiva,
l'n signor di (torreggio di cosici
(]oii alto stil par che cantando scriva,
E Timoteo , l' onor de' Bnidcdci :
Ambi farai! tra V inni e 1 altra riva
l''crmare al suoii de' lor soavi plettri
11 fiume, ove sudar gli aniichi elettri.
3(» *
[567]
ORLANDO FURIOSO. (XLII. 93 — 104)
[568]!
93. Tra questo loco , e quel della colonna.
Che fu scolpita in Borgia , coni' è detto,
Formata in alabastro una gran donna
Era, di tiinto e sì sublime aspetto.
Che sotto puro velo , in nera gonna
Senz' oro e gemme , in un vestire schietto,
Tra le più adorne non parca men bella,
Che sia tra 1' altre la ciprigna stella.
94. jNon si potea ben contemplando fiso
Conoscer , se più grazia , o più beltade,
O maggior maestà fosse nel viso,
O più indizio d' ingegno , o d' onestade.
Chi vorrà di costei (dicea 1' inciso
Marmo) parlar . quanto parlar n' accade.
Ben torrà impresa più d' ogni altra degna,
Ma non però , che a fin mai se ne vegna.
95. Dolce quantunque , e picn di grazia tanto
Fosse il suo bello e ben formato segno,
Parca sdegnarsi , che con umil canto
Ardisse lei lodar sì rozzo ingegno,
Cora' era quel , che sol , senz' altri accanto,
(Non so perchè) le fu fatto sostegno.
Ì)i tutto il resto erano i nomi scuUi;
Sol questi duo 1' artefice avea occulti.
96. Fanno le statue in mezzo un luogo tondo,
Cile "1 pavimento asciutto ha di corallo.
Di freddo soavissimo giocondo,
Che rendea il puro e liquido cristallo,
Che di fuor cade in un canal fecondo,
Che il prato verde , azzurro , bianco , e giallo
Rigando scorre per varj ruscelli,
Grato alle morbide erbe, e agli arboscelli.
97. Col cortese oste ragionando stava
Il paladino a mensa; e spesso spesso,
Senza più difTerir , gli ricordava,
Che gli attenesse quanto avea promesso ;
F ad «)r ad or mirandolo , osservava,
(Jir avea di grande affanno il core oppresso,
Che non può star momento , che non abbia
Un cocente sospiro in sulle labbia.
98. Spesso la voce dal desio cacciata
Viene a Rinaldo fin presso alla bocca
Per domandarlo , e quivi raffrenata
Da corte>e modestia fuor non scocca.
Ora essendo la cena terminata.
Ecco un donzello , a chi 1' ufficio tocca,
Poh sulla mensa un bel nappo d' or fino,
Di fuor di gemme, e dentro pien di vino.
99. Il signor della casa allora alquanto
Sorridendo , a Rinaldo levò il viso ;
Ma chi ben lo notava, più di pianto
Parca, eh' avesse voglia, che di riso.
Disse: ora a quel, che mi ricordi tanto,
Che tempo sia di soddisfar, m' è avviso,
Mostrarti un paragon , eh' esser de' grato
Di vedere a ciascun , eh' ha moglie allato.
100. Ciascun marito , a mio giudicio , deve
Sempre spiar, se la sua donna 1' ama,
Saper , so onore o biasmo ne riceve,
Se per lei bestia, o se pur uora si chiama.
L' incarco delle corna è lo più lieve,
Che al mondo sia , sebben V uom tanto infama:
Lo vede quasi tutta 1' altra gente,
E chi r ha in capo , mai non se lo sente.
101. Se tu sai, che fedel la moglie sia.
Hai di più amarla , e d' onorar ragione,
Che non ha quel , che la conosce ria,
0 quel, che ne sta in dubbio e in passione.
Di molte n' hanno a torto gelosia
1 lor mariti, che son caste e buone :
Molti di molte anco sicuri stanno,
Che con le corna in capo se ne vanno.
102. Se vuoi saper, se la tua sia pudica,
(Come io credo che credi , e creder dei,
Ch' altramente far credere è fatica)
Se chiaro già per prova non ne sei,
Tu per te stesso , senza eh' altri il die ,
Te n' avvedrai , se in questo vaso bei,
Che per altra cagion non è qui messo.
Che per mostrarti quanto io t' ho promesso
103. Se bei con questo, vedrai grande effetto:
Che , se porti il cimier di Cornovaglia,
Il vin ti spargerai tutto sul petto,
IVè gocciola sarà, che in bocca saglia:
Ma, se hai moglie fedel, tu berrai netto.
Or di veder tua sorte ti travaglia.
Così dicendo, per mirar tien gli occlij.
Che in seno il vin Rinaldo si trabocchi-
lo!. Quasi Rinaldo di cercar suaso
Quel che poi ritrovar non vorria forse,
]\Iessa la mano innanzi , e preso il vaiìo,
Fu presso di volere in prova porse.
Poi , quanto fosse periglioso il caso
A porvi i labbri , col pensier discorse.
Ma lasciate , Signor , eh' io mi ripose !
Poi dirò quel, che '1 paladin rispose.
)69]
ORLANDO FURIOSO. (XLIII. 1 — 12)
[5Ì0Ì
CANTO QUARANTESIMOTERZO.
ARGOMENTO.
Due novelle Rinaldo , in vitupero
Delle donne una, e V altra intende ed ode
Degli uomini; e dappoi vario sentiero
Ritrova Orlando , e seco poco gode.
L' esequie fan di Brandimartc , e fiero
Dolor dì Fior diligi il petto rode.
Battesmo ave Sobrin dalV eremita,
E col buono Olivier salva la vita.
y^. Oh esecrabile avarizia! oh ìng'orda
Fame iV avere! io non mi ineravig^iio,
Che ad ahna vile , e d' altre inaixhie lorda
Sì facilmente dar possi di piglio;
Ma che meni lef»-ato in una corda,
E che tu impiaghi del medet^mo artiglio
Alcun, che per altezza era d' ingegno,
Se te schivar potea, d' ogni onor degno.
2. Alcun la terra , e '1 mare , e i ciel misura,
E render sa tutte le cau^e appieno
D' ogni opra , d' ogni cfletto di natura,
E poggia sì, che a Dio riguarda in seno;
E non pu»> aver più ferma e maggior cura,
Morso dal tuo mortifero veleno,
Che unir tesoro ; e questo sol gli prcm
E ponvi ogni salute, ogni sua speme.
3. Rompe eserciti alcuno, e nelle porte
Si vede entrar di bellicose terre.
Ed esser primo a porre il petto forte,
l Itimo a trarre, in perigliose guerre;
E non può riparar, che sino a morte
Tu nel tuo cieco carcere noi serre.
Altri d' altre arti e d' altri studj industri,
Oscuri fui , che sarian chiari e illustri.
4. Che d' alcune dirò belle e gran donne,
Che a belh-'/.'/.a, a virtù di lìdi amanti,
A lunga servitù più <:lie colonne
Io veggo dure, iuuuobili <; co>tanti?
Veggo venir poi i' avarizia, e ponne
Far ^i, che par, che subito le incanti.
In un dì, senza amor (chi fìa che '1 creda?)
A un vecchio, a un brutto, a un mo^tro le dà in preda
5. \on è senza cagion , s' io me n(; iloglio :
Intendami chi può , che m' inteiid' io.
]\ù però di pro|iosito mi toglio,
^<'- la uraleria del mio c:anto obblio;
Ma non più u quel, «-ir ho detto, adattar voglio,
('he il quel, eh' io v' ho da dire, il parlar mio.
Or torniamo a contar del piiladiiio,
Clif ini a-sajrgiare il va.so fu »icii;o!
6. Io vi dicea , eh' alquanto pensar volle.
Prima eh' ai labbri il vaso s' appressasse.
Pensò, e poi disse: Ben sarebbe fo41e
Chi quel , che non vorria trovar , cercasse.
Mia donna è donna, ed ogni donna è molle:
Lasciam star miii credenza come stassc !
Sin qui m' ha il creder mio giovato e giova.
Che poss' io migliorar , per farne prova ?
7. Potria poco giovare, e nuocer molto ;
Che '1 tentar qualche volta Dio disdegna.
Non so , se in questo io mi sia saggio , o stolto,
]Wa non vo' più saper, che mi ctinvegna.
Or questo vin dinanzi mi sia tolto !
Sete non n' ho , ne vo' che me ne vegna ;
Che tal certezza ha Dio più proibita,
Che al primo padre 1' arbor della vita.
8. Che, come Adam, poiché gustò del pomo,
Che Dio con propria lìocca gì' interdisse.
Dalla letizia al pianto fece un tomo,
Onde in miseria poi sempre s' afflisse:
Cosi , se della moglie sua vuol 1' uomo
Tutto saper , quanto ella fece e disse,
Cade dall' allegrezze in pianti e in guai,
Onde non può più rilevarsi mai.
t). Così dicendo il buon Rinaldo, e intanto
Respingendo da sé 1' odiato vase,
Vide abbondare un gran rivo di pianto
Dagli occhj del signor di quelle case,
Che disse, poiché racchetossi alquanto:
Sia maladetto chi mi persuase,
Ch' io facessi la |>rova, oimé! di sorte,
Che mi levò la dolce mia consorte!
10. Perchè non ti conobbi già dicci anni,
Sìcch' io mi fossi consigliato teco,
Primache comincia>sero gli aflanni
E "1 lungo pianto, onde io .-«on quasi cieco?
Ma vo' legarti dalla scena i panni.
Che '1 mio mal vogghi, e te ne dogli meco;
E ti dirò il principio e 1' argomento
Del mio luui comparabile tormento.
11. (Quassù lasciasti una città virimi,
A cui fa intorno un chiaro fiume laco.
Che poi si steiule , e in (|ne.-.to l'o declina,
E r «)rÌK:ine sua vien di IJi-iiaco.
Fu f.itta la città , quando a mimi
Le uuu-a andar d<ll' agcnoreo draco.
Qni\i na<'(|ui io di slirp<- assai gentile.
Ma in pover tetto, e in farultadc umile.
12. Se fortiuia di me non ebbe cura,
Si<cliè mi desse al nas<er mio ricchezza,
Al difetto di lei supplì natura,
('he so|)ra ogni mio ugual mi die' bellezza-
Donne e doii'/.clle già di mia figura
Arder più d' mia vidi in giovanezza;
(ir io ci seppi accoppiar cortc:>i modi;
Henrliè stia mal. che 1' uom sé »tesso Indi.
£571]
ORLANDO FURIOSO. (XLUI. 13 — 28)
[572]
13. Nella nostra cìttade era un iiom saggio.
Di tutte r arti, oltre ogni creder, dotto,
Che, quando chiuse gii occhj al febeo raggio,
Contava gli anni suoi cento e ventotto.
Visse tutta sua età solo e selvaggio.
Se non 1' estrema, che, da amor condotto,
Con premio ottenne una matrona bella,
E n' ebbe di nascosto una zitella.
14. E per -^-ietar, che simil la figliuola
Alla madre non sia, che per mercede
Vendè sua castità, che valea sola
Più che quanto oro al mondo si possiede,
Fuor del commercio popolar la invola,
Ed, ove più solingo il luogo vede,
Quest' ampio e bel palagio, e ricco tanto
Fece fare a' demonj per incanto.
15. A vecchie donne e caste fé' nutrire
La figlia qui, che in gran beltà poi venne,
Kè , che potesse altr' uom veder , né udire
Pur ragionare in quella età , sostenne.
E perchè avesse esempio da seguire,
Ogni pudica donna, che mai tenne
Contra illecito amor chiuse le sbarre,
Ci fé' d' intaglio, o di color ritrarre;
16. Non quelle sol, che di virtude amiche
Hanno si il mondo all' età prisca adorno.
Di cui la fama per 1' istorie antiche
Non è per veder mai 1' ultimo giorno,
Ma nel futuro ancora altre pudiche.
Che faran bella Italia d' ogn' intorno.
Ci fé' ritrarre in lor fattezze conte,
Come otto, che ne vedi a questa fonte.
17. Poiché la figlia al vecchio par matura.
Sicché ne possa 1' uom cogliere i frutti,
0 fosse mia disgrazia , o mia ventura,
Eletto fui degno di lei fra tutti.
1 lati campi, oltre le belle mura.
Non meno i pescherecci, che gli asciutti,
Che ci son d' ogn' intorno a venti miglia,
Mi consegnò per dote della figlia.
18. Ella era bella e costumata tanto,
Che più desiderar non si potea.
Di bei trapunti e di ricami, quanto
Mai ne sapesse Pallade, sapea.
Vedila andare, odine il suono e '1 canto,
Celeste e non mortai cosa parca;
E in modo all' arti liberali attese.
Che quanto il padre, o poco men , ne intese.
li). Con grande ingegno, e non minor bellezza.
Che fsitta 1' avria amabil fino ai sassi,
Era giunto un amore, una dolcezza,
Ch(! par , che a rimembrarne il cor mi passi.
Non avca più piacer, né più vaghezza.
Che d' esser meco, ov' io mi stessi, o andassi.
Senza aver lite mai stemmo gran pezzo:
L' avemmo poi per colpa mia da sez/.o.
20. Morte» il suocero mio dopo cinque anni,
Cir io sottoposi il colle» al giogal nodo.
Non sten» in«»lto a cominciar gli afViinni,
Ch' io bent(» ancora , e ti dirò , in c!ie modo.
Mentre mi rif^biiuira tutto coi vanni
L' amor <li questa mia, che sì ti lodo,
Ina tciiiniìiia iioiiìl did paese,
Quunlo accender si può , di me s' accctic.
21. Ella sapea d' incanti e di malie
Quel, che saper ne possa alcuna maga,
liendea la notte chiara, oscuro il die,
Fermava il sol, facea la terra vaga.
Non potea trar però le voglie mie,
Che le sanassìn 1' amorosa piaga
Col rimedio, che dar non le potria,
Senz' alta ingiuria della donna mia.
22. Non perchè fosse assai gentile e bella.
Né perché sapess' io , che sì m' amassi,
Né per gran don, né per promesse, eh' ella
Mi fesse molte, e di continuo instassi.
Ottener potè mai eh' una fiammella,
Per darla a lei , del primo amor levassi ;
Che addietro ne traea tutte mie voglie
Il conoscermi fida la mia moglie.
23. La speme, la credenza, la certezza.
Che della fede di mia moglie avea,
M' avria fatto sprezzar quanta bellezza
Avesse mai la giovane ledea,
O quanto offerto mai senno e ricchezza
Fu al gran pastor della montagna idea.
Ma le repulse mie non valean tanto,
Che potessin levarmela da canto.
24. Un dì , che mi trovò fuor del palagio
La maga , che nomata era Melissa,
E mi potè parlare a suo grande agio.
Modo trovò da por mia pace in rissa,
E con lo spron di gelosia malvagio
Cacciar del cor la té , che v' era fissa.
Comincia a commendar 1' intenzion mia,
Ch' io sia fedele a chi fedel mi sia.
25. Ma che ti sia fedel , tu non puoi dire,
Primaché di sua fé prova non vedi.
S' ella non falle, e che potria fallire.
Che sia fedel, che sia pudica, credi.
Ma se mai senza te non la lasci ire.
Se mai vedere altr' uom non le concedi,
Onde hai questa baldanza, che tu dica,
E mi vogli alleruiar , che sia pudica ?
26. Scostati un poco, scostati da casa!
Fa, che le cittadi odano e i villaggi.
Che tu sia andato, e eh' ella sia riniasa!
Agli amanti dà comodo , e ai messaggi !
S' a' pieghi, a' doni non fia persuasa
Di fare al letto maritale oltraggi,
E che, facendol, creda che si cele,
Allora dir potrai, che sia fedele.
27. Con tai parole e simili non cessa
L' incantatricc, finché mi dispone.
Che della donna mia la fede espressa
Veder voglia e provare a paragone.
Ora poniamo , le soggiiuigo , eh' ess^
Sia, qual non posso averne opinione;
Come potrò di lei poi farmi certo,
Che sia di punizion degna, u di merto?
28. Disse Melissa: Io ti darò un vasello
Fatt(» da ber, di virtù rara e strana;
Qual già , per fare accorto il suo fratello
Del fallo di Ginevra, fé' Morgana.
Chi la moglie ha pudica, bce con quello;
Ma n(»n vi può già ber vhì V ha puttana;
(jlié 1 vin, quandi» h» crede in b(»c('a porre.
Tutto bi sparge , e fuor nel petto scorre.
373]
ORLANDO FURIOSO. (XLIII. 29-44)
[5T4]
29. Primachè parti, ne farai la prova,
E per lo creder mia tu berai netto;
Che credo , eh' ancor netta si ritrova
La moglie tua, pur ne vedrai 1' effetto.
Ma, s'al ritorno esperienza nuova
Poi ne farai, non t' assicuro il petto;
Che, se tu non lo immolli, e netto bei,
1 D' ogni marito il più felice sei.
ISO. L' offerta accetto: il vaso ella mi dona;
Ne fo la prova , e mi succede appunto ;
Che , com' era il disio , pudica e buona
La cara moglie mia trovo a quel punto.
Disse Melissa: Un poco 1' abbandona!
j Per un mese, o per due stanne disgiunto,
I Poi torna, poi di nuovo il vaso tolii ;
Prova, se bevi, oppur se '1 petto immolli!
31. A me duro parca pur di jìartire.
Non perchè di sua fé sì dubitassi.
Comedi' io non potea diu) dì patire.
Nò un' ora pur, che senza me restassi.
Disse Melissa: Io ti farò venire
A conoscere il Aer con altri passi.
Vo', che muti il parlare e i vestimenti,
£ sotto viso altrui te le appresenti.
3'i. Signor , qui presso una città difende
Il Po , fra minacciose e fiere corna,
La cui giurisdizion di qui si stende
Fin dove il mar fugge dal lito , e torna.
Cede d' antichità, ma ben contende
Con le vicine in esser ricca e adorna.
Le reliquie trojane la foiidaro.
Che dal flagello d' Attila camparo.
33. Astringe e lenta a questa terra il morso
Un cavalier, giovane, e ricco, e belio,
Che dietro , un giorno , a un suo falcone scorso,
Essendo capitato entro il mio osteUo,
Vide la donna, e sì nel primo occorso
Gli piacque , che nel cor portò il suggello ;
Né cessò molte pratiche far poi,
Per inchinarla ai desiderj suoi.
34. Ella gli fece dar tante repulse.
Che più tentarla alfine egli non volse ;
Ma la beltà di lei , eh' Amor vi sculse.
Di menutria però n(m se gli tolse.
Tanto Melissa lusingonuni e mulse,
Ch' a tur la forma di colui mi volse;
E mi nuitò , nò so ben dirti come,
Di faccia , di parlar , d' occlij e di chiome.
35. Già con mia moglie av(;ndo simulato
D' esser partito, e gitone in Levante,
Nel giovane amator così mutato
L' andar, la voce, 1' abito e Ì sembiante
Me ne ritorno , ed ho iMclissa allato, 1
Che s' era trasloruiala , <; parca un fante; !
i'ì le più ricche gcniuic av(;a con lei, 1
Che mai mandas»ìu gì' Indi o gli eritrei. I
3(>. Io , che r uso saprà del mio palagio,
Kntro sicuro, e \i(;n Melissa meco,
E madonna ritrovo a ^ì grande; agio,
VAn'. non ha uè scudicr, né donna seco.
I mici preghi l' «impongo, indi il malvagio
Slìinitli) iiiiiair/.i ilei mal far le aiT<('o,
I rultini, i diamanti e gli smeraldi,
Che mosso arebbuii tulli i cor più buldi;
37. E le dico , che poco è questo dono
Verso quel , che sperar da me dovea.
Della comodità poi le ragiono,
Che, non v' essendo il suo marito, avea;
E le ricordo, che gran tempo sono
Stato suo amante, com' ella sapea:
E che r amar mio lei con tanta fede
Degno era avere alfin qualche mercede.
38. Tui-bossi nel principio ella non poco.
Divenne rossa, ed ascoltar non volle;
Ma il veder fiammeggiar poi , come foco.
Le belle gemme, il duro cor fé' molle;
E con parlar rispose breve e fioco
Quel, che la vita a rimembrar mi tolle,
Che mi compiacerla, quando credesse,
Ch' altra persona mai noi risapesse.
39. Fu tal risposta un venenato telo,
Di che me ne sentii 1' alma trafissa:
Per r ossa andommi e per le vene un gelo;
Nelle fauci restò la voce fissa.
Levando allora del suo incanto il velo,
Nella mia forma mi tornò Melissa.
Pensa , di che color dovesse farsi.
Che in tante» error da me vide trovarsi!
40. Divenimmo ambi di color di morte ;
Muti ambi , ambi restiam con gli occhj bassi.
Potei la lingua appena aver sì forte,
E tanta voce appena, eh' io gridassi:
Me tradiresti dunque tu , consorte,
Quando tu avessi, chi il mio onor comprassi?
Altra risposta darmi ella non puote,
Che di rigar di lagrime le gote.
41. Ben la vergogna è assai, ma più lo sdegno,
Ch' ella ha, da me veder farsi quell' onta;
E moltiplica si senza ritegno.
Che in ira alfine, e in crudcl odio monta.
Da me fuggirsi tosto fa disegno,
E neir ora-, che '1 sol del carro smonta,
Al fiume corse, e in una sua barchetta
Si fa calar tutta la notte in fretta.
42. E la mattina s' appresenta avante
Al cavalier , che 1' avea un tempo amata.
Sotto il cui viso, solto il cui sembiante
Fu contra 1' onor mio da me tentata.
A lui , che n' era stato ed era amante,
Creder si più» , i;he fu la giunta grata.
Quindi ella mi fé' dir, eh' io non sperassi.
Che mai più fosse mia , uè più m' amassi.
43. Ahi lasso! da quel dì con lui dimora
In gran piacere, e di me prende gioco;
Ed io del mal, che procacciaiini allora.
Ancor languisco, e non ritrovo loco.
Cresce il mal sempre, e giusto è, eh' io ne mora.
E resta oiniii da coiisiimani poro.
Ben credo , cb<; "I piiiiio anno sarei morto.
Se non mi d.i\a ajiito un sol conl'orlo.
44. Il conforto, di' io prendo, è, che di quanti
Per dicci anni mai Tur sotto al mio Idto,
(Cir a lutti (jiicsto vaso ho messo iniiiinli)
Non ne trovo un, che non s' ìmiuolli il pctio.
Aver mi ca«o min c(uii|iiigni tanli
Mi dà. fra tanto mal, (|iialihc diletto.
Tu, tra in/initi, sol sei slato saggio.
Che far negasti il periglioso saggio.
[5T5]
ORLANDO FURIOSO. (XLIIL 45—60)
[516]
45. Il mio voler cercare oltre alla meta,
Che delLi donna sua cercar si deve,
Fa , che iimI [jììi trovare ora quieta
Kon può la vita mia, sia lung-a, o breve,.
Di ciò Melissa fu a principio lieta ;
Ma cessò tosto la sua gioja leve;
Ch' essendo causa del mio mal stata ella,
Io r odiai sì, olle non potea vedella.
46. Ella d' essere odiata impaziente
Da me, che dicea amar più che sua vita,
Ove donna restarne immantinente
Creduto avea, che 1' altra ne fosse ita,
Per non aver sua doglia si presente,
^ton tardò molto a far di qui partita;
E in modo abbandonò questo paese,
Che dopo mai per me non se n' intese.
47. Cosi narrava il mesto cavaliere :
E quando fine alla sua istoria pose,
Rinaldo alquanto ste' sopra pensiero,
Da pietà vinto , e poi così rispose :
Mal consiglio ti die' Melissa invero,
Che d' attizzar le vespe ti propose;
E tu fosti a cercar poco avveduto
Quel, che tu avresti non trovar voluto.
48. Se d' avarizia la tua donna vinta
A voler fede romperti fu indutta,
Non t' ammirar! né prima ella, né quinta
Fu delle donne prese in sì gran lutta;
E mente via più salda ancora e spinta
Per minor prezzo a far cosa più brutta.
Quanti uomini odi tu, che già per oro
Han traditi padroni e amici loro?
49. Non dovevi assalir con sì fiere armi,
Se bramavi veder farle difesa.
Kon sai tu contra 1' oro, che né i marmi,
Né '1 durissimo acciar sta alla contesa ?
Che più fallasti tu a tentarla parmi
Di lei , che così tosto restò presa.
Se te altrettanto avesse ella tentato.
Non so , se tu più saldo fossi stato.
50. Qui Rinaldo fé' fine, e dalla mensa
Levossi a un tempo, e domandò dormire;
Che riposare un poco , e poi si pensa
Iiiìianzi al dì d' un ora o due partire.
Ila poco tempo, e '1 poco, eh' ha, dispensa
Con gran misura, e invan noi lascia gire.
11 signor di là dentro a suo piacere
Disse , che si polca porre a giacere,
51. Cir apparecchiata era la stanza e '1 letto ;
Ma che , se volea far per suo consiglio.
Tutta notte dormir potria a diletto,
E dormendo avanzarsi qualche miglio.
Acconciar ti farò, disse, un legnetto,
Con che volando, e scnz' alcun periglio,
'J'utta notte dormendo vo' che vada,
E una giornata avanzi della strada.
52. La proferta a Rinaldo accettar piacque,
E molto ringraziò 1' oste cortese;
Poi seiizii indii-rio là, dove nell' acque
Da| na\igiiiiii «ra aspettato, srese.
Quivi a grainb; agio riposato giacque.
Mentre il corso del (inine il legno prese.
Clic da sei nini spinto, lieve e snello
Vr\ Jiiime andò, come per 1' aria augello.
I
53. Così tosto Cora' ebbe il capo chino,
Il cavalier di Francia addormentosse;
Imposto avendo già, come vicino
Giungea a Ferrara, che svegliato fosse.
Restò Melara nel lito mancino.
Nel lito destro Sermide restosse.
Figai-olo e Stellata il legno passa.
Ove le corna il Po iracondo abbassa.
54. Delle due corna il nocchier prese il destro,
E lasciò andar verso Venezia il manco :
Passò il Bondeno ; e già il color cilestro
Si vedea in Oriente venir manco.
Che, votando di fior tutto il canestro,
L' Aurora vi facea vermiglio e bianco,
Quando, lontan scoprendo di Tealdo
Ambe le rocche , il capo alzò Rinaldo.
55. Oh città bene avventurosa! disse.
Di cui già Malagigi, il mio cugino.
Contemplando le stelle erranti e fisse,
E costringendo alcun spirto indovino,
Nei secoli futuri mi predisse,
(Giacch' io facea con lui questo cammino)
Ch' anco la gloria tua salirà tanto.
Che avrai di tutta Italia il pregio e '1 vanto!
55. Così dicendo, e pur tuttavia in fretta
Su quel battei, che parca aver le penne.
Scorrendo il re de' fiumi, all' isolctta,
Ch' alla cittade è più propinqua, venne;
E benché fosse allora erma e negletta.
Pur s' allegrò di rivederla, e fenne
Non poca festa; che sapea, quanto ella,
Volgendo gli anni, saria ornata e bella,
57. Altra fiata , che fé' questa via,
Udì da Malagigi, il qual seco era.
Che, settecento volte che si sia
Girata col monton la quarta sfera,
Questa la più gioconda isola fia
Di quante cinga mar, stagno, o riviera;
Sicché, veduto lei, non sarà chi oda
Dar più alla patria di Nausicaa loda.
58. Udì , che di bei tetti posta innante
Sarebbe a quella sì a Tiberio cara;
Che cederian 1' Esperide alle piante,
Ch' avria il bel loco d' ogni sorte rara ;
Che tante specie d' animali , quante
Vi fien, né in mandra Circe ebbe, né in ara;
Che v' avria con le Grazie e con Cupido
Venere stanza, e non più in Cipro, o in Gnido
55). E che sarebbe tal per studio e cura
Di chi al sapere ed al potere imita
La voglia avendo , d' argini e di mura
Avria si ancor la sua città munita.
Che contra tutto il mondo star sicura
Potria , senza cliiauuir di fuori aita ;
E che d' Ercol lìgiiuol, d' Ercol sarebbe
Padre il signor, che questo e quel far debba.
OO. Così venia Rinaldo ricordando
Quel, che già il suo cugin detto gli avea,
Delle future cose divinando.
Che spesso conferir seco solca:
E tuttavia 1' umil città niiraiuln,
('oni(! esser può, eh' ancor, seco dicea.
Delibati <-osì fiorir qnc^ste paludi
tìì tutti i liberali e degni studj ?
[•>"]
ORLANDO FURIOSO. (XLHI. 61— 76)
[5781
GÌ. E crescer abbia Ai si picclol borgo
Ampia cittade, e di sì gran bellezza?
E ciò , eh' intorno è tutto stagno e gorgo,
Sien lieti e pieni campi di ricchezza?
Città, sinora a riverire assorgo
L' amor, la cortesia, la gentilezza
De' tuoi signori , e gli onorati pregi
Dei cavalier, dei cittadini egregi.
62. L' ineflìiliil bontà del Redentore,
De' tuoi principi il senno e la giustizia,
Sempre con pace, sempre con amore
Ti tenga in abbondanza ed in letizia,
E ti difenda centra ogni furore
De' tuoi nemici, e scopra lor malizia!
Del tuo contento ogni vicino arrabbi
Piiiitosto, che tu invidia ad alcun abbi!
63. Mentre Rinaldo così parla, fende
Con tanta fretta il sottil legno 1' onde.
Che con maggiore a logoro non scende
Falcon , eh' al grido del padron risponde.
Del destro corno il destro ramo prende
Quindi il nocchiero, e mura e tetti asconde.
San Giorgio addietro , addietro s' allontana
La torre della Fossa, e di Gaibana.
61. Rinaldo , come accade eh' un pensiero
Un altro dietro, e quello un altro mena.
Si venne a ricordar del cavaliero.
Nel cui palagio fu la sera a cena.
Che per questa cittade, a dire il vero,
Avca giusta cagion dì stare in pena;
E ricordossi del vaso da bere.
Che mostra altrui 1' error della mogliere:
65. E ricordossi insieme della prova.
Che d' aver fatta il cavalier narrolli;
Cile di quanti avea esperti , uomo non trova.
Che bea nel vaso, e '1 petto non s' immolli.
Or si pente; or tra se dice: E' mi giova,
Ch' a tanto paragon venir non volli:
Riuscendo, accertava il creder mio;
Non riuscendo, a che partito era io?
66. Gli è questo creder mio, come io 1' avessi
Ben certo, e poco accrescer lo jiotreij
Sicché, se al paragon mi succedessi.
Poco il meglio saria, eh' io ne trarrei;
Ma non già poco il mal, quando vedessi
Quel di Clarice mia , eh' io non vorrei.
Metter saria mille i-ontra uno a gio<:o :
Che perder si può molto, e acquistar poco.
67. Stando in questo pensoso il cavaliero
Di Cliiaranu>nte , e non alzando il viso,
Con molta attenzion fu da un nocchiero,
Clic gli era incontra, riguardato fìso:
E percbè di veder tutto il pensiero,
C-'hc r occupava tant«», gli fu avviso.
Come uom , che ben parlava ed avea ardire,
A seco ragionar lo fece uscire.
C8. La somma fu del lor ragionamento,
Che colui mal a(-corto era ben stato,
CIh; ncllii moglie sua 1' esperimento
Miif^gior, die può far donna, avea tentato;
Cile quella, che dall' oro e dall' argento
Difende il cor di pudicizia armato,
'l'ra iiiillc spade via più facilmeiitu
Uifciulurallu , e in mezzo al fuoco ardente.
69. Il nocchìer soggiungea : Ben gli dicesti
Clie non dovea offerirle si gran doni :
Cbè contrastare a questi assalti e a questi
Colpi non sono tutti i petti buoni.
Non so , se d' una giovane intendesti,
(Ch' esser può, che tra voi se ne ragioni)
Che nel raedesmo error vide il consorte,
Di eh' esso avea lei condannata a morte.
70. Dovea in memoria avere il signor min.
Che r oro e 'l premio ogni durezza inchina;
Ma quando bisognò, l' ebbe in obbllo.
Ed ei si procacciò la sua ruina.
Così sapea l' esein|)io egli, com' io,
Che fu in questa cittade qui vicina,
Sua patria e mia , che '1 lago e la paludo
Del rifrenato Menzo intorno chiude.
71. D' Adonio voglio dir, che '1 ricco dono
Fé' alla moglie del giudice d' un cane.
Di questo, disse il paladino, il suono
Non passa 1' Alpe, e qui tra voi rimane;
Perchè né in Francia, né dove ito sono.
Parlar n' udii nelle contrade estrane;
Sicché di' pur, se non t' incresce il dire;
Che volentieri io mi t' acconcio a udire.
72. Il nocchier cominciò : Già fu di questa
Terra un Anselmo , di famiglia degna ;
Che la sua gioventù con lunga vesta
Spese in saper ciò, eh' Ulpiano insegna;
E di nobil progenie , bella e onesta
Moglie cercò , eh' al grado suo convegna ;
E d' una terra quindi non lontana
N* ebbe una di bellezza soprumana,
73. E di bei modi, e tanto graziosi.
Che parca tutta amore e leggiadria;
E di molto più forse, eh' ai riposi,
Ch' allo stato di lui non convenia.
Tostochè r ebbe, quanti mai gelosi
Al mondo far, passò di gelosia;
Non già, eh' altra cagion gliene desse ella.
Che d' esser troppo accorta e troppo bella.
74. Nella città medesma un cavaliero
Era d' antica e d' onorata gente.
Che discendea da quel lignaggio altero,
Ch' usci d' una mascella di serpente;
Onde già Manto, e chi con essa fero
Tia patria mia , disceser similmente.
Il cavalier , eh' Adonio noiiiinosse.
Di questa bella donna innamorosse.
75. E per venire a fin di questo amore,
A spender cominciò senza ritegno.
In vestire, in conviti, in farsi onore.
Quanto può farsi un cavalier più degno.
Il tesor di Tiberio imper.itore
Non saria stato a tante spese al segno.
Io credo ben, che non pa>Mir duo \cnii,
Ch' egli uscì fuor di lutti i ben paterni.
76. La cafia, eh' era dianzi frequentala.
Mattina e sera, tanto dagli amici.
Sola restò, toslorbè fu pri\iita
Di starne, di i'agian, di codirnicl.
Egli, che «apo fu della Itrigata,
Rimase dietro , e quasi fra' mendici.
Pcn.-ò , poirir in miseria era venuto,
U' andare, ove non fosse coiiosriuto.
37
[5T9]
ORLANDO FURIOSO. (XLIII. 77-92)
[580]
77. Con questa intenzione nna mattina,
Senza far motto altrui , la patria lascia,
E con sospiri e lagrime cammina
Lungo lo stagno , che le mura fascia.
La donna, che del cor gli era regina,
Già non obblia, per la seconda ambascia.
Ecco un' altra avventura, che lo viene
Di sommo male a porre in sommo bene.
78. Vede un villan, che con un gran bastone
Intorno alcuni sterpi s' affatica.
Quivi Adonio si ferma, e la cagione
Di tanto travagliar vuol che gli dica.
Disse il villan , che dentro a quel macchione
Veduto avea una serpe molto antica,
Di che più lunga e grossa, a' giorni suoi,
Kon vide, né crcdea mai veder poi;
79,
80
E che non si voleva indi partire.
Clic non r avesse ritrovata, e morta.
Come Adonio lo sente così dire,
Con poca pazienza lo sopporta.
Sempre solca le serpi favorire;
Che per insegna il sangue sno le porta,
In memoria, eh' usci sua prima gente
De' denti seminati di serpente.
E disse e fece col villano in guisa.
Che suo mal grado abbandonò l' impresa;
Sicché da lui non fu la serpe uccisa,
Kè più cercata, né altramente offesa.
Adonio ne va poi , dove s' avvisa,
Che sua condizion sia meno intesa,
E dura con disagio e con affanno
Fuor della patria presso al settimo anno.
81
Né mai per lontananza, né strettezza
Del viver, che i pensier non lascia ir vaghi.
Cessa Amor , che *1 gli ha la mano avvezza,
Ch' ognor non gli arda il core, ognor impiaghi.
È forza alfm, che torni alla bellezza,
Che son di riveder sì gli occbj vaghi.
Barbuto, afilitto, e assai male in arnese,
Là, donde era venuto, il cammin prese.
82. In questo tempo alla mia patria accade
Mandare un oratore al padre santo.
Che resti appresso alla sua santitade
Per alcun tempo , e non fu detto , quanto.
Gettan la sorte, e nel giudice cade.
Oh gi<»rno, a lui ragion sempre di pianto!
Fé' scuse , pregò assai , diede e promesse,
Per non partirsi, e alfin sforzato cesse.
83. Non gli parca crudele e duro manco
A dover sopportar tanto dolore,
Che se veduto aprir s' avesse il fianco,
E vedutosi trar con mano il core.
Di geloso timor pallido e bianco
Per la sua donna . mentre staria fuore,
Lei con quei modi, che giocar si crede.
Supplice prega a non mancar di fede;
84. Dicendole, eh' a donna né bellezza.
Né nobiltà, né gran fortuna ba<tii,
Kicclié di viro onor monti in altezza.
Se per nome e p<;r opre non é casta;
E cIk; quella >ii'lii \i.i più si prezza,
Che dì hopra liman, quaiulo contrasta;
E eh' or gran campo aMi'a, per questa assenza.
Di far di pudicìzia esperienza.
85. Con tai le cerca, ed altre a^sai parole
Persuader, eh' ella gli sia fedele.
Della dura partita ella sì duole.
Con che lagrime, oh Dio! con che querele!
E giura, cìie piuttosto oscuro il sole
A'edrassi , che gli sia mai sì crudele.
Che rompa fede; e che vorria morire
Piuttosto, eh' aver mai questo desire.
86. Ancorché a sue promesse e a' suoi scongiuri
Desse credenza, e si acchetasse alquanto.
Non resta, che più intender non procuri,
E che materia non procacci al pianto.
Avea un amico suo , che de' futuri
Casi predir teneva il pregio e '1 vanto,
E d' ogni sortilegio, e magica arte
O il tutto, o ne sapea la maggior parte.
87. Diegli , pregando , di vedere assunto,
Se la sua moglie, nominata Argia,
Nel tempo, che da lei starà disgiunto,
Fedele e casta, o per contrario fia.
Colui, da' preghi vinto, tolle il punto;
Il ciel figura , come par , che stia.
Anselmo il lascia in opra, e l' altro giorno
A lui per la i-isposta fa ritorno.
88. L' astrologo tenea le labbra chiuse,
Per non dire al dottor cosa , che doglia,
E cerca di tacer con molte scuse.
Quando pur del sno mal vede «h' ha voglia.
Che gli romperà fede , gli conchiuse,
Tostoch' egli abbia il pie fuor della soglia,
Non da bellezza, né da preghi indotta.
Ma da guadagno e da prezzo corrotta.
89. Giunte al timore e al dubbio, eh' avea prima,
Queste minacce dei superni moti.
Come gli stesse il cor, tu stesso stima.
Se d' amor gli accidenti ti son noti !
E sopra ogni mestizia , che l' opprima,
E clie r afflitta mente aggiri e arruoti,
E il saper, come vinta d' avarizia,
Per prezzo abbia a lasciar sua pudicizia.
90. Or per far, quanti potea far, i-Ipari
Da non lasciarla in queir error cadere,
(Perché il bisogno a dispogliar gli altari
Trae l' uom talvolta, che sei trova avere)
Ciò , che tenea di gioje e di danari,
Che n' avea somma , pose in sno potere.
Hendite e frutti d' ogni possessione,
E ciò, eh' ha al mondo, in man tutto le pone
91. Con facoltade , disse , che ne' tuoi
Non sol bisogni, te li goda e spenda.
Ma , che ne possi far ciò , che ne vuoi.
Li consumi , e li getti , e doni , e venda.
Altro conto saper non ne vo' poi,
Piu-ché , qual ti lascio or, tu mi ti renda:
Purché, come or tu sci , mi sie rimasa.
Fa , eh' io non trovi né poder , né casa.
92. La prega, che non faccia, se non sente,
Ch' egli ci sia, nella città dimora.
Ma nella villa, o^e più agiatamente
Mv(u- potrà d' ogni commercio fuora.
Questo dicea , ixuocc^bé l' lunil gente
Che nel gregge o ne' i;ampi gli lavora,
N«>n gli «^ra avviso, che le caste voglie
Contaminar potessero alla moglie.
[581]
ORLANDO FURIOSO. (XLIII. 93 — 108)
93. Tenendo tuttavia le belle braccia
Al timido marito al collo Argia,
E di lagrime «empiendogli la faccia,
Ch' un lìumicel degli occlij le n' uscia,
S' attrista , che colpevole la faccia,
Come di fé mancata già gli sia;
Che questa sua sospizion procede.
Perchè non ha nella sua fede fede.
94. Troppo sarà , s' io voglio ir rimembrando
Ciò , eh' al partir da tramendue fu detto.
Il mio onor, dice alflii, ti raccomando.
Piglia licenza , e partesi in efletto ;
E ben si sente veramente, quando
Volge il cavallo , uscire il cor del petto.
Ella lo segue, quanto seguir puotc.
Con gli occhj, che le rigano le gote.
95. Adonio intanto misero e tapino,
E, come io dissi, pallido e liarbuto,
\ erso la patria avea preso il cammino,
Sperando di non esser conosciuto.
Sul lago giunse alla <:ittà vicino,
Là, dove avea dato alla biscia ajuto,
Ch' era assediata entro la macchia forte
Da quel villan, che por la volea a morte.
96. Quivi arrivando in sull' aprir del giorno,
Cile ancor splendea nel cielo alcuna stella.
Si vede in peregrino fibito adorno
Venir pel lito incontra una donzella
In signoril sembiante, ancorch' intorno
]\on le apparisse né scudier, nò ancella.
Costei con grata vista lo raccolse,
E poi la lingua a tai parole sciolse:
97. Sebben non mi conosci, o cavaliere,
Son tua parente, e grande obbligo t' aggio.
Parente son, perchè da Cadnu» fiero
Scende d' ambedue noi l' alto lignaggio.
Io son la fata Manto , che '1 primiero
Sasso misi a fondar questo villaggio,
E dal mio nome , come ben forse hai
Contare udito, .Muntua la nomai.
98. Delle fate io son una; ed il fatale
Stato per farti anco saper eh' importe,
Nascemmo a un punto , che d' ogni altro male
Siamo <'apaci , fuiuchè della morie.
Ma giinito è, «;on questo (!s.«ere immortale,
Condizion non inen del morir forte;
Cir ogni setlinu) giorno ognuna è certa,
Cile la sua forma in bircia si converta.
99. Il vedersi coprir del brutto spoglio,
E gir ser|)endo , è cosa tanto schiva,
('he non è pan; al iikukIo altro cordoglio,
Talché bi-stenunia ognuna d' esser viva.
E r obbligo cir io t' ho, (perchè ti voglio
InsiemeuH-ntc; dire, onde dcri\a)
Tu saprai, <li<! qii<l dì per esser tali,
Siamo a periglio d' infìiiili mali.
100. INon è sì odiato altro animale in terra.
Come la serpe; e noi, che u' ablùam faccia,
l'atimo da ciascuni» «illraggio v guerra;
Cile, chi ne vidi-, ne pcrcote <; caccia.
Se non troviamo, o\e tornar sotterra,
Sentiamo , quanto pesa altrui b; luaccia.
Meglii» saria poter inoiir, die rotte
£ tttorpiatu restar «otto le botte.
[5821
101. L' obbligo, eh' io V ho grande, è, eh' una volta.
Che tu passavi per quest' ombre amene
Per te di mano fui d' un villan tolta,
Che gran travagli m' avea dati, e pene.
Se tu non eri , io non andava assolta,
Ch' io non portassi rotto e capo e schiene
E che sciancata non restassi e storta,
Sebben non vi potea rimaner morta.
102. Perchè, quei giorni, che per terra il petto
Traemo avvolte in serpentile scorza,
Il ciel, che in altri tempi è a noi suggetto,
Nega ubbidirci, e prive siam di forza.
In altri tempi ad un sol nostro detto
Il sol si ferma, e la sua luce ammorza,
L' immobil terra gira, e muta loco,
S' infiamma il ghiaccio, e si congela il foco.
103. Ora io son qui per renderti mercede
Del beneficio, che mi testi allora.
INessuna grazia indarno or mi si chiede,
Ch' io son del manto viperino fuora.
Tre volte più, che di tuo padre erede
]Non rimanesti, io ti fo ricco or ora;
Né vo', che mai più povero diventi.
Ma, quanto spendi più, che più augumenti.
104. E perchè so, che nell' antico nodo.
In che già amor t' avvinse, anco ti trovi,
Voglioti dimostrar V ordine e '1 modo,
Ch' a disbramar tuoi desiderj giovi.
10 voglio, or che lontano il marito odo.
Che senza indugio il mio consiglio provi,
A adi a trovar la donna, che dimora
Fuori alla villa, e sarò teco io ancora.
105. E seguitò narrandogli, in che guisa
Alla sua donna vuol che s' appresenti ;
Dico, come vestir, come precisa-
Mente abbia a dir, come la preghi e tenti.
E che forma essa vuol pigliar, divisa:
Che, fuorché '1 giorno, eh' erra tra serpenti,
In tutti gli altri si può far, secondo
Che più le pare, in quante forme ha il mondo.
106. Mise in abito lui di peregrino,
11 qual per Dio di porta in porta accatti.
3Iutossi ella in un cane, il più iticcino
Di qiututi mai n' abbia natiua fatti,
Di pel lungo, più bianco, eh' armellino,
Di grato aspetto, e di mirabili atti.
Cosi trasfigurati eiitraro in via
A erso la casa dcll.i bella Argia;
107. E dei lavoratori alle capanne,
Priuui eh' altrovf, il giovane fermossc,
E couiiiiciò a suouiir certe sue caiuie.
Al cui suon(» dan/.anilo il can ri/./osM-.
La voce e "I grido alla padrona v.uuie,
E fece sì, clu; per veder si nutsse.
I'\hx! il nuueo «biauiar mila sua corte.
Siccome d«-l dottor tr.ica la sorte.
108. E quivi Adonio a conuindarc ni cane
Incominciò, ed il caru- a ubbidir lui,
E far dan/.e no^lral, farne d" estrane.
Con passi, «; contincn/.e, e modi sui,
E finalmente con maniere umane
Far lio , elle comandur sape i colui,
(/Oli laiitii atten/iou, rhe chi lo mira.
Non batte gli occlij , »■ appena il liuto *pìra.
[583]
ORLANDO FURIOSO. (XLIII. 109—124)
[584]
109. Gran meraviglia, ed indi gran desire
Venne alla donna di quel can gentile,
E ne fa per la balia proferire
Al cauto peregrin prezzo non vile.
S' avessi più tesor, che mai sitire
Potesse cupidigia femminile,
Collii rispose, non siiria mercede
Di comprar degna del mio cane un piede.
110. E per mostrar, che veri i detti foro,
Con la balia in un canto si ritrasse,
E disse al cane, eh' una marca d' oro
A quella donna in cortc.^a donasse.
Scossesi il cane , e videsi il tesoro.
Disse Adonio alla balia, che '1 pigliasse;
Soggiungendo : Ti par , che prezzo sia,
Per cui si bello ed util cane io dia?
Ili, Cosa qual vogli sia , non gli domando.
Di eh' io ne torni mai con le man vote;
E quando perle, e quando anella, e quando
Leggiadra veste e di gran prezzo scote.
Pur di' a madonna, che fia al suo comando;
Per oro no , eh' oro pagar noi puote ;
Ma se vuol, eh' una notte seco io giaccia.
Abbiasi il cane, e '1 suo voler ne faccia!
112. Cosi dice, e una gemma allora nata
Le dà, eh' alla padrona 1' apprcsentì.
Pare alla balia averne più derrata.
Che di pagar dieci ducati, o venti.
Torna alla donna, e le fa V imbasciata,
E la conforta poi , che si contenti
D' acquistare il bel cane; eh' acquistarlo
Per prezzo può, che non si perde a darlo.
113. La bella Argia sta ritrosetta in prima.
Parte, che la sua fé romper non vuole;
Parte, eh' esser possibile non stima
Tutto ciò , che ne suonan le parole.
La balia le ricorda, e rode e lima.
Che tanto ben di x'ado avvenir suole,
E fé' , che 1' agio un altro dì si tolse,
Che '1 can veder senza tanti occhj volse.
114. Quest' altro comparir , eh' Adonio fece,
Fu la ruina, e del dottor la morte.
Facea nascer le doble a diece a diece.
Filze di perle, e gemme d' ogni sorte;
Si(M;hè il superbo cor mansuefece.
Che tanto meno a contrastar fu forte,
Quando poi seppe, che costui, di' innante
Le fa partito, è il cavaiier suo amante.
115. Della puttana sua balia I conforti,
I preghi dell' amante e la pr(!senza,
ì\ veder, che guadaguf) se 1' apporti.
Del misero dottor la lunga assenza,
Lo sperar, eh' alcun mai non lo rapporti,
Fòro ai «;asti pen^ier tal violenza,
Cir ella accettò il bel cane, e per mercede
In braccio e in preda al suo uuiator si diede.
116. Adonio lungamente frutto colse
Della sua bella donna, a cui la fata
Grande amor pose, e tanto le ne ^olse,
Che ^(nll|ll'(' .^(ar con lei si fu ob!>lìgata.
Per tulli i M'alili il sol prima ^i volse,
Ch' al giudice^ licenza fosse data.
Allin tiu'nò , ma (lìcn di gran sospetto.
Per quel, che già 1' astrologo uvea detto.
117. Fa, giunto nella patria, il primo volo
A casa dell' astrologo, e gli chiede,
Se la sua donna fatto inganno e dolo,
O pur servato gli abbia amore e fede.
Il sito figurò colui del polo.
Ed a tutti i pianeti il luogo diede;
Poi rispose , che quel . eh' avea temuto,
Come predetto fu , gli era avvenuto :
118. Che da doni grandissimi corrotta,
Data ad altri s' avea la donna in preda.
Questa al dottor nel cor fu sì gran botta.
Che lancia, o spiedo io vo' che ben le ceda.
Per esserne più certo, ne va allotta
(Benché pur troppo all' indovino creda)
Ov' è la balia , e la tira da parte,
E per saperne il certo usa grande arte.
] 119. Con larghi giri circondando prova
Or qua, or là di ritrovar la traccia;
E da principio nulla ne ritrova,
Con ogni diligenza, che ne faccia;
Ch' ella, che non avea tal cosa nuova.
Stava negando con ìmmobil faccia,
E come bene istrutta, più d' un mese
Tra il dubbio e '1 certo il suo patron sospese.
120. Quanto dovea parergli il dubbio buono,
Se pensava il dolor, eh' avria del certo!
Poiché indarno provò con prego e dono.
Che dalla balia il ver gli fosse aperto,
]\è toccò tasto, ove sentisse suono
Altro, che falso, come uom bene esperto,
Aspettò, che discordia vi venisse:
Ch' ove femmine son, son liti e risse.
il21. E come egli aspettò, così gli avvenne;
Ch' al primo sdegno, che tra lor poi nacque,
Senza suo ricercar, la balia venne
n tutto a raccontargli, e nulla tacque.
Lungo a dir^fora ciò, che 'l cor sostenne.
Come la mente costernata giacque
Del giudice mesehin , che fu si oppresso,
Che stette per uscir fuor di sé stesso.
122. E si dispose alfìn, dall' ira vinto,
Morir, ma prima uccider la sua moglie,
E che d' amlìedue i sangui un ferro tinto
Levasse lei di biasmo, e sé di doglie.
Kella città se ne ritorna , spinto
Da così furibonde e cieche voglie;
Indi alla villa un suo fidato manda,
E, quanto eseguir debba, gli comanda.
123. Comanda al servo, eh' alla moglie Argia
Torni alla villa, e in nome suo le dica,
Ch' egli é da febbre oppresso così ria.
Che di trovarlo vivo avrà fatica ;
Sicché, senza aspettar più com|)agnia.
Venir debba con lui, s' ella gli é amica,
(Verrà , sa ben , che non farà parola)
È che tra via le seghi egli la gola.
124. A chiamar la patrona andò il famiglio, ' C
Per far di lei, quanto il signor commesse.
Dato prima al sui» cane ella di piglio.
Montò a cavallo, ed a canuuin si messe.
L' avea il cane avvisata del periglio.
Ma che d' andar per questo ella non stesse;
Ch' avea ben disegnato e provveduto.
Onde nel gran bisogno avrebbe ujuto.
IÒSd]
ORLANDO FURIOSO. (XLIU. 125— 140)
[586]
1-5. Levato il servo del cammino s' era,
E per diverse e solitarie strade
A studio capitò su una riviera,
Che d' Appennino in questo fiume cade:
Ov' era bosco , e selva oscura e nera,
Lungi da villa , e lungi da cittade.
Gli parve loco tacito e disposto
Per r effetto crudel , che gli fu imposto.
|J26. Trasse la spada, e alla patrona disse,
j Quanto commesso il suo signor gli avea ;
Sicché chiedesse , primachè morisse,
Perdono a Dio d' ogni sua colpa rea.
iNon ti so dir, come ella si coprisse:
Quando il servo ferirla si credea,
Più non la vide, e molto d' ogn' intorno
L' andò cercando, e alfiu restò con scorno.
ili. Torna al padron con gran vergogna ed onta,
Tutto attonito in faccia e sbigottito,
E r insolito caso gli racconta,
Ch' egli non sa , come si sia seguito.
Ch' a' suoi servigi abbia la moglie pronta
La fata Manto, non sapea il marito;
Che la balia, onde il re-to avea saputo.
Questo, non so perchè, gli avea taciuto.
1-8. Non sa , che far ; che né 1' oltraggio grave
Vendicato ha, né le sue pene ha sceme.
Quel eh' era una festuca, or é una trave;
Tanto gli pesa , tanto al cor gli preme !
L' error, che sapean pochi, or sì aperto ave,
Che senza indugio si palesi , teme.
Potea il primo celarsi, ma il secondo
Pubblico in breve fia per tutto il mondo.
129. Conosce ben , che, poiché '1 cor fellone
Avea scoperto il misero contra essa,
Ella, per non tornargli in soggezione,
D' alcun potente in man si sarà messa,
Il qual se la terrà c(ui irrisione
Ed ignominia del marito espressa,
E forse anco verrà d' alcuno in mano,
Che ne sia insieme adultero e ruffiano.
ItiO. Sicché, per rimediarvi , in fretta manda
Intorno messi e lettere a cercarne ;
Chi in quel loco, <;hi in questo ne domanda
Per Lomliardia, senza città lasciarne.
Poi va in persona, e non si la:?cia banda,
Ove o non vada, o mandin a spiarne;
Né mai può ritrovar capo, né via
Di venire a notizia , che ne sia.
131. Alfin chiama quel servo , a chi fu imposta
L' opra crudel, che poi non ebbe effetto;
E fa <-lie lo conduce, o\e nascosta
Se <jli era Argia, nÌccoimc gli avea detto;
Clic forse in qualche maccliia il di riposta,
lia notttr si rii)ara ad abbini tcKo.
Lo guida il servo, «ne Intarsi <'i'cde
La folta selva, e un gran palagio vede.
132. Fatto avea farsi alla sua fata intanto
La Ix^lla Argia con subilo lavoro
D' alal);l^lrì un palagio per incanto,
Drnli'o e di fuor tiitfo fregiato d" oro.
Ni- lingua dir, né cor pensar può, quanto
\\<,i bella <li fuor, dentro lc>oro.
Quii, «he ,j(M>era si ti par\e bello.
Dui mio signor, caria un tugurio a qu(Jlu.
133. Che di panni , d' arazzi , e di cortine
Tessute riccamente , e a varie fogge
Ornate eran le stalle e le cantine,
\on sale pur , non pur camere e logge.
Vasi d' oro e d' argento senza fine.
Gemme cavate, azzurre, e verdi, e rogge,
E formate in gran piatti, e in coppe. »; in jjappi,
E, senza fin, d' oro e di seta drappi.
t34. Il giudice , siccome io vi dicea.
Venne a questo palagio a dar di petto,
Quando né una capanna si credea
Di ritrovar, ma solo il bosco schietto.
Per r alta meraviglia, che n' avea,
Esser si credea uscito d' intelletto.
]\on sapea , se fosse ebbro , o se sognasse,
Oppur se '1 cervel scemo a volo andasse.
135. Vede innanzi alla porta un Etiopo
Con naso e labbri grossi ; e ben gii é avA i*4i,
Che non vedesse mai prima, né dopo,
Un così sozzo e dispiacevoi viso;
Poi di fattezze, qual si pinge Esopo,
D' attristar, se vi fosse, il paradiso;
Bisunto e sporco, e d' abito mendico,
IVè a mezzo ancor di sua bruttezza io dico.
136. Anselmo, che non vede altro, da cui
Possa saper, di chi la casa sia,
A lui s' accosta , e ne domanda a lui ;
Ed ei risponde : Questa casa è mia.
Il giudice è ben certo, che colui
Lo beffi, e che gli dica la bugia;
Ma con scongiuri il negro ad affermare,
Che sua è la casa, e eh' altri non v' ha a fare;
137. E gli offerisce, se la vuol vedere.
Che dentro vada, e cerchi, come voglia;
E se v' ha cosa , che gli sia in piacere,
O per sé, o per gli amici se la toglia.
Diede il cavallo al suo servo a tenere
Anselmo, e mise il pie dentro alla soglia,
E per sale e per camere condotto,
Da basso e d' alto andò mirando il tutto.
138. La forma , il sito , il ricco e bel lavoro
Va contcniplando , e 1' ornamento regio,
E spesso dice : iSon potria quant' on»
E sotto il sol , pagare il loco egregio.
A questo gli rispoiule il brutto Moro,
E di<;e : E questo ancor trova il suo pregi'),
Se non d' oro, o d' argento, nondiiueiut
Pagar lo può quel, che vi costa menu.
131). E gli fa la medesima richiesta,
('ir avea già Adonio alla sua uutglie fatta.
Dalla brutta domanda e disonesta
Persona lo sliuio lM>.>liale <■ matta.
P<r tre repulse e quattro egli non restii,
E tanti molli a per>uailerlo adatta,
Seuipie ofVereiido in nierilo il pal.igio.
Che fé' inchinarlo al xm >olcr malvagio.
140. La moglie Argia, che stava appresiso «i;c()t>;i,
Poiché lo >ide nel suo «-rror caduto.
Salto luiira griilainlo : Ah degna cosa,
Cb" io \<'ggio ili dottor saggio tenuto!
Trovato in >i unii' opra, e «i/iosa,
Pen>a, ne ros.Mi f.ir si ilelilie , e muto!
Oli terra, accio ti si getta>se dentro,
PcriJié allor non l' apristi iusiuo al centro?
[587]
ORLANDO FURIOSO. ( XLIU. 141—156)
[588]
141. La donna in suo discarco, ed in yerg:ogna
D' Anselmo, il capo gì' intronò di gridi.
Dicendo : Come te punir bisogna
Di quel, che far con si tìI iiom ti vidi,
Se per seguir quel, che natura agogna,
Me, Tinta a' preghi del mio amante, uccidi,
CU' era bello e gentile, e un dono tale
Mi fé', che a quel nulla il palagio vale?
142. S' io ti parvi esser degna d' una morte,
Conosci, che ne sci degno di cento!
E bendi' in questo loco io sia sì forte,
Ch' io possa di te far il mio talento.
Pure io non vo' pigliar di peggior sorte
Altra vendetta del tuo fallimento.
Di par r avere e 1' dar, marito, poni;
Fa, com' io a te, che tu a me ancor perdoni!
143. E sia la pace, e sia 1' accordo fatto,
Ch' ogni passato error vada in obblio,
]Nè eh' in parole io possa mai , nò in atto
Ricordarti il tuo error , né a me tu il mio !
Al marito ne parve aver buon patto,
Kè dimostrossi al perdonar restio.
Così a pace e concordia ritornaro,
E sempre poi fu 1' imo all' altro caro.
144. Così disse il nocchiero, e mosse a riso
Rinaldo al fin della sua istoria un poco,
E diventar gli fece a un tratto il viso,
Per r onta del dottor, come di foco.
Rinaldo Argia molto lodò, eh' avviso
Ebbe d' alzare a quello augello un gioco,
Ch' alla medesma rete fé' cascallo,
In che cadde ella, ma con minor fallo.
145. Poiché più in alto il sole il cammin prese,
Fé' il paladino apparecchiar la mensa,
Ch' avea la notte il Mantuan cx)rtese
Provvista con larghissima dispensa.
Fugge a sinistra intanto il bel paese.
Ed a man destra la palude immensa;
Viene e fnggesi Argenta e '1 suo girone
Col lito, ove Santcrno il capo pone.
146. Allora la Bastia credo non v' era.
Di che non troppo si vantar Spagnuoli
D' avervi su tenuta la bandiera,
Ma pili da pianger n' hanno i Romagnuoli.
E quindi a Filo alla dritta riviera
Cacciano il legno , e fan parer che voli,
Lo volgon poi per una fossa morta,
Ch' a mezzodì presso Ravenna il porta.
147. Benché Rinaldo con pochi danari
Fosse sovente, pur n' avea sì allora,
CIjc cortesia ne fece a' marinari,
Primaché li lasciasse alla biu»n' ora.
Quindi, mutando 1)estie e cavallari,
Arimino passò la sera ancora,
]\é in Montefiore aspetta il mattutino,
E quasi a par col sol giunge in Urbino.
148. Quivi non era Fcdei-igo allora.
Né liisalK'tta, né '1 buon Guido v' era,
Né Francc...r.o Maria , né Leonora,
Che con cortese forza e non altera
Avesse astretto a far seco dinu)ra
Sì famoso gu<rr«er più d' una sera,
Come lér gin molti anni , ed oggi fanno
A donne e a ca\alicr, clic di là vanno.
149. Poiché quivi alla briglia alcun noi prende.
Smonta Rinaldo a Cagli alla via dritta.
Pel monte, che '1 Metauro, o il Ganno fendo.
Passa Apennino , e più non 1' ha a man ritta.
Passa gli Ombri e gli Etrusci, e a Roma scende;
Da Roma ad Ostia, e quindi si tragitta
Per mare alla cittade, a cui commise
II pietoso figliuol r ossa d' Anchise.
150. Muta ivi legno, e verso 1' isoletta
Di Lipadusa fa ratto levarsi.
Quella che fu dai combattenti eletta,
Ed ove già stati erano a trovarsi.
Insta Rinaldo , ed i nocchieri affretta,
Ch' a vela e a remi fan ciò , che può farsi.
Ma i venti avversi, e per lui mal gagliardi
Lo fecer, ma di poco, arrivar tardi.
151. Giunse , eh' appunto il principe d' Anglante
Fatta avea 1' util' opra e gloriosa :
Avea Gradasso ucciso ed Agraniante,
Ma con dura vittoria e sanguinosa.
Morto n' era il figliuol di Monodante;
E di grave percossa e perigliosa
Stava Olivier languendo in .«•ull' arena,
E del pie guasto avea martire e pena.
152. Tener non potè il conte asciutto il viso.
Quando abbracciò Rinaldo, e che narrolli.
Che gli era stato Brandimarte ucciso,
Che tanta fede e tanto anior portelli.
Né men Rinaldo, quando sì di^iso
Vide il capo all' amico , ebbe occhj molli ;
Poi quindi ad abbracciar si fu condotto
Olivier, che sedea col piede rotto.
153. La consolazion, che seppe, tutta
Die' lor, benché per sé tor non la possa;
Che giunto si vcdea quivi alle frutta,
Anzi poiché la mensa era rimossa.
Andaro i servi alla città distrutta,
E di Gradasso e d' Agramante 1' ossa
Nelle mine ascoser di Biserta,
E quivi divulgar la cosa certa.
154. Della vittoria, eh' avea avuto Orlando,
S' allegrò Astolfo e Sansonctto UKvlto ;
Non sì però , come avrian fatto, quando
Non fosse a Brandimarte il lume tolto.
Sentir lui morto , il gaudio va scemando
Sì , che non ponno asserenare il volto.
Or chi sarà di lor, eh' annunzio voglia
A Fiordiligi dar di sì gran doglia.''
155. La notte , che precesse a questo giorno,
Fiordiligi sognò, che quella vesta,
(3lie , per mandarne liraiulimartc adorno,
Ax-a trapunta e di sua man contesta,
A edea per mezzo sparsa d' ogni intorno
Di gocce rosse, a guisa di tempest.a.
l'area, che di sua man così V avesse
Ricamata ella, e poi se ne dolesse.
156. E parca dir: Pur hammi il signor mio
Commesso, eh' io la faccia tutta nera;
Or |)erclié dunqu« ricamata holf io,
('oiitra sua voglia, in sì strana maniera?
Di ipiesto sogno fé' giudicio rio;
Poi la ncnella giunse quella sera :
Ma tante» Astidl'o ascosa gliela tenne,
Cli' a lei con Sansonctto t>c ne venne.
,589]
ORLANDO FURIOSO. (XLIR. 157-172)
[590]
57. Tostocli' entrare, e eli' ella loro il tìso
Vide di gaudio in tal vittoria privo,
Senz' altro annunzio sa, senz' altro avviso,
Che Brandimarte suo non è più vivo.
Di ciò le resta il cor così conquiso,
E cosi gli occlij hanno la luce a schivo,
E cosi ogni altro senso se le serra,
Che, come morta, andar si lascia in terra.
58. Al tornar dello spirto , ella alle chiome
Caccia la mano , ed alle belle gote,
Indarno ripetendo il caro nome.
Fa danno ed onta , più che far lor puote.
Straccia i capelli, e sparge, e grida, come
Donna talor, che '1 demon rio perente;
O come s' ode, che già a suon di corno
Menade corse, ed aggirossi intorno.
59. Or questo, or quel pregando va, che porto
Le sia un coltel , sicché nel cor si fera ;
Or correr %uol là, dove il legno in porto
Dei duo signor defunti arrivato era,
E dell' uno e dell' altro cosi morto
Far crudo strazio , e vendetta aera e fiera ;
Or vuol passar il mare, e cercar tanto,
Cile possa al suo signor morire accanto.
GO. Deh! perchè, Brandimarte, ti lasciai.
Senza me andare a tanta impresa? disse,
A edendoti partir , non fu più mai.
Che Fiordiligi tua non ti seguisse.
T' avrei giovato, s' io veniva, assai;
Ch' avrei tenute in te le luci fisse;
E se Gradasso aves^i dietro avuto.
Con un sol grido io t' avrei dato ajuto.
O for.'C esser potici stata sì presta,
Ch' entrando in mezzo, il c(»I|)o t' avrei tolto:
Fatto scudo t' avrei con la mia testa;
Che, morendo io, non era il danno molto.
Ogni modo io morrò; nò fia di questa
Dolente morte al<Min profitto colto!
Che , quando io fossi moria in lua difesa,
Non potrei meglio aver la vita spesa.
Se pure ad ajutarti i duri fati
Avessi av uti , e tutto il cielo avverso.
Gli ultimi baci alnuuio io t' avrei dati;
Almen t' avrei di pianto il viso asperso;
E primachè con gli angeli beati
Fosse lo spirto al suo Fattor converso.
Detto gli avrei: \ìì in pace, e là m' aspetta!
Ch' ovunque sei , son per seguirti in fretta.
63. E questo, Brandimarte, è questo il regno,
Di cb(! pigliar lo scettro ora dovevi ?
Or così tcco a Dammogirc io vegno?
Cosi nel rcal seggio mi ricevi .''
Ah, Fortuna cruilel, quanto disegno
Mi rompi! oh che sp(;ran/.a oggi mi levi!
Deh ! clic coso io , poich' Im perduto questo
Tanto mio ben , eh' io non perdo anco il resto?
Questo, ed altro dicendo, in lei risorse
Il furor «MMi tanto impeto, e la rabbia,
Cir a hlran iiirc il bel criri di nuo>o corse.
Come il bel (-liii tutta la colpa n' abbia.
Le mani iiisicnu; si pentisse e morse;
Nel ficn si caieio 1" ugne, e nelle labitia.
Ma torno a Orlando, «-d a' coni|iagni , intanto
Ch' ella hi strugge e si consumu in pianto.
61
.62
M
165. Orlando col cognato, che non poco
Bisogno avea di medico e di cura.
Ed altrettanto , perchè in degno loco
Avesse Brandimarte sepoltura,
Verso il monte ne va, che fa col foco
Chiara la notte, e il dì di fumo oscura.
Hanno propizio il vento , e a destra mano
Non è quel lito lor molto lontano.
1G6. Con fresco vento , che in favor veniva,
Scit)lser la fune al declinar del giorno.
Mostrando lor la taciturna diva
La dritta via col lusninoso conio;
E sorser 1' altro dì sopra la riva,
Che amena giace ad Agrigento intorno.
Quivi Orlando ordinò per V altra sera
Ciò , eh' a fonerai pompa bisogno era.
167. Poiché r ordine suo vide eseguito,
Essendo ornai del sole il lume spento.
Fra molta nobiltà , eh' era all' invito
De' luoghi intorno corsa in Agrigento,
D' accesi torchj tutto ardendo il lito,
E di grida sonando e di lamento,
Tornò Orlando , ove il corpo fu lasciato,
Che vivo e morto avea con fede amato.
168. Quivi Bardin, di soma d' anni grave,
Stava piangendo alla bara funebre.
Che, pel gran pianto , eh' avea fatto in nave,
Dovria gli ot-chj aver pianti e le palpelire.
Chiamando il ciel crudel , le stelle prave,
liuggia come un leon, eh' abbia la febre.
Le mani erano intanto empie e ribelle
Ai crin canuti, e alla rugosa pelle.
169. Levossi, al ritornar del paladino,
Maggiore il grido, e raddoppìossi il pianto.
Orlando, fatto al corpo più vicino.
Senza parlar stette a mirarlo alquanto,
Pallido, come colto al mattutino
E da sera il ligustro, o il molle acanto;
E dopo mi gran sospir, tenendo fisse
Sempre le luci in lui, così gli disse:
170. Oh forte, oli caro, oh mio fedel compagno.
Che qui sei morto, e so «^he ^ ivi in cielo,
E d' una vita t' hai fatto guadagiu).
Che non ti può mai tor caldo , né gelo,
Perdonami , sebbeii v j-di eh io piagno 1
Perché d' esser rimase» mi qiu>relo,
E che a tanta letizia io non seni teco;
Non già, perché quaggiù tu non sia meco.
171. Solo senza te son , né cosa in ferra
Senza te posso a\er più, clur mi piaccia.
Se teco <^ra in tempesta , e teco in guerra,
Perché non anco in o/io ed in bonaccia?
Ben granchi é il mio fallir, poiché mi serra
Di questo fango iixir per la tua traccia.
Se negli all'anni tcco fui , perché ora
]\on sono a parte del guaibigno ancora ?
172. Tu guadagnato, e perdita ho fatto io;
Sol tu air a<-(|ui>lo , io non soii solo al danno.
Partecip<' fatto é del tlidor mio
L' Italia, il regno franco, e 1' alamanno.
Oli ipianlo, quanto il mio signore e /io.
Oli quanto i paladin da doler s' hanno !
Qu.uito 1 imperio, e la cri.Niiana cbi<->a.
Cile perduto han hi sua maggior difesa !
[591]
ORLANDO FURIOSO. (XLIII. 173— 188)
[592]
1T3. Oh quanto si torrà , per la tua morte,
Di terrore a' nemici, e di spavento!
Oh quanto pagania sarà più forte!
Quanto animo n' avrà , quanto ardimento !
Oh come star ne dee la tua consorte!
Sin qui ne veggo il pianto , e '1 grido sento.
So che m' accusa, e forse odio mi porta,
Cile per me teco ogni sua speme è morta.
174. Ma Fiordiligi, aimcn resti un conforto
A noi , che siani di Brandimarte privi.
Che invidiar lui con tanta gloria morto
Denno tutti i guerrier , eh' oggi son vivi.
Quei Deci , e quel nel roman foro assorto,
Quel sì lodato Codro dagli Argivi,
](on con più altrui profitto, e più suo onore
A morte si donar del tuo signore.
175. Queste parole , ed altre dicea Orlando.
Intanto i bigi, i bianchi, i neri frati,
E tutti gli altri citerei seguitando
Andavan , con lungo ordine accoppiati.
Per r alma del defunto Dio pregando,
Che gli donasse requie tra' beati.
Lumi innanzi, e per mezzo, e d' ogn' intorno
Mutata aver parean la notte in giorno.
ITfi. Levan la bara, ed a portarla foro
Messi a vicenda conti e cavalieri.
Purpurea seta la copria, che d' oro
E di gran perle avea compassi altieri.
Di non men bello e signoril lavoro
Avean gemmati e splendidi origlieri;
E giacca quivi il cavalier con vesta
Di color pare, e d' un lavor contesta.
177. Trecento agli altri eran passati innanti
De' più poveri , tolti della terra,
Parimente vestiti tutti quanti
Di panni negri , e lunghi sino a terra.
Cento paggi seguian sopra altrettanti
Grossi cavalli, e tutti buoni a guerra;
E i cavalli co' paggi ivano il suolo
Radendo col lor abito di duolo.
178. Molte bandiere innanzi , e molte dietro,
Che di diverse insegne eran dipinte,
Spiegate accompagnavano il feretro.
Le quai già tolte a mille schiere vinte,
E guadagnate a Cesare ed a Pietro
Avean le forze, eh' or giaceano estinte.
Scudi v' erano molti , che di degni
Guerrieri, a chi fur tolti, aveano i segni.
179. Venian cento, e cent' altri a diversi usi
Dell' esequie ordinati; ed avean questi.
Come anco il resto, accesi torclij ; e chiusi
Più che vestiti eran di nere vesti.
Poi scguia Orlando, e ad or ad or guflusi
Di la^j^riiiie avea gli occhj , e rossi e mesti.
Ne. più lìido di Ini llinaldd venne.
Il pie Olivier, che rotto avea, ritenne.
180. Lungo sarà, e' io vi vo' dire in versi
Le (•erimonie, e raccontarvi tutti
I di.^pcnMiti manti oscuri e persi,
Gli ai(:(>i ton-lij «;lic vi furon strutti.
Quindi il Ila chiesa cattedra! conversi.
Dovunque andar, non lasciaro occhj asciutti:
Si bel , I-I bu<in , si giovane a pietade
MusòV ogni bCbto , ogni ordine, ogni etade.
181.
182.
183.
184
185
186
187
188
Fu posto in clilesa ; e poiché dalle donne
Di lagrime e di pianti inutil' opra,
E che dai sacerdoti ebbe Ekisonne,
E gli altri santi detti avuto sopra.
In un' arca il serbar su due colonne;
E quella vuole Ox'lando che si copra
Di ricco drappo d' or , finché riposto
In un sopolcro sia di maggior costo.
Orlando di Sicilia non si parte,
Che manda a trovar porfidi e alabastri.
Fece fare il disegno , e di quell' arte
Innarrar con gran premio i miglior mastri.
Fé' le lastre (venendo in questa parte)
Poi drizzar Fiordiligi, e i gran pilastri.
Che quivi, essendo Orlando già partito,
Si fé' portar dall' africano lito:
E vedendo le lacrime indefesse.
Ed ostinati a uscir sempre i sospiri,
]Sò per far sempre dire ulfici e messe,
M.ii satisfar potendo a' suoi desiri.
Di non partirsi quindi in cor si messe.
Finché del corpo 1' anima non spiri:
E nel sepolcro fé' fare una cella,
E vi si chiuse, e fé' sua vita in quella.
Oltreché messi e lettere le raande.
Vi va in persona Orlando per levarla.
Se viene in Francia , con pension ben grande,
Compagna vu^l di Galerana farla :
Quando tornare al padre anco domande,
Sino alla Lizza vuole accompagnarla:
Edificar le vuole un monastero.
Quando servire a Dio faccia pensiero.
Stava ella nel sepolcro , e quivi attrita
Da penitenza, orando giorno e notte,
Non durò lunga età, che di sua vita
Dalla Parca le fur le fila rotte.
Già fatto avean dall' isola partita.
Ove i Ciclopi avean le antiche grotte,
I tre guerrier di Francia afflitti e mesti.
Che '1 quarto lor compagno addietro resti.
Non volean senza medico levarsi,
Che d' Olivier si avesse a pigliar cura.
La qual, perchè a principio mal pigliarsi
Potè , fatt' era faticosa e dura :
E quello udiano in modo lamentarsi.
Che del suo caso aA'ean tutti paura.
Tra lor di ciò parlando , al nocchier nacque
Un pensiero, e lo disse, e a tutti piacque.
Disse, eh' era di là poco lontano
In un solingo scoglio un eremita,
A cui ricorso mai non s' era invano,
O fosse per consiglio, o per aita;
E fat'ca alcuno ellctto soprumano.
Dar lume a' ciechi , e tornar morti a vita,
l'cMinare il vento ad un segno di croce,
E far tranquillo il mar, quando è più atroce;
E che non denno dubitare, andando
A ritrovar quell' uomo, a Dio si can»,
('he lor non r(;nda Olivier sano, quando
l'atti» ha di sua >irtù segno più chiaro.
Questo consiglio sì piacque ad Orlando,
<'lie v«'rso il santo loco si dri/zaro ;
Né mai pi<;gando dal cainmin la prora,
^ider lo scoglio al sorjjrtr dell' aurora.
593]
ORLANDO FURIOSO. (XLIII. 189—199)
[594]
59. Scorgendo il legno uomini in acqua dotti.
Sicuramente s' accostare a quello.
Quivi ajutando servi e galeotti,
Declinano il marchese nel battello,
E per le spumose onde fur condotti
Nel nero scoglio , ed indi al santo ostello
Al santo ostello , a quel vecchio medcsmo,
Per le cui mani ebbe Ruggier battesmo.
90. Il servo del signor del paradiso
Raccolse Orlando ed i compagni suoi,
ìù benedilli con giocondo viso,
E de' lor casi dimandolli poi,
Benché di lor venuta avuto avviso
Avesse prima dai celesti eroi.
Orlando gli rispose esser venuto
Per ritrovare al suo cognato ajuto,
91. Ch' era , pugnando per la fò di Cristo,
A periglioso termine ridotto.
Levogli il santo ogni sospetto tristo,
E gli promise di sanarlo in tatto.
I\è d' unguento trovandosi provisto.
Né d' altra umana medicina instrutto,
Andò alla chiesa , ed orò ni Salvatore,
Ed indi uscì con gran baldanza fnore;
92. E in nome delle eterne tre persone.
Padre, figliuolo, e spirto santo, diede
Ad Olivier la sua benedizione.
Oh virtù, che dà Cristo a chi gli crede!
Cacciò dal cavalicro ogni passione,
E ritornngli a saiiitade il piede.
Più fermo e più espedito, che mai fosse;
E presente Sol)rino a ciò trovosse.
.93. Giunto Sobria delle sue piaghe a tanto,
Clie star peggio ogni giorno se ne sente.
Tostochè vede del monaco santo
II mirac!)lo grande ed evidente.
Si dispon di lasciar Macon da canto,
E Cristo confessar vivo e potente,
E domanda, con cor di fede attrito,
D' iniziarsi ai nostro sacro rito.
194. Così r uora giusto Io battezza, ed anco
Gli rende, orando , ogni vigor primiero.
Orlando , e gli altri cavalier non manco
Di tal conversion letizia fero,
Clie di veder, che liberato e franco
Del periglioso mal fosse Oliviero.
3Iaggior gaudio degli altri Ruggier ebbe,
E molto in fede e in devozione accrebbe.
|195. Era Ruggier dal dì, che giunse a nuoto
I Su questo scoglio, poi statovi ognora.
I Fra quei guerrieri il vecchiarel devoto
Sta dolcemente , e li conforta ed ora
A voler , schivi di pantano e loto,
!%Iondi passar per questa morta gora.
Che ha nome vita , e sì piace agli sciocchi,
Ed alla via del ciel sempre aver gli occhj.
j 196. Orlando un suo mandò sul legno , e trarne
Fece pane e buon vin, cacio e presciutti;
E r uom di Dio, che ogni sapor di starne
Pose in obblio, poiché aì-Aezzossi a' frutti,
Per carità mangiar fecero carne,
E ber del vino , e far quel , che fèr tutti.
Poiché alla mensa consolati foro.
Di molte cose ragionar tra loro.
197. E come accade nel parlar sovente,
Che una cosa vien 1' altra dimostrando,
Ruggier riconosciuto finalmente
Fu da Rinaldo, da Olivier, da Orlando,
Per quel Ruggiero in arme sì eccellente,
11 cui valor s' accorda ognun lodando;
Né Rinaldo 1' avea raffigurato
Per quel, che provò già nello steccato.
[198. Ben r avea il re Sobrio riconosciuto,
Tostochè '1 vide col vecchio appiìrirc;
Ma volse innanzi star tacito e muto.
Che porsi in av ventina di fallire.
Poiché a notizia agli altri fu venuto,
Che questo era itiiggier, di cui 1' ardire,
I La cortesia e 'l valore alto e profondo
Si facea nominar per tutto il momlo ;
19J). E sapendosi già, eh' era cristiano.
Tutti con lieta e con serena faccia
Vengono a lai. Chi gli tocca la mano,
E chi lo lìacia , e chi lo stringe e abbraccia.
Sopra gli altri il signor di Montalbanct
D' accarezzarlo, e fargli onor procaccia.
l'erché esso più degli altri ... io '1 serbo a dire
Ncir altro canto, se '1 vorrete udire.
38
[595]
ORLANDO FURIOSO. (XLIV. 1 - 12)
[596]
CANTO QUARANTESIMOQUARTO.
ARGOMENTO.
Rinaldo mosso da sì gran valore
Di Ruggier , gli promette per consorte
Bradamante ; indi 'i magno imperatore,
E seco tutto il fior della sua corte
Riceve con gran pompe e sommo onore
I paladin nelV onorate porte
Di Parigi, di cui Ruggier fa uscita.
Tirato per levar Leon di vita.
1. Spesso in poveri alberghi e in picciol tetti,
Nelle Ciilaini tildi e nei disagi
Meglio s' aggiungon d' amicizia i petti,
Che fra ricchezze invidiose ed agì,
Delle piene d' insidie e di sospetti
Corti regali, e splendidi palagi.
Ove la caritade è in tutto estinta,
Kè si vede amicizia , se non finta.
2. Quindi awien, che tra principio signori,
Patti e convenzion sono sì frali.
Fan lega oggi re, papi , imperatori,
Doman saran nemici capitali ;
Pontile , qual le apparenze esteriori,
INon hanno i cor, non lian gli animi tali ;
Che non mirando al torto più che al dritto,
Attendon solamente al lor profitto.
3. Questi , quantunque d' amicizia poco
Sieno capaci , perche non sta quella,
Ove per cose gravi , ove per gioco
Mai senza fìnzion non si favella.
Pur , se tah)r gli ha tratti in umil loco
Insieme una fortuna acerba e fella.
In poco tempo vengono a notizia
(Quel che in molto non fèr) dell' amicizia.
4. Il santo vecchiarel nella sua stanza
Giunger gli ospiti suoi con nodo forte
Ad amor vero meglio ehbe possanza,
Ch' altri non avria fatto in reul corte.
Fu questo poi di tal perseveranza,
Che non si sicolse mai fino alla morte,
il vecchio li trovò tutti benigni,
Candidi più nei cor, che di fu(»r cigni.
5. Trovoll! tutti amabili e cortesi,
]\(in della iniquità, eh' io v' h(» dipinta,
Di quei , riie mai non escono palesi,
Ma sem|)rc van con apparenza finta.
Di quanto s' eran per addietro oflesi.
Ogni memoria fu tra loro estinta;
E se d' un ventre fossero , e «1' un seme,
ì\on si potrfano amar più tutti insieme.
6. Sopra gli altri il signor di Montalbano
Accarezzava e riveria Ruggiero ;
Si perchè già 1' avea con V arme in mano
Provato, quanto era animoso e fiero;
Si per trovarlo affabile ed umano
Più che mai fosse al mondo cavaliere ;
Ma molto più , che da diverse bande
Si conoscea d' avergli obbligo grande.
7. Sapea, che di gravissimo periglio
Egli avea liberato Ricciardetto,
Quando il re ispano gli fé' dar di piglio,
E con la figlia prendere nel letto ;
E eh' avea tratto 1' uno e 1' altro figlio
Del duca Buovo, coni' io v' ho già detto.
Di man dei Saracini, e dei malvagi,
Ch' eran col maganzese Bertolagi.
8. Questo debito a lui parea di sorte,
Ch' ad amar lo stringeva, e ad onorarlo;
E gli ne dolse e gli ne increbbe forte.
Che prima non avea potuto farlo.
Quando era 1' un nell' africana corte,
E r altro alli servigi era di Carlo.
Or che fatto Cristian quivi lo trova,
Quel, che non fece prima, or far gli giova.
9. Proferte senza fine, onore, e festa
Fece a Ruggiero 11 paladin cortese.
Il prudente eremita, come questa
Benivolenza vide , adito prese.
Entrò dicendo: A fare altro non resta
(E lo spero ottener senza c(uitese)
Che, come 1' amicizia è tra voi fatta,
Tra voi sia ancora affinità contratta,
10. Acciocché delle due progenie illustri.
Che non han par di nobiltade al mondo,
Nasca un lignaggio, che più chiaro lustri.
Che '1 chiaro sol , per quanto gira a tondo.
E come andran più innanzi ed anni e lustri,
Sarà più bello, e durerà (secondo
Che Dio m' inspira, acciocché a voi noi celi)
Finché terran 1' usato corso ì cieli.
11. E seguitando il suo parlar più innante,
Fa il santo vecchio sì , che persuade,
Che Rinaldo a Ruggier dia Bradamante,
Benché pregar né 1' un , né l' altro accade.
Loda Olivier «;ol principe d' Anglante,
Clu; far si debba questa affinitade ;
Il che speran che approvi Auu)ne e Carlo,
E debba tutta Francia conmicndarlu.
13. Così dicean; ma non sapean, che Anione,
Con volontà del figli*» di Pipino,
N' avea dato in quc^i giorni intenzione
All' imperator gr(u:(» ('ostaiitino,
('he gliela d(»uianda^a per Leone,
Suo figlio e successor del gran domino.
Se II' era pel vahu-, che n' avea inteso.
Senza vederla , il giovinetto acceso.
397]
ORLANDO FURIOSO. (XLIV. 13—28)
13. Risposto gli avea Amon, che da sé solo
Non era per conchiudere altramente,
Kè pria, che ne parlasse col figliuolo
Rinaldo, dalla corte allora assente,
Il qual credea , che \ì verrebbe a toIo,
E che di grazia a\ria si gran parente:
Pur per molto rispetto, che gli avea,
Risolver senza lui non si volea.
14. Or Rinaldo, lontan dal padre, quella
Pratica imperiai tutta ignorando,
Quivi a Ruggier promette la sorella,
Di suo parere , e di parer d' Orlando,
E degli altri, eh' avea seco alla cella.
Ma sopra tutti 1' eremita instando:
E crede veramente , che piacere
Debba ad Amon quel parentado avere.
15. Quel di, e la notte, e del seguente giorno
Stèron gran parte col monaco saggio,
Quasi obbliando al legno far ritorno.
Benché il vento spirasse al lor viaggio.
Ma i lor nocchieri, a cui tanto soggiorno
Increscea ornai, mandar più d' un messaggio.
Che si gli stimulàr della partita,
Ch' a forza si spiccar dall' eremita.
16. Ruggier, che stato era in esilio tanto,
Né dallo scoglio avea mai mosso il piede.
Tolse licenza da quel mastro santo.
Che insegnata gli avea la vera fede.
La spada Orlando gli rimise accanto,
L' arme d' Ettorre , e il buon Frontin gli diede.
Sì per mostrar del suo amor segno espresso,
Sì per saper, che dianzi erano d' esso.
17. E quantunque miglior nell' incantata
Spada ragione avesse il paladino,
Che con pena e travaglio già levata
L' avea dal formidabile giardino,
Che non avea Ruggiero, a cui donata
Dal ladro fu, che gli die' ancor Frontino,
Pur volentier gliela donò col resto
Dell'arme, tostoché ne fu richiesto.
18. Fur benedetti dal vecchio devoto,
E sul naviglio al/in si ritornaro.
I remi all' acqua, e dier le vele al Noto;
E fu lor sì sereno il tempo e chiaro.
Che non vi bisognò prego, né voto.
Finché nel porto di Marsilia entraro.
Ma quivi stiano tanto, eli' io conduca
Insieme Astolfo , il glorioso duca.
19. Poiché della vittoria Astolfo intese,
Clic sanguinosa , e jìoco lieta s' ebbe,
Aedendo, che ^i(;llra dall' ofl'ese
1)' Africa oggiiiiai Francia esser potrebbe,
Pensò, che 'I re de' iNiiiii in suo paese
Con r esercito sii«) rimaiiderebbe
Per la strada iiicdesiiiia, che tenne.
Quando coiitra Riserta se ne venne.
20. 1/ armata, che i pagiin riip|)e ncIT onde,
(■ià rimandata avea 'I (igliinil tV Iggiero,
Di cui, nuovo miracolo! le sponde,
Tostocbè ne fu uscito il popol nero,
E le |i()ppc e le prori^ mutò in fronde,
E ritoriiollc al ^uo sdito primiero:
Poi >rMii(! il v«rnlo , e come cosa lieve
Levollc in aria , e fc' tipurirc in breve.
[598]
23
24
21. Chi a piedi , e chi in arcion , tutte partita
D' Africa fèr le nubiane schiere:
Ma prima Astolfo si chiamò infinita
Grazia alSenapo, ed immortale avere,
Che gli venne in persona a dare aita
Con ogni sforzo ed ogni suo potere.
Astolfo lor neir uterino claustro
A portar diede il fiero e turbido austro.
22. Negli utri , dico , il vento die' lor chiuso,
Che uscir di mezzodì suol con tal rabbia,
Che muove a guisa d' onde, e leva in suso,
E ruota fino in ciel 1' arida sabbia.
Acciò se lo portassero a lor uso,
Che per cammino a far danno non abbia,
E che poi , giunti nella lor regione.
Avessero a lassar fuor di prigione.
Scrive Turpino , come furo ai passi
Dell' alto Atlante, che i cavalli loro
Tutti in un punto diventaron sassi.
Sicché, come venir, se ne tornoro.
Ma tempo é omai , che Astolfo in Francia passi :
E così , poiché del paese moro
Ebbe provisto a' luoghi principali.
All' ippogrifo suo fé' spiegar 1' ali.
Volò in Sardigna in un batter di penne,
E di Sardigna andò nel lito corso,
E quindi sopra il mar la strada tenne.
Torcendo alquanto a man sinistra il morso.
Nelle maremme all' ultimo ritenne
Della ricca Provenza il leggier corso;
Dove seguì dell' ippogrifo , quanto
Gli disse già 1' evangelista santo.
25. Hagli commesso il santo evangelista,
Che più, giunto in Provenza, non lo sproni,
E che all' impeto fier più non resista
Con sella e fren, ma libertà gli doni.
Già avea il più basso ciel, che sempre acquista
Del perder no>tro , al corno tolti i suoni,
Che muto era restato, non che roco,
Tostoch' entrò il guerrier nel divin loco.
26. Venne Astolfo a Marsilia, e venne appunto
n dì, che v' era Orlando ed Oliviero,
E quel da Ì^Iontalbano insieme giunto
Col buon Sobrino, e col miglior Ruggiero.
La memoria del *o(io lor defunto
Metò, che i paladini non poterò
Insienu; così ap|)uiito rallegrarsi,
Come in tanta vittoria dovea farsi.
27. Carlo avea di Siiilia avuto avviso
Dei duo re morti, e di Sobrino preso,
E eh' era stato itraiidiiiiarte ucciso;
Poi di Ruggiero avea non meno inteso;
E ne sta\a col ror lieto e col vi>o,
1)' aver gittato intollii-aliii jicso,
C;iie gli fu sopra gli oiiii ri si greve.
Che starà un pe/zo, piiaché si rileve.
28. Per onorar costor, eh' cran sostegno
Del sunto imperio, e la maggior colonna,
('arlo iiiaiitio la iioiiiità del regno
Ad incoiitrarii fin sopra la .Sonna.
Egli usci poi col Nilo drap|)('l |)iù degno
Di re e di duri, e con la propria donna
Fuor delle mura, in compagnia di belle
E ben ornale e noiiili don/.cile.
3H -^
[599]
ORLANDO FURIOSO. (XLIV. 29— 44)
[600]
29. L' imperator con chiara e lieta fronte,
I paladini, e gli amici, e i parenti,
La nobiltà, la plebe, fanno al conte
Ed agli altri d' amor segni evidenti.
Gridar s' ode Mongrana e Chiaramonte :
Si tosto non finir gli abbracciamenti.
Rinaldo e Orlando insieme ed Oliviero
Al signor loro appresentàr Ruggiero ;
30. E gli narrar, che di Ruggier di Rìsa
Era ìiglinol, di virtù uguale al padre.
Se sia animoso e forte, ed a che guisa
Sappia ferir, san dir le nostre squadre.
Con Bradamante in questo vicn Marllsa,
Le due compagne nobili e leggiadre.
Ad abbracciar Ruggier vien la sorella ;
Con più rispetto sta 1' altra donzella.
31. L' imperator Ruggier fa risalire,
Clì' era per riverenza sceso a piede,
E lo fa a par a par seco venire,
E di ciò, eh' a onorarlo si richiede,
Ln punto sol non lascia preterire.
Ben sapea, che tornato era alla fede;
Che, tostocliù i gucrrier furo all' asciutto,
Certificato avean Carlo del tutto.
32. Con pompa ti-ionfal, con festa grande
Tornaro insieme dentro alla cittade.
Che di frondi verdeggia e di ghirlande.
Coperte a panni son tutte le strade:
jScmbo d' erbe e di fior d' alto si spande,
E sopra e intorno a' vincitori cade,
Che da veroni e da finestre amene
Donne e donzelle gittano a man piene.
33. Al volgersi dei canti in varj lochi
Trovano archi e trofei subito fatti.
Che di Diserta le ruinc e i fochi
Mostran dipinti, ed altri degni fatti;
Altrove pah-hi con diversi giochi,
E spettacoli , e mimi , e scenici atti ;
Ed è per tutti i canti il titol vero
Scritto : //' liberatori delV impero.
34. Fra il suon d' argute trombe e di canore
Pifiire, e d' ogni iiuisica armonia,
Fi'a riso e plauso, giubilo e favore
Del popolo, che appena vi capia,
Smontò al palazzo il magno imperatore,
Ove |)iù giorni quella compagnia
(Unì torni.iinenti, personaggi, e farse,
Danze, e conviti, attese a dilettarse.
35. Rinaldo un giorno al padre fé' sapere.
Che la sorella a Ruggier dar volea;
Che in presenza d' Orlando [)er mogliere
E d' Olivier promessa gliel' avea;
Li quali erano seco d' un parere,
('he |)arei)tado far non si potea,
l'cr nobiltà di sangue e per valore,
Che fosse a questo par, non che migliore.
86. Ode Amone il figliiiol con (juah^hc sdegno,
Chr;, s(;nza conferirlo seco, gli o>a
La figlia niiritar, eh' esso ha disegno
Che del fìgliuol di (*ostaiitin sia sposa ;
^(Mi di i{iig-i«ro , il (|uai, non eh' abbia regno,
Ma non può al mondo dir: Questa è mia cosa ;
]Nè sa, «'he nobiltà poco ^i prezza,
E iiicn \irtii, se non v' è ancor ricchcz/.a.
37. Ma più d' Amon la moglie Beatrice
Biasma il figliuolo, e chiamalo arrogante,
E in secreto e in palese contradice.
Che di Ruggier sia moglie Bradamante.
A tutta sua possanza imperatrice
Ha disegnato farla di Levante.
Sta Rinaldo ostinato , che non vuole,
Che manchi un jota delle sue parole.
38. La madre , eh' aver crede alle sue voglie
La magnanima figlia, la conforta
Che dica, che piuttosto eh' esser moglie
D' un pover cavalier, vuole esser morta;
Nò mai più per figliuola la raccoglie,
Se questa ingiuria dal fratel sopporta.
Neghi pur con audacia, e tenga saldo.
Che per sforzar non la sarà Rinaldo.
39. Sta Bradamante tacita, nò al detto
Della madre s' arrischia a contradire;
Cile 1' ha in tal riverenza e in tal rispetto,
Cile non potria pensar non 1' ubbidire.
Dall' altra parte terria gran difetto.
Se quel, che non vuol far, volesse dire.
Non vuol, perchè non può; che 1' poco e '1 molte
Poter di sé disporre, Amor le ha tolto.
40. Né negar, né mostrarsene contenta
S' ardisce, e sol sospira, e non risponde.
Poi 5 quando è in luogo , eh' altri non la senta,
Versan lagrime gli occlij a guisa d' onde,
E parte del dolor, che la tormenta,
Sentir fa al petto ed alle chiome bionde;
Che r un percuote, e 1' altre straccia e frange,
E cosi parla, e così seco piange:
41. Ahimè ! vorrò quel , che non vuol chi deve
Poter del \ oler mio , più che poss' io ?
Il voler di mia madre avrò in sì lieve
Stima, eli' io lo posponga al voler mio?
Deh ! qnal peccato puote esser sì greve
A una donzella, qual biasmo sì rio,
Come questo sarà, se, non volendo
Chi sempre ho da ubbidir, marito prendo?
42. Avrà, misera me, dunque possanza
La nniterna pietà, eh' io t' abbandoni.
Oh mio Ruggiero? e eh' a nuova speranza,
A desir nuovo, a nuovo amor mi doni?
Oppur la riverenza e i' osservanza,
Ch' ai buoni padri denno i figli buoni,
Porrò da parte? e solo avrò rispetto
Al mio bene , al mio gaudio , al mio diletto ?
43. So quanto, ahi lassa! debbo far; so quanto
Di bnona figlia al debito conviensi.
Io '1 so; ma che mi vai, se non può tanto
La ragion, che non possano più i sensi?
Se Amor la caccia, e la fa star da canto,
l%è lassa eh' io disponga, né eh' io pensi
Di me dispor , se non quanto a Ini piaccia,
E sol quanto egli detti, io dica e faccia?
44. Figlia d' Amone e di Beatrice sono,
E son, misera me! ser*a d' Amore.
Dai genitori miei trctvar |)erdono
Spero. (! pmtà, s' io caderò in errore;
Ma s(r oflencbuò Amor, cìii sarà buono
A sclii^armi con preghi il suo furore?
('he sol coglia una di mie scuse u<lire,
E non mi faccia subito morire?
601]
ORLANDO FURIOSO. (XLIV. 45—60)
[602]
ìó. Oimè ! con lunga ed ostinata prova
Ilo cercato Riig-gier trarre alla fede,
Ed hello tratto alfin ; ma che mi giova,
Se '1 mio hen fare in util d' altro cede?
Così , ma non per sé , 1' ai>e rinnova
II mele ogni anno , e mai non lo possiede.
Ma vo' prima morir ^ che mai sia vero,
Ch' io pigli altro marito , che Ruggiero.
46. S' io non sarò al mio padre ubbidiente,
INè alla mia madre , io sarò al mio fratello,
Che molto e molto è più di lor prudente,
Né gli ha la troppa età tolto il cervello.
E a questo, che Hinahlo vuol, consente
Orlando ancora; e per me ho questo e quello,
I quali duo più onora il mondo e teme,
Che 1' altra nostra gente tutta insieme.
47. Se questi il fior , se questi ognuno stima
La gloria e lo ^plelldor di Chiaramonte ;
Se sopra gli altri ognun gli alza e sublima
Più, che non è del piede alta la fronte,
Perchè debbo voler, «;he di me prima
Amon disponga, che Rinaldo e '1 conte?
Voler noi debbo ; tanto men , che messa
In dubbio al Greco , e a Ruggier fui pi-omessa.
48. Se la donna s' afHigge e si tormenta,
]\è di Ruggier la mente è più quieta;
Ch' ancorché di ciò nuova non si senta
Per la città, pur non è a lui segreta.
Seco di sua fortuna si lamenta,
La qual fruir tanto suo ben gli vieta,
Poiché ricchezze non gli ha date e regni,
Di che è stata sì larga a mille indegni.
49. Di tutti gli altri beni , che concede
Katura al mondo, o proprio studio acquista,
Aver tanta e tal parte egli si vede,
Quale, e quanta altri aver mai s' abbia vista;
Ch' a sua bellezza ogni bellezza cede.
Che a sua possanza è raro chi resista.
Di magnanimità, di splendor regio
A nessun , più eh' a lui , si deve il pregio.
50. Ma il volgo, nel cui arbitrio son gli onori.
Che, come pare a lui, li leva e dona;
(Né dal nome del volgo voglio fuori,
Eccetto r noni prudente, trar persona;)
Che né papi, né re, né imperatori
Nonne trae scettro, mitra, né corona.
Ma la prudenza, ma il giudicio buono;
Grazie, che dal ciel diite a pochi sono !)
51. Questo volgo, per dir quel, eh' io vo' dire,
Ch' altro non riverisce, che ricchezza,
Né vede cosa al mondo, che più ammire,
K senza, nulla cura r. luilhi apprezza,
Sia quanto voglia la hellà, V ardire,
La possanza del corpo, la d(■^'rczza,
La virtù , il seiuu», la hontà ; e |)iù in questo.
Di eh' ora > i ragiono , che nel resto.
52. Dicea Ruggier: Se pur é Amon disposto,
Che la figliuola imperatrice sia.
Con Iberni non concbiuda co>ì t(K-.to,
Alinen termine- un anno anco mi dia!
Ch' io H|iei-o intanto, che da ine depo^(o
Leon col padre dell' ini|)ei'io fia;
F poiché tolto a\rò lor le <(irr)ne.
Genero indegno non sarò d' .Vmiine.
53. Ma se fa senza indugio , come ha detto,
Suocero della figlia Costantino;
S' alla promessa non avrà rispetto
Di Rinaldo e d' Orlando suo cugino.
Fattami innanzi al vecchio benedetto,
AI marchese Oliviero e al re Sobrino,
Che farò.-" Vo' patir sì grave torto?
O, priraaché patirlo, esser pur morto?
54. Deh ! che farò ? Farò dunque vendetta
Contra il padre di lei di questo oltraggio ?
Non miro, eh' io non son per farlo in fretta,
O s' in tentarlo io mi sia stolto , o saggio.
Ma voglio presuppor, eh' a morte io metta
L' iniquo vecchio , e tutto iì suo lignaggio,
Questo non mi farà però contento,
Anzi in tutto sarà contra il mio intento.
55. E fu sempre il mio intento, ed é, che m' ami
La bella donna , e non che mi sìa odiosa ;
Ma, quando Ainone uccida, o faccia, o trami
Cosa al fratello , o agli altri suoi dannosa.
Non le do giusta causa , che mi chiami
Nemico, e più non voglia essermi sposa?
Che debbo diuique far? debbol patire?
Ah, non per Dio! piuttosto io vo' morire.
56. Anzi non ^o' morir, ma vo', che muoja
Con più ragion questo Leone Augusto,
Venuto a distur!)ar tanta mia gioja;
10 vo', che muoja egli e '1 suo padre ingiusto.
Elena bella all' amator di Troja
Non costò sì , né a tempo più vetusto
Proserpiaa a Piritoo , come voglio,
Ch' al padre e al figlio costi il mio cordoglio.
57. Pnò esser, vita mia, che non ti doglia
Lasciare il tuo Ruggier per questo Greco ?
Potrà tuo padre far, che tu lo teglia,
Ancorch' avesse i tuoi fratelli seco?
Ma sto in timor, eh' al)!)i piuttosto voglia
D' esser d' accordo con Auion , che meco,
E che ti paja assai miglior i)artito
Cesare aver, eh' un privato uom marito.
58. Sarà possibil mai , che nome regio.
Titolo imperiai , grandezza e pompa.
Di Bradamantc mia 1' animo egregio,
11 gran valor, I' alta virtù corrompa,
Sicch' abbia da tenere in miiior pregio
La data fede, e le promesse rompa?
Né, piuttosto d" Amon l'ar>i nemica,
Che quel, che detto lu" ha, sempre non dica?
59. Diceva qiieste, ed altre cose molte
! Ragionando fra sé Ruggiero , e spesso
! Le dicea in guisa , eh" erano raccolte
Da clii tallir se gli tro^a\a appre.-so;
Sicché il tormento >U(» più di iUw >oUo
Era a colei , per cui patÌNa, espresso,
I A cui nini dolca meno il >('iitir Ini
J Così doler, che i proprj all'anni *ui.
' CO. Ma più d' ogni altro (Iim)1 , clur le sia detto
i Che tormenti Kuggicr. di que>to ha doglia,
("he intende, clu; »' alllìgge (ter s(»>petlo,
, Cir ella Ini lasci, e che quel (ireco Miglia.
I Onde . acciò si conforti, e che ilei petto
j Questa credenza e ipu-sto error si loglia,
I l'er una di sue lìde (-anieriere
! (ìli fé" quoto jiarole un di sajiere:
[603]
ORLANDO FURIOSO (XLIV. 61 — 76)
[604]
61. Riiggier, qual sempre fui, tal' esser TOglìo,
Fin alla morte e più , se più si puote.
O siami Amor benigno , o m' usi orgoglio,
O me Fortuna in alto , o in basso ruote,
Immobil son di vera fede scoglio,
Che d' ogn' intorno il vento e '1 mar percuote.
Kè giammai per bonaccia , né per verno
Luogo mutai , né muterò in eterno.
62. Scarpello si vedrà di piombo , o lima
Formare in varie immagini diamante,
Primachè colpo di fortuna, o prima
Ch' ira d' Amor rompa il mio cor costante;
E si vedrà tornar verso la cima
Dell' alpe il fiume torbido e sonante.
Che per nuovi accidenti, o buoni , o rei,
Facciano altro viaggio i pensier miei.
63. A voi, Ruggier, tutto il dominio ho dato
Di me , che forse è più, eh' altri non crede.
So ben, eh' a nuovo principe giurato
]\on fu di questa mai la maggior fede.
So, che né al mondo il più sicuro stato
Di questo, re né iniperator possiede.
]\on vi bisogna far fossa, né torre
Per dubbio , eh' altri a voi lo venga a torre :
64. Che senzach' assoldiate altra persona.
Non verrà assalto, a cui non si resista.
]\on è ricchezza ad espugnarmi buona;
Non si vii prezzo un cor gentile acquista.
Né nobiltà, né altezza di corona,
Ch' al volgo sciocco abbagliar suol la vista.
Non beltà, che in lieve animo può assai,
Vedrò, che più di voi mi piaccia mai.
65. Non avete a temer, che in forma nuova
Intagliare il mio cor mai più si possa;
Sì r immagine vostra si ritrova
Scolpita in lui, eh' esser non può rimossa.
Che '1 cor non ho di cera, è fatto prova;
Che gli die' cento, non eh' una percossa
Amor, primachè scaglia ne levasse,
Quando all' immagin vostra lo ritrasse.
66. Avorio e gemma , ed ogni pietra dura,
Clie meglio dall' intaglio si difende.
Romper si può, ma non, eh' altra figura
Prenda, che quella, eh' una volta prende.
Non è il mio cor diverso alla natura
Del marmo , o d' altro, eh' al ferro contende.
Prima esser può , che tutto Amor lo spezze,
Che lo possa scolpir d' altre bellezze.
67. Soggiunse a queste altre parole molte
Pien(! d' amor, di fede, e di «conforto,
Da ritornarlo in vita mille volte.
Se stato fosse mille volte morto.
Ma, quando più dalla tempesta tolte
Queste speranze esser credeano in porto.
Da nn nuovo turbo impetuoso e scuro
Hi>pinte in mar, lungi dal lito, furo.
68. Perocché Bradamante , eh' eseguire
Vorrjii molto più ancor, che non ha detto,
Ri\o<:iin(lo nel cor 1' usato ardire,
E lasciando ir da parte ogni rispetto,
S' apprcMMita nn di a (Jarlo, e dice: Sire,
S' a vostra inaestade ab-iino effetto
lo feri mai , ilie t<; paresse buono.
Contenta h'ìa di non negarmi un dono!
69. E primachè più espresso io glielo chieggia,
Sulla real sua fede mi prometta
Farmene grazia! e vorrò poi, che veggia
Che sarà giusta la domanda e retta.
Merta la tua virtìi , che dar ti deggia
Ciò che domandi, oh giovane diletta.
Rispose Carlo; e giuro, sebben parte
Chiedi del regno mio, di contentarte.
70. Il don, eh' io bramo dall' altezza Tostra,
È, che non lasci mai marito darme,
Disse la damigella, se non mostra,
Che più di me sia valoroso in arme.
Con qualunque mi vuol , prima , o con giostra,
O con la spada in mano , ho da provarme.
Il primo, che mi vinca, mi guadagni;
Chi vinto sia , con altra s' accompagni.
71. Disse r imperator con viso lieto,
Che la domanda era di lei ben degna,
E che stesse con 1' animo quieto.
Che farà appunto quanto ella disegna.
Non è questo parlar fatto in segreto,
Sicch' a notizia altrui tosto non vegna,
E quel giorno medesimo alla vecchia
Beatrice, e al vecchio Amon corre all' orecchia
72. I quali parimente arser di grande
Sdegno centra la figlia, e di grand' ira;
Che vider ben con queste sue domande,
Ch' ella a Ruggier, più che a Leone aspira;
E presti, per vietar, che non si mande
Questo ad effetto , a eh' ella intende e mira,
La levaro con fraude dalla corte,
E la menaron seco a Rocca Forte.
1 73. Questa era una fortezza, eh' ad Amone
j Donata Carlo avea pochi dì innante,
j Tra Perpignano assisa, e Carcassone,
I In loco in ripa al mar , molto importante.
I Quivi la ritenean, come in prigione,
j Con pensier di mandarla un dì in Levante;
Sicché a ogni modo, voglia ella, o non vogli
Lasci Ruggier da parte, e Leon toglia.
74. La valorosa donna , che non meno
Era modesta , eh' animosa e forte,
Ancorché posto guardia non l' aviéno,
Che potea entrare, e uscir fuor delle porte.
Pur stava ubbidiente sotto il freno
Del padre; ma patir prigione e morte,
Ogni martire e crudeltà piuttosto,
Clie mai lasciar Ruggier, avea proposto.
75. Rinaldo, che si vide la -sorella
Per astuzia d' Amon tolta di mano,
E che dispor non potrà più di quella,
E eh' a Ruggier 1' avrà |)romessa invano,
Si duol del padre, e contra lui favella,
Posto il rispetto filial lontano:
Ma po(;o cura Amon di t<M parole,
E di sua figlia a modo suo far vuole.
76. Kuggier, (;he questo sente, ed ha in timoi
Di riinan(;r della sua donna privo,
E (-he 1' abbia, o per l'orza, o per amore
I-eon , se resta lunfj;auicnte vivo.
Senza parlarne altrui si mette in core
Di far, die uuioja i' sia, d' Augusto, Divo,
E tor . se non 1' inganna la sua speme,
Ai padre e a lui la vita , e '1 regno insieme.
505]
ORLANDO FURIOSO. (XLIV. 77 — 92)
[606]
i7. L' arme, che fur già del trojano Ettorre,
E poi di Mandricardo , si riveste,
E fa la sella al buon Frontino porre,
E cimier muta , scudo , e sopravreste.
A questa impresa non gli piacque torre
' L' aquila bianca nel color celeste;
I Ma un candido liocorno , come giglio,
I Vuol nello scudo , e '1 campo abbia vermiglio.
78. Sceglie de' suoi scudieri il più fedele,
E quel vuole, e non altri in compagnia,
E gli fa coramission , che non rivele
In alcun loco mai , che Ruggier sia.
Passa la Mosa e 'I Reno , e passa de le
Contrade d' Ostericche in Ungheria,
E lungo r Istro per la destra riva
Tanto cavalca, che a Belgrado arriva.
79. Ove la Sava nel Danubio scende,
E verso il mar maggior con lui dà volta.
Vede gran gente in padiglioni e tende
Sotto 1' insegne imperiai raccolta;
Che Costantino ricovrare intende
Quella città, che i Bulgari gli han tolta.
Costantin v' è in persona, e '1 figliuol seco.
Con quanto può tutto T imperio greco.
80. Dentro a Belgrado, e fuor per tutto il monte,
E giù fin dove il fiume il pie gli lava,
L' esercito de' Bulgari gli è a fronte,
E r uno e 1' altro a ber viene alla Sava.
Sul fiume il Greco , per gittare il ponte,
Il Bulgar, per vietarlo, armato stava.
Quando Ruggier vi giunse, e zuffa grande
Attaccata trovò fra le due bande.
81. I Greci son quattro contra uno, ed hanno
Navi co' ponti da gittar nell' onda;
E di voler fiero sembiante fanno
Passar per forza alla sinistra sponda.
Leone intanto, con occulto inganno
Dal fiume discostandosi , circonda
Molto paese, e poi vi torna, e getta
Keir altra ripa i ponti, e passa in fretta:
82. E con gran gente, chi in arcion, chi a piede,
Che non n' avea di ventimila un manco,
Cavalcò lungo la riviera, e diede
Con fiero assalto agi' inimici al fianco.
L' imperator, tosto(!liè '1 figlio vede
Sul fiume comparirsi al lato manco,
Ponte aggiungendo a ponte, e nave a nave.
Passa di là con quanto esercito ave.
83. Il capo, il re de' Bulgari, Vatrano,
Animoso e prudente e prt»' guerriero,
Di qua , di là s' allàticava invano
Per riparare a un impeto sì fiero ;
Quando , cìngcndoi con robusta mano
Leon, gli fé' cader sotto il dc?tri(;ro,
E p«iich(; dar prigion mai non si volse,
Con mille spade la vita gli tolse.
84. I Bulgari sin qui fatto avean testa;
Ma quando il lor signor si ^id<-r tolto,
E crescer d' ogn' intorno la tempesta,
\ oliar le f-palle, ove uvean prima il volto.
Ruggier, che misto vien fra i («rcci, e questa
Sciwilitla vedi!, snr/.a pensar molto,
I Itnlgari Mx-rorrcr si dispone,
Percir odia Costantino, e più Leone. j
85. Sprona Frontin , che sembra al corso un vento,
E innanzi a tutti i corridori passa;
E tra la gente vien, che per spavento
Al monte fugge, e la pianura lassa.
Molti ne ferma, e fa voltare il mento
Contra i nemici , e poi la lancia abbassa,
E con si fier sembiante il destrier move.
Che fin nel ciel Marte ne teme, e Giove.
86. Dinanzi agli altri un cavaliero adocchia.
Che ricamato nel vestir vermiglio
Avca d' oro, e di seta una pannocchia
Con tutto il gambo, che parca di miglio;
Nipote a Costantin per la sirocchia,
Ma che non gli era men caro, che figlio.
Gli spezza scudo e usbergo , come vetro,
E fa la lancia un palmo apparir dietro.
87. Lascia quel morto, e Balisarda stringe
V' erso uno stuol , che più si vide appresso ;
E contra a questo e contra a quel si spinge.
Ed a chi tronco , ed a chi il capo ha fesso ;
A chi nel petto, a chi nel fianco tinge
Il brando, e a chi 1' ha nella gola messo:
Taglia busti, anche, braccia, mani e spalle;
E il sangue, come un rio, corre alla valle.
88. Non è, visti quei colpi, chi gli faccia
Contrasto più, così n' è ognun smarrito;
Sicché si cangia subito la faccia
Della battaglia; che, tornando ardito.
Il petto volge, e ai Greci dà la caccia
Il Bulgaro , che dianzi era fuggito.
In un momento ogni ordine disciolto
Si vede, e ogni stendardo a fuggir volto.
89. Leone Augusto su un poggio eminente.
Vedendo i suoi fuggir, s' era ridotto,
E sbigottito e mesto ponea mente
(Perch' era in loco, che scopriva il tutto)
Al cavalier , eh' uccidea tanta gente,
Che per Ini sol quel campo era distrutto;
E non può far , sebben a' è «dieso tanto.
Che non lo lodi, e gli dia in arme il vanto.
90. Ben comprende all' insegne e sopravvesti,
All' arme luminose, e ri<uhe d' oro.
Che, quantunque il guerricr dia ajuto a questi
Nimicì suoi , non sia però di loro.
Stupido mira i soprnmani gesti,
E talor pensa, che dal soninu) coro
Sia, per punire i Greci, un agnol sceso,
Che tante e tante volte hanno Dio offeso.
91. E coni' uom d' alto e di sublinu- core.
Ove r avrian molf altri in odio a\uto,
Egli s' innamorò del siu) valore.
Né veder fargli oltraggio avria voluto.
Gli sarebbe , per un d*;' suoi . vhv umore.
Vederne morir sci, manco spiiuiuto,
E pcrd«-r anco parte ilei suo regno,
Che veder morto un cavalier sì degno.
92. Come bambin , sebben la cara madre
Iraconda lo Itatte . e da so caccia.
Non ha riciir>o alla sorella, o al padre,
I\la a lei ritorna, e con dolcez/.a aidtraccìa:
('osi licon , sebben le prime s(|nailre
Ruggier gli uccide, e 1' altre gli minaccia,
^on lo può oiiiar; perchè all' amor più lira
L' ulto ^alor, che qucll' offesa all' !■'•>
[6071
ORLANDO FURIOSO. (XLIV. 93-104)
93. Ma, se Leon Ruggiero ammira ed ama,
Mi par, che duro caml)io ne riporte;
Che Ruggiero odia hii, uè cosa brama
Più, che di dargli di sua man la morte.
Molto con gli occhj il cerca, ed alcun chiama,
Che glielo mostri: ma la buona sorte
E la prudenza dell' esperto Greco
Kon lasciò mai, che s' affrontasse seco.
94. Leone, acciocché la sua gente afTatto
Non fosse uccisa, fé' sonar raccolta.
Ed all' imperatore un messo ratto
A pregarlo mandò, che desse Yolta,
E ripassasse il fiume; e che buon patto
IN' avrebbe, se la via non gli era tolta;
Ed esso con non molti , che raccolse,
Al ponte, end' era entrato, i passi volse.
95. Molti in poter de' Bulgari restaro
Per tutto il monte, e sin al fiume uccisi:
E vi rcstavan tutti , se '1 riparo
]\'on gli avesse del rio tosto divisi.
Molti cadder dai ponti , e s' afTogaro,
E molti, senza mai volgere i visi,
Quindi lontano irò a trovare il guado,
E molti fur prigion tratti in Belgrado.
96. Finita la battaglia di quel giorno.
Nella qunl, poiché il lor signor fu estinto.
Danno i Bulgari avriano avuto, e scorno.
Se per lor non avesse il gucrrier vinto,
11 buon guerrier, che '1 candido liocorno
Nello scudo vermiglio avea dipinto;
A lui si trasson tutti , da cui questa
Vittoria conoscean, con gioja e festa,
97. Uno il saluta, un altro se gì' inchina;
Altri la mano, altri gli bacia il piede;
Ognun , quanto più può , se gli avvicina,
E beato si tien, chi appresso il vede,
E più, chi 'i tocca: che toccar divina
E sopranaturai cosa si crede.
Lo pregan tutti, e vanno al ciel le grida,
Che sia lor re , lor capitan , lor guida.
98. Ruggier rispose lor, che capitano,
E re sarà, quel che sia lor più a grado;
Ma. né a baston, né a scettro ha da por mano.
Né per quel giorno entrar vuole in Belgrado;
Che, primachè si faccia più lontano
Leone Augusto, e che rijìassi il guado,
Lo vuol seguir, né torsi dalla traccia,
Finché noi giunga, e che morir noi faccia;
99. Che mille miglia e più per questo solo
Era venuto, e non per altro efittto.
Così senza indugiar lascia lo stuolo,
E si volge al cammin, che gli \ien detto.
Che verso il ponte fa Leone a volo.
Forse per dubbio , che gli sia intercetto.
Gli va dietro per 1' orma in tanta fretta.
Che '1 suo scudier non chiama, e non aspetta.
100. Leone ha nel fuggir tanto vantaggio,
(Fuggir si può ben dir, più che ritrarse)
Che trova aperto e libero il passaggio.
Poi rompe il ponte, e lascia le navi arse.
Non v' arriva Ruggier, eh' ascoso il raggio
Era del sol, né sa, dove alloggiarse.
Cavalca innanzi, (che Iucca la luna)
Né mai trova castel, né villa alcuna.
101. Perchè non sa , dove si por , cammina
Tutta la notte, né d' arcion mai scende.
Nello spuntar del nuovo sol vicina
A man sinistra una città comprende,
Ove di star tutto quel dì destina.
Acciò r ingiuria al suo Frontino emende,
A cui , senza posarlo o trargli briglia,
La notte fatto avea far tante miglia.
102. Ungiardo era signor di quella terra.
Suddito, e caro a Costantino molto;
Ove avea , per cagion di quella guerra.
Da cavallo e da pie buon numer tolto.
Quivi , ove altrui 1' entrata non si serra.
Entra Ruggiero ; e v' é sì ben raccolto,
Cile non gli accade di passar più avante
Per aver miglior loco , e più abbondante.
103. Nel medesimo albergo in sulla sera
Un cavalicr di Romania alloggiosse.
Che si trovò nella battaglia fiera.
Quando Ruggier pe' Bulgari si mosse,
Ed appena di man fuggito gli era,
Ma spaventato più, eh' altri mai fosse;
Siedi' ancor trema , e pargli ancora intorno
Avere il cavalier dal liocorno.
104. Conosce, tostoché lo scudo vede.
Che '1 cavalier, che quella insegna porta,
È quel, che la sconfitta ai Greci diede.
Per le cui mani è tanta gente morta.
Corre al palazzo , ed udienza chiede,
I Per dire a quel signor cosa, che importa;
E sul)ito intromesso , dice quanto
Io mi riscibo a dir nell' altro canto.
6091
ORLANDO FURIOSO. fXLV. 1—12)
[610]
CANTO QUA KANT ESIMO QUINTO.
ARGOMENTO.
Rvggìer fatto è prigion di Teodora,
E poscia da Leon 71' è liberato.
Per hii del merlo in ricompensa ancora
Pince la donna , onde uvea il cor piagato.
Tanta è nel fin la doglia, che V accora,
Cile morir si risolve disperato.
Marfisa intanto con forte coraggio
fa innanzi a Carlo, e sturba il maritaggio.
L Quanto più sull' instaliil rota redi
Di Fortuna ire in alto il miser uomo,
Tanto piuttosto hai da vederci;!! i piedi,
Ove ora ha il capo, e far cadendo il tomo.
Di questo esempio è Policrate, e il re di
Lidia, e Dionigi, ed altri, eh' io non nomo,
(/he ruinati son dalla suprema
Gloria , in un dì , nella miseria estrema.
2. Così air incontro, quanto più depresso,
Quanto è più V uoiu di qucstii rota al fondo,
Tanto a quel punto più si trova appresso,
Ch' ha da salir, se dee «girarsi in tondo.
Alcun sul ceppo quasi il capo ha messo,
Che r altro <:;iorno ha dato legge al mondo.
Servio e Mario e Ventidio 1' hanno mostro
Al tempo antico, e '1 l'e Luigi al nostro;
3. Il re Luigi, suocero del figlio
Del duca mio , che rotto a Santo Albino,
E giunto al suo nemico nell' artiglio,
A restar senza capo fu vicino.
Scorse di questo anco maggior periglio,
Kon molto innanzi, il gran Mattia Corvino.
Poi I' un de' Franchi , pas^ato quel punto,
L' altro al regno degli Lngheri fu assunto.
4. Si vide per gli esempj , di che piene
Sono r antiche e h^ moderne istorie,
Che '1 ben va dietro al male, e '1 male al bene,
£ fin son 1' un dell' altro e biasmi e glorie;
K che fidarsi all' uom non si conviene
In suo tesor , suo regni» , e sue vittorie,
Aè disperarsi per fortuna avversa,
Che sempre la sua rota in giro versa.
5. Iluggier per la ^ ittoria , eh' avca avuto
Di Leone e del padr(; imperatore,
In tanta (;onfi«h;n7.a era ^eiiuttt
Di sua fortuna e di suo gran valore.
Clic senza compagnia, sen/ altro ajuto,
Di potere egli sol gli dava il ((ue,
Fra cento a pie e a cmallo armate squadre,
Uccider di sua mano il figlio e '1 padre.
6. Ma quella, che non tuoI, che >■{ prometta
Alcìm di lei , gli mostrò in pochi giorni.
Come tosto alzi, e tosto al basso metta,
E tosto avversa , e tosto amica torni.
Lo fé' conoscer quivi da chi in fretta
A procacciar gli andò disagi e scorni,
Dal cavalier , che nella pugna fii ra
Di man fuggito a gran fatica gli era.
7. Costui fece ad Ungiardo saper, come
Quivi il guerrier , eh' area le genti rotte
Di Costantino, e per molt' anni dome.
Stato era il giorno, e vi starla la notte;
E che fortuna presa per le chiome,
Senzachè più travagli , o che più lotte.
Darà al suo re, se fa costui prigione,
Ch' a' Bulgari, lui preso, il giogo pone,
8. Ungiardo dalla gente, che fuggita
Dalla battaglia a lui s' era ridotta,
(di' a parte a parte v' arrivò infinita,
l'erch' al ponte passar non potea tutta)
Sapea, come la strage era seguita.
Che la metà de' Greci avea distrutta;
E come un cavalier solo era stato,
Ch' un campo rotto, e 1' altro avea salvato.
9. E che sia da sé stesso senza caccia
Venuto a dar del capo nella rete.
Si meraviglia, e mostra, che gli piaccia.
Con viso e gesti, e con parole liete.
Aspetta , che Ruggier dormendo giaccia ;
Poi manda le sue genti chete chete,
E fa il buon cavalier, eh' alcun sospetto
Di questo non avea, prender nel letto.
10. Accusato Ruggier dal proprio scudo,
Nella città di Àovengrado resta
Prigion d' Ungiardo , il più d' ogni altro crudo
Che fa di ciò meravigliosa festa.
E che può far Ruggier, poich' egli è nudo,
Ed è legato già, quando si desta .''
l'ngiardo un siu» corrier spaccia a staHetta
A dar la nuova a Costantino in fretta.
11. Avca levato Costantin la notte
Dalle ripe di Sava ogni sua schiera,
E seco a Heleticche a\ea ridotte,
CAh', città del cognato Androfilo era,
Pathe di quello, a cui forale e rotte
(('(ime se slate fossino di cera)
Al prinu) inciMitro 1' arme a^ea il gagliardo
('a%ali(-ro , or prigior» del fiero l iigiardo.
12. Qiii\i fiirtificar Tacca le mura
L' im|iei-alore , v. lipariir le porte;
('he de' Itiilgaii ben non s' assicura,
(;iie CIMI la guida d' un guerrier sì forte
Non gli facciano peggio clu- paura,
E 1 roto ptmgan di sua gente a morte.
Or che r ode prigion, né <|iie!li (eni<'.
Nò se con lur t,ia tutto '1 mondo iobicme.
39
[611]
ORLANDO FURIOSO. (XLV. 13— 28)
[612]
13. L' iinperator nuota in un mar di latte.
Rè per letizia sa quel che sì faccia.
Ben son le genti Itiil'^^iuc ni>fatte,
Dice con lieta e con sicura faccia.
Come (iella vittoria, chi coml)atte,
Se troncasse al nemico amlie !e hraccìa,
Certo saria, così n' è certo, e gode
L' iniperator, poiché '1 guerrior preso ode.
14. Non ha minor cagion dì rallegrarsi
Del padre il figlio; eh' oltreché si spera
Di racquis^tar Belgrado, e soggiogarsi
Ogni contrada , che de' Bulgari era.
Disegna anco il guerriero amico f.irsi
Con henefizj, e seco averlo in schiera:
]Nè Rinaldo , né Orlando a Carlo Magno
Ha da invidiar, se gli è costui compagno.
15. Da questa voglia è hen diversa quella
Di Teodora, a chi '1 figliuolo uccise
Ruggier con 1' asta, che dalla mammella
Passò alle spalle, e un palmo fuor si mise.
A Costantin , del quale era sorella,
Costei si gittò a' piedi, e gli conquise
E intenerlgli il cor d' alta pietade
Con largo pianto, che nel sen le cade.
16. Io non mi leAerò da questi piedi,
Diss' ella, signor mìo, se del fellone,
di' uccìse il mio figiìuol , non mi c<mcedi
Dì veiulicare, or che i' ahhiam prigione.
Oltreché stato t' è nipote, vedi,
Quanto t' amò; vedi, quant' opre huone
Ila per te fatto; e vedi, s' avr.ii torto
Di non lo vendicar di chi 1' ha morto.
17. Vedi, che per pietà del nostro duolo
Ha Dio fatto levar dalla campagna
Questo crudele, e come augello, a volo
A dar ce 1' ha condotto nella ragna.
Acciò in ripa di Stige il mìo figlinolo
Molto senza vendetta non rimagna.
Dammi costui, signore, e sii contento,
Ch' io disacerbi il mìo col suo tormento!
18. Cosi hen piange, e cosi hen sì duole,
E così bene ed el'ficace jiarla;
]Nc dai piedi levar mai se gli vuole,
Benché (re volte e quattro per levarla
I sasse Costantino atti e parole,
Ch' egli è sforzato alfin dì contentarla;
E cosi comandò , che si facesse
Colui condurre , e in man dì lei si desse.
ly. E per non fare in ciò lunga dimora,
(Jon(!(itl<) hanno il guerrier dal lincorno,
ì'j dati» in mano alla crmlcl 'l'codora,
Cile n(ni ^i i'u intervallo più d' un giorno.
II far, cIk; ,-.ia squartato \ivo, e liiuoru
l'ublìlìcamente con obbrobrio e scorno,
l'oca pena le pare; e studia e pensa
AiUa trovarne inusitata e inuucMisa.
20. La femmina «rrudel lo fece porre,
Incatenalo e mani e piedi e c(»llo,
INel tenebroso fonilo d' ima torre,
Ove mai non entrò raggio d' Apollo.
Fuorcir un poco dì pan mull'ato , torre
(ìli fé' ogni cibo, e bcnza ancor lascìollo
Duo dì liilora; i- lo die' in guai. li. i a tale,
Cir era di lei più pronto a, fargli male.
21. Oh se d' Amon la valorosa e bella
Figlia, oh se la magnanima Slarfisa
A\ei!ie avuto di Ruggier novella,
Clie in prigion tormentasse a questa guisa,
Per liberarlo saria questa e quella
Postasi al rischio dì restarne uc;ùsa:
Né Bradamante avria, per dargli ajuto,
A Beatrice, o ad Amon xispctto avuto.
22. Re Carlo intanto avendo la promessa
A costei fatta, in mente, che consorte
Dar non le lascerà, che sia men d' essa
Al paragon dell' arme ardito e forte,
Questa sua volontà con trombe espressa
Non solamente fé' nella sua corte.
Ma in ogni terra al suo imperio soggetta;
Onde la fama andò pel mondo in fretta.
2t!. Questa condizion contiene il bando;
Chi la figlia d' Amon per moglie vuole.
Star con lei debba a pisragon del brando,
Dall' apparire al tramontar del sole;
E fin a quet-to termine durando,
E nini sia vinto, senz' altre parole
lia donna da Ini vinta esser s' intenda,
Né possa ella negar, che non lo prenda:
24. E che r eletta ella dell' arme dona,
Sciiza mirar, chi sia di lor, che chiede.
E lo potea ben far, perdi' era huona
Con tutte r arme, o sia a cavallo, o a piede.
Amon, che contrastar con la corona
Non può, né vuole, alfin sforzato cede,
E ritornare a corte si consiglia.
Dopo molti discorsi, egli e la figlia.
23. Ancorch.è sdegno e collera la madre
Contra la figlia avea, pur per suo onore
Vestì le fece far ricche e leggiadre
A varie fogge, e di più d' un colore.
Bradamante alia corte andò col padre;
E quando quivi non trovò il suo amore,
Più non le parve quella corte quella.
Che le solea parer già così bella.
'liì. Come chi visto abbia, 1' a|)rìle o il maggio,
Giardin di frondi e dì bei fiori adorno,
E lo rivegga poi, clie 'I sole il raggio
All' austro inchina, e lascia breve il giorno.
Lo trova deserto , orrido e selvaggio :
C'ojÌ pare alia donna, al suo ritorno.
Che da Ruggier la corte a!)bandonata
Quella non sia, eh' avea al partir lasciata.
27. Dr>mandar non ardisce, che ne sia,
Acciò dì sé non dia maggior sospetto ;
Ma pon r orecchia, e cerca tuttavia,
Cìu', senza dotiiaiular h; ne sia detto.
Sì sa, eh' egli è partito; ma che via
Pres' abbia, non fa alcun vero concetto;
Perché partendo, ad altri non fé' motto,
Ch' allo scudier , che seco aA ea condotto.
28. Oh come ella sospira, oh come teme.
Sentendo, che se n' é come fuggito!
Oh come sojìra ogni (inutr le preme,
('Ile per porla in obblio se lu^ sia gito!
VAìr >irtosi Amon contra, ed ogni speme
P(uilut.i m;iì più d' «v<s<'rle marito.
Sì sia fililo da lei lontano , forse
('osi sperando dal suo amor dìscìorsc :
613]
ORLANDO FURIOSO. (XLV. 29—44)
[614]
2«J.
32.
83
U.
35
GG
E clic fati' al)bia ancor qualche disegno,
Per piuttosto levarsela dal core,
D' andar cercando d' uno in altro regno
Donna, per coi si scordi il primo amore;
Come si dire: Che si snol d' nn legno
Talor cliiodo con chiodo cacciar fuore.
Kuovo pcnsier, eh' a questo poi succede,
Le dipinge Knggier pieno di lede:
E lei , che dato orecchie a1)hia , riprende,
A tanta iniqua suspizione, e stolta:
E così r un pensicr Knggier difende,
L' altro r accusa; ed ella ambedue ascolta;
E quando a questo, e quando a quel s' apprende,
]\è risoluta a questo, o a quel si volta.
Pure all' opinion piuttosto corre,
Che più le giova , e la contraria ahhorre.
E talor anco , che le torna a mente
Quel, che più volte ii suo liuggier le ha detto,
Come di grave error si duole e pente,
Ch' avuto n' abbia gelosia e sospetto ;
E come fosse al suo Ruggier presente,
Chiama.-i in colpa, e se ne batte il petto.
Ilo fatto error, dice ella, e me n' avveggio;
Ma chi n' è causa , è causa ancor di peggio.
Amor n' è causa , che nel cor m' ha impresso
La forma tua cosi leggiadra e bella,
E posto ci ha 1' ardir , V ingegno appresso,
E la virtù, di che ciascun favella;
Che impossibil mi par , eh' ove concesso
]Ne sia il veder, eh' ogni donna e donzella
j\on ne sia accesa , e che non usi ogni arte
Di sciorti dal mio amore , e al suo legarle.
Deh ! avesse Amor così nei pensier miei
Il tuo pensier, come ci ha il viso, sculto!
10 son ben certa , che lo troverei
Palese tal , qnal io lo stimo occulto,
E che sì fuor di gel()>ia sarei,
Ch' ad ora ad or non mi farebbe insulto,
E dove appena or è da me respinta,
Rimarria morta , non che rotta e vinta.
Son simile all' avar, eh' ha il cor sì intento
Al suo tesoro, e sì ve l' ha sepolto.
Che non ne può lontan viver contento,
Kè non sempre temer, che gli ^ia ttdto.
Ruggiero , or può , eh io lutn ti veggo e sento,
In me, ]iìn della speme, il tinnir molto;
11 qual , beni:hè bugiardo e vano io creda,
INou posso far di non mi dargli in preda.
Md non apparirà 'I lume sì tosto
Agli occhj miei del tuo ^ iso giocvuuio,
Contr' ogni mia credenza a me nascosto,
Non so in qual |)arte, o Uuggier mio, del mondo,
Conu; il falso timor sarà deposto
Dalla ^era speranza, e messo ni fondo.
Deh! t(nna a iiui , lliig;;i(r, torna e conforta
La speme, che 'l timor lJua^i m' ha morta!
(;om<; al partir del sol si fa majjgiore
L' ombra, ondi; nas<!(; poi \ana paura ;
E «'om«! all' a|>parir del suo splendore
A ien meno 1' ombra, e l timido assicura:
(Josi .-eir/.a llug;;ier scinto timore;
Se Uu;,'^j;ier ^e;;go, in un; timor non dura.
Dell! (orna ann;, lln<;gier, deli! torna prima,
Che 'l timor lu speranza in lutto opprima!
37. Come la notte ogni fiammella è viva,
E riman spenta, subitochè aggiorna:
Così, quando il mio sol di sé mi priva.
Mi leva incontra il rio timor le corna.
Ma non sì tosto all' orizzonte arriva,
Che '1 timor fugge, e la speranza torna.
Deh! torna a me, deh! torna, oh caro lume,
E scaccia il rio timor, che mi consume!
SS. Se '1 sol si scosta, e lascia i giorni brevi,
Qiiimto di bello avea la terra asconde;
J'remono i venti, e pcrtan ghiacci e nevi,
JSon canta augel, né fior si vede, o fronde:
Così , qualora avvien , che da me levi,
Oh mio bel sol, le tue luci gioconde.
Mille timori , e tutti iniqui , fanno
Un aspro verno in me più volte 1' anno.
39. Deh! torna a me, mio sol, torna e rimena
La desiata dolce primavera!
Sgomiira i ghiacci e le nevi , e rasserena
La mente mia , sì nnbilosa e nera !
Qual Progne si lamenta, o Filomena,
Ch' a cercar esca ai figiiuolini ita era,
E trova il nido vuoto; o qual si lagna
Tortore, eh' ha perduto la compagna:
40. Tal Bradamante si dolca; che tolto
Le fosse stato il suo Uuggier, temea,
Di lagrime bagnando spesso il volto,
31a più celatamcnte, che potca.
Oh quanto , quanto si dorria più molto,
S' ella sapesse quel , che non sapea :
Che con pena e con strazio il suo consorte
Era in prigion, dannato a crudel morte!
41. La crudeltà, eh' usa 1' iniqua vecchia
Contra il buon cavalier, che preso tiene,
E che di dargli nu»rte s' apparecchia
Con nuovi strazj , e non Usate pene.
La suprema Hontà fa , eh' ali" orecchia
Del cortese fii^liuol di Cesar viene,
E che gli mette in cor, come i' ajute,
E non lasci perir tanta virtute.
42. Il cortese Leon , che Uuggiero ama,
Kon che sappia però, che Uuggier sia.
Mosso da (|uel ^alor, eh' unico chiama,
E che gli par che soprumano sia.
Molto fra sé discorre, ordisce e trama,
E di salvarlo alfin trova la ^ ia,
In guisa . «lu! <la lui la zia crudele
Ofl'esa non si tenga, e si querele.
43. Parlò in secreto a chi tenea la chiavo
Della prigione, e che V(dea, gli disse,
A edere il ca\alier, priachè si gra\c
Setiteuza contra lui dala seiruisse.
(iiunta la notte, un suo feilel seco ave
Aud.ice e forte, ed atto a zolle e a ris-«p,
E fa, che '1 castellan, senz' altrui dire,
('ir egli fosse LeiMi , gli ^iene ajjrire.
41. 11 castellan, senzacli' nleun de' sui
Seco abbia, occiillamente Leon nuMin
('ol compa<;no all.i torre, ove h<i colui,
('liiì si scib.i air estreun» «1' «)gni pena,
(ìionti là dentro, ^etlaito auiliedui
Al «-.istclian, chi; >i)l;^e lor la siliienn,
Per aprir lo s|)orl(Ilo. al collo no laccio.
E «ubilu gli il<in r ultimo spaccio.
[615]
ORLANDO FURIOSO. (XLV. 45—60)
[tìl«]
45. Apron la cateraftii , onde sospeso
Al canape, ivi a tal bisogno posto,
Leon si cala , e in mano ha un torchio acceso,
Là , dove era Ruggier dal sol nascosto.
Tutto legato , e su una grata steso
Lo trova , all' acqua un palmo , e iiien discosto.
L' avria in un mese , e in termine più corto
Per se , senz' altro ajuto , il luogo morto.
46. Leon Riiggier con gran pietade abbraccia,
E dice: Cavalier, la tua virtute
Indissolubilmente a te in' allaccia
Di volontaria eterna servitute,
E vuol, che più il tuo ben, che '1 mio mi piaccia.
]\è curi per la tua la mia salute,
E che la tua amicizia al padre, e a quanti
Parenti io m' abbia al mondo , io metta iunanti.
47. Io son Leone, acciò tu intenda, figlio
Di Costiuitiu, che vengo a darti ajuto,
Come vedi , in persona con periglio,
Se mai dal padre mio sarà saputo,
D' esser cacciato, o con turbato ciglio
Perpetuamente esser da lui v eduto,
Che per la gente , la qual rotta e morta
Da te gli fu a Belgrado , odio ti porta.
48. E seguitò , più cose altre dicendo
Da farlo ritornar da morte a vita,
E lo vien tuttavolta disciogliendo.
Ruggiergli dice: Io v' ho grazia infinita;
E questa vita , eh' or mi date , intendo
Che serapremai vi sia restituita.
Che la vogliate riavere, ed ogni
Volta , che per voi spenderla bisogni,
49. Ruggier fu tratto di quel loco oscuro,
E in vece sua morto il guardian rimase ;
Né conosciuto egli, né gli altri l'uro.
Leon menò Ruggiero alle sue case,
Ove a star seco tacito e sicuro
Per quattro, o per sei dì, gli persuase;
Che riaver 1' arme e '1 destrier gagliardo
Gli farla intanto , che gli tolse Ungiardo.
50. Ruggier fuggito, il suo guardian strozzato
Si trova il giorno , e aperta la prigione.
Chi quel , chi questo pensa , che sia stato ;
Ne parla ognun , nò però alcun s' appone.
Ben di tutti gli altri uomini pensato
Piuttosto si saria , che di Leone,
Che pare a molli, eh' avria causa avuto
Di farne strazio , e non di dargli ajuto.
51. Riman di tanta cortesia Ruggiero
Confuso sì , sì pien di meraviglia,
E tramutato sì da quel pcn/icro,
Che quivi tratto 1' avea tante miglia.
Clic mettendo il secondo col primiero,
N»; a questi» quel , uè questo a quel simiglia.
Il prinu», tutto era odio, ira, e veneno;
Di pietade è il secondo, e d' amor pieno.
58. Molto la notte, e molto il giorno pensa,
D' altri» non cura, ed altro non disia,
Che dall' oitbligazion , che gli avea ijuracnso,
Scior^i con pari e maggior cortesia.
Gli par, ^e tutta nuu vita dispensa
In lui servire, o breve, o lunga sìa,
E se si espone a mille morti certe,
Non gli può tanto far , che più non raerte.
53. Venuta quivi intanto era la nuova
Del bando, eh' avea fatto il re di Francia:
Che, chi vuol Bradamante, abbia a far prova
Con lei di forza , con spada e con lancia.
Questo udire a Leon sì poco giova.
Che se gli vede impallidir la guancia;
Perchè , come uom, che le sue forze ha note.
Sa , eh' a lei pare in arme esser non puote.
54. Fra sé discorre e vede , che supplire
Può con r ingegno , ove il vigor sia manco.
Facendo con sue insegne comparire
Questo guerrier , di cui non sa 'l nome anco,
Che di possanza giudica, e d' ardire
Poter star contra a qualsivoglia Franco
E crede ben , s' a lui ne dà l' impresa.
Che ne fia vinta Bradamante, e presa.
55. Ma due cose ha da far ; 1' una disporre
Il cavalier , cjie questa impresa accetti ;
L' altra, nel campo in vece sua lui porre
In modo, che non sia chi ne sospetti.
A sé lo chiama , e '1 caso gli discorre,
E pregai poi con efficaci detti,
Ch' egli sia quel, eh' a questa pugna vegna
Col nome altrui, sotto mentita insegna.
56. L' eloquenza del Greco assai potea;
3Ia più dell' eloquenza potea molto
L' obbligo grande, che Ruggier gli avea.
Da mai non ne dover essere sciolto ;
Sicché, quantunque duro gli parca,
E non possibil quasi, pur con volto
Più che con cor giocondo gli rispose,
Ch' era per far per lui tutte le cose.
57. Benché da fier dolor, tostochè questa
Parola ha detta , il cor ferir si senta.
Che giorno e notte , e sempre lo molesta.
Sempre 1' affligge , e sempre lo tormenta,
E vegga la sua morte manifesta,
Pur non è mai per dir , che se ne penta ;
Che prima, eh' a Leon non ubbidire.
Mille volte , non eh' una , è per morire.
58. Ben certo é di morir; perchè se lascia
La donna , ha da lasciar la vita ancora ;
O che r accorerà il duolo e 1' ambascia;
O se '1 duolo e l' ambascia non l' accora.
Con le man proprie squarcerà la fascia.
Che cinge 1' alma, e ne la trarrà fuora:
Ch' ogni altra cosa più facil gli fia,
Che poter lei veder, che sua non sia.
59. Gli è dì morir disposto ; ma che sorte
Di morte voglia far, non sa dir anco.
Pensa talor di fingersi men forte,
E porger nudo alla donzella il fianco;
Che non fu mai la più beata morte.
Che se per man di lei venisse manco.
Poi vede , se per lui resta , che moglie
Sia di Leon , che I' obbligo non scioglie;
60. Perché ha promesso , contra Bradamante
Entrare in <;ampo a singoiar battaglia,
Non siumlare, e farne sol sembiante,
Sicché Leon di lui poco sì vaglia.
Dunque starà nel detto suo costante;
E benché or questo , or quel pensier 1' assa^a.
Tutti gli scaccia, o solo a questo cedo,
li qual r esorta a non mancar di fede.
ORLANDO FURIOSO. (XLV. 61 — 76)
[618]
CI. Avea già fatto apparecchiar Leone,.,
Con licenza del padre Costantino,
Arme e cavalli , e un numer di persone,
Qual gli convenne, e entrato era in cammino,
E seco avea Ruggiero, a cui le buone
Arme avea fatto rendere , e Frontino ;
E tanto un giorno , e un altro , e un altro andaro
Che in Francia, ed a Parigi si trovaro.
C2. Kon volse entrar Leon nella citiate,
E i padiglioni alla camptigna tese;
E fé' il medesmo dì per imbasciate,
Che di sua giunta il re di Francia intese.
I L' ebbe il re caro, e gli fu più fiate,
' Donando e visitandolo, cortese.
Della venuta sua la cagion disse
Leone, e lo pregò, che 1' espedisse:
Go. Ch' entrar facesse in campo la donzella.
Che marito non vuol di lei nien forte;
Quando venuto era per fare, o eh' ella
Moglier gli fosse , o che gli desse morte^
Carlo tolse 1' assunto, e fece quella
Comparir 1' altro dì fuor delle porte
Nello steccato, che la notte sotto
Ali' alte mura fu fatto di botto.
CA. La notte, eh' andò innanzi al terminato
Giorno della battaglia, Ruggier ebbe
Simile a quella, che suole il dannato
Aver, che la mattina morir dcbbe.
Eletto avea combatter tutto armato,
Perch' esser conosciuto non vorrebbe.
]Nò lancia, né destriero adoprar volse,
Né , fuorché '1 brando , arme d' olTesa tolse.
(i5. Lancia non tolse; non perché temesse
Di quella d' or, che fu dell' Argiilia,
E poi d' Astolfo , a cui costei successe,
(Jhe far gli arcion votar sempre solia ;
Perché nessun , eh' ella tal forza avesse,
0 fosse fatta per negromanzia,
Avea saputo, eccetto quel re solo.
Che far la fece, e la donò al figliuolo.
06. Anzi Astolfo e la donna, che portata
L' aveano poi , credcan , «;lie non 1' incanto,
Ma la propria possanza fosse stata,
Che dato loro in giostra avesse il vanto;
E che con ogni allr' asta, che incontrata
Fosse da lor, l'ar(J>bono altrettanto.
La cagion sola, clie Ruggier non giostra,
E, per non far del suo Frontino mostra:
07. Che lo potria la donna facilmente
Conoscer, se da lei foss«; veduto;
Perocché cavalcato e lungamente
In Montalban 1' avea seco tenuto.
Ruggier, che solo f-tiulia, e solo ha mente,
(^<uue da lei non sia ric'onosciuto,
Nò vuol Frontin, né vuol <:os' altra avere,
Cile di far di sé iiulizio abliia poterò.
68. A questa impresa un' altra sjìada volle;
Che ben sapca, che contro a Halisarda
Sari'a ogni usltcrgo , conu; pasta, molle;
Cir alcuna t<;mpra qu(;l furor non tarila ;
E lutto il taglio anco a i|U(;.-<t' altra tolle
(%in un niart<-ll<>, e la fa uicn gagliarda.
Con (|uesl' arnie Ruggiero al primo lampo,
Cli' apparve ull' orizzonte, entrò nel c^uupo.
I 69. E per parer Leon , le soppravveste.
Che dianzi avea Leon , s' ha messe indosso,
E l' aquila dell' or con le due teste
Porta dipinta nello scudo rosso.
E facilmente si potean far queste
Finzion ; eh' era ugualmente e grande o grosso
L' un come 1' altro. Appresentossi 1' mio ;
L' altro non si lasciò veder d' alcuno.
70. Era la volontà della donzella
Da quest' altra diversa di gran lunga :
Che, se Ruggier la sua spada martella
Per rintuzzarla, che non tagli o punga.
La sua la donna aguzza , e brama , eh' ella
Entri nel ferro , e sempre al vivo giunga.
Anzi ogni colpo sì ben tagli e fore,
Che vada sempre a ritrovargli il core.
71. Qual sulle mosse il barbaro si vede.
Che '1 cenno del partir focoso attende.
Né qua, né là poter fermare il piede,
Gonfiar le nari , e che 1' orecchie tende :
Tal r animosa donna , che non crede,
Che questo sia Ruggier, con chi contende,
Aspettando la tromba, par che foco
Nelle vene abbia, e non ritrovi loco.
72. Qnal talor, dopo il tuono, orrido vento
Subito segue, che sozzopra volve
L' ondoso mare, e leva in un momento
Da terra fino al ciel l' oscura poh e;
Fuggon le fiere , e col pastor 1' armento ;
L' aria in grandine e in pioggia si risolve:
Udito il segno la donzella, tale
Stringe la spada, e '1 suo Ruggiero assale.
73. Ma non più quercia antica, o grosso mnro
Di ben fondata torre, a Borea cede.
Né più all' irato mar lo scoglio duro.
Che d' ogn' intorno il di e la notte il fiede,
Che sotto r arme il buon Ruggier sicuro.
Che già al trojano Ettor Vulcano diede,
Ceda all' odio e al furor, che lo t(■mpe^ta
Or ne' fianchi, or nel petto, or nella testa.
71. Quando di taglio la donzella , quando
Mona di punta , e tutta intenta mira.
Ove cacciar tra ferro e ferro il brando.
Sicché si sfoghi e disacerbi 1' ira.
Or da un lato, or da un altro il va tentando;
Quando di qua, quaiulo di là s' aggira;
E si rode, e si duol, che non le avvegna
Mai fatta alcuna cosa , che disegna.
75. Come chi assedia una città , che forte
Sia di buon fianchi e di miuiiglia grossa,
Spesso r assalta; or vuol batter le pt)rlo,
Or r alte torri , or atturar la fos^a,
E pont^ indarno le sue genti a m«ute.
Né via sa ritrovar, clic «-ntrar vi possa:
CopÌ mollo a' nflainia e >i travaglia,
Né può la donna aprir piastra, nò mnglin.
7f». Qnando allo scudo , e quando al Ituon elmetto,
Quando all' u>bergo fa gitlar scintille
Con colpi, di' alle braccia, al capo, al petto
Mena dritti e rivcivi , a mille a mille,
E sp(s>i più , rhe sul sonante letto
La grandine far soglia delle >ille.
Ruggier fUi buir avviso, e «i diftnde
Con gran destrezza, e lei mai non oll'cnde.
[619]
ORLANDO FURIOSO. (XLV. '5^7—92)
[020]
77. Or si ferma, or Yolto,£rp:i;i, or si rih'rft,
E con la man sjiesjio accompagna il piede ;
Por^c or lo scudo, et! or la spada gira,
Ove pirar la man nemica vede.
O k'i non fere, o se la fere, mira
Ferirla in parte, ove men nnocer crede.
La donna, piiniacliè quel dì s' incliine.
Brama di dare alla battaglia fine.
78. Si ricordò del bando, e si ravvide
Del suo periglio, se non era presta;
Che se in nn dì non prende, o non uccide
Il suo domandator, presa ella resta.
Era già jìrcsso ai termini d' Alcide
Per attuiTiir nel mar Febo la testa,
Qnando ella cominciò di sua possanza
A diffidarsi, e perder la speranza.
79. Quanto mancò più la speranza . crebbe
Tanto più 1' ira, raddoppiò le botte;
Che pur queir arme rompere vdrreblie.
Che in tutto il dì non avea ancora rotte:
Come colui eh' al lavorio, che debbc,
Sia stato lento, e già vegga esser notte,
S' afiVctta indarno , si travaglia e stanca,
Finche la forza a un tempo , e '1 di gii manca,
89. Oh misera donzella, se costui
Tu conoscessi, a cui dar morte bramì.
Se lo sapessi esser Rnggier, da cui
Della tua vita pendono gli stami.
So ben , eh' uccider te prima che hii
Vorresti ; che di te so clic più l' ami.
E quando lui Ruggiero esser saprai,
Di questi colpi ancor, so, ti dorrai.
81. Carlo, e molti altri seco , che Leone
Esser costui credeansi, e non Ruggiero,
Veduto, come in arme, al paragone
Di Bradamante, forte era e leggiero,
E senza oflender lei , con che ragione
Difender si sapea , mntan pensiero,
E diron : Ben convengono ambedui ;
Ch' egli è di lei ben degno, ella di lui.
82. Poiché Febo nel mar tutto è nascoso,
Carlo, fatta partir quella battaglia,
Giu;iica, che la donna per suo sposo
Prenda Leon , nò ricusar Io vaglia.
Rnggier, senza jìigliar quivi riposo,
Senz' elmo trarsi , o alleggerirsi maglia,
Sopra un |)i(!ciol ronzio torna in gran fretta
Ai padiglioni, ove Leon 1' aspetta.
83. (ìittò Leone al cavalier le braccia
Due v(»lte e più fraternamente al collo,
E poi. trattogli 1' elmo dalla faccia.
Di qua e di là c(ui grande amor liaciollo.
Vo', disse, «;lie di me sempre; tu f.iccia,
Come ti par; che mai tro\ar satollo
^on mi potrai, che me v. lo stato mio
Spender tu possa ad ogni tuo disio.
84. ^è veggo ricompensa, che mai questa
Obblìgazion, cIT io t' ho, (tossa disciorre;
E non , ^' ancora io mi levi di testa
La mia corona, e a le la venga a porre.
Rnggier, di rm la luciit»^ auge e uu)lesta
Allo dolore, e. ( h<; la \ila abborre,
Poco risponde, e 1' indegne gli rende,
Che n' avea a\ute, e 'l suo liocoriiu prende.
85. E stanco dimostrandosi e svogliato,
Piuttosto, che potè , da lui levosse,
Ed al suo alloggiamento ritornato.
Poiché fu mezza notte, tutto armossc,
E sellato il destricr, senza commiato,
E senza clie da alcun sentito fosse.
Sopra vi salse, e si drizzò al canmiìno.
Che più piacer gli parve al suo Frontino,
86. Frontino or per via dritta, or per via torta.
Quando per selve, e quando per campagna
Il suo signor tutta la notte porta.
Che non cessa un momento, che non piaga.
Ciiiama la morte, e in quella si conforta,
Che r ostinata doglia sola fragna.
Nò vede altro, che morte, che finire
Possa 1' insopportabil suo martire.
87. Di chi mi debbo oimè ! dicea, dolere,
Che cosi m' abbia a un punto ogni ben tolto?
Deh! s' io non vo' l' ingiuria sostenere
Senza vendetta, incontra a cui mi volto?
Fuorché me stesso, altri non so vedere,
Che m' abbia ofl'eso, ed in miseria volto.
Io m' ho dunque di me centra me stesso
Da vendicar, eh' ho tutto il mal commesso.
88. Pur, quando io avessi fatto solamente
A me 1' ingiuria , a me forse potrei
Donar perdon, sebben difficilmente.
Anzi vo' dir, clie far non lo vorrei.
Or quanto, poiché Bradamante sente
j\Ieco r ingiuria ugual, men lo farci?
Quando bene a me ancora io perdonassi,
Lei non convien, che invendicata lassi.
89. Per vendicar lei dimque io debbo e voglio
Ogni modo morir; né ciò mi pesa;
Ch' altra cosa non so , eh' al mio cordoglio.
Fuorché la morte, far possa difesa;
Ma sol , che allora io non morii, mi doglio.
Che fatto ancora io non le aveva offesa.
Oh me felice , s' io moriva allora,
Ch' era prigion della erudel Teodora!
90. Sebben m' avesse ucciso, o tormentato
Prima ad arbitrio di sua crudeltade,
Da Bradamante almeno avrei sperato
Di ritrovare al mio caso pietade;
Ma quando ella saprà, eh' avrò più amato
Leon di lei, e di mia volontade
Io me ne sia, perdi' egli 1' abbia, privo,
Avrà ragion d' odiarmi e morto e vivo.
91. Queste dicendo, e molte altre parole,
Che sospiri acxompagnano e singulti.
Si trova, all' apparir del nuovo sole.
Fra semi boschi in luoghi strani e inculti;
E perdi' é disperato, e morir vuole,
E pili che piM), che '1 suo morir s' occulti.
Questo liutgo gli par molto nascosto,
Ed atto a far, quant' ha di sé disposto.
92. Entra nel folto bosco, ove più spesso
li' ombrose frasche, e più intricate vede:
Ma Frinitin prinni al tutto sciolto messe
Da sé lontano, e libertà gli diede.
Oh mio Frontin, gli disse, se a me stesse
Di dare a' merli tuoi degna mercede.
Avresti a quel destricr da in%idiar poco,
Che volò ai ciclo, e fra le stelle ha loco.
021]
ORLANDO FURIOSO. (XLV. 93 — 108)
[622]
93. Cillaro, so, non fu, non fu Arione
Di te miglior, ne meritò più lode;
]\è alcun altro destrier , dì cui menzione
Fatta da' Greci , o da' Latini s' ode.
Se ti fur par nell' altre parti buone.
Di questo so, che alcun di lor non gode,
Di i)otersi vantar, eh' avuto mai
Abbia il pregio e 1' onoi-, che tu avuto hai ;
iJi. Poich' alla più, che mai sia stata, o eia,
Donna gentile e valorosa e bella,
Sì caro stato sei , che ti nutria,
E di sua man ti ponea freno e sella.
Cai'o eri alla mia donna. Ah ! perchè mia
La dirò più, se mia non è più quella,
S' io r ho donata ad altri.-' Oimè! che cesso
Di volger questa spada ora in me stesso.''
,1)5. Se Ruggier qui s' affligge e si tormenta,
E le fere e gli augelli a pietà muove,
(di' altri non è, che queste grida senta,
Né vegga il pianto, che nel sen gli piove)
Non dovete pensar, che più contenta
Bradamante in Parigi si ritrovc,
Poiché scusa non ha, che la difenda,
0 più r indugi, che Leon non prenda,
96. Ella, priinach' avere altro consorte,
Che '1 suo lluggier, vuol far ciò, che può farsi :
Mancar del detto suo, Carlo e la corte,
1 parenti e gli amici inimicarsi,
E quando altro non possa, alfìn la morte
O col veneno , o con la spada darsi :
Che le par meglio assai non esser viva.
Che, vivendo, restar di Ruggier priva.
97. Deh! Itnggier mio, dicea, dove sei gito.'*
Pnote esser , che tu sia tanto discosto.
Che tu non abl)i questo bando udito,
A nessun altro, fuorch' a te, nascosto?
Se tu '1 sapes>>i, io so, che comparito
]\essim altro saria di te più tosto
Misera me, eh' altro |)(;nsar un dcggio.
Se non quel, che pensar si possa peggio?
98. Come è, Ruggier, pnssibii, che tu solo
Non abbi quel, <;!k> tutto 'I mondo Ini inteso?
Se inteso i' hai, nò sei venuto a ^ol^»,
Come esser può, che non sii morto, o preso?
Ma chi sapesse il ver, questo figliuolo
Di Costantin t' avrà alcun laccio teso;
Il traditor t' avrà chins.i la via,
A<:ciò prima di lui tu qui iu)n sia.
99. Da Carlo im|)ctrai grazia, eli' n nessuno
Meli di me forte aves.-i ad esser ilata.
Con credenza, che tu fo>si cjiicll' uno,
A cui star coiitra io non poteoi aritiata.
l'iion'hè U: solo, io non stiiinua aldino;
Mn il(-ir audacia mia in' ha Dio |i;!g.i>a,
Poiché «ut.-tui , che mai più non le' iinpresa
D' onoro in vita sua, c(k-<ì m' lia presa.
100. Se però pr(;sa son , jier non a^ ero
Ijccidcr lui, né prenderlo potuto;
11 che non mi par gìii>lo, uè al |iai-erc
IVIni ^oll per star, che in <(uestt> b.i (Jarlo avuto,
So, che Incostante io mi lino tciiire,
Se da quel, eh' ho già detto, ora mi mulo;
Ma né l.t pillila noii , né la nv/.v.iy.i,
Lu qnul parulii «iu ijico»tun(e, e |)<ija.
101. Basti, che nel servar fede al mìo amante
D' ogni scoglio più salda mi ritrovi,
E passi in questo di gran lunga quante
]>Iai furo a' tempi antichi, o sieno ai nuovi.
Che nel resto mi dicano incostante.
Non curo, purché 1' incostanza giovi,
Purch' io non sia di costui torre astretta,
Volubil più che foglia anco sìa detta.
102. Queste parole ed altre, che interrotte
Da sospiri e da pianti erano spesso,
Segui dicendo tutta quella notte,
Ch' all' infelice giorno venne appresso.
Ma poiché dentro alle cimmerie grotte
Con r ombre sue Notturno fu rimesso,
Il cici, eh' eternamente avea voluto
Farla di Ruggier moglie, le die' ajuto.
103. Fé' la mattina la donzella altera
lilarfisa innanzi a Carlo comparire.
Dicendo, eh' al fratel suo Ruggier era
Fatto gjan torto, e non volea patire,
Che gii fosse levala la mogliera.
Né pure una parola gliene dire;
E cinitra clii si vuol, di provar toglie.
Che Bradamante di Ruggiero é moglie.
104. E innanzi agli altri, a lei provar lo vuole,
Quando pur di negarlo fosse ardita.
Che in sua presenza ella ha quelle parole
Dette a Ruggier, clic fa chi si marita;
E con la cerimonia, che si snoie,
Già sì tra lor la cosa é stabilita,
Che più di sé non possono disporre.
Né r un r altro lasciar, per altri torre.
105. Marfisa, o 'I vero o 'l fiilso che dicesse,
Pur lo dicea, ben credo, con pensiero,
l'erché Leon piuttosto interrompesse
A dritto e a torto, die per dire il vero;
E cl:e di voloiitade lo facesse
Di Dradamante, eh' a riaver Ruggiero
Ed escluder Leon , né la più one>ta,
Né la più breve ^ia vedea di questa.
106. Turbato il re dì questa cosa molto,
Bradamante chianiar fa imiiianlinenie,
E quanto di ]iri>\ar i^larfisa ha tolto,
Le fa sapere, ed ce; i Ainon presente.
Tien Dradamante (liiiio a terra il volto,
E ciMii'iis.i non nega, né consente.
In guisa, <'lie com[irendcr di leggiero
Sì può , die detto abbia Marlisa il vero.
107. Piace a Rinaldo, e placo a quel d' Anglanle
Tal cosa udir, eh' esser potrà c-agioiie,
('he '1 parciiliido non andrà più limante,
Che già ciiiidrni:<ii ,»\rr i-redca Leone;
E pur lluggier la lidia lirad.iiiranto
Miìl grado avrà dell' o.-tiiiatti Amone,
E potrai! senza lite, e M-n/a (rarl.i
Di man per forza al padre, a liiiggier darla.
108. Cile 80 tra lor queste parole sfanno.
La vo<n é ferma, e non andrà per terra,
('osi otterrai! quel, che pro!iM-s:4o gli hanno.
Più onotaiiiente, e seir/ii imo\)i guerra.
(Questo è, «liceva Anioii, qne.-to è un inganno
(/'ontia me oidito : ma 1 peiisier Mi.-<lro erra;
Ch' nnrordiè fosse \vv, (|uai!lo Mii (iiilo
Tru voi v' u>cle, iu iiua non però \iiilo.
[623]
ORLANDO FURIOSO. (XLV 109— UT)
[624]
109. Clio presupposto, (il che né ancor confesso,
Kè vo' credere ancor) eh' abbia costei
Scioccamente a Ruggier cosi promes^so,
Come voi dite, e Ruggiero abbia a lei:
Quando, e dove fu questo? che più espresso,
Più chiaro e piano intenderlo vorrei.
Stato so che non è, se non è stato
Prima, che Ruggier fosse battezzato.
110. Ma s' egli è stato innanzi, che cristiano
Fosse Ruggier, non vo' che me ne caglia;
Cli' essendo ella fedele, egli pagano.
Non crederò, che 'I matrimonio vaglia.
Kon si debbe per questo essere invano
Posto al rischio Leon della battaglia;
Kè il nostro imperator, credo, voglia anco
Venir del detto suo per questo manco.
113. Chi parla per Ruggier, chi per Leone;
3Ia la più parte è con Ruggiero in lega.
Son dieci, e più, per un, che n' abbia Amone
L' imperator né qua, né là si piega.
Ma la causa rimette alla ragione,
E al suo parlamento la delega.
Or vien Marfìsa, poich' è differito
Lo sponsalizio, e pon nuovo partito,
114. E dice: Conciossiach' esser non poss^ i
D' altri costei, finché '1 fratel mio vive,
Se Leon la vuol, pur suo ardire e possa
Adopri sì, che lui di vita prive;
E chi manda di lor 1' altro alla fossa,
Senza rivale al suo contento arrive.
Tosto Carlo a Leon fa intender questo.
Come anco intender gli avea fatto il resto.
111. Quel, eh' or mi dite, era da dirmi, quando
Era intera la cosa , né ancor fatto
A' preghi di costei Carlo avea il bando
Che qui Leone alla battaglia ha tratto.
Così contra Rinaldo e contra Orlando
Amon dicca , per rompere il contratto
Fra quei duo amanti; e Carlo stava a udire,
Né per I' un, né per 1' altro volea dire.
112. Come si senton, s' austro, o borea spira,
Per r alte selve mormorar le fronde;
O come soglion, s' Eolo s' adira
Contra Nettuno, al lito fremer 1' onde:
Così un romor, che corre e che s' aggira,
E che per tutta Francia si diffonde.
Di questo dà da dire, e da udir tanto,
Ch' ogni altra cosa è muta in ogni canto.
117.
115. Leon, che, quando seco il cavaliero
Del liocoi'no sia, si tien sicuro
Di riportar vittoria di Ruggiero,
Né gli abbia alcuno assunto a parer duro ;
Non sapendo , che 1' abbia il dolor fiero
Tratto nel bosco solitario e oscuro.
Ma che, per tornar tosto, uno o due miglia
Sia andato a spasso, il mal partito piglia.
116. Ben se ne pente in breve; che colui,
I Del qual più del dover si proraettea,
Non comparve quel dì , né gli altri dei,
I Che lo seguir, né nuova se n' avea.
I E tor questa battaglia senza lui
j Contra Ruggier, sicur non gli parca.
I Mandò, per schivar dunque danno e ecorno,
Per trovare il guerrier dal liocorno.
Per cittadi mandò, ville e castella
Da presso e da lontan per ritrovarlo:
Né contento di questo, montò in sella
Egli in persona, e si pose a cercarlo.
Ma non n' avrebbe avuto già novella,
Né r avria avuta uomo di quei di Carlo,
Se non era Melissa , che fc' quanto
Mi serbo a farvi udir neli' altro canto.
ORLANDOJFU RIO SO._XJLVLJ— Jgì
[626]
CANTO QUARANTES^MO^^^TO.
ARGOMENTO.
Leon cerca Biig-gler, lo trova; e Mesa
La cagion, che dolente il mena a morte,
CU cede Bradaviante; e così resa
E a lui la desiata sua consorte.
Funsi le nozze , e pon nuova contesa
Al buon Jiuggiero il re di Sarza forte:
Seco comhatlc ; e 'l re più d' altro altero
Ucciso è finalmente da Ruggiero.
1 Or, se mi mostra la mia carta il vero,
"Non è lontano a discoprirsi il porto;
Sicché nel lito i voti scioglier spero
A chi nel mar per tanta via ra' ha scorto,
Ove, o di non tornar col legno intero,
O d' errar s.^upre, ehi.i g.à il viso smorto,
aia mi par di veder, ma veggo certo
Veggo la terra, e veggo .1 l.lo aperto.
2. Sento venir per allegrezza un tuono
Che Iremer l' aria, e nii.bomhar la l ondo.
Odo di squille, odo di trou.l.e un suono,
Clic r alto popolar grido contonile.
Or comincio a di^cen.ere, chi sono
Qucti eh- empion del p..rto ambe le spondo,
rar clic tutti s' allegrino, eh' io bla
Venuto a lìu di cosi lunga via.
3 Oh di che belle e saggc donne veggio,
Oh di che cavalieri il lif» adorno!
Oh di che amici, a ehi in eterno degg.o,
Per la letizia, eh' han del uno ntorno!
M.mma, e (Ginevra, e l'altre da Correggio
Vcir-M» del m..h» in sull' estremo corno.
Veronica da (Jamhera è cu. loro.
Sì grata a Febo, e al santo aon.o coro.
4 Vergo un' allra (Jine^ra, pur .iscita
"Del medesimo sangue, e (iiuha seco.
\,.,Mr„ Ippolita SU.r/a, e la nodrita
Dauugella liivul/ia al sacr.. speco.
Ve.^-^o le , Kuiilia l'ia , te , Margherita,
(:h^ Angela Horgia e (Jra/.iosa hai teco,
CÀin Kicciarda da Uste, e.-co le hello
bittuca e Diana, e l' altre lor borellc.
5 Ecco la bella, ma più saggia e onesta
Barbara Turca, e la compagna e Laura.
ISon vede il s(d di più bontà di questa
Coppia, dair Indo all' estrema onda muura.
Kcco Ginevra, che la Malatesta _
Casa col suo valor s' ingennua e inaura,
Cìie mai palagi imperiali, o regi ^
Non ebbon più onorati e degni tregi.
6 Se a quella etadc ella in Arimino era,
Ou.aulo, superbo della Gallia doma,
Cesar fu in dubbio , s' oltre alla riviera
Dovea passando inimicarsi Roma,
Crederò, che, piegata ogni bandiera,
E scarta di trofei la ricca soma.
Tolto avria leggi e patti a voglia d es>^a,
r%c forse mai la libertade oppressa.
7 Del mio signor di Bozolo la moglie,
La madre, le sirocchie e le cngiuc,
E le Torcile, con le Benti voglie,
E le Visconte, e le Pallavicine.
Ecco chi, a quante oggi ne sono, toghe,
E a quante, o greche, o barbai-e , o latine
>c furon mai , di cui la fama s oda,
Di grazia e di beltà la prima loda;
8. Giulia Gonzaga, che, dovunque il piede
Volo-e , e dovunque i sereni occlij gira,
]\on pare ogni altra di beltà le cede, _
Ma, come scesa dal ciel Dea, l' ammira.
La cognata è con lei, che d. sua fede
Aon mosse mai, perchè V avesse m ira
Fortuna, che le te' lungo contrasto.
Ecco Anna d' Aragou , luce del \asto;
I> Anna bella, gentil, cortese, e saggia,
'dì castità, di fede, e d' amor tempio.
La sorella i con lei, eh' ove ne irraggia
L' alta beltà, ne paté ogni altra scempio.
Ecco chi tolto ha dalla .-cura spiaggia ^
Di Stige. e fa con non più Y;'" «^7"l'»«'
Mal grado delle l'arche e della M.ule,
Sple.nler nel ciel 1' invitto suo consorte.
10 Le Ferraresi mie qui sono, e quelle
■ D.lla corte d' l rbiiio ; e riconosco
Ouelle di Manina, e quante donne lieUe
j'ia Lombardia, quante il paese tose».
Il ea>alier, che tra lor Mene, e eli cll«
Onoran m , >' i» "«'u ho 1' occhio losco
Dalla luce olliiscato de' bei volti,
V il tran lume orctin, 1' unico Accolli
^ ^ 40
[62T]
ORLANDO FURIOSO. (XLVl. 11 -26)
[628]
11. Benedetto, il nepote, ecco là veggio,
C ha purpureo il cappel, purpureo il manto,
Col cardinal di Mantua, e col Campeggio,
Gloria e splendor del concistorio santo :
E ciascun d' essi noto , (o eh' io vaneggio)
Al viso e ai gesti, rallegrarsi tanto
Del mio ritorno, che non facil panni,
Ch' io possa mai di tanto obhligo trarrai.
12. Con lor Lattanzio, e Claudio Tolomei,
E Paulo Pausa , e '1 Dressino , e Latino
Juvenal parrai, e i Capilupi raiei,
E '1 Sasso, e '1 Molza, e Florian Montino,
E quel, che per guidarci ai rivi ascrei,
Mostra piano, e più breve altro cammino,
Giulio Caraillo; e par, eh' anco io ci scerna
Marc' Antonio Flamminio, il Sanga, e il Berna.
13. Ecco Alessandro, il mio signor, Farnese.
Oh dotta compagnia , che seco mena !
Fedro , Capella , Porzio , il bolognese
Filippo, il Volterrano, il Maddalena,
Blosio, Pierio, il Vida cremonese,
D' alta facondia inessiccabil vena,
E Lascari, e Musuro, e Navagero,
E Andrea Marone, e '1 monaco Severo.
14. Ecco altri duo Alessandri in quel drappello,
Da gli Orologi 1' un, l' altro il Guarino.
Ecco Mario d' Olvito; ecco il flagello
De' pi'incipi, il divin Pietro Aretino.
Duo Jeronimi veggo ; l' uno è quello
Di Veritade, e 1' altro il Cittadino.
Veggo il Mainardo , e veggo il Leoniceno,
Il Panizzato, e Celio, e il Teocreno.
15. Là Bernardo Capei, là veggo Pietro
Bembo , che 'l puro e dolce idioma nostro
Levato fuor del volgar uso tetro,
Qual esser dee, ci ha col suo esempio mostro.
Guasparo Obizi è quel , che gli vien dietro,
Ch' ammira e osserva il sì ben speso inchiostro.
10 veggo il Fracastoro , il Bevazzano,
Trifon Gabriele , e il Tasso più lontano.
16. Veggo Niccolò Tiepoli, e con esso
Niccolò Amanio, in me affissar le ciglia;
Anton Fulgoso, eh' a vedermi appresso
Al lito , mostra gaudio e meraviglia.
11 mio Valerio è quel, che là s' è messo
Fuor delle donne, e forse si consiglia
Col Barignan , e' ha seco , come olfeso
Sempre da lor, non ne sia sempre acceso.
17. Veggo sublimi e soprumani ingegni.
Di sangue e d' amor giunti, il Pico e il Pio.
Colui, che con lor viene, e da' più degni
Ila tanto onor, mai più non conobb' io;
Ma, se me ne fur dati veri segni,
E r uom , che di veder tanto desio,
Giacobo Sannazar, che alle Camene
Lasciar fa i monti , ed abitar T arene.
18. Ecco il dotto, il fedele, il diligente
Secrelario Pi^tofilo, che insieme
Con gli Acciainoli, e con l' Angiar mio, sente
Piacer, «he più del mar per me non teme.
Annibal Malaguzxo il mio parente
^^•ggo, con r Adoardo, che gran speme
Mi dà, eh' ancor del mio nativo nido
Udir farà da Calpc agi' Indi il grido.
li). Fa Vittor Fausto, fa il Tancredi festa
Di rivedermi, e la fanno altri cento.
Veggo le donne e gli uomini di questa
Mia ritornata ognun parer contento.
Dunque a finir la breve via, che resta,
Non sia più indugio , or e' ho propizio il vento ;
E torniamo a Melissa, e con che aita
Salvò , diciamo , al buon Ruggier la vita.
20. Questa Melissa, come so, che detto
V ho molte volte, avea sommo desire.
Che Bradaniante con Ruggier di stretto
Nodo s' avesse in matrimonio a unire ;
E d' ambi il bene e il male avea sì a petto.
Che d' ora in ora ne volea sentire.
Per questo spirti avea sempre per via,
Che , quando andava 1' un , 1' altro venia.
21. In preda del dolor tenace e forte
Ruggier tra le scure ombre vide posto,
Il qual di non gustar d' alcuna sorte
Mai più vivanda, fermo era e disposto,
E col digiun si volea dar la morte :
Ma fu r ajuto di Melissa tosto ;
Che, del suo albergo uscita, la via tenne.
Ove m Leone ad incontrar si venne ;
22. Il qual mandato 1' uno all' altro appresso
Sua gente avea per tutti i luoghi intorno,
E poscia era in persona andato anch' esso,
Per trovare il guerrier dal liocorno.
La saggia incantatrice , la qual messo
Freno e sella a uno spirto avea quel giorno,
E 1' avea sotto in forma di ronzino,
Trovò questo figliuol di Costantino.
23. Se dell' animo è tal la nobiltate,
Qual fuor, signor, diss' ella, il viso mostra;
Se la cortesia dentro e la bontate
Ben corrisponde alla presenza vostra.
Qualche conforto, qualche ajuto date
Al miglior cavalier dell' età nostra.
Che , s' ajuto non ha tosto e conforto.
Non è molto lontano a restar morto!
2i. Il miglior cavalier, che spada allato,
E scudo in braccio mai portasse, o porti.
Il più bello e gentil , che al mondo stato
Mai sia , di quanti ne son vivi , o morti ;
Sol per un' alta cortesia, e' ha usato.
Sta per morir, se non ha chi '1 conforti.
Per Dio , signor , venite e fate prova,
S' allo suo scampo alcun consiglio giova!
25. Neil' animo a Leon subito cade.
Che '1 cavalier, di chi costei ragiona.
Sia quel, che per trovar fa le contrade
Cercare intorno, e cerca egli in persona;
Siedi' a lei dietro , che gli persuade
Sì pietosa opra , in molta fretta sprona ;
La qual lo trasse, e non fèr gran cammino,
Ove alla morte era Ruggier vicino.
26. Lo ritrovar, che senza cibo stato
Era tre giorni, e in modo lasso e vinto.
Che in piò a fatica si saria levato
Per ricader, sebben non fosse spinto.
Giacca disteso in terra tutto armato
Con r elmo in testa, e della spada cinto,
E giiancial dello scudo s' avea fatto.
In che '1 bianco liocorno era ritratto.
529]
ORLANDO FURIOSO. (XLVI. 27-42)
Quivi pensando, quanta inguria egli abbia
Fatto alla donna', e quanto ingrato , e quanto
Iticonoscerte le sia stato , arrabbia,
IVon pur si duole, e se n' affligge tanto.
Che si morde le man , morde le labbia,
Sparge le guance di continuo pianto,
E per la fantasia, che \' ha sì fissa,
Kè Leon venir sente, né Melissa.
J8. Né per questo interrompe il suo lamento,
]Nè cessano i sospir, nò il pianto cessa.
Leon si ferma, e sta ad udire intento;
Poi smonta del cavallo , e se gli appressa.
Amore esser cagion di quel tormento
Conosce ben, ma la persona espressa
Non gli è, per cui sostien tanto martire;
Ch' anco Ruggier non gliel' ha fatto udire.
29. Più innanzi , e poi più innanzi i passi muta,
Tanto che se gli accosta a faccia a faccia,
E con fraterno affetto lo saluta,
E se gli china allato , e al collo abbraccia.
10 non so, quanto ben questa venuta
Di Leone improvvisa a Ruggier piaccia,
Che teme, che lo turbi e gli dia noja,
E se gli voglia oppor, perchè non muojà.
30. Leon con le più dolci e più soavi
Parole, che sa dir, con quel più amore.
Che può mostrar, gli dice: INon ti gravi
D' aprirmi la cagion del tuo dolore !
Cile pochi mali al mondo son si pravi.
Che r uomo trar non se ne possa fuore,
Se la cagion si sa ; né debbe privo
Di speranza esser mai, finché sia vivo.
81. Ben mi duol, che celar t' abbi voluto
Da me, che sai, s' io ti son vero amico;
]Non sol dipoi , eh' io ti son sì tenuto,
Che mai dal nodo tuo non mi districo,
Bla fin allora, eh' avrei causa avuto
D' esserti sempre capital ìicmico ;
E dei sperar, eh' io sia per darti aita
Con r aver , con gli amici , e con la vita.
82. Di meco conferir non ti rincresca
11 duo dolore , e lasciami far prova.
Se forza, se lusinga, acciò tu n' esca.
Se gran tesor, s' arte, s' astuzia giova!
Poi, quando 1' opra mia non ti riesca.
La morte sia, eh' aUin te ne rimniova!
Ma non voler venir prima a qucst' atto.
Che dò, che si può far, non abbi fatto!
33. E seguitò con sì efficaci preghi,
E con parlar sì umano e sì benigno.
Che non può far Ruggier , che non sì pieghi,
Che né di ferro ha il cor, né di macigno;
E vede , quando la risposta neghi,
Che san'i discortesc atto e maligno.
Risponde; ina due volte, o tre s' incocca
Prima il parlar, eh' uscir voglia di bocca.
34. Signor mio, disse alfin, quando saprai
Colui, eh' i(» son, che son per dirtcl ora,
Mi rende» certo, che di me sarai
Non nien contento, e forse più, «-li' io mora.
Sappi , eh' io hon colui , che sì in odio hai ;
Io son lliiggier. di' cititi te in «tdìo ancora,
E (he con intcìi/.ion di porli a morte.
Già son più giorni, uscii dì questa corte,
[6B0j
S5. Arciò per te non mi vedessi tolta
■ Bradamante , sentendo, esser d' Amone
La volontade a tuo favor rivolta.
Ma perchè ordina 1' uomo, e Dio dispone
Venne il bisogno , ove mi fé' la molta
Tua cortesia mutar d' opinione ;
E non pur 1' odio, eh' io t' avea, deposi.
Ma fé', eh' esser tuo sempre io mi disposi.
36. Tu mi pregasti, non sapendo, eh' io
Fossi Ruggier, eh' io ti facessi avere
La donna, eh' altrettanto saria, il mio
Cor fuor del corpo, o 1' anima volere.
Se soddisfar piuttosto al tuo disio,
Ch' al mio , ho voluto , t' ho fatto vedere.
Tua fatta è Bradamante; abbila in pace!
Molto più che '1 mio bene, il tuo mi piace.
o7. Piaccia a te ancora, se privo di lei
Mi son, che insieme io sia di vita privo!
Che piuttosto senza anima potrei,
Che senza Bradamante, restar vivo.
Appresso per averla tu non sei
Mai legìttimamente, finch' io vivo;
Che tra noi sponsalizio è già contratto,
Rè duo mariti ella può avere a un tratto.
38. Riman Leon sì pien di meraviglia,
Quando Ruggiero esser costui gli é noto.
Che senza mover bocca, o batter ciglia,
O mutar pie, come una statua, è immoto.
A statua più, eh' ad uomo s' assomiglia,
Che nelle chiese alcun metta per voto.
Ben sì gran cortesia questa gli pare.
Che non ha avuto , e non avrà mai pare.
39. E conosciutol per Ruggier, non solo
Non scema il ben, che gli voleva pria.
Ma sì r accresce, che non men del duolo
Di Ruggier egli, che Ruggier, patia.
Per questo , e per mostrarsi , che figliuolo
D' imperator meritamente sia.
Non vuol, sebben nel resto a Ruggier cede,
Che in cortesia gli metta innanzi il piede,
40. E dice: Se quel dì, Ruggier, eh' offeso
Fu il campo mio dal valor tuo stupendo,
Ancorch' io t' avea in odio, avessi inteso.
Che tu fossi Ruggier , come ora intendo.
Così la tua virtù m' avrebbe preso,
Come fece anco allor, non lo sapendo;
E così spinto dal cor 1' odio, e tosto
Questo amor, eh' io ti porto, v' avria posto.
41. Che prima il nome di Ruggiero odiaci,
Cli' io sapessi, che tu fossi Ituggiero,
Non negherò; ma eh' or più inn.tn/.i passi
L' odio, eh' io t' ebbi, t' esca del pensiero!
E se, quando di canert! io ti trassi,
N' avessi, come or n' ho, sa|)uto il vero,
Il medesimo avrei fatto anr4> allora,
CJi' a beneficio tmt sttu per far ora.
i2. E se allor vitLcntier fatto 1" avrei,
Cir io non V era. rome or sono, obbligato,
Quaiit' or più farlo delibo , di«- sarei.
Non lo facendo, il più d ogn' altro ingrato;
l'oidiè, iH-giindo il tuo vol«-r, ti sei
Privo d" ogni Ino Itene, e a me V hai dato!
Ma ti- lo rendo, e più contento son»
Renderlo u te, di' aver i<» avuto il dono.
40 *
[631]
ORLANDO FURIOSO. (XLVI. 43 — 58)
[632]
43. Molto pili a te, eh' a me, costei conviensi,
La qiiai , bendi' io per li suoi meriti ami,
]Von è però, s' altri 1' avrà, eli' io pendii,
Come tu, al vìver mìo romper ^\i stami.
Kon vo' , che la tua morte mi disipeiitii, ^
Che pos.*a , sciolto eh' ella avrà i le<^ami,
Che son del matrimonio ora (Va voi,
Per legittima moglie averla io poi.
44. Non che di lei , ma restar privo voglio
Di ciò, e' ho al mondo, e della vita appresso,
Primachè s' oda mai , eh' abbia cordoglio
Per mia cagion tal cavalier oppresso.
Della tua diffidenza ben mi doglio.
Che tu, che puoi, non men che di te stesso,
Di me dìspor, piuttosto abbi voluto
Morir di duci , che da me avere ajuto.
45. Queste parole, ed altre soggiungendo)
Che tutte saria lungo a riferire,
E sempre le ragion redarguendo,
Ch' in contrario Uuggier gli potea dire,
Fé' tanto , eh' alfin disse : Io mi ti rendo,
E contento sarò di non morire.
Ma quando ti sciorrò 1' obbligo mai,
Che due volte la vita dato m' hai?
46. Cibo soave , e prezioso vino
Melissa i^ i portar fece in un tratto,
E confortò Kuggier , eh' era vicino.
Non s' ajutando , a rimaner disfatto.
Sentito in questo tempo avea Fi-ontino
Cavalli quivi, e v' era accorso l'atto.
Leon pigliar dagli scudieri suoi
Lo le' , e sellare , ed a Ruggìer dar poi,
47. Il qual con gran fatica, ancorch' ajuto
Avesse da Leon , sopra vi salse ;
Così quel vigor manco era venuto.
Che pochi giorni innanzi in modo valse,
Che vincer tutto un campo avea potuto,
E far quel , che fé' poi con l' arme false.
Quindi partiti giunser, che i)iù via
Non fèr di mezza lega, a una badia,
48. Ove posaro il resto di quel giorno,
E r altro appresso , e 1' altro tutto intero,
Tanto, elle '1 cavalier dal liocorno
Tornat(» fu nel suo vigor primiero.
poi con Melissa e con Leon ritorno
Alla città real fece Ruggiero,
E vi trovò , che la passata sera
L' ambasceria de' lìulgari gìunt' era.
49. Che quella naziou , la qual s' avea
Ruggiero eletto re, quivi a chiamarlo
Mandava questi suoi , che si credea
D' averlo in Trancia apprev-<o al m.iguo Carlo;
I'<Trhè giurargli fedeltà volea,
I] dar di sé doiuinio, e coronarlo.
Ijo scudicr di Riiggier, che si ritrova
Con qucrta gente, ha di lui dato nuova.
50. Della ìiattiiglia ha detto, eh' in favore
De' Ihilgari a Belgrado egli avea fatta.
Ove Leon col padre imperatore
Vinto, e f^ua gente; avea morta e disfatta;
E per questo V avcan fatto signore,
Mctso da piirle o;;^iii uomo di 8ua schiatta;
E come a NoMiif^rado era poi stato
Preso da Ungiardo, e u Teodora dato:
51. E, che venuta era la nuova certa,
Che '1 suo guardian s' era trovato ucciso,
E lui fuggito, e la prigione aperta.
Che poi ne fosse , non v' era altro avviso.
Entrò Uuggier per via molto coperta
Nella città, nò fu veduto in viso.
La seguente mattina egli e '1 compagno
Leone appresentossi a Carlo magno.
52. S' appresentò Ruggìer con l' augel d' oro,
Che nel campo vermiglio avea due teste;
E come disegnato era fra loro,
Con le medesme insegne e sopravveste.
Che , come dianzi nella pugna foro,
Eran tagliate ancor, forate e peste;
Sicché tosto per quel fu conosciuto,
Ch' avea con Bradamante combattuto.
53. Con ricche vesti , e regalmente ornato
Leon senz' arme a par con lui venia,
E dinanzi e di dietro e d' ogni lato
Avea onorata e degna compagnia.
A Carlo s' inchinò , che già levato
Se gli era incontra , e avendo tuttavia
Ruggìer per man , nel quale intente e fisse
Ognuno avea le luci , così disse :
51. Questo è il buon cavaliero, il qual difeso
S' è dal nascer del giorno al giorno estinto;
E poiché Bradamante o morto, o preso,
O fuor non l' ha dello stoccato spinto.
Magnanimo signor, sebhen inteso
Ha il vostro bando , è certo d' aver vinto,
E d' aver lei per moglie guadagnata ;
E così viene, acciocché gli sia data.
55. Oltreché di ragion , per lo tenore
Del bando , non v' ha altr' uora da far disegno,
Se s' ha da meritarla per valore,
Qual cavalier più di costui n' è degno?
Se aver la dee , chi più le porta amore.
Non è chi '1 passi , o eh' arrivi al suo segno.
Ed è qui presto, (;ontra a chi s' oppone,
Per difender con 1' arme sua ragione.
56. Carlo , e tutta la corte stupefatta,
Questo udendo , restò ; eh' avea creduto.
Che Leon la battaglia avesse fatta.
Non questo cavalier non conosciuto.
Marlisa, che con gli altri quivi tratta
S' era ad udire, e eh' appena potuto
Avea tacer, finché Leon finisse
Il suo parlar, si fece innanzi, e disse:
57. Poiché non e' è Ruggier, che la contesa
Della moglier fra sé e costui discioglia,
Acciò per mancamento di difesa
Così senza rumor non se gli teglia,
lo , (-he gli son sorella , questa impresa
l'iglio (U)ntra ciascun , sia chi si voglia.
Che dica a\er ragione in Bradamante,
O di mertu a Ruggiero andare innante.
58. E con tant' ira e tanto sdegno espresse
Questo parlar, che molti ebber sospetto.
Che senza attender Carlo, che le desse
Campo, ella avesse a far quivi 1' etletto.
Or non parve a Leon , che più dovesse
Ruggier celarsi, e gli (-avo V elmetto;
E rivolto a Marlisa: Ecco lui pronto
A rendervi di sé, disse, buon conto!
;33i
ORLANDO FURIOSO. (XLVI. 59 — 74)
[634J
9. Quale il canuto Egeo rimase, quando
Si fu alla mensa scellerata accorto,
Che quello era il suo figlio, al quale, Istando
L' iniqua luogìie, avcaii veneno porto,
E poco più che fosse ito intlugiaudo
Di conoscer la spada , 1' avria morto,
Tal fu Marfisa, quando il cavaliero
Ch' odiato avea, conobbe esser Ruggiero.
id. E corse senza indugio ad al)l)racciarlo,
Né dispiccar se gli sapca dal collo.
Rinaldo, Orlando, e di lor prima, Carlo
Di qua e di là con grand' amor bacioUo ;
Né Dudon , né Olivier d' accarezzarlo,
]\é'l re Sobrio si può veder satollo:
Dei paladini e dei baron nessuno
Di far festa a Ruggier restò digiuno.
il. Leone, il qual sapea molto ben dire,
Finiti che si fùr gli abbracciamenti.
Cominciò innanzi a Carlo a riferire.
Udendo tutti quei, eh' eran presentì,
Come la gagliardia, come l' ardire.
Ancorché con gran danno di sue genti,
Di Ruggier, eh' a Belgrado avea veduto.
Più d' ogni offesa , avea di sé potuto.
2. Sicché essendo dipoi preso, e condotto
A colei , eh' ogni strazio n' avria fatto,
Di prigion egli, malgrado di tutto
Il parentado suo, 1' aveva tratto;
E come il buon Ruggier, per render frutto
E mercede a Leon del suo riscatto.
Fé' r alta cortesia, che sempre a quante
Ne furo, osaranmai, passerà innante.
63. E seguendo narrò di punto in punto
Ciò, che per lui fatto Ruggiero avea,
E come poi, da gran dolor compunto.
Che di lasciar la moglie gli preinea,
S' era disposto di nutrire; e giunto
V era vicin, se non si soccorrca.
E «;on sì dolci all'etti il tutto espresse,
Che quivi occhio non fu, eh' asciutto stesse.
64. Rivolse poi con sì cfiìcaci preghi
Le sue parole all' ostinato Anione,
Che non sol , che Io muova , che lo pieghi,
Che h» faccia mutar d' opinione,
Ma fa, eh' egli in persona andar non neglù
A supplicar Ruggier , che gli pcrdone,
E per padre e per suocero 1' accette,
E cosi liradamante gli promette;
05. A cui là, dove della ^ita in forse
Piangea i suoi casi in canusa segreta,
Con lieti gridi in molta fretta cor>e
Per più d' un nu's>o la novella lieta ;
Onde il sangue^, «h' al cor, <|uaiido lo morse
Prima il dolor, fu tratto dalla pietà,
A questo niuuui/io il las(-iò solo in guisa,
Che quasi il gaudio ha la donzella uccisa.
66. Ella rimau d' ogni vigor >i vuota.
Che di teiHT.xì in pie iion ha bali.i,
RciK-Ju- di ijuclla forza, eh' <!sser nota
\i (leldie, e di quel grande auiuui sia.
Non più di lei, chi a rep|io , a laccio, n ruota
Sia conilannato , o ad altra morie; ria,
!■; <li(r già agli occhj abbia la benda ucgru,
(iridar ^cnlendo grazia ! si ralU-gra.
67. Si rallegra Mongrana e Cbiaramonte,
Di nuovo nodo i due raggiunti rami.
Altrettanto si diu)l Gano rcil conte
An^eluH), e con Falcon, Gini e Ginami;
Ma pur coprendo sotto un' altra fronte
Van lor pensieri invidiosi e grami,
E occasione attendon di vendetta.
Come la volpe al varco il lepre aspetta.
C8. Oltreché già Rinaldo e Orlando ucciso
Molti in più volte avean di quei malvagi ;
Benché 1' ingiurie fur con saggio avviso
Diil re acchetate, ed i eomun disagi,
A\ca di nuovo lor levato il rìso
L' ucciso Pinabello e Dertolagi.
Ma pur la fellonia tenean coperta,
Dissiumlando aver la cosa certa.
69. Gli ambasciatori bulgari, che in corte
Di Carlo eran venuti, come ho detto.
Con speme di trovare il guerricr forte
Del liocorno, al r;'gno loro eletto,
Sentcndol quivi , chiamar buona sorte
La lor, che dato avea alla speme effetto,
E riverenti ai pie se gli gittaro,
E che tornasse in Bulgheria il pregare ;
70. Ove in Adrianopoli servato
Gli era lo scettro, e la real corona:
Ma venga egli a difender.-i Io stato ;
Che a' danni lor di nuovo si ragiona.
Che più numcr di gente apparecchiato
Ila Costantino , e torna anco in persona.
Ed essi , se '1 suo re ponno aver seco,
Speran di torre a lui 1' imperio greco.
71. Ruggiero accettò il regno , e non contese
Ai preghi loro , e in Bulgheria promesse
Di ritrovarsi dopo il terzo mese.
Quando Fortuna altro «li lui non fesse.
Leone Augusto , che la cosa intese.
Disse a Ruggier , eh' alla sua fede stesse.
Che, poich' egli de' Bulgari ha il domino,
La pace é tra lor fatta, e Costantino.
72. Né da partir di Francia s' avrà in fretta,
Per esser capitan delle sue squadre;
Che d' ogni terra, eh' abbiaiu) soggetta,
Far la rinunzia gli farà dal padre.
Non è virtù , che di Ruggier sia detta,
Ch' a mover si 1' ambiziosa madre
Di Bradamaiitc, e f;ir, che "I genero ami,
Vaglia, come ora udir, che re si chiami.
73. Fansi le nozze splendide e reali,
Convenienti a chi cura ne piglia.
Carlo ne piglia cura, e le fa , quali
Fare!)i)e , maritando una sua figlia.
I merli deil.i donna erano tali.
Oltre a quelli di tutta sua f.uuiglia,
Ch' a quel signor non parri.i lixir del segno.
Se spendesse per lei nu/.zo il suo regno.
H. Libera corte fa bandire intorno.
Ove sicuro ogiuni po^sa venire.
E campo frani'it fin al nono giorno
Conc«-(le a chi conlese ha d.i partire.
Fé' alla <auipagna 1" a;i;<aiato adorno
Di rami inloli e di bei fiorì ordire,
D' oro e di hcla ]ioì, liinlo giocondo.
Che '1 più bel luogo mai iu>u fu nel mondo.
[635]
ORLANDO FURIOSO. fXLVI. ìr5-90)
[6361
75. Dentro a Parigi non sanano state
Le innumeralùl genti peregrine,
Povere e ricche, e d' ogni qualitate.
Che v' eran, greche, barbare e latine.
Tanti signori, e ambascerie mandate
Di tutto '1 mondo, non aveano fine.
Erano in padiglion , tende e frascati,
Con gran comodità tutti alloggiatL
Con eccellente e singolare ornato
83. Dlena nominata era colei,
Per cui lo padiglione a Proteo diede,
Che poi successe in man de' Tolomeì,
Tantoché Cleopatra ne fu erede.
Dalle genti d' Agrippa tolto a lei
Kel mar leucadio fu con altre prede;
In man d' Augusto e di Tiberio venne,
E in Roma sino a Costantin si tenne;
76
La notte innanzi avea Melissa maga
D maritale albergo apparecchiato,
Di eh' era stata già gran tempo vaga.
Già molto tempo innanzi disiato
Questa copula avea quella presaga:
Dell' avvenir presaga, sapea quanta
Boutade uscir dovea dalla lor pianta.
77. Posto avea il genial letto fecondo
In mezzo un padiglione ampio e capace,
Jl più ricco , il più ornato , il più giocondo,
Che giammai fosse o per guerra, o per pace,
O prima , o dopo teso in tutto il mondo.
E tolto ella 1' avea dal lito trace;
L' avea di sopra a Costantin levato,
Ch' a diporto sul mar s' era attendato.
78. Melissa , di consenso di Leone,
O piuttosto per dargli meraviglia,
E mostrargli dell' arte paragone,
Ch al gran verme infernal mette la briglia,
E che di lui, come a lei par, dispone,
E della a Dio nemica empia famiglia,
Fé' da Costantinopoli a Parigi
Portare il padiglion dai messi stigi.
Ttì. Di sopra a Costantin , eh' avea 1' impero
Di Grecia , lo levò da mezzo giorno,
Con le corde e col fusto , e con 1' intero
Guernimento, eh' avea dentro e d' intorno;
Lo fé' portar per i' aria, e di Ruggiero
Quivi lo fece alloggiamento adorno.
Poi , finite le nozze , anco tornollo
IVIiracolosamente , onde levoUo.
80. Eran degli anni appressochè due milia^
Che fu quel ricco padiglion trapunto.
Una donzella della terra d' llia,
Ch' avea il furor profetico congiunto
Con studio di gran tempo e con vigilia.
Lo fece di sua man di tutto punto.
Cassandra fu nomata, ed al fratello
Inclito Ettór fece un bel don di quello.
81. Il più cortese cavalier, che mai
Dovea del ceppo uscir del suo germano,
(Benché sapea dalla radice assai.
Clic quel per molli rauii era lontano)
Ritratto avea nei bei ricami gai
D' oro e di varia seta di sua mano.
L' ebbe , mentrechè visse , Ettorre in pregio
Per chi lo fece , e pel lavoro egregio.
82. Ma poiché a tradimento ebbe la morte,
E fu I popol trojan da' Greci affiitto.
Che Sinoii falso aperse lor le p(»*te,
E p(!ggi«) seguitò , che non é scritto,
Menelao ebhc il padiglione in sorte,
Col quale a ca|>Uar venne in Egitto,
Ove al re Proteo lo lasciò, se volse
La moglie aver, che quel tiran gli tolse.
84. Quel Costantin , di cui doler si debbe
La bella Italia , finché giri il cielo.
Costantin, poiché '1 Tevere gì' increbbe,
Portò in Bisanzio il prezioso velo.
Da un altro Costantin Melissa 1' ebbe.
Oro le corde , avorio era lo stelo ;
Tutto trapunto con figure belle,
Più che mai con pennel facesse Apelle.
83. Quivi le Grazie in abito giocondo
Una regina ajutavano al parto.
Sì belio infante n' apparia, che '1 mondo
Kon ebbe un tal dal secol primo al quarto»
\edeasi Giove e Mercurio facondo.
Venere e Marte, che 1' aveano sparto
A man piene, e spargean d' eterei fiori,
Di dolce ambrosia e dì celesti odori.
86. Ippolito , diceva una scrittura
Sopra le fasce in lettere minute :
In età poi più ferma la Ventura
L' avea per mano, e innanzi era Virtate.
Mostrava nuove genti la pittura
Con veste e chiome lunghe , che venute
A domandar da parte di Corvino
Erano al padre il tenero bambino.
87. Da Ercole partirsi riverente
Si vede, e dalla madre Leonora,
E venir sul Danubio , ove la gente
Corre a vederlo , e come un Dio 1' adora.
Vedesi il re degli Ungheri prudente.
Che '1 maturo sapere ammira e onora
In non matura età, tenera e molle,
E . sopra tutti i suoi barou 1' estolle.
88. V è che negl' infantili e teneri anni
Lo scettro di Strigonia in man gli pone.
Sempre il fanciullo se gli vede a' panni.
Sia nel palagio , sia nel padiglione.
O contra Turchi, o contra gli Alemanni
Quel re possente faccia espedizione,
Ippolito gli é appresso, e fiso attende
A' magnanimi gesti, e virtù apprende.
89. Quivi si vede, come il fior dispensi
De' suoi primi anni in disciplina ed arte.
Fusco gli é appresso, che gli occulti sensi
Chiari gli espone dell' antiche carte.
Questo schivar, questo seguir conviensi.
Se immortai brami , e glorioso farte.
Par che gli dica; così avea ben finti
I gesti lor, chi già gli avea dipinti.
yO. Poi cardinale appar, ma giovinetto,
Sedere in Vaticano a concistoro,
E con facondia aprir 1' alto intelletto,
E far di sé stupir tutto quel coro.
Qual fia dunque costui d' età perfetto?
Parcan con maraviglia dir tra loro:
Oh , se di l'i<;tro mai gli tocca il manto.
Che fortunata età, che secol santo!
53Ì]
ORLANDO FURIOSO. (XLVI. 91 — 106)
!)1. In altra parte i liberali spassi
Erano, e i giuochi del giovane illustre.
Or gli orsi affronta sugli alpini sassi ;
Ora in cinghiali in valle ima e palustre :
Or su un giannetto par che '1 vento passi,
Seguendo o caprio, o cerva moltilustre.
Che, giunta, par che bipartita cada
In parti uguali a un sol colpo di spada.
92. Di filosofi altrove, e di poeti
Si vede in mezzo un' onorata squadra.
Quel gli dipinge il corso de' pianeti,
Questi la terra , quegli il ciel gli squadra-
Questi meste elegie , quel versi lieti ,
Quel canta eroici, o qualche oda leggiadra.
elusici ascolta, e varj suoni altrove;
]\è senza somma grazia un passo muove.
93. In questa prima parte era dipinta
Del sublime garzon la puerizia.
Cassandra 1' altra avea tutta distinta
Di gesti di prudenza, di giustizia,
Di valor, di modestia, e della quinta,
Che tien con lor strettissima amicizia ;
Dico della virtù , che dona e spende,
Delle quai tutte illuminato splende.
94. In questa parte il giovine si vede
Col duca sfortunato degl' Insubri,
Ch' ora in pace a consiglio con lui siede
Ora armato con lui spiega i colubri;
E sempre par d' una medesma lede,
O ne' felici tempi , o nei lugubri.
Nella fuga lo segue, e lo conforta
Neil' afilizion, gli è nei perigli scorta.
95. Si vede altrove a gran pensieri intento
Per salute d' Alfonso , e di Ferrara,
Che va cercando per strano arg(»mcnto,
E trova , e fa veder per cosa chiara
Al giustissimo frate il tradimento,
Che gli usa la famiglia sua più cara;
E per questo si fa del nome erede.
Che Roma a Ciceron libera diede.
96. Vedesi altrove in arme rilucente,
Ch' ad ajutar la chiesa in fretta corre,
E con tumultuaria e poca gente
A un esercito instrutto si va opporre;
E solo il ritrovarsi egli presente
Tanto agli ecclesiastici soccorre.
Che '1 foco estingue pria eh' arder comince;
Sicché può dir, che viene, e vede, e vince.
97. Vedesi altrove dalla patria riva
Pugnare incontra la più torte armata,
Che contra Turchi , «» eontra gente argiva
Da' ^'eneziani mai fosse mandata.
La rompe e vince , ed al l'ratel cattiva
Con la gran preda 1' ha tutta donala;
INè per sé vedi altro serbarci lui,
Che i' onor sol, che non può dare altrui.
98. Le donne e i cavalier mirano fisi,
Senza trarne construtto , le lìgur«r.
Perchè non hanno appresso chi gli avvisi,
Clic tutte quelle sien cose futiu-e.
Prcndon piacere a riguardare i vi»i
IJclii e luti latti, e legger le scritturo;
Sol Itraclaniante, da >lelis.-.a instrutta.
Gode tra sé, che sa 1' istoria tutta.
[638]
99. Ruggiero, ancorch' a par di Bradamante
Non ne sia dotto, pur gli torna a mente.
Che fra i nipoti suoi gli solca Atlante
Commendar questo Ippolito sovente.
Chi potria in versi appieno dir le tante
Cortesie, che fa Carlo ad ogni gente?
Di varj giuochi è sempre festa grande,
' E la mensa ognor piena di vivande.
1(M) \ edesi quivi, chi è buon cavaliero ;
Che vi son mille lance il giorno rotte.
Fansi battaglie a piedi ed a destriero.
Altre accoppiate, altre confuse in frotte.
Più degli altri valor mostra Ruggiero,
Che vince sempre, e giostra, iTdi e la notte,
E cosi in danza, in lotta, ed in ogni opra
Sempre con molto onor resta di sopra.
101. L' ultimo di, nell' ora, che 'I solenne
Convito era a gran festa incominciato,
Che Carlo a man sinistra Ruggier tenne,
E Bradaraante avea dal destro lato.
Di verso la campagna in fretta venne
Contra le mense un cavaliero armato.
Tutto coperto egli e '1 destrier di nero.
Di gran persona, e di sembiante altero.
102. Questi era il re d' Algier, che per lo scorno,
Che gli fé' sopra il ponte la donzella.
Giurato avea di non porsi arme intorno.
Né stringer spada, né montare in sella.
Finché non fosse un anno, un mese e un giorno
Stato , come eremita , entro una cella.
Così a quel tempo solean per sé stessi
Punirsi i cavalier di tali eccessi.
103. Sebben di Carlo in questo mezzo intese,
E del re, suo signore, ogni successo;
Per non disdirsi, non più 1' arme prese.
Che se non pertenesse il fatto ad esso.
Ma poiché tutto 1' anno e tutto '1 mese
Vede finito, e tutto '1 giorno appresso.
Con nuove arme, e cavallo, e spada, e landa
Alla corte or ne vien quivi di Francia.
104. Senza smontar, senza chinar la testa,
E senza segno alcun di riverenza.
Mostra Carh» sprezzar con la sua gesta,
E di tanti signor 1' alta presenza !
Meraviglioso e attonito ogium resta.
Che si pigli costui tanta licenza.
Lasciano i cibi e lascian le parole,
Per ascoltar ciò, che 'l guerrier dir vuole.
105. Poi«;hé fu a Carlo ed a Ruggiero a fronte,
Con alta voce ed orgoglioso grido,
Son, disse, il re di Sarza , Rodomonte,
Che te, Ruggiero, alla battaglia sfulo;
E qui ti vo', piiiuarbè "1 sol Iramonte,
Provar, che al tuo -igntu- sei stato infido,
E che non merli, che >»i traditore.
Fra questi cavalieri ali un onore.
lOG. Benché tua IVI Ionia ^1 vegga aperta.
Penile esseiulo Cristian, non puoi negarla.
Pur per i.irla iipparcre anco più certa.
In questo campo veng(»ti a provarla :
E M- pi-rsiina hai qui , che l.uiia ollVrta
Di combatter per W, voglio accettarla.
Se non basta una, e quattro e sei ne arretto,
E a tutte manterrò quel, eli' io t' ho detto.
[639]
ORLANDO FURIOSO. (XLVI. 107—122)
[640]
1C7. Rngj;iero a quel lìarlai- ritto levossc,
E con licenza rispose <!i Carlo,
Clic mentiva egli, e qualiinqae altro fosse,
Che tradit<!r volesse nominarlo ;
Che sempre col suo re così portosse,
Che giustamente alcun non può hia^^marlo,
E eh' era apparecchiato a sostenere,
Che verso lui fc' sempre il suo dovere :
ICS. E eh' a c1ifen(]er la sua causa er'a atto.
Senza torre in ajr.to sno veruno ;
E che sperava di mostrargli in latto,
Ch' assai n' avrebbe , e forse troj)po d' uno.
Quivi Rinaldo, quivi Orlando tratto,
Quivi il marchese, e '1 fii^lio bianco, e '{ brttno,
Diulon , IMarfisa, centra il pagau fiero
S' eran per la difesa di lluggiero,
109, Mostrando, clv essendo egli nuovo sposo,
r^i n dovea conturbar le proprie nozze.
Ri:ggier rispose lor: State in riposo 1
Che per me foran queste scuse sozze.
L' arme, che tolse al Tartaro famoso.
Tennero; e fur tutte le lunghe mozze.
Gli sproni il conte Orlando a Ruggier strinse,
E Carlo al fianco la spada gli cinse.
liO. Eradaraante e Blarfisa la corazza
Posta gli aveano, e tutto 1' altro arnese.
Tenne Astolfo il destrier di buona razza,
Tenne la staffa il figlio del Danese.
Fcron d' intorno far subito piazza
Rinaldo, Namo, ed Olivier marchese.
Cacciaro in fretta ognun dello steccato,
A tai bisogni sempre apparecchiato.
111. Donne e donzelle con pallida faccia
Timide, a guisa di colombe, stanno.
Che da' granosi paschi ai nidi caccia
Rabbia de' venti , che fremendo vanno
Con tuoni e lampi , e '1 nero aer minaccia
Grandine e pioggia, e a' campi strage e danno.
Timide stanno per Ruggier, che male
A quel fiero pagan lor pare uguale.
112. Cosi a tutta la plebe, e alla più parte
Dei <avalieri e de' baron parea:
Che di memoria ancor lor non si parte
Quel, che in Parigi il pagan fatto avea.
Che solo a ferro e a fuoco una gran parta
K' avea distrutta, e ancor vi rimanea,
E rimarrà per molti giorni il segno;
Né maggior danno altronde ebbe quel regno.
113. Tremava, più eh' a tutti gli altri, il core
A Rradamantc: non eh' ella credesse,
Che '1 Saracin di forza e di valore.
Che vien dal cor, più di Ruggier potesse;
ISè che ragion, che spesso dà 1' onore,
A chi r ha seco, Rodomonte avesse:
Pur stare ella ntui può senza sospetto,
Che di temere, amando, ha degno effetto.
114. Oh quanto volentier sopra sé tolta
1/ iuiprci-a avria di quella pugna incerta,
Anc(ir<'liè rimaner di '\ita sciolta
Per quella fctsse stata più che certa!
Avria eletto morir più d' una volta,
Se può pili d' ima morte esser sofferta.
Piuttosto che patir , rlie '1 suo consurttt
Si puucdbc a pcricui della morte.
115.
IIC,
UT.
:118,
119
120,
121
122
Ma non sa ritrovar prego, che vaglia,
Perchè Ruggiero a lei 1' impresa lassi.
A riguardare adunque la battaglia
Con mesto viso , e cor tepido stassi.
Quinci Ruggier, quindi il pagan si scaglia,
E vengonsi a trovar co' ferri bassi.
Le lance all' incontrar parver di gelo,
I tronchi augelli a salir verso il cielo.
La lancia del pagan , che venne a corre '
Lo scudo a mezzo, fé' debole effetto;
'l'auto r acciar, che poi famoso Ettorre
T«!mprato avea Vulcano, era perfetto!
Ruggier la lancia parimente a ])orre
Gli auilò allo scudo, e glielo passò netto,
Tuttoché fosse appresso un paini o grosso,
Dentro e di fuor d' acciaro, e in mezzo d' osso.
E se non che la lancia non sostenne j
II grave scontro, e mancò al primo assalto, [
E rotta in schegge e in tronchi, aver le penne
Parve per 1' aria, tanto volò in alto,
L' usbergo apria, sì furiosa venne, .
Se fosse stato adamantino smalto,
E finia la battaglia: ma si ruppe.
Posero in terra ambi i destrier le groppe.
Con briglia e sproni i cavalieri instando
Risalir feron subito i destrieri,
E donde gittàr 1' aste , preso il brando,
Si tornaro a ferir crudeli e fieri.
Di qua, di là con maestria girando
Gli animosi cavalli, atti e leggieri.
Con le pungenti spade incominciaro
A tentar, dove il ferro era più raro.
, Non si trovò Io scoglio del serpente.
Che fu sì duro , al petto Rodomonte,
]\è di Nembrotte la spada tagliente,
Né 'I solito elmo ebbe quel di alla fronte;
Clìè r usate arme, quando fu perdente
Contra la donna di Dordona al ponte,
Lasciato avea sospese ai sacri marmi.
Come di sopra avervi detto parmi.
Egli avea un' altra assai buona armatura,
Non com' era la piuma già perfetta:
Ma uè questa, nò quella , né più dura
A Balisarda si sarebbe retta;
A cui non osta incanto , né fattura.
Né finezza d' acciar, né tempra eletta.
Ruggier di qua, di là sì ben lavora,
Cli' al pagau I' arme in più d' un loco fora.
, Quando si vide in tante parti rosse
Il pagan 1' arme, e non poter schivare.
Che la più parte di quelle percosse
Non gli andasse la carne a ritrovare,
A maggior rabbia , a |)iù furor si mosse,
C^h' a mezzo il verno il tempestoso mare.
Getta lo scudo, e a tutto suo potere
Suir elmo di Ruggiero a due man fere.
Con queir estrema forza, che percuote
La macchina, che in Po sta su due navi,
E levata con uomini e con ruote.
Cader si lascia sulle aguzze travi.
Fere il pagan Ruggier, quanto più puots
Cini ambe man , sopra ogni peso gravi.
Giova l' elmo incantato; che senza esso
Lui col cavallo avria in uu colpo fesso.
341]
ORLANDO FURIOSO. (XLVl. 123-138)
23. Riijrgiero andò clue volte a capo chino,
E per cadere e braccia e gambe aperse.
Raddoppia il fiero colpo il Saracino,
Che quel non abbia tempo a riaverse.
Poi vien col terzo ancor: ma il brando fino
Sì lungo martellar più non sofferse,
Che volò in pezzi , ed al criidel pagano
Disarmata lasciò di sé la mano.
24. Rodomonte per questo non s' arresta,
Ma s' avventa a Ruggier, che nulla sente;
In tal modo intronata avea la testa,
In tal modo offuscata avea la mente!
Ma ben dal sonno il Saracin lo desta:
j Gli cinge il collo col braccio possente,
E con tal nodo e tanta forza afferra,
Che dell' arcion Io svelle, e caccia in terra.
25. \on fu in terra si tosto , che risorse.
Via più, che d' ira, di vergogna pieno,
Perocché a Bradamante gli occhj torse,
E turbar vide il bel viso sereno.
Ella, al cader di lui, rimase in forse,
E fu la vita sua per venir meno.
Ruggiero, ad emendar tosto quell' onta,
Stiinge la spada, e col pagan s' affronta.
20. Quel gli urta il destrier conti-a; ma Ruggiero
Lo scansa accortamente, e si ritira,
E nel passare, al fren piglia il destriero
Con la man manca , e intorno lo raggira,
E con la destra intanto al cavaliero
Ferire il fianco, o il ventre, o il petto mira;
E di due punte fé' sentirgli angoscia,
L' una nel fianco, e 1' altra nella coscia.
27. Rodomonte, eh' in mano ancor tenea
Il pomo e r elsa della spada rotta,
Ruggier suir elmo in guisa percuotea,
Che lo potea stordire all' altra botta.
Ma Ruggier, che a ragion vincer dovea.
Gli prese il braccio , e tirò tanto allotta.
Aggiungendo alla destra l' altra mano.
Che fuor di sella alfin trasse il pagano.
128. Sua forza, o sua destrezza vuol, che cada
Il pagan sì , che a Ruggier resti al paro.
Vo' dir, ('he cadde in jiié, clic i)er la spada
Ruggiero averne il meglio giiulicaro.
Ruggier cen;a il pagan tenere a bada
Lungi da sé, né d' accostarsi ha caro.
Per lui non fa lasciar venir.^i addopbo
IJn corpo così grande, e così grosso.
129. E insanguinargli pur tuttavia i fianco
Vede , e la «;oscia , e 1" altie sue ferite.
Spera, che v«mga a poco a poco manco, j
Sicché alfin gli abbia a dar %inta la lite. |
L' elsa e '1 pomo a>ca in mano il pugan anco, .
E con tutte le forze insieme unite (
Da se scaglioni, v sì Uiigf>ier percosse, i
(Jlie stordito ne fu, più < he mai fosse.
130. \ella guancia dell' elmo e nella spalla
l'ii Knggier collo; e ■^ì «|iu'l <;ol|)(i sente,
Clic lutto ne vacilla e ne traballa,
i; ritto si sostien diflìciliiietite.
Il pagan >uoi entrar, ma il pie gli falla.
Clic per la coseia nnV-sii era iiii|Mitente;
K I voUivi alVretlar pia del potere.
Con un ginocchio in lena il la cadere.
[642]
131. Ruggier non perde il tempo , e di grande urto
Lo percuote nel petto e nella faccia
E sopra gli martella, e tien si curto,
Che con la mano in terra anche lo caccia.
j IMa tanto fa il pagan , eh' egli é risorto.
j Si stringe con Ruggier, sicché F abbraccia.
I L' uno e 1' altro s' aggira, e scuote, e preme
'■ Arte aggiungendo alle sue forze estreme.
132. Di forza a Rodomonte una gran parte
La coscia e '1 fianco aperto aveano tolto.
I Ruggiero avea destrezza, avea grand' arte,
Era alla lotta esercitato molto.
j Sente il vantaggio suo , né se ne parte ;
E donde il sangue uscir vede più sciolto,
! E dove più ferito il pagan vede,
I Fon braccia e petto , e 1' uno e 1' altro piede.
, 133. Rodomonte, pien d' ira e di dispetto
i Ruggier nel collo e nelle spalle prende;
Or lo tira, or lo spinge, or sopra il petto
I Sollevato da terra lo sospende;
. Quinci e quindi lo ruota, e lo tien stretto,
i E per farlo cader molto contende.
Ruggier sta in sé raccolto , e mette in opra
Senno e valor, per rimaner di sopra.
13§. Tanto le prese andò mutando il franco
E buon Ruggier, che Rodomonte cinse;
Calcogli il petto sul sinistro fianco,
E con tutta sua forza ivi lo strinse.
La gamba destra a un tempo innanzi al manco
Ginocchio e all' altro attraversogli , e spinse,
E dalla terra in alto sollevollo,
E con la testa in giù steso tornello.
135. Del capo e delle schiene Rodomonte
La terra impresse; e tal fu la percossa.
Che dalle piaghe sue, come da fonte.
Lungi andò il sangue a far la terra rossa.
Ruggier , eh' ha la fortima per la fronte.
Perché levar.«i il Saracin non possa,
L' una man col pugnai gli ha s«>pra gli occhj,
L' altra alla gola, al ventre gli ha i ginocchj.
136. Come talvolta, ove si cava 1' oro,
Là tra' Pannoni, o nelle mine ibére.
Se improvvisa mina su coloro,
j Che vi condusse empia avarizia, fere,
Ke restano sì oppressi , che può il loro
! Spirto appena, onde uscire, adito avere:
Così fu il Saracin non meno oppresso
Dal vincitor , tostoché in terra mi-sso.
137. Alla vista dell' elmo gli appresenta
La punta del pugnai, eh' a>ea già tratto,
E che fi renda iiiinaeeiando tentiv,
E di lax'iarlo aì\o gli fa pa(tt).
Ma (luel , che ili morir manco paventa.
Che di mostrar ^ iliade a un niininio at(o.
Si torce e scuote, e per por lui di sotto
I\Iette ogni t-uo vigor, uè gli la motto;
138. ('onie mastin ^otlo il feroce alano,
Clu! fìs>i i denti nella gola gli abbia,
I\Iolto s' alViiiMia, e ^i dibalte invano
Con occhj ardenti, e con i-pumosc labbia,
E non può u>eire al predator di mano,
Clic vince di \igor, non già di rabbia:
Cosi falla al paglino ogni pen>ieio
D' Upcir di sotto al vincitor Ituirgiero
41
[643]
ORLANDO FURIOSO. (XLVl. 139-140)
[644]
159. Pur si torce e dibatte, sicché viene
Ad espedirsi col braccio migliore;
E con la destra man, che '1 pugnai tiene.
Che trasse anch' egli in quel contrasto fuore,
Tenta ferir Ruggier sotto le rene :
Ma il giovane s' accorse dell'^ errore,
In che potea cader, per differire
Di far quell' empio Saracin morire.
140. E due e tre volte ncU' orrlhil fronte.
Alzando più che alzar si possa il braccio.
Il ferro del pugnale a Rodomonte
Tutto nascose, e si levò d' impaccio.
Alle squallide ripe d' Acheronte
Sciolta dal corpo , più freddo che ghiaccio.
Bestemmiando fuggì 1' alma sdegnosa,
Che fu 6J altera al mondo, e gì orgogliosa.
1
FINE.
TASSO.
9.
«
SAGGIO SOVRA LA VITA E GLI SCRITTI
D l
T 0 U Q U A T O 1 A S S O.
vca fedelmente prestali a Ferrante Sanseverino,
rincipe di Salerno, s' ammogliò con Porzia de'
vossi, gentildonna napoletana, giovinetta bel-
issima. Disgustato delle pompe di corte, volle
j tu arsi in luogo remoto e godervi d' una vita
runquilla e d' ozio libero con Porzia, la quale
l;1ì amava quanto la luce degli ocelli suoi, ai-
re Ltanto amato da lei. Laonde elesse per abl-
azione Sorrento, città da Napoli poco lontana,
anLo piacevole e deliziosa, che i poeti fìnsero
ssere stata albergo delle sirene; deliziosa non
i quelle delizie, clie sogliono gli animi nostri
le' vizj e nelle voluttà allettare , ma di quelle,
he alla salute e a' piaceri deli' animo e del
orpo insieme sono convenevoli.
Quivi Bernardo , lasciate tutte le cure, si
licde con tranquillissimo animo a comporre il
uo Amadigi, poema in lingua italiana; e
'orzia in mezzo agli studj poetici del marito,
iella maggior contentezza domestica, e tra gli
nflussi favorevoli di quel purissimo cielo, rimase
|ravida di Torquato Tasso.
Nacque egli adunque in Sorrento 1' anno
1644. agli 11 di marzo sul punto, che il sole si
rovava nel più alto meriggio.
Il padre non potò trovarsi presente alla nas-
ata, essendogli convenuto seguitare il principe
li Salerno, suo signore, generale della fanteria
taliana nella guerra del Picmonlc, che appunto
prosi accesa nel j)rincipio di questo anno tra
l'imperatoreCarlo V. e Francesco 1. re di Francia,
finita poi la guerra gli riuscì di ritirarsi di
nuovo, e di rendersi alle muse calla sua cara
Famiglia. Ma qucst' ozio fu di tempo pur Irop-
[50 breve.
JNt'l 1547. accadde quella sollevazione di Na-
poli conln» il viccri; Don Pietro di Toledo, dio
voleva stabilirvi V inquisizione. 11 princi])C ac-
■ellò ujia ambasceria de' sollevali presso 1' im-
peratore, confortatovi particolarmente da licr-
3ernardo Tasso, di patria Bergamasco, celebre j nardo. Fa questo incarico funestissimo alpriii-
l'oeta, uomo di eccellenti virtù, vedendosi assai jcipe; perciocché egli connobbe d' aver con esso
'giato di beni di fortuna, per li servigi, che | incorso lo sdegno dell'imperatore, e temendo
di peggio, gittossi nel partito del re di Francia,
dichiarato perciò ribello e spogliato di tutti i
suoi beni.
Il Tasso, avendo egli servito 22 anni il prin-
cipe nella prospera fortuna, volle essere anche
neir avversa fedele al padrone, e scguillo in
Francia, condannato anch' esso per ribello , e
confiscate le robe sue.
Porzia frattanto attese all' educazione di Tor-
quato. Stabilitasi ella in Napoli, l'imnò alle scuole
de^ Gesuiti, dove entrato nel settimo anno di sua
età, vi fece sì rapidi progressi, che tre anni ap-
presso potè recitare pubblicamente orazioni e
versi da sé composti.
Nel 1554 ritornò Bernardo da Parigi a Roma,
per cavare la sua sventurata famiglia dal regno di
Napoli. Ma per gagliardi impedimenti, frap-
postivi dall' avarizia e dalla malignità de' co-
gnati, non gli riuscì di rivedere ed avere seco la
sua Porzia; onde nojato della fastidiosa solitu-
dine, in cui si trovava, diede ordine, che
intanto se ne venisse il figliuolo; il quale nello
stesso anno, con infinito dolore suo e della madide,
pertossi a lloma.
Ecco come Torquato parecchi anni dappoi
in una canzone non finita, ove prese a ram-
mentare le sue sciagure, descrive la sua parlila,
così dicendo;
Me dal ecn della madre empia fortuna
Pargoletto divclsc ; ah di ijiic' baci,
Ch' «Ila bagnò ili lagrime dolenti,
Con biot^pir mi riineiiibra, e degli ardenti
Pregili, che scn portar I' aure fngur.i,
Ch' io non dovca giunger più aoUu a volto
Tra quelle braccia accolto
Con nodi co^ì Mtrctti e sì tenaci.
liiisx)! V Hegnii con mal eiciirc piante,
(pillile A^ranio u Camilla, il padre errante.
Per la sollecitudine del padre e d' un valente
IV
SAGGIO SOVRA IL TASSO.
niaestio, attese in lloma priiicipalineule allo
studio delle lingue greca e latina.
Giunse poi nel 1556 a Bernardo improvvi-
samente la dolorosa novella della morte di Por-
zia, la quale, non potendo più resistere ai dis-
piaceri, che 1' erano l'atti da^ suoi parenti, nò
tollerare più lungan)ente il desiderio di rivedere
il marito e il suo Torquato , eia stata sorpresa
da un accidente^ che in poche ore l'aveva tolta
di vita. Ed i fjatclli di lei, in vece di sostenere
e difendere l'innocenza del nipote, mossero lite
per escludere Torquato dall' eredità materna,
allegando, che per essersi portato a Uoma pres-
so del padre, era anch' egli caduto nella pena
di ribellione; sicché Torquato, litigandone insin
che visse, mai ottenne cosa alcuna.
Il bel giovinetto, benché ancor sì tenero
provasse le avversità della fortuna , continuò
nondimeno i suoi studj , circa sei mesi in Ber-
gamo; due intieri anni parte in Urbino e parte
in Pesaro , applicandosi particolarmente al Gre-
co, alle matematiche ed alle arti cavalleresche
sotto la direzione di uomini molto illustri; e
poi in Venezia, ove facendo grande studio sopra
i tre padri della letteratura italiana. Dante, Pe-
trarca, e Boccaccio, si rese esercitato nella lin-
gua volgare; al che non poco gli servì il rian-
dare, ch'ei faceva, e copiare le cose del padre.
Nel novembre del 1560, passando di poco
Panno sedicesimo della sua età, pienamente
istruito in tutte le parti dell' amena letteratura,
cominciò a frequentare lo studio di Padova ; e
volendo secondare le premure del padre, si diede
ad intervenire con tutto l'impegno e con la mag
giore assiduità alle lezioni del diritto civile. JNla
il genio di Torquato , che alla poesia sovra ad
ogni altra cosa l'inchinava, non vi si potè per
modo veruno adattare; onde di nascosto del
padre attendeva a coltivare privatamente i suoi
studj geniali, leggendo e scrivendo sempre al-
cuna cosa; simile anche in questa renitenza
provocata quasi dalla natura, a l'in di destar e
confortar le forze, ad altri grandissimi poeti,
come Ovidio, il Petrarca, e l'Ariosto, i quali
incorsero perciò lo sdegno e la mala soddisfa-
zione de' loro genitori. Frutto di questa furtiva
applicazione fu il bel poemetto del Rinaldo,
c\\' egli compose nel 1561, in tempo che il j)a-
dre lo credeva lutto dedito allo studio delle leg-
gi. Ebbe questo poema grandissinio applauso;
e la fama del Tarsino — che così allora lo chia-
mavano a distinzione del padre — presto si
sparse per tutta Italia.
Nel 1562 ])assi) in Bologna, colà chiamato
dal vicclegalo Pier Domenico Cesi, protettore
splendido de' buoni studj. Ma nel 1564, per
qualche torto ricevuto, tornò a Padova, invi-
tato da Scipione Gonzaga, e sotto nome di Perir-
titu fu uno de' più illustri accademici eterei, de'
quali era stato istituloi'e il detto Scipione.
Egli frattanto avea già pubblicato in Venezia
il suo Rinaldo dedicato al cardinal Luigi da
Este, fratello del duca Alfonso II.; la qual de-
dica il rendette carissimo a quel gran cardinale,
che lo chiamò alla corte di Ferrara.
Giunse adunque il Tasso a Fei'rara il dì ul-
timo d'ottobre del 1565. Egli fu accolto con
molta amoi'evolezza , e mantenuto splendida-
mente, assegnategli stanze, e ogni altra cosa al
vivere necessaria, sicché potesse con più ozio
coltivare gli studj, e avanzare il gran poema
della Geru'ialemine liberala , a cui egli avea da
due anni già posta mano.
Dopo breve dimora in Fcri'ara gli riuscì d'in-
sinuarsi nella grazia di madama Lucrezia da Este,
e per mezzo di lei anche in quella di madama
Leonora, sua sorella. Erano queste principesse
bellissime della persona, e di così leggiadre ma-
niere, che solean desiare annnirazione in chiun-
que le riguardasse. La madre, che fu Renata,
figliuola di Lodovico XII, re di Francia, donna
di grandissimo spirito, avea avuto la cura di far
loro apprendere sin da' più teneri anni le buone
lettere, la poesia, la musica, ed ogni alti'a no
bile disciplina, che ad alta e real donna si pò
tesse convenire; sicché, essendo elle ottima-
mente istruite, e oltre a ciò fornite di un felici
giudizio e d'un delicato e finissimo gusto, parti
colarmente nelle cose italiane, si diletiavan<
perciò grandemente della compagnia degli uo-
mini scienziati; e questi solcano elleno pregiar
e favorire più d'ogni altra condizion di persone
Per tale motivo acquistò il Tasso agevolment
la grazia e il favore di queste principesse; e se
condo eh' egli medesimo lasciò scritto in un
lettera, la grazia di madama Lucrezia si fece in
contro alla sua servitù, e gli diede quell' ardiri
eh' ci non avrebbe preso da sé stesso ; ed acca
rezzandolo più d' alcun altro servitore, non g
fu data mai ripulsa nell' entrare da lei, o ii'
supplicare, anzi non gli si mostrò men faci
nella concesslou delle grazie, che nell' anime!
teiio sempre eh' ei volle alla sua presenza.
Ne minor ventura ebbe Torquato presso in;
dama Leonora, dalla quale essendo stato iiitn
dotto subito ch'ella cominciò a riaversi da ui
lunga indisposizione, questa rara principess,
che faceva già molla stima di lui, per aver ioli
il Rinaldo ed altre sue leggiadre composizioi,
si compiacque di accoglierlo con incrcdib ì
SAGGIO SOVRA IL TASSO.
manìtà e cortesia, dando segno insin da quel-
ora divederlo assai volentieri, e di jorendere
laraviglioso diletto de' suoi dotti e sensati ra-
ionamenti. Dall' altro lato anche il Tasso in
uella bellissima canzone, che comincia:
Mentre che a venerar movon le genti,
onfessa , die al vedere la pi-inia volta madama
eonora, egli ne provò tale e così gagliarda im-
ressione, che, se non era la somma disuguagli-
nza, che passava tra loro , egli correa pericolo
i restarne perdutamente invaghilo.
Col favore di queste due principesse fugli in
reve aperto l'adito anche alla grazia del duca
.Ifonso li, il quale, conosciutele rare qualità di
uesto giovane cavaliere, e saputo, ch'egli sta-
a componendo un poema sopra la conquista di
rerusaiemme, prese a ben volergli. Ciò fu poi
agione, che il Tasso si risolvesse d'indirizzare
suo poema a questo principe, e d'introdurvi
.inaldo per uno de' principali campioni di quella
npresa , per così aver campo di celebrare la
asa estense. Ed ora incoraggito dal favore del
uca , e molto più dal compiacimento , che ne
lostravano le due principesse, alle quali soleva
ecitare i suoi versi , diede iiato alla sua tromba
en d'altro tono, che non avea fatto dapiincipio.
Non lasciava per questo di scrivere nel tcm-
o medesimo anche de' componimenti lirici,
ualora principalmente gli si preseiitasse qual-
he occasione di contestare alle principesse la
lima e la jnciaviglia, che sentiva per loro;
ome quando fu vietato da' medici a madama
iConora il cantare, che fece quel bellissimo so-
dio, che incomincia:
Aliì bene è reo destin ctc.
quando vide madama Lucrezia diportarsi nelle
uè stanze ricamando con ingegnoso artillcio un
nissimo drappo; nel quale incontro scrisse quello
Uro non mcu leggiadro sonetto, che principia:
Oh Iiclla man, che nel felice giorno —
t finalmente quando, trovandosi la principessa
ncoiiiodala d'una ilussion d'occhi, egli si pose
. dcploiarc non jneno la di lei informità, che il
ìroprio danno, come in <[ucl sonetto:
I ciliari hinii, onde il (li\in(> amore —
Mentre le principesse impiegavano a favor
li Torcpialo diversi buoni ollicj, piocuranilugli
'ie pili comodi, pose egli molla cura nel catti-
ar.si raiiimo degli altri cortigiani, cui da priii-
•ipio appena avcu potuto vedere: ma sopra lutto
i studio d"ac<|UÌ8tarc la benevolenza di lìcnc-
letto Manzuoli, scgrctaiio favoritissimo del car-
linalc Luigi, l'resc inoltre domcsliclu/.za con
•*aij Icllcrali, che allora ilorivanu in Ferrara,
come con Giovambattista Pigna e Antonio Mon-
tecatino.
Era allora in Fen'ara una gentildonna , chia-
mata Lucrezia Bendidio , giovane di singolare
bellezza, di vivacissimo spirito, e di meravi-
glioso valore, e lodata perciò da molti illustri
scrittori del suo secolo. 11 Tasso, forse per es-
primere nascosamente sotto questo nome un
altro amore , si pose a celebrarla ardentemente,
come in quel sonetto :
Tu, che in forma di dea vera sirena —
Trovò in questo amoroso alTare un rivale assai
potente, che fu Giovambattista Pigna, segretario
del duca, il quale, avendo anch' esso preso a
corteggiare questa dama, s'era posto altresì a lo-
darla co' suoi versi, inferiori di spirito e di bel-
lezza a que' di Torquato, ma che per la grazia
e per l'autorità, oud'egli prevaleva alla corte,
doveano senza dubbio riuscire, se non più gi-a-
diti, almeno più stimali di quelli del nostro poe-
ta , solendo gli animi donneschi per lo più sa-
crificare il proprio genio alla vanità e all' ambi-
zione.
Intanto madama Leonoi'a, che da un lato
s'avvide della passion del Tasso, e dall' altro
conosceva troppo bene l'indole ambiziosa del
Pigna, per ovviare a qualunque inconveniente,
con un sottile avvedimento fece in guisa , che i
due rivali furono tra di loro leggermente d'ac-
cordo. E il jnodo fu, che Toi-quato si diede ad
illustrare con dottissime considerazioni alcune
canzoni fatte dal suo antagonista su questo ar-
gomento, dedicando poi colali sue fatiche a
madama Leonora medesima. La signora Bendi-
dio per altro lo mirò sempre di buon occliio,
anche dajipoichè maritala ad un cavaliere di
casa 3Iacchiavelli fu divenuta una delle più ri-
guardevoli matrone della corte.
Intanto Torquato, in mezzo a colali studj
poetici e amorosi, ebbe notizia, che Bernardo
suo padre giaceva infermo gravemente ad Ostia
sul Po, dove era go^■ernalorc per lo duca di
Mantova. Onde non mancò di accorrere subita-
mente, a line di prestargli qucU' assistenza, che
gli si doveva da un unico e cosi all'ezionato fi-
gliuolo. Egli trovò quel buon vcccliio in istato
assai deplorabile, e molto abbattuto di forze: ma
sopra tulio trovò la casa in grandissimo disor-
ilinc, poiché, essendo solo ed infermo, era stato
rubalo grossamente da' servitori. Era non molli
giorni, cioè alli 4 di seltenibrc del 1569 suc-
cesse la morte di Uernardo con grandissimo cor-
doglio di Tor(jualo. Gli sopravenne perciò una
fastidiosa malattia, dalia (piale a])pena riavuto-
si , se ne ritornò tulio dolente a Ferrara.
VI
SAGGIO SOVRA IL TASSO.
Nel verno del 1570 si concbiuse il maritag-
{^io di madama Lucrezia col principe d'Urbino,
l'rancesco Maria della Rovere. Dopo la partenza
della principessa si diede il Tasso a corteggiare
con maggiore assiduità madama Leonora, che
era bellissima e gentile oltre modo, altrettanto
schiva e riserbata; onde abborrendo le compar-
se pubbliche ed ogni vanità ed abbigliamento
donnesco, se ne stava per lo più ritirata nelle
sue camere, e godeva soltanto d' attendere a^
suoi studj , e di pascere talvolta la niente de'
savj e dotti ragionamenti degli uomini letterati.
Per questa cagione ella vedeva molto volentieri
il Tasso , e per la stima , che faceva del suo ec-
cellente ingegno e delle altre nobili qualità, che
lo adornavano, prese poi a favorirlo e proteg-
gerlo con molto impegno. Onde è cosa molto
probabile, che il Tasso in quel bellissimo episo-
dio della Gerusalemme nella persona di Sofronia
abbia inteso di fare un riti-atto di madama Leo-
nora.
Nel 1570 parti Torquato col cardinale Luigi,
suo signore , j^er Francia , ove ricevette dal re
Carlo IX, e da molti uomini dotti, fra i quali
era il celebre Pier l\onsardo , i più distinti ono-
ri; alcuni cortigiani però invidiosi del favore,
a cui lo vedevan salito presso il loro padrone,
gli procurarono tali disgusti, ch'ei fu costretto
a chiedere il suo congedo; e ottenutolo, sene
tornò in Italia.
Giunto a Roma nel gennajo del 1572, si ma-
neggiò gagliardamente per essere ricevuto alla
corte del duca Alfonso, interponendovi la grazia
e l'autorilà delle due principesse, le quali tut-
tavia v'ebbero a durar poca fatica.
Abbandonala dunque Roma nella primavera
dell' istesso anno, entrò con onorevolissime con-
dizioni al sei'vigio del duca. Era il Tasso lietis-
simo di questa nuova servitù, vedendosi ono-
rato e accarezzato da tutta la corte assai più che
creduto non avrebbe. E ben si può dire , che
allora ei cominciasse a gustare qualche felicità;
cosicché in quella bellissima ottava, con cui
dedica al duca il suo poema, ei potè dire:
Tu , inagnaniino Alfonso , il qual ritogli
AI furor di fortuna , e ^uiili in porto
Me peregrino errante, e fra gli scogli
£ fra l'onde agitato, e quasi absorto ctc.
Trovandosi in tale ozio e in tale tranquillità d'a-
nimo, si mise di proposito a ripulire e rasset-
tare la sua Gcrusaleimne; e per sollevarsi dagli
studj \ìiii impoi tanti e faticosi, scrisse nel 1573
il suo yìminla , favola boscliereccia, con tanto
genio, che in mono di due mesi l'ebbe ridotta | si andava spargendo, del suo nobilissimo p(''
al suo compimento. Ma questa pastorale, rap-
presentata subito in Ferrara con gì and'applauso,
al poeta destò molla invidia in alcuni cervelli
torbidi, i quali da quel momento non lasciarono
di tentare ogni via per iscrediturlo , e per farlo
cadere da quel grado di stima e di favore, che
egli godeva presso la corte.
La principessa d'Uibino, che non avea po-
tuto essere presente alla recita dell' Aminta,
venne in gran desiderio di sentir questa favola
dalla bocca stessa delP autore; e perciò lo fece
graziosamente invitare a Pesaro, jiregando il
duca, suo fratello, a volerglielo concedere per
qualche mese. Il Tasso adunque, molto deside-
roso di servire e di compiacere la principessa,
venne a Pesaro sul principio dell' estate di detto
anno 1573. Nel crescere della state la princi-
pessa Lucrezia, per ischivare i soverchi caldi,
si trasferi insieme col Tasso a Castel Durante.
Quivi stette Torquato a diporto alcuni mesi eoa
incredibile piacer suo e della principessa, la
quale godeva infinitamente della conversazione)
del poeta, e di sentir recitare alcuni pezzi dell
suo poema, ch'egli venne altresì componendo^
in cotesta solitudine. Era il Tasso dotato d'una;
tenacissima memoria , e solca perciò rade volte?
por mano alla penna, come colui, che ritenevjf
nella mente trecento e quattrocento stanze peil
volta; sicché la pi-incipessa , la quale era di cosi
fino gusto e di tanta intelligenza delle buoni
lettere, pendeva dalla bocca di questo sovrani!
poeta , nò avrebbe voluto , ch'egli mai si pari
fisse dalla sua compagnia. Torquato altresì pi'oj
curava di corrispondere all' amorevolezza ci
madama in tutti i modi possibili, mostrandoli
in ogni incontro l'infinita stima, che faceva d(J
suo valore , e celebrando con elettissimi versi ci
l'una, or l'altra delle sublimi sue qualità; <|
che ella solca prendere meraviglioso diletto.
Tornato il Tasso a Ferrara pieno di favo!
e di ricchi presenti, essendoché la principes.j
in segno dell' affezione, che avea per lui, d
fece dono di un bellissimo giojello con un rif
bino di molto valore, si pose con ostinata air
plicazionc intorno al suo GoflVedo, e verso
primavera del 1575 ebbe finalmente la soddisfJ
zione di vederlo terminato. Ma dall' altro canr
cominciava a trovarsi poco contento del sV:
stato presente, non già per conto del duca, cil
quale si vedeva mirato di buon' occhio, ma pf'i
le insidie, che gli erano tramate da alcuni trifl
Ferraresi, i quali, invitliando la di lui glor
tentavano claiulestinamcnte di calunniarlo, e
ofl'uscare con male arti la chiara fama, che ;
SAGGIO SOVRA IL TASSO.
VU
a. Onde era risoluto, pubblicato che avesse il di Ferrara anzi l'edizion del libro, se non fosse
IO GufIVedo , di lasciar quella corte e venirsene
vivere in Roma alla quiete de' suoi studj , o
lero , o presso qualche cardinale, ove non
sse tanto esposto all' invidia e malignità altrui,
jnfidò questo suo disegno a Scipione Gonzaga,
•egandolo a voler pigliai'si qualclie pensiero a
lesto elTetto.
Pi-ima però di eseguire questa nuova risolu-
oiic, volea Torquato pagare in parte gli ob-
ighi, eh' ei conosceva avere con la casa esten-
ai che pensava di poter soddisfare pubbli
solo per andare seco a Pesaro •, cli'ogni altra
andata, per quanto ella m'afferma, sarebbe dis-
cara e sospetta."
Per le lettere state intercctte da' nemici suoi
s'era già scoperto, eli' egli pensava ad altra ser-
vitù. Ma il poeta, quantunque fosse sconfortalo
dalla principessa dal far questo viaggio, noiidi-
meno sotto qualche prelesto chiese il permesso
di poter venire a Roma. E forse il Tasso non
mostrò in questa occasione la sua usata maturi-
tà; perciocché da questo ■\aaggio si può dir, che
lido sotto gli auspici del duca il suo tanto as- avessero origine le sue disavventure, essendosi
;ttato poema. La sua modestia fece si, che con ciò accresciuto a dismisura il sospetto, che
ima di darlo alla luce volesse sottometterlo ali già si aveva alla corte, ch'egli cercasse altro ser-
udizio e alla censura di parecchi uomini dotti,
Ilo direzione di Scij)ionc Gonzaga, allora pre-
to in Roma; cosa, che portò grandissimo tem-
) e non minor confusione per la diversità de'
ireri , talché il Tasso dopo infinite noje non
j rimase mai soddisfatto , né per li fortunosi
:cidenti, che poi gli sopravennero, potò darlo
la stampa egli medesimo , come tanto avea de-
derato.
Alla fatica del rivedere e correggere il suo
)ema gli s' aggiunse l'agitazione di un gravis-
mo sospetto, in cui entrò, che i suoi nemici
' intercettassero le lettere , eli' egli scriveva a
ama, e le risposte , che di qui gli erano man
ite, e ciò non solo per iscoprire i di lui se-
eli , ma per vedere le opposizioni , che si fa-
vano all' opra, a fine di valersene poi oppor-
inamentc per avvilirlo, e per iscreditarlo
.'esso il duca.
Tra questo mezzo tornò a Ferrara madama
jcrezia da Este, la quale era già da alcuni mesi
venuta duchessa d'Urbino. Ella, per essere
)CO gradita dal duca suo marito , separossi da
•i, e fissò per sempre il suo soggiorno in Fer-
ra. Quivi nella cura, che in questo tempo
edcsimo le convenne fare per certa sua indis-
jsizionc, non volle altro inlertcnimcnlo, che
compagnia di Torquato. Il duca, che l'avrcb-
! voluto appresso di so nella delizia di IJclri-
lardo, gliel' accordò di malissinia voglia; e il
asso mcilc.simo dice scrivendo al Gonzaga sotto
d'i 20 luglio 1575: „11 sig. duca e andato
lori , ed ha lasciato me qui im'itux ini'ituni,
Ji'chc cosi é piaciuto alla signora duchessa
Urbino, la quale, togliendo l'accjua della vill.i,
i bisogno il giorno di trattenimento. Ueggole
mio libro, e sono ogni gioino con lei molle
•e in .•iccreliji. Le Ilo confciilo il mio disegno
venire qucsl' ollobic a lloma ,• non l'ha ap-
rovalo, e giudica, ch'io non debba parlirmi
vjzio, e data ansa a' suoi nemici di calunniarlo
quanto più seppero, e di farlo quasi apparire
un mal cavaliere, ingrato e disleale.
Giunse pertanto Torquato a Roma circa la
metà del mese di novembre , veduto ed accolto
con incredibile allegrezza dal suo Scipione, ch'e-
ra senza alcun dubbio il più intimo ed affezio-
nato amico, ch'egli s'avesse.
Questi ebbe subito il pensiero d'introdurlo
dal cardinale Ferdinando de' Medici, che fu poi
granduca di Toscana, il quale, conoscendo già
il Tasso per fama, lo vide molto volentieri, e gli
usò infinite cortesie ; ed essendo informato della
non intera soddisfazione, eh' ei provava alla
corte di Ferrara , gli fece intendere , che , risol-
vendosi di abbandonar quel servizio , egli lo
avrebbe molto di buon grado ricevuto per suo
gentiluomo, o fattolo ricevere dal granduca
Francesco suo fratello. Il Tasso tuttavia, irriso-
luto, irritabilissimo, e poco costante qual era,
non istimò di poter per allora accettare vermi
partito , volendo prima compiere assolutamente
quello, a cui si vedeva tenuto verso la casa
estense. Dopo breve soggiorno in Roma s'incam-
minò per far ritorno a Ferrara, e presa la via di
Toscana passò per Firenze, avendo gran con-
tento nel mirare per la prima volta la bellezza di
quella celobratissima città.
Tornalo in Ferrara circa la mela di gcnnajo
del 1576, fu molto bone accolto dal duca e dalle
piiiicipcssc; cosa, che accrebbe maggiormente
l'invidia ne' suoi nemici, i quali avendo già
messe in opera contro di lui diverse loro mac-
chine, si lusingavano d'aver fatto in guisa, ch'ci
ne dovesse esser ricevuto bruscamente. Avoa
jioclii giorni prima, che il Tasso jiarlissc por
lUìina, cessato d'i vivere in Ferrara Giovanibat-
lisla Pigna, uomo infinto, astuto, invitliosn, e
(jiiale veggiamo csscie Alelc nella Gornsalrinme
liberala, nella cui pei'sona e noto avere il poeta
vili
SAGGIO SOVRA IL TASSO.
voluto descrivere questo favorito ministro. Il
Tasso s'era sempre studiato di mostrargli tutta
la stima e la dipendenza possibile, sino a rico-
noscerlo supeiiore e maestro anche nelle cose
della poesia: contuttociò non gli era potuto
riuscir mai di cattivarselo in guisa , die gli fosse
veramente amico, e non covasse tuttavia qualche
se"reta malvoglienza conti'o di lui. Era succe-
duto al Pigna nella carica di segretario il dot-
tore Antonio Montecatino, uomo torbido anch'
ei^li ed invidioso. Costui ne' primi anni, che il
Tasso venne a Ferrara, gli s'era mostrato molto
familiare ed affezionato : ma dipoi gli era anch'
esso divenuto nemico; siccliè parve a Torquato
di non aver punto migliorala condizione, veden-
dosi a fronte un altro emolo più risoluto e me-
no rispettoso del primo.
Nel febbrajo di quell' anno era giunta a Fer-
rara Eleonora Sanvitale, sposa novella di Giulio
Tiene, conte di Scandiano, giovinetta bellissima,
d'alto animo e di leggiadre e gentilissime ma-
niere, ed oltre a ciò assai versata negli studj
delle buone lettere e delle scienze. Eravi ella
stata accompagnata da Barbara Sanseverina, con-
tessa di Sala, sua matrigna, dama, che per bel-
lezza, per vivacità, per ingegno, e per un certo
maestoso portamento non la cedeva punto alla
figliastra. Nelle feste , che si fecero in quel car-
novale alla corte. Barbara comparve con una
nuova acconciatura di capelli in forma di coro-
na, la quale, unita alla bellezza del sembiante e
lilla maestà della persona, le dava tutta Tarla
d'una Giunone. Nò minor comparsa vi fece Leo-
nora , bellissima anch' ella , e a cui accresceva
molto di vaghezza l'età giovanetla, e una certa
verginale modestia assai piacevole a' riguardan-
ti, ma sopra tutto il labbro inferiore, che al-
quanto ritondetto si sporgeva in fuori con molta
grazia. Questa corona e questo labbro furono
l'oggetto della meraviglia e de' discorsi degli
oziosi cortigiani : onde il Tasso prese volentieri
occasione di scrivere in questo proposito ah-uni
sonetti, eh' ebbero niorilainente grandissimo
applauso, e che gli aprirono ben presto l'adito
alla grazia e alla famigliarità di Leonora. Ma
questa novella ventura non servi che ad aumen-
tar maggiormente la rabbia e l'invitlia de' suoi
emoli, i quali, mal sod'eiendo di vederlo cosi
accetto alle due principesse, e in tanta grazia
delle dame più belle e più rlguardevoli ilella
corto , |)()soio in o])era più che mai le loro mac-
chine ribaltlc per abbatterlo ed atterrarlo.
Per la morte del Pigna essendo venuto a
mancare lo storico della casa estense, il Tasso si
esibì di Boltcnlrarc per questo cilcllo nel luogo
del morto. La sua offerta fu accettata graziosa-
mente dal duca, e Torquato si trovò perciò
stretto con più tenace vincolo ad una corte, dal-
la quale parca , che avesse tanta smania di libe-
rarsi. Al Gonzaga incresceva questa poca fer-
mezza del Tasso, e Pavrebbe voluto vedere più
costante e più risoluto, dappoich' egli s'era tanto
maneggiato per procurargli un si onorato e van-
taggioso trattenimento. Ma tale era il flusso e
riflusso de' pensieri, da' quali il povero Tasso
si trovava combattuto, e ciò per non si poter
discioiTC da' legami di convenienza e di gratitu-
dine, e principalmente d'amore, che lo teneva-
no stretto in FeiTara. Per altro egli medesimo
comprendeva, e lo confessò al suo Scipione, che
questa sua irrisolutezza era stata, e temeva, chei
dovesse essere anche in avvenire la rovina dìi
tutte le sue azioni , come pur troppo lo fu. I
Intanto dovendo portarsi al suo governo dj
Modena il conte Fenante estense Tassone, umi
de' maggiori e più affezionati amici, che il Tass(|
avesse in Ferrara , questi lo pregò tanto , che fi
costretto ad andar seco a far le feste in quelli
città, ove si trattemie con piacerle sin dop
l'ottava di pasqua.
Tornato a Ferrara gli riuscì di scoprire, eh
mentre egli s'era portato a Modena, avendo a
uno de' suoi falsi amici, fra i quali erano prin
cipali Antonio Montecatino ed Ascanio Giraldi
ni, affidata la chiave delle sue stanze, fuori < j
quella, ove tenea i suoi libri e le carte più g(
lose, aveano di notte fatta aprire ancor ques1
camera, e spiate perciò e lette diligentemen
tutte le sue scritture, a fine di trovare qualcl
appicco, onde accusarlo.
Madama Leonora, per sottrarlo da' nojo
pensieri, che lo agitavano, volle condurlo sei
a Consandoli, luogo assai delizioso, lontai
circa diciotto miglia da Ferrara, dove in cor)
()agnia di questa savia ed amabile principessa
si trattenne lietamente alquanti giorni, godeu'
della vista del Po, e dell' amenità di quelle car
pagnc. Questa villeggiatura servì a rasserenar,
e a renderlo per qualche tempo superiore a
trame ribalde de' suoi avversar) ; onde toni
alla corte jiotè ripigliare gli intralasciati sta
Per sollevarsi poi dalle continue applicazion
dalla malinconia, che soverchiamente solcati
vagliarlo, si portava assai spesso in casa di£l(
iiora Sanvitale, del cui amore s'accese all<
forse j)in gagliardamente, che non si conven
al suo slato e alle sue j)resenti circostanze. Ba
leggere la bcllissinla canzone, ch'egli indiri
ad una damigella di questa signora, per no
Olimpia, la quale incomincia:
^
SAGGIO SOVRA IL TASSO.
IX
0 con le Grazie eletta, o con gli Amori,
er rimaner persuaso della Camma, onde il Tasso
rdeva per la Sanvitale, senza por mente a tanti
anetli e madrigali scritti in lode di lei.
Verso questo tempo era il Tasso per varj in-
izj venuto in cognizione di un tradimento fat-
agli in materia molto diJicata da un suo falso
mico Maddalò , onde incontratolo un giorno nel
orlile del palazzo, se ne dolse amichevolmente
on esso lui, cercando con bel modo di farlo
ccorto e d' indurlo a riparare il gravissimo
anno, che gli potrebbe aver cagionato colle sue
nprudenti e calunniose parole. Costui in luogo
i scusarsi, o di giustificarsi almeno, s' era
inocente, rispose al Tasso con molta im-
ertincnza, ne contento di questo si avanzò
dargli, e a leplicargli insolentissimamente
na mentila. Perchè montato il Tasso in una
ravissima collera non potè contenersi da
on gli dare uno schiaffo in sul viso. A questo
alpo l'avversario nò fece, ne mostrò per allora
i voler fare risentimento alcuno: bensì indi a
on molto unitosi co'suoi fratelli si pose armato
1 andare in traccia di lui, e vedutolo nella
iazza corse a ferirlo di dietro, senzachè il
cusato non solo d'infedeltà presso il duca, ma an-
che di miscredenza al tribunale del S. Officio e
che si tentasse di farlo morire o di veleno, o di
ferro. Il duca, madama Leonora e la duchessa
d'Urbino fecero il possibile per assicurarlo, e
per togliergli dalla immaginazione questi vani
timori; ma tutto indarno. Anzi, poiché una sera,
trovandosi il Tasso nelle stanze della duchessa,
tirò un coltello dietro ad uno de' suoi servitori,
del quale pcravventura avea preso sospetto , fa
forza di dare ordine, ch'ei fosse arrestato e chiu-
so in certi camerini del cortile di palazzo quanto
più presto per iscansar anzi qualche maggior
male, e per indurlo a lasciarsi medicare, che con
animo di punirlo. Successe questo accidente la
sera de' 17. Giugno del 1577.
Subito però fu posto in libertà e rimesso
nelle sue camere ; con ordine tuttavia, che fosse
sottomesso ad un' esattissima curagione. Parve da
priiicipio, ch'egli migliorasse assai, e che la fanta-
sia gli s'andasse calmando felicemente, talché il
duca, per vie più rallegrarlo, volle condurlo seco
alla delizia di Bclriguardo. Ma tutto fu inutile.
Il Tasso desiderò d'essere trasportato al conven-
to di S. Fjancesco di Ferrara, ed il duca v' ac-
asso si fosse potuto avveder dell' assalto: nia consenti. Ma inquieto senijne e turbato, dopo
voltatosi a quell' impeto e tratta fuori la spa- qualche tempo fuggissene segrelamcnte, e temen-
a, costoro impauriti si dileguarono precipito- do, che il duca, avendogli proibito fin lo scri-
imente, aggiugncndo cosi al tradimento la viltà vergli, noi facesse inseguire, prese il cammino
i una subila fuga. [per luoghi deserti, schivando affatto le città, e
Poco appresso provò Torquato un altro dis-l per quanto poteva anche le strade maestre. En-
usto , forse non meno spiacevole del primo, e^trò perla parie d'Abruzzo nel reame di Napoli,
1, ch'egli ebbe avviso da' suoi amici, che asso-' e quivi cambiali, per ])aura de' ministri re"i, i
itamenle si stampava in una città d'Italia il suo proprj paiini con quelli di un ])aslore, dal quale
oema. | era stalo una notte ricevuto ad un povero alber-
Si può ben credere, quanto malinconoso se go, sotto nome ed abito mentilo giunse fìnal-
e stesse Torquato per sì fatti avvenimenti. Il, mente a Sorrento in casa di sua sorella, chia-
onle Ferrante Tassone, sapula l'agitazione, in, mala Cornelia, allora vedovadi Marzio Scrsale, ove
ai il Tasso si ritrovava, lo invilo a portarsi a cominciò a respirare alquanto da' suoi affanni,
lodcna da lui. Egli vi andò; e quel gentilissimo e colla diligente assistenza di questa savia cil
avalicre s' ingegno di proccuraigli ogni pos-' amorevole sorella potè riaversi in parte anche
ibile divertini(MiLo. Quivi ebbe il conlenlol dall' umor melanconico, che si fieramente oc-
cupalo l'avea. 'Gli incrcsceva però sovra modo
r essersi colla sua fuga inimicato il duca; onde
connnciò di là a Iraltare per lettere con lui e
con le principesse. jNla dal duca e da Lucrezia
egli non impetrò mai risjiosta; da Leonora n'eb-
tìcstituilosi a Ferrara, parve che fosse! he tale, che ben comprese , ch'ella non j)oteva
1' animo alquanto piti lian(}uillo del solito : i favorirlo. Dopo (piali he mese si condusse a Ro-
aomle potè mellcisi di nuovo intorno al suo ina , e avendo impetrato por mezzo del romano
oema: ma non passò molto tempo, ch'egli per nnnistio del duca, Gualingo, di ritornare alla
1 conoscere e <li visitare Tarquiina Molza,
ama per bellezza, per ingegno, e perla cog-
lizione delle nobili scienze mollo celebrata,
loetessa assai gentile non meno in latino, che
iella favella italiana.
Icuni nuovi disgusti si liovò abbissalo pin
he mai nella sua fiera malinconia, e ila Irisli e
lainosi pensieri assalito, essendosi fitto nella im-
nagiuazione,chc i suoi persecutori l'avessero ac-
corte di Ferrara, vidosi di nuovo amorevolmente
accolto dal duca e dallo principesse.
Presto però risorsero gli anliclii si)spclti a
segno, clic di nuovo fuggissene, e andò ramingo
SxlGGIO SOVRA IL TASSO.
a Mantova, a Padova, a Venezia, ad Urbino, a
Torino , accolto amorevolmente da' pi-incipi , a'
quali era noto il valore di lui ; ma sempre agi-
tato e incerto, e dalle sue paure stranamente
travagliato. Egli nondimeno non sapeva dimen-
ticare Ferrara , e le sue carte, e odoperossi di
nuovo , e all' occasione delle nozze del duca Al-
fonso con Margherita Gonzaga ottenne di po-
tervi fare ritorno. Giunsevi nel mese di febbraio
del 1579.
Ma appena vi fu giunto, che, vedendosi ac-
colto con freddezza, anzi sprezzato, risvegliatosi
di nuovo il suo umor malinconico e giusto sde-
gno proruppe un giorno pubblicamente in tali e
sì amare invettive contra il duca, la casa estense,
e contra tutta la corte , che quegli il fece rite-
nere e chiudere come frenetico in una camera
dello spedai di S. Anna; il che dovette avvenire
circa la metà di marzo di quell' anno 1579.
Ognuno può innnaginarsi Tavvilimento e la co-
sternazione, che cagionò all' animo già infermo
del Tasso questo nuovo accidente. 'L parricidi
poco hanno che invidiare alle mie pene', ne dice
nel discorso sopra varj accidenti della sua vita
scritto a Scipion Gonzaga (Op. To. 5- e. 121.
ed. Mii.). Fu rigorosissima la sua prigionia per
li primi due anni, singolarmente per colpa di
Agostino Mosti, gentiluomo ferrarese, piiore
dello spedale, ed entusiastico ammiratore dell'
Ai'iosto.
Poi nel mese di febbraio del 1581. mori ma-
dama Leonora. Non si trova, che il Tasso abbia
punto compianta in versi la morte di questa de-
gnissima principessa, già tanto sua padi'ona e
favorcggiatrice, corrucciato forse, perché ella
in questi ultimi tempi non gli avesse dimostrata
quell' afl'ezione, che già soleva, nò si fosse im-
pegnata efficacemente per impetrargli dal fratel-
lo, come avrebbe potuto, la sua libertà; quan-
do non si voglia credere, ch'egli oppresso da
maggiori sciagure, e che più vivamente lo pe-
netiavano, non potesse peravventui'a dai- luogo
ad alcun nuovo dolore.
Intanto essendo stampata e ristampata la Ge-
rusalemme lil)erata furtivamente per opera di
Celio Malaspina , poi per Angelo Ingegnieri a
Casalmaggiore ed a Parma, risonava tutta Italia
delle lodi e degli applausi del poema, e gli edi-
tori e gli slamj)atori arricchivano sopi'a le vigi-
lie e le fatiche durale per tanti anni da (jucsto
grand'uomo: ma il povero Tasso era costretto
a languire in una infelice ])rigione, disprezzato,
infermo, e bisognoso delle cose le più necessarie
al comodo delia vita.
E in tali angosciose circostanze dell'infelice
poeta levossi contro dal suo Goffredo una fxcris-
sima guerra. Un dialogo sull' epica poesia , in-
titolato il Caraffa, pubblicato nel 1584, da Ca-
millo Pellegrini , nel qual parve antiporre la
Gerusalemme del Tasso al Furioso dell' Ariosto,
ne fu il segnale: e gli Accademici della Crusca
mal soddisfatti di certe espressioni usate dal
Tasso nel suo dialogo ù.(^jpiacere onesto, furono
i primi ad uscire in campo colla difesa dell' Or-
lando furioso , che fu creduta opera di Lionar-
do Salviali, a cui però fa pochissimo onore. Di-
venne allora generale la mischia, e )nolti de'
più chiari ingegni italiani si azzulTaron tra loro,
altri a favore, altri contro del Tasso. Più di
tutti però il Tasso medesimo prese le armi a sua
propria difesa, e scrisse più libri in risposta alle
accuse , che gli venivano fatte. Poco prima della
sua morte volle tuttavia rifare il poema, cam-
biandolo in gran parte, e mutandone anche il
titolo con quello di Gerusalemme conquistala.
Finalmente li 5 o 6 di Luglio del 1586 i]
povero Tasso fu liberato dalla trista sua prigio-
nia di sette anni, per opera e per gli uffici sin
golarmente del principe Vincenzio Gonzaga <
d' Antonio Costantino. Ciò che sorprende s
è, che, mentre il Tasso era da j^azzo ritenuti
nello spedale, egli scrisse non poche delle su
opere (le Keglle non già, delle quali la falsili'
cazione abbastanza provò O r e 1 1 i in Beitrage zu
Gesch. der ital. Poes. I. e. 101. ss.), e quell
singolarmente in difesa della sua Gerusalemmi
le quali certo ninno crederà mai che possan
essere lavoro di un pazzo.
Laonde si potrebbe già inferire, ch'egli si
stato anzi oppresso e mortificato , che pazzo
questa illazione si verifica pur troppo a chi por
dera tutte le circostanze particolari, tuttocl
generalmente questa prigionia sventurata e i jnc
tivi d'essa siano stati ambigui ed enimmati
quasi sino a' di nostri, dove si per mezzo d'ur
lettera del Tasso al cardinale Giovan Girolan
Albani, comunicata agli editori della bibliote
italiana dal conte Ercole Calcagnini de' Marche
di Fusignano, e dicifcrata dal di lui figlio, o
pur pubblicata nella seconda edizione mdane
dell' opere di Tasso To. V. e. 190. ss., e sì p
le ricerche e i riscontri delle circostanze fa
da Giovanni Jlohliouse nelle 'Historicalilluslr
lions ol' the fourlli canto of Cliilde Harold ec
(Lond. 1818. 8.) e. 5 — 27. l'enimma po|
mancò, che non si trasformasse in uno scanda
di cui giustizia vuol che rendiamo conto al 1(|
torc. Or a prima giunta non v'ha dubbio beni
che le stravaganze del Tasso irritabilissimo, e|
di lui tempra malinconica quasiché inalatici
SAGGIO SOVRA IL TASSO.
XI
i concorsero in pai-te. Ogni forma soda, fer-
lameiite contornata della vita estrinseca, reca-
isegli in contatto colla di lui vita intrinseca,
ollendo subliinossi, jier dir cosi, di modo die,
ileguatine e stesi i contorni, egli l'effigiava con
uel suo fervore nodrito dal di lui orgoglio, af-
ne alla vanagloria, e dalla sua dilicatezza ca-
razione; e questi furon pei- cosi dire un conti-
nuo viaggio da Ferrara a Mantova, da Mantova
a Pioina, da Eoina a Napoli, indi di nuovo a Roma,
e poscia a Firenze, dove fu invitato e onorevol-
mente accollo dal granduca Ferdinando; nuo-
vamente a lioma, e a Napoli, fra le quali due
città passò gli ultimi anni della sua vita , sem-
ricciosa e bizzarra. Un certo cliiaroscuro ma- pre dubbioso e incerto, e povero talvolta a se-
co, nel quale la vita esterna sjiuntando seglijgno di doversi ricoverare nello spedale di sua
«bruniva, fu l'elemento joroprio , in cui la sua| nazione in Roma e di dover chiedere qualche
ntasia a dimoraisi si compiacque. Si fatta tenue soccorso a' suoi protettori.
mpra manca naturalmente non di rado del
antegno convenevole, ed agevolmente esacer-
ita si lascia trasviare dal momento sino a quel
i^un autore ingegnoso chiamò sgarbatezza mu-
cale, che, spezialmente in contrasto colle ma
L'ultimo ricovero del Tasso fu presso il car-
dinal Cinzio Aldobrandini, nipote di Clemente
Vili, il quale gli conferì un'annua pensione di
200 scudi, e pensò di dare un onorevol compen-
so alle tante sventure di questo giand'uomo col
iere coitigiane fredde e misurate, non può non! farlo coronare solennemente nel Campidoglio.
ir luogo a spropositi pericolosi, anzi funesti. Ma questo ancora mancava a rendere il Tasso
questi avvegnaché non sia da annoverarsi quel! sempre più infelice, ch'ei non potesse goder
icio favoloso impresso sulla guancia della prin-
pessa Leonora a)nata ed idolatrala, di cui nar
i soltanto per rumore Muratori, certamente si
dcll'onor destinatogli. Il rigore della stagione il
fece diilerire per qualche tempo, e frattanto in-
fermatosi Tasso , invece del lauro del campido-
appartengono l'invettive acerbe su mentovate, glio sortì il cipresso e la palma della morte nel
all' altro canto però il silenzio avveduto non! monastero di S. Onofrio. Finì dì vivere a' 25
>lamente di parecchi storici ferraresi contem-j d'aprile del 1595, e fu con solemie pompa sot-
Dranci, male molte lor dillorenze eziandio, i|lerato.
aggiamenti ed. i racconti fatti alla sfuggita Tal tenore infausto e tal esito simile all' ulti-
nibrano involgere Tintenzione di nasconder, o molampo vitale di moribondi ebbe la vita di ques-
ilorire l'evento e di scusare il principe e la to uomo eccellente! Troppo tenera jìiantadilicata
jite; laddove l'invidia, le calunnie e i raggiri e sottile, egli non resse uè al sole, nò alle teni-
i Pigna, e d'Antonio Montecatino , le lettere peste di questa vita. Assorto ed abissato nelle
itercettate e le carte rubate del Tasso, il desio voragini delle sue fantasimc, sonnambulo in sulla
'un principe lussuiioso, ambizioso di far poni- vetta di questa vita, mal e' soflVi l'esser destato,
1 d'un poeta celebre aulico tenuto a stipendio, anzi smarrito e sbigottilo tosto sprofondossi di
la gelosa vigilanza di non andarne ])rivo, le nuovo ne' sogni e vaneggiamenti suoi, allonta-
romcsse vane e mal serbate, la detenzione in- nandosi vie più dalla realità, dove, quando vi
!.usta della Gerusalemme liberata, l'ostinato ri- rientrava come mal suo grado, avvezzo alla le-
uto d'ogni intercessione quantun([uc autorevole,' ziosaggine gradita, allora sì, che non potè a mc-
t finalmente la spietata noncuranza, mentre iljno di non sentirsi oifeso e malmenato. Fu vera-
oeta languiva nella strema miseria, accusano mente doimesca la di lui natura e tempra, in
Ifonso II e la casa estense d'una vanagloria, preda al momento, innuorsa in alto sopore , in
'un odio e d'un rancore, d'un vile timor della abbandono ai prcsligi della fantasia, ed in balla
ngiia, o della penna del poeta, i quali metto- delle suggestioni del sentimento. Fcco dunque
0 non poco in fojse il lor padronaggio et la lor la sfora, ove si mossero ancora le forze sue
lagnanimità ambigua già in oltre in quanto ad poetiche, come vedremo orora, stando per par-
riosto. Rare adunque, che Tasso sia slato la lare della Gerusalemme liberata.
itlinia infausta d'intrighi aulici covati da gelo- Lasciando per ora a jiartc gli altri scritti
la, vanagloria, ipocrisia e lorniidinc, maneggiati suoi, cioè Jii/Kcltlo , poema epico giovanile;
deseguiti con crudeltà e tirannia, di cui può' ^///«//^rt, favola bosclieroccia; Torrismundo, ira-
irsi, elio la casa ducale abbia pagato il Ilo coIl''gedia; 67' intrig/ii ^t amore , connncilia; liime^
iledcllà e l'a|)ostasia de' soggcili e servi, voW \ dialoghi ; Oraziuiii ; flettere; Discorso del poe-
nnulla/.ione del testamento d'Alfonso, la iico-\maej)ico; Discorsi varj ; Liscile fiorili de/ mon-
lunica di Don Cesare, e colla linai perdita della u/o crealo in versi sciolti, donde le notizie bi-
ignoria di Ferrara. hliografìche neces.saric troverà il lettore nel di-
Nove anni sopravvisse il Tasso alla sua libo- 1 zionario bibliogr. d'J']òert, ari. Tasso, in Ide-
** 2
SAGGIO SOVRA IL TASSO.
lers Handb. der Ital. Spraclie und Literalur (BerV
1822 II. 8. Voi. II e. 259. ss.) I! achlers
Handb. derGescli. u.Literat. (i'rancof. 1822 —
1 S24 IV 8.) Voi. III. e. 93. torniamo a replicare
quel die fu già accennato nel parallelo premesso
al parnaso, cioè: clie questa epopeja , con tutti
.xli altri meriti suoi vantati a ragione pur non
che esausto abbia, ma scalfito il grande evento
delle crociate. Ed in fatti né anche traccia v ap-
pare della profonda idea e della significanza sto-
rica di quel crollo necessario , salutare ed im-
portantissimo, che fu la compenetrazione in-
trinseca dell oriente e dell' occidente riguardo
alla somma e cima d' ogni coltura, il destarsi
alia suujuici t ^.^^.^ " -o— '
della mente umana dall' alto sonno della natura
alla chiara luce dell' idea d' amor vicendevole,
e di libertà comune, come atti della mente pro-
pri e suoi-, niun vestigio del di lei rinfrescarsi
e rinvigorirsi col soffio d' una vita colma e do-
viziosa'esterna, a fine di trasumanarla e spintu-
alizzarla: nissuna orma d' un zelo di approfon-
dare raccorre, conserbare e render comune ^
il fondo di saper anziano, e di quanti vi sono,
altri filli e successi di quell' entusiastico sbalzo
vigoroso. In vece di tutto questo si ristrinse il,
po^'eta agli eventi di quaranta giorni in circa co-
erenti col solo riacquisto della sacra tomba e del
suolo ove camminò già il rappresentante della
coscienza sovrana, alla quale il di qua ed il di
là la natura umana e divina, sono 1' uno e 1 is-|
tesso intimissimamente congiunto. Da questa idea
non essendo affatto ancor aliena ncppur i età
del poeta, si può dir davvero, eh' egli raddoman-,
dò così, in nome di poesia, il diritto dellarealita,
eh' ei radunò e rappressò gì' interessi storici,
e richiamò quasi la poesia dal cielo e dal soggior-
no suo favoloso alla terra. In questo poi egli
ha fatto mostra d' un' ingegno nodnto colla mi-
dolla dell' antichità, d' un' alma bella, tenera
e pia d' uno studio e d' una conoscenza deli
arte fórse pur troppo isolati , intensi ed inten-;
zionati. Senza dar qui un' analisi particolare delj
poema punto per punto, osserviam soltanto in^
"cncrale, che vi si schiude un mondo eroico, e
pagano, e cristiano in contrapposti a stento bi-.
la>iciati e livellati del regno di satanasso e dellc^
le-ioni armate di Dio. Di rimpelto ai pagani bo-,
limano, Idraote , Aladino, Argante, Emireno,
Alete, Armida, Clorinda, Isineno stanno Got-
frcdo, llinaldo, Tancredi, Raimondo, Gildippe,
Piero, Ubaldo, ecc. Ai magici prestigi ed ali
arti infernali sono opposti sogni, e rivelazioni;
allo l'urie angeli-, alla ferocia e llerezza, al fasto,
alla cicca temerità ostinata, ed alla voluttà cor-
rispondono calma , umiltà, baldanza, amor cas-
to. L' azione è una, tanto più quantoche di
corta lena e di poca estensione , rade volte uu
«ombrata ed interrotta, sennon forse con qual-
che episodio , come quel d' Olindo e Sofronia,
o quel d' Erminia poco bene intrecciata nel
tutto, e con altri lirici quadri e vampi impareg,
viabili in se, proprj alla poesia romanzesca, e ca.
rissimi in oltre al popolo poco soddisfatto per la
più d' opra di lunga lena. Lo stile è , come du
ce Metastasio, sempre limpido, sempre sublH
me, sempre sonoro e possente a rivestir della
propria sua nobiltà i più comum ed umili og,
Utli le stanze sono d' una eleganza e d utt
ritmo superiore, il colorito vigoroso, i caraU
teri veri e costanti, la forza d' ingegno portento-
samente uguale senza infiacchirsi, benché dispiac-
ciano talora la lima troppo visibilmente ado-
prata, i concettini, e le retloriche ampliazioni.
Con tanti vezzi e nel ebbe questo poema un e
fato assai memorabile. Accolto con trasporto ed i
esaltato dagli amici, tosto e; provoco ancora,
ali amici non meno numerosi dell' Ariosto , ed il
accese cosi una contesa assai viva di venti quat.:e
irò scritti pubblicati sino all' anno 1590. Di- i
chiararonsi pel Tasso Pellegrini, Giulio Otto-.i
inelli, Niccolò degli Oddi, Giulio Guastavnii, e«
Malatesta Porta; per 1' Ariosto Liouardo Salvi-.
ati, Bastiano de' Bossi, Erancesco Patrizi, Ora- ,.
zio Ariosto, Orazio Lombardelh, ed Orlandc ;
Pescetti. Tasso istesso scrisse una sua apologia ii
e per resister alla tirannia nascente d' un areo-
Ili
pa-o critico, come quel dell' accademia tiorentiti
o della Crusca, e per trionfare dell' A^^-to eh
egli, diverso in ciò dal padre (Lett. To. II.
165. ed. Comin.) giudicava esser secondo poet
epico, accennando cosi tacitamente, se esser]
primo. La quistione dunque fu e.mnziata cos
Se al Tasso, ovvero ali' Ariosto debbasi il pn
' mato epico? e trasportata con questo ni un sue
lo non suo, perche troppo personale ed espo;
' to alla parzialità. Conciossiachc a noi aiti
' viventi in tempi più remoti ben mostra la stori:
che, a dir vero, questo non poteva esser pur
to il senso della quistione, la quale toccava a,|
zi una relazione di gran lunga pni alta tra
poesia, il tempo e la nazione. Seno, come m
sarebbero stati postergati Dante l^^l^^'^l^ ' f IJ
ci, Trissùio, Alamanni, Bernardo lasso .MI v
irò si e, che, mentre questa o quella contiguit
'oppur dillcrenza di Tasso e d' Ariosto — mori
ultimo sol undici anni prima della nascita
Tasso: ambiduc furono in servizj de la casa e
lense, la quale s' ingegnarono ad esaltare anib
due - dava luogo ad una qualche cnula/io
e rivalità, ia ambidue pure si mauileslo de<
SAGGIO SOVRA IL TASSO.
XUI
vamente una differenza delle direzioni, ovver
;lle tendenze poetiche, quai le troviamo anco-
. in altre nazioni moderne, cioè 1' originale^
.'opria nativa o essenziale, e la critica. In quan-
alla prima, già il padre e fondatore della poe-
a italiana, il divino Alligbieri, potrebbe es-
rne allegato come archetipo. Ma basti per ora
osservare, ch'Ariosto ancora non fu men pra-
:o degli antichi classici , che Trissino, o Tas-
< ; che nelle sue commedie principalmente gli
litò j ma tosto, spante V ale a più libero ed ai-
volo, qual si pronunzia in esso carattere mas-
lio ! qual concetto grandioso, energico ed iro-
co del giuoco mondano, dove la libidine ancora
renata ha il suo contrappeso ! qual individua-
ta franca, schietta, originale! qual freschezza,
isinvoltura ed elaslicità del genio ! Con qual
rza e fuoco afferra egli d^ un tratto il suo con-
itto ! Che ricchezza ed uberlà inesauribile d' in-
3nzioni ! Qual vaga varietà di stile, quai tocchi
jldaiizosi! Qual talento pittoresco impareggia-
ile! Egli alletta e incanta, sospende e sorpren-
2, intenerisce e diletta, è pazzo e savio, ride
piange; in somma 1' animo suo è altrettanto
eco, quanto il mondo, che lo circonda; su-
•-ettibile di qualsivoglia impressione, ma in un
idrone d' essa è moderatore ; pieno di capric-
o come di senno; ora sfrenalo, ora sedato;
qualmente dimestico al mondo reale come al
voloso, intrecciando e riflettendo 1' uno nell'
tro. Ogni concetto suo è sodo , immediato,
adente, proprio e nativo. Mai non si cura di
perciò non puote a meno di non cangiarsi talo-
ra in morbidezza ed incostanza, sensibilità ecces-
siva, civettei'ia e stitichezza ritrosa. Da questa
sua tempra suscettiva deriva quella difficoltà sua
critica, che, mai contenta di quanto produsse,
non trovando termine di limare, gastigare e rifor-
mare, giunse spesse fiate sino a spolverare 1' ale ga-
je di Psiche, e tralignò in alessandrinismo. Quindi
purel'ellenomania, ovvero il fanatismo supersti-
zioso per la poesia classica, o antica, con cui
schierossi a coloro, che, siasi o pedanteria, o so-
verchio dì rispetto pauroso , o disperazione del-
le proprie forze, gridano, che non vi sia sal-
vezza fuor di classicità. E qui pure, per non
dare scandalo con quanto dicemmo , sarà d' uo-
po d' ammonire a prima giunta, che nostra in-
tenzione non è d' approvare con questo la tras-
curaggine e 1' arroganza de' iiostii giovani poeti
dozzinali, che, boriandosi di genio, sprovve-
duti di cognizione, di sapere e d' arte, vorreb-
bero persuadere il mondo , che il lor passcrajo
sia canto degli uccelli di Mennonc, mentre un
Dante dice, che il suo poema sacro , al quale
ha posto mano e cielo e terra, V Sihh'ia. fatto per
molti anni macro\ mentre la lirica poesia del
Petrarca, che può leggersi in pochi d'i, fu durata a
scriversi il corso di trentadue anni (v. Saggi di
Ugo Foscolo sopra il Petrarca. Lugano 1824- 8. e.
65.) ; menti-e Ariosto spese dieci anni a scrivere
1' Orlando furioso , Tasso undici ainii alla Ge-
rusalemme, e mentre questi eroi con altri molti
di queir eia trascorsero un cerchio di coltura
■.orica eolica, per rinomata che si sia, anzi la ampio , che nò anche sognarono que' poctucci.
rende a gabbo, adocchiando gli oggetti a niodol In secondo luogo però, premesso un passo di Mario
io, e senza gli occhiali classici. Come di pri- Guiducci (Lezione seconda sopra le rimedi Mi-
la vista, con viso asciutto e aperto egli dipin-j clielangelo Buonarroti. e. 120. ed. Milan. del 1821),
ì il mondo , palesando sempremai il suo genio
iltoresco. Or se le tre forme essenziali della poe-
lia, cioè la lirica, l'epica, eia drammatica, corri-
londono alle tre forme essenziali dell' arte det-
i falliva, cioc alla musica , alla i)iltura ed alla
lastica, giudichi il lettore già ((ui, se si abbia
a preferire assolutamente il Tasso, che non
eco deve ad Ariosto, ed il cui genio è piuttosto
cr eccellenza musicale, e lirico, di che ne fan
ulc le sue stanze, come le sue rime, le quali,
l nostro parere, lianno apjx'ua da jìavenlare un
aragone col Petrarca ; tanto son pulite, munc-
^3se , mcloiliche e conformi al senlimcntu et! al-
i situazione, eh' esprimono! tanto vi si sfoga,
\. strugge e pcrdcsi ogni molo dell' animo suo
i concenti musicali ! E come in questo , cosi
uro nel suo all'elio , nella tenerezza , vivacità,
ignita, eleganza e grazia , nel suo nitore e gus-
> tralucc una quaiclic tempra dojuicsca, che
che dice: „ sterili ed infelici son quegP ingegni,
i quali, quasi non abbian per sé slessi occhj da
rimirare, nò intelletto da contemplare la copia
e la nascita dell' opre, che abbelliscono questa
innnciìsa mole del mondo, si stanno unicamente
rivolli e inlenti a' libri degli antichi scrittori, sof-
ferendo per viltà di coraggio, che essi finn le
colonne d' Ercole, e il non jdus ultra al loro
vedere e intendere," dichiariamo, che ancor noi,
lungi dal disprezzo della perfezione classica,
rispelliaino anzi (|uel candor, c|nolIa schiettezza,
(india ingoiuiilà osicurlà naluialc, che non vuol,
ne puote esser altro ne \n{\ di (jucl eh' è per
voler ilei nume. Ma appunto a cotesto candor, a
questa ))rt)pi icià deve ritornar i>gni nazione, sic-
come ella quindi esce; e perciò la classicità non
è già prerogativa e privilegio d' una nazione so-
la, d' un tempo solo, ma s'i fior e frullo di
ogni coltura nazionale, di njodo che ogni nazione
XIV
SAGGIO SOVRAJiijrASSO^
. . • ,,on ha ! mar di crilicLe e finì a confonderlo affatto -, men*
coltivala avendo i f^----"l,rìu^;ualsivo- Ire appunto quel eh' è in esso azionale e su*
coltivala avenuu A v..».. » ;i;nnalsivo
da riconoscer i' autontà esclusiva ^\f^^l''^
alia altra. Conciossiaclic ogni classicità , ori
glia ama. v. pluralmente e condi-
ma di coltura nazionale, naimaimei
Inala dal suolo e cielo suo da quanto e li. -
zionuui i.„p,,tp le dà la tempra e il te-
camenle e moralmente le aa
nor dell' esser suo , onde, per via d azione ci 1 a
'tura e di reazione dell' intelletto , appropii-
rVmondo conoscendo e foggiai! osi^^
mar cu cruu uc e mn « ^^v/i.."■
tre appunto ciuel eli' è in esso nazionale e sug
cioè il caler, la smania e la tenerezza del scntlj
mento, il gusto e la suscettibilità peri' armo^
nia e la inclodia, per quell' ondeggiamento e
polscggiamento dell' alma, è quel, clie lo rendè
immortale in bocca al popol suo, ancorché no*
basti a contrastar il lauro di poeta a Dante, 9
ad Ariosto. Quindi non mancarono pure com-
... 11- „;„ro^^;nirfivTr> la simmetria e il
"uan.o vi e di particolave port, 1' -;P™ '^ , ^ j C;" ',J, arte ; e Galilei nello sue Considera.
i' idea, ovvcr dell' esser animato da "'«»"»^'°;r 7 „; Xasso paragoni lo stile della Gewsa-
e ne sia per conseguenza rorj^ano la co nunan « 1 ^^^^^.^ ^,. ,^,,^,^ ^
p ne sia per coubegucii^" * ^^p_-
'a Ipp-e dunque, eli' ogni coltura e, ne può
non e sere propxi ed individuale da 1' una pai-
non e.sci 1 1 „ .„4.,io fin ' iltra; clie i
zioni al lasso paiai^ui.v^ ^^ ^^
lemme liberata a cpel lavoro di tarsie, in cuil
le«netti di diversi colori non possono giammai
t» . . n • • 1 ,i„i„„„to.i1p r ir noli
i^
za. ^iJiJii*^ ^.^.--j — 7 . ,. . , 1 -i 11? ,,„„ inr- e"netti eli ciiveihi luh-'h ì»"" i'^^- o
,on essere propria ed ^^f^^^^^^^^J^'^^ oppiarsi ed unirsi così dolcemente, che no.
le, e comune in uno e totale dall ^^^^^Ì^ ' f^'^^ ^.^^^ino i lor confini taglienti, e dalla diversità
tentare di traspiantar, generaleggiar e ^^^^^^^^^\^^,- evudamente disgiunti. Questo g>u.
sola, quul norma infallibile ed unica, ^/'"^^^ ! ^.f • '"^^^^ „^.^^,^. ,,o,no , tuUochò cambiato in
a all^eltanlo vana, ^^..ir^^^ ;^ ^^.^o \^l^'^^^^ , per c^uanto ne fa fede Venturi,
aUa stona, cioè allo «-^^Hn- « -o/ell uo mc^ ^^ ^^^ , ^i.sloesodo. Che abbonda non ^'^
quanto quella di voler ^'-^'^'f^J^^^^ l,a dubbio, il poema di lanli passi classici
^omenlo cieli' esser umano, e scongimaiteinpiv^ ^1^^. ^^^^^^^. ^ ^^^^^ ^^^,^ ^3.
passali. Perciò veggiamo, che la ^^^^^^^ ^ gusto e'io studio, che vi si palesa, tut-
^osta ha un' età di ^^'^^^ '?J.^^^^ ^ "^ ,^ie. ne^piccan ancora una dipendenza, una'
Liodernilà, dove, a forza di ^^ /^ '^f 'jj^^'^j^ ^,^ incostanza, un manco di sicurtà poco degno al-
maneggiar gli elementi dr questa e f ^ ^"^^^^^^^^^ ^- ehi osò entrare in lizza c-on eroi, qua,,
niod^vario, finalmente surse "'V^it "teroi^^no Panie e Ariosto. Molto inslrutliva e la-
no proprio e opposto allatto ali antico. V ei o . ^^ riguardo quella ri- »
e'iiè, che, poiché ogni opposizmne, o conte a|mnte^ol^^^^^^^ Gerusalemme liberata, che =^
li di' mira' il provocare , esercitare e tempra e , ^^J^^^J^,,,^ dal tedio , dalla stili- ^
il giuoco delle forze, e il P^^^^-^^^^^'^'.^^^ir Jh l^fdal rigm^^ critico d' altrui e proprio
,ie'là delle forme intellettuali, una forma ^[^^;^'^^^^%,,,, rancor contro alla casa d^
stiera, niassimamente una nalia e peHelta , può- . .^ ^^.^^^^^^^^ ^^^^ ^^^^ scrup olos, ^
te e deve servirci di stimolo e d ''^'^^,^.'^^^, eccessiva può tarpare, opprimere e con
fezionar la nostra-, ma cosa non ; -^ J. ^^^^ ^..^ anzi il genio , che corroborar o rimpiaz
ella è, che la coltura c^ssenzuile ^J\^^;'r,°-j^, I ,,,!,. Davvero, a veder quelh concieri nifi
nazione non consiste m eleganze spigola e ^^j^T penoso cercar pelo nel? uovo, quc
classici forestieri, o ^•™«^-''''\"-'°V'i ' d teni- u^ '^"'^^•
gole d' arte servilmente osservate a guisa di t<. ì^^ ^^. ^^^,,^.^^^ ^^,, , secondo 1' unani
^.o militare, ne in un arnese di V^';^^^,^:^^,'Z^^^o de' conoscitori, però non fruttan
Ui artefatti e posticci Di ^^'^ ^"^^^1^^,^ ^^ opra dolta , langmda, secca e oscur;
ebbe senz' altro un ^""^^1^%^^"^"^^' 1 "'^;;^' ^^ un demonio invidioso e iromco ab Ir
nientreche scelse la matena del ^^' V^^-^^^^V-^^^ ^^ infiacchito quel nobile cervell
txoppo linulrofo «">--- "^ ^^'^^^^^^^ nifoii s.^a farlo giudicar questa Gerusalemme cor
e cÌe\ rinascimento delle ellere -^ /^^J X, ,, < -, ri.nile all' idea della celeste', ed
cupato ancora ed «^t-«'-'^\^'^'^^,^ ''",'"';,"" s-river a Panigarola: 'Sono affezionatissimo ■
niindo anteriore affine, benché d,s rutto, '«1 P" ^^^^^^^^^^ poema, nuovamente riformato, come
debole, per poter allerrarc, penetrare «^^ -'^- j ^^^^^^.^ l^^.,^ , el mio i.-lelletlo. Dal primo sor
nizzare 1' idea d' un mondo eh' era P^'" -' "i '^ ^,^^ ^ ^^.^^ i padri da' figliuoli ribelli, e so,
parsi, egli s' appicco a' bei "7^'"^'^^^, "" '"c'i' esser riti d'adulterio. Questo è na
Lucio passato, ed al n,odo d ;'-; ^^ J .^.«ente, come nacque Minerva da quo
d'un gran n.aesUo riverito ancor a d nosti., ^'^^\'^ ^^j^ li confiderei la vita e P ali
' classici greci e .almi, e ad Anslote^, iogguuu . ^^J^^^^^^^^J^ ,, ^^,, ,, ,,,ide P inielice d
unicamente secondo lur norma elegge. ^ ^'Pl » , commesso contro allo spinto san
,uest' aderenza, ^-ui fece tanto ^^J^^^^\^ ^,,,,,, ,, l,i .quante! sì poco del fallo
si diede 81 gran vanto, e quel cuc gn
SAGGIO SOVRA IL TASSO.
XV
sgiugnere e sconcertare 1' armonia primitiva
3lle facoltà intellettuali, e d' assordar la poe-
ca coscienza ! Ahi dui'o fato d' alma tenera e
)bile!
In somma dunque : Tasso, più lirico e mu-
cale , ch^ epico , scelta juateria epica idonea
;r sé, mane scandagliata, né capace forse di
ser incoi-niciata aristotelicamente, come per
stinto attaccandosi alla perfezione della forma,
in alma pia e tenera accumulando sulla mate-
a sua di quanto V anticliità lo fornì di bello
d' elegante, intrinsicossi massimamente in
iella parte dell' oggetto , clie colpisce e cat-
va il sentimento. E qui intenerito, tutto si
russe in melodie e cantò da bravo , talora pur
oppo consapevole e vago di sua bravura, di
odo elle, svaporato 1' estro, troppo tradì lo
orzo di supplirlo a forza d' assottigliar e di
•bellir viepiù il sentimento; lo elicgli venne
tto tanto più, quantoebè P animo suo licetLi-
) era tulio impregnato dell' idee massimamen-
pldtonielie e mistiche, le quali colla religione
cogli usi cavallereschi cospirarono a questo ef-
tto. Onde internatosi spezialmente nell' amore,
rintracciandone le tenuissime antenne e fibril-
, illanguidisce lalor, e perde quell' elasticità,
le va spandendosi di nuovo ed immedesiman-
)si in concetti ampj più vastamente e ricca-
ente organizzati. Così men ricco, poderoso e
ofondo degli antecessori suoi, gareggia con
ro in dolce intrinsichezza, in tutto quel, che
guarda la forma, e la disposizion poetica, 1' e-
cuzione e la voga del ritmo.
Volgendo ora lo sguardo di nuovo a' nostri
lattro poeti, che, qual galassia, distinguono
cielo poetico italiano , tosto scorgiamo quelle
le direzioni su mentovate della poesia: la prò-
ia e la critica. Tutti e quattro si sono im-
idroniU con nobile studio ed ardore della col-
ira de' loro anziani; stanno in cima a quella
ila loro età; sono o più, o )neno agitali dal
•iTcnte degli eventi politici, o aulici. Maschia
è r alma di Ua/ilc , ncrbuta , austera, quasi
•cigna , titanica, sdegnosa, ma nocciolo dol-
ssimo in guscio duro e acerbo. Nel fuoco del
IO inlcUctto possenlissimo e' fonde il metallo
i tutti i tcm])i, ellìgiandonc 1' idea pura e su-
imo d' umanità trasfigurala in amor celeste.
ascliia pure e 1' alma d' Arionto, supcriore ad
',ni caricatura mondana dell' iilca, con ugnale
berta or condiscendendovi, or ritrattandosi,
landò accarezzandola, e quando baleslraiulohi,
anciandosi da una sfera del mondo nell' altra,
\ un fenomeno all' altro, cambiando di forma
guisa di l'rolco. Ambidue autononn lisaiio il
mondo con occhio fermo linceo, posto in non
cale, o disdegnando quanto potrebbe frastornar-
li dalla loro idea sovrana, sempremai nuova,
fresca e rigenerata , in cui pur sempremai ti'a-
luce la loro nazionalità ed età insieme coli' in-
dividualità. Ai lor produtti è innato lor pro-
prio ritmo e legge. D' imitazione degli antichi
poco si curano , ancorché gì' incontrino di
quando in quando, senza volerlo; perchè il prin-
cipio e la massima degli antichi , il ritmo gran-
dioso de' loro concetti, è quel, eh' eglino si ap-
propriarono e trasformarono. Fidandosi e go-
dendo della lor forza natia e del proprio genio,
a cui pur Dio diede ancora arte e saviezza, dis-
degnano la limosina, oppur la preda di fregi
alieni; anzi dagli stami della lor vita propria e
del lor secolo tessono la tela del mondo, intrec-
ciandovi tutto in colori freschi, vivi e splendidi.
Tal è la lor poesia primitiva e genuina, poesia
della religione, della cavalleria e dell' amore, la
quale dovette esser diversa dall' antica, poiché
queste idee, o queste lor forme magicamente
cangianti nel ehiaror dell' intelletto, nel cre-
puscolo della fede, nell' alba della speranza, o
nel chiaroscuro della carità, furono ignote agli
antichi. Dirimpetto a que' genj maschj la sto-
ria ha messo due donneschi e suscettivi, Pe-
trarca e Tasfio, de' quali la tempra e tendenza
differente, la spera più angusta, ed una qualche
monotonia sono incontrastabili. Tendenza, dico,
imitativ^a e critica, la quale, collocando la poesia
in ordine sotto la dialettica insieme con la ret-
lorica (v. Discors. di Tasso del poema ep. e. 45-
To. 3. ed.mil.), e credendo, ,, che spezie di poesia
none oggi in uso, né fu in uso negli antichi
tempi, né per un lungo volger de' secoli di
nuovo sorgerà , nella cui cognizione non si deb-
ba credere, che jienetrassc Aristotele con quella
medesima sottigliezza d' ingegno, con la quale
tutte le cose, eh' in questa gran macchina Dio
eia natura rinchiuse, sotto dicci capi dispose,
e con la quale tanti e sì varj sillogismi ad alcune
poche forme riducendo, breve e perfetta arte
ne compose" (ivi e. 115), confondendo cosi il ge-
nio doli' età e della poesia diverso, e proprio,
men penetrò d' ambidue la sostanza, che la for-
ma, a quella dunque eil alla di lei tersezza ed
eleganza tutto s' arrese, od in somma men ge-
nerò e creò dentro dal fondo doli* idea , clic
fregionnc una, o poche. Infiacchila in essi
i)ar la virtù procreafricc doli' idea; e rinunziato
eh' ella ebbe (juasiasé medesima, inlenta ad una
altra spera pili rimota, posta Ira il si e il no,
iinalmonle pertlellc la presenza fresca ed imme-
diata, la quale perciò muore e si perde in suoni
XVI SAGGIO SOVRA IL TASSO.
di desio mai pago. Onde quella monotonia molle,
quello struggersi e tramontare d" un mondo privo
della forza di projezione in un' alma bella, quel
suo ricader nella sua generalità indistinta e vuota.
L' Amore è il lor dio, a cui sacrificano, Platone
il di lui sacerdote, Aristotele il sagrestano, essi
i maestri di cappella e compositori eccellenti,
il mondo una corte d' amore, o un giuoco flo-
reale.
Scusino gli ammiratori assoluti e smisurati de-
gli due ultimi poeti questo nostro giudizio, rillet-
D' in su da questo punto di vista siiratte elegie,
che compiangono quasi il doloroso fato di quanto
par bello, grande e augusto in persone ed in
nazioni, sono anzi sublimi canti trionfali, ed
eco della beltà, che su risale a' cieli suoi.
Due parole ci sian ancora permesse, per
confermai-e quanto è stato detto di sopiu della
classicità, qual fior d'ingegno nazionale, pro-
dutto e coltivato dal tempo. Chiunque con-
sidera la letteratura poetica italiana dell' età
nostia, qual ella si mostra ne' Cesarotti, Pa-
tendo, che ciò non ostante ancor noi rispettiamo! rini , Alfieri, Monti, Foscoli , Pindemonti,
in loi'o lirici squisitissimi e maestri, tutto che siamo
persuasi, che la lirica è sol una forma della poe-
Manzoni, Niccolini ecc., forza è, che riconosca
una tempra d' ingegno affatto differente, mire
sia; che la poesia è riprodotta forma dell' uni- | ed intenzioni mcn formali, che materiali, e per
verso, e concetto di questo altrettanto organico, altro di gran lunga distanti da quelle de' quattro
quanto 1' universo stesso; che dunque il valor ; poeti classici qui radunati, se non che vi trascorra!
del poeta dipende dalla ricchezza, dall' ampiezza 'una qualche vena dantesca, ed è quella di spec-j
e profondità de' suoi concetti, come dalla di ; chiar immediatamente e frescamente la vita ed
lui forza plastica ; che, come nella forma umana il genio italiano attuale, abbattuto in uno e cou|
e la beltà si manifesta il giusto modo e la ricon
ciliazione di tutte le forze di natura sin là nemi
fortato, si dalla memoria dogliosa d' una grani
dezza antica perduta, e sì dalla speranza d'uni
che, cosi la j^oesia è il paradiso, in cui intimis-j avvenire più consolante da congiurarsi con mas
simamente son congiunti voler arbiliario o par- chio senno nobile. Scosse ha ancor le nienti
ticolare, elegge; che finalmente già la prepon- 1' anime italiane quella burrasca violenta d' u
deranza dell' elemento musicale nella poesia mo- tempo tra distruttivo e rigenerativo, tra cadent
derna, con cui le linee rigide della beltà si scio-j e rinascente. Speliti si sono, appassiti e svapc
gliono in movimento e s' animano, dovrebbe riti quei sogni favolosi d' una vita amorosi
mostrar un rovescio intero di principio; prin- che vassi struggendo in pianti e in lai, in desi
cipio, che amorevolmente induce a sagriflcarej e concelti, eh' a guisa d' api o di pecchioni ve
ogni particolarità all' armonia del tutto. Intanto leggiano intorno al fior fattizio d' Amoi-e. A
se in questo modo, paragonando principalmente ti'e gesta ed opre, che quelle favolose rodomoi
le membra d' una serie , incolpiamo a ragione tcsche, agogna V anima più soda e austera, E
la strettezza e la monotonia delle idee di que' fatta tempra, si fatto stile d' anima e di inen
due poeti, conveniamo eziandio dall'altro can-|si pronunzia in diverse guise sin nella criti
lo, eh' ancora in ciò riconosciamo legge di na- della lingua. Sono stimati e celebrati quelli co:i
tura, e di storia, oppur d' intelletto, le quali lei della nazione sparsa e divisa in quantità
librandosi in giii ed in su polseggiano, e tengono cittadi che si contrappesano fra di loro. Or e
un certo ritmo, nel quale spiccano tuttavia i diremo? Niegheremo forse, che classici sia
contrapposti, a fine di rivelar cosi tutti i mo- quegli autori, che rappresentano il fior di se
menti vitali, e lor modo ed ordine. Dappcr- timento e d' ingegno della loro età, unicamen
tutto veggiam , eh' un fenomeno, un elemento perchè non sono romanzeschi in senso d'Arios
provoca, involve e spiega 1' altro. Ha in oltre di Petrarca, o simili? o perchè non sono di fi
qualche cosa di patetico quel fior fragante di ma greca? Basti d'avere accennato con que
canto amoroso, passeggicro al par della sua ma-' poche parole la rotazione della i)oesia italiai
teria , e della beltà. Imperocché, tanto alta por confonder coloro , che per parzialità, p]
essendo la vera beltà originaria, che non cape giutlizio , o qualsivoglia altra angustia d' aniS(-
nè anco nell' arte, anzi disdegna d' irrigidir in e d' intelletto sviliscono 1' età presente poeti|J[|
forma, o di struggersi in suoni, ov' ella poiisol perchè è acerba, e verde, e sboccia soltand.
assume forma e spoglia terrestre, soccombe ad Un commercio piii franco, intimo e frequem >
un iato, ad un principio aspro e scuro Simile-i con altre nazioni, ed una contezza jiiù pieiKili
mente nella milologia lo spirito umano è sempre' quanti v' ha mezzi di coltura, certo promuos-
mai un dio soIlVienle nel tempo, unicamente ranno ancor questa nazione, tostochè 1' oren
per rivelar il trionfo dell' eterna gloria e della, la toccherà nel consiglio eterno del motor t-
bellà invisibile sovra la di lei frale copia terrena, premo.
L A
:jerusalemme liberata
D I
TORQUATO TASSO.
CANTO PRIMO,
ARGOMENTO.
Perchè ornai di servaggio esca e dì duolo
La città santa , che soccorso attende,
Dair empirea magion dispiega il volo
Messaggier, che Goffredo alV armi accende.
Ond' ei de' cavalieri il primo stuolo
Aduna, e primo duce indi risplendc:
Splender quinci d' acciaro il campo vede;
Poi seco al grande acquisto affretta il piede.
1. Canto r armi pietose c'I capitano,
Chr, 'I gran sepolcro lihcrò di Cristo.
IVIoiLo e|^li oprò col senno e con la mano,
IVlnlto èoll'rì nel f^lorioso acquislo.
K invan 1' inferno a lui s' oppose, e insano
8' armò d' Asia e di l.ii)ia il popol mi-to ;
C'hè il «'iel f:;!i die,' l'avorc, e sotto ai santi
Sep^ni ridusfC i snoi compaf^ni erranti.
2. () Musa, tu, che di cadiiclii allori
]\on circiuuli la l'ronte in Klicona,
Ma su nel cielo intra ì heati cori
Hai di stelli; iininortali aurea corona.
Tu sjìira al petto ini(t cele^ti ardori,
Tu rischiara il mio canto, e tu perdona,
S'intesso l'refji al ver, s'adorno in parte
D'altri diletti , che de' tuoi , le carte !
3. Sai, che là corre il mondo, ovi" iiiii %ersi
Di sue dolce/.ze il lii>iiif;liier l'ariiii>o.
Il I iie 'I vero <:iindì(o in molli versi
I più schivi allettando ha persuaso.
Cn^i all' ef;ro l'ancinl porfj^iamo asper^i
Dì soave licor <;li orli del vaso:
SSiicelii anniri ini^annato intanto ei he^c,
l'i dall' in;;'anno suo vita riceve.
4. Tu, maf^nanimo Alfonso, il qnal ritogli
Al furor di fortuna, e guidi in porto
Me peregrino errante, e fra gli scogli
E fra r onde agitato e quasi absorto,
(Queste mie carte in lieta fronte accogli.
Che quasi in voto a te sacrate i' porto !
Forse un dì fia, che la presaga penna
Osi scriver di te quel, ch'or n'accenna.
5. È ben ragion (s' egli aAT^errà, eh' in pace
Il buon popol di Cri^to nnqua si veda,
E con navi e cavalli al fero Trace
Cerchi ritor la grande ingiusta preda)
Ch' a te lo scettro in terra , o se ti piace,
L' alto imperio de' mari a te conceda.
Emulo di Goffredo , i nostri canni
Intanto ascolta, e t'apparecchia all' armi!
6. Già '1 sesto anno volgea, eh' in oriente
Passò il campo cristiano all' alta impresa:
E Mcea per assalto, e la jiotente
Antiofthia con arte a^ea già presa.
L' avea poscia in liattaglia incontro a gente
Di Persia innnmerahile difesa,
E Tortosa espugnata: indi alla rea
Stagion die' loco, e 1 novo anno attende».
7. E '1 (ine omai di qu«l i>iovoso inverno,
Cile Ica r armi cessar, linige non era,
(Quando ilalT alto soglio il l'adn; eterno,
('11' è nella parte più del elei >incera,
I] (|uanto ì: dalle >telle al hasso inferno,
Tanto è più in su della stellata spera,
(ìli occhj in giù volse, e in un sol punto, e in una
\ i>ta mirò ciò, ch'in sé il iiunido aduna.
8. Mirò tutte le cose , ed in Soria
S' nflissò poi ne' priniipi cri>tiani,
E Cini quel gnarilo suo, eh' addentro spia
Nel più serrilo lor gli alVetli umani,
\v{U'. («ollVeilo. che scacciar de>ia
Dalla santa eitià gli cmpj pagani,
E |iieu ili le, di y.elo, ogni mortale
(riorìa, impero, tesur, inette in non cale.
m
GERUSALEMME LIBERATA. (I. 0—24)
9. Ma Tede in Baldovin cupido ingegno,
Ch' air umane grandezze intento iis|)ira:
Vede Tancredi aver la vita a sdegno.
Tanto un suo vano amor 1' ange e martira :
E fondar Boemondo al novo regno
Suo d' Antiochia alti principj mira,
E leggi imporre, ed introdur costumo
Ed arti, e culto di verace nume,
10. E cotanto internarsi in tal pensiero,
Ch' altra impresa non par che più rammenti.
Scorge in Rinaldo ed animo guerriero,
E spirti di riposo impazienti,
Non cupidigia in lui d' oro o d' impero,
Ma d' onor hranic imraoderate, ardenti:
Scorge, che dalla hocca intento pende
Di Guelfo, e i chiari antichi esempj apprende.
11. Ma, poich' ebbe di questi e d' altri cori
Scorti gì' intimi sensi il re del mondo,
Chiama a sé dagli angelici splendori
Gabriel, che ne' primi era il secondo.
È tra Dio questi e 1' anime migliori
Interprete fedel, nunzio giocondo:
Giù i decreti del ciel porta, ed al cielo
Riporta de' mortali i preghi e '1 zelo.
12. Disse al suo nunzio Dio: Goffredo trova,
E in mio nome di' lui: perchè si cessa?
Perchè la guerra omai non si rinnova
A liberar Gerusalemme oppressa?
Chiami i duci a consiglio, e i tardi mova
All' alta impresa ! ei capitan Ila d' essa !
Io qui r eleggo, e '1 faran gli altri in terra,
Già suoi compagni , or suoi ministri in guerra.
13. Così parlógli: e Gabriel s' accinse
Veloce ad eseguir 1' imposte cose.
La sua forma inviciibii d' aria cinse,
Ed al senso mortai la sottopose:
Umane membra, aspetto uman si finse,
Ria dì celeste maestà il compose.
Tra giovane e fanciullo età confine
Prese, ed ornò di raggi il biondo crine.
14. Ali bianche vestì , ch'han d' or le cime,
Infaticabilmente agili e preste.
Fende i venti e le nubi , e va sublime
Sovra la terra, e sovra il mar con queste.
Così vestito indirizzossi all' ime
Parli del imuido il messaggier celeste.
Pria sul Libano monte ci si ritenne,
E si librò suir adeguate penne.
15. E ver le piagge dì Tortosa poi
Drizzò precipitando il volo in giuso.
Sorgeva il nuo^o sol dai lidi coi,
l'arte già fuor, ma '1 più nell' onde chiuso;
K porgea mattutini i preghi suoi
(«odrcdo a Dio, com' egli avea per uso,
Quando a paro col sol, ma più lucente,
L' angelo gli apparì dall' oriente,
16. E gli disse: Goffredo, ecco opportuna
Già la stiigion , eh' al guerreggiar s' aspetta !
Perciiù (hiti(|iu; trapor dimora alcuna
A lihcnir (ìcrnsalem soggetta?
Tu i principi a consiglio omai raguna.
Tu ili lìn dell' opra i neghittosi affretta!
Dio per lor (inrc. già t' elegge, ed essi
Sopporran volontarj a te «è «tessi.
m
17. Dio messaggier mi manda; io ti rivelo
La sua mente in suo nome. Oh quanta spene
Aver d' alta vittoria, oh quanto zelo
Dell' oste a te commessa or ti conviene!
Tacque, e sparito rivolò del cielo
Alle parti più eccelse e più serene.
Resta Goffredo ai detti, allo splendore,
D' occhj abbagliato, attonito di core.
18. Ma poiché si riscote, e che discorre.
Chi venne, cìù mandò, che gli fu detto.
Se già bramava, or tutto arde d' imporre
Fine alla guerra , ond egli è duce elelto.
Non che '1 vedersi agli altri in del preporre
D' aura d' ambizion gli gonfi il petto;
Ma il suo voler più nel voler s' infiamma
Del suo signor, come favilla in fiauuua.
19. Dunque gli eroi compagni, i quai non lungo
Erano sparsi, a ragunarsi invita,
Lettere a lettre, e messi a messi aggiunge;
Sempre al consiglio è la preghiera unita.
Ciò, eh' alma generosa alletta e punge,
Ciò, che può risvegliar virtù sopita,
Tutto par che ritrovi, e in efficace
Modo r adorna sì , che sforza e piace.
20. Vennero i duci , e gli altri anco seguire ;
E Boemondo sol qui non convenne.
Parte fuor s' attendò , parte nel giro,
E tra gli alberghi suoi Tortosa teime.
I grandi dell' esercito s' unirò
(Glorioso senato) in dì solenne.
Qui il pio Goffredo incominciò tra loro
Augusto in volto, ed in sermon sonoro:
21. Guerrier di Dio, ch'a ristorare i danni
Della sua fede il re del cielo elesse,
E securi fra 1' armi e fra gì' ingannì
Della terra e del mar vi scorse e resse ;
Siedi' abbiam tante e tante in sì pochi anni
Ribellanti provin('e a lui sommesse,
E fra le genti debellate e dome
Stese r insegne sue vittrici, e '1 nome:
22. Già non lasciammo i dolci pegni e '1 nido
Nativo noi, se '1 creder mio non erra,
Kè la vita esponemmo al mare infido,
Ed ai perigli di lontana guerra.
Per acquistar di breve suono un grido
Volgare, e posseder barbara terra:
Che proposto ci avremmo angusto e scarso
Premio , e in danno dell' alme il sangue sparso
Ma fu de' pensier nostri ultimo segno
'
I 23.
Espugnar di Si<ui le nobil mura,
E sottrarre i cristiani al giogo indegno
Di servitù così spiacente e dura,
Fondando in Palestina un novo regno,
Ov' abbia la pietà sede secura,
ÌSè sia chi neghi al peregria devoto
D' adorar la gran tomba, e sciorre il voto.
21. Dunque il fatto finora al riscliio è molto.
Più elle mollo al travaglio, all' onor poco,
INulIa al disegno, <»vc o si fermi, o volto
Sia r impeto dell' armi in altro loco.
Che gioverà l' aver d' Europa accolto
Si grande sforzo, e posto in Asia il foco,
Quando sian poi di tanti moti il fine
Non fabbriche di regni, ina ruuie?
GERUSALEMME LIBERATA. (L 25 — 40)
[6]
. Non edifica quei, che \uo\ gì' imperi
Su fondamenti fabbricar mondani.
Ove lia j)ochi di patria e fé stranieri
Fra gì' infiniti popoli pagani:
Ove ne' Greci non convien che speri,
E i favor d'occidente ha s; lontani;
Ma ben move ruine , ond' egli oppresso
Sol costrutto un sepolcro abbia a sé stesso.
Turchi , Persi , Antiochia (illustre suono,
E di nome magnifico e di cose)
Opre nostre non già, ma del cicl dono
Furo , e vittorie tur maravigliose.
Or, se da noi rivolte e torte sono
Contra quel fin , che l donator dispose,
Temo cen privi, e favola alle genti
Quel sì chiaro rimbombo alfin diventi.
Ah non fia alcun, per Dio, che sì graditi
Doni in uso si reo perda e diffonda !
A quei che sono alti princijij orditi
Di tutta r opra il filo e I' fin risponda!
Ora che i passi liberi e spediti,
Ora che la stagione abbiam seconda,
Che non corriamo alla città, eh' è meta
D' ogni nostra vittoria? e che più '1 vieta?
Princij)i , io vi protesto (i miei protesti
Udrà il mondo presente, udrà il futuro,
Gli odono or su nel cielo anco i celesti)
Il tempo dell' impresa è già maturo.
Men divien opportun, più che si resti:
Incertissimo fia quel , eh' è securo.
Presago son , s' è lento il nostro corso.
Avrà d' Egitto il Palestin soccorso.
Disse: e ai detti segui breve bisbiglio.
Ma sorse poscia il solitario Piero,
Che privato fra' principi a consiglio
Sedea , del gran passaggio autor primiero :
Ciò eh' es(»rta Gofliredo, ed io consiglio;
]\è loco a dubbio v' ha , sì certo è il vero,
E per sé noto: ei dimostrollo a limgo,
Voi r approvate, io questo sol v' aggiungo.
Se ben raccolgo le discordie e I' onte
Quasi a prova da voi fatte e patite,
I ritrot^i pareri, o le non pronte
E in mezzo all' eseguire opre impedite,
Ueco ad un' alta originaria fonte
La cagi(m d' ogni indugio e d' ogni lite;
A queir autorità, che in molti e varj
D' opinion quasi librata è pari.
Ove un sol non impera , onde I giudici
Pendano poi de' prenij e delle pene.
Onde siari compartite opre ed iilfici.
Ivi errante il governo esser conviene.
Dell, l'ale un corpo sol di membri amici!
Fate un cap»», che gli altri indriz/.i e freno!
Date ad uu sol lo scettro e la possanza,
E sostenga di re vece e sembianza!
Qui tacque il veglio. Or quai pensier, qua! petti
Son ( hiusi a te, saut' aura, «; divo ardore.''
lu.-^piri tu dell' ereniila i detti,
E tu gì' iinpriuii ai cabalici- nel core:
Sgombri gì' inserti, anzi gì' innati all'etti
Di sovrastar, di libertà, d' onore;
Sicché (ìugliehno e Guelfo , i più sublimi,
Chiamar GofiVedo per lor duce i primi.
33. L' approvar gli altri. Esser sae parti denno
Deliberare e comandar altrui.
Imponga ai vinti legge egli a suo senno:
Porti la guerra, e quando vuole, e a cut
Gli altri, già pari, ubbidienti al cenno
Siano or ministri degl' imperj sui.
Concluso ciò, fama ne vola, e grande
Per le lingue degli uomini si spande.
34. Ei si mostra ai soldati; e ben lor pare
Degno dell' alto grado , ove l'han posto,
E riceve i saluti e '1 militare
Applauso in volto placido e composto.
Poich' alle dimostranze umili e care
D' amor, d' ubbidienza ebbe risposto,
Impon, che '1 dì seguente in un gran campo
Tutto si mostri a lui schierato il campo.
35. Facea nell' oriente il sol ritorno
Sereno e luminoso oltre 1' usato, ^
Quando co' raggi uscì del novo giorno
Sotto r insegne ogni guerriero armato,
E si mostrò quanto potè più adorno
Al pio Buglion, girando in largo prato.
S' era egli fermo, e si vedea davanti
Passar distinti i cavalieri e i fanti.
36. Mente, degli anni e dell' ohblio nemica,
Delle cose custode e dispensiera,
Vagliami tua ragion sicch' io ridica
Di'quel campo ogni duce ed ogni schiera!
Suoni e risplenda la lor fama antica.
Fatta dagli anni ornai tacita e nera!
Tolto da' tuoi tesori orni mia lingua
Ciò, eh' ascolti ogni età, nulla l' estingua!
37. Prima i Franchi mostrarsi: il duce loro
Ugone esser solca, del re fratello.
Keir isola di Francia eletti foro,
Fra quattro fiumi ampio paese e bello.
Posciach' Ugon morì, de' gigli d' oro
Seguì r usata insegna il fier drappello
SoUo Clotareo, capitano egregio,
A cui , se nulla manca, è il sangue regio.
3B. Mille son di gravissima armatura:
Sono altrettanti i cavalier seguenti.
Di disciplina ai primi e di natura,
E d' arme, e di sembianza indiflerenti,
Kormandi tutti ; e gli ha Roberto in cura,
Che principe nativo é delle genti.
Poi duo pastor de' popoli spiegaro
Le squadre lor, Guglielau) ed Ademaro.
39. I/uno e l' altro di lor, che ne' divini
I lUci già trattò pio ministero, _ ^
Sotto r elmo premendo i hmghi crini.
Esercita dell' arme or l' uso IVro.^
Dalla città d' Grange e dai confini ^
Qualtroiento guerrier scelse il primiero:
!Ma guida quei di Poggio in guerra l nitro,
^ omero egual, né nieii ncU' uruu scaltro.
40. Haldoviu poscia in mostra addur si vede
Co' IJologuesi suol quei del germano:
(he lo sue genti il pio fratel gli cede.
Or eh' ei de' capitani é capitano.
II conte de' Carnuti indi succede,
Potente di consiglio, e prò di miMio.
Aau con lui qnallroceuto; e triplicati
Conduco Daldovino in sella armati.
1 'f
m
GERUSALEMME LIBERATA, (l. 41 — 56)
[8]
41. Occupa Guelfo il campo a lor vicino,
Uora, eh' all' alta fortuna agguaglia il merto.
C(»nta costui per genitor latino
Degli avi estensi un lungo ordine e certo.
Ma geriuan di cognome e di domino,
Kella gran casa de ' Guelfoni è inserto :
Regge Carintia , e presso 1' Istro e '1 Reno
Ciò, che i prischi Sùevi e i Reti avieno.
42. A questo, che retaggio era materno,
Acquisti ei giunse gloriosi e grandi.
Quindi gente traea, che prende a scherno
D' andar centra la morte, ov' ei comandi,
Usa a temprar ne' caldi alberghi il \erno,
E celebrar con lieti inviti i prandi.
Fur cinquemila alla partenza ; appena
(De' Persi avanzo) il terzo or qui ne mena.
43. Seguia la gente poi candida e blonda,
Che tra i Franchi, e i Germani, e '1 mar si giace.
Ove la 3Iosa ed ove il Reno inonda,
Terra di biade e d' animai ferace.
E gì' isolani lor, che d' alta sponda
Riparo fansi all' océan vorace;
L' océan, che non pur le merci e j legni.
Ma intere inghiotte le cittadi e i regni.
41. Gli uni e gli altri son mille, e tutti vanno
Sotto un altro Roberto insieme a stuolo.
Maggior alquanto è lo squadron britanno:
Guglielmo il regge, al re minor figliuolo.
Sono gì' inglesi sagittarj^ ed hanno
Gente con lor , eh' è più vicina al polo.
Questi dall' alte selve irsuti manda
La divisa dal mondo ultima Irlanda.
45. Vien poi Tancredi; e non è alcim fra tanti
(Tranne Rinaldo) o feritor maggiore,
O più bel di maniere e di sembianti,
0 più eccelso , ed intrepido di core.
S' alcun' ombra di colpa i suoi gran vanti
Rende men chiari, è sol follia d' amore,
Kato fra 1' arme, amor di breve vista.
Che si nutre d' affanni, e forza acquista.
46. E fama , che quel di , che glorioso
Fé' la rotta de' Persi 'I popol franco,
Poiché Tancredi alfin vittorioso
1 fuggitivi di seguir fu stanco,
Cercò di refrigerio e di riposo
All' arse labbia, al travagliato fianco,
E trasse, ove invitollo al rezzo estivo
Cinto di verdi seggi un fonte vivo.
47. Quivi a lui d' improvviso una donzella,
Tutta, fuorcliè la fronte, armata apparse.
Era pagana, e là venuta anch' ella
Per 1' istessa cagion di ristorarse.
Egli mirolla , ed auunirò la bella
Sembianza, e d' essa si compiacque, e n' arse.
Oh maraviglia! Amor, che a|)pena è nato,
Già grande vola, e già trionfa armato.
48. Ella d' cimo coprissi e se non era,
Cir altri quivi arri\àr, ben I' assaliva.
Parti dal vinto sue» la donna altera,
C'h' è per ncc^essità sol fuggitiva;
Ma r immagine sua bella e guerri(Ta
Tale ei serbo nel «;or , qual essa è viva;
E sempre ha nel pen^iero e 1' atto , e '1 loco,
In che la vide, cbca continua al fuco.
49. E ben nel volto suo la gente accorta
Legger potria: questi arde, e fuor di spene ;
Così vieu sospiroso, e così porta
Rasse le ciglia, e di mestìzia piene!
Gli ottocento a cavallo, a cui fa scorta.
Lasciar le j)iagge di Campagna amene.
Pompa maggior della natura, e i colli.
Che vagheggia il Tirren, fertili e molli.
50. Venian dietro dugento in Grecia nati,
Che son quasi di ferro in tutto scarchi:
Pendon spade ritorte all' un de' lati.
Suonano al tergo lor faretre ed archi:
Asciutti lianno i cavalli , al corso usati,
Alla fatica invitti , al cibo parchi ;
]\eir assalir son pronti e nel ritrarsi,
E combatton fuggendo erranti e sparsi.
51. Tatin regge la schiera, e sol fu questi,
Che Greco accompagnò 1' armi latine.
Oh vergogna, oh misfatto! or non avesti
Tu, Grecia, quelle guerre a te vicine?
E pur quasi a spettacolo sedesti,
Lenta aspettando de' grand' atti il fine.
Or se tu se' vii serva, è il tuo servaggio
(]\on ti lagnar!) giustizia, e non oltraggio.
52. Squadra d' ordine estrema ecco vien poi,
]\Ia d' onor prima, e di valore e d' arte.
Son qui gli avventurieri invitti eroi,
Terror dell' Asia , e folgori di Marte.
Taccia Argoi i\Iini, e taccia Artù que' suoi
Erranti, che di sogni empion le carte;
Ch' ogni antica memoria appo costoro
Perde. Or qual duce fia degno di loro ?
53. Dudon di Consa è il duce: e, perchè duro
Fu il giudicar di sangue e di virtute.
Gli altri supporsi a lui concordi furo,
Ch' avea più cose fatte e più vedute.
Ei di virilità grave e maturo
Mostralo fresco vigor chiome canute;
Mostra, quasi d' onor vestìgi degni,
Di non brutte ferite impressi segni.
54. Eustazio è poi fra' primi, e i propri pregi
Illustre il fanno , e più il fratel Buglione.
Gernando v' è, nato di re norvegi.
Che scettri vanta, e titoli, e corone.
Ruggier di Balnavilla infra gli egregi
La vecchia fama, ed Engerlan ripone.
E celebrati son fra ì più gagliardi
Un Gentonio, un Rambaldo, e due GJierardi.
55. Son fra' lodati Ubaldo anco , e Rosmondo,
Del gran ducato di Lincastro erede.
Non Ila eh' Obizo il tosco aggravi al fondo,
Chi fa delle memorie avare prede;
]\è i tre fratei lombardi al chiaro mondo
Involi, Achille, Sforza, e Palamede,
O 'l forte Otton, elie conquistò lo sciulo,
In cui dall' angue esce il fanciullo ignudo.
5(j. Nò Guasco, nò Ridolfo addietro lasso.
Né r un nò 1' altro («nido , ambo famosi.
Aon Eberardo , e niui (ìernier trapasso
Sotto silenzio ingriitaiiu-iite ascosi.
0\e voi me, di nuuu:rar già lasso,
(iìildi|ip(^ ed Odoardo, amanti e sposi.
Rapile.'' Oli nella guerra anco consorti,
Non sarete disgiunti , uncorchè morii !
[9]
GERUSALEMME LIBERATA. (I. 57 — 72)
[10]
59
60
57. Nelle scuole d' Amor che non s' apprende?
Ivi si fé' costei guerriera ardita :
Va sempre affìssa al caro fianco , e pende
Da un fato solo l' una e 1' altra vita.
Colpo , eh' ad un sol noccia , unqua non scende,
Ma indivìso è il dolor d' ogni ferita :
E speso è r un ferito, e V altro langue;
E versa 1' alma quel, se questa il sangue.
58. Ma il fanciullo Rinaldo, e sovra questi,
E sovra quanti iu mostra eran condutti,
Dolcemente feroce alzar vedresti
La regal fronte, e in lui mirar sol tutti.
L' età precorse, e la speranza; e presti
l'areano i fior , quando n' uscirò i frutti.
Se '1 miri fulminar nell' arme avvolto.
Marte lo stimi; Amor, se scopre il volto.
Lui nella riva d' Adige produsse
A Bertoldo Sofia, Sofia la bella
A Bertoldo il possente: e priachè fussc
Tolto quasi il harnhin dalla mammella,
Matilda il volse, e nutricollo, e instrusse
]\eir arti rege: e sempre ei fu con ella,
Finch' invaghì la giovanetta mente l
La tromba, che s' udia dall' oriente.
Allor fneppur tre lustri uvea forniti)
Fuggì soletto , e corse strade ignote,
Varcò r Egeo, passò di Grecia i liti,
Giunse nel campo in rcgion remote.
Nobilissima fuga, e che 1' imiti
Ben degna alcun magnaniuu» nipote!
Tre anni son, eh' è in guerra; e intempestiva
Molle piuma del mento appena usciva.
61. Passati i cavalieri, in mostra viene
La gente a piedi, ed è Raimondo innanti;
Beggea Tolosa, e scelse infra Pircne,
E fra Garonna, e 1' ocean suoi fanti.
Son quattromila , e ben armati e bene
Instrutti, usi al disagio, e tolleranti.
Buona è la gente , e non può da più dotta
O da più forte guida esser condotta.
Ma cinquemila Stefano d' Ambuosa,
E di Blesse , e di Turs iu guerra adduce.
Non è gente ro])usta, o faticosa,
Scblitn tutta di ferro ella riluce.
La terra untile, e lieta, e dilettosa
Simili a sé gli abitaUir produce.
Impeto fan nelle Itattaglie prime;
Ma di leggier poi langue, v. »i rcjirimc.
Alcasto il terzo vien , qual presso a Tebe
Già Capaneo, con minaccioso volto:
Seimila Klve/.j, audace e (era plebe,
Dagli alpini castelli avea racc-olto,
Che 'l ferro, uso a far solchi, a franger glebe,
In nove forme, e in più «legno opre ha volto:
E con la man , che guardò ro/,/.i armenti,
Par, eh' i regi biìdar milla pa>enti.
Vedi appresso si)iegar l' alto ves^illo
Col diadema di Piero, e con le chia\i.
(^uì si'ltemila aduna il buon ('amillo
P<doni, d' arme rilucenti e gra>i;
Lieto clr a (anta impreca il ciel soilillo,
O^e rinno\i il prisco oiior «legli a>i,
O m(l^tri almen , eli' alla ^irtù Ialina
O nulla luuucu, u bul la diaciplinu.
62
63.
64
65. Ma già tutte le squadre eran con bella
Mostra passate , e 1' ultima fu questa,
Quando Goflìedo i maggior duci appella,
E la sua mente lor fa manifesta.
Come appaja diman 1' alba novella,
ì'o', che r oste s' invii leggera e presta.
Siedi' ella giunga alla città sacrata,
Quanto è possibil più, meno aspettata.
66. Preparatevi dunque ed al viaggio,
Ed alla pugna, e alla vittoria ancora!
Questo ardito parlar d' uora così saggio
Sollecita ciascuno , e l' avvalora.
Tutti d' andar son pronti al novo raggio,
E impazienti in aspettar l' aurora.
Ma '1 provvido Buglion senza ogni tema
Non è però, benché nel cor la prema;
67. Perch' egli avea certe novelle intese.
Che s' è d' Egitto il re già po»to in via
Inverso Gaza , bello e forte arne^e
Da fronteggiare i regni di Scria :
Né creder può , che F uomo a fere imprese
Avvezzo sempre or lento in ozio stia :
Ma d' averlo aspettando aspro nemico,
Parla al fedel suo messaggiero Enrico.
68. Sovra una lieve saettia tragitto
Vo' che tu faccia nella greca terra.
Ivi giunger dovea (cosi m' ha scritto.
Chi mai per uso in a^^isar non erra)
Un giovane regal, d' animo infitto,
Ch' a farsi vien nostro compagno in guerra:
Prence é de' Dani, e mena un grande stuolo
Sm dai paesi sottoposti al polo.
69. I\Ia , perchè 'l greco imperator fallace
Seco forse userà le solile arti,
Per far , eh' o torni indietro , o '1 corso audace
Torca iu altre da noi lontane parti:
Tu , nunzio mio , tu , consiglier verace.
In mio nome il disponi a ciò che parti !
Nostro e suo Itene; e di', cIk; tosto ^egna!
Che di lui fora ogni tardanza indegna.
70. Non venir seco tu; ma resta appresso
Al re de' Greci a procurar l' ajntct.
Che, già più d' una volta a noi promesso.
E per lagion di palt(t anco doviUo.
Così parla e l' informa : e poiché 1 messo
Le lettre ha di credenza e di salulit.
Toglie an'retlando il suo jiavlir ii)iìgciì(t ;
E tregua fa co' suoi peusier Gullredo.
71. 11 dì seguente, allor eh' aperte sono
Del lucido oriente al sol le porle.
Di trombe udi>?i e di laminili un suono,
Ond' al «'.anmiino ogiti giu-rrier s' e^rrle.
Non è »ì grato ai caldi i;(iiiiii il tuono,
C'he speranza di pioggia al mondo apporto,
Come fu car(t alle ieroci genti
L' altero suon de' belli('i islriiinenti.
72. Tosto ciascun da gran <le»io com|iiuito
Veste le membra dell usale spoglie.
E (osto appar ili tulle 1' arme in punto:
'l'o^to sotto i suoi duci ogn' noni s' accoglie.
i) I' ordinalo e>ercito c(tnginnlo
'l'ulte le >nc b.indicre al vento sciitglic;
E nel %e>>illo imperiale <; granile
La Iriunluule croce al ciel ai ^paude.
[11]
GERUSALEMME LIBERATA. (L 73-88)
[12]
T3. Intanto il sol, che da' celesti campì
Va più sempre avanzando , in alto ascende,
L' arme perente, e ne trae fiamme e lampi
Tremnli e chiari , onde le viste ofFende.
L' aria par di faville intorno avvampi,
E quasi d' alto incendio in forma splende;
E co' fieri nitriti il suono accorda
Del ferro scosso , e le campagne assorda.
74. Il capitan, che da' nemici agguati
Le schiere sue d' assecurar desia,
Molti a cavallo leggiermente armati
A scoprire il paese intorno invia:
E innanzi i guastatori avea mandati,
Da cui si dcbhia agevolar la via,
E i vuoti luoghi empire , e spianar gli erti,
E da cui siano i chiusi passi aperti.
75. Non è gente pagana insieme accolta,
Non muro cinto di profonda fossa.
Non gran torrente, o monte alpestre, o folta
Selva , che '1 lor viaggio arrestar possa.
Cosi degli altri fiumi il re talvolta,
Quando superbo oltra misura ingrossa,
Sovra le sponde ruinoso scorre,
Né cosa è mai, che gli s' ardisca opporre.
70. Sol di Tripoli il re , eh' in hcn guardate
Mura genti , tesori , ed arme serra.
Forse le schiere franche avria tardate;
]>Ia non osò di provocarle in guerra.
Lor con messi e con doni anco placate
Ricettò volontario entro la terra:
E ricevè condizion di pare,
Siccome imporle al pio Goffredo piace.
77. Qui del monte Sei'r, eh' alto e sovrano
Dall' oriente alla cittade è presso,
Gran turba scese di fedeli al piano,
D' ogni età mescolata e d' ogni sesso,
Fortò suoi doni al vlncitor cristiano,
Godea in mirarlo , e in ragionar con esso,
Stiipia dell' arì.ii peregrine, e guida
Eblìe da lor Gollredo amica e fida.
7S. Conduce ci sempre alle marittime onde
Vicino il campo per diritte strade.
Sapendo ben , che le propinque sponde
L' amica armata costeggiando rade,
La qual può far, che tutto il campa abhonde
De' necessari arnesi , e che le biade
O^-iii i^ola de' Greci a lui sol mieta,
E Scio pietrosa gli vendemmi, e Creta.
79. Geme il vicino mar sotto 1' incarco
Teli' alte navi e de' più lievi pini ;
Siicliè non s' apre ornai sicuro varco
N<1 mar mediterraneo ai Saracini:
Cli' oltra quei, clj' ha Giorgio armati, e Marco
Ne' veneziani e liguri confini,
Altri Ingliiltcrra e Trancia, ed altri Olanda,
E la fcrtil Sicilia altri ne manda.
80. E questi , che son tutti insieme uniti
Con saldissimi lacci in un volere,
S' cran ciircbi «; provvisti in varj liti
Di ciò, eli' i: «r uopo alle terr(«hi schiere;
Le qnai, Iroviindo liberi ^^ sforniti
1 passi de' ncmi( i alle frontiere.
In corso velocissimi) seii vanno
Là 've Cristo solliì mortale allanno.
81. Ma precorsa è la fama apportatrice
De' veraci romori e de' bugiardi :
Ch' unito è il campo vincitor felice,
Che già s' è mosso; e clie non è chi '1 tardL
Quante e qitai sian le squadre, ella ridice,
Narra il nome e il valor de' più gagliardi,
Narra i lor vanti e con terribii faccia
Gli usurpatori di Sion minaccia.
82. E r aspettar del male è mal peggiore
Forse, che non parrebbe il mal presente.
Pende ad ogni aura incerta di romore
Ogni orecchia sospesa, ed ogni mente:
E un confuso bisbiglio entro e di fuoro
Trascorre i campi, e la città dolente.
Ma il vecchio re ne' già vicin perigli
Volge nel dubbio cor feri consigli.
83. Aladin detto è il re , che di quel regno
Novo signor vive in continua cura:
Uom già crudel, ma '1 suo feroce ingegno
Pur mitigato avea 1' età matura.
Egli , che de' Latini udì il disegno,
Ch' han d' assalir di sua città le mura,
Giunge al veccbio timor novi sospetti,
E de' nemici pavé , e de' soggetti.
84. Perocché dentro a una città commisto
Popolo alberga di contraria fede;
La debil parte e la minore in Cristo,
La grande e forte in Macometto crede.
Bla quando il re fé' di Sion l' acquisto,
E vi cercò di stabilir la sede,
Scemò i pubblici i)esi a' suoi pagani,
3Ia più gravonne i miseri cristiani.
85. Questo pensier la ferità nativa.
Che dagli anni sopita e fredda langue,
Irritando inasprisce , e la ravviva.
Sicché assetata è più che mai di sangue.
Tal fero torna alla stagione estiva
Quel , che parve nel gel piacevol angue:
Così ieon domestico riprende
L' innato suo furor , s' altri 1' olTende.
86. Ve"-"-io , dicea , della letizia nova
Veraci segni in questa turba^ infida.
Il danno universal solo a lei giova; ^
Sol nel pianto comun par eh' ella rida.
E forse insidie e tradimenti or cova.
Rivolgendo fra sé come m' uccida,
O come al mio nemico e suo consorte
Popolo occultamente apra le porte.
87. Ma noi farà. Prevenire questi empj
Disegni loro, e sfogherommi appieno:
Gli ucciderò, faronne acerbi srerapj.
Svenerò i figli alle lor madri in seno, ^
Arderò loro alberghi e insieme i tempj.
Questi i debiti rogbi ai morti fieno.
E su quel lor sepolcro in mezzo ai voti
Vittime pria farò de' sacerdoti.
88. Così 1' iniquo fra suo cor ragiona;
Tur non segue pensier si mal concetto :
Ma s' a quegli innocenti egli perdona,
E di viltà, non di pictade elVetto:
Clic, s' un timor a imrudelir lo sprona,
Il riticn più potente altro sospetta:
Troncar le vie d' accctrdo , e de' remici
l'roppo teme irritar 1' arme vittricì.
13] (GERUSALEMME LIBERATA. (1.89—90 II. l-io) [14]
Tempra dunque il feiìon la rabbia insana:
Anzi altrove pur cerca , ove la sfoghi.
I rustici edifici abbatte e spiana,
E dà in preda alle Cani:iis i culti luoghi.
Parte alcuna non lascia integra, o sana,
Ove il Franco si pasca, ove s' alloghi.
Turba le fonti e i rivi , e le pure onde
Di veneni mortiferi confonde.
80. Spietatamente è cauto: e non obblia
Di rinforzar Gcrusalcm frattanto.
Da tre lati fortissima era pria,
Sol verso borea è nicn sc<ura alquanto;
Ma da' primi sospetti ti le nuuiia
D' alti ripari il suo men forte canto ;
E v' accoglica gran qunntitade in freUa
Di gente mercenaria, e di soggetta.
CANTO SECONDO.
ARGOMENTO.
Mormora Ismene in svlV immagin diva
Della diva del cicl note profane :
Ma quelV empia magia d' effetto è priva,
Sicclv Aladin di sdegno ebbro rimane;
E mentre ei vuol c7i' un sol Cristian non viva,
Vuol morir, vuol quetar le voglie insane
Sofronia, Olindo; ma Clorinda il vieta;
E sfida , e grida Argante , e non s' acqueta.
1. Mentre il tiranno s' apparecchia all' armi,
Soletto Ismeno un dì gli s' apprcsenta :
Ismen , che trar di sotto ai chiusi marmi
Può corpo estinto, e far, che spiri e senta:
Ismen , cW al suon de' mormoranti carmi
Sin nella reggia sua Pluto spaventa,
E i suoi dcmon negli cmpj uffici imi)ìega
Pur come servi , e li discioglie e lega.
2. Questi or Macone adora , e fu cristiano,
Ma i primi riti ancor lasciar non punte;
Anzi sovente in uso empio e profano
Confonde le due leggi a sé mal note.
Ed or dalle spelonche, ove lontano
Diil volgo esercitar suol l' arti ignote,
Vien nel publilico rischio al suo signore,
A re malvagio consiglier peggiore.
8. Signor, dicea, senza tardar scn viene
Il vìncitor esercito tcnuito.
Ma facciaui noi ciò, cIk; a noi far conviene;
Darà il cicl, darà il mondo ai forti ajuto.
Den tu di re, di duce iiai tolte piene
Lo parti, e lunge hai ^isto <; provveduto.
S' empie in tal gui>a ogni altro i proprj uffici
Tomba fia questa terra a' tuoi nemici.
4. Io, quanto a mo, ne vengo e del periglio
E dell' opi(! compagno ad aitarte.
Ciò , <;he può dar di vecchia età consiglio,
Tutto prtunctto, «• ciò che magic' arte.
Gli angeli , che dal ciclo ebbero esigilo,
Costringerò delle fatiche a parte:
Ma dond' io voglia incoinini iar gì' incanti,
E roii quai mudi , or narrerutti imianli.
5. Nel tempio de' cristiani occulto giace
Un sotterraneo altare , e quivi è il volto
Di colei, che sua diva e madre face
Quel volgo del suo Dio nato e sepolto.
Dinanzi al simulacro accesa face
Continua splende: egli è in un velo avvolto.
Pendono intorno in lungo ordine i voti.
Che vi portaro ì creduli devoti.
6. Or questa effigie lor, di là rapita,
Voglio, che tu di propria man trasporte,
E la riponga entro la tua meschita.
10 poscia incanto adoprerò sì forte,
Ch' ognor, meiitrc ella qui fia custodita,
Sarà fatai custodia a queste porte.
Tra mura inespugnabili il tuo impero
Sicuro fia per novo alto mistero.
7. Sì disse, e '1 persuase; e impay.iente
11 re sen corse alla magion di Dio,
E sforzò i sacerdoti , e irriverente
Il casto simulacro indi rapio,
E portello a quel tempio, ove sovente
S' irrita il cicl con folle culto e rio.
Nel profan loco , e sulla sacra inmiago
Susurrò poi le sue bestemmie il nnigo.
8. Ma come apparse in ciel 1' alba novella.
Quel, cui 1' immondo tempio in guardia è dato.
N»>n rivide 1' inunagine, do\' ella
Fu posta, e invau cerconne in al(ro lato.
Tosto n' avvisa il re, eh' alla no\ella
Di Ini si mostra fieramente! irato.
Ed immagina ben, cIT alcun fedele
Abbia fatto quel furto, e che sei cele.
0. O fu di nian fedele opra furtiva,
O pur il cicl qui sua potenza adopra:
Clu": di colei, ch" è sua regina e divo.
Sdegna, clu- loco a il 1' inimagin copra:
Cir incerta fama è ancor, se ciò s' ascriva
Ad arti; umana, od a mirabil o|)ra.
]Seu è pietà, che, la piclade e 1 zelo
Lnian cedendo, autor sen ireda il cielo.
10. Il re ne fa con importuna inchiesta
Uitcrcare ogni chiesa, ogni magione.
Ed a chi gli nasconde, o manit('>ta
Il furto, o '1 r<o , grim pene e prcmj Impone.
Il nnigo di s|iiarne iincor non re>la
Con tulle r arti il ^cr; ma non s' appone:
(hi- 1 < icio (opra sua fosse, o fos»e altrui)
Celullu ud untii dvf^l incanii u Ini.
[15]
GERUSALEMME LIBERATA. (II. 11 — 20)
[16]
11. Ma poiché '1 re crudel vide occultarse j
Quel , che peccato de' fedeli ei pensa,
Tutto in lor d' odio infellonissi , ed arse j
D' ira e di rahhia immodcrata immensa.
Ogni rispetto obblia , vuol rendicarse,
(Segua che puote) e sfogar V alma acccnsa.
Morrà , dicea , non andrà 1' ira a voto, ,
IVelIa strage comune il ladro ignoto.
12. Purché '1 reo non si salvi, il giusto pera
E r innocente Ma qual giusto io dico?
E colpevol ciascim , né in loro schiera i
lom fu giammai del nostro nome amico.
S' anima v' è nel novo error sincera,
Basti a novella pena un fallo antico!
Su su, fedeli miei, su via, prendete
Le fiamme e '1 ferro, ardete ed uccidete!
13. Cosi parla alle turbe: e se n' intese
La fama tra' fedeli immantinente,
Ch' attoniti restar; si li sorprese
11 timor della morte ornai presente !
E non è , chi la fuga , o le difese, '
Lo scusare, o '1 pregare ardisca o tente.
Ma le timide genti e irresolute.
Donde meno speraro, cbber salute.
14. Vergin era fi'a lor di già matura
Verginità , d' alti pensieri e regi,
D' alta beltà; ma sua beltà non cura,
O tanto sol, quant' onestà sen fregi.
È "1 suo pregio maggior , che tra le mura
ÌY angusta casa asconde i suoi gran pregi ;
E de' vagheggiatori ella s' invola
Alle lodi, agli sguardi, inculta e sola.
15. Pur guardia esser non può, che 'n tutto celi
Beltà degna, eh' appaja, e che s' ammiri;
]Né tu il consenti, Amor, ma la riveli
D' un giovinetto ai cupidi desiri.
Amor , eli' or cieco , or Argo , ora ne veli
Di benda gli occhj , ora ce gli apri e giri,
Tu per mille custodie entro ai più casti
Verginei alberghi il guardo altrui portasti.
IG. Colei Sofronia, Olindo egli s' appella,
D' una cittade entrambi e d' una fede.
Fi . «he modesto è sì , coni' essa é bella.
Brama assai, poco spera, e nulla chiede;
^è sa scoprirsi, o non ardisce: ed ella
O lo sprezza, o noi vede, o non s' avvede.
Così finora il misero ha servito
O non visto , o mal noto , o mal gradito.
17, S' ode 1' anntmzio intanto, e che s' appresta
Miserabile strage al popol loro.
A lei , che generosa è quanto onesta,
Viene in pensicr, come salvar costoro.
Move fortezza il gran pensier, 1' arresta
Poi la vergogna e 'i virginal decoro :
Vince fortezza ; anzi s' accorda , e face
Sé ^e^g(lgnosa, e la vergogna audace.
18. La vergine tra '1 volgo uscì soletta.
Non coprì sue bellezze , e non I' espose,
llaccolse gii occhj, andò nel vel ristretta
('on i>rliiv(; maniere e generose.
Non sai ben dir, s' adorna, o se negletta,
Se caso, od arte il b<l volto c(uiiposc:
ni natura, d' iinior, de' «'ieli umici
Le neglig<;nzc buc sono artifìci.
19. Mirata da ciascun passa , e non mira
L' altera donna, e innanzi al re sen viene:
Né, perchè irato il veggia, il pie ritira.
Ma il fero aspetto intrepida sostiene.
Vengo, Signor, gli disse (e intanto l' ira.
Prego, sospenda, e '1 tuo popolo affrene.)
Vengo a scoprirti, e vengo a darti preso
Quel reo , che cerchi , onde sei tanto offeso.
20. All' onesta baldanza, all' iniprovAÌso
Folgorar di bellezze altere e sante
Quasi confuso il re , quasi conquiso
Frenò lo sdegno, e placò il fler sembiante.
S' egli era d' alma , o se costei di viso
Severa manco, ei diveniane amante:
Ma ritrosa beltà ritroso core
Non prende; e sono i vezzi esca d' amore.
21. Fu stupor, fu vaghezza, e fu diletto,
S' amor non fu , che mosse il cor villano.
Narra, le disse, il tutto! Ecco io commetto,
Che non s' offenda il popol tuo cristiano.
Ed ella: il reo si trova al tuo cospetto:
Opra é il furto. Signor, dì qxiesta mano:
lo r immagine tolsi, io son colei.
Che tu ricerchi, e me punir tu dei.
22. Cosi al pubblico fato il capo altero
Offerse , e '1 Aolse in sé sola raccorrò.
Magnanima menzogna, or quando é il vero
Sì bello, che si possa a te preporre?
Riman sospeso, e non sì tosto il fero
Tiranno all' ira, come suol, trascorre.
Poi la richiede : io vo', che tu mi scopra,
Chi die' consiglio, e chi fu insieme all' opra
: 23. Non volsi far della mia gloria altrui
Neppur minima parte, ella gli dice:
Sol di me stessa io consapevol fui,
Sol consigliera, e sola esecutrice.
Dunque in te sola, ripigliò colui,
Caderà l' ira mia vendicatrice.
Disse ella: è giusto: esser a me conviene,
Se fui sola all' onor, sola alle pene.
24. Qui comincia il tiranno a risdegnarsi;
Poi le dimanda: ov' hai 1' immago ascosa?
Non la nascosi, a lui risponde, io 1' arsi;
E r arderla stimai laudabii cosa.
Così almen non potrà più violarsi
Per man de' miscredenti ingiuriosa.
I Signore, o chiedi il furto, o '1 ladro chiedi;
' Quel non vedrai in eterno , e questo il vedi.
25. Benché né furto é il mio , né ladra io son
Giusto é ritor ciò, eh' a gran torto é tolto
! Or questo udendo , in minaccevol suono
; Freme il tiranno, e '1 fren dell' ira è scioll
Nt>n speri più di ritrovar perdono
Cor pudico, alta mente, e nobil volto!
E indarno Amor contra lo sdegno crudo
Di sua vaga bellezza a lei fa scudo.
26. Presa é la bella donna, e incrudelito
Il re la danna entro un incendio a morte.
(Jià '1 velo e 'l casto manto é a lei rapito;
Slringoa le molli braccia aspre ritorte.
Ella si tace, e in lei non sbigottito,
]Ma pur commosso ali|iianto é 'I petto forte,]
E smarrisce il bel volto in lui colore,
Che non è pallidezza, ma candore.
17]
GERUSALEMME LIBERATA. (II. 27—42)
[18]
27. Divulgossi il gran caso, e quivi tratto
Già il popol s' era. Olindo anco t' accorse;
l)iil)1)ia era la perdona, e certo il fatto:
Venia, che fosse la sna donna, in forse.
Come la l)ella prigioniera in atto
Non pur di rea, ma di dannata ci scorse,
Come i ministri al duro uffìcio intenti
"^ide, precipitoso urtò le genti,
28. Al re gridò : non ù, non è già rea
Costei del furto , e per follia scn vanta :
IVoii pensò, non ardi, né far pntea
Donna sola e inesperta opra cotanta.
Come ingannò i custodi , e delia Dea
Con quai' arti involò 1' imniagin santa .'
Se '1 fece, il narri! Io 1' ho, signor, furata.
Ahi tanto amò la non amante amata!
29. Soggiunse poscia: Io là, donde riceve
L' alta vostra mes(-]iita e 1' aura e '1 die.
Di notte ascesi , e trapassai per hrcvc
Foro , tentando inaccessibil vie.
A me r onor, la morte a me si deve!
Non usurpi costei le pene mie!
31ie son quelle catene , e per me questa
Fiamma s' accende, e '1 rogo a me s' appresta
IO. Alza Sofronia il viso , e umanamente
Con occhj di pictade in lui rimira.
A che ne vieni, o misero innocente?
Qual consiglio, o furor ti guida, o tira?
Non son io dunque senza te possente
A sostener ciò, che d' un uom può 1' ira?
Ilo petto anch' io , eh' ad una morte crede
Di bastar solo, e compagnia non chiede.
il. Così parla all' amante, e noi dispone
Sicch' egli si disdica , o pcnsier iiuitc.
Oh spettacolo grande, ove a tenzone
Sono amore e magnanima viriate.
Ove la morte al vincitor si pone
In premio, e 1' mal del vinto è la salute!
Ma più s' irrita il re, quant' ella ed esso
1) più costante in incolpar &è stesso.
Fargli, che vilipeso egli ne resti,
E che 'n disprezzo suo sprezzili le pene.
Credasi , dice , ad ambo , e quella e questi
linea, e la palma sia, qual si conviene!
Indi ac(x-nna ai sergenti , i quai son presti
A legar il garzon di lor catene.
Sono ambo stretti al palo stesso , e volto
E il tergo al tergo, e 1' volto ascoso ni volto.
3. Com|)osto è lor d' intorno il rogo ornai,
E già le fiamme il mantice v' incita.
Quando il fanciullo in dolorosi lai
Proruppe e disse a lei, eh' è seco unita:
Questo dunque è quel laccio, ond' io sperai
'l'eco accoppiarmi in «tompagiiia di vita?
Questo è quel foco , eh' io credca (-he i cori
Ne dovesse iniìammar d' eguali arilori?
l. Altre fiamme, altri nodi amor promise;
Altri ce II' appanvcliia iiii<|iia sorti-.
Troppo, ahi lieii troppo! ella già noi diviso.
Ma diiraiiK'iite or ne «•ongiiiiige in morte,
l'ian-mi aliiien , poiché in sì slraiie guise
Morir pur dei , del rogo e^ser iiuisorte,
Se del Icllo non Ini; diioliiii il tuo luto,
Il mio non giù, poiih' io ti moro allato.
35. Ed oh mia morte avventurosa appieno !
Oh fortunati miei dolci martiri!
S' impetrerò, che giunto seno a seno
L' anima mia nella tua bocca io spiri,
E venendo tu meco a un tempo meno.
In me fuor mandi gli ultimi sospiri.
Cosi dice piangendo: ella il ripiglia
Soavemente, e in tai detti il consiglia:
ofi. Amico, altri pensieri, altri lamenti
Per più alta cagione il tempo cliicde.
Che non pensi a tue colpe, e non rammenti
Qiial Dio promette ai buoni ampia mercede?
Soffri in suo nome, e fian dolci i tormenti,
E lieto aspira alla superna sede !
Mira il ciel com' è bello , e mira il sole,
Ch' a sé par che n' inviti , e ne console.
S7. Qui il volgo de' pagani il pianto estolle:
Piange il fcdel , ma in voci assai più basse.
Un non so che d' inusitato e molle
Par che nel duro petto al re trapasse.
Ei presentino, e si sdegnò; né volle
Piegarsi, e gli occhj torse, e si ritrasse.
Tu sola il duol comun non accompagni,
Sofronia , e pianta da ciascun non piagni.
33. Mentre sono in tal rischio , ecco im guerriero
(Che tal parca) d' alta sembianza e degna ;
E mostra d' arme e d' abito straniero.
Che di loiitan peregrinando regna.
La tigre , che suU' elmo ha per cimiero,
'J'iitti gli occhj a sé trae , famosa insegna,
Insegna usata da Clorinda in guerra;
Onde la credon lei , né il creder erra.
39. Costei gì' ingegni femminili e gli usi
Tutti sprezzò sin dall' etate accrlia ;
Ai lavori d' Aracnc, all' ago, ai fusi
Inchinar non degnò la man superba :
Fuggì gli abiti molli, e i lochi chiusi :
Che ne' campi onestate anco si serba :
Armò d' orgoglio il volto, e si compiacque
Uigido farlo; e pur rigido piacque.
40. Tenera ancor con pargoletta destra
Strinse e lento d' un corridore il morso,
l'rattò r Usta e la spada, ed in palestra
Indurò i membri, ed alleiiogli al corso:
Poscia o per via montana, o per >iivestra
L' orme segni di fier leone e d' orso.
Seguì le guerre, r. in esse, e fra le selve
Fera agli uomini par>c, uomo alle beh e.
41. Viene or costei dalle contrade perso,
Perché ai cristiani a suo poter re>i>ta,
Ileiicir altre volte ha di lor membra asperse
I,e piagge, e l' onda di lor sangue ha mista.
Or quinci in arrivando a lei s' olVersc
1/ apparato di morte a prima vi.-la.
Di mirar va;;a, e di saper, qual fallo
C'oiid.inni i rei, so>pinge oltre il cavallo.
42. Cedon lo turbe, e i duo legati in>iemc
Ell.i si l'erma a riguardar dappresso.
Mira, che 1' una t.it e e V altro geme,
E più ^igor mo^lra il iiieu forte sesso,
riaiiger Ini Miie in guisa d' uom, cui j)reme
Pietà , non doglia, o duol non di sé stesso,
E tacer lei con gli occhj al «iel sì fisa,
('ir anzi ul morir par di quaggiù divisa.
43.
41
45
46
Clorinda intenerissi , e si ««"'\«'^f ^„t„.
D' ambedue loro , e -nnjonne ^^^.^^^^^
Pur maggior sente ^K'^^l^ ^^ -^ i^nto.
Più la move il silenzio, « »'^ \,„i^\,
Senza troppo >"''»S'^, f/^ 'ia^u canto:
Ad un uom, Ce •''^"«^o a ea i ^^^^^^
Deh dirami, chi son q"*^*^' ' ^a loro ?
Qual li conduce o sorte, o colpa loio.
Cosipregollo, e da colui risposto
Brev^, ma pieno alle dimande fue.
itmis i udendo, e immaginò bentosto
Ch' è-ualmente innocenti eran que due
Sa di vietar lor morte ha - - ^C «'
Quanto potranno i preghi, o 1 ^''^'^^^
Vronta accorre alla fiamma, e fa ritraila,
Che già s'appressa; ed ai niimstri parla:
Alcun non sia di voi, che 'n questo duro
ci" ei non V accuserà di tal tardanza.
IJbbidiro i sergenti, e "^ossi furo
Da quella grande sua regal ^<^?^' ^.^"'^
Poi verso \i re si mosse, e lui tra via
Ella ti-ov6, che 'ncontro a lei verna.
,0 son Clorinda, disse; hai forse i.^tesa
Talor nomarmi; e qui signor, ne vegno,
Per ritrovarmi teco alla ditesa
S:k^ede comune e del tuo re^no
Son pronta, '"^'oni pme , ^/> » F^
^,^;^i"-S::;;a;rropP«rtra^i cuo-
ierie mura impiegar, nulla ricuso.
,-r Tacoue- e rispose il re: Qual sì disgiunta
'^'TeT^T dall' Asia, o dal cammm del sole,
VT t^t;S' Tv on^r^'on yole?
r£!i^Ìa^em-3r-
Hi:^r::aS^^-v=.eme
Già '^ià mi par, eh' a giunger qui Goffredo
OUra il dover indugi. Or tu d.mand.,
CI' in pieghi io te; sol d te degne credo
ìJ illese malagevoli e le grand.
^nVa i nostri guerrieri a te concedo
Lr Lttr^; e ifgge sia quel che co^an^
rosi iiarlava. KUa rcndca cortese
Grirjer lodi; indi il parlar nprese:
Nova cosa parer dovm per certo,
«. ,1.. 1' servi'M l guiderdone;
Che l»re«;«'''\/^ f ;;.^;^,j f„ ve.', che 'n merlo
Ma tua honta m aiiii'<i- •" ^
Ond' argomento 1' innocenza in essi,
50 K dirò sol, eh' è qui comuu sentenza
Che i cristiani togliessero l' immago
Ma di-c..rd' io da voi ; ne pero senza
Alta riigion del mio parer m' appago.
Fu delle nostre leggi irrivcren/a
iwllopra far, che persuase 'l mago.
?•'L^:on.ienneMu.s.ri.te.n,.J^mu
GÌ' idoli avere, mcn gì idoli altrui.
48.
49.
Dunque suso a Macon recar mi giova
Il miracnl dell' opra: ed ei la fece
Pel dimostrar, che i tempj suoi con nova
Heli'Mon contaminar non lece.
Faccia Ismeno incantando ogni sua prova,
M, a cui le malie son d'armi in vece!
Trattiamo il ferro pur noi ^^^f^^^'} j,
Quest' arte è nostra, e 'n que.ta sol si speri.
50 Tacque ciò detto: e '1 re, hench' a pietade
L' irato cor difticilmcnte P|cgl"' , ,
Pu" compiacerla volle: e l persuade
Ingioi e '1 move autorità di preghi.
Ahbian vita, rispose, e l.bertade
E nulla a tanto intercessor si neghi •
Lsiqnestao giustizia, ovver perdono,
Innocenti gli assolvo , e rei li dono.
Così furon disciolti. Avventuroso
Ben veramente fu d' Olindo il fato,
a' ^tto potè mostrar, che '" S---«
Petto alfine ha d' amore «r^-t'^i^^^^
Va dal rogo alle nozze ed e già sposo
Fatto di mi. non pur d amante amato.
Volse con lei morire: ella non scli va.
Poiché seco non rauor, che seco vna.
Ma il sospettoso re stimò perìglio
Tanta virtù congiunta aver vicina ;
SnSe, coni' egl^ol- ambo in esigho
Oltre ai termini andar di Palestma.
E pni seguendo il suo crudel consiglio.
Bandisce altri fedeli, altri confina
Oh come lascian mestr 1 P«^S" f/'. ^ti'
Figli e gli antichi padri e 1 dolci letti.
Dura division! scaccia sol quelli
Di forte corpo, e di feroce ingegno;
Ma 1 mansueto sesso, e gli anni imbeUi
Seco ritien siccome ostaggi in pegno
Molti n' andaro errando: altri rubelh
Fersi e più che '1 timor potè lo sdegno.
Que ti unhsi co' Franchi, e gì' incontrare
ijpuntoildì, eh' in Emaus entraro.
Emausècittà, cui breve strada
Dalla recai Gerusalcm disgiunge,
Ed uom f che lento a suo diporto vada,
Se parte mattutino, a nona |,'""f«;
Oh quanto intender questo ^^ *';^^"^*';,f "^ ,
Oh mianto più il desio gli affretta e Punge.
Ma pèJdi' elitre il meriggio il so già scende
QuiVa spiegare il capitan le tende.
L' avean già tese; e poco era remota
L' alma luct del sol dalf oceano.
Oliando duo gran baroni m ve*te ignota
?enir son visfi, e 'n p<.rtamento estrano.
O'^ni atto lor pacifico dinota.
Che ven-on come amici al capitano. .
£ gr^ re dell' Kgitto enin messagg^,
E molti intorno hanno scudieri e paggi.
Aletc è l' un. che da principio indegno
T.". le brutture della plebe è sorto;
la;^n:a£roaiprimionordelregm.
Parlar facondo , e lusinghiero, e .coito,
PeMievoli costumi, e vano ingegno
\ fi v^Ir pronto, all' ingannare accorto
Gran ?àbbVo di calunnie adorne in modi
Novi, che sono accuse, e pajon lodi.
[21]
GERUSALEMME LIBERATA. (11. 59—74)
122]
i5i>. L' altro è il circasso Argante , iiom , che straniero
Sen renne alla regal corte d' Egitto,
IMii de' satrapi fatto è dell' impero,
E in sorami gradi alla milizia ascritto:
Impaziente , inesorabil , fero,
Keir arme infaticabile ed invitto,
i)' ogni Dio sprezzatorc, e che ripone
Nella spada sua legge e sua ragione.
60. Chieser questi udienza , ed al cospetto
Del famoso GoftVedo ammessi entraro,
E in umil seggio , e in un vestire schietto
Fra' suoi duci sedendo il ritrovaro.
Ma verace valor, Jienchè negletto,
E di sé stesso a sé fregio assai chiaro.
Piccol segno d' onor gli fece Argante,
In guisa pur d' uom grande, e non curante.
61. Ma la destra si pose Alete al seno,
E chinò il capo, e piegò a terra i lumi,
E r onorò con ogni modo appieno,
Che di sua gente portino i costumi.
Cominciò poscia, e di sua bocca usciénO
Più che mei dolci d' eloquenza i fiumi.
E perchè i Franchi han già il sermone appreso
Della Soria, fu ciò, eh' ei disse, inteso.
62. Oh degno sol , cui d' ubbidire or degni
Questa adunanza di famosi eroi.
Che per 1' addietro ancor le palme e 1 regni
Da te conobbe, e dai consigli tuoi!
II nome tuo, che non riman tra i segni
D' Alcide, omai risuona anco fra noi,
E la fama d' Egitto in ogni parte
Del tuo ralor chiare novelle ha sparte.
63. Né v' è fra tanti alcun , che non 1' ascolte,
Com' egli suol le meraviglie estreme;
Ma dal mio re con istupore accolte
Sono non sol, ma con diletto insieme,
E à' appaga in narrarle anco più volte.
Amando in te ciò, eh' altri invidia e teme.
Ama il valore, e \olontario elegge
Teco unirsi d' amor, se non di legge.
64. Da sì bella cagion dunque sospìnto,
L' amicizia e la pace a te richiede ;
E '1 mezzo , onde 1' un resti all' altro avvinto,
Sia la virtù , s' esser non può la fede !
Ma perché inteso avea , che t' eri accinto
Per iscacciar l' amico suo di sede,
V«)l»e, priach' altro male indi seguisse,
Ch' a te la mente sua per noi s' aprisse.
65. E la sua mente é tal , che , s' appagarti
Vorrai di quanto hai fatto in guerra tuo,
Né Giudea nmlestar, né l' altre parti.
Che ricopre il fav«tr del rcgiut sm»,
Ei promette all' in<:ontio assicurarti
Il non ben fermo stato : e se voi duo
Sarete uniti, or quando i Turchi e i Persi
Potranno unqua sperar di riaver>i ?
66. Signor, gran cosi; in piccio! tempo liai fatte,
Ch<; lunga età porrt; in oliblio non jiuotei
iv-trrciti, città, >iuti, e dinfatte,
Sii|ierali di^-agi e strade ignote;
Sì<-«-ir al Krido o snnirrite . o rtu|)(Tattc
Stili le pro\ ilici; intorno, e le rciiiolc :
l'i si'lilieii acquistar puoi iio\i impetri,
Acquistar nova gloria indarno spirri.
67
68.
Giunta è tua gloria al sommo: e per 1' innanzi
Fuggir le dubbie guerre a te conviene :
Ch' ove tu vinca, sol di stato avanzi,
Né tua gloria maggior quinci diviene;
Ma r imperio acquistato e preso dianzi,
E r onor perdi , se '1 contrario avviene.
Ben gioco è di fiutuna audace e stolto
Por contra il poco e incerto il certo e 'I molto.
Ma il consiglio di tal , cui forse pesa,
Ch' altri gli acquisti a lungo andar ciuiserve
E r aver sempre vinto in ogni impresa,
E quella voglia naturai, che ferve,
E sempre é più ne' cor più grandi accesa,
D' aver le genti tributarie e serve,
Faran per avventura a te la pace
Fuggir, più che la guerra altri non face.
69
I 70,
T' esorteranno a seguitar la strada.
Che t' é dal fato largamente aperta,
A non depor questa famosa spada,
Al cui valore ogni vittoria é certa.
Finché la legge di Macon non cada,
Finc'hè r Asia per te non sia deserta.
Dolci cose ad udire , e dolci inganni,
Ond' escon poi sovente estremi danni !
Ma s' animosità gli occhj non benda,
Né il lume oscura in te della ragione.
Scorgerai, eh' ove tu la guerra prenda,
Hai di temer , non di sperar cagione :
Che fortuna quaggiù varia a vicenda.
Mandandoci venture or triste, or buone,
Ed a' voli troppo alti e repentini
Sogliono i precipi/j esser vicini.
71. Dimmi, s' a" danni tuoi I' Egitto move,
D' oro e d' arme potente, e di consiglio,
E s' avvien, che la guerra anco rinnove
11 Perso e '1 Turco , e di Cassano il figlio,
Qiiai forae opporre a sì gran furia, o dove
Ritrovar potrai scampo al tuo periglio.^
T' affida forse il re malvagio greco,
Il qual dai sacri patti unito è teco ?
72. La fede greca a chi non è palese?
Tu da un sol tradimento ogni altro impara,
Anzi da mille! perché mille ha tese
Insidie a voi la gente infida , avara.
Dunque, chi dianzi il passo a voi contese,
l'er voi la ^ita esporre or >i prepara .-'
Chi le vie, che conuini a tutti sono.
Negò , del proprio sangue or farà dono ?
73. Ma forse hai tu ripo.-ta ogni tua speme
In queste squadre, ond' ora cinto siedi
Quei, che sparai vincesti, uniti insieme
Di vincer anco agevolmente credi;
Sebben son le tue schiere or molto scemo
'J'ra le guerre e i disagi; e tu tei vedi;
Sebben novo nemico a le s' accresce,
E co' Persi e co' Turchi Egizj mesce.
74. Or quando pur i>tiiui esser fatale,
(;he vincer niui ti jiossa il ferro unii.
Siati coiice>i>o , e siati appunto tale
Il decreto del cìei , qual tu tei fai!
\ inccratlì la fame. A (|uesto male
Che riliigio, per Dio, » iie schermo avrai.'
\ ibra contra costei la lancia, e stringi
La spada , e la % ittoria anco ti fingi !
2 +
[23]
GERUSALEMME LIBERATA. (II. 15-90)
[2+]
75. Ofj^ni campo d' intnrno arso e distrutto
Ha la iirovvida man dogli abitanti,
E in chiuse mura , e in alte toni il frutto
Riposto al tuo venir j)iù giorni innanti.
Tu, eh' ardito sin qui ti sei comUitto,
Onde speri nutrir cavalli e fanti?
Dirai : L' armata in mar cura ne prende.
Dai venti dunque il viver tuo dipende?
76. Comanda forse tua fortima ai venti,
E li avvince a sua voglia, e li dislega?
11 mar, eh' ai pregili è sordo ed ai lamenti,
Te solo udendo, al tuo voler si piega?
O non potranno pur le nostre genti,
E le perse, e le turche, unite in lega,
Cosi potente armata in un raccorre,
Ch' a questi legni tuoi si possa opporre?
77. Doppia vittoria a te , signor , Lisogna,
S' hai dell' impresa a riportar 1' onore.
Una perdita sola alta vergogna
Può cagiornarti, e danno anco maggiore;
Ch' ove la nostra armata in rotta pugna
La tua, qui poi di fame il campo more:
E se tu sei perdente , indarno poi
Saran vittoriosi i legni tuoi.
78. Ora, se in tale stato ancor rifiuti
Col gran re deU' Egitto e pace e tregua,
(Diasi licenza al ver) 1' altre virtuti
Questo consiglio tuo non bene adegua.^
Ila voglia il ciel . che '1 tuo pensier si muti,
S' a guerra è volto, e che '1 contrario segua,
Sicché 1' Asia respiri ornai dai lutti,
E goda tu della vittoria i frutti.
79. IN'è voi , clie del periglio , e degli affimnì,
E della gloria a lui sete consorti.
Il favor di fortuna or tanto ingannì,
Che nove guerre a provocar v' esorti!
Ma qual nocchicr, che dai marini inganni
Ridutti ha i legni ai desiati porti,
Raccor dovreste ornai le sparse vele,
Nò fidarvi di nuovo al mar crudele.
80. Qui tacque Alete : e '1 suo parlar seguirò
Con basso mormorar que' forti eroi,
E hen negli atti disdegnosi aprirò.
Quanto ciascun quella proposta annoi.
Il capitan rivol?e gli occlij in giro
Tre volte e quattro, e mirò in fronte i suoi,
E poi nel volto di colui gli affisse,
Ch' attcndea la risposta; e così disse:
81. Messaggier , dolcemente a noi sponesfì
Ora cortese, or minaccioso invito.
Se '1 tuo re m' ama , e loda i nostri gesti,
E sua mercede, e m' è 1' amor gradito.
A quella parte poi , dove protesti
I,a guerra a noi del paganesmo imito,
Risponderò, come da me si suole.
Liberi sensi in semplici parole.
S2, Sappi , che tanto abhiam sinor solTerto
In miire, in terra, all' aria chiara escara,
Solo arcioichè ne l'osse il calle aperto
A qiulle hiurv e venera1)il mura,
P(;r iicquistur appo Dio gr.r/.ia e merlo.
Togliendo lor di servitù si dura:
Kè mai grave nr- lìa per fin >"i degno
Esporre onor mondano, e vita, e regno:
83. Che non amliìziosi avari affetti
Ne spronaro all' impresa, e ne fur guida.
Sgombri il padre del ciel dai nostri petti
Peste sì rea , se in alcun pur s' annida,
Kè soffra che 1' asperga , o che 1' infetti
Di venen dolce, che piacendo ancida!
Ma la sua man , che i duri cor penetra
Soavemente, e gli ammollisce e spetra,
84. Questa ha noi mossi , e questa ha noi conduttì,
Tratti d' ogni periglio e d' ogni impaccio.
Questa fa piani i monti, e i fiumi asciutti,
L' arder toglie alla state , al verno il ghiaccio,
Placa del mare i tempestosi flutti,
Stringe e rallenta questa a' venti il laccio,
Quindi son 1' alte mura aperte ed arse;
Quindi r armate schiere uccise e sparse ;
85. Quindi r ardir, quindi la speme nasce,
Non dalle frali nostre forze e ?tanclie,
Non dall' armata, e non da quante pasce
Genti la Grecia , e non dall' armi franche.
Purch' ella mai non ci abbandoni e lasce.
Poco debbiam curar, eh' altri ci manche.
Chi sa, come difende e come fere,
Soccorso ai suoi perigli altro non chere.
86. Ma quando di sua aita ella ne privi,
Per gli error nostri, o per giudizj occulti.
Chi fìa di noi, eh' esser sepolto schivi
Ov' i membri di Dio far già sepulti?
Noi morirem, uè invidia avremo ai vivi;
Noi morirem, ma non morremo inulti;
Nò r Asia riderà di nostra sorte.
Né pianta fia da noi la nostra morte.
87. Non creder già , che noi fuggiara la pace,
Come guerra mortai si fugge e pavé !
Che r amicizia del tuo re ne piace,
Né d' unirci con lui ne sarà grave.
Ma s' al suo imperio la Giudea soggiace,
Tu 'I sai. Perchè tal cura ei dunque n' have ?
De' regni altrui l' acquisto ei non ci vieti,
E regga in pace i suoi tranquilli e lieti!
88. Così rispose, e di pungente rabbia
La risposta ad Argante il cor trafisse:
Né '1 celò già , ma con enfiate labbia
Si trasse avanti al capitano, e disse:
Chi la pace non vuol , Li guerra s' abbia !
Che penuria giammai non fu di risse:
E ben la pace ricusar tu mostri.
Se non t' acqueti ai primi detti nostri.
89. Indi il suo manto per lo lembo prese,
Curvollo, e fenne im seno, e 'l seno sporto,
Così pur anco a ragionar riprese
\\e più che prima disiiettoso e torto:
Oh sprezzator delle più dubbie imprese,
E gu(!rra e pace in que.-to sen t' apporto.
Tua sia V elezione! orti consiglia
Scnz' altro indugio, e qual più vuoi, ti piglia!
90. L' atto fero e 'I parlar tutti commosse
A chiamar guerra in mi concorde grido.
Non attendendo, «'he rispo-to fosse
Dal magnanimo lor duce («olfrido.
Spiegò qiul crudo il seno , e 1 manto scosse.
Ed , a guerra mortai, disse, vi sfido.
E '1 dis^(! in atto sì feroce ed empio,
(^he parve aprir di Giano il chiuso tempio.
25] GERUSALEMME LIBERATA^ (II. 91 — 97. m. 1 — 4) [26]
91. Parve, ch'aprendo il seno, ìndi traesse
Il furor pazzo e la dÌ!:cordia fera,
E che ne^li occhj orribili gli ardesse
La gran face d'Aletto e di Megera.
Quel grande già , che incontra il ciclo eresse
L' alta mole d' error, forse tal era;
E in rotai atto il rimirò Bahelle
Alzar la fronte e minacciar le stelle.
. Soggiunse allor Goffredo: Or riportate
Al vostro re, che venga e che s' affretti.
Che la guerra accettiam, che minacciate!
E s' ei non tìch, fra '1 Nilo suo n' aspetti!
Accommiatò lor poscia in dolci e grate
Maniere, e gli onorò di doni eletti.
Ricchissimo ad Alcte un elmo diede,
Ch' a jVicea conquistò fra 1' altre prede.
Ebhe Argante una spada , e '1 fabbro egregio 96.
L' else e '1 pomo le fé' gemmato e d' oro,
Con magistero tal, che perde il pregio
Della ricca materia appo il lavoro.
Poiché la tempra, e la ricchezza, e '1 fregio
Sottilmente da lui mirati foro,
Disse Argante al Buglione Vedrai hentosto,
Come da me il tuo dono in uso è posto.
97. Ma nò '1 campo fedel , né '1 franco duca
Si discioglic nel sonno , oppur s' accheta :
Tanta in lor cupidigia é, clic riluca
Omai nel cicl 1' alba aspettata e lietii,
Perche il cainmin hu* mostri , e li conduca
Alla città, eh' al gran passaggio è meta!
Mirano ad or ad or, se raggio alcuno
Spunti , 0 rischiari delle notte il hruno.
94, Indi tolto congedo , è da lui ditto
Al suo compagno : Or cen' andremo omai,
Io ver Gerusalcm, tu verso Egitto;
Tu col sol novo, io co' notturni rai:
Ch' uopo o di mia presenza, o di mio scritto
Esser non può colà, dove tu vai.
Reca tu la risposta! io dilungarmi
Quinci non vo', dove si trattan 1' armi.
95. Cosi di messaggier fatto é nemico.
Sia fretta intempestiva, o sia matura.
La ragion delle genti, e 1' uso antico
S' offenda, o no; né '1 pensa egli, né '1 cura.
Senza risposta aver, va per 1' amico
Silenzio delle stelle all' alte mura,
D' indugio imj)aziente: ed a chi resta,
Già non men la dimora anco è molesta.
Era la notte, allorch' alto riposo
Han r onde e i venti, e parca muto il mondo;
Gli animai lassi, e quei che '1 mare ondoso,
O de' liquidi laghi alberga il fondo,
E chi si giace in tana, o in mandra ascoso,
E 1 pinti augelli nell' obblio profondo
Sotto il silenzio de' secreti orrori
Sopian gli affanni , e raddolciano i cori.
CANTO TERZO.
ARVO MENTO.
Preme il sacro tcrrcn di Cristo il Franco,
Franco il cor, nudo il piede, umile inviso:
Assai, Clorinda opponsi, e V lato manco
Scntcsi per Tancredi Erminia inciso.
Quinci Àrf^antc a Dudon trajìf^frc il fianco,
Ond' ei riman da se, f/a' suoi diviso;
Tomba ha poi dal Hiiiilion , eli' alta foresta
Svelle, e gli ordigni militari appresta.
Già r aiu'a messnggicra erasi desta
A<I iiiinuir/.iiir, c'ie «e ne a leu 1' aurora ;
Ella intaiilo b' a iurna , r 1' aurea lesta
Di r(i!<e colte in paradiso infiora,
Quando il rampo, rh' all' arme omai u' appresta,
lo voce moriiiorava alta e sonora,
1) prt^^cniii l(^ Irouilic: f; (|ui'>t(; poi
Dièr più lieti e cauori i Mgoi !<uoi.
2. n saggio capitan con dolce morso
I desiderj lor guida e seconda;
Che più facil saria svolger il corso
Presso Cariddi alla volubil onda.
O tardar borea, allorché scote il dorso
Dell' Apcnnino, e i legni in mare affonda.
Gli ordina, gì' incammina, e "n suou gli regg<
Rapido sì , ma rapido con legge.
8. Ali ha ciusnm al core, ed ali al piech-,
Né liei suo ralto andar però s' aci-orge.
Ma quando il tuA gli aridi cauipi ficde
Con raggi assai ferventi , e in alto sorge.
Ecco ajipaiir (ieinsalcm si %ede.
Ecco additar (ìcrnsahiu si scorge,
Ecco da niillt- voci unilamrnte
Geru.-aliiunie salutar si sente.
4. Così di na\igaiiti audace stuoli).
Che mova a ricercar e.-tranio lido,
E in mar dubliio>o, e sotto ignoto polo
Pro>i r onde fallaci e 'I vento inlido,
S' ailìii disi-o|ire il desiato suolo,
Lo saluta da lunge in lieto grido,
E r uno nir altro il mostra, e intanto ublili.i
La noja e '1 mal della po^jsata via.
;2Ti
GERUSALEMME LIBERATA. (III. 5 — 20)
_[28]
5. Al gran piacer , che quella prima vista
Dolcemente spirò nell' altrui petto,
Alta contrizion successe , milita
Di timoroso e riverente afletto.
Osano appena d' innalzar la vista
Ver la città, di Cristo albergo eletto,
Dove mori, dove sepolto fue,
Dove poi rivestì le membra sue.
6. Sommessi accenti, e tacite parole.
Rotti singulti, e flebili sospiri
Della gente , eh' in un s' allegra e duole,^
Fan , che per 1' aria un mormorio s' aggiri,
Qual nelle folte selve udir si suole,
S' avvien, che tra le frondì il vento spiri;
O quale infra gli scogli, o presso ai lidi.
Sibila il mar percosso in rauchi stridi,
7. Nudo ciascuno il pie calca il sentiero:
Che r esempio de' duci ogni altro move,
Serico fregio o d' or, piuma, o cimiero
Superbo dal suo capo ognun rimove,
Ed insieme del cor Y abito altero
Depone, e calde e pie lagrime piove.
Pur quasi al pianto abbia la via rinchiusa,
Così parlando ognun sé stesso accusa:
8. Dunque, ove tu, signor, di mille rivi
Sanguinosi il terren lasciasti asperso,^
D' amaro pianto almen due fonti vivi
In sì acerba memoria oggi io non verso?
Ao'ghiacciato mio cor, che non derivi
Per gli occhj, e stilli in lagrime converso?
Duro mio cor , che non ti spetri e frangi ?
Pianger ben merti ognor, s' ora non piangi.
9. Della cittade intanto un eh' alla guarda
Sta d' alta torre, e scopre i monti e i campi,
Colà giuso la polve alzarsi guarda,
Sicché par, che gran nube in aria stampi :
Par , che l)aleni quella nube ed arda,
Cernie di fiamme gravida e di lampi:
Poi lo splendor de' lucidi metalli
Scerne e distingue gli uomini e i cavalli.
10. Allor gridava : Oh qual per 1' aria stesa
Polvere i' veggio , oh come par che splenda !
Su, suso, o cittadini, alla difesa
S' armi ciascun veloce, e i muri ascenda!
Già presente è il nemico. E poi ripresa
La voce: Ognun s' allVetti, e l' arme prenda!
Ecco il nemico è qui ! mira la polve,
Che sotto orrida nebbia il cielo involve!
11. I semijlici fanciulli e i vccchj inerrai,
E '1 vulgo delle donne sbigottite,
Clie non sanno ferir , nò fare schermi,
'iVaéan supplici e mesti alle mesciute,
(ìli altri , (li membra e d' animo più fermi,
(jlià frettolosi V arme avean rapite.
Accorre altri alle porte, altri alle mura:
11 re Mi intcuno , e 1 tutto vede e cura.
12. Gli ordini diede , e poscia ei si ritrasse
Ov«; sorge una torre infra due porte,
Si<;<:h' è presso al bisogno: e son più basse
Quindi le i)iagge , e le montagne scorte.
Voli»!, che qin\i seco Erminia andasse,
Erminia bella, (Ir ei raccolse; in corte,
Poicii' a lei fu dalle cristiane squadre
Presa Aniiocbia , e morte» il re ku<i padre.
13. Clorinda intanto incontra ai Franchi è gita :
Molti van seco, ed ella a tutti è innante.
Ma in altra parte , ond' è secreta uscita,
Sta pi-eparato alle riscosse Argante.
La generosa i suoi seguaci incita
Co' detti , e con l' intrepido sembiante.
Ben con alto principio a noi conviene,
Dicea, fondar dell' Asia oggi la spene.
14. Mentre ragiona ai suoi , non lunge scorse
Un franco stuol addur rustiche prede,
Che , com' è 1' uso , a depredar precorse,
Or con gregge ed armenti al campo riede.
Ella ver loro , e verso lei sen coi-se
Il duce lor , eh' a sé venir la vede.
Gardo il duce é nomato , uom di gran possa,
Ma non già tal, eh' a lei resister possa.
15. Gardo a quel fero scontro è spinto a terra
In su gli occhj de' Franchi e de' pagani,
Ch' allor tutti gridar , di quella guerra
Lieti augurj prendendo , i quai fùr vani.
Spronando addosso agli altri ella si serra,
E vai la destra sua per cento mani.
Seguirla i suoi guerrier per quella strada,
Che spianar gli urti , e che s' aprì la spada.
10. Tosto la preda al predator ritoglie:
Cede lo stuol de' Franchi a poco a poco,
Tantoch' in cima a un colle ei si raccoglie,
Ove ajutate son l' arme dal loco.
Allor, siccome turbine si scioglie,
E cade dalle nubi aereo foco.
Il buon Tancredi , a cui Goffredo accenna,
Sua squadra mosse, ed arrestò 1' antenna.
17. Porta sì salda la gran lancia , e in guisa
Vien feroce e leggiadro il giovanetto,
Che veggendolo d' alto il re s' avvisa.
Che sia guerrier infra gli scelti eletto.
Onde dice a colei, eh' è seco assisa,
E che già sente palpitarsi il petto :
Ben conoscer dei tu per sì lungo uso
Ogni Cristian , benché nell' arme chiuso.
18. Chi è dunque costui, che così bene
S' adatta in giostra , e fero in vista è tanto ?
A quella, in vece di risposta, viene
Sulle labbra un sospir, su gli occhj il pianto.
Pur gli spirti e le lagrime ritiene,
Ma non co^ì , che lor non mostri alquanto :
Che gli occhj pregni un bel purpureo giro
Tinse, e roco spuntò mezzo il sospùo.
19. Poi gli dice infingevole, e nasconde
Sotto il manto dell' odio altro desio :
Oimé, bene il conosco, ed ho ben donde
Fra mille riconoscerlo deggia io:
Che spesso il vidi i campi e le profonde
Fosse del sangue empir del popol mio.
Ahi c|uant(» é crudo nel ferire! A piaga,
Cir ei faccia, erba non giova, od arte maga.
20. Egli é il prence Tancredi. Oh prigioniero
Mio fosse un giorno! e noi vorrei già morto,
\ ivo il vorrei , perdi' in me desse al fero
Desio dolce vendetta alcun conforto.
Così parlava , e de' suoi detti il vero
Da chi r udiva in altro senso è torto:
E fuor n' lisci con le sue voci estreme
Misto un sospir, che 'ndarnu ella già preme.
[29]
GERUSALEMME LIBERATA. (111. 21 - 36)
[30]
21. Clorinda intanto ad incontrar 1' assalto
Va di Tancredi , e pon la lancia in resta.
Ferirsi alle visiere , e i tronchi in alto
Volaro , e parte nuda ella ne resta ;
Che rotti i lacci all' elmo suo , d' un salto
(Mirahil colpo !) ci le halzò di testa ;
E le chiome dorate al vento sparse,
Giovane donna in mezzo '1 campo apparse.
22. Lampeggiar gli occhj , e folgorar gli sguardi
Dolci neir ira: or che sarìan nel riso.''
Tancredi, a che pur pensi, a che pur guardi.-^
Non riconosci tu 1' amato ^ iso .''
Quest' è pur quel hcl volto, onde tutt' ardi:
Tuo core il dica, ov' è suo esempio inciso:
Questa è colei , clic rinfrescar la fronte
A edesti già nel solitario fonte.
23. Ei, eh' al cimiero ed al dipinto scudo
!\on hadò prima , or lei vcggendo impietra.
Ella, quanto può meglio, il capo ignudo
Si ricopre , e 1' assale ; ed ei s' arretra.
Va contra gli altri , e ruota il ferro crudo,
Ma però da lei pace non impetra,
Che minacciosa il segue, e: volgi, gl'Ida,
E di due morti in un punto lo sfida.
24. Percosso il cavalier non ripercote,
IVè sì dal ferro a riguardarsi attende,
Come a guardar i hegli occhj e le gote,
Ond' Amor 1' arco inevitahil tende.
Fra so dicea : Van le percosse vote
Talor , che la sua destra armata stende ;
Ma colpo mai del bello ignudo volto
Non cade in fallo, e sempre il cor ra' ù colto.
25. Risolve alfin , benché pietà non spere,
Di non morir tacendo occulto amante.
A uol eh' ella sappia , eh' un prigiofi suo fere
Già inerme , e supplichevole , e tremante.
Onde le dice: Oh tu, che mostri avere
Per ncmi(-o me sol fra turbe tante,
Usciam di questa mischia, ed in disparto
r potrò teco , e tu meco provarle.
26. Co^i me' si vedrà , s' al tuo s' agguaglia
Il mio va-lore. Ella accettò 1' invito,
E com' esser senz' elmo a lei non caglia.
Già baldanzosa , ed ci scguia smarrito.
Recata s' era in atto di battaglia
Già la guerriera, e già 1' avea ferito,
Quaiid' egli : Or l'erma , disse , e siano fatti
Anzi la pugna della pugna i patti !
27. Fcrmossi : e lui di pauroso audace
Rende in quel punto il di>p(U'ato amore.
I patti sian , dicea , poiché tu pace
Meco non mioì , <;he tu mi tragga il «!ore.
II mio cor, non più mio, s' a te dispiaco
Ch' egli più >iva, volontario muore:
E tuo gran t'-mpo; e tem|)o e beai , che trarlo
Ornai tu debbia, e non dcbb' io vietarlo.
28. Ecco io chino le {traccia , <; t' apprcsento
Senza difesa il petto; or <'hc noi bedi.''
A'iioi , clr ag<!V(ili r opra? 1" son coiit(;nlo
Traruii l' u>bergo or or, s*- nudo il chiedi.
Di.stinguea Ini-st? in più lungo bimcnto
1 suoi dolori il misero Tancredi ;
Ma calca 1' impeilisce iute iiipeslita
Uc' pagani u du' suoi, che soprarriva.
29. Cedean cacciati dallo stuol cristiano
I Palestini , o sia temenza , od arte.
Un de' persecutori, uom inumano,
A idele sventolar le chiome sparte,
E da tergo in passando alzò la mano,
Per ferir lei nella sua ignuda parte;
Ma Tancredi gridò , che se n' accorse,
E con la spada a quel gran colpo occorse.
30. Pur non gì tutto invano, e ne" confini
Del bianco collo il bel capo ferille.
Fu Icvissima piaga , e i biondi crini
Rosssegginron così d' alquante stille,
Come rosseggia l' or, che di rubini
Per man d' illustre artefice sfaville.
Ma il prence infuriato allor si spinse
Addosso a quel villano , e '1 ferro stringe.
31. Quel si dilegua : ed egli acceso d' ira
Il segue, e van come per 1' aria strale.
Ella riman sospesa , ed ambo mira
Lontani molto , né seguir le cale,
Ma co' suoi fuggitivi si ritira.
Talor mostra la fronte, e i Franchi assale.
Or si volge , or rivolge , or fugge , or fuga ;
]Nè si può dir la sua caccia , né fugfi.
32. Tal gran tauro talor nell' ampio agont-,
Se volge il corno ai cani , ond' é seguito,
S' arretran essi , e s' a fuggir si pone,
Ciascun ritorna a seguitarlo ardito.
Clorinda nel fuggir da tergo oppone
Alto lo scudo, e '1 capo é custodito.
Così coperti van ne' giochi mori
Dalle palle lanciate i fuggitorL
33. Già questi seguitando, e quei fuggendo,
S' erano all' alte mura avvicinati,
Quando alzaro i pagani un grido orrendo,
E indietro si ftir subito voltati,
E fecero un gran giro, e poi volgendo
Ritornalo a ferir le spalle e i lati:
E intanto Argante giù movea dal monte
La schiera sua per assalirgli a fronte.
34. II feroce Circasso uscì di stuolo:
Ch' esser vols' egli il feritor primiero:
E quegli , in cui ferì , fu steso al suolo,
E sossopra in un fascio il suo destriero.
E priacbé P asta in tronchi andasse a volo.
Molli cadendo com|)agnia gli fero.
Poi stringe il ferro, e qiiand' ei giunge iippieno.
Sempre uccide, od abbatte, o piaga aimeno.
85. Clorinda, emula sua, tolse di vita
Il forte Ardelio, uom già d' età matura.
Ma di veci hiezza indomita , e munita
Di duo gran figli; eppiir ncui fu sccura;
Cir Alcandro, il nuiggior figlio , aspra ferita
Rimosso avea dalla paterna cura,
E l'oliferiio, che rc.-togli appresso,
A gran pina salvar potè sé stesso.
of». I\Ia T.incredi, ilaiipoich' egli non giiingt»
Quel villiin, che destriero ha più corrente,
Si mira ad(ii<(ro , e vede ben , che lunge
Troppo è fras(dr.-.a la sua amlace gente.
A «ilcia in(4)riiiala, e '1 cor>ier punge
>olgrMdo il freno, e là s' invia repente.
^(■d ef;li ^olo i bUoi guerri<>r soccorre,
Ula quello btuol , eh' ii lutti i rischj accorre.
m
GERUSALEMME LIBERATA. (III. 3T-52)
[32]
37. Quel di Dndone avvcnturier drappello.
Fior degli eroi, nerbo e vigor del campo.
Rinaldo , il più magnanimo e il più bello,
Tutti precorre; ed è men ratto il lampo.
Bentosto il portamento e il bianco augello
Conosce Erminia nel celeste campo,
E dice al re, eh' in lui fissa lo sguardo:
Eccoti il domator d' ogni gagliardo!
S3. Questi ha nel pregio della spada eguali
Pochi, o nessuno; ed è fanciullo ancora.
Se fosser tra' nemici altri sei tali,
Giù Soria tutta vinta e serva fora;
E già domi sareboono i più australi
Regni , e i regni più prossimi all' aurora,
E forse il W\\o occulterebbe invano
Dal giogo il capo incognito e lontano.
ùJK Rinaldo ha nome , e la sua destra irata
Temon più d' ogni macchina le mura.
Or vol:;i gli occhj , ov' io ti mostro, e guata
Colui , che d' oro e verde ha 1' armatura !
Quegli è Dudone , ed è da lui guidata
Questa schiera, che schiera è di ventura.
K guerrier d' alto sangue, e molto esperto,
(Jhe d' età vince , e non cede di merto.
40. Mira quel grande , eh' è coperto a bruno !
È Gernardo, il fratel del re norvegio.
ISon ha la terra uom più superbo alcuno :
Questo sol de' suoi fatti oscura il pregio.
E son que' duo , che van sì giunti in uno,
Ed han bianco il vestir , ))ianco ogni fregio,
Gildippe ed Odoardo , amanti e sposi,
In valor d' arini e in lealtà famosi.
4 1 Così parlava : e già vedean là sotto
Come la strage più e più s' ingrosse ;
('Ile Tancredi e Rinaldo il cerchio han rotto,
Renchè d" uomini denso e d' armi fosse.
E poi lo stuol , eh' è da Dudon condotto,
Vi giunse, ed aspramente anco il percosse.
Argante, Argante stesso, ad un grand' urto
Di Rinaldo abbattuto, appena è sorto.
42. Né sorgea forse; ma in quel punto stesso
Al figliuol di liertoldo il dcstrier cade,
E , restandogli sotto il piede oppresso,
Ccuivien, eh' indi a ritrarlo alquanto bade.
Lo stuol pagan frattanto in rotta messo
Si ripara fuggendo alla cittade.
Soli Argante e Clorinda argine e sponda
Sono al furor , che lor da tergo inonda.
43. Ultimi vanno; e 1' impeto seguente
In lor s' arresta alquanto e si reprìme,
Sicché poteau mcn perigliosamenie
Quelle genti fuggir, che fuggian prime.
Segue Dudon nella littoria ardente
1 fuggitivi, e '1 licr Tigrane oj^prime
('ou I' urto del (-avallo, e con la Hpadii
l'a, clic s(!(;uio del capo u terra cada.
41. Xè giova ad Algaz/.arre il fino usbergo.
Ned a Corban robusto il forte elmetto ;
Ch' in guisa lor ferì la nuca e '1 tergo.
Che ne passò la piaga al viso, al petto.
E per isua mano ancor del dolce albergo
li' alma usci il' Auuirate e di Meemetto,
E del crudo .\liiians(»r; nò '1 gran Circasso
l'uò sicuro da lui movere un pu.sso.
45. Freme in sé stesso Argante, eppur talvolta
Si ferma e volge , e poi cede pur anco.
Alfio così improvviso a lui si volta,
E di tanto rovescio il coglie al fianco,
Che dentro il ferro vi s' immerge , e tolta
E dal colpo la vita al duce franco.
Cade, e gli occhj, eh' appena aprir si ponno.
Dura quiete preme , e ferreo sonno.
4G. Gli aprì tre volte , e i dolci rai del cielo
Cercò fruire, e sovra mi braccio alzarsi,
E tre volte ricadde , e fosco velo
Gli occhj adombrò, che stanchi alfin serrarsi.
Si dissolvono i membri, e '1 mortai gelo
Irrigiditi, e di sudor gli ha sparsi.
Sovra il corpo già morto il fero Argante
Punto non bada, e via trascorre innante.
47. Con tutto ciò , scbben d' andar non cessa,
Si volge ai Franchi, e grida: oh cavalieri.
Questa sanguigna spada è quella stessa.
Che '1 signor vostro mi donò pur jeri.
Ditegli, come in uso oggi 1' ho messa!
Ch' udirà la novella ei volentieri,
E caro esser gli dee , che '1 suo bel dono
Sia conosciuto al paragon sì buono.
48. Ditegli , che vederne omai s' aspetti
Nelle viscere sue più certa prova !
E quando d' assalirne ei non s' affretti,
Verrò non aspettato, ov' ei si trova.
Irritati i cristiani ai feri detti.
Tutti ver lui già si moveano a prova;
Ma con gli altri esso è già corso in sicuro
Sotto la guardia dell' amico muro.
49. I difensori a grandinar le pietre
Dall' alte mura in guisa incominciaro,
E quasi inuumerabìli faretre
Tante saette agli archi ministraro,
Che forz' è pur, che '1 franco stuol s' arretre
E i Saracin nella cittade entraro.
Ma già Rinaldo , avendo il pie sottratto
Al giacente destrier, s' era qui tratto.
50. Venia per far nel barbaro omicida
Dell' estinto Dudone aspra vendetta,
E fra' suoi giunto alteramente grida:
Or qual indugio è questo .-* e che s' aspetta?
P(»ich' è morto il signor , che ne fu guida,
Che non corriamo a vendicarlo in fretta.''
Dimque in sì grave occasion dì sdegno
Esser può fragil muro a noi ritegno.''
51. Non, se di ferro doppio, o d' adamante
Questa muraglia iuipenetrabìl fosse,
('olà dentro sicuro il fero Argante
S' appiatteria dalle vostr' alte posse.
Andlam ]Mirc all' assalto! Ed egli innante
A tutti gli altri in questo dir si mosse;
Clir nulla teme la sicura testa
O di sassi, o di strai nembo, o tempesta.
52. Ei crollando il gran capo alza la faccia
l'iena dì si terribile ardimento,
Che sin dentro alb; mura i cori agghiaccia
Ai difensor d' insolilo spavento.
Mtuitr' egli altri rincora , altri minaccia,
Sopravvicn chi reprime il suo talento :
('Ih': (loilVcdo lor manda il buon Siglerò,
De' gravi imperj suoi nunzio severo.
33]
GERUSALEMME LIBERATA. (HI. 53—68)
[34]
53. Questi sgrida in suo nome il troppo ardire,
E incontinente il ritornar impone.
Tornatene ! dicea , eh' alle TOs^tr' ire
IVon è il loco ojjportuno , e la stagidne,
(jrofTrcdo il vi comanda. A questo dire
Rinaldo si frenò, eh' altrui fu sprone:
Benché dentro ne frema , e in più d' un segno
Dimostri fuore il mal celato sdegno.
51. Tornar le schiere indietro , e dai nemici
Non fu il ritorno lor punto turhato.
]\è in parte alcuna degli estremi uffici
Il corpo di Dudon restò fraudato.
Sulle pietose hraccia i fidi amici
Portarlo , caro peso ed onorato.
Mira intanto il Buglion d' eccelsa parte
Della forte cìttade il sito e T arte.
55. Gerusalem sovra due colli è posta
D' impari altezza, e volti fronte a fronte.
A a per lo mezzo suo valle interposta,
Che lei distingue, e l' un dall' altro monte.
Fuor da tre lati ha malagcvol costa:
Per r altro vassi, e non par che si monte.
IMa d' altissime mura è più difesa
La parte piana , e 'ncontra horea stesa.
56. La città dentro ha lochi, in cui si serba
L' acqua, che piove, ha laghi , e fonti vivi;
Ma fuor la terra intorno è nuda d' erba,
E di fontane sterile , e di rivi.
]\è si vede fiorir lieta e superba
D' alberi , e fare schermo ai raggi estivi,
Se non se in quanto oltra sei minila imi bosco
Sorge d' ombre nocenti orrido e fosco.
57. Ha da quel lato, donde il giorno appare,
Del felice (Jiordan le nobili onde,
E dalla parte occi dentai del mare
Mediterraneo l' arenose pende.
Verso borea è Betel , eh' alzò l' altare
Al bue dell' oro, e la Sasmaria; e donde
Austro portar le suol pio voso nembo,
Betclem , che '1 gran parto accolse in grembo.
58. Or mentre guarda e I' alte mura, e '1 sito
Della città («oflVedo e del paese,
E \>ensa, ove s' accampi, onde assalito
Sia il muro ostil più Tacile all' oHese,
Erminia il vide, e di mostrollo a dito
Al re pagano, e co?ì a dir riprese:
(ìofl'rcdo è quel, che ned purpureo manto
Ha di regio e di augusto in sé cotanto.
59. Veramente è costui nato all' impero ;
Sì del regnar , del eomaiidar sa 1' arti !
E non minor che duce è cavaliero,
Ma (h'I doppio > alor tutte ha le i)arti.
]V«; Ira turba sì grande inun più guerriero,
O pili saggio dì lui |)otr(ù moslrarti.
Sol llaimondo in consiglio, ed in battaglia
Sol Uinaido e Tancredi a lui s' agguaglia.
60. Hisponde il re pagali : Ben lio di lui
Contezza, e 1 vidi alla gran corte in Francia,
Qiiand' io d' Kgitto iiie^saggier \ì fui;
E|i vidi in iiobii gi<i^(ia oprar la lancia.
E seblu-n gli anni giovinetti sui
Non gli M-slian di pimiK; ancor la giinnciii.
Pur dava a' detti, all'opre, alle sembianze
Presagio ornai d' altissime speranze.
61. Presagio ahi troppo vero ! E qui le ciglia
Turbate induna, e poi le innalza e cliiede:
Dimmi , chi sia colui , che ha pur vermiglia
La soprav vesta, e seco a par si vede.
Oh quanto di sembianti a lui simiglia.
Sebbene alquanto di statura cede!
E Baldovin, risponde, e ben si scopre
]Nel volto a lui fratel, ma più nell'opre.
62. Or rimira colui, che quasi in modo
D' uom, elle consigli , sta dall'altro fianco!
Quegli èUaimondo, il qnal tanto ti lodo
D' aceorgiiiieiito, uom già canuto e bianco.
]\on è chi tesser me' bellico frodo
Di lui sapesse, o sia Latino, o Franco.
Ma queir altro più in là, cji' aurato ha V elmo
Del re britanno è 1 buon figliuol Guglielmo.
63. V' è Guelfo seco: egli è d' opre leggiadre
Emulo, ed' alto sangue, e d' alto stato.
Ben il conosco alle sue spalle quadre,
Ed a quel petto colmo e rilevato.
Ma '1 gran nemico mio tra queste squadre
Già riveder non posso; e pur vi guato:
1' dico Bocmondo , il micidiale
Distruggitor del sangue mio reale.
64. Così parlavan questi. E '1 capitano,
Poich' intorno ha mirato, ai suoi discende.
E perchè crede, che la terra invano
S' oppugneria, dove il più erto ascende,
Centra la porta aquilonar nel piano.
Che con lei si congiiinge, alza le tende:
E quinci procedendo, iiifia la torre.
Che chiamano angolar, gli altri fa porre.
65. Da quel giro del campo è contenuto
Della cittadc il terzo, o poco meno:
Che d' ogn' intorno non avria potuto
(Cotanto ella volgea) cingerla appieno.
Ma le vie tutte, onde aver punte ajuto,
Tenta (JoflVedo d' impedirle almeno.
Ed occupar fa gli opportuni pas.>i,
Onde da lei si -viene, ed a lei vassì.
66. Impon che sian le tende indi munite
E di fosse profonde, e di trineiere,
Che d' una parte a cittadine uscite.
Dall' altra oppone a correrie straniere.
IMa poiché fiir qiicst' opere fornite,
"\ols' egli il corpo di l)nd«Mi vedere,
E colà trasse, ove il luion duce estinto
Da mesta turba e lagrimosa è cinto.
67. Di nolùl pompa i fidi amici (irnaro
Il gran feretro, ove sublime ei giace.
Quando (JolìVedo entrò, le Iiirlie al/.aro
La voce as^ai più llebile e loquace.
Ma con vidto né torbido, né eliiaro
Frena il >uo all'etto il i>io l{nf;lionc . e tace:
E poiché 11 lui pen-ando alquanto lis»e
Le luci elibe teiiuie, alUn sì disse:
68. Già non si deve a te doglia, né pianto.
Che, se mori nel mondo , in ciel rinasci;
E qui, dove ti spof;li mortai manto,
Di gloria impresse alte vestigia lasci.
Vivesti ipial giierrier cristiani» e santo,
E come tal sei morto: or godi e pa«ci
In Dio gli occhi bramosi, oh felice alma,
Ed hai del bene oprar corona e palma.
3
[35] GERUSALEMME LIBERATA. (III. 69— Y6. IV. 1 — 4) [36]
6 9. Vivi beata pur ! che nostra sorte,
Non tua sventura, a lagrimar n' invita:
Posciach' al tuo partir sì degnale forte
Parte di noi fa col tuo pie partita.
Ma se questa, che '1 volg^o appella morte,
Privati ha noi d' una terrena aita,
Celeste aita ora impetrar ne puoi.
Che '1 ciel t' accoglie infra gli eletti suoi.
70. E come a nostro prò veduto abbiamo
Ch' usavi , uora già mortai , V arme mortali,
Cosi vederti oprare anco speriamo.
Spirto divin , l' arme del ciel fatali.
Impara i voti ornai , eh' a te porgiamo,
Raccmrre , e dar soccorso ai nostri mali ,
Tu di vittoria annunzio ! a te devoti
Solverem trionfando al tempio i voti.
71. Così diss' egli: e già la notte oscura
Avea tutti del giorno i raggi spenti,
E con r obblio d' ogni nojosa cura
Ponea tregua alle lagrime, ai lamenti.
Ma il capitan , eh' espugnar mai le mura
Kon crede senza i bellici stromenti,
Pensa, ond' abbia le travi, ed in quai forme
Le macchine componga , e poco dorme.
72. Sorse a pari col sole , ed egli stesso
Seguir la pompa funeral poi volle.
A Dudon d' odorifero cipresso
Composto hanno il sepolcro appiè d' un colle,
Kon lunge agli steccati: e sovra ad esso
Un' altissima palma i rami estolle.
Or qui fu posto, e i sacerdoti intanto
Quiete all' alma gli pregar col canto.
73. Quinci e quindi fra i rami erano appese
Insegne, e prigioniere arme diverse.
Già da lui tolte in più felici imprese
Alle genti di Siria ed alle perse.
Della cora/.za sua , dell' altro arnese
In mezzo il grosso tronco si coperse.
Qui (vi fu scritto poi) giace Dudone:
Onorate 1' altissimo campione !
71. Ma il pietoso Buglion, poiché da questa
Opra si tolse dolorosa e pia,
Tutti i fabbri dal campo alla foresta
Con buona scorta di soldati invia.
Ella è tra valli ascosa, e manifesta
L' avea fatta a' Francesi uom di Soria.
Qui per troncar le macchine n' andaro,
A cui non abbia la città riparo.
75. L' un r altro esorta , che le piante atterri,
E faccia al bosco inusitati oltraggi.
Caggion recise da taglienti ferri
Le sacre palme , e i frassini selvaggi,
I funebri cipressi, e i pini, e i cerri,
L' elei frondose, e gli alti abeti, e i faggi,
Gli olmi mariti , a cui talor s' appoggia
La vite, e con pie torto al ciel sen poggia.
76. Altri i tassi, e le querce altri percote,
Che mille volte rinnovar le chiome,
E mille volte, ad ogni incontro immote
L' ire de' venti han rintuzzate e dome ;
Ed altri impone alle stridenti rote
D' orni e di cedri 1' odorate some.
Lasciano al snon dell' arme, al vario grido,
£ le fere e gli augei la tana e '1 nido.
CANTO QUARTO.
ARGOMENTO.
V orribil tromba al rauco suon richiama
Il re d' abisso le tartaree torme ;
E cantra V armi, che Dio guida ed ama,
Tutte V arma e disserra in varie forme.
Esecutrice indi è di ciò eh'' ei brama
L' arted' Armida a sua beltà conforme.
Tenta ella eroi , tenta Goffredo , e'nvano ;
Ch' ei sano ha H cor d' ogni desir non sano.
Mentre son questi alle beli' opre intenti.
Perchè debbiano tosto in uso porse,
Il gran nemico dell' umane genti
Contra i cristiani i lividi occhj torse,
E, scorgendoli ornai lieti e contenti,
Ambo le labbra por furor ni morse,
E, qual tauro ferito, il suo dolore
V vrbò luuggluiuidu u suspiraado fuore.
2. Quinci avendo pur tutto il pensier volto
A recar ne' cristiani ultima doglia.
Che sia , comanda , il popol suo raccolto
(Concilio orrendo!) entro la regia soglia;
Come sia pur leggiera impresa (ahi stolto!)
Il repugnare alla divina voglia.
Stolto , eh' al ciel si agguaglia , e in obblio pone
Come di Dìo la destra irata tuone!
3. Chiama gli abitator dell' ombre eterne
Il rauco suon della tartarea tromba.
Tremau le spaziose atre caverne,
E r aer cieco a quel romor rimbomba.
Aè stridendo cosi dalle superne
Ilegioni del cielo il folgor piomba;
I\è sì scossa giammai trema la terra.
Quando i vapori in sen gravida serra.
4. Tosto gli Dei d' abisso in varie torme
Concorron d' ogni intorno all' alte porte.
Oh come strane, oh c<une orribil forme!
Quant è negli occhj lor terrore e morte!
Stampano alcuni il suol di ferine orme,
E 'n fronte umana bau chiome d' angui attorte,
E lor s' aggira dietro iuuuensa coda,
Che quuoi bi'urza i>i ripiega u biiudu.
[37]
GERUSALEMME LIBERATA. (IV. 5—20)
[38]
5. Qui mille immonde arpie Tedrestì , e mille
Centauri e sifin^i, e pallide gorgoni,
Molte e molte latrar voraci scilie,
E fischiar idre, e sibilar pitoni,
E vomitar chimere atre faville,
Vj l'olifemi orrendi, e Gerioni;
E in novi mostri, e non più intesi, o visti,
Diversi aspetti in un confusi e misti.
6. D' ejsi pai'te a sini.-tra, e parte a destra
A seder vanno al criido re davante.
Siede Pluton nel mezzo, e con la destra
Sostien lo scettro ruvido e pesante.
]\è tanto scoglio in mar, ne rupe alpestra,
^è più Calpe s' innalza, o '1 magno Atlante,
Cli' anzi lui non paresse un picciol colle:
Si la gran fronte e le gran corna estolle!
7. Orrida maestà nel fero aspetto
Terrore accresce, e più superbo il rende.
Ilosseggian gli occhj, e di veneno infetto,
(^ome infausta i;omcta, il guardo splende.
Gì' ifivcd^e il mento, e soli' irsiito petto
Lapida e folta la gran barba scende;
Ij in guisa di voragine profonda
S' apre la bocca d' atro sangue immonda.
8. Qual i fumi sulfurei ed infiammati
Escon di r»l()ngibello , e 'l pnzzo e '1 tuono,
Tal della fera bocca i negri fiati,
Tale il fetore e le faville sono.
Mentre ei parlava. Cerbero i latrati
lUpresse, e T idra si fé' muta al suono:
Restò Cocito, e ne tremar f;li aliissi;
E in questi detti il gran rimbombo udissi :
9. Tartarei numi, di seder più degni
Là sovra il sole, ond' è V origin vostra.
Che meco già dai più felici regni
Spinse il gran caso in questa orribil rhio-tra ;
Gli antichi altrui sospetti , e i fieri sdegni
]\oti son troppo, e 1' alta impresa nostra.
Or colui regge a suo voler le stelle,
E noi siam giudicate alme rubcllc;
10. Ed in vece del di sereno e puro,
Dell' aureo sol, de' bei stellati giri,
N' ha qui rinchiusi in quer-t" abisso oscuro,
]\è vuol, eh' al primo «uior per noi s' aspiri.
E ])os(-ia (ahi quanto a ricordarlo è duro!
Quest' è quel, che più inaspra i miei martiri!)
^c' bei seggi celesti ha 1' iiom chiamato,
L' uoin vile, e di vii fango in terra nato.
11. Nò ciò gli parve assai; ma in pre<la a morte,
Sul per farne più danno, il figlio diede.
Ei \enne e ruppe le tartaree porte,
E porre osò ne' regni iu>stri il piede,
E trarne V ahiu- a noi dovute in Mirte,
E riportarne al ciel sì rii:che prede,
Vincitor trionfando , e in nostro scherno
L' insegne ivi spiegar del vinto inferno.
12. Ma che rinnovo i mitù dcdor parlaiiilo?
Chi non ha già T ingiurie nostre iritoe.''
Ed in qual parte si trovò, uè quando,
(Jir egli cessasse dilli' usate imprese.^
^iin più dessi air antiche andar pensando,
l'cn.^ar dobbiamo allt^ |)reseiili oll'oe.
Deli non \eilete omai . rom' «-gli t<'nti
Tutte ul Buo culto richiamar le ;;enti?
11
15
13. Noi trarrem neghittosi i giorni e 1' ore,
Kè degna cura fia, che '1 cor n' accenda?
E soffrìrem , che forza ognor maggiore
Il suo popol fedele in Asia prenda?
E che Giudea soggioghi , e che '1 sno onore.
Che '1 nome suo più si dilati e stenda?
Che suoni in altre lingue, e in altri carmi
Si scriva, e incida in novi bronzi, e in marmi .^
Che sian gì' idoli nostri a terra sparsi ?
Che i nostri altari il mondo a lui converta.'
Ch' a lui sospesi i voti , a lui sol arsi
Siano gì' incensi, ed auro e mirra offerta?
Cli' ove a noi tempio non solca serrarsi,
Or via non resti all' arti nostre aperta?
Che di tant' alme il solito tributo
INc manchi, e in voto regno alberghi Fiuto?
Ah non Ila ver : che non sono anco estinti
Gli spirti in noi di quel Aalor primiero,
Quando di ferro e d' alte fiamme cinti
Pugnammo già centra il celeste impero.
Fummo, io noi nego, in quel conflitto vinti;
Pur non mancò virtute al gran pensiero.
Diede, chechè si fosse, a lui vittoria.
Rimase a noi d' invitto ardir la giuria.
16. Ma perchè più v' indugio? Itene, oh miei
Fidi consorti, oh mia potenza e forze,
Ite veloci , ed opprimete i rei,
Primach' il lor poter pivi si rinforzo!
Priachè tutt' arda il regno degli Ebrei,
Questa fianmia crescente omai s' ammorze!
Fra loro entrate, e in ultimo lor danno
Or la forza s' adopri , ed or 1' inganno!
17. Sia destin ciò eh' io voglio! Altri disperso
Sen vada errando , altri rimanga ucciso.
Altri, in cure d' amor lascive immerso,
Idol si faccia un dolce sguardo e un riso.
Sia l ferro incontro al suo rettor converso
Dallo stuol ribellante e 'n sé diviso!
Pera il campo e mini , e resti in tutto
Ogni vestigio suo con lui distrutto!
18. Non aspettar già l' alme a Dio rubclle,
Cile fosser queste voci al fin condotte}
Ma fuor volando a riveder le stelle
Già se n' usciau dalla profonda nolte,
Come sonanti e torbide procelle,
Che vcngan (uor delle natie hu- grotte
Ad oscurar il cielo, a jìortar guerra
Ai gran regni del mar e della terra.
19. Tosto spiegando in varj lati i vanni
Si furoii <pH:sti per lo mondo sparli,
E incomiiiciaro a fabbricar ingaiiiii
Di\er.->i e novi, ed ad usar lor arti.
Ma di' tu. Musa, come i primi danni
Mandassero a' cristiani, e di qiiai partii
Tul sai; ma di tant' iqua a noi sì lungo
Debil aura di fama appena gimige.
20. Reggea Damasco e le città vicine
Idraole , l'amoso e iiobil mago,
('he sin dii' suoi primi anni all' indo\ino
Arti >i diedi-, e lu- fu ogimr più >ago.
Ma che giocar , se non potéa del line
Di queir incerta guerra esser prt'sago,
!\ed aspetto di stelle erranti o fi«,-e,
^ù risposta d' inferno il >er predisse?
GERUSALEMME LIBERATA. (IV. 21 — 36)
[40]
21. Gimlicò questi (ahi cieca umana mente,
Come i giudici tuoi son vani , e tditi !)
Cli' all' esercito invitto d' occidente
Appiiiecchiiissc il cifl ruiiie e morti.
Però credendo , che l' egizia gente _
La palma dell' impresa alfni riporti.
Desia , che '1 popol suo nella vittoria
Sia dell' acquieto a parte, e della gloria.
22. 5Ia perchè sanguinosa e cruda estima
Che fia tal guerra, e del suo danno teme,
Ei va pensaudo , con qual arte iu prima
11 poter de' cristiani in parte sceme,
Sicché più agevolm<'nte indi s' opprima
Dalle sue genti e dall' egizie iusieme.
In questo suo pensier il sovraggiunge
L' angelo iniquo, e più i' instiga e punge.
23. Esso il consiglia, e gli ministra i modi,
Onde r impresa agevolar si punte.
Donna , a cui di heltà 16 prime lodi
Concedea l' oriente, è sua nipote.
Gli accorgimenti , e le più occulte frodi,
Ch' usi o femmina , o maga , a lei son note.
Questa a sé chiama , e seco i suoi consigli
Comparte, e vuol, che cura ella ne pigli.
21. Dice: Oh diletta mia, che sotto biondi
Capelli, e fra si tenere sembianze
Cainito senno e cor virile ascondi,
E già neir arti mie me stesso avanze,
Gran pensier volgo; e se tu lui secondi,
Seguiranno gli efletti alle speranze.
Tessi la tela, eh' io ti mostro ordita,
Di cauto vecchio esecutrice ardita!
25. Vanne al campo nemico! Ivi s' impieghi
Ogni arte femminil , eh' amore alletti !
Bagna di pianto , e fa melati i preghi !
Tronca e ccuifondi co' sospiri i detti !
Beltà dolente e miserabil pieghi
Al tuo volere i più ostinati petti!
Vela il soverchio ardir con la vergogna,
E fa manto del vero alla menzogna !
26. Prendi, s' esser potrà, Goffredo all' esca
De' dolci sguardi, e de' bei detti adorni,
Siedi' all' uomo invaghito omai rincresca
L' incominciata guerra , e la distorni !
S' esso non puoi, gli altri più grandi adesca,
Menali in parte , ond' alcun mai non torni !
Poi distingue i consigli; allìu le dice:
Per la fc , per la patria il tutto lice.
27. La bella Armida , di sua forma altera
E de' doni del sesso e dell' etate,
L' impresa prende; e in sulla prima sera
Parte, e tiene sol vie chiuse; e celate:
E' n treccia e 'n gonna femminile s|)era
A inccr popoli invitti e schiere armale.
Mn son del sin) partir tra 'I volgo ad arto
Di\er»e voci poi diil'use e si>arte.
28. Dopo non molti dì ^ien la donzella.
Dove >i>i(gate i Eranchi avean le tende.
Ali' ap|iiirir della Ixdlà novella
INaMc un lii-iliìglio, u '1 guardo ognun v'intende;
Sicc(»me là, dove c(uneta o stella
Non più vif-ta di giorno in ciel risplende;
E traggon tutti per veder, chi sia
Si bella peregrina, e chi f invia.
29. Ai-go non mai, non vide Cipro, o Delo
D' abito, o di bella l'orme fi care.
D' auro ha la chionui, eh' or dal bianco velo
Traluce involta , «u- disco|)erta appare.
Così, qualor si rasserena il cielo,
Or da candida nube il sol tra-^pare,
Or dalla nube uscendo i rag^i intorno
Più chiari spiega, e ne raddoppia il giorno.
30. Fa nuove crespe 1' aura al crin disciolto,
Che natura per sé rincrespa in onde.
Stassi 1' avaro sgfuirdo in sé raccolto,
E i tesori d' amore e i suoi iiasccuide.
Dolce color di rose in quel bel volto
Fra r avorio si sparge, e si ccuit'onde;
Ma nella bocca, ond' esce aura amorosa.
Sola rosseggia e semplice la rosa.
31. Mostra il bel petto le sue nevi ignude,
Onde il foco d' amor si nutre e desta:
Parte appar delle mamme acerbe e crude,
Parte altrui ne ricopre invida vesta:
Invida; ma s' agli occhj il varco chiude,
L' amoroso pensier già non arresta,
Che, non ben pago di bellezza esterna,
Negli occulti secreti anco s' interna.
32. Come per acqua, o per cristallo intero
Trapassa il raggio, e noi divide, o parte,
Per entro il chiuso manto osa il pensiero
Sì penetrar nella vietata parte.
Ivi si spazia , ivi contempla il vero
Di tante meraviglie a parte a parte:
Poscia al desio le narra e le descrive,
E ne fa le sue fiamme in lui più vive.
33. Lodata passa e vagheggiata Armida
Fra le cupide turbe , e se n' avvede.
Noi mostra già, benché in suo cor ne rida,
E ne disegni alte vittorie e prede.
Mentre, sospesa alquanto, alcuna guida.
Che la conduca al capitan, richiede,
Eustazio occorse a lei , che del sovrano
Principe delle squadre era germano.
31. Come al lume farfalla, ei si rivolse
Allo splendor della beltà divina,
E rimirar dappresso i lumi volse,
Che dolcemente atto modesto inchina,
E ne trasse gran fiamma , e la raccolse.
Come da fuoco suole esca vicina.
E disse verso lei (eh' audace e baldo
Il fea degli anni e dell' amore il caldo):
35. Donna, se pur tal nome a te convicnsi.
Che non somigli tu cosa terrena,
Né v' è figlia d' Adamo, in cui dispensi
Cotanto il ciel di sua luce serena!
Che da te si ricerca.'' e donde viensi ?
Qual tua ventura, o nostra, or qui ti mena?
Fa. eh' io sappia, chi sei! Fa, eh' io non erri
Neil' onorarti , e s' è ragion , in' atterri !
36. Risponde: 11 tuo lodar troppo alto sale.
Né tanto in suso il merto nostro arriva.
(yosa vedi, signor, non pur mortale,
Ma già morta ai diletti , al duol sol viva.
Mia sciagura mi spinge in loco tale,
ACrgini! peregrina e fuggitiva.
Ricorro al pio Goffredo, e in lui confido;
Tal va di sua buntate intorno il grido.
"]
GERUSALEMME LIBERATA. (IV. 37-52)
[42]
S7. Tu r adito m' impetra al capitano,
S' Jiai, come pare, alma cortese e pia!
Ed egli: E l)en ragion, eli' all' un germano
L' altro ti guidi, e jnter<-e»sor ti sia.
tergine bella, non ricorri invano;
Kon è vile appo lui la grazia mia.
Spender tutto potrai , conte t' aggrada.
Ciò, che vaglia il suo scettro, o la mia spada.
38. Tace , e la guida, ove tra i grandi eroi
AUor dal volgo il pio Buglion s' invola.
Essa inchinoUo riverente, e jxti
Vergognosetta non tacca parola.
Ma quel rossor , ma quei timori suoi
Rassì(;nra il giicrriero, e riconsola,
Sicché i pensati inganni alfine spiega
la suon , che di dolcezza i sensi lega.
39. Principe invitto, disile, il cui gran nome
Sen vola adorno di si chiiiri fregi,
Che r esser da te vinte e in guerra dome
Recansi a gloria le province e i regi !
Koto per tutto è il tuo valore, e come
Sin dai nemici av\icn, che s' ami e pregi,
Così anco i tuoi nemici affida , o invita
Di ricercai'ti, e d' impetrarne aita.
IO. Ed io, che nacqui in si diversa fede,
Che tu abbassasti , e eh' or d' opprimer tenti,
Per te spero acquistar la nobil sede
E lo scettro regal de' mìei parenti.
E s' altri aita ai suoi congiunti chiede
Contra il furor delie straniere genti,
Io, poiché 'n lor non ha pietà più loco,
Contra il mio sangue il ferro ostile invoco.
1. Te chiamo, ed in te spero: e in quell' altezza
Puoi tu sol pormi, onde sospinta io fui.
ISè la tua destra esser dee meno avvezza
Di sollevar, che d' atterrare altrui;
Kè meno il vanto di pietà si prezza.
Che '1 trionfar degl' inimici sui:
E s' hai potuto a molti il regno torre,
Fia gloria cgual nel regno or me riporre.
Ma se la nostra fé varia ti move
A disprezzar forse ì miei preghi onesti.
La f e , eh' ho certa in tua pietà, mi giove!
Kè dritto par eh' «'Ila delusa resti.
Testimone è quel Dio , eh' a tutti è Giove,
Cli' altrui pili giusta aita unqua lum desti.
Ma, perchè il tutto appien(» intenda, or odi
Le iiiic sventure insieme e 1' altrui frodi !
}. Figlia io son d' Arbilan, che 1 regno tenne
Del bel Damasco, e in min'>r sorte nacque;
Ma la bella Cariclia in sposa ottenne,
Cui farlo erede del su(» iiii|)erio piacque.
Costei col suo morir quasi prevenne
Il nascer mìo ; eh' in temjio estinta gìacijue,
Cir io fuori uscia dell' alvo: v fu il f.itiilu
Giorno , clr a lei die' morte , a me natale.
i. Ma il primo histro appena era varcato
Dal dì, eh' ella spoglios^i il mortai mìo.
Quando il mio gcnilor, cedendo al lato.
Forse c(tn lei sì rìrongiiuise in cielo.
Di m<; cura lassando e dello stato
Al f ratei , eh' egli amò con lauto relo,
Che, se in petto nuotai pietà ri>iede,
EsBcr certo dovca della sua fede.
45. Preso dunque di me questi il governo.
Vago d' ogni mìo ben sì mostrò tanto,
Che d' incorrotta fé, d' anuir paterno,
E d' immensa pietade ottenne il vanto ;
O che '1 maligno suo pensier interno
Celasse allor sotto contrario manto,
O che sincere avesse ancor le voglie.
Perdi' al figliuol mi destinava in moglie.
46. Io crebbi , e crebbe il figlio , e mai né stile
Di cavalicr, né nobil arte apprese:
Nulla di pellegiino , o di gentile
Gli piacque mai, né mai troppo alto intese:
Sotto deforme aspetto animo vile,
E in cor superbo av.ire voglie accese;
Ruvido in atti ed in costumi è tale,
Ch' è sol ne' vizj a sé medcsmo eguale.
47. Ora il mio buon custode ad uom si degno
Unirmi in matrimonio in sé preilsse,
E farlo del mio letto e del mio regno
Consorte : e chiaro a me più volte il disse.
Usò la lingua e l' arte, usò l' ingegno,
Perché '1 bramato effetto indi seguisse;
Ma promessa da me non trasse mai.
Anzi ritrosa ognor tacqui , o negai.
48. Partissi alfin con un sembiante oscuro,
Onde r empio suo cor chiaro trasparve,
E ben 1' istoria del mio mal futuro
Leggergli scritta in fronte allor mi parve.
Quinci i notturni mìei riposi furo
Turbati ognor da strani sogni e larve.
Ed un fatale orror nell' alma impresso
M' era presagio de' miei danni espresso.
49. Spesso 1' ombra materna a me s' ofTria,
Pallida imago e dolorosa in atto.
Quanto diversa, oimé, da quel, che pria
Visto altrove il suo volto avea ritratti» !
Fuggi, figlia, dicea, morte si ria,
Che ti sovrasta omaì ! partiti ratto!
Già veggo il tosco e l ferro in tuo sol danno
Apparecchiar dal perfido tiranno.
50. Ma che giovava, oimé! che del periglio
Vicino ornai fosse presago il core,
Se irresoluta in ritrovar coM?iglio
La mia tenera età rendea il timore?
Prender fuggtndo volontario esìgi io,
E ignuda uscir del patrio regno fuorc
Grave era si<(h' io fea minore stima
Di chiuder gli occlij , ove gli apci-.-i in prima.
51. Temea, lassa, la morte, e non avea
(Cbi 'I crederla .') poi «li fuggirla ardire;
E scoprir la mia tema anco temea,
Per non all'rettar l' ore al mìo morire.
Co^ì iii(|uieta e torbida tra(*a
I^a vita in un continuo martire;
Qual uom, eh' aspelli, che sul rollo ignudo
Ad or ad or gli caggia il ferro crudo.
52. In tal mio stalo , o fosse nmirn $orte,
0 «ir a peggio mi serbi il mio «le^lin«>,
Vn d(;' iiiìni>ti'i della regia corte,
('he il re mio pudi'e s' allevò biimbino.
Mi s«-op<rse , vUr "I tempo alla mìa morte
Dal tiranno prescritto era vicino,
E eli' «'gli a quel «•ru«l<'le avi-a pronie»s«i
Di porgermi il vcien quel giorno stesso.
[43]
GERUSALEMME LIBERATA. (IV. 5S— 68)
[44]
53. E mi gog^innse pò!, eh' alla mia vita
Sol fuggendo allungar poteva il corso.
E poich' altronde io non sperava aita,
Pronto offrì sé medesmo al mio soccorso,
E confortando mi rendè sì ardita,
Che del timor non mi ritenne il morso, .
Sicch' io non disponessi all' acr cicco,
La patria e '1 zio fuggendo, andarne seco.
51, Sorse la notte oltra l' usato oscnra.
Che sotto r ombre amiche ne coperse ;
Onde con due donzelle uscii sicura.
Compagne elette alle fortune avverse.
Ma lassa! indietro alle mie patrie mura
Pur le luci volgea di pianto asperse,
]\è della vista del natio terreno
Potea partendo saziarle appieno.
55. Fea 1' istesso cammin '1 occhio e V pensiero,
E mal suo grado il piede innanzi giva;
Siccome nave, eh' improvviso e fero
Turbine scioglia dall' amata riva.
La notte andammo e 'I dì seguente intiero
Per lochi, ov' orma altrui non appariva.
Ci ricovrammo in un castello alfine,
Che siede del mio regno in sul confine.
56. E d' Aronte il castel (eh' Aronte fue
Quel, che mi trasse di periglio, e scorse.)
Ma , poiché me fuggito aver le sue
Mortali insidie il traditor s' accorse,
Acceso di furor contr' arabidue
Le sue colpe medesme in noi ritorse,
Ed ambo fece rei di qucll' eccesso,
Che commettere in me volle egli stesso.
57. Disse , eh' Aronte i' avea con doni spinto
Fra sue bevande a mescolar vcncno.
Per non aver , poich' egli fosse estinto,
Chi legge mi prescriva , o tenga a freno,
E eh' io, seguendo un mio lascilo instinto,
Volea raccormi a mille amanti in seno.
Ahi , che fiamma dal cielo anzi in me scenda,
Santa onestà, eh' io le tue leggi offenda!
58. Ch' avara fame d' oro, e sete insieme
Del mio sangue innocente il crudo avesse,
Gr-iive m' è sì; ma vie più '1 cor mi preme,
(he "1 mio candido onor macchiar volesse.
L' empio, che i popolari impeti teme.
Cosi le sue menzogne adorna e tesse.
Che la città , del ver dubbia e sospesa,
Sollevata non s' armi a mia difesa.
59. ^è perdi' or sieda nel mio seggio , e in fronti
Già gii risplenda la regal corona,
Pone alcun fine a' mici gran danni, e all' onte:
Sì la sua fcritate oltra lo sprona !
Arder minaccia entro '1 castello Aronte,
Se di proprio voler non s' imprigiona :
Ed a me , lassa , e 'nsicmc a miei consorti
Guerra annunzia non pur, ma strazj e mot. ri
60. Ciò dice egli di far, perché dal volto
Co^ì lavarsi la vergogna crede,
E ritornar nel grado, ond' io 1' ho tolto,
L' onor del sangue e della regia sede.
Ma il timor n' é cagion , che non ritolto
Gli sia lo scettro, ond' io son vera erede ;
C:iié sol, b' io caggio, por l'ermo sostegno
Con le ruinc mie puole ul suo regno.
61. E ben quel fine avrà 1' empio desire,
Che già prescritto s' ha il tiranno in mente;
E saran nel mio sangue estinte l' ire.
Che dal mio higrimar non fiano spente,
Se tu noi vieti. A te rifuggo , o sire,
10 misera funeiulla, orba, innocente,
E questo pianto , ond' ho i tuoi pieili aspersi,
fagliami sicché 'l sangue io poi non vei'si!
02. Per questi piedi , onde i superbi e gli empj
Calchi, per questa man, che '1 dritto aita,
Per r alte tue vittorie, e per que' tempj
Saeri , cui desti e cui dar cerchi aita,
11 mio desir, che tu puoi solo, adtiiipi,
E in un col regno a me scrlìi la vita
La tua pietà, ma pietà nulla giove,
S' anco te il dritto e la ragion non move.
63. Tu , cui concesse il cielo , e dicltì in fato
Voler il giusto , e poter ciò che vuoi,
A me salvar la vita . e a te lo stato
(Cile tuo fia , s' io 'l ricovro) acquistar puoi.
Fra numero sì grande a me sia dato
Dieee condiu* de' tuoi più forti eroi!
Ch' avendo i padri amici, e 'l popol fido,
Bastau questi a ripormi entro al mio nido.
()4. , Anzi un de' primi , alla cui fé conuaessa
E la cisstodia di secreta porta,
Promette aprirla, e nella reggia stessa
Porci di notte tempo ; e sol m' esorta,
('h' io da te cerchi alcuna aita: e in essa,
Per picciola che sia , si riconforta
Più, che s' altronde avesse un grande stuolo;
Tanto r insegne estima e '1 nome solo 1
05. Ciò detto tace, e la risposta attende
Con atto, che 'n silenzio ha voce e lìreghi.
Goffredo il dubbio cor volve e sospende
Fra pensier varj , e non sa. dove il pieghi.
Teme i barbari inganni, e ben comprende,
Che non é fede in uom, eh' a Dio la neghi ;
Ma d' altra parte in lui pietoso affetto
Si desta, che non dorme ia nobii petto.
66. ÌSé pur r usata sua pietà natia
Vuol, che costei della sua grazia degni;
Ma il move utile ancor: eh' util gli fia,
Cl:e neir imperio di Damasco regni.
Chi da lui dipendendo, apra la via.
Ed agevoli il corso ai suoi disegni,
E genti ed armi gli ministri , ed oro,
Contra gli Egizj , e chi sarà con loro.
67. Mentre eì così dubbioso a terra volto
Lo sguardo tiene, e '1 pensier volve e gira,
La donna in lui s' affissa, e dal suo volto
Intenta pende, e gli atti osserva e mira:
E perché tarda oltr' al suo creder molto
La risposta, ne teme e ne sospira.
Quegli la chiesta grazia alfin ncgoUc;
Ma die' ripulsa assai cortese e molle.
68. Se in servigio di Dio, eh' a ciò n' elesse,
Volte non f»»sser qui le nostre spade,
Hen tua speme fondar potresti in esse,
E soccorso trovar , non che pietadc.
Ma se queste sue gregge , e queste oppresse
Mura non torniam prima in libcrtade.
Giusto non é , con i^(;emar le genti.
Che di uustra vittoria il corso allenti.
15]
GERUSALEMME LIBERATA. (IV. 69 — Si)
9. Ben ti prometto (e tu per noLiI pegno
Slia fé ne prendi , e vivi in lei siiriiiii !)
Clic, se inai sottr.irremo al giogo indegno
Queste, sacre e dal ciel dilette mura,
Di ritornarti al tuo perdntii regno.
Come pietà n' esorta, avrera poi cura.
Or mi farebbe la pietà meo pio,
S' anzi il suo dritto io non rendessi a Dio.
0. A quel parlar chinò la donna, e fisse
Le luci a terra, e stette im'inota alquanto,
Poi sollevolle rugiadose , e disse,
Accomi)agn<indo i llebili atti al pianto :
Misera ! ed a qual altra il del prescrisse
Vita mai grave ed iiiiniutal)il tanto,
Che si cangia in altrui mente e natura,
Priachè si cangi in me sorte sì dura?
1. Nulla speme più resta : invan mi doglio :
Non han più forza in uman petto i preghi.
Forse lice sperar, che '1 mio cordoglio,
Che te non mosse, il reo tii-anno pieghi?
Né già te d' inclemenza accusar voglio.
Perchè 'l picciol soccorso a me si neghi ;
Ma il cielo accuso , onde il mio mal disceiidc.
Che in te pietate inesorabii rende.
!. Non tu, Signor, né tua boutade è tale;
Ma '1 mio destino è, che mi nega aita.
Crudo destino ! empio destin fatale,
Uccidi ornai questa odiosa v ita !
L' avermi priva, oimè, fu picciol male,
De' dolci padri in loro età fiorita.
Se non mi vedi ancor, del regno priva,
Qual vittima al coltello andar cattiva.
Che , poiché legge d' onestate e zelo
Non vuol, che qui si lungamente indugi,
A cui ricorro intanto? ove ini celo?
O quai contra il tiranno avrò rifugi?
Nessun loco sì chiuso é sotto il cielo,
Ch' a lor non s' apra. Or perché tanti indugi i
leggio la morte, e se 'l fuggirla è vano,
Incontro a lei u' andrò con questa mano.
Qui tacque: e parve eh' un regale sdegno
E generoso l' accendesse in vista:
y, '1 piò volgendo, di partir fea segno,
l'utta negli atti dispettosa e trista.
Spargea^i il pianto fiKu* senza ritegno.
Coni' ira ^uol produrlo a dolor nuAta;
K le nascenti lagrime a vederle
Erano a' rai del son cristalli e perle.
Le guance asperse di que' \ì\'i umori,
Che giù cadeau sin della veste al lenilio,
Pareaii vermigli in^ieme e bianchi fiori,
So pur gì' irriga un rugiadoso nembo.
Quando snll' apparir de' primi albori
Spiegano all' aure liete il chiuso grembo,
£ I' alba, che li mira e se n' ajipaga,
D' adornarsene il crin diventa ^a^-a.
78.
79.
80.
Ma il chiaro umor, ch(; di sì spesse stille
Le bell<! gote e 'I seno adorno rende.
Opra enVtlo di foco, il qnal in iiiillu
Petti serpe celato, e vi s' apprende.
Oh mirucol d' Amor, che le favillo
Trngge d«l pianto, e i cor nell' acqua accende!
Sempre sovra natura egli ha possanza;
Ma ili virtù di cubici bò ^ilcàbU uvuiuu.
77. Questo finto dolor da molti elice
Lagrime vere . e i cor più duri spctra.
Ciascun con lei s' affligge, e tra sé dice:
Se mercé da Goffredo or non impetra,
Bvn fu rabbiosa tigre a lui nutrice,
E 1 produsse in aspi' alpe orrida pietra,
O r onda, che nel mar si frange e spiana.
Crudel, che tal beltà turba e consuma!
Ma il giovinetto Eustazio, in cui la face
Di pleiade e d' amor é più fervente.
Mentre bisbiglia ciascun altro, e tace,
Si tragge avanti, e parla audacemente:
Oh germano e signor, trojìpo tenace
Del suo primo proposto è la tua mente,
S' al consenso comun, che brama e pre^-a,
Arrendevole alquanto or non si pie«-a.
Non dico io già, che i principi, eh' a cura
Si stanno qui de' popoli soggetti,
Torcano il pie dall' oppugnate mura,
E sian gli uffici lor da lor negletti;
Ma. fra noi, che guerrler slam di ventura.
Senza alcun proprio peso, e meno astrciti
Alle leggi degli altri, elegger diec«
Difensori del giusto a te ben lece.
Ch' al servigio di Dio già non si toglie
L' uom, eh' innocente vergine difende:
Ed assai care al ciel son quelle spoglie.
Che ducciso tiranno altri gli appende.
Quando dunque all' impresa or non ra' inroglie
Queir util certo, che da lei s'attende.
Mi ci muove il dover: eh' a dar tenuiu
È l' ordin nostro alle donzelle ajuto.
Ah non fia ver , per Dìo , che si ridica
In Francia, e dove in pregio é cortesia.
Che si fugga da noi ri.^chio, o fatica
Per cagion così giusta e così pia !
Io per me qui depongo ehno e lorica:
Qui mi scingo la spada ; e più non fia,
Ch" adopri indegnamente arme, o destriero,
O 'l nome usurpi mai di cavalicro.
82. Cosi fav ella : e seco in chiaro sunno
, Tutto r ordine suo concorde freme;
E chiamando il consiglio utile e biioiu).
Co' preghi il capitan circonda e preme.
Cedo, egli -disse allora, e vinto sono
Al concorso di tanti uniti in>ieme.
Abbia, se parvi, il chiesto don costei
Dai V Uftri sì , non dai consigli miei !
83. Ma se Gofi'redo di credenza alquanto
Pur trova in voi, temprate i vo*iri aUclli!
Tanto sol disse : e basta lor ben tanto.
Penile ciascun quel eh' ci oiucdc, ac<etti.
Or che non può di bella donna il pianto.
Ed in lingua amoro.'^a i dolci delti?
Esce da vaghe labbra aurea catena.
Clic r alme a suo voler prende ed alfix-na.
Eustazio lei richiama, e dice : Oiiiai
Cessi, vaga don/ella, il tuo dolore!
Che tal da noi soccorso in brevi; avrai,
Qii.il par che più richiegga il tuo timore.
Serenò allora i nul)ilo>i rai
Armida, e ^i ridcnt»- apparve fiiorc
Cir innauiorò di mh- belie/./c il cielo.
iL>ciugiiuduei gli ucdij cui Lei yxio.
81
61
[*->]
GERUSALEMME LIBERATA. (IV. 85— 9C)
[48]
85. Rendè lor poscia in dolci e care note
Grazie per V alte g^razie a lei concesse,
IVlostrando , che sariano al mondo note
Mai sempre , e sempre nel suo core impresse.
E ciò che linp^na esprimer hen non pnote,
Muta eloquenza ne' snoi gesti espresse;
E celò si sotto mentito aspetto
Il suo pensier, eli' altrui non die' sospetto,
86. Quinci vedendo, che fortuna arriso
Al gran principio di sue frodi area,
rriniachè '1 suo pensier le sia preciso,
Dispon di trarre al fine opra si rea,
E far con gli atti dolci e col bel viso
Più. che con 1' arti lor Circe o Medea,
E in voce di Sirena ai snoi concenti
Addormentar le più svegliate menti.
87. Esa ogni arte la donna, onde sìa colto
Nella sua rete alcun novello amante:
]Nè con tutti, né sempre un stesso volto
Serha, ma cangia a tempo atti e sembiante.
Or ticn pudica il guardo in sé raccolto,
Or lo rivolge cupido e vagante.
La sferza in quegli , il freno adopra in questi,
Come lor vede in amar lenti, o presti.
88. Se scorge alcun , che dal suo amor ritiri
L' alma, e i pensier per diflldenza afTrene,
Gli apre un benigno riso, e in dolci giri
Volge le luci in Ini liete e serene.
E cosi i pigri e timidi desiri
Sprona, ed affida la dubbiosa spcne,
Ed infiammando V amorose voglie,
Sgoiubra quel gel, che la paura accoglie.
89. Ad altri poi, eh' audace il segno varca,
Scorto da cieco e temerario duce,
De' cari detti e de' begli occhj è parca,
E in lui timore e riverenza induce.
Ma fra lo sdegno, onde la fronte e carca.
Pur anco un i"aggio di pietà riluce,
Siedi' altri teme ben , ma non dispera,
E più s' invoglia, quanto appar più altera.
!)0. Stassi talvolta ella in disparte alquanto,
E 'I volto e gli atti suoi compone e finge,
Quasi dogliosa, e in fin sugli (»cchj il pianto
Tragge sovente, e poi dentro il respinge.
E con quest' arti a liigrimare intanto
Seco iniir alme semplicette astringe,
E in foco di i)ietà strali d' amore
Tempra, ontle j)era a ei fort' arme il core.
91.
92.
Poi, sicconi' ella a quel pensier s' involo,
E novella speranza in lei si deste,
\cv gli amanti il piò drizza e le parole,
E di gioja la fronte adorna e veste;
E lampeggiar fa, quasi un doppio sole.
Il chiaro sguardo e 'I bel riso celeste
Sulle nebbie del duolo oscure e folte,
Cli' avea lor prima intorno al petto accolte.
Ma mentre dolce parla e dolce ride,
E di doppia dolcezza inebria i sensi.
Quasi dal petto lor l' alma divide,
Non prima usata a quei diletti immensi.
Ahi criulo Amor! eh' egualmente n' ancide
L' assenzio e 'l mei , che tu fra noi dispensi ;
E d' ogni tempo egualmente mortali
ì engon da te le medicine e ì mali.
93
Fra sì contrarie tempre in ghiaccio e in foco
In riso e in pianto , e fra paura e spene,
Inforsa ogni suo stato, e di lor gioco
L' ingannutiice donna a prender viene.
E s' alcun mai con suon tremante e fioco
Osa parlando d' accennar sue pene,
Finge, quasi in amor rozza e inesperta.
Non veder 1' alma ne' suoi detti aperta ;
94. Oppur le luci vergognose e chine
Tenendo, d' onestà s' orna e colora,
Sicché ^ iene a celar le fresche brine
Sotto le rose, onde il bel viso infiora;
Qual neir ore più fresche e mattutine
Del primo nascer suo veggiam 1' aurora
E 1 rossor dello sdegno insieme n' esce
Con la vergogna, e si confonde e mesce.
95. Ma se prima negli atti ella s' accorge
D' uom , che tenti scoprir V accese a oglie,
Or gli s" invola e fugge , ed or gli porge
Modo, onde parli, e in un tempo il ritoglie.
Così il dì tutto in vano error lo scorge
Stanco, e deluso poi di speme il toglie.
Ei si riman qual cacciator , eh' a sera
Perda alGn l' orma di seguita fera.
96. Queste fur l' arti, onde mill' alme e mille
Prender furtivamente ella potéo ;
Anzi pur fiiron l' arme , onde rapille,
Ed a forza d' amor serve le feo.
Qual meraviglia or fia , se 'l fero Achille
D' amor fu preda, ed Ercole e Teseo,
S' ancor, chi per Gesù la spada cinge,
L' empio ne' lacci suoi talora strìnge ?
;49j
GERUSALEMME LIBERATA. (V. 1 — 12)
[50]
CANTO QUINTO.
ARGOMENTO.
S'' auge il Norvegio , clic Rinaldo mira
J^sscr giù duce ai venturieri eleltn.
£(' oltraggia., ma in lui sfoga invitto V ira
Con man vendicatrice il giovinetto ;
Poi parte ; e parte Armida, e molti tira
Più rf' amor che di gloria accesi in petto.
Ila 'Z Uuglion nuove rie di rei perigli
Dal capitan de'' liguri navigli.
1. Mentre in tal guisa i cavalieri alletta
Neil' amor suo 1' insidiosa Armida,
]Nè solo i diece a lei promessi aspetta,
Bla di furto menare altri confida,
Tolge tra sé Goffredo, a cui commetta
La dubbia impresa, ov' ella esser dee guida:
Cile degli avveuturier la copia e '1 merto,
E '1 desir di ciascuno il fanno incerto.
2. Ma con provvido avviso alfin dispone,
Cli' essi un di l')ro scelgano a sua voglia,
Che succeda al magnanimo Dudone,
E quella elezion sovra se toglia.
Cosi non avverrà, eh' ei dia cagione
Ad alcun d' essi , clie di lui si doglia,
E insieme mostrerà d' aver nel pregio.
In cui deve a ragion, lo stuolo egregio.
3. A sé dunque gli citiama , e lor favella:
Stata è da voi la mia sentenza udita,
• Ch' era, non di negare alla don/ella,
IMa di darle in stagion ui;itura aita.
Di nuovo or la propongo , e i)en punte ella
Ksser dal parer vo.-tro anco seguita:
Che nel mondo mutabile e leggiero
Costanza è spesso il variar pensiero,
4. Ma se stimate ancor, che mal convegna
Al vostro grailo il riliutar jìcriglio,
E ^e pur generoso ardire sdegna
Quel, che troppo gli par canto consiglio,
IStui fia, eh' invtiloiitarj io \i ritegna ;
I\è quel, che già vi diedi, or mi ripiglio;
Ma bia con esso voi, com' es.-cr deve.
Il fren del nostro imperio lento e lieve.
5. Dunque Io starne, o 'I girne, i' son contento
Che dal vostro piacer libero penda.
Dea vo', <;lie pria facii.ite al duce spento
Successor novo, e di voi «ura «i |irrnda;
I') tra voi Hcelga i diece a suo talento,
^on già di dirc-e il numero tra-^t cnda ;
VAi in que-to il sommo imperio a me riservo:
^un fui r arbitrio buu per altro servo!
G. Così dice Goffredo, e 'I suo germano.
Consentendo ciascun , risposta diede :
Sicc(mie a te conviensi, o capitano,
Questa lenta virtù, che lunge vede.
Così il vigor del core e della mano,
Quasi debito a noi, da noi si chiede:
E saria la matura tarditate,
Ch' in altri è provvidenza, in noi viltate.
7. E poiché '1 rischio è di sì lieve danno,
Posto in lance col prò che '1 contrai)pesa
Te permettente, i diece eletti andranno
Con la donzella all' onorata impresa.
Cosi conclude ; e con sì adorno inganno
Cerca di ricoprir la niente accesa
Sotto altro zelo; e gli altri anco d' onore
Fingon desio quel, eh' è desio d' amore.
8. Ma il più giovin Buglione, il qual rimira
Con geloso occhio il iiglio di Solia,
La cui virtute invidiando ammira.
Che in sì bel corpo più cara ^enia,
INol vorrebbe compagno, e al cor gì' inspira
Cauti pensier 1' astuta gelosia;
Onde tratto il rivale a sé in disparte,
Ragiona a lui con lusinghcvor arte:
9. Oh di gran genitor maggior figliuolo.
Che "1 sommo pregio in arme hai giovinetto,
Or clii sarà del valoroso stuolo.
Di cui parte noi siamo, in duce eletto?
Io, eh' a Dudon famoso appena, e solo
Per r onor dell' età vivea soggetto.
Io, IVatel di Goffredo, a chi più deggio
Cedere ornai? Se tu non sei, noi vetraio.
10
Te, la cui nobiltà tutt' altre agguaglia,
Gloria e merito d' opre a me prepone;
]\è sdegiierelìbe in pregio di battaglia
Minor chiamar.-'i anco il maggior !5iiglione.
Te dmique in duce bramo, ove non caglia
A te di questa sira esser campione.
INO già cred' io, che quell' onor tu curi.
Che da' fatti verrà notturni e scuri.
11. IVè mancherà qui loco, ove s' impieghi
C(Ui più lucida lama il tuo valore.
Or io proi;urerò, se tu noi nicghi,
Cir a te cotuH-dan gli altri il coumin onore.
Ma perchè non so ben . «love- ^i pieghi
1/ irresoluto mio dubliiiiso core,
luipetro or io da te, eh' a voglia mia
O segua poscia Armida, o tcct» stia.
12. Qui tacque Kustazìo, v que>ti estremi accenti
ì\(Mi proferi senza arrossiir>i in viso:
l'i i mal celati suoi peu-ieri ardenti
L altro lu-n vide, e mo^x! ad un sorriso.
i\Ia p«'rch' a h:i colpi d" amor più lenti
ì\on hanno il petto olirà la scorza inciso,
ISè uu)lto impiizicnte è di rivale,
>ò la donzella di seguir gli cale.
t^IL
GERUSALEMME LIBERATA. (V. 13—28)
13. Ben altamente ha nel pensìer tenace
L' acerba morte di Diidon scolpita,
E si reca a dis^nor, eh' Argante audace
Gli soprastia Innga stagione in vita.^
E parte di sentire anco gli piace
Quel parlar, eh' al dovuto onor 1' invita:
E '1 giovinetto cor s' appaga e gode
Del dolce suon della verace lode.
14. Onde cosi rispose: i gradi primi
Più meritar, che conseguir desio;
Kè , purché me la mia virtù sublimi.
Di scettri altezza invidiar degg' io.
Ma s' air onor mi chiami, e che lo stimi
Debito a me, non ci verrò restio,
E caro esser mi dee, che sia dimostro
Si bel segno da voi del valor nostro.
15. Dunque io noi chiedo, e noi rifiuto: e quando
Duce io pur sia , sarai tu degli eletti.
Allora il lascia Eu.stazio, e va piegando
De' suoi compagni al suo voler gli affetti.
3Ia chiede a prova il principe Gernando
Quel grado; e bench' Armida in lui saetti,
>len può nel cor superbo amor di donna,
eh' avidità d' onor, che se n' indonna.
Ifi. Sceso Gernando è da' gran re norvegi,
Che di molte province ebber 1' impero,
E le tante corone, e scettri regi
E del padre e degli avi il fanno altero.
Altero è 1' altro de' suoi proprj pregi
Più che dell' opre, che i passati fero;
Ancorché gli avi suoi cento e più lustri
Stati sian chiari in pace, e 'n guerra illustri.
n. Ma il barbaro signor, che sol misura.
Quanto 1' oro e 1' dominio oltre si stenda,
È per sé stima ogni virtute oscura,
Cui titolo regal chiara non renda,
Non può sofl'rir, che 'n ciò, eh' egli procura,
Seco di merto il cavalier contenda;
E se ne cruccia sì, eh' oltra ogni segno
Di ragione il trasporta ira e disdegno.
IS. Talché '1 maligno spirito d' averno,
Ch' in lui strada sì larga aprir si vede,
Tacito in sen gli serpe, ed al governo
De' suoi pensieri lusingando siede.
E qui più sempre l' ira e 1' odio interno
Inacerbisce, e '1 cor stimola e fiede
E fa, che 'n mezzo all' alma ognor risuona
Una voce , eh' a lui cosi ragiona :
li». Teco giostra Rinaldo: or tanto vale
Quel suo numero van d' antichi eroi?
Narri costui, eh" a te vuol farsi eguale,
Le genti serve e i tributarj siu»i;
Mostri gli scettri, e in dignità regale
Paragoni i suoi morti ai vivi tuoi !
Ah quanto osa un signor d' indegno stato,
Signor, che nella serva Italia è nato!
20. Vinca egli , o perda omiii , che vincitore
Fu hÌh dal dì eh' emulo tuo divenne,
Che dirà il mondr) (e ciò fia souinn» onore,)
Que.-li già con Gerniindo in gara venne.
Poteva a le recar gloria e splendore
Il nobii grado , che Diidon pria tenne:
Ma già non meno esso da te n' attese:
Costui scemò suo pregio allorché 'I chiese.
[r>2]
I
21. E se , poich' altri più non parla o spira,
De' nostri affari alcuna cosa sente,
Ccnne credi, che 'n ciel di nobil ira
Il buon vecchio Dudon si mostri ardente,
Mentre in questo superbo i lumi gira.
Ed al suo temerario ardir pon mente.
Che seco ancor, 1' età sprezzando e '1 merto,
Fanciullo osa agguagliarsi ed inesperto?
22. E i' osa pure e '1 tenta , e ne riporta.
In vece di castigo , onor e laude :
E v' è chi ne '1 consiglia e ne 1' esorta,
(Oh vergogna comune !) e chi gli applaude.
Ma se Goffredo il vede, e gli comporta,
Che di ciò, eh' a te dessi, egli ti fraude;
Noi soffrir tu ! né già soffrir lo dei ;
Ma ciò , che puoi , dimostra , e ciò che sei !
23. Al suon di queste voci arde lo sdegno,
E cresce in lui quasi commossa face;
]\è capendo nel cor gonfiato e pregno,
Per gli occhj n' esce e per la lingua audace.
Ciò, che di riprensibile e d' indegno
Crede in Rinaldo, a suo disnor non tace:
Superbo e vano il finge, e 'l suo valore
Chiama temerità pazza , e furore.
24. E quanto di magnanimo e d' altero,
E d' eccelso e d' illustre in lui risplende.
Tutto, adombrando con mal' arte il vero,
Pur come vizio sia, biasma e riprende,
E ne ragiona sì, che '1 cavalicro
Emulo suo pubblico il suon n' intende.
Non però sfoga l' ira , o si raffrena
Quel cieco impeto in lui , eh' a morte il mena;
25. Che 'I reo demon, che la sua lingua move
Di spirto in ve(;e, e forma ogni suo detto.
Fa, che gì' ingiusti oltraggi ognor rinnove,
Esca aggiungendo all' infiammato petto.
Loco è nel campo assai capace, dove
S' aduna sempre un bel drappello eletto,
E quivi insieme in torneamenti e in lotte
Rendon le membra vigorose e dotte.
26. Or quivi, allorché v' è turba più folta.
Pur , c(un' é suo destin , Rinaldo accusa,
E quasi acuto strale in lui riv(dta
La lingua del venen d' averno infusa.
E vicino è Rinaldo , e i detti ascolta,
Né puote r ira ornai tener più chiusa.
Ma grida : menti ; e addosso a lui si spìnge,
E nudo nella destra il ferro stringe.
27. Parve un tuono la voce, e '1 ferro un lampe
Che di folgor cadente annunzio apporte.
Tremò colui, né vide fuga, o scampo
Dalla presente irreparnbil morte;
Pur, tutto essendo testimonio il campo,
Fa sembiante d' intrepido e di f(u-te,
E '1 gran nemico attende , e 'I ferro tratto,
Fermo si reca di difesa in atto.
28. Quasi in quel punto mille spade ardenti
Fiiron vedute fiammeggiar insieme:
Che varia turba di unii caute genti
D' ogn' intorno v' accorre, e s' urta e preme.
D' incerte voci e di confusi accenti
Un siuuj per 1' aria si raggira e freme;
Qnal s' ode in riva al mare , ove confonda
Il vento i suoi co' mormorii deli' onda.
i
.3]
GERUSALEMME LIBERATA. (V. 29—44)
[54]
ì. Ma per le voci altrui già non s' allenta
Neil' offesio guerrier 1' impeto e I' ira :
Sprezza i gridi e i ripari , e ciò, che tenta
Chiudergli il varco, ed a vendetta aspira;
E fra gli uomini e 1' armi oltre s' avventa,
E la fuhiiinca spada in cerchio gira,
Sicché le vie si sgombra, e solo ad onta
Di mille difensor Gernando affronta.
). E con la man nell' ira anco maestra
Mille colpi ver lui drizza e cumparte.
Or al petto , or al capo , or alla destra
Tenta ferirlo , t»r alla manca parte :
E impetuosa e rapida la destra
E in guisa tal, che gli occhj inganna e l' arte;
Talch' improvvisa e inaspettata giunge
Ove manco si teme, e fere, e punge.
Né cessò mai , sinché nel seno immersa
Gli ebbe una volta e due la fera spada.
Cade il meschin sulla ferita, e versa
Gli spirti e r alma fuor per doppia strada.
L' arme ripone ancor di sangue aspersa
li viiicitor , né sovra lui più bada.
Ma si rivolge altrove, e insieme spoglia
L' animo crudo e 1' adirata voglia.
Tratto al tumulto il pio Goffredo intanto
Vede fero spettacolo improvviso:
Steso Gernando, il crin di sangue e 'I manto
Sordido e molle, e pien di morte il viso.
Ode i sospiri, e le querele, e 'l pianto,
Che molti fan sovra il guerriero ucciso.
Stupido chiede : Or qui, dove men lece.
Chi fu, eh' ardì cotanto, e tanto fece.''
Arnaldo , un de' più cari al prence estinto,
Narra, e 'l caso in narrando aggrava molto.
Che Rinaldo 1' uccise, e che fu spinto
Da leggiera cagion d' impeto stolto;
E che quel ferro , che per Cristo è cinto,
Ne' campioni di Cristo avea rivolto,
E sprezzato il suo impero, e quel divieto,
Che le' pur dianzi, e che non è secreto;
E che per legge è reo di morte , e deve,
Come l' editto impone, esser punito;
Sì, perché il fallo in sé medesmo é greve,
Sì, perché in loco tale egli é seguito.
Che se dell' error suo perdon ri<eve,
Fia ciascun altro per l' eseni|)io ardito:
E che gii oll'csi poi quella vendetta
Vorranno far, eh' ai giudici s' iispetta;
Onde per tal cagion discordie e risse
Gcrmoglieran fra quella parte e questa.
Rammentò i merti dell' estinto e disse
Tutto ciò, eh' o pietatt;, o sdegno desta.
Ma s' opjiose Tancredi e contraddisse,
E la caui>a del reo dipinse «uiesta.
GitlVrcdo ascolta , e in rigida sembianza
l'orge più di timor, clie di speranza.
Soggiunse allor Tancredi: or ti sovvegna,
Snt^^io signor, chi sìa llinaldo, e quale;
Qual i>(T he stesso onor gli hi lonvcgna,
E per la .«.lirpe sua chiara r. rt^gale,
E per (ìuelfo suo zio ! Non dei; chi regna
Nel «castigo con tutti esser eguale.
Vario è r ìstesso «MTor ne' gradi varj,
E Hol r egualità giusta ù cu' pari.
37. Risponde il capitan: Dai più sublimi
Ad ubbidire imparino i più bassi !
Mal, Tancredi, consigli, e male stimi,
Se vuoi , eh' i grandi in sua licenza io lassi.
Qual f(»ra imperio il mio, s' ai vili ed imi.
Sol duce della plebe, io comandassi?
Scettro impotente , e vergognoso impero,
Se con tal legge è dato, iu più noi chero,
38. Ma libero fu dato e venerando,
Né vo', eh' alcun d' autorità lo scemi :
E so ben io, come si deggia, e quando
Ora diverse impor le pene e i premj.
Ora , tener d' egualità serbando.
Non separar dagl' infimi i supremi.
Cosi dicea: né rispondea colui,
Vinto da riverenza, ai detti sui.
39. Raimondo, imitator della severa
Rigida antichità, lodava i detti.
Con quest' arte, dicea, chi bene impera,
Si rende venerabile ai soggetti:
Che già non è la disciplina intera,
Ov' uom perdono e non castigo aspetti.
Cade ogni regno , e ruinosa é senza
La base del timor ogni clemenza.
40. Tal ei parlava, e le parole accolse
Tancredi, e più fra lor non si ritenne,
Ma ver Rinaldo immantinente volse
Un suo destrier , che parve aver le penne.
Rinaldo , poich' al fier nemico tolse
L' orgoglio e l' alma, al padiglion sen venne.
Qui Tancredi trovollo, e delle cose
Dette e risposte appien la souuua espose.
41. Soggiunse poi : Rench' io sembianza esterna
Del cor non stimi testimon verace.
Che 'n parte troppo cupa e troppo interna
li pensier de' mortali occulto giace.
Pur ardisco affermar, a quel eh' io scema
Nel capitan, che 'n tutto anco noi tace,
Ch' egli ti voglia all' obbligo soggetto
De' rei comune, e in suo poter ristretto.
42. Sorrise allor Rinaldo ; e con un volto.
In cui tra '1 riso lampeg giò lo sdegno:
Difenda sua ragion ne' c^ppi involto
Chi servo è, disse, o d' esser servo é degno!
Libero i' nacipii e vissi , e morrò sciolto,
l'riachè man porga o piede a laci-io indegno.
Usa alla spada è questa destra, ed usa
Alle palme, e vii nodo ella ricusa.
43. Ma s' a' meriti miei questa mercede
Goffredo rende , e vuol imprigionarme,
Pur comi' io fossi un uom del vtilgo, e crede
A <arcere plebeo legato trariiu',
\<-nga egli, o iiianili! io terrò fcruui il piede.
(ìiudici lìaii tra noi la sorte e 1' aruie!
l'era tragedia vuol clic s' appresenti
l'er lor di|iort(» alle uemiclie genti.
44. ("io detto, r armi chiede, e 'I capo e 'I busto
Di tìnis>iiuo acciajo adorno rende,
l'i fa del grande si lido il brarrio oiuisto,
I) la l'alale spada al fianco appcniie;
l'i in sciiiliiante magnanimo ed augusto,
Come l'olgorr suol, nell arme splende.
Marte, e' ra^sembra te, qiialor dui quinto
Cielo di ferro scendi e d' orror cinto.
4 *
GERUSAXEMMEjyBER^^L^^
[56]
[551
45 Tancredi intanto i feri spirti e '1 core
* Insuperbito d' ammollir procura.
Giovine invitto, dice, al tuo valore
So, che Ha piana ogni erta impresa e dura
So che fra l' anni sempre e fra 1 tenoie
La tua eccelsa virtute «l»", ,'''"' Lf,. 5
Ma non consenta Dio, eh' ella ^^ mostri
Og-i sì crudelmente a' danni no»tul
46. Dimmi, che pensi far? VoiTai le mani
Del civil sangue tuo dmuiue hriittartpe
' F con le pi.ighe indegne de' cristiani
Trafi-er CiTsto, ond' ci son membra e parte:
Dì transitorio onor ri^pcttl vani,
Che qual onda del mar sen viene e paite,
Potranno in te più che la fede e l ^.elo
Di quella gloria, che n' eterna in ciclo.
41 Ah, non per Dio! vinci te stesso, e spoglia
* Questa feroce tua mente superba!
Cedi! non fia timor, ma santa voglia,
Ch' a questo ceder tuo pa ma si serba.
E se pir degna, ond' altri esempio togha,
È la mia giovinetta etade acerba.
Anch' io fui provocato: eppur non venni
Co' fedeli in contesa, e mi contenni:
48 Ch' avend' io preso di Cilicia Ìl regno,
'e r insegne spiegatevi di disto,
Baldovin sopraggiunse e con mde-no
Sodo occnpollo, e ne fé' vile acqm to:
Cile mostrandosi amico ad ogni segno.
Del suo avaro pcnsier non m era avviato.
Ma con 1' arme però di ncovrarlo
P.on tentai poscia; e forse i' potea fallo.
49 E se pur anco la prigion lùcusi,
E i lacci schivi, quasi ignobil pondo,
E seguir vuoi 1' opinioni e gli usi.
Che per leggi d' onore approva ,1 mondo, •
Lascia qui me, ch'ai capitan ti scusi!
Tu in Asitiochia vanne a Boemondo.^
Che non sopporti in questo impeto pruno
A' suoi giudizi assai securo stimo.
^0 Bentosto fia (se pur qui contra avremo
L' arme d' Egitto,' o d' altro stuol pagano),
Ch' as'ai più'chiaro il tuo valore estremo
]S> apparirà, mentre starai lontano:
E senza te parranne il campo scemo
Quasi corpo, cui tronco è braccio 0 mano,
^uràuelfo sopraggiunge, e i^^^ftì approva,
E vuol, che senza indugio mdi si mo%a.
51 Ai lor consigli la sdegnosa mente
' Dell' audace garzon si volge e piega,
Talch' egli di partirsi humantinentc
Fuor di quell' oste ai fidi suoi non nega.
Molta intanto è concorsa amica gente,
E seco andarne ognun procura e prega.
Egli tutti ringrazia, e seco prende
Sol duo scudieri, e sul cavallo ascende.
5*» Parte, e porta un desio d' eterna ed alma
■ Gloria, eh' a nobil core è sferza e sprone.
A magnairiine imprese iiìtenta ha l alma,
Ed insolite cose oprar dispone:
Gir fra' neini(i; \\i o cipresso, o palma
Acquistar per la lode, ond' è campione.
Scorrer l' l':gitt<>, e penetrar fin dove
Fuor d' incognito tonte il ^llo move.
53 Ma Guelfo , poich' il giovine feroce
' Affrettato al partir preso ha congedo,
Quivi non bada , e se ne va veloce,
Ov' e'4i stima ritrovar Goffredo.
Il qual come lui vede, alza la voce:
Guelfo, dicendo, appunto or te richiedo,
E mandato ho pur ora in vane parti
Alcun de' nostri araldi a ricercarti.
54 Poi fa ritrarre ogni altro e in basse note
* Ricomincia con Ini grave sermone.
Veracemente, oh Guelfo, il tuo "'P^^e
Troppo trascorre, ov' ira il cor gli .pr«ne
E male addursì , a mia credenza , or puote
Di questo fatto suo giusta cagione.
Ben caro avrò, che la ci rechi tale,
Ma Goffredo con tutti è duce eguale,
55. E sarà del legittimo e del dritto
Custode in ogni caso , e /Ufensore
Serbando sempre al giudicare invitto
Dalle tiranne passioni il core.
Or se Rinaldo a violar 1' editto,
E della disciplina il sagro onore _
Costretto fu, come alcun dice, ai nostri
Giudizi venga ad inchinarsi, e 1 mobUi-
56. A sua ritenzion libero vegna! . ^^„.„,f»
Questo, eh' io posso, ai n.erti suoi consento.
Ma s' egli sta ritroso, e se ne sdegna,
(Conosco quel suo indomito ardimento)
Tu di condurlo, e proveder t' ingegna,
Ch' ei non isforzi uom mansueto e lento
Ad esser delle leggi e dell' impero ^
Ycndicator, quanto è ragion, severo.
57. Così diss' egli ; e Guelfo a lui rispose:
Anima non potea d' infamia schiva
Voci sentir di scorno ingiuriose.
E non farne repulsa, ove l udiva.
E se r oltraggiatore a morte ei pose.
Chi è, che meta a giust'ira prescma.-'
Chi conta i colpì , o la dovuta oftesa.
Mentre arde la tenzon, misura e pesa.
58 Ma quel che chiedi tu , eh' al tuo soprano
'Arbitrio il garzon ^«"S^^. ^ ^';^^"i'",f f' tano
Duolmi eh' esser non può: ch egli lontano
Dall' oste immantinente il passo torse.
Ben ra' offro io di provar con questa mano
A hii, eh' a torto in falsa accusa il morse,
1 O s' altri v' è di sì maligno dente,
1 Che punì r onta ingiusta ei giustamente.
1 59 A ragion, dico, al tumido Gcrnando
Fiaccò le corna del superbo orgoglio
Ss' (-li errò, fu nell' obblio del bando:
Co ben mi pesa, ed a lodar noi togl.o.
' Tacnu^; e disse Goffredo: Or vada errando,
E p.Hti risse altrove! lo qui non voglio
Che sparffa seme tu di nove liti.
Ddi, \rer°Dio, sian gli sdegni anco formti!
60 Di procurare il suo soccorso intanto
Non cessò mai l' ingannatrice rea.
Pre-ava il giorno , e ponea m uso quanto
1 'arte e l' ingegno, e la beltà potea.
L.oi\<l.-ido Stendendo il fosco manto
La notte in occidente il di chiudea.
Tra duo suoi cavalieri e due inatrone
Kicovrava ia disparte al padigho»*;-
^
^v
GERUSALEMME LIBERATA. (V.61 — 76)
i.
ti.
Ma , benché sia mastra d' ing-anni , e i suoi
3I()cli e^ciitiii , e le maniere accorte,
1] bella sì , «'he '1 ciel prima né poi
Altrui non die magff^ior bellezza in sorte,
Talché del campo i più famo>i eroi
Ila prcisi d' un piacer tenace e forte,
]Nnn è però, rlie all'esca de' diletti
11 pio Goffredo lusing-ando alletti.
Inran cerca invajrhirlo , e con mortali
Dolcezze attrarlo all' amorosa \ita:
Cile, qiial saturo anfj^el , che non si cali
Ove il c;ì)n mostrando altri 1' invita.
Tal ei sazio del mondo i piacer frali
Sprezza , e sen pog-jj^ia al ciel per via romita,
E quante in.-idie al suo bel volto tende
L' infido Amor, tutte fallaci rende.
Né impedimento alcun torcer dall' orme
Puote , che Dio ne segna, i pcnsier santi.
Tentò ella mill' arti, e in mille forme,
Quasi Proteo novel , gli apparve avanti,
E desto amor , dove più freddo ei dorme,
Avrian gli atti dolcissimi e i sembianti ;
Ma qui (grazie divine) ogni sua prova
\ana riesce, e ritentar non giova.
La bella donna, eli' ogni cor più casto
Arder credeva ad un girar di ciglia,
Oh come perde or 1' alterezza e '1 fasto,
1) quale ha di ciò sdegno e meraviglia!
llivolger le sue forze , ove contrasto
iMcn duro trovi, alfin si riconsiglìa;
Qual capitan , eh' inespugnabil terra
Stanco abbandoni, e porti altrove guerra.
Ma contra 1' arme dì costei non meno
Si mostrò di Tancredi invitto il core,
Pcrocch' altro desio gì' ingombra il seno,
Né vi può loco aver novello ardore:
Che , siccome dall' un 1' altro veleno
Guardarne suol, tal 1' un dall' altro amore.
Questi soli non vinse: o molto o poco
Avvampò ciascun altro al suo bel fuco.
Ella, scbbcn si diiol , che non succeda
Sì pienamente il suo disejtno e l' arte,
J'iir , fatto avendo così nobil preda
Di t.mti eroi , si riconsola in parte,
E, priachè di sue frodi altri s' avveda,
Pensa «condurli in più seirina paife.
Ove gli stringa poi d' altre catene,
Che non son quelle, ond' or prosi li tiene.
Essendo giunto il tcrniiiie che fisse
li capitano a darle alcnu soccorso,
A lui sen venne riverente, e disse:
Sire, il dì stabilito è già trascorso,
E se per sorte il reo liraniu) udis>r,
Cli' i' abbia fatto all' arme tue ricorso,
Prepareria sue forze alla «lilcsit,
Kè così agcvul fora poi 1' impresa.
Dunque, primach' alni tal nova apporti
Voce incerta di fama , o certa spia.
ScH-Iga la tua jiietà fra' tuoi più farli
Airiuii pochi, e meco or or gì' in^ia!
Che, s(! non mira il cid con occlij («uli
1/ iì[)vv. mortali, o 1" iniuicenza oiililia.
Sarò riposta in regno, «« |,i mi.i Jorra
Sempre avrai tributaria in pace e in guerra.
69. Così diceva: e '1 capitano ai detti
Quel che negar non si potea, concede;
Sebhen , ov' ella il suo partir affretti,
In ^è tornar 1' elezion ne vede.
IMa nel numero ognun de' diece eletti
C(ui insolita instanza esser richiede,
E r emulazion , che 'n lor si desta.
Pili importuni li fa nella richiesta.
70. Ella, che 'n essi mira aperto il core.
Prende, vedendo ciò , novo argomento,
E sul lor fianco adnpra il rio timore
Di gelosia per sferza e per tormento ;
Sapendo ben , eh' alfin s' invecchia amore
Senza qucst' arti , e divien pigro e lento.
Quasi dcstrier , che men veloce corra,
Se non ha chi lui segua , o chi '1 precorra ;
71. E in tal modo comparte i detti sui,
E '1 guardo lusinghiero e 'I dolce riso,
Ch' alcun non è , che non invidj altrui ;
]\é il timor della speme è in lor diviso.
La folle turba degli amanti, a cui
Stimolo è r arte d' un fallace viso,
Senza fren corre , e non li tien vergogna,
E loro indarno il capitan rampogna.
72. Ei cir egualmente satisfar desira
Ciascuna delle parti, e 'n nulla pende,
Sebben alquanto or di vergogna, or d' ira
Al vaneggiar de' cavalier s' accende,
Poich' ostinati in quel desio gli mira,
]\ovo consiglio in accordarli prende.
Scrivan>i i vostri nomi, ed in un vaso
Pongansi, disse, e sia giudice il caso!
73. Subito il nome di ciascun si scrisse,
E in piccioT urna j)osti e scossi foro,
E tratti a sorte: e '1 primo, che n' uscisse.
Fu il conte di Pembrozia Artemidoro.
Legger poi di Gherardo il nome udisse:
Ed usci \ incilan dopo costoro,
^iuciiao, che, sì grave e saggio avantc,
Canuto or pargoleggia e vecchio amante.
71. Oh come il volto han lieto, e gli occhj pregni
Di quel piacer , che dal cor pieno inonda,
Questi tre primi eletti , i cui disegni
La fiutiuia in amor destra seconda!
D' incerto cor, di gelosia dan segni
Gli altri, il cui nome avvien che V urna asconda;
E dalla bocca pendon di colui.
Che spiega i bre\i, e legge i nomi altrui.
75. Guasco quarto fuor venne, n cui successe
liidolio, ed a Ridolfo indi Olderico :
Quinci (Juglicluio liondglion ,-i le~se,
E 'I ha^aro Illicrardo , e "l fianco Enrico.
Uambaldo ultimo fu, che po.-'cia elesse
l'"ede cangiar f.iKo a (.'esù nemico.
Tanto puole Amor dnnipK? e ipie>li ihìuse
Il numero de' dieci , e gli altri c»cIum'.
7fi. D' ira, di gelosia, d" iiMÌdia anlen'i
Cbiaman gli aldi forliuia ingiusla e ria,
E (e accuN.iuo, Amor, che li; c(MK->enti,
Clic ncir imperio tuo giudice sia.
ÌM.i perché iiislinto é dell' umane menti,
(Ite ciò, che più >i ^iila, iinm più di>ia,
Di-poiigon molti , ad onta di forltina.
Seguir la donna, co:ne il ciel s' iiiiltruna.
[59]
GERUSALEMME LIBERATA. (V. 77 — 92)
[60]
l'i. Voglion sempre seguirla all' ombra, al gole,
E per lei combattendo espor la vita.
Ella fanne alcun motto , e con parole
Tronche , e dolci soispiri a ciò gì' invita :
Ed or con questo , ed or con quel si duole,
Che far convienle senza lui partita.
S' erano armati intanto , e da Goffredo
Togliean ì diece cavalier congedo.
■JB. Gli ammonisce quel saggio a parte a parte,
Come la fé pagana è incerta e If.ve,
E mal sicuro pegno, e con qnal arte
Le insidie e i casi avversi uom fuggir deve.
Ma son le sue parole al vento sparte,
>è consiglio d' uom sano amor riceve.
Lor dà commiato alfine , e la donzella
>on aspetta al partir I' alba novella.
7!). Parte la vincitrice, e quei rivali.
Quasi prigioni al suo trionfo innanti,
Seco n' adduce; e tra infìniti mali
Lascia la turba poi degli altri amanti.
Ma come uscì la notte , e sotto 1' ali
Menò il silenzio e i lievi sogni erranti,
Secretamente, com' amor gì' informa,
Molti d' Armida seguitaron 1' orma.
8i>. Segue Eustazio il primiero e puote appena
Aspettar V ombre, che la notte adduce.
Vassene frettoloso, ove nel mena
Per le tenebre cieche un cieco duce.
Errò la notte tepida e serena;
Ma poi , neir apparir dell' alma luce,
Gli apparse insieme Armida e 'l suo drappello,
Dove un borgo lor fu notturno ostello-
Si Ratto ver lei si move, ed all' insegna
Tosto Raral)aldo il riconosce , e grida,
Che ricerchi fra loro , e perchè vegna.
Vengo, risponde, a seguitarne Armida;
]\ed ella avrà da me, se non la sdegna,
Men pronta aita , o servitù men fida.
Kcplica r altro : Ed a cotanto onore.
Di', chi t' elesse? Egli soggiunge: Amore.
Wi. Me scelse Amor, te la fortuna; or quale
Da più giusto elettore eletto parti. ''
Dice Rambaldo allor: IVulla ti vale
Titolo false», ed usi inutil' arti;
yii potrai della vergine regale
Fra i campioni legittimi mischiarti
Illegittimo servo. E chi ( riprende
Cruccioso il giovinette») a me il contende?
8J5. lo tei difenderò , colui rispose,
£ feglì'i all' inc(»nlro in questo dire:
¥. «;on vi»glie egualmente in Ini sdegnose
1/ altro si m(»Sf.e , e con eguiile ardire.
Ma qui ste.-e la mano, e si frappose
La tiranna dell' ahne in me///o all' ire,
Ed iiir uiu» dicea: Deh, non t' incresca
Ch' a te c(»mpagno , a me campion s' accresca!
hi. S' ami, che salva i' sia, perchè mi privi
In sì grand' uopo della nova aita?
Dice all' altro: ()p|)ortuno e grato arrivi
Difensnr di mia fama e di mia vita.
Né vuol ragion , né ^arà mai eh' io schivi
(Compagnia iioltil tanto, e si gradita.
Cosi parliindt», ad <»r ad or tra via
Alcun no\o campion le sorvenitt-
85. Chi di là giunge, e chi di qua: né 1' uno
Sapea dell' altro, e '1 mira bieco e torto.
Essa lieta gli accoglie, ed a ciascuno
Mostra del suo venir gioja e conforto.
Ma già nello schiarir dell' aer bruno
S' era del lor partir Goffredo accorto,
E la mente indovina de' lor danni
D' alcun futuro mal par che s' affanni.
86. Mentre a ciò pur ripensa , un messo appare
Polver(»so, anelante, in vista afflitto.
In atto d' uom , eh' altrui novelle amare
Porti , e mostri il dol(»re in fronte scritto.
Disse costui: Signor, tosto nel mare
La grande armata apparirà d' Egitto:
E 1' avviso Guglielmo, il qual comanda
Ai liguri navigli, a te ne manda.
87. Soggiunse a questo poi, che dalle navi
Sendo condotta vettovaglia al campo,
1 cavalli e i cammelli onusti e gravi
Trovato aveano a mezza strada inciampo
E che ì lor difensori uccisi, o schiavi
Restar pugnando, e nessun fece scampo.
Dai ladroni d' Arabia in una valle
Assaliti alla fronte ed alle spalle ;
88. E che 1' insano ardire e la licenza
Di que' barbari erranti è omai sì grande.
Che in guisa d' un diluvio intorno senza
Alcun contrasto si dilata e spande:
Onde convien, eh' a porre in lor temenza,
Alcima squadra di guerrior si mande,
Ch' assicuri la via, che dall' arene
Del mar di Palestina al campo viene,
89. D' una in un' altra lìngua in un momento
Ne trapassa la fama, e si distende:
E '1 vulgo de' soldati alto spavento
Ha della fame, che vicina attende.
Il saggio capitan , che V ardimento
Solito loro in essi or non comprende,
Cerca con liete» volto , e con parole,
Come li rassicuri e riconsole.
90. Oh per mille perigli e mille affanni
Meco passati in quelle parti e in queste,
Campion di Dio, eh' a ristorare i danni
Della cristiana sua fede nasceste;
Voi, che r armi di Persia e i greci inganni,
E i monti , e i mari , e '1 verno , e le tempeste.
Della fame i disagi , e della sete.
Superaste , voi dunque ora temete ?
91. Dunque il Signor, che n' indirizza e move.
Già conosciuto in caso anche più rio,
IVon v' assicura , quasi or volga altrove
La man della clemenza e '1 guardo pio?
Tosto un dì fia, che rimembrar vi giove
Gli scorsi affanni, e sciorre i voti a Dio.
Or durate magnanimi , e voi stessi
Serbate, prego, ai prosperi successi!
92. Con questi detti le smarrite menti
Cons<»la, e con sereno e lieto aspetto.
Ma preme mille cure egre e dolenti
Altamente rip(»ste in mezzo al petto,
(/ome possa nutrir sì varie genti.
Pensa, fra la penuria e fra '1 difetto:
Come all' armata in mar s' opponga; e come
Gli arabi predatori affrcni e dome.
61]
GERUSALEMME LIBERATA. (VL 1 — 12)
[62]
CANTO SESTO.
ARGOMENTO.
Mentre Sion spera il vicin soccorso,
Fuor esce Argante dalle oppresse mura,
E sfida i Franchi. Otton audace il corso
Movendo , a sé la prigionia procura.
Ma Tancredi col fiero in giostra corso
Tenzon accende e sanguinosa e dura.
Ccdon V armi alla 7wtte. Erminia il caro
Suo trova, e'n un glielfura inciampo amaro.
1. Ma d' altra parte le assediate genti
Speme miglior conforta e rassicura ;
Ch' oltra il cibo raccolto, altri alimenti
Son lor dentro portati a notte oscura,
Ed han munite d' arme e d' instrumenti
Di guerra verso 1' aquilon le mura,
Che, d' altezza accresciute, e sode, e grosse,
Kon moetran di temer d' urti, o di scosse.
2. E 'I re pur sempre queste parti e quelle
Lor fa innalzare , e rinforzare i fianchi,
0 r aureo sol risplenda, od alle stelle
Ed alla luna il fotìvo ciel s' imhianchi:
E in fiir contìnuamente armi novelle
Sudano i fabbri aflaticati e stancbi.
In sì fatto apparecchio intollerante
A lui een venne, e ragionogli Argante t
. E insino a quando ci terrai prigioni
Fra queste mura in vile assedio e lento?
Odo ben io stridere ìnciidi, e suoni
D' elmi, e di scudi, e di corazze i' sento;
Ma non veggio a qual uso. E qncù ladroni
Scorrono i campi e i borghi a lor talento;
Né v' è di noi , chi mai Inr passo arresti,
Me tromba, che dal sonno almen li desti.
t. A lor nò i prandi mai turbati o rotti,
Né molestate son le cene liete ;
Anzi egualmente i dì lunghi e le notti
Triiggon om 8Ì«;urezza e con quiete.
Voi dai disagi e dalla fame indotti
A darvi vinti a limgo andar sarete,
Od a morirne qui come codiirdi.
Quando d' Egitto pur 1' ajuto tardi.
Io per me non vo' già, eh' ignobìl morte
1 giorni mici d' oscuro obblio riciipra :
Né vo', eh' al no^o dì fra queste poito
L' alma li!C(; del sol chiuso mi scopra.
Di quj'sto viver mio faccia la sorte
Quel, (ho già stabilito è là di sopra!
Non sarà già, che, senza o|inir la spada.
Inglorioso e invendicato io cada.
6. Ma quando pur del valor vostro usato
Così non fosse in voi spento ogni seme,
Non di morir pugnando, ed onorato.
Ma di vita e dì palma anco avrei speme.
A incontrare i nemici e '1 nostro fato
Andianne pur deliberati insieme!
Che spesso avvien , che ne' maggior perigli
Sono i più audaci gli ottimi consigli.
7. Ma se nel troppo osar tu non isperi.
Né sei d' uscir con ogni squadra ardito.
Procura almen, che sia per duo guerrieri
Questo tuo gran litigio or difinito!
E perchè accetti ancor più volentieri
Il capitan de' Franchi il nostro invito,
L' arme egli scelga, e '1 suo vantaggio toglia,
E le condizion formi a sua voglia!
8. Che, se '1 nemico avrà due mani, ed una
Anima sola , ancorch' audace e fera ;
Temer non dei per isciagura alcuna,
Che la ragion da me difesa pera.
Punte in vece di fato e di fortuna
Darti la destra mia vittoria intera ;
Ed a te sé medesma or porge in pegno.
Che, se 'I confidi in lei, salvo è il tuo regno.
9. Tacque; e rispose il re: Giovane ardente,
Sebben me vedi in grave età senile.
Non sono al ferro queste man *ì lente.
Né si quest' alma è neghittosa e vile,
Ch' anzi morir volesse ignobilmente,
Che di morte magnanima e gentile,
Quand' io temenza avessi, o dubbio alcumi
De' disagi, eh' annunzj , e del digiuno.
10. Cessi Dio tanta infamia! Or quel, eh' ad arte
Nascondo altrui , vo' eh' a te sia palese.
Soliman di \icea, che brama in parte
Di vendicar le ricevute (illese.
Degli Arabi le s(-biere erranti e sparte
Haccolte ha sin dal lil)ì(-o paese,
E i nemici assalendo alT aria nera.
Darne soccorso e vettovaglia spera.
11. Tosto fia, che qui giunga. Or se frattanto
Son le nostre castella oppresse e serve.
Non (;e ne caglia, purché 1 regal manto,
E la mia nobii reggia io mi conserte.
Tu r ardimento e quisto ardore alquanto
Tempra, per Dio, clic 'n te sovercliio ferve.
Ed opportuna la sliigione aspetta
Alla tua glori,» ed alla Jnia vendetta!
l!f. Fort(! s(legnos>i il Saracino ainiace,
Ch' era di Solimiino euinlo antico.
Sì amaramente ocii <!' udir gli spiare.
Che tanto seu prometta il rege umico.
A tuo senno, risponde, e guerra e pace
Farai, signor; nulla di ciò più dico.
S' indugi pure, e S(diman s' attenda!
Ei, che perde il uno regno, il tuo difcnd.i'
[ti3j
GERUSALEMME LIBERATA. (VI. 13— 28)
13. Vengane a te quasi celeste messo
Liberator del popolo pillano!
Ch' io, quanto a me, bastar credo a me stesso,
E sol vo' libertà da questa mano.
Or nel riposo altrui siami concesso,
Ch' io ne discenda a guerreggiar nel piano !
Privato cavalier, non tuo campione,
Verrò co' Franchi a singoiar tenzone.
14. Replica il re: Sehbcn 1' ira e la spada
Dovresti riserbare a miglior uso,
Che tu sfidi però, se ciò t' aggrada.
Alcun guerrier nemico , io non ricuso.
Così gii disse; ed ei punto non bada.
Va, dice ad un araldo, or colà giuso.
Ed al duce de' Franchi , udendo 1' oste.
Fa queste mie non picciole proposte :
15. Ch' un cavalier, che d' appiattarsi in questo
Forte cinto di muri a sdegno prende,
Brama di far con 1' arme or manifesto,
Quanto la sua possanza oltra si stende,
E clic a duello di venirne è presto
Kel pian, eh' è fra le mura e 1' alte tende.
Per prova di valore , e che disfida,
Qual più de' Franchi in sua virtù si fida:
16. E che non solo è di pugnare accinto
E con uno, e con duo del campo ostile.
Ma dopo il terzo , il quarto accetta e '1 quinto,
Sia di volgare stirpe , o di gentile.
Dia, se vuol, la franchigia, e serva il vinto
Al vincitor, come di guerra è stile!
Cosii gì' impose: ed ei vestissi allotta
La purpurea dell' arme aurata cotta.
17. E poiché giunse alla regal presenza
Del principe Goffredo e de' baroni,
Chiese: oh signore, ai messaggier licenza
Dassi tra voi di liberi sermoni .''
Bassi, rispose il capitano; e senza
Alcun timor la tua proposta esponi !
Riprese quegli: Or si parrà, se grata,
O formidabil fia l' alta ambasciata.
18. E segui poscia, e la disfida espose
Con parole magnifiche ed altere.
Fremer s' udirò, e si moslràr sdegnose
Al suo parlar quelle feroci schiere;
E senza indugio il pio Buglion rispose:
Dura impresa intraprende il cavaliere,
E tosto io c;reder ^o', che gliene incresca.
Sicché d' uopo non fia, che '1 quinto n' esca.
19. Ma venga in prova pur! che d' ogni oltraggio
Gli oll'ero campo libero e securo,
E seco pugnerà senza vantaggio
Alcun de' miei campioni ; e così giuro.
Tacque: e toriu) il re d' arnie al su(» viaggio
Per r orme, eh' al venir calcate furo,
E non ritenne il frettoloso passo.
Sinché non die' risposta al fier Circasso.
20. Armati, dice, alto signor! Che tardi?
La disfida ac<M;ttata hanno i cristiani,
E d' affrontarsi teco i men gagliardi
Mostrai! de>io , non che i gucrrier soprani;
E mille i' vidi minacciosi sguardi,
£ mille al ferro a|)parecchiatc mani.
Loco scniro il duce a te cmicede.
Cobi gli dice: e l arme esso ric!iitde.
21. E se ne cinge intorno, e impaziente
Di scenderne s' affretta alla campagna.
Disse a Clorinda il re, eh' era presente:
Giusto non è, eh' ei vada, e tu rimagna.
Mille dunque con te di nostra gente
Prendi in sua sicurezza, e 1' accompagna!
Ma vada innanzi a giusta pugna ei solo;
Tu lunge alquanto a lui ritien lo stuolo!
22. Tacque ciò detto : e poiché furo armati,
Quei del chiuso n' uscivano all' aperto :
E giva innanzi Argante, e degli usati
Arnesi in sul cavallo era coperto.
Loco fu tra le mura e gli steccati.
Che nulla avea di disuguale, o d' erto,
Ampio e capace , e parca fatto ad arte,
Perch' egli fosse altrui campo di Marte.
23. Ivi solo discese, ivi fermosse
In vista de' nemici il fero Argante,
Per gran cor, per gran corpo, e per gran possi
Superbo e minaccevole in sembiante, j
Qual Encelado in Flegra, o qual raostrosse j
ISeir ima valle il filisteo gigante.
Ma pur molti di lui tema non hanno,
Ch' anco , quanto sia forte , ajìpien non sanno.
21. Alcun però dal pio Goffredo eletto.
Come il migliore, anco non é fra molti;
Ben si vedean con desioso afletto
Tutti gli occhj in Tancredi esser rivolti,
E dichiarato infra i miglior perfetto
Dal favor manifesto era de' volti ;
E s'udia non oscuro anco il bisbiu;lio,
E r approvava il capitan col ciglio.
25. Già ccdea ciascun altro , e non secreto
Era il volere ornai del pio Buglione.
Vanne, a lui disse; a te l' uscir non vieto,
E reprimi il furor di quel fellone !
E tutto in volto baldanzoso e lieto
Per sì alto giudizio il fier garzone
Allo scudier chiedea l' arme e 'I cavallo,
Poi seguito da molti uscia del vallo.
26. Ed a quel largo pian fatto vicino,
0%' Argante 1' attende, anco non era,
Quando in leggiadro aspetto e pellegrino
S' oilerse agli occhj suoi 1' alta guerriera.
Bianche vie più che neve in giogo alpino
Avea le sopravveste, e la visiera
Alta tenea dal volto; e sovra un' erta
Tutta, quanto ella é grande, era scoperta.
27. Già non mira Tancredi, ove il Circasso
La spaventosa fronte al cielo estolle;
r»la move il suo destrier con lento passo.
Volgendo gli occhj , ov' è colei sul colle,
l'oscia immobil si ferma , e pare un sasso
Gelido tutto fuor, ma dentro bolle.
Sol di mirar s' appaga, e di battaglia
Sembiante fa, che poco or più gli caglia.
28. Argante, che non vede alcun, eli' in att(
Dia segno ancor d' apparecchiarsi in giostri
Da desir di (;ontesa io qui fui tratt«»,
Grida: or chi viene innanzi, e meco giostr
Ij' altro attonito quasi e stupefatto
Pur là s' affisa, e nulla udir ben mostra.
Ottcuie innanzi allor spinse il destriero,
E ncir arringo vuoto entrò primiero.
55]
GERUSALEMME LIBERATA (VL 29 — 44)
[66]
Ì9. Questi im fu di color, cui dianzi accese
Di gir centra il pagano alto desio ;
Pur cedette a Tanircdi , e 'n sella ascese
Fra gli altri, che "1 seguirò, e seco uscio.
Or veggendo sue voglie altroAc intese,
E starne lui qnavi al pugnar restio,
Prejide, giovine audace e impaziente,
L' occasione offerta avidamente :
JO. E veloce così, che tigre, o pardo
Va nicn ratto tiilor per la foresta,
Corre a ferir il Saracin gagliardo,
Clic d' altra parte la gran lancia arresta.
Si scote allor Tancredi e dal suo tardo
Pensier, quasi da un sonno, alfin si desta,
E grida ei ben: la pugna è mia; rimanti!
Ma troppo Ottone è già trascorso ìunanti.
Onde si ferma, e d' ira e di dispetto
Avvampa dentro, e fuor qual fiamma è rosso;
Perch' ad onta si reca ed a difetto,
Ch' altri si sia primiero in giostra mosso.
Ma intanto a me/zo il corso in sull' elmetto
Dal gio^in forte è il Saracin percosso.
Egli all' incontro a hii col ferro nudo
Fora r usbergo , e pria rompe lo scudo.
Cade il cristiano: e ben è il colpo acerbo,
Posciacli' av^icn, che dall' arcion lo svella.
Ma il pagan di più forza e di più nerbo
Non cade già, nò pur si torce in sella.
Indi con dispettoso atto superbo
Sovra il caduto cavalier favella:
llendili vinto, e per tua gloria basti,
Cile dir potrai, clic contra me pugnasti!
No! gli risponde Otton ; fra noi non b' usa
Così tosto depor l' arme e l' ardire.
Altri del mio cader farà la scusa;
Io vo' far la vendetta, o qui morire.
In semltianza d' Aletto e di Medusa
Freme il Circasso, e par che fiamma spire.
Conosci or, dire, il mio valore a prova,
Poiché la cortesia sprezzar ti giova !
i. Spinge il dcstricr in questo , e tutto obblla,
Quanto virtù cavalleresca chiede.
Fugge il Franco l' incontrt», e si disvia,
E 1 de-tro fianco nel passar gli fiede.
Ed è si grave la percossa e ria.
Che '1 ferro siinguìnnso indi ne riedc.
Ma che prò , se la piaga al vincitore
Forza non toglie, e giunge ira e furore?
Argante il corridor dal corso affrcna,
E indietro il volge; e co«ì tosto è volto.
Che fC n' accorge il suo nemico appena,
E d' un grand' urto all' improvviso è colto,
'i'rcmar le ^anibe, e indebolir la lena.
Sbigottir r alma, e impallidire il volto
Gli fé' r aspra percossa, e frale e stanco
Sovra il duro terren ]>attcrc il fianco.
J. Neir ira Argante infellonisce, e strada
Sovra il petto del \into al destrier face.
E cosi , grida , ogni superbo vada.
Come coHtui, che sotto i più mi giace!
l^Ia r in>ltto 'l'ancredi allor non bada;
Che I atto crndelis.-.iino gli H|tiare,
E vuol, v\u' 'I Huo Aalor con chi. ira «emenda
Copra il suo fallo, e, corno ^moì , ri^pleudu.
37. Fassi innany.i gridando : anima vile,
Ch' ancor nelle vittorie infame sei!
Qual titolo di laude alto e gentile
Da modi attendi sì scortesi e rei .''
Fra i ladroni d' Arabia , o fra simile
Rarliara turba avvezzo esser tu dei.
Fuggi la luce, e va con 1' altre belve
A incrudelir ne' monti e tra le selve !
£8. Tacque: e 'I pagano a sofferir poco uso,
3Iorde le labbra , e di furor si strugge.
Risponder vuol ; ma '1 snono esce confuso,
Si(!come strido d' animai, che rugge,
0 come apre le nubi , ond' egli è chiuso,
Impetuoso il fulmine e sen fugge ;
Cosi pareva a forza ogni suo detto
Tonando uscir dall' infiammato petto.
I 39. Ma , poiché in ambo il minacciar feroce
; A vicenda irritò l' orgoglio e 1' ira,
\ L' un come 1' altro rapido e veloce.
Spazio al corso prendendo, il de?trier gira.
Or qui. Musa, rinforza in me la voce,
j E furor pari a quel furor m' inspira!
j Sicché non sian dell' opre indegni i carmi.
Ed esprima il mio canto il suon dell' armi.
40. Posero in resta , e dirizzaro in alto
1 duo gnerricr le noderose antenne:
Né fu di corso mai , né fu di salto,
Né fu mai tal velocità di penne,
Né furia eguale a quella, ond' all' assalto
Quinci Tancredi, e quindi Argante venne.
Rupper r aste sugli elmi, e volar mille
E tronchi, e schegge, e lucide faville.
I 41. Sol dei colpì rimbombo intorno mosse
L' immobil terra, e risonarne i monti;
Ma 1' impeto e '1 furor delle percosse
Nulla piegò delle superbe fronti.
Il' uno e r altro cavallo in guisa urtosse,
(^he non fur poi cadendo a sorger pronti,
'i'ratte le spade i gran mastri di guerra
Lasciar le staffe, e i pie fermaro in terra.
42. Cautamente ciascuno ai colpi move
La destra, ai guardi 1' occhio, ai passi il piede.
Si reca in atti varj, in guardie nuove.
Or gira intorno, or cresce innanzi, or cede,
Or qui ferir accenna, e poscia altrove,
ì)o\c non minacciò , ferir si vede.
Or di sé dicoprire alcuna parte,
E tentar di schernir l' arte con 1' arte.
43. Della spada Tancredi, e dello sniilo
INI. il guardato al ])agan diiiio>tra il fi,incu.
(^orre egli per ferirlo, e intanto nudo
Di riparo si lascia il lato manco,
'l'ancredi con un colpo il ferro crudo
Del nemico ribalte, e Ini fere amo:
Né poi, ciò fatto, in ritir.ir.-i (arda,
Ma si raccoglie , e si ristringe in guarda.
44. Il fero Argante, che sé stc-fso mira
Del proprio >angue suo macchiato e mollo,
('oh iii>olito orror irciiie e cospira.
Di cruccio e di dolor turbato v folle;
E portato dall' impeto e d.ill' ira
Con la voce la spada insieme estolle
l'i torna per ferire; ed è di punta
l'iaguto ov' ù la spalla al braccio giunta.
[67]
GERUSALEMME LIBERATA. (VI.45 — 60)
[68;
45. Qiial neir alpestri selve orsa , che senta
Duro spiedo nel fianco , in rabbia monta,
E contra 1' arme sé medesnia avventa,
E i periffli e la morte aiidiice affronta,
Tale il Circasso indomito diventa,
Giunta or piaga alla piaga, ed onta all' onta,
E la vendetta far tanto desia,
Che sprezza i rischj, e le difese obblia :
46. E congìnngcndo a temerario ardire
Estrema forza e iiifaticabil lena,
Vien che si impetuoso il ferro gire,
Che ne trema la terra , e il ciel balena.
Né tempo ha T altro , ond' un sol colpo tire,
Onde si copra, onde respiri appena,
]\è schermo \' è , eh' assecurar il possa
Dalla fretta d' Argante e dalla possa,
47. Tancredi in sé raccolto attende invano,
Che de' gran colpi la tempesta passi.
Or v' oppon le difese, ed or lontano
Sen va co' giri e co' maestri passi.
Ma poiché non s' allenta il fier pagano,
E forza alfin che trasportar si lassi,
E cruccioso egli ancor con quanta puote
Violenza maggior la spada rote.
48. Vinta dall' ira è la ragione e 1' arte,
E le forze il furor ministra e cresce.
Sempre che scende il ferro, o fora, o parte
O piastra, o maglia, e colpo invan non esce.
Sparsa è d' arme la terra , e 1' arme sparte
Di sangue , e 1 sangue col sudor si mesce.
Lampo nel fiammeggiar , nel romor tuono,
Fulmini nel ferir le spade sono.
49. Questo popolo e quello incerto pende
Da si novo spettacolo ed atroce,
E fra tema e speranza il fin n' attende.
Mirando or ciò che giova, or ciò che nuoce;
E non si vede pur, né pur s' intende
Piccini cenno fra tanti, o bas-a voce.
Ma se ne sta ciascun tacito e immoto.
Se non se in quanto ha il cor tremante in moto
50. Già lassi erano entrambi , e giunti forse
Sarian pugnando ad immaturo fine;
Ma sì oscura la notte intanto sorse,
Che nascondea le vane anco vicine.
Quinci un amido, e quindi mi altro accorse
Per dipartirli, e li pirtiro alfine.
L' uno il franco Aridco, l'indoro è 1' altro.
Che portò la disfida , uom saggio e scaltro.
51. I pacifici scettri osùr costoro
Fra le spade interpor de' combattenti
C«»n quella si(-urtà, che porgea loro
li' anlicbissima legge delle genti.
Sicti! , oh guerrieri, incominciò Piiidorn,
(Jon pari onor, di pari ambo possenti.
Dunque cessi la pugna , e non sian rotte
Le ragioni e 'i riposo della notte !
52. Tempo è da travagliar, mentre il sol dura;
Ma nella notte ogni aniunile ha pace;
E genrioso cor non molto cura
INottnriu> pregio , che s' asconde e tace.
Ui.-ponde Argiinte: a me per ombra oscura
La mia battaglia abbandonar non piace.
Hen avrei^ caro il te^timon del giorno,
Ma che giurì costui di far ritorno.
53. Soggiunse 1' altro allora : e tu prometti
Dì tornar, rimenando il tuo prigione!
Perch' altrimenti non fia mai eh' aspetti
Per la nostra contesa altra stagione.
Cosìgiuraro: e poi gli araldi eletti
A prescriver il tenipo alla tenzone,
Per dare spazio alle lor piaghe onesto.
Stabilirò il mattin del giorno sesto.
54. Lasciò la pugna orribile nel core
De' Saracini e de' fedeli impressa
In' alta meraviglia ed un orrore,
Che per lunga stagione in lor non cessa.
Sol dell' ardir si parla e del valore.
Che r un guerriero e 1' altro ha mostro in essa
Ma qual si debbia di lor due prr|)orre,
A ario e discorde il vulgo in sé discorre,
55. E sta sospeso in aspettando , quale
Avrà la fera lite avvenimento,
E se '1 furore alla virtù prevale,
O se cede 1' audacia all' ardimento.
Ma, più di ciascun altro, a cui ne cale.
La bella Erminia n' ha cura e tormento.
Che dai giudizj dell' incerto Marte
Vede pender di sé la miglior parte.
56. Costei, che figlia fu del re Cassano,
Che d' Antiochia già 1' imperio tenne.
Preso il suo regno, al vìncitor cristiano
Fra 1' altre prede anch' ella in poter venne.
Ma folle in guisa allor Tancredi umano.
Che nulla ingiuria in sua balìa sostenne,
Ed onorata fu nella mina
Dell' alta patria sua , come reina.
57. L' onorò , la servi , di libertate
Dono le fece il cavallero egregio,
E le furo da luì tutte lasciate
Le genune e gli ori, e ciò eh' avea di pregio,
Ella vedendo in gio>ìnetta etate
E in leggiadri sembianti animo regio,
Restò presa d' amor, che mai non strinse
Laccio di quel più fermo , onde lei cinse.
58. Così, se '1 corpo libertà riebbe.
Fu r alma sempre iu servitute astretta.
Ben molto a lei d' abbandonar ìncrebbe
Il signor caro, e la prigion diletta;
3la r (me.^tà regal , che mai non debbo
Da magnanima donna esser negletta.
La costrinse a partirsi, e con 1' antica
M.idre a ricoverarsi in terra amica.
59. Venne a Gerusalemme, e quivi accolta
Fu dal tiranno del paese ebreo.
Ma tosto pianse iu nere spoglie avvolta
Della sua genitrice il fato reo.
Più- nò '1 duol , che le sia per morte tolta,
^è I' esigilo infelice unqua poteo
li' amoroso desio sveller dal core,
\è favilla anunorzar di tanto ardore.
(ÌO. Ama ed arde la misera, e sì poco
In tale stato è, che sperar le avanza,
Ch(^ nudrisce nel sen I' occulto foco
Di memoria ^ia più, che di speranza:
K qiiantt» è chiuso in più secreto loco,
■^l'anto ha V inccinlio suo maggior possanza.
Tancredi alfin(! a risvegliar sua speno
Sovra Gcrusaleiuiuo ad oste viene.
39]
GERUSALEMME LIBERATA. (VI. 61-^76)
[70]
Slìigottir gli altri all' apparir di tante
Kiizioiii e si indoniite , e si fere ;
Fé' sereno ella il torbido seiiibianto,
E lieta vaj-hcg-giò le squadre altere,
E con a^idi sguardi il caro amante
Cercando gio fra quelle armate schiere.
Ccrcollo invan sovente , ed anco spesso
Eccolo , disse , e '1 riconobbe espresso.
Nel palagio regal sublime sorge
Antica torre assai presso alle mura,
Dalla cui sommità tutta si scorge
L' oste cristiana, e '1 monte, e la pianura.
Quivi, dacché il suo lume il sol ne porgo,
Insinché poi la notte il mondo oscura,
S' asside, e gli occlij verso il campo gira,
E co' pensieri suoi parla e sospira.
Quinci vide la pugna , e '1 cor nel petto
Semi tremarsi in quel punto !«ì forte,
Che parca che dicesse: il tuo diletto
E quegli là. che 'n rischio è della morte.
Co»i d' angoscia piena e di sospetto
Miro i SHCcessi della dubbia sorte,
E , sempre che la spada il pagan mosse.
Sentì neir alma il ferro e le percosse.
Ma poiché U vero intese, e intese ancora.
Che dee 1' aspra tenzon rinnovcllarsi,
Insolito timor così V accora.
Che sente il sangue suo di ghiaccio farsi,
■^ralor scerete lagrime , e talora
Sono occulti da lei gemiti sparsi:
Pallida, esangue e sbigottita in atto.
Lo spavento e 1 dolor \' avea ritratto.
Con orribile imniago il suo pensiero
Ad or ad or la turba e la sgomenta,
E vie più che la morte, il sonno è fero;
Sì strane larve il sogno le appresenta !
Parie veder 1' amato cavaliero
Lacero e sanguinoso , e par che senta,
Cli' egli aita le chieda: e desta intanto
Si trova gli occhj e '1 sen molle di pianto.
Né sol la tema di futuro danno
Con sollccit«) moto il cor le scote.
Ma delle piaghe , eh' egli avea , 1' aflanno
F cagion, che quetiir 1' alma non puote.
E i fallaci romor, eh' intorno vanno,
Crescon le cose incognite e remote,
Sìtu.lr ella a^visa, che virino a morte
Giaccia oppre^^o languendo il guerrier forte:
Vi perocclf el la dalla madre apprese,
Qual più secreta sia \irtù dell' erbe,
E con quai (carini nelle membra oll'esu
Sani ogni piaga, e 'I dnol si disacerbe {
(Arte, elu; per usanza in quel paese
Nelle figlie «lei re par clu! si serbe!)
Vorria di sua man propria alh; feruttt
Del suo caro t-ignor recar salute.
. Ella r amato medicar desia,
E curar il nemico a lei contiene,
l'enei tallir d <rba noi-enti- e ria
Succo >parg(r in lui, r.lie 1' avvclene;
Ma s<lii>a pili la man vergine e pia
Tralliir 1' arti maligne, e se n' aj«lieno.
Brama ella alinen, che in n>o tal .■«in > nota
Di ttuu vii-tudc ogni erba ed o"ni noia.
69
70
71
73,
71
7.5,
7(i,
Né già d' andar fra la nemica gente
Temenza avria ; che peregrina era ita,
E viste guerre e stragi avea sovente,
E scorsa dubbia e faticosa vita;
Sicché per 1' uso la femminea mente
Sovra la sua natura é fatta ardita;
Né così di leggier si turba o pavé
Ad ogni immagin di terror raou grave:
3Ia più eh' altra cagion , dal molle seno
Sgombra amor temerario ogni paura,
E crederla fra T ugne e fra '1 veleno
Ueir africane belve andar secura.
Pur . se n(Mi della vita , avere almeno
Della sua fama dee temenza e cura:
E fan dubbia contesa entro al suo core
Duo potenti nemici, Onore, e Amore.
L' un così le ragiona: oh verginella.
Clic le mie leggi infino ad or serbasti!
lo , mentre eh' eri de' nemici ancella.
Ti conservai la mente e i membri casti;
E tu libera or vuoi perder la bella
Aerginità, eh' in prigionia guardasti?
Ahi nel tenero cor questi pensieri
Chi svegliar può? che pensi? oimé, che speri?
Dunque il titolo tu d' esser pudica
Sì poco stimi, e d' onestate il pregio,
Che te n' andrai fra nazìon nemica
Notturna amante a ricercar dispregio ?
Onde il superbo vincitor ti dica:
Perdesti il regno , e in un l' animo regio :
Non sei di me tu degna; e ti conceda
Vulgare agli altri e mal gradita preda.
Dall' altra parte il consiglier fallace
Con tai lusinghe al suo piacer 1' allotta:
Nata non sei tu già d' orsa vorace.
Né d' aspro e freddo siroglio, oh giovinetta,
Ch' abbia a sprezzar d' amor l' arco e la face.
Ed a fuggir ognor qnel che diletta:
Né petto hai tu di ferro o di diamante.
Che \crgogna ti sia 1' esser amante.
Deh, vanne ornai, dove il desio f inTOglia!
Ma qual ti fingi vincitor crudele .^^
Non sai , eom' egli al tuo doler si doglia.
Come compianga al pianto, alle querele?
Crudel sei tu, che con sì pigra voglia
Movi a portar salute al tuo fedele.
Langiie, oh fera ed ingrata, il pio Tancredi;
E tu dell' altrui vita a cura siedi.
Sana tu pur Argante, acciocché poi
Il tuo libcrator sia spinto a morte!
Così disciolti avrai gli olibli^-hi tuoi,
E sì hi I premio Ila eh' ei ne ri||orte.
E possibil pero, che non t' annoi
Qiiest' empio ministero or così forte.
Che la noja non basti e V orror solo
A far, elle tu di qua ten fugga a volo?
Deh, ben fora all' incontro ulliclo umano,
E ben n' a\ resti tu gioja e dihlto,
Se la pietosa tua medica mano
A\ vicinassi al valoroso petto:
Clic, per te fatto il tuo signor poi «ano,
Cdlorirebbc il suo siii.irrito aspello.
I-; le bellezze sue, che spente or sono.
\at;luggerc8ti in lui quasi tuo dono.
[71]
GERUSALEMME LIBERATA. (VI. TT — 92)
77. Parte ancor poi nelle sue lodi avresti,
E nell' opre, eh' ei fè^se, alte e famose;
Ond' egli te d' abbracciauieutt onesti
Faria lieta, e di nozze avventurose.
Poi mostra a dito, ed onorata andresti
Fra le madri latine, e fra le spose
Là nella bella Italia , ov' è la sede
Del valor vero, e della vera fede.
78. Da tai speranze lusingata, ahi stolta!
Somma felicitate a sé figura ;
Ma pur si trova in mille diibbj avvolta,
Come partir si possa indi secura;
Perchè veglian le guiirdie , e sempre in volta
Van di fuori al palagio, e sulle mura,
]\è porta alcuna in tal rischio di guerra
Senza grave cagion mai si disserra.
79. Soleva Erminia in compagnia sovente
Della guerriera far lunga dimora.
Seco la vide il sol dall' occidente,
Seco la vide la novella aurora.
E quando son del di le luci spente,
Un sol letto le accolse ambe talora,
E nuli' altro pensier, che 1' amoroso,
L' una vergine all' altra avrebbe ascoso.
80. Questo sol tiene Erminia a lei secreto ;
£ s' udita da lei talor si lagna.
Reca ad altra cagion del cor non lieto
Gli affetti , e par che di sua sorte piagna.
Or in tanta amistà senza divieto
Venir sempre ne puote alla compagna;
Kè stanza al giunger suo giammai si serra.
Siavi Clorinda, o sia in consiglio, o 'n guerra.
81. Vennevi un giorno, eh' ella in altra parte
Si ritrovava , e si fermò pensosa,
Par tra sé rivolgendo i modi e 1' arte
Della bramata sua partenza ascosa.
Mentre in varj pensier divide e parte
L' incerto animo suo , che non ha posa.
Sospese di Clorinda in alto mira
L' arme e le sopravveste, e allor sospira.
82. E tra sé dice sospirando: oh quanto
Beata è la fortissima donzella!
Quant' io la invidio ! E non le invidio il vanto,
O '1 femminil onor dell' esser bella ;
A lei non tarda i passi il lungo manto,
Ke '1 suo valor rinchiude invida cella ;
Ma veste 1' armi, e se d' uscirne agogna,
Vasscne , e non la tien tema , o vergogna.
83. Ah perchè forti a me natura e '1 cielo
Altrettanto non fèr le membra e '1 petto.
Onde potes»i anch' io la gonna e '1 velo
Cangiar nella corazza e ncU' elmetto?
Che sì non riterrebbe arsura, o gelo,
Non turbo, o pioggia il mio infiammato afTctto^
Ch' al sol non fossi ed al notturno lampo,
Accompagnata o sola, armata in campo.
84. Già non avresti, oh dispietato Argante,
C(J rniii bigiKir pugnato tu primiero:
Cli' io sarei cor.-^a ad in<;ontrarlo innante,
E forse or fora (|ui mìo prigioniero;
E siistcrn'a dalla nemica amante
Giogo di frcrvitii dolce e leggiero.
E ^ià per li suoi nodi io sentirei
Fatti boavi e ulleggcrili i miei:
[72]
85. Ovvero a me, dalla sua destra il fianco
Sendo percosso, e riaperto il core.
Pur risanata in cotal guisa almanco
Colpo di ferro ayria piaga d' amore:
Ed or la mente in pace, e '1 corpo stanco
Riposeriansi ; e forse il vincitore
Degnato avrebbe il mio cenere e 1' ossa
D' alcun onor di lagrime, e di fossa.
86. Ma lassa, io bramo non possibil cosa,
E tra folli pensier invan m' avvolgo.
Dunqu' io starò qui timida e dogliosa,
Com' una pur del vii femmineo volgo?
Ah non starò: cor mio, confida ed osa!
Perchè 1' arme una volta anch' io non tolgo?
Perchè per breve spazio non potrolle
Sostener, benché sia debile e molle?
87. Si , potrò , sì ! che mi farà possente
A tollerarne il peso amor tiranno,
Da cui spronati ancor s' arman sovente
D' ardire i cervi imbelli , e guerra fanno.
Io guerreggiar non già , vo' solamente
Far con quest' arme un ingegnoso inganno:
Finger mi vo' Clorinda, e, ricoperta
Sotto r iramagin sua, d' uscir son certa.
88. Non ardirieno a lei far i custodi
Dell' alte porte resistenza alcuna.
10 pur ripenso, e non veggio altri modi.
Aperta é, credo, questa via sol' una.
Or favorisca le innocenti frodi
Amor, che le m' inspira, e la fortuna.
E ben al mio partir comoda è 1' ora,
Mentre col re Clorinda anco dimoro.
89. Così risolve, e stimolata e punta
Dalle furie d' amor più non aspetta.
Ma da quella alla sua stanza congiunta
L' arme involate di portar s' affretta.
E far lo può; che, quando ivi fu giunta.
Die' loco ogni altro , e si restò soletta.
E la notte i suoi furti ancor copria,
Ch' a' ladri amica ed agli amanti uscla.
90. Essa veggendo il ciel d' alcuna stella
Già sparso intorno divenir più nero,
Senza frapporvi alcun indugio appella
Secretamente un suo fedel scudiero,
Ed una sua leal diletta ancella,
E parte scopre lor del suo pensiero.
Scopre il disegno della fuga e finge,
Ch' altra cagione a dipartir 1' astringe.
91. Lo scudiero fedel subito appresta
Ciò eh' al lor uopo necessario crede.
Erminia intanto la pomposa vesta
Si spoglia, che le scende insino al piede,
E in ischietto vestir leggiadra resta,
E snella sì , eh' ogni credenza eccede,
Kè , trattane colei, eh' alla partita
Scelta 8' avea compagna, altra 1' aita.
92. Col durissimo acclar preme ed offende
11 delirato colb» e 1' ììihhsi cliioma;
E la tenera man lo scudo prende,
Pur troppo grave e iiisopportabil soma.
Così tutta di ferro intorno splende,
E in atto militar sé st(v<sa doma.
Gode Amor eh' e presente, e tra sé ri;!p.
Come allor già eh' avvolte in gonna Alcide.
■31
GERUSALEMME LIBERATA. (VI. 93—108)
[7*]
, Oh cnn quanta fatica ella sostiene IlOl
L' inpg^tiiil peso, e move lenti i passi! j.
K»l alla fida compagnia s' attiene,
Che per appogs:'» andar dinanzi fassi.
Ma rinforzm i;li fjpirti amore e spene,
E ministran vigore ai membri lassi,
Siccliè giungono al loco , ove le aspetta
Lo scudiero , e in arcion sagliono in fretta.
Travestiti ne vanno, e la più ascosa 103
E più riposta via prendono ad arte.
Pur s' avvengono in molti, e 1' aria ombrosa j
Veggion lucer di ferro in ogni parte. I
Ma impedir lor viaggio alcun non osa, }
E cedendo il sentier ne va in disparte:
Cile quel candido ammanto , e la temuta
Insegna anco neil' ombra è conosciuta.
9. Erminia, benché quivi alquanto sceme 103
Del dubbio suo, non va però secura:
Che d' essere scoperta alla fin teme,
E del suo troppo ardir sente or paura.
Ma pur giunta alla porta il timor preme,
Ed inganna colui, che n' ha la cura.
Io son Clorinda, disse; apri la porta!
Che 1 re m' invia, dove 1' andare importa.
5. La voce femminil, sembiante a quella 104,
Della guerriera, agevola l' inganno. I
(Chi crederla veder armata in sella j
Una dell' altre, eh' armi oprar non sanno!") i
Sicché '1 portier tosto ubbidisce, ed ella ,
K' esce veloce, e i duo, che seco vanno; j
E per lor sicurezza entro lo valli
Calando prcndon lunghi obliqui calli.
7. Ma , poich' Erminia in solitaria ed ima 105,
Parte si vede, alquanto il corso allenta:
Che i primi rischj aver parsati estima,
>'è d' esser ritenuta ornai paventa. '
Or pensa a quello, a che pensato in prima
Kon bene aveva ; ed or le &' appresenta
Difficil più, eh' a lei non fa mostrata
Dal frettoloso suo dcsir, 1' entrata.
i. Vede or , che sotto '1 militar sembiimte 106
Ir tra' feri nemici è gran follia :
Né d' altra parte palesarsi avante
CIi' al suo signor giungesse , altrui vorria.
A lui secreta ed improvvisa amante
Con secura one»là giunger desia.
Onde si ferma, e da miglior p(;nsi<TO
Fatta più cauta, parla al suo scudiero:
). Essere, oh mio fedele, a te conviene 107
Mio prccursor; ma sii pronto e sagace!
Vattene al campo, e fa eh' alcun ti meno
E t' introduca, ove Tancredi giace!
A cui dirai, die donna a lui ne viene.
Che gli apporta salute, e chiede pace;
Pace, posciaclr amor guerra mi move,
Ond' ci salute, io refrigerio Irove.
E eh' essa ha in lui sì certa e viva fede, 108,
Ch' in sim poter non teme (uita, né scorno.
Di' sol questo a lui solo, e s' altro ci cliiede,
Di' non saperlo, e udreltii il tuo rilurno!
lo («he questa mi par secura sede)
In que>lo mez/.o qui farò soggiorno.
Cisì disse la donna, e quel leale i
Già vduco cuMÌ , come uvcshc ulc, I
E seppe in guisa oprar, eh' amicamente
Entro ai chiusi ripari ei fu raccolto,
E poi condotto al cavalier giacente,
Che r ambasciata udì con lieto volto.
E già lasciando ei lui, che nella mente
Mille dubbj pensieri avea rivolto,
Ne riportava a lei dolce risposta,
Ch' entrar potrà , quanto più lice , ascosta.
Ma ella intanto impaziente, a cui
Troppo ogni indugio par nojoso e greve.
Numera fra sé stessa i pas?i altrui,
E pensa: or giunge, or entra, or tornar deve.
E già le sembra, e se ne duol, colui
I\Ien del solito assai spedito e leve.
Spingesi alfine innanzi, e 'n parte ascende,
Onde comincia a discoprir le tende.
Era la notte, e il sno stellato velo
Chiaro spiegava e senza nube alcuna;
E già spargea rai luminosi e gelo
Di vive perle la sorgente luna.
L' innamorata donna iva col cielo
Le sue fiamme sfogando ad una ad una,
E secretar] del suo amore antico
Fea i muti campi, e quel silenzio amico.
Poi rimirando il campo ella dicea:
Oh belle agli occhj miei tende latine !
Aura spira da voi , che mi ricrea,
E mi conforta, purché m' avvicine.
Così a mia vita combattuta e rea
Qualche onesto riposo il cicl destine,
Come in voi solo il cerco, e solo panni.
Che trovar pace io possa in mezzo all' anni !
Raccogliete me dunque, e in voi si trovc
Quella pietà, che mi promise amore,
E eh' io già vidi prigioniera altrove
Nel mansueto mio dolce signore!
Né già de^io di racquistar mi move
Col favor vostro il mio regale onore.
Quando ciò non avvenga , assai feli<e
Io mi terrò , se 'n voi servir mi lice.
Così parla costei , che non prevede,
Qual dolente fortuna a lei e' appre^te.
Ella era in parte, ove per dritto ficde
L' armi sue terj.e il bel raggio celeste,
Sicché da lunge il lampo lor si vede
Col bel candor, che le circonda e veste,
E la gran tigre nelT argento im|lres^a
Fiammeggia »i, eh' ognun direbbe : è dessa.
Come volle sua sorte, assai vicini
gioiti guerrier di^-po.-ti avian gli agguati,
E n' eran (luti duo fraici latini,
Alcandro e roliferno; e lur maiubiti
Per impedir, che dentro ai Saraciiii
(•regge non siano, e non ^ian buoi menali.
E se "l servo j)asso, fu perché tor>e
Più lunge il pasMi , e rapido tras«;orse.
Al giovin Pollferno, a cui fu il pndrc
Sugli (icrbj suoi già da Cloiiuda ucci>o,
\\<lv le s|»ogli<! «Modide e leggiadre,
l'u di veder l' alla guerriera avviso.
1'] coutra le irritò 1' occulte squadre.
Né fren.tndo dei cor molo improvviso,
((Jonr era in stut furor subito e lolle)
(iridò: »'*! morta! e I' asta iiivun luncinlle.
[75] GERUSALEMME LIBERATA. (VI. 109—114. VII. 1— «) [76]
109. Siccome cerva, che assetata il passo
Mova a cercar d' acque lucenti e vive,
Ove un bel fonte distillar da un sasso,
O vide un fìuine tra frondose rive,
Se incontra i cani allok-, die '1 corpo lasso
Ristorar crede all' onde, all' ombre estive,
Volge indietro fuj2:gendo, e la paura
La stanchezza obbliar face e 1' arsura:
110. Co-ì costei , che dell' amor la sete.
Onde 1 infermo core è sempre ardente,
Spejiner nell' accoglienze oneste e liete
Credeva, e riposar la stanca mente.
Or , che contra le vien chi nr|iel diviete,
E '1 suon del ferro e le minacce sente,
Sé stessa e '1 suo desir priuio abbandona,
E 'l veloce destrier timida sprona.
111. Fugge Erminia infelice, e '1 suo destriero
Con prontissimo piede il suol calpesta.
Fugge ancor i' altra donna, e lor quel fiero
Con moki armati di seguir non resta.
Ecco, che dalle tende il Imon scudiero
Con la tarda novella arriva in questa,
E r altrui fuga ancor dubbio accompagna,
E li sparge il timor per la campagna.
112. Ma il più saggio fratello, ii quale anch' csjo
La non vera Clorinda avea veduto,
Non la volle seguir, eh' era men presso,
Ma neir insidie sue s' è ritenuto,
E mandò t;on 1 avviso al campo un messo.
Che non armento od animai lanuto,
]\è preda altra simil, ma eh' è seguita
Dal suo german Clorinda impaurita,
113. E eh' ei non crede già, né '1 vuol ragione,
Ch' ella, eh' è duce, e non è sol guerriera,
Elegga all' uscir suo tale stagione
Per opportunità , che sia leggiera.
Ma giudichi e comandi il pio Buglione;
j Egli farà ciò, che da lui s' impera.
Giunge al campo tal nova, e se ne intende
I II primo suon nelle latine tende.
jll4. Tancredi, cui dinanzi il cor sospese
j Queir avviso primiero, udendo or questo.
Pensa : deh forse a me venia cortese,
E in periglio è per me: né pensa al resto,
I E parte prende sol del grave arnese.
Monta a cavallo , e tacito esce e presto,
E , seguendo gì' indizj e 1' orme nove,
! Rapidamente a tutto corgo il move.
CANTO SETTIMO.
ARGOMENTO.
Poiché lungo sentiero Erminia amante
Scorso ha fuggendo , un pastorel V accoglie,
ikrcala invan Tancredi: al/in le jnantc
Pone mal cauto entro incantate soglie.
Poscia sorge Raimondo incontra Argante
Per abbassar le temerarie voglie.
Fa per Dio, Dio per lui: ma d> altra parte
Move V invida Pluto e forza ed arte.
. Intanto Erminia infra 1 ombrose piante
D' antica selva dal cavallo è scorta,
IVè più governa il fren la man tremante,
E mezza quasi par tra ^iva e morta.
Per tante strade si raggira e tante
II corridor, ehe 'n sua balia la porta,
Cir alfin dagli occhj altrui pur si dil.■gui^
Ed è ,(»vercliio omai , eh' altri la segua.
• ,,, *^"''' '.'"l"» hinga e faticosa caccia
J orIUlM^i mesti ed anelanti i cani,
Clic la fera perduta abbiau di traccia
Nascosa in s.lva dagli aperti piani,
lai pieni d' uà e di vergogna in faccia
Kiedono stanchi i .avalier cristiani.
Ella pur higg,-, e ti,„idii e smarrita
Non SI volge a mirar, »' anco è seguita.
3. Fuggì tutta la notte, e tutto il giorno
Errò senza consiglio e senza guida,
Non udendo, o vedendo altro d' intorno.
Che le lagrime sue, che le sue strida.
31a neir ora, che '1 sol dal carro adorno
Scioglie i corsieri, e in grembo al mar s' annida
Giunse del bel Giordano alle chiare acque,
E scese in riva al fiume, e qui si giacque.
4. Cibo non prende già, che de' suoi mali
Solo si pasce, e sol di pianto ha sete;
Ma l sonno , che de' miseri mortali
È col suo dolce obblio posa e quiete,
Sopì co' sensi i suoi dolori , e l' ali
Dispiegò sovra lei placide e chete;
Nò però cessa amor con varie forme
La sua pace turbar, menlr' ella dorme.
5. Non si destò, finché garrir gli augelli
Non sentì lieti, e salutar gli albori,
E mormorare il fiume e gli arboscelli,
E con r onda scherzar I' aura e co' fiorL
Apre i languidi lumi, e guarda quelli
Alberghi M>litarj de' pastori,
E parie voce uscir tra 1' acqua e i rami,
Cir ai sospiri ed al pianto la richiami.
6. Ma son, mentr' ella piange, ì suoi lamenti
Rotti da un chiaro suon , eh' a lei ne viene,
Che sembra, ed é di |)astorali accenti
Misto , e di boscarecce incnlte avene.
Risorge , e là s' indrizza a passi lenti,
E vede un uom canuto all' ombre amene
'l'cssar fiscelle alla sua greggia accanto,
Ed ascoltar di tre fanciulli il canto.
ì
1.
^7]
GERUSALEMME LIBERATA. (VII. 7—22)
[78]
7. Vedendo qui%ì comparir repente
Le insolite arme, sbijjottìr co.<toro;
Ma li saluta Erminia, e dolcemente
Lì affida, e gli occlij scopre, e i bei crin d' oro.
Seguite, dice, avventurosa gente,
Al ciel diletta, il bel vostro lavoro!
Che non portano già guerra qucst' armi
All' opre vostre, ai vostri dolci carrai.
8. Soggiunse poscia: oh padre, orche d' intorno
D' alt» incendio di guerra arde il paese.
Come qui state in jilacido soggiorno
Senza temer le militari offese?
Figlio, ci rispose, d' ogni oltraggio e scorno
La mia famiglia e la mia greggia illese
Sempre qui l'ùr: né strepito di Marte
Ancor turbò questa remota parte.
9. 0 sia grazia del ciel , che V umiltado
D' innocente pastor sahi e sublime.
O che , siccome il folgore non cade
In basso pian , ma sull' eccelse cime ;
Cosi il furor di jìcregrine spade
Sol de' gran re 1' altere teste opprime :
Xè gli avidi soldati a preda alletta
La nostra po^ertà vile e negletta —
.0. Altrui vile e negletta: a me si cara.
Che non bramo tesor , nò regal verga;
ISè cura o voglia ambi/iosa, o avara
Mai nel tranquillo del mio petto alberga.
Spengo la sete mia mU' acqua chiara,
Che non tem' io che di vcnen s' asperga;
E questa greggia, e 1' orticel dispensa
Cibi non compri alla mia parca mensa:
1. Che poco è il desiderio , e poco è il nostro
Bisogno , on«Ie la vita si conservi.
Son figli miei questi, che addito e mostro.
Custodi della mandra, e non ho ser\i.
Così men vivo in solitario chiostro,
Saltar veggendo i capri snelli e i cervi,
Ed i pesci guizzar dì questo fiume,
E spiegar gli augellettì al ciel le piinnc.
2. Tempo già fu, quando più V uom vaneggia
Neil' età prima, eh' el)bi altro de.-i'o,
E disdegnai di pasturar la greggia,
E fuggii dal paese a me natio;
E vis.»i in Menfi un tempo, e nella reggia
Fra i ministri del re fui posto anch' io,
E benché fossi guardian degli orti.
Vidi e conobbi pur l' inique corti.
3. E lusingato da speranza ardita
SoU'rii lunga stagiou ciò clic; più spiacc.
3Ia |>(>i(-ir insieme con V età fiorila
Mancò la speme , e la baldanza atulace,
Piansi i riposi di (jiicst' umil \itii,
E sospirili la mia pcniuta pace,
E dissi: oh (Mirle, addio! (Joȓ agli amici
Boschi tornando ho tratto i dì felici.
i. Mentre ci «-osi ragidna , l'irmiiiia penile
Dalla doa^e bocca intenta <■ cheta,
E quel saggio parlar, di' al cor le scende,
De' sensi in piirte le procelle ai(|ii((a.
Dopo molto pensar, consiglio prende
In i|uella solilndiiie si-creta
Insiiio a tanto alinen farne soggiorno,
Ch' agevoli fortuna il euu ritorno.
15. Onde al buon vecchio dice: oh fortunato,
Ch' un tempo conoscesti il male a prova
Se non t' invidj il ciel sì dolce stato.
Delle miserie mie pietà ti mova,
E me teco raccogli in questo grato
Albergo, eh' abitar teco mi giova!
Forse fia, che '1 mio core infra qiiest' ombre
Del suo peso mortai parte disgombre.
16. Che, se di gemme e d' or, che "l vulgo adora
Siccome idoli suoi, tu fossi vago.
Potresti ben-, tante n' ho meco ancora.
Renderne il tuo de?io contento e pago.
Quinci versando da' begli occhj Inora
Lmor di doglia cristallino e vago.
Parte narrò di sue fortune , e intanto
Il pietoso pastor pianse al suo pianto.
17. Poi dolce la consola, e sì 1" accoglie.
Come tutt' arda di paterno zelo,
E la conduce ov' è l' antica moglie.
Che di conforme cor gli ha data il cielo.
La fanciulla regal di rozze spoglie
S' ammanta, e cinge al crin ruvido velo;
3Ia nel moto degli occhj e delle membra
Non già di boschi abitatrice sembra.
18. Non copre abito vii la nobil luce,
E quanto è in lei d' altero e di gentile;
E fuor la maestà regia traluce
Per gli atti ancor dell' esercizio umile.
Guida 1.1 greggia ai paschi, e la riduco
Con la ))Overa verga al chiuso ovili-,
Yi dall' irsute mamme il latte preme,
E 'n giro accolto poi lo stringe insieme.
19. Sovente allor che sugli estivi ardori
Giacean le pecorelle all' ombra assise.
Nella scorza de' faggi e degli allori
Segnò r amato nome in mille guise,
E de' suoi strani ed infelici amori
Gli aspri successi in mille piante incl<r.
E, in rili-gjjendo poi le proprie note.
Rigò di belle lagrime le gote.
20. Posiùa dicea piangendo: in voi serbatt»
Questa dolente istoria, amii-lie piante!
Percliè, se fia. eh' alle vostr' oiulire grate
Giammai soggiorni alcun fedeli- uiiiantc.
Senta svegliarsi al cor dolce |ii(-tate
Delle sventure mie sì varie e tante;
E dica: ah troppo ingiusta «lupi.» mern-de
Die' fortuna ed amore a sì gran fede !
21 Forse avverrà, se 'I ciel beiiigim ascolta
Aflettuo^o alcun prego mortale.
Che venga in queste selve anco talvolta
Quegli, a cui di me forse or nulla c>ile,
E . rivolgendo gli occlij , ove sepolta
(ìiacerà questa spoglia inferma e frale,
l'ardo premio conceda a' mici martiri
Di poche lagrimcllc e di sospiri.
22. Onde, se in vita il cor misero file.
Sia lo spirito in morte aimcn felice:
E 1 cciicr freddo delle fiamme Mie
(ìoila quel, eh' or godere a me non liue !
Cosi ragiona ai sordi Iroiicbi , e due
l'oliti di pianto da' begli occhj elice.
Tancredi intanto , ove fortuna il lira.
Lungo dn lei per loi seguir «' aggira.
[T9j
GERUSALEMME LIBERATA. (VII. 23—38)
[80]
23. Egli, seg-uendo le vestigia impresse,
Rivolse il corso alla selva vicina.
Ma quivi dalle piante orride e spesse
Nera e folta cosi 1' ombra dechina,
Che più non può raffigurar tra esse
L' orme novelle, e 'n dubbio oltre cammina,
Porgendo intorno pur 1' orecchie Intente,
Se calpestio , se roraor d' armi sente.
24. E se pur la notturna aura perente
Tenera fronde mai d' olmo , o di faggio,
O se fera , od augello un ramo scote,
Tosto a quel picciol suon drizza il viaggio.
Esce alfin della selva , e per ignote
Strade il conduce della luna il raggio
A orso un ronior , che di lontano udiva.
Insinché giunse al loco , ond' egli usciva.
25. Giunse, dove sorgean da vivo sasso
In molta copia chiare e lucide onde;
E fattosene un rio, volgeva a basso
Lo strepitoso pie tra verdi s|)onde.
Quivi egli ferma addolorato il passo,
E chiama, e solo ai gridi Eco risponde;
E vede intanto con serene ciglia
Sorger l' aurora candida e vermiglia.
2G. Geme cruccioso, e 'ncontra il ciel si sdegna,
Che sperata gli neghi alta ventura;
Ma della donna sua, quand' ella vegna
Offesa pur , far la vendetta giura.
Di rivolgersi al campo alfin disegna.
Benché la via trovar non s' as.secura:
Che gli sovvien, che presso è il dì prescritto,
Che pugnar dee col cavalier d' Egitto.
27. Partesi , e mentre va por dubbio calle.
Ode un corso appressar, eh' ognor s' avanza,
Ed alfine spuntar d' angusta valle
Vede uom, che di corriero avea sembianza.
Scotea mobile sferza, e dalle spalle
Pendea il coi-no sul fianco a nostra usanza.
Chiede Tancredi a lui , per quale strada
Al campo de' cristiani indi si vadar
28. Quegli italico parla: or là m' invio.
Dove m' ha Boemondo in fretta spinto.
Segue Tancredi lui, che del gran zio
Messaggio stima, e crede al parlar finto.
Giungono alfin là. dove un sozzo e rio
Lago impaluda, ed un castel n' è cinto,
INella stagion, che '1 sol par che s' immerga
Neir ampio nido, ove la notte alberga.
29. Suona il corriero in arrivando j.l corno^
E tosto giù calar si vede un ponte.
Quando Latin sia tu, qui far soggiorno
Potrai, gli dice, infincbè '1 sol rimonte:
Cile questo loco (e non è il terzo giorno)
Tolse ai pagani di Cosenza il conte.
Mira il loco il guerrier, che d' ogni parte
Incspugnabil fanno il sito e 1' arte.
30. Dubita alquanto poi, eh' entro sì forte
Mii'j^ioiie alcuno inganno occulto giaccia;
Ma , ct»uie avvezzo ai rischj della morte,
Motto non fanne, e noi dimostra in faccia:
Cir ovunque il guidi elezione, o sorto, |
Viml, die Hocuro la sua destra il faccia.
Pur r obbligo, eh' egli ha d' altra battaglia, i
Fa, che di uova imprcba or non gli caglia, !
31. Siedi' incontra al castello, ove in un prato
II c(uvo ponte si distende e posa,
Ritiene alquanto il passo, ed invitato
Non segue la sua scorta insidiosa.
Sul ponte intanto un cavaliero armato
Con sembianza apparia fera e sdegnosa,
Ch' avendo nella destra il ferro ignudo
Li suon parlava minaccioso e crudo:
32. Oh tu, che (siasi tua fortuna, o voglia)
AI paese fatai d' Armida arrivo,
Pensi indarno al fuggire , or 1' arme spoglia,
E porgi a' lacci suiù le man cattive!
Entra pur dentro alla guardata soglia
Con queste leggi, eh' ella altrui prescrive,
Kè più sperar di rivedere il cielo
Per volger d' anni, o per cangiar di pelo,
33. Se non giuri d' andar con gli altri sui
Contra ciascun, che da Gesù s' a!)pella.
S' affisa a quel parlar Tancredi in lui,
E riconosce l' arnie e la favella.
Rauibaldo di Guascogna era costui.
Che partì con Armida, e sol per ella
Pagan si fece , e difensor divenne
Di queir usanza rea, eh' ivi si tenne.
34. Di santo sdegno il pio guerrier si tinse
Nel volto, e gli rispose: empio fellone!
Quel Tancredi son io, che '1 ferro cinse
Per Cristo sempre, e fu di lui campione,
E in sua virtute i suoi rubelli vinse.
Come vo' , che tu voggia al paragone;
Che dall' ira del ciel ministra eletta
È questa destra a far in te vendetta.
35. Turbossi udendo il glorioso nome \
L' empio guerriero , e scolorissi in viso :
Pur, celando il timor, gli disse: or come
elisero vieni, ove rimanga ucciso.-'
Qui saran le tue forze oppresse e dome,
E questo altero tuo capo reciso ;
E manderollo ai duci franchi in dono,
S' altro da quel, che soglio, oggi non sono.
36. Cosi dice il pagano: e perchè il giorno
Spento era ornai , sicché vedcasi appena.
Apparir tante lampade d' intorno,
Che ne fu 1' aria lucida e serena.
Splende il castel , come in teatro adomo
Suol fra notturne pompe altera scena;
Ed in eccelsa parte Armida siede,
Onde, senz' esser vista, ed ode e vedo.
37. II magnanimo eroe frattanto appresta
Alla fera tenzon 1' arme e 1' ardire,
Né sul debil cavallo assiso resta,
Già veggcndo il nemico a pie venire.
Vion chiuso nello scudo, e 1' elmo ha in teeta
La spada nuda, e in atto è di ferire.
Gli move incontra il principe feroce
Con occhj torvi , e con terrihil voce. 1
38. Quegli con larghe ruote aggira ì passi
Strotto neir armi, e colpi accenna, e finge.
Questi , sebbcn ha i membri infermi e lasii.
Va risoluto, e gli s' appressa e stringo,
E là, donde Rambaldo addietro fassi,
Voliicissiuiamcnt<! egli si sjiinge,
E s' avanza e T incalza, e fulminando
Spesso alla vL^ta gli dirizza il brando.
«1]
GERUSALEMME LIBERATA. (VII. S9— 54)
[82]
E più eli' altrove impeti'ioso fere,
Ove più di vital formò natura,
Alle percosse le niinacfc altere
Accotnpaf^nanilo, e '1 danno alla paiira.
Di qna di là si volfje, e sue Iegp;iere
Mcnibra il presto Guascone ai colpi fura,
E cerca or con lo scudo, or con la spada,
Che '1 nemico furore indarno cada.
0. Ma veloce allo schermo ei non è tanto,
Cile più r altro non sia pronto all' oii'cie.
Già spezzato lo scudo , e 1' elmo infranto,
E forato e sanguijjno avea 1' arnese;
E colpo alcun de' suoi , che tanto o quanto
Impiagasse il nemico, anco non sce^e,
E teme, e gli rimorde insieme il core
Sdegno , vergogna , coscienza , amore.
Dispon^i allin con disperata guerra
Far prova ornai dell' ultima fortuna.
Gitta io scudo, ed a due mani afferra
La spada, eh' è di sangue ancor digiuna,
E col nemico suo si stringe e serra,
E cala un colpo; e non v' è pia^tra alcuna,
Che gli resista >\, che grn\e angoscia
Kon dia piiigando alla sinistra coscia.
, E poi suir ampia fronte il ripercote,
Siccliè 'l picchio rimbomba in suon di squilla.
L' elmo non fende già , ma lui ben scote.
Tal eh' egli si rannicchia e ne vacilla.
Infiamma d' ira il principe le gote,
E negli occhj di foco arde e sfavilla,
E f!U)r della visiera escono ardeuti
Gli sguardi, e insieme lo stridor de' denti.
3, 11 perfido pagan già non sostiene
La vista pur di sì leroce aspetto.
Scote fischiare il ferro, e tra le vene
Già gli sembra d' averlo, e in mezzo al petto.
Fugge dal colpo ; e '1 colpo a cader viene.
Dove un pilastro è contra il |)onte eretto.
Re van le schegge e le scintille al ciclo,
E passa al cor del traditore un gelo.
4. Onde al ponte rifugge, e sol nel corso
Della saluto sua pone ogni speme.
ftla '1 seguita Tancredi , e già sul dorso
La man gli stende, e il piò col piò gli preme.
Quando ec(;o (al fuggitivo alto soccorso)
Sparir le faci ed ogni stella insieme,
Rè rimaner all' orba notte alcuna
Sotto povero ciel luce di luna.
Fra r ombre della notte e degl' incanti
Il viucitor noi segue più , né 'I vede,
Rè può cosa v(uier^i allato, o axaiiti,
E niu(»\e dubliio e mal seciu'o il |)i(!dc.
Sul limitar d' ui\ u>('io i |)as>i erranti
A «a-o niettrr, nò d' entrar k' a\>ede.
Ma sente poi, che suona a lui diretro
La porta, e in loco il serra os('ui'o e tetro.
Como il pesc(! colà, dov<! impaluda
Ne' s(-ni di (Jomaccliio il nostro mare,
Fugge dall' onda im|>etuosa <^ cruilii,
('crc.indt) in placid*; acipie, o\e rijìaro,
E y'ini, vìw da sé ^tesso ei si rincliiudu
in palustre prigion , né può toinare;
C'Iiè (|U(d serraglio è con mirabii uso
Sempre ull' entrar aperto, ulf u»cir diluito:
48.
47. Cosi Tancredi allor (qual che sì fosse
Dell' estrania prigion 1' ordigno e 1' arte)
Entrò per sé raedesmo , e ritrovosse
Poi là rinchiuso, ond' uom per se non parte.
Ben con robusta man la porta scosse;
Ria fur le sue fatiche indarno sparte:
E voce intanto udì, che: indarno, grida,
Uscir procuri, oh prigionier d' Armida!
Qui menerai (non temer già di morte!)
Nel sepolcro de' vivi i giorni e gli anni.
Non risponde, ma preme il guerrier forte
Nel cor profondo i gemiti e gli affanni:
E fra sé stesso accusa amor, la sorte.
La sua sciocchezza , e gli altrui feri inganni,
E talor dice in taciìe parole :
Lieve perdita fia perdere il sole ;
49. Ma di più vago sol più dolce vista,
IVIisero, io perdo; e non so già, se mai
In loco tornerò , che i' alma trista
Si rassereni agli amorosi rai.
Poi gli sovvien d' Argante, e più s' attrista,
E troppo, dice, al mio dover mancai,
: Ed è ragion , eh' ei mi disprezzi e schema.
I Oh mia gran colpa! oh mia vergogna eterna!
j 50. Così d' amor, d' onor cura mordace
I Quinci e quindi al guerrier 1' animo rode.
Or, mentre egli s' affligge. Argante audace
Le molli piume di calcar non gode.
Tanto è nel crudo petto odio di pace,
Cupidigia di sangue , amor di lode.
Che, delle piaghe sue non sano ancora,
Brama , che '1 sesto di porli 1' aurora.
51. La notte, che precede, il pagan fero
Appena inchina per dormir la fronte,
E sorge poiché 1 ciclo anco é sì nero,
(]he non dà luce in sulla cima al monte.
Recami 1' arme! grida al suo scudiero,
E quegli aveale apparecchiate e pronte,
Non le solite sue, ma dal re sono
Dategli queste, e prezioso è il dono.
52. Senza molto mirarle egli le prende,
Né del gran peso é la persona onusta,
E la solita spada al fianco appende,
Ch' è di tempra fìnisrima e vetusta.
Qual con le chiome sanguinose orrende
^Sl^lcnder cometa suol per V aria adusta,
( lie i regni muta, e i feri morbi adduce,
Ai purpurei tiranni infausta luce;
53. l'ai neir arme ei fiaunncggia, e bieche e torte
Volge le luci ebbre di sangue e d' ira.
Spirano <;li atti l'eri orrcu- ili morte,
ì'j minaccia di morte il volto spira.
Alma non é cosi secura e forte,
i'ìw non parenti, o\v. un sol guardo gira.
Nuda ha la sjiada , e l.i solleva e sc(Ue
(iridando, e 1' aria e 1' ombre in van pcrcote.
51. Bentosto, dice, il predator ^ri^tiano,
Cir audace « m, eh' a me vuol agguagliarsi,
Caderà vinto e s.iuguinoso al piiino,
lìruttanilo nella pol\o i crini t>par.>i;
E vedrà, \i\o ancor, «la «pu'^tii mano
Ad onta di-I nuo Dio I' arnu; spogliar>i;
Né miircudo impetrar potrà co' preghi,
Che in pa^'tu u' cani le sue membra iu neghi.
[83]
GERUSALEMME LIBERATA. (VII 55—70)
[«4-
55. Non altramente il tauro , ove 1' miti
Geloso amor con stimoli |Hingenti,^
Orribilmente mug^p^e, e co' muggiti
Gli spirti in se risveglia, e 1' ire ardenti,
E '1 corno aguzza ai tronchi, e par eh' inaiti
Con vani colpi alla battaglia i venti,
Sparge col pie 1' arena, e '1 suo rivale
Da lunge sfida a guerra aspra e mortale.
56. Da sì fatto furor commosso appella
L' araldo e ciui parlar tronco gì' impone:
Vattene al campo, e la battaglia fella
Nunzia a colui , eh' è dì Gesù campione !
Quinci alcun non aspetta, e monta in sella,
E fa condursi innanzi il suo prigione.
Esce fuor della terra, e per lo colle
In corso vien precipitoso e folle.
57. Dà fiato intanto al corno, e n' esce il suono,
Che d' ogni intorno orribile s' intende,
E in guisa pur di strepitoso tuono
Gli orecchi e '1 cor degli ascoltanti offende.
Già i principi cristiani accolti sono
iVella tenda maggior dell' altre tende.
Qui fé' r araldo sue disfide, e incluse
Tancredi pria, né però gli altri escluse.
58. Goffredo intorno gli ocrlij gravi e tardi
Volge |Con mente allor dub!>ia e sospesa,
Né, perchè molto pensi, e molto guardi,
Atto gli s' olire alcuno a tanta impresa.
Vi manca il fior de' suoi guerrier gagliardi:
Di Tancredi non s' è novella intesa ,
E lunge è Boemondo , ed ito è in bando
L' invitto eroe, eh' uccise il fier Geinaudo.
59. Ed oltre i diece , che fiir tratti a sorte,
I migliori del campo e i più famosi
Seguir d' Armida le fallaci scorte
Sotto il silenzio della notte ascosi.
Gli altri dì mano e d' animo men forte.
Taciti se ne stanno e vergognosi ;
Né v' è chi cerchi in si gran rischio onore ;
Che vinta la vergogna è dal timore.
60. Al silenzio, all' aspetto, ad ogni segno,
Di lor temenza il capitan s' accorse,
E tutto pien di generoso sdegno
Dal loc(» , ove sedea , repente sorse
E disse : ah ben sarei di vita indegno,
Se la vita negassi or porre in forse,
Lasciando, eh' un pagan così vilmente
Calpestasse i' onor di nostra gente.
61. Sieda in pace il mio campo , e da eccura
Parte miri ozioso il mio periglio!
Su su, datemi 1' arme! E 1' armatura
Gli fu recata in un girar di ciglio.
Ma il buon liaimtnido , <-li' in età matura
Parimente maturo avea il consiglio,
E verdi ancor le forze al par di quanti
Erano quivi , allor si trasse avanti,
(i2. K disse a lui rivolto : ali non sia vero,
Ch' in un capo s' arrischj il campo tutto!
Duce sei tu , non semplice guerriero ;
Pubblico fora, e non pri\ato il lutto.
In te la IV s' appogi^ja »; '| santo impero;
Per te fia il regno di It.ibel distrutto.
Tu il senno sol . io scettro solo adopr.'i ;
Ponga allji poi 1' ardire e 'l feiro in opra ?
63. Ed io, bendi' a gir curvo mi condanni
La grave età , non ila, che ciò ricusi.
Schivino gli altri i nrarziali ailànni;
Me non vo' già che la vecchiezza scusi.
Oh foss' io pur sul mio vigor degli anni,
Qual siete or voi , che qui temendo (;hiu^i
\i state, e non vi move ira, o vergogna
Contra lui, che vi sgrida e vi rampogna;
64. E quale aUora fui, quando al cospetto
Di tuttii la Germajiia, alla gran corte
Del secondo Corrado , apersi il petto
Al feroce Leopoldo , e '1 pitsi a morte !
E fu d' alto valor più chiaro eiletto
Le spoglie riportar d' uom così forte.
Che s' alcun or fugasse inerme e solo
Di questa ignobil turba un grande stuolo.
o5. Se fosse in me quella virtù , quel sangue,
Di questo altier 1' orgoglio avrei già spento.
Ma qualunque io mi sia, non però languo
11 cor in me , né vecchio anco pavento.
E s' io pur rimarrò nel campo esangue,
Né il pagan di vittoria andrà contento.
Armarmi io ao': sia questo il dì eh' illustri
Con novo onor tutti i miei scorsi lustri !
66. Così parla il gran vecchio , e sproni acuti
Son le parole, onde virtù si desta.
Quei , che far prima timorosi e muti,
Hanno la lingua or baldanzosa e presta.
Né sol non v' è chi la tenzon rifiuti.
Ma ella omai da molti a gara é chiesta.
Baldovin la domanda , e con Ruggiero
Guelfo , i due Guidi , e Stefano , e Gerniero,
67. E Pirro , quel che fé' il lodato ingaimo,
Dando Antiochia pi'esa a Boemondo:
Ed a prova richiesta anco ne fanno
Eberardo, Ridolfo, e '1 pio Rosmondo,
Un di Scozia , un d' Irlanda , ed un Britanno
Terre, che parte il mar dal nostro mondo
E ne son parimente anco bramosi
Gildippe ed Odoardo, amanti e sposi.
68. Ma sovra tutti gli altri il fero vecchio
Se ne dimostra cupido ed ardente.
Armato è già: sol manca all' apparecchio
Degli altri arnesi il fino elmo lucente.
A cui dice Goffredo : oh vivo specchio
Del valor prisco, in te la nostra gente
Miri, e \irtù n' apprenda! In te di Marte
Splende 1' onor , la disciplina e 1' arte.
69. Oh pur avessi fra 1' etade acerba
Diet^e altri di valor al tuo simile !
Come ardirei vint^cr Babel superba,
E la croce spiegar da Battro a Tile I
Ma cedi or, prego, e te medesmo serba
A maggiori opre, e di vittù senile,
E lascia, che degli altri in piccini vaso
Pongansi i nomi, e sia giudice il caso,
70. Anzi giudic*; Dio, delle cui voglie
Ministra e serva è la fortuna e '1 fato!
Ma non però dal suo pensier si toglie
Raimondo, e vuol anch' egli esser notato.
Neil' ehm» sin» (iolliHuIo i brevi accoglie;
E poiché r eb!)e scosso ed agitato,
Nel priuH» breve, ('lu^ di là traesse,
Del conte di Tolosa il nome lesse.
i.
GERUSALEMME LIBERATA. (VU. 71-8fi)
[86]
1. Fu il nome suo con lieto grido accolto,
^l"; di binsinar la sorte alcun ardisce.
V.i di Cresco vig^or la fronte e 1 volto
Riempie, e così allor riiij^iovenisce,
Cj)iial serpe fier, eh' in nuove spof^lie avvolto
D' oro fiammeggi, e incontra al sol si lisce.
Ma più d' ogni altro il capitan gli applaude,
E gli annunzia vittoria , e gli dà laude,
2 E la spada togliendosi dal fianco,
E porgendola a lui, così dicea:
Questa è la spada , che in battaglia il franco
Unbello di Sassonia oprar solca,
CAi io gi<à gli tol.>i a forza; e gli tolsi anco
La vita allor di mille colpe rea.
Questa, che meco ognor fu vincitrice,
Prendi, e sia cosi teco ora felice!
•j. Di loro indugio intanto è qnell' altero
Impaziente, e li minaccia e grida:
Oh gente invitta, oh popolo guerriero
D' Europa, un uomo solo è che vi sfida.
\ enga Tancredi ornai , che par sì fero,
Se nella sua virtù tanto si fida!
O vuol, giacendo in piume, aspettar forse
La notte, eh' altre volte a lui soccorse.''
1. Venga altri , s' egli teme ! A stuolo a stuolo
Venite insieme, o cavalieri o fanti.
Poiché di pugnar meco a solo a solo
]\on v' è tra mille schiere uom, che si Aanti i
Vedete là il sepolcro , ove il figliuolo
Di Maria giacque ! or che non gite avanti ?
Che non sciogliete i voti.'' Ecco la strada!
A qual serbate uopo maggior la spada .''
i. Con tali scherni il Saracino atroce
Quasi con dura sferza altrui percote :
Ma più eh' altri Uainunido a quella voce
S' accende , e i' onte soflcrir non puote.
La virtù stimolata è più feroce,
L s' aguzza dell' ira all' aspra cote:
Sicché tronca gì' indugi, e preme il dorso
Del suo Aquilino , a cui die' il nome il corso.
5. Sul Tago il destrier nacque , ove talora
L' avida madre del guerriero armento.
Quando T alma stagion , che n' innamora,
Nel cor r instiga il naturai talento,
^olta r aperta bocca incontra 1' ora,
liac(u)glie i semi del fecondo vento,
E da' tepidi fiati, oh meraviglia!
Cupidamente ella conce|)e e figlia.
7. E ben que>to .Aqiiilin nato diresti
Di qual aura del i ici [liii lie\e spiri;
O se veloce sì , eh' orma non restì.
Stendere il corso per 1' arena il miri,
O se '1 v(;(li ad(lop)iiar leggieri e presti
A destra ed a sini.-<tra angu.-ti giri.
Sovra tal corridore il conte a^>iso.
Move air assalto, e ^olge al cielo il viso.
8. Signor, tu cIh; drizzanti incontra 1' empio
(lolia r armi incs|)«'rte in 'l'er«liiiito,
Sii( h' ei ne fu , che d' Israel fea xempio,
Al primo sasso d" un garzone e.-tinlo!
'l'u fa, ih' or giaccia (e fia pari l' esempio')
Quc>Io fellon da nu; percosso e vinto,
E debii virchio or la superbia o|i|irima,
Come dcbil fancìul 1' o|ipres»e in priuut!
«9. Così pregava il conte, e le preghiere,
Mosse dalla speranza in Dio secura,
S' alzar volando alle celesti spere,
Come va foco al ciel per sua natura.
L' accolse il Padre eterno, e fra le schiere
Dell' esercito suo tolse alla cura
L'n, che 'I difenda, e sano e vincitore
Dalle man di quell' empio il tragga fuore.
i 80. L' angelo, che fu già custode eletto
Dall' alta provvidenza al buon Raimondo
Insin dal primo dì , che pargoletto
Sen venne a farsi peregria del mondo,
Or , che di nuovo il re del ciel gli ha detto.
Che prenda in sé della difesa il pondo,
Neil' alta rocca ascende , ove dell' oste
Divina tutte son 1' armi riposte.
81. Qui r asta si conserva, onde il serpente
Percosso giacque, e i gran fulminei strali,
E quegli, che invisibili alla gente
Portan V orride pesti e gli altri mali :
E qui sospeso é in alto il gran tridente,
Primo terror de' miseri mortali,
Quand' egli avvien, che i fondamenti scota
Dell' ampia terra, e le città percota.
82. Si vedea fiammeggiar fra gli altri arnesi
Scudo di lucidissimo diamante.
Grande, che può coprir genti e paesi.
Quanti ve n' ha fra '1 Cauciiso e i' Atlante.
E sogiiiint» da questo esser difesi
Princijii giusti, e città caste e sante.
Questo r angelo prende , e vien con esso
Occultamente al suo Raimondo appresso.
83. Piene intanto le mura eran già tutte
Di varia turba , e "1 harl)aro tiranno
Manda Clorinda e molte genti instrutte,
Che ferme a mezzo il colle oltre non vanno.
Dall' altro lato in ordine ridutte
Alcune schiere de' cristiani stanno,
E largamente a' due ciinipioni il campo
A oto riman fra i' uno e 1 altro campo.
84. Mirava Argante, e non vedea Tancredi,
Ma d' ignoto (-<iinpion sembianze nove.
Fecesi il conte innanzi, e: quel, che chiedi,
E, disse a Ini, per tua ventura altrove.
N<ui superliir |>erò. che me qui \((!i
Appariichiato a riprovar tue prove!
Clr il) di lui posso so^tencr la vice,
O <tcnir come terzo a me qui lice.
85. Ne sorride il suiierbo , e gli ri-sponde:
Che fa dunque Tancredi.-' e d(tve slassi?
l\linaccia il ciel con 1' arme, e poi s' asconde
Fidando sol ne' suoi fugaci pas>i.''
Ma fugga pur nel ccntn» , e "n mezzo 1' onde,
Che non lia loco, o\c. seciiro il las.-i.
Menti, replica 1' altro, a dir, eh' uom tale
Fugga da te, eh' assai di te più vale.
86. Frenu- il (;irca<so irato, e dice: or prendi
Del campo tu ! eh' in vece sua l' nctrelto.
E tosto e' >i parrà, <MUiie difendi
Ìj' alta follia del temerario detto.
C(i->i ini»>-ero in giostra, e i colpi orreiuli
i'ariuu'nle ilt'iy/.iirn ambi all' ehnetto :
E 1 buon U.iimondo o\e mirò , scoiitrollo,
Né dar gli fece uell' arcion pur crollo.
[87]
GERUSALEMME LIBERATA. (VU. 87- 102)
[88]
87. Dall' altra parfe il fero Argante corse
(Fililo insolito a luì) 1' arringo invano;
Cile '1 tlifensor celeste il colpo torse
Dal cnj:todito cavalier cristiano.
Le labbra il crucio per fnror si morse,
E ruppe r asta bestemmiando al piano.
Poi tragge il ferro, e va contra Raimondo
Impetuoso al paragon secondo.
88. E '1 possente corsiero urta per dritto,
Quasi monton , eli' al cozzo il capo abbassa.
SclÙA a Raimondo 1' urto , al lato dritto
Piegando il corso , e '1 fere in fronte , e passa.
Torna di novo il cavalier d' Egitto;
Ma quegli pur di novo a destra il lassa:
E pur suU' elmo il coglie, e indarno sempre;
Che r elmo adamantine avea le tempre,
89. Ma il feroce pagan, che seco vuole
Più stretta zuffa, a lui s' avventa e serra.
L' altro, eh' al peso di sì vasta mole
Teme d' andar col suo destriero a terra.
Qui cede , ed indi assale , e par, che volo
Intorniando con girevol guerra,
E i lievi imperj il rapido cavallo
Segue del freno, e non pone orma in fallo.
80. Qual capitan , eh' oppugni eccelsa torre
Infra paludi posta, o in alto monte,
aiille aditi ritenta , e tutte scorre
L' arti e le vie, cotal s' aggira il conte,
E , poiché non può scaglia all' arme torre,
Ch' armano il petto e la superl)a fronte,
Fere i meo forti arnesi, ed alla spada
Cerca tra ferro e ferro aprir la strada:
91. Ed in due partì o tre forate, e fatte
L' armi nemiche ha già tepide e rosse:
Ed egli ancor le sue conserva intatte,
Kè di cimicr, nò d' un sol fregio scosse.
Argante indarno arrabbia, a voto batte,
E spande senza prò 1' ire e le posse.
]Non sì stanca però , ma raddoppiando
Va ttigli e punte, e sì rinforza errando.
93. Alfin tra mille colpì il Saracino
Cala un fendente, e 'l conte è cosi presso.
Che forse il velocissimo Aquilino
Non sottraggeasi , e rimaneane oppresso;
Ma r ajiito invisibile vicino
Kon mancò lui di quel superno messo,
Che stese il braccio , e tolse il ferro crudo
Sovra il diamante del celeste scudo.
93 Frangesì il ferro allor (che non resiste
Dì fucina mortai tempra terrena
Ad armi incorruttibili ed immiste
D' eterno fabbro), e cade in siili' arena.
Il Circasso eh' andarne a terra ha viste
Minutissime parti , il crede appena
Stupisce poi , scorta la mano inerme,
Ch' arme il campion nemico abbia sì ferme:
94. E ben rotta la spada aver si crede
Suir altro gelido, ond' è colui difeso:
E 1 buon Raimondo ha la medesma fede.
Che non sa già , chi sia dal cicl disceso.
Ma , pcroccir egli ilisarmata vede
Ija miin nemica, si riiiian sospeso:
CJIiè stima igiiolul pitluiii , e vili i3|ioglio
Quelle, eli' altrui cou tal vantaggio uom toglie.
95. Prendi, volea già dirgli, un' altra spada!
Quando novo pcnsier nacque nel core:
Ch' alto scorno è de' suoi, dove egli cada.
Che di pubblica causa è difensore.
Cosi nò iacicgna a lui vittoria aggrada,
]\è in dubbio vuol porre il comune onore.
Mentre egli dubbio stiissi. Argante lancia
Il pomo e r else alla nemica guancia,
96. E in quel tempo medesmo il destrier punge,
E per venire a lotta oltra si caccia.
La percossa lanciata all' elmo giunge,
Sicché ne pesta al Tolosau la faccia.
Ma però nìilla ei sbigottisce, e lunge
Ratto sì svia dalle robuste braccia.
Ed impiaga la man, eh' a dar di piglio
Venia più fera , che ferino artiglio :
97. Poscia gira da questa a quella parte,
E rigirasi a questa, indi da quella;
E sempre , e quando riede e quando parte.
Fere il pagan d' aspra percossa e fella.
Quanto avea di vigor, quanto avea d' arte,
Quanto può sdegno antico , ira novella,
A danno del Circasso or tutto aduna,
E seco il ciel congiura e la fortuna.
98. Quei dì fine arme, e di sé stesso armato.
Ai gran colpì resiste , e nulla pavé,
E par senza governo in mar turbato.
Rotte vele ed antenne , eccelsa nave.
Che pur contesto avendo ogni suo lato
Tenacemente di robusta trave,
Sdrusciti ì fianchi al tempestoso flutto
Non mostra ancor, né si dispera in tutto,
99. Argante, il tuo periglio allor tal era.
Quando ajutarti Belzebù dispose.
Questi di cava nube ombra leggiera
(Mirabìl mostro !) in forma d' uom compose,
E la sembianza di Clorinda altera
Gli finse , e l' arme ricche e luminose :
Diégli il parlare, e senza mente il noto
Suon della voce, e '1 portamento, e '1 moto.
100, Il simulacro ad Gradino esperto,
Sagittario famoso, andnnnc, e disse:
Oh famoso Oradin , eh' a segno certo,
Come a te piace, le quadrclla affisse!
Ah gran danno saria, s' uom di tal morto,
Difeasor di Giudea, così morisse,
E dì sue spoglie il suo nemico adorno
Securo ne facesse a' suoi ritorno.
101. Qui fa prova dell' arte, e le saette
Tingi nel sangue del ladron francese!
Ch' oltra il perpetuo onnr, vo', che n' aspetto
Premio al gran fatto egual dal re cortese.
Così parlò: nò quegli in dubbio stette,
'J'ostochè 1 suon delle promesse intese.
Dalla grave faretra un quadrel prende,
E sul!' arco 1' ad atta, e 1' arco tende.
102. Sibila il teso nervo, e fuori spinto
Vola il pennuto strai per l' aria, e stride,
Ed a porcoter va, do^e del cinto
Si congiungon le fibliio, e le divide.
Passa r usbergo, e in sangue appena tinto
Quivi si ferma, e sol la pelle incide:
CAii; 'l celeste guerrier sollrir non volse,
Ch' oltra passasse, e forza al colpo tolic.
(,
^9]
GERUSALEMME LIBERATA. (VII. 103-liS)
[90]
Dall' usbergo lo strai si tragge il conte,
Ed ispiccìiirne fuori il sangue vecìc,
J'] con parlar pian di minacc-e ed onte
Hiinpravera al pagan la rcitta lede.
Il capitan , die non torcea la fronte
Dall' amato Raimondo , allor s' avvede,
Che violato è il patto ; e perchè grave
Stima la piaga, ne sof^pira e pavé.
E con la fronte le sue genti altere
E con la lingua a vendicarlo desta.
Vedi to^;to inchinar giù le visiierc,
Lentare i freni, e por le lance in resta,
E quaji in un sol punto alcune schiere
Da quella parte moversi e da questa.
Sparisce il caiupo , e ìa minuta polve
Con densi globi al ciel s' innalza e volve.
D' elmi e scudi peicnssi e d' aste infrante
Ne' primi scontri un gran romor s' aggira.
Là giacere un cavallo , e girne errante
Un altro là senza rettor si mira.
Qui giace un guerricr morto, e qui spirante
Altri singhiozza e geme, altri sospira.
Fera è la pugna; e quanto più si mesce
E stringe insieme, più s' ina-pra e cresce.
Salta Argante nel mezzo agile e scioUo,
E toglie ad un gueirier ferrata mazza,
E rompentio lo stuol calcato e folto
La riioa intorno, e si fa larga piazza;
E sol cerca ilaimondo, e in lui sol ^olto
Ila il ferro e 1' ira imjxtùosa e pazza,
E qua?i avido lupo ci par che hrame
Kelle viscere sue pascer la fame.
Ma duro ad impedir viengli il sentiero,
E fero intoppo, acciocché il corso ei tardi.
Si trova inccuitra Ornianno , e con Uug;i;:iero
Di Balnavilla un Guido, e duo Gherardi.
Non cessa, non s' allenta; anzi è più fero,
Quiuito ristretto è più da que' gagliardi;
Siccome a forza da rinchiuso loco
Se n' esce e move alte ruine il foco.
i. Uccìde Ormanno , piaga Guido, atterra
Ruggiero infra gli estìnti egro e languente;
Ma contra lui crescon le turbe, e '1 serra
D' uomini e d' arme cerchio aspro e pungente.
Mentre in virtù di lui pari la guf:rra
Si mantenea fra 1' una e V altra gente,
Il buon duce Huglion chiama il fratello,
Ed a lui dice: or nu)vi il tuo drappello,
), E là, dove haltaglia è più mortalo.
Vattene ad investir nel lato manco!
Quegli si iimsse: e fu io scionlro tale,
Ond' egli urtò degli avversari il fianco.
Che parve il popol d' Asia imbelle e frale,
Rè potè sostener 1' impeto franco.
Che gli ordini disperde, e co' destrieri
L' insegne abbatte, e insieme i cavalieri.
), Dall' impeti» nuulesmo in fuga è volto
Il destro corno, e ncui v' è alcim, (Jie faccia,
Fuorcir Argante, dilesa: a freno srioltu*
Cosi il timor precipiti li ca<-cia !
Egli ^ol fernui il pasKO, e mostra il volto:
Me, chi con mani centi» e cento br.iccia
Cinquanta scudi iu>ieuie ed allriatanle
Spade uiuvcsse, or più l'uria d' Argante.
Ili
112,
113.
114.
115.
116.
in
118
Ei gli stocchi e le mazze, egli dell' aste
E de' corsieri 1' ìmpeto sostenta,
E solo par, che incontra tutti baste,
Ed ora a questo, ed ora a quel s' avventa.
Peste ha le membra, e rotte 1' armi e guaste,
E sudor versa e sangue, e par noi senta.
Ma così r urta il popol denso e "1 preme.
Ch' alfln lo svolge, e seco il porta insieme.
Volge il tergo alla forza ed al furore
Dì quei diluvio , che '1 rapisce e '1 tira.
Ma non già d' uom, che fugga, ha i passi e '1 core.
S' all' opre della mano il cor si mira.
Serbano ancora gli occlìj il lor terrore,
E le minacce della solita ira,
E cerca ritener con ogni prova
La fuggitiva turba, e nulla giova.
Non può far quel magnanimo, eh' ahuetio
Sia lor fuga più tarda, o più raccolta ;
Che non ha la paura arte né freno.
Né pregar qui, né comandar s' ascidta.
Il pio liuglion, eh' i siu)i pensieri appieno
Vede fortuna a favorir rivolta.
Segue della vittoria il lieto corso,
E invia novello ai vinci tor soccorso.
E, se non che non era il dì, che scritto
Dìo negli eterni suoi decreti avca,
Que<t' era forse il dì , che '1 campo invitto
Delle sante fatiche al lin giungea.
]\Ia la schiera infernal, eh' in quel conflitto
La tirannide sua cader vedea,
Sendole ciò permesso, in un momento
L' aria in nubi ristrinse , e mosse il vento.
Dagli occlij de' mortali un negro velo
Rapisce il giorno e '1 sole, e par, eh' avvHmpi
Negro vìe più «;h' orror d' inferno il cielo ;
Così fiammeggia infra baleni e lampi.
Fremono i tuoni, e pioggia accolta in gelo
Sì versa, e i paschi alibatte, e inonda i campi.
Schianta i rami il gran turbo, e par. che crolli
Non pur le querce, ma le rocche e i colli.
L' acqua in un tempo, il vento, e la tempesta
Negli occlij ai Franchi impetuosa fere,
E 1' impnivvisa violenza arresta
Con un ternir quasi fatai le schiere.
La minor parto d' esse accolta rc.»ta,
(Che veder non le puote) alle bandiere.
Ma Clorinda, che quindi alquanto è lunge.
Prende opportuno il tempo, e "l de>trier punge.
Ella gridava ai siuii : |»er noi combatte.
Compagni, il cielo, e la giu-ti/ia aita
Dall' ira sua le facce no^trtì intatte
Sono , e non è la destra indi impedita.
E nella fronte solo iriito ci balte
Della nemica gente impaurila,
E la ecute d«ll" arme, e della Iure
La priva. Andianne pur , che "1 Fa:
Cosi spinge h^ genti, e ricevendo
Sol nelle spalle 1' impeto d' interno.
Urla i Fran<<-«i con us^alto orrendo,
E i vani colpi lor >ì prende a ^(•herno.
Ed in (juel tempo Argante anco volgendo
I'*a de' già vincitori a>iiri» governo:
E (|uei , biNciandu il campo, a tutto rorrO
\ ulgono ul ferro, e alle procelle il dur>n.
duce.
[91] GERUSALEMME LIBERATA. (VIL 119— 122 VLII. 1-8) [92]
119. Percotono le spalle ai fug:gitivl
L' ire iininortiili , e le mortali spade,
E 'l sangue corre , e fa commisto ai rivi
Della gran pioggia rosseggiar le strade.
Qui tra '1 vulgo de' morti e de' mal vivi
E Pirro e '1 buon Ridolfo estinto cade:
Che toglie a questo il fier Circasso 1' alma,
E Clorinda di quello ha nobil palma.
120. Cosi fuggiano i Franchi, e di lor caccia
JNou rimaneano i Siri anco , o i di-moni.
Sol contra 1' arme, e contra ogni minaccia
Di gragnuole, e di turbini, e di tuoni,
Volgea Goffredo la secura faccia,
Kampognando aspramente i suoi baroni,
E , fermo an/.i la porta il gran cavallo,
Le genti sparse raccoglica nel vallo.
121. E ben due volte il corridor sospinse
Contra il feroce Argante , e lui ripresse,
Ed altrettante il nudo ferro spinse,
Dove le turbe ostili eraii più spesse.
Alfui con gli altri insieme ei si ristrinse
Dentro ai ripari , e la vittoria cesse.
Tornano allora i Saraeini, e stanchi
liestan nel vallo, e sbigottiti i Franchi.
122. Né quivi ancor dell' orride procelle
Ponno appieno schivar la forza e l' ira,
Ma sono estinte or queste faci, or quelle,
E per tutto entra 1' acqua, e 'l vento spira,
Squarcia le tele , e spezza i pali , e svelle
Le tende intere , e lunge indi le gira.
La pioggia ai gridi, ai venti, ai tuon, s' accorda
D' orribile armonia, che '1 mondo assorda.
CANTO OTTAVO.
ARGOMENTO.
Del generoso Dano il caso fiero,
Che correndo alV onor corse alV occaso,
Narra al duce Goffredo un cavaliero,
Che sol di latiti eroi vivo è rimaso.
Quindi il latino stuol, credendo vero
Ciò, eh' immagin fallace ha j)crsùaso.
Piagne morto Rinaldo, e sdegno spira;
Ma H Uuglion frena il moto , acqueta V ira.
1, Già cheti erano i tuoni e le tempeste,
E cessato il soffiar d' austro e di coro:
E r alba liscia della magiou celeste
Con la fronte di rose e co' piò d' oro.
]>la quei , <he le proc-elle avean già deste,
]Non rimaneansi ancor dall' arti loro;
Anzi r un d' essi , eh' Astagorre è detto.
Così parlava alia compagna Aletto:
2. Mira, .licito, venirne (ed impedito
Esser non può da noi) quel cavaliero.
Che dalle fere mani è vivo us«;ito
Del M>vran diren.^or del nostro impero!
Questi narrando del suo duce ardito,
E de' compagni ai l'rani.bi il caso fero.
Paleserà gran cose : (tnde è periglio,
Che si richiami di liertoldo il figlio.
Sai. quanto ciò rilevi, e se conviene
Ai gran princ-ipj op|ior forza ed inganno.
Scendi tra i i'raniJii (lun(|ue, e «;iò eh' a
(yolui <liià, tutto ritolgi in danno!
S|iargi le fianiiiie e 1 tosco entro le vene
l)i-,| Ijatin, ilcir lilve/io, e del ilritanno !
iM«»\i r irt; V i tumulti, e fa tal opra.
Che tutto ^ada il campo aliìu «Odeopia !
bene
L' opra è degna di te : tu nobil vanto
Ten desti già dinanzi al signor nostro.
Così le parla ; e basta ben sol tanto,
Perchè prenda 1' impresa il fero mostro.
Giunto è sul vallo de' cristiani intanto
Quel cavaliero, il cui venir fu mostro,
E disse lor : deh sia chi in' introduca
Per mercede , oh guerrieri , al sommo duca !
Molti scorta gli furo al capitano,
Vaghi d' udù' dal peregrin novelle.
Quegli inchinollo , e 1' onorata mano
A olea baciar , che fa tremar Babelle.
Signor , poi dice , che con 1' oceano
Termini la tua fama e con le stelle.
Venirne a te vorrei più lieto messo.
Qui sospirava, e soggiungeva appresso:
Sveno, del re de' Dani unico figlio,
Gloria e sostegno alla cadente etadc.
Esser tra quei bramò, che '1 tuo consiglio
Seguendo han cinto per Gesù le spade.
]\è timor di fatica, o di periglio,
Né vaghezza del regno , né pietade
Del vecchio genitor sì degno afletto
Intepidir nel generoso petto.
Lo spingeva un desio d' apprender 1' arte
Della milizia faticosa e dura
Da te, sì nobil mastro ; e sentia in parte
Sdegno e vergogna di sua fama oscura.
Già di Rinaldo il nome in ogni parte
('on gloria udendo in verdi anni matura.
Ma più eh' altra cagione, il mosse il zelo
Non del terren , ma dell' onor del cielo.
1. Precipitò dunque gì' indugj , e tolse
Stuol di scelti compagni audace e fero,
E «Iritto inver la l'racia il cammin volse
Alla città-, che sede è dell' impero.
Qui il greco augusto in sua magion 1' accolsi
Qui poi giunsi^ in tuo nome un messaggiero,
Qniv-iti a|>pieii gli narrò , couk; già presa
Ft)sse Antiochia , e come poi difesa.
l
)3]
GERUSALEMME LIBERATA. (VIU. 9 — 24)
[94]
9. Difcga incontra al Perso, il qnal con tanti
Uomini armati ad assediarvi mosse,
Che seinhravn, che d' arme e d' abitanti
Vuoto il gran regno suo rimaso fosse.
Di te gli disse, e poi narrò d' ak|uantì,
Sinch' a Rinaldo giunse, e qui ftrraosse.
Contò r ardita fuga, e ciò, che poi
Fatto di glorioso avea tra voi.
LO. Soggiunse alfin, come già il popol franco
Veniva a dar 1' assalto a queste porte,
E invitò lui, eh' egli volesse almanco
Ucir ultima vittoria esser consorte.
Questo parlar al giovinetto fianco
Del fero Sveno è stimolo !«ì forte,
Ch' ognora un lustro pargli infra pagani
Rotar il ferro , e insanguinar le mani.
1. Par, che la sua viltà rimproverar.-i
Senta nell' altrui gloria , e se ne rode :
E (-hi '1 consiglia, e chi 1 prega a fermarsi,
0 che non esaudisce, o che non ode.
Rischio non teme, fuorché '1 non trovarsi
De' tuoi gran rischj a parte, e di tua lode.
Questo gli sembra sol periglio grave;
Degli altri o nulla intende, o nulla pavé.
^ Egli medesmo sua fortuna affretta,
Fortuna, che noi tragge, e lui conduce;
Perocch' appena al suo partire aspetta
1 primi rai d-ella novella luce.
È per miglior la via più breve eletta;
Tale ei la stima, eh' è signore e duce;
]Nè i passi più difficili, o i paesi
Schivar si cerca de' nemici oflesi.
3. Or difetto di cibo, or camniin duro
Trovammo, or violenza, ed or agguati;
Ma tutti fur vinti i disagi, e furo
Or uccisi i nemici , ed or fugati.
Fatto avean ne' perigli ogni uom securo
Le vittorie, e insolenti i fortunati,
Quiindo un dì ci accampammo, ove i confini
]\on lunge erano omai de' Palestini.
l. Quivi dai precursori a noi vien detto,
Ch' alto strepito d' arme avean sentito,
E viste insegne e indi/j, ond' han sospetto,
Che sia vicino esercite» infinito.
Non pcnsier , non color, non «;angia aspetto,
Non muta voce il signor nostro ardito.
Benché untiti vi sian, eh' al fero avviso
Tingan di bianca pallidezza il viso,
Ma dice: oh quale omai vicina abbiamo
Corona o di martirio, o di vittoria!
L' una spero io ben più , ma uou men bramo
L' altra, ov' è maggiiu- uierto , e pari gloria.
Questo campo, oh fratelli, ov' or noi biamo,
Fia tempio sacro ad inunortal meuutria.
In cui r età futura addili r mostri
Le nostre sepolture, o i trofei nostri!
\. Così parla , e le guardie indi dispone,
E gli uffìi-j comparte, e la fatica.
Vuol, di' armato ognun giaccia, e non depone
Ei medesmo gli arnesi , o la lorica.
Era la notte ancor n(;lla stagioni-,
Ch' è più del soiuio e del silcn/io amica,
Allorchù d' urli barbarcst lii udissi
Roniur , clic giuutjo al cielo ed agli nbii«ni.
17.
Si grida: all' arme, all' arme ! e Sveno involto
Neil' arme innanzi a tutti oltra si spinge,
E magnanimamente i Inmi e '1 volto
Di color d' ardimento infiamma e tinge.
Ecco siamo assaliti , e un cerchio folto
Da tutti i lati ne circonda e stringe,
E intorno un bosco aì>biam d' aste e di spade,
E sovra noi di strali un nembo cade.
18
Nella pugna inegual (perocché venti
Gli assalitori sono incontro ad nnoj
Molti d' essi piagati, e molti spenti
Son da cieche ferite all' aer bruno.
Ma il numero degli egri e de' cadenti
Fra r ombre oscure non discerné alcuno,
Copre la notte i nostri danni , e 1' opre
Della nostra virtute insieme copre.
19. Pur sì fra gli altri Sveno alza la fronte,
Ch' agevol è, eh' ognun veder il possa;
E nel bnjo le pro^e anco son conte
A chi vi mira, e I' incredibil possa.
Di sangue un rio, d' uomini uccisi un monte
D' ogni intorno gli fanno argine e fossa:
E , doviuique ne va , sembra che porte
Lo spavento negli occhj , e in man la morte.
20. Così pugnato fu, sinché 1' albore
Ros-egginndo nel ciel già n' apparia.
^la poi<:hè scosso fu il notturno orrore,
Che r orror delle nutrii in se copria,
La desiata luce a noi terrore
Con vista accrebbe dolorosa e ria :
Che picn d' estinti il campo, e quasi tutta
Nostra gente vedemmo omai distrutta.
21. Duo mila fummo, e non siam cento. Or quando
Tanto sangue egli mira e tante morti,
Non so , se "I cor feroce al miserando
Spettacolo si turbi e si sconforti.
'SÌA già noi mostra; anzi la voce alzando:
Scguiam , ne grida, que' compagni forti,
Ch' al ciel lunge dai laghi a\erni e stigi
N' han segnati col sangue alti vestigi !
22. Disse; e lieto cred' io della vi«;ina
Morte così nel «or , come al sembi. nte,
Incontro alla barb<iri<-a mina
Portonne il petlo intrepido e costante.
Tempra non sosterrtbbe, ancorché lina
Fosse, e d' accia jo lut, ma di diamante,
I feri col|>i , ond' egli il campo allaga,
E fatto é il corpo suo solo una piaga.
23. La vita no , ma la v irtù sostenta
QiU'l cada\cro indomito e feroce.
Hipercote pcr("osso , e non s' allenta:
Ma (juanto oll'cso é più , tanto più nuoce.
Qnaiulo ecco furiando a lui s' a^^cllta
l om grande , eh' ha scmbi;inte e guardo atroc<
l'i dopo lunga ed ostinata guerra
Con r aita di nudti alfin l' atterra.
21. Cade il garzone iinitto (ahi ca<«o amaro!)
Né v' è fra noi, chi mendicare il possa.
\ oi chiamo in testimonio, oli del mio c.iro
Signor sangue ben sparso, e utibir o>!<a,
(ir allor non fui della mia vita avaro,
^é M'bi\ai ferro, né schivai percossa,
E nv. piaciuto pur fostic là i>o|>ra,
('ir io vi murii»«i , il meritai con I' opra.
[95]
OKRLISALEMME LIBERATA. (Vili. 25-40)
[??]
25. Fra gli estinti compagni io sol cadei
Vivo, né vivo forse è chi mi pensi:
Kè de' nemici più cosa saprei
Ridir; sì tutti avea sopiti i sensi!
Ma poiché tornò il lume agli occiij miei,
Ch' eran d' atra caligine condensi,
Rotte mi parve, ed allo sguardo fioco
S' offerse il vacillar d' un picciol foco.
26. Non rimaneva in me tanta virtude,
Cli' a discerner le cose io fossi presto;
Ma vcdca, come quei, eh' or apre, or chiude
Gli occhj mezzo tra 'i sonno e 1 esser desto!
E '1 duolo ornai delle ferite crude
Più cominciava a farraiti molesto:
Che r inaspria 1' aura notturna e '1 gelo
In terra nuda, e sotto aperto cielo.
27. Più e più ognor s' avvicinava intanto
Quel lume, e insieme un tacito bisbiglio,
Sicch' a me giunse, e mi si pose accanto.
Alzo allor, benché appena, il dcbil ciglio,
E veggio duo vestiti ia lungo manto
Tener due faci, e dirmi sento: oh figlio,
Confida in quel signor, eh' a' pii sovviene,
E con la grazia i preghi altrui previene!
28. In tal guisa parlorami ; indi la mano
Benedicendo sovra me distese,
E s^usurrò con suon devoto e piano
Voci allor poco udite e meno intese.
Sorgi! poi disc; ed io leggiero e sano
Sorgo, e non sento le nemiche offese,
fOh uiiracol gentile!) anzi mi sembra
Piene di ^igor novo aver le membra.
29. Stupido lor riguardo, e non ben crede
L' anima sbigottita il certo e il vero ;
Onde r un d' essi a me: di poca fede!
Che dubbj ^ o che vaneggia il tuo pensiero ?
Verace corpo è quel, che 'n noi si vede.
Servi siani di Gesù; che '1 lusinghiero
Iklondo e '1 suo falso dolce abbiain fuggito,
E qui viviamo in loco aspro e romito.
SO. Me per ministro a tua salute eletto
Ha quel signor, eh' in ogni parte regna;
Che per ignobii mezzo oprar effetto
Meraviglioso ed alto ei non indegna,
^cnimen vorrà, che si resti negletto
Quel corpo, in cui già visse alma si degna;
Lo qual con essa ancor lucido e leve
E inimortal fatto riunir si deve.
31. Dico il corpo di Sveno, a cui fia data
Tomba a tanto valor conveniente,
La qual a dito mostra ed onorata
Ancor sarà dalla futura gente.
Ma le\a ornai gli occhj alle stelle, e guata
Là splender quella , come un sol lucente !
Questa co' vivi raggi or ti conduce
Là , dov' è il corpo del tuo nobil duce.
33. Allor vcgg' io, che dalla bella face.
Anzi dal sol notturno un raggio scende,
Che dritto là, dove il gran corpo giace,
Quaai aurei» trntt(» di pennel si stende,
E sovra lui tal lume e tanto face,
CI»' ogni sua piaga ne sfavilla e splende,
E 8ul>ito da me si raffigura
NcUu tanijuigtiu orribile mistura.
33. Giacca prono non già ; ma , come volto
Ebbe sempre alle stelle il suo desire,
Dritto ei teneva inverso il ciclo il volto.
In guisa d' uom, che pur là suso aspire.
Chiu:>a la destra , e 'I pugno avea r.ìccolto,
E stretto il ferro, e in atto di ferire;
L' altra sul petto in modo unu'Ie e pio
Si posa, e par, che perdon chieggia a Dio,
34. Mentr' io le piaghe sue lavo col pianto,
Né però sfogo il duol, che 1' alma accora.
Gli apri la chiusa de^tra il vecchio santo,
E '1 ferro, che stringea, trattone fuora:
Questa, a me disse, di' oggi sparso i:a tanto
Sangue nemico, e n' è veiniigiiii ancora,
E, come sai, perfetta; e non ù for?e
Altra spada, che debba a lei preporse.
35. Onde piace lassù, che, s' or la parte
Dal suo primo signor acer)>a morte.
Oziosa non resti in questa parte,
Ma (li man passi in mano ardita e forte,
Che r usi poi con egual forza ed arte.
Ma più lunga stagion con lieta sorte,
E con lei faccia, perché a lei s' aspetta.
Di chi Sveno le uccise aspra vendetta.
36. Soliman Sveno uccise, e Solimano
Dee per la spada sua restarne ucciso.
Prendila dunque, e vanne, ove il cri=tiano
Campo fia intorno all' alte mura assiso!
E non temer, che nel paese estrano
Ti fia il sentier di novo anco preciso !
Che t' agevolerà per l' aspra via
L' alta destra di lui, eli' or là t' invia.
37. Quivi egli vuol, che da cotesta voce,
Che viva in te serbò , si manifesti
La pietade , il valor , l' ardir feroce,
Che nel diletto tuo signor vedesti ;
Perché a segnar della purpurea croce
L' arme con tale esempio altri si desti,
Ed ora, e dopo un corso anco di lustri
Infiammati ne sian gli animi illu.stri.
38. Resta , che sappia tu , chi sia colui,
Che deve della spada esser erede.
Questi è Rinaldo il giovinetto, a cui
11 pregio di fortezza ogni altro cede.
A lui la porgi e di' , che sol da lui
L' alta vendetta il cielo e "1 mondo chiede!
Or, mentre io le sue voci intento ascolto,
Fui da miracol novo a sé rivolto :
39. Che là, dove il cadavero giacca.
Ebbi improvviso un gran sepolcro scorto.
Che sorgendo rinchiuso in sé 1' a^ca,
Come, n(ui so, né con qual' arte sorto,
E in brevi note altrui vi si sponea
Il nome e la virtù del guerrier morto,
lo non sapea da tal vista levarmi,
Mirando ora le lettere , ed ora i marmi.
40. Qui , disse il vecchio , appresso ai fidi amù
Giacerà del tiu> duce il corpo ascoso,^
Mentre gli spirti amando in ciel felici
Godon perpetuo beiu; e glorioso.
Ma tu col pianto ornai gli estremi uffici
Pagato hai loro, e tempo è di riposo.
0.-~te mio ne sarai, sinch' al viaggio
Mutlutin ti risvegli novo raggio.
I
n]
GERUSALEMME LIBERATA. (Vili. 41-56)
[98]
1. Tacque ; e per lochi ora sublimi , or cupi
Mi scorse, onde a gran pena il fianco trassi,
Sìnch' ove pende da sehag-ge rupi
Cava spelonca , raccogliemmo i passi.
Questo è il suo albergo: ivi fra gli orsi e i lupi
Col discepolo suo sicuro stassi ; {
Che difesa miglior, eh' usbergo e scudo,
È la santa innocenza al petto ignudo.
.
3
Silvestre cibo, e duro letto porse
Quivi alle membra mie posa e ristoro.
Ma, poich' accc.-i in oliente scorse
I raggi del mattin purpurei e d' oro.
Vigilante ad orar subito sorse
L' uno e 1' altro eremita, ed io con loro.
Dal santo vecchio poi congedo tolsi,
E qui, dov' egli consigliò, mi volsi.
Qui si tacque il Tedesco ; e gli rispose
II pio Buglione : oh cavalier, tu porte
Dure novelle al campo e dolorose,
Ond' a ragion si turbi e si sconforte,
Poiché genti si amiche e valorose
Breve ora lia tolte , e poca terra assorte,
E in guisa d' un baleno il signor vostro
S' è in un sol punto dileguato e mostro.
4. Ma che? felice è cotal morte e scempio
Vie più eh' acquisto di province e d' oro.
Kè dar 1' antico campidoglio esempio
D' alcun può mai sì glorioso alloro.
Essi del ciel nel luminoso tempio
Han corona immortai del vincer loro.
Ivi, cred' io, che le sue belle piaghe
Ciascun lieto dimostri , e se n' appaghe.
*. Ma tu , che alle fatiche ed al periglio
Nella milizia ancor resti del mondo.
Devi gioir de' lor trionfi, e 'I ciglio
Render, quanto conviene, ornai giocondo.
E pi rcliò chiedi di Bertoldo il figlio,
Sappi, «'h' ei fuor dell' o>tc è vagabondo;
Ne lodo io già, che dubl)ia via tu prenda,
Priachè di lui certa novella intenda.
5. Questo lor ragionar nell' altrui mente
Di Rinaldo 1' amor desta e ritmova:
E ^' è <Iii dice: ahi, fra pagana gente
Il giovinetto errante or si ritrova.
E non v' è quasi alcun , che non rammento
Narrando al Dano i suoi gran fatti a prova,
E dell' opere r-w la lunga tela
Con istupor gli .si dispiega e svela.
ì. Or quando del garzon la rimembranza
Avea gli animi lutti inteneriti.
Ecco molli tornar, che |)er usanza
Eran d' intorno a depredare usciti.
Condncean (juestì scc-o in ahboiulanza
E inandn! di lanuti, e buoi rapiti,
E biade ancor, benciiè non molle, e strame,
Cile pasca de' corsicr l' avida fame.
E que^li di sciagura a>pra e nojosa
Segno |)ortàr , clic in up|)aren'/.a <• cerio:
Roda del buon Uinalilo e >angnino-<a
lia so|)ra\w>ta, ed ogni arnr>c aperto.
'i\»>lo fi spar>e ( e clii jiotria tal co-a
Tener celala.') un rumor vario «• incerto.
Corre il vulgo dolente alle novelle
Del guerriero e dell' arme, «: vuol udclle.
49. Vede e conosce ben 1' immensa mole
Del grande usbergo, e '1 folgorar del lume,
E r armi tutte, ove è 1' augel, eh' al sole'
Prova i suoi figli, e mal crede alle piume;
Che di vederle già primiero o sole
Neil' imprese più grandi ebbe in costume,
Ed or, non senza alta pietade ed ira.
Rotte e sanguigne ivi giacer le mira,
50. Mentre bisbiglia il campo, e la cagione
Della morte di lui varia si crede,
A sé chiama Aliprando il pio Buglione,
Duce di quei , che ne portar le prede,
Uom di libera n«ente, e di sermone
Veracissimo e schietto, ed a lui chiede:
Dì , come e donde tu rechi quest' arme,
E di buono o di reo nulla celarme!
51. Gli risponde colui: di qui lontano
Quanto in due giorni im mes-aggiero andria,
A erso il confin di Gaza un picciol piano
Chiuso tra colli alquanto è fuor di via;
E in lui d' alto deriva, e lento e piano
Tra pianta e pianta un fiumicel s' invia;
E d' arbori e di macchie ombroso e folto
Opportuno all' insidie il loco è molto.
52. Qui greggia alcuna cercavara , che fosse
A eiiut.i a' paschi dell' erbose ^ponde,
E sull' erbe miriam di sangue ro.-se
Giacerne un guerrier morto in riva ali" onde.
All' arme ed all' insegne ogni uom si mosse;
Che furon cono.sciute, ancorché immonde.
lo in' appressai, per discoprirgli il viso;
Ria trovai , eh' era il capo indi reciso,
53. Mancava ancor hi destra . e '1 busto grande
Molte ferite avea dal tergo al petto:
E non lontan con l' aquila , che spande
Le candide ali, giacca il voto elmetto.
Mentre cerco d' alcuno , a cui dimande.
In viilanel sopraggiungea ^oletto,
Che 'ndietro il passo per fuggirne torse
Subitamente che di noi s' accorse.
54. Ma segullato e preso, alla richiesta,
Che noi gli facevamo, allìn ris|)o»e:
Che '1 giorno innanzi u^<-ir della foresta
Scorse molti guerrieri, ond ei s' ascose:
E di" un «!' es>i tenea recisa testa
IVr le i^m'. chiouie hioniie e sanguinose,
La <|iial gli par\e, rimirando intento,
D' uom giovinetto, e senza peli al mento;
55. E che 'l medesmo poco poi l' avvolse
In mi zendado dall' arcion pendente.
Soggiunse ancor, eh' all' abito raccolse,
('II' erano i cavalier di nostra gente.
Io spogliar feci il corpo , e >ì men iloisc,
CIk; piansi nel sos|)e(to amaramente,
E portai meco V arme , e lasciai cura,
('ir avesse degno onor di sepoltura.
5(». Ma «e quel nobii tronco è quel, eh* io credo.
Altra tomba, altra pompa egli ben iiurta.
Co^i detto, \lIprando ebiie congedo,
l'crocchè cosa non avea più certa.
Rimase grave, e sospirò (ìoIVredo:
l'or nel tristo peiisier non si riiccci'la,
E con pili chiari segni il moiiro lMi«to
('oiiOBi.er vuole, e I' omicida ingiu»(o.
[99]
GERUSALEMME LIBERATA. (Vili. 57—72)
[im
57. Sorgea la notte intanto , e sotto 1' ali
Ricoprila del cielo i campi iuimentii,
E '1 sonno , ozio dell' alme , e obhlio de' mali,
Lusingando sopia le cure e i sensi.
Tu sol punto, Argillan, d' acuti strali
D' aspro dolor volgi gran cose, e pensi.
Né r agitato sen , né gli occlij ponno
La quiete raccorrò, o '1 molle sonno.
58. Costui , pronto di man , di lìngua ardito,
Impetuoso e fervisìo d' ingegno,
Nacque in riva del Tronto, e fu nutrito
Nelle risse civil d' odio e di sdegno.
Poscia in esiglio spinto, i colli e '1 lito
Empiè di sangue , e depredò quel regno.
Sinché neir Asia a guerreggiar sen venne,
E per fama miglior chiaro divenne.
59. Alfìn questi sull' alba i lumi chiuse;
Né già fu sonno il suo queto e soave.
Ma fu stupor, eh' Aletto al cor gì' infuse,"
Non men, che morte sia, profondo e grave.
Sono le interne sue virtù deluse,
E riposo dormendo anco non have:
Che la Furia crudel gli s' appresenta
Sotto orribili larve, e lo sgomenta.
60. Gli figura un gran busto , ond' è diviso
n capo , e della destra il braccio è mozzo,
E sostien con la manca il teschio inciso.
Di sangue e di pallor livido e sozzo.
Spira, e parla spirando il morto viso,
E l parlar vien col sangue e col singhiozzo :
Fuggi, Argillan! non vedi omai la luce?
Fuggi le tende infami, e 1' empio duce!
61. Chi dal fero Goffredo e dalla frode,
Ch' uccise me , voi , cari amici , affida ?
D' astio dentro il fellon tutto si rode,
E pensa sol , come voi meco uccida.
Pur, se cotesta mano a nobil lode
Aspira, e in sua virtù tanto si fida,
Non fuggir, no! plachi il tiranno esangue
Lo spirto mio col suo maligno sangue!
62. Io sarò teco , ombra di ferro e d' ira
Ministra , e t' armerò la destra e '1 seno.
Così gli parla, e nel parlar gli spira
Spìrito novo di furor ripieno.
Si rompe il sonno , e sbigottito ei gira
Gli occhj gonfj di rabbia e di veleno,
Ed armato eh' egli é, con importuna
Fretta i guerrier d' Italia insieme aduna.
63. Gli aduna là , dove sospese stanno
L' arme del buon Rinaldo, e con superba
Voce il furore e '1 concejjjito affanno
In tai detti divulga , e disacerba :
Dunque un popolo barbari) e tiranno,
Che non prezza ragion, che fé non serba.
Clic non fu mai di sangue e d' or satollo.
Ne terrà '1 freno in bocca, e i giogo al collo?
64. Ciò, che sofferto abbiani d' aspro e d' indegno
Sette anni ornai sotto isì ini(iua soma,
E tal, eli' arder di scorno, arder di sdegno
Potrà da qui a mill' anni Italia e Roma.
Taccio, che fu dall' arme e dall' ingegno
Del buon Tan(;redi la Cilicia doma,
E eh' ora il l'ranco a tradigion la gode,
E i prcmj usurpa del valor la frode.
65. Taccio, eh' ove il bisogno e '1 tempo chiede
Pronta man, pensicr fermo, animo audace,
Alcuno ivi di noi primo si vede
Portar fra mille morti o ferro, o face.
Quando le palme poi , quando le prede
Si dispensan nell' ozio e nella pace.
Nostri non sono già, ma tutti loro
I trionfi , gli onor , le terre , e 1' oro.
60. Tempo forse già fu, che gravi e strane
Ne potevan parer si fatte offese :
Quasi lievi or le passo : orrenda , immane
Ferità leggierissime 1' ha rese.
Hanno ucciso Rinaldo, e con 1' umane
L' alte leggi divine han vilipese.
E non fulmina il cielo? e non 1' inghìotte
La terra entro la sua perpetua notte ?
67. Rinaldo han morto, il qual fu spada e sead
Di nostra fede: ed ancor giace inulto?
Inulto giace, e sul terreno ignudo
Lacerato il lasciare ed insepulto.
Ricercate saper, chi fosse il crudo?
A chi puote, oh compagni, esser occulto?
Deh, chi non sa, quanto al valor latino
Portin Goffredo invidia e Baldovino?
68. Ma che cerco argomenti? Il cielo io giuro,
II ciel, che n' ode, e eh' ingannar non lìce,
Ch' allor, che si rischiara il mondo oscuro,
Spirito errante il vidi ed infelice.
Che spettacolo (oimè ! ) crudele e duro !
Quai frodi di Goffredo a noi predice!
10 '1 vidi, e noh fu sogno, e ovunque or miri,
Par, che dinanzi agli occhj miei s' aggiri,
69. Or che faremo noi? Dee quella mano.
Che di morte si ingiusta è ancora immonda.
Reggerci sempre? oppur vorrem lontano
Girne da lei, dove 1' Eufrate inonda?
Dove a popolo imbelle in fertil piano
Tante ville e città nutre e feconda ;
Anzi a noi pur. Nostre saranno, io spero,
Né co' Franchi comune avrera 1' impero.
70. Andianne, e resti invendicato il sangue
(Se così parvi) illustre ed innocente!
Benché , se la virtù , che fredda langue,
Fosse ora in voi , quanto dovrebbe , ardente.
Questo , che divorò , pestifero angue,
11 pregio e' 1 fior della latina gente,
Daria con la sua morte e con lo scempio
Agli altri mostri memorando esempio.
71. Io, io vorrei, se '1 vostro alto valore,
Quanto egli può , tanto voler osasse ,
Ch' oggi per questa man nell' empio core.
Nido di tradigion, la pena entrasse.
Così |)arla agitato; e nel furore,
E neir impeto suo ciascuno ei traase.
Arme, arme freme il forsennato, e insieme
La gioventù superba arme , arme freme.
72. Rota Aletto fra lor la destra armata,
E col foco il veleu ne' petti mesce,
Lo sdegno , la follia , la scellerata
Sete del sangue, ognor più infuria e cresce:
E serpe quella peste e si dilata,
E degli alberghi italici fuor n' esce,
E passa fra gli EIvczj , e vi s' ajiprende,
E di là poscia anco agi' Inglesi tende.
01]
GERUSALEMME LIBERATA. (Vili. 73—85)
[102]
Nò sol r estrane genti avvien che mova
Il duro caso, e '1 gran pubblico danno,
Ma 1' antiche cagioni all' ira nova
Materia insieme e nutrimento danno.
Ogni sopito sdegno or si rinnova :
Chiamano il popol franco empio e tiranno,
E in superbe minacce esce difTuso
L' odio , che non può starne ornai più chiuso.
Cosi nel cavo rame umor, che bolle
Per troppo foco , entro gorgoglia e fuma,
Né capendo in sé stesso, alfin s' estolle
Sovra gli orli del vaso, e inonda e spuma.
Non bastano a frenare il vulgo folle
Que pochi, a cui la mente il vero alluma.
E Tancredi e Camillo eran lontani,
Guglielmo, e gli altri in podestà soprani.
Corrono già precipitosi all' armi
Confusamente i popoli feroci:
E già s' odon cantar bellici carmi
Sediziose trombe in fere voci.
Gridano intanto al pio Buglion, che s' armi,
Molti di qua di là nunzj veloci,
E Baldovino innanzi a tutti armato
Gli s' appresenta, e gli si pone allato.
Egli, eh' ode 1' accusa , i lumi al cielo
Drizza, e pur, come suole, a Dio ricorre:
Signor , tu , che sai ben , con quanto zelo
La destra mia dal civil sangue aborre.
Tu squarcia a questi della mente il velo,
E reprimi il furor, che sì trascorre,
E r innocenza mia , che costà sopra
E nota, al mondo cieco anco si scopra!
Tacque; e dal cielo infuso ir fra le vene
Sentissi un nuovo inusitato caldo,
Colmo d' alto vigor, d' ardita spenc,
(Jlie nel volto si sparge e '1 fa più baldo.
E da' suoi circondato, oltra sen viene
Contra chi vendicar credea Ilinaldo,
fiè , perchè d' arme e di minacce ei senta
Fremito d' ogni intorno , il passo allenta.
Ha la corazza in dosso , e nobil veste
liiccamente 1' adorna oltra '1 costume.
INudo e ie mani e '1 volto , e di celeste
Maestà vi risplende un nuovo lume.
Scote r aurato scettro , e sol con queste
Arme acquetar quegl' impeti presume.
Tal si mostra a coloro , e tal ragiona ;
Né come d' uom mortai la voce suona;
79. Quali stolte minacce, e quale or odo
Vano strepito d' arme."" e chi '1 commove?
Cosi qui riverito , e in questo modo
Noto son io dopo si lunghe prove,
Ch' ancor v' è chi sospetti , e chi di frodo
Goffredo accasi, e chi 1' accuse approve.^
Forse aspettate ancor, eh' a voi mi pieghi,
E ragioni v' adduca, e porga preghi.-"
80. Ah non sìa ver, che tanta indegnitate
La terra piena del mio nome intenda!
Me questo scettro , me dell' onorate
Opre mie la memoria e 'i ver difenda.
E per or la giustizia alla pietate
Ceda , nò sovra i rei la pena scenda !
Agli altri merti or quest' error perdono,
Ed al vostro Rinaldo anco vi dono.
81. Col sangue suo lavi il comun difetto
Solo Argiiìan, di tante colpe autore.
Che, mosso a leggierissimo sospetto,
Sospinti gli altri ha nel medesmo errore!
Lamj-i e folgori ardean nel regio aspetto,
Menue ei parlò, di maestà, d' orrore.
Tale il' Arginano attonito e conquiso
Teme (chi '1 crederia.'') I' ira d" un viso.
82. E i volgo , eh' anzi irriverente , audaco
Tutto fremer s' udia d' orgogli e d' onte,
E eh' ebbe al ferro, all' aste ed alla face,
Che '1 furor ministrò, le man sì pronte,
Non osa (e i detti alteri ascolta e tace)
Fra timor e vergogna alzar la fronte,
E sostien, eh' Argillano, ancorché cinto
Dell' armi lor, sia da' ministri avvinto.
83. Così leon , eh' anzi V orribil coma
Con muggito scotea superbo e fero,
Se poi vede il maestro , onde fu doma
La natia ferità del core altero,
Può del giogo soffrir i' ignobil soma,
E teme le minacce, e '1 duro impero.
Né i gran velli, igran denti, el' unghie, eh' hanno
Tanta in sé forza, insuperbire il fanno.
84. È fama, che fu visto in volto crudo,
Ed in atto feroce e minacciante.
Un alato guerrier tener lo scudo
Della difesa al pio Hiiglion davante,
E vibrar fulminando il IVrro igniulo.
Che di sangue vedeasi ancor stillante.
Sangue era forse di città e di regni,^
Che provocar dei ciclo i tardi sdegni.
85. Così cheto il tumulto, ognun depone
L' arme, e molti con V arme il mal talento,
E ritorna Goffredo al padiglione,
A varie cosi;, a nuo^e imprese- intento:
Ch' assalir la cittade egli di^pone
Priachè '1 secondo, o '1 terzo dì sin spento:
E rivedendo va i' hicisc travi
Giù in macchine coutente orrende e gravi.
7 *
[103]
GERUSALEMME LIBERATA. flX. 1—12)
[104]
CANTO NOiSrO.
ARGOMENTO.
TostocK' orrida votte il cicl coprio.
Arma Aletto il soldan (ì' ire omicide ;
Ond' ti co'' suoi, che dalV Arabia tinto.
Assai P oste fedel , fere ed ancide.
Ma già il mostro infernal V angel di Dio
Scaccia, e prendono ardir le genti fide:
E prende il Turco alfin la fuga e 'i corso ;
Che di prodi guerrier giunto è soccorso.
1. Ma il gran mostro infernal, che vede queti
Quc' già torbidi cori , e V ire spente,
È cozzar contra 'I fato, e i gran decreti
Svolger non può dell' ininuilabil mente,
Si parte , e , dove pa^^a . i campi lieti
Secca , e pallido il sol si fa repente ;
E , d' altre furie ancora , e d' altri mali
Ministro, a nova impresa affretta 1' ali.
2. Egli, che dall' esercito cristiano
Per industria sapea de' suoi consorti,
11 figliuol di Bertoldo esser lontano,
Tancredi, e gli altri più temuti e forti.
Disse: che più s' aspetta? Or Solimano
Inaspettato venga, e guerra porti !
Certo Co eh' io spero) alta littoria avremo
Di campo mal concorde, e in parte scemo.
3. Ciò detto , vola ove , fra squadre erranti,
Fattosen duce, Soliman dimora;
Quel Soliman, di cui non fu, tra quanti
Ha Dio rulielli , uom più feroce allora ;
Né, se per nova ingiuria i suoi giganti
Rinnovasse la terra, anco vi fora.
Questi fu re de' Turchi, ed in Nicea
La sede dell' imperio aver solca,
4. E distendeva incontra ai greci lidi
Dal Sangario al Meandro il suo confine;
Ove alliergàr già Misi, e Frigi, e Lidi,
E le genti di Ponto e le hitiiie.
Ma poiché contra i Turchi e gli altri iuGdi
Passar nell' Asia l' armi peregrine,
Fur sue terre espugnate, ed ci sconfitto
Ben due fiate in general conflitto ;
5. E ritentata avendo invan la sorte,
E spinto a f(ir/.a dal natio paese.
Ricoverò del re; d' llgitto in corte,
Cir o^te gli In magnanimo e cortese.
Ed cithc a {^lado, e Ih; frncrrier sì forte
Gli s' ollìi^he ((iinpafriio all' alle imprese.
Proposto avendo già vi(;tar 1' acquisto
Di Palestina ai cavalier di Cri>to.
6. Ma, priraach' egli apertamente loro
La destinata guerra annunziasse,
^ olle , che Solimano , a cui molt' oro
Die' per tal uso , gli Arabi assoldasse.
Or mentre ei d' Asia e del paese moro
L' oste accogliea , Soliman venne , e trasse
Agevolmente a sé gli Arabi avari,
Ladroni in ogni tempo, o mercenari.
7. Cosi fatto lor duce, or d' ogni intorno
La Giudea scorre , e fa prede e rapine ;
Sicché "1 venire è chiuso , e 'I far ritorno
Dall' esercito franco alle marine.
E rimembrando ognor 1' antico scorno,
E dell' imperio suo 1' alte ruine.
Cose maggior nel petto acceso volve,
Ma non ben s' assecura, o si risolve.
8. , A costui viene Aletto , e da lei tolto
E '1 sembiante d' un uom d' antica etade.
Vota di sangue , empie di crespe il volto.
Lascia barbuto il labro , e 'l mento rade.
Dimostra il capo in lunghe tele avvolto :
La veste oltra 'l ginocchio al pie gli cade:
La scimitarra al fianco , e '1 tergo carco
Della faretra , e nelle mani ha 1' arco.
9. Noi , gli dice ella , or trascorriam le vote
Piagge , e l' arene sterili e deserte,
Ove né far rapina ornai si puote.
Né vittoria acquistar, che loda raerte.
Goffredo intanto la città percote,
E già le mura ha con le torri aperte:
E già vedrem, s' ancor si tarda un poco,
Infin di qua le sue ruine e 'l foco.
10. Dunque accesi tugurj , e gregge, e buoi
Gli alti trofei ili Soliman saranno.''
Così racqnisti il regno ? e c()>ì i tuoi
Oltraggi vendicar ti credi, e '1 danno?
Ardi>ci, ardisci! entro ni ripari suoi
Di notte opprimi il barbaro tiranno!
Credi al tuo vecchio Ararpe , il cui consiglio
E nel regno provasti , e nell' esiglio !
11. Non ci aspetta egli, e non ci teme, e sprezz l
Gli Arabi ignudi in vero e timorosi,
Né creder mai potrà, che gente avvezza
Alle prede, alle fughe, or cotanto o»i.
Ma fieri li farà la tua nerezza
Contra un campo, che giaccia inerme e posi.
Così gli disse; e le sue furie ardenti
Spinigli al seno , e si mischiò tra' venti.
12. Grida il guerrier, levando al ciel la mano:
Oh tu, che furor tanto al c(»r m' irriti,
N«^«l uom sei già, sebbcn seminante umano
Mostrasti, ecco io ti segno, o^e m' inviti,
ì ( irò ; farò là monti , ov' ora è piano.
Monti d' uomini estinti e di feriti :
l'arò fiumi di sarifjue. Or tu sia meco,
E reggi r arme mie per l' aer cieco !
105]
GERUSALEMME LIBERATA. (IX. 13-28>
[106]
3. Tace; e senza indugiar le turbe accoglie,
E rincora parlando il rile e '1 lento,
E neir ardor delle sue stesse Toglie
Accende il campo a seguitarlo intento.
Dà il segno Aletto della tromba, e scioglie
Dì sua man propria il gran vessillo al vento.
Marcia 1' oste veloce; anzi sì corre,
Che della fama il volo anco precorre.
4. Va seco Aletto, e poscia il lascia, e veste
D' uom , elio rechi novelle , abito e viso,
E neU' ora. che par, che '1 mondo reste
Fra la notte e fra '1 dì dubbio e diviso,
Entra in Gerusalemme, e tra le iiie.-te
Turbe passando , al re dà 1' alto avviso
Del gran camjio , che giunge, e del disegno,
E dei notturno assalto e 1' ora e '1 segno.
5. Ma già distendon 1' ombre orrido velo.
Che di rossi vapor si sparge e tigne.
La terra, in vece del notturno gelo,
Bagnan rugiade tepide e sanguigne.
S' empie di mostri e di prodigj il cielo:
S' odon fremendo errar larve maligne.
Votò Pluton gli abissi , e la sua notte
Tutta versò dalle tartaree grotte.
8. Per sì profondo orror verso le tende
Degl' inimici il fer soldan cammina.
Ma quando a mezzo del suo ciu-so ascende
La notte, onde ])oi rapida decliina,
A men d' un miglio, ove riposo prende
11 securo Francese, ei s' avvicina.
Qui fé' cibar le genti, e poscia, d' alto
Parlando , confurtollc al crudo assalto.
ì. Vedete là di mille furti pieno
Un campo più famoso assai , che forte,
Che, quasi un mar, nel suo vorace seno
Tutte dell' Asia ha le ricchezze assorte!
Qu<!sto ora a voi fiiè già potria con meno
Vostro perigli(») espon benigna sorte.
L' arme e i destrier d' ostro gueiniti e d' oro
Preda fian vostra, e non difesa loro.
J. Nò qtiesta è già quell' oste , onde la persa
Gente, e la gente di INicca fu vinta:
Perchè in guerra sì lunga e sì diversa
Himasa n' è la maggior parte estinta.
E s' anco integra fosse , (»r tutta immersa
In profonda quiete e d' arme è scinta.
Tosto s' o|>|irime chi di s(uuio è carco ;
Che dal sonno alla morte è un picciol varco.
L Su , su venite ! io primo aprir la strada
Vo' su i corpi languenti entro ai ripari.
Ferir da questa mia ciascuna spada,
E r arti usar di crudeltatc impari !
Oggi ha, che di ('risto il regno cada:
Oggi libera 1' Asia ; oggi voi chiari.
VaìA gT infìannna alle; vicine prove,
Indi ta*:itamente oitra lor move.
Ecco tra via le sentinelle ei vede
Per r omlira mista d' ii:ia incerta luce,
Kè ritrovar (come seciira fede
Avea) puolrr improvviso il saggio duce.
Voigon quelle gridando indietro il piede,
Scorto, che sì gran turba egli conduce;
SiccluV la prima guardia è da lor desta,
Che, com' può meglio, u guerreggiar s' appresta.
2L Dan fiato allora ai barbari metalli
Gli Arabi, certi omai d' esser sentiti.
Xnn gridi orrendi al cielo, e de' cavalli
Col suon del calpestio misti i nitriti.
Gli alti monti muggir, muggir le valli,
E risposer gli abissi ai lor muggiti.
fj la face innalzò di Flegetonte
Aletto , e l segno diede a quei del monte.
22. Corre innanzi il soldano , e giunge a quella
Confusa ancora e inordinata guarda
Rapido sì , che torbida procella
Da' cavernosi monti esce più tarda.
Fiume, eh' arbori insieme e case svella,
Folgoi-e, che le torri abbatta ed arda.
Terremoto , che 'l mondo empia d' orrore,
Son picciole sembianze al suo furore.
23. IVou cala il ferro mai, eh' appien non colga:
Kè coglie appien, che piaga anco non taccia,
]\è piaga fa , che 1' alma altrui non tolga.
E più direi ; ma il ver di falso ha faccia.
E par, eh' egli o s' infinga, o non sen dolga,
O non senta il ferir dell' altrui braccia,
Sebben l' elmo percosso in suon di squilla
Rimbomba, e orribilmente arde e sfavilla.
24. Or quando ei solo ha quasi in fuga volto
Quel primo stuol delle francesche genti,
Giungono , in guisa d' un diluvio accolto
Di mille rivi, gli Arabi correnti.
Fuggono i 1 ranchi allora a freno sciolto,
E misto il viiu;itor va tra' fuggenti,
E con lor entra ne' ripari: e 'l tutto
Di mine e d' orror s' empie e di lutto.
25. Porta il soldan suU' elmo orrido e grande
Serpe, che si dilunga, e "l collo snoda.
Su le zampe s' innalza, e 1' ali spande,
E piega in arco la lonuta coda.
Par, che tre lingue vibri, e che fuor mande
Livida spuma, e che "1 suo fi^chio s' oda,
Ed or eh' arde la pugna, anch' ei s' infiamma
INel moto, e fumo versa insieme e fiamma.
26. E si mostra in quel lume a' riguardanti
Formidabil cosi 1' empio s(ddauo,
C(uue veggiou nell' ombra i naviganti
Fra mille lam|)i il torbido o<-c<tno.
Altri <lanno alla fuga i pie tremanti.
Danno altri al ferro intrepida la mano,
E la notte i tumulti ognor più mesce.
Ed , occultando i rischj , i riseli] accresce.
27. Fra color , che mo>traro il cor più franco,
Latin, sul Tebro nato, allor >i nutsse,
A cui né ìv. fatiche il corpo stanco,
Né gli anni dome aveano ancor h- posse.
CinqiK* suoi figli (jiiasi eguali al fianco
(ìli erano sempre, o\un(|ue in guerra ei fosse,
ir arme gravand(» air/.i il lor tempo molto
Le membra ancor cre.'<centi , e 1 mtdle 'Mtlto.
28. Kd eccitali dal paterno e><-mpio
AguzzavaiM» al sangue il ferro e 1' ire.
ìì'nr egli Inru : aiidianne , ove (]iuir empi»»
Reggiani ne' fuggitici in-nperbire!
ISè già ritardi il •^.ingiiinoso .ocempio,
(;h' ei fa degli altri, in voi 1' u<iito ar-'ire!
Perocch»' quello, oh figli, «• vile iirutre.
('ui non adorni alcun passato m-rore.
[IOTI
GERUSALEMME LIBERATA. (IX. 29-44)
[108]
29. Così feroce leonessa i figli.
Cui dal collo la coma anco non pende,
Xè con gli anni lor nmn i feri artigli
Cresciuti . e 1' arme della bocca orrende,
Men;i seco alla preda ed ai perigli,
E con r esempio a incrudelir gli accendo
Nel cacciator , che le natie lor selve
Turba . e fuggir fa le nien forti belve.
30. Segue il buon genitor 1' incauto stuolo
De' cinque . e Solimano assale e cinge,
E in uu sol punto un sol consiglio e un solo
Spirito quasi sei lunghe aste spinge.
Ma troppo audace il suo maggior figliuolo
L' asta abbandona, e con quel fier si stringe,
E tenta invan con la pungente spada,
Che sotto il corridor morto gli cada,
31. Ma come alle procelle esposto monte,
Che percosso dai flutti al mar sovraste,
Sostien fermo in sé stesso i tuoni e 1' onte
Del cielo irato, e i venti e 1' onde vaste:
Cosi il fero soldan 1' audace fronte
Tien salda incontro ai ferri e incontro all' aste.
Ed a colui, che l suo destrier percote,
Tra i cigli parte il capo e tra le gote-
32. Araraante al fratel, che giù ruina,
Porge pietoso il brace io , e lo sostiene t
Vana e folle pietà, eh' alla ruina
Altrui la sua raedesma a giunger viene!
Che 'l pagan su quel braccio il ferro inchina,
Ed atterra con lui chi a lui s' attiene.
Cnggiono entrambi, e 1' un suU' altro langue,
Mescolando i sospiri ultimi e '1 sangue.
SS. Quinci egli, di Sabin 1' asta recisa.
Onde il fanciullo di lontan 1' infesta,
Gli urta il cavallo addosso, e '1 coglie in guisa,
Che giii tremante il batte, indi il calpesta.
Dal giovinetto corpo usci divisa
Con gran contrasto l' alma, e lasciò mesta
L' aure soavi della vita, e i giorni
Della tenera età lieti ed adorni.
54. Ilimanean vivi ancor Pico e Laurente,
Onde arrichì un sol parto il genitore;
Similisjima coppia, e che sovente
Esser solea cagion di dolce errore]
Ma se lei fé' natura indifferente.
Differente or la fa 1' ostil furore.
Dura distinzion, eh' ali un divide
Dal busto il collo, all' altro il petto incide.
35. 11 padre (ah non più padre! ah fera sorte,
Ch orbo di tanti figli a un tempo il face ! )
Kimira in cinque morti or la sua morte
E della stirpe sua, che tutta giace:
Aù so. come vecchiezza abbia sì forte
Neil' atroci miserie , e si vivace,
Che spiri e pugni ancor: ma gl'i atti e i vLsi
Non miro for»c de' figliuoli uccisL
Zìi. E di si acerjjo lutto agli oclij sui
Parie 1' amiche tenebre celaro.
Con tutto ciò nulla direbbe a lui,
Seii/a perder «ù .,tes.M>, il vincer caro.
Prodigo del m» sangue, e dell' altrui
AvidissimaiiieiUc <• fatto avaro
Nò si conosc e ben , (jual suo dcsirc
Paja maggior, V uccidere, o 'I moriie.
37. Ma grida al suo nemico: è dunque frale
Sì questa mano, e in guisa ella ^i sprezza,
Che con ogni suo sforzo ancor non vale
A provocare in me la tua fierezza.^
Tace; e percossa tira aspra e mortale.
Che le piastre e le maglie insieme spezza,
E sul fianco gli cala, e vi fa grande
Piaga, onde il sangue tepido si spande.
38. A quel grido , a quel colpo in lui converse
Il barbaro omicida il brando e l' ira.
Gli aprì r usbergo, e pria lo scudo aperse.
Cui sette volte un duro cuojo aggira,
E 'l ferro nelle viscere gì' immerse.
Il mìsero Latin singhiozza e spira,
E con vomito alterno or gli trabocca
Il sangue per la piaga, or per la bocca.
39. Come nell' Apennin robusta pianta,
Che sprezzò d' euro e d' aquilon la guerra,
Se turbo inusitato alfin la schianta,
Gli alberi intorno minando atterra,
Così cade egli : e la sua furia è tanta,
Che più d' im seco tragge, a cui s' afferra.
E ben d' uom sì feroce è degno fine.
Che faccia anche morendo alte mine.
10. Mentre il soldan sfogando 1' odio interiu)
Pasce un lungo digiun ne' corpi umani,
Gli Arabi inanimiti aspro governo
Anch' essi fanno de' guerrier cristiani.
L' inglese Enrico , e '1 bavaro Oliferno
Muojono , oh fer Dragutte, alle tue manL
A Gilberto, a Filippo, Ariadeno,
Toglie la vita, i quai nacquer sul Rena
41. Albazzar con la mazza abbatte Ernesto: '
Sotto Algazzcl cadde Engerlan di spada.
Ma chi narrar potria quel modo, o questo
Di morte, e quanta plebe ignobil cada.''
Sin da que' primi gridi erasi desto
Goffredo, e non istava intanto a bada.
Già tutto è armato, e già raccolto un grosso
Drappello ha seco , e già con lor s' è mosso,
42. Egli, che dopo il grido udì il tumulto,
Che par, che sempre più terribil suoni.
Avvisò ben , che repentino insulto
Esser dovea degli Arabi ladroni :
Che già non era al capitano occulto,
Ch' essi intorno correan le regioni;
Benché non istimò , che si fugace
ì ulgo mai fosse d" assalirlo audace.
43. Or mentre egli ne viene , ode repente
Arme, arme replicar dall' altro lato,
Ed in un tempo il cielo orribilmente
Intonar di barbarico ululato.
Questa è Clorinda, che del re la gente
Guida air assalto, ed bave Argante allato.
Al nobil Guelfo, che sostien sua vice,
Allor si volge il capitano, e dice:
44. Odi, qual novo strepito di Marte
Di verso il colle alla città ne viene?
D' uopo là fia , che '1 tuo valore e 1' arto
I primi iissalti de" nemici affrene.
Vanne tu dunque, e là provvedi! e parte
V«>' che di questi miei teco ne mene.
Con gli altri io me n' andrò dall' altro canto,
A sostener 1' impeto ostilo intanto.
109]
GERUSALEMME LIBERATA. (IX. 45 — 60)
[110]
45. Così fra lor concluso , ambo li move
Per diverso sentiero egual fortuna.
AI colle Guelfo, e '1 caiiitan va, dove
Gli Arabi ornai non lian contesa alcuna.
Ma questi andando acquista forze, e nuove
Genti di passo in passo o^or raduna.
Talché già fatto poderoso e grande
Giunge, ove il fero Turco il sangue spande.
16. Cosi scendendo dal natio suo monte
Non empie umile il Po 1' angusta sponda:
Ma sempre più , quanto è più lunge ai fonte,
Di nuove forze insuperbito abbonda;
Sovra i rotti confini alza la fronte
Di tauro, e vincitor d' intorno inonda:
E con più corna Adria respinge, e pare,
Che guerra porti , e non tributo al mare.
!!:7. Goffredo , ove fuggir 1' impaurite
Sue genti vede , accorre , e le minaccia.
Qual timor, grida, è questo? ove fuggite?
Guardate almen, chi sia quel che vi caccia!
Vi caccia un vile stuol, che le ferite
]\è ricever, né dar sa nella faccia:
E se '1 vedranno incontra a sé rivolto,
Temeran 1' arme sol del vostro volto.
i. Punge il destrier, ciò detto, e là si volve,
Ove di Soliman gì' incendj ha scorti.
Va per mezzo del sangue e della polve,
E de' ferri , e de' risch.j , e delle morti.
Con la spada e con gli urti apre e dissolve
Le vie più chiuse , e gli ordini più forti,
E sossopra cader fa d' ambo i lati
Cavalieri e cavalli , arme ed armati.
Sovra i confusi monti a salto a salto
Della profonda strage oltre cammina.
L' intrepido soldan , che Ì fero assalto
Sente venir , noi fugge , e noi declina.
Ma se gli spinge incontra, e '1 ferro iu alto
Levando jier ferir gli s' avvicina.
Oh quai duo cavalieri or la fortuna
Dagli estremi del mondo in prova aduna!
I. Furor contra virtute or qui combatte
D' Asia in un picciol cerchio il grande impero.
Chi può dir, come gravi e come ratte
Le spade son ? quanto il duello è fero?
Passo qui cose orribili , che fatte
Furon, ma le copri quell' aer nero,
D' un chiarissimt» sol degne, e che tutti
Siano i mortali a riguardar ridutti.
Il popol di Gesù dietro n tal guida
Audace or divenuto oltra si spinge,
E de' suoi meglio armati all' omicida
Soldano intorno un denso stuol si stringe.
Nò la gente fcdel più ch(! 1' infida
Né più questa, che quella, il campo tinge;
Ma gli uni e gli altri , e vincitori e vinti,
Egualmente dan morte, e sono estinti.
Come pari d' ardir, con forza paro
Quinci austro in guerra vieu , quindi aquilone.
Non vi fra lor, non «leile il cinto it 1 luarc;,
Ma nuhc a nube, e (lutto a flutto oppone:
Cosi nò ceder qua , né là piegare
Si vede 1' ostinala aspra tenzono.
S' affronta insieme orribihneute urlando
Scudo u scudo, elmo ud elmo, e brando a brando.
53. Non meno intanto son feri i litigi
Dall' altra parte, e i guerrier fcdti e densi.
3Iille nuvole e più d' angeli stigi
Tutti han pieni dell' aria i campi immensi,
E dan forza ai pagani , onde i ve.-tigi
Non é chi indietro di rivolger pensi:
E la face d' inferno Ai-gante inUiimnia,
Acceso ancor della sua propria fiamma.
5'1. Egli ancor dal suo Iato in fuga mosse
Le guardie , e ne' ripari entrò d' un salto.
Di lacerate membra empiè le fosse,
Appianò il calle, agevolò 1' assalto;
Sicché gli altri il seguirò, e fér poi rosse
Le prime tende di sanguigno smalto.
E seco a par Clorinda , o dietro poco
Sen già, sdegnosa del secondo loco.
55. E già fuggiano i Franchi, allorclié quivi
Giunse Guelfo opportuno, e '1 suo drappello,
E volger fé' la fronte ai fuggitivi,
E sostenne il furor del popol fello.
Così si combatteva : e 'l sangue in rivi
Correa egualmente in questo lato e in quello.
Gli occhj frattanto alla battaglia rea
Dal suo gran seggio il re del ciel volgca.
56. Sedea colà , dond' egli e buono e giusto
Dà legge al tutto , e 'I tutto orna e produce
Sovra i bassi confin del mondo angusto,
Ove senso o ragion non si conduce;
E dell' eternità nel trono augusto
Risplendea con tre lumi in una luce.
Ha sotto i piedi il fato e la natura,
Ministri umili, e 'l moto, e chi 'I misura;
57. E '1 loco, e quella, che qual fumo o polve.
La gloria di quaggiuso , e V oro e i regni.
Come piace lassù , disperde e vohe.
Né, Diva, cura i nostri umani sd(?gnì.
Quivi ei così nel suo splendor s' involvc.
Che v' abbaglian la vista anco i più degni.
D' intorno ha innumerabili immortali
Discgualmente in lor letizia eguali.
58. Al gran concento de' beati carmi
Lieta risuona la celeste reggia.
Chiama egli a sé Michele, il qual nell" armi
Di lucido diamante arde e Iamp<-ggia,
E dice lui: non vedi or, come s' armi
Contra la mia fedel diletta gregj^ia
L' empia schiera di Averno , e iiifin dal fondo
Delle sue morti a turbar sorga il nujodo?
59. Va, dille tu , che lasci ornai le cure
Della guerra ai guerrier, cui ciò rtuiviene.
Né il regno di;' viventi, né le pure
Piagge del ciel conturhi ed avvelene!
Torni alle notti d' Acheronte oscure,
Siu» degno aliiergo; alle sue giunte pene!
Quivi sé stessa e 1" anime d' aliis-o
Cruci! Così comando, e così ho fisso.
60. Qui tacqiu^: e "I dure de' guerrieri alati
S' iiuhinò riverente ni divin piede.
Indi spiega al gran Aulo i tiinni aurati
Hiipido sì, eh' anco il pensieri» «'ccede.
Passa il foco e la luce , ove i beali
ilaiiiio lor ghuiosa immobii sede:
Posiiii il puro cristallo e I cerrbio mira,
Clio di hIcUo gciuumtu iiicoulra gira;
[Ili]
GERUSALEMME LIBERATA. (IX. 61—76)
[112
fil. Quinci d' opre diversi e di sembianti
Da ministra rotar Saturno e Giove,
E gli altri, i quali esser non ponno erranti,
Se angeliiui virtù gì' informa e move.
\ ien poi da' campi lieti e fiamnicjj^gianti
D' eterno di, là donde tuona e piove;
Ove sé stesso il mondo strugge e pasce,
E nelle guerre sue muore e rinasce.
(52. Venia scotendo con V eterne piume
La caligine densa e i cupi orrori.
S' indorava la notte al divin lume,
Cile sporgea scintillando il volto fuori.
Tale il sol nelle nubi ha per costume
Spiegar dopo la pioggia i l)ei colori :
Tal suol , fendendo il liquido sereno,
Stella cader della gran madre in seno.
63 Ma giunto, ove la schiera empia infernale
11 furor de' pagani accende e sprona,
Si ferma in aria in sul vigor dell' ale,
E vibra l' asta, e lor così ragiona:
Pur voi dovreste omaì saper, con quale
Folgore orrendo il re del mondo tuona.
Oh nel disprezzo e ne' tormenti acerbi
Deir estrciua miseria anco superbi!
64. Fisso è nel ciel , eh' al venerabil segno
Chini le mui-a , apra Sion le porte.
A che pugnar col fato.'' a che lo sdegno
Dunque irritar della celeste corte.-*
Itene maledetti al vostro regno.
Regno di pene e di perpetua morte,
E siano in quelli a voi dovuti chiostri
Le vostre guerre ed i trionfi a ostri!
65. Là incrudelite! là sovra i nocenti
Tutte adoprate pur le vostre posse
Fra i gri'ii eterni e lo stridor de' denti,
E '1 suon del ferro , e le catene scosse!
Disse; e quei, eh' egli vide al partir lenti,
Con la lancia fatai spinse e percosse.
Essi gemendo abbandonar le belle
Region della luce e l' auree stelle,
66. E dispiegar verso gli abissi il volo
Ad inasprir ne' rei 1' usate doglie.
Kon passa il mar d" augei sì grande stuolo,
Quando ai soli più tepi(li s' accoglie,
]\è tante vede inai l" autunno >il suolo
Cader co' primi freddi aride foglie.
Liberato da lor , quella si n-egra
Faccia depone il iiumdo , e si rallegra.
67. Ma non perciò nel disdegnoso petto
lY Argante vien V ardire, o '1 furor manco,
Benché suo foco in lui non spiri Aletto,
^è llagcUo infernal gli sferzi il fianco.
Riuita il ferro crudel , ove è più stretto
E più calcato insieme il popol franc;o.
Miete i vili e i potenti , e i più sublimi
£ più superbi capi adegua agi' imi.
63. Non lontana è Clorinda , e già non meno
Par, che di tronche meiubra il c;ainpu asperga.
Caccia la spada a Herlingier nel seno
Per mezzo il cor, dove la vita alberga:
E quel colpo ;i trovarlo andò tsì pieno,
CIk; tangiiinosa u^ri fuor delle terga.
Poi ter* Albin là, 've primier s' apprende
Nuntro aiiinento . e '1 viso a Gallo fende.
6!). La destra di Gerniero . onde ferita
Ella fu pria, manda recisa al piano.
Tratta anco il ferro, e con tremanti dita
Semiviva nel suol guizza la mano.
Coda di serpe è tal, eh' indi partita
Cerca di unirsi al suo principio invano.
Cosi mal concio la guerriera il lassa.
Poi si volge ad Achille, e '1 ferro abbassa,
70. E tra '1 collo e la nuca il colpo assesta,
E , tronchi i nervi , e 'l gorgozzul reciso,
Gio rotando a cader prima la testa :
Prima bruttò di polve immonda il viso,
Che giù cadesse il tronco : il tronco resta
(Miserabile mostro!) in sella assiso:
Ma libero dal fren con mille rote
Calcitrando il destrier da sé lo scote,
71. Mentre cosi 1' indomita guerriera
Le squadre d' occidente apre e flagella,
Non fa d' incontro a lei Gildippc altera
De' Saracini suoi strage men fella.
Era il sesso il medesnio , e simile era
L' ardimento e 'l valore in questa e in quella.
Ma far prova di lor non è lor dato ;
Ch' a nemico maggior le serba il fato.
72. Quinci una, e quindi 1' altra urta e sospinge
Né può la turba aprir calcata e spessa.
Ma '1 generoso Guelfo allora stringe
Contra Clorinda il ferro , e le s' appressa,
E calando un fendente, alquanto tinge
La fera spada nel bel fianco : ed essa
Fa d' una punta a lui cruda risposta,
Ch' a ferirlo ne va tra eosta e costa.
73 Doppia allor Guelfo il colpo, e lei non coglie
Che a caso passa il palestino Osmida,
E la piaga non sua sopra sé toglie,
La qual vien che la fronte a lui recida.
Ria intorno a Guelfo omai molta s' accoglie
Di quella gente, eh' ei conduce e guida:
E d' altra parte ancor la turba cresce,
Sicché la pugna si confonde e mesce.
74. L' aurora intanto il bel purpureo volto
Già dimostrava dal sovran balcone,
E in quei tunuilti già s' era disciolto
Il feroce Argillan di sua prigione !
E d' arme incerte il frettoloso avvolto.
Quali il caso gli offerse , o triste o buone.
Già sen venia per emendar gli errori
Novi con novi merti e novi onori.
75. Come destrier , che dalle rege stalle,
Ove all' uso dell' arme si riserba.
Fugge , e libero alfin per largo calle
A a tra gli armenti, o al fiume usato, n all' erba
Schcrzan sul collo i crini e sulle spalle,
Si scote la cervice alta e superba.
Suonano i pie nel corso , e par eh' avvampi,
Di sonori nitriti empiendo i campi:
76. Tal ne viene Argillano. Arde il feroce
Sguardo, ha la fronte intrepida e sublime.
Leve è ne' salti , e sovra i pie veloce
Sicché d' orme la polve appena imprime.
E giunto fra' nemici alza la voce,
Pur coni' noni, che tiitt' osi e nulla stime:
Oh vii feccia del mondo. Arabi inetti,
Ond' è, eh' or tanto ardire in voi s' alletti.'
[113]
GERUSALEMME LIBERATA. fIX. •»•?— 92)
77. Non regi^ev voi degli elmi e degli scudi
Sete atti il peso o 'I petto armarvi e '1 dorso;
Ma corainettcte paventosi e nudi
I colpi al vento, e la salute al corso.
L' opere vostre e i vostri egregi studi
Notturni son : dà 1' ombra a voi soccoreo.
Or eh' ella fugge, che fia vostro schermo?
D' armi è ben d' uopo e di valor più fermo.
78. Così parlando ancor , die' per la gola
Ad Algazcl di sì crudel percossa.
Che gli secò le fauci , e la parola
Troncò, eh' alla risposta era già moss^.
A quel meschin subito orror invola
II lume, e scorre un duro gel per l' ossa.
Cade, e co' denti 1' odiosa terra
Fieno di rabbia in sul morire anerra<
79. Quinci per varj casi e Saladino,
Ed Agricalte, e 3Iuleasse uccide;
£ dall' un fianco all' altro a lor vicino
Con esso un colpo Aldiazil divide.
Trafitto a sommo il petto Ariadino
Atterra , e con parole aspre il deride.
Ei, gli occhj gravi alzando, all' oi'goglioso
Parole in sui morir cosi rispose:
80. Non tu , chiimque sia , di questa morte
Vincitor lieto avrai gran tempo il vanto.
Pari destin t' aspetta, e da piii forte
Destra a giacer mi sarai steso accanto.
Rise egli amaramente, e: di mia sorto
Curi il ciel! disse: or tu qui mori intanto
D' augei pasto e di cani ! Indi lui preme
Col piede, e ne trac 1' alma e '1 ferro insieme.
81. Un paggio del soldan misto era in quella
Turba di sagitarj e lanciatori,
A cui non anco la stagion novella
Il bel mento spargea de' primi fiori,
Pajon perle e rugiade in sulla bella
Guancia irrigando i tepidi sudori:
Giunge grazia la polve al crine incolto,
E sdegnoso rigor dolce è in quel volto,
62. Sotto ha un dcstrier, che di candore agguaglia
Pur or neir Apennin caduta neve,
l'iirbo o fiamma non è , che roti o snglia
Rapido sì , come è quel pronto e leve.
Vibra ci, presa nel mezzo, una zagaglia,
La spada al fianco ticn ritorta e breve,
E con barbara pompa in un lavoro
Di porpora risplendc intesta e d' oro.
83. Mentre il fanciullo, a cui nnvcl piacere
Di gloria il petti» giovenil lusinga.
Di qua turba e di là tutte le schiero,
E lui non è chi tanto o quanto stringa,
Cauto osserva Aigillan tra le leggiero
Sue rote il tempo, in mi 1' a>ta sospinga;
E colto il punto, il suo de.>tricr di l'urto
Gli uccide, e sovra gli è, eh' appena ò lurto.
84> Ed al supplice volto , il qtiale invano
Con r arnie di pietà fea sue difese,
Dri/.'/.i'i «'niil<;l r iiicsoraliil mano,
E di natura il più bel ^'. cgio oflese.
Senso a><T par\e, e fu dill' iioiii più umano
Il ferro, v\n; i>i volse, e piiitto sce^c.
Ma «lìc pru , se doppiiiiiilo il colpo fero
Di xmuta colse, ovu cj^li errò primiero?
JUAl
83, Soliraan , che di là non molto lun^e
Da Goffredo in battaglia è trattenuto.
Lascia la zuffa , e '1 destrier volve e punge,
Tostochè '1 rischio ha del garzon veduto:
E i chiusi passi apre col ferro, e giunc-o
Alla vendetta sì, non all' ajuto ;
Perchè vede, ahi dolor! giacerne ucciso
li suo Lesbin , quasi bel fior succiso,
88. E in atto si gentil languir tremanti
Gli occhj , e cader sul tergo il collo mira.
Cosi vago è il pallore, e da' sembianti,
Di morte una pietà si dolce spira,
Ch' ammollì il cor, che fu dur marmo avanti,
E '1 pianto scaturì di mezzo all' ira.
Tu piangi, Soliman.-' tu, che distrutto
Mirasti il regno tuo col ciglio asciutto?
87. Ma com' ci vede il ferro ostil , che molle
Fuma del sangue ancor del giovinetto,
La pietà cede, e l' ira avvampa e bolle,
E le lagrime sue stagna nel petto.
Corre sovra Argillano , e l ferro estolle.
Parte lo scudo opposto, indi 1' elmetto,
ludi il capo e la gola; e dello sdegno
Di Soliman ben quel gran colpo è degno.
88. Nò di ciò ben contento, al corpo morto
Smontato del destriero anco fa guerra ;
Quasi raastin , che 1' sasso, nnd' a lui porto
Fu duro colpo, infellonito afferra.
Oh d' immenso dolor vano conforto,
Incrudelir nell' insensibil terra!
Ma frattanto de' Franchi il capitano
Non spendea 1' ire e le percosse invano.
89. Mille Turchi avea qui, che di loriche,
E d' elmetti, e di scuJi eran coperti,
Indomiti di corpo alle fatiche.
Di spirto audaci, e in tut^i i casi esperti:
E furon già delle milizie antiche
Di Solimano, e seco ne' deserti
Seguir d' Arabia i suo' errori infelici.
Nelle fortune avverse ancora amici.
90. Questi ristretti insieme in ordin folto
Poco cedcano, o nulla, al vahtr franco.
In questi urtò Goffredo , e ferì il volto
Al fier Corcutte, ed a Uostcno il fianco.
A Selin dalle spalle il capo ha sciolto.
Troncò a Rossano il destro braccio e '1 manco.
Né già soli costor, ma in altre guise
Molti piagò di loro , e molli ucci>c.
9L Mentre ci così la gente sarncina
Percote , e lor percosse amo sostiene,
E in nulla parte al precipizio inchina
La fortuna de' Karbari e la spene,
No>a nube di polve ec(U) vicina,
('he folgori «li guerra in grcmbonticnel
Ecco d' arme improvvise uscir ii lampo,
Che sbigottì degf infedeli il campo.
92". Son cinquanta guerrier, che 'n puro argento,
Spiegali la trionfai purpurea croce.
Non io, HO cento bocche e lingue cento
A»csi.i , e fi-rrea lena, e ferrea voce,
N.irrar potrei qu<l ninnerò, che s|)cnto
^e' primi as^,lUi Ita quel drappcl feroce.
Cade f Ar.ibo imliclle, « 'l Turco invitto
Uv»i«lendo • piignautlu anco ù trafitto.
[115] GERUSALEMME LIBERATA. (IX. 93 — 99. X. 1 -4 [116]
yS. L' orror, la cruddtà, la tema, il lutto, 96.
Van il' intorno scorrendo , e in varia imniago
Vincitrice la morte errar per tutto
Vedresti, ed ondcg-j^iar di sangue un lago.
Già con parte de suoi s' era condutto
Fuor d' una porta il re, quasi presago
Di fortunoso evento, e quinci d' alto
Mirava il pian soggetto, e '1 dubbio assalto.
91. aia come prima egli ha veduto in piega OT
L' esercito maggior, suona a raccolta,
E con messi iterati instando prega
Ed Argante e Clorinda a dar di volta.
La fera coppia d' eseguir ciò nega,
Ebra di sangue , e cieca d' ira , e stolta.
Pur cede alfine, e unite almen raccorrà
Tenta le turbe, e freno ai passi imporre.
95. Ma chi dà legge al vulgo , ed ammaestra 1)8.
La viltade e '1 timor? La fuga è presa.
Altri gitta lo scudo, altri la destra
Disarma: impaccio è il ferro, e non difesa.
Valle è tra '1 campo e la città, eh' alpestra
Dall' occidente al mezzogiorno è stesa.
Qui fuggon essi, e si rivolge oscura j
Caligine di polve inver le mura.
99. Veggia il nemico le mie spalle, e schema
Di nuovo ancora il nostro esigilo indegno!
Purché di nuovo armato indi mi scerna
Turbar sua pace, e l non mai stabil regno.
Non cedo io, no: sia con memoria eterna
Delle mie oflese eterno anco il mio sdegno!
. Risi)rgerò nemico ognor più crudo,
Ccn(U'e anco sepolto o spirto iguudo.
Mentre ne van precipitosi al chino,
Strage d' essi i cristiani orribil fanno.
Ma , posciachè salendo ornai vicino
L' ajuto avean del barbaro tiranno,
Non Auol Guelfo d' alpe*tro erto cammino
Con tanto suo svantaggio esporsi al danno.
Ferma le genti , e '1 re le sue rinserra,
Non poco avanzo d' infelice guerra.
Fatto intanto ha il soldan ciò eh' è concesso
Fare a terrena forza; or più non puote.
Tutto è sangue e sudore ; e un grave e spesso
Anelar gli ange il petto , e i fianchi scote.
Langue sotto lo scudo il braccio oppresso ;
Gira la destra il ferro in pigre rote,
Spezza e non tuglia , e , divenendo ottuso,
Perduto il brando ornai di brando ha 1' uso.
Come sentissi tal, ristette in atto
D' uom, che fra due sia dubio, e in se discorre,
Se morir debbia , e di sì illustre f<itto
Con le sue mani altrui la gloria torre;
Oppur, sopravanzaudo al suo disfatto
Campo, la vita in sicurezza porre.
Vinca, alfin disse, il fato, e questa mia
Fuga il trofeo di sua vittoria sia!
CANTO DECIMO.
ARGOMENTO.
Invito a SoUtnan fanno al riposo
Il cammin lungo e V oscurata luce ;
E mentre in braccio al sonno ha 1 cor doglioso,
Gli appare Ismen, cft' ad Aladin V adduce.
L' arti d' Armida e 'l corso lor dubbioso
Conta la schiera franca al franco duce ;
E gli conta il buon Pier ratto dal zelo,
Quai riserbi a Rinaldo onori il ciclo.
Così dicendo ancor, vicino scorse
Un dcbtrier , eh' a lui volse errante il passo.
Tosto ul libero fren la mano ei porse,
E Ru vi salse , ancorch' afflitto e lasso.
Già caduto è il cimier, eh' orribil sorse,
Lasciando 1' elmo inonorato e basso :
Hotta è la uoprawesta: e di superba
Pompa regal vestigio alcun non berba.
Come da chiuso ovil cacciato viene
Lupo talor, che fugge e si nasconde,
Che, sebben del gran ventre ornai ripiene
Ha r ingorde voragini prof()nde,
Avido pur di sangue, anco fuor tiene
La lingua, e '1 sugge dalle labbra immonde:
Tal ei sen già dopo il sanguigno strazio
Della sua cupa fama anco non sazio.
E come è sua ventura , alle sonanti
Quadrella, ond' a lui intorno un nembo vola,
A tante spade, a tante lance, a tanti
Instrnmenti di morte alfin s' invola,
E sconosciuto pur cammina avanti
Per quella via, eh' è più deserta e sola,
E, rivolgendo in sé quel, che far dcggia,
In gran tempesta di pensieri ondeggia.
Disponsì alfin di girne, ove raguna
Oste sì podenisa il re d' Egitto,
E giunger seco V armi , e la fortuna
Kitentar anco di novcl conilitto.
Ciò prefissi» tra sé, dimora alcuna
N<m pone in mezzo, e prende il cammiii dritto,
Che sa le \ie, né d' uopo ha di chi '1 guidi
Di Gaza antica airli arenoisii liili.
[117]
GERUSALEMME LIBERATA. (X. 5 — 20)
[118]
5. Né, perchè- senta iimrerbir le doglie
Delle sue piaghe, e grave il corpo ed egro,
Vien però, che si po^i , e l' arme spoglie;
Ma travagli.nido il di ne passa integro.
Poi quando 1' omlira oscura al mondo toglie
I \arj aspetti, e i ciilor tinge in negro,
Smonta e fascia le piaghe, e, come puote
Meglio , d' un' alta palma i frutti bcote,
6. E cibato di lor sul terren nudo
Cerca adagiare il travagliato lianco,
E la testa appoggiando al duro scudo,
Quetar i moti del pensier suo stanco.
Ma d' ora in ora a lui si -fa più crudo
Sentire il duul delle ferite; ed anco
Ro?o gli è il petto, e lacerato il core
Dagi' interni avoltoi , sdegno e dolore
7. Alfin , quando già tutte intorno chete
Nella più aita notte cran le cose,
A into egli pur dalla stanchezza , iu Lete
Sopì le cure sue gravi e nojose,
E in una breve e languida quiete
Le afflitte membra e gli occhj egri compose,
E mentre ancor dormia , voce severa
Gì' intonò suH' orecchie in tal maniera:
8. Soliman, Solimano, i tuoi sì lenti
Riposi a miglior tempo omai riserva!
Che sotto il giogo di straniere genti
La patria, ove regnasti, ancor è serva.
In questa terra dormi? e non rammenti,
Cli' insepolte de' tuoi 1' ossa conserva.''
Ove sì gran vestigio è del tuo scorno,
Tu upgliittoso aspetti il novo giorno.'
9. Tosto il snidano alza lo sguaido, e vede
LOni, che d' età gravi>(iima ai sembianti
Col ritorto baston del vecchio piede
Ferma e dirizza le vestigia erranti.
E chi sei tn? sdegnoso a lui richiede,
Che, f.tntasina importuno, ai viandanti
Rompi i bre^i lor sonni? e che s' appetta
A te la mia vergogna, o la vendetta?
10. Io mi son un , risponde il vecchio , al quale
In parte è noto il tuo novel disegno;
E >iccom' uomo, a cui di te più cale,
CAìc. tu lorse non pensi , a te ne vegno.
Nò il mordace parlari; indarno è tale;
Perchè della virtù cote è lo sdegno.
Prendi in grado, signor, che '1 mio sermone
Al tuo pronto valor sia sferza e sprone!
11. Or perchè, k' io m' appongo, esser dee volt»
Al gran rr; dell' Kgilto il tuo cammino ?
Che iuntihuente aspro \iaggio tolto
Avrai, s' innanzi ^egui , io ni' indorino;
Che sebben tu non vai , fia tosto accolto,
E to>lo mosso il campo Saracino;
Ne loco è là , dove s' imiiicghi e mo^tri
La tua virtù conlra i nemici nostri.
12. Ttfa 80 'n duce me (irendì, entro a quel uuiro.
Che liair armi latine è intiuno astretti»,
Nel più «'.hiaro del dì porti seciiro,
Sciizachè spada impugni, io ti prometto.
Qui^i con l' arme e ro' disagi un doro
Contrasto a\ <r ti Ila gloria e diletto.
Uiienilcrai iii terra insinché giugna
L' Ubte d' Egitto li rinnovar Iu pugna-
13. Mentre eì ragiona ancor, gli occhj e la Toce
Dell' uomo antico il fero Turco ammira,
E dal V olto , e dall' animo feroce
Tutto depone ornai 1' orgoglio e 1' ira.
Padre, risponde, io già pi'onto e veloce
Sono a seguirti; ove tu vuoi, mi gira!
A me sempre miglior parrà il consìglio,
Ove Ila più di fatica e di periglio.
14. Loda il vecchio i suoi detti, e perchè 1' aura
Notturna avea le piaghe incrudelite,
Un suo licor v' instilla , onde ristaura
Le forze , e salda il sangue e le ferite.
Quinci veggendo omai , eh' Apollo inaura
Le rose , clie i' aurora ha colorite.
Tempo è, disse, al partir: che già ne scopre
Le strade il sol, eh' altrui richiama all' opre.
15. E sovra un carro suo, che non lontano
Quinci attendea , col iler >iiccno ei siede.
Le briglie allenta , e con maestra mano
Ambo i cor^ieri alternamente lìede.
Quei V anno sì , che '1 polveroso piano
lN(»n ritien della rota orma, o del piede.
Fumar li v edi , ed anelar nel corso,
E tutto biancheggiar di spuma il morso.
16. Meraviglie dirò : s' aduna e stringe
L' aer d' intorno in nuvolo raccolto
Sì, che l gran carro ne ricopre e cinge;
Ma non aj)par la nube o poco, o molto:
I\è sasso , che murai macchina spinge,
Penetreria per lo suo chiuso e folto.
Ben veder ponno i duo dal cavo seno
La nebbia intorno, e fuori il ciel sereno.
17. Stupido il cavalier le ciglia inarca,
Ed iiurespa l.i fronte, e mira fiso
La nube e '1 carro , eh' ogni intoppo varca,
A eloce sì, che di volar gli è avviso.
L' altro, che di stupor 1' anima carca
Gli scorge all' atto dell' immobil viso,
Gli rompe quel silenzio, e lui rappella;
Orni' ei si scote, e poi così favella:
18. Oh chiunque tu sia, che fuor d' ogni uso
Pieghi natura ad opre altere e strane,
E spiando i secreti , entro al più chiuso
Spazj a tua voglia delle menti umane,
S' arridi col saper, eh' è d' alto infuso,
Alle cose remote anco e lontane.
Dell, dimmi, qnal riposo, qual mina
.\i gran moti dell' Asia il ciel destina?
19. Ma pria diuuni il tuo nome, e con qual arte
Far cose tu si inusitate soglia !
Cile , se pria lo stupor da me lum parte.
Coni' esser può, eh' io gli altri liciti accoglia?
Sorrise il x-cchio , e tlissc: in una [lartc
l'Mi sarà le\e V adem|)ir tua voglia.
Soli detto Isiiiriio, e i Siri appellali mago
Me, che dell' arti incognite soii >ago.
20. Ma cir io scopra il futuro, e eh' io dispieghi
Dell' occulto destili gli derni annali.
Troppo è audace desio, troppo ahi preghi,
iSoii è tiinto conii's.s'o a noi mori ali.
Ciascun quaggiù le forze e "I senno impieghi.
Per avanzar fra le sciagure e i mali :
Che soMiiIe addivien , che '1 saggio e '1 forte
l'^tbbi'O a bù tjtes8o è di beata sorte.
8 *
[119]
GERUSALEMME LIBERATA. (X. 21 - SO)
[120]
21. Tu questa destra invitta, a cui fia poco
Siioter le forze del francese impero.
Non che munir , non che guardar il loco,
Che strettamente oppugna il popol fero,
Cantra 1' arme apparecchia e contra '1 foco!
Osa, soffri, confida! Io bene spero.
Ma pur dirò, perchè piacer ti debbia,
Ciò, eh' oscuro vegg' io quasi per nebbia,
22. Ve"-"-io , o parmi vedere , anzi che lustri
*3Iolti rivolga il gran pianeta eterno,
Uom, che 1' Asia ornerà co' fatti illustri,
E del fecondo Egitto avrà il governo.
Taccio i pregi dell' ozio , e 1' arti industri,
jMille virtù , clie non ben tutte io scerno :
Easti sol questo a te, che da lui scosse
Non pur saranno le cristiane posse,
23. Ma insin dal fondo suo l' imperio ingiusto
Svelto sarà nell' ulthue contese,
E le afflitte reliquie entro un angusto
Giro sospinte, e sol dal mar difese.
Questi fia del tuo sangue : e qui il vetusto
Mago si tacque. E quegli a dir riprese :
Oh lui felice eletto a tanta lode!
E parte ne l' invidia, e parte gode.
21. Soggiunse poi : girisi pur fortuna _
0 buona o rea, com' è lassù prescritto!
Che non ha sovra me ragione alcuna,
E non mi vedrà mai se non invitto.
Prima dal corso distornar la luna
E le stelle potrà, che dal diritto
Torcere un sol mio passo. E in questo diro
Sfavillò tutto di focoso ardire.
25. Cosi gir ragionando , insinché furo
Là, 've presso vcdean le tende alzarsc.
Che spettacolo fu crudele e duro!
In quante forme ivi la morte apparse!
f^i fé' negli occlij allor torbido e scuro,
K di doglia il soldano il volto sparse.
Ahi con quanto dispregio ivi le degne
Jliiò giacer sue già temute insegne!
20. E scorrer lieti i Franchi , e i petti e i volti
Spesso calcar de' suoi più noti amici,
E con fasto superbo agi' insepolti
L' arme spogliare, e gli abiti infelici,
Molti onorare in lunga pompa a<xolti
Gli amati corpi degli estremi «ffici,
Altri siippor le fiamme, e 'l volgo misto
D' Arabi e Turchi a un foco arder è visto.
27. Sospirò dal profondo, e 'I ferro trasse,
E dal carro lanciosfri, e correr volle;
Ma il vecchio incantatore a se il ritrasse
S'M-idando, e rallVenò 1' impeto folle:
E fatto, che di nuovo ei rimontasse.
Drizzò 'l suo corso al più sublime colle
Co>i alquanto ìì andaro, iiisinch' a tergo
Lasciar de' Franchi il militare albergo.
28. Smontare allor del carro ; e quel repente
Siiarve; e pre-ono a piedi insieme il calle,
NeU.i holila hìiIk! occnbamentc
Diyccndi-ndo a sinislra in una %alle,
Siiicbi: giiin^f-ro là, ilo\e al ponente
L' alto monte Sion volge le (.palle.
Qui\i si ferma il mago, e poi b' accosta
(Uua^i inirundo) alla scusce>a costa.
29. Cava grotta s' apria nel duro sasso
Di lunghissimi tempi avanti fatta;
Ma disusando , or riturato il passo
Era tra i pruni e 1' erbe , ove s' appiatta.
Sgombra il mago gì' intoppi , e curvo e basso
Per r angusto sentiero a gir s' adatta.
E r una man precede e '1 varco tenta,
L' altra per guida al principe appresenta.
80. , Dice allora il sohìan: qual vìa furtiva
È questa tua, dove convien eh' io vada?
Altra forse miglior io me n' apriva.
Se 'l concedevi tu, con la mìa spada.
Non sdegnar, gli risponde, anima schiva,
Premer col forte pie la buja strada!
Che già solca calcarla il grande Erode,
Quel, eh' ha neìl' armi ancor sì chiara lode.
81. Cavò questa spelonca allorché porre
Volle freno ai soggetti il re, eh' io dico:
E per essa potea da quella torre
Ch' egli antonia appellò dal caro amico,
Invisibile a tutti il pie racorre
Dentro la soglia del gran tempio antico,
E quindi occulto uscir della cittate,
E trarne genti, ed introdur celate.
o2. Ma nota è questa via solinga e bruna
Or solo a me degli uomini viventi.
Per questa andremo al loco , ove raguna
I più saggi a consiglio e i più potenti
II re, eh' al minacciar della fortuna,
Più forse, che non dee, par che paventi.
Ben tu giungi a grand' uopo. Ascolta e taci,
Poi movi a tempo le parole audaci !
33. Così gli disse: e '1 cavaliere allotta
Col gran corpo ingombrò l' umìl caverna,
E per le vie, dove mai sempre annotta,
Seguì colui , che '1 suo cammin governa.
Chini pria se n' andar; ma quella grotta
Più si dilata, quanto più s' interna;
Sìcch' asceser con agio , e tosto furo
A mezzo quasi di quell' antro oscuro.
84. Apriva allora mi picciol uscio Ismene
E se ne gian per disusata scala,
A cui luce mal certo e mal sereno
L' aér, che giù d' alto spiraglio cala.
In sotterraneo chiostro alfin veniéno,
E salian quindi in chiara e nobil sala.
Qui con lo scettro e col diadema in testa
Mesto seileasi il re fra gente mesta.
85. Dalla concava nube il Turco fero
Non veduto rimira, e s|)ia d' intorno,
Ed ode il re frattanto, il qual primiero
Incomincia così dal seggio adorno:
Veramente, oh miei fidi, al nostro impero
Fu il trapassato assai dannoso giorno,
E caduti d' altissima speranza,
Sul r ajuto d' Egitto omai n' avanza.
6. Ria ben vedete voi , quanto la speme
Lontana sia da sì vicin periglio.
Dunque voi tutti bo qui ra<u'.(ilti insieme.
Perdi' ognun porli in lue/./.o il suo ctmsiglio.
Qui tac(^; e, quasi in bosco aura, che frcuie,
Suona d' intorno un |>ic(iol(» bisbiglio.
IMa con la faccia baldanzosa e lieta
Sorgendo Argante il mormorare accheta.
[121]
GERUSALEMME LIBERATA. (X. 87-52)
[122]
S7. Oh mag'nanìmo re (fu la risposta,
Del cavaliero indomito e ferdce)
Perchè ci tenti, e cosa a nnlio ascosta
Chiedi, eh' uopo non ha di nostra Toce?
Pur dirò : sia la speme in noi sol posta !
K s' egli è ver, che nulla a virtù noce,
Di questa armiamci! a lei chiediamo aita,
Kè più eh' ella si voglia, amiani la vita!
8S. Né parlo io già così , perdi' io dispere
Dell' ajnto certissimo d' Egitto ;
Che dubitar, se le promesse vere
Finn del mio re, non lece, e non è dritto
Ma il dico sol, perchè desio vedere
In alcuni di noi spirto più invitto,
Ch' egualmente apprestato ad ogni sorte.
Si prometta vittoria, e sprezzi morte.
89. Tanto sol disse il generoso Argante,
Quasi uom, che parli di non diihbia cosa.
Poi sorse in autorevole sembiante
Orcaao, uom d' alta nobiltà famosa,
E già nell' arme d' alcun pregio avante.
Ma or congiunto a giovinetta sposa,
E lieto omai de' figli , era invilito
Kegli alletti di padre e di marito.
40. Disse questi: oh signor, già non accaso
Il fervor di magnifiche parole,
Quando nasce d' ardir, che star rinchiuso
Tra i confini del cor non può, né vuole.
Però, se '1 buon Circasso a te per uso
Troppo in vero parlar fervido suole.
Ciò si conceda a lui, che poi nell' opre
11 mcdcsmo fervor non meno scopre.
41. Ma si conviene a te, cui fatto il corso
Delle cose e de' tempi han sì prudente,
Impor colà de' tuoi consigli il morso,
Dove costui se ne trascorre ardcnle,
I^ibrar la speme d< I lontau socc<irso
Col periglio vicino, anzi presente,
E con r arme e con V impeto nemico
I tuoi nuovi ripari e '1 muro amico.
42. Noi (se lece a me dir quel , eh' io ne
Siamo in forte <:ìuà di sito e d' arte;
Ma di marchine grande e violento
Apparato sì fa dall' altra parte.
Quel che sarà , non so ; spero , e pavento
I giudi'/j iru:ertissimi di IMurfe,
E temo, che h a noi più >i.i ristretto
L' assedio, alfiu dì cibo avrcm difetto:
43. Perocché quegli armenti e quelle biade,
CIk; jcr tu ri(u;ttasti (tntro lo, mura,
Mentre nel campo a insanguinar h; spade
S' attcndca solo, e fu somma ventura,
(Piccini esca a gran f.ime) ampia citlado
Nutrir mal pinuio, se V assedio dura:
E forza è pur <:lie duri , an<'ori'liè \<'gn,'i
L' uste d' Egitto il dì, eh' ella disegna.
44. Ma che fia, se più tarda? Orsù concedo,
(yhc tua npemc prevenga, e sue promesse:
La \iltoria però, però non ^edo
Liltcratt', oh signor, U: mura opiiresse.
(JiMnlialtcrcmo, oh re, on quel (ìoirredo,
E con (jue' duci . e con lo genli i.-.te^se,
VAw. iiìutv, %()lle bau già i-otti e di<per.->i
Gli Arubi, i Tuichi, i buriani , u i l'erdi.
sento) '
45. E quali sian, tu '1 sai, che lor redeeti
Sì spesso il campo, oh valoroso Argante,
E sì spesso le spalle anco volgesti,
Fidando assai nelle veloci piante!
E '1 sa Clorinda teco, ed io con questi:
Ch' un più dell' altro non convien si vante.
Né incolpo alcuno io già: che vi fu mostro.
Quanto potea maggiore il valor nostro.
40. E dirò pur, benché costui di morte
Bieco minacci, e '1 vero «dir si sdegni,
Veggio portar 'da inevitabil sorte
Il nemico fatale a certi see;ni.
JNe gente p:)tra mai, né muro forte
Impedirlo così, eh' alfin non regni
Ciò mi fa dir (sia testimonio il cielo!)
Del signor, della patria amore e zelo.
47. Oh saggio il re di Tripoli, che pare
Scjìpe imiietrar da' Franriii, e reguo insieme!
3Ia il snidano ostinato o morto or giace,
Oppur servii catena il pie gli preme,
O neir esiglio tinudo e fugace
Si va serbando alle miserie estremo.
Eppur cedendo parte, avria potuto
Parte salvar co' doni e col tributo.
48. Così diceva, e s' avvolgea costui
Con giro di parole obbliquo e incerto;
Ch' a chieder pace , a farsi uom ligio altrui
fJià non ardia di eon-igliarlo aperto.
Ma sdegnoso il snidano i detti sui
Non polca omai più sostener coperto.
Quando il mago gli disse: or vuol tu darli
Agio , signor , eh' in tal maniera parli .''
49. Io per me, gli risponde, or qui mi celo
Cnntra mio grado , e d' ira ardo e di scorno.
Ciò disse appena, e immantinente il velo
Della nube, che stesa è lor d' intorno.
Si fende, e purga nell' aperto cidlo,
Ed ei riman nel luminoso giorno,
E niagnanimanu'ute in fiero viso
Uifulge in mezzo , e lor parla improrAÌso :
50. lo, di cui si ragiona, or son presente.
Non fugace e non lin»ido sobiauo.
Ed a costui , eh' egli é codardo e niente^
M' oflero di provar con questa mano.
Io, die sparsi di sangue ampio torre:ite.
Che montagne di strage alzai sul piano,
CiiiuM) nel vallo de' nemici, e pri\o
Alfin <r ogni compagno, io fuggitivo.'
51. Ma se più questi, o s' altri a lui simile.
Alla sua patria, alla sua ftile iiifìdo.
Molto osa far d' accordo infaiiie e \ile,
IJiioii re (>ia con tua p.icel ) io qui T ucrido.
(•'li iigiri e i lupi (i.in jiiunti in un i>\'ìIl\
E If colomlie e i serpi in ui\ sol i.iilo,
l'riiu.ulH" mai di non di-cord»; coglia
Noi co' I'"raiice.-i alcuna terra acct.i^lia.
52. Ticn Bu la spada, mcntr' li sì favella,
I.a lìcra de...tra in minaccevol atto.
Him.in ( i,is( uno a quel pari, ire, a qudia
Oniliil faccia, muto e stitiicfatto.
poscia con \i-la mcu turbala e fella
Cortesemente inverso il re h' è tratio.
Spera, gli dice, alto signor! eh' io rtuio
Non poco iijulo: or Solimano e lece.
[123]
GERUSALEMME LIBERATA. (X. 53—68)
[124]
53. Aladin, eh' a lui contra era gi<i sorto.
Risponde: oh come lieto or qui ti Veggio,
Diletto amico! Or del mio stuol, eh' è morto,
Non sento il danno; e l)en temca di peggio.
Tu lo mio stabilire, e in tempo corto
Puoi ridrizzare il tuo caduto seggio,
Se 'l ciel noi vieta. Indi le braccia al collo,
Cosi detto, gli stese, e circondollo.
54. Finita l' accoglienza, il re concede
Il suo medcsmo soglio al gran Aiceno.
EMi poscia a sinistra in nobil sede
Si'' pone, ed al suo fianco alluoga Israeno.
E mentre seco parla, ed a lui chiede
Di lor \enuta, ed el risponde appieno,
L' alta donzella ad onorar in pria
Vien Solimano: ogni altro indi seguia.
55. Seguì fra gli altri Ormusse, il qual la schiera
Di quegli Arabi suoi a guidar tolse,
E mentre la battaglia ardea più fera.
Per disusate vie così s' avvolse,
Ch' ajutando il silenzio e l' aria nera,
Lei salva alfin nella città raccolse,
E con le biade e co' rapiti armenti
Aita porse all' affamate genti.
5G. Sol con la faccia torva e disdegnosa
Tacito si rimasse il fier Circasso,
A guisa di leon , quando si posa.
Girando gli occhi , e non movendo il passo.
Ma nel soldan feroce alzar non oj^a
Orcano i"l volto , e' 1 tien pensoso e basso.
Così a consiglio il palestin tiranno,
E l re de' Turchi, e i cavalier qui stanno.
57. Ma il pio Goffredo la vittoi-ìa e i vinti
Avea seguiti , e libere le vie,
E fatto intanto ai suoi guerrieri estinti
L' ultimo onor di sacre esequie e pie ;
Ed ora agli altri impon , che siano accìnti
A dar l' assalto nel secondo die,
E con maggiore e più terribil faccia
Di guerra i chiusi barbari minaccia.
58. E perchè conosciuto avea il drappello,
Ch' ajiitò lui contra la gente infida,
Esser de' suoi più cari, ed esser quello,
Che già segui l' insidiosa guida,
E Tancredi con lor, che nel castello
Prigion restò della fallace Armida,
]\ella presenza sol dell' eremila,
E d' alcuni più saggi a se gì' invita,
59. E dice lor: prego, che alcun racconti
De' vostri brc^i errori il dnbliio corso,
E come poscia vi trovaste pronti
In sì grand' uopo a dar si gran soccorso.
Vergognando tenean basse le fronti;
C'ir «ra al lor picciol fallo amaro morso.
Alfin del re britanno il chiaro figlio
Ruppe il silenzio, e disse alzando il ciglio:
CO. Partimmo noi, che fuor dell' urna a sorte
Tratti non fumiiu», ognun per sé nascoso,
D' amor, noi nego, le fallaci scorte
Seguendo , e d' un bel volto insidioso.
Per vie ne trasse disusate , e torte
Fra noi discordi, e in sé ciasciui geloso.
Nutrian gli amori e i nostri sdegni (ahi tardi
Troppo il conosco) or parolettc, or guardi.
61. Alfin giungemmo al loco , ove già scese
Fiamma dal cielo in dilatate falde,
E di natura vendicò l' oll'ese
Sovra le genti in mal oprar sì salile.
Fu già terra feconda, almo paese;
Or acq.ie son bituminose e calde,
E steril lago: e quanto ei torce e gira,
Compressa è l' aria , e grave il puzzo s]>Ira.
62. Questo è lo stagno , in cni nulla di greve
Si j;etta mai, che giimga insino al basso,
3Ia in guisa pur d' abete o d' orno leve
L' uom vi sornuota, e '1 duro ferro e '1 sasso.
Siede in esso un castello , e stretto e breve
Ponte concede a' peregrini il passo.
Ivi n' .accolse, e non so, con qual arte
Vaga è là dentro, e ride ogni sua parte,
63. V è r aura molle, e '1 ciel sereno, e lieti
Gli alberi e i prati, e pure e dolci V onde;
Ove tra gli anicaissimi mirteti
Sorge una fonte, e un fiumicel diffonde.
Piovono in grembo all' erbe i sonni queti
Con un soave mormorio di fronde:
Cantan gli augelli: i marmi io taccio e 1' oro,
Meraviiiliosi d' arte e di lovoro.
64.
Apprestar sull' erbetta, ov' è più densa
L' oml)ra , e vicino al suon dell' acque chiare,
Fece dì sculti vasi altera mensa,
E ricca di vivande elette e care.
Era qui ciò , eh' ogni stagion dispensa,
Ciò, che dona la terra , o manda il mare,
Ciò, che r arte condisce, e cento belle
Servivano al convito accorte ancelle.
65
Ella d' un parlar dolce e d' un bel riso
Temprava altrui cibo mortale e rio.
Or mentre ancor ciasciuio a mensa assiso
Beve con lungo incendio un lungo obblio,
Sorse , e disse : or qui riedo ; e con un viso
Ritornò poi non sì tranquillo e pio.
Con una man pic( iola verga scote,
Tien r altra un libro, e legge in basse note.
68. Legge la maga; ed io pensiero e voglia
Sento mutar, mutar vita ed albergo.
(Strana virtù!) no^o piacer m' invoglia;
Salto nell acqua, e mi vi tuffo e immergo.
Non so, come ogni gamba entro s' accoglia;
Come r un braccio e l' altro entri nel tergo:
M' accorcio e stringo ; e sulla pelle cresce
Squamoso il cuojo, e d' uom son fatto un pesce.
67. Così ciascun degli altri anco fu volto,
E gniz'/ò meco in quel vivace argento.
Quale ailor mi foss' io, come di stolto,
A ano, V torlùdo sogno or meu rauunento.
Piai qnele alfin tornarci al proprii» volto ;
Ma tra la mera>iglia e lo spavento
IMnli era\am, quando turbata in vista
In tal guisa minaccia, e ne contrista:
68. Ecco a voi noto è il mio poter, ne dice,
E quanto stnra voi 1' imperio h«) pieno.
Pende dal mio voler, i^h' altri infelice
Perda in prigione eterna il ciel sereno,
Altri divenga augfllo , allri radice
Faiu-iii, «! germogli nel terrestre s<'no,
O clic s' induri in selce , o in m«>lle fonte
Si liqucfaccia, o vesta irsuta fronte.
125]
GERUSALEMME LIBERATA. (X. 69— 78)
[126]
69. Ben potete schivar 1' aspro mio sdegno,
Quando seguire il mio piacer v' aggrada,
Farvi pagani, e per lo nostro regno
Centra 1' empio Buglion mover le spade.
Ricusar tutti , ed abborrir 1' indegno
Patto: solo a Rambaldo il persuade:
Koi (che non vai difesa) entro ima buca
Di lacci avvolse, ove non è che luca.
IO. Poi nel castello istesso a sorte venne
Tancredi, ed egli ancor fu prigioniero.
Ma poco tempo in carcere ci tenne
La falsa maga: e (»' io n' intesi il vero)
Di seco trarne da queir empia ottenne
Del signor di Damasco un messaggiero,
Ch' al re d' Egitto in don fra cento armati
Ke conduceva inermi e incatenati-
li. Cobi ce n' andavamo : e , come 1' alta
Provvidenza del ciclo ordina e move.
Il buon Rinaldo, il qual più sempre esalta
La gloria sua con opre eccelse e rove,
In noi s' avviene , e i cavalieri assalta
Kostri custodì , e fa 1' usate prove :
Gli uccide e vince, e di quell' arme loro
Fa noi vestir, che nostre ili prima foro.
|j3. Io '1 vidi, e '1 vider questi, e da lui porta
I Ci fu la destra , e fu sua voce udita.
I Falso è il romor, clic qui risuona, e porta
Sì rea novella; e salva è la sua vita.
Ed oggi è il terzo dì , che con la scorta
D' un peregrin fece da noi partita,
Per girne in Antiochia; e pria depose
L' arme, che rotte aveva e sanguinose.
23. Così parlava, e 1' eremita intanto
Volgeva al cielo 1' una e 1' altra luce.
F^on un color , non serba un volto : oh qimr.to
Più sacro e venerabile or riluce 1
Pieno di Dio , ratto dal zelo , accanto
All' angeliche menti ci si conduce.
Gli si svela il futuro , e neir eterna
Serie degli anni e dell' età «' interna:
74. E la bocca sciogliendo in maggior suono,
Scopre le cose altrui , eh' indi verranno.
Tutti conversi alle sembianze, al tuono
XJeir insolita voce attenti stanno.
Vive, dice, Rinaldo, e le altre sono
Arti e bugie di femminile inganno.
^ ive , e Li vita giovinetta acerba
A più mature glorie il ciel riserba.
"JS. Presagi sono, e fanciulleschi affanni
Questi, ond' or 1' A»ia lui conosce e noma.
Ecco chiaro "^e^g' io correndo gli anni,
Ch" egli s' oppone all' empio angusto e '1 doma :
E sotto r ombra degli argentei vanni
L' aquila sua copre la chiesa e Roma ,
Che della fera avrà tolte agli artigli:
£ ben di lui nasceran degni i figli.
76. De' figli i figli, e chi verrà da quelli.
Quinci avran chiari e memorandi esempj,
E da' cesari ingiusti, e da' rubelli
Difenderan le mitre e i sacri tempj.
Premer gli alteri, e sollevar gì' imbelli.
Difender gì' innocenti , e punir gli empj,
Pian r arti lor. Così verrà , che vole
L' aquila estense oltra le vie del sole.
77. E dritto è ben, che, »e '1 ver mira e '1 lume,
Ministri a Pietro i folgori mortali.
L' per Cristo si pugni, ivi le piume
Spiegar dee sempre invitte e trionfali :
Che ciò per suo nativo alto costume
Dielle il cielo, e per leggi a lei fatali:
Onde piace lassù, ch" a questa degna
Impresa, onde partì, chiamato vegna.
78. Con questi detti ogni timor di>caccia
Da Rinaldo concetto il saggio Piero.
Sol nel plauso comune avvien, che taccia
Il pio Buglione immerso in gran pensiero. ,
Sorge intiuito la notte , e sulla faccia
Della terra distende il velo nero.
Vansene gli altri , e dan le membra al sonno :
Ma i suoi pensieri in lui dormir non ponno.
GERUSALEMME LIBERATA. (XL 1 — 12)
[128]
CANTO UNDECIMO.
ARGOMENTO,
Prima con sacri prieglii a Dio s' inchina.
Indi assalta Sion t' oste cristiana,
Patc lo scosso muro alta ruina.
Fa difesa Clorinda acerba , e strana,
E piaga il duce pio, cui medicina
lisca V angcl del del, che tosto il sana.
Ried' egli in campo, poi combatte, e rompe.
Ma le vittorie sue notte interrompe.
Ma 1 capitan delle crisfiane genti,
Volto avendo all' assalto ogni pensiero.
Giva apprestando i bellici instriimenti,
Quando a lui venne il solitario Piero,
E . trattolo in disparte, in tali accenti
Gli parlò venerabile e severo:
Tu muovi, oh capitan, 1' armi terrene?
Ma di là non cominci, onde conviene-
Sia dal cielo il principio ! invoca innanti
Nelle preghiere pubbliche e devote
La milizia degli angeli e de' santi,
Che ne impetri vittoria ella, che puote!
Preceda il clero in sacre vesti , e canti
Con pietosa armonia supplici note,
£ da voi, duci gloriosi e magni,
Pietate il volgo apprenda, e v' accompagni!
Cosi gli parla il rigido romito;
J'] '1 buon Goffredo il saggio avviso approva.
Servo, risponde , di Gesù gradito.
Il tuo consiglio di seguir m: giova.
Or mentre i duci a venir racco invito,
Tu i pastori de' popoli ritrova,
Guglielmo ed Ademaro, e vostra sia
La cura della pompa sacra e pia!
Kel seguente mattino il vecchio accoglie
Co' duo gran sacerdoti altri minori,
Ov' entro al vallo tra sacrate soglia
Soicaiisi celebrar divini onori.
Quivi gli nitri ve.-tir candide spoglie,
\e.stir dorato auiumnlo i duo pastori,
C'Ite, bipartito sovra i bianchi lini,
S' affibbia al petto , e incoronaro i crini.
Va Piero solo innanzi , e spiega al vento
Il 8egn(» riverito in paradiso,
K segue il (-oro a pas-io grave e lento
In duo liuiglii-^iuii «uilini diviso.
Allernan<!(i fai can doppio concento
In kupplii'lievoi canto e in umil viso,
K, chiuilerido le scliicre, ivano a paro
1 prir.c'pi Guglielmo ed Ademaro.
6. Venia poscia il Bnglion, pnr come è l' uso
Di capitan , senza compagno allato.
Seguiano a coppia i duci, e non confuso
Seguiva il campo a lor difesa armato.
Sì procedendo se n' uscia del chiuso
Delle triucere il popolo adunato :
Né s' udian trombe , o suoni altri feroci.
Ma di pietate e d' umiltà sol voci.
7. Te, genitor, te, figlio eguale al padre,
a te , che d' ambo uniti amando spiri,
E te, d' uomo e di Dio vergine madrQ,
Invocano propìzia ai lor desiri.
Oh duci e voi , che le fulgenti squadcfl
Del ciel movete in triplicati giri.
Oh divo, e te, che della diva fronte
La monda umanità lavasti al fonte.
8. Chiamano e te , che sei pietra e sostegno
Della magion di Dio fondata e forte.
Ove ora il nuovo successor tuo degno
Di grazia e di perdono apre le porte;
E gli altri messi del celeste regno.
Che divulgar la vincitrice morte,
E quei, che 'l vero a confermar seguirò,
Testimonj di sangue e di martiro;
9. Quegli ancor , la cui penna , o la favella
Insegnata ha del ciel la via smarrita;
E la cara di Cristo e fida ancella,
Ch' elesse il ben della più nobil vita;
E le vergini chiuse in casta cella.
Che Dio con alte nozze a sé marita;
E queir altre, magnanime ai tormenti,
Sprezzatrici de" regi e delle genti.
10. Cosi Ccintando il popolo devoto
Con larghi giri si dispiega e stende,
E drizza all' Oliveto il lento moto.
Monte , che dall' olive il nome prende,
Monte per sacra fama al mondo noto,
Ch' orientai contra le mura ascende,
E sol da quelle il parte e ne '1 discosta
La cupa Giosafà, che in mezzo è posta.
11. Colà s' invia 1' esercito canoro,
E ne suonau le valli ime e profonde,
E gli alti colli e le spelonche loro,
E da ben mille parti eco risponde ;
E quasi par, che boschereccio coro
Fra quegli antri si celi e in quelle fronde:
Sì cliiaramaute replicar s' udia
Or di Cristo il gran nome, or di Maria!
12. D' in sulle mura ad ammirar frattanto
Cheti si stanno e attoniti i pagani
Que' tardi avvolgimenti , e 1' umil canto,
E 1' incognite pompe , e i riti estrani.
Poiché cessò dello spettacol santo
Jja novitate , i mi>eri profani
Alzar le strida, e di bestemmie e d' onto
Mu;
il torrente , e la gran valle , o '1 monti
[129]
GERUSALEMME LIBERATA. (XI. 13—28)
[130]
13. Ma dalla casta melodìa soave
La gente di Gesù però non tace,
Né si volge a que' gridi , o cura n' ave
Più, che di stormo avria d' augei loquace.
Né, perchè strali avventino, ella pavé,
Che giungano a turbar la santa pace
Di sì lontano; onde a suo fin ben puote
Condur le sacre incominciate note.
14. Poscia in cima del colle ornan 1' altare,
Che di gran cena al sacerdote è mensa;
E d' ambo i lati luminosa appare
Sublime lampa in lucid' oro acccnsa.
Quivi altre spoglie, e pur dorate, e care
Prende Guglielmo , e pria tacito pensa,
Indi la voce in chiaro suon dispiega,
Se stesso accusa, e Dio ringrazia e prega.
15. Umili intorno ascoltano i primieri,
Le viste i più lontani almen v' han fisse.
Ma poiché celebrò gli altri misteri
Del puro sacrificio: Itene, ei disse,
E in fronte alzando ai popoli guerreri
La man sacerdotal, li benedisse.
AUor sen ritorniir le squadre pie
Per le dianzi da lor calcate vie.
16. Giunti nel vallo , e 1' ordine dìsciolto,
Si rivolge Goffredo a sua magione,
E 1' accompagna stuol calcato e folto
Insino al limitar del padiglione.
Quivi gli altri accomiata, indietro volto,
Ma ritien seco i duci il pio Buglione,
E li raccoglie a mensa , e vuol , eh' a fronte
Di Tolosa gli sieda il vecchio conte.
17. Poiché de' cibi il naturai amore
Fu in lor ripresso , e 1' importuna sete.
Disse ai duci il gran duce: al nuovo albore
Tutti all' assalto voi pronti sarete.
Quel fia giorno di guerra e di sudore;
Questo sia d' apparecchio e di quiete!
Dunque ciascun vada al riposo, e poi
Sé medesmo prepari, e i guerrier suol!
18. Tolser essi congedo, e manifesto
Quinci gli araldi al suon di trombe fero,
(yh' Cì-sere all' arme apparecchiato e presto
Dee con la nuova luce ogni guerriero.
Cosi in parte al ristoro, e in parte questo
Giorno si diede all' opre, ed al pensiero.
Sinché fé' nuova tregua alla fatica
La cheta notte, del riposo amica.
li). Ancor dubbia 1' aurora, ed immaturo
Ncir oriente il parto era del giorno;
Né ì terreni fendea V aratro duio.
Né fea il pastcuc ai prati anco ritorno.
Stava tra i rami ogni angcilin securo,
E in selva non s' uilia latrato, o corno,
Quando a cantar la mattutina tronilta
Comincia all' aruie, all' arme il ciel rimbomba.
20. All' arme, all' arme subito ripiglia
Il grido univcrsal di cento siliicrc.
Sorge il Iurte Goffredo , <• già non piglia
La gran cora/./a usata, o le scliiuiere;
Ne veste un' altra, ed lui pedon Homiglia
In arme spedilissinu; e leggiere:
Ed indosso aM-a già 1' agcMil ponilo.
Quando gli sovraggiunse il buon Kaimondo.
21. Questi veggendo armato in cotal modo
Il capitano, il suo pensier comprese.
Ov è, gli disse, il grave usbergo e sodo?
Ov' è, signor, l' altro ferrato arnese.''
Perchè sei parte inerme.'' Io già non lodo,
Che vada con sì debili difese.
Or da tai segni in te ben argomento.
Che sei di gloria ad umil meta intento.
22. Deh, che ricerchi tu .'' privata palma
Di salitor di mura.'' Altri le saglia,
Ed esponga men degna ed util alma
(Rischio debito a lui) nella battaglia !
Tu riprendi, signor, 1' usata salma,
E di te stesso a nostro prò ti caglia!
L' anima tua, mente del campo e vita.
Cautamente , per Dio , sia custodita !
23. Qui tace ; ed ei risponde : or ti sia noto.
Che quando in Chiaramente il grande Urbano
Questa spada mi cinse , e me devoto
Fé' cavalier 1' onnipotente mano,
Tacitamente a Dio promisi in voto
Non pur 1' opera qui di capitano,
Ma d' impiegarvi ancor, quando che fosse,
Qual privato guerrier 1' arme e le posse.
24. Dunque posciachè fian contra i nemici
Tutte le genti mie mosse e disposte,
E eh' appieno adempito avrò gli uffici,
Che son dovuti al principe dell' oste,
Ben è ragion (né tu , credo , il disdici)
Ch' alle mura pugnando anch' io m' accoste,
E la fede promessa al cielo osservi.
Egli mi custodisca e mi conservi !
25. Così concluse : e i cavalier francesi
Seguir r esempio, e i duo minor Buglioni.
Gli altri prinripi ancor men gravi arnesi
Parte vestirò, e si mostrar pedoni.
Ma i pagani frattanto erano ascesi
Là , d()^ e ai sette gelidi trioni
Si volge, e piega all' occidente il muro.
Che nel più facil sito è men securo.
26. Perocch' altronde la città non teme
Dall' assalto nemico offesa alcuna,
Quivi non pur 1' empio tiranno insieme
Il forte vulgo , e gli assoldati aduna.
Ma ciiiama ancora alle fatiche estreme
Fanciulli e x-cchj 1' ultima fortuna:
E van (juesti portando ai più gagliardi
Calce, zolfo, biltuuc, e sassi, e dardi,
27. E di macchine, e d' armi han pieno innante
Tutto quel muro, a cui soggiace il piano.
E qiiiiii-i in foruui d' orrido gigante
Dalla cintida in su sorge il soliiano;
Quindi tra merli il minaciioso Argante
'lorr«'ggia, e di.NCoperto è di huitano,
E in sulla tture alli.->!-iuia angolare
Sovra tulli Clorinda eccelsa appare.
28. A costei la farcir. i e "I gra^e incarco
Dell' acute quadrrlla al tergo pende.
Ella già nelle mani iia preso 1' arco,
E già lo strai >' ha sulla corda, e '1 tende;
E desiosa di ferire , al varco
I.a bella arciera i suoi nt-mici attende.
Tal già credean la %«rgiiie di Delo
'ira r allo nubi saettar dal cielo.
1»
[131]
GERUSALEMME LIBERATA. (XI. 29 — 44)
[132]
29. Scorre più sotto il re canuto a piede
Dall' una all' altra porta ; e'n sulle mura
Ciò, che prima ordinò, cauto rivede,
E i difensor conforta e rassicura,
E qui gente rinforza, e là provvede
Di maggior copia (V arme, e '1 tutto cura.
Ma se ne van 1' afflitte madri al tempio
A ripregar nume bugiardo ed empio:
30. Deh , spezza tu del predator francese
L' asta, signor, con la man giusta e forte,
E lui, che tanto il tuo gran nome offese.
Abbatti, e spargi sotto 1' alte porte!
Cosi dicean; nò fur le voci intese
Laggiù tra '1 pianto dell' eterna morte.
Or mentre la città s' appresta e prega.
Le genti e 1' armi il pio Buglion dispiega.
81. Tragge egli fuor 1' esercito pedone
Con molta provvidenza e con beli' arte,
E contra il muro , eh' assalir dispone.
Obliquamente in duo lati il comparte.
Le baliste per dritto in mezzo pone,
E gli altri ordigni orribili di Marte,
Onde in guisa di fulmini si lancia
Ver le merlate cime or sasso, or lancia:
Z3. E mette in guardia i cavalicr de' fanti
Da tergo, e manda intorno i corridori.
Dà il segno poi delia battaglia, e tanti
I sagittari sono, e i frombatori,
E r armi delle macchine vfdanti,
Che scemano fra i merli i difensori.
Altri v' è morto, e '1 loco altri abbandona:
Già men folta del muro è la corona.
83. La gente franca impetuosa e ratta
Allor, quanto più puote , affretta i passi,
E parte scudo a scudo insieme adatta,
E di quegli un coperchio al capo lassi,
E parte sotto macchine s' appiatta.
Che fan riparo al grandinar de' sassi.
Ed arrivando al fosso , il cupo e '1 vano
Cercano empirne, ed adeguarlo al piano.
Zi. Non era il fosso di palustre limo
(Che noi consente il loco) o d' acqua molle;
Onde r empiano, anc(»n;hè largo ed imo
Le pietre, i fasci, e gli alberi, e le zolle,
L' audacissimo Alcasto intanto il primo
Scopre la testa, ed una scala estolle;
E noi ritien dura gragnuola, o pioggia
Di fervidi bitumi, e su vi poggia.
3,^, Vedeasi in alto il fero Elvczio asceso
Mezzo r aereo calle aver fornito,
Segno a mille saette, e non ollcso
D' alcuna sì, che fermi il corso ardito,
Quando un ^asso ritondo e di gran peso,
Veloce, come di bombarda us<-.ito,
^ell' (Imo il coglie, e il risospinge a basso;
E "1 colpo vien dal lanciator circasso.
86. Non è mortai, ma grave il colpo, e 'I salto,
Siccir ci stordisce, e giace immobil pondo.
Argante albir in siion feroce ed aito:
Caduto è il primo; (ir chi <errà tiocondo ?
Che non u^cite a maiiil'esto assalto.
Appiattati guerricr, h io non m' ascondo.'
Non gioveranvi le »;aì<rne e-itrane.
Ma vi morrete come belve in tane.
37. Cosi die' egli: e per suo dir non cc&sa
La gente occulta ; e tra i ripari cavi,
E sotto gli ititi scudi unita e spessa
Le saette sostiene e i pesi gravi.
Già r ariete alla muraglia appressa
Macchine grandi, e smisurale travi,
Ch' han testa di monton ferrata e dura.
Tcmou le porte il cozzo , e 1' alte mura.
38. Gran mole intanto è di lassù rivolta
Per cento mani al gran bisogno pronte,
Che sovra la testuggine più folta
Ruina, e par, che vi trabocchi un monte;
E degli scudi 1' union disciolta
Più d' un elmo vi frange e d' una fronte,
E ne riman la terra sparsa e rossa
D' armi, di sangue, di cervella, e d' ossa.
39. L' assalitore allor sotto al coperto
Delle macchine sue più non riparai
Ma dai ciechi perigli al rischio aperto
Fuori se n' esce , e sua virtù dichiara.
Altri appoggia le scale, e va per V erto;
Altri per(uu)te i fondamenti a gara.
Ne crolla il muro , e ruinoso i fianchi
Già fessi mostra all' impeto de' Franchi.
IO. E ben cadeva alla percosso orrende,
Che doppia in lui l' espugnator montone ;
Ma sin da' merli il popolo il difende
Con usata di guerra arte e ragione;
Cli' ovunque la gran trave in lui si stende,
Cala fasci di lana, e li frappone.
Prende in sé le percosse, e fa più lente
La materia arrendevole e cedente.
il. Mentre con tal valor s' erano strette
L' audaci schiere alla tenzon murale,
Curvò Clorinda sette volte, e sette
Rallentò 1' arco, e n' avventò lo strale:
E quante in giù se ne volar saette,
Tante s' insanguloaro il ferro e l' ale,
Non di sangue plebeo , ma del ]ììh degno :
Che sprezza quell' altera ignobil segno.
42. Il primo cavalicr, eh' ella piagasse,
Fu r erede minor del rege inglese.
Da' suoi ripari appena il capo ci trasse.
Che la mortai percossa in lui discese;
E che la destra man non gli trapasse.
Il guanto dell' acciar nulla contese ;
Sicché inabile all' armi ci si ritira
Fremendo, e meno di dolor, che d' ira.
43. Il buon conte d' Ambuosa in ripa al fosso,
E sulla scala poi Clotareo il franco,
Quegli morì trafitto il petto e '1 dosso.
Questi dall' un pas-ato all' altro fianco.
Sospingeva il monton, quando è percosso,
Al signor de' Fiaminghi il braccio nranco.
Sicché tra via s' all<-nta, e vuol poi trarne
Lo strale, e resta il ferro entro la carne,
44. All' incatito Ademar, eh' era da lungo
I/a fera pugna a riguardar risolto,
La fatai canna arri\a, e in fronte il punge.
Stende ei la destra al loco, ove fu colto,
Quando nuova saetta ecco sorgiunge
Sovra la mano, e la configge al volto:
Oiid' egli cade, e fa del sangue sixro
Suir arme femminili ampio lavacro.
[133]
GERUSALEMME LIBERATA. (XI. fó — 60)
45. Ma non liinjji da' merli a Palamede,
-Mentre ardito disprezza ogni peri/jlio,
E su per gli erti gradi in drizza il piede,
Cala il settimo ferro al dentro ciglio;
E trapassando per la cava sede,
E tra i nervi dell' occhio , esce vermiglio
Di retro per la nuca. Egli trabocca,
E muore a pie dell' assalita rocca.
46. Tal saetta costei. Goffredo intanto
Con nuovo assalto i difensori opprime.
Avea condotto ad una porta accanto
Delle macchine sue la più sublime.
Questa è torre di legno, e s' erge tanto,
Che può del muro pareggiar le cime;
Torre, che grave d' uomini ed armata,
Mobile è sulle rote , e vien tirata !
47. Viene avventando la volubil mole
Lance e quadrella , e quanto può s' accosta;
E come nave in guerra a nave suole,
Tenta d' unirsi alla muraglia opposta.
Ma chi lei guarda, ed impedir ciò vuole.
Le urta la fronte, e l' una e 1' altra costa.
La respinge con 1' aste, e le percote
Or con le pietre i merli , ed or le rote.
48. Tanti di qua, tanti di là fur mossi
E sassi e dardi , eli' oscuronnc il cielo.
S' urtar duo nembi in aria , e là tornossi
Talor respinto , onde partiva , il telo.
Come di fronde sono i rami scossi
Dalla pioggia indurata in freddo gelo,
E ne caggiono i pomi anco immaturi.
Cosi cadeano i Saracin dai muri:
49. Perocché scende in lor più grave il danno,
Che di ferro assai meno eran guernitL
Parte de' vivi ancora in fuga vanno,
Della gran mole al fulminar smarritL
Ma quel, che già fu di Aicca tiranno,
Vi resta , e fa restarvi i pochi arditi.
E '1 fero Argante a contrapporsi corre.
Presa una trave , alla nemica torre,
50. E da sé la respinge e tien lontana,
Quanto 1' abete è lungo , e '1 braccio forte.
"\ i scende ancor hi vergine sovrana,
E de' perigli altrui si fa consorte.
I Franchi intanto alla pendente lana
Le funi rccideano e le ritorte
Con lunghe falci; onde cadendo a terra
Lasciava il muro disarmato in guerra.
51. Così la torre sopra, e più di sotto
L' impetuoso il batte aspro ariète;
Onde comincia ornai fttrato e rotto
A discoprir 1' interne vie scerete.
Essi non lunge il capitan condotto
Al conquassato e treuiulo par(*te,
^iel suo sciulo maggior tutto rinchiuso.
Che rade volte ha di portar in uso:
52. E quinci cauto riuiirandn spia,
E Hccndcr vedi^ Solimano abbasso,
E porsi alla difesa, ov(; >«' apria
Tra le mine il periglioso passo,
E rimaner dilla snbìiine via
('lorind.i in guardia, e 'I ca^nlier circasso.
Così guanla>a, e già sentiari il core
Tutto avvampar di generoso ardore.
[134]
53. Onde rivolto dice al buon Sigiero,
Che gli portava un altro scudo e V arco:
Ora mi porgi , o fedel mio scudiero,
Cotesto men gravoso e grande incarco !
Che tenterò di trapassar primiero
Su i dirupati sassi il dubbio varco.
E tempo è ben , che alcuna nobil opra
Della nostra virtute ornai si scopra.
51. Così, mutato scudo, appena disse,
Quando a lui venne una saetta a volo,
E nella gamba il colse, e la trafìsse
Nel più nervoso, ov' è più acuto il duolo.
Che di tua man , Clorinda , il colpo uscisse,
La fama il canta, e tuo i' onor n' è solo.
Se questo dì servaggio o morte schiva
La tua gente pagana, a te s' ascriva.
55. Ma il fortissimo eroe, quasi non senta
Il mortifero duol della ferita.
Dal cominciato corso il pie non lenta,
E monta su i dirupi, e gli altri invita.
Pur s' avvede egli poi , che noi sostenta
La gamba offesa troppo ed impedita,
E che inaspra agitando ivi 1' ambascia;
Onde sforzato alfln 1' assalto lascia:
.50. E chiamando il buon Guelfo a sé con mano,
A lui pavlava: io me ne vo costretto:
Sostien persona tu di capitano,
E di mia lontananza empi il difetto !
Ma picciol' ora io vi starò lontano :
Vado e ritorno; e si partia, ciò detto,
Ed ascendendo in un leggier cavallo,
Giunger non può, che non sia visto al vallo.
57. Al dipartir del cajiitan , si parte
E cede il campo la fortuna franca.
Cresce il vigor nella contraria parte,
Sorge la speme, e gli animi rinfranca,
E r ardimento col favor di Marte
Ne' cor fedeli , e l' impeto già manca.
Già corre lento ogni lor ferro al sangue,
E delle trombe istesse il suono langue.
58. E già tra' merli a comparir non tarda
Lo stuol fugace, che 'l timor caccionne:
E , mirando la vergine gagliarda,
Vero amor della patria arma le donne.
Correr le vedi , e collocarsi in guarda
Con chiouje sparse, e con succinte gonne,
E lanciar dardi, e non nutstrar paura
D' esporre il petto per l' amate mura.
59. E quel , eh' a' Franchi più spavento porge,
E 'l toglie ai difensor della cittade,
E, che '1 possente (ìiielfo (e se n" accorgo
Questo popolo e quel) percosso cade.
'J'ra mille il tro^a sua fortuna, e scorge
D' un sasso il eorso per lontane strade.
E da sembianti^ colpo al tempo stesso
Colto è Uaimondo ; onde giù rade anch' esso.
(ìO. Ed a>praiu('iite allora anco fu punto
Nella proda del t'o>so Ku^lazio ardito.
Né in questo ai Franchi fcutimoso punto
Contea lor da' nemici è colpo uscito,
(Cile n' ii-^cir molti) onde non sia disgiimto
Corpo dall' aluia, o non sia almen ferito.
E in tal prosp<-rità vieppiù feroce
Ui\cncndo il Circasso, alza la voce:
9 *
[135]
GERUSALEMME LIBERATA. (XI. 61 — 76)
136]
61
Non è questa Antiochia , e non è questa
La notte amica alle cristiane fi-odi.
Vedete il chiaro sol , la gente desta,
Altra forma di guerra, ed altri modi.
Dunque favilla in voi nulla più resta
Dell' amor della preda , e delle lodi ?
Che gì, tosto cessate, e siete stanche
Per breve assalto , oh Franchi no, ma Franche .''
62. Così ragiona; e in guisa tal s' accende
Nelle sue furie il cavaliero audace,
Che queir ampia città, eh' egli difende,
Non gli par campo del suo ardir capace,
E si lancia a gran salti, ove si fende
11 muro , e la fessura adito face,
Ed ingombra 1' uscita , e grida intanto
A Soliman, che si vedea d' accanto:
63. Soliman , ecco il loco , ed ecco 1' ora
Che del nostro valor giudice sia.
Che cessi ? o di che temi ? or costà fuora
Cerchi il pregio sovran , chi piìi '1 desia !
Così gli disse : e 1' uno e 1' altro allora
Precipitosamente a prova uscia,
L' un da furor , 1' altro da onor rapito,
E stimolato dal feroce invito.
64. Giunsero inaspettati ed improvvisi
Sovra i nemici, e in parngon mostrarsi.
E da lor tanti fùr uomini uccisi,
£ scudi , ed elmi dissipati e sparsi,
E scale tronche, ed arièti incisi,
Che di lor parve quasi un monte farsi,
£ mescolati alle ruine alzaro
In vece del caduto altro ripai'O.
65. La gente, che pur dianzi ardi salire
Al pregio eccelso di mura! corona.
Non eh' or d' entrar nella cittade aspire,
Ma sembra alle difese anco mal buona,
E cede al nuovo assalto, e in preda all' ire
De' duo guerrier le macchine abbandona.
Che ad alta guei'ra ornai saran mal atte :
Tanto è '1 furor , che le percote e batte !
66. L' uno e 1' altro pagan, come il tra^^porta
L' impeto suo, già più e più trascorre;
Già '1 foco chiede ai cittadini, e porta
Duo pini fiammeggianti in\er la torre.
Colali uscir dalla tartarea porta
Sogliono , e sottosopra il numdo porre
Le ministre di Fiuto empie sorelle,
Lor ceraste scuotendo e lor facelle.
67. Ma r invitto Tancredi, il qual altrove
Confortava all' assalto i suoi Latini,
Tostochè vide 1' incredibil prove,
E la gemina fiamma, e i duo gran pini.
Tronca in mc7.7.o le voci , e presto muove
A frcniir il furor de' Saracini,
E tal del suo valor dà seguo orrendo,
Che chi vinse e fugò, fugge or perdendo.
68. Cosi della battaglia or qui lo stato
Col variar della fortuna è volto.
E in questo mezzo il capitan piagato
Nella gran tenda sua già s' è raccolto
Col bu((n Sigier, con Baldovino allato,
Di mesti amici in gran concorso e folto.
Ei , che s' alIVctta , e di tirar s' alTaima
Della piaga lo stral , rompe la caima :
09. E la via più vicina e più spedita
Alla cura di lui vuol che si prenda.
Scoprasi ogni latebra alla ferita,
E largamente si risechi e fenda.
Rimandatemi in guerra, onde fornita
Non sia col dì, primach' a lei mi renda!
Così dice, e premendo il lungo cerro
D' una gran lancia, offre la gamba al ferro.
70. E già r antico Erotimo , che nacque
In riva al Po, s' adopra in sua salute.
Il qual dell' erbe e delle nobil' acque
Ben conosceva ogni uso, ogni virtutc.
Caro alle muse ancor; ma si compiacque
Nella gloria minor dell' arti mute.
Sol curò torre a morte i corpi frali,
£ potea far i nomi anco immortali.
71. Stassi appogiato, e con secura faccia
Freme immobile al pianto il capitano.
Quegli in gonna succinto , e dalle braccia
Ripiegato il vestir, leggiero e piano'
Or con r erbe potenti invan procaccia
Trarne lo strale, or con la dotta mano,
E con la destra il tenta, e col tenace
Ferro il va riprendendo, e nulla face.
72. L' arti sue non seconda, ed al disegno
Par, che per nulla via fortuna arrida;
£ nel piagato eroe giunge a tal segno
L' aspro martir, che n' è quasi omicida.
Or qui r angel custode al duol indegno
Mosso di lui, colse dittamo in Ida,
Erba ciùnita di purpureo fiore,
Ch' have in giovani foglie alto valore:
73. £ ben mastra natura alle montane
Capre n' insegna la virtù celataj
Qualor vengon percosse, e lor rimane
Nel fianco affissa la saetta alata.
Questa , benché da parti assai lontane.
In un momento 1' angelo ha recata,
E , non veduto, entro le mediche onde
Degli apprestati bagni il succo infonde,
74. E del fonte di Lidia i sacri umori,
E r odorata panacea vi mesce.
Ne sparge il vecchio la ferita , e fuori
Volontario per sé lo strai se n' esce,
£ si ristagna il sangue , e già i dolori
Fuggono dalla gamba, e '1 vigor cresce.
Grida Erotimo allor : 1' arte maestra
Te non risana, o la mortai mia destra;
75. Maggior virtù ti salva : un angel , credo.
Medico per te fatto, è sceso in terra:
Che di celeste mano i segni vedo.
Prendi 1' arme! che tardi.'' e riedi in guerra!
Avido di battaglia il pio Goflrcdo
Già neir ostro le gambe avvolge e serra,
E r asta crolla smisurata, e imbraccia
Il già deposto scudo , e 1' elmo allaccia.
76. Usci del chiuso vallo, e si converse
Con mille dietro alla città percossa.
Sopra di polve il ciel gli si coperse,
Tremò sotto la terra al moto scossa;
E lontano appressar le genti avverse
D' alto il iniraro, e corse lor per l' ossa
Un tremor freddo , e strinse il sangue in gelo.
Egli alzò tre fiate il grido al cielo.
[137]
GERUSA LEMME LI BERATA. ( XL 77—86)
[138]
77. Conosce il popol suo 1' altera Toce,
E '1 grido eccitator della battaglia,
E riprendendo i' impeto , veloce
Di niioTO ancora alla tenzon si scaglia.
Ma già la coppia dei pagan feroce
Nel rotto accolta s' è della muraglia,
Difendendo ostinata il varco fesso
Dal liuon Tancredi, e da chi vien con esso.
78. Qtii disdegnoso giunge e minacciante,
Chiuso neir arme il capitan di Francia,
E 'n sulla prima giunta al fero Argante
L' asta ferrata fulminando lancia.
Nessuna murai macchina si vante
D' avventar con più forza alcuna lancia.
Tuona per 1' aria la nodosa trave:
V oppon lo scudo Argante, e nulla pavé.
79. S' apre lo scudo al frassino pungente.
Né la dura corazza anco il sostiene;
Che rompe tutte l' armi , e finalmente
Il sangue Saracino a sugger viene.
Ma si svelle il Circasso , e '1 duol non sente.
Dall' arme il ferro affisso e dalle vene,
E 'n Goffredo il ritorce: a te, dicendo,
Rimando il tronco, e 1' armi tue ti rendo.
80. L' asta, eh' offesa or porta, ed or vendetta,
Per lo noto sentier vola e rivola.
Ma già colui non fere, ov' è diretta;
Ch' egli si piega, e i capo al colpo invola.
Coglie il fedel Sigiero, il qual ricetta
Profondamente il ferro entro la gola,
Ne gli rincresce, del suo caro duce
Morendo invece, abbandonar la luce.
il. Quasi in quel punto Soliman percote
Con una selce il cavalier normando;
E questi al colpo si contorce e scote,
E cade in giù, come palèo, rotando.
Or più Goffredo sostener non puote
L' ira di tante offese, e impugna il brando,
E sovra la confusa alta mina
Ascende, e muove ornai guerra vicina.
83. E ben ei vi facea mirabil cose,
E contrasti seguiano aspri mortali;
Ma fuori uscì la notte , e 'l mondo ascose
Sotto il caliginoso orror dell' ali,
E r ombre sue pacifiche interpose
Fra tante ire de' miseri mortali,
Sicché cessò Goffredo, e fé' ritorno.
Cotal fin ebbe il sanguinoso giorno.
83. Ma priachè '1 pio Buglione il campo ceda,
Fa indietro riportar gli egri e i languenti;
E già non lascia a' suoi nemici in preda
L' avanzo de' suoi bellici tormenti.
Pur salva la gran torre avvien che rìeda,
Primo terror delle nemiche genti,
Comechè sia dall' orrida tempesta
Sdruscita anch' ella in alcun loco, e pesta.
84. Da' gran perìgli uscita ella sen viene
Giungendo a loco ornai di sicurezza.
Ma qual nave talor , eh' a vele piene
Corre il mar procelloso , e l' onde sprezza.
Poscia in vista del porto , o suU' arene,
O su i fallaci scogli un fianco spezza,
() qual destrier passa le dubbie strade,
E presso al dolce albergo incespa e cade :
85. Tale inciampa la torre, e tal da quella
Parte, che volse all' impeto de' sassi,
Frange due rote debili , sicch' ella
Kuinosa pendendo arresta i passi.
Ma le suppone appoggi, e la puntella
Lo stuol , che la conduce , e seco stassì.
Insinché i pronti fabbri intorno vanno
Saldando in lei d' ogni sua piaga il danno.
8G. Così Goffredo impone, il qual de.-iìa,
Che si racconci innanzi al nuovo sole;
Ed occupando questa e quella via,
Dispon le guardie intorno all' alta mole.
Ma '1 suon dalla città chiaro s' udia
Di fabbrili instrumenti e di parole,
E mille si vedean fiaccole accese.
Onde seppesi il tutto, o si comprese.
[139]
GERUSALEMME LIBERATA. (XII. 1 — 12)
[140]
CANTO DUODECIMO
ARGOMENTO.
Da guaì padri ella nacque, e come, e dove,
Pria dal custode suo Clorinda intende.
Poi col feroce Argante occulta move
Ver la torre nemica , e quella incende.
Fatte alfin con Tancredi ultime prove
Muore, ma nel morir vita riprende;
Che vita ha nel battesmo: e quegli intanto
2V' empie il cicl di sospiri, il suol di pianto.
1. Era la notte, e non prendean ristoro
Col sonno ancor le faticose genti.
Ma qui, vcgghiando nel fabbril lavoro.
Stavano i Franchi alla custodia intenti;
E là i pagani le difese loro
Gian rinforzando tremule e cadenti,
E rintegrando le già rotte mura;
£ de' feriti era comun la cura.
2. Curate alfin le piaghe, e già fornita
Dell' opere notturne era qnalch' una,
E rallentando 1' altre, al sonno invita
L' oraLra ornai fatta più tacita e bruna.
Pur non accheta la guerriera ardita
L' alma d' ouor famelica e digiuna,
£ sollecita 1' opre, ov' altri cessa.
Va seco Argante: e dice ella a gè stessa:
S. Ben oggi il re de' Turchi e '1 buon Argante
Fèr meraviglie inu:«itate e strane;
Che soli uscir fra tante schiere e tante,
E vi spez/àr le macchine cristiane,
lo (questo è il sommo pregio , onde mi vante)
D' alto rinchìu?:a oprai 1' arme lontane,
Sagittaria, noi nego, assai felice.
Dunque sol tanto a donna, e più non lice?
4. Quanto me' fora , in monte, od in foresta
Alle fere avventar dardi e quadrclla,
Ch' ove il maschio valor si manifesta,
Mostrarmi qui tra' ra^alier donzèlla?
Che non riprendo la femminea vesta,
S' io ne son degna, e non mi chiudo in cella?
(^(isì parla tra sé , pensa e risolve
Alfin gran cose, ed al guerrier si volve.
5. Buona pezza è, signor, che in sé raggira
l'n non so che d' insolito e d' andace
La mia mente inquieta, O Dio 1' ispira,
() r noni del suo voler suo Dio si face.
Fuor dfl vallo iiemi«',o accesi mira
1 lumi ! lo là n' andrò con ferro e face,
E la torre ard<-n>. Vogl' io , che questo
Efletto segua ; il cicl poi curi il resto !
6. Ma s' egli avverrà pur, che mia ventura
Nel mio ritorno mi rinchiuda il passo,
D' uom, che 'n amor m' è padre, a te la cur;
E delle fide mie donzelle io lasso.
Tu neir Egitto rimandar procura
Le donne sconsolate , e '1 vecchio lasso !
Fallo , per Dio , signor ! che di pietate
Ben è degno quel sesso e quella ctate.
7. Stupisce Argante, e ripercosso il petto
Da stimoli di gloria acuti sente.
Tu là n' andrai, rispose, e me negletto
Qui lascerai tra la volgare gente?
E da secura parte avrò diletto
Mirar il fumo e la favilla ardente?
No , no ! se fui nel!' armi a te consorte.
Esser vo' nella gloria e nella morte.
8. Ho core anch' io , che morte sprezza e cred
Che ben si cambi con 1' onor la vita.
Ben ne lèsti, diss' ella, eterna fedo
Con quella tua si generosa uscita:
Pur io femmina sono, e nulla riede
Mia morte in danno alla città smarrita;
Ma se tu cadi, (tolga il ciel gli auguri !)
Or chi sarà, che jiiù difenda i muri?
9. Replicò il cavaliero: indarno adduci
Al mio fermo voler fallaci scuse.
Seguirò 1' orme tue, se mi conduci;
Ma le precorrerò, se mi recuse.
Concordi al re n' andaro , il qual fra i duci,
E fra i più saggi suoi gli accolse e chiuse.
E incominciò Clorinda: oh Sire, attendi
A ciò, che dir vogliamti, e in grado il prendi
10. Argante qui (né sarà vano il vanto)
Quella macchina eccelsa arder promette,
lo sarò seco , ed aspettiam soltanto.
Che stanchezza maggiore il sonno nllettc.
Sollevò il re le palme, e un lieto pianto
Giù per le crespe guance a lui cadette:
E , lodato sia tu , disse , eh' ai servi
Tuoi volgi gli occhj, e '1 regno anco mi eervi
11. Nò già sì tosto caderà, se tali
Animi forti In sua difesa or sono.
3la qiial poss' io, coppia onorata, eguali
Dar ai meriti vostri o laude, o dono?
Laudi la fama voi con immortali
Voci di gloria, e '1 mondo empia del suono!
Premio v' è 1' opra stessa, e premio in parte
Vi fia del regno mio non poca parte.
12. Sì parla il re canuto , e si ristrìnge
Or questa, or quel teneramente al seno.
11 soldan, eh' è presente, e non infìnge
La generosa invidia, ond' egli è pieno,
Disse: nò questa spada invan si cinge:
Verravìi a paro, o p(»co dietro almeno.
Ah, rispose (ylorinda, andremo a questa
Impresa tutti? e se tu vicn', chi resta?
[141]
GERUSALEMME LIBERATA. (XH. IS— 28)
[142]
13. Cosi gli disse; e con rifiuto altero
Già s' apprestava a ricusarlo Argante;
Ma '1 re il prevenne , e ragionò primiero
A ^Solìman con placido sembiante:
Ben sempre tu , magnanimo guerriero,
Ne ti mostrasti a te stesso sembiante,
Cui nulla faccia di periglio unqnanco
Sgomentò, né mai fosti in guerra stanco.
14. E so, che fuori andando, opre faresti
Degne di te ; ma sconvenevol parmi,
Che tutti usciate, e dentro alcun non resti
Di voi, che siete i più famo>i in armi.
Nemmen consentirei, eh' andasser questi,
Che degno è il sangue lor che si risparmi.
Se 0 men util tal opra, o mi paresse,
Che fornita per altri esser potesse.
15. Ma, poiché la g^-an torre in sua difesa
D' ogn' intorno le guardie ha così folte,
Che da poche mie genti esser offesa
Non punte, e inopportuno è uscir con molte.
La coppia, che s' offerse all' alta impresa,
E 'n simil rischio si trovò più volto.
Vada felice pur ! eh' ella è ben tale,
Clic sola più che mille insieme vale.
16. 'Tu, come al regio onor più si conviene,
Con gli altri, prego, in sulle porte attendi!
E quando poi (che n' ho sicura spcne)
Ritornino essi, e desti abbian gì' incendi.
Se stuol nemico seguitando viene.
Lui risospingi, e lor salva e difendi!
Così 1' un re diceva: e 1' altro cheto
Rimaneva al suo dir, ma non già lieto.
17. Soggiunse allora Ismene : attender piaccia
A VOI, eh' uscir dovete, ora più tarda,
Sinché, di varie tempre un misto i' faccia,
Ch' alla macchina ostil s' appigli, e l' arda!
Forse allora avverrà , che parte giaccia
Di quello stuol, che la circonda e guarda.
Ciò fu concluso, e iu sua magion ciascuno
Aspetta tempo al gran fatto opportuno.
L8. Depon Clorinda le sue spoglie intente
D' argento , e 1' elmo adorno , e 1' armi {iltcre,
E senza piuma o fregio altre ne veste
(Infausto annunzio!) ruggino^e e nere,
Perocché stima agevolmente in queste
Occulta andar fra le nemiche schiere.
È quivi Arsete eunuco, il qual fanciulla
La nudrì dalle fasce e dalbi culla,
E per r orme di lei 1' antico fianco
D' ogn' intorno traendo or la segiiia.
Vede costui 1' armi ca;)gi.itc, ed anco
Del gran rischio t.' accorge, ov' ella gi'a,
E se n' aflligge; e per lo cria, clic bianco
In lei servendo Ita fatto , e per la pia
Memoria de' sut»' ul'(ii-i , instando prega,
Che dall' impresa ces.-i: ed ella il nega.
0. Ond' ci le dice alfiu: poiibé ritnxa
Si la tua mente nel «ik» mi. il s' indura,
Che né la stanca età , nò la pictos.i
Voglia, né i preghi mici, né il pianto rara,
Ti spiegherò più olire, e .saprai «•o.--a
Di tua con<li/i'(>M , che t' era o^iiini.
Poi tuo desir li guidi, o mio con^iiglio !
Ei seguo, ed ella innalza allenta il ciglio.
21. Resse già 1' Etiopia , e forse regge
Senapo ancor con fortunato impero.
Il qual del figlio di Maria la legge
Os.-erva, e l' osserva anco il popol nero.
Quivi io pagan fui servo, e fui tra gregge
D' ancelle avvolto in femminil mestiero,
Ministro fatto della regia moglie.
Che bruna è sì , ma il bruno il bel non toglie.
22. N' arde il marito, e dell' amore al foco
Ben della gelosia s' agguaglia il gelo.
Si va in guisa avanzando a poco a poco
Nel tormentoso petto il folle zelo.
Che da ogni uom la nasconde, e in chiuso loco
^'orria celarla ai tanti occhj del cielo.
Ella, saggia ed umil, di ciò,* che piftce
Al suo signor, fa suo diletto e pace.
23. D' una pietosa istoria , e di devote
Figure la sua stanza era dipinta.
Vergine bianca il bel volto , e le gote
Vermiglia, è quivi presso un drago avvinta.
Con r asta il mostro un cavalier percote;
Giace la fera nel suo sangue estinta.
Quivi sovente ella s' atterra, e spiega
Le sue tacite colpe, e piange e prega.
24. Ingravida frattanto, ed espon fuori
(E tu fosti colei) candida figlia.
Si turba, e degl' insoliti colori.
Quasi d' un nuovo mostro, ha mcra>iglia.
l\la , perché il re conosce e i suoi furori.
Celargli il parto alfin si riconsiglia:
Ch' egli avria dal candor, che in te ^i vede,
Argomentato iu lei non bianca fede.
25. Ed in tua vece una fanciulla nera
Pensa mostrargli poco dianzi nata.
E perché fu la torre , ove chius' era.
Dalle donne e da me solo abitata,
A me, che le fui servo, e con sincera
Mente 1' amai , ti die' non battezzata.
Né già poteva allor battesmo darti ;
Che r uso noi sostieu di quelle parti.
26. Piangendo a me ti porse, e mi commise,
Clr io lontana a nudrir ti conducessi.
Chi può dire il suo affanno, e in quante guise
Laguossi , e raddoppiò gli ultimi amplessi?
Bagnò i baci di pianto , e fùr divido
Le sue querele dai singulti spessi.
Levò alfin gli occhj, e disse : oh Dio, che sccrnl
L' opre più occullc, e nel mio cor t' interni,
27. Se immaculato é ques!o cor, se intat'.t*
Son queste membra, e 1 maritai mio letto,
(l'er me non prego, che milli; altri; ho f.ittc
IMìilviigilà, son ^ile al tuo cospetto)
Salva il parto innocente, al quale il latte
Nega la maitre del materno petto!
Ai\a, V sol d' onestate a me somigli,
L' esempio ili fortuna altronde pigli!
28. Tu, cehvte guerrier, che la don/ella
Togliesti del serpente agli eiiì|tj mi)r.'<ì,
S' accesi ne' tuo' altari umil faieH.i,
S' auro , o incenso oduralo iinqna li porsi,
Tu per h'i pre;ira sì, che fida aiiceila
l'i)s<a in ogni l'oi-tuiia a le raccorsi !
Qui tacque, e '1 cor le si riiichiiue e tlriiise,
E di pallida morte si dipinse.
[1*3]
GERUSALEMME LIBERATA. (XII. 29— 44)
[144;
29. Io piangendo ti presi, e in breve cestii
Fuor ti portai tra fiori e fronti ascosa;
Ti celai da ciascun , che né di questa
Diedi sospetto altrui, né d' altra cosa.
Me n' andai sconosciuto , e , per foresta
Camminando di piante orrida ombrosa.
Vidi una tigre, che minacce ed ire
Avea negli occhj, incontro a me venire.
30, So^Ta un arbore i' salsi, e te snir erba
Lasciai ; tanta paura il cor mi prese !
Giunse 1' orribil fera , e la superila
Testa volgendo, in te lo sguardo intese.
Mansuefece, e raddolcio 1' acerba
Vista con atto placido e cortese,
Lenta poi s' avvicina, e ti fa vezzi
Con la lingua, e tu ridi , e i' accarezzi,
31, Ed, ischerzando seco, al fero muso
La pargoletta man secura stendi.
Ti porge ella le mamme , e come è 1' uso
Di nutrice, s' adatta, e tu le prendi.
Intanto io miro timido e confuso.
Come uom farla, nuovi prodigi orrendi.
Poiché sazia ti vede omai la belva
Del suo latte , ella parte , e si riusciva :
32, Ed io giù scendo e ti ricolgo, e torno
Là, 've prima fùr volti i passi miei,
E, preso in picciol borgo alfin soggiorno,
Cclatamente ivi nutrir ti fei.
Vi stetti, insinché '1 sol correndo intorno
l'orto a' mortali e diece mesi e sei.
Tu con lingua di latte anco snodavi
Voci indistinte, e incerte orme segnavi,
33. Ma sendo io colà giunto , ove dechina
L' ctate ornai cadente alla vecchiezza,
Ricco e sazio dell' or, che la regina
Nel partir dicmmi con regale ampiezza.
Da quella vita errante e peregrina
Nella patria ridurmi ebbi vaghezza,
E tra gli antichi amici in caro loco
Viver temprando il verno al proprio foco.
34. Partomi, e ver 1' Egitto, ove son nato,
Te conducendo meco, il corso invìo.
E giungo ad un torrente, e rinserrato
Quinci dai ladri son, quindi dal l'io.
Che debbo far.^ te, dolce peso amato.
Lasciar non voglio, e di campar desio.
Mi gitto a nuoto , ed una man ne viene
Uompcndo V onda , e te T altra sostiene.
35. Rapidissimo è il corso, e in mezzo 1' onda
In sé medesma si ripiega e gira:
Ma giunto, ove più volge e i?ì profonda,
In cerchio ella mi torce , e giù mi tira.
Ti lascio allor; ma t' alza e ti seconda
L' acqua, e secondo all' acqua il vento spira,
E t' e>pon salva in sulla molle arena.
Stanco anelando io poi vi giungo appena.
3C. Lieto ti prendo, e poi la notte, quando
Tutte in alto silenzio eran le cose,
\ idi in sogno un guerrier , che minacciando
A me sul volto il l'erro ignudo pose.
Imperioso di>!-<; : io ti comando
Ciò , die la iiiudre sua ]>rimi<'r t' impose.
Che baLle-/.7.i 1' iiiiiiiite; ella é diletta
Dui cielo, e la bua cura u me b' aspetta.
37, Io la guardo e difendo; io spirto diedi
Di pietate alle fere , e mente all' acque.
Misero te, s' al sogno tuo non credi,
Ch' è del ciel messaggiero ! E qui si tacque,
Svegliaimi, e sorsi, e di là mossi i piedi,
Come del giorno il primo raggio nacque.
Ma perché mia fé vera, e 1' ombre false
Stimai, di tuo battesmo a me non calse,
38. Né de' prieghi materni; onde nudrita
Pagana fosti , e 'l vero a te celai.
Ci-escesti , e in arme valorosa e ardita
Vincesti il sesso e la natura assai.
Fama e terra acquistasti: e qual tua vita
Sia stata poscia , tu medesma il sai ;
E sai non men, che, servo insieme e padre,
Io t' ho seguita fra guerriere squadre.
39, Jer poi suU' alba alla mia mente oppressa
D' alta quiete, e simile alla morte,
Nel sonno s' offerì 1' immago stessa.
Ma in più turbata vista e in suon più forte.
Ecco, dicea, fellon, 1' ora s' appresa,
Che dee cangiar Clorinda e vita e sorte!
Ma sarà mal tuo grado, e tuo fia il duolo.
Ciò disse , e poi n' andò per 1' aria a volo,
10, Or odi dunque tu , che 'l ciel minaccia
A te, diletta mia, strani accidenti.
Io non so: forse a lui vien che dispiaccia,
Ch' altri impugni la fé de' suoi parenti;
Forse è la vera fede. Ah giù ti piaccia
Depor quest' tirme , e questi spirti ardenti !
Qui tace, e piagne: ed ella pensa e teme;
Ch' un altro simil sogno il cor le preme.
41. Rasserenando il volto, alfin gli dice:
Quella fé seguirò, che vera or parmi,
Che tu col latte già della nutrice
Sugger mi festi , e che vuoi dubbia or farmi.
Né per temenza lascerò (né lice
A magnanimo cor^ 1' impresa e 1' armi:
Non, se la morte nel più fier sembiante.
Che sgomenti i mortali, avessi innante.
•i2. Poscia il consola: e perché il tempo giung*
Ch' ella deve ad effetto il vanto porre,
i Parte , e con quel guerrier si ricongiunge,
j Che si vuol seco al gran periglio esporre.
Con lor s' aduna Ismeno, e instiga e punge
Quella virtù, che per sé stessa corre,
E lor porge di zolfo e di bitumi
I Due palle, e 'n cavo rame ascosi lumi.
] 43. Escon notturni e piani, e per lo colle
Uniti vanno a passo lungo e spesso,
j Tantoché a quella parte , ove s' estolle
La macchina nemica, omai son presso.
! Lor s' infiaunnan gli spirti, e 'l cor ne bolle,
Né può tutto capir dentro a sé stesso.
iìV invita al foco, al sangue, un fero sdegne
! Grida la guardia, e lor dimanda il seguo.
I 44. Essi Aan cheti innanzi: onde la guarda
! All' arme, all' arme in alto suon raddoppia.
I Ma più non si nascoiule, e non é tarda
Al corso allor la generosa coppia.
I In quel modo , che l'ulminc , o bombarda
I Col lampeggiar tuona in un punto, e scoppia,
I Movere ed arrivar , ferir lo stuolo.
Aprirlo e penetrar, fu un punto solo.
145]
GERUSALEMME LIBERATA. (XII. 45-60)
[143]
48,
45. E forza è pur, che fra mìll' arme e mille 53.
Percosse il lor disegno al fin riesca.
Scoprirò i chiusi lumi, e le faville
S' appreser tosto all' accensibil esca,
Ch' ai legni poi 1' a^ volse , e compartille.
Chi può dir, come serpa e come cresca
Già da più lati il foco ? e come folto
Turbi il fumo alle stelle il puro volto?
46. Vedi globi di fiamme oscure e miste 54
Fra le rote del fumo in ciel girarsi.
Il vento soffia, e vigor fa eh' acquiste
L' incendio , e in un raccolga i fochi sparsi.
Fere il gran lume con terror le viste
De' Franchi , e tutti son presti ad armarsi.
La mole immensa e si temuta in guerra
Cade j e breve ora opre sì lunghe atterra.
47. Due squadre de' cristiani intanto al loco, 55,
Dove sorge 1' incendio , accorron pronte.
Minaccia Argante: io spegnerò quel foco
Col vostro sangue: e volge lor la fronte.
Pur t'istretto a Clorinda a poco a poco
Cede, e raccoglie i passi a sommo il monte.
Cresce, più che torrente a lunga pioggia,
La turba , e li rincalza , e con lor poggia.
, Aperta è 1' aurea porta, e quivi tratto 56,
E il re, eh' armato il popol suo circonda,
Per raccorre i guerrier da sì gran fatto.
Quando al tornar fortuna abbian seconda.
Saltano i due sul limitare, e ratto
Diretro ad essi il franco stuol v' inonda;
Ma r urta e scaccia Solimano, e chiusa
E poi la porta , e sol Clorinda esclusa.
V). Sola esclusa ne fu, perchè in quell' ora, 57.
Ch' altri serrò le porte, ella si mosse,
£ corse ardente e incrudelita fuora
A punir Arimon, che la percosse.
Punillo: e 'I fero Argante avvisto ancora
Non s' era, eh' ella si trascorsa fosse;
Che la pugna, e la calca, e 1' acr denso
Ai cor toglica la cura, agli occhj il senso.
io. Ma, poiché intepidì la mente irata 58,
JVel sangue del nemico, e in su rivenne.
Vide chiuse le porte , e intorniata
Su da' nemici; e morta allor si tenne.
Pur veggcndo, di' abbono in lei non guata,
TNov' arte di salvarsi le sovvenne:
Di lor gente s' infinge, e fra gì' ignoti
Cheta s' iivvolge ; e non è chi la noti.
Poi, come lupo tacito s' imbosca 59
Do|>o occulto misfatto, e si de^^ia;
Dalla confu>ion , dall' aura fosca
Favorita e nascosa ella scn già.
Solo Tancredi av\i(n dm lei conosca:
Egli (|ni\i è siu'giunto al(|uanto pria.
Vi giunse, allorch' essa Arininne uccise;
\ide, e segnolla, e dietro a lei si mise.
^uol ndl' armi provarla: un uom la stima ! GO.
Degno , a cui sua virtù si paragone.
\a girando colei I' alpestre cima
Verso ailra porta, o\e d' entrar dispone.
Segue egli ìutpcluoso; oiule a^^ai |)riuia
Che giunga, in guisa a\\icn ihe d' armi 8U0ne,
Cir ella si ^olge, e grida: oh tu, che porle!'
Che corri sì .•' Ui.-poudc : guerra e morie.
Guerra e morte avrai , disse ; io non rifiuto
Darlatì , se la cerchi ; e ferma attende.
Aon vuol Tancredi , che pedon veduto
Ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna 1' uno e 1' altro il ferro a<uto.
Ed aguzza 1' orgoglio, e 1' ire accende,
E vansi a ritrovar non altrimenti,
Che duo tori gelosi , e d' ira ardenti.
Degne d' un chiaro sol, degne d' un pieno
Teatro opre sarian sì memorande.
IVotte, che nel profondo oscuro seno
Chiudesti, e nell' obblio fatto sì grande.
Piacciati , eh' io nel tragga , e "n bel sereno
Alle future età lo spieghi e mande !
Viva la fama loro, e tra lor gloria
Splenda del fosco tuo 1' alta memoria!
IVon schivar, non parar, non ritirarsi
Voglion costor, né qui destrezza ha parte.
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi;
Toglie r ombra e '1 furor 1' uso dell' arte.
Odi le spade orribilmente urtarsi
A mezzo il ferro. Il più d' orma non parte:
Sempre è il pie fermo , e la man sempre in moto,
INè scende taglio invan, né punta a voto.
L' onta irrita lo sdegno alla vendetta,
E la vendetta poi 1' onta rinnova;
Onde sempre al ferir , sempre alla fretta
Stimol nuovo s' aggiunge, e cagion nuova.
D' or in or più si mesce, e più ristretta
Si fa la pugna, e spada oprar non giova.
Dansi co' pomi , e infelloniti e crudi
Cozzan con gli elmi insieme, e con gli scudi.
Tre volte il cavalier la donna stringe
Con le robuste braccia, ed altrettante
Da que' nodi tenaci ella si scinge;
]\odi di fier nemico, e non d' amante.
Tornano al ferro , e 1' uno e 1' altro il tinge
Con molte piaghe; e stanco ed anelante
E questi e quegli alfin pur si ritira,
E dopo lungo faticar respira.
L' un i' altro guarda , e del suo corpo esangue
Sili pomo della spada appoggia il peso.
Già dell' ultima stella il raggio langue
Al prinu» albor, eh' é in oriente acceso.
A ede Tancredi in maggior copia il >anguc
Del >uo nemico, e >è non tanto ofl'eso.
>e gode, e superbisce. Oh no>tra folle
IMente, eh' ogni aura di fortiuia e^tolle!
Misero, di che godi? oh quanto mesti
Fiano i trionfi, ed infelice il ^Ul1to!
(;ii ocdij tuoi pagheran, se in \\ta resti,
Di quel sangue ogni ^tilla un mar di piimto.
(;o>ì lacendi» e rimirando. que>ti
Sanguino-i giicrrier pi)>aro al((uanto.
Iin|)|)e il >ilenzio alfin l'am redi , e disse,
l'ercbé il suo nenie a lui 1" altro scoprisse:
Nostra sventura è ben , che qui s' impieghi
Tanto ^alor, «lo\«' silenzio il copra.
Ma poiché Mirte rea aÌcii. che ci neghi
E lode e te-timou degno dell' tipra,
l'regoti (se fra l" arme han loco i pregili).
Cile 1 Ino nome «■ "l tuo stato a me tu scopra.
Accioccir io >Hppiu. o milito o ^in(•ilorc.
(Jhi la mia morie, o la ^itloria onori.
10
[147]
GERUSALEMME LIBERATA. (XII. CI— 70)
[1481
()1. Risponde la feroce: indarno chiedi
Quel , eh' ho per us^o di non far palese.
Ma chiunque io mi sia, tu innanzi vedi
Un di que' duo, che la gran torre accese.
Arse di sdegno a quel parlar Tancredi:
E in mal punto il dicesti, indi riprese.
Il tuo dir e '1 tacer di par m' alletti!,
Barharo discortese, alla vendetta.
62. Torna 1' ira ne' cori, e li trasporta,
Renelle debili , in guerra (ahi fera pugna!)
U' r arte in bando, u' già la forza è morta,
Ove in vece d' entrambi il furor pugna.
Oh che sanguigna e spaziosa porta
Fa r una e 1' altra spada, ovunque gìugna,
]\eir armi e nelle carni! e se la vita
jNou esce, sdegno tienla al petto unita.
(i3. Qual 1' alto Egeo, perchè aquilone o noto
Cessi, che tutto prima il volse e scosse,
Non s' accheta però, ma '1 suono e '1 moto
Riden dell' onde anco agitate e grosse:
l'ai, se ben manca in Iur col sangue voto
i^iii'l vigor , che le braccia ai colpi mosse,
Serbano ancor 1' impeto primo, e vanno,
Da quel sospinti, a giunger danno a danno.
64. Ma ecco omai 1' ora fatale è giunta,
Clie '1 viver di Clorinda al suo lin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta,
Che vi s' immerge, e '1 sangue avido beve,
K la vesta , che , d' or viigo trapunta,
Le ma:nmelle stringea tenera e leve,
L' empie d' un caldo fiume. Ella già sente
fiorirsi , e '1 pie le manca egro e languente.
65. Quel segue la vitton'a, e la trafìtta
Vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadca, la voce afllitta
Movendo, disse le parole estreme;
Parole, th' a lei novo un spirto ditta.
Spirto di fé, di carità, di speme,
A irtù , eh' or Dio le infonde e , se rubclla
In vita fu, la vuole in morte ancella.
G6. Amico , hai vinto : io ti perdon . . . perdona
Tu ancora, al corpo no, che nulla pavé.
All' af'ua si! Deh, per lei prega, e dona
Rattesiuo a me, eh' ogni mia colpa Jave!
Jn queste voci languide risuona
Un non so che di llebile e soave,
Ch' al cor gli serpe, ed ogni sdegno ammorza,
E gli occhj a lagiimar gì' invoglia e sforza.
67. Poco quindi lontan nel sen del monte
Scaturia iiiornuuMudo un picc^iol rio
Egli v' a<;c<)rse, e 1' elmo empiè nel fonte,
Va tornò m(\-t<» ai grainh; ufficio e pio.
l'reiiiar seiili la man, mentre la frinite
Non conosciuta ancor scioK«e e scopilo.
liU vide, «! Ili conobbe, e restò senza
ìù voce e moto. Ahi vi»ta! ahi conoscenza!
68. Kon morì già; che sue virtuti accolse
Tulle in quel punto, e in guardia al cor le mise.
E pn'uiciido il suo an'aiuio , a dar si volse
\ ita con r a(;(pia, a citi <;()l ferro uccise.
Mi;ntr' egli il ^lt(^n d«;' sa<ui detti sciolse,
C'oiei di giiija Irasinutossi , e rise,
E , in atto di morir lieto e vivai'e.
Dir purea : a apre il cielo , io vado in pace.
69. D' un bel pallore ha il bianco volto asperso
Come a' gigli sarian miste viole ;
E gli occhj al cielo affisa, e in lei converso
Sembra per la pictate il cielo e '1 sole;
E la man nuda e fredda alzando verso
Il cavaliero, in vece di parole.
Gli dà pegno di pace. In questa forma
Passa la bella donna, e par che dorma.
70. Come 1' alma gentile uscita ei vede.
Rallenta quel vigor, eh' avea raccolto,
E r imperio di sé libero cede
Al duol già fatto impetiioso e stolto,
Ch' al cor si stringe , e chiusa in breve sede
La vita, empie di morte i sensi e '1 volto.
Già simile all' estinto il vivo langue
Al colore, al silenzio, agli atti, al sangue.
71. E ben la vita sua sdegnosa e schiva,
Spezzando a forza il suo ritegno frale.
La beila anima sciolta alfin seguiva,
Che poco innanzi a lei spiegava 1' ale;
Ma quivi stuol de' Franchi a caso arriva.
Cui trae bisogno d' acqua o d' altro tale,
E con la donna il cavalier ne porta
In sé mal v ivo , e morto in lei , eh' è morta :
72. Perocché '1 duce loro ancor discosto
Conosce all' arme il principe cristiano;
Onde v' accorre, e poi ravvisa tosto
La vaga estinta, e duolsi al caso strano.
E già lasciar non vuole ai lupi esposto
Il bel corpo, che stima ancor pagano.
Ma sovra l' altrui braccia ambi li pone,
E ne vien di Tancredi al padiglione.
73. Affatto ancor nel piano e lento moto
Non si risente il cavalier ferito ;
Pur fievolmente geme; e quinci é noto,
Che '1 suo corso vital non é fornito.
Ma r altro corpo tacito ed immoto
Dimostra ben, che n' é lo spirito uscito.
Così portati e 1' uno e 1' altro appresso.
Ma in differente stanza, alfine è messu^
74. I pietosi scudier già sono intorno
Con varj uffici al cavalier giacente:
E già sen riede ai languidi occhj il giorno,
E le mediche mani e i detti ei sente.
Ma pur dubbiosa ancor del suo ritorno
Kon s' assicura attonita la mente.
Stupido intorno ei gnurda, e i servì e '1 loco
Alfin conosce, e dice afiiitto e fioco:
75. Io vivo? io spiro ancora? e gli odiosi
Rai miro ancor di questo infausto die?
Dì , testimon de' miei misfatti ascosi
Che rimprovera il me le colpe mie!
Ahi man timida e lenta, or che non osi
Tu , che sai tutte del ferir le vie.
Tu ministra di morte, empia ed infamo,
Di questa vita rea tronciir lo stame?
76. Passa pur questo petto, e fieri sccmpj
Col ferro tuo crudel fa del mio core !
Ma forse usata ii fatti atroci ed enipj
Stimi pietà dar morte al mio dolore.
Dunque i' vi%rò tra' memoriindi esempj
Mis«u-o mostro d' infelici! auuiit;?
Mi-ero mostro, a vmì sol pena è degna
Deli' immensii impielà Iti vita indegna!
149]
GERUSALEMME LIBERATA. (XII. Ì7 — 92)
78
79
77. Vivrò fra i mìei tormenti e fra le cure,
Mìe giunte furie, for.«(nnato errante.
Paventerò 1' ombre solinj]fhe e scure,
Che '1 primo error mi reclieranno innante:
E del sol, che scoprì le mie sventure,
A schivo ed in orrore avrò il sembiante.
Temerò me medesmo, e da me stesso
Sempre fuggendo , avrò me sempre appresso.
Ma dove (oh lasso me!), dove restaro
Le reliquie del corpo hello e casto.''
Ciò, eh' in lui sano i miei furor lasciaro,
Dal furor delle fere è forse guasto.''
Ahi troppo nobii preda! ahi dolce e caro
Troppo, e pur troppo prezioso pasto!
Ahi sfortunato, in cui 1' ombre e le selve
Irritaron me prima, e poi le belve!
Io pur verrò là, dove siete, e voi
Meco avrò , s' anco siete, amate spoglio ;
Ma s' egli avvien , che i vaghi membri suoi
Stati sian cibo di ferine voglie,
^ o' che la bocca stessa anco me ingoi,
E '1 ventre chiuda me, che lor raccoglie.
Onorata per me tomba , e felice.
Ovunque sia , s' esser con lor mi lice !
30. Cosi parla quel misero ; e gli è detto,
Ch' ivi quel corpo avean , per cui si duole.
Rischiarar parve il tenebroso aspetto,
Qual le nubi un balen , che passi e vole ;
E dai riposi sollevò del letto
L' inferma delle membra e tarda mole,
E traendo a gran pena il fianco lasso.
Colà rivolse vacillando il passo.
}1. Ma come giunse, e vide in quel bel seno,
Opera di sua man , 1' empia ferita,
E quasi un ciel notturno anco sereno
Senza splendor , la faccia scolorita.
Tremò così , che ne cadea , se meno
Era vicina la fedele aita.
Poi disse : oh viso , che puoi far la morte
Dolce , ma raddolcir non puoi mia sorte !
J2. O bella destra , che 'l soave pegno
D' amicizia e di pace a me porgesti !
Quali or, lasso, vi trovo, e qual ne vcgno?
E voi , leggiadre membra , or non sou questi
Del mio ferino e scellerati» sdegno
Vestigi miscraliili e funesti?
Oh di par con la man luci spietate!
Essa le piaghe fé', voi le mirate!
i3. Asciutte le mirate! Or corra, dove
Nega d' andare il pianto, il sangue mio!
Qui tr(m(-a le ]>arole ; e come il movo
Suo disperato di morir d<r.>io,
Sijuarcia le fasce e le f(;ritc , e piove
Dalle sue piaghe e->ac(;rbate un rio.
E' s' uccidca ; uia quella doglia acerba
Col trarlo di sé stesso in vita il serba.
|4,
Posto dui letto, e r anima fugace
Fu richiamata agli odio^i ufiìci.
Ma la garrula fama ornai non tace
1/ aspre sue angosce e i suoi casi infelici.
\ì tragg<^ il pio Cìi>n'rcdo , e la verace
Turba \' ac4M>rre de' più degni amici.
Ma né graAc auinionir, nò pri-gar dolce
L' ostinato dell' uluia uiruinio luulce.
[150]
85. Qual in membro gentil piaga mortale
Tocca s' innspra, e in Iti cresce il dolore.
Tal dai dolci conforti in si gran male
Più inacex'bisce medicato il core.
Ma il venerabil Piero, a cui ne cale.
Come d' agnella inferma a buon pastore.
Con parole gravissime ripiglia
Jl vaneggiar suo lungo, e lui consiglia:
86. Oh Tancredi, Tancredi! oh da te stesso
Troppo diverso , e dai principj tuoi !
Cbi sì t' assorda? e qual nuvol si spesso
Di cecità fa, che veder non puoi?
Que^ta sciagura tua del cielo è un messo:
jVon vedi lui? non odi i detti suoi.
Che ti sgrida, e richiama alla smarrita
Strada, che pria segnasti, e te 1' addita?
87. Agli atti del primiero ufficio degno
Di cavalier di Cristo ei ti rappella.
Che lasciasti, per farti (ahi cambio indegno !)
Drudo d' una fanciulla a Dio rubella.
Seconda avversità, pietoso sdegno
Con leve sferza di lassù flegella
Tua folle colpa , e fa di tua saluto
Te mcdesmo ministro: e tu '1 rifiute?
88. Rifiuti dunque (ahi sconoscente!) il dono
Del ciel salubre, e 'ncontra lui t' adiri?
Misero, dove corri in abbnndono
Ai tuoi sfrenati e rapidi martìri?
Sei giunto, e pendi già cadente e prono
Sul precipizio eterno: e tu noi miri?
IMiralo , prego , e te raccogli , e frena
Quel dolor, eh' a morir doppio ti mena!
89. Tace: e in colui dell' un morir la tema
Potè dell' altro intepidir la voglia.
Nel cor dà loco a que' conforti, e scema
L' impeto interno dell' intensa doglia;
Ma non così , che ad or ad or non gema,
E che la lingua a lamentar non scioglia,
Ora seco parlando , or con la stùolta.
Anima , che dal ciel forse l' ascolta.
90. Lei nel partir , lei nel tornar del sole
Cliiiima con voce stanca, e prega, e plora.
Come usignuol, cui '1 villan duro invule
Dal nido i figli non pennuti ancora,
Che in miserabil canto aftlitte e sole
Piange le notti , e n' empie i boschi e l' óra.
Allin col nuovo dì rinchiude alquanto
1 lumi , e '1 sonno in lor serpe fra '1 pianto.
91. Ed ecco in sogno di stellata vesto
Cinta gli appnr la sospirata amica
Della assai più; ma lo splendor celeste
L' orna , e non toglie la notizia antica.
E con dolc(! atto dì pietà le meste
Luci par che gii asiinglii, e cosi «lica:
IMira. collie soii bella, e (-luiie lieta,
Eedel mio caro, e in ine tuo duolo acqueta!
92. Tale i' son tua mercè : tu me dai vivi
Del mortai mondo per error togliesti :
Tu in grciiilio a Dio Ira gì' immortali o di>i
Per pi<'là di >alir degna mi lesti.
Qni\i io beata aiiiamlo godo, e quivi
Spero, che per te loro anco s' appresti,
0>e al gran sole, e ni-ll' eterno dio
Vagheggerai le sue bellezze e mie.
10 ♦
[151]
GERUSALEMME LIBERATA (XfT. 93—105)
[152
93. Se tu medesino non t' invidj il cielo,
E non travii col vaneggiar de' sensi,
Vivi , e sappi eh' io t' amo , e non tei celo,
Quanto più creatura amar con\iensi.
Così dicendo fiammeggiò di zelo
Per gli occìij fuor del mortai uso accensi :
Poi nel profondo de' suoi rai si chiuse,
E sparve, e nuovo in luì conforto infuse.
94. Consolato eì si desta, e si rimette
De' medicanti alla discreta aita;
E intanto seppellir fa le dilette
Membra, eh' informò già la nobil vita.
E se non fu di ricche pietre elette
La tomba, e da man dedala scolpita,
Fu scelto almeno il sasso , e chi gli diede
Figura , quanto il tempo ivi concede.
95. Quivi da faci in lungo ordine accese
Con nobil pompa accompagnar la feo,
E le sue arme a un nudo pìn sospese
Vi spiegò sopra in forma di trofeo.
Ma, come prima alzar le membra offese
Nel dì seguente il cavalier poteo,
Di riverenza pieno e di pietate
Visitò le sepolte ossa onorate.
96. Giunto alla tomba, ove al suo spirto vivo
Dolorosa prigione il ciel prescrisse ;
Pallido , freddo , muto , e quasi privo
Di movimento, al marmo gli occlij affisse.
Alfin sgorgando un lagrimoso rivo,
In un languido oimè proruppe, e disse:
Oh sasso amato, ed onorato tanto,
Che dentro hai le mie fiamme, e fuori il pianto
97. Non di morte sei tu, ma di vivaci
Ceneri albergo , ove è riposto amore :
E ben sento io da te 1' usate faci,
Men dolci sì , ma non ineu calde al core.
Deh prendi i miei sospiri , e questi baci
Prendi , eh' io bagno di doglioso umore,
E dalli tu, poich' io non posso, almeno
All' amate reliquie, eh' hai nel seno!
98. Dalli lor tu ! che se mai gli occhj gira
L' anima bella alle sue belle spoglie.
Tua pietate e mio ardir non avrà in ira;
Ch' odio, o sdegno lassù non si raccoglie.
Perdona ella il mio fallo, e sol respira
In questa speme il cor fra tante doglie.
Sa, eh' empia è sol la mano, e non 1' è noja,
Che, s' amando lei vissi, amando i' moja.
99. Ed amando morrò. Felice giorno.
Quando che sia! ma più felice molto.
Se, come errando or vado a te d' intorno,
AUor sarò dentro al tuo grembo accolto!
Faccian 1' anime amiche in ciel soggiorno !
Sia r un cenere e 1' altro in un sepolto !
Ciò, clic '1 viver non ebbe, abbia la morte!
Oh (se sperar ciò lice) altera sorte !
100. Confusamente si bisbiglia intanto
Del caso reo nella rinchiusa terra.
Poi s' accerta e divulga; e in ogni canto
Della città smarrita il rumor erra
Misto di gridi e di femmineo pianto:
Non altrimente che , se presa in guerra
Tutta ruini, e '1 foco e i nemici empj
Volino per le case e per li tempj.
101. Ma tutti gli occhj Arsete in sé rivolve,
Miserabil di gemito e d' aspetto.
Ei , come gli altri , in lagrime non solve
Il duol, che troppo è d' indurato affetto;
Ma i bianchi crini suoi d' immonda polve
Si sparge e brutta, e fiede il volto e '1 petto.
Or mentre in lui volte le turbe sono.
Va in mezzo Argante , e parla in cotal suono ;
102. Ben volev' io, quando primier m' accorsi.
Che fuor si rimanea la donna forte,
Seguirla immantinente, e ratto corsi
Per correr seco una medesma sorte.
Che non feci e non dissi.'* oh quai non porsi
Preghiere al re, che fèsse aprir le porte?
Ei me pregante e contendente invano
Con r imperio affrenò , eh' ha qui sovrano
103. Ahi, che, s' io allora usciva, o dal perigli
Qui ricondotta la guerriera avrei,
O chiusi, ov' ella il terreo fé' vermiglio,
Con memorabil fine i giorni miei.
Ma che poteva io più .-' Parve al consiglio
Degli uomini altramente e degli Dei.
Ella mori di fatai morte: ed io,
Quant' or conviensi a me, già non obblio.
101. Odi, Gerusalem, ciò che prometta
Argante ! odil tu , cielo ! e se in ciò manco,
Fulmina sul mio capo ! Io la vendetta
Giuro di far nell' omicida franco,
Che per la costei morte a me s' aspetta.
Né questa spada mai depor dal fianc(»,
Insinch' ella a Tancredi il cor non passi,
E '1 cadavero infume ai corvi lassi.
105. Così disse egli , e 1' aure popolari
Con applauso seguir le voci estreme.
E immaginando sol , temprò gli amari
L' aspettata vendetta in quel, che geme.
Olibani giuramenti! Ecco contrarj
Seguir tosto gli effetti all' alta speme,
E cader questi in ten/on pari estinto
Sotto colui , eh' ci fa già preso e vinto.
[153]
GERUSALEMME LIBERATA (XUI. 1 — 12)
[154]
b
CANTO DECIMO TERZO.
ARGOMENTO.
D' antica selva abitator si fanno
(Opra d' Ismen) gli abitator iV Averno.
A quanti poi colà Franchi ne vanno,
Rccan le torme ree spavento , e scherno.
la V invitto Tana-edi , e 'l fiero inganno
J ince già degli error, vince V inferno;
Quando pietà lui vince, e timor have,
Ed ha il campo dal cielo acqua soave.
1. Ma cadde appena in cenere 1' immensa
Macchina espugnatrice delle mura,
Che 'n sé nuovi argomenti Ismen lùpensa.
Perche più resti la città secura.
Onde ai Franchi impedir ciò, che dispensa
Lor di materia il bo>co, egli procura;
Talché centra Sion battuta e scossa
Torre nuova rifarsi indi non possa.
2. Sorge non lunge alle cristiane tende
Tra solitarie valli alta foresta,
Foltissima di piante antiche orrende.
Che spargon d' ogn' intorno ombra funesta.
Qui neir ora, che '1 sol più chiaro splende,
È luce incerta e scolorita e mesta,
Quale iu nubilo cìel dubbia si vede.
Se '1 dì alla notte, o s' ella a hii succede.
3. Ma quando parte il sol, qui tosto adombra
Kotte , nube, caligine ed orrore,
Che rasseinbra infermai, che gli occhj ingombra
Di (recita, eh' eiii|)ie di tèma il core.
]\è qui gregge od ai-int;nti a' paschi, ali ombra,
Guida bifolco mai, guida pastore,
^è v' entra jìcrcgrin, se non smarrito,
Ma lunge passa, e la dimostra a dito.
4. Qui s' adunan le streghe, ed il suo vago
Con ciascuna di lor notturno viene,
\ ien sovra i nembi , e ciii d' un fero drago,
F. chi forma d' un irco informe tiene;
Concilio infauK;, i-he fallace imunigo
Suol allcttar di desialo bene
A «celebrar con ])(im|ic iunnoiule e sozze
1 profani (conviti e 1' ('iii|)ic no///,e!
5. Così crcdeaKÌ; ed altilantc; alcuno
Dal fero bosco omai ramo non svelse;
Ma i Franchi il violar, pcrclr ci sol uno
S(MmniiiÌAtra\a lor macchine <-ccclse.
Or qui scii venne; il mago, e l' opportuno
Allo silenzio della nollr sceUe,
Della notte, che prossima successe,
E Huu cerchio formuwi, o i bcgni improsnc.
6. E scinto e nudo un piò, nel cerchio accolto
Moi-morò potentissime parole.
Girò tre volte all' oriente il volto,
Tre volte ai regni, ove dechina il sole,
E tre scosse la verga, ond' uom sepolto
Trar dalla tomba, e dargli moto suole,
E tre col piede scalzo il suol percosse.
Poi con terribil grido il parlar mosse:
7. Udite, udite, oh voi, che dalle stelle
Precipitar giù i folgori tonanti!
Sì voi, che le tempeste e le procelle
Movete, abitator dell' aria erranti.
Come voi, che alle inique anime felle
Ministri siete degli eterni pianti!
Cittadini d' Averno, or qui v' invoco,
E te, signor de' regni empj del foco!
8. Prendete in guardia questa selva, e queste
Piante, che numerate a voi consegno!
Come il corpo è dell' alma albergo e veste,
Cosi d' alcun di voi sia ciascun legno ;
Onde il Franco ne fugga, o almen s' arresto
Ne' primi colpi, e tema il vostro sdegno.
Disse: e quelle, eh' aggiunse, orribii note.
Lingua, s' empia non è, ridir non puote.
9. A quel parlar le faci, onde s" adorna
n seren della notte, egli scolora;
E la luna si turba, e le sue corna
Di nube avvolge, e non appar più fora.
Irato i gridi a raddoppiar ei torna :
Spirti invocati, or non venite ancora?
Onde tanto indugiar .=^ forse attendete
Voci ancor più potenti, o più seccete?
10. Per Inngo disusar già non si scorda
Dell' arti crude il più cflìcace ajuto;
E so con lingua anch' io di sangne lorda
Quel nome prtdlerir grande e tcumto,
A cui nò Dite mai ritrosa, o sorda.
Nò trascurato in ubbidir fu IMnto.
Che si? che sì? volea più dir: ma intanto
Conobbe, eh' eseguilo era T incanto.
11. Veuiano innumerabili, infìnili
Spirti, parie che 'n aria alberga ed erra.
Parte di (pici, clic >ìuì dal f(»ndo usciti
CaligintiMi e tetre» dellii terra.
Lenii, e del gran di\ieto anco >marriti,
(;iic impedì loro il Iraltar 1' arme in guerra;
Ma già venirne qui lor non >i toglie,
E ne' tronchi albergare, e tra le foglie.
l'i. Il mago, poiclr ornai nulla più manca
Al suo di.-egno , al re lieto scn ricdc.
Signor, lascia ogni dubbio, e M cor rinfranca
Clu- omai seiiira (• la regal tua sede;
Né potrà riiuiovar |)iù I' oslc franca
li" alle macchiiu; sue, come ella crede.
Co.-i gli dice, e poi di parte in parte
^urru i buccctftii della magic' urte.
[155]
GERUSALEMME LIBERATA. (XIII. 13— 28)
[156]
13,
Sofr^iiinse appresso: or cosa aggiungo a queste
Fiitte da me , eh' a me non meno aggrada.
Sappi, che tosto nel leon celeste
3Iarte col sol lia eh' ad unir si vada:
Né temprcran le fiamme lor moleste
Aure, o nemlii di pioggia, o di rugiada;
Che, quanto in cielo appar, tutto predice
Aridissima arsura ed inielice.
21
U
17
Onde qr.i caldo avrera, qual V hanno appena
Gli adujiii Nasamoni, o i Garamanti.
Pur a noi fia mea grave in città piena
D" acque, e d' ombre si fresche, e d' agi tanti.
Ma i Franchi in terra asciutta e non amena
Già non saranlo a tollerar bastanti,
E . pria domi dal cielo , agevolmente
Fian poi sconfitti dall' egizia gente.
15. Tu vincerai sedendo , e la fortuna,
Non cred' io , che tentar più ti coiivegna.
Ma se 'l Circasso altier, che posa alcuna
N»>n A noie, e benché onesta, anco la sdegna,
T' affretta come suole, e t' importuna,
Trova modo pur tu, eh' a freno il legna!
Cile molto non andrà , che '1 cielo amico
A te pace darà, guerra al nemico.
Ifi. Or questo udendo il re ben s' assecura,
Sicché non teme le nemiche posse.
Già riparate in parte avea le mura.
Che de' montoni l' impeto percosse.
Con tutto ciò non rallentò la cura
Di ristorarle, ove sian rotte, o smosse;
Le turbe tutte, e cittadine e serve,
S' impiegan qui: 1' opra continua fervo.
IMa in questo mezzt» il pio Buglion non Tiiole,
Che la forte cittade invan si batta.
Se non è prima la maggior sua mole
Ed alcun' altra macchina rifatta.
E i fabbri al bosco invia , che porger suole
Ad uso tal pronta materia ed atta.
Vanno costor suU' alba alla foresta;
Ma timor novo al suo apparir gli arresta.
Qual semplice bambin mirar non osa.
Dove insolite larve abbia presenti,
0 come pavé nella notte ombrosa.
Immaginando p«ir mostri e portenti :
Così temean i^enza saper, qual cosa
Siasi quella però, clic gli sgomenti;
Se non che 1 tim(u- forse ai sensi finge
Maggior prodigi di Chimera, o Sfinge.
Torna la turbix , e timida e smarrita
Varia e confonde si le cose e i detti,
Ch' ella nel riferir n' è ]»oi schernita,
Né son creduti i niostniosi efletti.
Allor vi manda il capitano ardita
E forte squadra di guerrieri eletti,
Verciie sia sc^orta all' altra , e in eseguire
1 magisteri suoi le porga ardire.
Questi, appres.«ando , ove lor seggio han posto
Gli empj dcuionj in quel selvaggio orrore,
Non rimirar le nere omI)re i^ì tosto,
Clie lor si scihs.sc , e torix» ghiaccio il core.
Pur oltre ancor sen gian tenendo ascofikto
Sotto audaci sembianti il vii timore,
E tanto s' avanzar, die huigc poco
Erano uiiiui dall' incantato loco.
18.
19.
20.
23
25
Esce allor della selva un sur.n repente.
Che par rimbombo di terreo , che treme,
E 'l mormorar degli austri in lui si sente,
E 'l pianto d' onda , che fra scogli geme.
Come rogge il leon, fischia il serpente.
Come urla il lupo , e come 1' orso freme,
V odi, e v' odi le trombe, e v' odi il tuono:
Tanti e sì fatti suoni esprime un suono.
In tutti allor s' impallidir le gote,
E la temenza a mille segni apparse.
Né disciplina tanto , o ragion puote,
Ch' osin di gire innanzi, o di fermarse;
Che all' occulta virtù, che li percote,
Son le difese loro anguste e scarse.
Fuggono alfine, e un d' essi in cotal guisa.
Scusando il fatto , il pio Buglion n' avvisa :
Signor , non è di noi , chi più si vante
Troncar la selva ; eh' ella é sì guardata,
Ch' io credo , e '1 giurerei , che in quelle piante
Abbia la reggia sua Pluton traslata.
Ben ha tre volte e più d' as))ro diamiinta
Ricinto il cor, chi intrepido la guata;
Né senso v' ha colui , eh' udir s' arrischia,
Come tonando insieme rugge e fischia.
Cosi costui parlava. Alcasto v' era
Fra molti, che l' udiau, presente a sorte;
IJom di temerità stupida e fera,
Sprezzator de' mortali e della morte,
Che non avria temuto orribil fera,
Né mostro formidabile ad uom forte,
Né tremoto , né folgore , né vento,
Né s' altro ha il mondo più di violento.
Crollava il capo e sorridea, dicendo:
Dove costui non osa, io gir confido.
Io sol quel bosco di troncare intendo,
Che di torbidi sogni è fatto nido.
Già noi mi vieterà fantasma orrendo
Né di selva, o d' angei fremito, o grido;
Opj>ur tra quei sì spaventosi chiostri
D' ir neir inferno il varco a me si mostri.
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I
28,
Cotal si vanta al capitano, e tolta
Da lui licenza il cavalier s' invia,
E rimira la selva , e poseia ascolta
Quel, che da lei novo rimbombo useia.
Né però il piede audace indietro volta,
ftla securo e sprezzante é come pria-
fi già calcato avrebbe il suol difeso;
Ma gli s' oppone, o pargli, un foco acceso.
Cresce il gran foco, e 'n forma d' alte mura
Stende le fiamme torbide e fumanti,
E ne cinge quc^ bosco , e 1' assecura,
Ch' altri gli arbori suoi non tronchi, o schianti
Le maggiori sue fiamme hanno figura
Di castelli superbi e torreggiatiti ;
E di tot-menti bellici ha munite
Le rocche sue questa novella Dite.
Oh quanti ajipajon mostri armati in guarda
Degli alti merli , e in che terribil faccia !
De' quai con occlij biechi altri il riguarda,
E dibattendo 1' arme altri il minaccia.
Fugge egli alfine ; e ben la fuga è tarda,
Qnal di leon, che si ritiri in caccia;
Ma pure è fuga; e pur gli scuote il petto
Timor, sin a quel punto ignoto affetto.
[157]
GERUSALEMME LIBERATA. (XI1I.29 — 44)
[158]
29. Non s' avvide esso allor d' aver temuto;
Ma fatto poi lontan , ben se n' accorse,
E stupor n' ebbe e sdegno , e dente acuto
D' amaro jientiraento il cor gli morse.
E , di trista vergogna acceso e muto,
Attonito in disparte i pas>i torse:
Che quella faccia alzar già sì orgogliosa
^ella luce degli uomini non osa.
30. Chiamato da Goffredo indugia, e scuse
Trova all' indugio, e di restarsi agogna.
Pur va, ma lento, e tien le labbra chiuse,
O gli ragiona in guisa d' iiom , che sugna.
Difetto e fuga il capitan conchiuse
In lui da quella insolita vergogna.
Poi disse : or ciò che fia .'' forse prestigi
Son questi, o di natura alti prodigi.''
81. Ma s' alcun v' è, cui nobil voglia accenda
Di cercar quc' salvatichi soggiorni,
Vadane pure , e la ventura imprenda,
E nunzio almen più certo a noi ritorni !
Cosi diss' egli; e la gran selva orrenda
Tentata fu ne' tre seguenti glorili
Dai più famosi; e pur alcun non fue.
Che non fuggisse alle minacce sue.
82. Era il prence Tancredi intanto sorto
A seppellir la sua diletta amica :
E benché in volto sin languido e smorto,
E mal atto a portar elmo e lorica,
Kulladìmen, poiché '1 bisogno lia scorto,
Ei non ricusa il rischio, o la fatica;
Che '1 cor vivace il suo vigor trasf<inde
Al corpo sì , che par, eh' esso n' abbuudc.
ì3. Vassene il valoroso in sé ristretto,
E tacito e guardingo, al rischio ignoto,
E sosticn della selva il fero aspetto,
E '1 griin romor del tuono e del tremoto,
E nulla sbigottisce; e sol nel petto
Sente , ma tosto il seda , un piccini moto.
Trapassa, ed ecco in quel silvestre loco
Sorge improvvisa la città del foco.
Allor s' arretra, e dubbio alquanto resta
Fra sé dicendo: or qui, che vaglìon 1' armi?
Kelle faiH;i de' nutstri, e 'n gola a questa
Divoratrice iiamma andrò a gettarmi.''
^(>n mai la vita , ove cagi«)iie onesta
Del commi prò la chiedìi , altri risparmi !
Ma né prodigo sia d' anima grande
Uom degno ! e tale è ben chi qui la spande.
Pur r oste, che dirà, se indarno i' ricdo.''
Qual altra selva ha di troncar speranza.^
Ré intentato lasciar vorrà («offr<;(lo
Mai questo varco. Or s' oltre alcun s' avanza,
Forse 1' incendio, che c|ui sotto i' Aedo,
Fia d' elietlt) minor, che di sembiiin/.a.
Ma seguane ('he puote ! l'i in questo dire
Dentro saltovvi. Oii mciuoraiMb» ardire !
Né eotto r armi già sentir gli parie
Caldo, o fcrvor, comedi fix-o inttiiso;
Ma pur, se fosser vere fìaniiiie , o larve.
Mal polé giudicar sì to.^lo il^enso;
Perchè repente, appena tocco, nparve
<^uel simulacro, e giunse un iinvol denso,
Che porlo iiolle e lerno; e "I \erno ancora,
E r ombra dileguosni in picciul' ura.
ù7. Stupido sì , ma intrepido rimane
Tancredi ; e poiché vede il tutto cheto
Mette securo il pie nelle profane
Soglie , e spia della selva ogni secreto.
IV é più apparenze inusitate e strane,
j\é trova alcun per via scontro, o diiiiito,
Se non quanto per sé ritarda il bosco
La vifta e i passi inviluppato e fosco.
38. Alfine un largo spazio in forma scorge
D' anfiteatro , e non é pianta in esso,
Salvoché nel suo mezzo altero sorge,
Quasi eccelsa piramide, un cipresso.
Colà si drizza: e nel mirar s' accorge,
Ch' era di varj segni il tronco impresso,
SiuiiLi a quei, che in vece usò di bcriuo
L' antico già misterioso Egitto.
39. Fra i segni ignoti alcune note ha scorte
Del seruion di Soria , eh' ei ben possiede,
Oii tu, che dentro ai chiostri della morte
Osasti por, guerriero audace, il piede,
Deh , se non sei crudel , quanto sci forte,
Deh non turbar questa secreta s<de 1
Perdona all' alme ornai di luce prive !
]Non dee guerra co' morti aver chi vive.
40. Così dìcea quel motto. Egli era intento
Delle brevi parole ai sensi occulti.
Fremere intanto udia continuo il vento
Tra le frondi del bosco, e tra i virgulti,
E trarne un suon, che flebile concento
Par d' umani sospiri e di singulti,
E un non so che coniiiso instilia ul cx)re
Di pietà, di spavento, e di dolore.
41. Pur tragge alfin la spada, e con gran forzii
Perente 1' alta pianta. Oh meraviglia I
Slanda fuor sangue la recisa scorza,
E fa la terra intorno a sé vermiglia.
Tutto si raccapriccia , e pur rinforza
Il colpo , e '1 iìn vederne ei si consiglia.
Allor, quasi di tomba, uscir ne sente
Ln indistinto gemito dolente,
42. Che poi distinto in voci: aliì troppo, di«sc,
M' hai tu, Tancredi, offeso: or tanto basti!
Tu dal corpo , che meco e per me vis»e,
Felice albergo già, mi discaiciasti.
Perché il misero tronco, a cui m' affisse
11 mio duro destino, aiu-o mi guasti?
Dopo la morltt gli avversari tuoi.
Crudel , ne' lor sipolcri olltndcr vuoi ?
43. Clorinda fui; né sol qui spirto miianu
Albergo in questa pianta rozza e dura.
Ma ciascun altro ancor. Franco o pag.ino.
Che lassi i membri a pie dell' alte inur.i.
Astretto è qui da nuoto iiu-anto e strano.
Non so, S(; io dica in <-orpii. o in sepoltura.
Son di senso animati i rami e i Iroiulii,
E micidial sei tu , se legno tronchi.
44. Qual r infermi» talor, che in sogno scorge
Drago, o cinta di fiamme alla chimera,
Seltbeii s»»sp((ta, o in parte ancor s' accorgr,
(;iie siinuburo sia, non forma \era;
Pur de^ia di fnggir , tanto gli porge
SiiaMiilo la scmf»i,ui/.a orrida e l'era:
'i al il tiuiiilo ani.inle .ippitn non cedo
Ai lalai inganni, cppur ne temo, o cede.
[159]
GERUSALEMME LIBERATA. (XIIL 45—60)
[160]
45. E dentro il cor gli è in modo tal cdiifiiilso
Da varj affetti, che s' agghiaccia e trema;
E nel moto potente ed improvviso
Gli cade il ferro, e '1 manco è in lui la tèma.
^a fuor di sé: presente aver gli è avviso
L' offesa donna sua, che plori e gema,
]Nè può soffrir dì rimirar quel sangue,
IVè quei gemiti udir d' egro, che langue.
4fi. Così quel contra morte audace core
Nulla forma turbò d' alto spavento.
Ma lui , che solo è fievole in amore,
Falsa immago deluse, e van lamento.
Il suo caduto ferro intanto fuore
Portò del bosco impetuoso vento;
Sicché vinto partissi e in sulla strada
Ritrovò poscia, e ripigliò la spada.
47. Pur non tornò, né ritentando ardio
Spiar di novo le cagioni ascose.
E poiché, giunto al sommo duce, unio
Gli spirti alquanto, e 1' animo compose.
Incominciò: Signor, nunzio son io
Di non credute e non credlbil cose.
Ciò, che dicean dello spettacol fero
E del suon paventoso, è tutto vero.
48. Meraviglioso foco indi m' apparse
Senza materia in un istante appreso,
Che sorse, e dilatando un muro farse
Parve , e d' armati mostri esser difeso.
Pur vi passai : che né 1' incendio m' arse,
jNc da ferro mi fu 1' andar conteso.
Vernò in quel punto ed annottò: fé' il giorno
E la serenità poscia ritorno.
49. Di più dirò, eh' agli alberi dà vita
Spirito uman, che sente e che ragiona.
Per prova soUo : io n' ho la voce udita,
Che nel cor flebilmente anco mi suona.
Stilla sangue de' tronchi ogni ferita.
Quasi di molle carne abbian persona.
INo, no, più non potrei (vinto mi chiamo)
j\é corteccia scorzar , né sveller ramo !
50. Cosi die' egli : e '1 capitano ondeggia
In gran tempesta di pensieri intanto.
Pensa, s' egli medesmo andar là deggia,
(Che tal lo stima) a ritentar 1' incanto,
O se pur di materia altra provveggìa
Lontana più, ma non difficil tanto.
Ma diil profondo de' pensieri suoi
L' eremita il rappella, e dice poi:
51. Lascia il pensiero audace! Altri conviene,
Che delle piante sue la s^elva spoglie.
Già già la fatai nave all' erme arene
La prora accosta, e 1' auree vele accoglie.
Già rotte le indegnissime catene,
L' aspettato guerricr dal lido scioglie.
I\«m è lontana ornai 1' ora prescritta,
Che sia presa Sion , 1' oste sccmfitta.
52. Parla ei così, fatto di fianuna in volto,
E risuonu, più eh' uomo in sue parole.
E l pi<» (idllVedo a peii-ier novi é volto
Che nrgliittdso già cessar non vuole.
Ma nel cancro celeste ornai raccolto
A\i\>itrl,i aiMiia inusitata il sole,
(Jir a' Kuiii disegni, ii' suoi gncrricr nemica,
In^opportabil rende ogni fatica.
53. Spenta è del cielo ogni benigna lampa :
Signoreggiano in lui crudeli stelle.
Onde piove virtù , eh' informa e stampa
L' aria d' impression maligne e felle.
Cresce 1' ardor nocivo , e sempre avvampa
Più mortalmente in queste parti e in quelle.
A giorno reo notte più rea succede,
E dì peggior di lei dopo lei vede.
54. Non esce il sol giammai , che asperso e cinto
Di sanguigni vapori entro e d' intorno.
Non mostri nella fronte assai distinto
Mesto presagio d' infelice giorno.
Non parte mai , che in rosse macchie tinto
Non minacci egual noja al suo ritorno;
E non inaspri i già sofferti danni
Con certa tema di futuri affanni.
55. Mentre egli i raggi poi d' alto diffonde.
Quanto d' intorno occhio mortai si gira.
Seccarsi i fiori, e impallidir le fronde.
Assetate languir 1' erbe rimira,
E fendersi la terra, e scemar 1' onde.
Ogni cosa del ciel soggetta all' ira,
E le sterili nubi in aria sparse
In sembianza di fiamme altrui mostrarse.
56. Sembra il ciel nell' aspetto atra fornace.
Né cosa appar, che gli occhj almen ristaure.
Nelle spelonche sue Zefiro tace,
E in tutto é fermo il vaneggiar dell' aure.
Solo vi soffia , e par vampa di face.
Vento, che move dalle arene maure,
Che, gravoso e spiacente, e seno e gote
Co' densi fiati ad or ad or percote.
57. Non ha poscia la notte ombre più liete,
3Ia del caldo del sol pajono impresse;
E di travi di foco, e di comete,
E d' altri fregi ardenti il velo intesse;
Neppur, misera terra, alla tua sete
Son dall' avara luna almen concesse
Sue rugiadose stille, e 1' erbe e i fiori
Bramano indarno i lor vitali umori.
58. Dalle notti inquiete il dolce sonno
Biindito fugge, e i languidi mortali
Lusingando ritrarlo a sé non ponno.
Ma pur la sete é il pessimo de' mali;
Perocché di Giudea 1' iniquo donno
Con veneni e con succhi aspri e mortali,
Più dell' inferna Stige e d' Acheronte,
Torbido fece e livido ogni fonte.
59. E '1 piccini Siloé, che puro e mondo
Olivia cortese ai Franchi il suo tesoro.
Or di tepide linfe appena il fondo
Arido copre, e dà scarso ristoro.
Né il Po, qualor di maggio é più profondo,
Parria soverchio ai desideri loro ;
\é 'l Gange, o 'I Nilo, allorché non s' appaga
De' sette alberghi, e '1 verde Egitto allaga.
<;0. S' alcim giammai tra frondeggianti rive
Puro vide stagnar liquido argento,
O giù precipitose ir acque vive
Per alpe, o 'u piaggia erbosa a passo lento,
Quelle al vago desio l'orma e descrive
F ministra materna al suo tormento:
Che r imniagine lor gelida e molle
L' asciuga e scalda, e nel peusier ribolle.
[161]
GERUSALEMME LIBERATA. (XIII. 61-76)
61. Vedi le membra de' guerrler robuste,
Cui né camrain per as:pra terra preso,
Nò ferrea salma, onde gir sempre onuste,
Kè domò ferro alla lor morte inteso,
Ch' or risolute, e dal calore aduste
Giacciono, a sé medesme inutil peso,
E vive nelle vene occulto foco.
Che pascendo le strugge a poco a poco.
62. Langue il corsier già sì feroce, e 1' erba.
Che fu suo caro cibo, a schifo prende.
& Vacilla il piedo infermo e la superba
V Cervice dianzi or giù dimessa pende.
B Memoria di sue palme or più non serba,
■ Xé più nobil di gloria amor l' ac(;ende.
Le vincitrici spoglie e i ricchi fregi
Par, che quasi vii soma odj e dispregi.
63. Languisce il fido cane , ed ogni cura
Del caro albergo e del signor obblia,
I Giace disteso , ed all' interna arsura
Sempre anelando aure novelle invia.
Ma se altrui diede il respirar natura,
Perché il caldo del cor temprato sia,
Or nulla, o poco refrigerio n' have;
Si quello, onde si spira, è denso e grave!
64. Cosi langula la terra, e 'n tale stato
Egri giaceansi i miseri mortali.
E '1 buon popol fedel, già disperato
Di vittoria, tcmca gli ultimi mali;
E risonar s' udia per ogni lato
Universal lamento in voci tali :
Che più spera Goffredo, o che più bada,
Sinché tutto il suo campo a morte vada?
65. Deh con quai forze superar si crede
Gli alti ripari de' nemici nostri .''
Onde macchine attende ? ei sol non vede
L' ira del cielo a tanti segni mostri ?
Della sua mente avversa a noi fan fede
Mille novi prodigi e mille mostri:
Ed arde a noi sì il sol , che minor uopo
Di refrigerio ha l' Indo, o 1' Etiopo.
66. Dunque stima costui, che nulla importe.
Che n' andiam noi , turba negletta indegna,
Vili ed inutili alme , a dura morte,
Purch' ci lo scettro imperiai mantegna?
Cotanto dunque fortunata sorte
llassembra quella di colui, che regna,
Che ritener si cerca avidamente
A danno ancor della soggetta gente?
67. Or mira d' uiim, e' lia il titolo di pio,
Provvidenza pietosa, animo umano,
La salute de' suoi porre in obblio,
Per conservarsi onor daiuioso e vano !
E veggendo a noi secchi i fonti e 'I rio,
Per sé l' ac(|ue condur fio dal («lordano,
E fra pochi sedendo a mensa lielii,
Mescolar l' onde fresche al ^iu di Creta!
68. Cosi i Franchi diccan; ma 1 duce greco.
Che 'l lor v<s.-<illo è di seguir già ^tauco :
Perchè morir c|ui , disse, e perchè iiiec<»
Far, che la schiera mia ne vegna manco?
Se nella sua follia (ìolIVcdo è cieco.
Siasi in suo «lanno , e del .suo popol franco!
A noi ( lu; nuoce ? e hcn/.a (or licen/.u,
Kutlurna fece e tacita partenza.
[162]
69. Mosse V esempio assai , come al dì chiaro
Fu noto, e d' imitarlo alcun risolve.
Quei che seguir Clotareo ed Ademaro,
E gli altri duci , eh' or son ossa e polve.
Poiché la fede, eh' a color giuraro,
Ha disciolto colei, che tutto solve.
Già trattano di fuga , e già qualcuno
Parte furtivamente all' àer bruno.
70. Ben se 1' ode Goffredo, e ben sei vede,
E i più aspri rimedj avria ben pronti;
Ma gli schiva ed abborre, e con la fede.
Che faria star i fiumi , e gire i monti,
Devotamente al re del mondo chiede.
Che gli apra ornai della sua grazia i fonti.
Giunge le palme, e fiammeggianti in zelo
Gli occhj rivolge, e le parole al cielo:
11. Padre, e signor, se al popol tuo piovesti
Già le dolci rugiade entro al deserto;
Se a mortai mano già virtù porgesti
Romper le pietre , e trar del monte aperto
Un vivo fiume: or rinnovella in questi
Gli stessi esempj, e, se ineguale è il merto,
Adempì di tua grazia i lor difetti,
E giovi lor, che tuoi guerrier sian detti!
72. Tarde non furon già queste preghiere.
Ole derivar da giusto umil desio.
Ma sen volaro al ciel pronte e leggiere.
Come pennuti augelli, innanzi a Dio.
Le accolse il padre eterno ed alle schiero
Fedeli sue rivolse il guardo pio,
E di sì gravi lor rischj e fatiche
GÌ' increbbe, e disse con parole amiche:
73. Abbia sin qui sue dure e perigliose
Avversità sofferte il campo amato !
E contra lui «;on arme ed arti ascose
Siasi r inferno, e siasi il mondo armato !
Or cominci novello ordin di cose,
E gli si volga prospero e beato !
Piova , e ritorni il suo guerriero invitto,
E venga a gloria sua 1' oste d' Egitto !
71. Così dicendo il capo mosse, e gli ampi
Cieli tremaro, e i lumi erranti e i fissi:
E tremò 1' aria riverente, e i campi
Dell' oceano, e i mt>nti, e i ciechi abissi.
Fiammeggiare a sinistra accesi lampi
Fur visti, e chiaro tuono insieme udis.-i.
Accompagnan le genti il lampo e 'l tuono
Con allegro di voci ed alto suono.
75. Ecco subite nubi , e non di terra
Già per virtù del sole in alto ascese,
Ma giù dal ciel , che tutte apre e disserra
Le porte sue, veloci in giù discese.
Ecco notte improvvisa il giorno serra
Neil' ombre sue, che d' ogu' intorno ha ste»e.
Segue la pioggia impetuo>a, e cresce
11 rio cosi , che fuor del letto n' esce.
76. Come talor nella stagione estiva,
Se dal ciel pioggia dc>iata scende,
Stuol d' anitre loquaci in s(>cca riva
Con rauco nu)rmorar lieto 1" attenile,
E s|>i<'ga r ali al fn-dilo umor, né schifa
Alcuna di hagu.ir>i in Ini ^i rende,
E là, 've ili maggior l'ondo ei si raccoglia.
Si tuffa, e spegno 1' a^^etata voglia:
11
[163] GERUSALEMME LIBERATA. (XIII. 17-80. XIV. 1—8) [164]
77. Così gridando, la radente piova,
Che la destra del ciel pietosa versa,
Lieti salutan questi : a «;iascun giova
La chioma averne, non che 'l manto, aspersa.
Chi hee ne' vetri, e chi negli elmi a prova,
Clii tien la man nella fresca onda immersa,
Chi se ne spruzza il volto, e chi le tempie,
Chi scaltro a miglior uso i vasi n' empie.
78. Kè pur l' umana gente or si rallegra,
E de' suoi daimi a ristorar si viene,
Ma la terra, che dianzi afflitta ed egra
Di fessure le membra avea ripiene.
La pioggia in sé raccoglie , e si rintegra,
E la comparte alle più interne vene,
E largamente i nutritivi umori
Alle piante ministra, all' erbe, ai fiori:
7iK Ed inferma somiglia, a cui vitale
Succo le interne parti arse rinfresca,
E disgombrando la cagion del male,
A cui le membra sue fur cibo ed esca,
La rinfranca e ristora, e rende quale
Fu nella sua stagion più verde e fresca:
Talch' obbliando i suoi passati aiTanni
Le ghirlande ripiglia e i lieti panni.
80. Cessa la pioggia alfine, e torna il sole;
Ma dolce spiega e temperato il raggio,
Pien di maschio valor, siccome suole
Tra 'l fin d' aprile e 'l cominciar di maggio.
Oh fidanza gentil ! Chi Dio ben cole,
L' aria sgombrar d' ogni mortale oltraggio,
Cangiare alle stagioni ordine e stato,
Vincer la rabbia delle stelle e '1 fato!
CANTO DECIMO QUARTO.
ARGOMENTO.
Che si perdoni al buon Rinaldo, priega
Guelfo , come d' Ugon V ombra V informa.
Cede ai prieghi Goffredo, e tal si piega,
Che col voler del cielo il suo conforma.
Quinci instrutti da Pier, che 'l tutto spiega,
Pel guerrier van duo messi a cercar V orma.
Ed ìian da un saggio aljin V arte , eh' affida
Ad ingannar V ingannatrice Armida.
1. Usciva ornai dal molle e fresco grembo
Della gran madre sua la notte oscura.
Aure lif-vi portando e largo nembo
Di sua rugiada preziosa e pura;
E , scotendo del vel 1' umido lembo,
^e spargeva ì fioretti e la verdura,
E i venticelli dibattendo l' ali
Lu^ingavano il sonno de' mortali.
2. Ed essi ogni pensier , che 'I dì conduce.
Tuffato aveuno in dolce obl>lio profondo ;
\ì-i vigilando neil' eterna luce
S( deva al suo governo il re del mondo,
K rivolgea dal cielo al friiiico duce
Li) «.guiirdo favorevole e giocondo,
tallitici a Ini n' inviava un sogno cheto,
rerclic gli rivelasse alto decreto.
3. , Non lunge all' auree porte, ond' esce il sole,
E cristiillina porta in oriente,
(Au: per costumi; innanzi aprir sì suole,
(Jlie ^i dischiuda 1' uscio al dì nascente.
Da (|ursta «si-.ono i sogni , i quai Dio vuole
Mandar pt-r grazia a ]iura e casta mente.
Da qui>ta or quel , (li' al pio Ihiglìon discende,
L' ali durate iuvcrso lui distende.
4. Nulla mai vision nel sonno offerse
Altrui sì vaghe immagini, o sì belle.
Come ora questa a lui; la qual gli aperse
I secreti del cielo e delle stelle.
Onde , siccome entro uno speglio , eì scerse
Ciò, che lassuso è veramente in elle.
Pareagli esser traslato in un sereno
Candido ; e d' auree fiamme adorno e pieno:
5. E mentre ammira in qtiell' eccelso loco
L' ampiezza, i moti, i lumi e 1' armonia,
Ecco cinto di rai, cinto di foco
Un cavaliero incontro a lui venia:
E in suono , al lato a cui sarebbe roco
Qual più dolce è quaggiù, parlar l' udia:
Goffredo , non m' accogli? e non ragiono
Al fido amico.'' or non conosci Ugone.''
6. Ed ei gli rispondea : quel novo aspetto,
Che par d' un sol mirabilmente adorno,
Dall' antica notizia il mio intelletto
Sviato ha sì, che tardi a lui ritorno.
Gli stendea poi con dolce amico affetto
Tre fiate le braccia al collo intorno:
E tre fiate invan cinta l' immago
Foggia, qual leve sogno, od aer vago.
7. Sorridea quegli : e non già , come credi,
Dicea , son cinto di terrena veste.
Semplice forma e nudo spirto vedi
Qui cittadin della città celeste.
Questo è tempio di Dio , qui son le sedi
De' suoi guerrieri, e tu avrai loco in queste.
Quando ciò fia? rispose;: il mortai laccio
Sciolgasi ornai, s' al restar qui m' è impaccio.
8. Ben, replicogli Ugon, tosto raccolto
Nella gloria sarai de' trionfanti :
l'ur militando converrà , che molto
Sangue e sudor laggiù tu versi innanti.
Da te prima ai pagani esser ritolto
De\e r imperio de' paesi santi,
E stabilirsi in lor cristiana reggia,
In cui regnare il tuo fratel poi deggia.
[165]
GERUSALEMME LIBERATx\. (XIV. 0—24)
9. Mii perchè più lo tuo dcsir s' av^'ìve
Neil' amor di quassù , più fiso or mira
Questi lucidi alberghi, e queste vive
B'iamine , che mente eterna informa e gira!
i E in angeliche tempre odi le dive
f Sirene, e '1 suon di lor celeste lira!
China poi, disse, e gli additò la terra,
Gli occhj a ciò , che quel globo ultimo serra !
10. Quanto è \il la cagion , eh' alla virtude
Umana è colnggiù premio e contrasto!
Pln che picciolo cerchio , e fra che nude
Solitudini è stretto il vostro fasto!
Lei come isola il mare intorno chiude:
E lui, eh' or occiin chiamate, or vasto,
Nulla eguale a tai nomi ha in sé di magno,
Ma è bassa palude , e breve stagno,
11. Cosi r un disse, e V altro in giuso i lumi
Volse, quasi sdegnando, e ne sorrise;
Che vide un punto sol mar, terre, e fiumi,
E Che qui pajon distinti in tante guise,
Ed ammirò , che pur all' ombre , ai fumi
La nostra folle umanità s' affise,
Servo imperio cercando, e muta fama,
Né miri il ciel , eh' a sé n' invita e chiama.
12. Onde rispose: poiché a Dio non piace
Dal mio career terreno anco disciorme,
Prego , che del cammin , eh' è men fallace
Fra gli errori del mondo, or tu m' informe.
È , replicoglì Ugon , la via verace
Questa, che tieni: indi non torcer 1' orme!
Sol che richiami dal lontano esigli (»
Il fìgliuol di Bertoldo, io ti consiglio.
13. Perchè, se 1' alta provvidenza elesse
Te dell' impresa sommo capitano,
Destinò insieme, eh' egli esser dovesse
De' tuoi consigli csccutor soprano.
A te le prime parti , a lui concesse
Son le seconde : tu sci capo , ei mano
Di questo campo, e sostener sua vece
Altri non puote , e farlo a te non lece.
li, A lui sol di troncar non fia disdetto
Il bosco, e' ha gì' incanti in sua difesa;
E da lui il campo tuo, che, per difetto
Di gente, inabii sembra a tanta impresa,
E par che sia di ritirarsi astretto,
Prenderà maggior forza a nova impresa,
E i rinforzali muri, e d' oriento
Supererà 1' esercito possente.
15. Tacque; e 'I Huglion rispose: oh quanto grato
Fora a me, che tornasse il cavalicro!
Voi , «-.he vedete ogni pen-:icr celato,
Sapete, s' amo lui, se dico il vero.
Ma di', con qiiai proi>ostc, od in qual Iato
Si deve a lui mandarne il mcssag<;icro ?
Vuoi eh' io preghi, o comandi.^ E come questo
Atto sarà legitlim*» ed onesto?
16. Allor ripigliò l' altro: il rego eterno.
Che te di tiinte somme gruzii- onora,
^ noi , che da quegli, onde li die il governo,
Tu sìa onor.ito e riverito ancora,
l'ero non cbitdcr tu (né scriiza scherno
Forse ilei >(iMnno ini|icrio il chieder fora).
Ma ricbiolo concedi, ed al perdono
Scendi degli altrui preghi al primo suono !
[166]
17. Guelfo ti pregherà (Dio sì 1' inspira),
Ch' assolva il fier garzon di queir errisre
In cui trascorse per soverchio d' ira,
Sicch' al campo egli torni ed al suo onore;
E bench' or lunge il giovine delira,
E vaneggia nell' ozio e nell' amore;
Non dubitar però, che 'n pochi giorni
Opportuno a grand' uopo ei non ritorni:
18. Che 'l vostro Piero , a cui Io ciel comparte
L' alta notizia de' secreti sui,
Saprà drizzare i raessaggieri in parte.
Ove certe novelle avran di lui,
E sarà lor dimostro il modo e l' arte
Di liberarlo, e di condurlo a vui.
Così alfin tutti i tuoi compagni erranti
Ridurrà il ciel sotto i tuoi segni santi.
li). Or chiuderò il mio dir con una breve
Conclusion, che so eh' a te fia cara.
Sarà il tuo sangue al suo commisto, e deve
Progenie uscirne gloriosa e chiara.
Qui tacque, e sparve, come fumo leve
Al vento, o nebbia al sole arida e rara,
E sgombrò il sonno, e gli lasciò nel petto
Di gioja e di stupor confuso affetto.
20. Apre allora le luci il pio Buglione,
E nato vede e già cresciuto il giorno ;
Onde lascia i riposi , e sovrappone
L' armi alle membra faticose intorno.
E poco stante a lui nel padiglione
Venieno i duci al solito soggiorno.
Ove a consiglio siedono : e per uso
Ciò, eh' altrove si fa, quivi è concluso.
21. Quivi il buon Guelfo , che 'I novel pensiero
Infuso avea nell' inspirata mente.
Incominciando a ragionar primiero.
Disse a Goffredo: oh principe clemente!
Perdono a chieder ne vegn' io, che' nvero
E perdon di peccato anco recente;
Onde potrà parer per avventura
Frettolosa dimanda, ed immatura:
22. Ma pensando, che chiesto al pio Goffredo
Per lo forte Rinaldo é tal perdono,
E riguardando a me , che 'n grazia il chiedo.
Che vile affatto intercessor non sono,
Agevolmente d' impetrar mi credo
Questo, eh' a tutti fia giovevoi dono.
Deh consenti, eh' ei rieda, e che in ammenda
Del fallo in prò coumne il sangue spenda!
23. E chi sarà, s' egli non é, quel forte,
Clr osi troncar le spaventose piante .-'
Chi gira incontro ai rischj della morto
C(m più intrepido petto e più costante ?
St'oter le mura , ed atterrar le porto
A edrailo , e salir sido a tutti innante.
Rendi al tuo campo ornai, rendi, per Dio,
Lui, eh' è sua alta speme e suo desio!
21. Rendi il nipote n me sì valoroso,
E pronto csccuttir rendi a te stesso.
Né sollVir, rir egli torpa iu vii riposo.
Ma rendi in>irni(- la sua gloria ad esso!
Segua il v<-.»ilbi tuo vittorioso!
Sia testÌMU)nio a sua virtù concesso!
Farcia oyrc di sé degne in cliiara luce,
E rimirando te mae>tro e duce!
Il *
[167]
GERUSALEMME LIBERATA. (XIV. 25— 40)
[168]
25. Così pregava: e ciascun altro i preghi
Con favorevol fremito segiiia.
Onde Goffredo allor, quasi egli pifglii
La niente a cosa non pensata in pria.
Come esser può, dicea, che grazia i' neghi
Che da voi si dimanda e si desia ?
Ceda il rigore, e sia ragione e legge
Ciò, che '1 consenso universale elegge!
26. Torni Rinaldo , e da qui innanzi affrene
Più moderato 1' impeto dell' ire,
E risponda con 1' opre all' alta spene
Di Ini concetta, ed al comun desire'.
Ma il richiamarlo, oh Guelfo, a te conviene.
Frettoloso egli fia, credo, al venire.
Tu scegli il messo, e tu 1' indrizza, dove
Pensi, che '1 fero giovine si trove!
27. Tacque : e disse sorgendo il guerrier dano :
Esser io chieggio il messaggier , che vada ;
Nò ricuso cammin dubbio , o lontano,
Per far il don dell' onorata spada.
Questi è di cor fortissimo e di mano:
Onde al buon Guelfo assai 1' offerta aggrada.
Vuol, eh' ei sia 1' un de' messi, e che sia l' altro
Ubaldo , uom cauto ed avveduto e scaltro.
28. Veduto Ubaldo in giovinezza, e cerchi
Varj costumi avea , varj paesi.
Peregrinando dai più freddi cerchi
Del nostro mondo agli Etiopi accesi,
E com' uora , che virtute e senno merchi,
Le favelle, le usanze , e i riti appresi ;
Poscia in matura età da Guelfo accolto
Fu tra' compagni, e caro a lui fu molto.
29. A tai messaggi 1' onorata cura
Di richiamar 1' alto campion si diede,
E gì' indrizzava Guelfo a quelle mura,
Tra cui Boeraondo ha la sua regia sede;
Che per pubblica fama e per secura
Opinion , eh' egli vi fia , si crede.
Ma '1 buon romito, che lor mal diretti
Conosce, entra fra loro, e tronca i detti,
30. E dice: oh cavalier, seguendo il grido
Delia fallace opinion volgare,
Duce seguite temerario e infido,
Che vi fa gire indarno e traviare.
Or d' Ascaiona nel propinquo lido
Itene, dove un fiume entra nel mare!
Quivi fia che v' appaja unni nostro amico :
Credete a lui, ciò eh' ei diravvi, io '1 dico!
31. EI molto per gè vede, e molto inteso
Del preveduto vostro alto viaggio
Già gran tempo da me. So, che cortese
Altrettanto vi fia, quanto egli è saggio.
Così lor disse, e più da lui non chiese
Carlo, o r altro, che seco iva messaggio;
Ma furo ubbidienti alle parole,
Che spirito di^in dettar gli suole.
82. Pre>er comiato: o sì il desio gli sprona,
Clic, senza indugio alcun posti in cammino,
Dirizzaro il lor corso ad Ascaiona,
Dove ai lidi si frange il mar vicino.
E non odiano ancor , come risuona
Il roco ed alto fremito marino,
Quando giunsero a un fiume, il qnal di nova
Acqua uccrcdcinlo è per novella piova.
33. Sicché non può capir dentro al suo letto,
E sen va più che strai corrente e presto.
Mentre essi stan sospesi, a lor d' aspetto
Venerabile appare un vecchio onesto.
Coronato di faggio , in lungo e schietto
Vestir, che di lin candido è contesto.
Scote questi una verga, e '1 fiume calca
Co' piedi asciutti, e centra '1 corso il valca.
34. Siccome soglion là vicino al polo,
S' avvien, che '1 verno i fiumi agghiacci e indurc
Correr sul Ren le villanelle a stuolo
Con lunghi strisci, e sdrucciolar secure:
Tal ei ne vien sovra 1' instabil suolo
Di quest' acque non gelide e non dure,
E tosto colà giunse, onde in lui fisse
Tenean le luci i duo guerrieri, e disse:
35. Amici, dura e faticosa inchiesta
Seguite, e d' uopo è ben, eh' altri vi guidi;
Che 1 cercato guerrier lungi è da questa
Terra in paesi inospiti ed infidi.
Quanto, oh quanto dell' opra anco vi resta!
Quanti mar correrete, e quanti lidi!
E convien, che si stenda il cercar vostro
Oltre i confini ancor del mondo nostro.
36. Ma non vi spiaccia entrar nelle nascose
Spelonche, ov' ho la mia secreta sede!
Ch' ivi udrete da me non lievi cose,
E ciò, eh' a voi saper più si richiede.
Disse, e, eh' a lor dia loco, all' acqua impose
Ed ella tosto si ritira e cede,
E quinci e quindi , di montagna in guisa.
Curvata pende, e 'ii mezzo appar divisa.
37. Ei, presili per man, nelle più interne
Profondità sotto quel rio lor mena.
Debile e incerta luce ivi si scerne,
Qual tra' boschi di Cintia ancor non piena:
Ma pur gravide d' acque ampie caverne
Veggiono, onde tra noi sorge ogni vena.
La qual zampilli in fonte o in fiume vago
Discorra, o stagni, o si dilati in lago.
38. E veder ponno, onde il Po nasca, ed onde
Idaspe, Gange, Eufrate, Istro derivi,
Ond' esca pria la Tana; e non asconde
Gli occulti suoi principj il Nilo quivi.
Trovano un rio più sotto, il qual diiFonde
Vivaci zolfi, e vaghi argenti e vivi.
Questi il sol poi raffina , e '1 licor molle
Stringe in candide masse, o in auree zolle.
39. E miran d' ogn' intorno al ricco fiume
Di care pietre il margine dipinto;
Onde, come a più fiaccole s' allume.
Splende quel loco, e '1 fosco orror n' è vinto
Quivi sciniilla con ceruleo lume
Il celeste zaffiro , ed il giacinto :
Vi fiammeggia il carbonchio, e luce il saldo
Diamante , e lieto ride il bel smeraldo.
40. Stupidi i guerrier vanno, e nelle nuove
Cose sì tutto il lor pcnsier s' impiega,
Che non fanno alcun motto. Alfin pur muovi
La voce Ubaldo, e la sua scorta prega:
Deh, padre, dinne, ove noi siamo, ed ove
Ci guidi , e tua condizion ne spiega!
Cir io non so, se 'I ver miri, o sogno, od onibìi;
CuKÌ alto stupore il cor m' ingombra !
[169]
GERUSALEMME LIBERATA. (XIV. 41—56)
[170]
I
41. Risponde: siete voi nel grembo immenso
Della terra, che tutto in sé produce.
Kè già potreste penetrar nel denso
Delle viscere sue senza me duce.
Vi scorgo al mio palagio , il qual accenso
Tosto vedrete di mirabil luce.
Nacqui io pagan ; ma poi nelle sante acque
Begenerarmi a Dio per grazia piacque.
42. Né in virtìi fatte son d' angioli stigi
L* opere mie meravigliose e conte.
Tolga Dio, eh' usi note o suffumigi,
Per isforzar Oocito e Flegetonte!
Ma spiando men vo da' lor vestigi,
Qual in sé virtù celi o l' erba, o '1 fonte,
É gli altri arcani di natura ignoti
Contemplo, e delle stelle i varj moti.
43. Perocché non ognor lunge dal cielo
Tra sotterranei chiostri è la mia stanza;
Ma sul Libano spesso e sul Carmelo
In aerea magion fo dimoranza.
Ivi spicgansi a me senz' alcun velo
Venere e Marte in ogni lor sembianza,
E veggio, come ogni altra o presto, o tardi
Roti, o benigna, o minaccevol guardi.
44. E sotto i pie mi veggio or folte, or rade
Le nubi, or negre, ed or pinte da Iri ;
E generar le piogge e le rugiade
Risguarde , e come il vento obliquo spiri.
Come il folgor s' infiammi, e per quai strade
Tortuose in giù spinto ei si raggiri:
Scorgo comete, e fochi altri sì presso,
Ch' io soleva invagliir già di me stesso.
45. Di me medesmo fui pago cotanto,
Ch' io stimai già, che '1 mio saper misura
Certa fosse e infallibile di quanto
Può far r alto fattor della natura.
Ma quando il vostro Piero al fiume santo
M' asperse il crine, e lavò 1' alma impura,
Drizzò più su il mio guardo , e '1 fece accorto,
Ch' ei per sé stesso è tenebroso e corto.
46. Conobbi allor, che augcl notturno al solo
È nostra mente ai rai del primo vero,
E di me stesso risi , e delle ("oh;.
Che già cotanto insuperbir mi fero.
Ma pur séguito ancor , come egli vuole.
Le solite arti e 1' uso mio primiero.
Ben sono in parte aUr' noni da quel eh' io fuij
Ch' or da lui pendo , e mi rivolgo a lui.
47. E in lui III' acqueto; egli comanda e insegna.
Mastro insieme e ^ignor soiiiuio e sovrano,
Né già per nostro mezzo oprar di^degna
Cose degne talor della sua mano.
Or sarà cura mia, eli' al i-auipo vegna
L' invitto eroe dal suo career lontano:
Ch' ei la tu' impose, e già gran tempo aspetto
Il venir vostro a me per lui predetto.
48. Così con lor parlando al loco viene,
Ov' egli ha il suo soggiorno e 'I su<» riposo.
Questo è in forma di spiico , e in su coalieno
Camere v. sale , grande v. spazioso.
E ciò, die inni re entro le ri(ulie vene
Di più chiaro la terra e pi-(;/ioso,
Splende ivi tutto, od «i n' è in guisa ornato,
Ch' ogni suo fregio è non fallo , ma nato-
49. Non mancar qui cento ministri e cento,
Che accorti e pronti a servir gli osti foro.
Né poi in mensa magnifica d' argento
Mancar gran vasi e di cristallo e d' oro.
Ma quando sazio il naturai talento
Fu de' cibi , e la sete estinta in loro.
Tempo è ben, disse ai cavalieri il mago.
Che 'l maggior dcsir vostro ornai sia pago.
50. Quivi ricominciò: 1' opre e le frodi
Note in parte a voi son dell' empia Armida :
Come ella al campo venne, e con quai modi
Molti guerrier ne trasse , e lor fu guida.
Sapete ancor , che di tenaci nodi
Gli avvinse poscia, albergatrice infida,
E eh' indi a Gaza gì' inviò con molti
Custodi , e che tra via furon disciolti.
51. Or dirovvi di quel, che poscia occorse:
Vera istoria , da voi non anco intesa.
Poiché la maga rea vide ritorse
La preda sua già con tant' arte presa,
Ambe le mani per dolor si morse,
E fra sé disse di disdegno accesa :
Ah vero unqua non fia , che d' aver tanti
Miei prigion liberati egli si vanti!
52. Se gli altri sciolse, ei serva, ed ei sostegna
Le pene altrui serbate, e '1 lungo affanno!
Né questo anco mi basta: i' vo' , che vegna
Su gli altri tutti universale il danno.
Cosi tra sé dicendo , ordir disegna
Questo , eh' or udirete , iniquo inganno,
Viensene al loco, ove Rinaldo vinse
In pugna i suoi guerrieri, e parte estinse.
53. Quivi egli avendo 1' arme sue deposto,
Indosso quelle d' un pagan si pose :
Forse perché bramava irsene ascosto
Sotto insegne men note e men famose.
Prese 1' armi la maga, e in esse tosto
Un tronco busto avvolse, e poi l' espose;
L' espose in riva a un fiume, ove dovea
Stuol de' Franchi arrivare; e 'l prcvedea.
54. E questo antiveder potea ben ella,
Cbé mandar mille spie solca d' intorno:
Onde spesso del campo avea novella,
E s' altri indi partiva, o fca ritorno,
Oltrecbé con gli spirti anco favella
Sovente, e fa con lor lungo soggiorno.
Collocò dunt|iie il corpo morto in parto
Multo opportuna a sua ingannevoi arto.
55. Non lungc un sagacissimo valletto
Pose, di panni pastorai vestito,
E impose lui ciò eh' os.^er fatto, o dotto
Fintamonte doveva: e fu o-oguito.
Questi parlò co' vostri, e di sospetto
Sparse quel some in lor, eh' indi nutrito
Fruttò risse e diseordie, o quasi alfiiiM
Sedi/iose guerre e cittadine.
56. Che fu, coni' olla disognò, rrodiito
Por o|ira del Huglion Uiiialdo ucciso,
KeiK Ile alfine il sospetto a torto aMito
Del ver si diligiia^so al primo avviso.
Cotal d' Annida 1' artilìrio astuto
Priniierniiiento fu, qual io diviso.
Or udirete aoror, eomo sogiiisso
Poscia Rinaldo , e quel eh' indi avvenivo.
[ni]
GERUSALEMME LIBERATA. (XIV. 57—72)
flTZ]
57. Q\in\ cnufa caccìatrice, Armida aspetta
Rinaldo al varco: ei sali' Oronte giunge,
Ove un rio si dirama , e un' isoietta
Formando, tosto a lui si ricongiunge.
E 'n sulla riva una colonna eretta
Vede, e un picciol battello indi non liinge.
Fisa egli tosto gii occhj al l)tl lavor;)
Del bianco marmo, e legge in lettre d' oro:
SS- Oh chiunque tu sìa, che voglia, o caso
Peregrinando adduce a queste sponde!
Meraviglia maggior l' orto o 1' occaso
Non ha di ciò, che 1' isoietta asconde.
Fassa, se vuoi vederla! E persufiso
Tosto r incauto a girne ultra quell' onde.
E perchè mal capace era la barca,
Gli scudieri abbandona, ed ei sol varca.
59. Com' è là giunto, cupido e vagante
Volge intorno lo sguardo , e nulla vede,
Fuorch' antri ed acque, e fiori, ed erbe, e piante;
Onde quasi schernito esser si crede.
Ma pur quel loco è così lieto, e in tante
Gui^e r alletta , eh' ei si ferma e siede,
E disarma la fronte , e la ristaura
Al soave spirar di placid' aura.
(ÌO. Il fiume gorgogliar frattanto udio
Con novo suono, e là con gli occhj corse,
E mover vide un' onda in mezzo al rio,
Che 'n sé stessa si volse e si ritorse:
E quinci iilquantu d' un crin biondo uscio,
E quinci di donzella un volto sorse,
E quinci il petto e le mammelle, e de la
Sua forma insin, dove vergogna cela.
61. Così dal palco di notturna scena
O ninfa, o dea tarda sorgendo appare.
Questa , benché non sia vera sirena.
Ma sia magica larva, una ben pare
Di quelle . che già presso alla tirrena
Piaggia abitar ì' insidioso mare.
Kè men che 'n viso l>ella, in suono è dolce,
E così canta, e 'l cielo e 1' aure moke:
62. Oh giovinetti , mentre aprile e maggio
V ammantan di fiorite e verdi spoglie,
Di gloria , o di virtù fallace raggio
La tenerella mente ah! non v' invoglie!
Solo chi segue ciò che piace , è saggio,
E in sua stagion degli anni il frutto coglie.
Questo grida natura. Or dunque voi
Indurerete 1' alma ai detti suoi?
63. Folli , perchè gettate il caro dono.
Che breve è si, di vostra età novella?
Nomi , e senza soggetto idoli sono
Ciò , che pregio e valore il mondo appella.
La fama , che invaghisce a im dolce suono
Voi superbi mortali, e par sì bella,
E un eco, im sogno, anzi del sogno un' ombra,
Ch' ad ogni vento si dilegua e sgombra.
64. Goda il corpo seciiro, e in lieti oggetti
L' alma tran(|uilla appaghi i sensi frali!
Ob1)lii le noje andate , e non aflVetti
Le sue miserie ia aspettando i mali !
Nulla curi , so '1 ciel tuoni o saetti,
Minacci egli a sua voglia, e iniiauuuì strali!
Questo è «apcr, questa è felice \ita;
Sì r insegna natura , e sì 1' addita.
65. Sì canta 1' empia, e 'l giovinetto al sonno
Con note invoglia sì soavi e scorte.
Quel serpe a poco a poco , e si fa donno
Sovra i sensi di lui possente e forte:
Né i tuoni omai destar, non eh' altri, il ponno
Da quella queta immagine di morte.
Esce d' agguato allor la falsa maga,
E gli va sopra, di vendetta vaga.
€Q. Ma quando in lui fissò lo sguardo, e vide,
Come placido in vista egli respira,
E ne' begli occhj un dolce atto, che ride.
Benché sian chiusi (or che fia, s' ei li gira?)
Pria s' arresta sospesa, e gli s' asside
Poscia vicina, e placar sente ogn' ira,
Mentre il risguarda; e 'n sulla vaga fronte
Pende omai sì , che par Narciso al fronte.
67. E quei , eh' ivi sorgean , vivi sudori
Raccoglie lievemente in un suo velo,
E con un dolce ventilar gli ardori
Gli va temprando dell' estivo cielo.
Così (chi 'l crederla?) sopiti ardori
D' occhj nascosi distempràr quel gelo,
Che s' indurava al cor più che diamante;
E di nemica ella divenne amante.
68. Di ligustri , di gìgli , e delle rose.
Le quai fiorian per quelle piagge amene.
Con nov' arte congiunte indi compose
Lente, ma tenacissime catene.
Queste al collo, alle braccia, ai pie gli pose:
Così I' avvinse, e così preso il tiene.
Quinci, mentre egli dorme, il fa riporre
Sovra un suo carro , e ratta il ciel trascorre.
69. Né già ritorna di Damasco al regno,
Né dove ha il suo castello in mezzo all' onde.
Ma ingelosita di sì caro pegno,
E vergognosa del suo amor, s' asconde
Neil' oceano immenso , ove alcun legno
Rado , o non mai va dalle nostre sponde,
Fuor tutti i nostri lidi: e quivi eletta
Per solinga sua stanza è un' isoietta ;
70. Un' isoletta, la qual nome prende
Con lo vicine sue dalla fortuna.
Quinci ella in cima a una montagna ascende
Disabitata, e d' ombre oscura e bruua.
E per incanto a lei nevose rende
Le spalle e i fianchi , e senza neve alcuna
Gli lascia il capo verdeggiante e vago,
E vi fonda un palagio appresso un lago:
71. Ove, in perpetuo aprii, molle amorosa
Vita seco ne mena il suo diletto.
Or da così lontana e così ascosa
Prigion trar voi dovete il giovinetto,
E vincer della timida e gelosa
Le guardie, ond" è difeso il monte e '1 tetto.
E già non mancherà chi là vi scorga,
E chi per 1' alta impresa arme vi porga.
72. Troverete, del fiume appena sorti,
Donna giovin di viso, antica d' anni,
Cir ai lunghi crini in sulla fronte attorti
Fia nota, ed al color vario de' panni.
Questa per 1' alto mar fia che vi porti
Più ratta, che non spiega aquila i vanni.
Più che non vola il folgore: né guida
La troverete al ritornar men fida.
[1T3] GERUSALEMME LIBERATA. (XIV. 73 — 79. XV. 1—4) [1T4]
i
A pie del monte, ove la maga alberga,
Sibilando strisciar novi Pitoni,
E cinghiali arricciar 1' aspre lor terga,
Ed aprir la gran l)occa orsi e leoni
Vedrete ; ma scotendo una mia verga.
Temeranno appressarsi , ove ella snoni.
Poi TÌe maggior (fc dritto il ver s' estima)
Troverete il periglio in sulla cima.
14. Un fonte sorge in lei , che vaghe e monde
Ha r acque sì , che i riguardanti asseta,
Ma dentro ai freddi suoi cristalli asconde
Di tosco estriin malvagità secreta;
Che un picciol sor>o di sue lucide onde
Inebria 1' alma tosto, e la fa lieta.
Indi a rider uora move, e tanto il rìso
S' avanza alfin, eh' ci ne rimane ucciso.
75. Lunge la bocca disdegnosa e schiva
Torcete voi dall' acque empie omicide !
Aè le vivande poste in verde riva
V allcttin poi, né le donzelle infide,
Che voce avran piacevole e lasciva,
E dolce aspetto, che lusinga e ride!
Ma voi gli sguardi e le parole accorte
Sprezzando, entrate pur ncll' alte porte!
76. Dentro è di muro inejtricabil cinto.
Che mille torce in sé confusi giri :
Ma in breve foglio io ^el darò distinto,
Sicché nessuno error fia che v' aggiri.
Siede ia mezzo un giardin del labirinto.
Che par che da ogni fronde amore spiri.
Quivi in grembo alla verde erba novella
Giacerà il cavaliero e la donzella.
i rr
Ma come essa, lasciando il caro amante,
In altra parte il piede avrà rivolto,
^ o', eh' a lui vi scopriate, e d' adamante
Un scudo, eh' io darò, gli alziate al volto,
Sicch' egli vi si specchj , e "1 suo sembiante
Veggia, e 1' abito molle, onde fu involto;
Che a tal vista potran vergogna e sdegno
Scacciar dal petto suo 1' amore indegno.
78. Altro che dirvi omai nulla m' avanza.
Se non eh' assai securi ir ne potrete,
E penetrar dell' intricata stanza
Nelle più interne parti e più secrete ;
Perchè non fia, clie magica possanza
A voi ritardi il corso, o '1 passo viete;
Kè potrà pur (cotal virtù vi guida)
Il giunger vostro antivedere Armida.
19. Nò men secura dagli alberghi suoi
L' uscita vi sarà ])oscia , e '1 ritorno.
Ma giunge omai 1' ora del sonno, e voi
Sorger diman dovete a par col giorno.
Così lor disse, e li menò dappoi
Ove essi avean la notte a far soggiorno.
Ivi lascianilo lor lieti e pensosi,
Si ritrasse il buon vecchio a' suoi riposi.
CANTO DECIMO QUINTO.
ARGOMENTO.
Poiché la coppia de' Tncssaggt arditi
Del buon veglio segtùr V orme, e i consigli;
Di mirabil nocchiero ai fidi inviti
Varca su cavo Icf^no onde e perigli.
Ala già scorge, che ingombre arene, e liti
llan delV egizio re tende e navigli.
Poi giunti aljin del corso , armano il petto
Or contro un fero , or cantra un dolce aspetto.
1 Ria ricliinmava il bel nascente raggio
All' opre ogni animai , «he 'n ferra alberga,
Quando venendo ai duo guerrieri il naggio
Portò il fdglin, e lo scudo, r 1' aurta verga.
Accinget<'vi , disse, al gran vi,i>;:gi(),
Primachè 'I dì, che spunta, onnii più ti' erga!
Eccovi qui quanto ho prnuK^sMi, e quanto
Può della maga superar i' incanto !
2. Erano essi già sorti, e 1' arme intorno
Alle robuste membra avean già messe;
Onde per vie, che non rischiara il giorno.
Tosto seguono il iccchio, e sou 1' istessc
Vestigia ri<:al<;ate or nel ritorno.
Che luron prima ne! venire impresse.
Ma giiuiti al letto del suo fiume: amici.
Io v' accommiato, ci dis^c: ite felici!
». Gli accoglie il rio nell' allo seno, e 1"
Soavemente in su gli spigne e porta.
Come suole innalzar leggiera fronda.
La qual da violenza in giù fu torta;
E poi gli cspon so\ra la molle >pon(la.
Quinci mirar la già pr^>m(■^^a scorta,
A ider picciola nave , e in poiqiii (|u<'lla,
Che guidar li de\ea, fatai donzella.
Crinita fronte ella dimostra, e ciglia
Cortesi e favorevoli e tran(|uille.
i; nel sembiante agli angioli somiglia;
Tanta luce ivi par eh' arda e sfa\ ilici
l,a sua goiuia or a.'/.nrra ed or vermiglia
Diroli, <! ^^ colora in guise mille:
Sii eh' uom ^enlpre diuisa n sé la ^i•^\v,
Quantunque volte a riguardarla riedc.
onda
Il!51
GERUSALEMME LIBERATA. (XV. 5 — 20)
[176:
5. Così piuma talor, che di gentile
Amorosa colomba il collo cinge,
Mai non si scoi'ge a se stessa simile,
Ma in cli\er>i colori al sol si tinge:
Or d' accesi riibin sembra un monile,
Or di verdi smeraldi il lume finge,
Or in>ieme li mesce, e varia e vaga
In cento modi i riguardanti appaga.
6. Entrate, dice, o fortunati, in questa
Nave, ond' io l' oceàn seciira varco,
Cui destro è ciascun vento, ogni tempesta
Tranquilla , e lieve ogni gravoso incarco !
Per ministra e per duce or me vi appresta
Il mio signor, del favor suo non parco.
Cosi parlò la donna, e più vicino
Fece poscia alla sponda il curvo pino.
7. Come la nobil coppia ha in lui raccolta,
Spinge la ripa, e gli rallenta il morso;
Ed avendo la vela all' aure sciolta.
Ella siede al governo, e regge il corso.
Gonfio il torrente è sì , eh' a questa volta
I navigli portar ben può sul dorso:
Ma questo è sì leggier, che 'l sosterrebbe
Qual altro rio per nuovo umor men crebbe.
8. Veloce sopra il naturai costume
Portano al mar la vela d' oro i venti,
Biancheggian l' acque di canute spume,
E rotte dietro mormorar le senti.
Ecco giungono omai là, dove il fiume
Queta in letto maggior l' onde correnti,
E nell' ampie voragini del mai-e
Disperso o divien nulla, o nulla appare.
9. Appena ha tocco la mirabil nave
Della marina allor turbata il lembo,
Che fpariscon le nubi , e cessa il grave
Noto, che minacciava oscuro nembo.
Spiana i monti dell' onde aura soave,
E solo increspa il bel ceruleo grembo,
E d' un dolce scren dilluso ride
II ciel, che sé più chiaro unqua non vide.
10. Trascorse oltre Ascalona, ed a mancina
Andò la navicella inver ponente,
E tosto a Gaza si trovò vicina,
Che fu porto di Gaza anticamente,
Ma poi , crescendo dall' altrui mina,
('ittà divenne assai grande e possente;
Ed eranvi le piagge allor ripiene
Quasi d' uomini sì , come d' arene.
il. Volgendo il guardo a terra i naviganti
Scorgtan di tende numero infinito.
ìMira^an cavalier, mira^an fanti
Ire e tornar dalla cittadc al lito,
E da caumielli onusti, e da elefanti
L'areini^o senlier calpesto e trito;
Poi del porto vedean ne' fondi cavi
Sorte e legate all' ancore le navi.
12. Altre spiegar le vele, e ne vcdiéno
Altre i remi trattar veloci e snelle,
E da e»^i e da' rostri il molle seno
Spumar perco>i>o in (|uc>te parti e in quelle.
Di.«se la donna alhir: benché ripieno
11 lido e '1 mar bia delle genti felle,
Non ha in>ii iiic! però le schiere tuttv
Il polente tiranno anco ridulle.
13. Sol dal regno d' Egitto e dal contorno
Raccolte ha queste; or le lontane attende.
Che verso 1' oriente e' l mezzogiorno
11 vasto imperio suo molto si stende;
Sicché sper' io, che prima assai ritorno
Fatto avrem noi , che mova egli le tende :
Egli, o quel, che 'n sua vece esser soprano
Dell' esercito suo de' capitano.
14. Mentre ciò dice , come aquila suole
Tra gli altri augelli trapassar secura,
E sorvolando ir tanto appresso il sole.
Che nulla vista più la raffigura.
Cosi la nave sua sembra che vole
Tra legno e legno; e non ha tèma, o cura,
Che vi sia, chi 1' arresti, o chi la segua:
E da lor s' allontana e si dilegua:
15. E 'n un momento incontra Raffia arriva,
Città, la qual in Siria appar primiera
A chi d' Egitto move: indi alia riva
Sterilissima vien di Rinocera.
Non lunge un monte poi le si scopriva.
Che sporge sovra 1 mar la chioma altera,
E i pie si lava nell' instabili onde,
E r ossa di Pompeo nel grembo asconde.
16. Poi Damiata scopre, e come porte
Al mar tributo di celesti umori
Per sette il Nilo sue famose porte,
E per cento altre ancor foci minori.
E naviga oltra la città dal forte
Greco fondata ai greci abitatori.
Ed oltra Faro, isola già, che lunge
Giacque dal lido, al lido or si congiunge.
17. Rodi e Creta lontane inverso '1 polo
Non scerne e pur lungo Africa sen viene,
Sul mar eulta e ferace, addentro solo
Fertil di mostri, e d' infeconde arene.
La Marmarica rade, e rade il suolo.
Dove cinque cittadi ebbe Cirene.
Qui Tolomita, e poi con ! onde chete
Sorger si mira il favoloso Lete.
18. La maggior sirte , a' naviganti infesta.
Trattasi in alto , inver le piagge lassa :
E 'l capo di Giudeca indietro resta,
E la foce di Magra indi trapassa.
Tripoli appar sul lido , e 'ncontra a questa
Giace Malta fra l' onde occulta e bassa:
E poi riman con l' altre sirti a tergo
Alzerbe, già de' Lotofagi albergo.
19. In curvo lido poi Tunisi vede,
Che ha d' ambo i lati del suo golfo un montfl
Tunisi , ricca ed onorata sede,
A par di quante n' ha Libia più conte!
A lui di costa la Sicilia siede.
Ed il gran Lilibeo gì' innalza a fronte.
Or quinci addita la donzella ai due
Guerrieri il loco, ove Cartagin fue.
20. Giace 1' alta Cartago: appena i segni
Dell' alte sue mine il lid(» serba.
Muojono le città , mnojono i regni,
Copre i l'a>ti e le pompe arena ed erba,
E r uom d' es^er mortai par che si sdegni!
Oh nostra niintt! cupida e superba!
(àiungon ({tiinci a iiiscrta, e più lontano
llan r isola de' Sardi all' altra mano.
[ni]
GERUSALEMME LIBERATA. (XV. 21-S6)
21. Trascorse!' poi le piagge, ove i Numidi
Mciii'ir già vita pastorale erranti.
Trovùr Bugia ed Algeri, iiiraini nidi
Di corsari ; ed Oraii trovar più iniianti,
E costeggiar di Tiiigitiina i lidi,
Nutrice di leoni e di elefanti,
Cli' or di Marocco è il regno, e quel di Fessa,
E varcar la Granata incontro ad essa.
22. Son già là, dove il mar fra terra inonda.
Per via , eh' esser d' Alcide opra si finse.
E forse è ver, eh' una continua sponda
Fosse, eh' alta ruina in due distinse.
Passovi a forza V oceano , e V onda
Abila quinci , e quindi Calpe spinse.
Spagna e Libia partio con foce angusta;
Tanto mutar può lunga età vetusta !
23. Quattro volte era apparso il sol nell' orto,
Dacché la nave si spiccò dal lito;
Kè mai (di' uopo non fu) s' accolse in porto,
E tanto del cammino ha già fornito.
Or entra nello stretto, e passa il corto
Varco, e s' ingolfa in pelago infinito.
Se '1 mar qui è tanto , ove il terreno il serra,
Che fia colà, dov' egli ha in sen la terra?
24. Più non si vede ornai tra gli alti flutti
La fertil Gade e 1' altre due vicine.
Fuggite son le terre e i lidi tutti;
Dell' onda il ciel, del ciel 1' onda è confine.
Diceva Ubaldo allor: tu, che condutti
]\' hai, donna, iu questo mar, che non ha fine.
Di', s' altri mai qui giunse, e se più alante
Nel mondo, ove corriamo, have abitante.
25. Risponde: Ercole, poich' uccisi i mostri
Ebbe di Libia e del paese Ispano,
E tutti scorsi e vinti i lidi a ostri,
Non osò di tentar 1' alto oceano.
Segnò le mete , e 'n troppo brevi chiostri
L' ardir ristrin:.e dell' ingegno umano.
Ma quei segni sprezzò, cb' egli prescrisse.
Di veder vago e di i^aper Llisse.
26. Ei passò le colonne , e |)cr 1' aperto
Mare spiegò de' remi il volo audace:
Ma non giovogli e.^ser neh' onde esperto,
Perchè inghiottillo l' oceàn vorace,
E giacque col suo «orpo anco coperto
II suo gran caso, v.W or tra voi si tace.
S' altri ^i fu da' ^cnli a ior/a spinto,
O non tornonne , u >i rinuuc estinto.
27. Siccliè ignoto è '1 gran mar, che eolchi, ignote
Isole mille; e mille regni asconde.
Né già d' abit.itor \c terre bau vote;
Ma son come le '\(>.-lre anco feconde.
Son esse atte al produr , nò sterii piiote
Esser ipudla ^irtù, die 'I sol v' infonde.
Ki|>iglia |I|ial(lo allor: dd mondo occulto
Dimmi , qiiai son le leggi , e quali; il culto ?
28. (ìli soggiunse colei: diverse bando
Diver-i bau riti , ed abiti , e favello.
Altri adora le belve, altri la granilo
Coiniiiie iiiiidic, il sole altri e le stelle,
V è clii d' ubboiiiinevolì vi\aiide
Le mense ingombra scdbrate e felle.
E 'n Komiiia ognun, vhr. in qua ila ('alpe siede,
Barbaro è di costumi , empio di lede.
II!!]
29. Dunque, a lei replicava il cavaliero,
Quel Dio, che scese a illuminar le carte
A noie ogni raggio ricoprir del vero
A questa , che del mondo è sì gran parte ?
No, rispose ella; anzi la fé di Piero
Fiiivi introdotta , ed ogni civil' arte.
Né già sempre sarà, che la via lunga
Questi da' vostri popoli disgiunga.
30. Tempo verrà, che fian d' Ercole ì segni
Favola vile ai naviganti industri,
E i mar riposti , or senza nome , e i regni
Ignoti ancor , tra voi saranno illustri.
Fia, che 'l più ardito allor di tutti i legni,
Quanto circonda il mar, circondi e lustri,
E la terra misuri , immensa mole,
Vittorioso ed emulo del sole.
31. Un uom della Liguria avrà ardimento
All' incognito corso esporsi in prima;
Nò '1 minaccevol fremito del vento,
Né r inospito mar, né '1 dubbio clima,
Né s' altro di periglio, o di spavento
Più grave e formidabile or si stima,
Faran , che '1 generoso entro ai divieti
D' Abila angusti 1' alta mente acqueti.
32. Tu spiegherai , Colombo , a un novo polo
Lontano si le fortunate antenne,
Cli' appena seguirà con gli occbj il volo
La fama, eh' ba mille occbj e mille penne.
(Jaiiti ella Alcide e Bacco , e di te solo
Basti a' posteri inoi , di' alquanto accenne !
Cbé quel (xico darà lunga memoria
Di poema dignis^ima, e d' istoria.
33. Così dice ella; e per 1' ondose strade
Corre al ponente, e piega al mezzogiorno,
E vede, come incontra il sol giù cade,
E come a tergo lor rinasce il giorno.
E quando appunto i raggi e le rugiade
La bella aurora semiiuna intorno,
Lor s' ofl'rì dì lontano oscuro un monte.
Che tra le nubi nascondea la fronte.
31. E 'I vedean jjoscia procedendo avante,
Quando ogni iimol già n' era rimusso,
Alle acute piramidi sembiante,
Sottile inver la cima, e 'ii mezzo grosso,
E mostrarsi talor così fumante.
Come quel , die d' tncdado è sul dosso.
Clic per propria natura il giorno fuma,
E poi la notte il ciel di fiamme alluma.
35. Ecco altre isole insieme , altre pendici
Scopriano alfin men erte ed devate:
Ed eran questi' V ÌM>le felici.
Così le nominò la p^i^ca etate.
A cui tanto sliiiiaxa i cidi amici,
CAìi' cri'dca volont.irie e non arate
Qiii>i produr le terre, e ''n più graditi
Frutti non eulte germogliar le viti.
30. (^iii non fallaci mai fiorir gli olivi,
E 1 mei ilicea stillar dall' elei cave,
E scender giù da lor monliigne i rivi
('oli acque dolci e mormorio soave,
E zefiri e rugiade i raggi estivi
Teiiiprar>i sì, die nullo ardor v' è grave;
E qui gli disj campi, e lo famose
Stanze delle beate animo pose.
12
[179]
GERUSALEMME LIBERATA. (XV. 37-52)
[180
37. A queste or vien la donna; ed ornai siete
Dal fin del corso, lor dicea, non lunge.
L' isole di fortuna ora vedete,
Di cui gran fama a voi, ma incerta, giunge.
Ben sono elle feconde, e vaglie, e liete,
Ma pur molto di falso al ver s' aggiunge.
Così parlando, assai presso si fece
A quella, che la prima è delle diece.
38. Cario incomincia allor: se ciò concede,
Donna, quell' alta impresa, ove ci guidi,
Lasciami ornai por nella terra il piede,
E veder questi inconosciuti lidi.
Veder le genti, e '1 culto di lor fede,
E tutto quello , ond' uora saggio m' invidi,
Quando mi gioverà narrare altrui
Le novità vedute , e dire : io fui !
39. Gli rispose colei: ben degna in vero
• La domanda è di te ; ma che poss' io,
S' egli osta inviolahile e severo
Il decreto de' cieli al bel desio?
Che ancor volto non è lo spazio intero,
Ch' al grande scoprimento ha fisso Dio;
Kè lece a voi dall' oceàn profondo
Recar vera notizia al vostro mondo.
40. A voi per grazia, e sovra 1' a.-te e l' uso
De' naviganti, ir per quest' acque è dato,
E scender là, dove è il guerrier rinchiuso,
E ridurlo del mondo all' altro lato.
Tanto vi basti! e 1' aspirar più suso
Superbir fora, e calcitrar col fato.
Qui tacque: e già parca più bassa farsi
L' isola prima, e la seconda alzarsi.
il. Ella mostrando già, eh' all' oriente
Tutte con ordin lungo eran dirette,
E che largo è fra lor quasi egualmente
Quello spazio di mar, che si frammette^
Fonsi veder d' abitatrice gente
Case e culture, ed altri segni in sette;
Tre deserte ne sono ; e v' han le belve
Securissiraa tana in monti e in selve.
42. Luogo è in una dell' erme assai riposto,
Ove si curva il lido, e in fuori stende
Due lunghe corna, e fra lor tiene ascosto
Un ampio seno, e porto un scoglio rende,
Ch' a lui la fronte, e '1 tergo all' onda ha opposto,
Che vien dall' alto, e la respinge e fende.
S' innalzan quinci e quindi , e torreggianti
Fan due gran rupi segno a' naviganti.
43. Tacciono sotto i mar securi in pace;
Sovra Iia di negre selve opaca scena,
E 'n mezzo d' esse una spelonca giace
ÌV edere, e d' ombre, e di dolci acque amena.
Fune non lega qui, nò col tenace
!Morso le stanche navi àncora frena.
La donna in sì solinga e queta parte
Entrava, e raccogtiea le vele sparte.
ìì. Mirate, disse poi, quell' alta mole.
Che di quel monte in sulla cima siede!
Quivi fra ci!)i, ed ozio, e scherzi, e fole
'j'orpc il canipioii della crititiana fede.
Voi con la giiidii del nascente sole
Su per (ludi' erto mr)veretc il |)icile.
Kè vi gravi il tanhir! perocché fora.
Se non la mattutina, infausta ogni ora.
45. Ben col lume del di, eh' anco riluce,
lusino al monte andar per voi potrassi.
Essi al congedo della nubil duce
Foser nel lido desiato i passi,
E ritrovar la via, eh' a lui conduce,
Agevol sì, che i piò non ne fur lassi,
E quando v' arrivar , dall' oceano
Era il carro di Febo anco lontano.
i3. Veggion, che per dirupi e fra ruine
S' ascende alla sua cima alta e superba,
E eh' è fin là di nevi e di pruine
Sparsa ogni strada: ivi ha poi fiori ed erba.
Presso al canuto mento il verde crine
Frondeggia, e '1 ghiaccio fede ai gigli serba,
Ed alle rose tenere : cotanto
Puote sovra natura arte d' incanto!
il. I duo guerrieri in loco ermo e selvaggio,
Chiuso d' ombre , fermarsi a piò del monte.
E come il ciel rigò col novo raggio
Il sol, dell' aurea luce eterno fonte,
Su, su, gridaro entrambi, e '1 lor viaggio
Ricominciar con voglie ardite e pronte.
Ma esce , non so donde , e s' attraversa
Fiera serpente orribile e diversa.
48. Innalza d' oro squallido squamose
Le creste e '1 capo, e gonfia il collo d' ira:
Arde negli occhj , e le vie tutte ascose
Tien sotto il ventre , e tosco e fiuno spira.
Or rientra in sé stessa, or le nodose
Rote distende, e so dopo sé tira.
Tal s' appresenta alla solita guarda,
Kò però de' guerrieri i passi tarda.
49. Già Carlo il ferro stringe, e '1 serpe assale
Ma r altro grida a lui: che fai.'' che tente?
Per isforzo di man , con arme tale
Vìncer avvisi il difensor serpente?
Egli scote la verga aurea immortale.
Sicché la belva il sibilar ne sente,
E impaurita al suon , fuggendo ratta,
Lascia quel varco libero, e s' appiatta.
50. Più suso alquanto il passo a lor contende
Fero leon , che rugge , e torvo guata,
E i velli arrizza, e le caverne orrende
Della bocca vorace apre e dilata.
Si sferza con la coda, e l' ire accende;
Ma non è pria la verga a lui mosti'ata,
Ch' un secreto spavento al cor gli agghiaccia
Ogni nativo ardire, e 'n fuga il caccia,
51. Segue la coppia il suo cammin veloce;
Ma formidabile oste han già d' avantc
Di guerrieri animai , varj di voce,
Varj di moto, e varj di sembiante.
Ciò che di mostruoso e di feroce
Erra fra i Nilo e i termini d' Atlante,
Par qui tutto raccolto , e quante belve
L' Ercinia ha in sen, quante l' ircane selve.
52. Ma pur sì fero esercito e sì grosso
Non vien, che lor respinga, o lor resista;
Anzi (miraool novo!) ia fuga è mosso
Da un picciol fischio e da una breve vista.
La coppia oniai vittoriosa il dosso
Della montagna senza intoppo acquista;
S(; non se inquanto il gelido e l' alpino
Delle rigide vie tarda il cammino.
[181]
GERUSALEMME LIBERATA. (XV. 53— 6S)
[182-:
53. Ma , poiché già le nevi ebber varcate,
E superato il discosceso e 1' erto,
Un bel tepido ciel di dolce state
Ti'ovaro , e '1 pian sul monte ampio ed aperto.
Aure fresche maiscmpre , ed odorate
Vi spiran con tenor stabile e certo:
Ne i fiati lor, siccome altrove suole,
Sopisce o desta ivi girando il sole.
54. Kè , come altrove ci suol , ghiacci ed ardori.
Nubi e sereni, a quelle piagge alterna,
Ma il ciel di candidissimi splendori
Sempre s' ammanta, e non s' infiamma, o verna,
E nutre ai prati 1' erba, all' erba i fiori,
Ai fior r odor , i' ombra alle piante eterna.
Siede sul lago, e signoreggia intorno
I monti e i mari il bel palagio adorno.
55. I cavalier per 1' alta aspra salita
Sentiansi alquanto affaticati e lassi;
Onde ne gian per quella via fiorita,
Lenti or movendo ed or fermando i passi,
Quando ecco un fonte, che a bagnar gì' invita
Le asciutte labbra, alto cader da' sassi,
E da una larga vena, e con ben mille
Zampilletti spruzzar 1' erba di stille*
56. Ma tutta insieme poi tra verdi sponde
In profondo canal l' acqua s' aduna,
E sotto r ombra di perpetue fronde
Mormorando sen va gelida e bruna,
Ma trasparente si , che non asconde
Dell' imo letto suo vaghezza alcuna:
E sovra le sue rive alta s' estolle
L' erbetta, e vi fa seggio fresco e molle.
57. Ecco il fonte del riso, ed ecco il rio.
Che mortali perigli in se contiene.
Dissero ; or qui frenar nostro desio, ^
Ed esser cauti molto , a noi conviene.
Chiudiam l' orecchio al dolce canto e rio
Di queste del piacer false sirene!
Cosi n' andar sin dove il fiume vago
Si spande in maggior letto, e forma un Iago.
58. Quivi di cibi preziosa e cara
Apprestata è una mensa in sulle rive;
E scherzando sen van per l' acqua chiara
Due donzcllette garrule e lascive,
Clì' or ti spruzzano il volto , or fanno a gara.
Chi prima a un segno destinato arrive.
Si tulVano talora , e '1 capo e 'I dorso
Scoprono aUìn dopo il celato corso.
5!). Mosscr le natatrici ignude e belle
De' duo guerrieri alquanto i duri petti,
Sicché feriniuvi a riguardarle: ed elle
Soguian pur(! i lor giochi e i lor diletti.
Una intanto drizzossi , e le mammelle,
!•; tutto ciò, che più la vista alletti.
Mostrò dal seno in 6^I^o aperto al cielo,
E 'l lago air altre membra era un bel volo.
CO. Qual mattutina stella esce dell' onde
Rugiadosa e stillante; o come fuore
Spuntò nascendo già dalle feconde
Spume dell' oceàn la dea d' amore:
Tal apparve costei ; tal le sue bionde
Chiome stillavan cristallino umore.
Poi girò gli occhj , e pur allor s' infinse
Que' duo vedere, e in sé tutta si strinse:
61. E 'l crin , che 'n cima al capo avea raccolto
In un sol nodo , immantinente sciolse,
Che lunghissimo in giù cadendo , e folto,
D' un aureo manto i molli avorj invole^e.
Oh che vago spettacolo è lor tolto !
Ma non mcn vago fu chi loro il tolse.
Cosi dall' acque e da' capelli ascosa
Allor si volse lieta e vergognosa.
62. Rideva insieme, e insieme ella arrossla.
Ed era nel rossor più bello il riso,
E nel riso il rossor, che le copria
Insino al mento il delicato viso.
Poscia la voce mansueta e pia
Mosse, che parve suon di paradiso;
Oh fortunati peregrin , cui lice
Giungere in questa sede alma e felice!
63. Questo è il porto del mondo, e qui il ristoro
Delle sue noje , e quel piacer si sente.
Che già senti ne' secoli dell' oro
L' antica e senza fren libera gente.
L' arme, che sin a qui d' uopo vi foro,
Potete omai depor securamente,
E sacrarle in quest' ombra alla quiete;
Che guerrieri qui sol d' amor sarete,
64. E dolce campo di battaglia il letto
Fiavi, e 1' erbetta morbida de' prati.
Noi nieneremvi anzi il regale aspetto
Di lei, che qui fa i servi suoi beati,
Che v' accorrà nel bel numero eletto
Di quei, eh' alle sue gloje ha destinati.
Ma pria la polve in queste acque deporre
Vi piaccia, e '1 cibo a quella mensa torre!
65. L' una disse così : l' altra concorde
L' invito accompagnò d' atti e di sguardi.
Siccome al suon delle canore corde
S' accompagnano i passi or presti, or tardi.
Ma i cavalieri hanno indurale e sorde
L' alme a qne" vezzi perfidi e bugiardi,
E '1 lusinghiero aspetto , e 'l parlar dolco
Di fuor s' aggira , e solo i sensi moke.
66. E se di tal dolcezza entro trasfusa
Parte penetra , onde il de.-io germoglic,
Tosto ragiiui neir armi sue riiidiiusa
Sterpa e riseca le nascenti voglie.
L' una coppia riman ^inta e delu.-a,
li' altra ben va, nr pur congedo toglie.
Essi entrar nel pai. iglò; essc nell" acque
Tulfàrsi; a lor ei la rcpuUu spiacque.
12 *
[183]
GERUSALEMME LIBERATA. (XVL 1-12)
[lh'4^
CANTO DECIMO SESTO.
ARGOMENTO.
Ecco gli orti (T Jrmida , ceco sepolto
Nelle molli delizie il garzon forte :
Ma dalP empie catene eccolo sciolto,
Eccolo fuor delle incantate porte.
La maga, onde H suo ben non le sia tolto,
Prega , allctta , e minaccia in varia sorte,
Ma mdla impetra : onde da sdegno oppressa
Solve in fumo il palagio , e 'n duol se stessa.
Tondo è il ricco ctlifizio , e nel più chiuso
Greiuho di lui, eh' è quasi centro al giro,
Un giardin v' ha , eh' adorno e sovra V uso
Di quanti più fiiiuo?^! nnqua futriro.
D' intorno inosservabile e confuso
Ordii! di lon^g-e i demon fal>bri ordirò,
E, tra le oÌ)ltliqne vie di quel fallace
Uavvol^imento iinpeneLrabil giace.
Per r entrata maggior (perocché cento
L' ampio albergo n' avca) passar costoro.
Le porte qui d' cirigiato argento
Sui cardini stridean di lucid' oro.
Fermar nelle figure il guardo intento ;
Che vinta la materia è dal lavoro.
Manca il parlar: di vivo altro non chiedi:
Kè manca questo ancor, se agli occhj credi.
Mirasi qui fra le meonie ancelle
Favoleggiar con la conocchia Alcide.
Se r inferno espugnò, resse le stelle.
Or ttirce il fuso; Amor sei guarda, e ride.
IMira-i Iole con la destra imbelle
Per ischerno trattar l' armi (»micìde ;
E n do-so ha il cuojo del leou, che sembra
llu^ìdo troppo a si tenere membra.
i. 1)' inrontro è un mare, e di canuto Hutto
Vedi spumanti i suoi cerulei campi.
Vedi nel mezzo un doppio ordine instrutto
Di na\i e d' arme, e uscir dell' arme i lambii.
D' oro fiammeggia 1' onda, e par che tutto
D' incendio mar/ial Lineate avvampi.
Quinci Augusto i Romani, Antonio quindi
Trac 1' Oriente, Egizj , Arabi, ed Indi.
». Svelte nuotar le Cidadi diresti
Per r onde, e i monti co' gran monti urtar<i :
L' impelo è tanto, onde; quei ^anno, e questi
Co' legni tfirreggianti ad incontrar>i.
(fili volar f.ici e dardi, e già funesti
Vedi dì nova strage i mari sparri.
Ecco ( nò jiiinto ancor la pugna inchina)
Ecco fuggir la barbara rcina.
6 E fugge Antonio, e lasciar può la speme
Dell' ìniperio del mondo , ov' egli aspira.
Non fugge no ; non teme il fier , non teme,
3Ia segue lei, che fugge e seco il tira.
Vedresti lui , simile ad uom, che freme
D' amore a un tempo e di vergogna e d* ira,
Mirar alternamente or la crudele
Pugna, eh' è in dubbio, or le fuggenti vele.
7. Nelle latebre poi del Nilo accolto
Attender pare in grembo a lei la morte,
E nel piacer d' un bel leggiadro volto
Sembra, che '1 duro fato egli conforte.
Di cotai segni variato e scolto
Era il metallo delle regie porte.
I duo guerrier , poiché dal Aago obhietto
Rivolser gli occhj , entrar nel dubbio tetto.
8. Qual Meandro fra rive obblique e incerte
Scherza , e con dubbio corso or cala , or mont
Queste acque ai fonti, e quelle al mar convert<
E, mentre ei vien , sé, che ritorna, affronta,
Tali, e più inestricabili conserte
Son queste vie : ma il libro in sé le impronta,
II libro, don del mago, e desse in modo
Parla , che le risolve, e spiega il nodo.
9. Poiclié lasciar gli avviluppati calli.
Li lieto aspetto il bel giardin s' aperse.
Acque stagnanti, mobili cristalli.
Fior varj e varie piante, erbe diverse,
Apriche collinette, ombrose valli.
Selve e spelonche in una vista offerse :
E , quel che '1 bello e '1 caro accresce all' opn
L' arte, che tutto fa, nulla si scopre.
10. Stimi (sì misto il culto è col negletto)
Sol naturali e gli ornamenti e i siti.
Di natura arte par , che per diletto
L' imitatrice sua scherzando imiti.
L' aura, non eh' altro, è della maga effetto:
L' aura, che rende gli alberi fioriti.
Co' fiori eterni eterno il frutto dura.
E , mentre spunta 1' un , I' altro nnitura.
11. Nel tronco istesso, e tra 1' istessa foglia
Sovra il nascente fico in\ecchia il fiio.
l'elidono a un ramo, un con dorata spoglia,
L' altro con verde, il novo, e '1 pomo antico.
Lussureggiante serpe alto e germoglia
lia torta Aite, ov' è più 1' <uto aprico:
Qui r uva ha in fiori acerba, e qui d' or 1' hav(
E di piropo, e già dì nettar grave.
12. Vezzosi augelli infra le verdi fronde
'l'emprauo a piova lascivette note.
Mormora 1' aura , e fa le foglie e 1' onde
Garrir, die variamente ella percuote.
Quando taccion gli augelli, allo risponde;
Quando cantan gli aiigei , più lieve scote.
Sia caso, od arte, or accompagna, ed orli
Alterna i versi lor la musica ora.
[185]
GERUSALEMME LIBERATA. (XVL 13—28)
[186]
13. Vola fra gli aldi nn , che le piume ha sparto
Di color varj , ed ha purpureo il rostro,
E lingua snoda in guisa larga, e parte
La voce sì, eh' assembra il serinon nostro.
Questo ivi allor continuò con arte
L Tanto il parlar, che fu niirabil mostro.
" Tacquero gli altri ad ascoltarlo intenti,
E fermaro i susurri in aria i venti,
U. Dell mira , egli cantò , spuntar la rosa
Dal verde suo modesta e verginella,
Che mezzo aperta ancora , e mezzo ascosa,
Quanto si mostra men , tanto è più bella.
Ecco poi nudo il sen già baldanzosa
Di>|)iega: ecco poi langue , e non par quella;
Quella non par, che desiata avanti
Fu da mille donzelle e mille amanti.
15. Cosi trapassa al trapassar d' un giorno
Della vita mortale il fiore e "I verde:
j\è , perchè faccia indietro a|)ril ritorno,
Si rinfiora ella mai , nò si rinverde.
Cogliam la rosa in sul mattino adorno
Di questo (U, che tosto il scren perde!
Cogliam d' amor la rosa ! amiamo or, quando
Esser si puote riamato amando !
16. Tacque: e concorde degli augelli il coro
Quasi approA andò , il <;anto indi ripiglia.
Kaddoppian le colombe i baci loro,
Ogni animai d' amar si riconsiglia.
Par, che la dura quercia e '1 casto alloro,
E tutta la frondosa ampia famiglia,
Par, che la terra e T aria e formi e spiri
Dolcissimi d' amor sensi e sospiri.
17. Fra melodia sì tenera , e fra tante
Vaghezze allettatrici e lusinghiere
Va quella coppia , e rigida e costante
Se stessa indura ai vezzi d<l piacere.
Ecco tra fronde e fronde il guardo avante
Penetra, e vede, o pargli di vedere:
Vede pur certo il ■\ago e la diletta,
Ch' egli è in grensbo alla donna, essa all' erbetta
18. Ella dinanzi al petto ha il vel diviso,
E '1 crin sparge incompo.>to al vento e>livo ;
Langue per vezzo , e '1 suo infiauunato viso
Fan biancheggiando i bei >o(lor più livo.
Qnal raggio in onda , le si intilla un riso
]\egli umi<li oim:Iij tremulo e las('i>o.
Sovra lui pende , ed ei nel gi-cmlxi molle
Le posa il capo, e '1 volto ai \<dlo atlolle,
19. E, ì f<iiiielici sguardi avidametile
In lei pascendo , >i <'on«nmii e .-«truggc.
S' inchina, e i duici baci cll.i so\cntc
]>ib<t or dagli oc( lij , e dalle Libbra or guggc:
Kd in )|uel punto ei so<piri>r si ^elUe
l'cofondo >ì . chi; pi-n>i : or 1' alma l'ugge,
E II lei lrupa>.''a peregrina. Ascotii
.■Mirano i duo gueiricr gli atti aiiioiosi.
H). Dal fianci» dell' amaiilc, (■>(raiiio arnese,
l'ii crinlallo pendea Indilo e netto.
Soreie, e quel fra le mani a Ini >iispe.-<c
Ai iiiiyti'rj li' amor iiiini>tro eletto,
(^m luci cibi ridenti, ei con accese,
Mirano in \nrj oggetti mi solo oggetto.
Ella del \etro a m- la specchio, ed egli
(ili occlij di lei sereni a bè la spegli.
21. L' uno di servitù, 1' altra d' impero
Si gloria; ella in sé stessa, ed egli in lei.
Volgi, dicea, deh volgi, il cavaliero,
A me quegli occbj, onde beata bei!
Che son, se tu noi «ai, ritratto vero
Delle bellezze tue gì' incendj miei.
La forma lor , le meraviglie appieno,
Più che '1 cristallo tuo, mostra il mio seno.
22. Deh, poiché sdegni me, eom' egli è vago.
Mirar tu almen potessi il proprio volto !
Che '1 guardo tuo, eh' altrove non è pago,
Gioirebbe felice in ?è rivolto.
jNon può specchio ritrar sì dolce immagn ;
Kè in picciol vetro è un paradiso accolto.
Specchio t' è degno il cielo, e nelle stelle
Puoi riguardar le tue sembianze belle.
23. Ride Armida a quel dir: ma non che cesse
Dal vagheggiarsi , o da' suoi bei lavori.
Poiché intrecciò le chiome, e che ripresse
Con ordii! vago i lor lascivi errori,
Torse in anella i crin minuti, e in esse.
Quasi smalto siili' or, consparse i fiori,
E nel bel sen le peregrine rose
Giunse ai nativi gigli , e 'l vel compose.
24. ì\è '1 superbo pavon sì vago in mostra
Spiega la pompa delle occhiute piume;
Kè r Iride sì bella indora e inostra
11 curvo grembo e rugiadoso al lume.
Ma. bel sovra ogni fregio il cinto mo^tra,
Che neppur nuda ha di lasciar costume.
Die' corpo a chi non 1" ebbe, e quando il fece.
Tempre mifchiò, eh' altrui mescer non lece.
25. Teneri sdegni , e placide e tranquille
Repulse, e cari vezzi , e liete paci.
Sorrisi, parolette, e dolci stille
Di pianto, e sospir tronchi, e molli baci.
Fuse tai cose tutte, e poscia uiiillc,
Ed al foco temprò di lente faci,
E ne formò quel ^ì mirabil cinto,
Di eh' ella aveva il bel fianco succinto.
26. Fine alfin posto al vagheggiar, richiede
A lui commiato, e 'l bacia e si diparte.
Ella per uso il dì n' esce, e rivede
Gli all'ari suoi , le sue magiche carte.
Egli riman; cliè a lui nmi si concede
l'or orma , o trar momento in altra parte,
E tra le fere ^pazia e tra le piante.
Se non quanto è con lei , romito amante.
27. Ma quando 1" ombra co' siicn/j amici
Rappella ai furti lor gli amanti accorti,
Traggmio le notturne ore Iclici
Sotto un tetto medesmo entro a quegli orti.
Or, poiché volta a più sederi iilllci
Lasciò Armida il giardino e i suoi diporti,
1 duo, che tra i ce.-pugli er.m celati.
Scoprirsi a lui pomposamente armati.
28. Qual feroce ile>(rier, ih" al f.iticOriO
Onor dell' arme ^ìncilor sia tolto,
V, lascilo marito in \il riposo
Fra gli armenti e ne' pasrhi erri discioltn.
Se 1 de.'>ta o siion di tromlia , o luminoso
.Xceinr , colli to<lo annitrendo è volto.
(l'i.i già brama l' arringo, e 1' iioiii »ul dorso
Portando, urtalo riurtar nel corso:
[18TJ
GERUSALEMME LIBERATA. (XVL 29— «)
[188J
29. Tal si fece il garzon, quando repente
Dell' arme il lampo gli occhj suoi percosse.
Quel sì guerrier, quel sì feroce ardente
Suo spirto a quel fulgor tutto si scosse.
Benché tra gli atti morbidi languente,
E tra ì piaceri ebbro e sopito ei fosse.
Intanto Ubaldo oltra ne viene , e 'l terso
Adamantino scudo ha in lui converso.
30. Egli al lucido scudo il guardo gira,
Onde *i specchia in lui, qual siasi, e quanto
Con delicato culto adorno ; spira
Tutto odori e lascivie il crin e '1 manto ;
E 'l ferro, il ferro aver, non eh' altro, mira
Dal troppo lusso effeminato accanto;
Guernito è sì , eh' inutile ornamento
Sembra, non militar fero instrumento.
31. Qual uom da cupo e grave sonno oppresso
Dopo vaneggiar lungo in sé riviene,
Tale ei tornò nel rimirar sé stesso.
Ma sé stesso mirar gicà non sostiene.
Giù cala il guardo, e timido e dimesso
Guardando a terra la vergogna il tiene.
Si chiuderebbe sotto il mare, e dentro
Il foco, per celarsi, e giù nel centro.
82. Ubaldo incominciò parlando allora :
Va r Asia tutta, e va 1' Europa in guerra.
Cliiunque pregio brama, e Cristo adora,
Travaglia in arme or nella siria terra.
Te solo , oh figlio di Bertoldo , fnora
Del mondo in ozio un breve angolo serra;
Te sol dell' universo il moto nulla
Move, egregio campion d' una fanciulla.
33. Qual sonno, o qual letargo ha sì sopita
La tua virtude.^ o qual viltà 1' alletta.^
Su , su ! te il campo , e te Goffredo invita ;
Te la fortuna e la vittoria aspetta.
Vieni, oh fatai guerriero, e sia fornita
La ben comincia impresa; e l' empia setta,
Che già crollasti, a teria estinta cada
Sotto l' inevitabile tua spada!
34. Tacque : e' 1 nobil garzon restò per poco
Spazio confuso, e senza moto e voce;
Ma. poiché die' vergogna a sdegno loco,
Sdegno guerrier della ragion feroce,
E clie al rossor del volto un novo foco
Successe, che più avvampa, e che più cocc,
Squarciossi i vani fregi , e quelle indegne
Pompe, di servitù misere insegne,
35. Ed affrettò il partire, e della torta
Confusione uscì del laberinto.
Intanto Armida della regal porta
Mirò giacere il fier custode estinto.
So-peltò prima, e si fu poscia accorta,
Ch" era il suo caro al dipartirsi accinto;
E '1 vide (ahi fera vista!) al dolce albergo
Dar frettoloso fuggitivo il tergo.
30. Volea gridar: dove, oh crudel, me sola
Lasci .- ma il varco al suon chiuse il dolore,
Sicché tornò la llebile parola
Più amara indietro a rimbombar sul core.
Misera, i suoi diletti ora le invola
Forza, e saper del suo saper maggiore.
Ella sei vede, e invan pur s' argomenta
Di ritenerlo, e 1' urti buo ritenta.
37. Quante mormorò mai profane note
Tessala maga con la bocca immonda,
Ciò eh' arrestar può le celesti rote,
E r ombre trar della prigion profonda,
Sapea ben tutto: eppur oprar non puote,
Ch' almen 1' inferno al suo parlar risponda.
Lascia gì' incanti, e vuol provar, se vaga
E supplice beltà sia miglior maga.
38. Corre , e non ha d' onor cura , o ritegno.
Ahi! dove or sono i suoi trionG e i vanti.*
Costei d' Amor, quanto egli è grande, il regno
Volse e rivolse sol col cenno avanti;
E cosi pari al fasto ebbe lo sdegno,
Ch' amò d' essere amata, odiò gli amanti:
Sé gradì sola, e fuor di sé in altrui
Sol qualche effetto de' begli occhj sui.
39. Or negletta e schernita , e in abI)andono
Riraasa, segue pur chi fugge e sprezza,
E procura adornar co' pianti il dono
Rifiutato per sé di sua bellezza.
Vassene, ed al pie tenero non sono
Quel gelo intoppo , e quell' alpina asprezza.
E invia per raessaggicr innanzi i gridi;
Ké giunge lui, priach' ei sia giunto ai lidi.
40. Forsennata gridava : oh tu , che porte
Parte tcco di me , parte ne lassi,
O prendi 1' una, o rendi l' altra! o morte
Dà insieme ad ambe ! Arresta , arresta i passi,
Solché ti sian le voci ultime porte,
Non dico i baci : altra più degna avrassi
Questi da te. Che temi , empio , se resti ?
Potrai negar, poiché fuggir potesti.
4L Dissegli Ubaldo allor : già non conviene.
Che d' aspettar costei , signor , ricusL
Di beltà armata e de' suoi preghi or viene
Nel pianto amaro dolcemente infusi.
Qual più forte di te, se le sirene
Vedendo ed ascoltando a vincer t' usi?
Così ragion pacifica reina
De' sensi fassi, e se medesraa affina.
42. Allor ristette il cavaliero, ed ella
Sovraggiunse anelante e lagrimosa.
Dolente sì, che nulla più, ma bella
Altrettanto però , quanto dogliosa.
Lui guarda, e in lui s' affisa, e non favella,
O che sdegna , o che pensa , o che non osa.
Ei lei non mira; e se pur mira, il guardo
Volge furtivo e vergognoso e tardo.
43. Qual musico gentil, primachè chiara
Altamente la lingua al canto snodi,
All' armonia gli animi altrui prepara
Con dolci ricercate in bassi modi.
Così costei, che nella doglia amara
Già tutte non obblia 1' arti e le frodi.
Fa di sospir breve concento in prima.
Per dispor 1' alma , in cui le voci imprima.
44. Poi cominciò: non aspettar, eh' io preghi,
Crudel, te, come amante amante deve!
Tai fummo un tempo: or se tal esser neghi,
E di ciò la memoria anco t' è greve,
Ciuuc nemico almeno ascolta! i preghi
D' un nemico talor l' altro riceve.
Ben quel eh' io chieggio è tal, che darlo puoi
E integri conservar gli sdegni tuoi.
[189]
GERUSALEMME LIBERATA. (XVI. 45—60) [190]
45. Se m' odj , e in ciò diletto alcun tu senti,
Xon ten veng-o a privar; godi pur d' esso!
Giusto a te pare, e siasi! Aneli' io le genti
Cristiane odiai , noi nego , odiai te stesso.
Nacqui pagana: usai varj argomenti,
Che per me fusse il vostro imperio oppresso :
Te perseguii , te pi-esi , e te lontano
Dall' arme trassi in loco ignoto e strano.
46. Aggiungi a questo ancor quel , di' a maggiore
Onta tu rechi , ed a maggior tuo dauno : ,
T' ingannai, t' allettai nel nostro amore;
Empia lusinga certo , iniquo inganno,
Lasciarsi corre il virginal suo fiore,
Far delle sue bellezze altrui tiranno, I
Quelle, che a mille antichi in premio sono j
Negate, offrire a novo amante in dono ! I
il. Sia questa pur tra le mie frodi, e Taglia |
Si di tante mie colpe in te il difetto.
Che tu quinci ti parta, e non ti caglia
Di questo albergo tuo già si diietto. '
Vattene, passa il mar, pugna, travaglia, !
Struggi la fede nostra ! anch' io t' affretto. !
Che dico nostra? ah non più mia: fedele
Sono a te solo, idolo mio crudele!
48. Solo, eh' io segua te, mi si conceda!,
Picciola fra' nemici anco richiesta.
Non lascia indietro il predator la preda,
Va il trionfante, il prigionier non resta.
Me fra 1' altre tue spoglie il campo veda,
Ed all' altre tue lodi aggiunga questa,
Che la sua schernitrice abìiia schernito.
Mostrando me sprezzata ancella a dito!
49. Sprezzata ancella, a chi fo più conserva
Di questa chioma , or eh' a te fatta è vile ?
Raccorcerolla : al titolo di serva
Vo' portamento accompagnar servile.
Te seguirò , quando 1' ardor più ferva
Della battaglia , entro la turba ostile.
Animo ho bene , ho ben vigor , che baste
A condurti i cavalli, a portar 1' aste.
50. Sarò qual più vorrai, scudiero, o scudo:
Non fia eh' in tua difesa io mi risparmi.
Per questo sen, per questo collo ignudo,
Priaohù giungano a te, passerau 1' armi.
Barbaro forse non sarà sì crudo.
Che te voglia ferir per non piagarmi,
Condonando il piacer della vendetta
A questa, qual si sia, beltà negletta.
51. Misera, ancor presumo.'' ancor mi vanto
Di schernita beltà, che nulla impetra?
Volea più dir ; ma 1' interruppe il pianto.
Che qual fonte sorgea d' alpina pietra.
Prendergli cerca allor la destra, o 'i manto
Supplichevole in alto: ed ci s' arretra,
Kesibtc , e vìnco, e in lui tn)%a impedita
Amor r entrata, il lagrimar 1' uscita.
52. Non entra amor a rinnovar nel seno.
Che ragion congelò , la (iauima antica.
V entra pietate in quella ^t'<;«! alnu-no,
Pur compagna d' amor, benché pudica,
K lui couiuui^c in gui^a tal, eh' a freno
Può ritener li^ lagrime a fatica.
Pur quel tenero affetto entro restringe,
E, quanto può, gli atti componi; e inliiigc.
53. Poi le risponde: Armida, assai mi pesa
Di te: sì potess' io, come il farei.
Del mal concetto ardor 1' anima accesa
Sgombrarti. Odj non son , né sdegni , i miei :
Nò vo' vendetta, nò rammento on'tsa.
Né serva tu , nò tu nemica sci.
Errasti, è vero, e trapassasti i modi,
Ora gli amori esercitando, or gli odi:
54. 3Ia che? son colpe umane, e colpe usate.
Scuso la natia legge , il sesso e gii anni.
Anch' io parte fallii. S' a me pietate
Negar non vo', non fia eh' io te condanni.
Fra le care memorie ed onorate
Mi sarai nelle gioje, e negli affanni.
Sarò tuo cavalicr, quanto concede
La guerra d' Asia, e con 1' onor la fede.
55. Deh, che del fallir nostro or qui sia il fine,
E di nostre vergogne omai ti spiaccia!
Ed in questo del mondo ermo confine
La memoria di lor sepolta giaccia !
Sola in Europa, e nelle due vicine
Parti fra 1' opre mie questa si taccia!
Deh non voler , che segni ignobil fregio
Tua beltà, tuo valor, tuo sangue regio!
36. Rimanti in pace! i' vado. A te non lice
Meco venir: chi mi conduce, il vieta.
Rimanti, o va per altra via felice,
E come saggia i tuoi consigli acqueta!
Ella , mentre il guerrier così le dice.
Non trova loco, torbida, inquieta.
Già buona pezza in dispettosa fronte
Torva il riguarda; alfiii prorompe all' onte.
57. Nò te Sofia produsse, e non sei nato
Dell' Azzio sangue tu : te 1' onda insana
Del mar produsse, e "1 Caucaso gelato,
E le mamme allattar di tigre ircana-
Che dissimulo io più ? 1' uomo spietato
Pur un segno non die' di mente umana.
Forse cangiò color? forse al mio duolo
iiagnò almen gli occhj , o sparse un sospir solo ;
58. Quali cose tralascio, e quai ridico?
S' offre per mio, mi fugge, e iii' abbandona.
Quasi buon AÌncitor, di reo nemico
Obblia le offese , e i falli aspri perdona.
Odi, come consiglia! odi il pudico
Scnocratc, d' amor come ragiona!
Oh cielo, oh Dei, perchè soffrir questi cmpj.
Fulminar poi le torri e i vostri tempj ?
59. fattene pur , crudel , con quella pace.
Che lasci a me! vattene, iniiiiio. oniai!
ÌMe tosto ignudo sjiirto , ombra seguace
Indivisibiiuieiile a tergo aviiii.
Nova furia «-o' serpi e con la fare
Tanto t' agiterò, quanto t' amai.
E a' è de.>lin, eh' csca dal mar, che scliiu
Gli scogli e r onde, e eh' alla pugna arrivi.
60. Tà tra 'I s,iiigiie e le morti egro giacente
Mi pagherai le pene, empio gueriieio.
Per nome Annida rlii.iuuMMÌ sovente
N«'gli uUiiui >ÌMgiilli: lulir ciò spero.
Or qui in.iiMÒ lo spirto alla dolente,
Né (pieslo ultimo .suono espres e intero,
V, cadde trauuirlita, e si dilVusc
Di gelato smiore, e i linui cliiosr.
[191]
GERUSALEMME LIBERATA. (XVI. 61 — 75)
[192
(il. Chiìulesti i lumi, Armida: il cielo avaro
liniilió il conforlo a' tuoi martiri.
Apri, misera, gli ocelij ! il pianto amaro
^egli occlij al tuo nemico or che non miri?
Oh s" udir tu "1 potessi, oh come caro
T' addolcirebbe il suon de' suoi sospiri!
Dà quanto ei puofe, e prende (e tu noi vedi)
Pietoso in vista gli ultimi congedi.
62. Or che farà .-* Dee sull' ignuda arena
Costei lasciar così tra viva e morta?
Cortesia lo ritien, pietà V alTrena;
Dura necessità seco nel porta.
Parte, e di lievi zefiri è ripiena
La chioma di colei, che gli fa scorta.
Vola per 1' alto mar 1' aurata vela :
Ki guarda il lido, e '1 lido ecco si cela.
fi3. Poich' ella in sé tornò , deserto e muto,
Quanto mirar potè, d' intorno scorse.
Ilo se n' è pur, disse, ed ha potuto
Me qui lasciar delia mia vita in forse?
ISè un momento indugiò, né un breve ajuto
Nel caso estremo il traditor mi porse?
Ed io pur anco 1' amo ? e in questo lido
Invendicata ancor piango e m' assido?
(J4. Clic fa più meco il pianto? AUr' armi, altr' arte
Io non ho dunque ? Ah seguirò pur 1 empio :
]Nè r abisso per lui riposta parte,
]\è '1 ciel sarà per lui seciu'O tempio.
Già '1 giungo e '1 prendo, e '1 cor gli svello, e sparte
Le membra appendo, ai dispietati esempio.
Mastro è di ferità? vo' superarlo
IN eli' arti sue. Ma dove son? che parlo?
05. Misera Armida, allor dovevi, e degno
Uen era, in quel crudele incrudelire,
<rhe tuo prigion 1' avesti : or tardo sdegno
T' infiamma, e nu>vi neghittosa 1' ire.
Pur se beltà può nulla, o scaltro ingegno,
INou fia voto d' elTelto il mio desire.
Oh mia sprezzata forma , a te s' aspetta,
(Che tua r ingiuria fu) T aspra vendetta.
66. (Questa bellezza mia sarà mercede
Del troncator dell' esecrabii testa.
Oh mi<i famosi amanti , ecco si diiede
Difficil si da voi, ma impresa onesta.
Io, che sarò d' ampie ricchezze erede,
D' una vendetta in guiderdon son presta.
S' e.>ser compra a tal prezzo iiulegna io sono,
liellà, sei di natura inutil dono.
68. Giunta agli alberghi suoi , chiamò trecento
Con lingua orrenda deità d' A\eriio.
S' empie il ciel d' atre nubi, e in un momento
Impallidisce il gran pianeta eterno,
E soffia e scuote i gioghi alpestri il vento.
Ecco già sotto i piò mugghiar 1' inferno.
Quanto gira il palagio, udi-esti irati
Sibili ed urli, e fremiti, e latrati.
69. Ombra più che di notte, in cui di luce
Raggio misto non è , tutto il circonda,
Se non se in quanto un lampeggiar riluce
Per entro la caligine j)rofonda.
Cessa alfin l' ombra , e i raggi il sol riduce
Pallidi, né ben l' aria anco è gioconda:
jNè più il palagio appar , né pur le sue
Vestigia , uè dir puossi : egli qui f uè.
70. Come immagiu talor d' immensa mole
Forman nubi per l' aria , e poco dura.
Che 'l vento la disperde e solve il sole,
Come sogno sen va, eh' egro figura:
Così sparver gli alberghi , e restar sole
L' alpi e r orror , che fece i\i natura.
Ella sul carro suo, che presto aveva,
S" asside, e come ha in uso, al ciel si leva.
71. Calca le nubi , e tratta 1' aure a volo,
Cinta di nembi e turbini sonori.
Passa i lidi soggetti all' altro polo,
E le terre d' ignoti abitatori.
Passa d' Alcide i termini, né "1 suolo
Appressa degli Esperj , o quel de" Mori,
Ma sui mari sospeso il corso tiene,
Infinché ai lidi di Sorìa perviene.
72. Quinci a Damasco non s' invia , ma schiva
Il già si caro della patria aspetto,
E drizza il carro all' infeconda riva,
Ov' è tra r onde il suo castello eretto.
Qui giunta, i servi e le donzelle priva
Di sua presenza, e sceglie ermo ricetto,
E fra varj pensier dubbia s' aggira.
Ma tosto cede la vergogna all' ira.
73.
67. Dono infelice, io ti rifiuto; e insieme
Odio r esser reina , e l' esser viva,
E r c^scr nata mai; sol fa la speme
Della dolce vendetta ancor , eh' io viva.
(;o^ì in voci intterrotte irata freme,
E torce il pie dalla deferta riva,
M(i>trando ben, quanto ha furor raccolto.
Sparga il crin , bieca gli occhj , accesa il volto
75
Io n' andrò pur, dice ella, anziché V armi
Dell' oriente il re d' Egitto mova.'
Ritentar ciascun' arte , e trasmutarmi
In ogni forma insolita mi giova,
Trattar 1' arco e la spada, e serva farmi
De' più potenti , e concitarli a prova.
Purché le mie vendette io veggia in parte,
Il rispetto e l' onor stiasi in disparte !
74. N(ui accusi già me! biasmi sé stesso
Il mio custode e zio, che così volse!
Ei r alma baldanzosa e '1 fragil sesso
Ai non debiti uffizj in prima volse.
Esso mi fé' donna vagante, ed esso
Spremo 1' ardire, e la vergogna sciolse.
Tutto si rechi a lui <;iò, che d' indegno
Fei per amore, o che farò per sdegno!
Cosi conchinde , e cavalieri e donne.
Paggi e serventi frettolosa aduna,
E ne' su|ierbi arnesi , e nelle gonne
L' arte dispiega, e la regal fortuna.
E in \ia si pone, e n(ni é mai eh' assonnc,
O che si posi al sole, od alla lima,
SJn<bè non giunge, <ne le schiere amiche
Copriaa di Gaza le campagne apriche.
[193]
GERUSALEMME LIBERATA. (XVII. 1 — 12)
[194]
I
CANTO DECIMO SETTIMO.
ARGOMENTO.
Pieno dì Gaza J' arenoso piano
Han già scese d' Egitto arme, ed armati.
Già del campo Emiren ha '/ freno in mano,
E già cantra i fedeli ha i ine drizzati,
Quand' ivi giunge Armida, e 'l premio insano
Giunge contro Rinaldo a ' prieghi irati.
Ma salvo è quegli, e gli discopre intanto
Scudo fatai della sua stirpe il vanto.
1. Gaza è città della Giudea nel fine,
Su quella "via , eh' inver Pelusio mena,
Posta in riva del mare, ed ha vicine
Immense solitudini d' arena,
Le quai, com' austro suol T onde marine.
Mesce il turbo spirante; onde a gran pena
RitroA a il peregrin riparo , o scampo
Nelle tempeste dell' instabil campo.
2. Del re d' Egitto è la città frontiera.
Da lui gran tempo innanzi ai Turchi tolta;
E perocch' opportuna e prossima era
All' alta impresa, ove la mente ha volta,
liiisciando Menfi , eh' è sua reggia altera,
Qui traslatò il gran seggio , e qui raccolta
Già da varie province insieme avea
L' innumcrabil oste all' assemblea.
3. Musa, quale stagione, e qual là fosse
Stato di cose, or tu mi reca a mente!
Qual arme il grande imperator, quai posse,
Qual ser^a avesse, e qual compagna gente,
Quando del mezzogiorno in guerra mosse
Le forze, e i regi, e 1' ultimo oriente!
Tu sol le schiere e i duci, e sotto 1' arme
Mezzo il mondo raccolto or puoi dcttarme.
i. Fosciachò ribellante al greco impero
Si sottrasse 1' Egitto, e mutò fede.
Del sangue di Macon nato un guerriero
Sen fc' tiranno, e vi fondò la sede.
Ei fu detto Califfo , e del primiero,
Chi tien lo scettro, al nome anco succede.
Cosi per ordin Iimgo il Nilo i suoi
Faraon vide, e i Tolomci dappoi.
5. Volgendo gli anni, il regno è staliilito
Ed accresciuto in guisa tal , clic viene
Asia e Libia ingombrando al sirio lito
Da' marmarici fini, e da Cirene:
E passa dentro incontra all' inlìnito
Corso liei ^ilo assai sovra Siene,
E quinci alle campagne; inubilatc
\ a della tiabbiu , e quindi ul grand' Eufrate.
6. A destra ed a sinistra in sé comprende
L' odorata maremma, e '1 ricco mare,
E fuor dell' Eritreo molto si stende
Incontro al sol, che mattutino appare.
L' imperio ha in sé gran forze, e più le rende
Il re, eh' or lo governa, illustri e chiare:
Ch' è per sangue signor , ma più per merto
IVeir arti regie e militari esperto.
7. Questi or co' Turchi, or con le genti perse
Più guerre fé', le mosse e le rispinse.
Fu perdente e vincente, e nelle avverse
Fortune fu maggior, che quando vinse.
Poiché la grave età più non sofferse
Dell' armi il peso, alfin la spada scinse;
Ma non depose il suo guerriero ingegno,
Né d' onor il desio vasto e di regno.
8. Ancor guerreggia per ministri, ed bave
Tanto vigor di mente e di parole.
Che della monarchia la soma grave
Non sembra agli anni suoi soverchia mole.
Sparsa in minuti regni Africa pavé
Tutta al suo nome, e '1 remoto Indo il cole,
E gli porge altri volontario ajuto
D' armate genti, ed altri d' or tributo.
9. Tanto e si fatto re 1' armi raguna.
Anzi pur adunate omai le affretta
Contra il sorgente imperio e la fortuna
Franca, nelle vittorie omai sospetta.
Armida ultima vicn: giunge opportuna
Neil' ora appunto alla rassegna eletta.
Fuor delle mura in spazioso campo
Passa dinanzi a lui schierato il campo.
10. Egli in sublime soglio, a cui per cento
Gradi eburnei s' ascende, altero »iede,
E sotto r ombra d' un gran ciel d' argento
Porpora intesta d' or preme col piede,
E ricco di barbarico ornamento.
In abito rcgal splender si vede.
Fan torti in mille fasce i bianchi lini
Alto diadema in nova forma ai crini.
11. Lo scettro ha nella destra, e per canuta
Harba appar venerabile e severo;
E dagli occbj, eh' etade ancor non muta.
Spira r ardire e '1 suo ^igor primiero.
E ben da ciascun atto è so^tenuta
La maestà degli anni e dell' impero.
Apellc forse u Fidia in tal scuibiantc
Giove formò, ma Giove allor tonante.
12. Stannogli a destra 1' un, V altro a sini>tra,
Duo satrapi i maggiori. Al/a il più degno
La nuda spada del rigor lnini^tra ;
L' altro il ^igilio ha del suo ufficio in segno.
Custode un de' secreti al re ministra
Opra ei>il ne' gnindi affar del regno;
Ma prence dagli eserciti, e con piena
Poasunza è 1' uUru ordinator di pena.
la
[195]
GERUSALEMME LIBERATA. (XVII. 13—28)
[v.n*
13. Sotto folta corona al seggio fanno
Con fedel guardia i suoi Cin-assi astati,
Ed oltra T aste, hanno corazze, ed hanno
Spade lunghe e ricurve all' un de' lati.
Così sedea, così scopria '1 tiranno
Da eccelsa parte i popoli adunati.
Tutte a' suoi pie nel trapassar le schiere
Chinan quasi adorando armi e bandiere.
11. Il popol dell' Egitto in ordin primo
Fa di sé mostra, e quattro i duci sono:
Duo dell' alto paese, e duo dell' imo,
Ch' è del celeste Mio opera e dono.
Al mare usurpò il letto il fertil limo,
E rassodato al coltivar fu buono :
Sì crebbe Egitto. Oh qtianto addentro è posto
Quel, che fu lido ai naviganti esposto!
15. Nel primiero squadrone appar la gente,
Ch' abitò d' Alessandria il ricco piano,
Ch' abitò il lido volto all' occidente,
Ch' esser comincia ornai lido africano.
Araspe è il duce lor; duce potente
D' ingegno più, che di vigor di mano!
E di furtivi agguati è mastro egregio,
E d' ogn' arte moresca in guerra ha 'I pregio.
16. Secondan quei, che posti inver 1' aurora
Nella costa asiatica albergaro:
E li guida Arontéo, cui nulla onora
Pregio, o virtù, ma titoli il fan chiaro.
Non sudò il molle sotto l' elmo ancora,
Né mattutine trombe anco il destaro ;
Ma dagli agì e dall' ombre a dura vita
Litempestiva ambizion 1' invita.
17. Quella, che terza è poi, squadra non pare,
IVla un' oste immensa, e campi e lidi tiene.
Non crederai, eh' Egitto mieta ed are
Per tanti, e pur da una città sua viene;
Città, eh' alle province emula e pare.
Mille cittadinan/e in sé contiene.
Del Cairo i' parlo. Indi '1 gran vulgo adduce,
Vulgo all' arme restio: Campsone è il duce.
18. Vengon sotto Gazel quei, che le biade
Segaron nel vicin campo fecondo,
E più suso insin là, do^e ricade
Il fiume al precipizio suo secondo.
La turl»a egizia avea sol ardii e spade,
Né sosterria d' elmo o corazza il pondo.
D' al)ito é ricca; onde altrui vien che porte
Desio di preda, e non timor di morte.
19. Poi la plebe di Barca , e nuda e inerme
Quasi, sotto Alarcon passar si vede,
Che la vita famelica neil' erme
Piagge gran temi»o sostentò di prede.
Con i>tuol mani (I reo , ma inetto a ferme
Battaglie, di Zumara il re succede.
Quel di Tripoli poscia; e 1' uno e 1' altro
Nel pugnar volteggiando è dotto e scalti-u.
20. Dirc'tro ad essi apparvero i cultori
Dell' Arabia petre.i , della felice.
Che 'I bo\erchio del gelo e degli ardori
Non sente mai, se 'I ver la fama dice;
Ove nascon gì' inc<-nsi v. gli altri odori.
Ove rina>ce l' immortai fenice.
Che tra ì fiori odoriferi, vh' aduna,
Ha 1' esequie, ha i natali, ha tomba e cuna.
21. L' abito di costoro è meno adorno ;
Ma 1' armi a quei d' Egitto han simigliami.
Ecco altri Arabi poi, che di soggiorno
Certo non sono stabili abitanti ;
Peregrini perpetui usano intorno
Trarne gli alberghi e le cittadi erranti.
Han questi femminil voce e statura,
Crin lungo e negro, e negra faccia e scura.
22. Lunghe canne indiane arman di corte
Punte di ferro, e 'n su destrier correnti
Diresti ben , eh' un turbine lor porte ;
Se pur han turbo sì veloce i venti.
Da Siface le prime erano scorte:
Aldino in guardia ha le seconde genti:
Le terze guida Albiazar , eh' è fiero
Omicida ladron , non cavaliero.
23. La turba é appresso, che lasciate avea
L' isole cinte dalle arabich' onde,
Da cui pescando già raccor solea
Conche di perle gravide e feconde.
Sono i Negri con lor sull' eritrea
Marina posti alle sinistre sponde.
Quegli Agricalte, e questi Osmida regge,
Che schernisce ogni fede ed ogni legge.
24. Gli Etiopi di Meroe indi seguirò:
Meroe, che quindi il Nilo isola face,
Ed Astrabora quinci , il cui gran giro
F di tre regni, e di due fé capace.
Li conducea Canario ed Assimiro,
Re 1' uno e 1' altro , e di Macon seguace,
E tributario al calife; ma tenne
Santa credenza il terzo, e qui non venne.
25. Poi due regi soggetti anco veniéno
Con squadre d' arco armate e di quadrella:
Un soldano è d' Orraus, che dal gran seno
Persico è cinta, nobil terra e bella;
L' altro di Boecan. Questa è nel pieno
Del gran flusso marino isola anch' ella;
l\la quando poi scemando il mar s' abbassa.
Col piede asciutto il peregrin vi passa.
26. Né te, Altamoro, entro al pudico letto
Potuto ha ritener la sposa amata.
Pianse, percosse il biondo crine e '1 petto,
Per dist«irnar la tua fatale andata.
Dunque, dicea, crudel, più «-he '1 mio aspetto^
Del mar 1' orrida faccia a te fia grata ?
Fian r armi al braccio tuo più caro peso.
Che 'i picciol figlio ai dolci scherzi inteso?
27. È questi re di Sarmacante, e '1 manco.
Che 'n lui si pregi, é il libero diadema;
Così dotto è neir armi , e così franco
Ardir ciuigiunge a gagliardia suprenui.
Sa|irallo ben (l' amumzio) il popol franco,
Ed è ragion , «'he insino ad or ne tema.
I suoi guerrieri in dosso han la corazza.
La spada al fianco , ed all' arcion la mazza.
28. Ecco poi sin dagl' Indi e dall' albergo
Dell' aurora venuto Adrasto il fero,
i'ììc d' un serpente in do.«so ha per usbergo
II ciu)jo verde e maculalo a nero,
l! sniirurato a un clcfanle il tergo
Preme così, come si suol destriero.
I rentc guida co.>tui di qua dal Gange,
(ohe ci lava nel mar, che 1' Indo frange.
[197]
GERUSALEMME LtBKRATA. (XVII. 29—44)
29. jNelIa ^squadra , che se^ve, è srplto il fiore
Della rpf^^ai iiiilixia ; e v tia quei tutti,
VAte con larga mercè , con degno onore,
Vi per guerra e jier pare eran rondutti ;
Clr armati a sicurezza ed a terrore
Vengono in Siii de«trier possenti instrutti,
E de' purpurei manti e della Iure
Dell' acciajo e dell' oro il ciel riluce.
30. Fra questi è il crudo Alarco , ed Odemaro
Ordinutor di squadre, ed Idraorte,
E Rimedon , che per 1' audacia è chiaro,
Sprezzator de' mort.ili e della morte,
E Tigrane e Rnpoldo , il gran corsaro.
Già de' mari tiranno, e Ormondo il forte,
E Marlahusto arabico, a cui il nome
L' Arabie dièr, die ribellanti ha dome.
31. Evvi Orindo, Arìmon, Pirga, Briraarte,
Espugnatnr delie città; Sifante
Domator de" cavalli; e tu, dell' arte
Della lotta maestro, Aridamante:
E Tisaferno , il fólgore di Marte,
A cui non è chi d' ugguagliarsi vanta,
O se in arcione, o se pedtm contrasta,
0 se rota la spada , o corre 1' asta.
32. Guida un Armen la squadra, il qual tragitto
Al paganesmo nell' età novella
Fé' dalla vera fede: ed ove ditto
Fu già Clemente, ora Emiren s' appella:
Per altro uom fido e caro al re d' Egitto
Sovra quanti per lui calcar mai sella,
E duce insieme e cavalier soprano
Per cor, per senno, e per valor di mano.
33. Nessun più rimanca, quando improvvisa
Armida apparve, e dimostrò sua schiera.
Venia sublime in un gran carro assisa,
Sui'cinta in gonna , e faretrata arciera.
E mescolato il n(»vo sdegno in guisa
Col natio dolce in qiiel bel volto s' era,
Che vigor dàlie ; e cruda ed acerbetta
Par che minacci, e minacciando alletta.
H. Somiglia il carro a quel , che porta il giorno
Lucido di |)iro|)i e di giacinti;
E frena il dotto auriga il giogo adorno,
Q)iattr(» uiiii'orni a coppia a coppia avvinti.
C«'nto donzelle, e cento paggi intorno
Pur di faretra gli omeri van cinti,
J/d a' bianchi dcstrier premono il dorso.
Che sono al giro pronti, e lie^i al corso.
Segue il suo stuolo, ed Aradin con quello.
Che Idraote a.'>soldo nella Soria.
Come allorché "I rinato unic<» augello
1 suo' Etiopi a vigilar s' imia,
A ario e vago la piuma , e ricco e hello
Di monil, di corona aurea natia,
Stu|iisce il mondo, e \a dietro ed ai lati,
I\lcrii\iglian<lo eser('ito d' alati:
i(J. ('osi passa costei meravigliosa
D' abito, di maniere, e di bcuiliiantc .
Non è allor sì iiuimana , o ■>! ritrosa
Aiuta d' amor, cliir non divenga amante.
Aeduta appena, e in gra\ità sdegnOhU
invaghir può genti si a arie e tante:
Che sarà poi , quando in più lieto ^i^o
Cu' begli occhj lusinghi e cui bel ri»o .^
fl98]
37. ma poich' ella è passata , il re de' regi
Comanda, eh' Emireno a se ne venga:
(he lui preporre a tutti i duci egregi
E duce farlo iiniversal disegna.
(^uel , già presago, ai meritati pregi
(Jon fronte vien , che ben del grado ù de"-na.
La guardia de' Circassi in due si fende,
E gli fa strada al seggio, ed ei v' ascende:
38. E chino il capo e le ginocchia, al petto
Giunge la de^t^a : e 'ì re così gli dice:
Te' questo scettro! A te, Emiren, commetto
Le genti ; e tu sostieni in lor mia vice,
E porta, liberando il re soggetto.
Su' Franchi 1' ira mia vendicatrice!
Va, vedi, e vinci, e non lasciar de' vinti
Avanzo, e mena presi i non estinti!
39. Così parlò il tiranno , e del soprano
Imperio il cavalier la verga prese.
Prendo scettro, signor, d' invitta mano.
Disse, e vo co' tuo' auspizj all' alte imprese:
E spero, in tua virtù, tuo capitano.
Dell' Asia vendicar le gravi offese.
Né tornerò , se vincitor non torno,
E la perdita avrà morte , non scorno.
iO. Ben prego il ciel, che, s' ordinato male,
(Ch' io già noi credo) di lassù minaccia,
Tutta sul capo mio quella fatale
Tempesta accolta di sfogar gli piaccia,
E salvo rieda il campo, «• "n trionfale
Più che in funebre [ìompa il diu'e giaccia !
Tacque, e seguì co' i)op(»lari accenti
Misto un gran suon di barbari instrumenti.
41. E fra le grida e i suoni , in mezzo a densa
Nobile turba, il re de' re si parte,
E giunto alla gran tenda, a lieta mensa
Raccoglie i duci , e siede egli in disparte,
Oiid' or cibo , or parole altrui dispensa.
Né lascia inonorata ah^ma parte.
Armida all' arti sue ben trova loco
Quivi opportun fra 1' allegrezza e *l gioco.
42. Ma già tolte le mense, ella, che vede
Tutte le viste in sé fisse ed intente,
E eh' a' segni ben noti ornai s' avvede.
Ch»! sparso é il suo ^eleii per ogni mente,
Sorge, e si volge al re dalla sua sede
("<Mi atto insieme altero e riverente,
E quanto può , magnanima e feroce
Cerca parer nel v«»lto e nella voce.
43. Oh re suj>remo, dice, anch' io ne regno
Per la fv, per la patria ad impiegarmi.
Donna sou io, ma regal donna: indegno
Già di reina il giwrreggiar niui paruii.
Lsi ogni arte regal, chi \uole il regno!
Dian>i all' ì<te>>a :iiau lo >cettro e T armi!
Saprà la mia (né torpe al ferro, o langue)
Ferire, e trar dalle ferite il sangue.
44. Né creiler, ibe sìa questo il dì primiero,
Ch' a ciò nobii m' ìoMiglia alta taglie/za!
('Ile 'n prò <li nostra i^«;^e e del tuo impero
Son io già prima a militare avvezza.
Ben raniMMiUar dei tu. s' io dico il vero,
(^he d' alcun o|ira no>tra hai pur conte/za,
E sai, che molti de' maggior campioni,
Clio dispirghin la ciocc, io fci prigioni.
13 *
[199]
GERUSALEMME LIBERATA. (XVII. 45-60)
[200
i5. Da me presi ed avvinti , e da me furo
In magnifico dono a te mandati:
Ed ancor si stanano in fondo oscuro
Di perpetua prigion per te guardati,
E saresti ora tu vie più securo
Di terminar vincendo i tuoi gran piatì,
Se non che il fìer Rinaldo, il quale uccise
I miei guerrieri, in libertà li mise.
46. Chi sia Rinaldo , è noto ; e qui di lui
Lunga istoria di cose anco si conta.
Questi è '1 crudele, ond' aspramente io fui
Offesa poi, nò vendicata ho 1' onta.
Onde sdegno a ragione aggiunge i sui
Stimoli, e più mi rende all' arme pronta.
Ma qual sia la mia ingiuria , a lungo detta
Saravvì: or tanto basti: Io vo' vendetta.
47. E la procurerò: che non invano
Soglion portarne ogni saetta i venti,
E la destra del ciel di giusta mano
Drizza r armi talor centra i nocenti.
Ma s' alcun fia , eh' al barbaro inumano
Tronchi il capo odioso, e mei presenti,
A grado avrò questa vendetta ancora,
Benché fatta da me più nobil fora.
48. A grado sì, che gli sarà concessa
Quella, eh' io posso dar maggior mercede.
Me, d' un tesor dotata e di me stessa,
In moglie avrà, se in guiderdon mi chiede.
Così ne faccio qui stabil promessa:
Così ne giuro inviolabil fede.
Or , s' alcun è , che stirai i premj nostri
Degni del rischio, parli, e si dimostri!
49. Mentre la donna in guisa tal favella,
Adrasto affigge in lei cupidi gli occhi.
Tolga il ciel, dice poi, che le quadrella
]\el barbaro omicida unqua tu scucchi !
Che non è degno un cor villano , oh bella
Saettatrice, che tuo colpo il tocchi.
Atto dell' ira tua ministro io sono,
Ed io del capo suo ti farò dono.
50. Io sterperogli il core, io darò in pasto
Le membra lacerate agli avoltoi.
Così parlava 1' indiano Adrasto:
Nò soffrì Tisaferno i vanti suoi.
£ chi sei, disse, tu, che sì gran fasto
Mostri, presente il re, presenti noi?
Forse è qui tal , eh' ogni tuo vanto audace
Supererà co' fatti, e pur si tace.
51. Rispose 1' Indo fero: io mi sono uno,
Cli' appo r opre il parlare ho scarso e scemo.
Ma, s' altrove, che qui, così importuno
Parlavi tu , parlavi il detto estremo.
Seguito avrian; ma raffrenò ciascuno,
Dii^tendendo la destra, il re supremo.
Disse ad Armida poi : donna gentile,
Don hai tu cor magnanimo e virile,
52. E ben sei degna, a cui suoi sdegni ed ire
L' uno e 1' ultro di lor conceda e done,
Perche tu poscia a voglia tua le giro
Contra quel Uirla predutor fellone.
Là fian meglio inipicgiite, e '1 loro ardirò
Là può chiaro iiioslrarHÌ in paragone.
Tacque ciò detto; e quegli offerta nova
Fecero a lei di vendicarla a prova.
53. Né quelli pur, ma qual più in guerra è chiaro
La lingua al vanto ha baldanzosa e presta.
S' offerser tutti a lei; tutti giuraro
Vendetta far suU' esecrabil testa.
Tante, contra il guerrier, eh' ebbe sì caro,
Arme or costei comraove, e sdegni desta.
Ma esso, poich' abbandonò la riva,
Felicemente al gran corso veniva.
51. Per le medcsme vie, che 'n prima corse,
La navicella indietro si raggira,
E 1' aure , eh' alle vele il volo porse,
Non men seconda al ritornar vi spira.
Il giovinetto or guarda il polo e i' orse.
Ed or le stelle rilucenti mira,
Via dell' opaca notte , or fiumi e monti,
Che sporgono sul mar le alpestre fronti,
55. Or Io stato del campo , or il costume
Di varie genti investigando intende;
E tanto van per le salate spume.
Che lor dall' orto il quarto sol risplende:
E quando omai n' è disparito il lume,
La nave terra finalmente prende.
Disse la donna allor: le palestine
Piagge son qui; qui del viaggio è il fine.
56. Quinci ì tre cavalier sul lido pose,
E sparve in men che non si forma un detto.
Sorgea la notte intanto , e delle cose
Confondea i varj aspetti un solo aspetto ;
E in quelle solitudini arenose
Essi veder non ponno o muro , o tetto,
Nù d' uomo, o di destriero appajon orme.
Od altro pur, che del cammin gì' informe.
57. Poiché stati sospesi alquanto foro.
Mossero i passi , e dièr le spalle al mare.
Ed ecco di lontano agli occhj loro
Un non so che di luminoso appare.
Che con raggi d' argento , e lampi d' oro
La notte illustra , e fa l' ombre più rare.
Essi ne viinno allor contra la luce,
E già veggion, che sia quel che sì luce.
58. Veggiono a un grosso tronco armi novello
Incontra i raggi della luna appese,
E fiammeggiar, più che nel ciel le stelle,
Gemme neil' elmo aurato , e nell' arnese.
E scoprono a quel lume immagin belle
Nel grande scudo in lungo ordine stese.
Presso, quasi custode, un vecchio siede,
Che contra lor sen va, come li vede.
59. Ben è da' duo guerrier riconosciuto
Del saggio amico il venerabil volto.
Ma , poich' ei ricevè lieto saluto,
E eh' ebbe lor cortesemente accolto,
Al giovinetto , il qual ta<;ito e muto
Il riguardava , il ragionar rivolto,
Signor, te sol, gli disse, io qui soletto
In cotal ora desiando aspetto.
60. Che , se noi sai, ti sono amico, e quanto
Curi le cose tue , chiedilo a questi !
Cli' essi scorti da me vinser 1' incanto.
Ove tu vita misera traesti.
Or odi i detti miei contrarj al canto
Delle sirene, e non ti sian molesti;
Mìi li serba nel cor, finche distingua
Meglio a te il ver più saggia e santa lingua!
[201]
GERUSALEMME LIBERATA. (XVII. 01—76) [202]
61. Signor , non gotto 1' ombra in piag-gia molle
Tra fonti e fior, tra ninfe e tra sirene,
Ma in cima all' erto e faticoso colle
P Della virtù riposto è il nostro bene.
Chi non gela, non suda, e non s' estolle
Dalle vie del piacer, là non perviene.
Or vorrai tu lungi dall' alte cime
Giacer, quasi tra valli augel sublime?
62. T' alzò natura inverso il cicl la fronte,
E ti die' spirti generosi ed alti,
» Perchè in su miri, e con illustri e conte
Opre te stesso al sommo pregio esalti.
E ti die' r ire ancor veloci e pronte,
Non perchè 1' usi ne' civili assalti,
IVè perchè sian di desiderj ingordi
Elle ministre, ed a ragion discordi;
63. Ma perchè il tuo valore, armato d' esse,
Più fero assalga gli avversar] esterni,
£ fian con maggior forza indi ripresse
Le cupidigie, enipj nemici interni.
Dunque nell' uso , per cui fur concesse,
Le impieghi il saggio duce, e le governi.
Ed a suo senno or tepide, or ardenti
Le faccia, ed or le affretti, ed or le allenti!
61. Così parlava: e 1' altro attento e cheto
Alle parole sue d' alto consiglio,
Fea de' detti conserva , e mansueto
Volgeva a terra e vergognoso il ciglio.
Ben vide il saggio veglio il suo segreto,
E gli soggiunse : alza la fronte , oh figlio,
E in questo scudo affissa gli occhj ornai!
Ch' ivi de' tuoi maggior l' opre vedrai.
65. Vedrai degli avi il divulgato onore
Lunge precorso in loco erto e solingo.
Tu dietro anco viman' , lento cursore.
Per questo della gloria illustre arringo.
Su, su, te stesso incita! al tuo valore
Sia sferza e spron quel, eh' io colà dipingo.
Cosi diceva: e '1 cavaliero affisse
Lo sguardo là , mentre colui sì disse.
66. Con sottil magistero in campo angusto
Forme infinite espresse il fabbro dotto.
Del sangue d' Azzio glorioso augusto
L' ordin vi si vcdca, nulla interrotto»
^ cdcasi dal rnman fonte vetusto
I suoi rivi dedur puro e incorrotto.
Stan coronati i principi d' alloro:
Mostra il vecchio le guerre, e i pregi loro.
67. Mostragli Cajo, allorch' a strane genti
Va prima in preda il già inclinato impero.
Prendere il frcn de' in»poli volenti,
E farsi d' E.>te il |>rin(;ipc primiero,
Ed a lui ricovrarsi i mcn potenti
Vicini , a cui rettor facea inesticro.
Poscia , quando ripa.><sa il varco noto
Agli inviti d' Onorio, il fero Goto,
68. E quando sembra, «:he più avvampi o ferva
Di barbarico incendii» Italia tutta,
E quando Konia prigioniera e serva
Sin dal suo fondo teme esser distrutta,
Mostra, che Amelio in libertà conserva
lia g(;nte sotto al suo scettro ridutla.
Mo^t^agli poi F'oresto, clic h' oppone
Air unno regnator dell' aquilone.
69. Ben si conosce al volto Attila il fello,
Che con occhj di drago par che guati,
Ed ha faccia di cane; ed a vedello
Dirai, che ringhi, e udir credi i latratL
Poi vinto il fero in singoiar duello
31irasi rifuggir tra gli altri armati,
E la difesa d' Aquilèa poi torre
Il buon Foresto, dell' Italia Ettorre.
70. , Altrove è la sua morte; e '1 suo destino
E destin della patria. Ecco 1' erede
Del padre grande, il gran figlio Acarino,
Che all' italico onor campion succede.
Cedeva ai fati, e non agli Unni Aitino;
Poi riparava in più secura sede:
Poi raccoglieva una città di mille
In Val di Po case disperse in ville.
71. Centra il gran fiume , che 'n diluvio ondeggia,
Muntasi, e quindi la città sorgea,
Che ne' futuri secoli la reggia
De' magnanimi Estensi esser dovea.
Par che rompa gli Alani, e che si veggia
Contra Odoacro aver poi sorte rea,
E morir per 1' Italia. Oh nobil morte,
Che dell' onor paterno il fa consorte!
72. Cader seco Alforisio, ire in esigilo
Azzo si vede , e '1 suo fratel con esso,
E ritornar con 1' arme e col consiglio,
Dappoiché fu il tiranno erulo oppresso.
Trafitto di saetta il destro ciglio,
Segue r estense Epaminonda appresso,
E par lieto morir, posciachè '1 crudo
Totila è vinto, e salvo il caro scudo.
73. Di Bonifazio parlo: e fanciulletto
Premea Aalerian l' orme del padre.
Già di destra viril , viril di petto
Cento noi sostenean gotiche squadre.
INon lunge ferocissimo in aspetto
Fea contra Schiavi Ernesto opre leggiadre.
Ma innanzi a lui 1' intrepido Aldoardo
Da Monscelsc escludeva il re lombardo.
74. Enrico v' era e Berengario, e dove
Spiega il gran ("arlo la sua augusta insegna.
Par, eh' egli il primo feritor si trove.
Ministro, o capitan d' impresa degna.
Poi segno Lodovieo: e quegli il movo
Contra il nepnte, eh' in Italia regna;
Ecco in battaglia il vince, e 'I fa prigione.
Eravi poi co' cinque figli Ottone.
75. ^ ' era Almerico , e si vcdca già fatto
Della città, donna del Po, marchese.
Devotamente il cìei riguarda in atto
Di contemplante il foiidator di cbiesc.
D' incontra A/./o »e(-oiulo avea ritratto
Far contra Uei-<-iigario a.^pre contese.
Che dopo un corso ili forliuia alterno
Mncevn, e dell' Italia iwvn il governo.
76. Vedi Alberto il figliuolo ir fra' Germani,
E colà far le sue virtù ci note,
('he, vinti in giostra e vinti in guerra i Dani,
(■enero il compra Otton con larga dote.
>e(li^li a tergo 1 gon , quel, eh' a liomanì
l'iaciar le eorna iui[i<-lniiso puote,
E «he marchese dell Italia fin
Detto , e Toscana tutta avrà in balia.
[203]
GERUSALEiMME LIBEKATA. (XVII. T?— 02)
[204
77. Poscia Tedaldo , e Bonifazio accanto
A Beatrice sua poi v' era espresso.
Non si vedca virile erede a tanto
Retarrglo , a sì gran padre esser successo.
Seguili Matilda, ed adempia ben quanto
Difetto par nel numero e nel sesso ;
Che può la saggia e valorosa donna
Sovra corone e scettri alzar la gonna.
78. Spira spiriti maschj il nobil volto,
Mostra vigor più che viril lo sguardo.
Là sconfiggca i Normanni , e "n fuga volto
Si dileguava il già invitto Guiscardo:
Qui ronipea Enrico il quarto , ed a lui tolto
On'ri\a al tempio imperiai stendardo.
Qui riponea il pontelice soprano
Nel gran soglio di Pietro in Vaticano.
79. Poi vedi , in guisa d' noni , eh' onori ed ami.
Ch' or r è al fianco, Azzo il quinto, or la seconda ;
Ma d' .Azzo il quarto in più felici rami
Germogliava la prole alma e feconda.
Va dove par, che la Germania il chiami,
Guelfo il figliuol , figliuol di Cunigonda.
E '1 buon germe roman con destro fato
È ne' campi bavarici traslato.
80. Là d' un gran ramo estense ci par eh' innesti
L' arbore di Guelfon , eh' è per se vieto,
Quel ne' suoi Guelfi rinnovar vedresti
Scettri e corone d' or più che mai lieto,
E col favor de' bei lumi celesti
Andar poggiando, e non aver divieto.
Già confina col ciel , già mezza ingombra
La gran Germania, e tutta anco 1' adombra.
81. Ma ne' suoi rami italici fioriva
Bella non men la regal pianta a prova.
Bertoldo qui d' incontra a Guelfo usciva;
Qui Azzo il sesto i suoi prischi rinnova.
Questa è la serie degli eroi , che viva
Nel metallo spirante par si mova.
Rinaldo sveglia in rimirando mille
Spirti d' Gnor dalle natie faville.
82. E d' emula virtù 1' animo altero
Commosso avvampa , ed è rapito in guisa,
Che ciò, che immaginando ha nel pensiero,
Città battuta e presa , e gente uccisa.
Pur come sia presente, e come vero
Dinanzi agli occhj suoi vedere avvisa,
E s' arma frettoloso, e con la spene
Già la vittoria usurpa, e la previene.
83. Ma Carlo , il quale a lui del regio erede
Di Dania già narrata avea la morte,
La destinata spada allor gli diede.
Prendila, disse, e sia con lieta sorte!
E solo in prò della cristiana fede
L" adtipra , giusto e pio non men , che forte,
E fa del primo suo signor veiid<!tta,
Che t' amò tanto ! e ben a te s' aspetta.
81. Rispose egli al guerriero : ai cieli piaccia,
Che la in. in, che I;*. sjiada ora rice%e,
C(ui lei del suo siganr vendetta faccia;
l'aghi con lei ciò, che |)er lei si deve!
Carlo riv<dt() a Ini con lieta faccia,
liUnghe grii7.il- ristrinse in sermon breve.
IMa htr a' oflriva intinto, ed al viaggio
Notturno gli allrettava il unJiil saggio.
85. Tempo è, dicea , di girne, ove t' attende
GollVedo e 'I c;in!!)o: e ben giungi opportuno.
Or n' andiam pur! che alle cristiane tende
Scorger ben vi saprò per l' aer bruno.
Così dice egli , e poi sul carro as<ende,
E lor v' accoglie senza indugio alcuno,
E rallentando a' suoi destrieri il morso,
Gli sferza , e drizza all' oriente il corso.
8!]. Taciti se ne gian per 1' aria nera.
Quando al garzon sì volge il vecchio, e dice:
A eduto hai tu della tua stirpe altera
I rami , e la vetusta alta radice.
E sebben ella di'.ll' età primiera
Stata è fertil d' eroi madre e felice,
Non è, né fia di partorir mai stanca:
Che per vecchiezza in lei virtù non manca.
87. Oh , come tratto ho fuor del fosco seno
Dell' età prisca i primi padri ignoti,
Così potessi ancor scoprire a|) pieno
Ne' secoli avvenire i tuoi nepoti,
E priach' essi aj)ran gli occhj al bel sereno
Di questa luce, farli ai mondo noti!
Che de' futuri eroi già non vedresti
L' ordin men lungo, o pur men chiari gesti.
88. Ma r arte mia per sé dentro al futuro
Non scorge il ver, che troppo occulto giace,
Se non caliginoso e dubbio e scuro,
Quasi lunge per nebbia incerta face.
E se cosa qual certa io m' assecuro
AfTermarti, non sono in questo audace;
Ch' io r intesi da tal , che senza velo
I secreti talor scopre del cielo.
89. Quel , eh' a lui rivelò luce divina,
E eh' egli a me scoperse, i(» a te predico.
Non fu mai greca, o barbara, o latina
Progenie in questo, o nel huon tempo antico
Ricca di tanti eroi, quanti destina
A te chiari nepoti il cielo amico;
Ch' agguaglieran qual più chiaro si noma
Di Sparta, di Cartagine, e di Roma.
90. Ma fra gli altri, mi disse. Alfonso io sceglie,
Primo in virtù, ma in titolo secondo.
Che nascer dee, quando, corrotto e veglio,
l'overo fia d' uomini illustri il mondo.
Questi fia tal, che non sarà chi meglio
La spada u>i, o lo scettro , o meglio il pondo
O dell' arme sostegna, o del diadema.
Gloria del sangue tuo somma e suprema.
91. Darà, fanciullo, in varie immagin fere
Di guerra, indizio di valor sublime.
Eia terror delle selve e delle fere,
E negli arringhi avrà le lodi prime.
Poscia riporterà da pugne vere
Palme vittoriose e spoglie opime.
E sovente avverrà, che 'l crin si cigna
Or di lauro, or di quercia, or di gramigna.
92. Della mattu-a età pregi men degni
Non fiaiio , stabilir \nìce e quiete.
Mantener sue <iità fra 1' arme e ì regni
Di possenti vicin tranquille e cliente.
Nutrire e fecondar 1' arti e gì' ingegni,
("clcltrar giuoc.iii illustri e pompe liete,
Liltrar con giunta laiu-e e pen«; e premi,
Mirar da lunge, e preveder gli estremi.
205] GERUSALEMME LIB. (XVII. 93 — 97. XVllI. 1 — 6) [206]
93. Oh s' avvenisse mai, che contra gli empi,
Che tutte infef^teran le terre e i mari,
£ della pace in quei miseri teiupi
Daran le leggi ai popitli più chiari.
Duce een gisse a vendicare i tempi
Da lor distrutti, e i violali altari,
Qual ei giusta faria gra%e vendetta
Sul gran tiranno, e sull' iniqua setta!
94. Indarno a lui con mille schiere armate
Quinci il Turco opporriasi , e quindi il Mauro:
Ch' egli portar potrebbe oltra 1' Euirate,
Ed oltra i gioghi del nevoso Tauro,
Ed oltra i regni , ov' è perpetua state.
La croce , e '1 bianco augello, e i gigli d' auro,
E per battesmo delle nere fronti
Del gran Alio i^coprir le ignote fonti.
95. Così parlava il veglio: e le parole
Lietamente accoglieva il giovinetto,
Che del pensier della futura prole
Ln tacito piacer sentia nel petto.
L' alba intanto sorgea , nunzia del sole,
E '1 ciel cangiava in oriente aspetto,
E sulle tende già potean vedere
Da lunga il tremolar delle bandiere.
96. Ricominciò di novo allora il saggio:
ledete il sol, che vi riluce in fronte,
E vi discopre con 1' amico raggio
Le tende, e '1 piano, e la cittride, e '1 monte.
Securi d' ogn' intoppo e d' ogni oltraggio
Io scorti v' ho fin qui per vie non conte.
Potete senza guida ir per voi stessi
Omai , né lece a me , che più m' appreà»L
97. Così tol<e congedo, e fé' ritorno,
Lasciando i cavalieri ivi pedoni.
Ed essi pur contra il nascente giorno
Seguir lor strada, e giro ai padiglioni.
Portò la faina e divulgò d' intorno
L' aspettato venir «lei tre barimi,
E innanzi ad cssi al pio Goffredo corse,
Che per raccorli dal suo seggio sorse.
CANTO DECIMO OTTAVO.
ARGOMENTO.
Da Goffredo e da Dio perdono ottiene
Rinaldo , e le magie del bosco affronta.
Ma già del campo oslil, che sopravviene,
Messaggiera ai Cristian fuma racconta.
Fussene spia ì affrino ; intanto spcne
Ila la gente di Cristo audace , e pronta
Di salir l' allo muro, e 'i muro sale.
Ma contrasto vi pale aspro , e mortale.
1. Giunto Rinaldo, o\e Goffredo è sorto
Ad in(U)ntrarlo . incominciò : signori-,
A vendicarmi del grierricr, eh' è morto,
Cura mi spinse di g«•lo^o «more.
E a' io n' offesi te, ben di~conforto
Ne sentii poscia , e penitenza al core.
Or vegno a' tuoi riciii.imi, v.A ogni (emenda
Son pronto a far , clic grato a te mi renda.
A lui, eh' umil ^li s iiiiliiiiò, le braccia
Stese al collo (ìotlVedo, e gli risjiose:
Ogni trista memoria omai .'-i taccia,
E pongall^i in obblio h; and.it<^ cose!
E per rmendii, io vorrò sol cUr. faccia,
Qiiai per uso fiiresti , opri- l'amoiNc;
C/liè 11 ilaniio de' ncmiii e n prò de' nostri
Vincer cunviculi della selva i mostri.
3. L' antichissima selva, onde fu avanti
De' nostri ordigni la materia tratta,
(Qual si sia la cagioni) ora è d' incanti
Secreta stanza e formidabil fatta.
Né v' è chi legno indi troncar si vanti ;
Né vuol ragion , che la città si batta
Senza tali instriimenti. Or colà, dove
Paventan gli altri , il tuo valor si prove !
4. Così disse egli : e 'l cavalier s' offer^c
Con brevi detti al rischio e alla fatica ;
Ma negli atti magnanimi si sierse,
Ch' assai farà, bemliè non molto ei dira.
E verso gli altri poi lieto «:oinerse
La destra e 1 \c(lto ali" accoglienza amiia.
Qui Guelfo, qui Tancredi, e qui già tutti
S' craii dell' uste i principi ridutti.
5. Poiché le dimostran/e onote e care
Con que' soprani egli iterò più volle.
Placido all'abiliiieiitc e popolare
L' altre genti minori ebbt^ raccolte.
Né saria già più allegro il militare
(irido , o le turbe intorno a lui più folte,
Se vinto l' oriente v "I iiic/./.ngioriio,
Triiiiil'ante ei n' andas^e in larro adorno.
(». ('osi ne va sino al suo alliergo, e siede
In «'ercbio quivi ai cari amici a«'caiito,
E molto lor ri.-pondc, r multo cbiede
Or della guerra, or d«l silv«>stre ine, mio.
l>la , quaiiilo ogiiiiii partendo agio lor diede,
('o^ì gli <ii^^(■ 1' eremita .«auto :
Hen gran «•o>e , signore , e lungo corso
(^lirabii peregrino) cirandu hai scorso.
[20TJ
GERUSALEMME LIBERATA. (XVIll. ÌT — 22)
8,
9
10
Quanto devi al gran re, che '1 mondo regge
Tratto egli t' ha dalle incantate soglie;
Ei te smarrito agnel fra la sua gregge
Or riconduce, e nel suo ovile accoglie;
E per la Toce del Bnglion t' elegge
Secondo esecutor delle sue -voglie.
Ma non conviensi già, che ancor profano
Ne' suoi gran ministeri armi la mano.
Che sei della caligine del mondo,
E della carne tu di modo asperso,
Che '1 Mio 0 '1 Gange, o 1' oceiin profondo
Non ti potrebhe far candido e terso.
Sol la grazia del ciel quanto hai d'immondo
Può render puro; al ciel dunque converso
Riverente perdon richiedi , e spiega
Le tue tacite colpe, e piangi e prega!
Così gli disse : ed ei prima in sé stesso
Pianse i superbi sdegni e i folli amori;
Poi, chinato a' suoi pie mesto e dimesso,
Tutti scoprigli i giovenili errori.
Il ministro del ciel , dopo il concesso
Perdono , a lui dicea : co' novi albori
Ad orar te n' andrai là su quel monte,
Ch' al raggio mattutin volge la fronte.
Quinci al hosco t' invia, dove cotanti
Son fantasmi ingannevoli e bugiardi !
Vincerai (questo so) mostri e giganti;
Purch' altro folle error non ti ritardi.
Deh, né voce, che dolce o pianga, o canti,
Né beltà, che soave o rida, o guardi.
Con tenere lusinghe il cor ti pieghi;
Ma sprezza i finti aspetti e i finti preghi!
11. Così il consiglia, e '1 cavalier s' appresta
Desiando e sperando all' alta impresa.
Passa pensoso il dì, pensosa e mesta
La notte: e priachò 'n ciel sia 1' alba accesa^
Le belle armi si cinge, e soprawesta
Nova ed estrania di color e' ha presa,
E tutto solo, e tacito, e pedone.
Lascia i compagni, e lascia il padiglione.
12. Era nella stagion, eh' anco non cede
Libero ogni confln la notte al giorno ;
Ma r oriente rosseggiar si vede.
Ed anco è il ciel d' alcuna stella adorno.
Quando ei drizzò ver 1' Olivete il piede.
Con gli occhj alzati contemplando intorno
Quinci notturne, e quindi mattutine
Bellezze incorruttibili e divine.
13. Fra sé stesso pensava: oh quante belle
Luci il tempio celeste in sé raguna !
Ha il suo gran carro il di; le aurate stelle
Spiega la notte e 1' argentata luna.
Ma non è clii vagheggi o questa, o quelle,
E miriam noi torbida luce e bruna.
Che un girar d' occhj, un balenar di riso
Scopre in breve confin di fragil viso,
14. Così pensando, alle più eccelse cime
Ascese , e quivi incitino e riverente
Alzò il pensier sovra ogni ciel sublime,
E le luci fissò nell oriente.
La prima vita, e le mie colpe prime
Mira con ocrliio di pietà clemente,
Padre e gnor! In me tua grazia piovi.
Sicché '1 mio vecchio Adam purghi e rinnovi!
15. Così pregava: e gli sorgeva a fronte
Fatta già d' auro la vermiglia aurora.
Che r elmo e 1' armi , e intorno a lui del mont
Le verdi cime, illuminando indora:
E ventilar nel petto e iicUa fronte
Sentia gli spirti di piacevol óra.
Che sovra il capo suo scotea dal grembo
Della beli' alba un rugiadoso nembo.
16. La rugiada del ciel sulle sue spoglie
Cade, che parea cenere al colore,
E sì le asperge, che '1 pallor ne toglie,
E induce in esse un lucido candore.
Tal rabbellisce le smarrite foglie
Ai mattutini geli arido fiore;
E tal di vaga gioventù ritorna
Lieto il serpente, e di novo or s' adorna.
17. Il bel candor delia mutata vesta
Egli medesmo riguardando ammira.
Poscia verso 1' antica alta foresta
Con secura baldanza i passi gira.
Era là giunto, ove i men forti arresta
Solo il terror, che di sua vista spira;
Pur né spiacente a lui, né pauroso
U bosco par, ma lietamente ombroso.
18. Passa più oltre, ed ode un suono intanto.
Che dolcissimamente si diffonde.
Vi sente d' un ruscello il reco pianto,
E '1 sospirar dell' aura infra le fronde,
E di musico cigno il flebil canto,
E r usignuol , che plora e gli risponde.
Organi e cetre, e voci umane in rime;
Tanti e sì fatti suoni un suono esprime.
19. Il cavalier pur (come agli altri avviene)
N' attendeva un gran tuon d' alto spavento;
E v' ode poi di ninfe e di sirene,
D' aure, d' acque, e d' augei dolce conceato.
Onde meravigliando il pie ritiene,
E poi sen va tutto sospeso e lento,
E fra via non ritrova altro divieto,
Che quel d' un fimue trasparente e cheto.
20. L' un margo e 1' altro del bel fiume adorno
Di vaghezze e d' odori olezza e ride.
Ei tanto stende il suo girevol corno.
Che tra '1 suo giro il gran bosco s' asside
Né pur gli fa dolce ghirlanda intorno.
Ma un canaletto suo v' entra, e '1 divide.
Bagna egli il bosco, e '1 bosco il fiume adombri
Con bel cambio fra lor d' umore e d' ombra.
21. Mentre mira il guerriero, ove si guade.
Ecco un ponte mirabile appariva,
Vn ricco ponte d' or, che larghe strade
Su gli archi stabilissimi gli oflriva.
P<issa il dorato varco, e quel giù cade,
Tostochè '1 piò toccata ha 1' altra riva,
E sé nel porta in giù 1' acqua repente,
L' acqua, eh' è d' un bei rio fatta un torrenl
22. Ei si rivolge, e dilatato il mira
E gonfio assai, quasi per nevi sciolte,
Che 'n sé stesso volubil si raggira
Con mille rapidissime rivolte.
Ma pur desio di novitatc il tira
A spiar tra le piante antiche e folte,
E in quelle solitudini selvagge
Sempre a su uova uicruviglLu il traggc.
\
[209]
GERUSALEMME LIBERATA. (XVIII. 23 — S8) [210]
23. Dove in passando le restigia ei posa.
Par eh' ivi scaturis^ca, o che geimoglie.
Là b' apre il gìglio , e qui spunta la rosa,
Qui sorge un fonte, ivi un ruscel si scioglie.
E sovra e intorno a lui la selva annosa
Tutta parca ringiovinir le foglie.
S' ammolliscon le scorze , e si rinverde
Più lietamente in ogni pianta il verde.
24. Rugiadosa di manna era ogni fronda,
£ di^^tillava dalle scorze il mele:
E di novo s' udia quella gioconda
Strana armonia di canto e di querele.
Ma il coro uman, eh' ai cigni, all' aura, all' onda
Facea tenor non sa , dove si cele :
Non sa veder, chi formi umani accenti,
Né dove siano i mudici stromenti.
25. Mentre riguarda, e fede il pensier nega
A quel, che 'I senso gli ofTcria per vero,
Vede un mirto in disparte, e là si piega,
Ove in gran piazza termina un sentiero.
L' estranio mirto ì suoi gran rami spiega
Più del cipresso e della palma altero,
E sovra tutti gli arbori frondeggia,
Ed ivi par del bosco esser la reggia.
56. Fermo il guerrler nella gran piazza, affisa
A maggior novitate allor le ciglia.
Quercia gli appar , che , per se stessa incisa.
Apre feconda il cavo ventre e figlia.
£ n' esce fuor vestita in strania guisa
Ninfa d' età cresciuta (oh meraviglia!);
£ vede insieme poi cento altre piante
Cento ninfe produr dal sen pregnante.
57. Quai le mostra la scena, o quai dipinte
Talvolta rimiriam dee boscherecce,
Nude le braccia, e i' abito succinte.
Con bei coturni e con disciolte trecce:
Tali in sembianza si vedean le finte
Figlie delle selvatiche cortecce;
Se non clic in vece d' arco e di faretra
Chi ticn leitto , e chi viola o cetra.
8. E incominciar costor danze e carole,
£ di sé stesse una corona ordirò,
E cinsero il guerrier, siccome suole
Esser punto rinchiuso entro '1 suo giro.
Cinser la pianta ancora, e tai parole
Nel dolce canto lor da lui s' udirò:
Ben r^iro giungi in queste chiostre amene.
Oh della donna nostra amore e spene!
Giungi aspettato a dar salute all' egra,
D' amoroso pcn.-.icro arsa e ferita.
Questa selva, che dianzi era sì negra,
Stanza conforme alla dolente \i(a.
Vedi , che tutta al tuo venir s' allegra,
E 'n più leggiadre forme è rivestita.
'J'ale era il canto: e poi dal mirto uiicla
Vn dolcissimo suono, e quel s' apria.
). Già noli' ajtrir d' un ruftlico Sileno
Mcra^ iglia vedea 1' antica «;tadc ;
Ma quel gran mirto dall' aperto seno
Immagini inop^trò più belle e rade.
Donna mostrò j eh' assomigliava appieno
Nel falso aspetto angelica beltade,
Uinaldo guata, e di veder gli è avvilo
Le sembianze d' Armida, e 1 dolce >iso.
i\
31. Quella lui mira in un lieta e dolente.
Mille aflctti in un guardo appajon misti.
Poi dice : io pur ti veggio , e finalmente
Pur ritorni a colei , da cui fuggisti.
A che ne vieni.'' A consolar presente
Le mie vedove notti e i giorni tristi ?
O vieni a mover guerra , a discacciarme ?
Che mi celi il bel volto, e mostri I' arme?
32. Giungi amante, o nemico? Il ricco ponte
Io già non preparava ad uora nemico.
Né gli apriva i ruscelli, i fior, la fonte.
Sgombrando i dumi , e ciò eh' a' passi è intrico.
Togli questi cimo ornai , scopri la fronte,
E gli occhi agli occbj mìei, se arrivi amico!
Giungi i labbri alle labbra, il seno al seno,
Porgi la destra alla mia destra almeno 1
33. Seguia parlando , e in bei pietosi giri
Volgeva i lumi , e scoloria i sembianti,
Falseggiando i dolcissimi sospiri,
E i soa\ i singulti , e i vaghi pianti ;
Talché incauta pìetade a quei martiri
Intenerir potca gli aspri diamanti.
Ma il cavaliero, accorto sì, non crudo,
Più non v' attende, e stringe il ferro ignudo.
31. Vassene al mirto : allor colei s' abbraccia
Al caro tronco, e s' interpone e grida:
Ah non sarà mai ver, che tu mi faccia
Oltraggio tal, che 1' arbor mio recida.
Deponi il ferro , oh di^pìetato , o '1 caccia
Pria nelle vene all' infelice Armida!
Per questo sen , per questo cor la spada
Solo al bel mirto mio trovar può strada.
35. Egli alza il ferro, e '1 suo pregar non cura;
Ma colei si trasmuta (oh novi mostri!)
Siccome avvien , che d' una , altra figura.
Trasformando repente , il sogno mostri ;
Così ingrossò le membra, e tornò scura
La faccia, e vi sparir gli avorj e gli ostri.
Crebbe in gigante altissimo, e si feo
Con cento armate braccia un Briareo.
36. Cinquanta spade impugna, e con cinquanta
Scudi risuona, e minaci-iando freme.
Ogni altra ninfa ancor d' armo e' ammanta,
Fatta un Ciclopc orrendo, ed ei non teme,
Ma doppia i colpi alla difesa pianta.
Che pur, come animata, ai colpi geme.
Sembrau dell' aria i rampi , i campi stigi:
Tanti appnjouo in lor mo^tri e prodigi.
37. Sopra il turbato ciel, sotto la terra.
Tuona e fulmina quello, e trema questa:
Aengono i venti e le procelle in guerra,
E gli soffiano al >olto aspra tempesta.
Ma pur mai colpo il cavalier non erra,
Né per tanto furor punto s' arresta.
Tronca la no<e, è noce, e mirto parve.
Qui r incanto fornì, sparir le lar^o.
38. Tornò sereno il ciclo, e 1' aum cheta,
Tornò la scUa al naturai suo stato,
Non «r incanti teniliilr. e non lieta,
Piena d' orror , ma dell' orrore innato.
Ritenta il vincitor, n' altro più \ieta,
('II' esxer non jiossa il bosco omai troncato.
Poscia sorride, e fra sé dice: oh vane
Sembianze! oh folle, chi per voi rimane!
14
[211]
GERUSALEMME LIBERATA. (XVIII. 39 — 54) [212
89. Quinci s' invia verso le tende, e intanto
Colà g^ridava il solitario Piero:
Già vinto è della selva il fero incanto,
Già sen ritorna il viiicitor guerriero.
Vedilo! ed ei da lunge in bianco manto
Comparia venerabile ed altero,
E dell' aquila sua 1' argentee piume
Spleudeano al sol d' inusitato lume.
40. Ei dal campo giojoso alto saluto
Ha con sonoro x-eplicar di gridi,
E poi con lieto onore è ricevuto
Dal pio Buglione, e non è chi 1' invidi.
Disse al duce il guerriero: a quel temuto
Bosco n' andai , come imponesti , e 'l vidi.
Vidi , e vinsi gì' incanti. Or vadan pure
Le genti là ; che son le vie secure.
41. Vassi all' antica selva, e quindi è tolta
Materia tal , qual buon giudizio eles.*e.
E benché o>curQ fabbro arte non molta
Por nelle prime macchine sapesse,
Pur artefice illustre a questa volta
E colui, eh' alle travi i vinchj intesse:
Guglielmo, il duce ligure, che pria
Signor del mare corseggiar solia.
42. Poi sforzato a ritrarsi , ei cesse i regni
Al gran naviglio, saracin de' mari,
Ed ora al campo conducea dai legni
E le maritiiiie armi e i marinari.
Ed era questi infra i più industri ingegni
Ne' meccanici ordigni uom senza pari.
E cento seco avea fabbri minori.
Di ciò , eh' egli disegna , esecutori.
lo. Costui non solo cominciò a comporre
Catapulte, baliste, ed arieti.
Onde alle mura le difese torre
Possa , e spezzar le sode alte pareti,
Ma fece opra maggior, mirabil torre,
Ch' entro di pin tessuta era e d' abeti,
E nelle cuoja avvolto ha quel di fuore,
Per ischermirsi dal lanciato ardore.
14. Si scommette la mole , e ricompone
Con sottili giunture in un congiunta.
E la trave, che testa ha di muntone.
Dall' ime parti sue cozzando spunta.
Lancia dal mezzo un ponte, e spesso il pone
Suir opposta muraglia a prima giunta ;
E fuor da lei su per la cima n' esce
Torre minor , eh' in suso è spùita , e cresce.
15. Per le facili vie destra e corrente
Sovra ben cento sue volubil rote,
Gravida d' arme, egra\ida di gente.
Senza multa fatica ella gir punte.
Stanno le schiere rimirando intente
La prestezza de' fabbri, e 1' arti ignote.
E due torri in quel punto anco son fatto,
Della prima ad immagine ritratte.
IG. Ma non ci'an frattanto ai Saracini
L' opre, che ivi si fean , del tutto ascoste;
P('r<:lu'; neir alte mura ai più vicini
Lochi le guardie ad ispiar son poste.
Questi gran salmerie d' orni e di pini
Vedcan dal bosco esser condotte all' oste,
E macchine vedean , ma non appieno
Kiconoscer ior forma indi potiéno.
47. Fan Ior macchine anch' essi, e con molt' ari
Rinforzano e le torri e la nuiraglia,
E r alzaron cosi da quella parte,
Ov' è men atta a sostener battaglia,
Ch' a Ior credenza, ornai sforzo di Marte
Esser non può , eh' ad espugnarla vaglia.
Ma sovra ogni difesa Ismen prepara
Copia di fochi inusitata e rara.
18. Mesce il mago feilon zolfo e bitume,
Che dal lago di Sodoma ha raccolto :
E fu (credo) in inferno; e dal gran fiume.
Che nove volte il cerchia , anco n' ha tolto.
Così fa , che quel foco e puta e fumé,
E che s' avventi fiammeggiando al volto.
E ben co' feri incendj egli s' avvisa
Di vendicar la cara selva incisa.
19. Mentre il campo all' assalto, e la cittade
S' apparecchia in tal modo alle difese.
Una colomba per l' aeree strade
Vista è passar sovra lo stuol francese.
Che non dimena i presti vanni , e rade
Quelle liquide vie con 1' ali tese.
E già la messaggiera peregrina
Dall' alte nubi alla città s' inchina,
50. Quando, di non so donde, esce un falcone,
D' adunco rostro armato e di grand' ugna.
Che fra '1 campo e le mura a lei s' oppone.
Non aspetta ella del crudel la pugna.
Quegli d' alto volando al padiglione
Maggior r incalza, e par, che omai i' ngglugr
Ed al tenero capo il piede ha sovra:
Essa nel grembo al pio Buglion rìcovra.
51. La raccoglie Goffredo , e la difende.
Poi scorge , in lei guardando , estrania cosa.
Che dal collo ad un filo avvinta pende
Rinchiusa carta, e sotto un' ala ascosa.
La disserra e dispiega, e bene intende
Quella, eh' in sé contien non lunga prosa.
Al signor di Giudea , dicea lo scritto,
Invia salute il capitan d' Egitto.
52. Non sbigottir, signor, resisti e dura
Insino al quarto , o insino al giorno quinto !
Ch' io vengo a liberar cotesto mura,
E vedrai tosto il tuo nemico vinto.
Questo il secreto fu , che la scrittura
In barbariche note avea distinto,
Dato in custodia al portator volante;
Che tai messi in quel tempo usò il Levante.
53. Libera il prence la colomba, e quella,
Che de' secreti fu rivelatrice.
Come esser creda al suo signor rubclla,
Non ardi più tornar nunzia infelice.
Ma il sopran duce i minor duci appella,
E Ior mostra la carta, e cosi dice:
Vedete, come il tutto a noi riveli
La provvidenza del signor de' cieli !
51. Già più di ritardar tempo non parmi.
Nova spianata or cominciar potrassi.
E fatica e sudor non si risparmi.
Per superar d' inverso l' austro i sassi.
Duro fia sì far colà strada all' armi ;
Pur far si può : notalo ho il loco e i passi.
E ben quel muro, eh' assecura il sito,
D' armi e A' opre men deve esser munito.
I
[213]
GERUSALEMME LIBERATA. (XVm. 55—70)
[214]
55. Tu, Raimondo, vogl' io che da quel lato
Con le macchine tue le mura offenda.
Vo', che dell' anni mie V alto apparato
Contra la porta aquilonar .^i stenda,
Sicché il nemico il veggia , ed ingannato
Indi il maggior impeto no>tro attenda.
Poi la gran torre mia, eh' agevol move.
Trascorra alquanto, e porti guerra altrove!
56. Tu drizzerai , Camillo , al tempo stesso
Non lontana da me la terza torre.
Tacque: e Raimondo, che gli siede appresso,
E che, parlando lui, fra sé discorre,
Disse : al consiglio da Goffredo espresso
Nulla giunger si puote, e nulla torre.
Lodo solo oltra ciò, eh' alcun s' invii
Nel campo ostil, che i suoi secreti spiì,
57. E ne ridica il numero , e '1 pensiero
(Quanto raccor potrà) certo e verace.
Soggiunse allor Tancredi : ho un mio scudiero,
Ch' a questo ufficio di propor mi piace,
Uom pronto e destro, e sovra i pie leggiero.
Audace si , ma cautamente audace,
Che parla in molte lingue, e varia il noto
Suon della voce, e '1 portamento e '1 moto.
58. Venne colui chiamato : e , poiché intese
Ciò, che Goffredo e '1 suo signor desia,
Alzò ridendo il volto, ed intraprese
La cura, e disse: or or mi pongo ia via.
Tosto sarò , dove quel campo tese
Le tende a\rà, non conosciuta spia,
Vo' penetrar di mezzo di nel vallo,
£ numerarvi ogn' uomo , ogni cavallo.
59. Quanta, e qual sia qucll' oste e ciò che pensi
Il duce loro, a voi ridir prometto.
Vantomi in lui scoprir gì' intimi sensi,
E i secreti pensicr trargli dal petto.
Così parla ^alVino, e non tratliensi,
Ma cangia in lungo manto il suo farsetto,
E mostra fa del nudo collo , e |>rendc
D' intorno al capo attorcigliale hende.
iO. La faretra s' adatta e 1' arco sire,
E barbarico sembra ogni suo gesto. i
Stupiroii quei, «he favellar 1' udirò,
Ed in di\er»e lingue es»er bi pre>to, j
Ch' Egizio in iMcnli, o pur Fenice ili Tiro ■
L' avria creduto e quel popolo e qucito.
Egli sen va sovra un destrier, eh' appena
Segna nel corso la più molle arena. j
il. Ma i Franchi, priachè '1 terzo dì sia giunto,
Appiana ron le vie scuscese e rotte,
E fornir gli ^stroincnti anco in quel punto >
Che non fur le faticlie uiiqua interrotte.
Anzi all' opre de' giorni avean congiunto.
Togliendola al riposo, anco la uollc.
Kè cosa è più , <:lie ritardar li p<»^sa
Dui far r cijtremo ornai d' ogni lor possa.
!2. Del di, cui dell" assalto il dì successe,
Gran parte orando il pio liuglion ilispensa,
E impon, cir ogni altro i falli suoi confesse,
E pasca il pan dell' alme alla gran nu-n»u.
Macchine ed armi poscia ivi più spesso
Dimostra, ove adoprarle egli mcn pensa.
E '1 deluso pagan .>ì riciniforta,
Ch' uppor le vede alia munita porla.
03. Col bujo della notte è poi la vasta
Agii macchina sua colà traslata,
Ov' è men curvo il muro e raen contrasta*
Ch' angolosa non fa parte, o piegata.
Ed in sul colle alla città sovrasta
Raimondo ancor con la sua torre armata.
La sua Camillo a quel lato avvicina.
Che dal borea all' occaso alquanto inchina.
34. 3Ia come furo in oriente apparai
I mattutini messaggier del »ole,
S' avvidero i pagani , (e ben turbarsi)
Che la torre non è , dov' esser suole,
E mirar quinci e quindi anco innalzarsi
Non più veduta una ed un' altra mole;
E in numero infinito anco son viste
Catapulte, monton, gatti e baliste.
65. Non è la turba di Sorìa già lenta
A trasportarne a molte difese.
Ove il Buglion le macchine appresenta
Da quella parte , ove primier I' attese.
Ma '1 capitan , eh' a tergo aver rammenta
L' oste d' Egitto, ha quelle vie già prese.
E Guelfo , e i duo Roberti a sé chiamali :
State, dice, a cavallo in sella armati,
56. E procurate voi, che, mentre ascendo
Colà , dove quel nmro appar men forte,
Schiera non sia , che subita venendo
S' atterghi agli oi^cupatì , e guerra porte !
Tacque: e già da tre lati assalto orrendo
Movon le tre sì valorose scorte.
E d.i tre lati ha il re sue genti opposte,
Che riprese quel dì 1' arme dej)osle.
67, Egli medesmo al corpo omai tremante
Per gli anni, e grave del suo proprio pondo,
L' armi, che disusò gran tempo avante.
Circonda, e se ne va contra Raimondo.
Solimano a Gi'ffredo , e 1 fero Argante
Al buon Camillo oppon , che di Boemondu
Seco ha il nipote, e lui fortuna or guida.
Perchè il nemico a sé dovuto uccida.
68, Incominciaro a saettar gli arcieri
Infette di veiieno arme mortali,
Ed adombrato il ci'l par clie s' anneri
Sotto un immenso nuvolo di strali.
Ma con fiuza maggior colpi più feri
^e venian dalle macchine nuirali.
Indi gran palle uscian marmoree e gravi,
E con punta d' acciar ferrate travi.
69. Par fulmine ogni snssti , e cosi trita
L' armatura e h^ membra a chi n' é colto,
Che gli toglie non pur 1' alma e la vita,
Ma la forma del corpo anco e del volto.
Non si ferma la lancia alla ferita:
Dopo il colpo del corso avanza molto.
Entra da un lato, e fuor per 1' altro pasba
Fuggendo , e nel fuggir la morto ìand.
70. Ma non togliea però dalla difesa
Tanto furor le saracinc genti,
('ontra quelle percosso avean già tesa
l'iegh*'\ol tela, e cose altre cedenti.
1/ impeto, eh' in lor cade, ì\i contesa
Non trova, e vien, che vi si fiacchi e lenti.
Estii , ove miran più bi calca esposta,
Fan eoo 1' arme volanti aspra risposta.
14 *
[215]
GERUSALEMME LIBERATA. (XVIII 71-80)
11, Con tutto ciò d' andarne oltre non cessa
L' assalitor , che tripartito move.
E chi va sotto gatti, ove la spessa
Gragnuoln di saette indin-no piove,
E chi le toni all' alto niiiio appressa,
Che loro a suo poter da sé rhnove.
Tenta ogni torre ornai lanciare il ponte,
Cozza il luonton con la ferrata fronte.
T2. Rinaldo intanto irresoluto bada,
Che quel rischio di lui degno non era,
E stima onor plebeo, qunndo egli vada
Per le comuni vie col vulgo in scliiera ;
E volge intorno gli occlij , e quella strada
Sol gli piace tentar, eh' altri dispera.
Là dove il muro più munito ed alto
In pace stassi , ei vuol portar V assalto.
13. E volgendosi a quelli, i quai già furo
Guidati da Dudon , guerrier famosi:
Oh vergogna, dicea , che là quel muro
Fra cotante arme in pace or si riposi!
Ogni rischio al valor sempre è securo;
Tutte le vie son piane agli animosi. ^
Moviam là guerra, e contra ai colpi crudi
Facciam densa testuggine di scudi!
14. Giungersi tutti seco a questo detto:
Tutti gli scudi alzar sovra la testa,
E gli uniron cosi, che ferreo tetto
Facean contra 1' orribile tempesta.
Sotto il coperchio il fero stuol ristretto
Va di gran corso, e nulla il corso arresta;
Che la soda testuggine sostiene
Ciò, che di ruinoso in giù ne viene.
T5. Son già sotto le mura. Allor Rinaldo
Scala drizzò di cento gradi e cento,
E lei con braccio maneggiò sì saldo,
Ch' agile è raen picciola canna al vento.
Or lancia o trave, or gran colonna, o spaldo
D' alto discende: ei non va su più lento,
Ma intrepido ed invitto ad ogni scossa
Sprezzeria , se cadesse , Olimpo ed Ossa.
ta. Una selva di strali e di mine .
Sostien sul dosso, e sullo scudo un monte.
Scole una man le mura a se vicine,
L' altra sospesa in guardia è della fronte.
L' esempio all' opre ardite e peregrine
Spinge i compagni : ei non è sol , che monte ;
Che molti appoggian seco eccelse scale,
Ma '1 valore e la sorte è disuguale.
17. More alcuno, altri cade; egli sublime
Poggia, e questi conforta, e quei minaccia.
Tanto è già in su, che le merlate cime
l'uote afferrar con le distese braccia.
Gran gente allor vi trae , 1' urta, il reprime,
Cerca precipitarlo; e pur noi caccia.
( Mirabil vi^ta!) a un grande e fermo stuolo
Rusister può sospeso in aria un solo.
18. E resiste, e s' avanza, e si rinforza,
E , come palma suol , cui pondo aggreva.
Suo valor combattuto ha maggior forza,
E nella opprcssion più si solleva.
E vince alfm tutti i nemici , e sforza
L' aste e gì' intopi>i , che d' incontro aveva,
E sale il muri» , e '1 signoreggia , e 'I rende
Sgombro e securo a chi dirctro ascende.
19. Ed egli stesso all' ultimo germano
Del pio Buglion , eh' è di cadere in forse,
Stesa la vincitrice amica mano,
Di salirne secondo aita porse.
Frattanto erano altrove al capitano
Varie fortune e perigliose occorse;
Cli' ivi non pur fra gli uomini si pugna.
Ma le macchine insieme anco fan pugna.
60. Sul muro aveano i Siri un tronco alzato,
Ch' antenna un tempo esser solca di nave;
E sovra lui col capo aspro e ferrato
Per traverso sospesa è grossa trave.
E indietro quel da canapi tirato,
Poi torna innanzi impetuoso e grave:
Talor rientra nel suo guscio, ed ora
La tcstuggin rimanda il collo fuora.
81. Urtò la trave immensa , e così dure
Kella torre addoppiò le sue percosse.
Che le ben teste in lei salde giunture
Lentando aperse , e la rispinse e scosse.
La torre a quel bisogno armi secure
Avca già in punto , e due gran falci moasc,
Ch' avventate con arte incontra il legno,
Quelle funi troncar , eh' eran sostegno.
82. Qual gran sasso talor, che o la vecchiezza
Solve d' un monte, o svelle ira de' venti,
Ruinoso dirupa, e porta e spezza
Le selve , e con le case anco gli armenti,
Tal giù traea dalla sublime altezza
L' orribii trave , e merli , ed arme , e genti.
Die' la torre a quel moto uno e duo crolli ;
Tremar le mura , e rimbombaro i colli.
83. Passa il Buglion vittorioso avanti,
E già le mura d' occupar si crede;
Ma fiamme allora fetide e fumanti
Lanciarsi incontra immantinente ei vede.
Kè dal sulfureo sen fochi mai tanti
R cavernoso Mongibel fuor diede,
Kè mai cotanti negli estivi ardori
Piove r indico ciel caldi vapori.
84. Qui vasi , e cerchj , ed aste ardenti sono,
Qual fiamma nera, e qual sanguigna splende.
L' odore appuzza, assorda '1 rombo e 1 tuono
Accieca il fumo, il foco arde e s' apprende.
L' umido cuojo alfin saria mal buono
Schermo alla torre : appena or la difende.
Già suda e si rincrespa, e se più tarda
Il soccorso del ciel , convien pur eh' arda.
85. 11 magnanimo duce innanzi a tutti
Stassi, e non nmta nò color, né loco,
E quei conforta , «;he su' cuoj asciutti
^ crsan 1' onde apprestate incontro al foco.
In tale stato eran costor ridutli,
E già dell' acque rimanea lor poco,
Quando ecco un vento, eh' improvviso spira,
Contra gli autori suoi 1' incendio gira.
86. Vien contro al foco il turbo, e indietro volti
n foco, ove i pagan le tele alzaro,
Quella molle materia in sé raccolto
L' ha immantinente , e n' arde ogni riparo.
Oh glorioso capitano ! oh molto
Dai gnui Dio custodito, al gran Dio caro!
A te guerreggia il cielo, e ubbidienti
Ven"ron chiamali a suon di trombe i venti.
[217]
GERUSALEMME LIBERATA (XVIII. 87-102) [218]
87. Ma r empio I^men, che le sulfuree faci
Vide da borea incontra sé converse,
Ritentar volle 1' arti sue fiillaci,
Per sforzar la natura e 1' aure avverse;
E fra due maglie, che di luì seguaci
Si fér, sul muro agli occlij altrui s' offerse,
E torvo , e nero , e squallido , e harhuto
Fra due Furie parca Caronte, o Fiuto.
88. Già il mormorar s' udia delle parole,
Di cui teme Cocito e Flegetonte.
Già si vedea 1' aria turbare, e 'I sole
Cinger d' oscuri nuvoli la fronte.
Quando avventato fu dall' alta mole
Un gran sasso , che fu parte d' un monte,
E tra lor colse sì , eh' una percossa
Sparse di tutti insieme il sangue e 1' ossa.
89. In pezzi minutissimi e sanguigni
Si dìsperser cosi le inique teste,
Che di sotto ai pesanti aspri miicignl
Soglion poco le biade uscir più peste.
Lasciar gemendo i tre spirti maligni
L' aria serena e '1 bel raggio celeste,
E sen fuggir tra l' ombre empie infernali.
Apprendete pietà quinci, oh mortali 1
SO. In questo mezzo alla città la torre.
Cui dall' incendio il turbine assecura,
S' avvicina così , che può ben porre
E fermare il suo ponte in sulle mura.
Ma Solimano intrepido v* accorre,
E '1 passo angusto di tagliar procura,
E doppia i colpi , e ben l' avria reciso.
Ma un' altra torre apparse all' improvviso.
91. La gran mole crescente oltra i confini
De' più alti edifìci in aria passa.
Attoniti a quel mostro i Saracini
llestàr, vedendo la città più bassa.
Ma il fero Turco , ancorché 'n Ini mini
I)i pietre un nembo, il luco suo non lassa;
Nò di tagliare il ponte anco diffìda,
E gli altri , che temean , rincora e sgrida.
92. S' offerse agli occhj di Goffredo allora
Invisibile altrui l' angcl Michele,
Cinto d' armi celesti : e vinto fora
Il sol da lui, cui nulla nube vele.
Ecco, disse, (Goffredo, è giunta l' ora,
Cli' esca Sion di servitù criulcle.
Non chinar, non chinar gli occhj smarriti!
Mira, con quante forze il cici t' aiti!
93. Drizza pur gli occhj a riguardar V immenso
Esercito iturnortal, eh' è in aria accolto!
Cli' io dinanzi tornttlì il niivoi denso
Di vostra umanità, eh' intorno avvolto
Adombrand(» t' ap|>anna il nuutal senso,
Sicché vedrai gì' iginiili spirti in volto,
E sostener per bre\(; spazio i rai
Delle angeliche forme anco potrai.
91. Mira di quei, che fùr cainpion di Cristo,
1/ anime fatte in ciclo or cittadine.
Clic pngnan teco , e di ^ì alti» acquisto
Si trovan teco al glorioso line!
lià 'v(i ondeggiar la polve e il fimio misto
Aedi, e di rotte moli nUr. mine,
Tra ((uella f<dtii nebbia irgon combatte,
E delle torri i fondamenti abbatte.
95. Ecco poi là Dudon , che 1' alta porta
Aquilonar con ferro e fiamma assale,
Ministra V arme ai combattenti, esorta,
Ch altri su monti , e drizza e tien le scale«
Quel eh' è sul colle, e '1 sacro abito porta,
E la corona ai crin sacerdotale,
E il pastore Ademaro, alma felice.
Vedi, eh' ancor vi segna e benedice.
dG, Leva più in su le ardite luci , e tutta
La grande oste del ciel congiunta guata!
Egli alzò il guardo, e vide in un ridutta
Milizia innumerabile ed alata.
Tre folte squadre , ed ogni squadra ìnstnUta
In tre ordini gira e si dilata ;
Ma si dilata più , quanto più in fuori
I cerchj son; son gì' intimi i minori.
97. Qui chinò vinto i lumi , e gli alzò poi,
Né lo spettacol grande ei più rivide;
Ma , riguardando d' ogni parte i suoi.
Scorge, che a tutti la vittoria arride.
Molti dietro a Rinaldo illustri eroi
Saltano : ei già salito i Siri uccide.
II capitan , che più indugiar si sdegna,
Toglie di mano al fido alfier V insegna,
98. E passa primo il ponte, ed impedita
Gli è a mezzo il corso dal soldan la via.
Un pìcciol varco è campo ad iniinita
Virtù, che 'n pochi colpi ivi apparia.
Grida il fier Solimano: all' altrui vita
Dono e consacro io qui la vita mia.
Tagliate, amici, alte mie spalle or questo
l'onte ! che qui non facil preda io resto.
99. Ma venirne Rinaldo in volto orrendo,
E fuggirne ciascun vedea lontano.
Or che farò? Se qui la vita spende.
La spendo, disse, e la disperdo invauo.
E , sé in nove difese anco volgendo,
Cedea libero il passo al capitano.
Che minacciando il segue, e della santa
Croce il vessillo in suile mura pianta.
100. La vincitrice insegna in mille giri
Alteramente si rivolge intorno ;
E par, che 'n lei più riverente spiri
L' aura, e che splenda in lei più chiaro il giorno,
Ch' ogni dardo, ogni strai, che 'n lei ci tiri,
0 la declini, o faccia indi ritorno.
Par che Sion, par che 1' oppf»(o monto
Lieto r adori , e inchini a lei la frinite.
101 Allor tutte le squadre il grido alzaro
Della vittoria ulti^^iulo e fcrr.inte.
E risonarne i monti , e rcpiicaro
Gli ultimi accenti, e qua>i in quello istante
Ruppe e vinse 'l'ancrcdi ogni riparo.
Che gli a\e^a ali' incontro o|ipo>to Argante.
E, lanttiando il suo ponte, uniir«-i \('l(icu
Passò nel unirò , e v' innalzò la croce.
102. Ma verso il mezzogiorno, ove il canuto
Raimondo pugna, e 1 pah>tiu tiranno,
1 guerri(-r di (ìuascogna anco polulo
(iinngcr hi torre ulla città non hanno:
("he 1 nerix» delle genti ha il re in ajnlo.
Ed ostinali alia difesa ^tanno,
K. scMicii qui\i il muro era nufu fermo,
Di luaccliine t' avca maggior lo kclu-ruut.
/
[219]
GERUSAL. LIB. (XVIII. 103 — 105. XIX. 1-8)
[220;
108.
Oltrachè, incn eh' altrove, in questo canto
La gran mole il sentici- trovò spedito.
Nò tanto arte potè, che pur alquanto
Di sua natura non ritegua il sito.
Fu r alto segno di vittoria intanto
Dai difensori e dai Guasconi udito,
Ed avvisò il tiranno e '1 Tolosano,
Che la città già presa è verso al piano.
105. Entra allor vincitore il campo tutto
Per le nuira non sol , ma per le porte;
Ch' è già aperto, abbattuto, arso e distrutto
Ciò, che lor s' opponea rinchiuso e forte.
Spazia r ira del ferro, e va col lutto,
E con r orror, compagni suoi, la morte.
Risitagna il sangue in gorghi, e corre in rivi,
Pieni di corpi estinti e di mal vivi.
104. Onde Raimondo ai suoi dall' altra parte
Grida: oh compagni, è la città già prciia.
Aiuta ancor ne resiste.'' or soli a parte
Non sarem noi di si onorata imprcf^a?
Ma il re , cedendo alfin , di là si parte.
Perchè ivi dij^perata è la difesa,
E sen rifugge in loco forte ed alto,
Ove egli spera sostener 1' assalto.
CANTO DECIMO NONO.
JRGOMENTO.
Delfier Circasso alfin , se fusti pria
Tuferitor, tu se' uccisor, Tancredi.
Ala s' ei cade, e tu cadi , e par, che sia
Tolto giù il caldo al cor, la forza ai piedi.
Tu, Erminia, s' al tuo ben J'afrin t' invia.
Il piangi , e H curi in un, eh' esangue il vedi.
E tu, oh pagan, se V arti tue prepari,
V arti tue sa 1 fedcl, e sa i ripari.
1. Già la morte, o il consiglio, o la paura
Dalle difese ogni pagano ha tolto;
E sol non s' è dall' espugnate mura
li pertinace Argante anco ri^oIto.
Mostra ei la faccia intrepida e secura,
E pugna pur fra gli avversar] avvolto,
Più clic morir, temendo esser respinto,
E vuol morendo anco parer non vinto.
2. Ma sovra ogni altro feritore infesto
Sovraggiunge Tancredi , e lui percote.
Ben è il Circiisso a riconos(;cr presto
Al portamento , agli atti , all' arme note
Lui , che pugnò già seco , e '1 giorno sesto
'l'ornar promise, e le promesse ir vote;
Onde gridò: così la fé, Tancredi,
Ali «('ivi tu? cosi alla pugna or ricdi ?
3. Tardi riedi, e non solo. Io non rifìuto
Però combatter teco, e riprovarmi,
Bcnciiè non ijiial guerri<-r , ma qui venuto
Quasi inventor di ina<:chiiie tu parmi.
Fatti scudo de' tuoi ! trova in ajuto
Novi ordigni di guerra e insolite anni!
Cile non potrai dalle mie mani, oh fcrte
Delle donne uccisor, fuggir la morte.
4. Sorrìse il buon Tancredi nn cotal riso
Di sdegno, e in detti alteri ebbe risposto:
Tardo è il ritorno mio; ma pur avviso,
Che frettoloso e' ti parrà bentosto,
E bramerai, che te da me diviso
O 1' alpe avesse, o fosse il mar frapposto;
E che del mio indugiar non fu cagione
Tema o viltà, vedrai col paragone.
5. bienne in disparte pur , tu , che omicida
Sei de' giganti solo , e degli eroi !
L' uccisor delle femmine ti sfìda.
Cosi gli dice , indi si volge ai suoi,
E fa ritrarli dall' offesa, e grida:
Cessate pur di molestarlo or voi !
Ch' è proprio mio più che comun nemico
Questi , ed a lui mi stringe obbligo antico.
6. Or discendine giù solo, o seguito,
Come più vuoi! ripiglia il fier Circasso:
\a. in frequentato loco, od in romito!
Che per dubbio o svantaggio io non ti lasso.
Sì fatto , ed accettato il fero invito,
Movon concordi alla gran lite il passo.
L' odio in un gli accompagna, e fa il rancore
L' un nemico dell' altro or difensore.
7. Grande è il zelo d' onor, grande il desire.
Che Tancredi del sangue ha del pagano:
Né la sete ammorzar crede dell' ire.
Se n' esce stilla fuor per 1' altrui mano.
£ con lo scudo il copre, e: nini ferire!
Grida a quanti rincontra anco lontimo,
Siccliè salvo il nemico infra gli amici
Traggo dall' arme irate e vincitrici.
8. Escon della cittade , e dan le spalle
Ai padigli(ui delle accampate genti,
E se ne van dove un girevoi calle
Li porta per secreti avvolgimenti.
E ritrovano ombrosa angusta valle
Tra più colli giacer, non altrimenti,
Clio se fosse un teatro , o fosse ad uso
Di battaglie e di cacce intorno chiuso.
[221]
GERUSALEMME LIBERATA. (XIX. 9 — 24)
[222]
9. Qui si fermano entrambi : e pur sospeso
Volgeasi Arg-ante allii cittade afflitta.
Vede Tancredi, che '1 pagan difeso
Non è di scudo , e 1 suo lontano ei gitta.
Poscia lui dice: or qual pensier t' ha preso?
Pensi, eh' è giunta 1' ora a te prescritta?
Se, antivedendo ciò timido stai,
£ il tuo timore intempestivo ornai.
10. Penso, risponde, alla città del regno
Di Giudea antìchisbima regina,
Che vinta or cade, e indarno esser sostegno
10 procurai della fatai ruina ;
E eh' è poca vendetta al mio disdegno
11 capo tuo , che 1 cielo or mi dentina.
Tacque : e incontra si van con gran risguardo :
Che ben conosce 1' uu 1' altro gagliardo.
11. E di corpo Tancredi agile e s^ciolto,
E di man velocissimo e di piede.
Sovrasta a Ini con 1' alto capo, e molto
Di grossezza di membra .Argante eccede.
Girar Tancredi inchino, e in su rficcolto
Per avventarsi e sottentrar si vede,
E con la spada sua la spada trova
Nemica, e 'n disviarla usa ogni prova.
12. Ma disteso ed eretto il fero vh-gante
Dimosti-a arte simile, aito diverso.
Quanto egli può, va col gran braccio avante,
E cerca il ferro no , ma il corpo avverso.
Quel tenta aditi novi in ogni instante:
Questi gli ha il ferro al volto ognor converso,
Minaccia, e intento a proibirgli stassi
Furtive entrale, e subiti trapassi.
13. Cosi pngna na\ al , quando non spira
Per lo piano del mare africo o noto,
Fra duo legni ineguali egual si mira,
Ch' un d' altezza preval, 1' altro di moto.
L' un con volte e rivolte assale e gira
Da prora a poppa , e si sta V altro immoto,
E quando il più Icggier se gli avvicina,
D' alta parte minaccia alta ruina.
il4. Mentre il Latin di sottcntrar ritenta,
Sviando il ferro, che si vede opjjorre,
Vibra Argante la spada , e gli appresenta
La punta agli occhj : egli al riparo accorre.
Ma lei sì presta allor, sì violenta
Cala il pagan , che '1 difeiisor precorre,
E 'I fere al fianco, e, vi>to il fianco infermo.
Grida: lo schermitor vinto è di schermo.
15. Fra lo sdegno Tancredi e la vergogna
Si rode, e lascia i soliti riguardi,
E in eotal guisa la vendetta agogna,
('he sua perdita stima il vincer tardi.
Sol risponde col ferro alla ram|iogna,
E 'I drizza all' elmo, ove apri; il passo ni guardi.
Ribatte Argante il colpo , <; risoluto
Tancredi a mezza .'^pada è già \enuto.
16. Passa veloce allor col piò sinestro,
E con la manca al dritto bra(u-io il prende,
E con la destra intanto il la(o d<;t>tro
Di punte mortalis>im(; gli olIVnde.
Questa, diceva, al vincilor maestro
11 vinto bcliermitor ris|>osla rende.
rr(!me il (>irca-so, e si contorce e scuote;
Ma il braccio prigionier ritrar non puotu.
17. Alfin lasciò la spada alla catena
Pendente, e sotto al buon Latin si spinse.
Fé' r istesso Tancredi , e con gran lena
L' un calcò 1' altro, e 1' un l' altro ricinse.
Né con più forza dall' adusta avena
Sospese Alcide il gran gigante e strinse.
Di quella, onde faccan tenaci nodi
Le nerborute braccia in varj modi.
18. Tai fur gli avvolgimenti, e tai le scosse,
Ch' ambi in un tempo il suol presser col fianco.
Argante, od arte, o sua ventuia fosse,
Sovra ha il braccio migliore, e sotto il manco.
Ma la man , eh' è più atta alle percosse.
Sottogiace impedita al guerrier franco;
Ond' ei, che '1 suo svantaggio e '1 rischio vede.
Si sviluppa dall' altro , e salta in piede.
19. Sorge più tardi; e un gran fendente, in prima
Che sorto ei sia , vien sopra al Saracino.
Ma come all' curo la frondosa cima
Piega , e in un tempo la solleva il pino.
Cosi lui sua virtute alza e sublima.
Quando ei n' è già per ricader più chino.
Or ricomincian qui colpi a vicenda.
La pugna ha manco d' arte, ed è più orrenda.
20. Esce a Tancredi in più d' un loco il sangue:
Ma ne versa il pagan quasi torrenti.
Già nelle sceme forze il furor langue,
Siccome fiamma in debili alimenti.
Tancredi, che '1 vedea con braccio esangue
Girar i colpi ad or ad or più lenti,
Dal magnanimo cor depo.-ta 1' ira,
Placido gli ragiona, e"i piò ritira.
21. Cedimi , uom forte ! o riconoscer voglia
31e per tuo vincitore, o la fortuna!
Nò ricerco da te trionfo, o spoglia.
Né mi riserbo in te ragione alcuna.
Terribile il pagan più clu; mai soglia.
Tutte le furie sue dc?ta e r.iguna.
Risponde: or dunque il meglio iwer ti vantc
Ed osi di viltà tentare Argante,''
22. Usa la sorte tua! che nulla io temo,
Né lascerò la tua follia impunita.
Come face rinforza anzi l' estremo
Le fiamme, e luminosa v^re di vita.
Tal , riempiendo ei d' ira il sangue scemo.
Rinvigorì la gagliardia smarril<i,
E r ore della niorte omai vi» ine
\ oUc illustrar con generoso line.
23. La man »ini.-tra alla compagna acrosta,
E con ambe congiunte il Icrro abba^^il,
Cala un fendente, e, bcncliè tritai oppo>ta
La spada o.-.til , la sforza, «-<l oltre passa.
Scende alla spalla, e giù di costa in cor-ta
Molte ferite in un sol punto lassa.
Se non teme Taiuredi , il petto audace
Non fé' natura di tiuu)r capace.
21. Quel doppia il c(>l|io orribile, cA al vento
Le forze e r ire iinitilmente ha sparto;
Perchè Tancredi alla pcrt-os.^a intento
So ne sottrnss<-, e ^i lanciò in disparte.
Tu dal tuo peso tratto in giù col mento
N' andasti. Argante, e non potesti aitarlo.
Per te cadci>ti , avventuroso int<into,
Ch' altri non ha di tua caduta il vanto.
[223J
GERUSALEMME LIBERATA. (XIX. 25- 40)
[224
25. TI cader dilatò le ping^he aperte,
E '1 sangue espresso dilagando scese.
Punta ei la manca in terra, e si converte
Ritto sovra un ginocchio alle difese.
Hendici! grida, e gli fa nove offerte
Senza iu)jarlo il vincitor cortese.
Quegli di furto intanto il ferro caccia,
È sul tallone il fiede, indi il minaccia-
26. Infuriossì allor Tancredi, e disse t
Così abusi , fellon , la pietà mia ?
Poi la spada gii fisse e gli rifiss«
Nella visiera, ove accertò la via.
Moriva Argante, e tal moria, qual visse:
Minacciava morendo , e non languia.
Superbì , formidabili, e feroci
Gli ultimi moti fur, 1' ultime yoci.
27. Ripon Tancredi il ferro, e poi devoto
Ringrazia Dio del trionfale onore.
Ma lasciato di forze ha quasi votQ
La sanguigna vittoria il vincitore.
Teme egli assai , che del viaggio al moto
Durar non possa il suo fìevol vigore.
Pur s' incammina , e così passo passo
Per le già corse vie mo\Js il pie lasso.
28. Trar molto il debil fianco oltra non puote,
E quanto più si sforza , più s' affanna^
Onde in terra s' asside, e pon le gote
Sulla destra, che par tremula canna.
CÀò che vedea, pargli veder che rotej
E di tenebre il dì già gli s' appanna*
Alfin isviene, e '1 vincitor dal vinto
Non ben sarla nel rimirar distinto.
29. Mentre qui g^gue la solinga guerra,
Che privata cagion fé' così ardente,
L' ira de' vincitor trascorre ed erra
Per la città sul popolo nocente.
Or chi giammai dell' espugnata terra
Potrebbe appien l' immagine dolente
Ritrarre in carte? od adeguar parlando
Lo spettacolo atroce e miserando?
SO. Ogni cosa di strage era già pieno:
Vedeansi in mucchj e in monti i corpi avvolti.
Là i feriti sui morti , e qui giaciéno
Sotto morti insepolti egi^i sepolti.
Fuggìan premendo i pargoletti al seno
Le meste madri co' capelli sciolti.
£ 'l predator, di spoglie e di rapine
Carco, stringea le vergini nel crine.
81. Ma per le vie, eh' al più sublime colle
Saglion verso necidente, ov' è il gran tempio,
Tutto del sangue ostile orrido e molle
Rinaldo corre , e caccia il popol empio.
lia fera spada il generoso estolle
Sovra gli armati capi, e ne fa scempio.
E schermo frale ogni elmo, ed ogni scudo;
Difesa è qui 1' esser dell' arme ignudo.
22. Sol centra il ferro il nobll ferro adopra,
E sdegna negl' inermi esser feroce;
E quei, cir ardir non armi, arme non copra,
Caccia coi guard(» e con 1' orribii voce.
Vedresti di valor mirabii opra,
Come or dinprczza, ora minaccia, or noce,
Come con rischio disegnai fugati
Sono egualmente pur nudi ed armati.
33. Già col più imbelle vulgo anco ritratto,
S' è non picciolo stuol del più guerriero
Nel tempio, che più volte arso e rifatto,
Si^ noma ancor , dal fondator primiero,
Di Salomone: e fu per lui già fatto
Di cedri e d' oro , e di bei marmi altero.
Or non sì ricco già, pur saldo e forte
E d' alte torri, e di ferrate porte-
si. Giunto il gran cavaliere, ove raccolte
S' eran le turbe in loco ampio e sublime,
Trovò chiuse le porte, e trovò molte
Difese apparecchiate in sulle cime.
Alzò lo sguardo orribile, e due volte
Tutto il mirò dall' alte parti all' ime.
Varco angusto cercando, ed altrettante
Il circondò con le veloci piante.
35. Qual lupo predatore all' aer bruno
Le chiuse mandre insidiando aggira,
Secco r avide fauci , e nel digiuno
Da nativo odio stimulato e d' ira:
Tale egli intorno spia, s' adito alcuno.
Piano , od erto che siasi aprirsi mira.
Si ferma alfin nella gran piazza , e d' alto
Stanno aspettando i miseri 1' assalto.
3G. In disparte giacea (qnal ch^e si fosse
L' uso, a cui si serbava) eccelsa tr^ve.
Né così alte mai , né così grosse
Spiega r antenne sue ligura nave.
A er la gran porta il cavalier la mosse
Con quella man, cui nessun pondo è grave,
£ recandosi lei di lancia in modo,
Urtò d' incontra impetuoso e sodo.
37. Restar non può marmo, o metallo avanti
Al dtuo urtare, al riurtar più forte.
Svelse dal sas^o i cardini sonanti.
Ruppe i serragli, ed abbattè le porte.
Non r aritke di far più si vanti.
Non la bombarda, fulmine di morte.
Per la dischiusa via la gente inonda
Quasi un diluvio , e '1 vincitor seconda.
38. Rende misera strage atra e funesta
L' alta mngion , che fu magion di Dio.
Oh giustizia del ciel , quanto nicn presta,
Tanto più grave sopra il popol rio!
Dal tuo secreto provveder fu desta
L' ira ne' cor pietosi , e incrudelio.
Lavò col sangue suo 1' empio pagano
Quel tempio , che già fatto avea profano.
3!). Ma intanto Sollman ver la gran torre
Ito se n' è , che di David s' appella,
E qui fa de' guerrier 1' avanzo accori-e,
E sburra intorno e questa strada, e quella t
E '1 tiranno Aladino anco vi corre.
Come il soldan lui vede, a lui favellai
Vieni, oh fam<»so re, vieni, e là sovra
Alla rocca fortissima ricovra!
40. Che dal furor delle nemiche spade
Guardar vi puoi la tua salute e '1 regno.
Oiniè , risponde, oimè, che la cittade
Strugge dal l'ondo suo barbaro sdegno,
E la mia vita , e '1 nostro imperio cade.
Vissi, e regnai; non vivo or più, nò regno.
Ren si può dir: noi fummo. A tutti è giunto
L' ultimo dì , r incvitabil punto.
;225]
GERUSALEMME LIBERATA. (XIX. 41—56)
[226]
41. Ov' è, signor, la tua virtute antica?
DÌ£se il soldan tutto cruccioso allora
Tolgaci i regni pur sorte nemica!
Che '1 regal pregio è nostro, e' n noi dimora.
Ma colà dentro omai dalla fatica
Le stanche e gra\i tue membra ristora!
Così gli parla, e fa, che si raccogli»
11 vecchio re nella guardata soglia.
i2. Egli ferrata mazza a due man prende,
£ si ripon la fida spada al fianco,
E stassi al rarco intrepido , e difende
Il chiuso delle strade al popol franco.
Eran mortali le percosse orrende;
Quella, che non uccide, atterra almanco.
Già fugge ognun dalla sbarrata piazza,
Dove vede appressar 1' orribil mazza.
43. Ecco da fera compagnia seguito
Sopraggiungeva il tolosan Raimondo.
Al periglioso passo il vecchio ardito
Corse, e sprezzò di quei gran colpì il pondo.
Primo ci feri ; ma invano ebbe ferito :
Non ferì invano il feritor secondo ;
Che in fronte il colse, e 1' atterrò col peso
Supin, tremante, a braccia aperte steso.
ìì. Finalmente ritorna anco ne' vinti
La virtù, che '1 timore avea fugata,
E i Franchi vincitori o son rispinti,
O pur caggiono uccisi in sull' entrata.
Ma il soldan , che giacere infra gli estinti
Il tramortito duce ai pie si guata.
Grida ai suoi cavalier: costui sia tratto
Dentro alle sbarre, e prigionicr sia fatto!
15. Si movon quegli ad eseguir 1' efletto.
Ma trovan dura e faticosa impresa;
Perchè non è d' alcun de' suoi negletto
Raimondo, e corron tutti in sua difesa.
Quinci furor, quindi pietoso afl*etto
Pugna, nò vii cagiono è di contesa.
Di sì grand' uom la libertà, la vita.
Questi a guardar, quegli a rapir invita.
16. Pur vinto avrebbe a lungo andar la prova
Il soldano ostinato alia vendetta;
Clic alla fulminea ma/za oj)por non giova
0 doppio scudo , o tempra d' elmo eletta ;
Ma grande aita a' suoi nemici e nova
Di qua di là vede arrivare in fretta;
VAìii da duo lati opposti in un sol punto
Il sopran duce, e '1 gran guerriero è giunto.
c7. Come pastnr, quando, fremendo intorno
Il > entu e i tuoni , e balenando i lampi,
Aedc oscurar di mille nubi il giorno,
Ritrae la greggia dagli aperti campi,
E sollecito cerca alcun soggiorno,
Dove r ira del cicl securo scampi,
Eì col grido indri/.zando e con la verga.
Le mandru innanzi, agli ultimi s' atterga:
t8. Cosi il pagan , che già venir sontia
L' irrcparabil tiubo e la tempesta,
(/he di fremiti orrendi il eirl feria,
D' aniu- ingombrando e quella parte e quo.^ta,
Lo custodite genti innun/i invia
Kella gran torre, ed egli ullinu) resta,
llltimo parte, e sì cctle al periglio,
Cir audace appare hi provvido cuiiaigUo.
49. Pur a fatica avvien, che si ripari
Dentro alle porte, e le riserra appena;
Che già rotte le sbarre, ai limitari
Rinaldo vien , né quivi anche s' affrena.
Desio di superar chi non ha pari
In opra d' arme, e giuramento il mena :
Che non obblia, che 'n voto egli promise
Di dar morte a colui, che '1 Dano uccise.
50. E ben allor allor 1' invitta mano
Tentato avria 1' inespugnabil muro,
INè forse colà dentro era il soldano
Dal fatai suo nemico assai securo.
Ma già suona a ritratta il capitano:
Già r orizzonte d' ogn' intorno è scuro.
Goffredo alloggia nella terra , e vuole
Rinnovar poi 1' assalto al novo sole.
51. Diceva a' suoi lietissimo in sembianza:
Favorito ha il gran Dio 1' armi cristiane.
Fatto è il sommo de' fatti, e poco avanza
Dell' opra, e nulla del timor rimane.
La torre, estrema e misera speranza
Degl' infedeli , espugnerem dimane.
Pietà frattanto a confortar v' inviti
Con sollecito amor gli egri e i feriti!
52. Ite, e curate quei, rh' han fatto acquisto
Di questa patria a noi col sangue loro!
Ciò più conviensi ai cavalier di Cristo,
Che desio di vendetta , o di tesoro.
Troppo, ahi troppo di strage oggi s' è visto.
Troppa in alcuni avidità dell' oro.
Rapir più oltra, e incrudelir i' vieto.
Or divulgliin le trombe il mio divieto!
53. Tacque; e poi se n' andò là, dove il conte.
Riavuto dal colpo, anco ne geme.
Né Soliman con meno ardita fronte
Ai suoi ragiona, e '1 duol nell' alma preme.
Siate, oh compagni, di fortuna all' onte
In^ itti , insinché verde è fior di speme !
Che sotto alta apparenza di fallace
Spavento oggi men grave il danno giace.
51. Prese i nemici han ^ol le mura e i tetti,
E 'I vulgo umil ; non la cittade bau presa :
Clio nel capo del re, ne' vostri petti,
Nelle man vostre è la città compresa.
Veggio il re salvo , e talvi i suoi più eletti :
A eggio , che ne circonda alta difesa.
A ano trofeo d' abbandonata terra
Abbiansi i Franchi! allin perdan la guerra!
55. E certo V son, che i.erdenmla alfine:
(/Ile, nella sorte prospeia insolenti,
Fian volti agli omiciilj , alle rapine,
Ed agi' ingiuriosi abbracciamenti.
E saraii di hggier tra le mine,
'l'rn gli stupri e Iv prede oppressi e spenti.
So in tanta tracotan/.a ornai sorgiiinge
L' oste d' Egitto; e non piiote esser lungo.
50. Intanto noi signoreggiar co' sassi
l'otrem della città gli alti edifìci,
l'id ogni calie, «nule ni sc|iolcro vassi,
Torran le nostre iiiacbiiie ai nemici.
Va}>\ vigor porgendo ai cor già lassi,
La speme rinnovò ncgl' iiilelici.
Or meiitrt^ ipii lai coso eran passate.
Errò Val'rin tra mille schiere armale
15
[22t]
GERUSALEMME LIBERATA. (XIX.57— 72)
[228
57. Air esercito avverso eletto in spia,
Già dechinando il sol, partì Vafrino,
E corse oscura e solitaria via
Notturno e sconosciuto peregrino.
Ascalona passò , che non uscia
Dal balcon d' oriente anco il_ mattino.
Poi, quando è nel meriggio il solar lampo,
A vista fu del poderoso campo.
58. Vide tende infinite, e ventilanti^
Stendardi in cima azzurri, e persi, e gialli,
E tante udì lingue discordi , e tanti
Timpani , e corni , e barbari metallij
E voci di caramelli e d' elefanti
Tra '1 nitrir de' magnanimi cavalli,
Che fra sé disse: qui 1' Africa tutta
Traslata viene, e qui 1' Asia è condutta.
59. Mira egli alquanto pria, come sia forte
Del campo il sito, e qual vallo il circondc.
Poscia non tenta vie furtive e torte,
]N'è dal frequente popolo s' asconde.
Ma per dritto sentier tra regie porte
Trapassa , ed or dimanda , ed or risponde.
A dimande, a risposte astute e pronte
Accoppia baldanzosa audace fronte.
60. Di qua di là sollecito s' aggira
Per le vie, per le piazze, e per le tende.
I giicrricr, i de.-trier, 1' arme rimira,^
L' arti e gli ordini osserva , e i nomi apprende.
Né di ciò pago , a maggior cose aspira :
Spia gli occulti disegni, e parte intende.
Tanto s' avvolge, e così destro e piano,
Ch' adito s' apre al padiglion soprano.
61. Vede mirando qui sdrusoita tela,
Onde ha varco la voce, onde si sceme;
Che là proprio risponde , ove sou de la
Stanza rcgal le ritirate interne;
Sicché i secreti del signor mal cela
Ad uom , eh' ascolti dalle parti esterne.
Yafrin vi guata, e par eh' ad altro intenda.
Come sia cura sua conciar la tenda.
62. Stavasi il capitan la testa ignudo,
Le membra armato, e con purpureo ammanto,
liunge duo paggi avean 1' elmo e lo scudo.
Preme egli un' asta, e vi e' appoggia alquanto
Guardava un unm di torvo aspetto e crudo,
Membruto ed alto, il qual gli era da canto.
Vafrino è attento , e di Goffredo a nome
Parlar sentendo, alza gli orecchj al nome.
63. Parla il duce a colui: dunque sccurO
Sci cosi tu di dar morte a Goffredo ?
llisponde quegli: io sonno, e 'n corte giuro
Non tornar mai, se vincitor non riodo.
Preverrò ben color, che meco furo
Al congiurare : e premio altro non chiedo,
Se non , eh' io possa un bel trofeo dell' armi
Drizzar nel Cairo , e sottopor tai carmi :
64. Queste arme in guerra al capitan francese,
Diistruggitor dell' Asia , Ormondo trasse.
Quando gli trasse 1' alma; e le sospese,
Perché memoria ad ogni età ne passe.
Non iia , r altro dicea, che '1 re cortese
L' opera grande inonorata las^e.
Ben ci darà ciò, che per te si chiede ;
Ma coQ giunta I' avrai d' alta mercede.
65. Or apparecchia pur 1' armi mentite!
Che 'I giorno ornai della battaglia è presso.
Son, rispose, già preste; e qui, fornite
Queste parole, e 'l duce tacque, ed esso.
Restò Vafrino alle gran cose udite
Sospeso e dubbio, e rivolgea in sé stesso,
Qual arti di congiura, e quali siéno
Le mentite armi ; e noi comprese appieno,
66. Indi partissi, e quella notte intiera
Desto passò ; eh' occhio serrar non volse.
Ma , quando poi di novo ogni bandiera
All' aure mattutine il campo sciolse,
Anch' ei marciò con l' altra gente in schiera,
Fennossi anch' egli, ov' ella albergo tolse,
E pur anco tornò di tenda in tenda
Per udir cosa , onde il ver meglio intenda.
67. Cercando trova in sede alta e pomposa
Fra cavalieri Armida e fra donzelle.
Che stassi in sé romita e sospirosa.
Fra sé co' suoi pen>ier par che favelle.
Sulla candida man la guancia ]iosa,
E china a terra 1' amorose stelle.
Non sa, se pianga, o no: ben può vederle
Umidi gli occlij , e gravidi di perle.
68. Vedele incontra il fero Adrasto assiso.
Che par, eh' occhio non batta, e che non spiri
Tanto da lei pendea, tanto in lei fiso
Pasceva i suoi famelici desiri !
Ma Tisatono , or 1' una , or 1' altro in viso
Guardando, or vicn che brami, or che s' adii
E segna il mobii volto or di colore
Di rabbioso disdegno, ed or d' amore.
69. Scorge poscia AUamor, che 'n cerchio accol
Fra le donzelle alquanto era in disparte.
Non lascia il dcsir vago a freno sciolto,
Ma gira gli occhj cupidi con arte.
Volge un guardo alla mano, uno al bel Tolto,
Talora insidia più guardata parte,
E là s' intei'na, ove mal cauto apria
Fra due marame un bel vel secreta via.
70. Alza alfin gli occhj Armida, e pur alquanto
La bella fronte sua torna serena ;
E repente fra i nuvoli del pianto
Un soave sorriso apre e balena.
Signor, dicea, membrando il vostro vanto,
L' anima mia punte scemar la pena;
Che d' esser vendicata in breve aspetta,
E dolce è 1' ira in aspettar vendetta.
71. Risponde l' Indian : la fronte mesta.
Deh, per Dio, rasserena, e 1 duolo alleggia!
Ch' assai tosto avverrà , che 1' empia tc»ta
Di quel Rinaldo a' pie tronca ti veggia ;
O menarolli prigionier con questa
Ultrice mano, ove prigion tu 1 chieggia.
Così promisi in voto. Or 1' altro , eh' ode,
Moto non fa, ma tra suo cor si rode.
72. Volgendo in Tisaferno il dolce sguardo:
Tu, che dici, signor.' colei soggiunge.
Risponde egli infingendo : io, che son tardo,
Seguiterò il valor così da lungo
Di questo tuo terribile e gagliardo.
E con tai detti amaramente il punge.
Ripiglia r Indo allor: ben è ragione.
Che lungc segua, e tema il paragone.
229]
GERUSALEMME LIBERATA. (XIX. 73-88)
[230]
14
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73. Crollando Tisafcrno il capo altero.
Disse : oh foss' io signor del mio talento,
Libero avessi in questa spada impero !
Che tosto e' si parria, chi sia più lento.
Non temo io te, nò tuoi gran vanti, oh fero;
Ma 11 ciclo , e '1 mio nemico amor pavento.
Tacque: e sorgeva Adrasto a far disfida,
Ma la prevenne, e s' interpose Armida.
Diss' ella: oh cavalicr, pci-chè quel dono
Donatomi più volte anco togliete?
Miei campion siete voi: pur esser buono
Dovria tal nome a por tra voi quiete.
Meco s' adira , chi b' adira ; io sono
\eU' offese 1' ofiesa ; e voi "1 sapete.
Così lor parla, e così avvicn, che accordi
Sotto giogo di ferro alme discordi.
E presente Vafrino, e "1 tutto ascolta,
E sottrattone il vero, indi si toglie.
Spia dell' alta congiura , e lei ravvolta
Trova in silenzio, e nulla ne raccoglie.
Chiedenc improntamcnte anco talvolta:
E la difficoltà cresce le voglie.
O qui lasciar la vita egli è disposto,
O riportarne il gran secreto ascosto.
Mille e più vie d' accorgimento ignote,
Mille e più pensa inusitate frddi:
E pur con tutto ciò non gli son note
Dell' occulta congiura o 1' arme, o i modi.
Fortuna alfin (quel eh" ci per sé non puote)
Isviluppò d' ogni suo duhhio i nodi,
Sicch' ei distinto e manifesto intese,
Come le insidie al pio Buglion sinn tese.
Era tornato , ov' è pur anco assisa
Fra' suoi campioni la nemica amante;
Ch' ivi oppnrtun 1' investigarne avvisa,
Ove genti tracan sì varie e tante.
Or qui s' accosta a una donzella in guisa,
Che par, che v' abbia conoscenza avante,
Par v' abbia d' amistade antica usanza,
E ragiona in aflabile sembianza.
'8. Egli dicea , quasi per gioco , anch' io
Vorrei d' alcuna bella es.-er campione,
E troncar penserei col ferro mio
Il capo o di Uinnldo , n del Buglione.
Chiedila pur a me , se n' hai desio.
La testa d' alcun barbaro barone!
Così comincia, e pensa a poco a poco
A più grave parlar ridurre il gioco.
9. Ma in questo dir sorrise, e fé' ridendo
Un cotal atto suo nativo usato.
L'na dell' altre allor qui sorgiungendo,
L' udì . guardollo , e poi gli venne allato.
Disse: involarti a cia>run' altra intendo;
Nò ti dorrai d' amor male impiegato.
In mio campion t' eleggo, ed in disparto
Come a mio cavalier vo' ragionartc.
0. Kitirollo , e parlò : riconosciuto
Ilo te , \ afrin ; tu me «-onoscer dei.
Nel cor turbossi lo scudiero astuto;
Pur mÌ rivolse sorridendo a lei:
Non t' ho (rho mi hO\ venga) imqua veduto,
E degna pur d' csot mirata sei.
Questo so ben , di' assai vario da quello,
Che tu dicesti , è il nomo , ond' io m' appello.
ìr7.
81. Me sulla piaggia di Biserta aprica
Lesbin produsse , e mi nomò Almanzorre.
Tosto disse ella: ho conoscenza antica
D' ogn' esser tuo ; né già mi voglio opporre.
Non ti celar da me! eh' io sono amica,
Ed in tuo prò vorrei la vita esporre.
Erminia son , già di re figlia, e serva
Voi di Tancredi un tempo, e tua consena.
82. Nella dolce prigion due lieti mesi
Pietoso prigioiiier m' ave-ti in guarda,
E mi scr\isti in bei modi cortesi.
Ben dessa i' son : ben dessa i' son : riguarda !
Lo scudier, come pria, v' ha gli occhj intesi,
La bella faccia a ravvisar non tarda.
Vivi , ella soggiungea , da me securo :
Per questo ciel, per questo sol tei giuro.
83. Anzi pregar ti vo', che, quando torni.
Mi riconduca alla prigion mia cara.
Torbide notti e tenebrosi giorni
Misera vivo in libcrtade amara.
E se qui per ispia forse soggiorni,
Ti si fa incontro alta fortuna e rara.
Saprai da me congiure, e ciò, eh' altrove
Malagevol sarà, che tu ritrove.
Si. Così gli parla: e intanto ei mira, e tace:
Pensa all' esempio della falsa Armida.
Femmina è cosa garrula e fallace.
Vuole e disvuole ; è folle uom , che sen fida.
Sì tra sé volge. Or, se venir ti piace,
(Alfin le disse) io ne sarò tua guida.
Sia fermato tra noi questo, e conchiuso:
Serbisi il parlar d' altro a miglior uso !
85. Gli ordini danno di salire in sella
Anzi il mover del campo allora allora.
Parte Vafrin del padiglione , ed ella
Si torna all' altre, e alquanto ivi dimora.
Di scherzar fa sembiante , e pur favella
Del campion novo, e se ne vicn poi fuora.
Viene al loco prescritto , e s' accompagna.
Ed cscon poi del campo alla campagna.
86. Già eran giunti in parte assai romita,
E già sparian le Saracino tende,
Quando ei le disse: ordì', cniiie alla vita
Del pio GofTi-edo altri le insidie tende.
Allor colei della congiura ordita
L' iniqua tela a lui dispiega e stende.
Son (gli di\isa) <ifto guerrier di corte.
Tra' quali il più famoso è Ormondo il furie.
87. Questi (che che lor mova, odio, o disdegno)
llan conspirato : e l' arte lor (la tale.
Quel dì, che 'n lite ^erià d' .Asia il regno
Tra duo gran campi in gran pugna cainjiale,
Avran siili' armi della noce il bCgno,
E r armi avranno alla fraiiresea ; e quale
La guardia di GitilVedo ha bianco e d' oru
Il suo vestir , sarà l' abito loro.
88. Ma ciascun terrà cosa in siilT rhiu^tto,
CIk; noto a suoi per uom pagano il faccia.
Quando sia poi rimescolato e stretto
li' un rampo e l' altro , elli porransi in traccia,
E iiisiilierunno al valoroso petto.
Mostrando di custodi amica l'accia:
E i ferro armato ili M-leiio avranno.
Perchè mortai sia d' ogni piaga il danno
15 ♦
GERUSALEMME LIBERATA. (XIX. 89—104)
[231]
89. E, perchè fra' pagani anco rìsassi,
Ch' io so vostr' usi, ed arme, e sopravveste,
Fèr , che le false insegne io divisassi,
E fui costretta ad opere moleste.
Queste son le cagion, che '1 campo io lassi.
Fuggo le imperiose altrui richieste.
Schivo ed ahborro in qualsivoglia modo
Contaminarmi in atto alcun di frodo.
90. Queste son le cagion , ma non già sole —
E qui si tacque , e di rossor si tinse,
E chinò gli occhj , e 1' ultime parole
Ritener volle, e non hen le distinse.
Lo scudier, che da lei ritrar pur vuole
Ciò, eh' ella vergognando in so ristrinse,
Di poca fede , disse , or perchè cele
Le più vere cagioni al tuo fedele.'^
91. Ella dal petto un gran sospiro apriva,
E parlava con suon tremante e roco.
Mal guardata vergogna intempestiva,
Vatenc omai! non hai tu qui più loco.
A che pur tenti, oh invan ritrosa e schiva,
Celar col foco tuo d' amore il foco?
Debiti fur questi riguardi innante,
Non or, che fatta son donzella errante.
92. Soggiunse poi : la notte a me fatale,
Ed alla patria mia, che giacque oppressa,
Perdei più che non parve: e '1 mio gran male
Non ebbi in lei, ma derivò da essa.
LcA e perdita è il regno : io col regale
Mio alto stato anco perdei me stessa,
Per mai non ricovrarla. AUor perdei
La mente folle , e '1 core , e i sensi miei.
93. Vafi-in, tu sai, che timidetta accorsi,
Tanta strage vedendo e tante prede,
Al tuo signore e mio , che prima i' scorsi
Armato por nella mìa reggia il piede,
E, chinandomi, a lui tai voci porsi:
lii\ìtto vincitor, pietà, mercede!
Non prego io te per la mia vita; il fiore
Salvami sol del verginale onore!
94. Egli, la sua porgendo alla mia mano.
Non aspettò, che '1 mio pregar fornisse.
Vergine bella, non ricorri invano.
Jo ne sarò tuo difensor , mi disse.
Allora un non so che soave e piano
Sentii, eh' al cor mi scese, e vi s' affisse,
Che, scrpcndomi poi per 1' alma vaga,
Non sa, come , divenne incendio e piaga.
!)5. Visitommi egli spesso e, in dolce suono
Consolando il mio duol, meco si dolse.
Dicen : 1' intera libertà ti dono.
E delle spoglie mie spoglia non volse.
Oimè , che fu rapina , e parve dono :
Cbè, rendendomi a me, da me mi tolse.
Quel mi rendè, eh' è vie men caro e degno;
Ma m' usurpò del core a forza il regno.
9fì. Male amor si nasconde. A te sovente
DcBÌoi>a i' chicdca del mio signore,
leggendo i segni tu d' inferma mente:
Erniinia , ini dicesti, ardi d' amore.
In tei negai; ma un min sospiro ardente
Fu più verace te»tinion d<;l core,
E, in vece forse della lingua, il guardo
Manifestava il fuco , onde tutt' ardo.
[232
97. Sfortunato silenzio! Avessi io almeno
Chiesta allor medicina al gran martire,
S' esser poscia dovea lentato il freno,
Quando non gioverebbe, al mio desire.
Partimmi in somma, e le mie piaghe in seno
Portai celate, e ne credei morire.
Alfio, cercando al viver mio soccorso.
Mi sciolse amor d' ogni rispetto il morso,
98. Sicché a trovarne il mio signor io mossi,
Ch' egra mi fece , e mi potea far sana.
Ma tra via fero intoppo attraversossi
Di gente ìnclementissima e villana.
Poco mancò , che preda lor non fossi.
Pur in parte fuggìmmi erma e lontana,
E colà vissi in solitaria cella.
Cittadina de' boschi e pastorella.
99. Ma , poiché quel desio , che fu ripresso
Alcun dì per la tema, in me risorse,
Tornarmi ritentando al loco stesso,
La medesma sciagura anco m' occorse.
Fuggir non potei già : eh' era omai presso
Predatrice masnada, e troppo corse.
Così fui presa: e quei, che mi rapirò,
Egizj fur , eh' a Gaza indi sen giro :
100. E 'n don menarmi al capitano, a cui
Died' io di me contezza, e 'I persuasi.
Siedi' onorata e inviolata fui
Que' dì, che con Armida ivi rimasi.
Cosi venni più volte in forza altrui,
E men sottrassi. Ecco i miei duri casi!
Pur le prime catene anco riserva
La tante volte liberata e serva.
101. Oh pur colui , che circondoUe intorno
Air alma, sicché non fia chi le scioglia,
Non dica: errante ancella, altro soggiorno
Cercati pure! e me seco non voglia.
Ma pietoso gradisca il mio ritorno,
E neir antica mia prigion m' accoglia!
Così diceagli Erminia: e insieme andaro
La notte e '1 giorno ragionando a paro.
102. Il più usato sentier lasciò Vafrino,
Calle cercando o più securo o corto.
Giunsero in loco alla città vicino,
Quando è il sol nell' occaso, e imbruna 1" ortt
E trovaron di sangue atro il cammino,
E poi vider nel sangue un guerrier morto,
Che le vie tutte ingombra, e la gran faccia
Tien Aolta al cielo, e morto anco minaccia.
103. L' uso dell' arme, e '1 portamento estrano
Pagan mostrarlo : e lo scudier trascorse.
Un altro alquanto ne giacca lontano,
Che tosto agli occhj di Vafrino occorse.
Egli disse fra sé : questi è cristiano.
Più il mise poscia il vestir bruno in forse.
1 Salta di sella, e gli discopre il viso:
{ Ed, oimè! grida: è qui Tancredi ucciso.
104. A riguardar sovra il guerrier feroce
I La male avventurosa era fermata.
Quando dal suon della dolente voce
Per lo mozzo del cor fu saettata.
Al nome di Tancredi ella veloce
Accorse in guisa d' ebbra e forsennata.
Vista la faccia scolorita e bella.
Non scese no, precipitò di sella,
II
U
233]
GERUSALEMME LIBERATA. (XIX.105- 120)
[234]
)8
05. E in lui versò d' inessiccabil vena 113.
Lagrime, e voce di sospiri mista.
In che misero punto or qui lui mena
Fortuna! ah che veduta amara e trista!
Dopo gran tempo i' ti ritrovo appena,
Tancredi , e ti riveggio , e non son vista :
Vista non son da te , benché presente,
£ trovando ti perdo eternamente.
06. Misera! non credea, eh' agli occhj miei 114.
Potessi in alcun tempo esser nojoso.
Or cieca farmi volentier torrei,
Per non vederti, e riguardar non oso.
Oimè, de' lumi già sì dolci e bei
Ov' è la fiamma? ov' è il bel raggio ascoso?
Delle fiorite guance il bel vermiglio
Ov' è fuggito ? ov' è il seren del ciglio ?
)7, Ma che? squallido e scuro anco mi piaci. 1115.
Anima bella, se quinci enti-o gire, |
S' odi il mio pianto, alle mie voglie audaci I
Perdona il furto , e '1 temerario ardire !
Dalle pallide labbra i freddi baci,
Clie più caldi sperai, vo' pur rapire.
Parte torrò di sue ragioni a morte.
Baciando queste labbra esangui e emorte.
Pietosa bocca, che solevi in vita 116.
Consolar il mio duol di tue parole,
Lecito sia, eh' anzi la mia partita
D' alcun tuo caro bacio io mi console!
E forse allor, s' era a cercarlo ardita, j
Quel davi tu, eh' ora convien che invola. i
Lecito sia, eh' ora ti stringa , e poi |
Versi Io spirto mio fra i labbri tuoi!
)9. Raccogli tu r anima mia seguace! 117,
Drizzala tu , dove la tua sen gìo !
Così parla gemendo , e si disface
Quasi per gli occhj , e par conversa in rio.
Rivenne quegli a quell' umor vivace,
E le languide labbra alquanto aprio :
Aprì le labbra, e con le luci chiuse
Un suo sospir con que' di lei confuse.
10. Sente la donna il cavalier, che geme: 118.
E forza è pur, che sì conforti alquanto.
Apri gli occhj, Tancredi , a queste eslrciue
Esequie, grida, eh' io ti fo col pianto ! 1
Riguarda me, che vo' venirne insieme
La lunga strada, e vo' morirli accanto. |
Riguarda me ! non tcn fuggir sì presto !
L' ultimo don, eh' io ti dimando, è questo.
11. Apre Tancredi gli occlij , e poi gli abbassa 119.
Torbidi e gravi, ed ella pur ei lagna. t
Dice Vafrin(» a lei : questi non passa :
Curisi adunque prima, o poi si piagna!
Egli il disarma; ella trrniunte e lussa
Porge la mano all' opere compagna,
Mira, e tratta le piaghe, e di ferule
Giudice esperta, spera iiuli salute.
12. Vculc, che 'l mal dalla stanchc/./.a nasce, ' 120.
E dagli nnuiri in troppa i opia sparli.
Ma non ha, fiioreli' un velo, onde gli fasce
Le sue ferite in sì solinglie parli.
Amor le trova inusilale lasce,
K di y'u'lii le insegna insolite arti. j
Le asciugò con le chiome , e rilegolle 1
Pur con io chiome, che troncar si volle;
Perocché '1 velo suo bastar non puote
Breve e sottile alle sì spesse piaghe.
Dittamo e croco non avea ; ma note
Per uso tal sapea potenti e maghe.
Già il mortifero sonno eì da sé scote.
Già può le luci alzar mobili e vaghe.
Vede il suo servo, e la pietosa donna
Sopra si mira in peregrina gonna.
Chiede: oh Vafrin, qui come giungi, e quando?
E tu chi sei, medica mia pietosa?
Ella fra lieta e dubbia sospirando,
Tinse il bel volto di color di rosa.
Saprai , risponde , il tutto : or (tei comando
Come medica tua) taci , e riposa !
Salute avrai: prepara il guiderdone!
Ed al suo capo il grembo indi suppone.
Pensa intanto Vafrin , come all' ostello
Agiato il porti anzi più fosca sera;
Ed ecco di guerrier giunge un drappello.
Conosce ei ben , che di Tancredi é schiera.
Quando afTrontò il Circasso , e per appello
Di battaglia chiamollo, insieme egli era.
Non seguì lui, perch' ei non Aolse allora;
Poi dubbioso il cercò della dimora.
Seguian molti altri la medesma inchiesta,
Ma ritrovarlo avvien , che lor succeda.
Delle stesse lor braccia essi han contesta
Quasi una sede, ov' ei s' appoggi e sieda.
Disse Tancredi allora: adunque resta
Il valoroso Argante ai corvi in preda?
Ah , per Dio , non si lasci, e non si frodi
O della sepoltura , o delle lodi !
Nessuna a me col busto esangue e muto
Riman più guerra: egli mori qual forte.
Onde a ragion gli è quell' onor dovuto,
Che solo in terra avanzo è della morte.
Così da molti ricevendo ajuto.
Fa, che 'l nemico suo dietro si porte.
Vafrino al fianco di colei si pose,
Siccome uom suole alle guardate cose.
Soggiunse il prence : alla città regale,
Non alle tende mie vo' che si vada;
Che , se umano accidente a questa frale
Vita sovrasta, è ben, eh' ivi in' accada.
Che '1 loco, ove morì l' uon\ inunortale.
Può forse al cielo agevolar la strada;
E sarà pago un mio pensicr devoto
D' aver peregrinato al fin del volo.
Disse; e colà portato egli fu po^to
Sovra le piume, e 'l prc-e un ^onno cheto.
Vafrino alla don/ella, e non discosto,
Ritrova alliergo assai eliinso e ^ecrcto.
Quinci s' in«ia, dov' è (liollVedo , e tosto
Entra; che ntin gli è fatto alcun divieto;
Scbiien allor della l'ntnra impresa
In bilance i ('(iii>igli appende e pesa-
Dei letto, o^e la stanca egra persona
Posa Kaiinondo, il duce è sulla sponda,
E d' ogn' intorno nobile corona
De' pili potenti e più saggi il ciriH)nda.
Or, mentre lo scniliero a Ini ragiona,
Non v' è, chi d' altro chieda, o chi ri.-ponda.
Signor, «lieca, come imponesti, anilai
Tra gì' infedeli, e 'l campo lor cercai.
[235]
GERUSALEMME LIBERATA. (XIX. 121—131)
[236
121. Ma non aspettar già, che di quell' osto
L' innumerabil niuiiero ti conti !
r >idi, eh' al passar le valli ascoste
Sotto e' teneva, e i piani tutti, e i monti.
Vidi, che dove giunga, ove s' accoste.
Spoglia la terra, e secca i fiumi e i fonti:
Perchè non bastan 1' acque alla lor sete,
E poco è lor ciò, che la Siria miete.
122. Ma 81 de' cavalier, sì de' pedoni
Sono in gran parte inutili le schiere.
Gente, che non intende ordini e suoni,
^è stringe ferro, e di lontan sol fere.
Ben ve ne sono alquanti eletti e buoni,
Che seguite di Persia han le bandiere.
E forse squadra anco migliore è quella.
Che la squadra iiumortal del re g' appella.
123. Ella è detta immortai , perchè difetto
In quel numero mai non fu pur d' uno ;
Ma empie il loco voto, e sempre eletto
Sottentra uom novo, ove ne manchi alcuno.
Il capitan del campo , Emiren detto.
Pari ha in senno e 'n valor pochi, o nessuno
E gli comanda il re, che provocarti
Debbia a pugna campai con tutte T arti.
124. Kè credo già, eh' al dì secondo tardi
L' esercito nemico a comparire.
Ma tu, Rinaldo, assai convien, che guardi
Il capo, ond' è fra lor tanto desire;
Che i più famosi in arme e i più gagliardi
Gli hanno incontra arrotato il ferro e 1' ire,
Perchè Armida sé stessa in guiderdone
A qual di loro il troncherà, propone.
125. Fra questi è il valoroso e nobil Perso:
Dico Altaraoro, il re di Sarmacante.
Adrasto v' è, eh' ha il regno suo là Terso
I confin dell' aurora, ed è gigante:
l'om d' ogni umanità così diverso,
Che frena per cavallo un elefante.
V è Tisaferno, a cui nell' esser proda
Concorde fama dà sovrana lode.
126. Così dice egli; e '1 giovinetto in volto
Tutto scintilla , ed ha negli occhj il foco.
Vorria già tra' nemici esser avvolto.
Né cape in sé, né ritrovar può loco.
Quinci Vafrino al capitan rivolto:
Signor, soggiunse, insin qui detto è poco.
La somma delle cose or qui si chiuda:
Impugneransi in te 1' arme di Giuda.
127. Dì parte in parte poi tutto egli esposo
Ciò , che di fraudolento in lui si tesse :
L' armi , e '1 venen , V insegne insidiose.
Il vanto udito, i preraj , e le promesse.
Molto chiesto gli fu , molto rispose.
Breve tra lor silenzio indi successe.
Poscia innalzando il capitano il ciglio.
Chiede a Raimondo : or qual è il tuo consiglio
128. Ed egli: è mio parer, oh' ai novi albori.
Come concluso fu. più non s' assaglia,
Ma si stringa la torre; onde uscir fuori
Chi dentro stassi, a suo piacer non vaglia:
E posi il nostro campo, e si ristori
Frattanto ad uopo di maggior battaglia.
Pensa poi tu, s' è meglio usar la spada
Con forza aperta , o '1 gir tenendo a bacia !
129. Mio giudizio è però, che a te convegna
Di te stesso curar sovra ogni cura;
Che per te vince l' oste , e per te regna.
Chi senza te l' indrizza e l' assecura .''
E perchè i traditor nou celi insegna,
Mutar le insegne a' tuoi guerricr procura.
Così la fraude a te palese fatta
Sarà da quel medesmo, in chi s' appiatta.
130. Risponde il capitan: come hai per uso.
Mostri amico voler e saggia mente.
Ma quel, che dubbio lasci, or sia concliiuso:
Useirem contro alla nemica gente.
Kè già star de^ e in muro , o in vallo chiuso
Il campo domator dell' oriente.
Sia da quegli empj il valor nostro esperto
Nella più aperta luce
in loco aperto!
131. Non sosterran delle vittorie il nome,
Non che de' vincitor 1' aspetto altero,
Non che V armi : e lor forze saran dome,
Fermo stabilimento al nostro impero.
La torre o tosto rc:iderassi , o , come
Altri noi vieti, il prenderla è leggiero.
Qui il magnanimo tace, e fa partita:
Clio '1 cader delle stelle al sonno incita.
23?]
GERUSALEMME LIBERATA. (XX. 1 — 12)
[238]
CANTO VIGESIMO.
ARGOMENTO.
L' Egizio assai, ma neW assalto ei porta.
Portando vita altrui, morte a sé stesso.
Premuto è chi premca, ma Dio comporta,
Che col Soldan giaccia Aladin oppresso ;
CW agli cmpj il cielo, ed ai fedeli apporta
D" ardir van, rf' arder vero il fm promesso ;
Onde giù scioglie il voto il popol misto,
Che H gran sepolcro liberò di Cristo.
1. Già il sole avea desti i mortali all' opre,
Già diece ore del giorno eran trascorse,
Quando lo stuol, eh' alla gran torre è sopre.
Un non so che da lungc ombroso scorse,
Quasi nebbia, eh' a sera il mondo copre:
E , eh' era il caniiw) amico , alfin s' accorse.
Che tutto intorno il cicl di polve adombra,
E i colli sotto, e le campagne ingombm.
Alzano allor dall' alta cima i gridi | 9.
Inaino al ciel 1' assediate genti
Con quel romor, con che dai tracj nidi
Vanno a stormi le gni ne' gim'ai algenti,
E tra le nubi ai più tepidi lidi
Fuggon stridendo innanzi ai frcildi venti r
Ch' or la gimita speranza in lor la pronte
La mano al saettar, la lingua all' onte.
Ben s' avvisano i Franchi , onde dell' ire IO,
L' ìmpeto novo , e '1 minacciar procede,
E miran iV alta parte; ed apparirò
Il poderoso campo indi si vede.
Subito avvampa il generoso ardire
In que' petti feroci , e pugna chiede.
La gioventtitc altera accolta insieme,
Uà, grida, il segno, invitto duce! e freme.
4. Ma nega il saggio offrir battaglia avanto 11
Ai novi albori, e ticn gli audaci a freno:
Kè pur con pugna inNtabile e vagante
Vuol, che si tciitin gli avv<!rsarj almeno.
Ben è ragion, dicca, irhc dopo tante
Fatiche nn giorno io vi ristori a|ipieno.
Forse ne' suoi nemici aucii la folle
Credenza di so stessi ei niidrir volle.
Si prepara ciascun , dilla novella 12
Luce aspeltaiid*» riipido il ritorno.
Non fu mai l' aria sì serena e belin.
Come air uscir del mciiionibil giorno.
L' alba lieta rideva, e parea, eh' tdlu
Tutti i raggi del sole avesse intorno:
E '1 lume n<i\Ut a<;crcbbe, e «enza velo
VoUc mirar T opere grandi il cielo.
Come vide spnntar I' aureo mattino,
Mena fuori Goffredo il campo instrutto ;
3Ia pon Raimondo intorno al palestino
Tiranno, e de' fedeli il popol tutto,
Che dal paese di Sorìa vicino
A' suoi libcrator s' era condutto:
jVumero grande; e pur non questo solo.
Ma di Guasconi ancor lascia uno stuolo.
Vassene, e tal è in vista il sommo duce,
Ch' altri certa vittoria indi presume.
Novo favor del cielo in lui x-iluce,
E '1 fa grande ed angusto oltra il costume.
Gli empie d' onor la faccia, e vi riduce
Di giovinezza il bel purpureo lume,
E neir atto degli occbj e delle membra
Altro, che mortai cosa, egli rassembra.
Ma non molto sen va , che giunge a fronte
Deli' attendato esercito pagano,
E prender fa nell' arrivare un monte,
Ch' egli ha da tergo e da sinistra mano,
E r ordinanza poi, larga di fronte,
Di fianchi angusta, spiega in verso il piano.
Stringe in mezzo i \)edoni, e rende alati
Con r ale de' cavalli entrambi i luti.
Nel corno manco , il qual s' appressa all' erto
Dell' occupato colle , e s' assecura,
Pon r uno e 1' altro principe Roberto.
Dà le parti di mezzo al frate in cnni.
Egli a destra s' allunga, ove è 1' aperto
E '1 periglioso più della pianura,
Ove il nemico, che di gente a^ìinza,
Di circondarlo aver potea speranza.
E qui i suoi Loteringhi , e qui dispone
Le meglio armate genti e le più eletto.
Qui tra' cavalli arcieri alcnn pedone
Ifso a pugnar tra' cavalier frammette.
Poscia d' avventnrier forma un squadrone,
E d' altri altronde srelli, e presso il mette.
Molto loro in disparte al lato destro,
E Rinaldo ne fa duce e maestro,
Ed a lui dice: in te, signor, riposta
La vittoria e la somma è delle rose.
Tieni tu la tua schiera aI((niinto nsco^ta
Dietro a que.-te ali granili e spaziose!
Qcnmdo appressa il nemico , e tu di cosla
L' assali, e rendi van quanto e' propose!
Prop(i*to a\rà. se 1 mìtt ptn^ier non falle.
Girando ai fianchi urtarti ed alle spal'c.
Quindi so%ra mi ^or^il•r di schiera in tcbiera
l'arca volar tra" «inalier, tra' fanti.
Tutto il '\oIto scopri,! per In ^i>iera;
Fulmina>a negli occiij <^ ne° semltianti.
Confortò il dubbio, e ronfermò, chi ^pera.
Ed all' Hudiice raiiimentò i siuii vanti.
V. le Kup |irove al forte: a chi maggiori
Gli «tipendj promi>e, a chi gii onori.
[239]
GERUSALEMME LIBERATA. (XX. 13-28)
[240
13. Alfin colà fermossi , ove le prime
E più nobili squadre erano accolte;
E cominciò da loco assai sublime
Parlare, ond' è rapito ogni uom, eh' ascolte.
Come in torrenti dalle alpestri cime
Soglion giù derivar le nevi sciolte.
Cosi correan volubili e veloci
Dalla sua bocca le canore voci.
14. Oh de' nemici di Gesù flagello,
Campo mìo , domator dell' oriente,
Ecco r ultimo giorno , eccovi quello.
Che già tanto bramaste, ornai presente!
Pie senza alta cagion, che '1 suo rubello
Popolo in un s' accoglia, il ciel consente.
Ogni vostro nemico ha qui congiunto.
Per fornir molte guerre in un sol punto.
15. Noi raccorrem molte vittorie in una;
Né fia maggiore il rischio , o la fatica.
Non sia, non sia tra voi temenza alcuna
In veder cosi grande oste nimica !
Che, discorde tra sé, mal si raguna,
E negli ordini suoi sé stessa intrica.
E di chi pugni il numero fia poco :
Mancherà il core a molti, a molti il loco.
16. Quei, che incontra Terranei, uomini ignudi
pian per lo più, senza vigor, senz' arte,
Che dal lor ozio, o dai servili studj
Sol violenza or allontana e parte.
Tremar le spade omai, tremar gli scudi,
Tremar veggio 1' insegne in quella parte,
Conosco i suoni incerti e i dubbj moti,
leggio la morte loro ai segni noti.
17. Quel capitan, che cìnto d' ostro e d' oro
Dispon le squadre, e par sì fei'O in vista,
Vinse forse talor 1' Arabo, o '1 Moro;
Ma il suo valor non fia eh' a noi resista.
Che farà , henchè saggio , in tanta loro
Confusione, e si torbida e mista?
Mal noto è, credo, e mal conosce i sui,
Ed a pochi può dir: tu fosti, io fui. i
18. Ma capitano i' son di gente eletta.
Pugnammo un tempo, e trionfammo insieme,
E poscia un tempo a mio voler 1' ho retta.
Di chi di voi non so la patria e '1 seme?
Quale spada m' è ignota? o qual saetta,
IJenchè per 1' aria ancor sospesa treme?
Non saprei dir, s' è franca, o se d' Irlanda,
E quale appunto il braccio è, che la manda?
10. Chiedo solite cose: ognun qui sembri
Quel mcdesmo, eh' altrove i' 1' ho già visto,
E r usato suo zelo abbia, e rimembri
Ìj onor suo, 1' onor mio, 1' onor di Cristo!
Ite, abbattete gli empj , e i tronchi membri
('iilcatc, e stabilite il santo acquisto!
Cbò più vi tengo a bada ? Assai distinto
Negli occhj vostri il veggio: avete vinto.
!Ì0. Parve, che nel fornir di tai parole
Si:endc>sc im lampo lucido e sereno,
f/Oine t'iiUoIta estiva notte suole
Scuoter dal manto suo stella, o baleno.
Ma qMr'>to creder si pntca , che 'l sole
(ìiuso il mandasse dal più interno seno,
E par>e al rapo irgli girando, e segnò
Alcun pcn^ollo di futuro regno.
21 Forse (se deve infra celesti arcani
Fresontùosa entrar lingua mortale)
Angel custode fu , che dai soprani
Cori discese, e 'l circondò con 1' ale.
Mentre ordinò Goffredo i suoi cristiani,
£ parlò fra le schiere in guisa tale,
L' egizio capitan lento non fue
Ad ordinar, e a confortar le sue.
22, Trasse le squadre fuor, come veduto
Fu da lunge venire il popol franco:
E fece anch' ei 1' esercito cornuto,
Co' fanti in mezzo, e i cavalieri al fianco.
E per sé il corno destro ha ritenuto,
E prepose Altamoro al lato manco.
Muléasse fra loro i fanti guida,
E in mezzo è poi della battaglia Armida.
23. Col duce a destra è il re degl' Indiani,
E Tisaferno. e tutto il regio stuolo.
Ma, dove stender può ne' larghi piani
L' ala sinistra più spedito il volo,
Altamoro ha i re persi e i re africani,
E i duo, che manda il più fervente suolo. .
Quinci le frombe, e le balestre, e gli archi
Esser tutti dovean rotate e scarchi.
21. Cosi Emiren gli schiera, e corre anch' esso
Per le parti di mezzo, e per gli estremi.
Per interpreti or parla , or per sé stesso,
Mesce lodi e rampogne, e pene e premi.
Talor dice ad alcun: perché dimesso
Mostri, soldato, il volto? e di che temi?
Che puote un contra cento? Io mi confido
Sol con r ombra fugarli, e sol col grido.
25. Ad altri: oh valoroso, or via con questa
Faccia a ritor la preda a noi rapita !
L' immagine ad alcuno in mente desta,
Gliela figura quasi, e gliel' addita
Della pregante patria e della mesta
Supplice faniigliuola sbigottita-
Credi , dicea , che la tua patria spieghi
Per la mia lingua in tai parole i preghi!
2G. Guarda tu le mie leggi, e i sacri tempi
Fa, eh' io del sangue mio non bagni e lavi !
Assecura le vergini dagli empi,
E i sepolcri e le ceneri degli avi!
A te piangendo i lor passati tempi
Mostran la bianca chioma i vecchj gravi:
A te la moglie le mammelle e 'I petto,
Le cune, e i figli, e '1 maritai suo letto.
27. A molti poi dicea: l' Asia campioni
Vi fa dell' onor suo: da voi s' aspetta
Contra qiie' pochi barbari ladroni
Acerba, ma giustissima vendetta.
Cosi con arti varie in varj suoni
Le varie genti alla battaglia alletta.
Ma già tacciono i duci, e le vicine
Schiere non parte ornai largo coufine.
28. Grande e mirabil cosa era il vedere,"
Quando quel campo e questo a fronte venne,
(^onie spiegate in ordine le schiere,
Di mover già, già d' assalire accenne.
Sparse al vento ondeggiando ir le bandiere,
E ventolàr sui gran ciuiier le penne :
Abiti, fregi, imprese, arme e colori,
D' oro e di ferro al sol lampi e fulgori.
241]
GERUSALEMME LIBERATA. (XX. 29—44)
[242]
29. Sembra d' alberi densi alta foresta
L' un campo e 1' altro : di tant' aste abbonda !
Son tesi gli archi , e son le lance in resta :
Vibransi i dardi , e rotasi ogni fionda.
Ogni cavallo in gwcrra anco s' appresta.
Gli odj e '1 furor del suo signor seconda,
Raspa , batte , nitrisce , e si raggira,
Gonfia le nari, e fumo e foco spira.
50. Bello in sì bella vista anco è 1' orrore,
E di mezzo la tema esce il diietto.
Kè men le trombe orribili e canore
Sono agli oreccbj lieto e fere» oggetto.
Pure il campo fedel , benché minore.
Par di siion più mirabile e d' aspetto,
E canta in più guerriero e chiaro carme
Ogni sua tromba , e maggior luce han 1' arine
1. Fèr le trombe cristiane il primo invito:
Risposer V altre, ed accettar la guerra.
S' inginocchiato i Franchi , e riverito
Da lor fu il cielo , indi baciar la terra.
Decresce in mezzo il campo: ecco è sparito i
L' un con 1' altro nemico omni si serra.
Già fera zuffa è nelle corna , e avanti
Spìngonsi già con lor battaglia i fantu
Or chi fu il primo feritor cristiano.
Che facesse d' onor lodati acquisti.''
Fosti, Gildippe, tu, che '1 grande Ircano,
Che regnava in Orums, prima feristi,
(Tanto di gloria alia femminea mano
Concesse il cielo!) e '1 petto a lui partiste
Cade trafitto , e nel cadere egli ode
Dar gridando i nemici al colpo lode.
Con la destra viril la donna stringe.
Poiché ha rotto il troncon, la buona spada,
E contra i lVr?i il corridor sospinge,
E U folto delle schiere apre e dirada.
Coglie Zopiro là , dove uom si cinge,
E fa, che quasi bipartito ci rada :
Poi fcr' la gola , e tronca al crudo Alarco
Della voce e del cibt» il doppio varco.
D' un mandritto Artascrse, Argèo di punta
L' uno atterra stordito , e I' altro uccide.
Posi'ia i pieghevol nodi , ond' è cnnginnta
La manca al braccio, ad I>macl recide.
Lascia, cadendo, il fron la man disgiunta:
Su gli orccchj al destriero il colpo stride.
Eì , che si sente in suo poter la briglia.
Fugge a traverso, e gli ordini scompiglia.
Questi e molti altri, che 'n silenzio premo
L'età vetusta, ella di vita toglie.
Stringonsi i P<'rsi, e vanle addosso insieme,
\ agili d' aver h; «gloriose spoglie;
Ma lo sposo fedcl , che di lei teme,
(yiirre in so<'(-orso alla dih'lla moglie.
C<i>i (Mingiunta la <Mm<'oril(! c()|>pia
Nella fida union le forze addojipia.
Arte di schermo nova e non più udita
Ai magnanimi amanti usar vedn>ti:
Obbiia di sé la guardia, e 1' altrui vita
Difende intentamente e quella e questi.
Ribalte i colpi la giu-rricra ardita,
Che vengono al suo caro asjiri e molesti:
Egli all' arnu; a lei dritte oppon lo scudo.
V' opporrla, h' uopo fosso, il capo ignudo.
37. Propria 1' altrui difesa, e propria face
L' uno e 1' altro di lor 1' altrui vendetta.
Egli dà morte ad Artabano audace,
Per cui di Boecan 1' isola è retta :
E per 1' istcssa mano Alvante giace,
Ch' osò pur di colpir la sua diletta.
Ella fra ciglio e ciglio ad Arimonte,
Che '1 suo fedel battea, partì la fronte.
38. Tal fean de' Persi strage; e vìe maggiore
La fea de' Franchi il re di Sarmacante,
Ch' ove il ferro volgeva , o '1 corridore,
Uccideva, abbatt^-a cavallo, o fante.
Felice è qui colui, che prima more,
Né geme poi sotto il destrier pesante;
Perchè il destrier, se dalla spada resta
Alcun mal vivo avanzo, il morde e pesta.
S9. Riman dai colpì d' Altamoro ucciso
Brunellone il membruto, Ardonio il grande.
L' elmetto all' uno e 'I capo è sì di\iso,
Ch' ci ne pende su gli omeri a due bande.
Trafitto è 1' altro insin là, dove il riso
Ila il suo principio, e '1 cor dilata e spande;
Talché (strano spettacolo ed orrendo!)
Ridea sforzato, e si moria ridendo.
40. Né solamente discacciò costoro
La spada micidial dal dolce mondo.
Bla spinti insieme a <',rndel morte foro
Gentonio, Guasco, Gniiìo, e 'I buon Uosraondo.
Or chi narrar potria , quanti Altamoro
K' abbatte, e frange il suo destrier col pondo.'
Chi dire i nomi dell»; genti ucci.->e?
Chi del ferir, chi del morir le guise.'
11. Non è chi con quel fero omai s' afTronte,
Né chi pur Innge d' assalirlo acccnne.
Sol rivolse Gilrlippe in lui la fronte.
Né da quel duld)io paragon s' astenne.
Nulla Amazzone mai sul Termodonte
Imbracciò scudo , o maneggiò bipenne
Audace sì , coin' ella audace inverso
Al furor va del formidabil Perso.
42. Ferillo, ove splendoa d' oro e di smalto
Barbarico diadema in soli' elmetto,
E '1 ruppe e sparse; onde il sniierbo ed alto
Suo capi» a forza egli è chinar costretto.
Ben di robusta man parve 1' assalto
Al re pagano, e n' vUhc onta e dispetto;
Né tardò in mendicar h; ingiurie siu' :
Che r onta e la vendetta a un tempo far.
•13. Quasi in qiu;I punto in fronte egli percosse
La donna di percosNa in modo fella.
Che d' ogni senso e di vi^nr la ^cosee.
Cadea; ma '1 suo fedel la tenne in scila.
l'nrtnna loro, o sua ^irlù pur fosse,
'J'anto bastoj^li, e non Ieri più in ella;
Qnasi It lUi magnanimo , che las*i
Sdegnando uom, che si giaccia, e guardi, e passi.
41. Ormondo intnntn , alle cui fere mani
Era coMunessii la spietata cura,
IVlisto con false inscf^ne è Ira" rristinnì,
E i ronipagni con lai di sna congiura.
('ohi lupi notturni , i qiiai di cani
Mostrili sembian/.a, per la nebliia oscura
\ anno alle manille, e spian come in lor *' entre,
La dubbia r.odii ridringendo al venire.
[243]
GERUSALEMME LIBERATA. (XX. 45-fiO)
[244
15. Giansi appressando, e non lontano al fìanco
Del pio Goffredo il flcr pagan si niij^e.
Ma come il capilan 1' orato e 'l bianco
Vide apparir delle sospette assise,
Ecco, gridò, quei tnuiitor, che Franco
Cerca mostrarsi in siiiuilate guise !
Ecco i suoi c«)ngiurati in me già mossi!
Così dicendo , al perfido avventossi.
46. Mortalmente piagollo: e quel fellone
Non lere, non fa schermo, e non s' arretra;
Ma come innanzi agli occhj abbia '1 Gorgone,
(E fu cotanto audace) or gela e impetra.
Ogni spada ed ogni asta a lor s' oppone,
E si vota in lor soli ogni fai'etra.
Va in tanti pezzi Ormondo e i suoi consorti,
Che '1 cadavero pur non resta ai morti.
47. Poiché di sangue ostil si vede aspersa,
Entra in guerra Goffredo, e là si volve,
Ove appresso vedea, che 'l duce perso
Le più ristrette squadre apre e dissolve:
Sicché '1 suo stuolo omai n' andria disperso,
Come anzi l' austro 1' africana polve.
Ver lui si drizza , e i suoi sgrida e minaccia,
E, fermando chi fugge, assai chi caccia.
48. Comincian qui le due feroci destre
Pugna, qual mai non vide hia, né Xanto.
Ma segue altrove aspra tenzon pedestre
Fra Baldovino e Muléasse intanto.
]\é ferve men I' altra battaglia equestre
Appresso il colle all' altro estremo canto.
Ove il barbaro duce delle genti
Pugna in persona, e seco ha i duo potenti.
•19. Il rettor delle turbe, e 1' un Roberto
Fan crudel zuffa , e lor virtù s' agguaglia.
Ma r Indìan dell' altro ha l' elmo aperto,
E r arme tuttavia gli fende e smaglia.
Tisaferno non ha nemico certo.
Che gli sia paragon degno in battaglia.
Ma sc<»rre , ove la calca appar [)iù folta,
E mesce varia uccisione e molta.
50. Così si combatteva, e 'n dultbia lance
Col timor le speranze eran sospese.
Pien lutto il campo è di spezzate lance,
Di rotti scudi , e di troncato arnese,
Di spade, ai petti , alle squarciate pance
Altre confitte, altre per terra stese.
Di corpi altri supini, altri co' volti,
Quasi mordendo il suolo , al suol rivolti.
51. Giace il cavallo al suo signore apjtresso.
Giace il compagno appo il compagno estinto,
(ìiacc il nemico aj)po il nemico, e spesso
Sul morto il vivo, il vincitor sul vinto.
!\on v' è silenzio, e non v' è grido espresso;
Ma odi un non so che roco e imlislinto.
Fremiti di furor, mormori d' ira,
Gemiti di chi langue, e di chi spira.
52. 1/ armi , che già si liete in vista foro,
Farttano or mostra spaventosa e mesta.
Perduti ha i lampi il ferro, e i raggi T oro,
Nulla «aghczza ai bei color più re.sta.
Quanto apparia d' adorno e di decoro
Se' cimieri e n<r' fregi , or si calpesta.
La polve ingombra <^iò . eh' al sangue avanza ;
Tanto i campi mutata a^ can sembianza !
ai
55.
5«.
53. Gli Arabi allora, e gli Etiopi, e i Mori,
Che r estremo tenean del lat(» manco.
Gl'ansi spiegando e distendendo in fuori.
Indi giravan de' nemici al fianco.
Ed omai sagittarj e frombat(u-i
Molestavan da lunge il popol franco.
Quando Rinaldo e 'l sno drappel si mosse,
E parve che tremoto e tuono fosse.
Assimiro di Meroe infra 1' adusto
Stuol d' Etiopia era il primier de' forti.
Rinaldo il colse , ove s' annoda al busto
Il nero collo, e '1 fé' cader tra' morti.
Poich' eccitò della vittoria il gusto
L' appetito del sangue e delie morti
Nel fero vincitore, egli fé' cose
Incredibili , orrende , e mostruose.
Die' più morti, che colpi, e pur frequente
De' suoi gran colpi la tempesta cade.
Qual tre lingue vibrar sembra il serpente,
Che la prestezza d' una il persuade.
Tal credea lui la sbigottita gente
Con la rapida man girar tre spade.
L' occhio al moto deluso il falso crede,
E 'l terrore a que' mostri accresce fede.
I libici tiranni , e i negri regi,
L' un nel sangue dell' altro a morte ste*e.
Dièr sovra gli altri i suoi compagni egregi,
Coi d' enmlo furor 1' esempio accese.
Cadeane con orribili dispregi
L' infedel plebe, e non facea difese.
Pugna questa non è , ma strage sola ;
Che quinci oprano il ferro , indi la gola.
57. Ma non lunga stagion volgon la faccia
Ricevendo le piaghe in nobii parte.
Fuggon le turbe, e sì il timor le caccia,
Ch' ogni ordinanza lor scompagna e parte.
Ma segue pur senza lasciar la traccia.
Sinché le ha in tutto dissipate e sparte;
Poi si raccoglie il vincitor veloce.
Che sovra i più fugaci è men feroce.
58. Qual vento , a cui s' oppone o selva , o col
Doppia nella contesa i soffi e 1' ira.
Ma con fiato più placido e più molle
Per le campagne libere poi spira;
Come fra scogli il mar spuma e ribolle,
E nell' aperto onde più chete aggira :
Così , quanto contrasto avea men saldo,
Tanto scemava il suo furor Rinaldo.
59. Poiché sdegnossi in fuggitivo dorso
Le nobil' ire ir consimiando invano,
Verso la fanteria voltò il suo corso,
Ch' ebbe 1' Arabo al fianco e 1' Africano.
Or nuda è da quel lato , e chi soccorso
Dar le doveva, o giace, od è lontano.
Vien da traverso, e le j)edestri schiere
La gente d' arme impetuosa fere.
60. Ruppe r aste e gì' intoppi, e '1 violento
Impeto vinse , e penetrò fra esse.
Le spars«; e l' atterrò. Temjtesta, o vento
Men tosto abbatte la piegltevol messe,
liastricato col sangue è il pavimcuito
D' armi e di membra pt^rforate e fesse,
E la cavalleria ciMieiido il calca
Senza ritegno , e fera oltre scu valca.
■245]
GERUSALEMME LÌB E RATA. (XX. 61 — 76)
[246]
fil. Giunge Rinaldo, ove sul carro aurato
Starasi Armida in niititar seiiiliianti,
K nobil guardia avea da ciascun lato
De' baroni seguaci e degli amanti.
Aoto a più segni egli è da lei mirato
Con occlij d' ira e di desio tremanti.
Ei si tramuta in Tolto un cotal poco,
Ella si fa di gel, divien poi foco.
»2. Declina il carro il cavaliero, e passa,
E fa sembiante d' uom , cui d' altro tale;
Ma senza pugna già passar no» lassa
Il drappcl «ongiurato il suo rivale.
Chi 1 ferro stringe in lui, chi 1' asta nl>bassa:
Ella stessa in sull' arco ha già lo s^trale.
Spingea le mani , e incrudelia lo sdegno.
Ma la placava , e n' era amor ritegno.
•3. Sorse amor contra V ira , e fé' palese,
Che vive il foco suo, eh' ascoso tenne.
La man tre volte a saettar distese.
Tre volte essa inchinolla , e si ritenne.
Pur vìnse alfin lo sdegno, e 1' arco tese,
E fé' volar del suo quadrel le penne.
Lo strai volò; ma con lo strale un voto
Subito uscì, che vada il colpo a vóto.
Vorria ben ella, che '1 quadrel pungente
Tornasse indietro, e le tornasse al core:
Tant(» poteva in lei , benché perdente,
(Or che potria vittorioso?') amore.
Ma di tal mh» pensier poi si ripcnte,
E nel discorde sen cresce il furore.
Cosi or paventa ed or de»ia, che tocchi
Appieno il colpo, e '1 segue pur con gli occhi.
Ma non fu la percossa invan diretta,
Cir al ca^alier sul duro usbergo è giunta;
Duro b(^n troppo a fcniminil saetta,
Cile, di pungere in vece, ivi si spunta.
Egli le volge il fianco: ella negletta
Esser credendo, e d' ira arsa e compunta,
Scoc<:a r arco più voU<', e non fa piaga:
E mentre ella saetta, amor lei piaga.
i. Si dunque impenetrabile è costui
(Fra sé dicea), che forza ostil non cura?
^(•^tir«^bbe mai forst; i membri sui
Di (jucl diaspro, ond' ei 1' alma ha sì dura?
Colpo d' occhio, o di man non puote in lui;
Di tai tempre è il rigor, che 1' assccura:
E inerme io vinta som», e vinta armata,
INemica, amante, egualmente sprezzata.
Or qnal arte novella , e qual m' avanza
Nova forma, in cui possa aiu.o mutarmi?
Misera! e nulla aver degg' io sp<iiinza
INe" cavalieri mici, <:hè veder panni,
Anzi pur veggio alla c<istui possanza
Tutte le forze frali, e tutte 1' armi?
E ben vfMJea de" suoi campioni estinti
Altri giacerlo', altri abbattuti e vimj.
Soletta a sua difesa ella non basta.
E già le par«^ es<«T |u-igi(ui( e serva:
Né s' a-seiura (e presso 1" arco ha 1' asta)
Neir arme di Diana, o di .Miner\a,
yual è il timido cigno, a cui sovrasta
Col (ero arli;:lio V aquila proterva.
<;ir a (erra ni rannicchia, e china 1' »»li,
I si:oi timidi moti erau colali.
fi9. Ma il principe Altamor. che sino allora
Fermar de Per^i procurò lo stunlo
Ch' era già in piega, e 'n fuga ito sen fora.
Ma "1 rìtenea, benché a fatica, ei solo.
Or tal veggendo lei, eh' amando adora.
Là si volge di corso , anzi di volo,
E '1 suo onor abbandona e la sua schiera.
Purché costei sì salvi, il mondo pera.
TO. Al mal difeso carro egli fa scorta,
E col ferro le vie gli sgombra avante.
Ma da Rinaldo e da Goffredo é morta
E fugata sua schiera in qnell" istante.
Il misero sei vede e sci comporta.
Assai miglior, che capitano, amante.
Scorge Armida in securo, e torna poi,
Intempestiva aita, ai vinti suoi:
71. Che da quel lato de' pagani il campo
Irreparabilmente é sparso e sciolto.
Ma dall' opposto abbandonando il campo,
Agi' infedeli i nostri il tergo han volto.
Ebbe r un de' R(»berti appena scampo.
Ferito dal nemico il petto e '1 volto.
L' altro è prigion d' Adrasto. In cotal guisa
La sconfitta egualmente era divìsa.
72. Prende Goffredo allor tempo opportuno ;
Riordina s<ie squadre, e fa ritorno
Senza indugio alla pugna: e cosi 1' uno
A iene ad urtar nell' altro intero corno.
Tinto sen vien di sangue ostil ciascuno,
Ciascun di spoglie trionfali adorno.
La vittoria e T onor vien da ogni parte,
Sta dubbia in mezzo la fortuna e ;>Iarte.
73. _ Or, mentre in guisa tal fera tenzone
E ti'a 'I fedele esercito e l pagano.
Salse in cima alla torre ad un balcone,
E mirò, benché limgc, il fier soldano.
Mirò quasi in teatro od in agone
L' aspra tragedia ilello stato umano,
I varj assalti, e '1 fero orror di morte,
E i gran gicxhi del case» e della sorte.
7i. Stette attonito alquanto e stupefatto
A quelle prime viste, e poi s' accese,
E desiò trovarsi anch' egli in atto
Kel periglioso campo all' alte imprese.
]\é pose; indugio al >uo lioir. ma ratto
D' elmo >■ arno», ih' aveva ogni altro arne>c.
Su su, gridò, 0(01 più, non più diuiora !
Convien, eh' oggi si vinca, o che si mora
75. O che sia forse il provveder divino.
Che spira in lui la furiosa mente.
Perché quel giorno >ian del pale>tino
Im|ierio le reli(|uie in tutto spente;
O <-he sia, eh' alla morte ornai vicino
D' andarle incontra stimular si sente;
Impetuoso e rapido diNscn-ii
La porta , e porta inaspettata gurrrn,
76. E non aspetta pur, che i feri inviti
Accelliuo i compagni: esce sol esso,
E sfida sol mille nemici uniti,
E sol fra mille inln-piilo s' è messo.
Ma dall' impelo suo tjuasi rapili
Scgiion poi gli altri, ed ;\ladino stesso.
Chi fu vii , chi fu cauto, or nulla teme;
Opera di furor, più che di speme.
Mi *
[247]
GERUSALEMME LIBERATA. (XX. 77—92)
_[248] i
77, Quei , che prima ritrova il Turco atroce,
Caj2:giono ai colpi orribili improvvisi,
E in condur loro a morto è sì veloce,
Ch' uom non li vede uccidere, ma uccisi.
Dai primieri ai sezznj di voce in voce^
Passa il terror, vanno i dolenti avvisi,
Talché 'i vulgo fedel della Soria
Tumultuando già quasi l'uggia.
78. ]Ma con men di terrore e di scompiglio
L' ordine e '1 loco suo iu ritenuto
Dal Guascon; benché prossimo al periglio
Air improvviso eì sia colto e battuto.
Nessun dente giammai, nessuno artiglio,
O di silvestre, o d' animai pennuto,
Insanguinossi in mandra, o tra gli augelli,
Come la spada del soldan tra quelli.
7i). Seml>ra quasi famelica e vorace:
Pasce le membra quasi, e U sangue sagge.
Seco Aladin, seco Io stuol seguace
Gli asscdiatori suoi percotc e strugge.
Ma il buon Raimondo accorre, ove disfare
Soliman le sue squadre, e già noi fugge,
Sebben la fera destra ei riconosce,
Onde percosso ebbe mortali angosce.
80. Pur di novo 1' affronta, e pur ricade,
Pur ripercosso, ove fu prima offeso:
E colpa è sol della soverchia etade,
A cui soverchio è de' gran colpi il peso.
Da cento scudi fu, da cento spade
Oppugnato in quel tempo anco e difeso.
Ma trascorre il soldano , o che sei creda
Morto del tutto, o 'i pensi agevol preda.
81. Sovra gli altri ferisce, e tronca, e svena,
E 'n poca piazza fa mirabil prove.
Ricerca poi , come furore il mena,
A nova uccision materia altrove.
Qual da povera mensa a ricca cena
Uom stimolato dal digiun si move.
Tal vanne a maggior guerra , ov' egli sbrame
La sua di sangue infuriata fame.
82. Scende egli giù per le abbattute mura,
E s' indirizza alla gran pugna in fretta.
3Ia 'l furor ne' compagni, e la paura
Riman, che i suoi nemici han già concetta:
E r una schiera d' asseguir procura
Quella vittoria, eh' ei lasciò imperfetta.
L' altra resiste sì; ma non è senza
Segno di fuga ornai la resistenza.
8.J. Il Guascon ritirandosi cedeva;^
Ma se ne gi'a disperso il popol siro.
Eran presso all' albergo, ove giaceva
Il buon 'lancredi, e i gridi entro s' udirò.
Dal letto il iìanco infermo egli solleva,
Men sulla vetta, e volge gli occlij in giro.
Vede, giacendo il conte, altri ritrarsi,
Altri del tutto già fugati e sparsi.
84. Virtù , eh' a' valorosi unqua non manca.
Perchè languisca il corpo fral , non languo.
Ma le piagate membra in lui rinfranca
Qiiafi in vece di spirito e di sangue.
Del gravis-imo scndo arma ci la luimca,
E non par gra\e il pc^o al braccio esangue:
Prende con 1' altra man 1' ignuda spada,
(Tanto basta all' uoui forte!) e più non bada;
85. Ma giù sen viene, e grida: ove fuggite.
Lasciando il signor vostro in preda altrui?
Dunque i barbari chiostri e le mcschito
Spiegheran per trofeo 1' arme di lui?
Or tornando in Guascogna al figlio dite.
Che morì il padre, onde fuggiste vui.
Così lor parla , e 'l petto nudo e infermo
A mille armati e vigorosi è schermo :
8fJ. E col grave suo scudo, il qual di setta
Dure cuoja di tauro era composto,
E che alle terga poi dì tempre elette
Un coiìerchio d' acciajo ha soprapposto,
Tien dalle spade, e tien dalle saette,
Tien da tutte arme il buon Raimondo ascosto,
E col ferro i nemici intorno sgombra.
Sicché giace sccuro, e quasi all' umbra.
87. Respirando risorge in spazio poco
Sotto il fido riparo il vecchio accolto,
E si sente avvampar di doppio foco.
Di sdegno il core , e di vergogna il volto.
E drizza gli occhj accesi a ciascun loco,
Per riveder quel fero, onde fu colto;
Ma noi vedendo freme, e far prepara
Ne' seguaci di lui vendetta amara.
88. Ritornan gli Aquitani, e tutti insieme
Seguono il duce a vendicarsi intento.
Lo stuol, che dianzi osava tanto, or teme;
Audacia passa, ov' era pria spavento.
Cede, chi rincalzò; chi cesse, or preme.
Così varian le cose in un momento !
Ben fa Raimondo or sua vendetta, e sconta
Pur di sua man con cento morti un' onta-
SD. Mentre Raimondo il vergognoso sdegno
Sfogar ne' capi più sublimi tenta,
Vede r usurpator de! nobil regno.
Che fra' primi combatte, e gli s' avventa,
E '1 fere in fronte, e nel medesmo segno
Tocca e ritocca, e '1 suo colpir non lenta.
Onde il re cade, e con singulto orrendo
La terra, ove regnò, morde morendo.
1)0. Poich' una scorta è lungo, e l' altra uccisa,
In color, che restar, vario è l' affetto.
Alcun, di belva infuriata in guisa.
Disperato nel ferro urta col petto :
Altri temendo, di campar s' avvisa,
E là rifugge , ov' ebbe pria ricetto.
! Ma tra' fuggenti il vincitor connuisto
i Entra, e fin pone al glorioso acquisto.
91. Presa è la rocca; e su per l' alte scalr
Chi fugge é morto , e 'n sulle prime soglie.
E nel somuH) di lei Raimondo sale,
E nella destra il gran vessillo toglie,
E inctuitra ai duo gran campi il trionfale
Segno della vittoria al vento scioglie.
Ma già noi guarda il fier soldan, che Itmge
E di là fatto, ed alla pugna giunge.
92. Giunge in campagna tepida e vermiglia.
Che d' ora in «u-a più di sangue ondeggia.
Sicché il regno di morte omai somiglia,
(jli' ivi i trionfi suoi spiega e passeggia.
Vede un de^trirr , che con pendente briglia
Senza rettor tras(u»rso è f(U)r di greggia,
frli gilta al frtn la mano, e 'I vóto dorso
Montando premt; , e poi lo spinge al corso.
249]
GERUSALEMME LIBERATA. (XX. 93 — 108)
102
103
lOi.
93. Grande, ma Lreve aita apportò questi llOl
Ai Saracini impiuiriti e Ias?;i.
Granile , ma I)reve fulmine il diresti,
Clic inaspettato sopraggiiinga , e pasi«i,
Ma del suo corso mometitaneo resti
Vestigio eterno ia dirupati sas.-i.
Cento ei n' ucise o più: pur di duo soli
^ion fia, che la memoria il tempo involi.
ìi. Gildippe ed Odoardo , 1 casi vostri
Duri ed acerbi , e i fatti onesti e degni,
Se tanto lice a' miei toscani inchiostri,
Consacrerò fra' pellegrini ingegni ;
Siedi' ogni età, quasi ben nati mostri
Di virtute e d' amor, v' additi e segni,
E col suo pianto alcun servo d' amoro
La morte vostra e le mìe rime onore.
15. La magnanima donna il destrier volse,
Dove le genti distruggca quel crudo,
E di duo gran fendenti appieno il colse,
Ferigli il fianco, e gli parti lo scudo.
Gridò il crudel, che all' abito raccolse.
Chi costei fosse: ecco la putta e 1' drudo!
Meglio per te , s' avessi il fuso e 1' ago.
Che 'n tua difesa aver la spada e '1 vago.
6. Qui tacque , e di furor più che mai pieno,
Drizzò percossa temeraria e fera ;
Ch' osò, rompendo ogni arme, entrar nel seno.
Che de' colpi d' amor degno sol era.
Ella, repente abbandonando il freno,
Sembiante !a il' uoni , che languisca e pera:
E ben sei vede il misero Odoardo,
Mal fortunato difensor , non tardo.
7. Che far dee nel gran caso? ira e pietade
A varie parti iti un tempo 1' affretta:
Questa all' appoggio del suo ben , die cade,
Quella a pigliar del percussor vendetta.
Amore indill'erente il persuade, !
Che non sia 1' ira , o la pietà negletta. 1
Con la sinistra man corre al s<istegno, i
L' altra ministra ei fa del suo disdegno.
8. Ma voler e poter d:e uì divida, '106.
Ba^tar non può contra il pagan si forte;
Tali'hè nò .>o<tien lei, nò 1' omicida
Della dolce alma sua conduce a morte.
Anzi av^icn, che '1 soldano a lui recida 1
11 braccio , appoggio alla fedd consorte.
Onde cader lasi lolla, ed egli presse
Le membra a lei ciui le sue meuibra stesse. '
Come olmo, a cui la pampinosa pianta 107,
Cupida s' avviticchi e si maiite,
Se ferro il troui-a , «» turbine lo schianta,
Trae seco a terra la campagna vite,
Ed egli stesso il verde, ond(; s' amuianta.
Le sfronda, e pesta 1' nvc. su»' gr.iilit»-.
Par, che seu dolga, e i)iù die 1 proprio fato.
Di lei gì' iiicres<:a , che gli more allato: |
9. Cosi cado egli, e sol di lei gli duole, 108.
Che 'I ciclo eterna sua coinpiigna fece.
^or^illtl l'orinar, nò [xin formar parole,
Formali Mxpiri di paride in wrv..
L' un HI ra 1' altro , v. V un , pur come f-nnlc,
Si stringe all' altro, lucniie ancnr ciò lece;
E t<i cela i:i »» punto ad ambi il die,
U conj^iunlc 8cu raii 1' unirne più.
[250]
105.
, Allor scioglie la fama i vanni ai volo.
Le lingue al grido, e '1 duro caso accerta:
Kè pur n' ode Rinaldo il romor solo.
Ma d' un messaggio ancor nova più certa.
Sdegno, dover, benevolenza e duolo
Fan , eh' all' alta vendetta ei si converta ;
Ma il sentier gli attraversa, e fa contrasto
Su gli occhj del soldano il grande AdraAto.
Gridava il re feroce: ai segni noti
Tu sei pur quegli alGn , eh' io cerco e bramo.
Scudo non è, eh' io non riguardi e noli.
Ed a no:ne tutt' oggi invan ti chiamo.
Or solverò della vendetta i voti
Col tuo capo al mio nume. Ornai facciamo
Di valor, di furor qui paragone,
'J'u ucmicu d' Armida, ed io campione!
Co^ì lo sfida , e di percosse orrende
Pria sulla tempia il fere , indi nel collo.
L' ehno fV.tal . (che non si può) non fende;
Ma lo scuote in arcion con più d' un crollo.
Rinaldo lui sul fianco in guisa offende.
Che vana vi saria 1' arte d' Apollo.
Cade r uom smisurato, il rege invitto,
E n' è r onore ad un sol colpo ascritto.
Lo stupor di spavento e d' orror misto
Il sangue e i cori ai circostanti agghiaccia :
E Soliman, eh' estranio colpo ha visto.
]Vel cor si turba , e impallidisce in faccia.
E, chiaramente il suo morir previsto,
Non si risolve, e non sa quel, che faccia;
Cosa insolita in lui ! ma che non regge
Degli aflari quaggiù 1' eterna legge?
Come vede talor torbidi sogni
Ne' brevi sonni suoi 1' egro e 1' in^-ann.
Fargli, eh' al corso avidamente agogni
Stender le membra, e che s' afTamii invano;
Che ne' maggiori ^forzi a' suoi luMigni
Non corrisponde il pie stanco e la mano;
Scioglier talor la lingua e parlar vuole.
Ma non seguon la voce o le parole:
Cosi allora il soldan vorria rapire
Pur sé stesso all' assalto, e se ne sforza;
Ma non conosce in sé le solite ire,
Nò sé conosce alla scemata forza.
Quante scintille in lui sorgoii d' ardire.
Tante un secreto suo terror n' ammorza.
Volgon>i nel suo cor diversi sensi.
Non che fuggir, non che ritrarsi pensi.
Giunge all' irresoluto il vincilore,
E in arrivando (o die gli pare) avanza
E di vdocitade, e di furore,
E dì granilc//a o;;:iii imut.il sembianza.
Poco ri|iugii,i (|ti(l; pur, mentre more,
(àia non olibli.i la generosa u>.inza:
]\on lugg(! i colpi , e gemito non spande,
^è alto fa, se non altero e grande.
Poiché 'I soldan , che cpcsso in lunga guerra.
Quasi noM-llo Anteo, cadde e risolse
l'iù (ero o;,'nora . alfìii e. ileo la terra,
Per giacer M-mpre . intorno il siion nc coi-sr,
l'I fortuna, die Miri.i e iii-tabil' erra.
Più non o>ò por la %it(oria in forse;
M.i fermò i f^iri, e sotto i duci stesui
S' uni cu' Franchi , e militò cou Crsi.
[251]
GERUSALEMME LIBERATA. (XX. 10!)-124)
[252
109. Fiip-ge, non eh' altri, ornai la regia sclilera.
Ov' è ilcir Oliente accolto il nerbo.
Già fu (letta immortale: or vien, the pera
Ad onta di quel tittilo superlìo-
Emireno a colui, eli' ha la handiera,
Tronca la fuga, e parla in modo acerl)o :
^on se' tu quel , eh' a sostener gli erceisi
Segni del mio signor fra mille i' scelsi?
110. Rimedon, questa insegna a te non diedi,
Acciocché ìiHlietro tu la riportassi.
Dunque , codardo , il capitan tuo vedi
In znfl'a co' nemici, e solo il lassi?
Che brami? di salvarti? Or mecit riedi!
Che per la strada presa a morte vassi.
Combatta qui chi di campar desia!
La via d" (mor della salute è via.
111. Kiede in guerra colui, eh' arde di scorno.
Usa ei con gli altri poi sermon più grave:
Talor minaccia , e fere ; onde ritorno
Fa contro il ferro , chi del ferro pavé.
Così rintegra del fiaccato corno
La miglior parte, e speme anco pur have;
E Tisaferno più eh' altri il rincora,
Ch' orma non torse per ritrarsi ancora.
112. Meraviglie quel dì fé' Tisaferno.
I ^orlllandi per lui furon disfatti :
Fé' de' Fiamminghi strano empio governo,
Gernier, Ruggier , Gherardo a morte ha tratti.
Poich' alle mete dell' onore eterno
La vita breve prcdungò co' fatti,
Quasi di viver più poco gli caglia.
Cerca il rischio maggior della battaglia.
113. Vide ei Rinaldo: e benché ornai vermigli
Gli azzurri siu)i color sian divenuti,
E insanguinati 1' aquila gli artigli
E '1 rostro s' abbia, i segni ha conosciuti.
Ecco, disse, i grandirisimi perigli!
Qui prego il ciel , che 'l mio ardimento ajutì,
E veggia Armi<ia il desiato scempio.
Macon, s' io vinco, i' voto 1' arme al tempio.
IH. Cosi pregava, e le preghiere ir vote;
Che '1 sordo suo 3Iacon nulla n' udiva.
Quale il leon si sferza e si perente,
l'er isvegliar la ferità nativa,
Tal ei su«>i sdegni desta, ed alla cote
D" amor gli aguzza, ed alle fìannne avviva.
Tutte sue forze aduna, e si ristringe
Sotto r arme all' assalto, e 'l destrier spinge.
11.1. Spinse il suo contra lui, che in atto scerse
D' assalitore, il cavalicr latino.
Fé' lor grati piazza in mezzo, e si converse
Allo spettacol fero ogni vicino.
Tante tur le percosse e si diverse
Di-ir italico eroe, del Saracino,
Cir altri per nu-raviglia obblìò quasi
L' ire e gli aiTetti proprj , e i proprj casi,
116. Ma r un |)ercote sol: percote e impiiiga
L' altro, cir ha maggior forza, armi piii ferme.
Tisaferno di san';ue il campo allaga
C'on l' elmo aperto, e dello scudo inerme.
Mira d(d suo cainpion la bella maga
Rotti gli a^ne^i , «■, più le memhra inferme,
F. ^li altri tutti impaurili in nutdo,
Clie frale omai gli stringe e debii nodo.
I 317. Già di tanti guerrier cinta e munita.
Or rimasa nel cw o era soiettiì.
Teme di servitole, odia la vita.
Dispera la vittoria e la vendetta.
.Mezza tra furiosa e sbigtittita
Scende, ed accende un suo destriero in fretta.
Aa^^ene, e fugge, e van seco pur anco
Sdegno ed amor, quasi duo veltri al fianco.
' 118. Tal Cleopatra al secolo vetn*to
Sola fnggia dalla tenzon crudele,
JiHs^ciando incontro al fortunato Augusto
I iNe' marittimi risrhj il suo fedele,
! Che per amor fatto a sé stesso ingiusto.
Tosto seguì le solitarie vele.
E ben la fuga di costei segreta
Tisaferno seguia ; ma 1' altro il Ticta.
119. Al pagan , poiché sparve il suo conforto.
I Sembra, che insieme il giorno e 'i sol tramonte
1 Ed a lui , che '1 ritiene a sì gran torto,
i Disperato si volge, e' 1 fiede in fronte.
I A fabbricare il fulmine ritorto
! \ ie più leggier cade il martel di Bronte :
E col grave fendente in modo il carca,
1 Che '1 percosso la testa al petto inarca.
! 120. Tosto Rinaldo si dirizza ed erge,
i E vibra il ferro, e rotto il giosso usbergo.
Gli apre le coste, e T aspra punta iumierge
In mezzo '1 cor, dove ha la vita albergo,
'i'.into oltre va, che piaga doppia asperge
Quinci al pagano il petto, e quindi il tergo,
E largamente all' anima fugace
Più d' una via nel suo partir si face.
121. Allor si ferma a rimirar Rinaldo.
Ove drizzi gli assalti, ove gli ajuti:
E de' pagan non vede ordine saldo.
Ma gli stendardi lor tutti caduti.
Qìii p«m fine alle morti , e in lui quel caldo
Di sdegno marzial par che s' attuti.
Placido è fatto; e gli si reca a mente
La donna , che foggia sola e dolente.
122. Ben rimirò la fuga : or da lui chiede
Pietà, che n' abbia cura e cortesia.
E gli sovvien , che si promi^e in fede
Suo cavalìer , quando da lei partia.
Si drizza, ov' ella fugge, ov' egli vede
Il pie del |)alafren segnar la via.
Gimige ollii intanto in chiusa opaca chiostra,
Ch' a solitaria morte atta si nutstra.
123. Piacquele assai, che 'n quelle valli ombrose
L' orme sue «-rranti il caso al»bia «-ondutte.
Qui scese dal destriero , e qui depose
E r ar<-o, e la faretra, e l' armi tutte.
Arme, infelici, disse, e vergognose.
Ch' uscite l'iu)r della battaglia asciutte,
i Qui vi depongo, e qui sepolte slate,
I Poiché i<; ingiurie mie mal vendicate.
I 124. Ah, ma non fia , che fra tant" armi e tante |^;
l na «li sangue oggi si bagni almeno?
S' ogni altro petto a voi par di diamante.,
Oserete piagar femminil seno.
i In (|ueslo mio, che vi sta nudo avante.
1 pregi vostri , e le vittorie si»''no.
Tenero ai colpi è que.^to mio: ben sallo
I Amor, che mai non vi saetta in fallo.
253]
GERUSALEMME LIBERATA. (XX. 125 — 140)
[254]
25. Dimosti'atevì in me fch' io vi jierdonu
La piissatvi villa) forti ed iuuite!
Misera Annida , in qnal t'ortnna or sono.
Se :soi posso da voi sperar salute?'
Poiché ogni altro rimedio è in me non biioìio,
Se non sol di ferule, alle fernte.
Sani piag-a di strai piaga d'amore,
E sia la morte medicina al core!
20.
27.
28.
ìy.
JO,
il
32
Felice me, se nel morir non reco
Questa mia peste ad infettar T inferno !
Restine amor, venga s»)l sdegno or inei;o,
E sia dell' oiiihra mia <'ompagno eterno,
O ritorni con lui dal regno »;i«(0
A colui , che di me fé' i' empio scherno,
E se gli mostri tal, che 'n fere notti
Abbia riposi orribili e interrotti !
Qui tacque, e stabilito il suo pensiero,
Strale sce;4lieva il più pugner.te e forte.
Quando giunse, e miridla il c.ivaliero
Tanto vicina alla sua estrema sorte,
Già compostasi in atto atroce e fere»,
Già tinta in visi» di pallor di morte.
Da tergo ei se le avventa , e '1 braccio prciidt;,
Che già la fera punta al petto stende.
Si volse Armida, e '1 rimirò improvviso;
Che noi sentì , quando da prima ei venne.
Alzò le strida, e dall' amato \iso
Torse le luci disdegnosa, e s\enne.
Ella cadea, <[uasi fior mezzo inciso,
Piegando il lento collo : ei la sostenne,
Le fé' d' un braccio al bel fianco colonna ;
E 'ntanto al sen le rallentò la gonna.
E '1 bel volt<» e '1 bel seno alla meschina
Bagnò d' alcuna lagrima pietosa.
Quale a pioggia d' argento e mattutina
Si rabbellisce s(-oloriia rosa.
Tal ella rivenendo alzò la china
Faccia del non suo pianto or lagriiiiosa.
Tre volte alzò le luci , e tre chiintlle
Dal caro oggetto, e rimirar noi volle.
E <;on man languidetta il forte braccio,
(yh' era sostegno suo, s(-liiva rispiiisc.
Tentò più volte, e non usci d' impaccio;
Che vie più stretta <'i rilegolla e < iirse.
Alfm raccolta entro «jiiel caro laccio,
(Jhe le fu «ai'o forse, e se n" ìnfiiist;.
Parlando iuconiiiiciò di spander fiumi,
Senza nuii dirizzargli al volto i lumi.
Oh sempre, e (piando parti, e (piando Imui.
Egualmente crudele, or chi ti guida.'
(ìraii m(M'a\iglia, che 1 morir dÌKlorni,
E di vita cagion .»ia 1' «uuiriila !
Tu di salvarmi cerchi!' A ipiali scorni,
A (piali pcn(! ('• ri.-rr^ala Aiiiiidar'
('(mosco i' arti di I fellone ignote;
iVla ben può nulla , chi iiMuir inni punte
Certo ('; scemo il tuo (unir . se non
Incatenata al tuo trionfo a\aiiti
Feinmina or [iresa a forza, e pria tradita.
Qiiest' (■■ M iiiag;;ior (!(;' titoli (; d(;' vanti.
Tempo fu, eh' io ti chiesi (■ pa<'(; e vita:
Dolc(^ or saria con morl(; uscir di pianti.
ÌVIa iKui la chiedo a te; che non e coKa,
("Ir e8S(;ndo dono tuo non i>ia odiosa.
133. Per me stessa , crudel , spero sottrarmi
Alla tua feritade in alcun modo.
E se all' incatenata il tosco e l' armi
Piir mancheranno, e i precipizj , e '1 nodo,
Veggio secure vie, che tu vietarmi
11 morir non potresti : e '1 ciel ne lodo.
Cessa ornai da' tuoi vezzi! Ah par, eh' ei finga:
Deh come le speranze egre lusinga !
134. Così doleasi, e con le flebil onde,
Ch' amor e sdegno da' begli occhj stilla,
I L' aflettùoso pianto egli confonde,
I In cui pudica la pietà sfavilla.
I E con modi dolcissimi risponde:
Armida, il cmv turbato ornai tran(iuilla!
Xon agli scherni, al regno io ti ri.»ervo,
i Nemico no , ma tuo campione e servo.
■ io5. .Mira negli ocrhj miei, se al dir non vuoi
1 Fede [irt.^tar, della mia fede il zelo!
' INel ?oglio, ove regnar gli avoli tuoi,
Uip(uti giuro. Ed oh, piacesse al cielo,
Ch' alia tua mente alcun de' raggi suoi
Del paganesiuo dissolvesse il velo,
. Coni' io farei , che in oriente alcuna
! JNoii t' agguagliasse di regal hu'tuna!
lofi. Sì parla, e prega, e i preghi bagna e ^calda
j Or di lagrime rare , or Ai so^l)i^i :
I Onde, siccome suol nevosa falda,
I Dov' arda il sole, o te[)id' aura spiri.
Così 1' ira, che in lei jiarea sì salda,
I Solvesi, e rotau sol gli altri desiri.
I Ecco 1' ancilla tua! d' essa a tuo senno
I Dispon , gli disse, e le sia legge il cenno!
137. In que.-.to mezzo il capitan d' Egitto
A terra vede il suo regal stendardo,
E vede a mi colpo di (ìoflVedo invitto
Cadere in>ieme Kimcdon gagliardo,
E r altro popol suo morto e scinifitto;
^(■ vuol nel duro iin parer codardo,
Ma va cercando (e nini la cerca invano)
Illustre morte da famosa mano.
138. Contra il maggior Huglione il dcstrier punge
Che nemico veder non sa più degno.
E mostra, ov' egli passa, ov egli giunge.
Di ^alor disperato iiUiiiio segno.
j\la , priach(; arri>i a Ini, grida da liingc :
Ecco per le tiu' inani a morir \egno;
i>la tenterò nella caduta estrema.
Che la mina mia ti c(dga e prema.
139. (/OSI gli dixsc, e in un medesmo punto
li'' un verso 1' altro per ferir si lancia.
Rotto lo >cudo, e di-armato, e punto
E 'I manco bracrio al capitan di l'rancia.
L' altro da Ini con »ì gran colpo «'■ giunto
Sovra i conliii della >ioi.'>lra guancia,
('he ne slorilistc in >nl!a >ella. e mentre
Ri-org(T vuol , cade trafitto il ventre.
addilli 140. Morto il duce Kiiiiniio, ornili sol resta
Pici iol avanzo di gran c.impo (•stinto.
SegiK^ i vinti (iiin'rcdti , <> poi >' arresta;
('II' .\llaiiior M-'le a pie di sangue tinto
('on mez/.a spada , e con iiiez/o elmo in 1<'>1>
Da (-ento laiii'(! ripercos-n e cinto,
(ìrid.i egli a' .^iioi: ce'i-atc! e tu, barinie.
Renditi (^io »on (ìoll'redo) a me prigioni I
[255]
GERUSALEMME LIBERATA. (XX.m-144)
[2561
141
143
porse)
Colui . rlie sino allor V animo grande
Ad alcun atto d' uniiltii non torse.
Ora, eh' ode quel nome, onde si spande
Sì chiaro suon dagli Etiopi all' Or.<e,
Gli risponde: farò quanto dimando;
Che ne sei degno; (e 1' arme in man gli
Ma la -littoria tua sopra Altamoro
Ne di gloria Oa povera, né d' oro.
Me r oro del mio regno , e me le gemme
Ricorapreran della pietosa moglie.
Replica a lui Goffredo: il ciel non diemme
Animo tal, che di tesor s' invoglie.
Ciò, che ti vien dall' indiche maremme,
Ahbiti pure, e ciò, che Persia accoglie!
Che della vita altrui prezzo non cerco.
Guerreggio in Asia, e non vi camhio, o merco
1143. Tace: ed a' suoi custodì in guardia dàllt>,
! E segue il corj;o poi de' fuggitivi,
I Fuggoii quegli ai ripari, ed intervallo
U.illa morte trovar non ponno quivi.
Preso è repente e pien di strage il vallo;
Corre di tenda in tenda il sangue in rivi,
j E vi macchia le prede, e vi corrompe
; Gli ornamenti barbarici e le pompe.
114. Così vince Goffredo: ed a lui tanto
I Avanza ancor della diurna luce,
j Ch" alla città già liberata, al santo
Ostel di Cristo, i vincitor conduce.
1 Né pur deposto il sanguinoso manto,
Viene al tempio con gli altri il sommo duce,
! E qui 1' armi sospende, e qui devoto
Il gran sepolcro adora, e scioglie il voto.
e O M E N T I
su
DANTE,
PETRARCA, ARIOSTO
E TASSO.
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA
DELL' ALLIGHIERI.
INFERNO.
C A W T O I.
Lo scopo {generale e prandioso della D. C. cioè di richia-
lar la nazione viziosa e discorde ad unità nazionale polìticn,
orale e religiosa, per mezzo di un poema, maestro di relli-
idìne, punitore dei vizj , e premiatore della virtù — scopo,
je si propose ancora nei libri de vulgari eloquenti a,
de monarchia', terticari apolog. di Dante Voi. II. P. 2.
ic. 38 : 38t) della Proposta. — pare che richieg^ra la spiega-
one seguente di questa prima e principale allegoria. IVel
100 , in età di 35 «mi ine! m e z :ìo del e a ni rn i n di n o-
tra vita. Conv. 4, 23.) Dante, entrato nel priorato, e per
ezzo delle confusioni, degl' intrighi e delle ribalderie scoperte
Itosi accorto, che la via del ben pubblico era smarrita,
eh' egli si tro\ava in una selva oscura (si osservi, che
g. 14, lii. chiama trista selva Firenze , esetvaerro-
eo la \ita nel Conv. f. Il3j di iniscria e di esilio, mirando
colle ed alla cima della felicità pubblica, fu contraddetto
jUc sue speranze dai vizj della sua patria Firenze (la l o n -
a di pel ìli a e alato), dalle mire superbe ed ambiziose del
! di Francia, Filippo il Bello , e di Carlo di Valoi« , fratel di
à (leone), e da mielle di avarizia e di supremazia ambita
il papa Hoiiifazio vili (lupa).^ Si ritiri» dunque agli studi
loi poetici e, posta la sua liducia nella virtii militare di ('an
rande, signor di Verona [veltro), scrisse il suo poema,
ì\<: , mercé la bontà divina , la meditazione (d n n n a pen-
ile), la ragione (IjUc i a) , e la iilosolia, o tcrilopia (iiea-
rie e), guidato dalla poesia (Tirffi/io) trascorre i luoghi
ella punizione, della purificazione, e del premio, cnstìgaoilo
)s"i i vizj , confortando e incoraggiando la fiacchezza, e pre-
dando Je virtù con abbissarle nella contemplazione del somno
sne.v. Fiì. Scolari della piena eigiusta intelligenza della
ivina commedia, rapionamento (Padova IK23. 4), f. 22 — 31.
)mp. Uiouisi sene di aneddoti. IVo. Il (Vero». ITHIi. 4) f.
i — Hli. Con gratÌHsimo piacere aggiungiamo f|ui un passo
iggeritone dal nostro amiro dottissimo, e benemerito, Cnr-
ì ff'itte, professore di Hreslavia; ed è di Uso a S.C aro
Jerein. 5, (i. nelle di Ini opp. (L. H. Ititi!!) III. p. l!il.:
Myst ice leo est d i a h o l ti s , in quantum est su [ur-
js , ed in quantuìii de superbia tentai. Lupus
p s e idem, in quantum de luxuria , quia lupus
audet de effusione san ffuin is. Pardns, in quan-
\im de avaritia, quia variai et tur ha tur, et in
uantum de dolo sitate et fallacia. Feci. 2H.
Chi-, poiché. Cinonio osserv. della lingu. it. f. (,2 o
iir dove, come v. UT. rrr 4. Eh, lezione vera di Dionisi.
liosata colla crnscana ahi. r:r- 5. La cesura selva n^ja
asciiranilo 1' elisione, non v' abbisogna di ed aspra, rr-z-.
A ìli ara si lilt-risca collo Scolari n paura, ^r^rr !l. .1 1 1 r e,
on buone, cattive. Dionisi Anedd. IV, 14H. IK?. La le-
one alte deve dire lo stesso. 11. Pien di .tonno,'
infuso, smarrito. i=rr 17. Pianeta, sole, verità. r-^^\
(. Lafco, ventricoli. =- 2.'). Fuggiva, paventava. Vir-
il. Kn. 2. 12. =r-r 2(!. l'asso, la selva oscura. =r^ 27.
'iva, m vita morale. : — 2H. h'.i, crasi in vece d' ebbi,
•mbra la vera lezi(Mie antica trascurata e chiosata, rr— 30.
/ — basso, camminando senz' altro per luogo alquanto In-
inato della piaggia. Onde il cod. ('aetani legge al. : — : 31.
,'rtr/., colle, r— r- 32. /jiinza, spezie di pantera , lincia,
e u lì e ia , Itjn .r , leopardo, detta anche r a ( i/ « pardus
pardUK. OLen's ^aturgesch. 'l'Ii. 3. S. I0,'>7. r — 3H.
lucile stelle ecc. l'ariile. Dinota li 2.'» di marzo, dunque
ei|uiiio7.in vernale, che nel jillll) fu \ eiierd'i. v. Ifioiiisi
nedd. IV, 4!) — 7.'». rr^ 3!l. L' amor divino, dio, primo I
iotor<!. : — 40. HI OS se, crei) e diede vita, z — 42. Adof-'
amo la lezione più elegante del roti, di S. Croce alla sa-
etta pelle, cioè che ha, od aveva cr. />., dil'exa dil Dionisi
)ii liif. !l,3li. M, Jti. Ili, ll)H. Par. I,'>, ll.'>. (iajctta da aajo,
oè vuri.i, dipinta, niaciilula. I'iii> riniliiiider iii'-irmi- I' iile»
i leggiadria (da yidm) ; che varietii di colori diletta. ~ —
.lire, ed acr sono soltanto dill'erenti nel modo di pro-
iinziare. : — 51. (trame, meschine, triste. disgr;i/iate. 20.
l. 30, 09, Vuco IcdcHca! = 53. l'aura, spaMiilo , terru
re. = óì. Veli' a [tessa, di salire in alto. =; 5S.
Senza pace, piiossi riferire alla bestia, o pure al poeta,
cioè tanto m' inquieti), smarrì, r:^ 60. Dove il sol tace,
catacresi in vece di non luce. cp. 5, 28. =r (il. Rovinava
tombolando precipitava, v. al v. 30 raffr. v. 76. Altri han ri-
tornava, altri rimirava, altri richinava. Inutili sti-
tichezze! = Ì3Ì. Fioco, rauco. Scolari ca\ Muratori
lo prende per fiacco, debole, lo che pure non quadra bene a
quel per l. s. Potè ben s'ispettare il poeta, esser Virgilio
rauco, stando egli nel gran diserto. r=: 611. Cerio, reale.
= 70. La lezióne del Cod. di S. Cr. adottata da noi mostra
che quel ei si riferisca al nascere di Viririlio 29 anni più tardi
di Cesare, il quale nacque .\. 3AjO, divenne dittatore perpetuo
il 3904, e fu ucciso il 3006. Virgilio nacque il 3f7!l e morì
3!ì5l. iVacque dunque troppo tardi, per poter essere il suo
poeta, come lo fu poi di Augusto. Forse ancora accenna il
suo tardi conoscere V alto sole, come dice nel Purg. 7. 26. s.
=^^ 7i. Fi g l ino l di A 71 eh.. Enea. : 76. JS'oja,
luogo noioso. : 87. Stile romano, o italiano, non già
latino. Fu eia celebre per la /^ ita nuova e le Rime.
fa /ffsMw, lupa. = 101. feltro. Intende Can Gran-
de della Scala, signor di Verona, capitano della lega ghibel-
lina nel I3IH, in età di nove anni nel 1300, mentre il poeta
viaggiava fra' morti, undici nel gennaio del 1302, dove D.
fu esiliato. L' opinione di Troija (Veltro allegorico di
Dante. Fir. 1826) doversi cioè intendere l'giiccione della Fag-
giuola, r ha riliiitata Carlo ih i 1 1 e nell' Antologia fior.
mese Sett. dell' istesso anno. : 103. Ciberà, si pascerà.
Terra, terre, poderi. Peltro, tesori, ricchezze. Dal
lat. pel tram, stagno raflinato con vivo argento. r= lO.i.
Tra Feltro e Feltro, tutta la Marca Trivigiana. in cui
è Feltre, e Romagna tutta, nella quale è Monte Feltro. In-
tende dunque la Lcmibanlia tutta. == 107 s. Camilla,
figlia di Metallo , re dei Volsci , nel Lazio , si armò in difesa
di Turno, figlio di Danno, radei Untoli. F.ur. e A'., fa-
mosi giovani troiani. Eneid. H. 111. Prima, nel prin-
cipio. .Ancor 1' avverbio dà senso comodo. : 112. .I/ri le-
zione del cod. Ilartol. r=^ 113. lo ti s. g. , lezione antica
del cod. di S. Cr. =r- 114. Loco eterno, inferno. : — :
117. La seconda, dell'anima. : — Hit. Foco, purgatorio.
^-^ 120. Alle beate genti, paradiso. : — 122. Ani-
ma, Beatrice. 127. Regge, ticn corte, ha residen-
za. = 134. La porla di S.P., del purgatorio, Pg. 9, 76.
= 135. Fu i , dici.
Canto II.
^. Guerra, travaglio. =:r fi. 7? l'r rn rrnr, racconterà.
Mente, memoria, r — 11. l'irtìi, forza, vahirc. r=r: 13.
Dici, neir Eneida. ]) i — par. Enea, rr^ 1,'>. Secolo,
inondo, in senso biblico ebreo, zr-n 16. Sensibilmente,
col corpo. ^— 17. Cortese fii, gli permise. Lo alto
effetto, la fiuidazioiie di Roma, e del suo imperio, rr— 22,
La quale, Riuna. // 7 «., impero. :^ — 21. Maggior.
primo, capo. r=: 27. / i 1 1 o r /'«, contro Turno, re dei Ru-
llili. z—= 2H. Lo vas d' elezione, S. Paolo. Act. 9, 15.
z — r 34. Se — vi'iiire, se mi abbandono alla cieca e pren-
do Iti via, senza li.ularc ad altro, v. l'erticuri , npol. di 1).
far. Ili5 «. r — 3'l Tot le, toglie, rimuove. . 41. Con-
s II m a i . cessai, abbandonai. 42. Tosta, subitanea, preci-
pi ;o-a. 12 , titi. : 15. lillntr, paura. : — \'^. Solve,
srioplia. .— 51. Dolve, dolse. Da doluit. .".2.
Sospesi, né salvi, né dannati, r^ 53. Ito /ina, Ileatrice.
: 11», (filanto il mondo, lontana. L' ultimo agget-
tivo si riferisce st filma, e In lezione molo V ha riliiitata
il Monti nella Proposta 111, 1. f 47 ss.; ilifesa all' iiicnnlro
con r amore di D. al sistema siili' immobilità della terra ri-
i-oiicìllato olla fede cristiana, / ^o Foscolo nell' edir. di
n.iiite ( Londr. Ih25. V. H) To. 1. f. 40'. ss. r— 61. Von
lilla vent., cioè sventurato. :: 71. Loco — desio,
(i.iradifio. 75. Taectte, antica forma per tacque, rrrr
Ì6. Donna di virtù, donna virtuosa. Sola unica. =r
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
17. Confenfo, cosa contenuta. Par. 2, 111. = 78. Quel]
— sui, lunare; secondo il sistema tolomaico , dove la terra
era centro dell' universo, intorno a cui gli astri giravano, e
la luna era la più prossima. 80. Se già fosse, ben-
ché si facesse imniantenente. 81. Talento, volontà.
10, 55. 90. tauro s e , paiirevoli, capaci di metter pau-
ra. 92. Tange, tocca. Laliiiismo ! := 93. A è af-
ferma per uso lontano. Ferticari , Apol. 1U7 s. z=r 94.
Gentil, di natura ed alma nobile e generosa. Intende
l'anima celeste intenerita dalla miseria umana, ed allìne la cle-
menza -, che quella innalzata e stesa al sommo è divina cle-
menza. 9(). Duro, severo. Frange, sospende, am-
mollisce, spezza di pietà. Moliti prop. II, 1. 139. =r= 97.
Lucia, la ragione. I! tenor dell' emenda umana è spartito
in tre momenti personificati, come altrettante grazie: la Te-
nerezza 0 Dilicalezza morale, forse Madonna ìstessa; la Ra-
^one; la Teologia, qual fondo e centro del sapere, compagna
Sella meditazione (Rachele). : lOti. Pietà, dolor com-
movente. — - Vi'ò. Fiumana — vanto, vita agitata e tur-
bata più del mare. 109. Ratte, veloci, preste. Lat.
raptus. 111. Fatte da Lucia; perchè parla Beatrice.
: 113. Onesto, bello, splendido. Senso Ialino! : — 11 j.
Poscia, ecc. Sono parole di Virgilio continuante nel suo
racconto. 121. iì l'.s t a i, ti arresti. Ut. Al l etti ,
alloggi, alberghi, 9 93. Da letto. Monti prop. I, 2.12. ==
128. /mòta» ca, iunalba coi raggi nascenti. == WI.Alto,
profondo.
Canto III.
5 8. La — Amor e ,\a trinità. : — fi. Et erna , lezione
degli ottimi codici da riferisi alla porta, rrrr: 10. Oscuro,
negro, fosco. 11. Sospetto, timor e dubbiezza.
18. Il — intelletto, il sommo bene , dio. 21. S e -
crete cose, luogo e contento nascosti. 'l'ì.Lingue, idi-
omi. Favelle, linguaggi. 29. Senza tempo,
eternamente. 30. A turbo, lezione degli ottimi codici,
a modo di turbo. Spira, puit esser rivoltesi spiralmente.
31. Orror, leggono le ottime ediz. : — 39. Perse,
scevre dall' altre, indifferenti, neutre. : — 42. Alcuna,
ninna. 12, 9. Monti Prop. I, 2. 79 ss. e Append. alla Prop.
f. 271 88. Conserva ai dannati le stesse affezioni, secondo il
platonismo. — 47. Cieca, perchè han perduto il ben dell'
intelletto. = 54. Jn deffn a , par voce pregna, che invol-
ve e r incapacità e 1' indegnità. .59 s. Colui — ri-
fiuto. Celestino V., che per pusillanimità, e pe' raggiri di
Bonifazio Vili, odiato dal poeta , dopo no\ e mesi rinunziò al
papato. Risc. 19, 55. 73. Costume, qualità. Par. 23,
aS. : — 75. Fioco, qui forse fiacco, v. a. 1, ti3. Raffr. a
12, 15. = 7B. Con te, palesi. Ted. Aurarf. = 81. Mi
trassi, m' astenni, mi ritirai. : — 83. f'ec chio , Ca-
ronte. : — 94. Duca, duce, guida. 95. Colà, ecc nel
cielo. 98. Livida, torbida, bruna. 102. Ratto,
tosto , subito. : — 104. Seme di l or semenza, nonno
e nonna. 105. Nascimenti, esser nati; non già pa-
renti. : — 109. Di bragia, infiammati, cp. 99. III.
Si adagia, si trattiene , tarda. : — 113. fede, lezione
più energica di buoni codici, in vece della volgare rende.
r — 132. Mente, memoria, il rammentarmi. 133. Diede,
esali). 31 a g alotti Bottoiutende un angelo conduttore non
veduto dal poeta.
Canto. IV.
2. Trono, (lezione più rara del cod. bart.) fragore, che
fa tremare l' aria. In Tedesco dròhnen, d^qoiXv. Dai Lom-
bardi cos'i si dice il tuono. 9. Tuono. Il cod. bart. ed altri
han torno, circolo, fossa circolare; altri intorno. Questo
pare confermi quello più squisito. Scelta difficile ! li.
Per, quantunque. : — 13. Cieco, oscuro. 16. Color
smorto , pallore. 25. Secondo che, suppl. stetti , o
fui. 2t). Ma che, spagnuolo mas, lat. magis, più.
21, 20. 28, UG. Perlicari, anol. f. 106. li cod. Casa, ha
mai, che par chiosa; il bartol. pianto o mal, chiosa fioca
di saputello! r— 27. Ulema, senza tempo tinta. 3,29.
= 33. Andi, vada. : — 34. Jl/e r e e rf« , atti meritori,
merli. 49. ; 36. Porta, (lezione del cod. bart. e di S».
Cr.) ingresso, entrata. t=z 40. Rio, reità. Pg. 7, 7. : —
41. Dilanio, in tanto ^ talmente. Offesi, aftlitti. : —
50. Altrui ecc. addita \a parlar coverto Gesù Cristo.
^=; 52. Novo, venuto pochi anni prima della discesa del
(possente) redentore. : 55. Ci, di qui. Primo pa-
rente, Adamo. : 57. Legista ubbidiente. Fraii-
cescooi propose legista, e fubbidit-nte riferendolo ad
yf 6 r a a fn ; speziitsainente s'i, ma senza nisn. =:r- 60. Rache-
le, figlia di Libano , per la quale Giacobbe servi 14 anni.
Gen. 'ti, 23. := 64. Per che, benché. = 66. Spessi ,
frequenti. =t: 67. Sommo, la più alta parte. Altri han
sonno, luogo dell' addormentarmi; il cod. !S. Cr. suono,
uogu del trono, o di Huspiri. £>e il v. 70. non ripetesse 1' is-
tesso, preferirei 8M0 no. 69. T^ in e io, vìnceva , supc
rava. Lambino più arcilìziosamente e senza guadagnarvi spiegì
cingeva , circondava. = — 72. Onrevol, forma più antica
benché più aspra. r= 73. L' elisioni scansate sanno di cor
rczione cruscaiia. r= 76. Nominanza, fama. 80
Poeta, WigtWit. r=rt 81. Dipartita, 2, 52 ss. r= 86
Spada, simbolii delle guerre cantate. : 91. Nome d
poeta, foce. 79. = 99. Di tanto, par che sia intanto
come a tanto, 9, 48. : 102. Senno, ingegni, savj. HO
=^ 107. Sette atte mura. Intendono o le sette virtù, «
le sette arti liberali, o li sette sacramenti. Fiumirelli
dicono r eloquenza. 109. Dura, solida. 120. M
esalto, lezione del cod. S Cr., mi glorio, mi vanto, r^
121. Elettra, figlia d'Atlante, moglie di Corito, re d'Italia
madre di Dardano , fondatore di Troia; onde la compagni:
troiana, cp. 15, 72. : — 124. Pente silea , regina dell*
amazoni, uccisa da Achille. 125. Re degli Aborigeni
127. Rruto, Lucio Junio. : — 128. Lucrezia, inoglii
di Collatino, violata da Sesto Tarquiuio, la quale si uccise
Julia, figliuola di Cesare, moglie di Pompeo il Grande
Marzia, moglie di Catone uticense , ceduta per moglie ai
Ortensio. Corni glia, figlia di Scipione Atl'rlcano, e moglie d
Gracco. 129. Sa / a f/t n o, re di B.a b i 1 o n ia, conquistato
di Gerusalemme, morto ne! 1194. 131.il/flesfro — san
n 0, Aristotele, Color che sanno, filosofi, sapienti. =
136. A caso, fortuito. : — 137. D io g enè s , cinico, da Si
nope. Anas a g or a clazomenin. Tale niilesio. 138
Empedocl'es d' Agrigento. JEr a e/ j t o etfesio. Zenon
cittico. 139. 1> e ^ quale, della qualità, virtù dell'erbe
piante e pietre. : — 140. i)?o .s e ori de, d' Anazarba nella Cilicia
;=^ 142. Tolommco, Claudio, astronomo e geografo. =
143. Avicenna, medico arabo. 144. Averrois, co
mentatore d' Aristotele. 148. Se s f a senaria. : — 150
(iueta, tranquilla aria nel castello. 151. Ove non i
che luca, buja, oscura.
Canto V.
2. Men, più stretto. = 3. A guajo, a far guairc
lamentare altamente. = 4. Mino», figlio di Giove e d
Europa, re di Creta. Ringhia, digrigna i denti. ^= 7
iW a Z TI a t a , vile, peccatrice. = 14. y? dì e en rfa , l'uni
dopo r altra, successivamente. 18. Lf/t zi o , digiudicare
== 21. jfur, mai. 22. Fa ta/ e , voluto dal cielo. = 2S
Di ogni luce muto, bujo. Catacresi! v, 1,60. r= 31
Rufera, aria furiosamente agitata, v. 7, 61. = 32. Ra
pina, rapimento in giro, vortice. 34. jf u i n a , luogo pre
cipitoso, precipizio. 38. Enno, sono. Lezione più rara de
cod. bartol. e d'altri buoni. = 39. Talento, inclinazione
desiderio. : — 40. S t o r n e i , stornelli. E accusativo, comi
le ali nominativo. 49. Briga, bufera , fiato , venti
contrastante. hi. Allotta, allora. =: 54. Favel
i e, nazioni diverse. = 55. Rotta, sfrenatamente abban
donata. : — 57. Ri asma di passione pel figlio == 60
Corregge, governa. : — 61. Colei ecc. Bidone. Eneid
4. 63. Cie 0/) a t ras, regina di Egitto. r=r 6i. Eie
n a , moglie di Menelao , rapita da Paride. =: 66. Amor •
di Polissena, sorella di Paride. Alfine, sino alla morte
r= 67. Tristano , nipote del re Marco di Cornovia, ca
valier errante nel mitico cerchio di Artù. = 71, Giunse
lezione de' migliori Cod. l inse è chiosa. r= 78. 1, elli
li , loro. = 80. /l/uo v' i o , mossi, muovo sono fors.
correzioni della forma antica latina del cod. bart. movi. =
84. f'olan, in vece di vengon, par chiosa. J ol e r , de
sio, ardnr di desiderio. Ugo Foscolo, disc, sul testo de
poema di D. 311. = 89. Perso, misto di purpureo e d
nero, dove vince il nero. Conv. 4, 20. =: 90 Di^ san
guigno colore. S. che ci ammazzammo. r= 96. Ci, in veci
di si, lezione de' migliori testi. = 97. Terra, Ravenna
ginn poetica di questo passo v. (Ugo Foscolo nell ) Edinb
review. Voi. 30 f. 340 sa. e nel disc, sul testo ecc. I. e. ==
99. Seguaci, fiumi. = 101. Bella persona, beiti
del corpo. = 103. Perdona, rinarmia, rilascia. ==
104. Costui di costui. = 107. Caina, luogo de' fratici
di neir inferno r= 117. Pio, intenerito. A lagr. sino i
I. =:^ 121. Dubbiosi, non iscopcrti. = 126. A>i/«
per faro, é chiosa. = 128. Lanci lotto, cavaliere del
la Tavola rotonda. Amor a Ginevra, moglie del re Artu
H3. «i«o, bocca ridente. = 137. Ga/e otto, sen
sale tra Ginevra e Lancilottu nel romanzo antico, divenni
perciò sinonimo di mezzano.
l.
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
Canto VI.
I rpn, lat. vertere, ed altri mentovati al v. 30. := 42.
j Ferci, vi, nella vita primaja, fecero. -15. Binpaja, disfa
il paio, di8uni!-ce. = 53. Sozzi, sucidi , sudici, sporchi.
:ì t o » ,. „ .• „., : ^z. f* ^ • l . ' . '.
iore. Qua/ità, di praiidine edintve. = 13. />!i/ e r. sa, '*="'«.*'=•:";«■'"'"' ^'* *,* "■^•'''■° '•''' •^^- = '2 /m 6 o ce /i e,
nostruosa, istrana. Questa parola dinota generalmente alin. ™etta in bocca , accoglia; impari. = r4. Chi conduce,
;d alieno da quel che si dovrebbe per leff|e di natura, o di condottiere , intelligenze moinci angeli. = .a. Ogni
nente, dunque storto, perverso, nemico .contrario , avverso. \P «'' 'f ' a.'nbedue gli emisferi celesti. = .7. Splendor
i\ accompagna col secondo (33, 151), terzo e sesto caso, V. Ap- '"<'"''«"'./' ricchezze, onori, e quanto v e di snezioso.
.endice alla proposta del Monti f. 1!)9. a. z= K. E d ingo- = .»}-J^ifJ e n s t on, riparo, contrasto (Ho). = t.. JJe,,
a, ottima lezione confacenle a bestia fZf ventre largo, motrici intelli|renze. = tìO. Sz ecc. in questo modo avviene
I divorante. Sr/u a tra , squarta. = 22. T p mio, verme. ! ^he gli uomini spesso conseguisconn mutazione di stato.
>;el 34, 107. Lucifero è cosi detto. = 23. Sanne, zannt; ?^onti Prop. 3 2. 4.18. = 93 i/o e e del cod. bart. per voce
lenti sporti fuor dal labbro dei cinghiali. Ralfr. 33, 35. =, e differenza del dialetto. = 9a.Prime creature, sostanze,
ò. Spanne, mani aperte e disleseT = 28. ^^ ù^r " « . o '°t«V'g«"^e "'"l"'!'- „^=. "• ^ida, affanno, cerchio tor-
' I -1 -i-.- r: ' ~ -_ 01 ' raentoso. =r= 100. R icid em m o , atlraversammo. : lOo.
..^TOéina, desidera con avidità. Gt. ayrnviuv. r= 31. | ifi^ersa, differente, ed orrida, malagevole. 6, 13. =
^•accia, lez. dei migliori cod, ceffo. = 32 In t ron a ,: njg_ a rig e , oscure, bige. = 120. Pullular, mandar
balordisce y. a 4, 2 = 34. A dona, abbatte, doma, bolle in su, bollire. = 123. .accidioso fummo, va-
,1 paragoni I inglese down, 1 anglosass dufian, mer-i p^,j „^„g ^j tristizia, umor malinconico. Perche iy.r,d,,a
■ere gì. devo,, óiip(x,,gevin. taufen, theufen. = ib. ^ ^ incuria, noncuranza, o cura esasperata , secondo che
/a 71 Ita, larva, ombra. = 42. Fa f f o , nato. Visfat- queir a è negativa, o accrescitiva. = 124. iJ e// e t t a, pol-
o, morto= 52 Ciacco, m Fiorentino , porco. Afline j ,j^ f ^j.^ ^j - p a l u s. =
.1 fr. cocAon , ted. //a /v« cA , ingl. A 0|£r , pers. cnog-. = I tJ; „', , *= ini' '■>''■•]•"■•■ '^ '■
5. Fiacco, fompO. Risc. 12, 14. = bì. Fari ita, fa- l^o. St r o z r a , canna della gola In ted. iJro^sel =
Iosa di \eri è Bianchi. = 65. Se /t^ag^t a, la parte Biaii- i l^''- .f" ; = «; Panta»»; led. P/j/fir. =r 128. :Hezzo
a, di cui capo Vieri de' Cerchj. r= bb. i' altra, deiic<"\l e stretta, bagnata, fradicia, putrida. Afhne al greco
Jeri, cui il capocorso dei Donati. = 67. Qn e st a, \a ^ ftvoaio , al ted. mùchz en , modem, muffen. =:
: <a o...- — .- i:n li _ . ^_.i_ i: x .i„.„ 130. ^ < (£ o 8 6 = E o , lìnalmeiiie, ultlmameute. Duì lat. s 6 c u «,
anca. = 68.'So/i, anni. : 69. Tal, Carlo diV'alòis,
rateilo di Filippo il Bello. Fia^ già , metaforicamente
pera cautamente. Fi ag giare, e andare rasente il lilo,
.T/.ayittkfiv affine al ted flach, ir. louvoyer. =
2. Adonti, risenta Y onta. =^ 73. Duo. Incerto, se
•ante e Guido Cavalcanti , o Barduccio e Giovanni da Ves-
ignano. : 79. T egg hi ai\ lezione bartol. che addita la
rasi, se pur la ragione metrica la chiede o assolutamente, o
1 riguardo all' età ed allo stato della lingua. Raffr. alPurg.
3, 22. 84. Addolcia, pasce di dolcezza. 85.
'fere, malvage. : — 87. Lai lezione bartol. 96.
a (non già lor, oh' è ozioso e inutile, dice Slonti) nim.
odest a, podestà, lezione ottima. Addita Gesù. = 106
cienza, aristotelica, z — Ili. Di ià, dopo il giudizio
niversale. Di qua dinanzi adesso. 115. Fiuto, dio
elle ricchezze.
se CI US, cioè seguente.
Canto ^1111.
4. I, cioè IVI, vi, hanno i migliori codici, fuorché il bar-
tolin. z=r 5. Altra, iìammetta. 6. Torre, scorgere,
disceriiere. Cosi in ted. te e ^ b e k om ni cn, w e g l-rieg e n.
7. Mar — senno, Virgilio. :=: 16. In quella
ora, immantinente. 12,22. 17. Oaleoto, galeotto. Affine
a yavXug. z= 19. F l e g i à s , paure d' Issione, per la
figlia violatagli da Apolline die fuoco al tempio dellìco e fu
ucciso. Gridi, del cod. bartol., forma antica più \iciua all'
origine {yoav> , schreien, e r i e r) per gridi, forma
più moderna e temprata. 21. Loto, fango, paluile. Dal
lat. lui uni m^ 24. .Ice alta in sé, coiicepiita. 30.
Canto VII Altrui, perchè portava già spiriti, ora un corpo. = 31.
• Gora, canale, palude. =r- 33. Anzi ora, in corpo vivo,
- „ , r» li- • ... senza morte (84) = 44. Incinse, ingra\id(i. Le p.irole
1. Pape — nleppe. Dopo rnoltis.xime spiegazioni con- latjne inciens, e.incinctu» con le Foro spiegazioni b.i-
jrte stravolte Mona Prop. 1, 2. .33 ss. decide semplicemente gja^jg e saputelle posteriori, sono pur originariamente le gre-
be questi cupi indistinti e rauchi suoni di bestia co era sono , > „i > : i- n. • i • •
■^ ^ ' che lyy.vo;, ed lyy.vw, quindi quell in perche y.im e capire,
— ..'f Strupo, metatesi per «fu^.r e» adulterio, in scn- __ 70. Meschite, torri. Vocc»aracincsea"l"=- 71.'Cfrno,
0 biblico ap/'Hlasia 'do'atna =:r Ih. /,a rrn , pozzo (32, | vedo. Latinismo! r:^ 7H. Fosse, fossero. Svista graraa-
^), cisterna (.13, 12o). Monti Prop. Ili, 1. 8. Affini sono la-\ tica , che, s' è d' uopo, si scusa non già foll.i rima, ma con
una, lago, lacus, i.uy.y.u.; (Erod. 7, 119), Lo rh. terra sconsolata, rrrr 80. Forte, forlenirnle. r^:
=: 18. Insacca, aduna. = 19. Stipa, accumula. H8. CA 1 u« prò , frenarono. r::r- 91. f'o // f . folU-inenle bat-
tuta, r^ 93. Lezione bartol. e di S. Cr. più elegante.
97. Sette, numero certo per incerto. := 111. Tencio-
na, tenzona (6, 64), contende, ooinbntte. r-r 112. Potei.
Se si dovesse sceglier forma antica, sceglierci patti, crasi di
potetti. :r— 114. A prova, u para, r — Ili. Ha ri,
pochi , sospesi , lenti. =^-r Wi^. Il a s r , spogliate. : — 121.
Per che, benché rr- 12». Trai
01 1 ra e o t a 11 X tt , 9.33. JÌImiti Prop
Men segreta , prima ecapilule. r^:
Terra scuaMulutu , 77. città di Dite.
1 1 11 II z a , insolenxa.
3. I 196. r^ 1V5.
13U. Tal un augelu.
tnmucchia. Or. r;<e(^u>, ted. stopfen. : — 21. Scipa,
oncia male, lacera. Propriamente par che significhi rodere,
sia afine a yuo) , xa[iu) , cavo, yaiiu, ted. schnben,
cavo, ay.ixfi , tarlo, iuo) , i'cu) , if'uto , ecc. =t= Ti. V a-
iddi, stretto vorticoso fra Calabria e Sicilia. =-^ 24. Il i d
i, balli, danzi. Affine a (loiìoi, (iu!>uos n simili, che fi-
almente si riducono a (ino. r—^ 26. Poppa, petto.
=r "M. H ur li, gitti via. scagli prodigainentr,Hciiiliicqui. \ oce
imbarda! Monti Prop. 1, 2. 152. Si riduce ulle voci tedesche
irrrn, wirreln. ferlen, querlen, ingl. to curi,
uri, puri, whirl, quern, ilal. girare, ed altre. Li
ozionc dunque del giro, o cerchio, benché non prcvulgii qui
canto di i|iiella del pittar , scagliar via con forza , pur non
aevulutanientc CNclusa, come mostruno il riddi, voi t a n-
o, rivolgi a, a retro, tornavan, irrehio, o il
oto rotante qui descritto, rrr- .33. Le/., bartuliii. seinplicis
ma in vece di ^ r t r/ a n fi o s t anche (anco) l o r o o 11 t o s o
I., o g r i d a mio ancora r:r— .35. (iiostra, riperciis
Ione, lotta, zuffa (59). r— 38. Chini, cherici ; come
A r re u ( i, chericiili, tonsurati. 40. (iuerri.t
i «guardo lurtu. Affine al tcdciic. quer, iwvrch, ÀrcA | pu>teutc chi t>i offerse siguilicanduiiol la sua impazicniu. = 15.
Canto I\.
L Color, pallido. : — 3. Itittrinse, serrò, rispinsc.
.Voi'», di sdegno. Dire: cedendomi \. impallidire di nuo-
vo, oppresse i sepiii di Mlegno nel \ iso , per non impaurirmi.
Di questo fa npeiite il pallore. : — 8. Se n o ri . . . Ini n r si
offrrse. .S'Interrompe e si riir.ilta, per non oltrnppi;ir forse
Beatrice, con dire : se non ci nssisle lleatrire, cioè se nienti. e )ier
non iiupaiirire DiinlrusHiemr. M,i n« eiido già «idiito discendere 1'
Hbivriii, I angelo (8,l2Hss.), epli si riroiiipone, come dicendo, se 1 fosse lai
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
Jante. ciondolante ; imperocché è la parola tedesca « e h w ank, == !)9.
Ir chanser, it. cangiare, aflme a ivegen; wanken., visla
winken, schwivgen, s e h w en k en , schivanken,
lat. vi geo, gr. ayiiv. Laonde s' intende, come, se-
condo Pofrn-ial'i si dica di un membro, o ramo rotto e ciondo-
lanlPl, non"i«tnccato affatto. ^= 'iX Eriton, maga al tem-
po della battaglia tra Cesare e Pompeo in Fars^aglia, la quale,
Iter dare rifpiifta al iifriio di Pompeo curioso di saper 1 esito
della guerra, congiuro un corpo morto (Lucan. Pars. Si, 50*
ss) e so'iravvissula a Virgilio vi adopri) essolui creduto
mago neir età di mezzo. = 29 II del — gira, ì\ pri-i
nio mobile, secondo il sistema tolemaico. = 37. Furov,
)ez bartol. piusplastica fd espressiva. = 40. Idre — «er-j
, e ni et I i — ceraste, spezie di serpi, v. Okcn , Zoolog.
1 i35 2b3 2b2. = 43. il/ e .s r 7i i 7i f , damigelle, serve, an-
celle. '\oce trasposta dalla ted. Mensch, dall' antico min^
piccolo, onde meno, 771 jn o r e, Occorre 27, 115. 45.
Trine, lez. vatic. e bartol. forse ancora da cavarsi da quella
di man di Boccaccio feroci Etrine, le tre furie sorelle
nate ad un parto dalia \olte e dall' Èrebo. = 48. A t ali-
to intanto. 4, 9!). Perticari Prop. 2, 2. 150. := 51.
SoK petto, timore. = à2. Smalto, pietra artefatta.
Ted. .S clim elz. fr. e m a i l. = 54. M a l , per nostro ma-
le. Vengiamnio, vendicammo; forma francese '. Teseo,
scatenato da Ercole, perchè non i-branalo da Cerbero, come
il dì lui socio Piritoo nel ratto attentato di Proserpina. ==r
57 />t (Bartol.), come 22, 143. =: 58. St ess i , stesso. Li-
cenza! ::= 59. S.', cos'i, talmente. ^= Ul ss. Par addita >'■
d
Tenete altro modo, non vedete. 100. Luce
- 108. IJ e t — porta, alla line del tempo, nel giù
dizio tinaie. r= 109. Colpa, indugio alla risposta. 70 8
: — 110. Caduto, Ca\alcanti. :^rz 110. .^r « e e i o , tosto,
in fretta. 3, 30. onde av ac ci are Pg. 4, 30. atFrettare. : — :
119. Secondo Federico, imperatore, lìglio di Arrigo V
e nipote di Federicfi Barbarossa , fa perseculor della chiesa
forte, savio, sodouiita , epicureo. T'iUani Cr. U. 1. ^=
120. Il cardinale, Ottaviano degli Ibaldini , fautore de
Ghibellini, pe' qnali disse avere perduta 1' anima, se ^e ni
fo.'ìse. =r 123. Harlar — npm te 0 , profezia sinistra. =
129. Lezione del bart e di Poggiali, meno arida della volgare
= 131. Snella, Beatrice. 132. Da lei cagione pri-
ma di quanto T). vide e seppe nel cielo. Cos'i bene si quadra
con r aver saputo poscia da suo trisavolo, Cacciaguida. Pg
17, 40. = 1:J5. Fi e de va a terminare, fa capo, v. Munì
Prop. 2, 1. 114,
Canto XI.
Affine a ote//?(j
8. F ap a. In
3. Stipa, ammassamento, adunanza.
arcu[iw , s t opf e n , stampfev. nr
disposto D. ^erso la corte romana confonde , secondo la cr(
nica di Fra Martino da Polonia, Anastasio 1 imperadore col.
uno de' papi Anastasj. Imperocché quello, e non questo, im
sedotto da Fot ino, \escovo sirmiano, discepolo d' Accaci(fcf
ccmteslo molto più energica, benché meno appetitosa dell' al- Costretti, rinserrati spiriti, ammassati. Monti Prop. 1, !
tra porta i fiori. = 73. Sciolse, levando le mani. 19:{. ;= •/•*. Acquista, ottiene, si procaccia. Mont
il nerbo del viso V acume della vista. Monti Prop. 3, 1., Prop. 1, 2. 15. = 20. Sutto, sotto, da suòtus. = 21
1()3 =:- 78. yi6 6 J e o , ammucchia, ammonticcUa. 93. ^J/ /et t a. j Lez. bart. Suppl. pieno. 31. Fuone, ne poi). o'.
V. 2, 122. 97. Fata, disposizioni celesti. =^ 98. .\1- : Lez. bart. più armoniosa! 30. Toilette, lezione di
pericolosissimo, memorabile per una battaglia atroce. . — , mvìTia co
114 I suoi termini, Istria. = 115. faro, curvo, ed "•' "
aspro. = l'iO. Fer
venie. = Vii. Sp al di, ballatoi , maricciuoli in cima alle
mura. Afliae a spalliere, al lat. palus, ted. Ffa h l.
giuoco. Da bisca.
,.,„ „ , .. ,. . . „„ ^,. : pubblico. Forse affine a pasclien, giuocare a dad
120. Ferro e accusativo. Pt» acceso, ro-;!, .._,,_! n.^ir.- !_=__ e?..
Canto X.
4. J'irtìi, virtuosissimo. ^^ 11. Josaffà (Bari, e S
Cr.) dove, secondo Gioele 3, 2., si farà il giudizio estremo.
~— '21. Mo, dal lat. modo, onde ora è chiosa. 23.^ One-
sto, onestamente. = 24. Il istare, (Bari, e S. O.) fer-
marti. 74. -— : 20. Patria, Fiorenza. == 2T. AUa ecc.
unendomi ai Ghibellini di Siena. / Ulani, cron. (1, 75. z^
30. Dispitto, dispetto. Forma francese! Fu Epicureo. =r=
30. Conte, chiare. Ted. hund, affine a yroiu. i=rr
ii. Li e l e l i t 0 de i miglior rodici son forme antiche, pui
tardi ammollile e mitigate insino a glielo ecc. r= 47.
Avversi, perclit; i maggiori di I). furono Guelfi; esso, cac-
cialo da Firenze, divenne Gliibellino. : 52. Scoper-
chiata, scoperta. = — 53. Ina <i mitra. Cavalcante Ca-
valcanti, padre di Guido (Cavalcanti, poeta lirico, amico di
luogo, dove si tiene giiioc
fai
contrabbando. : 49.' il/ in or , terzo. Suggella de
segno suo, dichiara per suoi. 50. Sodoma. Gen. 18. 1'
Caorsa, capital del Querri nella Guienna, in que' tempi ni
do d' usurai. 51. Allude al Salm. 1. ^=: 54. Imlf^rsi
accoglie in sé. 50. Di retro, ultimo. Incida (le
bart. e fior, più conveniente e propria a v in col, che 11 ce
da) Petrarc. Tr. d' Am. 4, 2. = 58. Affattura, fa mi
lie, affascina, strega. Sembra affine al lat. /asc in art, g
^luay.Lii-ìtiv , da liaì^eiv. 59. Simonia, mercatanzi
di cose sarre, corultibilità. rrr: (iO.Huffian, mezzani
libidine. Baratti, barattieri , coloro, che mercatantano
cose di coscienza e d' uffìzio. Alfine al lat. de' secoli di me
zo b are an iar e , barganniare, b a r g a 71 n i z a r
originariamente da flaoio , ted. fahren, baren, poi
tare, come mercanzie. = 01. L' altro, la frode in coli
che si fida. = 02. Ch' è poi agg., vincol di parenteli
o d' amicizia. =:= 04 s. Dite, 8, 07 s. 1' ampio spazio i
inferno compreso dentro alla palude stìgia, e alle mura che ]
circondano , che degradando si appunta al centro della tern [«■■
,„,, ,„,,„. ,,...., „. „. eh' é centro del moto. r= 09. C/j e 710 s« e r/ e (lez. bart. 1.
D ucmi.d'di Corso Donati, genero d'i l'arinata v.' Ugo Fos-\ posseduto dal baratro, serrato, di modo che e li e sia accusili
ro'/i; Dante 1, 281 ss. Questo (lez. bart.) Farinata =livo. 7 / sarebbe almeno da intendersi lu caso retto per «>
55 Talento, voglia, curiosità. 2, HI. r=: 57- Suspicar,\ o egli, ei, cioè il baratro. ^^ 71. Cile —vento, i lui «<
onerare l'ertiiari Prop. 2, 2. 191. 03. Cui ecc. perchè suriosi nel secondocerchio. 5, 1. C A e — ;>io ^^7 a 1 golosi a»
duido tutto sì diede alla filosofia. ^- 04. J/o rfo rf e/ /aj terzo, li, 3. r= 72. C /i e- / Ì7i ^ u e , .1 prodighi e avari dj
na, tra gli Epicurei. =- 05. Letto, fatto capire. I quarto. 7, 3. =:^73. i< o^ff 7« ,. rossa, inluocata, rise 10, 22.1
= Olì. /'IT- 7/ a, schietta, detcrminata. r= 09. /yO77te,|08. = 75. So 77 0 trattati , si stanno, rr^ 80 Atieai
73. Ouello altro. J'drinata. Posta, reuui-l Aristotele 7, 1. = 84. J e e a t C a , acquista. Dall ant. li
»
mentre p*.i «iiii. u». v.iit;iii ir. «kiumi I'I|iiiiic:;<i 1,-11 uniiKii'^f. . I ■ tot. .. u....^".- . ^ I „»».
yi Se — mai, come v. ! 4., 13, 85. (• dlsi.ler,ui\ o o depreca- ^^ 103. Quella natura. =r- 100. A>u e. natura ed arti
tivo. Itegge, reggi, o regga, ti governi, sussista, ti man- Cose del rod. bart^ parlroppo^c. = MU. L, a sua
tenga Hodo. rr-r 80. .trina, fiume \iciiio a Munte Aperto,
<ive Fariiiiila disfece ì <;u«'lfi fiorentini. / illuni cron. 0,
75. :=; b7. Grazi on empia, invettive. Tempio, curia j
"uace l'arie; rìse. 103 si = 111. Altro, frutto di
denaro. ' z= 113. / p esci — oriz., apunta 1' aurora, pei
clic essendo il bolc ucll' ariete (I, 38), i pesci si levano 111
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
anzi del sole. 114. Carro, l'orsa ma^^gìore. Coro\
eiito tra nccidente e settentrione, lat. caurus, gr. ayiovìv, !
r^j'tffzjjjj ponente maestro. - — ■ Ilo. 1> i s m o n t a , accade.
C A IV T 0 XIII.
XII.
j 1. />i ?c! dalla fossa sanguigna. r=r: ti. Schietti dritti
jB senza nodo. Ted. schlicht. =^ !l. Cecina, \ìume
iche sbocca in mare mezza giornata lootano da Livorno versò
Uoma. Cor ne lo, piccola città della provincia del Patrimo-
Inio. = 10. ri rp le, figlie di Taumante e dElettra, uccelli
i. bcniva e schifa, con viso e collo donneschi, nominate Aello, Ocipete e Celleno.
= i.Iluina, incerto 12. S t ro fa rf e, isole del mare ionio. Tristo annun-iò
, ^ ^ . 3 tra TrevigI e Trento En. 3, 254. ss. rise. 7, 109. = \9. Sabbione del gi'roii
che 1). conobbe vnendo nel i:iO:? in \ crona prefso Bartolora- terzo. 21. Torrien ( lez, de 'migliori codici) incredibili se
leo della Scala. Troija %eltro allegor. 1. (j2); o di un io le dicessi, (rise. 50) in vece della comune daron ''?2
2. Quel, Minotauro. 11 ss. :
'oce tedesca *■ e A e u , ingl. « h y.
e di una gran parte di Monte Barco
éacca. V. a 7. Iti. 12. La infamia di Creti, il .Mino- dilaceri, rompi. r=r 40. Z>i un stizzo i»., sottintendi avviene
juro mezzo uomo e mezzo bue, concepito da Pa^ifae, mo- Stizzo, tizzo, tizzone, lat. titio, taeda, Jù,% àaóo^ dà
Ile 01 iVlinos, re di Creta, per mezzo d un toro, che ammise t t . , , ' ..'s "-""^t "»
inserrata in una vacca fabbricata da Dedalo. = u. s £ e s- ; ^""'. '""""'"* '?'"™^ K"""''*'^ '^"w, ;fa((y, ardeo. = 43.
0 (così) Minotauro. 15. ri//i a eco (cod. Bart., più numero- Lezione di buoni codici ! Sc/i e,? g- io ro £ i a , tronco scheg-
amente) lacera , consuma. Affine al ted. brechen, (jaco. ^'*'"' fhiantalo. L^s ri e n , forma frequentissima, couvìen a
g „ f ' „„ „,,-' - . .„ e -1 . • • • ^ • parole e sangue, che non e ne sii essi, né e iss . 44. Ci-
f . e / sono alJini ; r si muta iacihnenle lu ?, o j, come in ' . • ,i ,. .. ^ cm. si. i^. wi
alzo laro, no taro. = L'i. 1 1 — Jtene , Teseo. "*<*' ramicello , germoglio, rampollo. Da y.vua , afiine al
=: 20. Tua sorella. Arianna, figlia di Pasifae e di Mi- 'e''- Keim, fr. scion. = 4(i. Et li. Dante. 48. li ima,
OS. = 26. Varco, apertura, è affine al gr. iny.o?, ted. 'I?""' parola. == 'fi Inveschi, lasci vincere dal piacere
Ver e A, ingl. ,, a r A-, luogo cinto dì siepe. = 28. S ce r- I '^' 7e"'"^? ^ ^f} f 'o",'""^^"^!' 1^' q"e>la cortese promessa.
0, royesciainento. ~ :«. Spensi, resi vana. r= 3H. | ^- ^"""'' "'°P- "' V '''"*• "^^ '^t. viscus, t,-r,,-, mgus,
'olui. Gesù. La gran preda, le grandi anime del lim- ' y.tano: , vischio, pania; come poco innanzi adeschi, alletti
0. 4, 55 ss. r= W.Feda, brutta. Voce latina! i o — | coll'esca. = 58. Yo «ora ecc. Pier delle Vigne, Capuano,
"""■"'" "' amore, cancelliere di Federico II, imperatore, caro a lui un tei!i|io so-
vra ogni altro, ma fatto jioscia accecare , perchè accu.-aio d'
infedeltà e di tradimento da nemici. Si uccise da sé. f Ula-
ni tì , l'i. Ambo le chiavi — serr.e di ss. Traslazione
di frase biblica! =^r bl. Segreto suo, confidenza di Fe-
derico. b2. l'or t ai, serbai. tì:{. Li sensi e i polsi, le-
zione bartol. e mantov. , come con piccola mutazione un tri-
zio r, si destasse nel)' universo un suo principio,
pposto all' altro, la discordia cioè, dei quali la contesa ca-
ionii il caos. £ chi, Empedocle, rr^ 45. Altrove, v. 21,
)H ss. Riverso, rovesciamento. ; 46. A valle, al
asso 20, 35. Così in Ted. antico zutìial. ylpproccia,
ppressa. Fr. a/ip r 0 e A p r , lat. approximare. : 4!).
'dira e folle lezione ottima del cod. Irivulziano. 51.
inmolle, bagni. =r= 55. Essa, fossa. In traccia
orrean, perseguitavan 1' uno 1' altro. .57. Solean, si
iole. = (i3. Se non lo dite. : 65. Chiron, capo
centauri. Costà, ov' essi sono. Opp a costinci, da
nve Siam noi. 66. Tosta, 2, 42. = 63. Fé' vendetta
r mezzo della camicia tinta di veleno dell' idra leriiea, e
Ita a Dejaiiira colla falsa intimazione, che con essa sarebbe
lento 1' amore d' Ercole per Iole. 70. Al — mira, peu-
riiso. 72. Eolo, uno de' centauri, che si trovarono al rat-
d' Ippndaniia, sposa di Piritoo. 74. finale, cliiun-
e. Si svelle, esce. 75. Sangue, riviera del sangue ! nìtà'.
7). Sortille, le diede in sorte, r:^- 77. Cocca, lacca
Ila saetta, nella qual entra la corda dell' arco, strale. 78.
'ece — mascella, per parlar più liberamente. = 81.
net di rictro, Dante. : 83. Era colla testa. 84. Le
uè vaiare d' uomo e dì cavallo. Consorti, contìgue,
88. Tal, Heatricc. Da — alle luja, da"
senni equivalente ( .5 j" /; 7j ) , donde agevolmente si
'origine della lezione comune sonno, le ne, ch'è
vulz. ha
spiega l'
in altri, non con\iene a perdei. b4. ss. La mere-
trice, rinvidia. Ospizio di Cesare, corte imperiale.
Putti, puttaneschi, seducevoli. ; 1)8. L' Augusto del
cod. bart. sembra miglior, lezione, pcrcliè dinota più special-
mente Federico, rr:^ 70. Disdegnoso gusto, furore, ia-
degnazione. 71. Disdegno, disprezzo. : 73. iVoi'e,
stiane. "ih. Che — degno, benché fra gli erelici (10. 119).
D. per esser giusto e se\ero giudice non si spoglia mai duma-
77. Conforti, corrobori ed erga. 85. Se.
v. a iO, 82. — 89. .\ occhi, alberi nocchiosi, ^mz 96.
Foce, cerchio infernale, fauci. =:r-i 97. Jj a selva del gi-
rmi secondo, mr 102. i''/ n e* t ;• a, uscio. :=- 103. Eer —
spoglie, coi — corpi. == 111. Porco, cingliìale. Cao-
cja,icani. Posta, sito de' cacciatori. 114. Stormire,
ingiunte, rrrrw. Tal, iteatricc. JJ a — a 1 1 e luja, Uai i r^,. romorc. Voce tedesea stiirmen, affine a {>vov,io:. tuo
tradiso. 90. Futa, lurace, rapace; onera, ria. l'urg. 33, . , ,,, n , r .,■■ '. "*,
. Pr. 9, 71. Il senso resta, comunque sia derivata la parola! j/^'ii '"^C'.^'ó roovu}. = 117. Jtosta, frasca. I-orse il ted.
ladron perii aggiunto (affine al lat. lateo , gr. ).u:)nu,\Ru-t h e ,_ da òujiòui. Questa origine non ripugnerebbe alla
iscoiKJere, nascostainenle) par che giustilirhi la derivazione '""'" — ' '" '" " '"""'"" "'"' ""■ — .-i-.-;- ~----
ifur, furare, sicché sia afiiue a y // r A o, birbo fro-
e, ed IMI crime dinoti lutti. \i si arrogc , che vuol àddìta-
:, non esse rainbiduc entrati iiirlìvamente, o nascostamente.
al senso con\ iene ancor a' luoghi citati. 93. A pro-
I, appresso. Dal frane, ò preuve, lat. prope. 94.
nuda, passa il guado. Ted. waden, gr. fiaej , jiaócì,
t. vado. ==■ 97. Poppa, lato, come mammella 17, 31.
. C'ansar, allontanare , evitare, scampare. Pare afiine al
(1. schanzeu. rrr 102. .Ieri del cod. bart. è più cs-
essivi», che alle, r— lOli. Spie tali, crudeli. 1(17.
lessa ndro; incerili, se \l. .Macedone, fereo, tiranno dei-
Tessaglia. Di il n i s io ài Siracusa.. r=: 110. .Izzoli-
') , Ezzelino di llomaiio, vicario imperiale nella Marca tri-
^ìniia, tiranno de' Pailovanì, iialo nel 1191. III. Ubizzo
■i Usti, marclK^Hi; di Ferrara e della Marca ancona, sulFo-
lo da un suo ligliiiolo, detto c|ui ///j //(/«£ ro. ; — ■ 115.
i affisse, fcrmossi. r- — 119. Colui, (iiiiiln di .M<iiilor~
Iti' 1270, nella ciltii di \ilerbo, in chiesa (//< g r < ni b i,
din e ìli tempo di messa con una stoccala proilil'iriiiineiKc,
\eiidicare Idbbrobriosa morte di suo padre .'<ìmoii<- d.ilagli
Adoardo , fesse lagliii, ferì lo cor di \rri;io, lìgliiirlo
Hiccnrdo, imperalor tedesco ( Mi ii.cls trniscJK; <;i.>cli. ;
quali- in una coppa, collocala nii di una co
I ponte del Tamigi ( Ciuv. I Ulani er. 7
cu I II , cole, \eiiera n;
122. Cassi), torace,
migliori lesti , in vece
ttilii. re degli I uni. 135. l'ir ni, re degli l-:piroli, n Al
neiniro ile Itomaiii. Sesto i'ompcii , corsale. \.
pil. 125 1— 137. ìliniei da t'o r n e / o , ladrone
Ila spiaggia mariiima di Uoma. U. Pa:^zo, aesassino.
:!ii3
ma sopra
) « ;; r o r
l e r e. :-
pn ' ■
ligiosaineiite. \ ocu lai.
— Corca, lez. più
dì co p r i a. r— 131.
sìgnìlìcazione di grata, o fascina, che poi inetnroricamente
varrebbe impaccio. 120. La no, Saiiese , il i|iiale roxi-
iialo audì» con l'esercilo di Siena ad Arezzo in aiiim de' Fio-
rentini. In agguato degli Aretini alla Pie\e del Toppo nel
1288 ne ruppe quanlitìi (Oiov. lillani 1 , 119 i, e l.ann di-
sperato si gilti» tra' nemici, per farsi uccidere. =—- 121. Gio-
s t r e, scontri , conte^e. Ted. Ti o s t , (r. j o lì t e , da l osen,
stossen, ferire con impeto. 123. Fece groppo, si rin-
cantucciii, s'appialii (127) per nascondersi. :r— 133. Jaco-
po dalla cappella dì *'. .Inilrca, genliluoino paiUn.uio, in-
nanainenle prodigo e suicida, r — 136. Senno, sermone,
parole, r— 142. Cesto, cespuglio. 143. Cittii. l'irenze.
Cangio, poiché, incendiata da 'l'otila, fu riedilicala dèi Car-
lo M.igno. ( / Ulani cr. 1, 42. 60. 2, I.) // p r. padrone.
Marie. L'iniinairiiie di S. (Jiin. liallista e.-seiido scolpita nel-
le iiioncic lioreiìlìnc, \oglioiio alcuni, che riinpro\eiì a' Fio-
renliiiì d"a\er trascuralo il \alore per avarizia, v. 16, 67— b9.
73—75.6,71. rT^ 115. / e ti guerriera. lUi. In sul pas-
so ili .1 r n o, su un piliere in su la riva del detto liiime. dov'
é oggi il capo di Pillile \ errhio. lillani 3, 1. / ista
sembianza. =- 149. IH III ila. Alcuni Icsiì hanno km^
e ine r che di Tot il a r. coiiforinenu-nte n lillani '2. 1.
Sembra dunque che D. segua uno sbaglio comune a suo l<-in-
po. ^-rr 151. (iibellì. le/, bart., e forma pio simili^ ,il. Ir.
filici, forra. Secondo Jacopo della Luna i|uesli fu
lOllo degli Agli, che de domo sua inslilnit i|uinqiiu
furcasi serondo ullri Kocro de' .Mozzi , clic s' impicci), dopo
avere dissipale le sue ricchezze.
C A ;« T o XIV.
3. Fioro, linceo, stanco, rrr H. Landa, pinniirn.
\ uco goruiaua! = 11. t'oiao tritio del e. 12. — 12. .4
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
randa, rasente; propriamente all'orlo, dal ted. Rana, af-
fine a Grùnze, Rain, da òtoj. = 13. S;)a:.-o,
8U(iIo, spianata. — óamùor. 15. Che ecc., lez. bart. più ar-
moniosa! Addita la Libia, per la t|uaìe Catone coudu?!.e gli
avanzi dell' esercito del morto Pompeo, per unirsi a Giulia,
re di Aumidia. iuron. 9 , 371. = 22. Su;) in ecc. , i vio-
lenti contro dio. 2:ì. Raccolta, i violenti contro I arte.
Andava cont., i violenti contra natura. = 30. San za
vento, non isminuite dal vento. = 31. Alessandro lece
spegnere calpestando [se al p il a ìi d o , sopprimendo 15 ) le
fiamme salde cadute (i / vapore) ad una aduna. Torelli
prende solo senza esempio per sol lo, molle, tenero, rile-
rendolo a suolo, troppo discosto. 40. Tresca, ballo
di veloce movimento intrecciato; qui mena continua agi-
tazione. := 4t). Torto, bieco , torvo, ifi. Mar turi lez.
bart. più elegante e rara; forma non ripugnante alla ragion
grammatica, secondo la quale i ed o si cambiano con u. rise.
V. ti5. 52. Fabbro, Vulcano. : 55. A muta, a bri-
gata, alla rotta. Voce tedesca Me ut e, aflìne a motus,
movere, aii. Man gib e II o , Etna. = 58. Pugna di
FI egra, valle di Tessaglia, coi giganti. =r (jG. Farebbe
lez. bart. più energica e^poetica I : — 67. Miglior lab-
bia, di minor forza, in suono più mite. UH. Sette, Adra-
sto, Polinice, Tideo, Ipporaedonie, Antìarao , Partenopeo, Ca-
paneo. (i9. Assiser, assediarono. : 71. Dispetti,
disdegni, furia dispettosa. Fregi, pene. =: 79. Buli-
came, stagno presso Viterbo. Farton per bagnarsi ne'
bordelli. = 82. Pendici, sponde pendenti. 84. Liei,
fi. = 87. Sogliare — negato (lez. bnrt.) soglia dilesa.
: 90. Ammorta, smorza. =^ 91. Pasto, cibo, per
soddisfare l'appetito , la curiosità mia. ;:=r 94 ss. Allegoria
del Tempo e dello s\ iluppamento, o della deteriorazione della
mente umana I Concetto poetico profondissimo, alla cui forma-
zione concorsero idee mitologiche, bibliche, storiche ecc. Ris-
contrisi Tir gii. En. 3. 104. 8, 324. Ovid. Trasf. \. Van.
2, 32. Guasto, deserto, disfatto, rovinato, avendo già avu-
te cento città. Creta (per quanto lo mostra il passo di J ir-
filio, e Diodor. Sic. ò , b4 ss.) fu memorabile passaggio
I coltura religiosa intermedio tra Egitto e Fenicia dall' una,
e Grecia dall' altra parte. L'idea mitologica della permuta-
zione de' poli, e dì un dualismo , il quale (ieri» non ismeutisce
]a sua unità, fa che l'origine del mondo e dell' uomo è posta
ancora nel polo settentrionale, bianco, freddo, come per ad-
ditare cos'i il principio scuro e manco di sapevolezza ; alla
qual pur essi tendono. Laonde qui Creta, secondo l'etimolo-
gia l'isola bianca, perciit detta ancor Caiidia da cande-
re, è il punto originario dell' umanità, o del mondo già ca-
sto e innocente, vivente nel secol d'oro, o della luce, dello
spirito, e opposto a quel d'argento, delle tenebre, della na-
tura terrestre. 9li. Re gè. Saturno, detto ancor Crouos, cioè
tempo. Cic. IV. D. 2, 25. = 97 ss. Ida, si la montagna
cretese, che qui è intesa, come quella di Troade , famose nella
mitologia pe' dattili idei, le mele dell' Esperidi ecc. destano
l'idea di un soggiorno beato, d'isole di beati, di paradiso, e
percii) d'un Beggio originario, f ieta, vecchia, fracida.
= 100. Rea, Cibele, Terra (in forma d'acqua, da (ntu),
consorte di Saturno, che divorava i suoi figliuoli. Figliuo-
lo, Giove. 101. Facea far le grida con cembali e fra-
gorosi strumenti di festa. Allude al culto de' Corìbaoti , o Cu-
leti , che poeticamente interpreta. =^ 103. / >^ / «o, statua
d'un vecchio. 104. Damiata, città d'Egitto. Uinota l'orien-
te, come Roma l'occidente. =: 106. Simboleggia le quat-
tro etàj che hanno i lor nomi da' metalli ( liquativi nel fuoco,
principio delle cose, e percii» atti a dinotare creazione di nuo-
va età), ìu quanto questi nella mitologia s' identificano con gli
elementi, e questi co' temi)i. Succedonsi dunque qui l'età,
come le membra del corpo. 108. Inforcata (lez. bart.) quel-
la parte del corpo, dove l'uomo si fende. =—. 110. Significa
la presente età depravatissima e caduca; onde la terra cot-
ta. =—- 112 ss. Arditamente accoppiando l'interpretazione inì-
ica coir etjca, e significando la deplorabile depravazione del-
la generazione umana, finge, che da ogni parte, fuorché
? nella d'oro, goccino lagrime, le quali formino in fiumi in-
ernali Acheronte cioè, secondo l'etimologia, privo di
allegrezza; .S t/j? r, degno d'odio , e tristo; F le g etonta,
ardente (onde 131 ha /'arr/ua rossa. 12. 47 s.s. ) , e Co e ito,
pianto. 117. Doccia, canale, condotto; dal Int. ducere
n da d'i/ilor. Uve — di smonta, al fondo dell' inferno.
=rr 121. R i g agn o, rivo, dal lat. rigare, r^ 121. f'iva-
Rno, ripa, orlo, 23, 49.; propriamente de' lati de' panni. Af-
fine al ledefco w e b e u , tessere. V. a 23, 10. 12H. Vol-
to, vista. : — 132. Piova, pioggia di lagrime, rr^ 13(i.
Fonta^ cavità infernale. Rimanda al Pg. 140. Ji ose Ot
de' suicidi. 141. Aon arai, perchè di pietra. 83 8.
Canto XV.
ì. A du g gi a , fa nembo umido, svaporando pesa.
Da
vm , vZo), vadiii , nudo, ted. kc h w il z e n, S e h w ade n.
Dice, che il l'uuiuiu di sopra sospeso smorzaNa ogui fiamuiellu
(14, 90) ed impediva, che né l'acqua bollente, né- gli argini pi
gliassero fuoco, o s'infiammassero di iiamine vive. Onde no
garba la lez. b.irt. salva l'acqua li argini; perdi
V acqua sarebbe allora il fummo aquoso, e jierciit quat
correzione o ainnienda di fu m m o, superflua a cau^a d' ad ug
già. ==r 5. jpj'of J 0 , flutto, marea. Si a i' iw 7/ t a, si lan
eia con la forza di vento, fi. Fu g già , fugga. !
Chiarentana, la parte delle Alpi, piena di nevi , dov
nasce la Brenta, ingrossata dalle nevi liquefatte. == K
«^u e Zii argini. 12 Felli, gli fece. r= 15. Per eh
benché. =z 19. Sotto nova luna, nello spujUar la 1. =r: '.
Cruna, foro dell'ago, onde s' infila; perchè scavata, coni
YQcirr;, da yjaw, è grotta, [lictra scavata. 20. Cott(
abbrostolilo. 29. La mia alla sua f., lez. bart. pi
convenevole all' atto d'amor e di riverenza, come i*g. 2, 75
che la mano. v. Monti presso ^'iviani. 32. iirunel
to Latini, fiorentino, maestro di Dante. Scrisse il tesi
ro in liugua fr. , e il tesoretto in lingua llorent. , mori ni
1294 uomo mondano, guelfo, v. Ugo Fo^scolo Dante 1, 277
1 Ulani (j, 74. 8, 10. ferticari nella Prop di Monti. 1, 1. 1".
Jf'achler Gesch. der Lit. II, ll;8. : — 'i3. L a s e i a — tracci
non segue le pedate de' compagni. : 35. As s e g già, £
seda. : 39. 11 s€nso necessariamente chiede un verb(
che significhi muoversi, dibattersi, dimenarsi. 1 lesti ondeg
giano tra arrostarsi [lo quale spiegano sventolarsi, d
rosta (14, 27), donde Monti ha un esempio neli' Aggiunte
Chi sa, se non appartenga alla famiglia di (-a^o, (jijaaw,
d^toj, dal suono trasferito al molo"?] Tostarsi, restar
si, ristarsi (che sarebbero contrarj al senso) e r il tara
cioè levarsi in piedi, affine a ùoiyio, ted. recken, r e g e r.
richten, aufrichten, lat. rectus. La (irima lezioni
benché la vicinanza di s'arresta nel verso precedente d
sospetto di golferìa di copiatori, e benché ella sia difficile
spiegarsi, sembra perii preferibile alle altre, che seinbran
chiose. r=r 51. i'i ena, cioè nella culminazione, nei mezzo, e
è quella età, in cui come desto dal sonno si Icovh smarriti
==; 53. (Quella valle. 54. Ca, casa. Voce lombarda! =
5b. Fallire, mancare. Monti Prop. 2, 2. 208. not. 1. =^
bO. Opera, scopo glorioso, intenzione gloriosa di procacciar
f unità della nazione sua. : ^ bl. Q u e 1 1 o ecc. il popol
fiorentino. = b2. i^i eso / e, città antica situata in monte, circ
tre miglia da Firenze. = 03. Tiene l'asprezza e la durezz;
=:r b5. Lazzi, aspri, lapposi , astringenti (forse
Xaaiog, óaou; ;). Il tutto è proverbio biblico. b7. Urb
ciechi. I Pisani avendo, in premio del gnarnimento di Pi
fatto dai Fiorentini durante la conquista dell' isola di Maiorca io
(nel 1117) olferto a' Fiorentini, di scegliere o due colonne t' '*}
porfido guaste e perciò coperte di scarlatto, o due porte t
bronzo bellissime, i Fiorentini si capparono le due colonne
f'illani 2, 30. 68. Forbì, netti, purghi. ^=r 71. La u n
parte e l'altra, la nera e la bianca. : — • 73. Le — fiei
i Fiorentini. Strame, erba che si sterne in cibo e leti «
alle bestie. OTiiù/ita , strame n tu m. r= 75. Letam
paglia infracidatasi sotto alle bestie. Da letto, quel su i
cui si posa uno, dal ted. legen, come il. lat. lectus, fi ^.
lit, / iti ère, onde pure la forma /if tam e. -. — 79. Pit*.
n 0, soddisfatto. =81. Posto in bando, esiliato,qui morte','
Bando è i\ led. Bann. = 88. Corso, vita. 89. y7/tr',
testo, la predizione di Farinata 10, 79. = 90. Donna cci ,'
Beatrice. !ì2. Garra, garrisca, sgridi, rimproveri. ^= ,„,
94. Arra, predizione sicura dell' avvenire. Non è novo
per quanto disse Ciacco liif. tì. Farinata 10. : — 99. Be
ascolta, intende. /< a sentenza Eneid. 5, 710. _Su/)era?irf
omnis fortuna ferendo. =r lOti. Cherci, clerici, sebbe
in que' tempi eiì anteriori più barbari slimati fossero deposi
tarj della coltura, sono pur qui distinti in qualche modo da
letterati, e jierciii soltanto mentovati corno lerci, lord "
imbrattati di un in ed esmo p ecc ato di sodomia, rr-r 10}
Priscian di Cesarea di Cappadocia, grammatico del secol
sesto. 110. Frane, di ,/ce p rs o fiorentino giiiriscnnsulti
professore bolognese, nato nel 1225, morto nel 1293. ìfachm
lers Gesch. d. Lit. II, 281. r= 112. Colui, vescoMi Andre
de' Mozzi fiorentino. Servo de' servi, papa, o Mcola
III, o Uonilazio Vili. 1= 113. Trasmutato Iraslerito dal ve «i:
scovado di Firenze {Arno) a quello di \ iceiiza (liacchiglione] i.
114. Lascio — nervi di quella parte del corpo, ch'è beli le
il tacere, e di cui quell' attico Monsignore fece tanto mal ug
(Munti Prop. 3, I. 164.), cioè mori, rzrr: 122. Corrono -
verde, il che solcasi fare la prima domeuica di quaresima
Canto XVI.
2. Altro, ottavo. 3. Arnie spiegano a ragione rasct
te da pecchie, o vasi, nei quali fanno il mele le ani, delti nn t
che alvei . dal lat. hirnea presso Flauto Ampli. 1, 1. 27J l<
e Catone Rll. 81. e ir.ale \i\ìani difende la lez. bart. arni H
falsamente prcnilendolo per arme, ni quale non qiiadr
rombo. Sana dunque senza altro è la parola arnia, •
arn a (benché forse voce di uu qualche dialetto ) e assuuaat ii
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
ijoov, sciame d' api, e corba di api, o ad aijòi/o; , cine tima parte. rr= 47. Soccorrèn, difendevano, fecero
rea, (Ielle cui forine varie si vvgaau gV interpreti d' Exi-
'lio e di Meride. z — Sostati, lermati. Voce lat. sub-
iste. !t. Terra prava, Fiorenze. 11. Incese.'
on ostante il frequente cambiamento delle lettere non par
estieri di derivare questa voce da incido per i ii e i s e,
entre che ancora incese da ine en dere nel scuso di
schermo, occorrevano. La Ii'z. bart. si accorrila
pila. 57. Si pasca in rimembranza e pena. =r- 59.
Accenna la famiglia tioreiitina dei Gianfìgliacci , di coi l'arme
era un linne azurro in campo giallo. li3. Oca — liurro,
arme della famiglia llorentina Lbbriachi. = (il. Scrofa
(troja) azzurra e grossa (gravida) arme della famiglia
padovana iScrovigni. := (iì. Jitaliano del Deiiie, vici-
lutcrizzare pui> riferirsi a piaelie. = 20. Lo antico pauovana >crov)gm. = bi. / italiano ani Ueiue, v i,i-
1,27) y e rso, pianto, ululato. = 21. FenTio, fecero, ii or a " " ' concittadino, usurajo famoso. = ,i. J l cavaUer
i, 37 ss. = 22. Solca n già. Campioni, [leA. Kà w p en) ^^Vt?^" ironicamente Gio. «ujamonte, il più inl.ime usura-
ii pugili e palestriti. = 23. Avvisando, fissando. = 28. , J" d Europa , che taceva quel] arme di tre becchi, o ro..lri d'
'se. O e è scritlura antica in vece di eli; o e se è, come "c<:ello == i^o. Riprezzo, ora ribrezzo, quel frt '■-
lat. et si, benché, donde gli esempi non mancano nel Pe- 1 « tremito che precede la febbre. Appartiene alla famiglia
arca. So / /o, non assodato , soffice, non fermo. Dal greco Jed- brechen, b re st en, b er sten, gr. (laaaoj , ,i'_.u
iv/.o;. = 30. Brolln dicono essere, spogliato, nudo, scorti- ^n?}-t> ur st,br uise, frush,U.b ris e r.= hi Fur gu
ito. 34, bO. l'g. 14, 91. Altri lo derivano dal frane, brìi- da» <' o il r e z za , già. imaginaDdo 1 ombroso luogo e tre
O e è' scritlura antica in vece di eli;' o e se è, come! "c<:ello == ^5. Riprezzo, ora ribrezzo, quel freddo
lat. et si, benché, donde gli esempi non mancano nel Pe- 1 « tremito che precede la febbre. Appartiene alla famiglia del
arca. So Ilo, non assodato, soffice, non fermo. Dal greco Jed; brechen, breiiten, ber sten, gr. (laaaoj , ,-i'^t:yoì^
ar-
resco.
ir, che sia bruciato, bruciolato , brustolato, e quasi crepola- Rezzo è il gr. (iiyog , (fi;'^, ijiy.vo:, lat. frigus, rigor,
, screpolato. Forse è imbrattato, e in tal modo alliue al ir. J r uid , fr ai s , teii. fris eh , Frost. yi. Io ecc.
breuil , ted. Briihl. o pure metatesicameiile da possono esser parole del poeta non già narrante, ma che si è
-xvlo;, (p/.avooi, brutto. z= Freghi i piedi, camini, lanciato sulle spallacce di Gerioue e come se volesse dire: or,
= -il. Guaì druda, vergine fiorentina bellissima , figlia dunque io mi sono assettato. Ma la paura gliele^ tronca, e
Bellincion Uerti (Par. 15, 12. Ili, 99.) la quale non sdilii.
dice sol ansiosamente: fa — abbracce. = 95. Ad al-
mperator Ottone IV la baciasse. Divenne poscia mo- f» f o r t e Ai sopra fortemente. Torelli legge ad altro
ie del conte Guido, donde ebbe tra altri un figlio IJuggieri, / » r « e , ad altro incontro difficile; o\e forte sarebbe la vn-
idre di Guidoguerra. I Ulani cron. 5, 37. r= 41. T e g- ce lAt. }ors, alfine a cpooog , ferens. Miglior ancora e più
hi ajo Aid. degli Adimari , che nel TitìO sconforti) riin- elegante ci sembra la lez. dionisiana /o r,s f- cioè stato caso
esa contro i Senesi invano, onde segni l'infelicissima rotta dubbioso, adattata perciìt da noi. La ripetiz'ione di altra e
Arbia, o di Montaperti. 0, 79 f oce, fama civile, o in male, a^tro facilmente si torrcbbe con leggere alto forse cioè
in bene; 7, 98. 33, 85. Pg. 24, 121. Par. 25, 7. r=r 44. Jac. molto, sommo pericolo. = 101. Sj tolse Gerione're di
UH ticucci , onorato e ricco cavaliere, marito di moglie Spagna, ucciso da Ercole. r= 102. A gioco ih ispazio largo e
rosa, /sera. = 52 ss. Ordina :< os £o e Ae — i> e /i / .f- aperto. =: 105. Con — race ol se come l'anno i nuotanti.
. non djsp. — rfiapog/jffl, dispoglierà. = (ìl.Fele, = ÌOI. Fetonte. Ov. Met. 2 , 200. = 109. icaroOv.
510 dell' inferno. i>o^ci po;/( «, virtù del paradi.so. =rr 03. Met. 8. r= 117. Mi venta, il vento mi urta. = lis!
orni, cada, discenda v. 32, 102. Affine ao/suj, ffrfj-Jcu, é^o rgo, sfondo, ove casca il ruscello. =^ 119. S t ro s ci o fra-
ef,^o,,Tt^(ioi, fr. tomber, ted. taumeln, it. t o m- ^b*'''';= j';^^- f;7.''.''ÌV''-'"''''\'^^
', ' ' '^' i^ /•. . ■ .• -11 .,. , \ ri accoscio, ristringo e risrrro le cosce. 124. / e di
lare. = b7. Cortesia, onesta. = <0. C.ugl\c ve de a sembrano più naturalmente corrispondere allo
orsiere, valoroso e gentil cavaliere faceto. Hocc. \,^. scendere e girare. = 12H. L u d o r o e l u dro \ez
l.i. Gente nova (novi homines. Cic. Agr. 2 , 2.) che bart., forma veneziana, un finto uccello fallo di ci
, sopra la badia di S. Iteucdetto, cui le terre apparlene-
I a Huggieri di Uovadola , tiglio di Guido S.ilvatiro.
oj/ffl veltro alleg. 73. : — 95. fesa, Monviso. Proprio ca-
ino, particolare alveo. 98. Si divalli, caschi,
i nella valle. Basso letto, piano di Itomagiia. : —
.. Scesa, precipizio, balzo. 103. Mille abitanti, per f.ire
villagfjio. T=z lOli. Corda in senso allegorico dicono es-
8 ruiniltii, con la ipiale l'uomo accostarsi (ie\e alla scienza
con rapporto al Pg.7, lealtà, sincerità. Chi sa '< = 114.
irratu, luogo scosceso dirupato. 12, 10. 122 s.
il — scopra, che veda distintamente quel clic pre-
;ì8ci. _12(i. Fa vergogna, accatta beffe, r^ 127. Ao-
, canti 32, 93. = 132. Sicuro, fermo, iiilrepido. —
. (iiiiso, al fondo del mare. =r- 13li. Che, marinaro.
su, nel capo e nelle braccia. Uà pie, nella inferior
-te, nelle gambe e uelle cunce. itaftr appo , ripiega,
coglie.
pie raseute vicia vicino.
Canto XVIII.
C A
!V T O
XVII.
1. Maleholgc. Bolgia in lat. mczz. huìga, fr.
bouge, poche, ingl. budget, alTine al ted. Balg,
Fé II, I lauss, lat. vellus, villus, è tasci lunga. =^ 2.
Ferri gno, rugginoso. Monti Prop. 2, 1. lOli. =: Drit-
to, giusto. Maligno, pieno di maligni. ^^ 5. Jane g già,
8' apre, spalanca. r=- 0. JJi ecc. lezione dionisiana. = 7. f."
ij^ I a cagion di dur a, si stende, omette il cod. bart. = 9. falli,
argini, bastioni, steccati; lat. valium. = 12. La parte
(il circondario terreno) d o v" ci (i fossi) son, rende I i g u-
ra (forma aspetto, rende imagìne. Pg. 9, 142. Coin. 3" cioè:
quale è la ligura , l'aspetto, che filino i fossi de' castelli, tal
era la ligura, l'aspetto, che làceano (|iil\ i i fo>si di Malebol-
ee) è lezione \era di cinquaiiia le.-li , difesa pure da .Munti
Prop. 3, 2. 184. in vere della criiscaiia rcndon sii tira , o della
vaticana dove il sol rende figura, r-rrr 14. Sogli,
soglie. = 15. Di for, ultima, zr^ .Movìn, principiarono,
sortirono, cbber origine. ^— 18. Haccugli, raccoglie.
=m 22. Uepleta, piena. Jialiiiisino ! r— 24. / chi un,
gli uni, (|uclli dell' una bilgala. Da m e z -.. o in qua, dal in.
della larghezza della bolgi.i sinoalla sponda.
\. La fiera, la sozza imagìne di froda (7), fìerionc. 7^-2
issa, trafora. :^-- 3. A pp uzz a e, mpie di puzzo, corrompe.
Tivm , iivOdì. n— (i. Marmi, sponde inanuorec. 14,
141. Monti Prop. 3, 1. IDI. r: — 8. .Ir rivo, mise a ri della larghezzi della bolgi.i sinoalla sponda. — 25'. I> i I il dal
l'oggiali legge: siti venne a riva con la t., die par mezzo della bolgia alla sponda opposta. . — 'ìf*. l'.sercitOj
osa. r — : 12. Fusto, tronco del corpo. ^Oll bene il «-od. lolla di genie. •—- 29. /y' h ;i ;i o (/ , / g i ii h h i l < o l:iOO,aiiiio di
'" " ' • :.. 1- ......i;..^:...... ;..f ;i..:i.. ...I «.. :.. .i..* i';...i .; .1.. u.. ..:*•...:.. iiii
t. ha/r««fo. 15. .\odi e rotelle in se(;.ni d
■ighi e raggiri. Iti. Som messa fondo di it la o
dtura, sul (jiialc si rileva il ri^^ilto, cli'i^ detto sopra po-
1. - — 18. Aracne, lessitrice di Lidia, vinta da l'.i'
e provocata, e da essa cangiala in ragno. Imposi e huI
i.io r 19. It archi, sprzie ili iia\igli, barca, laiiria. = —
Lurchi, golosi. Tra li 'J'eil., sul Oaniiliio. —r 22. Ui-
ro, del coti. b. è forma forse più antica, perchè iiiii l'iiiii-
i fi ber, donde deriva. I<'ar guerra ai pesci, con la
a S(|iiaiiiinosa, larga e grassa, con cui gli alleila, r — 21.
lez. bart. rimuove la hìiicIiìsì della xolgarc* su l'orlo
e , di pietra, i l s. s. z — 28. .S i t orca - 11 n p 0 e o
i destra, v. 31. rr— 31. iM animella, lato.: — 32. Dicci,
hi. .S t rrHio,eHlreinitìi dell' orlo, r — 33. Cessar, exiliire.
Ilare, schifare, Hcaiisarc. Par. 25, 113. Coin. f. 70 K5.
è chloHa. r —
remissione, isiiiiiilo ad esemplo de' (ìiudei, da Hiuiifi/.io V 111
29. l'onte di casUl S. Angelo. : — 30. .Modo e-pcdieiile. cìoò
un muro di divisione nel ine//o e nulo al lungo del pome,
dove aiidavan gli imi, e Imn'ivaii gli iillri. Tolto, preso,
provvediilo. rrr- 33. Monti, o (iiurd-ino, o Giaiiirolo , 11
Avenliiio. :— 37. H e r : a , spiega il vocab. della Crusca
la parte della gamba d.il ginorliio alla noce del piede.
StiWi altro è la parola ted. Fcrsr, calcagno. Altri, de-
rivandolo dal l.it. viirices, iuteiidono vesciche, eiilialiire.
^^ 42. />i^i 1; H o, privo. - 43. I p i ed i af fi s s i , Ut-
mai. Pg- 17, ì). lezione de' migliori rodici etesii. Li occhi
poterono (ariliiieiile ingtrìi^i d.il v. IO. r-^ 49. l<'a-,ion,
talle//e, liiir.inienli. : '.M. I e ti 1 d i r o C n r ci n n i m i co. ho
logiiese, che per dinari indiihse la sorella , (ihi>ola , 11 cimi
Hciitire ili Marchese Olii/yn II da h'.sle. Signor di l'errara. 12,
111. -51. C/ii è li'/..di(;li olliiiii lesli, in V iTcdì chi; perchè
iliinqiie e chlOHa. r — 3(i. Loco scemo, vano
|irei:i|iizio, orlo. zr—. 39. Mena, maneggio; rome i 'l'è tinge il poeta con (|nalrlie ironia di non sapere pcrcliè "C. sia
rhi usano (iebr/re, (iebàrde, <i e b ar u n g. Anche qui, e V,. (;li dice pimcia il perchè. Salse coiidiinenti di «a-
» a apjiurlieuu u mano. = 43. Strema lesta, ul- porvtti, ijui uerbala. in uitro j>a /«e era iiu luogo fuori del
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
la porta di S. Maraaiile, o Miiininolo, ìii Bologna, dove si pu-
iiivau" iiialliittori (imperati. :=: 53. Chiara non lioca,
schietta; come mostra quel che siegue. =- 54. A n t i e o., carne
ili altri luoghi, bello, dolce , caro. Latiiiisrao! = J7. Co-
VI e ecc. comunque i-i racconti quella novella iiitaine. bl.
Siria, o .sino, modo bolognese di asseverare. Savena e
Reno, iiumi, tra i quali è situata Bologna, e parte del Uo-
logne.se. r^ 65. Se uri a da, sferza di cuoio (Ut.corium).
:= bt) Va conio, che vendono per danaro l'onesta. =: Ti.
JSter ne, continue. Cerchie, il muro alto circolare , ra-
sente il quale Gerione gli avea deposti. = 7j. Alt tenti,
fermati. 11 cod. lìor. ha a 1 1 e n f/ i. Feggia, lerisca, da
fieri ere 20 103. = Bl. Schiaccia , pesta, percuote.
Meglio si'leL'ge scaccia. =z Hi. Per, non ost^ante. =
8t) Core ardire. S en zìo, prudenza. ^= et. tolchi dell
Asia minore. Monton, vello d' oro. = 92. Isifile, c]ìe
Baivi) il cenitore Toante. ^= 90. Medea, ligliuola del re
de' Colchi, maga. = 9?. Va tal parte, con lusinghe
e promesse. 99. Assanna, afferra, serra, tormenta. z=
102 Spalle, appoggio. = 103. Nicchia, piange, si
lamenta con voce sommessa. Si dice del rammaricarsi delle
donne, quando si accosta l'ora del parto. Sembra dunque afli-
iie al greco iliw, vvaiito, vir/.si-o, pungere, punzecchiare, ted.
ne e I: e n , onde Niicken, ghiribizzi. Generalmente signili-
ca urtare' muovere con iscosse. ^=r lOti. Grommate, in-
crostate. = 160. Ci, vi, ivi. = 114. Privati, cessi. ==
V>1 Alessio Inter mineì, cavaliere lucchese , adulatore
esimio. = 124. Zucca, capo. = 12(). Stucca, sazia. =
127 /'tn^ /i e, pinghi , spinghi, cacci. =^ 130. _Fan f e, ba-
casela, /l/onfi Prop. 2, 1. «5. = 133. Taif/ e, meretrice
terenziana nell' Eunuco 3, 1. 134. Vrudo, amante conlideu-
T'angelista Apocal. 17, 7 ss.=:rr 107. Co ?p», la chiesa pA|f.
siede sovra le a et/ u e, impera in molte genti. =^ 108. Pii
(a ne|2-|gi a r, prostituirsi. = UB. S e t t e t est e , 6Uiiho]
de' sette sacramenti. 110. Vieci corna, dii ci comandi
menti Argomento, prova e segno della sua dignità
111. Marito, papa. 114. Orate, adorate. = 11!
// primo ricco patre. San Silvestro jiupa. r= 1'
Spingava, guizzava. Affine a pingere, .spinger
lat. impin g ere , p ugnu s, pugna, gr. :ivc., ted. fé e
ten, ìngì. fence. Piote, piante de' piedi. Affine a.:i/.aTV{
lai. lat US, ted. piati, jlack. == 128. Si, cos'i avendo-
mi tutto su al petto (125.) e ristretto a sé (127). jNon è d'udì
pò di legger sin, cioè sinché, o dispiegar si con siuché. z^
131. Soave, caro.
te; dal ted. Trauter , ài trauen, tidarsi
Canto XIX.
1. Simon mago. Att. apost. 8, 9 — 21. Da lui origina
simonia, il patteggiare e contrattare delle cose sacre. = 3.
Spose iigur. dote. = 4. ^ yo/t e r af e (lez. bart. in ve-
ce di adulterate, o dello scipito a voi tirate) é forma
antica più conforme all' antico provenzale avo Iter, dal lat.
ad alterar i. == »■ Soni la tromba, si dica in istile
epico =r 7. Alla, sopra la. =: 9. Piomba, sovrasta per-
pendicolarmente. = 14. Livida, ferrigna, scura. Fori,
buchi. = 18. Batt eggiathri, torma più molle, o bat-
te zatori con lo larga Simo battisteri, dal lat. baptiza-
toria. V. Vionisi Anedd. V. f. 120 ss. e Introd. 34. = 22.
gs Comunque si legga, o sijieghi il senso per altro chiaro di
questa terzina (fuori dell'orifizio di ciascun foro slese un pec-
caior i piedi e le gambe insino al grosso, alla polpa, e l'altro,
il resto del corpo , stava dentro ) , sempre pure vi resterà una
qualche trascurauza, e discordanza. = 2ti. Guizzavano,
si dimenavano, contorcevano. Giunte, membri, collo dei
nielli. = 27 Hit or t e, vermene attorcigliate. Strambe, l'u-
ni fatte d'erbe; affine a arniiiua, mottpo] , ZQsnc}. :^=
29. Buccia, parte superficiale. 33. Succia, succhia,
attrae l'umore, dissecca. : — 35. Più giace, è meno al-
ta. =^= 37. Mi è bel, m' acgrada. — - 42. Arto, stret-
to; lat. or fi fu s. Par. 28,33. 45. Zanca, zanche,
piedi, gambe. Piangeva, daxa segno di dolore. ^= 50.
yi.ssàssin fitto, impiantato vivo col capo in giù in una
Canto XX.
3. Sommer si nel baratro infernal , dannati.
Le tane, litanie, processioni, ove si fanno supplicazioni,
voti, in ted. G e/ ii 6 rf e , hrai. =r 13. Tornato, ritoi
lo. 14. Xi, loro. =r^ 16. Parlasia, paralisia. = 2J
Rocchi, massi prominenti. Gr.^toì, (im)"! , Riff.
28. Senso : qui l'essere spietato è pietà. =:z 29. C omport a, sol
fre. 31. A Ili occhi de'' Teban, veggenti quei
Tebe. 33. Rui, rovini, cadi; dal lat. ruis. Par. 30,
34. Anfiarao,ùg\\n d'Oicleo, o Linceo, uno de' sette 1 ».
assediatori di Tebe, per rimettervi Polinice. ,-\ndo alia gueri n
mal volentieri, a^ eudo preveduto, ch'egli vi sarebbe pento, la ji
indottovi dalla sua moglie Erifile._ Mentre un giorno valoro.sa o'u
mente combatteva su di un cocchio, fu assorbito vivo insieni mi
col cocchio e co' cavalli da una \oragine. V. Stazio Teb. 8, i »,
ss. = 35. A valle. Vi, 46. '.i9. Rit ros o calle, via retri
grada, passi retrogradi. Ritroso dal lat. r e t r o rs um, com
calle, da e a 1 1 i s , affine a x(w , xcm , y^loi, y.i'/.'/.c), tea .,|,.
wallen. 40. Tiresia Tebano , avendo battuto dnj,|
serpi si trasformi) d'uomo in donna, e ribattendoli dopo sett
anni, ritornò ad esser uomo. ^= 45. Penne, la barba. Pg
1, 4. piume. 46 ss. Aronta, Toscano, 7i e' mont
di Luni sopra Carrara nel Genovesato. Lacan. Fars. ]
586. ss. Ronca, netta i campi dall' erbe inutili e nociva ,'
e in consequenza coltiva. In lat. rancare. ■= 52. Rica^
p r e sciolte, perochè portavale nella parte opposta al» Jj]
faccia. 55. Manto, figliuola di Tiresia; dopo la mort j,;
del padre, fuggendo la tirannia di Creonte, abbandonò la pa
tria e vagando, ingravidata dal fiume Tiberino, partorì (>cn(
che 'fondò Mantova t irgil Eiieid. 10, 198s8. =: 56. Là dov
Il a e q u' i u , propriamente Andes , oggi Bande nel Maiitd
vano, qui Mantova. ^= 59. Città di Bacco, Tebe. =!|
1)2. Alpe, tratto lungo montuoso. = 63. Tirai li (l iltaà
Cron. 12, 84.) Ti rolli (cod. bart. ) Tirolo, borgo un a
capo della contea da esso denominata. Benaco, nome latj
no del lago di Garda. = 65. / al Camonica, tenn
no hanno i miglior testi e codici, in vece di e Appe nnin
della (Jrusca, o vai di Mon ieo (luogo di contro a Gard;
sulla riva occidentale, secondo Vellutello, Torri e LecI
ìirsseo Viviani. Pennino ( eh' é la cosa bagnata) è di
rainazione dell' alpi da Salò sino alle più alte scaturig'iii d(
Sarca, detta dagli antichi Alpes Poenae. Lìv. ^i., 3t -
— ()7 ss. 11 punto , ove i tre vescovi posson lar il sego •■
buca cavata 'nel terreno, e soffogato. Pg. 27 , 15. Supplizio I della croce ( s e ,gn a re ) , secondo Giov. Milani, ingegner»
■ -- ' .. .( ■ .1-. jj^.g jg acque del nume lignalga sboican
« ine cruda , .Manto. Stazio Teb. 4 , 463. :=r Htj. Art
magiche. = 87. / ano inanime. =- %'\.Senz altra s ot
te (ili antichi alle città edificate diedero i nomi a sorte,
da' qualche augurio. = 95. Mattia, srcmpiezza, sciof
chezza. V. j1;«h/ì Prop. 3 , 1. 112. Va Casa lo di, Albert
conte di C, castello nel Bresciano, a cui Pinamonte ^
«•liief». Allude ai manegg
INapoli contro Celestino V'. r=r bit. Gran mail lo papale.
z=- 7(1. Orsa, stemma della famiglia Orsini, donde era i\i-
coli) MI. Arriccili li suoi ad ogni modo. zn^. TI. S a nel mondo.
(iui, neir inferno, rrr: 75. Piatti, appiattati, nascosti, dis-
tesi al suolo. 77. Colui, papa Itouild/.io. =t- 78. Sub.
dom. v. .'«2. : 79. Piii-teinpo, venti anni; che mori
IVicoli) nel 12H0. 82. Di — legge. Clemente V, pei favo-
re di Filippo il Hello, re di Francia, assunto al papato. r=r
fe5. JuHon pervenne al sommo sacirrdozio pel favore d'Antio- - , , ,, ■ ■ ■ ...
co, re di Siria. Maccabei 'i, i. HI. Suore, Antioco. =^ ; no della città nel 1269. = 98. A It r tm e nti , ^a larci
fe8. /''o/<fi, ardiineutoBO. =iz 'M. /j\inima ria. Giuda, ne. v. .Scrr/o alla Eneid. 10, 198. ss. r= li).}. Pr oc ed
(li cui il successore fu Mattia. =zrz Ori. La mal f o /( a camiTia in processione. z=r Uh. B if i e d e, sì vìicusce, mv
moneta da (òan di Procida , trattatore della ribellione di :i8, 7.'». Munti l'rop. 3, 2. 220. rrr- 108. «j a andò — cun
Sicilia, cui il nsiillaineiito fu il vespro siciliano nel VMi; on- ! Addita la moltitudine de Greci, che a quella impresa passai
de assenti alla ribellione e scrisse a' congiurati, senza bolla no. r-rz 110. Diede, il j) » h ( «indico da augure il momen
,ipilc. I— 911. Contro Carlo II della rasa d' Augii), re di favorevole. A alide, porlo di Heozia. == Hi. In al et
.*.. ... . .t-7. ..-■.■■11.... I). U .. ^ n unni'... 1 111 Af
Sicilia, con cui volle imparentarsi, dando una sua nipote ad un
iiipoie del re, il quale parentado peri) ('.non volle apiirovare.
i»i-r questo Nicolo gli divenne nemico, e fautore della detta
congiura, lillani »lur. 7, DI. =rr 106. Paator, pastori.
loro. Eneid. 2, 114 ss. r— 11.). foco, smilzo, rr^ iiu. jh -
chele Scotto, di Scozia, indovino ai tempi di hedenco "
imiteratore. Boccacc. decani. 8, 9. l>go Foscolo Dante 1,3 r
— - UH. Guido Bo natii da. FoiTi compose un libro »■
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
strolngia, circa il 1282. Asdente, ciabattino di Parma. 15. Qm e.s t a o t ( o (ora) e dunque la quarta del giorno.
— Vl\. ss. Caino e le spine, la Luna. Caino, secoud(i| 115. Miei, demonj. :^ liti. Se ne sciorina, esre all'
piiiioiie superstiziosa (Par. 'i,')l \. JJrake's Sbakspeare aiid| aria fuor della pece, scappa su, per sentire qualche refripe-
is lime ^ ol. 1. f. 383), era dannato ncila luna con una for- rio. Munti Prop. 3, 2. 21)8. lo deriva da scior, o sciurre
ala di spine in spalla, onde procedano le macchie della luna. Ì7i aere. Tale perii non è il modo di foggiare proprio alle
/ cunf. ecc. sta neli' orizzonte. Sibilia, ora Siviglia, lingue; perchè are è sillaba di flessione, e, benché altre si-
= l'iT. Tonda, (liena. == Vi^. Alcuna i' o / f a, al- j g-nificazioni della voce accennino diverse radici, cnme ayia.
ina fiata. Lo determina più accuramente con quel perla axifoo:, qui almeno s' ofl're il latino urinari, con se da
elva fonda, den>a , lolla. Appartiene a p r o fondo,'. ■^ ' ' ,. ., ^ ' o <- u
ex, in senso di emergere, o iJ gr. ooivai, oqlvvj, ergersi.
117. Saranno rei , nuoceranno. r= 124. l'ano, qui pere.
«51;^, [ivOu;, nvrdu-;, [itvdo;. = 130. 7n t r o cj " e (iuter
oc) tratlaulu.
Canto XXI.
3. Colmo, la sommità. 4. Fessura, fossa. =
A r sena miglior lezione che A r zana, benché ancor
jesta corruzione idiotica della voce per altro non sarebbe da
sappruoiarsi. — — 9. Mini pai mar, rimpecciare. Legni,
ivi. 1=^ 10. In quella vece, in vece di navigare. r=
. Ristoppa, ritura le tcssiire colla sloppa. - — r 14. Sarte,
irde inser\ienli alle navi. 1.'). Terz eruolo, la mi-
ir vela. Art iman, la maggior della nave. := 20. Ma
fte4,26. : 27. Sfiagtiarda, scoraggisce. La voce! ^o" •
agitar do è afflae alle greche uy).aoi, ar/'/.u , ùyaV.nv,] ^^^^ nemico.'
12(j. Tane, fosse. 136. Lassi, lez. bartol. come
17, 78. Altri hanno lesi dalla pece bollente; altri lessi,
lessati, bolliti { da / ex ii'ia) , altri fessi, graffiati. =
137 88. La — denti, atto di chi vuol beffare senza farsi sen-
tire a ridere. Duca, Barbariceia. Per cenno accennando
di aver compreso Io cenno. = 140. Quadra ed è caratteri-
stico , benché agli esteticiui venga la mostarda al naso !
Canto XXII.
1. Mover campo, muover esercito per marciare. 2.
Mostra, rassegna, ordinanza, in cui si muo\(ino le truppe
con tamburi ed altri stroinenti. ==: 3. Partir — «co /«pò,
4. Corridor, correrie per guastare il
T=: A r et i n i , parte molto vaghi di giuochi,
eiiv, yì]9iiv , lat. gaudere, ital. allegro, ^ aj o, parte sediziosi. =r 5. 6' u a/rfa n e, cavalcate , per forag-
d. ereetzen, forse loaidlich, e signilìca giovanilmente , giare e dare il guasto al paese. = Torneamenti, bat-
•ioso, sicuro di forza. == 28. Per, benché, quantunque, taglia di squadre. Giostra di uno contro I altro. —= 8. Cen-
ti ostante. = 34. v^c ut o, più conforme all' origine, che ni di castella, lumate di giorno, fuochi di notte. =-
fwto) e su;»erio omero (qui accusativo) dinota uu gob- 10. Cannamella, strumento da liato ; fr. chalu
terminante in punto ed alto. Gli editori padovani riscon- i ni eou , ted. So// a / me /, dal lat. e a/a m u «. Cennamel
i\.oi.^^ j%/iiii^ 3» ■luu^.oiiif u F^.«w, -. v^«. .. ..^«.....^ ..u-..» «.« -^-^^ Alleggiar, yiie^j^eiiic, €jiic\iait
^^^^'andt8ch. der gr. und tcutscheu Sprache. Lips. Ih04. 8. f. grossezza. r= 32. Incontra, a\ viene. :^ — 35. Arron-
S8.] colle unghie, ted. k r at zen. Nerbo, garetto. =1,. jg^/jò, agprapjii) coli' uncino. 3(1. Lontra, anfibio
.Disse il diavolo. Malebranche, noinepartic(darde' de- animai, divoratore di jiesci, dello anche lodra, fr. lontre,
inj di questafossa dei barattieri. Uranehe son 6racr/'a,j Xaza- = 41. Scuoi, scortichi. = 50. Io ecc. Giain-
ted. regen, r ciche n, recken, strecken, stendere,] ° ' '' ■
.. „ . -„ „. ^' iinin n t^lamnalo ficliuol di centil donna, abbandonato dal
rgere — 38. Anziani quel], del magistrato. S.^^if a, V^^^^^^ (rt-blìdoVose), main processo di tempo famiglio,
"" famigliare intrinseco del buon re Te 6 o / rfo di Navarra,
che regnii dal 1234 sino al 1270. := 87. S druda, fendeva.
OH Socco, sorcio. r=r (iO. Inforco, tengo stretto
fra le braccia v. ,')!). =:= ^j. Latino, Italiano. r=r 70.
Troppo — so fi erto, sono parole di rabbia. = 71. La-
certo, parte del braccio dal gomito sino alla mano. =
74 De curio, decurione, capodieci. = 75. Piglio,
sguardo, aspetto, r^ Ili. i{ a;) ;> oc/o fi , riacchetati. =rr
81. Frate Gomita, Sardo, chtf guadagnatasi la grazia di
Mao de' Visconti di Pisa, governatore dì Gallura, sen' abuso,
trallicaudo nel barattare caricbe e ul'licj. = 82. I asel,
vaso. ^= 83. Donno, principe, signore, =r 8.). />j ni-
ano, agevolmente, lisciamente, senza nascon.krlo Modo di
>re, accipere , gr. ■/.« n/iviiv , tcd. haufen, kaupeln, jj^^ spagnuoln de liana. ^= f<8. Michel Zanche di si-
to chaffer. =: 55. / a a s o / // , servi (gente 4 asso), niscalco eh' era del re Knzo , divenne, dopo morto Knzo "■
rgine lucchese, compatroiia'di Lucca. Intendono Martino | I)*
lUaio , V. Troija veltro alleg. 85. 3!t. Per anche per
liirvi altri barattieri; onde adempie le veci di pronome.
(inti Prop. 3, 2. 45 s. rnrr 41. Don turo Hoiituri della
miglia de" Dati. Fece sorprendere i Lucchesi dai Pisani li 18
)v. 1315. 42. Non scriviamo, per corrispondenza colla
ina parola ita, si. L'ironia in for che é dunque mani-
ila, r— 4ti. Convolta, con\ers<i. 47. Del ponte
e an coperchio, stavano sotlo il ponte, z^— 48. Il sali-
vo Ito avuto in somma \eiierazione da' Lucchesi. 49.
rchio, fiume poco lungi dalle mura di Lucca. : — 51.
ar soverchio, soverchiare, sopravanzare. 54.
ccaffi, frodnlcntcìnentc involi. A oce atline aliai, ca-
riaduiicbi,grall|,uiicini. =r- 4M. Ahi a\irpilin. t A r tt n ;>-| J.jrpja. =:= !I5. Stralunava, spalancava siia\cnte\ol-
o f/o (lez. ottima de' migliori cod. e testi), cosa li fa approdare, I ,„,„(p_ 98. i o sf n " ro t o , Ciampolo. rrrr 10». Cesso,
nirealla proda, oHjioiida y La siglliiic:lziolleatIi^ a non sembra ^j,.^^^/, ritiro.' 109. Lnrriuoli, astuzie e frodi, rrr
vere cont'oiiderc in (jiielle etii della lingua. La rispo.'-ta di |jj /j' hi i e i' lezione pili chiara, che a mia. ry- 112. Di
rgilio coiifenna quel senso, rrr: 81. Schermi, oll'ese. riiitoniìo niipiislamenle. - — liti. Co // e (lezion di buoni
- 87. Femio, ferito, r-^ 89. quatto, „guat- codici, il sommo della ripa. 23. 43. .VI. z— 118. /. u ,io, gino-
, come scrivi; il cod. bartol. Seinlira ricorrere allìne a ^^ burla. z=r-. 120. Crudo, duro, resistente. =r- 121.
uv), ttitii, :ti)in(iu}, turit'ì, ;iiru':i<i, forine di itiroj, L,] Navarrese, Cianipolo. r ,'-?•■'''"." 7" "*'" ,|};"'''*-.
L • I- 1- • 1- u • • / rirria 04 che lo unnc slreltn tra le braccia. : — 121. Di
y.ura.irto,, che pure hi dicono di ammali, che si appiat- j;'"/,^„ V,/",^,,, ,, „ " t ,, h batté in colpa, si accusi, d errore.
Lez. di sette codici in vece di </i colpo, iminantinrnte. =
12... r^irl Alichiiio. — m. y,pli. — U^. Ivanzar,
esser più pronte. S o .;""<• ' r'"^'»- ~,. ,"^- JL° '|,V
lasso — - 134. Invaghito, br.iinoso e luto, zrrz 1.39.
Grifagno, xalorono, ardilo, addestrato alla preda. — :
112. SffVirrmitorlcoH'i.enon s ,h , r m 1 1 o r) subito fue,
Michino e Calcabrina , sentendo .1 caldo , si sghoTmiron» su-
bito. - — U3. /.ro ni>"t< !', •>'. = U». A 1 1 a pò et a,
ad appostarsi. Tonnine di caccia!
C A !S T O XXIII.
3. Frali minor, Frnncc»r«nl. r= b. Rissa d' Ali-
chino e di (;.ilc.ibrina. rrr: ìi. Uvllarana che con per l.da
IO iier paura. Se no, si ricorra al tedesco 11 acht, cioè
arilia; di modo che a <■ i/ u a tiare sia stare alle sue. zr —
ss. Cupioiia, cartello pii-ano otto miglia lontano di
-a in ri\a d' Arno, (olio d.i' Lucchesi, giierreg:;ianti co'
'imi, capo de' (•lill.ellini. I lauti pisani, che \' erano in
india, niancando loio 1' acqua, si dittero circa al I2IIII, sal-
le persone, rd iisr-ili fuori, dal colile (ìnido legati ad una
te, fiiroiio licenziati, iiii'iitre giidax.ino i iieiniri , amma/za,
licca! r — fOI. Groppone, tnlla l,i deretana iiar i
del liilHlo. :— 102. A r r o e e li i , d.i e o e <; a , lacca «Iella
cri.i. zrr-. 108. ,7 reo, ponte. Spez\.nto nel terremoto |
ennlo nella morte dell redentore. :— 110. <;rolln,\
■ine divisorio tra la l'ossa i|iiiiita , sul quale stanno i poeti,
ole Mal.icoda. v. 125. 121». 23, fili ss. r— 112 -s. l e r .\
lerdi santo, aniiÌM'rsario delia morte di Gesù. D.inle in ! ciiiiio e in «■■ir.ii'imu. - — " _..-,- . ■„ ,1; là
prese il suo \ iaggio l'anno 1300. (ìcmi \ÌHse3»anni. Or intenzione si offri ad un t « ;i o , per P=»;'"'>''V! *"",„„ 'il. "
0 — 31 1:=: 12li(). Gesù mori nell' ora uoua, Matt. 27. Marc, da un losiio, e lucutrc biava per annegarlo, li vede un ninuio
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
eli divora ambì e due. = 7. Mo , laf. modo testé ora issa,'
i.ssameiite , anche ora. Ferticari Vrop. 2, 2. Vi'2. Affine a'
jjj(;, ted.jezt, izt. Occorre 27,21. Vg. '21, 55. : — 8. Fa,
si pareggia, ra.^somi^lia. : — : 9. Fr iiici p io , il macchinare
(ino contro l'altro. Fine, il capilare male per un terzo.
10. Scopjìia, rapidamente procede. 15. \ <i i , rincresca.
Ili. Sj a^ffuelfa, *■! aggiugiie; propriamente tessendo.
Che gueffo è parola al'ilne alle ted. (t aif e ,_JF e f el ,
Jl ah e , w eb en, If e be , G ew eb e, 1f'affel,hìg\.ii>eh,
t 0 w e av e, fr. g auf r e, g uip e r (ted. A ò/) e rr.') , lat. /a-
vus, gr. Vipì], v'po;, v(pco , vipcwì , vipairiu. Raffr. a 14,
121. Gueffo in siguilìcazione di balcone, o ringhiera è aflinc a
gabbia, )at. cavea, gr. y.tpo;, da -/uw, capere. r==
18. Acceffa, abbocca, afferra col muso. 25. linjiiom-
hato vei r o , s\<ec'-\\ìn. =. 27. Impetro, acquisto , canz.
4. 31. -E', si dà. Costa, falda dell' argine. Giaccia,
s'inriiini. = 34. Fendere risposta, rispondere. =z
45. Tura, termina. = 4(i. Tosto o f ort e sono lezioni eccel-
lenti ambi e due. i>o e et a, canale ; da Jo/sìor. z=:4V. Terra-
gno, fabbricato nel terreno, a dilìerenzadifiuei mulini nelle navi,
sopra lìumi. 4s. Approccia, s'appressa, s'approssima.
Fa le, ali conficcate nella ruota. Voce latina, da rrs'/.vi, rta/dw, '■
pello. = 43. Jivagno, ripa. 14, 123. Pg. 24 , 127. =::
b2. Letto, piano. Dal ttA. l e g e n , afiine a // ac /j.
£8. Vip in ta di colore artificiale. : — bl. Bassi, abbassati,
r^ b3. Lezione del Dionisi. 1 testi ondeggiano fra cite in
Co t og na p e r li m o n aci fass i — che per li m. i n C.
f. e che a Coligniper l. ni. f. : — (il. ELli è neutro.
Ella e la, che iu questo medesimo senso si usano, forse coli'
ellissi di cosa, sono posteriori. =r (ili. C/i e ecc. che quelle, che
metteva Federigo 11 imperatole a' rei di lesa mae^là, messi con
siffatte vesti di piombo in un gran vaso al fuoco , acciocché
collo squagliarsi del piombo anche i cor]ii ior si distacessero,
erano di paglia accanto a queste. 73. Ad — anca, ad
ogni passo. Era vani 710 vi, ci trovavamo campagni , o a
lato a alcun altro di loro. : — 77. Tenete, rallentiUe
i passi. 11. cod. bart. ha fermate, che par chiosa meno
inlesa. = 80. Si volse a me. : — vi. Il carco delle
cappe. La via stretta coartata dalla folla della gente a
passi lenti. = 87. Jn se, l'un verso l'altro. =: 88. Atto
del la gol a, lQS[nTare.i'g.2,b7. = !)1. Co // e §■ to, adu-
nanza, società. Munii Prop. 1, 2. 170. r= 93. Lez. bart. e va-
tic. più conveuevole alla grammatica. : — U5. (il la, città;
frane. Dj//e. =::r 98. i>o/or, lagrime dolorose. 100.
liance, aranciate, durate. =1 102. Le Ior bilance
color che li portano. = 103 ss. Frati godenti d' un
ordine cavalleresco istuito per combattere contro agi' infedeli,
o uel 1208 , 0 nel 12til. V'iveauo aminogliaii in 0210, esenzioni
e privilegi. r== 104. Catalano, iXapoleone C, di parie
guelfa, e /vorfertng^o degli Andalò, di parte ghibellina, bolo-
gnesi, nilani cron. 7, 13, "furono" dice "podestà scelti in
Firenze nel 12'.i(i per sei mesi; corrotti ambidue con danari da'
(ìuelU, di modo che i Ghibellini furono cacciali dalla città, e
le case degli liberti, capi de' Ghìb. nella contrada delta del
Gardingo , ane." Solingo, solitario, lontano da fazioni.
Tua terra, Fiorenze. Hi pare, apparisce per le mine.
:= 113. Soffiando — sospiri, fremendo e sbuffando
pel carco, e forse per ira. = Quel ecc. Caifasso. Giov,
2, JO. := 121. Suocero, il sacerdote Anna. Giov. 18, 115.
Si stenta, si ma.rl\ra.. rr= 122. Co n ci/ io , sinedrio. =
122. Che — sementa, perchè fruttii loro il totale estermino
per Vespasiano e Tito. = 129. Foce, sboccatura, apertura.
=r-^ 13.1. Fi a presso. : — • 131). A questo vallone. =z
]li8. Giace in costa, nella falda é inclinata. Soperchia,
sovrasta, s'innalza. = 140. Contava 21, 109 ss. ==
111. Colui, Malacoda, z::^ 148. Foste, orme, pedate.
Canto XXIV.
2. Il — tempra, ove il sole si riscalda, rinforza alquanto
per circa una terza pane di gennajo e due terze parti di feb-
Lrajo. r=: ;j. E già ecc. e già le lunghe notti dell' inverno
vanno diminuendo si che in breve saranno uguali alla me-
tà d'un giorno intiro di venti quattro ore, cioè vanno verso
l'equinozio. :r^ 4 — 0. K chiaro, che nella mente del poeta
era il concetto d' una mattina di primavera principiante, ircsca
di brina tosto liquefatta dal sole, eh' 0 per rinvigorirsi. Que-
lito concetto scm|)lice e bello par che \ciiga distorto alquanto
l>er la rima. Di questa cioè nacque scuz' altro , come altrove
intem pra , cos'i qui quell' assempra, clie , benché croce
de chiosatori, alla fine pur non è altro che a» «(,/« 6 ra, o
r a» «rM/iAr a, staiUechc già la voce precedente brina for-
mata dal lai. pruina mo.^tra, quanto siano mutabili le labi-
ali, e resta il senso 1' islesso, se derivi la voce da exemplar
(dove vi sarebbe mutazione di liquide), o da similis , ófia-
Xog , of^ioìo;. Adombra stampa , o impronta sarebbe '
■tata respressioiie t.iiito più convenevole, quanto che sicgue
imagine. (."on questi concetti si desti) diiiKiue quello di
penna, che potrebbe involgere iu uno il senso di piuma, alla
qnale rassomiglia la brina, e con questo e colla rima quello d
tempra, qualilà, temperatura. = 7. Roba, bisognevo
le p.-r sé e la greggia. r= ^. S i h at t e T une a , sì rain
manca. r= IL Tapino, misero, umile. Dal gr. ra.rtno;
= . ,^'^. Ringavagna. Ferticari Prop. 2, 2. 3rh coi
altri deriva da gavagno, canestra o cestello (si rincontri i
fr. ed ingl. co f fin, coffrc, cave, gr. xuqtro;) per ser !'j
bare cìi) che si coglie. = 18. im;) ea« j r o , rimedio.
'£i. Adopera, lavora. J* £ i /« a , riilette, pensa. =rrT 28L
Ho echio ne (lez. bart.) rocchio grande, è forma più vicini ,
almeno ali' origine come pure ^trucchioso, benché la/
intrusa innanzi allo gutturali non sarebbe inaudita. aó
Reggia, reg^A. rrzr il. f es t i lo d i e appa , ytste Ut
ga e talare; o forse allude alle cappe degl ijiocriti. =z 33 [
Chiappa, o [ìurclappa [cud. bavt.) , e iap p a parchi;
debba essere o sommo, cima, balza, e cos'i afiiue 0 al ted r
Koppe, Kuppe, Kippe, Kopf, lat. caput, gr. yf^irjt)-
y.f.Ù.ì], ye(pa?.ì] , 0 all' ingl. cleft, ted. Kluft, Gì uff e ^■'
klaffen, gr. y/.a(pv , da y/.a(po} , yXv(pu} , luogo scavate ?
screpolato, fenduto, fesso, fessura. <J scheggia, o cima e bai jt,
za, che che si scelga, conviene al passo. : 34. Fr ecinto t;
argine circondante, rrrr 83. Tutta, lez. migliore, piii adatt
al genere di bolgia, onde Malebolge. =z 39. Fort a è s ,,
fatta, di tal natura, come iu led. si dice bringt es m i y.
si eh. 43. Manta, esausta, da mungere. r=
4(). Spoltre, cacci la pigiizia. P.-(<priameu[e disfarsi de t
cuscino, lasciare il piumaccio, la coltre, che iu ted. si di jj
ce Fulster, alliiie a Ffiiht, Ffull, Ffullwen, lat. pul^
vinus, pulvinar, ed al gr. ^v/./.au, render pieno, riem la
pire. 48. ^Vè su ito coltre, stando. ■ 53. Si ac.l
cascia cade con tutta la sua gravezza. 53. Fik /uni.
g a scala al purgatorio ed al paradiso. ab. Cosi or ri»
infernali. li4. A 1 1 r 0 f osso, scilima bolgia. bl m
Ui sconvenevole, non alta, per l'ira. kT,Voss<à
sommità. li!). Ira. 11 cod. tass. ha ire, cioè gire, andari «
70. f'ivi, di ine vivo. = — : 73. Cinguio, argin .
circolare. Dallo, allo. 22, 119. Muro, argine. 75. A}'ii
figuro, discerno. = 77. Lo far. Altri testi col /ai"
r=r 82. Stipa, mucchio, moltitudine. 7, 19. = b3. Mene ^
sorte, spezie. Scipa, guasta, altera di spavento, rzrr
8!) s. La lezione adattata uel teeio è quella de' codd. bario it
e dionis. , poco diversa da quella de' trivulzioui: Che su
quella idri, jaculi e faree Froduce e ceneri;.
ecc. In fatti, come il barbaro costrutto delia lezione nidobei ^,,
lina, benché difeso da Lombardi, oifeude a ragione Mou ^
(iresso Viviani, cos'i chersi in vece di chi rsidri, o idr „.
invece di e liei idra sarebbero o mostro di parola, o confus ^^
one assurda di due nomi generici di lignaggi allatto divcrs^'
Che male dunque cv\i, se in quel gabiiiLllo di serpenti. Ioli;;
da quello di Lucano Fars. 9, 714 ss. manca una Siiezìe? -^ ' i.
iculo è spezie di serpenti, detta uhuìiiuì dal veloce salto, ce 1
cui si lancia. Ceneri, lezione incontrastabile, non centr Mi
[serpi punteggiate di punti simili al miglio {y.^y/nu;). Anf
isibena , af.i<piajjaiya^ perchè serpe avanti e indietro. —
90. Ciò — ee, figlilo. ^ _ 91. Copia di serpenti. 9
Feri US io, forma più antica, buco per nascondersi. £1
\t rupia, pietra preziosa creduta avere la virtù di render i
! visibile, e d'esser antidoto. 109. Erba ecc. Si rise
t tri Oi'/f/. Met. 15, 392 ss. = 114. Uppilazione, rf-ef
rameuto delle vie degli spiriti vitali. r= 120. Croscia/:
< è propriamente il cadere della subita e grossa pioggia ; m
! taforicamente mandare giù con violenza, r— 122. Fiuvv
I caddi , piombai. — - 123. Gola, foce. : — : 125. M u l , h
stardo di Messi r Puccio de'Lazzeri, nobile Pistojesc. fan;
\ Facci nel 1293 uvea rubato gli arredi della sagrestia del du
ino di Pistoia, e nasco>tìli in casa del nutu.ìo \'aniii dei
i\ona. Kiliratosi poi in Monte Caregli presso Fiorenze, pc ,
che un certo llampino fu accusato, gli consigliò di denunzia
Vanni della iNona, che fu impiccato. =r 127. Marci, schi
fugga, burli; propriamente chiuda la bocca , e comprima
labbia; lo che dicesi in gr. fivuì, f.iv!^w, /iiu/OÙi^>, ed è g:
gno di disdegno, sarcasmo, trist'zia, angoscia, abbominazion '
onde poscia \ ieii dello uomo di sangue e di corrucci
0 secondo il cod. b.irt. crucci, cioè tormentalo. l:\i
Alcuni chiosatori combinano sagrestia ile' belli arredf
non già ladro de'' b a. facendo cos'i D. mal informato d*
fatto, perchè Vanni abbia sol tentato il furto, ma scoperto e"
compagni abbandonato il bottino e l' impresa. 143. /*/«*
ecc. La scissione de'Uinnchi e Neri ebbe origine in Pistoja^
si trasfuse quindi in Firenze. Si dimagra, perdei!
\'eir anno 1301 i liianchi di Pistoja coli' ajuto de' Hianchi J
Firenze cacciarono i ^eri di Pistoia. / illuni cron. 8, 44. r"
145 ss. Accenna 1' uscire, che neil' anno 1301 fece di Val ^
Magra il marchese Marcello o .Morsello Malaspina di Ma"
fredl a porsi alla lesta de' ^eri di Pisloja (vapor — /or6t.l|
nuvoli), e la rotta, che diede a' liianchi sul campo Piceni)
per la quale poco dopo i liianchi fiorentini vennero caccia|t
ed esiliato il poeta, f illuni 8, 4L |
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
Canto XXV.
2. Fiche, atto di beffa, che si fa mettendo il pollice tra
indice e il medio. :=_ 3. Togli, tienlele. Squadro iu
gnilicato proprio esprime molto plasticamente quel gesto,
111 cui ia mano divìpiie rome (juadrata. 4. Amiche,
lai punilrici di quel!' empietà. r=r t". Ribadendo (for-
a più molle di ribattendo del cod. Iiart.) ritorcendo la
■da, come chiodo in asse conlitto. 10. Sia n zi, ttabi-
ic'ì, determini. Pg. U, 54. : — 12. Avanzi, superi, vinci.
l tuo seme, i soldati pe-'-iiid di Catilina, riiujrgiti nell'
;ro pistojese. Saltunt. lì. Cat. =:= 14. I ii , con\rn. =
. Quel ecc. CapaTieo. Stat. Theb. 10, Oli* ss. Ri»ic. Inf.
, !)27 ss. = 17. Centauro, Caco. 'io. Eneid. 8. 194.
7. r= 18. ylcerbo, duro, a.spro, ostinalo; e dice Vanni
icci. rrrr li). Maremma, i luoghi marittimi di Toscana,
ibondanti di bisce. 21. Labbia, aspello, forma umana.
U7iti Prop. 3, 1. 3. rrrr 22. Coppa, pine di dietro del
po. === 23. Dracn, drago. r=r 24. Affoca, abbrucia.
= 2ò. Sotto — Aventino, che ricopiiva la caverna di
100. = 28. F ratei, nell settimo cerchio. 13, 56. violen-
coiitro il prossimo. : — r 30. A vicino, io vicinanza.
. jB(' e e e, bieche, storte, iuicjue. 33. Cerjto botte,
rcosse. Non senti, perché già morto. 34. Ei,
ICO. Trascorse, corse oltre appre-so a Vanni Pucci. r::=
Novella, racconto die faceva Virgilio a Dante.
Seguitare, seguire, accadere. 43. Cianfa, della
miglia liorentina dei Donati. Hi ma so, perciiè sparito e
istormato nel serpente di sei piedi. 45. ili i ecc. segno
far silenzio. = iti. Il mi consento, mei credo. : —
Un serp., Cianfa. =: 58. Filerà. Risc. Ariot^to O.
7, 29. Ab bar bacai a Icz. bart. fcirse più prossima all'o-
iue, che abbarbicata. : (il. Si appiccar le
mbra, si compenetrarono. =rr= (i5. Fapiro, erba, il cui
dolio usavasi per nudrire il fuoco nelle lucerne e lampade;
carta. L' iiniiiagine è molto naturalmente espressa.
■Ignei, dicono esser Brunellcschi tiorentino. Può esser
anunzia famigiiare di Angelo, o Agniolo, quantunque
rigine delle parole sia diversa, come lo sa ognuno. ::=
Né due, né uno, anzi un terzo misto di due. 72.
rduti, coiifMsi. r=r 73. Quattro liste, le duebrac-
deir uomo e i due piedi anteriori del serpente. 76.
6S0 , spento , annullato. Atline al lat. caefZe r e , veci-
re, teiì. s chi'iden , gv. (Ij^lHuj. 77. Perversa,
avolta, pervertita, rrr- 7!l. Ramarro, lucertola. Fersa,
za solare. 80. Cangiando siepe, passando da
a siepe air altra. i-2. Fpe, pance, pancia. 83.
rp entello, Francesco Ci uercio Cavalcante. Acceso d"
85 8. Quella — alimento, il bellico. Un
lor, Uuoso degli Abati. 140 s. rm 89. Sbadigliava.
spille cagiona col morso una profonda letargia. : 9t.
Lucano Fara. 9, 7t)3 — 804. Sa bello e N assi dio,
dati di Cesare, 1' uno punto da una serpe (seps), e che di-
nne cenere; l'altro da un praestcr, e che gonlìossi di
do che gli scoppiava la corazza. Scocca, palesa, ma-
està con forza a guisa dì saetta,
inato in serpente. Vvid. Alet.
iveiiita in tonte, ivi 5, 572 ss.
onte, presenti l'iiiia all' altra.
aiiii e serpentina, mr 101. Inforca fesse, lece bifor-
=r 105. Orme, piedi. :=r= IVO. di un tur a, cou-
ingiinento. : 10!l. Toglieu, pigliava, prendeva. ::^
). Jjà nell'uomo. : iJi l il , nell uomo. Molle , come
ella dell'uonu). Dura, come ijiiella del ser|)ente. =:r: 117.
rli, sporti, rr^ IIH. Mentre ecc. mentre che il fumn
il coliire della serpe all' uomo , e (|uel dell' uomo alKi
|ic , e in questo giMiera il |ielo, miMitre lo loglli; all' altra.
ilÌMiila uoiuo. -_' 121. fj'ui>. Il serpente, che si cau-
1 in uomo. r — 122. Lucerne, ocolij. :zs-z 123. Le
ai, la guardatura delle qnal. : — : 124. Quel — dritto,
egli ch'era di\ enuto iiiPino. J l t r. — tempie, ritiri» il
ISO verso le tempie, accorciandolo secondo l'umana forma.
- Vi-'ì. Di truppa m. , dal soverchio della materia, ond'
. composto il muso serpentino. ; liti. Deltc^ dalle.
(^ III p i e , prive dell' «reccliic, lisce, t—r 127 ss. Qui-lìa parte
muso serpentino, che non enlrii nella testa, leniii fuori a
maie il naso della taccia umana. :-- 130. Quel — g i a-
va, l'uomo traBloriii:ilo in sirpente. =r: 13.>. Resta,
sa. r — : Ilo. A II' ali ri) de' ire, che non erasi ancor
^lormato, l'uccio !Sciaiic;ito. — 142. Xa v o r r a { s a-
rni in lai.) la ghiara che si mrllr nella sentina ilella na-
; qui metafor. gunja fecciosa posta nel l'ondo della seltiniu
Idiii. r : 114. Fior la pi una nbborru, un tantino
tilt; travia (31, 2li. Pg. 3^ 135) col troppo ininulamtoile
HCriv ir questi! IraNrormii/.ioiii. ; - liti. S in a g it t ii , smar-
P;^ 3, Il 10, lOll. 19, 20. 27, 101. Par. 3, 3li. Alfine a
[■I , /<"!'), impasto. ^-- 14H. l'u e ciò S e i a n e a t o,
tadin liorenlino, l'orse ladrone limoso, r — ■ 151. (/nel ecc.
isser l''riiiicesco (iuerrin ravalrinitc , ucciso dagli uomini d'
a terra di vai d Arno di supini, Urila Oavitlv. l'iangi
r la veudellu falla dagli amici di Cav.
=- !)7. ( adnio, tras-
4 , 5b3 — 0(12. Aret u s a
==■= 100. A front e a
: 102. Lor materie
C A :v T o XXVI.
i. Cinque: Cianfa, Agnel IJninelleschi, Huoso Donati.
Puccio Sciancato . Frane. Guercio Cavalcante. =z 7. Pres-
so al matlin, prima che spunti l'aurora , qui rcetaf. poco
prima del principio delle disgrazie , come se dicesse : se i
presagimer.ti miei son veri. : — • 9. Prato vicina e suddita.
Agogna, desidera con ansietà. Allude alla rovina del pon-
te della Carraia, jiieno di popolo concorsovi a godere d'uno
spettacolo, che si faceva in .Arno nel 1304; all' incendio di
1700 case, ed alle feroci discordie tra i >ieri e Bianchi. J'il-
lani cr. 8, 70. 71. : 10. Per tempo, troppo presto.
11, Da che dappoiché, pur esser dee certo e inevitabile
è il fato. : — — 12. Com'' p i'u mi attempo, perchè in età
più avanzata ogni sl'ortunio tr.iva petto meno renitente, forza
inlievolila. Allude principalmente al suo esilio. Mi aggre-
verà (lez. bartol.) par più elegante. = 13. Scalee, or-
dini di gradi. 14. Borii i, nicchi, che sporgevano e pei
quali erano discesi. 24,74 ss. Pcu-ché bornio e raddeutellalo
della muraglie ; voce antica. Monti Prnp. 1, 2. 131. noi. in
frane, bornes son pilastrini. 20. Quando ecc. quan-
do mi ricordo delle pene di coloro, che fecero mal uso dell'
ingegno. : 23. ?jiglior cosa, grazia divina. 24.
Il ben V allo ingegno. Par. 22, 112 ss. Noi m'invidi,
non me lo tolga, non me ne privi. 25. Quante si ri-
ferisce a. V e d e l u ce io l e \. 'l^. : 2b. Colui — schia-
ra, il sole. = 27. La ecc. stando più tempo sopra l'oriz-
zonte, essendo allora più brevi le notti. .Vddita Testate.
28. Coinè ecc. quando vien la sera. 34. Colui ecc. il
profeta Eliseo ,_ che, essendo lieli'eggiato da una turba di
fanciulli, maledisseli, ed uscendo da una vicina macchia due
orsi sbranarono quarantadue di loro. 4 Reg 2. : 35. Il
carro dì fuoco. 40. Ciascuna delle tìamme 31. (iota,
apertura. : — 43. Surto, alzato in piedi. : 45. il rio,
urtato. 48. /*"« .s e j Ci , copre. Q u e l fuoco. CAe<londe.
Inceso, arso. == 50. A v v iso , avveduto. : 52. D i
sopra, nella cima. 54. Uve ecc. rise. Stazio Teb. 12,
430 s. z — 58. Si geme, piangono. : 59. A guato,
frode. Cavai di legno, dal cui ventre uscirono i guerrieri, che
Troia distrussero. Porta, principio, cagione. (iO. Dei
— seme. Enea. (il. L' arte, gli artìlicj adoperati da
Ulisse per indurre .\chille ad abbandonare la sua Dcidamia tì-
gliuola di Licomede, re di Sciro. r^ (i3. Palladio, sta-
tua di Pallade, scesa, come si credeva, dal cielo nel tempio
di essa, e'da custodirsi, seppur salva dovesse essere la ciiià.
(i7. Facci nego, iiieghi. :=i 72. Si soategna,
si astenga dal parlare. : — 73. Concetto, couceputo.
Schivi, perche D. non era ancor famoso. =r-. 7S. A udivi,
latino per udii. ^= 82. Li alti versi, V Eneide. =::
h'3. L' un, l lissc. •; — 84. dissi se ne andò. Perduto,
smarrito. r=r: 85. /io maggior corno d' l'iisse. Antica,
per moltissimi secoli passati. : — 8(i. Crollarsi mormor.
ralì'r. 27, 13 ss. ^m 87. vi //a f «ca , agita. = 91. Cir-
ce maga, che convertiva gli uomini in bestie, zrr- 92 Là
— Gaeta, tra Gaeta e Capo d'Anzio, al monte Circcio, o
Circello. rr^ 93. Nominasse, dalla sua nutrice sepolta-
vì, detta (Jajcta. Eneid. 7. zttt 91 ss. Figlio, Telemaco.
Padre, Laerte. Pietà, o affetto di figlio, o attristamen-
to. = 100. Mure ap-rto. Oceano. =-: 107. Quella
— riguardi, allo stretto di Gibilterra, dov " Ercole poft«
le colonne, segni a' navig.mti, cine il .Monte .Abile in Affrica,
e il monte Cal|)e iu Europa. Riguardo, da Romagiiunli
si dicono i lermini, che dividonoi rampi, ei pali e le colonne,
che difendono le vìe. Pirlicari Proji. 2, 2. 3f8. 111.
Setta, ("eula, città dell' .Mirica. : 113. Uccidente,
estremila occideuUile. r^— 114 ss. Tanta — sensi, tanto
corta vita. E <l e l r i m a n e n t e , rimane. Del — gente,
di quella parte, di' è snilo di noi, ove min ha gciiiu. =:
118. Semenza, nobile olitine. .- — |20. Conoscenza,
scienza, rr— 121. A r n t i , vogliosi, licsìdcrosi. r-r- 124.
Nel mattino verso Levante, o la parte, dove nasce il
mattino. Munti Prop. .'? . 1. 112. =r— 12'). /.> e i ecc. accele-
rammo lo sconsigliato viaggio. =r: fili. A r q u i s t u n d o —
mancino, verso il pulii antartico, il quale, a chi dal Medi-
terraneo esce neir Oceano , resta a maiMi sinistra, rr^ 127.
Altro nnlarlico. r- I2H. Mostro, artico. =r^ 128. Che
— suolo, che sembrava tocrnre il piano dell' acqua del mare.
zr— fio. Cinqui- ecc. cinque volte si era fatto il plcullnnìo,
e cinque volte il novilunio, scorsi erano cinque mesi. ('a. sin,
mancalo, rr—. 132. Aito passo, alto Oceano, r— I3J.
Montagna. Ai inmenlalori , che qui intendono il pai':ulÌHn
terrestre, e il purg,itorio, cnnlradici- (ìioguciiè , asserendo,
che I). ti abbia avuto ijnalrhe conle/./a dell' isola .Ml.iiitidn,
del 'l'enerilfa , oppure u' un nuovo mnndo, benché pìii lardi
scoperto da Cristoforo Colombo, Il folle i^Vlk) llisse tenura
rio iiilaiito non <i perviine, in segno, elio colai inipres,i ol-
trepassi Ir liir/e niiiane, ne riuscir possa senza favor pnrii<'o-
lar divinii, di cui 1). si viiiilò. : — I3li. H, ma. ~ 138.
l^rimu valilo, la prora della uuve. .:= IU. .lUrut,
iddio.
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
e A W T o XXVII.
2. 1» ir, parlar. = 3. Poeta, Virgilio. =: 7. Il\
bue cicitimi, il toro di bnmzn costruito da Perillo ate-
niese, e regalato a Falaride, tiranin» di Sicilia, per farvi ab-
Lruciave vivi e muggire i cnndaiinali a morte. Il tiranuo ne
fece la prima esperienza coli' artelice stesso. r= 14. JJal]
nrincip io, da. pTìim. JJ e l (ìez. de'migliori codici) si ri-I
ferisce a vi a e fo r am e , cioè uscio. Suo linguaggio,\
stridore e mormorio. = Iti. Co /to, preso. fiaggio,\
andamento. 17. (iui:jzo, vibrazione. : — : 20. Lom-<
bardo è vocativo, diesi riferisce a \'irgilio , come diccj
bene il Viviani. 21. Issa — a di zzo. Sciocca è senz
altro la quislione nel leggere un poema, se i personaggi, an-
cor foresiieri, che vi s'introducono , intendano la lingua, in:
cui è scritto. Ma diversa è la lezione di queste parole, clic|
si riferiscono al v. 3. mentre altri hanno istra, che par is- 1
baglio de' copisti; altri issa, di che v. a 23, 7; altri istà:
alili statenva, o st atti o v a. Le ultime lezioni a noi
sembrano correzioni poco necessarie, per avere contrapposto
coiiten va. Ma il senso va bene: vanne subito. A di zzo,
attizzo sono diverse forme, della semplice aizzo, eccito,
stimolo. Parola afiìne alle greche «iVioco , aiaaw , uaaw,
ctTTO) aiS^uì , ct^Lo , ()«•;, éttvu), alla lat. aestus, titio,
U. toson, ted. he i zen, Hitze, he t zen, bai zen,
austr. oaten, aten, aizen, gerin. eit, alleingl.to bait,
ba'i ' ah et heat, hot, nelle quali tutte predomina il si-
ffuilicato del'calore eccitato col soffio, o vento. = 21. E, e
pure 2() ss. Latina terra, Lazio, Italia. Onde
— reco, ov' io commisi le colpe. .:= 29. Monti, Monte-
feltro. - — 30. Giogo appenniuo. = 32. Tento di
costa urtò leggiermente nel lianco. := 41. L'aquila,
arme de' Poleiitani. = 42. Cervia, città dodici miglia da
ilavenna discosta. Ricopre — vanni tiene sotto di sé.
r=r: 43 La terra. Foni, citta di Romagna. Fé lunga
vrova X un assedio francese posto da Martino IV nel \'M\,
iinchè il valoroso conte Guido di Montefeltru ghibellino , ver-
so la metà di maggio del 12^2 facendo sanguinoso muc-
chio strage terribile, di 2000 Papalini e Francesi liberò For-
J'i f'ilìani sUìT. T, VO. = io. Le branche verdi, do-
minio degli Ordclalfi, che aveano per arme un leoncino verdi-
dal mezzo ia su d'oro, e iu giù con tre liste verdi e tre d'oro. =
4!j 11— novo, ì Malatesta, padre e tìglio^ signori di Rimino, detti
mastini, cani, tiranni crudeli, f errucchio , castello
dai'li Ariininesi donato al primo dei Malatesta. = 47.
Montagna, cavaliere ariminese della tamiglia dei Parcisa-
ti e capo della fazione ghibellina. = 48. Su e e A i o , trì-
v(Alo; fan s. lacerano, fan strage. La — sogliono, nelle
terre loro soggette. 49 ss. Il lioncel ( leone 3/o/ìtj
Prop 3, 1. 3J s. ) dal nido bianco, eh' è il soggetto,
Mainardo, o Machinardo Pagani del podere di Susiana, guclto
in Toscana, ghibellino in Romagna (/ i7/an/ stor. H, liUjche
— verno. Conduce , reg:ge. La citta di Lama ne,
F.-ienza posta presso il fiume Lainone, e di Santerno , Imo-
la situata sul fiume S. == 52. Quella ecc. Cesena. =
127. Furo, che furj
assoluzione papale fosse nulla.
nasconde agli occhi altrui gli spiriti tormentati. 2(i,'41sg. :=i
129. / est ito di liamina. Rancura, rattristo, rammaricc
=^ 13(i. Scommettendo, disunendo animi giunti pel
vincoli di natura, o d'amicizia. Carco di coscienza.
li
Canto. XXYIII.
1. Pur, ancora solamente. Parol e a ciolt e , prosai
=^= 3. jPe r, ancorché , tuttoché. =: 6. Seno, capacità
=^ 7 — 10. Rall'roiitando le miserie di cinque guerre le diti
vinte da quelle della nona bolgia. La prima è quella in s
la fortunata, disgraziata, terra di Puglia per l
Romani (no Troiani, eh' è lezione guasta) negli anni e
Roma -129. Liv. 10, 15. = 10 — 12. La seconda guerra pu
nica di tre lustri (lunga), massimamente a Canne , dov
perirono 50,000 Romani, ed Annibale mandi) a Cartagine tr
moggia e mezzo {si alte spoglie) di annella tratte dal!
dita di cavalieri romani uccisi. Liv. 23. 12. = 13 s. L
guerra di Ruberto Guiscardo normano , ligliuol di Tancrei
u' Altavilla, contro i Saraceni, eh' ei battè aspramente (quei
la gente, che — duglie) e costrinse ad abbandonare la S i)
cilia e la Puglia. =r 13 — 17. La guerra tra Manfredi , i I
di_ Puglia e Sicilia, e Carlo Conte d' Angiò. La prima batté i
glia fu a Ce p er ano , luogo nei conilni della campagna if
Roma verso Monte Casino nel 12(i.'). Fu bugiardo mane 1
di fede al re Manfredi. 17 s. La guerra del detto Cai I.,
lo dWngii) contra Curradiiio, nipote di Manfredi a Taglita
cozzo, castello nell' Abruzzo ulteriore a' 23 agosto l'ano in
1288, ove il vecchio ^J lardo di Valieri, cavalier frauc< u
se consigliò re Carlo, il quale con due terzi delle sue geu w
aveva combattuto e perduto, di correre con 1' altro terzo a( i
dosso al neinico, a cui pure con la sola presenza cagionò 1 il
totale consternazione e la fuga (f Ulani stor. 7, 27 s.) e co: a;
vinse senz'arme. =: 20. IJa eguar lez. dionisiar n
in vece di d'agguagliar, chiosa. -^ — 22 ss. Già coiti
non si pertugia veggia, botte (che sono soltanto dm;
verse forme, aflini al gr. jit-do^, (ìvtivìj, lat. vas, ing
vat, fat, ted. Fa ss) per perdere mezzul, parte i
mezzo de! fondo dinanzi della botte, o lui la, doga lateral
la parte di esso fondo, che sta di qua e di là del niezzu
(afiìne per mezzo del cangiamento delle labiali d e / al f
douelle, da do uve, ted. Daube, JJaufel, JJaube
D a u e h el , gr. óoxo; ) e om e io vidi un r o tt
spaccato, dal mento — trulla sin dove esce l'ar
chiusa nell'intestino. Trullare, spetezzare; alfine
rovV.uio , zov^cj , TQoy^o , ted. grolzen, grill z e
rùlzen, r iil p s en. In vece A\ perdere il cod. bart. 1
fendere, come v. 33. 25. Minugia, budella, int
stini. 2(i. Corata viluppo del core. Tristo sacc
lordo ventricello. 27. Trangugia, mangia e bev
30. Dilacco, sparto, apro le lacche, le cosce, q'
spacco, son fesso. 31. Maometto, io, che parlo. —
„_. .^„^ . ,32. .11/, segur.ct! di M. r=: 33. Citi ff etto , ciocca di ci
53 Sie' siede ^= 57 Fro raffi contrasto all' obblio. =jpegli sopra la fronte. Voce ted. S e Ao;)/, fr. coè//e , d ''J
b3' (Juelta ecc. io mi tacerei. = 07. Cordigliero, fra- Kopf, Zopf, alfine a molte altre. r= 3ti. T ti^i , menti» *
te'Francescano nel r'9.), nel 74 anno di sua età. Del tutto v. | vivevano. 11 tutti del cod. bart. non quadra, perche già F
Ugo Foscolo disc, sul lesto ecc. 234 ss. massimamente 239. s. ; legge nel 34. = o7. Jccisma, fende, squarcia. Dal gf»'
dove paria delle lodi altissime del conte nel convito e dell'
ignominiose censure in questo passo. == 69. Jenivain-
te r 0 , sarebbe venuto ad effetto. =z 70. 1 1 g ran p r e t e , papa
Ronifazio VIU. A — prenda, imprecazione. = ti. qua-
re, perchè. Latinismo. z=i '5. Leonine, crudeli. Di
1' 0 / 7) e , astute. =^ 70. Accorgimenti, lurbene. =r
7H Che ecc. che la fama delle mie astuzie andò per tutto il
mondo. = 81. Sarte, cordaggi. = 8.). Lo — Far.,
Bonifazio MII. =r= m. Presso aLaterano co Co on-
ncsi, che vi abitavano. r=r H9. Acri, lolemaide, dove
più di 70000 cristiani furono uccisi. = 90. 3/ e r ca f a n t e
di vettovaglie, e provvisioni. r= 91. Sommo uftcio,
dignità papale. = 92. Capestro cordone francescano.
= 94. Co«ffflnti« il Magno. Si/ yR « f ro , papa, nasco-
sto nelle caverne del monte S ir atti, Soracles, monte sant'
Oreste = 95. Della lebbre, mai no delle v. Munti
Prop. 3 1.26. = 97. S uve r b a fc b hr e , odio superbo
contra i' Colonnesi. = 99. Ebbre, da ubbriaco, stolte. r=
102. Pellestrino, la terra dì Preuistc, oggi Palestrnia
fortezza lungamente invan assediata da Houitazio = "'"'•,,/'
Tnio ani e e. Pier Celestino. Aon — ca re. .3, 59. = 1Q7.
Mi fu ay vino , mi parve. = HO- Attender corto,
mantener poco, rrrr-lll. Tr io n/a r de'Coloiuusi. llpapalinsc
pietà e fece intendere a' Col., che venendosi ad umiliare, sarebbe
for perdonato Vennero Jacopo e Piero cardinali in abito nero.
Bonifazio promise tutto a condizione d'ottener Preneste, la
quale ottenuta la fece disfare, e rifare al piano, noiuiaandnla
città del papa. ^^ 113. l'erme, per condurmi in l'ara-
dÌHO. rr^ 115. Meschini, servi, schiavi. 9, 43. r=^ 117.
Stato tono o' crini, ho tenuto in mìo potere. r!=r 119.
Peni ere, pentirsi; dal lat. p oeìiit e r e, ^= I'23. Tu
ecc. credevi eli' io non sapessi argoiueutarc bene, che quella
legge nel 34. o7. Accisma, fende, squarcia.
(T/z'i-j. r= :ì^. Al taglio, n ii\a. = 39. JK i s hi a , mo["
tiiudiiie; proprinmrnte di fogli di carta , ted. Riess. — i
40. Quando, ogni qiial volta. = 42. Altri, alcun
Li a quello. = 43. Muse, musi, stai ozioso. E il greij
/iihuì, /iiu^io , fermar gli occhi, o le labbia. ^= io. i[
su le tue accuse, a tenore delle colpe accusata e co'i
Cessata. io. Fra Dolcin, romito eretico, che predic;h
va la comunanza d'osmi cosa, perfino delle mogli, e forte pi
seguito di più di 30(10 uomini giri» rubando due anni, lincli
nel 1307 ridottosi ne'moiiti del ^ovarese, sprovvisto di viveij
e impedito dalle nevi fu preso ed arso con Margherita, si|
moglie ed altri. /iWani stor. 8, 84. = M. St r e t ta, cei
cbiaini'itto , serramento. = l>3. y^ per. =r= iitì.Machl
V. 4, 2li. = 68. Canna della gola. r=r 69. T e r m i g l i t
insanguinata. = 73. Medicina, del contado di BoTognf
seminator di discordie tra i cittadini, e tra il Conte Guiil
da Polenta e Malatestiiio da Rimino. = 74. Lo dolce pi
ano, la Lombardia. = 75. jl/a r cn A ò castello, oggi d|
strutto, vicino alla foce in mare del Po, a Porto Primari
76. Fano, città sul litio dell' Adriatico, al di sotto |
Pesaro no\e miglia. =r^ 77. Guido del Cassero. Augii
Iella da (Jagnano; gentiluomini di l^ino. =:= 79. G i 1 1 a il
ecc. per ordine del tiranno Malalesiino , e pe' -uoi raggili
fuscello, nave. =: 1-0. iM azzer a t i , gitlati iu mare iu i
sacco con una pietra grande. Il cod. birt. ha macerati, à II .\
strutti, sciolti. La scelta è dilficile , jwincipalniente a cagioi Rsti
dell' orìgine nascosta, non sapendo io, se si riferisca
iiauì, /ita(jiHii,o sia affine a /uvaww.;, fedo, e fimo, fiV^tiì,ftùao
corpo puzzolente. Cattolica, castello sul lido dell' Adrij , -,
tico tra Rimino e Pesaro. = 82. Cipri , isola del Meo *•»
terraneo la più orientale. Maiolica, Majorica, la maggi *«f
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
cacciato, esule da Roma. Sommerse, estinse, i /j mesi spesero iOO, COO ducati. r=r 132. Abbaslinto nome
abitar di farsi maggior delle leggi della patria , passando proprio d'un incngiiito. Forse D. avea scritto ed 4hb o
Rubicone. = !IS J l fornito provvisto di lutto. ^=\ et Ab. Pro/e r* e , ironicamente , mostrò. := 135 jtis-
. Attender, indugiare. Lucano Fars. 1, 2^7. Tii-t
oncherin, liraccia senza mano. lOG. Mosca, uno
Ila famiglia iioreiil'ua de' Lamberti , che nel 1215. uccise
londelnioiite dt;" Bunndelmomi pir vendicare V onore degli
nidei offeso d;i ìì. , il quale avendo promesso di sposare una
nciulla di quella famiglia, piglili ])ni una de' Donati. T il
ni 5, 38. iMacihiavelli stor. fior. I. 2. 107. Capo,
le. rr= 117. A sb er g 0 , forma più vicina all' origine ted.
alsberffe, che osbergo, o usbergo. . 122. Pe-
)/, pendolo, sospeso. Il cod. bart. ha preso, forse
resolo, che nacque da quello misiuteso. : 125. Due
luno, due parli d'uomo, capo e busto, con un'anima.
l. Spirando, essfiido ancor \ivo. r= 133. B e rtr am
at Bornio, visconte del castello d' Altafnrte in Guasco-
la , guerriero prode, ma turboleulo. • 135. Mai, mali.
l re Ci io V anni. Se non vìeu permesso di leggere col
d. bart., con Giuguene, Sismoiidi e liutlura al re giova
e, n al giovan re, come concedette pure Curpani nel-
bibl. ita!, di Mil. , coufurinemenie al ÌNovelllere antico nov.
., bisogna dire, che Dante abbia confuso il tiglio minore di
irico 11, re d'inghilicrra , detto Giovanni, o re Giovanni,
rchè nel llTtifece Enrico un regno d'Irlanda da lui conquis-
ta, e nomìnonne re il figlio Giovanni, col primogenito £u-
;o , fatto incoronar re d'Inghilterra sin dall' età di 15 anni
1 noi), e però detto il re giovane, \\ quale secondato
1 fratello Goffredo ribellossi al padre tre \ ulte. i:iH.
ungelli, pungoli; incitamenti, istigazioni. : 111.
rincipio, core, o midolla sjiinale. 142. Contro
ISSO , legge del taJioue , che vuole BÌmile gastigo al delitto
mmesso.
ponda, soddisfaccia al tuo desiderio di conoscermi.
139. Sci mia, imitatore.
Canto XXX.
2. Sem eie, figlia di Cadmo, fondator di Tebe. : — 4
89. Ata mante, re di Tebe fatto furioso. Moglie Ino, so-
rella di Semele. Figli, Learco e Melicerta V. Ovid. MeL
1, 515 ss. =^ 15. Casso, estinto e distrutto. 16.
E e uba, moglie di Priamo, re di Troja. 17. Po li se-
na, sua figlia. 18. Suo figlio. 20. Latro r.
Oi'i'rf. Met. 13, 570. : 28. Xodo, cartilagine, detto p 0-
mod'' Adamo. =rr 30. Fondo sodo, duro pa\imento.
= i\. Aretin , Griffolino. = ^2. Folletto, spirito
propriamente aereo, qui inquieto, molesto. Gianni Schic-
chi de' Cavalcanti di Firenze, famoso per contralfare l'altrui
persone. = 33. Conciando, ironicamente sconciando,
inaltratlando. 3!). Fadre, Ciniro, re di Cipro. Orid.
Met. 10,298 ss. Amica, concubina. 42. Ì/'o/froj
Schicchi. Sostenne, tolse l'assunto. 43. La donna
delta torma, la cavalla ottenuta in guiderdone da Si-
mon Donati. 48. Malnati, malvagi. Monti Prop. 3.
1. 91. !=:: i9. A g uis a di leuto (lezione piii vicina air
origine dal basso latino leutus ) per l'idropisia. ■ 50.
Anguinaja, parte del corpo tra la coscia e il ventre allato
alle parti vergognose. == 51. In vece di dal lato ì codd.
lior. e bertol. han dall'' altro, cioè tutto il resto dall'an-
guinaia in giù, cioè le cosce e le gambe. 52. D i s p a-
ja, toglie la proporzione, psrie ingrossando, parte scarnaiw
do. z= 53. Mal in cattiva siistanza. = 57. Lo un lab-
bro. Hi Inerte, ri\olta. Latinismo! : 61. Adamo bre-
sciano, richiesto da' Conti di Romena, luogo vicino a' colli
del Casentino, falsificò la mniieia e fu bruciato. 69. Il
mate, l'idropisia. : 70. Fruga, punge, gastiga. Afli-
ue all' inglese to prick , fr. friguler, ted. priigcln, gr.
^nay.èì.ov , da brcchen , frangere, rompere. 72.
Metter più in fuga, fare che più affollatisi fugffano, pia
spessi escano-, agitare affollatamente, spremere. Modo di dire
alquanto slranii , in cui li sospiri son considerali come uu
esercito, che fugge precipitosamente. =r: 74. Lega, mis-
tura minerale, che si loude con l'oro o coli' argento, per da-
Canto XXTX,
2, Inebriate , abbeverate, impregnate di lagrime pic-
le. 5. Soffolge, posa. Lat. suffuUire. Par.
, 1.30. z. — 9. l otge, gira, ha di circiuit'erenza. r=
La — piedi, è mezzodì, ^ci pleniluni la luua sta sullo
zontc al far della sera, e nello zenit a mezza notte; al
!zzod'i dunque nel nadir. 12. ledi, iinece di ere
!, chiede la natura della rima coi migliori codici. r= 15.
iwesso, perdonato, concesso. Laliuismo ! =::= 16. Par-
, intanto, mentre. Pg. 21, 19. r= 19. yl posta, appo-1 re maggior consistenza alla moneta. Batista \. a l'i', 142 8.
Iti, affissi. 22. Franga, intenerisca, impietosisca. =r _ 77. Guido ed Alessandro conti di Romena. Frate
onti Prop. 2, 1. 139 8. r^- 27. Geri del Bello, fra- .\ghinoIfo. = 78. Branda, fonte copiosa e limpida iu
Ilo o figlio di un messer Bcllincione Alighieri di mala vita, Siena. Parla da sitibondo e vendicativo. z= 79. La una,
scminator di risse, morto da uno de Sacchetti. 2H. anima. 85. Sconcia, sconciata. 87. Men, vera
ape dit 0 , occupato. 29. Colui Ucltmino. mr lezione, non piti. Traverso, largo. : 90 Carato,
.iS/,ecos'i. 33. C//e — consorte, consanguineo. ; la ventiquattresima parte dell'oncia. Mondiglia, feccia;
= 36. Pio, pietoso. := 38. i>e// 0 , dallo. =: 40. qui lega. = 93. fo n/i 71 j , lato. =—. 95. Grippo, ci-
hiostra, luogo chiuso. La.t. ctaustrum. r-= 41. Con- gllone delle fosse; qui luogo selvatico. Sembra affine a rijHi
rsi, convertiti, trasmulati. == 47- I aldich lana, rupo , (uif , (/coi/', óto m/io v , fr. gravas , romagn. cran,
mpag"" *"■ *—■ — " f. .......... f^i.:...,: .. \i i„:™.... , •"<._.; ,. _ . » '
rrc
CSC
I mar
sinc,
jd.
orca, dove a' tempi di re liaco lierissima pestilenza regn.i- f,.,,,; Alcun, ninno 1=-. 120. Rio, amaro, cruccioso. =
i. rr= 63. l poeti t)wd. .VIet. 1. — ''*:_ " '.*f V " '"' l'^'i Assiepa, fa siepe, impedimento. :r= 121. P, r e i u r-
711 a r , come suole, lezione dinnisinna piii eirgantc e più
l.roduHsero. r=r m Biche mucchj ; propriamente di co ,„ „ ^„„;,, «„„/,, .,,. „ , , p,.„.., . ,.„.
un di grano. =- '^ Levar telar persone, alzarsi agevole da dedursi dal ronfu-n , o illeggìbile a parlar, o
piedi. =^:. 75. Teggliia, gr. T(,'/«ro>', da riy/.u), a dir mal, che sembrano inoltre chiose. \ ale incantando
(uel'o, ted. Ticgel. rrr:
. Stregghia, strcglia ;
'^niyXoi , fr. etrille , ted.
no.
78.
I ^n 0 rs o, signor
Soccorso, rimi'
ingannare. : 12t). H in fa reta, riempie. Latinismo!
rrrr I2H. Lo — A a r e i s « o ', l'acqua, rrrr 132. Per poco
>■ , poco manca. 136. Pann aggio, danno, zrrr- 145.
Fa ragion, fa conto , pcuBa, = 147. Pialo, litigio,
chiassata.
A N
T O WXI.
76. A' e h i a n % e , croste.
lat. strigli, strigilia,
Striegel , Stralli. : —
m 79. .1/0 r«o, graffio. =r—
- 82. S r ubbia, rogna. :
Scardava, pesce di larga Nuuaina. 85. Disma-
lie, spicchi le maglie, o piastrelle, scrosti, rrr-. !)7. li i n-
i/toj puntello, so«legiio. _^-r 99. Di rimbalzo, di ri-
rcnssione, non direttamente. rr:r' 100. Si accolse, hì
fisMii, attese, irr- 103. Imboli, involi. r— r: 105. So/ 1,1
ini. r^^ 109. Di .lre-^-~o, alchiinÌHla (ìriffolino. ^^^ bart. or/i'i. ^r- ì). Padre Pelea. = 6. Mancia,
U. .^ 0 1 —Dedalo, uni lei \olare, come Dedalo, che regalo, dono. Della lancia v. Ovid. Met. 12, 111. 1=-^ I.
rmossi ale di ncniie e cera per ruggirsene dal labirinto di ('reta. ,/> e i/i »i o t'/ (/o « no , ci p.iriiinmo. :rrr- II. ,1/1 andava,
— 117. ,/, uà. f// e —;/ ^^ IO /(>, il vescoxo di Siena, rrrr I vera lezione, r — 12. Ilio, forte, forleincnte. 13.
10. Li VI-, è poHHibilu. Munti Prop. .'I, I. 2H,_ ; -^ 122. / ai Tuon in vece di suon d'alcuni coiUI. lioreiiliiii sembra più
espressivo e coiifoniie ad alto, r- — II. Contra fi , in
direzione contraria n i|ui'lla , donde venne il suuno. Sua,
del Niioiin. Se p II i t a II il o , mentre seguitavano gli occhi. r=
16. La — rotta di Iluucisvallo nel 778, dove per tradimcoto
Ifna — lingua di Virjrìlio. = 4. Odo 10. Cod.
nlchiinÌNla Griffolino. ^^^ ' bart. o rf* «. ^r- a. l'adri
a, U-ggiera , di poco hciiiio. rr^ 121. L' altra, ('apoc
lìu , ali'himista e falsalor di metalli. 136. :^— 125. Tra hi-
p/i e ( le/, de' migliori coilici ) SI ricca, è detto ironica
cute, cuiue 21, 41. Cos'i pure 125 temperale, iiumodc-
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
di Cano fu da' Saraceni trucidato un corpo di 30,000 soldati.
: — n. La santa gesta, V impresa di acacciare i Mori dalla
Spagna. =r= 18. Non sonò ecc. secondo Tarpino hist. de
vita Carol. M. 25. = 19. /^"o/ fa, lezione vera, non alta,
che precede nel v. IH, e segue nel 20. := 23. Dalla lun-
fi , da lungi, rr^ 24. Maginare, immaginare. Aborri.
3,141. = il. Forando, trapassando. ==: iSi. Fug-
ge mi, giugné m i forme più antiche in vece ùi fuggi ami
giugnevami. = il. Mont e r e g g ion , castello sa-
nese. Corona, cinge. Affine a. yoooi , yvQog , curvus ,
ed altri. z= 42. Froda, riva, sponda. = 4'{. Vi, con.
= 4«, Per, lungo. V. 8(j ss. r= 55. ^rg: omen to , stru-
mento , forza raziocinante, e in generale forza giudicativa.
= 59. La -pina grossa di bronzo, già sulla cima della
mole Adriana, e tuttora sulla scala dell' Aspide di Uramante
in mezzo a due pavoni di bronzo, v. / jscona' descriz. del mus
Pio Clem. 7, 15. = 61. Perizoma, cintolo. Voce greca!
z=^ GÌ. Frison, alti di statura. = (ili. Collo, lez. bart.
pili chiara almeno in vece di loco. =^ (i7. Rafel — almi.
Tuttoché nel v. 81 il linguaggio di Nembrotto venga detto
che, a nullo è noto, nulla di meno gli spositorì hanno ten-
tato di diciferarlo, Lanci credendolo arabo, che voglia dire :
esalta lo splendor mio ncIT abisso, siccome rifolgori) per lo
mondo; e Gius. Venturi un mescugìio di dialetti ebrei, signi-
ficante: per dio! perch' io in questo profondo? torna indie-
tro, nasconditi ! Si tempesti altri la mente con questa jonadat
mascelle (107), forte battendo co' denti a guisa di cicogna. =r
37. Da bocca, battente co' denti. : 4(i. Fur dentr »
molli, pregni sol di lagrime. 47. Labbra, palpebri if
come appare dal tra essi e ri s e rrv 1 1 i. 51. Co; f
zaro, urtarono. Il cotcìaro del cod. bart. e sol form !«
diversa, e sono ambedue da xortru), y.urcoi, cutere , qui f'
tere, ted. quetschen. = 52. Un Camicion de' Pa; |e'
zi di Valdarno (tì8); che uccise a tradimento Ubertin »
suo parente. = óti. La valle. Falterona in Toscani ^
Bis e 71 zio, iiuroe. =: 58. Caino, sfera de' tradito
di parenti, detta da Caino fratricida. =: IjO. Gelatili^
gelato Oocito, detto per belle. Ulonti Prop. 2, 1. 172. =
bl ss. Quelli ecc. Mordree, figlio ribelle d' Artù , re deli
Gran Bretagna. Ombra, che fece sul suolo il petto, o corp
trafitto di modo , che un raggio di sole vi passasse , e 1' on
bra, che gittava il corpo, fosse rotta. Cosi si spiega ques 'j
passo conformemente a un punto di fatto racco:-.tato nel r ''
manzo di Lancilotto del Lago. 3, 1G2. confrontando in un P "
3, IG, 6, 57, passi pure alquanto diversi da questo nostro. I i'
troppa concisione fa che quel rotto sia da riferirsi ed a
lancia (come Pg. 3, 118 rotta ebbi la per sona), ed
sole, e in senso diverso, sicché senz' altro il modo dì dire s
forzato e costretto. Lo spiegar V ombra con anima lo vieta o
legge della rima, che non soffre la medesima parola nel senso m
desìmo, o la strana ed arbitraria signilicazioue della parola. JN'<
meno arbitrariamente altri spiegano le reni. In queste strette t
tica ! ;=: G9. So/ mi , accenti. Tl'Tienti e u/ i un modo di dire, o di spiegare violento scusabile forse sar
corno, statteue col tuo corno! 73. Soga, coreggia; gr. ■ se non accettabile, il dire, che vi sia forse una licenza — ci
^oyog, o ^svyoQ, legame, traversa; onde il cod. Angelico j appunto manca d' autorità, perchè è licenza — per la qua
forse zoga. ÌNè da questa origine sarà troppo lontana la p^-\ l'ombra sia posta in vece di g l i omeri. Che 6 si camb
Tela doga, cambiandoci <} e f, e dicendosi éuyog iu vece di
Ciiyo;, di modo che sarebbe cinge. 77. Coto, pensiero
Dal lat. cogitare , gr. y.otu, che pure dicesi ro£tu, yjooj
Serra, costipa, agghiaccia. 32.
Tifo, due giganti. = 125.
Quel pensier perverso fu la costruzione della torre
babilonica. =: 78. Fur e, tuttavia, per sempre. Cinonio
osservaz. 314. n. 8. : — 85. Cinger, legare. 8G. Suc-
cinto, sotto la catena cinto. := 87. Lo altro, il sini-
stro. = 89. Zro scoperto, la parte del corpo scoperta
fuori del pozzo. : 90. Insino — quinto, con cinque
giri. := 91. £s ser esperto, far prova. : — r 93. Jl/er-
to, premio, pena. = 94. Fi alt e, figlio di Nettuno.
Omero Od. 11, 304. Eneid. G, 583. = 98. ifr iar e 0. Eneid.
1,565 88. = 102. /{ e o , male. =:= Wi. Fi ù l à èmo l to,
più in là si sta. = 109. Di, lez. bart. preferibile, poiché
nel seguente verso è più che la dotta. =z 110. Dot-
ta, paura, sospetto, timore. Dal lat, dubitare, come
coto da C0|?itare (77. ) := 113. Alle, due braccia fio-
rentine. Da Elle, ulna, ùlirt], ir. aulue , aune. 118.
Siegue in questo Lucano Fars. 4, 509 ss. = IIG. It e-
da, erede. = 119. Guerra contra Giove. := 121. i
figli della t erra, i giganti. Nominativo! r=: 123.
■ " ■ 32, 23 ss. = 124. Tizio e
Questi, Dante. Quel —
brama, rinomanza, 0 notizia della vita nel nunido. 129.
Grazia divina, dio. = 132. Ercole nella lotta con es-
so lui Anteo, descritto in tutto questo passo come il più forte
e tremendo de' giganti, il qual dunque benché solfogato allì-
ne , certamente resisteva non poco: bude dunque si riferisce
alle mani, uè mestiero è, che, riferendolo alla mezza vita
(col l iviani e suo codice) leggiamo ond' et fi' Ercol
senti la grande stretta, r— 13li ss. C ari s end a,
torre in Bologna assai pendente, detta torre mozza.
Chinato , pendio. : 140. Tal ora, tal momento.
142. Divora, inghiottisce, contieue ia sé. 1.45. È, ma.
Canto XXXII.
1. Chiocce, fioche, rauche. = 3. Pontan s' ap-
poggiano. = 7. A gabbo, per gioco, ischerzo. In Ted.
provine. Ga/fe. = 8. Fondo, centro. r=^ 9. Lingua
— babbo, lingua fanciullef-ca , balbettante. Che tali parole
fanciullesche invece di madre e padre sono mamma e bab-
bo. Del resto 0 dei codd. fior, e bart. mantenersi pui) benis-
simo. =: 10. <^uei/e ecc. le Muse. =-=: lì. Chiuder,
cingere di mure. = 15. Qui, iu questo mondo nostro. Il
cod. bart. ha voi. Zebe, ciipre. Porina dentale dal ted.
Iiebiu, liiipfcn, hoppen, saltare, saltellare. : — : 17.
Sotto — bassi, in suolo assai più basso di quello, eu del
quale teneva il gigante i piedi, rrrr 18. Alto muro, donde
eravamo deiiosli. -,= 23. Lago, ecc. Cooito. 34, 50 ss. z=
2G. Danubia del cod. bart. difende Viviani invece di D a-
noja. Uste ricchi, Austria. Parola tedesca misproiuincia-
t*- ,= 27. Tanai, D(m , Tana, fiume che parte 1' Europa
«•"i" Asia. Ci (io moscovitico. zr= 2b. Tarn b e r n i e e h i.
con e, o si framette tra m ed r, come iu ya^t(Ì!>og invece
yam^io? come gli Spagnuoli dal lat. humerus fanno hoi
}V
bro, e la forma del plurale neutra o femminina, come mei
bra ed altre, non ripugnerebbe almeno all' analogìa, come
cagion d' esempio fora in vece di fori Pg. 21 , 83._ Intan
vinca chi può! r=: G3. Fo caccia de' Cancellieri, nob
Pistojese , mozzò una mano ad un suo cugino, ed uccise i
suo zio; donde nacquero le famose fazioni de' Bianchi e tVei
/ iiioni cron. 8, 37. = tjò. Sassol Masch. Fiorentin
uccise il nipote o il zio. = G9. Carlin de' Pazzi, di jiar
Bianca, diede a' Neri fiorentini il castello di Piano di 'Irev
gue. 70. Cagna zzi, paonazzi, o morelli. E traduzi
ne erronea, ma dall' uso privilegiata della parola gre
xvaviloq. Di simili sbagli ogni lingua ne ha. = 72. Gua
zi, stagno. Affine a waschen , Kasser. = 73. Me
:;o, centro della terra. Gravezza, cosa grave. =■ 1
/i e s :; o , ombra. iH. J'oler di dio. := 78. Un
Bocca degli Abati, Fiorentino, pel cui tradimento in Mon
Aperti furono tagliati a pezzi 4000 de' suoi compatrioti guel
j Ulani stor. G, 7G s. = 88. Antenora, sfera de' trai
tori di patria, detta da Antenore, che trad'i Troja sua patri
Ditte Cret. de bello Troj. 5. Liv. 1, 1. r= 93. Note, m m
morie raccolte, o rime, canti. IG, 127. = 95. Lagn da
molestia, pena. =. 9G. Lama v. '19, 79. = 97. Cut ,(1
cagna, collottola. L'origine è nel dorico ;forra , y.oiT<.
capo, testa. 101. iUos treroifi, alzando il viso. -
102. Tomi, calchi, calpesti, v. a IG, G3. = 104. Ciò e e
mucchielto.r=r 113. .Escici, esca. = IIG. Quei da Due r
Buosa da Duera, Cremonese, che per danaro olferlogli dal Con
Guido di Monforle non contrastii a' Francesi il passaggio in P
glia, r^ 117. Frese Ai, gelati. r=:r 119. jBeccari
abate di Vallombrosa, al quale per essersi scoperto certo tri
dall'
monte allisBimo della .Schiavonia. rrrr 29. Fictr apana,
monte altissimo di Toscana, poco lungi da Lucca nella Gar-
tato contro ai Guelfi in favore de' Ghibellini in Fiorenza,
tagliata testa, liiiani stor. 6, G5. = 120. Gorgier
collo. = 121. Gianni Soldanieri, Ghibelline
grande autorità, podestà di Faenza, tradendo i suoi iu fav
re del governo nel 12GG fecesi principe di quel gover
guelfo, nilatii 7, 13. = 122. G anello ne tradito
eli' esercito di Carlo M. v. Turpin. V. Car. M. 21. T
baldello de' Zambrasi, socio di Gianni. ì illuni 7 , (|ii
=: 12G. Era cappello, copriva, = 128, Sovra
stante di sopra. rr= 130. Tideo, figliuol d' Eneo re
Calidonia, nell' assedio di Tebe, per rimettervi Polinice, coi
battendo con Menalippo tebano , rimasero entrambi leti
mente feriti ; ma premorendo Menalippu , fecesi Tid^
recare la di lui testa e si mise a roderla. Stazio Teb
nel fine. = 135. Convegno, convenzione, patto. =
137. Pecca, mancamento. = 138. T e n e cang i, te\
renda il cambio , lodaudo te eil Liifaiuaudu Lui. =: U
Quella eco. lingua.
c A IV T o xxxin.
Ugolino de' Gh
■pior
luì a'
fagnana. == 30. Cricci/i. ìlsiimio dei ghiaccio e del m^'crno Ugolino ,' ed "un Ghibellino , I' arcivescovo UuggÌ€
vetro nel rompersi. = 34. Là — vergogna, la faccia, degli Ubaldini. Questi indusse il Conte a scacciar Nino , n
o testa. = 3G. il/c( t encio — et cogno, «Ottaudo c«o le 1 poscia tradì pure il conte iatesso, e sjiargeiMlo trai' alti
T. Den, dcnno, debbono. = 13. Ugolino de' (
rardeschi di Pisa, guelfo. Nel 12HH contendeano la sign
di Pisa due Guclli, il giudice \ino di (iallura, ed il di luì
materno Ugolino, ed un (Ghibellino, I' arcivescovo Uug{
iati
p.i
il
li]
l
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
crusp d'aver tradito Pisa e renduto le loro castella a' Fioren-
iiii ed a' Laccliesi , a furor del popolo il fece assalire nel pa-
ìgio , e mettere in prigione con due suoi figliuoli Gaddo e
'guccione della Gherardesca, e tre nipoti IN'ino, ovvero Ugolino
etto il Brigata, ed Arrigo ed Anselmuccìo. Questi tre non
rano d' età novella, anzi Nino ebbe in moglie Capuana, iìglia
el bolognese Ranieri conte di l'airico, e da questa Matteo e
leatrìce! Di Arriffo nacque (ìuelfuccio III; Ansclmuocio avea
posato la figlia dì Guido , signor di Caprona. Del re»lo 1'
pra fu di Guido da Montefeltro. v. Truija del veltro alleg.
li D. f. 27 ss. Dante ebbe allora anni 24. Nel marzo del se-
•nente anno fecero i Pisani chiavare la porla della torre, e la
biave fecero gidare in Arno, e vietarono a' prigioni ogni vi-
146. Prossimana, congìanto, parente, qni nipote. : — 150.
Co r t e«i a , azione giusta. //(/ j, a luì. : — 151. Uiveni.,
lontani, privi nemici v. a 6, 13. Costume ouesto , onestà.
152. Magagna, menda, difetto, vizio. Appartiene a
juayyaiov e /.la/avr], z= 134. P e g- g i o r ecc. Frate Alberigo.
153, Un tal. Branco d' Oria. r=; 1J6. /n, con. =
157. Di sopra, nel mondo.
C A IS T o XXXIV.
1. Vexilla ecc. inizio del sacro inno, che si canta al
vessillo di G. C. Intende le grand'ali di Lucifero. == jtì. Un
ens in Lat., ódov;, oóovro; in Gr. Se an e dunque di ai-
uni codd. è fittizio e licenza, anzi temerità che genera un
ostro per rimuovere una licenza, =: 41. Il mio cor
embra più naturale , che al. = 4!!. I/ii pie t r ai , te-
tai di pietra. òn. A nsel muc eia , uno de' nipoti. r=
7. Per — stesso, in quattro visi vidi lo stato mio pro-
rio doloroso, la mia sciagura. = tiO. Manicar, nian-
iare, li2. Vi noi, delle nostre carni. = (j8. Gaddo,
n de' ligli. 73. Brancolar, cercar colle mani tastan-
0. f Ulani 7, 127. 75. 1 più testi hanno: Poscia pia
he il dolor potè il digiuno , cioè uccidendomi , aven-
o io potuto bensì resistere da forte al dolore, ma no a! dì-
iuno. Rilevando cosi la sua forza mentale, si con dispetto
ero, come mostra la seguente terzina, e si con un qualche
uiemismo termina la storia della sua morte cruda. IVè v'è ca-
one nel testo istesso di sognare perciò, che il Conte abbia
vorato di fame le carni de' morti iigliuoli; essendo ì\ do-
or anzi quel di padre e di zio the d uomo alTamato , in cui
atura sol fece quanto dovette per le sue leggi. Dall' altra
arte il cod. bartol. ed un ambrosiano leggono /^oi e /(è il do-
or potè più che il digiuno, con che \'iviani e Monti
porche molto fu agitato questo passo dai I^iccolini, Kos-
ini e C ar ini g nani) credono riporre un cerio jiatetico e
mmcnso , scacciando insieme quel ributtante ed orrido alleno
all' arte. Ma che V se quell' orror non fosse sennnn nella fan-
isia di questi lettori, non mal di tutti! e se vi fossero che
hicdussero degna e caratteristica terminazione del tutto! La-
ciaino dunque «tare la lezione volgare. := 7^. Furo. Il
od. burlol. e un lior. hanno forar, senza necessità. =z 79
. J)el — suon a d' Italia. Perticari Prop. 2,2. (i3 s. z=:
2. Capraja e (lorgona due isoleiie ni-l mare tirreno,
r-: 8). f oce, fama. Ili, 41. Jiia, mala. Questa parola 1"
ggiiiiigono i codd. bart. e lior., come mala bore 7, 93. r^
1). 'J'f'be, che vide orrori iiKillissiini. rrr^ 91. A'ienc allaTo-
iiinnca. rrr- 93. Riversala col \ iso patente. = 97. Groppo,
do. z=:r: 98. / t */« r« , occhiali := 99. Co ppo, vaso ; qui
cchiaja , concavo d' occhio. Da /avj , cupio , affine a' ted.
iiipe . Kuje, Kiibcl , ed altri molti ìu diverse lingue.
:=r. 102. Cessato, abbandonato. Stallo, stanza Callo,
arte incallita, rrr: l()(i. y/ rar r io, prestamente, r^r: 1(W.
/"i tt £ 0 , vento. 5, 42. = — WJ, P r e d d a e ro st a , ghiaccio. , .
=r^ HI. Posta, mtuaiìnne. ■=—. lUi. />«« AriV' o , traggo dapprima non ficse terra che di là , e more di qua. =:= 1Ì>,
' impaccio. =^^ 117. Al ecc. Imprecazione equivoca! =r^ H^i, dove si Irovjvuno i poeti atliialmenic al di là dal centro.
IH. Frate Alberigo dei Manfredi, signori di Faenza, nell' = VHi. (pulita — qua, quella terra, che sotto quest' al-
Itiina età cavalier Gaudente, venuto in discordia ro' suoi con- tro emisfere apparisce, si sporge luor del mare, la montagna
ratilli, gì' invitò a lauto pranzo, fingendo di voler rappacili- cioè diri purgatorio. S it ritorse formando l.i montagna del
arsì e li fece lutti uccidere al momento delle /r « Uà. :=rr purgatorio. -— 127. Or Dante parla. Lagih, al dì Millo
20. Dattero per figo abbondante coiitraccambio. z=z 122. del centro terrestre, r^- ha tomba, la sepoluir.i di Hcel-
'lea, come 12G. dia, in vece di «fio e dia. rr^ 124. zebù, 1' inferno, r— : 133. fer — a»euso, su la sponda
antaggio, ironicamente disgrazia. Tuloiiimiu sfer-a camminando del detto ruscello.
OSI appellata da Toloinmeo , re d' Kgitlo , traditore di l»om D.iiite eiilrii nell' inferno, (puindo cnmminciavn la notte CI,
co Magno, eh' era a luì ricorso dopo la rotta dì Farsaglia. 1.). Dono mrz/.a notte passò il cerchio ciuinlo [1, 9H.). (Quando
— 12ti. Atropo», Parca, che recìde il vìtal lilo. =r^ 129. passii al sctlìiiin cerchio, era 1' aurora (II, 113). Quando passò
''rade, tradisce, r—. 133. Cisterna, pozzo. = 1,3,'). alla quinta bolgia, era alzato il sole pia da un' ora in circa
crii II, fa verno, patisce Iredilo, hI.i nel freddo, o ghiaccio. (20, 124). Quando passò alla derìina bolgia, era più di niez/.o
rr 137. «r« Il co di Oria, (Jenovesc, che uccise a tradimento giorno (29, IO). (Jiiaiido p.isso al nono cerchio, era il crepu-
llchel /.inche, suo suocero, per torgli il Giudicato di liOgo-|BColo della sera (31, lOi. All' abbandonare il luogo dell' eler-
oro iu Sardegua. 'i2, Htì. = 110. Lnquancho, mai. _— . uo pianto «orge di uuovo la nolto (34, W).
ternario, numero santo all' antichità, come pure il settena-
riOj qui regna nelle faccie, ne' ^entì, ne' peccatori, l'na lilo-
soiica discussione sarebbe poco conveniente a questro passo,
perchè di leggieri potrebbe terminare in sogni e fantasmi. La
— avvalla, Etiopia. - — 4'J. f'ispistrello, forma
che s' avvicina più all' origine da vespertilio. = jO.
Sv ol a:, zav a , dibatteva, dimenava. Il cod. bart. ha i n su
lanciava, che sembra pur chiosa. ó4. La lezione d'un cod.
trivulz. gocciava al petto .■sa n g., benché difesa dal Per-
ticari , non corrisponde al concetto del tutto. : 56. Ma-
ciulla, stromento, con cui si dirompe il lino, formato di due
legni, r uno de' quali ha un canale, nel quale entra 1' aliro.
60. Brulla, scorzata, spogliata, ignuda, v. J6, 30. =
Uà. B ruta e Cassio , i due principali congiurati alla morte
di Giulio Cesare. Fior. Rll. 4, 7. Sueton. Jul. Caes. _=
68. La notte risurge. Avevano impiegato nella visUa
dell' inferno ore venti quattro, una notte ed un giorno. = 71.
Poste, opportunità, occasione. 77. ln.sul grosso
delle anche, tra li iìanchì e le cosce. : — Vi. Zanche
propriamente quelle aste, sopra le quali vanno gli spiritelli per
san Giovanni-, gambe. 19, 15. r= 87. Porse, mi diede a
vedere. Lo accorto fatto per accortezza sua. (jos'i Lfio-
nifi Anedd. 4, 37 s. =: 90. ./ mezza terza. Dì\idcndo-
si il giorno in 4 parli eguali (terza, sesta, nona, vespro) ;/i e z sa
terza è 1' ottava parte del giorno. Dunque tre ore sono
scorse; e quando \ irg. dìcc\a, che surgeva la notte, era nello
emìsperìo di qua e nel tempo istesso il sole nasceva nell' al-
tro eraisperio, dove sono adesso. : — : 97. Di palagio, lu-
minosa e piana. 98. yiu re// a spezie dì prigione oscu-
ra; da olirò, biijo. r 99. Disagio, mancanza. =^ 102.
Erro, errore. ■ — 108. Fora, fa esser forato, bucato. =
109. Di là nel nostro emìsperìo. Cotanto tempo. =^^ Ili)
». // punto, il centro della terra. r= 112. La gran
secca, la metà del terrestre globo abitata da no!. Geiies, 1,
10. 114. Colmo, più allo punto , mezzo._ Co /i .•• li n t o ,
ucciso. ■ 115. /y' om — pece II, (iesu Cristo. = 117.
Giudecca, d.i Giuda .Scariotto, traditore di G. (!., la circo-
lar porzione dell' agghiacciato Cocìto Ita la Tolommea (3.1,
124) e il pozzo di Lucifero. =-t: 122. Si sporse, rssend<i
più alta del mare. = 123. Fé' del mar velo, tnggi soli'
icqua, andò sotto, r:— : 124. (enne — nostro; dice clre
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
PURGATORIO.
.tando, movendo. = 38. io wcce? dii>. , T angelo. ==
3!). Perchè, di modo che. rrr: 44. Ta l che purea b eat<
Canto I. per is cripto, sicché segli leg-geva in viso, o in fronte li
sua beatitudine. Mudo di dire seiiz' altro un jioco duro. Oli
1 MislioT acqua, men crudele, men terribile. = deallri codd.hanno t a / c/i e /etr ta òeato pur rfescra £«]
3. illarcf"///r,Iuogo'pienod' orrori. = 7. i « mor-'^^ « molto più .«emphce , e non men bel concetto, bench|
istesso. iM. moria, cupa
conforta, la stella di Venere. 21. Telando ecc.
poiché 1 pesci, essendo il sole in ariete, s' alzano prima del
sole. li. Altro, antartico. Quattro s t e 1 1 e , \a.
criice del Sud nella constellazione del centauro-, qui imagine
«!rl!e quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e
temperanza , dette luci sante nel v. 34. Ualfr. 29, 130. 31,
lòó. 24. Frima gente. Adamo ed Eva innoceijti Pg-
28. 91 ss. 31. Solo, solitario. Un veglio. Catone
ulìcense, che, non potendo salvar la liberta repubblicana con-
tro Cesare , si diede la morte. Dante lo rispettò altamente,
ad esempio di Virgilio Eneid. 8. Ralfrouta ancora il Convito
Lezione bartol. in vece della volgare e tante mi tornaf
con e s s e a/ 7) et t o , meno espressiva. Del resto è imiiaz'l
one di Virgil. Eneid. (j, b95 8. 85. Fo sasne , posassi
mi fermassi. 91. Casella, cantore fiorentino eccellen'
te. 93. Lezione bartol. in vece della cruscana : wi a a f
come tanta ora (tempo) è tolta. Labart.piii facile dice
ma a le come è tolto di passare innanzi in questa tant,
desiderabile regione'? Dionigi Stracchi legge font' erti
11 V. 9u conferma la lez. bart. : 103. Foce del Teveri
108. /'oé^ /i e , passioni, desideri- 110. i'erso n f,
corpo. 112. Amor ecc. una delle canzoni bellissime tf
D. nel. conv. 118. Eravamo. Qariilra a questa lezioiit
rio, perche luw.**. ^f. ..^ <^ #* #* i* ,
ra veramente. = 57. Il mio volere. Senso: non posso
ricusare di soddisfare alla tua dimanda. 58. La ultima
ra la morte. bO. A, da. Senso: restava una_ corta
oluzione dì tempo , pochissimo tempo gli restava di vita.
- tìli. Balia, autorità. 72. Chi — rifiuta. Ac-
cenna Catone istesso. La libertà, che cerca, e qui spezi-
almente ed a bella prima Y intellettuale, la quale pure non
esclude la politica. 6, 124 a. = 75. Feste, corpo. r=
sera,
riv
77. Legagliene sotto la sua balia. z=. 88. Mal fiume,
Acheronte. 90. Quando — fora tlall' inferno, dopo
la morte del redentore, v. Inf. 4 , 65. La /e ^^ e fu, che col
iaifo e coir ufficio si mutassero gli affetti, né potessero u
scire dello inferno i dannali. —-.--'•
phi. Fertivari Prop. 2, 2. 164
bolo d' infantile schiettezza. = ^ . .
!i7. Sor lì riso, sorpreso, oppres^so, olTuscato. : — 98. Fri-
",.,'„ — paradiso, V angelo del purgatorio 2, 29. =r= lOB
F e d dita, ritorna, come r ed dir e è ritornare. Voci la-
tine! 114. Ai — bassi V. 100 s. = 115. La ora
mattutina, il punto dell' aurora più vicino alla notte.
117. Marina Inf. 34, 123. e qui v. 101. _ := 123. Adorez-
iU è reizo , ombra. 121). Arte, intenzione. : 127.
Lacrimose , per dolore, pentimento o gioja, =z 153.
compagno
ed altri.
Fuggir
cant. 3.
agi' ingl. match, mate, rneat , comatii.
Fresca, nuova, di fresco giunta. r= 131 nt^
ver lezione bartoliu. giustilìcata dal v. 1 dell,,,
Canto III.
Al tru i, Catone,
gilio Eneid. •), 115-
1. SMÒìtanffl, tosta (2, 133). = S. Monte, purga
torio. Fruga, v. luf. 30, 70. Poggiali preferisce /u gè
cioè stimola, sollecita, 4. Compagna, compagni:
cioè Virgilio. ^: — 7. Dignitosa, nobile. 11. Ont
92 Lusinga, lode, prie-|starfe, maestà, decoro. Dismaga v. Inf. 25, 146._ V.
■ 95. Giunco, sim- [Ri s tr e 1 1 a , lez. de' migliori testi e codd. meglio oppo.sl
96. Stinga, jiurghi. r- — al r allargo, che distretta, vale unita, occupata in u ijj',
. -"■■■--•■ "^ "--■ sol pensiero. L'u antico po.stillatore lo riferisce a! canto « ij;
Casella. =i 13. Kullarg'o a vedere altre cose del monti,,
14. Diedi, drizzai. 15. Si dislaga, si allontt ,,.;
na dal lago, si alza, si leva Par. 2tj, 139. Monti Prop. 1, !
235. 16. Roggio, rosso. 17. Rotto (fesso 9'
ini er a din an zi a Ila f ig u r a , cioè dinanzi alla fìgui |j^
mia, dinanzi a me, opposto al dietro. 18. Che, perchi jj]
Aveva l' appoggio de' suoi raggi., lissavansi _
ronipevansi i suoi raggi al corpo mio. " 19, 11 cercare i
dallato ailro e più c'i' ortografia diversa e jiiù moderni
pare solìsticlieria. .abbasso, addio, appiè e raoltiss ,
me alire parole la conloniJono. = 21. Solo senza V'irgili
=r 25, Colà in Italia e iVapoli, ove il sole nasceva a un*
ore prima che nel purg.itorio. : 27. Brandizio, Urii
disi, dove morii. = 2S. Si adombra, si oscura. r=L
311. Che, de' quali, ove. Ingombra, impedisce il passa(
gio. Voce affine al lat. humerus , con che si portan pea
al gr. a/(.Toit'£(r , strascinare, al batb, lat. combri , art
frane, encombrer , ingl. encuntber , ted. bekumben »
onerare, helciimmcrn. A' tempi di Dante i cieli eras tt
traslucide sfere cave, una dentro dell' altra, rnr^ 31, Tuli»
che sì scancelli con più codd. la [irima congiunzione e , ci
non impedisce, che caldi sia so.xtaniivo e spezie di torment
34. Trascorrer, penetrare. ì ia, modo. _= 3
Contenti, contenuti, rafl'renali. 11 senso non ai cangìi
benché si prenda la parola nel significato ordinario, giteci
chi si acqueta, o si contenta, a chi basta cosa, si ralfreni
136. Qual ecc. Ad imitazione di 1 ir
T 0 II,
1 3. Ogni luogo avendo il sno proprio orizzonte, ed il
liiio proprio meridiano, cioè un arco, il quale passando pel
zenit del luogo e pel punto del cielo, dove il sole ad esso luo-
go fa il mezzodì, va a terminare d' ambe le parti all' oriz-
zonte del medesimo luogo. Dunque l'orixzonte, lo —
il e ras. è V orizzonte di Gerusalemme. La montagna del
purgatorio è anlipoda alla detta città, di modo che , mentre
il sole tramontava per gli abitanti di quella citlìi. era vicino
a sorgere ov' era il poeta. := 4. Op posila diainctralmen
te. Cerchia, gira. rrrr 5. Gange, 1' Indie orientali.
Le bilance, il segno della libra, O|ipohto all' ariete; se il
8ole ncir ariete tramonta , sorge la notte al piinlo opiiosto
dell' orizzonte nella libra. Soverchia, cresce cioè dai sol
stizio estivo sino all' iemale, rrrr 7 b. Bianche prima del si liniita." Quia in senso aristotelico sono fatti reali, elfetl
nascere del soli;, lerniigliv dell' aurora. r=r: 9. li a u- ìris in farlo positae , fenomeni del mondo reale, e dui
ce poco precedenti il sole, dorate. . 12. Core, mente, |que la serie della causalità, _=r. 38. Tutto, come deri^
desiderio. = — 13. .S « / presso, in su la pressezza.
desiucrio. = — J-i. ani presso, \n su la pressezza, 1 ap|(lal suo principio. 41. J ni, taluni di siiulime iiigegn i:
FiressarHÌ. Monti l'rop. 3, 1. 112. 2, 119, Con ciii cadono leit'/ie — lor do' (juali, come v. 30. Sarebbe, cioè se dio ave i:
lizioni suol, sorpreso, e oppre s so. :^^- 16. iSè, co.s'i I se così disposto. r-r= 49. Lerici e 'l'urhia due luogi *
Inf. 2", 103. r^- 23. Un — bianco, due ali d' nu angelo, posti ai cajii della Uivicra di (ienova, piena di monti scosci :
; 2li. Avvarscr lez. dioiiis., come il cod. bart. ha ap
parver dal bit. api-uruere. Era un angelo solo. =—
27. Galeotto, nocchiero (43) angelo, nrr: 30. U f ic.iali,
ministri. =- 31. //r^ o wi e xi 1 1 , istruincnli. : — 32. /"e/o,
xcl-i. = 34. /> ri Uè, alzale. = 35, Trattando, agi-
sì , Lerici da levante, \iciiio a .Sarzana , e Tnrbia da poneut *
vicino a Monaco. rrrr: 51). R ni nata via è la liz. bartC *
chiarissima, in vece di ro mi t a , o r omi t a ruina, o ri
mila costa, o r ui nat a riva. Diserta e r omit
sarebbero troppo siuouimc, = 51. Verao a paragone. =:
fO'
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
I. E fi arti. — mente, esplorando la natura del camniìpo. =r
I. il/asKt, macigni. 73. Ben finiti, morti in dio.
:r 79. Chiuso, come chius t r o , luogo chiuso , serrato,
rgliiagffio , pecorile, giaciglio. Del fatto, eh' è bas-e di que-
a similitudine, parla' U. nel convito. Sii. M andrà,
alla, stanza. Voce greca! : H9. Val — canto, perché
mimili faceva col sole alla sinistra. 09. Soperchiar,
rmontar. Parete, costa, ripa. 102. Insegna, se-
io = ÌWi. disdetto . negato. Monft Prop. 1, 'i. 232.
— IVÌ. Constali za, figliuola di Ruggieri, re di Cicilia, e
)nna di Arrii.'o Vi imperatore, padre di Federigo II, padre
iturale di Manfredi. 115. Mia bella figlia, nomi-
ita anch' essa Coiistanza. IKi. Gnor di Cicilia,
ederigo, re di C. Pi Aragona, Jacopo. 11 padre d' am-
due lu Don l'ietro, re d' Aragona. Meiiire però D. biasima
sderìgo 19, 13l(. 20, ti'd. nel Conv. e de vulg. el.l, 12 : Jroya
rllr. alleg. f. 115 pretende, doversi questa lode attribuire al
lo giovinetto Alfonso , il quale col padre guerrcggiii in Ara-
tila contro Carlo di Angiìi per la difesa della Sicilia. z=rz
H. Rotta la perso 71 a, ferito il corpo. : 119. Pan-
>, puntate. - — 120. Quei. dio. = 121. Peccati.
leva ucciso il padre Federigo II, e il fratello Corradino, prr-
guitato la santa chiesa. / illani fi, 42. 44. W(. 7, 9. = 124.
' pastor di Cosenza, il \escovo. Alla caccia di
e, a perseguitarmi disumando il mio cadavere scomunicato.
= 125. Clemente IV. 12tj. In dio, nelle scritture di-
ne. Qu e s i a f ac e ia, che tratta della clemenza e miseri-
rdia di dio verso i peccatori , che si pentono. = _ 128.
resso a U., dove fu sepolto. 129. Mora mucchio di
gsi gittati sopra la sua fossa per ciascuno dell' oste, come
ce il fillani 7, 9. Dopo tutte le derivazioni della parola
Ile province del Lazio e della Campagna, dove, secoodo
ibtanzo, cos\ si dissero le moli di uno o di più pezzi grandi,
e si veggono sorgere nei dirupi fra le montagne, e che
me balze sporgono fuori e s' innalzano a perpendicolo, par
tiiralissima cosa d' identificare la parola con muro, lat.
uru.t , anticamente moerus. 131. f erde, fiume che
Me nel Tronto, non lontano da Ascoli, o il Garigliano.
=: 132. Tr ffl A- m u t ò, trasporti). A l urne spe 7i to , senza
neral pompa di cera e di canto. ìVelle scomuniche i lumi
niicro spenti, come pur 1' antichità foggiò il genio della
orte con facclla tornata e spenta, -^t: 133. Per, nonostante.
= 135. Fior, un tantino, lui. 25,144. 34,20. = 139.
r en t a , il trentuplo. ; 141. Questo divieto d' eii-
ir in purgatorio se non passato il trentuplo della dimora
Ita nella scomunica. : — 145. Quei di là, uomini nel
indo.
Canto IV".
2. T'irti/, potenza. Comprenda, in sé accolga,
•inga, rìiieerri. : — 3. Raccoglie, concentra, :: — 4. i
1 1 e n d a, ni fissi , badi. ::::::= 5 8. Error — accend a'
)è esser piii anime, vale a dire tre , una vegetativa, una
nsitiva , ed una razionale, nel fegato, nel cuore, e nel ce-
bro , come opinò , dicono , Piatone. H. / olla, rav- 1
Ita, applicata. 11, Intera, intatta, non toccata dalj
Miesimo obbietto. : — 12. Legata, impedita ne' siioil
liei. : 14. Quel lo sp. , Manfredi. r=rz 15. C inquan-\
: gradi, piti di tre ore, concios^iachè corra il sole gradi:
ogni ora. r= 17. Ad una, unitamente. : IH. t)i-
audo, la salita, di che dimandaste 3, 7(i. p=r 19. Aper-
', apertura, ttiepc, o muro circondante la vigna. Impru-
i, serra co' pruni. 20. Por e ut ella, quantità che
piglia con un forcone, irrr: 21. Imbruna, matura. r=r
C a / / e , strada. Saline , ì*a.\\; come partine, part'i.
_■ 25. Sanleo, città nel ducato d' l'rbinu. A o l i , città i
porlo tra Fiesole e Sa\oiia nel Genovcsato. r= 20. His-\
antova, monte allisHimo nel territorio di llrggio in Lom- 1
rdia. 27 Con esso l, coi soli, pur coi. r= 29. i
indotto, c(uiil(ittiere. 31. .Sa/e e a m ,_ salivamo. |
culli verbi anticamente furono di doppia coujuguzionc, conici
;i II r e r e ed appa r i r v , e a p ere e e a p ire, off e re-\
eiltoffvrire,ferirriìferire.pen(ere e penti-]
rzrr: 33. Piedi e man ad andar carpone. r=r 35.1
iaggia, dorso. =rt 37. Cangia in basso, alla china.!
- 3-'. A CI] ui sta, lienli. : — : 40. / in ce a la vista,^
endevasi tanto, che non \\ arrivava la vista. r=rr 41. Su-
I II it , KxVii. ^— 42. Q u (I d r u II I r , inslromenlo formato
due norme unite insieme mi ani;olo retto, e d' una lista
iliile . detta traguardo, siiiiaia nell.i congiunzione, o
irò di quelle. Iia lisla in mi -..zo del quadrante segna un
golo di 15 gradi e in consegiieii/a qui un' accli\itii ripidis- 1
iia. 47. lialze, proiiiiiicn/a , sporgimento di ternrno'
ir della siiperlicie del monte. 51. Cinghio, orlo.
- .'(1. ,/ riguardar, il guard.ir indietro o di nuovo al
inniin fatto. — 57. Che da ecc. perchè in lùiropn , e
Ile ri'gioni tutte- al dì qua del iionico del cancro , chi sin
Ito a levante, vede girare il sole alla sua destra, rr— 59.
l r r 0 della luci, sole. rr— (10. (Ire — i ni r n va cs
Ilio quel monte unlipodo a Gerusalemme, città posta al di
qna del tropico del cancro, il sole intrav a, nasceva tra
noi e r Aquilone, al contrario di quello che accade nell' emis-
perio nostro , dove il sole nasce tra noi e 1' Austro, punto ap-
posto diametralmente all' Aquilone. _ :=r 61. Castore e
Polluce, la costellazione de' gemini. =r= 62. Specchio,
sole. 64. Tu vedresti ecc. La costellazione de' gemi-
ni è più vicina all' orse, che quella^ dell' ariete; perciò è
che se il sole fosse stato in gemini , invece d' essere , come
egli era, in Ariete, si sarebbe veduto il punto del zodiaco
rubecchio, rosseggiante pei raggi solari, rotare più vici-
no all' orse, a meno che il detto sole non uscisse for del
Cam min vecchio, dall' ecclittica. r=r 96. Questo
monte, del purgatorio. 70 ss. Si — e misperi tal-
mente eh' uno ò diametralmente opposto all'altro. La stra-
da che , m a l , {per ìuì, dannosamente) non seppe car-
reggiar Feton , la strada del sole, 1' ecclittica. Costui,
questo monte del purgatorio. Colui, il monte Sion. Il cod.
bartol. legire la qual non seppe, ajtri che mal si
seppe, aTtri che malia seppe, altri che mai non
seppe, che sembrano chiose tutte quante. _=:r 79. Mezzo,
mezzano , intermedio. Moto superno, il più alto girante
cielo. 80. yllcun'' arte, astronomia. r= iiì. Tra —
verno, tra la parte, ove trovandosi il sole fa essere 1' esta-
te, e tra 1' altra, ove il sole mancando fu esser 1' inverno.
82. Per — di\ aver quel monte e Gerusalemme lo stesso
orizzonte e divi.rsì emisferi, ed esser dunque uno all' altro
antipodi. Quinci, da questo monte. r=:: 84. Lui, V equa-
tore. La calda parte, V austro r= 95. Riposar,
acquetare. 99. JJistretta, necessità. =: 113. ì i s o,
occhio. Inf. 4,11. = 116. Avanzava del cod. bart. è
chiosa d' avac e i av a. 119 s. Lo beffa del suo stupore,
come fanno i pigri a chi investiga cosa degna. r= 123.
Delacqua, secóndo un postillatore antico fu un eccellente
fabbricatore d' instrumenti musicali, ma pigrissimo. = 125.
Qui riti a, quivi appunto, appunto in tal sito. 17, 86. r=:r 126.
Il modo usato di pigrizia. Riprisu, ripreso. = 127.
/'orto , importa . monta. 132. Al fin, alla morte.
// i éu on s os;) ir i di pentimento. 137 8. £ f o eco —
sole, il sole è nel meriggio, è mezzogiorno. Alla riva,
al termine di queir emisfero. Marocco, Mauritania, sun-
ponendo essere contrada all' ultimo confine occidentale dell'
emisfero nostro, contigua al termine di queir eiuisfero.
Canto V.
b.Da sinistra, sul terreno dalla sinistra parte de'
poeti. Quel di sotto. Dante. 9. Rutto dall' ombra
del corpo mio. : — 10. S' impiglia, s' impaccia, s' intri-
ga. 12. Pispiglia, bisbiglia, susurra. = 14^ Fer-
mo, non ferma, leggono i migliori codd. i= 15. Per
non ostante. 18. L a f o g a lo un dello altro in-
solla, un pensiero indebolisce 1' energia dell' altro. Mun-
ti Prop. 3, 1 175. Insellare, da sol lo (v. all' Inf. 16, 28)
ammollire, infievolire, rallentare. Foga, affine al fr.
fougue , a fuoco , f/'tò^, (puri/no , ifavw, ted. fauchen.
hauchen. La Icz. soga d' alcun cod. sembra affettata, v.
Inf. 31, 73. = 20. Color rosso di vergogna. =r 25.
A" 0 71 dava loco, imjiediva. rr^ 32. Ritrarre, dicliiarare,
riferire, rrr- 37. / npori accesi, come que' creduti stelle
cadenti, razzi. rr= 39. Sol calando, sul tramontar del so-
le. 40. Meno spazio di tempo. 43. Preme, s'
affolla. = 51. <^u i l'I, neir ultima ora. r=r 58. i'ercAèj
benché, quantunque. r=r 64. i' n o , Jacopo del Cassero, di
Fano, podestà de' Hologncsi , nemico d' Azzonc 111 da F-^tc,
il quale lo fece uccidere ad Oriago, villa tra \cnczia e Pado-
va. 66. Aon possa, impotenza. Monti Prop. 3, 1.
175. 69. Che ecc. la Marca Anconitana, in cui è l'ano,
situata tra la llomagna e il regno di Napoli, di cui era allo-
ra padrone Carlo II. = 71. Per me, per la liberazione
mia. Si adori, si ori , si preghi. r=rr 73. (/ u ì n d i , di
Fano. Fori, ferite. = 71. lu — scdea, nel quale 1'
anima mìa sedeva, rr-r 75. Antenori, P.idovani . per cre-
dersi Padova fondata da \ntenorc. r — : 77. Qui Ida Esli,
.\zzone 111. 79. Mira, luogo sulle rive d" un canale
artìliziale, oh' esce dalla Brenta al Dolo, e sborra nella la-
fiina a Fusina. rrrr 82. Camucci', vesti di panno, abiti,
ocabolo affino a camicia. Ir. chemise, ted. lUnid , gr.
Uhi, èiiitt , iiiiiiior. Urago, fango. = H3. Impi-
gliar, invilupparono. ::^ 85. Se, s'i , cos'i, r-r- t<H. Buon-
conle, figliuolo del conto (Jiiido di Montefeltro , sposo di
dio vanti a, il ijiiale comballè in ('ampaldino contro a' Giiel
li, e vi fu morto. - — 92. Campa Idino, piano in Ca
Nenlino appiè del monto di Poppi, teatro della battiiglia a' 1
giugno 1289. f illuni rr. 7, 130. r-rr 9li. Ertno, cremo,
Holilndine. r^ 91. Divento vano, finisce d' esser ;ip-
pellalo Arrhiano, in vicinanza cioè ad ,\rno, col quale inisrbi-
aiido Archiano le sue iir(|ue sì niipella \riio. .—— 102. Sola,
inanime. .- — 103. />i(o le/iuiie bart. vera invero ili diro.
lOj. fri vi. dell" anima di costui =r^ 10(i. /■' etimo,
V anima. —~ 108. Dell' altro, del corpo. = 112. Oiuu-
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
te, accoppiò il demonio. : — IIG. Fra tom agno ,
pi Prato vecchio , luogo che divide il vai d' Arno dal Ca
tino. <? ra n g- iogo Apenuìno. : UT. Intento, in
og-!^ra e, ingiurie. : — 110. Santaf ior e, contea nello stali
.'asen-!di Siena, di quei tempi feudo imperiale. : _ 111
iuten- Qua n t 0 si a ma , ironicamente. = 118. Invece di li ii\
80, denso, coiislipato.' r= 121. Convenne , congiunse. / ic ? £o (lecito) mie, che quasi è scusa di on rimproveil
: 122. Lo fiume re al, Y Arno. 12.'». Rub e st o, l'atto al s o ni vi o Gioite, cioè nume giovante. Cristo, coni
impetuoso e gonlio. 12(i. La croce le Lrncoia composte mostra il v. 119 , il cod. bartol. ha: E sollicito vien! clf
in forma di croce. 129. Preda, ghiaia predata a' cam- troppo tracia dalla volgare lezione. : — 123. In tutt\
pi. Lezione piiielecante e difficile di quella del cod. bart.' riuH o a e co rg-er n o stro as cisso, del tulio rimoto, na»
mie tre, che pare chiosa. 133, jPia, gentildonna sane- costo al nostro pensare. Luogo parallelo a Par. 21, 91. Af
se, moglie di M. IVello della Pietra, la quale, come fu ere- cuni codd. però hanno in tutto per corregger nostrf
duto, trovata dal marito in adulterio, fu da lui condotta in s e is *■ o , cioè per sanare, comporre le nostre discordi t
Maremma e quivi uccisa. Altri dicono eh' ella fu innocente. Scisso, in questo senso per scisma è raro; il senso s;|
e uccisa soltanto, perchè !\cllo si era proposto di farsi mo- rebbe convenexole. Segnammo una virgola, perchè le paro!l
glie la Contessa Margherita, la seconda volta rimasta vedova, seguenti contengono appunto quei fatti espressi in generali!
: 135. Salsi, se lo sa. 13G. Disp osando. ILche sono preparazione. r=r 125. Un Marcel, Marco Mail
disposata del cod. bartol., e disposato del cod. pog- cello, nemico di Cesare. Allude ali' opposizione fatta all' im
gìau, sembra alquanto duro. peratore. = 125. ^iiZan, contadino , ovile. FarteJ
stando prendendo parte nelle fazioni. 127. Ironf
C A !V
T 0
VI.
parte
acerba! — — 129. Mercè, per grazia. Si argoment,
s' ingegna, procaccia. Inf. 22, 21. a distinguersi tanto. r=j
130. Scocca, va in effetto. Per — arco, per non iscoj
. « car imprudentemente, sconsigliatamente. = 132. Al soni
1. Parte, finisce. Zara, giuoco d' azzardo , che si ta- „, ^ della bocca, a lìor di labbro. = 135. Chiamar]
cova co' dadi. : — 3. Volte, tratti, rivolgimenti de dadi, yjgjjjjjjgrg^ syligcitare. Io mi sobbarco spiegano m' ii)
ara, con suo danno si scaltribce. ==: i. Lo f^^^^^^, g„t(„ ji comune iucai
Tristo i m pai -^ . .
altro, il vincitore. H. Pia non fa pressa, togliesi
dal fare calca intorno al vincitore. Porge la man, dona.
= 13, Lo Aretin, Beuìncasa d' Arezzo, il quale, e.s.ten-
do vicario del podestà in Siena, fece morire un fralel di Ghi-
no di Tacro , e con lui un suo nipote. Turino da Turrita,
per aver rubato alia strada; onde sdegnato Ghino, in Roma,
uccise Benincasa, e portosseue il capo di Ini. == 15. Lo
altro ecc. Cione de' Tarlali, potentissimi cittadini d' Arez-
zo, il quale perseguitando Bostoli, altra famiglia potente, fu
trasportato dal cavallo in Arno, e quivi annegò. Caccia,
perseguitazione de' nemici. r= 17. i^erf^rico l^ovello,
figliuolo del conte Guido da Hattifolle , ucciso da Forna.iuolo,
uno de' Bostoli. Quei da Pisa, Farinata, ligliuolo di M.
Marzocco degli Scoringiani da Pisa- Fu ucciso dal nemico
Beccio da Caprona, e il suo padre, fattosi frate Minore, ior-
teraenle impetrò la sepoltura vietata; onde che— forte. =
19. Conte Orso, tigliuol del conte Napoleone da Cerbaia,
morto dal conte Alberto da Mangona, suo zio. = 22. Pier
dalla Broccia, secretarlo e consigliere di Filippo il Bello,
messo per invidia [inveggia, come i n i> e ,£: g i a r e per in-
vidiare Par. 12, 142) da' baroni in tanta disgrazia della rema
(madrigna di Fil. il Bello) Maria di Brabanie, che 1' accusò
di castità tentata, onde il re lo fece morire, v. Troya vel-
tro alleg. 1112 8. Altri dicono, che Pietro avveleno Lodovico,
figlio d' Isabella , primiera consorte dì Filippo HI , accusando-
ne Maria. = 23. Peg-^ ior ^r e,?,? ia di dannati. —
27. A vacci, affretti. r=r= 29. In alcun testo Eneid. b,
37li. rrrr 31. Piana, chiara. = 37. Cima di giudizio,
rigor dì legge divina. Avvalla, abbassa, piega. 13, b3. — -
3-. Di amor dì carità di dio. = 39. Si astalla, sì
stauzìa. r=r= 40. Punto, massima, proposizione. =: 13.
Sospetto, dubbio. = 44. Quella, Beatrice (4(i). _==
47. /'e droi .30, 32. 73. = 48. ifi fi e n te e /ei ice si ri-
ferisce a re 1 1 a. raffr. 28, 7 ss. = 54. Stanzi, credi,
giudichi. Inf. 25, 10. = òli. Colui, il sole — : :i8.
Auova specie di negligenti ! Un' anima, Sordello manto-
vano, letterato (della volg. eloq. 1, 15) eccellente nel poetare
provenzale. (12H0) V. IFachlers Handb. der Gcsch. dei
Lilcr. II, DiO. Ili8. A posta, della Crusca e lezione quasiché
ridicola, laddove posta è la vera e naturale. := U2. Al-
tera e disdegnosa, con nobile schifezza generosa. r=:
72. Tutta romita da prima. := 70. Osf e iio , albergo.
7H. Donna, dominatrice. Bordello, postribolo,
meretrice. = B5. Pro fi e, rive. z=. 88. ifacc o n e i as-
« I" , raggiustasse , riordinasse. Pr e no delie leggi. r= 89.
Se — vota se manca chi ti guidi. rr=: 91. Gente della
chiesa. = 93. Dio ti nota dicendo date a Cesare eh e
di (k'sarc ecc. =. U. Fiera, Italia. = 'A>ì. Predel-
la spiegano possessione (da pr aedi um), o seggio, sgabello.
Meglio sarà d' intendere quella parte della briglia , che va
alla guancia del cavallo sopra il morso; da brida, bri del-
la, b redelta, col. ^Qurijo invece di ('ì'Tiiq , affine a
bri glia, e tpoarro) , fr. 6rif/f;, ted. antico nel Tri-
nano 7045 tfr if èi. = {\7. Alberto, imperatore d' Au-
stria, iiglio dell' imperatore llidolfo il primo della casa d
Austria, succeduto ncll' impero ad Adolfo nel 1298 o l^'' j «|
vJHBUto imperatore dieci anni. Bonifazio Vili soltanto nel UOJ
fli spedi bolla di ricognizione come re de' Romani.
n forcar, stare a cavallo strìngendolo colle gambe. -_-
101. Sang u e , lignaggio. Si a — ap e r t ». Allude al mici-
dio d' Alberto, fallo nel IHOH da (Jioviiiiiii Parricida, suo
nipote. :=— U)2. Su ecessor , Arrigo \ Il dì Lucemburgo.
103. Padre, Rodolfo, r^ 101. Di costà, in Ger-
mania. /.*i«< r fi « / , aiigusliatì. =: 10(1 .l/ontf!Cc/»i e
Cappellani^ famiglie ghibelline dì Verona, rrr— 107.
Monaldi e Pili ppe scUi famiglie della stessa fazione
in Orvieto. = 109. G e« ti ii ghibellini. = 110. ili a go-
jcarco di cariche, e lo darìvano fi
arco. Chi sa, se non si debba alla rima o al verso ques'
vocabolo invece del più solilo imbarco, essendoché lo stai
e le cariche si paragonino spesse volte a navi, ed imha
carsi sia detto di coloro che entrano in negozj , o impre:
senza i debili prov\edinieuli. : 140. Felino le legg
Atene per mezzo di Solone , Lacedeniona , o Sparta, per me
zo di Licurgo. 141. F' e e ero pie ciò l cenno , died
ro piccolo saggio. 142. Sottili, arguti e tenui. =
144. Giunge, dura. : 147. Membre, cittadini. —
148. ledi lume, hai fior d' ingegno. = 151. Dar vo y
ta, voltolarsi, dimenarsi, agitarsi. Monti Prop. 1 , 2. 21
Scherma, ripara, cerca di riparare
Canto VII.
3. Si trasse, s' arretrò. 4. Prima ecc. prìir
della redenzion del mondo per Gesù. = 7. Rio, reità. =
Fé alla redenzione per Gesù. 15. Ove — ap pigile
ai piedi. 21, 130. o alle ginocchia. Un cod. vatic. legge ov
l nutrir si p igl ia , che sarebbe sotto il petto , alla ri
gione del cuore; il che pure contiene meno alla situazioi
umile, ed all' emozione. ;=;: 18. Lo co— fui, Mantova. —
21. Fien' viene. Chiostra, cerchio. = 21. T irta dt
del, di\ino potere. =^ 24. Non fare, omissione, o uiai
canza di fede, speranza e carità. 20. Lo alto sol, iddi
= 27. Tardi, dopo morte. = 29. Loco é, il liiiib
= 29. I lamenti — sospiri, Inf. 4 , 25 s. = 33. Um t
na coipa originale. = '.ìi. 7' r e — virtù tede, eperauz
carità. =: 39. Drittoinizio, vero principio; eh' erai
ancora ncli' atrio. = 40. Posto, assegnato. =: \T. Mei
r o , menerò , condurrò. Alcuni hanno inenerotti, ali
se ' l mi con s., m en erotti. = 49. jR is;) o s f o da \ i
gilio. 51. hnece della volgare lezione o ;i o n sarri
die non potesse cioè o non salirebbe ( Boccacc. giorii.
nov. 9) perchè non potesse, i codd. Caet. e barlol. haiii
0 V ve T (ossia oppur) sar i a, che (o eh' e l) non potè s ."!
eh' è sciiz' altro molto più piano e naturale. =^ 5(i. Che l
notturna tenebra. Allude a S. Giov. 12,35. r= 5
Lei, la tenebra. = bO. Dì, sole. Senso: mentre il soie si
sotto r orizzonte. tjl. Liei, fi, come io ci 24, 105. r=
U5. Scemo, scavato. r= litì. Quid, qui, nel nostro emi
t'ero. z= b8. Grembo, cavità. = 70. Sghembo, obb!
quo. Affine a a/.aw;, y.uuì , y.iu] , xau^w , y.a/.i:iivi, xay
.TvÀtw , ay.ufifiog, a/.iy^o;, ted. schief, ingl. to scanm
hi e, scowl. = 71. In fianco della laccm
(Inf. 7, IG. 12, 11) alla sponda di quella cavila, o cislerni w
= 72. lilore, si perde, svanisce, /y e m 6 o , labbro , or! u!
La discesa dunque che cimduc. a quel seno, è dolcissima. = "
(3. tocco, coccola di frutice, usata per tignerò in color ross
nobile, chermisi, o grana. Biacca, materia di color bìanci
cavata per forza d" aceto dal piombo calcinalo. = 71. Il
dico leffno, ebano. Sereno, chiaro ed arsiccio arido. '
.Wonti Prop. 3, 1. 51 ss. dall' antico ted. ScAor — come 1 «
Schorstein — fuoco, affine -AOii'no;, iìi'iin;, Otnno;, iijnOi l
lat. urcre, torrere , fr. tarir , ted. sercn , sbrcn , set'
ben, diirren, dorren , diirren. = 75. Fiacca, Icndt
rompe, distacca. = 79. Dipinto vaghi colon, zr
81. Indistinto, indistiiizione, mistura. =r= HI. Salve
regi na, canzone dì chiesa indirizzata a Maria. =^ 84. Pe
la valle, per cagione della cavità della valle. Parean
erano visibili, zrr-- 90. // a m o , lacca ; voce greca o latia
(hxiiio;, Xa/.w;, lama) cavità, seno 7G. r= 94. Ri
fi o i/o imperai or austrìaco, padre dell' imperatore Alberti
eletto nel 1273, morto 1' anno 1290. == 9G. Ricrea, rìcre
arsi duvrìi. = 9?, Nella viata, mostraudosegli , guai
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
Ito. 99. La terra ecc. Boemia. 99. Invece del avidi. = 66. I>ore — tarrf e, al polo antartico. : 87.
■uscano che Molta (la Moldava, fiume clie attraversa Stelo, asse. = 89. Tre facelle v. 1, 23. dell' Eridano,
ragù) in Albia (oggi Elba) i codd. il. e banol. hanuol della Nave e del Pesce d' oro; appunto in opposizione dì quelle
«fa, cioè si cangia, altri monta. Si può bene che i co- quattro esistenti nella costellazione del Centauro. Ora le tre
atori abbiano cangiala parola meno ovvia in altra più nota, virtù teologali; come le (/uattro stelle sono le virtù car-
— 100. Ottacliero, nemico di Midollo peri in una batta- dinali. r= 91. C'om' el par vera lezione, ed e, che siegue,
lìa nel 12Tb. =z 101. f incislao IV morto a' 23 giugno fa pleonasmo usilatissimn. r^ 97. Riparo, rialzamento,
jl 1305; non già \ , che nel 1300 non aveva che 12 anni, et- lembo. = 100. Striscia, metaf. serpente. = 104. As-
;ndo nato ne! 1288. = 103. Xnsetlo — il cod. caet. ha tor (v. di questa parola Bailey- Fahrenkriigefa Wortcrb. d.
asuto, di che non lece decidere — Filippo III 1' Ardito, re engl. Spr. ed. 12. pref. della 1'. 1. f. 2< s.) celestiali, an-
Francia. =z 104- Colui, Arrigo HI, re di Navarra. =1 geli. = 108. Foste, appostamenti. = 109. L" ombra
l5. Mo r) fug fs end 0. A'.endo i'ilippo 111 guerra con Pie- di Currado M. =: 112. Se, s'i , cosi. Lucerna, lume,
HI re d' Aragona, ed eniralo ec.^endo nella Catalogna,' grazia illuminante. = 113. Cera, materia, corrispondenza.
a /atto /erto, appoggia. = W.ì. M a l di Fr ancia,' Vl^. B 0 r s a , liberalità. Sparla, valore. r= 131. Per
ilippo il Bello. Inf. 19, 85. Pg. 20, 8ti. 22, 152. .33, 45. Par.j che, benché. Il capo reo Bonifazio Vili. 16, 100 — 105.
', 118. 111. Lancia, tormenta. 112. (^uel ecc.' : 133. Si ricorca, rientra. A noie in sentenza dire non
etro 111, re d' Aragona. 113. Colui dal maschio passeranno anni sette, predicendogli la cacciata e resilio. =
aso He Carlo 1 di Puglia, padre d' Alfonso, Jacopo, e Fé-, 138. 31 ag g io r e Itio vi d' esperienza.
;rigo. llb. Lo giovinetto, Anselmo primogenito,!
orto sei anni dopo il padre ne! 1291, principe eccellente. n=:[
9. Jacopo — reaìiì i. Villani 10, 41.il, 73. r= Re-Ì C A N T 0 IX.
t ggio miglio r , \'\nix. : — : 123. (^ueiche Za(probi-|
de umana) dà, iddio. Per e A è, affinchè. C// fami, pre-, j_9 Deficrive la notte che in 12 passi trascorre lo spa-
ludo. =z 124. lA asuto, tarlo I, re di Pug.ia, e conte ^io vastissimo dell' emi>IVra. L n con cub ina di Titone
Provenza. = 127. S « m e , genitori, y'^c7i £a, ligli. antico canuto è 1' Alba. S'imbiancava, spandeva la
8 s. i/catrj ce e 3/ar^/t(,-rit«, liglie di ilaimoudo ber- gua luce. Al b. di' oriente, sovra V orienlali balze, o
ighieri V conte di Provenza ; quella maritala a san L/uigi, re . ^ d .j_„ „ a„; «■■ • -1 -,-,^
Francia, questa al fralel di lui. Cario I, re di sfcilia. "l'^- Balzo 0 balza, sono affini a rre/.Aa, (pi/./.a,
arilo, Pietro d' Aragona. 130. Il re della st-//);it. rupe, atua;. fr. falaìse , ted. Ftls ed a palus , ted.
ita, Arrigo IH. Villani 5, 4. = 132, Migliore, e non Pjahl , Bohle, come termine, conlìne, balco, il che si trova
ilio re si deeleggere. Sono state confuse queste parole qui (|ui in alcuni codd. Vi gemm e ecc. La notte che il poeta
127. := 133, Si atterra, giace, si prostra. =z 121. si smarrì nella selva, e che fu innanzi alla prima notte del
uglielmo Marchese del Monferrato, preso e morto da viaggio, era il plenilunio. (Inf. 20, 431 Era dun(;ue la luna
lelli d' Alessandria della Paglia; onde segui guerra gran . nel punto opposto iliametralmente al sole, cioè nella Libra,
•■ tra i iìgliuoli di esso Marchese e gli Alessandrini, =: 130, eR.-'endo il soie in Ariete. La luna passa da un segno all' altro
' "^ "'e, parte del tratto di Monferrato. del zodiaco in meno di due giorni e mezzo; e lo Scorpione
segue immediatamente la Libra. Dunque in questa notte, oh'
„ -i-riT ^ '** terza del viaggio e la quarta dopo il pleiiilnuio, la luna
O A N T 0 Vili. era già entrata iielio Scorpione, detto W freddo animale^
perchè intorpidisce nel verno. Passi, ore. La notte sorge
1, Descrizione della sera! _ r— 3. Zo dì quel giorno, al tramontare del sole; il sole era in Ariele, sorgea con la
:: 5. Si/ ui Ila, campana. Voce tedesca Schelle, da sciial- Libra. Tra il levarsi dell' uno e dell' altro de' 12 segni del
re, suonare, affine a gellen, y.aXiu; lat, calare. Par. 20,' zodiaco ^lassan due ore; e come tutte le stelle dello scorpione
squilli. = 7 8. Render vano lo udire, non sen- <=rano già uscite dall' orizzonte, esser dovca passata un altra
nulla.
E il terzo ecc. la tcrz" ora di notte era al suo
.^. »,..., ui„i. ,,,. ...v,iiti.iiu . agli umili dio dà grazia e cU as- *. -in .,»•-... ,. ,
ne neir opra dell' ammend.l :^t 2i. Pallido di paura! « l"''^** "'.«"" .l'alia, car''^ *-• I"" «lai pensieri, i quali la reo-
Iserpente o delle tentazioni notturne. Altri hanno pavido. ì ''""" ,'1''"«' '•'^'"a- Il seu-o unii pare assai spedilo e chiaro.
= 2(i. .S;) ar/fia//ocat p di giustizia. =r- 27. '/r o ne h e\ =T- 19.^ o.v ,) e » a librata sull ali. =- 22. La dove ecc.
sue di misericordia. =r^. 28. f erdiiii segno di spc- «"1 "•'"''« J.'l*-, ==? ^^ Co «ri «foro aduiiamenlo, corto,
iiza. = 29. Penne, aie. z=-. 35. / irta, {orza qual-| = 2->- P' e f/ e, ghermisce e preda. = 2,. In piede
ogiia, A troppo, per impressione eccessiva. Si co«- <=<"' B''.a''l'el'- =T, 30. /< 0 co , sfera del fuoco sopra quella
nda, viene oppressa e superata, rr^ 37. Del grembo] •'«H aria, =; 31. Cossr, V""^^ ^ "" fea sentire 1 ardor
Maria, spera concava , dove sta Maria, l'arad. 31 , 1. '""■ = -F-. .W«r r/ rr , lei. (hiroiic ceiitanro. Sciro,
ndice del Giu.li.alo di «allora in Sardegna, capo di parte ^"''^- l'r"priamnitc nnlorzar con terra .. altra materia ; af-
ella, nipote del conte tgolino della «lierardesca ; fu cac- '"•«, a chuus», e, d.i ratcca, e a t ri , a, calveata.
Ilo di Pisa nel I2i-H, e in Maieinina guerreggiando mori, e a / tr « f u ;/i , voci de ,at. iiuzz. r=r- .4, «otto rottura.
illam 7, 120. rr- .,7. Lontane a e, uè, foce del Tevere =^ . ^l- ^ "<•''"."> ''al 1""C;'!. ««"ve side. =rr h7, A 01,
•là. :— mi L' altra immortale. :— iW. A d 11 n U,- annoi , incomodi , inciesca. Alline senz olirò a n n „ , ,n r e,
; dell' assurdo criinano a ;/i (■ non chiede difesa. . — (>.'). ruritttan. 91. liianco ere. Siinbuleggia il ricouo-
'trradn Malaspiiii , manliesc di liiiiiigiana , jiadrc di Ma- Hciinenlo delle colpe, e il ranilnre della r(Mifisr<iiiiic di esse. =
elio, o Morello, riceltalore di Dante esule. :: — : liti. Che !I7. 'l'itilo, oscuro. Inf. 3, 2!l. ; -- OS. f'e t ri n a , petra.
sa. r — ()7. drudo, gralitiidiiie. : — tiH, Colui, dio. Dinota il duro cuore del placcature e gli ell'elti della contrizione,
— U'.i.Che — guado che non vi si puii penetrare. :— : 70. : — 100. Ni a m in a s i e e i a , s' accresce, o è soprapposto.
i — onde che separano il piirgalorio dalla terra, r — : 71, \cceniia la sali-fazione, r-r: 108. Serrarne, serratura. :=
<_o i< a n rt a, figlia di Mno, moglie di Iticcnnlo da Caiiiiiiino 112. Sette /', segni de' selle peccali capitali. =r-r 113,
rivigiano. r — : 11. Chiami, ori. r— r 73. Sua madre, /'i/ ;i ( o n , punta, r -^ 119. // / « n e ri d' arg< nio. ^ f," in / / a,
matrice Marchesolta d' E»(i, sorella il' \zzo VHI,diipo la aurea. (Quella dinota la srieii/a , (|uesta 1' autorità sacerdo-
>rte di Mno rimaritala a (laleazzo do' \ isconti di Milano, tale, z — : 121. Toppa, serraliira. r— 123. Calla, porta.
— 71. /ji- bianche bende, segno di vedovanza. : - 75. r— : 121. I, a una, quella d' oro. : — 12li. // no do dis-
fi — h r n in i per enNere scacciali di Milano I Visconti per groppa, schiarisi-t- e rinrdina V iiiviliippala rnsrieii?a del
olii della Torre , ove sofferse (Giovanna, r — HO. La vi |iiMiilente. : — : 130. /'/ h .« e, spinse. 131. SpigiAi
tra, lo slemiun de' \ iscoiiti di Milano portato in campo per iiiirlle punte di ferro, che posuiio in terra, sui quali ri rcgKtt
«cpiia. r — HI. dallo V arme ilei (Giudice iNiiio. rrrr hi. \ usi io , e si gira la porla [regge) ycT aprirsi, ^ — 137.
'auipa, imjirouta, Dritlu, giunto. = H5. G hiotti^[ Tur p va I.1 fabbrica dell' erario di Ilmua , cbo Cesare tor-
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
nando «la Brindisi ed entrando in Roma spogliò per pagare i
suoi soldati. V. Lucano Fare, 3, 155 ss. =:=. 138. Ma era
priva delle ricchezze.
Canto X.
1. Poi, poiché. Soglio, soglia, limitare. = 2. Mal
amor, ree passioni. JJisusa, rende poco usata, rade vol-
te apre. 5. L se io ecc. perchè avvertito 9, ISl s. :=
8. Si moveva, si raggirava, ai volgeva, serpeggiava. =
12. Si parte, dà volta, si divide. : — 11. Scemo della
luna la luna mancante della rotondità. Essendo questo il
quinto'giorno dopo il plenilunio, conseguita, che la luna do-
veva tramontare quasi quattr' ore dopo il nascere del sole.
Più che due ore erano trascorse quando i poeti cominciarono
la salita; dunque una e mezza ne spesero nel rampicarsi, me-
no quel pò" di tempo coli' angelo alla porta. IG. Cruna,
fenditura, via angusta. Inf. 15,17. : — 18. Rauna, ristrin-
gesi, ritirasi. 'H. Mi s u rr e b b e , misurerebbe. : —
a5. Trar <V ale, volare, discorrere, trascorrere. 27.
Cornice , piano , strada. : — 30. Che dritto — Tn anco
non -possibile a salir persona v. 51. cui mancava la
possibilità di salita , perchè sorgeva \erticalmente. = 32.
l'olici età, celeberrimo scultore dì Sicione , città nel Pelo-
ponneso. 33. Avrebbe scorno sareblie vinta.
34. Lo angel, Gabriello. : 3li. Dal, dopo. 40.
Ave, saluto dell' angelo. :^= 41 s. Quella che ecc. Ma-
jia. 44. Ecce anelila dei. Lue. 1. 48. Da —
sente, a sinistra. = 52. Imposta, incisa, effigiata.
5i. Disposta, patente. 57. Si — commesso,
pel gastigo di morte dato da dio al levila Oza, che osò toc-
rare e sostenere 1' arco vacillante. 2 Sam. tì, 6 s. : — 60.
Lo vn senso. Senso: 1' orecchio decise, che non cantassero.
Raffronta il V. 63. 64. Benedicite vaso, arca. =:
65. Al::.ato, perchè opposto ad umile, è lieto e sentendosi
grande nella sua dignità sacerdotale regia. : 67. ì ista,
veduta, luogo onde si vede lontano, punto di vista. : 68.
Michl. tiglia di Saulle , moglie di Davide. : — ■ 71. ^l'i'i-
« a re , adocchiare. : 73. Biancheggiava, mostrava
il suo color bianco, perchè in marmo. : — 74. La lezione
adattata è quella d' codd. dionis., bartol. e boccacc. La stori-
ella, o favola si racconta da Giovanni Diacono VilaGreg. M.
2 44. Tommaso Aquinate suppl. quaest. 75. art. 5 ad 5
e nelle cento novelle ant. nov. 67. r=r 77. Al freno del
cavallo. = W. Atteggiata, inatto. =r 79. Odin-
lo r TI o è invece di il luogo dintorno , o calcato e pieno
sono sostantivi. 60 Z/ ' a gu glie, 1' aquile, — che so-
no pur diverse forme d' una parola — insegno del rumano
esercito. 81. Sovresso, disopra. Dell'' oro, d'o-
ro. Villani 1, 60. Par. 17, 110. r= H6. Torni daif impre-
sa mia. r= 87. Si affretta, è precipitoso ed impaziente.
S8. Se tu non torni, chi l'arainnii vendetta. Chi fia
dove io, colui che sarà mio successore, r^ 89. Zi ' altrui
berte, il ben oprare d' altrui. : — 90. Fia, gioverà. Sen-
so: r altrui giustizia non assolve tedi colpa. r= 91. Colui
nova, iddio. 95. risibile per la maestria del la-
voro. 99. Fabbro, dio. Care, aggradevoli.
105. Smaghi, imarrisca. Inf. 25, 14o. Pg. 27, 104. = 109.
Martire, pene del purgatorio. = HO. Succession,
quel chesiegue. A peggio, andando a peggio, al peggio che
possa succedere. = IH. Oltre la gran sentenzia pro-
unnziata nel giorno estremo. Ire, durare. =r= 116. Ran-
nicchi a , TÌpitga., raggruppa. = 117. Te n z o ra e , con-
trasto. 118. Disviticchia ecc. togli i \iiicchi attorti
a ramo o tronco; metaf. distingui chiaraiiiente. : 120. Si
■picchia, è percosso o schiacciato. Il cod. bart. ha nicchia,
di cui V. air Inf. 18, 103. La nozione generale del pungere
resta sempre mai. Quel che dice l'iviani di nicchia, non
quadra, perchè le parole e la loro derivazione son tutto dilfc-
renti. 123, Ritrosi, contrarj alla retta ragione , per-
versi. 125. Farfalla ang., anima. = 126. Sen-
cc. schermi, ineruàe. = 127. dalla, galleggia. Inf. 21,
57. insuperbisre. : — 128. Invece d' ent amata, luche senz'
altro è anomalia, benché non senza precedenza del lat. inezz.,
cioè inst-tti, altri bau at ornata, o a t ho mata cioè atomi,
altri a u tornata, mncchine mancanti d' anima. >Ia la 'vol-
gare lezione non ha bi.-«ogno di scusa , o di correzione. =r=
131. Mensola, pcz/co che sostiene ro>a prominente dal muro,
Bostegnu di trave o cornice. :^r- 133. Rancura, all'anno,
Btrelia, angoscia. Inf. 27, 129. Monti Prop. 3, 2. 169. =
138. E, ma, uuudimcno.
Canto XI.
3. Primi effetti, i cicli e gli angeli. = C. T' a pa-
re, sapienza. S;ip. 7, 25. Dolce invece d' alto d' alcune
edizioni puii stare ed CMBcre pieno d' amore. 12. Suoi
Milcri. : — 19. Si a don a, si arrende, cede, si lascia ab-
battere. = 20. Spermentar, sperimentare, tentare,
mettere a cimento. = 24. iic«(aro nel mondo. = 25.
Ramogna, prospero enccesso, buona contintiazionc de
viaggio. L origine del vocabolo sembra anzi in òcuo), (ito»,.
rvftì , confortare, affine a òtto, ted. rennen, muoversi col '
impeto, ed a (ivì,uìj, oanTurij, che in ramo, e ramìngii
= 26. Po ndo, peso. =rr 29. Cornice , cerchio. r= '
30. La —mondo fummo (Inf. H, 12) della superbia. =3,:
31. Di là, nel purgatorio. == 32. Di qua, nel mondo. =à i
36. Ste// a £ e r 0 t e, cieli. : — = 37. Se, cos'i, si. ^ n
Levi al paradiso. =rr 45. Cantra sua voglia, invj 1;
lontariamenle. Pm. r e 0 , lento. :=r 51. S a ?t r, salirvi. =i
58. 2/ a t è 71 0 , Italiano. Tosco, signore toscano. aS :
A l d ob r and esc hi de" Conti di Santaiìnre di Maremma,
=r= 60. jT'o se 0 tra voi udito. 61. Leggiadre, glo t;
riose, virtuose. Monti Prop. 3, 1. 29. :^rr 63 Cam un .;
inadre, terra, r^r 66, Fante, o^m parlante, ogni uomc-
'Ib, 61. r= 69. Malanno, miseria da malaniiarc, ciò
mal andare. Perticari Prop. 2, 2. 207. n. ZO. =r SrO. Eu
gubio, invece d' A g 0 b b io , città nel ducato d' Irbiui
pare almeno la scrittura antica , più vicina alla sua origint 1,1
Alluminare, euluminer, miniare con acquerelli in cart"
jiecora 0 in avorio. 83. Pennelleggia, dipingi 1
Franco Boi. di cui v. Lanzi storia |iilt. d'Ital. Pisi 1811 f^,.
P. 5. e l'asari \. di Giotto. 85. Sì cortese di cedei |,
gli il principato. c= l57. Intese fu intento. : 90. i'oin:
sendo peccar in tempo di vita. : — : 93. Giunta s( j];
praggiunta. Grosse golfe ed ignorami. 94. Cimt^.
bue lioreutino , primo restauratore della pittura morto m n
1300, 95. Tener lo campo, ottenere il più alto grj',
do. Allude all' epitaffio di lui in S. Maria del Fiore. Giott ^j
fiorentino pittore , discepolo di Cimabue, morto nel 1336 , am 5^5
co grandissimo di Dante. 97, Lo uno Guido Cavalcantjjj
iiorenlino, filosofo e poeta. Altro Guido Guinicelli, Rok „|'
giiese , poeta stimato. Raffr. de vulg. el. 1, 9. 15. = 91 u
Forse è nato. Intende di .«è medesimo. 103. Fam ;,
sembra chiosa della lez. voce. Scindi la carne v ecc hit '^
muori vecchio. =r 105. Pappo, (affine a Tiaw) pani
Dindi, danari; voci da bambini! 106. Pria — ann
in tempo di meno di mille anni. 108. Cerchio , circi
lar moto del cielo stellato da occidente in oriente. 10
Colui ecc. Provenzan Salvaui. v. 121. : — • 112. Sire, s
gnore e guidatore dell' oste. v. Malespini stor. lìor. I61
f Ulani crou. 6, 79. Quando fior, da' Sanesi in Mont;''
perii a' 4 selt. I'i60. 7 Ulani 6, 80. r= 116. Quei, il sol
1 117. Acerba, tenerella ed immatura. : — 119. Turno
superbia. Appiani, abbassi. : — 128. Poiché, dacché
126. Oso, ardito. Lat. ausus. z — 131. Passi — visi
v. 4, 130 ss. _ — _ 134. Campo, piazza. : — 135. Si o.
\fisse, si lissò, s' inchiodò. : 136. Amico, Vigna. :=
137. Carlo I, re di Puglia, il quale chiedeva 10,000 fiorii
1 d' oro, J Ulani 7, 31. 13H. Si vena , per chiedere 1
j mosina , stendendo un tappeto per terra. 140. li e in
! concittadini. Petr. son. 71. 141. Chiosarlo, cioè ii
tendere cosa sia il tremare per ogni vena, allorché privo del
avite sostanze, e sule e mendico sarai. = 142. Quei coi
fini iutoruo al munte, su di cui erano. Tolse, lo liber
Casto XII.
1. Pi 7) a 7- 1, a paro. r=:? 3. Pedologo, duca, gnid; 1'
i /^'a rea . passa avanti. 7. Come andar vuoi
si, come si suole andare. Rif emi mi tìzzuì , raddrizza,!,.
==r lii.Lettodellepiante,s\iu\o. = 21. Dàdcll^.-
e 0/ e a g- rt e, sprona , stimola. 24. Quanto — ora/'j
za, tutto quel piano, che fuori della soprapposta falda steij,,,
devasi per formare all' iutoruo strada. Figurato di fìgui -'
ornato. 25. Colui ecc. Satanasso. =z 'lì.Folgi,^
reggiando Lue. 10, 18. := 28 s. Telocelestiaif
fulmine. ■■ 30. Grave peso. =: 31. Timb reo, \\ ^^
pniine, da una città della Troade. = 'i2. Padre, Giovi „,
llalTr. Stazio Teb. 2, 593 ss. = 34. N e m b r b Genesi 11 J
y. e; roTi /or oro, la torre babilonica. =r= 36. S « » e r ft fc
licenza invece di superbe. = 37. Niobe, moglie d' Anfit j 1
ne, re di Tebe, insuperbita di 14 figli volle che i l'ebani ss |r
crilicassero ad essa, non a Latona, madre d' Apollo e di D j;
ana; onde questi le uccisero i figli tutti quanti. := 40 — 4' [j
\'. 2 Ree. 1,21. == 43. Aracne, tessitrice famosa, oh k,
sfidava Pallade, e fu perciò convertita in ragno. = 4,.
Roboàm, figlio di Salomone, da cui si ribellarono undii (
tribù. 3 Reg. 12. = 47. Se^no figura scolpita. 63. =,
49. Duro pavimento la marmorea strada scolpita. = j,..
50. Alni con e, figliuolo d' Anfiarao e d' F.rifile , che ucci» ,
la madre, per vendicare il padre da essa tradito, v. Inf. 2) |
3». Orù/. >let. 9 , 409. z=z 51. L a — adomam ento, u^
ricco giojello. =r: 53. Sennache rib, re degli Assiri. He| j.
4, 19. r=r 56. Tamira, regina degli Sciti. = 57. Sai
^«e ecc. Giustin. 1. 8. = 59. Morto da Giuditta. =,
1(0. Mar tiro, strage orrenda fatta dagli Assiri. ■= 61 j
llion, la rocca di Troia. Segno, bassorilievo. 47. r= }
(.5. Ombre, immagini. 13,7. = ijti. Mirar, ammirari ,
meravigliare. = 6'J. Quanto io calcai, quanto io vi» f
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
tarsiato, o in iscapliole, o di pprafTin, gal suolo che calcai.
ivi gii. 70. Ironia! come 10, 121. : 15. Non sciol-
ì , allisso alla cousiderazione di qaelle storie, =r-: 7G.
Ite so, attento. r=r fcl, Ancella, del sole , cioè ora.
:, UH, Già era mezzogiorno. zr=fc3. i, a lui. Inf. 10,113.=
Raggiorna, ritorna. : y9. Biancovestita,
sanese, a cui fin dal 1328 furono celebrate feste. 133,
Tolti dalla costura v. 83. = 137. Tormento di sotto.
Si aerosa della superbia naturale a genio tanto alto.
140. Giù, nel girone de' snnerbi. r= liO. Rinfami,
mi ricordi salva. ló2. Talamo ne, porto di mare sa-
ne^e profondo, ma insalubre, col mezzo del quale speravano
u Uosa Morando crediamo una voce composta dì due. i Sanesi di farsi grandi e possenti in mare. E. ma. Per-
I. Tr eniolan do . scintillando. 9-1. Invito megìio d e r a g l i , vi perderanno. Inf. 23, 54. Pg. 25, 124. 153,
ladra alia serie, ed al: inulti sunt vocuti. — - 95. Ì~ o- Diana, fiume favoloso sotterraneo, che cercarono di trovare
%r su, andare in paradiso.
e di tentazione.
96. lento di vanagln
100 — 105. Dove, su di cui.
ffl e A i eso di S. Miniato. S og' g'jo^a, domina. La ben
uidata città, Firenze, ironicamente cosi detta invece di
egolata. Sopra appresso, vicino. Ru bacon te ponte
ppra r Arno , detto così da Rubaoonte da Mandello milanese,
)destà di Firenze nel 1237 (Villani 0, 27.), Si rompe, s'
terrompe, si modera. Foga, violenza. Ardita, erta.
h' era, ov' era. Il quaderno. Nel 1299 per molte e
anifeste baratterìe fu deposto e carcerato mesa. Monfiorito
iCodcrta, allora podestà dì Firenze, e mess. Aiccola Accia-
oli, Priore, col consenso di mesa. Baldo d' Aguglione (Par.
i, 55. ss.) mandi» pel libro della Camera del Comune,
i Sanesi a spese grandi , mentovato ancora da Boccaccio.
l.i4. Metteranno, spenderanno. Lì ammiragli, coloro
che sperano di diventare ammiragli. Altri leggono per da-
ranno, piuttosto chiosando.
Canto XIV.
2. Dato il volo, sciogliendogli i lacci corporei, *"—
6. A e colo la piii parte degli spositorì lo dicono troncamen-
to poetico d' accoglilo, come rie ole canz. 20, 7. 9. vel-
lo di vedilo e cole di coglile. Monti Prop. 2, 2. 203,
2. 11 postillatore casinese spiega a e o /o , per f cete; lo
asse secrctamente un foglio, dove toccavasi un fatto ingiù- j che sarebbe a coppella, a martello, esaliamente; a un di
o, nel quale trovavasi implicato egli stesso. Della qual cosa presso come i Tedeschi dicono quasi
Itti e tre furono, inquisizione indi fatta, condannati. Doga.
llude ad un ser I)ur;inte de' Cherraontesi, doganiere e camer-
ngo della camera del sale del comune di Fir., il quale trasse
;ia doga dello stajo. CoA gl'interpreti. Ma secondo quel
i' è stato annotato all' Inf. 31, 72. doga sembra piuttosto
arco pubblico, forse segno di bilancia, apposto ad una mi-
tra, o un peso di carne e di sale. 100. Si allenta,
agevola ad ascendersi. — 108. li oric , strofina il vian-
inte. 112. Foci, aperture, aditi. 117. Per lo
ian camminando. 121. IP. v. 9, 112. =z 133. Scem-
ie, separate, allargate. 135. (^uel dalle chiavi,
angelo che teneva le chiavi. 9, 117.
proverbialmente iiiif das
Jota, aufs iind avf das Uaar, e similmente. Ai si \orrebbe
almeno esenipj. r=- 7. Due, Guido del duca da llrettinoro,
e Rinieri de' Calboli di Romagna. r=r= 9. Supini, come
fanno i ciechi, alzando le facce. = 10. F i 1 1 a , ch'ms3.
= 12. Ditta, di'. Petr. e. 28, 1. =r 14. Grazia, favor
celeste. 10. Spazia, dilata, distende. Fi uni i-
cel Arno. Falle rona, montagna dell' Apennino r.ello
stato di Firenze. : IH. Cento — sazia. l'Ulani
1, 43 determina il corso dell' Arno di spazia da miglia 120.
22. Accarno propriamente penetro addentro nella car-
ne, penetro addentro. • 24. linei — dicco, Rinieri.
29. Si sdebito, soddisfece al debito di rispondere.
: 31 s. Suo dell' Arno. Lo — Peloro V Apennino.
/■"r e ^n o , elevato. Tro n co , staccato. Peloro, promon-
torio della Sicilia. Pa s sa — segno, è più alto. ìiue Ilo
umore, o acqua. Cielo, sole. A uol dire, che il munte
Apennino in pochi luoghi è piii alto che nella Fiilterona. Imita
Lucano Fais. 2, 317 s : 42 Circe convertiva gli uomini
in bestie, dando loro a mangiare certi cibi. 43! Porci.
Intende quei di Porciano, dove ò fama, d' essere stato Dante
prigioniero per alcun tempo nella torre maggiore, perchè ac-
cesissimo partigiano dell' imperio. Tro>ja V. A. 123 s.
45. Calle, cammino. 40. Botoli, cani piccioli stizzosi,
che soltanto abbaiano. Dice gli Aretini, dr.ve il \escovo llde-
brandino , altro fratello del conte Alessandro di Romena era
Mgnore nel 1311. Troiya V. A. 125. = iK Dis d eg n o s a
Canto XIII.
2. Secondamente, in secondo luogo. Si risega,
taglia, s' interrompe. Salendo, quando 1' uomo il sale.
i smala, disvìzìa , purga da peccati. 4. Cornice,
aimcutu della sottoposta rijia. Lega, gira, seconda. =
La prima) a de' superbi. =r= ti. Tosto presto. Pie-
a è di minor diametro , perche va assoltigliando in su. :=
Ombra, anima; come mostra il v. 10 e 25 s. e la parola
egiio. r= Si.Petraja, pietra. (4H) = \2.Elettn.
ezione, scelta. := 14 >. Fece — torse, fermo tenne '1 , ^ .,
to destro ed aggiri» il sinistro. Modo di Milgere di compasso ■ h\"ri\iera Ary». Torre il muso, si allontana da Arezzo,
urdescriverc un cìrc<ilo, al quale effetto d' un piede del cmn- rr=r 49. Lupi. Intende i Fìorenlini. rr^ 51. La — fossa,
1560 si fa centro, e I' altro sì fa girare. ; 10. Dolci A" Arno, rtr: 53. I olpi, i Pisani, dove nel 1311 Gerardo o
urne, sole. 21. Pronta, slimola, sforza, rm 22. JGiiddo della Ghcrardrsca , conte di Donoratìco saliva a' piii
tìglio hanno parecchi codd. ìn\ecc di miglìajo, lo clic grandi onori, l'rotja \ . A. 125. r=r- 54. Occupi, per dia-
difende con una regola di \alutare per una sola sillaba le [stole, superi, o pigìi alla trappola. Munti Prop. 3, 1. 188. : — :
ne finali ajo, ojo, oj a , come Inf (>,(9.e col supplemento: 55. Per clic, benché. quantun(|ue. :^= .50. Costui, a co-
ì passi. Più schietto e più piano è senz' altro quel //ii- Istiiì. Ammenta. si reca a mente, si rammenta. 25. 22. rr^
lio. 'i.1.Amor, carità fraterna. =-- 29. f inum\:,T. D ì sìio d a , »\eìn. :r-^ 58. Nipote, M. Fulcieri de'
liabent. Parole dì Maria alle nozze di ('ana. =
1. Per allungarsi, giacché, o mentre sì scostavano, r-^r
Oreste amicissimo di Piladc. — : 30. Amate ecc.
lati. 5, 44. =: 37. Sferza, corregge. r=^ 39. Tratte,
Calboli, nel 1302 podestà feroce e crudele in Firenze, corrotto
con danari da' \eri , a far incarcerare ed uccidere parecchi
Bianchi. I Ulani 8,59. Trotjn veltro alleg. 01. rrr- «0. Fi-
_ ero fiume, Arno. 04. Trista selva, cattiva, scia-
icchc. 40. Lofrcn,'\c \(>ci" frenanti gì' invidìosii , gurata, o piena di lutto. r — (iO. Hinsilva, rìfìi. :
oiitrarìo suono, voci minacciose, rrrr 42. Passo, lù. Dogliosi ha il cod bartol. invece di /ufii;i. =■ 09.
logo. balzo. 45. Grotta, rupe. Inf. 21,110, Pg. i,i'!'. ÌQu al che, (|ualunque. .1 ssan n i , assalga, Inf. 33,35. r=:
48. Color della pietra (\ . 9) livido, rrrr 52. An-ì'ii). fj' altr' anima, Rinìcrì. := 72. Raccolta, udita
01. 20, 70. 33, 90. ogci ; dal provenzale ancui, cioè in hoc e chiusa nella mente. =r—. 77. Riduce legge il end. bart.
ie , hoc die. r=- .57. IJ i grave — munto, mi furono e fior. ìinecc di il educa. =— : 79. Da e // «■ , poiché. z-=
jremiite lagrime dolorose, r-^ .58. Cilicio, veste aspra e 80. Scarso, illiberale, r— i^'ì. Pa g Ha , malfruflo. .I/e fo^
ungente. =n 59. Sofferia, sosteneva, soltoporlava, forma piti vicina all' origine latina, che »i < r to. r-rr- 87. W t
pjxiggiava. :^— 01. Uoba, previsione per vivere, r^rrr
l. Perdoni, chiese, dov' é il perdono, rrr- 03. .Ivvalla
,37. 05. Lo sonar delle /> a ro /«', il lamentoso
Iridare, rr-r: 00. Aon meno di qiii-l che fanno le parole,
ì. y/pprorfa, arriva. :r— : 70. Ciglio, palpebre, r—
5. Con giglio, consigliere, r^rr: 70. Lo mulo, io che
ou parlava, rrr: 83. Costura, cucitura. :— - _ H4. Pre-
li e van, lo lagrime. '-:::^^ 80. Lo alto lume, iddio, z—
i. .S'(-, sì, cosi. Schiume, impurità. r^=r !)3. .1 p p a r o,
nparo , conosco, rrrr 101. Se — come, se taluno diinaii'
asse, come un orbo a cigli l'or. ili piiles>.e sembrare in vista,
t vi replico. ; — - 103. Dome, inorliliiliì , |iurgliì. r-ir 107.
tinteli ilo hanno parecchi codd. iiivrce dì rinionilo. :
l)H. Colui, iddio. Presti ili.i a godere, r— 109. .S'nl>/«.
entildiinna sancKe^ moglie di Ciiio d.i Pige/o, bandita ili .^i
na a Colle, cillii piccul.i pri-sso ^ olterra, ove esseiido rotti i .S.i
CHÌ da'l''iorcntini, esHnebbe di ciì» grand issi ino con lento. ~ — III.
,n ano. Coiiv. p. 257. z:-- 117. //»</, quella rotta. - — l'J3.
lerti), iircello -solitario, che al primo inliepidirsì del verno
inticchiaiido nenibra vlidnre i venti e il gelo rrr- 128
consorte divieto, lezione de' migliori codd.. difesa anco-
ra dal l'irazzini correct. et annot. in Dantis ciun. ( / erotta.
Miironi l'il'ì. 41. invece della cruscana consorti! o divieto,
che male suppone oggetti contrari, laddove vogliono dire le
parole esclusione dì compagno, cnmparlecipe , o roinpagnl , se
si legge con alcuni inss. consorti. Il consorzio, scrinando
parte dì possessione , desta 1' invìdia. RalFronla 15, It ss. r^r-
91. lirullu. V. Inf 10, 30. r— 92. Tra — Reno nella
provincia di Roniiigna. z—r 93. I> r l — traat., alli virtuosi
ed alli soll.iz/cvoli , a' (jiiali si fa cortesia. r:=: 94. Ti r-
mini dì Romagna, r-^ 90. l'er roti. quHnlun<|ue sian
coltivati. :^ — r 9Ì. //ino o hi -.io di \ alboon, ravalìer cor
lese, per l'are mi de-inare in l''rulli , ine//.a la coltre del zen
dado vende liO liorini; e, risaputo la morte ili suo tiglio, dis-
se: questa cosa per me non é nuova, perocché non In mai vi-
vo. Ilallr. Uiiiriircìii. (Jiiir. 1. nov. 5. — .Irrigo Miiiiurdi
IO 1/oiHfirr/i da Utittinoro, cortese, volentieri mise tavol.i, do-
nii robe e cavalli, pregio li v alentiioiiiini , e fu la sua vita da-
t.i a largho/za e a lullo vivere, r— !iH. l'ii r Traversa-^
ipiior dì Kavinna molto splendido, racrialone per quei
'ter /'('(((' 71 a tg:/to, u /'et (ina jo, eremita liurcutÌDO. u Ida Polenta. Guido di Carpigua da .Mnntefellro , vinse
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
in larghezza gli altri. := 100. Fabbro de' Larabertacci
di ììoìugna.. Ncirae proprio ne fanno gli antichissimi spoaitori.
Si r al Ugna, rinasce. : 101. Bernardi 7i di Fosco,
di vile mestiero con sue virtuose opere venne tanto eccellente,
che Faenza da lui ricevette favore, e fu nominato in pregio.
: 102. f'erga ecc. di picciola e vile radice nubile germo-
glio. = 103. Tosco, Toscano, Dante. = ìi)i. Guido
ria Praia, castello del contado intra Faenza eFurli. r=r 105.
Ugolin d' Azz,o fu dì Faenza. Ambiduc di ba-so luogo nati
furono onorati assai. lOli. Federigo Tignoso da Rimi-
iii, valentuomo, visse in Breltinoro. Brigata, radunanza,)
suoi. 107. I Trave r sari furono da Ravenna, cacciati
Eer quelli da Polenta fuori di Faenza. Gli Anastagi eb-
ero r istesso fato. = 108. 7>iV e t o t a , diredita , diseredata.
J'illani 8, tji. 112. Breltinoro , picciola città di Ro-
magna. Ilo. B a g n a r a V a l e Castrocaro, terre di
Romagna, aventi allora i proprj conti. IIH. 1 Fagan,
figli di Mainardo (Machinardo o Maghinardo) Pagani, signore
d' Lnola e di Faenza, soprannoraato il Diavolo. Onde
il demonio è lor padre. Ben faranno a generare, o
piuttosto signoreggiando. 121 — 123. Ugolin dei
Fan tali (o Fantolin) uom nobile e \irtuoso di Faenza.
126. Nostra ragion, nostro ragionamento (22, 130),
lezione romana, sembra doversi preterire a vostra ragion,
avendo D. detto pochissimo, ed a 7i o .s t r a regio n,u vo-
stra region, cioè la rammentanza, o il ragionare di nostre
regioni , la Toscana e lalliunagna, che \>at mono schietto.
Stretta, angustiata. T'irgil. En. 9, 291. == 130. Poi,
poiché. 133. An cider a inmi ecc. parole di Caino dopo
il micìdio d' Abele. Gen. 4. 11. In vece di prende altri \e^-
gono apprende nell" istesso sipniilcato. Glierardini Vrofi.
2, 1. 2(j9. = 138. Tonar, tuono. == 139 A g Lauro,
figliuola d' Eritteo , re d' Atene , la quale per invìdia portuta
alla sorella Erse, amata da Mercurio, fu convertita in sasso.
Ovid Met. 2. = 111. Indietro. Il cod. bart ha in de-
stro, perchè Virg. guida, e D. volle stringersi al poeta,
allontanarsi no. Inusitato alquanto è in d'astro per a man
destra. = 143. Canio, freno ( v. 40), dal gr. /««o;, lat.
Iiamus. 151. Batte, gastiga. Chi ecc. dio, a cui ni-
ente è nascosto.
Canto XV.
1 — 6. Tanto del suo corso rimaneva al sole nell' orizzon-
te del purgatorio, per cadere in oriente, quanto è lo spazio,
eh' esso percorre in oriente dal principio del giorno lino all'
ultimare dell' ora terza; cosi che lìi nel purgatorio era vespe-
ro, cioè 3 ore avanti notte, e per opposito a Gerusalemme
eran tre ore avanti notte; onde in Italia, supposta dal poeta
451^ più occidentale di Gerusalemme, era mezza notte. Spera,
irradiazione solare, sole. Là al purgatorio. Qui, in Italia.
= 7, / raggi ne ferian (cod. bart. fendean) per
mezzo il naso, andavamo ver 1' occidente o 1' occaso, e
avevamo le facce volte a quella parte. 10. Gravar la
fronte, abbagliar gli occhi. = 11. Splendore dell'
angelo. =: li. Sol e e e Iti o , o s o l ice hi o , omlìTeUo , ri-
paro al sole. = 15. Soverchio visibile, troppo lume.
Lima, isminuisce, scema. l'3. Dice, che 1' angolo for-
malo dal raggio ritlesso, o 1' angolo d' incidenza è uguale all'
angolo di riliessione, tanto se si prendono colla orizzontale,
quanto se colla perpendicolare. Fer lo modo ecc. risalen-
(1(1 con r istcssa legge, con cui discese, facendo cioè 1' ango-
lo di riliessione uguale a quello d' incidenza. = 19. Di-
parte, uconln. Cader dalla pietra in igual trat-
ta, \inedi \ìer[<pndìco\aie. = ti. Rif ratta, Tìfìessa, ri-
battuta. La luce venne dall' angelo al suolo, e_ da questo
agli occhi di D. ; è luce di seconda riflessione, ina intensa. ==
25. A che, contra, verso del quale. = 20. Schermare,
schermire, riso, ocelli. = 29. La famiglia del cielo,
gli angeli. = 34. J'oi , poiché, rr— 30. Scaleo, scala. Par.
21, 29. = 37. Linci, del luogo, dove n' apparve 1' an-
gelo. = 38. Beati miserie o r des. Matt. 5. =
39. ^inci l'appetito sensitivo. Sopra (12 in line) cantavano
beati li poveri di spirito. = 42. Frode, prò, utilità, gio
vamento. r=: 44. Lo — Ho magna, (;uido del Duca da
breltinoro. 14, 81. =: 4G. Magagna, guasto, pecca, di-
fetto, vizio, qui spezialmente invidia. Pare affine a /tayya-
veitt , fiayyami' , /<>;/«»■);, lat. mango, mangoninm , man-
goniziire, in quanto dinotano »rti furbesche atte ad ingannare.
■ — 4H. !\e, noi uomini. r= 40. Si appuntano, si fermano,
fanno punto. Par. (i, 2H. 11 cod. bari, suo punto han li,
che non dà altro scuso, ancorché non siasi forse da biasimare
Huo Invece di loro, come nel son. Hti petrarchesco. :=
51. l/a ntaco . iirinticc. z^r: 52. Spera suprema, em-
pireo, rrrr 54. Tema, di scemare il possesso per 1' altrui
partecipazione rirr 5.'i. l'rr q u. ecc. (|nanto più sono quelli
che godono dell' intcsHo bene, più la porzione di ciaKcnn s'
aumenta. S ostro bene, r:^^ 5H. Digiuno, privo, lungi da.
(il. Uiatribulo, distribuito. Par, 2, U9. = liti.
ia;
Io-I
§
to,>
Z>isp?ccfei, distacchi, ricavi, cogli. = 70. Qmow tu
7 uè, quanto mai. =r "12. Lo et er no v alor e , \a 9
durevole natura. =rr 73. Là su s' intende, aspira a qui
bene di là su Raffr. Conv. fac. Ibi. = 7(i. Uisfam
appaga la fame, soddisfa. = 77. i; e a tri c<' , Teologia,
= 80. i> «e, superbia ed invidia. Cinque, ira, acc
avarizia, gola, lussuria. = 81. Fer — dol. per via di do-
lore. = 83. Girone, cornice, balzo. =rr 84. Co «e di"
cod. bart. invece di luci, dà senso più naturale e comodi
^=: W. Donna, Maria, v. Lue. 2, 48. = ^\. Fadr
Giuseppe. = 94. Z/n' altra donna, moglie di Pisi^tratoj
'.iranno d' Atene, stimolante il marito a vendetta contro di udì
giovane, che preso d' amore verso della lor figliuola, aveva-t
la pubblicamente baciata. Valer. Mass. 5, 1. Acque , lagri-l
me. =^ 96^ Dispetto, corruccio. 97. Sire, sìi^iu>re.|
mia, città. — r 98. Del ecc. d' Atene. Dei SVeltuno ei
Pallade. 106. Genti accese, Giudei, lapidatori dil
Stefano. 108. A sé, Y uno all' altro. Mar tira, dà-t
gli, ammazza. : 111. Fece porte, aperti teneva. i
112. G u e/TCT , persecuzione. : 114. D isser r a , ottiene.!
=^: 115. Di fori dall' estasi, o immaginativa, o visione. r=ri
116. Che — vere, reali, non immaginate dentro ad essa,!
117. Errori, perché non vedeva ciò che pareagli ve-l
dere. Non falsi, perchè rappresentavano veri esempi dii
mansuetudine. Lombardi li riferisce al peccato d' iracondia. I
Altri intendono le cose dal poeta vedute come in sogno , noni
peri) fantastiche, ma rispondenti a cose vere, che la storiai
racconta. A noi pare il senso schiettissimo : allorché io dall'I
estasi riscosso, come uom che dal sonno si slega (119), rav-'
vissi Iccose ed i fatti reali, eh' erano la base e la sostanza
delle mie visioni, riconobbi i miei veri errori, smarrimenti,!
Questo senso quadra ai v. 130 ss. a 13, 133 — 139. ed al line di
questo poetico \ iaggio. Tutto altro è quel che nasce dalla le-
zione de' codd. bart. e llor. : alle cose che son for
delle vere, lo riconobbi in me li falsi errori,
ed è que.-ito: quando la mia anima torno a mirare le cose, le
quali sono fuori delle vere, cioè di fallace apparenza, rico-
nobbi allora i falsi errori che eran dentro di 'ue. Mere tau-
tologie, per quanto ci sembra! zz= 120. Tenere, reggere
su i piedi. : 122. J eland o li occhia li occhi chiusi.
Avvolte, incerte e titubanti. : — 123. Fiega, fu va- ali
ciliare. r= 126. To/ te, debilitale. = 129. i^a ri'e , pie- »,•:
ciole. 130. Ciò — fu, le lue visioni ti furnn date. ri^
131. Acque della pace , opere della carila , alti miti, io
132. Eterno fonte , dio.=^ 133. Fer quel eh e fa e e, 1',^
come suol fare. 134 s. L' occhio — giace, cioè cor-f
porco. 136, Fer — piede a tarli \ergognarc della
sonnolenza tua. : 137. Frugar, stimolare. Inf. 30, 70.
= 138. T'ìg ilia , lo svegliarsi. : 139. Fer lo v e .t-
pero, per essere vicino a finire il giorno. : — 104. Oltre,
innanzi.
Canto XM.
2. Pov er , scarso di stelle. z=zz ti. Di — aspro pelo, allu-
sivamente a pelo, ruvido, acerbo (Inf.9,73; a sentirsi. 13.
Amaro, molesto agli occhi. Sozzo, annerito dal fumo, r^r 15.
Mozzo, disgiunto. 18. Leva, toglie. Senso biblico, Gio\'.
1,29. : 19. Esordio, incomincìamenti delle pieghiere.^v
=z2j. Fé n di, perché corpo, non i-pirilo. ^rr 26. Tue, tu.
: 27. Cai e II di, primo giorno del mese. Senso: come se
qui il tenspo fosse commensurabile. 30. Sue, alla vetta
del monte. 33. Secondi, accompagni.^ 34. (jii un-
to mi lece, non potendo uscire di questo circolo, iinchénoii
sia purgata la sua colpa. : — : 37. Fascia, corpo umano, l
che fascia r anima. 42. Moderno, ordinario. *'
44. / arco, ingresso. : — : 40. Marco, nobile veneziano,
di gran valore, pratico delle corti, amicissimo dì D. Lom-
bardo, italiano. 47. Del mondo seppi, fui pratico '
di ncgozj. f alare, virtù. 48. Disteso, rallentato. '
= 55. Scempio, semplice. ,\llude a 14, 29 s. :r=- 59. j,
Son e, dici. = 64. /lui, interjezione di dolore {oùat,
vae). Strinse, raccolse, ccunpresse, concentrò. Altri
invece di hui leggono lui, e poscia nel v. 66. jtui, oppur
nui nel V. 64. Ma non è mestiero di cangiare qualche cosa,
essendo il senso comodo e naturale, rm 73. Movimenti,
primi moli dell' appetite. =-= 74. Lume, intelletto. =
76. Se, ancorché. ==: 77. Battaglie, contrasti cogl' in-
flussi celesti. Dura, regge, prevale. = 78. Si notrica,
si corrobora in sapienza. r=^ 79. il/fflig^ior — natura,
dio. z^r 81. Mente, intelletto. Aon — cura, non vince.
= 82. Il mondo presente, la generazione attuale.
Disvia, esce di strada, si smarrisce. Par. 6, 116. rrrr 83.
Cheggia, ricerchi. r= 84. fera spia esploratore ve-
race. I Ulani T, li. = 85. ì'agheggia, è vago di lei.
= 86. Sia, esista. =r 87. Pargoleggia opera da
bambino, r— 90. Trastulla, diletta vanamente. =
94. H e g e , rettore , go\ crnatore. Discernesse, ricoiio-
HCesMc. " 96. La vera città del beu vivere, come dico
nel (.'oiivito, cioè la cima dell' idea. : — r 97. Fon ìiianOf
osserva. = 98. jPa< tur, papa. = W. Rugumar, ru-
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
Inar e rumigar sono soltanto diverse forme. Lo rife-
cono all'ammaestrare parlando, predicando e ordinando.
on ha le unghie fes.se Levi 1. 11 Dent. 14. dicono es?e-
non mette in opera. Altri, ))iù conformemente al poeta
iljellino; non fende la polestìi pjiirituale dalia temporale, ma
inisce, confonde in sé duo rt {rgimenti (12H). Bocc. l'intende
il' avarizia. r^lOl. Pur, solamente. Ferire, mirare, inten-
re , agoj^nare. : 100. fi buon mondo feo, che buono
nondo fece, spargendo la fede cristiana. = 107. l>uo
li, capi, papa e imperatore, nr^ 108. 7j» e o , dio. mn
. La. spada, il governo temporale. IIÒ. /'asto-
ne 1' autorità spirituale. : — : ì\l. Fer viva fo r za, ne-
isariamente. =: 113. Spiga, frutto; allusivamente a
tt. 7, 20. = 11.'). Paese —riga, la Marca Trivigia-
, la Lombardia e la Romagna. 117. Federico li,
ìeratore, iigliuolo d' Arrigo V , nipote di Federico Barba-
sa. Briga, guerra col papa. Alfine al tedesco JirucA,
chen. — - 118 — l'ZO. Or ecc. ora vi pui) passare ogni fur-
ie, o cattivo. Di appressarsi, lezinne de' più per-
,i cod'l., la quale giustilica la spiegazione diLorabao-di della
gare ad contro la maldicenza di Biagioli. r=: 121. En,
o. Par. 12, !)7. 15, 77. = 124. Currado da Pai.,
itiluomo di Brescia, fr/t era rrfo da Cammino di Trevigi.
ivit. f. .33!). Cento nov. dnt. Iti. z= 125. Guido (dei
jerti) da Castel, nobile da lleggio di Lombardia. Conv.
41. 126. Fr ancesca mente, alla francese. L o m b.
iano. : — : 1.35. Selvaggio, vizioso. : 13u. Tenta,
1 far prova di me. 140. Caja da Cammino, pudica
omestica, bella, e poetessa, v. f'iviani. = 142. liaja,
già, trasmette i raggi. Par. 15, 56. 29, 136. i^ 144.
e ne appaja, invece di c.'i' egli paja, o appaja,
appai a, ^ Icz. bart. evidente. 145. Torno e Ite
de' migliori codd. che quadra al v. 34. nuu esseudogli più
to d' andare oltie.
Canto XVII.
3. Per pelle talpe. Secondo Aristotele stor. d. anira.
(. 5. Spera, i raggi. : — 7. Ima gin e (21), ima-
tiva , fantasia (25). Leggiera, agevole, atta, fiam-
ggiue sarebbe il presentare al lettore una imagìne, 'che
isse anzi a fargli o non, o poco comprendere cosa o feno-
0 mentovalo; come debbono pure supporre coloro che
gano scarsa, o poco atta. : — : 1). Corcare, tramontare.
JO. Pareggia rido i passi, camminando di paro.
Per che, benché. : — liJ. Empie zza, empietà. Lei,
ne. Ovìd. Mei. G. Alcuni dicono convertila Filomela in
gnuolo e Progne in rondine, altri il contrario. : 24.
cella, colta. Latinismo, recepla, come pur é slato
to senz' altro in quel secolo. 25. Piovve, s' infuse,
pinse. =Ti 26. 1/ u e r u e ifi a so , Amannu , fatto croci-
ere dal re Assuero su quella trave medesima, ch'egli avea
nata per Mardocheo. 30. Intero, integro , per-
, incontaminato. r=r: 31. Unita, bolla, sonaglio. ; — —
Fanciulla, Lavinia, figliuola del re Latino e di Ama-
c^neid. 12, 601 ss. = 37. Lutto, mi querelo. Dal lat.
tus, lag co. rr-=: 40. JJ i butto, di botto, repentina-
le. _:= 42. Fratto guizza, rollo scuotendosi si
ve, si scontorce. E alfine il vocabolo al ted. amico quivk,
!c , vivo, gr. y.iy.vi, y.uuì , lat. cieo ^ l'igeo, anglosass.
, cwic , Icd. bewcgen , wecken , wackeln , vrquicken ecc.
4H. /n t fi /i t o , proposito. r=rr 51. Posa, si ><arebbc
data. Raffronta, fosse tro\ata a fronte dell' oggetto
iato. Se non s' aminette questa ciiallage, la costruzione
a trasporre questo verso e 1' antecedente, rr— 52. Come
iol, cioè accade, avviene, quando luce il sole. 55.
la, nella. r=: 50. Che, perchè, ^rr 60. Si mette
ego, si dispone alla negativa. Cos'i Senco. Reiicf. 2.
distulit dia, noluit. rrrr (13. Invece di di il cod.
ha sol. r^= 67. 1/ n mover di ala, un vento. :
'he, ì quali, o dove, quando. La descrizione per altro
celleiilisHinia. =r H4. Aon stea, stia, non cessi.
o amor — dover, la tepidezza, o accidia. IlalTr. 100 ss.
H7. H i b a 1 1 e , batte , punisce. / / mal tardato r e -
il tardo rematore, rr-rr !(3. Di animo, animale, che
Olle dalla volontà. : — : !(1. /•,', invece di fu, hanno pa-
i codd. :— ^ !)5. Malo, \ iliiperevole. U male crus-
iiol difende, uè coniiiieiit|:t . ina srii-<a Monti l'roii. 3, I.
rr-: !I7, Primi, principali spirituali, celesti , iiilìniti,
1 e virili, r — ; OH. Secondi, terreni e teinjiorali. iìé
I « <i misura, non eccede i limiti. = — 09. Mal di-
o, piacere riprensibile. - — lOI. Itene è qui o terreno,
esle, secondochè vicn riferito u con p i il cura, o con
' cura. - — 102. A d o )> r a , opera. . — 1117. Subii i e l-
r amor è colui che ama. I ol;:crviso, trascurare,
ndoiiar j dipartirsi. : — : !((H. 7'i/ t e , sicure, i— IH.
iso, allonlaiialo , rimosso, r— r 113. Amor di malc,\
--—. III. Il imo, imncrfezione. : — 115. / i <■ i ;i o ,
imo. r^ liti. /','<■ r /•///. n ;, a , iiigraiidiniento. r "t 121. |
n/ 1, si crucci. :r— 123. Impronti, iiiipriina e sug |
ueU' ouioiu tjuu , diseguaudu ed auelaado la vcudctla ; |
0 effigi, cagioni. = 125. Altro, amore. = 126. Con
ordine corrotto, o ani più cura, o con me;i che non dee.
=^ 127. Parla dell' accidia. = 129. Giunger lui arri-
vare al di lui po.ssedimento. rr=: 131. ^ o è invece i' in, o
in del V. precedente invece di a.
'Vuol dire: 1' amore di sé stesso fa che 1' uomo desideri
la propria conservazione ed elevazione. Dal mal inteso amore
della propria elevazione nascono la superbia , 1' invidia , e 1'
ira (39 ss.) e si purgano ne' tre giri più bassi. L' amor della
propria conservazione contiene iii sé la brama di nutrirsi , di
provedere ai suoi bisogni futuri, di riprodursi ne' figli; la
quale per eccesso si cangia in gola, in avarizia, in lussuria,
che si puniscono ne' Ire giri di sopra. L' accidia, o la len-
tezza nel far il bene , riceve !a sua pena nel giro di mezzo.
Canto XVIII.
3. Vista, viso, faccia. S. Li, a. lui. _ : — 10.
ir ur« e , dottrina. = 12. Po r£i, conduca, guidi. r= 19.
Presto, disposto. r — 21. In atto, all' atto. =: TI.
Esser verace, obbietto reale, ente vero, estrinseco. — r
23. In te n zi oJie , idea, imagine, specie, èimilitudine. UafTr.
Convit. f. 145. 2,". Altura, alto. : 29. Forma,
natura ed essenziale proprietà. : — 30. Là dove ecc. sotto
il concavo del cielo della luna. 35. Avvera, ha per
vero. : — 37 Muterà, prima, contenuto e oggetto sos-
tanziale primajo e vero. : — .38. Segno, espressione , for-
mazione. 39. Cera, nella quale s' impronta. : — 40.
Seguace, attento. 43. Ui fori, da esterni obbietti.
45. Con altro piede, che quello di natura. 46.
Ragion, intendimento, ir^ 4H. Beatrice, llatfroiua Par.
5. Opra di fede si schiara col cristianesimo. : — 49 s.
For ma su stan zial , i\ue\ìa che , unita alla materia pri-
ma , comune a tutti i corpi, forma le difTercnti specie de'
corpi. Setta (distinta; dal lat. seda) da materia, im-
materiale. Lei, la materia. Specifica, particolarizzaute.
= 53. Ma che. Inf. 4, 26. 2i , 20. =rr 55. Intel ietto,
cognizione. : — 56. Prime, fondamentali. r=r M. Studio,
inclinazione, alfetto. 61. l'cr che, affinché, tjuesta
voglia prima innocente. : — 62. I i r t u , \n ragione. . 62.
Tener la soglia custodir 1' entrata. : — 64. Questi
questa ragione regolatrice. 67. Ragionando, con
serie meditazioni. 69. jl/y ro / ti à , etiche. — 75. Se
— prende Par. 4. e 5. : — 76. Tarda ad alzarsi, essen-
do equinozio, e quella la notte quinta. : — 79. Strade, se-
gni dello scorpione. Contro il del, che si rivolge da occi-
dente in oriente contro lo muovimento diurno. W'i Ombra,
Virgilio. 83. Pie tota, già Aiides. 84. Corcar,
con dubbio ed interrogazione. JJiposto la « o /n a , soddis-
fattomi. 87. tana, vaneggia, è ^oto d" ogni pensiero.
Inf. 18, 5.75. z=:r 90. /o / 1 a , indirizzata. =r= 91. /.>-
meno ed Asopo, fiumi di Beozia. 92. Furia e
calca furioso atl'ollamento, frettolo.^a turba. : — 94. Falca,
avanza e alfretla; o muove rapido come un falcone; o muove il
passo piegandolo in giro. Così gì' interpreti, deri\andolo gli
uni da. falco, gli altri da felce, mentre Lami lo prende
per valicare, come vale h i m agg i o r i l'g. 24 , 97. Bia-
gioli raffronta il it. faucher , lo che pur è difetto, come nel
tedesco sàbcln e sicheln si dice dell' andamento di coloro che
hanno le gambe storte. Onde appro\iamo piuttosto il ])arcre
di Lami, aggiugnendo, che la parola ^i riferisce al greco
àloì , i/.o) , d?.?.M , tt?.w , ihim , che allato di forme dentali
possono avere ancora forme labiali. Il rontesio non dissente,
r^r 90. Cavalca, sprona. : — 98. ,Va ff n n , grande.
Latinismo! 100. Maria ecc. Lue. 1,39. r=r 101.
llcrda, oggi Lcrida, riiià di Spagna. Vi supcrii Cesare
Afranio. Pctrejo ed un iìgliiiol di Pompeo. :r— 1(12. Punne,
strinse d' assedio, lasciandovi Bruto ad espugnarla. =: 105.
Il in tre r da, fa rifiorire, rinvigorisce, rinovella. == 107.
Ricompie, comjtensa. =— 109. Bugio, dico bugia, r-^- 111.
Pertugio, fcnilidira, aperto, buca, rr:^ US s. Secondo
Isibbroni siili' autorità di G b. li i a ne ol i n i notizie storiche
delle chiese di \ erona 5, 1. (IO s. Alberto della Scala, già vec-
chio, nel 1292, essendo capitano del pugnilo di \ ercui.t , co-
strinse i monaci di i*^. Zeno maggiore a ricercare per abate un
suo figlio naturale, (ìiuseppe. .Mberlo muri nel 1301. Huon
1>er ironia. Dolente Mclan, perchè ilisiniKa interamente
■'ederico 1' anno Il(i2, e riedificata nel ll(i8. / Ulani 5, 1. 2.
=r-. 121. Tuie. Alberto della Scala, rrr- 121. Suo fisHo,
naturale, (ìiusrppe Scaligero, abate di S. Zeno. •- — 125. Mal.
perchè baslarduincnte. r — : 1.32. Dando di morso, bi.isi-
maiido. n— . 131. Gente ebrei. // mar rosso, rrtr 13.».
Giordano, linine nella Palestina. :i:— 1.3il. Q ii r 1 1 a genio
(rojann. Lo affati no d" un lungo viaggio. : — 13". S '
ecc. volcudusi stare con .\cesle in Sicilia.
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
Canto XIX.
=:_ 46. l>o a g' io, Duacnm, ogg'ì Douay. Guanto, Gn.^
Città liamminglie. r= 47. Fe/i rfe f fu , cacciata de' Frài
;ccsi dalla Fiandra, die avvoine a' "21 marzo nel 1302. J'illàt
\. Ora nltiraa della notte, presso all' alba. = 3. Sa-' 8, 56. ^= 48. (riug^ia, giudica. Dal ir. juger, =
turno, pianeta freddo e secco. = 4. Geomanti, in- Ugo Ciapetta, l'go M^igiin, padre di l'go Capete. Eì
dovini per georaauzia, per via dì linee e punti segnati in terra, cusi) la corona nel 923 per Raoul, e nel !):ì(i per Luigi IV'
Maggior fortuna, ligura di geomanzia , simile a quella, Ollramare. r= h'ì. Figliai di un beccajo, Concor
che l'ormano le stelle del lin dell' aquario, e del principio de' Villani 4, 3., e tutti gì' interpreti antichi. Solo il Uiagi
pesci, ie quali nascevano allora un' ora innanzi al sole. : — | avrebbe dovuto pensare: non ci è mestìer lusinga (l'g. 1, Ut
1. Balba. balbettante. !). Scialba, bianca, pallida, i= a3. L i r e g i antichi, i Carolingi di circa 3 seca
cinorla. La'fcmmina qui sognata ligura i tre vizj qui purgati, j=^ 54. Un, o Carlo di Lorena, zio paterno dell' ultimo i'.
avarizia gola, lussuria. 12. Scorta, agile, pronta, idi questa stirpe, che studiii ad ottenere il regno da L'go ocd r
essendo ella balbettante. 13. Ùrizzava, essendo ellaipato, o 1' ottenne, e lo perde. Onde ridutto, (eh' - '—: —
13.
prima storta. 15. Colorava, essendo ella scialba. :=
48. intento, attenzione. 17, 48. =rr= 20. Dismago , perdo,
fo traviare, svio. Inf. 25, 14B. r= 23. Si ausa, s' avvezza,
s' addomestica. 2tì. Una donna ecc. la ragione, o la
lilosolìa. 31. Pr endev a la donna santa. : — 34 ss.
Moltopiù elegante e squisita della lezione volgare: e il buon
Virgilio: almen tre lo ci ti ho messe, die e a,
surgi, è, al parere pure di Monti, quella da noi adottata
del cod. bartolin., do^e vocio (o vaso in dialetto veneziano,
come si trova in un cod.) è chiamii torte, come si fa ad un
che dorme, od è lontano. : — 36. La jìorta sembra più
naturale lezione, chela aperto. : — 39. Alle reni,
nella schiena. 42. C A e— j) 0 7i t e , che cammina piegato,
come piega 1' arco d' un ponte del mezzo alla sponda. ;= 45.
iU a r e a , regione. Vocabolo gotico , affine a mare, onde
propriamente 1' orlo del mare, poscia 1' orlo che fa i confini,
e lo spazio cinto. 48. Pareti, sponde della scala nel
darò sasso scavata. ^= 50. B eati qui lugent. Matt. 5, 4.
51. Che — donne, perchè avranno le anime loro signore
di consolazione , avranno consolazione in abbondanza. r=z 54.
Sormontati, essendo; a modo d' ablativo assoluto. : — 55.
So s p ecci o n , sospetto, dubbio. = 58. Strega, mali
arda , incantatrice. ::= «1. Batti — cale a gne, vieni spe-
ditamente. -— 62. Ludora. v. all' Inf. 17, 128. qui richia-
mo, rall'r. 14, 148 s. = 64. Ai piei non più legati. = 67.
Quanto, sin dove. 69. V n v e — prende, sino al co-
minciar del quinto girone. =: 70. JJ is e h i u s o, tratto fuor
della stretta salita. = 72. Giacendo ecc. v. 118. rrr= 73.
y/ f/ /j e p .s i f ecc. Parole del salmo 118. 76. Saffriri,
pene, supplizj , patimenti. :::;= 78. Salir i, salite, scale. =r
79. Sicuri, esenti dalla pena di giacere. = 81. Le—furi,
cioè fuori, cammin^ite in guisa, che il destro lato vostro cor-
risponda al di fuor del monte. = 84. Avvinai i ' altro
nascosto, mi accorsi di quell' altro, eh' era nascosta. RalFr.
v. 77. 90. Altri sottintendendo mistero chiosano , ra' accorsi
che quello spirito non sapeva, eh' io era corpo vivo.
tropi'" '•^''"^ ' ^^^ ^^' ^■''' ''*^''. ^T= ^''- -''" vista
disio il desio segnatomi nella faccia, : — 89. Trassinii,
mi condussi. 93. Sosta, allVcna, ferma, sospendi, in-
terrompi. 97. Diretri, schiene. r=_ 99. Il Liilìno,
che \ uol dire: sappi eh' io fui successore di san Pietro, si
deve a quel che i negozj di stalo e dì chiesa in quell' età
vennero trattati in lingua latina. == 100. Siestri e Chia-
veri, due terre del Genovesato. Si a dima, scorre all'
imo, al basso. 101. Una fiumana, il Lavagno, : —
^Lo titol ecc. Parla papa Adriano V, che prima fu delto
più chiara che renduto) in panni bigi cioè vili, da sui
dito. : 56 s. l'ossa di novo acquisto, copiai
nuove ricchezze. :=r- 88. Corona vedova, regno vacaoipn
colla morte di Lodovico V, ultimo Carlingo. 59. ComUL
..i
ciùr discesero. Sacrate, esecrande. "" 61. La grd
dote provenzale. Pietro di Dante intende la parentela
la dote del conte Raimondo Rerlinghìeri , per cui il sang;
d' Ugo ebbe la Provenza ed usurpò il territorio di Poi
(Ponlhieu), la iXormandia e la Guancogna. Lodovico IX
come si fa ad un Santo, nato nel 1214, ed il suo fratello Carlo di Angiìi , sp
sarouo nel 1245 ìiglie di Raimondo Ucrlinghieri. J Ulani ero
6, 62. Par. 6, 128 ss. Lombardi creda chesi tratti dell' iuv
sione, che Filippo II fece negli stati di Raimondo, conte di T
Iosa , a titolo di proteggere l.i cattolica lede centra 1' eres
degli Albigesi; della quale invasione fu 1' ultimo risultato, e
si sposasse .Ml'onso, altro fratello di San Luigi. ÌMa Alfon
avea 14 anni nel l'i29, ((uaiido gli stati di Raimondo di Tolo
furono restituiti aiia Francia. La Provenza in quei tempi
stese molto più oltre, che nella geografia moderna. lilla
6, 9. 64 — 66. Si riferisce senz' altro alla guerra t
Filippo il Bello ed Eduardo IV nel 1291. Per amnicnd
ironicamente ripetuto quasi dica, per emendare un fallo, co
misene un altro. := 67. Carlo, duca d' Augii), fratello di
Luigi, impossessossi del regno diSicilia e di l'uglia, discaccia
dune Manfredi, e privando delle giusta eredità e della
Curradino figlio di Currado , nel 1268. J Ulani 6 , 44 ss.
69. Bipinse — Tommaso d'Aquino, facendola avvelena
per opera d' un suo medico , mentre era in cammino per a
dare al concilio dì Lione. ì Ulani 9, 218. 70. Anc(
13, '>2. r= 71. Un altro Carlo di Valois , tenuto
Friincia in Italia nel 1301 col titolo di paciere. J illuni 8,
T rag gè, perchè stimolato da mess. Corso Donati, Ho
fazio papa lo chiami». 73 — 75. Con la — Giuda, e
tradimenti e frodi. L'onta, spigne. S) — pancia, scacci?
dnne li nobili cittadini, che sono le viscere della patria, co
Non 'dice Jacopo dalla Lana. : 76. Ison terra; onde il
del prannoine di Scnzaterra. 78. Quanto ecc. quai
minore il riinor-io della coscienza, r^ 79. Lo altro, Carlo j°,'
Amelio, figlio di C. 1, re dì Sicilia e Puglia. Che — uscì ,J,
Francia nel 12i^2, anno del vespro siciliano. l'Ulani or. 7,
Fr e so di nave, tratto prigioniero dalla propria nave , L
cui combatteva contro la flotta di Ruggieri di Loria, anii j
raglio del re Pietro d' Aragona. T illuni 7, 92. : 80. T e \,
der s uà figlia Beatrice a mess. Azzo da Este il sesto
Ferrara, per ;jO,UìtO fiorini, dice Pietro di Dante, per 100,1
ducati, secondo Boccaccio. 86. Alagna città in et
il cardinale Otto buono del Piesco , conte dì Lavagno, fatto Ipagna di Roma, oggi Anagni. Tlllani H, ti'ó. Il f lordai
papa nel 1276, per poco più d' un mese. r=r 104. Dal fango\\\ giglio, 1' insegne della casa di Francia. Stefano della
il guarda, non vuol bruttarlo con opere indegne. iU'i;iti louna per ordine di Filippo il Bello pertossi a catturare B(ì
Prop. 2, 1. 1)2 8. = 107. Come, quando. r== 108. Jiu- fazio Vili in età di 86 anni, nell sett. del 1303 in Alagna <
giarda, posta nelle ricchezze e le cose moudaue. = 118.|ire insegne del re di Francia. (Ulani 8, 65. =-- 87. Cat t
Si aderse, s' erse, si solle\J) alzi). Da ergere, lat. eri- Latinismo captus. =r= 88. Veriso, insultato massii
gere. = 120. Merse, abbassi). = J2I. Bene \ero. mente dal INogaieto. 89. Essere anciso ai di i2
g e . -
- — 122. Per rf CSI invece di si perde, o perdea. 132.
Dritta (Icz. de' migliori codd.) giusta, schietta, buona, : —
134. Conservo ecc. Apocal. 19, iO. r=- 137. Neqnc nu-
bent, Marc. 12, 25. Parole di tiesii per trar i Sadducei dell'
errore intorno all' altra \ ita , tanto più a|)|)licabili , quanto-
che il papa è creduto sposo della chiesa, v. 24, 22. 140
Slan sa, dimora. 7.» i .»« g- i a , impedisce, := 142, yii e -
già, moglie del marchese Moroello, Troja V. A, 132,
ANTO
XX.
3. Spugna, brama di sapere, : — 5. Spediti, dove
t)i pili) spedilaineiite canuninarc. r=z- Muro stretto,
viottolo, passaggio stretto, come quelli che conducono in su
le torri, o le fortezze. = 9. Approccia. Inf. 23, 48. r^n
10. Lupa, a\arizia. Inf. 1,49. --^z 12. Cupa, profonda.
13. A et cui ecc. v. 16, 67 ss. nrr 15. Disceda sene
parta, Lalini-ino! rr=- 23. Ospizio, il presepio. : 24.
Sponesli. li)f. 19, 130. Portato, parto. =— 25. Fabri-
zio, console e c»|iii,ino de' Romani contra i Sanniti e il re
Pirro, Con\it. ì. 'Uti. - 31. Larghezza, liberalità.
ottobre. 91. // novo Pilato, Filippo il Bello. =i 9
Allude alla soppressione dal detto re procurata nel 1302
ricco ordine militare de' Teinpiarj, Trotja V, A. 131 s. ::=
Sposa, Maria. 99. Chiosa, spósìzione, dichiaraziu
100. Disposto. Altri hanno ri. s- 7) o, sta. : ì
Prendemo, prendiamo. Contrario suon predichia
i castighi dati all' avarizia. r=- 103. P igni al ione, rt
Tiro, ligliuol di Belo. r=r 104. 2^ rad il or e ecc. di
cheo , suo zio , marito di Bidone. Eneid. 1 , 346 ss. =:
Mida, figlludl del re Gordo di Frigia, zrr: 107. Dimt
da, fatta a Bacco dì convertire in oro quanto toccava. Oi
Met. 2. =r 109. Acàm, latto lapidare da Giosuè per
sersi, contra il roniandameiilo di dio, rlserbata per sé pa
della preda di Gerico espugnala e distrutta. Gius. 6.
110. Morda, rimproveri e punisca. = 112. Mari
Anania. Alti iipost. 5. 113. Eliodoro mandato da
Icuco, re di Siria, in Gerusalemme per torre i tesori del t<
pio, ove un cavallierc armato lo percuoteva con i calci
.Vlacc. 3. r-^- 115. J'ulinestor, re di Tracia. Poli
;o, figlio dì Priamo, re di Troja. Eneid. 3. 40 ss.
116 Crasso, iSlari'o Cr. ricchissimo procuri) d' avere
|)roviiicia i Parti, ma fu \into, tagliatagli la lesta e posta
vaso d' oro fonduto, e dettogli: Aurum si t isti, aur
32. i\icotao, mhi-ono di Mira, che doli) riccameiile e se
grctamenle tre nobili e belle giovani po\erc. rrr: 43. M al alhibe. =-^ 118 ss. Risposte alla dimanda del v. 35 ss. P
pianta dei re di l'raiicia z^r 44, A d u g g i a. Inf. 2.), l.Uo, veemenza. = 121. Ci, qui, ;=: 124. Brigavo
= 45, Schianta, coglie. Inf. 13, 31. i'g. 28, ilU, 33, 56. ci alTulicavamo. Soverchiar, superar, cioè avanzarci
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
I. 1> e ?o , isola dell' Archipelago. Eneid. 3, 75 ss. 132.
due — cielo Apollo, — Sole, e Diana — Luna. :
I. Inastar. Lue. 2, 15. z — : 141. El il canto angelico,
r n\. l/sofo, 20, 71. 21, 18. = 115. Guerra, ansie-
e violeiiza.
ANTO
XXI.
1. Sete natuT al , desiderio di sapere, r— 2. Acqua
!. Giov. 4, 13. 5. impacciata, dalla purgante
ba giacente. : — : 6. Vendetta, piinì<!Ìoiie, 7.
tea 24, 15. Marc. 16. 8. 1* u o discepoli. In via
'ìmniauH. 11. Da ■pie, sul suolo. 12. Ci a rf-
mmo, ci accorgemmo. Si, sinché, o ma, come vuol il
itesto. 13. Dea, dia. : — 15. Cenno, ge.sto. Af-
B al dor. zdto , cioè y.ivifìi; , movimento , mossa.
Beato concilio, paradiso. Par. 2G, 120. Corte, giu-
io, cioè dio (20). t — 19. E parte andar avi forte,
i,.iie incontrastabile invece della corrotta e perchè an-
te forte/^ l'arte, comehif. 2!t, Ili. è mentre , intanto.
id avara forte 24, 2. v. marcantonio Parenti Saggio
annotaz. al dizionar. della lingua ita!. (Hologna) fascio. 3.
'i'ih ss. 21. Sita scala, il purgatorio. 22. 1
gni, i P scritti in fronte. '.^3. Profila, delinca.
z 25. Lezione bartol. chiara , che risp.irmia ogni tenzone
orno al peccato di lei in caso retto, mentre 1' origine del-
voigare lei che dt e notte fila è di leggieri dimostra-
D, come fece T iviani , il quale inoltre ottimamente in
istilìcazi(uie di dà le fila cita (Jvid. Tri.st. 5, 10. 45.
Tratta , lìlata. Conocchia, pennecchio. Voce ted.
mhel , fr. (jueniiuille. 28. S ir occhia, sorella. : —
Adocchia, intende. 31. A m p ia gola d' inferno,
ho. Inf. 1.24. 33. Sco/a, ammaestramento. 35 s. In-
;e della volgare t ut t i — p ar v e r alcuni codd. hanno tutto
nar V e, riferendolo a] m o n t e, con più forza ed eleganza. : — -
Die — per, colp'i nella. iì.La religione della
intagna, la santa montagna. i3. L i b e r o luogo. A.l-
r a zione , perturbazione nei quattro elementi. 44. Va
create 1' anime, che salgono al cielo. 48. La — 6re-
, la porta del purgatorio. 9, Tli ss. : — 50. Figlia di
Iride, arco baleno. r= 54. Il vicario di Pietro,
ingelo. = 57. Trema, Lez. bart. invece di tremo.
- tiO. Grido di Gloria in exceleis. Seconda, accoinpa-
a. (i2. Convento, stanza , luogo. : — li4. T a lento,
linazione, appetito, desiderio. Inf. 5,39. Con tra v o-
ia sembra lez. più immediata, quantunque del medeKÌino
ISO, che la volgare con tal voglia ìnelficace cioè, re.so
e d.il contrario talento. Ottimamente Torelli spiega il sen-
di i|iiesta terzina: Le divina giustizia infonde nell' anima
rgiinte un desiderio di proseguire ne' tormenti , contro sua
ipria voglia, eh' è quella di salire al cielo a quel modo che
infuse in vita un desiderio al bene , contro quella voglia,
; r inclinava al peccato. rm: ()7. C i u q il e e e n t o ree.
ir anno di Gesii nii , circa il quale Stazio morì, al 13110,
irsero più di 1200. 500 pastai) nel pirone (jiiinto, più che il
irto cenlesmo nel quarto (Ti, 113) il resto nrcli anteriori.
r Ufl. Soglia, stanza, abitazione. 72. Iiivii, prego
lesìdero eh' in\ii. : 75. Prode, prò, utilità. : — 7ti.
rete, il talento di soddisfare alla divina giustizia. 04.
z 77. Scalappia, apre,svolve. :=r^ Tn. C ongaud de,
congratulate. Latinismo! r^ HI. ('« pj) l' a , capisca. »^ap-
i, iiiKMida. = 82. Tito Vespasiano, rrr 83. Fora,
i , ferite. 81. San sue di (Jesu. rr^ 85. A ani e di
Bla. z= HU. 1> i la nel mortai mondo, rrrr: 87. Fede
«liana, r^ 8H. / orale npirto, voce, canto, rr-r
Tolosa no. Iìrr<ire conimune allora, rhe confuse Stazio
pinio napoletano con Stazio .Surrulo , ed IJrsulo , retloriro
Tolosa. r=rr !I0. ;W i r t o. r»rona poetica, zr^- 93. Cad-
via, non diedi perfezione. La seconda sorna,
\chilleide. r-r- 91. .Ir dar poetico, r^^ 97. Mamma,
,jre. 99. Peso di dramma, la menoma cosa, r— ^
. Sole, anno. Ini. (i, (i8. r=T lOb. Passi ori, allegria,
rÌHlfzza. Opposto a voler. ICrari, schietti, semplici,
lurali. 109. ,1 miniera, fa d' occhio, fa 1' ocrhio-
o , o alto per sìguilicare alcuna cosa , acrcnna. Latini-'-
i: mirare. V. Parenti fase. 3. farr. 2Ì0 H rrrz 111.
'inbiante verace dell' animo, rrrr 112. .Se, 'ì. Assoni
l, conduca a line. : 115. Da una ;i. d.i Virgilio. I>a
Ira, da Stazio. =r= 12ti. Forte, ci>raggioso. l'iù seni
ce <• la lez. /or ir. z — 1211. (furi te ecc. 94 s. rmr
». I) i sm r n t 0 , dimentico, opp. linimento. 11, Sii. f' a-
tatc, esser umbre, corpi ombratili.
Canto WII
3. Colpo, un P. = 4 — 6. Adottammo da prima la
. bart. e I). sol con quella differen/a del delti n' avrà
ali, »eu/a »irgola ilopo aveii, in qni'"lii senso: 1' «ng<l,
e Bvea detto beati coloro che deaiderauo giuitlizia (che
hanno fame dì ginstizia, Matt. 5,6), e dì cui le voci, cioè pa-
role, o canto finirono questo detto con sitiunt. In ogni al-
tro modo di spiegare e di leggere si mostravano difTicoltà non lie-
vi. Dire, che quei che hanno — detto n' a l'ean di-
noli un angelo solo , forse rimandandoci a 15, 55, o sognando
un' ellissi precaria, lo vieterebbe il solecismo di sue, che
ne nascerebbe. Una terza sjiosizione però sarebbe d' intende-
re per quei ecc. coloro obesi purgano, dove allor si do-
vrebbe leggere detto n^ avean, e le « u e voci cioè dell'
angelo ftoiron questo detto con sitiunt senz^ altro, senza
aggiungere la parola giustizia. E questa sposìzionc ci
garba ancora più; onde raggiustammo il testo, come si sia.
7. Foci, aperture delle scale, scale. : 8. Labore,
molestia, fatica. Latinismo! : 9. Gli — veloci, Virgi-
lio e Stazio. : 14. Giovenale, che fiorì poco dopo di
Stazio, e lodava la Tebaide. 17. Strinse, sottintendi
alcuno. 23. Senno, sapere. 29. Falsa, fallace.
Matera, motivo. : 31. Creder, persuasione. : 33.
Cerchia, girone. 35. Dismisura, disproporzione,
che andava sino alla prodigalità. 3ti. Lunari, lunazi-
oni, mesi lunari. 21. 38. Là, nel!' Eneide 3 , ób s.
VI. G i o str e gr a me , scontri rìenosi. ì'oltando pesi. InC.
7, 22 88. 44. Pente mi, mi pentei. : — 48. Negli
estremi, opposto a vivendo, de^ ' esser iu morte, come
allo stremo 20,26. 49. Itim becca, propriamente
ripercuote, ribatte, come una palla, qui contraria, s' oppone-
51. Suo verde secca, muore, si consuma. — = 55.
Cantasti nella Tebaide. 50. Doppia — Gio e a st a,
F.teocle e l'olinice. r — ■ ,58. Invece di Per quel che Clio
(Musa invocata da Stazio Teb. 1,41.1 li con teco tasta
(suona poetando, come spiega Pietro uì Dante) Viviani difende
la lez. bari, e trivigiana : per quello che creo teco le
tasta, cioè i numeri dell' armonia, ponendo le tasta in
numero di quelli che hanno due plurali, come /i/o dito ecc.
e da quella confusione del sostantivo col verbo derivando il
l'angiamento di trio, o creo in C Zio, e di /i in /». In-
tanto la lezione ha qualche cosa di ricercato ed aiTettalo , sìa
nella costruzione : per quello fedele ti fece ecc. :=:=
60. La fé cristiana. 12. Stenebraron, dissiparon
le tenebre. 63. Pes cator , Pietro. Senso: come li
f.icesti seguace della chiesa'? :: — 65. Grotte, ripe. Inf,
21, 110 Pg. 13, 45. : 66. A presso dio, dopo dio, prima
causa di tutte le cose. ]\I i alluminasti, mi bai fatto cri-
stiano. 69. Dotte, conte del camino. : 70. (juati-
do dicesti Eglog. 4, 5 ss.; passo da ritcrirsì a Salouio , lì-
glio d' Asiiiìo Pollione. ma da crisliaiii scrillori riputato vati-
cinio di Messia. = 74. Mei Inf. 1, 112. 2, 36. 14, .36. =^
78. Messaggi — regno, apostoli e discepoli di Cristo. :
Si. Usata, usanza, rrrr 82. Domizian li persegue t-
t e ì^ anno 96, il quinto decimo ed ultimo del suo impero. Eii-
seb. H. E. 5 , 17. r= 88 8. Pria — /)o e t a 7j rfo , pria dì
comporre la Tebaide. zzzzr. 90. Chiuso, nascosto: Filmi,
mi fui. := 93. Cercar, dal lai. cirrare ^ girare, andare
intorno è da preferirsi a cerchiar, eh' è chiosa. Il quar-
t 0 e e n t e« HI 0. V. a 21, 67. : — ~ 96. Soverchio, iiiupn.
97. Antico Ijaliiio. Così leggono i migliori codd. in-
vece di amico. 99. fico, cerchio. Par. 10, 137. rr-r
101. Greco, Omero. 105. Le nutrici nostre, le
\1use. r— liM). ,i n f i/o ?i t e, tragico, non Anacreonte
lirico, c<ime ha la Fior. 1481. 109. Tue cantale da te
nella Tebaide e nell' .\chilleidc. =rr- 110. .Intigone, li-
glia d' Kilipo, re di Tebe, guida del cieco padre esule. Dei'
file, figlia d' Adrasto, re ardivo, moglie di Tideo. Argia
la di lei sorella, moglie dì Polinice. :=— HI. 7» mene, so-
rella d' Antigone. Trista, afiiitla per lo sposo Cirreo uc-
cìso da Tideo 112. (Quella ecc. Isilile, tigliiiola di
IToante, re di Lciino , la quale, \eiidiita da corsari a Licurgo
idi iVemea , nnlrice ad un suo tiglio Ofrlte, inoslrniido ad
Adrasto la fontana Langia, l.isciii il fanciullo e lo trovo
ucciso da mi serpente. 113. La — Tir e si a. Manto.
\Teti, madre d" .\rhille, 114. Dcidamiu, figlia di
i Licoinedc , re di .'^ciro. 118. Ancelle del giorno,
i(»re. 12,81. r — 119. Temo, tinionc, governo, rr— liO.
'Corno, punta del limone. In su \erso il meridiano circolo.
(r— 121. Afri ni», eslremìlà. rr— 122. Spalle, lalo. =:
123. So/ e ;n o , sogliamo, zz— 121. Insegna, guida. r7=:
I2(i. fin eli' a. d. .*J|azio. r- — 130. l< ii s i " n i , ragiona-
iiitMili. U, 126. ;r— 133. Si digrada impicrinleiido. Così
al contiario. z^zz 131. In g i ii h o , wrso il piede. ==: 141.
C'fi r o , carestia, r — 142 ss. .Maria — che or per voi
risponde, eh' è Mislra uvMicala in cielo, chiese vino alle
nozze di ('ana ■ ma non per se. (;io\. 2, 3. Pg. 13, 28 h.
: 1».'). Le Hoiiiaue ecc. \ aler. Miss. 2,1. = 146.
Da n i el l o , ì, U. ■ — 119. Sa varo se, vaporile. r—
151. Mele ecc. .Marc. I, 6. _" 151. Per lo evangelio
Matt. 11, II.
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
Canto XXIII.
1. Figliole, àd-lla-tìno f mole. = 6. Si vuole,
8Ì dee. = 8. Si e, si, cosi. r= 9. Costo, fatica. =
11. Labi a ecc. Salm. 50, 17. = 12. Par turi e, cagio-
nò. = 17. G r«^ne7if/o , raffgiugiieiiùo. = 1'.». Mota,
mossa, per Latinismo. = ì%. S e e m a , dimagrata. =
'U. S' informava, prendeva la forma. == 20. Buccia
atre ma, la pelle più sottile, che tocca T ossa. = 2().
Jirisithn, Tessalo profano, che proibiva il culto di Cere
re , oppresso perciò di fame insaziabile. Orid. Met. 8. =
'il. {Quando — tema, quando si trovò nella maggiore an-
gustia di mangiarsi le proprie membra. =r: 2!). La gente
ebrea costrelia dalla fame ad arrendersi a Tito. = 30.
Maria donna nobile, che nel figlio dih di becco, si
mangiò un suo (ìgliuolo. Giiueppe 7, 15. r=r 31. Oechiaje
cavità degli occhi. = 32. Chi ecc. Le due sopraciglia col
tratto del naso fanno un M , formato dal concavo degli occhi.
3-1. L' ordine è: chi, non sapendo, come (si pui)
far magro là dove Topo di nutrir non tocca. 25, 20 s. in ombre)
cred e r e bb e eh e l' odor d i uji p o m o e q u e l di u n'
acqua, generando brama, si g o v e ma ss e, maìa.-
ineiite conciasse, quel!" anime. =: 37. Li, gli spiriti, r^
Hi. Favella. Cos'i invece di favilla parecchi codd. , più
c<!ngruameiite al v. 42 e -il. e più poeticamente assieiue. =
47. iambinta labbia, sformata faccia. = -iH. Forese,
fratello di Pic;;arda (21, 13), fratello di mess. Corso Donali.
=r 19. Contender , Riporti al rinconoscermi. Altri spie-
gano attendere, comeil end. chig. ha intendere. Al V asciut-
ta scabbia, a cagion di quest' aridità. = 52. Il ver,
come qui capiti vivo. = 51. Non rimaner, non trala-
sciare, non dubitare, esitare. = 57. Torta, diil'orraala.
Far. 13, 12'J. = 58. Sfoglia, melaf. spoglia di carne.
= tiO. lo glia, di saper ia cagione della magrezza. =
(j2. Pianta, albero. = ^"i. Miassottiglio, mi di-
magro. r=: (i5. Per seguitar, per aver geguilato.
= (;8. S;)ra-io, spruzzo d' acqua sottilissimo. Allinea
^o£^(y, /?;jf;(;, fioo/ti. = 10. Spazzo, spazio, suolo,
pàvi'meuio^. = " 72. Sollazzo, perchè purgazione. =
71. ì;/8. Matt. 21. = 75. J ena, sangue, morte. =
^ì. Rimarita, riunisce. = Hi. Ristora, risarcisce,
emenda. = Bb. Assenzio dei martiri, pene del pur-
gatorio. = 87. Nella, Annclla, Giovannella. r= 90.
^yjrnuferiori. =: 'M. Barbagia, montagna aspra di
Sardigua, dove popoli di costumi barbari, e lemmine lascive,
invereconde. = gii. /^ a — t a scia i, Firenze. = 99. An-
tica, anteriore. Opp. ji o s t tea. r= l'M.Pergaino,
71 a, fascetto di paglia, covoni. 3Iavruy , fiavuv , /(Oi)or,
dissero i Dori una collana, monile. 111. Nanna, can-
tilena colla quale le madri o nutrici fanno addormeuiare i
bambini. = 113. Il sol veli, col corpo rompi, fai ombra.
115 ss. Par che il poeta si accusi, come altrove, più che
vorrebbero coloro, che lo canonizzano. 118. J olse, le-
vi). = 119. Lo altr'ier, pochi giorni fa. =^ 120. Suo-
ra (del sole) la luna. i=: 123. i> e co n <Z a , accompagna.
: 12G. Torti, peccaminosi. r= 127. Compagna, lui.
2j, 101. = J33. Sgombra, diparte, maada al cielo.
Canto XXIV.
^. Rimar te, due volte morte, a causa della stenuata
macilenza. : — - 5. Fosse degli occhi, occhìajc. =r
9. Per r altrui cagione , per godere di nostra compa-
gnia. r= 10. Piccar da, sorella di Forese, e di mess.
Corso Donati, fattasi monaca, e poi smonacala dal fratello
ili sposata a Uosclino della 'l'osa, ma tosto morì. Par. 3, 107.
l'go Fosc. dine. IHO sa. r= 17. Munta via, distrutta.
Dieta, fame. = 18. Bonagiunta degli Orbisani, bel
dicitore e rimatore in volgare. 21. Trapunta, istra-
ziala dalle fumé. ■■ 22. Fbbe — braccia, fu sjioso di
xanta chiesa , o papa. 23. Dal 'l'orso di Francia,
Martino l\ , golosissimo che morì per troppa grassezza. =
21. ISolsena, oggi castello, anticamente ciltà della Toscana.
/ e rn accia, vin bianco. =rr 27. Brano, sdegnoso. z=
29. IJ bai din dalla Pila (luogo del contado di Firenze).
Bonifazio de' Fieschi (Jeiiovesc, dell' ordine de' predica-
tori, tu eletto arcivescovo di Havenna nel Vi'i'i, e morì nel
12!I4. l'ii legato del pontefice in tutta la Itomagna , nunzio
d' Onorio I\ in Francia a Filippo 111 l'Ardito, da Pio II chia-
mato nijiole di l'apa Innocenzo IV. = 30. Rocco, pasto-
rale, bastone de' vescovi. i''orHC dal tcd. ragen^ recken,
slrecl.en. Così gf interpreti anlirliisHÌini. Altri inlcnduiio
cotta de' vescovi, breve e bianca veste crespata, dove rispon-
derebbe al tcd. Hack-, ingl. frode. Pasturo, resse , go-
vcrnii. : — 31. Mar e In- se de' Kigogliosì , cavalier di tor-
li, grau bevitore. Spazio, ì^\o. = 32. Secchvsiza,
HI
sete, rrrz 31. Prezza, prezzo, stima, conto. : — 8|'<
^u e/ dai. ?i eoa, Uonagiunta. :^= 'M. G cntu cca , ni
è nome di donna amata, anzi \uol dire gentuccia , gcn
bassa. = 38. Là ecc. tra i denti, ove sentì il gastigo del >
fame. = 3il. Pilucca, ispolpa. Aifiiie al leiì. plìticke;
t'r. cplucher , dal lat. pilus , ted. Fili. = 10. Par\ jiari.—
43. Femmina, la parte iiiaiica diFirenze. Porta bendi
è sposa. =:= ib. L a mia citt à , Lucca. Om, tu stesi i*
ncir Inf. 21, 41 s. Predice dunque Ponagiunta all' autore i'
prossimo esilio, e la sua stanza in Lucca. = 50. Nov iP'
mirabili, rare. - — 51. Donne co:, canzone inserita nel «i^
Vita Nuova. = 54. Ditta piii somiglia al lat. ilictare , k'
poco dopo Amore vien detto dittature. 55. Issa. Ini.
23, 7. A'orfo, r impaccio, la dilficoltà, perchè non inspira -
da Amore. =: 5(i. iVotaro, Jacopo da Lenliiio tiorì 7
poeti) circa il 1^80, o 1250 secondo 1' editore de' Poeti d -
primo secolo della lingua italiana, in due volumi raccol
(Fir. IHKi. ) dove Voi. I. f. 249 ss. se ne trovano più poesi
G u itlon e d' Arezzo l'iti, 124), iiiorlo nel l'iiJl, scrisse sonetti
lettere. = 58. lustre, tue e quelle de' tuoi coiiii>;!gii
Ciuo da Pistoia, e Guido Cavalcanti ecc. (il. Gra.d
re, invece di che altri hanno guatare, sembra a modo li
lino del gradiri , procedere, andare avanti, passare più oltr
Lo — stile, quello della passione e quello dell' arte. =
(il. Augei, grue. b5. Schiera tonda. Affine al te
Harst , Heer , Sihaar. (iti. Filo, ordine, riga, 1' ui
dopo r altro. Inf. 5. 47. 70. Trottare camminar
passo veloce e saltarellando. 7"J. Si sfoghi — cass
si calmi r ansar del petto. Da. fo 1 1 o , f o 1 1 e, mantaco, ali
ne a //are, e .iv/.v; ; onde Venturi vorrebbe spiegare f
folla. :=r: 78. Sia col voler alla riva, desideri
morte. Dice essere anteriore alla morte il suo desiderili
morire. : 79. Loco — posto, Firenze. 80. Spolp
spoglia. == 82. (iuei — co/j)o, Corso Donali, fratello
Forese, e principe della parte guelfa, o Nera, sospetto al p
polo, genero d' Uguccione dalla Faggiuola. Allorché nel
selt. 1308 a Uemole, vicin di Firenze arrivavano improwi
cavalli d' l'guccione, i Fiorentini diedero all' armi. Pier de
la Branca da Gubbio, podestà, chiamo in giudizio Corso D
nati , e lui non comparso fra due ore dichiarò traditore,
popolo trasse alla casa di Corso, che virilmente si difese, n
si getti) o cadde da cavallo, da cui strascinato morì presi
San Salvi. I Ulani , 8,96. Troija veltro alleg. f. 91. Uj,
Foscolo disc. 187 s. 81. falle — scolpa, 1' inferii
= 88. iVo 7i — rote celesti. Vi erano di mezzo otto au
in circa. = 9t). Intoppo, giostra. ; 97. fai eh
passi. V. all' Inf. 19, 94. J/o«ft Prop. 3, 2. 405. = 99. Mi
r e s cai ehi (forma più originaria, che m a l isea l chi), ma.<
stri. Virgilio e Stazio dice. : 100. Fue cioè Forese. :=
101. Si — seguaci, appena lo scorgevano. 103. Gri
vidi, carichi. : 101. Pomo, malo. 105. Làci, lì
come qui ci, liei. IH. Disio, oggetto desiderai
= 112. Si parti la gente. Ricreduto, disingannai
= 113. Adesso, allora subito. Perticari Prop. 2, 2. 15
111. Hi fi ut a, disdegna. 119. Ristretti, slip
li, 0 assieme. 120. Dal lato che si /ève, al la
del monte; per non farsi cioè presso all' albero. 122. A (
nuvoli (rappresentanti la tigura dì Giunone) forbita ti
(generati da Issioiie), Centauri. Satolli, ebbri nelle nozi
di Piritoo. 123. Doppj d' uomo e di cavallo. ]".
Ebrei. Giudic. 7. Molli, avidi, condiscendenti. 12
l' iv agni , estremità. Inf. 11, 121. _ 129. Seguii
seguitate. 3Iiseri guadagni, tristi effetti. : — 13
R allargati, scostalici dal lato, opp. a ristretti del
119. So/ a, solitaria. 131. Ci portammo. Alcui
codd., troppo superstiziosi forse trecentisti, che non voglioii p;
usare portarsi invece di andar innanzi, hanno porta "
rr= 13.). Poltre. 1 passi d' Ariosto O. F. 23,90. Sai. 1, 2
citati dagl' interpreti mostrano, che questo vocabolo non pu^i
valere lo stesso che puledre. Sembra anzi affine al tcd. jio
tern , lat. pultarc, pulsare, gr. nuU.nv , .itlliiv , e dine '
tare uno che si riscuote con remore o strepilo . per paura
codardia. = 13(1. Fosni, fosse. =^ 142. l'otta, f
trop|)0 lume. 14(i. O/e ii a, rende odore. = 14!
Piuma, ala. := 150. Grezza, effluvio, spirilo, fr{
granza. il/o/iti Prop. 3, 1.201. = 152. Lo amor de
gusto, l'inclinazione al mangiare e bere. = 153. Fumi
accende. =— : 154. Es u r i e n do — gì u sto, in senso pri
prio, volendo cibarsi, quanto è couvvucvulo ; e iu sLuibulic
alludendo a Matt. 5, (i.
Canto XXV.
1. Storpio, impedimento. Affine a TQercta e arntfpe
z — : 2. Il solo ecc. il sole nell' emisfero, ove ci trnvaminc
aveva passata la metà del cielo , o il meridiano d' un' ora_
mezzo, e ncll' opposto era passata la mezza notte. _ Nel priii U
cipio d' aprile il sole sta nell' ariete, e la notte antipodanell :
libra. Il loro va dietro all' ariete, lo scorpione alla libri
Dunque se il toro sta uel meridiano , I' ariete e il sole ave
nj«
1,(1
COMENTO SULLA DIVL\A COMMEDIA.
Canto XXTI.
sciato il meridiano già due ore. rr^ 4. Si affig g e , ìì fila. Ippol. PiudomontP , e Monti, Lenchè voce di dialetto,
mia. =z 7. Callaja, valico, passo, entrata, apertura | pure adoperata da f'itlani st. 7, 7:{. e cagione assieme della
3Ìle siepi, per poter cr.irurc i;ei campi; qui apertura nel , lezione s /a r? c/i lu s a ciot; sia sanata, come 15, 8. Par. 32,
s^o , adito. =r 9. Arti zza, slre^ttezza. Ì>i «;) aj a, i 4. iuvece di r i cu r; a, per metafora sconvenevole, o rie uè a,
para. = 10. Cicognino, cic(i{riia di nido, rzr: 14. All'iricuscia, ridi lascia, che sono guaste lezioni.
Ito di muover le labbra. =m 15. Si argomenta, ti
s;ione. IG. Per — ratto per ratto che fo,-se , quan-
iique fosse veloce. : — - IS. Ferro, strale. Trar l' arco
IN ino al ferro è tender 1' arco in modo, che la parte
pericnneiite ferrata dello strale giunga a toccare la som- 3. Se a / f ro , fo accorto , dotto. = 4. D e .<! f r o , sicché
Ita dell arco. La metalora iJuiU|ue dice: di liberamente ]' ombra del suo corpo doveva cadere sopra le vicine liamme.
icl che vuoi dire. = TI :1/e/ e a ffr o Ovid. Met. H. r= r= 5. Oc cfV/ e n «e parte occidentale, r^ 7. Rovente,
. Guizzo, movimento. Affine a. xitu, y.iu^uì , ted. gehen. rosso. Lat. ruòcns : 8. Indizio, segno d' averlo vero
= J'is=o , molle, facile. = 1%. Dentro al vero. Ti corpo umano. rr= 14. Cer fi, certuni. = lì. Parete,
•1 a g e , ti riposi e l acqueti. = 30. Piage, piaghe, dubbj. ostacolo. = 23 s. Fora manifesto, sarei manifestato.
- 31. F e ri u ta, ciò che si vede. Inf. 17, li:5. f endetta = •^•^- -^ ^ d'- !•>> 1-0. := 3H. Fortuna, avere, viveri,
alcune edizioni non quadra al purgatorio. Dispiego hanno = 39. Soprngridar, gridare di più, superare gridando,
recchi buoni codd invece di disleg'o. = 'Ai. Aon poter, ^=F^ -11- Panife. Inf. 12, 12. = 43. Montagne Rife,
1 «angue, 1' umano seme. Di mensa leve, per riserbarlo. = ^J- ^ e erbe, in gioventù. = ab. Di là, sopra la
el core, qual principio della generazione. Jirtute in- 'erra. ::= 57. Suo e sue, sono invece di loro, come scrive
rmativa — membra, forza a poter formare tutte lei'' <=<"'• l>art. :^ oH. Per — cieco, per esser illuminato. z=.
mibra. J^arae,senva. ;= \'\. A n co r. Ai nuovo. Di- o'J. J^pn 7J a , Beatrice. = bO. :Uo r t a /, corpo. = 61.
■sto, digerito, appurato. Ou' è— dire, negli ultimi vasi ^je, si. =: (i2. Il ciel empireo. Con^it. 2, 4. r= 64.
ermntici. (i e in e , slilla, .^i f r ui, della femmina. i\" g - Carte verghi, scriva. z= &<.Ammuta, ammutolisce.
!ra; i;u,se//o, utero. = 47. i o u n , il sangue della I = b'J. S' /_n ?/ r 6 a, entra in città. = 70. Parata. 25,
idre. ^ ;(0 tir e, ricevere impressione passiva. Loaltro\^'^^- , 72._ Si a tf u fa , s' acqueta. = 73. 3/areAe.
1 maschio. A fare attivo e spiritoso. r=r 48. Lo per- l'? ? ^^- = ^^- f iver. Il cod. bart. ha m orir, senza can-
f fo ^oco , il cuore. Si ;) rem e, s' imprime , riceve im- giare il senso, i m 6 a re A e, riporti. = 7U. A o 7i — 7i oi,
:'6sionc. V. .')8 ss. = 49. Giunto lui, congiunto il cammina in direzione contraria. = "il. Di ciò, iu ciii.
terno al materno sangue. Operare, formare il cuòre. = Trionfando della Gallia. z= 78. Regina ecc. a cagion
Per sua mat cria, per far servire di materia. Con ■ Jel suo commercio con Nicomede, re di Uitinia. .Suetoii. Caes.
are (non gè star e,) coagulare, stare insieme. 53. ^9- = *^1- F dan giunta n l F arsura lez. bartol. pili
ual di una pianta, simile a vegetativa. = 51. ; uat'irii'e, colla quale si spiega 1' origine dell' altra ed ag-
lesta r anima vegetativa del feto umano. E in fia , \2 »""'" (accrescimento) A a, onde la Crusca fabbricii e «i aj u-
ide ad innnltrarsi e divenire sensitiva, f^u ci /a , 1' anima f « "• ^F= k2. E r m afr odi to. Ovid. Met. 4, 574. diverso
-ctativa della pianta. A riva, al termine di sua perfe- •" 'specie, non in sesso. = 87. S' i m é e s t i ò, prese figura
le. = ab. Ovra, la viri lite attiva. = ,')U. 7ni;) r e n fi e , ! "' vacca. Imbest, sdì egge. Inf. 12, 12. = 91. Set hi o,
mette all' impresa. := 57. Or ga n « r provvedere d' or- ! '"a"co , menbraino>o. i/i ;/» e fo i e re , di voler saperme. =
ui. Posse, potenze, come visiva, uditiva ecc. Se HI e 7) f e, ; 92. 6' u if/o G u i n i e e 1 1 i , U , 97. = 93. Dolermi,
idultrice. =r. 58. Si spiega, s' allarga e si spande. Si c^-sermi doluto. 2(i. Allo stremo, 22, 48. = 94. V. a 22,
s ic7if/e, si dilata. = 61. i> i a;i Ì7h a i , d' animato, d' | li-- .^= '■>:> D uè fi g l i , Toaiilc ed Eumenio , girandoli!
ima sensitiva. Fante, uomo. 11, (.6. da fari, parlare. ' ""accia d' Isilile , che salvarono da Licurgo disposto ad ucci-
z 63. Più sa rio, Averroe, comentator d' Aristotele, i^- dcrla. = 9u i 7) s ur^ o , insorsi. r=z 'J't. 1 1 pad r e ,
Possibile intelletto dicono gli scolastici la facoltà d' i fiuido. r= 98. Miei, a m"! cari, o di mia nazione. =: 105.
elidere. = IJb. Organo corporeo; come pur fa 1' anima l^" affermare giurando, v. 1(19. ^rr: 10(i. / e .'£ i^in, segno
isiliva. ::^69. /yo art ico la r del cerebro, la struttura d amore. = 116. Lno spirto, Arnaldo Daniello. 142. z^r
suoi organi r-r: 70. /y o 7» o f or p ri77i o , iddio. .// u i, 1 117. Pa ria r mate rn o , lingua provenzale. =:= 118. t'ersi
feto. == S/) ira, inspira , infonde. = Ti. licp l et o, \<{i e "'o r e , poesie amorose. Romanzi storio favolose in
ieno. : — 73. Ciò — attivo, 1' anima sensitiva. Tira
tua sustanzia, unisce a sé. 75. f ire, vegeta.
Ì7i *è rigira, ritlclte sopra le azioni sue. : — 76.
troie, detto. 78. Giunto, unito. Linor acqueo.
: 79. F quando — lino, quando 1' uomo muore. : — t-0.
ivesi r anima. = 81. Lo umano, le potenze corporee.
17 ino le spirituali. : — 82. Le altre potenze sensi
lingua provenzale o castigliana. 120. (^ucl di Lemoi
Geruuit de Ilerueil di Limosi. Dante vulg. elo((. 1 , 9. poeta
provenzale famoso. 121. foce, fama, chiasso. = 123.
Arte, precetti d' arte. r= 121. Gnittone d' Arezzo. 24,
56. Pelr. Tr. d' Amore. _r^ 125. Di grido in grido, per
romorc, gridando gli uni ciecamente apjiresso agli altri, r^ 126.
Fin e il e ecc., finché vinse il ver per mezzo di parecchi va-
B, come visiva, uditiva ecc. Mute , inoperose. :r=r 85. i leiiluomini. r= 128. Chiostro, Parailiso. rrrr 129. Abate,
r si stessa, per interno impul-o. Cu ri e, scende, rr^ padre , preposto , capo , guida. =r: 130. L'dir di un, lez.
Ina delle rive, o 1' Acheronte, o il mare, rr- 87. bart. chiara invece di un dir di. =z 131. (guanto ecc.
rade del purgatorio, paradiso o inferno. =r: 89. Rag- tralasciate le due ultime petizioni, r^ 136. Mostrato v.
a spande la sui attività. = !iO. C'osi nello stesso iikiUo. 115 s. 137 8. Senso: che volentieri saprei il suo nome. r=rUO — 147.
tanto, coir iitessa forza. 91. Piovorno, pieno d' Adottammo per la piii parte la lezione Viviana ili questo passo
Ila. l'orma pio adatta al verso ! :^ 92. A 1 1 r u i , dei provenzale, fondati» siili' autnritìi di CasteUetro, Triviilzio e
^ In si: si riflette, iu esso perciinteiiilo si rimbalza. , Perlicari , e sull" analogia della lingua. Co 7J si ro s hanno i
95. Susgella, iin|)rinie. rrr: 96. Histette, fer- lesti antichi, cioè pensieroso, invece di coti si tosi. Giau-
si. r:r= 98. Si muta, si muove, cambiando luogo. r= s e 7i , godendo. Joi, gioja. Altri ban ior. giorno. Dcnan,
Quindi, da questo aereo corpo. Parata, apparenza, dinanzi. Seus frcirh e sens catina. senza freddo e senza
la spirituale anima. rr-:r 102. S »• 7i t ir e , sentimenlo. caldo, adeguatamente a 3, 31. A iviani giu«lilica lilologìca-
duta, vista, rrr- 103. Quindi, in virtù di questo corpo mente la forinola. 11 resto duu chiede iutcrprclaziuue. =: Ili).
co. rrr- 106. .If/iggono, atlarrano , muovono , pini- .///ino, purga.
IO. Dloiiti Prop. I, 2 IH. Altri hanno affigono, dove,
dicano alriini, al modo di ago, lago ecc. invece d' aco, | _, -vvi-il
o. "{figere ri'-ponilenl/be al \.\l. affinre , Monti trova ca- | C A SI T 0 \X»Ii.
ralia. Parenti iiropniie d' impiegare //jjgcre di soggetti ma-
iali, come un chioilo, un piede , //^'<re d' operazioni della i. Là dove ecc. in Gerusalemme. := 3. Ibcro,
lite, rome uno sguardo, un pensiero. = — 107. Ombra, prinripal fiume della Sìpagna. Alta, innalzala sino al mcri-
ereii corpo, r-rr- lOH. V.ri (lezione de' migliori testi), diano, r-r- 4. Hiarsr, riscaldate. É) a nona, dal mczzod'i,
pisci. ~- 109. Tortura, gastigo. rr— 112. linlestra, dal sole meridiano. (•eruNaleniine essendo nel mezzo del no-
ta Cini impeto. =r— |I3. Cornice, orto della strada dalla strn emisfero, ed avendo il (ìange , o 1' India alla parto più
te oppii-t.i alla sponda, r-^^ 114. />a, la liainma. inflette, orientale, 1' Ibero, o la Spagna alla parte più orridentalc , il
linpe. S r II u r s t r II , caccia vìa. - 121. S u ni m a e ecc. Purgatorio agli antipodi, hanno il Sioiinc e il Purg. un co-
icipio di-ll' inno, in cui nel mattiitiiio del sabbaio si chieilc miiiiu oriz/onle, il meridiano comune dell' India e della Sp.igiia.
Olio della purità. : — : 122. Ardore, liamme. r:^- 126. I>niii|iie nel motneiilo che il sole si leva per Gcrusalcinmc , e
qua udii II II n II n d 0 , di i|iiaiido in quando. r — I2H. tramonta rispetto al purgatorio, è mezzod'i ncll' India e inezia
r H ;/i ecc. risposta di Maria. Lue. I. in esempio di virtii notte alla Spagna, rn— 7. Insula riva, su l' eslreinilà
Irarii al vizio della lussuria, che si purga in questo girone, dell.i strada, r— : 8. Hi ali ecc. IMatl. 5 , H. ir— IO. FiU
Ito. Elice, Callisto riconosciuta gravida. :— 1.32. oltre. 2h, 25. 29, l.'>3. Halfr. 21 , 139. = Va. La fot sa,
o di ! enere, piacere carnale, r— 135. Iniponne, nella quale nI HOtterravuno vivi col capo in gin gli nssaMsini.
inpouc. = lil.Abbruia. Lezione burtul. approvata laf. 19 , 49. -j=: 16. i n « u < e r/i an cu ni ni e «« e ni i ;iro-
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
tesi bene osserva Viviaiiì esser atto piuttosto di preghiera, del celeste paradiso,
che di spavento; laddove il protendersi cou tutta la persona | frane, rf e'/ a ?/ 1
sulle inaili aperte, sollevando ed allungando le braccia sia
azione d! paura. Onde scelse: in su le mani tutto mi
protesi. == 19. Scorte, Virgilio e Stazio. = 24.
i>io, cielo. = 25. yj; i'o, interno , mezzo. = 33.70
stava. Contro a cose, malgrado mio. r—rz Mi. Beatrice,
amata, simbolo di Teologia. j>/i/ro, ostacolo. l'etr. son. 13.=
at. l^i r a ni n e Tisbe. Ovid. Met. 4, 5j ss. r= 40 Solla,
pieghevole. Int. 16, 28. r= 51. jl/e t r o , misura. .= 57.
For delle fiamme. = iJ8. f e ni te ecc. Matl. 2o. = ()2.
S f urfja te , affrettate, avacciate. Alfine a ariiuòsn' , ted.
sich sviitcn. ^j'i. Ment r e — si ann cr a, mentre che
non e affatto notte. r=: (ij. Terso ecc. verso oriente. 1).
mandava V ombra sua dinanzi a sé stesso. : — (ili. Basso ,
invece di lasso, hanno i migliori codd. srnz' altro più na-
turalmente. tì7. Levammo i sagf;i, pigliammo assag-
gio, facemmo prova. (18. Co/car, le liquide cambiale
conformemente all' origine da collocar, ha il cod, fior. r=
ti9. Saggi Virg. e Stazio. = 72. Avesse tutte sue
di spense, fosse dispensata, distribuita in su tutto 1' oriz-
zonte. 73. Fece letto, si pose a giacere. == 74.
Jìjr/ro7i s e, tolse , ruppe. = 77. Rapide, preste. t=
81. Lor serve, guardandole dalle fiere, rrrr 82. Man-
drian, custode della mniulra. =r= 8:5. Fé e a Ho, mandra,
gregge. 87. Fasciati, serrati. Grotta, pareti della
bucaf 88. Foco ecc. (coi codd. bcrt. e tlo.) per la stret-
tezza e profondità della sfenditura. : i)0. S o l e r e , uso.
— Ol. Buminando, meditando. =^ 91. Dello, dallo. =-
95. Prima anteriormente al sole, il/o n t e, purgatiirio. Cite-
rea, Venere. 'J8. Landa. Inf 14 , t(. prato. 101.
Lia , figliuola di Laban , prima moglie di Giacobbe; simbolo
della vita attiva. 104. Badie l, seconda moglie di Gia-
cobbe, simbolo della vita contemplativa. Inf. 2, 102. Smaga.
10, 105. 105. Miraglio, specchio. Munti Prop. 3, 1.
1:11 8. 108. Ornare hanno parecchi cudd. più squisita-
mente, invece di o v r ar e. = 109. Splendori ante lu-
ca ni, alba. 115. Dolce pomo,\\ sommo e vero bene,
Ili). »S t ren n e , strcne , mance , regali, cose donate in
grande festa. 127. Temperai del purgatorio. Fterno
deir inferno. 129. lo per me, qual iliurii della ragion j
naturale, opp. alla teologia. 132. Arte, strette. Lat. arctus.
zr-z lotì. Li occhi ecc. beatrice. l:i8. Elli, i fiori e
gli arboscelli. ='- 142. jl/i t r i 0 , metto la mitra vescovale,
concedo superiorità. Jacopo dalla Lana e Portirelli hanno me
iuvece dì te; lo che pur è mcn modesto , e menu squisito.
Casto XXVIIL
2. La divina foresta, la selva fatta da dio per abi-
tazione dell' umana spezie. r= 4. Biva del monte. r= 5.
Campagna, landa, pianura. li. Oliva, ila va odore;
da olire, aulire. ■■ — r 8. Fer la fronte , in faccia. r=
il. Pa r t e occidentale. 13. S /) a ;• t e , spartite, allonta-
nate. 16. Ore, (0 largo) aure, spiegano Torelli, Lom-
bardi, Dionisi Ancdd. 4, 40. come lo conferma tutta la serie.
T e n ev an bordone, facevano il contrabasso. Bordone
la più grossa e più lunga canna della piva, o cornamusa, che
con grave suono invariabile accompagna la melodìa. = 19.
Si raccoglie, scorre. 20. Fine t a, selva di pini.
Chiassi, luogo in vicinanza di Ravenna. = 36. Mai,
verdi e fronzuti arboscelli. : — 40. Donna, Matelda. 33,
119. simbolo dell' amore verso la chiesa. Dicono che alluda
alla contessa dì questo nome morta 1060, piena d' alletto per
!a chiesa. 45. Testimon del core. 'Lo \iso mostra
)o color del core. Dante V. N. f. 23. = 47. Tragg erti.
Inf. 13, 22. 48. Che, ciò che. = 51. Madre, Cerere.
Ovid. Met. 5 , 399 sa. Frimavera, fiori raccolti. 52.
Strette, vicine. 53. Intra sé, tra di loro, 1' una
air altra. =: 57. Avva Ili, abbassi. 6, 36. 13. 59. == 58.
C on t en ti , soddisfatti , paghi. 60. / n t e ndimenti,
concelli, rr-^ 62. Dono, grazia. 65 s. I enere tra-
fitta d al fi f; l i 0. Ovili. Met. 10 ,_ 125. Fuor — costume,
di ferire con accorgimento; dimipie inavvedutamente. r= 67.
Dritta, opposta a quella dov' io era. 1=:= (i8. Color,
liori. V'irgli, egl. H, 70. 69. (lilla, produce in abbon-
danza. 71. Basso, rotto da Temistocle e fuggendo vil-
mente in una barchetta d' u\i pescatore. 72. Freno,
ritegno. r=:r 73. Leatidro, d' Ahi don riva dell' lilles-
poDtu dalla parte d' Asia, amava Kro , fanciulla da Sesto,
terra dall' altra parte dell' JOllesponlo, sul lito d' Kuro,)a.
Mareggiare, ondeggiare. Quel Lete, r-rz 80. Salmo
91, 5. Vuol dire che quel suo ridere è un gioire in dio, gus-
tando ncir opere sue un saggio di sapienza e di bontà, rrr:
H7. Cosa — questa. 21 , 46. r= 91, Invece dell' assurdo
e cacofouo /<c <• /' uom buono a bene (od e bene) e (od
a) questo loco i miirliori codd. haii come il nostro testo:
Jece /' or/1 buono, innocente e pnio, perchè dio , cima e
centro di pertèziom-, non |)uii creare seniiuu (|uel eh' è degno
di lui, e il ben di ijiiesto loco, il paradiso terrestre,
disdcptr arra, caparra e «aggio , diclvrnapace.
97,
94. D iffa ? f a , fallo , colpa. Da '
Fer che , atlìnchè. Sotto da sV
sotto ad esso loco dì bene. 101. Tanto, quanto ha
conosciuto per prova. :- — 102. Libero dal turbar del
esalazioni. Da indi — serra, dalla porta del purg. in si
=::r 103. 7/0 aere si volge con l a pr im a v olt a mn
bile del cielo, il quale si tira dietro da oriente in ocrident
tutti gli altri cicli di sotto a lui , e assieme 1' aere. Opinio
erronea! 104. Il cerchio, il girare. Botto, impern
dito. =r 111. Quella mira. =z 112. i' ultra terrof'
r emisfero nostro. Degna, alta, abile. : — -. 113. Ciel
clima. : 115. Far r ebbe, dee parer, come legge il coi
bart. 116. U di t 0 (j uè st 0 , se questo fosse, od è uditi
inteso. =rr 120. Se /i ; a 71 fa , coglie. Inf. 13, 29. =: W.
Fiume di là. Acquista. .Menni hanno asp ctt a. 12
Salda e certa, invariabile ed immancabile. 12;
Bi prende, è provveduta. : 126. Da due parti apei
ta divisa in due canali. ISO. Lete, da Xado , kuvO^axo
luteo, porre in obblio. 131. E uno è, da. tv roslv, ben
rammentare. Adopra, produce affetto. 135. Sete
brama di sapere. = 141. Farnasu, estro poetico. r=
146. Con riso, perchè disiogaunati. 147. C'ostruiti
parlare.
Canto XXIX.
3. Beati ecc. Salm. 31. = 10. Dier volt a, sì vo
lavano, sinuavano. : 14. La donna. Beatrice. H
Lustro, chiarore provencnte dalle sette fiamme (doni del
spirito santo). 50 ss. =: 19. Come vien, appena si fa vi
der. Resta, svanisce. r= 15. Lezione bartol. chiara e senf*
plice. Wtri hanno: e he l à do V e u b b i d ia l a ter ra .
f (■ p_Z 0 ; altri : e /j ' e Z / o d i s u b h i d i o la terra e ' l ciel 'f,'
altri : e ' a lei si u bi dia la terra e ' / cielo. 2|
fé lo, d' ignoranza. r= 28. Avria, Eva. Lez. bartol. =
31. Frinii zi e, cose pritne vedute, 37. J ergin.
Muse. : 39. Cagion, necessità. 40. Elicon<Y'
giogo in Parnaso, o^e nasce il fonte Pegaseo ; dunqi
giogo per fonte. = 42. Forti, difficili. Inf. 1,
44. Fa Isava, faceva falsamente parere agli occ
nostri, a cagion della prospettiva. 46, Fresso fa
to, apprcs.saloini. = 49. La virtù, estimativa. Ai,
manna 23, 107. r=: 50. Sette candelabri, intendo
i Si Ite doni dello sp. s. ; 0 ordini del sacerdozio; o sacrameni
= 51, / oPi del cantar, voci cantanti. 52. Arnes
ordine de' candelabri. 51. Nel suo mezzo mes
in quinta decima. — - 58. Rendei lo aspetto, guard
di nuovo. 60. Novellespose, modeste, graziose ,
pensierose. 66. Fu ci, ci fu. : — 70. Fasta, posi
luogo opportuno. 72. Sosta, posa, quiete, r^
Fi ani mei l e, luci (62) in cima a' candellieri. = 75. Ave a
(si , non a V e a). Tratti pennelli, banderuole slesc ne
aria. Ferticari presso Monti Prop. 3 , 2. 39 ss. mostra, e
pennello è voce marinaresca, significante banderuola 0
mostra la qualità del vento, e lo deriva ottimamente da pe
n US dell' infima latinità invece di pannus , che finalmer.
è pur affine a binden , winden , Getvand ecc. 76. J
sopra (lez. fior.) in quel luogo superiore. Rimanea Y net
Sette liste dicono .significare i sette sacramenti della chic
cattolica, 0 li 7 artìcoli della divinila di Cristo. r=rr 78. ^rc
arcobaleno. Cinto, alone. 79. Ostendali Costan
giudica a ragione appartenere alla pronunzia (più melodiosi*"
ma perciò posteriore) ne diverso da stendali, o stei^
dardi. Male \'iviaoi Io deriva da ostendo , come stei\
date da distend-re ; cliè sono ambidue dal ted. «fpAfJi. =
81. Quei di fori, i due estremi , il primo e settimo. =1 tN
Diviso, descrivo. = 83. Ventiquattro s enio:^^
vecchioni {signori sarebbe pur forma diversa posteriot *
nella quale preponderi) 1' idea della venerazione invece 'ji
quella dell' eia) dicono signilìcare i libri del vecchio test ™
mento, /''io r rf a Z /.so , gìglio , simbolo della illibata dottrìi •
contenutavi. =: 8.'i. 3' li p , tu , vergine Maria, di cui prf'
fetano quei libri. : 87. Bellezze, virtù. r= 91. ir m e
stella. S f'C0 7i rf a , segue. = 92. (ina tir 0 anima
simboleggianli i quattro vangeli. =: 93. ì'crde, perei
il vangelo vero sempre fiorisce. 98. Spesa, necessi
di descrivere altre cose. 100. Ezechiel 1 , 4 ss. ■=.
102. Igne, fuoco. :=: \t\\ s. Ali e p en n e Giovani
ecc. Apocal. 4, 8. ove sei ali son mentovale invece di quatti
107. Carro, la cattedra pontificia. U u e rot e , il vecchio
nuovo testamento. r= 108. G ri fon, animai favoloso ucc
lo -leone, di cui Erodot. 3, 102. Qui Cristo. r= ll.i. Ni
che, non solamente non — rallegrò. E parlare_ ellittico ( «|iii
me: non sarebbe a dire che) a un di presso rispondente
greco /.D] Olì. =^ 116. Affricano. Scipione maggioi
vittore d' Annibale. Augusto Ottaviano che tre trionfi e
lebrò. Suelon. Aug. 22. ;= 118. Allude alla favola di Ff"
tonte. Ora 2 l'on , prieghì. Devota, fervorosa. rr= 1'
Arcanamente misteriosamente, signilicalìvamentc. =
121. Tre donne, le virtù teologali Fede, Speranza, Carli
lite
'i
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
= 122. ia una, la Carità. = 123. A''o f a , discernibile.
= 124. X' altra, la Sjieranza. zr^ 12.). Ui smeraldo,
rde. La terza, la Ffde. = Vii. Bianca, Fede. =
). Quattro virlù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza,
njieranza. Vii. Porpora, siiiibdlo di carità e di fer-
r amoroso. 132. Una, la Prudenza. Tre orchi, che j
Jouo le cose passate, presenti e t'ulure. r^ 1315. Pertrat-\
to, divisato, descritto. A odo, unità di c|iieg;li oggetti. |
Ile vecchi. San Luca e Paolo. 137. Jppucràte,\
dico. r=- 13H. Agli animali — cari, agli uomini. =
I. Lo altro. Paolo. = 140. Spada, perchè con (niella
uccide, onde contraria cura. =: 142. Quattro]
r)stoli, Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda. r= 143. f e.-\
io, secchio, perchè Stcrisse 1' apo^•ali^)•i ncll' età di anni
:o meno di iio\anta. =r= 144. Dormendo a cagione del- ■
visioni. Arguta, come lo vuole la descrizione d' ertasi.!
z 145. Questi sette. Luca, Paolo, e i 4 apostoli col
jHo .solo. Co l — al/ i tua ti erano vestili rome i 24 seniori.
: 147. Brolo, verga, pollone, o imbroglio (in sen.io pro-
o) cioè ghirlanda, corona. Che si riduce la parola a fl'jvuj,
.to del pullular e lu-'Suriar delle piante, ed è percii) affine
') r o g il ug , broiuliuiii, imbroglio, vi r g u l a , vir-
•Itum, fr. bruut , broutille , bruussailles , ted. Sprnss,
rbss/ing. : 149 Appetto, osservatore. ; 153.!
il. 27, 10. 143. Insegne, caudelabri.
Canto XXX.
1. // settentrinn, le sette stelle dell' orso maggiore;
li sette luminari de' candelabri. Primo cielo, empireo.
..V. f. 107. .■\llri intendono iddio. =: 5. Il pi a basso
spetto al ciei empireo) settentrione. Face accorto di suo
vere. r=- U. Quat qualuncjue, colui che. lui. 12, 74.
19, 23. Par. 1, U. = T. La gente verace, i21 .seni-
H. Esso , settentrione. = 9. Pare, line de' de-
erj. 11. ì <ni ecc. Caiitic. 4, 8. Fa invitare Bea-
le. 13. Qua i e, come. Inf. 2, 127. Bando novi s-
i;i 0, ultima ordinazione, =-14. 6'fluerna, sepoltura. =r
La lezione adottata è antichissiiiia (di Iten\euuto Imola)
codici pili reputati, unicamente convenuxdle alla serie, e le-
tima,' giustillcata dal Dinnisi Prcp. istor. 2, 41., Monti,
viani ecc. e vale: cantando alleluja, salmeggiando d' esul-
iza (come osannar e per cantare ossanna Par. 2H, 94) con
)0 riacquistata, nuovanienle posseduta. La comune: la ri
sta a carne all'' riandò si deve a copisti stolidi e
)utelli, e l'acilissimo è il passo da. a II eu i an d o in alle-
ando, dove poi l'oc e in carne fu cangiato. Perchè
luiuc smascellarsi di beffe e d' insulti? r=r Iti. lì aste r-
:, carro coperto e decoriito di panni. = 17. Tanti se
«Salomone. =^ !**■ Ministri — eterna, angeli.
z 19. Ben e di et US tee M.ilt. 21, 9. 11 bando d' acro-
ere salutando Heatrice sembra additare, che 1' acclaniazio-
9' indirizzi a Beatrice , benché hi grammatica degli angeli
cos'i messa alle strette, r^ 21. Mani bus ecc. 1 irgil.
eid. (i tt<3. =rr 23. Rosata, sparsa di rosee nuvolette,
odd. a'mbrns. e bart. perii haii arrossata, tinta di rosso,
è meno elegante, ma più ^igo^oso e simile a 2, 13. =
Pe r temperanza di lap., per esser temperala la lu-
^a' vapori. La Uccia del sole. : — - 2H. Dentro della
eterna. 'i'.i. Color dif. r. , rosso. La cor;>iia d'oliva
iota la sapienza, il bianco la fede, il \erde la speranza, il
ISO r amore. 31. Votanlo tempo, A\cc.\ anni, es-
Ilio Beatrice morta nel 1290. =r- 3(j. A f j ra n lo , abbat-
privo. zrzn 40. Sella vista, negli orchi. Or la ri-
le ilopo dieci anni. =r 42. Prima eco. D.inte non a\eva
npito il nono anno della sua età, (|uandu ]irese amore a
airice, ragazzina di H in 9 anni. =zrz 43. Il e k p i 1 1 o , ri-
;lto , iimilth. - — z 4(i. Dramma, una (|uiilclie minima
rticclla. r=r 49. Scemi, privi. =:zr: TiL Dienti, mi
rdi. 52. Qu a n tu II II u e , ijiianto nini. // ' antica
ad re, Eva. SSenso : (ulte le delizie del paradiso terrestre
rilute da Kva , ora godute da ine, non valsero tanto, non
Olio si pregeN nli a me che piii non piangeva , che ecc.
Ad re, atre, oscure. Afliiie a l'dn;, i;i)«;, vówij,
dor, di modo che, sudore e ardore essendo corrclatixi,
irebbe valere umide, b.igiiale. . — òli. Spada, dolore
ngenle di colpa. 74 h. rrr: bO. Atti, non altri, ^seiido
giti nave, e poppa e prora distingiiendn-i bene dalle
re parti della nave, r— bl. //li donna. Beatrice, rr-
. Il') sta, corteggio solenne e pieii di giubbilo, sia lienisHi
1 ancora con velata (v. 2H ss.], (|uauluii<|ue \i\iaiii Uiren
il vista di due codd. z- — liH. {''ronda di Minerva,]
inda d' oliva. rrr— . 70. li r gal me ni e, in aria regale, i
\irvn, altera nuche nel genio. : — 71. D e g n a s li.\
credesti degno. L' accento del riiiipro\ ero pare rhesiii su(|
HIT, in qual istato d' anima, lagriinandn pure \ irgilio. IO
nqiie piiilioslo rimprovero di tenere/.zu altiera, che il f> ■ "
Adi), all'elliioso , parlar dietro ri'urri'r/, reprime,
{frena, che ironia. r-=- ìli. Fonie leteo. 29, 7b. rrr: bO
i amaro richiede u«l vervu «eguvutc icntc , non «enti,!
né sentii. = 83. Jn f e ecc. Salm. 31, 1 — 9. =z F5.
t ive travi, alberi; come trabes Eiieid. 6, 181. 9, 87.
z= 86. Dosso d' Italia, gli Appennini. z= 87. Schia-
vi, settentrionali, che, rispetto all' Italia, tengono di Schia-
vonia. = 88. Trapela , penetra, distilla struggciiJosi.
89. La — ombra. Africa, avendo regioni sottoposte
alla zona combusta. Spiri, mandi vento. z= 92. Quei
ecc. gli angeli Natan dietro cantando acrompagnauo.
Le note 1' armonie. Eterni g ir «, sfere celesti giranti
senza line. Concetto p'alonicn ! := 94. Dolci tempre,
dolci canti. = 9li. S t e mp r e, struggi. =^ il8. S/i ir ito,
sospiri. Acqua, lagrime. 100. Detta, contormemcn-
te al V. GÌ. hanno tutti i buoni testi invece di destra. Co-
scio, sponda, mr 103 — 5. Senso : voi sempre intendete in
dio sicché niente di quel che il tempo adduce, vi viene nas-
costo né per notte, uè per sonno. = lOli. Cura, mira. r=
107. Colui, Dante. = 108 Sia di una misura, con-
trappesi. = 109. Per — magne, per 1' influsso de' cieli.
110. Seme, creatura. 111. Secondo ecc. secon-
do la costellazione nella nascita. :^zz: 113. A lor piova,
quando pio\ouo, scendono in noi. T apori, emanazioni, in-
fluenze. =^ 114 JTan ricine , giungono. r= llj. f ita
nova, novella eia, fresca gioventù. Detto eoa allusione al
suo libro cos'i intitolato. = lllj. f i r t !/ a / m en t e, in vir-
tù , o potenza, di tale attitudine e buona naturai disposizione
dotato. 117. Tutto — prova, si sarebbe allignalo mi-
rabilmente in lui. = 124. In su — et ad e, sul principiare
della gioventù, uell' anno veutesimnsesto , in cui mutai vi-
ta, morii. Dante nel Conv. 4, 24 divide la vita umana in
quattro parli: adolescenza, gio\eiitù, seuettù e senio. ==
132. Rendono intera, adempiono. = 133. Spira-
:;ion, insjiirazioni. = 13B. .J r ^ o ?« e n f i , rimedj , prov-
vediuieiui. = 138. ie p e r rf « t e ^ en t i , 1' inlerno. r^
142. Fa to, decreto. = 143. /'ij-a n rfa, obbli'o delle colpe
commesse. =: 144. Scotto, pagamento , o quota di com-
mensali. Affine al ir. ecot , ted. Sclwss , Zuschuss, sclUesóan,
giessen , fr. jeter.
C A !« T 0 XXXI.
2. Per punta, direttamente. = 3. Per taglio,
per traverso, indirettamente. =zr: 3. Acro, pungente. =
4 C?/n t a, indugio , tardanza. Dal lai. e ;/ n e t a ri. =:= 7.
;"irt(i, forza naturale. = 10. Sofferse, aspetti). =
11. Le — triste del tuo peccato. r=: 12. Ac(/ue di Lete.
Uffeuse, urtate, inciampate, lese, ovviate. In senso latino,
affine al ted. fcind , al lat. pugnus, pugnare, impingere,
ingl. to /p/if e. = 15. /iste, occhi, i^ Ili. i''ru n ^ e,
rompe, si riferisce a la sua corda. = 11. Da troppa
t esa , per troppa tensione. := 21. Allentò, inancii ,
si perde, v 31 — 33. z= 23. Lo bene, il sommo
bene. == 2H. Agevolezze, aitraliive. Avanzi,
guadagni, acquisti. = '29 Degli altri, beni. Pochi
lesti sconciamente han rfp// e a /tre Cloe donne. = 30.
Ijor — anzi, proceder innanzi loro, come per non restare
loro indietro. = 34. Presenti, mondani. =r- 30. ò'i
no SCO se, morendo. =-. -i'ì. Ta l g i u d i ce , dio. ==
40. « 0 t a , bocca. = 41. Co r f e , giudizio. z= VI. Ri-
vo l gè — rot a, U cole, o pietra da aguzzare (la diMna gius-
tizia) si volge contra il taglio, rintuzza, zr—. 43. .I/o, ora,
invece di mei, più, meglio, è lezione antica e buona. =
45. Le sirene, i piaceri falsi mondani. = 40. U seme,
la cagione, 1' origine; cioè calma il dolore. = ib. Carne
se no/to, morte, rr- 51. Che s on t e r r a s p a r t e , cb9
spartite ('i», 13) sono terra. 11 cod. cass. che sono in t. t p.
52. Pallio, inganni), o mancì). zzr- 55. Strali . col-
po (59). = 50. .So so, al cielo, rrr òl.Talc, mondana
e fallace. = .51». Pargoletta, donna, r— 1.0. Con--u.so,
.HI poco durevole :r- bl. .\ovo a ug e 1 1 , 1 1 o . ili utiiu,
sciocco. =r:r Due reti, o saette. Allude al pro\erbio: f r u-
strajaciturrete aule oculos penn at or um. r^:
Ii7. Quo nrfo, giacché. r= I.H. Zia r & o , \ iso (74). r^ 70.
Si f/i6 (i r Art, si sterpa, sradica. =r. 71. Alt aiistral
vento. Cosi legge il cod. bari benissimo, jierche , dice \ x-
viani il poeta \nlle accennare i due notissimi venti procello-
si anslro ed .ilfiico (ponente earbino 1 i quali soffiano \irini
i 'uno dell' altro. : — 75. i / — o r p o m e n t o , la malizia
del ragionare. - — 77. l'rimc (creile prima degli uomini;
to.M gli ottimi codd ) r r «• n f w r e , angeli, r— ìt<. I s ji e r-
sion , Bpnrger liori. Upr r a zi on del cod. Stuart, e chioda;
(i M n rt r s i 0 n , e d a pcrs i o n sono errori. : H). L a Jier a,
il Vriloi'e C^l. 1"^>- r-r- K2. I e / o , candido v. 31. = M.
/;i tir o , già , nnleriorineutc vissuta. :^i H4. /incerili
belili =zzi Kt. Di penti r — la ortica, il rimorso della
coHcicnia. :=:- Hi. Qiial, qn.ilui.qiie. r-r-, 90 Colei, Be-
atrice, r-r- 02. /-rt i/o n/irt. Malelda. . — 9b. .S t o/ n . ^c-
Hie. Cosi parecchi codd. bene ino-trundo che Riva galle gjjian-
do Hiiir acqua, essendo leggera rome \csle. L' edi/ioni co-
muni hanno spola, lo che si dilendorrbbe forse alirnvo col
volgare umile d.inlesco. r^ UH. Asperges ecc. Salin. jl,
9. .Vutifouc raulata, mentre il sacerdote bagna d acqua ucuc-
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
detta il popolo. r=^ 104. Velie — belle, -virtù «artlinali. 29,
130 89. 105. Col — coperse, ni' abliracriò. =r^r lOb.
Stelle nel polo antartico vedute, 1,23. 8, 91. = 109. M er-
re m ti (cosi li buoni testi) ti meneremo. : HI, Le tre
virtù teologali. 29, 121. rilucenti (Ufi). r=r 115. Ti-sie, oc-
chiate. : — liti. Smeraldi, occhi scintillanti amenamente;
senza riguardo al colore. 117. Trasse, avventi). r=r
122. Doppia V. 81. Dentro, negli occhi. _=^ \i'A. It e g-
giiìienti, atti, portainenli, maniere, sembianze. =: J21
La cosa, Y oggetto, il grilone. 12(i. Idolo, 1' imma
gine di lui negli occhi di B. = 1.30. Tribo, tribù, grado
ordine. = 132. Caribo Monti (Prop. 1, 2. 142 s. 2, 1.
Ibtì ss.) .spiega modo, guisa, usanza, garbo. Altri leggono
e a r ri b o , carro. 1* a r e nt i lo deriva da e a r i v a r i u in in
ba,«80 latino, carubium, quadri\ium, frane, e h a ri v ar i.
cioè armonia, concento. Conghiettnre in parte azzardose!
Non sarebbe forse: danzando si fect ro avanti, s' avanzarono
al loro angelico corifeo, capo di ballo, cioè o il grilone, o
Beatrice? La rima scuserebbe pur questa licenza, come in
numerabili altre, non troppo ripugnante alle leggi del cam-
biare lettere affini. 134. Sua, loro. : 137. Borea,
faccia. 138. La seconda, o|>p. all' antica v. 83 è
la posteriore acquistata dopo la morte. : 110 Dice, non
bastare la poesia a desrri\ere degnamente la beltà della Teo-
logia , 0 sapienza. Sotto la ombra, arx umbrosa d' Ovid
Met. 1. Fallido, di studio. -* — 142. Ingombra, occu-
pata, intricata. — — 143. /{ e n f/ e r , descriver. 141.
Il del, gli angeli. Adombra gittando fiori. Armoni-Z-
zando, con canti armoniosi. — Beatrice è simbolo della ce-
leste scienza (Conv. 129), che in sé le comprende tutte; il cie-
lo col volgere armonioso delle sue ruote adombra , etiigia e
rappresenta tutto il corpo della sapieuza, o della gloriosa Be-
atrice , che togliendosi il velo si fece mauifesta agli occhi del
poeta.
Canto XXXII.
2. Decenne dal 1290 sino al 1300. = 4. Essi, gli
ocelli. Farete, ostacolo, ritegno. 7. Dee, tre virtù
teologali. : 9. Troppo fiso, guardi. 10. La dispo-
si zi on, V abito e la naturai complessione, o tempera.
il. Pur t e K t è allora allora. 12. Sanza la vista,
perchè abbaglialo. 13. Al poco splendore de' sette can-
delabri. 1 seguenti versi mostrano, che minor, o meno sa-
rebbe espressione non meno giusta. 17. Esercito, co-
mitiva. Tornarsi, girarsi, voltarsi. Inf 20, 13. 19.
Al volto, verso oriente, ralfr. 29, 59. e 12. — : 20. Se-
gano, bandiera. — - 21. Mutarsi, muoversi. 23.
Precedeva al carro trionfale, cioè procedeva, come
leggono parecchi codd. 24. Il primo legno, il ti-
mone. 25. Alle rote, ai lati, ovvero al ballo.
27. Henna, ala, = 28. Donna, Matelda. = 29, Ro-
ta destra, sopra la quale il carro doveva voltarsi, e che dun-
que fece cur\a men grande. =z 32. Quella Eva. (Jrese,
credette. . 33. Temprava, moderava col tempo. Un''
angelica (non in) nota, uu angelico canto. : — 35. Dis-
frenata, scoccata dall' arco. Senso: tre tiri d' arco incir-
ca eravamo avanzati. 37. Adamo. Si dolgono della
debolezza carnale. 38. Pianta, albero. Il poeta men-
tre qui o generalmente il deteriorarsi del genere umano alle-
gor.camenie descrive, o spezialmente la chiesa peccaminosa,
come nel e. 29 la chiesa iiuisibile trionfante, ebbe senz' altro
per tipo r albero dulia scienza nel paradiso, figurando poi in
esso il romano impero, guasto e corrotto co' vizj dell' ierar-
chia. r= 40. Coma, (forma amica del cod. bart. ) i rami.
r= 41. Indi, ne' cui boschi saetta non giunge all' altezza
degli alberi, f irgli. (Jeorgg. 2, 122 ss. = 43. Di scindi,
dilaceri r— 45. Si torse, fu tormentato. // ventre,
umano, 1' appetito. Quindi per i|uel gustare d' eslo legno
dolce. = 47. Li altri, la comitiva cerchiantc I' albero.
li in alo, di dopj>i,i natura. :^^ 48. .Si, con questa asti-
nenza, e umilia. Il seme di ogni giusto, senno ed ani-
ino intero ed illibalo. =zz 50. Pie, fusto j tronco. Conv. f
245. / edova frasca, albero spngliato <li (rondi. : — 51.
(iuel carro. tJ i l e i i'iittn t\e\ legname dell' albero. Alci,
alla pianta, all' albnio. Adilila la soggezione della chiesa,
o dell' ier.irchia all' ioi])cro serol.ire. :=-. 52 — 54. Quando
ecc. in tem|io di primavera, quindo il sole è nel segno d' ari-
l'to , che x ìhm dietro al segno de' pesii. La gran luce del
sole._ Quella luce. Raggia, risplende. =r^ Lasca,
cyprinuH leuciscus, o albula, pesce d' acqua dolce, per sined-
doche pesce. =1^ 57. (i lunga, roiigiiinga e attacchi. :
38. Colore, liori colorili, rrr: tO. Rumora, rami. S«-
/e, iipogliate. ;r-r ti3. A'ot«,inno. Soffersi, Hvegliato
gentil _ :r=- (i5. Li occhi d' Argo, che g.i.irdii lo. Sirin-
ga, ninfa amata da l'ane. Ud<ndo le .ivienlnre cantale da
Mercurio. = (iti Costo si caro, per. bè In ucciso. Ovid.
Met. I, ."ihO «». r^ (,7. /•;«,;/, ;,/«, modello, r^ r.\. M e-
lo. Allusivainenle a (Giulie. 2, 3. ^idoinbra ('risto e la sua
trasligurazioiie. Fioretti di melo I' accidentale beatitu-
dine , che della vista del ano corpo glurìuiio gudeiieio i tre
apostoli, rr^ 74. Pomo la beatitudine essenziale, di cui
iloiio gli angeli e i beati. Matt. 17, 1 — 8. r^irr 77. / ivi
intronati ed abbattuti. Ri tur n ar o si riscossero. Parol
comando del redentore. Malt. 9, 24. Giov. Il, 48.
Maggior sonni, morti. : 79. Scola, compagu
Scemata di due, iMoisè ed Elia. =rrr 82. Tornai,
risvegliai. Pia Matelda. = 87. A'o l' ra. v. 59. =rr: I
Compagnia delle tre \irtù teologali, e delle quattro cari
nali. : 89. i i altri \entiquatiro seniori. 93. Que
la. Beatrice. 94. fera, genuina del terrestre pai
dìso. =- 96. .4/.'o , diilla. =: HI. C l a u st r o , roriìt
98. Lumi, candelabri; doni dello spir. s. 100. Qi
in quest" altro mondo. Silvano, foresiiere, avvcnticcio,
spile. 102. Quella, — Romano, paradiso. 1(
Diedi, rivolsi. =: 112. Lo uccel di Giove, V aquil
insegna dell' impero. _ .Vcceiiua le persecuzioni fatte alia chi \\
sa da' principi romani. : 113. Rompendo ecc. Ezeci
17, 3 ss. 115. Carro, cattedra apostolica. 1
Fortuna, pericolo. 118. Cuna, cassa. ■ 1
r e i co l 0 , carro. Lat. vehiculum. f alpe, 1' eresia intr
sa per papa Anastasio. Inf. 11, 8. : — r 122 La donna mi [
Beatrice — 'l'eologia. Futa, fuga, fuggita. Forma prosai
ma al fr. fuite. ■ — ' 123. Le — polpe, la magrezza. =3
125. Arca, cassa, ^rr- 121). Di se p e n n ut a. Intende I
dote di Costantino. Inf. 19, 115 ss. : 129. Navicella»,
arca , cassa. 131. Drago. Altri intendono Maometti
altri la fame delle ricchezze. .Apoc. 12, 3. 13, 2. rrr: 13j
Trasse porzione. Fondo frrato. 14(1 s. In tant \a
— aperta, in meno d' un momento. : 143 s. Le sett
te-ite ad alcuni spositori sono i selle sacramenti, e le diec
corna ì dieci comandamenti divini; ad altri i sette peccai
capitali; ad altri i sette cardinali elettori del papa. La prim
di queste opinioni è la più probabile. 148. Una putta
na, il papa, .apezialinenle Bonifazio Vili. ■ 52. (iigan
te, Filippo il Bello, re di Francia. : 154. A m e eii a tui
ti che il papa volle opporre alla casa di Francia. Onde Filip
pò inferoi'ito maturi) 1' onta d' .\nagni nel 1303, o\e il pap
mori li 11 ott. di dolore. Ralfr. 20, 80 — 90. =z 157. Trai
sei ecc. trasferì la papal sedia nel 1305 ad Avignone. =:
159. Lei, selva.
Canto XXXIII.
1. Deus ecc. Salm. 97, 1.= 6. Alla croce, do\e vid
pendente il liglio. = 10. Modica m. Giov. Ib, 10 — 1!
Allude alla tr.tsportazione della sedia pap. in Avignone, v. 31
158 ss. = 15. Savio, Stazio. r= 23. Ti attenti,
provi, t' arrischi. 34. f aso, arca, cassa del carlfl''
(lìgura della sede apostolica). 34. Fu e non è Apoc. 17,1"'
non serba più 1' antica venerazione. 30. Non t e m i-
suppe, non si disarma per incantesimi. Allude ad una scioi'i'
ca superstizione di quei tempi, che 1' uccisore, mangiami
in termine di nove giorni la suppa sopra la sepoltura de"
ciso possa sfuggire alla vendetta de' parenti. In questa spit,
gazione convengono i comentatori contemporanei ed antichi!
simi. 39. Divenne, il carro. : 41. Propinqu
vicine. =r 43. Un cinquecento diece e cinqui
enimma numerico, che, scritto in tre lettere romane DX'
trasposte, ^ ale DVX, dtice, capitano, e, con riguardo a Io
1 , 101. l'ar. 22, 03. 142, addila Can Grande della Scala, ci
pitano della lega ghibellina. Cos'i 1' Anonimo, famigliare i"1°
Dante. Altri intendono 1' Imperatore Arrigo VII. Tro^
(V. A. 143. perchè Arrigo VII era spento già 15 mesi prima i
Filippo il Bello, e perchè Can della Scala, vivo Filippo, no
avea guerra col re Roberto) llguccione della Faggiola. : 4
Fuja, rapace (Inf. 12, 90. l'ar. 9, 75), rea, scellerata. =
45. Delinque, commette criini. rr^ 40. N ar r a zio n bujO
predizione oscura. Il senso di questa terzina è stato molto io'"
brogliato per la variante lezione men, e »n e ' , che, se cri
diamo a\iviani, è antichissima, e per la spnsizione del voot
bolo attuja. Viviani preferisce me', e deri\ando attui
da attivare per metatesi, confermando assieme quest' ij
terpretnzionc con un' antica lezione attiva, e a e ti va k
un' altra acuja, assottiglia, spiega: forse clie la mia nari^
zinne buja dee meglio persuaderli , perchè a modo di Temi
Sfinge mette in aiii\ìlà 1' intelletto. Si potrebbe aggiugnere
(|uesla ingegnosa interpretazione , che la frase sarebbe qua
letteralmente la greca aiOuiiOity o u'>iJaotty (pottu;, cU
o scuotere, o inlìammare 1' anima. V. Ksichio cogli intfli
preti. Dall' altra parte questo senso non quadra bene a qill
clic segue; imperocché, se le Najade col tempo sciolgono
enigma torte, a che serve il tempestare la mente con oraco]
seniion forse a rintuzzarla, e confonderla con fallace ambiguil
come fecero gli oracoli? (Questo confondere, stordire, o sbl
lordire i Greci lo dicono arv^tir, lo che, come vede ognuni
s' approssima ancora più ad a t I u j a r e. Questa spiegazilM b
garba meglio di quelle arbitrarie ed almeno ancor più inceri ni
e mal sode, che, prendendo attuja per ottura, lo dictH) )(
\alere ricopre, nasconde, o abbnja, olfnsca. K pazienza, J fci
fosse tura (Inf. 23, 43) , o ottura dal lat. abiurare; o
0(1'
itil
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
tesse
!rto
dirsi affine a rvcno), rvwlo; , òetàuhen , e cimili, cnme impetratotinto assieme, /n ti ee co fo t {n to sa di chio-
è però, che, se non vince la spiegazione di Viviani, ?a- ^^^he, se il poeta ave.se y.lulo spiegare più chiarampnte
e' deve cedere a men; ed allora il' sriiso sarà: forse la ' 7" •'^-''l' «enz altro avrebbe scelu._espresMon, meno ligu-
a profezia ti piace meno, perchè a guisa degli oracoli an- rate. = '^-i' 'f , ancorché. =r ... Fer quello n.o-
hi confon.le e stordisce la mente. = 4't. Hlètostofien "V"- = {?• Bordone, bastone da pellegrino. Di-cinto,
.„."/:, !„..., •.,; i.,f o oi. 1 /„ A-„,-„,i„ i\^ ,.,.,i; „„:..i in segno d essere stati in quella ragione di paline abbondante.
"H2. /^"e f/ u fa, intendimento , intelletto. r= bó. (Quella
scola ecc. il sapere umano privo di ri\eIazione diiina. =
90. Il del — / e .<t fi n a , il primo mobile. =^ _ !)2. Stra-
niassi, m' allontanassi. — - Htì. Ancoi. 13, 52. = 99.
Colpa, come ocgelto obbliato. 103. Corrusco,
sciniillante. = 104. Te n eo — /n e r 2 ^^e , era nel mezzo-
giorno. 105. Che qua e Ih ecc. essendo diversi i meri-
diani rispetto a' diversi siti della terra. : 10!). Le settr
., ^,.,,. „ _ _.. .„ ......ne. ti. ma lusiojien
fata (i destini. Inf. 9, 9b.) le Najade (le quali sciol-
.. _i: „..: : .1: 'i'„. „:.!,. /i. ■ • »»-- -^ -,«„__ . .? -n i_;
. ^, .j, iiu. ) t e 1» u j u, \i ^ \*^ t^uciii e flui-
rò gli enigmi di Temide. Uriil. Met. 7 , 7(0 ss. a cui allude
V. ól). Cos'i parecchi codd. hanno invece della volgare: ma
stofien li fatti la .V. cioè tosto i fatti che avverranno,
faranno essi 1' ofiizio delle ÌVajadi. Adottammo la prima le-
ine , come più elegante, a nostro parere. ; .iO. Forte,
ro e diliicile a sciogliere. ')4. f ivi del l'ivere ecc.
igolarmente detto , per : de' quali la vita è un correre alla
irte. = 57. JJue volte v. :12, 113 ss. e 15H. Addita le
rsecuzioni cdntru i cristiani , ed il trasporto della sede pa-
le in A\ignone. : bO. A dio riponemmo coi codd. vat.
chig. come modo dì parlar latino, ('ic. epp. fam. 2, 18. :^
Morder quella, aver mangiato il frutto di quella
mia. = 62. fj' anima prima. Par. 26, 83. Adamo.
Colui, Gesù. Cinque mila, compresi assieme quei
|) della vita, e quei nel limbo. 65. Per singoiar
tfcione, misterioso motivo. : 66. Lei, la pianta. Tra
\lta. 32, 40 s9. : 67. Elsa, fiume di Toscana, che
pietra o ricopre d' un tartaro petrigno ciii che vi s' im-
Tge. Ij!1. Pi ramo alta gelsa, il cui sangue
icchiava il candore della gelsa. 27, :i7 ss. 74. Im pe-
ata e tinto lezione di parecchi codd, come pure queir
ra autichissima impetrato tinto cioè qual iuijietraio, o
lenii. 113. rana a ntairice. :=^: iio. ^m - ,
della donna che occorse 28, 40 ss. 31, 92 ss. = 120. Si
di si ego, si difende, si scioglie. Vii. Maggior cura
di veder me. 129. Tramortita, illanguidita. = 132.
Uischius a, data a conoscere. 13.). Donnescamente,
con aria nobile e graziosa. 137. In parte, spezial-
mente. = 141. Fren, ordine giusto prescrittomi. = 145.
Alle stelle, al paradiso. — Dante quattro giorni naturali
viaggiò nel purgatorio, v. 2, 1. 9, 12. 19, 1. 27, 133.
A R A D
O.
e A ?r T o I.
4. Ciel empìreo. Sua della gloria divina. =: 7. Di-
re, desiato sommo bene. z^ 9. Retro ire, tenergli
tro , andar dietro alle cose vedute dall' intelletto. 11.
ir tesoro, adunare. : — 15 Ui man da dar (lezione
tichisBJina in vece di dimandi a dar), dimanda darlo.
3essarianiente cninparte, inspira, accorda. 17. Ambi
lue gioghi, (;irra dedicato ad A|.ollo , e \isa a Hacco , co-
dice iioccaccio. Intende la virtù, o il valor indiviso, in-
o, di sapere e di descrivere, oxMa di filosofo e di poeta.
z 18. Aringo, impresa. Propriamente lizza, steccalo
ido, cerchio, dal t.d. Hing. =rr 19. Tue, tu. 20.
arsia, satiro, rivale nel suonare. Traesti — sue, scor-
asti. : — 22. Se (cos'i, min */;. Presti, comunichi. : —
Legno, alloro. r=r 27 Che, delle quali, r^: 28. Ne,
quelle foglie. ==. 32. Delfica deità. Apollo. _ =i^ 33.
ronda pene ia , alloro. Asseta, invoglia. I rimproveri
ti al secolo in questi due terzetti li ripete l'etrarca, ed
Insto 2.'), 22. : — r 36. Cirro, città alle radici del l'arnaso.
r37. Foci, sboccature. : 38. La — mondo, il sole. ^:r
il nati ro cerchi, V orizzonte. Il zodiaco, il colurn, 1'
(latore. Tre croci, il coloro coli' ciiiiature, il zodiaco
r ei|iialore, 1' orizzonte col zodiaco, t^iiei quattro circoli s'
ersecaiio in un punto, cioè nel principio ilell' ariete, nella
imavera. rr^ 40. Miglior corso, che rende il giorno
naie Mi f^ l io r r s l e 1 1 a d' Ariele e di Libra, perrhè
i vicine ali equatore. Conv. 2, 4. r — 41. Cera, materia.
- 45. Nera, fosca, r-r: 46. In sul s i n i s t r u f i a ne o.
sendo il Purg. aniipndo a <i('rusaleiiiine, citili posta al di
a del tropico di cancro, doveva e.«sere il monte al di là del
pico di capricorno. :r— 4!(. Il a g g i n seconda, rillesso
50. l'riino, liirido ihe nerciiola in \\i\ corpo lucido
i salire in suso, tornare indietro verso il liiocfo oiid' è
r.ilo. Tornar, nella patria, z — 52. // mio atti'
ll^»■ar gli occhi. Si feci, iiaci|iie quasi di rilievo nelle iiiiii
migiii.iiiva per ni. z/.o dei miei ocelli. Suo, di Beatrice. =^
/ ir tu, poieii/e, lorz.!. : — 58. Sofferni, guardai
on UI II l I II, [ter lo v.loct! innalzarsi al sol». - — 61. Klcr-
■ rote, cieli. — (ili. Fissi- aveiid.). IH Ih su, dal sole
(i8 (ilaiicii, ligliiiol di Polibo. pe-calor iiell' ìsola
ibea. Ovili. Mei. l.l, !)»! hs. r— ^ 70. Trasumanar, pas
r dall' iiinanilà a pMi allo grado, r— 73. Sol di me, in
ima sola, o (iiir corporaimriile. Allude a 2 Cor. 12, Amor,
(. : -' 7(1. S e m p I t e r n i d e s i d cr n t n. \el (Joiiv. 2, 4.
•e, che Ma|ir.i liilli i cieli HÌa 1' empireo, iinmobilo, luogo di
ella Kiimina deilìi, che sé sola com|iiiitanieiilc vede; «•il es
re il incdi-Ninio cagiono al cielo, eh' è sollo di esso, che
invasi veloiinHiinaiiienlo per lo ferveiitinsiino appetito ( ln'
ciubcunu parte di questo di unirsi a ciascuua parte di (|uvllo
= 78. Armonia rìsultanfe dalla varietà e giusta propoT-
zione de' suoni ; secondo Platone. 83. Di lor ragion
un disio, uu disio di sapere dì lor cagione. =r= t4. Acume,
stimolo. = — t-8. <; r 0 .ss 0 , sciocco , gulio. r=r !)0. Lo, il
falso immaginare. = !I2. l'roprio, sfera del fuoco. Altri
hall primo, come V .Anonimo, Jov' è crealo, r^ 93. Iti e di,
sali, o tieni, relativamente al fulmine, retrogrado cammino.
^= 96. \ovo dubbio. Irretito, intrigato. 97. li e-
quievi, parola latina. 99. ti uè sii — / i e l' i la sfera
dell' aria e del fuoco. r= 1(12. Deliro, che vaneggia. :
101. (Questo, ordine. r=^ 106. (^ u i, in questo ordine. Alte,
dotate di ragione. : — 107. ^'.z io re, virtii , sapienza e po-
tenza. : 109. Accline, inclinate, propense. Orazio sat.
2,2. rr= 110. Sorti, ((ualità sorlile. z= 112. Forti,
lini. : 115. Questi, questo naturale istinto. IIU.
Mortali, animali. P e r in o t o r e ( s'i , non promotore),
eccitatore, che desta. r=r 117. Stringe ed aduna, fa
che gravitino al centro comune. 119. Arco, inelafur.
ordine. 121. Assetta, ordina. =rr r22. (Quieto,
contento, pago. : 123. <i u e l ecc. il cielo empìreo. r==
124. Li, all' empireo. =—. V.W g. Che ha ecc. L' arbitrio
lìbero abusato è resistenza fatta al divino istinto. rrr— 133.
F, s I — nube. Torelli lesse queste parole come in parentesi.
('adcre, laddove dovrebbe salire. . — 131. Ao impeto
primo, V istinto divino. =z \'.\\. Variano ì riidd. e 1 edi-
zioni leggendo a terra è torto; la terra torta: la
terra ha torto; la terra torce; i ' aere ha torto;
la terra ha tolto; / ' atterra, tocca; l'atterra
torlo. .'Vdoltamo 1' ultima de' migliori codd. semplice e chiara.
fj a la creatura. .Iti erra, la stringe, attacca alla terra,
strascina a terra. Torlo, pervertilo, sviato, r- 1:I9. M a-
r a V i g I i a , ami. z^r: 140. / m p r./i «i «■ ;i f o, alTetli terreni.
r-7-: 141. Co ;« e n terra. Miri : e o in r t e r r a q u i e t a ò
in. I codd. bart. e 11. hanno: come muterà, a materia,
cioè un pezzo dì materia , .loiiile agevolmente si deducono
le ali re lezioni tutte i|uanle, che sono chiuse. .Xdutlammu duu-
i|ue questa.
COMRNTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
viani col postillatore del cod. amlir. spiegandola quasi bo-ì
b US fulcitus. Anzi bifolco è il Ialino b ubulcus, colui
che caccia, spigne, conduce buoi, da tA/cu , t/.ata, i?.o:vrw.\
19 — 2i. La concreata ecc. 1' istinto innato dell' or- i
dine, e del lume divino, v. 1, 103 ss. 118. ss. Fedele com- j
piere il suo giro in 24 ore._ ==_ 2'i. Tanto tempo. Poso,]
nello scopo ; dunque per sincliisi è posto fuor d' ordine. r=r 1
24. Aoce, osso o nocchia della balestra , dove s' appicca lai
corda, quando si carica, o dove il quadrello si pone. Affine ai
nuca, air ingl. nock , notch, a' ttd. Aacken, Ecke , Anke ^\
jrinhel , gr. ayzcm, lat. uncus, angulus , Questa similita-
dine presa dall' arco T ama D. v. Pg. ;n, b. Par. 1, 121 — l/T.
131». r= 26. Quella Ueatrice. = 27. A cura, curiosila,
preferiamo opra, che sarebbe atto. r:^30. Prima stella,
luna. A e h a e on g iunl i , ci ha falli giugnere. 32.
So li d a^ soda.. = 31. La — margherita, o perla, la
luna. = 3J. il ice j) e , riceve. 29, 137. ^= 'i9. Di me li-
si on. estensione, corpo. Patio, sofferse, ammise. 3!).
li I p e . voce latina, entra lentamente. 43. //ì, nella
divina essenza. ==■ 45. f e r primo, vero originale, eh' è
propriamente oggetto delia fede, zm 47. Lui, dio. =: 48.
Ji i in ut 0 , rimosso. == 49. Segni bui, macchie nere. :
ól. Fan ecc. Inf. 20, 125. =:= Sii. Ammirazione, mera-
viglia. Fi'u (lezione bartol.) di più, invece delia comune poi
per poiché. Pg. 10, 1. Dietro, ecc. la ragione non intende
guari più di quel che le manifestano i sensi. 59. Qua
*u, nella luna. Diverso, lucente e oscuro. : — : 61. Corpi,
ond' è composto. Raffr. Conv. 'i , 14. : — (iS. A v ver no,
opposto. 64. La spera ottava, il cielo delle stelle
fisse. 65. iV'e/ 9 u a/ e , nella qualità. Nel quanto,
nella quantità. = 67. li aro, rarità. Denso, densità.
7'an to, soltanto, solamente. = 68. f ir t ù influssiva , in-
lluenza. = ^9. A 1 1 r et t ant o^ egualmente. = 71
Pr ine ipj f or m al i , forme sostanziali, cagioni intrinseche
diverf^e, costituenti le varie specie e virtù de' corpi. =3- 72.
A tua ragion^ secondo te. Seguiteriano distrutti
verrebbero distrutti. Questa opinione è conseguenza del gene-
rale sistema di D. Pg. 4, 62. Par. 9, 6. Couv, 3, 14, = 74. 2ii
parte alcuna della sua estensione. =: 75. Di giano.
scarso, mancante. =: 76. E sto pianeta, la luna. C a n -
gerebbe carte, ammucchierebbe strati densi e rari. :^=
■ji) s e _/o ss e, se il «orpo lunare fosse raro dall' una all'
altra superficie. = W). j\ e l T e e e l i s si, quando la luna
è sotto al sole. bl. Ing e s t o , introine.^so. Raro, corpo.
ta.Delloaltro membro della disgiuntiva. Cassi,
annulli. 85. l' rapassi da banda a banda. 87. Lo
tuo contrario, il denso. Passar il lume. 88. Al-
trui da altro corpo lucido, li if onde , ribatta. ; — 9^.
^jju i i'/, nella luna. = 93. i< j/r a tt 0, ribattuto. Pg. 15,
22. Pia a retro in parte più dalla superiicie risguardaute il
sole rimota. 94. Instanzia, il replicare alla risposta
data all' obbiezione, perseveranza nel domandare e nell' argo-
mentare. = 99. Kit rovi, si presenti. ; 100. Dopo
il dosso, dietro alla schiena. =z 101. ^J e r e n d a, illu-
mini. 103. Nel quanto^ nella grandezza. Tanto
(jnanto le vicine. ^= 104. t'ista, oggetto. L'i in questo
sperimento. = 109. Rima so nudo e spogliato d' errore.
HO. J nf ormar, illuminare. = 111. Tremolerà,
scintillerà. r= 112. C t e /—;> oc e, empireo. Conv. f. 88. ^=
113. in corpo, la nona spera, il primo mobile. 114.
Colf en to, contenuto. Inf. 2, 77. = 115. io e/ e/ s e -
guente, V ottavo delle stelle fisse, r^ 116. Parte, scom-
jiartisce. = lì^. Li a 1 1 r i g ir on , i sette cicli inferiori
("onv. 2, 4. Per varie difjerenze, in modi differenti v
varj. 119._i>is t i n - i o n , virtù date loro. 120.
Dispongono, impiegano, dislribuiacono. 121. Organi
(un msc. estense ha. ordini) del inondo, cieli, che sono
come le membra e gli orgiini del mondo. = 123. Di su
ognuno dal suo cielo superiore. Disotto nell' inferiore.
Panno, operano, agiscono. :r— : 125. Laco invece di loco,
lezione del cod. glenberviano, sembra più squisitamente qua-
drare al tener lo guado, vincere fìlosofaudu 1' errore.
127 6'i ri . sfere, cieli. = l'À'ò. Reati motori, angeli.
Conv. f. leu. Spiri, esca. = 130. i/ et e/ ecc. delle
stelle finse. =r^. 131. Mente, angelo, intelligenza motrice
della propria sfera. Secondo i Platonici 1' anima del mondo.
r=: 133. Polve, corpo. == 135 Potenzie, come quelle
di vedere, udire ecc. Si risolve, si scomparte. 136.
La inte II ig e nzia m()trice. = 138. Girando ecc.
continuando nella sua unità. 140. C/i' eli' avviva,
lez. niilobeat. approvata dal Torelli, e Perazzini. 143.
Per li) corpo luce, tralure, traspare. La conclunità delle
membra chleile questa «posizione ed intcrpuuziuue. ila.
liuatù, virtù, energia. Turbo, torbido.
le note apposte, 0 sottoposte al testo. =: 15. Men forti
dì parercbi mas., invece di tosto, corrisponde meglio al '
bili, quantun'iue a dinotare la debolezza o iiaccliezza
contorni convenga non meno il lardi presentarsi o distingui _
si di essi. == 17. L' errore di D. fu, che le vere sost'anàé
l'ossero specchiate; quel di Aarrisso, che la spicchiata tosse
sostanza. = 26. Coto, pensiero. Inf. 31 , 77. = 2T,
Poi, poiché. Pg. 10, 1 =^= 'iS. Rivolvi — suoli sodo
più naturali e schietti, che rivolve — suole, poiché
mori\olve, rivolge il piede (come 33. torcer i piedi),
non già il piede 1' uomo. 32. La — luce, idJio. =;
36. Smaga. Inf. 25, 116. = 37. Ren creato, heato,
=r= 40. Grazioso, gradevole. 43. Se non come
quella, non dissimile alla divina. 45. Corte, cortei
gio_ famiglia. =^= 46. f ergine sorella, monaca
S. Chiara. =zr 47. E se — si riguarda, se tu ti rechi
mente ; se ti rammenti. Lezione de' migliori coild. anticbissl
mi. = 49. i^j ccarrfa. Pg. 24,10. Inf. l,j. :=: ali
Spera piii tarda, luna , perchè più distante dall' emof
reo, secondo Tolomeo. 54. Letiziali, godono, si ralU
grano. 9 , 70. Dal — formati della forma e dell' ordì
di questo regno. 55. O i ii , bassa. 57. Ioti,
osservati. 60. Concetti, immagini concepute nell
fantasìa. 61. Festino, sollecito, presto. : 63. i
tino, agevole, facile. Conv. f. 106. Giov. Tillani 11, '1
\ei secoli 1:5 e 14 latino era italiano, dunque nolo e faci
d,v trattarsi , qual lingua natia, z^ 69. Primo foco, i
dio. : 70. Quieta, accheta. T'irtii di e. è il sogg
to, o nominativo, come la n. voi. 1' accusativo, z —
Asseta, fa sitibondi, de-idernsì. 75. Cerne, separi
76. Che, la qual di.■^cordia di desiri. 79. Formai
essenziale. Esse, essere. =:= 82. Soglia, cielo. ==
E se, come nel Petrarca, o e s j è il lat. et si, benché
92. Gola, appetito. = 95 s. La tela — spola, il voi
eh' ella non comp'i. Co, capo. Inf. 20, 76. Pg. 3, 128. =d
97. Inciela, alloga nel cielo. : 9t!. Donna S. Chiara
= 101. Sposo, Cristo. = 103. Seguirla, S. Chiari
106. A mal ecc. Donati, comunemente appellati Ma
lefammi v. Giov. ì Ulani crnu. 8, 38. 108. Fusi, si fd
Accenna con queste parole che il di lei animo e volere U9ì°
erano alienali dal suo voto. : 133. Sorella, m(maca. 411
— r 117. !' el del cor, amor della vita monacale. 118
Costanza, figlia di Ruggieri, re di Puglia e di Sicilia, fati
tasi monaca in "Palermo, poi per forza moglie ad .\rrìgo V
imperatore sue\ o , ligliuol ili Federigo Barbarossa. - — 119
Tento, snperbìa, superbo, quai furono. Altri In prendon>
pervenuto, come co n t e n t 0 per contenuto. Parenti prò
pone vanto, onore, gloria, pregio. Soave, Soavia, Svo
via. ^= 120. La — 71 y s s o n s o , Federigo IJL = titt
Segno, scopo, Beatrice.
Canto IV^
1. Moventi V appetito.
dì lupi, bramosi lupi. =r
4. Si imiBobile, Brnm
6. Dame, daini. H. Duh
A 1» T 0
III.
1. Qu«/ tol, Rcatrice. =r- 6. Prof/e re r, proferire.
A'rto, eretto, dritto. = 13. Po « 1 1// e , lineamenti, ira-
uiagiai, figure delle cose specchiate. La metafora è presa dal-
bj, due. V. 19 ss. — - 13. Ondeggiano gli editori tra /essi
/«' ,s / , e fé' si. Adottammo 1' ultima lezione, che, a parai
nostro, potrebbesi cambiare senza rimorso colla l'rima, seco
do che uno giudichi più antica questa ortografia, o quellt
lo che sarebbe quìstiune più difficile da solversi, che seij
trattasse di semplicità. Quel si è riempitivo, come spessissi |,
me volle (v. 3, 108. e Cinonio osaerv. f. 351.) ; o si fece {feti ,
si 5, 131) vale divenne, si mostrii, fu; dove poi qual co([
verrebbe meglio, che quando si leggesse fé' si. Io che lì,'-
chiederebbe o e o iii e, o quanto. Fé'' sé R. qual se D., et ]
me vuol Perazzini, sarebbe storto ed affettato modo di dire. Tutt
(lueste lezioni varianti non cambiano guari il senso, ed è: f e<j j
li. come fece I)., indovinando e solvendo i miei dubbj aucoil
che non profferiti da me, come D. indovinando il sogno <i
i\abbucco, che se n' era dimenticato, interpreti), v. Dan. 1, ;!
15. Felle, perchè uvea, condannato gì' indovini
morte. = 17. C« r a dubbio. ^^ 21. />i m p r if a r, di
merito. r= 'H. Platone, nel Timeo. Agostino C. D. U
W. = 25. felle, latinismo per volere, volontà. =3
26. Fontano, puntano, pungono. rr= 27. Felle, fek
fiele, veleno, falsità. = 28. .S' india, a' interna in di«
come infù/arsi", indaarsi , intiiarsi iinniiarsi ecc. = 31
Scan/i i, Hcdi, dimora. rr= 36 // o e te r n 0 «;nr 0 , l'ali
to di dio, la forza e grazia sortita. r= 37. Si iiiostran
non sono essenzialmente. Raffr 3, 17 s. := 39. Cele»
Hai spera. Che — salita, più bassa, rrrr 41. Sensatf
obbietto sen.4ihile. r=r 4H. // 0 a < t r o , Raffaello. == 4|
Tim<v, filosofo di Locri, e tìtolo d' un dialogo platonict
53. ]}ecisa, giù cailula. Latinismo' 58 s. ToT
nare — biasi» 0 clic gli alti umani, che seguono le passioo
sieno causati dal cielo e dalle slclle giranti. = 61. Prin
e »■;) j 0 , massima. Torse, all'idolatria. rr:r C3. Ao/ni
n or, come dei. Perazzini ingegnosamente propone ji 1/ mi
jiar,cioè far dei, deificare; che ad esser vero e dauteM
vorrebbe «ul uu cod. = {ìì. L' altra dub. v. 19 ta. zS
p
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
/-•a 771 e dalli dottrina teologica. === 67. A os fra, quanto torlo. = 32. Sac r o s ar, t o s e s n o 1' an-.ila
iii.i. rrr- OH. E— n (; q u iz i a y.ufhe r.ì porta ad animet- :». Chi '/ si appr., il Ghibellino. Chi — on,\<,n'p~n
.un altra vita a iii.unzi;ire ali acrotgimento, alla ro- Guelfo. Vorrebbe I). che tutti fossero imperiali ~ Hi H„ I
i.nme rassegnandoci alla lei c.^i3i'« te, patisce, soffre, /ante. Virg. En. 8-10. = 37. ,J l ó a Lun-ITr.'.bi.ricaia
r. J), .Jl. == 'i. Scunate, perche non vinlentate \era- ila Ascanio, li^rlio d' Enea. =r- 38. / trf Orazi li t r "
""^' . F^, 'ti- ■» t aw ni or za, ce-sa , s accheta. r=: 77. i Curiazj ; quelli llomani , questi Albani. = iO. S nò i n e ra-
cioè 8' oppone, ricalcitra. : — 78. Forza, torca, agili,
iiif:;i. rrrr Hi. R if u g g i r n e l s a ti / o / o e o (lezione an-
i ili parecchi codd.) tornare al monastero. r=r 81. Intero,
-laute e godo. rz= 83. Lorenzo il santo. Grada, grati-
li- = 84. Muzio Srevola , che piini col fuoco la sua
^iri, per non avere trucidalo Porsenna. 8(). Come,
liìi'ichc. = 93. Pria che. Cinon. in2 , 10. = 94.
I' 1 1 a mente messo 3 , 41 ss. j= 99. Ella, Plccarda
~ 11)1. Grato, (grado l'g. 'Iti, 52) piacere, inclinazione.
!. Ilmeone. Pg. 12,ao. rr= ìiib.fietà, amor lilialp.
ili. Met. 9, 409. = 108. 0/fp n s e, offese. ^= 109.
w, / u t a , intera, ferina. 115. 0 n d e g g i a r , mf:t?iL
Il ire. Inf. i, 79. 118. Amanza, donna auiata. Primo
n II ti t e , dio. r.£l. La voce tuia del cod. bart. e fi.
1 l'ili naturale e conveniente, ciie /' af fé zion. Piti.
ili 7 zia, diffonde, spande. 5, 118. =t 127. Lustra, tana.
N ile. Latina parola. Plauto Asiu. 2 ,1 3 , 28. :=130. i'pr
pite. =r 41. Brenna, capitan generale ile' Galli lenoni
ri>pinlo da Furio Carauiillo. Pirro, re degli Epiroti, nemico
acerrimo de' Romani. =r 45. Collegi, colleghi, confede-
ra li. .Wonti Prop. 1, 2. I(i8. =r 4'j. Torquato, Tito Man-
lio T. , che fece battere con verghe e decap'lare il suo pro-
prio tiglio disubbidiente. Quintìo Cincinnato. 6 ^' i-. 3 , 26.
Cirro capello torto. =z 47. / Deci, tre Romani, padre^
liglio e nipote, che rimasero uccidi cacciandosi a jiro della
patria nel mezzo de' nemici / Fabi, princi|ialmeiite Q. F.i-
bio Massimo. = 48. Mirro, miro, aininiro. Ma Munii
Prop. 3, 1. 132 9. Io prende per condire di niirr.i, più poetica-
mente. r= 49. Arabi, Cartaginesi, da Ifrico , re d' Ara-
bia felice. =z hi. Le — rocce, V Alpi. Labi, caschi. U.iT
lat. laberis. =r= 53. Scipione Alfricaiio , vittore d' Anni-
bale. Colle, Fiesole posta sul colle sopra Firenze. =r 54.
Parve a maro pel trionfo. = 55. 2'u t fo si riferisce a
lo mondo, l'aria della nascita di Cristo. 57. Cesare
'.^'.f";.,P^'^'"- 7;= ^■^''- ^' "',{"', •■:'"'=*' altezza. Inf. 22, I Giulio. 1 1 t 0 1 1 e Ui piglia e porta contro agli Svizzeri e Tr-
i. 23, 43. rrrr 133. Questo, quello spignerci che fa natura.
= 137. Manchi, non adempiuti. Staterà più originaria
rma,che stadera, /"a r y i , piccioli. Hl.JJiedi
reni, uon ardii affrontarla.
deschi. =r 58. Faro, liuiiie tra Francia ed Italia. = ó'.t.
Isara iiume della Galiia. Era, linine che nasce nel monti;
Vogeso, e mette nel Rodano. Senna, Sequana , liuiuc di
Francia, che passa per Parigi. = bl. Ravenna, città
della Romagna. Sueton. Jul. Caes. 30. = b2. Rubicone,
tìnme tra Ravenna e Rimini , termine antico della (i.illia cis-
alpina. Salto, trapassi). =irr (il. In ver la S p. contro gli
eserciti ivi lasciali da Pompeo, sotto M. Petreio, L. Afranio,
e M. \arrone. Siieton. J. C. 31. = (i5. Un razzo, ciit'i
w„ . . . .,. , '• ,'^- ^' '" dal, di Macedonia con porlo. Farsaglia, luogo di ■l'rs>agli;i
re il. = (i. .J/)j) re. so, miglior lezione che a p;) re A so. I dove Giulio C. diede la gran rott.i all' esercito di Pompeo
r 9. Tista soia, pure, soltanto vista. Piii Iredda seni- = 1,7. Anlandro, città marìlìnia della Fiigia minore,
iT,n.wn..i.. 17 ,i„„jg [,;„j.a fece vela per venire in Italia. Simo e n t a, fiume
presso Troja,, nato nel monte Ida
C A X T O V.
1. Fiammeggio, splendo, sfavillo, n^ 2. Vi l à dal.
i la lezione l'i sta. U. Manco, mancante. : — : 17,
le zza, tronca, interrompe. =z 18. Processo, segui-
nento di parlare. 29. Fesse, facesse. =r= 29. ('luesto
soro, la libertà della volontà. 30. Tal, tanto pre-
so. 33. Mal to II el t 0 , o in aitali etto equivale
'allette danno se. Inf. U , 3ii. dal lat. barh. malatolta,
//la/tt/te, rapina, estorsione. Lavoro, opra. r=:r 39.
isjien s a , digestione. 41. Fa, iirodiico, cosiitiiìsce.
■: 41. (Quella di che, la miileria (52j. Con vene nz a,
ivcnziune, patto; la forma del \ oto. — — • 48. IJ i sopra
— 33. =z 53. Falla, fallisca, erri. =- Sii s. Senza
ecc. senza 1' antorilà della chiesa. Raffr. Pg. 9, 118.
Dimessa, mcisa da parte, lasciata. Sorpresa, sopra
!Ka , presa sopra la cos.i dimessa, sostituita. (iO. i\ o n
accolla, contenuta, non è più eccellente. :^b3. Spesa,
Bra r-rr li4. Ci a /» e / a , bella. r^r Ii5. /ii f e i , loschi,
ii>ider;iti. . : bti. Jeple. {Jiuilic. 11. Mancia, regalo,
erta. Int. 31, 5. r=:T (jH. Servando, os.^ervando. (i9.
) — Greci, Agamennone, rrrrr 72. Cullo, culto, vene-
;ione. — — 79. Grida, insinua. rz= 83. Lascivo,
pò, esultanlc. Monti Prop. 3, 1. 18 s«. rr=r 87. A quella
■ ■ t-H. Ta-
;. alla parte orientale, o pliutoslo all' insù.
re, non piacere, vogliono a ragione i codd. ottimi.
Secondo regno, s. cielo di .Mercurio. Coiiv. 2, 4. =r
Come, allorché. = 101. Traggono, accorrono.
Splendori, anime risplendenti =i 1(1(1. Si come,
litochù. r=: 111. Cari zia, carestia, pi'i\'azione. r^
Li troni, gli angeli terminanli la terza gerarchia. 28,
: 117. Milizia, terra, vita mondana militante. =
Lume d' amore. Spazia, 1, I2(i. rtr- 125. Ti on-
di, ti riposi in pace. :r-^ 12(i. Per che, pei quali. Ei
occhi del beato. Corruscati, lezione approvata aiicni
Torelli. :-r: 127. ./^^' i, abbia. =— Ì.U. Stessi,
san. rr— : liUi. Haiti, del cod. bari, pili raro, come »iiigo
e del plurale reti, radi! , raggi, dal provenzale ru i, 1'
ittanimo. 138. Chiusa chiusa, tutto chiusa, affatto
u»a.
Canto VI.
2. Cantra — cìct , da occidenti! in nriontc, in Hi/.in-
r imperiai sede trasportando. C/i' ella V aquila; lezioni
nutiirale di r/i e i n. zr- 3. Antico, iMiia. ToIhc,
iHÌ). . — .^. t\ello — Eur., in lli>-aii/.io. Passii Cosl.in
Il da lliima a KlNanzio nel 321. Dire dunque 203 prima deli
lero di (iiiixtiniano. : — 9. Mia, m.iiio . Il Primo
«or, xpìrilo nanto. Inf. 3, (i. r - 12. Trassi, levai. rr=
Opra, riforma delle leggi. -- U Ina natura ecc.
rore degli Ai'ufali , dire Pietro D.iiite , o d' Kiiliche. :_—
Ili drizzo lez. nldolMMlina lii^piiiiili'iiie ad Fiilrop. JHlor.
ad cathiilicae Jidci ciiifcs^iiincm reiif-Him mi. . — 19.
'.ione b.ill. c.ii't. e gleub. ! — 2). li e 1 1 ì s a r . nipoti! di
isliiiìano, capilann contro a' (ioli. : — 2J. l'osarmi,
nneiie ni^ll.i mia regia. ::;= 28. Qnistinn prinin, n, 127.
a/) ji u /i < a , HI termina. — •'<! Cu fi — ragione, con,
b8. Si e u /) a ,
epolto. =r b9. T o l o m ni e n , re d' Egitto, il quale «pogliii
del regno, dandolo a Cleopatra. =r 70. Lezione bartol.,
caet, e glenbtrv. seiiz' altro più elegante che da onde venne.
Giuba, re della Mauritania iielT .Mirica, die, fauiore di
Pompeo, ma violo da Cesare, s' uccìse, r^ 72. Sei — «ic-
ridente, la Spagna. 72. Dove — tuba, dove accam-
pava il ponipejano esercito, prisso .Monda, città dilla Spagna,
dove Ces. vinse Labieno e i due figliuoli di Pompeo r:^ 7;J.
Fé' r insegna imperiale. Hajufo, portitor, gonfaloniere,
Ottaviano .Vugusto. Il vocabolo è dai ted. barcn , fahren , gr.
(pcjsiv , lat. /erre, giusta la permutazione delle labiali, e
della r con j [calzo lajo, notajo) nota assai ai pratici.
74. Bruto con Cassio, che di-^perat.iinente si diedero
la morte. Latra, atti stano e fanno fede; come abbnjare.
Inf. 7, 13. =- 75. M ottona e l'era già per le stragi falle
da .Xngiislo conira .M. .Viitonio pre>so la prima; e conira I..
\nnio, fratello di Mnrco, assediato e prcM» prigioniere di
guerra nella seconda. Invece di /u, che meu quadra a latra,
I llocc. , i codd bart , caet. e glenberv. hanno /e. ; 7o.
Pian gene. Il cod. bart. ha p i a n s e n e , dove ancor sa-
rebbe eziandio, pure. = — 77. Colubro, aspide, ser|.eiite. r^
77. .lira, atroce, rr^ 79. Costui, .Viigusto. Lilo rubrn,
mare rosso in F.giltn. r:=r 81. Delubro, tempio. r= M.
Prima e poi del terzo ('esare, Tiberio. =r^ »-8. Giusti-
zia, di dio. Far vendetta, soddislare, iiiinire il peccato
d' Adamo colla crocili.--iiiiie di G. C. =:r 92. Far v i n il e 1 1 a
colla distruzione di (ierusaleinnic. rr— 93. / e n il e t t a, ero
'■ili»sioiic. r^- !i8. Di sopra, v. 33. ^^ 100. Lo ano,
Culo II, (Jiielfo, re di P.igli.i , ililla ca>a dì l''rancia. l'c.
Hi, (i7. , Il secondo altri (^irlo I d Anciii , che venne in Italia
11(1 1301. z^= 101. V" ci, il segno pubblico. . — 102. Forti,
ililficile. : — - 108. Lcfu, uomo polente. Monti Prop. 3, I.
.!5 s. Trasse rio r e / io , dipi larono = — 112. Picei ola
« tr//n , Mercurio. Conv. 2, 11. rrn: 114. /.. i , accii'<ali' n
alla latina: cos sequatur. l — ■ 115. Poggia n, a innal-
zano. :^ — Uh. G II g z i , pag.inieiili , riroinpeii.»e , prcmj.
Dal fr. giigis. = 120. Maggi, muggioii. r- 121. Iddnt-
ri« e e, appaga, i — 121. Diverge, altee bj>i-i-. Dolci
note, cauli arinonìnsi. : — 125. Scanni, allnpainenli,
— 127. .1/n r ,ir /i cri f n , Merrorio ri>p'eiulente rr=r I2f.
Iloini'o, pelligriiio, clic loriiatido dal Marcio di san Gi.icomo
ili Galizia, capilìi in Proven/.i, ed acconciii«-i in casa del conio
lievliiii;bìeii , di cui inaneirgiii «d aniiiei lii M beiu- 1' iinrale,
che fu cagione, che qiialiro figlinole del ionie >i iniiriia>»eri>
a «inaltro re, uno di !'"r inci.i , Luìl'i I\, poi santo; 1" alleo
Carlo 1 >r Anuio, re di Pnt'lin , il n r/o Arriuii , re d' Ingliil-
tirra; il qmrlo Riccardo, ie de' Rniiiani. Coliinniilo inlniilo
da' li.iroiii di, VI Ite rendi re ragione ilc'l' Hininii>i«lr.i/i>iiu' . lo
che l'alto pilli ma Imeni e e con un. ne, congedio>--i povero e v ecchio,
II HO>tciilM««i ineiiiliraiido — L'IO. Provenzali tic. Il ri-irgl-
iiieiilo di l'irlo d \iviii (ere molti «riiiileni', ne il c.ir Iteri •• l'-u-
le, linper oso e pronlo di lui diedi- <icrai.ioiie i' l'rnv v>f. ili 'li Je-
«idvraru il reggimenlo dolce e popolare di H liaiomlii llcilin
\
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
pinVri. Onde la dote prnven zaleVg: 20, GÌ. == 136. 1? t pc e,
siili le , inique, lui. 2J, 31. = 111. Fruslu, pezzo, boc-
VII.
geli. T=r^ 3.Ì. Giro, via. Girare, munverri. Sete, afTt-tt
alla divina nbilazione. : ;?7. J ot i'pc l'riino verso dell
prima canzone comentala nel (Jnnv. Intendendo, con in
Icndiinenlo. : 4:{. Luce, anima lucente. ::=^ 41. ln<
della cruscana lezione assurda di'' chi siete, si ha da Icg
gere o di' chi sei tu, n con Uionisi deh chi ni et e
. . 1- 1 11 r I ugualinenle bene, r^ Ili. Lei, la luce. Far, tursi. =z
1 — 3. Osanna ecc. cioè: assistine, santo dio delle torze 4;) fratta cresi-iuta in grandezza e snleiidore. l'aria Cari
r virili celesti (degli angeli e delle stelle) che illustri colla tua Martello, primogenito di Cario 11, il Z.inpo , nipote di Ciri
chiarezza i luochi (elici di quc.iii regni {ma Icuijnt sarebbe j' Aiiciìi, fratello di S. Luigi. Madre di questo (3. M. l'u Ma
la giunta forma graniinalicale). £ come frammento d inno.= ria d'Tngheria, lìglia di Slefano V. sorella dì Ladislao IV, re t
1 Ilota, moto circolare della stella, che segue. La lezione innrberia. re di ^ailoli, e signor di Provenza. Fu egli, vivent
nota M)ii quadra. 5. fiso, visto e udito; che si rife-
ri.-ce al niDtii e al cauto. Suxtanza, spìrito, Giustiniano.!
li. IJ oppio l il in e , gloria di legista e di potente in '
armi. S' indila (addua d' alcuni testi è senza esempio)
addoppiasi, accciiupagnasi , 9' unisce in due. v. Munti l'rop.
2, 1. ^:JH. T= 7. ilo s nero, si mossero. = 9. Si velar,
%\ sottrassero, scostarono. 10. Dille, lo espone colle
suo padre, coronalo re d' L'iigheria, e se sopravvissuto loss
al padre, sarebbe entralo ancora al possesso degli stali pater
ni; ma (iremorto al padre, vi s' intruse il fratello Uobertt
che mal governi), f'illani H, 12. =r 51. 3i a < guerre e stragi ca
gionate coli' opporsi alla coronazione ed ingrandimento di Ar
rigo VII. l7//n;// !J, 3Sss. ^=51. Seta, bozzolo filugello.
ili amasti. For^e nell' occasione d' esser staio due fiat
parole seguenti: alla mia ecc. Stille, parole, che scio- an,i,agcialore a ^apoli al re di lui padre, ovvero mentre r
-rlii.no i dubbj. = li. Far per ecc. Si perdoni, se no a] Qar\o Martello, portalosì a Firenze, ivi per più di 20 ginn
1). , al tempo si questo capriccio. = 16. S o//e ;• s e e ot a /, | ^^ese il ritorno di Franria del medesimo re suo geuiiort
lascioinmi in quest ansieià. = 20. Co ?« e ecc. (i , 92 s. = 1 /(•//„„ (■ g ^ Hj^ __ 57. i'/ « — /r 0 71 r/ e , ancora Irutli. =
21. Fresente, regalo, dono. = 2a. / irta che vuole, g'^^ Quella ecc. descrive la l'ro\enza spellante allora al r
volonlà. Pg. 21, 10'5. r= 26
uomo. (fuelF uom — nacq
6. -^ *"0 projTe, a prò dell' j ,|i \apoli. = bO. .J tempo, dopo la morte del re Car
,, , , «e, .Adamo. .11. L, nel j j| Xoppo. 61. Corno, punta estrema pane. Ausonie
mondo 11 end. bari, ha e. = .12. .J//Hng^afa, allontanata, j Halja , Ja Ausone, figliuolo d' Ulisse. A" imborsa, fas.
= 31. f iso, occhio del a mente. = 36. Far, solamente. ai,itato. = b2. Cotona adottammo con parecchi mss.
57. = 12. fior* e, alllisse. = 41. 7 n g ; u r« , ingiuria, [ [ggu 3„tjc|,i jn^^Pg jj C/o £ 0 h a siuinla sul cnnliue nordes
ingiu-iizia. r= la. Co « tra 1 1 a , ristretta, = 4fl J70 rf e ,: jglla Calabria ulteriore, e sudest della Calabria citerionfc
dilficile da capire. == ol. / e n g j o t a. Inf. 9 , o4. Corte, j j„ve resta fuori tutto quel trailo di Calabria ulteriore, 1 «t
giudizio. T= 3'L Ristretta, angusliala. == a*^- ■»«"- punta della quale chiude esattamente il corno d' Ausonia. I
putto, nascosto. = 59 9. Il — adulto, che non conosce 1 ^uej iuog„ appunto sull' estremila dell' Italia meridionale er
la lorza della canta. = bl. Sp e rn e , rigetta , disdegna, j git^aia fa I o n a , donde si usciva inori del regno dì Napo
non conosce; lat. spernit. Livor, manco di carila. r=r Wi. _ ^ -
Seni, a mezzo, immediatamente. 69. Imprenta,
fattura. := 69. Sigilla, fornisce. 72. Cose nove,
formate e creale, nuove combinazioni di cause secondarie, ori
eìiie d
per passare in Sicilia. V. ì iviani a qucsio passo, e gli autoi
da esso citali: Albertino Mu.isato hist. Aug. Henrii
VII. 1, 16. f. 93. Jacopo della Lana, e la geogr. Bla
viana. Amst H)ti2. = (jH. f'erde fiume, eh' è lo stesso, cb|i(
r
alterazione e di corruzione. = ti. Le, alla divina, jj lj^j ^ ji Mi„turno ed il Garigliano, il quale passa per Sor
bontà. = <!•. -fco a r^rfor santo della canta, ifo èrg: «a, e Coprano, e sbocca nel mediterraneo. r:= U. Fuleeam
penetra co raggi. r= ili. Tutte queste cose creazione, gcc. già era coronato re d' tngheria. = 67. T r j n a e r t«|ii
immediata da dio, innorrultibilila , conformità a dio. À i a y - j j^ Sicilia, dai tre promontorj Pachino, Peloro e Lilibco. Ca
van tafferia, e arricchita, privilegiata. = 79 A> ««- 1 / ig a , sì ricopre di calìgine, di fumo. = 68. Tra — Fé
franca, U serva, e Ui.ssomigliante a dio. Ratfr. v. .0 9 =z\ (^^.^^ „el ,3(0 n,.ie„(ale tra Siracusa e Messina. Golfo i
b_l. Fer che, la onde. A urne suo, amore del sommo bene. Catania. r= 70. Tifeo, gigante. =r: 71. Suoi legittimi
1»'
S' imbianca, si rischiara, accende, ìnlìamma. = Vi.
fata, evacua, priva di dignilà. if * e m yi / e , risarcisce. =r
M. Mal dilettar, reo diletto. =:rr t-5. Nostra lez. bart. I
come 1+2. 46. lincee di vostra, in bocca di Beatrice umana]
già anch' essa par che renda ancor più dolci le di lei stille
(12), benché dall' altra parte ripugna rilevarvi. m^
hb. Jiicovrar, rimetlere in grado. 90. Parecchi testi
Mi
perchè il regno dì Puglia, o^sta di >iapoli e di Sicilia"era d
turbano l\ concesso a Carlo 1 d' Angiìi, nonno di Carlo Mai m
fello per lui e i suoi disceiideiiti sino in quarta generazion» lit
Villani cr. 6, 90 72. Kidolfo, suocero di C. M. =
73. Accora, affligge, indispettisce, tormenta. Inf. 13, 8-!
il/ontj Prop. 1,2. : 71. Fai ermo, dov' ebbe principi
'1 vespro siciliano, per cui morti furono tutti i Francesi, eh
hai; grò iV^/, che conviene al risalire, nivece di guarfj, passi ,r„vavansi nella Sicilia, conseguentemente al qual fatto s' ili L
'lI9 II
Ha t!
, e .. no u ... -''■ ••■— ■•■ v^-^.-e".. -.omaggio pel Te suo padre per
MIO hniio ed imperfetto. := 9H. Fer non ecc suppl. tanto, g,,,,; (/ ,7/a,„- 7, 121. 8, 13) conlrasse amicizia con molti pove*
III corn>pond.i,za al quanto del v. 100. Ir giuso. Catalani, che conducendoli poi seco in Italia ed agli otfi« »!
abbassarsi; come ir «uso, innalzarsi. = 102. Dischiuso, pr„,novendolì , posponevano la giustizia al danaro. = 8(
escluso. = I(.{ f te, modi d oprare. Senso biblico! == gi che ecc. Punge 1' avarizia di Roberto principe odiato da il
'"*• ^"'''.'•«'..•"'''ala, •l'.tatta, pura. = ìtìj. A m_b oe due,\ Ghibellino. = 81. Fogna, ponga. Pg. 13 , 61. = 85
Larga, padre liberale, Carlo II. f Ulani 7, 94. Forca
con misericordia e giustizia. ■ 109. Imprenta, imprime
sigilla. 113. La una, la misericordia. Lo altro 1
uomo. : — 118. Scarsi, manchi , insufficienti. 120.
!/;« i// a f 0 se , che nasconde in incarnarsi. 121.
In alcun loco v. 1)7 m. : 130. Sincero, puro. Inten-
de I cieli. - — : 136. Creato immeiliatamcnte. Fili, eglino.
139. L'' anima, la potenza sol sensitiva e vegetativa.
: 1 4". IJ i e omp l e ssion potenziata, per mezzo d'
iin.i Hosianza elemc
iuflui8ce
avara. /1/yntt Prop. 3, 1. 125. = 83. Milizia, ministr:
consiglieri. 87. Ore — inizia, in questo luogo , ov
ogni bene ha origine e line. z3:r 88. f~ eg già , nruovì. rrr
95. Un vero, verità fondamintale. : — 96. Terrai''
vero, vedrai. Tieni 'l dosso non vedi. Raffr. v. 156. =
97. /j o 6 e n , iddìo, ii e g: n o de' cieli. Scandi, sali. Lati;
, , ,, • .,, , , nisnio ! : 98. tolge ner mezzo dell' intelligenze. Inf. ì '«■
tare comunicala loro dalle stelle, ja quale 74 j.^r. 28, 78. Con tenta, acchetando il desiderio di unirf{:
76 ss. Coiivit. 2, 4. Fa esser ecc. fa, eh'
cacìa impressa in queste celesti sfere , serva iì li
gn del suo immediato provvedere alle nature ed indoli dell
lerresiri cose, rr^ 101. Nella — perfetta, nella menti
divina, in dio. =r= 103. Salute, slabililà, e gencralmeiit>
proprietà e disposizione atta al line lor proposto. : — 103
Arco celeste virtù. Saetta, induiscc. =r 105. Co ai
invece di cocca (Inf. 12, 77.) è lezione de' codd. caet. glenberv
iif' suoi roHiitiitìvi contiene qui facoltà e potenze, che sono „\h „,„.',;ro/. 1'
111 I . . m • . .11 w allclIM'IlCU.l,
proprie delle delle anime. Tira, trae. = 141. Lo raggio y„a virtù cffica
e il moto, essere ed azione. = 142. Sp tra, inspira, luogo del'suo im
c A w T o mi.
1_. Mondo gentile. In, con. z= 2. Ciprign a , Venere, e bartol. da preferirsi, perchè sì riferisce a quantunque
rrrr 3 I-Epiciclo j cerchio pìccolo, il cui centro è fisso nella ^ ('os'i pure 1' Anonimo pare a^crlo inteso, spiegando: onde eli
circoiiferenza ili'I circolo deferente, che hanno tutti i pianeti, eh' è provveduto si dirizza nel segno suo, cioè in quello a chi
eccetto il sole. Conv. f. 90. z^= 5. fot ivo grido, pre- è saettato. r= 108 .Irte ha pur 1'^ Anonimo, non arti. =■
(Thierc. =— 9. In grembo a Dido. \ irgli. Kn. I. = 10. 110. .Wnnc/ii,di mancante allivìtà. rr- 111. Ilprim
Costei, Venere. r— : VI. Da coppa, di dietro, qual intelletto, la prima niente, dio. i^e r/r f t j , perfezionati , 1
Kuppro. />« '.-l'^f/ io , davanti, qual Lucifero. =— 15. For, fatti siiffìcienli all' olficio. =r_ 112. «S ' imbianchi, i
fiirsi (Kij K.illr. 5, 91. z^ IH. I', ferma, tieiisì su dì una schiarisca. Il cml. glci b. invece di l'ero ha nero. :=^r- It|
mila, rrt- 16. Lucerne, spìriti rilucenti. r=r- 21. l'iste. Stanchi venga meno, o mauro, rrr: 116. Cive, cittadini
virtii \ì«i»e, vi»ii>iii. l'.ternc. Il cod. bart. ha i n t e rn e , Latinismo! ^-r UH. /■,'«» r r cive. = 120. Macatr'y
iiirno Hignilicalivamente. — — 27. Cominciato, avente Aristotele. r=rr 123 if n f/ / 1- /, cagioni radicali. =-r: 124
prima Ciiginne. = 33. Gioì, gioihca. Da giojare , ralle- So/ o n e , Icgisln. Sarse, guerriero. r=r 125 Melchi\
grami. =: 34. i'r ine tp^, principati , terzo coro degli an- a edecA , sacerdote. (Quello ecc. Ledalo maccbinìsta. Ft^
I
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
glia, Icaro. 127. Circular n at n ra , virtù ile' rir-
colanti cieli. = 12H. Jrte, utlicin. = 129. M a — o st e l lo,
non bada a formare d" indole liberale e ngia quelli ohe iias
cono ili casa di plebei, e vice ^ersa. :=^ l;U. Quirino.
Romolo. z= 132. Rende., atlribuisre. Liv. 1, 4. = i:i3
N at u r a g cn e r at a , \\ \no(i\ìiUì. =r i:?5. // — divino
per mezzo della virili attribuita alle nle.'ii sifere. 98 ss. ^
138. Corollario, aggiunta Ammanti, tinisca di vestire,
metal', erudire. z= Hi. Prova, riu.-cila. = 117. Edo
sermone, è nato pel pulpito. Allude al re Roberto, il quale
nel 1315 fé' rinnovar le iiiinacre di morte contro agli esuli
phìbelliai da mescer Zaccaria d' Orvieto, suo regio vicario in
Firenze. Troìja V. A. Ili s. r= 118. Traccia, andamento,
regolamento.
Canto IX.
\. Clemenza , figlia di Carlo Martello, moglie dì Lodo-
vico X, re di Francia , la quale visse ancor nel 1300. 2
In fc anni, per 1' ingiusta intrusione di Robirlo, fratello di
C. M. ad esclusione de' lìgli d' esso C. e fratelli di ("lemeiiza.
filtani 9 , 17K. =:=: (j. f ostri, della vostra prosapia, r^
1. nta, anima. Par. 12, 127. M, (j. 20, 100. Altri leggono
vista, non male! = !). E tanto, è baste\ole, sufficiente
=r 10. Efattur^ empie, lezione antica invece liì fatue
id empie, colla quale non si acqui.sta guari più che caco-
fonia, rrrr 12. Tempie, capi, occhi, pensieri. r=^ 17.
Fria 8, 40 ss. r= 19. Metti compenso, dà soddisfa-
iione. =r 20. Fammi prova, cerlilicaini coli' e.sperienza.
n^ 21. Rifletter in te, quasi raggio per ispecchio , co-
nunicare. := 22. Luce, splendore, spirito risplendente.
= 25. Prava, l'g. (i , 121 ss. =: 2ti s. CU e siede —
Piava, territorio tra i confini della Marca Tri\ igiana ( /'(■a-
.• e ) del J'adovano {lirenta) e del ducalo di Venezia (Ri-
ti to). 28. Colle, sopra del quale è il castello di Ro-
llano, patria d' Ezzelino, eh' è detto. — r 2'). Face Ila
ier tiranno, terzo di tal nome nella famiglia d' Onara , conti
li llassano. ==r 31. Di una radice, padre Ezzelino II,
I Monaco, cui il figlio Ezzelino III. (liif 12) nemico alrocissì
no della chiesa. Ella , la facella. = 33. Per che ecc
ui dedita a folli amori. V. l!go Foscolo disc. 32!( ss. 34.
ndulgo, perdono. = 37. Questa ecc. Folco di Mar-
iglia. Gioja, gemina. 10, 70 r= 40. Questo ecc. passe-
a'nno altri cinque Mecnli. Incinqua, quintuplica. 42
lltra, imin(<rlale della fama. Prima mortale. 43. E,
la. : 41. Tagliamento ed Adige, fiumi dello stalo
eneto. r= 4). Per, bs'iichè. Battuta alflitla da cala-
lità. = 4(i. Palude Kaccbìglioiie , dove i l'adovniii fu-
ouo rolli (re volte nel 1311. (f Ulani 9, 14), 1314 f Ulani.
, 1)2) o 1317, e nel 1318. (/(//. 9, 87.) t= W. Sile e Ca-
nari fiumi di Treviffi. irr— 50. Tal, Ricciardo da('aminino,
cciso per congiura, mentre gìuoca^a a scacchi, nel 1312.
1. Carpir, prendere. Ragna, rete. 52. Feltro,
itili della Marca Trivigiana. Diffalta, mancanza, fallo,
elitto. =r 53. Pastor, vescovo Alessandro (ioiiza di quei
ella casa di I-iissia , mollo piiello, fere prendere pro-
itoriamentc tre Ferr.iresi , Lancilotto e ('hiarurcio ed Anto-
iolo degli Alighieri Fnnlana , e li niandii a l'ino della Tosa,
odestà di Ferrara, il quale li fece impiccar per la gola, l'roija
A. 139 8. =^=r .')4. Muli a, .Marta, torre in ri\a al lago
i liolseiia, in cui i papi tacevano rinserrare i pesximi cherii'i.
i. li ig oncia, vaso di legno senza coperchio ad uso di so-
leggiar r uva premuta, rr^ 58. Cortese ironicamente
er crudele. ^— 59. Di parte guelfa, rr:— hi Su nel
■ttinio cielo. Troni, 'terzo coro degli angeli della prima
crarchia. = (i2. /{/ fu /^ e , ridette. r=^ (i3 Parlar,
llzìoni. rr— : (i7. L e l i -.ia , anima beata. Folco, r— r (i9
lascio ginja , gemma, r — 70. Ij a su nel paradiso.
— 71. Oiii, in terra. rrrT- 71. A" iuluia, entra in lui.
os'i v. HI, i II t II a r e , immiare, e 22, 127. inleiare.
zr: 75. Fuja. Iiif. 12. ilO. oscura, nascosa, r^ 7U. Tras-
alì a, diletta, l'g. Iti, ilo. =r^ 77. /'"o e /i j /) j ii Beraiiiii
a saraph, ardere). Cuculia, veste monacale ampia,
ai. (i. : — : 82. La ni a s g i o r valle il Mediterraneo, irrr
I. Q uè l ecc. Oceano. Ingliirtandn, cjrciinda. : — ■ 85.
iscordanti liti, i-osle eiironei' ed alfrlcane. Conira
sole, ilair occidente iiner-o I oriente. \. di qiii'sia dif-
ren/.a di longitudini' Ira la l'.ilestina e lo «In Un di (iibilterra
if. 20, 121 KH. l'g '^7. in e 2, 5. .-— H!l. Tra Eliro e Va
ra. Folco fu nato in Mari-iclia. v. \ olg eloq. 2, (i. liglinol
d Eunto, re d Efolia. = 105. FaZo r e , sapienza e po-
tenza di dio. 1, 107. r=r: lOfi. .J r t e, divina sapienza. =-
107. Cotanto effetto , Lezione de' migliori testi invece di
con t anto affetto. iJ e n e, buon fine. = 108. La le-
zione adottala è quella di Ire codd. invece à\ i l m on d o. Il
senso: dagli effetti sensibili sì conosce 1' intelligenza invisiòila
dell' artelice, essendoché le cose di quaggiii tornano si con-
formano, si assomigliano] al modo di quelle di su. Ralfr. Roin.
I, 20. r:^ 114. Mera, pura, limpida. liti. Raab, mt-
lelrice di Gerico, lodata da S. Paolo Ebr. 11. Ordine, coro.
=_ 117. Di lui pare che debba difendersi contra la lezione
antica di lei, perchè altrimenti si sigilla non avrebbe
suggello , e vi sarebbe sinchisi poco lode>ole. Iti lui ha
pure il cod. gleub. e dionis. =r 118. Si appunta, termi-
oa. = l'iO. Trionfo, redenzione. = 121. Palma,
trofeo, rzrr 122. ^ / r u 71 e; e ^ o sotto all' empireo. =123.
Con — palma conliccate in croce. 124. Favor 0, la-
vori. Gloria, gloriosa impresa. 121). C A e ecc. per-
chè sia in mano de' Saraceni. :r^ 127. Tua città, Firen-
ze. Co / u i, Satanasso. rr= 130. Pr 0 rf u e e , conia. Fio-
re, fiorili d'oro gigliato. :^ 131. Le — agni,ì laici e
gli ecclesiastici. r= l;i2. Pastore. Addila Ronifazio Vili,
simoniaco. Inf 19, 53. r=r 134. l* e ere t (7 / j, libri conti-
nenti le leggi ecclesiaslicbe cinque, ai quali Ron. aggiunse il
iHeslo. r= 135. f'ivagni, margini sucidi e consunti.
138. Aperse le ali, volo ad annunziare a Maria la nascita
di Gesù. == 139. £/e£ te, sante. = 111. Milizia,
-anti. r= 142. Leggendo adulterio si toglie 1' equivoco, per
cui si prende adultero cangiato perla diastole in adultero.
La voce del reato è da prendersi in senso biblico per apostasia.
Canto X.
1 — 6. TjO — valore, iddio padre, guardando e spec-
chiandosi quasi n e/ 8 uo /ig/ io , Cristo, ron lo amore
dello spirito santo, e /» e — spira, spirano, producono,
mentre di lor esce, /e' quanto tutto quel che per men-
te iolellettivaiuenle , 0 per occhio (parecchi codd. buo-
ni hai) loco, localmente) sensualmente (cioè in somma iu
tempo ed in ispazio) si gira, si inuo\e, con tant ordi-
n e , (■ /( e e h i e io rimira esser non p 11 ot e senza
gustar di lui, non piiìi non sentirne maraviglia e diletto.
^=: 8 s. A quella — per co te al capo dell' ariete in cui
era il sole, e di libra, punti, do\e il zodiaco s'incrocicchia
coir equatore, cioè do\e il molo delle stelle lisse s'incrocicchia
ed urla ciui quello di I sole e de' pianeti. Lo uno e lo al-
tro leggono i migliori codd. =: 10. ì'agheggiar, ri-
mirar con diletto. r= 11. Kenrro a fé , nella .-uà idea e
dentro la nicule di\ìna. := 13. Da indi dal cerchio dell'
equatore, rrr^r 11. U obbliquo cerchio, il zodiaco, per-
che il piano del di lui giro taglia obbliquamente il piano deir
equatore. r=: 15. Chiama, richiede la prina della loro virtu-
osa ii.fluciiza.r^r Ili. Lor del sole e de piancli. =^ 17. M o t-
t ami' r la, non sarebbe nel mondo generazione, e corruzione,
e il cielo non operebbe quaggiù; perchè Aristotele dice: se-
c u n d u III a e e e s s u in et r e e e s s u in soli s i n ci r v u l o
obliquo f i u n t g e n e rat i o n e s in rebus i n f e r i o r i-
bus. Uallr. (,'011%. f. |:)U s. = 19. Dal dritto cammino,
moto dell' equatore. = 20. // partire, lo scostarsi del cer-
chio obbliquo e de' pianeti. .Manco, dilellivo. (1 i il e su,
iu terra e in cielo. =:rT 22. Ranco, comodo a medilaie.
=: 23. Si preliba, si accenna, tocca di \olo. =^r 25.
Messo il cibo, j:-^ 2li. Ritorce, richiama. 27. Seri-
b a, scrittore. — r 28. Lo ministro — natura, il «ole.
r-rr 29. / a lor, virtù. i=r- 31. Con — r a 111 m 1 n t a , 1 a-
riele. Il sistema del poeta es.iendo quel della terra iinniiiliile
e centro dell' iinixerHo, segue che luiiiuasi il sole da un tro-
pico all' altro per \ia di spire, giri, a\ volgimi oli iiituriiii
.Illa terra, e che le spire per cui \ iene dal tropico di c.iprirnriio
a quello di cancro , sieno diverse e x'incrocii cliino con qiiellu
per le quali dal tropico di cancro riede a quello di cnpricurno.
— 33. Adottammo la lez de' codd. bari e 11. o ^ ri i '• r a lo
a p presenta (invece di; ognora s i a p p r 1 s e n t a) avi
senso: ogni ora appresenla a noi il sole pm prossimo: dove
I' ora è come agente, che regge il sole. Dio ni si Aiiedd.
Il p. 53. I\ . 51. legge ancor: ogni ora s'appr.. e spiega:
il sole, il qiial trovnvasi ni>|lu croce, che fa il zodiaco cmi 1'
eqiiiilore, si girava per le spire, in cui ogni ora, o loinpora-
o disuguale, o planetaria, cbe si dici, uwero «quali
un mercante genovese. Alfonso, mollo ricco. Fu onoralo | naturale , od equinoziale di' esser si voglia, più facllinente,
t Riccardo d' Ingliillerra , Raiinonilci di 'rtiloHa , liarulc di agevolmente s'appresenln , viene all' uso, si compiila, r — 31.
arsiglla, della cui consone, Adalagi.i, fu animile, r— 92. Con lui, nel sole. ;-- 35 ». Se non — venire cioè iii-
nggea, cill.'i niiII' alFric.-ina costa. .•/(/ — orlo, hoUo
tasi ad un ineiidianii iiieilcsimo. : — 93. Che ecc nell" as-
dio , clii' ivrc Urlilo ili coiiitiiisHÌoiie di ('iHare. v. (iiiil. Cen.
C. 2. l'g. IH. — r 95 Questo cielo, \ enere, .-— : «li,
i m p r I n I a , »' inpronia , «' iiniiriine. - 97. Fistia
i He lo. Didime, r— 9M. Xojando iioja , Iriiii /xa recan
Sicheo, mirilo. C/c 11 k fi , moglie d' fnia. : — - 99.
e/o, età giovanile. 1 — 100. Rodopea, l'illi, rigiii.i del
Bio, eia giovanile. 1 — UHI. Hoitopea, l'HIi, regina ilei- ipmcne rispieiiueii e io;grirava nei »
Tracia. Ovid. Eruid. 2. IDI. Atcidv Èrculu. Iole, figlia 'riuieiidiiueuto delle cose divine ù
eiile alfallo. I.'arcorgimriih
peiisliTo , eli' è il di lui oggci
nifi, conio II /i del end. Ii.iilol
j l'iirzaiio il senso . // e ti t 1 i e 1
39. .Si sporgi-, appare, si
di cui il Hiibliinarci al vero non cnnnsce lenipo , anzi si fn
un animo, quanto iiilinuainenle dnven esser liircnle ila se,
piiiclié risplendea e folgnrava nel nule rispli-ndrnle ! Dire cbe
del pensiero è pili tnrdo che il
I. : — 3?, Eh ilezione di Dio-
antichissime ninbiilne, cbe rin-
leiilogia. Scorge guida. r;=
inosira. Senmi : P^liì , Healricc,
iuspirazii'ue e rivela/ione
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
iiiiMiediats. Si metla dunque punto ammirativo dopo lucen
te, e si cominci nuovo peiisier col verso sepuenle. - — 41 —
4,'). OrdiiKi e «.piega: non din-i m;;i. quaiitumiiie io ailopri in-
ffi'ffno, arie, o uso, si che mai digli uomini se ne (ormasse
idea, quel ch'era nel sol, dov 'io entrai, non per color, o lu-
me oscurato mezzolume , mezzombra , ma per lume parvente
lume isiessn puro; eppure tal lume è credibile, ed ognuno do-
vrebbe bramar di vedtrlo. = W. S o v r a il » u le , lame
inao'-nor, più puro dfl sole =^ 50. Sa-ia, beatuica. __
51. Spira intoudend" anime. Figlia, genera.^ == ai. Il
— ansel i, idJio. = 54. Sensi bit, sole. = .io. 1) i geat o,
di'.iiosio rrrr .i7. Gradir, piacere. = tiO. hoc t isso
neir obblio, lu dimenticata. = 6S. 1/ ti i t a , assorta
indio. In via cose divise, sciogliendo e spandendo la
rende atta a contemplare ancor altri obbietti. li riso di B. fu
dunque per la mente del poeta, quel che il calor del sole pei
eermi della terra, eh' egli schiude. =-: (i4. T incenti,
ecci-y'i\i nella puiiiìi del diafano. Conv. f. 150. ^= (i7. La
fistia (li Latona, U\u\\9.. = 68. i're g /; o di vapori.
(,!!. Zona, fascia, circolo, alone. = 71 Gioje, gem-
me. = Ti. Trar del regno: metafora tolta dal diviato
di trasporto 1 non si possono far capire fuor del paradiso. r=r
74. S" impenna, si fornisce d' ali. r= 75. Muto, che
non sa ridire, descrìvere. Senso : non aspetti novelle. =
7t). Poi poiché. 7!). Aon — ,s e « o / 1 e in ballo , raa
ferme. =r- ^0. Ascoltando il cauto da ripetersi danzali-
ilo. := 82. (Quando , [tincUv. = Hb. M o l ti plic a t o ,
accresciuto. =: Hti. Scala del paradiso. r=r Sri. Fiala,
euasiada, caraffa. := H). Sete desiderio d' aver contezza
dell' anime beate. In libertà, libera, non /ora, non
sarebbe, anzi in islato ^iolento e snaturato. = 90. Si cala,
scorre. ^= HI. Piante, anime. = 93. Vanna Beatri-
ce, ji del ti avvalora, ti presta forze di salire al cielo.
— '- !i|t S' impingua, si fa proiitlo nella virtù, f aneg-
ei a va d^elro a vanùà. =z Hi). ,:/ / 6 e rt » Magno , dalla
ca-^adui conti di HoUstrdt, nato a Lauingen al Danubio, vica-
rio generale de' Domenicani nel l'i'.i7, vescovo di Jlatisbona,
dal riiiO sino al 121)2, vissuto lungo tempo e morto nel 1280 in
Colonia, Aristotelico famoso e lisico celebre sino ad esser ri-
putato stregone. Thomas di Aquino, nato sul castello di
Roccasicca'^in Calabria nel 1224, morto a di 7 marzo nel 1274,
Pomenicaiio nel 124:5, detto dottore angelico, dottissimo
Aririotelico , Platonico ed Alessandrino, v. // aehlers
Jlandli. d. Gesch. d. Lil. II, 254 s. liixnefs llandb. d. Ge-
f.ch. d. l'iiilos. 11 , 78 — 100. ^= 100. Se sì, se similmen-
te . ailo Slesso modo, invece di se tu, hanno i codd. bart. e
di "Hocc. = 103 Serto., guirlanda, corona, r^r: 104 U r a-
zian di Chiusi, morto nel llJS, compili) coucordaulia dis-
cordantiiim canonum nel 1151. ìfachler lib. meutov. II,
2i-:?. ho — foro il diritto sccolar ed ecclesiastico. = — 107.
i-'iV ( ;■ « naiivo di N<ivara iu Lombardia, detto magister
s e II I e n t i a r u ìH (dal suo libro : theologìae chr. s e n t en -
tiurnni l. 4.) scrdare d' Abelardo, nel JI59 i ecovo di Pari-
gi, mollo nel llb4. (facli.'er 11, UH. lii.rner li, 37. La
poverella, v. Lue. 21. Allude al proemio di Pietro.
10!). ha i/ainta luce, Salomone. = 111. Negala, n' ha
gola, come pure leggono, non solamente chiosano taluni, me-
glioVonvicn allo stile stringato di D. r= 112. Mente di
moltissimi codd. e testi, invece di / u e e , richiede assolula-
ineiite la nci'.eBsilà di sciiivare una tautologia ridicola: en-
tr» V e 1 1 a. <i 11 . l u e e e C alta lue e. = 1 13. Il vero
la sacra scriliura. 3 Keg. 3. = 115. Vero, illuminante
xcrillorc, S. Dionigio Areopagita che scris'^^e degli angeli e
«Ielle ier.ircliie. = liti. In carne tra gli uomini. r=r= 118.
H i d e , è beato. = 1 1!) . A v vacato d r i l <■ in p i {p r a e-
Kenlia tempora dice nel proem. della h i >, t aria a dv.
jfagniiOs; non templi] cristiani, P.hjIo Orosio, Spagnuolo
iiel'~4"i0 =^ 120 Ifet ecc. S. AgONlino per mezzo di Giiili-
nuii cartaginese ricliics»! Orosio che compilasse la storia della
c.ilam'iìi e dille scelleratezze del mondo, esc ne serv'i nell'o-
pera de ci vita le dei. r= 121. Trani, passi a nuoto,
da franare. Altri da trainare, tirare-, strascinare. :;;=
1.5. '/" anima santa «li ."beverino Hoezio, nato nel 4(ili
417, autor»' di'l libro de e on s n l a t i o n e p h i l iixop h la e,
rompo^tii in prigione o\e fu rinchiudo dal re 'l'eodorico , e
mono, ( 1} acUler 11, 27) ri\eriio da I). r=r C i r l d a r a ,
cliiesii di s. Pii'lro in l'a\la. rrr= 121 Isidoro Ispalcnse,
iiiorlo nel ti31i. li arider 11,20. Beila \'en( rubile. Uic-
rurdiì ila S. Vittore, .^l'oz/ese , morto nel 1173, che scrisst;
ti e t r i n ì t II t e, d e e a n t e m piai i n n e, e de si atu interiori
iiifii'iii-. Il aililer 11, 2I'J. = 132. /'iìiche viso (UìL
4, 30. Par. 21, 34) angelico, rrrr 133. Ili guardo, sguardo.
I3J I e II ir, invece d' esser, lezione bari, piii forte
de non cacoto.ia a causa di — ve ve — . rrrr 131). S i g i e r i
liralmi/.o, lilr>-<oro aristotelico e teologo, clic lesse logica, o
luiir^li! leiiliigia in l'.irigi rr— 137. iVe/ viva itegli stra-
mi, me de l-'onarre («la ifiniie , •fcji'/il , 'P^Hf^'ìì '''l- herba,
libra), scuola di lilo'olaiiti. z=z= 130. Come orologio clic
cliie»a. ::— HI.
La — ultra
posto, divotn. Turge, sì gonlia. Latinismo! = 14^)''
«' inseinpra, a' eterna, *'
Canto \I.
Z. In basso batter le a ?/, o abbattere , chinare ,< *,
muover e volare in regione bassa. La lezione bartol. fanti '
in abiiiso sembra troppo gonlia. ■ 4, J ii r a , dritti cti ^
vile, criminale, canonico. Aforismi medicali d" liipocrate '
(i. U lez. bartol. invece di e. 13. Ciascuno «legli spi '',
riti beati. 18. Fermarsi lezione bari, più eleganU ",
che fermassi, o fermasi. r=^ Iti. Quella l. di f _
Toma-so d' Aquino. 18. Mera, rilucente, pura, sfavillante 7
10. Suo, della luce eterna. 31 i accendo. Il cod. bart
ha risplendo, forse di mano seconda del poeta, ^m 21
Cagiani, argomenti. 22. Ilice ma, rischiari. Di'
yiono , y.eorc) , y.Qnai , lat. cerno. =:^ 24. Sterna, ap
piani ed adatti. Sentir, intendimento. 20. Aspet,
la creato, vista mortale. : 31. Fero che, acciocchèi
32. La sposa, la chiesa. Colui, Cristo. Ad alti
grida. Matt. 27. 33. Co l san g uè. Att. apost. 20. ^it,
35. Pr ilici p i , capi, rrrz 37. Serafico, s. Francesco Uga
Assisi. : 38. Lo altra, s. Domenico, fondatore dell' or i^jij
dine de' frati predicatori. zr= 41. (^ual che, qualunque r
4. Un fine di sostenere la chiesa. : — 42. Tapino , (in fj;
micelio vicino ad Assisi, /y' acqua ecc., il liumicello Chiasi, ^
si. = 43. Ubaldo da Gobbio. ==r 4(i. Onde da qua set
falda. Perugia, città dodici miglia da Assisi discosta. :=.m
47. Porta Sale, porta die cmiduceva ad Assisi. : 4f j ,^
N a e e r a e Gualdo son due cilià sottoposte a re Robertfl ir
e perla sua supposizione dice che per greve giogo pian nj.i
gano. 50. Battezza, ripidezza. Uh sole. Franai.
Cesco. : 51. Questo, sole. 53. fissesi, o As z
cesi, Assisi. Tillani cr. il, 103. Corto, poco. L' acumi,:
di questo ghiribizzoso concetto puì) alircsi rilevarsi, se in As'iti,
se si si pensasse ad asse de re, lo che coii\errebbe bene al il,
la costa d' alto monte pendente. Vogliono gli spositori, chi,}
alluda ad Apocal. 7, 2. ;= 55. Orto, orizzonte; inet. tem»
pò del suo nascimento, nr^ 57. I irlude, terza doiiataglj
58. Tal donna, 1" evangelica povertà, v. 74. In guer\
ra del padre corse, si nimicii col padre. (ili
Spiritai corte, il \ escovo d' ,\ssisi col clero. bi,
.S i f e ce un ito , aC uiù. : ti4. Pr i ma manta, Gesii
rz= b8. Amiclate, povero pesc-alore. ==r bO. Colui ec(t
Giulio Cesare, v. Lucano Fars. 5. 528 ss. Dante Conv. f. 23i|,]
70. Feroce, coraggioso. • 72. Ella, la poverlàL,;
Salse, safi, lezione, che fa buona antitesi a rimase giu\ti.
La Icz. bartol. p i a ra K e non quadra a costante e f ei
race. 73. Chiuso, c<i|u'ilo. 70. Bernardo <\\
Quintavalle , primo seguace di Francesco. tO. Scalei\
lez. bart. dal lat. discalceure. D. non ami) la z aspra, r^.
82. Ferace hau molli codd. invece di verace, che pacjri,
più sterile, e meno elegante, riguardo al v. 78. = 87. JìÌJiIk
amile capestro, il sacro cordone. ^^ 88. G r a v a lj^)fi
ciglia, rese timido e vergognoso. ==: tO. Fi, iìglio , con
co, e a. Reliquia, coinè pare, del Provenzale !, r=^ !)0. i>iitll
petto, spregiato. Lat. despectas. A mera viglia, eccesT
ivainenle. 91. D u ra i n t en zi 0 n e , ■Ardno proposit(lj||i|
92. Innacenzia III, poiitelìce nel 1214.
03. Si\
gillo, approvazione. Il e l i g i 0 n e , regola. =^ 98. Onfl
rio IH, pontelice. Spiro, spirilo. Comunque s' iutelj
preti, r idea di divina inspirazione vincerà. : 101. Su
perba, maestosa, terribile. Soldan, principe d' Egitt
=r lOJ. Acerba, dura, indisposta. = 105. Ucddiss
ritorni). Erba, gente. z= lOli. Intra Tevere ed Ar
no, nel monte del 1' Alvcrna , vicino a Chiusi, nel Casentiiii
=r HI. C/i' ci merito lez. de' miglior mss. i'u k j//i
umile. 112. Erede, plurale di er e (/a. = 113. Ji ^
sua donna, la povertà. = 114. ./ , con. = 115. Suo
della povertà. r= 117. Altra, nessuna, che la solita. — ^
119. Collega, compagno. La b a r e a di Pi e t r o , la ehie
sa. r^ 122. Jiuona me re (•, pietà. = Vii. Peculio
greggia. A'oi'O vivanda, prelature ed onori. nr= l'itS
Diversi, contrari. S a /t /, pasture del mondo. rr= 1.
Cappe, vesti religiose. = VST. La — s e he g già, on%
la religione di Domenico si storna e traligna. := \T
Lezione bartol! Cureggier, o eo ;• e ^' g e ro, frate cinl
di coreggia. Domenicano. Cor regge r ti sbaglio di pennJ
V. Ugo Fosc. Disc. 400. 8.
< i.f;!!!!! Hill. ^r^ j*\F. i,u sposa tu aio, l'I
I. Mattinar; cintar inailiitiiio. :r— r 112.
del bii-ipite baiMglio. = MI. Ben dis-
Canto MI.
Fiamma, splendore, anima splendente di s. Tot
3. Mola, ruota, cercliio de' beati. Mot
3, l. 110. =r lì. Colse, accoppi!), iiiù , adu|
7. Tube, organi, r— il. Hifuse, rillellè , spai
diffuse. in. f olgon hanno i migliori codd , non
if^ion. irr: 12. Sua ancella. Inde, .labe, «■omaiKj
l,niiui-mo! = Vi. Quel di e Ht;o , minore. Quel
2
■naso.
Prop.
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
ori maggiore. = 14. Quella, Eco. = 15. ^mor Z>onaf ogTamraatico,raaestro di san Girolamo. = 138. Prim'
i Narciso. 16. i^'an no gli archibaleni. 17. Per ' a rf e , granimatica, colla quale sicomincia 1" i«triizione.=r 139.
ce. Gtu. 9. 19. Rose, siilendori. :=z 21. Estrema ,\Rab ano Mauro, nato nel 77ti , abbate di Fulda nel y'1'2, ar-
steriore. Intima, interna. 25. A punto, in un civescovo di Magonza nel 8i7 , morto utl bótì, filosofo e leo-
unto, ^^ l'o /er , \olontarianiente. Q li je fa rs i , si ferma- logo eccellente. Jf'ar/i/er II , 49. r= HO. 1 1 e al avr e k e,
»no. 26. /, li. Inf. 7, 53. =r^ 2». Bel cor, dal ceu- naiivo di un borgo presso V-i>i-enza , dove fondò i inonisteru
-0. 28. Lo ago calamitalo della bussola. = 30. i^a- idi Flora; morto nel li02. Fu dannato per un suo scrino, do-
ermi fece , mi fece simile. Dove, lungo, onde usci. r= t ve fece la divinità (|uatcrna; ma perchè scrivendo alla sedia
ì. Duca, capo: Domejìico. 40. Imperador, dio. [apostolica chiese che quel suo trattato fosse corretto, e teneva
= 41. In f or se , in pericolo di soccombere. = 43. Spo-lcirca gli articoli di lede quel che teneva la chiesa romana, fu
a, chiesa. : 45. Si race or se, si ravvide del suo avuto cattolico e fedele. Espose ancora il Daniello ed altri
narrimento. Altri in crazia della rima dicono esser rac- libri proletici. : 142. Inv e g giar, invidiar (Pg. ti, 20.
l'g. 6, 20.).
. = 144. //
else. Licenza superflua! 46. Parte occidentale. 1 commendare, lodare. Po /a rfin o, difensore di fede. =:: 144. //
^= 48. Rivestire in tempo di primavera. h9. Fo- ' d iscr et o latino, il distinto parlare romanzo. Monti
a, fuga, continuazione; o impeto, furia. : — 51. T a/ jl'rop. 1, 2. 231, =: 113. jliosse al tripudio.
otta, quando è nel tropico del capricorno, o Ti vicino;
erchè a D. sono ignoti gli antipodi. : — 52. Cali aroga,
alarvcga nella Castiglia vecchia , i cui re portarono per iu-
gna un leone ed un castello. 25. Drudo
1. Cu p e , desidera.
N T O XIII.
Latinismo!
Quin dici di
e era gravida, parve di partorire un can bianco e nero con l/rgr del temo per rivolu
la lìaccola accesa in bocca. 62. Sacro fonte, bat- ^g ,,00 tramonta. 1
zioiic che faccia. ^ on v i e n m e-
.... Tir . I ^ . - u- 1 "-, «..™. 10. La bocca di quel corno.
""""Xn ^ V^- ^^^«^"a »«' "{e, .salvezza scambievole, ile gjeHc dell' orsa minore disposte iu figura di un corno
I 60. i;r e rf e, religiosi Domenicani. == 67 Jn cos- -_ n. In pu nt a del lo ste l o , all' estremità dell' as>iè
M fto, cornspondenit.. = (2 Or fo , vigna , chiesa. = jjel mondo , o polo boreale. := 12. La prima rota U
Frimo consìglio. Matt. 19, 11. = IS. A gues to ,<„j.ì^^ mobile, ciel girante. = 13. A»ue s e^r " 1, due co-
er tacilo e desto z=: 80. f, i o i- a n 7i a , a cui dio e prò- rone simili a quella. = 14. La fi g l io l a di M i n oi
zio; secondo 1 ebr. j e// o e Aanan , o j ocft an aji. =^ Arianna. z= 10. io — suoi un segno risplendere deatro'
Si aj/anna, SI atfatica e studia. == 83. Ostiense, dell' altro , e che abbiano un centro comune r= Ib Al
rico, vescovo ostiense morto nel 1271. ed un suo libro 0 •„ („o„ • „, „) _„ ; • jj. i„„a„2Ì ^„, j^ji^^^^ -^j ^,
mento sulic decretali Taddeo, medico e fisico bolognese ,- „„„ ^l contrario dell' altro, in contraria direzione, rea ra-
moso morto nel 1.10.1. v. / dlani stor. 8, 66. I>. Conv. 8b. rallela , l' un 1' altro irradiando. = 23. Chiana, Jiume in
= B4. jl/ann a, venta evangelica. == 86. /> i ^ n a, chie- toscana leutissirao. = 25. Pe an a, inno in lodò d' Apol-
= 87. i/HÒian ca, SI secca. J ignaro, torma senz |i„g_ __ 27. Essa, la natura divina. Persona. Altri
tro anziana. == 88. Se rf 1 a pontilicia. B enig n a p i u, l,^J^^^o sostanza, che in senso patristico dice 1' istesso
u b. Sottintendi: ed e biasimevole, non essendolo più. =,__ 29. ^ t / e ser, si fermarono. 15, 31. = 30. Cura'
Fer lei, per colpa sua. r= 90. Fer — traligna J^■^ untare, volgere, e soddisfare a D. =:= 31. Numi, santi'
lontelici. Le parole cAefra/r ^rwa non possono riferirsi __ 32. Z,a / u ce di 8. Tommaso. r= 33. Del — dio di
rsinchisialla s e rfi a. =:r 91. i»is 71 e_n sa re dipende da a rf- j g Francesco d'Assisi. = 34. Scioglie il dubbio mosso sulla
jiarola 10, 114. Quando, nosciachè. La — trita parte
di grano è battuta; un dubbio e sciolto. 35. La — ri-
posta, il vero ben coii.'-crvafo. 1= 37 Petto d' Adamo.
38. Guancia (parte pel tutto) donna, Eva. 39,
Palato gusto del pomo vietato. =: 40. Quel di Cristo.
— — 41. Poscia dopo la morte. Prima, in vita. 42.
fi ne e fa alzare. = 44. Lume di scienza. 45. f'a-
lor, virtii , potenza. = 46. Miri a ciò (lez. bart. e fi.)
badi, hai in mira. 48. Jl ben ecc. Salomone. 5L.
Centro in tondo, centro in mezzo al circolo rd alla sfera.
54. Par t 0 ri se e , mette fuori, esibisce agli occhi.
55. J' era, invece di viva, e s' in e a invece di sì mea.
mando nel v. 94. ed èinuso pio pel male acquistato o posse
to. La lez. bartol. e due e tre invece dio — o sembra non so-
noii necessaria, anzi corrotta ; perchè si tratta del comprare
liilgenza e possessione sicura di usurpazioni con cederne la
uà o la terza parte alla sedia pontifìcia. : 92. Prima
i e ante (lez. di parecchi buoni codd.) sedia; lo che spesso
ade occasione ad omicidi. 93. Non ecc. decime d' un
ese, che appartengono a' poveri di dio. 94. Erran-
, eretico. :z= 95. S '; ni e , fede. : 96. Fascian,
condano , cingono. Pia n t e , anime beate. Raffr. 10, 91.
e 127. di questo canto. : 102. Dove ecc. principal-
inte nel distretto di Tolosa contro degli .Mbigesi. ; — 105.
Ila botte, tartaro. Affine al gr. e lat xntu} , creo, ted.
tmpfen, gerinnen , rappigliarsi. 117. Quel dinan-
, la parte anteriore del piede. Quel diretro, le calcagna.
= 118. Della, dalla. = 119. Il /o^ /io , i religiosi
,tivi. : — 120. A< ' arca, il graiiajo. Senso: tosto ni mo-
erìi , qual frutto si colga di silfatta coltura allorché i frali
lignati e cattivi veilransi tolto il paradiso, z — 122. f o-
m e. , metalor. ordine. J foglio a fo gì io , gì' iiidivi-
iadunoad uno. =? 124. Da Casal nel Monferrato. Alludca
te Ubertino, che ristringe troppo la regola. ])' A e qua s-
rta nel contado di 'l'odi, o\e fra. Nlaitco rilassi) la mo-
llica disciplina, che è detta la scrinar a, regola prc-
itta. = 127. / ila, anima. 9,7. 11,6. come [ini ■''-
r^.to;. Bonaventura, cardinale , e ininiHtro gcnc-
c dell' ordine ininorilico; nato nel 1221 ; cardinale e vcsco-
di Albano nel 1272, morto a Lioni; d' anni 53. : 128.
jgnorcgio, Hagnarea, nel territorio d' Orvieto, r— ^
I. Sinistra, dannosa, infiiiHla. Cura di cose inondane. | ,',p',.f;^„i],) |' ainor fervente è
: 132. Tn /icKtro. Il, 87. //miri, accetti. r— 133. f:^o p„„„ arcata è perfetta. r-j
Sa n V i t lo re dalla casa de' conti di lilaiikenburg , nato
1096, morto nel MIO. Umidir I. e. 11. 219. Hixuvr I. e.
31. UH. — : — 134. Pietro M a u g i u d 11 r r , o ('onieH-
dunque ai, senza esitazione. :=r 57. S' intrea, s' inter-
za, terzo e' aggiugne. :")9. Nove sussist cn ze , nove
cieli cogli ordini e cori angelici, ("onv. 112 — 115. Facilmente
il numero 71 o f e potea confondersi con nuore, che antica-
mente si scrisse senza u, iirodotto posteriore dello studio d'
ammollire la lingua. := 6'2. Oi atto in atto, dall' agiro
del primo più alto ciclo nel secondo, ecc. LI timc poten-
ze stelle. :: — 63. Conlin g e n ze , cose jinperfette , ma-
teriali , sottoposte alle vicende del generarsi «• corroiniirrsi.
r^^ C6. Con seme e senza seme. Dice secondo I opi-
nione di suo tempo, r — • 67. Ce r a , glielcmenli , onde fii
coinnongono. Duce, tempera. Inlende i cieli figuranti e
sigillanti. 68. Segno ideale, idea, esempio iiitrn-
zionale preesistente in dio. r — 73. ./ punto, perfettamen-
te. 74. in « 1; rt virtii suprema, immobile, ('(uiv. 107 »,
76. Ma la natura ecc. Otlirnamrnle Hiagioli ralfroD-
ta il primo (|uarlello del primo sonetto di liuonarroti. z=t
79. Senso: dove concorrono unaiiimainenle eil iininedinlamente
la sapienza di dio, ogni
i''i. // n 1 1 r r a , donde fu
87. (Incile due p ertone,
l'are, pari, rr— : 92. Chi, cioè
formato
Adamo (
Adamo.
CCNÙ.
89
re (v. 95.). La cacion ecc. il disidcrio di go\ernare giiista-
" Chiedi.
mente, r-z
possi.
93.
ilH.
2. Cron. 1. 7 — 12. =1 94. /'o»-
//i VI II I n r , le stelle, e le inlolligeni:*
e, nativo di Troyes in .Sciampagna, dcll.i cui cattedrale
decano, poi cancelliere di ((nella di l'.iripi, dove insegnii ^ _ ^
logia, poi ritiratosi ncir abbadia di san \ ittore, vi mori ",'„'„p,iirordinali nliu ri\olu/ione de' corpi celesti. ('on\ . i'^I9hh
1178-9'f Pietro Ispano, autore di 12 libri di logica. .Se nercHse ecc. se in un Hillogisino una prcinissa nerr-snrì.-i-
136. A atnn , che corresse Davide adultero. Metro mente vera combinala con una non nccnHariainonle vera
Ulano, arciv.;sco%o di ('o>fanliiiopoli. : — 137. ./n si generi consepiien/a necessaria. l,o che negano i dialcllici
imo. Aostano, nato nel 1033. arcivescovo di Conlurbla, colli» regola: con e/" «io te a ui tur scmper de bi-
no nel UOU. d' anni 77. // achler II, Si. llisncr li, 18. no. liorum par t già. Ftnno, fccert». ::= 100. Si ir.r
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
cagiona-
: T evu-
. = 101.
I
ecc. se conviene ammettere «in primo moto, non
to da altro moto. liO che afferma la metatìsica col
gnat in caussis processus in infinitum
Se ecc. se nella metà del circolo inscrivere si possa un trian-
golo rettilineo , un lato , del quale sia il diametro dello stesso
circolo, senzachè formi cogli altri due lati un angolo retto.
Cosa impossibile. = 104. E si bene non e, e la miglior le-
zone. Impari, disparì (Pg. 13, 120.) impareggiabile. Sen-
so : che quel senno di Salomone è da re ed impareggiabile.
101). Sur se, a veder tinto non sorse il secondo. =
109. Re. Altri han forma antica r ei ambigua bensì, ma non
senza esempio, altri regi. = Uh Fri m o pa dr e , Ada-
mo. Viletto, Geaiì. = lU. /^ e </; , disccrni. == 11».
Tra — a basso ultimo, eccessivamente stolto. r= lu.
Così ecc. dappertutto nella scrittura. = U9. Corrente,
precipitosa; opn. al mover lento del v. 111. . — 120.
Lo affetto il pregiudizio. = 125, Par menid e , eie-
ale, filosofo. Melisso, samio. B risso. L' Anonimo dice,
eh' ei volle eoo false dimostrazioni dal cìrculo trarre propor-
zionalmente il quadro, del quale tocca Aristot. Poster, (anal.
1, 9.) = 127. Sabe Ilio, eresiarca del secolo 3, nativo
della Libia, condannato in un concilio d' Alessandria nel 261,
perchè negò la trinità. Arrio, prete d' Alessandria, con-
dannato nel concilio primo niceno nel 325, per aver negata la
eonsustanzialità e coeternità di Gesù con iddio padre. ==
12H. Spade, che troncano, mutilano, mozzano. = 133.
fruwo, la rosa. = 13K. Legno, nave. = 138. i^ oc e, imbocca-
tura, porto. r=: 139. Monna (madonna) -Berta eser
(messere) nomi che servono di esempio d' idiote persone e
sciocche, come Caio e Tizio, Jlinz nnd Kunz. = HO.
Offerere, offerire alla chiesa o a' suoi ministri.
i{ a g g t o eolare. = 118. Giga ed arpa instrumenti da
corde. 110. In tetnpra tesa armonizzate. l'^O.
Nola le distinzioni e parti del conipoiiimeiito musicale.
121. A ppar inno , apparirono. 122. Si accoglieva
si adunava, ni conteneva. Melode, melodia. 21. lU. 2B,
119. : 125. Jlisurgi e vinci. Alludo a passi di cert
inni sulla risurrezione di Cristo. ■= 129. / i ra r i , viaclii^
salci, vincoli, legami. 132. Ha jt osa, lezione comune.
Più squisita è si apposa di parochi codd. , ben(;hè alquan-'.
to cacofona. : — 133. / vivi suggelli, i cieli, che im- •
primouo,iigurano,influi8cono.2, 132. 13, 75. =:131. Fanno, ope- j
rano, agiscono. 135. Quelli occhi di Beatrice. lb3. '
fscus ar lezione de' uiigliori codd. = UH. JJitch iuta,
escluso. 7, 102.
Canto XV.
; i (•'
ANTO
XIV.
2. Rotundo, forma antica per ritondo,
eesso, il caso. Lezioni ainbidue bartol. ^=
(caduta), cadde. Manti Prop. 1, 2. 111. =^^13
e' adorna. = IB. A l
= 3. Per-
4. Fé caso
S' in fio r a
noi, rechi impedimento agli occhj
rporei. = 20. Alla fiata lezione di buoni codd. e testi
tichi , che si difende a ragione coli' analogia d' alle fia-
te ed alle volte. Il numero delle sillabe, che variarsi può
di due in tre, non decide. Tanno a rota, danzano e can-
tano in giro. 22. Orazion, dimanda. == 24. Tor-
near e, muoversi in giro, siasi o in danza, o in giostra.
Ttooi , Tonoj , Tooitiì , Toficvui , roovYbi , TOQVvam , e il ted.
drehen, son tutti quanti aftini. = 25. Qual, chi. =
26. Quive, quivi, nel cielo. r=r 27. Refrigerio, risto-
ro, gaudio. Ploja dal fr. pi aie , per pioggia. = 28.
Quell' uno e due e tre, dio triuuuo. := 33. Muno
(lat. munus) rimunerauza, premio. = 34. Dia (dal lat
dius, divus) , divina, risplendente. Munti Prop. 1, 2. 22(i.
Parla dell' anima di Salomone. : 38. Amore verso dio,
■ — 40. Sua, della vesta. Seguirà di alcuni buoni codd
invece de seguita risponde meglio a ragg e r à{'i^)e accre-
scerà (41).). = ih. O r a d a, gradita a dio. T utt aquanta, per-
fetta e intera. =^48. Condiziona, (a. cipacì, dispone = 51.
Raggio, chiarezza del lume. = 54 Parvenza si
difende, apparenza si discerné.^ r= 57. Tutto di, tut-
tavia. 62. Amme, amen, cosi fia. = b4. Mamme,
madri. ■ (i7. Disputano gì' interpreti, se il poeta parli del
nuovo cbiaroi della spera di Marte, o piuttosto d' altro in
quella del sole, cioè d' un terzo cerchio, riguardo al primo
nel 10, 64 ss. ed al secondo nel 12, 3. ss. lo che è meno pro-
babile. V. 73 88. 83. 89. no. = 71. Parvenze di stelle. zr=
73. Sussistenze, sostanze. = 81. Si vuol, conviene.
Non — mente, restaronsi indietro. =: 82. J5,' ha più effi-
cacia d'azione, che a. 8(i. Affocato, più intenso.
Riso, splendore. 89. Olocausto, sacrifizio, rrrr
91. Esausto , cea»ato. 93. Litare, aacrilicare. La-
tinismo! it» A 6 i (dal lat. ruAei) rossi. = 9(i. Elias
voce greca, HÌgnilìcante sole. Cos'i la vuole la terminazione;
che, se la parola fodse ebrea, sarebbe Elihn, o Eliah.
Etimologicamente e storicamente considerandola non neghi-
amo, che col tempo abbia provato questa ed altre metamor-
foHÌ , che si riferivano al culto del sole antichissimo e lungi
sparso. (Vnn è poi strana cosa, se qui, dove tutto risplende,
luce, «favilla, arde, il poeta lo prenda per dio. : — 97. In
invece di e preferiamo, perchè è più elegante, e mostra più
chiaramente il trascorriinento e il passar dell' occhio. : — — !;8.
/ poli, V artico e 1' antartico. : 99. Galassia, la via
lattea. Che — saggi, donde provenga. Conv. 2. 15.
ÌW- Coi t e II ati, sparsi di stelle, n generalmente disposti, or-
dinati a guisa di stelle, rr-r. 101. Raggi, liste splendide. Il — se-
pno della croce. r= 102. Che ecc. che formano le giunture
di quattro quadranti (parti, nelle quali dividono il circolo due
diametri intcrHCcantisi ad angoli retti) riuniti in tondo, o cir-
colo. ^=~ 103. Memoria e caso retto. : 10tì_. Chi ecc.
eoa che diviene beato. =r- 109. Corno, estremità, braccio.
— ^— Ito. Lumi d' anime beate. 112. Qui tra noi. 114. Le
min uste ecc. gli atomi e le particelle ialiaitc. = 115.
I. Si li qua, dal lat. liquet ,ei m^nlteata, si mostra. ;
2. Lo — spira, la vera carità. : — 3. Cup i d ità^^j
cupidigia. : — 6. Al l enta e tira, tempera e rende d' ac- ,|||;
cordo. : S. S US tan ze , spiriti beati. = 13. Sere ti
notturni. r= 15. Sicuri o fermi, o piuttosto disattenti.
18. Nulla, niuna stella. := 20. Un astro,ì' anima
risplendente di Cacciaguida. : — 22. G emma, splendore,
24. Alabastro, marmo trasparente. : — 26. A en-
tro — musa, Virgilio. ^= 28. 0 s angui «.ecc. oh tiglio
mìo! oh grazia divina soprabbondevole in te! a chi mai, coineirbi
a te, due volte fu aperta la porta del paradiso ? Raffr. Eneid. 1,
6. 680. 35. Fondo, colmo. : 36. Gloria, lez. dJj
bartol. e fi. raffr. 1 Pe. 1, 1. rz= 39. Profondo altamente, tal
con sottilità e sublimità. = 40. Per elezion apposta^
42. Al se gno dei mortai (co.si li migliori codd.) «im!
soprappo se, oltrepassò le cose e i limiti dell' intelletto
mortale. 44. Invece di sfogato, rallentato dall' impeto iiai
o sfocato, due codd. hanno scoccato, che senz' altro iqu:
è più naturale, e conforme a_Pg. 25. 17, Lif. 25, 96. 45J;ici
Discese, smontò dalla sublimità. z=r: 49. Lont an, lungoitile
luf. 2. 60. Digiuno , desiderio. = 50. Tratto\i
attiratomi. 51. U — bruno , dove niente si cangia. —
55. Mei, entri in me, si scuopra a me. 56. Da — pri-
m 0 , dal divino pensiere. Il aj a , raggia , risulta. 57,
Vn, unità. = bO. Gaja, allegra. r= 62. Speglio Arni
specchio, mente divina. : — 63. Pandi, spandi, palesi. 25,
20. =: 66. Si adempia, s' appaghi, si soddisfaccia.
69. Decreta, determinata, prefissa, ordinata. ::=: 71. -4r-fc
risemi, filtri hanno: ar rosemi, da arrogere, aggiu- ih
gnere, men duro, ma meno elegante. = 73. Lo — «e n no, mi
r affezione e il conoscimento. r=r 74. La prima equa-'
Zito, iddio, in cui la somma di tutte le cose si rappresenta,,!)!)
come principio da cui derivano , dove si agguaglia 1' universi-:
tà delle esistenze passate, presentì e future possibili. ——Hi
75. Di un — fé ti 710, si raessero in perfetto equilibro. =:
76 8. La lezione volgare è: perocché al sol che v' al
lumò ed arse e ol e al do e con la luce , en si igu «4:
li, cioè perchè alla luce del sole eterno , che v' arde colla t<ir
carità, e illumina colla sapienza sono cos'i uguali, che eccj
I codd. bart. e fi. hanno come noi, salvo che facciano paren.
tesi delle p.irole pero che ■;— luce, il che non par necessa-
rio. Cos'i il senso corre più facilmente: in voi altri spiriti
beati, il caldo affetto, e il chiaro senno, giacché iddio voglì
inspiro, sono in tanto equilibrio e s'i ugudli, che ecc. . — 79,
foglia, volere, affetto. Argomento, potere, senno, sa-
pere, lut. 26, 5.'). ; 81. Diversamente — ali, noi
vanno d' un modo. : 83. Disuguaglianza, dilfe-ff
renza , sproporzione, sconveneiiza di brama e di sapere. =rs
84. Pat erna f està , accoglienza amorosa. =: 85. To-
pazio, gemma, luce. : — : 86. Gemma, la croce. In-
gemmi, adorni. 87. Sazio, consapevole. := 88èfc
Fronda dice Dante pronipote, perchè sé stesso appella ra
dice. 92. Cognazione, schiatta degli Alllirbierii
Cento — cornice. Con questo porlo nel purgatorio I!
accusa di superbia, come pur sé stesso Pg. 13, 131). ss. ma 1^
l'f
fa con dilicatezza mostrandolo da lontano in iscorcio. . — 9&i
La l. fatica di portar sopra la testa peso enorme
Cerchia, mura, come hanno alcuni codd. in singolare. ==
98. Gilde — nona, dov' è la torre della iladia, che suol
r ore. 101. C on tigiat e , adorne; dd vont ig i e, ca jj!
zc solate col cuojo, stampate iiilorno al pie; poi ogni orni
mento, abbellimento. : — 105. Fu g g ian , eccedevano, rrrr 10
Case — vote, troppo vaste per il lusso e per lo soverchio. =:
107. Sar danapalo , ultimo re degli Assiri, libidinosissim
109. M onte mulo, oggi Mont emar io , contiguo
Roma d;t Viterbo, via la più battuta al tempo di D. : 11
Uccellatoi' (cos'i ha il cod. bart. invece d' Uccellati
jo, che pur venne pronunziato cos'i, v. all' Inf. 6, 79.), mon "'
al quale pervenendo da liulogna sì vede schierata Fioreiii
111. Calo, decadenza, rovina. :: — 112. B ellincio ^
Berti, cavaliere notabilissimo de' llavignani , a cui suco#|
dettero in retaggio li conti Guidi per Madonna Gualdrada.
113. Di cuojo e di osso, di casacca di cuojo cot
bottoni d' osso, o di cintura di cuojo con la fibbia d' osso. =S
111. Sema ecc. senza belletto. = 115. Nerlie Ft
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
ki, due case antiche fiorentine. Pelle se averta , senza
■nno , drappo, o ricamo e jralloiie. : — 120. l'er Fran-
a, perchè il inarilo aiidavd in Francia, o a mercantare, o
divertirsi. Vii. Lo idioma fanciullesco, da bambino.
= l'iti. Fiesole^ città antica vicina a Firenze. ìillani
. 1, 5B. 12H. Ci'a ng-A e/ /a , donna fiorentina della
miglia della Tosa , maritata in Imola a Lito degli Alidos^i,
sciva e dissoluta. Lapo S a 1 1 e r e II o , giurecnwsuho ma-
dico, superbo, di molle vita , dannato a fuoco da Gherardino
Gambata da Jtrescia, podestà di Firenze a' d'i (i ott._1302.
roya veltro alleg. óó. = 129. Cinrinnato (Quinzio)
ttatore romano di gran virtù. Co mi glia ., figliuola di Sci-
one Africano il magciore, madre de' Gracchi, prudentissima
eloquente. Vii. Ok te/io , albergo , magione. :=
i. B atisteo. Inf. 19, IT ss. : — : 137. Mia donna,
iglie, una Allighieri. fai di Fado (l'oj Ferrara. =
9. Currado III, imperadore. 140. J/i — milizia,
i fece cavaliere. ■ : — 1-13. (Quella / «gg e maomettana.
= 141. Colpa, dappocaggine. Fast or, papa. Giusti-
a, dritti, ragioni e averi. =- 148. Martirio. Gaccia-
i.iUa morì iu battaglia centra i Turchi.
C A
XVI.
7. Raecoree, raccorci, f abbrevj. = 9. Force,
rbice, plur. di forbicia. =r 13. Scevra, discosta. =
. Quella cameriera della regina Ginevra nella Tavola Ro-
ida. 15. Fri ino fallo dì lasciarsi baciare da Laii-
lotto. = 22. Fr imizia , radice, ceppo. = 25. Ovil
san Giovanni, Fio renze. : 30. B l and i menti,
role piacevoli. 33. Questa fiorentina. r= 3i. Dal —
ve, dal giorno dell" incarnazione del Verbo. =: 37. Suo.
inameule alcuni codd. hanno sol. iVIa la lezione cinquecento
quanta e trentafiate, scartata dagli Accademici, cat-
i calcolatori , che invece di tre n ta leggono tre, giusta-
ute è stata riposta da Lombardi, peririiè compiè iMarte il
1 periodico giro in giorni bHtì, ore 22, min. 29, che vale a
e buoni giorni 43 meno di due anni; e dunque SfcO X t8b
>rni, ore 22, min. 29, fan nato Cacciaguida tra il 10!)0 e
a tempo di militare sotto Currado HI. 41. Sesto.
jrenza auticameiile si dividc\ a in sesti , o sestieri. == 42.
nnual gioco, il palio che si corre nella festa di san Gio-
nni, nel sesto di porta san Pietro. r= 4ti. Ivi, iu Fiorenza,
r 47. Tra Marte e il Batista, tra il luogo, dov' era
statua di Marte , situala a l'unte Vecchio, e il Batisterio,
aque il largo di Fir. tra i detti limiti v. Inf. 13. r= 48.
quinto, la quinta parie; poiché nel I.ÌUO. Fir. facca da
,000 anime, e al tempo de' maggiori di Cacciaguida 14,000.
: 50. Vampi, Ce rialdo. Figgiti ne, luoghi del con-
io di Firenze. r=r 51. l\'ello, sino allo. — r 53. Galluzzo
Trespinnn, luoghi vicini alla città e pres-so che sulle
rte; al|argando!<i la città vennero poi ad internarsi iu lei.
r ÓH. y il laudi A gag lina (castello in Valdipcsn)
9ser Baldo d' Ag. Quel Bonifacio, da Signa giudice, a'
ftbb. nel 1312. sentenziali a morte da Arrigo VII. Truyn
A. 133. : 58. La — tratigna, i papi. nrr: 59.
over e a, contraria, avversa. Monti l'rop. 3, 1. If2. r=
Si m ij'on t i , il end. bart. ha Simifonte, ca.-tellu in Tos-
ta piccolo ma forte, nei ronlìni tra lo stato fiorentino e il
lese, rrrr h'i. Andava alla cerca, mendicava, ccr-
'a la limosina. =- Ii4 Montcmurlo, ca«lcllo tra Prato
*istoja, venduto dai conti Guidi, che nel 1207 non piiteronn
enderlo da' Pistoiesi. / Ulani cr 5, 31. :=— 05. / Cerchi
pone di divisione e principio di Parte Bianca. Fiever.
HI (non pivier) da pieve, leggono i codd. bart. e fl.
;o ne, ricca e popolata terra inTosc.ina traPistoja e Lucca.
: 6ti. f aldigrivve, tratto della Toscana al sud di
cnze, delto cosi dal fiume Greve; influente. — — (i9. Del
rpo, del mal del coi pò. r^ 72. Le sì deve scnz' altro
1 misura del verso, dove p i ii <■ fanno non una sit'alia, ma
1. =73. Luni citlii, cajio della Lunigiana, oggi diitriitta.
•bisaglia, ca>-telluccio in oggi della dioiesi dì Macc-
antii-ainriite urbs Kulria. i— 71. Ite tnancauHo.
74. Chiusi, o-^gì pic-co/a città delWi stalo di Siena^
guglia, piccola città iiiarilima nella spiaggia dell"
rialico , della Legazione d' Irbino. rrrr feO. Celasi la
rte. Alcuna cosa, r-r HI. lite vostre. ; — : Kl. t'«
e e diarcinre cagionando il JIuHso e rilliisso del inare.
: K4. I<'a la fortuna, procacciando il su e giii , o le
unde delle cose umane. .- — Hli. litri, nobili, r-^ 90.
(I uri calare, pur, eziandio II cod. II. ha rallarr , dì
Il dal \iviani e spiegalo con call.ija iPp. 2'i, 7i, ingresso,
ral.i, siri-|i(i rorrispoinla a purla nel v. HI l.i-/.iiine di non
re/./.arsì aH'-oInlainenle , benché nata forse di ll.i Ira^Tomn-
c s s r r e alla callaja, cioè al termine, nlla line, clic
ine in menle al mpialorc. In qiiealo modo il senso sarelibe
> con quello della volgare, e perii dilfereiile da quel del Vi-
ni. Ma non ne risulta aitine nitro se non un areaìsmo, od
caprìccio ed una bizzarria di più, poiché il facile seiisn
auuc si concorda bene col tutto. Catare i> il g^. /a^.cì»'.
= 94. Porta di san Pietro. J'illani cr. 4, 10. 8, 2G. 3, 2.
7, 117. La casa cioè passò a Bellincion Berti, per esso ai cinti
Guidi, infine ai Cerchi \eri , appellati /e //on i da D. Bian-
co. 91). Altri ìian poppa, senza autorità e per arbitrio
di saputelli. J attur a, lezione del cod. bart. più prossima ali"
origine lat. 101. tuole, deve. =^ 102. Elso, guanlia,
metallo intorno al manico che guarda la mano. r= 103.
Colonna (banda, sbarra sola e per diritto nel campo dell'
arme) del vajo, lista dipìnta a pelle dì vajo, i Pigli (/"i7/nnt
cr. 12, 22) o Billi. 105 Stajo falsato con trarglìeue una
doga. Pg. 12, 105. zrrr lOU. Lo ceppo de' Donati. = lOS».
Curu/i sedie, primi magistrati. := 109. Quali, in qnal
alto grado. Intende degli l'bcrli. 110. Le palle dell'
oro, i Lamberti. Finrian, abbellivano. =: IVI. Padri,
antenati: i Visdomini. Tosinghi e Corligiani, padroni e fon-
datori del vescovado di Firenze. 114. Si fanno grassi
a guisa dì porci, ammiuistrando i beni ecclesiastici. Co n «ts to-
ro, ironicamente preso. 115. 0/£r a co f ato , preson-
tuosa, superba, v. ali" Inf 8, 124. 9, 93. Altri leggono oltra
contata, cioè altra no m in a ta. Inclinerei ad oltraco-
tante. S'indraca, perseguita come drago. == liti.
Ed, ma. — intende i Caviccioli ed Adimari crudeli, ma vili
ed avari, che vennero di Mugello circa 1' undecimo secolo.
Boccaccio Adimari occupii i beni di D. esiliato , e sempre gli
fu aversarìo acerrimo. 120. La lezione adottata è quella
del Perazzini, e il verso resta endecasillabo: che poi 'l\so-
ce|ro itfes\se lor \ p aren \ te. Poi si riferisce al ma-
trimonio anteriore dì Belliucione. 121. Le famìglie qui
nominate sono ghibelline. 123. Incredibile, in tempi
di superbia, d' avarizia e d' invìdia. ; 125. Cerchio della
città. 126. Che ecc. cioè Peruzza , da quei della Pera,
famiglia nobile. 127. Insegna, doghe bianche e ver-
miglie. 128. Gran barone imperiale Igo, venuto e
morto iu Toscana vicario per Ottone 111 imperainre. Questi
conces-se alle famiglie Pulci, Nerli, Gangalandi , Giaiidonati e
quei della Bella il privilegio d' inquartarc nell' arme loro la
sua. =^ 128. La — Tommaso, dove mori; celebrata nella
badia di Settimo. = 132. Colui Giano della Bella, f Ulani
cr. 4, 2. La, insegna. 133. Erano grandi; come v.
107.121 8. V. f Ulani cr. 4, 12. = 134. Borgo sant'
apostolo, rrr 135. A'o u i r i a n , Buondelinonti. ==:r 130.
La casa degli .\mìdei, vilipesa poi e sbandita. J'ill-ini cr.
ti, t)4. Fleto, pianto 27, 45. = 137. Giusto disdegno
verso Buondelmonte de' Buondelmonli , che mancato avendo
alla data promessa di prendersi per isposa una dì casa Ami-
dei , e presa invece una de' Donati, fu crudelmente uccìso;
onde nacque la fatai divisione iu (ìuelfi e Ghibellini. / Ulani
5, 38. : — ri8. Pose lezione de' migliori codd. t= 141.
Sue della detta casa. Conforti, impulsi dalla madre della
zittella Donati. / Ulani 5, .38 =: 143. Ema, fiume, che si
passa venendosi a Firenze da Montcbuono, castello, onde dis-
cese il casato de' Buoii(lelmonti,clie venne in Firenze nel 1135.
Senso: se i Buondelinonti la prima volta che vennero a citta,
fossero auucgati in (|uel fiume, rrrr 145 ». Pietra — ■no;ife,
base della statua dì Alarle priva di essa statua, che il Ponte
Vecchio conserva, dove B. tu ucciso. r= 152. Giglio, in-
segna de' Fiorentini. = 153. \on ecc. 11 vincitore ponev_a
sozzopra nell' asla P insegna del vinto. .Senso: mai non fu
vìnto. =:^ 154. A»ii't«»on iu Guelfi e Ghibelliui. f «rmi-
glio di bianco.
ANTO
WIl.
1. Qua/ Fetonte. CU me ne, madre, rrrr 2. incon-
tro a si-, che non fosse figlio d' Apnlline. Orid.\\ei. 1,754 8».
r=- 3. Scarsi, rilenuli o riguardali al coniliscenderc »
figli. = 4. jf'rt /e, cos'i ansìo.ii. S ih f 1 1 e, conosciuto. =
ti? M alato silo dui corno destro della splenderne croce a
pie d' essa. 15, 19 ss. ^rr: 8 — 9. Il cod. caci, ha: /' esca
seguala He v i; il glenberv. :/'<*(« «. i ru ga da 1 1
eterna it. = Vi. .1/ « ■^ ' « , dia a bere , appaghi il tuo
desiderio, rr^ 15 Pian tri. \ì»ianì, ali|n.\nlo troppo ingordo
di stranezza, difende pinta , di.- ippro\ alo d il Dionìsi AnnJd.
2, (il. Iniililincnle, al parer nostro! Cliè se pianta e alfine
a (D.aui , [iloio, [ikciut , piota «eni' altri» ha la stcìtsa ra-
dico in (f-loto, // o» , o ia if VI or, tf'vinitit. T' iniuti,
innalzi, rrr: 10 Co /i J » n ^ '' n f i . casuali avvenimenti. =■
17. Il punto ecc. 1" elerno dio. itt- 20 Monte — cura,
il purgatorio, rrr- 21. M n u il o d i f u u t n , 1' inferno. =:
23. (.'rn n, nlTIillive. rr-^ 2i. T et r a go un , MabWc , inat-
terrabile, forle. Fj«pressi«nc greca ! r .W. C o nf i * sa ,
confessata, manifesinia. i— ^ì. L o a g n e l.C.voa. 'i' » ' '[;>
Inelie. -^ 35. Latin, o parlare, o stile Ialino. =• J"-
C/I l'uno, ricoperlo col lume. Far cent ,, apparente, r— 37.
Con t i II if e (I 1(1 , rasualilà. Quaterna (roti, b.rrl ) foglio,
libro; e for — m a ti ria, oltre ì limili dello spazio e del tempo,
che HUiio insieme limiti «lei sapere lìnilu r— 39. K t • r ii u
di dìo. z — 40. .Ver» »»if« dell' avvenimriilo , che togliesse
a' mortali la libertà del volere, i'eri», per esservi dipinU^
41. fi IO, occhio. =42. Torrente, lei. di pareccUi
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
codd. più forte. Dice : nave non digcende necessariamente giù
per torrente perciocché o giacché uno 1' immagini. 4'^.
IJ a indi, dal cospetto eterno. 46. Qual, (orzatamente.
rr^ 47. Noi' ere a, Fedra, innamorata caliinnìatrice. r=
49. Questo partirtene. Si vuole in corte romana per lo papa.
Cerca per niesser Corso. 51. Là ecc. nella corte romana
simoniaca. 52. Offenita, soccombente. 53. in
g rid o,in bocca ed opinione della plebaglia. La ve ridetta,
dopo i cacciati Kiancb!, la rovina del ponte alla Carraia pieno
di popolo sprofondato si nel!' Arno nel 1304, a' 1 maggio; T
incendio di più di 1700 case, nel giugno. Jillani c.r. b , 70 s.
54. J'er. dio. 5t<. Sa di sale, ha sapore salso,
sa d" amaro, riesce fastidioso. : 62. Scempia, disunita,
divisa, discorde; o scimunita, sciocca. : — t3. ì alte,
bassezza. Mi. Boss a di sangue, perchè infranta. Le-
zione di buoni codd. invece di rotta. : [i't. B e stialit a-
de. la baliaglia bestialmente attentata a Firenze nel luglio
dell" anno ]oU4. f Ulani cr. 8, 72. Prece st o , esito. : — 70.
O.s f p^ /". albergo. 'il. G ran L o ni b a r d o , Bartn-
lommeo della S^caia , signor di Verona , primogenito iiglio di
Alberto, padre di Can Grande. V". Lgo Foscolo discorso sul
te>to del poema di U. f. 164 — filili. J) io ni si peri) intende
Can Grande istesso. v, Orelli ^ . di Dante f. 37 ss. Troija
velt. ali. 5». 119 s. : — 72. Che ecc. cui 1' arme è scala d'
oro in campo rosso con sopravì aquila cera. 75. (^uel ,
il fare , il benefizio. : 70. Colui, Caa Grande, Iratello
dì Dan. e d' Alboino. Impresse, influito, suggellato. : —
T!. Si el la forte di Marte. = iHi. Pur — to rt e. Wel
1300 , anno del viaggio di D. , aveva Cane nove anni golari,
nato nel 1291. : S2. Il Guasco, Papa Clemente V'. di
Guascogna. Arrigo \U, imperatore. Inganni, avendolo il
papa, governato col piacer di Roberto di Napoli, pei suoi fini
promosso all' imperio, spediiogli legato Luca del Ficsco car-
dinale, fratello di Alagia Malaspjna, e pure oppostosi sotto
juaim alla sua entrata in Italia, che s' intraprese nel 1310.
f Ulani cr. 9, 7. Tro'jaV. A. 1.118 8. Ugo Fosc. disc. 176. Cane
ebbe allora 19 anni. = bs. Ti aspetta, ti riserba, l'g. 18,47. =r
SI. Po rterain e — di lui, t'imprimerai in memoria quanto io
ti dico di lui. E (ottimi codd.) ma. r=:93. Quei — fien p re-
te Ji te (di presente, presentemente) leggon molti codd. 11 bart.
ha quel — jìa. Quei Ini. 2. 104. 19, 45. (incerto) Pg. 3, 120.
= 95. Fu detto. \. 22 ss. =r 96. Giri, anni. 97.
l'icini, concittadini, r^ 08. S' infutura è per durare.
S'aua speranza! che mori esule a Ravenna, onorato con libri,
ecc. : 100. Spedita, sbrigata, finita avendo. 102.
Ordita nel purg. e nell' inf. : 105. f'uole dritta-
mente, di retta volontà, schietta. : 108. A — abban-
dona, a colui che più sì sbigottisce. 110. Loco pili
euro, la patria. : — 111. Li altri luoghi cari ed ostelli.
112. Mondo — amaro, V inferno. : 113. Monte,
purgatorio. ^^ 117 Scj)or — a fi: ru m e, spiacevole assai.
119. l'i ver (co.s'i parecchi codìl. invece di vita), nome,
fama, voce. = 121. Tesoro, trisavolo amatissimo.
122. Cornifica, più splendente. 125. T'ergogna,
onta, azione \ergogno,sa. 126. Brusca, acerba, dura.
Affine al Icd. barsch , a' greci ^nvxui , ^nvyoi , ^ovttoj
pnuZc) , e moltissimi altri. 129. Lascia — rogna,
proNerbialmente , lascia dolersi o chi ha da dolersi. 131.
Gusto, a8sagiar^i. r=r 133. Grido, parole fulminanti.
=: 139. Posa. 8_' accheta, si fida. =: 140. Ferma presta
ferma, //a ja , abbia. : — 141. Incognita e nascosa,
0!<rura e bas-.ci. Argomento — paga, inateiia poco gpe-
zio«a e ignobile.
j Mota, mossa. = 55. Mere, pure, serene. = 57. Li
\ a Itri. 11 cod. fl. e bart. le altre. La comune lezione pare più
j S(iuisita, perchè si distingue 1' ultimo solere, solito, da-
! gii altri. Era, dice, più gioconda di quel eh' era altre volte
! sino air ultima. = 62. Avea cresciuto lo arco,
crasi più elevato e più s' appressava all' empireo. Che la beltà
ili Beatrice a' accrebbe coli avanzarsi all' empireo. 63.
Miracolo, Beatrice. Conv. 162. V. INuov. 31. 64 66!
Intendi: come donna, deposta la vergogna, subito si rimbian-
I ca , cioè , come tosto il rossor di donna vergognosa svanisce,
si scema. = 67. ì^jì Beatrice. ^= m a. Ste 1 1 a se s ta
I di Giove; onde vien detta. : 70. Giovial face l la ,
[ lieta, serena stella di Giove. =: 72. Segnare, rappresen-
tare. iVo « tra /a r eZ / a 1' alfabeto italiano. 73. Che
conibina meglio eh' e. Riviera, fiume, o riva. 77. Fa-
, dènsi, si face\ano. = 78. D. J. L. lettere iniziali di di-
lli gite. Sue, loro. r= 79. Nota, canto. r= 82.
Pegasea, musa. Calliope. Pg. 1, 9. Forse la Giustizia stessa.
! V. a IH. = •t'è. Cinque volte sette = 35.= 90.]
Dette, es|)rcgse. r= 93. Se zzai, ultimi. Diligi te ecc,""
Cosi comincia il libro della Sapienza di Salomone. %jV'
Ordinate, colle sante creature, donde si componevano. i^"
Giove, la stella. = 96. Distinto, fregiato. = 98. Co / m o,u
cima, r:^ 99. Il ben ecc. dio. = 102. Agar arsi, augurar.si, :»
= 105. So/, dio. So'rtille, le distribuì. r= 107. Aguila,~
seguo d'imperiale dignità. =108. Distinto foco. Giove (96), »
rr= 109. Quei ecc. iddio. : 110. Si r a mni enta viene •
rappresentata, dipinta, e si deriva insieme. 111. Quella"
virtù — nidi, la giustizia imperiale informa d' aquila,"-
eh' è forza, possa, che torma, ordina, compone, fai nidiij'
le cittadi e i regni (84). Questa sposizioue pare che sì''f'
difenda co' v. 116 — 119. laddove le altre .sposizioni, che ia-b
tendono nidi degli uccelli lutti, o vasi incavati, cavi, forme jt
d' artefici gettatori, sono troppo vaghe, generali, sino ad ea- ■
ser tautologiche. 112 Bcatitudo, schiera d' animt^.
beate. r= 113. Ingigliarsi formare corona di gigli,
Alla emme in cima della M. : 114. Imprenta, ira- °:
pronta, figura dell' aquila. : — - 115. Gemma, beate aiiimt*.'
splendenti r= 117. Dal cielo di Giove, re degli dei, di'
cui il simbolo è 1' aquila. Esiodo Teog. 96. Omero 11. 2, 205.'"
9, 98. 24, 315. Od. 2, 146. = 118. La mente, iddio. =: 120, ^'
// /u j« /no , r avarizia. : 121 ss. L n' altra fiala »i
riferisce a Matt. 21, 12. Marc. 11, 15. Giov. 2, 13 ss. c:,\ qual"''
ullìmo passo v. 18 difenderei la lezione segni, in significato biblico f^
di miracoli e prodigi, operati da Gesù, invece di sangue._.
quantunque ciii si legga in buoni codd. Perchè sa n g u e «~
martiri sono tautologici, e sangue sa inoltre di chiosa,"'
poslochè il segno sia, come dice Giov. v. 21. la risurrezioni"'
ili Gesù. : 125. Adora, ora, priega. : 126. Mali'
e s empio de' pontefici romani. 128. Togliendo le
pan eucaris-ticn , cioè scomunicando. 130. Tu Clementt'
V". Inf. 19, 82. Cancellare, rivocare gì' interdetti per ret
guadagno. : 132. Vigna, chiesa. : 134. Colui —
solo.^ Giovanni battista, cui la figura essendo effigiata su ì
fiorini d' oro fiorentini, gli rinfaccia con questo detto mordaci
r avarizia. 135. Che — m ar tir o. Marc. 6. ir
// pesca t or Pietro. /*» io, Paolo,
C A IV T o XVIII.
1—3. f'erbo, pensiero, idee, concetto, csucre iatellettu
ale. 19, 44. Si godeva, perchè beato e perfetto, laddove 1).
di sé dice gustava, assaggiava, essendo egli uomo, che
fcrorsele sue vicende. Te m pru n do, mischiando edadeguando.
Specchio, iinecc di spirto, è lezione antica più elegante
e pili grave, che contiene 1' idea d' angelo (9, 61;, e di nobii
C!<(.'Uipio antico. =r- 4. Donna, Beatrice. r=r 6. Colui,
dìo. ÉJingrava, alleggerisce, allieva. =rr 9. Abban-
dono, tralascio. rrrr 13. Putito, tempo, momento.
Ir. Secondo, rillchso , riverberalo. = 23. f ista, sciu-
biaiitc. r— - 21. 'V'fl/ta , trasportata. = 'iH. Soglia,
cielo di Marte. =rr 29. Albero, paradiso. Cima, empireo.
z=-. 32. /ocp, f.iina. = 37. Tr a t t o, spinto , mosso,
rrrr 38. Com' ci si feo, siccome si fece, siccome venne
nominato. Fi dunque si riferisce al n ohi a r, ed è come /a
nella prosa comune. Altri legge * i , ed espone: lostochè Cac-
ciaguida fece cos'i. m-^ .3<(. \,; ecc. perchè il nominar ed il
irar lume era un atto. = 41. Altro, lume. rrr= 42. Paleo,
lume rotearne, o girante, rr- 47. Guiglielm», conte d'
Oringa, fifluml del conte di Narbona, Amerigo. Bino ardo,
nipote di leborghe, moglie di lebaldo lo schiavo, la quale
In rapila da Giiipllclmo. : — : 47. Gotti f re di di Biiglion.
r^r: 48 Bob. Gain ardo, principe ih. rinaoiio che verso
la mela del yccoln XI liberò la Sicilia da' Mori. = j9
Canto XIX.
i!
2. Ima gè, immagine dell' aquila. Fruì, gioire. Toc**;
latina! : — 3. Conserte, intrecciate. Latinismo! =31'
6. Lui, il sole. = 7. Te steso, testé, ora. r=r Itt Cif
B ostro, becco. : — 11. Io e mio, perchè parlava 1' aqul-nU'
la. 12. Sol e nostro, perchè molte anime vi s' uni-
vano. 13. Quella celeste. =rr ìi. Che ecc. che noi
si ottiene, guadagna col solo disio, anzi con azioni. =^ Ift
Lei, lamia memoria. Seguon, imitano. ==: 24. Parer,
Altri sentir, che par chiosa. Odori, voci, a cagion d|
fiori. = 25. S;u'rn 71 do, esalando, parlando. Digli
no, ignoranza. r=: 27. Trovandoli, come 17., u(
trovandoli cioè al digiuno. = 'Ì6. Bearne ordine
spirili contemplanti. : — 29. Fa suo specchio, si guardi
s atfaccia. 30. Non con velame, schietta, sempliq
e aperta. -. — 34. Lezione più elegante di buoni codd. Col
pelle, ciioperta di cuoio imposta. = 35. Si plaude, a
balte, percuote. Il verbo »em|)licc più inusitato par pia ele-
fante, rrr- ,36. Facendosi bello, ringalluzzandosi. =:
37 Laude, lodatori. : 38. Contesto, conserto, coin-,
posto. : — 40. Ai es t o , sesta, compasso. =r 44. f'erbo,^
idea, intendiinenlo, concetto. 18, 1. rzrrr 45. /n — eccesso,\
ìli avanzo senza fine, in multo più potere infinito. = 4fi,>
i/ pni/i o « up e ri 0 , Lucifero. z=z 47. .Somma, la pilli
eccellente. =r 48. Acerbo, immaturo. = ■i9.Minor,\
creata. =rrr 57. Molto di là, molto differente. : 59.|,
/ ista, intelligenza. =^ 60. S' interna, s' insinua, n^t
61. Proda, riva. = 62. Pelago, alto mare. = fll.i;
/•/' / 1 , iii\ece d' egli è, è lezione di buoni codd. z= 64.li
Dal sereno, da din. r=: 66. Ombra della carnf, li
[ olTuscazioue, ignoranza. ^'« Zeno, dettame perniziono. =■
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
i7. io f e 6 r a, nascondiglio. Latinismo! come crebra, ^pes-
ta., frequente. 79. Sedere a scranna, giudicare,
lecidere. Scranna è la voce tedesca Srhranne, SckraiiLe,
iffiue al lat. ucrinium, e sìgnilìca propriamente luogo inl'erra-
o, ingraticolato, qual ò quello di giudici. b'2. Meco,
li rirapetto a me , verso me. ■Si assottiglia, sottilizza,
' arr3bbatta._ = Hi. A maraviglia, assai. Hb
^r im a , divina. ^=: 87. Va setnainon si mosse, tu
empre uguale a sé stessa. H8. Cotanto, tanto pure.
7o7is « ono , èconforme. 89. ii a (/ i a n d o , informando.
!«ui,il bene creato. 91. Sovra esso, sopra.
4. Si fé ce si riferisce alla benedetta immagine. Li
igli, le ciglia, gli occhi. ;;= Consigli, volontà pru-
leuti dell' anime beate, che componevano quali' immagine. =
8. ]\i o t e , parole. 100. Poi, poiché. S e g: nitar on,
ontinuarouo a formare, rimasero nel segno. Moltissimi codd.
eri) hanno si r/uetaro, che, benché non di senso troppo
inerente, sembra più espressilo e limpido. Chechè ne sia,
I punto d' alcune edizioni dopo reverendi , è da cambiarsi
olla virgola. lOlj. Molti gridan ecc. Matt. 7. z=^
07. Frupe, appresso. Voce latina! 111 s. (Quando
ce. jVIatt 25. Collegi, brigate. Si partiranno nel li-
ale giudicio. Inop e , \to\ero. Latinismo! : — Ili. Quel
Glume aperto Apoc. 20. 111. Dispregi, delitti.
r= 115. Alberto, imprratore austriaco. Pg. 0, 97 ss. che
surpò la Boemia, ucciso Vincislao , nel 1303. == 116. Mo-
erà la penna, verrà registrata; o porterà i' aquila im-
eriale; o seguirà. 118. Sopra Senna, in Parigi. : —
19. Falseggiando la moneta, per pagare r_ esercito
;soldato coutra i Fiamminghi dopo la rutta dì Cortrè. Onde
ietro di D. invece di diiol legge dol , inganno. : 120.
'uel Filippo il Bello. Cotenna propriamente pelle del
ureo, o cinghiale, poi porco. Sarà affine a ycvzog , y.w;,
òag, /atT>i, cutis , tcd. Haut , Kutte , Kotze. Del fatto
J Ulani cr. 9. b5. 121. Lo Scotto, re Roberto. L'
ng hi te se, Eduardo 1. = 125. Quel di Spagna,
•■ Alfonso. Quel di Ho emme, Vincislao. Pg. 7, 102. =r
7. Ciotto, zoppo, sciancalo, sopranome di Carlo II, re di
erusalemme , figlio di Carlo 1, re di Puglia, contra il quale
veisce D. Pg. 7. Par. 20, b3. == 128. L na I, una. =
9. Una emme M, mille; perchè, come dice Boccaccio,
lesti ebbe una virtù, cioè di larghezza ( Pg. 8, 82), e con
lesta mille vizj. rrr= 131._ Quel — foco, Federico, lidio
Pietro d' Aragona, ed a lui successore nel regno di Sicilia.
= 132. Fi n i, Kiieid. 5, 708 ss. — 133. Fo e o, vile. — Hi. Se r i t
ir e ,V indice de' suoi demeriti. Lettere m oz z, e, abbrevia-
re. r= 137. /i arb a, zio di Federico, redi Maiolica Jacopo. Fr a-
^/, di Federico, Jacopo re d' Aragona. r^ 138. Dite corone,
ella d' Aragona, e quella delle isole Baleari. Bozze, dis-
orate. Si dice propriamente di marito fatto becco. :=
9. Quel di Portogallo Dionisio Agricola, re dal 1279
IO al 1325. Di Norvegia Acone \1, dal 1280 sino al 131!).
— HO. Rascia parte della .Schia\oiiia , o Dalmazia.
1. Ha visto è vera lezione di molti codil., invece di quella
Ilo Crusca aggiusto, che nacque à\ auisto (la i senza
iito sovrapposto) malamente letto nuist ò, o avvistò, t
ti arbitrariamente corretto. Intendi: che mal per lui ha ve-
to il conio del ducato d' oro che si batte in V. U3.
il, dopo aver avuto molti re pessimi. 141. Si ar-
asse, si difendesse contro i l'^rancesi. Del, col. Monte
rcneo. Fascia, circonda, n^ 145. Arra, caparra.
y> i 7 u e « t o armarsi e scuotere il giogo della Francia.
i co sia e Fa ni ag osta, due principali città del regno
Cipro, rrr- 147. Uestia, re bestiale Arrigo li, redi
eli itola nel 13U0. Oarra, strida.
nassimamente, in molti piccoli principali, e quindi le innu-
[lerevoli guerre asprissime. ==: ti2. G u i g l i e l m o il , ì[
Buono, re di Sicilia, giusto e ragionevole, dal 1166 sino al
(189. = 63. Carlo il Zoppo Angioino, dal 1285 sino al
C A
IV T O
XX.
l. Colui, il sole. = 3. Che il ecc. (così eran nume
di testi) che il giorno va d' ogni parte mancando. =t 5.
rifa parventi, si rilà ledere. A tici , Hlellc , corpi
iininali dal sole. Ina luce del sole. t--r- ti. 1 1 segno —
cct, r aquila imperiale, monarchia da dio ordinata, r-^
,7 ;/i /Il a /i ( i, iiaxcondi. ^rrr U. I'' l a i 1 1 i ( lezione iiicon-
blabilc di mollisxiini codd. inveri- della ((uiiidl diNforniala
villi) spirili Incidi, corriiHcanti, sciutillanli. Uaflafirl
III, ventaglio, aNpergolo. \imi sfuggi srn/.' altro alla viva
irrnsione cnmbiiiante del poeta, che quello scintillare, info
ni I) accciidersi delle stelle in notti sereni: ed aria pura so
{Ila al polscgglaiiienlo , alla sistole u diastole d' un cuore,
un alitare ed ondeggiare; e pcrciìi, CHMcndo inoltre coiiti-
3 li; idee del fuoco e del fiatare — respirazione ed abbrucia
sono la im-desima operazione rhiinica — potè il poeta
lace chiamare /<a i'^/i quelle anime beale che quasi spira-
io o sfo^ravaiio lume. z=z: 16. Lapilli, gemme. - — 17.
tetto lume, IJiove. r — : 18. Siinilli, canti annoiiioiii.
Pp. 8, 5. rr— 21. La uberi il — cu rumi-, 1' abbondali
d acqua Bomministratagli dalla sua cima, r— 22. Colto,
Dico. : — 24. / e n t o . cioè prende siioiin. rr^- 25. Hi
• •0 — intiii^iu, «ubilo, 'iti. Dell' a i/ u i l a ò migìioT
lezione che per V aguglia, nato senz'altro dallo svia-
mento dell' occhio nel v. seguente. 27. Bugio, buca-
to, rrrr _ 31. Zia p a rt e ecc. l'occhio. z= 3i. Fochi lu-
mi d' animo beate, r— 31'. Di sommi, son quelli che iian-
no maggior grado di luce o di gloria. 38. Il — santo.
il re Davide.^ = 39. Che ecc. 2. Reg. 6. Villa, città. Inf
10,109.23,95. rr= 41. Affetto pare più elegante , che
effetto, e significa accetto, oipure per latinismo affertus,
toccato, inspirato; o finalmente predilezione e scelta libera'
volontaria. Chi sceglie una delle prime due sposizioui, spicchi!
Consiglio, spirito santo consigliere e dettatore. Mi deci-
derei per la terza, che quadra alla serie. 43. Cerchio
arco. : — 44. Colui ecc., impcrator Trajano. v. Pg. 10, 73 ss!
=:48. 0 ppo sta tormentosa di cinque secoli nell' inferno da
che mori sino a che san Gregorio gì' impetrò la liberazione,
r^ 51. Morte — penitenza. Intende Ezechia, re di Giuda.
2 Cron. 20. Isai.38. =— 53. Degno, a dio accetto. Freco,
preghiera. Per che, benché. Dice che i decreti di dio sono
eterni, benché s' eseguiscano nel tempo, essendo ancor questo
determinato. 55 s. Lo altro, Costantino Magno. Si
fece Greco, andando con le leggi romane e meco alla
testa de' suoi eserciti, a Bisanzio per fondare il greco impero.
Fast or, papa san Silvestro. Cedere in dote. Cli e — frutto.
Inf. 19. perchè ne nacque la divisione dell' Europa, e dell'Italia
mas " ■■" —-■•-■ -= — '= ------ — •
mer
Buono,
il
1309, che mosse aspre guerre." "i?'e de r i co' d' Aragona dai
1296 sino al 1336, avarissirao. : — 66. D e l s uo fulgor ,
alla viva sua luce. =:= 68. Rifeo Trojano. Eneid. 2,
426 8. 73. A lo detta, dal provenzale alaudeta, (v.
fiviani) lat. alauda , lezione di alcuni codd. preferibile a ca-
gion della forma più antica, che /o rfo / e f £o , la quale non
è sennon reduplicata e nietatetica, nò mai da derivarsi da
lodare. La gradazione è: aloda, alodetta, lo d e tta ,
lodata, lodoletta. =: 76. Imprenta, insegna,
stemma, o pure influsso. =rr 79. Dubbiar, desio di sapere.
80. f e st e v' è sopra disteso, e che trasparisce.
81. Fatto, pati, soffri il dubbiar. = 84. Corruscar
accrescimento di splendore. Feste, allegrezza. 86. Lo
bened. s. , 1' aquila. =r 89. Come avvengano. 90.
Ascose, non inlese. : — r 92. Qui ri itale, essenza, natura.
=: 93. Preme, palesa, espone. Latinismo! rr=94. Regnum
ecc. Mail. 11, 12. r= 97. So pranza (forma più originale
appresso alle altre so v ronza, sobranza) prevale , vince.
La lezione d' un cod. som bronza, colla chiosa rcsistit,
pare corrotta, ancorché uno volesoc forse correggere oin-
b ronza invece d' ombra detto de' cavalli; jierchè la serie
vuol altra cosa. z= 100. Fri ma, Trajano. f ita. anima.
9, 7. Del ciglio, formante il ciglio. Quinta^ Ilifeo. z^
102. Dipinta, ornala. =r 105. Fa ss u ri , che dovevano
patire, essendo inchiavcllati. Dice dunque del redentore ven-
turo. Fossi, inchiavcllati del jedentorc venuto. : lOlj.
La una, vita di Trajano. .ir; 107. Tornballe ossa, riprese
il corpo. ^= 110. i^cegA » di papa Gregorio. ==r 113.
/'oco tempo. r= 114. /yuj ecc. Gesù. = 117. Gioco,
(Pg. 28, 96.) gioja, giubbilo, festa, compagnia lieta, pare più
dantesco, che loco de' codd. bari, e 11. := 118. L' altra
di Rifeo. = 121. />rit f « rni , giustizia. r=: 127. Trx
donne. Fede, Speranza, Carità. ^=: 128. f edesti. Pg.
29 121 ss. : 129. Fili di un m il lesino, perchè dalla
venuto di Gesù alla distriizion di Troja contansi anni 1181. r=:
132. Tota, tutta. = 136. ^Scemo, mancanza di cognizione.
z=r-i 137. Si affina, si perfeziona. r=r 139. Immagine
divina, aquila. 3=r 143. Fa seguitar. f,i esr^ere com-
pagno. Lo guizzo, il tremore, la vibrazione. rrr 146.
l>ur, Traiano e UilVo. r— 147. C o n e o r d a , t^'i muove d'
accordo. = 148. .Moverle /ia wi «i e( < t scintillando di
novello riso.
Canto
XXI.
G. fieme/è. Ovld. Met. 3. 291. =r^ Ti. Sn r e ft ft e è più
elficace che /x/r; (-Aie. Com trono (v. all' Inf. 4 , 9) lui-
mine. Sco s ve n d r, parte, disrninpe e ni terra. rr- 13 .Se 1 1 i ni o
splendore. Saturno, r — Il h. Nel l.'HH) nel iiii-se di Marzo
Saturno era in leone in gr.iiln S, Gioie in ariete in 21°; Marte
in Pe^rc in 21'; Sole in ariete iii-l principio ; \ mere in Pesce ;
Mercurio in \ ercinr. Minti, leinpcrato il freddo min dall'
ardor del leone. Pionisi Ancdd 2, 61. / o / o r i . potenza, r—
16. Ficca, tieni nltenla. r— 17. Sprechi hanno i migliori
codd., e »e ad alriiiii i<einbra inen chiaro . loglio 1' iinilorinilà
col \. srgiienli-, ilove sp< rrhio è pianeta. =r-z 19. Quiil,
chi, come pur legge il rod. caet r: — 20. .1 » p i t t •> b i a tu
(li llriilrire, — 23. Q ii a u I « ini rrn a srnto scnz ironia
alliiile al \oN-r riniiniarerr con ii'.ibidieii/a la diiniia aniata=r
21 Lo un lato di veder lei. Coji tu altro, la goi.laiii.iie
del cibo delle beate «ninie. = ij. Cristallo, specchio.
Saturno. / oco A o /, nome. ^ 26. C A iur o couvienc m«-
I
COMENTO SULLA DIVli. COMMEDIA.
gììo alla serie, che caro. Duce, reggente. ■ — 27. Sotto
— morta, regnante il quale fu ]' età dell' oro. :=r:29. Sca/ co,
scala. r= 3(). Luce, vista, occhio. 32. Ziume, stella,
astro. r= 35. Fole, mulacchie, cornacchie. : 45. Lo
amor, il desiderio di soddisfare alle mie dimande. 49.
Tacer, desiderio taciuto. 51. Solvi, appaga, sazia.
rrzz 52. Mercede, merito. 54. Colei, Beatrice.
56. Letizia, beatitudine. ; 57. Mi ti ha posta lezione
di parecchi codd. invece di m' accosta, che pare chiosa.
: — til. Lo udir mortai, udito mortai, che ode il canto
mistico di questi coulemplanti. = 71. Consiglio, volontà.
=: 72. Sorteggia ecc. assortisce che io qua venissi a te.
73. Lucerna, anima risplendente. 7(ì. Cerner, inten-
dere. Latinismo! = 80. JJel — centro, intorno a sé
stesso aggirossi. _ = 81. Mola, mulino. 12, 3. 83.
Si appunta, sì ferma. =^ 84. Onde io m' inv entr o,
end'' io mi v entr o , in cW iom'inventro,ov''io
ni' inv entro, onde io m' innentro — ecco le varie
lezioni di questo passo! DilFicile è il deciderne; che, se la
derivazione da ventre dava nel naso agli accademici, laddove
altri trovavano la metafora assai \iva, forse ardita, non s'
Bvvicìcro ambidue le parli, che, giusta le leggi formative delle
lingue, inv entro e inentro, o innentro sono pure
forme differenti d' una voce medesima, la prima cioè con
aspirazione labiale — come ven' è pure una palatina nella voce
greca ytvra , ytntQ , utero, come chiosa Esichio , onde
appunto ven ter — 1' ultima senza. Onde benissimo s' appose
l'erazzini spiegando in ini imo sinu lucis illius. Di
più, se 7« ' inv e 71 tra è, come può essere, mi faccio, o mi
sono ventre, cioè 1' intcriore, la parte di dentro, quasi noc-
ciolo, non è d' uopo, che onde, cioè della quale, si cangi
in ove, o in che. Intanto a no! parve piii squisito m' in-
V ent r o,f'\ perchè precede vi era d en Tru,e perche innen-
tro sarebbe formazione sinistra, essendovi già entro o in-
tro, al quale inoltre non quadrerebbe onde; e si perchè è
senz' altro più dantesco e ardito. : 87. Munta, è tratta,
come da mammella latte, cioè emana. _ : — ^ 90. Pareggio,
agguaglio. 93. S at is far a, satisfarà. 9b. Scisso,
disgiunto, lontano. Pg. 11, 103. r=: 100. Fuma, sparge fumo
e tenebre. 102. Ber che , benché. Inf. 32, 100. As s u-
ma, accolga. Latinismo: assumere'. IMalamente {Cruscanti
superstiziosamente toscani hanno assumma a dispetto di
migliori codd. del Diouisi. : lOG. Due liti del mare tir-
reno e del mare adriatico. Sassi, i monti Appennini.
107. Patria, Firenze. : — 108. Tuoni. Se troni (v. 12)
quadra ad un luogo , non perciò deve esser risposto dapper-
tutto. : 109. Gibbo, gobbo, rialto. Affine al lat. gibbus,
Aayvipo;^ ted. Hebung. C atri a, nel ducato d' Urbino tra
Gubbio e la Pergola. Dante vi fu , visitando nel 1318 la badia
camaldolese di Fonte Avellana, detta di santa Croce, a venti
miglia da Gubbio. Troya V. A. Ibi ss. 110. Ermo,
luogo solitario, deserto. ; 111. Latria invece di latria
{Marnila), servizio divino. = 112. Sermo, sermone.
Inf. 13, 138. Terzo si riferisce a' v. lil. 83. =rr 110. Lie-
vemente, facilmente. =r 118. Questi cieli, paradiso.
119. F er til e ni e ut e, messe fertile d' anime. ì'ano, vuoto.
: yi\. Pier Damiano lecesi monaco lin età giovanile,
e mori nel lOSO, d' anni (iti, diverso da Pietro degli Uiiesti,
soprannomato Peccatore.^ 123. Di nostra ecc. di s.
Maria del Porto su 1' adriatico lido, in vicinanza di Ravenna.
= 125. Cap p e//o , cardinalizio. :z=:r 12(i. Travasa,
trasmuta, trasporta. = 127. Cepkas. Ginv. 1, 42. Il gran
ecc. Paolo, v. Inf. 2,28. n=: 130. if i/i e a Z = j sostenga,
regga. ^= 132. yl l zi , intende i caudatarj. 133. Pa l a -
freni, cavalli. Dal basso lat. paraveredus , paraveredum,
Tiarafredus , palafredus , fr. palefrui, senz' altro tutti quanti
la sfigurata voce ted. Pfrrd , pers. paras , ebr. pharasch,
phered , rom. vcredus , derivato poscia da vehere. 134.
/>u e A est /e. Sale ghibellino mordace! 139. Questa
(li 8. Pier Damiano.
C A W T 0 XXII.
1. Guida, Beatrice. =:^ 2. Parvol, fanciullino.
Latinismo! 5. Anelo, ansante. Latinismo! =:r: 6. />js-
ji or rft, confortare. = li. /o r i r/ pn rfo, io ridente, o il
mio sorriso. Cos'i non è uopo di parentesi, o di punto interro-
gativo, rzrr 13. ^uaZ grido, r:^ 14 f end etta sopra i
prelati perversi. == 17. Ma e// e ( Inf. 4, 20 ) , sennon. Il
cod. bari, ha mai , al piacer. Il senso non è guari diffe-
rente, solchi' non (juadri bene quel piacer a temendo.
= 21. Iliilui, riduci, rivolt,'!. z=r Ti. llitortiai è lez.
di buon! codd. .— Z>. « è ;» r <; m e (cosi il cod. bari, per
«chivare 1' ambìguo del di nuovo premere) raffrena , rintuzza.
=^- W. Si attinta, s' arrischia. == 27. Del troppo,
dell* essere import uno, o hcccalorc. = 28. La maggiore
err. san Bencdrtto, abate del inouasterio di monte Casino,
edificato circa il .ViO. : — ;i3. Concetti, desiderj. = .30.
Puro (lezione di moltissimi ed ottimi codd.) perfino, eziandio.
Da che, mentre, poiché. Higuarde, Bei ritenuto. =
39. Mal dispo sta riguardo al santo vangelo. : — 41.
Colui, Gesù. := 48. Sajiti, di santità. = 49. ilio e
cario, forse V Alessandrino nel secolo 5, direttore di quasi
5000 monaci. Roma al do , fondator dell' ordine camaldolese.
nel secolo 10, nativo di Ravenna. 53. Sembianza.
aspetto amorevole. : 54. ^ r rZ or, spiriti beati. : 5J.
D il alata, schiusa. 57. Possanza, virtù natia. :^^
60. Scoperta, svelata. 03. Li altri, desiderj. m
66. Là — era, perch' è immobile. : — 67. Non — loco
ma_ formato nella prima mente (protonoe). S' impola, ha
poli, su de' quali si regga e s' aggiri. 79. f iso, vista,
= 71. Isporger, stendere. Superna parte, cima,.
Genes. 28, 12. =r 76. Jl/u r e, (lez. di buoni codd.) 15, 97.1
ii a (/ i a , monasteri. 77. Co co Z Z e , vesti monacali. — y.
79. Tolte, alza. 82. Guarda, serba d' avanzo. = wi
85. li land a, pieghevole, irresisteute. = 88. Pier.i
apostolo. Alt. ap. 3, 6. 94 s. La lez. adottata è quellaitì
degli ottimi codd., invece di volt o e r et r or so. Ordina; ite
veramente fu più mir. a vedere Giordan volto retr., e fuggir» ili
il mare rosso (Exod. 14, 22) qu. d. v. , che non sarebbe qu :if
il soccorso. Intendi: come dio non abbandonò il popolo ebreo ^i
quando per soccorrerlo ci voleva di più miracoli , cos"i non ab- uf
bandonerà il popolo cristiano ed i di lui religiosi ordini. ==
98. Collegio, comitiva. 99. Si a i; roZs e par piì
espressivo e pittoresco , che a ce oZs e. = 102. Natura
grave. 106. Si, cosi; desiderativo. : — 107. Trionfo
regno trionfante. : — 109. Tanto tempo. = 112, Stelle
gemini, che, secondo 1' Anonimo, è sigaiticatore di scrittura Pi
scienza e cognoscibilitade. 113. iti cono s co ringra
ziando. : — 116. Que^Zi ecc. , il sole. =^ 118. Grazit
di salire al paradiso, nel cielo stellato {rota). = 123;
i^ass 0 /or t e di descrivere r empireo. = 124. Ultimi
salute, cielo empireo. ::zz:r 127. In lei, entri in lei. v. 9, 73 i
134. Globo, terraqueo. 135. Tal cosi picciolo
=: 136. Approbo , approvo. : 137. La lez. bart._ C/j
Za pon mente — im;) roi o, poiché solamente esprime i
senso a rovescio, non pare necessaria. Lo haper menomi
lo sprezza. Ad altro, a spere più alte e preziose. Probo
prudente, savio. 139. La — Latona, la luna. ^
141. Già. 2, 59 8. = 142. Tuo nato, sole. = 144
Maja, tigliuola d' Atlante, madre di Mercurio. Qui Mercurie
come Dione per Venere. 145. Il temp e rar, la com^
plessione temperata. 146. Padre e figlio. Saturno
Marte. : — 147. Dove, luogo, ora innanzi, ora dietro s
sole. : — VìQ. In distante riparo , siti, alloggiameiit
distanze. 151. i' ajola, ajetta, picciola aja, la terrsi
Areola nel libro de Monarch, = 153. Tra colli e t
foci (cosi il cod. bart. e bocc. Si trovò dunque D. nel Jnerif^i,,
diano di Gerusalemme. Occhi di Beatrice.
•n
11
iali
111
Canto XXIII.
1 — 9. Ordina e intendi : Come augello, che nella notti ]
la quale le cose ci nasconde, posalo tra le amale fronde, ij^,,
nido dei suoi dnlci nati, per veder li aspetti di loro desiati, ,|(|j
per trovar lo cibo, oude li pasca, (in che gravi labor li soiIkj,,
grati) previene ecc. Ag gr at i della Cr. invece di grati d' i^j
migliori testi non ha esempio. In su Z ' a.fr. standosi, librandoe (,,
Pur eh e, che pure affine. r== 11 s. ia plaga — frct t a, ! |,,
parte del cici media, mezzo giorno, dove il sole appare, ciijfj
dicaiido dal moto dell' (uubre , andar più lento. Pg. 23, lO -
Plaga, regione. Par 13, 4. 31, 31. = 13. J'aga, desi]
derosa. 16. Quando, tempo, come dove per luogi^j,
22 147. = 21. Frutto — spere, le benefiche iniliieni||«)fj
delle buone stelle sul bene operare de' mortali. Inf. 26, 23. Pj,,.
30, 109 s. Par. 17, 76 ss. perché nell' ottava spera, dov' eran ^
sono le magioni e le costellazioni d' ogni natura. 2V'
Senza costrutto, senza scriverlo; perchè lingua e scrititt
tura umana sono insufficienti. = 26. Trivio, Diana. Ninf thi
costellazioni belle. = 27. Seni , siti e parli. =r: 30. X *«:
viste superne, le stelle sovra di noi. = 3'2. L a l uc ent iljt
susta n zia, Cristo. 35. So pranza. 20, 97. = 3««(
Hip ara, difende. 39. Disianza, desiderio, z — : 4 lt«
Per in ciìi, con ciò che. 43. Dapc, dapi , delizie sf «k
rituali. Latinismo! =r= 49. Come quei ecc. raffr. 33, 588=5
Si risente, ha qualche sentore, scuramente si raminent Ui
= 50. 0Z»6Zi Za, obbliata; Latinismo! =r 51. Ridu\^ii'
tasi alla, lezione de' migliori codd. r=r 53. Gr a tt<i\eii
gradimento. 54. Libro — ra«.s-. . la memoria. := jl. t
Suore, muse. r= 57. Latte, dolce canto. /'iJi ,s-«i firV
pingui, feconde, rrrr CO. 3/e ro , puro , chiaro. = 62. j
s. j). , la mia commedia. Saltar, trapassar, ^rz 67. P«|l
raggio. Lezione antica e buona di parecchi codd., che pr
ferisce ancora Monti Prop. 5, 2. 68 — 76. spiegando ai
tratto di mare, dove le navi nel loro cammino possono n
inarsi alla vista d' una città , d' un porto , d' una isola et '
A noi sembra afiìnc al gr. yieoaiwaig, tragitto. Pile g gì
o p e leggio, cammino di_ mare, né mai polef^gio, sai
forse storpi, nati dall' affinità delle liquide, poscia storti
isbaglio alla simigliauza con pelago, iudubitatameute pi
poei,
^l
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
endei, ritoruai. := 18. Battaglia — cigli, luce
ccessiva, che sosteuere poteva appena. i^fl. "Fratta,
nterrotta, spezzata. == 81. Coperto (cosi) si riferisce
prato. := 84. Princ ipio di fu l g o ri, Geaii,
Imprenti, segni, intuisci col lume tuo,
6. io co, facoltà. r= 88. i^jor. Maria. = 90. Avvi-
ar, discernere, trovare. Lo maggior foco , Cristo.
. . „ capuano uella pri;,.„
corte, poi caposquadra. = CO. Espressi, chiari = G2
Tuo e /)-. s. Paolo. V. Ebr. 11, 1. = Wi. A e l b uon fil o
nel diritto sentiero della salvezza. (ii. Sustaiìzia
real complesso, stato, consistenza, o 1' insistere, la ferma
persuasione, secondo che vien presa passivamente, o attiva-
mente , cfirae presero la voce vrronTam; gii Alessandrini.
65. Arg armento prova e somma. r= (i(j. Qui ditate.
pireo. i-er ctie li en tre, pel tuo entrarvi. =£= 110. p7"'iV niT-rVi'.'V* ,T;7, 7i V ""^ "'n'J''"A""' ■" "'"''• ^= "■
igilCava, terminava. =r 112. ÌVeal, supremo. Manto,] 1^1.7°' ?l"^7'V.fft/lVÌ' ^'^ ^ P'^" <^''.''-"'' Pergamene,
>p?aveste, coperta, la nona spera. T olumi, sfere celesti I Ef^f^^^' L %-,,^ e n o v e , del vecchio e nuovo tesla-
iranti. = 113. Ferve, si riscalda d' amore. = 114. ?^^"/"---„,,r- .^^ 'j ''.^ '*!"»; =»'"S"raento^ ^
to, inspìrazìune, impressione, pare più squisito! ?,Ìl.^*'''i!i'^^l,Ì^'"^^' impotente. = 98. Bropo-sizione,
ke abitò. = 11.X i« interna rti>i, la concava su-j?',V!^-T7r^ r ;,„ /^,. f-' """ ' »«=;"'se. l'UenJe i rnira-
erlicie del primo mobile, ovvero, secondo Parenti, la parte, np';' „— _ i/o "» /; ""'^" ne. =r 110. J'ianta, cns la-
conline della sfera nona verso il cielo empireo. =^ He' mSi rri'."^-^- ii-' p''""^"^^' -^^ ^Mv^Yl'" o^'
ari;enza, veduta. = 120. S e77i e n sa , figlio , Gesù, i ^/'"'^if/J,!' ^fj^-.^-^l^V,^ «^ feJeli. -R o-
rr 123. in/in rfi/or, sin negli esteriori movimenti. ==' ?J'-,r^"'^r Ì\.'',J:jJ , donnea, fa. ali amore ,amo-
M. Candori, fiamme candide.'' = 125. F i a m m a leg- 1 H^P^..; ^^'l^!."^ rlTÌ r'^"' - =„ ^'\ f incesti ecc.
ono i migliori codd. invece di cima, eh' è meno espressivo,^"''^,^' P'" "»" f^^^^ G ovam, alla credenza che Cristo
^ ■ '198 n „„,•„„' ^„„;,'| era risuscitato, entrando nel monumento. Giov. 20, 3 — G. =
^;/'ff.* *„„?:. .i'i 132. A'on moto, immobile. ''■ ■■ " ' •■•
meno convenevole a candori
rincipìo d' un' antifona. rr= 130
>ntieae. Inf. 29, 3. ^rr 131. Arche, ricettacoli. Foro
irono. 132. Uoòo/ce , seminatrici, aratrici, bifolche.
itendi gli apostoli. Con questa sposizione nou si fa forza alla
irola nel modo di Tassoni, che la dice lombarda, e spiega
isura di terra, detta biolca in Modena. S' ella è voce d!
.aletto usata in quel senso, certo è almeno , che la siiioni-
ia con 6 io Zea (dedotto ila. (itì/.uytvv , /SwP.a.:) è una di
ielle anomalie, o di quelli surrettizj abusi proprj e iminor-
lati iu ogni lingua , che Dante almeno avrebbe fastidite. r=
13 — 135. Parla degli Ebrei schiavi di iVabucodouossore in
abilonia. Onde ove si lascio, ovvero lascia è buona
zione convenevole a si gode. = 13G — 139. Ora parla
8. Pietro. Lo antico e il novo concilio, i beati del
.echio e del nuovo testamento. Colui ecc. s. Pietro, a cni
esù diede ciucile chiavi.
2. Agnello,
= 4. Se,
Canto XXIV.
1. Sodalizio, consesso. Latinismo! rm:
esù ; simbolo dell' innocenza, o di sagrìfizio.
(ichè. Questi, Dante. Hrelibn, pregusta, anticipata
ente assaggia. =: a. Di quel ecc. metaforicamente gloria
beatitudine d' intelletto e di contemplazione. : G. Pre-
:riha, prescriva. =rr: 7. Affezione invece di sua vo-
lia hannoinolti codd. Bene; se suarugliu nniicorrispnn-
j forse a vostra voglia del v. 3. Forse è di man seconda.
— 8. i{ ora t e, innalliate, bagnate ; metal', addottrinate.
=: 11. Si fero spere, si girarono, zrrr 52. Fiaviman-
0 leggono pili codd. invece di raggiando. Quello è più
goroso. : — : 13. Tempra, macchina congegnata. Oria oli.
Snffnìrp cfimiciip 1 """, ^' """"""' """""""=• = 134. 7J a / m 8 , mi dà questo
„"/::;„"..-_!,? ^''^„. ."5' ! credere. =: 138. ^/ mi, fecondi, belli e santi. = 141.
So//era, cnme congiuntivo in proposizione relativa e di-
pendente può stare benissimo, né v' è cagione di cambiarlo
con r indicativo, molto meno di supporre un soìecisjuo. Es te,
invece d' est (voce lat.) è. Senso: si internate, immedesimate
ed identiche, che non vi si tratti più di numero, o di diversi-
tà alcuna. r=:r 142. Condizion , natura, esser. Congiiin-
s io ne del cod. antald. sembra chiosa. r=r Wì. Sigilla,
impronta, certifica, conferma. = 148. /, gli. = 151.
Cinse, come 23 , 9G. e v. 22 del e. presente.
C A !V T 0 XXV.
1. Con tinga, addiviene, accade. Latinismo. = — : 2.
Cielo e terra, grazia divina d' ingegno e di rivelazione,
e intendimento della storia. = 3. HI alti. Altri hanno pia;
altri le più volte. .Alla fine p i h è la vera lezione, e le al-
tre due 8on correzioni , 1' una forse del poeta , 1' altra d' un
saputello, a cui sovvenne del volvens aniius: a de' vo-
lumi'Hi, 119. z= 5. Uvilc, Fiorenza, riguardo a' quar-
tieri della città. Monti Prop. 3, 1. 214 s. .7^' n r//o, inno-
cente. :=r_ G. Lupi, guelfi, n^ 7. foce, lama civile.
fello, abito, difiinità. l^a paro-la agnello supaori la meta-
fora. Altro si ril'erisce alla sua magistratura civile, cioè il
priorato. Am|iiainentc tratta di questo lungo l'xo Foscolo
discorso sul testo ecc. f. GÌ ss. 9. Cappello, coron.i,
diadema di lauro. _: 12. Lei, la professione della fede.
rrrr 14. Schiera invece di spera, lezione qua^i univcr.-ale,
è chiosa. V. 21, 11. 2H ss. 153. La primizia, il primo. :
17. Il barone ecc. san .Iacopo. : IS. (ì ali zia (rosi
pure 1 ninni cr. 1, 1. CiaUizia\ proviucia della Spagna.
20. E lo uno allo altro (lez. buona più drammatica
ologi. = CaroZe, circoli luminosi. Affine a y,;oo,% tT", ■'"■. f ''' ''"''"/'<'«'.''■" i'^'^- '^'.V'»^,P''' •"••"nmaiica
, ,_ , ,, ,„ , ■• ' di alcuni testi) pa n ri e , manifesta. :=: 21. Mormorando,
>Qa?.in;, xvoog , x<'Qo;. . U. Della. 1 orelli vidde gemendo, simurrnudo, tubando. rrrr 21. fi 6 o , la contrin
inechesia dalla o per la; perchè di e da si cambiano spesse i plazione di dio. l'randv, (Uiliiiisino !) pasce. =: 2.5. Is-
ilte ne' tempi antichi della lingua. Cosi di Ila sua rie Ksolto, finito, mr 2l). Corani me, alla presenza mia. =:
'te zza o assolutamente e per »è preso, o conibinatcì con 27. /g ri i to , acceso , splendente. / incera abbassarmi fa-
iff cren temente dà buon senso. Ogni altro costrutto, ccva. =rr. 29. Indila vita, anima illustre. La lezione
me quel di por virgola dopo stimar, di modo che retoci la larghezza di innltissiiiii codd. pare pio squisita, rbc /'
/«nf e invece d avverbj, zoppichi dietr;, a rfi/T. f/a ;/ 1. , ' a//c £r rr ■: la , e Bignilica ricchezza, abbondanza, ampiezza,
mbra sforzato, ii ice /(CI sa, merito e gloria (23, 1,10 s). ' : — - 30. H o « i / i cu , chiesa Irioiitante nel paradiso, ^rr ;«.
=:20. Felice, gajo , splenderne di felicità =^25. Salta.^ Fc' v iii eh. manilostii la sua divinitii. Siati. 17. Marc. 5.
r— 3U. /in lire: idi luce divina, rr^ 38. Monti, apostoli.
.MIusinne al salino 120. :r-Tr ."9. /'u ;i r/o (latinismo ! ) peso.
z — 40. Ti affronti, t'abbocchi, rt— 42. Co » t i , auiinc
più inclite. z=— 41. Urne, dehilaincnlc. zrrr 4(i. Infiora,
iriti beati contemplativi ogni coloro sarebbe troppo sfacciato adorna, r-^ 49. Quella, Hentrirc. :— 5». Sol ecc. dio.
crudo, non che il parlare alto, volendo con cift iicccniiarc W n i?,? ia , illumina. r^ 55. i: g i 1 1 o , nwm\n. z=r-. 5fi.
diliratczza e tenerezza di canti v. girl spirituali. Onde non G e r usa l < m m e , paradiso. r-= 57. // militar, la vita
■" "■ " "" ''■"' '' ' ' '" " "" "" terrestre, t'rcscriltn, limitala, teriniiinta. Li altro senso
torce questo paH^o l go Fosr. disc. f. HI. a prò della sii«
ipotesi di \ì. rlformntoro e legalo evangelirn. Cbè iinrorrhè
prescritto non fosso altro che assegnalo, delerminalo,
lisso , — a II zi che morte 1 1- m p o l i p n s r r i r a , dire
lleatrirc 21, G — il militar però in que-la serie non puit
essere altro seniinn il tempo di militare dur.nile la sua stanza
iu Egitto. :r= fil. Forti, dillicili. r— ti3. CoHiporfi,
conceda. r=- Gì. Uitctntc, ditcepulo. Seconda, uhbi-
,62. :rrT26. Pieghe, seni, cavità di panni, le quali hanno color {
ù scnro_ nelle pitture. Ma forse pieghe son giri, volle,;
ilgiinenti melodiosi o armoniosi , come srnio dcMcritli v. 22, i
e direbbe allora il poeta, che a descrivere Hilfatti giri di
■proviamo la lez. de' codd. bari, e II. poro riri. : — 2H — ,10.
no parole dello spirito anticipate iocosamente . ciiine dice
poeta ni'l terzetto seguente Disi eghe , sciogli, dinlacchi.
=: 31. / ira, uomo. LatinÌHino ! : — ,l(i. (i audio, regno
udioso. : — 39. Mare di 'l'iberiade. Matt. II. :r— 41 s,
M ili ecc. in dio. rrr= 43. Ci ri , cittadini. = 44. /'e r,
r mezzo di. r=rr 46. ìiarcellier ( bnccalaiireiis ) seno
re, che sostiene una quislionc. ■■ 4H. /'er approvar
1, per sostenerla con argmiicnti. 2'cr minar decidere per
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
Il
disrc = 65. -tiSente, tli buona '•oglia. :=^ 60. Bontff,
abilità. Disasconda, manifesti. = fi. Deliiiisre la speme
colle parole di Pietro Lombardo scnteiit. 3, 2H. n^ lO. Stelle,
dottori e santi. = Ti. Quei, Davide = a Sommo
f/uce, iddio. ^ 73. S7)eri7io ecc. Isalm. 9, 11, leodia
inui, canti in lode di dio. = 7o. iU» a , cr.«i.aiia. = ib
Epistola 1, 12. raffr. Sai. Ili, 1. = 77. l'ij'ja come
21 91. ha il cod. bartol. Jìi))/"o, ripiovo „, „ ,
interno = 80. J 74 cen rf io, lume, anima. = 84. i'o/m o
del martirio. Uscir rfe i cani j)o di battaglia, morte. =
85 /{espiri, spiri, parli. = 89. Po H;£:o no. \\. porgono
Sosno! gloria del paradiso. Esso, segno. Lo quel che la
8P mi promette. Parenti in parentesi inchiude le parole ed
esso me lo addita, distinguendole inoltre Cdsi : ed esso:
lo 7«' addita! cioè, e Jacopo ripiglio: mei ad.,
di modo che il v. 90 continni la risposta del poeta. J\oi cre-
diamo che il punto sia da mettersi dopo addita, in questo
senso -'il vecchio e il nuovo testamento assegnano il paradiso,
e questo paradiso istesso mi mostra chiaramente quel eh' io
ho da sperare. Il verso poi 90 lo combiniamo col terzetto se-
guente : = 91. i>ice J.sfflta61,7. == 92. Do ppia
?e« t a, doppia gioia, o beatitudine eterna dell anima e ilei
corpo. La vesta, di che per altro non si trova nulla in Isaia,
fa sovvenire il poeta delle bianche stole dell' Apocalissi. ==
94 Fratello , s. Giovanni. Di gè sta, schiarita. r= 95.
Là ecc. Apoc. 7, 9. = 97. Prima, presso. Lezione vera
detrli ottimi codd. = 98. Sperent in te Salni. 9, 11. v.
V 73. rr= 99. Carole. 24, lU. r= 190. Un lume, san
Giovanni. 101. Cristallo, corpo lucido. = 102.
Lo inverno ecc. tutte le notti da mezzo novembre a mezzo
dicembre avrebbero un altro sole, come lo ha allora il segno
del capricorno , che corre di giorno col sole, siccome opposto
al seguo del cancro, = 105. Novizia, sposa novella.
Ji'oi io di vanità 0 fasto. = 107. 7> u e, Pietro e Jacopo.
- 101). Canto, parole dell' inno. Nota musica di ballo.
112. Qu e s ti Giovanni. Giacque — petto. Giov. 13.
^= 113. Pellicano, Cristo; perchè questo uccello , as-
serbaudo nel gozzo pesci per portarli ai pulcini, è simbolo di
tenerezza parentale. Fu e ecc. Giov. 19, 2li s. = 114. U fi-
do d' esser tìglio invece di Gesù. = 116 s. Mosse — da
alle chiarissimamente leggiamo co' migliori ed antichi
codd. invece di mosser — di, con che necessariamente si
dee leggere le parole, per combinarlo con mosser, lad-
dove il nostro alle si riferisco a mosse, ed ha forza di
con in. 118. Si argomenta, pensa, crede. =r
120 C/i è, perchè. = 121. Saragli, vi sarà. = 127.
Stole ve»ti. (91). Eccl. 15. Due, dell' anima e del corpo.
12S. Due luci. Gesù e Maria. Salirò 23, 86. 120. =
138. Non poter vederla, essendo io abbarbagliato nel
mirar 8. Giovanni.
Canto XXVI.
2. Fulgida fiamma, S.Giovanni. = 3. Giunse
lino spiro del cod. bart. e il. sembra correzione, ma super-
flua. Sp i ro , voce. = 4. Jiisensr, ricuperi il senso.
' 'é. Fa ragion, fa conto, persuaditi, r^r 9. Smar-
rita sospesa. Defunta , distrutta, r^^ 10. Dia. 14, 34
12. Anania, Att. an. 9, 17. = 14. Porte, entrate.
10 Le ben ecc. iddio. = 17. Alfa ed Omega
principio e line. Apoc. 1, 11. Di quanta scrittura A'
ogni scrittura, che. Scrittura continua soltanto la metafora,
e non è unicamente la santa scrittura, anzi ogni segno, pruo
va, vestigio espresso, che vii legge, esibisce, propone, mo-
stra amore, V amor mio, che in me «' imprenta (27). Il senso
dunque è: Iddio è origine <; somma di quanto io acceso di ca-
rità trovo e vello espresso dapiiertutto, e lievemente e forte-
mente-, ovvero: dappertutto il mio amore scuoprc iddio qua!
fonte d' amore, che beatilica ancora questa corte. (Questa
ri-posta sciiz' altro era a^sai vaga e generale, onde 1' am-
monizione del V. 22 ss. = 21. Cura, sollecita attenzione
r=r 22 «. A pik — scliiarar, conviene che piii chiara-
mente ti spieghi, faglio, staccio per cernere o crivellare la
biada volgendo. Vocabolo alfine a tl).m,i).vì, ù).(3j, lìXuw,
Ul. volvu, led. uitlzen. =rr 24. bersaglio, mira, segno. Dal lai.
barb. b< rsarv,birsare, gali. ant. berser, tfn\. birsclien, it. ferire,
cacciare, tirar frecce. :=-- 27. /;/i p r en t j, impronti, iiiipriina. =^
2H. Come »' intende quando è inteso e conosciuto. r:=: 31.
Ehieuza divina, f'ant aggio, soprappiù. =r33. i>e/ suo,
del divino. =rr 31. ///< r a , essenza. Lezione migliore, in-
vece d' a / 1 r o. r= 35. Cf r 71 e , vede j conosce. = 37.
/' ero, cioè la bontà di dio fonte il' ogni altra. Sterne.^
come poscia v. 40. sterne l , e \'ì st er nil mi , invece di
sceme, s e e r ii e l , sce r nil mi , preferiamo come lezione
pili squisita, che dii buon senso d' apni.Toare, confermare,
l'oinc II, 27. checché op|iongaiio gli spositorì. 1/ all'lnilà della
voce con III •■uìvruiii, ni'n^mì, iiicwì, oiion);, oi é(ì(i<)^ le assegna
la nozione del far «odo, fermo e piano. := HH. Colui, te
!<ia Ari*ioiele, l'Iuionc, u l'augora, è iaccrtu. Il primo amo-
re, essere amore il primo, o dio esser 1' amore, e percii l'
cagione unica e fonte d' ogni sustanzia. rr^r 40. Feraci:'
autore, iddio. = 41. il/ o £sè Esod. 33 , 19. = 42
Valore, unione d' ogni pregio. 44. Pr econio, bandii
(45), vangelo. Lo arcano, il mistero della generazione ei «i
incarnazione del verbo. : 48. Guarda, riserba. // som'
V rana de i t. am. , il tuo sommo amore. 49. Cor delti
Se 71 0 , i attrattivi. 50. S ?/ o ti e, palesi , facci manifesto. : 50'
Denti, motivi, stimoli, punture, macchine. Morde, sprona,
tiene, prende. : 51. L' agugliadi Cr., Giovannii
simboleggiato nell' aquila. Apoc. 4. 55. Morsi, stimoli
pungoli , motivi. 58. Lo essere ecc. come effetti di
bontà divina. : 62. Torto, falso , perverso delle cose:
mondane. 64. /^r o ti rfi, metafor. creature. = — 60i
Bene, perfezione. Porto, comunicato. : — 70. Raffr. Pgl
17, 40 ss. Disonna, rompe il sonno. : 71. Spirti
vis,, virtù visiva. 72. Cronna, tunica, tonica , memi
brana. 74. N escia (latinismo!) priva di discernimento;
75. St imativ a, giudizio. 76. Quisqui l iaì
cispa, immondizia, o ingombro, impedimento. r= 81. Quarti.
lume. Adamo. : 83. Vagheggia, contempla lieta!
mente, adocchia. 84, Lapr. virtù, iddio. = 8lj
Flette (latinismo) piega. = 87. Sublima, innalza. =
fc8. /7i tanto in quanto, mentre. 91. Pomo. Rafft]
04 ss. 93. A uro (latinismo) nuora. : — 94. Supplice^
Diastole fa penultima lunga. = 96. iVoTi la dico. Lezioni | (,
indubitabile antica invece della inetta la ti dico. v. 105 « jj,
= 97. Co t» er t 0 d' un panno, o drappo. _/>r og:/i a, si movejj,,
agita. 99. /ti vog' i i a, copertura, inviluppo. = lOCp;,,
Primaja, prima. 103. Pro ff erta, manifestata. =;i;i,i
106. Verace speglio, iddio. rr=- W7. Par e g He \e f^^
zione degli ottimi ed antichissimi codd. Or se jia r eg' / i e .j[
p aregi io , o parelio si prende per quella meteora, doV|(
il sole dipinge la sua immagine in nuvola, ognuna di quest |j'|,
lezioni pub mantenersi; perchè i Greci hanno /Ta(iti?.io;, e ti i
naoìiXia. Ma perchè intrudere qui il sole in luogo dell =
specchio '?- Se D. invece di specchio, vecchio disse spe "
glia, veglio, non poteva egli dire anche pareglio &■■ ,
esempio del fr. pareli, che pure è il gr. n:aQce?.ki]?.o; , in j|f
vece di parecchio, cioè simile'? massimamente poiché volt d
il pensiero; dio creò tutto secondo la sua immagine, simile ^g,
sé, e niente, uiuna creatura creò dio simile a sé'? dio rend (
tutto simile a sé, accoglie tutto in se, ma niente può rende
lui .simile a sé, accogliere dio in sé; contiene tutto in sé e d
ninna creatura è contenuto. : 103. Quanto tempo. r=:
Ilo. Eccelso giar dino, paradiso terrestre. .= 112. F-
— miei, godei la vista del paradiso, vi stetti. r= 115. O;
dunque. Legno, albero, frutto. — r 117. Il trap. de
segno, la disubbidienza. : 118. Mosse, fece partir»
Quivi meglio si legge che quindi, da questo luogo. =
119. Quattromila trecento e due volumi, rivolgi
menti periodici del sole, o anni, risultano dal computarsi anr
5232 scorsi tra la creazione del mondo e la morte di Gesùn
perchè da 5232 tolti 930 anni che visse Adamo, restano aurj
4302. — Concilio , beata società, adunanza. Monti Prop. 1,
2. 173 .s. rrrr Vii. Lui, il sole. Lumi, segni. := 12'ìjjo
St rada. Zodiaco. Nove e ento tren ta. Gen. 5. r= Vii
Inconsumabile, imperfezionabile. Opra, torre babi
Ionica. = 127. Altri leggono effetto raziocin abili
cioè cosa fatta dall' uomo razionale, invece di affetto rato
ziona bile , intenzione, tendenza ragionevole, che pure dj
buon senso. :r:^ 129. // cielo, il molo e 1' influsso del cielc „
131. Cosi o cosi, che 1' uomo parli in questo modo, (.
in quello. = 132. ./ 6 6 P / / a. Pg. 2ti , 140. = Vii. EL
l/osi incontrastabilmente i.i ha da leggere invece di Un, o ,|^
(che vogliono esser J e ho vali), o /, che, forse segno di numeriiie
venne chiosalo con u 71. V. de vulg. eloqii. 1, 4. ^= 13tp.
/;/l. Matt. 27. r=z 139. /t/o7)Ie , Purgatorio. :rrr 141,,,
Dalla ecc. dall' ora prima del giorno sino alla settima. lii,j
giorno diviso in dodici ore, la sesia è il mezzogiorno, e seL
con da, seguente, è la settima. :=r 142. Coinè, quando. QuaL,
dra, quadrante, quarta parie del circolo, cioè gradi novanti ,\,
L' opinione per altro è di Pietro Comestoce stor. scoi. e. 2J.,|ij(
Canto XXMI.
10. Le quattro face (faci) ». Pietro, s. Giacomo J'
Giovanni , e Adamo. = 11. */ u e/ /a ecc. s. Pietro. :^ ',
14. Qnal div. vermiglio di candido. =t= l.i. Penne biaH
che e rosse. = IO. Co /7« ;>« r f e , distribuisce. = U
I ice vicenda. ^:r 19. y'ra s e o / o r o d' ira. = 4
Quegli ecc. IJonifazio Vili, d' Aiiagna. Loco mio, sedi
papale = 2i.Cimitcriomio, Roma. = 2»' J
« e r I) e r « » Lucifero. = 27. PI ara, compiace. == »
Color rosso. Avverso, posto dietro ad essa, volta la tv
eia rm 31. Permane (latinismo!) sta. =: 33, Fani
fa. = 34. Trasmuto semh. ùi vergogna. "' '■
sup r. poss
Gesù. = 40. Sposa di Cr., chiesa.
ÌCLÌnoè Cleto, papi martiri, successori di Pietro.
36.
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
4. Sinto ecc. altri papi martiri. : 45. Fleto, pianto.
= 47. Par t e guel la. =^ 48. jPa r (e ghibellina. Altra
ìniatra Accenna Matt. 25, 33. óO. Si f; n acuì o, forma
litica invece di segnacoli). .52. Sigillo nelle bolle
apali. 5(i. Paschi, vescovadi. 57. Difesa,
ontro air audacia ed enormità de' l'ontefici , che stavano per
ere ii saligne de' santi e sfidare 1' onnipotenza, cioè iìnal-
lente vendetta. Ugo Foec. Disc. 403. Giaci, dormi.
■i. Caors ini, Giovanni XXI. di Caorsa (Inf. 11, 50) eletto
el 1316 (dove fu dunque scritto questo canto. Troya, V. A.
io e. sospetta che parli il poeta se non di Matteo \ {sconti di
astrucciu Castracani. Guaschi, Clemente V. di Guascogna.
— (il. Con, per mezzo di. _ ti2. Difese colla rovina
i Cartagine. : — 63. Soccorra, soccorrerà. Concipi o
atinismo) immagino. t)4. Pondo, peso del eorpo.
', Fiocca, s' empie di fiocchi, ondeggia, oscilla. Alfine a
P.ao) , ipì.toì , <p?.iyo) , spirare, fiatare, come a Tt^.toj, T/.ato,
le hanno tutti quanti le nozioni del fluido, acreo, ondeggiante,
eno e folto. J'apor gelati, falde^ tìocchi di neve. ■ —
ì. <ìuando ecc. di verno. : — 71. f a por, spiriti, turba.
, 131. : 72. Fa tto av ean s og giorno, rimasero.
, 127. = 73. riso, vista. = 74. Mezzo, quantità
terposta tra V o!?getlo e la vista. Lo molto, la lunghezza,
stanza. : — 7ti. D onn a. Beatrice, yl ss ut te , Hbrigalo.
= 77. A dima. Pg. 10, KlO. = 78. / o/to, girato. =
G uar dato pri ma aWa. terrsi. 22, 151 s. 80. /o
'di ecc. il segno de' gemelli che sta quasi sopra al primo
ima di latitudine boreale, era passato dal meridiano air
zzonte occidentale, erano passale sei ore. 1 1 pr imo clima,
cui latitudine è di 15? , incomincia da levante , e disten-
si lino a ponente. 82. Gade, oggi Cadice, il lìto
>anìco orcideutale. Varco, oceano varcato. 83. Folle.
f. 2(j , 100 ss. Vi qua, nell' opposta orientale narte del
stro emisfero. _ 2/ Jto fenicio, onde Giove trasformatosi
vago toro rap'i Europa, lìglìa d' AgjMiore, re di Fenicia.
67. Un segno piii p. distante più di tutto il tramez-
(ite toro. Sotto — p. per essere il cielo delle stelle lisse
alto del cielo solare. 88. Donnea. 24, 118.
iì i rf u r e, ricondurre, riaffissare. 91. Pasture,
llezze, onde pascere. 93. Carne, corpo. 97. In-
cise, (latinismo) concesse. : — : 98. Nido di Leda, il
rno celeste de' gemelli. Divels e , dislacci), scostò. 99.
e l velocissimo, spera nona , primo mobile. Imp uls e
cod. bart. ha pulsr) spinse. r= 100. / ivi ss ime pel
to. Molti codd. buoni ed antichi testi han vi ci ss ime, vi-
e r una all' altra, o alternanti, da vicissim (secondo
sta, che conghietturava vitis siine dal fr. vite). Ancora-
; la parola stessa non paja di buon conio, si potrebbe non
meno che fosse di prima mano, cambiata poscia con vi-i
Sdirne, perchè non guari diircrcnte nei scuso, mentre s'i
vicinanza , che 1' alternazione suppongono molo velocissimo
ivissimo. : — ioti 8. Che — mezzo, circolar. 108.
'.in CI, da questo nono cielo. ,11 o n </ o invece di moto, che
1 troppo bene «i eongiungerebbe con move, è lezione an-
1, buona, e vale natura naturata, il mondo sensibile, crea-
naturale. // mezzo, il centro, la terra. : — 109. Dove,
go. 112. Luce ed amor, intelligenza amorevole.
un cerchio, a guisa di cerchio. Lui il cielo nono,
m/) re n rf p , comprendono , circondano. : 113. Pre-
ito, cerchio. r=r: 114. Intende, abbraccia coli' intcl-
o e governa. Colui — cinge, iddio. r-= 115. Aon
. il suo moto non è misurato da altro moto. =^= 117. iS'i
me die ce, numero maggiore è prodotto e misurato da'
zzo, cinque, e da quinto, dalla quinta parte, eh' è il
, dunque da numeri minori, rr— 118. Testo, vaso. =r= '
Ha dici, origine. Le fronde, il misurature a noi vi-
le molo. ■- — 121. /If fonde, kominergi. — = 120. i
zzacchioni, aborti, frutti imperfetti (lei susino. Su-^
le, prime, prugne. / ere, buone, i-r- 127. Heperte\
inismo), trovale. =: 129. Co per te dalla barba. :r^ 131.
n la linf^ua sciolta, divenuto grande. =^ 133. Luna,
;ioiu; di digiuno trclesiastico. :r — J3ti. La pelle binn-
, la beltà. : — 137. Sei primo aspetto, nella prima
de. li ella ecc. natura umana, bella tiglia del sole. r^
Chi governi, nuuiarci , iuipcradorc. r-r: 142- Si
e mi hanno i migliori corld , e 1' omlsNionr del ai provirne
correttori oirrsi da qurl Ginniijo invece di gennai (^■. l'g.
22. 14, (iO. l'ar. 15, 110.) :— 113. Cent esina, centc
a, .nìnu/ia dì tempo data >li piti al molo periodico del noIc.
iputandosi di giorni ;ili.i ed ore prccikanienle (i, e tanto di
che in ceiito anni veniva a formare un di. r— r 111.
ggeran sembra da preferirsi come più cnergiro, si voi
anno Hirepitosainenle, a girerà», flie par piiilloHio chio-
rr— 115. La fortuna ecc. il veltro, ('an (ìraiide. =r=
Le ecc. farìi mutar agli uomini costume, rifornturù lu
0 dello cime.
Doppi
piali. Dal l
Canto XWIII.
rro, torcia di cera, composta di stoppini rnd
basso lat. diipUriu§. 11. Li miei occhi.
T olume, cielo. =r 16. Un punto, la divinità = 17
l iso, occhio. Affoca, illumina. =^ l'j. Poca, picciola'
== 22. Alo n halo, voce greca , alone, cerchio colorato
int.orno al sole ed alla luna. Cos'i conformemente a buoni codd
ripose Lombardi. =r 25. Igne, fuoco. Pg. ;:9 , 102 n^ Si'
Sen giva, invece di seguiva, leggiamo col cod. di Pog-
giali. Sj)ar t o, steso. z= 32. 7/ messo di Jun o. Iride
= 33. Arto, stretto. = 30. Vallo uno, dall'' unità
=r 37. Sincera, pura, lueida. 39. s' invera'
partecipa e s' imbeve. Da y ero. rr^ 48. Sazio, saziato'
soddisfallo. :=r 54. ^ m o r e / u e e. 27 , 112. = òó.LÒ
esemplo E lo es empi are , il mondo sensibile col mondo
intelligibile, eh' è suo esemplare. (lO. Tanto sodo
difficile a solversi. b3. 2'i assottiglia, aguzza 1' ingegno'
== 04. Cerchi, eìeii. Arti, stretti. =; 07. Bontà
virtìi. = |j9. Co ra più te perfette. 70. Costui^
questo nono eielo. Rape, rapisce, tira seco. 71. Se-
condo risponde (lezione di buoni codd. invece di seco
corrisponde), concorde corrisponde, n^ 72. CAe sape"
che spira maggior sapienza ed amore, quello de' serafini. : — -
73 8. Circonde la tua m isu r a , misuri. Par v e nza
apparenza, per estensione locale, r^ 75. Sustanzie an-
geliche. 3'onrfe, disposte in cercbj. = 78. Intelligenza
direttrice, angelo motore. V. 8, 34. r= 81. Zeno fiacco
debole, meno impetuoso. = 82. Roffia, ruffa ,' roccia'
lordura che sulle monete ed altre cose eoi maneggiare cagio-
nasi, rogna, tigna, crosta di rogna; qui ingombro di vapori
nebbia, nuvole. Biagiuli lo deriva dal provenzale rofflée.
Sembra affine a (,vrio;, sucidume, o a (lòino;, roba.
84. Paroffia spiegano comitiva, cioè sole, luna e stelle;
o parte, coadunazione. La prima di queste sposizioni sembra
preferibile, benché 1' origine della xoce sia non meno incerta
di quella d' una voce scozzese simile par affi e , che vale
mostra, pompa, ostentazione. Se poi questi vocaboli abbarbi-
chino ivk oiam, o.iuìio, Itcu, oppure la ora), ùiTut , uw,
u.io;, o finalmente siano il greco naomrrig , altri decida!
= 88. Ristarò, cessarono, terminarono. r=rr 89. JJis-
favilla manda faville. = 91. Zo i ne e n dio ecc. ogni
scintilla prosegui a sfavillare e dividersi in altre scintille.
93. Il doppiar de^li scacchi (non sciocchi, come vo-
gliono leggere alcuni) la progressiva duplicazione da mio, due
a quattro, otto ecc. sino al se-santesimo quarto scacco Allude
ad Ebu Uahir, che si dice aver chiesto in premio della sua
invenzione un granello di froinento duplicato e reduplicato tante
volte, qnant' erano scacchi nello scacchiere; numero stermina-
tamente grande ! = 94. Osannar, cantar osanna, l'g. II,
11. r= 95. Punt 0 f isso , iddio, v, 77. Ubi, luoghi.
90. Foro, furono. =r 97. Dubi, dubbiosi. Latiiiisuio!
100. /'imi, legami (29, 35 s.) d' amore. r= 101. Somi-
gliarsi contemplando. =: 103. ,-/ ni ori, angeli. J'onno, \z.a-
no.=:r ltì5_. T erna r o (il cod. bart. ha t ri n a ro, come trino
24, 140. 1.5, 47.), gerarchia di tre coriangelici. Te r m i n o n no,
terminarono. — Seguita Dionisio Areopag. de caci, bierarch. 7.
== ioti. J>i /e tto tanto. = 108. /ero, iddio. = 109.
/' ed e, eontcìnpla. = 111. Seconda, siegue. Assente
con cii) a san Tommaso contro Scoto. : — 112. .Mercede,
opera meritoria. Inf. 4, 34. rrrr 115. Germoglia, si con-
serva lieta. rrTT HO. In ecc. del paradiso. = 117. Aot-
turno ariete, l'autunno. : 118. Sverna canta in
primavera. Monti Prop. 3, 2. CVI. 119. M) lode 14,
122. 120. S'interna, s' intrea, si cninpone in terna-
rio. 121. Le alte dee, intelligenze motrici. Cosi buoni
codd. invece di le tre dee, o /' altre dee, a le altre
idee, -^ — 121. Penultimi, selliino e ottavo. Tripudi,
cerchi tripiidiantì. = 127. Di su, dall' allo. Rimirano
(non »' ammirano, come hanno iiiirccfhi niss.) >er»o dio.
rzrrr 128. IJi g i il , sccoydo che a dio sfiiio piti \iriui.
IW. l^iun iiiio Areopagita. r=^ 133. Gregorio .Magno.
= 138. Cbi ' t vide , enu Paolo.
Casto XXIX.
1. Ambo edue-~Lat., il sole o la luna, z — 3. Fan-
no a sé , ( i ;i f u ro , sono cinti. t^~ 4. il reniti libra
<KOhi il cod. barlol. invece di li tieni- in libra, n il zenit
si' i n l i b rnj il punto di incz/o dell' einiNperìo gli (Inf. 7,53.
Par. 12, 20) bilancia, aggiiiHla ; cine Hianiio in uno stesco orÌ77.onte,
facendo egli con rNHiunirianiiolti i^ucele, i|iiaiidogli haeqiiidis-
riiiti ilasr. — : 5. Ci'i to, rercfiio orizzontale. • 0. .S'/ di I ibra,
si toglie dall' equilibrio, r-r 9. /'"in ,i. Parenti \ noie che serva alla
operazioni della incute, rome Jisio n soggetti materiali,
/'il o ( o , iddio. : — 12. il !• e — quando, in dio, ove In
renlro si riuniscono o spazio e tempo. r^— 13. terre,
ollciicre. : 14. Cb' esser non può, perchè niciile in.inci
in dio Spi in d o r e, la divina idea splendente nelle rrrnliire.
13 , .iM H. 20, 33. 33, 115. — 15. .S o A * i » t « , sono. Dice
diiiii|iic : non creii dio gli nugrli per NU|i|ilire o ag|;iiignerc al
suo elisero bealo, eh' è ro»a iinpoNsibilc , ma per gioire di lu.i
m
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
beatitudine, sapienza ed amore. 17. Fot — compren-
der, in maniera ad altra niente incomprensibile. /, a lui.
liif. 10, 113. Pg. 12, 83. Si aperse, si mostrò, si palesò.
No V e invece di nov i leggiamo con parecchi codd. buoni, in-
tendendo le nove gerarchie angeliche (28, 103,). = 19. Prima
di creare. T or pente, inerte. 20. Ne prima ne
poscia, fuor d' ogni tempo. Pr oce dette sembra preso in
tengo della teologia scolastica. Giov. lo, 26. do%e pr oc e il er e
è la traduzione Viilg. La serie di questo nostro passo mostra,
che signilichi operare, mostrarsi in alto, perchè si oppone a
giacque to r p e nt e. Onde precedette è senz' altro le-
zione guasta. 21. Lo discorrer, lo spirito, come
logos e verbo si usarono. Sopra queste acque allude
a Genes. 1, 2. 22. Forma, forme sostanziali. Materia
prima, siibbiettu di tutte le forme sostanziali. 23. A d, da.
Atto di dire:/ia£. Uscirò, vennero ad effetto, all' es-
sere, come hanno alcuni codd. invece di atto. 29.
Raggio, USCI raggiando. 30. Uistension leggono
il cod. bart, e fl. invece del volgare d i« fin zion. Questa
lezione pare che meglio quadri all' intervallo del v. 27., al
28, 67 s. e finalmente sembra espressione scritturale, v. Giob
9, 8. Salm. 101, 2. : — 33. Puro atto, virtù d' agire nelle
altre sostanze , non potenza di ricevere. Cosi gli angeli. : —
31. Potenzia dì ricevere. Cosi i corpi sublunari. 36.
T'irne, legame. Divima , diocioglie. Cosi i cieli. Distingue
dunque sostanze di puro atto, creature che ricevono, e crea-
ture che ricevono ed agisccuio o fanno (2, 123). 37. Lungo
tratto riferisci ad angeli creati. :=4Ó. Vero di crea-
zione contemporanea. Eccles. 18. Lati, luoghi. 42. Le-
zione del cod. bart. invece e tu lo V e d e r ai,s e bene a g na-
ti, z — 41. 1 motori, gli angeli. : 46. Dove, in cima
de] mondo. 32 s. Quando fuori di tempo. 16. 47. Co-
me, perchè lo splendor divino potesse ecc. 14 8. 51.
'furbo, sconvolse. Il s ubi et l o rffi' vostri elementi,
la terra. Poiché gli antichi ed i Sanesi promiscuamente dissero
elementi ed alim eiì t i, come elefante ed olifante,
eì trova ancor qui alimenti in alcuni codd. : 52. /ti-
nta se fedele a dio, iu cielo. QuesV arte, la beatilica
comprensione di dio. 54. Circuire, aggirarsi intorno
al lucidissimo punto. 28, 28 ss. : 57. Co str etto , confinato
e oppresso. 59. Riconoscer se della b onta t e ,
Buppl. effetto, opera. : 65. Meritoro, meritorio. ==
66. Lo affetto, V amore, 1' inclinazione. Le, alla grazia.
^=: 69. Ajutoro, ajuto, adjutorio. r= 75. Equivocando,
sbagliando. Zettu r a, dottrina. : 76. Fur gioconde,
gioirono. 79. 7~ed ere, intendimento. Interciso,
interrotfo. 81. Diviso, allontanato. : 87. Appa-
renza, r ombra non vera, il riflesso. 89. Posposta,
eprezzata, posta in non cale. 90. Torta, stiracchiata.
= 92. Seminarla, spargerla. 94. Appare r, com-
parir dotto, far pompa. 95. Trascorse, trattate, dis-
corse. : 100. E mente; che la ecc. Cos~i evidentemente
si ha da leggere cogli ottimi codd. , come mostra pure la cor-
rotta lezione mentre d' alcuni codd. 103. Lupi e
Bindi, corruzioni dì Jacopo e Aldobrandino, o Albino assai
frequenti. 107. f'ento, ciance. lO'J. Convento,
collegio apostolico. Hi. jTo;; fo , solamente, soltanto.
Sono nelle sue guance, risuonò dalla lor bocca, o
predica, zirrr 115. 1 se e de, scede, bulfonerle, Canz. 13, 2.
j2. : UH. Becchetto, striscia doppia del medesimo
panno, che va fino in terra, e si ripiega in sulla spalla destra,
spesso s' avvolge al collo, e intorno alla testa. Uccel non lo
spirito santo, la colomba bianca, anzi il diavolo. 121.
Santo Antonio, abate, autore della vita monastica in
Egitto nel principio del secolo quarto si dipinge col porco a'
piedi in simbolo del demonio vinto. 126. Moneta senza
conio, false indulgenze. :^i- 130. Natura angelica. 4i'
in grada, s' innalza. = 134. Daniel 7, 10. 135.
Si cela, non si manilcsta. : — 136. La prima luce, id-
dio. Raja, irradia, illiunina. 16, 142. : 138. Si appafa.
si coiiciogiie. =r^ HO. Se gu e l o affetto , corrisponde 1
intensità dell' amore. := 141. Ferve e tepe. Latinismi!
=:; HI. Speculi, epecchi, angeli. Si spazza, ni mol-
tiplica.
Canto X\X.
1. Forse, circa Seimila miglia. Girando la
terra 216IIU miglia, in ragione cioè di nilgliu 60 per ogni gra-
do, na^re a noi il sole, qu.indo dalla banda orientale in luogo
da noi distante la quarta pine del terrestre giro, cioè miglia
5400, è il iiie/./.ngioriio - — 2. Ci, da noi Italiani. Fé r v e, scalda.
La ora sf sta, il mezzogiorno. Questo mondo, questo
terraqiiio globo. r:=r 3. La ombra, 1' oinbro.Ho cono. Al
letto piano, alla linea orizzontale del luoi;o , a cui inco-
minciano le «Ielle a disparire, i- l. Il I» e :; ;:», il sommo, lacima.
Profondo, allo : — U.I-'erde il ;> a rf r r, cessa di apparire.
Intino a tjiii uto fondo, iiilìiiquaggiu in terra. I.La
r II i a r i t » t III a n v r r 1 1 a del » (i /, ì' aurora. I> i vista in
DÌ«ta,dÌMHllain Klella2, ir>. =9. liella, lucida, Biella mat-
tutina. Dice dunque ju queNie tre primi terzetti: come
nello fipuutaredeir aurora I umbre m dileguano, e spariscono a
poco a poco le stelle sino anche alla mattutna, cosi ecc
10. Il trionfo de' cori angelici. == Lude, festeggi;
r= 11. Punto, iddio. Ti use, abbagliò. 12. Quel
que' cerchj angelici. = 13. Si e« lin s e, sparve. z= 15'
Nulla vede re , lo sparire degli angelici cori. 16. Si
dice, è stato detto in questo poema. 18. Poca cioè
joda. CoM i codd. bart. e fl. A — ni ce ad esprimere quel eh'
io dovrei dir questa ^olta, in questo passo, come dice poscia.
=^: 19. Si trasmoda, eccede ogni modo. 21. Su-
prato, superato. r=n 25. Come sole suppl. scema, in-
fievolisce il viso, r occhio, cAe più trema, che più am-
micca, batte. In questo mudo corrispondono sole e lo vi-
ni embr ar , il viso e la mente, né bisogna leggere colla
nidob. ed altre in viso, z — 29. Questa vista, qui tra i
beati. 30. E pr ec iso , fu troncato, interrotto. 31.
Seguir, continuare a cantare. Alcuni hanno cantar forse
disviandosi nel v. precedente. Desista, cessi, tralasci. : — -:
33. Ultimo, ultimo sforzo. Ciascuno artista. Alla
toscanomania sola, del cui parossismo s' avvidde già Varchi I
al primo sonetto di IVlichelagnolo Buonarroti , si deve seuz'
altro la lezione buon citarista. z — 34. Maggior
bando, banditore di maggior voce. ; 35. Tuba, forza
ed energia poetica. Deduce terminando, conduce giù
al suo termine. 39. 3Iaggior corpo celeste, che
tutti gli altri inchiude. Ciel — luce, empireo. 42.
Dolciore invece di dolzore ha il cod. bart. Dante non
ama la z. 43. i a — milizia, gli angeli buoni, e gli
uomini forti in virtù. 44. La una, gli uomini. Aspetti,
forme corporee. : — 45. Alla ult. g., nel giorno del finale
giudizio. : — 46. 1* i 4 e e t f i , disgreghi 5 separi, disunisca,!
Da dissepio, discepto. : 48. Atto, azione, im-w
pressione, impulso. 52. Lo amor, iddio. Queta, ac-:'
contenta. 53. Con «ì, (lezione buona antica, invece dia
e o sì) fatta salute, con fulgor o lampo abbagliante saluti-
fero. Chi desidera oggetto dell' accoglienza, supplisca il can-
dela, che sarebbe come luce in altri passi moltissimi, ani-tnl
ma beata. . — 54. Fiamma , grazia e carità. -; — 58,fi
T'ista, virtù visiva. : — 60. Difesi contra 1' abbaglia-
mento; cioè non 1' avessero sofferta o vinta. 62. Ful-\ì:
vido difenderei contra/u/ §• i do (che male, per quanto pare,
s' identifica con /iti r i d 0 , mentre questo qui appartiene a
(p?.fYco) fluido e fluvido (vocabolo dì conio non troppo"
eccellente). Fui vido anzi è spezie e gradazione di giallo,
che dà nel rosso, come pur /u^t;us e helvus, donde discende
e tutte queste parole essendo affini ad albus , (palio:, falb
gelb, seguano i varj momenti e gradì del passaggio dei biancolj^'i
(scolorilo), tra il tjuale e il nero (privo di luce), come lor poli,
si muovono i varj colorì, cioè i passi, o pa.ssaggì alla materia,
Cos'i la luce passa dal bianco per mezzo di giallo nel rossci
Se si avesse qualche cosa da cangiare, tutto al più scrìverei i
fulvida , riferendolo a riviera, di modo che sarebbe riviera,,
folgoreggiante e sfavillante in giallo; fenomeno che offre ogniujj
fiume rischiarato dal sole. r=^ 68. Gurge (latinismo) vori,,.
lice, fiume. = 70. l/r^ e (latinismo) stimola. = 71. T'eùk,
vedi. =: 72. Tur gè (latinismo) gonfia, è grande. = 7(4; -^
Topazii, faville della fiumana. r= 78. Ombriferi prei
fazii, inizi adombrativi, adombramenti preventivi :=: 79
Acerbe, forti, dure a intendersi. 81. Superbe, chi
tanto possano. 82. Rua (latinismo) sì precipiti, si voH
in fretta. 87. Si d eri t' a , scorre. S'' immegli,
faccia migliore. = 88. Gronda, estremità. r=r 96. Amò
le corti v. 43 s. angeli ed anime umane = 97. I spi et
dor di dio, perchè il fiume è la grazia illuminante. =z 9!
T idi. Osserva il vidi tre volte ripetuto in rima. = W
Passi ecc. questo cerchio in quanto apparisce, è un sol raj
giù unito, è tutto raggio. :^ 107. Sommo, convessa s
perfide, nrr 109. C i i l' o , collina. =t. WÌ.Nell' erb
Cosi parecchi codd. invece di nel verde. = 113. Sogli
gradi. 3, 82. IH , 28. = 114. Quanto quante anime
117. Rosa, scala celeste imitando la struttura d' una rosa.
31. princ. = 121. Pon, aggiugne. Leva, toglie. =-r 1
N ulla riliev a, non monta, non conta in modo alcuno
124. Nel giallo, ili mezzo e nel fondo, dove sono
fili gialli. = 125 Digrada. Cosi il cod. bart. meglio ch(
ri grada, v. 32, 14. Redole (latinismo) olezza. r=- 12^
g„l — verna, opera primavera, cioè dio. i=^ 129. jBiai
che stole, genti adorne di bianca stola. Apoc. 6, 11. •=
135, A queste — ceni, goda del paradiso. Apoc. 19. :=
136. ylugosta, di dignilìi imperiale splendente. Fi a il
ì!i
Ile-
lira
1308. = m. Arrigo di Luccniburgo. />» r i i i a r <' , por
in ordine. = 138. Disposta, coltivata abbastanza, IQ
tura ed atta. = — 139. Ammalia, alfatlura, aflascina. :
140. / i, Finrenliiii guelfi. ^— U2. i'r c/e fto, pnntefi< «ili
■ — 143. Tal (demente V. Palese — cammino^ si oppor : i
ad Arrig<) con iscoperti e con occulti provvedimenti. Si spai «il
il roinore, che Arrigo fosse avvelenalo coli' ostia o calice i
prendere 1' enraristia in Uuoncoinento dal DoiuLnìcaiio FH
Bernardo da Montepulciano, .-r- 145. i'oco, anni nove, dal
1305 al 13U. =r 147. Lti dove ecc. nella bolgia de sini^ii
niaci. Inf. 19. = 118 Quel di Alagna, Uouif'azio MU.
d' Aoagni. Inf. 18, 76 ss. |
if
a!
i
1
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
Canto XXXI.
2. La — santa, V anime umane beate. : — ^- p] altra,
egli angeli. := 7. S' infiora, si mette su i liori. :=
S' insapora, si converte in mele. 13. Fior, gran
scinto fatto a giusa di rosa. 17. Por g e v an , comuni-
ivano. IH. f entil an do, percuotendo con vento. Pg.
I, 49. 19. // disopra, la divina sede. : 21. La
ista ecc. di dio. 26. Antica e novella, del vecchio
del nuovo testamento. 27. Avea rivolto. : — 28.
iella, essenza. 29. Appaga, contenti. : 30.
roccll a , iieriglio. 31. Plaga, parte del mondo.
;. Elice, V orsa maggiore, constellazione vicina al palo
•tico. Intendi dunque plaga delle piii settentrionali. 33.
iglia. Boote, Arturo. 3-1. ir' ardua sua opra,
sue fabbriche eccelse. 35. Laterano, Roma.
. Fiorenza ingiusta ed insana. =: 42. Libito, pia-
re. = 49. Sua di, persuadenti, incitanti. 50.
< t r 7/ 1 , divino. 38. Uno spirit». Intendeva di
•mandare. == 59. Sene, vecchio, san Bernardo dell' or-
ile di Chiaravalle, circa il 1115. = (iO. Con, alla stessa
pgia. : til. Gene, gote, guance. 64. Ella, Bea-
ice. _ tì8. Dal (lez. di buoni codd. invece di del) come
, IG. cioè numerato dal. 19. Sortirò diedero in sorte.
= 77. Faceva, la (hVtanza. 78. Mista, alterala.
= 79. f ige (latini#ni(i) verdeggia. SO. in inferno.
Inf. 2. 84. fi r tu te , forza. := 87. Che, coi quali.
■= 8S. Munificenza (cosi li testi antichissimi, invece di
agnificenza) benefìci. = 90. Si di s n o d i, si sciolga, -zir
.Eterna fontana, iddio. 94. Assommi, riduca a
ropiuto termine, nr 95. Prego ed amor san t oA\ Beatrice
. 97. G in r d i n o, paradiso. =r 98. Acconcie rà (lez. più ele-
nte e squisita d'ottimi codd. invece di accenderà, u acu-
à) renderà abile ed atto. : 100. Onde, della quale. =: 104.
a J er onic a, il sudario colla immagine espressa del re-
ntore. 105. S i s a zia di mirare. : lOr. Iddio
.ece di re del cod. bart. si deve seuz' altro a pio fervore
gmatico intempestivo, z — 110. Colui, Bernardo. 112.
uè sto esser giocondo, questa pace. ^=: 114. Qua
'uso al fondo, nella parte infìma del paradiso. 122.
8 tre rao , luogo supremo. : — - ÌTi. L' a l ir a fr o nt e, la. \
rtc op|)osta. r= 124. Temo, carro. 125. S' infiam-ì
a r aria, o il lume. mr 12H. Si fa scemo, si perde. |
- 127. U rifiamma (cos'i il cod. bart. invece di or tufi-'
nma, convenevolmente al fr. oriflamme da aurea
anima) vessillo o bandiera bellica e sacra nelle processioni
sliane. Cos'i a|ipclla la Vergine. : — 129. Allentava,]
norandosi andava. La fiamma, lo splendore dal mezzo
lesso e raggiante. =rrr i:i0. Penne, ali. 131. Fes-
nti, fcftiggianti. =^ 140. Valor, Il cod. bart. ha caler,]
dere sfa\illando, sfavillare, (^he che si scelga, la tautolo-
i noi! si perde, e purché codd. o tesli non fossero av\ersi,
a lievissima iniitazionu di calar in color »' accrescerebbe
n poci^ la bellezza del passo, essemlo noto a' fisici, che il
lor rosso ha forza scaldiinle. v. Stiffens (ìruiHlziigc iler phi-
\atur«is8eiiwch. S. 114. OLcn Lelirbucli dcr \aturphi1os.
102. fioelhc Farbeiilehrc l, 249. Se ipieslo quadri e corris-
uda alla sceneggiatura del |>oeta, lo decidano i lettori.
Canto XXXII,
1. Affetto, alTezinnatn, alTettuosainentc fisso ed aittento.
iacer'y oggetto piacente. Viaria. : 5. Quella Eva.
ai, ai. r— - IO. Colei, lliilli , moglie di Hooz. z^= li.
mtor, Davide. r-r- la. Di fogli ai ii foglia, di
adn in grado, r—. 18. Chiome, foglie, r— 19'. Sguardo
ppio , nel venturo e nel veiiulo. rrrrr 22. Questa sinistra
seggio di Maria. Maturo, ripieno. zr^r 23. Foglie.
ali.' : 25. Intercisi, inlrrrotti. z — 27. fisi, occhi
leli. r. — 30. Cerna, separazione. : 31. Quel , scanno.
33. IJa, per. r-r- 31. Cerner^ sfparare. Sortirò,;
bero insorte, r-^ 40. Piede, ferisce, t.ipli.i, nilraversj
I suo giro. r=: 41. .7 mezzo il tratto, nel giusto mezzo
Ila lor distesa. 1) i * e r e z i o n i, llle di\ ersorie de' beati. f
A I so l ti , sciolti da' cnrporei legami, nmrli. ; — 45.
lezioni, libero disccrniuirnl». r — : 4(i. folti iiifanlili.
49. Siti (latiiiisiiui) , taci. ;_^ 50. Legame, dilficoUt'i.
- jli. Quantuni/ue, quanto mai. z — - 57. Ci, qui. r— r
h'cslinata, alfri'tlala. irrr (iO. Intra sé (lezione iii-
iitraHlal)i|e , invece ili Unirà si) tra se stessa. . — til. Ào
ae, iddio. /|« 1/ «a, ripciHa , irniiqiiillaNi. r- Ii3. AHsa\
tinisino) , ardita. lUpiii dcsidiT.ire. ; — • Ii5. drazia,]
cdlltv/.ioiu-. r — li(i. /y« etili to. il ohe, non già il perrlir.
z (i7. Ciò, colai beneplacito di dio imliiifiidciile d.il uoslrn'
Milo. ; — (iH. l}u(igemilli,tii.u>ì\At\'.ci\ l-'.-aii. Crii, i
22. Malarh. I. Hom. !l. - 70. Secondo il <■ ,, I o r diiì
pelli. Hi rondo la coniplesNÌ<iii<- dell' iidiiki, e I' iiirliiiazione
1 Huo aiiinio. r - 71. C otril v. Ii5. h n a I lis s i m o I u m . , ,
gloria. : ■ 72. ^>" incnpelti, s iiigliirbinili , h' adorili;:
ne le donne nell' iiddobbnrsi Hcelgmio i colori delle gliirlaii I
0 degli abili couforiiii a quel do' capelli. =^ 75. Oiffcl
rendo, difTerenziandasi. = 76. Li, invece di si, o si,
leggono i codd. bart. e fi. Ree enti , primi r=r tO. Penne,
ali. : 81. Circoncidere, quel battesimo imperfetto.
85. La facci a ecc. di Maria vergine. z= 89. Po rtata
dal trono divino. Menti sante, angeli. 93. Seinbi-
ante, cosa rossomigliante. 94. Quello amor ecc.
queir angelo Gabriele. 28, 103. z= 99. fista, veduta,
prospetto. 33. 136. 103. Gioco, giubbilo. = 107. Ab-
belliva, s,' abbelliva. 109. Saldezza, sicurtà lieta
d' animo. 111. folem, vogliamo. 112. La pal-
ma del trionfo sovra il sesso femminile. 114. Salma,
spoglia umana. 116. Patrici, patrizi, capitani, ante-
nati. 119. Augusta, Maria vergine. Due, .\damo e
san Pietro. Ì'IÌ. Col u i .\damo. Si aggiusta, s' ap-
pressa. Dal lat. iuxta. 123. Tanto amaro gusta,
soffre tante miserie. : — : 124. Po rf re, Pietro. = 126.
Fior venusto, regno celeste. 127. Quei, s. Giovanni
evangelista. Tempi gravi, calamità. 128. Sposa,
chiesa. :=: 129. Clavi, chiodi. ■=. 130. Lo altro, .Adamo.
131. Duca Moisè. 133. Anna, madre di Maria.
z — 136, Maggior p. , .Adamo. 137. Lucia, la santa
verariue e martire siracusana; simbolo della grazia divina. Inf.
2. 97. 138. Ruinar, abbassare, calare. Inf. 1, liO. 2,
100. : — : 139. Assonna, raetle in visione estatica. =r 143.
Pe 71 e f ri , t' insinui. : 145. A' è fo rs e , e senz' alcun
dubbio. Ti arretri, t' allontaneresti. '= 146. Ultrarti,
tendere oltre, avvicinarti. r= 148. Qu e/ /a. Maria vergine.
= 149. Segui è senz' altro da preferirsi a seguirai.
La rifutazione di questa lezione a causa della dieresi {affe-
zione) è ridicola.
Canto XXXIII.
3. Termine ecc. eletta alla divina maternità. = 5.
Fattore, Gesù, il divin verbo. Giov. 1. 6. Fattura,
creatura, tiglio. -. 9. Questo fiore, rosa del paradiso.
14. Q u a /, chiunque. 18. L l'òer a m p n t e, spon-
taneamente , senza esservi da preghiere s|Muta. .Vonfi Prop.
3, 1. 41 ss. : 22. Infima lacuna, basso centro della
valle infernale. Mouli Prnp. 3, 1. 9 s. : 24. Le vite spi-
ritali punite neir inferno, purgale nel purgatorio, premiate
nel paradiso. 27. La ultima salute, dio, cima del
paradiso. 35. Ciò che tu vuoti (vuoi. Ini. 29. 101.)
che conservi sa 71 i lezione degli ottimi codd. invece di ciò
che tu vuoi, che tu {agli) conservi, o: ciii che tu
V ìioli , che p cr s erv i esani. = 36. Tanto veder
del sommo bene. : — 39. Ti chiudon I e man i , giungono
patina a palma in alto d' orare. 40. Li occhi di Maria.
41. i\ e l f orator, (e non negli) san Bernardo. r:=:
44. Può. .Alcuni hanno dee forse con piii energia; ed
inii (latinismo, incerto se da inco, o da inhio, Tienchè
sem|ire con singolare costrutto) per l'ni'ji. _ =i 45^ Crea-
ta raahra. 46. Fine — rf /.■!»;, din. =r 51. i'ra
tal — voi ea, guardava in su. r= .52. f e n en do, divenendo.
Sincera, chiara. := 56. IVostro, umano. = 57. Ol-
traggio, oltranza, sopercliio , eccesso. : — 58. Sonnia n-
do, o somniando, l'orma più antica che sognando. Pg.
18, 115. In ([iiaiilo perii alla negligenza, che si \ noi evitare,
si potrebbe che fosse sogno o' arciisa di secolo più avanzalo
nella ragione metrica, che scomunica colui Uisillabo. rrrz
60. Lo altro, il sogno. = 64. S; disigilla, si dìscio-
glie. = 66. .Sp n/rn in , oracolo. Sibilla <iiuiea. Kncid.
3, 415, =68. Mente, memoria (73ì. r^ 75. / it torio so-
vra il concetto umano, diinqiicollraggio i57). = 76. A/O nrunip^
r acutezza abbagliante di quel vivo lume, r^ 78. .Iverst
(latinismo) dislolii, stornali, alienati, l.a scrittura or i'er»o
sembra anzi dilfiTenna ortogralica che di signilirazione. =
79 /•'(; i arf/ j f o , valsi. r=: 80. d" • li ;i * i . unii, r^r H4.
Consunsi, tiiiii , compii. I> (/« f a, v isioiie , conlcinpla-
zioiie, cioè appagai, saziai il mio desìo. := fa. .S' interna,
si rinchiude, r^ 86. / ola me, ciMiipli-sso delle divine idee.
88. Co «tu HI e, projirielà. modo d' agire. r=r- 89. Con-
flati, uniti. =r- 91. Questo nodo, legiine d' amore e
delle cine creale nell" idee. - — 92. Hi l o r g o. l.irpimcnlc.
91. Punto dì tempo delta \ isioiie dì dio. Li targo,
dimenticanza (/.i;.'>(/;;; •,,• . rr- 95. Ini p r es n argonautica. Oirc:
r.inmicntaudoiuì, a fui di descrivi'rla. della mia beala intuizione
iiiebbriaiite e asHiirbenle me alTjilo. quel eh' io diuieiilico circa
un sul punto di quanto vidili. «'• pili ili quel che nello scorri-
mento (li \eoliciiH|iie siToli !• si, Un h|irci|oiid.iti» in obblio iu-
tofiio liti' impresa iirgnnanlira jicl vello d" oro. Impresa disla-
bilire un nuovo periodo di ciiltiir.i iirlla sioria del mondo, forse
per ine/./.o d' airricoltura ! -— - 97. ,S' <».<;> e » o . astratta. =^
99. .Iricsa. lpr,»iiiosa Onde pur di si leg(re inrgllo che nel.
r— r 103. / ( (/ ( ri <• pili proprio e rniiveiiicnle alla serie, che
voUrr, rh' r pili grnirale. r — 107. l'are, an/i, H.illm'ln-
. — ! 107. />! 1/ ri r ri II I > ili/, di rodd. biinui iiiitìrlii, invece d
infante^ petclié iiH-iHniiiri.i a parlare, o balbetta. - — "'•'•
lina sola p a r v r n z ii questa l'accia, questo lemplicc som
liianlc. =-r III. .S' » t r ri r n ^ / i a r o , s' alterav a. r-r- 116
7'r" ecc. Intende la Irinitii. =: 119. il t e r -. o . lo sP'rim
sauto. z:= 120. Quinci r quindi, dal padre e dal iicHo.
COMENTO SULLA DIVINA COMMEDIA.
; — 124. Sidi (latimfinio) appoggi, riposi. = 126. Arridi,
si riferisce ancora a te, e vale gidiiici. = 127. Circuì a-
zion de' delti giri. Concetta, nata. = l'i'^- Ctrcon-
sjtetta, gaardata. = 131. Nostra efjige, natura
iiuiana, divinizzata per la persona del divio vert)o. - — l-ii.
J>/ esso, impiegato. := 133. Si affile, s applica. =
134. Fer — cerchio, per ritrovar la quadratura del cerchio.
=: 135. Indige (latinismo!) abbisogna. = 138. S in-
rf«va, a' ìnloga; da «fowe. 139. Le propri e jienne
la vista mia, la virtii mia visiva. 141. Fulgore di
grazia divina. Stia voglia, quanto volle, bramava la rais
niente. _ rm 143. Dio che muove il sole e le stelle volgeva il
mio disiro e il velie al modo d' una ruota, eh' è regolatamente
mossa secondo il voler del suo artefice. Cioè : dio volle , che
io di quella immagine non facessi tesoro nella mente mia , e
COSI volli ancor io.
COMENTO SULLE RIME
DI PETRARCA.
PARTE PRIMA.
t^ S VUOL DIRE SOVF.TTO; Si.SESTIXj; B. BALLATA; C. CJSZOKE. II. PB1310 SVUERO ROIIA&O È ^UhL DEL POBUA, IL
CONBO ARABO ^UEL BELLA STAÒ'ZA , 0 DEL VERSO , £ IL TERZO ^UEL DELLA LIXEA.\
Meneghelli elVlarsniid hanno iiintilmente scouvolto l'ordine
elle poesie tenuto ne' codici e fatto dall' accurato poeta isteaso.
. Foficolo saggi sopra il J'etrarca pubblicati in Inglese, e
ad. in Ital. Lugano Wiì H. e. 21. colla nota del trad. e. 53.
a jirinia parte delle rime contiene quelle, che sono scritte in
ita di Laura, la seconda quelle, che sono scritte dopo la di lei
orte. intanto , mÌ!ichiate\i essendo altre ancora d'altro ar-
BUieuto , e confuso l'ordine, basti l'averlo qui accennato,
;nza aggiuguere il titolo volgare.
S. 1. Pentimento e rivista delle smanie amorose ; segno e
rado di sapere chiaro! ("onsiderato poeticamente sera-
ta che pregiudichi alle poesie raccolte, più di quel che si
ivrcbbe. = 2. 4. iVo ni p/( e, non solo. = 3, 2. Favola,
jgeltu di ciarleria e di scherno , come pure di amniira/.ìone
di lode; lo che mostrano le i>aro]e quanto piace al
ondo.
S». 11. 1, 1. Leggio dr a , gentile, ben divisata, ben dispo-
a. 1= 2, 1. Ristretta, raccolta, concentrata.
1. Poggio, forte rocca della ragione. : — - 4, 3. Bel
uaU isirazio.
S. Ili. In astronomo ha trovato, che il luncd"! santo del 1327
fcole e la luna erano in r|uella medesima opporìzione , come
furono l'anno della inorte del salvatore, e che tanto quel
inerdi, quanto il lunedi , era il (|uintudeciinu di Marzo,
4. Comune a tutti i cristiani, per la morte del loro reden-
re. r-r^ 3, 2. Paragona tì. 2. 5. s. =z 4, 2. In quello
at 0 sicuro e disarmalo.
5. IV. 1, 2. Magistero, opera mera\iglinsa, mondo. =
1. Le carte del \ecchio teslamenlo. 3. Dalla
'ite, percné erano pi'scaturi , nriii giii re, o principi, n-^
A e / — parle,\ut diede la cittadinanza del regno celeste da
abìlii'si colla sua religione, rr— 4, 1. J-'iciiul borgo,
vignone, città piccola in quei tempi, senza mura, ivi Laura
naia, non a ('abrièrcs.
!<. \ . Capriccio sul nome di Laura, il qual pronunziato rechi
mente land a re, r e al o regio stalo, riverire, t a
■re e lauro: traHliilland" oppone e combina queste idee.
S. \ 1. 2, 1. I lì V io m'ingesno e sforzo di volerlo iii\ lare, r^
1. l'areno. Già Platone e Dante paragonarono la mente e l'ap-
titoa cavalli. 2.J)i / « /', del desio. : 4, I. Lauro.
:cenna Laura. = 'i.Gu stando iu «iguilicatu passi\o,
isiaio.
.'<. VII. Si dice esser risposta ad un sonetto della Signora
iustinaLe\i Perrotii da .Siissofcnaio. l'or.-e imo stimolo dalo
sé stesso! r — 1,2. / iriii, forza sod.i intLllellual i|iialiiti-
e. :r-r 2,2. htl cielj dellir stelle, le quali, secondo
ì astrologhi iiilluiscono sugli uomini. Ma piiìi esser ancora
ialiiiii|ue altra inlliieii/.a divina, senza la quale non v'e viriti.
informa, si fonna , tempera. 4. /''«/• d'Eli-
>na II u s r e r f i a m r , piiclare. rrr-: 3, 1. / a gli e zza,
sideriti mai ittanco. Lauro e mirto, dolutesi coronano i
eti. !;«uppl. V edesi , o simile. Senso: chi hì curii di I., n di
rto'f rrr: 4, 1. I,' alt ni ria tIelU virlu. : — 2. (1 r li-
te spirto. Può iniliri/zarsi con questo alla sua men-
3. fj a t, .1 a r e , biscia re.
S. \ 111. Parlano alcune salv tiggine , o pernici, o colombi
Ivalici, «inali il poelii spesse volle piesc colla rete, come dice
ide. :— - 1, 1. ./ ji i r ecc. sotto la citili dAvignoiie ^illlata
Ila pendice di una rupe, r^— : 3. La donna «ce. Laura.
- 3. 1. Senio, siamo. : 3. .J ri ino, abbiainn.
1. hi lui, contro, o nella pei sima «li lui. r=r 'i. Altrui,
Laura, l'r e» ho air cKlrrmo, punto.
S. 1\. In oi^caiiioiie «li un repiilo di tariiiriile fallo mi un dio
ini, forse (•iaciipii dilonna, mschvimIì LonibeH in Ciiascngna,
I 1331, secontlo S.ule. i — I, I. // piani la ecc. il siile.
2. Col tauro, roHlellazione , dov' entra a primavera
nn/alii. rr— 2, 3. S'aggiorna, si la giorno; diiilro le
je viscere dulia terra. =. 3. 1. Tal frutto, laiiulule.
=1^ 3. /n Tne si riferisce a cria, onde è da mettersi uaa
virgola dopo m e.
S. \. A Stelano della Colonna il vecchio, ch'era stato in Avi-
gnone nel 1331, dopo il suo ritorno a Roma. : 1, 4. jji
Giove vaticano, tìonifacio f, donde la casa de' Colonnesi
aveva sotlerto le più forti persecuzioni. Dal vero cam-
mino. Senza contrasto 1' allegoria con questo si dimentica
di sé stessa. == 2, 1. Qui, in Valchiusa.
B. 1. Si lamenta, che Laura sempre tenga coperto il viso
col velo, dacché conobbe l'amor di lui. 7. Di pie tate
o r n a r e i l V o It 0 lìancoperlo cii\ velo. Ed in questo non
velare appunto é la pietà, che dice il poeta, la qual altrimenti
non avrebbe potuto mostrar Laura, poiché il poeta portava
i bei p e n s i e r e e l at i,
S. XI. 1,2. Schermire, difendere, tedesco « e A ir th e n.
= 'i.Pcr — a « 7ii, per elfetto della vecchiezza, z^^ i. L u-
me, brio, vivacità. Spento, menomato. 4, 1. Se — de-
siri perciocché Amor ha i vecchi a schifo. 2. s. X o n
fia che non giunga, giungerà sicuramente. Dice: sospi-
rerete, benché lardi, impietosita delle mie pene soli'erie e
raccontate.
S. \11. 1, 2. Amor vien nel bel viso di costei, ap-
parisce Jiaura bella tra le compagne. 2, 4. A, invece
di d i. -. — 3, 2. S o m m o ben, dio. 4, 1. L' ani -
in osa leggiadria, il coraggioso volo leggiero, lo slancio
ardito.
U. 2. 2. Morti, abbacinali, mortalmente feriti. 9.
il/erio obbietto, minor impedimentn, ostacolo. Interi,
vigorosi, rr^ 12. IJ e l pianto, a causa delia lontananza.
S. Xlll. Scrino in viaggio dopo la sua partenzada Avignone
per andare a Parigi ed in (Germania nel 1331.
S. \1\ . Scritto nell'islesso viaggio. Paragon d'un vecchio
pellegrino Itomipeta. = 1, 2. A'e/ , e nel ver.-o seguente
dalia, se non si fanno conformi con iscrivere dal , dalla,
o del, della, mostrano, che nella fanciullezza della lingua
i|iie' segnacasi siano stali usati indistintamente, onde ancor
adesso soii rimnsle alcune anomalie. Liir vera dilferenza in-
tanto è lineila, che di signilìca loniananza, separazione ideale,
da separazione reale, corporea: «|iiest«i duni|iie si riferisce
piulloslo a rapporti di sptizio, quello a rapporti di tempo, v.
yj. Il Ufiners Lclirb. d. it.il. Spr. (Lips. IhJlii e. 4ti. =r 3, 2.
Di colui ecc. di (ìcMi, iinpiessa sul sudario di Santa \ cronica.
S.W.l.fiovonmi legge .Marsiind in luogo di p i o r o m -
mi. i^r: 3, 3. Le mie fu Ioli stelle, i vostri begli occlij
^-r 4,1. Largata, sprigionala. Amorose citiavi,
lorza di-l desio. =:r^ 3. ludi, dal ciitirc.
S. W 1. 4, 1. Morte, tacile, uou espresse. 3. Sole,
solitarie, vedute da iie.-siino.
S. .\> II, I. Pisi — difende, come l'aquila, r^ — 3. Al-
tri, come giili e vipistrelli. ^— 2, I Altri, rniiie farfalle.
r:r- 3, I. Aspettar la ture, come l'aquila quella del
sole, r^:: 2. b. Far e sci» ermi ecc. come i guli e vi-
pistrelli.
."^. \\ 111. 1,1. / rr^ o^ 71 a n rfo, Huppl. m i'. =r- 2,1.
A OH dalle mie braccia, inairgiore delle l'iir/e mie.
S. M.\. I, 3. Aggio, ho. r— 2, 1. />; /fii, del core.
~ — 4,1. l'ori a ecc. potrebbe perdersi e morire.
."»i. I. 1,2. Se non se. fiinrche , eccello. z:^- 2, 4. Col
sole, mentre il sole è sul nnsiro einìs)ieriu, Diciilrv fa giorno.
: — 3, 2. A 1 1 ru i, apU aulipoili. r^^ 4. Dì se usi bit
terra, di lerrii che sente, di corpo, rtrr 5. il sole,
Lunrii. : — -: ii, 2. 1 orni, rada. Amorosa sriva inirlea
di \irgilio. r^ (i, 4. / er de nel va, lauro. ("«iiifoiHle Lau-
ra CIMI Duine, r — 7, I. Secca si Iva, cassa «la unirli. Ilcc-
raiU'lli l«-gge circa selva, <;i(iè la inirlea diir Km iile. I. V.
3. / si dolce alba, a si bi-lla sperane.) nuiipiin.
e. I. Sciilla in vii.k dì Laura, rirtiirelia nel D.M'. ni lilì/ioNii,
quuiii uiteluUa, imbrogliala e lalor poco chiara' hmomiiia tra-
COMENTO SULLE RIME
stililo faceto ! = 1, 1. ss. Ordina: perche cani, il f7.
si iL, cantero, co in' io v. in l. nel dolce t. ecc.
mentre amore ecc. ^ 2. /n e r6 a , gennofrliaiite,
piccola, in prim^ipio =^ in età di anni veiitidue. ^= 3. l^ e-
r a, sfrenata, indomabile. = 7. N e "ne r eb b e , Tincvehbe
del mio averlo a sdegno. = 14. A e quistan f e de , atte-
stano. = 17. l>à He, le dà, cioè alla memoria. = 20^
Que^ dentro, la parte interiore, l'anima. La scorza, il
corpo. = 2,4. Gelati, freddi, intenti a castità. :::=
6. Duro affetto, ritrosia e ostinazione contro Amore. =z
20. Per, non ostante; come v. 164. = 3, 1. Frimier, pri-
ma. := i. La corona di poeta. =2 7. Sovra, presso. =
8. Penco, iiume di Tessaglia, padre di Dalne. Fin altero,
la Sorga, o il Rodano. = 12. Passa alla seconda trasligu-
razinne in cigno, alludendo poi alla morte di Fetonte. =
17. X>a? /ofo, alla riva. =r. li). Sm 0, dello sperar. =
20, Color del cigno, canuto nell' età di 25 anni. v. Fos-
colo saggi sul Petr. e. 18. r=: 4, 3. Estrania, Ai ci-
gno. ^= 7. Hual fu a sentir e acerbo , cAe, poiché. In-
tanto qiial non ha dove si riferisca, se non lo vuoi prender
per neutro. Ma allora dovrebbe esser quel che in oa rie.
mi CHOC e. S. Di quel eh' è per innan 2 i,,ii\ vece
di avvenuto nel tempo scorso per tempo innanzi , cioè in se-
guito. 15. In altro abito mansueto, non disdegnoso.
• — 20. Terza trasfigurazione in sasso! : — 5, 4. Spetra,
trae dall' esser petra. = G. Signor mio. Amore. Ri e di,
tornami al primo stato, = I.Fur, però, malgrado ch'io
fossi impietrato. \%. Le vive voci, il parlar, dichia-
rando alla donna le pene amorose. Si oppone con carta erf
inchiostro, cioè in versi. 6, 2. D^ inde g no di
mercede, 0 pietà. : — C. Lunga stagion, per lungo
tempo. Di tenebre vestito, ignorante, non avendo
contezza. ^.Intornointorno, in ogni dove. La
reiterazione della voce aumenta la signiiìcazione. : — 12. Il
fuggitivo raggio. Laura, che fuggiva. =^_ 16. Quarta
trasformazione in lontana! : 7, (i. A mercè, a chieder
mercè. H. Lui, il fattore , dio. : — Ili. Prepara la
quinta trasformazione in selce dura, qualINiobe. Si riferisce
questa sentenza al vocabolo benigna; perchè dalla beni-
gnità dnvea sperare d'esser ridotto al primo stato, laddove si
trasmutò in selce. 8, 6. Ivi, in quello stato di prima.
: — 7. Trasformazione sesta in cervo! : — 9. Quella
fera. Laura. Par che tutta la scena sia ritratta ad imitazione
di quella dell' Atteone. : 20. Cani, 0 pensieri tristi, o
mormoratori, o amici, 0 tutti insieme. : 9, 1. Quel
nuvol d' oro ecc. Spetta alla favola di Danae. 4. Fi-
amma ecc. Allude alla favola di Giove trasformato in fiam-
ma dal guardo d'Egina. 5. L" ucc e l , l'aquila, che
porti) via Ganimede. =: 7. Fer (v. al v. 40) figura,
trasmutazione. Alloro, Laura.
S. XX. Risposta al sonetto di Stramazzo Perugino , che co-
mincia La san t a f ama ecc. = 1, 1. L' onorata fron-
de, ì\ lauro. Allude a Laura. Fr es crive, limita, mette
termine, perchè non toccata dal fulmine. 3. Disdetto.
Lo dice per modestia, e perchè si sentiva addolorato, poco
tranquillo a cagion del rifiuto, come mostrano i terzetti. : —
2. 1. 7> ir e, Muse. 3. Ingiuria, di Laura lo sdegno,
cne gli disdisse la corona. 4. Inventri ce delle
prime olive. Minerva. : 3, 3. Cosa propria, lau-
rea. r=r- 4, 1. Fonte. L'immagine s'otfri al poeta per ca-
gion.g'i della polver d'' Etiopia , e si dell' Ippocrena, come
Selle lagrime.
S. X\l. Ad un amico, che tornò all'amore ed assieme forse
alla poesia abbandonali, qualunque egli si sia. : 2, 1.
X'ri t f.o ca mmi/i d'Amore , onde al vero valor con-
vien eh" uom poggi. = 3, 3. Fossati o poggi
impacci , difficoltà!
S. XXIL Del medesimo argomento ! r — : 1, 3. Gente,
equipaggio. 2, 3. Quella spada scinta, cessata
quella inimicizia. : — 4. Signor mio. Amore. : — 3, 2.
u' est or, tessilor, poeta.
S. XMll. Eccitazione a prender parte della crociata pro-
mossa da Giovanni 22, della quale doveva esser capo re Fi-
lippo di V'alois , mentrechè il detto papa si mise a ritornare a
Roma. 1, I. // successor di Carlo 5. detto il
Lello, Filippo di Valoin. zzr^ 2. Antico predecessore, Carlo
magno, r^— 3. Fiaccar le corna, abbassar la superbia.
^ — : 4. H abilonia , religione di Maometto, supposta capi-
tale del regno degrinfciloli. r^ 2, 2. A'jrfo, Roma. =—
4. U ol 0 glia, la seconda città della chiesa. : 3, \. La
mansueta ecc. la chiesa cattolica. : — 4,2. Sposo,
papa.
C. II. A Giacomo della Colonna, vescovo di Lombes in
Guascogna. Scritta col sonetto antecedente intorno al
1333. z:^— 1,2. f/f/i >/ 71 it a d e, affetti sensuali, rr^ 3.
Carco, caricata, oppressa. - — : 7. Ordina: ecco il dolce
conforto d'un i<. o. alla tua barca, tuo corso , tua
vita. :=rz 1). Lo qual, \enlo occidentale, l'armata di Fi-
lippo. : 12. Altrui^ de'primi parenti. Torto, errore.
; — 13. Lacci antichi j piaceri mondani. :t-^ 15. I e-
race ori ent e , u Gerusalcinnie, alla città di dio, al ciclo.
: — 2, 5. Funto, alcunamcutc, in alcun modo. B. Al
ibi
sacro ecc. a Gerusalemme. 10. Nuovo Carlo, Fi-
lippo di Valois. = 12. A^ e, della vendetta tardata. =
3, 1. il/o 71 1 e , Pireneo e l'Alpi. 2. Laonde salse,
il mar tirreno. =rr 3. Crisi ioti i ss i/« p , francesi. : — :
5. Ultimo orizzonte, gli estri mi lidi di Spagna e di Lu-k
sitania. = 8. Intra il carro e le colonne, tra la 'i
tramontana e Io stretto di Ghibilterra. = 10. Dottrina — p
Elicona, il cattolicismo. r^ 11. fari e genti. 14.
Quai figli ecc. Accenna la guerra fatta da Minos contra
gli Ateniesi a cagion d'Androgeo, suo figlio; e quella de' Greci
contra i Trojanì per cagione d'Elena. 4, li. G e 71 1 e
tedesca de' paesi settentrionali. 11. Dal mar rosso. I
:— 13. Co nini, al vento, ferisce e saetta da lontano, ep
a vuoto. :: — 5, 4. s. Ordina: e che '/ nobile ingegno
e l" eloquenza qui mostri sua virtù, che per
grazia de IV immortale Apollo, cioè di Cristo,
tiene, pr ecc. L'ellissi biagiolina diparte è contro la
grammatica , e non necessaria , benché le parole siano in
qualche modo sconvolte. \'i. Antica madre, Italia.
(), 1. Bel te sauro di scienza. 4. Fi gliuo l di
Jl/a r te , Romolo. : — 6. Tre volte. 'Curulea triumplioa
tres egit, Dalmaticum, Actiacum, Alexandrìnura', dice Sucto-
nio. = 7, 3. jli a r ITI a, mare. r= ò. f e st it e a br u n,
atteggiata di dolore. 10. Maratona, luogo in Attica,
dove Dario, padre di Serse, fu disfatto dagli Ateniesi condotti
da Milziade. Le mortali strette, le Termopili, difese
da Leonida con soli quattro mila uomini. 8, 8. Sotto
bende, in donne , che portano bende , veli e gonne. Vuol
dire, ch'Amore sta ancora in imprese magnanime e gloriose
C. III. Rime a modo provenzale intricate, ricercate, e
sconvolte! _ r= 1, 1. Fer si, misti di purpureo e nero, ma
dove vince il nero , traenti all' azzurro , o violaceo cupo. :=r
2. lA 71 9 uaTi co , mai ancora, mai sinqui. In lat. mti 5 u a m
=^ 2, 3. In for s e , in dubbio, incertezza. 4. Ordina;
Laura sub ito vis ta , che del cor mi rade 0 gni de-
lira impresa, r appella tei (l'anima) dalla sfre-
nata voglia, ed il veder lei fa ogni sdegno
soave. = 3. s. Il senso è: Sostener voglio ogni tormento,
solcliè Laura veder si lasci. z= '3,2. Morse, feri, punse.
== 4. Lo^nvoglia , lo fa bramoso, l'accende di desiderio,
l'innamora. ■= 5. f~ endett a fia , sarò vendicato di
quanto ecc. Le seguenti parole ordinale: sol che orgo-
glio ed ira {di Laura) contra (contraria alla mia) umii
t ade non chiuda e non in chiavi il belpasso (as-
sunto , diseguo, bel modo nuovo) 07id' io vegno (mi mostro
umile). = ^ 4, 2. Nero e bianco degli occhj di Laura.
:= 3. Di là — corse, dal cor mio o dal sentier d'amore,
cioè che mi misero fuor di me stesso, mi rapirono a me stesso.
z= 5. Quella, Laura. : — ti. Si mira, si vagheggia,
contempla. L'ordine delle segnenti parole è: la qual chi
non pavé (voce lat. pav et , trema) vedendo, è piom-
bo o legno insensibile. : 5. Ordina: Adunque
(ogni) lagrima che si versi dagli occhj (miei) p erm\
quelle qua dr e Ila, che mi bagna nel lato mancai'
e h i (colui che) primiero s'accorse, non mi svoglia r«
(distorce dal mio volere); chèla sentenza cade 'n esc!
giusta parte (contra gli occhj, rei dell' innamoramento):
j)er lei (per cagione di essa parte rea, ovvergli occhj) l'al-
ma SOS]) ira, ed è degno (giusto, convenevole) ch'ella
(la parte rea) lavi le sue (dell'alma ferita) piaghe. Così
costruiscono gli interpreti, ma par che ofTuschino vie più questo
imbroglio. Il senso è: quantunque io mi affanni amando, nulla
dimeno sempre la sentenza starà giusta: l'alma sospira per
lei, cioè Laura j e converrebbe ch'ella mi riamasse. E l'or-
dine par che sia piuttosto: Kon mi svoglia dal voler mio la-
grima, che colui, che priinier se ne accorse (cioè l'alma mia,
in) versi per quelle quadr. , che nel manco Iato mi bagna;*
perchè cade la sentenza in giusta parte, cioè giustamente
vien sentenziato in questo modo : per lei , per Laura , sospira
l'alma, e giusto è ch'ella, cioè Laura, lave le piaghe dell* ?'
alma, cioè sani con lagrime pietose. Ma cos'i pur sempre mait,^
il concetto sarà contorto. 0,2. Tal. accenna Didone. •f")
7, 1. Fèrsi, si fecero. zrrr: 2. Alfortunatofiancct
della madre fortunata di s'i glorioso parto. :=: 3. Scorse,
discese, o in attivo senso, condusse. 6. Folgo r e, fuoct^
di concupiscenza. l ento indegìio, passimi disonesta. 1
Si. II. 1, 2. Bianca e fredda, bella e casta. 2, IJ'
/l riva, al termine desiato. r= 4, 2. Frim 'anni, tempo jt"
antico. =r-rr (i. Il arni di diamant e , membra candidisi ' "
siine. : — 7. Ordina : le bionde chiome cadenti sovra
la neve de' candidi omeri, e vedute presso agli '■
occhj, che m enan ecc. vincono di splendor 9
l'auro e i topazj esposti al sole.
S. WIV. Scritto nel 1334. rr^ 1, 2, Anzi tempo, giù-'
sto, inopporliinamente. ('. IV, ti. 5. m— 4. Del — partCfì)
l'empireo, cielo d'umor e di luce, rr^ 2, 1. Fra ' l terso,
lume e Marte, nel ciclo, nella sfera del sole. : — 2. Sco-p
l orila, scemata di colore. r=-: 4. Fien, saran. =r-^ 3, 1. f
Sotto il quarto nido, o nella coslellazionc di Vene- c
re, o in quella di Mercurio, o in quella della Luna. =1
2. Delle tre, stelle. = 4,1. A e/ qu. g., in Marte h
fiero.
BIK
II
DI PETRARCA.
S. XXV. \, 2. Far breve, troncar, far fine. = 2, 2. Il
uro e grei>e terreno incarco, la salma del corpo.
= 4, 2. Dubbiose, frali, incerte, mal sicure.
S. XXVI. Visione in sogno! Confronta Dante Purg, IX, 5. ss.
— 1, 1. L'amorosa stella. Venere. 2. s. L'al-
a — gelosa, Calisto amata da Giove, l'orsa maggiore.
-2 3. 8. Quella stagione, ora del d"i, l'alba del mattino,
urora, che per usanza, per costume, a l agr i mar
'i appella, imperocché, dovendo lasciar gli amorì nol-
rni odiar l'aurora soglion questi tr art quii li
lieti amanti, come dice il son. (-CXV1I1. — 3, 1.
ia speme. Laura. Già — verde, condotta al line,
esso a svanire. Forma tolta dalla candela tinta in verde nel
e , ove giunto il lume poco sta ad essere del tutto consu-
lta. ■=. 2. L'usata via, gli occhj. = 4,2. Perde,
rdi. Licenza poetica I 3. To/ / e , toglie.
». XXVII. Preghiera ad Apollo per la salute di Laura, che
ifonde per usanza col lauro. : — 1, I.T e. ss al iche onde,
Penco, lìuine tessalo. 2, 2. Quanto, per quanto tem-
2=^ 3; 3. Impr e ssion , vapori, nebbie. = 4, 1.
, COSI, allora. 'i. Far — ombra, cioè seder all'
lira del lauro. Braccia sue, rami del lauro, v. C. Ili,
li.
». XXVIII. Scritto intorno al 1334. t= 2, 3. Negli atti
allegrezza spenti, nell' aspetto mio malinconico. i=
i. Altrui, a Laura, o ad altri.
». XXIX. 2,4. Mezzo — varco, son tra vivo e morto.
r 3, 2. La di spietata corda d'Amore, o l'arco della
rte. : — 4, I. Sorda morte.
). IV. Scritta probabilmente in viaggio nel 1331.^ = 1, 5.
npia, crudele negli effetti. : — 'ì. Perchè, benché,
■orche. : — 12. Che, cosa, come. Ili. M' attemp o,
ndugio. r= 2, 6. Altro monte, occaso. 8. 1> i s-
rte del zodiaco. 14. Posse n do, potendo.
J. Cheport. — pensier, che fecero nascere in me belle
?. rrrr 5. Perchè, acciocché. 4, (i. Esca, cibo,
quale il mio dolor cresce. 8. M'impetro, mi tras
mo in pietra. 5, 1. Nuovo, strano. 9. A ci b,
aver gli occhj pregni di lagrime. - — 6, 12. Salute,
Ito. Altri spiega, la vista di Laura, tutta benigna, celeste,
itare. : 7, 7. Torre forte e inespugnabile ricetto. r=r
Che 'l del onora, facendo la bella. Del lauro non si
;ta in questo luogo.
. XXX. 1, 1. Orso, conte dell' Anguillara, grande amico
poeta, che Io coroni) sul campidoglio nel 1341. E' , egli. ;
si il neutro tedesco es. = 2, 3. D' un vel. v. C. I. • —
W una bianc a mano v. S. CCXIX. =rr 3. Sco-
io, scaglia, scorza, verde buccia, che riveste l'avellana,
a tien appiccata all'albero, e la vagina delle serpi , e la
onde s'oscura l'anima col peccato, v. all' Ariosto O. F.
104. 8.
XXXI. Scusa del suo non presentarsi! : — 1, 4, Salto,
imiato per fuggire l'assalto.
XXXlì. Ad un amico per prestar S. Agostino. z=:t. 1, 1.
r oppio, intoppo, ostacolo, indugio. Parola afline alle
esche strcben, strtiuben alle greche arna^oi, citoi^-
aToerrm;, iiiriitiv). : 2, Tela, opera. : 3. Te-
ce vis co, materia non ben ancor digesta, non soluta. =-
j' un con l'altro vero dicono esser il Platonismo e il
tianesimo. - — - 2, 1. Doppio antico e moderno. ; —
»(■ o p p i o , fama , grido, rr— 3,2. Fila benedette,
i santi, r: — 3. Mio diletto padre, S. Agostino. : —
. 7'j m, tieni. =^ 2. Op ra , apra.
, XXXIII. la corona co' due :8Cguenti. IVon fa mestieri
rasporre il secondo e il terzo, come vuol 'l'assoni, perchè
mlrapposti son sah i , ancor senza trasposizione, r:^: 1, 'l-
a r l> o r , lauro , e Laura. _ rr-rr 4.L a s p r e sac 1 1 e , il
iiine. Senso: si turba il cielo e l'aria. : — 2,2. Cesare,
e di liuglio. diano, gciinajo.
XXXIV. 2, 3. Sua Sorella, Giunone, l'aria. 4,
Vojosc, di maligno influsso.
XXXV. 1, 3. s. Per Dafne e conscguentemente Laura,
no: nove d'i già Aimllo cerrii di veder Laura. r — : 4, 1.
•tà, cura pietosa, e dolore d'un morto parente. Lui
indo l'ordine sì rilcrlsce ni viso. Pure non sarebbe scnn-
evolc senxo quello, che il sole stesso avesse lagrimato , non
endo tornare Laura.
XXXX I. I, 1. ». Quei ecc. Giulio (Icsare. r — • 3. 1 1—
Xli", Pompeo, rrrr: 2, I. J'iistor, Ha\id. : — : 2. Ijd
s.fiiin., Assnionc. r — • 3. liuoii, \aloroso o degno
oinpiissione. Cangi'» le ' <• i g l in , diviMine pietoso e
rii \ÌHO tristo, r: — 4. // fiero in o n t r , (•cIImic, do\e
Saul. l'u'o dolersi, perché rMnledcltii da D.nid.
X\X\II, I, 1. // mio avversario, lo specchio. ; —
\i 0 n sur, ma vostre proprie. : — 2, 2. D o l e <■ al h e r
cuore di Laura, r: — 3. Fora, fossi, i — 4. Siete
na d'abitare, rrrr- 3, 2. Devea, poeliriimenle per dovcn.
I, 2. Corso, maniera d'agire. Un termino, di
J[inrsi ili lìore.
XXWIII. 2,2. Invecchi, duri lungo tempo, ^-r 3.
ignor mio, Anioro, =rz 3. Jn voi finir vostro
desio, non esser voi necessitosa d'altri, fuorché di voi, es-
ser voi bastevole a voi stessa.
S. XXXIX. 2, 1. Largai, sfrenai. =: 2. La via qua-
si smarrita non praticata degli occhj. v. 3, 2. 3. In-
di, a quella via, a Laura. := 4, 3. S'io — desio, s'io
non consento al lusinghevole desio. La conghiettura di Tassoni
cedo è superflua, e meno elegante.
S. XL. 1, 3. Poggia, ammonta, cresce andando da basso in
alto, ingrandisce. 2,1. D isp e n s e, dispensi. 2.
Al q uà l s'appoggia, in cui , in virtù del quale vive e
si soslcnla. 4. Men intense, men forti. Per mol-
to voler, esser riibello. 4, 2. Sfrenato obbietta,
sfrenato desiderio d'un oggetto.
S. XLI. 1, 1. Perchè, benché. Di. Altri legge da,
che par esser correzione adattata più all'uso moderno. Certo
egli è, che anticamente queste due segnacasi si permutarono
tra loro. : — 3, 3. jl/ i a p a e e , Laura , in cui sola io trovo
pace. =n 4, 2. Traete, vi traete. 3. Non tace,
ma schiude, fa \ edere. ì ista, aspetto.
C. V. Scritta intorno al 1337. v. 4, 13. rr= 1, 1. Nella
stagion, ora, che ecc. cioè nella sera. 3, Di là,
neir emisperio di là. : — 14. L'eterna luce, il sole.
2,4. Avaro, avido di buone raccolte. L'arme, zappa ed
altristruinenti rurali. 5. Alpestri note, rustici e rozzi
canti. : — 10. Le qua' ecc. .\ccenna l'aureo secolo di .Satur-
no, dove 8i_ viveva di ghiande. 3, 2. Gran pi atleta,
sole. : — G. Schiera, gregge. 9. Ingiunca, intes-
se, tesse. =z 10. 0 e. 0 sp., dunque non letto. 11.
in/o.rm e, scaltri, addestri, suggerisci. 14. S' appiatta,
s'aquatta, si nasconde. 4, 1. Chiusa valle, seno di mare,
o golfo. ^^= 3. Aspre gonne, grossolane e ruvide \e»ti-
menta. r= 4. Perché, benché. 11. Ar rog e , aggiun-
ge, aumenta. =: 5, 4. Tolti, suppl. sono. — - %.''Gli
occhj. = 13. A — diparte, a morte, che divide tutto. r=:
14. Di lei, della morte, che, cosa, se sia capace di smuo-
ver la dolce immagine dal cuore. 6, 3. Di mia schic
ra, dogliosa, selvatica. : — %. Di poggio in passio,
in luoghi solitarj. : — 8. ?i uà p i e £ ra. Laura dura e
fredda.
S. XLIL Ij 3. Zei, Dafne. = 2, 2. Più di quel, ch'io
mi sia. ^ on si creda però e /» e l'esser cosi trasformato in
lei mi vaglia ad ottener mercè. 3. Qual, quella che;
o granito dice, o porfido. 4, 2. fé echio stanco.
Atlante, perche regge un gran peso, sostenendo il ciclo, fa-
cendo ombra a Marocco.
B. III. 1. Vedendo la\ar Laura un suo velo. Amante,
Atteone. : 2. Per tal ventura, qual suole a\Aonlrc_.
C. VI. A Stefano della Colonna il giovane, eletto senatore di
Roma da Benedetto ,XII. = 1, 4. l'erga, tolta dal pas-
tore, che veglia, che non si smarrisca la greggia, e che ri^
meni le traviate pecorelle, r— (ì. .Intico viaggio, di
gloria e di virtù, rz:^ 10. Agogni, affannosamente desideri.
Voce greca àyu)viùr. C. XXI, 2. 2. : — 2, 2. Per chia-
mar e II 'uom faccia, per quanto altri chiami l'addor-
mentata. : — 12. Il popol di Marte, romano. =
3,7. Ch'una mina involve, l'Italia. 12. Cre',
credo. 14. E' dice é più espressiva lezione che quella
(li Tassoni e dica, che lin oltre sconxolge e rende dubbioso
il pensier. : — 4, fi. Tetti, tempi de' santi. =r^ !).
Buoni, peregrini e divoti. = 10. /^ ;j m (/ 1-, dispogliate.
:=:= 13. Sen^o my u j//ej senza campane , coi «piali rhia
mano il popolo alle sedizioni ed alle guerre iiiiotine. r-^ .'),
9. Pio, pietoso, r^r 10. Magion di ilio, Hoiiia. r — : U.
Faville, turbolenti cnminovitori, capi rei. rr-: 14. Onde,
per lo qnal atto di tranquillare le voglie iiiliaiiiinatc._ r-r- lì,
1. Accenna i nemici della casa Colonna, Orsini, ('aiili, Gaetani
ed altre famiglie nobili, fra i quali gli Orsini erano i più po-
tenti. = 4. Quella g. d. Koina. :r^ II. La. Iloma.
Là dov' eli' era, al colino di sua grandezza. rrrr _ 14.
Il m ag g io r pn dr e , il papa, yl 1 1 r' o p e ra , la crociala,
rrr: 7,4. Sgombrando, levando le dìfficcdlà. =^ 11.
Stato, libera repubblica. r^= 8, I. Monte Tarpro,
dove sta il campidoglio. : H. Chier, chiedo. Dal la-
tino q uaer e r e.
li. IV. 2. Pellegrina, Laura. Insegna d'amor
sembianti e disposizione alla ad iiinamorar. Datile Vìi. iniov.
r^- I. Il tulio pili) axer scuso proprio isiorlié l'ai ta voce
sia quella del Padru Dionigi) e allegorico, eh' è facile da dici-
ferarsì.
H. V. 13. /Ivvegna, avvegnaché, benché, r^r 14. _ ì) i s
f f HI/) rr , strugga, coiiHiiini. =— ? L'i. 7' e Hip r r, modi.
S. \LIII. I, 4. / inerte, n mostrarsi pietosa meco. .— 2,
I. .1(1 ugge, (dal lai. adurere, ti d u s t n s) istcrìlisoe le
biade ancora in erba, inaridisce, distrugge, consuma. C. Wll,
5. 2. ;: — I. Tra In spiga e lo m n n , proverbio simile a
quello i H t e r 0 s et off ti in , ovvero i n t e r o s e t e a l i-
c e in.
S. XLIV. 1, 1. J'enturr, grazie accordate, rrr 3, I. In
ciò, in questo stalo descritto.
S. .XLV. Dopo inolliNsìmo sposizioni falle dagl' interpreti, sì
Irovìi uc' F rammenti dell' originale ile l l'è t r nr
COMENTO SULLE RIME
e a pubblicati dall' Uhaldini questo sonetto con l'annotazione
del poeta scrittavi sopra: Ad dominuin Agap. cum qui-
buK (I ani ììiunusc,nlifi,quae il le non ftot ui t ad-
da r i ut a e e i ver et. Vie Natali m ane 1338. Tr an-
ger i^u Quai SI fossero questi doni, non si sa. Agapito era
lino de' Colonnesi , fratello del cardinale e vescovo di Luna.
Beixadclli crede, ohe i doni fossero un guanciale piccolo, e un
grande, ed una coppa da bere. =: 1, 4. Crudel, amore.
Jinb lanca, fa pallidi, o grip. ^^ 'A 1. -fa man man-
ia, dalla parte del cuore. = 2. 3fessi, come atti», sguardi,
delti ecc. = 3. Un, l'isitessn, uguale. W ag. e di genn.,
Ja stale e '1 verno, cioè sempre. =: 4, 1. Ove — serba,
nel cuore.
B. VI. 1. Pf rcftè, benché. = 2. Altrui, ai hanra. =
8. T'erta, forma antica.
S. XIiVl. 2, 1. Se curo me. Se non si vuol supplire forse
fare lido dal seguente /ece , lo che sarebbe almeno più na-
turale, che di supplire reggendo, deve esser riputato for-
ma di dire latina, e dunque il sesto caso, sicché vaglia es-
sendi) io securo , né sospettando. 4. Che, i quali, cioè
pensieri. 8, 1. Fora, potrà. Va bene dall' una parte,
che il poeta metta in bocca al lettore amante la maledizione,
rhe iioM o«a pronunziar egli ; dall' altra parte rompe cos'i non
bene il filo e il teuor del tutto. =-- 4, 1. Ne poeta ne
colga mai, per coronarsene, cioè del lauro. =r ì. La
traballa, come poco avanti conte), tra lauro e Laura.
Privilegi, che non sia toccato dal fulmine. Al sol ven-
ga in ira, sia odiato dal sole, sicché non la tenga verde
col suo calore.
P. XLVII. 1, 3. Giunto, preso, colpito.
^. \LMll. Scritto nel 1338, venerdì santo. = 1,2. T'a-
ri e g g i a II d o vagando la mente per cose vane. :;= 4. Atti,'
modi, maniere di Laura. Sì adorni, troppo belli. Ferì
mio mai , per la mia disgrazia. ^= 2, 1. Ordina: piac-\
ciati, che amai io col tuo lume torni ecc.
B. 'Vii. 1. Novo colore pallido. ]
S. XLIX. 2, 1. Ingegni, modi ingegnati. = 4, 1. Po),
poiché. 3. Odiosa, da voi odiata.
S. L. 2, 1. Lima, Come limare e rodere nell' Ario-
sto e spessissirae volte ne' poeti si dicono delle pene e degli
sitfanni amorosi, cos'i lima è qui la forza distruttiva, vìuci-
irice. S. CCXIV. 1, 3. 3, 3. Sguarda, esaudisce.
Si. IH. 2, 2. Tal una, una tale. :^= 3. ì alli, Val-
chiusa. 4. Serrate dall' aspro monte. Amorosi
venti spiranti da quella parte, dove sta Laura. i=r 5. /?■!!/-
77(1, Rodano e Drueuza. ;^= 4, 5. Nebbia, allegorica-
mente sdegno. = ó , 'i. Fiog g i a , lagrime. = 5.
/ enti, sospiri. :=: K, 2. Vun vento, d'una aura (Lau-
ra). 1)110 fiumi, Sorg.i e Drueuza. : — 5. L'' ombra,
l'iminaffine di Laura immaginando.
S. LI. l\el 1335, sul lido del mar toscano correndo ad un
lauro cadde in un rigolo. : l, 1. Tirreno, toscano. Si
■Il i s t r a per rispetto di chi viene dall' occidente verso la
pane orieiiiale d'Italia. 3. Queir altera fron-
de, un albero d'alloro. : 4, 1. i. p\a v er - p i è , aven-
do prima molli di lagrime occhi, or jiiedi. : 3. Un
pili cortese aprile, stagione, o primavera più cortese.
Citi altri occhi.
S. Lll. A Giacomo Colonna; da Roma' ! 1,2. Mal
•passato, lungo saueggiar d'amore. = \,\. Dà la vol-
t a , fugge.
S. LUI. 1, 1. Consiglio, a voler fuggir l'oggetto amato.
3. /v a cctu» ^, lacciuoli, lacciuoi. : — 2, 1. Ma no-
tamente combina con io fug già ecc. onde non sarà
necessario di supplire lo so , o l'apparo per pr(i\ a incredibile.
4. Elba e di gì io. Uva e igilium, isole del mar tir-
reno : 4, 1. Ministri, pensieri de' vezzi amorosi. Del
Testo si ha da supplire comparvero, si presentarono. =r
3. Chi — e h i , parte — parte.
C. VII. 1, 4. Al del, air aura. ~ — C. Fine, morte.
=: 8. Gravi, incresca, dispiaccia. :^=z 10. JJ r e '^ eìt
raisiin ecc. l'rincipio d'una canzone d'Arnaldo Daniello,
poeta provenzale, inventore dell a sestina, di cui v. Sismoti-
di IJtirat. des sudi. Kuruiia. Lebers. \'. liiidvv. llain. (l/eipz.
iKid Altenb. 18Ui. ss.) U. L S. 132. V. Petrarc. Ir. d'Am.
C.iìf. IV. Dante Purg. X\\ I. ll.i. ss. e vuol dire dritto
(- ragione e eh'' io ca n li e ini t ras t ull i. :
2,10. hiiii iia, principio d'una canzone di Guido ('avalcauti.
\. Ilini'- di Guido C. raccolte per opera di Antonio Cìccia-
porr^. l'ircHZe Carli. 1813. 8. :ì^ 3, 4. Fer me, in (|Manto
a me. - — - IO. Cosi ecc. Principio d'una canzone di Dante.
r— 4, ;'). mortai velo, il corpo, ove l'anima sta litta , e
come iiiiprigiiiuata. r-^ IO. La dot re ecc. Princìpio d'una
caii/one <li M. Cino da Pistoja nato 1270, morto I3II. v. Vita
e poesie di M. C. da P. novella ediz. rivista ed accresciuta
dall' Ab. Seb. Ciampi. Pisa 1813. 8. nr- a , b. A l v e r o
npleiidiir, alla \era beltà, al bello didentro. -- - !).
tolsi cioè mi \oIhì; avvegnaché altri legga '/ volsi, z-::^
10. Sei dolce ecc. Prìiici])iu della canzone quarta di Pe-
iriirca.
(J. \ III. l'iia delle tre canzoni sorelle, che (seguono , sii-
iiialc «ocelluuii«9Ìuic! = 1, 2. Alta imjirtaa di cantar
IP
la bellezza degli occhi di Laura. 11. Tien, ottier
Abito gentile, gentilezza acfjuistata, nobile disposizin
ne, valore, forza, ingegno. r= Vi. Levando cioè Ir
Parte, divide. : '2, 1. Aon vengo alzato a dire or eoa
ecc. =:rr 2. Ingiuriosa, ingiusta, non bastevole, insul
ficiente._ 7. Principio. Dice gli occhi. 9. Ha
vostri vicino. :rr:r 3, 1. Sfaccia, distrugga, venga Dient
: 3. T alar, forza, virtù. ==: 6. liisalda, ricon
forta, rinforza. 11 senso è: Non è mio valor proprio, eh' ic
s'i frale oggetto , mi scaiopi e non mi sfaccia a si possent
foco ; ma la paura , che il sangue corrente per le vene ag
ghiaccia, risalda un poco il cor di modo, che più tempo avvani
pi. Dunque non si ha da metter un punto dopo agghiac
eia, con che questo concetto assai allettato e contorlo diven
ta in oltre manco , riguardo allo stile. Lo scoppio o Io siati
ciò fervido d'anima passionata, qual lo chiede, o ammira Ve
ditor ultimo, se pur ve n'è, non si perde per questo, comin
ciando colle parole 0 poggi ecc. : — 13. Di tal,
morte, o Laura. :;:::= 4, 3. Sostie n, soffri. 5. So
pra il 7n urtai corso, oltre al solito modo mortale. =:
li. Di lui, d'amore, i'ist rjg- n e, tien legato stretto. :z^
7. <j uà 71 ti colori, rossor e pallor, vergogna, allegrezze
timor, dolor ecc. ir:;^ 5,5. Ri mot a, ignota, non nota <
vigor. :=:r 15. A d ora ad or, di tempo in tempo. : I
2. T 0 s tr a mere e de , swppi. fcT. : i. S a l m a , ca.v
co, peso. (i. Un sol di vagheggiarvi. 7. Que
ecc. della mia vita caro mi é sol que.^to istante., nuli' altn
:=:: 13. Che f e st r eiii o ecc. che gioja e dolor si tocchiui
i^= 7, 1 — 3. La virgola dopo dentro fa più tenero
concetto, s'i che in voi sia mirando ^oi. z — G. Perdi
benché. 11. Di là ecc. non possono entrare nel coi'
e peri) se ne stanno fuori.
C. IX. 4 s. Senso: e per lungo uso quasi visibilmente il vosti;
cuor dentro, là dove sol con amor seggio, mi traluce, si schiari
si mani^c^tà. 7. QuesV è la vista, quella contezza di'
cor vostro, che mi traluce. 2, 3. Del suo lavare^
sappi, pane. : 10. Lei, Laura, ^z^ 3, 1. ss. Qualnnqu [
letizia e contento eh' abbian dato amor, ola i'oriuna \olubile
coloro, che furono i più amici nel mondo, io preferisco una r
volta, un giro di quegli occhi, onde ecc. v. Canz. X, 5. 4. ss. ;i:
4,1. L* »i ry uc /( co, lat. un 5 u ani, mai sin ora. — - ò.Ne
j — bianco degli occhi. 8. A l mio i mpe rfc 1 1 o, ali ™
mia imperfezione naturale. _= 10. Il velo e la man,]
man, che, velando gli occhi, s'attraversa fra 'I mio somin
diletto e gli occhi, cioè mi priva del diletto di mirar vosi
! occhi. Onde si rilerìsce al lutto, non già ad occhi, e v
! le, perché mi vien vietato il mirar gli occhi \ ostri, si rin
\ versa in lagrime il gran desio, jì e r i sfogar )
ijìetto, 0 cuor, che forma tien, si atteggia, del va
\riato aspetto, secondo eh' è severo, o soave, l'aspetl
j di Laura. 5,2. Naturai mia dote, ingegno, be
lezza, ed altri doni. ^:=z 5. Si con fac e, si confa, quadri
si concorda. (i. Gentil, nobile, i^^^ 11. A' e l b. (
di Laura. 13. Clic, line. iVozt altronde se ni
; da' begli occhi. :=:^ 14. Al fin dolce tremanti, scii
! tillauti , vibranti di pietà e d'amore. : — - 6, 2. Alb e rg i
j cuore, nido di sentimenti amorosi.
C. X. 1, ti. Co II tempre, armonizzi, accordi. 9. 0 v' •
giug ne, nel core. ^=: W. In g e gno , poetico sfogo. 2.
j Credi a, credeva. ^^^^ 0. Al tempo, che più m'era nece
I saria. : 3 , 3. S^ avvolse, saggiro con stento.
Ne dclL' onorate cose, o del cercar le e. on. ^=r 7. s. T ols
I locar, ■Nolle o vidlero collocar, cioè linalmcnte collocaront
, benché Biagioli lo ^pieghi.cos'i senza aggitignere volse, coii
I se fosse forma accorciala poetica. =^:: 10. Questo — riv
i senza altro il llodano e la Drueuza. p=r 4, 3. A^ duo li
mi, all' orsa maggiore e minore. Nostro polo, artic
10. Ordina: ed una perpetua norma di loro in
fu quel p o co eh'' io sono , cioè considerando e seguenèlji
la virtù di questi occhi di\cnlo quel poco, eh' io sono. :ri
14. Gli Ito posti in su la cima di me, gli ho fat
maestri e donni di me, gli ho onorati. : 15. Che ■
estima, perché la mia virtù in sé e senza quella scorti
senza quel prototipo, \ien giudicata falsamente e trojipo esa
lata. 5, ti. indietro vanno, retrocedono, sparisct >e
no. • 8. Eterna, rende iiumorlale ed eterno, ovvci
regna eternamente, ^.^z 10. Cosi é particella indicante U
desiderio forte, v. Cinonio ossero az. delia lingua iltil
98. 13. Senza — superna di modo clic il cielo non ri
lasse, anzi stesso fermo , e si facesse giorno perpetuo. :=
(i, 3. l'j vivo — sperauza, e vivo non polendo sjierar, ci «
il mio desir s'adempia. : — : 4. Solamente, purché,
che. Cinouio oss. e. 358. r-^ 5. Quando — av aii
(juando il troppo splendor degli occhi m'abbaglia. =^:= 8. 1
quel punto, che fosse sciolto quel nodo. :^= 10. L
ferite impresse dal troppo lume. =-r-. 11. Piagai
ferito ; non piegato, come leg^oii(> alcuni manoscritti, il eli
con volgoli farebbe tautologia, e nien si concorda con /
ferite. : 11. Sommi, mi sono. = 7, 2. Con l«
culla penna , cioè in iscritto.
S. lilV. 1, 1. Siccome, donde venga che. z=t- 2, I
Suo n.o , vuce. i= i,'i, S e'' n ciò jallaasi, cioè uel
DI PETRARCA.
impier le carte dì voi, e non armonizzandole parole col
uffgetto.
S. LV. 1, 2. i^' eglino, essi. = H. Pietra — d ivi
ffl, frigia, di cui dice Dioscoride, che «ani le piaghe. :^=
:, 4. La scorta, il pensiere , che le fa scorta. Ella, la
jingua. 3, 3. Fianco, ciiore. S. CI, 1. 2.
S. LVI. IVon v'è cagione, perchè si stirai scritto questo so-
etto dopo la morte di Laura, stantechè \ì ritorna il mille
olte rugumato concetto del tornare malgrado suo a'ceppi an-
chi amorosi, che credeva aver rotti. 1, 3. Nemica,
aura; non già fortuna, donde non appar vestigio in questo
logo. = 2, 2. Lor, delle promesse. — 3. Perchè,
ncorchè.
S. LVll. In lode di Simone Memmi da Siena, pittore e scul-
)re , eh' efiigii) in marmo in basso rilievo il ritratto di Lau-
1, e di l'etrarca, come contende Biagioli con Vincenzo Pe-
iizzi, fiorentino, che possiede questi hassirilievi. ^el ritratto
el poeta si legge F. Petrarca; in quello di Laura Diva
aura. IVella parte opposta del primo : Simion de S e-
is mefecitsub A. D. M. CCCXLIII; del secondo i
ersi :
Splendida luce, i n cui chiaro se vede
(iuel bel che pub m o s t r a r n e l jn o n d o Amore,
V vero ex empio del so pran valore,
E d^ o g n i in e r a V i fr l i a intera fede.
1. Per mirar, benché j ancorché mirasse. Potici et o,
raoso scultore e statuario in marmo e bronzo, sicìoneo, dell'
mp. 95, di cui v. Quintil. 12, 10. B. Plin. 31, 19. 2. Cic. Or.
2(j. Uinckelmann stor. dell' arti. ed. Fea. Voi. II. e. 191.
yl prova, a gara. ■ 2, 2. Certamente il mio Simon,
nalzatosi sull' ali della fantasia pura nel paradiso, videe
trasse Laura , eh' ivi nacque , per farci vedere le di lei
czze paradisiache. 3. L'opra fu celeste, non terrena
M'accora, m'aggrava il cuore di tristezza. = 4,3. Ovf
quando, mentre. '
S. LXV. 1, 1. Lafenestra, gli occhi di Laura. == 4.
/->e« f r a, seconda , piacente , bella , felice. ^= 2 1. So-
ttra «f or , avanzar , restare , durare. Prigion terres-
tra, corpo. ^=: 4. Si scapestra, si scioglie, spicca
libera. = 3,2. s. Che non è, non v'è persona, ò alcuno'
che indietro volga il tempo. : — -1, !• Scorta, guidata!
— - 2. Per tempo, a tempo giusto. i=:t 3. Chi se-
reni, chi muore dopo che sono passati i suoi giorni felici
ed é dunque costretto a viver ancor qualche tempo in miserie'
ovvero no i muore a tempo chi muore nelle miserie. E dun-
que ristesse concetto; è bel morir, mentre la vita
è destra. 1,-i. soltanto negativamente espresso.
S. LXVI. 1, 3. Da sprezzare, vano, che non dà nel
segno. D' av e rn e fede, da far fede, da far certo.
3 , 2. A e h e , Si qual segno, a che strazio. lag h e zza , de-
siderio vagante, amore. :r=r 4, 1. Af frena, tiene in vita,
straziandomi. 11 tcnor del tutto è: Come buon sagittario sa
qual colpo dia nel segno, qual no, così pur voi sentiste, che
quel colpo degli occhi \ ostri mi doveva esser letale. IVuUa-
dimeno fu soltanto penoso.:
S. LXVll. 1, 1. Sp t /;ì e, pietà, o amor sperato. E lunga
— troppo, tarda, indugia. = 3. Accorto della
mia speranza ingannevole. rz=r 2, 2. Dall' — storto
cuore. Metafora tolta da chi ferito si curva, e dolendosi mette là
mano .sulla piaga, camjuinando a bioscio. 4. S e 'r n i
dell' angoscia, pallidezza. ^=r 3, 1. Siete in via d'uina-
raorarvi. ^^= 3. iVort ecc. non aspettate, che giunga all'
estremo l'ardore. ^= 4,1. Perchè, benché. 2. La
nemica mia, la ragione avversa agli atl'etti.
S. LXVIII. 1. 1. £66e, tenne. =: 2, 1. Perse, da
sé solo. :;^;r 3, 1. 1 n dietro il tempo passato, ovver pure
i.Le membra, il corpo , la carne, i^-fln n o i;e/p, ve- alla prigione. = 1, 1. Il mio ni «/, Tin.-anno d'amoVe
0, nascondono, celano. r= 4 , 1. Cor tesj a /e , fece ___ '2. .W i spetro, mi sciogllo del duro crror.
) di grazia ne compiacque Simone. = 2. yl pr ovar\ g ^^IX. Secondo de Sade scritto nel 1342, dove un
gielo, ad esser nonio hacco e soggetto ali i'npressioni| ^^,^ g„„^ ,„ curio:=o di vedere colei , che aveva in<ni^
usuali. ^= _ f , ''^e( mortai sentiron, sentirousi 1 ^a,„ J^„i„ uìi^tanto poeta, la trovava inen bella di ouel che
^. e oscurati da sensi mortali. ,, credeva. =: 4, 2. JJ «e, ancorché adesso non fosse più. S
S. LVIll. 1, 1. Concetto, idea concetta, immaginata nella ij^yjj j j ' ' "'"' l'"- ^•
"'i''''*;''J^'!'L'::Ì-'ll"^'*!,"r''''"?\VL,^^^^^^^ S. LXX.' scritto nei 1342, per quanto si crede a Gerardo
suo fratello, che, per essergli morta la sua amorosa, si ritirò
nella Certosa di .Monterivo. ^-^ 2, 1 ' ' "
rza sopra il primo sonetto di Michelangelo Buonarroti e. 159
Ile rime e prose di M. 11. Milan. 1K21. 12. = 2, 3.
Ila, l'opra gemile. 4, 3. t^ucl é si indefinito, che
n si puìi agevolmente tirarsi a disonesto senso, inassimainen-
, se consideri il tenor del tutto, che chiede voce ed iutel-
lo in vista umile promettendo pace. Una volta.
S. Ll.X. 1, 3. Scampar liberar dall' ardore. :=:= 2, 1.
e i :;o , modo, termine, limiti. _::; 3. Mezzo, la metà
quii che fui. ;r— : 4. Per, a cagione; cioè perchè si
esso giro gli occhi al mìo male, guardo s'i spesso quella
e mi \',i infelice. : 3. 2. Chiusamente, nascnsta-
nite, insenaibilmeule ad altrui. --^^ 4, 1. Scorgo, con-
ce.
5>i 1\'. I, 1. Fermato, forzato, costretto. 3. Sce-
sepiirato. =:r= 4. Fine, morte. : (i. Mentre,
e. mentre che la ragione ha ancora qualche impero su la
ne sensuale. ^—:z 2. 1. Ij'aura. Gioco di parola. : —
Dentro al legno, nel corpo avendogli atfetli. : —
1. Cieco, corpo accecalo dalle passioni, ^m 2. Er-
I senza ecc. senza pensar uu istante il cammino, ove I
aggirava l'impeto delle passioni, rmr 4, 2. A è, owero
/ mb e I e e h i a r i,
che volgono al si e al no. :z=z 3, 1. i'igoni ò r o, sgomberalo,
scarico.'
S. LXXI. In morte di Gino da Pistoia, nel 1.336. =: 1, 3.
Tutto intese, tutto applicossi, iiigegnossi. 2, 1.
Prego. Non pregato pur (sembra che 1' acerbo dolore fatto
avrebbe ristesse. =r^ 1. ./ f/ /«/o ^a re, esalare. ì\on si
pensi già per questo al timore di scoppiarsi , ma solo al de-
siderio di esprimer con segni esterni quel, che sente di dentro.
4, 1. Ferversi, perchè 1' a\eano esiliato. 2.
Vicino, cittadino. Dante Purg. XI.
S. LXXll. Abbenché que^to e il seguente sonetto non siati
forse connessi in t|U('l modo, che il primo contenga il co-
mando d'.Vinore, e il secondo leseciizione di (jueslo, (opini-
oue, che forse nacque da uvea, che par sia cangi.ilo con
l'originai ave in vece d' ha!) trattano pure l'uno e l'istessa
argomento, il pallorrd il lagrimar amoroso. — 1, 2. J it
/ p £ t r e f/' or ", distintamente e durevolmente. =:^= 3. Si
come, come, o dir. :=^- 2, 2. / o t g a r esempio,
•-r ... •ili ' ,. . , y 1 II ' • ,, I esempio del \olgo. S. I, 2. 4. r-rr 3. Lavoro, studi
= i. Di su '/«//« ^; ".«;*««« »'(•/«, dalla più alta, j^.,|.^'p„p,i.,. S. XXXll. 4. V. S. LUI. -^ 3, 1. /■; *r, ben-
nta del legno , dalla gabbia, ^r-. 5 , 1. ./ n co già, a p,, •. j; j^X, V, 4. 2. r= 2. /ii r/ « f (o,ricetto, albergo. A ,j
e«la ma. z— (., 1. 6 « o e « e a , o s 10 uscissi. Particella ,/„,, r , ne' quali, ^rr 4, L .V» r<;),/<Mi /'orco, perchè
diNiderio. ri7/onto ossery. e. ,Jo(i. henso : cosi potess U bellezza di Laura si scemava per gli anni.
u,-.''ii- Mvo ecc. come 10 sarei vago ecc.
L\. I)(! Siile dice, il grande amico (?, 1.) e88er non
istd , ma il Padre Dionisio dal Borgo a S. Sepolcro. Kdav-
ro il quartetto si-ciiiido min ripugna; né il line del terzetto
ini rollici ina l'alira o|iiiiione.
. i)\l. K irritalo il poeta , per quanto si xede, perché
le d'esser padrone di sé nieilesimo. =r- 1, 3. // riva,
esl remila. : — 2, I. Hello e bianco, senza iscrizi-
. — 4. Che — anco, che pili» star e durare ancora
ilii cullo spirto
L\ll. 1, I. Se — mischi. I capcgll di P. incaniilirono
ina ile' venticinque anni , o hc ne coiinoIìi con ('esare
ir(,'ilio. v. tJgo Fosco) o saggi sopra il Pclr. 17. :=:r
0 / ' Imor ecc. ove si traila d'ainorr. Kmpir farro
iplirÌN>iinaineiite forse è metter l.t freccia sull' arco, lì
«so di Dante Piirg. \\\ , IH. citalo da liiagioli a imi al
iiiMi da gran liiiiie. Lii rima potrebbe ben aver pro-
to (! sru^iire questa parola e il di lei senso, poiclic in quel
etto inedeNiiiio, come nllro\ e, foi/.a il pnela ad abbandonar
metafoni, i; a sceglier parola poco piucexole a TaNNoni. -. —
l. l' ir e Ili, benché. : 3. Invischi, cincischi, cin-
,1, lngliir//i.
I. LXIII. Dialogo fra Petrarca o gli occhi suol. . — I, 2.
'. vostro, per cngìoiie di v. ^r- 4. .11 trai, del cuore.
: 2, 4. Co Ini, emiri
per gli
S. LXXIII. I, 2. Donna, domina, padrona, che do-oiinil.
rm 3. Coni par le, distribuisce alle iiieiiibra. r— 2, 2.
La scacrialu parte, le virtù, che raiiima coraparle, In
forza vitale, la pensai i\ a, e generalmeule ranìma. : — 4.
Che, o\e. Fa vendetta . scacciando dal corjio di Laura
l'anima. Concetto allenalo e facezia di vaghezza! - 3, I.
Duo volti, il amnnle e d'amala. r 3. ha ecc. è scam-
bialo in ainbidiie. — ; 4, 3. <iu al —far e , pallido e «morto.
S. LX\l\. I. Senso: ah potessi io esprimer in verni, <|iianto
io sento, cerio farei dolersi ogni alma. ^^- 2, 4. Benché
— riversi, benché io taccia. . — r 3, 1. Uisptendr,
risplcndeiido peiieir.i. — 4, 1. Maria Madd.ilenii. r— ^
2. Ij u fedi , il feilelineiile niiinr Cristo. . — 3. / oi. parla
■iirli "iclii , che pnr,r<oiio penetrare nell' alma, cho luce. v.
il qii. niello secondo.
S. I,\\\.l,l. Di I f a spettar . dalla pena, n per c.igion.
/ i II t o . Hianio, enaiiHlo. : — 2,2. Ove che. oviiiiqiie.
— 3. /■.'hi ;i; , crudeli , spietali. — r 3, I. ,/ h f 1 r r; , gran
loinpo non biilliila. — : 3. Mal, con danno, •iiiiiHir.inieiile.
: — I, 1. Il lor eco. allora peccò runiina di libera xolontà,
come Aliamo. : - 2. .ìpostad'allrui.a Miglia e pia-
cero dello Ml'renalo deHi'o,
I S. L\\\ I. 1 , 2, tinaie, pien di contento e di p.icc. .^rr
I 4. ti II II r ri) , ^iinririi. =- 2, I. Invaghirò, inxiieb'roiin.
I. LXIV. Scritto nel 1330, «ccoudo de Sade. .^^ 1, 4. divonucru \iighi. _:= 'i. Ivi. ucgli occhi
3 2. Dvl
COMENTO SULLE RIME
la mia morte, di Laura che mi dà morte. = 3, 3. Che,
sì rifprisci^ a no ine.
S. LXXVIl. Ad Orso, conte dell' Anguillara, marito d'A|?iiesa
della Ooloiuia, il quale si doleva di non poter esser al des
tiiiato d'i ad ima battaglia, come dice de Sade; altri dicono,
ad una giostra. =: 2, 1. A lui, a\ cuore. :=r 3, 3.
Tempo, ffiove-ilù. Sangue, nobiltà di sangue. r=-
S. LXWIII. Forse a Boccaccio! = l, 'i. Torna fal-
la e e , ci fallisce. = 2, 2. Che, ove.
S. LXXIX. 1, X.L'unsol, Laura. == 2. In sulla
nona, a mezzodì. ^= 3. Quella ecc. la finestra volta
a setlentrione. = 4. Fiede, iiere, percuote. ^= 2, 1.
Sa suo, sedile di pietra, o scoglio. A gran di, ne' di
esiivi. Pensosa, in sé raccolta, riflessiva, pensierosa.
is, 1. i/ — amore, il luogo, dove lasso m' innamorai.
■ — ■ 2. La novastagion, la primavera. : — 3. In
quel di, nel di sesto d aprile.
S. LX.XX. l, 2. Quella, la morte. Perdona, ris-
parmi:». 2, L leggio, ecc. so, che poco giova il languir.
3. Per t uff 0 5 u e «to , ciò tutto non ostante. 4.
L'usato tributo di lagrime. = 3, 2. Non ricevo
inganno, non mi lascio ingannare dall' amoroso desio. :^^=
3. Ma forza ecc. ma l'urica mi fa Amor, zz:^ i ? 2. Il
migliore, la ragione. 3. S'' anime ecc. se altri-
menti an[me offuscate da' sensi sono capaci di presagire il vero.
S. LXXXL L'idea dì questo sonetto è originariamente di
Maestro Antonio da Ferrara. =:= 1, 1. Jl tradilor rf'
i'gi f '0 , Tolomeo, re d'Egitto. : — • 2. L' ono r a ta test a,
di l'ompeo. = 2, t. Imperio di Cartagine. ^:=_ ^. De-
li pitto, rabb!o,-<o cordoglio. Lo sfogare, rinchiude nel
medesimo tempo il celare, dice liiagioli , per impedire, che
non si legga sol per celar, o per affogar, o per
celar meglio, «la il contrasto par esser piuttosto nel
tutto e nel rise; che l'acerbo despìito freme, sbuffa, sma-
nia anzi, che ridere.
S. LXXXIL A Stefano il giovane della Colonna, il quale
avea riportata una vittoria so^ra gli Orsini. Scritto, secondo
de Sade, nel l'ÌVÌ. — 2, 1. L'orsa, la casa Orsini. O r-
saccUi, Ucrtiildo e Francesco degli Orsini, che rimasero
morii in un fatto d'anni coi Colouuesi, di maggio, nel
mese di Maggio.
S. LXXXUI. A Pandolfo Malatcsfa di Riraini, famoso
rapitano, che avea mandato due pittori a posta, a pigliare
51 ritratto di [Petrarca. ==r 3, 3. Per incude, per opera
d' incude, effgiati bronzi. Martello, opere di martello,
statue marmoree. ;= 4, 2. Il nostro studio, la poesia.
CXI. Diversi interpreti diversamente spiegano questa can-
zone, altri chiamandola frottola, cioè filza di proverbj racca-
pezzati e messi insieme alla rinfusa; altri detestazione della
corte d' Avignone; altri (Hiagioli) un dispettoso sfogo d'amo-
re mal guiderdonato, itinunziamo alla sposìzione, benché ci
sembri, che 1' ultima opinione sia la migliore, senza pure
dilettarci della natura di frottola, d' esser un mucchio di lao-
chi comuni applicabili a tutto, e poco poetici. _ 1, 3.
Puos si — molesto, anche in belsoggionio può esser molestia,
può la copia delle rose desiderate generar fastidio. 5. Già
Kuecc. dìcesi di chi comincia per troppi anni a incanutire. (j.
Son desto, m' accorgo dell' errore. _ 14. 1/' auro,
aurea coppa. 2, 1. 7o — Pietro, cioè le fortune mie
]e ho poste sotto la guardia della chiesa, l^^rano cos'i , per
certa somma di danaro, da ogni diastro, incendi, collette
dannose, maligni influssi fatte sicure. Ma la chiesa col tem-
po hi fece padrona assoluta di que' beni , e mandò i deposi-
tar] con dio. 3. Fio, feudo. == 4. Mi spetro, ini
libero, mi disinganno. : — (j Giù— merlo proverbio,
che significa esser fuor di pericolo, e sicuro. : 8. A'o 7J
è ecc. non è cosa da pigliarsi a gabbo uno scoglio in mezzo
all' onde, e il vischio nascoso tra le fronde. : — ^ 3, 1. Ama
chi t'' ama e rispondi a citi ti chiama è il proverbio
intero. Fatto e antico, è invecchiato, non è piii in uso.
2. Lassa andare, lascia stare, non parliainne piit!
zr-r- 4. Grama, fa intisichire, distrugge , fa mesto. Vo-
ce rara, alfaie alle tedesche Gravi, gràmen, Grimm,
trasposte da Harm, hdrmen, alla greca [i^euciv ,
lai. fremere, ital. grimo, grimare. Onde non è da
leggersi brama. Umile è o modesta, o bassa. : 5.
Mal si conosce il fico, se noi fendi. : — 7. Per ogni
ecc. l bi bene, ibi patria; donne non mancano, r. —
< — danza, V ho provato anch' io. = — iO. s.
Dio non riciiserìi, rifiuterà, se vo' dargli quel poco del vi-
vere, che ini rcMla. 13. 1 seguaci suoi, gli anaco-
reti contcìuptativi. Itosco, luogo appartato dal inondano
fracasso. :-:t-: 4,3. Citi troppo assottiglia, si sca-
vezza , chi troppo pensa, niente conclude, chi troppo
vuole, nulla ha, chi troppo tira, la rompe. 4. I\ion
sia zoppa ecc. non sia parziale la legge. O j» ' altri
attende, ov' altri insospettito sta in sulle sue. Cioè: va-
dano del pari le cose, chi la fa, l'aspetti; chi vuol ingan-
nare altrui, s'appetti d'esser ingannato. r-^ 5. Hcr
tiene star ecc. chi posto in iilto si accorge dell'errore d'am-
bila altezza, dÌBCciidc volentieri. 7. Chiusa, nascosta,
J\>a e» e ee
.). A ncW
umile, modesta. 8. La chiave, Y orgoglio, gli sdegni "j:
gli affetti, la ferità, asprezza e salvati '",'
rudeltà di Laura. Entr'alle murtii
k
asprezza, che mi sono diventali chiavi, che mi hanno fatd
comprendere l'error mio. ^= 12. D o Is e , dit\si. Altr\
Laura. z=r- 15. i! non men che suole, non meu forte, na
minore, nrr ò, 2. Il suo n della voce di Laura. : 3. L
jì ri gioii oscura, il corpo, la spoglia mortale. =:=: 4. L
lotturne viole delle parti nascoste, velate. 5. L
fere selvaggi
'•hezza, superbia,
in questo corpo. 6. Paura, schifiltà. 7. Unfiu
in e ecc. amore e gelosia uniti, z — 10. /- segni volto^
gli occhi lucenti di Laura. := 13. Oh leggasi, non ho. r=
15. Panni, corporee spoglie. ■ b, 5. Humo , lauro. =;
'.ì. Disdetto, riliuto virtuo,-i<simo di Laura. = — 7. Zi'i»;'*,,
durato affetto, il desio della parte avversa alla ragion«|''|
H. lo sarci, suppl. che. : — : 9. Edhanne e st inU''^''
quel pensiero di non esser slato assai ardito. 11 — 15. Qucst r
versi non hanno senso, se non vi si pone con noi il segno d'in'',
terrogazione, di modo che l'un verso contenga la risposta all'*'
altro. Questo pure l'hanno trascurato gli sposilori. i Da "?
resto ottimamente ha detto il poeta stesso di questa sua cani '"*
zone Iute n d a m i e h i pub, che m'' int end'' i o, che vuo *r
•lire quasi altrettanto quanto quel detto di Sancho l'ansa f/t'i •/'
:ii intende, l'erchè quel dire e non dire, quell' avvolgere 1 1""
l'atto, o l'oggetto nella vuota generalità di proverbj affastel *,"
lati, e pena ed assurdità pressoché fanciullesca, tanto più quanU ";
eh' è chiaro, che la forma artefatta anzi che arlifiziosa , e i j'
travaglio delle rime intercalari e intermedie danno luogo l 'J
spropositi d'inversioni, quali per via d'esempio ci seci-ano iiellj *
sesta stanza. Abbiiim cercato, in quanto a noi, a rimediarvi cor"'
riuterpunzione. IVulladimtno siamo del parere di BemW "'
piuttosto, che rimprovera asprezza e durezza alla canzone, cJij "^
di quello di Biagioli, che sogna di discernere, con quani' arie j '''
ingegno ha saputo il poetaarmo. lizzare il secondo tuono gravi'.
e maestoso della poetica cetra a corde d'oro temperato col primi *■
d'armoniche discordanze risonante, che rend(Mio l'umili cordi -'
lese in tempera tale, quale ne' trivj e ne' (juadiivj !i par talon *'
sentire', e che ,ringrazia la sua feroce ostiiiazìune di compren-
dere e spianare agli altri la canzone dilfìcilissima.' '
B. Vili. 1. Accorta, cauta a fuggire da chi volesse pi""
^S.'^LXXXIV. Scritto nel 1342. = 4. Paragonando le bel*
lezze di Laura, che mira sparte ed impresse a quanto lo cir ''
conda, ad una selva d'un lauro solo, tanto la dice \erdeggia ^'
re, che amore l'adduca vago fra i rami, ovunque vuol. >'■
S. LXXXV. A. Sennuccio del Bene. Apostrofa il terreno -
dove Laura lo salutò. =: 3, 2. De IT orme, reliquie dell'I'
orme. Sposizione e analisi di Biagioli ,per (senza'?) la (|uah *"
nullo è ogni sforzo di pervenire ne'sacri penetrali della scien ™
za.', Ma, essendo orme, impressioni, o segni lasciati indieiri *■
del camminare, avremo reliquie di reliquie. 4, 2. Co ''
munemente la virgola qui si pone dopo mio, di modo chi™
il terreno venga scongiurato di pregar Sennuccio di qualchi*'
lagrimetta pietosa pel poeta. Meglio Biagioli, _ inlerponendi"'
la virgola tra prega e Sennuccio mio, spiega : tu , Sen "f
nuccìo mio, s'è vero, che Amor sta sempre desto in cuor geo "'
lile di Laura (perchè no nel tuo cuor valoroso, che percii|']
conosce e compatisce amore "#) tu prega Amore, che mi faccii''
dono di quache lagrimetta, o d'un sospiro. Cosi vi sarebbi ''■
gradazione di desio dal saluto, u sguardo ad una lagrimetta''''
o un sospiro pietoso, amoroso. .'■/
S. LXXXVl. 1,2. Che, si riferisce a /late. = 3"'
Le faville degli occhi scintillanti. = 2, 1. ivi, il"'
quel terreno, dove mi salutò. Laura. A tal e segno, termine P"
C. Xll, 7. tì. 2. Nona, mezzodì. Vespro, ora fri'''
mezzud'i e sera. Alba, mattino. Squille suonami Ir"
sera all' Ave- Maria. ^= 3. // e, le faville. =: 3,1''
L'aura ecc. il fiato e voce di Laura. : — 4, 1. Spirto "
spiro, auro, fiato. = 2. In queir aere, che mi circondi".^''
allorché sono su quel terreno. '! :
S. L.VXXVIl. 1, 1. Luogo usato, terreno sumcntovata^''
2, 2. Stampava, gitiava. : — 4, 3. Aggiunto , coli '
lo in un punto. i '■
S. LXXXVin. 1, 1. Che - porta che con un suo sguardi'':
mi cambia il cuore, r^ 2. Là dove ecc. nel terreno mei "^
Invaio. 3, 2. La parola non so ff ersi, mi coi *
fusi alla voce. ■ '^
S. LXXXlX. 1, 3. Struggo, mi struggo. Solia, solevi ';
S. \('. 2, 3 s. Ordina; e perchè io non trovo qti '
r ardente mio desio di Laura, non dico sp en '"'
t o , m a II e p are s e e m o d'una quantunque minf^^.
ma par t icel la deir.ar dor suo. r= 3, 1. L'amo
rosa reggia, Avignone, dove nacque Laura,
S. XCl. I, 1. li ahi Ionia, Avignone, dov'era allor U
corte di Roma. r=r: 2, 1. Qui, in V alchiusa. = 3. SecOi
con Amore. =: 4, 1. L'una, Laura. : — : L'altra^
Stefano ('olunna il giovane. Col pie saldo, così felice
di stabile formila. ^
S. XCll. 1, 1. Ifue amanti, me, e il sole. ==: 2, J
De lì' amico piti bello, del sole. : 4, 1. ^/ui,| '
sole, rrrr 3. / into da me, suo rivale. | f
S. XCIH. 1. 2. Trasscn, trassero. = 2, l. Quei "
DI PETRARCA.
iramo, la vista di Laura. =r: 2, 3. In lei. Cosi legge Se-
assi, perchè lei non s'usa in caso retto, JVIa è accusativo.
■. Monti proposta di correz. Voi. 3. P. 1. e. 57. fs
S. XCIV". 1, 3. Fer natura schiva di quelle sozzure,
he le stanno davanti, guardando Avignone, che dice Babel.
■=:- 4, 2. Tolti dal sas-o frapposto.
S. XCV. Scritto nel 1343. = 1, 3. T'erse V estremo.
nno del viver mio. Pur dianzi, poco la. =: 2, l.
j'amar, l'araaro, le amaritudini sentite in amando. •>.
^gli, il viver. Avanzi, sopraviva. 4, 3. Rivolte,
t'orzi tatti per diiciormi da Amore.
C. Xll. 1, 1. lina f7on;!f/, la Gloria. = 2.D'al-
rettant a et a d e , nata col sole. \. Acerbo, uell"
là mia acerba, immatura, giovane. S. CXXVll , 4. 1.
j. Delle cose una. =: 12 Faticosa impresa, i\
oema latino dell' AlFrica. 2. Seguila la lal^a gloria.
= 8. J5tà no ra, gioventù. = 11. Fur dianzi, poco
. _=^ 13. Oh laccio, paura, spavento. - — 3, tì. Miei,
ehi. rrrr 4, 5. fj'' a vv e r s a r i a mia, ogni vizio contrario
Ila gloria, come dappocaggine, infingardaggine, voluttà, aba-
zia ecc. =rrr 7. yjltro signore, vizio. =rr: 14. Fer
egno, per prova del mio detto. Donna, virtù. 5,
Dove_ tu stai, col pensiero, dove at'Iìssa è la tua mente
maggior fuoco accesa. 12. Cui -preme, ch'è oppressa
ì luce maggiore. = 13. Miei, seguaci. = (j, 3. JV e l
rimi er o scorno, nel primo mio vergognare. =z 7.4.
Te' ecc. _ meglio v'era, o sarebbe stato. Che- difetto,
e in noi mancasse il merito, che fossimo meno amabili e
He. =: tì. A t a l e aegxut. S. LXXXVI, 2. 1. = 7.
OS tei, la Virtù. Batte r ale, ledasi a \olo. : 9.
mbra, non facendo nei ciechi mortali altro effetto, che
nbra. r=: 13. f erde lauro. Allude alla sua coro-
izìone in Roma. : — 8, 1. Ragion, assunto, argomen-
= — 3. Altro 7n e ss ag flio , hHto Uwiìro.
XCVl. A M. Antonio de' Beccari da Ferrara, il quale,
sendosi nel 1344 per Italia falsamente sparso il romor della
arte di Petrarca, gli aveva composta una nenia in canzone.
: 1, 3. iv'6 A en, ebbero. = 2,2. <;» u f //«, morte. ::=
In si no all'' uscio del suo albergo corsi, sono
Ito vicino alla morte, 3, 2. Di sopra '/ limitar,
sommo della porta. : — 4,3. (Quando si l'onora,
ichè cos'i bene il sa onorare, o lodare.
U. IX. Manca ne' testi i più antichi, aggiunta forse dopo
morte del poeta.
S. XCV 11. 1, 2. 3^071 mi spensi, non cessai di ardere.
= 2,'i.fezzo, usanza, abitudine. Fer lentar, quan-
ique si allentino, si domino. : — : 4. Ciò ecc. \' è in colpa
salma corporea. :=rz 4, 3. Quanto si conviene, e
n più, non per amor sensuale.
5. XCVIIl. 1, 1. Impallidir di Laura. // dolce ri-
i1 viso dolce ridente. 2, Amor o sa neh bi a ,
■bamcnto. 3. Cor mio. : — : 2, 3. Se erse, vede.
•I. XCIX. 1, 4. A quei — riva, ai morti. = 3, 2. Ma
ir credo che di ìnule in peggio sia per andare quel
npo del vivere e h' a v a n za , che mi resta. : — 4. Or-
ia: lo veggio di man cadérmi ogni sp e r an-
; , che 71 o ri è di diamante, ma rf ' un vetro, e
dot u tti ecc.
). .\!11. I, 3. f e si isse sé. Senso: se il pensicr pungente
laido pigliasse color conforme, se il concettti e la di lui es-
s.-^ione si concordassero, r-^- 4. Forse quella, che m'arde e
fugge, avria parte del caldo, sentirebbe iu parie il calore.
■ li. Ardendo lei, s'ella ardesse. :: — : 2, 1. Sforza,
■Vìe la forza, rrrr 2. Saver, poesia, rrrr 7. Miri Amo-
mirino 7 u e ' begli o ce h i. ==— 10. Si sgo m -
a del mio cuore, r — : 12. L'un, il pianto. Ij'' altro, il
') lamentar. r — : 13. .Iltrtii, L^ura. Ch'io non lo
altro, perch'io non l'abbellisco, r-rz 3, 4. Squadre,
ladri, attui, farcia alte, adiitti, rejroli. Si (lire (Irgli scul-
i adoperaiilisi a dispogliare rozz<i sasso di sua scabrezza e
'i disporlo a ricevere 1' immagine dell' artista, l'ropriainen-
è render quadro o ad angoli retti. : — ."i. Di smalto,
■o, esacerbato, inasprito, rr-r 11. Me ne stempre, di-
iga incapace a riirarla. ^r— 13. Soccorso delle rime
giadre. =— l, 7. Se per avventura ella non ha altro di-
I), che iu mirar le pnqirie bellezze, rz^ 5, 3. Tcrmcn-
su fianco, corpo stanco, alfaticato. r — IO. ('he alllii-
. Acerba, aspra, penosa. :r^r 6, IO. Cosi pensando,
Tcdendo. Nulla seu perde, niente di ((iiella impres-
ile, di quel concetto. :rr— 11. tJ più ecc. e peggio sarebbe
' la mia pure, di saperne più.
XIV. Ilellissiina ! ^- 1, 1. Acque della Sorga, n— :
Ove, su la siKMiila delle (piali. : — ; 3. Itonnn. domina,
«ora. : — 4 Itamo, albero, ove s'appoggiii. — -^ 'i,\(ira
X, pietosa compiacenza. ~ — 10 Clic, perchè. :^ 3,2. .///'
ato foggiar 110, qua, in questo luogo, dove Laiirn spes-
venìva. - — 5. Sei — giorno, iit'l m
\ el — giórno, nel xciierdi santo, rr-
Hi il terra, cangialo in terra, infra le pietre ve-
ndo me. r= 4, 'l. Dol ce n' è la memoria legRC la
nninna. rr— 5, 2. Spavento, sacro terrore, come in
petto d' un dio. — — b. Dall' immagine vera, dello
» fuori «li me.
C. XV. 1, 1. /ti — «prona, verso Laura. = b. Colui
ecc. Amore. = ti. Si confuso ditta, per la varietà
[delle immagini, ed il mio dolore. : — 7. Ordina: ma pur,
perchè i sospiri parlando ha n tregua, e soccor-
ro al do l or , diro l'istoria de' miei martiri, in
quanto la trovo scritta con la sua propria man
in mezzo il cor , dove io la rincorro si spesso.
= Vi. Fer che, bencliè. = 2, 2. M ag g io r mio be-
ne. Laura. 3. A o Jo sa — superba, \entura.
7 Acerba, non mntura. 9 So r/« o ra ta , si leva sovra
"oi. 11. S'indonna, sìsiioreggia , si fa donna, so-
vrana. Dante Par. VII. = 13. Di' lui, del sole. Parla
del sole autunnale. ~. — 3, 2. Alla — perde, nella prima-
lera. := \.Le violette e il verde, allude ali" aliit<t
verde sparso di violette, donde era vestita Laura uel giorno,
in cui P. la vide per la prima volta. = 7. Scorza, pelle.
Dice cos'i, confondendo, come sempre. Laura e lauro.
8. Far g o lett e._ Essea(lo Laura in età di 17 o 18 anni, ai-
l(irch(i il poeta s'innamorò, questa spressione o trastulla, a
vuol dire tenere, delicate. 12. Fort amento, conte-
gno, armonia degli alti. Umile, modesto. 13. Fio-
riva, era in sul bocciare, principiava a svilupparsi. 4,5.
Far molli, bagnar di lagrime. : — 6. f ince. strugge.
= 7. Ove, nel qual viso. = — ■ Il bianco della carna-
gione, della gola e del petto. Aureo delle chiome. = 9.
Ch' in creda, per quanto io credo. 11. Ordina: e m '
2 ra/ja m m a (quel che mai ecc.) del caldo desio,, ch'è
(avviene) quando ella sorride, mentre io sospiro,
si eh' egli, il desio , 72 icn t e apprezza obblio,iu>n
,8i cura d' obblio , non teme d' obbliare , ma diventa anzi
'eterno. r= 5, (ì. W un bel velo, cos'i la vide. 8.
j/?og Ti a ti, molli di lagrime. : ti, :ì. Al l or al 1 1> r , m
quel punto, frescamente. : — 4. Pensare, pensarono gli
Occhi miei. = ti. Lui, il volto. = 10. Ora, aura. S. CI,
3, 2. =^ 7, 1. Dice iulinite le bellezze di Laura, le quali s'
ingegnò di contar, come si annoverali le stelle, ricontando, in
Ujuanle parti ella, qual lìor dell' altre belle, stando in sé stes-
sa raccolta, sola, unica, sostanzìevole, niente della sua luce
; perdendo, sparse la sua luce. : 8. A" è lo /arò, non me-
ne dipartirò. ==r .8, 4. Sola per cui conforto, per lo
.solo conforto di cui, del pensiero amoroso. 5. Fero,
(perisco. = 7. Piangendo, piangente. ; 8. Quin-
ci, dal conforto di que' pensieri.
I C. XVI. l comentatori dicono esser composta questa canzn-
! ne nel 1327, anno dell' innamiiramento del poeta, e tlell' en-
trala di Lodovico il liavaro in Italia. De Sade però ne ripor-
ta r epoca al 1314, quando il poeta dimori) a Parma. Allora
la discordia interna regnò in tutta 1' Italia, da Napoli sino a
Milano i diversi signori e le città si facevano guerre coutiiiiie
e sanguigne; ma un llagello piìi terribile ancora erano le mas
nade e le truppe forestiere per la maggior parte tedesche, le
quali, assoldate ora da (|uesto, ora da quel princine, porta-
vano la devastazione dappertutto. Onde l'eirarra diresse que-
sta canzone maschia, magnilica, e ponderosa a' signori d'
Italia. : 1, 2. Alle piaghe, mirando le piaghe 5.
Tevero, Arno, Po; per questi tre fiumi intende tutta
l'Italia. li. Dove. !\nii potendo il poela seder in un pun-
to di tempo a tulli (jiiesli liiimi insieme, egli è naturale, di
riferir questa^ particella al Po, e di concliiuderc, eh' egli al-
lora si trovò in Lombardia, non lontano dal Po; cii) che s'ac-
corda bene colla sua dimora a Parma. : 10. Cortese.
amico, benigno. : — II. L i e v i e a gi on , \;ì fazione de
(ìuelli e Ghibellini. =rr: Ili. Qual — sia, qualunque io mi
sia =r 2, I. I oi. Signori d' llalia. =r-r 10. Chi assolda
più gente barbara, mercenaria, ha più iiemiri intorno, rrrr
13. Strani, forestieri, loulani. : — 3, 8. jPere «c/mg-
^ e , Tedeschi. Ma n su et e gr eg gr , Italiani, tt^ 10. Per
pili dolor, scorno e vergogna. Questo popolo, rr^ 15.
Assetalo il romano escrciio \incilore. r:^ IU. .Von piti,
ecc. Fior, 3. ut t' i r t o r r o m a n u s non p l u s a q u a e b i -
b e r i t , q II a m s a 11 g n i n i » b a r h a r o r II m . — 4, 5. A g-
gia, abuia, rr^ li. / astra merci: gra/.ic al vostro bel
g(nernarc. Tanto, Incarico di regnar I' llalia. :^— 7. /'o-
glie divise, discordia, z^ — 9. Colpa, cri me, fallo, (i in-
dizio, sentenza, opinione, conrello poliliro. Itestino.,
fato crudele, nemici). Soppl. a (|ueHlo verso (■ egli mai.
r-^ 12. In lìispitrte, fuori d' llalia. rr- 5, 1. Ilainmen-
ta gli inganni falli agli Italiani da L(>do\ irò illia\arn, il qua-
le, entralo in llalia, fere arrestare i \isronli, rh' er.ino ì
"iioi i)artigiaiii ledelissimi, e (|iialcbe tempo dopo rarciò da
Pisa 1 fìe\ì di ('.islrnrrìo Caslraranl , n' quali aveva grandis-
simi obMighi; che ihna ad intendere di soler combattere, o
non coinb.illex a , ma srherz:i\a con la morie, alzando il
dito, come f.i chi giiioca rolla galla già slizzatn, accostando
o toccandola leggeniienle col dito, r— 4. A» stra zio, il lu-
dibrio, la vergogna, 1' oiila dell' impresa, 1' alto di s'r.izinrc.
Danno, la perdila. z — B. l'in tanto più. ,11 Ir' ira
contro a' vostri rompatrioli, no contro a' barbari, ((ii.il si dn-
V rcbbo. — - 7. Dalla — terza. Ire ore sol.iinciilo. r=r
II. Sgombra, togli \ia. Dannose some, genie che ro-
vina e pesa. - — 12. fri nome — soggetto. I.chIon irò il
Uuvarn aveva illtgiiimu imperiò, dod ebecndu »c appro\iUo,
COMENTO SULLE RIME
tata da. noi della sua, dell' iinperadore, gente ritrosa
testarda. = 6, 1—6. Queste parole le mette in bocca a si-
gnori d' Italia. = 1. Questo, queste riiìessioni. = 13.
F»rt« itala. Fu ro re , tedesco. z= T, l. Signor , Si-
gnori! = 4. Qui, in vita. Partita, morte. =: 5. Ignu-
da è sola, senza imperio, senza siiriion'a, e senza sol-
dati. z=^ 6. Dubbioso calle, breve trapasso da vita a
morte. =: 1- Questa valle, di lagrime, questa vita.
8, 2. Cortese ni e 71 te, senza austerità, con garbo. =rr
3. Gente altera, signori superbi d' Italia. zi=: 8. A chi,
a' quali. ,
C. WII. Intorno al 1340. = 1,2. Segnato da umano
vestigio. 9. Lei, Y alma. 11. In un esser, in un
medesimo stato. r= 12. Alla vista di queste emozioni.
'i, ò. In gioco gira, siride. = 9. Serra , serba.
12. Ordina.- ed in questo meditare trapasso so-
svirando e chiedendo or potrebbe esser vero che
fossi caro a Laura? or, come serbar ti potrebbe amor a mi-
glior tempo"? or, quando cii» lìa? 3, 2. Nel primo
«o s ,s o , che vedo. : 5. /"i e t ra t e , tenerezza. :^= 6.
Dove, in che stato diverso dal primo. :::=: 4, 5. Sua fi-
glia, E\enn. Ferde, posta a confronto. = \\. Lt me-
de s ni o, in quel luogo isteeso, ivi medesimamente. ^= 12.
Pietra morta, irrigidito in istatua. r= 5, 2. Maggio-
re, pili alto. Spedito , sbrigato, eminente. = 4. Indi,
da quel giogo. (1. Condenso, condensato, pieno. =
a. Qualità aria, quanto tratto dell' atmosfera, quanto spa-
zio. = 10. Fra me diro. = ti, 1. 01 tra qu et
f alpe. Era in Italia. =r^ 3. R use ci corrente. Sorga,
o Durenza. 7. £' immagine mia sola, il corpo,
eh' è mera immagine per rispetto alla maggior parte.
S. C. 1, 4. Guidar don, forma antica in vece di gui-
3, 1. Immagine di Laura, che porto scol-
Ragion. la divina vendetta. : — 2. Nuovo soldanì
secondo alcuni è Benedetto XII, secondo altri l'rbano V, se-'
condo Biagioli quel!' invitissimo re, il quale nella 21 delle sue
epistole invita e prega, a liberar la chiesa. So Ida no lo
dice per a\er detto B a b i l o ni a. = 1, B a Id ac e o , a
Biagioli è luogo di prostituzione. Altri spositori intcndonol
Bagdad. = 3, 2. Le torri, i palagi. =:: 3. Torrier,\
preti e cardinali superbi e ambiziosi , che dentro alloggiano.!
4, 3. Lui, il mondo.
S. CVII. 4,2. Costantin non torna a ritoglierli le
ricchezze donate. : — r 3. Tolga, se 1' abbia, ne |>orti il
danno. Il cioè tutti questi vizj, e sozzure. Biagioli riferen-
do questo il a mondo, legge chi '' l sostiene, cioè reg-
ge e governa, e intende dio. Tolga, dice esser tolga via.
11 passo è oscuro.
S. CVIII. Secondo Sade scritto nel 1345 dopo il suo ritorno
in Avignone agli amici in Verona. 1,2. Dolce schie-
ra amica, che 1' avea accompagnato sino a' confini del \c
roncse e del Bresciano. = 2, 1. Mal suo grado, mal-
grado di fortuna. : — 2. T alle aprica, seno, golfo,
tratto di mare. 3. Mar nostro è caso quarto, i] medi
terraneo d' Italia. La terra è caso retto. Intende il golfo
di Venezia , ossia il mar adriatico. 3, l. Da man tn an-
ca, perchè a chiunque si parte da una delle città litorali di
Romagna alla volta di Genova, ii cammino, per rispetto di
Venezia, sta a man manca. 2. Ei, il cuore. 3. Gerusa-
lemme, luogo di libertà, Egitto luogo dì servitù. —
4, 1. Sofferenza, pazienza. 2. Fra noi, me, ed il
mio cuore.
S. CIX. 1,2. Seggio maggior , residenza capitale.
3. Nel la fronte , all' aperto, con più ardire. Suppl
m i a. 3,2. Ordina : e vuole che ragion, vergogna t
reverenza af frenino il gran desio, e /' accesa
spene. : 4. Nostro, mio e quel d'Amore. 4,1. Te
der don , ^ . . _
pita nel cuore per man d' Amóre. i, \. S cizi a e IS u _
midi a, luoghi inospiti e deserti. M' assicura mi è scher- 'menda il mio signore, se il inio signor teme, è paventoso
mo , mi protegge. S. CX. 1, 1. Al caldo tempo estivo. := 2, 4. Chi
S. ci. Risposta al Son. di Jacopo notajo, che incomincia discerne, V anima giudicativa. Chi vuole, la volon'=»
„\ìesser Francesco con amor sove:;te ," e termina ,, Voi che " ' »^"-* -'= >-.• .i: i o r/.-_».. ..„i„
fareste in questo viver greve'?" 1, 2. Fianco, cuore.
S. LV, 3. 3. =: 3, 1. £ vedrei. Rose vermiglie, le
labbra. A'ej^e il volto bianco. = 2. Ora, aura, fiato, spi-
ro. //' avorio, i denti. C. XV, 6. 10. 3. i''a di mar-
ni 0 , empie dì stupore , e disanima. 4, 1. E vedrei. :^^z
3. Stagion pili tarda, vecchiezza.
S. Cil. 1,4. Ria, malvagia. 3, 2. Contrari ven-
ti, affetti , desideri.
S. ('III. 1, L Segno, bersaglio. _ : — 4. Cale voi.
Qui col quarto caso invece del terzo più solito.
Cl\ . l, 1. A o 7i A_o da far guerra, non son capace
3, 1. Elli, gli occhi di Laura. 3. Virtù, valore
4, 2. Noja altrui, la noja degli occhi di Laura, ch<
m' hanno a schifo.
Si. V. Tarsia di concetti smancerosi, smorfiosi e monotoni
e gioco triviale di Laura, lauro, aura! Avendo amate
assai Laura, tempo è, che serva a dio. 1, 2. s. Un dis
pi e tato lume eec. il pianeta di Venere. 4. ss. Tic
pidi venti di primavera , che rinuovellano il tempo , sgombra-
van i poggi di neve, e fKiiiau per le piagge 1' erbe e i rami
= 2, 1. Rami, membra. 2. Frondi, chiome, mr
4. ,1 r d ent e l ume , stella di Venere. 5. Tolsi, volli
6. Pianta — cielo, lauro. Laura. : — 3, 1. Cielo
ili oppormi. =^-^ 2, 1. Tal donna." : — - 4. Mi trae d' t rn- i influssione ardente del pianeta. : 6. Che — tempo
paccio, mi dà morte. 3, 3. Altrui, Laura. poste in paragone col lauro. • 4, 2. Cielo, pianeta. =
('. Wlll. 1, 4. A tal segno. 5. Onde il dt vien'3. Soave — lume degli occhi di L. : 5. s. E quandi
fore, nella parte orientale d' Arabia. (i. Un augel,\ — poggi, il verno e la state, seinpremai. rr= 5. Ogni cosi
la fenice. : — 14. ]\ervi, primiero vigore. 15. A' creata è variabile, in conseguenza ancora il mio amore cain
prova, a gara. S. t'XXI, 1. 1. =r: 2, 1. Pietra, cala-i bìa d' oggetto. ; 4. R iv o l gc n d o — eie lo , dopo inolt
iiiita. :r=z 2. Da natura, per n. : 6. Quel bello anni scorsi. tì.Lume divino, divina grazia. =: (i, 1. Dolci
s e o glio , ìia.ura.. z — 9. Costruzione : Così un sasso lume degli occhi di L. ti. Frutto d' opre in onci
scarso piiialrar carne chejcrro, f alma ha\A\ dio.
sfornita (d' ogni nerbo e vigore) /m r a n ?/ o '' l cor che \ S. CXI. .Sade dice esser risposta ad una amica d! Laura
fu già cosa dura, e tenne me un, unito, connesso, al- 1 che gli richiami) alla memoria tinti i segni di benivolcnza
legale e slretle le parti insieme , c/t'or son diviso e che L. gli aveva dati. iVoii par per!) che quadri atfatto queste
sparso, perchè mezzo di me, e mezzo di Laura. 14. A'^ parere. Sembra piuttosto che 1' amorevolezza d' altra donni
riva, a morte. z=-. 15. Ad, da. : 3, 1. NelV e.s t r. | intiainini di nuovo 1' amore suo ili L. , il quale pure non ose
tocc, neir Etiopia occidentale, r:-^ 2. Fera, la caloblepa. palesare. = 2, 3. Abito, atteggiamento, contegno. Ch
- <). Qiial, Quella che. =rr^ 4, 1. Nel\ al — sovente che fammi destare
le' trogloditi. : 2. Fontana. Plin. suono , che quella di sospiri. :^r=
. In sul giorno, in principio del gior- tro, non più fuggitiva, rrrz 4, 1
no. ::=r: 12. //'oro, le chiome. : 13. pone, contraria, impedisce. Dovr
5, l. Fonte di (Jiove dodonco in E|iiro. la mia lingua. : 2. Ella, hi
l'iin H. \. 8, 21.'r= li. Qual, Quella che. —n 4, 1. iVV/l al — sovente che fammi destare a ninna altra s(iuilln, cio(
711 e zzo giorno, ne' trogloditi. : 2. F 071 tana. Plin. I suono , che quella di sospiri. :^= 3, 1. Co7iversa indie-
11. \ 2,130. rm: 4. In sul gior7io, in priiicinio del cior- tro. non più fuffcitiva. rrrz 4, 1. S' a tt r a i> e r s a , s' op'
no , in sul farsi gior
Jl II i , occhi. =-t:
l'Iin. H. !\. 2, 113. z=: 8. /''re f/ rf a , cast.i. = «,2. /.so
le famose di Fortuna, oggidì Canarie ncU' oceano
Inori dillo stretto di Ribellami. z=r 3. Ha, sono. Dell'
una, donde parla l'omjionio Mela, Tasso nel giardino d' Ar-
mida (i. L. \IV,71. , Ariosto transferendole nella selva ar-
denna. l. ,1/or, muore. = :>. Stampa, investe, ordina,
regola, lorina e dispone. r=:r 9. Intrude il poeta novo cseiii-
|)iu della Sorga, r— 11. Quest a font e , SoT^a.. =: 13.
Quando, ecc. nell' Aprile. == i. Chi, a chi. r= 7.
Per se si riferisce al poeta; perchè dice non v'è chi lo
scorda tranne Amor e l'immagine di Ijatira.
S. ( V . (Questo e i due seguenti Monetti omessi in alcune
edizioni sono diretti contro alla corte romana in Avignone,
r^ I, 2. Dal j ili me dalla rete pescatoria , alludendo a San
l'Ielro pescatore, e da il e ghiande dal pascerti di ghian
rebbe esser attraversa
Laura, e la di lei immagine
o idea
S. ("Xll. A Sennuccio del Bene. = '2, 1. Trasfor
morsi, siippl. vidi. rrr- 4, 2. Poi, poscia, dopo ave|
veduto Amore. Se cura dall' arco
S. ('XIII. 1, 1. Ponimi in vece di ponmi, e simili, com(
mos Ir animi ecc. ci sembrano anoinalie nate dalla volubili
pronunzia e dall' all'inilà delle liquide. Onde non caugiaini
nulla. Ove — erba, sollo la zona torrida, all' equatore
rT:r: 2. O — neve, o sotto la zona fredda. r-= 3. Ov^i
— leve, sotto la zona tei»i)erata. : — - 4. All' oriente o^
r occidente. ('/// si riferisce agli abitanti di quegli estreoil
.— 3, 3. Libero, da' suoi membri, dal corpo. i
S. C\IV. 1,3. Sol, solo, f./àun d'i. r=: 3,2. Tile.
isola tra settentrione e occidente oltra 1' Inghilterra e 1' Or
., ' -- I»'. &<*#•!.. .ILI |ii.ii Villi 111 fintili- i^iriii, iiii f.\.iii.iivi|i.ii\. V .(..'.uviiiv. irii.111. j .■•^i.iibi'iii» *. ■
ile, cioè dallo slato il pio povero, rrrr 3. Se' diventata. r=- cidi. Ilattro, liiiiuc ne' confini della Sciy.ia asiatica.
.i, l. I' anr.tull e e i' e e c/ij , cortigiane e cardinali. Iicg- 3. Tana, il Tanai. A//o, fiume d' l'Egitto. Atlan
gendo con I edizione dt liandiui Eir. jTltì /o nciu/f» sen- nionte di Mauritania. Olimpo, monte di Tetiwai
te,
agliài
DI PETRARCA.
Va Ip.e, una delle colonne d' Ercole. : — i, 2. s. Il bel —
%l ji e , Italia.
S. CXV. 1,3. L''usata legge dì moderazione e reve-
renza imposta da Laura. 2, 1. C'fit, Laura, che. =r
' Sue (del voler) imprese ardile. 3,3. Che, perchè.
= 4, 1. Freddo — speme. Sono nominativi.
S. CXVI. L Tesiti, lìume presso a Pavia. Varo,à\
Liguria; ^r no, di Toscana ; yi rf jg^ e, nel Veronese ; Te-
hro, Tevere; Eufrate e Tigre, d' Armenia; Nilo, in
Egitto; Ermo, in Lidia; Indo e Gange, in India; Ta-
na, Tanai ; /«tra, il Danubio; ^ //e o, in Arcadia; Oa-
ronna, in Guascogna. Il mar che frange, il lìume Ti-
mavo, detto mare dagli antichi. Rodano, lìume di Fran-
cia; le ere, di Spagna; Rvn, dì Germania ; Senna, di
Francia; Albia, di Uoemia ; Era, di Toscana; Ebro, di
Tracia. = 2, 3. Mio, la Sorga. = 3, 2. Onde, del
i(uale soccorso. 3. A si gran salti, cosi presto. _=rr
1, 2. Chi ti pianto, io, il poeta. Pare dunque aver pian-
tato un lauro in riva a Sorga. 3. Nella — ombra
del lauro piantato.
B.\.2. Dolce riso. ChechenedicaBiagioli, il riso dol-
ce inen duro si fa non quadra, perchè la nozione è stravolta
B si contradice. : — 5. Che fanno , a che servono. =^ 12.
Mantener mia ragion, sostener e difendere la parte mia.
S. CXVII. Dialogo fra il poeta e T anima. ^= 1, 3. In
r/u el , per quel, a quel. 2, 1. Che prò, cosa giova. _=
3. Colui — governa. Amore. 3. 2. yl sdutta di la- i
grime. = 4, '2. Rompendo, interrompendo, annichilando.]
S. CXV'lIl. 1,3. Fosco e torbido pensiero, meno
onesto, o tristo come S. CXX, 3. 2. = 2. i\<in fumai da
divina luce occhio mortale si vinto, come il mio dal raggio di
quegli occhi, do\e Amor ecc. Dunque luce div. e raggio,
alt. sono nominativi; mortai vista e la mia accusativi.
: — 4, 1. Indi, da quegli occhi. Si vanta il poeta.
S. (J.XIX. 1, 4. Inforsa, pone in forse, o in dubbio. =
2, 1. Smorsa, mi trae il morso, mi sfrena, lìbera. = 2.
2'ra due, tra il s"i e il no, tra speme e timore. := 4, 2. j
Manca, vien meno per gli atfanni. |
S. CXX. 1, 2. Co 7) tenf/ e, impedisce. = 2, 1.8. For e,
di quello, fuori de! cuore. : — 3. Se pur ecc. ancorché ^
la di lei asprezza, o il fato mìo acerbo ra' offende, non mon- ]
ta , perchè non spereremo almeno, né saremo piii in errore.
4, 1. Io SCO, con \oì. 2. E ria ecc. e puo_ tran-
quillarsi il tempo , per quanto conosco dagli occhi di lei. |
S. CXXI. 1, 1. A prova, a gara. V. XMll, 1, 15. Tasso
G. L. XllI, 77. W, 12. = 2. Lume degli occhi di Laura.
3. Si specchia, compiacendosi, i^i; 2,2. S'assi-
cura, si arrischia dì mirarla, rzir 4,2. s, Or qual è quella}
BOinma beltà, che non ecciti impura voglia, se non questa'? |
S. ('XXll. (Questo e i tre seguenti sonetti trattano del pian-
to dì Laura. 2,2 f otse, volle. Fo s a i a v e de r l a
Ja vedessi. =rr 3, 3. Entr' un diamante, indelebilmen-
te. = 4, l. Salde ad ing egn os e chi a v i , tulli gV
ingegni della mente innamorata, come rimembranze, sperau-
! , desiri ecc.
S. CXXlll. 2, 4. Farian gir ecc. come Orfeo. = 4, 3.
Av ea pie n , era colmo.
S. CXXIV. 1, 1. Acerbo, luttuoso. = 2. Mando al
cor, impresse nel cuore. 4, 1. Ferie i denti. Rose
le labbra.
S. CXXV. 1, 1. Uve che, ovunque. = 2. La va-'
g he zza, il desio vago, \agante. =rrr 3. Chi, un pensier
che. Ivi, ovunque io posi o giri gli occhi. r= 2, 3. O/-
f ro /a I' ! o f n , olire al dilitio, clie n' ha la vista, anche
agli orecchi lìgura e abbelli.'-ce. =rr 3, 1. Amor e '/
ver. vero amor, non olFiiscato od ingannato da' sensi.
S. CXX\ 1. Sotto a questo sonetto scrisse P. /i o e de. di
Jacobo Ferrnriensi porlundum T homasio VXifi,
(Jet. IH. Sono idee platoniche, nrrr 1, 1. Idea, prototipo,
ente, immagino dijiinta nel divin<i intelletto, donde le monda-
ne cose sou ridesse. :^— 2, 4. La somma di tante xirtu.
S. CXXVII. 2, 1. Rei sert n, fronte serena. == 2. Stel-
le fide, ocelli, lido e sicure scorte. nr- 3, 2. s. Preme
col — cespo, non puossi altrimenti intendere se non: sdra-
iala s' appressa col suo seno al verde cespo, di modo che lio-
rcttì si chinino al di lei seno. Se no, il poeta ha mancala
r immagine. Ci spii alinciwi non par possa esser un maz/olin
dì fiorì e frondì ; né (|ui>to polrelibe prrmerHÌ col seno, al
seno SI. r: — : 4,1. Stagione acerba, prinia\era. S. ('L\ II,
I, t. 0. XII, I. 4. — — 3. Cerchi», ghirlanda di liori e
lri)ndl. Oro terso e crespo, bionde e crespe chiome.
< CWVIII. 2, I. Froii de, nUtìTii. zr—. 'i. (i emino,
delle anni e delle lellere, d' imperadori e di poeti. = 4,1.
.N II <l r , spogliate della carne.
S. (;\M\. 1,2. Preferiamo colle micliori cdi/ìoni.con Paslel-
Mlro e Mnrsand ;i en sa n do , colne^.('^\^ H. la pn n s a n-
d II , ch'i- trcdilo e ijuasi taiilologo. rr— 3, 3 l'r r n di — I u in e,
li lai limpido e chiaro dal chiarissimo lume degli occhi dì L.
ij:-: 4, 2. /7i l'oi, contrada e linnie. Scoglio duro, inuoime.
S. C'.W. 1, 2. Scorgi, gnidi.
S. CXXXI. I, 4. Senz'onda, non ngltnlo del vento, rrr:
i, l. Sfaoe, dìitfa , cuuHuma. == 3,3. l aa — jf un g i:\vct rii>p
V M- , O. 1.^. «« , >....^. ..--V... , .^.«^^^.«. -
suppl. innaffiato, o simil parola, di
sorge il castalio fonte, ch'é a pie del Pi
Allusione a Telefo ed Achille. =r= 4, 1. Riva, termine, fine.
S. C.XXXU. 1, 1. Come, quando, tosloché. = 2, 2.
Altrove in cuor villano. = 3. Piove S. CXXI, 2. 4.
= 3, 3. IT a rr/o, grave. = 4, '3. A u g el notturno
al sole, abbagliato.
S. CXXXllI. 1, 1. Sp elunca delfica. Dice: s'io avessi
insistito negli Btudj di poesia. = 3. Avria. Anzi l'ebbe
in Claadiano e più in Dante, di cui pur sembra esser stato
un poco geloso. V. Ugo Foscolo saggi sopra il Petr. e. 203.
4. r e r on a, eh' ebbe Catullo, Mantova Virgilio,
A rune a Lucilio. : — 2, 1. Terren, ingegno. S' i n g ìun-
ca, sì feconda, rifiorisce, verdeggia. 2. Dell' umor,
d i q uè l sa s s o , onàe
■"arnaso. Altro pia-
neta, che Apollo. 4.' Lappo le e s f ec e ft i , versi
nudi di grazia. 3, 1. L' oliva, albero di Pallade, qui
per ingegno. 3. Ella, 1' oliva. = 4,2. Ruon
frutto, poetico.
S. CXXXIV. 1, 2. I vaghi spirti, il fiato non costretto
a formar parole. 3. Con le sue mani è concetto gros-
so e inetto. Chi mai comprende Amor, che coglie con le ma-
ni gli spirli vaganti in un sospiro, e gli scioglie poi in voce"?
IVè i' 0 e e addita canto, ma suim di ^òce, parlare. ^=r 2, 3.
Or — spoglie, or io mi morirò. 4. 0 n es t a , glo-
riosa. 3, 1. s. Ordina : ma il suono, che — lega,
r affr en a /' anima presta a. d. , col gran d e s ir d
esser beata, udendo quella voce divina. := 4, 1.
Avvolge, agglomera, aggueffa, avvolge al fuso. Spie-
ga, dissolve dal fuso. •; — 3. So la — del del, perchè
tre erano marine.
S. CXXXV. 1,1. Quel dolce p ensicr, che Laura m'
ami. 2. Secr e tario , confidente di segreto. Noi
\due. Amore e me. =^ 2, 3. 1 ntr a due, in dubbio =i
3, 1. In questa guisa, o maniera, ora, stagione, cioè in
tanto, in questo me^itre. 2. La stagion ecc. la vec-
chiezza. 4, 1. Sia che puh, seguane quel che vuole.
Sol io non invecchio, ma Laura ancora.
I S. CXXXVl. 1, 1. f ago, giocondo, dilettoso, bello.
} 3. A — i rivolo, dimeniìcandomi intieramente di me. =:
2, 3. Conduce, guida a guisa di capitano contro a me.
j S. CXXXVll. 1,2. Le mie fide scorte, lagrime, so-
spiri, ecc. = 2,4. Quei— far. Amore. = 'i, 2. Al-
tro che, fuorché , se non.
j S. CXXXVIII. 2, 1. Questa, Laura. =:^ 2. Rompre,
rompere, voglion che sia a posta scelto per ritrarre la durezza
dell' alto. =z 3, 3. /, ' altro, il resto dì lei, il corpo.
I S. CXXXIX. 2, 1. Ne, dal petto. = 4. Refute, rifiuti.
S. CXL. 1. 2. Od' è sdegno, che. rrr: 4. Nel — ter-
\reno , Iiaura bella, rr^ 2, 1. Amar, amaro. S. CXLIl, 1.4.
2. Quanto — oroi^n a di che bre\ issima durata è ogni
diletto dì quaggìii. = 3, 1. F, stremi duo contrari e
misti, spron caldo e duro freno, allrazìone e repulsione.
4, 1. Ma pochi. Si potrebbe supplir dal precedente
I verso /ra. r^- 2. Il più, le più volte, il più so\eule.
S. CXLl. 2, 2. Sol, o perchè nìssuii altro sentiva amor »\
I nobile, o meglio perchè Laura non è ferita. == 4. Co-i
\queir istesse arme, gli occhi e l'arco, rrrr 3, 2. Pi il duri,
'letiferi. =—. 3. Di saetta, minore e lieve. Spiedo mag-
'giorc ed ampio. Sente un po' dello sforzo della rima, e dì bur-
i Fesco 4, 3. Orato, d' oro, infallibile, certo, o caro.
S. CXLII. 1, 4. Amar, amaro. S. CXL, 1. 2. zr-z 2, 2.
Spirti, accenti, parole. r=^ 3,2. / n f// dal luogo so-
vraccennato. = 3. fé s prò tal ecc. Misura d" un giorno,
la vita intera. Per tempo, a buon' ora, in sul principio
del di. 4, 1. Oi tonlan, sì riferisce al timpo, come in-
di al /oro del versetto 1. .. ., . .
S. CXLlll. 1,2. Onf/e,ove, pe quali. L'omrniea or-
me, uomini armati. =r^ 4. // sol. Laura. = 3, 1. Ore,
aure. ::=-- 4, l. Raro, rare volle. = 3. Se non eh io
son tropo lontano da L.
S. CALIV. 2. 2. h' i e r , ferisce. .^ on accenna, non f.l
vista r — 2,4. Schivi, malinconici. : — ."{, 1. 0.-<rura.
pericolosa, fatale. :::— 2. Onde, da che luogo pericoloso.
Con quai p in me tV Amore tenere, leggiere, = 4, 1.
; / bel pa cse, Avignone. Il — fi u m e llodano. := 3.
Si/o , del cor. . „ , ,
S. CXL\ . 2,2, Tn^o , inquieto, r— 3, Il suo sommo
piaci r, i.anra, r — 3, 1. /.e, alla mente. / ado, gnndii.
varco per uscir, cioè o morte, o al primo vero. =r- I. I.
l/ln s u II lunga e mia ;;j o r t e , cioè alla doppia della
mente e del corpo.
S. (AL\I. Ilisposta ni sonetto di Gerì Gianflglinr.zi „Mcs
per l'raorrsro, rhe d amor sospira." r^- 2, 3. / miei occhi.
S CM.MI. Strillo nel riJ.'>. rrr^ 1, l. // o » r o r ; <; ili
mi , il corpo. .-— 2. 1. Senza — or -.a, senza pirparsi
1 dall' uno all' nitro lato, come nn\e, essendo poggine
\orza propriamente due funi di qua e di la, e per esl^iMo-
ne ì lati , o\o sono, o onde spira contrario il \eiilo. : •»_.
// aur, a fronde. Laura. r-rr 3, 2. Il rorsojlel lo e
I verso oriento, z — 3. Pi h bri lu m e , l.niira. . 4. 1.
\Snl corno, su 1' onda Ina superba. Corno de lìnml si Olr^
ir riiipelto del \iolento correre con gran fracasso. i.
§§§
COMENTO SULLE RIME
i' altro, mio essere eterno. ■ — 3. Sog giorno, Val-
chiusa.
S. CXLVIII. 1, 4. Ombre triste — liete. Frasi tor-
jiiati', perchè concetti toniiati e sofisticati! : 2, 3. Note,
richiamo, qui parole, e. 4, '.i. : 3, 3. Avanza iu candore."
S. CXLIX. Risposta a quel di Cino da Pistoja ,,Ainor coni'
ha ferilo di suo telo." 2, 1. Trema — arte il cuore.
8. il concetto è: trema ed arde ii cuore come donna, che
cerca di celare uom vivo, grande e inquieto in semplice ve-
stito non ampio, o sotto picciol velo. E dice, non poter smen-
tirsi o celarsi la gelosia. Ma il concetto è manco , scemo , e
sbieco. 3, 1. La prim a , d' ardere. := 4, 1. Z» ' tó /-
tra , di tremare, la gelosia. _ n^_ 2. Ogn i uotn pareg-
gia, tutti rimira d' un occhio, li fa uguali. Il mìo bel
fuoco. Laura. r= 3. Chi volar pensa del suo lu-
me ìli cima, colui che spera da lei preferenza, oh' ambisce
favor particolare.
S. CL. 2, 1. 3. Divide gli occhi suoi da mercè ,
torce, distoglie da mercè, non guarda con occhi pietosi. Frase
contorta I Ì> i m o r t e , l à d o v ' o r m '' a s s e e u r a , a 1 1 o r
mi sfide, siccome ora, mostrandosi Laura pietosa, mi pre-
serva dalla morte, cosi mi stìderebhe a morir, allorché non si
mostra.^se più pietosa. r= 3, 3. i> ' antiche prove, spe-
rienze intorno alla trop{ia baldanza.
S. GLI. 1, 3. Giur ati , congiurati. : 4. C/j' io mo-
ra, perchè la vita mia dipende dalla sua. 2. Natura 1'
ha fatta di s"i tenera e delicata complessione, che non potrà
resistere agli assalti d' un' infermità. : — 3, 1. Lo spir-
to , Y aura vitale.
S. OLII. 1, 1. Dell'' aurata piuma, chioma d' oro,
: — 3. Monile di trecce. 2, 3. Indi, dal diadema
naturai. =: 4. Alla più algente bruma nella più ri-
gida stagione. r:=r 4, 1. Odorato per 1' incenso, la mirra,
la cassia ed altre piante odorifere.
S. CLIII. 1, 4. i'un stil con V altro ogni modo dì
comporre, di concepire. : 2.1. Turbato, perchè privo
di fama. : 3. Quel che resse ecc. Augusto, a cui Virgi-
lio dedicii r opra sua. 4. Quel — Ef^isto, Agamen-
none ucciso da Egisto. Perchè Egisto è qui nominativo.
3,1. Que l fi or ecc. Scipione Affricano. : — - 2. Que-
sto novo — bellezze, Laura. := 4, 1. Di quel, di
Scipione. 2. Di (juest^ altro fior. Laura. 3.
Oli si riferisce a fior. Altre edizioni hanno le che si riferis-
ce alla i>ersona.
S. CLH'. 3, i. Che, perchè lei, che sarebbe stata d' Ome-
ro dignissima — onora, cioè Virgilio , una stella
tìifforme, dilferente e infelice, e fato sol qui, in que-
sto caso, o punto, reo colpevole, commise per esser lodata
e celebrata, a tal che ere.
S. CLV". 1, 2. Or sola — verdeggia, perchè scrisse
d' inverno. — — 3. Adorno male, bella guancia. : 2, 4.
Toi, togli. 3, 1. Umil colle, dove nacque Laura.
:= 4, 1. Tolte, toglie.
S. CLVI. 1, L Colma d'' obblio, in profonda obbli-
vìone dì sé, alla trascurata. : — 4. // signor. Amore.
= 2, 2. Il fin, V esser tranghiottita dall' onde. 4, L
I — « f^ n t, gli occhi di Laura. z^:=i 3. Por t o , salvezza.
S. CLVII. 1, 2. Duo roma rf' oro figuranti i biondi ca-
pelli di Laura. =r 3. Due riviere, Uruenza e Rodano.
=-rr 4. Stagion acerba, primavera. S. CXXVII. 4, 1.
== 3, 1 3. A f s s u n m i tocchi, l i b er a f ar ni i al —
parve. IVolì me tangere, quia Caesaris sum. : — 2. Dia
manti e tojiaz.ì dimostrano la freddezza e la fermezza di
Laura, rr-: 4. 1. Era il sol ecc. Figurando la vita in un
giorno, il cui mi'/zo determina quello del vivere, e questo
essendo d' anni 70, la meta è circa di 35. Laura mori di 34
anni. ■= 3. Caddi nell' acqua, me sciolsi iu lagrime.
Sparve , nior'i.
S. ("LVIII. '.', 3. Ora beatrice aura alletlatrìce e beati-
firan(e. .S. (JXLIll, 3, 1. CI, 3. 2. C. XV, (i. 10. S. LXXXVl,
3. I. La lezione or beatrice, come la sposizione della pa-
rola ora per spazio determinarli di tempo, sembrano poco
coiivenicnli. :rr= 3, 1, Suo, ilell' ora beatrice del mio pen-
eier. rrr^ 2, 3. Alcun — odore, come i favolosi astormì
dì Plinio. ~ — 4, 1. Di foco, come la salamandra. : 2.
Dolzor, qnalilii al gusto conveniente. 'i. Alma vi-
sta, aspetto nutritivo.
S. (;LIX. 2, I. Innostra, adorna d' ostro, invermiglia,
r::^ 2. Abito, alieggiamento, portamento.
S. (;LX. 1, 4. li i h (I , bevo; come iin^cia de scriba, e
ilclibo Hon f'inne lalii.e. 2,3. liatto, rapito. : —
4 Doppia, del mirare e del sentire. 4, l. In men
d' 1/ 71 va l III ■). IH'! vi«
C'L>
S. (/'lAl. 1, 1. / poggi di Provenza, dove fu ricondotto
da Amore. :^ — - 4. Pofifri, salga, monti, il cammino delle
pene, come della fama essendo .-ispra ed esigendo nforzi , non
vedo, perchè >-iii da biasimare r|uesta voce, ("hi lo crede, 1'
interpreti con crescere, come Hiagioli. r^ 3, 2. A lui, al
mio sole. : — 4, 1 Chiedere' , chiederei, cliiedrei
fii legge, secondo che 1' elisione è o più, o meno libera {chic
d e r e ' a H e.)
,S. CLXII. 1, l. Di di in dì. Cacofonia! Viso e pelo
k
color del viso e de' capelli. = 2. Smorso, traggo
morso. Dolce, dolcemente. = 3. Sbranco, mi disbi
da verdi rami. r=: 4. Dell' arbor ecc. il lauro. =z=
Oh ecc. Il tempo avesse, che non corri-poude a 7n i d
osso se non vogliamo dirlo accomodato alla rima, mo-tn
che il poeta s' interrompe con una esclamazi(uie desiderativi
== 4, 1. In prima piuttosto.
_S. CLXlll. 1,2. f lemme, mi viene; come dirmm
mi die'; tieni me, mi tiene. =t 2, 1. Altri, Laura, rr
2. Sdegno di Laura, o del marito. Gelosia del mari'
== _ 3. Or ch'ò maritata. = 4. Allora eh' era anc
giovinetta. Or terso, ornamenti aurei. Forse sovra
terso bionde è più bionde che or terso. 4, 1. To
sei e, le torse, cioè le chiome.
S. CLXIV. 1, LX' aura celeste, il fiato, che fnrr
le parole, i — 4. T ardi r est aur o , riacquisto. 2,
Nel gr. V. m., in Atlante, re di Mauritania. = 2. Se
ce, smalto, pietra, monte. ; 3. Dar crollo, diviucl|iiK
larmi. Nod_o, delle chiome. : — 4. £' ambra. Kon a =
pare, cosa si voglia Biagioli colle parole non che V on
ora rischiari. Sarebbe mai una svista"?
S. CLXV. 1, 1. Spiega, spande. J ibra fa folgora
scintillare. z= 2. L' auro ì capelli biondi. 3. L
da' ecc. nel luogo movente là da' begli occhi, cioè la front
= 4. Cribra, scuote. — Tutto il concetto di questo ((Ui w
ternario par confuso, e sbieco. L' aura lega il cor / a|L
so, e i levi spirti cribra'^ E come mai? 2,
Fibra, vena._ z=: 3. s. Dov' è ecc. Laura. = 3, „
f eden do, si riferisca a pur eh' io in' oppresse. S
no , punteggisi dopo libra, e congiungasi vedendo — ti
noi posso ridir, come son preso, e come m' accendo. Al
Inra dopo manco si ponga vìrgola. 4, 2. Due luci
r arder de' lumi, e il folgorar de' nodi.
S. CLXVI. Quattro sonetti su di un guanto. Scritti n^
1338, ricorretti 131(3. ^rr 2. Ordina: o diti schietti sod
vi, colore (coloriti a giusa) di cinque perle orienta
li, e sol acerbi e crudi nelle mie piaghe, Am o ri
consente or esser voi o tempo ig nudi, per arric
e hi r mi, o farmi felice. 3,2. Fresche rose, dit
rosseggiane neir estremità. 4,3. f i en , convien.
S. CLXVII, _ 1, 2. Si riveste del guanto restituito. =^
4. Piano, dimesso, umile, facile a lasciarsi strìngere a nio"
do loro. : — 2,2. Nove, pellegrine, non vedute. '.Ì.Abi
to, attegffiamento. : — 3, 2. Perle, denti. Rose, labbra
S. CLXVIll. 1, 2. Trapunto , guanto ricamato. ==: 3, 3
Cantra lo sforzo. Dunque fu costretto da Laura a resti
tuirle il guanto. : — 4, 2. Fer far ecc. serbando, o noi
rendendo il guanto; lo che era vendetta, perchè non si arren-
deva alla di lei ^ ogiia. Del lasciarla ignuda esposta al freddi
e al sole non par che si tratti.
S. CLXl.V. 1,2. 31 uve, nasce. =r:z 2,1. Alzato it
braccio, avendo alz. ; costruzione latina!
S. CLXX. 1,2. Si anzi , sicuramente. : 3. T'orre\i,\i
che lo credesse. 4. E si , ancorché. S. CCXXIV, 2. 2
2, 3. Se — stella, nemica, se io non fossi sciagurato.
: — 4. Ordina: per e A' io veggio nel pensier, antl
veggo nella mia mente, o dolce mio fuoco, fred
do M n a /in g' «a mia per esser morta , e due begli oc
chi vostri chiusi per morte, rimanere pieni di fa
ville pur dopo noi, dopo la morte nostra. _ Anche questo
concetto è contorlo e men chiaro, volendo egli dire semplice
mente, anti\eggio, che, quando sarem morti, voi ed io , nien-
te avanzerà, che i versi mìei, che, cantando i vostri occhi
belli chiusi, potrebbero inlìauiraar forse mille anime tenere.
S. CLXXI. 1, 3 ss. Tu — sante, udito. = 2, 1. ss. Per
nessuno qualsivoglia gran bene propostovi non vorreste voi
esser venuti ante (prima) ili Laura, o poscia al e a in-
ni in della vita, che si tiene sì male, dall' uomo, perchè al-
lora non a^ reste tro\ati i duo begli occhi , né le vestigia , i
begli esempi e le chiare virtù di L. r= 3, 1, iSi chiara
luce dei begli occhi. Tai segni, orme iiipressc.
2. / ia gin di vita. r= 4, l. Sforzati, slanciati.
S. ("liXXll. 1, 4. Ora, aura, refrigerio, rrr: 3, 3. QueAn
sti, costui, ('os'i scrivono 1' edizioni bodoniana e bandinina, e
C. XIX. Protesta con iinprocazioni contro all' aver egli det- }
to d' amar altra donna sotto il nome di Laura. La forma del 'i
la canzone è provenzale, tornando in tutte le stanze le stesa* "
rime, r^-r 2 1. Le a ur ate qua dr e 1 1 a A' Amore acccn «<
dono amore, le i in pi u ni b a te odio. rmr 4. Chi, Lauri «
che. Cieca farri la, torbido e scuro sguardo di Lanrafl™
Si potrebbe àncora che fosse ardor invisibile, nascosto sotti
r aspetto di freddezza e indilferenza onesta. =r l.Come suo l.
sdegnosa, e ritrosa .rr^ 3, 2. t ia di vita. =3. Disvia da
cauimin dritto, rr— G. Sua sorella. Luna. = 9. Qual
vide, r— : 4, 5. Torrei adorar, scerrci ad adorar. Dan-
te Sestina unica G. =- 9. F o r se ' l far ri. Modificar
ecceso di passione. = 5, 1. Dolce, dolcemente. =- 3.
Stanca navicella, vita tormeutTta. =z=: 5. Solia,
soleva. =rr ti. Fi il non potei perdere, .i^rr 7. Che per-
ciocché. rr= 6,3. Si r i ni an ga in se 1 1 a , come gio-
Btraulc vincitore. = 7,3. Sosterrei, non par eh' abbiéi
DI PETRARCA.
ieve e graziosa tinta ironica , come vuol Bìagìoli , anzi accen- ra , spiro, fiato. =rr 3. Q«e ?/a. Laura , o la nube di cru-
a il corp.fgio (li durar mudo inu^^itato e s^piiventevole di ino- 'deità che mi cela. Altrui ad altri. :}^ 1. Per r.i e
ir, d' esser trasportato in cielo su di un carro fuoroso con pjpfnfe, suppl. nò per ine p. : — 4, 2. Che, affinchè,
avalli fuocosi , come tocco dal fulmine {'i Ke , 2. 11). E si i S. CLXWII. 'i, 2. Quanto, per quanto tempo. In ter-
oiicorda benissimo cjuest(i abbruciarsi con un amor ardente, ra appare, vi\erà. = 3, Poi, poscia che sarà mona.
C. W. Simile al S. XXXi\, composto nel 13-li), cangiato 3, 1. Come se natura ritoglieste ecc. tanto ecc.
el i:5tia === 1, ?,. Ingegni, ani. = 5. A che segno, s. CLXXXIU. 1, 2. Questo verso si riferisce a tutto quel
d arte, Cloe d involar qualche sguardo. =r 12. Z, o «n /, Lh' è detto nel quaternario. = •£, 1. Qu e 1 1 a , Kurlr.,
arte, il costume. = 2, 5. telato rfi /or , in appa- -_ 2. Nel cui ecc. perchè ogni notte torna infallibilmente
eiiza indillerente. = 6. Z, 0 r gli occhi, .i a r i , Laura. ì a Tilone. Erra del resto chi crede, che per racion metrica
— 13. j; non poter viver aknmeulK = 3, o. Ange-Ui abbia da iegsere 0 invece di ni- essendo ella que,-ta: nel
iche faville, hegh occhi. == 7. ^y.ow^o ecc. da ye-\cuia 1 mor non I fur mai in I ganni I né falli. 3==:
\- i;??- f^,^- •*• -^^ '"'' , ^.™"''''' P'^entissirao. Dante 3. Amorosi balli, il festeggiar della natura. = 4.
,if. VII. f o/e, vuole. = 4. Pph o« « , piena d alfanni. ;>/ /j capt,!!;. r= 4, 1. .im 6 e rfii i , Laura e il sole. =:
Un leggono pietosa. 1! contrasto forse sarebbe troppo 3. p^r sparir. Questo Laura far sparir lui, il soie.
// e.f t /■ f;m o viver „ ^,,\ 1.117 1 o d -i 1 • •■ j
rte. Un tempo, qualche tempo. A
Fa mm e ,
fa.
5, 5. Tempre, na-
S. CLXXXIV'.
1, 'i. Rose, ì\ rnssor, brina il candore di
ire, indole, disposizioni. = 6. r; ron fiwwi e' Gange. ";""='g'»"f- t= 4- ^o '« o e / en a , vita, anima. rr= 2,1.
= 12. /''a ecc. fa -h' io muoia con un colpo di tua mano, ^ ^ erle, denti. = 4, 3. Cuocono, pungono, travagliano.
jXXIII. Al Rodano , liume rapidissimo, nascente dalle
' etimologia scelta dal Petrarca è poetica ; la vera è da
non cos'i a poco a poco da lungo e liero desio consumato, men
caudo il vivere da Laura. iSon più par chiosa sterile
11. Onde, con la quale. =: 13. f ostro, d' Amore e
aura. ^= 7,8. Chi, Amor che
S. CLXXIII.
pi. L'
Qaivv), ted. rimi e n. : — = 3, 2. i a tua riva man-
2, ov' è situata Avignone. 4,3. Spirto, desio.
fa 71 e a dal viaggio e dall' alTanuo.
S. CLXXIV. 1, 1 Dolci colli, ov' è situata Avignone.
= 1, 3. Emmi, m' è. =r^ 4, 2. Consuma in parte.
S. ('LXXV. La forma solita petrarchesca del sonetto vuol
si cominci il sonetto con quel verso, che quasi in tutte 1'
izioni è il secondo. 1. Divide il mondo con una croce, e
rii in quattro punti equidistanti 1' occidente, che segna
ero, (iuinc di Spagna; oriente , eh' accenna Idaspe, fiu-
d' India; mezzo giorno, eh' addita il lilo vermiglio, ivi
tormentano.
S. CLXXXV. Scritto nel 1347. =r 4, 1. 1/71,1? e, addolcia,
medica. 3. Aggiunge, arriva.
S. CLXXXVI. Dialogo fra Petrarca e alcune compagne di
Laura trovate senza essa. : 1, 1. Accompagnate, in
compagnia. Sole, senza Laura. ^ 2, 2. s. Per luancar
di sua dolce compagnia cioè , del soie , di Laura. L a
17 uo / è r accusativo , tic toglie invidia, e gelosia.
Queste parole non hanno bens'i in sé, perchè non riferirle al
marito, a' parenti soli, perchè senza altro la gelosia si duole
dell' esser ben d' altrui, quasi suo mal. Dunque non sem-
brano esser dette senza qualche tinta, o cenno del disgiusto
dato dal Petrarca ad altri, poiché egli chiede: chi pò n fre-
no agli amanti, o dà lur legge* cioè chi mai pui>
frenare gli amanti, o prescriver loro che non si vedano"? e le
donne, accennando 1" amor di L. al Petrarca, rispondono
yessun al l^ a l m a , al cor pò ira ed aspre zza, le
quali ultime parole come invidia e gelosia sembrano as-
nta a dèstra, e cornice manca, cornacchia che canta
a sinistra , faceano presso gli antichi felice augurio. Cic.
v. 2. 3i). Plauto Asinar. Picus et cor nix est ab lae-
, corvos porro ab de x ter a C ons uud ent. Cer-
ni /lercie est v es t r 11 m consegui s e nt entiam.
senso è: qual d. e. o. q. in. e. sarà mai che canti il mio
0 , e la mia buona sorte'? e qual pa ca si troverà mai che
innaspi, avvolga il lilato in sul ii;ispo . per formarne la nia-
isa. =:rr 3. Citi-, poiché. Sorda coni'' aspe, che, per
mar rosso a mezzo giorno; settentrione, che prescrive sai forti , e non si riferiscono pure a Laura irata, perch,
mar caspio da tramontana. = 2, 1. Deatrocorvo, che pedita di trovarsi con 1' amante, ma a coloro sì che 1' impc-
' ' ' ■— - - -■ -„ ... 1.:- -u.. — ,_ divano, o fossero parenti, o il marito. Comunque sia, saranno
oscure, se per soverchia delicatezza, o studiala sublimità nuvolo-
sa o prevenzione sentimentale non arzigogoliamo. Perchè sen-
za queste il sonetto presente ci svela indubitatamente l'amor di
Laura, benché ritrosa, compagne confidenti, e un destino in-
vidioso qualsivoglia, in persona di marito, o di parenti, co-
me r ha quasi sempre ogni amore, non che questo decantalo,
il quale pure non manca alfitto, crediamo, d' ogni ba:-e
lorica e reale. Cf. S. CCLXIV, 3. 4. O diremo forse, che
n udire 1' ineantn , inette un' oreccnia in terra, e 1' altra si : tutto questi amor sia fola fantastica'?
a colla coda, secondo 1' opinion del \dlgo. : — 3, 1. t'A'
710 71 vo dir d' a\er sperato d'esser felice di lei; ma
ui che la scorge, e guida, cioè .\more, le (a lei) empie
10 il cor di dolcezza e d' amore. Passo poco chiaro! Bia-
ili prende scorge per mira, e pecca sponendo /' empie
11 gli empie. Perchè il soggetto del versetto jiriino {chi la
orge) e diverso da quel del secondo e degli altri.
3. IJel fiorir, imbianchire, canntire,
V CLXX\ L 2.1. // misero, cuore. :r— : 2,2. ÌVostra —
orla, desio, r— 3, 2. A' bei rami, del lauro, a Laura.
>. ('LX.XVII. I. 2. A' aura estiva, fugace.
i. CL.V.W III. I, 1. I maghi, dai quali io trasformato fui,
•ono. — 3. Canuta, in.itura, savia.
ìi VI. 1, 1. Tre di, tre età di sette anni ognuna, adun-
auni ventuno. Egli 8* innamori) avendo veiitidue anni,
r 3. Quel — pregio, le cose gradite al volgo, r— 4.
ital, destinatole. zr-rz ti. />«' ji ri //i « v e r« alla stagio-
, che conforta ad amare. H e l bosco, laureto, rr— r 2,2.
giorno avanti. Dunque avea 14 anni. Ha ilice V
ina. - — ■ 3. Si'iolta, rimanendo libera, r-^ 3,1. frc-
o, prezzo, vanto, beltà. :z— r 3. Sviarne. Cos'i hiiiino
migliori eclizìoni. yt mezzo '/ corso tra il vente ciiique-
0 e il trenlaciuqu(•.^irllo anno. nr— 4. Cerco, cercato.
: 5. f ersi, incaolatrici parole, incanti. =r- 4,2. Di
et nodo dell' anima. Suo ileila carne. 11 senso; vedo
; luorri) prima, r - ó. '/'«/ parte, sorte, ventura, rr—
J. Pianta, piede, qui tignrat.imenle 1' animo. : — - 4.
gnor, iddio. - b. A <> e e , iiicieilibili, strane. :=z- 6, 1.
1 <■ per cagion delle. '». Consorte, anima. z^: 7. Es-
iR le sucr ((iiislloni, o iliibbi : h' alcun pregio, n vanto. Lo-
dato dal ciclo viva in lui, o s' egli sia svanito appieno; bC
lima sia libera, 0 schiava di Laura.
(^IA\I\ I, 3. rrutto ecc. come S. CLXXVIII. 1, 3.
Ito b i 0 II lì i e II p e i e a n 11 1 a m e 11 1 e. : — 3, 2. A bito
orno, eleganza, grazia, leggiadria.
. CLVW. I, 3. Had d op p i arsi pende ila trovo. =r^
ì. L' ultimo, il più infelice. — 3, 2 Ombra, unite.
più, la uiaggior parte. 4, I. .lllrui, di Laura. />'«/-
, crudeltà, .r — 2. l'i e là viva, colei che potrebbe oniter
a pietii.
. CIAXXI. 1,3. /?r»»», facessi, r^- 'i, ). L' empi"
b <i di crudeltà. : — : 2. Hompunav, hì ruinpcmio. Au-
S. CLXXXVIl. 1, 4. In narra re propriamente comprare
con dare arra, incaparrare; qui iniziare, principiare, ciunin-
ciare. 2, 1. Tal — ascolta. Laura. :r-r 3, 1. L'
aura fosca, V aer bruno. Inalba, imbianca , colora.
=: 4,2. Me no, me non iniialba, sieuebra, rasserena.
Trastulla, muove con diletto.
S. CLXXXVlll. 1, 2. Cor<e«p, modesto. =: 2,3. Ter-
gogna, riverenza. Offese, impedite. 4, 2. Mi di-
s l e in p re , mi strugga."
•S.CLXXXl.X. Diporto di Liura con dodici donne — forsedr.ip-
pello simile ad una corte d' amore — in una barchetta sul
Itndano. r-^ 1, 1. Onestami nt e lasse con libero, one-
sto abbandono. r=r 2, 1. Simil barca. (ìiitson cogli \r-
gonaiili cinquanta, i— 2. / elio aureo in Colrhide. 0 71 ri'
oggi ecc. Allude al lusso del suo tempo. r — 3. // —
dote. Paride, per cagion di cui 'l'roja i'u distrutta da' (ìrecì.
z — 4. Fa ss e, si fa. rrr-: 3, I. l'oi. non permcllendo lii
rapidità del liume di rimontarlo, le ridi in una specie di
carro trionfale per ritornare ad Avigiuuie. rr — 2. San-
ti, modesti, onesti. Schifi, guardinghi, r — :ì. In par
te, da un lato, r — 4, I. .% ori — mortale fiiroii quel eh*
ella canti), n quel eh' io vidi, r — 2. I ii t u in e d o ii , condut-
tore del carro d' Xchìlle. Tifi, nocchiero della nave d' \rgo.
S. ('\('. I, 2. Fera, fu mai solitaria. ^::~ 4, 1. Solo
ecc. Avignone, dove stava Laura.
S. C\CI. 2, l. 7'(/, aura, la quale dunque non è 1' aria
fisica, ina hi spiro inlelletlii.ile e vitale; almeno in questo
quaternario. i\asce non raraiiieiite oiinil anfibologia dalla bi-
zarria ricercala di ronrelti , rome pur concetti simili a <|uel d'
amorose vespe, cioè dardi, o strali, si debilitilo alla rima.
— Ploro, piango. - — 3. ì ocillando. trem.indo , lilu-
baiiilo. - — 4. .1 lì o mb r e , si adombri, si spxvenli. luce s pe,
avviluppi i piedi in cespugli, cioè inci.impi, inloppi. I soggiun-
tivi si debbono ancor alla rima. ' — 4, 2. di argo, tiuiiiicel-
lo ; non '•i sa, qn.ile. - ' 3. Chi-, perchè.
S. C\Cli. Stona del nuo iiiii.imorainenln hoiIo la figura
stereotipica del lauro. — 2, I. / oiiii r ili penna dire,
j perchè parla d' una pianta, e intende lu sue rime. =-z: 3.
Al' o d un, la fama.
S. CXCIII. I, ». Iltezza, alto oggetto, alla donna. r-=
2, t. Indi, da (|UPsta donna, n dall' esser ingo di hi alta
donna. ^-— 4. S r ecc. né sdegno alcuno spej/»r piiii In mia
corazza. =-. 3, 1. L' uiato§tilc di tunucniaruii.
COMENTO SULLE RIME
S. CXCIV. 1, 1. Senz' aUro celeste lume e vivo sole
sono 1' istesso, e v' è qualche anfibologia, e tautologia, già
perrhè non è chiaro, qual di due sia il nomina(i^o o 1' accu-
«ativo. = 2, 1. Ei, quel vivo sole. = 4. Per risguardo
a cela, rivela, suol V iinperl'etto p o t ie in m i , potevan
mi, mi potevan, non par che stia troppo bene, ancorché se-
gua e r a. Si dovrebbe sospettare o -pò l r i e m ni i , cioè mi
potrebbero, o trasse. Colla ellissi se non mi avesse
fi is V e lato 0 disv el ava alfin il celeste lum^ non
eì ammenda 1' irregolarità. := 3, 2. La riva, il termine
del piangere. i — 4,1. Tr anquilla oliva, insegno
di pace.
S. CXCV. Ducisi d' un mal d' occhi di L. 1, 4. Un
tormento mio. ^= 4, 1. W un vivo fonte, da dio. :=
3. Altri , malattìa.
S. CXC^'I. 1, 1. -t' ira è nominativo. Alessandro
accusativo. 4. Solo, soli, soltanto. : — 2, 1. s. Ti-
deo non potendo regnare in Caledonia venne ad Adrasto, re
«i' Argo, il quale gli diede una sua figlia in matrimonio. An-
dò poi con molti altri re in soccorso di Polinice contro al fra-
tello Eteocle nella guerra tebana, dove uccise Menalippo , e
con grandissima ira morendo rose la di lui testa fattasi
apportare, v. Stazio Tebaid. 1. 8. in fine. 3, 1. T'a-
lentinian imperatore romano, a cui per violenta ira rup-
pe una \eiia in petto.
S. CXCVII. 11 mal d' occhio di L. s' appicci» a P. andato a
vederla, e lasciò lei. 1, 4. l'irta, forza. : — 2, 1.
Solver il digiun.o, soddisfare la bruma. : — 4. Gra-
zie, favori. 4, 2. In del, pel cielo. : — 3. Pie-
tate, imponendo il male alla parte più forte, disgravandone
la più gentile.
S. CXC\'11I._ 1, 1. Cameretta, in Avignone, in casa di
suo amico Lelio. r= 2, 2, Urne, occhi miei. : — 3. Ti,
ietticciuol. _ : 3, 1. Secreto ritiro, la cameretta. Mi-
jìoso, lelticciuolo. : — 4, 2. Chero, chiedo, cerco.
S. eie. 1, 2. Si varca, si trasgredisce, oltrepassa. : —
Z. A chi, a Laura. = 2, 1. Guardo tanto. : 3, 1.
Ordina: Ma or eh' è nel mio mar orribil notte e
verno, laf^rimosa pio g già e fier i v enti d^ in fi-
ni t i sospiri V hanno spint a, ove già vinta dal l^
onde e disarmata di vele e di governo, porta
noja ad altrui, (a Laura) doglie e tormenti a a è,
e non altro.
S. ce. 1, 1. Fallo: varcando il dovere di non visitare
Laura. =: 3, 1. S' avventa, si getta con impeto.
4, 3. Eie ecc. Ausonio: inque nieis culpis da tu
t ih i v eniam!
Si. VII. 2, 2. Scevri, separi. Vivo terren, corpo,
carne. Onde, lagrime. Senso: spero 1' ultima sera, che le
lagrime, qual mare, separi dal corpo, qual terra, che cessi
il pianto , ponga fine al pianto con la morte. Concetto un po'
contorto, eh' oppone, non già strettamente assai, il sodo, la
terra ferma, il continente, come corpo, all' onde, al mar,
come lagrime, e separa ambidue. Dunque la morte sarebbe
la separazione delle lagrime dal corpo"? :=r 5. Sannoisi,
se lo sanno. == 3, 3. Citta din, abitator. 4, 3.
Stato, consistenza, esser costante, quieto, quiete. La t u-
n a che vassi cangiando. = 4. Ratto come , tostochè.
3= ti. i^a crollar i boschi. Burrasca propria di sos-
Ijiro ! = 0,2. Qualche in numero del più qui e S. CCXXII.
è insolito, o almeno disusato. z= 3. Anzi vespro a me
fa sera, mi mena a morte prima che muoia il d'i, mi mena
a fine immaturo. r= (j. jE, ' / dì ecc. cioè durasse eterna-
mente quella notte. =r. 7. Dure onde, malvagia Druenza.
Alcuni intendono duramente lagrime.
S. VA'\. In occasione, che Carlo di Lucemburgo, figlio di
Giovanni, re di Uoemia, venuto a Avignone nel ISlti, per
concertare col papa la sua elezione alla corona dell' impero in
luogo di Lodovico il Bavaro deposto , baciò in una festa a
Laura gli occhi e la fronte. = 1, 2. Ordina: sendo —
altero, subito svorae r eal natura ^ petto , il
buon giù dici o in t ero il pia perfetto fra tant i
ecc. A chi non piace ((upsto scompiglio, consideri il primo
qipiternario come esclamazione, quasi clic fosse: oh clie real
natura, ov\cro ve' che real natura. E cos'i lo segnammo nell'
edizione presente, per non ricorrer all' ellissi. 1, 2. Oc-
chio cerviero, acuto, linceo. r= 2, 3. intero, integro,
sodo, incorrotto, «(hietto. =- 3, 1. Maggior di tempo,
più attempate. Maggior di fortuna, più ricche. ;=
4, 3. Strano, raro, nuovo, inaraviglioso.
Si. \lll. I, 1. Che ove, o quando, nrr: 2. Tempo nuo-
vo, primavera. =rr. 3. /n co /« i n e/a r sogliono. 5.
A chi ad CHi-a che, cioè Laura. Inforza in possanza, rr^
6. Note, canto lamentevole. r^rr 2, 2. idolcissen,
addolcissero, r— 3. facendo — ragion movendo lei per
ragione all' amore. :^-= U /{ //nt , poesie toscane, tersi,
poesie lamie, zrr- 3,3. Riprovato, più volte provato,
tmi/iar piegar in gm, a basso, zr— f). La q ual, a.ur:i.
=^ ti. Maggior / or :, a d'alpi, osassi. r^-: 4, 3. J il
sul -fiori, nell' Aprile, r — ò. Pon, possono. = 5, 2.
Accampa, poni in opiTa, adopera, rr-r ti. ^on che ac-
coppia la minore cosa alla maggiore, il gì ci. v. Boccaccio
Giorn. X. IN, V. = 6, 5. Lagrimando congiungi |i
andrein. 6. Col bue zoppo cacciando, tenta rn'
cosa inutile. Son. 177.
S. CCll. 1, 1. Nel, di ciò lo. = 3. Piena fet
troppa confidenza. : 2, 3. Ei, il voler. : — 4. Sef M
seguo. 4. 3. Ei, il poeta, perch'è egli'? L' interro
zione rinforza il concetto.
S. ceni. 1, 1. L'alto signor. Amore. := 2, 2. Avi
zar, promuovere, spignere avanti. : 3. Di pi etate
causa dell' infermità di L., se pur a questa si riferisce il
netto. 3,1. Z(' u H a , l'amorosa. : — 2. Zt'oitijla!
la pietosa.
S. CCIV. 1, 4. Lago di pianti. = 2, 4. Con questo qi
ternario finisce il parlar al cuore, 3, 2. Come - tee
essendo egli pur rimasto con lei. := 4, 1. Che, poiché,
sendo che.
S. CeV. 1, 3. Q MI, quaggiù. = 2, 2. Fe\gr an s e
no, con gran senno, cioè saviamente, bene. Più, lara. :
4. Questi occhi miei. r= 3, 1. Si stringe, si riiise
impietosito. = 4,2. Tu, colle fresco, dove il mio cui r
sta con Laura.
S
S. ce VI. Risposta al sonetto di Giovanni de' DonJi , rea
n so ben, se io vedo quel che veggio." =: 1? 1- J' ff» ;;
tuo. 2, 2. Guerra amorosa. Pace, stato senz' amor"
stato cheto. 4. Nel sommo seggio, nel cielo.
S. C(^V li. 1, 1. Il nominativo continualo con quel bel à
no, con cui vien poscia confuso, regge il verbo /e' fato;
giare. 4. 31 in ori d'età. Laura e Petrarca. ==:_
Ancorché mcn chiaramente espresso e in somma scompigli
i'ia quel che vuole, mostra pure il contesto, che quel si (/(!.
e e par l ar e q u e l riso da f ar innam or ar m n u i
selvaggio si riferisca a Laura. IVulladimeno egli è cei^:
che quel con immediatamente dopo bel dono - divi
vuol buon indovino. 3,3. ì olgeasi attorno^
rando or 1' un or l'altra. 4, 2. Teme, se Laura rii
ancora.
S. CCVIII. 1, 3. T'iste, nodi e anelli visti. = 4
pellegrine, aliena. t ;
CeiX. 2, 3. Degna - sottile dire, o stile. = 3, 2
Atene per Demostene, Arpino per Cicerone. 3Iant
«a perVirgilio, S m i r n a \icr Omero. L' una e fall
lira di Pindaro e d'Orazio.
S. eCX. 2, 3. s. Ordina: questa cosa bella morti
aspettata - dei, passa - dura. : 3, 3. T e m p i ni
concordia. : — 4, 1. Mute rispetto al merito di bellezza. :
2. Offeso, abbagliato. Lume di beltà.
S. CCXl. 1, 4. Si volentier, con dolce malinconia
2, 4. Teme, presagisce.
S. CCXIl. 1, 4. Aitar me, difendermi, disfarmi.
2, 2. Pietà di me. = 3. F ede acquisi a, si persua
= 3, 2. Molli di pianti. ;= 3. Tempo, ora tarda »l
la sera.
S. CeXlll. 1, 4. i?o ne, non fallaci. Dante Inf. VII!
S. CeXIV. 1, 3. Lime, passioni, ingegni atti a tormenta t
affanni, tormenti amorosi. S. L. 2, 1. := 2, 2. Occhj in
\Luci, brio, vivacità. 3, 1. Ordina: e lìa, che quel v
\per prendere (occupare) il del debito (dovuto
\ l ui , non curi che si sia diloro (cosa si faccia di lo
j come si stiano, cosa ne sia) in terra, di che ',de' qu
egli è i l so l e , e {che, i quali) non veggiono altr
(altro oggetto fuor d'ella) '?
S. CeW. 2, 1. Jtì dura sorte, per essermi dura so!|,
4, 1. Disperga, porti via.
S. CCXV 1. 1, 4. Puntella, mi sostiene, mi tien sosp
quasi con puntelli. Alcuni leggono trema in vece di ten
2, 1. Alcuna, come Arianna, Andromeda, Calisto.
4, 1, Da' miei danni, da quella, che morendo^ mi dà
lore. 2. Favola, \ita; perchè il mondo vicu para
nato ad un teatro, rrrr 3. A mezzo gli anni. P. el
allora quarantaquattro anni.
S. CCXV li. 2, 2. L'un-altro,\\ fisico e Laura. :
3. Come ecc. come il cielo (Febo) s'innamorò, quando app
il primo lauro, Dafne. Nel cor mi hanno, hanno nel i
cuore. Altrui Laura. 4, I. Or e e ontr ar i e , mattin
sera. Di me fanno, mi trattano, governano, iufiuiscono
di me. rrr: 2. Clii m'acqueta, il mattino. 3. C
m'adduce affanno, la sera.
S. C('.\V1II. 2. Il concetio è bcns'i più forte, se la noi
è noininaiivo, che regge e s ugge e riigge. Intanto 81
]'ji
plir si potrebbe non men facilmente colei dal primo quat
te la notte.
4, 2. L e
Ilario, (li modo che la notte fosse diiraiit
3, 2. Di tal nodo, che la lega al corpo.
Laura, Parla l'anima mia. :=r: 3. Suo di Laura. Se,
|)ur, s altrimenti. K dunque in dubbio, che Ijaura ascolli Va
ma ; tanto la suppone crudele !
S. ('("\1\. 1, 3. Amor, Laura amante. = 4. Secon
dopo Apollo. : — 2, 3. Ordina: // cor preso, co
pesce all'amo, o come novo (giovane, non esperto) ( '<
gcllo al vi SCO in ramo, ivi (in quel bel viso) ond
ben far per vivo esempio vie7isi (che col suol
c.Heinpio di bontà e insegna a far bene) non volse
occupati II a usi (gli occhi fermi (ieeioai e inteuei in
1 '
|lOl
DI PETRARCA.
viso) al ver (all' impedir la vista degli occhi snoì, al di- paTÌmenfe. : — 9. Spalme, addestri, acconci e unga. : —
no d'impedir la vista degli occhi, o di destarmi da vaiieg- 11. Va ta' due nodi, Fama ed Amore. 12. Altri
menti miei), ma la vista (la virtù \isiva) /> r / 1' a t a nodi, o scogli. 15. f'erffogna, delio sfrenato amor di
r mezzo dell' atto di porger la mano) del suo o 6 6 ; ef f o gloria e di donna. (j, 12. Questo sdegno nobile.
\ \\sn), quasi so fc n ali d 0 (qiia»-i che non vi pensasse) s/j 14. Pe re /i è, quantunque. T, 1. S yia :;/o di \ ita.
cea far via (si fera guidar la strada, il sciitier al vi*o)!5. Serra, termina, finisce, chiude. 7. Variarsi il
nza la qual il suo (ililla virtù visiva) ben e imper-\pelo, divenir canuto. 11. Chi, quello che. 12. Il
lo (senza qual vi-.o l'alma non è contenta.) • — - 1, l.ivi ag g io dalla man destra, strada del retto vivere.
a l^ una e l'altra .gloria mia, il bel viso , e la ma-j : Iti. A sso l v e , scioglie, libera. \fi. A pat t eg -
Qual civttleri.i, o astuzia femminile dall' una, e giar, a guisa d' assediati. 8, 1. Qui in tal istato dub-
1 capricciosa interpretazione di essa dill' altra parte abbia bioso. =rr: -1. folto al subbio, trascorso, speso. Meta-
0 occasione a questo sonetto, non si farà mai chiaro assai fora presa da' tessitori, che sopra quel legno rotondo (subbio
snuetlo medesiiuo poco chiaro. Questo già lo mostra laspn-ited. iF'eberbaum) avvolgono la tela ordita. 10. E
one differente degli iiiierprctì, mentre gli uni ne! primo ! y ei^g' «o ecc. Ovidio: vid e o me lior a prob oqu e , de te-
tcrnario riferiscono gtioccìti ecc. al poeta, gli altri a riora sequor.
ira, sicché non sì sappia, se 1'. abbia lisamente guardato; S. CCXX\ I. 1, 3. Impreso, preso, cominciato.
ira, o essa liri ; gli uni sognano nel versetto secondo del 1 S. CCXXMI. Al car<linai Gìov. della Colonna, in risposta
ondo quaiernario della maer,;ria di bei labori, gli altri pen-:di quel di Sennuccio 'Oltre l'usato modo si rigira'. 1, 4.
o al CDiil'orlo ed allo «tìuiolo di farsi virtuoso. Altri, per ' Tr a l'o /i; f , manda girando in molte parti. 2, 3. I
vivarn la scena, una brigala di donne congiurano. A noiìmiei duo lumi, liaura e il cardinale. Cheggio, cerco,
ituazione sembra essere .stata a un di pres.so cotesta. Pe- desidero, mr 4, 1. Lauro, Laura, Colonna, il signor
ca guardando liso Laura, stette immerso e [lerduto ne' va- cardinale. : — 3. Scinsi, slegai.
giauienti suoi. Ella, o per (fcstarnelo amichevolmente, o Parte seconda delle rime.
consolarlo, o forse anche per i.s\ iarnclo, gli porse la mano, S. CCXXVIIL All' annunzio della morte di LaDra ricevuto
si a dir, che pensi ? K^rli estasialo tanto più non accorgen- dal Petrarca a Parma. i= 4, 1. Allude alla sua partenza in
i di quanto elia volev:! signiiìcare con quclo, tuttavia qua- Italia un anno prima della morte di Laura, dov'ella gli si mo-
oguandii continuri di mirarla, e si sente beato. Se questo strii commossa e tenera. S. CCXII.
C. XXII. Composta nel 1349, ricorretta nel 1356. L' avea
incominciata cos'i :
Amor, in pianto ogni mio riso è volto.
confesso volentieri :
q
i) avus
1 sen«o del ttonutto
n , n n lì U e d i p ii s,
. CCXX. 1, 3. Pur te, in parte, d' altra parte. C. XXV,
9. Sospirando, sospirjiite. Come, per 1' ordine iia-
ale almeno di parlare, non si possono riferir questi
versi al poeta, ed i i\nc primi a Laura, anzi aiiibidue all'
so suggello, uopo è eh' ancora i si soavi fiumi d'ai
eloquenza appartengano a' duo bei lumi, od agli occhi
jaura. : — 3, 2. Usanza, uso, consuetudine. 3.
doppio piacer de' bei lumi, e dell'eloquenza. . 4, 1
gusto sul, delib:indo sol, assaporando soltanto. - — 3.
tra due, in dubbio.
. CCXXI. 1, 3. Qurst' in g egni — loschi, il vnlgo
cortigiani e prcli dilla corte d' Avignone, v. S. XCI. Cv.
I. CVII. 2, l. in rio, nel di>i(li'rio mio di vita so-
ria. 3, 2. s. Al — mio, ad \vignone. : 4, 1.
ica, mia fortuna. r=r 2. ./ questa volta, ch'io scri-
((tiesto francamente. O forse le Iodi di madonna'^- Non è
■ indegno, ('hi dunque'^ Il bel Icsoro mio? Di che?
mie lodi'? Uiagìoli supplisce il dir mio. Ma donde'?
arebbe forse cosa indegna, immeritata '? o in vece d' av-
i III III e r it a me nt e r* vale a dire giusto è, che fortu
Ogni allegrezza in doglia.
Ed è oscurato il sol agli occhi miei.
Ogni lì o l ce p e n si e r del cor /n'è tolto.,
E sol ivi una doglia
Rimasa m' i' di finir gli anni rei,
Edi seguir colei.
La qual di qua vedere ornai non spero.
ma poi la muti», avendo scritto nel margine a basso: ne
quid ultra, e di sopra : A o h sat triste principia m .'
I, 5. I o l e n il (I l, cioè il core. : 6. Rei, pieni dì
tormenti, rrrr 2, 1. Ordina: ,/«i o r, fii ' / senti,quant'à
i l da un o aspro e grave, on iV io t e co m i d o gì io.
4. Uno, il medesimo. H. A gg uag l iar a pa-
role, esprimer con parole. 11. Seco, con essa.
4, 1. 0 i III e (jui trisillabo. : 4. L' in v i s i b i l f o r m a ,
I' anima. — - 9. lima, santa, divina. 3, 3. Gradir,
esser gradita, piacere. ti, 7. s. Altri, la natura, la na-
turai iuia morie. Dice in questi \ ersi ; Laura m'ha lasciato
in tanta guerra, che soltanto <|uel eh' Amor meco parla, è ca-
fitta amica alla man, ond'io scrivo. Si vede, che ancor Igionc, ch'io non tronchi questa \ita mia sciagurata. Dunque
|u<sto sonetto regna un bujo inipeneirabile. (le parole s'altri — sesuitarla, a dir \ero, sono super-
. Ct'XXll. 1, 1. Stella, costellazione, cioi- Laura. Tal e '.lue, perchè ingombrano è storcono il concetto, che con esse
mto dovrebbe esser piutiosto tali e riferirsi ad occhi; \ale: se la morie mi vieta di seguitarla, mi ritiene sol quel
! : tali duo begli occhi vidi in questa stella, che ecc. eh' Amor meco parla; dove ognun sente, <|uanto è ottuso e
Presso a, in conl'ronio, in paragone, a petto. r^= 2, 2. malconcio il pensiero, rm 7, 2. Soverchie voglie, afro-
alche lidi. Si \ll, ti. r=r 3. Aon ecc. Klena. iiatn desio di quel, che non si de\e. : — r 4. Altrui, al vol-
. // o bilia / o «1 a n a , Lucrezia. :r^= 3. Po l i s s e n a , co. r=r 7. Ordina ; e prega, che la sua fa m a , e h e —
ia di Priamo, celebre per bellezza e perla morte d'Achille, lingua, non s' es t i n g ii a. n:=t 11. \è, e. z=r 8. Il
iifilc, liglia di Toaiilc in Lenno, ingannata e tradita da sereno e il verde, i luoghi suadenti alla letizia,
seme. Argia, figlia d" Adrasto in Argo, fida sposa di l'o- S. CCXXIX. 1, I. Zi' alia colonna, il cardinale Colon-
ce. z-rr I, 1. Eccellenza sua, di lei. 3. 7'ar- na. /.a h /o, Laura. =:r- Eur ea n o inb ra , consolavano,
, in secr>l posteriore. confortavano. ^=r 4. Borra, settentrione. .lustro,
. CC.XXIil. 4. Dice, che 1' iiilìnila bella è dono di benigna inezzmri. .Mar indo, donde nasce il sole. Mauro, Maii-
ura, Clune, a dir vero, il genio eqiianlo \'c di grande, iiun ritania, 1' occidente. =. 3, 1. Se, poiché. j= 2. Seno,
ui"lo d'.irle. ne non.
{'(A\l\. Dialogo tra alciiiia matrona, e Laura, sulla ve-l (,'. .\X1II. Scritta nel 13,i!), finita nel Mar70 del 13jl, coma
iiieslii donde il poeta fa il cor<i. rr—. I, 1. La matrona dice il Msc. iibaldino. Si sjiiega col sonetto segiienlc. .
la prefi;reiiza alla vita e |>ospoiic 1' onestà. t-:z 2, 1. I, li. Mendico, povero, |>ri\alo «li lutto. =rr l,">. Le tue
al, colei clic. - — 2. E se, niicorrli(', v. »"i. S. CA.\\, i n s e s " e , il tuo potere \ iilorioso per mezzo di bellezze. : — :
1. - — - 1. hi, iii'iide da pia, di modo, che non si deve, 2, 1. il vivo l u m r . i be^li ocelli. — 4. Fcii, facca. ■=:
rorso all' < llibsi ili;ii(-ri«i =— 1, 2. / ie, di ragio- 7. Costume, atto, in.iiiicra, nioviinento. - — 9. / o-
o e di mirare. : — 3. Cfnest' una. Laura. Al -^g he z za , óct^iiì vago, .^r- IL Ove la .strada manca.
rsi II volo, esser vincitrice, nineslra. liiel mondo di là, dov'è Laura, rrrr l.'i. Fuor del tuo re-
C(',\X\'. 1, 1. Arbor ecc. lauro, Laura, 2, 'i.'gno, rrcinlodelle bellezzedi li. :-^- 3, 2. Ih' fuor, nel innn-
rf 2, raccogli, uduui. z:=^ -i, 'i. 1 1 b et t csoro , ù 1' ac- 'do sensuale. Itriitro nel mondo dell' imuiagiiiazione. r=
ulivo. [9. La t'iti ran-.a e il d r s i r e in questa serie non sono 0|v
'. X\I. 1, 4. Altro, non amoroso, ma di pentimento. =r=| posti. Vuol piuttosto mondo reale e desir, rome mostra p(>-
Ititeva, conforta, giova. rr=r 14. J'irlose /) r « «-ci a , 'scia la ragion, i|ualilà cioè il poter, di rappresentar (cf, S.
io. Dante l'urg. 3. j^= IH. Altri, amor di cose inon- , ('('\\\l\ , 2, 3 i dell' alma, e 1' obbirtlo proprio de-
■ ■ ■ gli II (( Il i e ilettli 1'/' e <r /i /. i— 4, 2. (i hi ii cri o , freddo,
msensiliillà, indill'ereiizii, iiidolen;.a. rrr- 3. / arco, gli occhi
di L. - — 5. Horati, eh' nrcendono amore. _^ .'>, 1. Eiit
('■ la miglior lezione dei Mars.iiio, T.issoni e Miirnlori. ==z
r leiiipo, a buon' ora. r— 3, 1. Ch'a n a s e e r f o s s e , 'i. Scglello ad arti . con arie HCapigliato. Innanel-
non ancor nata fosse. - — li. Ella, 1' immagine, r-r: /n fo , eresilo. Irto, disteso^ scoinposto. r — 11. dira.
Face, bellezza, rr^ IO. (1 i o r n o , («lice, r— II. U n-.»i'. =—. la. Ingegni, raggiri. ^ - U. Passato i la
a, giammai, iinqunnco. C. I,\, I. I. -r: 15. Ilei — vii utagion d' iiiuamorari<i. \Iodo proverbiale! li, 9. fin-
ezza, è accusativo. rr:r= 4, I. In pi naie r ecc. di glo- ;i n . schietta. — • 7, L // ri rio terzo, ili A eiirre. . 4.
, Voice per In ililetlo. Agro per la l'alien clic vi si ilii l'olii . polivi. _^ H. Lego al notici vitale, farendoini ve-
ri^: 11. Latino — ({reco, viirj popoli, o in varia nìr al iiuindo prima di te. I> isc i ol s r fece morire. . 13.
jua. = 15. / r H «0 , vanità. -^ .5, 1. Q uè 1 1 ' a 1 1 r o Fr r u I r , feriti!. =^ 15. Sua dell' arco. Altri leggono
oroDO. = 2. Adugge. S. XXilII, 2, t. 3. l'art c,,tua, rkc ni riferisce ad Amore.
' §§§§
^ — 2, I. /y ' un pciisier, di siaccanni dal mondo
III. Doler, dolcezza. . — r 12. Itipon' , ri|ioni. \. a
sso (•. L. 12, lìti. 1. 17. liK 3. Onde non è da leggcr.si con
isoni ri por. rrrr 17. Dubbioso, pericoloso. ^— IH.
COMENTO SULLE RIME
S. CCXXX. 1, 1. Ardente, amoroso. V'ora inora,
ili roiitiiiuo, senza posa. : — 2, 3. A'ov' esca, altra bel-
lezza. = .3, 3. Men verde, anzi secco, più attempato.
4, 3. La guai. Morte.
S. CCXXXI. 2, 3. Se non ch'i'' ho, se non avessi. =:
4. Io — fora, per disperata morte. = 4, "2. Nocrhier,
1,1 ragione. Arbore e sarte, virtù e tutti i mezzi della
ragione.
S. CCXXXII. 4, 2. Mal jier noi, per nostro male.
S. CCXXXIU. 1, 3. Intorno alla rocca. = 4. Guer-
rieri, nemici. =: 2, 2. Fere scorte, spie nemiche,
messHgffi secreti d' Amore, cf. 3. = 4. Nemici, pensieri
<: desiderj. 3, 1. Secreti messaggi, seduttori vez-
zi. Pompa vittoriosa. 3. Colpo mortale di L. =
4 1. L'avanzo, iì resto, il rimanente. 2. T aghi,
irrequieti. Errore, fallaci immaginazl(mi.
S. CC.XXXIV. 2,2. Chi ì7ì egl io inten d e , a.nge\\, ed
anime beate. 3. Ragion, virtù motrice. C. XXIII,
3 3, 3, 2. 9. Pi 7)errfer il r e rfcr/a ecc. 4,1.
iui, dio. 2. Lega e scioglie anima e corpo, dà!
\ita e morte. Apre e serra le porte della vita e della,
morte.
S. CCXXXV. 2, 2. Sa s se Z, se Io sa. Chi n' è e a g ion, '
Morte. : — 4. Fasti dj-, noje, pene. = 3,1. (fa est'
un, rimedio. Laura. : 2. Ordina: e tu, felice terra,
che — umano. : 4, 1. Dove in qiial luogo fastidioso
lasci me. = 2. Piano C. XXIII, G, 9.
S. CCXXXVI. 1, 2. Il viver e auge col morir, ch'io mno-
ja. 2,3. Che frange, cui l'onde ripercosse .«i rom-
pono. 3, 1. Immaginata, 1' immagine di L. ;=
4, 1. Doloroso velo, spoglia corporea aliaunata.
S. CCXXXVII. Scritto il d'i U d' aprile Hill. 1,3. Terre-
na scorza, corpo. 4. Laura vital, giuoco di pa-
role l'aura vital. 2, 3. Mortai essere, corpo.
Scorza, dispoglia. 3. 1. Che, afiìnchè, acciocché. rr=
4, 1. Ciò, quella parte di tempo. := 2. Salma, soma,
carico.
S. CCXXXVIIT. 2, 1. Là' v' io seggio, dovunque avvien
ch'io seggi;;. 4, 1. Fersi, si lecero.
S. CCXXXIX. 1, 1. f~ e dessi immaginando. = 2, 2.
Riposti, secreti. : — 4, 1. Ben nata, fortunata.
S. CCXL. 1, 1. Voice ricetto in Valchiusa. z= 2, 4.
La morte.
S. CCXJjI. 2, 4. A' suoi usati soggiorni , a' luoghi che
frequentavano, essendo in terra.
S. CCXLII. 1, 3. Più acceso d'ogni altro. r= 4. No-
do, corpo unito. ; — i 2, 3. Me — lamenti, hai posto, o
lasciato. 4, 3. Non diro il cuor d'uom, ma un cor
ecc.
S. CCXLIII. 1, 2. Mirendon, rappresentano all' imma-
ginazione. Così combina con rendono, in questa guisa, co-
me io la vidi sensibilmente. 2, 1. Croce, stento ango-
scioso. Dante Inf. X\'I. : 3. Scorta, accorta, avveduta,
saggia, moderata, casta, onesta. (Jucsto senso quadra meglio
aAuncide, che quel 'di begli e lusinghevoli accorgimenti
adorna' di Diagioli. r= 3, 1. Donna, signora. Altera,
maestosa. : — : 4,3. Questa via iT amore.
S. C("XL!V. 1, 2. Accesa d' amore. 3. Sospet-
to, tema, paura riflessiva. : — 4,1. Contando, spiepan-
ilo. r=: 2. Levar, distaccare dal mondo. =: 3. Quanto
tempo, per quanto tempo.
S. CCJXLV. 2, 2. Gelosa amante. Pia madre. r= 3.
Temendo, sappi, che. 3, 1. Alto, sprezzando le co-
se basse, rtrrr 4, 1. Secondo lei, giusta il suo desirc.
S. CCXIiVI. 1, 3. Preso, stretto, ristretto. Morto, pri-
vo di forze superiori intellettuali. 4. Alteramente,
con grandezza e nobillà. : 2, 1. L' uno e l' altro po-
lo, tutte le regioni del cielo. 2. ! aghe, erranti.
Torto, per lo zodiaco, cf. Dante l'arad. X, Ili. a. : 3, 1.
Terza spera di Venere =—_ 2. Guitton d' Arezzo, poe-
ta circa .50 anni prima di Dante v. Urei li Ueiiriige zur
Gesch. der it. l'oesie. 1, 23. ss. Cirio da l'istoja. ci'. Canz.
VII, 4, 10. r-= ;j. Frati CCS chiù del Dene. parente di Scn-
nuccio. cf. Trionf. d' Am. IV. 4, 2. i che son fatto
una fera, solitario e selvatico.
S. (M'XLVll. 1, 2. Di aspri colli in Valchiusa. =^_ 4.
In sul fiorire, in mia gioventù. Far frutto, la virilità.
zrr: 2, 1. Tal, segno.
S. ('«'XLV'lll. 1, 3. Anzi tempo per ine, troppo presto
per rifpctlii a me. Suo paese, cielo, irrrr 4. Parsila
niella del cielo di Venere. =: 2, 2. Con tose, coiilrastii.
:—. 4. Flit a, aspra, acerba, turbata, r-r: 3, 3. Arden-
do nel fuoco d amore stesso. := 4, 1. Effetti, fama glo-
riosa di I.., e mia virili. 2. L'un, io. L'altra, ell.i,
Laura. Oprar \miuìi; d;i eff et li , ed ù quasi appoHizionc,
o invece di d'oprar, quilii d'oprar. L'ellissi seppe è
piuttosto senso clinisalo.'chc gnimmalicn.
S. (JCXMV. 2, 2. li' degli amanti pia fallace ancor
Hperaiiza e desir. H rii n e r un ce 7ito , modo proverbiale,
cento |)cr un, inolili assai. : 4. 1. Riva, fin, ter-
mine.
S. CCL. 1,4. l'ii Mh. leggo ov' e Laura ora? A no-
iui
stro parere men teneramente e poeticamente. 2, 3. Ai
loro , Laura.
S. CCLl. 2, 3. Solean. Altre hanno so Zea. =- 3,
Fortuna, fiera tempesta d' affetti. r=: 4, 2. U s a H
consueto. In senso di disusato parrebbe francese.
Rivolta in pianto , versa in luctuin, dice (ìiobbe.
S. CCLII. 1,3. Ual sospirar mio primo, dal prid
mio sospiro, dacché cominciai a sospirar. 2, 3. Ordini
No n p n s s 0 p i il far r i in e aspre — chiare, e n i
ho — lima. 4, I. O/i 0 /e cercai. : — 2. Alter\
allii, nobile.
S. {JCLilI. 1, 1. Sol e a si Laura in vita sua. Paragonani
il tempo passato col presente mostra la sproporzione
dilfereiiza d' alta donna in luogo umile e diva, di mortale
uomo e morto. : — 2, 4. Lor , dell' alma e d' Amore. :^=z
3, 1. Dentro, nel cuore.
S. ()CIil\. 1, 1. Solcano Laura vìvente, mr 2. In-
sieme, suppl. dicendo. r= 3. Pietà s' appr e s n n . L
impietosisce. Del tardar, dell' indugio di aver pietii.
2. 4. Jìiììiasu legge IJ.iudioi in vece di ri ni a so. Co>
voglia Biagioli, con quel suo dice riinaso, 'perigliò ilia in
guardo la cagione, onde procede questa speme', io noi capisci '""
3, 3. Ohd' ella uscio, al cielo. z= 4, 3. Furoi
amor sfrenato.
S. CCLV. 1, 3. Onesta, bella ed onorevole. =r
Fuso, \i!a. = 3. Stame, (ilo. Laccio vitale.
Strale, Itoncaste. Onde pel quale, pi-rclié. : 3. «.(rd
na : che no n f u m ai a Itti a a' suo i d) si vaga d'ai
leg rezza, di libertà, di vita, e li e non ecc. rrr::
Naturai modo di desiderar felicità. ==r 4 1. Togli en
do anzi, preferendo. Tasso G. li. XiX lOo, 3. Tra
guai, lamentarsi. : — 2. Qu alati q ne altra donna
S. CCLVL 1, 1. Aggiunte, unite. = 4. Seco, c^
r anima santa. Giunte, congiunte. : 2, 3. Amman »'
ta, copre, vela. =:r^ 4. Punte, strali. -. — 3,2. Alt
Zoco , allo intelletto. r= 3. Anc o r accenna. Un ms fi'
estensf! ha e ancor l' accenna, lo moslra.
.S. CCLV'II. l'ieiio di concetti e contrap;)osti. = 2. Supji
quando mi volga a mirar. =rt 2. Due parti una morlaìt n
l'altra immortale. Ogni mio ìien. Laura. : 4. G uà *
dagno, l'idtio. Danni, all'anni amorosi. r= 3, 2. Estri
m a , mìseriibile.
S. CCL\ 111. 1, 3. L' una — stella, gli occhi, rr^ {
l>e n « 0, diedero. := 2, 1. J' u l o r , x'wwu Conoscen
:; a, ingegno acuto e pronto. : — 4. Lor voglia fenni
fecero 'di me quel che volevano. : 3, 1. Ombra, teniperj
malinconica, e severa. : 2. Ora, aur.>, refrigerio. t=
\'i. Là ' V e — tutti, in ((ual viso eran dipinti ed intesi.
I S. CCLIX. 1, 1. Io ti porto in vece di t i j)o /• t n h ';
iMars. Avara, cupida di serrare in le. =: 2, 4. E — dis\
\serra, a prr esser pochi gli eletti; o ])nr render quel, eh' h
raccolto, lo che non si fa mai se non in qualche senso lìlost w
lieo, o mistico e figurato.
S. CCLX. 1. 1. lulle, Valchiasa. = 2. Fiume, So
ga. r= 4. Af frena, contiene, serra. 4, 2. Nud
Ideila mortai spoglia.
j S. CCLXI. 1, 1. Parte, il terzo cielo, o cerchio (3)
'3. Fra — serra, fra gli amanti virtuosi. = 3, 1. Ao
\cape, non si comprende. 2. Ordina: e il mio bel v eì
\l o , (j uel che tanto amasti e che è laggiù r i in a s o<
1 cioè la spoglia corporea, la bella persona, velo all' auim"
4. 1. Al largì) la mano lasciando la mìa.
S. CCLXII. 1, 1. Al buon tempo, in vita di L. :
i? a^i 0 7i , conti. Sa Z rfar, sdebitare, pareggiare. =r
Fort une, tempeste, burrasche. = 3, 2. f'oi — pasce
Naiadi.
S. OCLXIII. 1, 1. Ne mar osi vermi, lime, passioni.
3. I agafera. Laura. r=: 2, 2. D' amor disdetto, rr^
4. In (juèlla etate, non matura, nella gioventù, rrà »
3, 3. Altri amanti. =: 4, 2. SUI canuto, temiUMto, sft
dato, sodo, posato e in somma culto. z==: 3. V{omj)erj|*
rompersi.
S. CCLXIV. 1, 1. Nodo, corpo. =r:: 2. C A e, di cui.
2, 1. i^aZsa opinion, sospetto d'amor meno onesto, rd
3, 2. ì edra' vi, vi vedrai. Sol, solingo. =- 4. Ordina
v 0 g Ho che tu abbandoni e la s e e d i m i r ar l à ov
giace il tuo albergo e dove nacq 11 e i l n ostT
amor, per ecc. Dal Sade sappiamo, che Ogiera, figlia mal
giore di li., nata verso il 1330, si condusse s'i malamente, ci
nel ilì.'il la famiglia fu costretta a farla riucbiudcre in un ral
nastero. l'go di Sade, marito di L., sette mesi dopo la di 1
morte, passi) alle secondo nozze, e fu inoltre molto geloso
L Svilisce duii()uc il poeta i parenti di L. dic;cndo : mira \a,
chiusa, e non curarli d' Avignone, aflìiiclic non veda nella f "1
miglia tua figlia malnata e consorte libidinoso, cf. S. CL.XXV "
S. (MUiXV. 1, 1. Quel sol, Inaura. =rr i.Ilminlt
me, gli occhi lucenti di Liiira, che mi erano scorta ni cìpW
ed a dio. C a r ce r t e r r r .s / r o , corpo. r=r 2, 1. -/ n i ni a l
Silvestro, solo, fiiggciiie ogni compagnia. :=-. 2- / a
ghi, erranti, raminghi, incerti, rt^ 3,3. ;"ieji ', vieni
iS. CCL.WI. I. Io pensava ecc , io pensava potermi
i K
ì
DI PETRARCA.
i^nre a volo rapido e possente alle bellezze di Laura, non 'di Laura! : — 1. Fine stra della mente. 4. J)a
;ì per la Inr forza propria, ina per quella d'Amore (ili chi man destra, attese le virtù di L. : y. PrjKsn varco.
:^ p i r g a), l'è r — eguale, per adeguare il mio canto Morte in guisa orientale è caccialoie. 2. 'l'i-ionc di na-
li (jcllfzza di quel nodo amoroso, donde iiiorte mi si-ioglie, ve bellissimi caroa di ricche merci disfatta da' subita tempesta
Amor mi leja. = 2, 3. yl cader va ecc. proverbio. — rara beltà di Laura oppressa dalla morte! 7. Tein-
Nc ni fa ben, mal riesce. 3, 1. Ilaria, poirebbe. pesta orientai, pestilenza donde L. mori. ;5. Visin-
'enna, ala. z= 2. (irave, tardo. r=: 3. Ritegno, ne d' uu lauro bello percosso dal fulmine. — - 2. Schiet-
game, nodo, r^rr 3,1. Segui II a, la natura. 3, ^ to , non involto, nò nodoso, uè inagng-naio. — 8. Tintujn
~ e n t il ra , fortuua. vista scuro di nuvoli. =r= 1::. Simit, sì dilettevole. — —
S. CCLXVII. 1, 1. Sorga, fimie di Yalcliiusa. Arno fìu- 4. Visi(me d' una fontana b'-lla in^fiiìotlita col suu loco dalla
e in Toscana. =-: 2. Franca, libera di noje e snllecitu- terra, tì. yl quel tener, al mormorio soave dell' acque.
3. In amaro, col suo morire. 2, 1. ]J a r= 9. Spero, spelr)nca, terra v. 5, ti. Visione d" una
oi, pnsci.T. Uiproruto, pnniito dì nuovo. : — - 4. jn- fenice, che, vedendo l'alloro svelto e '1 fonte secco, volg^e il
zrno, dipiiijro e colorisco al viso. Dante Pur?. XIV, 21. becco in sé stesso e dispare — 1' anima di L, che, veduto mo-
riosto Ori. f. I. al). : 3, 3. J' ii r , soltanto. Ombreg- rire il corno suo, sene \oIa al ciclo. 3. J edendo io.
iar, adombrare, abbozzare. : — 4, 1. Divina parte, = 10. tolse — becco, si rivolf^e o raccoglie in so.
ii^ma e sue \irtu. _ 11. Di sparse, di'parve. r= G. Visione d' uua bella donna
S. CCLWIll. 1. Ordina: Amor, che — in chiostri, punta irnau nel tallon da un pirciol ang:ue. In questa visione
uol ch'io dipinga a chi noi vide, e ch^io mo- jiar che concentri e rischiarando frioriiichi V immagine dì L. in
ri V alto e nuora iiiiracol, che ecc. = 'i. Se- generale; onde non intrudiaino E.irid'V-e. 5. Candida
>, col mondo. = 4. S t e 1 1 a n t i r hio s t r i , rerìnlì lu- gonna corpo incontaminato. tì. Testa, tessuta, con-
nti. r== 3, 1. Al sommo, al colmo delle ludi di Laura, testa, armonizzata ne' colori. — - 7. Le parli supreme,
— 2. Chiunque — scriva ogni altro talcoso poeta sin la testa.
lì. = 4, 1. rince. Laura, queir allo e nuovo mi- K. XI. Scritta nel 1319, ricorretta nel 13G8. =r- 1, yJmor
eolo. ^ qui par alquanto ozioso. = 2. S p e ne e g u id ar don ,
S. CCLXIX. ì, 2. G arr ir — pianger, torna a. g. e. a premio sperato. r= 5. i ' u n a , la morte. z= iì.Acer-
2, 2. Sua fi glia, Venere. : 3, 'i. yl l e i e l — 6 a in eiit e , crudelmente. 7. L\i.(lra, la vita.
hiavi, che morendo chiose il cuor mio ad ogni letizia. S. C. XXV. 1, 1. Temo, suppl. che. yldopre, opri, faccia.
<X, 4. =: 4, ). Cantar, canto. Fiorir, lìor. !^= (i. s. Opre divine, \irtii e bellezza. = 8. Jlac-
S. CCLXX. 1, 4. Scorte, maestrevcdi, armonizzate, cf. colta, chiusa, d'ogni mortai fama non curante. 9. Pri-
H. X. 10, gione, corpo. r= 10. Foco era stata, avendo, secon-
S. CCLXXL Annovera le cose, che più dilettano la vista, o do Sade, diciotto anni. : — 13. Di mia etate aprile,
idilo. GV infiniti sono o assoluti, o iiì vece di sostantivi. 11 avendo anni ventuno. = 11. yi co g l icr f ior i , facendo
rime e versi, ^-r 2. Descrive il bel corpo di L. r^^ 1. Mu-
e non is- ri, membra. Tetto, capelli. =:rz 2. L scio, denti. Fe-
nestre,ow\\\. zm 5. Messi rf' amore, parole e sguar-
ili. =^ 7. Coronatid'alluro, vilinriosi, co» allu.>ione
al nome di li. =^^ 9. s. D' un b e l diamante quadro
(quadrato, cubico, onde saldo, perletto) e mai non scemo
un seggio altero è il cuore deliberatamente e invincibil-
mente casto. ::^= 12. Colonna e r i s t al l i n a !<eaz' allTo
nza brio. Forale, senza buldi-zza e grazia. Fiso non lutto il corpo svelto e puro, in cui traluceano i pensieri.
sfavillante. Panni trascurati o meno allegri. =: 3. 3, 1. yl 1 1 e , riferendosi a giunto del v. b. cioè raggiunto,
0 t e e , potevi, y^ i) u e « £ a , a\ veduta, scorta. : — 4, 1. yi [Colio, è in vece di f/a // e. r= 2. Insegna verde rispon-
de al co ron a O' (/' a // or o. : — 0. Uo'è ecc. forse nel
cuore. z= i\. Parte, dall' altra parte, parimenti, insieme,
a un tempo. 4, 15. S. CC\X, 1, 3. =r=: 11. Per che, per
'quale. _=r l'i. S t a n r/o.s/ a f/ t/ n ia / co /i e , alta, ec-
ncelto (le! tutto è di Guido C-ival auti.
S. CCLXXU. 1, 1. C/(e, ove, quand.i. =r 3.
iviamo eoa Diagicdi quello, rìl'erendolo a tempo, o
issata, passato è ano!}ialia poco da lodarsi. 4.
enna, in vece di pena, hanno 'l'assoni, Muratori e Mar-
-- 2, 4. C e / ?« a rt t o , bel corpo. ì, 2. Loro,
lura e mio cuore.
S. CCLXXlll. .Sali' ultimo congedo di L. = 2,1. Atti
r , agli occhi dì L.
S. Ct'LXXlV. 1, 3. Al loco ecc. P. avea anni 45, alìor-
e L. mori, rrrr 2, 3. Sospetti, dell' amor mio meno onc-
|iuro. cf. S. ('(;XL1V, 1, 3. :z=: 3, 1. Scontra, incoil-
— 3. Che loro incontra, cosa loro avviene.
S. CtyLXXV. 1, 2. Frane in via, ra\r(i giunta. =rrr 4.
hi — adegua, la Morte. rr= 2, 3. Scorse, guidi), fu
orla. =-r- 4. Segua io. : 3, 1. Che, perchè.
2, 1. ^ ' 6 e -
S. CCLTvXVI. 1, 4. Spoglia, depone.
celiente, inacces.-ibilmente casta e one>ia. =r 4,5. J) ori-
na pronta e sicura, ^alura. rrr H. Atto delta
fronte, ov'era la maraviglia dell' anima dipinta. 15.
Parte \. a. 3, 9. = 5, 1. Costei, Laura. 5. Il
p a dre. Giove. = li. Le parli signorili e belle,
onde discende influsso felice. : — 7. Le — felle, ondo
scendono maligni indussi. G, 4. y/ n cor a e er 4 fl, fan-
ciulla. r= li. Carpone, perdi' era fai;cìulla. r^rz 12. An-
cor non preste, balbettanti, non bea sciolte. =ztz 13.
Che — s e o ni p a g n e , che lascio per poco la mammella, nrt
7, 2. Terza J ior i t a et a t e , ileclmoler/.o anno, pubertìi
i II e ehi di Laura. =r= 3. Schiantar, fendere, rompere
I \iol(;iiza, come fa la grandine agli alberi ed alle biade.
I. l'nr vivendo, se pur ella\ivea. Feniasi là, o il
)i,ii). -^T -I, 3. Cangiati essendo.
. CCLXXMI. 1, 2. Sterpe, sterpi. = 3. Spoglie
rei se, alte frondi. r^ 4. Sterpe, radice. =r. 2, l.jì, 2. 'J.' e r z a J tonta etate, ilecimoler/.o anno, pubertìi.
hhietto, nuovo oggetto del mio ìnnanioramenlu. r^r 3. rrrr- 6. Salute, salutare ad altriii. z-z: 11. Carcere,
' ^ .V e , 86 lo fece. ^^ 3, 1. /y n « r o , Laura, r^ 3. C/i« corpo. :=: H. I. Ilota attribuisce alla \atur.i, asM'gnaudn
onda, che non potc\ano mai volgerla ad altro pensiero le l'uffizio della Parca. 'i. à't a/;i e di vita nostra.
e onesto, rr^ 4, 1. yl l b e r g o f i d o , mio cuore. 2. 5. Fame, de-iderio.
adiri, memoria e immagine. 7=. A. C U i e h lami , io. \ S. CCLXWII. 2, 1. S coeso come la fronda d' n 11 albero.
hi risponda. Laura. _ : — 3, 1. /.« ' n / 1 /o , essere. r=z 3. l''ia 'l mondo, leggi
S. ('CL'vW 111. 2,4. Aon giunge osso a nervo, non a^ mondo, cioè sarà sempre iu ineinorM al mondo de' buo-
ni, rrn: 4. Ordina: auge! novo, pii tà di me vinca
lassii il vostro cuore in sua tanta vittoria (del
mondo cdell'obblìo) e o me la vostra beltà vinse quag-
g i il i l m i o r 1/ 0 r e.
S. (M'IAWIII. 1, 1. Sono accusativi. = 4. Colei,
Morie. 2, 1. // sul sparisce. Suanoror, la lima.
2. <liiunto per (|uantu tempo, mentre. Il 2. Sparila essendo, rr-r- 3, 1. Dormito — sonno, po-
ste spoglia corporea. : — "3, l. " La for m a miglior,
anima, r-r: 4, 2. Jn guai parte, nel cielo. 3,
n a l è. Irlo, corpo.
(,"('LX.\I\. 2,3. A /rfo, stanza, asilo, r — 4. f'ivo,
nlìnuo a vivere rr^- 3, \. Piante, quando si andasse a
orto dov' io giaccsMÌ seppellito. ::— 2. Occhi volli a
.tolcro. r-r= 4,
io foco , la cagion del mio loco. _ co tempo viverli. Ilellissima immagine profonda, alCso il
S. ("CI. XXX. 1, 4. Etire, voce Ialina elicit, trac fuori, gilar eterno dell' alma. :. — : 3. S'interna, si riunisce,
a. r — 3, 3. Colo, \(ire latina, venero. S. CCLWMW 1, 3. Patto era. Tepida neve. Cosi
. CCLXWI 'lli^po^ta al Nonetto di Giar. della Colonna. Ovidio: Mire nivis l n r r :i inae sole It prnlis cunt.
: l<' parli del corpo mio distrutte', r^ 1, 3. () u 1 1 1 e no- :^— 2, 1. V(. Dante Inf .\\ll,"Hj ss. r — : 2. Domestica
, il sonetto di (<iac. r \. l'irta, cortesia, bontà. :r— febbre quartana, la qii ile s allunga sì clic si fa qua-"! doine-
. T r r r e nr lutti', addila le persecuzioni della casa di slica con cui » incarna. — — 3. In ve, leggiero, spedito,
unno, rr— 3. Morte di l/unra. rr— 3, L Tcnrre presto, pronto, rr- 4. Aon integri, scemi, uianr.iuii, ini
jierfei'i. r — 3, 2. L u in r divino. . — 3. Mici occhi.
4, 3. Hi vrd renne, ci riiedreinn,
S. CCLWW. I, 3 ; o/(i, volevi. =rT 2, 3. A'on
tutto, operando di rivederla. : — 3, 2. &'{ie^n e r , cioè
lo.
S. CCLXWM. 1, 2. To', togli, prendi, r — 4. Tardo,
perchè pena aveva a spiccarsi da lei. :-t- 3. 3. {-'n'Ir, fa
Irmpo, innnnzì tempo, iroppo presto.
Strinse, lego a questo corpo, rrrr 3.
ondi, corona poiliri di poco frutto ancora, dunque poe-
o impegno, r — 2 /■,', se non vuoi leggeri; eh, o ubi, in-
roinpe impetuosamente ii suliilo. — 4,3. U 0 I r ih o s -
r, cagione dolce de' miei so'^piri. La costruzione è a!i|uan-
scotivolla, in vece dì: rlii mi rasrundi; e v iet.i inn.in/i leni-
te, dolce sospir, che col cor veggio e 1:1111 la lingua onoro,
u cui l'aìma h acqueta.
. \\l\. .Scritta nel I3(il, ricorretta nel I3(il. rnnlenriile cele. ~— 4, I. /'
vìsiiMii siivcelliliili d' allegorici spici/ione. : -- 1. \ i-i. .ne : — 2. Chi er.r. dio,
legnric.i sjio'.i/'.ione.
una fera con fronte umana, cioè Laura cuci'i.ita da due vel f o s t r.v , nodo, l'rrfarv'ira, per taru disdegnosi e In-
, un nero e bianco, sigiiilicanti isolle e giur.iu — breve \ila diitpctliivi «lille cudù di qiiag^giii.
COMENTO SULLE RIME
e. XXVI. 1, 1. La font an a di mia vita, Laiira.
5. £i, Aiiinre. r^ 7. Alzo la mano; anlicliir'simo costu-
me in segno d'arreudersi al nemico. ^= 12. Jien men,
va mancando. === 2,3. /"irf «, forza e vigore. Fé a, fa-
ceva. = 5. Vi morso die\ consumò uccidendo. G.
C Al ecc. morte. == 9. Spero pel desiderio di L. Fa-
« e 7i to , perchè è quasi suicidio. : 10. yet/bia, come
n. := 3, 2. Sassel, se lo sa. Suo, ilella vita. ti.
Licito fosse, oh che 1. f ! = 4, 3. 1 1 pns e i n b a n-
do, distruggendo quel benedetto albergo =^rr .5,2. f'n-
gkezza, desiderio vago. =rr 12. Con altro pelo, quello
della vecchiezza. =^^ tì, 4. Ben, oueslainente.
Si. IX, doppia o di dodici stanze. 2, ti. Ogni stile,
ogni parlare, legalo o sciolto. : 3, 3. J7 ' , ove. 4.
Gè nt i l e 0 r e ili h. 5. lljavoleggiar sogni, speranze,
ragionamenti. 4, 1. Vesir, di veder L. = 5, 1.
C A iV/ro «e t'/! 0 , soggetto. = T, S. 1) o ppi an d o si, ac-
cumalandogi, crescendo smoderatamente. H. 4. l'io g g i a ,
pianto dirotto. Altri alludersi credono al vegghìare e cantare
degli amanti all' uscio delle donne amate. 10. 5. Tolla,
tolga, toglia. =^ ti. 0 y ' è , sappi, trasferendomi. 11,2.
A ggi ungan, raggiungano, pervengano. =: 12, 2. Vii e.
scrivete. _ 5. M uti , che.
S. CCLXXXVII. 1, 3. Chi, colei, queir anima santa.
4. // mortai, la spoglia mortale, il corpo. 2, 3. Spar-
te fronde, i vanti lodevoli, gli ornamenti, le bellezze anni-
chilate e distrutte dalla morte, incogliendo, rammemo-
rando, e cantando in rime. : — 4, 1, Passar, morir.
2. Quale, cos"i beato, come ella è.
S. CCLXXXVm. 2, 1. Già, ia tempo di vita. Paven-
tosa, sospettosa. 3. Sempre. Chi sa"? v. Si. 1, ti.
Vili, (i. 5. C. IX, 5. 12. S. XXV, !). LIX, 12. CCXI.IX, 5. ed
ultrove. = 3, 2. In fin al del, nel ciel medesimo, nel
cielo pure. cf. S. CC.VCVII, 1, 2. dove sopra 7 cielo. C.
XXVIl, 2. 3. ss. Cosi va bene, ancor senza la conghiettura di
Biagioli in .sin n e/. : 3. Tornando nelle mie visioni
e sogni. : 4, 1. Al por giìi, allorch' io deporrò.
2. i-'pr me, per accogliermi. Gente nostra, uobili ani-
me amami.
S. CCLXXXIX. 2, 3. L' alma, mia. = 3, 3. Torpo,
sbigottisco, irrigidisco. A'oce latina! 4, 1. Finestre,
occhi. 2. Colei, morte.
S. CCXC. 1, 2. Che — sbandita. Dante Purg. XXVI.
4. Accesa — stella, di Venere, cioè adorna di tutte
le bellezze. = 2,1. Oca orso, incontro. : — 2. li orni -
t a , solitaria.
S. CCXCI. 2, 4. Si tiene, si crede. = 3, 2. Cover-
ta, nascosta, poco conosciuta. : — 4, 1. Un de ecc. Il soo.
C(\\C!1 e CCxCV. par giustificare rinterpretazione, che ri-
ferisce la poca vista errante o debole alla virtù visiva,
allo sguardo, di modo che cangiarla poca vista sia
volger altrove, cioè in su, al cielo, lo sguardo, dunque esser
astratto dalle cose mondane, sol per piacer ecc. per piacer
meglio ad essa, purificando P amor mio.
S. CCXCll. 1, 4. Ab esperto, per isperìenza. ■ 2, 3.
Mali, danni, bellezze mortali, che mi striiggeano. 3, 2.
In più sicura parte, al cielo. 4, 3. E, nasce, s' ac-
quista.
S. CCXCIII. Ordina: quel dolce mio l aur o che d'
odor ecc. « i' ' abitar ecc. vedeva alla sua ombra
(corpo) o n e.f t o m en te il mio signor (Amore) seder-
si e la mia dea. Vuol dire: L. bellissima era l' amor mio,
e mi beatifici). <^uel disgiiigner e confuuder del lauro, in
grazia della triviale immagine, olfusca e confonde non poco il
concetto, ancorché parli d' mi suo lauro piantato in Valchius.i.
4, 3. Cosa era da lui, era cosa degna di starsi con
lui.
S. r('XCIV. 1, 4. A me grave pondo, noioso e insop-
portabile a me stesso. - — 2, 1. In fondo, abbassata, pre-
cipitata, r— 3, 2. // ' ninan le gnhggio, la schiatta uma-
na, r umanità, gli uomini, r— 4,3. i>e l m io pia ut o ,
di colei, per che piango, come dice altrove. Si fa bello,
s' adorna.
S. ('C.\CV. 1, 1. Quanto, in quanto, per quanto. 4.
Cosperse, sparse, diffuse. r-=z 2. Le bellezze immortali
(li L., maggiori del mio intelletto, riconoscer non potei. =r~_
3, 1. A (; , o. mr 2. Anzi a dio, innanzi a dio, presso id-
dio. _ Rende, ricambia. =r=r 3. lire ve s l i 1 1 a , \nccti\n
gocciola. Modo di dire strano, poco alto. 4, 2, Jfer
aver, qnantiiiiqui; abbia.
S. ('(;.\(;\ I. 2, 1. Suo'', suoli, solevi. Senso : altre volte
turni visitasi I nel sonno, ir-r: 2. Sosti e n' , sostieni.
3. Il refrigerio. =r- 3, 1. Onde, per la (|uale ira e per lo
quale sdegno. Ben pietoso core, core per altro pietoso,
tenero, e gentile. r=r 3. l'.gliW coro gentile, è Amore
vinto nel suo r e f^ no , nel core gentile ; perocché A m ore
e cor g en t il so no una cosa secondo Dante, ('oncetto
pur artefatto! r:^ 4, 3. Ombra, apparizione in sogni.
S. (;<'\('\1I. 2, 3. ./ morte mi riloglio, torno in vita
dalla morte. = 3,3. Inlellette, intese, =rr: 4, 3. 7^'
arrostar il 8 ole, possenti ad arrestare e fermaro il
nule.
S. CCXCVIII. 1, 2. Lagrime e doglia, apposizion d
cibo. =: 4. Sua, del core, i^ 'i, 1. Chi, colei che,
=: 4. 1. Che ecc. a che giova il saper e la dottrina a colui,
che neir avversila non sa consolarsi « =r 3. Fostu, foas
tu. rivo, di mente sobria, quadrata, posata. Brama ch<
s innalzi sovra il mondo sensuale, al quale ella stessa è tolta
e pur vive.
S. CCXCIX. 2. 2. s. Ordina: se chi (colei che) lascio in ^
dubbio, q uà t fu, o p i il bella, o p i il onesta, non '1'
si p r e s t a f 0 s s e al mio scampo, a venirmi a scampai
da morte colf apparirmi, l il rerso T aurora, dove i sogni
sono vivacissimi. . 4, 2. f ir, al cielo.
S. ecc. 1, 3. Che nulla piii, che niuna è più amara,
=rr 2, 2. Ij, onor. Che, il citlo. : 3, 2. Ordina: A' è
gran prosperità di quel bel spirto sciolto può
I e 0 n .s. / / mio stato avverso, i nfel ice.
I S. CCCI. 1, 2. Avviata, avvezza, m^ 4. Quel ecc. che
r idea della beatitudine di L. non era sufficiente a consolarmi
(v. S. CCC, 3. 2. 9.). : — 2, 1. Il mio stato rio è 1' accu-
sativo. 4. Colui che ecc. iddio. — 3. 2. Inferno
mondo.
S. CCCII. 1, 1. Gli angeli eletti, scelti, superiori
secondo le nozioni giudeo- cri-iliane. =z 4. Pietnte, rVA
2. Abito, reggimento dell' ani
generazione. : — : 3, 2. Sipa-
3. Farle v. a. C. XXV, 3, 9.
verenza e divozione^
ma, anima. r= 4. Etate,
/•«^ o7i s , appartiene. : —
A tergo, indietro.
S. cecili, i, 1. Li et a,
"' "" I lin a , santa.
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felice. Principio no stro ,
■ — : 4. Ostro, porpora. '
2, 1. 31 ostro, tniracnlo, prodigio. 3, 2. 3tai ecc. V^. in-,
tanto a .S. CCLXXX\ III. : _ 4, 1. Per ammendar,^^
compenso e ristoro. 3. T oi, cittadini del cielo
S. CCCÌV. 1, 1. Ordina: I mici spirti prendean vi-
ta da' p i il begli o e e li i ecc. i 2, I. Conquiso, qual
guerriera d' Amore.= 3, 2. Il re celeste e i suo' ala-
ti corrieri. Cos"i, o pur senza e leggono tutte l'edizioni
Alcuni Msc. in vece d'alati hau alti. Che che ne sia, il
principio moderno declamatorio del ritmo istesao appena scu-
sare pui) quoto verso durissimo a causa dell' elisione: suo, a ««
lati. 3. Ignudo, privo^ spoguato del mio bene. Ci e
co, senza il lume della sua bella.
S. CCGV. I, 1. Messo, angelo. 4. Dimesso, ab-
bandonato, abbattuto. W 0 n n «!, spoglia.
S. CCCVI. 1, 1. L'aura. Allusione a L. St anc o ri-
poso, sonno non vero né ricreativo, anzi stanchevole. ModajJ r
di dir(^ poco atto! 3, 1. Di pietà dipinta. Dante
Inf. IV, IS. 2. Parte, parimenti, nfc non.
S. CCCV lì. 1. 3. Al mondo, in questo mondo. : 4J
Per miglior via, con inspirazioni ed apparizioni.
3,2. Il re, Gesù Cristo. r= 4, 2. Intr'o la Morte. JJtfi
sorte n snida e contento.
S. CCCVIil. 1, 3. Che ecc. perchè bisogna cercar altre
scorte a ben morire? 2, 1. Quei ecc. Cristo. 3, 2,
il' e non f o s s e , tempo.
C. XXVII. 1, 1. Conforto, Laura. 3. Sponda
manca, vicina al cuore. 6. / i e n' , vieni. 2, 10.
Che, il che. : — II. Marsan legge Jie' tuo' dir. ^=
3, 5. Come suppl. mai, perchè mai. r=:z 9. Oh dell' ani
me rare una. =-rz 4, 3. Che, pereti), perchè son nulla sen-
za te. 4. Amorose tempre, disposizioni e qualità de
coloro ch'amano. =^ .>. Disteinpre, ti consumi in ))ian-
to. II. Co glieli do — rami, ^ incendo il mondo e te
stesso. Rami, cioè la palma e l'alloro sr)ii segni di pace e |i
di vittoria. a, 1. Rispondi, ìmperaiivo. r-rr 4.|i
L' una, il lauro. !). Altri, .\more. : (i. tì. ^I pa
rer, di p. Il resto ordina: e tornando ancor quella
s i s ( l v a gg ia e pia , co in e già fui s alv am d o i lisi e m
la tua salute e la mia, sarò pia bella c'h e m a i ,
sarò a t e p iii e a r a.
mi.
ilei
ini
ini.
(!. XWIII. L' idea di Gino da l'istoja nel sonetto. 'Mille»»
dubbj in un d'i, mille querele' ecc. : — • 1, 1. Empio, spie- 1
tato. =:^^ 2. Reina, ragione. =r: 5. Affina, s' affina;'
H. Ragion, giustizia. : 0. il anco piede, se-
gnai di sinistro augurio, .\pulcj. as. aur. 1. rr-r 11. Onde.
dall' esser in ((liei regno. =r^ 2, 3. Feste, feste\ oli ricreazioni,
diporti. r= il. O poco mei ecc. Oio\ enaie: plus aloe»
q u a m. in e II i s h a b e t. l'Iauto : A in or et in e 1 1 e et fé l J [fi
le e s l f 0 e e u n d is s i in u s. rrrr 3, 7. E in pia cote
speranza f.ilsa allettatrice amorosa. =n= !)• Altero, dispO'
sto a levarsi alto, rr-^ 4, I. Cercar ecc. m' ha fatto fi
viaggi, principalmente per 1' estrema (ìermania. !). A e
mica, Laura. r:r— IO. Sol un punto, un sol momenti
—r-. 12, Icerbu, immatura. ^=r: a, 1. Poi che, dacchi
— : 4. Per non ostante di, con tutte l'erbe. (i. A'o
sono poi squilla, standomi desto lunghe le notti e co
tando ogni ora. 7. / ili a, luogo abitato, in generali
: — : 11. Iti morte lo sfida, gli minaccia morte. :=^ ti,
Raul pò gn e, rimproveri, risposte con querele a contrasto^
=r— : 3. Onde si parte, donde dis^ia. : — - 5. Arte da'
lì ende r p aro l et l e , stuilio delle leggi, del quale TacitiJ
dice: nihit putilicae inercis t a in venale fitiU*
\ijuam ad vocatorum perfidia. =: H. To/to, ei|iis
:
.1
i
DI PETRARCA,
Bndo stato tolto. Noja^ raestier nojoso forense. : — : 9.
'uro e netto, libero e sicuro contro al desio ambizioso, ed
lire brame mondane. = 7,1. A tri a e, Agamennone,
mante di Briseide. Achille di Briseide, : 'i. Anni-
al ami) in Pnglia una meretrice. Amaro, dannoso. T cr-
en vostro, Italia. 3. JJi tutti ecc. Scipione Afri-
iino. 1= 11. Ili io ma, favella e parlar. 13. Grave,
pp rimente, molesto. : — H, 'Z. JJi nuli' altra il tutto,
oinmo godimento. = — b. Ferve, arde, splende. Cai-
ingegni, poeti. ;= !). 8. Con * e ru e « i /a n n o , si
iccoglioMo, si conservano, ^rr 11. e. Ito co m or mar ad or
i corti, Toco venditor di menzogne , leggista vile. :
Divulgo, fo chiaro, glorioso. 9, 3. J^er alcun
atto, in niun modo. b. L ig io, servo, suddito, di-
endenie. l'i. JJ' error, d' illusione. : Ij. JS e ,
e Amore, e Lnura. :^:= 10, 1. Avanza, eccede, supera.
3. Cose mortali, bellezze di Laura. =^ ti. .S;) e-
anza. Laura. =rr 7. Sembianza, forma sembiante. =
). Chi- voi se, colui che la volle per sé, il cielo, o dio. =:
l, 7. Ma più - 1 it e. .Sospende la sentenza.
S. CCCIX. 1, 2. L'animo stanco, le forze mentali
eme. Scorza, pelle. 2, "i. S/o r sa, spossa , toglie
forza. : 3,3. Una parola. Forse, come vuol 'iae-
li , quella del S. CCCX, 2. 3. s. o qualche altra couso-
Irice.
S. CCCX. 1. 3, Suo, loro. L'uso promiscuo del suo pel
(tirale, come pel singolare, pare che si debba attribuire all'
à acerba della lingua. i\e sono gli esempi frequentissimi.
Longobardi il torto e il diritto del non si pui) 1, 255.
nò giova arzigogolare in questo. Tesoro, beatitudine.
= 2, 4. Perdi hai ecc. Dunque ad altro tempo era stato
tro, e l'età ave\a cangiato il di lui siile. ^= 3, 3. L'uno
alto, di dio e di madonna. == 4, 2. Per tardar,
jantunque tardi.
S. CCCXI. 1, 1. Suolmi, eoleami. = 2. Interi,
(irosi. Saldi al ferirmi. 4, Spenti (lezione di Ca-
elvetrii, Tassoni, .Marsand in vece della cominiana fatti),
iiichilali e conversi in querce ed olmi, — per mezzo della
ma piuttosto bens\ , che d un sodo, sano e naturai concetto.
= 2, 1. l'arte, insieme. 3, 1. Colui, Amore, es-
odo. ;=^ 4, 2. Folce, regge, sostiene. \ oce V.il. ftil e it.
S. CCCXII. 1, 1. Anni ventuno, in vita di Laura. =
i.»» e ci, morta Laura. 2,1. A ij)r e n rfo ,_ ripiglio,
rimprovero. =:= 3. Farti estreme, ultimi giorni,
jcchiezza. 3, 1. Si, in vaneggiamenti amorosi. =
1. Career, corpo.
S. CCCXlll. 3,2. Stanza, dimora, lo stare in questo
ondo, f una, vuota di merito. 3. Onesta, lodevole,
lorexolc.
S. CCCXIV. 1,4. Insulse, sciapite. inette, insensate.
oce latina! 2, 1. Jlefulse, risplendè. Voce latina
dantesca, l'arad. XX\ 11. 2. Cortesia, gentilezza in-
ita, liberalità, accoglienza gentile. i= 4. Avulse,
else , divelse. Voce Ialina! r— 4,2. f ariar, cambiar,
versila. =: 9. Jta, spacciata.
S, CCCXV. 1,2. / o / ^ f £, volgevi. =: 2, 2. I p i è ai
ferisce a di quella. Laura, ecc. = 3, 2. Soave velo,
razioso corpo.
S. CCCXV 1. 1, 1. Mano, aiuto. = 3, \. Risponde ,
more.
S. CCCXVII. 1,3. Alato, vicino. r= 4. Dopale
palle, scosto, lontano. = 3, 1. Farti, nostre, partite
jstre. 3. Morte, pel corpo. Ci ci, per l'unima. =
I. Stagione, verno. Ora, di none.
C. \.\1.\. 1, 1. Di sol ecc. parole dell' apocalissi. =-
Sommo sole, padre eterno. : 3. Sua luce, il
;lio. = (). Colui, Gesù Cristo. = 7. Lei, Maria.
= 8. Chi, a colui che. ; — ^ !). ./ mercede, a pletoho
iccorso. z:=—. 2, 2. / ergini prudenti e\ angeliche.
alt. 25. 7. Circo urdor, scnsual talento, rzrr 10.
a «p. st., i segni impressi del llagcllo, de" chiudi e della
ncia. 3, 1. Ogni parte, corpo e mente. r=: 2.
'igliuola. Dante l'ar. .Wlll. --t-t (i. In su gli estre-
i giorni, nella sc-la ed ultima età secondo la dìvÌHinnc
:' padri della chiesa 10. J'ianlo d' F.va, macchia
i\ peccato originale. =: 11. Sua, del figlio. =z 5,3.
u 1 , alla quale. 4. Ordina : santi p e n si e r i e a 1 1 i
ielo si e casti fecero in tua feconda e i r ^ i ;i » t li
n vivo t e ìli pio sacralo al vero d i o. :.r— ti, •{. .N <i e
liier, criMlìano. :rrr (i. Ultime strida, di naufrago.
=: 10. // tuo nemico, i tuoi nemici. .S. Agosliiio: ne
ibi risum e .r h i b t a u t de me inimici lui. rr-r
II. Corrcri ti, veloci. .— H, 1. T« / e , donna , Lnura.
= 4. Per saperlo, «[uanlunque avcni-e saputo. ;— 11.
tiri. Laura. -- 9, 3 / ;i su -pus so. nel line della
la. =r^ 7. Ulcdnsa, Laura. ; - II. /'l'i'o/o, santo,
irgalo. r— 10, 2. Del coni, p r. umor, pirla, carità
eniore dell' origine roninne. : — li. C i> s ii gentili. Non
nidra allo sliU- Ui ((uesla canzone, pcnhr troppo ronlìdrnle e
INSÙ. — : 11, L // di, nllinio , l.i morii'. . ^ 7. Spirto,
irò, quando si ucoinpngna l'alma dal corpo.
Pjìrte terz.\ delle rlme.
TRIONFI.
1 sei trionfi , o le visioni allegoriche intorno ad alrnnl
j momenti dplla coltura dell' uomo, il poeta li comincio a scri-
\ere nel 1357, e interrottamenle li continui) sino al 1371, cioè
alla morte, dove non ordinali ancora, ma involti in piii rotoli
furniio iro\aii tra le allre .scritture sue. Quindi la coiifusitine
d'alcuni capitoli non ridotti ancora in lor ordine. 11 concetto
' dell opera era di gran lunga maggiore dell" esecuzione, nella
liliale la vecchiezza impedi^a il'^poeta, sicché restava im-
I perfetta.
1 TRIONFO D'AMORE.
1.
Vede nella solitudine di Valchiusa trionfar .Vmore del mondo
sovra un carro dì fuoco a quattro candidi cavalli.
1. ss. Accenna l'aurora del sesto d'.Xprile, che s' innamorò.
i 5. La f an ciull a di Tit 0 ne , .\urora. 6. Ge-
lata, perchè il mattino è più fresco. Antico soggiorno.,
luogo dove sta, mentre il sole illumina il ciel nostro.
8. Chiuso loco, Valchiusa. =:: 10. Fioco, rauco, roco.
Dante Inf. 14. 12. Assai dolor e on b r ev e gio co,
I d'amore. ^^=: 13. Duce, Amor. IG. Gioir — soglio,
i mancando virtù trionfatricc. = 17. Nojoso, pe' costumi
j perversi. 19. Abito, vista, pompa e forma del trionfo.
I 20. Gravi dal sonno. 23. Crudo, di tier sem-
jbiante. : 32. Esser, stato. 3,7. : — 36. Digiuno,
[ingordo , avido. ■ 49. Il ragionar antico, il favel-
ìlar in idioma latino. : 51. Aprico, allo, luminoso.
|55. llisponde Petrarca. ^:= CO. Predire l'immenso incendio
'amoroso, perchè finge la visione aver luogo prima del suo
innamoramento. 04. Nova, giovanile. (j8. D'elli,
del di lor numero. rz= 81. Anzi mille anni, modo pro-
iverbiale ironico in vece di fra poco. Sveglio, desto, sral-
Ilro, lo accorto. : — 84. ì ana, errante. : — 89. Che,
I accusativo. =rrr 90. Tra — erba, parlari soavi e godimenii
j amorosi. Cos'i più naturalmente si quadra a lego, che
quando vidi riferito alla giovinezza fresca di Cleopatra. ;
''XI. Altri, .\inore. ; 93. fitto, \into mondo. '
i94. Fj'^'/ IO, adottivo, r— 9fi. iì u a sposa. A 1 1 r u i a. Tì-
I berlo perone. :^:::= 97. Nerone figlio dì Domìzìo e d'.Agrip-
pina, tiranno. : 99. Femmina, tra l'altre femmine Sa-
IbinaPoppea. 100. Marco Aurelio .Vnlnnino, lilosofo.
104. Dionisio siracusano tiranno, amante d'.Aristo-
maca siracusana, e Porida locrose, alle camere delle quali
'passava sopra un ponticello, il (luale , entrato dentro, si leva-
va dietro. Alessandro feren, consorte di Tebe. 100.
\Colui ecc. Enea. : — 107. Il suo amor, Lavinia, oggetto
idei suo amor, liglia di Latino, re de' Latini. 108. A
\quel. Turno, re de' llniuli. i^iff /(" u o/ , Pallanie. Cf Vir-
igli. En. 7. = 109. U'un— sc«o/sc, Ippolito. :=: HO.
\ Matrigna, Fedra. . — 114. Maligna, perchè accit-
sollo falsamente appresso al padre. r=^ 115. Mario, im-
piccandosi. ^ 1 Ili. Teseo, a cui ebbe rotta la fede , e
fece nccider il llglio. Arianna, la ([uale fu abbandonata
da Teseo nell' isola di Sci'o. := 118. Si riferisce a Fedra.
=-^. 119. Si riferisce a Teseo. :;;:= 121. Jl fan.-oso, Teseo.
Con, malgrado di. : — 122. Due sorelle. Arianna e Fe-
I dra. : 123. L'uva Arianna. Dell' ultra Fedra. La
{lezione e' n morte in \ece di morte non sembra necossa-
! ria. 120. Ch'ebbe ere. scudo stalo ucciso da l'arida
' per Polissena, liglia di Priamo, —rr: Vii. Demo fon te,
figlio «li 'l'esco. Fili e, liglia di larnrgo , re di Tracia, la
i<|iial s'impicco, non vedendo lornare suo marito, ch'era an-
dato a riro\ orare il regno d'Atene, lasciato libero perla
morte di Mnesleo. nemofonte ne incnii lungo dolore, nr^
130. Hadre, Eeta, re di ('olchide, al (jiialc fiirii i tesori
fuggendo, /l' r a I e l , Asslrlo, ih'illa , essendo da luì soprafr-
giunta, uccise spargendo qua e là le sue inembra. r^ 13l.
Fella, facendo morir la sposa noxella di Giasone, ('rcusa,
'figlia ili Creonte, re di Corinto, ni i due suoi proprj ti(rli.
r— r 133. Isifile, regina di l.enno, amata prima da Già
sone. r^: 131. H a r b a r i co u in o r . amor d'una bnrb.ira,
straniera. : — 135. Che ecc. F.lena. r — 130. l'attor.
Paride. Mal, per suo danno, r-^- 1.'I7. Gran tempeste,
guerra ed eccidio di Troja. r — 110. h' n i> n e , ninfa idea,
jiglia del fiume Pedaso , amante di Paride, r— 141. Kr
ni io ne, liglia di .Menelao ed l-'.lena. Chiamare, in niulo,
essendo rnpita da Pirro. — : 112. Laodamia, figlia d'
I Acnsto tessalo, l'rotrsilan iirrìso da Ettore nella gnerr.i
Iroiiina. i— 113. ,/rg/rt, figlia d'Adrasto, re d'Argo, /'o-
l in ice, suo marito, figlio d' Edipo e d'Iocasta. - ' 14J.
Ai' a V a ra — .1 nf. , l'.rilili;, liglia dì 'l'elainone. Volendo
Sdraslo niellare alla guerra lebaiia Ainliaran nasroslo. \rpia
corruppe l'',rilile con una collana lavorata ila Vulcano a disco
prlrglielo. - IJ2 ( i (I lo r/i /e rro — r»//o , appunto per
ti' iiliiino parole, che spe/.ialinenic descri\imo quel <info di
Ifirro, più uaiuralmeutu tiembra dover riterimi piultovlo all'
<5<5§.§§
COMENTO SULLE RIME
armatura del dio, o alla rete, in che Vulcan geloso lo ravvi-
luiipò, che alle catene d'amore. Perchè lacciuoli innu-
mer abili del verso peuullimo uoii provano , che spezial-
mente il dio della guerra con le nere bella non po*-sa
dirsi armato, o irrerito. 153. In disparte, ftenza al-
tra significazione accessoria qnal.-ivoglia dinota soltanto distri-
buzione nello spazio. 155. L' etate e r arco, d'/\more.
lab'. In T eguaglia, per Dafne. 158. Di farro,
ìq un suo libro perduto, ma citato da S. Agostino de ci vi-
tate dei.
2.
7. Abito — peregrino, affricano, cioè di Massinissa e di
Sofonisbe. — 12. Nostro nome, latino. L'altro, carla-
Cinese di Sofonisba. 19. Senso: io non sou degno d'esser
date conosciuto; perchè meno e poco celebre, tanto distante
da te non ti posso esser noto. — 24. Col- cong iun g e , fa
che t'ami. r=r 25. Colui, Amore. Se — guide, per quel
desiderio, quella brama che vi guidi. : 2(i. Che coppia
è questa, cioè vostra. Poiché il poeta nominò già. Io spirito,
fu superflua senz' altro e oziosa la dimanda , come osserva
pur lo spirito slesso. 31. Som tuo uomo, Scipione affri-
cauo. 32. Lelio, amicissimo di Scipione. : — 33. Lor,
alle insegne. ^H.Estrenio occidente, Spagna ed Affrica.
^^ 39. Ivi, in Numidia. iVe, me e Sofonisba. 41.
Sor à ardente, arderà. : — 44. Che del nostro furor
scuse non f al se , suppl. furon rotte, che vuol dire, indar-
no scusammo , anzi giusiitìcammo il nostro amore a Lelio , e
rotto fu il nostro matrimonio contratto , dopo aver vinto Si-
face, con veleno. Essendo un po' duro questo modo d'espres-
sione, 0 almeno artefatto, Vellutelli e Gesualdo lessero scusa
non valse, con che pure dalla Cariddi del contorto e dell'
intralciamento il poeta caderebbe nella Scilla della trascurag-
gine, usando rima ricca illecita. Perciò dunque: : 4t). In
vece di quel che sol pih che tutto il mondo valse,
Bandini legge oche quel che pi ii che il sole in vir-
tù salse, o che sol quel eh e p i u eh' al tr i in virtù
salse, dove offende e il che tre volte posto, e la simi-
litudine medesima. Pare adunque , che la lezione del testo
sia vera e genuina, benché contorta. 49. E — do le.
Altre edizioni hanno: e bette he fosse cosa onde mi
dole, lo che par chiosa. Un Ms. estense ha e benché l
fesse, 0 bene he fess e , che senz' altro sarebbe più chia-
ro e naturale. n= G2. Il preg at or , Scipione, come mo-
stra lui. r= ()b. Tanto o quanto, un tantiuo. 67.
Erede, esser erede, cioè eredità. = tj9. Elessi, volli
piuttosto. : — 70. Vanza, schiera, coro. 75. Al sol
aver^ il cor di neve. Dante Parad. 33. 7tì. Dir,
Sofonisba. : — 85. Il nostro e suo amico, Massinissa.
z — 90. Diffalca, scema, ritarda. 92. Di che, dei
quali. r=r: 94. Un, Seleuco I\icanore, il quale donò la
sua diletta sposa Stratonica altrui, ad Antioco So-
lere, suo figliuolo, per iscamparlo da morte immatura e
lenta. = 99. Ella stessa, Stratonica. 102. Il
re^no di Seria, venuto in poter dei Romani. 103.
Ristretti, giunti. = 105. Al primo, Seleuco.
107. Turbato, come nemico del nome latino. 110. Con-
fonde il poeta Antioco Sotere , figlio di Seleuco ^Aiicanore, con
Antioco detto il Grande, figlio di Seleuco Callinico. 119.
Questi, Antioco. ::=: 120. Per — degno, perchè ognuno
credeva l'altro esser più degno, che sé. 121. Fosse,
etata, o era. Discreta, accorta, avveduta. 12(j. Pie-
tà, amore e dovere di padre a figlio. 129. Render
salute, salutarlo. : — 130. L'ombra, di Seleuco.
140. Che di mille non seppi il nome di uno.
141. Istoria, lunga, volume intero. ■ 141. Bruna i
begli occhi, ne' b. o. : — 145. Il vano amator, iVar-
cisso. =: 147. Povero ecc. Ovid. inopem me copia
fecit. =: 149. (Quella, Eco. i= 151. Al mal suo,
perchè s'impicci) disperato all' uscio della crudel Anassarete.
=:= 154. Fiver increbbe, vita rifiutarono. =z 15S.
Alcione e Ceice, trasformati in due uccelli, alcionj.
IbO. Esaco, figlio di Priamo e d'Alissotoe perseguitando Es-
feria, ninfa, figlia di Crebrciio fiume, che l'u fuggendo
innanzi a lui da serpe uccisa; egli inconsolabile deliberò di
morire, e gittalosi in mare per la pietà di Tetide si trasformò
in mergo. = 1(13. La crudel figlia di Niso, Scilla.
Ovid. Metain. 7. Facendo guerra a Mao Minosse da lei ama-
to, tagliò al padre il purpureo fatai capello, e ne fece dono al
neniiro. Ma rifiutata col dono da Minosse e trasformata
poscia in lodola, mutato venne il padre suo in altro uccello,
chiamato \i»o, persecutor eterno della crudeltà e del tradi-
mento della figliuola. =: l(i4. A t alani a v. Ovid. Met.
10. Itili. Ippomenès vinse Atalanta, nel corso. : —
ITI. Glauco, dìo marino. Colei, Scilla. =^. 174. Al-
tra, Càtiìc, che trasfigurò Scilla l'amata di lui in mostro ma-
rino di brutte forme, r:— 175. Carni ente amata da Pico,
trasformato da Circe nell' uccello di questo nome, col real
manto ligurato ne' bei colori delle penne. Ovid. Metam. 14.
= 17H. Morto \unia. Egeria sua moglie amata rifiutando
ogni conforto M abbandonò a dirotto pianto, e fu conver-
tita in fontana. : — ; IHl. (Quella ecc. C'anacc, la quale
scoperta iuuantc del fratcUu Macareu dal padre Eolo, fu
uai
dannata a darsi morte col ferro che le mandò. Ovid. Heroidll'
11. r= IHi. Pigma ti on. Ovid. Met. 10. z= 185. C
stalla in Focide, Aganippe in Beozia fonti sacri alli
niuse. f idi, udii, che non perciò è da riporsi, la per
zione de' verbi de' sensi essendo frequeutisnima. = IH7.*
Cidippe, amante d'Aconcio, il quale avendo scritto; in uà
pomo un giuramento in nome di lei che lo velosse amare,
glie lo diede, ed ella, letto il giuramento, si credè obbligala
d'amarlo , e lo sposò , benché mal volentieri.
3.
4. Mire, miri. =: 6. Seguire, senza poter soddis-
fare alle tue domande. 7. L'esser mio lo stato di,
meraviglia. =: 9. L'opra, di domandar, come lo vorrebbe^
la mia curiosità e meraviglia. 12. Se — conteso, do-i
vendo io seguire il carro trionfale. — : 13. Quel grande^
Pompeo magno. =r 14. Cornelia, figlia di Scipione, se-\
conda moglie di Pompeo. : 15. Tolomeo uccise Pompeo*
a tradimento. Plora, voce latina, piange. 16. Ili
gran Greco, Agamennone. 17. Egisto, traditore):
e adultero. C/ ite n n est ra, moglie infida insidiatrice. — :'
19. Ipermestra. Oraz. od. 3, 11. 33. ss. una delle cin-
quanta figlie di Danae, la quale sola tra loro, spose de' figli
d'Egitto da loro scannati nella notte uoziale, salvò Linceo,.
poscia successore di Danae. ; 20. Piramo e Tisbg'
Ovid. Met. 4, 55 ss. Ombra del moro , dove aveano riso-
luto di trovarsi. Dante Purg. 27, 37 ss. 21. Leandro
ed Ero, v. l'enopeja erotica di Museo, cdìz. di F. Passowi
Lips. 1810. 8, Dante Purg. 28,71. ss. = 23. La casta'
m o g il era, Penelope. = 24. Circe, incantatrice. In-
gombra, d'amore. =: 25. Figlino l d'Amilcar, An-
nibale. = 27. In Puglia, in Salapia, città d'Apulia. =::
28. Quella ecc. Ipsicratea, moglie di Mitridate, re del
Ponto. Valer. Mass. 4. Con breve cAio ma , accorciatisi
i capelli, in segno d'essergli serva. Marsaiid legge come in
atto servii. r= 'il. Porzia, figlia di Catone Uticese,
moglie di Bruto, uccisore di Cesare, la quale si feri col ra-
soio (ferro), e si uccise con carboni accesi ingojati (foco)
Che, accusativo. Affina, propriamente riduce a perfezio
ne, cioè dispone affatto, fa forte, inardisce. Tassoni e«
altri leggono che'l ferro e 'l foco affina, spiegando
affina congiugne , rende affine; altri eh' al ferro e a-l'^V,
foco aff. cioè si cimenta, in significato intransitivo. Ma sta
bene la lezione volgare. = 32. Giulia, figliuola di Ce-j
sare, moglie del gran Pompeo , la quale, vista la vesta san-'
guinosa del marito , e immaginando lui morto o ferito , morì'
subito di dolor eccessivo. : — 33. Seconda fiammal
Cornelia, moglie seconda. 34. Gran p. Giacobbe^
schernito daLabano, il quale, in luogo di Rachele gli
pose la notte a lato Lia. : 'iH. Il p ad r e d i qu., Isaacro,
il cui amore di Rebecca rintuzzò il dolore della morta madre.
L'avo, Àbramo, 40. Amor cr. e p r. di Barsabea,
moglie d'Uria. 44. Più saggio figliuol, Salo-
mone. : 45. Parta, scevri, allontani. 46. f
vedi. L' al t r o , Aminone , figlio di David , amante di sua
sorella Tamar, con cui si giacque fintosi ammalato, ma'
poscia l'abborri. v. Reg. 2, 13. : 50. Ciance, manifesta-
zione sconsiderata d'aver la sua forza ne' capelli. 51,
Nemica, Delila. 53. ì'edovetta, Giuditta. =:
58. Sichen, figlio d'Emor, innamoratosi d'una figlia di Gia-
cobbe, Dina, che rap'i. 59. Circon e i« iora, pattuita da'
figli di Giacobbe a causa del matrirnonio della lor sorella eoo]'
Sichen. Morte, che lor diedero i figli di Giacobbe in ven'
detta della rapita sorella. Genes. 34. tìO. f e s e h i o _
inganno. : — 62. Assuero, sposo e amante della reinsij'
\ asti, cui ripudiò per avergli di.'subbidito. : 63. Medi
e andò rivolgendo^ il cuore ad Ester, che fece sposa e re^
gina. : — 65. Cosi Cicerone: ctiam novo quodama-
more ve te r em amor em , t anq uam davo ci ai uni ■
eiiciendumputat; e Guitton d'Arezzo : Colai rime-
dio ha questo aspro furore. Tale acqua suoli "
spegner questo foco , Come d' as se si trae chiodi ^
con chiodo. 68. Egesippo 1,26. narra la storia. Chiami 'i
Antonio in Egitto Erode, re di Giudea; questi insospetti, ch<
Antonio innamorato forse della sua moglie, Marianne, o Cle(f
palra, per gelosia noi facesse morire ;_ond' ci partendosi com-
mise a Giosippo cognato, che, se sentisse, eh' ei fosse morto,
uccidesse tosto Marianne. Tornato, rammemorando un «Ti
alla moglie il suo grande amore, ella gli rimproveri) quel suo
mandalo ri\elatole da Giosippo. Erode, credendola con 1
rea d'adulterio, gli fece ammazzare entrambi. Ma passò li
furia, tornì) l'amore, e li fé' s'i la mente torta, che impazzi
a segno di creder viva ancora la moglie , la quale mandav
sovente pregando dai servi, che le piacesse di riconcilian
seco. : — 74. Pro cri, moglie di (Cefalo d'iiicorruttibi'
virtù. Ovid. Met. 7, 661 ss. >i r fem is io, onorò Mausol
suo marito amato, di quel superbo sepolcro posto fra i scttfl'
miracoli del mondo, e beute le di lui ceneri , si mori di do-
lore. Valer. Max. 4. Deidamia, fida ad Achille. Siii/io
Achill. 1. 2. 76. Semi rami» fece una legge rlu' il
figliuolo potesse ammogliarsi con la madre, per poter ella
congiiigiierNÌ col figliuol suo, IVino. v. Dante Inf; 5. liibli A.
iuuaiuurò del fratello Cauuu Hl'rcnataiucute. Ovid. Metam. DI'I
DI PETRARCA.
r 88. Mirra, si giacque col padre Cinira. Ovid. Met. 10.
i g?. 78. In vece di s u a Marsand , Tassoni e Mura-
ci Icgg'ono lor. z=: 80. L an cil o 1 1 o , amante di Gine-
1, muglie del re Artù. Tristano, amante d'Isotta, moglie
I re Marco di Coraovaglia. — - 61. Agogni, resti stu-
Fatto. 8:i. La coppia (T Arimino, Paolo e Fran-
ica, presso Dante In f. 5. 86. Anzi la tromba, guer-
ra. Virg. Aen. 11,421. r= 87. Altri, il nemico con
rmi. 89. Giovinetta, Laura. =z 9i. Parme,
pare. 99. Macchiati d^ una pece, proverbial-
ute. 101. fedendo. Laura che. Preso, standomi.
= 118. Chiostro, prigione. : — 121. Marsand legge:
ggiadra e fera. := 126. Ui lei, della sua virtù.
= 128. ^« e // 0, Amore. Ordina; sperava, che me
:. , lei lusinga. : VK. Accolte in rete d' oro.
z m. Mille preghi. Ellissi audace! = 148. Obli-
a, torta, ingiusta. : 149. Aggiunge, arriva, discende,
ice. 158. Fra due, tra s-i e no, tra contrari affetti.
- 169. Rugge, grida e minaccia. : — \Tl. Canape,
ame. 173. Sola, senza ragione in balia de' sensi.
. Altrui, d'Amore. : — 3. Ove, in cui possesso. =r:r
Antiche, greche e latine. Moderne, volgari, ita-
le e provenzali, rm: IH. Colui, Orfeo. Iti. Al-
o, milileneo nel tOO, poeta lirico. 17, Pindaro,
ano, morto nel 424, scrisse 45 inni trionfali. Amò Teos-
e garzone. Ana Creonte, teo, nel òOO , poeta lirico,
inte di Cleobolo, o Batillo. := 21. Il mondo, gli uo-
i mondani e lascivi. 25. Giovane greca. Saffo
ilenea nel 600. = 31. Selvaggia, amata di Cino da
toja. • 32. Guitton d' Arezzo, morto nel 1294. di
veggasi Dante volg. elotju. 2, ti. Purg. 26. =: 34. I duo
idi. Cavalcanti, liorentino, morto nel 1301 — 6, e Guini-
li. v. Dante l'urg. 11. e 26. : 35. Onesto Bolognese,
cui resta una sola ballata, v. Orelti Beitragc zur Gesch.
ital. Poes. 1. Siciliani, Ciullo d'Alcamo nel 1190.
do Giudice, messinese, Giacomo da Lentino. 37.
nn uccio e Franceschi n, contemporanei suoi e amici,
a famiglia del Bene. = 38. Drappello ecc. di proveu-
39. Portamenti, costumi. f o l g ari , lin-
ggì. 40. Arnaldo Daniello, poeta provenzale,
nitore della sestina. Dante Purg. 20, 115. s ss. r=: 43.
ve, lievemente, leggiermente. Afferra, mette ne' suoi
i, incatena, z^r: 44. L" u n Pietro V idal , tolosano,
io nel 122!), compagno del re Riccardo nella crociata, pazzo
enturoHo innamoralo, di cui v. Ginguenc bist. liter. d Ital.
1. L^ altro, Pietro Aegeri d'Avernia, che essendo cano-
di ('hiaramoiite per farsi dicitore ed andare per le corti
nziii il canonicato. Il - Arnaldo, de .Vlarville, morto
nzi al 1200. 46. Jlairnb a l do, rimatori provenzali.
10 fu signor d'Arvenga di (;oteson, l'altro soprannominato
irops, venuto in Monferrato, \i celebrò in versi Bea-
3, sorella del marchese, e fu da lei amato. Onde in vece
;antàr si ha da legger con Marsand ed altri canto.
48. Giraldo di Borneil di Linioges mnr'i l'anno 1268.
■r d^ Alv., contadino del vescovado di Chiaramontc, ìu-
or della canzone. : 40. Folchc.tto, genovese nel
Nome, gloria. : 51. Cangio abito, facendosi
aco. v. Dante Parad. 9. zr^rr ,')2. Gianfre liudel,
or di Blaja , innamoratosi jier faina della cimtcssa di Tri-
, In lode della quale fece molte canzoni , \olle andare a
:rla, ma infermando per viaggio fu riputato morto, e per
Jnun/.iato alla contessa ; la quale fattimelo recare, e pre-
nelle braccia, tosto egli si risenti, ma tosto, avendo ren-
grazie alfettuorc alla sua donna, morì daviero il 1162,
ella fu menata dal dolore a farsi monaca. : 53. G u-
elmo Cabcstan , o Guardastagno presso Boccaccio De-
4, 9. s'era innamorato della moglie di llainiondo da
ci Rflsiglione, che lo fece uccidere da un suo servitore,
vatogli il cuore, alla sua donna il fere mangiare ; ond'
saputolo, sì gittli dal balenile, rrzrr .')5. ,1 in e r i go , ri-
r satirico pro\enzal<!, JS ir nardo, limosino, alm corte
onte Uaimondo In Tolosa. Ugo, nato d'un caslello nel
ivese, più nomato per aver ben cantalo le canzoni altrui,
|>er averne composto. ,1 ns cinto, Kaudit da l'serta, bor-
I Limoces. ^— 59. Tomasso, Siciliano, grandissimo
o del I'. sin dalla gioventù, quando studiarono aiiibidue
ologna^ poi visse e inori a ^les^ina. ::^ 67. Comune
xda di desiri inondani. :=^r: 6H. Socrate e Lelio,
iiali coiitrasHU amicizia in casa di (ìiacomo (Colonna, \es'
di liombuH. =r^T 72. Suda, vera, pura, non contraf-
rjr— 73. Monti, le falicose scienze. zrrrr 75.
g U i; amnroHc. HO. .1 n -..i t e mpo , esHcndo ancor
ine. r— HI. Ramo ne foglia, non tanti) (|iiaiilo di
e. r-r- K't. Ita dici, virtù. . H7. Frrn, consola
, che ralfreiia la doglia, rrr 8H. Da coturni, da
idia , (la allo stile, grave. Da sncihi, da rninmedia,
asso stili;, da umile canto, rrrr. HU. Dei), Anuire. r —
liin tuz -a t i , ottusi. r— : 91. io' seguir, col
rrr- 92. Da altrui, da Laura. .— O.i. Fosse,
, mali e strazi. — 97. Uallrntatn furono.
ilraziatij tuuuuo. = IW.L' Egeo mare. Su
spira e piagne, a causa d'essere sparso d'isole e dì scosli,
ove si frange il lìotto. = 101. Isoletta, Cipro, o C'i-
tera. 102. S r a Z rf e - Ja g /! p, scaldi , bagni. = 108.
Il ver, il cristianesimo, r^ 1(10. Macra, povera. :=
111. Arra, moltsta, odiosa. =z Ili. D a l—T il e , daìV
uno all' altro estremo del mondo. r=z 115. Pensier in
grembo, i gravi e sodi pensieri si tengono chiusi e na-
scosti, rome chi nasconde cose in grembo, o in seno.
in. Di verno, fuor di tempo, prematuri pia-
ceri. rr=: 120. Nel regno di Roma, in Tarquinio per
Lucrezia. In quel di Troja, in Paride per_ Elena. =r
129. I semplicetti cori, i nuovi augelletti. = 131.
Progne, la rondinella. = l'f2. Sorella, Filomena.
.Dolce negozio, di far nido, dì cantar e fare all' amore.
;= r34. Loco, Cipro, o Citerà. Tempo, il iPi 6 d'aprile.
\Ora, aurora. : — ■ 135. Che più lar go t ributo di la-
grime, perchè morto era in quella stagione la sua donna, rr^
140. Arco, Tassoni, Muratori e Marsand leggono carro.
\= 151. Ratte, rapide. Erte, erette. = 152. Wi-
sc Aia, mischiata. = l.'>4. s. l'ulcan — Mongihello,
isole volcaiiiche vicine a Sicilia. 158. Le penne usa-
te, capelli e barba. r= 159. Per tempo, a buon 'ora.
La prima mia (Marsand l e pr im e mie) lab hi a , poe-
tando iu Latino. : 165. Lunga pittura rimirando.
TRIONFO DELLA CASTITÀ.
1.
1. Quivi, nella pompa trionfale, e nella prigione. =
8. Febo innamorato di Dafue. Il giovane iVAbido,
Leandro, amante d'Ero. 19. Romor. In testo ha/u-
ror. 20 Folgori ardenti s'_ incontrano. =^ 22.
Ar goni enti , ingegni o mezzi acconci a quel!' assalto. =rT
26. Enc eludo, gigante sotto 1' Etna sepolto. = 20. Non
fosse, il suono. : — • 31. Ciascun, degli spettatori. Per
sé, mosso dal proprio desio. : — 32. Impresa, battaglia.
37. f arco, passo. = 39. Di catene scarco,
perchè addestrato alla caccia. =_ 54. A e h i f att e ade ,
senza lo scudo della virtù. 55. Fiso, attento. = Mi.
Ond' esser sole, suole, dalla parie d' \morc. = 70.
Dramma, qualsivoglia particella. .-=r 71 s. L'altre -
mamma , lo Amazoni. ; 73. Farsaglia, in Tessaglia,
ove combattè contro Pompeo ol genero suo). =z 75.
Ogni lorica smaglia, \inct: ogni contrasto. =p 81.
Fan — sopra — altera, innalzano. : S3. Abito di
virtù fatta natura. Diletto, coscienza paga, lieta, e fe-
lice. =-. 88. Canuti, savj , prudenti. = 91. decori rf<»,
favorevole, propizio. 94. Salme, spoglie. := 89.
G io V ane romano , Scipione. : — 101. Filisteo, Go-
lia. r=r^ 103. Garzon ebreo, David. r=rt 10 Lia f e -
dov'orba, Tamiri priva del lìglio mortole da Ciro. :;^=
105. La gran vendetta. Valer. Mass. 9. =: 107. La
lezione del lesto è quella dell' autogralb di Petrarca, e dinota
danno non provveduto , e vergogna non provveduta. Copisti
ignoranti hanno occulto; altri e duolsi accolto. =^
108. Forba, scacci. r= 113. Inarime, aniiro nome d'
Ischia, dove giace Tifeo. = 114. Mon g i b e l , Et\ì:i.
r-^ 117. Sue minor compagne, Lucrezia, Penelope
ecc. =r^ 118. Candida gonna, sìmbolo dì purilìi. =
119. Mal, pel suo male, perchè mirando sé stessa in quello
scudo d'acciaro rimase sbigottita e fu uccisa da Perseo. =^
120. Diaspro, pietra che spegne il fuoco dira o di libidine.
==r 121. In m L. infusa, obbliata e trascurata dalle don^
ne. = 122. Di diamante, durissima. Tupa-.io di
virtù avversa al bollor del sangue, r—- 129. .Voti potrebbe
L' altre sette muse, z — 140. Le Tedesche, iloiine cim-
bre, che, vinti e trucidati i loro mariti da Mario, uccisero i lo-
ro ligli, ed appiccandosi per la gola serbarono la loro
onestà. = 143. Greca, Ippoue, che, rapila dall' armata
nemica si precipitò in mare. r=r 118. La listai yerg,
pia, Tuzia , la qii.ile accusata di ili-oiu'»lo cotipiugniincnio
con uomo, ror-e baldan/osa al 'l'ex ere , »• riporlo l .icona col
cribro al tempio. . — 152. Ersilia, moplii' di Uoniolo, ra-
pila Sabina. :: — : 15(1. Sposo, Siclieo. l'ine, morie, rrrr
160. r na, Piccarda, sorella di iMire^o. Dame l'urg. 21. Par,
3, 31. HS. Si chiuse e strinse, si fere monaca. - Itti.
Servarsi casta. - — 165. ./ ;;i h ;i d e s t r ii , a chi viene
dall' oriente, i lìti del mar tirreno sono a man destra. T'er-
ro /e rma , llali.i. Sa Ise, tii\\'i. -— 16(1. .1/oiitc H <l r
baro, u man siuistrn della grolla della sibilla. .1 ver no.
al l.ilo destro. z— 167. .Ilbrrgo di S. Cumea. Virg.
Aen. 6. ~ I6H. Linterno, uuindicì miglia lungi da \a
poli \erso poiienle, esilio e sepoltura lU Scipionb alfrìcanii
Ul grand' iiom, che il' .1 ff r i e a s' a p i 1 1 ii\ r — 171.
.11 vivo, snipibiliiienle. : — 172, UsUlronor, trionfo
riportato sopra Amore, ttt- 17.1. A' u H scemato lou gli
occhi, non iliiiiinoita n \ederlo. 175. .Illrui , Laura,
r^-. lìti. Lui, .'Scipione, r — 178. Città s n p r n i> a . Uo-
ina. " 179. T r inp i o ^ S u I p i ii a , tìgli. i di Servio Sul
pizin Palerrolo, iiioi;lii' di (Quinto Fulvio l'iarro, roiisiiorò a
\ coire \criirordi.i o Volgiciiore. r 181. Due Irnipj \'era
no in Moina della Piidiri/ia . per le donne patrizie . rome
Lauru, e per le plebee. -— I8«. Foglii , corona del lauro.
COMENTO SULLE RIME
rr= 187. Il giovane toscan, Spurina, che si guastò il, Accenna una scena da solo a sola, dove o accolse ella uni
volto eoa visìl>ili ferite per tor via il sospetto de' mariti e canzone del poeta, che cominciava 'Dir più non osa il nostri
de' padri. ianior', e canto in presenza dell' amante, come per maschera
il loro amore dirimpetto a' parenti, una canzone. l'erchl
TRIONFO DELLA MORTE.
1.
di mcn distesa fama.
4. Dalla. Cosi legge Marsand in vece di della, z —
5. Gemico, Amore. : — ■ H. Schivi, abborrenti ogni dis-
onestà, iu vece di co / Marsand, Ta«soni e .Muratori han- ! la stella di Veneie
jio fC un. = 1-. Quai, parte. Gesualdo legge quaì Questa, .\urora.
VI orto e qual preso ivi, che non va bene a causa di
f/uivi. • ^0. Campo verde iigura la gioventù; il
ca7t(Iitlo a r III e 1 1 in 0 ìa. purezza eii innocenza. 21.
O r 0 fino, la perfezione; i topazj, la continenza. 30.
Una insegna -trista di Morte. — : 31. Donna,
IMorle. 33. F l e g r a , citcrsonesus thracica. rr=
37. Ivipo r luna , perchè improvvisa. r= 38. Sorda, in
esorabile
quel e e 7/ la 7) r/ 0 è ambiguo, al quale d'ambidue si rift
risca. r= Vù'l. D' iniqua parte , di torto , d' ingiustizia!
1.')+. Perchè, benché. Tolti, gli occhi o sguardi miei. =5
lb7. Fiorito nido, Firenze. =r 171. Di meri grido\
^''i. La rota del ter zo cielo,
1 * ^•_i. 11».'
girantesi nel terzo ciclo.
= lift). Fcr tempo , tosto.
181,
TRIONFO DELLA FAMA.
1.
7. Ps r /'er5a , ove giacqui sognando. = 8. Quella
ecc. Fama. =r Hi. L' a in 0 r 0 s a stella, la stella di Vef
nere. = Vi. Io diceva Ira me. : — Iti. D'intorno alli
17 ■ - -
iiii
o9. dente ecc. si riferisca a voi, e dinota! Fama. 17. Fur, non ostante. 18. Non potea noi,
il torto e perverso giudizio. = 42. Seca, taglia. ól.ìv e air meno, doveva esser abbagliato. : — ; 25. L' u 71 Scili
in a , unica di virtù e bellezze. 52. Altri, Petrarca, pio. 3/a 7j et p io , servo. 'iii.L'altro, Cesare. — *'■
Ara, avrà. _ =:= 54. Di qui, di questa vita. : 57. lii-riH. Gente ecc. il nomano. r= 30. T ia sacra, dove passi
j)/- e 7i f/ e , vitupera. = òV. In forse, incerta, dubbiosa.! primo Cesare trionfante. : — 34. Bisbiglio, mormorio
ti4. Funlo, alquanto. 73. Rispose Laura. Da^Sobile di nobili imprese. =: 3ti. L'un, Scipione il mag
traverso della via che passavano. : — 7'J. ìtì f/io e Ca-i giore. iN «pò t e, Scipione affricano minore. i''ig- /io adotliv
fai, per oriente, Marocco e Spagna per occidente. r=r . Ottaviano. 40. Duo padri, Publio e Gneo Scipioni
n. Mezzo, gran tratto mezzano. =z 82, L, ove. 91.|(j(ie8ti padre di Se. JN'asicaj quegli di Se. Affricano maggiore
Fur che fo=se. : 93. Si aggiunge forza all' espressione. 1 e di Se. asiatico. Nemici, cartaginesi. 41. le ut
9i). Animi de' popoli soggiogati. Suo, dell' ingiusto de' tre iìgli , il gran Se. 42. D'ultimo, Se. I\asica
conquistatore. z^^=: S8. E col ecc. e dopo 1' acquisto di t. e t
fatto con sangue. z^= 104, Di-gloriosa, di Laura. r=
i05. Fassa della morte. 109. Compagna, compagnia.
Dante Ini'. 20, 101. zzzz^ liti. Dimostrarsi possente.
li9. Occhi, di Laura. : 12lj._ In sua ragion, dritt(p
su di ogni \ita. lieo, crudele, inesorabile, r — l'i7. Arse
ed ulse, ammalossi. 134. Strinse, co' legami d'amo-
re. 138. Altri, la morte. — — 13S). Debito era.
141. ./ lui, al mondo. 143. Noti eh' io sia, molto
meno sono io. iz=: 152. Romito, raccolto. Dante Purg
43. Firopo, gemma lucente a guisa di fuoco. -; — : 44 !'
Colui, C. Claudio Aeroue. Consiglio, l'astuzia di lascia
il campo e d'andare a trovar Livio Salinatore. Mano, ucci
dendo Asdrubale e l'esercito suo. 47. M et aur o. »
Oraz. od. 4, 4. :z:rz 48. Ria semenza, esercito cartag]
nese. Il buon campo romano , le belle contrade d' Ila
lia. = 49. Oc c/i i, liucei. : — - 50. Un gr an v ecchii
i). Fabio Massimo. 51. CAe — tenne, e cos'i cuti
ctandu restituii rem. : ó'2. Fab io , Q. Fabio Ru
liliano. Duo Caton, Censurino, e l licese. 53. Du
ti, 70. = 154. Avversari, spirili maligni. 159. F er\ Fao l i , Paolo Emilio, che mori nella sconfitta di Canne,
disperazion, quando le donne disperarono della salute
di Laura. := 11)5. Il — costume di risplendere. Eccelleu-
tissimo concetto di morte placida e tranquilla '.
2.
^. Bianca amica di Ti fon e, Aurora. 7. Don-
n a , Laura. Sembiante, simile. Stagione, primavera.
rr= \i. D a mille altre corone, dal cielo dov' era in
compagnia di ni. a. anime similmente iucorooate di gloria.
14. Pubblico viaggio, volgar strada. :=; 15.
Come, tostochò. : 25. f oglia di sapere. 2t).
T'avvisa, sii accorto. r=r 28. Serena, vita o stanza.
43. Siila ecc. tiranni, z 44. Fianchi, dolenti. =
50. Lasso, stanco de' fastidj di questa vita. 55. Co-
lui, Petrarca. r= 50. L'un giorno. Indarno, senza
speranza. 57. Seco si raffronta, so pone a fronte
di sé, entra in sé stesso a pensar di sé. = 02. Quella
ecc. dunque compagna di L. , mediatrice de' suoi amori.
75. Pietà, pntticamente per j) i t- f à. : 17. Al tempo,
durante la \ ita mondana , opp. nel volto di chi tutto
vede, di d'o. Dante Par. 21. = 79. Testa, mente.
81. Aon l. ecc. salva l'onestà vostra. =t 85. Ditte,
dette. :r^- 87. f ir tati, forze. r=rT SO. Temprai, mo-
derai. /"i«o, severo, arcigno. = 93, Per ferzo, ben-
i]uegli che prese Persa re. Duo Bruti, Giunio, che scat
ciò 1 re di Roma; e Marco, che uccise Cesare. Duo Mai
celli, padre e figlio. Il padre vinse Annibale a Nola;
liglio domi» i Galli abitatori delle alpi. = òi. Regolo
Ni. Attilio R. famoso patriota. : — 55, Curio, M. Curi,
Dentato, che domò i Sanniti, i Sabini ed ì Lucani, e scacci ^^
d' Italia il ve Pirro. Fabrizio, C. Liciuio F. , famoso < i
valore, e d'onestà verso il nemico re Pirro, a cui rimandp'
legato il traditore, che prometteva d'avvelenarlo, trionfò di
Tarantini , e visse in |)overià volontaria. 56. 3/ ida, 1
frigio. Crasso, ricchissimo Romano , ambidue avari. :=
58. Cincinnato, (Quinto C. dall' aratro chiamato alla ditti
tura, adendo trionfato de' Volsci e Sabini, tornò all' uinil
stato. Serran, C. .\ttilio Calatino vittorioso contro a' Cait^
taginesi in Sicilia. = 59. Costor, Fabr. e Curio. Can[
mi Ilo, esiliato vinse i Falisci , Vei, e Galli. =^ (il. So\
til lo, lo destini». : — : b3. Altrui , della plebe. r= 0
Torquato, Manlio. — - 05. Orbo del figlio, r^ epi.
Orba, senza disciplina. 67. L'un-altro, padre
tiglio. 71. Speco, voragine apertasi nel foro roman
73. i>/u7rt 771 io , Lucio, distrusse Corinto. Levino,'
Valerio L. , freni» Filimio macedone, scacciò i Cartaginesi
Sicilia. Attilio Glabrione vinse -Vntioco re. 74.
Flam. scacciò di Grecia il re Flllpp<» , vinse il tiranno d'
Re di Si rii
ISO, severo, arcigno,
che usi ferza. r= 94. Marsand legge: f^aa ni e y 0 ite 'Lacedemoni. =^ 76. Quel Gneo 'Popilio
d i s s' i o m e e 0 : q u e s t i a m a , A n z i a r d
V i e n e h' a ciò proveggia
Petrarca amante "
pe
ani, . „r,--, — - ~ -r- - - — --...,....- , ..
: 9 Iti
non l'ajuto. = 124. La lezione data nel testo é di maiio deli Un grande", Pompeo. = 91."y/eAe. ebe, voce lai «i
poeta, e dice: qual incredulità o miscredenza mai colpevole èfassi ottuso, scema. Non troppo bene quaura il tempo, seti*'
questa tua! iNnn monta di dirne il senso da civetta , do\e non alla rima. =r. 95. Quel ecc. Papirio Cursore. Il
tutto spira la civetteria. Altri leggono: Di poca f edesuoi, primo capitano del suo tempo. z=r: 97. Crudo e a\ ^
ira io, se noi sajii'SHi, cioè, s io non le ne facessi ac- vero. v. Valer. Mass. 3. : — 98. Quel — seguiva. UV^'
corto, sarei di poca lede, poci» sincera. Gesualdo legge: certo, se \oluinnio, o A'alerio Corvino. =r-z 100. Quel 'v\
Di poca fede; or io .se noi savessi, cioè, se non neilumnio. Il — sangue del suo parente Appio Claudio. =5
zi arde; or si co tj- j Antioco. • 77. Cerchio, fatto con una verga in mano. = '"'
!.7. Quel — re ^gia; 79. Qiiei Manlio Torquato Capitolino. jWo ;» t e, campidogli »/
etrarca amante. 'Questore quasi il principio della castità, 1 = eO. So s p i 71 1 0, precipitato. <^ u e/ Orazio Coclite. ^= S
er non dire civetteria, di Laura, cui il codice si dà qui più! ^^uei Muzio Scevola. =: 85. C/i i ecc. C. Dulllio. Chi lo ree
iipiamente. ^— 99. /arieggia, adombra e ricalcitra. Quinto Luttazio Calulo. :=: 88. .Vp p io Claudio cieco , pt
— 106. Passion tua. rr= 114. ìVo7ì l'aitando, s' io'a\ere tolto a' patrizj l'onore de' sagrilìzj di Ercole, rm 9
poca fede; o r i o f. e li o l sap e s si , cioè, Re non' nei lumnio. Il — sangue del suo parente Appio Claudio. =
fossi cena. La boiloni.ina ha: Di poca fede or io'f cioè! 103. Corso, Cornelio C. v. \alcr. Mass. 3. Filon, Pubbli
iiierilo io dun(|ue si |»oca fede '^ — - 120. A e ce nde s s i ,\ Uutilio , ('. .Marzio, v. Valer. Mass. G. =-. 104. Lue
accendesHc; licenza poetica! == 128. Quel — uvei, avevi, chiari uomini. =t 106. L. Dentato di quaranta ferite 1
mi piacque dì vederli innamorata di ine. Con <|uel * e aiiiielto. M Sergio di ventitré, e senza braccio. Scevl
mondo ecc. ella per sé non si compromette, anzi lo tiene alDurazzo perde un occhio, ed ebbe moltissime ferite. =: 1
bada, rrr: 130. Il bel nome, la fama gloriosa. V.VlÀltio successor, ."«'ergio Catilina. 111. Ingra\t
,1/0 fio, misura. = UH.delo, Ireddiira, quadra meglio senatori capoani. '7'ro7i ca /■ le teste. A — erra, non ](
al senso, clic zelo. Diutemp r e , consumi di dolore. r=r gcnilo le lettere senatorie credule contener perdono, p— 1
137. Senso: perchè in quanto alle altre c<»se , salvo la mi- (ira e co , 'l'ito Sempronio. =-t 113. G a rr ui 0 e in 9 ul
Slira, tutto era cos'i concorde, come esser suole in amor ( o è dalla man del poeta, in vece di e Catulo inquiei
(>iienlo. r^- MO. Puii W iu ecc. Accenna di averlo amato!=^ UH. Suo. Altri sue, rome Dante Par. 12. «4. AI
prima eh' celi amasse lei r— HI. L'altro, l'altra, cioè ( r- ii 0 Q. M. Felice. = 121. Figlio, Tito. = 1
10. rrrr: 144. Molto desir, amor ìinmenso. =r^ 148. ' A « 71 — r i 0, Douiiziano. Tr= 125. ,1/ o ;■ co, .Aurelio. = •
Ogni ve/, che cuopriva il mìo umore. Quando eco, 1 A a( ur ai , benché pagano , uuu criittiauo, = 128. F^
li»
DI PETRARCA.
ator, Romolo. _ Rpgi cinque IViima Pompilio, Tulio
fililio , Anco Marzio, Lucio Tarquinio Princo , Servio Tullio.
= 129. i/' a itro, Tarquinio Superbo. Mal ;<p«o, iafa-
LÌa. 130. jR e /t n 9 u e. Voce Ialina, aLbajiduua.
2. Popol di M., romano. r= 6. iVe/ mio dir, a ri-
irlo, ad egporìo. = 10. Duo— Troj. Ettore ed Enea.
'ersi, Ciro e Dario. =r= 11. Figlio, Alessandro il Grande.
'ella, residenza de' re di Macedonia. 13. L'altro
!pirnta. : 14. Altro intoppo, perchè ucciso.
). Tre Teb., Bacco, Ercole, Epaminonda. = 20. Spose,
litcnuestra, ed Elena. : 22. Leonida, spartano, ^nir
!. l)uro,tanquamapud in f eros co enat u ri , come
i«?i'. : — 24. Poca piazza, le strette di Termopile.
'. (iran giogo di servitù de' Persiani. Tolse, vincendo
iiiio ne' campi maratoni. : — 29. Figliuol , Cimoue. r=
). Sciolse. Val. Mass. 5, 4. =: 32. Greco F., per vir-
i e continenza. :=rr 33 8. A — scpo Itura , furono esi-
ali. 35 8. Nulla — interstizio, secondo quel :
p p 0 sit a iuxta se pò si t a m agis e l uc e scunt. :
I. Tre, Teseo, Temistocle, Aristide. : — 38. Sua terra,
tene. 40. Pirro, re d'Epiro, v. Giustino 25. =
. Massinissa, affrica:io. 45. Amilcare, padre
Annibale, nemico de' Romani. : — 47. Re di Lidia.
icMi. lisci, donato di vita da Ciro per lo detto di Solone:
I ino ante mortem beatus. Ignudo, spogliato d'ogni
)<,\. 49. Siface, re di \umidia , che mori in prìgio-
j. -T—z òO. Brenno, re de' Galli. : — 51. Cadde,
ino'iHi uu pugnale in petto. Tempio deifico. : 55.
(/ ' / ecc. Davide. : 57. Chi fé'' l'opra, Salomone,
1(1 liglio. HO. 1> en tr o , nel cuore, di cuore. Archi-
li u , yìrtnoeo Ai \ita. mora\e. ^=z (jl. (juel ecc. Moisè.
Ii4. Quel ecc. Giosuè, v. Gios. 10. ::= b7. Cole,
ic( latina, oiiora. ::= UH. Aver, suppl. di o l o.
I /-"a rfre n ostro, Abramo, rrrrr 71. Sua terra, Aran.
II < (1 , Canaan. ^r= Ti. Figlio, Isaaco. Nipote, Gia-
il)!jc. 74. Due sp ose , Rachele eLia. : — 78. Oua-
(/, da Delila e da' Filistei. = 79. Chi- arca, IVoè.
— 'rVt. Che-torre di Babel, TVembrotte. r= tì2. Giuda
arcabeo. : 88. Lista, schiera, fila. : 89. Ant.
il. Or., regine amazzoni. : — 90. Ippolita, moglie di
CMC). Figlio Ippolito, izzz: 91. Menalippe, amazzo-
-, Mirella d Ippolita, presa da Ercole. := 94. ì' e dova,
(unii'i, regina di Scizia. 99. Per de o, perde. =rr
'II. (Quella ecc. Peniesilea, regina delle amazzoni, morta
1 \(hille. = 101. f'erg. lat., Camilla. = 103. Magn.
^iiuiramide. La storia si legge presso Giustino.
li li US cuna delle due. 107. Indegno foro. Se-
iiaiaidcarab il figliuolo e un cavallo; Cleopatra Cesare e
'iiiionio. Tr e« co schiera. r=:: 108. Zenobia, regina
l'.ilriiira. 113. Armata coma, elmo in testa.
I. chi — sprezza, i nemici, cioè il Romano. = 121. K
r (/) r a , principia. = 122. Il-suec. I\abuccodono!^orre.
124. // p/o , padre di Mnn. F ont e d' e rr o r e , acni
l( .(I dal tiglio statua adorata dal \ulgo. = 125. Zoroa-
r i> , re de' Ballriani. :=r 127. Chi ecc. Sureiia , capitano
Orcido, re de' Parti. Duci, i due Crassi, e Veutidio. r=-
0 Mitridate, re di Ponto. = 134. Artit d' Inghil-
iri z=: 135. IJ' Affrica , Severo. Di Spagna, Teo-
1. Luteringo, Carlo Magno. :i^r I3li. 1 - rohn-
i.iladini. =r 141. // — nido, il nuo\o regno di Pale-
IcMiilato da Golfri'do di Huglioue. z — 149. Il Sara-
, Saladino. ^:= 151. Quel di Luria, Xorandlno, re
Altri Lut ria; altri lungi. =: V>2. Duca d i
'., che prrse il re di_ Francia. : — 154. Aspro vi-
per venticinque anni, rrr- 157. Jersera, pocaiizi. r=^
Ruberto. :^.:= lti2. Co lonneie , Slutauo Colonna.
li,
3.
1 iltegno, al vero. = 10. Ardente vecchio,
1111 II). =z^ 14. Figliuol di Laerte, l'linse. Diva,
l<'ii, cioè Achille, rr— 17. // Ulantoan, \'irgilio. Srro,
n Omero, r^- 21. Q« e « 1 1 . Virgilio e Cireroiif. Occhi,
ini. =■ 23. Ornai, niit<> Cicerone, rr — 2(i. K n e h i n e ,
••niese oratore, che in esilio reciti» c(rli Htesso riira/.iniic di
finnsleno, per la quale era stato vinto, dicendo: che! heavi'sie
IVHU lui! = ii. L' util piani a , la Icgitilaztuui: ate-
niese , donde la romana, rrrr 36. Sei sapienti , Talete mile-
sio, Chilone lacedemonio , Pittaco miiileneo, Biante prianeo,
Cleobulo lidio, Periaudro corintio. 38. Terzo dopo
Virgilio e Cicerone. = io. A morir dalla cenere e dal
zolfo del Vesuvio. = 46. Plotino, licopolitano nato il 205,
morto il 270. v. ìFachler's Handb. der Gesch. der Lìt. 1,
270 8. = 47. Salvo dalla peste. := 48. Prevento,
prevenuto. _ 51. Cra «so ecc. oratori eccellenti. 52.
Poi lion, Asinio P. r=: 53. Quel d' Arp., Cicerone.
55. Tucidide, ateniese, primo storico greco esatto, rr^
59. // n. g. Euclide. ^=: 61. Noi cristiani. Petra, osti-
nato nemico. : — 62. Porfirio, filosofo a' tempi di Costan-
tino. : — 65. Quel diCoo, Ippocrate medico. 67.
Gli son sopra, dinanzi per temno. 68. Chiusi, o
scuri. = 70. Un — Perg. Galieno , sotto Antonino Pio.
=: 73. Anasarco, abderano filosofo a' tempi d' Alessandro
M. r^ 74. S enocr ate , calcedonese. Platonico. 76.
Archimede, geometra siciliano. ^^. Democrito,
abderano. = 78. Casso, privo. Lume, occhi. 79.
Ippia, sofista. m. A r e he si lao , pitaneo, filosofo
accademico, r — 82. Eraclito, efesio. Coperto, oscuro.
= 83. Diogene, sinopese. : — 85. Quel ecc. Anassa-
gora Clazomenio a' tempi di Pericle. 86. .1/erce, sa-
pienza. = BB. Die e arco, siciliano, Aristotelico. Cìc.
Tuscul. 1. : — 89. Magisterj, opere. ; — 90. Quinti-
liano, rettcrico, maestro di Domiziano; Seneca, stoico, di
Nerone; Plutarco, storico, di Nerva. 91. Alquanti,
Pirronj e Dialettici. Mari, delle scienze. 92. l'aghi^
erronei. rr= 97. Cameade, cirenese, cui fece scacciar di
Roma Catone. Desto, destro, pronto. := WQ. Lunga
di novanta anni. ; 101. Parti, sette. lOtì. Sire,
o maestro Platone, o dio. Tassoni, due te.sti estensi, hanno
Siro, Se irò, Syro, cioè Ferecide. nel 550. 109.
Tale, immortale. : — 110. Lume, vero. Famoso, in-
fame, r. — : 114 Telasottil, di loica acutissima. Cri-
sippo tarsano, stoico, discepolo di Zenone e di Cleante, rrrr
117. La-chiuso, la rettorica , e la dialettica. =r. 120. Il
ver, il sommo bene eh' è nell' acquisto della virtù.
TRIONFO DEL TEMPO.
9. Legge, che quanto nasce morir deve. : — : 12. No-
stra, ilei i-ole e degli altri corpi celesti. : 16. Cavai,
cavalli. Como, adorno, curo. 27. M'avanzo, io
guadagno. 37. Tenni a vile, ebbi in dispregio.
43. Arbitrio, voler discretivo. . — 47. Guida, sole. =
54. Hi «(aldo, adiro. 91. S' a b b i a il sole. 93.
Coni un e gabbia, viver del volgo. 98. La rcina,
la Fama. :=rr 101. Umani ligustri, olire caduche d
intelletto uiiiaiwi. : 104. Celebro, cer\ello, ingegno. : —
106. Tra — Ebro, in Grecia. 108. In sul Xanto,
Troiani. In vai di T. , Romani. : 115. Ritolta, cosa.
116. Quel di fuori, le cose esterne. =r^ 121. Corna,
altezza, superbia, r:^ 124. Clieuni/ue, chechc. r=rr 129.
Di TI e V e , come neve. 142. Tanto. Lu msc. estcuiìe
ha tutto.
TRIONFO DELLA DIVINITÀ.
22. .4 to n fio, quanto gira, rr^ 26». Colui — e a n g. ,
Iciiipo, o sole. rr-TT 2^*. Tre parti, pa^.-salo, presente, fu-
turo, rrrr 32. Fia,fu, anzi, dietro, modilìcaziuui e
dilteren/.c del tempo, rrrr: 38. Mesce, produce, ^tempra , fi-
gura. r=r 53. Argomento, iriudizlo. = <0. Poggi,
ingombri, impedimenti. : 76. Diviso il tempo. :r-= 78.
jW 0 r f 0, liniln. r=- f6. Lei, Laura, r^^r hS. Divise, ma-
niere, costumi. z=:r 101 s. .Mnrsand e Ta>r.mii leggono:
Tania credenza ha pi ii fidi cu m p a g u i .1 » i a 1 1 o
segreto, chi s' a p p r e ssa. .*»eiiza senso! rr^- 103.
S'avvicini quel gran dì. r=r- 109. Ordin.i : non fia al-
cun che copra ecc. rr:^ 115. l' a r a g g i o , par.ipiiiip,
confroiitainento. _- 118. In disparte, sinarnli .'•ar.iiino.
rr— 132. La lezione del testo è quella di Casieixelro. Mura-
tori ha .4 morte iinp. i giorni I: altri: 7 morte i m-
prtuosaeigiorni l. :— 136 Quella, liHiir.i. — =
I3H. luti ra, congiunta l'anima col rnrpii. . — 139. Fiu-
me, llndaiio. (•' ,■ b e II II (I , iniinti neire«lreiiio desìi Allo-
brogi prvbbu agli Klvcitj, ucUd parte buperiuru del Walliii.
§SHH
e OMENTO SULL' ORLANDO FURIOSO.
(tìrii
PRIVO SVXERO ARABO DISOTA LA STASZJ , IL SECONDO IL VERSO. IL CASTO B SEGNATO COS KVVERO ROVA
>0
e A IV T O I.
7. Troj ano, padre d' Agramante, ucciso da Orlando. Bo-
iardo 0. inn. 2, 1.
5. Lima, rode, consuma. 31, 4.41, 2. X, 40. G. XIX, 2fi. 6.
XLill, 113. 5.
1. Erculea prole, il cardinale Ippolito d'Este, figliuolo
d'Ercole 1, duca st-cnndo di Ferrara, a' servigi del quale
Ar. compose il Furioso.
2. Battersi la guancia, ìa segno di pentimento, dis-
piacere, e scontento.
3. Uccidessi, solecismo in grazia della rima, per uccì-
desse. Petrarc. S.2:{9, 2. avessi, cf. l'Ori, nostro XXXII,
12, 4. 6. ltì.23,6. 77, 6. XXXIIII, 3.3. 6. XLI, 7. 3. XLIiI,42.8.
8. L'edizione del 1521 ha si scontrò per rincontro;
quello pili antico, questo più sonoro.
4. l'alio rosso, panno o drappo, premio di chi vinse al
corso.
2. li omette l'ediz. del 1521.
tì.Studj, affretti; come la parola latina «tu fiere,
b. Marrano, sleale e di ninna parola. XII, 45. Voce
spagnunla, passata in Italia!
8. Mancato. L'edizione Parigina del 1788 in cinque to-
mi ha mancator, che par più corretto del volgare.
5. Lanfusa, madre di Ferraii. XXV, 74.
li. ylver de'. Figura di Daute^ facendo come di due otre
parole una sola, con l'accento sulla penultima sillaba ; rome
sol tr e , signor so, pur li, non ci ha. Cosi Vili,
82. m t « e r 0 me.
8. L'ediziou di Cravotto nel 153G. in vece di è raggiun-
to ha era giunto. Par che era in questo contesto
sarebbe sconvenevole trasmutazion del tempo, per è giun-
to, laddove è raggiunto, cioè capita , dà un senso
più naturale.
8. Adombri e incarni . cominci e conduca a perfe-
zione. Termini dell' arte del disegno!
2. Ed a coz~ ar ò più semplice e facile lezione, che ad
accozzar, non ostantechè aucora il verbo composto
Fotrebbe aver senso.
, Due fontane. Finzione presa forse da un' altra più
antica di due fontane nella Beozia. L'na simile ne ha
Dante Purg. 28, 41. fs.
fi. Le battaglie d' Albr acca narrato da Bojardo
neli' Ori. lunamor.
Cauto II.
4. Co» t allo per costarlo.
,3. falle Ito, fante, paggio. Dal francese vai et.
8. a abbia, quello strumento, che i marinari mettono in
cima all' antenna, nel quale sta la vedetta. XXXIX, 70. 7.1
,4. figlia d' Ago l ante, Galaciella, madre di Ilug-
fiero. /'. Uojardo 2, Ili. Agolante fu uccìso da Hinaiilo. I
, Fj antica madre, la terra. Petrarca Trioni', della i
' Morte. 1. I
, 6. Difende, impedisce, proibisce. XXVII, 77. 5.
, 5. in un at t imo, presto prcMto, in un momento. Sem-
bra una di quelle voci mutuale dal Tedesco i;i cincm
Athem, conie brindisiAa: i eh br in gè dir sic ,
te la reco, cioè la Halule, la sanità, o la bevanda.
, 3. Jt/a ni er u , nianmielo.
, 7. Cada, come corpo morto cade. Cos'i Danto luf.
5. V. ult.
, 5. Distretto, prigione. XXII, 40.
K. Fi et a, penn, all'anno. Voco di Danto c di Petrarca.
CoM VII, .57. XIAI, (..'».
3. C(tM t ili a, Cafliplia.
2. Ciò — siede, la l'roicnza.
U._ (iyado nietalorirauiciitc per nperturn , fosso. Propri»
signilicato è luogo, do\e h! pasHa un lìumu da una ripa
all' allra, senza ponto onaie. Parola afiine a vadn, gr.
^óu> , [iàdto, [iifiù!;uD^ pùdoi, lai. vado, ted. «m fi e <i ,
watt' fi.
Canto IIF.
%. Lustri, miri, scopri. XXXIII, 21. fi. Vorp latina!
3, Solerti, diligcuti , periti, ingegnosi, ariitiziosi. Voce
Ialina !
10, 2. Merlino , mago inglese, generato da un demonio, a
tempi di Vortigeroedi due suoi successori. Amo la donna
del lago, alla quale mostrò un sepolcro fatto per se e per
lei , insegnandole un incantesimo da chiuderlo per sem-
pre. Ella, fattolo entrare, prestamente lo chiuse, pro-
nunziandovi le parole magiche, onde lo spirito imprigioiiato
segui a parlare e a rispondere a quanti Io interroga\ ano.
10, 7. Suase, persuase ; e cos'i suaso, persuaso, XL1I,104. 1.
11, 5. Emerga, esca fuori. XX, 3. 2. Dante Par. XX1\ , 121.
Voce latina!
17, 1. CAe venne da Troja. Da Astianatte, figlio d'Et-
tore, Bojardo fece discendere gli Estensi, 111,5.20. Comune
fu nel Settentrione la tradizione dell' origine de' Franchi
e Sassoni da Troja, senz' altro, come pare, perchè l'europea
popolazione meridionale ebbe origine nella Frigia ; ugni
capitale esseudo città degli Asi, cioè eroi, genj , uguali
a' Cobi ri. Laonde Troja tradizionale è vana, ma sem-
pre quella del ceppo, donde usci una nazione. Si noti ge-
neralmente, che la tradizione o mitologia de' secoli di méz-
zo, cogliendo in sé, penetrando e trasformando quella del
mondo anteriore, è altrettanto intrecciata, quanto quella
del mondo antico, e perciò, quantunque siano diverse le for-
me, nulla di meno, in virtù dell' organizzazione dell' in-
telletto , e delle sue leggi , l' idea non cambia mai, Cf,
XXXVI. 70. 3. '
5. Danoja, Danubio, fiume della Germania. Dante luf.
XXXII, 26.
6. Antartico e Calisto, il polo australe e boreale.
Calisto fu ninfa amata da Giove, trasformata da Giu-
none gelosa in orsa, e poi collocata dall' amante fra' segui
celesti, chiamata Arctos.
19, 1. Perchè in vece d' acciò dell' edizione del 1532, coine-
cliè in questo significato sarebbe da difendersi, (v. Ii5. 5.
IV, 45. (j. XI, 21. 8. Cf. Cinonio osservazioni della lin-
gua italiana , Ferrar. 1709. 4. p. 295.) è correzion pedan-
tesca di Ruscelli , come
(). Al primo assalto è da ristabilirsi in vece di t r a t -
to, che forse fu dalla prima mano del poeta, emendato dipoi.
24, 1. La genealogia estense data dall' .\ria!<to è poetica anzi
che storica , per quel ch'è stato osservato in generale a
17, 1. Chi ha gU!ito d' esaminare questa ditferenza , con-
fronti la storia del Pigna; Gira Idi de Ferrara et de
principibus Arestinis ; Sini. Pomari siiosizinne; Liitkt-
mùller osservazioni a questo canto della sua traduzione
tedesca non compita in due tomi. Zur. l'Ì97.
25, 3. Est e e Ca/aon due luoghi del Padovano.
2(i, 4. Colubri, serpenti, insegua de' Visconti, già signori
di Milano.
27, 6. E munga, metaforicamente abbatta, umilj.
34, 2. La bella terra, v h <■ siede sul fiume, Fer-
rara situata sul Po, do\e Fetonte, figlio d' Apollinc. tu
precipitato da Giove, hi niangendo le sorelle l'iiron» in
alberi convertile, da' quali a guisa di lagrime >tilla\a
l'elettro, ('igiio pure, re di Liguria, il di lui zio, lagnan-
dosi fu mutalo in uccello.
38, 5. Udir ti e aggio, da udirne ho. XXXIX, 39. 4. XLl,
18. 4. XLV, «4. 5.
41,1. La terra — r oci, Kovigo , in latino /i A o rii^iu m ,
dal greco (x'iJur , rosa.
3. La città — foci, Comacchìo, città del Ferrarese,
della quale gli abitanti per la maggior parte Mino iiC!<calori,
i liliali , nelle rorliine del ni. ire bc.unpaiidn i pc-n , e nelle
\i\ì\\ comucchitsi riducendusi, con arte ve li chiudono e
Iiigliano.
.le, vedi. Dante Purg. 5, 4.
4.'>j 3. Che siede ere. Allude ulla statua iirdcnlc di Dorso
eri'tingli dal poiiiilii nella piazza di Ferrara. Pigna stor.
all' anno 1171. I. H.
M), 1. / ir in, accenna il dominio veneziano, e le guerre, che
ne so 11 ri.
in, 2. .Ili giro Iron, stemma della repnblilica \enela.
52, 5. Culi i dall' altro ere. Iiiiriiilc ili Itiiniu. n di Giulio
II, acerriinii iicinioii di Alloni-ii , duci ili l''i-i'r.ira.
56, 8. M II r o II r . Viidrca, pili l.i iinpniN \ inatore di multo nomo
in riirir d' Ippolilii. (•i.i/in'-ii e iikiiIoIh ri|iiitoco, uieutru
parla di sé. I.a prima edi/iime del I5lli ilice:
/ la cui hi Ila iltiilr mi pih piiir-to
C'/iu nusvvtic Maron , che sotto Augusto.
e OMENTO SULL' ORLANDO FURIOSO.
60, T. Chi son ecc. Addita Ferrante, e Giulio, fratelli del
duca Alfonso e del cardinale Ippolito , che macchiiiaroao
di torre la vita e lo stato al duca con V opera di un certo
Giano, musico francese. La trama fu scoperta; ambidue
furono arrestati e condannati alla testa , e già sul punto
d'esser giustiziati, il duca Alfonso ne commutò la morte in
una prigionia perpetua.
75, (j. Assonna , tarda. XX, 114. 6.
Canto IV.
13. 1. Sino-pia , terra di color rosso, dalla città dì Sinope iu
Ponto.
38. 3. Olle, pignatte. Voce latina!
39, 4. Co m 7) a g^n a, compagnia.
46, 5. Pont a, calca con forza. XXIV, 107.
7. Gir if alca, specie di falcone.
50, 3. Prende ecc. Il segno del^ granchio sta sopra l'India
orientale, e al primo grado d' esso perviene il sole sul
cominciar dell' estate, cf. X, 70.
51, 3. Cantra V orse, a. tramontana, dove sono ì due segni
celesti chiamati 1' orse.
%. Calidonia, grandissima, piena d'orrore, teatro de'
cavalieri della tavola rotonda.
C A N T 0 V.
18, 5. Monte di Siciglia, Etna, o Mongibello.
24, e. Posta, deposta. XXI, 5. 5.
26, 1. Scevra, separata — lo che è la parola medesima tras-
formata soltanto per mezzo della ji cangiata in v (come in
rico V rare , Viti, 17. 4. per ricu-perare,ovra, o -
vr are , ovraggio, spagn. ob r a; frane, oeu v r e) e di
contrazione usata ne' participj , che in questa guisa sono
addiettivati, come caro per cacato, X, 3. tocco per
toccato ib. 40. 2. XXII, 69. 3. cerco per cercato,
XII, 9. 6. p est o per pesi a to, XIII, 19.5. doma per
domata, XLVI, 6. 2.
50, 3. Rezzo, ombra, oscurità. XXI, 22, 3.
5. Hi brezzo, sbigottimento.
55,4. S'accascia, s'indebolisce, si rallenta, s'aggrava,
lascia abbattersi. Dantelnf. 24, 18, dove Larabino dice : 'l'ro- \
prio diciainn una cosa accasciarsi, ijuando , non pò ,
tendosi sostenere per la sua gravezza, si lascia andare a:
terra.' Cadere, cascare ed accasciare sono at'liui. ■
36, 5. Indotto, non dotto, ignorante. |
58. tì. auto, per essuto , p.irticipio regolare antiquato d'es-:
s e r e , ui vece di cui ora serve stato.
62. 3. Bieco, metaforicamente per disonesto. XXIX, 12. 3. |
70, 6. Fora, per fosse. Forse senza esempio!
C A ^ T o VI. j
4.6. Avparea, apparia. Cos'i trasparea, Dante Par.'
.\\111, 31.
15, 7. I> isc ad er , tornare al padron proprietario, o per estin-
zione della famiglia, o per altro dilttlo.
17.7. Il segno ecc. Abila e Calpc luouti , detti colonne
d'Ercole, perchè da lui seguati per meta delle navigazioni.!
19, 5. /*« 7- 1 ecc. Sicilia. A in a n t e Mica , liume d',\rcad;a.|
52.4. Tale, cioè pianta, come son" io. I
56, 6. Groppo, territorio o dominio ben chiuso e guardato:
d' .Mciiia. j
65. 8. S'arrosta, si aggira dibattendosi. Lezione dell' cdi-i
zioiii del 1516. 1532. Male il Ruscelli ripose arresta,'
ingannando ci)n questo ancora G rie s , il savio ed eccellente
corifeo de' traduttori tedeschi del nostro poeta di cui il me-
rito originario non pui) uè de\e diininiiii-.-i col confronto
d'una traduzione posteriore, leggiera bensì e leggiadra, pe- j
rii talvolta licenziosa ancora, di.ssoluta e negbiuo.sa. Egli!
sciiiiiremai avrà il gran merito d'aver aperta la strada. i
66, H. Uria reo, gigante con cento mani e cento braccia. [
76. 8. Freltosi, forma antica il'i fr e t t o l os i.
78, I. Lama, bassezza, bassura, ca\ità di terreno, valle pa-'
ludosa e fangosa. Dante liif. 20, 79. ed ivi Moii l i citato:
nella padovana edizione. C'f. 32, 92.
Canto VII.
3, 4. Flavo, biondo. Xocc latina! |
4, 1. Apulia. Cosi »)razio od. 1, 22: Quale port ent uml
n e II a e m il i t ar i s JJ a il il i a s l a t i s al it a e s e u l e- ,
t » » , i\rc lab a e tei l us general , l e unum Ari-
da Il ut r i X.
6. La mala detta lue, Erifila.
7, 2. Levarle. Altre edizioni leggono levarne.
11, 2. /»/<-', poeticamente per meglio. XXIV, 82. 2. XXVI.
106.2. .
18.5. Grava, iinpronta . effigia. Dal francese grnver.
QueHia licenza par riie il rontcsto la giuslilichi. Similmente
X, 3H. 3. se alt a p<r hColpUa.
20, 2. .'\ ino, primo rt- degli AhsIij.
4 f ine il or. Mano \iitiiiiio, a cui Cleopatra prepari»
conviti MUutuobÌ8iiiini. Plin. 9, 35.
32,
23, 6. Aracne, tessitrice, che Ffìdò Minerva alla prnova,
vinta fu in ragno mutata.
25.4. Dove. Par che quel sua, e passi abbia sedotte P-
alcuni editori a corregger donde; pur quando è riferito
^.A aspettando sta, tutto va bene.
8. Tra''lfruttoetaman, par modo di parlar prover-
biale.
4. lepri, spini. A''oce latina!
7. in esca ti, adescati, provveduti d' esca ; non già tn-
vescof i, come leggono male alcune edizioni.
36, 3. Idaspe, fiume celebre dell' Asia.
41, 1. Queir odor, il buon nome. In simil modo in Tedesco
Geruch e Gerii e ht hanno l'istesso senso.
43, 1. Facile, condiscendente, troppo amorevole. Signiiìca.
zione latina !
50, 1. Al chino e Farfarello, nomi di demonj appresso
Dante.
4. Passe, stese, cascanti giù. Signilìcazione latina! *
55, 6. Mezzo, maturo , fracido.
57, 8. Adone, drudo di Venere. At id e , favorito di Cibele,
59, 5. M an cipio , servo, schiavo. Voce latina!
60, 5. Claudi, chiudi. Latina forma!
73.5. Ecuba, moglie di Priamo, re di Troja. Carnea^
Sibilla di Cuma. Famose ambidue per la lor vita lunghi»-
sima !
75, 6. Aiutante, gagliardo, poderoso.
76, 1. B a l i sarda, spada fatta da Falerina per incanto, ad
oggetto di ammazzare Orlando fatato. Orlando glielatolse^
e a lui fu tolta da Bruuello , e data a Ruggiero, f . B<^
jardo.
7. Del quale ecc. Astolfo. 6, 32.
11.
J
'7,
Canto MU.
in barca,
del ritmo e
2, 6. Liscio, belletto, per lustrar la faccia.
6, 3. Sale, salta.
13, 4. Altre edizioni hanno Im barca, altre
L^ imbarca lo sembra richieder la natura
della rima; imperocché rag una wU imbarca in una
labbrica, qual è quella delle ottave rime, dà una cesura
più lirica di quella, che sarebbe più declamatoria: ragu-
7( a II Imbarca. 11 confronto dell' antichissime edizionìjt,
de' poeti colle moderne giustilica questa osservazione, cb"«
per sé vera e fondata nella natura del ritmo, benché forse
non sempre, né accuratamente penetrata.
15, 8. Agl^ Indi è da preferirsi alla lezione ad Indi.
45, 8. Paolo e llar ione , dueeremiti,ruuo in Egitto, l'altro
in Palestina.
51, 8. Pro teo, uno decli dei marini, ch'ebbe la cura di gOf'fe j
-'. ., ,1: ..... .'"r . 1 . ..... .1
59,
'vernare e di pascere l'armento del mare. Cf. 54.
8. Più grande. Le stampe a' tempi del poeta, ed altre
di poi hanno pur grande, in forza d'ammirazione, odi
pur troppo, come XX, 38.6. XXX, 10!l. 4, XWIX, 5.4.
2. Grippo, sorta di brigantino da corseggiare.
62^ 7. Caucasce porte, passo angusto del monte Caucasi
per cui dalla Sarmazia si va uelì' Iberia. Celiar. uuG
orb. aiit. 3, 10. 7. ''»,.
67, 5. Liti rubri, mar rosso. 1 ^
71, 1. Urlando alle n oj ose piume Del veloce p enfi,!
sier fa pa rt e asso i , coaiuaica. alle piume pigre l'in | i
quietezza del pensar suo. . ;M
75, 3. Mi consona, mi sembra verisimile, s' accorda al mi
pensiero.
79, 1. Animanti, animali. Voce latina!
89, 5. Licenzia in vece di licenza, per isfuggire la mo
iiotunìa della terminazione enza.
60.
Canto IX.
7, 5. Insembre, insieme. Dante Inf. XXIX, 49. Fatto da|
francese ensemble, cangiando l \n r come volca
XI, 42. 4. Origine di tutte queste voci è la gre
Iqia , utiov , la latina simul.
15, 3. Arena bianca, onde Inghilterra sino
ytlbione. Segue uu' etimologia mezzo vera. Il (
frinito e la combinazione di Tenedos. isola di Tenn
chiamata in tempi anteriori L e a e o p b r ij s . di Ca l if d n
o C a l e d on i a , e di Ta m i s a , paesi del metallo ne
mitologia, come l'assonanza del latino stanniim, ti
Z i n n, arguiscono, che l'Inghilterra già fu Al h ion , Tisi
di bianco .-lagno.
16, 5. Meriggi-, lat. meridies, mezzogiorno. Dante Pu
XX\, 2, X.MII, 104.
28, 7. (n ferro bugio ecc. descrizione d'uno schioppo
arrliibugio.
34, 2. Far di tutto il resto, frase di giuocatori. arri
clii.ire tutto il denaro, che resta.
49, 1. Vezzi. L'edizione Haskerx ìlliana legge nif««t, mi
dati pcrcercir soccorso. Mezzi invece di mezza
par pio squisito.
,'>9. 2. liti stagni, il mare.
65,7. I olana, una delle foci del Po, dove, per cagli
delle acijue dolci del liuiue , suol concorrer multo pese
COMENTO SULL' ORLANDO FURIOSO.
i pescatori gli tendono una rete, che dicono tratta,
per cIiiiKlergli la via e pigliarlo,
r, 4. Zimbel, uccello, che sogliono legare gli uccellatori,
ed esporlo j perchè sbalzando e dibatteudosìi alleili gli altri
uccelli a discendere, e restino presi.
\'ì. Tormento, l'archibugio.
I, 5. St e a, stia.
, 5. Kassigno, rassegno, restitaisco.
C A ÌV T 0 X.
,2. Quella che ecc. Elena, moglie di Menelao, re di
Sparta, la quale rapita per la sua bellezza da Paride, diede
occasione ad una lunga ed ostinata guerra tra le greche
nazioni , intese dal poeta col uomc d' Europa , e il regno
di Troja nel!' Asia.
3. Vanne. Cos'i in vece di donna leggono le carte ori-
ginali del poeta conservale nella biblioteca pubblica ferrarese.
7. Donne, domine, padronesse. Cos'i donno XX, (il. 4.
I, 5. Alcione, uccelletto, che sta a' lidi del mare, alcedo
hi spi da. Arislol. hist. anim. 9. 14. Plin. 11. X. 10, 32.
Ceice , marito d'Alcione, in un viaggio per mare resti)
sommerso; la moglie, cedutone il cadavere sul lido, vinta
dal dolore, si gitlò in mare, ed anibidue furono mutati ne'
sovradetti uccelli. Ariosto per altro usa Alcioni coli'
articolo feminino , come nel Latino.
t, 8. A ciocca a ciocca, a brancate.
i, 5. E e uba, moglie di Priamo, re di Troja, dopo l'intera
desolazione della sua famìglia e del suo regno, l'alta schia-
va d' l'iisse, arrivi) in Tracia, d()\e, trovato ucciso Poli-
doro, l'ultimo de' suoi figliuoli, da Pojinnestore, re di quel
paese, a fine d' appropriarsi i tesori di lui, cos'i bene s" ado-
pri) coir aiuto delle sue donne, che a Polinnestoro cavò gli
occhj. l Traci per tal fallo a colpi di sassi perseguitan-
dola, essa perla rabbiosa ira sua fu convertita in cagna.
, 8. Già, quando furono tratte dalla fucina. La prima edi-
zione avea f ra ( i e di fuoco.
, 7. Ora, aura.
I, S. Se ulta. Voce latina Kc u /p f a.
, 4. Messe, mise, cioè desti), ecciti). Cos'i promesse, ri-
mesge per prò mi ne, rimise.
, G. JJelibi, gusti, assaggi. XXXIII, 111. 8. Voce latina!
, 4. Area. La prima slauìpa del l.'ilti legge r' Ita . «juella
del VSi'ì ave. Avvi sembra la miglior lezione. Cf. XX\ 1,
n:j. 5.
1. / eletta, vedetta, lungo, dove sta iu guardia la sen-
tinella. XXIX, 35. 5.
5. Artiglieria, iiiacchiuc per lanciar sassi d'enorme
grandezza.
i, 4. C loto , Parca.
G. La regina del iXilo, Cleopatra, regina d'RgiltOj
che, morto Antonio, suo drudo, s'uccise coli' attaccarsi
due aspidi al petto, per non esser condotta iu trionfo dal
vincitore.
', 8. Fossi, fosse. Licenza noetica! I, 9. 3.
f 4. a I s m in i , gelsomini. \ oce lombarda!
I Ó. Dove ecc. mare, dovei venti han più libertà cpossanza.
1. (juinsai, città della ('hina, della ancor Cliansa}, il
Xanciiin d' oggid'i.
, i. I<'ì or dal igi, fiordalisi, gigli, e pardi, iuscgnu del
re d liicrliilterra.
I, 4. / a r V e e i a , Warvi ick.
' 7. r II i a r e n % a , Clarencc.
8. Eboruc e, ^ork.
, 'i. S or f ozi a, Xurfolk.
3. C« n e i a , huiit.
4. Pr m b r 0 zia , Peinbrock.
7. Ks en i a , Essex.
8. i\ 0 r b e t a n d a, \orlliuinberland.
, 1. ytr ind e l i a , Arinnlel.
4. Hit inonda. KicliiiMiiid.
7. Dorsi zia, Dorset. Anton a, IlamptOU.
, 'i. l> e V 0 n i II , l)ev onshire.
3. / i g 0 r i n a , \ igore.
A.d'Krbia, Drrl)^. Osonìa, 0\iord.
6. Hat t onia , H.illi.
8. Sor III o s !■ d i a , .'^oinmerscl.
, l. Ho e eh i II g 'I III II . lliM'kiiigham.
'i. Sarisberifi, S,ili>binv.
4. Croisbiria, ("losbtrry.
4. Travaglio, i|U('lb< macchina mi quattro pilastri, in
mi ^i rliiniinno da' niaiiÌMcalclii Iu bestie intrattabili, per
ferrarle.— i\ o t h s I ali.
, 1. Tra sf or di a, Slr.ill'ord.
3. .1 II g osci a, Angus.
7. hania, Nbraiia , divora \ oce latina!
8. Ho ria II in , Iìikmii.
, (i. Chi I dira, Kildare. i
1. Iberni a J a h ii t o s a , Irlanda, ir echi arri, S. .
l"alri/.io, aposiolo dell' Ibernia. ('« i' «, pozzo,
3. /> / r I) r , liv idrzza.
3, '2. Hi* eia, serpente.
4, H. Scoglio, HCiigliu. XVII, li. XXMl. 19. 3. XLIIl. 99
1 . I li 'l'edcbcu 6' e ho 1 1 1 , Se h al i .
106,8. Schifo, piccola barchetta, dal lat. scapha, ted.
Schiff. Zucca usata da' fanciulli, per imnarare a
nuotare.
113, (i. Filomena, rossignuolo. Sorella di Progne ch'era
moglie di Tireo, re di Tracia, violata dal cognato, 'fu dagli
dei iu usiguolo convertita.
C A
X T 0
XI.
4, 1. Confronta il Bojardo.
12, 1. Fillide, Neera, ninfe villerecce belle lodate da
Virgilio.
13, 3. 7/ffi se: = o, alfìn. Dante Inf. 7, 1.30.
22, 7. .A e gr om ant e. Cos'i conformemente alla finzìon poe-
tica, anziché alla verilà storica, che fa inveniore dello
schioppo un Tedesco , che 1' insegnò a' A eueziani nella
guerra co' Genovesi l'anno 1380.
31, 5. fa lischermo, schifo , barchetta.
32,4. Salso, uonfalso.
42,4. Co Ica, corica. Vedi a IX, 7. 5.
44, a. y e 1 1 u n o in Etiopi a. Imitazione d'Ovidio o d'Omero.
43, Lino, moglie d' Alamante , e Jl elicerla, suo liglio,
furono mutati in dei marini.
2. jS ereide, trentaqualtro ninfe del mare.
3. gì alici, dei marini. Tritoni, trombetti di Xettano.
.54, 'A. Fi et r a brulla, il nudo scoglio. 33.
(i8, 4. Tolli, togli. Lat. tollere.
70, 1. Nelle valli idee, dove Paride diede il giudizio
nella conlesa di bellezza tra Giunone, Pallade e Venere.
5. Amictee contrade, regno di Sparta, dov' era una
città Aniicla, venti stadj dalla città di Sparla lontana.
71, 1. .Aneddoto pittorico!
75, 5. Costui, Oberto.
6. Dio di Lenno, Vulcano, che teneva in quel!' isola
sua bottega.
82, 3. Animai — Frisso, l'ariete, sul quale Frisso scampò
dall' ira della matrigna, e che dagli dei fu posto in cielo
tra' segni del zodiaco. Discreto, temperato, poiché il
sul passa iu tal segno all' equinozio di primavera.
Canto XII.
1, 1. Madre idèa, Cibelc, (l<tta dal monte Ida, dove più
eh' altrove si celebravano i di lei mislerj.
4. Encelado, gigante ribelle a Giove, cacciato dal ful-
mine sotto il monte Etna.
3, 2. F, l e u s i na dea. Cerere.
9, 2. S' a 1 1 o g g i a , si abita.
10,2. Pareti, qui mascolino, come Dante Purg. XIV, 49.
XXIl, 117. Harotti a causa della tautologia in muri
e pareti |)r()pone dì leggere: A(///« de' muri
appar nelle pareti. .Ma non v' è cagione, perchè
711 II r i non sian esteriori, e pareti interiori.
13, 3. Eernovv corregge : qui in d i in orar potrei, iu vece
di <i u i d i in 0 r a r pò t r e i ; veri.-imìlmente.
19, 3. Helinque, lascia. \occ latina!
40, 5. S pa g II II o l. Cos'i si legga , ni) p a g a n.
40,4. Durindana, spada, che gnadagiii) Carlo, quando
ammazzi) re Polìnoro in ispagna. Detta anche Durlin-
d a II a , Dar i n dar d a.
5. Ma con a. Maometto. Trivigante, deità pagana;
iire>soShakspeare T e rm a gau n t , e creduta l'ìslessa colla
l)iair,i Trivia — in somma immagine Orrenda. Cf. .X\.\\ 111.
IH. (i.
(i. Donno, padrone. I).i d o in i n ii s. X, 9. 7.
7. Merito, riconipens.i. \LII1. 139. 7.
3. Ha rbula, celala, timo con l.i visiera. X'WI, 12(1. 8.
5. Conte, dislinle, l)elle. Dal lat. coiiiptus, comtiis.
2. / o 1 1 i , giri , ravvolgiturc.
3. / e g t io , vechio.
4. Solchi, u uun boschi, eh' è di llnscclli , ha l'edi-
zione del 1532.
Canto XIII.
3. Spero, temo, mi aspetto.
7. Fi il e io j a ecc. «^ii.il maggior ginja posso io nspct
tarmi da luì , se non che si dispongu ecc. Senza altro è
ali|n.iiito manca e negligenle la co^iru/ioiie ili ((iiesle p.irole.
1,5. Maistro, maestrale, ^ enlo , che spira tra occidente
e seltentrione.
8. Foggia, quella corda, che si lega all' un de' capi
dell'antenna da in. ni destra. Orza, quella corda , che
si lega nel capo dell' aiileiina del naviglio, da man sinistra.
XLI, <0. 3. Ilternar iluiiqiie poggia co» t' orza
vai bordeggiar, star sulle Vdlie.
1,2. C II r s I II , lo spazio vuoto nelle galee per camminare
da poppa a prua.
I, H. (ridala, aflìd.ita. \ oce Ialina!
I, 2. I m III II g e , imin.igiiiu, soiniglìauza.
!, 4. Tiri. H|n/.ie di serpenli.
1,8, eh irò II h.inl r (di/ioni del 1516 e1.M2, alliiilendn al
canto MI tlrir liirerno dantesco, dove sono cniid.iiiniili i
lir.iniiì e vidlenli ad C'.sere ponili io laghi di l)olli'iins<<iinn
sangue , e Chiroii centauro con altri cuuipagni della sua
59
COMENTO SULL' ORLANDO FURIOSO.
razza, tostocliè %'eg(?ono alcuna alma dì qiie' tiranni le-
varsi ili alto, per alkffgcrir la sua pena, la ricacciano sotto
a colpi dì saette. Caion non è a proposilo.
37, 6. Canna. Intende del {giuoco delle canne usato in Ispagna,
il quale ricliiede molta apllità e leggiadria,
39, H. 31 ir andò, inaravì^'^lioso , stupendo. Voce latina!
XMV, 55. U. XXXIl, W. :{. XXXUl, 5. 2.
59, 7. La t er r a- di e de , Mantua , o Mantova , cos'i detta
dalla lata Manto, madre d' Ocno , il quale la edilicb sul
ììunie Mincio , e le diede di sua madre il nome.
61, 6. Tifi, nocchiero della celebre nave d' Argo nel viaggio
a Coleo per la concjuista del vello d' oro.
G2, 1. Beatrice, consorte del duca di ]Milano.
U3, 3. JJa II e -da 71710, da tramontana a mezzogiorno, e dall'
oriente, ove scorre il iiiime Indo, all' occidente, dove
sono i due monti Abila e (.'alpe (,ìo stretto di Gliibilterra),
tra' quali V oceano si aiiiiice col mediterraucu.
04.4. /"an 7? 0 7i io , l'iigliena.
(i. Ausonio e l i ì/i a , Y Italia.
Canto XIV.
4,3. Le ricche ghiande d' oro, Papa Giulio II, di
casa della Rovere, che portava per arma una quercia, le
cui ghiande erano d' oro.
4. Jl bastali giallo e vermiglio, la possanza
spagnudla , o piuttosto la lega di essa col papa.
6. Il giglio, ]a Francia. Parla del fatto d' arme presso
Ravenna tra T armata francese, e la papalina collegata
con gli S|)agnuoIi Y anno 1512, in cui per opera e
valore d' Alloiiso I restii salvalo dall' ultimo eccidio l'es-
ercito pericolante di Francia, e con orribile strage dis-
fatte furono le soldatesrhe del papa e di Spagna.
7, 4. Croscè, crosci, da crosciare, che diccsì del cadere
di grossa e furiosa pioggia.
12.1. JJalugant e, lìe]fìt:iind(i.
25.5. Il gran centauro, Cliironc , sagittario tra' seguì
celesti, nel quale entra il sol ai 21 -di novembre, e vi
dimora sino a' 21 dell' altro mese, passando jioi per altret-
tanto tempo nel segno di capricorno — corni orridi e
fieri, cosi detti per la rigidezza della stagione, che
corre in que' mesi.
27.2. Nottole o cornacchie, augurj sinistri.
50.3. Soffolta, appoggiata, sostenuta. XLII, 77. Dante
Par. XXIII, 130. luf. XXIX, a.
53.7. Ubino, cavallo inglese, che va di portautc. XXVI,
129. 1.
.'i9, 2. Ditta, detta.
liS, 5. Confesso, confessate.
77.8. Denedettoangel, angel Michele.
Hi, 7. Brutta schiera, frali unti e sporchi.
93, H. Mal regge si. Cos'i è da leggersi , e non Tna/ r e^-
gersi, uè mal si regge con Ruscelli.
97,1. Discorreva, iva scorrendo. Cf. XX, 2tì. 3. XXXIV,
54. (i. XXXV, 10. (i.
101, 3. Busti, roghi; qui cadaveri.
104, 3. Riviera, la Senna.
109, 4. J inpronte, importune.
Ili, l. Srialdi, muraglie, che sporgono iu fuori.
1 Hi, 7. S ad u già , si fa lento.
UH, 4. Avol, \enibiotte.
120, 4. Malica, liiono basso e palustre nel Ferrarese sulla
sinistra del Po di Volano, poco discosto dal mare, abbon-
dante anche al presente di cinghiali, e forse da inarca
fu detto m alle a.
121, 2. Ber tresche, ripari di legno con ferri da alzarsi ed
abbassarsi, che si fanno sopra torri, u alle porte.
130, (i. Peltro, lo stagno il più purgato.
132J H. i^ e n no, fecero.
ANTO
XV.
G. Manuca, mangia, consume. XXIII, 17. 5. XLII. 38. 3.
manduca Dante Iiif. XXXIl, 127.
,7. (^ a e l segno ecc. il tropico d'inverno, oltre il quale
il sol non passa.
, 4. l'.ta, Hecolo. L' ottavo secolo era principiato a correr»
da ('arlo Magno al principio dell' impero di Curio V.
5. Crede, afiida, consegna.
3. Koi , di Legante.
4. M a g II i , setta antica della Persia.
/y ' linda, il mar rosso
DO, 3. Colomba messaggiera, avvezza a volare da un luogo
all' altro senza traviare, ed a portare lettere legatele
sotto le ali.
98.5. Cavalier , S.Giorgio, che liberò la figlia del ré
nella Libia da un drago. '
102, 2. Grave, gra\eineiite inferma.
Canto XVI.
6, 6, Lezione della Baskcrvilliana, in vece della volgar: Per-
fido r uno e r altro è traditore (ovvero e tra^
ditore), E e o p r i a V u no e V altro. 'i
23, 4. Par che intenda d' Inarìme , oggi detto Ischia, sotto il
quale fu conlinato Til'eo, secondo Petrarca, Giapeto se-
condo Silio Italico.
27.6. A Padova, nell' assedio fatto dall' armi ìmperir
del 1509; dove intervenne Ippolito d' Este , a cui si voli
il poeta.
30, 3. 1 p i il. Altre edizioni hanno e p i ìi. ,
31, 1. Impedimenti, bagaglie dell' esercito. Voce latina!
5. yi ;g^o ?n e 7/ f i , istiunieiiii. Dante Purg. II, 31.
43, 5. Groppo di vento, turbine. ',
47, 7. F, scuso, escusato. |
49, 3. Folta, calca.
4. Stiparsi, cimstiparsi.
50, (i. Affrappi, tagli e stracci in minute partì. XL, 26. 3.
51,5. Pennon, bandiera, insegna.
53, 5. ylv accio, prestamente, or' ora.
lìl, 5. Inaccorto, inavveduto.
Ii3, 5. La mira, il disegno.
70, 1. A spaventarsi, sottointcndi cominciarono. Modo di
raccontar usato! XLllI, 13(). G.
79, 5. Cirene, nobil città della Libia.
HO, 2. S' appara, si para, si inelle in faccia, o a fronte.
87, 3. Fumose ruote, cirri, ccrclij di fumo.
Canto XVII.
2,5. Argilla, città di Toscana , dove signoreggiò Mezen- i
zio, da Virgilio chiamato dispregialor degli dei, ed ai-cu- i
salo d'inaudita crudeltà, perciocché egli face\a legare i |,
corpi de' vivi co' morti puzzolenti in inoilo,che faceva coii-
giungcr bocca ciin bocca, e membro con membro corrispou-|
dente; con che l'acca morir i buoi sudditi.
11, 5. Scoglio. X, 104. H.
14, 5. Fruste, logore.
19, 5. Lanfe, odoril'ere di ranci.
27, 2. Carpazio, mare presso a Carpato, isola tra Rodi e
Creta.
30, 1. fi corresse Fernovv iif vece dì gli.
4. Coccole, bacciie.
42, ii. L' a V i d e e an n e , la gola , per similitudine ad una )
canna , o un canale.
45, 2. L e s uè , ìe donne, che facevano la sua famiglia. 41, 3.
4G, 2. Sape, sa, ha odore.
G. Rape, rapisce, conduce. Latina voce!
47, 5. Sambuca, strouiento fatto di sambuco.
52, 8. An imul bruto, a. irragionevole. XX, 48. 8.
54, 1. 3. l' n g e Ilio , v es t i in o, per ungiamo, vestia-
mo, modo solito di parlar del volgo, come senio, ave-
vi o per s i a m 0 , abbia m o.
55, G. C uoj , pelli.
57, 4. Spogli, s|)oglie.
59, G. HI ola, macina; qui denti.
G3. L'Ariosto non racconta la maniera di liberare Lucina, parte
perchè IJojardo l'aveva di già raccontata, i>arle perchè vi
fu ventura piit, che senno e gusto giudizioso.
5. De 71710, dieilero. \ dee antica; ancora per debbono.
64, 5. In narra, incaparra; qui, promette.
G5, 2. Simo, che ha il naso schiacciato. Voce latina e greca f
GG, 7. Dopo che, sembra piuttustu chiosa della forma più
antica d a poi eh e.
68, 3. Cale n de ed idi. Ca tende snnc. i primi giorni de'
mesi; idi i deciiniterzi in alcuni, in altri i deciiniquinti.
73, 5. Sì lagna il poeta dill'nsanieiite (|ui , come sopra XV, 99,
X\ I, 3H. di quanto quest' oggi ap.unlo si duole ogni uomo
cristiano.
1,1
/ alca, valica, passa. Dante l'iirp. XXIV, 97.
.S" alberga, alberga. GG, 7. VI, Ì3, 5. XX, 7G, 3.
Il g 1 a II J i u m e e t i o p o , ^"ilo.
(' ristia n i r in n e g ali, Mainmaluohi.
hauti , niiirliicri. Voce latina!
(,'// 1 o V i , « biodi.
Isole di Flirt una, le Canarie, isole beate. 7, 2.
Cupo. CoM si legga, e non corpo con Ruscelli.
3. Torse, loglirrsl. \\, UH. 3.
5. Cuticagna, rollolnlii , cervice.
5. Svelli, Hvella, in grazia della rima.
G. Force, forbice.
179, 1. yl cui premo 71 le terga. Frase d'Isaia 22, 2!?. Si
trovano manoscritte le seguenti due otta\e, come fatte
dall'Ariosto al tempo dell' armigero (Jiiilio II, le quali uoii
I si leggono in altre edizioni, perchè, iiiiili (jne' tempi, le
I riliuiò e vi sostituì la 79, che si legge in tutte.
Ma tu, gran padre , eh' esser dei il primiero
I A cacciar dalV Italia queste arpie, '
Perchè , lascialo il dritto e ver sentiero.
Ili le chiami per diverse vie'^
Perchè non siegiii il buon Silvestro, e Piero? ,.
Che Jan tanti cavalli e fanlrrie'f \
Oiiiiè, che metti Italia in lauti affanni, i
Che uscir non ne putrii molti e molti anni ! ^
IVnn ti diede a portar Pio questa verga,
J'erchè sua greggia divorar tu lassi, ,;
Ma perche la difendi, «e le terga
B,
'f,:
COMENTO SULL' ORLANDO FURIOSO.
Lvjii le ■preman (T ogni pietà cassi.
Dell! non esser cagicn,<lte si sommerga.
Ij Italia in maggior danni, si vite i sassi
Mova a pietà! (lii: a te sul si conviene
'Trarla tV affanni e non aggiugner pene.
3. Oricalchi, tromlìc di rame o di ottone.
5. Agone, coutesa ; lizza, campo di contesa. Voce greca!
\L, ti. 2.
5. Rifulga, risplenda. ì occ Latina!
5. Jttast li , tasta.
2. IJiorlarro, ministro regio, gran tesoriere. Malis-
calco, comandante degli eserciti. La voce ultima è
ìiiariscalcu, ted. M a r s e It a 1 1 , propriamente coines
stabuli; la prima è il turco ilefttrdar.
in, :{. Tasso, animale, dì grandezza della volpe. Ghiro,
pezie di topo. XXIJ, 12. 2.
2, 2. Allude amia la\<iia narrata da Luciano.
2. Nutrice antica. II, S:?. Ct. X\.\l,50. 4,
a. La mercede ecc. \. \\11], 17.
2, 3. Auriga, cocchiere. Aoce latina!
Canto XVIII.
2. In quella, in quel mentre. Modo ferrarese usato da
Dante Ini". Vili, 10, XII, 22. XV, 53.
4. Cote, sasso, pieira.
5. Arrandeila. AOce toscana, da ran deZZo, bastone
cono , che ser\e per ! sliingeve le inni delle balle.
C. Tal ac i in a mi i, araldo o bandìti're appresso iSarncini,
che di Hiille toiri delle moschee dà avviso al popolo di
quanto alibisogua.
8. Cf. XVll, Ili.
2. Foro , i'iiroiio.
5. Orza, V. a XIII, 15. 8.
6. Coro, vento tra ponente e maestro. (XIII, 13. 5.)
i. h is ere sce , decresce, diminuisce.
4. Futi, tagli i rami inutili e dannosi. Voce Ialina : putare.
'l. Jj a g e II e r o s a b e l V a , il leone.
li. Le 7. 7,0, olezzo, fetore di cosa ammarcila.
2. Galle, gallozzole, escrescenze d'alcuni alberi. Si le-
gano, come leggerissime che sono, all' estremità d«;lle reti,
per l'arie stare sosjicse al sommo dell' acque , e quindi ne
viene star a galla.
5. San za. Torma antica poetica di senza, la quale tra-
disce l'orginc francese, benché e sanza e senza siano
dal latino sine, come questo dal gr. ii«i;, in tedesco au-
lico wahn, wan, in Mici composte.
2. Il accontalo, XIV , ;')().
5. Ramarro, lucertola di color verdegiallo. Dante Inf.
XXV , 7!).
4. Compagna, compagnia. XI \', F8. G.
1. A valle, abbasso, ingiù. Coa'i gli antichi Tedeschi
discero z ii Th a l.
7. Collottola, la parte concava dcrctaua tra il collo e
il capo.
1. Ma sia ecc. Segue 8tanz 146.
(i, Orazio Coclite, che all' entrata del ponte snblizio
sostenne da sé «(do l'impeto di tutta l'armala di Purscuuu,
re d'Elruria. E verso di Petrarca.
1. Scilocco, scirocco, vento tra le;antc e mczzod'i.
1. Strozza, gola.
li. Ingozza, inghiottisce; atto di chi è colto improvvisa-
mente in fallo , e da timore sorpreso.
4. Fesse, facesse.
fjo scopre, è la vera legione , in vece di discopre.
Marchio, segno.
Frassini e faggi, lance di questa materia.
Altramente, rlie liojardo.
), 4. Le sembra la \era lezione, in vece di gli della mi-
lanefie, e /or della fernoiiana.
.0. Tisifoue, una delle Furie.
, 1. // isola, Cipro.
4. Ma s t e ;;i pr a ecc. Lo stagno di Costanza è così vicino
a Fainagosta, che rende l'aria pestifera.
I, 5. Mainare, ammainare, ritirar le xclt; s'i , che non
operino. Scotta, fuue marinaresca, ed è la principale
attaccata alla wUi.
I, 3. Toi , togli.
I. li n Ij nanco , giammai. Lat. nunquain.
Ifolla, con l'o larga, p.nii.i.
M. Ma pili ecc. Verso di l'clrarra.
I. // fiarlar tenne, mantcoiie quel, rho nvea dello.
7. ///^i» n e j n , vaso di legno seii/.i roper<'bio, e Lillo a
doghe, che h' usa priiicip.iliiienle da' loiiladiiii per pigli-
ar\i ru\a, e Homeggiarla , priin.t di imllerla nel lino.
1,1. Impasto, non pasciuto , atlainalo.
7. Uh e. «! ottusa, laiigujnce. Lai. h <■ b r t. IVlrnrrn Tr.
della l''aina, I. Ebbe dell' edizioni \eiielc è besliulilù.
,2. Triforme, Luna, Diana, Prouerpiiia.
H. Mar lira, IMontinurirv: Lcri, .Mouilerì.
2.
2.
t, 0.
1, 4.
Canto XIX.
1,2. Seder in sulla ruota, par modo proverbiale di dire,
per esser favorito della formila ; tolta la metafora dalla
ruota, sulla quale vien rappresentata Fortuna mutabile.
3,4. Gli face a uscir tutti i partiti scarsi, gli
fece riuscir male ogni sua risoluzione.
b. Falle, falla, fallisce.
7,8. Riguardare, a^ercura, attenzione.
6, 2. Calamo, canna, Tasta dello strale, per lo strale mede-
simo.
12, 2. T eh an Creonte, avo materno de' fratelli nemici, Etco-
cle e Polinice, i quali essendosi scannati in duello setto le
mura di Tebe, esli %ietò, che ninno dovesse seppellirne i
cadaveri, perchè 1e bestie li divorassero.
IG, 2. La lezione volgare disegno non quadra al contesto.
'i9, 1. In e r udis e e , iuasprisce. ine ru f/ e^ i s e e è corru-
1. Incrudisce, iuasprisce.
zione.
3. Stèro, per stellerò. ,ìO. XX. 81.
1. Enea e Di do. A irgil. En. 4.
I. 3.
34
3a,
38, 1. Quel ecc. liojardo lo racconta.
42, 8. Mar fisa. Cf. XVUI, 10.
44, 3. Verno, tempesta di mare; a guisa della voce latina
Il y e m s. XLl, 15. 2.
4G, 2. Seccagn e , secche, luoghi di poca acqua infra mare.
i'ò, \. Fer eg r ino , pellegrinaggio.
3. T ergine d^ Et tino, iSaiituario in Candia, a Tines.
6. Toma, cade; propriamente col capo all' ingiù.
8. Art i ni o n e , vela maggiore.
49, 3. Giare, magazzini.
50,0. La luce di S a n f Ermo, fenomeno, che suole
apparire e posarsi sulle antenne delle navi, quando la tem-
pesla è vicina a calmarsi , attribuito da' cattolici a Santo
Ermo in Gaeta. La luce doppia liamineggiaiite è tenuta
jier salutevole. Il fenomeno è elettrico, come dimostra la
duplicità occorrente, e dagli antichi fu rappresentato col
simbolo di Castore e Polluce. A . i. S. C. S e hw e i gge r,
uber die àlteste Plijsik, und den l'rsprung dcs Heideu-
thums aiis ciner misverstandenen Xalurweisheit (,Z\»ei .\b-
haiidlungen. Nunib. 18"i3.) II, 1. ss.
7. Cocchina, attrezzo marinaresco, che suol tenersi sulla
prua. Cf. LUI, U.
51,7. Traversia, furia di vento, che traversa il corso
de11aiia\e; originalmente nell' l nibria il traversone.
53, 2. Spere, fasci legati, che si gillaiio da poppa in mare,
perché la nave si arresti alquanto ucU' impelo, che le dà
il vento.
3. Caluma, allenta.
5G, 2. Salisser, uscissero — riguardo all' alto mare.
(i3, 5. Dura scorza, l'armatura.
1(4, 8. A cerco, in cerchio, giro, d'intorno,
(ìli, 8. La costuma, la co>tumaiiza. 71.
70, 4. Far periglio, far pruova. Frase latina!
78, 3. Appropinquare, avvicinare, approssimare. XXXIX,
75. A oce latina !
5. Il freddo plaustro, segno dell' orsa, che anche
rappresenta la torma d'un carro, dalla parte di selteutriuue.
83, 4. Otta perora, come allotta, ta lotta.
87, 4, Emunse, cavii, levii via. XXIV, 33.
1U3, U. i/'uno 0 l'altro lumina rio, sole o luna.
Canto XX.
e, 3. Eusino, il mar nero,
li. / .s t r 0 , il Danubio.
7. C o r n a , bocche , loci.
9,2. Tcuitoro, territorio.
14, 8. Cillit Ifittca. Candia, n Creta , la qmle a'teinpidel
re Miiios fu coni|iosta ili cento cititi, delta perriii Eca-
tomjioli. Pliii. il. \. 4, 12. Ditte fu monte in questa isola,
I oggi Settie , o Lashi.
(21, 2. Itis pendio, danaro da spendere, spesa.
8. Tarrnto, città edilìrala ii rislor.iia da l-'alnnto , nato
dalle Snartaiie, mentre i mariti loro gnerreggia>ano co'
I Messeni.
I 26, 3. Discorsi, corsi , disrorriinenli ; rome discorrere
' pcrsrorrerc. V II, 53. 3. \\l,31.ti. Wll. 13. 5 WXIV, 54, «.
38, .-■,. Iticci fu cin e. C{. 30. \l\ . 57. I.ì. 73.
I 40. 5. / i oserei, grazioso pleoiiasiiio della prima e «eronda
edizione, necessario pure a raosa del inelro, lienrhè ronn-
Kciaino la regola della >or,ile, rlie segue. Inollre pare che il
roetn Hlesho abbi.i rieooosciiilo qualche racolouia
l''arà slare a s i fi ii o , terrà al segno, costi iffncrù ad
ubbidire. Segno in iiuesi.i frase è o \olerc, arbitrio, u
cenno, ov\ ITO insegna, o ber/aglio.
5. .Indo da canto, fu posto da parlo, non ne fu fallo
liisn.
4. Donno, signore, padrone; lai. do miiius. \. X, H. 7.
1. Iiogriir, logorare, ronsninare.
5. Fasta, sai ttia, duo spezie di nave.
2. T olir a , togliea.
3. I.a li canni a prole, (^alitilo, liglin di 1, lenone , re
d'Vrcadiii, che fu in or^o rum ertila, e jiortaU tu cii'lu eoa
Arcade, *uo ligliuolo. C(. \l\, 78.
COMENTO SIJLL' ORLANDO FURIOSO.
89, 1. Periglia, pericola.
3. Esterrefatta, spaventata. Lat. terrefacta.
99, 4. Aggi a, abbia.
100 4. Ferig lioso , per cagione degli scogli, e per i venti,
'che quivi soffiano quasi sempre.
113 1. f'ezzosa, rincrescevole , villana. XXIII, 93. 3. Lat.
vi tiosus.
11 1. Assonna, dorme , tarda. AAI, Si.
115, 7. 8. Forre, deporre.
120, 1. Crespo 6 ucc!' a, pelle grinzosa.
Iti 5. S'assesta, si confà, si adatta. Presa la metaf^ora
'dal prender la misura colle seste, o il compasso. Cf. XXII,
2tì. 6. . , , ,
131 3. Agogna., avidamente brama.
138' 2. Scherni, schernisci.
' 6 Fessi, facessi. Dante Inf. XXXIIT, 59.
144 ò f ago, errante. XV, 37. 6. IV, 27. 3. XXII, 93. 6. XLIII,
'21. 4.
Canto XXI.
1 1. Intorno. Cos\ 1' edizioni del ISlfì, 1521 etc. elepiù mo-
' d'erne edizioni leggono invece d' int u rto.
3 6. Morbo, la peste.
5, 5. Fosto, deposto.
6 4. A vi a, avea; voce da rima.
9' 5. Razzi, fuochi lavorati, che scorrono ardendo per l'aria,
' racchette , lacchette.
13, 6. Se ino, siamo. . • j ,r »it •
IB 2. Acrocerauno, promontorio dell Albania sul mare
' ionico, infamato per gli spessi naufragi.
18 2. Bisogna, occorrenza, affare.
19' ti. Obbliqua, storta dal cammiu della ragione.
21' 1. JB s' l^ffS^ 1 """ <^-
22' 6. Dentro da, per dentro di.
25'. 3- Egroto, ammalato. Voce latina!
29 5. J^fi suo -p e nsier fornire, di fornire il ano pcnsìer,
' o del fornire il suo p. L' edizione del 1516 legge: Vi
questa fraudolente ad exequire La libidine
sua. spesso veniva A la p rig io n , che a suo
piacere apriva.
31,6. 3/0// /, ammollisci.
34 i. Costrutto, prolltto, utile, prò. La milanese ha: Del
scellerato a ni or tr a er e ostrutt o.
6. Discorre. V. XX, 2(i. 3. XIV, 97. I.
40 7. Contamini, corrompa, seduca.
43 6. Del mio onor — sarà tratto, si trarranno! dadi snlF
onor mio , cioè si tratterà dell' ouor mio , starà in rischio
V onor mio.
47, 6. Buca , sepoltura.
49 1 Esso, è qui particella riempitiva, come XL, 35. 2.
' Dante Ini. XXXll, 62.
52 4. S te f £e J n /« rs e , dubitò, esiti».
56^ 4. Frogne con Filomela, sua sorella, figlie di Pandione,
re d' Atene, apposero in cena a Tereo il di lui figlio.
Medea per gelosia trucidi» i proprj figli.
57,4. Oreste, figliuol d' Againennone , re di Micene , ven-
dicata la morte del padre colf uccisione di Clitenncstra,
sua madre, e d' Kgisto , adultero delia medesima, diventi»
furibondo, parendogli d' aver sempre la madre dianzi agii
occhi, armata di serpenti e di facelle, che lo inseguisse e
cacciasse.
59, 4. Sci l opo , scìloppo, sciroppo, bevanda medicinale.
7. Innanzi più, anzi piii.
71, 4. La tirn di quarta, e la rifa di quinta, frase
tratta dall'arte delia sellerina, signilìcante: delude con in-
ganno artificioso, reudendo la pariglia.
Canto XXII.
2, 2. Fret prisco, voce latina praeterco.
3. S u ni ni i , sommi.
5. ti II e l ere. (iiuda.
7. l p e r m e str a , una delie .'JO figliuole di Dnnao, le
quali avendo sposati altreltaiiti suoi cugini , iigliuoli d
Ègisto , la prima notte, per c(»inundo di Daiiao , ognuna
di esse uccise il proprio sposo, tialvu Ipermestra, che
scanijii» il suo, chiamato Linceo.
9, 7. Schietta, superiìcie.
10,4. Dolce, perchè patria. Attinge , tocca. Voce la-
lina! XLI, 13.
12, 1. Messo in molle, ammollato, innaffiato, bagaato,
inunildiin. Cf. 37, H. X, 12, 4. In Frane, tnouillcr.
3. Mucchi a, bosco folto.
13, 5. Discorso, ilisrorriniento, l'aggirarsi. XX, 26, 3.
17, 1. Diffuso, dill'uriaiiKuile.
22, 6. Dalli, batti, per(u<»(ili !
26. 6. A sesia, il tempo, a proposito, a otisura del bisogno.
(■f. \\, 122 5.
27, 1. Tallo «re. (;f. VI, STi Vili, 18.
3. Travolto, trasfoniinto.
33,6. Errabondi, che fanno errare , fallaci, jugauncvoli
\ oce Ialina !
10. li. ] n d i s t r e 1 1 0 , ìli prigione. II, 09. 5.
55, 7. Buono, al bellicoso gioco (52. 61, 3.), forte.
64,6. In dugia, ìuiliigio.
71, 4. Fercusse, percosse. Petrarc. Tr. d. Fam. I.
72. Cf. II, 69. ss.
74,3. Innanzi tratto, per tempo, anticipatamente, ph
cedentemente, primieramente. — Levo, pioibi.
79, 6. Barda, armadura di cuojo cotto, o di lamine di ferri
colia quale s' armavano le groppe, il collo e il petto
cavalli.
82, 3. Il eg ni molli, effeminati, lascivi, d' Alcina. X, 19.
6. Ore a. X, 107.
91, 2. Dar di cozzo, incontrarsi, trovare. Dante Inf. I
97. l'urg. XVI, 12. Cozzo è afiine a percuotere, 1
cadere, gr. y.onitiy, dor. xottsiv.
xxin.
Voce latina!
B,
il,
Poltri i
Canto
4. 31 ulta, pena, condannazione
6. Erranti divi, pianeti.
5. Pennati , uccelli.
5. Fiffliuol di Galafrone, Argalia, fratello
Angelica. 1, 27.
5. Mestiero, d' uopo , necessario. La milanese viziò
samente ha mistero.
8. Eccetti han 1' edizioni originarie.
5. Altrove. XXIV, 93.
7. Digresso, digressione. XXXI, 7. 7. Dante Puri
XXIX, 127.
7. A 0 t e , macchie , difetti. Dante Purg. XI, 34.
4. Commesso, ordinato, 57, 1.
6. Truculento, crudele, spaventoso. Turò ulent
è depravazione.
1. 1*0 rf es tra , podestà, balia.
6. l! ccisil giù s t amc nt e , come narrò Bojardo.
6. Aggr affi , afferri.
1. S es to , \ia , modo
8. Anteo. Ct. XIX, 77.
1. Spaventosa, paurosa , piena di spavento
codarda, pusillaiilina.
3. T' e zzo sa , mal costumata. XX, 113, 1.
94, 4. Bertuccione, scimmia grande.
101, 1. Merigge. IX, 16. 5. 0 ree so, anretta , ventirelh
107, 7. Calta, composta, scritta. Cosi hanno le stampe di
1516 e 1532, e tutte le posteriori.
8. Nostra, lingua. rVegligenza del poeta, che avt
l in g uà g g i 0 ne\ verso antecedente.
108, 6. C 0 m 0 d i t à , favore.
Sorella, la Luna.
Soccorre, viene in mente.
Epigra m m a , iscrizione.
Gelo, fresco.
Della più, della maggiore. XIII, 3, 7. XVI, 17, 4.
135^ 6. Mondo, spazioso, senza impedimento. Cosi Feruoì
Ma è piuttosto , come 131, 4. puro , e voce latina.
Canto XXIV.
1, 1. Amorosapania, vischio, ceppo, laccio d' Amore
14, 7. Altrove. XXIX, 40.
19, 3. L' abbracci aro ecc. cioè sotto 1' anche. XVIII, 6
23, 8. Greppi, luoghi aiti e dirotti.
3H, 8. Reflette, rimanda, ribalte, ritorce.
51, 3. Doccia, propriamente acquedotto, dal lat. barb. d
ctia; qui fonte, o canale d' acqua corrente.
5. Roccia , rupe.
Selva degli ombrosi mirti. V'irgil. En. 6.
Fosse, fosse stato. Dante Inf. XXVII, 70.
f ide e conobbe ecc. XXIX, 43.
FI asse, scorrenti, vani, passeggeri, fugaci
latina, // uxus.
90, 1. l/uque, unqua , mai.
93,7. Il suo loco XX Vili, 95.
91), 1. ./ e e e g g ia , beccaccia.
!)H, 5. Tu lenta, va a gusto.
101, 8. Foco, picciolo.
103, 4. Martinelli e leve, stromenti con cui si carica;
le grandi balestre, {fh inden nnd Hcbel.)
104, 7. Dimane, mattina.
105, 7. L' elmo di Troja, Y elmo d' Ettore.
107, 2. iS' / pò ni a, calca con f<»rza.
110,5. 7/1 71 a r r« , impegna. Da a rr a , caparra.
HI, 6. Quando, poiché.
115, 2. Di lor polca., avea possanza e autorità su di lorOi
V
115, 4.
123, 1.
129, 4.
130, 5.
133, 8.
61, 8
68, 3.
74, 7.
89, 3
\o
x\v.
Canto
4, 5. Altrove XXVI, 98.
14, 6. 7. Il gran dia voi ecc., cannone del duca Alfonsi
di Ferrara, che per la sua grandezza, e pel danno Ci
portava, cos'i fu detto. Muratori anticli. estensi. To.2. e.
15, 7. Fai crina ecc. Favola del Hojardo ncll' Innamorai !,
25, 5. Graziosi carmi, parole vezzose. J|!.
28, 1. Sirocchia, sorella.
COMENTO SULL' ORLANDO FURIOSO.
Ippol ita, valorosa Amazzone, che con Ercole e Teseo
ebbe battaglia. Camilla, vergine bellicosa presso
Virgilio. o, . . .
5. La moglie del re Nino, Semiramide.
6. Figlio, IViiiia.
7. surra. Ovid. Mctam. 10, 298. ss. Padre, Cinira.
La Cr et ens e, Pasifae, consorte di Miiios, re di Creta.
6. Dedalo, scultore, che inventò il mezzo, per cui
Pasifae venne a capo delle amorose sue voglie.
3. Vetto, stabilito.
5. Ginnetto, sorte di cavallo di Spagna.
8. Linfa, acqua. Voce greca!
6. Chero, chiedo, voglio. _ hni. quaer o,
3. So g'j? i or 7! 0 , dimora, indugio.
5. G li-I un gè, la sua opinione gli era riuscita dal vero
lontana e diversa.
4. O s. Si rf/on, assedio.
4. Col r amo ecc. XXXI, 49.
H. Andassi, andasse.
7. (ihiara, ghiaja, reua grossa, entrovi mescolati sassuoli.
52,
138.
Canto XXVI.
5. Tra e sst, traesse.
(ì. Ak sunto, cura, carico, impegno.
5. Altre edizioni moderne leggono: Legati trar su
piccioli r onzin i.
3. L e gno , \a lancia.
7. C/o rf e, strage. Voce latina!
4. Pece II i e , api.
5. y/w. sa, ardila. A'oce latina !
7. Marte, pianeta del quinto del.
2. Bellona, l'allade, dea delle armi e della guerra.
C. Ambio, andatura a passi corti, e veloci, mossi in
contrattempo; portante, traino.
1. E stimata un' allegoria dell' Avarizia.
4. Satrapi, gran signori. Penultima lunga per licenza
poetica.
7. Sturba, perturba.
5. Piton, serpente cosinoironico dopo il diluvio, da Apol-
line ucciso con saellc. Abbiamo scello il modo di scriver
meno corrotto.
7. Dal furor ecc. degli Svi/zeri.
1. Scenderà, ecc. llagiona del fatto d" arme di
Marignano.
.5. Castel di Milano, fortissimo, inespugnabile.
4. 1> i chi ecc. Anuibole.
3. /..() scoglio ecc. Ischia, isola incontro al golfo di
\a|ioli. I giganti furono detti anguipedi. . ^(4
5. I alle (i , valle. jjj'
(i. A va e e i 0 , prestamente. r,^'
(i. // poggia, e ad or:;a, da una parte e dall' altra. !':;«•
XVIll, n. .1. |,i|i'
7. J'cntcsilen, regina delle Amazzoni. Lj.^'
-, 5. /''« l'i/ /e, ccniTc. l'so latino! I gu'
lO, 2. /y' augcl ecc. 1' a(|uila. I y'^'
fi. Clic ri .y i 'I - a mente, dall' innamorato del Bojardo. gf'
fl, 2. M e\ meglio. j g|'
0, (i. Pialo , contesa. '
I ' 2. 7' *• ancia, trapassa. ' nr
3^5. Ave, ha. X, 48. 4. XXIX, 11.7. 32, 8. Avea ù ìVi'i
chiosa.
1, 7. U e d i H a fi e 1 1 e , \embrotle.
L ,'i. Falsar, l'orar, tagliar,
(i, H. Ilari) ata. V. MI, (i7. 3.
H, 1. M II I i a , spezie d'incanto, che lega e mente e membra
dell' nonio.
9, 1. Ubino. XIV, 53. 7.
C A % T o XXVII.
1. /"y n r^ / f /, coiiccduli. \oce latina!
, 5. Mal igni tu, il dnnonio maligno, diavolo. Cos'i Dante
Purg. \, 112. rhi:inia il dcnioniii Malvolere,
H. /■Thhoiio no re. V. st. ."»l ili ijiiesio canto.
i H. In e arco, bi.i'-imo, disonore.
I. llusHc, baltilni'c, colpi, percosse.
, 2. . / 1 1 o g (T i a 11, r I, I i , campi , tende.
,1. Ila ss Olii, biisoni, Hiriimenti da kuouo. Pulci Morg.
inagg. IO, 27,
7. Irrogc, aggiungi. WMll, 117. I.
, 3. 7'<) /■ b i , torbidi.
,'i. iM a II l i e i , Hlrumeiili. cli<! attraggono e mandano fuori
r aria, e mitmhio per solliar nel fuoco.
(i. ./ s s e g II a , cousrgu;!.
7. Occorre, \ ieii in memoria.
, (ì. // ;m/ »;• HO , andarono. (Man licenza! IO
,1. Lì- -a, HtiiTjto. \'a
, 3. Scoglio. >. 1(11. H. j
,3. T e r ni ood !• Il I <' , tinnir di Ponto , abitalo dalle nmnz- 27,
zoui, delle ijnali Ippolita fu Id piimaria. v. .\.\\, 32. 2H,
4. Cotta d'' arme , sopraveste degli araldi. Il vocabolo
è affine al tedesco Kutt e, Kittel,dLÌ greco xcv&w, y.v&u),
celo, nascondo; all' inglese e o a f, frane, coti// on.gr. yiTm,
yiTwv.
8. Arni e , insegna.
7. Indotte, messe indosso. Lat. indù er e.
1. Al bracca. Lo racconta Bojardo.
5. Oso, ardito. Latin, ausus. 132.
5. Tanto che, infinattantoché.
7. Suffolse, sostenne. XIV, 50. XLIT, 77. Voce latina'
5. A d in f or m arsi, vale a dire cominciò. Maniera di
raccontare latina, e greca!
7. Scherni e scorni, figura rettorica, detta bischiz-
zo o bis t icci o.
8. Argini sublimi, luoghi eminenti.
3. Falcato, adunco.
, 5. fraroira, strepita per allegria.
, 1. Fisso il chiodo, deliberato, stabilito. Modo pro-
verbiale di dire!
4. Apolline, delfico, famoso dio oracolista.
ó. Vi piatto, di nascosto; quasi appiattato.
2. Prochi, amami ri\ali. Voce Latina! Prodi par le-
zione corrotta.
3. V. XXXA , 54.
', 7. Casa, non già cosa, leggono le prime edizioni.
ti. Marche, paesi, province. Voce tedesca ! Dante Pure.
\1.\, 4,5. X\VI,73.
7. Gian Francesco Valerio, gentiluomo venezia-
no, grande nemico delle donne, amico di nostro noeta.
XLVr, 15. ^
2. Per conto, una per una, minutamente.
C A -V T o XXVIII.
8. Tana, Don, liunie nella Moscovia.
^.Corncto, luogo non mollo discosto da Roma. Equivoco
di parola !
(j. Arbia, fiume del Sanesc; Arno di Firenze.
9. Agnus dei, breve, che si porta al collo, benedetto dal
pa|)a; o l'ostia sacra, 44, 8.
3. 4. Diretta — Mente. Licenza poetica non di rado
ovvia, sempre però nella commessura di parole coinposie,
o nello stile_ comico, v. Mctrik , \on A u g. Ipel, (l<ips
1H14. H.) Il, 510. ss. opera unica, troppo poco stimata per
fanatismo scolastico, o per ignoranza di musica. Quanto mai
perde il mondo letterato in questo genio sovriino!
(i. Sergente, ministro, garzou di famiglia, 21.
lì. Tu ri, chiuda.
5. l'ro rt)g II i , prolunghi.
7. Fo ro , furono.
2. .)/« , sidameiile.
(i. Ile g no di Si face, .\frica.
5. Cinge, cingi.
ó. Di rimando, di rimbecco, di ripicco.
4. Accocchi, attacchi, cioè burli.
3. Brutte note, maccliie.
4. Scempio, oltraggio.
1. f arar, metter di terra in acqua.
(i. Fiume, Koihiiio nella l'"rancia. .Monte, Idubcda nella
Celliberin, pro\ iiici.i de'la ."^iiiigiiii tarraconefe.
2. luco liti, incolli. \ uce latina!
, tì. Sa poro , gustò.
C A X T o XXIX.
5. Falda, metaforicamente difesa , riparo. Propriainento
piastra, lama, lamina, orlo, margine.
8. l'è lo, swisc pili, sb.irbò.
4. l'i ed e, zampa , come XLIII, 109. Soltanto l'edi/ionc
paricrina ilei lìS-H. e l,i teriio\ iaii.i leggono preda; che ò
chio>,i seii/a altro, bi-iiclir non neghiamo, che il poela
avrebbe potuto ««criMr cosi, e forse più chiaramente, u al-
meno più conl'ormnneiile all' iisiii/.i.
5. Se fate eir. I, a^tii.M.i Icnimiiiile d'Isabella fu non so-
lameiile <|ui'lla di ."^.iiit.i I'hIim^I,! ne' principi del secolo
quarto, ina pur d'una innii.ici .i' tempi di Mirvan, caliifu
iiell'ollaxo scrido, e, |iniicipalinriile rign.irdo alle cirrox-
taiize parlicol.iri ncll" \rio-.in , d una giox ine d.i I)iira//.o,
chiaiiiat.i llr.willa, r.iccont.it.i da l''ranc. Il.iili.irn ne' Dn-
riiincnti circi l'elr/ione ilrll.i iiiogliu, al cip. 15, donde
Ariosto semlira a\erl.i civaia, modilicuiidnl.i a suo piacere.
I''il iliiiii|ue iliippi. unente intenipisliv ii il ;Kelo dell' autore
degli \iiiiali ecclesiastici; si perchè ogni >irtn, in con-
mgiieii/,i aiicor.i l.i c.istitìi e la fede, è iiii.i , do\unque
si lrci\i. di modo che ili.i lungo alla c.inoni/zil/.inne ; e hi,
iienhè il poela ebbe altr.i tonte, che 1,1 storia ecclesiastica,
1,1 qiiile lin.ilmeiile non p.ire che verrebbe diirorinala. se .ir-
rirchita M'Iiìnnc il un <-Neinpio ili piii di sriitiinentn religioRO.
4. Cigno e II bilie, eroi inv iilner.ibili.
5. '/ 1/ 1 // n —(//*;> uj (i , l'espirieiiia, che separa il vero
dal lulsii.
I. Come, pulisce. \ erbo latino!
4. La CUI, ecc. Luerexiii.
COMENTO SULL' ORLANDO FURIOSO.
28,7. Le inviolah ili acque , stìg\e, il giurare per le
quali era inviolabile per gli dei pagani istes-si. . . , |
29. Scrilto in elogio d'Isabella, duciio^a di Mantova, iislinola i
dt'l duca Ercole di Ferrara, ed assieme di.lla moglie di;
Ferrando, re di Kapoli, della moglie di Fi rrnndo, redi
Spagna, di quella di Federico, re di .Napoli, di Guido Ubal-
do, duca d'I'rbiuo, e di una iigliuola del re d'Ungheria, che
da papa Gregorio IX fu canonizzala.
30, 3. Terzo eie/, ciel di Venere.
U. Breusse, uomo crudelissimo; personaggio de roman-
zi della tavola rotonda, di cui parlò Luigi Alamanni
nel suo poema Girone il cortese.
33, 1. La superba, ecc. il castel S. Angelo di Roma, che
Adriano imperadore fece fabbricare per suo sepolcro.
35, 4. Cacume, cima. Voce latina!
5. l'eletta, v. X, 51, 1.
37, 7. Come V acqua ecc, quasi che l'acqua estingua e ara-
mendireiror commesso nell' iibbriachezzacon lingua, o mano,
come ripara agli sconcerti Usici prodotti dal troppo bevere.
Più facile fu ia lezione della prima edizione; Fur come
l'acqua il vino, co sì e st in gua ecc.
54 1. ì erso, contra. Secondo il Pigna uc' suoi romanzi, il
' poeta aveva cangiato verso in contra, che pur non fu
osservato nella stampa, poiché l'uso uon vi ripugnava.
5fi, 2, Airon, agkirone (R e i h e r).
57, fi. Tarracona, città di Spagna, opera degli Scipioiii ;
dal mezzodì ha un lato sul mediterraneo, dal settentrione sull'
oceano. . ,
59, 5. Siene, città dell' Egitto a'confini dell Etiopia, cosi di-
rittamente situata sotto il granchio nell" estremo della zona
torrida, che, quando il sole è iu quel segno, non vi fa alcuna
ombra sul mezzogiorno.
6. A m m o n e. Giove Animone. Gar amanti, popolo della
Libia, di pelle assai fosca. Al resto il poeta avea scritto
neir edizione del lóKi : 0 d n v e l a fenic e appari r
fuole; il che facea rima deità ricca.
7. Monti dell' Eriopia, detti della luna.
G4, 4. Cocca, tacca della freccia, nella quale entra la corda
dell' arco; qui 1' arco stesso.
65, 5. Trasse, gittò. Uso lombardo!
67, 1. Non s' abbia ecc. Cf. X\X, IG.
b!l, 4. Si spalla, si guasta le spalle.
72, 5. Invase, inghiottisca.
Canto XXX.
3, 8. E sa. Le slampe dal poeta assistite hanno essa. Il
decider è difiìcile , dove il senso uon perde, e un errore é
cos'i facile. I
8, 6. yl macco, in abbondanza, ed a vilissimo prezzo, come}
le fave, le quali sgusciate, cotte ncH' acqua, ammacrale'
e ridotte in tenera pasta danno la polenta. La parola pare|
affine della greca juaaau}. Barotti spiega a uffo , cioè a;
spesa altrui, senza pagare. . |
9, 3. yi saccomanno, a sacco. Sa ce o n? fflra n «propria- 1
mente è saccardo, quegli, che conduce dietro agli eserciti
le vettovaglie, gli arnesi e le bagaglie.
11, B. Cosi le prime edizioni. La pisana, e Fernnw con essa:
al mar lo spinge, forse un po' più tersamente.
14, 0. Bonaccia, calma.
Ili, 2. Ben di parlar , ecc. XXXIX, 3R.
8. Altri, come Sigismondo Paolucci nella ('onlinuazione
dell' Orlando furioso, con la morte di Ruggiero, \cuez.
154:1.
17, 4. Spinto, non già spento, ch'è manifesto errore. Cf.
XXVI.
2H, 3. Tiranno, principe, in senso greco.
'M, 5. Un zero, nulla.
:10, 1. Certame, pugna, combattimento. Voce latina!
34, 4. Accora, tormenta, uccide.
35, H. Sparar, aprirsi, spezzarsi.
41, 5. Soro, iLiesiierlo.
4.5, 3. /eri o, parola. Voce latina! XXXV, 71.
4H, 1. // ' o li gè /, ecc. l'aquila. Bianco, qual era dipìnto
HUgli scudi; e nuininatameiitc l'estense.
3. iS ella Tessaglia, nella battaglia tra Cesare cl'<iin-
neo ne' campi farsalici, dove l'arniula romana era divisa,
Icnchè avesse la nicdeHiina insegna. Con altre penne,
nere. Più volte, giacché sei anni dopo la battaglia di
Cesare con l'oiiipco sul medesimo campo segu'i l'ailrii di
Ottavio ed Antonio con Hfuto e Cassio. Virgil. Georg. 1,
4!I0. Ovid. Mct. 15, H25, Fior. 4, 7.
6. Massicce antenne, lance grosse e eiiuisuratc.
50, 3. Mal allo, atto biasimevole.
4. Ks si, i cavalli.
55, H. Dolente — some, del paladino Orlando, a cui prima
appartenne.
57, H. Ascella, quel cavo, eh' èsotto il braccio. Lat. axilla,
Icd. ytc Its et.
61, 5. Aitasti-, pro\i, senta. XVII, 95. ma in dilTercntc signi-
ficato, cioè quello di colpire. E affine al tedesco tasten,
al. lat. taiigo, gr. ratu , Tayai, ifiyw , xh'yyio.
68, 3. Mutano regni, cambiano posti.
71, 4. Tenitor io, paese, stato, territorio.
75, 8. yi gogna, desidera intensanie:ite. XXXIII, 73. 3.
7!l, 4. IJ espitto , dispetto. Dante Inf. X, 35. La forjiia delll
parola s' avvicina alla francese dépit, dal lat. dcspe
e t u s.
86,6. Di piatto, chiuso, nascoso o occulto. XXIL 79, 4. XXXIX
33. 2. quasi appiattato.
Canto XXXI.
5, 3. Srt g a, ìncantatrice. Voce latina!
6, Zoro astro, legislatore persiano, la di cui vita si frolli
descritta nel Zendavesta di I. F. Kleìiker (Riga, 1776,
111.4.) Voi. 3. Mago, in significazione d' incantatore, \ennj
creduto per via della dopjiia significazione della parola
che deriva dalla dea indiana Maja, simbolo del mondo sen
suale ingannevole, che la ragion offusca e l' intelletto, e
lo trae fuor delle sembianze prime', come dice .Vriosto nella
stanza seguente.
7, 6. Uigr e s s o , digressione.
S 2. Un cavalier. Guidone Selvaggio.
22, 3. Rezzo, v. V, 50. 3.
4. Or izz on , per orrizzonte. Dante Purg 4, 70.
25, 1. Vigiun 0, metaforicamente libero, alieno, scevro.
21), 4. Arturo, V orsa celeste. Pigro, perchè tanto spazio
di tempo consuma a trascorrere 1' estremità del polo, eh' è
brc\"issima, quanto le altre stelle vi mettono per 1' ampiezza jSi
del cielo. Ci. XIX, 78. XX, 82.
28, 8. Lacrimo— senti (tì) è la lezione del testo del 1516,
unicamente giusta.
34, 1. Cf. Dante Purg. XXIV, 1. La costruzione è: non lasc
di ragionar per andare, e non 1. di s. ior v., per ragionare,
cioè ancorché, o benché andassero, ragionassero, f. Ci- !
nonio osser\'. della lingua ilal. p. 201. \i
38, 3. Sciamilo è la voce tedesca Sammet, velluto, af- fi,
fine alla greca iga/iUTo;.
41, 1. Urta, odio. Voce lombarda. Dal frane, là eurte, te-
desco Hurt, attacco, colpo, veemenza, in lat. urgeo.
2. Truffaldin. Kovella da leggersi nell' Orlando inna-
morato del Boiardo.
43, 5. Cavai, co rt. e p., dice Zerbino.
i9, 1. Nella ter za v. o nella q u., nella terza o quarta
parte della notte, secondo la divisione latina antica in quat-
tro parti eguali, segnate con sentinelle, vigiliae.
50, 4. Nutrice aulire a. Teli, o mare. Cf X\ I, 129. 2.
5. Orsi ecc. stelle dopo la tramontata del sole.
51, 5. Ascolta, guardia, sentinella. _
54. 4. Formi da lo, temuto. Voce latina!
8. Piagne, rammarica.
56, 4. Pia rei, meno bravi, o valorosi. M irmi doni, sol-
dati d' AriiiMe.
58, fi. Gal e so, fiume non molto discosto dalla città di Ta-
ranto in Puglia, edificata daFal-anto (v. XXX, 21.) Greggi
lanuto, pecore.
7, 8. Cini fio, fiume dell' Africa, lungo il quale suol pascolar?
gran quantità di capre e di becchi. Virgil. Georg. 3, 312
Barbato, cioè gregge, vale a dire capre e becchi.
63, 2. Difende, proibisce.
70, 7. <ìul'1. Fetonte. N os t ro fium e, Vo. Lume, carrc
del sole.
72, 6. S HI alta, copre come dì smalto.
85,4. Accenna, (omanda.XlV, 91. XXXII, 110, XXXIII, 5.
87, 3. An nitriri, nitriti.
91, 2. Altrove. Orlando inniimor. 1, 104,
9li, 2. ti II e l punto, questa \olta.
8. Alta luce, cielo. Mondo cieco, inferno. Cicet
significa, come il latino co e cu s, uno, che uon vede, e quo
che non è veduto, quel ch'è occulto.
104, ti. R i b r e z z o,ultinio scuotimento e raccapriccio della morte
108, 1. Il frale di f ivi ano, Malagigi.
H. Legno, na\e.
109, 6. Come mai, quanto mai, come sempre.
XXXII.
e A N T
3, 4. Del gran notturno foco, figuratamente della grat
battaglia notturna, e sconfitta. Cos'i sopra XXXI, 25.4
j) e r i gì i (I .s 0 bai 1 0.
5. Quando; poiché. ,rir-,.T-iii e
4, 7. Esazi 0 ni, gravezze, angario, come 86, 1. XXXVllI, 0
33. Dante Purg. XX, 10(».
7, 5. Prece, preghiera. Voce Ialina!
11, 2. Eto, o Piroo, due de' quattro cavalli del sole
6. Ebreo. Giosuè, che per poter compiere la sua vittorie
sopra de' cin(|ue re paleslini, ottenne da Dio, che un su(
coniiinilo al soU; potesse allungare oltre il dovuto termini
la giornata, (iios. IO.
7. Produssi', s' intende o della nascita d Ercole, dov)
la notte fu da Giunone allungata alla durata di molte;
del di lui ciuKupiinento, dove Giove estesela notte al!
durala di tre notti.
13, 4. Di Tilon la sposa, Aurora.
7. Nasciutu, voce antica per nato.
ì
COMENTO SULL' ORLANDO FURIOSO.
5, 5. Se— a piede, cioè vede, o scnopre.
8. Un'altra nuova, cioè speranza, v. 6.
.6, 3. Fossi, fosse. Cf. 1, 9. 3.
7, 3. Regni bui, regui scuri, inferno.
9, 4. Serva, serba, riserba, ritiene sé, cioè indugia, diffe-
risce, tarda.
7. Aspide. Si diceva anticamente, che l'aspide, per non
udire 1' incanto, che a su lo tira, posi un'orecchia in terra,
e l'altra colla coda turi. Empio dunque è di_ natura
maligna, non mansuefatta, ammansata per mezzo d' incanto,
3, 2. ComTnessi commisi.
S, 1. Guascone. I Guasconi han fama di ciarloni, e d'
amplificatori delle cose che dicono, onde ^ uas e o na ta,
millanteria di parole; e guascone, vantatore, mUlan-
tatore.
5. l'osto per ragione, esaminato, cercato.
4, 7. .'i « è , a paragone di sé.
7, 6. Tragiche querele, poema tragico.
8, 8. jl citi, alla quale, cioè lede.
3,1. yp n 0 71 n 0^/ i 0, cioè lasciare.
(j, fi. Divisa, segno e distinzione negli abiti.
7, 5. Tr on e oni , tronchi.
(j. Si rinfranca, rinvigorisce.
7. Bipenne, scure, che ha due penne; l'una fora, l'altra
taglia.
0, là. 1) 0 nna , l'Ilania.
7, 8. Scaltri, faccia accorto.
'i, 2. Bocca, re di quella parte di Mauritania, che resta
più verso il mare. V. .Sallustio beli, lugurth.
4. Marocco, città dell' Africa, e capitale di un regno di
tal nome, uè molto discosta dal mare atlantico. i\ ut r ice,
v. \XXI, 50.
4, 3. Induge, indugi. XXII, CI. 6.
I), 8. Aprisse, non già aprirsi, cL'è chiosa. _
lì, 7. Jone, Io, gi()\ane amala da Giove e daini trasformata
in vacca. Giunone per gelosia la face\a custodire dal
pastore Argo, che avea cento occlij.
D, 1. Tristano, ligliuolo di Meliadus, re di Leonis, il
primo di tutti i cavalieri erranti, giurato della tavola ro-
tonda. Or .Marco, re dì ("(Tnoxia, avendo fatto parentado
col re Languines d' Irlanda, di cui toglieva per moglie la
ììgliiiola, detta Isotla l.i bi(uida, mandi) Tristano suo nipote
in li landa, acciocché gliela conducesse. Andii Tristano
e l'ebbe. La madre d' Isotta, acciocché la ìigliuula fosse
amata dal marito, fec;e far una bevanda incantata, che
costringeva ad amare la ligliuola colui, che l'avesse bevuta,
e la diede ad una cameriera, perché a Marco la facesse
bere. Tristano ed Isotta, essendo iu mare, \)vt avventura
la beverono, senza saper, cosa che fosse, e per virtù d'essa
l'uno dell' altro s' innamorarono. 11 re Marco, avendo ap-
postato in camera Tristano ed Isotta, vedendo fuor di ca-
mera la lancia di Tr. , la prese, e per una buca lo fen in
modo , che poco dopo venne a morte ; ondo Isotta , gilta-
tosigli eopra, quivi si lasciii morire.
93, 7. Spinte, cacciate fuori.
c A X T o xxxin.
5. Cloto, nna delle tre Parche.
a. A verno, lago di ('.impaglia presso Baja , dov' è la
porta per calare all' inferno.
7. \ arsi ne grò tic , grotta della sibilla sul territorio
di Vorcia.
j. Saper fece ecc. Trasposizione di parole in vece di:
il periglio di molli guai, a e li e (al quale)
pò r rii sua e en t e.
'). M 0 n I f di a i 0 V e , V Alpi.
7. Aistulfo, llaisciilf, il (|iialc contro alla convenzione
assedii) Itiiina al tempo di papa Adriano; e i'ipino, chia-
mato dal piipa, lo ruppe e lo innnrceri).
3. Ijito palesi ino, l'ale.itriiia , eh' e Ira Chioggia e
Venezia.
7. Talpe, per talpa. Dante l'urg. 17_.
ti. fjualri, miri, riconnosca ed esamini altcntamrntc.
5. Lo scoglio — stende, V isola il" Ischia. X\ I, 23.
1. y/ireo, liglio di Caropo e d' Aglaia, competitore d'
l-'.lena. Achille, \c!-t<irir, llliste son noli.
3. La da, iiom veloci.isimo, di cui parlano Catullo, Mar-
ziale , e Solino.
2. .\ipote di Celo, (padre di Saturno) Giove.
4. Duo (ir nielli, Apiilliiic e Diana.
3. HI oro, Lodovici) Sliii/.i, delti) co-'i dal suo foHcnrolorr.
(ì. Sega, arme della l.iiiiiijli.i Ucniivoglio di Hnloena.
(iliiande , quercia siili insegna del pap.i Giulio U «Iella
Rovere.
8. Sogginga, Hoggìoga.
a. Chiassi, Ci^iNse, luogo vicino a llavenna , prenso il
mare adriatico. Dame l'iiig. XWIII.'^d
7. Un rampollo di I muro, il duci Mas-imiauo.
I. Lo tr reco, di l.antrec, griirr.il<! liiiircM-.
7. 8. La ci t là — S i rena, i'arleuope, V.ipoli.
5. All' erta, all' iu8u.
»,
),
64, 1. animai, talpe. , ^.,~.-„ „, .
67, 1. Arroge, accresce, aggiunge. X\\TI, 31. 7.
3. Loto, fango, mota.
68, 6. Coraggio, mente, animo, pensiero.
72, B. Suti , stati. V, 58. 8.
79, 4. ^ 71 i ni o « 0 estro, furor dì coraggio e d' ardimento
guerriero.
95 ti Spalmata, nnta. Propriamente detto delle navi.
7. In ' altra volta. XXXVIII, 54.
98, 1. Gade, Cadice, isoletta dell' oceano verso Y Andalusia.
Meta, le colonne. Cf. VI, 17.
100, 7. Cimiter di Batto, la citta di Cirene nell' Africa,
fabbricata da Batto. Batti veleria sacrum stpul-
crum la disse Catullo.
102, 6. Esilio atroce, inferno.
108, 4. Arpie, Favola tratta da quella di Fino, re di Tracia.
116, 2. Veli' alta, manifesto errore in vece di nell' alta.
12ti, 6. Roggia, torrida.
C A IV T o XXXIV.
3, 4. Calai e Zete, figliuoli gemelli di Borea e di Orìzia^
i quali liberarono Fineo , re di Tracia dal gastigo dell
arpie, cacciandole lino alle Strofadi. Ovid. .Met. (i, ti82. su.
Herodot. 7, 189.
5, 8. Can trifauce. Cerbero.
9, 6. Se dio tronchi, co-i dio tronchi. 'In principio di
locuzione, che prieghi o che desideri, che è quel sic de'
Latini, con che il lor lirico diede principio a quel suo • Sic
te diva polens Cypri ' dice Cinonio p. 345.
12, 1. An as s ar e te , donna bellissima di Cipro, amata da
Ili, il quale, non e.ìsendo corrisposto, s'appicci» da sé me-
desimo dinanzi la di lei porta. La donna non restaudoua
commossa fu datrli dei cangiala in un sasso.
7. Dafne, ligliuola di Penco, la quale fuggendo da
ApoHìne amante, che la perseguiti!, fu mutata ìu alloro.
11, 1, Prone, proclivi, disiioste. Voce latina!
3. J'fseo^ che lascii) Arianna. Gì a « on e, che abbandono
Medea, come Enea Didone.
19, 8. Q u a TI 1 0 — lira. È il vecchio proverbio : asinus ad
lij r am.
32, 6. Impenni, faccia pennuti, apparecchj, metta sull arco,
per adescarlo , o innainorarln. _ _
38, 7. Lestrigoni, i)i)polo antico del Lazio, che crudelissimo
era, e si manteneva di carne umana. Odi.---. 10.
41, 0. Esplico con penultima lunga è liceitsa dantesca. Pa-
rad. VI, 1^.
45, 1. Ha vista, sembra, pare.
•iti, 2. Ep e , pancia.
47, 3. Infece, iniettò, vizi!) , deturpi). Dal lat. inficio.
50, 3. (aghi, si muova, spiri.
53,5. Dedalo, architetto e scultore fainnsis^imn; onde qui.
in forza d' aggetti\o, dedaleo, cioè ingegiiOfO.
54,1. f e s t i b II lo , cnlTHUi.
B. Discorre, v. XIV, 97. 1.
55,8. Artico emisperio, settentrione. \. III, U. 6.
59,7 Tube, trombe. Voce latina! Dante Purg. 17. Par.id.
12. Ariosi. Xl.ll, 00.
(il, 5. Il vecchio sposo. Titiine.
ti2, 1. Scorse, discorse, traili).
(i4, 5. Incesto, incestuo-o. XXXVI, 73. 8.
74, 2. La ruota, della Fortuna. . .
75, 4. Loco, esi-tenza, occasione e comodo da esser eseguiti.
7li, 1. H i e h V . in:i»sr, iiiiiccliì.
80, 7. 8. Dubita con queslo il poeta, a guisa d" altri scrittori.
He ('oslaiitino il Grande doni) Koma a .•<. Silvestro. Nella
prima edizione parli) con più riguardi , dicendo:
Ad un monte di rose e gigli passa,
Cli' ebbe già buon odore, or piitia forte;
Cu' era corrotto, e da (ìiovatiiii intese,
('he fu un grill don, che un gran signor mal spese.
82, C. Perse, si fecero. v» iii
B4 ti. Itenno. diedero; presso Dame divano. Inf. \»Ill.
90. XXI, I3ii.
88, 4. Carni, canuta, vecchia. Voce latina!
7. Une hi. vcnnicelli d.i seta, liliii;el:i , bigatti.
91, 5. l< i I or nn r » e m p r . p e r a ti r ".pollarne v \^ de" nmiv i.
Cosi D.mte Ini. XXI, .W. Mrltrtrl sotto, eh i »
Ionio per anche (cine r.ipir\i altri baratXleri) .1
quella terra, che w ' è ben fornita.
C A ■« T o XWV.
, 1, 5. Jrtf furo, perdita. Voce latina!
' 4, 7. Col M e vul IJ. Cioè UW), I' anno, in cui IpPoliCn ti.i
I ' HNle venne ni mondo, l'onte preHc 1' idea d.il presso.
Dante. Par. NIX. 29.
I 7,2. /'•.. rt i/i f </ . come mostra il ritmo, ha I.» pcnuliima
lunga , come presso Oraiio od. 2. 15.
!),.'). .Sii ( M' / ' ' . so-tennti. \oce latina! XLH, 77.
Il' 7 1,1 ti qui é liiitoessernella luna, come presso D.mte 1 urjr.
, ' XXMII, Ito. ,, , ...
.11,5 lliunca oquiU era l' inurgna dell.i ri~a il Ippolil»
da Ente.
COMENTO SULL' ORLANDO FURIOSO.
1
15,
'iO,
21,
2i,
27,
28,
31,
31,
39,
40,
^7,
70,
80,
4,
4. Cons urne , consuma. Modo latino !
B. Cinedi, bardassi. Voce greca e latina!
2. Ciacco, porco.
7. C irra , città greca in Focide , alle radici di Parnasso,
vicino alla quale era 1' oracolo dellico , e la stanza delle
7. tt. Fu questa opinione di Crisostomo nell' undecima delle
sue orazioni.
3. Bagascia, donna da partito , puttana.
5. Telo, saetta. Voce latina!
2. Lontra, animai di rapina, cosi da acqua, come da
terra. In tedesco Fisc/io 1 1 e r.
8. Ferj uro , come IX, 52, 5. XI, 73. 4
8.' S' app r e s eu t a ha 1', edizione del 1516, non già ap-
po re ce Il i a , eh' è chiosa.
5. V( . non, neppure.
8. I eh ut a. Cosi hanno tutte le stampe.
(j. Smaglia, scioglie, tormenta, scoraggisce.
Canto XXXVI.
4. Sape a. Barotti vuol, che si riferisca a'_ soldati, e che
perciò piuttosto sap ean dovrebbe scriversi. Intanto può
riferirsi ancor, e forse più agevolmente, a brutta ven-
detta, oh' è più vicino nel veri-o primo di questa stanza;
laddove soldati rei sono nominati nel sesto della pre-
cedente.
5 7. Importuni, infelici, sinistri.
I) 3. fidi. L' armata nemica arrivi) li 25 di Nov. 1506; la
' disfatta segui li 21 di Decenibre. Ariosto dunque, poiché
spedito dal duca a Roma quìiuli parti sei giorni innante
la disfatta, (XI, 3.) pare che vi sia stato presente. Ercole,
Cantcliuo. ^J/ e s s a n rfro, Ferruffin. v. st. 7.
7 ìt. S eh e l m o , legno nelle galee, a cui si legano i remi;
' qui palischermo, quella parte della galea, dove fu tagliato
il capo a Cautelino.
9. a. Antropofagi, popoli della Scizia, che mangia\ano
' uomini. Pol'ifemo, ciclope. Omero Od. 9. Virgil. En. 3.
8 Ciclope, mostro umano con uu sol occhio. Lestri-
gone, XXXIV, 38.
14. 0. Matti! tino, mattina.
J9, 8. Taballi, insiruinentì militari musici di rame , usati
da' Mori in Africa. V. Redi al Uacco in Toscana.
35 3 Opima, ricca. Voce latina! Uaute Par. XVllI , 33.
' XX\, 111.
55. 4. Ut piatto , nascosto.
u2. 6. Leena, lioiiessa. Voce latina!
JO, 3. Ariosto fa discendere lii casa d' Este, per mezzo di Rug-
giero e di llradamante, da Astiauatte iigliunlo d' Ettore.
V. 11, 17. 1. Fu costume poetico de' secoli di mezzo, di ridur
r origine de' popoli ai Troiani , di modo che Troja. men-
tovata è varia , secondo il sito delle nazioni , benché sem-
pre il centro di questa, o quella. A questa credenza poe-
tica pare eh 'abbia data decisione tanto il bisogno naturai
della luenle umana di rintracciar 1' origine e la coerenza
dei mondo, eh' è sua copia, quantochc 1' opinione mitica,
derivala dall' istessa fonte, die iigurava il mondo qual al-
bero \ itale, di rui i rami si spandono all' ingiù, e la ra-
dice all' insù. (Juesto albero fu la quercia, onde Ilion, e
Troj a, affini al greco Joy,'- ingl. tree, lat. ilex. Quanto
poi questa idea sia pregna e feconda ; quanto la guerra
concernente questa città , nel significato suo più profondo
sia guerra religiosa, ovvero guerra dell' intelletto coi giganti
delle tenebre, o la sensualilìi, e in conseguenzaun driimina
quasi cosmogonico , questa è materia da non ispiegarsi in
questo luogo, ma pur evidente e interessante a chi la mito-
logia è espressione della \ ita dell' intelletto, storia delle
di lui gesta e passioni.
73, 8. Incesto, v. XXXIV, 64. 5.
Canto XXXVII.
5, 1. Le donne qui mentovate son coraggiose e guerriere: Ar
palii-e (li Tracia, Toiniri, regina de' Massageli, Camilla
de' V (lisci , Pentcsilea delle Amazzoni, Didone de' C^ir-
taginesi, Zenubia de' l'almirenì , e Semiramide digli As-
sirj.
C, 3. O' / j orli d e l P E s p e r i de nell' estrema parte dell'
Etiopia a occidente, nella Mauritania tingitana, dove !
pomi d' oro, dati da (ìio\e in dote a tìiunoue, furono
cnstoiliti dal drago Ladoiic.
8,3. Chi —formati, Maldassar Castiglione, (nato 147H,
f 1529) iiiitorc del (^ortigi^'.no. Pietro J! e m li o \ Cnezi-.ino,
nato 1470, f li IH (Jeiin. 1547. Luigi .11 a m a n , Fiii-
rcnlinii, nato 1175, f 1550. Autori lutti notissimi!
H. La terra, Montot a.
9, 3. Cinto, inolile di Delo, in cui nac(|ue ApoUinc.
11, 8. l'iiiiur, e iKiii giii II mi uà, richiede altri.
12, 5. Ercole Jli- n li rag l i ,1 , Milanese, nato 150.'), -j- 1561.
•Scrisse opere pniliclic. l'iir. 17l!l. 8.
8. l/.)/i«. Frane. Maria, Modenese, nato 1489, f 1541.
l'othie volg. e lai. colla ^ita dell' aut. da 1'. A. Serassi.
ileigamu 1717. IH. 8.
17, 3. Maja, una delle stelle nel capo del toro.
18, 1. f ittoria Colonna, nata a Marino 1195, -\ 1547. Kiinc
Parma 1535. 8; pubblicate da Gb, Rota, Rergam. 1760. 8.
19,1. Laodamìa, moglie di Protesilao, la i[iiale impetri
da Giove, di parlar a suo marito morto innanzi a Troja (
richiamato dagl' inferì un' ora ancora dopo la sua morte
dove mori anch' essa in braccio a lui.
La mogi, di Bruto, Porzia, lìglia di Catone, la quali
inghiottì carboni ardenti,
2. Arria, consorte di Cecina Peto, che dando 1' acciari
del suo sangue rosso al marito disse: Paete, non dnlet.
Plin. epp, 3, 16. Argia, moglie di Polinice, iifflia d'
Adrasto, re d' Argo, la quale ard'i dissoslcrrar Polinice
morto nel duello col fratello Eteocle, e lasciato, per or-
dine di Creonte, in preda alle fei e ed agli uccelli. Evadile,
consorte di Capaiieo , la quale per amor di lui, ucciso,
neir espedizione di Tebe, si precìpiti) con lui nella pira.
6. Che novi' — circonda, il tiume Stigie. \irg. Kn. 6.
20, 2. J l M aeedoìiico, Alessandro. La — tromba
Omero.
24, 5. Esplico. XXXIV, 41.
2K, 1. Suon ile. 1, 43.
27, 1. (iuel figlio di J m Z e a n o , Erittonio.
i.Aglauro, figlia di Cecrope. f'eder, cioè nella
corba , do\ e fu nascoso da Minerva.
5. / brutti piedi, di dragone. 1
36, 1, ]S 0 n pia ecc. Gli Argonauti, approdali aLenno, lai
trovano pri\a d' uomini, perchè ammazzati in una volta
dalle done. Staz. Teb. 5.
43, 1. y / signor, o il t ir an. Cos\ le migliori edizioni,
con più torza accrescendo il dire. Ruscelli guastò il testo
pur (|ui.
54, 1. Tema, esempio, e destino. Voce greca!
59, 8. Tutto, interamente. Altre edizioni hau tutta
92, l. Fiume, Po, che sbocca ilal monte or Vesulo, or
Vesevo chiamato, ed oggidì monte Viso, nella Liguria, e
parte deli' alpi cozie.
Canto XXXVIII.
4. Creso, re di Lidia, e Crasso, nobile Romano, ara-
bidue straricchi.
6 Eerciisse, percosse. Petrarca Tr. d. Fama 1. La
forma più s' approssima alla latina percussit.
•i. Ei'u là d e l man t 0 , alquanto più profondamente che
nell manto , cioè il cuore.
4. A m i s t a n z a , amicizia.
6. Macon, Maometto. T rivìg ante. V. XII, 59. 5.
8. Girone, fortezza, rocca, o bastione, che gira, cioè
circonda la fortezza. XLUI, 115. 7.
2. A r ci V e s co , arcivescovo.
1. Giro lucente, cerchio della luna, o cerchio stellifero.i
1. Alato, Ippogrifo. '
5. Discuoja, rimove le pellicine, le membrane.
6. Il giorno, la luce, e la ^ista.
2. L II e e , giorno.
6. Mota, mossa. Voce latina! Dante Purg. XXIII, 19.
6. Flesso, piegato, ^dce latina!
1. Gli, Poiché la Fama è il soggetto, pare che il poeta
abbia a\ uto in mente rumor , o simil nome , dimenticando-
si della voce adoprata. Altrimenti si dovrebbe riferirlo a>
modo nella stanza precedente.
7. Tra versando ecc. CainbÌEe,redi Persia, fece una spe-
dizione contra gli Ammonì, popolo della Libia a' confini
della Cirenaica; ma inoltratosi l'esercito per que' paesi
arenosi , fu da un \ ento furioso sepolto nella sabbia. Erodo. 3.
8. Commise, afiìdii. \oce latina!
7. Il calvo, la parte calva, dove non si può dar di piglio,
all' Occasione. (!f. XLV, 7. 5. Il crin, il ciuffo.
3. Arri se a, arrischia.
6. H e dire, ritornare. Voce latina!
3. Rassummo, ripiglio, io di nuova la somma,
5. S a m in o , sommo. '
7. Battro, città e fiume vicini al Caucaso.
7. Rottari vede qui scorreggiinento evidente, poiché, se
fosse, come dice il testo, Sobriuo argomenterebbe male,
volendo dedurre un peggioramento e sbilancio dallo stato
presente dell' esercito, non diverso pure da quello al co-'
ininiciar della guerra. Sospetta dunque, che 1' Ariosto
abbia migliorato il luogo nell' edizione del 1532 pressoché
a (|ueslo modo : E e li e sei contra d o d i ci sa rem o f
C h' altro s i pub sperar, eh e ti ir ii n u e s t r e m o '?
ina che (|nesta mutazione sia stata trascurata. Certo è, cho
in questo modo il senso è pio spedito. Aulladimenn diflì-
cile e poco credìbile pare tal trascuranza, e potrebbe sa-
narsi il passo o per mezzo di trasposizione: e che dodici
contra s l' i saranno, o riferendo saranno ad
Africa e Spagna. Perchè allora sarebbe pure propor-
zione inxersa; prima Hi: 8, ed ora 6: 12.
76, 3. Ter III in uto, fisso, stabililo.
77, 8. ./ cui — altiero, non gixU; e non sì pregia di servire,
perchè il duello era sialo consigliato da Sobrino, e do\'eva
por line ad una guerra, eh' egli vole\a continuata; o a
cui jVlars. non isdegiiu, per alterezza, di servire.
COMENTO SULL' ORLANDO FURIOSO.
i8, 3. Maggior canto, Iliade il 'Omero.
!6, 3. Fapaaso , primario sacerdote.
Canto XXXIX.
4. Jtibuff a, scompig-lia, dà la stretta.
h. Pe ri g l i o , [iruo\a. Senso Ialino.
6. Schiattisce, squittisrc, stride iiifcrrottamenle e con
voce sottile, acuta. Proprio de' bracchi, quaudo levauo e
seguitano la fiera.
]. differendo, sino alla stanza 66.
1. Lo — Monaco. Lo narra Bojardo.
6. La ventosa rabbia, il furor de' venti.
8. Pennesi, detti anche pon n est , coloro ohe fanno da
nocchieri, quando questi o dormono, o sono occupati in al-
tre faccende. \ . D u e an g e gloss. med. et inf. lat. v. p e n-
ncnsis.
6. Progne, la rondine. Ovid. Met. 6. Loquace, ùì pulcini
garruli pieno.
1. jfn l'o/ ta , in giro. XL, 24. 2.
7. Precessi, preceduti.
3. Tolte, toglie._
B. Santo, perchè, secondo a' romanzi, lasciata la moglie,
si applicii a vita romita, e santamente mori. XL, 76.
2. Nodi correnti, nodi, che si stringono ed allargano
a piacere.
4. ^ traverso, intorno al corpo d 'Orlando.
4. Rinfor zi , sforzi. L' edizioni antichissime hauono
ris/or zi, il che ubbiam credulo dover ritenere.
7. Meato, via. Voce latina!
3. A VP r op inq uogl i , avvicinogli. Voce latina!
1. Sileno, presso \ irgilio nelT egloga (i.
6. iV 0 71 molto, sino a XL, 9.
2. Lasso, lascio, guizzaglìo. XLI, 30. 6. la lassa.
4. Zebe, capre.
8. Farsi taglia, esser posti in libertà per prezzo, ris-
cattarsi.
7. 8. Cf. Dante Inf. IX.
7. Gabbia, 11, 28. H.
2. Tormenti, mangani, trabocchi, da scagliar pietre o
palle di gran mole.
C
XL.
5. 6. Portar — Egitto. Delti proverbiali. Saino fiibbririi ;
copia di vasi terreni. Atene ebbe molte nottole, Egitto mol-l
ti coccodrilli. 1
3. Divino, indovino; alla Ialina!
fi. Lag ri moro, lagriniarono. Forma barbara, usata!
peri) da Dante Inf. X.VVl, 31). XXXllI, (jO, da Ariosto trej
\olte.
1. Cadì, ministro subalterno della giustizia presso i Mao-
mettani.
3. Fai ari che, aste da mano e da macchina. Liv. IL I
4. Testuggini, gatti, arieti, strumenti da guerra,]
usali negli assedj e assalti. Gran parte di sitratle niac-i
chine ebbero il lor nome dagli animali, che furono veduti!
far ((U(!l, che si voleva eifetluar con queste. I
5. Tr a nn o si , si traggono.
(i. lisi, a\ vezzi, assuetatli. _ |
(ì. Si diede, si lancili, si mise. XLI, ,'Vl.
3. .tffrappa, taglia minnlamenle. Wll, 50. G. I
3. Ocnei, mantovani, da Ol-iio , fabbricatore di Mantova.,
4. Città di Dite, inferno.
fi. Moschi te, miiHchei , tempj de' Maomettani.
2. Usso. XXl, 4!l. I.
1. Deserta, abbandonata. Signilìcato latino!
4. Ludovico. Sforza, duca di Milano, dato in poter di
Luigi MI, re di Francia.
2. 1/ 11'' isola vicina, Lipadusa , o Lampedusa; v. 55.
H. Tra — fornarr, ira l'Africa e l'isola di Sicilia. For-
nace di I . è delld il monte lOtna. _ j
8. Pom}>r}n, dopo la sua disfatta ne' campi di Tessa-I
glia, ritiratosi appresso 'l'olummeu, re d' Egitto, fu da costui I
assassinato.
3. Torti, liiglierii.
5. Diminuto, liiniinnito , scemo, privo. _ i
fi. (iu e l che I ' ij g Hill r il l il fi ii , eh' ab b. f. : cioè,
stima, vali: a dire, pii'ila fucile.
6. Corregge, govcrou.
5. To rr e , arcrtlare.
4. lèi, cioè i ca\alirri. li a dell' edizioni posteriori è le
zinne guasta. Circonfusa, bagnala.
4. In ripa un fiume, in vece di a un fiume, o H'
Il II fi II in e.
5. I^iii vi canti, \L1, 2».
H. C 0 1 e i 'Ilio II dii, l''orlMna rapprcHciilala con una ruota
'i. St i III II l 0 s a , >ii'\iiìi)\iìì\lc , Min iiglio!<a.
3. (iiticii di s o II a g l i II , puerile, simile a quel, cli'é detto
inuHCUcieca.
C A N T » \IiI.
2, 1_. 2._ Intende il \ino. Icaro, figlio d'I"bnln,rc de' Lnriiiii, 1
in ipii'i leinpi iiiiii riimiiiie
17,
ancora. L'bbriacatisi uccisero il padrone. Luciano dial.
d. dei. 6.
3. Celti e Boi. popoli della Gallia e della Germania, i
quali tratti massimamente dal ^iuo s' ingeguaroao di passar
r Alpi, e di venire in Italia.
7. Tempo rio, inverno.
7, 3. 5. Impedissi, v. I, 9. 3.
9, fi. Gregge bianco, pesci. Il comparir de' pesci a fior
d'acqua, e corrervi e guizzarvi, è uno de' segni di tempesta.
Cos'i gi' interpreti. Ma gregge bianco son piuttosto
l'onde stesse, bianche di schiuma, che muggir son per-
ciii delti.
14, 7. Si lassa, si squarcia, si stacca, a' apre. Modo fer-
rarese, e forse lombardo !
15, 2. Tempestoso verno, impetuosa burrasca. XIX, 44, 3.
19, 1. Comito, colui che nelle galere comanda alla ciurma, e
soprintende alle \tle.
23, 5 ti. Parve — vento, che si pentisse della sua furia.
'Iminantineule . come ad ordine dato' spiega il Fernow ;
poco chiaramente.
26, 5. Tutt a la Ktoria, esposta nell' Ori. innam.
27, 8. Uopo, bisoffiio Dal lat. iips.
30, G. Lassa, v. XXXLV, 69. 2.
36, 4. Forse — arte, per aver il .sol matutino alle spalle.
4U, 5. Cf «9.
53, 5. j\a II 1 0 , nolo di nave. Voce greca e latina!
62, 5. Llto, \endicato. Voce latina!
63, 1.2. Fra — Brenta, parte del territorio padovano. Co// 1
ecc. eiiganei , dove arrìv.nto .Antenore con una compa-
gnia d' Eneti, popo'i di l».itlngonia, \i si pose ad abitare.
4. Ida, monte xicino a Troja.
5. A Scanio, lago e iiume della Alisia minore. Xanto,
fiume Scamandro, che nasce dal monte Ida.
8. Ateste, nome antico d' E»lc, cnslello del Padovano.
Frigio, perchè fabbricato da'Tcolaiii, popoli della Frigia.
65, 2. Signori qui. La prima edizione del 1516 forse me-
glio legge: voi signor qui, poiché Cario parla solo
al figlio di Ruggiero.
70, 3. A poggio ed orza. v. XIII, 15. P.
75, fi. Perchè, qui, come 76, 1. XL\I , 8. 6. è benché, an-
corché. V. Ci nonio osserxaz. il. I. il. 295.
83, 2. Cam aglio, parte dell' armatura intorno al collo.
Canto XLII.
5,8. Po poi la pili parte circonciso. Le squadre
spagnuole erano composte di molti Mori e di Alarrani.
fi, fi. Feggia, lieda. frri-ca. Dante Inf. XV, 39.
8, 5. Pie, zampa, v. XXIX, 10. 4.
6. .1 cui lascio la roda. L' edizioni del 150G e
1532 leggono alla coda. Trovano gì' interpreti gran
difficolta nella frase / a .s e j o r la coda, e un lelleralo
toscano dire, lasciare essere andar dietro alla preda.
Intanto tenghiamoci al senso letterale, eil è: a cui las
tori scappando lasciò indietro negli artigli la coda , che
r astor gli spetinii . o spiuinii nella zulfa, lo sparxier in -
vi do a causa della preda, o 8{o/(o, perchè ardiva di
azzulTarsi coli' astore
9,4. Trunco, busto dal capo diviso (10, 2.) , corpo senza
testa. Così proso Virgil. Ln. II, 557.
13,6. Occaso, morie.
20,2. I'' e d e r i g II P'ulgoso, .nrriv escovo di Salerno e \es
covo di Gubbio, e |i(ii cardinale, clii- andii rondoliirro dell'
armata sua patria conlro a Corrogoli. Il di lui fraiello fu
Ottaviano (22, l'i. doge di (Jeiiova, che pacifirii nel suo
governo tutte le fizioni, che di\ìde\ ano o ro\ina\ano quella
repubblica.
29, 6. If franto, spezzalo, indcbolilo. Dante Inf. XXX. 36.
32, 1. F. tanto pi ii ecc. CI. 1' Orlando inn.iinorato.
37, 5. F.inunto, smunto, esausto. Voce Ialina!
45, 8. />' l r d e iiu a I a g r a n s il r a a r.igione \ ien detta
(46, 2.) h 0 s r o a v v e n t ii r 0*0, essendo il te.ilrii fax olosn
de' romanzi e di libri ravallereschi ; rome si vede pure nel
dramma Sliakespeareanii Isiiou I i k e il.
3. Crebri , spesse. Voce Ialina! Dante Par. XIX, 67.
diede a' suoi mietitori
4. I) I l i br a , delibera.
fi. Libra, lancia niisiiralanienle ; alla latina!
7. 8. Sotto la cara 1 1 r r u , sotlerraiiei.
2. I II g e n i (ino, ingegnoso.
3. M II r III II r <■ . iiiorinori'o.
3 Con In borea aperta, ipinsi come cantanti la lodo
delle doline, clu- pori. ivano sulle spalle.
7. Poppirri, tori-Ili. torre di erra.
7. Intonili l'vbaldro. fcrrinse, nato 1163. + 1537,
di cui i sonelli. c.ipitoli e rime ptibblicaronsi u >lodeuu
IPIs. 4 \eiie/. 1Ì3». H.
8. ./(n. .So (/»/. f 0 , modenese, nulo 1477, \ 1547. sc(rre
lario di'l papa, e rardiiiale, di cui le opere si (•liimpanuio
Il \eroii.i niH. IV, ». l'iciro U e m b o , vcnexiano . nato
1170. I 15 (7.
8. .Infriso. fiume della 'reKsnpH.i. l'astore, Apol
line, che p.i>.rolo pli ariiieiili d' \ilinelo.
I. Isauro, fiume _ dell I nibria . rlie sborra nell" Adria
tiro vicino 11 Pesaro' og|ii dello la l'oglia.
COMENTO SULL' ORLANDO FURIOSO.
yO, 2. Insala, fa salse, versandole ne! mare.
5. f i a p i k ecc. Opinione derivata da Servio al Virff.
En. G, 25.
^0,5. Celio Calcagni ni, ferrarese, nato UT!) , f 15il.
il quale indovini) il sistema cnperiiicnno.
7. Xel ere. ne' regni de' Parti e de' Mauritaui indicali
coi nomi de' due regnanti.
92, 8. Il fiume ecc. il l'o. Ili, 34.
Canto XLIII.
8, 3. Tomo, tombolo, caduta.
11, 5. Fu fatta ecs. Intende di Mantova, intorno alla quale
il Mincio, ciie esce dal lago di Garda, ossia di Henacn,
si agcira e stagna. Fìnsero i poeti, che, distrutta digli
Ej.igoni la cittàdi Tebe in Beozia, fuggisse di li! in Italia
una ligliuola diTiresia lebano, diiuuiata M-mto, dalla quale
discese Oeno , os^ia tìianore, che fabbrico .Mantova, no-
minandola dalla madre, ^lura d e 1 1 a g. (ir. Telie , fn;;-
data da Cadmo, llgliuolo d' Agenore, coli' aiuto di alcuni com-
pagni, nati da' denti seminati del drago, che fu vinto ed
ucriso da Cadmo.
23, i. La giovane l e d e a , Elena, i'glia di Leda.
j. Uff erto, di prudenza da i-'allade, ricchezza da Giunone.
tì. O r a 71 p as t 0 r ■ — Ida, l'aride.
28. i. Morgana, sorella di \iarco, re di Curuovaglia, ma-
rito di Ginevra, la quale per aioiir di I^ancilotin non serbò
fede al suo sposo; il qual torto fece conoscer Alorgana al
fratello col bicchiere incantato.
32, 7. Le reliquie trojan e, i Padovani fuggiti dalla mano
d' Attila.
Zi,!. A s t ring e e lenta il morso, metaforicamente,
governa, regna,
.i. Occorso, incontro. Voce latina!
34, ó. Mulse, addolcì, adcsci). Dal lat. mulceo.
3(), 3. A si g r. agio, cosi in buon punto.
39, 2. Trai issa, trafitta. Dal lat. t ran sfix a.
46, 3. Donna, padrona.
54, 3. Cilestro, turchino, di elei sereno.
i*. Di T cai do ambe le rocche, castello ncll" estrema
parte della città di Ferrara a Ponente, sulla sinistra del
Po, fabbricato da Tealdo da Este , intorno all' anno B70.
5G. 3. Isoletta, Belvedere, a' tempi del poeta deliziosissima
per le sontuose labbriclic e giardini, e per gli animali ter-
restri e volatiti di molta rarità cheAlfouso 1 vi raccoglie\a
e conservala.
57, 4. Girata ecc. L' anno astronomico comincia dall' in-
gresso del sole nel segno d' ariete.
8. l'atria di Xausicaa, Feacia, paese fertilissimo
ed araenissimo, dove Alcinoo regnò, padre di i\. Omer.
Od. b. ' '
ó8, 2. (Quella — cara, V isola di Capri, dove Tiberio si ri-
tirò, e visse per quindici anni, ornandola di su))erbi edi-
lizi.
3. Esperidi, orti amenissimi in un' isola del mare at-
lantico.
b. Circe, figlia del sole, e maga celebre, che trasforinava
in bestie quegli uomini che a lei capita\ano. Odiss. 10.
Ara, porcile, da hara, voce latina.
59, 7. 7/ Krcnl figl. ecc. Alfonso 1 e padre d' Ercole II,
duchi di Ferrara.
CI, 5. Assorgo, mi le\o in pie per onore. D.il lat. assurgo.
Ii3, 3. Logoro _ strumento a guisa di due ale d' ucrell;) iu-
sieuie accoppiate, del (juale si ser\i\ano gli ucreilaliiri a
richiamare il falcone, ciie s' ingannaxa al \ederlo di lon-
tano, credendolo un pollo, o uu colombo olferlogli per sua
pastura.
5. Destro corno. Il Po Bipartiva in due rami alla stel-
lata; il ramo sinistro andava verso \'eiie7.ia, il destro \ers((
P'errara , a cui bagnava le mura; ed ivi si parlila ancor
esso, cojne fa tutla\ia, nel l'o di \'olano alla sinistra, e
nel Po di Priniaro, o^.-ia d" Arg<iita, aila destra. .Su qu(sla
ili distanza di sei miglia dalla riiià si trovavano due torri,
1' una alla manca , cliiamata di Oaibana, oggi ad ujo
di campanile; 1' altra a diritta, da cui quel luogo si dice
t o r r e della !<' o h s a.
72, 4. (t l piano , famoso leggista a' tempi U' Alessandro Se-
vero.
71, 3 — (i. Che discendea ecc. Intende i compagiii diCad-
nio . nati da' rienti d un dragr) (79, 7. H.), i quali fabbri-
caro» Tebe; da' quali discese Manto, madre del fonda-
lor di Mantova (97, 5 — Hj.
lo, U. Ti h '■ r i <i , sui'ce<Hor<; di Giu-linii Iunior),' , ri<'cliis^in)0
pei t ex o ri ereditati dall' anicc-cs-orc , pi-r quei ili \ar-
«ete ritrovali , e |ier gli acquistali nelle vittorie sovra i
l'ersiuni.
H. Isci — paterni, cede a' creditori, o vendctle tulli
i suoi beni ereditali dal padre. Modo di diri' volgare!
87, 5. 'folle il punto, coijlie il momento :i propitsim per
le osservazioni delle «Ielle e de' pianeti. Frace de^jli
astrologhi.
!!!?, 1. Spo;ilio. Altre edizioni han scoglio, in vere di tpo-
glia o pelle della H<;rpe, dir d aunu inauno ell.i mula. Di
questa coufuHiouv V. a X, 104, H.
s
100, 3. Pa t imo , patiamo.
'Mi, ó. A^s olla, esente, libera, assoluta. Asciolta, ^
sciolta son lezioni meno chiare.
102, 2. Tr a > rno , trajamo.
i(U, 4. Disbrauiare, soddisfar le brame.
107, 7. Un meo, pellegrino; propriamente colui, eh' avea fattoi
voto di pellegrinare a Roma.
100, 5. Sitire, appetire, desiderare. Voce latina!
112, 3. Derrata, quel che si contratta in vendita.
114, 2. il/or te, ultima disgrazia. '
117, 3. Dolo, frode.
124, 2. C 0 /« 7/1 esse, commise. Così 4. tn esse per m is e.
132, 8. A quello, a paragon di quello. 141, 8.
133, 1. Dìpanni, d' arazzi. Questa è emendazione di
Uottari della ^oigar lezione corrotta, benché mutata nella
stampa del 1332: panni di razza, in vece dell' origi-
naria: tappeti di Razzi. Perchè razza non si trova
mai per arazzo, eh' e panno tessuto a ligure, così detto
dalla città d' Arazzo.
138, G. Ad affermare, cioè continua, segue. XVI, 70. 1.
139, 7. Merito, ricompensa, dono.
145, 7. U irò ne, mura in giro. X.WX'III, 20.
14U, 5. i''«/o, villetta del "Ferrarese, sulla sinistra del Po di'
Primavo , da sette miglia sotto ad Argenta, due ore dalla.
Bastia. V.i cinque cauti, v, ;59. e la sat. 1.
147, 5. Cavallari, guide di cavalli, corrieri.
6. l'asso oltre, senza fermarvisi. La lezione A Ri-.
mino p asso è corruzione del poeta.
149,3. La prima edizione legge E dalla foce, ehe'L
Metaurofeiìde. 11 Gdiino, forse uu piccini lìume,
eh' ofa ha perduto il suo nome, o gli è stato guasto dagli
abitanti. 11 poeta lo levi) senza altro da uu passo dell'
itinera-rio di tJiulio Ila Bologna 1' anno lóflb, descritto dal i
cardinale Adriano: hinc (da Cagli) ad aquas Lanias por-
reximus , un d e Me t aiir n s confusus Gauno Fo-
rnii spectacula p r a e b e t. Fu rio dunque è quel
monte, eli e il M. e il U. fende, di modo che in vece,
d' o forse si abbia da leggere e.
! _ T. AH a citta d e ecc. Trapani in Sicilia. Virg. En. 3. '
153, 3. Alte frutta, alla conclusione.
IGl, 8. Ogni modo, in ogni modo. Il latino omnimo do.
Ibj, 3. Damino gira, secondo Bojardo li, li. la capitale del
regno di Braadimarte.
1 165, 3. ^llt r et t a ut 0 , ugualmente.
I b. M on t e , Mougibello , o Etna.
' 1G6, 3. La taci tur ria diva, la luna,
ini, 5. ^ el rorn. f. a ss. Curzio, che si precipitò in una \
voragine apertasi su! foro romano.
I G. t'of//o, ullimo re d' Atene, che per salvare la libertà
i del suo popolo, si fece ammazzare da' Boriesi, nemici.
Giustin. 11. Argivi, Greci
175, 2. Le circosiauze della funzione si accomodano meglio al
funerale fatto ad Ercole 1, duca di Ferrara, padre del
cardinale Ippolito, morto nel gennajo del 1305.
ITO, 4. Compassi, spartiiiienti.
179, 5. S affusi, sparsi, bagnati. Voce latina!
IHO, 4. Strutti, consumati, abbruciati, arsì,
li''!, 3. Eie isonne, misererò nostrum. Greco!
182, 4. 1 71 narrare, impegnare, incaparrare.
184, 4. Gal e rana, ne' romanzi delta Galeana.
184, 1. Attrita, consumata.
' 5. G. Isola, ecc. Sicilia. Eu. 3.
195, 4. Ora, prega. Voce latina.
i l). Morta gora, canale d' acqua morta, o stagnante.
I Gora ha r o larga.
' C A X T o XLIV.
8, 2. li" edizione milanese del 1814 c(hi manifesto crror legge
string e a n o in v ere di stringe v a.
Ì2, i. I m perat or , di Costantinopoli. Questi depose Irene
sua madre, e nel primo anno del suo impero fece guerra
I co' Bulgari, e restii vìnto.
15, 7. Della invece di alla.
118, 3. A oto, propriamente vento di mezzodì, qui vento sem-
pliceii'.ente.
21, 7. Uterino, dell' otre. Parola creata dall' Ariosto, della
I quale r anfibolia con f|uella derivata da utero, facil-
intMite potrebbe esser evitala con iscrivere aterina, poslo-
! che fosse necessario.
23, 4. Tamaro. V. a \L, 12. C.
2(i, 5. Sozia, compagno. A oce Ialina.
33, G. Mimi , bnironi.
34, 2. l'ifare, pilferi.
7. l'i'r .1 ti n <i g g i , mascìierate , farsi;.
37, H. Manchi un jota , cioè min nill.iba; come Mail. 5
51,2. Che i- superlluo, benché tutte 1' edizioni 1' abbiauii
Qu.iiiliin<|iii' sì possa dire superslizione il lasciar iiiialto il
tiMo in simili c.isì. dall' altra parte iierij nou_ v' è cagione,^
perchè non si perdoni ad un genio così eminente un lieo
che inoltre ocrorre plii volle :'v. V, 27. H. XU, 47. 5. XIl
27. U. \VI, 29. i. ;\\\ MI, U3. 5. XLIII, l'^t. 3. Cf. Citi«-
nio osservai, p. Gli.
COMENTO SULL' ORLANDO FURIOSO.
". J n qu e Kto — ragiono, ne' matrimonj.
'-. 0 (/io sa, avversa , e nemica.
. J. (i. Sì, cine rara. A ma tur di Troja, Paride.
7. Pir itoo , disceso con 'l'esco all' inferno, per rapire
J'ioserpiiia, fu ucciso e ?:raccialo da Cerbero.
.'■). Sia, d' Angusto divo, si cangi d' Augusto o im-
eratore, qual era, in dio. Allude con questo all' adula-
/idiie dctfli antichi Romani degenerati, di canonizzare o
iiiimnrialare i loro imperatori.
:>. Liocorno o fu 1' insegna di Foresto d' Este
Pigna stor. 1), o da' pri;:ci))i estensi anticamente usata;
-cnlpiia inoltre in più luogiii pubblici di Ferrara in marmo
ne capiiclii e ne' basamenti ili colonne e di jiilastri di an
lieo lavoro, e d' opera degli Erteusi.
, .;. Pro ', valoroso.
'. Pannovhia, spiga. Gambo, stelo, sul quale si
reggono le foglie, i rami deli' erbe, e delle piante del
jrdiio.
óT Sirocchia, sorella.
C A ^- T o XLV.
, a. Policrat e , tiranno di Samo , fortunatissimo in ogni
impresa, ma alfine viato , pre>;o, e morto iu croce dall'
armata di Dario. Re di Lidia Creso.
6. Dionigi, tiranno di Siracusa, ridotto a far il maestro
di scutda.
(j. Mario, e J'ev lidio, che di servii condizione furono
sublimati alla suprema di re e di consoli.
8. Luisi \\\, re di Francia, padre di Renata, moglie
d' Ercole d' Este, primogenito d' Alfonso 1, duca di Fer-
rara.
8. (ili rlan l' ultimo spaccio, lo distruggono ncci-
dcndo. S j) a e e io e n pace i a re corrispondono al francese
di' pèdi e e d èpe (Iter, e pajono allini a. spedire,
dal latino ex p e d i r e.
9, ."{. //' aquila dell' or, V a. d' oro. Petrarca P. 1
ball. 4.
1, 1. Baròarn, barbero, corridor cavallo di Birberia, che
serve per uso di correre il palio. Jilosse, luogo, donde
si muovono a corsa i cavalli, che corrono al palio.
'fi, ti. Fra gnu, frang.i.
l2, T. H. (ì a e l ecc. Pegaso.
i:j, 1. CU laro. Ariojie, cavalli famoi^i, 1' uno di Castore.
1' altro d' Adrasto.
OD, 7. Sez'^aja, ultima.
O'i, 5. Cimmerie grotte Cimmeri popoli dell' Asia, vi-
cini al Bosforo sulla jialude Meotidc , ogfri tartari preco-
pensi , i quali per V aria cra-<sa e per le dense esalazioni
iiinolose rare volle veggono il sole.
(i. Xot turno, il dio della notte, di cui fa meozioue
Plauto uell Anlilrione.
Canto XLVI.
1, 1. Carta nautica.
i, 7. I ero II leu di C'amberà, bresciana, confessa di
(NirrcpgiOj airczionalissinia imitatrice del Hcmb't, ed una
delle migliori poetesse d' llali.i, jiata 14Hj, •[- ló.iO. Le di
lei rime si pubbliciirooo Hrtsr. 17.')!). H.
H. Santo a o ilio euro, le innsc , alle quali era sacra 1"
Annia, provincia montuosa della IJcozia.
4, i. Trivulzia, milanese, vergine che di 14 anni inno-1
minciì» a rendersi celebre in poesia. Sacro speco,'
bpelonca di Delfo , dove la «ibilla, investita dello spirito!
di Febo, dava i suoi oranili in versi. '
1. Kmilia Pia, niento\ata nel (.'(irligiano di Castiglione. |
5, H. di uè era M alai est a, consorte del cavalier itegli 1
Obi/zi in l'errar.i , celebrala dal 'l'asso, che alci dedicii|
anche il primo libro delle sue rime. _ i
G, 3. Ilici era, Ruliinine, finmicello tra Ravenna e Uiiuini.l
allora il termine dell' It.ilia. i
7, 1. Signor di lìo-.olo, l'edcrigo Gonzaca, cognominalo'
da Hoziilo, castello po'^lo sulla sinistra riviera tlelT Ogiio ; {
valoroso capitano e nelle gaerre di Fr.mcia famoso. |
"ì, \. 'l'or elle: li e u t i i< o " l i e \ l i s e o u t e ; l'al-
lavicine, nobili donne bolognesi e mil.iiieHÌ. i
,1. Giulia t; i> ii-.u gli , moglie di \ e.--p.isiano , figlio di.
Prospero Colonna, donna d' incompareggiabile bellezza, i
tanto che Coradinu H,ii li.iiossa , capitano dell' iirnial.i de'
'l'orchi pensando piglili la, per farne regalo a .Solimano,
mandi) le mie gì nli .i 1' li, dov' ella dimorava, lauto che-
tamente, di' idla appena si potè salvare, salendo in
camicia sovra un cavallo.
5. Il a e ugnata di (iiiilia (i. era Isabella dalla (/olonua,
moglie di lai'ici Cazcdo.
8. Per chi. V. al \l,l, «.'i. (i. '
8. .Innad' .Iragnn, Incedei l'auto, moglie dell
illustre Alloiiso d' \valo, e ligli.i di Frrranlr il \r.igoiia,
figlia naturale ili l-"erranle inigginro, do<-i di Muiiliillo.
.'I. La non llii, d" Anna d' Vragona era (.iovaiini, ino
glie d' Ascanio dilla Colnnna.
;>. He co ecc. Disegna la divina Colonna, inarchrNa di |
PcMcara, la prima delle poetecso ilaliaiie ri. \.\.\\ll I
10, 8. Bernardo Accolti d' Arezzo, primo segretario della
repubblica fiorentina, celebre siorìco, e grandissimo iii:pTii\ i-
satore, per la mirabilità del suo ingegno chiamato 1"
unico. Fioriva circa il 14^0, ma arr^iriinn ai tempi d'
Ariosto. ì\e sou piene le carte del Cortigiano di Casti-
glione.
11, 1. Benedetto il nipote, cardinal di Ravenna.
3. Card. d. M., Ercole, fìgliuol dì Francesco Gonzaira.
che fu 1" ultimo de' marchesi di Mantova , e frate! di fe-
derico primo, duca di quella città.
Campeggio, Ivorenzo C. bolognese, dottissimo nella
ragion canonica e civile; crealo cardinale daCIeinenic \"!I.
12, 1. Lattanzio e Claudio, ambidue della famiglia de'
Toìomei di Siena. Claudio, saiiesc, nato 1402. ■}- 15.')4,
cerei) d' introdurre nella poesia Milgare i metri latini e
greci ne' suoi Versi e regole della poesia uuova. lloin.
1539. 4.
2. Paulo Pan sa. Genovese, scrisse versi latini molto
lodati. — Pressino, a Giangiorgio Trissino, vicen-
tino, nato 147P, -j- 1550, scrisse 1' Italia liberata da' Goti in
versi sciolti di cinque piedi, servilmente imitando gli
antichi. Rom. 1547, e Yen. 154B. H. Sofoiiis be, trage-
dia con coro all' euripidea, 1 simili ini i , alia plautina,
opere pubi, da Se. Matfei. Ver. 17'i!). 11. fol. — Latino
lu V en al e , cortigiano famoso al tempo di Leone X, e di
Clemente VII.
3. / Capii api, Lelio ed Ippolito , fratelli. Capiliiporum
carmina et centone» es ed. 1. Castulionis. Rom. 1590. 4.
4. Sasso, Panfilo S. da Mnden i , poeta in lingua vol-
gare e latina. — Molza, Fr. Alar, modenese, natol4i?9,
•j- 1544. V. Poesie volg. e lat. colla \ita dell' aut. da 1*. .N.
Serassi. Bergamo 1747. Cf. XXXVII. Fior ian Mo ntino
scrisse versi.
7. Giulio Camillo Delminio, furiano, originario di
Delminio in Dalmazia, circa 1540, morto non avendo ancora
compiuti treni' anni.
8. 37. Antonio FI a m in io da Scrravallc , nato 14n8 . }•
1550, di cui le lettere (Hol. 1744. 8.) sono iinportnntì per
la storia del suo tempo. Scrisse inoltre una parafrasi de
salmi, Ven. 1545. Halle 17»5. 8. ode oraziane, ed elegie
tibuUine. Opp. Fani, 1515.8. Carin. 1. 8. ed. F. M. \Iancnr-
tius. Pad. 17'i7. 8. — Song a, sottilissimo cileraiorc, e
grato molto a Clemente VII. — Berna Frane, canonico
della caiiedrale di Firenze, poeta facetissimo, lainpa-
recchiano . nato 1490, j !53l).
13, 1. Alessandro Farnese, papa Paolo HI. grand" ama-
tore de' letterati. Fedro da Volterra, familiare del
cardinal Pompeo Colonna, fu insieme con Camillo Por-
zio professor dell' elmiuenza romana.
4. Filippo, bolognese, da Leone \ ricevuto nell' intima
familiarità , e custode della biblioteca xaticana. // v o l-
ter;-nn 0, Raffaello, uomo di grandissimo studio edi vaste
cognizioni , che tulle le discipline in uu tomo'Taduno.
Maddalena, cortij^ian famoso nella corte romana, di
finissimo gusto in poesia.
5. Biasio Palladio, sesretario di Clemente \ II, dill Arioso
ili una dellcsues.ilireìi;niieratii fragli eccellenti poeti, f» <-
no, gciililiiomo di Uellniio, pro-nlorc e poeta.
5 / t,.' fi, cremonese. Ulto Uf7y I llti'j, v escovo d \Iba,
l.'iS'i. Scrisse de arte poetica 1. 3. l.V^7. ed. Klolz \ltenb.
17UI). 8; de bombvce I. '2. 15'27 ; de ludo srac-hornm , l.i'ii.
e. coinin. L. \N ièlii Argentor. l(i:U. 8. ilal. di (".(JiMzinn,
lliOl 4 Cliristiadiis 1. (i. Crem. 1531. 4; Piieni.ua. Unni.
ì\l{ 4 ("rem. I.'),'^i0. 8 Lyon 155», Ili. 0\f. 17'i'2 : cur. \ iil-
VÌis,'Pad. 1731. 11. 4. cor.' il. Uussel. Lond. IV-Vi. 11. Vi.
7 Lasca ri, (novaniii, rindacheno, f l.il). dciiiissimo, che
fuggendo larine degli Ollomanni si era ridono in Italia,
dove tu benigMantcntc accolto da Lorenzo Medici, e man-
dato poscia da Ini per unta la (Jrecia, per cercare cmlni
degli antichi autori greci. Piibbli.i) 1' VhIikotui H!U : de
veris gr. literar. raiissis ac forinis ap. aiilii|ii'is. 1 ar. l.i-'K..
8; epigraminala er. et lat. Par. 1.")'.Ì7. 8. 154» 4. — ilo-
suro. Marco, cretese, naio 1131, •• 1517. p.ii la e lelKin-
iiiibblico neir iiniversil.i di Padova; po>cia alla cor'e di
Lnine \, e arcivescovo di ll.ifusa; per bramar troppo iv i
d.inuMile il ca|)pello cardinaluio s' infermo, e pochi ifiori.i
dolio averlo riciviito mori. — \ a v a g i r i> , \ndrca, vi
iieziaoo, nato IWl, | l'jl'.l Dpi' <^"'' '• ^- ^'' ^"•'i- ^ "'l'"--
Pad. 17 IH. 4. . , , ,.- , ,• ,
8. WiiH(JCi) Severo, Don .Severo da lircnziiola di Loiii
bardia, monaco beneiletliiio dntlo.
l», 1. .1 1 1 sxii II d ri , Urologi, padovano,
ferrarese, lellrrato e poeta.
3 1/<iri.. d' lllrito. F.iunciila , dello Dlv ilo dilla patria
mia hit nata nel regno di N.ipoli, dimoro iu corte del inarclie-
HC Federigo di Mantova, e >rris«e ha le altre ro-e Natura
li" amori'. // fina'"" '' ' ' principi. Pidro \tv
lino , nato M9'i, \ IJlili. fiiinoso per la sua slaccial.igpnic
ed iiiMiilinza letteraria. _
5. Duo J croni mi . (Jlrolailio \ erila , \ erone«e ; e iuro
liiino Cillailini, poeta.
7. .il a inardo, medico ferrarese. A» o me no.
G II n r i n I .
Nicoli
COMENTO SULL' ORLANDO FURIOSO.
\icentino , nato 1429 , f 1524 , professor padovano e ferra-
rese, scrisse Errores Plinii et alìorum , qui de simplicibiis
inedicinis soripseruiit. Fcrr. 1492. 4; Lib. de morbo gallico.
Mil. 149T. Veu. 1497. 4
y. Celio, Calcagnini , ferrarese, nato 1479, f 1341.
\d, ì. Bernardo Capello, gcnlìluomo veneziano, poeta
in lingua volgare. Pietro Bembo, v. XLIl, 8(). 8.
b. Gas-par o Obi zzi, gentiluomo padovano, amico di
Bembo.
7. Frac a. 1 toro, Girolamo, veronese, nato 1483 (?) m.
1353. medico, e poeta eccellente, immortale per mezzo del
.suo poema .«yphilis 1. 3. Veron. 1530. 4. Lond. 1720. 4. V.
Opera. Yen. lojó. 1574. 1584.4. Lyon 1.591. 8, Bevazzano,
cortigiano famoso a' tempi di Leone X e di Clemente VII
H. Trìfon Gabriele, veneziano, Socrate de' tempi suoi,
e giudice iluissiino letterario. Tasso, Bernardo, ber-
gamasco, poeta slimabile, nato 1493, j- 15(i9 scrisse Ama-
digi. pubbl. da L. Dolce. Vin. Ió(i0. 1581.4. Berg. 1755. IV.
12^ Rime Ven. 1537. 15G0. 12. Berg 1749. II. 12; Lettere.
Ven. 1.565. II. 8. Pad 1733. III. 8. Itagionaraeuto della poe-
sia. Ven. Iófi2. 4. Fu padre di Torquato.
16. 1. Xieolb Ti,Kt,oli, seuator veneziano, di grandissima
autorità, ed uno de' primi riformatori dello studio pado-
vano.
2. ISiccolo A ma 71 io da Crema, gentiluomo e dottore.
3. Anton Fui g oso, genovese, capitano di mare.
5. f alerio, Gian Francesco, gentiluomo veneziano, sen-
tenziato a morte per tradimento ; nimico delle doune. V.
XXVIII. 3.
7. B a rign an, Pietro, da Pesaro, cortigiano in Roma, a'
tempi di Leone X.
17. 2 Fico, Giovan Francesco, nipote di Giovanni, principe
della Mirandola, quasi sempre in disturbi e tra\agli, ami-
cissimo nondimeno delle lettere, nato 1470. f 1333. Opp.
^ en. UPK. Argent. 1504. Basii. 1537. 1573. lUOl. f. Alberto
Fio, ijignor di Carpi, esperto nelle armi e nelle lettere.
T Già e. Sannazar, napoletano, nato 1458, f 1330.
Opere Pad. 1723. 4. Ven. 1741. 1752. II, 8. Opera. Ven. 1539.
1570. 8. Pad. 1719. 1731. 4. 1751.8.
18. 2. Fi stofo/ 0 , Bonaventura, segretario del duca di Fer-
rara.
3. Gli Acciajuoli, tre Fiorentini di questo nome vi-
veano nella corte ferrarese, quando l'Orlaudo si ristampò
nel 1532.
4. Annib al Malaguzzo, fratel ciigino del poeta , a
cui sono indirizzate due satire dell' Ariosto.
7. Nativo nido, Reggio.
8. Va Culpe agi' Indi, dall' occidente all' oriente
19. 1. I ittor Fausto, greco, che sovrastava alle galee
dell' arsenale veneziano.
59, 1. Egeo, re d'Atene, sollecitato da Medea, sua moglie,
stette per avvelenar Teseo, nato di lui e d'Etra, nonravvi-
sanÉnlo (ler siioliglio; ma se ne astenne al vedergli al fian-
co quella spada, eh' egli medesimo ad Etra lasciò, perchè
l'avesse quel lìglio . che nascerebbe da lei.
77, 6. Lito trace, Costantinopoli.
78, 8. Messi stigi, demonj.
80, 3. Terra d' llia, Troja.
6. Cassandra, figlia di Priamo, che da Apolline ebbe il
dono di vaticinare.
82, 3. Sinon, Greco , che mosse con le sue astuzie i Trojanì
a ricevere nella città il cavallo di legno, e ne segni poi I
sorpresa di Troja.
83, 6. Mar leucadio, parte del mare ionico, dove Agrippa
fu principal cagione della vittoria di Ottavio sopra Antouitf'
e Cleopatra. *
84, 4. B i san zio , dipoi Costantinopoli
85, 2. Una, regina, Leonora d' Aragona, figlia diFernando,
re di Napoli, moglie d'Ercole 1, duca di Ferrara , e madre-
dei cardinale Ippolito d'Este, a cui l'Ariosto dedicò il suo
poema.
88, 3. A' panni , appresso.
4. Nel palagio, in pace. Nel padiglione, in
guerra.
0. f/iiel re possente, Mattia Corvino, re d'Ungheria,
marito di Beatrice, sorella della madre d'Ippolito, che
portò il nipote di 10 anni non ancora compiti all' arcives-
covo di Strigonia.
39, 3. Fusco, Tommaso, maestro, e poi segretario intimo d'
Ippolito.
)1. Dopo questa stanza si legge nell' edizione del 1516 una
stanza, che nella ristampa dell 1532 non si trova:
(iua con molV arte e con pih forza lotta,
E con robusti giovani s''afferra.
Par cW abbattuti già n' abbia una frotta,
E s'apparecchi a poner gli altri in terra.
Là par , c/t' egli abbia più rf' un' asta rotta.
Armato in simulacro d'aspra guerra,
A pie e a cavallo con ugni arma destro.
Di tutti gli altri e principe e maestro.
94,2. Duca sfortunato dcgl' Insubri, Lodovico
Sforza, duca di Milano, deposto da Luigi XII, re di Francia,
95, 7. 8. Del no ine ecc., padre della patria. A Ciceron ,
dopo la scoperta scongiura di Catilina.
97. Dopo questa stanza ve n' ha una nell' edizione del 1516,
soppressa in quella del 1532:
Vedesi altrove , che non pur conserva
Ferrara, ma il dominio le proroga.
Assente Alfonso; e quando la proterva
Barbarie intorno ogni città soggioga, '
Franca la tien fra tutta Italia serva;
Ma quante armato, e quante volte in toga
Ippolito si veggia a fatti degni.
Lungo fora a cercar per tutti i segni.
106. 1. Fellonia, infedeltà.
109, 4. Sozze, vili, mendaci.
6. Lunghe, indugi, ritardi
[120, 5. Fattura, malia.
136, 2. Fannoni, Ungheri.
ì
Mo z ce, tronchi.
COMENTO SUL TASSO.
tìf II privo h'VUERO ARABO DIKOTA LA STAKZA , IL SECOKDO IL VERSO. IL CASTO E SECKATO COS VU3JEB0 R03IAS0.)
C A TV T 0 I.
, 1. Il capitano , Goffredo Buglione, duca della bassa Lo-
rena, donde, arrolato^i nella crociata, parti con numeroso
esercito li 15 d'Ag-oslo 109G.
, 5. Cf. Lucrezio 1, 935.
,4. A b» or to , dal lat. aisorjttus, in vece d'assorbito,
è senz'altro la lezione la più antica, giacché prossima al la-
tino.
3. Trace, Turco di Costantinopoli. Anacronismo!
, 1. Sento. IVon erano propriamente che ^1 anni, dacché il
cristiano esercito si trovava in oriente. Kicea fu il punto
(l'unione.
3. Xicea m Bitinia, assediata da' crocisegnati li 14 di
Maggio 10!)7, presa per capitolazione li 20 di Giugno, e
ceduta all' imperatore Alessio.
4 Antiochia, assediata da' 21 d'Ottobre del 1097 sino al
Giiigno del lOflS, nove mesi dopo presa.
7. Tortosa, città della Slriii, a nove miglia da Tripoli,
anticamente Antaradus ed Orthosia ; l'ultima piazza jiresa
da' cristiani in Soria prima di passare a Gerusalemme.
, 5. Cf. Virgil. En. (i, 577.
, 8. Mette in non cale, disprezza, trascura, pospone.
4, 8. Adeguate, equabilmente stese.
i, 1. Il fat t o , <|uel ch'è stato fatto.
9,2. Piero d' Amicns in l'icc;irdi'a, detto l'eremita. Kel
^°|4 ebbe varie conferenze col patriarca Simeone a Ge-
rusalemme, offerendosi a portar lettere al papa Urbano 11.
ed ai principi cristiani , per eccitarli a liberare dai Tur-
chi la terra sant.i. Tornato in Kuropa predici) la crociata,
e divenne nel lODiì capo di circa 10,000 unmini. v. Luden's
aligera. Gcschirhte der Vòlker u. iStaatcu. Voi. 11. P. 2.
p. 2:0. (Jcu. 1W2. 8.)
2. Sant' aura, inspirazione divina.
li, 1. Mente, qiial e descritta in questo passo, è la memo-
ria; la quale essendo, secondo una idea mitica più secon-
daria, madre delle muse, si vede, che questa invocazione
equivale quella della musa.
b. 7/ primiero, Guglielmo, vescovo d' Orange.
7. Foggio, l'uy in Linguadoca. L'altro, Ademaro,
di cui V. Liiilen 1. e. e. 252.
2. C 0 n t e d e' Carnuti, Stefano, coni t e deChartre».
:i. Lat i no , italiano. Di questa genealogia v. XVll, 79.
9. HI, <)3.
3. dente, i Bavari e Reti.
1 . La g en t e e a n d ida , i Fiamenghi.
5. Isolani, Olandesi.
8. fjn divina ecc. v. \'irgil. egl. 1, Cfi.
7. iJ i breve vista, nato in un breve momento.
(5. Campagna, ('ampania, oggid'i Terra di Lavoro, dis-
tretto del regno di ^apoli.
8. Jl Tirren mare, parte del mcditerraoco, che bagna
il lido occidenlaN; d' Italia.
2, 5. Ar^o, naviglio di Giasone, per conquistar il vello d' oro.
Mini, popoli in Tessaglia, qui argoiiiiuli. Artii, re
mitico di llretagna, autor dell' ordine della tavola toinlii,
o de' cavalieri erranti; ampio soggetto de' romanzatori.
V. il discorso <r\ riosto.
3, 1. Consa, riiiìi ilei regno di Mapoli.
3, 3. To«co, Toscano.
5. Chi — prede, colui, che raccoglie avidamente cose
ed atti raeniorablli, cioè l'iNioriro.
8. / ;i r«i tT.c, insegna ile' duchi di Milano.
J, 5. Matilda, contessa di Toscana v. \\ II, 77.
p, 3. Egeo, Archipeliipo.
J, 2. Capa Ileo, un ile' sette capì della guerra Ira Polinice
e il suo fratello, Kteorle.
J, 3. Arneac, lorlezza. Dante Inf. \\. 70.
1, .•>. a II a K l a t II r i , colorii, die In un l'serrilo nrcnmndann
le strade, l'anno fortilica/.iiini ed altre nisr , dorriMii ne'
versi Hcgiieiili. V. aflinr l.i narula alle latina vastun,
donde vuoto, ed alla ii'drNrlHT iviist, iidr.
i,b.J}cgli — re, il Po, tluviorum re» Eridauus. \irgil.
Georg. 1, 482.
77, 1. Seir, 0 Edom, monte presso Tripoli di Palestina.
k'i, 8. Fa V e , teme. Voce latina pav et.
61,
62.
Casto II.
1. Jl/ffl con p, Maometo.
5. ]\ o V 0 error, furto della santa immagine,
ò. Argo di cent' occhi, custode d' Io, amata da Giove.
Ovid. Met. 1.
4. f'enia — i n for n e, comincio a dubitare, o sospettare.
4, Alleno, corrobori) a durar fatica e ad acquistar lena.
4. yl nona, un poco avanti mezzodì.
1. A lete. Si dice, che in questa persona il poeta abbia
voluto descrivere Giambattista l'igna, segretario del duca
Alfonso II, e suo nemico.
4. Benché che sia evidentemente relativo a modo, il
soggiuntivo portino pur mostra, ch'è stato trattato da par-
ticella, o congiunzione; il che punssi giustilìcare con la
modalità od incertezza di quanto vieu espresso col verbo,
o col senso.
0. Segni d' Alcide, termini d' A lei de presso
Ariosto XLV, W. colonne d' Ercole, Gades, termiiii del
mondo agli antichi, v. l'annot. a W , 22, 1,
4. Cassano, re d'Antiochia. VI, 56.
7. Le vie del mare.
8. Chere, voce latina qua erit , chiede, domanda.
1. Atto pur di Fabio, ambasciatore romano nel senato di
Cartagine, descritto da Livio e Silio Hai. 2, 3b2.
5. (^ nel grande, Xabucodonnssore.
1. Imitazione di Virgil. Kn. 4, 522.
(i. In vece di profondo altre edizioni leggon gi^'
condo. Forse più elegantemente.
C A X T O III.
1. Morso, freno, governo, regno, moderazione. XTX, 97,8.
4. Cariddi, voragine nel golfo rintrctto tra Ueggio e
^Messina, ora Galoforo.
7. Suono può esser ordine ed armonia, o piuttosto co-
mando.
2. Sri n g u in n s i è la lezione delle migliori edizioni, e
della Gerusal. ci)ni|iiist. IV, H.
, 5. Erminia, liglia di Cassano, divenuta poi prigioniera
di Tancredi.
6. Esempio, immagine.
7. Colei, ecc. \. I. 16. s.
8. Une, d'amor e di vita.
5. 1) i s t i n g u e v a , esponeva minutamente. IV, 26. 7.
, (i. Celeste, azzurro.
, 1. Imitazione di \ irgli. En, IIII, G88.
, 8. S t ra i , strali.
,6. Talento, volontà, desiderio.
, 2. Feliee, perchè ('risto vi fu battezzato.
5. He tei, lontana da Gerusalemme 12 miglia, chiamata
anche Luza.
, 1. Ho e mondo solo Ira i duci ctociscgnati non si mosse,
né mandi) truppe a (ìerusaleinme.
, 3. Cittadine uscite, uscite de' cittadini.
, 3, Oprare, adoprare, usare. A r m e )' u t a l i . arme che
temperano, e iinpelrano il fato felice degli uouiiui, cioè
preghiere.
5. /iji p« ro , preparati. Concetto tuttavia alquanto sin-
eiilari-, r pcirii convenevole!
7. Tu di vittoria annuncili, cioè »el. .M>biamo
Hililiillalo questa le/ione, non o-t.inle che nella Geriis.
riiiii|ii I III, 77. si II iiv i III tu vittoria annunzia,
perchè ■incora in i|iiest,i sos|irlliaino una sviata de' copisti,
che a\ rrlibrro ilov liti) srriirre scn/' altro tu la vitto-
r i n a u n 11 11 i 1 ; a t e d i v n I i. l-'.icilc er.i i|nella sv isla
a caliga del coiicorsu delle vocali. Il si'nso ilcH' annuii
zia non è CDinodo. A chi doveva .iniiuii/iar l.i vìtloria
non aci|iii<lala aurora 7 \l rieln pur no / Ma l.i sua innrle
era iiiiii/i.i. pegno, niigiirìn. rinè nroniellrv a la > illoria liilura.
In qiivsio iniiili) la Miig.ir, Il r aii/.ian I le/ione dtco lo «tCkto, e
putvv* il poeta kcnza Mcrupulu omelleri: «et.
COMENTO SUL TASSO.
Canto TV.
1, 1. 5. Donde nacquero le lezioni: ment r e fan questi i
bellici 8tr omenti , e: e l or reagendo alle
beir opre intenti, nnn sappiamo. Sembrano corre-
zioni indifferenti e intempestive di chi o spiegava mal
opre, che son qui macchine, fabbriclie d'assedio, o cre-
deva di dovere spiegare parolachiara, ed era poscia costret-
to a cambiar il verso quinto.
6. 11 verso è malconcio. Forse dovrebbesi leggere: re-
fion del cielo il folgore piomba, se non offen-
esse cosi il p io m b a.
5, 3. Se il le, mostro marino a sei teste, intorno la cintura
de' cani. , , . , »
4. Pitone, serpente spaventevole, che perseguitando La
tona, fu ucciso da Apolline.
a. Folife mo , di INettuno tiglio , ch'avea un occhio in
mezzo alia fronte. Gerione, re di Spagna a tre corpi,
ammazzato da Ercole.
P, 2. Mongibello, Etna.
20 1. Damasco, città della Soria, il cui regno confina colla
Palestina.
22 1. s. Nella Gerus. conqu. V, 22. sta cos\ : Ma perche il
' valor franco ha in grande stima, Ui sangui-
gna vittoria i danni teme, Eva pensando ecc.
26, 5. S'esso, oesto, se questo; lo che chiosando altre
edizioni se ciò.
7. Distingue-, espone, siiiega. Ili, 28. 5.
29, 3. Ch' or. Cosi si legga ; che quel ed volgare, ch'era fa-
cile a confondersi iu iscritto, potrebbe, anzi dovrebbe ri-
ferirsi iu questo coutesto alla persona, non già al di lei at-
tributo.
42, 5. Giove, dal giovare, aiutatore.
53, 4. Mio, come Gerus. conq. V, 55, non suo.
60, 2. Lavarsi più elegante, che levarsi.
61, 2. Altre edizioni leggono: che già il tiranno ha
stabilito in mente, in vece di che già prescrit-
to s ha il tiranno in mente. Prescritto intanto
par più conforme a. fine.
64, 4. Vi no tt e tempo , in tempo dì notte.
77, 1. Elice, voce latina e liei t, cava.
(io, 8. Ordine di cavalieri erranti.
93, 3. Inforaa, mette iu forse, o dubbio.
Canto V.
4,7, Con esso voi. Esso colla preposizione con e_ un
pronome è detto un ripieno di vezzo, per lo più indeclina-
bile. V. Ci non io osservaz. della lingua ital. p. 11)5. s.
Par una di quelle anomalie ovvie in ogni lingua, prodotte
originariamente da una mispresa , tollerate poscia, e linai-
mente dichiarate a poco a poco per vezzi.
7, 3. Te permettente, costruzione latina, per: colla tua
permissione, se tu lo permetti.
^1. Ilpiugiovin B. , Eustazio.
2. Il figlio di Sofia, Rinaldo.
9, 1. Gran genitor. Bertoldo.
10, 4. J l maggior Buglione, Goffredo.
C. S ira , principessa, Armida.
11, 7. Impetro, domando.
12, 4. Mosse, si mosse.
14, 7. Dimostro, dimostrato.
15, 8. i nrfo rana, rende o fa donna, padrona, impadronisce.
20, 2. Sin d al di scnz' altro è la iezioue più acconcia.
2'i, 6. Dissi, si deve.
31, 7. Spoglia, depone.
41, 5. Scerna, discerna, vegga, scorga.
52, 5. Cipresso, o palma, morte, o vittoria.
51), 8. Finiti, sembra chiosa di forniti, v. XI, 69. 5. XII,
14, 8. 73, 4. XVIII, 37. 8. XIX, 91. 2.
73, 2. /''oro, furono.
5. U dis s e , si ud\.
8. Pargoleggia, rimbambisce.
75,5. Altra lezione è: che farsi elesse Poifecan-
fiando. di (l e s h nemic o. Simili trasposizioni e mo-
i di cambiar le frasi vezzeggiando, si Hpessi in questo poe-
ma, anr-nrchò-talor siano pentimenti di man del poeta, so-
no per lo più parte arbitrar], e parte iudill'ereuti.
86, 8. Liguri, genovesi.
Canto VI.
3, 1. Riscontrano gì' interpreti con questo il passo di Livio
IO, 3. So l i man, soldano di Nicea in ISilinia, prima della
conquista fattane dai cristiani, poi condoltiere dello mas-
nade ambe erranti.
10,5. P r anthig ia j libertà.
X\, 5. l'j'nve l a di} , gigante, fulminato da Giove ne* campi di
f l f g r a.
25, 6. J'e r s) alto giudizio il f i e r garzone. Quan-
tunque rclisifuie trascurata in si alto, non giii rara però
(VJ, (il. 2) uè' poeti antichi, non dia bellezza bingolar a
questo verso, nulladimeno l'altra lezione: poiché d' it
pr e s a tal fa tto è campione par aver trascurato
soggetto, che sembra più necessario iu questo contesto. S'
40, 8. jE t ro n eh i è beasi lezione più moderata dell' altrj
tronconi.
47, 4. Maestri, di maestro, avveduti.
51, 8. Ragioni, diritti.
52, 8. Ma che, solchè.
(il, 8. La lezione: Raffi gurollo e disse: egli è pur
desso, è di quelle mentovate a V, 75, 5 e opprime per
altro l'opposizione.
64, 7. s. Strano in certo modo e non già da imitarsi sembra il
modo di dire in questi due versi, perchè non chiaro e tua-'
do assai.
68, 8. Nota, carme. G7, 3.
77, 2. Fesse, facesse.
3. Mostra, mostrata. VIII, 31, 3.
83, 2. Fer, fecero.
1)4, 7. 8. La temuta insegna , la tigre sul]' elmo. II, 3*^.
Ili, 3. L'altra donna , la compagna. 90. Que l fi er o ,
Poliferno.
6. In questa, cioè ora, in questo punto, in questo mentre,
112, 1. Fratello, Alcandro.
Canto VII.
1, 1. Soverchio, pena inutile.
6, 7. Fiscelle, cestelli, zauue tessute dì vinchi.
10, 8. Compri, comprati.
15, 3. S e — invidi i" modo di pregar, o A\ desiderare, co-
me il latino sic, per se speri, o desideri, che uou t'iuvidj,
C i n n o n i o osserv. p. 345.
29, 6. Cosenza, città di Calabria.
39, 6. Fura, sottrae.
44, 7. Orba, priva di stelle.
40, 2. Co macchio, città nel ducato di Ferrara.
52, 5. Imitazione di Virgil. En. X, 272.
6. 1 regni m u t a. Lucauo 1, 529.
53, 1. Cf. Virgil. En. XII, 103. ,,.
55, 3. Perchè, benché, ancorché. Cinnonio osserv. 295. ..
65, 5. Imitazione d' Omero II. VII, 132. !]
67, 1. Pirro, detto ancora Phirous, e Feir, di cui la prodi-^
zione è narrata da Pulcherio Carnot iu Gestis dei per
Francos p. 391. s. da Gugl. Tir. 4, 11. iv. p. 701. da Vi-
triaco e. 18. Si consulti Gibbon history of the decliue aiid
fall of the rom. empire. 58. p. 291. s. ed. Bas. Michaud
hisloirc des croisades. 3. To. 1. p. 289. ss. Wilken Gesch.
der Kreuzzuge. To. 1. p. 198.
69, 1. Imitazione d'Omero II. Il, 371.
3. Babel, la potenza maomettana,
4. TU e. Tuie, Thule, isola agli ultimi termini del set-
tentrione.
70, 7. Breve, polizza. E la parola tedesca Brief, dunque
scritto.
8. Conte di Tolosa, Raimondo.
71, 6. Lisce; liscia, adorna, abbellisce.
72, 3. Il fr anco rub. di S.; Ridolfo, duca di Suevia, es
sendo stato eletto imperatore dai Sassoni fece la guerra a
Enrico 4. Nella battaglia appresso il iiumc Eleter, Gof-
fredo lo privò della mano e della vita.
76, 1. V. Virgil. Georg. Ili, 270. Omer. 11. XVI. XX.
78, 2. Terebinto, valle, dove Golia fu vinto da Davide.
80, 7. Neir alta ecc. Finzione tratta dal famoso trattato
dell' ierarchia celeste dì Dioni.sio Areopagita,
85, 5. Centro della terra. \VI, 31. 8.
118, 6. /''a de ' già vincitori aspro governo, mal-
mena e riduce a un istato cattivo. VI 111, 4U. 3. ti.
Canto Vili.
1, 2. Coro, vento tra ponente e maestro.
5, 3. Inchino Ilo, se gli inchinò, come dice XVIII, 3. 1.
23, 2. Cada v ero, mezzo morto.
26, 1. / irta de , forza.
28, 6. Offese, piaghe del nemico.
7. Gentile, nobile, illustre.
29, 3. Di poca fede, noni di poca fede.
7. Falso dolce, dolce error, vanità seduttrice.
a.ylspro. Altre edizioni haii erto. Aspro convien
meglio a' passi pi a d iff i e i l i, 12, 7. ed al e ff m m i v
duro, 13, 1; laddove erto meglio all': ove pende d
sei va ff gè rup (Cava spelane a,41 ,3.s.ed alla stanza .i 1
31, 3. Most ra, v. VI, 73. 3. . .
32, 4. Aureo tratto di pennct, aurea linea, o striscia
pinta.
3.'», 1. /'« r f e, separa, disgiunge.
3ti, 7. Agevolerà, condurrà ad agio, senza offesa.
41, 3. Campidoglio, Roma, .ttìoro, trionfo, di cui I al-
loro fu segno, v. Puhildels Reise, oder Briefe nber Rom.
Aiis dem l-'ranz. des llarou de Thdis, iibers. v. F. ih . Rtf
niehen. (Weimar I82i. 111. 8.) To. Il, p. 11. ss. .
16, 7. Tela, metaforicamenle storia. É
49, 3. L'augel, l'immagine dell' aquila. ■
COMENTO SUL TASSO.
0, 8. Reo , sinistro, sventurato.
i8, 3. In riva del Tr ovto, in Ascoli.
i, 8. Mal i e no , altre edizioni malvagio,
1, 7. V. Virgil. En. VII, 4<>0. XI, 433.
2,7. S'' appr e n rie , s'appicca.
•4, 7. Camillo, coiiilottìfr ile' Romani,
y. Guglielmo, coudoUier degi' Inglesi-,
Canto IX.
1. Mostro infernal. Aletto. Quetì, qnìeti, cheti,
tranquilli.
7. 0 ch'io spero. Questa frase è spiegata: non posso
aspettar tempo più opportuno. E come mai nasce quel scu-
so già evidente? Forse quest' o e li e è in vece di oh'quan-
to'? O sarebbe mai ellittico parlar, per o certo è ch'io
spero?- Ovver questo e A e sarebbe e' per quel ch'io spero,
per quanto, perchè'?
3. Quaranta anni circa prima di questo assedio Belfego,
ìmperator de' Turchi e de' Persiani, detto cnumnenicnte
il gran soldau di Babilonia, aveva occupato coli' armi gran
parte dell' .•Xsia e dell' Africa. Invecchiatosi e ritivalnsi
m Persia, dimise le sue conquiste in quattro parti, che dis-
tribuì a quattro de' suoi più fedeli, delti poscia ancora sol-
dani. Fra questi fu -\lfonsele, suo nijiote, che quindi prese
il nome di («olimano, e che nella divisione ebbe la Bitinia
col paese proprio de' Turchi. Questi stabili la sua sede
in iNicea, per opporsi al greco impero, di cui soggiogò v.a-
rie province, distendendo il suo dominio dal San-
BMrio al Meandro (4, 1.) fiumi dell' Asia minore, ora
detta Anatolia. Fu da' cristiani sconfitto, perdette IVicea,
ed a stento potè ricoverarsi presso il califfo d' Egitto.
3, 1. V. Virgil. En. VII, 785
7, 7. Anzi l or tempo cioè li sedici anni.
:8, 7. Imitazione di Claudiano B. Gel. 294.
li, 3. L'onte del cielo irato, gli assalti de' venti e de'
fulmini.
6, 5. Fronte di tauro fu attribuita a' Qumi in segno del-
la forza e dell' impeto dell' acqua.
fi, 8. C Ili' l misura, il tempo.
7, 1. 1/ 0 e 0 , spazio, f^ u e / / a , Fortuna.
1, 1. D'opre diversi, perchè l'astro dì Giove è stimato
aver intlusso benigno, quello di Saturno un malagio.
7. Uve ecc. cioè l'aimosfcra. ^
7. La 've p rimier ecc. cioè il bellico. Dante Inf. XXV.
(ì',ii. S'alletti , alberghi. Dante Inf. II. Vii. IX, f9.
Dalla voce letto. -\on è dunque da confondersi con al-
le t tare , c\oò mutare con lusinghe e piacevolezza, eh'
ha I ' e stretta, dal latino ali i ci o , alle et us.
H, 4. Fregio, lezione d'altre edizioni iu vece di frogia,
par chiosa.
i7. 7. e. V. Lucano VI, 186.
C A ?J T O X.
,7. S' aspetta, appartiene, tocca, riguarda, cale.
1, 1. M'appongo, indovino.
1, 4. sintonia, ìu onore di Marco Antonio, v. Giuseppe an-
ticb. ebr. W, 14.
4,5. I cH i''n« , venivano.
7, (ì. Vie, di Xjl, 75. 1.
1,2. Falde, lioccbc di fuoco. Parla di Sodoma abissafa
nel lag» A.-faltidc, o Mare salato. Gcncs. I.\. Del mar
morto o salso v. liitter allgem. vergi. Gcogr. il, 331 bs.
2, 1. <i r a v e 1 grava.
1, 8. Fo ro , turouo.
7. £/, dove.
c A !v T o xr.
. S'attiene il poeta particolamente a Guglielmo di TiroMII,
11. ss.
, 7. (iuglirlmo, vescovo d'Orango. Ademaro, vescovo
di Poggio in Lìiiguadnca.
, 2. Il segno, la croce.
,7. Altri, in vece d'alti, ò lezione della Gcrus. connu.
XIV, 8. '
1. Te ecc., San Piclro.
6. La vinvitriee morte, de! Salvatore; dunque il
vangelo, ossia la dottrina crÌHti:iii;i, Hu^gellaia colla di lui
morte. Con una iiii.ilclu; lieve inclinazione dell' idea cris-
tiana, che Cristo trionfi) dulia morte , dice, che vinse
morendo.
.3. Ln — ancella. Marta.
0, 8. (iiosafa, \alle contigua a GeriiHnIemrac, molto slret
ta, ma lunga due miglia, v. Curi Hitlrm Krdkiinde ini
VerliiillnÌH8 znr ,\alur und (ieschichte des Menscheii ecc.
Voi. II. p. 4»(i.
B, 4. Se II i 11 i rr e, arnese di ferro, che difende le gambe ;
voce tedesca .V e h i e n e.
3, 3. giusta spada m i cins e , mi conferì la dignità di
cavaliere.
S, 6. Sette gel I di tr / « n i , l'orsa maggioro composta di
sette stelle. Addita la iruuionlaua.
27, 5. Merlo, parte superiore delle muraglie non continuata,
ma interrotta d'ugual distanza.
6. Torreggia, sta a guisa di torre.
28, 7. La vergine di Velo, Diana.
34, 4. Zolla, pezzo dì terra spiccata pe' campi lavorati. La
voce tedesca Scliolle. XIV', Sb, 8.
5. Adrasto, non fu Elvezio, ma Al e a sto, 1,62. Xlll,
24. Nella Gerns. conqu. XV , 54. quest" Elvev?ìo dello Er-
manno fu il primo a dar la scalata. Dunque è da correg-
gersi Alca sto cogli editori milanesi, uou ostante di tutte
l'edizioni.
44, 7. Sa n ^ uè eocr o, di prete e vescovo.
48, K. Fioggia indurata in fr. g. , la grandine.
51, 5. Essi , s'è.
60, 3. Fortunoso, periglioso ed infelice.
61, S. Frane h i no , ma Franche, 3.d imitazione dì Vir-
gil. En. IX, un.
6fi, 8. Ceraste, serpenti.
b9, 5. Onde, acciocché. Fornita, finita, v. V. 59. 8.
Ti, (i. Dittamo, pianta del genere di ruta, cui si attribuì la
virtù di sanar le piaghe, adoprala, come si credette, dal
cervo trafitto e dalle cajire. 11 tutto è imitazione dì Vir-
gil. En. XII, 411. ss.
'!3,3.])aparti assai lontane, dall ' isola di Candìa.
75, 1. F 0 71 te di Lidia, forse vicina della città di Lidda.
v. Atti apost. IX.
84, 8. Incespa, inciampa.
c A \ T 0 xn.
4, 1. M e'' fora, meglio sarebbe.
10, 5. Imitazione di Virgil. En. IX, 247 — 254.
12, 8. l ien ', vieni: come riman XVII, tì5. 3.
22, 5. Occhj d e l ci el o , stelle.
24, 1. Il racconto è preso dall' etiopico romanzo d' Eliodoro,
vescovo di Trica nella Tessaglia, morto l'anno 390.
8. Bianca, pura, intatta.
28, 1. Celeste gu e r r ie r , S. Giorgio, C.ippadoce, capitano
dell' ìmperator Diocleziano, liberò in Africa una donzella,
amazzandn un dragone, al qual ella sta\a esposta.
29, 3. La lezione con arte sì gentil non sembra neces-
saria.
ofi, 4. Sul volto. Forse petto; perchè l'altro è pur insolito.
45, 1. Fercosse, colpi.
18, 1. L'aurea porta, posta quasi nel mezzo del muro
verso levante, all' incontro della valle dì Gìosai'at, e il
monte olivelo.
62, 2. A hi fera pugna! sembra la vera lezione iu \cce di
a fer a pugna, che quasi è tautologa.
66, 1. lo ti per don, invece ti perdono; trascuranza rim-
nroveraia a Tasso, come già 12, 8. Fer Cica ri intanto
(Degli scrittori del 300, (ac. 145) citando ab b a n d o n'^
(presso Poliziano rim. fac. 9H. v. 11.) e so s p i r ' , a' quali si
pulì agtriugner Petr S. ('(XXIV', 1. 3. pon'r:^ poni.
S. CCLW , 3. 3. rcrv ll , •>. \. T. d. Fama 3, 2.
vien' c=. vieni. CC.vVT, 2. 2. sostien' =; «ot-
tieni. Canz. X-\I, 2. 12. XMll, I. 15. ripon' iu vece
di riponi. Tasso G. L. X\ li, (15, 3. (Uimc ani. 1. 8.)
dice, per don esser a posta tronca parola della moribou-
da Clorinda. 11 noeta niilladiineno cangiò nella Gerus.
conqu. XV, 80. Amico, hai cinto, v perdono io;
perdona, ('becche ne sia, simili nei, o s\iste, che pos-
sono esser altretlaiilo niìsprcse di critici, che, non attenti
assai alla natura di prosodia e metro accentuante, giudi-
cano impossibile, che il \erso ianibiro permetta il dallilo
o anapesto volubile (v. Apri Metrik II, p. 331. ss. e che
diiii(|ue il poeta abbia potuto scrivere: io ti p e r il o ii o ,
perdona, senza olreiider guari II ritmo, senza dero-
gare al poeta, mostrano inoltre, quanto si debba esser ac-
corto ed avveduto nel giudioarc lo si il corretto.
(IH, 1. I irluti, forze, posse, \igore (70, '!■.
94, 4. informo, diede forma.
ti. l> r il a l a , di artista, ingegnosi, dotta.
101, 1. !>' i n d II r II t o ii t f r l l o , d'alìe/.ioiie ostinata di dolor
ìsniisiirato, qn;isi iiiipielr.ilo , cmne l jolino dire press»
Dante lui'. \\\lll, 49. cioè ullìu, troppo prol'imd.i e sud.i.
105, 3. UH amari, ramarezzc.
Canto Xlll.
4, I. f'aeo, drudo, amante. — Simll selva ù dcflcritt.i da I.u
cano III, 399.
10,5. Ilitr, lor!)o addita Proserpina, dominam Ditis di
Virgil. Eli. VI.
11, 5. liriiu divieto. I\. 63 — (15.
14, 2. A a K II III o II I e <i II r a m a u ti , popoli della Geliilia in
M'riiM. iiell.i parli- orientale della regione di '/aara e l'oo-
cideiil.ile della Niibi.i.
38, 7. N. Vildil.i ì grriiglilìri, all' iiilendiinrnto de quelli par
che la iiiiHira età pure si \nglia avvicinare per opra di
Sindiii. ( \eg.\ pliaca. I.ips. 1H25. 4.) Chiiniimllinn, C Siiffrt
49.
(Ilndimenla liiuriigl\pliii-eii. liiiis. m>ì. 4.1
U. i'em 0 Ila , corpo. Uiuilo Purg. II, 109.
COMENTO SUL TASSO.
28,
29,
33,
37,
38,
42,
46,
70,
59, 5. Donno, padrone, signore. XIV, 65. 3.
59, 1. Siloè, liuinicello vicino a Gerusalemme, la fonte del
quale si trova al pie del monte Moria.
6. Alberghi^ canali porte (XV, IG. 3.), septem ostia
Nili. V. Erodoto II, 17. Consiilla Hitler allgemein.
vergi. Geogr. Voi. 1. p. 251 ss. specialmente 276.
69, 6. Colei — solve, la morte.
BO, 5. Passo simile a quel di Petrarca T. d. Fam. 2, 6T. ss. agli
infiniti nfcombrarc cangi are, vincere,ȓ supplisce
vuo. Ciò uon ostante par alquanto duro e anomalo modo
di parlare; e poiché si tratta sol della ragion di lingua, o
diremo assoluto questo infinito, qualèadoprato talor in bocca
di passione , o suppliremo cos'i : oh fidanza di sg, che fidanza
è mai quella di.
Canto XIV.
2. i' armonia, che secondo i Pitagoreì risalta dal moto
dfil ciclo»
8. Fratel, Baldovino, conte d'Edessa, successore di Gof-
fredo nel reeno di Gerusalemme.
5. Imitazione" del e. 6. del ciceroniano sogno di Scipione.
'3. Tarpa, voce latina torpeat, propriamente intirizzi,
' figuratamente perda 1' atti\iiìi e il vigore. XV, 44. 4.
1. Il cav alter ciano, Carlo, cavalier di Sveno, prin-
' cipe regio di Danimarca , solo salvato nella scoulltta data
dagli Arabi ma.«iiadieri a quel principe.
1. Cerchi, cercati. Boccaccio uov. XCIX.
3. Quelle mura, Antiochia.
s'. falca, valica, trapassa.
4. Cini la, luna.
3. Tana , Tanai presso Dante Inf. XXII, 27, il Don, fiume,
che parte 1' Europa dall' Asia.
7. fughi orge nt i e VÌI- i, Y argento vivo scorrente.
''Conte, manifeste, illustri. Voce tedesca kund. XV,
19. 4, XV11,I)2. 4. 97, tì.
3. Note, magici carmi.
1. Augel notturno, nottola. Petr. S. 132.
1. Oli, clr è in tutte V edizioni, in vece di ?e o ZJ', e
anomalia di lingua, della guai disputano i grammatici. Il
torto e il diritto del non si pub ecc. (Xap. 1728. IL 8) Voi.
1. e. 170. ss. con le annotazioni d' Ameuta e di Cito. V^,
gimil luogo Petr. S. 133, 4. 3.
C A \ T O XV.
5 1. Imitazione di Lucrezio II, 801.
7, 2. Morso, àncora. 43, 5. XIX, 97, 8.
8 2. La lezione spingon la vela in v er so il lidoi
' venti, par prosaica correzione d' un modo di dire alquanto
tiiu audace. E chiaro, che vela dinota inetoniiuìcameute
10 l. Ancalona, una delle cinque città de' Filistei sulla
' e'ponda del mediterraneo ; con(|uistata dalla tribù di Giuda
dopo la morte di Giosuè. Baldovino , re di Gerusalemme,
la prese a" Saracini nel 1154.
3. Gaza, eitlìi della Palestina, della tribù di Giuda; an-
ticamente una delle cinque satrapie de' Filistei, distrutta
da Alessandro, v. XN li, 1. s.
12, 1. 1 etìieno , vedevano.
13 2. RaJJia, città sul mediterraneo tra Gaza e Rinonara,
' celebre per la vittoria di Filopàtore, re d' Egitto, su di
Antioco il Grande, re di Siria. A M. 3787.
4. Hi no e era, fondata da ActÌHa\o, re d' Etiopia, con-
tenendo ladii a nasi mozzi.
0. Monte Cassio, vicino al lago Sirbonide.
16, 1. Da mi ut a, città dell'Egitto, sovra una dulie bocche orien-
tali del Nilo , presa da' crociati nel 1219, rciidiiia nel 1221.
3. La citta, ecc. Alessandria. Fo rie (ire e 0, Alessandro.
7. Faro, anticamente Canopus, isolelta all' imboccatura
del Mio con torre e fanale inalzato da Tolomeo Filadell'o.
17 1. Ho di e Creta, ora Candia, isole del mediterraneo,
' che giacciono amendiic al di sovra de' gradi 33 di lat.
5. ]\lurmarica, grande regione dell' All'rica, che com-
prcmleva i paesi tra 1' Egitto e la Cirenaica.
6. Cirene, (Cirenaica, Pentapoli, vastissima regione, che
da Tolomeo vien posta fra il promontorio Cliersonesus ma-
gna, ora capo H asaot i n , al grado W e 43 di long. C i n -
Il u e cittadi, Cirene, Apollonia, Tolemaide , Arsiuuc e
llerenice, ora pressoché di.-trulle.
7. Tu/ ornila, Ptoleinaide, anticamente. Barce, città
della Cirenaica a' gradi 38 di long, e 30 di lat. settentrio-
nale.
8. Lete, fiume, che bagnava le mura di Berenice. Dicesì,
che dopo la sua sorgente si approfonda, e per alcune miglia
firnrrc nasc<isto sotterra, finché sporga con grande strepito
vicino a Hennice; onde lu crediitj) aver la Bua sorgente
iiell' Avermi. Lacan, l'ars. 1\, 3.')3.
IP, 1. La maggior ni /te, scoglio sulla costa della Circ-
naii'ii.
3. Jl capo, proliabìlmentc C e fa l a s.
4. Magra, fiume della liarbi'n'a nel regno di Tripoli;
ki getta nel mare prcHho la città di Lebeda. ('Iiiainaln
Cinyphui da Tolomeo, Ciiiyp» da Plinio ed Erodoto.
5. Tripoli, città sulla costa della Barberi'a, capitale della
repubblica, dove porta il nome, in un terreno arenoso «
sovente inondato dal mare.
6 Malia, isola del mediterraneo fra le coste dell' Affrica
e di Sicilia, anticamente 0 gì/ già.
8. Alzerbe, isoletta detta 37 en 1 71 x da Plinio, Mirmix
da Polibio, e Gerba da Antonino; di contro al capo di
Zerbi. Lotofagi, che si nutrivano del lot us, frutto
cosi bello e soave, che faceva perdere agli stranieri la bra
ma di ritornare alla lor patria.
1. Tunisi, capitale dello stato del medesimo nome Fa
\f
di (Cartagine , distrutta da Scipione Emiliano 146 anni prima
dell' era volgare, rifabbricala da Giulio Caesarc di nuovo,
distrutta sino alle fondamenta da' Saraceni nel tì98.
b. Lil ib eo , promontorio della Sicilia, dicontro all' Affrica.
20, 7. Bis erta, città maritima sulla costa del mediterranea
nello stato di Tunisi.
8. // ' i sol a de' Sar di, Sardigna, nel raediterrancoltra V
Italia e 1' Affrica, sotto alla Corsica, tra i gradi 25, 40/ dì
long., e tra! 38, 42/, 30// ed i 41, 11/ di lat.
21, 1. Numidi, popoli dell' Affrica, che occupavano tutta la
regione che ora forma il regno, o la repubblica d' Algeri.
2. Er r ariti , onde No m a de s detti.
3. Algeri, capitale dello stalo di quel nome anticamente
Cesarea di Maurit ani a. Long. 21, 20. lat. 36, 30 /.
Bugia, città forte nello stato d' Algeri sulla costa del !'
mediterraneo a 30 leghe da Algeri.
4. Orano, città forte sul lido della Barberi'a, appartenente i^
ad Algeri. Long. 17, 40., lat 37, 40.
5. T i n gita n a , vastissima regione dell' Affrica ; da
Tingili, sua capitale, sullo stretto Erculeo, ora T an-
ger, Tan gar i. Ora comprende il regno di Fez e par-
te di quello del Marocco.
8. Granata, provincia della Spagna, dalla nuova Cas- il
tiglia sino al mediterraneo , forma una parte dell' aulica
Betica.
22, \. Son ecc. Parla dello stretto di Gibilterra, anticamente
f return Herculeum, o Gadilanum, tra l' Andalusia
ed il regno di Fez nell'Affrica. La sua lunghezza òdi circa
10 leghe, la sua larghezza di 4, ed unisce il mediterraneo
coir Atlantico. Dalla parte di Spagna ha il monte Cal-pe,
e dalla parte dell' Affrica il monte Abila, or monte
delle sci ini e. Questi due monti son detti le colonne
f/' Ercole, perché secondo la mitologia Ercole, dacché
ebbe vinto Gerione, tiranno della Spagna, spaccili due
iiiimii prima uniti, e fece che di mezzo vi scorresse il mare.
Curzio X. cf. Virg. En. Ili, 414.
24, 2. Gade, Cadice, città dell' Andalusia.
25, 8. Confronta Dante Inf. XXVI, lliO. ss.
29, '2. 1 1 luminar le carte, chiarir le scritture sacre del;
testamento vecchio. Espressione di Petrarca, son. 4. j
33, 7. Mon te, il Pico di Teneriffe nelle Canarie, celebre per
la sua altezza. E un vulcano, che termina in un cono tronco'
ad obbliquo all' asse.
34, 6. Quel ecc. monte Etna , dove fu fulminato da Giove il
gigante Encelado. VirgiI En. HI, 378.
35, 3. L' isole felici, le Canarie, sette amene e fertilissime
isole dell' atlantico, tra il gr. 27, 31)/, e 29, 45/ di lat., ed
il ffr. o e 5, 30' di long.
30, 1. Confronta Oraz. Epod. XVI, 43.
3t, 7. (J u a n d 0 ecc. Verso di Dame nell' Inf. XVI, S2. Qu ant o,
eh' é altra lezione , non .sarebbe forse assolutameuie da
ripudiarsi.
40, 6. Calcitrar, far resistenza.
4(i, (i. Il ghiaccio fede a' gigli s e r 6 ff , il ghiaccio vi-
cino non impedisce il fiorir ile' gigli. Cosi Claudiano Ilapt.
l'ros 1, 1117. {A e tua) s cit niv i h u s se r vare f i d e m.
51 , 8. E r e i n i a , oggi selva n era. Cesare B. G. 6.
62, 5. s. Altre edizioni han : Mosse la voce poi si dolce
e pia, C h e / ora eia s cu n altro indi co n qu i s 0.
Cangiamento, di cui la cagion non appare, o non è assai
soda.
60, l. Sterpa, voce latina extirpat, cioè sradica.
Canto XVI.
3,1. Meonie ancelle, d' Omfale, regina di Lidia, qui
delta .Iole.
4, 3. / e d i , ecc. Confr. Virgil. En. 8, 675 — 713.
10,3. 4. Il poeta nella prima apologia ripose: Bell' art:
di natura, ove a diletto L' imitatrice suit
g io e II n d o i m i t i. 12, 'l. A prova, a gara. Petr. SonJ
C\X1. 1. 2.
12. 8. Ora, aura. XVIII, 15. 0.
24, 5. Ciò l o magico, simile a quello di Venere presso Omert
11. \1\, 214. m.
34, 4. Sdegno ecc. idea Platonica, secondo la quale Io sdegno
è dato all' uomo dalla iiauira , ner soccorrere la ragione
contra la cupidigia. Confronta XV'II, 62. 5. 63.
COMENTO SUL TASSO.
il, Questa ottava alcune edizioni V escludono. La lìorcntina
la dà a ragione, eh' è forse di mano eeconda del poeta.
57, 1. Imitazione d' Omero li. XVI. Virgil En. 5, 31)5 ss.
2. Sangue azzio. Dagli Azj romani, uno de' quali fu
avo materno d' Augusto , discende la casa d' Este. v. XVII
66. 3.
j3, 4. In forse, in dubbio, o periglio.
C A :? T o XVII.
1, I. Poscia che ecc. Poichi anni dopo la morte di Mao-
metto i Saraceni occuparono la Fenicia , e passando in
Egitto presero anche queste paese e una gran parte dell'
Affrica, l'oi Mahadi ObcidoUah, il quale si diceva esser ni-
pote di Fatima, iìgliuola di Macomelto, circa 1' anno 908
iondò in Affrica un regno, chiamato il califfato de' Fati-
miti. Un de' discendenti suoi, chiamato Moezzladin allah,
trasportò la sede del regno in Egitto, ove fondò la città di
Cairo circa 1' anno 9G9. califfo è succesore.
2. Mar ricco, cioè rosso, per le molte gemme e pietre
preziose , eh' in esso si trovavano.
4. Celeste, disceso dal cielo vien detto il Kilo , gr.
óuTTBTìj; , come pure il Xanto presso Omero; perchè 1'
acqua essendo all' antichità metamorfosi del primo elemen-
to, fu sacra, come i liumi. v. K arine Pantheon der aite-
sten Xaturphilos. p. 517. Baur Sjmbolik der Mjlhologie
ecc. Voi. 1. p. 171.
4. Precipizio, cateratta.
8. Ha f esequie ecc. Ovid. Met. XV, 395. v. Kanne
turphil. p. W). 459. 515.
8. Santa credenza. Parla di quella parte degli abi-
tanti d' Etiopia , che convertiti da Frumenzio vescovo nel
secolo quarto hanno conservata la fede cristiana.
5, 3. Il rinato ecc. la fenice, della quale v. Plin. WS, X.
2. Segue Tasso il Petrarca son. in vit. di Laur. 152.
8, 3, Te\ tieni.
T. Scudo. Ad imitazione di quel d' Achille Iliad. XVIII,
e d' Enea Eueid. VII.
1,3. Ri man', rimani. Licenza malconcia! Confronta XII,
12.8.66,1.
4. Arringo , steccato, torneo, carriera, spazio, dove si
corre giostrando. Parola affine a ringhiera, ed origi-
nariamente tedesca. Ring, cerchio, Hong, rango,
Schr anke , scranna (presso Dante). Perche si lo spazio
di giostra, che quello di giudizio, dove gli oratori com-
batterono dicendo ovvero areugarouo, aringarouo, reu-
garon , furono un cerchio.
1. Magistero, maestria, arte.
1. Cajo, decurione della città d' Este sotto 1' imperio d'
Arcadio e d' Onorio 1' anno 4011 dell' era volgare, eletto
principe da' vicini popoli , i quali pressoché abbandonati
dall' imperatore, si lusingarono di potere con quesi' elezi-
one sottrarsi a' saccheggi ed alle stragi de' Goti e de'
Vandali chiamati in Italia da Stilicone, a line d' indebolire
Onorio, che regnava nell' Occidente.
6. Il fero Goto, Alarico, re de' Goti, che distrusse Ro-
ma nel 409.
8. Unno regnat or , Attila, re degli Unni.
i. Città, Ferrara.
4. // t ì r anno erulo, Odoacro vinto da Teodorico , re
de' Goti . e aramazzato 1' anno 193.
Tot il a, re de' Goti ^ superato da IVarscte in una bat-
.glia appresso la città (li Hcrsello , 1' anno 5.'i2.
7. Aldoardo d' Este, tiglio di Valeriano e di Constanzia,
difendeva con gran \al()re la città di Monsci-Isc, 1' anno 1,00,
contro ,\gilolfo, re dt' Lombardi e 1' obbligò dì le\ar 1'
assedio. Paul. Diac. 1\: 'l'i. Ernesto, uno de' succe>ieori
d' AMoardo, liglio d' Eriberlo , \ inse gli Schiavi, che
nel 711 avevano fatto una ìun astone nel paese di Friuli.
5. A V ta y arlelice.
4. Prischi , avolj, anziani.
8. La corona di lauro era trionfale, quella di quercia
civica destinala a rjii in un fatto d' arine avcsho salvalo
lavila ad un rilludinii; i|iielladi gramigna obnldioiiale,
Sremio di chi avesse liberato uu esercito rumano assediato
al nemico.
54,
Canto XATU.
fi. Ora, aura. XVI, 12. 8.
1. Sileno, piccole immagini di legno in forma di Sileno,
che rinchiudevano in sé immagini delle Grazie , o d' altri
oggetti piacevoli. Onde Platone riscontra eoa loro Socrate
e i discorsi suoi.
6. Ostri, la porpora.
4. Innato, naturale, non magico.
7. Aquila, insegna della casa estense.
3. Sabellico racconta, che realmente una colomba fu man-
data dal re di Damasco a' Tirj , esortandoli a sostener
r assedio de' cristiani, e promettendo loro, che sarebbero
in breve soccorsi. 1 cristiani presero la colomba, e tolta
via la lettera del re, un' altra ve n' appesero, nella quale
i Tirj erano esortati ad arrendersi. In vece di quella frode.
Tasso, non volendo farne uso, aggiunse questa avventura.
5. Xo n , in vece della \ olgar ne; e la lezione da ristabilirsi
dalla Gerus. conqu. XVI. 57. .'\lmeno ne sarebbe necessa-
rio in signilìcato di nò anco, neppure. Ciaonio osservaz.
p. 264. L'' ali tese mostrano che il poeta volle de-
scriver un volo cheto e placido , un librarsi , qua^i senza
movimento alcuno.
4. V inver so F austro i sassi, le mura verso
austro , o mezzogiorno.
C A W T O XIX.
3, 4. Pa rmi, mi pari. Licenza illecita ?
17,6.// gran gigante, Anteo,
18, 4. Migliore , destro.
40, 3. Confronta Virg. En. Il , 324.
64, 8. La lezione congiunta senz' altro è meno corretta
dell' altra con giunta, eh' è in quattro edizioni del
1581, e quella di violini; laddove la prima può di^cnde^^i
colla Gerus. couqu. Wll, 59, e colla negligenza del poeta
rimproveratagli. Abbiamo scelto la più corretta.
71, 8. Altre edizione leggono molto.
106,3. T or rei, sosterrei, soffrirei, vorrei. Petr. S.
CCLV. 4. 1.
107, 2. Gire, gir i.
liti, 3. Stesse. Forse leggersi dovrebbe tese.
126, a. L' arme di Giuda, cioè de' traditori.
Canto XX.
9,3. i' uno — Roberto, il conte di Fiandra, e il priu
cipe di ìNormandia.
33, 7. Per, feri.-ce, fere. Dante luf. IX, 65, come ehicr
presso Petrarca canz. 6.
34, 1 Man dr ili », colpo dato da man dritta verso la man-
ca ; opposto a manrovescio.
39, a. s. Là ecc. nel dialramina.
48,2. Ida ni; Xanto, nella guerra trojana,
56, 7. P u g u a ij u e s t a n 0 n è , ni a s t r ag e so l a. Sìniil-
inentc Schiller : nicht eiue Schlacht, e in
Schlachten irar's zu ntunen.
69, 3. Era in y> i e f a , da%a addietro, cedeva.
96, 4. Degno, ^arle edizioni liorentiuc bau segno, eh' è
più elegante, ma ineii naturale.
103, 8. Seguo II, lezione più corretta, che «c^ue.
105, 1. Ad imitazione di A irgil. En. XII, 90r<.
115, 1. Se era e, riconobbe.
119. 6. Hronte, ciclope, fabbricator de' fulmini di Giove.
121, 6. S' al lui li, h' ammorzi, si quieti.
ym, 1. l'è sle , amore.
112 H. Guerreggio in Asia, ecc. Cos'i Alessandro a
Parmenionc : m i n o n m i r e a l o r e m e « » » , >■ < d r e ■
geni. Curzio, ì\ ; e Pirro proso Ennio: ri imi in «po-
li u h f ( * b I 1 1 II m . hi d b I 1 1 ig) rantrs. Cuujio-
II a M r ha tradotto il poef.-i colla Iraii i ambio e
merco di Dante Pai. XAl, tiO.
1
I
I
JUNi, 1826.
TIBIBlìiii©©«IBISIBII(eia^IB
V o n
ERNST FLEISCHER IN LEIPZIG*
(Peters-S trasse, No. 80.)
[. Farnasso Italiano, o^-vero: i quattro Poeti celeberrimi Ita-
liani: „ La divina Commedia di Dante Alighieri.*' „ Le Rime di frances-
co Petrar u. ,, L'Orlando furioso di Lodovico Ariosto." ,,La Ge-
rusalemme "rata di Torquato Tasso." Edizione giusta gli ottimi Testi
antichi, cui. 'te istoriche e critiche. Compiuta in un Volume. Ornata di
quattro Ritr: ::i secondo llafTaello Morghen. 8vo. gr. Broschirt. SuhscriiJtions-
preis : 2 Rthlr. 20 Gr. Conv.
tór Durch das Eintreten ausserordentlicher Hindemisse, die sich bei einem solchen Unternehmen
im Voraus nicht berechnen lassen und deren Erorterung hier zu weitlàufig sein wùrde, konnten
die fruher angesetzten Termine nicht erfiillt werden , und die Ausgabe dieser ersten Abtheilung
hat sich daher um einige Moriate vcrspatet. In solchen Fàllen nicht AVort halten zu kònnen, ist
«icher fiir den Verleger empfindlicher , als den Subscribenten der geringe Zeitvcrlust sein kann,
■welchen sie, ohne sonstige Aufopferungen, zum Besten derSacheund ihres eigenenlnteresses erleiden.
Dass die innere und iiussere Besorgung dieses Werkes ein sprechender Beweis der nicht geringen
Schwierigkeiten ist, wclche bei dessen Ausfùhrung zu beseitigen waren , wird jeder Sachverstan-
dige mit Beifall zu wiirdigen wissen und durch die Gediegenheit des Geleisteleu sich reich-
lich entschadigt finden. — L'm die Uebersicht zu erleichtern , mògen foigende Puncte den Inter-
essenten zur Beachtung dienen:
1, Der Subscriptions-Preis von 2 Rthlr. 20 Gr. Conv. oder 5 FI. 6 Kr. Rhein. ist bei Em-
pfang dieser ersten Abtheilung zu entrichten.
2, Die zweite und letzte Abtheilung, welche den D an t e, Petrarca und Tasso nebst ihren
aubehòrigen Noten onthiilt, also den Schluss des Ganzen ^ildct, erscheint ira Laufe dieses
Jahres, und wird, als Rest verblieben, gratis nachgeliefert, "Die Starke derselben dùrfte gegcu-
■w-artige Lieferung um ein Viertel ùbersteigen, und somit wi das Gesajmnte einen zweckmàs-
•igen Octav-Band bilden.
3, Die EJntheilung des Drucks ist nach folgenden Grunt n geschchen , welche sich die Bs-
■itzer schon im Voraus zur Richtschnur fiir die nachherige . Inung beim Eiubiuden benierken
wollen :
a) Die Zusammenstellung der vier Dichter geschieht in derselben Tolge, wic sic ouf dera llaopt-
titel genannt sind ; daher ein Jeder derselben mit eincr neuen Scitenzahl von 1 an beginnt,
und dassclbe bei den Lebensbcschreibungen , die ihre .Stelle uumittelbar ver Dante, Pe-
trarca u. s. w. einnchmen, mit romistljen Ziffern beibehalten wurJe.
i) Die sammtlichen Noten haben cbcnfalls einc besondere Signatur crhaltcn , und werden am
Schiusa des Ganzen unter einem gemeinschaftlichen Titel vereiiiigt.
e) Eni Inhnlts-Verzeichniss wird ùbrigcns, bei der zweilcn Lieferung folgend, dicsclbe Einthei-
lung vorschreiben.
4, Der Subscriptions-Preis findet bis zum Erscheincn der zwciten Ab-
theilung statt, wird dnnn nber u n a b .n n d e r 1 ic h in cinen noch immcr sehr billigcn Ln-
denpreis von 4 Ktlilr. 16 Gr. oder 8 11. 2i Kr. Uhcin. verwondclt, nho bcinahc alif do>
Doppelte erhòht.
5, Mit deni Schluss soli ein Ve r /. e i e h n i s s der s h ni m 1 1 j e h e n S u b s e r ib e n t e n folgen;
•( wird daher eiiie geiiauc und deutliclio An(,'abe dercr Nanirii , Chnractere und VV ohnòrtcr spo-
testcns bis zum August erbelen , welche durth jede Buchliandlung , wo man uuterzcithiiet* , «bri-
Bestimmutig crreicht.
Ein ndchfolgcndcrBand, welcher «eh dieteui Tbeile ubereinslimmand *n«chli«?s»«n soli und p.-
genwartigvorbereitet wird, erschejnt unter eleni Titel: "IL PARXASSO ITALIANO CON-
TINUATO OVVERO LA PARTE SECONDA" uud nimmt Folgendes auf: vo:ii
Da^t e. La Vita nuova. =3 Le Rime. = Il Convito amoroso. = Della volgar Eloquenza. = Ecc.
Ariosto. I cinque Canti. = Le Satire. = Le Rime. £= Ecc.
Tasso. Le Rime. = Aminta, zzr Le sette Giornate del Mondo =r Ecc.
BoJAtiDO: L' Orlando innamorato. (Da Nic. degli Agostini.) =
Boccaccio. Il Decamerone. = 11 Fllostrato. =: La Fiammetta. =1 il Laberinto d' Amore.
= Ecc.
Gv ARI X I- Pastor fido. = Le Rime. =: Ecc.
M. A. Bv oy ARROTI. Le Rime. =
Da'? Nàiheie liierùber wird bei der zweiten Liefemng dieses ersten Bandes bekannt gemacht
werden. —
u.
J^ "WaLKEHI. a CrITICAL PrONOUNCIZVG DlCTIOXARY, AND ExPOSITOU OF THE
Englisli Langiiage: in wliicli, not only the JMeaiiing of every Word is clearly
explained, and ihe Sound of every Syllable dislinctly shown, but, where
Words are subiect lo different Pronimciations , the Authorities of oiu' best Pro-
nouncing Diclionaries are fully exhibited, the Reasons for each are at large
displayed, and the preferable Pronunciation is pointed out. To which are
prefixed, Principles of the Enghsh Pronunciation, vScc. By John Walker.
Critically reprinted from the London Stereotype EdiLion. ìloy. 8vo. Cartonnirt.
Subscriptions-Preis : 2 RtMr. 8 Gr.
tìf Neben den vornehnisten Mitbewerbern der brittischen Lexicographie hat sich dieses "VVorter-
buch seit einer Reihe von Jahreji in so hohem Ansehen behauptct und durch das schnelle Fol-
gen einiger zvvanzig verbesserter Auflagen eineu so hohen Rang erworbeii, dass ihm gegenwàirtig,
iiach dem einstimmigen Ausspruch der englischen Kritik, der erste Platz gebùhrt, dessen Princi-
pien als die entscheidenden gelten, und die jetzt verkaufliche Ausgabe mit stehenden Schriften
gedruckt werden konnte. Diese Thatsachen sind auch dem Continent so liinlànglich bekannt, um
die Veranstaltungmeines mit kritischer Genauigkeit besorgten Abdruckes zu rechtfertigen, welclier
sowohl in dieser Hinsicht den scharfsten Bedingungen der Korrectlieit entspricht, als in typogra-
phischer das Originai segar bei weitem ùbertrifft, dennoch aber von Seiten des Preises vveit bil-
liger gestellt ist. Auf diese Weise gewinnt es dadurch auch bei uns sehr an Gemeinniitzigkeit,
uud wird alien Freunden der englischen Sprache ausserst zugòuglich. — Im Voraus nicht zu berech-
iiende Hindernisse haben die Erfùllung des friiher bestiramten Publications - Termins uuausfiihr-
bar gemacht, welches bei jedem Billigdenkenden schon durch die Schwierigkeit der Sache von
selbst entschuldigt wird. Um jedoch die Interessenten vorlaufig zu befriedigen, ist so eben cine
erste Abtheilung erschieneu und an alle Cuchhandlungen versendet, wo man sie gegen Er-
legung des S u b s e r i p t io n s -B e tra gs von 2 Rthlr. 8 Gr. Conv. sogleich in Empfang nehraen
kann. Die zweite Lieferung, welche eine sehr ausfiihrliche Einleitung iiber die
Grundsàtze der englischen Aussprache, deu Geistder Grammatik, so wie
eine Anleitujig ùber den Gebrauch des Buches in sich fasst, und zugleich den Schluss des Gan-
zen bildet , wird bestimmt bis Michaelis a. e, an die Unterzeichner gratis nachgeliefert. —
Wegen der nothwendigen Erhòhung des Preises , welcher friiher zu 2 Rthlr. angegeben wurde,
und erst bei der sich im Verlauf des Druckes ergebenden Vermehrung der Bogenzahl diese ge-
ringe Abweichung unumganglich machtp, glaube ich um so weniger Rechenschaft schuldig zu sein,
da dieses die erste Einladung ist, welche zur Unterzeichnung ergeht. — In alien Buchhandlungen
Deutschlands und der angriinzeuden Lànder werden Subscriptionen angenommen. —
Ul.
T. lHooRE- The Works op Thomas Moore, Esq. Accurately printed
from the last originai Editions. Witli addi lional Notes. Complete in One Vol-
ume. Roy. 8vo. Coi'tonniit. Subscriptions-Preis: 2 Rtlilr. 8 Gr. Conv.
IV.
èSfltfe^P^flte. The Dramatic Works of Shakspeare, printed from the
Text of Samuel Johnson, George Steevcns and Isaac Reed, Complete in One
Volume. Roy. 8vo. Subscriptions-Preis: 2 Rthlr. 16. Conv.
V.
^f^^Vi9\^ttitt, A\ Appendix to Shakspe arf/s Dramatic Works, &c. ScC. Con-
tcnt.s: TJie Life of ihe Author by Aug. SkoltoNve; llis Mi.scellancous Poems;
A criticai Glossary compiled after Narcs, Drake, AyscougJi, Hazlitt, Doucc and
olliers. WithShakspeare's Portrait takenfromtheChandosPicture, and engraved
by C. A. Scliwerdgcbiirtli. Roy. 8vo. SubscriiJtions-Preis: 1 Rthlr. 8 Gr. Couv.
tS" Dieses Supplement entspricht ira Format und Drack genau obiger Ausgabe der Dramatischen
"VVerke Shakspeare's, and ergànzt alles ùbrige, nachst den Biihnenschriften, von ihm Vorhandeiie.
Auch wild den Besitzern anderer Ausgaben, worin dessen vermischte Gediclite gemeiniglich feh-
len , dieser Appendix zur Vervollstàindigung willkommen sein, und insbesondere durch die Zu-
gabe eines sehr ausfùhrlichen kritischen Glossars, das Resultai vieijahriger Forschung und der Be-
nutzun" mannigfaltiger, seltener Quellen, der Sclilùssel zìi den sonst haufig, besonders Auslandern
«nzugànglichen Stellen dargeboten. Ein vorzùgliches Brustbild Shakspeare's nach dem beriibniten
Chandos Picture, welches die meisten Autoritàten fùr aich hat, ist, nebst der Skottowe'sciien
Biographie, ebenfalls darin enthalten.
VI.
^J&afe0p0at0* Illustratioivs OF Shakspeare; comprised in two hu>dred
and ihirtv Vigne! te-Engravings, by Thompson, IromDesignsby TJiurst on.
Adapted to ali Editious. Roy. 8vo. Brosdiii't. Preis : 2 Rliilr.
VU.
^ìiUU^ptUTC» The TRAGicALL HiSTORiE OF Hamlet Prince ofDe>3iarke
by William Shake-sjjeare. As it halli bocne diuerse times acted by bis Higli-
nesse seruanls in the CiLlie of London: as also in the two Vnincrsities of Cam-
bridge and Oxford , and else-^vhere. At London printed Ibr N. L. and John
Trmidcll. 1603. ThisfirstEditionverbally reprint ed. 6vo. Broschirt. Preis: 12 Gr.
VIIL
ÌSi* ÌS* ^ìitViìSti'tt* The Works of thh late right hoxourable Richard
Brinsley Sheridan. Collected by Thomas JMoore, Author of "Lalla
Rookh" "TheLoves ofthcAngels", &.c. Complete in One Volume. Post 8vo.
Cartoniiirt. Subscriptions-Preis: 1 Rlhlr. 8 Gr. Couv.
IX.
2110* ^CQtU Peveril OF the Peak. Bv the Author of "Waverlky, Ke-
nilworth", Stc. In foiu- Voliuucs. 8vo. Cartounirt^ Preis: 3 Rthlr. 16 Gr.
X.
C0 0ft*$ ( Captain James ) first Voyage round the World. With a\ Ac-
count of bis Life previo US thaL Period. By A. Kippis. Adapted lo the Use of
Schools and Sclfsludy by an English-Gcrman Phraseology. Auch untcr dcm
Tilel: Engliscbes Lcscbiich, Janics Cook's crste Rcisc uiu die WcU cnlhallonil.
Mit eincr cnglisch-dculschen Phrascologic zur Erlcichlcrung dcs Leberselzcns
bei dcm Schui-und Privai gebi'aiich verschcn von C. Lùdgcr. 8vo. Cai-lonniil.
Preis : 12 Gr.
XL
5. C5f. dF Ili 0^1. Vollstaendige e.nglische Sprachleiire fì'r den ersten
UnlcrriiliL sowohl, als fiir das ticfere Sliidium, nach don ì)cslcn (iranimatikcrn
und Orlhocpislcn: Jìe<(lli,e, I/urris, Jo/insun, Luwlh-, Murray, Jsurcfiy U alkur
\\. A. bearbcilcl, und mit vielcn Bcispiclen aus dcu beriilnntcslcn onglisclicu
Prosaikcrn und Diclilern der allcrn und neueru Zeil crlautcrt von I. G. IHigcI.
8vo. Broschirt. Preis: 1 Rlhlr. 10 Gr.
AvsFviiiujcirB AszF.iuy.s iJBF.n folgf.xdf. LyTEnyKnmvxnKX (perkx , rt'.w Tu Kit, fuCiikhh
PvnUCATlOX DVKCn IIIK ,\Kl/fcò7/;A '/jF.ITF.ItF.lt: MSSF. DF.S Ixy-VXD AvSh.iXDhS UKUH3131T
HVBDK) IIKaVhX l.U f EHL.Il F DKH SoìniFHS KBSCUEIXEX :
XII.
Ca ItretOtr» Las Comedias de D. Pi.duo Calderon de la Barca, cotejadas
con las iiicjorcs Echcioucs hasla ahofa pubh'cadas, corrcgidas, v dailas a Lu/. por
Juan Jorge Keil. En 4 Toinos. Adoniados de unRctralo del Poeta. 8vo. mavor.
XIII.
itt. ÌHttjlKf), G\LLr.uir. zi) SnAKsi'KAuirs duamatischen Werkkn. In Um-
ris.scn. Eriunden und geslocJicn vou JNloritz Relzscli. Mit dcu dculsclicu,
r
englisclien und franzósischen Text-Stellen der Scenen versehen. Erste Lieferung
in 16 Tafeln: Hamlet- 4.
XIV.
5»t)a1fe$P^at0atiau A Supplement adapted to every Edttiotn- of Shak-
spearc's Dramatic Works; containiiig a Series of those commonly called "Old
Plays" wliich are to be atlrihuted to ibis eminent Genius according to tbeOpin-
ions of ibe bigber Critics. For tbe first Time completely arranged, critically
explained, and enriched witb several Plays never before prinled, by Lewis
Tieck, Èsq. Roy. 8vo.
XV.
II. ^(f Cfe» A Poet's Life. A Novel. By Lewis Tieck , Esq. Translated
froai tbe Gernian. 8vo. Cartonnirt.
XVI.
IHiltont (I04NNIS, AwGLi) DE DocTRixA Christiana Libri DUO posTHUMi,
mine primum T\pis mandati, edente C. R. Sumner. 8. maj.
XVII.
ÌHÌlton*0 (JoH>) PoETicAL Works. To which is prefixed the Life of
tbe Aiitbor. Witb additional Notes. Complete in One Volume. 8vo. Cartonnirt.
XVIII.
^tVOSLTltt^ ( Saavedra, Miguel de), Obras. En 1 Tomo. 8vo. mayor.
XIX.
|lop0 DE Vega Carpio, Obras sueltas. En 1 Tomo. 8vo. biayor.
XX.
(&tnt^t jplti^tìitv^ àFovtign mittf^lv <&a^ette. A British
Recorder of foreign Transactions , recent Occurrences, and new Inventions,
respecting History, Geograpby, tbe fine Arts, and Sciences in general. Small
Folio.
XXI.
V^tV^titt^Xlii^ EiisER Sammlijng auslaendischer Buecher, Kunstsachen
und Landkarten irai Assortiment von Ernst Fleisdier in. Leipzig. Gr. 8-
Gebeftet.
{^ VVird in alleo B uehhandlaugen gratis ausgegeb-e».
Leipzig, (Peters- Strasse, No. 80.) J imi, 1826.
Era ST Fl eischeb.
IITI.I,
1827.
TISmiLA^BS^'IBlSmil^^III^I^
T 0 n
ERNST FLEISCHER IN LEIPZIG.
(Nener-N en-Markt, No. 626.)
I.
RETZSCH. Gallerie zu Shakspeares Dramatischen Werkex. In
Umrìssen. Erfumlen und gestochen voti Moritz Rctzsch. Mit plastischeii
Andeutungen , nebst deii deutschen, englischen iind franzosischen Text-Stel-
len der Scenen verselien. Erste Lieferung. Hamlet in 16 Tafeln. Aucli un-
ter dem Titel: Outlines io Sh ali ape are. Ist Series. Imperiai 4to.
Extra cartonnirt, mit eiiier gestochenen Uraschlag- Vignette.
Ladeniìreìs: 6 Rthir.
<r Dass, durch die innere Harmonie ihrer geistigen Naturen , Poesie nnd die bildenden Kunste sich eng
und schwesterlich , im vereinten Einporfliige zu jener Zauberwelt idealer ErschalViin-j; , Brust an Brust
umschlurigen halten , sich gegenseitig crlieben und verscliòuen, und Eines das Aiidere zu gleichen Mit-
gefiilden stimmi, — hiervon ist wolil nirgcnds ein liòherer Beweis gegehen, alsdurcli Suvksimìarh b
gòttliche Muse, deren kunstgeweihete Eeier sich in unzàhligen NBcbdiclitunfien der Plastik verkùiidigt
hndet. Ein jeder Kùnstler, und nur von den Leistungon àcliter Kiiustler dart" die Rode sein, streht mit
Genuìthc und olTenera Geiste, jeder auf eigene VVeise, in das ihm erschlossene Heiligtlium eiiies soUheii
Genius; die Schauer der Begeisterung werden dami ihn selbst zum Dicliter ^^alHlela, um die \\ ioder-
geburt aufgcnonnuener Empfiingnisse treu uud lebendig aus seinem Innern in <lie bildende Darstellung
hervortreten zu lassen. Unter diese kìinstler geliòrt unser deutscber Meister M. Uktz scii. Gemuth,
tiefcs Gefiilil und geistrcicher Scliwung der Ideen, im (Jewande der Walirlieit \md der (,'razie, siiidsei-
nen Compositionen als herrschendes Princip eigenthiimlicl», frei von den Cù-breilion der moderne» Ma-
nier, und oline den erborgten, nacbabmendcn Schmuck eines frenidcn Eigentluimes. Die meisterliatten
Darstellungeii zu G o n t m n ' s V ausi und S <• ji i \. i. k k ' s Hai! a d e n ( V r i <1 o 1 i n und dem K a m -
pfe mit dem Draciien) trugen seineii Knf bis in <ias ferustc Ausland. vnid erN%arben ilim, au^Uau^^
serhalb <l<-r (iriinzen des deutschen V alcrlandes, besoiiders unter den kunstsinnigeu IJrilten. die ehren-
VoUstc Auszeiclmung. Englands Vorliebe lur seine Arbeiten zeigte sich in so hohem (ùade, dass Nach-
Btiche jener Umrisse von H i< n R v M o s k s in London veranstaltet %>urden, um die Zugiinglichkeit der-
selben noch mehr zu erleichtern, uiul sie dachirch auf dortigem Bo<len zu naturalisin-n. An K i% t z s e n,
aU Skizzist, besitzen ^^ir deiisell)en Mcister, den Engbiud in seinem einzigen 1'' i. a x M \ > ehrt. und
beide steiien, gleich uniilM-rtroir.-n, auf der liiiciisten Stufe <lieses Kunstfaches sicl\ in ilirer Kigenlh\im-
lichkeit einanth-r gegenul)er. — Die Durstelhuig in Imrissen kouute wolil mitUeclit die unges<hmuikte-
8te aiierKunstgalMMi g<'nannt wenb-n, luid um so mehr, je weniger diirdi die ZutliaC euigeU-gter \us-
fuhrung die mah-rische Wirkung eines sohlirn Uihl.-s perspeeti^ isrli untcrsliit/.! \>inl. .ledes Tausc h.-n
und VerhidU'n, worin die INIiingel und IMissgrilVe .-iiicr nusgefiihrt.-n Kiin>tarb,"it sirh b-icht maskircn
lassen, ist hier dem Kiuistb'r virsagt. da Uier <lie Kunsl ge>vnn(lh>s uu<l olim- h<-lMMuicn Schmuc k , <> ine
Liclit- und Schatteimiassen, sich in ihrer unb.-dingtcn Na. klh.-it di in l rlh.ih' des Beschauenden <lar-
bietct. Diese grossen Schwierigkeiten, welche nur ein eminentcs 'l'aleni zu lòsen \ermag, sind «ler
Hauptgrund , ihiss die Kunst »o wenig Ausgezeichncles in dicsen» Kaclie aufzuweisen liat , und <>«
scheint der neueren Epoche vorbehalten , cine Schule dafùr zu bllden. Von hohera Interesse mnss ch
daher seln, dass Hr. Prof. Rktzsch sich fùr ein Unternehineu bestiinmen liess , welches ihm seln
innerer Beruf sclion langst angewiesen batte, und wozu es von Aussen nur einer leisen Anregung be-
durlte, um den SchalTungsgeist schon vertrauter Phantasien in ihm zu erwecken. S h a k s i> k a r i; ' s
holie Werke haben diesea Kiinstler von so lebhafter Uegeisterung durchdrungen , dass gegen\vartigen
Blàttern aus Hamlet ahnliche von Macbeth, Lear, Othello, Romeo und Julie, so
wie zu alien iibrigen Dramen dieses Dichters, in kurzen Zwischenraumen folgen werden. Jede dieser
Lieferungen soli sowohl einzeln bestehen, als auch dieselben, durch Uebereinstimmung ihrer àussern
Form, sich nacii und nach zu einem schonen Ganzen , einer vollstandigen Gallerie von Sji ak-
spkariì's siimmt lichen Schau s pielen, in mindestens 4((0 Platten, gestalten werden. —
Die schnellere Verstàndlichkeit der geistvoUen Darstellungen dieser ersten Serie ^Yird durch die seh-
kiinstlerischen Andeutungen ( arte di vedere ) des Hrn. Hofrathes B ò t t i g k r fur den Beschauer auf
eine lehrreiche Weise gefòrdert. Zunàchst einem jeden Blatte wurden ùberdiess die Textste llen
des englischen Originales nach der Ausgabe von Ciialmkrs, nebst denen der deutschen Ueberse-
tzung von S e ii l i: g k l und der franzosischen des G 1 1 z o t , so weit es niithig war, um den Zusammen-
hang der Scenen A'orzufiihren, beigedruckt. Diejenlgen Worte desTextes, woraiif die Handlung eInes je-
den Bildes sich unmittelbar bezieht, sind zur Unterscheidung dui'ch einen Wechsel der Schriften angedeu-
tet und werden leicht das Auge treffen. — Das erste Blatt, welches diese Lieferung mit einer Dar-
stellung von S ii a k s p li a r i; ' s apotheosischer Glorie eròlfnet, ist als Frontispice des ganzen Werkes
zu betrachten und wird auch spiiter dem Haupttitel gegeniiber stehen. Die zweite Tafel stelli uns,
gleichsam als Prolog zum Hamlet, einen, nicht im Stiicke befindlichen, Act vor Augen, um durch
die Exposition der furchtbaren Ursache bevorstehender Ereignisse die tolgerechte Entwickelung der kom-
menden Scenen zu veranschaulichen. Mit àhnlichen Eiideitungsblàttern -werden auch die kiinftigen Se-
rien jedes Drama eròffnen, und denselben, wie hier, eine Uebersicht der handelnden Personen voran-
gehen. In der Umsc hlag - Vignette spricht sich, ura mit demselben Gleichnisse fortzufahren, der
Epilog des Stùckes aus, da es , in Form eines Monumentes, die Opfer der Schicksalssiihne, vom
Tode verelnigt, zusammenstellt. — Die àussere Ausstattung steht im wùrdlgsten Einklange zu dem
iiineren Werthe dieses Kunstwerkes. —
n.
CALDERON. Las Co3iedias de D. Fedro Calderon de la Barca, cote-
jadas con las mejores Ediciones hasta ahora publicadas, conegidas, y dadas a
luz por Juan Jorge Keil. Eri Cuatro Tomos. Adoriiados de un Retrato
del Poeta, grabado segun un Dibujo originai de Maur. Retzsch por Enr.
Schmidt. 8vo. imper. Extra cartonnirt.
Erster Praiiumeratìons-Preìs: (à 4 Rtlilr. pr. Band.) 16 Rthlr.
tSr Kein Schriftsteller des gesammten Auslandes dùrfte noch mit grosserem Rechte eine vollstandige
und critische Handausgabe seiner Werke zu fordern haben, als Spaniens unsterblicher Cat.dkron, des-
sen iruchtbarer Genius seinem Vaterlande ein dauerndes Denknial errichtet, und den unverwelklichsten
Krauz des Nationalruhmes gewunden hat. Das iibrige civilisirte Europa wetteiferte in der Anerken-
nung des grossen Dichters, und vielfàltige Uebertragungen in die Literaturen der meisten Sprachen
l)eurkunden die a\isgebreitete V erehrung seiner Muse. Darum so àusserst dringend erscheint das Be-
dùrfniss eines critisch gereinigten Textes der Calderon^schcn Dramen, indem zwei al-
tere, in Spanien gedruckte, Ausgaben, ungerechiiet des theuern Aufwandes, und der sehr grossen Schwie-
rigkeit, sicli dieselben zu verschalVen, an zahllosen DruckCehiern , Mangeln und Entstellungen leiden,
deren Sichtung, mit Hinzu/.iehung eines sehr umt'assenden Ai>parates der einzeln gedruckten Theater-
stùcke, so wie der IJenutzung vleler, hochst seltener Hiilt'squellen, — Zweck und Ziel gegenwàrtiger
Ausgabe geworden sind. Hr. Hofrath Keil Imt sich, wiihrend seines vieljaiirigen Umganges mit der
spanischen Literatur, in besonderer Vorliebe dem Stvidiiuii des Cai.dkron gewidmet, und dieser hochst
niùhsanien Arbeit untcTzogen. — Vier starke 1 m p er i al-O ctav- Bàn d e, jeder von 700 bis
800 Seiten , werden dasdìanze umfassen, und nicht weniger als 108 Stiicke einschliessen, deren letz-
ter spatestens bis Juni 1829, also inncrhalb zwei Jahren, die Presse verlassen soli. Fine Sanmi-
lung Noten, welclie die Varianten und wichtigsten Sach- und VVorterkliirungen vereinigend zu-
sammenstellen , so wie eine critische l^iteratur ('4i,di;ro>s , das Fac-simile seiner Han<lschrif t,
und andere Beilagen enlhaltcn wird, erscheint nachtriiglich in einem Su ]ipleme nt-Hefte, umspà-
ter dem vierten IJande finverleil)t zu werden. — In t>pograpliischer Hinsicht eriiiilt diese Ausgabe
einen iin\A der Vollkommenlioit, welcher sie mit den i'rachlerzeugnissen von London und Paris unbe-
dingt in Einen Rang stelit, und, von Seiten der Oeconomie, nnl)es(ha<let der Lesbarkeit einer neuen,
fiir dies(!s Werk besonders grgossenen , Sdirift, welche auf dem feinsten Paten t- V e li n - Papier e
sich mit ausserster Sriiiirfe und Sclionheit «larstellt, alles in dieser (ìattung bis ìetztGeleisteteùberbie-
ten «liirfte. Fin aiisfiilirli<iier Prospettus n»it beigefiigter 'l' it e 1- und Text-Prohe wird in sàmmt-
lichen UiKliliaiulinngcn gratis »Ttiieill und kann alien Sacliverstiindigen zum Belege dieses, viel-
leicht anmaasscnd ersclieinenden, ijohspruclies dienen. Der erste Ba n d ist so eben erschieneii, hat
'il Schauapiele uufgcnoinmen, und, zuniichst uLicr Biugraphie CAbD^Ru^8, auch destien Bildnist*,
nach pìner Originai- Zeichnung von einem unserer vorzùglichsten Kùnstler gestochen, als Titel-
k up f er erhalten.
Die B ed in g unge n der, im Januar a. e. eròffneten, Pranumeration ■vvaren folgende :
I. Der Pr« numerai io jis-Prets fùrjedenBandbetràgt 4 Rthlr. Conv. M. oderlFl. 12Kr. Rhein.
II. Diese Baar- Pranumeration von 4 Rthlr. Conv. M., oder 7 FI. 12 Kr. Rhein. , auf dea
ersten Band, wird von jetzt an in alien soliden Buchhandlungen Deutschlands und der be-
nachbarten Staaten acceptirt, und man bittet die Interessenten, dieselbe recht zeitig zu leisten, so
W'ie eine lesbare Anzeige der Namen , Charactere und Wohnòrter in den respectìven Buchhand-
lungen, Behufs eines Prànumeranten-Verzeiclmisses , zu hinterlassen.
ni. Bei Empfange des ersten Bandes ist die Pranumeration auf den zweiten za entrìchten, und
gleichmassig bei Ablieferung des 2. und 3. Bandes mit der Vorauszahlung fortzufahren ; wogetren
nur allein die Verabfolgung des vorhergehenden Bandes geschehen kann. Diese billige Garantie
fùr die Fortsetzung des Werkes ist bei einem so kostspieligen Untemehmen durchaus unerlàsslich.
IV. Ein zw eit er, erhohet cr Pr ànum erati ons -Pre is von 5 Rthlr. Conv. M. oder 9 FI.
Rhein., fiir jedcn Band, tritt nach Beendigung des ersten Bandes ein, vu\d es ergebensich also fol-
gende summarische Preisverhàltnisse :
A. Brste Pranumeration (mit dem Vorzuge erster Abdrùcke des Portraits) , fur jeden Band
4 Rthlr. , betràgt ùberhaupt : 16 Rthlr.
B. Z w e i t e Pranumeration, fur jeden Band 5 Rthlr. , betràgt ùberhaupt : 20 Rthlr.
C. Kùnftiger Ladenpreis fiir alle vier Bande : 30 Rthlr.
Von dem wachsenden Interesse , welches neuerdings bei alien gebildeten Nationen fùr die spanische
Sprache, als den Schliissel zu einer der reichsten Literaturen, und nicht minder als zeitgemàsses
Bediirfniss der wichtigsten politischen und mercantllischen Beziehungen des transatlantischen Welt-
theiles, so àusserst sichtbar ist, darf ich mir auch in Deutschland eine lebhafte Unterstùtzung dieses,
grosse Aufopferungen erheischenden , Unternehmens versprechen , und hoffe , durch meine zeitherigen
Ausgaben englischer und italienischer Classiker, bei dem Publicum nur ein giinstiges Vorurtheil fiir die
Leistungen meines Verlages erweckt zu haben. —
m.
PARNASSO italiano, ov\iero: i quattro Poeti celeberrimi Itallìxi.-
"La divina Commedia di Dante Alighieri.'' "Le Rime di Frances-
co Petrarca.' "L'Orlando furioso di Zorfoy/co .^r/osfo." '-La Gerusa-
lemme liberata dì Torquato Tasso." Edizione giusta gli ottimi Testi anti-
chi, con Note istoriche e critiche. Compiuta in Un Volume. Ornata di quattro
Ritratti secondo Raffaello Morglien. 8vo. gr. Extra cartoiiimt.
Ladenpreis: 5 Rthlr. 8 Gr.
tir Vereinigt unter diesem gemeinschaftlichen Titel ist nunmehr vollstàndìg ersrliienen eine ncue , mit
critischen Noten begleitete, Aiisgabe der hohen Dichterwerkevon Italieiis vier gròssten INIeistcrsangern. —
V. Dem sorgfàltigen Abdrùcke des Textes, >velchem die altesten, zumeist beglaubigtcn Originai - Ausgaben
unterliegen, wurden, mit Benutzung eines reichen Apparates und vieijàhriger , critischer Studien,
die uichtigsten Wort- und Sachorkliirungen nebst \ erschiedenheiten der Lesart, von einem ge-
lehrten Sprachforschor, Hrn. Ad. IVa^ner , beigefiigt, und denuiiiclist alle Bedingungen der strengsten
Correctheit gewissenliaft crfiilit. — Kin sehr schòner und deutliclier Diuck ge\>iihrt auf doni feinen,
weissenVelin-Papicrc dieangenehmste Wirkung, so wie iiberdiess die hòchst sorgfaltige Kleganz der iius-
sercn Aus.stattung durch eia trellTu-hes Titelkupfer .Schwcrdgeburths , die BiUlnisse der vier Poeten
nach den Meistcrsticlu-n des RalfacUo IMorghen in einer allegorischen (J ruppe darstellend , noch mehr
gehoben >vlrd. Ungeachtet des sehr bedeutenden Aulwandes, ist der Preis dtsinoch aussersi >vohl-
ieil gi-stellt, und ich holle , «lurch diese GemeinniUzigkelt, unler den zalilrciclien Freunden tler italio-
nisciicn l/iterattir ein giinstiges Interesse zu erwecken, da selbst Hesilzer vomì Dante, .iiiosta, 'l'asso
oder Pitrinca in einer oder <ler and<'rn einzelnen Ausgalie, deren jede als Viertcl des "l'arnasso Italiano''
eben so viel wie hier das Ganze kosten dinfle, durch deren Ankaul" kein eigentiiclies Opfer bringen.
Dass die innere und iiussere IJesorgung dieses Werkes ein sprechender Me\>eis «ler nielli geringen
Schwierigkeiten ist, welclie bt-i dessen Austuluung zu beseitigen waren, \>ird jeder Sach^erstiilldiJJC mit
Belfalie zu >viirdigcn wissen und die Gediegcnlicit des Gcleistctcn aiierkcnuen. —
IV.
Milton, tue Poetical Wouks of Johx IVIiltox, prixted from tue
Text of 7of/f/, llairhhìs, aiid otlurs; to wWich is prolìxed the Toet's Lift',
bv Edward Pili lips. Complete in One \ olume. Post. b>o. Caitoiinirt.
SuOscriptìons-Prcìs: 1 Rtl»'»- ^ ^'f-
t:r ''Crilicism OH Hic ' Pa radi te Lnst' (sagt ein rnglisrhrr Biograph Mii.To>*.s~) han Ixm rxhdustid
in a «umici 0/ boolm, and praisc, ij il wvrc lo bc bcslowcd in propoition 16 wcrit, uouUÌ pciltaps re-
quìre a new language, or an imaginatlon as fertile as that of the author. Ofthefoiir namen, it'hich
universal opinion has placed at the head of poetic excellence, Homkr, Vikgil, Suakspk\ri;, and Mil-
ton, ffis a proud consolation that England can cìaim two." Schon diese \\wiigen Worte kònnen es tref-
fend bezeichnen, in welcher hohen Yerehrung Milton unter seinen Landsleuteii gehalten sei, Avi e stolz
Eiigland darauf ist, dieseii Dichteifùrsten den seiiiigen zu iiennen, i!in, unmittelbar neben Siiakspkìiik,
auf den hòchsten Gipfel des literaiischen Nationalruhmes stellend. Boch aiich die iibrige gebildcte Welt
ist niclit zuriickgeblieben, diesen hohen Gesàngen den Tribut der Bewundeiung zu zollen, und besonders
hat Deutschland seine unparteiische Anerkennung fremder Verdienste auch hier bewàhrt. Die gegen-
wàrtige Ausgabe ist nach den Grundsàtzen der strengsten Critik geschehen ; die Lesarten des Textes
wiirden auf das Sorgfàltigste berichtigt, und dabei die besten àltern und neuern Quellen, insbesondern
die reichhaltigen Forschungen eines Todd , Hawkins, u. A., berathen. Ausser den giòssern Sachen:
" Paradise LosT, Paradise Regained, und Samson Agonistes (a dramaftc poezn), Lycidas, L'Al-
I.EGR0, Il Penseroso, Arcades, Comus", sind 'auch die sàmmtlichen Sonnets, Odes und vermisch-
TEN Gedichte, mit Einschluss der Psalms undeiniger vorhandener Uebersetzungen, aufgenominen wor-
den, und somit der ganze poetische Nachlass Milton's volistàndig zusammengesteilt. Mit einem
correcten , sehr lesbeuen Drucke ist Eleganz und Wohlfeilheit in hohem Grade vereinigt. —
ARABIAN MGHT'S EnterTAixments: coivsisting of One Thousaxd and
One Stories. In One Volume. Embellished with nearly One Hundred and
Fifty Engravings. Stereotipe Edition. Roy. 8vo. Cartonnirt.
Subacr'qìtions-Preis : 2 Rtlilr. 20 Gr.
tu' Von den Dichtern alter und neuer Zeit ist der lleder- und sagenreiche Orient als eine der ergiebig-
sten B^undgruben romantischer Fictionen erkannt und benutzt worden ; viele der anmuthigsten Erzeug-
nisse europàischer Literatur fiihren uns auf diese Quelle zurùck, und haben ihren Ursprung der frucht-
baren Phantasie jener Zone zu danken. Eines der reichsten Pi'oducte in dieser Hinsicht, so wie in sich
selbst, sind wohl unbestritten die viel iibersetztenundgelesenen "Arabischen Naechte", wovonbeiuns,
in Frankreich und England mehrere der sorgfàltigsten Bearbeitungen unternoinmen Avurden. Der Reiz
dieser Erziihlungen ist auch in der That eben so anziehend als belehrcnd, und die ihnen beiwohnende
Fiille poetischer Einbildungskraft so ùberaus ansprechend, dass sie es verdienen, jeder Zeit und alien
gebildeten Nationen anzugehoren. Der Englànder Hole sagt unter andein, in einer eigenen Abhand-
lung iiber dieses Werk, von den Reisen des Seefahrers Sindbad, dass diese Geschichte als die arabische
Odyssee zu betrachten sei; so wie sich ùberhaupt die brittische Vorliebe fiir diese Erzàhlungen durch
sehr gute Uebersetzungen in vielfàltigen Ausgaben kund gethan hat, und man dieselben so weit ehrte,
ihnen einen Platz in einigen gesammelten Editionen englischer Classiker anzuweisen. Fiir einen in
der englìschen Sprache sich Unterrichtenden wird auch wohl kein iihnliches Werk, den \ orzug einer
leichten, fliessenden Sprache mit Belehrungund Unterhaltung auf das Nùtzlichste und in so hohem Grade
vereinigend, wie es hier der Fall, anzutrelVen sein, und daher dùrfte gegenwilitige, eben so wolilfeile als
elegante und correcte Ausgabe, w elche aus einer Londoner Officin hervorgegangen und mit beinahe 150
HolzscUnitten geziert Lst, gewisa Yielen eine selir willkonuuene Erscheinung sein. —
VI.
MILTON! (IOANNis, Angli) de Doctrina Christiana Libri duo post-
humi, quos ex Schedis manuscriptìs deprompsit, et typis mandavi primus cura-
vit Car. Rie. Sumner. 8. maj. Cartonnirt. Ludenpreis: 2 Rtlilr. 16 Gr,
F^ Fur die , auf crltische Zeugnisse gestùtzte, Autorschaft einer theologischen Abhandlung des grossen
Milton hatten die englischen Herausgeber und Comniontatorcn selner Werke sclion seit gerauiner
Zeit die vollgultigsten Belege beigebracht ; da aber alle ÌVachforscIiungen, derselbcn auf die Spur zu
kommcn, fruchtlos geblieben, gab man der Ueberzeugung Raum , dass dieser litorarische Schatz unwie-
derbringlich fùr die VVissenschaft verschw unden sei. Unseror Zeit, und Daiik deiu scharfsinnigen Eifer
eines Hrn. Lemon, war es vorbehalten, dieses Kleinod aus seinor zweihundertjalnigen Yerborgenheitder
Mit- und Nachwelt zu retten. Das Manuscript, welches die Handschrift einer von Milton's Tòchtern
ist, wurde unter mehreren Papioren aus den Tagen Carls 11, entdeckt. Auf Befehl des Konigs ùber-
nalim die Herausgal)e desHelben der Kòiiigl. Bibliothekar Sumner, welcher davon sowohl einen Ab-
druck des lateinischen Originals, als auch gìeichzeitig eine englische Uebersctzung besorgte, und dessen
Verdienste um diese Bcarbeitung die riilimiiciiste Anerkeniunig gefunden haben. Das Werk zerfàUtln
r.wei Al)tlieiliingen: die erste iiand(;lt vom Glauben oder (Icrjjclire iiber Gott (r/c Fide seti Cognitiont
Dei), die aiidere ùl)er die Liebe oder den («ottesdienst (de l'harilate seii Dei C'ultu) , und istnichtnur
fQr den 'J"lieolo;;(ii, sondern aucli alien Forscliern bei dem tieferi\ Studimn Aon IMilton's unsterbiichen
Dichtungeii des Piiradieses, eine gleich wiclitige uis unentbetiriiclieErsclieinung. Der gegenwàrtige,
fùr das Continent veranstaltete , correcte Wiedcrdruck darf «ich , zwar minder prunkvoU, demioch an
I
typo^raphischer Schònheit mit dem Originale messen, nnd es ìst die Unznjrànglichkelt der encrlischen
Ausgabe (sie kostet 17 Rthlr.) durcli desswi Woulleilheit auf das Gemeiiuiùtzigste beseitiTt, — "
vn.
WaLKER. a Criticvl Proxol^'Cing Dictioxary, axd Expositor of tue
English Lang-uag^e: in which, iiot onlj the Meaning- of every Word is clearly
explained, and the Sound of every Syllable distiiictly shown , but, where
Words are subject to different Pronunciations, the Authorities of oiir best Pro-
nouncing- Dictionaries are fully exhibited, the Reasons for each are at large dis-
played, and the preferable Pronunciation is pointed out. To which are pre-
fixed, Principles of the English Pronunciation, \:c. By John Jf alher. Crit-
ically reprinted from tlie London Stereotype Edition. Roy. 8vo. Extra car-
tonnirt. Subscrijitions-Preis : 2 Rthlr. 8 Gr.
tS" Neben den vomehmsten INIitbewerbern der brittischen Lexicographie hat sìch dieses VVòrterbuch
seit einer Reihe von Jahreii in so licheni Ansehen behauptet, und durch das schnelle Fol^en eiiii<ier
zwaiizig %'erbesserter Auflagen eiiien so liolienRang ervNorben, dassihni gciiciiuarti"', nacli deni ein-
stiinniigen Ausspruche der englisciien Cntik, der erste Platz gebiilirt, dessen Priiicipien als die eiit-
sclieidenden gelten, und die jetzt verkautilclie Ausgabe mit stelienden Sciiritten gedruckt ^verden konnte.
Diese Tliatsaclien sind auch dem Continente so hinliinglicli bekannt, uin die V eranstaitun"^ meines niit
critischer Genauigkeit besorgten , Abdruc:kes vollkoininen zu reciitfertigen, Avelciier sowolil in dieser
Hiiinicht den scliàrt'sten Bedingungen der Correctheit entspriclit, als in t> pograpliischer das Ori>'inai se-
gar bei ueiteni ubertrillt , aber dennoch von Seiten des Preises weit biliiger gestellt ist, als dieses.
Kine selir ausfùhrlìche Einleitung ùber die Grundsàtze der englisciien Ausspraclie,
den Gei st der Grani ni a ti k, so wie eine Anleitung iihcr den Gebraiich des Buclies, sind zuniiclist
darin enthalten, und es trugen erstere niciit wenig dazu bei , dieseni W erke jenen ausgezeichneten Ruf
der Classicitàt zu begriinden, >\elclier ihiu in England, ^^ie bei alien gebildetea Nutionen , unverinin^-
lich bliuben «ird. —
vin.
MOORE. Tue Works of Thomas .Moore, Esq. Accurately prixted
from the hist originai Editions. With additional iSotes. Complete in One Vol-
ume. Roy. 8vo. Cartonnirt. Ladenpreis : 3 Rthlr. 8 Gr.
t^ Durch seine " Lalla Rnokh, " " The Lovca of the ÀT><cch, " " Ivhh Mclndia " nnd eine grosse Zaiil
der trellTulisten G e san g e , IJalladen, Odeu und aniler<M- CìfMlicliic v(>nMÌ-;t:iten Inliali-i. aurli
eine comisclie Oper, " .\/. P. ; «r (/ir Ulne -.Slockinir'' bctiteli, liat sidi 'l'hoinas Movie unsterbliciien
Rullili erworben und ein nie verlòscheiides J)eiiknial in Knglands Diditcrliteratiir gegriindet. .Seine
saiiiiiitrulicn \N erke ersciicinen liier zuiii ersten .Male gcsaiiiiin'lt in einer voUsiandigt'iucorrecten Ausgabe,
die aneli in tjpograpliisclicr Uiiisiclit keinen Ansprucli iiiibcriieiiigt lassi, und dalier unter den N'im-
elirern brillisclier Classiker, bei der ansserordentliclien Billigkeit dea Preises, uni so brlii-bler geworden
ist. Das Ganze, nebst einer bedentfMidcii Anzalil liinziigt't'iigter ÌSoten, \>ui(ie in K i ii em (i ro s .s-
0 »: t a v - B a ii d e vereinigt , und der Drutk mit neuen e n g 1 i s e li e n Lettor n auf scliòneiii N elinpa-
piere sorgtaltigst ausgelùlirt. —
IK.
SiTAKSPEARE. Tue Drvmvth: AVorks of Shakspe\re, printeh from
the Te\t of Sttmud ./o/i;/.sow, Gan'j^c ,Sl(crcìis. nuil Ismic ÌUcd. ConipUtr in
One Volume. Roy. 8vo. Cartonnirt. Sithscrijìliuiis- Prciti: 2 Rthlr. 20 Gr.
t^ Bel einer nalieri Zerfrdlnng dieses Preises zeigt es sieh, dass im Durciisrlinitte jedes einzelne Stfirk
von Shakspeare's 37 Draineu mir einen und «Ireiviertel («ro>!«lien gereelinet isl, und mitirni
weder liei friilier erHcliiencnen, als noeli vm er\var(<iiden Ausgaben eine aiinliilie IJilligkeil zu liiidensei.
»^' An diese iiusserst sclione, auf N elin - l'npier d e u 1 1 i « li und rorrect gedruckte , Xiisgabe,
welclie den ullgemeinslcii Beilall gelunden liat , scliliessl sicli ein Anliaii>{ unter rolgenileni Titel :
n.
SHAKSPEARE. Av APPENni\ To sinKsPEARr.s l)RVM\Tir Works, &r.
&c. Contents: The Life of the Author by ìug. Sholtotn : liis Miscelia-
6
neous Poems; A criticai Glossarj, compiled after Nares, Drake, Ajscougli, Ilaz- i
litt, Douce, and others. With Shakspeare's Portrait taken froiii the Chando3 !
Picture, and engraved by C. A. Schiverei geòurth, Roy. 8vo. Broschirt.
Subscrqjtìons-Freìs: 1 Rthlr. 8 Gr.
Str Dieses Supplement entspricht an Format und Druck ^enau obiger Ausgabe der Dramatischen
Werke Shakspeai'e's , und ergànzt alles iibrige, nàchst deii Buhneiischriften, voii ihm Yorhandene. —
Auf die interessante Lebeusbeschreibung durch Aug. Skottowe folgen die sàmmtlichen vermischten
Gedichte iadieser Ordnung: 'Tcni/s and Adonis; Tarqitin and Lucrcce; The Sonnets; The passionale
Pilorim; A Lover's Cumplaint^'. — Auch wird den Besitzern anderer Ausgaben, ^vorin dessen ver-
jnischte Gedichte gemeiniglich fehlen , dieser Appe ndix zur VervoUstàndigung willkonmien sein, und
insbesondere durch die Zugabe eines sehr ausliihrlichen critischen Glossars, das Resultai vieljàhriger
Forschung und der Jìenutzung mannichfaitiger, seltener Quellen, der Schliissel zu den sonst hàufig, be-
sonders Auslàndern, unzugàngllchen Stellen dargeboten. Fin vorzùgliches Brustbild kShakspeare's nach
dem beriihmten Chandos Picture, Avelches die meisten Autorittiten tur sich hat, ist, nàchst der
SkottoNve'schen Biographie, ebenfalls darin enthalten und kanninmeiner Ausgabeder '■^Vraraatic ìVorks",
selbst bei schon gebuiideneu Exeniplai'en, leicht angebracht werdeu. —
HI.
SHARSPEARE. Illustrations of Shakspeare; comprised in Two Hun-
dred andXhirty Vignette-Engravings, bj T/io//iyisow, froni Designsby Thurston.
Adapted to ali Editions. Roj. 8vo. Broschirt. Pi'cìs: 2 Rthlr.
t^ Die hòchst geistreichen Erfindungen eines Thurston, ^velcher mitRecht als Englands Chodowiecki
gelten kann, geben, bei allera Reize des correctesten Miniatures, den Genius der Shakspeare'schen Dra-
men mit so viel malerischer Wahrheit wieder, dass es nur Thompson's Meisterhand inòglich war,
diesen Vignetten im Holzstiche jenen hohen Grad der Vollendung zu verleihen , der sie den reinsten
Arbeiten der Kupferstecherkunst unbedingt an die Seite stellt. — Auf jedem Octavblatte befinden sich
zu jedem Schauspiele sechs Vignetten, nebst beigedruckten kurzen Textsteilen der Scenen, wodurchden
Besitzern irgend einer Octav - Ausgabe (z. B. der bei mir erschienenen : ,,Dra?na</c fForks of Shak-
speare, prinledfrom the Test of Samuel Johnson, George Steevens and Isaac Reed. Complete in One ì ol-
ìime. Roy. Suo.) Gelegenheit gegeben wird , sie als cine wahre Kunstzierde dem Buche cinzuverlei-
ben. Shakspeare's Brustbild und unter diesem eine trelliiche Darstellung seines Geburtshauses
in Stratford , beides ebenfalls Holzstiche , sind als Frontispice dem Titel vorgebunden. Die sàmmtli-
chen Abdriicke wurden in einer Londoner Officin rait grosster Reinheit und Scliàrfe vollzogen, und wer-
den Kennern nichts zu Aviinschea ùbrig lassea. — lii eiiiea saubero Uiuschlag geheftet, kosteu diesa
230 Vignetten nur 2 Rtlilr. —
Shakspeare. the Tragicall Historie of Hamlet Prixce OF Den-
marke, by ìllUìam Sliuhe-speure. As it hath beene diuerse times acted bj his
Highnesse seruants in the Cittie of London: as also in the two Vniuersities of
Cambridge and 0\ford, and else-where. At London printed for ]\. L. and
John Trundeil. 1G03. This first Edition verbally reprinted. 8vo. Broschirt.
Ludenprcìs : 12 Gr.
tCr Dieser buchstàblichc Abdruck des in London kùrzlich erschienenen Fac-sìmile der neuerdings aufge-
fundenen ersten Edition des Hamlet vom Jahre l(i03 wird jedem Freunde Shakspeare's und alien
Besitzern irgend einer Ausgabe von dessen VVerken, als ein ^^ichtiger Beitrag willkonmien sein, danicht
allein die Varianten von grosser IJedeiitung sind, sondern aneli durch Beibehaltung der alten, sehr ab-
weichenden,iSchreibarteine antitiiiarische Probe geliefert wird, in welcherOrthographie Shakspeare seine
Dichtungen ursprvinglich niederschrieb. — Ueber diese Ausgabe urtheilt G 6 t ii k (s. Kunst und Al-
tcrthum VI, 1. S. 114.) neuerdings in folgenden Worten: "Shakspeare's leidenschaftliche Freunde er-
halten hiermit ein grosses Geschenk. Das erste unbefangene Lesen gab mir einen wundersamen Ein-
druck. Es war das alt(! ehrwiudige Bckannte wieder, an Gang und Schritt nichts veraadert, die
kriiftigsten vs irksamsten Hauptstelleu dei" ersten geuialen Uaud unbcriihrt. " —
xin.
SHERIDAN. Tue Works of tue late right iionourable Richard
Brinsley Sheridan. Collected by Tliomas Muore, Autlior of "Lalla
Rookh" , "The Loves of the Angels", &c. Complete in One Volume. Crown Svo.
Cartonnirt. Suòscrqìtions- Preis : 1 Rtlilr. 8 Gr.
tó" Sheridan's gefeierter Name glànzt in der Reihe von Englands Buhnendichtern als elne der wich-
tigsten Erscheinungen, und dessen unsterbliche Werke schufen fùr die brittisclie Theaterpoesie cine der
Bchònsten Epoclien neuercr Zeit. Nur der Mangel einer kaufbaren Ausgabe dieses classischen Dichters
war zeitlier in Deutschland dem allgemeinen Bekanntwerden desselben hinderlich, und die Freuiide der
englisclien Literatur entbelirten bis jetzt einen der giòssten Genusse, welche jene Sprache bietet, die
aus Sheridan's Feder mit so viel Anmuth , Witz und Lelchtigkeit geflossen ist. Von seinen treffli-
chen , den Meisten unter uns weuigstens deni Namen nach bekannten, Theaterstùcken bedarf es bloss der
Nennung einiger: '•^The Rivals, a Comedy; — The School far Scandal, a Comedy; — Pizarro, a'Vra^e-
dy ; — ecc.", um sogleich den Wunsch zu erwecken, d iese AVerke zu besitzen , welche hier dem Pu-
blicum in einer streng correcten, auf englischem Velinpapiere ausgezeichnet schòn
und deutlich gedruckteu Ausgabe, auch zugleicii fùr einen hòchst billigen Preis, geboten
werden. —
HIV.
W. SCOTT. Peveril of tue Peak. By the Author of "Waverlev,
Kenilworth, &c." In Four V^olumes. Svo. Cartonnirt.
Heraògesetzter Preis: {von SRthlr. 16 Gr. auf) 1 Rtlilr. 8 Gr.
fS" Dieser neuere Roman Walter Scott 's stellt uns eines der relchbegabtesten Gemàlde des nordischen
Meisters vor Augen , und wird bei den Freunden seiner herdicben Muse in vorliegeuder , ausserst cor-
recten und sehr eleganten, Ausgabe vielenBeifall fiuden. Nicht nur als eine der iateressaiitesten Unter-
haltungslectùren , sondern auch zu gemeinscliaftruhen Lescùbungeu eines englischen Lehrcuj-sus, istdie-
ser eben so anziehende als lehrreiche Roman vorzugsw else geeignet, und hauptsàcliiich l'iir letztern
Zweck durch die grosse Ermàssigung des Preises ùberaus zuganglich gemachu —
KV.
COOK'S (Captain Ja3u:s) First Voyage roixd tue World. With an
Account of his Life previous tliat Period. By A. Kippis. Adapted to the
Use of Schools and Selfstudy hy an English-German Pliraseology. Auch unter
dem Titel: EngUsches Lesebuch, James Cook's erste Reise uni die AVeit
enthaltend. Mit einer englisch-deutschen Phraseologie zur Erleichtcrung des
Uebcrsetzens bei dem Schul-und Privatgebrauche versehen von C. Liidgcr.^yo.
Cartonnut. Ludcnpreis: 12 Gr.
tó* Unter den verschiedenon Lcsebiichorn , die sich in Deutscliland sowohl An(angem als auch geùbteren
Schiilern der englisclien Sprache, zur rortschreitenden Uebuug und stulVnweison Ausbildung in derselben,
in keiner viberreichlichon Auswahl darbietini, diu-fte cin klcines Work, wie gogen\varti{ies, boi dossen
Reize des StolVes von Soiten soinor historischon \\ ichtigkoit, in Voioinignng mit oinor loicht fassliciion,
roin stylisirten Darstollung, niclit olino \vosontlichon Nutzon soia, uud noch iusbesondoro zur niiliorn Be-
kanntschaft der seemiiimisclien Ausdri'icke, ho W\v. inanchor ungosvolinlicheii, moistoiis nur auf tVomde
Ijiindcr beziiglichen, Wiirtor das S(>inig(! boitrago-i. Die von Hrn. ('. Liidger als Anliang liiii/.uge-
fijgte Phras<'ologio, wird <lcn (.«ebraiicli , auch olino lloisoiii dos Lohrors, wosontlici» orloiohtoni , da
dio, oinor jedon Seite angehendcn, Kiklarungen , unter c'uizchion, iiinweiscnden Rubrikcn, schnoU dariu
aufzujindon sind. —
KVI.
PLUEGEL. Vollstaexdige E.NGr.iscnE SPRAriii,i:iiRK f( r de\ ersten l \-
terricht souohl, als fiir d;is titferc Studiuin, nach dei» bt sten (ìr.iiinnatikern uud
OrtlKH'pislen: li<(illi<., Harris^ ,lo/insun^ Loirl/i, Murnii/, Aa/v.s", i\ttlluì\ u.
A. bearbcitct, und mit vieltui Biispiclcii aus {\v\\ bcriibintcsten engliscluii Pro-
saikern uiul Dichtcrii (hr iiltcrn uud neucrn Zeit erliiutert von /. (i. Il ii ì:; ci.
8vo. Broscliirl. lAtiUnprùs: 1 Klhlr. I() (ir.
tì" Wolchoii Zworkon diosc ncuc ongiische CJrammatik cntsprociicn s«>ll und mit wohlion IlùItMuittoln
dicsoibo boarboitol wnrdo, orkiiirt sihon cU-r 'l'ilol ini Allgomoinon; liisst abor don noiion l'inn dor V.u-
aamiuenstollung, don Reiclithumdcr iMulorion, ìm >viu dcii crilisvhcniJvitft ihrcr Behandlung keiucs\>cgci
errathen, da so seltene Vorzùge nur durcli Pruftmg des Inhaltes gewurdigt werden kòr.nen ; wie die-
selbcn denn auch bereits vou alien Seiten die rùlmilichste Anerkemiung gefunden haben. Druck und
Papier dùrften an die Pioducte der englischen Pressen èrinnein. —
HVII.
MORETO. Eh Desden con el Desdex. Comedi v famosa de D. Augij-
stin Moreto. 8vo. Broschirt. (In Commiss.) Preìs: 10 Gr.
HVIII.
THOMSON'S (A.T.) Veretnigte Piiaumacopoeex der Londoxer, Edixbur-
gher und Dubliner Metlicinal-Collegien; nach der fiinften Originai -Ausgabe,
und als Uebersicht der brittìsclien Avzneimittellehre, mit Zusatzen bearbeitet
von Dr. jì. Braitne. 8. Cartonnirt. Ladenjìreis: 1 Kthlr. 8 Gr.
tCr In dem Bereiche der anslandischen Arzneiwìssenschaften ist der prufende Forschun<i;sgei.st deutscher
Wissbegierde mit rastloseni Eit'er vorgedrun;;en, und hat sich in besonderer Vorliebe da» ergiebige Ge-
biet der brittiscben Heilkunde zu dem VVahlplatze seiner Untersuchnngen erlesen. Die niedicinische Lite-
ratur Englands ist daher bei uns fast in gleichem Grade heimiscli , wie in ilirem Vaterlande, und es
werden jàhrlicli sowohl die vornehmsten , als auch minder Aviclitigen Producte derselbon durch zahlrei-
che Uebersetzungen auf unseni Boden verj)tlanzt. Bei dem Umgange mit diesen Schriften stosst aberder
Deutsche sehr haufig auf Gegenstande und Benennungen aus der Pharmazie und Arzneimittellehre, die
ihm , ohne ein Hùlfsbuch , dunkel und unverstàndlich bleiben ; >Yeshalb die Zusaninienstellung einer
brittischen vereinigten Pharniacopoe, nach dem neuesten Standpuncte der Wissenschaft, als ein zeit-
geraàsses Bedijrfniss ge>viss allgemein ^^illkommen ist. Diesem populàren Zwecke wìrà gegenwàrti^ft
sorgfàltige Bearbeitung in jeder Hinsicht practisch genijgen, und dadurch noch mehr demseiben entspre-
chen, dass, zur Be(|uemlichkeit bei dem Gebrauche des Buches, die nothigen Reglster beigefugt >vur-
den , und sich ùberdiess mit àusserer Eleganz ein sehr wohlfeiler Preis vereinigt. —
KIH.
NAUMANX'S (J. a.) Naturgesciiiciite der Vògel Deutsciilaxds , xacii
eigenen Erfalirungen entworfen. Durchaus umgearbeitet, systematisch geord-
net, sehr vermelirt, vervollstandigt, und mit getreu nach der Natur eigenhandig
gezeichneten und gestochenen Abbildungen aller deutschen \ ogel, nebst ihren
Hauptverschiedenheiten, aufs \eue herausgegeben von dessen Sohne Johann
Friedrich ]\ tiuwann. Ir. bis r>r. Band. Mit 144 colorirten und 6 schwar-
zen Rupfertafehi. Lexicon -Octav. Broschirt.
Lcidcnprcis: (Ir.Bd. 26RtMr., 2r. Bd. 16 Rthlr., 3r. Bd. llRthlr., 4r.
Bd. 13 Rthlr., 5r. Bd. 15 Rthlr.) 81 Rthlr.
Desselben, Dieselbe. Ir. bis 5r. Band. Der Text apart , nebst 5 Titelkupfern,
ohne die colorirten Tafeln. Broschirt. Ladenpreis: 18 Rthlr.
^ Hochachtende Zeugnisse des In- und Auslandes wurden diesem Werke in reichem INIaasse zu Theil,
sattsam hat die Critik iiber dessen classischen Werth entschieden , und mit immer steigendem Belfalle
sind die fortgesetzten Lieferungen aufgencmmen worden. — Fùnf Bande, welche bis jetzt erschie-
nen, beschàitigen sich mit folgenden Gattungen:
Vultur (Gcj'cr), Cathartes (.fasvof^el), Gypaetos (Geieradlcr), Falco (Falke% Strix (77m/c), Lanius
(H'ùrf^er), Corvus (//oòc) , Bombjciila (.VtjV/cn<c/iirons), Coracias (rtatc), Òriolus (i'/roi), >Stur-
nus (Maur), MeruU (Slaammscl), MusdcapA (Fliroenfuìiger), Turdus (/^rosst/), Sylvia (A«n^er),
Troglodytes {Schliipfei), Anthus (P/e/>cr), INlotacilla (liaclistclze), Saxicola {Stciuschmùtzir), Cin-
tlu» (.Sc/»u'a<=er), Accentor ('//ra»tiic//c), Uegulus (Goff/Zifì/nit/jc/i), Panis ( Wtjse), Alauda (Lerc/tc),
K»\hvv\'Aa {yiiuvicr), i^oxia (h'rnizsi/tuabcl), Pyrrhuia (Giinpil), Fringilla(/'I/ifc),Cuculus (Aiic/rut),
Picus (Spccht), "^ unx {H^tiutUliah) , SiiUi (kUibcr), ("erthia (liavrìilihifvr), Tichodroma (/Mauer-
khlli), l>\ni]Mì.(U'icdiliopJ')^ Merops (///«ncM/rt-sser), AUedo (Kisvofrii).
Diese 'ài (Jattuhgrn selilirss.n J7H Arteii fin, Mclche, s/immllich nach der Natur entworfen. auf 144
colorirten kupr.rliiriln abgchildet sind. — Der !.. a <1 e ii p re i s dicser ersten fiinf Uiinde ist 81 lUlilr.
Um den Ankanl dcrselbcn zu erleichtern und mehrfa* ben AnlVorderungen in dicser Hinsicht zu geniigen,
ist von jetzt an </ e r 7't'.rt «neh upart, nebst dem zu j vdcm li and e gehòrigcn Ti-
t f l k 11 pjc ) , ohue die colorirten T aj e In, fiir 18 Ktlilr. , oder 32 FI. 24 Kr. Rhein., zu haben,
1
(
9
welche Vergunstìgung nachAblaiife eines noch vorbehaltenen Termines erlòschen wìrd. An dieCesitzer
solcher Exemplare Averden spàter auf Verlangen die Kupfer nachgeliefert, und ihnen der Preis des frù-
her bezahlten Textes in Abzug gebracht. Dasselbe gilt fiir di e se Inhaber natùrlich aiich von derFort-
setzung des Weikes , die jedoch aus Grùnden dann nicht Heft - , sondern stets nur Bàndeweise "-elie-
fert ^^erden kanii. — Interessentcn , \\elche hieiauf reflettiren , mogen, w^en Kiirze der Frist, ihre
Bestellungen baldigst in der ihnen nàchsten solidcn Buchhandiung aufgeben. — Der 6te Band dieses
umfassenden Werkes macht den Beschluss der L a n d v ò g e 1 , ist bereits, wie £ille noch ùbrige Bande,
gròssteutlieils vorbereitet, und -vvird in schnellen Lieferungen folgen. —
HX.
NaUMANN (J. F.); Ueber den Haushalt der Nordisciiex Seevoegel
Europa's, als Erlauteriing' zweier, nacli iler Xatiir gemalten, Ansichten von ei-
nem Tlieile der Diinen auf der nordlichsten Spitze der Insel Sjlt, iiiiweìt der
Westkiiste der Halbinsel Jutland. Mit 2 Kupferstich - Gemiilden. Klein Quer-
■ Folio. In Mappen-Futteral. Ladcnpreìs: 4 Rthlr. 16 Gr.
tó" Selbst die regstc Einblldungskraft des eifrigen Jagers und Ornlthologen >var nicht hinreichend,
aus den, bisher nur erziihlenden, Berichten iiber die iiiteressanten Vogel-Cokìnien der nordischen
Gestade ein schwaches Biid der \\ irklichkeit zìi schòpfen, und diess erzeugte bei ^ ielen don \\ unsch
nach einer bessern Versinnlichung jenes, so ot't niit Entziicken gepriesenen, Anblickes. — L'nser, uni
die Ornitliologie, als iìchriltsteller und Kiiustler, so hochverdienter , Hr. J. F. ì\aumann liat auch
in dieser Hiiisicht auf einer ^^issenschaftlichen , im Jahre 1819 unteiiiomnienen. Rcise nach Dane-
mark diejenlgen seiner Freunde bedacht, welchen ein àhnlicher Genuss noch nicht beschieden war,
und ihnen durch zwei treffliche Geniiilde ein Panorama der lebendigen Natur ver Angen gesteilt; so
•wie diese Biiltter auch nicht minder alien Denen eine schòiie Riickerinnerung genàliren, >velche solche
Gegenden besuchten. Der beigefùgte Text beschàftigt sich iiiit einer treuen .Schilderung der Oeconomie
jener gefiederten Nordliiiider und bildet eine hòchst i)elehrende Zugabe. Die beiden Kupfertafeln wur-
den ungeheftet beigelogt, da sie verdienen, unter Glas und Rahmeii, die Ziiiuuer des deutscUen Jagers
und Naturforschers zu zieren. —
KKI.
BROOKES'S (Sam.) A\leitu\g zu dem Stìdium der Coxchvliem.eiirt;.
Aus dem Englisclien iibersetzt, und mit 9 colorirten und 2 scluvarzen engli-
sclien Original-Kupfern erliiutert. Bevorwortet und mit einer Tafel iiber die
Anatomie der Flussmuscliel verinelirt von Dr. C. Gusl. Carus. Gr. 4. Car-
toimirt. Ludenprch: 16 Rthlr.
Desselbex, Dieselbe, mit scluvarzen Kupfertafeln : 8 Rthlr.
VCjT Oline Beihulfe systematischer Werke ùber die versrliirdenen Classen der Naturkòrper ist dem Kor-
scher <las Studium derst^lben nicht weniger ersch\v<'rt, als es dcni Liel)haber und JSamnder an denjenigen
Gewiilirsmitteln mangelt, wdche nur alleili in <leii Sland set/.en, sich cine tiefere Kinsicht von Arten.
Gattungen und C'iassilicatlon dieser CJegcnstande zu ^ersclla^VIl. J'ibeii so unentbelirlich sind solche
AVerke bei Anoichmng ^on Naturalieiicabinetten, weiin «iiese nicht eiucm planlosen Chaos gliiciien sol-
leu, und es dem Sainniler uin wisstnischartlichen Nutzcn und hdhcre Helfiirung zu ihun ist. So vlel-
laltig in unscrer i/iteratiir t'iir die meistcn Zvx-ige. der Natiirgescliichte durch die (reltlichsten
Wt'ikt; gesorgt wurde, und so zahireich in l)euls<hlan(l dio l'"riMnide der (.'ouchvlieiiknude schon
liingst geN>esen sind, hat es dennoch bis jetzt an eineiu IJnche gciciilt, ^velclles den gc<iaclit(ii Zuecken
entspriiche, indein das Marlini'schc \N erk wn zu grossnu l iiilange ist. und noch \^enig<'^ dii- kleineren
Gompenilim diese J^iicke lidlcii konnten. - - Inter «lieseii l nislanden durile tiie \ erpllanzung <les in
Kngland mitsovielcm iJeiralleaufgenunnneuen U erkes: "./ii l nt r o ti ii e Ho u to (he Stiidii of Con-
cholofry pp. bv Samuel lir oo k e s. London." ge\NÌsK re<hl\ielen erwunscht sein, uni so mehr,
da gegeuNViirtigi^ l'ebersetzung manche wesenlliche \ orziige vor dem Originale erliallen hat. l>er vsihl-
lichen Uebersetzung desselben geht eine AMiaiwilung \oiii Mrn. Dr. Carus voraus. vs ciche sich iiber
den innern und iiussern IJau der MnstlKln und Sclinecken, uud ilie Iiebens<'rschcinungen dcrselben ver-
bri'ilet, (uid durch eine kuiilcrtaii'l iiiicli der Zelcliuung <!es \ < rfasscrs, die Anatomie der Klussmu-chcl
darsteliend, erliiutert \>ir(l. Dieser Aiifsatz licgreil't lolgcnde Abllnilungm : 1) Non iler Stelle, weldte
die \Neichlhicre in der Keihc drr 'l'hiere <iiu»ihnien und iiirer l'iintheilung. 2) N om iunrrn Hau der
Mollusken liberhaiipt. und drr .Miischclii unii Srliiiri k<n iuslirsunii» re. 3) Von den !-ebcMi>iUi>isrrunpfn
der lictzli'Hi hinsichtlic 11 der Krnidiruug, Allnnung. l""ort|illan/.iiug, Kiuptindung und Hewrgung. imd
ilireni Verhalten gegen anssere Kinlliisse, nU Lull, NVasscr und (lima. 4) Non der SclialeiibildtMig
und don Ur-Formen der Schulcn. — In dcni Urookesschcn \N erke selbst Lsl bei Bet>chreibuii{; tlcr Sch»
10
lenLinné'sEintaeilung, mltBerùcksicIitlgung des Lamarck'schen Systemes, befolgt worden, und bei Dar-
lecrung der sàmnitlichen Gattimgen weiden die ihnen zugehorigen Arten aufgefùlirt. Behul's diescr Au.s-
gabe wurden in London die benòthigten Abdriicke von den englischen Originalplatten gezogen,
und das Colorit derseibcn, A\elches an Yorziiglichkeit sich mit dem Besten vergleichen darf, liier be-
sorgt. Diese eilf Tafeln enthalten 151 Abbildungen, weiche melstens von soichen Schalthieren ge-
noinmen sind, die LauWrck als Beispiele der Cìattungen gebraucht, und bei denen sich die Kennzei-
chen derselben besonders deutlicli darstellen. Yen jeder Gattung ist Eine Art nach der Natur ge-
liefert, ausser den auf zwei Platten enthaltenen Thieren der Schalen, Avelche aus namhaften Quellen
entlehnt wurden. — Der Preis ist so biUig gestellt, als es der grosse Aufwand dieses Unternehiuens
und insbesondere die kostbare llluniinatiou nur irgend gestatteten. —
SCHREIBER. Teutsciiland xtsd die Teutschen, vox den aeltesten
Zeiten bis zum Tode Karls des Grossen. Von Alois Sch rei ber. Mit 24 Kup-
fernYonJ. M. Mettenleiter. 4. Gebunden. Preis: 6 Rthh-.
tó" Diese Schrift giebt einen trcuen Bericht von der Abkunft unserer Valer, von ihrem hauslìchen und
óffentlichen Leben, ihrer Religion , ihren 8itten und Einiichtungen ; von ihren Thaten im Kriege, und
Vile sia nach und nacl» vom unstàten, schweil'enden Leben abgelassen und feste Wohusitze gegriindet.
Der Stolì" schien vor vielen geeignet zu einein Buche, lehrreich fiir die Jugend und ansprechend tur Je-
den, der aus der ^ ergangeidieit die Gegenwart ganz begreifen lernen wììl. Die Ereignisse, welclie
hier erzahlt werden, vereinigen mit dem ganzen Reize der Poesie eine tiefe historische Bedeutsamkeit.
und wenn iiberiiaupt unsere Erziehung undBildung -svieder einigermaassen nationai werden soli, so kiin-
nen die Eiemente dazu nur in den Geschichten unseres Landes und Volkes gefunden >Aerden. — Die
chalkographische Ausstattung des ^Verkes dai'f keinesweges als uberflùssige Zierde angesehen werden,
denn wenn , auf der einen Seite, das historische Moment durch kiinstlerische Darstellung grossere An-
schaulichkeit erhàlt und lebendiger hervortritt, so er>Yàchst daraus auf der andern Seite auch ein w e-
sentliches Interesse fùr die Jugend, und der S'um fiirKunst Avird zweckmàssig angeregt; wasumso wich-
tiger sein mochte , da durch die Lfnzahl gewòhnlicher Bilderbiicher der Geschmack eine duixhaus ver-
kehrte Richtung erhalten nuiss. Hr. I\1kttiìm.iìitkii , ein Kiinstler, dem die òfl'entliche Stinnne
semen Rang neben Chodowiecki angewiesen hat, besorgte sowohl die Zeichnungen als die Stichezu die-
sera>Verke, ujid scine Arbeiten werden auch dea Kunstù'eundea eine >villkomiuene Erscheinung sein. —
HHni.
ORPHEA. Tasciiexbuch FtR 1824, 25, u. 28. Erster bis Dritter Jahr-
gang. Mit 24 Kupfern zu dem Freischiitz, Don Juan und der Zau-
berflote, nach Hcinr. Ramberg gestochen von; J. Axmann^ A. TV. Bohm,
C. Buscher, J. G. A. Frenzcl, lì . Jury^ F. TI. Meyer, C. A. Scliwerdge-
burth; und 22 Aufsiitzen in Prosa und Poesie von: TVilhehn Bliimenliagen^
Friedrich Kind, A. F. E. Langbein^ ErnM Raupach, Gustav SchilUng, Hel-
mine v. Cfiezi/, li. G. Priilzcl, Cari Strechfuss, Friedrich und Caroline de la
Motte Fouqué, Bcaurcgard Pandin, TV. Gerhard und E. Mohrhardt. 12 mo.
Herabgeselzier Preis: (von tìRihh. auf ) 2 Rthh-. 12 Gr.
Dasselbe fiir 1827. Vierter Jahrgang. Mit 8 Kupfern zu Figaro's Hoch-
zeit. Ladenprcis: 2 Rthh.
Dasselbe fiir 1828. Fiinfter Jahrgang. Mit 8 Kupfern zu Preci osa. Gewohn-
hche Ausgabe. Ladenprcis: 2 Rthh.
Mittlere Ausgabe mit ersten Abdiiicken und vergoldeten Decken: 3 Rthh.
Prachtausgabe mit gewiihUen Abdriicken : 4 Rthh.
►5' Dieses Taschenbuch, wclches die Theilnahmc unserer bellebtesten Schriftstellpr mit den gedie-
gensUen Beitriigen sclimùckt, und worin zugloich eine fortlaufcnde Kupfergallerie v<jn Scenen aus den
vorzviglichsten Opern des In- und Auslandes in srlir gelungenen Blattcrn der geschicktesten kiinstler
aufge»icllt ist, erliielt die Gunst des Puhlicums bereits so aligemein zugesichert, um keiner Empfehlung
zu bediirlen. Durch die grosse Ermassigung des Preises (von (J Rtlilr. auf 'i, Rthlr. 12 Gr. Conv. M.
cder 4 El. 30 Kr. Rhcin.) wird der Ankauf der ersten drei Jahrgiinge ausseronlentlich erleichtert, und
Liebhabern Gelegcnheii gegebeiv, sich den Besitz der ganzen JSammlung fiir eincii lióchst wohlfeilen
Aufwand zu vcrscliallen. Die niichsten Kortsctzungen werdcn sich luit Gullericn aus Obcron, dem
Barbicr von Se vii la, u. s. w. anschliesscn. —
11
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mit ohijirin IntiaUf anscTldicsscii, uiul liicraiit' <lio .Siil>s( rii)ti(iii, uiitt-r iilx-rciiistiinnxMidiMi llodiiifiiin^e»,
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Pliantasmagorie ; Zwi,sjclienspìel zu Faust. Als Fortsetzung seiner Umrisse zu
dieser Tragedie. 4.
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speare's Dramatic Works; containing a Series of those commonlj called "Old
Piajs", whìch are to be attributed to this eminent Genius accordìrig to the Opin-
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Tieck, Esq. Roy. 8to.
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Leipzig, (Neuer-Ncu-Markl, No. 626.) Julì, 1827.
Ernst Fleìscher
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