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Full text of "Il Parnasso italiano : ovvero, I quattro poeti celeberrini italiani : edizione giusta gli ottimi testi antichi con note istoriche e critiche"

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I  L 


FARNASSO     ITALIANO 

DANTE. 
PETRARCA,    ARIOSTO, 


T    A    S    S     O. 


Digitized  by  the  Internet  Archive 

in  2010  with  funding  from 

University  of  Toronto 


http://www.archive.org/details/ilparnassoitalia01wagn 


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I  L 

OVVERO: 

I  QUATTRO  POETI  CELEBERRIMI 
ITALIANI. 


LA    DIVINA    COMMEDIA 

»  I 

DANTE  ALIGHIERI; 


LE       RIME 
FRANCESCO       PETRARCA; 


L'ORLANDO    FURIOSO 

D    I 

LODOVICO         ARIOSTO; 


LA     GERUSALEMME    LIBERATA 

D   I 

r  o  R  Q  u  A    r  o     r  A  s  s  o 


EDIZIONE 
GIDSTA  GLI  OTTIMI  TESTI  ANTICHI, 

CON 
N    O    T    K  I    S    T    O    R    I    C    H    K  E         C    R    I     à'    I    C    11    E. 


COMPIUTA  ly  UN  T  GLUME. 


ORNATA  DI  QUATTRO  RITRATTI  SECONDO  RAFFAELLO  UOIIGHEN 


L  I  r  S  1  A  , 

PRESSO    ERNESTO      F  L  E  I  S  C  li  E  R. 


18  2  6. 


A  L 


PRINCIPE     DE      POETI, 


GOETHE. 


Lodola,  uunzia  e  idea  di  primavera, 

Che  con  giulivo  canto  in  alto  sale, 

A  celebrar  1'  autor  di  questa  sfera^y 

< 

lo,  lesto  e  scevro  della  spoglia  frale,. 

Dai  suon  della  TUA  cetra  tutto  acceso, 
Spiegai  poggiando  della  mente  1'  ale. 

E  qual  io  vidi  schiudersi  testeso 

Giardino  ameno,   seggio  de'  poeti, 
A  dire  invano  ogni  estro  fora  speso; 

Tanti  inspirommi  sensi  augusti  e  lieti 
Quanto  io  vi  scorsi  di  miracoloso 
In  boschi  e  augelli,    e  in  floridi  tappeti! 

Che  d*  ogni  idea  ciò,    che  qua  giù  nascoso 
Ne  resta,  o  biforme,  per  vobr  distretto, 
Ribello  a  eterne  leggi  <■   o^gnor   ritros»». 


Là  su  sei  vede  (e  TU  lo  sai!)  perfetto, 
Dì  ^irtù  formatrici  amico  coro, 
Che  indietro  a'  mimi  suoi  va  stretto  stretto. 
E  riverendo  il  sacro  concistoro 

De    quattro  vati,  che  in  ombroso  salto, 
Cinte  le  tempia  d'  immortale  alloro, 
Si  diportàr  so^Ta  1'  erboso  smalto 

D'  un  rivo  al  margo,  io  schivo  e  palpitante, 
Pur  non  reggendo  al  mio  gioir  tanto   alto: 
Voi,  dissi,  che  mi  state  altieri  innante. 

Sì  eh'  io  mi  son  tra  estatico   e  tra  oppresso, 
Puossi,  che  di  mirarvi  alfin  mi  vante? 
Deh!  se  1'  amor  di  voi,  debol  riflesso 

Del  sommo  lume,  che  la  mente  agogna. 
Non  vieta  almen  d'  ambire  questo  accesso, 
Mi  vaglia  questo  amor,    e  mia  vergogna 
Il  contemplar  vostro  esser  più   beato 
Di  quanto  il  volgo  di  là  giù  mai  sogna! 
Che  il   viso  par  eh'  abbiate  sol  cangiato 

In  chi  r  alme  aure  beve,  almo  Proteo, 
Che  del  vostro  trovò  secol  più  grato. 
Ei,  che  Natura  schietto  e  chiaro  feo, 
Sapevol  intellettual  cristallo, 
Divoto  e  favorito  corifeo. 
Grato  ne  la  ritrasse   e  senza  fallo, 

Svelandola  tra  timidetto  e  audace, 
Qual  sposo  a  isposa  verginella  fallo. 
Onde  egli  splenderà,  qual  nozial  face, 
A  quanti  d'  ingollarsi  negli  abissi 
Delle  sostanze  sento»   zel   verace. 


E  così  inalterabili  e  sì  fissi 

Mi  stan  scolpiti  i  pregi  suoi  nel  core, 

Che  in  lui  con  voi,  col  fior  de    genj,  vissi. 

Lodo,  rispose  il  Dante,  quel  tuo  amore; 

Che  '1  merta,  e  il  premia  lui  ben  ampiamente. 
Che,  albero  esperio,  in  un  fa  frutto  e  fiore. 

Amor,  qual  il  tuo  petto  il  nutre  e  sente, 
Raggio  è  dì  quel  centrai  celeste  lume, 
Donde  niun  puossi  affatto  andar  esente. 

E  ancorché  molti  abbagli  il  forte  acume, 
Cieco  tutti  attraversa  senza  posa 
Quel  di  poesia  e  di  vita  eterno  fiume. 

A  lui  però,  che  accenni,  non  fu  ascosa 
La  sua  virtù;  anzi  il  nostro  sodalizio 
Lasciò  per  tempo  ei,   che  ne  fu  la  rosa. 

Calandosi  al  terrestre  vostro  ospìzio, 

Degnovvi  a  palesar  quelP  estro  sacro. 
Donde  beoUo  il  nostro  dio  propizio. 

Del  secol  tralignato  censor  acro 

Nel  Fausto  fu,  simile  al  mio  poema, 
'Che  m'  ha  già  fatto  per  più  anni  macro'. 

D'   alma  poetica  la  tempra  e  il  tèma, 

Soggiunse  il  Tasso,  ei  nel  ritratto  mio 
Simboleggiò  sin  nella  fibra  estrema. 

E  qual  e  mondo  e  vita  dipinsi  io. 

Disse  Ariosto,  a  celebrar  degnossi, 
Clii  nel  Divan  genio  orientai  schiari'o. 

Al  par  di  me  han  le  rime  sue  commossi 

Mai  sempre  i  cuori,  aggiunse  poi  Petrarca; 
Che  a  lui  de'  cuori  il  penetrai  svelossi. 


Salutalo!  riprese  il  patriarca 

De"  poeti  alfin  con  nobile  contegno; 
Che  già  indovino,  ore  spingi  la  barca. 

IVon  dubitar,  che  di  chi  F  alto  ingegno 

Dell'  «sser  concentrò  le  fiamme  sparte, 
Sì  eh'  è  della  sua  età  fior  e  sostegno, 

Proprie  arai  e  sue  chiamar  le  nostre  carte. 
Che  più  eleganti  assieme  e  ripulite 
Tu  gli  consacri,  offerta  di  sacra  arte! 

Grazie!  esclamai,  oh  mastro,  oh  padre  mite, 
Che  mi  degnasti  a  scerre  il  tuo  messaggio, 
E  pronunziasti  le  mie  brame  ardite! 

Ti  piaccia  ad   aggradir  d'  amor  1'  omaggio. 

Che  il  giovane  vototti,  or  1'  uomo  scioglie, 
Sentendosi  con  ciò  più  degno  e  maggio.  — 

Dissi,  e  la  scena  agli  occhj  miei  si  toglie, 
E   in  un  baleno  TE  sol  guardo  fiso, 
Che  amico  de'  fratei  1'  offerta  accoglie; 

E  gli  altri,  oh  padre  amato,  in  TE  ravviso. 


Adolfì)   Wagher. 


INTRODUZIONE. 


Il  dlscmo  d'offrire  al  pubblico  ima  italiana  bibbia  poetica,  cioè  una  raccolta  de'  quattro 
poemi'^principali,  che  sono  fondo  e  base  d'ogni  poesia  italiana,  par  che  richieda  anzi  di- 
chiarazione, che  scusa.     Se  già  il  Dante  nella  sua  invocazione  d'Apollo  disse: 

Sì  rade  volte,  padre,  sene  coglie 

Per  trionfare  o  cesare,  o  poeta, 

(Colpa  e  vergogna  dell'  umane  voglie!) 
die  partorir  letizia  in  su  la  lieta 

Delfica  deità  dovria  la  fronda 

Pcneia,  quando  alcun  di  sé  asseta, 

qual  può  esser  mai  altro  teina  d'un  tempo,  dove  vince  la  riflessione  e  il  ragionare,  se  non 
quello  d'approfondire  viepiù  k  costruzione  e  il  senno  de'  prodotti  originali  anteriori, 
e  di  saper  dar  conto  dell'ammirazione,  che  lor  si  deve?  Or 'colpa'  è  bensi  'e  vergogna'  dell' 
umane  forze,  ma  legge  pur  in  uno  dello  sviluppo  d'  ogni  idea,  che  i  contrapposti  ancora 
e  le  negazioni  di  essa  si  schiudano  vigorosamente,  (comechè  soltanto  per  provar  nel  pro- 
gresso la  lor  nulhtà')  ;  e  perciò  non  è  cosa  strana  di  veder  confondere  la  poesia  colla  cac- 
cia d'  immagini,  col  retorico  fraseggiamento,  o  col  talento  di  torniare  versi  molli,  sonori 
e  fastosi ,  composti  di  parole  e  frasi  scelte ,  morl)ide  e  nitide ,  quantunque  triviale  per 
altro  e  scevro  d'  ogni  idea  sia  il  modo  di  sentire,  di  giudicare,  o  d'  immaginare,  clie  vi  si 
scuopre,  quantimque  talora  le  hngue  colte  poetino  per  lo  più  in  vece  del  poeta.  INIa  ap- 
punto perciò  vi  si  vorrà  lauto  maggior  cauzione,  quantochè  v'  ha  di  que'  saltimbanchi 
di  gusto,  che,  infiacchiti  e  stucchevoli  sino  ad  esser  oppressi  e  atterrati  dalla  grandezza 
gigantesca  de'  secoli  passati,  vorrebbero  venderci  di  contrabbando  i  lor  tempictli  di  pasta 
per  duomi  tedesclii  antichi,  fantasticando  molto  di  rozzezza ,  mancanza  di  gusto,  di  te- 
nerezza e  simil  roba.  Lasciando  dunque  staro  i  falsi  poeti  co'  loro  seguaci,  converrà  clie 
ci  appigliamo  a' veri,  cioè  a  coloro,  che,  dotali  d' un  genio  fresco  creatore,  infìaiumali 
d'  mi  infallibile  instinto  del  bello,  iniziati  ncll'  alto  mistero  dell'  armonia  della  natura  e 
della  mente  umana  intrinsicJiis.sime,  ne  riflettono  una  o  più  sfere,  separatone,  o  sog- 
giogato e  hvellato  ogni  elemento  avverso,  impuro,  omen  congruo,  dando  or  forma, 
abitazione  e  nome  a  cose  invisil)ili,  or  immergendo  nell'  etere  ed  incielando  le  cose  ter- 
restri. Di  siflatti  poeti  lo  studio  e  la  contemplazione  divola  ci  nuKstrcranno,  che  la  poesia 
è  compenetrazione  rij)rodotla  chiara  ed  intimissima  del  mondo  visibile  ed  invisibile,  rit- 
mo e  misiu-a  d'  ogni  vita,  forma  originaria  dell'  alma,  o  in  qualsivoglia  altro  modo  che 
chiamiamo  forse  quel  dono  divino  conceduto  a  pochi,  clic  sono  nati  depositar)  e  specchj 
del  tesoro  intellettuale  d'  un  periodo.  _        - 

Or  chiunque  avrà  ben  ponderato  quanto  abbiam  dello  sin  qui  in  generale,  conside- 
rando inoltre  gli  clementi  di  que'  nostri  (luattro  podi,  non  potrà  non  riconoscer  in  loro 
una  totalità  caralteristica  ])arlicolare  di  contemplare  e  di  ritrarrci'  universo,  ossia  una 
scuola,  di  cui  le  viste  più  o  men  chiare,  più  o  meno  ristrette,  o  ampliate  ricorrono  scni- 
premai  nel  mondo  poelict)  italiano,  innestalo  peraltro  nella  poesia  ])rovenzale.  Gli  ele- 
menti o  il  conuin  retaggio  d'  essa  sono  generalmente  cristianesimo,  platonismo  scolas- 


X  INTRODUZIONE. 

tico ,  spirito  cavalleresco ,  fiabe  orientali ,  e  mitologia  romana  ;  elementi  m  certo  modo 
quasi  tutto  orientali,  in  quanto  la  A^ta  illanguidita  e  spenta  dell'  occidente  sempre  si  ris- 
tora e  si  riaccende  in  quella  piena  e  copiosa  dell'  oriente.  Questi  elementi  dunque,  i  quali 
basti  d'  aver  qui  accennati,  trovei-emo  che  sono  fondo  e  base  d'  ogni  poesia  italiana,  trattali 
e  maneggiati  il  più  maestrevolmente  da'  quattro  poeti  appunto  per  questo  qui  radunati. 
Una  sposizione  più  particolare  di  questo  risultante  dalla  struttura  de'  loro  poemi,  verrà 
data  ne'  saggi  sulle  vite  e  sugli  scritti  d'  ognuno  di  questi  poeti,  mentre  in  questo  luogo 
studieremo  soltanto  di  sbozzare  i  loro  rapporti,  o  ragguagli,  di  j>asso  in  passo  stendendo- 
ne ed  ampliando  il  prospetto,  qual  e'  si  stende  ed  amplia  ne'  poeti  stessi. 

Ordiamo  a  questo  effetto  dal  PttrarcaX  Salvo  poche  rime,  che  spirano  patriotlsmo, 
oppur  disjjrezzo  giusto  della  patria  sua  straziata  da  continue  discordie  e  guerre  domestiche, 
uno  quasi  è  l'oggetto  e  il  tèma,  che  tratta,  e  varia:  Laura  di  Sade,  o  1'  amor  afFettuosis- 
simo  e  ferventissimo  conceputo  per  lei ,  dacché  la  vide  venerdì  santo  nella  patria  della 
poesia  provenzale,  nella  chiesa  di  santa  Chiara  in  Avignone.  Questo  amore  davvero  può 
dirsi  la  sua  religione  j  tanto  egli  ha  dipinto  tutte  le  minuzie  e  particolarità  della  vita 
sua  amorosa!  11  matrimonio  jDcrò  di  cotesta  donna  non  meno,  che  il  di  lei  casto  senno 
onesto  costringendolo ,  tenero  e  modesto  qual  era,  a  intrinsicarsi  in  sé  stesso ,  gli  svanì 
e  scolorossi  la  vita  esterna,  di  modo  che  quel  suo  amore  si  ridusse  ad  un  giuoco  mentale, 
ad  un'  avventurosità  interna,  un  platonismo  sforzato,  non  iscevro  affatto  d'  una  qualche 
monotonia  di  languore,  di  desio  mai  pago.  Da  quella  medesima  mancanza  di  scam1)ie- 
volezza,  di  vita  e  di  sostanza  nacquero  pure  talora  allegorie  e  personificazioni  fanciul- 
lesche, concetti  trastulievoli ,  giuochi  anzi  di  fredda  rifiessionc  malaticcia,  che  sfoghi 
e  vampi  di  vital  forza  sana  e  robusta,  e  finalmente  imitazioni  di  Dante  malintese,  come 
i  trionfi.  Laonde,  poiché,  si  per  la  natura  soggettiva  del  genere  lirico  ,  e  si  per  le  circos- 
tanze particolari  di  questo  amore,  tutto  alfine  si  ristringeva  alla  forma  ,  egli  non  potè 
non  comf)iacersi  in  questa;  ed  a  ragione,  senz'  altro,  imperocché  in  quella  egli  è  maes- 
tro, avendo  egli  limato  e  perfezionato  ammirabilmente  l' amoroso  canto  italiano,  le  forme 
liriche  provenzali,  e  il  suo  linguaggio  natio. 

In  questo  merito  soggettivo  bensì,  il  qual  però  non  iscema ,  al  parer  nostro,  gli 
altri  meriti  varj  e  non  pochi  di  quest'  uomo  eccellente ,  se  il  Tasso  può  gareggiare  con 
lui ,  lo  vince  incontestabilmente  in  ardore  ed  estro  amoroso ,  in  ampiezza  e  larghezza  d' 
immaginazione  e  d'  idee,  in  cojDia  e  colorito  delle  pitture.  Quaranta  giorni  circa  della 
prima  crociata  nell'  anno  mille  novanta  nove  sono  la  materia  del  suo  poema  epico  ro- 
manzesco ,  trattala  con  zelo  patriotico  e  cristiano.  Il  mondo  v'  è  considerato  come  dif- 
ferenza tra  uomo  ed  uomo  intorno  a'  sommi  interessi.  I  contrapposti  della  fede  cristiana 
unita  all'  onor  cavalleresco,  de' cittadini  e  guerrieri  del  regno  celeste  e  de'  vassalli  del 
diavolo,  del  sodo  voler  cristiano  e  della  ostinata  forza  magica  oscura  vi  son  ottimamente 
disegnati  e  bilanciati;  e  sebl)enc  non  gli  venisse  fatto  d'  approfondare  e  d'  esaurire  tutti  i 
capi  dei  suo  oggetto  oltremodo  ricco,  vasto  e  profondo  —  pruove  ne  sono  i  di  lui  pen- 
timenti e  vari  sperimenti  —  e'  pure  vi  sfogò  e  manifestò  un'  alma  suscettibile,  capace  e 
colma  de'  nooilissimi  e  de'  più  teneri  sentimenti,  v'  esibì  una  serie  di  romanzi  squisitis- 
simi ed  armoniosissimi ,  che  perciò  vivono  sempremai  nella  bocca  e  nel  cuore  della  sua 
nazione.  Veramente  egli  è  in  preferenza  il  poeta  dell'  aniìna,  nella  cui  luce  egli  adocchia 
e  riscliiara  ogni  oggetto  suo. 

A  guisa  di  lui  anche  1'  Ariosto  rappresenta  la  differenza  tra  uomo  ed  uomo ,  non  già 
(h  su  dui  punto  di  vista  religioso,  anzi  reale  e  pratico,  il  quale  non  che  permetto,  o  per- 
dona, ma  richiede  una  qualche  ironia,  cioè  una  dissimulazione,  ossia  riserva  dell'idea 
soyranu,  che  Jibcramentc  e  amica  della  vera  libertà  condiscende  alla  tempra  ed  al  tenor 
del  giuoco  moiul.iiio,  (|uuntun({ue  perverso  e  contraffatto,  a  fin  di  convincerlo  della  sua 
assurdilu  e  nullità,  e  di  far  trionfar  1'  idea.  Così  dunque  quest'  ironia  svolazza  ([ua  e  là, 
tanto  più  quanto  il  mondo  cavalleresco  di  Carlo  Magno  avventuroso  e  tinto  di  fiabe  orien- 
tali e  discosto  (la  un'  età  mcn  credula.  Onde,  dove  il  poeta  sembra  voler  fermarci  in 
esso  ,  subito  io  strugge  furbainente,  e  mina  il  suolo  sotto  le  piante  nostre,  ora  indenniz- 
zandone con  massime  e  ri  (lessi  oni  prudenti  e  savie,  ora  invogliandone  ad  altri  voli  fan- 
I astici  ardimentosi,  dove  pure  il  fato  sempre  è  servo  degli  croi  e  deli'  eroine.     £  quest' 


INTRODUZIONE.  XI 

ultimo  punto  forse  solo,  in  quanto  e'  tocca  la  natura  della  fiaba,  qual  ella  sì  mostra  nell' 
odissea,  potrebbe,  sennon  giustificare,  scusare  almeno  il  nome  d'  Omero  ferrarese  dato 
air  Ariosto;  seppur,  oltre  la  gran  diff"erenza  della  poesia  antica,  qual  senso  fisico,  e  del- 
la moderna,  qual  senso  morale,  vi  quadrassero  altri  punti  noumeno  essenziali,  come 
r  organismo  più  accurato,  e  T  unita  dell'  intenzione  seria,  e  seppure  siflalli  paragoni 
fossero  più  acconci.     Egli  è  il  poeta  della  fantasia. 

Senno  finalmente  più  grandioso,  altero,  universale  e  veramente  religioso  è  quel,  che 
inspira  Dante,  che  perciò  potrebbe  chiamarsi  il  poeta  dell'  intelletto.  IN  ella  sua  com- 
media davvero  divina  e  impareggiabile  sbocciano  in  un  tutti  i  fiori  della  coltura  nazionale; 
ella  abbraccia  il  tempo  passato ,  presente  e  futuro ,  concentrandoli  nell'  eternità.  La 
vita  propria,  lo  stalo',  la  chiesa  in  tutte  le  loro  direzioni  e  vicende,  in  tutti  i  loro  polsi,  e' 
gh  immerge  nell'  abisso  della  divinità;  e  rigenerato,  purgato,  rialzato  al  suo  splendore 
natio  ed  originario  sorge  da  quel  mar  fiammeggiante  eterno  nn  mondo  già  manco,  im- 
puro, caduto,  sicché  corrisponda  di  nuovo  all'  idea  eterna,  cioè  quella  d'  esser  rivelazione 
d'  amor  divino  infinito.  Ogni  modo  d'  essere,  di  conoscere  e  d'  operare  vi  si  riduce  alfm 
a  quel  suo  centro;  1'  afelio  loro  diventa  perielio.  L'  amore  del  poeta  si  trasforma  nell' 
amor  e  nella  cognizione  intellettuale  di  cose  divine,  o  nella  Teologia,  personificata  nella 
sua  Beatrice.  Quanto  più  inferiore  gli  è  in  questo  il  Petrarca  1  A  questo  tenore ,  questa 
struttura  del  poema  1'  ingegno  caldo,  robusto  e  vigoroso  del  poeta  ha  saputo  assettai-e 
mirabilmente  lo  stile  del  tutto;  che  la  rigidità  delle  figure  e  de'  gruppi  dell'  inferno,  quella 
vita  straziata  si  ricompone  a  j)oco  a  poco  nel  purgatorio  in  moviruento,  circoscritto  di 
raisiu-a,  e  diventa  alto  volo  intellettuale  nel  paradiso;  la  tenebrosità ,  o  il  tetro  vapore 
focoso  dell'  inferno  cede  al  vario  giuoco  de'  colori  nel  pm-gatorio ,  sinché  nel  paradiso 
alfine  splende  quel  puro  sole  chiaro,  dal  cui  fidgore  percossa  la  mente  del  poeta  j-tesso  è 
paga  altìn  della  sua  voglia  di  goder  1'  intuizione  dell'  essenza  di  Dio.  Cosi  dunque  Dante, 
immaginando  il  mondo  qual  differenza  da  palleggiarsi  tra  Iddio  ed  uomo ,  esibì  nella  sua 
commedia  divina  la  metamorfosi  della  niente  umana  —  concetto  mai  forse  formato  da 
nessun  altro  poeta  qualsivoglia  in  quest' estensione,  e  profondità! 

In  questo  modo  esaminando  i  quattro  poeti  qui  radunati  vediamo  un  cerchio  d'  im- 
maginazioni, che,  principiando  dalle  strette  e  anguste  relazioni  soggettive,  spandendosi 
ed  ampiandosi  a  poco  a  poco,  abbracciando  combinazioni  più  alte  storiche  e  favolose,  le 
concentra  finalmente  in  un  oggettivo  intuito  fondamentale  religioso.  Or  benché  in  questo 
tenore  si  palesi  evidentemente  un  progresso  dal  mondo  sensuale  all'  intellettuale,  v'^  è  pur 
manifesto  ancora  dall'  altro  canto  un  disegno  e  un  colorito  particolare  e  proprio  de' feno- 
meni di  questi  mondi,  il  quale  nasce  dalla  subordinazione  degf  individui  a  sfere  più  eslese, 
nelle  quaU  essi  sono  compresi,  come  nazionalità  e  coltm-a ,  cioè  comunanza  colniondo. 
Questa  comunanza  col  mondo  originalmente  è  come  concrezione  ed  avvoltura  involon- 
taria, ma  intima,  in  esso,  dove  la  coscienza  dell'uomo  si  perde  nella  mitologia,  onci 
filosofema  religioso,  e  1'  esser  suo  è  veramente  poetico.  Colla  lingua  poi,  ossia  la  di  lui 
rigenerazione  ideale,  si  sviluppa  e  forma  il  canto  amoroso,  e  la  poesia  d'  arte,  la  quale, 
rappresentandola  reazione  del  sentimento  individuale  riguardo  auu  oggetto,  studia  diellct- 
tuar  una  comunanza  del  sentimento;  studio,  che  si  fonda  sulla  supposta  analogia,  ov- 
vero identità  dell' intelletto!  Poeti  adunque,  come  qiie'  nostri  quatiro,  trovando  già  gli 
clementi  d'  un  particolar  intuito  del  mondo,  mostrcran  la  lor  forza  intcl leti uale  nella 
gi-andiosa,  libera  combinazione  e  costruzione  di  questi  clcmcnli,  a  fin  di  lormarnc  un 
tutto  coerente  e  organizzato  in  sé,  che  sia  da  riconoscersi  dagli  altri.  E  cosi  speriamo 
d'  aver  mostrato  sopra,  che  1'  idee  d'amor  intellettuale,  di  cavalleria,  e  di  religione, 
massimamente  di  cattolichismo,  sono  state  foggiate  fra  gl'Italiani  da  costoro  in  prcrerenza. 
In  qual  modo  poscia  la  poesia  italiana,  come  pur  ogni  altra,  si  sia  fatta  ricapilolazionr, 
ovvero  imitazione,  come  sia  stala  innestala  sempre  più  nella  sociabilità  libera,  sino  a  di- 
ventare schiava  di  essa  e  del  lusso,  con  ])oche  eccezioni,  di  questo  non  permette  il  nostro 
disegno  clic  parliamo  (jui  ])iù  aiiii)iaiiieut(\ 

Resta  a  dir  qualche  cosa  diciucsta  nostra  nuova  edizione.  La  nostra  intenzione  duiKiue 
fu  di  dar  ])rimieramcnle  un  testo  corretto  quanto  mai  fosse  possibile,  consultando  le 
migliori  edizioni  antiche  e  moderne,   di  modo  però  che,  senza  riguardo  esclusivo  ad  un 


XU  INTRODUZIONE. 

solo  editore ,  adottassimo  sempre  la  lezione  la  più  convenevole  al  genio  del  poeta  ed  al 
contesto.  In  quanto  all'  ortografia,  abbiam  cercato  di  scegliere  per  lo  più  una  via  mez- 
zana tra  un  arcaismo  affettato  ed  una  trasciu'anza  della  vita  comune,  essendo  certi,  che 
in  lincrue  vive  mai  non  sarà  possibile  di  stabilir  un  sistema  affatto  regolato  e  conseguente. 
Una  disquisizione  pure  di  questo,  come  una  simil  qmstione  intorno  alle  forme  antiche 
non  meno  ambigua  e  scabrosa,ce  la  riserbiamo  pel  discorso  preliminare  al  Dante,  nel  quale  ci 
parve  necessario  di  modificar  alquanto  i  nostri  principj.  In  secondo  luogo,  scelte  le  mi- 
«rliori  dichiarazioni  de' comentatori,  e  aggiunte  quelle  nostre,  che  ci  jjarvero  necessarie  al- 
l'intendimento de'  poeti,  abbiam  cercato  di  risparmiare  a'  leggitori  Y  apparecchio  letterario, 
che  va  crescendo  di  giorno  in  giorno,  dacché  lo  studio  di  questi  luminari  poetici  s'  è 
ravvivato  ancor  in  Itaha,  I  discorsi  preliminari  della  vita,  degli  scritti  e  del  genio  de' 
poeti,  gl'indici,  e  le  notizie  letterarie  aggiimtevi,  dove  profittammo  di  quanto  era  già  stato 
detto  dai  nostri  antecessori ,  mostreranno ,  che  non  abbiam  risparmiato  fatica  d'  esser 
utili  a'  leggitori,  per  quanto  lo  permise  lo  scopo,  e  lo  spazio  concedutone. 

L'editore. 


INDICE. 


)edicazione  ...••• 
ntroduzlone  ....•• 
)ANTE  ALIGHIERI 

Saggio  sopra  la  Vita  e  gli  Scritti  di  Dante 
La  Divina  Commedia: 

Inferno     .         .  .  ^ 

Purgatorio 
Paradiso 
ETRARCA. 

Saggio  sopra  il  Petrarca 
Il  ime.      Parte  prima 

Parte  seconda 
Parte  terza.    (Trionfi.) 
ARIOSTO.  .... 

Discorso  della  Vita  e  delle  Poesie  di  Ariosto 
Orlando  l'urioso 

TASSO 

Saggio  sopra  la  Vita  e  gli  Scritti  di  Tasso 
La  Gerusalemme  Liberata 
Co.Mt;M'i  su  Dante,  Petrarca,  Ariosto  e  Tasso. 


.      Pag.    III. 

.         -       IX. 

I. 

-     m. 
1. 

-  157. 
I. 

-  III. 
1. 

-  93. 

-  129. 
I. 

-  III. 
1. 

.        -  I. 

.        -     MII. 
1. 
Contiasegni :  a,  §,  *,  f . 


DANTE. 


SAGGIO 

SOPRA 

DANTE      ALIGHIERI. 


>iccoine  dice  Platone,  che,  qualunque  dì  fresco 'dello  stato.  La  menle  umana  riscossasi  alfin  dal 
epocanzi  iniziato  e  consecrato  a  mirare  nel  coro  suo  letargo,  stando  per  accorgersi  di  sé  medesi- 
degli  dei  il  beatissimo  mistero  del  bello,  subilo  ma,  delP  individualità  sua  e  dell'  unità  libera 
che  vegga  quaggiù  sembiante  divino,  ovvero  for-j conforme,  tenta  di  acquistare  contezza  e  di  ris- 
ma corporea,  nella  quale  sirillelta  il  bello,  sen-jchiararsi  di  quella  parte,  che  il  divino  intelletto 
ta  alla  prima  qualche  ribrezzo  e  paura,  poscia'le  ha  compartita  nello  sviluppo  storico  dell'uni- 
Padori  contemplandola  qual  dea:   cosipur  noi  sa-  verso.      Calmati  ancora    appena  i  frangenti  sin 


hitando  con  Dante  ierofante  la  soglia  della  poe- 
sia italiana  e  cristiana,  temiamo,  che,  come  egli 
dice,  non  "ceda  a  tal  vista  il  parlar  nostro,  o  la 
memoria  a  tanto  oltraggio."  Essendo  però  certi 
si  del  nostro  amore  e  si  del  'dolce,  che  ci  distilla 


dalle  crociate  sollevati  da  un  entusiasmo  qui 
pure  alquanto  sviato,  fermentano  tuttavia  gli  ele- 
jnenti  germano -orientali  della  coltura.  Allato 
dunque  alla  cavalleria  secolare  s' innalzano,  come 
per   temprax-la   spiritualizzando,  gli  ordini  reli- 


nei cuore',  invitiamo  pure  diiunque  ha  fior  diigiosi  cavallereschi;  ed  accanto  all'  intellettuale 
senno  e  di  rammentanza  a  contemplare  con  noi  cavalleria  di  scolaslici  ardenti  di  sapere,  abbar- 
"quel  signor  dell'  altissimo  canto,  che  sopra  gli  bicano  i  mistici  —  altrcllante  forze  centrifughe  e 
altri  come  aquila  vola,"  e  ad  assaggiare  la  mede- [centripete!  Nascono  varie  università  ,  si  conva- 
sima  beatitudine.  Nel  che  altro  non  bramiamo, llida  il  mezzano  ordine  cittadinesco,  ed  in  tal 
se  non  di  essere  ciceroni  veraci  e  schietti,  cioèlguisa  emergono  dappertutto  elementi,  scevri  ben- 
di sgombrare  alquanto  la  caligine,  che  hanno' si,  confusi  e  poco  organali  ,  di  comunanza  mo- 
condensata  primieramente  intorno  al  poema  stesso  rale  presaga  e  foriera  d"  una  medesima  idea  di 
parte  la  di  lui  profondità  immensa  ed  enigmatica,  coltura  dell'  intelletto  e  del  sentimento,  di  senno 
Ja  distanza  del  tempo,  1'  arcano  poetar,  e  parte'c  di  animo,  o  di  cosfunia,  cioè  dislato  edi  diiesa. 
la  pedanteria  superstiziosa  di  molti  spositori  ;  jMancano  intanto  si  1'  uno  che  1'  altra  di  vera, 
secondamente  intorno  alla  vita  del  poeta  il  gusto  real  e  soda  sostanzialità,  qual  ella,relativamcnle 
romanzesco  del  Boccaccio,  lo  stento  malinteso j allo  stato,  si  era  annunziata  in  Carlo  iMagno  e 
di  molli  biografi  corrivi  d'  ammendare  con  no-  Federigo  Barbarossa  ;  quindi  le  discordie  conti- 
tizie  ammucchiate  ed  accattate  operosamente  e  ime  de'  principuzzi  e  delle  citlà  intorno  al  prin- 
senza  critica,  forse  di  grido  in  grido,  la  crudeltà  cipato  ed  alla  libertà,  che  non  possono  recarsi 
e  r  ingiustizia  de'  loro  antenati,  o  linai-  ad  egualità  sotto  un  sovrano  solo;  quindi  il  di- 
mente il  mal  nascosto  livore  di  boriosi  semina- [chino  ciò  scadimento  della  chiesa,  la  quale,  per- 
tori  di  anneddoli  mezzo  veri,  o  sconci,  come  i  duta  eh' ella  ha  1'  idea  sua  originaria,  quella  di 
petrarcheschi.  Sdegnando  dunque  siiTatle  ed  essere  unità  di  costuma  o  di  vita,  e  d' arte,  e 
altre  non  dissimili  angustie  d'  intelletto  e  d' ani- [volendo  perciò  soggiogare  gli  slati,  non  può  più 
mo,    sbozzeremo,    per  quanto    lo   permettono  i  reggersi  ad  onta  dello  mone  d'  un  Innoceiizo,   o 


conlini  dclgiuilizio  nostro  e  dellospazio  l)  Dante, 
ed  il  suo  secolo,  2)  la  divina  comjnedia,  e  la  sua 
intenzione;  aggiungendovi,  3)  osservazioni  circa 
il  lcmj)o ,  in  cui  probabilmente  sia  stala  dettala, 
circa  la  lingua,  la  verseggiatura,  il  lesto,  ed  il 
nostro  critico  operaie. 

1 .   Dante,    ed  i  l  s  uo  secolo. 

Il  Eccolo   di  D.    in   generale   esibisce  la  lotta 
fatalo     autolutainenie   ncceisaria  della  chieaa  e 


d'un  Bonifacio  Vili,  insidiosi,  privi  di  fedo  e  di 
ogni  idea,  guidali  sol  da  circostanze ,  occasioni 
e  casi  ten)poranei,  e  perciò  a  ragiono  scmjiremai, 
quando  più  e  quando  meno,  schiavi  della  Francia. 
Ed  in  fatti  è  dessa  sentenziata  di  già  subito  che 
si  destano  in  mezzo  al  suo  grembo  gli  Albigcsi, 
gli  Arnaldi  —  v.  H.  Fruìdc  Arnold  von  Brescia 
und  scine  Zeit.  Nebst  oinom  Anliangc  ubor  die 
Sliflung  dos  Paraklct  l)oi  Nogent  an  dor  Scine, 
^^iirich.  1825.  8-  —  »  Bernardi,  i  Valdi,  ciò  spi- 


IV 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


rito  indagatore.  Così  dunque  vergiamo  stra- 
ziarsi la  misera  Ilalia  nelle  continue  guerre  de' 
Guelfi,  o  dei  partigiani  del  sacerdozio,  e  de'  Glii- 
bellini,  o  fautori  dell'  impero,  delti  così,  tempo 
già  fa,  in  contumelia,  come  pare,  gli  uni  lupi, 
creature  asiute,  crudoli,  gli  altri  zibcìlini,  di  cui 
le  pelli  sono  loro  addobbamento  distintivo.  Fo- 
colare del  guclfìsiiio  spoziabnente  si  è  Firenze 
sin  dal  1250,  ove  ella  scuote  il  giogo  ghibellino 
impostole  da  Fedeiico  If.  Vassi  ivi  scemando  di 
])iù  in  più  1'  antica  semj)licilà  de'  costumi  (Par. 
1 5,  97  ss.)  ;  cresce  con  le  ricchezze  e  col  commer- 
cio 1'  avarizia  j  alla  gente  nuova  affollatasi  per 
amor  di  lucro  cedono  le  antiche  famiglie  nobili  ed 
illustri  (Inf.  16,  73  ss.  Par.  16,  61  —63).  H  fa- 
natismo fiorentino  politico  vuol  convertire  alguel- 
fismo  tutta  la  Toscana,e  muove  guerra  perciò  ai  Pi- 
sani, Pistoiesi, Sanesi  e  Volterrani.  Congiurano  in- 
tanto i  Ghibellini,  negoziando  clandestinamente 
con  Manfredi,  figlio  di  Federico;  nia  scoperti,  gran 
parte  di  loro  e  presa  e  trucidata.  Gii  esacerbati 
Fiorentini  enn'giali  co'  Sanesi  capitanati  da  Fa- 
rinata degli  Ubcrli,  rompono  i  Fiorentini  j)resso 
nll'Aihia  a:Monleaperto(lnr.32,8l).  Guido  No- 
vello e  Giordano,  vicario  di  ManlVedi,  entrano 
trionfanti  in  Firenze,  e  solo  il  Faiiiiala  ne  im- 
pedisce lo  sterminio  intero  decretalo  (Inf.  10} 
Appunto  nel  1265,  dove  nasce  Dante,  Carlo  di 
Angiò  sostenuto  d;.l  jjontefice  Urbano  IV,  entra  in 
Italia,  ed  a' 26  febbr.  1266  Manfredi  [lerdeinun 
con  la  battaglia  presso  Grandella,  non  lungi  da 
Benevento,  e  vita  e  trono  (Pg.  3,  124).  Invano 
Guido  Novello,  vicario  di  Manfredi,  lenta  di 
conciliarci  partili — Carlo  ottiene  la  signoriadi 
lirenze,  (begli  è  schiava. Col  vespro  siciliano  a' 20 
marzo  nel  1282  fiancheggiatisi  iSiciliani, escelto 
Pietio  d'Aragona,  i  Fiorentini  pure  stabiliscono 
la  loro  costituzione  serbatasi  sino  alla  decadenza 
della  lor  repubblica. 

Non  siavvizza  intanto  l'  albero  della  mente, 
anzi  come  matuiati  da  quelle  tempeste  fioriscono 
i  prodotti  del  saj)eie  e  dell' arte  sulle  università  di 
Napoli, liolugna, Vicenza, Padua,  Vercelli  e  Milano. 
Venerandi  maestri  e  dottori  in  leol(»gia  lionaven- 
tura  (Pai-.  12,  1  27),  Tommaso  d' Aquino  (Pg.20, 
69.  Par.  10,  98  ss.  12,  110.  144.13,  32.  14,  6.), 
Giovanni  Duns  Scolto,  Sigieri  da  iÌjabanle(Par. 
10,  186- s.);  i  quali,  quantunque  forse  guastino 
b  teologia  colla  filosofia  aiislolelica,  aguzzano 
pure  e  provocano  almeno  gli  spiriti.  La  niatle- 
matica  e  l'  astronomia  non  si  vergognano  di 
Campano  di  Novara,  di  Piancrio,  Lanfranco  e 
Giordano  del  liosco,  di  Guido  iJoratli  (Inf.  20, 
118.),  di  Pietio  d'  Abano,  di  Cecco  d'  Ascoli. 
LcggisU  celebri  «ono  Accursio  o  Dino  di  Mugello  \ 


storici  Caffaro,  Riccarclo  di  san  Germano,  Mat- 
teo Spinelli ,  Ricordano  Malaspini,  Dino  Com- 
pagni e  Giovanni  Villani.  Neil'  archilellura  ga- 
reggiano Jacopo  Tedesco,  Giovanni  Pisano,  Ar- 
imi fo  di  I>apo,  Ghiberli,  Niccolò  di  Pisa.  Nella 
pittura  dopo  Giunta  si  dislingiiono  massimauiente 
con  colori  più  chiaii  e  vivi,  e  con  carnagionepiù 
calda  Cimabue,  Giotto  (Pg.  11,94),  Orgagna; 
ne  resta  indietro  Oderisi  (Pg.  11,79).  In  tutti 
questi,  se  non  altro,  sono  da  ammirarsi  certamente 
l'anima, la  piena  e  la  baldanza avveriturcsa  delle 
invenzioni,  la  schiettezza,  evidenza  ed  immedia- 
tezza, se  lecito  è  di  dir  così,  naturale,  1'  amore- 
vole immedesimarsi  ne'  menomi  oggetti,  di  modo 
che,  se  questa  dee  dirsi  veramente  fanciullezza 
dell'  arte,  ella  è  almeno  fanciullezza  di  ottima 
speranza,  dove  si  annunzia  e  la  slacciala  gigan- 
tesca forza  plastica  di  Michelangelo ,  poco  pau- 
roso dello  stremo,  e  la  dolcemente  animata  sen- 
snalilà  serena  del  Correggio.  Di  più,  se  già  santo 
Ambrogio  e  Guido  d'  Arezzo  aveano  riformato  il 
canto  ecclesiastico  e  la  musica,  Casella,  grande 
amico  di  1).  (Pg.  2,  91.  s.)  e  Leinmo  da  Pistoia 
pongono  in  musicaalcuni  poemi.  La  poesia  final- 
mente italiana  nata  della  pirovenzale,  nella  cui 
lingua  poetano  Folco  di  Marsiglia  (Pg.  9,  67. 
82.  94.),  e  Sordello  Mantovano  {Pg.  6,  74.  7,  3. 
52.  86.  8,  38.43.  62.  94.  9,  5:3-),  benché  pulluli 
ancora  in  Sicilia,  e  si  muova  con  qualche  vigore 
in  Guido  Guinicelli  (Pg.  Il,  97- 26,  92- 97.  Volg. 
el.  15),  Fabrizio  Onesti  (ivi),  Guittone  d'  Arezzo 
(Pg.  24,  56.  26,  124.  confr.  Volg.  el.  2,  6.  e  in 
soiimia  Giulio  Perticari  degli  scrittori  del  tre- 
cento e  de'  loro  imitalori.  Lugo.  1823.  8)  Cino 
da  Pistoia,  e  Guido  Cavalcanti  (Pg.  11,  97.)  nulla- 
diineno ,  descrivendo  solo  per  lo  più  la  lirica 
sfera  angusta,  aspetta  uno  Alighieri,  che  in 
nuova  lingua  volgar  illustre  le  insegni  nuove 
melodie. 

\\\  questa  fermentazione  caotica  di  forze  uma- 
ne, fra  tante  |)rocelle  e  tante  nasce  a'  27  maggio 
nel  1265  in  Fiienze,  annunziato  a  sua  madre  in 
sogno  assai  leggiadro  (I^iccaccio  lo  narra)  Du,- 
ranle,  o  per  vezzo  ed  abbreviatura.  Dante  All- 
ghieii  (Aldighieri,  o  Allighieri,  nome  di  una  no- 
bile Ferrarese,  moglie  di  Cacciaguida,  tritavo  di 
esso,  che  militò  sotto  l'imperator  Corrado  Ilf,  e 
mori  combattendo  nelle  crociale  1'  anno  1147). 
Orbo  tosto  di  suo  padre,  e'  pure  padrone  di  un 
comodo  patrimonio,  gode  d' educazione  accurata 
e  di  maestro  famigerato,  Brunetto  Latini,  segre- 
tario della  repubblica  fiorentina,  poeta  e  filosofo, 
morto  nel  1294  (Inf.  15,  SO.  32.  10.)  Ma  come 
"Amore  ratto  si  apprende  ai  cuori  gentili",  ed  in 
nobili  alme  diventa  j>ermo!>lio  di  vera  e  soda  col- 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


tura,  cosi  pure  alla  vista  di  Boatiire,  o  Bice,  fìiTli- !o   nel  1292,   o    (secondo    Ué^o  Fosco /o  Dìscovso 
uola dinove  anni  diFoIcoPortinarijavvamjìa  nell' |sul  lesto  del  poema  di  1).  f.  l96)  nei  1295  Dante 


anima  di  I).   coelaneo  quella  favilla  geiieralrice, 
né  si  stingue  in  lui  neanche  colla  morie  di  essa 
inopinata,  seguila  i  9  giugno  nel  1290  in  età  d' 
nni  venti  sei.  Mostrano  anzi  le  sue  Rime,laVita 
nuova,  il  Convito  amoroso,  e  la  Divina  comme- 
dia, come  quesloamoredil  di  lui  oggetto,  facendo- 
lo 'uscir  della  volgare  schiera',  vannosi  in  quest' 
alma  ricchissima  e  profondissima  tiasuinanando 
e  glorificando    sino  a  diventar  cognizione  ed  in- 
tuizione del  sommo  bene,  cioè  religione  e  cristia- 
nesimo. S'  egli  dunque  attiene  cosi  quanto  pro- 
messo aveva  a  sé  stesso,  cioè  di  diie  di  quella  be- 
nedetta quello   che  mai  non  fu  detto  d'  alcuna; 
s'  ella  resta  il  suo  palladio  venerato  divotamentc 
nel  santuaiio  del  suo  cuore,  cuore  mai  non  accu- 
sato, né  accusabile  di  villa  o  d'  infamia  alcuna; 
non  che  dileguansi  le  favole  di  diversi  suoi  amori 
donneschi,  inventati   foi-se  in  grazia  d'un  paral- 
lelismo con  quelli  del  platonico  virtuoso  civet- 
i tante  logodedalo  Petrarca   (v.   il  giudizio  aureo 
'di  Scolari  della  piena  e  giusta  intelligenza  della 
[D.  C.  f.  32  s.  con  la  nota),   il  quale  neanche  ne' 
[trasporti  suoi  contrafìTatli  infermicci  non  sa  nas- 
jcondere  la   frega  e  il  pizzicore  sensuale,  o   con 
jquelli  del  Boccaccio  in  ciò  almeno  più  disinvolto 
e  franco,   fondate  altresì  su  di  false  spiegazioni 
ideile  Piime,  dell'Inf.  16,  106.  del  Pg.24,37;  ma 
si  unisce  questo  amore  unico,  vero  generatore  del 
bello,  alle  altre  potenze  educatrici  su  mentovate. 
Di  queste  poi  com'  ei  si  sia  impadronito,   come 
le  abbia  organale  a  modo  suo  e  proprio,   sino  a 
(diventare  quale  P  annniriamo  ingegno  imbevuto 
e  sovrano  del  suo  tempo,  ancorché  non  sia  gre- 
cista, —  v.    Carlo   Jf  lite  nelle  antiotazioni  alle 
rime  di  D.   tradolte  in  Tedesco  da  Kanngie.sser. 
Lips.  1827.  8.  f.  435-  ss. —  o  si  manifesterà  in 
seguito  a  chiunquenon  ha  olTuscata  od  impietrala 
a  testa  da  vuote  e  saccenline  teoriche  del  guslo 
forse  boulervecchianc  (v.  la  di  lui  Geschichleder 
Poesie  und  Bei'edsamkeit  seit  dem  Endedesdrei- 
zehntcn  Jahrhunderts.  Gotling.  1801.  To.  1.),  o 
non  potrà  dirsi  del  tutto.  Che,  se  già  in  qualsi- 
voglia uomo  è  mislcrioso  ed  impenetrabile  quel 


s'  induce  a  prender  per  moglie  Gemma  di  Ma- 
iicllo  di  Donato  dei  Donali;  casata  illustre,  che 
gli  dà  sei  figli!  Questo  fatto  veramente  pare,  che 
non  faccia  guari  fede  a  qucll'  aneddoto  di  uà 
matrimonio  infausto  per  via  della  naturaxantip- 
pea  della  consorte;  di  modo  che,  se  pure  non 
durò  sempre  la  buona  cori'isjiondenza  coniugale, 
la  cagione  no  fu  foi-se  tulto  alli-a,  cioè  1'  anima 
altera  e  ghibellina  di  D.,  il  quale,  quando  la  mo- 
glie, do]5o  la  desolazione  della  sua  casa,  rieove- 
ravasi  di  necessità  coi  suoi  figli  sotto  il  patroci- 
nio potente  dei  Donati  guelfi,  forse  la  ci-edette 
rea  della  colpa  d'  obbligare  anclie  il  marito  alla 
gratitudine  verso  de'  suoi  peggiori  nemici  (v. 
Ugo  Foscolo  1.  e.  f.  198)-  Checché  ne  sia,  cres- 
cono lellerali  que'  figli.  Pielio  e  mandato  all' 
università  di  Bologna,  è  dottoralo  in  legge,  e  ac- 
casatosi poscia  in  Verona  muorcalfin  in  Treviso. 
Jacopo  riscatta  nel  1340  dal  comune  di  Firenze 
i  beni  paterni  già  confiscali.  Aligero  ed  Eliseo 
niuojono  in  tenera  eia;  Gabriello  vive  ancor  nel 
1351,  e  Beatrice  veste  1'  abito  religioso  nel  mo- 
nastero di  san  Stefano  i.i  Piavenna,  e  ad  essa  per 
mezzo  di  Boccaccio  nel  1350  la  repubblica  fio- 
rentina fa  dono  di  dieci  fioiini  d'  oro. 

Per  finire  lo  sbozzo  della  prima  metà  della 
vita  di  D.,  aggiungasi  un  sol  tratto,  ed  è,  che  in 
mezzo  agli  sludj  rigorosissimi  e  profondi,  in 
mezzo  alle  asperrime  tenzoni  interne  questo  in- 
gegno forte  al  par  che  bello  e  ameno  non  tras- 
cura la  patria  da  lui  amata  con  zelo  ed  ardore 
simili  a  quelli  dei  profeti  antichi,  nemico  im- 
placabile dei  vizj ,  propugnatore  pertinace  di 
quanto  imperiosamente  chiede  P  idea  di  essa 
tuttavia  abbracciala  e  mantenuta  da  lui  in  tutte 
le  di  lei  alterazioni  e  vicende.  Fallosi  matrico- 
lare, conforme  alle  leggi  fiorentine,  nell'  ar- 
te, o  nel  tribo  de'  medici  e  degli  speziali,  com- 
batte il  di  2  giugno  129  alla  liattaglia  di  Cam- 
paldino  nelle  prime  file  della  cavalleria  fiorenti- 
na guelfa  contro  ai  Ghibellini  d^  Arezzo ,  in 
compagm'a  di  Vieri  Cerchi  e  di  Corso  Donati; 
né  manca,  allorché  nel  1290  del  mese  d'  agostoi 


"fondamento, chenaturapone,"cioòl'intrinsichis-  Fiorentini  tolgono  ai  Pisani  il  castello  di  Capro- 
simamenle  riposto  piincijìio,  la  forma,  o  la  dote   na  (Inf  21,   95),  ove  jicr  altro  fa  la  prima  co- 


naturalc,  la  peisonalilà  dell'uomo  eterna, quanto 
meno  potrà  svelarsi  quel  mistero  d'un  ingegno 
si  soverchiamente  ])rivilegialo  ?  Basterà  dunque 
1'  avere  indicato  il  concorso  e  i  dintorni  degli 
elementi  del  mondo  e  del  tempo  suo,  la  tensione 
de'  suoi  clementi  proprj  ed  il  loro  risultamenlo. 
Ma,  per  tornare  al  nostro  proposilo,  osserviamo, 


che  alquanto  dopo  la  morte  dell'  amata  sua  Bice,  e  le  sue  doti  esimie,  avvegnaché  quelle  sue  fun 


noscenza  di  Guido  da  Polenta,  signor  di  Piaven- 
na,  ultimo  di  lui  protettore  in  appresso,  ora 
condottiere  di  questa  impresa  ,  e  stringe  amici- 
zia con  Nino  Visconti  di  Pisa,  Giudice  di  Gal- 
lura (Pg.  8,  53.  109).  Che  per  altro  sulla  fine 
di  (jittslo  secolo  egli  sia  stato  ailopralo  assai  nella 
repubblica,  lo  renilono  probabile  ed  inalali  suoi. 


VI 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


zioni  diplomaticlie,  esagerate  alquanto  dal  Fi- 
Jelfo  e  dal  Boccaccio,  si  scemino  forse,  essendo 
incontrastabilmente  autentiche  soltanto  due 
ambasciate,  1'  una  nel  1295  al  re  Carlo  II  di 
Napoli,  r  altra  ti'  di  8  niagg.  1291  al  comune 
di  san  Geminiano.  Per  questo  non  venga  nega- 
to,  che  l'uno  o  1'  altro  documento  quistione- 
vole  siasi  perduto,  o  annientato  forse  apposta j 
atto  ,  che  in  quella  eia,  in  simili  circostanze  né 
strano  sarebbe,    né  senza  esempio! 

Nel  principio  dell'  altra  metà  di  sua  vita  ed 
in  quel  del  nuovo  secolo  Dante  è  nell'  auge 
della  vita  civile ,  essendo  egli  da  mezzo  giugno 
sino  a  mezzo  agosto  del  1300  eletto  per  uno  dei 
priori  della  repubblica  fiorentina,  cioè  dei  prin- 
cipali magistrati,  che  la  regolavano  e  dimora- 
vano nel  palazzo  ,  mantenuti  a  spese  pubbliche, 
a  guisa  dei  piitani  ateniesi.  Ma  fallace  pur 
troppo  ò  il  sereno,  e  pare ,  che  le  lotte  interne 
siano  state  soltanto  preparazioni  a  renderlo 
'*  ben  tetiagono  ai  colj)i  di  fortuna"  ,  che  ora  gli 
piomban  sul  capo.  Egli  stesso  ne  dice  :"  tutti 
i  mali  e  tutti  gV  inconvenienti  dagli  infausti  co- 
mizj  del  mio  priorato  ebbero  cagione  e  princi- 
pio; del  quale  priorato,  benché  per  prudenza 
io  non  fossi  degno ,  nondimeno  per  fede  e  per 
età  non  ne  era  indegno."  Prevale  appunto  in  |1'  ingiunta  sentenza  tiranna  è  già  pronunziala, 
quei  di  il  partilo    dei  Guelfi  in  Firenze,  suddi-jNon  molto  dopo  i  Bianchi  con  lui  scacciati  fan- 


dei  tempo  —  sbaglio  però,  di  cui  sono  capaci 
soltanto  i  caratteri  dibonarj ,  benevoli,  franchi 
e  generosi!  Volle  il  fato,  che,  spirato  il  pe- 
riodo del  suo  magistrato,  ei  fosse  spedito  inniis- 
sion  diplomatica  presso  il  papa  Bonifacio  Vili, 
il  quale,  mentre  con  nera  trama  ordita  da  lungo 
tempo  in  corrispondenza  con  quei  fanatici,  ratte- 
ncva  in  Fvoma  il  poeta  tradito  ed  odiato,  allin  inviò 
alla  testa  di  molte  forze  Carlo  di  Valois,  fratello 
di  Filippo  il  Bello ,  re  di  Francia ,  in  Fiienze, 
col  pretesto  bensì  di  riconciliare  i  dissidj ,  ma 
in  fatti  col  disegno  di  favorire  i  Neri  a  discapito 
de'  Bianchi.  Ed  ora  ecco  i  Neri  sostenuti  da 
colui  insolentire  ferocemente  contro  ai  Bianchi, 
correre  alla  casa  di  Dante ,  metterla  a  sacco  e 
fuoco,  e  dare  guasto  a  tutte  le  sue  sostanze. 
Gante  de'  Gabiielli  da  Gubbio ,  podestà  dato  a 
Firenze  da  Carlo,  cita  a'  27  di  genn.  1302  con 
più  altri  Dante  accusato  falsamente  di  baratterie 
e  di  concussioni,  a  fin  di  renderne  ragione,  e 
qualora  non  compaja  tosto,  lo  condanna  alla 
multa  di  ottomila  lire;  ina  essendo  egli  inabile 
a  pagare,  confiscati  gli  sono  i  beni,  ed  egli  stes- 
so vien  espulso  con  perpetuo  bando.  A  cotal 
nuova  infausta  D.  corre  precipitoso  da  Roma 
verso  Firenze;  ma  nel  giugnere  a  Siena  ode,  che 


viso  però  in  due  ferocissime  fazioni  dette  dei 
Bianchi  e  dei  Neri;  capo  dei  primi  è  Viero  dei 
Cerchi,  e  dei  secondi  Corso  Donati,  dietro  i 
quali  tutti  i  cittadini  parteggiando  si  divido- 
no. In  simil  guisa  gli  opposti  pur  Ghibelli- 
ni Secchi,  rigidi  partigiani  dell'  impero,  no- 
minano lor  duci  i  Tarlati  di  Pietramala,  lad- 
dove i  Verdi  riconoscono  per  capo  il  Faggio- 
lano,  e  favoreggiano  le  sue  intelligenze  col  papa. 
Dante,  o  eh'  egli  si  nimicasse  col  pontefice  Bo- 
nifazio Vili,  nemico  dei  Bianchi,  e  fautore  dei 
Neri,  rifiutando  la  di  lui  intercessione,  o  eh' 
egli  credesse  di  comporre  queste  zulFc,  mostran- 
do la  sua  neutralità,  e  confinando  i  bollenti  capi 
di  parte,  Corso  in  Massa  Trabaria,  e  Guido 
Cavalcanti  con  tre  dei  Cerchi  e  con  Baschiera 
della  Tosa  a  Sarzana ,  donde  tosto  bensì  fu  ri- 
chiamato Guido  ammalato  per  I'  aere  infermo, 
e  poco  poscia  morto  (  v.  Troya  del  veltro  allc- 
g<jrico  di  1).  f.  46.  8.),  e  che  così  provocasse  la 
furia  di  quei  frenetici,  certo  e  che,  indotto  a 
quanto  fece  dall'  intero  suo  sistema  politico 
ben  ponderato,  sprezzando  ugualmente  con  co- 
raggio ed  animo  vcrainento  coriolanesco  le  mene 
e  le  violenze  d'  ainonduc  le  selle  arrabbiate,  di- 
venne la  villima  di    loro  ,  di  una  speranza  in- 


no un  tentativo  disperato  di  rientrare.  Duce 
il  conte  di  Romena,  novemila  pedoni  e  mille 
seicento  cavalieri  assaltano  le  porte  di  Firenze, 
penetrano  sin  dentro  la  città,  e  vi  gettano  Io 
scompiglio;  ma  assai  male  regolali  da  Baschiera 
Tosinghi ,  spinti  da  zelo  inconsideralo  si  con- 
fondono tosto  di  modo,  che,  perduto  ogni  or- 
dine, vengono  dalle  furie  avverse  soverchiali 
e  respinti.  Quindi  un  nuovo  decreto  più  cru- 
dele ancora  del  primo  minaccia  Dante,  benché 
forse  soltanto  l'onsigliere,  e  gli  autori  principa- 
li di  quella  spedizione  di  esser  bruciati  vivi, 
qualor  siano  presi.  Sia  da  quel  tempo  il  poeta 
nostro  nemico  acerbissimo  di  Bonifacio,  morto 
nel  1303  quasi  violentamente,  e  di  Filippo  il 
Bello,  ed  amico  di  Uguccione  della  Faggiola,  e  di 
Bosone  da  Gubbio,  errò  mendico,  privo  della 
sposa  e  dei  beni,  di  città  in  città,  provando 
"come  sa  di  sale  il  pane  altrui,  e  coni'  è  duro 
calle  Io  scendeie  e  il  salire  per  I'  altrui  scale" 
(Par.  17 ,  58  ss.).  Mai  però ,  neppure  in  quel 
periodo  infelicissimo  della  sua  vita,  si  abbassa 
questa  anima  altera,  che,  trattandosi  di  un' 
ambasciala  a  Bonifacio  Vili,  ed  essendo  esso 
sialo  scello  })rincipc  di  essa,  allorché  chiedeva- 
segli  cosa  pensasse,  dettola  risposta:  'penso,  se 


gatmcvolc,  e  d'uno  «baglio  intorno  ai  rapporti  io  vo,  chi  rimane;  e  se  io  rimango,  chi  vp.'    Si 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


VII 


a,  che  un  dì  nel  1318,  sedendo  egli  a  Verona  a 
lensa  con  Cangrande  in  compagnia  di  un  buf- 
one molto  gradito ,  e  chiesto  dal  signor  di  Ve- 
ona:  ''donde  avviene,  che  costui,  il  quale  è 
no  sciocco  ,  sia  grato  a  tutti ,  e  tu,  che  vieni 
iputato  sapiente,  noi  sia?"  stato  alquanto  so- 
)ia  di  sé  rispose:  '' perchè  ciascuno  ama  il  suo 
imile.  "  Vieppiù  però  grandioso  contegno  e 
iispetto  nobile  palesa  ,  quando  nel  1317  fra  ai- 
ri amici  un  religioso  di  lui  congiunto  lo  prega 
li  ritornar  a  casa  con  1'  occasione  della  festa  di 
;an  Giovanni  Battista.  Era  solenne  in  quel  gior- 
10  di  liberare  i  prigioni,  massimamente  gli 
•;suli  richiamali;  venivano  essi  a  gran  pomj)a 
lielro  il  Cairo  della  zecca  detto  di  san  Giovanni 
:on  mitère  in  capo,  e  con  ceri  nelle  mani;  offer- 
i  al  santo  e  multati  di  alcuna  somma  ne  anda- 
vano liberi  affatto,  cessate  le  loro  condannagioni 
[TroyaY.  A.  159  ss).  A  che  1).  :  'Or  questa  e 
[a  gloria,  con  cui  si  chiama  D.  A.  alla  patria, 
dopo  eli'  egli  ha  sofferto  per  quasi  tre  lustri  l'e- 
silio? In  cotal  modo  si  rimunera  la  sua  inno- 
cenza a  chiunque  già  manifesta  ,  in  cotal  modo 
il  sudore  e  il  lavoro  di  lui  continuato  nello  stu- 
dio? Lungi  dall'  uomo  domestico  della  filosofìa 
r  inconsiderata  bassezza,  propria  di  un  cuor  di 
terra,  eh'  egli  stesso,  a  guisa  di  alcun  sapu- 
tello e  di  altri  privi  di  faina  quasi  non  altri- 
nicnli  che  vinto  tolleri  d'  essere  offerto.  — 
Non  e  questa  la  via  di  ritornare  alla  patria;  ma 
se  da  voi  o  da  altri  se  ne  troverà  un'  altra ,  che 
alla  fama  di  D.,  che  al  suo  decoro  non  deroghi, 
non  sarò  tardo  ad  incamminarmi  per  quella. 
Clic,  se  per  via  onorata  non  si  entra  in  Fiorenza, 
non  entrerò  in  Fiorenza  mai  più.'  Dionlni  ne 
ha  1'  originale  latino  Preparaz.  stor.  allo  sLud. 
di  D.  7,  ^60. 

Ecco  alcuni  accidenti  di   lume,  eh'  entrano 

neir  oscuro  periodo  degli  errori  di  un  illustre 

esule  fuggiasco!    periodo  oscuro  ])el  fanatismo 

cicco  e  per  gì'  intrighi  infami  j)olitici  di  una  eia 

(aulica,  per  1'  alterigia  e  il  sistema  proprio  ed 

oj)posto  al  comune  del  jiocta ,  di  cui   il  vivere 

(  ed  oprare  intellettuale  profondo  già  per  se  era 

I  meno    intelligibile    ad  un   mondo    confuso  del 

I  tutto  sino  negli  arbitri  e  condottieri  sacri  in  par- 

I  te  malevoli.     Sono  perciò  scarsi  i  fonti ,  donde 

derivare  le  notizie  bramate,  nò  forse  altri,  che 

la  commedia  divina  ed  alcune    croniclic    e  tra- 

i  dizioni  non  già  sempre  degne  di  fede,   imperoc- 

I  che,   come  per   una  qualche   ironia  dell'  anima 

I  universale  fin  le  città  oscurissime  millantarono 

j  d'  essere  stale  per  qualche  tempo  stanze,  nudri- 

[  ci  e  levatrici  di  questo  ingegno  grandissimo  (v. 

!  Ugo   Foscolo   Disc.  f.   18  8.)    perseguitalo    sin 


dopo  la  morte  dall^  odio  insano  di  una  genia  cie- 
ca, lucifuga,  condannata  a  grufolare  la  lordura 
dell'  umanità.  Nulladimeno  ai  nostri  di  C. 
Troya  nel  libro  piii  volte  su  mentovato  tentò  di 
fissare ,  non  senza  acume  e  diligente  pratica  di 
croniche  ,  di  scrittori  coetanei  e  del  poema  is- 
tesso,  1  ordine  cronologico  di  quei  viaggi,  j)ro- 
mettendone  inoltre  una  carta.  Or  quantunque 
questo  modo  sia  spinoso  e  forse  incerto,  per- 
chè suppone,  che  la  C.  D.  contenga  assieme  la 
storia  dei  viaggi  di  D.  nelle  contrade  sole  ghi- 
belline traveisale  non  solamente,  anzi  mento- 
vate e  descritte  successivamente,  gioverà  pure 
trascorrere  rapidamente  i  suoi  dati.  Secondo 
lui  dunque  D.  nel  1S02  fu  a  Verona  presso  Bar- 
tolommeo  della  Scala  (Par.  17,  70  ss.;  ser- 
bata cioè  a  ragione  e  con  Ugo  Foscolo  Disc.  157 
ss.  la  lezione  con  lui  vedrai  colui).  Ivi  nel 
1303  ripensò  al  poema  principiato  in  Latino, 
il  quale  rifece  in  favella  italiana;  scrisse  il  li- 
bro della  volg.  eloq.,  mutò  il  canto  ])rimo  dello 
Inf. ,  e  aggiunse  al  sesto  la  profezia  di  Ciacco. 
Ai  7  marzo  1304,  morto  Bartolommeo ,  passò 
in  Bologna,  poi  nel  castello  di  Gargonza  in 
Val  d'  Ambra  sui  confini  di  Arezzo,  implorando 
Ugolino  da  Feliccione.  Di  là  pel  Mugello  nel 
Casentino  segui  Alessandro  di  Romena  presso 
Guido  Salvatico  (Inf.  e.  lo  e  16-);  passò  a  un 
bel  circa  del  1305  in  Romagna,  pesso  festeggia- 
to dal  suocero  di  messer  Corso.  Poi  condusse 
in  Bologna  suo  Pietro  di  anni  13.  Avca  com- 
pito il  e.  12  della  volg.  el.  Nel  1806  a'  27  ag. 
dimorò  a  Padova  nella  contrada  di  san  Lorenzo, 
e  fu  presente  ad  un  contrailo  dei  signori  di  Pa- 
pafava.  Trenta  nove  giorni  dopo  giunse  per  Man- 
tova, Tornovo ,  Ponlremoli ,  Val  di  Magra 
presso  Franceschino  Malaspina  di  Mulazzo,  pa- 
dre di  Moroello ,  dove  in  Castel-nuovo  il  di  6 
ott.  1306  slabill  la  pace  tra  Frane,  ed  il  genovese 
Antonio  Camelia,  vescovo  di  Luni.  In  questo 
anno  cade  la  favola  dei  ])rimi  7  canti  della  D.  C. 
trovati  in  un  forziere  da  Leon  Poggi,  ed  inviati  da 
Dino  Frescobaldi  al  poeta  (raffr.  UgoFosc.  169 
ss.).  Anzi  dettò  in  Lunigiaiia  i  e.  18  —  26.  Nel 
1307  fuscgrelario  di  Scaipotla  degli  Ordolaffi  in 
Romagna  (Inf.  27  —  30).  Nel  1308  ritornato  a 
Padova  si  reca  a  Verona,  per  iscrezio  forse  pri- 
valo (UgoF.  156.  s.),  e  trovando  Can  Grande  in- 
tento in  guerra,  torna  in  Lunigiana,  divellendo 
a  Roggio  presso  Guido  de'  Roberti  di  Castello, 
il  senij)licc  Loinbartlo  —  ne  dubita  Foscolo  174 
— .  Ttìruatc  al  niente  tic  guerre  contro  Fireiw.e, 
sedali  ])or  due  riprese  i  tiiniullidi  Corso,  stra- 
scinato a  morte  dal  cavallo  presso  san  Salvi  (Pg. 
24;  82)  torna  da  Reggio  in  Lunigiana,    dando 


vili 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


le  ullitne  cure  alP  Inferno ,   e  decretando  d'ab- 
bandonare l'  Italia.  Ivi  nel  monastero  di  s.  Cro- 
ce del  Corvo  dà  al  priore  Ilario,   amico  di  Uguc- 
doiie  ,  la  cantica  dell' Inferno,  per  inviarla  con 
alcune  dichiarazioni   ad  Ug.,  lo  che  si  fece  sulla 
priinavera    del   1309  (  Ordii   V.  di  1).  f.  69-  ss. 
Troj,  a  97.  s.  205.  s.).  Scorsi  alcuni  giorni,  s'in- 
cammina  alla    volta    di  Francia,   ove  Filippo   il 
Bello  cerca  ad  iinpetraie  la  condanna  della  me- 
moria di  Bonifacio  Ville    dei  templari;  Laonde 
Lerici,  Noli,  Turbia  Pg.  3  e  4.    A  l^arigi  si  tro- 
va allora  il  padre   del    Boccaccio.  Inqueslo  an- 
no Clemente  V  elegge  Anigo  VII  per  re  de'  Bo- 
mani ,   e  muore   Carlo  II  di  Najjoli   odiato  da  D. 
(Pg.  20,  79.  Par.  6.  19.  20).     Al  primo   romore 
della  venuta  di  Arrigo  in  Italia  nel  1310  I). par- 
te a  salutarlo,  scrive  ed  opera  ad  ogni  modo  in  no- 
me degli  esuli  gliibellini.    Le  vicende  di  Arrigo, 
il  quale  per  le  ribellioni   di  Cremona,  Brescia  e 
Firenze   combattendo  deve  aprirsi    strada  passo 
innanzi  passo,  molto  lo  piemono;  gli  scrive,  in- 
sligandolo  il  di  16  apr.  1311  di  Toscana  sotto  le 
fonti  d"  Ai-no,  cinque  miglia  da  Porciano  ,   ove 
si  reca  per  corto  ed  alpestre  cammino  sulle  ter- 
re di  Modena.  A  Porciano  è  fama  esser  egli  sta- 
to per  alcun  tempo  prigioniero  nella  torre  mag- 
giore (Pg.   14,  43.  s).  Di  Porciano ,   come  mos- 
ti-ano le  acerbità  eonira  gli  Aieiini ,  Pisani  (Pg. 
14,  46-  53),  Bomagnoli  (^99)framezzate  all«  lo- 
di di  lloberto    di  Napoli ,    che    allora   tollerò  i 
Ghibellini  ed  i  Bianchi,  passa  in  Romagna,  scri- 
ve diForli  a  Cane  in  nome  degli  esuli  fiorentini. 
Durante  P  infelice  assedio  di  Brescia  scrive  i  can- 
ti 16  —  18  del  Pg.,  dove  scagliasi  contra  la  Tos- 
cana ,  Romagna,   Verona,  contra  Alberto,   pa- 
dre degli  Scaligeri,  e  contra  il  fratello  Giuseppe, 
abate   di  san  Zeno   (Pg,  18,  121,  s.).  Si  trova 
poi  in  Genova,  oltraggiato  dagli  amici  di  Branco 
Doria ,  ed  a  Pisa  con  Arrigo.     Nel  1312,  i  12 
aelt.  Alligo  stringe   Firenze  d'  assedio,   D.  as- 
sapora già  la  vendetta.  Invano!   lidi  23  febbr. 
1313  Arrigo  sentenzia  a  morte  meglio   che  600 
Fiorentini  (Par.  16,  55-  ss..);  ma  il  dì  24  ag-  muore 
fur/ye  av.velenato  —  la  serie  almeno  degli  eventi 
giustifica  o scusa  questo  forse — .  Nel  1314  D.  scri- 
ve ai  cardinali  di  eleggere  un  pontefice.  Con  nuove 
speranze  viene  a  Lucca,  vi  scrive  gli  ultimi  10 
canti  del  Pg.,  ove  32,  151  —  160  fa  motto  di  Fi- 
lippo il  Bello,  morto  il  di  29  no\.  1314,  aggiu- 
gnc  nel  24  il  passo  Pg.  37—48,  ove  T.  intende  per 
un  ciiKiuecunLo  dieci  non  Can  Grande,  nòArrigo 
morto  da  15  mesi,  si  Uguccioiie  della  Faggiola 
il  vclLru.    Verso  la  fine  del  1314  termina  il  Pg. 
inviandolo  forse  a  Aloroello  iVlalaspina,  figlio  di 
rrauceschino.    Nul    1315  lloberto  di  Napoli  fa 


rinnovare  per  mezzo  di  messer  Zaccaria  d'  Or. 
vieto  le  minacce  di  morie.  Quindi  la  vendetta 
Par.6,  106.  s.  8,  147.  Poiché  Can  Grande  onora 
lo  sventurato  Uguccione,raggiunge  D.  nel  1317  il 
suo  congiunto  e  capitano  ,  e  delibera  di  consa- 
crare a  Cane  il  Paradiso  con  la  lettera  nota  (raflr. 
Pur.  15  —  17.  17,  85  —  93.  16,1  — 9).  Qua  ap- 
partiene la  risposta  di  D.  su  mentovata  intorno 
alla  liberazione.  Nel  1318  è  a  Verona.  Aveva 
invialo  a  Canei  canti  10 — 20del  Par.-,  gli  ulti- 
mi 13  "on  furono  ricongiunti  al  tutto  se  non  do 
pò  la  morte  del  poeta.  Verso  i  cominciaraenti 
del  1318  sloggia  dalla  città,  viene  in  Romagna, 
trova  estinto  Scarp.  degli  Ordelalli,  va  a  Gubbio, 
visita  la  badia  camaldolese  di  Fonte  Avellana, 
delta  di  santa  Croce,  accolto  da  Moncone,  Pri- 
ore. Quindi  la  Catria  Par.  21,  106  —  111,  e  la 
poca  indulgenza  cogli  ospiti  suoi  113  —  120.  Ivi 
maestro  del  figlio  di  Bastian  da  Gubbio ,  ivi  la 
casa,  dove  abitò.  A  Tro^a  165  conlradice  perù 
Ugo  Foscolo  293  ss.  Ripassato  poscia  nella  Mar 
ca  Trivigiana  trova  nel  prossimo  Friuli  facile 
stanza,  L'  anno  13 19  passa  in  Udine  presso  il 
patriarca  d'  Aquileia ,  Pagano  della  Torre,  ves 
covo  di  Padova,  vi  compone  alcuno  degli  ultimi 
canti  del  Par.,  ed  altre  opere  in  prosa;  si  reca 
sovente  nel  caslello  di  Tolmino.  A  Troya  170 
ss.  ed  a  Viviani  introd.  all'  ediz.  di  D,  contradi- 
ce Ugo  Foscolo  126.  ss.  Sul  cominciare  dell32C 
lascia  Udine,  per  avvicinarsi  a  Firenze,  dispu. 
la  a  Verona  il  dì  1 8  gemi,  dell'  acqua  e  del  fuoco 

10  che  Tiraboschi,  Troja  175  ed  Ugo  F.  131. 
dicono  favola.  Finalmente  dalla  Marca  Trivigia- 
na passa  in  Ravenna  presso  Guido  Novello  ;  v 
ha  familiari  Pietro  Giardini  ravennate,  Dino  Pe 
rini,  e  Fiducio  de  Milottis,  medico  da  Certaldo 
Castruccio  Castracani  occupa  in  quel  tempo  P  un< 
dei  primi  seggi  fra  i  Ghibellini.  Nel  1321  Gio- 
vanni Virgilio  scrive  a  1).  un'  egloga  latina,  in- 
vitandolo a  Bologna.    D,  risponde  con  due  altre 

11  Paradiso  non  è  per  anco  uscito.  Il  poema  noi 
fu  pubblicato  ad  un  sol  tratto;  perciò  innaspr 
il  Par,  con  sdegni  politici  più  adatti  all'  Inferno 
Il  liberatore  sospirato  (27,  61  —66)  è  o  Mal  tei 
Visconti,  o  Castracani,  Guido  Novello  mandi 
I),  con  gravissimo  incarco  presso  il  senato  veneto 
che,  temendo  la  sua  eloquenza,  gli  negai'  udien 
za.  Di  ciò  accorato,  tornato  a  Ravenna  muore  a: 
dì  14  sett.  1321,  onorato  dal  pubblico  lutto,  en; 
connato  da  Guido  Novello  istesso  co»  orazion 
funebre  nel  suo  palazzo,  e  con  moltissimi  poem: 

Cosistauco  e  travaglialo  datante  sciaguremuo 
re  quel  grande  impareggiabile.  Quanto  ostinai 
e  crudele  fosse  1'  odio  e  il  rancore  de*  nemici  d; 
quesl'  uomo,  che  primo  e  solo  riconobbe  già  al 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


IX 


Lora,  in  che  sarelibe  ed  è  la  salute  unica  d'  Ita- 
lia, puossi  ricavare  da  quello  che,  salvo  il  de- 
fcreto  della  repubblica  fiorentina  del  di  9  agosto 
IS/Sj  col  quale  si  scelse  Boccaccio  primo  a  spie- 
gare il  poema  sacro,  a  cui  han  posto  mano  e  cielo 
e  terra,  neanche  il  pensiero  concepito  nel  1396 
li  fargli  innalzare  in  santa  Maria  del  Fiore  un 
onorevol  sepolcro  ebbe  effetto;  che  nel  1519 
Leon  X  non  esaudì  le  preghieie  dell'  accademia 
medicea  di  traslalare  nella  jiatria  le  ossa  del  poe- 
ta, non  ostante  che  Michelagnolo  scultore  si  of- 
ferisse a  fare  aldivin  poeta  la  sepoltura  sua  con- 
decente, e  in  luogo  onorevole.  In  vece  di  ciò 
narra  Boccaccio,  che  nel  1341,  sedente  Giovanni 
papa  XXII,  da  messei-e  Beltrando,  cardinale 
del  Poggetto,  allora  per  la  chiesa  di  Roma  le- 
gato in  Lombardia,  fu  dannato  il  libro  de  mo- 
narchia, perchè  i  di  lui  argomenti  usati  furono 
in  favore  di  Lodovico  duca  di  Baviera,  contro 
la  chiesa  romana;  e  che  finalmente  senzaF inter- 
cessione di  Pino  della  Tosa  e  Ostagio  da  Polen- 
ta quelP  insano  avrebbe  nella  città  di  Bologna 
insieme  col  libro  fatto  arder  V  ossa  di  Dante.  Bi- 
ti'atti,  medaglie,  busti  furono  i  trofei  dei  sudori 
e  delle  mortificazioni  sue,  divieti  della  divina 
commedia  da  parte  del  santo  ufficio  spaglinolo 
sin  quasi  alla  nostra  età,  dove,  sprezzando  la 
scuola  gesuitica,  gli  eunuchi  metastasiani  e  1'  Ar- 
cadia ,  come  dice  Bettinelli,  i  valentuomini 
d'Italia  bene  intendono,  che  le  idee  e  i  principj  di 
D.  sono  di  somma  importanza. 

Del  resto  fu  Dante  di  mezzana  statuita,  andò 
in  età  pili  matura  alquanto  curvello,  ma  grave 
e  mansueto.  Il  suo  volto  fu  lungo,  il  naso  aqui- 
lino, gli  occhi  grossi,  le  mascelle  grandi,  e  dal 
labbro  di  sotto  ei'a  quel  di  sopra  avanzato;  il 
colore  era  bruno,  i  ca|)elli  e  la  barba  spessi,  ne- 
ri, crespi,  e  la  faccia  scm))rc  nialinconica  e  pen 
sosa.  i'u  cortese,  modesto,  amico  della  solitu- 
dine, taciturno,  assiduissimo ,  altero,  vaglùssi- 
ino  d'  onore. 


2.  La   di 


COTTI  /il  e  di  a 
t  enzi  o  il  e. 


la 


sua  m- 


Lungabrigasarcbbc,anzi  infinita  ed  alfine  inol- 
tre supcilluii  dopo  tanti  trattati  e  tanti  voler  far 
quiuna  critica  rivista  pai  ticolurc  e  minuta  di  tulli 
i  pareri  in  turno  all'intenzione  ed  all' in  tendi  meli- 
lo della  divina  commedia.  Clic  (pianto  e  più  orga- 
nica la  natura  di  vero  poeta  e  dei  ))rodoltisuoi, 
quanto  più  questi  prodotti  sono  universali,  in  se 
stessi  perfetti  ed  originali,  tanto  più  agevolmeiilo 
ti  arrendono  ed  accomodano  in  questa  parte  o  in 
quellasino  agl'ingegni  mezzani  ed  angustissimi. 
Or  se  forse  inoltre  vi  rintrona  un  qualche  accordo 


fondamentale  di  un  certo  periodo  storico, cornerai, 
legoria  nella  1).  C,  ollora  si  veggiamo,  che  spezi- 
almente in  questo  campo  nuvoloso  la  sottilità  degli 
interpreti  può  iinioltrarvisi  col  tempo  sino  ali'  ine- 
zia, di  modo  che  il  lettore  si  trovi  assordato,  confu- 
so e  oppresso,  ed  assorbito  alfine  nelle  particola- 
rità perda  la  totalità  e  la  di  lei  impressione.  Per 
dire  adunque  cjuanto  si  può  mai  succintamente, 
senza  sagrificar  la  chiarezza ,  quel  che  abbiamo 
da  dire  di  questo  Y>oQìr\di  pohsensuuTn,  o  capace 
di  molte  intorpreliizioni,  ragioniamo  di  due  pas- 
si danteschi  (Convit.  Voi.  4-  f.  184-  ed.  Zatt.  e 
lettera  dedic.  a  Can  Gr. )  troppo  noti  per  esser 
qui  transcritti  estesamente,  ma  che  servir  pos- 
sono di  scorta  e  filo  al  nostro  discorso. 

In  quei  due  passi  Dante  conforme  all'  erme- 
neutica del  suo  tempo  quattro  esser  dice  sensi  o 
modi  d'  intendere:  il  letterale,  allegorico,  mo- 
rale ed  anagogico.  Il  lelLcrale^  che  comprende 
il  puro  e  netto  oggetto,  ossia  la  sostanza  e  la 
forma  del  pensiero  espresse  con  parole  prese  in 
lor  senso  convenevole  al  tenor  della  lingua  e  del 
contesto,  non  lo  spiega  guari.  L'  allegorico 
dice  quello,  che  si  nasconde  sotto  il  manto  della 
favola,  ed  è  una  verità  ascosa  sotto  bella  men- 
zogna, ovvero  diverso  ed  altro  dal  letterale.  Il 
TTiorale  dice  quello,  che  i  lettori  deono  intenta- 
mente andare  appostando  per  le  scritture  a  uti- 
lità di  loro  e  de'  loro  discenti.  L'  anagogico,  o 
soprasenso,  cioè  edificante  ,  che  mena  la  mente 
all'  insù  ,  dice  ,  quando  spiritualmente  si  spone 
una  scrittm-a,  la  quale  eziandio  nel  senso  lette- 
rale per  le  cose  significate  significa  delle  suprejne 
dell'  eterna  gloria.  Questi  tre  ultimi  li  com- 
prende in  un  nome  tìi  m/.slici.  Trattiamo  spe- 
zialmente d'  ognuno  di  quei  sensi. 

Secondo  dunque  il /t7/i'/-«/é' di  quei  sensi  1'  og- 
getto della  C.  D.C  semplicemente  lo  stato  delle  ani- 
me dopo  la  morte  in  triplice  forma,  quale  1).  lo  mi- 
ra colla  scorta  di  Virgilio  poeta,  venerato  come  ma- 
go nel  mezzo  evo  (v.yA/.i.wi  Bride  in  d.lleimat. 
Voi.  3.  f.l83  — l94).sinoal  paradiso  terrestre  (Pg. 
27,  124),cposciaguidatoila  Beatrice.  La  prima  di 
quelle  forme  e  V Inferno  accuratamente  ed  eviden- 
temente descritto.  Senza  darne  piani  e  piante,  che 
dopo  molli.sàimi  altri  ultimamente  hall  dati  Kann- 
giex.serc//  i//e  nella  traduzione ledesca.scmplicc-r. 
mente  trascriviamo  quanto  ne  dice  (  hiaramcntc 
llo.s.'ieUi  nella  nuova  sua  edizione,  discorso  pre- 
lim.  f.78.  s.  "L' inferno",  ei  dice,  "e  corno  una  gran 
voragine  di  forma  conica,  che.  spalanca  la  nu- 
meiisa  sua  bocca  alla  superficie  del  nostro  globo, 
e  va  a  restringersi  con  la  punta  al  ronlru  della 
terra, dove  termina."  Per  ispiegarsi  meglio,  con- 
tinua;   'Prendi  un  imbuto,  e  tienilo  con  la  pun- 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


ta  volta  in  giù,  come  se  dovessi  versarvi  un  qual- 
che fluido.      Copri  poi  la  bocca  dell'  imbuto  con 
la  coppa   rovescia  d'  una  bilancia ,   cosicché  la 
superfìcie  convessa  ne  rimanga  sopra.      Or  figu- 
rali che  quest'  imbuto  sia  cosi  stei'minato,   che 
molta  la  punta  al  centro  della  terra,   e  che  quel- 
la coppa  sia  una  parte  del  nostio  emisfero  terra- 
qtieo,   la  quale  ne  formi  la   volta;    talmentechè 
quella  voragine  da  noi  non  possa  vedersi.     Ecco 
la  immagine  in  grosso  dell'  inferno  dantesco.  Fi- 
gurati di  più ,   che  questa  voragine  abbia  inter- 
namente nove  ripiani  circolari   e  concentrici ,  i 
quali  da  chi  va  al  basso  s'  incontrino  un  dopo  1' 
altro  ,  di  maniera  che  vadano  di  grado  in  grado 
reslringendosi,   in  guisa  ,  che  per  discendere  dal 
primo  ripiano  al  secondo  ,  e  da  questo  al  terzo, 
e  cosi  di  seguito,  sino  al  nono,  vi  abbia  biso- 
gno di  gradini:  eccoi  cerchi,  dove  stannoi  dan- 
nali.    Figurati  finalmente,  che  giusto  alla  som- 
mila del  gran  coverchio  infernale,  vale   a  dire 
nel  centro  di  quella   parte  circolare  del  nostro 
globo,  che  forma  la  volta  dell'  abisso,  vi  sia  Ge- 
rusalemme."     Il  limbo  —  aggiugniamo  noi  —  di 
questi  ripiani  circolari  contiene  coloro,  "che  vis- 
sero senza  infamia  e  senza  lode,"   Occupano  il 
primo  cerchio  i  pagani  virtuosi  ;  il  secondo  i  pec- 
catori carnali,  "che  ia  ragion  sommettono  al  talen- 
to" ;   il  terzo  i  golosi,  il  quarto  i  prodighi  e  gli  ava- 
ri ;  il  quinto  gì'  iracondi  e  gli  accidiosi;  il  sesto 
gli  eretici;  il  settimo  i  violenti  (contro  ai  prossi- 
mi, contra  loro  stessi,  contraiddio,  natura  ed  ar- 
te); 1'  ottavo  i  baratlieri;  il  nono  i  traditori.    I 
Ire   ultimi   sono    suddivisi ,    il    settimo   in   tre, 
l'oliavo  in  dieci  malebolge(contenenti  i  ruffiani, 
seduttori,   adulatori;   i  simoniaci;   gl'indovini; 
i  baratlieri;  gì'  ipocriti;  i  consiglieri  frodolenti  ; 
gli  scommettitori;  i  falsarj  alchimisti);  il  nono 
in  quattro  (Caina,  Antenora,Tolomea,  Giudecca). 
Tuflol'  inferno  per  mezzo  della  città  di  Dite,  o 
Lucifero,  è  diviso  in  due  metà.  I  peccati  puniti- 
vi sono  ridotti   alla  divisione  aristotelica  (Etic. 
7.)  in  incontinenza,  bestialità,  malizia.     I  fiu- 
mi infernali  sono  Acheronte,  Slige,  Flegetonto, 
Cocito,  conforme  all'  allegoria  della  lor  misteri- 
osa origine  14,  94-  ss.  Capi  dei  cerchi  sono  ])er- 
fone  mitologiche,  del  primo  Caronte,  del  secon- 
do Minosse,  del  terzo  Cerbero,  del  quarto  Fiuto, 
del  quinto    Flegiàs,   del  sesto  le  tre  Furie,  del 
fioltimo  il  Minotauro  ed   i  centauri,  dell'  ottavo 
Gerione,  del  nono  i  giganti  Anteo,  Efiallc,  Nem- 
brolto  ,  e  Eucilero.      Le  pene  sono  raj)]n-escnta- 
zioni  cstcìnedellf) sialo  interno  del  jieccato.  Be- 
ne osserva  Rosselli  f.  81.,  che  tre  punlifissi  da- 
vano a  D.  tutta  la  forma  dclbi  gi-an  voragine  in- 
fernale; Roma  cioi,  centro  dello  nuova  i-eligione; 


Gerusalemme,  centro  della  religione  antica,  e  pun- 
to medio  della  superficie  della  terra,  secondo  una 
opinione  populare,  ed  Ezecch.  5, 5.  ;  e  finalmente  il 
centro  della  terra  stessa,  punto  medio  dell'  uni- 
verso, secondo  il  sistema  tolemaico.  —  \ì  Purga- 
torio,  seconda  forma  dello  stato  delle  anime  do- 
po la  morte,  è  un  monte  conico  antipoda  di  Ge- 
rusalemme, circondato  di  sette  cerchi,  e  di  una 
spezie  d'  atiio,  dove  stanno  i  neghittosi.  Tre 
gradi  conducono  alla  porta  della  purgazione;  il 
primo  di  marmo  lucido  (simbolo  di  cognizione  e 
confessione  dei  peccati);  il  secondo  tinto  più  che 
perso ,  di  una  petrina  ruvida  ed  arsiccia  (sim- 
bolo della  contrizione);  il  terzo  di  porfìdofiam- 
meggiante  (simbolo  di  penitenza  esteriore).  La 
soglia  in  su  la  quale  sede  un  angel  di  dio,  è  pie- 
tra di  diamante.  Nel  primo  cerchio  si  purgano 
i  superbi ,  che  voltano  sassi  gravi  ;  nel  secondo 
gì'  invidiosi  con  manti  di  color  di  sasso ,  e  con. 
fil  di  ferro  nel  ciglio  ;  nel  terzo  gì'  iracondi  in 
densa  caligine  oscura  ;  nel  quarto  gli  accidiosi 
che  corrono;  nel  quinto  gli  avai'i ,  che  giaccio- 
no in  tei-ra  piangenti;  nel  sesto  i  golosi,  che 
lian  fame  e  sete  sul  margine  d'  un  rio  ,  e  pi'esso 
un  albero  d'  odoriferi  pomi;  nel  settimo  i  pecca- 
loin  carnali,  che  vanno  per  fiamme.  Sulla  cima 
v'  è  il  paradiso  terrestre  coi  fiumi  di  Lete  e 
d'Eunoe.  Intagli  sul  suolo  e  sulle  mura  rappre- 
sentano i  vizj  e  le  virtù,  e  formano  il  passaggio 
dal  plastico  al  pittorico. — Il  jìciradlso  sono  i  set- 
te pianeti  secondo  il  sistema  tolemaico  ,  con  tre 
cieli ,  dunque  dieci  spazj.  Nella  Luna  si  trova- 
no 1'  anime  di  coloro  che,  avendo  fatto  voti,  vi- 
olentamente ne  sono  state  tratte  fuori;  nel  Mer- 
curio coloi'o,  che  sono  stati  attivi,  perchè  onore  e 
fama  gli  succeda;  nella  Venerei  seguaci  d'  amo- 
re ,  non  immemori  però  delle  cose  celesti  ;  nel 
Sole  i  sapienti,  teologhi,  spezialmente  san  Tom- 
maso e  san  Francesco  coi  lor  seguaci;  nel  Marte 
i  campioni  per  la  fede;  nel  Giove i  giusti,  el'  a- 
quila  formata  d'  anime,  simbolo  del  romano  im- 
pero ;  nel  Saturno  gli  anacoreti  e  contemplantij 
nel  zodiaco  Cristo,  gli  apostoli,  ed  Adamo;  nel 
ciel  d'istallino ,  o  primo  mobile,  nove  cori  an- 
gelici ;  nell'  empireo  finalmente  in  forma  di  rosa 
candida  con  Maria  i  beati.  —  Il  viaggio  di  D.per 
questi  tre  regni  comincia  la  sera  del  25  marzo 
1300,  e  dura  otto  giorni,  preso  il  gioriio  d'  ore 
dodici  dalle  sei  di  mattino  sino  alle  sei  di  sera, 
o  di  venti  quattro  ore  astronomiche.  Quanto  in- 
oltre appartiene  alla  sposizione  del  senso  lettera- 
le, lo  troverà,  spero,  il  lettore  nel  comento. 

Coloro  per  altro ,  che  sono  soverchiamente 
proni  a  spiare  delle  curiosità  letterarie  ,  incapa- 
ci forse  inoltre  di   amare   e  di  sentire  Io  spiro 


S  AGGIO  SOPRA  DANTE. 


XI 


(l^alto  ingegno  originale,  lian  tempestato  il  lor  cer- 
vello a  disdire  V  originalità  di  I).,  vedendo  in  lui 
imitatore  ora  di  Viigilio,  di  cui  i'u  poeta  di  gran 
lunga  maggiore;  ora  del  tesorelto  di  Brunetto 
Latini,  debole  assai;  ora  di  due  romanzi  fran- 
cesi del  secolo  decimo  terzo  {/e  songe  de  V  enfer^ 
e  le  jongleur  qui  va  en  enfer)  satirici  o  burles- 
cLij  or  d'  una  visione  del  monaco  Alberico  as- 
sai fantastica  e  avventurosa,  conforme  sia  quel 
secolo  (v.  Ugo  Foscolo  disc.  f.  336.  s.);  ora  dello 
antico  romanzo  Guerino  il  meschino,  dove  si  tro- 
va 1'  episodio  del  purgatorio  di  Patrizio,  o  del 
pózzo,  più  tardi  dopo  la  molte  di  D.  tradotto  ed 
amplificato  giusta  la  C.  D.  istessa.  Altri  ne  trova- 
no il  prototipo  in  uno  spettacolomimico  o  dram- 
matico rappresentato  al  tempo  del  giubbileo  ;  al- 
|lri  finalmente  nell'  anfiteatro  veronese,  o  dove 
Iso  io  ?  Non  invidiando  siil'alti  arcani ,  confesso 
di  non  vedere  in  loro  altro  sennon  una  iuipoten- 
|za  ed  incapacità  d'  intendere  e  d"  all'errare  Tin- 
Idividualilà,  comeia  natura  poetica  in  generale. 
Vw  ingegno  così  vasto ,  ampio  e  robusto ,  col- 
mo e  zeppo  di  quanto  il  tempo  passato  ed  il  suo 
gli  ollVirono  nello  sviluppo  loro  istorico  ;  un' 
anima  impregnala,  nutrita  e  penetrata  con  idee 
sublimi,  un  senno  acuto  e  sagace,  esercitatis- 
simo  e  pratico  nella  palestra  apertagli  in  quel 
secolo  agilatissimo,  ubbriaco  quasi  di  gioja  della 
convalescenza  ;  una  mente  alfin  fervida,  che  con 
tanta  forza  veramente  gigantesca  di  tutto  il  mon- 
do intellettuale  s'  impadronisce,  se  1'  appropria, 
organandolo  crea  e  come  riproduce  —  chi  mai 
vorrebbe  dire,  clie  a  sillalla  mente  questa  o  quel- 
la particolarità  sia  stata  norma  o  modello  delle 
sue  creazioni?  Un  solfio  lievissimo,  ed  ecco 
l'arpa  d'  Eolo,  trascorrendo  tutto  il  regno  dell' 
armonia,  risuona  d'  accordi  mirabili,  che  vi- 
sibilmente trasformati  in  forme  e  figure  si  muo- 
vono innanzi  agli  occhi  nostri,  ne  altra  legge 
curano,  sennon  quella  a  loro  innata,  respingen- 
do ogni  Zoilo  livido,  o  stolido,  clic  con  isquadra 
estetica  vorrebbe  misurar  le  loro  projiorzioni,  o 
noverare  lor  coste  colle  tavole  aritmetiche  in 
mano.  Laonde  certi  essendo,  che  la  verità  esis- 
ta pei  savj,  e  la  bella  pei  cuori  capaci  di  senti- 
re,  ci  siamo  astenuti  nel  comento  da  ragiona- 
menti sulla  bellezza  poetica  di  tal  o  tal  ])asso, 
i  quali,  a  dir  vero,  non  sono  sennon  iulerjczi- 
oni  ampliate  sino  alla  seccaggine. 

Parliamo  del  senso  alUgoiivo  !  Fu  X  allegoria, 
o  la  troj)ologia,  il  gusto  dominante  di  (jucl  secolo, 
insinuatosi  nella  teologia  cucila  poesia  colla  let- 
tura dei  sacri  libri  perlopiù  male  inlesi  ed  inter- 
pretali. E  (|ui  due  cose  vengono  ad  osservarsi 
prcccdenlcmcnlc.  Quel!'  amore   cioc  e  quel  gus- 


to dell'  allegoria  sono  segni  di  coltura  poco  chia- 
ra e  mal  sicura    del  suo    principio  e  della   sua 
tendenza.      Che     a    penetrale    ed    approfondire 
l'intima  connessione  come  della  natura  e    della 
mente,   cosi   pure   quella  di   due  periodi  storici, 
simili  a  quei  del  vecchio  e  del  nuovo  testamento, 
si  vuole   senza  dubbio  sguardo  più  vigoroso  ed 
acuto  di  quello,   che,  per  legge  di  nature  finite, 
puote  aver  luogo  nei   confini  di  uno  di  quei  pe- 
riodi,  eli'   è  ancora  per  isvilupparsi,   aspettan- 
do, per  dir  cosi,  la   sua  maturità    e  perfezione, 
mentre  1'  altro  è  già  scorso  e  comj)ito.   La  distanza 
d'  una  totalità  passata,  come  quella  d'un  avve- 
nire infinitamente  condizionalo ,  fa  confondere 
gli  oggetti,   che  si  dileguano  e  cuoprono  di  folta 
caligine.     In  sill'atto  stato  dunque,  se  la  mobilità 
vitale  si  annunzia    con    presagi   oscuri,  ricono- 
sciamo dall'  altra   parte  con  animo  lieto  e  grato 
il  soccorso    e  la   disposizione  di  un  nume  bene- 
fico e  sapientissimo,  che  accanto  d'  una  direzione 
fa  spiccare  1'  allra  opposta,  appunto  necessaria  a 
fomentare  la  vita.  E  cosi  pure  in  quella  età  solten- 
tra   a  poco  a  poco  la   cura  di  stabilire  dialetti- 
camente, 0  per  mezzo  della  filosofia  aristotelico- 
platonica,  un   sistema  di  religione  cristiana,  cioè 
un  razionalismo ,    ai  nostri   tempi  ancora  tan- 
to irragionevolmente  abbonito  da  coloro,  diesi 
vantano  sopranaturalisti.     Ambidue  le  direzioni 
le  troviamo  nella  D.  C.  tanto  intrecciate  e  quasi 
identificate    con    la  vita  storica  di  quel  secolo, 
che  ancor  per  questo  il  poema  è  un  quadro  per- 
fetto e  verissimo  del  mezzo  evo,  con  la  prospet- 
tiva di  un   futuro  e  pin  chiaro  nel  fondo.     La 
poca  chiarezza  di  quella  una  direzione  allegorica 
si  mostra  ancora   nella  spiegazione  dantesca  su 
j  mentovata  dell'    allegoria  medesima  ;    stanlcchc 
I  le  nozioni  del  simbolo  e  dell'  allegoria  vi  sono 
!  pressoché  confuse.     Per  iscliivare  dunque  sillal- 
!  le  nozioni  incerte  ed  ambigue,  dico,  che  la  figu- 
}ra,   o  r  inmiagine  ò  quel   eh'  entra    si  nel  sim- 
bolo,  come  neir  allegoria.   Sono  ambiduo,  quel- 
lo il   prologo,    questa  r   epilogo  dell"  ai  to  vera  ; 
e  mi  spiego  meglio.     L'  arte  e  il  regno  dell"  idee 
I  poste  in  clfello  ed  evidenti  nella  realità  ,   dove  il 
'  puro  |)eiisier  risalta  qual  principio  dell'  inlcrno. 
'  Il  simbolo  è  rajiprosentazionc  piagna,   signilica- 
i  liva,  indicativa  o  accennante.      Con  ciò   dunque 
I  si    i)ronunzia     tuttora  una    diilercnza  non  tolta 
'  ancor  del  senso  o  del  concetto,  e  della  di  lui  ma- 
'  nil'cstaziono;    dillbriiiza,    che   non  ha  luogo   là, 
ov'  è  la  lolalila  o  la  somma  verità,  ovvero  l'ulea 
espressa  e  suggellata  nella    realità!     Giacchi    lo 
,  smisurabilodcvc  esser  rislrclto  in  figura  o  forma 
arbitraria  e  sconvenevole  ,   l'  apparenza  ossia  la 
1  manifestazione  non  e  adeguala  all'  idea.    L   esis- 


xu 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


lenza  data  immediatamente  nel  simbolo  non  (Ueber  Dante.  Aus  den Heidelberg.  Jaliib.  der  Lit. 
vuol  esser  compresa  immediatanjente,  anzi  con- ^besonders  abgedruckt.  Heidelb.  1  824.  8.),  inten- 
formc  ad  una  significazione,  cioè  ad  un  pensie-.dendo,  che  questa  fatica  non  dissimile  finalmente 
ro  astratto  generale,  nel  quale  è  immanente  una  sarebbe  da  quelle  delle  Danaidi,  odi  Sisifo,  gui- 
qualità  ,  clie  appartiene  alla  forma  stessa.  Alla{dati  piuttosto  dallo  studio  della  ragione  poetica, 
qualità  dunque  rappresentata  s'  accozza  cosa,  ed  accortisi,  che  la  principale  allegoria  sia  nel 
che  non  è  questa  qualità.  Lutta  perciò  nel  primo  e  secondo  canto  dell'  Inferno,  e  nella  to- 
simbolo  il  sensuale  coni'  intellettuale,  la  for- ,talilàdelpoema,e,  come  noivorremmoaggiugnere-, 
niazione  con  l'idea.  L'  allegoria  àaW  altra  par-  nella  tendenza  universale,  o  nell' idea  fondamen- 
te contiene  una  significazione,  eh'  è  una  qualità  tale  del  poetain  tutte  quante  le  sue  opere,  a  questa 
astratta  e  generale,  vestila  di  forma  individuale,  si  son  tenuti  più  che  allo  sgruppamento  d'  ogni 
ma  non  è  reale  apparenza  dell'  anima,  non  è  immagine  poetica.  Tutti  questi  però  quando  più 
vita,  anzi  individualità  particolare,  arbitraria,  quando  meno  inclinati  alla  sposizione  morale, 
esterna.  Cosi  dunque  si  può  dire,  che  il  sim-  come  Lombardi  e  IBiagioli,  V  hanno  combinata 
bolo  accatta  unanozlone,  o  qualità  per  1'  esisten-  o  con  1'  anagogica  e  religiosa,  come  Carlo  ff'iite 
za,  o  la  forma;  l'allegoria  accatta  la  forma  o  (iiber  das  Mìsverstandniss  Daiite's,inHei-mes  odei' 
l'esistenza,  perla  nozione,  o  la  qualità.  Laon-  krit.  Jahrbuch  der  Liter.  n.  2?.  p.  135.  ss.  Lips. 
de  ajipare,  come  Tasso  in  una  lettera  a  Scipio-jl824.),o  con]aslorica,comeZ)/o/i/ó7'(Prepar.istor. 
jie  Gonzaga  To.  3-  f.  353.  ed.  mil.  poteva  scri-j2,  195.  Anedd. 2,86.),  e  J/rt/c/^f/// (discorso della 
vere:  "Io,  per  confessare  ingenuamente  il  vero,|prima  e  principale  allegoria  del  poema  d.  D.  con- 
quando cominciai  il  mio  poema,  non  ebbi  pen-tfutato  per  altro  da  Ant.  Parenti  nelle  osserva- 
siero  alcuno  d'  allegoria,    parendomi   soverchia  zioni  sopranna  moderna  dichiarazione  della  prin- 


e  vana  fatica,  e  perchè  ciascuno  degV  interpre- 
ti suole  dar  l'allegoria  a  suo  capriccio,  né  man- 
cò mai  ai  buoni  poeti  chi  desse  ai  lor  poemi  va- 
rie allegorie,  e  perchè  Aristotele  non  fa  più  men- 
zione dell'  allegoria  nella  poetica  e  nell'  altre  sue 
opere,  che  s'  ella  non  fosse  in  rerum  natura. — 
Ma  poich'io  fui  oltre  al  mezzo  del  mio  poema,  e  che 
cominciai  a    sospettar  della  strettezza  dei  tempi 


cipale allegoria  del  poema  di  D.  nel  To.  l.  fase.  2. 
delle  memorie  di  religione,  di  morale  e  di  lettera- 
tura. Modena  1822.)?  o  con  la  storico -politica, 
come  in  questi  ultimi  tempi  Rossetti.  Glispositori 
morali,  come  per  brevità  li  chiameremo,  dicono, 
che  D.  in  età  di  anni  trentacinque  si  sia  persuaso 
di  dovere  rinunziare  ai  vizj,  ed  alle  passioni,  in 
sommaallavita  sensuale,  arrendendosi  coiiTajuto 


connnciai  anco  a  pensare  all'aliegoria.''  La  storia  dolla  divina  cleiiienza  e  graziaalla  vita  s])ii'ituale. 
dell'  arteconfermaedillustra  quanto  dicemmo, ma  GÌ'  interpreti  anagogici  e  religiosi,  chiauKuido  la 
non  ne  possiamo  qui  dar  più  che  qualche  cenno.!).  C.  la  generale  cpopeja  unica  della  nostra  vita 
Or  se  riguardo  a  l).  chiediamo  :  e  qual  mai  dun- 1 intellettuale,  sostengono,  che  D.,  compiangendo  i 


que  è  1'  allegoria  della  C.  i).?  il  poeta  stesso  ri 
sponde:  poeta  agii  de  inferno  isto^  in  (juo  pe- 
regrinando ut  viatores  mereri  et  demereripossu- 
mus.  Subiectum  est  /ionio ,  proni  merendo  et 
demerendo  per  arbitrii  libertatem  iustitiae  prae- 
mianti  et  punienti  obnoxius  est.  l-'inis  totins  et 
partis  est  removere  viventes  in  liac  vita  de  slatu 
miseriae  et  producere  ad  statum  felicitatis.  — 
Non  ad  speculandum,  sedad  opus  inrenium  est 
totum  et  pars.  Con  questo  dunque  accenna  as- 
sieme la  natura  morale  ed  anagogica,  o  mislica 
dell'  oj)ra.  Di  ciò  pei'òpoco  contentigli  sposilori, 
credendo  di  non  poter  meglio  rivelare  la  profon- 
dila innnensa  del  sommo  poeta,  e  pagando  con 
ciò  assieme  al  lojo  secolo  il  tributo  imposto,  hanno 
senza  sarte  e  senza  vela  varcato  un  mar  di  Sogni, 
e  cucilo  ogni  canto  con  allegorie  posticce  scon- 
giurale dalla  Cuccagna.  Altri,  corno,  (iasp.  Gozzi 
(difesa  di  l).),  Lombardi,  JJionisi,  liiagivli,  Sco- 
lari (della  piena  e  giusta  intelligenza  della  I). 
C.    ragionamento.     Padov.  1823.   4,),   Sclilosser 


peccati  d'un  mondo  intero,  cerchi,  a  nome  di  tutti 
gli  erranti,  di  ritornare  al  comun  salvatore,  e  ri- 
nunzj  perciò  ai  prestigi  del  discorso  o  raziocìnio 
terreno,  arrendendosi  al  pentimento,  alla  peni- 
tenza e  contrizione,  onde  purgato  ritrovi  per  mez^ 
zo  della  fede  la  speranza  e  la  carità  e  finisca 
nella  beata  contem[)lazione,  o  nell'  intuizione  di 
grazia  infinita  e  di  vita  celeste.  GT  interpreti 
storici  contendono,  che  dalle  tempeste  politiche 
del  suo  priorato,  ove  provò  la  crudeltà  del  fio- 
rentini, di  Francia  e  di  Roma,  il  poeta  esiliato 
(Irovandosi  in  una  selva,  secondo  Marchetti),  e 
sperando  pace  (andando  al  dilettoso  monte)  sìvì- 
volse  aglisludj  ed  alla  filosofia,  o  poesia,  per  ri- 
tornar COSI  con  un  poema  mirabile  alla  pace  ed 
alla  patria  mediante  1'  ajuto  di  Can  Grande,  e  di 
Beatrice,  scorta  ed  amica  antica  della  sua  vita 
intera.  L' intopretazione.v/o/YCo  —politica  primo 
r  intonòScolari,  dicendo,  che  D.,  vedendo  smar- 
ritala via  del  ben  pubblico  e  del  dilettoso  monte 
alla  felicità  pubblica,chc  pure  egli  ebbe  in  mira  mai 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


xm 


sempre,  dopo  aver  provato  moUissimi  impedimenti  vuol  dire:  al  papa  Satanno  questo  impero  è  saci'o. 
dai  vizj  di  Firenze,  dall'  ajnbizione  di  Francia,  Clemente  V  era  allor  dij)iiilo  con  tre  vessilli  sul 
dall'  avarizia  e  dalla  supremazia  ambita  da  quei  idorso  innanzi  alla  faccia.  Il  dio  allegorico  e  ilsa- 
di  Fioma,  ponendo,  per  l'effetto  d'una  politicare-  tanno  sono  figure  della  politica  potestà  imperiale,  e 
.stcìur azione^  la  sua  fiducia  nella  virtumilitare  di , della  temperai  potenza  papale,  la  quale!),  credea 
CanGi'ande,  si  accinse  a  quella  della  morale  erell-  lUn' alta  usuipazione,cagione  di  vizj,  di  discordie  é 
giusa,  dandosi  a  scrivere  un  memorando  poema  di  ruine.  Dunque  D.  intese  solo  di  far  politiche  e 
maestro  di l'eltitudine,  punitore  dei  vizj,  e  premia-  morali  considerazioni  sulla  Terra  viziosa,  eh'  ei 
tore  immortale  della  virtù  ;  questo  poi  la  mercè  di  chiamai' Inferno.  Tutto  il  segreto  di  D.,  dice  Ros- 
Bcatrice(Sapienza),permettendolo la  bontà  divina,  setti,  sono  allegorie  fondate  sulle  metafore  co- 
emossaa  soccorso  di  F).  dalla  Grazia  celeste,  che  il-  inunemente  ricevute,  altre  dedotte  da  quelle  |)er 
lumina. —  Con  esimio  acume,  consagacità  e  com-  antitesi,  altre  nate  da  teorie  scientifiche,  altre 
binazione  annniranda,  con  chiarezza  e  perspicuità  suggerite  dalla  storia,  altre  appoggiate  al  semplice 
rarissima  e  lodevolissima  i^oóóe///,  spositore  sto-  suono  delle  parole,  e  tutteben  guidate  da  classi- 
rico- politico,  nulladimeno  pare  che  ricada  nel  che  imitazioni. —  Or  chi  negherà  mai  inquesla 
■vizio  di  particolareggiamento  troppo  minuto  e  enigmatica  oscurità  apocalittica,  che  queste  spo- 
di sofisticheria  stravagante.  Secondo  lui, in  quan-  sizioni  possano  esser  vere?  o  piuttosto  chi  mai 
to  Ila  esposto  il  suo  assunto  nella  sua  edizione  provarpotrà,  che  non  siano  vere?  poiché  la  storia 
(Londr.  1826-  To.  1.),  Virgilio  è  figura  della  Fi-  contemporanea,  i  fati  ed  il  carattere,  la  dottrina 
losofia  politica  ,  fondatrice  ed  ordinatrice  dello  e  le  opinioni  del  poeta,  il  gusto  allegorico  del  se- 
im])ei-o  ;  di  quella  filosofia  che,  presa  in  ampio  colo,  e  moltissimi  rapporti  della  vita  e  del  tempo 
senso,  forma  la  mente  e  il  cuore  degli  uomini  con  \  non  ripugnino.  Anzi  accetto  dev'  esser  senz'  altro 
]e  intellettuali  e  morali  discipline,  pel  migliora-  jogni  sperimento  di  sviluppare  quel  tanto  intrec- 
niento  dell'  umana  società;  di  quella  filosofia,  |  ciato  poema,  in  cui  la  storia  eia  mitologia,  e  terra 
che  regolalo  stato  col  civil  reggimento  di  un  solo,  e  cielo  si  penetrano  a  vicenda  intimamente  e  mi- 
Inaggior  di  tutti,  e  minor  sol  delle  leggi;  insomma  rabilmente  sino  a  diventar  beata  e  cristiana  con- 
ia filosofia  di  un  saggio  Ghibellino.  Costui  nac-  tcmplazione  didio  ;  quel  poema,  la  cui  eccellenza 
qiie  tardi,  perchè  dovea  nascer  prima  ad  impe-  si  manifesta  ancora  in  ciò,  che  dopo  cinque  secoli 
dire  le  tante  turbolenze  intestine,  come  quelle  i  valentuomini  ne  respirano  ancora  1' aura  fresca 
de' Gracchi,  di  Mario  e  Siila  eco;  *«6  7«/io,  cliia- j  vitale.  Certo  è,  che  siffatta  sposizione  storico - 
inato  al  trono  per  dritto  avito.  ^frtf/-/c£' è  quella,  politica  successivamente  avanzata  ed  alzata  di  gra- 
cile dopo  una  virtuosa  vitaguida  1'  uomopacifi-  do  in  grado,  se  dall'  unaparte  ella  è  prodotto  na- 
cato  al  suo  fattore,  lareligionc  sccondoi!  crislia- 'turale ,  giusto  e  quasi  necessario  di  un  tempo 
ncsimo,  espressione  della  beatitudine  della  vita  | agitalo,  sommosso  e  sconvolto  nelle  sue  ionda- 
tontcmplativa,  come  Virgilio  quella  della  vitaat- ,  menta,  posto  in  cimento  atroce,  in  mczzoaduna 
tiva  civile.  I^q  Jiere,  che  perseguitano  1).,  sono  ,  nazione,  che  quest' oggi  ancora  sos[)irando  aspetta 
figure  di  Guelfi;  la  lonza  è  Firenze  divisa  in  Bian-  '  unità  salutare,  dall'  altra  può  fare  strada  ad  un  in- 
cili e  Neri,  perche  lonza,  come  dice  Brunetto,  e  lendimento  anteriore  bensì,  ma  piii  ampio  e  più 
una  bestia  taccata  di  piccole  tacche  bianche  e  nere,  profondo, che  non  esclude  qualsivoglia  altro,  ma  si 
La  gajelta  pelle  dinota  i  Bianchi.  Il  /ione  è  nello  combacia  con  tutti,  e  del  quale  tliremo  or  ora. 
stemma  della  casa  di  Francia,  e  significa  Carlo  di  !  Ambigue  intanto  ancora,  e  por  diilaschietto,  laii- 
Valois.  La  lupa  è  stata  sempre  1'  arme  di  Roma,   ciullescamcnte  Iraslullaiili,  bizzarre  e  li  ivolc  sono 


e  la  Curia  romana  centro  del  partito  guelfo.  Ava- 
ro, guelfo,  lupo,  dicono  lo  stesso.  La  òf/i/a  e  il  se- 
colo incollo,  reso  selvaggio  dal  vizioso gueifismo. 


alle  volte  quelle  allegorie,  eie  loro  s|iosiziuni.  ma 
in  ogni  evento  non  nccessaiie  ad  allenar  la  tota- 
lità essenziale.  Che  sono  in  falli  non  di  rado  sup- 


yllberi  sono  gli  uomini  ignoranti,  che  quasi  solo  |)limentisoltanlo  posliccieconghiclluralidi  torme 
vegetano;  fiere  uomini  crudeli,  clioper malignità  mancanti,  o  difolloso,  prove  metà  timidcllc,  metà 
noccvano;  piante  benigne  ,i  rarissimi  vii  tnosi. ,  rischiate  e  ambici  di  render  palpabile  e  jiartico- 
Murli  sono  i  viziosi.  Inferno  sono  le  figure  del  lare  (|uelIo,  ilie  forse  senza  ciò  sarebbe,  e  talora 
mondo  corrotto,  dell'  Italia  guelfa,  CV^/ou/e  il  a  posta  dev'  esser  piii  piccante  e  |>ni  atfratlivo 
cattivo  esempio  d'un  secolo  corrotto;  Jlinosst  in  (juclla  sua  gcneralilà,  ed  in  quei  suoi  conlunn 
il  giudiziodclla  coscienza.  Lv.  pene  infernali  sono  I  svaporanti,  foschi  e  chiaroscuri. 
1' ellelto  dei  vizio.  Dite  è  Firenze;  ì\  messo  det\  [^rescindendo  dun(]uc  da  questo  passiamo  a 
ciclo  Arrigo.  La  divina  ìnacslà  eterna  s\inho\Qg'^M\  (piell' assunto,  clic, per  distinguerlo  dagli  allii,clii- 
l'imperiai  potestà  temporale.     Pape  Satan  ecc.  amiamo ///('.vo//fo  concepulo  ed  esposto  dal  con- 


XIV 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


feo  dei  filosofi  di  nostra  eJà,  Schelling  (ixber  Dante 
in  philosopliisclicr  Bezieliuiig,  nel  Giornale  cri- 
tico della  filosofia  pubblicato  da  lui  e  da  Htgel\ 
[Tubing.  1802. 1 803.]  Voi.  2.  quad.  3.  f.  34  —  50). 
Questi,  intendendo  di  far  capire  il  poema  nel  suo 
valore  universale,  e  nella  sua  originalità  in  tutta 
la  poesia  moderna,  dopo  aver  anch'  esso  osservato, 
che  commedia  sia  detta  dalla  materia  da  princi- 
pio fetida  e  spaventosa,  in  fine  però  prospera,  de- 
siderabile e  grata  (v.  la  dedic.  a  Can  Gr.  Uisc.Inf. 
20,  113-  ove  Virgilio  chiama  tragedia  la  sua 
epopeja),  dal  modo  di  parlare  rimesso  ed  umile; 
che  non  sia  ne  drammatica  opera,  né  epica,  né 
didattica,  anzi  un  mescuglio  assolutamente  pro- 
prio, organico,  mai  più  da  riprodursi  con  q^ualsi- 
voglia  artifizio,  dice,  che  la  legge  nccessana  ed 
il  tèma  della  poesia  moderna  sia  questo,  che 
l'individuo  dalla  parte  del  mondo  schiusagli  formi 
un  tutto,  e  ci'eando  dalla  materia,  dalla  storia  e 
dalla  scienza  di  sua  età  una  sua  mitologia,  con 
quella  particolarità  perfetta  e  compiuta  torni  a 
diventar  assoluto.  E  dunque  la  C.  I).  un  mescuglio 
dell'  allegorico  e  dello  storico  elemento,  medio 
tra  allegoria  e  figurazione  simbolico  -  oggetiva. 
La  divisione  dell'  universo,  eia  disposizione  della 
materia  in  tre  regni  è  forma  simbolica  universale 
del  tipo  interno  d'  ogni  scienza  e  poesia,  perchè 
abbraccia  i  tre  grandi  oggetti  della  scienza  e  della 
coltura:  natura,  storia  ed  arte.  Natui'a,  presa 
qual  nascimento  di  tutte  le  cose,  qual  notte 
eterna  ed  unità,  nella  quale  sono  in  sé  ;  storia, 
qual  purgamento  e  passaggio  ad  uno  stato  as- 
soluto; arte,  qual  paradiso  della  vita,  che  anticipa 
1'  eteinità.  Questo  tipo  universale  interno  é  di 
nuovo  simboleggialo  per  mezzo  di  figure,  colore 
<;  tuono  delle  Ireparti.  Queste  tre  parti  sono  quasi 
il  sistema  della  teologia  in  concreto  ed  architet- 
tonicamente costrutto.  Tutta  la  dottrina  logica 
e  sillogistica  di  quel  tempo  è  sol  forma  da  conce- 
dersi al  poema.  1).  mai  non  cerca  volgar  proba- 
bilità poetica.  Lalegge  della  forma  piimiera  é  an- 
cor espressa  nel  ritmo  interno  iiUellctluale,  neil 
quale  le  parti  si  sono  opposte.  L'  Inferno^  il  più 
orribile  e  formidabile  negli  oggetti,  è  pure  il  più 
forte  ncir  espressione,  di  plastico  stile  austero, 
8CU10  ed  orrendo  sin  nelle  parole.  Su  di  una 
parte  del  Purgatorio  regna  calma  profonda,  poiché 
an)mutoliicono  i  guai  del  basso  mondo  ;  ma  in 
iiulla  cima  tutto  divicn  .colore,  ed  il  Paradiso  e 
veramente  musica  delle  sfere.  —  11  rapporto  dei 
crimi  e  dei  tormenti  è  unicanietile  poetico.  La 
vendetta,  che  D.  escicila  nelPLiierno,  1' esercita 
come  in  nome  del  giudizio  universale,  da  giudice 
criminale  eletto,  ceni  forza  profetica,  maison  odio 
personale,  si  con  anima  pia,  altera,  latulo  più  ir- 


ritata dagli  orrori  del  tempo,  e  con  un  patriolismo 
lutto  alieno  da  quel  secolo.  L'  inferno  è  il  regno 
delle  figure,  dunque  plastico;  il  purgatorio  è 
pittorico;  le  pene  de'  peccati  sono  in  parte  pit- 
toriche sino  alla  più  gran  pompa  di  colori;  nel 
paradiso  non  avvanza  sennonla  pura  musica  del 
lume,  cessa  ogni  riflesso,  ed  il  jioeta  s'innalza  di 
grado  in  grado  sino  alla  contemplazione  della  pura 
sostanza  scolorita  della  divinila  stessa.  Come,con- 
forme  alla  disposizione  ed  architettura  del  tutto, 
debbono  trattaisi  gli  altissimi  temi  della  teolo- 
gia, e  con  questo,  a  misura  che  la  contemplazione 
si  scioglie  nel  puramente  generale,  la  poesia  di- 
venta musica,  e  sparisce  la  plastica  ;  l' inferno  po- 
trebbe forse  in  questo  riguardo  sembrar  a  taluno 
la  parte  piìi  plastica.  Osservisi  però,  che  qui  ni- 
ente afl'atto  è  da  prendersi  per  sé  e  particolarmente, 
anzi  che  1'  eccellenza  particolare  d'  ogni  cantica 
si  conferma  e  s'  intende  veramente  soltanto  con 
l'  accordo  e  con  1'  armonia  del  tutto. 

Ecco  uno  sbozzo  dell'  idea  schellinghiana 
di  questo  poema ,  di  cui  la  strettissima  connes- 
sione con  r  altre  opere ,  delle  quali  è  V  auge 
e  la  culminazione ,  mostreremo  inolti'e ,  e  con 
questa  assieme  la  natura  vei'amente  organica  del- 
lo spirito  dantesco.  Di  sopra  già  è  stato  accen- 
nato, come  tanta  in  lui  fu  la  tensione  eia  mi- 
stura degli  elementi,  quanta  suol  essere  negli 
ingegni  robusti,  forti  ed  eminenti,  i  quali  a 
misura  che  s' immedesimano  nel  mondo  interno, 
si  nemicano  assieme  alP  esterno,  formandone  il 
contrasto,  per  ricco  e  rigoglioso  eh'  egli  si  sia 
per  altro  ;  e  come  P  amor  di  Beatrice  fu  la  tra- 
montana della  sua  vita ,  che  gli  si  trasformò  in 
sole,  di  modo  che  1'  amor  sensuale  e  terrestre 
purgato  ed  innalzato  all'  intellelluale  della  filo- 
sofia andavasi  alfin  glorificando  in  eterna  vita 
intuitiva,  che  dunque  la  C.  D.  è  un  germoglio 
gonfio  e  pregno  della  virtù  di  tutti  gli  elementi 
intellettuali  della  sua  età ,  il  quale  s'  apre,  si 
schiude,  dilata,  e  diventa  jiianta,  albero  eccel- 
lentissimo. Tanta  dunque  essendo  la  meta  e  la 
tendenza  sua  all'  unità  degnissima  unicamente 
d'  uomo  sodamente  coltivato,  si  può  dire,  che 
il  tèma  della  vita  di  lui  fu  unità  nazionale  di 
lingua,  d'  impero,  e  di  religione,  o  di  cris- 
tianesimo. Già  le  sue  Rime  in  mezzo  al  giuoco 
e  trastullo,  all'  ondeggiamento  della  vita  estei'- 
na  spirano  aura  più  jiura  ed  eterea,  e  la  vita 
esteriore  é  soltanto  metafora  dell'  interna  più 
alta.  Con  questo  dunque  egli  si  fonda  quasi  e 
consolida  in  sé  slesso,  come  lo  mostrano  la  iP^i- 
la  nuova  ed  il  Convito.  Poscia  fuori  di  sé  nel- 
la sua  nazione  e  nella  vita  politica  vedendo  tulio 
straziato  da  discordie  e  da  perversa  voglia  o  pò- 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


XV 


:o  chiara,  o  maligna,  amando  però  la  patria: lo  e  tiene  questa  nostra  provincia  divisa,  E 
ardentissimamente  egli  primo,  benché  nella  vec-  veramente  alcuna  provincia  non  fu  mai  unita, 
:hiezza  insistè  sull'  unità  della  lingua,  nel  o  felice,  s'  ella  non  viene  tutta  alla  ubbidienza 
ibro  non  terminato  del  volgar  eloquio,  volga-  d'  una  repubblica  o  d'  un  principe.  E  la  ca- 
:izzato  dal  Trissino  nel  1529.  In  tanta  gara  gione,  che  1'  Italia  .  .  .  non  abbia  anch'  ella 
osservata  d'  innumerabili  loquele  era  mestieri  di  o  una  repubblica,  o  un  principe,  che  la  governi, 
cogliere  il  dissidio  nella  radice,  e  distruggerle  tut-  è  solamente  la  chiesa  ;  joerchè  avendovi  abitato 
;e  quante,  ne  scegliere  una,  ancorché  la  mi-  e  tenuto  imperio  temporale,  non  è  stata  si  po- 
iliore  ma  solo  cogliere  il  iiore  da  ognuno  di  tente,  né  di  tal  virtii,  eh'  ella  abbia  potuto  oc- 
mattordici  dialetti,  e  lasciare  alla  plebe  il  re- :  cupare  il  restante  d'  Italia,  e  farsene  principe; 
ito.  E  quanto  bene  D.  approfondisse  in  uno  la  le  non  é  stata  dall'  altra  parte  si  debile  che,  per 
coerenza  e  1'  identità  della  lingua,  della  scienza  j paura  di  non  perdere  il  dominio  delle  cose  tem- 
;  "dell'  arte,  lo  mostrano  le  sue  osservazioni  porali  ella  non  abbia  potuto  convocare  un  po- 
iparse  sopra  i  varj  autori  e  poeti  di  quel  tempo,  tente,  che  la  difenda  contro  a  quello  che  in  Ita- 
[lomento  egregio  di  questa  opera  è  un'  altra  su  lia  fosse  diventalo  troppo  potente  ....  E  dun- 
nentovata  del  conie Periicari  Degli  scrittori  del  que  stata  cagione,  eh'  ella  non  è  potuta  venire 
:recento,  dalla  quale  risulta,  quanti  regressi  sotto  un  capo,  }na  è  stata  sotto  più  principi  e 
ibbia  fatti  1'  Italia,   abbandonando  quei  princi-  signori;   da'  quali  è  nata   tanta  disunione  e  tau- 


pj  di  D.  unicamente  veri,    e  seguendo   1'   acca- 
iemia  della  Crusca.     Male  dunque  Troya  (Vel- 


ta  debolezza,  eh'  ella  si  è  condotta  ad  essere  sta- 
ta preda  non  solamente  de'  barbai'i  potenti ,  ma 


^ro  alleg.  f.  189)  pronunziò  che,  poiché  lo  sde-jdi  qualunque  1'  assalta.     Di  che  noi  altri  Italiani 
mo    contro  la  Bologna,   come   contro  Firenze,  '  abbiamo  obbligo  con  la  chiesa,  e  non  con  altri." 


poteano  muovere  1' Alighieri ,   ciò  provi,   quan- 
to siensi  le  cose  cangiate  dopo  la  morte  di  lui 
(per  isventura!) ,  e  come  l' autorità  di  D.  sia  inu- 
mile oggi  per  decidere  le  quistioni  sullo  stato  at- 
tuale (ancorché  peggiorato  ?  )  della  lingua  itali- 
ma.   < —   Dell'  unità  poi  d'  impero  trattano  in 
preferenza  i  tre  libri  de  monarchia,  dove  pone 
la  felicità  dei  popoli  nel  metter  in  atto  sempre 
tutta  la  facoltà  dell'  intelletto  col  line  primario 
3i  specolax'e ,  e  d'  agire  poscia  secondo  la  di  lei 
ìsecuzione;    difende   la  pace  universale,  la  li- 
bertà sotto  un  principe  solo ,  il  diritto  del  po- 
polo romano  d'  assumere  1'  uffizio  della  monar- 
chia universale  ;   confuta  1'  opinione  intorno  allo 
assoluto   supremato  del  papa,  il  quale  a  senso 
Ielle  cose  rivelate  abbia  da  condurre  1'   uman 
genere  alla  vita  eternale,  mentre  1'  imperatore, 
1  norma  dei  documenti  della  filosofìa,  debba  di- 
rigere 1'  uman  genere  alla  felicita  temporale.   — 
[n  quanto    finalmente    all'   unità   di  religione, 
nddeD.  benissimo,  il  cattolichismo  del  suo  seco- 
lo non  essere  che  il  paganesimo  nel  crislianesiino, 
rjuel  che  ])iù  tardi  jìronunziò  Maccliiavelli  (Dis- 
cors.  1,   12)-      "La  qual  religione,  se  nei  prin- 
cipi della  rcjnibblica  ciistiana  si  fosse  niaiilenu- 
ta  secondo  clie  dui  datore  di  essa  ne  fu  ordinala, 
sarebbero  gli  stali  e  le  repubbliche  cristiane  più 
ilunite  e  pili  felici  assai ,   eh'  clic  non  sono.  .  .  . 
ilAbbiamo  dunque  con  la  chiesa  e  coi  preti  noi 
•italiani  questo  primo  obbligo,  d'  essere  dlven- 
•  lati  senza  religione  e  tallivi;  ma  ne  abbiamo  an- 
I  Cora    un    maggiore,     il    quale    e   cagione    della 
■  rovina  nostra.    (Questo  e,  che  la  chiesa  ha  lonu- 


Appare,  che  il  giudizio  severo  di  questo  storico 
e  politico  sobrio  e  profondo  si  concorda  intiera- 
mente con  quel  dell'  Alighieri  accusato  di  sliz- 
za, di  passione,  e  di  rabbia  ghibellina;  q^uasichò 
i  profeti  ed  il  nostro  redentore  istesso ,  come 
pur  gli  apostoli  abbiano  anch'  essi  piaggiato  e 
lisciato  la  coda  ai  viziosi  e  vili  ;  quasiché  il  sal- 
vatore non  abbia  col  flagello  cacciato  dal  tempio 
gli  usurai.  Anzi  prova  appunto  dell'  alma  nobi- 
le e  generosa,  e  della  perspicacilà  dil).  fu  quella, 
che  non  la  perdonò  né  ai  papi,  né  ai  sovrani,  ne  ai 
preti ,  né  a  qualunque  abuso  o  profanazione  del- 
la religione.  E  cosi  quanto  mai  fece  o  scrisse, 
sin  la /^.  C.,  dove  si  concentrano  nella  sua  unica 
mente  tutti  i  raggi  del  suo  secolo,  non  nacque  si- 
curamente seiniou  dell'  amor  ardcntissimo  e  i>ro- 
fondissimo  delsuo  2)opolo,  della  scienza,  e  delia 
religione.  Di  questo  poi  qual  premio  egli  ollenne, 
lo  mostrano  r  esilio,  ola  ])ersccuzione,  lo  mostra 
la  mal  nascosta  gelosia  e  1'  arislocralicamcnlc  or- 
pellala e  pi-clesa  noncuranza  delle  poesie  di  lui 
dalla  parte  del  Pclrarca  (  l 'go  Fom-oIo  saggio  so- 
pra il  Pctr.Lugan.  1824.  f.  201.  ss.  e  Discorso 
sul  testo  della ì).  C.  139  ss.  146  ss.),  non  guari 
dissimile  in  ci»  da  Krasmo  roterdamcse  riguardo 
ad  Ulr.di  llullcn  ;  lo  evince  finalmente  pur  li  op- 
po  quella  dai  tiosuili  usurpala  tutela  della  lama 
di  lui  accicsiiula  bensì  non  poco  con  rime  spi- 
rituali, con  un  nuovo  Credo,  un  Magnijìcat,  e 
con  Salmi  penitenziali.  Sifl'allc  eleganze  cili- 
f.canli,  come  le  chiama  Ugo  Foscolo  Disi-,  f  424., 
le  tralasciamo,  bencln  Hosselli  al)bin  scongiura- 
lo ancora  (queste  nei  magici  ccrchj  suoi  allegorici. 


XVI 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


Che  perciò  ?  Diremo  forse  con  questo  stesso;  3.      Osservazioni    intorno    al    tempi 
Ugo  Foscolo  (f.  89.  ss.  281.  ss.)  che  l)."siag3Ìuclicò:  i«   cui  probab  ilmente   sia    stata  det^ 


la  corona,  as)iettandoIa  dal  decreto  divino  perla 
legittima  autorilà  della  sua  missione  apostolica, 
e  il  nierilo  d'  avere  militato  contro  la  chiesa 
puttaneggiante,  e  che  perciò  abbia  voluto  essere 
riformatore,  impeditovi  soltanto  dal  tempo  ini 


tata    la    D.   C. ,    alla   lingua,  alla 

V ers e ggiat lira,    al  testo ^  ed  aU 

la  di  lui  critica. 

Salvo  le  conghietture  fondate  su  di  fatti  sto- 


quo,  e  da  coloro,  che  a  questo  tempo  furo-'rici  mentovali  nel  poema  medesimo,  ed  alcuni 
no  venduti  e  schiavi?  eh'  ei^li  per  altro  non  fu;  aneddoti,  o  favolosi,  come  quel  dei  primi  setti 
di  quei  riformatori,  che  fidano  più  nei  prò-  canti  dell'  Inferno  trovati  nel  1306  in  un  for-^ 
pressi  della  ragione,  che  della  forza?"  Anzi^'ziere,  o  troppo  vaghi,  come  quel  delle  donn< 
quantunque  D.  per  amor   patrio    innatogli  nu-  veronesi,   che  additavano  D.  come  colui,  che  va' 


trisse  seinpremai  la  speranza  tante  volte  e  tan- 
te delusa  di  ritornar  un  di  in  rirenzc;  ancor- 
ché il  suo  cuor  generoso  bramasse  di  veder  in 
Italia  innalzarsi  quel  regno  di  pace,  eh'  egli  di- 
pinse con  mano  maestra,  e  fiorire  e  jnaturarsi 
quei  semi  di  un  secolo  più  felice  e  più  libero,  che 
egli  sparse  tuttavolta,  nulladimeno  ei  fu  certa- 
mente alienissimo  da  quella  insania  di  arrabbiati 
novatori  moderni,   e  di  raccoglitori  assurdi,  che 


in  inferno,  e  torna  quando  gli  piace,  e  qua  su 
reca  novelle  di  coloro,  che  là  giù  sono,  o  final- 
mente quel  d'  un  fabbro  e  d'  un  asinajo  ,  guas- 
tatori di  alcun  verso  cantato  del  poema ,  dei 
quali  il  poeta  si  corruccio  tanto,  pochissime  so- 
no le  notizie  fatte  a  fissar  accuratamente  il  tem- 
po, in  cui  D.  lo  dettò.  In  questo  però  concor- 
dano tutte,  che,  se  D,  fermo  nel  suo  disegno  di 
dir  di  Beatrice,  quanto  mai  non  sia  stato  detto 


con  le  loro  tanaglie  vorrebbero  malconciamente!  d'  alcuna,  concepiva  il  poema  prima  del  suo 
cavare  il  parto  del  tempo,  anzi  che  sia  maturo,  esilio,  e'  lo  dettò  successivamente  nell'  esilio. 
Temette  egli  di  non  perder  vita  tra  coloro,  che  Se  a  questo  aggiungi,  ch'egli  cangiava  qua  e  là 
questo  tempo  chiameranno  antico  (Par.  17. )j  a  noima  de'  nuovi  avvenimenti,  (Ugo  Foscolo 
bramoso  ei  fu  di  gloi'ia,  ma  di  gloria  immortale.  Disc.  f.  326  —  334.  e  Troya  ),  avrai  in  generale 
eterna,  pago  di  aver  mostrato  alla  sua  nazione  una  storia  del  poema  conforme  ed  alla  estensio- 
la  via  aspra  e  penosa,  durata  foi'temente  da  lui  ne  di  essa,  ed  alla  lentezza,  con  cui  senza  la  stampa 
stesso,  che  conduce  alla  cima  di  vera  felicità}  si  divolgano  i  libri.  Spero  intanto  di  meritar 
inalterabile.  Quindi  pur  appare,  che  non  si!  grazie,  non  che  perdono,  presso  i  lettori ,  se  lor 
debba  far  tanto  caso  almeno,  quanto  ne  han  fat-'  comunico  quanto  intorno  a  siflatta  quistione  mi 
to  Ugo  Foscolo  e  Rossetti,  di  qu€l  momento  di  !  scrisse  amichevolmente,  come  suole,  un  uomo 
prudenza  e  di  scaltrezza  riserbata,  supposta  ini  che  pel  suo  amore  e  studio  non  minori  della  sua 
Dante,  donde  sia  nata  massimamente  1'  allego-  dottiina  e  modestia,  può  chiamarsi  benemerito 
ria  del  poema;  perchè  non  tro))po  bene  j^ar  che,  di  D.,  Carlo  Witte,  "Credettero  i  più  antichi 
quadri  quella  timidezza  e  codardia  collo  sdegno' spositori  di  I).,  tutta  la  commedia  essere  com- 
divino,  con  quel  suo  grido, -che  fece  come  vento,  |  posta  o  nello  stesso  anno  1300,  iu  cui  1'  auto- 
the  le  pili  all«  cime  pia  pcicote,  con  quella  ri-  re  Unge  aver  avuto  la  sua  visione,  o  poco  dopo; 
solutezza  imperterrita,  di  far  manifesta  tutta  sua  e  ne  foruia  eccezione  forse  unica  un  comento 
vision,  rimossa  ogni  menzogna,  e  di  lasciar  pur  anonimo    contenuto  nei  codd.  Laur.    PI.  XI  e 


grattar  dov'  era  la  rogna.  Par.  17,  124.  ss 
Dunque  ancor  qui  mestieri  è  d'  avvertire,  che 
])ai  le  non  si  disterga  con  mano  gonza  e  profana 
la  polvere  colorita  dall'  ale  di  Psiche,  per  dar 
loro  r  impasto  smagliante  di  un  certo  temjio  fa- 
vorito; parte  Jion  si  deroghi  alla  maschia  indivi- 
dualità robusta  del  poeta;   tanto  meno  quanto 


37.  elrivulziano  No.  10.  I  più  recenti  ne  con- 
cedono lutti  la  data  posteriore,  ma  variano  assai 
nel  fissare  1'  epoca  precisa.  Il  Tacile,  il  Troya 
e  più  alili  fanno  rimontar  la  composizione  dei 
jjrinii  canti  della  I).  C.  sino  a  un  tempo  anterior  e 
all'  anno  del  giubileo,  asseiendo,  eh'  essi  prima 
dell'  esilio  di  I).  furono  in  bocca  del  popolo  fio- 


che, come  di  sopra  e  stato  accennato,  appunto  j  renlino.  La  prima  cantica  poi  non  la  credono 
qucU'  individualità  al)bia  significato  più  profon-  terminala  più  tardi  del  1308,  mentre  il  Dionisi 
do  e  più  degno  dedotto  dulia  natura  e  dall'  ori-  non  concede,  che  prima  del  1314  le  sia  data  la 
ginalilà  del  poema  medesimo.  ultima  mano.     Non  meno  dilferiscono  i  medesi- 

mi quanto  al  Purgatorio  ;  che,  assegnandogli  il 
Tro\a  l'anno  1314  J'cr  epoca  in  cui  si  divolgò^ 
il  Oionisi  non  lo  vuole  finito  che  dopo  il  1318. 
I  mentovali  autori  sono  più  concordi  pel  com 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


XVII 


iniento  del  Paradiso,  al  quale  il  Dionisi  attrl-;  1313.  Ma  per  non  andare  per  avventura  esenti 
uisce  i  primi  mesi  del  1320,  e  il  Tioya  il  tem-  (juesle  ii])ruove  di  cjualche  oggezione,  vi  acciun- 
0  immcdiatanienLe  previo  alla  morte  dell' autore  j  go  un'  altra  più  decisiva.  JVel  canto  19,  79, 
Ulto  più  ne  rimangono  lontani  il  Pelli,  il  Tira-  si  legge,  Clemente  V  non  esser  per  governar  la' 
oscbi ,  che  anche  prima  della  morie  d'  Arrigo  chiesa  che  meno  di  19  anni.  Bisognerà  con-' 
li  vogliono  terminata  tutta  la  commedia.  11 1  lessare,  che,  per  asserir  tanto,  D.  doveva  cono- 
oscolo  ijnalmentesi  foDuò  parere  tutto  da  sé  con  scere  la  data  della  morte  di  Clemente,  che  avven- 


ire, essere  il  divino  poema  opera  postuma,  del- 
i  quale  ad  eccezione  di  qualche  squarcio  T  autore 
i  sua  vita  lece  mistero  anche  agi'  intimi  amici. 
Volendo  esaminare,  in  quanto  queste  opini- 
iii  siano  fondate,  o  nò,  bisognerà  confessare, 
he,    non   inforinandoceiie   l'autore,  cosa   im- 

ossibile  sia  il  rintracciare  la  data  d'  ogni  passo 

un'  opera,   che  non  fu  pubblicata  che  ricor- 

(  t  la  ed  interpolata  a  parecchie  riprese.    Essen- 

o  dunque  la  conclusione  della  Vita  nuova 
'  unico  passo,  nel  quale  D.  accennali  tempo,  in 
Ili  concepì  il  grandioso  disegno  della  C.  D., 
lon  abbianio  ragione  di  suppone,  ch'egli  priiua 
le!  1300  a])bia  jnesso  mano  all'  opera.  Quanto 
)ui  al  divolgarsi  dei  primi  canti  per  Firenze, 
lanievi  D.,  non  ne  abbiamo  mallevadore  che  il 
bacchetti  Nov.  114  e  115-    Vi  si  oppone  però  il 

onLento  di  quei  canti,  1'  idea  fondamentale  dei 
juali  senza  1'  esilio  dell'  autore  tutt'  altra  esser 
lovca;  vi  si  oppongono  ancora  le  amarissime 
noisure,  che  dal  canto  sesto  in  giii  lacerano  la 
ama  dei  Fiorentini.  Nò  può  bastare  a  farci 
;rcdere  un  tal  racconto  1'  autorità  del  novelliere 
issai  più  recente  di  I),,  che  non  nomina  nemme- 
10  la  commedia,  n;a  dice  solamente  il  libro  di 
D. ,  che  si  poteva  pur  dire  delle  canzoni  o 
1'  altre  rime.  Vi  conlradircbbe  ancora  quanto  ci 
acconta  il  Boccaccio  dell'  esser  rimasti  a  Fi- 
enze,  fuggendo  1).,  abbozzati  come  erano  i  primi 
ietto  canti,  e  del  non  averne  avuto  seniore,  pri- 
lla che  gli  scoprisse  Leone  Poggi,  gì'  ingegni  più 
ìelli  e  più  congiunti  a  I).;  se  non  vi  fosse 
Uogo  a  dubitare  della  verità  di  questo  rac- 
conto. Chi  poi  non  vuole  ])ubblicato  l'Inferno 
più  tardi  del  1308,  non  ne  sa  addurre  allra  piova, 
che  un  preteso  silenzio  intorno  agli  avvenimenti 
più  recenti  di  quell'anno.  Si  osservi  però,  che 
Dino  Compagni,  autore  per  altro  pieno  di  bei 
motti,  che  scrisse  nel  1312,  non  fa  cenno  della 
D.C.,  che  tanto  servita  gli  sarebbe  per  fregiarne 
i  ghibellini  suoi  sentimenti.  Osservisi  ancora, 
non  trovarsi,  come  ottimamente  nolo  il  Forelli, 
in  Val  d'  Adige  scrollo    di  montagna,   che    me- 

lio  convenisse  alla  descrizione  fallaci  di  tal  ro- 
vina da  D.  neir  Ini".  12,  G.  di  quella  accaduta, 
come  sappiamo,  nel  1300,  come  anche  in  allro 
luogo  dell'  isltìssa  cantica  (21,  41.)  sembra  allu- 
dei'si  a  un  fallo  Unto  recente  quanto  la  line  del 


ne  ai  20  apr.  1314,  oppure,  non  volendolo, 
non  si  potrà  far  a  meno  d'  attribuire  a  D.  uno 
spirito  profetico,  come  non  esitò  di  fare  il  Ros- 
setti, che,  pochi  mesi  là,  stampò  un  articolo  con- 
ila questa  mia  opinione.  Questa  per  altro  deve 
essere  all'  incirca  X  epoca  ,  in  cui  D.  pubblicò 
r  inferno,  giacché  non  solamente  T  autore  me- 
desimo nella  prima  dell'  egloghe  latine  composte, 
come  si  crede,  intorno  al  I3l9  ,  parla  dell' 
Inf.,  come  di  cosa  linila,  ma  di  questo  tempo  in 
poi  anche  gli  altri  autori  alludono  ben  di  spesso 
a  qualche  episodio  dell'Inferno.  Il  famoso  Cecco- 
d'  Ascoli,  che  nei  1327  fu  arso  vivo  a  Firenze, 
e  che  scrisse  la  sua  Acerba,  vivente  D,  *)  parla 
e  sparla  di  quasi  lutti  i  passi  più  calzanti  dell' 
Inferno.  Intorno  a  quel  medesimo  tempo  disse 
pure  Passera  della  Gherminella  di  Lucca  in  un 
suo  sonetto  pubblicato  dal  Crescimbeni  (storia 
della  volg.  poes.  Voi.  3-  p.  116. )=  "Già  di  pro- 
dezza non  sei  il  vecchio  Alardo  (Inf.  28,  1;^.) 
Ne  il  conte  Guido  quel  da  Monte  Ffltro  (fnf. 
27.)  Né  Uguccion  da  Faggiuola,  o  Mainar  do 
(^Inf.  27,  50.).  Non  vai  la  vita  tua  un  grosso  di 
peltro  (Inf.  1,  103.).  Alle  guagnele,  che  tu  sei  pili 
codardo  Che  non  ò  un  coniglio  a  petto  un  vtl~ 
Irò''  (Inf.  1,  101). 

"Il  Puigalorio  contiene  minor  numerodi  va- 
ticini ;  onde  la  data  più  lucerla  ne  rimane.  Di- 
cendosi però  in  uno  dei  piiini  canti  (8,96-),  che 
Arrigo  troppo  tardi  si  moverebbe  al  soccorso 
dell'  Italia,  creder  dobbiamo  questa  cantica 
non  esser  incon)inciala  a  sciiveisi  che  dopo  il 
1313-  Pili  decisivo  pare  il  passo,  in  cui  si  pre- 
dice, che  i  Guelfi  italiani  non  mono  che  fian- 
cesi  sarebbero  ])rostrali  da  un  duce  celalamcnie 
indicato  (32,  43.).   Quel  titolo  e  quella  speranza 


QiicHto  lo  tl(-(liirn  d»  più  d'  mi  hmfro  delP  Arrrba,  pxr- 
tirolariiu-iilc  perii  ila  i|tic^li  :  "Or  pouca  Dame,  m»-  |ir«i- 
va  iiinHiiiia  •*!  pili)  più  f.irr,  din  «lUiNla  finn  iiica  "'  ("iiu 
ira  lai  iloti"  ili""  '||'<'I  «"li"  io  Ht-nlo,  ,,KiirmaniI"  filoco- 
firltc  raffinili;  Sr  Daiilf  poi  le  solvr ,  snn  rniilrnfn.'* 
AiicUc  (;iiiii  <li  l'iotiija  nlluilv  in  un  «no  sonrtlo  (l't  «rrilto 
vÌm'uIo  Silv'i);^''^  (I"  qualu,  al  dir  ali  Tiniupi,  mori  po- 
r^i  ilopo  il  l:U'l.  V.  \'\\A  (li  mi'NM.  ('ino,  vii.  1  p.  tt.),  al 
fanioHO  opNoilì"  di  Frnnrcsca  da  Fliinini  :  ..Oilh',  clic  un 
Hol  riiufiliii  ha  il  irÌHlo  coro.  ('In-  ?'iTiin<lo  unibili  rorm 
ili  uutura  A  uullo  amato  amar  perdona  Ainurc." 


XVIII 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


non  potevano  convenire  che  al  capo  di  tulli  i  Ghi- 
bellini dell'  Italia,  quale  lo  Scaligero  fu  nomina- 
to aSoncino  li  16  die.  1318,  e  non  mica  a  qual- 
che dinasta  municipale,  come  fu  chi  tal  passo 
del  f  aggiolano  intender  voleva.  A  queste  prove 
non  pare  che  opporsi  possa  altro  argomento,  che 
il  dirsi  dal  Boccaccio,  e  da  talun  allro,  de- 
dicato il  Purg.  a  Moroello  Malaspina  III  di  tal 
nome,  il  qual  mori  nel  1316.  Accorgendomi 
però,  eh'  io  non  son  solo  a  dubitare  della  verità 
d'  un  fatto  raccontatoci  come  incerto  dal  mede- 
simo Boccaccio  (Antolog.  di  Firenze,  1827.  N.  74. 
p.  17.  s.),  e  sospettando,  cheun  passo  di  questa 
nicdesiuìa  cantica  alluda  alla  morte  di  Moroello, 
tale  obhjezione  non  mi  sbigottisce.  Infalti  le  lo- 
di attribuite  ad  Alagia  (19, 142.),  senza  che  vi  si 
eia  motto  del  suo  marito,  sembrano  acceimare, 
essere  trapassato  quest'  ultimo,  quando  il  poeta 
dottò  i  versi,  che  contengono  quelle.  Qui  però 
ci  dovremo  fermare.  L'  egloga  di  Giovanni  Vir- 
gilio che,  come  vedemmo,  data  dal  1319,  già 
allude  a  un  passo  del  Purg. (21, 18-)?  onde  conver- 
rà dire,  il  confine  del  1318  al  1319  esser  l'epo- 
ca, in  cui  compimento  si  diede  a  quella  cantica. 

Quanto  finalmente  al  Paradiso,  poco  rile- 
vante mi  pare  1'  argomento,  che  il  Dionisi  deduce 
dal  non  esser  più  tornato  Dante  a  Verona  dopo 
la  breve  stanza,  che  vi  fece  sul  principio  del  1320. 
Mi  pare  aver  dimostrato  altrove, che  la  dedicatoria 
a  Can  grande  sia  postuma,  e  non  vedo,  perchè 
non  si  voglia  prestar  fede  al  racconto  del  Boc- 
caccio, che  gli  ultimi  tredici  canti  non  si  siano 
ritrovati  che  dopo  la  morte  dell'  autore.  Dire- 
mo però,  essersi  divolgato ,  se  non  la  maggior 
parte ,  almeno  qualche  sentore  del  Parad.  anche 
vivente  I).,  stantechè  il  già  mentovato  Ascolano 
dice  nel  principio  dell'  Acerba:  "Del  qual  (cie- 
lo) già  ne  trattò  quel  Fiorentino  Che  li  lui  si 
condusse  Beatrice."  Tanto  basterà  ancora  per 
pruovare  inconsistente  il  parere  del  Foscolo, 
che  ho  riferito  di  sopra.  Ma  pure  vi  si  aggiunga 
la  canzone  di  Gino  (jVó.  20-),  che  questi  compo- 
se, appena  ricevutala  nuova  della  morte  di  D., 
ed  in  cui  apertamente  si  riferisce  il  verso  72  C. 
XV  dell'  Inferno." —  Sin  qui  il  nostro  Witle. 

Intendendo  adesso  trai  tare  nel  la  serie  di  ques- 
to nostro  saggio  della  linguali  D.,  non  possiamo 
non  prevenire  il  lettore,  che  dalla  lingua  dis- 
tinguiamo lo  siile,  ovvero  il  modo  individuale 
di  concepire,  immaginare  e  concatenare  poetica- 
mente nella  mente  e  nell'  animo  gli  oggetti,  lad- 
dove la  lingua  e  soltanto  il  matori;ile  e  lo  stru- 
mento ad  esibire  quel  dello  modo,  e  il  movi- 
Micnlo  della  mente  conlcmj)Iante  e  produccnle. 
£  di  ciò  agevolmente  si  convincerà  chiunque  ri- 


flette, che  cosa  si  dica  stile  nella  pittura,  nella  scul- 
tura eneir  architettura,  dove  nissuno  mai  conten- 
derà, che  stile  dicansi  i  colori,  il  marmo,  ole  pietre. 
Dello  stile  adunque  compreso  in  questa  guisa  par 
che  assai  ne  sia  stato  dello  qui  dietro  nella  sezi- 
one seconda.  Onde  ci  viene  il  dover  parlai'e 
della  lingua,  o  della  dizione;  tanto  più  quanto- 
che  uno  dei  v^anti  e  meriti  di  D.  è  quello  di  aver 
difesa  ed  avanzata  la  nobiltà  del  mispreso  e  pos- 
posto volgare  illustre.  Il  caratlcre  del  mezzo 
evo,  cioèuna  discordia  ed  una  renitenza  vigorosa 
di  forze,sipalesaancora  relativamente  alla  lingua. 
Per  intender  ciò  clie  qui  si  accenna  sol,  rammen- 
tisi il  lettore  di  quanto  dottissimamente  disputò  il 
veramente  nobile  Perlicari,lroppo  tosto  per  noi  ri- 
tornato alle  tresche  de' beati  spirili,  enei  trattato 
Degli  scrittori  del  trecento,  e  nell'  Apologia  di  D., 
Parte  seconda.  Nel  devastamento  cioè  italico  per 
via  di  barbari  non  fu  né  pcrduto,nò  rinnovato  tut- 
to il  vecchio  parlar,  variatosi.  Il  buon  Latino  il- 
lustre era  stalo  pervertito  in  \ms,narustica,paga'. 
««(contadinesca),  Romano,  o Homanzo,  persino 
in  balia  del  clero  predicante,  o  scrivente,  uni- 
co depositario  preteso  di  coltura.  Ma  se  dall' 
una  parte  il  buon  Latino,  o  quanto  sen'era  con- 
servalo, ebbe  e  ritenne  i  suoi  coltori  rigorosis- 
simi e  difensori  ortodossi,  di  modo  che  i  dotti  e 
letterati  non  conoscer  volessero  altro  che  quel 
che,  come  lo  dissero,  era  scritto  per  lettera  — 
dopo  D.  il  Petrarca  ed  il  Boccaccio  preferirono 
lo  scrivere  poemi  latini  freddicci  — -  dall'  altra 
ancora  il  rustico  ebbe  i  protettori  e  promotori 
suoi  in  tutti  gli  eccellenti  Italiani  convenenti 
nella  corte  siciliana  di  Federico,  e  nei  filosofi 
dell'  università  di  Bologna,  i  quali  a  poco  a  po- 
co ne  formavano  favella  aulica,  cortigiana,  vol- 
gar  illustre,  nobile,  o  nuovo  Latino,  retaggio 
di  nobili  ingegni.  Ora  ecco  apparir  Dante!  A  lui, 
che  aveva  letto  tutto  ciò  che  da  cento  e  cin- 
quanta anni  scrivevasi  per  Italia  ,  che  ardente- 
mente desiderava  I'  unità  nazionale  ancora  di 
lingua,  accetti  furono  un  Guido  da  Messina,  un 
Guinizzclli,  e  tutti  i  valentuomini  benemeriti,  che 
in  quella  degna  occupazione  spendevano  le  loro 
forze.  Difese  dunque  la  dignità  del  volgar  illus- 
tre avito ,  benché  intendesse  benissimo ,  che 
molto  restasse  ancora  a  fare,  per  alzar  al  suo 
colmo  quel  grand'  edificio,  eh'  era  ancora  spor- 
co d'  immondizie  dei  barbari,  di  voci  storpiate, 
diminuite  o  accresciute  arbitrariamente ,  senza 
gusto  e  senza  sapere,  e  di  terminazioni  non  bene 
distinte  ,  anomale  e  poco  analoghe.  La  materie 
per  allro  del  suo  sacro  poema  allinto  dalla  re- 
alità immediata  e  nazionale,  intenzionata  ad 
oprare  sulla   nazione  volle  un  mezzo  di  comu- 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


XIX 


nicazione  accessibile  ed  intelliggibile  a 
quanti.  Ancoraché  dunque  perciò  comincias- 
se a  dettare  il  poema  in  versi  latini,  donde  res- 
ta qualche  frammento  —  che  non  tutti  i  canti 
pubblicati  dal  Viviani  sembrano  genuini,  seppur 
lece  giudicar  dal  confronto  della  latinità  nel!' 
egloghe  dantesche  —  tosto  però,  vedendo  i  canti 
degl'  illustri  poeti  tenersi  a  nul  a,  e  volendo  in 
uno  scaltrire  e  dirozzar  colla  lingua  natia  la 
nazione  istessa  ,  altra  lira  temprò  conveniente 
alP  orecchio  dei  moderni,  perchè  il  cibo  eh'  è 
duro ,  s'  appresta  indarno  alla  bocca  di  chi  è 
lattante,  come  disse  a  frate  Ilario  irretito  in 
quella  opinione  comune,  in  parte  bensì  giusta. 
Acconciò  dunque  ai  suoi  bisogni  ed  intendi- 
menti allissimi,  alle  sue  idee  nuove,  ampie  e 
sublimi  quel  volgare  troppo  negletto  e  vilipeso; 
mettendo  in  piatica  i  suoi  principj  poscia  es- 
posti nel  libro  de  vulg.  eloqu.  con  indill'erenza 
e  neutralità  critica  grandiosa  accolse  ed  adottò 
ogni  vocabolo, ogni  forma  di  dire  capace  di  sostene- , 
re  il  suo  degno  legnaggio  e  la  parila  di  nascita,creò 
e  formò,  addobbò  e  forbì  baldanzosamente  ben-! 
sì,  ma  conforme  al  prototipo  latino,  all'analogia, ' 
alla  ragione  granamatica  ed  all' uso, in  quanto  non: 
tiranneggiava,  quanti  ne  abbisognava,  jier  ritrar- 
re fedelmente  e  al  naturale  i  suoi  concetti.  Laonde 
visi  trovano  voci  fiorentine  (come  dolici.  Inf.  21, 
37;  /<^/mo,  i'ar.  3,  21.;  coleiina.  ivi  19. 40)  ;  pie- 
montesi (come  p/'o/t',  ringavagnare,  ancoi,  ca)  ; 
lombarde  (cume  mo  ed  issa,  Inf.  23,  3  ;  at-'acclo, 
Inf.  33,  26;  avacclare,  Pg.  4,36-  Oru/o,  Pg.  34, 
49;  ùarùa,  ivi  46);  latine  ('t  ót  Par.  3,  30;  cunla 
Pg.  31  2;  Iriùu,  Pg.  31,  48-;  ••ilrt/i/ia;  trlu,  Par. 
8,  2;  arlu  ;  addua/e,  Par.  7,21.  inlrearc,  Par. 
13,  23,  iiibe^  Par.  12-4;  pavé;  nili,  Par.  32, 
48  ;  au/ia,  ivi  63  ;  gi-it-ggiare.,  Pg.  20,  48);  anzi 
greche  (come  tapino;  Inf.  24,  4.  da  xaTiHvog:, 
ermo,  Par.  21,  34-  t!a  ÌQrj^iog;  lalria  da  Icìxqzicì; 
aizzo,  Inf  27.  7.  da  cacaco,  nuove  (come  illuiarc, 
Par.  9,  2;  inimiarecàinlaare,  Par.  9,79.;  indiare, 
Par. 4,  28-;  i/irt////  a/wi (oppur,  //j/tevi/zaròv, giusta 
alcuni  codd.  Par.  2\,?)\.\iiu:iilarc,  Par.  3,33).  Inj 
colai  guisa  quel  suo  dialeltovolgar  illustre  diventò 
comun  ricettacolo,  o  bacino,  nel  quale  lutti  i! 
rigagnoli  accortamente  colali  mandavano  le  lo-j 
ro  acque  limpide  e  chiare. 

Questi  dunque  e  non  altri  sono  i  principj  in- 
contrastabili,  a  nonna  dei  (piali  in  occorrenze  il 
testo  vuole  deve  esser  giudicato  o  ristorato  dallci 
to.Ntancric  intruso,  o  entrate  di  contrabbando.   A 
Jor  norma  pur  hannogiudicalo  Lombardi,  Dionisi,' 
benclic  da  moltissimi    condannalo    per  bizzarro j 
(Ligo  l'ose.  Disc.  425), Monti,   ci'  odilorc  franco; 
ingegnoso  del  cod.  barluliniano,  btli'alo  e  crluii-i 


tutti  nato  pur  esso  alquanto  scioppiamente  da  Ugo  Fos- 
colo Disc.  16,  ss.  115  ss.,  di  che  si  consoli  pur  in 
caso  di  bisogno  con  Perticar!  ed  altri  non  men 
degni  valentuomini.  In  siffatto  uffizio  critico  ram- 
mentarsi deve  1'  editore  di  quel  verissimo  detto 
del  Monti ,  che  il  primo  codice  da  consultarsi  o 
da  seguirsi  è  la  critica.  E  davvero,  cosa  mai  gio- 
verebbe, poiché  pur  manca  un  autografo,  il  fru- 
gare, ridurre  in  ordine,  in  classi  e  famiglie  i  co- 
dici, il  fissare  1'  anzianità  dell'  uno  o  dell'  altro  ris- 
contrati, coinè  Viviani  1'  ha  fatto  con77,  sequel 
riscontro  scrupoloso  dà  scarsa  ricolla,  tranne  le 
inezie  di  copiatori  ignoranti,  goffi,  o  saccenti  pe- 
danteschi, che  misurano  la  favella  del  poeta  con  le 
loro  nozioni  ed  opinioni  anguste  e  miserie  munici- 
pali, accomodano  1'  ortografìa  a  lor  tempo  ed  uso 
idiotico,  ed  in  somma  sono,  come  per  lo  più  soglio- 
no, gravi  pedanti  in  t  hiappolerie,  superficiali  o  ot- 
tusi in  occorrenze  importanti.  Mi  richiamo  in  pio- 
va di  quanto  ho  detto  al  riscontro  accurato  di  buon 
numero  di  codici  fatto  ultimamente  col  canto  terzo 
dal  professore  Carlo  Wilte.  Non  voglio  perciò 
niegare,  che  molte  più  utili  varianti  di  qualche 
autorità  slorica  potrebbero  attignersi  dai  conienti 
del  primo  periodo,  comechè  si  giudichi  forse  con 
Ugo  Foscolo  Disc.  391-,  i  comenti  di  Jacopo  della 
Lana,  dell'  Anonimo  Ottimo,  di  Jacopo  e  Pietro 
Alighieri  essere  uno,  purché  gli  avessimo  interi, 
sinceri  ed  incorrotti,  come  relativamente  all'  Ot- 
timo ci  fé'  sperare  Toitì  di  Pisa.  In  tanto,  finché 
questo  succeda,  bisognerà  distinguere,  e  giusta- 
mente a  parer  nostro,  con  L'go  Foscolo  Disc.  400 
ss.  tre  specie  di  varianti,  quelle  cioè  di  amanuen- 
si ignoranti,  di  chiosatori  saccenti,  e  dell'  autore 
medesimo,  correzioni  tentate  e  rilcnlate  a  piit  ri- 
prese, ove  la  scella  talora  é  difficile.  In  ciò  vinca 
sempre  la  sana  ragion  critica  ognicruscanagginc, 
benché  canuta  ed  abbarbicata  nei  secoli.  L^ii  senno 
franco  e  non  preoccupato,  un  presagio©  sentore, 
un  discernimento  fino  innato,  a  guisa  del  talento 
e  del  genio,  esercitati  e  coltivali  con  uso  ed  as- 
sitluilà,  saranno  scmpreniai  la  based'  ogni  critica 
genuina.  Visi  congiungcià  uno  studio  accurato  e 
profondo  della  lingua  italiana,  delle  sue  railioi, 
del  suo  sviluppo  storico  e  carattere  invai)  tempi, 
analogo  a  quel  di  tutte  le  lingue  accoppiate  quando 
più  e  (piando  meno  col  medesimo  vincolo  di  al  - 
nità.  In  tal  guisa,  attese  le  forme,  le  terminazioni 
e  r  ortografia,  sarà  nianifeslo,  cornea  [ìoco  a  j'oco 
da  duri  e  inasdij  coniinciaiiu-^nli  di  coiison.n;ili 
ammollissi  la  i'a\  ella  sino  alla  morbidezza  opaslo- 
silà,  .-d  lusso,  starci  per  dire,  fomminliio  di  vocali. 
Variabili  bensì  ed  incoRtanli  sono  sempivmai 
l'ortogr.dia  e  le  forme  di  lingue  vivo,  massinia- 
mcnU  in  Icmpi  di  passagiiio  ad  un  nuovo  pcrio- 


XX 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


do  di  coltura,  come  quel  di  D.,  dove  sempre  an- 
cor  ecchei^i>ia  il   suono  della   voce  della  madre, 
nò  si  scancella  la  rassomiglianza  di  i'amiglia,  men- 
tre l'innesto  di  marze  d'altra  specie,  come  quella 
della  lingua  provenzale,  siciliana,  non  può  far  a 
meno  di  palesarsi  ancora.  Jn  pruova  di  ciò  si  esa- 
minino solo  la  mutabilità  delle  consonanti  affini 
dell'  istesso  organo,  leloi-ogradazioni  insensibili, 
la  lor  fusione  e  tempra,  per  non   trovare  strane 
Ibnne,   quai  glu^glare  invece  à.\  giudicare ]  in- 
neggia jìer  invidia;  presio  per  pregio  o  prezzo 
ecc.  Ne  si  trascuii  1'  uso  antico  di  scriver  é-i  in- 
vece di  e,    onde  l'  ed  più  moderna  inanzi  a  vo- 
cali ;   «,  eh'  è  oil  frane.  o?/,gr.ov,  propriamente 
ove,  accorciato  in  V;   di  omettere  non  di  rado 
]'  apostrofo,  gli   accenli,   1'  h  nell'  interjezione 
e/ì,  e  di    scriverla  in  hoìuo,  hora,  liaggia   ecc. 
lo  che  potrebbe  altresì  essere  ancora  liorentine- 
simo.   Cosi  1'  M  è  senz'  altro  posterioieeufoniain 
uomo,  buono,  tuono,  suono,  «/.ort,  benché  neces- 
saria  talor  per  l'ambiguità  e  la  rassomiglianza 
con  altre  voci,   come  pur  la  g  in  gli  avanti  la  s 
impura.     Ancora  in    questa  parte   della  critica, 
come  in  altre  più  gravi,  non  poco  han  fallo  Dio- 
nisi   e   Viviani,    e   forse   con    lor  dritto  miglior, 
che  quell'  Aloisio  Fantoni,  che  pubblicò  La  divi- 
na comm. di  I)  Al.  di  mano  delBoccaccio.     Rove- 
1a,  1820-8  ;  —  e  più  farne  potrebbe  a  ragione  chi 
non  si  curasse  della  criminazione  d'  aifettazione, 
di  solecismo,  o  comunquesi  chiamino  simili  viz], 
(lai  quali  pur  agevolmente  uno  purgar  si  poli-ebbe 
con  dire,  che  quanto  ora  e  antico,  lù  pur  già  mo- 
derno,  anzi  torna  non  di  rado   a  farsi  moderno. 
Altro  momento    da   voler  esser  considerato 
un  po'  più  profondamente  del  solito,  e  non  meno 
importante  di  quel  della  lingua,  perchè  anch' esso 
spiccante  in  questo  aniesignano  della  letteratura 
italiana,  oppresso  e  calpestato  lungo  tempo  dall' 
invidia,    dalla  malizia   e  dal  pregiudizio,  si  è  la 
ver.seggiatura ,    della  cui    natura,  come  di  lutti 
gli  elementi,  che  la  compongono,  giransi  per  le 
leste  ancor  degl'  Italiani  opinioni  malconce  ,  in- 
consideratamente e  di  grido    in   grido  adottate. 
C'iiè,  salvo  il  Trisnino,  il  quale  mai  però  non  ac- 
quistò autoiità  bastevole,  lutti  quanti,  come  pure 
in  Francia  sino  a  Saint  -  Leu  (Essai  sur  la  ver- 
silicalion.  To.  1.  I\om.  Ici25- To.  2.  Firenze.  8-), 
conienti  di  noverale  le  sillabe  per  le  dita,  e  di 
accentuarle  in  tal  o  tal  posto,   giusta  una  ti-adi- 
zione,  neanche  in  sogno  si  avvedono  d'  interro- 
gazioni naturalissime,  come  per  e>empio  :  se  questo 
accentuale  non    sia    forse  indizio  e  supplinicnto 
necessitato   di   una    legge   più  profonda  soltanto 
incognita,   la  quale  cerclicjcbbero,  purché  voles- 
sero rammentarsi,  che  il  noverare  e  il  misurare 


suppongano    misura   fissa    e  dcleijuinala,  vale  a 
dire  durata  ed  estcni.ione?   se  1'  accento  non  sia 
torse  propiietà  di  un  certo  genere  di  versi ?qual 
siasi  il   rapporto    della  prosodia  col   verso?    se 
questa  prosodia  abbia  un  suo  dritto,  o  no?  se  il 
ritmo  e  il  verso  siano   di  natura  organica,  e  se- 
guano ceite  leggi,  o  no?   e  di  moltissime  altre  si- 
mili.    Quindi    nacquero   squisitissime  mostre  di 
un  raro  intendimento  metrico,    date  da  un    cor- 
to   stregone   prolisso   d'     ellissi,    il    qiiale    Inf. 
1 5,  84.  al  volgar  verso  :  Di  voi  ìieì mondo  quando 
adora  adora,  preferiva. Di  yo/'  quando  nel  mon- 
do ad  ecc.;  e  Inf.  20,  30.  acpiel:    Che  al giudi^ 
ciò  divin  patision  comporta,  questo  qui:    Clie  al  > 
giudicio  difi/i  paA-.sion  porta.     Anzi  vorrebbero  I 
cotesti  venderci  simili  squarci  malconci  per  mo- 
delli e  pruove  della  libertà  e  volubilità  del  verso 
italiano  musicale  quanto  niun  altro,  manifestando 
così  sottilità   d'    udito  non  minore  di  quella  di 
sapere!    A  siffatte    dunque   opinioni  confuse   e 
fioche  oppongansi    coraggiosamente  alcune  os- 
servazioni    generali   e    fondamentali ,     che    ri- 
ducono  il    verso    in    potestà    dell'    orecchio    e 
della  musica,   e  rimandano   1'  indaga tor  curioso 
e  dovutamejite  attento  all'  opera  tedesca  deltrop- 
po  tosto  trapassato  ^igofìto  Apel,  intitolata  :  Me- 
trik.  Lips.  1814.  1816.  in  due  volumi.  8.  11  tem- 
po cioè  e  lo  spazio,    a  fin  di  svolvere  lor  con- 
tenuto, e  d'essere  percettibili  all'  intuito  esterno, 
debbono  essere  necessariamente  contornati,   cir- 
coscritti,    o    limitati.        Vi  ha    j)erciò    figure  si 
di    spazio,    che   di    tempo;    quelle    distirùe  con 
linee    e  sussistenti,     e   sostenentisi  in  coesione 
sin)ultanea  ;   queste  distinte  con  movimenli,    o 
polsi,     e  poste  in   evoluzione   successiva.       La 
figura  del  tempo  è  il  ritmo;    esso  presenta  nella 
totalità  un  numero   di    parti,     una    varietà   di 
momenti,  o  movimenti.     Quei  momenti  elemen- 
[lari  sono  X arsi^  ovvero  l'innalzamento,  la  messa 
della  voce,  per  pronunziare  la  sillaba  accentuata, 
forle,  poderosa  o  valida  ;   e  la  teai^  ossia  l'abbas- 
samento della  voce  in  sulla  sillaba  debole,  o  in- 
valida.     Ora  con  questo  s'incontrano  subito  due 
opposti  —  che  due  è  numero  d'  opposizione  o 
di  contrasto  —  ed  in  questa  opposizione  le  lor 
forze  misuiando  palesano  la  lor  vita,    o  vivono. 
La  misura  delle  forze  e  delle  proporzioni  del  rit- 
mo si  chiama  metro,  in  musica  battuta.    Questo 
metro  è  o  pari,  binario,  detto  ancora  spondaico, 
allorché  si  muove  in  due  momenti  quando  pri- 
marj  ;    quando  in  questi  stessi,   dissolubili  però 
anch'  essi  e  sciolti,  binaiiamente  bensì ,   e  allor 
delti  secondar]  ;   quando  in  ambidue  gli  ordini  j 
o  impari,  ternario,  detto  ancor  molossico,  allor- 
ché si  muove  ora  in  tre  momenti  primarj,  ora  io 


SAGGIO  SOPRA  DANTE, 


XXI 


^econdaìj  ternariuniente  sciolti,  ora  in  due  im- 
)afi ,  dove  si  dice  li'ocaico.  Lo  ^jjoiidaico, 
{letto  cosi  dal  piede  metrico  spondeo  (--),  cor- 
isponde  in  musica  alla  baltulta  di  due  (o,  se 
|)joltiplicale,  quattro)  crome,  equivalenti,  come 
i  sa,   a    quattro   biscrome,     otto  sedicesimi;    il 

uolossico,  detto  dal  piede  metrico  molosso  ( ) 

;orrisponde  alla   battuta  di  tre    crojne,    o     sei 
iscrome;    il  trocaico,    dal  piede  trocheo   (-<_») 
dia  battuta  di  sei  biscrome.     Or  su  di  quella  dif- 
erenza  di  momenti  primarj  e  secondar]  si  fonda 
apparenza  o  il  fenomeno  diverso  diversi  acceii- 
uaLl,  e  di  versi  quantltallvi.     Imperocciiè   gli 
'  iccentuati  si  muovono  soltanto  in  momenti  pri- 
uarj,  o  secondar]  del  medesimo  ordine,  in  misura 
iiassimamenle  binaria.    Sono  dunque  astretti  al 
apporto  iriieiiòivu  di  momenti /u/Z^.  eliicienti,   e 
i  dtbull,  o  inViilidi  ell'cttuati,  dipendenti  da  quei 
rimi  ]   sono  perciò  insussistenti,  attesa  la  pro- 
iEodia,  ma  non  yià  rozzi,aiizi  musicalmente  da  con- 
piderarsi,  spezialmente   in   lingua  musicalmente 
ijformata,  qual  el'  italiana.  I  quantitativi  si  muo- 
ono  in  momenti  d'  ordini  diversi ,    e  sono  as- 
rctti  al  rapporto  estenuilo  di  momenti  efficienti 
ungili,  e  d'  effettuati  brevi.      £  duntjue  il  verso 
[jglio  dell'  accento  e  della  quantità,      f  versi  ac- 
centuati sono  i  più  antichi,  occorrenti  già  inmez- 
zo ai  quantitativi  antichi  nei  satuin]  ,  negli  ora- 
coli,  più  tardi  nei  politici,   come  nell'  ischerzo, 
e  furono  esiliati  dai  {[uantilativi  a  cagion   della 
coltura  pj'osodica  delia  lingua.    Onde  Ambrogio, 
purgando  bensì  il  verso  dal  lusso  e  dall'  arbitrio 
dei  virtuosi,  astrinse  però  il  canto  ad  un  vincolo 
metrico    tenace.      Ma    essendo   questo    vincolo 
per  lo  più  ternario,  e  perciò  men  comodo  al  canto 
pieno  o  fermo,  Gi-egorio  trasformò  il  ritmo  quan- 
titativo, per  lo  più  ternario,  in  accentualo,  o  bi- 
nario, astringendolo  inoltre  alla  rima,   nella  cui 
concatenazioric  e  collocazione  di  nuovo  si  palesa 
un  gioco  o  momento  vitale  antitetico.   La  musica 
dunque  in  questa  guisa  contenne  il  verso  nel  li- 
miti suoi  proprj,  liberando  insieme  se  medesima 
dai  ceppi  di  quello. 

Basti  per  ora  questo  sbozzo  generalissimo  ! 
Fatto  sta:  che  uno  è  il  principio  ritmico  antico 
e  moderno,  cioè  musicale,  ossia  la  battuta,  in 
quanto  e  quel,  ciu'  alla  vaiicià  della  mussa  rit- 
mica comparle  unità;  che  uno  è  il  man  Ilio  me- 
Irico  e  musicale,  jnu  che  il  metrico  e  meno  ac- 
curato ed  cvidenlea  cagion  della  durata  non  con- 
trassegnatavi delle  sillabe  lunghe,  che  possono 
essere  di  due  o  di  tre  more,  oppur  rappresenta- 
tive a  lor  luogo,  e  che  pciciò  mollo  più  e  da 
temersi  ,  che  i  versi  si  (;redano  scritti  pinltoslt) 
in  grazia  dell  occhio,  che  dell'  orecchio;   donde 


nacquero  strafulcioni  e  balordaggini  incredibili 
edinfinile;  ladduvei  segni  musicali  più  accurati 
e  più  famigliari  notano  sin  le  menome  particelle 
temporali  del  ritmo. 

Osservisi  ancoia,  che  spezialmente  l'endecu- 
tiillaho  italiano  nacque  dal  verso  falecico  e  saf- 
fico, ed  appartiene  perciò  al  genere  di  versi  eo- 
lico-logaedici,  eh'  e  solamente  variazione  del  te- 
ma fondamentale  trocaico,  o  di  sei  biscrome,  il 
quale,  assunta  la  foima  dattilica,  serra  il  trocheo 
nella  lunghezza  di  tre  more,  o  tempi ,  e  dà  cosi 
nella  forma  ionica,  o  coriambica.  Di  che  ognuno 
può  convincersi,  scrivendo  siffatti  versi  con  segni 
muaicali,  ovvero  con  note,  e  riscontrandoli  con 
rendecasiilabo.  —  DI  più  ad  un  attento  uditore 
non  isfuggirà,  che  le  leggi  ed  i  modi  prosodici 
della  latina  lingua  madre  e  quei  della  figlia  ita- 
liana concordano  per  lo  più.  Imperocciie  vha 
in  Italiano  ancora  apocope  {yieii',  perduit)  sini- 
zesi  (pjttoòu)  ,  crasi  (trai,  pel,  s'tu,  fostu),  iato, 
sinalefe,  elisione,  questa  però  trascurata  od  os- 
servata, secondo  il  bisogno  del  verso,  principal- 
mente nei  primi  secoli  dell  'arte ,  di  modo  che 
l'  istessa  parola  è  quando  dissilluba,  quando  tri- 
sillaba, come  caòuai,  Jìaiu,  ov  quadrisillaba,  or 
pentesillaba,  come  aj/'ezio/ie,  compa^òiune,  ele- 
zione, cundiziune,  ora  monosillaba,  ora  dissilla- 
ba, coin&  pio,  dueecc.  Di  tutto  ciò  banli  P  aver 
soltanto  avvertitoli  lettore.  Questi  modi  influis- 
cono non  solamente  sul  verso,  ma  pure  sull' 
I ortografia;  ed  almeno  noi  non  veggianio,  per- 
chè, se  in  versi  Ialini  non  vengono  contrasse- 
gnate particoiarmeiile  con  segni  prosodici  lo  vo- 
ci, ove  si  trovano  quei  modi,  nel  verso  italiano 
tutto  debba  brulicare  d'apostrofi ,  o  d'altri  con- 
trassegni del  pari  inutili  all'  intendente  del  rit- 
mo, come  air  ignorante,  il  quale  per  altro  ta- 
lora n'  è  indennizalo  da  un  certo  discernimento 
naturale. 

Distintiva  finalmente  se  non  della  lingua  di 
Dante,  certo  di  quella  del  suo  secolo,  e  con  ciò 
documento  dello  slato,  in  cui  il  poeta  la  trovò, 
e  la  grandissima  libertà,  anzi  sirenatezza  della 
rima  ,  tanta  da  non  paventare,  op|)ure  da  non 
curare,  o  scorgere  T  ambiguità,  che  ne  nasce, 
onde  non  parrà  strano  i|ucl  ditto  di  Dante,  ge- 
nio inoltre  tanto  possente,  creatore,  ardilo, 
comunicatoci  dall'  Anonimo  Ollimo  (  com.  all' 
InK  10-),  ''che  mai  rima  noi  trasse  a  direijutllo, 
die  avea  in  suo  proponimi  nio,  ma  eh' egli  mol- 
le e  sposse  volle  Iacea  li  vocaboli  dire  nelle  sue 
rimo  allro  che  ijucllo,  eh'  erano  appo  gli  altri 
dicitori  usati  di  sprimcie.''  Cosi  Par.  32,  41- 
discrtziui'.i  per  file  separale  dei  beali;  rutiinr, 
ivi  136-  per  avvallaibi;  oUrai^^io,  l'aj-.  33,  67. 


XXll 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


per  eccesso.  La  ragione  graniatica  ba  frenata 
non  poco  quella  libertà  ;  e  quanto  penosa  dovclle 
esser  la  frega  di  cernere  di  taluno  cruscante  nel 
vedersi  ritenuto  da  quella  forza  ferrea  della  ri- 
ma! Che  che  ne  sia,  lungi  dal  difendere,  o  pre- 
conizzare la  ruggine  e  la  sozzura  dell'  antichità, 
diamne  qui  un  qualche  elenco ,  interessante 
senza  dubbio,  ancorché  non  fosse  altro  che  re- 
liquiario testificante  la  figura  e  il  sembiante  della 
lingua ,  la  sua  ricchezza  di  forme,  la  sua  dipen- 
denza filiale  dalla  madre,  e  la  sua  flessibilità. 
Permise  dunque  la  rima  regge  invece  di  reggi  o 
regga,  Inf.  10,  82-  ee  (è  Inf.  24,  90.  Par.  28,  123  ; 
stea  (stia)  Inf.  33,  122;  dea  (dia)  ivi  126;  cola 
(cole)  Inf  12,  Ìi9; /uggia  (fugga)  Inf  15,  6; 
pane  (panie)  Inf  21, 124;  sorco  (sorcio)  Inf  22, 
58;  *o/yri.so  (sorpreso)  Pg.  1,  97  ;  inreggia  (in- 
vidia)  Pg.  6,  20;  comtnisa  (  commessa)  Pg.  6, 
21;  i/i'm  (vieni)  Pg.  7,  21;  troppa  (troppo)  Pg. 
9,  124;  spermenta  (sperimenta)  Pg.  11,  20; 
acculo  (accoglilo)  Pg.  14,  6;  occupi  (occupi) 
Pg.  14,  54;  parlami  (parlommi)  e  vuomi  (mi 
vuoi)  Pg.  14,  76.  78;  tue  (tu)  Pg.  16,  26;  fue 
(fu)  iv.  23.  Inf.  2,  141;  senta  (  senti  )Pg.  16, 
138;  di  butto  (di  botto)  Pg.  17,  40;  vedere 
(vedere)  iv.  46;  sego  (seco)  iv.  60;  furi  (fuori) 
Pg.  19,  81;  pententi  (i^eaìcìnù)  Pg.  22,  43; 
fumi  (  mi  fui  )  iv.  90  ;  sie  (  sì  )  Pg.  23,  8  ;  fossi 
(fosse)  Pg.  24,  136;  piage  (piaghe)  Pg.  25,  30; 
strenne  (strene)  Pg.  27,  119;  raja  (radia)  29, 
136;  cr-ese  (credette)  Pg.  32 ,  32;  fiisi  (si  fu) 
Par.  3,  108;  file  (fiele")  4,  27;  torza  (torca) 
ivi  78;  stesai  (stesso)  5,  133;  ingiura iiugiMìxa) 
7,  43;  posse  (possa)  13,  94;  quive  (quivi)  14, 
26;  amnie  Qxiniytx)  ivi  62;  t-'iuci  {v\ì\c\ù)  \v.  129; 
force  (forbice)  16,  9;  haja  (ubbia)  17,  140; 
satisfarà  (satisfarà)  21,  93;  obblita  (obbliata) 
23,  50;  pingue  (pingui)  25,  Òl,  foro;  (furono) 
23,  131;  nuro  (nuora)  26,  93;  supplico  (sup- 
plico) 26,  94;  face  (faci)  27,  10;  fine  (fa)  28, 
33;  vonno  (vanno)  28,  103;  ttrminumio  (ter- 
minarono) 28,  105.  '• — 

Conforme  a  questi  principj,  dei  quali  la  dis- 
cussione ulteriore  non  cape  in  questo  luogo, 
r  editore,  in  quanto  alla  parie  critica  del  suo  la- 
voro, a  nissun  codice  dando  la  preferenza  es- 
clxisiva,  comunque  si  chiamasse  mai,  aldino, 
monlecasino,  bartoliriiano ,  o  jiidobeatino,  ha 
scelto  sempre  la  lezione  più  cenfacente  al  gonio 
originale,  fre&co,  ardito,  soiprcndenle,  sotti- 
le esagac<>del  j>oeta,  piii  coin,enevole  al  conte- 
jbto,  ed  allo  sjjirito  della  lingua  di  quelt'  età, 
dove  la  liwgua  e  la  veiseggi;iiura  non  erano 
ancora  trattale  con  teorica  soUililà.  Perciò  re- 
lalivamontc  -AV  ortografia  non   mozzò  apostro- 


fando le  voci,  sennon  in  caso  di  collisione  dello 
medesime  vocali,  scelse  la  scriLtura  semplicissi- 
ma ,  lontana  da  quella  successivamente  intro- 
dotta da  schifiltosi  ci'itici,  per  raffinare,  ammor- 
bidare, lisciare,  oppur  soltanto  accomodare  a 
lor  proprio  idioma  forme  e  terminazioni  credu- 
te rozze,  aspre,  e  dure.  In  ciò,  se  non  fu  sem- 
pre costante,  o  rigoroso  assai,  lo  scusi  o  1'  am- 
biguità possibile  (come  in  nuove  e  no%'e)  ^  parte 
r  anomalia,  che  s'  insinua  di  leggieri,  dove  fio- 
risce ancor  la  vita ,  parte  il  timor  d'  esser  ripu- 
tato superstizioso  idolatra  dell'  antichità,  o  ri- 
gattiere di  curiosità  !  Quanto  però  gli  giovarono 
in  questo  i  lavori  di  Dionisi  e  di  Viviani ,  gra- 
tamente confessa.  Le  massime  critiche  dell'  ul- 
timo spezialmente  sono  sicuramente  sane,  benis- 
simo intese,  e  ponderate,  avvegnaché  talora  se 
ne  dimentichi,  ed  in  somma  troppo  esalti  il 
prezzo  del  suo  codice. 

Atteso  poi  il  comento,  ne  fu  il  disegno  di 
dare  ancora  qui  colla  più  gran  brevità  quanto 
era  necessario  a  disgombrare  le  difficoltà  non  po- 
che, che  s'  offrono  nelle  voci,  nel  senso,  nelle 
allusioni  e  nei  ricordi  storici.  Se  in  ciò  è  stato 
fatto  uso  spezialmente  del  dottissimo  Lombardi, 
corifeo  di  tutti  quanti ,  perciò  pure  non  siamo 
stati  pretti  copiatori ,  o  plagiar) ,  stantechè  non 
di  rado  ci  scostannno  da  lui,  né  si  trascurarono 
le  sposizioni  d'  altri  chiosatori,  dovunque  gio- 
vare paievano  colla  lor  giustezza  alP  intendi- 
mento del  testo.  Qua  e  là  abbiamo  asperse  os-. 
servazioni  elimologicbe  sì  per  coneggernee  con- 
dannare giustamente  altre  ovvie  nel  comento  di 
Biagioli,  come  Inf.  6,  69.  sovra  piaggiare ,  o 
Inf.  15,75.  sovia  le  lame,  o  in  quel  di  Viviani,  e 
slper avvivareeiiporre  in  sua  dignilà,  quanto  a 
noi,  questa  parte  dello  stutlio  filologico  inconsi- 
deialamentesprezzata  edeiisadateste subalterne, 
superficiali,  oppur  insolenti  e  pseudogeniali,  che 
non  hanno  ne  forza,  né  j)azienza  di  rintracciare  e 
d'allacciale  quei  Pioteo  di  lingua,  il  quale  senza 
ciò  non  rende  risposta  intorno  al  suo  |)arentag§io. 

In  sonnna  fu  nostro  assunto  il  dare  agli  a- 
matori  della  letteratura  italiana  non  già  una 
pretta  ristampa  comj^ilata  alla  rinfusa  ed  a  ca- 
saccio, quale  la  preferiiebbe  la  spiloiceria  me- 
schina di  tal  lil)rajo  ignoiante,  sì  una  edizio- 
ne elegante,  di  buon  mercato,  e  che  nondimeno 
contenesse  quanto  mai  si  potesse  compendiosa- 
mente, il  sugo  e  la  midolla  di(|uanlo  è  stato  fat- 
to sino  ai  di  nostri  per  agevolare  in  ogni  dire- 
zione 1'  inlcndimeiito  del  patire  della  poesia  ita- 
liana e  di  coloro,  che  do|)o  lui  ambirono  la  fron- 
da pcncia.     Quanto  poi  cozzino  assieme   questo 


SAGGIO  SOPRA  DANTE. 


XXUI 


■iiire,  gìudiclierà  di  leggieri  cLi  sa,  come,  ove 
}-.punta  l'  aurora  di  un'  era  nuova,  un  estremo 
ssfida  1'  altro,  come  spezialmente  accanto  del  sen- 
no ricco  e  profondo  di  vei'i  critici,  allato  al 
»jlodo  gusto  dilicato  d'  amatori  coltivati  si  boria 
ijia  superllcialilà,  1'  impotenza  intellettuale  di  pe- 
■ijJantijC  la  scipitezza  gracchiante  di  dilettanti  steri- 
lii, vernicatadi  tenerezza  infermiccia  nauseabonda, 
ijjd  allin  quel  tei'sitismo  insolente  bilioso  di  poetas- 

•  Iri  o  guastacarte  scappati  per  alcun  tempo  alle 

•  llalebolge ,  clie  si  scongiura  pertanto  di  leggieri 
■  con]  quel  ,,Non  ragioniam  di  lor ,  ma  guarda  e 
)  )assa";  concederallo  chi  trascorre  soltanto  alla 
•(fuggita  il  diluvio  di  materiali,  cui  non  conver- 
irebbe  dar  cavallerescamente  lo  sfratto,   e  per  fi- 

•  lirla  ,  cbi  è  pratico  del  vile  e  sprezzevole  mer- 
:  !:ato  del  mondo.      Non  lieve  dunque  fu  la  fatica 


dell'  editore  di  riconciliare  siffatti  interessi  coz- 
zanti del?  idea,  dell'  impresario,  e  del  pub- 
blico moltiforme.  S'  egli  vi  siariescito,  altri 
decida  !  fatto  sta,  clie  almeno  1'  assiduità  guar- 
dinga dilui  nell' incalcare  e  costipare  buona  par- 
te di  materiali  in  ispazio  sti'ettissimo,  quasi  qua- 
si prescritto,  e  il  prezzo  più  che  mediocre  di 
un  volume  non  del  tutto  inelegante ,  non  dis- 
crediteranno questa  impresa,  la  cui  tardanza 
olti-a  il  tempo  prefisso  scuseranno  equi  stimato- 
ri. Una  bibliografia  dantesca ,  alla  quale  diede 
contribuzione  assai  pregevole  il  su  lodato  amico, 
professore  stimatissimo  ,  Carlo  "Witte ,  come  gì' 
indici  delle  voci  e  cose  trattate,  li  riserbiarao  per 
ora  nello  scrigno  nostro,  cedendo  malvolentieri 
a  mire  altrui  piuttosto  cbe  nostre.  E  così  ci 
vagliano  tante  cure  1'  indulgenza  del  pubblico'. 


LA    DIVINA    COMMEDIA 


D  I 


DANTE     ALIGHIERI. 


INFERNO. 


CANTO      I. 


ARGOMENTO. 

ìelva.     Colle.     Tre  fiere.    Ombra  di  Virgilio, 
al  gran  viaggio. 

Vel  mezzo  del  caminin  di  nostra  vita 
Mi  ritrovai  per  una  selva  oscura. 
Che  la  diritta  via  era  smarrita. 

Bh,  quanto  a  dir,  qual  era,  è  cosa  dura. 
Questa  selva  selvaggia,  aspra  e  forte, 
Che  nel  pensicr  rinnova  la  paura! 

Tanto  è  amara,  che  poco  è  più  morte: 
Ma  per  trattar  del  ben,   che  io  vi  trovai, 
Dirò  delle  altre  cose  che  io  vi  ho  scorte. 

[o  non  so  ben  ridir ,  come  io  vi  entrai , 
Tanto  era  pien  di  sonno  in  su  quel  punto, 
Che  la  verace  via  al)bandonai. 

Ma  poi  che  io  fui  al  piò  di  un  colle  giunto , 
Là  ove  terminava  quella  valle. 
Che  mi  avea  di  paura  il  cor  compunto, 

Gfuardai  in  alto ,  e  vidi  le  sue  spalle 
Vestite  già  dei  raggi  del  pianeta. 
Che  mena  dritto  altrui  pf-r  ogni  calle. 

mior  fu  la  ]):iura  un  poco  queta , 
Che  nel  lago  del  cor  mi  eia  durata 
La  notte,  che  io  passai  con  tanta  pietà. 

E  come  quei,  clu;  con  len'  affannata 
Uscito  fuor  del   pelago  alla  riva. 
Si  volge  all'  acqua  perigliosa ,  e  guata , 

Così  lo  animo  mie»,  che  ancor   (llggi^a, 
Si  volse  intlietro  a  rimirar  lo  jiasso, 
Che  non  lasciò  giaiiniiiii  persona  viva. 

Poi  eh'  eì   posato  un  poro   il  corpo  lasso, 
llipresi  Aia  per  la  piiiggia  diserta, 
Si  che  il  piò  fermo  sempre  era  il  più  ha^so. 

Ed  ecco,  quasi  al  cominciar  d<^!la  erta, 
Una  lonza  leggiera  e  jiresta  molto, 
Che  di  pel  niaciihito  era  coperta. 

E  non  mi  si  |>arlia  diciiir/i  al  volto. 
Anzi  'm|)r(liva  tanto  il  mio  cammino, 
Che  io  fui  per  ritornar  più  volte  volto. 

Tempo  era  dal  priiiri|)io  drl  mattino, 
l'i   il  sol  montava  in  su  con  quelle  stelle, 
Cir  eran  con  lui,  (|uan(li>  lo  amor  disino 

Mosse  da  prima  quelle  co^e  belle; 
Sì  che  a  bene  sperar  mi  <Ta  cagione 
Di  quella  fera  alla  gajettu  pelle 


La  ora  del  tempo,  e  la  dolce  stagione; 
Ma  non  sì ,  che  paura  non  mi  desse 
La  vista,  che  mi  apparve,  di  un  leone. 

Questi  parca,  che  contra  me  venesse 
Coa  la  test'  alta,  e  con  rabbiosa  fame. 
Invito      ^*  *^^^  parca,  che  lo  aere  ne  temesse. 

Ed  una  lupa ,  che  di  tutte  brame 

Sombiava  carca  con  la  sua  magrezza, 
E  molte  genti  fé'  già  viver  grame, 

Questa  mi  porse  tanto  di  gravezza 
C(ui  la  paura,  che  uscia  di  sua  vista, 
Che  io  perdei  la  speranza  dell'  altezza. 

E  quale  è  quei,  che  volentieri  acquista, 
E  giugne  il  tempo,  che  perder  lo  face, 
Che  in  tutt'  i  suoi  pensier  piange  e  si  attrista: 

Tal  mi  fece  la  bestia  senza  pace, 

Che  venendomi  'ncontro,  a  poco  a  poco 
Mi  ripingeva  là  dove  il  sol  tace. 

Mentre  che  io  rovinava  in  basso  loco, 
Dinanzi  alli  occhi  mi  si  fu  offerto 
Chi   per  lungo  silenzio  parca  fioco. 

Quando  vidi  costui  nel  gran  diserto, 
^liserere  di  me,  gridai  a  lui, 
Qual  che  tu  sie,  od  ombra,  od  omo  certo! 

Risposemi:  non  om ,  omo  già  fui, 
£  li  parenti  miei  fiiron  Lombardi , 
E  Mantovani  per  patria  ambo  e  dui. 

Nacqui  sub  .hilio  ,    amor  eh'  ei  fos?e  tardi, 
E  vissi  a  Koina  sotto  il  bono  Augusto 
Al  tempo  delli  dei  falsi  e  bugiardi. 

Poeta  fui.  e  cantai  <li  quel  giusto 

Fii^linol  di  Ancbise,  che  venne  da  Troja, 
l'di  che  il  superbo  Ilion  fu  comliusto. 

Ma  tu,  per  che  ritorni  a  tanta  iioja.'' 
Per  che  non  sali  "I  dilettcoo  iininte, 
Cir  è  principio  e  ragion  di  tiilla  gioja? 

Or  sei  tu  quel   \irgiiio,    e  <|0(lla  funte, 
Che  spande  di  parlar  ì-ì  largo  lìuiiic? 
llispo.-i   Ini   con  vergognosa  Irontc. 

Oh   (bili   altri    poeti   onore   <•   lume. 

Vagliami    1  lungo  studio,  e  il  grande  amore, 
Cbe  mi  bau  fatto  cercar  lo  tuo  volume! 

Tu  sei  lo  uiio  inae.-tro     e  il  mio  autore: 
Tu  sci  ^ob>  colui ,  da  cu"   io  tol>i 
Lo  bello  stile,  che  mi  ha  fatto   onore. 

Vedi  la   be-iia.  per  cu'  io  mi  \o\>'ì\ 
Ajiitami  da  lei,   famoso  saggio! 
VÌI    ella  mi  fa  tremar  le  vene  e   i  polsi. 

A  te  convien  tener  altro  viaggio, 
Ilispose,    poi  che  lagrimar  mi  vide, 
Se  vuoi  campar  di  csto  loco  selvaggio: 


m 


INFERNO.     (I.  9j— 130.  ILI— ti) 


m 


Cile  questa  bestia ,  per  la  qual  tu  gride , 
Non  lancia  altrui  passar  per  la  sua  via , 
Ma  tanto  lo  inipeiirsce,  che  lo  uccide, 

Ed  ha  natura  si  malvagia  e  ria , 

Che  mai  non  empie  la  bramosa  voglia, 
E  dopo  il  pasto  ha  più  fame,  che  pria. 

Molti  son  li  animali,  a  cui  si  ammoglia, 
E  più  saranno  ancora,  infln  che  il  veltro 
Verrà,  che  la  farà  morir  con  doglia. 

Questi  non  ciberà  terra,  nò  peltro. 
Ma  sapienza,  e  amore,  e  virtutc, 
E  sua  nazion  sarà  tra  Feltro  e  Feltro. 

Di  quella  umile  Italia  fìa  salute. 
Per  cui  morì  la  vergine  Camilla, 
Furialo,  e  Turno,  e  ]\iso  di  ferute. 

Questi  la  caccerà  per  ogni  villa 

Fin  che  1'  avrà  rimessa  nello  inferno , 
Là  onde  invidia  prima  dipartilla. 

Onde  io  per  lo  tuo  mei  penso  e  discerno , 
Che  tu  mi  segui,  ed  io  ti  sarò  guida, 
E  trarrotti  di  qui  per  luogo  eterno, 

Ove  udirai  le  disperate  strida, 
Vedrai  li  antichi  spiriti  dolenti , 
Che  la  seconda  morte  ciascun  grida, 

E  vederai  color,  che  son  contenti 
Nel  foco,  per  che  speran  di  venire. 
Quando  che  sia,    alle  beate  genti. 

Alle  quai  poi  se  tu  vorrai  salire , 
Anima  fìa  a  ciò  di  me  più  degna: 
Con  lei  ti  lascerò  nel  mio  partire; 

Cile  quello  impcrador,  che  là  su  i-egna, 
Per  che  io  fui  ribellante  alla  sua  legge, 
Non  vuol,  che  in  sua  città  per  me  si  vegna. 

In  tutte  parti  impera,  e  quivi  regge: 

Quivi  è  la  sua  cittade,  e  lo  alto  seggio: 
Oh  felice  colui,  cu'  ivi  elegge! 

Ed  io  a  lui:  poeta,  io  ti  richieggio 

Per  quello  Iddio,  che  tu  non  conoscesti. 
Acciò  che  io  fugga  questo  male  e  peggio, 

Che  tu  mi  meni  là  dove  or  dicesti , 

Sì  che  io  vegga  la  porta  di  san  Pietro, 
E  color ,  che  tu  fai  cotanto  mesti. 

Allor  si  mosse,  ed  io  li  tenni  retro. 


CANTO     II. 


ARGOMENTO. 

Invocazione.     Dubbio  del  poeta  delle  sue  forze. 
forto  per  via  di  I  irf^ilio,  guida  mandato 
da  Beatrice. 


Lo  giorno  se  ne  andava,  e  lo  aere  bruno 
Toglieva  li  animai,  che  sono  in  terra. 
Dalle  fatiche  loro;  ed  io  sol  uno 

Mi  apparcc(;hia>a  a  sostener  la  guerra , 
Sì  del  cammino,  e  sì  della  pietate, 
Che  ritrarrà  la  mente,    che  non  erra. 

Oh  Muse,  oh  alto  ingegno,  or  mi  ajutate! 
Oh  mente ,  che  scrivesti  ciò  che  io  vidi , 
Qui  ei  parrà  la  tua  nobilitate. 

Io  cominciai:  poeta,  che  mi  guidi, 


Con- 


Guarda  la  mia  virtù ,  s'ella  è  possente , 
Prima  che  allo  alto  passo  tu  mi  lidi  ! 
Tu  dici,  che  di  Silvio  lo  parente, 
Corrutibile  ancora,  ad  immortale 
Secolo  andò,  e  fu  sensibilmente. 
Però  se  lo  avversario  di  ogni  male 
Cortese  fu,  pensando  lo  alto  eiletto, 
Che  uscir  dovea  di  lui,  e  il  chi,  e  il  quale, 
Non  pare  indegno  ad  omo  d'  intelletto, 

Ch'  ei  fu  dell'  alma  Roma,   e  di  suo  impero 
Nello  empireo  ciel  per  padre  eletto  : 
La  quale,  e  il  quale  (a  voler  dir  lo  vero) 
Fur  stabiliti  per  1()  loco  santo , 
U  siede  il  suocessor  del  maggior  Piero. 
Per  quest'  andata,  onde  li  dai  tu  vanto. 
Intese  cose,  che  furon  cagione 
Di  sua  vittoria ,  e  del  papal  ammanto. 
Andovvi  poi  lo  ras  di  elezione  , 
Per  recarne  conforto  a  quella  fede , 
Ch'  è  principio  alia  via  di  salvazione. 
Ma  io,  perchè  venirci?    o  chi  '1  concede? 
Io  non  Enea,  io  non  Paolo  sono: 
Me  degno  a  ciò  né  io ,  né  altri  crede. 
Per  che,  se  del  venire  io  mi  abbandono. 
Temo,  che  la  venuta  non  sia  folle. 
Sei  savio ,  e  intendi  mei ,  che  io  non  ragiono. 
E  quale  è  quei,  che  disvuol  ciò,  che  volle, 
E  per  novi  pensier  cangia  proposta. 
Sì  che  del  cominciar  tutto  si  tolle, 
Tal  mi  fec'  io  in  quella  oscura  costa: 
Per  che  pensando  consumai  la  impresa. 
Che  fu  nel  cominciar  cotanto  tosta. 
Se  io  ho  ben  la  tua  parola  intesa  , 
j      Rij^pose  del  magnanimo  quella  ombra, 

L'  anima  tua  è  da  viltate  offesa. 
La  qual  molte  fiate  I'  omo  ingombra. 
Sì  che  di  onrata  impresa  lo  rivolve , 
Come  falso  veder  bestia ,  quand'  ombra. 
Da  questa  tema  acciò  che  tu  ti  solve , 

Dirotti,  per  che  io  venni,  e  quel,  che  intesi 
Nel  primo  punto ,  che  di  te  mi  dolve. 
Io   era  intra  color,  che  son  sospe.-i, 
E  donna  mi  chiamò  beata  e  bella , 
Tal  che  di  comandar  io  la  richiesi. 
Lucevan  li  occhi  suoi  più  che  la  stella: 
E  cominciommi  a  dir  soave  e  piana , 
Con  angelica  voce,  in  sua  favella: 
Oh  anima  cortese  mantovana , 

Di  cui  la  fama  ancor  nel  mondo  dura , 
E  durerà,    quanto  il  mondo,  lontana: 
Lo  amico  mio,    e  non  della  ventura, 
Nella  diserta  piaggia  è  impedito 
Sì  nel  cammin,   che  volto  è  per  paura: 
E  temo,  che  non  sia  già  gì  smarrito, 
Che  io  mi  sia  tardi  al  soccorso  levata, 
Per  quel,  che  io  ho  di  lui  nel  cielo  udito. 
Or  movi,   e  con  la  tua  parola  ornata, 

E  con  ciò,  che  ha  mestieri  al  suo  campare. 
Lo  ajuta  sì,  che  io  ne  sia  consolata! 
Io  son  Beatrice,  che  ti  faccio  andare: 
Vegno  di  loro,  ove  tornar  disio: 
Amor  mi  mosse,  che  mi  fa  parlare. 
Quando  sarò  dinanzi  al  signor  mio , 
j      Di  te  mi  loderò  sovente  a  lui. 

Tacettc  allora,  e  poi  comincia'  io: 
1  Oh  donna  di  virtù,  sola,  per  cui 

La  umana  specie  eccede  ogni  contento 


[5] 


INFERNO.     (II.  78— H2.  HI.  1— 5t) 


[6] 


Da  quei  ciel ,  che  ha  minor  li  cerchi  sui  : 

Tanto  nji  afifgrada  il  tuo  comandamento, 
Che  lo  ubbidir,  se  già  fos^e ,  mi  è  tardi; 
Più  non  ti  è  uopo  aprirmi  '1  tuo  tiilento. 

Ma  dimmi  la  cagion  ,  che  non  ti  guardi 
Dello  scender  qua  giù  in  questo  centro 
Dallo  ampio  loco ,  ove  tornar  tu  ardi. 

Da  che  tu  vuoi  saper  cotanto  a  dentro , 
Dirotti  brevemente,  mi  rispose, 
Per  che  io  non  temo  di  venir  qua  entro. 

Temer  si  dee  di  sole  quelle  cose, 

Che  hanno  potenza  di  far  altrui  male  : 
Delle  altre  no ,  che  non  son  paurose. 

Io  son  fatta  da  dio,  sua  mercè,  tale. 

Che  la  vostra  miseria  non  mi  tange, 
■  INè  fiamma  di  csto  incendio  non  mi  assale. 

Donna  è  gentil  nel  ciel,  che  si  compiange 
Di  questo  impedimento,  ove  io  ti  mando, 
Sì  che  duro  giudicio  là  su  frange. 
i  Questa  chiese  Lucia  in  suo  dimando , 
E  disse:  or  abbisogna  il  tuo  fedele 
j      Di  te ,  ed  io  a  te  lo  raccomando. 

Lucia  nimica  di  ciascun  crudele 

Si  mosse,  e  venne  al  loco,  dove  io  era. 
Che  mi  sedea  con  1'  antica  Rachele; 

Disse:  Beatrice,  loda  di  Dio  vera. 

Che  non  soccorri  quei ,  che  ti  amò  tanto , 
Che  uscio  per  te  della  volgare  schiera? 

ÌNon  odi  tu  la  pietà  del  suo  pianto .'' 
ÌNon  vedi  tu  la  morte ,  che  il  combatte 
Su  la  fìumana  ,  ove  il  mar  non  ha  vanto? 

Ai  mondo  non  fur  mai  persone  ratte 
A  far  lor  prò,  ed  a  fuggir  lor  danno, 
Come  io,  dopo  cotai  parole  fatte; 

Venni  qua  giù  dal  mio  beato  scanno. 
Fidandomi  nel  tuo  parlare  onesto , 
Che  onora  te,  e  quei,  che  udito  lo  hamio. 

Poscia  che  mi  ebbe  ragionato  questo. 
Li  occhi  lucenti  Itigrimando  volse, 
Per  die  ini  fece  del  venir  più  presto  : 

E  ^enni  a  te  così  com'  ella  volse. 
Dinanzi  a  quella  fiera  ti  levai , 
Che  del  bel  monte  il  corto  andar  ti  tolse. 

Dunque  che  è?  per  che,  per  che  ristai? 
Per  che  tanta  viltà  nel  cor  allette? 
Per  che  ardire  e  franchezza  non  hai  ? 

Poscia  che  tai  tre  donne  benedette 
Curan  di  te  nella  corte  del  ci'-lo , 
E  il  mio  parlar  tanto  ben  f  impromette? 

Quale  i  fioretti  dal  notturno  gelo 

Chinati  e  chiusi,  poi  che  il  sol  1'   imbianca, 
Si  drizzan  tutti  aperti  in  loro  stelo , 

Tal  mi  fec'  io  di  mia  virtute  stanca, 
E  tanto  bono  ardir  al  cor  mi  corse. 
Che  io  cominciai  come  persona  franca: 

Oh  pietosa  colei ,  die  mi  so«;corse, 
E  tu  cortese,  che  ubbidi.^ti  tosto 
Alle  vere  parole,  che  ti  jiorse! 
Tu  mi  hai  con  de>i(l('rio  il  cor  disposto 
Si  al  venir  con  le  parole  tue. 
Che  io  son  tornato  nel  primo  proposto. 
Or  va,  che  un  sol  colere  è  di  auiito  e  due: 
Tu  duca,  tu  signore,  e  tu  maestro. 
Co^ì  li  dis.si  :  e  poi  cIh^  mosso  fiie , 
Entrai  per  lo  cammino  alto  e  sil\ estro. 


CANTO     III. 


ARGOMENTO. 

Iscrizione   della  porta  infernale.       Luogo  e  supplizio 

degU  indolenti,     Acheronte.     Caronte. 

Trafitto  delle  anime. 


Per  me  si  va  nella  città  dolente: 

Per  me  si  va  nello  eterno  dolore: 

Per  me  si  va  tra  la  perduta  gente. 
Giustizia  mosse  il  mio  alto  fattore, 

Fecemi  la  divina  potestate, 

La  somma  sapienza,  e  il  primo  amore. 
Dinanzi  a  me  non  fur  cose  create. 

Se  non  eterne ,  ed  io  eterna  duro. 

Lasciate  ogni  speranza ,  voi  che  'ntrate  ! 
Queste  parole  di  colore  oscuro 

Vid'  io  scritte  al  sommo  di  una  porta: 

Per  che  io  :  maestro ,  il  senso  lor  mi  è  duro. 
Ed  egli  a  me,  come  persona  accorta: 

Qui  si  convien  lasciar  ogni  sospetto  ; 

Ogni  viltà  convien  che  qui  sia  morta. 
ÌNoi  sem  venuti  al  loco,  ove  io  ti  ho  detto, 

Che  vederai  le  genti  dolorose , 

Che  hanno  perduto  il  ben  dello  intelletto. 
E  poi  che  la  sua  mano  alla  mia  pose, 

Con  lieto  volto,  onde  io  mi  confortai, 

31i  mise  dentro  alle  scerete  cose. 
Quivi  sospiri,  pianti,  e  alti  guai 

Kisonavan  per  lo  aere  senza  stelle. 

Per  che  io  al  cominciar  ne  lagrimal. 
Diverse  lingue,  orriiiili  favelle. 

Parole  di  dolore,  accenti  d  ira. 

Voci  alte  e  fioche,  e  suon  di  man  con  elle, 
Facevan  un  tumulto,  il  qual  si  aggira 

Sempre  in  qnell'  aria  senza  tempo  tinta. 

Come  la  rena ,  quando  a  turbo  spira. 
Ed  io,  di!"  avea  di  orror  la  testa  cinta. 

Dissi  :  maestro  ,  die  è  quel ,  die  io  odo  ? 

E  che  gent'  è,  che  par  nel  duol  si  vinta? 
Ed  egli  a  me:    questo  misero  miulo 

Tengon  le  anime  triste  di  coloro, 

Che  visfcr  senza  infamia  e  senza  lodo. 
Mischiate  sono  a  quel  cattivo  coro 
I      Delli  angeli ,  che  non  furon  ribelli , 
!      ]\è  fur  tedili  a  dio,  ma  per  sé  foro. 
Cacciarli  i  cid,  per  non  esser  meo  belli, 

I\è  lo  profondo   inl'erno  li  riceve. 

Che  alcuna  gloria  i  rei  avrrhher  di  elli. 
Ed  io:  mae.-tn»,  che  è  t.Tiito  greve 

A  lor,  clic  lameiit.ir  li  fa  sì  forte? 

llispose  :  l'.ireriplli  molto  broe. 
Que^ti  non  liaiino  speranza  di  morte, 

E   la  lor  cieca  v  ila  è  tanto  bas^a , 

Che  iiniiliori   son  di   ogni  altra  sorte. 
Fama  di  loro  il  mondo  es^er  nini  lassa: 

Misericordia  e  giustizia  li  sdegna. 

^on  ragioniaiu  di   lor,  ma  guarda,  C  pa:$«a  ! 
Ed   io,  die  riguardai,  vidi  una  insegna. 

Che  gir.indo  correda  tanto  raiti  , 

(;iie  di  ogni  posa  mi  pareva  indegna: 
E  dietro  le  venia  si  lunga  tr.itta 

Di  gente,  die  io  non  averci  creduto, 

Che  morto  tanta  no  avesse  disfatta. 
1    ♦ 


m 


I N FÉ RNO.     (111.  58— 180.  IV.  1  —  42) 


P] 


Poscia  che  io  vi  ebbi  alcun  riconosciuto, 

Villi  e  conobbi  la  ombra  di  colui, 

Che  fece  per  \iltate  il  gran  rihuto. 
Incontanente  intesi ,  e  certo  fui , 

Che  quej:ta  era  la  setta  dei  cattivi 

A  dio  spiacenti  ed  ai  nemici  sui. 
Questi  sciaurati ,  che  mai  non  fur  vivi , 

Erano  ignudi,  e  stimolati  molto 

Da  mosconi  e  da  vespe ,  eh'  cran  ivi. 
Elle  rigavan  lor  di  sangue  il  volto,  _ 

Che  mischiato  di  lagrime  ai  ior  piedi 

Da  fastidiosi  vermi  era  ricolto.  _ 
E  poi  che  a  riguardar  oltre  mi  diedi, 

Vidi  gente  alla  riva  di  un  gran  fiume; 

Per  che  io  dissi:    maestro,  or  mi  concedi, 
Che  io  sappia,  quali  sono,  e  qual  costume 

Le  fa  parer  di  trapassar  sì  pronte, 

Come  io  discerno  pur  lo  fioco  lume. 
Ed  egli  a  me:  le  cose  ti  fien  conte. 

Quando  noi  fermeremo  i  nostri  passi 

Su  la  trista  riviera  di  Acheronte. 
Allor  con  li  occhi  vergognosi  e  bassi. 

Temendo,  che  il  mio  dir  li  fusse  grave, 

Infino  al  fiume  di  parlar  mi  trassi. 
Ed  ecco  verso  noi  venir  per  nave 

Un  vecchio  bianco  per  antico  pelo 

Gridando:  guai  a  voi,  anime  prave! 
Non  {sperate  mai  veder  lo  cielo! 

Io  vegno  per  menarvi  all'  altra  riva 

Nelle  tenebre  eterne  in  caldo  e  in  gelo. 
E  tu,   che  sei  costi,  anima  viva, 

Partiti  da  cotesti,  che  son  morti! 

Ma  poi  eh'  ei  vide,  che  non  mi  partiva. 
Disse:  per  altre  vie,  per  altri  porti 

Verrai  a  piaggia ,  non  qui ,  per  passare  ; 

Più  lieve  legno  convien  che  ti  porti. 
E  il  duca  a  lui:    Caron,  non  ti  crucciare! 

Auolsi  così  colà,  dove  si  puote 

Ciò  che  si  vuole;  e  più  non  dimandare! 
Quinci  fur  quete  le  lanose  gote 

Al  nocchier  della  livida  palude. 

Che  intorno  alli  occhi  avea  di  fiamme  rote. 
Ma  quelle  aninje,  eh'  eran  lasse  e  nude, 

Cangiar  colore ,  e  dibatterò  i  denti , 

Ratto  che  inteser  le  parole  crude. 
Bestemmiavano  dio,  e  i  lor  parenti, 

La  umana  specie,  e  il  loco,  il  tempo,  e  il  seme 

Di  lor  semenza,  e  di  lor  nascimenti. 
Poi  si  ritrasser  tutte  quante  insieme 

Forte  piangendo  alla  riva  malvagia, 

Che  attende  ciascun  om ,  che  dio  non  teme. 
Caron  dimonio  con  occhi  di  bragia 

Loro  accennando,  tutte  le  raccoglie, 

Batte  col  remo,  qualunque  si  adagia. 
Come  di  autunno  si  levan  le  foglie, 

La  una  a  presso  dell'  altra,    infin  che  il  ramo 

Vede  alla  terra  tutte  le  sue  spoglie, 
Similemente  il  mal  seme  dì  Adamo  : 

Gittansi  di  quel  lito  ad  una  ad  una 

Per  cenni,    come  augel  per  suo  richiamo. 
Così  sen  vanno  su  per  la  onda  bruna, 

Ed  avanti  che  eien  di  là  discese, 

Anche  di  qua  nuova  schiera  si  aduna. 
Figliuol ,  mi  disse  il  maestro  cortese, 

Quelli  che  muojon  nella  ira  di  dio. 

Tutti  convegnou  qui  di  ogni  paese, 
E  pronti  sono  al  trapassar  del  rio, 


Che  la  divina  giustizia  li  sprona , 
Sì  che  la  tema  si  volve  in  disio. 

Quinci  non  passa  mai  anima  bona: 
E  però  se  Caron  di  te  si  lagna , 
Ben  puoi  saper  ornai,  che  il  suo  dir  sona. 

Finito  questo ,  la  biija  campagna 
Tremò  si  forte,  che  dello  spavento 
La  mente  di  sudore  ancor  mi  bagna. 

La  terra  lacrimosa  diede  vento  , 
Che  balenò  una  luce  vermiglia , 
La  qual  mi  vinse  ciascun  sentimento, 

E  caddi ,  come  Tom ,  cui  sonno  piglia. 


CANTO    IV. 


ARGOMENTO. 

Scesa   nel  limbo ,  o  primo  cerchio  di  famosi  non  bat- 
tezzati, e  poeti  e  filosofi. 

Ruppemi  lo  alto  sonno  nella  testa 

Un  greve  trono,  sì  che  io  mi  riscossi 

Come  persona,  che  per  forza  è  desta. 
E  1'  occhio  riposato  intorno  mossi, 

Dritto  levato ,   e  fiso  riguardai , 

Per  conoscer  lo  loco,  dove  io  fossi. 
V^ero  è,  che  in  su  la  proda  mi  trovai 

Della  valle  di  abisso  dolorosa, 

Che  tuono  accoglie  d'  infiniti  guai. 
Oscura,  profonda  era,  e  nebulosa, 

Tanto  che,  per  ficcar  lo  viso  a  fondo. 

Io  non  vi  discernea  alcuna  cosa. 
Or  discendiam  qua  giù  nel  cieco  mondo. 

Incominciò  il  poeta  tutto  smorto: 

Io  sarò  primo,  e  tu  sarai  secondo. 
Ed  io ,  che  del  color  mi  fui  accorto , 

Dissi:  come  verrò,  se  tu  paventi, 

Che  suoli  al  mio  dubbiare  esser  conforto? 
Ed  egli  a  me  :  1'  angoscia  delle  genti , 

Che  son  qua  giù,    nel  viso  mi  dipinge 

Quella  pietà,  che  tu  per  tema  senti. 
Andiam,  che  la  via  lunga  ne  sospinge! 

Così  si  mise ,  e  così  mi  fé  'ntrare 

Nel  primo  cerchio ,  che  lo  abisso  cinge. 
Quivi,  secondo  che  per  ascoltare. 

Non  avea  pianto,  ma  che  di  sospiri, 

Che  r  aura  eterna  facevan  tremare. 
E  ciò  avvenia  di  dol  senza  martiri. 

Che  avcan  le  turbe,  eh'  eran  molte  e  grandi, 

D'  infanti,  e  di  femmine,    e  di  viri. 
Lo  buon  maestro  a  me:  tu  non  dimandi. 

Che  spiriti  son  questi,  che  tu  vedi.^ 

Or  vo'  che  sappi,   innanzi  che  più  andi, 
Ch'  ei  non  peccaro:  e  s'  elli  hanno  mercedi, 

Non  basta,  per  eh'  ei  non  ebber  battesmu, 

Ch'  è  porta  della  fede,  che  tu  creili; 
E  s'  ei  furon  dinanzi  al  cristianesmo . 

Non  adorar  debitamente  dio  : 

E  di  questi  cotai  son  io  medesino. 
Per  tai  difetti,  e  non  per  altro  rio, 

Senio  perduti,  e  sol  di  tanto  uiTesi, 

Che  senza  speme  viveuto  in  disio. 


m 


INFERNO.     (IV.  43—151.  V.  1  —  12) 


[10] 


Gran  duol  mi  prese  al  cor,  quando  Io  intesi; 
I       Però  die  gente  di  molto  valore 
)       Cono!)I>i ,   che  in  quel  limbo  eran  sospesi. 
;/ Dimmi,  raae8tro  mio,  dimmi,  signore, 
?       Comincia'  io,  per  voler  esser  certo 
Di  quella  fede,  che  vince  ogni  errore: 

Il  L'scinnc  mai  alcuno,  o  per  suo  merto, 
O  per  altrui,  che  poi  fosse  beato? 
E  quei,  che  intese  il  mio  parlar  coverto. 
Rispose:  io  era  novo  in  questo  stato, 

Quando  ci  vidi  venire  un  possente 

Con  segno  di  vittoria  coronato. 
Trasseci  la  ombra  del  primo  parente. 

Di  Abel  suo  figlio ,  e  quella  di  Noè , 

.Di  Moisè  legista  ubbidiente, 
Abraàm  patriarca,  e  David  re,  ^ 

Israel  con  Io  padre,  e  coi  suoi  nati, 

E  con  Rachele,  per  cui  tanto  fé'. 
Ed  altri  molti,  e  feceli  beati  :_ 

E  vo'  che  sappi,  che  dinanzi  ad  essi 

Spiriti  umani  non  eran  salvati. 
Non  lascia vam  Io  andar,  per  eh'  ei  dicessi, 

Ma  passavam  la  selva  tuttavia, 

La  selva  dico  di  spiriti  spessi. 
Non  era  lungi  ancor  la  nostra  vìa 

Di  qua  dal  sommo,  quando  io  vidi  un  foco, 

Ch'  emisperio  di  tenebre  vìncia. 
Di  lungi  vi  eravamo  ancora  un  poco , 

Ma  non  sì,  che  io  non  discernessi  in  parte, 

Che  onrevoi  gente  possedea  quel  loco. 
Oh  tu ,  che  onori  e  scienza  ed  arte , 

Questi  chi  son,  che  hanno  cotanta  onranza, 
)  Che  dal  modo  delli  altri  li  diparte.^ 
E  quelli  a  me  :  la  onrata  nominanza , 

Che  di  lor  sona  su  nella  tua  vita, 

Grazia  acquista  nel  cicl ,  che  si  li  avanza. 
Intanto  voce  fu  per  me  udita: 

Onorate  1'  altìssimo  poeta  ! 

La  ombra  sua  torna,  eh'  era  dispartita. 
Poi  che  la  voce  fu  restata ,  e  quota  , 

Vidi  quattro  grandi  ombre  a  noi  venire: 

Sembianza  avevan  né  trista,  né  lieta. 
Lo  buon  maestro  cominciommi  a  dire: 

Mira  colui  con  quella  spada  in  mano. 

Che  vien  dinanzi  ai  tre,  si  come  sire! 
Quelli  è  Omero,  poeta  sovrano: 

Lo  altro  è  Orazio  satiro,  che  viene, 

Ovidio  è  il  terzo,  e  Io  ultimo  é  Lucano. 
Però  che  ciascun  meco  si  conviene 

Nel  nome,  che  sonò  la  voce  sola, 

Fannomi  onore,   e  di  ciò  fanno  bene. 
[!o8Ì  vidi  adimar  la  bella  scola 

Di  quel  signor  dello  altissimo  canto. 

Che  sovra  li  altri,  come  aquila,  vola. 
[)a  eh'  ebber  ragionato  insieme  alquanto, 

Volsersi  a  me  con  saliitevoi  cenno; 

E  il  mio  maestro  sorrise  di  tanto. 
C  più  di  onore  ancora  assai  mi  fenno  : 

Ch'  esci  mi  feccr  della  loro  schiera, 

Si  che  in  fui  sciato  tra  cotanto  stanno. 
^Osi  ne  andammo  insino  alia  lumiera. 

Parlando  cose,    che  il  tacere  é  bello. 

Sì  com'  era  il  i>arlar  «■olà ,  dov'  era. 
lenimmo  al  pie  di  un  nobile  castello 

Setto   volte  cercliiiito  ili  alte  mura. 

Difeso  intorno  di  un  bel  fiumicilli». 
Questo  passammo,  come  terra  dura. 


Per  sette  porte  intrai  con  questi  savi  : 
Gìiignemmo  in  prato  di  fresca  verdura. 
Genti  vi  eran  con  occhi  tardi  e  gravi. 
Dì  grande  autorità  nei  lor  sembianti  : 
Parlavan  rado  con  voci  soavi. 
Traemmoci  così  dallo  un  dei  canti 
In  loco  aperto,  luminoso,  ed  alto. 
Sì  che  veder  si  potèn  tutti  e  quanti. 
Colà  diritto  sopra  il  verde  smalto 
j      Mi  fiir  mostrati  li  spiriti  magni, 
1     Che  di  vederli  in  me  stesso  mi  esalto. 
|Io  vidi  Elettra  con  molti  compagni, 
I     Tra  i  quai  conobbi  ed  Ettore,  ed  Enea, 
j     Cesare  armato  con  li  occhi  grifagni. 
[Vidi  Camilla,  e  la  Pentesilea 
[     Dall'  altra  parte,  e  vidi  '1  re  Latino, 
I     Che  con  Lavinia  sua  figlia  sedea. 
Vidi  quel  Bruto,  che  cacciò  Tarqnino, 
j     Lucrezia,  Julia,  Marzia,  e  Corniglia, 

E  solo  in  parte  vidi  'I  Saladino. 
Poi  che  innalzai  un  poco  più  le  ciglia , 
Vidi  '1  maestro  di  color  che  sanno , 
Seder  tra  filosofica  famiglia. 
Tutti  lo  ammiran ,  tutti  onor  li  fanno. 
Quivi  vid'  io  e  Socrate,  e  Platone, 
Che  innanzi  alli  altri  più  presso  li  stanno. 
Democrito,  che  il  mondo  a  caso  pone, 
Dìogenès,  Anassagora,  e  Tale, 
Empedoclès,  Eraclito,  e  Zenone: 
E  vidi  '1  buono  accoglitor  del  quale, 
Dioscoride  dico  :  e  vidi  Orfeo , 
Tullio,  e  Livio,  e  Seneca  morale: 
Euclide  geometra,  e  Tolommeo, 
Ippocrate  ,  Avicenna,  e  Galìeno, 
Avverrois,  che  il  gran  comento  feo. 
Io  non  posso  ritrar  di  tutti  a  pieno , 
Però  che  sì  mi  caccia  il  lungo  tema , 
Che  molte  volte  al  fatto  il  dir  vien  meno. 
La  sesta  compagnia  in  duo  si  scema  ; 
Per  altra  via  mi  mena  il  savio  duca 
For  della  queta  nell'  aura,    che  trema, 
E  vengo  in  parte  ove  non  é,  che  luca. 


C  ANTO     V 


ARGOMESTO. 

Miiiòs,   giudice   <V  inferno.     Cerchio  secondo  dei  Ins- 
I  suriosi.     Francesca  di  liiiiiiiio. 

Cosi  discesi  del  cerchio  primajo 
I      Giù  nel  secondo  ,  che  mon  htco  cinghia  , 
I      E  tanto  più  dohu-,    ihe  pugne  a  guajo. 

Stavvi  Miiiòs  orribilmente,  e  ringhia, 
j      Ksiimina  le  colpe  nella  entrata, 
I      (ìiiidica,  e  manda,  secondo  che  av\iiighla. 

Dico  che,  quando  l'anima  m:il  nata 
I  Li  vidi  (liiian/.i,  tutta  si  conres?a: 
I      E  quel  coiior-citiir  d<lle  peccata 

Vede,  (|iii!l   loco  d'   iiiIVrno  è  da  essa, 
I     ('igne-i  «on  la  coilu  tante  volte , 
I     Quantunque  gradi  vuol  che  giù  sia  mc«.-a. 


Sempre  dinanzi  a  luì  ne  stanno  molte, 
Vanno  a  vicenda  ciascuna  al  giudi/io, 
Dicono  e  odono,  e  poi  son  giù  volte. 
Oli  tu ,  che  vieni  al  doloroso  ospizio. 
Disse  Minòs  a  me,  quando  mi  vide, 
Lasciando  lo  atto  di  cotanto  ufizio  , 
Guarda,  coni'  entri,  e  di  cui  tu  ti  fide! 
Non  t'inganni  l'ampiezza  dello  entrare! 
E  il  dut'a  mio  a  lui:  per  che  pur  gride? 
Kon  impedir  lo  suo  fatale  andare! 
Vuoisi  cosi  colà,  dove  si  puote 
Ciò  che  si  vuole  :  e  più  non  dimandare  ! 
Ora  incomincian  le  dolenti  note 
A  farmisi  sentire:  or  son  venuto 
Là,  dove  molto  pianto  mi  percote. 
Io  venni  in  loco  di  ogni  luce  muto , 

Che  mugghia,  come  fa  mar  per  tempesta, 
Se  da  contrarj  venti  è  combattuto. 
La  huféra  infernal,   che  mai  non  resta, 
Mena  li  spirti  con  la  sua  rapina. 
Voltando,  e  percotendo  li  molesta. 
Quando  giungnn  di  avanti  alla  ruina  ; 

Quivi  le  strida ,  il  compianto ,  e  il  lamento  : 
Bestemmian  quivi  la  virtù  divina. 
Intesi,  che  a  così  fatto  tormento 
Enno  dannati  i  peccator  carnali , 
Che  la  ragion  soramettono  al  talento. 
E  come  li  stornei  ne  portan  le  ali 

Nel  freddo  tempo  a  schiera  larga  e  piena , 
Cosi  quel  fiato  li  spiriti  mali 
Di  qua,  di  là,   di  giù,   di  su  li  mena: 
Nulla  speranza  li  conforta  mai , 
Non  che  di  posa,  ma  di  minor  pena. 
E  come  i  gru  van  cantando  lor  lai, 
Facendo  in  aere  di  sé  lunga  riga. 
Cosi  vid'  io  venir,  traendo  guai, 
Omhre  portate  dalla  detta  briga: 

Per  «he  io  dissi  :  maestro ,  chi  son  quelle 
Genti,  che  !o  aere  nero  sì  gastiga? 
La  prima  di  color,  di  cui  novelle 

Tu  vuoi  saper,  mi  disse  quelli  allotta. 
Fu  imperatrice  di  molte  favelle. 
A  vizio  di  lussuria  fu  sì  rotta. 
Che  libito  fé'  licito  in  sua  legge. 
Per  torre  il  biasmo,  in  che  era  condotta. 
Ella  è  Semiramis,  di  cui  si  legge. 

Che  succedette  a  Nino,  e  fu  sua  sposa: 
Tenne  la  terra,  che  il  Soldan  corregge. 
L'  altra  è  colei,  che  si  ancise  amorosa, 
E  ruppe  fede  al  cener  di  Sicheo. 
Poi  è  Clcopatràs  lussuriosa. 
Elena  vidi,  per  cui  tanto  reo 

Tempo  si  volse;  e  vidi  '1  grande  Achille, 
Che  con  amore  al  fine  combattco. 
Vidi  Paris ,  Tristano  ;  e  più  di  mille 

Ombre  mostrommi,  e  nominollc  a  dito. 
Che  amor  di  nostra  vita  dipartiile. 
Poscia  che  io  clibi  il  mio  dottore  udito 
Nomar  le  donne  antiche  e  i  cavalieri , 
Pietà  mi  giunse,  e  fui  quasi  smarrito. 
Io  cominciai:   poeta,  volentieri 

Parlerei  a  quei  duo,  che  insieme  vanno, 
E  pajon  sì  al  vento  esser  leggieri. 
Ed  egli  a  me:  vedrai,  c{uandu  saranno 
Più  presso  a  noi:  e  tu  allor  li  prega 
Per  quello  amor  che  i  mena;  e  quei  verranno. 
Sì  tosto,  come  il  vento  a  noi  li  piega. 


INFERNO.      (V.  13—142) 


[12] 


Movo  la  voce:  oh  anime  affannate. 
Venite  a  noi  parlar,  se  altri  noi  niega! 
Quali  colombe  dal  disio  chiamate. 

Con  le  ale  aperte  e  ferme  al  dolce  nido 
A  engon  per  lo  aere  dal  voler  portate: 
Cotali  uscir  della  schiera,  ov'  è  Dido, 
Venendo  a  noi  per  lo  aere  maligno , 
Sì  forte  fu  lo  aiì'ettuoso  grido. 
Oh  animai  grazioso  e  benigno, 
Che  visitando  vai  per  lo  aer  perso 
Noi,  che  tignemmo  il  mondo  di  sanguigno  » 
Se  fosse  amico  il  re  dello  universo, 
Noi  pregheremmo  lui  per  la  tua  pace. 
Poi  che  hai  pietà  del  nostro  mal  perverso. 
Di  quel,  che  udire,  e  che  parlar  ti  piace. 
Noi  udiremo,  e  parleremo  a  vui , 
Mentre  che  il  vento,  come  fa,  ci  tace. 
Siede  la  terra,  dove  nata  fui, 

Su  la  marina,  dove  il  Po  discende, 
Per  aver  pace  coi  seguaci  sui. 
Amor,  che  al  cor  gentil  ratto  si  apprende, 
Prese  costui  della  bella  persona. 
Che  mi  fu  tolta ,    e  il  modo  ancor  mi  offende. 
Amor ,  che  a  nullo  amato  amar  perdona , 
Mi  prese  del  costui  piacer  sì  forte , 
Che,  come  Aedi,  ancor  non  mi  abbandona. 
Amor  condusse  noi  ad  una  morte  : 
Caina  attende ,  chi  'n  vita  ci  spense. 
Queste  parole  da  lor  ci  fur  porte. 
Da  che  io  intesi  quelle  anime  ofTense, 
Chinai  'I  viso,  e  tanto  il  tenni  basso. 
Fin  che  il  poeta  mi  disse:  che  pense? 
Quando  risposi,  cominciai:  oh  lasso. 
Quanti  dolci  pensier,  quanto  disio 
Menò  costoro  al  doloroso  passo  ! 
Poi  mi  rivolsi  a  loro,  e  parla'  io, 

E  cominciai  :  Francesca ,  i  tuoi  martiri 
A  lacrimar  mi  fanno  tristo  e  pio. 
Ma  dimmi:  al  tempo  dei  dolci  sospiri, 
A  che,  e  come  concedette  amore. 
Che  conoscente  i  dubbiosi  desiri .^ 
Ed  ella  a  me:  nessun  maggior  dolore. 
Che  ricordarsi  del  tempo  felice 
Nella  miseria;  e  ciò  sa  il  tuo  dottore. 
Ma  se  a  conoscer  la  prima  radice 

Del  nostro  amor  tu  hai  cotanto  affetto, 
Farò,  come  colui,  die  piange,  e  dice. 
Noi  leggiavamo  un  giorno  per  diletto 
Di  Lancil<;tto,  c«mìe  amor  io  strinse: 
Soli  eravamo ,    e  senz'  alcun  sospetto. 
Per  più  fiate  li  occhi  ci  sospinse 
Quella  lettura,  e  scolorocci  '1  viso: 
Ma  solo  UH  punto  fu  quel ,  che  ci  vinse. 
Quando  leggemmo  il  disiato  riso 
Esser  basiate  da  cotanto  amante , 
Questi,  che  mai  da  me  non  fia  diviso, 
La  bocca  mi  basiò  tutto  tremante  : 
Galeotto  fu  il  libro,  e  chi  lo  scrisse: 
Quel  giorno   più  non  vi  leggemmo  avante. 
Mentre  che  lo  uno  spirto  questo  disse. 
Lo  altro  piangeva  sì ,    che  di  pietade 
Io  venni  meli  così  come  io  morisse, 
E  caddi,   come  corpo  morto  cade. 


13] 


INFERNO.      (VL  1—115) 


[14] 


CANTO     VI. 


ARGOMENTO. 

Verzo  cerchio:  i  golosi.     Cerbero.     Ciacco   delle 
cardie  di  Firenze.         — 


i  tornar  della  mente,  che  si  chiuse 
Dinanzi  alla  pietà  dei.  due  cognati , 
Che  dì  tristizia  tutto  mi  confuse, 

iovi  tormenti ,  e  novi  tormentati 
Mi  veggio  intorno ,  come  che  io  mi  mova 
£  che  io  mi  volga,  e  come  che  io  mi  guati. 

0  sono  al  terzo  cerchio  delia  piova 
Eterna,  maledetta,  fredda,  e  greve: 
Regola  e  qualità  mai  non  1'  è  nova. 

ìrrandine  grossa,  ed  acqua  tinta,  e  neve 
Per  lo  aere  tenebroso  si  riversa  : 
Pute  la  terra ,  che  questo  riceve. 

Jerbero,  fiera  crudele  e  diversa. 
Con  tre  gole  caninamente  latra 
Sovra  la  gente,  che  quivi  è  sommersa. 

iì  occhi  ha  vermigli,  e  la  ìiarba  unta  ed  atra, 
£  il  ventre  largo,  e  unghiate  le  mani: 
Graifia  li  spirti,  ed  ingoja,  ed  isquatra. 

Mar  li  fa  la  pioggia,  come  cani: 
Dello  un   dei  Iati  fanno  allo  altro  schermo; 
Volgonsi  spesso  i  miseri  profani. 

Quando  ci  scorse  Cerbero ,  il  gran  vermo , 
Le  bocche  aperse  e  mostrocci  le  saune  : 
Non  avea  membro ,  che  tenesse  fermo. 

i  il  duca  mio  distese  le  sue  spanne , 
Prese  la  terra,  e  con  piene  le  pugna 
La  gittò  dentro  alle  bramose  canne. 

Jual  è  quel  cane,  che  abbajando  agugna, 

E  si  racqucta  poi  che  il  pasto  morde. 

Che  solo  a  divorarlo  intende  e  pugna  ; 

Jotai  si  fecer  quelle  facce  lordo 
Dello  demonio  Cerbero ,  che  introna 
Le  anime  sì ,  eh'  esser  vorrebber  sorde. 

Io!  passavam  su  per  le  ombre,  che  adona 
La  greve  pioggia ,  e  ponevam  le  piante 
Sopra  lor  vanità ,  che  par  persona. 

ilUe  gia<:(;n  per  terra  tutte  e  quante , 
For  di  una,  che  a  seder  si  levò  ratto 
Ch'  ella  ci  vide  passarsi  davantc. 

)h  tu ,  che  sci   per  questo  inferno  tratto , 
Mi  disse,  riconoscimi,  se  sai! 
Tu  fosti  prima,  che  io  disfatto,  fatto. 

Sd  io  a  lei:   1'  angoscia,  che  tu  hai, 
Forse  ti  tira  for  della  mia  mente. 
Sì  che  non  par  che  io  ti  vcde^si  mai. 

ila  dimmi ,  chi  tu  sei ,  che  iu  sì  dolente 
Loco  sei  messa,  ed  a  sì  fatta  pena. 
Clic  se  altra  è  maggio,  nulla  è  sì  spiacente. 

ìaA  egli  a  me:  la  tua  città,  cli'è  piena 
D'  invidia  sì,  che  già  trabocca  il  sacco, 
Seco  mi  tenne  in  la  vita  serena. 

/oi ,  cittadini ,  mi  cliiuma^t(;  Ciac<'0  : 
l'cr  la  dannosa  colpa  della  gola, 
Come  tu  vedi ,  alla  pio;;gia  mi  nacco. 

']d  io  anima  trista  non   son  sola, 
Che  tutte  queste  a  simil   pt-na  stanno 
Per  simil  colpa:  e  più  non  ti;'  parola. 

0  li  risposi:  Ciacco,  il  tuo  all'anno 


Mi  pesa  si  che  a  lacrimar  m'  invita; 
Ma  dimmi,   se  tu  sai,    a  che  verranno 

Li  cittadin  della  città  partita; 

Se  alcun  vi  è  giusto;  e  dimmi  la  cagione. 
Per  che  1'  ha  tanta  discordia  assalita! 
jj-^_  E  quelli  a  me:    dopo  lunga  tencionc 

j     A  erranno  al  sangue ,   e  la  parte  selvaggia 

j      Caccerà  1'  altra  con  molta  offensione. 

jPoi  a  presso  convien,  che  questa  caggia 
Infra  tre  soli,  e  che  1'  altra  sormonti 
Con  la  forza  di  tal ,    che  testé  piaggia. 

•Alto  terrà  lungo  tempo  le  fronti, 

I     Tenendo  1'  altra  sotto  gravi  pesi, 

j     Come  che  di  ciò  pianga,  e  che  ne  adonti. 

Giusti  son  duo ,  e  non  vi  son  intesi  : 
Superbia ,  invidia ,  ed  avarizia  sono 
Le  tre  faville,  che  hanno  i  cori  accesi. 

Qui  pose  fine  al  lacrimabil  suono. 

Ed  io  a  lui:  ancor  vo',  che  m'insegni, 
E  che  di  più  parlar  mi  facci  dono. 

Farinata,  e  il  Tegghiai',  che  fur  sì  degni, 
Jacopo  Rusticucci,  Arrigo,  e  il  Mosca, 
E  li  altri ,  che  a  ben  far  poser  1'  ingegni , 

Dimmi,  ove  sono,  e  fa,  che  io  li  conosca! 
Che  gran  disio  mi  stringe  di  sapere. 
Se  il  ciel  li  addolcia,  o  Io  inferno  li  attosca. 

E  quelli:  ei  son  tra  le  anime  più  nere4 
Diversa  colpa  giù  li  grava  al  l'ondo. 
Se  tanto  scendi ,  là  i  potrai  vedere. 

Ma  quando  tu  sarai  nel  dolce  mondo. 
Pregoti,  che  alla  mente  altrui  mi  rechi. 
Più  non  ti  dico  ,  e  più  non  ti  risj)ondo. 

Li  diritti  occhi  torse  allora  in  biechi , 

Guardorami  un  poco,  e  poi  chinò  la  testa: 
Cadde  con  essa,  a  par  delli  altri  cie<:hi. 

E  il  duca  disse  a  me:  più  non  si  desta 
Di  qua  dal  suon  dell'  angelica  tromba , 
Quando  verrà  la  nimica  podestà , 

Ciascun  ritroverà  la  trista  tomba, 
Ripiglierà  sua  carne,  e  sua  figura. 
Udirà  quel,  che  in  eterno  rimbniuba. 

Si  trapassammo  per  sozza  mistura 

Delle  ombre,  e  della  pioggia,  a  passi  lenti. 
Toccando  un  poco  la  vita  futura. 

Per  che  io  dissi:  maestro,  esti  tormenti 
Cresceranno  ci  dopo  la  gran  sentenza, 
O  ficn  minori ,  o  sarau  sì  cocenti  ? 

Ed  egli  a  uic:  ritorna  a  tua  scienza. 

Che  vuol,  quanto  la  cosa  è  più  v<'»"f<''''''» 
Più  senta  il  bene,  e  così  la  doglicnza. 

Tutto  che  questa  gente  maledetta 

In  vera  porfczion  giammai  non  vada. 
Di  là,  più  che  di  qua,  essere  aspel'.a. 

Noi  aggirammo  a  tondo  quella  strada, 
Parlando  più  assai,  che  io  non  ridico J 
Veniuuiu)  al  punto,  dove  si  digriii'a: 

Quivi  trovammo  Plato ,  il  gran  nemico. 


[15] 


INFERNO.      (VII.  1-125) 


[16] 


CANTO    VII. 


ARGOMENTO. 

Quarto   e    quinto    cerchio    de'  prodighi   ed   avari, 
degV  iracondi.     Fortuna- 

Pape  Satan ,  pape  Satan  aleppe , 

Cominciò  Fiuto  con  la  voce  chioccia; 

E  quei  savio  gentil,  che  tutto  seppe, 
Disse,  per  confortarmi:  non  li  neccia 

La  tua  paura;  cliè  poder,  eh'  egli  abbia, 

Non  ri  torrà  lo  scender  questa  roccia. 
Poi  si  rivolse  a  quella  enfiata  labbia, 

E  disile:  taci,  maledetto  lupo! 

Consuma  dentro  te  con  la  tua  rabbia! 
Kon  è  senza  cagion  lo  andare  al  cupo: 

Vuoisi     nello  alto  là  dove  Michele 

Fé'  la  vendetta  del  superbo  strupo. 
Quali  dal  vento  le  gonfiate  vele 

('aggiono  avvolte,  poi  che  lo  alber  fiacca. 

Tal  cadde  a  terra  la  fiera  crudele. 
Cosi  scendemmo  nella  quarta  lacca, 

Prendendo  più  della  dolente  ripa , 

Che  il  mal  dello  universo  tutto  insacca. 
Ahi  giustizia  di  dio,  tante  chi  stipa 

Nove  travaglie  e  pene,  quante  io  viddi? 

E  per  che  nostra  colpa  sì  ne  scipa?  "  ■' 

Come  la  la  onda  là  sovra  Cariddi , 

Che  si  frange  con  quella,  in  cui  s'intoppa, 

Così  convien ,  che  qui  la  gente  riddi. 
Qui  vid'  io  gente  più  che  altrove  troppa. 

E  di  una  parte  e  di  altra  con  grandi  urli 

Voltando  pesi  per  forza  di  poppa, 
Pei'cotevaiìsi  incontro ,  e  poscia  pur  lì 

Si  rivolgea  ciascun,  voltando  a  retro. 

Gridando:  per  che  tieni,  e  per  che  burli? 
Così  toniavan  per  lo  certhlo  tetro 

Uà  ogni  mano  all'  opposi to  punto , 

Gridando  sempre  in  loro  ontoso  metro. 
Pili  si  volgea  ciascun,  quando  era  giunto. 

Per  Io  suo  mezzo  cerchio ,  all'  altra  giostra. 

Ed  io ,  che  avea  lo  cor  quasi  compunto , 
Dissi:  maestro  mio,  or  mi  dimostra, 

Che  gente  è  questa,  e  se  tutti  fur  cherci 

Questi  chercuti  alla  sinistra  nostra. 
Ed  egli  a  me:   tutti  quanti  fur  guerci 

Si  della  mente  in  la  vita  primaja , 

Che  con  misura  nullo  spendio  lerci. 
Assai  la  voce  lor  chiaro  lo  abbaja, 

Quando  vengtmo  ai  duo  punti  del  cerchio, 

Ove  colpa  contraria  li  dispaja. 
Questi  fur  cherci,  che  non  han  coperchio 

Piloso  al  capo,  e  papi,  e  cardinali, 

In  cui  usa  avarizia  il  suo  soperchio. 
Ed  io,  maestro,  tra  questi  cotali 

Dovrei  io  ben  riconoscere  alcuni , 

Che  furo  immondi  di  cotesti  mali. 
Ed  egli  a  me  :  vano  pensiero  adiuii. 
La  sconoscente  \ìUi,  cbi;  i  le'  sozzi. 
Ad  ogni  conoscenza  or  li  fa  liriuii. 
In  eterno  v(;rranno  alti  duo  cozzi  : 
Questi  risorgeranno  del  sepulcro 
Col  pugno  cliinso,  e  questi  coi  «rin  mozzi. 
Mal  dare,  e  mal  tener  lo  mondo  pulcro 


Ila  tolto  loro ,  e  posti  a  questa  zuffa  : 
Qual  ella  sia ,  parole  non  ci  apimlcro. 

Or  puoi,  figliuol,  veder  la  corta  buffa 
Dei  ben,  che  son  commessi  alla  fortuna. 
Per  che  la  umana  gente  si  rabbuffa. 

Che  tutto  r  oro,  eh'  è  sotto  la  luna, 
O  che  già  fu ,  di  queste  anime  stanche 
Non  ne  potrebbe  far  posar  pur  una. 

Maestro,  dissi  lui,  or  mi  di'  anche: 
Questa  fortuna,  di  che  tu  mi  tocche. 
Che  è ,  che  i  ben  del  mondo  ha  sì  tra  branche? 

E  quelli  a  me:  oh  creature  sciocche. 

Quanta  ignoranza  è  quella  che  vi  offende  ! 
Or  vo'  che  tu  mia  sentenza  ne  imboQche. 

Colui ,  lo  cui  saver  tutto  trascende. 
Fece  li  cieli,  e  die'  lor  chi  conduce, 
Sì  che  ogni  parte  ad  ogni  parte  splende, 

Distribuendo  ugualmente  la  luce  : 
Similemente  alli  splendor  mondani 
Ordinò  general  ministra  e  duce, 

Che  permutasse  a  tempo  li  ben  vani 

Di  gente  in  gente ,  e  di  uno  in  altro  sangue, 
Oltre  la  difension  dei  senni  umani: 

Per  che  una  gente  impera,  e  l'altra  langue, 
Seguendo  lo  giudicio  di  costei , 
Che  è  occulto,  come  in  erba  1'  angue. 

Vostro  saver  non  ha  contrasto  a  lei: 
Ella  provvede,  giudica,  e  persegue 
Suo  regno  ,  come  il  loro  li  altri  dei. 

Le  sue  pcrmutazion  non  hanno  triegue  : 
Necessità  la  fa  esser  veloce. 
Sì  spesso  vien  chi  vicenda  consegue. 

Questa  è  colei ,  eh'  è  tanto  posta  in  croce 
Pur  da  color,  che  le  dovrian  dar  lode, 
Dandole  biasnin  a  torto  e  mala  voce. 

Ma  ella  si  è  beata,  e  ciò  non  ode, 
Con  le  altre  prime  creature  lieta 
Volve  sua  spera,  e  beata  si  gode. 

Or  discendiamo  omai  a  maggior  pietà. 
Già  ogni  stella  cade,  che  saliva, 
Quando  mi  mossi ,  e  il  troppo  star  si  vieta. 

Noi  ricidemmo  il  cerchio  all'  altra  riva, 
Sovra  una  fonte,  clie  bolle,  e  riversa 
Per  un  fossato ,  che  da  lei  diriva. 

L'  acqua  era  buja  molto  più,  che  persa, 
E  noi  in  compagnia  delle  onde  bige      .  :  • 
Entrammo  giù  per  una  via  diversa. 

Una  palude  fa,  che  ha  nome  Stige, 
Qoeto  tristo  ruscel,  quanto  è  disceso 
Al  pie  delle  maligne  piagge  grìgc. 

Ed  io,  che  di  mirar  mi  stava  inteso, 
\  idi  genti  fangose  in  quel  pantano 
Igiiiide  tutte ,  e  con  sembiante  offeso. 

Questi  si  percotean  non  pur  con  mano , 
Ma  con  la  testa ,  e  col  petto ,  e  coi  piedi , 
Troncandosi  coi  denti  a  brano  a  brano. 

Lo  bu(Ui  maestro  disse:  figlio,  or  vedi 
Tie  anime  di  color,  cui  vinse  la  ira; 
Ed  anche  vo' ,  che  tu  p<'r  certo  credi. 

Che  sotto  r  aci|ua  ha  gente,  che  sospira, 
E  fanno  pullular  quest'  acqua  al  sunimo, 
('ome  r  occhino  ti  dice  u  che  si  aggira. 

Fitti  nel  liuu>  dicou  :  tristi  funnno 

Nello  aere  dolce,  che  dal  sol  si  allegra, 
Portando  dt^ntro  accidioso  fummo: 
Or  li  attristiam  nella  belletta  negra. 
Questo  inno  si  gorgoglian  nella  strozza, 


Pi 


INFERNO.      (VII.  126—130.  Vili.  1— IIC) 


[18] 


Che  dir  noi  possnn  con  parola  integra, 
osi  girammo  della  lorda  pozza 
Grande  arco  tra  la  ripa  secca ,  e  il  mezzo, 
Con  li  occhi  volti  a  chi  del  fango  ingozza:  -is/f-H^*. 
eninimo  a  pie  di  una  torre  al  dajezzo,  v  .w1.(k 

vi 


CANTO    Vili. 


ARGOMENTO. 

archetla   di   Flc2.iùs.      Filippo   Argenti.      Città    di 
Dite.     DemonJ  avversi. 

)  dico  seguitando  ,  che  a?sai  prima 
Che  noi  fussimo  al  pie  dell'  alta  torre, 
Li  occhi  nostri  ne  andar  sn*o  alla  cima». 

er  duo  fiaramctte,  che  i  vedemmo  porre, 
£  un'  altra  da  lungi  render  cenno , 
Tanto,   che  a  pena  il  potea  l'  occhio  torre. 

Id  io  rivolto  al  mar  di  tutto  il  senno 
Dis^i:  questo  che  dice?  e  che  ri.*ponde 
Quello  altro  foco.''  e  chi  son  quei,  che  il  fcnno  ? 

Id  egli  a  me:  su  per  le  sucide  onde         'i cw-wi.-.. 
Già  puoi  scorgere  qiu  Ilo ,  che  si  aspetta,  ^ 
Se  il  fummo  del  pantan  noi  ti  nasconde. 

lorda  non  pinse  mai  da  sé  saetta , 
Che  sì  correse^e  via  per  lo  aere  snella, 
Come  io  vidi  una  nave  piccioletta 

enir  per  1'  acqua  lerso  noi  in  quella, 
Sotto  il  governo  di  un  sol  galeoto, 
Che  gridava:  or  sei  giunta,  anima  fella?  -  "  ' 

"legiàs,  Flegiàs,  tu  cridi  a  voto, 
Disse  lo  mio  signore,  a  questa  volta: 
Più  non  ci  avrai,  se  non  passando  il  loto.  *^f>'.».>^- 

|ualc  coUii,  che  grande  inganno  ascolta,     , 
Che  li  sia  fatto,  e  poi  se  ne  rammarca,  «^■'^^ 
Tal  fecesi  Flegiàs  nella  ira  accolta. 

lO  duca  mio  discese  nella  harca, 
E  poi  mi  Fece  entrare  a  presso  lui: 
E  sol  quaiHl(»  io  fui  dentro,  parve  carca. 

Posto  che  il  «luca  ed  io  nel  legno  fui. 
Secando  se  re  va  l'  antica  prora 
Dell'  acqua  più,  che  non  suol  con  altrui. 

Mentre  noi  corrcvam  la  morta  gora, 
Dinanzi  mi  si  fece  un  pica  di  fango, 
E  disse:  chi  sei  tu,  ciu;  vieni  anzi  ora? 

Sd  io  a  lui:  se  io  vegno,  io  non  rimango. 

Ma  tu  chi  sei,  che  *ì  sei  fatto  hrutto.'' 

llispose:  vedi.,  che.  son  nn  che  piango. 

Bd  io  a  lui:  con  piangere  e  con  lutto, 
Spirito  maladetto  ,  ti  rimani  ! 
ciu";  io  ti  conosco,  ancor  sie  lordo  tutto. 

\llora  stese  al  legno  atutio  le  mani  : 
Per  che  il  maotro  accorto  lo  sospinse, 
Uicendi);  via  costà,  con  li   altri  i;ani  ! 

L(»  colh»  poi  con  h;  hriccia  mi  cinse, 

Ita>iiinmii'l  volto,  e  di>se:   alma  sdegnosa! 
IJciicdetta  colei,  die  in  l<'  s'iiicin<e! 

Quei  lu  al  mondo  persona  orgogliosa  : 
Bontà  no:i  è ,  che  sua  meuioria  fregi  ; 
('osi  si  è  la  ombra  sua  qui  furiosa. 

iQuanti  61  tengoii  or  là  bu  gran  regi, 


Che  qui  staranno ,  come  porci  in  brago , 
Di  sé  lasciando  orribili  dispregi! 

Ed  io  :  maestro ,  molto  sarei  vago 
Di  vederlo  attuftare  in  questa  broda, 
Prima  che  noi  uscissimo  del  lago. 

Ed  egli  a  me:  avanti  che  la  proda 
Ti  si  lasci  veder ,  tu  sarai  sazio  : 
Di  tal  disio  converrà  che  tu  goda. 

Dopo  ciò  poco  vidi  quello  strazio 
Far  di  costui  alle  fangose  genti, 
Che  dio  ancor  ne  lodo,  e  ne  ringrazio. 

Tutti  gridavano:  a  Filippo  Argenti! 
E  il  fiorentino  s])irito  bizzarro 
In  sé  medcsmo  si  volvea  coi  denti. 

Quivi  '1  lasciammo ,  che  più  non  ne  narro  : 
Ma  nelle  orecchie  mi  percosse  un  duolo , 
Per  che  io  annanti  intento  1'  occhio  sbarro. 

E  il  buon  maestro  disse:  omai ,  figliuolo. 
Si  appressa  la  città,  che  ha  nome  Dite, 
Coi  gravi  cittadin ,   col  grande  stuolo. 

Ed  io:  maestro,  già  le  sue  mesciute 
Là  entro  certo  nella  valle  cerno 
Vermiglie,  come  se  di  foco  uscite 

Fos^el■o  :   ed  ti  mi  disse:  il  foco  etemo, 
Ch'  entro  le  affoca,  le  dimostra  rosse, 
Come  tu  vedi  in  questo  basso  inferno. 

Xoi  pur  giugnemmo  dentro  alle  alte  fosse. 
Che  v<illan  quella  terra  sconsolata  : 
Le  mura  mi  parean,  che  ferro  fosse. 

Xon  senza  prima  far  grande  aggirata, 
Venimmo  in  parte,  dove  il  nocchier  forte, 
Uscitene,  gridò,  qui  é  la  entrata. 

Io  ^idi  più  di  mille  in  su  le  porte 
D.tl  ciel  piovuti,  che  stizzosamente 
IJicean  :  chi  è  costui,  che  senza  morte 

Va  per  lo  regno  della  morta  gente  ? 
E  il  savio  mio  maestro  fece  segno 
Di  voler  lor  parlar  segretamente. 

Allor  chiusero  un  poco  il  gran  disdegno , 
E  disser:  vien  tu  solo,  e  quei  sen  vada. 
Che  sì  ardito  entrò  per  questo  regno  ! 

Sol  si  ritorni  per  la  folle  strada! 
Provi,  se  sa;  che  tu  qui  rimarrai, 
("he  li  hai  scorta  sì  buja  contrada. 

Pen>a,  lettore,  se  io  mi  sconfortai 
]\('l  su(ui  delle  parole  maledette; 
Che  non  credetti  ritornarci  mai. 

OJi  caro  duca  mio  ,  che  più  di  sette 
Volte  mi  hai  sicurtà  renriuta,  e  tratto 
Di  alto  periglio,  che  incontra  mi  stette, 

\(ui  mi  lasciar,  dis^'  io,  c(i>ì  disfatto! 
E  so  lo  andar  più  olire  ci  è  ne^-ato, 
liitroviam  le  oruu-  nostre  insieme  ratto! 

E  quel  signor,  che  lì  mi  avca  menato. 
Mi  disse:  non  temer!    che  il  nostro  pasao 
ISon  ci  i)uò  torre  alcun;  da  tal  n'è  dato. 

Ma  r|uì  mi  attcnili,  e  lo  'pirito  lasso 
(jHif(U-ta,  e  ciba  di  spi  ran.'a  bona! 
Che  io  non  ti  lascerò  nel  mondo  basso. 

Co«i  scu  va,  V  qiii»i  mi  aliliandona 

Lo  dolce  padre,  ed   io  rimango  io  forse: 
(ile  il  no  e  il  sì  nel  capo  mi  tenciona. 

Udir  non  poti  i  quello,  clic  a  lor  porse: 
.Ma  ci  ti'>u  stette  là  con  essi  guari, 
Che  «iascun  dentro  a  pro^a  ^i  ricorre. 

Chiuser  le  p(uic  quei  nostri  a\«ersari 

Nel  petto  al  mio  signor,  che  for  riinam*, 

2 


[19] 


INFERNO.     (Vili.  117—130.  IX.  1—107) 


[20] 


E  rivolsesi  a  me  con  passi  rari. 

Li  occhi  alla  terra,  e  le  cig-lia  area  rase 
Di  ogni  baldanza,  e  dicea  nei  sospiri: 
Chi  mi  ha  negate  le  dolenti  case? 

Ed  a  me  disse  :  tu ,  per  che  io  mi  adiri , 
Non  sbigottir!  che  io  Tincerò  la  prova, ^ 
Qual,  che  alla  difension  dentro  si  aggiri. 

Questa  lor  tracotanza  non  è  nova; 

Che  già  la  usaro  a  men  segreta  porta, 
La  qual  senza  serrarne  ancor  si  trova. 

Sopra  essa  vedesti!  la  scritta  morta: 
E  già  di  qua  da  lei  discende  la  erta, 
Passando  per  li  ceri  hi  senza  scorta, 

Tal,   che  per  lui  ne  fia  la  terra  aperta. 


CANTO     IX. 


ARGOMENTO. 

Tre  Furie.    Angelo  sgridante.     Sesto  cerchio  di  mis- 
credenti in  tombe  ardenti. 

Quel  color,  che  viltà  di  for  mi  pinse 
leggendo  il  duca  mio  tornare  in  volta, 
Più  tosto  dentro  il  suo  novo  ristrinse. 

Attento  si  fermò ,  come  om ,  clie  ascolta  : 
Che  r  occhio  noi  potea  menare  a  lunga 
Per  lo  aer  nero ,  e  per  la  nebbia  folta. 

Pure  a  noi  converrà  vincer  la  punga,  ^n-^Thti 

Cominciò  ei ,  se  non  .  .  .  tal  ne  si  offerse. 
Oh  quanto  tarda  a  me,  che  altri  qui  giunga! 

Io  vidi  ben,  sì  com'  ei  ricoperse 

Lo  cominciar  con  lo  altro,  che  poi  venne. 
Che  fur  parole  alle  prime  diverse. 

Ma  nondimen  paura  il  suo  dir  dienne; 
Per  che  io  traeva  la  parola  tronca 
Forse  a  peggior  sentenza ,  eh'  ei  non  tenne. 

In  questo  fondo  della  trista  conca 

Discende  mai  alcun  del  primo  grado , 
Che  sol  per  pena  ha  la  speranza  cionca? 

Questa  question  fec'  io;  e  quei:  di  rado 
Incontra ,  mi  rispose ,  che  di  nui 
Faccia  il  cammino  alcun,  per  quale  io  vado. 

Vero  è,  che  altra  fiata  qua  giù  fui 
Congiurato  da  quella  Eritòn  cruda. 
Che  richiamava  le  ombre  ai  corpi  sui. 

Di  poco  era  di  me  la  «:arne  nuda, 

Ch'  ella  mi  fece  intrar  dentro  a  quel  muro. 
Per  trarne  un  spirto  del  cerchio  di  Giuda. 

Quello  è  il  più  basso  loco,  e  il  più  oscuro, 
£  il  più  lontan  dal  ciel,  che  tutto  gira: 
Ben  so  il  camrain  :  però  ti  fa  sicuro  ! 

Questa  palude,  che  il  gran  puzzo  spira, 
Cinge  d'intorno  la  città  dolente, 
U  non  poteiiio  entrare  omai  senza  ira. 

Ed  altro  difese;  ma  min  1'  ho  a  mente: 
Però  che  1'  occhio  mi  avea  tutto  tratto 
Ver  1'  alti  torre  alla  «;ima  rovente. 

Ove  in  un  punto  fiiron  dritte  ratto 
Tre  furie  infernal  di  sangue  tinte, 
Che  membra  t'einminili  avén,  ed  atto» 

E  con  idre  verdissime  crau  cinte; 


Serpentelli,  e  ceraste  avén  per  crine, 
On(le  le  fiere  tempie  eran  avvinte. 

E  quei ,  che  ben  conobbe  le  meschine 
Della  regina  dello  eterno  pianto. 
Guarda,  mi  disse,  le  feroci  Trine! 

Questa  è  Megera  dal  sinistro  canto: 

Quella,  che  piange  dal  destro,  è  Aletto: 
Tesifone  è  nel  mezzo:  e  tacque  a  tanto. 

Con  le  unghie  si  fendea  ciascuna  il  petto  : 
Batteansi  a  palme ,  e  gridavan  sì  alto , 
Che  io  mi  strinsi  al  poeta  per  sospetto. 

Venga  Medusa!  sì  '1  farem  di  smalto, 
Cridavan  tutte,  riguardando  in  giuso: 
Mal  non  vengiammo  in  Teseo  lo  assalto. 

Volgiti  'ndietro,  e  tien  lo  viso  chiuso! 
Che  se  il  Gorgon  si  mostra ,  e  tu  il  vedessi , 
Nulla  sarebbe  di  tornar  mai  suso. 

Cosi  disse  il  maestro  :  ed  egli  stessi 

Mi  volse,  e  non  sì  tenne  alle  mie  mani. 
Che  con  le  sue  ancor  non  mi  chiudessL 

Oh  voi ,  che  avete  1'  intelletti  sani , 
Mirate  la  dottrina,   che  si  asconde 
Sotto  il  velame  delU  versi  strani! 

E  già  venia  su  per  le  torbide  onde 

Un  fracasso  di  un  suon  pien  di  spavento, 
Per  cui  tremavan  ambo  e  due  le  sponde; 

Non  altrimenti  fatto,  che  di  un  vento 
Impetuoso  per  li  avversi  ardori , 
Che  fier  la  selva,  e  senza  alcun  rattento 

Li  rami  scliianta,  abbatte,  e  porta  fori. 
Dinanzi  polveroso  va  superbo, 
E  fa  fuggir  le  fiere,  e  li  pastori. 

Li  occhi  mi  sciolse,   e  disse:   or  drizza  il  nerbo 
Del  viso  su  per  quella  schiuma  antica. 
Per  indi ,  ove  quel  fummo  è  più  acerbo  ! 

Come  le  rane  innanzi  alla  nimica 

Biscia  per  1'  acqua  si  dileguan  tutte, 
Fin  che  alla  terra  ciascuna  si  abbica, 

Vid'  io  più  di  mille  anime  distrutte 

Fuggir  cosi  dinanzi  ad  un ,  che  al  passo 
Passava  Stige  colle  piante  asciutte. 

Dal  volto  rimovea  quello  aere  grasso. 
Menando  la  sinistra  innanzi  spesso; 
E  sol  di  queir  angoscia  parea  lasso. 

Ben  mi  accorsi  eli'  egli  era  del  ciel  messo , 
E  volsimi  al  maestro  ;  e  quei  fé'  segno 
Che  io  stessi  cheto ,  ed  inchinassi  ad  esso. 

Ahi  quanto  mi  parea  pien  di  disdegno  ! 
Giunse  alla  porta ,  e  con  una  verghetta 
L'  aperse,  che  non  n'ebbe  alcun  ritegno. 

Oh  cacciati  del  riel,  gente  dìspetta , 
Cominciò  egli  in  su  la  orribil  soglia, 
Ond'  està  oltracotanza  in  voi  si  alletta? 

Per  che  ricalcitrate  a  quella  voglia' 

A  cui  non  puote  il  fin  mai  esser  mozzo, 
E  che  più  volte  vi  ha  cresciuta  doglia? 

Che  giova  nelle  fata  dar  di  cozzo? 
Cerbero  vostro,  se  ben  vi  ricorda. 
Ne  porta  ancor  pelato  il  mento  e  il  gozzo. 

Poi  si  rivolse  per  la  strada  lorda , 

E  non  fé'  motto  a  noi  ;  ma  fé'  sembiante 
Di  omo,  cui  altra  cura  stringa  e  morda. 

Che  quella  di  colui,  che  li  è  davante: 
E  noi  movemmo  i  piedi  in  ver  la  terra 
Si<-uri  a  presso  le  parole  sante. 

Dentro  vi  entraumie  senz'  alcuna  guerra: 
Ed  io,  che  avea  di  riguardar  disio 


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:i] 


INFERNO.      (IX.  108—133.  X.  1—94) 


[22] 


La  condizion  che  tal  fortezza  serra, 
^iinie  io  fui  dentro,  1'  occhio  intorno  invio, 
Ì"E  veggio  ad  ogni  man  grande  campagna 
iji Piena  di  duolo,  e  di  tormento  rio. 
i'  come  ad  Arli ,  ove  Rodano  stagna ,, 
Ji  Si  come  a  Fola  presso  del  Carnaro , 
ti  Che  Italia  chiude,  e  i  suoi  termini  hagna, 
jànno  i  sepolcri  tutto  il  loco  varo , 
IjCosì  facevan  quivi  da  ogni  parte, 
Ijl  Salvo  che  il  modo  vi  era  più  amaro  ; 
he  tra  li  avelli  fiamme  erano  sparte , 
ij  Per  le  quali  eran  sì  del  tutto  accesi , 
ji  Che  ferro  più  non  chiede  verun'  arte, 
ilutti  li  lor  coperchi  eran  sospesi, 

Ji  J]  for  ne  uscivan  sì  duri  lamenti , 
Che  hen  parean  di  miseri,  e  di  offesi. 
sjd  io  :  maestro  ,  quai  son  quelle  genti , 
^1  Che  seppellite  dentro  da  quelle  arche 
!   Si  fan  sentir  con  li  sospir  dolenti? 
d  egli  a  me:  qui  son  li  eresiarche 
Coi  lor  seguaci  di  ogni  setta ,  e  molto 
I  Più ,  che  non  credi ,  son  le  tomhe  cardie. 
iiiiilc  qui  con  simile  è  sepolto: 
K  i  moniraenti  son  più ,  e  men  caldi. 
K  poi  che  alla  man  destra  si  fu  volto,  /■ 
.issammo  tra  i  martiri,  e  li  alti  spaldi.  ifripn*^ 


CANTO     X. 


ARGOMENTO. 

ìutdo    Cavalcanti;    Farinata   fìegìi    liberti,    che   gli 

predice  il  suo  esilio.   Gli  spirili  dannati  ignorano 

il  presente  e  sanno  il  fulnro. 

)ra  sen  va  per  nn  secreto  calle 

Tra  il  muro  della  terra  e  li  martiri 

Lo  mio  maestro,  ed  io  dopo  le  spalle. 
)h  virtù  somma,    clie  per  li  empj  giri 

Mi  volvi,  cominciai,  come  a  te  piace. 

Parlami,  e  soddisfammi  ai  miei  desiri! 
ja  gente ,  che  per  li  sepolcri  giace , 

PotreI)hesi  veder.''  già  son  levati 

Tutt'  i  coperchi,  e  nes^un  guardia  face. 
Sd  egli  a  me:  tutti  saran  serrati. 

Quando  di  JnsailVi  qui  torneranno 

Coi  corpi,   che  là  su  hanno  lasciati. 
Suo  cimitero  da  questa  jìarte  hanno 

Con  ICpicuro  tutti  i  suoi  seguaci , 
I    Che  r  anima  col  eorpo  morta  fanno. 
Però  alia  dimanda,  i;he  mi  faci, 

Quinci  entro  satiefatt<)  sarai  tosto, 
I  E  al  disio  ancor,  che  tu  mi  taci. 
Ed  io:  buon  duca,  non  tegno  nascosto 

A  te  mio  cor,  se  non  per  dii;er  poco, 

K  tu  mi  hai  non  pur  ino  a  ciò  disposto. 
Oh  T(»sco,  che  per  la  città  del  foco 

^iv(»  ten  vai,  così  piirlando   onesto, 

Piacciati  di  ristare  in  qun-to  loco! 
La  tua  l(i(|uela  fi  fu  manire>t(» 

Di  quella  nohil  patria  natio. 

Alla  qual  forno  fui  troppo  molesto. 


Subitamente  questo  snono  uscio 

Di  una  delle  arche:  però  mi  accostai, 
Temendo,  un  poco  più  al  duca  mio. 

Ed  ei  mi  disse:  volgiti!  che  fai.'' 
Vedi  là  Farinata,  che  si  è  dritto: 
Dalia  cintola  in  su  tutto  il  vedrai. 

Io  avea  già  il  mio  viso  nel  suo  fitto, 

Ed  ei  si  ergea  col  petto,  e  con  la  fronte, 
Come  avesse  lo  inferno  in  gran  dispitto. 

E  le  animose  man  del  duca,  e  pronte 
3Ii  pinser  tra  le  sepolture  a  lui. 
Dicendo:  le  parole  tue  sien  conte! 

Tosto  che  al  pie  della  sua  tomba  fui , 

Guardommi  un  poco,  e  poi  quasi  sdegnoso 
Mi  dimandò,  chi  fur  li  maggior  tui? 

Io,  eh'  era  di  ubbidir  desideroso, 

Non  li  el  celai,  ma  tutto  li  lo  aper?i: 
Ond'  ei  levò  le  ciglia  un  poco  in  soso. 

Poi  disse:  fieramente  furo  avversi 

A  me,  e  ai  miei  primi,  ed  a  mia  parte, 
Sì  che  per  due  fiate  li  dispersi. 

S'  ei  fur  cacciati,  ei  tornar  da  ogni  parte, 
Risposi  lui,  e  la  una  e  1'  altra  fiata; 
Ma  i  vostri  non  appreser  ben  quell'  arte. 

Allor  surse  alla  vista  scoperchiata 

Una  ombra  lungo  questo  infino  al  mento; 
Credo ,  che  si  era  inginocchion  levata. 

D'  intorno  mi  guardò ,  come  talento 
Avesse  di  veder,  se  altri  era  meco: 
Ma ,  poi  che  il  suspicar  fu  tutto  spento , 

Piangendo  disse:  se  per  questo  cieco 
Carcere  ^  ai  per  altezza  d'  ingegno , 
Mio  figlio  ov'  è,  e  per  che  non  è  teca? 

Ed  io  a  lui:  da  me  stesso  non  regno: 

Colui ,  che  attende  là ,  per  qui  mi  mena , 
Forse  cui  Guido  vostro  ebbe  a  disdegno. 

Le  sue  parole,  e  il  modo  della  pena 
Mi  avevan  di  costui  già  letto  il  nome: 
Però  fu  la  risposta  co^ì  piena. 

Di  subito  drizzato  gridò:  come 

Dicesti  egli  ebbe.*  non  viv'  egli  ancora? 
Non  fiere  li  occhi  suoi  lo  dolce  lome.'' 

Quando  si  accorse  di  alcuna  dimora. 
Che  io  faceva  dinanzi  alla  risposta, 
Supin  ricadde,  e  più  non  parve  fora. 

Ma  quello  altro  magnanimo ,  a  cui  posta 
Ristato  mi  era,  non  mutò  aspetto. 
Nò  mosse  collo,  né  piegò  sua  costa: 

E  se,  continuando  al  primo  detto, 

S'  elli  lian   queir  arte,  disse,  male  appresa. 
Ciò  mi  tormenta  i>iù  ,  che  questo  letto. 

Ma  non  cinquanta  ^olte  fia  raccesa 

La  faccia  della  donna,  che  qui  regge. 
Che  tu  saprai,  (pianto  quell'  arte  pesa. 

E  se  tu  mai  nel  dolce  nioiido  regge. 

Dimmi,  jier  che  quel  popolo  è   sì   empio 
Incontro   ai  miei  in  eia-cuna  >ua  legge? 

Onde  io  a  lui:  lo  ^trazio  ,  e  il  grande  scempio, 
Che  fece  1'  .Arliia  colorata  in  rosso. 
Tale  orazion    fa  lar  nel   nostro  tempio. 

Poi  cir  el)lie  si>-|)irando  il  capo  sro-so, 
A  ciò  non  fu'  io  sol,  di-ise,  né  certo 
Senza  cagion  -arci  con  li  altri  niosso. 

Ma  fu'  io  ì-ol  colà,  dove  solVerlo 

Fu  per  eia-.(un  di  torre  via  Fiorenza, 
('obli,  che  la  dil'isi  a  ^iso  aperto. 

Deh,  bc  riposi  mai  \ostra  semenza, 

2  ♦ 


[23] 


Prega'  io  lui  ,  solvetemi  quel  nodo , 
Che  qui  ha  invilu|)|)ata  mia  sentenza. 

E5  p;ir,  che  voi  veg^giate,  se  ben  odo. 
Dinanzi  quel,  che  il  tempo  seco  adduce, 
E  nel  presente  tenete  altro  modo. 

Noi  reggiam ,  come  quei ,  che  ha  m.ila  luce , 
Le  cose,  di?f-e,  che  ne  son  h)ntano; 
Cotanto  ancor  ne  splende  il  sommo  duce; 

Quando  si  appressano,  o  son,  tutto  è  vano 
Nostro  intelletto,  e  se  altri  non  ci  apporta, 
Nulla  sapem  di  vostro  stato  umano. 

Però  comprender  puoi,  che  tutta  morta 
Fia  nostra  conoscenza  da  quel  punto , 
Che  del  futuro  fia  chiusa  la  porta. 

Allor.  come  di  mia  colpa  compunto, 
Dissi,  or  direte  dunque  a  quel  caduto. 
Che  il  sui>  nato  è  coi  aìvì  ancor  ccingìunto. 

E  se  io  fui  dianzi  alla  risposta  muto, 

Frtt'  ei  saper,  che  il  fei,  per  che  io  pensava 
Già  nello  error,  che  mi  avete  soluto. 

E  già  il  maestro  mio  mi  richiamava: 
Per  che  io  pregai  lo  spirto  più  avaccio 
Che  mi  dicesse ,  chi  con  lui  si  stava. 

Dissemi  :  qui  con  più  di  mille  giaccio  : 
Qua  dentro  è  lo  secondo  Federico, 
E  il  Cardinale,  e  delli  altri  mi  taccio: 

Indi  si  ascose:  ed  io  in  ver  lo  antico 
Poeta  volsi  i  passi ,  ripensando 
A  quel  parlar,  che  mi  parca  nemico. 

El!i  si  mosse,  e  poi  così  andando, 
Mi  disse,  per  che  sei  tu  sì  smarrito? 
Ed  io  li  satisfeci  al  suo  dimando. 

La  mente  tua  conservi  quel,  che  audito 
Hai  contro  te,  mi  comandò  quel  saggio, 
Ed  ora  attendi,  a  cui  dirizzo  il  dito! 

Quando  sarai  dinanzi  al  dolce  raggio 
Di  quella,  il  cui  Iteli'  occhio  tutto  vede, 
Da  lei  sa;nai  di  tua  vita  il  viaggio. 

A  presso  volse  a  man  sinistra  il  piede: 

Lasciunmio  il  muro,  e  gimmo  in  ver  lo  mezzo, 
Per  un  sentier,  che  a  una  valle  fiede , 

Che  in  iin  là  su  face»  spiacer  suo  lezzo. 


INFERNO.      (X.  95—130.  XI.  1—79) 


[24^ 


CANTO     XI. 


ARGOMENTO. 

Anastasio  papa.     Gli  uUimi  tre  ccnhj ,    dclLi   violen- 
za ,  della  franile ,  e  della  usura ,  con  le 
pene  proporzionate. 

In  su  la  c.-tremità  di  un'  alta  ripa, 

Che  fdccvan  gran  pietre  rotte  in  cerchio , 
Teninimo  sopra  più  crudele  ^tipa: 

E  qui\i  per  1'  orriitile  soperchio 

Del  puzzo,  che  il  profondo  abisso  gitta, 
Ci  racco»tammo  dietro  ad  un  copcrcliio 

Di  un  grande  avello,  ove  io  vidi  una  scritta. 
Che  diceva:  Anasta>io  papa  guardo, 
Lo  qiial  trasse  Fotiu  della  via  dritta. 

Lo  nostro  s<(nder  convien  esser  tardo 

Sì ,  «:he  si  ausi  in  prima  un  poco  il  senso 
Al  tritilo  fiato,  e  poi  non  fia  riguardo. 


Cosi  'l  maestro:  ed  io,  alcun  compenso. 
Dissi  lui,  trova,  che  il  temijo  non  pas^i 
Perduto!  ed  egli:  vedi,  che  a  ciò  peusO. 

Figliol  mio,  dentro  da  cote.-ti  sas^i, 
Cominciò  poi  a  dir,  son  tre  cerdiietti 
DI  grado  in  grado ,  come  quei  che  lassi. 

Tutti  son  pien  di  spirti  maledetti  : 

Ma  per  che  poi  ti  basti  pur  la  vista , 
Intendi  come ,  e  per  che  son  costretti. 

Di  ogni  malizia,  che  odio  in  cielo  acquista. 
Ingiuria  è  il  fine,  ed  ogni  fin  cotale 
O  con  forza,  o  con  frode  altrui  contrista. 

Ma  per  che  frode  è  dell'  om  proprio  male, 
Più  spiace  a  dio  :  e  però  stan  di  sotto 
Li  frodolenti ,  e  più  dolor  li  assale. 

Di  violenti  il  primo  cerchio  è  tutto: 
3Ia  per  che  si  fa  forza  a  tre  persone , 
In  tre  gironi  è  distinto ,  e  costrutto. 

A  dio,  a  sé,  al  prossimo  si  puone 

Far  forza,  dico  io  loro,  ed  in  lor  cose, 
Come  udirai  con  aperta  ragione. 

Morte  per  forza  e  ferule  dogliose 

Nel  prossimo  si  danno  ;  e  nel  suo  avere 
Ruine,  incendi  e  toilette  dannose: 

Onde  omicidi,  e  ciascun,  che  mal  fiere. 
Guastatori,  e  predon,  tutti  tormenta 
Lo  girou  primo ,  per  diverse  schiere. 

Puotc  omo  avere  in  sé  man  violenta 
E  nei  suoi  beni  :  e  però  nel  secondo 
Giron  convien  che  sanza  [irò  si  penta 

Qualunque  priva  sé  del  vostro  mondo. 
Biscazza,  e  fonde  la  sua  facoltade, 
E  piange  là,  dov'  esser  dee  giocondo. 

Puossi  far  forza  nella  deitadc, 

Col  cor  negando,  e  bestemmiando  quella, 
E  spregiando  natura,  e  sua  boutade: 

E  però  lo  minor  giron  suggella 

Del  segno  suo  e  Sodoma,  e  Caorsa, 
E  chi ,  spregiando  dìo ,  col  cor  favella. 

La  frode,  onde  ogni  coscienza  è  morsa, 
Prìò  r  omo  usare  in  colui,  che  in  lui  fida, 
Ed  in  quel,  ch€  fidanza  non  imborsa. 

Questo  modo  di  retro  par  che  incida 
Pur  lo  vincol  di  amor,  che  fa  natura; 
Onde  nel  cerchio  secondo  si  annida 

Ipocrisia,  lusinghe,  e  chi  ailattura, 
Falsità,  ladroneccio,  e  simonia, 
Rufl'ian,  baratti,  e  slmile  lordura. 

Per  lo  altro  modo  quello  amor  si  obblìa. 
Che  fa  natura,  e  quel,  eh'  è  poi  aggiunto, 
Di  che  la  fede  speziai  si  cria: 

Onde  nel  cerchio  mincu'e,  ov'  è  il  punto 
Dello  universo,  in  su  che  Dite  siede, 
Qualunque  tradc,  in  eterno  è  consunto. 

Ed  io  :    maestro ,  assai  chiara  procede 
La  tua  ragione ,  ed  assai  ben  distingue 
Questo  baratro,  e  il  popol,  clie  possedè. 

Ma  diauni  :  quei  della  palude  pingue, 

Che  mena  il  vento,  e  che  batte  la  pioggia, 
E  che  8'  iuconlran  con  ^ì  as[)re  lingue. 

Per  che  non  dentro  della  città  roggia 
Sou  ci  puniti,  se  dio  li  ha  in  iraP 
E  se  non  li  ha,  per  che  sono  a  tal  foggia? 

Ed  egli  a  me:  per  che  tanto  delira, 

Disse,  lo  ingegno  ttu»  da  qtud  eh'  ei  suole? 
Ovvcr  la  iiujote  dove  altrove  mira? 

Aon  ti  rimembra  di  quelle  parole, 


25] 


INFERNO.      (XI.  80— 115.  Xn.  1—84) 


Citn  le  quai  la  tua  Etica  pertratta 
Le  tre  di^posizioii,  che  il  elei  non  vole, 
|nrontin«ii'/,a,  malizili,  e  la  matta 
I  }Je.<ti:i!it;i.i<'?  e  come  incontinenza 

Alea  ilio  ofTende,  e  raen  liasinio  accatta? 
le  tu  riguardi  ben  questa  sentenza, 
E  rechiti  alla  mente,  chi  son  quelli. 
Che  su  di  for  sostengon  penitenza , 
'u  vedrai  ben  ,  per  che  da  questi  felli 
Sien  dipartiti,  e  per  che  men  crucciata 
La  divina  vendetta  li  martelli. 
Ih  sol,  che  sani  ogni  vista  turbata, 
Tu  mi  contenti  sì ,  quando  tu  solvi , 
Che  non  men,  che  saver,  dubbiar  mi  aggrata. 
Incora  un  j)oco  indietro  ti  rivolvi , 
Diss'  io,  là  dove  di',  che  usura  offende 
La  divina  boutade,  e  il  groppo  svolvi! 
''itosofìa,  mi  disse,   a  cui  la  intende, 
JVota ,  non  pure  in  una  sola  parte , 
Come  natura  lo  suo  corso  prende 
)al  divino  intelletto,  e  da  sua  arte; 
E  s<!  tu  ben  la  tua  Fisica  note. 
Tu  troverai  non  doi)o  molte  carte, 
)he  r  arte  vostra  quella,  quanto  puote, 
Segue,  come  il  maestro  fa  il  discente; 
Si  che  vostr'  arte  a  dio  quasi  è  nipote. 
)a  queste  due,  se  ti  rechi  a  mente 
Lo  Genesi  dal  principio,  conviene 
Prender  sua  vita,  ed  avanzar  la  gente, 
S  per  che  lo  usurierc  altra  via  tiene. 
Per  sé  natura ,  e  per  la  sua  seguace 
Dispregia,  poi  che  in  altro  pon  la  spene. 
Ma  seguimi  oramai,  che  il  gir  mi  piace: 
Che  i  Pesci  guizzan  su  per  1'  orizzonta  , 
E  il  Carro  tutto  sovra  il   Coro  giace, 
|S  il  balzo  via  là  oltra  si  dismonta. 


[26] 


CANTO    XII. 


yfRGOMEMO. 

Settimo    ccrcliio    in    tre   {gironi   distinio.      Minotauro, 

Girone  primo:   violenti  vonlra  il  prossimo,  im- 

viersi  in  fiume  di  sangue  ùollenlc. 

Era  lo  loco ,    ove  a  scender  la  riva 

Venimmo,  alpestro,  e  per  quel  che  ivi  cr'  anco. 
Tal,  che  ogni  vista  n;;  sarcidie  schiva. 

Qual  è  quella  mina,  clu;  nel  riuiu;(> 
l>i  qua  da  'l'rcnto  T  Adice  percosse, 
0   per  tremoto,  o  per  so.>lcgno  manco: 

CIk;  da  cima  ilei  m«nt<;,  onde  si  mosse, 
-Al  piano  è  si  la  roc-iii  (lisro>:c('sa, 
Che  alcuna  via  diireltlie  a  chi  su  fusso: 

Colai  di  quel  btirrato  era  la  scesa: 
E  in  su  la  punta  delia  rotta  lacca 
La  infamia  di   Crcti  era  di.-<tesa, 

Che  fu  cornetta  nella  falsa  vacca: 
E  <|ii;iiido  vide  noi,  t>«!  hfesso  mnroc, 
Sì   ««une  qn«i  ,  rui   la  ira  dentro  aniacca. 

Lo  Ka\io  mio  in  ver  Ini  gridò:   forse 
Tu  credi,  che  qui  t,ia  il  duca  dì  Atene, 


Clie  su  nel  mondo  la  morte  fi  porse? 
Partiti,  bestia!  che  questi  non  viene 
Ammaestrato  dalla  tua  sorella. 
Ma  vassi  per  veder  le  vostre  pene. 
Qual  è  quel  toro,  che  si  slaccia  in  quella, 
Che  ha  ricevuto  già  il  colpo  mortale, 
Che  gir  non  sa,  ma  qua  e  là  saltella, 
Md'  io  lo  Minotauro  far  cotale. 

E  quelli  accorto  gridò:  corri  al.  varco! 
Mentre  che  infuria,  è  buon  che  tu  ti  cale. 
Così  prendemmo  via  giù  per  lo  scarco 
Di  quelle  pietre,  che  spesso  moviensi. 
Sotto  i  miei  piedi  per  lo  novo  carco. 
Io  già  pensando;  e  quei  disse:  tu  pensi 
Forse  a  questa  rovina,  eh'  è  guardata 
Da  quella  ira  bestiai,  che  io  ora  spensi. 
Or  vo'  che  sappi ,  che  1'  altra  fiata , 

Che  io  discesi  qua  giù  nel  basso  inferno. 
Questa  roccia  non  era  ancor  cascata. 
Ma  certo  poco  pria,  se  ben  discerno. 
Che  venisse  colui,  che  la  gran  preda 
Levò  a  Dite  del  cerchio  superno, 
jDa  tutte  parti  1'  alta  valle  feda 
I      Tremò  sì,  che  io  pensai,  che  lo  universo 
I      Sentisse  amor,  per  lo  quale  è  chi  creda 
I  Più  volte  il  mondo  in  Caos  converso  : 
I      Ed  in  quel  punto  questa  vecchia  roccia 

Qui,  ed  altrove  tal  fece  riverso. 
Ma  ficca  li  occhi  a  valle,  che  si  approccia 
La  riviera  del  sangue,   in  la  qual  bolle 
Qual,    che  per  violenza  in  altrui  noccia. 
Oh  cieca  cupidigia  e  dira  e  folle, 
Che  sì  ci  sproni  nella  vita  corta, 
E  nella  eterna  poi  sì  mal  e'  immollc  ! 
Io  vidi  un'  ampia  fos>ui  in  arco  torta. 

Come  quella,  che  tutto  il  piano  abbraccia, 
Secondo  che  avea  detto  la  mia  scorta  : 
E  tra  il  piò  della  ripa  ed  essa,  in  traccia 
Correa  centauri  armati  di  saette, 
Come  solén  nel  mondo  andare  a  caccia. 
Vedendoci  calar,  ciascun  ristette, 
E  della  schiera  tre  si  dipartirò 
Con  archi ,  ed  asticciuole  priuui  elette. 
E  lo   un  gridò  da  lungi:  a  qual  nnutiio 
"\enite  voi,  «he  scendete  la  costa? 
Ditel  costituii!  se  non,  lo  arco  tiro. 
Lo  mio  maestro  disse;  la  risposta 
F.irem  noi  a  Chiròn  costà  di  presso: 
Mal  fu  la  voglia  tua  sempre  sì  tosta- 
Poi  mi  t;ntò,  e  disse:  quelli  è  Nesso, 
Che  mori  per  la  bella  Deianira, 
E  fé"  di  sé  la  vendetta  elli  stesso. 
E  onci  di  mezzo,  che  al  petto  si  mira, 
E  il  gran  durone,   il  qual  niulrì  Arbiile: 
Qinllo  altro  è  Folo ,  che  fu  ti  pien  d"  ira. 
Dintonu»  al  fosso  vanno  a  mille  a  mille, 
Saettando  quale  anima   si  snello 
Del  sangue  più  ,  che  Mia  colpa  sorlille. 
Koi  <i  appressanuno   a   quelle  fiere  snelle: 
(liiròn   prese  uno  strali-,   e  etui  la  cocca 
Feie  la    barba  indietro  alle  mascelle. 
Quando  si  eblie  s(o|ierfn  la  gran   hocea, 
I)is»e  ai  eoiu|):igni:  Kiete  voi  accorti, 
(/'Ile  quel   di   rirlro  luovc  ciò,   eh'  ei  tor^'a? 
Cosi  non  sogiiiui  f.ire  i   pie  dei  morii. 

E  il  mio  buon  duca,   che  già  li  er'  al  petto, 
Ove  le  due  nature  huu  couburti , 


[21] 


INFERNO.       (Xn.  85—139.  XIII.  1—69) 


[28] 


llìspose:  Itcn  è  vivo,  e  si  soletto 
IMostiarli  ini  convien  la  valle  Ituja; 
Necessità  il  e'  induce,  e  non  diletto. 

Tal  si  parti  da  cantare  alleliija , 

Che  mi  coinmisie  questo   uficio  novo; 
Non  è  ladron,  nò  io  anima  fuja. 

Ma  per  quella  virtù ,  per  cui  io  movo 
Li  passi  miei  per  sì  selvaggia  strada. 
Danne  un  dei  tuoi,  a  cui  noi  siamo  a  provo, 

E  che  ne  mo.-tri  là  dove  si  guada, 
E  che  porti  costui  in  su  la  groppa! 
Che  non  è  spirto ,  che  per  lo  acre  vada. 

Chiròn  si  volse  in  su  la  destra  poppa, 
E  disse  a  Nesso:  torna,  e  sì  li  guida, 
E  fa  cansar,  se  altra  schiera  v'  intoppa! 

Noi  ci  movemmo  con  la  scorta  fida 
Lungo   la  proda  del  hoUor  vermiglio, 
Ove  i  holliti  facén  acri  strida. 

Io  vidi  gente  sotto  infino  al  ciglio, 

E  il  gran  centauro  disse:  ei  son  tiranni, 
Che  dièr  nel  sangue,  e  nello  aver  di  piglio. 

Qui\i  si  piangon  li  spietati  danni: 
Quivi  è  Alessandro,  e  Dionisio  fero, 
Che  fé'   Cicilia  aver  dolorosi  anni. 

E  quella  fronte,  che  ha  il  pel  così  nero, 
È  Azzolino,  e  quello  altro,  eh'  é  biondo, 
È  Obizzo  da  Esti,  il  qual  per  vero 

Fu  spento  dal  figliastro  su  nel  mondo. 
AUor  mi  volsi  al  poeta,  e  quei  disse: 
Questi  ti  sia  or  primo ,  ed  io  secondo  ! 

Poco  più  oltre  il  centauro  si  affisse 
Sovra  una  gente,  che  infino  alla  gola 
Parca  che  di  quel  bulicame  uscisse. 

Mostrocci  una  ombra  dallo  un  canto  sola, 
Dicendo:  colui  fesse  in  grembo  a  dio 
Lo  cor,  che  in  su  Tamigi  ancor  si  cola. 

Poi  vidi  genti,  che  di  for  del  rio 

Tenean  la  testa,  ed  ancor  tutto  il  casso; 
E  di  costoro  assai  riconobb'  io. 

Così  a  più  a  più  si  facea  basso 

Quel  sangue  sì,  che  cocea  pur  li  piedi: 
E  quivi  fu  del  fosso  il  nostro  passo. 

Si  come  tu  da  questa  parte  vedi 
Lo  bulicame,  che  sempre  si  scema. 
Disse  il  centauro,  voglio  che  tu  credi. 

Che  da  quest'  altr"  a  più  a  più  giù  prema 
11  fondo  suo,  infin  eh'  ei  si  raggiunge 
Ove  la  tirannia  convien  che  gema. 
La  divina  giustizia  di  qua  punge 

Quello  Attila,  che  fu  flagello  in  terra, 
E  Pirro,  e  Sesto,  ed  in  eterno  munge 
Le  lagrime,  che  col  bollor  disserra 
A  ìiinicr  da  Corneto  ,  a  Uinicr  Pazzo, 
Che  fecero  alle  strade  tanta  guerra. 
Poi  si  rivolse,  e  ripassoesi  '1  guazzo. 


CANTO    XIII. 


ARGOMENTO. 

Secondo  girone  del  settimo  cerchio:  violenti  contro 
stessi,    C(nif:i(iti  in  alberi,  e  tormentali  dulie 
Jrpic.     Pier  delle   1  ij^nc. 

Non  er'  ancor  di  là  Nesso  arrivato, 
Quando  noi  ti  mettemmo  per  un  bosco. 


Che  ila  neun  sentiero  era  segnato. 
Non  fronde  verdi,  ma  di  color  fosco. 
Non  rami  schietti,  ma  nodosi  e  involti. 
Non  pomi  vi  eran  ,  ma  stecchi  con  tosco, 
Non  han  sì  aspri  sterpi ,  né  sì  folti 

Quelle  fiere  selvagge,  che  in  odio  hanno 
Tra  Cecina  e  Corneto  i  loghi  colti. 
Quivi  le  brutte  Arpie  lor  nidi  fanno, 
Che  cacciar  delle  Strofade  i  Trojan! , 
Con  tristo  annunzio  di  futuro  danno. 
Ale  hanno  late,  e  colli,  e  visi  umani, 
Pie  con  artigli,  e  pennuto  il  gran  ventre: 
Fanno  lamenti  in  su  li  alberi  strani. 
E  il  bon  maestro:  prima  che  più  entre, 
Sappi,  che  sei  nel  secondo  girone. 
Mi  cominciò  a  dire,  e  sarai,  mentre 
Che  su  verrai  nell'  orribil  sabbione. 
Però  riguarda  ben,  se  tu  vedrai 
Cose,  che  torrien  fede  al  mio  sermone. 
Io  sentia  da  ogni  parte  tragger  guai , 
E  non  vedea  perdona  che  il  facesse: 
Per  che  io  tutto  smarrito  mi  arrestai. 
Io  credo  ,  eh'  ei  credette ,  che  io  credesse. 
Che  tante  voci  uscisser  tra  quei  bronchi 
Da  gente,  che  per  noi  si  nascondesse: 
Però,  disse  il  maestro,  se  tu  tronchi 

Qualche  fraschetta  di  ima  di  este  piante. 
Li  pensier,  che  hai,  si  faran  tutti  monchi,   i- 
Allor  porsi  la  mano  un  poco  avante, 
E  colsi  un  ramicello  da  un  gran  pruno, 
E  il  tronco  suo  gridò  :  per  che  mi  schiante  ? 
Da  che  fatto  fu  poi  di  sangue  bruno. 
Ricominciò  a  gridar:  per  che  mi  scerpi? 
Non  hai  tu  spirto  di  pietate  alcuno? 
Omini  fummo ,  or  siamo  fatti  sterpi  ; 
ììen  dovrebb'  esser  la  tua  man  più  pia. 
Se  state  fossimo  anime  di  serpi. 
Come  di  un  stizzo  verde,  che  arso  sia 
Dallo  un  dei  capi,  che  dallo  altro  geme, 
E  cigola  per  vento  che  va  via, 
Sì  della  scheggia  rotta  usciéno  insieme 
Parole  e  sangue:  onde  io  lasciai  la  cima 
Cadere,  e  stetti  come  1'  om  che  teme. 
S'  elli  avesse  potuto  creder  prima , 
Rispose  il  sa^io  mio,  anima  lesa. 
Ciò  che  ha  veduto  pur  con  la  mia  rima. 
Non  averebbe  in  te  la  man  distesa: 
Ma  la  cosa  incredibile  mi  fece 
Indurlo  ad  opra,  che  a  me  stesso  pesa. 
Ma  dilli,  chi  tu  fosti,  si  che  in  vece 
Di  alcuna  ammenda  tua  fama  rinfreschi 
Nel  mondo  su ,  dove  tornar  li  lece. 
E  il  tronco:  si  col  dolce  dir  mi  adeschi, 
Che  io  non  posso  tacere  ;  e  voi  non  gravi 
Per  che  io  un  poco  a  ragionar  m'  inveschi! 
Io  son  colui,  che  tenni  ambo  le  chiavi 
Del  cuor  di  Federigo ,   e  che  le  volsi 
Serrando  e  disserrando  sì  soiivi , 
Che  dal  segreto  suo  quasi  ogni  om  tolsi  : 
Fede  portai  al  glorioso  uffizio. 
Tanto  che  io  ne  perdei  li  sensi  e  i  polsi. 
5(5  La  meretrice,  che  mai  dall'  ospizio 
Di  (ycsare  non  torse  li  occhi  putti , 
IVlorte  comune,  e  delle  corti  vizio, 
Infiammò  contra  me  li  animi  tutti, 

E  r  iiinauimati  infianunàr  sì  1'  Augusto 
Che  i  lieti  onor  toriiaro  in  tristi  lutti. 


;2i)] 


INFERNO.     (XIII.  70—151.  XIV.  1—39) 


[30], 


jO  animo  mio  per  disdegnoso  >?usto, 

Credendo  col  morir  fuggir  disdegno. 

Ingiusto  fece  me  contra  me  giusto. 
'er  le  nove  radici  di  esto  legno 

Vi  giuro ,  che  giammai  non  ruppi  fede 

Al  mio  signor,  clic  fu  di  onor  si  degno. 

se  di  voi  alcun  nel  mondo  riede, 

Conforti  la  memoria  mia,  che  giace 

Ancor  del  colpo ,  che  invidia  le  diede  ! 
In  poco  attese,  e  poi:  da  eh'  ei  si  face. 

Disse  il  poeta  a  me,  non  perder  la  ora. 

Ma  parla,  e  chiedi  a  lui,  se  più  ti  piace! 
>nde  io  a  lui;  dimandai  tu  ancora 

Di  quel,  che  credi,  che  a  me  satisfaccia! 

Che  io  non  potrei,  tanta  pietà  mi  accora, 
ero  ricominciò:   se  1'  om  ti  faccia 

Liberamente  ciò,  che  il  tuo  dir  prega. 

Spirito  incarcerato ,  ancor  ti  piaccia 
>i  dirne,  come  l'  anima  si  lega  ^  A. 

In  questi  nocchi:  e  dinne,  se  tu  puoi, /vn*11^i",  ulti 

Se  alcuna  mai  da  tai  membra  si  spiega  !{.^pl;t«o«, 
Jlor  soffiò  lo  tronco  forte,  e  poi 

SI  convertì  quel  vento  in  cotal  voce: 

Brevemente  sarà  risposto  a  voi. 
|aando  si  parte  1'  anima  feroce 

Dal  corpo,  ond'  ella  stessa  si  è  dlsvelta, 

Minòs  la  manda  alla  settima  foce, 
!ade  in  la  selva,  e  non  l'  è  parte  scelta, 

Ma  là  dove  fortuna  la  balestra,       -      n 

Quivi  germoglia,  come  gran  di  spelta, 
urge  in  vermena,  ed  in  pianta  silvestra. 

Le  Arpie,  pascendo  poi  delle  sue  foglie, 

Fanno  dolore,  ed  al  dolor  finestra. 
!ome  le  altre,  verrem  per  nostre  spoglie, 

Ma  non  però  che  alcuna  sen  rivesta: 

Che  non  è  giusto  aver  ciò,  che  ora  si  toglie. 


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lui  le  strascineremo ,  e  per  la  mesta 

Selva  saranno  i  nostri  corpi  appesi, 

Ciascun  al  prun  delia  ombra  sua  molesta, 
[ci  eravamo  ancora  al  tronco  attesi, 

Credendo  che  altro  ne  volesse  dire. 

Quando  noi  fummo  da  un  romor  sorpresi, 
ilmilemcnte  a  colui,  che  venire 

Sente  il  porco  e  la  caccia  itila  sua  posta, 

Che  ode  le  bestie  e  le  fras<;he  stormire. 
!d  ecco  due  dalla  sinistra  costa 

Nudi  e  grafllati,  fuggendo  si  forte, 

Che  della  selva  rompién  ogni  rosta,      .t-.kvi ,  ntJtt 
Juel  dinanzi:  or  accorri,  accorri,  morte! 

E  lo  altro,  a  cui  pareva  tardar  troppo, 

Gridava:  Lano,  sì  non  furo   accorto 
iC  g.imbe  tue  alle  giostre  del  Toppo: 

E  poi  che  forse  li  fallia  la  lena, 

Di  sé  e  di  un  cespuglio  fece  mi  groppo, 
lirietro  a  loro  era  la  selva  piena 

Di  nere  cagne  bramose,  e  correnti,        .-■- 

Come  veltri,  che  uscisser  di  catena, 

Bn  quel,  che  si  appiattò,  niiser  li  denti," 
K  quel  dilaceraro  a  brani»  a  brano , 
Poi  sen  \>orliir  (|U(llo  membra  dol(;nti. 
resemi  allor  la  mìa  scorta  per  mano , 
E  inenommi  al  cespuglio,  che  piangea, 
Per  le  rotture  saiiguin«-nti ,  invano. 
)h  Jacopo,  dicea ,  da  ^anto  Andrea, 
Che  ti  è  giiivato  dì  me  fare  schermo? 
Che  colpa  ho  io  della  tua  vita  rea? 
)aando  il  maestro  fu  sovra  caso  fermo. 


,.t,.,r* 


Disse:  chi  fusti,  che  per  tante  punte 
Soffi  con  sangue  doloroso  sermo  ? 

E  quelli  a  noi:  oh  anime,  che  giunte 
Siete  a  veder  lo  strazio  disonesto. 
Che  ha  le  mie  frondi  sì  da  me  disgiunte, 

Raccoglietele  al  pie  del  tristo  cesto! 
Io  fui  della  città  ,    che  nel  Battista 
Mutò  il  primo  padrone:  ond'  ei  per  questo 

Sempre  con  1'  arte  sua  la  farà  trista  ; 

E  se  non  fosse,  che  in  sul  passo  di  Amo 
Rimane  ancor  di  lui  alcuna  vista. 

Quei  cittadin,  che  poi  la  rifondarno 
Sovra  il  cener  che  di  Attila  rimase, 
Avrebber  fatto  lavorare  indarno. 

Io  fei  gibetti  a  me  delle  mie  case.   jA^ 


CANTO     XIV, 


ARGOMENTO. 

Terzo  girone  del  scit!mo  cerchio  :  violenti  contro  dio, 
natura  ed  arte,  esposti  ad  una  piop^^ia  di  fuoco. 
j  Capaneo.     Tempo.     Sorgente  t/e' 

fiumi  infernali. 

Poi  che  la  carità  del  natio  loco 
j     Mi  strinse,  radunai  le  fronde  sparte, 
'     E  rendèle  a  colui ,  eh'  era  già  fioco. 
Indi  venimmo  al  fine,  onde  si  parte 
I      Lo  secondo  giron   dal  terzo,  e  dovo 
I      Si  vede  di  giustizia  orribil  arte. 
A  hen  manifestar  le  cose  nove 
j     Dico,  che  arrivammo  ad  una  landa, 
I     Che  dal  suo  letto  ogni  pianta  rimove. 
jLa  dolorosa  selva  1'  è  ghirlanda 

Intorno ,  come  il  fosso  tristo  ad  essa  : 
I     Quivi  fermammo  i  piedi  a  randa  a  randa. 
;Lo  spazzo  era  »m'  arena  arida  e  spessa, 
I      Non  di  altra  foggia  fatta,  che  colei, 
I      Che  dai  pici   di  Caton  fu  già  soppressa. 
Oh  vendetta  di  dio,  quanto  tu  dei 
j      Esser  temuta  da  ciascun,  che  legge 
I      Ciò  che  fu  manifesto  alti  occhi  miei! 
jDi  anime  nude  vidi  molte  gregge. 

Che  piangean  tutte  assai  miseramente, 
I      E  parca  posta  lor  diversa  legge. 
Supin  giaceva  in  terra  alcuna  gente; 

Alcuna  si  sedea  tutta  raccolta  ; 

Ed  altra  andava  continuamente. 
Quella,  che  giva  intorno,  era  più  molta, 

E  quella  uno,  che  giaceva  al  tormento; 

Ma  più  al  duolo  a^ea  la  linirua  sciolta. 
Sovra  tutto  il  sal)binn  dì  un  «ader  lento 

Piovén   di   foro  dilatale  falde,  ^UXT 

Conu-  di  neve  in   alpe  senza  <entn. 
Quali   Alessandro  in  i|o«lle  parti  caldo 

D'India  \'nU'  sima   lo  suo  stuolo 

riaunne  caderr-  inlino  a  (i-rra  salde  ; 
Per   cir  ei  pro>M<le  a   scalpitar  lo  snolo 

Con  le  sue  s«biere,   perciò   che  il  vapore 

Mei  si  slingueva  ,  mentre  eh'  era  solo  ; 
Tale  scenile\a  lo  eternale  ardore, 

Onde  r  arena  si  accendea   com'  esca 

Sotto  il  focile  a  raddoppiar  dolore. 


[31]_ 


INFERNO.      (XIV.  40—142.  XV.  1—18) 


[32] 


Senza  riposo  mai  era  la  tresca 
Dello  misere  mani ,  or  quindi ,  or  quinci 
Iscotendo  da  sé  I'  ardiira  fresca. 

Io  cominciai  :  maestro  ,   tu  ,   che  \inci 
Tutte  le  cose,   for  che  i  dimon   duri. 
Che  allo  entrar  della  porta  incontro  uscinci,' 

Chi  è  quel  grande ,  che  non  par  che  curi 
Lo  incendio ,  e  giace  dispettoso  e  torto 
Si  che  la  pioggia  non  par  che  il  marturi  ? 

E  quel  raedesmo ,  che  si  fiie  accorto , 
Che  io  dimandava  il  mio  duca  di  lui , 
Gridò:  quale  io  fui  rivo,  tal  son  morto. 

Se  Giove  stanchi  il  suo  fabbro ,  da  cui 
Crucciato  pr-se  la  folgore  acuta, 
Onde  lo  ultimo  tU  percosso  fui, 

O  s'  elli  stanchi  li  altri  a  muta  a  muta 
In  >Iongibcllo  alla  fucina  negra, 
Gridando:  buon  Vulcano,  ajuta,  ajuta  ! 

Sì  com'  el  fece  alla  pugna  di  Flegra , 
E  me  saetti  di  tutta  sua  forza, 
Non  ne  potrebbe  aver  vendetta  allegra. 

Allora  il  duca  mio  parlò  di  forza. 

Tanto ,  che  io  non  lo  avea  si  forte  udito  : 
Oh  Capanco,  in  ciò,  che  non  si  ammorza 

La  tua  superbia,  sei  tu  qui  punito. 
Nullo  mnrtiro ,  for  che  la  tua  rabbia, 
Farebbe  al  tuo  furor  dolor  compito. 

Poi  si  rivolse  a  me  con  miglior  labbia, 
Dicendo  :  quel  fu  lo  un  dei  sette  regi , 
Che  assiser  Tebe,  ed  el»be,  e  par  eh'  egli  a!)bia 

Dio  in  disdegno ,  e  poco  par  che  il  pregi. 
Ma,  come  io  dissi  lui,  li  suoi  dispetti 
Sono  al  suo  petto  assai  debiti  fregi. 

Or  mi  vien  dietro,  e  guarda  che  non  metti 
Ancor  li  piedi  ncll'  arena  arsiccia , 
Ma  sempre  al  bosco  li  ritieni  stretti! 

Tacendo  divenimmo  là  ove  spiccia 
For  della  selva  un  picciol  fiumicello, 
Lo  cui  rossore  ancor  mi  racrnpriccia. 

Quale  del  bulicame  esce  ruscello, 
Che  parton  poi  tra  lor  le  peccatrici , 
Tal  per  l'  arena  giù  ^cn  giva  quello. 

Lo  fondo  suo ,  ed  i'.uilio  le  pc-ndici 

Fatt'  eran  pietra,  e  i  margini  da  lato: 

Per  che  io  mi  accorai,  che  il  passo  era  liti. 

Tra  tutto  lo  altro,  che  io  ti  ho  dimostrato. 
Poscia  che  noi  entriimmo  per  la  porta , 
Lo  cui  sogUare  a  nessuno  è  negato. 

Cosa  non  fu  dalli  tuoi  occhi  scorta 
Notabile ,  com'  è  il  presente  rio , 
Che  sopra  se  tutte  fiammelle  ammorta. 

Queste  parole  fur  del  d*ica  mio  : 

Per  che  io  pregai,  che  mi  largisse  il  pa?to. 
Di  cui  largito  mi  ave\a  il  di>io, 

In  mezzo  il  mar  siede  un  paese  guasto, 
Diss'  egli  allora,  che  si  appella  Creta, 
Sotto  il  cui  rcge  fu  gi.à  il  mondo  casto. 

Una  montagna  vi  è,  che  già  fu  lieta 

Di  acqua ,  e  di  fronde  ,  die  si  chiamò  Ii'a , 
Ora  è  diserta ,  come  cosa  vieta. 

Rea  la  Mxlse  già  per  cuna  fula 

Del  suo  figliolo,  e,  per  celarlo  meglio. 
Quando  |>iangea,  vi  facea  far  le  grida. 

Dentro  dal  monte  sta  dritto  un  gran  veglio. 
Che  ticn  volte  le  spalle  inver  Uamiata, 
E  Roma  guarda  i-ì  come  suo  speglio. 
La  sua  tcbta  ù  di  fin'  uro  formata, 


E  puro  argento  son  le  braccia  e  il  petto, 
Poi  è  di  rame  infìno  alla  inforcata: 

Da  indi  'ngiuso  è  tutto  ferro  eletto, 

Salvo  che  il  destro  piede  è  terra  cotta, 

E  sta  in  su  quel,  più  clie  in  su  lo  altro  eretto. 

Ciascuna  parte ,  for  che  1'  oro ,  è  rotta 
Da  uni  fe>sura,  che  lacrlir?e  goccia, 
Le  quali  accolte  foran  quella  grotta. 

Lor  corso  in  questa  valle  si  diroccia: 
Fanno  Acheronte,  Stige,  e  Flegetonta: 
Poi  sen  van  giù  per  questa  stretta  doccia 

Infin  là  ,  ove  più  non  si  dismonta , 

Fanno  Cocito,  e  qual  sia  quello  stagno. 
Tu  lo  vedrai,  però  qui  non  si  conta. 

Ed  io  a  lui  :  se  il  presente  rigagno 
Si  deriva  così  dal  nostro  iiuiudo , 
Per  che  ci  appar  pure  a  questo  vivagno? 

Ed  egli  a  me:  tu  sai,  che  il  loco  è  tondo, 
E  tutto  che  tu  sii  venuto  molto 
Più  a  sinistra  giù  calando  al  fondo , 

Non  sei  ancor  per  tutto  il  cerchio  volto. 
Per  che,  se  cosa  ne  apparisce  nova, 
Non  dee  addur  maraviglia  al  tuo  volto. 

Ed  io  ancor  :  maestro ,  ove  si  trova 
Flegetonte,  e  Lete,  che  dello  un  taci, 
E  lo  altro  di'  che  si  fa  di  està  piova? 

In  tutte  tue  question  certo  mi  piaci , 
Rispose:  ma  il  bollor  dell'  acqua  rossa 
Dovea  ben  solver  la  una,  che  tu  faci. 

Lete  vedrai ,  ma  for  di  questa  fossa , 
Là  dove  vanno  le  anime  a  lavarsi. 
Quando  la  colpa  pentuta  è  rimossa. 

Poi  disse:  ornai  è  tempo  da  scostarsi 
Dal  bosco:   fa  che  di  retro  a  me  vegne! 
Li  margini  fan  via,  che  non  son  arsi, 

E  sopra  lor  ogni  vapor  si  spegne. 


CANTO     XV. 


ARGOMENTO. 

Violenti  contro  natura.     Brunetto  Latini,  maestro  di 
D. ,  gli  predice  il  suo  esilio. 

Ora  cen  porta  lo  un  dei  duri  margini, 
E  il  fummo  del  ruscel  di  sopra  aduggìa 
Si,  che  dal  foco  salva  1'  acqua,  e  li  argini. 
Quale  i  Fiamniinglii  tra  Guzzante  e  Bruggia, 

Temendo  il  fiotto,  che  in  ver  lor  si  avventa, 
I      Fanno  Io  scheruu»,  per  che  il  mar  si  fuggia. 
E  quale  i  l'adovan  lungo  la  Hrenta, 
I      Per  difender  lor  ville,  e  lor  castelli, 
j      Anzi  che  Chiarentana  il  caldo  senta; 
jA  tale  imagine  eran  fatti  quelli. 

Tutto  che  né  sì  alti,  nò  sì  grossi, 
'      Qual  che  si  fosse,  lo  maestro  felli. 
,  Già  cravam  dalla  selva  rimossi 
I      Tanto,  che  io  non  a^rei  visto,  dov'  era, 
I      Per  che  io  indietro  rivolto  mi  fossi , 
Quando  incontrammo  di  anime  una  schiera, 
j      Che  venia  lungo  lo  argine,  e  ciascuna 
1      Ci  riguardava,  come  suol  da  sera 


JS] 


INFERNO.    (XV.  1&— 124.  X\1. 1— 15) 


[34] 


iiaidar  lo  un  lo  altro  sotto  nova  luna; 
E  ȓ  ver  noi  aguzzavan  le  ciglia, 
Come  vecchio  sartor  fa  nella  cruna. 
ofi  adocchiato  da  cotdl  famiglia. 
Fui  conosciuto  da  un ,  che  mi  prese 
Per  lo  lembo,  e  gridò:  qual  maraviglia? 
d  io,  quando  il  suo  braccio  a  me  distese, 
Ficcai  li  occhi  per  lo  cotto  aspetto, 
Si  che  il  viso  abbruciato  non  difese 
5  conoscenza  sua  al  mio  intelletto  : 
E  cliinando  la  mia  alla  sua  faccia , 
Risposi  :  siete  voi  qui,  ser  Brunetto? 
quelli:  oh  figliol  mio,  non  ti  dispiaccia, 
Se  Brunetto  Latini  un  poco  teco 
Ritorna  in  dietro,  e  lascia  'ndar  la  traccia! 
i'i:iji  lui:  quanto  posso,  ven  preco  : 
E  se  volete,  che  con  voi  mi  asseggia, 
Farol,  se  piace  a  costui,  che  vo  seco, 
h  ilgliol,  disse,  qual  di  questa  greggia 
Si  arresta  punto ,  giace  poi  cento  anni    v.l.  U' 
Senza  arrostarsi,  quando  il  foco  il  feggia^ 
ero  va  oltre  !  io  ti  verrò  ai  panni , 
E  poi  rigiugnerò  la  mia  masnada. 
Che  va  piangendo  i  suoi  eterni  danni. 
I  non  osava  scender  della  strada 
Per  andar  par  di  lui;  ma  il  capo  chino 
Tenea,    come  om  che  riverente  vada, 
i  cominciò  :  qual  fortuna ,  o  destino 
Anzi  lo  ultimo  dì  qua  giù  ti  mena? 
E  chi  è  questi  che  mostra  il  cammino? 
^  su  di  sopra  in  la  vita  sei^ena, 
Rispos'  io  lui,  mi  smarrii  in  una  valle, 
Avanti  che  la  età  mia  fosse  piena. 
ar  jer  mattina  le  volsi  le  spalle: 
Questi  mi  apparve ,  tornando  io  in  quella , 
E  riducerai  a  ca  per  questo  calle, 
d  elli  a  me:  se  tu  segui  tua  stella, 
Non  puoi  fallire  a  glorioso  porto, 
Se  ben  mi  accorsi  nella  vita  bella, 
se  io  non  fossi  si  per  tempo  morto, 
Veggendo  il  cielo  a  te  cosi  benigno, 
Dato  ti  avrei  alla  opera  conforto. 
[a  quello  ingrato  popolo  maligno , 
Che  discese  di  Fiesole  ab  antico , 
E  tiene  ancor  del  monte  e  del  macigno, 
i  sì  farà  per  tuo  ben  far  nimico  ;  i 


Ed  è  ragion;  che  tra  li  lazzi  sorbi 
Si  disconvien  fruttare  al  dolce  fico. 

ecchia  fama  nel  mondo  li  chiama  orbi  ; 
Gente  avara,  insidiosa,  e  superba: 
Dai  Inr  costumi  fa  ciie  tu  ti  forbj. 

a  tua  fortuna  tant'  onor  ti  serha , 
Che  la  una  parte  e  1'  altra  avranno  fame 
Di  te:  ma  lungi  fìa  dal  becco  la  erba. 

accian  le  bestie  fiesobine  strame 
Di  lor  medesme,  e  non  tocchin  la  pianta, 
Se  alcuna  snrge  ancor  nel  lor  letame; ,     .'v 

1  cui  riviva  la  sementa  Franta 
Di  quei  lioman,  che  vi  rimascr,  quando 
Fu  fatto  il  nido  di  malizia  tanta! 

e  fosse  pieno  tutto  il  mio  dimando, 
Risposi  io  lui ,  voi  non   sareste  ancora 

I  Delia  umana  natura  posto  in  bando  ; 

^hò  in  la  mente  mi   è  ìilta,  ed  or  mi  accora 
La  cara  e  buona  iinaginc  paterna 
Di  voi,  quando  nel  mondo  ad  ora  ad  ora 

1'  inicgnavate,  corno  1'  om  bi  eterna: 


■<i.\ 


\ 


E  quanto  io  1'  abbo  in  grado,  mentre  io  tìto 
Convien  che  nella  lìngua  mia  si  scema. 

Ciò  che  narrate  di  mio  corso,  scrivo, 
E  serbolo  a  chiosar  con  altro  testo 
A  donna,  che  il  saprà,  se  a  lei  arrivo. 

Tanto  vogl'  io,  che  vi  sia  manifesto, 
Pur  che  mia  coscienzia  non  mi  garra. 
Che  alla  fortuna,  come  vuol,  son  presto. 

Xon  è  nova  alli  orecchi  miei  tale  arra: 
Però  giri  fortuna  la  sua  rota , 
Come  le  piace ,  e  il  villan  la  sua  marra  ! 

Lo  mio  maestro  allora  in  su  la  gota 
Destra  si  volse  indietro,  e  riguardommi : 
Poi  disse:  ben  ascolta,  chi  la  nota. 

Né  per  tanto  di  men  parlando  vommi 
Con  ser  Brunetto ,  e  dimando ,  chi  sono 
Li  suoi  compagni  più  noti  e  più  sommi. 

Ed  egli  a  me:  saper  di  alcuno  è  buono: 
Delli  altri  fia  laudabile  tacerci. 
Che  il  tempo  saria  corto  a  tanto  suono. 

In  somma  sappi,  che  tutti  fur  cherci, 
E  letterati  grandi,  e  di  gran  fama, 
Di  un  medesmo  peccato  al  mondo  lercL 

Priscian  sen  va  con  quella  turba  grama, 
E  Francesco  di  Accorso  anco,  e  vedervi, 
Se  avessi  avuto  di  tal  tigna  brama , 

Colui  potei,  che  dal  servo  dei  servi 

Fu  trasmutato  di  Arno  in  Bacchiglione, 
Ove  lasciò  li  mal  protesi  nervi. 

Di  più  direi;  ma  il  venir  e  il  sermone 

Più  lungo  esser  non  può,  però  che  io  veggio 
Là  surger  novo  fummo  dal  sabbione. 

Gente  vien,   con  la  quale  esser  non  deggio. 
Siati  raccomandato  il  mio  Tesoro, 
Nel  quale  io  vivo  ancora;  e  più  non  cheggio. 

Poi  si  rivolse,  e  parve  di  coloro 

Che  cori-ono  a  Verona  il  drappo  verde 
Per  la  campagna  ;  e  parve  di  costoro 

Quelli  che  vince,  e  non  colui  che  perde. 


"'<'i^t 


CANTO    XVI. 


,t 


ARGOMENTO. 

Altri  Sodomiti.     Orlo   del  pozzo  seguente.     Mostro  in 
l^rospctto. 

Già  era  in  loco ,  ove  si  udia   il  rimbombo 

Dell'  ac(|ini,  che  cadea  nello  altro  giro. 

Simile  a  quel  che  le  arnie  fanno  rombo. 
Quando  tre  ombre  insieme  si  partirò 

Correndo  da  una  torma,  «lie  pa>«ava, 

Sotto  la  pio^^gia  ildlo  a-|iio  m.irtiro. 
Veniali  ver  noi,  e  ci.isriiiia  gridava: 

Sostati  tu,  elle  allo  iiliiti>  ne  sembri 

Essere  aU  un  di  nostra  terra  prava. 
Aimè,rlie  piaglie  vidi  nei  htr  membri 

Recenti  e  veicbie  dalle  flamine  incese! 

Ancor  men  diiol.  pur  che  io  me  no  rimembri. 
.Alle  lor  grida  il  mio  dottor  si  attese. 

Volse  il  ^i>o  ver  me,  e,  ora  usprtta. 

Disse:  a  costor  si  vuole  c^scr  corlcbC. 

3 


[35] 


INFERNO.     (XVI.  16—130.  XVir.  1—2) 


E  se  non  fosse  il  foco,  che  saetta 
La  natura  del  loco  ,  io  dicerei , 
Cile  meglio  stesse  a  te,  che  a  lor,  la  fretta. 
Ricominciar ,  come  noi  ristemmo ,  eì 

Lo  antico  verso  ;  e  quando  a  noi  fur  giunti , 
Fenno  una  rota  di  sé  tutti  e  trei. 
Qual  soleano  i  campion  far  nudi  ed  unti, 
Avvisando  lor  presa  e  lor  Tantaggio, 
Prima  che  sien  tra  lor  battuti  e  punti: 

Cosi ,  rotando ,  ciascuna  il  visaggio 

Drizzava  a  me,  sì  che  in  contrario  il  colld 
Faceva  ai  pie  continuo  viaggio: 

Eh ,  se  miseria  di  esto  loco  soilo 

Rende  in  dispetto  noi,  e  nostri  preghi, 
Cominciò  lo  uno,  e  il  tristo  aspetto  e  brollo, 

La  fama  nostra  il  tuo  animo  pieghi 
A  dirne ,  chi  tu  sei ,  che  i  aìvì  piedi 
Così  sicuro  per  lo  inferno  freghi.        iaa^iÌam- 

Questi,  le  orme  di  cui  pestar  mi  vedi,  i  .'. '•     '^ 
Tutto  elle  nudo  e  dipelato  vada, 
Fu  di  grado  maggior,  che  tu  non  credi. 

Kepote  fu  della  buona  Gualdrada: 

Guidoguerra  ebbe  nome,  ed  in  sua  vita 
Fece  col  senno  assai,  e  con  la  spada. 

Lo  altro,  ohe  a  presso  me  1'  arena  trita, 
È  Tegghiajo  Aldobrandi,  la  cui  voce 
Nel  mondo  su  dovrebbe  esser  gradita. 

Ed  io ,  che  posto  son  con  loro  in  croce , 
Jacopo  Rusticucci  fui  ;  e  certo 
La  fiera  moglie  più  che  altro  mi  noce; 

Se  io  fussi  stato  dal  foco  coverto, 
Gittato  mi  sarei  tra  lor  di  sotto, 
E  credo,  che  il  dottor  lo  avria  sofferto. 

Ma  per  che  io  mi  sarei  bruciato  e  cotto, 
Vinse  paura  la  mia  buona  voglia, 
Che  di  loro  abbracciar  mi  facea  p,;hiotto.  ".a.  ', 

Poi  cominciai  :  non  dispetto ,  ma  doglia 
La  vostra  condizion  dentro  mi  fisse 
Tanto,  che  tardi  tutta  si  dispoglia, 

Tosto  che  questo  mio  signor  mi  disse 
Parole ,  per  le  quali  io  mi  pensai , 
Che ,  qnal  voi  siete ,  tal  gente  venisse. 

Di  vostra  terra  sono:  e  sempre  mai 
La  opra  di  voi,  e  li  onorati  nomi 
Con  aflezion  ritrassi,  ed  ascoltai. 

Lascio  lo  fole,  e  vo  pei  dolci  pomi 
Promessi  a  me  per  lo  verace  duca  : 
Ma  fino  al  centro  pria  convien  che  tornii     " 

Se  lungamente  1'  anima  conduca 

Le  membra  tue,  rispose  quelli  allora, 
E  se  la  fama  tua  dopo  te  luca, 

Cortesia  e  valor,  di',  ée  dimora 
Nella  nostra  città,  sì  come  suolo, 
0  se  del  tutto  se  n'  è  gito  fuora? 

Che  Guglielmo  liorsiere ,  il  qual  si  duole 
Con  noi  per  poco,  e  va  là  co  i  compagni. 
Assai  ne  cruccia  con  le  sue  parole. 

La  gente  nova,  e  i  subiti  guadagni 
Orgoglio  e  dismisura  hanno  ingradata, 
Fiorenza,  in  te,  sì  che  tu  già  ten  piagni. 

Così  gridai  cttn  la  faccia  levata: 

E  i  tre,  che  ciò  inteser  per  risposta, 
Guatar  lo  un  lo  altro,  come  al  ver  ei  guata. 

Se  le  altre  volte  sì  poco  ti  costa, 
Risposcr  tutti,  il  satisfare  altrui, 
Felice  te,  che  t>ì  parli  a  tua  postai 

Però  gc  campi  di  csti  lochi  bui 


E  torni  a  riveder  le  belle  stelle. 

Quando  ti  gioverà  dicere:  io  fui, 
Fa  che  di  noi  alla  gente  favelle! 

Indi  rupper  la  rota,  ed  a  fuggirsi 

Ale  sembìra-on  le  lor  gambe  snelle. 
Un  amen  non  saria  potuto  dirsi 

Tosto  così,  com'  ei  furo  spariti: 

Per  che  al  maestro  parve  di  partirsi. 
Io  lo  seguiva,  e  poco  eravara  iti, 

Che  il  suon  del!'  acqua  n'  era  sì  vicino, 

Che  per  parlar  saremmo  a  pena  uditi. 
Come  quel  fiume,  che  ha  proprio  cammino , 

Prima  da  monte  Veso  in  ver  levante. 

Dalla  sinistra  costa  di  Apennino , 
Che  si  chiama  Acquacheta  suso ,  avante 

Che  si  divalli  giù  nel  basso  letto , 

E  a  Forlì  dì  quel  nome  è  vacante. 
Rimbomba  là  sovra  san  Benedetto       p 

Dalle  alpe  per  cadèì-e  ad  una  scesa y)\ ■■  >i 

Dove  dovria  per  mille  esser  ricetto: 
Così  giù  da  una  ripa  discoscesa        ' 

Trovammo  risonar  quell'  acqua  tinta, 

Sì  che  in  poca  ora  avria  la  orecchia  offesia: 
Io  avea  una  corda  intorno  cinta , 

E  con  essa  pensai  alcuna  volta 

Prender  la  lonza  alla  pelle  dipinta. 
Poscia  che  la  ebbi  tutta  da  me  sciolta , 

Sì  come  il  duca  mi  avea  comandato, 

Porsila  a  lui  aggroppata  e  ravvolta. 
Ond'  ei  si  volse  inver  lo  destro  lato , 

Ed  alquanto  di  lungi  dalla  sponda 

La  gittò  giuso  in  quello  alto  burraio.  ' 
E  pur  convien  che  novità  risponda , 

Dicea  fra  me  medesmo  ,  al  novo  cenno. 

Che  il  maestro  con  1'  occhio  sì  secondeu 
Ahi  quanto  cauti  li  omini  esser  denno 

Presso  a  color,  che  non  veggon  pur  la  opra. 

Ma  perentro  i  pensìer  miran  col  senno  ! 
Ei  disse  a  me  :  tosto  verrà  di  sopra 

Ciò ,  che  io  attendo  ;  e  che  il  tuo  pensier  sogna , 

Tosto  convien  che  al  tuo  viso  si  scopra. 
Sempre  a  quel  ver,  che  ha  faccia  di  menzogna. 

De'  1'  om  chiuder  le  labbra  infin  eh'  el  puote; 

Però  che  senza  colpa  fa  vergogna; 
Ma  qui  tacer  noi  posso:  e  per  le  note 

Di  questa  commedia,  lettor,  ti  giuro, 

S'  elle  non  sien  di  lunga  grazia  vote, 
Che  io  vidi  per  quello  aere  grosso  e  scuro 

Venir  notando  una  figura  in  suso 

Meravigliosa  ad  ogni  cuor  sicm'O, 
Sì  come  torna  colui,  che  va  giuso 

Talvolta  a  solver  l'  àncora,  che  aggrappa 

O  scoglio ,  od  altro ,  che  nel  mare  è  chiuso , 
Che  in  su  si  stende,  e  da  pie  si  rattrappa. 


.CANTO     XVII. 

ARGOMENTO. 

Fine   del  setllmo  cerchio.     Usurieri  o  violenti   contri 

r    arie.   (Giavfi^Uacci ,    Ubbriachi., 

Scrovigni)  Gcrione. 

Ecco  la  fiera  con  la  coda  aguzza. 
Che  pa^sa  i  mouti,  e  rompe  i  maxi  ed  armi; 


m 


INFERNO.     (XVII.  S— 186) 


m 


Ecco  colei,  che  tutto  il  mondo  appuzzai  r-i Ui U ^ 
cominciò  lo  mio  duca  a  parlarmi ,  '  ,jd^h,^ 
E  accennolle ,  che  Tenisse  a  proda  ,  i 

Vicino  al  fin  dei  passeggiati  marmi: 
quella  sozza  immagine  di  froda 
Sen  venne ,  ed  arrivò  la  testa  e  il  busto  ; 
Ma  in  su  la  riva  non  trasse  la  coda. 
l  faccia  sua  era  faccia  di  om  giusto; 
Tanto  benigna  avea  di  for  la  pelle, 
E  di  un  serpente  tutto  lo  altro  fusto, 
uo  branche  avea  pilose  infin  le  ascelle: 
Lo  dosso ,  e  il  petto  ,  ed  ambo  e  due  le  coste 
Dipinte  avea  di  nodi  e  di  rotelle. 
Dn  più  color  sommesse  e  sopraposte 
IVon  fèr  mai  drappo  Tartari,  né  Turchi, 
jSè  fur  tai  tele  per  Aragne  imposte, 
ome  tal  volta  stanno  a  riva  i  burchi,  /    u.'-'^' 
Che  parte  sono  in  acqua,  e  parte  in  terra, 
E  come  là  tra  li  Tedeschi  lurchi    ^, 
p  bivero  si  assetta  a  far  sua  guerra, 
Coeì  la  fiera  pessima  si  stava 
Su  r  orlo,  eh'  è  dì  pietra  e  il  sabbion  serra. 
el  vano  tutta  sua  coda  guizzava, 
Torcendo  in  su  la  venenosa  forca. 
Che  a  guisa  di  scorpion  la  punta  armava, 
0  duca  disse  :  or  conviea  che  si  torca 
La  nostra  via  un  poco ,  infino  a  quella 
Bestia  malvagia,  che  colà  si  corca,    ..^■-'- 
ero  scendemmo  alla  destra  mammella, 
E  dieci  passi  femmo  in  su  lo  stremo, 
Per  ben  cessar  l'  arena  e  la  fiammella: 
quando  noi  a  lei  venati  scmo. 
Poco  più  oltre  veggio  in  ru  1'  arena 
Gente  seder  propinqua  al  loco  scemo. 
uivi  '1  maestro  :  acciò  che  tutta  piena 
Esperienza  di  esto  giron  porti , 
Mi  disse,  or  va,  e  vedi  la  lor  mena! 
i  tuoi  ragionamenti  sien  là  corti! 
Mentre  che  torni,  parlerò  con  questa, 
Clic  ne  conceda  i  s.toi  omeri  fortL 
osi  ancor  su  per  la  strema  testa 
Di  quel  settimo  cerchio  tiitto  solo 
Andai ,  ove  sedea  la  gente  mesta, 
er  li  occhi  fori  scoppiava  lor  duolo» 
Di  qua  di  là  soccorèn  con  le  mani. 
Quando  ai  vapori,  e  quando  al  Culdo  suolo. 

fon  altrimenti  fan  di  state  i  cani 
Or  col  cclTo ,  or  coi  pie,  quando  son  morsi 
O  da  pulci,  o  da  mosche ,  o  da  tafanL 

i*oi  che  nel  viso  a  certi  li  occhi  porsi, 
Mei  quali  il  doloroso  foco  casca , 
INon  ne  conobbi  alcun ,  ma  io  mi  accorsi , 

3ic  dal  colio  a  ciascun  pendca  una  tasca, 
Che  avea  certo  colore  ,  e  certo  t^e^no; 
E  quindi  par  che  il  loro  occhio  si  pasca. 

E  come  io  riguardando  tra  lor  vegno. 
In  una  borna  gialla  vidi  a/./iirro, 
Clui  di  un  lione  a>oa  faccia  e  ct>ntcgno. 

Poi  procedendo  di  mio  sguardo  il  curro, 
\idine  un'  altra,  come  sangue  rossa, 
Mo.-itraro  una  oca  liianca  più  che  burro. 

Ed  un  ,  che  di  una  scrofa  azzurra  e  grossa 
Segnato  avea  lo  suo  sa(clietto  f/ianco, 
Mi  di-se:  dio  fai  tu  in  questa  fos-a.'* 

Dr  te  ne  va!  e  per  che  sei  vivo  anco, 
Sappi ,  <:hu  il  mio  vìcin  \  italiano 
Sederà  qui  dal  luio  sinistro  fianco: 


Con  questi  Fiorentìn  son  Padovano: 
Spesse  fiate  m'  intronan  li  orecchi. 
Gridando:  vegna  il  cavalier  sovrano, 

Che  recherà  la  tasca  coi  tre  becchi! 
Quindi  storse  la  bocca,  e  di  for  trasse 
La  lingua,  come  bue,  che  il  naso  lecchi. 

Ed  io  temendo ,  noi  più  star  crucciasse 
Lui ,  che  di  poco  star  mi  avea  ammonito , 
Tornairn'  indietro  dalle  anime  lasse. 

Trovai  il  duca  mio ,  eh'  era  salito 
Già  su  la  groppa  del  fiero  animale 
E  disse  a  me  :  or  sic  forte  ed  ardito  ! 

Omai  si  scende  per  sì  fatte  scale: 

Monta  dinanzi,  che  io  voglio  esser  mezzo, 
Sì  che  la  coda  non  possa  far  male. 

Qual  è  colui,  che  ha  si  presso  il  riprezzo 

Della  quartana,  che  ha  già  le  unghia  smorte, 
E  trema  tutto ,  pur  guardando  il  rezzo ,  ^ 

Tal  divenn'  io  alle  parole  porte: 

J\Ia  vergogna  mi  fér  le  sue  minacce. 
Che  innanzi  a  buon  signor  fa  servo  forte, 

lo  mi  assettai  in  su  quelle  spallacce: 
Sì  volli  dir;  ma  la  voce  non  venne. 
Come  io  credetti,  fa  che  tu  mi  abbracce! 

Ma  esso ,  che  altra  volta  mi  sovvenne 
Ad  alto  forse ,  tosto  che  io  montai , 
Con  le  braccia  mi  avvinse  e  mi  sostenne 

E  disse  :  Gerion ,  moviti  omai  ! 
Le  rote  larghe,   e  lo  scender  sia  poco! 
Pensa  la  nova  soma,  che  tu  hai! 

Come  la  navicella  esce  di  loco 

In  dietro  in  dietro,  sì  quindi  si  tolse, 
E  poi  che  al  tutto  si  sentì  a  gioco , 

Là  ov'  era  il  petto,  la  coda  rivolse, 
E  quella  tesa,  come  anguilla,  mosse, 
E  con  le  branche  lo  acre  a  so  raccolse. 

Maggior  paura  non  credo  che  fosse. 
Quando  Fetonte  abbandonò  li  freni. 
Per  che  il  cicl,  come  appare  ancor,  ri  cosse; 

Xè  quando  Icaro  misero  le  reni 
Sentì  spennar  per  la  scaldata  cera. 
Gridando  il  padre  a  lui:  mala  via  tieni, 

Che  fu  la  mia,  quando  vidi  che  io  era 
Nello  acre  da  ogni  parlo ,  e  vidi  spenta 
Ogni  veduta,  ior  che  della  fiera. 

Ella  sen  va  notando  lenta  lenta, 

Kota ,  e  discende ,  ma  non  me  ne  accorgt) , 
Se  non  che  al   viso,  e  di  sotto  mi  venta. 

Io  scntìa  già  dalla  man  dc.-tra  il  gorgo 
Far  sotto  nai  un  orribile  stroscio: 
Per  che  eoa  lì  occhi  in  giù  la  testa  sporgo, 

Allor  fu'  io  più  timido  allo  scoscio: 
Però  che  io  a  idi  focili,  e  sentii  pianti. 
Onde  io  tremando  tutto  mi  rai  roscio.  . 

E  vidi  poi,  che  noi  vcdoa  damanti, 

Lo  scendere  e  il  girar  per  li  gran  mali, 
Che  si  appressavan  da  di>cr^i  cauli. 

Come  il  fiilcon,  eh'  è  stalo  as-ai  su  lo  ali, 
Che,  senza  veder  Judoni  od  ucicllo. 
Fa  dire  al  liilcoiiicrc  :  oinu-  tu  cali, 

Dix  code  l,is>o  ,  onde  si  move  snello 
Per  cento  rote,  e  da  lungi  si  pone 
Dal  suo  ur.u'stro,  di^dcgnoso  e  fello: 

Così  ne  pose  al  fondo  (•erione 
A  pie  a  piò  della  stagliala  rocca, 
E  ,  discanate  le  nostre  pcrsoi\c , 

Si  dileguò,  corno  da  corda  cocca. 


[39] 


INFERNO.     (XVIir.  1  —  124) 


[m 


CANTO    XVIII. 


ARGOMENTO. 

Ottavo    cerchio    de'  frodolcnti ,    diviso    in  dieci  bolge. 
Seduttori,  (^T^enedico  Caccianimico.  Jason)  e  adu- 
latori {Alessio  Interminei.     Taide). 

Loco  è  in  inferno,  detto  Maleholge , 
Tutto  di  pietra,  e  di  color  ferrigno, 
Come  la  cercliia,  che  d'  intorno  il  volge. 

Nel  dritto  mezzo  del  campo  maligno 
Vaneggia  un  pozzo  assai  largo  e  profondo , 
Di  cui  'n  suo  loco  dicerò  1'  ordigno. 

Quel  cinghio,  che  rimane  adunque  tondo 
Tra  il  pozzo  e  il  pie  dell'  alta  ripa  dura 
Ed  ha  distinto  in  dieci  valli  il  fondo. 

Quale,  dove  per  guardia  delle  mura 
Più  e  più  fossi  cingon  li  castelli, 
La  parte ,  dov'  ei  son ,  rende  figura , 

Tale  imagine  quivi  facean  quelli: 
E  come  a  tai  fortezze  dai  lor  sogli 
Alla  ripa  di  for  son  ponticelli, 

Così  da  imo  della  rocca  scogli 
/^yyn^C-      Movèn,  che  ricidean  li  argini  e  i  fossi 

Infino  al  pozzo,  che  i  tronca  e  raccogli, 
u^^   Li  questo  loco  dalla  schiena  scossi 
Di  Gerion  trovammoci:  e  il  poeta 
Tenne  a  sinistra,  ed  io  dietro  mi  mossi. 

Alla  man  destra  vidi  nova  pietà, 

Kovi  tormenti,  e  novi  frustatori,  Ai^'-^'^X 
Di  che  la  prima  bolgia  era  repleta. 

Nel  fondo  erano  ignudi  i  peccatori: 

Dal  mezzo  in  qua  ci  venian  verso  il  volto, 
Di  là  con  noi,  ma  con  passi  maggiori: 

Come  i  Roman ,  per  lo  esercito  molto , 
Lo  anno  del  giubbileo,  su  per  lo  ponte. 
Hanno  a  passar  la  gente  modo  tolto , 

Che  dallo  un  lato  tutti  hanno  la  fronte 
Verso  il  castello,  e  vanno  a  santo  Pietro, 
Dall'  altra  sponda  vanno  verso  il  monte. 

Di  qua,  di  là,  su  per  lo  sasso  tetro 
Vidi  demon  cornuti  con  gran  ferze, 
Che  li  battean  crudelmente  di  retro. 

Alii  come  facèn  lor  levar  le  berze 
Alle  prime  percosse!  è  già  nessuno 


Le  seconde  aspettava,  né  le  terze. 

Mentre  io  andava,  li  occhi  miei  in  uno 
Furo  scontrati;  ed  io  si  tosto  dissi: 
Già  di  veder  costui  non  son  digiuno. 

Perciò  a  figurarlo  i  piedi  alTissi: 

£  il  dolce  duca  meco  si  ristette,  , 

Ed  assenti  che  alquanto  indietro  gissi,  (^'-■t'^k/ 

E  quel  frustato  celar  si  credette 
Bassando  il  viso  ;  ma  poco  li  valse  : 
Che  io  diesi  :  tu ,  che  V  occhio  a  terra  gotte , 

Se  le  fa'/.ion  che  porti  non  son  false, 
Venedico  sei  tu  Caccianimico. 
Ma  che  ti  mena  a  sì  pungenti  salse? 

Ed  egli  a  me  :  mal  volcntier  lo  dico  : 
Ma  sforzami  la  tua  chiara  favella. 
Che  mi  fa  sovvenir  del  mondo  antico. 

Io  fui  colui,  che  la  Ghìsola  bella 
Condussi  a  far  la  voglia  dei  Marchese, 
Como  che  suoni  la  sconcia  novella. 


^f" 


E  non  pur  io  qui  piango  Bolognese, 
Anzi  n'è  questo  loco  tanto  pieno , 
Che  tante  lingue  non  son  ora  apprese 

A  dicer  sipa,  tra  Savena  e  il  Reno. 
E  se  di  ciò  vuoi  fede ,  o  testimonio , 
Recati  a  mente  il  nostro  avaro  seno! 

Così  parlando ,  il  percosse  un  demonio 
Della  sua  scuriada,  e  dls!«e:  via, 
Ruffian ,  qui  non  son  femmine  da  conio. 

10  mi  raggiunsi  con  la  scorta  mia: 
Poscia  con  pochi  passi  divenimmo 
Dove  uno  scoglio  della  ripa  uscia. 

Assai  leggeramente  quel  salimmo, 

E  volti  a  destra  sopra  la  sua  scheggia, 
Da  quelle  cerchie  eterne  ci  partimmo. 

Quando  noi  fummo  là,  dov'  ci  vaneggia 
Di  sotto ,  per  dar  passo  alli  sferzati , 
Lo  duca  disse:  attienti,  e  fa  che  foggia 

Lo  viso  in  te  di  questi  altri  mal  nati , 
Ai  quali  ancor  non  vedesti  la  faccia, 
Però  che  son  con  noi  'nsicme  andati. 

Dal  vecchio  ponte  guardavam  la  traccia , 
Che  venia  verso  noi  dall'  altra  banda, 
E  che  la  ferza  similmente  scaccia. 

11  buon  maestro,  senza  mia  dimanda. 

Mi  disse  :  guarda  quel  grande ,  che  viene , 
E  per  dolor  non  par  lacrima  spanda. 

Quanto  aspetto  reale  anco  ritiene  ! 

Quelli  è  Jasòn,  che  per  core,  e  per  senno 
Li  Colchi  del  monton  privati  fene. 

Elio  passò  per  la  isola  di  Lenno , 
Poi  che  le  ardite  femmine  spietate 
Tutti  li  maschi  loro  a  morte  dienno. 

Ivi  con  segni,  e  con  parole  ornate 
Isifile  ingannò,  la  giovinetta. 
Che  prima  le  altre  avea  tutte  ingannate. 

Lasciolla  quivi  gravida ,  e  soletta  ; 

Tal  colpa  a  tal  martiro  lui  condanna  ; 
E  anche  di  Medea  si  fa  vendetta. 

Con  lui  sen  va  chi  da  tal  parte  inganna: 
E  questo  basti  della  prima  valle 
Sapere,  e  di  color,  che  in  sé  assanna! 

Già  eravam  dove  lo  stretto  calle 

Con  lo  argine  secondo  s'  incrocicchia, 
E  fa  di  quello  ad  un  altro  arco  spalle. 

Quindi  sentimmo  gente,  che  si  nicchia  -V:^, 
Neil'  altra  bolgia ,  e  che  coi  muso  sbuffa , 
E  sé  medesma  con  le  palme  picchia. 

Le  ripe  eran  grommate  di  una  muffa. 
Per  lo  alito  di  giù,  che  vi  si  appasta, 

[    Che  con  li  occhi ,  e  col  naso  facea  zutTa. 

Lo  fondo  è  cupo  sì ,  che  non  ci  basta 
Loco  a  veder,  senza  montare  ai  dosso 
Dello  arco ,  ove  lo  scoglio  più  sovrasta. 

Quivi  venimmo,  e  quindi  giù  nel  fosso 
Vidi  gente  attuffata  in  uno  sterco, 
Che  ìialli  uman  privati  parca  mosso  : 

E  mentre  che  io  là  giù  con  1'  occhio  cerco, 
\ìAì  un  col  capo  sì  di  merda  lordo , 
Che  non  parca,  s'  era  laico  o  cherco. 

Quei  mi  sgridò:  per  che  sei  tu  si  'ngordo 
Di  riguardar  più  me ,  che  li  altri  brutti  ? 
Ed  io  a  lui:  per  che,  se  ben  ricordo. 

Già  ti  ho  veduto  coi  capelli  asciutti , 
E  sei  Alessio  Interminei  da  Lucca  : 
Però  ti  adocchio  più  ,  die  li  altri  tutti. 

Ed  elii  allor,  battendosi  la  zucca: 


*1] 


INFERNO.      (XVIII.  125—136.  XIX.  1—109) 


[42] 


Qua  giù  mi  hanno  sommerso  le  lusinghe,        .  . 
Onde  io  non  ebbi  mai  la  lingua  stucca.    it'jC'.WjJi 

L  presso  ciò  lo  duca:  fa  che  pinglie. 
Mi  disse,  un  poco  il  viso  più  avante. 
Sì  che  la  faccia  ben  con  li  occhi  attinghe 

»i  quella  sozza  scapigliata  fante  ,.••-■- 
Clie  là  si  graffia  con  le  unghie  merdose, 
Ed  or  si  accoscia,  ed  ora  è  in  piede  stante! 

^'aide  è  la  puttana ,  che  rispose       ^  -  -Vi-'c  ' 

Al  drudo  suo,  quando  disse:  ho  io  grazie 
Grandi  appo  te?    anzi  maravigliose! 

1  quinci  sien  le  nostre  viste  sazie. 


CANTO    XIX. 


ARGOMENTO. 

Tersa  bolgia   dei  simoniaci.     Nicolò  III,  che  attende 
Bonifacio  Vili,  e  Clemente  V. 

)h  Simon  mago,  oh  miseri  seguaci. 

Che  le  cose  di  dio,  che  di  bontate 

Deono  essere  spose,  voi  rapaci 
'cr  oro  e  per  argento  avolterate! 

Or  convien ,  che  per  voi  soni  la  tromba , 

Però  che  nella  terza  bolgia  state. 
Jià  eravamo  alla  seguente  tomba 

iVInntati,  dello  scoglio  in  quella  parte, 

Che  a  punto  sovra  il  mezzo  fosso  piomba. 
)h  somma  sapienza,  quanta  è  1'  arte. 

Che  mostri  in  cielo,  in  terra,  e  nel  mal  mondo, 

E  quanto  giusto  tua  virtù  comparte  1 
o  vidi  per  le  coste,  e  per  lo  fondo 

Piena  la  pietra  livida  di  fori 

Di  un  largo  tutti,  e  ciascuno  era  tondo, 
lion  mi  parèn  meno  ampi ,  né  maggiori , 

Che  quei ,  che  son  nel  mio  bel  san  Giovanni 

Fatti  per  loco  dei  battezzatòri. 
jo  un  dclli  quali ,  ancor  non  è  molti  anni , 

Rupp'  io  per  un,  che  dentro  vi  annegava: 

E  questo  fìa  suggel ,  che  ogni  omo  sganni  ! 
?'or  della  bocca  a  ciascun  soperrhiava 

Di  un  peccator  dei  piedi,  e  delle  gambe 

Infino  al  grosso ,  e  lo  altro  dentro  stava. 
[iC  piante  erano  accese  a  tutti  entrambe  : 

Per  che  sì  forte  gui/zavan  le  giunte. 

Che  spezzate  avertan  ritorte  e  stramlie. 
Jual  suole  il  fiammeggiiir  delle  cose  unte 

Moversi  pur  su  per  la  estrema  buccia , 

Tal  era  lì  dai  calcagni  alle  punte. 
[Tliì  è  colui,  maestro,  che  si  cruccia 

Guizziindo  più  che  li  altri  suoi  consorti, 

Diss'  io,  e  cui  più  roggia  fiamniii  succia.^ 
Ed  cUi  a  me  :  se  tu  vuoi ,  che  io  ti  porti 

Là  giù  per  quella  ri|>a ,  che  più  giace, 

Da  Ini  saprai  di  so,  e  dei  suoi  torti.     1*" 
bld  io:  tanto  mi  è  bel,  quanto  a  t(.  piace: 

Tu  sei  signore,  e  sai ,  «;lie  io  non  mi  parto 

Dal  tuo  volere,  e  sai  {|ii(;l  che  si  tace. 
&llor  venimmo  in  su  lo  argine  quarto: 

Volgemmo ,  e  discendemmo  n  niaiu>  bianca 

Là  giù  nel  fondo  foracchiato  ed  arto. 


E  il  buon  maestro  ancor  dalla  sua  anca 
Non  mi  dipose,  sin  mi  giunse  al  rotto 
Di  quel,  che  sì  piangeva  con  la  zanca. 

Oh  qual  che  sei,  che  il  di  su  tien  di  sotto. 
Anima  trista,  come  pai  commessa. 
Comincia'  io  a  dir,  se  puoi,  fa  motto! 

Io  stava ,  come  il  frate ,  che  confessa 
Lo  perfido  assassin ,  che  poi  eh'  è  fitto , 
Richiama  lui,  per  che  la  morte  cessa: 

Ed  ei  gridò  :  sei  tu  già  costì  ritto , 
Sei  tu  già  costi  ritto,  Bonifazio.' 
Di  parecchi  anni  mi  mentì  io  scritto. 

Sei  tu  sì  tosto  di  quello  aver  sazio. 

Per  lo  qual  non  temesti  torre  a  inganno 
La  bella  donna,  e  di  poi  farne  strazio? 

Tal  mi  fec'  io ,  quai  son  color ,  che  stanno 
Per  non  intender  ciò  eh'  è  lor  risposto, 
Quasi  scornati ,  e  risponder  non  sanno. 

Allor  Virgilio  disse:  dilli  tosto. 

Non  son  colui,  non  son  colui,  che  credi. 
Ed  io  risposi  come  a  me  fu  imposto. 

Per  che  lo  spirto  tutti  storse  i  piedi: 
Poi  sospirando ,    e  con  voce  di  pianto 
Mi  disse:  dunque  che  a  me  richiedi? 

Se  di  saper  eh'  io  sia  ti  cai  cotanto , 
Che  tu  abbi  però  la  ripa  scorsa. 
Sappi ,  che  io  fui  vestito  del  gran  manto  : 

E  veramente  fui  figliuol  della  orsa. 
Cupido  si ,  per  avanzar  li  orsatti , 
Che  su  lo  avere,  e  qui  me  misi  in  borsa. 

Di  sotto  al  capo  mio  son  li  altri  tratti. 
Che  precedetter  me  simoneggiando , 
Per  la  fessura  della  pietra,  piatti. 

Là  giù  cascherò  io  altresì,  quando 

Verrà  colui ,  che  io  credea  che  tu  fossi , 
Allor  che  io  feci  'l  subito  dimando. 

Ma  più  è  il  tempo  già,  che  i  pie  mi  cossi, 
E  che  io  son  stato  così  sottosopra, 
Ch'  ei  non  starà  piantato  coi  pie  rossi: 

Che  dopo  lui  verrà,  di  più  laida  opra, 
Di  ver  ponente  un  pastor  senza  legge, 
Tal  che  convien ,  che  lui  e  me  ricopra. 

Novo  Jasòn  sarà,  di  cui  si  legge 

Nei  Maccabei  :  e  come  a  quel  fu  molle 
Suo  re,  così  fia  a  lui  chi  Francia  regge. 

Io  non  so  se  io  mi  fui  qui  troppo   folle  ; 
Che  io  pur  risposi  lui ,  a  questo  metro  : 
Deh  or  mi  di'  ,  quanto  tesoro  volle 

Nostro  signore  in  prima  da  San  Pietro, 
Cir  ei  ponesse  le  chiavi  in  sua  lialia? 
Certo  non  chiese,  se  non:  vicumii  iliitro! 

Nò  Pier,   né  li  altri  «hiesero  a  .ìliitli.i 
Oro ,  o  argento ,  quando  fu  >ortito 
Nel  luogo,  che  perd»;  1'  anima  ria. 

Però  ti  sta,  che  tu  se'  ben  punito, 
E  guarda  ben  la  mal  ttilla  niunrlii 
Ch'  esser  ti  fece  coiilra  ('arlo  ardito! 

E  se  non  fo?>e,  the  ancor  lo  mi  vieta 
La  riverenza  delle  sommo  chia\i, 
Che  tu  tenesti  nella  >it;i   lieta, 

lo  userei  parole  ancor  più  gra^i; 

('he  la  vostra  a^ari/.ia  il  mondo  attrista, 
Calcando  i  buoni,  e  sollevando  i  pravi. 

Di  ^oi  pastor  si  accor.>e  il  vangelista. 
Quandi»  colei,  che  siede  sovra  le  acque, 
Puttaneggiar  coi  regi  a  lui  fu  vista: 
Quclki,  che  con  le  getto  tctito  nacque. 


[43] 


INFERNO.     (XIX.  110  —  133.  XX.  1  —  97) 


[«], 


E  dalle  diece  corna  ebbe  argomento. 
Fin  che  virtute  al  suo  marito  piacque. 

Fatto  vi  avete  iddio  di  oro  e  di  argento: 
E  che  altro  è  da  voi  alli  idolatre, 
Se  non  che  elli  uno,  e  voi  ne  orate  cento? 

Ahi  Costantin ,  di  quanto  mal  fu  matre , 
Non  la  tua  conversion,  ma  quella  dote, 
Che  da  te  prese  il  primo  ricco  patre  ! 

E  mentre  io  Ù  cantava  cotai  note, 

O  ira ,  o  coscienza ,  che  il  mordesse  »     ^      , 
Forte  spingava  con  ambo  le  piote.,.'  i^v'j^" 

Io  credo  ben,  che  al  mio  duca  piacesse,    ij 
Con  si  contenta  labbia  sempre  attese 
Lo  suon  delle  parole  vere  espresse. 

Però  con  ambo  le  braccia  mi  prese, 
E  poi  che  tutto  su  mi  si  ebbe  al  petto. 
Rimontò  per  la  via,  onde  discese: 

Kè  si  stancò  di  avermi  a  sé  ristretto , 
Si  mi  portò  sovra  il  colmo  dello  arco, 
Che  dal  quarto  al  quinto  argine  è  tragetto. 

Quivi  soavemente  spose  il  carco. 

Soave  per  lo  scoglio  sconcio  ed  erto. 
Che  sarebbe  alle  capre  duro  varco: 

Indi  un  altro  vallon  mi  tu  gcoverto. 


CANTO     XX. 


ARGOMENTO. 

Indovini  forzati  a  guardar  indietro.       Lao;o  di  Gar- 
da.    Origine  di  Mantova.     Virgilio. 

Di  nova  pena  mi  convien  far  Tersi, 
E  dar  materia  al  ventesimo  canto 
Della  prima  canzon,  eh'  è  dei  sommerai. 

Io  era  già  disposto  tutto  quanto 
A  riguardar  nello  scoverto  fondo. 
Che  si  bagnava  di  angoscioso  pianto: 

E  vidi  gente  per  lo  vallon  tondo 

Venir  tacendo  e  lacrimando,  al  passo 
Che  fanno  le  letane  in  questo  mondo. 

Come  il  viso  mi  scese  in  lor  più  basso. 
Mirabilmente  apparve  esser  travolto 
Ciascun  dal  mento  al  principio  del  casso  : 

Che  dalle  reni  era  tornato  il  volto , 
E  indietro  venir  li  cpnvenia. 
Per  che  il  veder  dinanzi  era  lor  tolto. 

Forse  per  forza  già  di  pariasia 
Si  travolse  cosi  alcun  del  tutto: 
Ma  io  noi  vidi,  né  credo  che  sia. 

Se  dio  ti  lasci,  lettor,  prender  frutto 
Di  tua  lezione ,  or  pensa  por  te  stesso , 
Come  io  potea  tener  lo  viso  asciutto , 

Quando  la  nostra  imagine  da  presso 
Vidi  sì  torta,  che  il  pianto  delli  occM 
Le  natiche  bagnava  i)cr  Io  fesso  ! 

Certo  io  piangca  poggiato  ad  un  dei  rocclil 
Del  duro  scoglio,  .-ì  che  la  mia  scorta 
Mi  disse:  ancor  sei  tu  dclii  altri  sciocchi? 

Qui  vive  la  pietà,  quando  ù  ben  morta. 
Chi  è  più  scellerato  dì  colui. 
Che  al  giudìcio  divin  pasuion  comporta? 


Drizza  la  testa ,  drizza ,  e  guarda ,  a  coi , 
Si  aperse,  alli  occhi  dei  Teban,  la  terra, 
Per  che  gridavan  tutti ,  dove  rui , 
Anfiarao?  per  che  lasci  la  guerra? 
E  non  restò  di  ruinare  a  valle 
Fino  a  3Iinòs,  che  ciascheduno  afferra. 
Mira,  che  ha  fatto  petto  delle  spalle: 
Per  che  volle  veder  troppo  davante, 
Diretro  guarda,  e  fa  ritroso  calle. 
Vedi  Tiresia,  che  mutò  sembiante, 
Quando  di  maschio  femmina  divenne , 
Cangiandosi  le  membra  tutte  quante: 
E  prima  poi  ribatter  li  convenne 

Li  duo  serpenti  avvolti ,  con  la  verga , 
Che  riavesse  le  maschili  penne. 
Aronta  è  quei ,  che  al  ventre  li  si  atterga , 
Che  nei  monti  di  Limi,  dove  ronca 
Lo  Carrarese,  che  di  sotto  alberga, 
Ebbe  tra  bianchi  marmi  la  spelonca 
Per  sua  dimora  :  onde  a  guardar  le  stelle 
E  il  mar  noiT  li  era  la  veduta  tronca. 
E  quella ,  che  ricopre  le  maniraelle , 
Che  tu  non  vedi,  con  le  trecce  sciolte, 
Ed  ha  di  là  ogni  pilosa  pelle. 
Manto  fu,  che  cercò  per  terre  molte. 
Poscia  si  pose  là,  dove  nacqa'  io: 
Onde  un  poco  mi  piace,  che  mi  ascolte. 
Poscia  che  il  padre  suo  di  vita  uscio, 
E  venne  ser^  a  la  città  di  Baco , 
Questa  gran  tempo  per  lo  mondo  glo. 
Suso  in  Italia  bella  giace  un  laco 
A  pie  delle  alpe ,  che  serra  Lamagua 
Sovra  Tiralli,  ed  ha  nome  Benaco; 
Per  mille  fonti  credo  e  più  si  bagna. 
Tra  Garda  e  Val  Camouica,  Pennino 
Dell'  acqua  che  nel  detto  lago  stagna. 
Loco  è  nel  mezzo  là  ,  dove  il  Trentino 
Pastore,  e  quel  di  Brescia,  e  il  Veronese 
Segnar  porla ,  se  fesse  quel  cammino. 
Siede  Peschiera,  bello  e  forte   arnese. 
Da  fronteggiar  Bresciani  e  Bergamaschi, 
Onde  la  riva  intorno  più  discese. 
Ivi  convien,  che  tutto  quanto  caschi 

Ciò  che  in  grembo  a  Benaco  star  non  può, 
E  fassi  fiume  giù  pei  verdi  paschi. 
Tosto  che  r  acqua  a  correr  mette  co' , 
]Von  più  Benaco,  ma  3Iincio  si  chiama 
Fino  a  Governo,  dove  cade  in  Po. 
Non  molto  ha  corso,  che  trova  una  lama,-     r 
Nella  qual  si  distende,  e  la  impaluda,    ^^ 
E  suol  di  state  talora  esser  grama. 
Quindi  passando  la  vergine  cruda 
Vide  terra  nel  mezzo  del  pantano. 
Senza  cultura,  e  di  abitanti  nuda- 
Lì,  per  fuggire  ogni  consorzio  umano. 
Ristette  coi  suoi  servi  a  far  sue  arti, 
E  visse,  e  vi  lasciò  suo  corpo  vano. 
Li   omini  poi ,  che  intorno  erano  sparti , 
Si  accolsero  a  quel  loco,  eh'  era  forto^ 
Per  lo  pantan ,  che  avea  da  tutte  parti. 
Fèr  la  città  sovra  quelle  ossa  morte , 
E  per  colei,  che  il  loco  prima  elesse, 
3Iautova  1'  appellar,  senz'  altra  sorte. 
Già  fur  le  genti  sue  dentro  più  spesse. 
Prima  che  la  mattia  da  Casalodi 
Da  Pinamonte  inganno  ricevesse. 
Però  ti  assenno,  che,  se  tu  mai  odi 


}^] 


INFERNO.      (XX.  98—1 30.  XX[.  1—88) 


[46] 


Originar  la  mia  terra  altrimenti. 
La  verità  nulla  menzogna  frodi. 
d  io:  maestro,  i  tuoi  ragionamenti 
Mi  son  sì  certi,  e  prendon  sì  mia  fede, 
Che  li  altri  mi  sarian  carboni  spenti. 
[a  dirami  della  gente ,  che  procede , 
Se  tu  ne  vedi  alcun  degno  di  nota? 
Che  solo  a  ciò  la  mia  mente  rifiede.     . 
Ilor  mi  disse:  quel,  che  dalla  gola 
Porge  la  barba  in  su  le  spalle  brune, 
Fu,  quando  Grecia  fu  dì  maschi  vota 
,  che  a  pena  rimaser  per  le  cune, 
Augure ,  e  diede  il  punto  con  Calcanta 
In  Aulide  a  tagliar  la  prima  fune, 
uripilo  ebbe  nome,  e  così  '1  canta 
L'  alta  mia  tragedia  in  alcun  loco  ; 
Ben  lo  sai  tu,  che  la  sai  tutta  quanta. 
nello  altro ,  che  nei  fianchi  è  così  poco  » 
Michele  Scotto  fu,  che  veramente 
Delle  magiche  frode  seppe  il  gioco, 
edi  Guido  Bonatti ,  vedi  Asdente , 
Che  avere  atteso  al  cuojo  ed  allo  sgago 
Ora  vorrebbe,  ma  tardi  si  pente. 
edi  le  triste,  che  lasciaron  lo  ago, 
Ija  spuola,  e  il  fuso,  e  lecersi  indovine: 
•Tecer  malie  con  erbe  e  con  imago. 
a,  Vienne  ornai!  che  già  tiene  il  confine 
Di  ambo  e  due  li  cmisperi,  e  tocca  la  onda, 
Sotto  Sibilla,  Caino,  e  ie  spine, 
già  jernotte  fu  la  luna  tonda: 
Ben  ten  dee  ricordar,  che  non  ti  nocqne 
Alcuna  volta  per  la  selva  fonda. 
nù  parlava,  e  andavamo  introcquc. 


CANTO    XXI. 


ARGOMENTO. 

fuinta   boln;ìa  dclP  ottavo  cerchio:   i  harattlcrl  nella 
;[)ccc  bollente.     Dicci  dcmoìij  minacciosi  o  armali 

osi  di  ponte  in  ponte  altro  parlando. 

Che  la  mia  commedia  cantar  non  cura, 

^  cnimmo ,  e  tenevamo  il  colmo  ,  quando 
listemmo  per  veder  l'  altra  fessura 

Di  Malebolge,  e  li  altri  pianti  vani: 

E  vidila  mirabilmente  oscura. 
'u;ilc  nello  arsenà  dei  \  iniziani 

Bolle  lo  verno  la  tenace  pece  , 

A  rimpalmar  li  legni  lor  non  sani,  Kf^V-*^ 
he  navicar  non  ponno ,  e  in  quella  vece 

Chi  fa  buo  legno  novo ,  e  chi  ri^toppa 

Le  coste  a  quel ,  che  più  viaggi  fece, 
Ili  ribatte  da  proda,  e  cbi  da  poppa. 

Altri  fa  remi,  ed  altri  voI;;e  ^arte , 

Chi  terzcrolo ,  ed  artimon  rinloppa: 
\il ,  non  per  foco,  ma  per  divina  arte, 

Bolliii  là  giuso  una  pegola  spes.sn , 

CIk;  invi»cava  la  ripa  da  ogi/i  parte. 
0  vedea  lei ,  ma  non  vedeva  in  ciisa 

Ma  dir  le  bolle,  clic  il  bollor  levava, 

lì  gonfiar  tutta,  e  ridcdor  cauipret^ita. 


MentTe  io  là  giù  fisamente  mirava. 

Lo  duca  mio,  dicendo,  guarda  guarda, 
Mi  trasse  a  sé  del  loco,  dove  io  stava. 

AUor  mi  volsi  come  1'  om,  cui  tarda 
Di  veder  quel ,  che  li  convien  fuggire , 
E  cui  paura  subita  sgagliarda, 

Che  per  veder  non  indugia  il  partire: 
E  vidi  dietro  a  noi  un  diavol  nero 
Correndo  su  per  lo  scoglio  venire. 

Ahi  quanto  egli  era  nello  aspetto  fiero! 
E  quanto  mi  parca  nello  atto  acerbo. 
Con  le  ale  aperte,  e  sovra  i  pie  leggiero!. 

L'  omero  suo ,  eli»  era  acuto  e  superbo , 
Carcava  un  peccator  con  ambo  le  anche, 
Ed  ei  tenea  dei  pie  gremito  il  nerbo. 

Del  nostro  ponte,  disse:  oh  Malebranche, 
Ecco  un  delli  anzian  di  santa  Zita: 
Mettetel  sotto ,  ciie  io  torno  per  anche 

A  quella  terra,  che  n'è  ben  fornita: 

Ogni  om  vi  è  baratticr ,  for  che  Bontoro  : 
Del  non  per  li  denar  sui  si  fa  ita. 

Là  giù  il  buttò ,  e  per  lo  scoglio  duro 
Si  volsn,  e  mai  non  fu  mastino  sciolto 
Con  tanta  fretta  a  seguitar  lo  furo. 

Quei  si  attuffò,  e  tornò  su  convoito: 

Ma  i  demon ,  che  del  ponte  avean  coverchio , 
Gridar ,  qui  non  ha  loco  il  santo  volto  : 

Qui  si  nuota  altrimenti  che  nel  Serchio: 
Però  se  tu  non  vuoi  dei  nostri  graffi, 
Non  far  sovra  la  pegola  soverchio  ! 

Poi  lo  addentar  con  più  di  cento  raffi, 
Disscr:  coverto  convien  che  qui  balli. 
Sì  che,  se  puoi,  nascosamente  accalTi. 

IVon  altrimenti  i  cuochi  ai  lor  vassalli 
Fanno  attufTare  in  mezzo  la  caldaia 
La  carne  con  li  unciu,  per  che  non  galli. 

Lo  bon  maestro:  acciò  che  non  si  paia. 
Che  tu  ci  sii,  mi  disse,  giù  ti  acquatta 
Dopo  uno  scheggio,  che  alcun  schermo  ti  baia, 

E  per  nulla  ofTetision,  che  mi  sia  fatta. 
Non  temer  tu!  che  io  ho  le  cose  conte. 
Per  che  altra  volta  fui  a  tal  baratta. 

Poscia  passò  di  là  dal  co'  del  ponte, 
E  com'  ei  giunse  in  su  la  ripa  se^ta, 
Mcslier  li  fu  di  aver  sicura  fronte. 

Con  quel  furore,  e  con  quella  tempesta, 
Ch'  escono  i  cani  addosso  al  poverello  , 
Che  di  subito  chiede,  ove  si  arresta, 

Usciron  quei  di  sotto  al  ponticello , 
E  volser  contra  lui  tutti  i  roncigli  : 
Ma  ci  gridò:  nctisun  di  voi  sia  fello! 

Innanzi  che  lo  uncin  vosti'o  mi  pigli , 

Traggasi  avanti  lo  un  di  voi,  che  mi  oda, 
E  poi  di  roncigliarmi  si  consigli! 

Tutti  gridaron:  >aùa  Malacoda! 

Per  che  un  si  mosse,  e  li  altri  steKor   fermi, 
E  venne  a  lui,  dicendo,  che  ti  apprikdii.^ 

Credi  tu,  Malacoda,  qui  vrdeniii 
Esser  venuto  ,  disse  il  mio  maestro  , 
Securo  già  da  tulli  i  vo.stri  sclieriui  , 

San/a  voler  divino  e  fato  destro .-' 

liiisciami  andar  !  che  nei  ciclo  è  voluto, 
Ch(^  Io  nl(l^tri  nltriii  que-<to  cammin  Silvestro. 
Allor  li  fu  1'  orgoglio  sì  caduto, 

(/he  si  lasi'iò  cascar  lo  iwuiiio  ai  pi<Mli, 
E  diasc:  omei  costui  non  sia  frrulu  ! 
E  il  duca  mio  a  me  :  uh  tu ,  che  «iodi 


[47] 


INFERNO.     fXXl.  89—139.  XXII.  1—70) 


r48] 


Tra  li  scheggion  del  ponte  quatto  quatto,' 
Sicuramente  ornai  a  me  ti  riedi! 

Per  che  io  mi  mossi,  ed  a  lui  venni  ratto: 
E  i  diavoli  si  fecer  tutti  avanti, 
Sì  che  io  temetti,  non  tenesser  patto. 

E  cosi  vid'  io  già  temer  li  fanti 

Che  uscivan  patteggiati  di  Caprona, 
Veggendo  sé  tra  nemici  cotanti. 

Io  mi  accostai  con  tutta  la  persona 

Lungo  il  mio  duca,  e  non  torceva  li  occhi 
Dalla  sembianza  lor,  eh'  era  non  bona. 

Ei  chinavan  li  raffi ,  e  :  vnoi  che  io  il  tocchi , 
Diceva  lo  un  con  lo  altro,  in  sul  groppone? 
E  rispondean:  sì,  fa  che  li  le  accocchi! 

Ma  quel  demonio,  che  tenea  sermone 
Col  duca  mio ,  si  volse  tutto  presto , 
E  disse:  posa,  posa.  Scarmiglione! 

Poi  disse  a  noi:  più  oltre  andar  per  questo 
Scoglio  non  si  potrà;  però  che  giace 
Tutto  spezzato  al  fondo  lo  arco  sesto. 

E  se  lo  andare  avanti  pur  vi  piace, 
Andatevene  su  per  questa  grotta!^ 
Presso  è  un  altro  scoglio  ,  che  via  face. 

Jer,  più  oltre  cinque  ore  che  questa  otta. 
Mille  ducento  con  sessanta  sei 
Anni  compier, che  qui  la  via  fu  rotta» 

Io  mando  verso  là  di  questi  miei , 
A  riguardar,  se  alcun  se  ne  sciorina: 
Gite  con  lor,  eh'  ei  non  saranno  rei. 

Tratti  avanti,  Alichino,  e  Calcabrina, 
Cominciò  egli  a  dire,  e  tu  Cagnazzo, 
E  Barbariccia  guidi  la  decina! 

Libicocco  vegna  oltre,  e  Draghignazzo , 

Ciriatto  sannuto,  e  Graffiacane,    <rw>yi  Tla^».^ 
E  Farfarello,  e  Ruhicante  pazzo! 

Cercate  intorno  le  bollenti  pane! 
Costor  sien  salvi  insino  allo  altro  scheggio , 
Che  tutto  intero  va  sopra  le  tane. 

Oraè,  maestro,  che  è  quel,  che  io  veggio? 
Diss'  io:  deh,  senza  scorta  andlamci  soli. 
Se  tu  sa'  ir ,   che  io  per  me  non  la  cheggio  ; 

Se  tu  sei  sì  accorto ,  come  suoli , 

Non  vedi  tu,  che  ei  digrignan  li  denti, 
E  con  le  ciglia  ne  minaccian  duoli? 

Ed  egli  a  me:  non  vo'  che  tu  paventi. 
Lasciali  digrignar  pure  a  lor  senno, 
Ch'  ei  fanno  ciò  per  li  lassi  dolenti. 

Per  lo  argine  sinistro  volta  dienno; 

Ma  prima  avea  ciascun  la  lingua  stretta 
Coi  denti  Vtjrso  lor  duca  per  cenno. 

Ed  egli  avea  del  cui  fatto  trombetta. 


f 


CANTO     XXII. 


ARGOMENTO. 

Astuzia  d'  un  harutiicrc,  per  uscir  di  mano  di' 
voli,  clic  scornati  s'  uzzvjfano  Ira  di  loro. 

lo  vidi  già  cavalier  mover  campo, 

E  cominciare  stormo,  e  far  lor  mostra. 
E  talvolta  partir  per  loro  scampo: 


dia- 


Corridor  vidi  per  la  terra  vostra, 
Oh  Aretini,  e  vidi  gir  gualdane, 
Ferir  torneunienti ,  e  correr  giostra. 

Quando  con  trombe,  e  quando  con  campane, 
Con  tamburi,  e  con  cenni  di  castella, 
E  con  cose  nostrali ,  e  con  istrane  ; 

Né  già  con  sì  diversa  cannamella 
Cavalier  vidi  mover ,  né  pedoni , 
Né  nave  a  segno  di  terra,  o  di  stella. 

Noi  andavam  con  li  diece  dimoni: 

Ahi  fiera  compagnia!   ma  nella  chiesa 
Coi  santi ,   ed  in  taverna  coi  ghiottoni. 

Pure  alia  pegola  era  la  mia  intesa, 
Per  veder  della  bolgia  ogni  contegno, 
E  della  gente,  eh'  entro  vi  era  incesa. 

Come  i  delfini ,  quando  fanno  segno 
Ai  marinar  con  lo  arco  della  schiena. 
Che  si  argomentin  di  campar  lor  legno, 

Talor  così  ad  alleggiar  la  pena 

Mostrava  alcun  dei  peccatori  il  dosso, 
E  nascondeva  in  men  che  non  balena. 

E  come  all'  orlo  dell'  acqua  di  un  fosso 
Stanno  i  ranocchi  pur  col  muso  fori. 
Sì  che  celano  i  piedi  e  lo  altro  grosso: 

Sì  stavan  da  ogni  parte  i  peccatori; 
Ma  come  si  appressava  Barbariccia, 
Così  si  ritraean  sotto  i  bollori. 

Io  vidi,  ed  anche  il  cor  me  ne  accapriccia. 
Uno  aspettar  così ,  com'  egli  'ncontra , 
Che  una  rana  rimane,  e  l'  altra  spiccia. 

E  Graffiacan ,  che  li  era  più  di  contra. 
Li  arroncigliò  le  impegolate  chiome, 
E  trassel  su,  che  mi  parve  una  lontra. 

Io  sapea  già  di  tutti  quanti  'l  nome. 
Sì  li  notai,  quando  furono  eletti, 
E  poi  che  si  chiamaro ,  attesi ,  come. 

Oh  Rubicante,  fa  che  tu  li  metti 

Li  unghioni  addosso  si  che  tu  lo  scnoi  ! 
GridaAan  tutti  insieme  ì  maladetti. 

Ed  io  :  maestro  mio ,  fa ,  se  tu  puoi , 
Che  tu  sappi ,  chi  é  lo  sciagurato 
Venuto  a  man  delli  avversari  suoi. 

Lo  duca  mio  li  si  accostò  a  Iato, 

DomandoUo  ond'  ci  fosse:  e  quei  rispose: 
lo  fui  del  regno  di  Navarra  nato. 

Mia  madre  a  servo  di  un  signor  mi  pose. 
Che  mi  avea  generato  di  un  ribaldo 
Distruggitor  di  sé,  e  di  sue  cose. 

Poi  fui  famiglio  del  bon  re  Tebaldo: 
Quivi  mi  misi  a  far  baratteria, 
Di  che  rendo  ragione  in  questo  caldo. 

E  Ciriatto,  a  cui  di  bocca  uscia 

Da  ogni  parte  una  sauna,  come  a  porco. 
Li  fé'  sentir  come  la  una  sdruscia. 

Tra  male  gatte  era  venuto  il  sorco; 

Ma  Barl)ariccia  il  chiuse  con  le  braccia, 
E  disse:  state  in  là,  mentre  io  lo  inforco: 

Ed  al  maestro  mio  volse  la  faccia: 
Dimanda,  disse,  ancor,  se  più  disii 
Saper  da  lui ,  prima  che  altri  'l  disfaccia  ! 

Lo  duca:  dunque  or  di'  delli  altri  rii! 
Conosci  tu  alcun,  che  sia  Latino, 
Sotto  la  pece  ?  e  quelli  :  io  mi  partii 

Poco  è  da  un,  che  fu  di  là  vicino: 
Così  foss'  io  ancor  con  lui  coverto, 
Che  io  non  temerei  unghia,  nò  uncino. 

E  Libicocco  :  troppo  avcm  solFcrto , 


:49] 


INFERNO.  (XXII.  71—151.  XXIII.  1—40) 


Disse ,  e  preseli  '1  braccio  col  runciglio , 
Si  che ,  stracciando ,  ne  portò  un  lacerto , 

Drap^hignazzo  anclie  i  volle  dar  di  piglio 
Giuso  alle  gambe  ;  onde  il  decurio  loro 
Si  Tolse  intorno  intorno  con  mal  piglio. 

Quando  elli  un  poco  rappaciati  foro , 
A  lui,  che  ancor  mirava  sua  ferita, 
Dimandò  il  duca  mio,  senza  dimoro: 

Chi  fu  colui ,  da  cui  mala  partita 
Di' ,  che  facesti ,  per  venire  a  proda  ? 
Ed  ei  rispose:  fu  frate  Gomita, 

Quel  di  Gallura,  vasel  di  ogni  froda, 
Ch'  ebbe  i  nimici  di  suo  donno  in  mano , 
E  fé'  lor  sì ,  che  ciascun  se  ne  loda  : 

Denar  si  tolse ,  e  lascioUi  di  piano , 

Sì  com'  ei  dice:  e  nelli  altri  ufici  anche 
Barattier  fu  non  picciol,  ma  sovrano. 

Usa  con  esso  donno  Michel  Zanche 
Di  Logodoro;  ed  a  dir  di  Sardigna 
Le  lingue  lor  non  si  sentono  stanche. 

Oh  me!  vedete  lo  altro,  che  digrigna: 
Io  direi  anche  :  ma  io  temo ,  eh'  elio 
Non  si  apparecchi  a  grattarmi  la  tigna. 

E  il  gran  proposto  volto  a  Farfarello, 
Che  stralunava  li  occhi  per  ferire, 
Disse:  fatti  'n  costà,  malvagio  uccello! 

Se  voi  volete  o  vedere,  o  udire. 
Ricominciò  lo  spaurato  appresso, 
Toschi,  o  Lombardi ,  io  ne  fiirò  venire. 

Ma  stien  le  male  branche  un  poco  in  cesso  ^ 
Si  che  non  teman  delle  lor  vendette , 
Ed  io ,  seggendo  in  questo  loco  stesso , 

Per  un,  che  io  son,  ne  farò  venir  sette, 
Quando  sufolcrò,  com'  è  nostro  uso 
Di  fare  altor,  che  fori  alcun  si  mette. 

Cagnazzo  a  cotal  motto  levò  il  muso 
Crollando  il  capo,  e  disse:  odi  malizia, 
Ch'  egli  ha  pensato,  per  gittarsi  giuso  ! 

Orni'  ei,  che  avea  lacciuoli  a  gran  divizia, 
Rispose:  malizioso  son  io  troppo, 
Quando  io  prociu'o  ai  miei  maggior  tristizia. 

Alichin  non  si  tenne ,  e  di  rintoppo 
Aili  altri,  disse  a  lui:   se  tu  ti  cali, 
lo  non  ti  verrò  dietro  di  galoppo. 

Ma  batterò  sovra  la  i)ece  le  ali  : 

Lascisi  4  colle,  e  sia  la  ripa  scudo, 
A  veder,  se  tu  sol  più  di  noi  vali! 

Oh  tu  che  leggi,  udirai  novo  ludo. 

Ciascun  dall'  altra  costa  li  occhi  volse; 
Quel  primo,  che  a  ciò  fare  era  più  crudo. 

Lo  INavarrese  ben  suo  tempo  colse, 

Fermò  le  piante  a  terra,  ed  in  un  punto 
Saltò  ,  e  dal  proposto  lor  si  sciolse. 

Di  clic  ciascun  di  colpa  fu  compunto; 
Ma  quei  più,  che  cagion  fu  del  difetto. 
Però  si  mosse ,  e  gridò  :  tu  sei  giunto. 

Ma  poco  i  valse ,  rhù  le  ali  al  sospetto 
Non  poterò  avanzar:  quelli  andò  sotto, 
E  quei  drizzò,  volanilo,  suso  il  petto. 

^'on  nltrimenli  l'  anitra  di  botto. 

Quando  il  falcon  si  appressa,  giù  sì  attufTa, 
Ed  «i  rJLdrna  su  crucciato  e  rotto. 

Irato  (/'.tl<  abrina  delbi  Itulla, 

Vdiandii  dietro  li  tenne,  invaghito. 
Che  (|ii(i  campasse,  p«T  aver  la  zutTo. 

E  come  il  barattier  iu  dispartito, 

Corì  volse  li  artigli  ul  buo  compagno , 


[50] 


E  fu  con  lui  sovra  il  fosso  gremito. 

Ma  lo  altro  fu  bene  sparvier  grifagno 
Ad  artigliar  ben  lui ,  ed  ambo  e  due 
Cadder  nel  mezzo  del  bollente  stagno. 

Lo  caldo  sghermitor  subito  fue: 
Ma  però  di  levarsi  era  niente, 
Si  aveano  invischiate  le  ali  sue. 

Barbariccia  con  li  altri  suoi  dolente 
Quattro  ne  fé'  volar  dall'  altra  costa, 
Con  tutti  i  raffi ,  ed  assai  prestamente 

Di  qua  di  là  discesero  alla  posta: 
Porser  li  uncini  verso  1'  impaniati , 
Ch'  eran  già  cotti  dentro  dalla  crosta, 

C  noi  lasciammo  lor  cosi  'mpacciati. 


CANTO      XXIII. 


ARGOMENTO. 

Sesta   bolgia  degV  ipocriti  vestiti  di  cappe  di  piombo 
dorate.     Catalano.     Loderingo. 


Taciti,  soli,  sanza  compagnia 

Ne  andavam  lo  un  dinanzi ,  e  lo  altro  dopo , 
Come  ì  frati  minor  vanno  per  via. 

Volto  era  in  su  la  favola  d'  Isopo 
Lo  mio  pensier  per  la  presente  rissa, 
Dov'  ei  parlò  della  rana,   e  del  topo: 

Che  più  non  si  pareggia  mo  ed  issa, 

Che  lo  un  collo  altro  fa ,  se  ben  si  accoppia 
Principio  e  fine,  con  la  mente  fissa: 

E  come  lo  un  pensier  dello  altro  scop^na , 
Così  nacque  di  quello  un  altro  poi, 
Che  la  prima  paura  mi  fé'  doppia. 

Io  pensava  così  :  questi  per  noi 

Sono  scherniti ,  e  con  danno  e  con  beffa 
Sì  fatta,  che  assai  credo,  che  lor  noi. 

Se  la  ira  sovra  il  mal  voler  si  aggueda , 
Ei  ne  verranno  dietro  più  crudeli , 
Che  cane  a  quella  levre,  eh'  egli  acceflb. 

Già  mi  sentia  tutti  arricciar  li  peli 
Della  paura,  e  stava  indietro  intento,^ 
Quando  io  dissi  :  maestro ,  se  non  celi 

Te  e  me  tostamente,  io  pavento 

Di  Malebranche:  noi  li  avem  già  dietro: 
Io  r   imagino  sì ,  che  già  li  sento. 

E  quei  :  se  io  fossi  d'  impiombato  vetro , 
La  imagine  di  for  tua  non  trarrei 
Più  tosto  a  me,  che  quella  dentro  impetro. 

Pur  mo  veniéiui  i  tuoi  pensier  tra  i  niiei 
Con  simile  atto,  e  con  simile  faccia, 
Sì  che  da  entnuiibì  wn  sol  consiglio  fei. 

S'  egli  è  che  sì  la  destra  costa  giaccia. 
Che  noi  possiam  r.(  11'  altra  bolgia  scendere 
Noi  fuggireni  la  iniaginata  caccia. 

Già  non  eompiè  di  tal  «onsiglio  rendere, 
Clic  io  li  vidi  venir  con  le  ali  tese 
Non  molto  Iiuigi ,  per  volerne  prender 

Lo  duca  mio  di  subito  mi  prese, 

Come  la  madre,  che  a  ronu>re  è  desta 
E  ^ede  presso  n  sé  le  fiauuue  accese. 

Che  prende  il  figlio,  e  fugge,  e  non  si  arresta. 


[51] 


INFERNO.      (XXIII.  41—148.  XXtV.  1— 12) 


Avendo  più  di  lui  che  di  sé  cura, 
Tanto  che  solo  una  camicia  Testa: 
E  giù  dal  collo  della  ripa  dura 

Siipin  si  diede  alla  pendente  roccia. 
Che  Io  nn  dei  lati  all'  altra  bolgia  fura. 
Non  corse  mai  sì  tosto  acqua  per  doccia, 
A  volger  rota  di  molin  terragno, 
Quando  ella  più  verso  le  pale  approccia  y^'tL^ÌL'> 
Come  il  maestro  mio  per  quel  vivagno,     i;'... .:    !>■,." 
Portandosene  me  sovra  il  suo  petto , 
Come  suo  figlio,  non  come  compagno. 
A  pena  furo  ì  pie  suoi  giunti  al  letto 

Del  fondo  giù,  eh'  ei  giunsero  in  sul  colle 
Sovresso  noi,  ma  non  li  era  sospetto; 
Che  1'  alta  providenza,  che  lor  volle 
Porre  ministri  della  fossa  quinta, 
Poder  di  partirs'  indi  a  tutti  tolle. 
Là  giù  trovammo  una  gente  dipinta, 
Che  giva  intorno  assai  con  lenti  passi 
Piangendo,  e  nel  sembiante  stanca  e  vinta. 
Elli  avean  cappe  con  cappucci  bassi 
Dinanzi  alli  orchi,  fatte  della  taglia. 
Che  in  Giugni  per  li  monaci  fassi. 
Di  for  dorate  son,  si  eh'  elli  abbaglia. 
Ma  dentro  tutte  piombo,  e  gravi  tanto, 
Che  Federigo  le  raettea  di  paglia. 
Oh  in  eterno  faticoso  manto  ! 
Noi  ci  volgemmo  ancor  pure  a  man  manca 
Con  loro  insieme,  intenti  al  tristo  pianto; 
Ma  per  lo  peso  quella  gente  stanca 
Venia  si  pian ,  che  noi  eravam  novi 
Di  compagnia  ad  ogni  mover  di  anca.  " 
Per  che  io  al  duca  mio:  fa  che  tu  trovi 
Alcun,  che  al  fatto,  o  al  nome  si  conosca, 
E  r  occhio  sì  in  andando  intorno  movi! 
Ed  un,  che  intese  la  parola  tosca, 
Diretro  a  noi  gridò:  tenete  i  piedi, 
Voi,  che  correte  sì  per  1'  aura  fosca! 
Forse  che  avrai  da  me  quel,  che  tu  chiedi; 
Onde  il  duca  si  volse,  e  disse:  aspetta, 
E  poi  secondo  il  suo  passo  procedi! 
Ristetti ,  e  vidi  duo  mostrar  gran  fretta 
Dello  animo  col  viso,  di  Cfser  meco; 
Ma  tardavali  '1  carco,  e  la  via  stretta. 
Quando  fur  giunti ,  assai  con  V  occhio  bieco 
Mi  rimiraron  sanza  far  parola: 
Poi  si  volsero  in  sé,  e  dicean  seco: 
Costui  par  vivo  allo  atto  della  gola; 
E  s'  ei  son  morti,  per  qual  privilegio 
Vanno  scoverti  della  grave  stola? 
Poi  dissermi:  oh  Tosco,  che  al  collegio 
Dell'  ipocriti  tristi  sei  venuto, 
Di'  chi  tu  sei  ?  non  lo  avere  in  dispregio  ! 
Ed  io  a  loro:  io  fui  nato  e  cresciuto 

Sovra  il  bel  fiume  di  Arno  alla  gran  villa, 
E  son  col  corpo,  che  io  ho  sempre  avuto. 
Ma  voi  chi  siete,  a  cui  tanto  distilla. 

Quanto  io  veggio,  dolor  giù  per  le  guance, 
E  che  pena  è  in  voi,  che  sì  sfavilla? 
E  lo  un  ri-pnsc  a  me:  le  cappe  rance 
Son  di  piombo  sì  grosse,  che  lì  pesi 
Fan  così  cigolar  le  lor  bilance. 
Frati  Godenti  fummo  ,  e  Dolognesi , 
Io  Catalano,  e  costui  Lodcringo 
>omati,  e  da  tua  terra  insieme  presi, 
Come  suole  esser  tolto  un  om  solingo 
Per  conservar  sua  paco,  o  fummo  t 


[52J 


pace,  0  fummo  tali, 


Che  ancor  sì  pare  intorno  dal  Gardingo. 

Io  cominciai:  oh  frati,  i  vostri  muli  — 
Ma  più  non  dissi:  che  alli  occhi  mi  corse 
Un ,  crocifisso  in  terra  con  tre  pali. 
Quando  mi  vide,  tutto  si  distorse, 
Soffiando  nella  barba  coi  sospiri  : 
E  il  frate  Catalan,   che  a  ciò  si  accorse, 

Mi  disse:  quel  confitto,  che  tu  miri, 
Consigliò  i  Farisei ,  che  convenìa 
Porre  un  om  per  lo  popolo  ai  martiri. 

Attraversato  e  nudo  è  nella  via. 

Come  tu  vedi;  ed  è  mestier  eh'  el  senta 
Qualunque  passa,  com'  ei  pesa  pria: 

Ed  a  tal  modo  il  socero  si  stenta 

In  questa  fossa,  e  li  altri  dal  concilio 
Che  fu  per  li  Giudei  mala  sementa. 

Allor  vid'  io  maravigliar  Virgilio 
Sovra  colui ,  eh'  era  disteso  in  croce 
Tanto  vilmente  nello  eterno  esilio. 

Poscia  dirizzò  al  frate  cotal  voce: 
Non  vi  dispiaccia,  se  vi  lece,  dirci. 
Se  alla  man  destra  giace  alcuna  foce, 

Onde  noi  ambo  e  due  possiamo  uscirci 
Senza  costringer  delli  angeli  neri. 
Che  vegnan  da  esto^ fondo  a  dipartirci. 

Rispose  adunque  :  più  che  tu  non  speri , 

Si  appressa  un  sasso,  che  dalla  gran  cerchia 
Si  move ,  e  varca  tutti  ì  vallon  feri  ; 

Salvo  che  a  questo  è  rotto ,  e  noi  coperchia  : 
Montar  potrete  su  per  la  mina , 
Che  giace  in  costa,  e  nel  fondo  soperchia. 

Lo  duca  stette  un  poco  a  testa  china, 
Poi  disse:  mal  contava  la  bisogna 
Colui,  che  i  peccator  di  là  uncina. 

E  il  frate  :  io  udii  già  dire  a  Bologna 
Del  diavol  vizj  assai,  tra  i  quali  udi' 
Ch'  egli  è  bugiardo,  e  padre  dì  menzogna. 

A  presso  il  duca  a  gran  passi  sen  gì 
Turbato  un  poco  d'  ira  nel  sembiante: 
Onde  io  dall'  incarcati  mi  parti' 

Dietro  alle  poste  delle  care  piante. 


CANTO     XXIV. 


ARGOMENTO, 

Difficile    passao^gio     alla    settima    bolgia    dei  ladri. 

Vanni  Fucci  da  Pistoja,      MctamorfosL 

Bianchi  e  Neri, 

In  quella  parte  del  giovinetto  anno, 

Che  il  sole  ì  crin  sotto  lo  Aquario  tempra, 
E  già  le  notti  al  mezzo  dì  sen  vanno, 

Quando  la  brina  in  su  la  terra  assempra 
La  imnginc  di  sua  sorella  bianca. 
Ma  poco  dura  alla  sua  penna  tempra, 

Lo  villancllo,  a  cui  la  roba  manca, 

Si  leva,  e  guarda,  e  vede  la  campagna 
Biancheggiar  tutta,  ond'  ci  si  batte  1'  anca,. 

Ritorna  a  casa,  e  qua  e  là  si  lagna. 

Come  il  tapin ,  che  non  sa  che  sì  faccia  ; 
Poi  riedc,  o  la  Bperanza  ringavagna. 


T53] 


INFERNO.     rXXTV.  13—146) 


[54] 


VejTgendo  il  mondo  aver  cangiata  faccia 
{n  poco  di  ora,  e  prende  suo  vincastro, 
E  for  le  pecorelle  a  pascer  caccia. 

Cu^ì  ini  fece  sbigottir  lo  mastro , 

Quando  io  li  vidi  sì  turbar  la  fronte, 
E  così  tosto  al  mal  giunse  lo  impiastro: 

Cile  come  noi  venimmo  al  guasto  ponte. 
Lo  duca  a  me  si  volse  con  quel  piglio 
Dolce,  che  io  vidi  in  prima  a  pie  del  monte. 

Le  braccia  aperse ,  dopo  alcun  consiglio 
Eletto  seco  ,  riguardando  prima 
Ben  la  mina,  e  diedemi  di  piglio. 

E  come  quei,  che  adopera,  ed  istima. 
Che  sempre  par  che  innanzi  si  proveggia, 
Così,  levando  me  su  Aer  la  cima 

Di  un  rocchion ,  avvisava  un'  altra  scheggia , 
Dicendo:  sovra  quella  poi  ti  aggrappa: 
Ma  tenta  pria,  s'  è  tal  eh'  ella  ti  reggia! 

Non  era  ^ia  da  vestito  di  cappa. 

Che  noi  a  pena,  ei  lieve,  ed  io  sospinto, 
{      Potevara  su  montar  di  chìa))pa  in  chiappa. 

E  se  non  fosse,  che  da  quel  precinto 
Più  che  dallo  altro ,  era  la  costa  corta , 
Non  so  di  lui ,  ma  io  sarei  ben  vinto. 

Ma  per  che  Malebolge  inver  la  porta 
Del  bassissimo  pozzo  tutta  pende. 
Lo  sito  di  ciascuna  valle  porta 

Che  la  una  costa  surge,  e  l'  altra  scende: 
Noi  pur  venimmo  alfine  in  su  la  punta , 
Onde  la  ultima  pietra  si  scoscende. 

La  lena  mi  era  del  polmon  sì  munta , 

Quando  fui  su,  che  io  non  ])otea  più  oltre, 
Anzi  mi  assisi  nella  prima  giunta. 

Omai  convien,  che  tu  così  ti  spoltre,  i^^S' 

Disse  il  maestro:  che,  seggendo  in  piuma,' 
In  fama  non  si  vien ,  né  eotto  coltre:      ..  S.. 

Sanza  la  qual ,  chi  sua  vita  consuma , 
Cotal  vestigio  in  terra  di  sé  lascia, 
Qual  fummo  in  aere,  ed  in  acqua  la  schiuma» 

£  però  leva  su ,  vinci  1'  ambascia 

Con  Io  animo,  che  vince  ogni  battaglia,        ^ 
Se  col  suo  grave  corpo  non  si  accascia.  .    ' 

Più  lunga  scala  convien,  che  si  saglia: 
Non  basta  da  costoro  esser  partito  : 
Se  tu  m'  intendi,  or  fa  sì,  che  ti  vaglia! 

Levami  allor,  mostrandomi  fornito 

Meglio  di  lena,  che  io  non  mi  sentia , 
E  dissi:  va,  che  io  son  forte  ed  ardito. 

Su  per  lo  scoglio  prendenmio  la  via , 

Ch'  era  rocchioso,  stretto,  e  malagevole} 
Ed  erto  più  assai,  che  quel  di  pria. 

Parlando  andava  per  non  ))arer  fievole: 
Onde  una  voce  uscio  dallo  altro  fosso, 
A  parole  formar  disconvenevole. 

Non  so ,  che  dis^c ,  ancor  che  sovra  il  dosso 
Fossi  dello  arco  già,  che  varca  quivi: 
Ma  chi  parlava,  ad  ira  parca  mosso. 

lo  era  volto  in  giù  ,  ma  li  occhi  vivi 
Non  potèn  ire  al  fondo  per  I'  oscuro: 
Pur  che  io:  maestro,   fa  che  tu  arrivi 

Dallo  altro  cinghio,  e  dismonti.ini  lo  muro! 
Cile  come  io  odo  quinci ,  e  non  intendo , 
Co?i  giù  veggio,  e  niente  afliguro. 

Altra  risposta,  disse,  non  ti  rendo. 
Se  non  lo  far  :  che  la  dimanda  onesta 
Si  dee  seguir  con  la  opera,  tacendo. 

Noi  didcendciumu  il  ponto  dalla  tcata 


Ove  si  aggiunge  con  la  ottava  ripa, 
E  poi  mi  fu  la  bolgia  manifesta: 

E  vidivi  entro  terribile  stipa 
Di  serpenti  di  si  diversa  mena. 
Che  la  memoria  il  sangue  ancor  mi  ecipa. 

Più  non  si  vanti  Libia  con  sua  'rena: 
Che  se  chciidri,  jaculi,  e  farce 
Produce,  e  ceneri  con  anfisibena; 

Xè  tante  pestilenze,  né  si  ree 

Mostrò  giammai  con  tutta  la  Etiopia , 
Né  con  ciò ,  che  di  sopra  il  mar  rosso  ce. 

Tra  questa  cruda ,  e  tristissima  copia 
Correvan  genti  nude  e  spaventate, 
Sanza  sperar  pertuso ,  o  elitropia. 

Con  serpi  le  man  dietro  avean  legate. 
Quelle  ficcavan  per  le  ren  la  coda 
E  il  capo,  ed  eraa  dinanzi  aggroppate. 

Ed  ecco  ad  un,  eh'  era  da  nostra  proda. 
Si  avventò  un  serpente,  che  il  trafìsse 
Là  dove  il  collo  alle  spalle  si  annoda. 

Né  O  sì  tosto  mai ,  né  1  si  scrisse , 

Com'  ei  si  accese ,  ed  arse ,  e  cener  tutto 
Convenne  che  cascando  divenisse  : 

E  poi  che  fu  a  terra  sì  distrutto. 
La  polver  si  raccolse  per  sé  stessa, 
E  in  quel  medesmo  ritornò  di  butto  : 

Così  per  li  gran  savi  si  confessia , 
Che  la  fenice  more ,  e  poi  rinasce  , 
Quando  al  cinquecentesimo  anno  appressa. 

Erba  né  biada  in  sua  vita  non  pasce: 

Ma  sol  d'  incenso  lagrime,  e  di  amomo, 
E  nardi» ,  e  mirra  son  le  ultime  fasce. 

E  quale  è  quei  che  cade ,  e  non  sa  comò , 
Per  forza  di  demon,  che  a  terra  il  tira, 
O  di  altra  oppilazion,  che  lega  1'  omo, 

Quando  si  leva,  che  intorno  si  mira 
Tutto  smarrito  dalla  grande  angoscia, 
Ch'  egli  ha  sofferta,  e  guardando  sospira; 

Tal  era  il  peccator  levato  poscia. 
Oh  giustizia  di  dio  quanto  è  severa, 
Che  cotai  colpi  per  vendetta  croscia! 

Lo  duca  il  dimandò  poi ,  chi  egli  era  : 
Per  eh'  ei  rispose:  io  piovvi  di  Toscana, 
Poco  tempo  è,  in  questa  gola  fera. 

Vita  bestiai  mi  piacque ,  e  non  umana , 

Sì  come  a  mul,  che  io  fui:  son  Vanni  Fucc 
Bestia,  e  Pistoja  mi  fu  degna  tana. 

Ed  io  al  duca:  dilli,  che  non  mucci, 

E  dimanda,  qual  colpa  qua  giù  il  pinse:^ 
Che  io  lo  vidi  omo  di  sangue  e  di  crucci, 

E  il  peccator,  che  intese,  non  s'  iiifuife, 
]Ma  drizzò  verso  me  lo  animo  e  il  volto, 
E  di  trista  vergogna  si  dipinse: 

Poi  disse:  più  mi  duol ,  che  tu  mi  hai  colto 
Nella  miseria ,  dove  tu  mi  vedi , 
Che  quand'  io  fui  d<  H'  altra  vita  tolto. 

Io  non  posso  negar  quel ,  che  tu  chiedi  : 
In  giù  s(m  messo  tanto,  per  che  io  fui 
Ladro  alia  sagrestia  dei  belli  arredi: 

E  falsiuncnte  gin  fu  apposto  altrui. 
Ma  per  che  di  t.il  vista  tu  non  godi. 
Se  mai  sarai  di  for  dei  lochi  bui , 

Apri  li  ornrhi  al  mio  annunzio,  ed  odi: 
l'istoja  in  pria  di  Negri  si  dimagra , 
l'oi    Firenze  riiuio>n  genti  e  modi. 

Trat^ge    Marte  vapor  di  vai  di    Miigra, 
Clr  ù  di  torbidi  nuvoli  involuto, 

4  ♦ 


[55] 


E  con  tempesta  impetuosa  ed  agra 

Sopra  campo  Picen  fia  combattuto; 

Ond'  ei  repente  spezzerà  la  nthbia , 

Sì  che  ogni  Bianco  ne  sarà  ieruto; 

E  detto  r  ho,  per  che  doler  tea  debbia. 


I N FÉ R N  O.     (XXIV.  147—151.  XXV.  1—116) 


[56] 


CANTO    XXV. 


ARGOMENTO. 

Caco  in  forma   di    Centauro.      Metamorfosi  d'    uomo 
tu  serpe ,  e  di  serpe  in  tiomo. 

Al  fine  delle  sue  parole  il  ladro 

Le  mani  alzò  con  ambo  e  due  le  fiche. 
Gridando:  togli  dio,  che  a  te  le  squadro 

Da  indi  in  qua  mi  fur  le  serpi  amiche. 
Per  che  una  li  si  avvolse  allora  al  collo, 
Come  dicesse:  non  vo'  che  più  diche: 

Ed  un'  altra  alle  braccia,  e  rilegoUo 
Ribadendo  sé  stessa  sì  dinanzi , 
Che  non  potea  con  esse  dare  un  crollo. 

Ah  Pistoja,  Pistoja,  che  non  stanzi 
D'  incenerarti,  sì  che  più  non  duri, 
Poi  che  in  mal  far  lo  seme  tuo  avanzi! 

Per  tutti  i  cerchi  dello  inferno  oscuri 
Spirto  non  vidi  in  dio  tcinto  superbo, 
Non  quel  che  cadde  a  Tebe  giù  dei  mui'l. 

El  si  fuggi ,  che  non  parlò  più  verbo. 
Ed  io  vidi  un  Centauro  pien  di  rabbia 
Venir  gridando  :  ov'  è ,  oV  è  lo  acerbo  ? 

Maremma  non  credo  io,  che  tante  ne  abbia. 
Quante  bisce  elli  avea  su  per  la  groppa 
Infìn  ove  comincia  nostra  labbia. 

Sopra  le  spalle,  dietro  dalla  coppa 
Con  le  ale  aperte  li  giaceva  un  draco, 
E  quello  ailbca  qualunque  s'  intoppa. 

Lo  mio  maestro  disse:  quelli  è  Caco, 
Che  sotto  il  sasso  di  monte  Aventino 
Di  sangue  fece  spesse  volte  laco. 

Non  va  coi  suoi  fratei  per  un  cammino, 
I*er  lo  furar  frodolente  eh'  ei  fece 
Del  grande  armento,  eh'  egli  ebbe  a  vicino: 

Onde  cessar  le  sue  opere  bieco 

Sotto  la  mazza  di  Ercole,  che  forse 
Li  ne  die'  cento ,  e  non  sentì  le  diece. 

Mentre  che  sì  parlava;  ed  ei  trascorse, 
E  tre  S|)iriti  venner  sotto  noi, 
Dei  quai  nò  io,  né  il  duca  mio  sì  accorse, 

Se  non  quando  gridar:  chi  siete  voi? 
Per  che  nostra  novella  si  ristette, 
E  intendemmo  pure  ad  essi  poi. 

Io  non  li  conoscea;  ma  ei  seguette. 
Come  suol  wgiiitar  per  alcun  caso. 
Clic  lo  un  nomare  allo  altro  conveuette, 

Dicendo:  Ciunfa  dove  fìa  rimaso? 

Per  che  io   ,  ac<;iò  <;lie  il  duca  stesse  attento. 
Mi  pnA  '1  dito  su  dal  mento  al  naso. 

Se  tu  sci  or,  lettore,  a  creder  lento 
Ciò,  cbe  io  dirò,  non  sarà  maraviglia: 
Cile  io,  clic  il  vidi,  a  pena  il  mi  consento. 

Come  io  tcnea  levate  in  lur  le  ciglia  ; 


Ed  un  serpente  con  sei  pie  si  lancia 
Dinanzi  allo  uno ,  e  tutto  a  lui  si  appiglia. 

Coi  pie  di  mezzo  li  avvinse  la  pancia, 
E  con  li  anterior  le  braccia  prese. 
Poi  li  addentò  e  la  una  e  1'  altra  guancia. 

Li  diretani  alle  cosce  distese, 

E  niiseli  la  coda  tr'  ambo  e  due , 
E  dietro  per  le  ren  su  la  ritcse. 

EUera  abbarbacata  mai  non  fue 
Ad  alber  sì,  come  la  orribil  fiera 
Per  le  altrui  membra  avviticchiò  le  sue: 

Poi  si  appiccar,  come  di  calda  cera 
Fossero  stati,  e  mischiar  lor  colore, 
Ké  lo  un ,  nò  1'   altro  già  parca  quel ,  eh'  era  : 

Come  procede  innanzi  dallo  ardore. 
Per  lo  papiro  suso  un  color  bruno. 
Che  non  è  nero  ancora ,  e  il  bianco  more. 

Li  altri  due  riguardavano,  e  ciascuno 
Gridava:  oh  me,  Agnèl,  come  ti  muti! 
Vedi  che  già  non  sei  né  duo,  nò  uno.. 

Già  eran  li  duo  capi  un  divenuti , 
Quando  ne  apparver  due  figure  miste 
In  una  faccia,  ov'  eran  due  perduti. 

Fersi  le  braccia  due  di  quattro  liste. 

Le  cosce  con  le  gambe ,  il  ventre  e  il  casso 
Divenner  membra ,  che  non  fur  mai  viste. 

Ogni  primajo  aspetto  ivi  era  casso: 
Due  e  nessun  la  imagine  perversa 
Parca,  e  tal  sen  già  con  lento  passo. 

Come  il  ramarro  sotto  la  gran  fersa 
Dei  di  canicular,  cangiando  siepe. 
Folgore  par,  se  la  via  attraversa. 

Così  parca  venendo  verso  1'  epe 

Delli  altri  due  un  serpentello  acceso , 
Livido  e  nero,  come  gran  di  pepe. 

E  quella  parte,  donde  prima  è  preso 
JVostro  alimento,  allo  un  di  lor  trafisse, 
Poi  cadde  giuso  innanzi  lui  disteso. 

Lo  trafitto  il  mirò ,  ma  nulla  disse  : 
Anzi  coi  pie  fermati  sbadigliava. 
Pur  come  sonno ,  o  febbre  lo  assalisse. 

Elli  il  serpente,  e  quei  lui  riguardava; 

Lo  un  per  la  piaga,  e  lo  altro  per  la  bocca 
Fummavan  forte,  e  il  fummo  s'  incontrava. 

Taccia  Lucano  omai ,  là  dove  tocca 
Del  misero  Sabello ,  e  di  Nassidio , 
Ed  attenda  ad  udir  quel,  che  or  si  scocca! 

Taccia  di  Cadmo ,  e  di  Aretusa  Ovidio  ! 
Che  se  quello  in  serpente,  e  quella  in  fonte 
Converte  poetando,  io  non  lo  invidio: 

Che  duo  nature  mai  a  fronte  a  fronte 

Non  trasmutò,  sì  che  arabo  e  due  le  forme 
A  cambiar  lor  materie  fosser  pronte. 

Insieme  si  risposero  a  tai  norme, 

Cile  il  serpente  la  coda  in  forca  fesse, 
E  il  feruto  ristrinse  insieme  le  orme. 

Le  gambe  con  le  cosce  seco  stesse 

Si  appiccar  sì ,  che  in  poco  la  giuntura 
Non  facea  segno  alcun,  che  si  paresse. 

Toglica  la  coda  fessa  la  figura, 
Che  si  perdeva  là,  e  la  sua  pelle 
Si  facea  molle ,  e  quella  di  là  dura. 
Io  vidi  entrar  le  ))raccia  per  le  ascelle, 
E  i  duo  pie  della  fiera ,  eh'  eran  corti , 
Tanto  allungar,  quanto  accorciavan  quelle. 
Poscia  li  pie  dirietro  insieme  attorti 
Divcntaron  Io  uicmbro  che  1'  um  cela, 


I 


[571 


INFERNO.     (XSV.  117—151.  XX\T  1—86) 


E  il  misero  del  suo  ne  area  duo  porti. 

^lenire  che  il  fummo  Io  uno  e  io  altro  vela 
Di  color  novo,  e  genera  il  pel  suso 
Per  la  una  parte,  e  dall'  altra  il  dipela» 

Lo  un  si  levò,  e  lo  altro  cadde  giuso. 
Non  torcendo  però  le  lucerne  empie, 
Sotto  le  quai  ciascun  cambiava  muso. 

Quel,  eh'  era  dritto,  il  trasse  in  ver  le  tempie, 
E  di  troppa  materia,  che  in  là  venne, 
Uscir  le  orecchie  delle  gote  scempie: 

Ciò,  che  non  corse  in  dietro,  e  si  ritenne, 
Di  quel  soverchio  fé'  naso  alla  faccia, 
E  le  labbra  ingrossò  quando  convenne: 

Qnel,  che  giaceva,  il  muso  innanzi  caccia, 
E  le  orecchie  ritira  per  la  testa, 
Come  face  le  corna  la  lumaccia; 

E  la  lingua ,  che  aveva  unita  e  presta 
Prima  a  parlar,  si  fende;  e  la  forcuta 
A'ello  altro  si  richiude,  e  il  fummo  resta. 

L'  anima,  eh'  era  fiera  divenuta, 
Si  fugge  sufolando  per  la  valle, 
E  lo  altro  dietro  a  lui  parlando  sputa. 

Poscia  li  volse  le  novelle  spalle, 

E  disse  allo  altro:   io  vo',  che  Buoso  corra, 
Come  fo  io ,  carpon ,  per  questo  calle. 

Cosi  vid'  io  la  settima  zavorra 
Mutare,  e  trasmutare,  e  qui  mi  scusi 
La  novità,  se  fior  la  penna  abborra! 

E  avvegna  che  li  occhi  miei  confusi 
Fossero  alquanto,  e  lo  animo  smagato. 
Non  poter  quei  fuggirsi  tanto  chiusi , 

Che  io  non  scorgessi  ben  Puccio  Sciancato: 
Ed  era  quei,  che  sol  dei  tre  compagni. 
Che  venner  prima,  non  era  mutato: 
Lo  altro  era  quel,  che  tu,  Gaville,  piagni. 


[58] 


CANTO    XXVI. 


ARGOMENTO. 

Ottava  lolgìa   de'   consifrllcri  fraudolenti.       Ulisse 
Diomede. 


Godi,  Firenze,  poi  che  sei  si  grande. 
Che  per  mare  e  per  terra  batti  le  al! , 
E  per  lo  inferno  il  tuo  nome  si  spande! 

Tra  li  ladron  trovai  cinque  colali 

Tuoi  cittadini,  ondo  mi  vicn  vergogna, 
E  tu  in  grande  onoranza  non  ne  sali. 

Ma  so  presso  al  mattin  del  ver  si  sogna. 
Tu  sentirai  di  qua  da  piccini  tempo , 
Di  quel  che  Prato,  non  che  altri,  ti  agogna; 

E  se  già  fosse,  non  saria  per  tempo: 
Cosi  foKs'  eì ,  da  che  pure  esser  dee! 
Che  più  mi  aggreverà ,  com'  più  mi  attempo. 

Noi  ci  partimmo,  e  su  per  le  scalee, 

CIk!  ne  avcan  fatte  i  borni  a  scender  pria, 
Himontò  il  duca  mio,  e  trasse  mce, 

£  proseguendo  la  solinga  via 

'l'ra  le  schegge,  e  trai  rocchi  dello  scoglio. 
Lo  piò  senza  la  man  non  hi  spedia. 

Allor  mi  dolfi,  ed  uru  mi  ridoglio. 


Quando  drizzo  la  mente  a  ciò  che  io  vidi 
E  più  lo  ingegno  affreno,  che  io  non  soglio 
Per  che  non  corra,  che  virtù  noi  guidi: 
Sì  che  se  stella  buona,  o  miglior  cosa 
Mi  ha  dato  il  ben,  che  io  stesso  noi  m'  ìnviilL 
Quante  il  villan,  che  al  poggio  si  riposa. 
Nel  tempo,  che  colui,  che  il  mondo  schiara 
La  faccia  sua  a  noi  tien  meno  ascosa,^ 
Come  la  mosca  cede  alla  zanzara, 
Vede  lucciole  giù  per  la  vallea , 
Forse  colà,  dove  vendemmia  ed  ara. 
Di  tante  fiamme  tutta  risplendea 
La  ottava  bolgia,  sì  come  io  mi  accorsi. 
Tosto  che  fui  là  've  il  fondo  parca. 
E  qual  colui,  che  si  vengiò  con  li  orsi, 
Vide  il  carro  di  Elia  al  dipartire , 
Quando  i  cavalli  al  cielo  erti  levorsi. 
Che  noi  potea  sì  con  li  occhi  seguire, 
Che  vedesse  altro,  che  la  fiamma  sola, 
Sì  come  nuvoletta,  in  su  salire; 
Tal  si  movea  ciascuna  per  la  gola 

Del  fosso,  che  nessuna  mostra  il  furto. 
Ed  ogni  fiamma  un  peccatore  invola. 
jlo  stava  sovra  il  ponte  a  veder  surto. 

Sì  che,  se  io  non  avessi  un  rocchion  preso, 
Caduto  sarei  giù  senza  esser  urto. 
E  il  duca,  che  mi  vide  tanto  atteso, 
Disse:  dentro  dai  fochi  son  li  spirti: 
Ciascun  si  fascia  di  quel  eh'  egli  è  inceso. 
Maestro  mio,  risposi,  per  udirti 

Son  io  più  certo  ;  ma  già  mi  era  avviso , 
Che  così  fosse,  e  già  voleva  dirti: 
Chi  è  in  quel  foco,  che  vien  sì  diviso 
Di  sopra,  che  par  surger  della  pira, 
Ov'  Eteócle  col  fratel  fu  miso? 
Risposemi:  là  entro  si  martira 
Ulisse,  e  Diomede,  e  cosi  insieme 
Alla  vendetta  corron,  come  alla  ira: 
E  dentro  dalla  lor  fiamma  si  geme 
Lo  aguato  del  cavai,  che  fé'  la  porta. 
Onde  uscì  dei  Romani  'l  gentil  seme. 
Piangevisi  entro  V  arte,  per  che  morta 
Deidamia  ancor  si  duol  di  Achille , 
E  del  Palladio  pena  vi  si  porta. 
S'  ei  posson  dentro  da  quelle  faville 

Parlar ,  diss'  io ,  maestro ,  assai  tea  priego , 
E  rìpriego ,  che  il  priego  vaglia  mille , 
Che  non  mi  facci  dello  attender  nego. 
Fin  che  la  fiamma  cornuta  qua  vegna. 
Vedi,  che  del  desio  ver  lei  mi  piego. 
Ed  egli  a  me:  la  tua  preghiera  è  degna 
Di  molta  lode,  ed  io  però  l'  accetto; 
Ma  fa,  che  la  tua  lingua  si  sostegna! 
Lascia  parlare  a  me,  che  io  ho  concetto  ^ 
Ciò,  che  tu  vuoi,  eh'  ei  sarebbero  schiv!- 
Per  eh'  ei  fur  Greci ,  forse  del  tuo  detto. 
Poi  che  la  fianuna  fu  venuta  quivi. 
Ove  parve  al  mio  duca  tempo  e  loco. 
In  questa  forma  lui  parlare  aiulivi. 
Oh  voi,  che  siete  duo  dentro  ad  un  f oco ,  ^ 
Se  io  meritai  di  voi ,  mentre  che  io  vistìì 
So  io  merit.ii  di  voi  a.-sai ,  o  poro. 
Quando  nel  mondo  li  alti  versi  scrissi. 
Non  vi  niov<li- :  ma  lo  un  di  voi  dica, 
Dove  per  lui  perduto  a  morir  gis-«i. 
Lo  maggior  corno  della  fiamma  antii-^i 
Comiuciò  u  crolldi'ei ,  luormorandu , 


[59] 


INFERNO.      (XXVI.  87—142.  XXVIL  1—56) 


[601 


Pur  come  quella,  cui  vento  affatica. 
Indi  la  cima  qua  e  là  menando. 

Come  fosse  la  lingua  che  parlasse, 
Gittò  voce  dì  fuori  e  disse  :  quando 
Mi  dipartii  da  Circe,  che  sottrasse 
Me  più  di  un  anno  là  presso  a  Gaeta, 
Prima  che  si  Enea  la  nominasse: 
Né  dolcezza  di  figlio ,  né  la  pitta 

Del  vecchio  padre,  né  il  debito  amore, 
Lo  qual  dovea  Penelope  far  lieta. 
Vincer  poterò  dentro  a  me  lo  ardore. 

Che  io  ebbi  a  divenir  del  mondo  esperto, 
E  delli  vizj  umani ,  e  del  valore  ; 
Ma  misi  me  per  lo  alto  mare  aperto 

Sol  con  un  legno,  e  con  quella  compagna 
Ficciola ,  dalla  qual  non  fui  deserto. 
Lo  un  lito  e  lo  altro  vidi  infin  la  Spagna, 
Fin  nel  Marocco,  e  la  isola  dei  Sardi, 
E  le  altre,  che  quel  mare  intorno  bugna. 
lo  e  i  compagni  eravam  vecchi  e  tardi , 
Quando  venimmo  a  quella  foce  stretta, 
Ov'  Ercole  segnò  li  suoi  riguardi , 
Acciò  che  1'  om  più  oltre  non  si  metta; 
Dalla  man  destra  mi  lasciai  Sibilia, 
Dall'  altra  già  mi  avea  lasciata  Setta. 
Oh  frati ,  dissi,  che  per  cento  miiia 
Perigli  siete  giunti  all'  occidente, 
A  questa  tanto  picciola  vigilia 
Dei  vostri  sensi,  eh'  é  del  rimanente. 
Non  vogliate  negar  la  esperienza , 
Diretro  al  sol,  del  mondo  senza  gente! 
Considerate  la  vostra  semenza  ! 

Fatti  non  foste  a  viver  come  bruti, 
Ma  per  seguir  virtute  e  conoscenza. 
Li  miei  compagni  fec'  io  si  acuti 

Con  questa  orazion  picciola  al  cammino. 
Che  a  pena  poscia  li  avrei  ritenuti. 
E  volta  nostra  poppa  nel  mattino, 
Dei  remi  faceuuiio  ale  al  folle  volo. 
Sempre  acquistando  del  lato  mancino. 
Tutte  le  stelle  già  dello  altro  polo 

Vedea  la  notte,  e  il  nostro  tanto  basso. 
Che  non  surgca  di  for  del  marin  suolo. 
Cinque  volte  racceso ,  e  tante  casso 
Lo  lume  era  di  sotto  dalla  luna. 
Poi  eh'  entrati  era^ani  nello  alto  passo. 
Quando  ne  apparve  una  montagna,  bruna 
Per  la  distanza,  e  parvemi  alta  tanto. 
Quanto  veduta  non  ne  aveva  alcuna. 
Noi  ci  allegraranu»,  e  tosto  tornò  in  pianto: 
Che  daUa  nuova  terra  un  turbo  nacque, 
E  percosse  del  legno  il  primo  canto. 
Tre  volte  il  fé'  girar  cor»  tutte  le  acque, 
Alla  quarta  levar  la  poppa  in  suso , 
E  la  prora  ire  in  giù,  come  altrui  piacque 
In  fin  che  il  mar  fu  eopra  noi  ricbiusu. 


CANTO    XXVII. 


ARGOMENTO. 

Stato    politico    di    Romagna.        Guido    Montefeltro, 

guerriero ,  poi  frate ,  dannato  pel  consigìto  dato 

a  Bonifacio  Vili,  di  prometter  mollo 

e  mantener  poco. 

Già  era  dritta  in  su  la  fiamma  e  qneta. 
Per  non  dir  più ,  e  già  da  noi  sen  già 
Con  la  licenzia  del  dolce  poeta  : 
Quando  un'  altra,   che  dietro  a  lei  venia, 
]\e  fece  volger  li  occhi  alla  sua  cima 
Per  un  confuso  suon,  che  for  ne  uscia. 
Come  il  bue  cicilian,  che  mugghiò  prima 
Col  pianto  di  colui  (e  ciò  fu  dritto) 
Che  lo  avea  temperato  con  sua  lima. 
Mugghiava  con  la  voce  dello  afflitto, 
Sì  che  con  tutto  eh'  ei  fosse  di  rame , 
Pure  el  pareva  dal  dolor  trafitto  ; 
I  Cosi ,  per  non  aver  via ,  né  foi'auie , 
I     Dai  principio  nel  foco,  in  suo  linguaggio, 
I     Si  convertivan  le  parole  grame. 
Ma  poscia  eh'  ebber  colto  ìor  viaggio 
Su  per  la  punta,  dandole  quel  guizzo. 
Che  dato  avea  la  lingua  in  lor  passaggio , 
Udimmo  dire  :  oh  tu ,  a  cui  io  drizzo 
La  voce ,  che  parlavi  ino ,  Lombardo , 
Dicendo  :  issa  ten  va ,  più  non  ti  adizzo  : 
Per  che  io  sia  giunto  forse  alquanto  tardo , 
Non  t'  incresca  ristare  a  parlar  meco  ! 
Vedi,  che  non  incresce  a  me,  ed  ardo. 
Se  tu  pur  mo  in  questo  mondo  cieco 
Caduto  sei  di  quella  dolce  terra 
Latina ,  onde  mia  colpa  tutta  reco , 
Dimmi,  se  i  Romagnoli  han  pace,  o  guerra; 

Che  io  fui  dei  monti  là  intra  Urbino, 
l  E  il  giogo,  di  che  Tever  si  disserra. 
;Io  era  ingiuso  ancora  attento  e  chino. 

Quando  il  mio  duca  mi  tentò  di  costa, 
1     Dicendo:  parla  tu,  questi  è  Latino. 
Ed  io ,  che  avea  già  pronta  la  risposta , 
Sanza  indugio  a  parlare  incominciai: 
Oh  anima ,  che  sei  là  giù  nascosta , 
Romagna  tua  non  é ,  e  non  fu  mai 

Sanza  guerra  nei  cuor  dei  suoi  tiranni  : 
Ma  palese  nessuna  or  ven  lasciai. 
Ravenna  sta  coni'  é  stata  molti  anni: 
L'  aquila  da  Polenta  là  si  cova. 
Si  che  Cervia  ricopre  coi  suoi  vanni. 
La  terra,  che  le'  già  la  lunga  prova, 
E  di  Franceschi  sanguinoso  mucchio. 
Sotto  le  branche  verdi  si  ritrova. 
E  il  mastin  vecchio,  e  il  novo  da  Veru<chio, 
Che  fecer  di  Montagna  il  mal  governo. 
Là  dove  soglion ,  fan  dei  denti  succhio. 
La  città  di  Lamone ,  e  di  Santerno 
Conduce  il  leonccl  dal  nido  bianco , 
Che  muta  parte  dalla  state  al  verno  ; 
E  quella,  a  cui  il  Savio  bagna  il  fianco. 
Cosi  coni'  ella  sie'  tra  il  piano  e  il  monte. 
Tra  tirannia  si  vive  e  stato  franco. 
Ora  chi  sei,  ti  prego,  che  ne  conte: 
Non  esser  duro  più,  che  altri  i»ia  stato. 


[SI] 


INFERNO.     (XXVII.  57— 130.  XXVIII.  1— 40) 


[62] 


Pe  il  nome  tuo  nel  mondo  teg'na  fronte! 

Po>(;ia  che  il  foco  alquanto  elìbe  rugghiato 
Al  modo  suo,  1'  aguta  punta  mosse 
Di  qua,  di  là,  e  poi  die'  cotal  fiato 

Se  io  credessi,  che  mia  risposta  fosse 
A  persona,  che  mai  tornasse  al  mondo, 
Questa  fiamma   starla  senza  più  sco>;?p. 

Ma  perciò  che  giammai  di  questo  fondo 
Non  tornò  vivo  alcun ,  se  io  odo  il  vero , 
Senza  tema  d'  infamia  ti  rispondo. 

I  fui  ora  di  arme,  e  poi  fui  cordigliero. 

Credendomi  sì  cinto  fare  ammenda: 

E  certo  il  creder  mio  veniva  intero , 

Se  non  fosse  il  gran  prete,  a  cui  mal  prenda. 
Che  mi  rimise  nelle  prime  colpe: 
E  come,  e  quare,  voglio  che  m'  intenda. 

Mentre  che  io  forma  fui  di  ossa  e  di  polpe. 
Che  la  madre  mi  die',  le  opere  mie 
Non  furon  leonine,  ma  di  volpe. 

Li  accorgimenti,  e  le  coperte  vie 
Io  seppi  tutte,  e  si  menai  lor  arte. 
Che  ai  fine  della  terra  il  suono  liscie. 

Quando  mi  vidi  giunto  in  quella  parte 
Di  mia  età,  dove  ciascun  dovrebbe 
Calar  le  vele,  e  raccoglier  le  sarte, 

Ciò,  che  pria  mi  piaceva,  allor  m'  increhbe, 
E  pentuto ,  e  confesso  mi  rendei , 
Ahi  miser  lasso!  e  giovato  sarebbe. 

Lo  principe  dei  novi  Farisei 

Avendo  guerra  presso  a  Laterano, 
E  non  coi  Saracin ,  né  con  Giudei  : 

Che  ciascun  suo  nimico  era  cristiano, 
E  nessuno  era  stato  a  vincer  Acri, 
Nò  mercatante  in  terra  di  Soldano: 

Ne  sommo  uficio,  né  ordini  sacri 

Guardò  in  sé,  né  in  me  quel  capestro. 
Che  solea  far  li  suoi  cinti  più  macri. 

Ma  come  Costantin  chiese  Silvestro 
Dentro  Siratti  a  guarir  della  lebbre. 
Così  mi  chiese  questi  per  maestro 

A  guarir  della  sua  superba  febbre  : 
Domandommi  consiglio,  ed  io  tacetti. 
Per  che  le  sue  parole  parver  ebbre  : 

E  poi  mi  disse:  tuo  cor  non  sospetti! 
Fin  or  ti  assolvo,  e  tu  m'  insegna  fare, 
Sì  come  Pellestrino  in  terra  getti. 

Lo  ciel  posso  io  serrare,  e  disserrare. 
Come  tu  sai:  però  son  due  le  chiavi. 
Che  il  mio  antecessor  non  ebbe  care. 

Allor  mi  pinser  li  argomenti  gravi 

lià  ove  il  tacer  mi  fu  avviso  il  peggio  : 
E  dissi:  padre,  da  che  tu  mi  lavi 

DI  quel  peccato,  ove  io  mo  cader  deggio, 
Lunga  promessa  con  lo  attender  corto 
Ti  farà  trionfar  nello  alto  seggio. 

Francesco  venne  poi,  come  io  fui  morto. 
Per  me:  ma  uu  dei  neri  Cherubini 
Li  disse:  noi  ])ortar!  non  mi  far  torto! 

Venir  so  ne  dee  giù  tra  i  miei  meschini, 
Per  che  diede  il  consiglio  frodoiente. 
Dal  quale  in  qua  stato  li  sono  ai  crini: 

Che  assolver  non  si  può  chi  non  si  ponte: 
Né  jientcrc  e  volere  insieme  puossi , 
Per  la  contraddizion ,  che  noi  consente 

Oh  me  dolente,  come  mi  riscossi. 
Quando  mi  prese,  dicendomi:  forse 
Tu  non  pcnsiavi  che  io  loico  foej^i. 


A  Minòs  mi  portò  :  e  quelli  attorse 
1      Otto  volte  la  coda  al  dosso  duro, 

E,  poi  che  per  gran  rabbia  la  si  morse, 
I  Disse  :  questi  è  dei  rei  del  foco  furo  : 
I      Per  che  io  là,   dove  vedi,  son  perduto, 
I      E  sì  vestito  andando  mi  rancuro. 
Quando  elli  ebbe  il  suo  dir  cosi  compiuto, 

La  fiamma  dolorando  si  partio , 
I      Torcendo ,  e  dibattendo  il  corno  agnto. 
jNoi  passammo  oltre  ed  io,  e  il  duca  mio. 

Su  per  lo  scoglio  infino  in  su  lo  altro  arco, 

Che  copre  il  fosso,  in  che  si  paga  il  fio, 
A  quei,  che  scommettendo  acqulstan  carco. 


CANTO     XXVIII. 


ARGOMENTO. 

Nona   bolgia    tli   seminatori  di  discordie,    che   hanno 

divise  le  membra.     Macometlo,     licrtramo 

dal  Bornio. 


Chi  porla  mal  pur  con  parole  sciolte 

Diccr  del  sangue,  e  delle  piaghe  a  pieno, 
Che  i'  ora  vidi,  per  narrar  più  volte .^ 

Ogni  lingua  per  certo  verria  meno. 

Per  lo  nostro  sermone,  e  per  la  mente, 
Che  hanno  a  tanto  comprender  poco  seno. 

Se  si  adunasse  ancor  tutta  la  gente 
Che  già  in  su  la  fortunata  terra 
Di  Puglia  fu  del  sangue  suo  dolente. 

Per  li  Romani,  e  per  la  lunga  guerra. 
Che  delle  anella  fé'  sì  alte  spoglie. 
Come  Livio  scrive,  che  \]on  erra; 

Con  quella,  che  sentio  di  colpi  doglie, 
Per  contrastare  a  Ruberto  Guiscardo , 
E  1'  altra,  il  cui  ossame  ancor  si  accoglie 

A  Ccpcran ,   là  dove  fu  bugiardo 

Ciascun  Pugliese,  e  là  da  Tagliacozzo, 
Ove  senz'  arme  vinse  il  vecchio  Alardo: 

E  qual  forato  suo  membro  ,  e  qual  mozzo 
Mostrasse,  da  eguar  sarebbe  nulla 
Il  modo  della  nona  bolgia  sozzo. 

Già  veggia  per  mezzul  perdere,  o  luHa, 
Come  io  vidi  un,  così  non  si  pertugia. 
Rotto  dal  mento  insin  dove  si  trulla: 

Tra  le  gambe  pendcvan  le  mimigia; 
La  corata  pareva,  e  il  tristo  ^iU•^•o, 
Che  merda  fa  di  qu'-l,  die  ^i  trangugia. 

Mentre  che  tutto  In  lui  veder  mi  attacco, 

Guardommi ,  e  c(»n  le  man  si  ap<Tse  il  petto. 
Dicendo:  or  vedi,  come  io  mi  dilacco: 

Vedi  come  storpiato  è  l^laninetto  : 
Dinanzi  a  me  sen  va  piangendo  Ali 
Fesso  nel  volto  dal  mento  al  ciiitVetto: 

E  tutti  li  altri,  i-lie  tu  ^edi  qui, 

Semiiiiitor  di  siandalo,   e  di  scisma, 
Fur  vivi:   e  però  son  f(!s.-<i  c«)sì. 

Un  diavolo  è  (pia  dietro,  che  no  accisma 
Sì  crudelmente,  al  taglio  della  spada 
Rimettendo  cia^tcun  di  questa  risma , 

Quando  uvèm  volta  la  doh'uto  strada: 


[63] 


INFERNO.      (XXVIH.  41—142.  XXIX.  1—10) 


[64] 


Però  che  le  ferite  son  richiuse 
Prima  che  altri  dinanzi  li  rivada. 
Ma  tu  chi  sei ,  che  in  su  lo  scoglio  muse , 
Forse  per  indugiar  d'  ire  alla  pena, 
Ch'  è  giudicata  in  su  le  tue  accuse  ? 
Kè  morte  il  giunse  ancor,  né  colpa  il  mena, 
Rispose  il  mio  maestro,  a  tormentarlo: 
Ma  per  dar  lui  esperienza  piena, 

A  me,  che  morto  son,  convien  menarlo 
Per  lo  inferno  qua  giù  di  giro  in  giro  : 
E  questo  è  ver  cosi,  come  io  ti  parlo. 

Più  fur  di  cento ,  che ,  quando  lo  udirò , 
Si  arrestaron  nel  fosso  a  riguardarmi, 
Per  maraviglia  obliando  il  martire. 

Or  di'  a  Fra  Dolcin  dunque,  che  si  armi, 
Tu,  che  forse  vedrai  il  sole  in  breve, 
S'  egli  non  vuol  qui  tosto  seguitarmi, 

Sì  di  vivanda ,  che  stretta  di  neve 
Pkon  rechi  la  vittoiùa  al  Noarese, 
Che  altiimenti  acquistar  non  saria  lieve. 

Poi  che  lo  un   pie  per  girsene  sospese, 
Maometto  mi  disse  està  parola, 
Indi  a  partirsi  in  terra  lo  distese. 

Un  altro ,  che  forata  avea  la  gola , 
E  tronco  il  naso  infin  sotto  le  ciglia, 
E  non  avea  ma  che  una  orecchia  sola , 

Restato  a  riguardar  per  maraviglia 

Con  li  altri ,  innanzi  alli  altri  aprì  la  canna , 
Gh'  era  di  for  da  ogni  parte  vermiglia, 

E  disse:  oh  tu,  cui  colpa  non  condanna, 
E  cui  io  vidi  in  su  terra  latina. 
Se  troppa  simiglianza  non  m'  inganna, 

Rimembriti  di  Pier  da  3Iedicina, 

Se  mai  torni  a  veder  lo  dolce  piano, 
Che  da  Vercelli  a  Marcabò  dichina. 

E  fa  saper  ai  duo  miglior  di  Fano, 

A  messer  Guido ,  ed  anche  ad  Angiolello , 
Che,  se  lo  antiveder  qui  non  è  vano, 

Gittati  saran  for  di  lor  vascello , 
E  mazzerati  presso  alla  Cattolica, 
Per  tradimento  di  un  tiranno  fello. 

Tra  la  isola  di  Cipri  e  di  Majolica 
Non  vide  mai  sì  gran  fallo  Nettuno , 
Non  da  pirati,  non  da  gente  argolica. 

Quel  traditor,  che  vede  pur  con  lo  uno, 
E  tien  la  terra ,  che  tal  è  qui  meco , 
Vorrebbe  di  vederla  esser  digiuno, 

Farà  venirli  a  parlamento  seco; 

Poi  farà  sì .  che  al  vento  di  Focara 
Non  farà  lor  mesticr  voto,  né  preco. 

Ed  io  a  lui  :  dimostrami ,  e  dichiara  , 
Se  vuoi  che  io  porti  su  di  te  novella, 
Chi  é  colui   dalla  veduta  amara? 

Allor  pose  la  mano  alla  mascella 

Di  un  suo  compagno,  e  la  bocca  li  aperse, 
Gridando:  questi  è  desso,  e  non  favella: 

Questi  scacciato  il  dubitar  sommerse 
In  Cesare,  afTermando,  che  il  fornito 
Sempre  con   danno  lo  attender  soflcrse. 

Oh  quanto  mi  parca  siiigottito 

Con  la  lingua  tagliata  nella  strozza 
Curio  ,  che  a  diccr  lu  così  ardito  ! 

Ed  un ,  che  avea  la  una  e  V  altra  man  mozza 
Levando  i  nionclicrin  per  1'  aura  fosca , 
Si  che  il  sangiic  i'aica  la  factia  sozza. 

Gridò:  ricordcrati  anche  del  Mosca, 
Che  dissi,  lasso!  capo  ha  cosa  fatta. 


Che  fu  il  mal  seme  per  la  gente  tosra  : 

Ed  io  vi  aggiunsi:  e  morte  di  tua  schiatta: 
Per  eh'  egli  accumulando  duol  con  duolo 
Sen  gio,  come  persona  trista  e  matta: 

Ma  io  rimasi  a  riguardar  lo  stuolo , 
E  vidi  cosa,  che  io  avrei  paura. 
Senza  più  prova,  di  contarla  solo; 

Se  non  che  conscienzia  mi  assicura, 

La  buona  compagnia,  che  1'  om  francheggia 
Sotto  r  asbergo  del  sentirsi  pura. 

Io  vidi  certo,  ed  ancor  par  che  io  il  reggia, 
Un  busto  senza  capo  andar,  sì  come 
Andavan  li  altri  della  trista  greggia. 

E  il  capo  tronco  tenea  per  le  chiome 
Pesol  con  mano,  a  guisa  di  lanterna, 
E  quei  mirava  noi,  e  dicea:  o  me! 

Di  sé  faceva  a  sé  stesso  lucerna  : 

Ed  eran  due  in  uno ,  ed  uno  in  due  : 
Com'  esser  può ,  quei  sa ,  che  sì  governa. 

Quando  diritto  a  pie  del  ponte  fue, 
Levò  il  braccio  alto  con  tutta  la  testa 
Per  appressarne  le  parole  sue. 

Che  furo:  or  vedi  la  pena  molesta 

Tu,  che  spirando  vai  veggendo  i  morti: 
Vedi  se  alcuna  è  grande  come  questa: 

E  per  che  tu  di  me  novella  porti. 

Sappi  che  io  son  Beltram  del  Bornio ,  quelli 
Che  diedi  al  giovan  re  i  mai  conforti  * 

Io  feci  'l  padre  e  il  figlio  in  sé  ribelli: 
Achitòfel  non  fé'  più  di  Absalone, 
E  di  David  coi  malvagi  pungelli. 

Per  che  io  partii  così  giunte  persóne. 
Partito  porto  il  mio  cerebro ,  lasso  ! 
Dal  suo  principio ,  eh'  è  in  questo  troncone. 

Così  si  osserva  in  me  lo  contrapasso. 


CANTO     XXIX. 


ARGOMENTO. 

I  Decima    ed  ultima  bolgia  delV  ottavo  cerchio:  falsa- 
tori di  metalli.     Griffolino  e  Capocchio. 

La  molta  gente  e  le  diverse  piaghe 
'      Avcan  le  luci  mie  sì  inebriate , 

Clie  dello  stare  a  piangere  eran  vaghe 

Ma  Virgilio  mi  disse:  che  pur  guate? 
Per  che  la  vista  tua  pur  sì  sollolge 
Là  giù  tra  le  ombre  triste  smozzicate? 

Tu  non  hai  fatto  sì  alle  altre  bolge: 
Pensa ,  se  tu  annoverar  le  credi , 
Che  miglia  ventidue  la  valle  volge: 

E  già  la  luna  è  sotto  i  nostri  piedi: 

Lo  tempo  è  poco  ornai,  che  n'  è  concesso: 
Ed  altro  è  da  veder,  che  tu  non  vedi. 

Se  tu  avessi,  rispos'  io  a  presso. 

Atteso  alla  cagion,  per  dtc  io  guardava, 
Forse  mi  avresti  ancor  lo  star  dimesso. 

Parte  sen  già ,  ed  io  retro  li  andava , 
Lo  duca  già  facendo  la  risposta, 
E  soggiungendo  :  dentro  a  quella  cava , 

Dove  io  teneva  or  li  occhi  sì  a  posta, 


65] 


INFERNO.       (XXIX.  20—1^.  XXX.  1—2) 


[66] 


Credo  che  un  spirto  del  mio  Bangne  pianga 
La  colpa ,  che  là  giù  cotanto  costa. 
kllor  disse  il  maestro  :  non  si   franga 
Lo  tuo  pensier  da  qui  innanzi  sovra  elio! 
Attendi  ad  altro ,  ed  ei  là  si  rimanga  ! 
Jliè  io  vidi  lui  a  pie  del  ponticello 
Mostrarti,  e  minacciar  forte  col  dito. 
Ed  udii  nominar  Geri  del  Bello. 
Tu  eri  allor  si  del  tutto  impedito 
Sovra  colui,  che  già  tenne  Altaforte, 
Che  non  guardasti  in  là;  si  fu  partito. 

dh  duca  mio,  la  violenta  morte, 
Che  non  li  è  vendicata  ancor,  diss'  io, 
Per  alcun,  che  della  onta  sia  consorte. 

Fece  lui  disdegnoso:  onde  sen  gio 
Senza  parlarmi ,  si  come  io  istimo  : 
Ed  in  ciò  mi  ha  fatto  elli  a  sé  più  pio. 

Co^ì  parlammo  insino  al  loco  primo, 
Che  dello  scoglio  1'  altra  valle  mostra , 
Se  più  lume  vi  fosse,  tutto  ad  imo. 

Quando  noi  fummo  in  su  la  ultima  chiostra 
Di  Malebolge,  si  che  i  suoi  conversi 
Fotcan  parere  alla  veduta  nostra, 

Lamenti  saettaron  me  diversi , 

Che  di  pietà  ferrati  avèn  li  strali:  i 

Onde  io  li  orecchi  con  le  man  copersi.   |' 

Qiial  dolor  fora,  se  delli  spedali 

Di  Valdichiana  tra  il  luglio  e  il  settembre, 
E  di  Maremma ,  e  di  Sardigna  i  mali 

Fossero  in  una  fossa  tutti  insembre, 
Tal  era  quivi:  e  tal  puzzo  ne  usciva, 
Qual  suol  venir  dalle  marcite  membre. 

Noi  discendemmo  in  su  la  ultima  riva 
Del  lungo  scoglio ,  pur  da  man  sinistra. 
E  allor  fu  la  mia  vista  assai  più  viva 

Giù  ver  lo  fondo,  dove  la  ministra 
Dello  alto  sire,  infallìbil  giustizia. 
Punisco  i  fulsator,  che  qui  registra. 

Non  credo ,  che  a  veder  maggior  tristizia 
Fosse  in  Egina  il  popol  tutto  infermo , 
Quando  fu  lo  aere  sì  pien  di  malizia , 

Che  li  animali  infino  al  picciol  vermo 
Cascaron  tutti ,  e  poi  le  genti  antiche , 
Secondo  <;he  i  poeti  hanno  per  fermo , 

Si  ristorar  di  seme  di  formiche. 

Oh'  era  a  veder  per  quella  oscura  valle 
Languir  li  spirti  per  diverse  biche, 

Qual  sovra  il  ventre,  e  qual  sovra  le  spalle 
Lo  un  dello  altro  giacca ,  e  qual  carpione 
Si  trasmutava  per  lo  tristo  calle. 

Passo  passo  andavam  senza  sermone. 
Guardando  ed  ascoltando  li  ammalati, 
Che  non  potc'n  levar  le  lor  persone. 

Io  vidi  duo  sedere  a  sé  poggiati , 
Come  a  scaldar  si  apoggia  tegghia  a  tegghia , 
Dal  capo  ni  pie  di  scliianze  nuiculati  : 

E  non  vidi  giammai  menare  strcgghia 
Da  ragazzo  aspettato  dal  signorso, 
Né  da  colui,  che  mal  volentier  vegghia; 

Come  ciascun  menava  spesso  il  morso 

Delle  unghie  sovra  sé  per  la  gran  rabbia 
Del  pizzicor,  che  non  ha  più  soccorso. 

K  si  tracviin  giù  le  unghie  la  scabbia, 
(Jomc  colui  di  scardova  le  scaglie, 
O  di  aiir(»  pesce,  che  più   larghe  lo  abbia. 

Oh  tu,  che  con  lo  dita  ti  dismaglie, 
Cominciò  il  duca  mio  allo  un  di  loro. 


E  che  fai  di  esse  tal  volta  tanaglie, 
Dinne,  se  alcun  Latino  è  tra  costoro. 

Che  son  quinci  entro,  se  la  unghia  ti  basti 

Eternalmente  a  cotesto  lavoro  ! 
Latin  sem  noi,  che  tu  vedi  si  guasti 

Qui  ambo  e  due,  rispose  lo  un  piangendo: 

Ma  tu  chi  sei  che  di  noi  dimandasti.'' 
E  il  duca  disse:  io  sono  un  che  discendo  i 

Con  questo  vivo  giù  di  balzo  in  balzo, 

E  di  mostrar  lo  inferno  a  lui  intendo. 
Allor  si  ruppe  lo  comun  rincalzo  ,^_  - '" 

E  tremando  ciascuno  a  me  si  volse 

Con  altri,  che  lo  udiron  di  rimbalzo.  :',4lÌi/<Ì«A^ 
Lo  buon  maestro  a  me  tutto  si  accolse  ^ 

Dicendo:  di'  a  lor  ciò  che  tu  vuoli! 

Ed  io  incominciai  poscia  eh'  ei  volse:  , 

Se  la  vostra  memoria  non  s'  imboli  ^^  ■<r'i<^ 

jVel  primo  mondo  dalle  umane  menti. 

Ma  s'  ella  viva  sotto  molti  soli. 
Ditemi ,  chi  voi  siete ,  e  di  che  genti  ! 

La  vostra  sconcia  e  fastidiosa  pena 

Di  palesarvi  a  me  non  vi  spaventi  ! 
Io  fui  di  Arezzo ,  ed  Albero  da  Siena, 

Rispose  lo  un ,  mi  fé'  mettere  al  foco  : 

Ma  quel,  per  che  io  morii,   qui  non  mi  mena. 
Vero  è ,  che  io  dissi  a  lui ,  parlando  a  gioco , 

Io  mi  saprei  levar  per  lo  aere  a  volo , 

E  quei,  che  avea  vaghezza,  e  senno  poco, 
Volle,  che  io  li  mostrassi  1'  arte;  e  solo. 

Per  che  io  noi  feci  Dedalo,  mi  fece 

Ai-dere  a  tal ,  che  lo  avea  per  figliolo  ; 
Ma  nella  ultima  bolgia  delle  diece 

Me  per  alchimia,  che  nel  mondo  usai. 

Dannò  Minòs ,  a  cui  fallar  non  lece. 
Ed  io  dissi  al  poeta:  or  fu  giammai 

Gente  sì  vana  come  la  sanese? 

Certo  non  la  francesca  si  di  assaL 
Onde  lo  altro  lebbroso  che  m'  intese. 

Rispose  al  detto  mio:  trammene  Stricca, 

Che  seppe  far  le  temperate  spese, 
E  Niccolò ,  che  la  costuma  ricca 

Del  garofano  prima  discoperse 

Neil'  orto,  dove  tal  seme  si  appicca; 
E  trammen  la  brigata,  in  che  disperse 

Caccia  di  Ascian  la  vigna  e  la  gran  fronda 

E  lo  Abbagliato  suo  senno  proferse. 
Ma  per  che  sappi,  chi  sì  ti  seconda 

Centra  i  Sancsi,  aguzza  ver  me  l'  occhio. 

Si  che  la  faccia  mia  ben  ti  risponda  ! 
Sì  vedrai,  che  io  son  la  oml)ra  di  Capocchio, 

Che  falsai  li  metalli  con  ahhimia , 

E  tcn  dee  ricordar,  se  ben  ti  adocchio, 
Come  io  fui  di  natuia  buona  scimia. 


CANTO     XXX. 


ARGOMENTO. 

.tUri  falsatori.     Mina.     Falsi   vwucticrl,    e  lor  scic. 
Contesa  d'  uno  con  Siiwnc  greco. 

Nel  tempo  che  Giunone  era  crucciata 
Per  Svmclè  contra  il  sangue  tcbano , 

5 


[61] 


INFERNO.      (XXX.  3—130) 


[68] 


Come  mostrò  una  ed  altra  fiata , 
Atamante  divenne  tanto  insano , 

Che  reggendo  la  moglie  coi  duo  figli 

Andar  carcata  da  ciascuna  mano  , 
Gridò:  tendiam  le  reti,  si  che  io  pigli 

La  lionessa  e  i  lioncini  al  varco  ! 

E  poi  distese  i  dispietati  artigli,  i 

Prendendo  lo  un,  che  avea  nome  Learco, 

E  rotollo,  e  percosselo  ad  un  sasso,  i,- 

E  quella  si  annegò  con  lo  altro  carco.  M^»^«^1«^'K'^ 
E  quando  l.i  fortuna  volse  in  basso 

L'  altezza  dei  Trojan,  che  tutto  ardiva. 

Si  che  insieme  col  regno  il  re  fu  casso, 
Ecuba  trista,  misera,  e  cattiva, 

Poscia  che  vide  Polisena  morta, 

E  del  suo  Polidoro  in  su  la  riva 
Del  mar  si  fu  la  dolorosa  accorta: 

Forsennata  latrò,  sì  come  cane; 

Tanto  il  dolor  le  fé  la  mente  torta! 
Ma  né  di  Tebe  furie,  né  trojane 

Si  vider  mai  in  alcun  tanto  crude, 

Kon  punger  bestie,  non  che  membra  umane. 
Quanto  io  vidi  due  ombre  smorte  e  nude, 

Che  mordendo  corrcvan  di  quel  modo, 

Che  il  porco ,  quando  del  porcil  si  schiude. 
La  una  giunse  a  Capocchio,  ed  in  sul  nodo 

Del  collo  lo  assannò ,  sì  che  tirando 

Grattar  li  fece  il  ventre  al  fondo  sodo. 
E  lo  Aretin ,  che  rimase  tremando , 

Mi  disse:  quel  folletto  è  Gianni  Schicchi, 

E  va  rabbioso  altrui  così  conciando. 
Oh ,  diss'  io  hii ,  se  lo  altro  non  ti  ficchi 

Li  denti  addosso ,  non  ti  sia  fatica 

A  dir  chi  è,  pria  che  di  qui  si  spiccili! 
Ed  egli  a  me  :  quella  è  l'  anima  antica 

Di  Mirra  scelerata ,  che  divenne 

Al  padre ,  for  del  dritto  amore ,  amica. 
Questa  a  peccar  con  esso  così  venne, 

FalsiTicando  sé  in  altrui  forma, 

Come  lo  altro ,   che  in  là  sen  va ,  sostenne,. 
Per  guadagnar  la  donna  della  torma, 

Falsificare  in  sé  Buoso  Donati, 

Testando,  e  dando  al  testamento  norma. 
E  poi  che  i  duo  rabbiosi  fur  passati , 

Sovra  i  quali  it»  avea  1'  occhio  tenuto, 

Rivnisilo  a  guardar  li  altri  mal  nati. 
Io  vidi  un  fatto  a  guisa  di  leuto,  -a    '^ 

Pur  eh'  egli  avesse  avuta  1'  anguinaja 

Tronca  dal  lato  che  1'  omo  ha  forcuto. 
La  grave  idropisia,  che  si  dispiija 

Le  membra  con  io  umor  che  mal  converte. 

Che  il  viso  non  risponde  alla  ventraja. 
Faceva  a  lui  tener  le  labbra  aperte , 

Come  lo  etico  fa,  che  per  la  sete 

Lo  un  verso  il  mento,  e  lo  altro  in  su  rivcrte. 
Oh  voi,  che  senza  alcuna  ])ena  siete 

(E  non  so  io  per  che)  nel  mondo  gramo, 

Diss'  egli  a  noi,  guardate  ed  attendete 
Alla  miseria  del  maestro  Adamo  ! 

Io  ebbi  vivo  assai  di  quel  che  io  volli,  ^ 

Ed  ora,  lasso,  un  gocciol  di  acqua  bramo. 
Lì  ruscelletti ,  che  dei  verdi  colli 

Del  Casentin  disccndon  giuso  in  Arno, 
Facendo  i  lor  cimali  freddi  e  molli, 
Sempre  mi  stanno  innanzi ,  e  non  indarno  : 
Cile  la  immagine  lor  via  più  mi  asciuga 
Che  il  mille,  oudc  lo  nel  volto  mi  discarno.. 


La  rigida  giustizia,  che  mi  fruga^,  'j  ■",'' 
Tragge  cagion  del  loco  ,  ove  io  peccdi , 
A  metter  più  li  miei  sospiri  in  fuga. 

Ivi  è  Romena ,  là  dove  io  falsai 
La  lega  suggellata  del  Batista, 
Per  che  io  il  corpo  suso  arso  lasciai. 

Ma  se  io  vedessi  qui  1'  anima  trista 

Di  Guido,  o  di  Alessandro,  o  lii  lor  frate. 
Per  fonte  Branda  non  darei  la  vista. 

Dentro  ci  è  la  una  già ,  so  le  arrabbiate 
Ombre,  che  vanno  intorno,  dicon  vero: 
Ma  che  mi  vai ,  che  ho  le  membra  legate  ? 

Se  io  fossi  pur  di  tanto  ancor  leggiero. 

Che  io  potessi  in  cento  anni  andare  una  oncia 
Io  sarei  messo  già  per  lo  sentiero , 

Cercando  lui  tra  questa  gente  sconcia , 
Con  tutto  eh*  ella  volge  undici  miglia , 
E  men  di  un  mezzo  di  traverso  non  ci  ha. 

Io  son  per  lor  tra  sì  fatta  famiglia  : 

Ei  m'  indussero  a  battere  i  fiorini,  ^i 

Che  avevan  tre  carati  di  mondig^lia./i'iVtìVf'V 

Ed   io  a  lui:  chi  son  li  duo  tapini,        t' 
Che  fuman,  come  man  bagnata  il  verno, 
Giacendo  stretti  ai  tuoi  destri  C(»nfini  ? 

Qui  li  trovai,  e  poi  volta  non  dierno , 

Rispose,  quando  io  piovvi  in  questo  greppo; 
E  non  credo,  che  dieno  in  sempiterno. 

La  una  è  la  falsa,  che  accusò  Giuseppe. 
Lo  altro  è  il  falso  Sìnon  Greco  da  Troja:    ^ 
Per  febbre  acuta  gittan  tanto  leppo.  '  ?~ 

E  lo  un  di  lor ,  che  si  recò  a  noja 

Forse  di  esser  nomato  sì  oscuro,  ^ 

Col  pugno  li  percosse  la  epa  croja  ; 

Quella  sonò ,  come  fosse  un  tamburo  : 
E  mastro  Adamo  li  percosse  il  volto 
Col  braccio  suo,  che  non  parve  men  duro, 

Dicendo  a  lui  :  ancor  che  mi  sia  tolto 

Lo  mover ,  per  le  membra  che  son  gravi , 
Ho  io  il  braccio  a  tal  mcstier  disciolto: 

Ond'  ei  rispose:  quando  tu  andavi 
Al  foco,  non  lo  avei  tu  così  presto: 
Ma  sì  e  più  lo  avei,  quando  coniavL 

E  lo  idropico  :  tu  di'  ver  di  questo  ; 
Ma  tu  non  fosti  sì  ver  testimonio  , 
Là  ove  del  ver  fosti  a  Troja  richiesto. 

Se  io  dissi  falso ,  e  tu  falsasti  '1  conio , 
Disse  Sinonc ,  e  son  qui  per  im  fallo , 
E  tu  per  più  che  alcun  altro  dimonio. 

Ricorditi,  spergiuro,  del  cavallo. 

Rispose  quei  che  aveva  enfiata  la  epa: 
E  sieti  rio,  che  tutto  il  mondo  sallo. 

E  a  te  sia  ria  la  sete ,  onde  ti  crepa , 

Disse  il  Greco,  la  lingua,  e  l'  acqua  marcia. 
Che  il  ventre  innanzi  alli  occhi  sì  ti  assiepa.  ' 

Allora  il  monetier  :  così  si  squarcia  ;-^-,  — - 

La  bocca  tua  per  ciurmar,  come  suole;  '•    > 
Che,  se  io  ho  sete,  ed  umor  mi  rinfarcia. 

Tu  hai  r  arsura ,  e  il  capo ,  che  ti  duole , 
E  per  leccar  lo  specchio  di  Narcisso, 
INon  vorresti  a  ii.vitar  molte  parole. 

Ad  ascoltarli  era  io  del  tutto  fisso , 

Quando  il  nniestro  mi  disse:  or  pur  mira. 
Che  per  poco  é  che  teco  non  mi  risso. 

Quando  io  il  sentii  a  me  parlar  con  ira, 
Volsiuii  verso  lui  con  tal  vergogna, 
Che  ancor  per  la  memoria  mi  si  gira. 

E  (^uulo  ù  quei,  che  suo  dannaggio  sogna, 


[(i9] 


I N F E R XP.     (XXX.  137— 14S.  XXXI.  1—109) 


[70] 


Che  sognando  desidera  sognare,  .,'.  A.  ■.•</'-'*>^ 

Si  che  quel  eh'  è,  come  non  fosse,  agogna, 

T;il  mi  fec'  io,  non  potendo  parlare. 
Che  disiava  scusarmi,  e  scusava 
"^le  tuttavia,  e  non  mi  credea  fare. 

Maggior  difetto  men  vergogna  lava. 

Disse  il  maestro,  che  il  tuo  non  è  stato: 
Però  di  ogni  tristìzia  ti  disgrava! 

£  fa  ragion  che  io  ti  sia  sempre  a  lato , 

Se  più  avvien  che  fortuna  ti  accoglia  .\ 

Dove  sien  genti  in  simigliante  piat^:    ^^^^^^-^ 

Che  voler  ciò  udire  è  bassa  voglia. 


CANTO    XXXI. 


ARGOMENTO. 

Orribiìi   giganti.     Anteo  pone   i  poeti   al  fondo 
pozzo,  che  divide  V  ottavo  dal  nono  cerchio. 

Una  raedesma  lingua  pria  mi  morse, 

Sì  che  mi  tinse  la  una  e  1'  altra  guancia, 
E  poi  la  medicina  mi  riporse. 

Così  odo  io ,  che  soleva  la  lancia 

Di  Achille  e  del  suo  padre  esser  cagione 
Prima  di  trista,  e  poi  di  buona  mancia. 

Noi  demmo  il  dosso  al  misero  vallone, 
Su  per  la  ripa  che  il  cinge  dintorno 
Attraversando,  senza  alcun  sermone. 

Quivi  ora  men  che  notte,  e  men  che  giorno, 
SI  che  il  viso  mi  andava  innanzi  poco  : 
Ma  io  sentii  sonare  un  alto  corno,  ^ 

Tanto  che  avrebbe  ogni  tuon  fatto  fioco ,  lu-vi«'<^^ 
Che,  contra  sé  la  sua  via  seguitando. 
Dirizzò  li  occhi  miei  tutti  ad  un  loco*-^    ,       ^ 

Dopo  la  dolorosa  EOtta.,  quando  -  ^A-H.*      V 

Carlo  Magno  perde  la  santa  gesta,    ;    .LW.tvVV, 
Non  sonò  si  terribilmente  Orlando. 

Poco  portai  in  là  volta  la  testa, 

Che  mi  parve  veder  molte  alte  torri: 
Onde  io:  maestro,  di',  che  terra  è  questa? 

Ed  egli  a  me:  però  che  tu  trascorri 
Per  le  tenebre  troppo  dalla  lungi , 
Avvien  che  poi  nel  maginare  aborri. 

Tu  vedrai  ben,  se  tu  là  ti  congiungi. 
Quanto  il  senso  e*  inganna  di  lontano. 
Però  alquanto  più  te  stesso  pungi  ! 

Poi  caramente  mi  prese  per  mano , 

E  disse:  pria  che  noi  siam  più  avanti, 
Acciò  che  il  fatto  men  ti  paja  strano, 

Sappi ,  che  non  son  torri ,  ma  giganti , 
E  son  nel  pozzo  intorno   dalla  ripa 
Dall'  ombelico  in  giiiso  tutti  quanti. 

Come  quando  la  nebbia  si  dissipa. 
Lo  sguardo  a  poco  a  poco  raflignra 
Ciò  che  cela  il  vapor  che  lo  aere  stipa: 

Così  forando  1'  aura  grossa  e  scura 

Più,  e  più  npprcssanilo  in  ver  la  sponda, 
l'iiggi'iiii  erriirc,  e  giiigm'ini  piuirii  : 

Pero  (he  come  in  »>u  la  cerc-liia  tonda 
Monteregginn  di  torri  si  corona, 
Cosi  la  proda ,  che  il  puzzo  circonda , 


del 


Torreggìavan  di  mezza  la  persona 
Li  orribili  giganti,  cui  minaccia 
Giove  del  cielo  ancora,  quando  tona. 

Ed  io  scorgeva  già  di  alcun  la  faccia. 
Le  spalle,  e  il  petto,  e  del  ventre  gran  parte, 
E  per  le  coste  giù  ambo  le  braccia. 

Natura  certo  quando  lasciò  T  arte 
Di  sì  fatti  animali,  assai  fé'  bene. 
Per  tor  cotali  esecutori  a  Marte; 

E  s'  ella  dì  elefanti  e  di  balene 

Non  si  pente,  chi  guarda  sottilmente. 
Più  giusta  e  più  discreta  la  ne  tiene: 

Che,  dove  lo  argomento  della  mente 
Si  aggiunge  al  mal  volere,  ed  alla  possa. 
Nessun  riparo  vi  può  far  la  gente. 

La  faccia  sua  mi  parca  lunga  e  grossa. 
Come  la  pina  di  san  Pietro  a  Roma , 
Ed  a  sua  proporzion  eran  le  altre  ossa, 

Sì  che  la  ripa ,  eh'  era  perizoma 

Dal  mezzo  in  giù,  ne  mostrava  ben  tanto 
Di  sopra,  che  di  giungere  alla  chioma 

Tre  Frison  si  averian  dato  mal  vanto  : 
Però  che  io  ne  vedea  trenta  gran  palmi 
Dal  collo  in  giù,  dove  s'  affibbia  il  manto. 

Rafel  mai  amèch  izabi  almi,~ 
Cominciò  a  gridar  la  fiera  bocca. 
Cui  non  si  convenien  più  dolci  saIraJ. 

E  il  duca  mio  ver  lui:  anima  sciocca, 
Tienti  col  corno,  e  con  quel  ti  disfoga, 
Quando  ira  od  altra  passion  ti  toccai 

Cercati  al  collo,  e  troverai  la  soga 
Che  il  tien  legato,  oh  anima  confusa, 
E  vedi  lui,  che  il  gran  petto  ti  doga. 

Poi  disse  a  me:  egli  stesso  si  accusa: 
Questi  è  Nembrotto  ,  per  lo  cui  mal  coto 
Pure  un  linguaggio  nel  mondo  non  si  usa. 

Lascianilo  stare,  e  non  parliamo  a  voto! 
Che  così  è  a  lui  ciascun  linguaggio. 
Come  il  suo  ad  altrui,  che  a  nullo  è  noto. 

Facemmo  adunque  più  lungo  viaggio 

Volti  a  sinistra ,  ed  al  trar  di  un  balestro  ^ 
Trovammo  lo  altro  assai  più  fiero  e  maggio. 

A  cinger  lui ,  qual  che  fosse  il   maestro , 
Non  so  io  dir:  ma  ei  tenea  succinto 
Dinanzi  lo  altro,  e  dietro  il  braccio  destro 

Di  una  catena,  che  il  teneva  avvinto 

Dal  collo  in  giù,  sì  che  in  su  lo  scoperto 
Si  ravvolgeva  infino  al  giro  quinto. 

Questo  superbo  voli'  esser  esperto 

Di  sua  potenza  contra  il  sommo  Giove , 
Disse  il  mio  duca,  ond'  egli  ha  cotal  merlo. 

Fialte  ha  nome,  e  fere  le  gran  prove. 
Quando  i  giganti  lèr  paura  ai  dei: 
Le  braccia,  eh'  ei  menò,  <,nammdi  non  move. 

Ed  io  a  lui:  s'  esser  puote,  io  vorrei, 
Che  dello  smisuralo  Uriareo 
Esperienza  avesser  li  occhi  miei. 

Ond'  ei  rispo.-.e:  tu  vedrai  Anteo 

Presso  di  qui,  che  parla,  ed  è  dìsciolto , 
Che  ne  porrà  nel  loniio  di  ogni  reo. 

Quel  che  tu  vuoi   ^cdcr,   più  là  è  molto, 
i;d  è  lcgn((».   e  fatto  come  questo. 
Salvo  che  più  feroce  par  nel  volto. 

Non  fu  tremolo  mai  lanlo  ruboto, 
("he  scotesse  una  torre  ro.si  forte. 
Come  Fialte  a  scotersi  fu  pre-Io. 

Allor  tcuietr  io  più  che  imi  di  morte; 

5  * 


pi] 


INFERNO.     fXXXI.  110—1*5.  XXXII.  1—81) 


[12] 


E  non  \i  era  mestier  più  che  la  dotta, 
Se  io  non  avessi  viste  le  ritorte. 

Noi  procedemmo  più  avanti  allotta, 

E  venimmo  ad  Anteo,  che  ben  cinque  alle 
Senza  la  testa  uscia  fuor  della  grotta. 

Oh  ta,  che  nella  fortunata  valle. 
Che  fece  Scipion  di  gloria  reda. 
Quando  Annibal  coi  suoi  diede  le  spaile, 

Recasti  già  mille  lion  per  preda, 
E  che,  se  fossi  stato  all'  alta  guerra 
Dei  tuoi  fratelli ,  ancor  par  eh'  ei  si  creda 

Che  avrebbcr  vinto  i  figli  della  terra; 
Mettine  giuso,  e  non  ten  venga  schifo. 
Dove  Cocito  la  freddura  serra!  "^ 

Non  ci  far  ire  a  Tizio ,  né  a  Tifo  ! 

Questi  può  dar  di  quel ,  che  qui  si  brama  : 
Però  ti  china,  e  non  torcer  lo  grifo! 

Ancor  ti  può  nel  mondo  render  fama  : 
Ch'  ei  vive,  e  lunga  vita  ancor  aspetta. 
Se  innanzi  tempo  grazia  a  sé  noi  chiama. 

Così  disse  il  maestro  :  e  quelli  in  fretta 
Le  man  distese ,  e  prese  il  duca  mio , 
Ond'  Ercole  senti  già  grande  stretta. 

Virgilio,  quando  prender  si  sentio. 

Disse  a  me:  fatti  'n  qua  si  che  io  ti  prenda! 
Poi  fece  si,  che  un  fascio  era  egli  ed  io. 

Qual  pare  a  riguardar  la  Carisenda 

Sotto  il  chinato,  quando  un  nuvol  vada 
Sovra  essa  sì ,  eh'  ella  in  contrario  penda , 

Tal  parve  Anteo  a  me ,  che  stava  a  bada 
Di  vederlo  chinare,  e  fu  tal  ora 
Che  io  avrei  voluto  ir  per  altra  strada. 

Ma  lievemente  al  fondo ,  che  divora 
Lucifero  con  Giuda,  ci  posò: 
Né  sì  chinato  lì  fece  dimora, 

E  come  albero  in  nave  si  levò. 


CANTO     XXXII. 


ARGOMENTO. 

IS'ono     e    ultimo     cerchio   di   traditori  fitti    in    gelo. 

Quattro  giri.      Caino.     Alberto    Camicion   de'   Pazzi. 

Àntenora.    Bocca  Abati. 

Se  io  avessi  le  rime  ed  aspre  e  chiocce, 

Come  si  converrebbe  al  tristo  buco, 

Sovra  il  quiil  pontan  tutte  le  altre  rocce,  <'"V' 
Io  premerei  di  mio  concetto  il  suco 

Più  pienamente;  ma  per  che  io  non  le  abbo , 

Non  senz^  tema  a  dicer  mi  conduco: 
Che  non  è  impresa  da  pigliare  a  gabbo 

Descriver  fondo  a  tutto  lo  universo. 

Né  da  lingua ,  «he  chiami  mamma  o  babbo. 
Ma  quelle  donne  ajntin  il  mio  verso, 

Che  iijiitaro  Anfioue  a  chiuder  Tebe, 

Sì  che  dal  fatto  il  dir  non  sia  diverso! 
Oh  sovra  tutte  mal  creata  plebe. 

Che  stai  nel  loco ,  onde  parlare  é  duro  > 

Mei  fosite  state  qui  pcrore,  o  zebe. 
Come  noi  fummo  giù  nel  pozzo  scuro 

Sotto  i  pie  del  gigante  assai  più  bussi , 


Ed  io  mirava  ancora  allo  alto  muro, 

Dicere  udimmi:  guarda,    come  passi! 
Fa  si  che  tu  non  calchi  con  le  piante 
Le  teste  dei  fratei  miseri  lassi  ! 

Per  che  io  mi  volsi,  e  vidimi  davante, 
E  sotto  i  piedi  un  lago,  che  per  gelo 
Avea  di  vetro,  e  non  di  acqua  sembiante. 

Non  fece  al  corso  suo  sì  grosso  velo 
Dì  verno  la  Danoja  in  Austericchi , 
Né  il  Tanai  là  sotto  il  freddo  cielo, 

Com'  era  quivi:  che,  se  Tambernicchì 
Vi  fosse  su  caduto,  o  Pietrapana, 
Non  avria  pur  dall'  orlo  fatto  cricchi. 
;  E  come  a  gracidar  si  sta  la  rana 
I      Col  muso  for  dell'  acqua,  quando  sogna 
j      Di  spigolar  sovente  la  villana,    i     ■      .  t     k 

Lìvide  infin  là  dove  appar  vergogna 
Eran  le  ombre  dolenti  nella  ghiaccia, 
Mettendo  i  denti  in  nota  di  cicogna. 

Ognuna  in  giù  tenea  volta  la  faccia: 

Da  bocca  il  freddo,  e  dalli  occhi  'I  cor  tristo 
Tra  lor  testimonianza  si  procaccia. 

Quando  io  ebbi  dintorno  alquanto  visto, 
Volsimi  ai  piedi,  e  vidi  due  sì  stretti, 
Che  il  pel  del  capo  avién  insieme  misto. 

Ditemi  voi,  che  si  stringete  i  petti, 

Diss'  io,  chi  siete.''  e  quei  piegaro  i  colli, 
E  poi  eh'  ebber  li  visi  a  me  eretti , 

Li  occhi  lor,  eh'  eran  pria  pur  dentro  molli, 
Gocciar  su  per  le  labbra,  e  il  gelo  strinse 
Le  lacrime  tra  essi ,  e  riserrolli  : 

Con  legno  legno  spranga  mai  non  cìnse 
Forte  così  :  ond'  ei ,  come  duo  becchi , 
Cozzaro  insieme;  tanta  ira  li  vinse! 

Ed  un,  che  avea  perduti  ambo  li  orecchi 
Per  la  freddura ,  pur  col  viso  in  giue 
Disse:  per  che  cotanto  in  noi  ti  specchi? 

Se  vuoi  saper,  chi  son  cotesti  due. 
La  valle,  onde  Bisenzio  si  dichina, 
Del  padi-e  loro  Alberto,  e  di  lor  fue. 

Di  un  corpo  uscirò:  e  tutta  la  Caina 
Potrai  cercare,  e  non  troverai  ombra 
Degna  più  di  esser  fitta  in  gelatina: 

Non  quelli ,  a  cui  fu  rotto  il  petto  e  la  ombra 
Con  esso  un  colpo  della  man  di  Artù, 
Non  Focaccia,  non  questi  che  m'  ingombra 

Col  capo  sì,  che  io  non  veggio  oltre  più, 
E  fu  nomato  Sassol  Mascheroni: 
Se  Tosco  sei ,  ben  dei  saper ,  chi  fu. 

E  per  che  non  mi  metti  in  più  sermoni, 
Sappi  che  io  sono  il  Camicion  dei  Pazzi, 
Ed  aspetto  Cari  in,  che  mi  scagioni. 

Poscia  vid'  io  mille  visi  cagnazzi 

Fatti  per  freddo:  onde  mi  vien  riprezzo, 
E  verrà  sempre  dei  gelati  guazzi. 

E  mentre  che  andavamo  in  ver  lo  mezzo, 
AI  quale  ogni  gravezza  si  rauna, 
Ed  io  tremava  nello  eterno  rezzo: 

Se  voler  fu,  o  destino,  o  fortuna, 
Non  80,  ma  passeggiando  tra  le  teste, 
Forte  percossi  '1  pie  nel  viso  ad  una. 

Piangendo  mi  sgridò:  per  che  mi  peste? 
Se  tu  non  vieni  a  crescer  la  vendetta 
Di  Monte  Aperti,  per  che  mi  moleste? 

Ed  io:  maestro  mio,  or  qui  mi  aspetta. 
Sì  che  io  esca  d'  un  dubbio  per  costui  : 
Poi  mi  farai,  quantunque  vorrai,  fretta. 


[73] 


INFERNO.     (XXXII.  85—189.  XXXIll.  1—58) 


[TU] 


Lo  duca  stette:  ed  io  dissi  a  colui. 

Che  bestemmiava  duramente  ancora:  . 

Qual  sei  tu,  che  così  rampogni  altrui P^m-Ìì*-*'^. 

Or  tu  chi  sei,  che  vai  per  1'  Antenora 
Percotendo  ,  rispose ,  altrui  le  gote , 
Si  che ,  se  fossi  vivo ,  troppo  fora  ? 

Vivo  son  io,  e  caro  esser  ti  puote, 
Fu  mia  risposta,  se  dimandi  fama, 
Che  io  metta  il  nome  tuo  tra  le  altre  note.  . 

Ed  egli  a  me:  del  contrario  ho  io  brama. 
Levati  quinci,  e  non  mi  dar  più  lagna! 
Che  mal  sai  lusingar  per  questa  lama. 

Allor  il  presi  per  la  cuticagna,  >^(n.U:;R.y.v 

E  dissi:  ei  converrà,  che  tu  ti  nomi, 
O  che  capei  qui  su  non  ti  rimagna. 

Ond'  egli  a  me  :  per  che  tu  mi  dischiomi , 
'  Non  ti  dirò  eh'  io  sia,  né  mostrerolti. 
Se  mille  fiate  in  sul  capo  mi  tomi. 

Io  avea  già  i  capelli  in  mano  avvolti ,    !  : 
E  tratti  li  ne  avea  più  di  una  ciocca, 
Latrando  lui  con  li  occhi  in  giù  raccolti, 

Quando  un  altro  grido:  che  hai  tu.  Bocca? 
Non  ti  basta  sonar  con  le  mascelle, 
Se  tu  non  latri?  qual  diavol  ti  tocca? 

Omai ,  diss'  io ,  non  vo' ,  che  tu  favelle , 
Malvagio  traditori  che  alla  tua  onta 
Io  porterò  di  te  vere  novelle. 

Va  via ,  rispose ,  e  ciò  che  tu  vuoi  conta , 
Ma  non  tacer,  se  tu  di  qua  entro  eschi. 
Di  quel  eh'  ebbe  or  così  la  lingua  pronta! 

Ei  piange  qui  lo  argento  dei  Franceschi  ; 
Io  vidi,  potrai  dir,  quel  da  Duera, 
Là  dove  i  peccatori  stanno  freschi. 

Se  fossi  dimandato ,  altri  chi  vi  era , 
Tu  hai  da  lato  quel  di  Beccaria, 
Di  cui  segò  Fiorenza  la  gorgiera. 

Gianni  del  Soldanier  credo  che  sia 
Più  là,  con  Ganellone,  e  Tribaldello, 
Che  apri  Faenza,  quando  si  dormia. 

Noi  cravam  partiti  già  da  elio. 

Che  io  vidi  due  ghiacciati  in  una  buca 
Sì  che  lo  un  capo  allo  altro  era  cappello: 

E  come  il  pan  per  fame  si  manduca , 
Così  '1  sovran  li  denti  allo  altro  pose 
Là  ove  il  cervel  si  giunge  con  la  nuca. 

Non  altrimenti  Tideo  sì  rose 

Le  tempie  a  Mcnalippo  per  disdegno. 

Che  quei  facea  il  teschio,  e  le  altre  cose..-: 

Oh  tu ,  che  mostri  per  si  bestiai  segno 
Odio  sovra  colui,  che  tu  ti  mangi. 
Dimmi  '1  per  che,  diss'  io:  per  tal  convegno 

Che ,'  se  tu  a  ragion  di  lui  ti  piangi , 
Sappiendo  chi  voi  siete,  e  la  sua  pecca, 
Nel  mondo  suso  ancor  io  te  ne  cangi , 

Se  quella,  con  che  io  parlo,  non  si  secca. 


,c 


CANTO    XXXIII. 


i 


ARGOMENTO. 

Conte  Ugolino.     Terzo  giro  del  nono  cerchio.    Tolom- 
meo.    Frate  Alberisro. 


La  bocca  sollevò  dal  fiero  pasto 

Quel  peccator,  forbendola  ai  capelli 
Del  capo,   eh'  egli  avea  diretro  guasto. 

Poi  cominciò  :  tu  vuoi  che  io  rinnovelli 
Disperato  dolor,  che  il  cor  mi  preme, 
Già  pur  pensando,  pria  che  io  ne  favelli. 

Ma  se  le  mie  parole  esser  den  seme. 

Che  frutti  infamia  al  traditor  che  io  rodo, 
Parlare  e  lagrimar  vedrai  insieme. 

Io  non  so ,   chi  tu  sic ,  né  per  che  modo 
Venuto  sie  qua  giù  :  ma  Fiorentino 
Mi  sembri  veramente,  quando  io  ti  odo. 

Tu  dei  saper  che  io  fui  '1  conte  Ugolino , 
E  questi  lo  arcivescovo  Ruggieri: 
Or  tiilirò,    per  che  io  son  tal  vicino. 

Che  per  lo  effetto  dei  suoi  mai  pensieri, 
Fidandomi  di  lui,  io  fossi  preso 
E  poscia  morto,  dir  non  è  mestieri. 

Però  quel  che  non  puoi  avere  inteso , 
Cioè,  come  la  morte  mia  fu  cruda. 
Udirai  e  saprai,  se  mi  ha  offeso. 

Brieve  pertugio  dentro  dalla  muda, 
La  qual  per  me  ha  il  titol  della  fame, 
E  in  che  conviene  ancor  che  altri  si  chiuda. 

Mi  avea  mostrato  per  lo  suo  forame 

Più  lune  già,  quando  io  feci  '1  mal  sonno 
Che  del  futuro  mi  squarciò  il  velame. 

Questi  pareva  a  me  maestro  e  donno , 
Cacciando  il  lupo  e  i  lupicini  al  monte. 
Per  che  i  Pisan  veder  Lucca  non  ponno. 

Con  cagne  magre  studiose  e  conte 

Gualandi  con  Sismondi  e  con  Lanfranchi 
Si  avea  messi  dinanzi  dalla  fronte. 

In  picciol  corso  mi  pareano  stanchi 

Lo  padre  e  i  figli,    e  con  le  acute  sane 
Mi  parca  lor  veder  fender  li  fianchi. 

Quando  fui  desto  innanzi  la  dimane. 

Pianger  sentii  fra  il  sonno  i  miei  figlioli , 
Ch'  erano  meco,  e  dimandar  del  pane. 

Ben  sei  crudcl ,  se  tu  già  non  ti  duoli , 

Pensando  ciò,  che  il  mio  cor  si  annunziava: 
E  se  non  piangi,  di  che  pianger  suoli? 

Già  erani  desti,  e  la  ora  si  appressava, 
Che  il  cibo  ne  soleva  essere  addotto, 
E  per  suo  sogno  ciascun  dubitava,  . 

Ed  io  sentii  chiavar  lo  uscio  di  sotto^  ]^.<jicyMpK^ 
Alla  orribile  torre  :  ondo  io  guardai 
Nel  viso  ai  mici  figlio!  senza  far  motto. 

Io  non  piangea,  sì  dentro  impietrai: 
Piangevan  clli;  ed  Anselmuccio  mio 
Disse:  tu  guardi  sì,  padre:  che  hai? 

Però  non  lacrimai,  nò  rispos'  io 

Tutto  quel  giorno,  nò  la  notte  a  presso, 
Infin  che  lo  altro  sol  nel  mondo  uscio. 

Come  un  poco  di  raggio  si  fu  nu^so 
Nel  didoroso  curcerc,  ed  io  scorsi 
Per  quattro  >isi  il  mio  aspetto  slessOy 

Ambo  lu  mani  per  dolor  mi  morbi: 


[!5I 


JN PERNO.    (XXXni.  59— 15X  XXXIV.  1—20) 


P6]  ; 


E  quei  pensando,    che  io  il  fessi  per  voglia 
Di  manicar,    di  subito  levorsi, 

E  disser  :    padre ,  assai  ci  fia  men  doglia, 
Se  tu  mangi  di  noi;  tu  ne  vestisti 
Queste  misere  carni ,    e  tu  le  spogHa  ! 

Quetàmi  alior,  per  non  farli  più  tristi- 
Quel  di  e  lo  altro  stemmo  tutti  muti. 
Ahi  dura  terra,    per  che  non  ti  apristi? 

Poscia  che  fummo  al  quarto  di  venuti, 
Gaddo  mi  si  gittò  disteso  ai  piedi. 
Dicendo:    padre  mio,    che  non  mi  ajuti? 

Quivi  morì;    e  come  tu  mi  vedi, 

Vid'  io  cascar  li  tre ,    ad  uno  ad  uno, 

Tra  il  quinto  dì  e  il  sesto  :    onde  io  mi  diedi 

Già  cieco  a  brancolar  sopra  ciascuno,       '  <>■'•'''  " 
E  tre  di  li  chiamai ,   poi  che  fur  morti  : 
Poscia  più  che  il  dolor  potè  il  digiuno. 

Quando  ebl)e  detto  ciò  ,   con  li  occhi  torti 
Riprese  il  teschio  misero  coi  denti, 
Che  furo  all'  osso,   come  di  uà  can,  forti. 

Ahi  Pisa,  vituperio  delle  genti 
Del  bel  paese  là,   dove  il  si  sona; 
Poi  che  i  vicini  a  te  punir  son  lenti. 

Movasi  la  Capraja  e  la  Gorgona, 

E  faccian  siepe  ad  Arno  in  su  la  foce,  _     , 

Sì  eh'  egli  annieghi  in  te  ogni  persona.  Q\AJiayi^^lfh^ 

Che  se  il  conte  Ugolino  avea  ria  voce 
Di  aver  tradita  te  delle  castella, 
INon  dovei  tu  i  figlioi  porre  a  tal  croce. 

Innocenti  facea  la  età  novella, 

>i0vella  Tebe,  IJguccione,    e  il  Brigata, 
E  li  altri  due ,   che  il  canto  suso  appella. 

Noi  passamm'  oltre,    dove  la  gelata 
JL^     Ruvidamente  un'  altra  gente  fascia. 

Non  volta  in  giù ,   ma  tutta  riversata. 

Lo  pianto  stesso  lì  pianger  non  lascia,  •'*    «-^ 

F]  il  duol,   che  trova  in  su  li  occhi  rintoppo  /fcv<)t^ 
Si  voi  ve  in  entro  a  far  crescer  l'  ambàsua:    ^uJÌxdÌ- 

Chè  le  lagrime  prime  fanno  groppo,  ■^ 

E  sì  come  visiere  di  cristallo,  j*'      ( 

Riempion  sotto  il  ciglio  tutto  il  coppo.  v1it»itlvlv(nv^ 

E  avvegna  che,    sì  come  di  un  callo,  0 

Per  la  freddura  ciascun  sentimento 
Cessato  avesse  del  mìo  viso  stallo,  IVr*  Au^vJy/ 

Già  mi  i>area  sentire  alquanto  vento  :  * 

Per  che  io,   maestro  mio,  questo  chi  move? 
]Non  è  qua  giuso  ogni  vapore  spento  ?     , 

Ond'  egli  a  me:    avaccio  sarai,   dove     ';*'^-<"'   ', 
Di  ciò  ti  farà  1'  occhio  la  risposta,  0 

Veggcndo  la  cagion  che  il  fiato  piove. 

Ed  un  dei  tristi  della  fredda  crosta 
Gridò  a  noi  :   oh  anime  crudeli 
Tanto  ,   clie  data  vi  è  la  ultima  posta. 

Levatemi  dal  viso  i  duri  veli, 

Sì  che  io  sfoghi  '1  dolor  che  il  cor  m'impregna, 
Un  poco,    pria  che  il  pianto  si  raggicli  ! 

Per  che  io  a  lui:   se  vuoi  che  io  ti  sovvegni^, 


Likiy 


Dimmi  chi  sei ,  e  se  io  non  ti  disbrigo, 
Al  fondo  della  ghiaccia  ir  mi  convegna. 

Ri*po>e  adunque:    io  son  Frate  Alberigo: 
1(1  son  quel  delie  frutta  del  mal  orto, 
Clic  qui  riprendo  dattero  per  figo. 

Oh ,  dir:..!  Ini ,    or  sci  tu  ancor  minto? 
VA  egli  a  me:    come  il  mio  <;orpo  stea 
IScI  mondo  su,   nulla  scienzia  porto. 

Cotal  vantaggio  ha  questa  Tolommea, 
Che  spctjyc  volte  T  anima  ci  cade 


1 


vtj.V 


Innanzi  che  Atropòs  mossa  le  dea. 

E  per  che  tu  più  volontier  mi  radè~ 
Le  invetriate  lacrime  dal  volto, 
Sappi  che,  tosto  che  1'  anima  trade;^^?i;i^K 

Come  fec'  io,    il  corpo  suo  l'  è  iólfo 
Da  un  dimenio  ,    che  poscia  il  governa, 
Slenfie  che  il  tempo  suo  tutto  sia  volto. 

Ella  ruina  in  sì  fatta  cisterna: 
E  forse  pare  ancor  lo  corpo  suso 
Della  ombra ,  che  di  qua  dietro  mi  verna  : 

Tu  il  dei  saper,   se  tu  vien  pur  mo  giuso: 
Egli  è  ser  Briinca  di  Oria;    e  son  più  anni 
Poscia  passati  eh'  ei  fu  sì  racchiuso. 

Io  credo,   diss'  io  lui,    che  tu  m'  inganni: 
Che  Branca  di  Oria  non  morì  unquanche, 
E  mangia,   e  bee,   e  dorme,    e  veste  panni. 

Nel  fosso  su,   diss'  ei,   di  Malebranche, 
Là  dove  bolle  la  tenace  pece, 
ÌVon  era  giunto  ancora  Michel  Zanche, 

Che  questi  lasciò  un  diavolo  in  sua  vece 
Nel  corpo  suo,   e  di  un  suo  prossimano. 
Che  il  tradimento  insieme  con  lui  fece. 

Ma  distendi  oramai  in  qua  la  mano. 
Aprimi  li  occhi!   ed  io  non  li  le  apersi, 
E  cortesia  fu  luì  esser  villano. 

Ahi  Genovesi,   omini  diversi  y 

Di  ogni  costume,    e  pien  di  ogni  magagna,Wu/ 
Per  che  non  siete  voi  del  mondo  spersi? 

Che  col  peggiore  spirto  di  Romagna 

Trovai  un  tal  di  voi ,    che  per  sua  opra 
In  anima  in  Cocito  già  si  bagna. 

Ed  in  corpo  par  vivo  ancor  di  sopra. 


X: 


CANTO    XXXIV, 


ARGOMENTO. 


Gìudecca ,   vltimo  fondo ,    centro  delV   universo ,   sede 

di   Lucifero,    mostro    immenso,     dove   si   puniso:    il 

tradimento  verso  i  benefattori.     Giuda.  Bruto. 

Cassio.    Salita  neW  emispcro  opposto. 

Vexilla  Regis  prodeunt  ìnfeTui 
Verso  di  noi:    però  dinanzi  mira, 
Disse  il  maestro  mio,   se  tu  il  discerni! 

Come ,  quando  una  grossa  nebbia  spira, 
O  quando  lo  eraisperio  nostro  annotta, 
Par  da  lungi  un  mulin ,   che  il  vento  gira, 

Veder  mi  parve  un  tal  dificio  allotta:  V,r,  v 

Poi  per  lo  vento  mi  ristrinsi  retro 
Al  duca  mio;   che  non  vi  era  altra  grotta. 

Già  era  (e  con  paura  il  metto  in  metro) 
Là  dove  le  ombre  tutte  eran  coverte, 
E  trasparean  come  festnche,  in  vetro- 
Altre  sono  a  giacere ,  altre  stanno  erte. 
Quella  col  capo,  e  quella  con  le  piante, 
Altra,    come  arco,    il  volto  ili  piedi  inverte. 

Quando  noi  fummo  fatti  tanto  avaiite, 
(/he  al  mio  mac^stro  piacque  di  mostrarmi 
La  creatura ,   eh'  ebbe  il  bel  sembiante, 

Dinanzi  mi  si  tolse ,    e  le'  ristarmi  : 
Ecco  Dite,   dicendo,  ed  ecco  il  loco, 


["] 


INFERNO.     (XXXIV.  21—139) 


[T8J 


lu-.S 


Ove  convien,   che  dì  fortezza  ti  armi! 

Come  io  divenni  allor  gelato  e  fioco,      1-j^     > 
JVol  dimandar,   lettor,    elio  io  non  lo  scrivo. 
Però  che  ogni  parlar  sarebbe  poco. 

Io  non  morii,    e  non  rimasi  vivo. 

Pensa  oramai  per  te,    se  hai  fior  d'  ingegno, 
Qual  io  diveiiui,   di  uno  e  di  altro  privo! 

Lo  imperator  del  doloroso  regna 

Da  mezzo  il  petto  uscia  or  della  ghiaccia: 
E  più  con  un  gigante  io  mi  convegno. 

Che  giganti  non  fan  con  le  sue  braccia. 
Vedi  oggimai,   quanto  esser  dee  quel  tutf^^ 
Che  a  cosi  fatta  parte  si  confaccia! 

S'  ei  fu  si  bel,   coui'  egli  è  ora  brutto, 
E  contra  il  suo  fattore  alzò  le  ciglia, 
•  Ben  dee  da  lui  procedere  ogni  lutto,    i 

Oh  quanto  parve  a  me  gran  meraviglia, 
Quando  vidi  tre  facce  alla  sua  testa  ! 
La  una  dinanzi,    e  quella  era  vermiglia. 

Le  altre  eran  due,   che  si  aggiiftigén  a  quelita 
Sovresso  il  mezzo  di  ciascuna  spaila, 
E  si  giungéno  al  loco  della  cresta  : 

E  la  destra  parca  tra  bianca  e  gialla: 
La  sinistra  a  vedere  era  tal ,  quali 
Vengon  di  là  ove  il  JNilo  si  avvalla. 

Sotto  ciascuna  uscivan  due  grandi  ali. 
Quanto  si  conveniva  a  tanto  uccello  ; 
Vele  di  mar  non  vid'  io  mai  cotali. 

Non  avean  penne,    ma  di  vispistrello 
Era  lor  modo  ;    e  quelle  sv^qlazzayaj 
Si  che  tre  venti  si  movén  da  elio. 

Quindi  Cocito  tutto  si  aggelava: 

Con  sei  occhi  piangeva,    e  per  tre  menti 
Gocciava  il  pianto,    e  sanguinosa  bava. 

Da  ogni  bocca  dirompea  coi  denti 
Un  peccatore  a  guisa  di  niaciulia. 
Si  che  tre  ne  facea  così  dolenti. 

A  quel  dinanzi  il  mordere  era  nulla, 

Verso  il  graffiar,   che  tal  volta  la  schiena    ^^ 
Rimanea  della  pelle  tutta  Jjjculja-        -    ■'■■ 

Queir  anima  là  su  che  ha  maggior  pena. 
Disse  il  maestro ,   è  Giuda  Scariottt», 
Che  il  capo  ha  dentro  ,    e  for  le  gaiii!)e  mena. 

Delli  altri  due,    che  hanno  il  capo  di  soito, 
Quei  che  pende  dal  nero  «jpil"  •<   ^  Bruto.       ...' 
Vedi,  come  si  storce,    e  non  fa  motto! 

E  lo  altro  è  Cassio,    che  par  si  membruto. 
Ma  la  notte  risiirge,   ed  oramai 
È  da  partir,    che  tutto  av('in  veduto. 

Come  a  lui  piacque,    il  collo  li  avvinghiai^ 
Ed  ei  prese  di  tempo  e  loco  posto:       "^ 
E  quando  le  ali  furo  aperte  assai. 

Appigliò  gè  alle  velutc   coste. 

Di  vello  in  vello  giù  di-cese  poscia 
Tra  il  folto  pelo  e  le  gelate  cro.-te. 

Quando  noi  fummo  là  dove  la  coscia 

Si  volge  a  punto  in  sul  grosso  delle  anche, 
Lo  duca  con  fatica  e  con  angost-ìa 

Volse  la  testa,   ov'  egli  avea  le  zanche, 
Eli  aggruppossi  al  pel,    come  um  clic  eale„ 


I      Si  che  in  inferno  io  credea  tornar  anche» 
i  Attient*.  ben  !    che  per  siflatte  scale. 

Disse  il  maestro  a>?jiando,  come  om  lasso, 
I      Convensi  dipartir  da  taiitò  male. 
I  Poi  uscì  for  per  lo  foro  di  un  sasso, 
I      E  pose  me  in  su  1'  orlo  a  sedere: 

A  presso  porse  a  me  lo  accorto  passo. 
]  Io  levai  li  occhi,    e  credetti  vedere 

Lucifero ,  come  ic  lo  avea  lasciato, 

E  vidili  le  jairje  in  su  tenere. 
E  se  io  divenni  a  :ora  travagliato. 

La  gente  grossa  il  pensi,   che  non  vede. 

Qua!  è  quel  punto,  che  io  avea  passato! 
Levati  su,    disse  il  maestro,   in  piede! 

La  via  è  lunga,  e  il  cammino  è  malvagio, 

E  già  il  sole  a  mezza  terza  riede. 
Non  era  camminata  di  palagio  ^  K(\' 

Ov'  eravara,    ma  naturai  burella,       -  >è;^W>'^  Kx    «A^ 

Che  avea  mal  suolo ,   e  di  lume  disagio. 
Prima  che  io  dello  abisso  mi  divella, 

Maestro  mio,    diss'  io,    quando  fui  dritto, 

A  trarmi  di  erro  un  poco  mi  favella  ! 
Ov'  è  la  ghiaccia  ?    e  questi  com'  è  fitto 

Si  sottosopra?   e  come  in  sì  poca  ora 

Da  sera  a  mane  ha  fatto  il  sol  tragitto? 
Ed  egli  a  me  :    tu  immagini  ancora 

Di  esser  di  là  dal  centro ,    ove  io  mi  presi 

Al  pel  del  vermo  reo  che  il  mondo  fora^ 
Di  là  fosti  cotanto,    quanto  io  scesi: 

Quando  mi  volsi,   tu  passasti  '1  punto, 

Al  qual  si  traggon  da  ogni  parte  i  pesi  : 
E  sei  or  sotto  lo  eraisperio  giunto, 

Ch'  è  opposito  a  quel ,    che  la  gran  secca 

Coverchia ,   e  sotto  il  cui  colmo  consunto 
Fu  r  om ,    che  nacque  e  visse  sanza  pecca. 

Tu  hai  li  piedi  in  su  picciola  spera, 

Cile  r  altra  faccia  fa  della  Giudecca^ 
Qui  è  da  man,   quando  di  là  è  sera: 

E  questi  che  ne  fé'  scala  col  pelo. 

Fitto  è  ancora  si  come  prima  era. 
Da  questa  parte  cadde  giù  dal  cielo  : 

E  la  terra,   che  pria  di  qua  si  sporse, 

Per  paura  di  lui  fé'  del  mar  velo, 
E  venne  allo  emisperio  nostro  :   e  forse 

Per  fuggir  lui  lasciò  qui  il  loco  voto 

Quella,  che  appar  di  qua,  e  su  ricorse. 
Loco  è  là  giù  da  Belzebù  rimoto 

Tanto ,   quanto  la  tomba  si  distende. 

Che  non  per  vista ,   ma  per  snono  è  noto 
Di  un  ruscelletto ,  che  quivi  discende 

Per  la  buca  di  un  sasso,   eh'  egli  ha  roso 

Col  cor?o,   eh'  egli  avvolge,    e  poco  pende. 
Lo  duca  ed  io  per  quel  cammino  ascoso 

Entrammo  per  t<»rnar  nel  chiaro  mondo: 

E  senza  cura  aver  dì  alcun  riposo 
Salimmo  su ,    ci  primo ,    ed  io  .«secondo. 

Tanto  che  io  vidi  delle  cose  belle. 

Che  porta  il  cicl,    per  lui  pertugio  tondo: 
E  quindi  udciimuo  a  riveder  lo  utcllc. 


PURGATORIO, 


CANTO     I. 


ARGOMENTO. 

Catone  uticense,    in    cui   guardia    son  posti  i   sette 
regni  del  purgatorio ,    lascia  andare  i  duo  poeti. 

Per  correr  miglior  acqua  alza  le  vele 

Ornai  la  navicella  del  mio  ingegno, 

Che  lascia  dietro  a  sé  mar  si  crudele: 
E  canterò  di  quel  secondo  regno, 

Ove  lo  umano  spirito  si  purga, 

E  di  salire  al  ciel  diventa  degno. 
Ma  qui  la  morta  poesia  risurga, 

Oh  gante  Muse ,   poi  che  vostro  sono, 

E  qui  Calliope  alquanto  surga, 
Seguitando  il  mio  canto  con  quel  suono, 

Di  cui  le  piche  misere  sentirò 

Lo  colpo  tal,   che  disperar  perdono! 
Dolce  color  di  orientai  zaffiro, 

Che  si  accoglieva  nel  sereno  aspetto 

Dello  aer  puro,   infino  al  primo  giro, 
Alli  ochi  mìei  ricominciò  diletto, 

Tosto  che  io  for  uscii  dell'  aura  morta, 

Cile  mi  avea  contristati  li  occhi  e  il  petto. 
Lo  bel  pianeta,    che  ad  amar  conforta, 

Faceva  rider  tutto  l'  oriente, 

Velando  i  pesci  eh'  erano  in  sua  scorta. 
Io  mi  volsi  a  man  destra,   e  posi  mente 

Allo  altro  polo,  e  vidi  quattro  stelle 

IVon  viste  mai,    for  che  alla  prima  gente. 
Goder  pareva  il  ciel  di  lor  fiammelle. 

Oh  settentrional  vedovo  sito, 

Poi  che  privato  sei  di  mirar  quelle! 
C(»me  io  dal  loro  eguardo  fui  partito. 

Un  poco  me  volgendo  all'  altro  polo, 

Là  onde  il  carro  già  era  sparito, 
Vidi  presso  di  me  un  veglio  solo. 

Degno  di  tanta  reverenza  in  vista, 

Che  più  non  dee  a  padre  alcun  figliolo. 
Lunga  la  barba  di  pel  bianco  mista 

Portava  ai  suoi  capelli  simigliante, 

Dei  quai  cadeva  al  petto  doppia  lieta. 
Li  raggi  delle  quattro  luci  sante 

Fregiavan  sì  la  sua  faccia  di  lume, 

Che  io  il  vedea,    come  il  sol  fosse  davante. 
Chi  feicte  voi ,    che  contra  il  cieco  fiume 

Fuggito  avete  la  prigione  eterna? 

Dii^o'  el ,   movendo  quelle  oneste  piume. 
Chi  vi  ha  guidati?  o  chi  vi  fu  lucerna. 

Uscendo  for  della  profonda  notte, 

Che  sempre  nera  fa  la  valle  infema? 
Soli  le  leggi  di  abisso  c(»sì  rotte  ? 
O  è  mutato  in  ciel  novo  consiglio. 
Che  dannati  venite  alle  mie  grotte? 
Lo  duca  mio  allor  ini  à'ii:  di  piglio, 

K  con  parole,    e  con  mani,    e  con  cenni 
Ueverenti  mi  fé  le  gambe  e  il  ciglio: 
Poscia  rispose  lui  :    da  me  non  venni  : 


Donna  scese  dal  del,  per  li  cui  preghi 
Della  mìa  compagnia  costui  sovvenni. 
Ma  da  eh'  è  tuo  voler,  che  più  si  spieghi 
Di  nostra  condizion,    com'  ella  è  vera, 
Esser  non  puote  il  mio  che  a  te  si  neghi. 
Questi  non  vide  mai  la  ultima  sera, 
Ma  per  la  sua  follia  le  fu  sì  presso, 
Che  molto  poco  tempo  a  volger  era. 
Sì  come  io  dissi,   fui  mandato  ad  esso 
Per  lui  campare,   e  non  ci  era  altra  via 
Che  questa,  per  la  quale  io  mi  son  messo. 

Mostrata  ho  lui  tutta  la  gente  ria, 
Ed  ora  intendo  mostrar  quelli  spirti. 
Che  purgan  sé  sotto  la  tua  balia. 

Come  io  r  ho  tratto,   saria  lungo  a  dirti. 
Dello  alto  scende  virtii,  che  mi  ajuta 
Conducerlo  a  vederti  e  ad  udirti. 

Or  ti  piaccia  gradir  la  sua  venuta! 
Libertà  va  cercando ,    eh'  é  sì  cara, 
Come  sa  chi  per  lei  vita  rifiuta. 

Tu  il  sai:    che  non  ti  fu  per  lei  amara 
In  Utica  la  morte,   ove  lasciasti 
La  veste,   che  al  gran  dì  sarà  si  chiara. 

IVon  son  li  editti  eterni  per  noi  guasti: 
Che  questi  vive,  e  Minòs  me  non  lega: 
Ma  son  del  cerchio ,    ove  son  li  occbi  cast 

Di  Marzia  tua,    che  in  vista  ancor  ti  prega, 
Oh  santo  petto,   che  per  tua  la  tegni. 
Per  lo  suo  amore  adunque  a  noi  ti  piega! 

Lasciane  andar  per  li  tuoi  sette  regni! 
Grazie  riporterò  di  te  a  lei, 
Se  di  esser  mentovato  là  giù  degiiL 

Marzia  piacque  tanto  alli  occhi  miei. 

Mentre  che  io  fui  di  là,   diss'  egli  allora^ 
Che  quante  grazie  volle  da  me,    fei. 

Or,   che  di  là  dal  mal  fiume  dimora. 

Più  mover  non  mi  può,    per  quella  legge 
Che  fatta  fu,   quando  io  me  ne  uscii  fora. 

Ma  se  donna  del  ciel  ti  move  e  regge. 
Come  tu  di',   non  ci  è  mestier  lusinga: 
Bastiti  ben,    che  per  lei  mi  richegge. 

Va  dunque,   e  fa,   che  tu  costui  ricinga 
Di  un  giunco  schietto,    e  che  li  lavi  '1  viso 
Sì  che  ogni  sucidume  quindi  stinga  ! 

Che  non  sì  converria  l'  occhio  sorpriso 
Di  alcuna  nebbia  andar  davanti  al  primo 
Ministro,    eh'  è  di  quei  di  paradiso. 

Questa  isoletta  intorno  ad  imo  ad  imo 
Là  giù  colà,  dove  la  batte  la  onda, 
Porta  dei  giunchi  sopra  il  molle  limo. 

Nuli'  altra  pianta  che  facesse  fronda, 
0  indurasse,   vi  puote  aver  vita. 
Però  che  alle  percosse  non  seconda. 

Poscia  non  sia  di  qua  vostra  reddìta  : 
Lo  sol  vi  mostrerà,   che  surge  omai, 
Prendere  il  monte  a  più  lieve  salita. 

Così  sparì  :   ed  io  su  mi  levai. 
San/a  parlare,    e  tutto  mi  ritrassi 

1      Al  duca  mio ,    e  li  occhi  a  lui  drizzai. 

El  cominciò  :   figliol ,   segui  i  miei  passi  ! 
Volgianci  indietro,  che  di  qua  dichina 


*1] 


PURGATORIO.     (I.  114—136.  n.  1—96) 


m 


Questa  pianura  ai  suoi  termini  bassi, 

'  iilba  vincea  già  la  ora  mattutina, 
Che  fuggia  innanzi,   si  che  di  lontano 
Conobbi  il  tremolar  della  marina. 

oi  andavam  per  lo  solingo  piano. 
Come  om  che  torna  alia  smarrita  strada, 
Che  infino  ad  essa  li  par  ire  in  vano. 

uando  noi  fummo,   dove  la  rugiada 
,   Pugna  col  sole,   e  per  essere  in  parte, 

;  Ove  adorezza,   poco  si  dirada, 

mbe  le  mani  in  su  la  erbetta  sparte 
Soavemente  il  mio  maestro  pose: 
Onde  io,    che  fui  accorto  di  su'  arte, 

oi*i  ver  lui  le  guance  lacrimose: 
Quivi  mi  fece  tutto  discoverto 
Quel  color,   che  lo  inferno  mi  nascose. 

eniinmo  poi  in  sul  lito  diserto, 
Che  mai  non  vide  navicar  sue  acque 
Omo,    che  di  tornar  sia  poscia  esperto. 

)iii\ì  mi  cinse,   sì  come  altrui  piacque. 
Oh  maraviglia  !  che  qual  egli  scelse 
La  umile  pianta,    cotal  si  rinacque 
subitamente  là,   onde  la  svelse. 


CANTO     IL 


ARGOMENTO. 

^pictg^gla  del  mare.     Un  angelo  in  lieve  larchclta  vi 
^vìiduce   l'  anime.      Un''  ombra  (Casella)  canta   una 
I    canzone  del  poeta,  e  tutte  s'  arrestano.     Catone 
I  l   riprende  di  negligenza.^ 

jfìà  era  il  sole  all'  orizzonte  giunto, 

Lo  cui  meridian  cerchio  coverchia 

Jcrurialem  col  suo  più  alto  punto, 
|IC  la  notte,    che  opposita  a  lui  cerchia, 
'    Uscia  di  Gange  for  con  le  bilance, 
I    Che  le  caggion  di  man,   quando  sovercLia: 
Sì  <;he  le  bianche  e  le  vermiglie  guance, 

Là  dove  io  era,   della  bella  Aurora 

Per  troppa  etade  divenivan  rance. 
Voi.  eravara  lunghe9:80  il  mare  ancora. 

Come  gente,   che  pensa  a  suo  cammino, 

Che  va  col  core,   e  col  corpo  dimora: 
Ed  ecco,   qual  sul  presso  del  mattino. 

Per  li  grossi  vapor  Marte  rosseggia 

Giù  nel  ponente  sopra  il  suol  marino, 
Cotal  ini  apparve,   sì  io  ancor  lo  veggia, 
j    Un  lume  per  lo  mar  venir  si  ratto, 
I     Che  il  mover  suo  nessim  volar  pareggia  : 
|Dal  qual,    come  io  un  poco  ebbi  ritratto 

L'  occhio,    per  dimandar  lo  duca  mio, 
I     UividiI  più  lucente,    e  maggior  fatto. 
Poi  dia  ogni  lato  ad  e^sn  mi  appario 

In  non  sapea  che  bianco,   e  di  sotto 

A  poco  a  poco  un  altn»  a  lui  ne  uscio, 
L(»  mio  maestro  ancor  non  fece  motto, 

Mf^iitrc  che  i  primi  bianchi  app.irser  ali. 

Allor  che  ben  conobbe  il  giilcoito, 
(iridò:    fa,    fa,    clic  le  giiioctiiiii  culi! 

t'.eco  lo  angel  di  dio  !    piega  K-  mani  ! 


Ornai  vedrai  di  sì  fatti  uficiali. 

Vedi,   che  sdegna  li  argomenti  umani, 
Sì  che  remo  non  vuol,    né  altro  velo, 
Che  le  ali  sue  tra  liti  sì  lontani. 

Vedi,    come  le  ha  dritte  verso  il  cielo. 
Trattando  lo  aere  con  l'  eterne  penne, 
Che  non  si  mutan,   come  mortai  pelo. 

Poi  come  più  e  più  verso  noi  venne 
Lo  uccel  divino,   più  chiaro  appariva; 
Per  che  1'  occhio  da  presso  noi  sostenne. 

Via  chinai  '1  giuso:    e  quei  sen  venne  a  riva 
Con  un  vascello  snelletto  e  leggiero. 
Tanto  che  1'  acqua  nulla  ne  inghiottiva. 

Da  poppa  stava  il  cclestial  nocchiero, 
Tal  che  furia  beato  pur  descripto, 
E  più  di  cento  spirti  entro  sediero. 

[n  exitu  Israel  de  Acgypto, 

Cantavan  tutti  'nsieme  ad  una  voce 

Con  quanto  di  quel  salmo  è  poscia  scripto. 

Poi  fece  il  segno  lor  di  santa  croce: 
Ond'  ei  si  gittàr  tutti  in  su  la  piaggia, 
Ed  el  sen  gi ,    com'  el  venne  ,  veloce. 

La  turba,  che  rimase  lì,  selvaggia 
Parca  del  loco,  rimirando  intorno. 
Come  colui ,   che  nove  cose  assaggia. 

Da  tutte  parti  saettava  il  giorno 
Lo  sol,   che  avea  con  le  saette  conte 
Di  mezzo  il  ciel  cacciato  il  capricorno: 

Quando  la  nova  gente  alzò  la  fronte 
Ver  noi ,    dicendo  a  noi  ;    se  voi  sapete, 
Mostratene  la  via  di  gire  al  monte  ! 

E  Virgilio  rispose  :   voi  credete 
Forse,  che  siamo  esperti  di  esto  loco; 
IVIa  noi  sem  peregrio ,    come  voi  siete  : 

Dianzi  venimmo,  innanzi  a  voi  un  poco. 
Per  altra  via,  che  fu  sì  asjìra  e  forte. 
Che  il  salir  oramai  ne  parrà  gioco. 

Le  anime,    che  si  fur  di  me  accorte 
Per  lo  spirare,   che  io  era  ancor  vivo, 
Maravigliando  diventar©  smorte: 

E  come  a  mcssagger,    che  porta  olivo, 
Tragge  la  gente,    per  udir  novelle, 
E  di  calcar  nessun  si  mostra  schivo, 

Così  al  viso  mio  si  affisar  quelle 
Anime  fortunate  tutte  quante, 
Quasi  obbliando  d'  ire  a  farsi  belle. 

Io  vidi  una  di  lor  traggersi  avante 

Per  abbracciarmi ,    con  sì  grande  alTetto, 
Che  mosse  me  a  far  il  simigliante. 

Oh  ombre  vane,   for  che  nello  aspetto! 
Tre  volte  dietro  a  lei  le  mani  avvinsi, 
E  tante  mi  tornar  con  nulla  al  petto. 

Di  meraviglia,   credo,    mi  dipinsi:  _ 

Per  che  la  onilira  sorrise,    e  t^i  ritrasse. 
Ed  io,    seguendo  lei,    oltre  mi  pinsi. 

Soavemente  disse,  che  io  posasse:^ 
Allor  conobbi  chi  era,  e  pregai. 
Che ,    j)cr  parlanni ,   un  poco  si  arre.^taiise. 

Kispnsemi  :    così ,  come  io  ti  amai 

^el  mortai  corpo ,    così  ti  amo  sciolJa  ; 
Però  mi  arresto  :    ma  tu  per  che  vai .'' 

Casella  mio ,   por  tornare  altra  volta 
lià  dove  io  son ,    fo  io  questo  viaggio: 
Ma  a  te  come  ora  tanta  terra  è  tolta? 

EA  egli  a  me:    nessun  mi  è  fatto  oltraf;gio. 
Se  quei,    che  leva,  e  quando  e  cui  li  piuce, 
Più  volte  mi  ha  negato  etto  passaggio; 

0 


[83] 


PURGATORIO.      (II.  OT— 183.  Ut.  1—83) 


Che  di  giusto  Toler  lo  suo  si  face: 
Veramente  da  tre  mesi  egli  ha  tolto 
Chi  ha  voluto  entrar  con  tutta  jja<'e; 

Onde  io  che  ora  era  alla  marina  volto, 
Dove  r  acqua  di  Tevere  s'  insala, 
Benignamente  fui  da  lui  ricolto 

A  quella  foce  ov'  egli  ha  dritta  1'  ala  : 
Però  che  sempre  quivi  si  ricoglie, 
Qual  verso  di  Acheronte  non  si  cala. 

Ed  io:   se  nova  legge  non  ti  toglie 
3Iemoria,    o  uso  allo  amoroso  canto. 
Che  mi  solca  quietar  tutte  mie  voglie, 

Di  ciò  ti  piaccia  consolare  alquanto 

L'  anima  mia,    che  con  la  sua  persona 
Venendo  qui  è  affannata  tanto! 

Amor,  che  nella  mente  vìi  ragiona, 
Cominciò  egli  allor  sì  dolcemente. 
Che  la  dolcezza  ancor  dentro  mi  sona. 

Lo  mio  maestro ,  ed  io ,  e  quella  gente 
Ch'  eran  con  luì,  parevfin  sì  contenti. 
Come  a  nessun  toccasse  altro  la  mente. 

Noi  eravam  tutti  fissi  ed  attenti 

Alle  sue  note:    ed  ecco  il  veglio  onesto. 
Gridando:    che  è  ciò,   spiriti  lenti? 

Qual  negligenzia,   quale  stare  è  questo? 
Correte  al  monte  a  spogliarvi  lo  scoglio, 
Ch'  esser  non  lascia  a  voi  dio  manifesto  ! 

Come  quando ,    cogliendo  biada  o  loglio. 
Li  colombi  adunati  alla  pastura 
Queti  senza  mostrar  lo  usato  orgoglio, 

Se  cosa  appare ,    ond'  elli  abbian  paura. 
Subitamente  lasciano  star  la  esca. 
Per  che  assaliti  son  da  maggior  cura, 

Così  vid'  io  quella  masnada  fresca 
Lasciare  il  canto ,   e  fuggir  ver  la  costa, 
Come  om  che  va,    né  sa  dove  riegea: 

Né  la  nostra  partita  fu  men  tosta. 


CANTO     III. 


ARGOMENTO. 


I  due  poeti  cercano   di  salir    la  montagna  malage- 
vole, altissima  e  cinta  de    mare.     Manfredi,  re 
di  Puglia  e  di  Sicilia. 

Avvegnaché  la  subitana  fuga 

Dispergesse  color  per  la  campagna. 
Rivolti  al  monte,   ove  ragion  ne  fruga, 

Io  mi  ristrinsi  alla  fida  compagna. 
E  come  sare'  io  senza  lui  corso? 
Chl_  mi  avria  tratto  su  per  la  montagna? 

El  mi  parca  da  sé  stesso  rimorso: 
Oh  dignitosa  co.scienzia  e  netta. 
Come  ti  è  piccini  fallo  amaro  morso! 

Quando  li  piedi  suoi  lasciar  la  fretta. 
Che  la  oncstade  ad  ogni  atto  dismaga, 
La  mente  mia,   che  prima  era  ristretta, 

Lo  intento  ral largò,    gì  come  vaga, 

E  diedi  '1  vieto  mio  incontro  al  poggio,  /'   -  ^ 
Che  inverso  il  ciel  più  alto  si  dislaga. 

Lo  bol,  chu  dietro  fiammeggiava  roggio, 


Rotto  mi  era  dinanzi,   alia  figura. 

Che  aveva  in  me  dei  suoi  raggi  lo  appoggio. 

Io  mi  volsi  da  lato ,    con  paura 

Di  esser  abbandonato,    quando  io  vidi 
Solo  dinanzi  a  me  la  terra  oscura  : 

E  il  mio  conforto  :  per  che  pur  diffidi  ? 
A  dir  mi  cominciò  tutto  rivolto; 
Non  credi  tu  me  teco,    e  che  io  ti  guidi? 

Vespero  è  già  colà  dove  sepolto 

È  il  corpo,   dentro  al  quale  io  facea  ombra: 
Napoli  lo  bave,   e  da  Brandizio  è  tolto. 

Ornai,   se  innanzi  a  me  nulla  si  adombra, 
Non  ti  maravigliar  più  che  dei  cieli. 
Che  lo  uno  allo  altro  raggio  non  ingombra. 

A  sofferir  tormenti ,    caldi ,  e  geli 
Simili  corpi  la  virtù  dispone. 
Che  come  fa,   non  vuol,    che  a  noi  sii  veli. 

Matto  è  chi  spera,  che  nostra  ragione 
Possa  trascorrer  la  infinita  via 
Che  tiene  una  sustanzia  in  tre  persone. 

State  contenti ,    umana  gente ,    al  quia  : 
Che,  se  potuto  aveste  veder  tutto, 
Mestier  non  era  partorir  Maria: 

E  disiar  vedeste  senza  frutto 

Tal ,    che  sarebbe  lor  disio  quetato, 
Ch'  eternalmente  è  dato  lor  per  lutto  : 

Io  dico  di  Aristotele,  e  di  Plato, 

E  di  molti  altri:   e  qui  chinò  la  fronte, 
E  più  non  disse,    e  rimase  turbato. 

Noi  divenimmo  in  tanto  a  pie  del  monte 
Quivi  trovammo  la  rocca  sì  erta. 
Che  indarno  vi  sarien  le  gambe  pronte* 

Tra  Lerici  e  Turbia   la  più  diserta, 
La  più  ruinata  via  è  una  scala, 
Verso  di  quella,   agevole  ed  aperta. 

Or  chi  sa,  da  qual  man  la  costa  cala, 
Disse  il  maestro  mio,    fermando  il  passOj 
Sì  che  possa  salir  chi  va  senz'  ala? 

E  mentre  eh'  el  tenea  il  viso  basso. 
Esaminando  del  cammin  la  mente. 
Ed  io  mirava  suso  intorno  al  sasso, 

Da  man  sinistra  mi  apparì  una  gente 
Di  anime,   che  moviéno  i  pie  ver  noi, 
E  non  pareva,   sì  veniano  lente. 

Leva,    diss'  io  al  maestro,   li  occhi  tuoi! 
Ecco  di  qua  chi  ne  darà  consìglio, 
Se  tu  da  te  medesmo  aver  noi  puoi. 

Guardomnii  allora ,   e  con  libero  piglio 
Rispose:  andiamo  in  là,  eh'  ei  vengon  plano, 
E  tu  ferma  la  speme,   dolce  figlio! 

Ancora  era  quel  popol  di  lontano. 
Io  dico,    dopo  i  nostri  mille  passi, 
Quanto  un  buon  gittator  trarrla  con  mano. 

Quando  si  strinser  tutti  ai  duri  massi 
Dell'  alta  ripa,   e  stetter  fermi  e  stretti, 
Come  a  guardar,   chi  va  dubbiando,    staesì. 

Oh  ben  finiti ,   oh  già  spiriti  eletti, 
Virgilio  incominciò,  per  quella  pace. 
Che  io  credo  che  per  voi  tutti  si  aspetti^ 

Ditene,    dove  la  mcmtagna  giace. 

Si  che  possibii  sia  lo  andare  in  suso? 

Che  il  perder  tempo,   a  chi  più  sa,  più  spiace. 

Come  le  pecorelle  escon  del  chiuso 

Ad  una,    a  due,    a  tre,    e  le  altro  stanno 
Timidctte  altt^rando  1'  occhio  e  il  muso, 

E  ciò,   che  fa  la  prima,    le  altre  fanno, 
Addossandosi  a  lei,   e'  ella  si  arresta, 


mn 


ro] 


PURGATORIO.     (III.  84—145.  IV.  1—51) 


m] 


Semplici  e  quete ,   e  lo  imperché  non  samio, 
ì  vid'  io  mover  a  venir  la  testa  /'  , 

Di  quella  mandra- fortunata  allotta,  ji^U»»^ 

Pudica  in  faccia ,   e  nello  andare  onesta.     -  ' 
ome  color  dinanzi  TÌder  rotta 
La  luce  in  terra,   dal  mio  destro  canto. 
Sì  che  la  ombra  era  da  me  alla  grotta, 
iistaro ,    e  trasser  se  indietro  alquanto, 
E  tutti  li  altri,  che  venièno  a  presso. 
Non  sapendo  il  per  che,   fero  altrettanto. 
anza  vostra  dimanda  io  vi  confesso 
Che  questi  è  corpo  uman,    che  voi  vedete  j 
Per   che  il  lume  del  sole  in  terra  é  fesso. 
\on  vi  maravigliate,   ma  credete, 
Che  non  senza  virtù,    che  dal  ciel  vegna, 
Cerchi  di  soperchiar  questa  parete! 
^o*i  'l  maestro:   e  quella  gente  degna. 
Tornate,   disse,   intrate  innanzi  dunque! 
Coi  dossi  delle  man  facendo  insegna.       't 
i!  1   un  di  loro  incominciò:    chiunque 
Tu  sei,   così  andando  volgi  '1  viso: 
Pon  mente ,  se  dì  là  mi  vedesti  unque  ! 

fo  mi  volsi  ver  lui  ,    e  guardai!  fiso  : 
Biondo  era,    e  bello,   e  di  gentile  aspetto: 
Ma  lo  im  dei  cigli  un  colpo  avea  diviso. 

Quando  mi  fui  umilmente  disdetto 
Di  averlo  visto  mai,    el  disse:    or  vedi! 
E  mostrommi  una  piiiga  a  sommo  il  pett^ì  : 

Poi  sorridendo  disse:    io  son  Manfredi, 
Nipote  di  Constanza  Imperatrice: 
Onde  io  ti  prego  ,   che,   quando  ta  riedi, 

Vadi  a  mia  bella  figlia ,    genitrice  l   / 

Dell'  onor  di  Cicilia,   e  di  Aragona,        | 
E  dlchi  a  lei  il  ver,   se  altro  si  dice. 

Poscia  che  io  ebbi  rotta  la  persona 
Di  due  punte  mortali ,   io  mi  rende! 
Piangendo  a  quei,   che  volentier  perdona. 

Orribil  furon  li  peccati  miei  : 

Ma  la  bont<à  infinita  ha  si  gran  braccia, 
Che  prende  ci«»,    che  si  rivolve  a  lei. 

So  il  pastor  di  Cosenza,  che  alla  caccia 
Di  me  fu  messo  por  Clemente,  allora 
Avesse  in  dio  ben  letta  questa  faccia, 

Le  ossa  del  corpo  mio  sarieno  ancora 
In  co'  del  ponte,    presso  a  Benevento, 
Sotto  la  guardia  della  grave  moraj       ^«u^tA 

Or  le  bagna  la  pioggia,  e  move  il  vento 
Di  for  del  regno ,  quasi  lungo  il  Verde, 
Ove  le  trasmutò  a  lume  spento. 

Per  ior  maledizion  si  non  si  perde, 

Che  non  possa  tornar  lo  eterno  amore. 
Mentre  che  la  speranza  ha  fior  del  verde. 

Vero  ù,   che  quale  in  contumacia  more 
Di  santa  chiesa,    ancor  che  al  fin  sì  penta. 
Star  li  convicn  da  questa  ripa  in  fore 

Per  ogni  tempo,    eh'  egli  è  stato,   trenta, 
In  sua  presunzion,    se  tal  decreto 
Più  corto  per  buon  pricghi  non  diventa. 

Vedi  oramai ,    se  tu   mi  puoi  far  lieto, 
Uivelando  alla  mia  buona  Constanzn, 
(JouHi  mi  hai  visto,    ed  anco  esto  divieta     '\v'  " 

Che  qui  per  quei  di  là  molto  si  avanza.  '  r 


CANTO    IV. 


ARGOMENTO. 

Osservarioni     metafisiche     sugli    effetti  d'   «no   ^«sa 

attenzione}  astronomiche.     Sale  il  monte  con  pena. 

Negligenti,    Belacqua. 

Quando  per  dilettanze ,    ower  per  doglie^ 

Che  alcuna  virtù  nostra  comprenda) 

L'  anima  bene  ad  essa  si  raccoglie. 
Par  che  a  nulla  potenzia  più  intenda. 

E  questo  è  contra  quello  error,   che  crede. 

Che  un'  anima  sopr'  altra  in  noi  si  accenda. 
E  però ,   quando  si  ode  cosa ,    o  vede, 

Che  tenga  forte  a  sé  P  anima  volta, 

Vassene  il  tempo,    e  1'  ora  non  se  ne  avvede. 
Che  altra  potenzia  è  quella  che  lo  ascolta, 

Ed  altra  è  quella  che  ha  1'  anima  intera: 

Questa  è  quasi  legata,    e  quella  è  sciolta. 
Di  ciò  ebb'  io  esperienzia  vera. 

Udendo  quello  spirto ,   ed  ammirando  ; 

Che  ben  cinquanta  gradi  salito  era 
Lo  sole ,    ed  io  non  mi  era  accorto,  quando 

Venimmo  dove  quelle  anime  ad  una 

Gridaro  a  noi  :    qui  é  vostro  dimando  ;      . 
Maggiore  aperta  molte  volte  impruna        '^;^a*«/«*«.' 

Con  una  forcatella  di  sue  spine 

L'  om  della  villa,    quando  la  uva  imbruna, 
Che  non  era  lo  calle ,    onde  saline 

Lo  duca  mio  ed  io  a  presso  soli. 

Come  da  noi  la  schiera  si  partine. 
Vassi  in  Sanleo,    e  discendesi  in  Noli, 

Montasi  sii  Bismantova  in  cacume 

Con  esso  i  pie:  ma  qui  convien  che  om  voH, 
Dico  con  le  ali  snelle  e  con  le  piume 

Del  gran  disio  ,    diretro  a  quel  condotto 

Che  speranza  mi  dava ,   e  facea  lume. 
Noi  salevam  per  entro  il  sasso  rotto, 

E  da  ogni  lato  ne  stringea  lo  stremo, 

E  piedi  e  man  voleva  il  suol  di  sotto. 
Quando  noi  fummo  in  su  1'  orlo  supremo 

Dell'  alta  ripa  ,    alla  scoperta  piaggia. 

Maestro  mio ,   diss'  io ,   che  via  faremo  ? 
Ed  egli  a  me:   nessun  tuo  passo  caggia  ! 

Pur  suso  al  monte  dietro  a  me  acquista, 

Fin  che  ne  appnja  alcuna  scorta  saggia 
Lo  sommo  er'  alto,   che  vincea  la  vista,       ,  r  ^,i 

E  la  costa  superba  più  assai,  \J  ^  ^^w 

Che  da  mezzo  quadrante  al  contro  li«ta.    t'CW^'»*») 
Io  era  lasso,   quando  io  cominciai:  ^-^s^u^v 

Oh  dolce  padre,    volgiti  e  riuiira. 

Come  io  rimango  sol,   se  non  ristai! 
Figliol  mio,    disse,    infin  qui\i  ti  tira! 

Additandomi  un  balzo  un  poco  in  sue. 

Che  da  quel  lato  il  poggio  tutto  gira. 
Sì  mi  spronaron  le  parole  sue. 

Che  io  mi  sfttr/.ai ,   carpando  a  presso  lui, 

'i'anto  che  il  cinghio  sotto  i  pie  uii  fue. 
A  seder  ci  poneuuno  ivi  nml)o  e  dui 

A'olti  a  levante ,    ond'  cravam  saliti. 

Che  suole  a  riguardar  giovar)*  altrui. 
Li  ocelli  pria  dirizzai  ai  bassi  liti, 

Poscia  li  alzai  al  sole,   ed  ammirava. 

Che  da  sinistra  n'  cravam  feriti. 


.fJa 


[Sì] 


PURGATORIO.      (IV.  58— 1S9.  V.  1— 10) 


Ben  sì  avvide  il  popfa ,   che  io  restava 
Stupido  tutto  al  carro  della  luce. 
Ove  tra  noi  ed  aquilone  intrava. 

Ond'  egli  a  me:    se  Castore  e  Polluce 
Fossero  in  compagnia  di  quello  specchio, 
Che  su  e  giù  del  suo  lume  conduce, 

Tu  vedresti  '1  zodiaco  rubecchio 
Ancora  alle  orse  più  stretto  rotare, 
Se  non  uscisse  for  del  cammin  vecchio. 

Come  ciò  sia,   se  il  vuoi  poter  pensare, 
Dentro  raccolto  immagina  Sion 
Con  questo  monte  in  su  la  terra  stare. 

Si  che  ambo  e  due  hanno  un  solo  orizzon, 
E  diversi  emisperi  :   onde  la  strada, 
Che,  mal,  non  seppe  carreggiar  Feton, 

Vedrai  come  a  costui  convien  che  vada 

Dallo  un,    quando  a  colui  dallo  altro  fianco, 
Se  Io  intelletto  tuo  ben  chiaro  bada. 

Certo,  maestro  mio,  diss'  io,  unquanco 
Non  vid'  io  chiaro  si  come  io  discemo 
Là  dove  mio  ingegno  parca  manco, 

Clie  il  mezzo  cerchio  del  moto  superno. 
Che  si  chiama  equatore  in  alcun'  arte, 
E  che  sempre  rinian  tra  il  sole  e  il  verno, 

Per  la  ragion,    che  di%   quinci  si  parte 
Verso  settentrion ,   quando  li  Ebrei 
Vedevan  lui  verso  la  calda  parte. 

Ma,   se  a  te  piace,  volentier  saprei. 

Quanto  avemo  ad  andar;  che  il  poggio  sale 
Più  che  salir  non  posson  li  occhi  miei. 

Ed  egli  a  me:    questa  montagna  è  tale, 
Che  sempre  al  cominciar  di  sotto  è  grave, 
E  quant'  om  più  va  su ,   e  men  fa  male. 

Però  quando  ella  ti  parrà  soave 

Tanto ,    che  il  su  andar  ti  sia  leggiero. 
Come  a  seconda  in  giuso  andar  per  nave, 

Allor  sarai  al  fin  di  esto  sentiero. 
Quivi  di  riposar  lo  affanno  aspetta  ! 
Più  non  rispondo,   e  questo  so  per  vero. 

E    com'  egli  ebbe  sua  parola  detta. 
Una  voce  di  presso  sonò  :   forse 
Che  di  sedere  inprima  avTai  distretta. 

Al  suon  di  lei  ciascun  di  noi  si  torse, 
E  vedemmo  a  mancina  un  gran  petrone, 
Del  qual  né  io,    né  el  prima  si  accorse. 

Là  ci  traemmo,   ed  ivi  eran  persone, 

Che  si  stavano  alla  ombra  dietro  al  sasso, 
Come  ora  per  negligenza  a  star  si  pone. 

Ed  un  di  Inr,  che  mi  sembrava  lasso. 
Sedeva  ed  abbracciava  le  ginocchia, 
Tenendo  il   viso  giù  tra  esse  bas<o. 

Oh  dolce  signor  mio,   diss'  io,    adocchia 

Colui ,    che  mostra  sé  più  negligente,  ^ 

Che  se  pigrizia  fosse  sua  sirocchia.  JcA/wJ^HJ^^ 

Allor  si  volse  a  noi ,   e  pose  mente,         ^ 
Movendo  il  viso  pur  su  per  la  coscia, 
E  disse:  or  va  tu  su,    che  sei  valente! 

Conobbi  allor  chi  era:  e  quell'  angoscia,      >        . 
Che  mi  avacriava  un  poco  ancor  la  lena^WitWfcv 
Non  m'  impedì  h»  andare  a  lui:   e  poscia     •     '    . 

Clic  a  lui  fui  giimtn,  alzò  la  testa  a  pena, 
Dicendo:  hai  ben  veduto,  come  il  solo 
Dall'  omero  sinistro  il  carro  mena? 

Li  atti  suoi  pigri ,   e  le  corte  parole 
Mo!<son  le  Itibbra  mie  un  poco  n  riso: 
Poi  cominciai  :    itelacqiia ,    a  me  non  dote 

Di  te  ornai  :  ma  dimmi ,   per  che  assiso 


J.J' 


Quiritta  sei?     attendi  tu  iscorta, 

O  pur  lo  modo  usato  ti  hai  ripriso? 

Ed  ei  :  frate ,   lo  andar  in  su  che  porta  ? 
Che  non  mi  lascerebbe  ire  ai  martiri 
Lo  angel  di  dio ,    che  siede  in  su  la  porta. 

Prima  convien ,   che  tanto  il  ciel  mi  aggiri 
Di  for  da  essa,    quanto  io  feci  in  vita. 
Per  che  indugiai  al  fin  li  buon  sospiri, 

Se  orazione  in  prima  non  mi  aita. 

Che  sorga  su  di  cor ,  che  in  grazia  viva  ; 
L'  altra  che  vai,    che  in  ciel  non  è  udita? 

E  già  il  poeta  innanzi  mi  saliva, 

E  dicea  :  vieni  ornai  !   vedi  eh'  è  tocco 
Meridian  dal  sole ,   ed  alla  riva 

Copre  la  notte  già  col  pie  Marrocco. 


CANTO    V. 


ARGOMENTO. 

Nomina  alcuni  negligenti. 

Io  era  già  da  quelle  ombre  partito, 
E  seguitava  le  orme  del  mio  duca. 
Quando  diretro   a  me  drizzando  il  dito, 

Una  gridò:   ve',  che  non  par  che  luca 
Lo  raggio  da  sinistra  a  quel  di  sotto, 
E  come  vivo  par  che  si  conduca! 

Li  occhi  rivolsi  al  suon  di  questo  motto, 
E  vidile  guardar  per  maraviglia 
Pur  me,    pur  me,   e  il  lume,   eh'  era  rotto. 

Per  che  lo  animo  tuo  tanto  s'  impiglia. 
Disse  il  maestro,   che  lo  andare  allenti? 
Che  ti  fa  ciò,   che  quivi  si  pispiglia? 

Vion  dietro  a  me,  e  lascia  dir  le  genti! 
Sta  come  torre  fermo ,  che  non  crolla 
Giammai  la  cima,  per  soffiar  dei  venti. 

Che  sempre  1'  omo,    in  cui  pensier  rampolla 
Sovra  pensier,   da  sé  dilunga  il  segno, 
Per  che  la  foga  Io  un  dello  altro  insolla. 

Che  poteva  io  ridir,  se  non:  io  vegno? 
Dissilo  alquanto  del  color  consperso. 
Che  fa  1'  om  di  perdon  tal  volta  degno  : 

E  intanto  per  la  costa  di  traverso 
Venivan  genti  innanzi  a  noi  un  poco. 
Cantando  Miserere  a  verso  a  verso. 

Quando  si  accorser,  che  io  non  dava  loco 
Per  Io  min  corpo  al  trapassar  dei  raggi, 
Mutar  lor  canto  in  un  O  lungo  e  roco; 

E  due  di  loro ,    in  forma  di  messaggi, 
Corsero  incontra  noi,    e  dimandarne: 
Di  vostra  condizion  fatene  saggi! 

E  il  mio  nuiestro  :  voi  potete  andarne, 
E  ritrarre  a  color ,  che  vi  mandaro. 
Che  il  corpo  di  costui  è  vera  carne. 

Se  per  veder  la  sua  ombra  restaro, 
Ciune  io  avviso,    assai  è  lor  risposto; 
Faccianli  onore:    ed  esser  piut  lor  caro. 

Vap(U'i  accesi  non  vid'  io  sì  tosto 
Di  prima  notte  mai  fender  sereno, 
Né,   sol  calando,    nuvole  di  agosto, 

Che  color  non  toroaseer  suso  in  meno: 


-89] 


PURGATORIO.     (V.  41—130.  VI.  1  —  24) 


[90] 


E  giunti  là,   con  li  altri  a  noi  dier  Tolta, 
Come  schiera,    che  corre  senza  freno. 
)uesta  gente,    che  prenne  a  noi,   è  inolta^ 
E  vengonti  a  pregar,    di!;se  il  poeta: 
Vero  pur  va,    ed  in  andando  ascolta! 
)li  anima ,    che  vai ,    per  esser  lieta. 
Con  quelle  membra ,    con  le  quai  nascesti, 
Venian  gridando,    un  poco  il  passo  queta! 
jìuarda ,  se  alcun  di  noi  unqua  vedesti, 
Sì  che  di  lui  di  là  novelle  porti! 
Deh  per  che  vai?   deh  per  clie  non  ti  arresti? 
Soi  fummo  tutti  già  per  forza  morti, 
£  peccatori  iniìno  alla  ultima  ora: 
Quivi  lume  del  ciel  ne  fece  accorti 
si ,   che  pentendo  e  perdonando ,    fora 
Di  vita  uscimmo  a  dio  pacifìcati, 
Che  del  disio  di  sé  veder  ne  accora. 
Ed  io:    per  che  nei  vostri  visi  guati, 
Aon  riconosco  alcun;    ma  se  a  voi  piace 
Cosa  che  io  possa,   spiriti  ben  nati, 
\\}ì  dite  !    ed  io  farò  per  quella  pace. 
Che  dietro  ai  piedi  di  sì  fatta  guida 
Di  mondo  in  mondo  cercar  mi  si  face. 

|E  uno  incominciò:  ciascun  si  fida 
Del  beneficio  tuo  senza  giurarlo. 
Pur  che  il  voler  nonpossa  non  ricida: 

Onde  io  che  solo  innanzi  agli  altri  parlo. 
Ti  prego ,    se  mai  vedi  quel  paese, 
Che  siede  tra  Romagna  e  quel  di  Carlo, 

Che  tu  mi  sie  dei  tuoi  preghi  cortese 
In  Fano  sì,   che  ben  per  me  si  adori. 
Per  che  io  possa  purgar  le  gravi  oflese. 

Quindi  fu'  io  :   ma  li  profondi  fori. 
Onde  uscì  U  sangue,    in  sul  quale  io  sedea. 
Fatti  mi  furo  in  grembo  alli  Antenori, 

Là  dove  io  più  sicuro  esser  credea  : 
Quel  da  Esti  '1  fc  far,   che  mi  avea  in  ira 
Assai  più  là,    che  dritto  non  volea. 

Ma  se  io  fossi  fuggito  inver  la  Mira, 
Quando  io  fui  sovraggiunto  ad  Oriago, 
Ancor  sarei  di  là,    dove  si  spira. 

Corsi  al  palude,  e  le  cannucce  e  il  brago 
M'  impigliar  sì,   che  io  caddi,    e  li  vid*  io 
Delle  mie  vene  farsi  in  terra  lago. 

Poi  disse  un  altro:    deh,   se  quel  disio 

Si  compia,   che  ti  tragge  allo  alto  monte, 
Con  buona  pietate  ajiita  il  mio  ! 

Io  fui  di  Montefeltro:  io  son  Huonconte: 
Giovanna,  o  altri  non  ha  di  me  cura, 
Per  che  io  vo  tra  costur  con  bassa  fronte. 

Ed  io  a  lui  :    qiial  forza ,   o  qual  ventura 
Ti  traviò  sì  for  di  Campaldino, 
Che  non  si  seppe  mai  tua  sepoltura? 

Oh ,    rispos'  egli ,    a  pie  del  Casentino 

Traversa  un'  acqua,    che  lia  nome  lo  Archiano, 
Che  sovra  lo  Ermo  nasce  in  Apennino. 

Là  ove  il  vocabol  suo  diventa  vano 
Arriva'  io ,   forato  nella  gola, 
Fuggendo  a  piedi  insanguinando  il  piano. 

Quivi  perdei  la  vista,    e  la  parola 
Nel  ncune  di  Maria  finì  ,    e  quivi 
Caddi,   e  rimase  la  mia  carne  sola. 

Io  dico  il  vero,    o  tu  il  ridi  tra  i  vivi! 

Lo  angel  di  dio  uii  prese,    e  quel  d'  inferpo 
Gridava:    oh  tu  dal  r.iel,    per  che  mi  pri»i? 

Tu  te  n<!  porti  di  contui  lo  etorno. 

Per  una  lacrimetta,    che  il  mi  toglie: 


Ma  io  farò  dello  altro  altro  governo. 

Ben  sai ,  come  nello  aere  si  raccoglie 
Quello  umido  vapor,   che  in  acqua  riede. 
Tosto  che  sale,   dove  il  freddo  il  coglie. 

Giunse  quel  mal  voler,    che  pur  mal  chiede. 
Con  lo  intelletto,    e  mosse  il  fumo  e  il  vento 
Per  la  virtù,    che  sua  natura  diede. 

Indi  la  valle,   come  il  dì  fu  spento. 
Da  Pratomagno  al  gran  giogo  coperse 
Di  nebbia,    e  il  ciel  di  sopra  fece  intento 

Sì,    che  il  pregno  aere  in  acqua  si  converse  : 
La  pioggia  cadde,   e  ai  fossati  venne 
Di  lei  ciò,   che  la  terra  non  sofferse: 

E  come  ai  rivi  grandi  si  convenne. 
Ver  lo  fiume  real  tanto  veloce 
Si  minò,   che  nulla  la  ritenne. 

Lo  corpo  mio  gelato  in  su  la  foce 

Trovò  lo  Archian  rubesto:    e  quel  sospinse 
Nello  Arno ,   e  sciolse  al  mìo  petto  la  croce. 

Che  io  fei  di  me,  quando  il  dolor  mi  vinse: 
Voltommi  per  le  coste,    e  per  lo  fondo, 
Poi  di  sua  preda  mi  coperse  e  cinse. 

Deh  ,  quando  tu  sarai  tornato  al  mondo, 
£  riposato  della  lunga  via. 
Seguitò  il  terzo  spirito  al  secondo. 

Ricorditi  di  me,   che  son  la  Pia: 
Siena  mi  fé,    disfecemi  Maremma: 
Salsi  colui ,    che  innanellata  pria. 

Disposando,  mi  avea  con  la  sua  gemma. 


CANTO      VI. 


ARGOMENTO. 

Altri  negligenti.      Sordello.      Invettiva    glibiUinescu 

contro    le  divisioni  d'  Italia,   e  contro  il  governo 

di  Firenze, 


Quando  si  parte  il  gioco  della  zara. 
Colui  che  perde  si  riman  dolente. 
Ripetendo  le  volte,    e  tristo  impara: 

Con  lo  altro  se  ne  va  tutta  la  gente: 

Qual  va  dinanzi ,   e  qual  diretro  il  prende, 
E  qual  da  lato  li  si  reca  a  mente: 

Ei  non  si  arresta,    e  questo  e  quello  intende: 
A  cui  porge  la  man,    più  non  fa  pressa: 
E  così  dalla  calca  si  difende. 

Tal  era  io  in  quella  turba  spessa. 

Volgendo  a  loro,    e  qua  e  là  la  faccia, 
E  promettendo  mi  sciogliea  da  essa. 

Quivi  era  lo  Aretin,    clic  dalle  braccia 
Fiere  di   Gliin   di  Tacco   ebbe  la  morte, 
E  lo  altro,   che  iinnegò  nirrcndo  in  caccia. 

Quivi  pregava  con  le  mani  sporto 
Federico  Novello,    e  quel  da  Pisa, 
('he  fc'  parer  lo  buon  ,^Iar/.ucco  forte. 

Vidi  Conto  Orso ,    e  1'  anima  divisa 

Dal  corpo  suo  per  astio  e  per  inveggia. 
Come  dicea,  non  per  colpa  rommisa  ; 

Pier  dalla  ilroiria  diro:   o  qui  i>rovvpggia, 
Mcntr'  «t  di  qua,    la  donna  di  Itr.ilKinlu 
Si  che  però  non  «ia  di  peggior  greggia. 


[91] 


PURGATORIO.     (VI.  25—151) 


Come  libero  fui  da  tutte  quante 

Quelle  ombre,   che  pregar  pur,   che  altri  pregli 
Sì  che  si  avacci  '1  lor  divenir  sante. 
Io  cominciai:   el  par  che  tu  mi  nieghi. 
Oh  hice  mìa,   espresso  in  alcun  testo, 
Che  decreto  del  cielo  orazion  pieghi  ; 
E  questa  gente  prega  pur  di  questo. 
Sarebbe  dunque  loro  speme  vana? 
O  non  mi  è  il  detto  tuo  ben  manifesto? 
Ed  egli  a  me:   la  mìa  scrittura  è  piana, 
£  la  speranza  di  costor  non  falla, 
Se  ben  si  guarda  con  la  mente  sana. 
Che  cima  di  giudicio  non  si  avvalla, 

Per  che  foco  di  amor  compia  in  un  punto 
Ciò  che  dee  soddisfar  chi  qui  si  aetalla: 
E  là  dove  io  fermai  cotesto  punto, 

Kon  si  ammendava,   per  pregar,   difetto, 
Per  che  il  prego  da  dio  era  disgiunto. 
Veramente  a  cosi  alto  sospetto 

Non  ti  fermar,    se  quella  noi  ti  dice. 
Che  lume  fia  tra  il  vero  e  lo  intelletto. 
Non  so  se  intendi:    io  dico  di  Beatrice: 
Tu  la  vedrai  di  sopra,   in  su  la  vetta 
Di  questo  monte   ridente  e  felice. 
Ed  io:  buon  duca,    andiamo  a  maggior  fretta! 
Che  già  non  mi  affatico ,    come  dianzi, 
E  vedi  ornai,  che  il  poggio  la  ombra  getta. 
Koi  anderem  con  questo  giorno  innanzi, 
Rispose,    quanto  più  potremo  omai: 
Ma  il  fatto  è  di  altra  forma,    che  non  stanzi. 
Prima  che  sii  lassù,   tornar  vedrai 

Colui ,    che  già  si  copre  della  costa,       ^  ^^   \^^ 
Si  che  i  suoi  raggi  tu  romper  non  fai.    ''^*'*^'' 
Ma  vedi  là  un'  anima,   che  posta 
Sola  soletta  verso  noi  riguarda: 
Quella  ne  insegnerà  la  via  più  tosta. 
Venimmo  a  lei:   oh  anima  lombarda. 
Come  ti  stavi  altera  e  disdegnosa, 
E  nel  mover  delli  occhi  onesta  e  tarda  ! 
Ella  non  ci  diceva  alcuna  cosa, 

Ma  lasciavane  gir,   solo  guardando 
A  guisa  di  leon ,    quando  si  posa. 
Pur  Virgilio  si  trasse  a  lei ,   pregando. 
Che  ne  mostrasse  la  miglior  salita, 
E  quella  non  rispose  al  suo  dimando; 
Ma  di  nostro  paese  e  della  vita 

Ci  chiese;   e  il  dolce  duca  incominciava: 
Mantova...  e  la  ombra  tutta  in  sé  romita 
Surse  ver  lui  del  loco,   ove  pria  stava, 
Dicendo:    eh  Mantovano,   io  son  Sordello 
Della  tua  terra:  e  lo  un  lo  altro  abbracciava. 
Ahi  serva  Italia,    di  dolore  ostello, 

Nave  senza  nocchiero  in  gran  tempesta, 
Non  donna  di  province,    ma  bordello! 
Quell'  anima  gentil  fu  cosi  presta, 
Sol  per  lo  dolce  suon  della  sua  terra, 
Di  fare  al  cittadin  suo  quivi  festa, 
Ed  ora  in  te  non  stanno  senza  guerra 
Li  vivi  tuoi ,   e  lo  un  lo  altro  si  rode 
Di  quei ,  che  un  muro  ed  una  fossa  serra. 
Cerca,   misera,    intorno  dalle  prode 

Le  tue  marine,    e  poi  ti  guarda  in  seno. 
Se  alcuna  parte  in  te  di  pace  gode! 

^''^.^^l'.  l'*^'"  '^'•^  "  «"acconciasse  il  freno 

Giustiniano,  se  la  sella  è  vota? 

Senza  esso  fora  la  vergogna  meno. 
Ahi  gente ,  che  dovresti  esser  divota. 


E  lasciar  seder  Cesare  in  la  sella, 
Se  bene  intendi  ciò,  che  dio  ti  nota. 
Guarda,  com'  està  fiera  è  fatta  fcllaj^!:*tiV((vV 
Per  non  esser  corretta  dalli  sproni,  ^ 

Poi  che  ponesti  mano  alla  predella.V-.'--' * 

Oh  Alberto  Tedesco,    che  abbandoni 

Costei,   eh'  è  fatta  indomita  e  selvaggia, 
E  dovresti  inforcar  li  suoi  arcioni. 

Giusto  giudicio  dalle  stelle  caggia 

Sovra  il  tuo  sangue ,   e  sia  novo  ed  aperto, 
Tal  che  il  tuo  successor  temenza  ne  aggia! 

Che  avete  tu  e  il  tuo  padre  sofferto, 
Per  cupidigia  di  costà  distretti, 
Che  il  giardin  dello  imperio  sia  diserto. 

Vieni  a  veder  Montecchi,    e  Cappelletti, 
Monaldi,   e  Filippeschi ,   om  senza  cura. 
Color  già  tristi ,   e  costor  con  sospetti  ! 

Vien,   crudel,   vieni,    e  vedi  la  pressura     , 
Dei  tuoi  gentili,   e  cura  lor  magagne,'  •      ' 
E  vedrai  Santafior  com'  è  sicura. 

Vieni  a  veder  la  tua  Roma  che  piagne, 
Vedova,  sola,  e  dì  e  notte  chiama: 
Cesare  mio,    perchè  non  mi  accompagno? 

Vieni  a  veder  la  gente  quanto  si  amai 
E  se  nulla  di  noi  pietà  ti  move, 
A  vergognar  ti  vien  della  tua  fama  ! 

E  se  licito  mi  è  ,    oh  sommo  Giove, 
Che  fosti  'n  terra  per  noi  crocifìsso, 
Son  li  giusti  occhi  tuoi  rivolti  altrove? 

0  è  preparazion,    che  nello  abisso 
Del  tuo  consiglio  fai  per  alcun  bene 
In  tutto  dallo  accorger  nostro  ascisso, 

Che  le  terre  d'  Italia  tutte  piene 

Son  di  tiranni,  ed  un  Marcel  diventa 
Ogni  villan  che  parteggiando  viene? 

Fiorenza  mia,    ben  puoi  esser  contenta 
Di  questa  digression,    che  non  ti  tocca, 
Mercè  del  popol  tuo,    che  si  argomenta! 

Molti  han  giustizia  in  cor,    ma  tardi  scocca. 
Per  non  venir  senza  consiglio  allo  arco  : 
Ma  il  popol  tuo  r  ha  in  sommo  della  bocca. 

Molti  rifiutan  lo  comune  incarco: 
Ma  il  popol  tuo  sollecito  risponde 
Senza  chiamare,    e  grida:   io  mi  sobbarco. 

Or  ti  fa  lieta,    che  tu  hai  ben  onde! 
Tu  ricca ,  tu  con  pace ,    tu  con  senno  ! 
Se  io  dico  ver,    lo  effetto  noi  nasconde. 

Atene  e  Lacedemona,    che  fenno 
Le  antiche  leggi,   e  furon  sì  civili. 
Fecero  al  viver  bene  un  picciol  cenno, 

Verso  di  te,   che  fai  tanto  sottili 

Provvedimenti,    che  a  mezzo  novembre 
Non  giunge  quel,  che  tu  di  ottobre  fili. 

Quante  volte  del  tempo ,    che  rimembra. 
Leggi,   monete,   uffici,   e  costume 
Hai  tu  mutato ,   e  rinnovato  membre? 

E  se  ben  ti  ricordi ,   e  vedi  lume. 
Vedrai  te  simigliante  a  quella  inferma, 
Che  non  può  trovar  posa  in  su  le  piume, 

Ma  con  dar  volta  suo  dolore  scherma. 


)3] 


PURGATORIO.      (VII.  1  —  126) 


[94] 


CANTO    VII. 

JRGOMENTO. 

La  valletta    de'  principi. 

oscia  che  le  accoglienze  oneste  e  liete 
Furo  iterate  tre  o  quattro  volte, 
Sordel  si  trasse,    e  disse:   voi  chi  siete? 

rima  che  a  questo  monte  fosser  volte 
Le  anime  deg-ne  di  salire  a  dio, 
Fur  le  ossa  mie  per  Ottavian  sepolte. 

)  son  Virgilio;   e  per  nullo  altro  rio 
Lo  ciel  perdei,    che  per  non  aver  fc: 
Così  rispose  allora  il  duca  mio. 

|iial  è  colui,   che  cosa  innanzi  a  sé 
Subita  vede,    onde  si  maraviglia. 
Che  crede,    e  no,   dicendo:    ella  è,   non  è, 
ili  parve  quegli,    e  poi  chinò  le  ciglia, 
Ed  umilmente  ritornò  ver  lui, 
Ed  abbracciollo  ove  il  minor  si  appiglia. 

)h  gloria  dei  Latin,    disse,   per  cui 
Mostrò  ciò  che  potea  la  lingua  nostra! 
O  pregio  eterno  del  loco  onde  io  fui, 

^ual  merito,  o  qual  grazia  mi  ti  mostra? 
Se  io  son  di  udir  le  tue  parole  degno. 
Dimmi,   se  vien'  d'  Inferno,    o  di  qual  chiostra? 

'cr  tutti  i  cerchi  del  dolente  regno. 
Rispose  lui ,   son  io  di  qua  venuto  : 
Virtù  del  ciel  mi  mosse,    e  con  lei  vegno. 

fon  per  far,   raa  per  non  fare  ho  perduto 
Di  veder  lo  alto  sol,    che  tu  disiri, 
E  che  fu  tardi  per  me  conosciuto. 

joco  è  là  giù  non  tristo  da  martìri, 
Ma  di  tenebre  solo,    ove  i  lamenti 
INon  eonan  come  guai,   ma  son  sospiri. 

filivi  sto  io  coi  parvoli  innocenti, 
Dai  denti  morsi  delia  morte,   avante 
Che  fosser  dalla  umana  colpa  esenti. 

Quivi  sto  io   con  quei ,   che  le  tre  sante 
\  irtù  non  si  vestirò ,  e ,   senza  vìzio, 
Conobher  le  altre  e  seguir  tutte  quante. 

Ma  se  tu  sai,    e  puoi,   alcuno  indizio 
Dà  noi,    per  che  venir  possiam  più  tosto 
lià  dove  il  purgatorio  ha  dritto  inizio. 

Uìspose:   loco  certo  non  ci  è  posto: 
Licito  mi  è  andar  suso  ed  intorno: 
l'cr  quanto  ir  posso,   a  guida  mi  ti  accosto. 

ÌVI.i  vedi  già,  come  dichina  il  giorno 
£d  andar  su  di  notte  non  si  potè  : 
Però  è  buon  pensar  di  bel  soggiorno. 

Anime  sono  a  destra  qua  rimote  : 
Se  mi  consenti,  io  ti  merrò  ad  esse, 
E  non  senza  diletto  ti  fìen  note. 

Ck>m^  è  ciò?    fu  risposto;   chi  volesse 
Salir  di  notte,   fora  egli  impedito 
D'  altrui?    o  pur  saria  eh'  ci  non  potesse? 

K  il  buon  Sordello  in  terra  (regi»  il  dito,  .1  .     ''  • 
Dicendo:   vedi,    sola  questa  riga 
Non  varcheresti,  dopo  il  sol  partito:.^ 

Non  però   che  altra  cosa  desse  briga,   J  irry^t  ^^n 
Che  la  notturna  tenebra,    ad  ir  suso: 
Quella  col  non  poter  la  voglia  intriga. 

Ben  si  poria  con  lei  tornare  in  giuso, 
E  pasbcggiar  la  costa  intorno  errando, 


Mentre  che  1'  orizzonte  il  dì  tien  chiuso. 
Allora  il  mio  signor,    quasi  ammirando, 
Menane,   disse,    adunque  là  ove  dici 
Che  aver  si  può  diietto  dimorando! 
Poco  allungati  ci  eravam  di  liei, 

Quando  mi  accorsi ,    che  il  monte  era  scemo, 
A  guisa,    che  i  valloni  sceman  quici. 
Colà,   disse  quella  ombra,  ne  anderemo 
Dove  la  costa  face  di  sé  grembo, 
E  là  il  novo  giorno  attenderemo.  > 

Tra  erto  e  piano  era  un  sentiero  sghembo,  s.tAaX 
Che  ne  condusse  in  fianco  della  lacca,  { 

Là  dove  più  che  a  mezzo  more  il  lembo. 
Oro ,  ed  argento  fino ,   e  cocco ,   e  biacca. 

Indico  legno  lucido  e  sereno,  i      / 

Fresco  smeraldo  in  la  ora,   che  si  fiacca,  li^cw^ 
Dalla  erba  e  dalli  fiori  entro  quel  serio       ' 
Posti,   ciascun  saria  di  color  vinto. 
Come  dal  suo  maggiore  è  vinto  il  meno. 
Non  avea  pur  natura  ivi  dipinto, 
Ma  di  soavità  di  mille  odori 
Vi  facea  un  incognito  indistinto. 
Salve,    Regina,    sul  verde  e  su  i  fiori 
Quivi  seder  cantando  anime  vidi, 
Che  per  la  valle  non  parean  di  fori. 
Prima  che  il  poco  sole  ornai  si  annidi. 
Cominciò  il  Mantoan,  che  ci  avea  volti, 
Tra  color  non  vogliate  che  io  vi  guidi! 
Da  questo  balzo  meglio  li  atti  e  i  volti 

Conoscerete  voi  di  tutti  quanti,  I     ' 

Che  nella  lama  giù  tra  essi  accolti.       .^tt^'U,iA"■'^^ 
Colui  che  più  siede  alto,  ed  ha  sembianti  I       / 

Di  aver  negletto  ciò  che  far  dovea, 
E  che  non  move  bocca  agli  altrui  canti, 
Ridolfo  imperator  fu,   che  potea 

Sanar  le  piaghe  che  hanno  Italia  morta. 
Sì  che  tardi  per  altri  si  ricrea. 
Lo  altro,   che  nella  vista  lui  conforta. 
Resse  la  terra,    dove  1'  acqua  nasce. 
Che  Molta  in  Albia,  e  Albia  in  mar  ne  porta: 
Ottachero  ebbe  nome,   e  nelle  fasce 
Fu  meglio  assai  che  Vincislao  suo  figlio 
Barbuto,   cui  lussuria  ed  ozio  pasce. 
E  quel  nasuto,   che  stretto  a  consiglio 
Pare  con  lui,    che  ha  sì  benigno  aspetto. 
Morì  fuggendo,    e  disfiorando  il  giglio: 
Guardate  là,    come  si  batte  il  petto! 

Lo  altro  vedete,    che  ha  fatto  alla  guancb 
Della  sua  palma,   sospirando,    letto! 
Padre  e  socero  son  del  mal  di  Francia: 
Sanno  la  vita  sua  viziata  e  lorda, 
E  quindi  viene  il  duol  che  sì  li  lancia. 
Quel  che  par  si  membruto ,    e  che  si  acconta 
Cantando  con  colui  dal  muschio  naso, 
D'  ogni  valor  portò  cinta  la  corda. 
E  se  re  dopo  lui  fosse  riinaso  ^ 

Lo  giovinetto  che  retro  a  lui  siede. 
Rene  andava  il  valor  di  vaso  in  vaso; 
Che  non  si  puote  dir  delle  altre   rvóv, 
Jacopo ,    e  Federico  hanno  i  reami  : 
Del  retaggio  miglior  nessun  possiede. 
Rade  volte  risorge  per  li  rami 

La  umana  probitadc:    e  questo  vuole 
Quei  che  la  dà ,    per  che  da  lui  si  chiami. 
Anco  al  nasuto  vanno  mie  parole 

Non  mcn  che  allo  altro,  Pier,   che  con  lui  canU: 
Onde  Puglia  e  Provenza  già  sì  duole. 


[95] 


PURGATORIO,    (virm— im  vm.  i— m) 


[96; 


Tanto  è  del  seme  suo  minor  la  pianta, 
Quanto    più  che  Beatrice  e  Margherita, 
Cunstanza  dì  marito  ancor  i^i  vanta. 

Aedele  il  re  della  semplice  vita 

Seder  là  solo,   Arrigo  d'  Inghilterra:  . 

Questi  ha  nei  rami  suoi  migliore  uscita^^'^M'^^"'**^'^ 

Quel ,    che  più  basso  tra  costor  si  atterra 
Guardando  insuso,    è  Guglielmo  Marchese, 
Per  cui  ed  Alessandria,   e  la  sua  guerra 

Fa  pianger  Monferrato  e  il  Canavese, 


CANTO    Vili. 


ARGOMENTO. 

òiera.     Due   angeli  armati.    Biscia.     Currado    Mala- 
spina  predice  al  poeta  V  esilio. 

£ra  già  la  ora  che  volge  il  disio 

Ai  naviganti ,   e  intenerisce  il  core, 

Lo  di  che  han  detto  ai  dolci  amici  a  dio, 
E  che  lo  novo  peregrio  di  amore 

Punge,    se  ode  squilla  di  lontano, 

Che  paja  il  giorno  pianger  che  si  more: 
Quando  io  incominciai  a  render  vano 

Lo  udire,    ed  a  mirare  una  delle  alme 

Siirta,   che  lo  ascoltar  chiadea  con  mano. 
Ella  giunse,   e  levò  amhe  le  palme, 

Ficcando  li  occhi  verso  1'  oriente. 

Come  dicesse  a  dio,    di  altro  non  calme.       - 
Te  lucis  ante  sì  divotamente 

Le  uscì  di  bocca,   e  con  si  dolci  note. 

Che  fece  me  a  me  uscir  di  mente; 
E  le  altre  poi  dolcemente  e  divote 

Seguitar  lei  per  tutto  lo  inno  intero, 

Avendo  li  occhi  alle  superne  rote. 
Aguzza  qui,    lettor,   hen  li  occhi   al  vero! 

Che  il  velo  è  ora  ben  tanto  sottile, 

Certo,    che  il  trapassar  dentro  è  leggiero, 
lo  vidi  quello  esercito  gentile 

Tacito  poscia  riguardare  in  sue, 

Quasi  aspettando,   pallido  ed  umile, 
E  vidi  uscir  dello  alto ,    e  scender  giue 

Due  angeli  con  due  spade  affocate 

Tronche  e  private  delle  punte  sue. 
Verdi,   come  fogliette  pur  mo  nate, 

Erano  in  veste,   che  da  verdi  penne 

Percosse  traèn  dietro  e  ventilate. 
Lo  un  poco  sovra  noi  a  star  si  venne, 

E  lo  altro  scese  in  la  opposita  sponda, 

Si  <;he  la  gente  in  mf<izzo  sì  ctmtenne. 
Ben  discerneva  in  lor  la  testa  bionda: 

Ma  nelle  facce  1'  occhio  si  smarria, 

Come  virtù,  che  a  troppo  si  confondo. 
Ambo  vegnon  del  grembo  di  Maria, 

Disse  Sordello,   a  guardia  della  valle, 

Per  lo  ser|iente  che  verrà  via  via. 
Onde  io  che  non  sapeva,  per  qual  csille. 

Mi  volsi  'ntorno,    e  stretto  mi  accostai 

Tutto  gelato  ulU;  fidate  spalle. 
E  Sordello  anche:    av\itlliuiii  omai 

Tra  le  grandi  ombre ,   u  parleremo  ad  ejse  ! 


Grazioso  fia  lor  vedervi  assai.  .     - 

Soli  tre  passi  credo   iihe  io  scendesse, 
E  fui  di  sotto ,    e  vidi  un  che  mirava 
Pur  me,    come  conoscer  mi  volesse. 

Tempo  era  già,    che  lo  aer  si  annerava, 

I    Ma  non  sì,   che  tra  li  occhi  suoi  e  i  miei 
Non  dichiarisse  ciò  che  pria  serrava. 

Ver  me  si  fece,    ed  io  ver  Ini  mi  fei: 
Giudice  Nin  gentil,    quanto  mi  piacque, 
Quando  ti  vidi  non  esser  tra  i  rei! 

Xullo  bel  salutar  tra  noi  si  tacque: 

Poi  dimandò:    quanto  è,    che  tu  venisti 
A  pie  del  monte  per  le  lontane  acque.'' 

Oh,    dissi  lui,    per  entro  i  lochi  tristi 
\enni  stamane,    e  sono  in  prima  vita. 
Ancor  che  l'  altra  sì  andando  acquisti, 

E  come  fu  la  mia  rì^^posta  udita, 
Sordello  ed  egli  indietro  si  raccolse, 
Come  gente  di  subito  smarrita. 

Lo  uno  a  Virgilio,    e  lo  altro  ad  un  si  volse 
Che  sedea  lì,  gridando:    su  Currado, 
\ieni  a  veder,   che  dio  per  grazia  volse! 

Poi  volto  a  me:    per  quel  singoiar  grado, 
Che  tu  dei  a  colui,  che  sì  nasconde 
Lo  suo  primo  per  che ,  che  non  li  è  guado, 

Quando  sarai  di  là  dalle  larghe  onde, 

Dì  a  Giovanna  mia,    che  per  me  chiami 
j      Là  dove  alli  'nuocenti  si  risponde. 
j  \on  credo  che  la  sua  madre  più  mi  ami, 
1     Poscia  che  trasmutò  le  bianche  hende. 
Le  quai  cnnvien ,    che  misera  ancor  bramì. 

Per  lei  assai  di  lieve  si  comprende, 
Quanto  in  femmina  foco  di  amor  dura, 
Se  r  occhio  o  il  tatto  sjjcsso  noi  raccende. 

Non  le  farà  sì  bella  sepoltura 
La  vipera ,  che  i  Milanesi  accampa, 
Come  avria  fatto  il  gallo  di  Gallura. 

Così  dicea ,   segnato  della  stampa 
Nel  suo  aspetto  di  quel  dritto  zelo, 
Che  misuratamente  in  core  avvampa. 

Li  occhi  miei  ghiotti  andavan  pure  al  cielo. 
Pur  là ,    dove  le  stelle  son  più  tarde, 
Sì  come  rota  più  presso  allo  stelo. 

E  il  duca  mio:   fìgliol ,    che  là  su  guarde? 
Ed  io  a  lui  :   a  quelle  tre  facelle. 
Di  che  il  polo  di  qua  tutto  quanto  arde. 

Ed  egli  a  me:  le  quattro  chiare  stelle. 
Che  vedevi  staman ,  son  di  là  basse; 
E  queste  son  salite  ov'  eran  quelle. 

Com'  el  parlava,   e  Sordello  a  sé  il  trasse. 
Dicendo:   vedi  là  il  nostro  avversaro, 
E  drizzò  il  dito ,   per  che  in  là  guatasse. 

Da  quella  parte,  onde  non  ha  riparo 
La  picriola  vallea,  era  una  biscia, 
Forse  qual  diede  ad  Eva  il  cibo  amaro. 

Tra  la  erba  e  i  fior  venia  la  mala  striscia, 
Volgendo  ad  or  ad  or  la  testa,  e  il  dos 
Leccando,  come  bestia  che  si  liscia. 

lo  noi  vidi ,    e  però  dicer  noi  posso, 
Como  mosser  li  astor  celestiali: 
Ma  vidi  bene  e  lo  uno  e  lo  altro  mosso. 

Sentendo  fender  Io  aere  alle  verdi  ali, 

Foggio  il  serpente,    e  li  angeli  dier  volta 
Suso  alle  poste  rivol.indo  eguali. 

La  ombra,  che  si  era  al  Criiidice  raccolta, 
Quando  chiamò  per  tutto  quello  assalto 
l'unto  non  fu  da  me  guardare  i^ciolta. 


97] 


PURGATORIO.     (VIU.  112—139.  IX.l— 94) 


e  la  lucerna,   che  ti  mena  in  alto, 
Trovi  nel  tuo  arbitrio  tanta  cera, 
Quanto  è  mestiere  insino  al  sommo  smalto^ 
ominciò  ella,   se  novella  vera 
Di  Valdimagra,   o  di  parte  vicina 
Sai,   dilla  a  me,   che  già  grande  là  era! 
hiamato  fui  Currado  Mala^pina  ; 
]\on  son  lo  antico,    ma  di  lui  discesi: 
Ai  miei  portai  lo  amor,  che  qui  raffina, 
ih ,    dissi  lui ,   per  li  vostri  paesi 
Giammai  non  fui;   ma  dove  si  dimora 
Per  tutta  Europa ,    eh'  ei  non  sien  palesi  ? 

,a  fama,    che  la  vostra  «asa  onora, 
Grida  i  signori,    e  grida  la  contrada. 
Si  che  ne  sa  chi  non  vi  fu  ancora. 

]d.  io  vi  giuro,    se  io  di  sopra  vada, 
Che  vostra  gente  orrata  non  si  sfregia  -."O^l'-'V '. 
Del  pregio  della  borsa,    e  della  spadaT  ^ 

dèo  e  natura  sì  la  privilegia, 

'  Che,    per  che    il  capo  reo  lo  mondo  torca, 

I  Sola  va  dritta,    e  il  mal  cammin  dispregia. 

^d  egli:    or  va,    che  il  sol  non  si  ricorca 
Sette  volte  nel  letto ,  che  il  montone 
Con  tutti  e  quattro  i  pie  copre  ed  inforca, 

3he  cotesta  cortese  opinione 
Ti  fia  chiavata  in  mezzo  della  testa 
Con  maggior  chiovi,    che  di  altrui  sermone; 

ìe  corso  di  giudicio  non  ei  arresta. 


CANTO    IX, 


ARGOMENTO, 

dlba.  Sogna,   e  vien  portato  il  poeta  alla  porta  del 
jiurgatorio. 

La  concubina  di  Titone  antico 

Già  s'  imbiancava  al  balzo  di  oriente,  -  )ì"nv>>^ 

For  delle  braccia  del  suo  dolce  amico:' 
Di  gemme  la  sua  fronte  era  lucente, 

Poste  in  figura  del  freddo  animale. 

Che  con  la  coda  porcote  la  gente: 
E  la  n<»tte  dei  pasjii ,    con  che  sale, 

Fatti  avea  due  nel  loco  ov'  eravamo, 

E  il  terzo  già  chinava  ingiuso  le  ale: 
Quando  io,    che  meco  avea  di  quel  di  Adamo, 

Vinto  dal  sonno  in  su  la  erba  inchinai 

Là  ove  già  tutti  e  cinque  sedevamo. 
Nella  ora,  che  comincia  i  tristi  lai 

La  rondinella  presso  alla  mattina, 

Forse  a  memoria  dei  suoi  priuii  grai, 
E  che  la  mente  nostra  peregrina 

Più  dalla  carne ,   e  men  dai  pensier  presa, 

Alle  sue  vision  quasi  è  divina. 
In  Hogno  mi  parca  veder  sospesa 

Un'  aquila  nel  ciel  con  penne  di  oro. 

Con  le  ali  aperte,   ed  a  calare  intesa: 
Ed  esser  mi  parca  là,   dove  foro 

Abliandonati  i  suoi  da  (;aniiiiedn, 

Quando  fu  ratto  al  soinnio  concistoro. 
Fra  me  pensava:    forse  ijuesta  ficdo 

Tur  qui  per  uso,    e  forse  «li  aitni  loco 

Disdegna  di  portarne  bUdo  in  piede. 


m 


Poi  mi  parea,  che  più  rotata  un  poco, 
Terribil,  come  folgor,  discendesse, 
E  me  rapisse  suso  infino  al  foco. 

Ivi  parea ,   eh'  ella  ed  io  ardesse, 
E  si  lo  incendio  immaginato  cosse, 
Che  convenne  che  il  sonno  si  rompesse. 

Non  altrimenti  Achille  si  riscosse, 
Li  occhi  svegliati  rivolgendo  in  giro, 
E  non  sapendo  là  dove  si  fosse. 

Quando  la  madre  da  Chirone  a  Scìro 
Trafugò  lui  dormendo  in  le  sue  braccia. 
Là,  onde  poi  li  Greci  il  dipartirò. 

Che  mi  scoss'  io,  sì  come  dalla  faccia 
Mi  fuggì  '1  sonno,    e  diventai  smorto, 
Come  fa  l'  om ,  che  spaventato  agghiaccia. 

Da  lato  mi  era  solo  il  mio  conforto, 
E  il  sole  er'  alto  già,   più  di  due  ore, 
E  il  viso  mi  era  alla  marina  torto. 

Non  aver  tèma ,  disse  il  mio  signore  ; 

Fatti  sicur,    che  noi  siamo  a  buon  punto. 
Non  stringer,    ma  rallarga  ogni  vigore! 

Tu  sei  omai  al  purgatorio  giunto: 

Vedi  là  il  balzo ,   che  il  ciiiude  dintorno  ! 
Vedi  la  entrata,  dov'  el  par  disgiunto! 

Dinanzi  all'  alba ,    che  precede  il  giorno. 
Quando  1'  anima  tua  dentro  dorraia. 
Sopra  li  fiori,   onde  là  giù  è  adorno. 

Venne  una  donna,  e  disse:  io  son  Lucia: 
Lasciatemi  pigliar  costui,  che  dorme! 
Si  lo  agevolerò  per  la  sua  via. 

Sordel  rimase,  e  le  altre  gentil  forme: 
Ella  ti  tolse ,  e  come  il  di  fu  chiaro, 
Sen  venne  suso,   ed  io  per  le  sue  orme* 

Qui  ti  posò  :   e  pria  mi  dimostraro 

Li  occhi  suoi  belli  quella  entrata  aperta, 
Poi  ella  e  il  sonno  ad  una  se  ne  atidaro 

A  guisa  di  oni,   che  in  dubbio  si  raccerta, 
E  che  muti  'n  conforto  sua  paura, 
Poi  che  la  verità  li  è  discoveita, 

Mi  cambia'  io:   e  come  senza  cura 
A'idemi  'l  duca  mio,    su  per  lo  balzo 
Si  mosse,   ed  io  dietro  inver  l'  altura. 

Lettor ,   tu  vedi  ben ,   come  io  innalzo 
La  mia  materia,   e  però  con  più  arte 
Non  ti  maravigliare,  se  io  la  rincalzo 

Noi  ci  appressanuno,  ed  eravamo  in  pai  (e. 
Che  là ,  dove  pareami  in  prima  un  rotto. 
Pur  come  un  fesso  che  muro  diparte, 

Vidi  una  porta,  e  tre  gradi  di  sotto 
Per  gire  ad  essa  di  color  diversi. 
Ed  un  portìer,  clic  ancor  non  facea  motto. 

E  come  1'  occhio  più  e  più  vi  apersi, 
Vidil  seder  sopra  il  grado  soprano, 
Tal  nella  faccia,    che  io  non  lo  sofTcrsi: 

Ed  una  spada  nuda  aveva  in  mano, 
Che  rifletteva  i  raggi  sì  ver  noi. 
Che  io  dirizzava  spesso  il  viso  ia  vano. 

Ditel  costinci ,    che  volete  voi  ? 

Cominciò  egli  a  dire:    ov'  è  la  scorta? 
Guardate,  riie  il  venir  su  non  vi  noi! 

Donna  del  ciel,    di  queste  cose  accorta, 

Rispose  il  mio  maestro  a  Ini  ,    pur  dinanzi 
Ne  disse:    andate  là,    che  ivi  ò  la  porta. 

lùl  ella  i  pafisi  vostri  in  bene  avanzi  ! 
Ui<'iiiiiÌ!i(-iò  il  cortese  porlinajo  : 
Venite  dunque  ai  nostri  gradi  innanzi! 

Là  no  venimmo:  e  lo  scagliuu  primajo 


[99] 


PURGATORIO.     (TX.  95—145.  X.  1—56) 


[100] 


Bianco  marmo  era  sì  pulito  e  terso, 

Che  io  mi  speccliiava  in  esso,   qual  io  pajo. 
Era  il  secondo  tinto ,    più  che  perso, 

Di  una  petrina  ruvida  ed  arsiccia, 

Crepata  per  Io  lungo  e  per  traverso. 
Lo  terzo,    che  di  sopra  si  ammassiccia, 

Porfido  mi  parea  sì  fiammeggiante, 

Come  sangue,  che  for  di  vena  spiccia. 
Sopra  questo  teneva  ambo  le  piante 

Lo  angel  di  dio,  sedendo  in  su  la  soglia. 

Che  mi  sembiava  pietra  di  diamante. 
Per  li  tre  gradi  su  di  buona  voglia 

Mi  trasse  il  duca  mio,    dicendo:    chiedi 

Umilemente,  che  il  serrame  scioglia! 
Divoto  mi  gittai  ai  santi  piedi, 

Misericordia  chiesi ,    che  mi  aprisse. 

Ma  pria  nel  petto  tre  fiate  mi  diedi. 
Sette  P  nella  fronte  mi  descrisse 

Col  punton  della  spada,  e:  fa  che  lavi, 

Quando  sei  dentro,   queste  piaghe!   disse. 
Cenere,    o  terra,   che  secca  si  cavi, 

Di  un  color  fora  col  suo  vestimento, 

E  di  sotto  da  quel  trasse  due  chiavi. 
La  una   era  di  oro,   e  1'  altra  era  di  argento: 

Pria  con  la  bianca,    e  poscia  con  la  gialla 

Fece  alla  porta  si,    die  io  fui  contento. 
Quandunque  la  una  di  este  chiavi  fdUa,  ,  v     \ 

Che  non  si  volga  dritta  per  la  toppa,  l'"l*v*<'*w*^^ 

Diss'  egli  a  noi ,   non  si  apre  questa  calla. 
Più  cara  è  la  una ,    ma  1'  altra  vuol  troppa 

Di  arte  e  d'  ingegno ,   avanti  che  disserri, 

Per  eh'  ella  è  quella,   che  il  nodo  disgroppa. 
Da  Pier  le  tengo:   e  dissemi,    che  io  erri 

Anzi  ad  aprir,   che  a  tenerla  serrata. 

Pur  che  la  gente  ai  piedi  mi  si  atterrì. 
Poi  pinse  lo  uscio  alla  parte  sacrata. 

Dicendo:  entrate!    ma  facciovi  accorti, 

Che  di  for  torna  chi  'ndietro  si  guata. 
E  quando  fur  nei  cardini  distorti 

Li  spigoli  di  quella  regge  sacra,  „  v*v{  ^  {«vL».  j 

Che  di  metallo  son  sonanti  e  forti,  ^' »       ' 

Non  roggio  sì,   né  si  mostrò  sì  aera 

Tarpèa ,   come  tolto  le  fu  il  buono 

Metello,   per  che  poi  rimase  macra. 
Io  mi  rivoUi  attento  al  primo  tuono, 

E   Te  Dcum  laiidamus  mi  parea 

Udire  in  voce  mista  al  dolce  suono. 
Tale  immagine  a  punto  mi  rendea 

Ciò  che  io  udiva,    qual  prender  si  suole. 

Quando  a  cantar  con  organi  si  stea. 
Che  or  sì,  or  no  s'  intendon  le  parole. 


CANTO    X. 


ARGOMENTO. 

Porta  del  purgatorio  diviso   in  sette  balzi  o  giri  pe' 

peccati  sette   cardinali.     Primo  giro:    i   superbi,    che 

sostetigono  gravi  pesi.     Intugliati   intorno  alcuni 

esempi  d'  umiltà. 

Poi  fummo  dentro  al  soglio  della  porta. 

Che  il  malo  amor  delle  anime  disusa. 

Per  che  fa  parer  dritta  la  via  torta, 
Sonando  la  sentii  esser  richiusa: 

E  se  io  avessi  li  occhi  volti  ad  essa, 

Qual  fora  stata  al  fallo  degna  scusa? 
Noi  salevam  per  una  pietra  fessa, 

Che  si  moveva  da  una  e  d'  altra  parte. 

Si  come  la  onda ,  che  fugge  e  si  appressa. 
Qui  si  convien  usare  un  poco  di  arte. 

Cominciò  il  duca  mio ,    in  accostarsi 

Or  quinci  or  quindi  al  lato,  che  si  parte. 
E  questo  fece  i  nostri  passi  scarsi 

Tanto,    che  pria  lo  scemo  della  luna 

Rigiunse  al  letto  suo  per  ricorcarsi, 
Che  noi  fossimo  for  di  quella  cruna. 

Ma  quando  fummo  liberi  e  aperti 

Là  do^e  il  monte  indietro  si  rauna, 
Io  stancato,   ed  ambi  e  due  incerti 

Di  nostra  via,  ristemmo  su  in  un  piano 

Soliiigo  più ,    che  strade  per  diserti. 
Dalla  sua  sponda,    ove  confina  il  vano, 

A  pie  dell'  alta  ripa,    che  pur  sale, 

Misurrebbc  in  tre  volte  un  corpo  umano  : 
E  quanto  l'  occhio  mio  potea  trar  di  ale, 

Or  dal  sinistro  ,  ed  or  dal  destro  fianco. 

Questa  cornice  mi  parca  cotale. 
Là  su  non  eran  mossi  i  pie  nostri  anco. 

Quando  io  conobbi  quella  ripa  intorno, 

Che  dritto  di  salita  avea  manco, 
Esser  di  marmo  candido,    ed  adorno 

D'  intagli  sì,   che  non  pur  Policleto, 

Ma  la  natura  lì  averebbe  scorno. 
Lo  angel ,    che  venne  in  terra  col  decreto 

Della  molti  anni  lacrimata  pace. 

Che  aperse  il  ciel  dal  suo  lungo  divieto. 
Dinanzi  a  noi  pareva  si  verace, 

Quivi  intagliato  in  un  atto  soave, 

Clio  non  sembiava  immagine  che  tace. 
Giurato  si  saria,  eh'  el  dicesse  Ave: 

Però  che  ivi  era  immaginata  quella. 

Che  ad  aprir  lo  alto  amor  volse  la  chiave. 
Ed  avea  in  atto  impressa  està  favella, 

l'kce  ancilla  dei,   sì  propriamente, 

Come  figura  in  cera  si  suggella. 
Non  tener  pur  ad  un  loco  la  mente! 

Disse  il  dolce  maestro ,    che  mi  avea 

Da  quella  parte ,  onde  il  core  ha  la  gente  : 
Per  che  io  uii  mossi  col  viso,  e  vedea 

Direlro  da  Maria  per  quella  costa. 

Onde  mi  era  colui  che  mi  movea. 
Un'  altra  istoria  nella  roccia  imposta: 

Per  che  io  varcai  Virgilio,    e  femmi  presso. 

Acciò  die  fos^e  alli  occhi  miei  disposta. 
Era  intagliati»  lì  nel  marmo  istesso 
Lo  curro,   u  i  boi,  traendo  1'  arca  eanta, 


101] 


PURGATORIO.      (X.  57-139.  XI.  1-37) 


Per  che  si  teme  ufÌGÌo  non  commesso, 
inanzi  parca  gente ,  e  tutta  quanta 
Partita  in  sette  cori,     ai  duo  miei  sensi 
Faceva  dir ,    lo  un  no ,  lo  altro  si   canta, 
imilemente  al  fummo  dell'  incensi, 
Che  \i  era  immaj^inato ,   e  li  occhi  e  il  naso, 
Ed  al  sì  ed  al  no  discordi  fensi. 
[  precedeva  al  benedetto  vaso 
Trescando  alzato  lo  umile  salmista, 
E  più  e  men  che  re  era  in  quel  caso.  . 
i  centra  effigiata  ad  una  vista  ^ 

Di  un  gran  palazzo  Micòl  ammirava, 
Si  come  donna  dispettosa  e  trista, 
mossi  i  pie  del  loco,   dove  io  stava, 
Per  avvisar  da  presso  un'  altra  storia. 
Che  diretro  a  Micùl  mi  biancheggiava. 
alvi  era  storiata  1'  alta  gloria 
Del  roman  principato ,  il  cui  valore 
Mosse  Gregorio  alla  sua  gran  vittoria: 
dico  di  Trajann  imperatore  : 
Ed  una  vedovella  li  era  al  freno. 
Di  lagrime  atteggiata  e  di  dolore.        < 

'intorno  a  lui  parca  calcato  e  pieno 
Di  cavalieri ,  e  le  aquile  dell'  oro 
Sovresso  in  vista  al  vento  si  moviéno. 

la  miserella  infra  tutti  costoro 
Parca  dicer  :    Signor ,  fammi  vendetta 
Del  mio  figliol  eh'  è  morto,  onde  io  mi  accoro! 

ìd  egli  a  lei  rispondere:    ora  aspetta 
Tanto  che  io  torni!    e  quella:   signor  mio, 
Come  persona  in  cui  dolor  si  aftrctta  : 
ìe  tu  non  torni.''    ed  el  :  chi  fia  dove  io, 

La  ti  farà  ;   ed  ella  :    lo  altrui  bene 

A  te  che  fia ,   se  il  tuo  metti  in  obblio  ? 
)nd'  elli  :   or  ti  conforta!    che  conviene 

Che  io  solva  il  mio  dovere,   anzi  che  io  mova. 

Giustizia  vuole,    e  pietà  mi  ritiene. 

!olui,    che  mai  non  vide  cosa  nova, 

Produsse  esto  visibile  parlare, 

Kovello  a  noi,    per  che  qui  non  si  trova, 
llentre  io  mi  dilettava  di  guardare 

Le  immagini  di  tante  umilitadi, 

E  per  lo  fakbro  loro  a  veder  care, 
Seco  di  qua,   ma  fanno  i  passi  radi. 

Mormorava  il  poeta,   molte  genti:         . 

Questi  ne  invicranno  allì  alti  gradi.       »tv<.»s«^ 
li  occhi  miei,    che  a  mirar  erano  intenti 

Per  veder  novitadi,    onde  son  vaghi. 

Volgendosi  ver  lui  non   fiiron  lenti. 
Kon  vo'  per«i,    lettor,    che  tu  di  smaghi 

Di  buon  proponimento ,    per  udire. 

Come  dio  vuol ,  che  il  debito  ^i  paghi. 
Non  attender  la  forma  del  martire  ! 

Pensa  la  succession!     pen-^a  che,   a  peggio, 

Oltre  la  gran  sentenzia  non  può  ire  ! 
Io  cominciai  :    maestro ,    qncl ,    che  io  veggio 

Mover  a  noi,    non  mi  sembran  persone, 

E  non  so  che  ;     sì  nel  veder  van(;ggio. 
Ed  egli  a  me:    la  grave  condizione 

Di  lor  tormento  u  terra  li  rannic<-hia        .  ,      ' 

Sì  ,   che  i  mici  occhi  pria  n'  eliber  tenzone. 
Ma  guarda  fiso  là,    e  disviticchia 

Col  viso  «|ucl,    che  vien  sotto  a  quei  sassi! 

Già  scorger  puoi ,    rome  ciascun  si  picchin- 
oli superbi  Cristian ,   miNcri,    biH-ii,    , 

Che  della  \i-ta  della  mente  infermi," 

Eiduuza  avete  nei  ritrosi  pasei! 


[102] 


Non  vi  accorgete  toì,    che  noi  siam  vermi 

Nati  a  formar  1'  angelica  farfalla. 

Che  vola  alla  giustizia  senza  schermi? 
Di  che  lo  animo  vostro  in  alto  galla.'' 

Voi  siete  quasi  entomata  in  difetto, 

Sì  come  verme,  in  cui  formazion  falla. </<       > 
Come  per  sostentar  solajo  o  tetto  AuL^- 

Per  mensola  tal  voffa  una  figura 

Si  vede  giunger  le  ginocchia  al  petto, 
La  qual  fa  del  non  ver  vera  rancura 

Nascer  a  chi  la  vede;    così  fatti 

Vid'  io  color,    quando  posi  ben  cura. 
Vero  è  ,  che  più  e  meno  eran  contratti. 

Secondo  che  avean  più  e  meno  a  dosso; 

E  qual  più  pazienza  avca  nelli  atti, 
Piangendo  parea  dicer  :  più  non  posso. 


CANTO     XI. 


ARGOMENTO. 

Parafrasi  del  Pater  noster.     Tra  i  Superbi  un  nobile, 

un  jHitore,   un  potente.     Breve   durata   dell  'umana 

storia. 


Oh  padre  nostro,  che  nei  cieli  stai, 
Non  circonscritto,    ma  per  più  amore. 
Che  ai  primi  effetti  di  là  su  tu  hai, 
Laudato  sia  il  tuo  nome  e  il  tuo  valore 
Da  ogni  creatura,    com'  è  degno 
Di  rentier  grazie  al  tuo  dolce  vapore! 
Vegna  ver  noi  la  pace  del  tuo  regno  ! 
Che  noi  ad  essa  non  potem  da  noi, 
S'  ella  non  vien,    con  tutto  nostro  ingegno. 
Come  del  suo  voler  li  angeli  tuoi 

Fan  sacrifìcio  a  te ,    cantando  osanna, 
Co»i  f.icciano  li   omini  dei  suoi  ! 
Dà  oggi  a  noi  la  cotidiana  manna. 

San/a  la  qual  per  questo  aspro  diserto 
1      A   retro  va,    chi  più  di  gir  si  afl'anna. 
jE  come  noi  lo  nuil,   che  avem  sofferto, 
'      Perdoniamo  a  ciascuno,    e  tu  perdona 
'      Henigno,    e  non  guardare  al  nostro  merto! 
Nostra  virtù,    che  di  leggier  si  adona, 
I      Non  spcrmentar  con  lo  antico  avversare, 
I      ì\Ia  libera  da  lui ,    che  »ì  la  sprona  ! 
Questa  ultima  preghiera,    signor   caro, 
I      Già  non  si  fa  per  noi ,   che  non  bisogna, 
j      Ma  per  color,  che  dietro  a  noi  rcstaro. 
Così  a  sé  e  noi  buona  raniogna 

Quelle  ombre  orando  nndavan  sotto  il  pondo, 
I      Simile  a  quel  che  tal  volta  si  sogna, 
{  Disparinentc  angosciate  tutte  ii  tondo, 
E  lasst;  su  per  la  prima  cornice. 
Purgando  la  caligine  del  mondo. 
Se  di  là  sempre  ben  per  noi  ^i  dice. 
Di  qua  che  dire  e  far  per  lor  si  pnoto 
Da  i|ii<-i,  <°lie  hanno  al  voler  bona  radice? 
Den  si  dee  loro  aitar  lavar  le  note, 

(vite  portar  (|uinei,    sì  clic  mondi  e  Ic^i 
l'ossano  n>eìrK  alle  stellate  rote. 
Deh,  se  giustizia  e  pietà  vi  disgrcvi 


[103] 


PURGATORIO.     (XT.  38—142.  Xn.  1—17) 


Tosto,   8Ì  che  possiate  mover  1'  ala, 
Che  secondo  il  disio  vostro  vi  levi, 
Mostrate,   da  qual  mano  inver  la  scala 

Si  va  più  corto;   e  se  ci  è  più  di  un  varco, 
Quel  ne  insegnate,  che  meo  erto  cala! 
Che  questi  che  vien  meco ,  per  Io  incarco 
Della  carne  di  Adamo,    onde  si  veste, 
Al  montar  su  contra  sua  voglia  è  parco. 
Le  lor  parole,    che  renderò  a  queste 
Che  dette  avea  colui  cu'  io  seguiva, 
Kon  fur  da  cui  venisser  manifeste; 
Ma  fu  detto:    a  man  destra  per  la  riva 
Con  noi  venite,    e  troverete  il  passo 
Possibile  a  salir  persona  viva. 
£  se  io  non  fossi  impedito  dal  sasso, 
Che  la  cervice  mia  superba  doma, 
Onde  portar  conviemmi  '1  viso  basso, 
Cotesti,    che  ancor  vive,   e  non  si  noma, 
Guardere'  io,    per  veder  se  io  il  conosco, 
E  per  farlo  pietoso  a  questa  soma. 
Io  fui  Latino ,    e  nato  di  un  gran  Tosco  : 
Guiglielmo  Aldobrandcschi  fu  mio  padre: 
Non  so  se  il  nome  suo  giammai  fu  vosco. 
Lo  antico  sangue ,    e  le  opere  leggiadre 
Dei  miei  maggior  mi  fer  sì  arrogante, 
Clie  non  pensando  alla  comune  madre, 
Ogni  omo  ebbi  'n  dispetto  tanto  avante. 
Che  io  ne  morii,    come  i  Sauesi  sanno, 
E  salio  in  Carnpagnatico  ogni  fante. 
Io  sono  Oniberto  ;    e  non  pure  a  me  danno 
Superbia  fé',   che  tutti  i  mici  consorti 
Ha  ella  tratti  seco  nel  malanno. 
£  qui  convien ,  che  io  questo  peso  porti 
Per  lei,    tanto  che  a  dio  si  satisfaccia. 
Poi  che  io  noi  fei  trai  vivi,   qui  trai  morti: 
Ascoltando  chinai  in  giù  la  faccia: 
E  un  di  lor   (non  questi  che  parlava) 
Si  torse  sotto  il  peso,   che  lo  impaccia, 
£  videmi ,    e  connbbemi ,    e  chinmava, 
Tenendo  li  occhi  con  fatica  fisi 
A  me ,   che  tutto  chin  con  loro  andava. 
Oh,  diss'  io  lui,  non  sei  tu  Oderisi, 
L'  onor  di  Eugubio,    e  1'  onor  di  quell'  arte. 
Che  alluminare  è  chiamata  in  Parisi? 
Frate,   diss    egli,   più  ridon  le  carte, 
Che  pennelleggia  Franco   Bolognese: 
L'  onore  è  tutto  or  suo,   e  mio  in  parte. 
Ben  non  sare'  io  stato  si  cortese. 

Mentre  che  io  vissi,    per  Io  gran  disio 
Della  eccellenza ,    ove  mio  core  intese. 
Di  tal  superbia  qui  si  paga  il  Co: 
Ed  ancor  non  sarei  qui,   se  non  fosse. 
Che,   possendo  peccar,    mi  volsi  a  dio. 
Oh  vanagloria  delle  umane  posse  ! 
Coin'  poco  verde  in  su  la  cima  dura. 
Se  non  è  giunta  dall'  etadi  grosse  I 
Credette  Ciinabue  nella  pintura 

'J'ener  Io  cauijio,    ed  ora  ha  Giotto  il  grido, 
Sì  che  la  fama  di  colui  è  oscura. 
C'oi-i  ha  tolto  lo  uno  allo  altro  Guido 
La  gloria  d(lla  lingua:    e  forse  è  nato 
Chi  lo  uno  e  lo  altro  caccerà  di  nido. 
Xon  è  il  raondan  romoro  altro  che  uu  flato 

Di  vento,    che  or  vien  quinci,  ed  or  vien  quindi, 
E  muta  nome,    per  che  muta  lato. 
Che  voce  avrai  tu  più,   se  vecchia  scindi 
Da  te  la  carne,   che  se  fonui  morto 


[104] 


Innanzi  che  lasciassi  il  pappo  e  il  dindi. 

Pria  che  passin  mille  anni?    clf  è  più  corto 
Spazio  allo  eterno,   che  un  mover  di  ciglia 
Al  cerchio,  che  più  tardi  in  cielo  è  torto. 

Colui ,  che  del  cammin  sì  poco  piglia 
Dinanzi  a  te,  Toscana  sonò  tutta 
Ed  ora  a  pena  in  Siena  sen  pii^piglia, 

Ocd'  era  sire,   quando  fu  distrutta 
La  rabbia  fiorentina,   che  superba 
Fu  a  quel  tempo ,   sì  come  ora  è  putta. 

La  vostra  nominanza  è  color  di  erba, 
Che  viene  e  va,   e  quei  la  discolora. 
Per  cui  ella  esce  della  terra  acerba. 

Ed  io  a  lui:    lo  tuo  ver  dir  m'  incora 
Buona  umiltà,    e  gran  tumor  mi  appiani: 
Ma  chi  è  quei,   di  cui  tu  parlavi  ora? 

Quegli  è ,   ris^jose ,   provenzan  Salvanì, 
Ed  è  qui ,    per  che  fu  presuntuoso 
A  recar  Siena  tutta  alle  sue  mani. 

Ito  è  così,    e  va  senza  riposo 

Poi  che  morì:    cotal  moneta  rende 
A  satisfar,    chi  è  di  là  tropp'  oso. 

Ed  io  :   se  quello  spirito  che  attende. 
Pria  che  si  penta,   1'  orlo  della  vita. 
Là  giù  dimora,    e  qua  su  non  ascende. 

Se  buona  orazion  lui  non  aita, 

Prima  che  passi  tempo  quanto  visse. 
Come  fu  la  venuta  a  lui  largita? 

Quando  vivca  più  glorioso,  disse, 
Liberamente  nel  campo  di  Siena, 
Ogni  vergogna  deposta,   si  affisse: 

E  lì ,   per  trar  lo  amico  suo  di  pena. 
Che  sostenea  nella  prigion  di  Carlo, 
Si  condusse  a  tremar  per  ogni  vena. 

Più  non  dirò,    e  scuro  so  che  parlo: 
Ma  poco  tempo  andrà,  che  i  tuoi  vicini 
Faranno  sì,  che  tu  potrai  chiosarlo. 

Questa  opera  li  tolse  quei  confini. 


CANTO     XII. 


ARGOMENTO. 

Esempj  d'  umiliata  e  punita  superbia. 

Di  pari ,    come  boi  che  vanno  a  giogo. 
Mi  andava  io  con  quella  anima  carca, 
Fin  che  il  sofferse  il  dolce  pedagogo. 

Ma  quando  disse:   lascia  lui,   e  varca! 
Che  qui  è  buon  con  la  vela  e  coi  rem!. 
Quantunque  può  ciascun,   pinger  sua  barca: 

Dritto ,    sì  come  andar  vuoisi ,   rifemi 
Con  la  persona,   avvegna  che  i  pensieri 
Mi  riuiiinesscro  e  chinati  e  scemi. 

Io  mi  era  mosso,    e  seguia  volentieri 

Del  mio  maestro  i  passi ,    ed  ambi  e  dae 
Già  mostravam  coni'  eravam  leggieri, 

Quando  mi  disse:    volgi  li  occhi  in  giuc! 
Buon  ti  sarà,    per  alleggiar  la  via, 
V'eder  lo  letto  delle  piante  tue. 

Come,   per  che  di  lor  memoria  fia, 
Sovr'  ai  sepolti  le  tombe  terragne. 


105] 


PURGATORIO.     (XII.  18—136.  XIII.  1—2) 


[106] 


Portan  segnato  quel  eh'  elli  eran  pria: 
•nde  li  molte  volte  se  ne  piagne 
Per  la  puntura  della  rimembranza. 
Che  solo  ai  pii  dà  delle  calcagne: 
1  vid'  io  lì ,    ma  di  miglior  sembianza. 
Secondo  lo  artificio  ,    fig-iirato, 
Quanto  per  via  di  for  del  monte  avanza, 
cdea  colui,    che  fu  nobil  creato 
Più  di  altra  creatura,    giù  dal  cielo 
Folgoreggiando  scender  da  un  lato, 
edera  Briareo ,    fitto  dal  telo 
Celestial ,   giacer  dall'  altra  pjirte, 
(ìrave  alla  terra  per  lo  mortai  gelo, 
tedea  Timbreo,   vedea  Pallade,    e  Marte 
Armati  ancora  intorno  al  padre  loro, 
Mirar  le  membra  dei  giganti  sparte, 
i  edea  Nembròtto  a  pie  del  gran  lavoro 
Quasi  smarrito,    e  riguardar  le  genti, 
Che  in  Sennaàr  con  lui  superbi  foro. 
Oh  INiobe,  con  che  occhi  dolenti 
\  edeva  io  te  segnata  in  su  la  strada 
Tra  sette  e  sette  tuoi  figlioli  spenti  ! 
Oh  Saul ,  come  in  su  la  propria  spada 
Quivi  parevi  morto  in  Gelboè, 
Che  poi  non  sentì  pioggia ,  né  rugiada  ! 
Oli   folle  Aracne,   si  verlea  io  te. 

Già  mezza  ragna,   trista,   in  su  li  stracci 
Della  opera,  che  mal  per  te  si  fé'  ! 
Oh  Koboàm,    già  non  par  che  minacci 
Quivi  il  tuo  segno;   ma  pien  di  spavento, 
?^el  porta  un  carro,   prima  che  altri  '1  cacci. 
|M()strava  ancora  il  duro  pavimento. 
Come  AImcone  a  sua  madre  fc'  caro 
Parer  lo  sventurato  adornamento. 
Mostrava,   come  i  figli  si  gittaro 

Sovra  Sennanherib  dentro  dal  tempio, 
E  come  morto  lui  quivi  lasciaro. 
Mostrava  la  ruina,    e  il  crudo  scempio, 
Che  fc'  Tarairi,    quando  disse  a  Ciro: 
Sangue  sitisti,   ed  io  di  sangue  ti  empio. 
Mostrava,   come  in  rotta  si  fuggirò 
Li  Assiri,    poi  che  fu  morto  Oloferne, 
E  anche  le  reliquie  del  martiro. 
Vedeva  Troja  in  cenere  e  in  caverne: 
Oh  Ilión,   come  te  basso  e  vile 
Mostrava  il  segno  che  li  si  discerne! 
Qual  di  pcnnel  fu  maestro  o  di  stile, 
Che  ritraesse  le  omltre  e  li  atti,  che  ivi 
Mirar  farieno  uno  ingegno  sottile.'' 
Morti  li  morti ,   e  i  vivi  parcan  vivi. 

Kon  vide  mei  di  me,   chi  vide  il  vero,  r<v>-^^ 
Quanto  io  calcai ,    fin  che  chinato  givi. 
Or  superbite,    e  via  col  viso  altiero. 
Figlioli  di  Eva ,  e  non  chinate  il  volto. 
Sì  che  veggiate  il  vostro  mal  sentiero! 
Più  era  già  per  noi  del  monte  volto, 
E  del  cammin  del  sole  assai  più  speso. 
Che  non  stimava  lo  animo  non  sciolto, 
Quando  colui ,   che  sempre  innanzi  atteso 
Andava,    cominciò:   drizza  la  testa! 
Mon  è  più  tempo  da  gir  sì  sospeso. 
Vedi  colà  un  angel,    che  si  appresta 
Per  venir  verso  noi;    vedi,  che  torna 
Dal  servigio  del  dì  1'  ancella  sesta. 
Di  riveren/.a  li  atti  e  il  viso  adorna, 
Sì  che  i  diletti  lo  inviarci  'n  sus(»  ! 
Pensa  che  questo  dì  mai  no»  raggiorna! 


Io  era  ben  del  suo  ammonir  uso. 

Pur  di  non  perder  tempo,    sì  che  in  quella 
Materia  non  potea  parlarmi  chiuso. 

A  noi  venia  la  creatura  bella. 

Biancovestita,   e  nella  faccia,   quale 
Par  tremolando  mattutina  stella. 

Le  braccia  aperse,    ed  indi  aperse  le  ale: 
Disse:   venite,    qui  son  presso  i  gradi, 
Ed  agevolemente  omai  si  sale. 

A  questo  invito  vengon  molto  radi: 
Oh  gente  umana  per  volar  su  nata. 
Per  che  a  poco  vento  così  cadi? 

Menocci  ove  la  roccia  era  tagliata: 
Quivi  nii  battéo  le  ali  per  la  fronte, 
Poi  mi  promise  sicura  1'  andata. 

Come  a  man  destra ,    per  salire   al  monte, 
Dove  siede  la  chiesa,    che  soggioga 
La  ben  guidata  sopra  Rubaconte, 

Si  rompe  del  montar  V  ardita  foga 
Per  le  scalee,    che  si  fero  ad  etade, 
Ch'  era  sicuro  il  quaderno  e  la  doga: 

Così  si  allenta  la  ripa ,    che  cade 
Quivi  ben  ratta  dallo  altro  girone: 
Ma  quinci  e  quindi  1'  alta  pietra  rade. 

Noi  volgendo  ivi  le  nostre  persone, 
Beati  pauperes  spiritii ,   voci 
Cantaron  sì,   che  noi  diria  sermone. 

Ahi  quanto  son  diverse  quelle  foci 
Dalle  infernali!   che  quivi  per  canti 
Si  entra,   e  là  giù  per  lamenti  feroci. 

Già  montavam  su  per  li  scaglion  santi. 
Ed  esser  mi  parca  troppo  più  lieve, 
Che  per  lo  pian  non  mi  parca  davanti. 

Onde  io  :  maestro ,    di',    qual  cosa  greve 
Levata  si  è  da  me,   che  nulla  quasi 
Per  me  fatica  andando  si  riceve.'' 

Rispose:    quando  i  P,    che  son  rimasi 
Ancor  nel  volto  tuo ,  presso  eh'  estinti 
Saranno,   come  lo  un,    del  tutto  rasi, 

Fien  li  tuoi  pie  dal  buon  voler  sì  vinti. 
Che  non  pur  non  fatica  sentiranno. 
Ma  fia  diletto  loro  esser  su  pinti. 

AUor  fec'  io  come  color,  che  vanno 
Con  cosa  in  capo  non  da  lor  saputa. 
Se  non  che  i  cenni  altrui  suspicar  fanno: 

Per  che  la  mano  ad  accertar  si  ajuta, 

E  cerca ,   e  trova  ,    e  quello  uficio  adempie, 
Che  non  si  può  fornir  per  la  veduta. 

E  con  le  dita  della  destra  scempie 
Trovai  pur  sei  le  lettere,   che  incise 
Quel  dalle  chiavi  a  me  sovra  le  tempie: 

A  che  guardando  il  mio  duca  sorrise. 


CANTO    XIIL 


ytnCOMENTO. 

Secondo  balzo,    ove    si    purpa   V   invidia.     Sapia, 
donna  sancsc. 


Noi  crnvnmo  ni  sommo  della  scala. 
Ove  sccundaiucntu  si  risega 


[lOÌ] 


PURGATORIO.  (XIII.  3— 136) 


[108 


Lo  monte,  che  salendo  altrui  dlsmala. 
Itì  così  una  cornice  lega 

Dintorno  il  poggio,  come  la  primaja, 
Se  non  che  lo  arco  suo  più  tosto  piega. 
Ombra  non  lì  è ,  né  segno  che  si  paja: 
Par  si  la  ripa,  e  par  sì  la  via  schietta» 
Col  livido  color  delia  petraja. 
Se  qui  per  dimandar  gente  si  aspetta, 
Ragionava  il  poeta ,  io  temo  forse, 
Che  troppo  avrà  d'  indugio  nostra  eletta. 
Poi  fisamente  al  sole  li  occhi  porse: 
Fece  del  destro  lato  al  mover  centro, 
E  la  sinistra  parte  di  sé  torse. 
Oh  dolce  lume,  a  cui  fidanza  io  entro 
Per  lo  novo  cammin,  tu  ne  conduci, 
Dicea,  come  condur  si  vuol  quinci  entro: 
Tu  scaldi  1  mondo  :  tu  sovra  esso  luci  : 
Se  altra  cagione  in  contrario  non  pronta, 
Esser  den  sempre  li  tuoi  raggi  duci. 
Quanto  di  qua  per  un  miglio  si  conta, 
Tanto  di  là  eravam  noi  già  iti 
Con  poco  tempo,  per  la  voglia  pronta. 
E  verso  noi  volar  furon  sentiti, 
Kon  però  visti,  spiriti  parlando 
Alla  mensa  di  amor  cortesi  invitL 
La  prima  voce ,  che  passò  volando, 
f  inum  non  habent,  altamente  disse, 
E  dietro  a  noi  lo  andò  reiterando. 
E  prima,  che  del  tutto  non  si  udisse. 

Per  allungarsi ,  un'  altra ,  io  sono  Oreste, 
Passò  gridando,  ed  anche  non  si  affisse. 
Oh,  diss'  io,  padre,  che  voci  son  queste? 
E  come  io  dimandai ,  ecco  la  terza 
Dicendo:  amate  da  cui  male  aveste! 
Lo  buon  maestro:  questo  cinghio  sferza 
La  colpa  della  invidia,  e  però  sono 
Tratte  da  amor  le  corde  della  ferza. 
Lo  fren  vuol  esser  del  contrario  suono  : 
Credo  che  lo  udirai ,  per  mio  avviso. 
Prima  «he  giunghi  al  passo  del  perdono. 
Ma  ficca  li  occhi  |)er  lo  aere  ben  fiso, 
E  vedrai  gente  innanzi  a  noi  sedersi, 
E  ciascun  è  lungo  la  grotta  assido. 
Allora  più  clic  prima  li  orchi  apersi, 

Guardaimi  innanzi,  e  vidi  ombre  con  manti 
Al  color  della  pietra  non  diversi. 
E  poi  che  funiiiii)  un  poco  più  avanti, 
l  dii  gridar:  Maria,  ora  per  noi! 
(iridar:  Michele,  e  Pietro,  e  tutti  i  Santi! 
Non  credo ,  che  per  terra  vada  ancoi 
Omo  sì  duro ,  che  non  fosse  punto 
Per  coinpassion  di  quel  che  io  vidi  poi: 
Che,  quando  lui  si  presso  di  lor  giunto. 
Che  li  atti  loro  a  me  vcnivan  certi 
Per  li     occhi ,  fui  di  grave  dolor  munto. 
Di  vii  cilicio  mi  parcan  coperti, 

E  lo  un  sofTcria  lo  altro  con  la  epalla, 
E  tutti  dalla  ripa  eran  sofierti. 
Così  li  ciechi,  il  cui  la  rolm  falla. 

Stanno  a   perdoni  a  chieder  lor  bisogna, 
E  lo  uno  il  capo  sovra  lo  altro  avvalla, 
Per  che  in  altrui  pietà  tosto  si  pogna. 
Non  pur  per  lo  sonar  delle  parole. 
Ma  per  la  \Uta ,  e.lu;  non  meno  agogna. 
E  rome  alli  orl)i  non  a|>|)roda  il  sole, 
C«MÌ  alle  ombro,  dove  io  parlava  ora, 
Luce  del  eie]  di  &ò  largir  non  vuole: 


Che  a  tutte  un  fil  di  ferro  il  ciglio  fora, 
E  cuce,  si  come  a  sparvier  selvaggio 
Si  fa,  però  che  queto  non  dimora. 

A  me  pareva  andando  fare  oltraggio, 
fedendo  altrui,  non  essendo  veduto; 
Per  che  io  mi  volsi  al  mio  consiglio  saggio. 

Ben  sapeva  ei  che  volca  dir  lo  muto, 
E  però  non  attese  mia  dimanda  : 
Ma  disse:  parla,  e  sii  breve  ed  arguto! 

Virgilio  mi  venia  da  quella  banda 
Della  cornice ,  onde  cader  sì  puote. 
Per  che  da  nulla  sponda  s'  inghirlanda. 

Dall'  altra  parte  mi  eran  le  devote 
Ombre,  che  per  la  orribile  costura 
Premevan  sì ,  che  bagnavan  le  gote. 

Volsinii  a  loro  ,  ed ,  oh  gente  sicura. 
Incominciai,  di  veder  lo  alto  lume. 
Che  il  disio  vostro  solo  ha  in  sua  cura. 

Se  tosto  grazia  risolva  le  schiume 
Di  vostra  coscienza,  si  che  chiaro 
Per  essa  scenda  della  mente  il  fiume. 

Ditemi  (che  mi  fia  grazioso  e  caro). 
Se  anima  è  qui  tra  voi  che  sia  latina  : 
E  forse  a  lei  sarà  buon,  se  io  1'  apparo. 

Oh  frate  mio,  ciascuna  è  cittadina 
Di  una  vera  città:  ma  tu  vuoi  dire, 
Che  vivesse  in  Italia  peregrina. 

Questo  mi  par^e  per  risposta  udire 

Più  innanzi  alquanto ,  che  là  dove  io  stava  : 
Onde  io  mi  feci  ancor  più  là  sentire. 

Tra  le  altre  vidi  una  ombra,  che  aspettava 
In  vista;  e  se  volesse  alcun  dir  come. 
Lo  mento  a  guisa  di  orbo  in  su  levava. 

Spirto,  diss'  io,  che  per  salir  ti  dome, 
Se  tu  sei  quelli  che  mi  rispondesti, 
Fammiti  conto  o  per  luogo,  o  per  nome! 

Io  fui  Senese,  rispose,  e  con  questi 
Altri  rimcndo  qui  la  vita  ria. 
Lacrimando  a  colui ,  che  se  ne  presti. 

Savia  non  fui  avvegna  che  Sapia 

Fossi  chiamata,  e  fui  delli  altrui  danni 
Più  lieta  assai,  che  di  ventura  mia. 

E  per  che  tu  non  credi  che  io  t'  inganni, 
Odi,  se  fui,  come  io  ti  dico,  folle. 
Già  disrendendo  lo  arco  dei  miei  anni. 

Erano  i  cittadin  miei  presso  a  Colle 
In  campo  giunti  coi  loro  avversari. 
Ed  io  pregava  dio  di  quel  eh'  ei  volle. 

Rotti  fur  quivi ,  e  volti  neili  amari 
Passi  di  fuga,  e  vcggendo  la  caccia. 
Letizia  presi  a  tutte  altre  dispari: 

Tanto,  che  io  volsi  in  su  1'  ardita  faccia. 
Gridando  a  dio  :  ornai  più  non  ti  temo  ; 
Come  fé'  il  merlo  per  poca  bonaccia. 

Pace  volli  con  dio  in  su  lo  stremo 

Della  mia  vita:  ed  ancor  non  sarebbe 
Lo  mio  dover  per  pcnitenzia  scemo. 

Se  ciò  non  fosse,  <-he  a  memoria  mi  ebbe 
Pier  Pcttinagno  in  sue  sante  orazioni, 
A  cui  di  me  per  caritade  increbbe. 

Ma  tu  chi  sei ,  che  nostre  condizioni 

Vai  dimandando ,  e  porti  li  occhi  sciolti. 
Sì  come  io  credo,  e  s|>irando  ragioni.*' 
Li  occhi,  diss'  io,  mi  fieno  ancor  qui  tolti. 
Ma  picciol  tempo:  (-he  poca,  è  la  ollesa 
Fatta,  per  esser  con  invidia  volti. 

Troppa  è  più  la  paura,  ond'  è  sospesa 


S 


109] 


PURGATORIO     (XIII.  137-154.  XIV.  l-  ipi) 


[110] 


L'  anima  mia  del  tormento  di  sotto, 
Clic  già  lo  incarco  di  là  giù  rai  pesa. 

:d  ella  a  me:  chi  ti  ha  dunque  condotto 
Qua  su  tra  noi ,  se  giù  ritornar  credi  ? 
Ed  io  :  costui ,  eh'  è  meco ,  e  non  fa  motto  : 

;  ^  ivo  sono  :  e  però  mi  richiedi, 
Spirito  eletto,  se  tu  vuoi  che  io  mova 
Di  là  per  te  ancor  li  mortai  piedi. 

)h  questa  è  a  udir  sì  cosa  nova, 
Rispose ,  che  gran  segno  è  che  dio  ti  ami  : 
Fero  col  prego  tuo  talor  mi  giova  ! 

i.  chieggioti  per  quel,  che  tu  più  brami. 
Se  mai  calchi  la  terra  di  Toscana, 
Che  ai  miei  propinqui  tu  ben  mi  rinfami. 

Tu  li  vedrai  tra  quella  gente  vana, 
Che  spera  in  Talamone ,  e  perderagli 
Viìì  di  speranza ,  che  a  trovar  Diana  : 

Ma.  più  vi  metteranno  li  ammiragli. 


CANTO    XIV. 


ARGOMENTO. 

Luogo    medesimo.     Guido  del  duca  da   Brettinoro , 
Rinieri  de'  Calboli  di  Romagna, 

Chi  è  costui,  che  il  nostro  monte  cerchia, 
Trima  che  morte  li  abbia  dato  il  volo. 
Ed  apre  lì  occhi  a  sua  voglia  e  coperchia? 

|]\on  so  chi  sia  ;  ma  so  eh'  ei  non  è  solo  : 
Dimandai  tu ,  che  più  li  ti  avvicini, 
E  dolcemente,  sì  che  parli,  acculo! 

Così  duo  spirti  lo  un  allo  altro  chini 
Ragionavan  di  me  ivi  a  man  dritta: 
Poi  fèr  li  visi,  per  dirmi,  supini: 

](!  disse  lo  uno:  oh  anima,  che  fitta 
^lel  corpo  ancora  in^er  Io  ciel  ten  vai, 
Per  carità  ne  consola ,  e  ne  dittn. 

Onde  vieni ,  e  chi  sei  !  che  tu  ne  lai 
Tanto  maravigliar  della  tua  grazia, 
Quanto  vuol  cosa  che  non  fu  più  mai. 

Ed  io  :  per  mezza  Toscana  si  spazia 
Un  fìumicel  che  nasce  in  Falterona, 
E  cento  miglia  di  corso  noi  sazia: 

Di  sovra  esso  reco  io  questa  persona. 
Dirvi  chi  sia,  saria  parlare  indarno: 
Che  il  nome  mio  ancor  molto  non  son^. 

Se  ben  lo  intendimento  tuo  accnrno  t^v.  V^uivK   ir". 
Con  lo  intelletto ,  allora  mi  ri-pose 
Quei  che  prima  dicea ,  tu  parli  di  Arno. 

E  lo  altro  disse  a  lui  :  per  che  nascose 
Questi  '1  vocabol  di  quella  riviera, 
Pur  come  om  fa  delle  orribili  cose? 

E  la  ombra,  che  di  ciò  dimandata  era, 
Si  sdebitò  cosi:  non  so;  ma  degno 
lien  è  che  il  nome  di  tal  valle  pera: 

Cile  dal  principio  suo,  dov'  è  sì  pregno 
Lo  alpestro  monte,  ond'  è  tronco  l'cloro. 
Che  in  pochi  lochi  passa  oltra  quel  segno, 

Infin  là ,  ove  si  rend<!  per  ristoro 

Di  quel ,  «he  il  ciel  della  marina  asciuga. 
Onde  hanno  i  fnimi  ciò  clic   va  con  loro. 

Virtù  così  per  nimica  si  fuga 


Da  tutti ,  come  biscia  ,  per  sventura 
Del  loco,  o  per  mal  uso  che  li  fruga: 

Onde  hanno  sì  mutata  lor  natura 
Li  abitator  della  misera  valle. 
Che  par  che  Circe  li  avesse  iu  pastura. 

Tra  brutti  porci  più  degni  di  galle 
Che  di  altro  cibo  fatto  in  uman  uso, 
Dirizza  prima  il  suo  povero  calle. 

Botoli  trova  poi  venendo  giuso 

Ringhiosi  più  che  non  chiede  lor  possa, 
Ed  a  lor  disdegnosa  torce  il  muso. 

Vassi  caggendo ,  e  quanto  ella  più  ingrossa, 
Tanto  più  trova  di  can  farsi  lupi 
La  maledetta  e  sventurata  fossa. 

Discesa  poi  per  più  pelaghi  cupi, 
Trova  le  volpi  sì  piene  di  froda. 
Che  non  temono  ingegno  che  le  occupi. 

Né  lascerò  di  dir,  per  che  altri  mi  oda: 
E  buon  sarà  costui,  se  ancor  si  ammenta 
Di  ciò ,  che  vero  spirto  mi  disnoda. 

Io  veggio  tuo  nipote,  che  diventa 
Cacciator  di  quei  lupi  in  su  la  riva 
Del  fiero  fiume,  e  tutti  li  sgomenta. 

Vende  la  carne  loro,  essendo  viva: 
Poscia  li  ancide,  come  antica  belva: 
Molti  di  vita,  e  sé  di  pregio  priva. 

Sanguinoso  esce  della  trista  selva: 
Lasciala  tal,  che  di  qui  a  mille  anni 
Nello  stato  primajo  non  si  riusciva. 

Come  allo  annunzio  dei  dogliosi  danni 
Si  turba  il  viso  di  cohii  che  ascolta, 
Da  qualche  parte  il  periglio  lo  assanni, 

Così  vid'  io  I'  altr'  anima,  che  volta 
Stava  ad  udir,  turbarsi  e  farsi  trista, 
Poi  eh'  ebbe  la  parola  a  sé  raccolta. 

Lo  dir  della  una,  e  dell'  altra  la  vista 
Mi  fé  voglioso  di  saper  lor  nomi, 
E  dimanda  ne  fei  con  prieghi  mista. 

Per  che  lo  spirto  che  di  pria  parlómi, 
Ricominciò  :  tu  vuoi  che  io  mi  riduca 
^el  fare  a  te  ciò  che  tu  far  non  vuomi. 

Ma  da  che  dio  in  te  vuol  che  traluca 
Tanto  sua  grazia,  non  ti  sarò  scarso: 
Però  sappi,  che  io  son  Guido  del  Duca. 

Fu  il  sangue  mio  d'  invidia  sì  riarso. 
Che,  se  veduto  avessi  om  farsi  lieto, 
Visto  mi  avresti  di  livore  sparso. 

Di  mia  semenza  cotal  paglia  meto. 
Oh  gente  umana ,  per  che  poni  '1  core 
Là  ov'  è  mestier  di  consorte  divieto? 

Qu(!sti  è  Rinier  :  questo  e  il  pregio  e  1'  onore 
Della  casa  da  Calboli,  ove  nullo 
Fatto  si  è  reda  poi  «lei  suo  valore. 

E  non  pur  lo  suo  sangue  è  fatto  briilh» 

Tra  il  Po  e  il  nutnte ,  e  la  marina  e    1    Reno, 
Del  ben  richiesto  al  vero  rd  al  trastullo  : 

Che  dentro  a  questi  termini  ù  ripieno 
Di  venenosi  sterpi,  si  che  tardi 
Per   colti\are  ornai  verrcbber  meno. 

Ov'  è  il  bui'M  Licio ,  ed  Arrigo  iVIainardi, 
Pier  Travi  TMiro,  e  (tuido  di  Carpigna? 
Oh    Ittiiuiignoli  tornati  in  bastanli 
Quando  io  Itnlogna  un  Fabbro  si  ralligna, 
Qiutndo  io  Fiien/a  un  iiernnrdiu  di  Fosco, 
Verga  gentil  di  picciola  gratnigna! 
Non  ti  niìii'.i\ii;liiir,  se  io  piiingo,    Tun-o, 
Quiuidu  rimembro  con  («nido  da  Prata 


[Ili] 


PURGATORIO.   (XIV.  105  —  151.  XV.  1—73) 


Ugolin  di  Azzo,  che  TÌvette  nosco, 

Fedeiigo  Tignoso,  e  sua  brigata, 
La  casa  Trarersara ,  e  li  Anastagì  ; 
E  la  una  gente  e  1'  altra  è  diretata. 

Le  donne  e  i  caralier ,  li  affanni  e  li  agi, 
Che  ne  invogliava  amore  e  cortesia, 
Là  dove  i  cor  son  fatti  sì  malvagi. 

Oh  Brettinoro ,  che  non  foggi  via. 
Poi  che  gita  se  n'  è  la  tua  famiglia, 
E  molta  gente,  per  non  esser  ria? 

Ben  fa  Bagnacaval,  che  non  rifiglia, 
E   mal  fa  Castroraro  ,  e  peggio  Conio, 
Che  di  figliar  tai  Conti  più  s'  impiglia. 

Ben  faranno  i  Pagan  da  che  il  demonio 
Lor  sen  gira:  ma  non  però  che  puro 
Giammai  rimanga  di  essi  testimonio. 

Oh  Igolin  dei  Fantnli,  sicuro 

È  il  nome  tuo ,  da  che  più  non  si  aspetta 
Chi  far  lo  possa  tralignando  oscuro. 

Ma  va  via,  Tosco,  ornai,  che  or  mi  diletta 
Troppo  di  pianger  più  che  di  parlare  ; 
Si  mi  ha  nostra  ragiitn  la  mente  stretta! 

Koi  sapevara ,  che  quelle  anime  care 
Ci  sentivano  andar  :  però  tacendo 
Facevan  n(»i  del  cammin  confidare. 

Poi  fummo  fatti  soli  procedendo, 

Folgore  parve,  quando  lo  aere  fende, 
Voce,  che  giunse  di  contra,  dicendo: 

Ancideramrai  qualunque  mi  prende. 
E  fuggio  come  tuon ,  che  si  dilegua. 
Se  subito  la  nuvola  scoscende. 

Come  da  lei  lo  udir  nostro  eb!)e  tregua. 
Ed  ecco  r  altra  con  ȓ  gran  fracasso. 
Che  somigliò  tonar,  che  tosto  segua: 

Io  sono  Aglauro.  che  di\enni  sasso, 
E  allor ,  per  istringermi  al  poeta. 
In  destro  feci,  e  non  innanzi  '1  passo. 

Già  era  1'  aura  da  ogni  parte  queta: 
Ed  el  mi  disse:  quel  fu  il  duro  carao, 
Che  dovria  1'  om  tener  dentro  a  sua  meta, 
jf  Ma  voi  prendete  la  esca ,  sì  che  lo  amo 
Dello  antico  avversario  a  sé  vi  tira  : 
E  però  poco  vai  freno,  o  richianif. 

Chiamavi  'l  «;ielo ,  e  intorno  ^  i  si  gira 
Mostrandovi  le  sue  bellezze  eterne  : 
E  r  occhio  vostro  pure  a  terra  mira  j 
'  .  Onde  vi  batte  chi  tutto  dlàcerne. 


CANTO    XV. 


ARGOMENTO. 

Un  angelo  invita  i  poeti  a  continuar  la  aaìila.    Quis- 

tioni  tcologithti  sulla   beatitudine    eterna.     Ealasi 

di  D. 

Quanto  tra  lo  ultimar  della  ora  terza, 

E  il  principio  del  di  par  della  spera, 

Che  sempre  a  guisa  di  fanciullo  scherza, 
Tanto  pareva  già  inver  la  sera 

Essere  al  sol  del  suo  corso  rimaso  ; 

Vespcro  là,  e  qui  mezza  notte  era: 


I112J, 


E  i  raggi  ne  ferian  per  mezzo  il  naso. 
Per  che  per  noi  girato  era  si  '1  monte. 
Che  già  dritti  andavamo  inver  1'  occaso  ; 

Quando  io  sentii  a  me  gravar  la  fronte 
Allo  splendore  assai  più  che  di  prima, 
E  stupor  mi  cran  le  cose  non  conte: 

Onde  io  levai  le  mani  inver  la  cima 
Delle  mìe  ciglia ,  e  fecimi  '1  solecchio,' 
Che  del  soverchio  visibile  lima. 

Come  quando  dall'  acqua  e  dallo  specchio 
Salta  lo  raggio  in  opposita  parte. 
Salendo  su  per  lo  modo  parecchio 

A  quel  che  scende ,  e  tanto  si  diparte 
Dal  cader  della  pietra  in  igual  tratta. 
Si  come  mostra  esperienza  e  arte: 

Così  mi  parve  da  luce  ri  fratta 
Ivi  dinanzi  a  me  esser  percosso: 
Per  che  a  fuggir  la  vista  mia  fu  ratta. 

Che  è  quel ,   dolce  padre ,  a  che  non  posso 
Schermar  lo  viso  tanto  che  mi  vaglia, 


Diss 


e  pare  inver  noi  esser  mosso  r 


Non  ti  meravigliar,  se  ancor  ti  abbaglia 

La  famiglia  del  cielo,  a  me  rispose 

Messo  è,  che  viene  ad  invitar,  che  om  saglia. 
Tosto  sarà ,  che  a  veder  queste  cose 

Non  ti  fia  grave,  ma  fleti  diletto. 

Quanto  natura  a  sentir  ti  dispose. 
Poi  giunti  fummo  allo  angel  benedetto. 

Con  lieta  voce  disse  :  intrate  quinci 

Ad  un  scalèo  vìe  men  che  li  altri  eretto! 
Noi  montavamo ,  già  partiti  linci, 

E  Beati  misericordcs  fue 

Cantato  retro ,  e  godi  tu  ,  che  vinci  ! 
Lo  mio  maestro  ed  io .  soli  arabo  e  due 

Suso  andavamo,  ed  io  pensai,  andando. 

Prode  acquistar  nelle  parole  sue  : 
E  dirizzami  a  Ini  si  dimandando: 

Che  volle  dir  lo  spirto  di  Romagna, 

E  divieto  e  consorte  menzionando? 
Per  eh'  egli  a  me:  di  sua  maggior  magagna 

Conosce  il  danno:  e  però  non  si  ammiri. 

Se  ne  riprende,  per  che  men  scn  piagna. 
Per  che  si  appuntano  i  Aostri  desiri, 

Dove  per  compagnia  parte  si  scema: 

Invidia  move  il  mantaco  ai  sospiri. 
Ma  se  lo  amor  della  spera  suprema 

Torcesse  in  suso  il  desiderio  vostro. 

Non  vi  sarebbe  al  petto  quella  tema; 
Che  per  quanto  si  dice  più  li  nostro. 

Tanto  possiede  più  di  ben  ciascuno, 

E  più  di  caritade  arde  in  quel  chiostro. 
Io  son  dì  esser  contento  più  digiuno, 

Diss'  io ,  che  se  mi  fosse  pria  taciuto, 

E  più  di  dubbio  nella  mente  aduno. 
Com'  esser  puote,  che  un  ben  distributo 

I  più  posscdìtor  faccia  più  ricchi 

Di  sé,  che  se  da  pochi  è  posseduto? 
Ed  egli  a  me:  però  che  tu  rificciù 

La  mente  pure  alle  cose  terrene. 

Di  vera  luce  tenebre  dispicchi. 
Quello  infinito  ed  inelfabil  bene. 

Che  là  SII  è,  cosi  corre  ad  amore. 

Come  a  lucido  corpo  raggio  viene. 
Tanto  si  dà,  quanto  trova  di  ardore: 

Sì  che  quantunque  carità  si  stende. 

Cresce  sovra  essa  li»  eterno  valore. 
E  quanta  gente  più  là  su  s'  intende, 


113] 


PURGATORIO.      (XV.  74-145.  XVI.  1-49) 


Più  vi  è  da  bene  amare,  e  più  vi  si  ama, 
E  come  specchio,  lo  uno  allo  altro  rende. 
.  >;e  la  mia  ragion  non  ti  disfama, 
\  edrai  Beatrice,  ed  ella  pienamente 
Ti  torrà  questa  e  ciajjcun'  altra  brama, 
'rocaccia  pur,  che  tosto  sieno  spente, 
Come  son  già  le  due ,  le  cinque  piaghe, 
Che  si  richiudon  per  esser  dolente! 
Jome  io  voleva  dicer:  tu  mi  appagbe. 
Giunto  mi  vidi  in  su  lo  altro  girone. 
Si  che  tacer  mi  fèr  le  cose  vaghe. 

ivi  mi  parve  in  una  visione 
Estatica  di  subito  esser  ti-atto, 
E  vedere  in  un  tempio  più  persone. 

Ed  una  donna  in  su  lo  entrar,  con  atto 
Dolce  di  madre,  dicer:  figliol  mio. 
Per  che  hai  tu  così  verso  noi  fatto? 

Eleo  dolenti  lo  tuo  padre  ed  io 

[j     Ti  cercavamo,  e  come  qui  si  tacque, 
J     Ciò  ,  che  pareva  prima ,  dispario. 
lindi  mi  apparve  un'  altra  con  quelle  acque 
Giù  [ler  le  gote,  che  il  dolor  distilla. 
Quando  da  gran  dis[)etto  in  altrui  nacque, 

E  dir:  se  tu  sei  sire  della  villa, 
Del  cui  nome  nei  dei  fu  tanta  lite, 
Ed  onde  ogni  scienzia  disfavilla. 

Vendica  te  di  quelle  braccia  ardite, 
Che  abbracciar  nostra  figlia,  oh  Pisistrato! 
E  il  signor  mi  parca  benigno  e  mite 

Risponder  lei  con  viso  temperato: 
Che  farera  noi  a  chi  mal  ne  desira, 
Se  quei  che  ci  ama  è  per  noi  condannato? 

Poi  vidi  genti  accese  in  foco  d'  ira 
Con  pietre  un  giovinetto  ancider,  forte 
Gridando  a  sé  pur:  martira,  martira  ! 

E  lui  vedea  chinarsi  per  la  morte 

Che  lo  aggravava  già ,  in  ver  la  terra, 
Ma  dclli  occhi  facea  sempre  al  ciel  porte. 

Orando  lo  alto  sire  in  tanta  guerra, 
Che  perdonasse  ai  suoi  persecutori. 
Con  quello  aspetto,  che  pietà  disserra. 

Quando  1'  anima  mia  tornò  di  fori 
Alle  cose ,  che  son  for  di  lei  vere. 
Io  riconobbi  i  miei  non  falsi  errori. 

Lo  duca  mio ,  che  mi  potea  vedere 

Far  si,  come  om  che  dal  sonno  si  slega. 
Disse:  che  hai,  che  non  ti  puoi  tenere? 

Ma  sei  venuto  più  che  mezza  lega 

Velando  li  occhi ,  e  con  le  gambe  avvolte, 
A  guisa  di  cui  vino  o  sonno  piega? 

Oh  dolce  padre  mio ,  se  tu  mi  ascolte, 
lo  ti  dirò ,  dÌ8s'  io ,  ciò  che  mi  apparve, 
Quando  le  gambe  mie  furon  sì  tolte. 

Ed  ei  :  gè  tu  ave^éi  cento  larve 

Sovra  la  faccia ,  non  mi  Srtricn  chiuse 
Le  tue  cogitazion ,  qiuintunquc  parve. 

Ciò  che  vedesti  fu ,   per  che  non  scuse 
Di  aprir  lo  core  alle  acque  della  pace, 
Che  dallo  eterno  fonte  son  dilTusc. 

Non  dimandai ,  che  hai  .^  per  quel  che  face 
Chi  guarda  pur  con  1'  occhio  che  non  vede. 
Quando  disanimate»  il  corpo  giace; 

Ma  dimandai  per  darti  forza  al  piede. 
(;o8Ì  frugar  conviene  i  pigri,  lenti 
Ad  usar  lor  vigilia ,  quando  riedc. 

Noi  andavam  per  lo  vesperro  attenti 

Oltre ,  quanto  poteau  li  occhi  allungarsi. 


[114] 


Contra  ì  raggi  serotini  e  lucenti  : 

Ed  ecco  a  poco  a  poco  un  fummo  farsi 

Verso  di  noi  come  la  notte  oscuro, 

Né  da  quello  era  loco  da  cansarù  ; 

Questo  ne  tolse  li  occhi,  e  lo  aere  puro. 


CANTO     XVL 


ARGOMENTO. 

Terso  balzo:  iracondi  purgati  nel  fumo.    Marco  Lom- 
bardo s.ìdl'  influsso   degli  astri.     Sferza  il  romano 
jìontefice. 

Bujo  d'  inferno,  e  di  notte  privata 
Di  ogni  pianeta  sotto  pover  cielo, 
Quanto  esser  può  di  nuvol  tenebrata. 
Non  fece  al  viso  mio  sì  grosso  velo, 
Come  quel  fummo ,  che  ivi  ci  coperse. 
Né  al  sentir  di  così  aspro  pelo  ; 
Che  l'  occhio  stare  aperto  non  sofferse: 
Onde  la  scorta  mia  saputa  e  fida 
Mi  si  accostò,  e  l'  omero  mi  offerse. 
Sì  come  cieco  va  dietro  a  sua  guida 

Per  non  smarrirsi ,  e    per  non  dar  di  cozzo 
In  cosa  che  il  molesti ,  o  forse  ancida. 
Mi  andava  io  per  lo  aere  amaro  e  sozzo. 
Ascoltando  il  mio  duca,  che  diceva 
Pur:  guarda  che  da  me  tu  non  sie  mozzo! 
Io  sentia  voci,  e  ciascuna  pareva 
Pregar  per  pace  e  per  misericordia 
Lo  agnél  di  dio,  che  le  peccata  leva. 
Pur  Agnus  Dei  eran  le  loro  esordia  : 
Una  parola  in  tutti  era  ed  un  modo, 
Sì  che  parca  tra  esse  ogni  concordia. 
Quei  sono  spirti,  maestro,  che  i'  odo? 
Diss'  io;  ed  egli  a  me:  tu  vero  apprendi, 
E  d'  iracondia  van  solvendo  il  nodo. 
Or  tu  chi  sei ,  che  il  nostro  fummo  fendi, 
E  di  noi  parli  pur,  come  se  tne 
Partissi  ancor  lo  tempo  per  calendi? 
Così  per  una  voce  detto  fue; 
j      Onde  il  maestro  mie»  disse:  rispondi, 
j      E  dimanda,  se  quinci  si  va  suel 
Ed  io:  oh  creatura,  che  ti  mondi, 
j      Per  tornar  bella  a  colui  che  ti  fece, 
I      Maraviglia  udirai,  se  mi  secondi. 
Io  ti  seguiterò  quanto  mi  lece, 
j      Rispose:  e  se  veder  fuunno  non  lascia. 
Lo  udir  ci  terrà  giunti  in  quella  vece. 
Allora  incominciai:  con  quella  fascia 
1      Che  la  morte  dissolve,  inen  vo  suso, 

E  venni  qui  per  la  infernale  ambascia. 
E  se  dio  mi  ha  in  »ua  grazia  richiuso, 

'l'auto  eh'  ei  >uol  che   io  veggia  la  stia  corte, 
1      Per  modo  tutto  for  del  nu)derno  uso. 
Non  mi  celar,  chi   fosti  anzi  la  nutrie, 
j      Ma  diluii,  e  dimmi,  se  io  vo  bene  al  varco: 
I      E  tue  parole  fuii  le  nr)str<;  «corte. 
I Lombardo  fui,  (!  fui  chiamato  .ìlarco: 

Del  nu)ndo  sep|ii  ,  e  qu<:l  valore  amai, 
!      Al  quale  ha  or  ciascun  disteso  lo  arco; 
Per  montar  bu  direttamente  vai: 


rii5] 


PURGATORIO.  (XVr.  50 —145.  XVII.  1—  24) 


[IIG] 


Così  rispose ,  e  soggiunse  :  io  ti  prego, 
Che  per  me  preghi ,  quando  su  sarai. 
Ed  io  a  lui:  per  fede  mi  ti  lego 

Di  far  ciò  ,  che  mi  chiedi  :  ma  io  scoppio^ 
Dentro  da  un  dubbio,  se  io  non  me  ne  spiego. 
Prima  era  scfmpio,  ed  ora  è  fatto  doppio 
Kella  sentenzia  tua,  che  mi  fa  certo 
Qui  ed  altrove  quello,  ove  io  lo  accoppio. 

Lo  mondo   è  ben  cosi  tutto  diserto 
Di  ogni  virtute,   come  tu  mi  sone, 
E  di  malizia  gravido  e  coverto: 

Ma  prego  che  mi  additi  la  cagione. 

Si  che  io  la  vegga,  e  che  io  la  mostri  altrui: 
Che  nel  ciel  uno,  ed  un  qua  giù  la  pone. 

Alto  sospir,  che  duolo  strinse  in  hui, 
Mise  for  prima,  e  poi  cominciò:  frate, 
Lo  mondo  è  cieco,  e  tu  vien  ben  da  lui. 

Voi  che  vivete,  ogni  cagion  recate 
Pur  suso  al  ciel,  così  come  se  tutto 
Movesse  seco  di  necessitate. 

Se  così  fosse,  in  voi  fora  distrutto 
Libero  arbitrio ,  e  non  fora  giustizia. 
Per  ben  letizia ,  e  per  mule  aver  lutto. 

Lo  cielo  i  vostri  movimenti  inizia, 

Non  dico  tutti  ;  ma  posto  che  io  il  dica. 
Lume  vi  è  dato  a  bene,  ed  a  malizia^ 

E  libero  voler;  che,  se  fatica 

INelle  prime  battaglie  col  ciel  dura,        , 
Poi  vince  tutto,  se  ben  si  notricji.    /     T^'  i 

A  maggior  forza  ed  a  miglior  natura 
Liberi  soggiacete ,  e  quella  cria 
La  mente  in  voi ,  che  il  ciel  non  ha  in  sua  cara. 

però  se  il  mondo  presente  disvia, 

In  voi  è  la  cagione,  in  voi  si  cheggia; 
Ed   io  te  ne  sarò  or  vera  spia. 

Esce  di  mano  a  lui,  che  la  vagheggia, 
Prima  che  sia ,  a  guisa  di  fanciulla. 
Che  piangendo  e  ridendo  pargoleggia,  ■  '"jìC 

L'  anima  semplicetta,  che  sa  nulla,  v^u'u*^^ 

Salvo  che  mossa  da  lieto  fattore  l,  i     j- 

Volcntier  torna  a  ciò  che  la  trastulla.    n'A^tluaA*» 

Di  picciol  bene  in  pria  sente  sapore; 

Quivi  s'  inganna,  e  dietro  ad  esso  corre, 
Se  guida  o  frcn  non  torce  suo  amore. 

Onde  convenne  leggi  per  fren  porre. 
Convenne  rcge  aver,  che  discernesse 
Della  vera  cittade  almen  la  torre. 

Le  leggi  snn  ;  ma  chi  pon  mano  ad  esse? 
Kullo  :  però  che  il  pastor ,  che  precede, 
Ilun)igar  può,  ma  non  ha  le  unghie  fesse. 

Per  che  la  gente ,  che  sua  guida  vede 

Pur  a  quel  ben  ferire,  ond'  ella  è  ghiotta, 
Di  quel  si  pasce,  e  più  oltre  non  chiede. 

Ben  puoi  veder  che  la  mala  condotta 
E  la  ragion  ,  che  il  mondo  ha  fatto  reo, 
E  non  natura  che  in  voi  sia  corrotta. 

Soleva  Uoma,  che  il  buon  mondo  feo, 

Duo  soli  aver,  che  la  una  e  1'  altra  strada 
Facean  vedere,  e  del  mondo,  e  di  deo. 

Lo  un  lo  altro  ha  spento,  ed  è  giunta  la  spada 
Col  pa.>torale,  e  lo  un  e  lo  altro  insicm 
Per  viva  forza  mal   con\ien  che  vada: 

Però  che  giunti ,  lo  un  lo  altro  non  teme. 
Se  non  mi  credi,  pon  mente  alla  spiga! 
Che  ogni  erba  si  conosee  per  lo  seme. 

In  sul  paese  che  Adice  e  Pò  riga, 
Solca  valore  e  cortesia  truvarcsi, 


Prima  che  F'ederlco  avesse  briga: 
Or  può  sicuramente  indi  passarsi , 

Per  qualunque  lasciasse,  per  vergogna 

Di  ragionar  coi  buoni,  di  appressarsi. 
Ben  vi  en  tre  vecchi  ancora,  in  cui  rampogna 

L'  antica  età  la  nova  ,  e  par  lor  tardo 

Che  dio  a  miglior  vita  li  ripogna; 
Currado  da  Palazzo,  e  il  buon  Gherardo, 

E  Guido  da  Castel,  che  mei  si  noma 

Francescamente  il  semplice  Lombardo. 
Di'  oggimai ,  che  la  chiesa  di  Roma, 

Per  confondere  in  sé  duo  reggimenti. 

Cade  nel  fango ,  e  sé  brutta ,  e  la  soma. 
Oh  Marco  mio ,  diss'  io ,  bene  argomenti  ; 

Ed  or  discerno  ,  per  che  dal  retaggio 

Li  figli  di  Levi  furono  esenti. 
Ma  qual  Gherardo  è  quel,  che  tu  per  saggio 

Di'  eh'  é  rimaso  della  gente  spenta, 

In  rimproverio  del  secol  selvaggio.'' 
O  tuo  parlar  m'  inganna,  od  el  mi  tenta. 

Rispose  a  me ,  che ,  parlandomi  Tosco, 

Par  che  del  buon  Gherardo  nulla  senta. 
Per  altro  soprannome  io  noi  conosco, 

Se  io  noi  togliessi  da  sua  figlia  Caja. 

Dio  sia  con  voi ,  che  più  non  vegno  vosco. 
Vedi  lo  albór ,  che  per  lo  fummo  raja. 

Già  biancheggiare,  e  mi  convien  partirmi; 

Lo  angelo  è  ivi,  prima  che  ne  appaja: 
Così  tornò ,  che    più  non  volle  udirmi. 


CANTO    XVII. 


ARGOMENTO. 

Esce  dal  denso  fumo ,  eh'  è  il  simbolo  deW  ira.    Ra- 
pito in  estasi  vede  tre  csempj   di  questa  passione.     E 
condotto  da   tin  angelo  al  quarto  balzo,  ove  si  purgai 
r  accidia.     Dell'  amor  di  sé,  ] 

Ricorditi,  lettor,  se  mai  nelle  alpe 

Ti  colse  nebbia,  per  la  qual  vedessi 

Kon  altramente  che  per  pelle  talpe, 
Come  quando  i  vapori  umidi  e  spessi 

A  diradar  cominciansi ,  la  spera 

Del  sol  debilemente  entra  per  essi; 
E  fia  la  tua  immagine  leggiera 

In  giugnere  a  veder,  come  io  rividi 

Lo  sole  in  pria ,  che  già  nel  corcar  era. 
Sì  pareggiando  i  miei  coi  passi  fidi 

Del  mio  maestro,  uscii  for  di  tal  nube, 

Ai  raggi  morti  già  nei  bassi  lidi. 
Oh  immaginativa,  che  ne  rubo 

Tal  volta  sì  di  for ,  che  om  non  si  accorge, 

Per  che  dintorno  sonin  mille  tube, 
Che  move  te ,  se   il  senso  non  ti  porgo  ? 

Moveti  lume  che  nel  ciel  s'  informa 

Per  sé,  o  per  voler  che  giù  lo  scorge.      '^^f^^ 
Della  empiezza  di  lei,  che  mutò  forma    ,.)■„;  i\  n 

Nello  uccel ,  (^he  a  cantar  più  si  diletta,  > 

N<'lla  inunagine  mia  apparve  la  orma: 
E  qui  fu  la  mia  mente  ^ì  ristretta 

Dentro  da  sé,  che  di  for  non  venia 

Cosa  clic  futj&e  ailur  da  lei  rccelta. 


IIT] 


PURGATORIO.  (XVII.  25  — 139.    XVIII.  1—6) 


rii8] 


oì  piovve  dentro  all'  alta  fantasia 
Un  crocifisso  dispettoso  e  fiero 
IVelIa  sua  vista  ,  e  cotal  si  moria  : 

itorno  ad  esso  era  il  grande  Assuero, 
Ester  sua  sposa,  e  il  giunto  Mardocheo, 

'Che  fu  al  dire  ed  al  far  così  'utero. \v\ 

!  come  questa  immagine  rompeo 
Sé  per  eè  stessa,  a  guisa  di  una  bulla 
Cui  manca  1'  acqua  ,  sotto  qual  si  feo, 

urse  in  mia  visione  una  fanciulla 
Piangendo  forte ,  e  diceva  :  Oh  regina. 
Per  che  per  ira  hai  voluto  esser  nulla 

Lncisa  ti  hai  per  non  perder  Lavina: 
Or  mi  hai  perduta:  io  sono  essa,  che  lutto, 
Madre ,  alla  tua  pria  che  all'  altrui  ruma. 

jOjne  si  ifrange  il  sonno,  ove  dilmtto  ;  :;:         ''' 

LNova  luce  percote  il  viso  clìuiso,      ' 
Che  fratto  guizza,  pria  che  moja  tutto, 
osi  lo  immaginar  mio  cadde  giuso. 

Tosto  che  il  lume  il  volto  mi  percosse 

Maggiore  assai,  che  quello  eh'  è  in  nostro  uso. 
[o  mi  volgea  per  veder  ove  io  fosse, 

Quando  una  voce  disse  :  qui  si  monta. 

Che  da  ogni  altro  intento  mi  rimosse, 
E  fece  la  mia  voglia  tanto  pronta 

Di  riguardar,  chi  era  che  parlava. 

Che  mai  non  posa,  se  non  si  raffronta.VCV : .  : 
Ma  come  al  sol ,  che  nostra  vista  gravà^"  "  ^  ■  ■ 

E  per  soverchio  sua  figura  vela, 

Così  la  mia  virtù  quivi  mancava. 
Questi  è  divino  spirito ,  che  ne  la 

Via  di  andar  su  ne  drizza  senza  prego, 

E  col  suo  lume  se  medesmo  cela. 
Sì  fa  con  noi  ,  come  1'  ora  si  fa  sego  : 

Che  quale  aspetta  prego ,  e  1'  opo  vede*^. 

Malignamente  già  si  mette  al  nego:         ^ 
Ora  accordiamo  a  t.into  invito  il  piede: 

Procacriani  di  salir  pria  che  si  ahbui:    ^ 

Che  poi  non  si  porla ,  se  il  dì  non  riede. 
Così  disse  il  mio   di:ca,  ed  io  con  lui 

Volgemmo  i  nostri  passi  ad  una  scala: 

E  tosto  che  io  al  primo  grado  fui. 
Sentii  mi  presso  quasi  un  mover  di  ala» 

E  ventarmi  nel  viso,  e  dir:  Beati 

PacIJici,  che  son  senza  ira  mala! 
Già  eran  sopra  noi  tanto  levati 

Li  ultimi  raggi ,  che  la  notte  segue, 

Che  le  stelle  appiirivan  da  più  lati. 
Oh  virtù  mia,  per  che  sì  ti  dilegue? 

Fra  me  stesso  dicca  ,  che  mi  sentiva 

La  possa  delle  gambe  posta  in  tregue. 
Noi  cravam  dove  più  non  saliva 

La  scala  su,  ed  eravamo  affissi 

Pur  come  nave  che  alla  piaggia  arriva: 
Ed  io  attesi  un  poco,  se  io  udissi 

Alctma  cosa  nel  novo  girone  : 

Poi  mi  rivolsi  al  mio  maestro  e  dissi: 
Dolce  mio  padre,  di',  quale  ofTensione 
Si  purga  qui  nel  girou  ,  dove  semo? 

Se  i  pie  si  stanno,  non  stoa  tuo  sermone! 
Ed  egli  a  me  :  h»  amor  del  bene  scemo 

Di  suo  dover  quiritta  si  ristora; 

Qui  si  ribatte  il  mal  t<irdiito  remo. 
Ma  per  clic  più  aperto  intendi  ancora, 

\  olgi  la  mente  a  me ,  e  prenderai 

Alcun  Imi  (in  frutto  di  nostra  dimora. 
Nò  creator ,  nù  creatura  mai, 


"^  Cominciò  ei ,  figlio! ,  fu  senza  amore^ 
O  naturale ,  o  di  animo  ;  e  tu  il  sai. 

Lo  naturai  è  sempre  senza  errore  ; 

Ma  lo  altro  puote  errar  per  malo  obbietto, 
O  per  troppo ,  o  per  poco  di  vigore. 

Mentre  eh'  egli  è  nei  primi  ben  diretto, 
E  nei  secondi  sé  stesso  misura. 
Esser  non  può  cagion  di  mal  diletto. 

Ma  quando  al  mal  sì  torce,  o  con  più  cura, 
0  con  men  che  non  dee,  corre  nel  bene, 
Contra  il  fattore  adopra  sua  fattura. 

Quinci  comprender  puoi,  eh'  esser  conviene 
Amor  sementa  in  voi  di  ogni  virtute, 
E  di  ogni  operazion  che  merta  pene. 

Or  per  che  mai  non  può  dalla  salute 
Amor  del  suo  subbietto  volger  viso. 
Dall'  odio  proprio  son  le  cose  tute; 

E  per  che  intender  non  si  può  diviso, 
I\è  per  sé  stante,  alcuno  esser  dal  primo, 
Da  queir  odiare  ogni  affetto  è  deciso. 

Resta,  se  dividendo  bene  stimo. 

Che  il  mal  che  si  ama,  è  del  prossimo:  ed  esso 
Amor  nasce  in  tre  modi  in  vostro  limo. 

E,  chi  per  esser  suo  vicin  soppresso. 
Spera  eccellenza,  e  sol  per  questo  brama 
Ch'  el  sia  di  sua  grandezza  in  basso  messo. 

E,  chi  podere,  grazia,  onore,  e  fama 
Teme  di  perder ,  per  che  altri  sormonti. 
Onde  si  attrista  sì,  che  il  contraro  ama. 

Ed  è,  chi  per  ingiuria  par  che  adonti. 
Sì  che  si  fa  della  vendetta  ghiotto  ; 
E  tal  convien  che  il  male  altrui  impronfi. 

Questo  triforme  amor  qua  giù  di  sotto 

Si  piange  :  or  vo'  che  tu  dello  altro  intende, 
Che  corre  al  ben  con  ordine  corrotto. 

Ciascun  confusamente  un  bene  apprende, 
Nel  qual  si  quieti  lo  aniuio,  e  desira: 
Per  che  di  giugner  lui  ciascun  contende. 

Se  lento  amor  in  lui  veder  vi  tira, 
O  a  lui  acquistar,  questa  cornice 
Dopo  giusto  pentér  ve  ne  martira. 

Altro  ben  è ,  che  non  fa  1'  om  felice  : 
Xon  è  felicità ,  non  è  la  buona 
Essenzia  di  ogni  ben   frutto  e  radice. 

Lo  amor,  che  ad  esso  troppo  si  abbandona. 
Di  sovra  a  noi  sì  piange  per  tre  cerchi; 
Ma  come  tripartito  si  ragiona, 

T;iccioIo ,  acciò  che  tu  per  te  ne  cerchi. 


^3 


CANTO    XVIIl. 


ARGOMENTO. 

Continuazione ,    e  ilifcxa  del  Ubero    arbitrio.     Ricmpj 
per  corrc^^rcrc  l'  accidia.    Incontro  d'  un  abate. 

l'osto  avrà  fino  al  suo  ragionamento 
liO  alto  dottore ,  ed  attento  guardava 
Nella  mia  vista,  se  io  parca  contento 

Ed  io,  cui  nova  sete  ancor  frugava, 
Di  l'or  taceva,  o  dentro  lUcca  :  for^o 
Lo  troppo  dimandar,  che  in  fo,  li  grava. 


[119J 


PURGATORIO.    (XVIII.  7  —  140) 


Ma  quel  padre  Terace,  che  si  accorse 
Del  timido  voler  che  non  sì  apriva, 
Parlando  di  parlare  ardir  mi  porse. 

Onde  io:  maestro,  il  mio  veder  si  avviva 
Sì  nel  tuo  lume ,  che  io  discerno  cliiaro. 
Quanto  la  tua  ragion  porti  o  descriva. 

Però  ti  prego ,  dolce  padre  caro. 

Che  mi  dimostri  amore ,  a  cui  riduci 
Ogni  buon  operare,  e  il  suo  contraro. 

Drizza,  disse,  ver  me  le  acute  luci 
Dello  intelletto,  e  fleti  manifesto 
Lo  error  dei  ciechi ,  che  si  fanno  duci. 

Lo  animo ,  eh'  è  creato  ad  amar  presto, 
Ad  ogni  cosa  è  mobile  che  piace. 
Tosto  che  dal  piacere  in  atto  è  desto. 

Vostra  apprensiva  da  esser  verace 

Tragge  intenzione,  e  dentro  a  voi  la  spiega, 
Sì  che  lo  animo  ad  essa  volger  face. 

E  se  rivolto  inver  di  lei  si  piega, 
Quei  piegar  è  amor ,  quello  è  natura, 
Che  per  piacer  di  novo  in  voi  si  lega. 

Poi  come  il  foco  movesi  in  altura. 

Per  la  sua  forma ,  eh'  è  nata  a  salire, 
Là  dove  più  in  sua  materia  dura, 

Co^ì  lo  animo  preso  entra  in  disire, 
Ch'  è  moto  spiritale,  e  mai  non  posa 
Fin  che  la  cosa  amata  il  fa  gioire. 

Or  ti  puote  apparer,  quanto  è  nascosa 
La  veritade  alla  gente,  che  avvera 
Ciascuno  amore  in  sé  laudahil  cosa, 

Però  che  forse  appar  la  sua  matera 

Sempr'  esser  buona  ;  ma  non  ciascun  segno 
E  buono  ,  ancor  che  buona  sia  la  cera. 

Le  tue  parole,  e  il  mio  seguace  ingegno, 
Rispos'  io  lui,  mi  hanno  amor  discoverto: 
Ma  ciò  mi  ha  fatto  di  dubbiar  più  pregno: 

Che ,  se  amore  è  di  fore  a  noi  offerto, 
E  r  anima  non  va  con  altro  piede, 
Se  dritto  o  torto  va ,  non  è  suo  merto. 

Ed  egli  a  me:  quanto  ragion  qui  vede, 
Dir  ti  posso  io  :  da  indi  in  là  ti  aspetta 
Pure  a  Beatrice,  eh'  è  opra  di  fede. 

Ogni  forma  sustanzial,  che  setta 
È  da  materia,  ed  è  con  lei  unita, 
Specifica  virtude  ha  in  se  collctta, 

La  qual  senza  operar  non  è  sentita. 
Né  si  dimo»tra,  ma  die  per  effetto. 
Come  per  verde  fronda  in  pianta  vita: 

Pero,  là  onde  vegna  lo  intelletto 
Delle  prime  notizie,  omo  non  sape, 
E  dei  primi  appetibili  lo  affetto. 

Che  sono  in  voi ,  sì  come  studio  in  ape 
Di  far  lo  mele:  e  questa  prima  voglia 
Morto  di  lode,  o  di  biasmo   non  cape. 

Or  per  che  a  questa  ogni  altra  si  raccoglia, 
Innata  vi  é  la  virtù,  che  consiglia, 
E  dello  assenso  dee  tener  la  soglia. 

Qu«>ti  é  il  j)rinci|)io,  là  onde  si  piglia 

Ungion  di  meritare  in  voi ,  secondo  /     ^ 

Clic  buoni  e  r«;i  amori  raccoglie  e  viglia.i'tv^r^f 

Color  che  ragionando  andiuo  al  fondò,    """ 
Si  accorHcr  di  c^ta  inniita  libcrtate: 
Pero  moralità  lasciaro  al  mondo. 
'Onde  poniam  ,  che  di  nccescitate 

Sorga  ogni  amor,  che  dentro  a  voi  si  accende; 
Dì  ritenerlo  é  in   voi  la  potestatc. 

La  nobile  virtù  Beatrice  intende 


[120].! 


Per  lo  libero  arbitrio  ;  e  però  guarda, 

Che  lo  abbi  a  mente ,  se  a  parlar  ten  prende  ! 

La  luna ,  quasi  a  mezza  notte  tarda, 
Facea  le  stelle  a  noi  parer  più  rade. 
Fatta  come  un  secchion  che  tutto  arda. 

E  correa  centra  il  ciel  per  quelle  strade. 

Che  il  sole  infiamma,  allor  che  quel  da  Roma 
Tra  i  Sardi  e  Corsi  il  vede,  quando  cade: 

E  quella  ombra  gentil,  per  cui  si  noma 
Pietola  più  che  villa  Mantovana, 
Del  mio  carcar  diposto  avea  la  soma: 

Per  che  io,  che  la  ragione  aperta  e  piana 
Sovra  le  mie  questioni  avea  ricolta. 
Stava  come  om ,  che  sonnolento  vana. 

Ma  questa  sonnolenza  rui  fu  tolta 
Subitamente  da  gente ,  che  dopo 
Le  nostre  spalle  a  noi  era  già  volta. 

E  quale  Ismene  già  vide  ed  Asopo, 
Lungo  di  sé  di  notte  furia  e  calca. 
Pur  che  i  Teban  di  Bacco  avésser  opo; 

Tale  per  quel  giron  suo  passo  falca, ;  '-    ,"  - 

Per  quel  che  io  vidi  di  color  venendo,         .  ''/ 
Cui  buon  volere  e  giusto  amor  cavalca. 

Tosto  fur  sovra  noi  :  per  che  correndo 
Si  movea  tutta  quella  turba  magna, 
E  due  dinanzi  grìdavan  piangendo: 

Maria  corse  con  fretta  alla  montagna: 
E  Cesare ,  per  soggiogare  Ilerda, 
Punse  Marsilia/  e  poi  corse  in  Ispagna. 

Ratto  ratto ,  che  il  tempo  non  si  perda 
Per  poco  amor!  gridavan  li  altri  a  presso. 
Che  studio  di  ben  far  grazia  rinverda. 

Oh  gente ,  in  cui  fervore  acuto  adesso 
Ricompie  forse  negligenza  e  indugio 
Da  voi  per  tiepidezza  in  ben  far  messo: 

Questi,  che  vive  (e  certo  io  non  vi  bugio) 
Vuole  andar  su ,  pur  che  il  sol  ni"  riluca  : 
Però  ne  dite,  ond'  è  presso  il  pertugio  ! 

Parole  furon  queste  del  mio  duca: 

Ed  un  di  quelli  spirti  disse:  vieni  ì 

Diretro  a  noi ,  che  troverai  la  buca.  '  / 

Noi  siam  di  voglia  a  moverci  sì  pieni,  ' 

Che  ristar  non  potem  :  però  perdona^ 
Se  villania  nostra  giustizia  tieni  ! 

Io  fui  abate  in  San  Zeno  a  Verona  ; 
Sotto  lo  imperio  del  buon  Barbarossa, 
Di  cui  dolente  ancor  Melan  ragiona  : 

E  tale  ha  già  lo  un  piede  entro  la  fossa. 
Che  tosto  piangerà  quel  monistero, 
E  tristo  fia  di  avervi  avuta  possa. 

Per  che  suo  figlio  mal  del  corpo  intero, 
E  della  mente  peggio ,  e  che  mal  nacque, 
Ila  posto  in  loco  di  suo  pastor  vero. 

Io  non  so  s'  el  più  disse,  o  s'  el  si  tacque, 
Tanto  era  già  di  là  da  noi  trascorso  : 
Ma  questo  intesi ,  e  ritener  mi  piacque* 

E  quei  che  mi  era  ad  ogni  opo  soccorso, 
Disse:  volgiti  in  qua!  vedine  due 
Air  accidia  venir  dando  di  morso! 

Diretro  a  tutti  dicean  :  prima  fue 

Morta  la  gente,  a  cui  il  mar  si  aperse. 
Che  vedesse  Giordan  le  rede  sue. 

E  quella  ,  che  lo  all'anno  non  soU'ersc 
Fino  alla  fine  col  fìgliol  di  Anchisc, 
Sé  stessa  a  vita  san/a  gloria  offerse. 

Poi  quando  fur  da  noi  tanto  divise 

Quelle  ombre  >  che  veder  più  non  potersi. 


121] 


PURGATORIO.  (XVIir.  141—145.  XIX.  1—116) 


[122] 


Novo  pensier  dentro  da  me  si  mise, 
)el    qual  più  altri  nacquero  e  diversi  : 
E  tanto  di  uno  in  altro  vaneggiai, 
Che  li  ocelli  per  vaghezza  ricopersi, 
S  il  pensamento  in  sogno  trasmutai. 


CANTO    XIX. 


ARGOMENTO. 

jp'^isione.  Salita  al  quinto  balzo,  ove  si  purga  F 
Tizia.   Papa  Adriano  T . 

fella  ora  che  non  può  il  calor  diurno 
Intepidar  più  il  freddo  della  luna, 
Tinto  da  terra,  o  talor  da  Saturno, 

Quando  i  geomanti  lor  maggior  fortuna 
Veggiono  in  oriente  innanzi  all'  alba 
Surger  per  via,  che  poco  le  sta  bruna, 

Mi  venne  in  sogno  una  femmina  balha, 
Nelli  occhi  guercia ,  e  sovra  i  pìe^distorta, 
Con  le  manlhonche,  e  di  colore  scialba. 

Io  la  mirava:  e  come  il  sol  conforta 
Le  fredde  membra ,  che  la  notte  aggrava, 
Così  lo  sguardo  mio  le  facea  scorta  i 

La  lingua,  e  poscia  tutta  la  drizzava 
In  poco  di  ora ,  e  lo  smarrito  volto, 
Come  amor  vuol ,  così  le  colorava. 

Poi  eh'  eir  avea  il  parlar  così  disciolto, 
Cominciava  a  cantar  sì,  che  con  pena 
Da  lei  avrei  mio  intento  rivolto. 

lo  son ,  cantava ,  io  son  dolce  sirena, 
Che  i  marinari  in  mezzo  il  mar  dismago  ; 
Tanto  S(m  di  piacere  a  sentir  piena. 

Io  trassi  Ulisse  dal  suo  cammin  vago 
Al  canto  mio:  e  qual  meo  si  ausa, 
Rado  sen  parte,  sì  tutto  lo  appago. 

Ancor  non  era  sua  bocca  ri(-hiusa, 

Quando  una  donna  apparve  santa  e  presta 
Lunghesso  me,  per  far  colei  confusa. 

Oh  Virgilio,  Virgilio,  chi  è  questa? 
Fieramente  dicca;  ed  el  venia 
Con  li  occhi  fitti  pure  in  quella  onesta. 

L'  altra  prendeva,  e  dinanzi  1'  apria. 

Fendendo  i  drappi,  e  mostravami  '1  ventre: 
Quel  mi  svegliò  col  puzzo  che  ne  uscia. 

Io  volsi  li  occhi  al  bu<m  maestro  ;  e  mentre 
Vociò,  come  dicesse:  eurgi,  e  vieni! 
Troviam  la  porta,  per  la  qual  tu  cntre! 

Su  mi  levai  :  e  tutti  eran  già  pieni 
Dello  alto  dì  i  giroii  del  sacro  monte. 
Ed  andavam  cui  sol  novo  alle  reni. 

Seguendo  lui  portala  la  mia  fronte, 

Come  colui,  che  l'  ha  di  pensier  carca,' 
('he  fa  di  sé  un  mezzo  arco  di  ponte. 

Quando  io  udii:  venite,  qui  si  %arca, 
i'arlarc  in  modo  soave  e  benigno, 
Qual  non  si  sente  in  questa  mortai  marca. 

Con  lo  ali  aperte,  che  pareau  di  cigno, 
Volseci  in  su  colui,  che  sì  |)ai'lonne, 
Tra  ì  due  pareti  del  duro  luiicigno. 

Mosso  lo  penne  poi,  o  ventilonne. 


ava- 


Qui  higent,  affermando  esser  beati. 
Che  avran  di  consolar  le  anime  donne. 
Che  hai,  che  pure  in  ver  la  terrra  guati? 
La  guida  mia  incominciò  a  dirmi. 
Poco  ambo  e  due  dallo  angel  sormontati. 
Ed  io  :  con  tanta  sospcccion  fa  irmi 
Novella  vision ,  che  a  sé  mi  piega, 
Sì  che  io  non  posso  dal  pensar  partirmi. 
Vedesti,  disse,  qucll'  antica  strega. 
Che  sola  so^ra  noi  ornai  si  piagne? 
Vedesti,  come  1'  om  da  lei  si  slega? 
Bastiti,  e  batti  a  terra  le  calcagne! 
Li  occhi  rivolgi  al  Indoro,  che  gira 
Lo  rege  eterno  con  le  rote  magne! 
Quale  il  falcon,  che  prima  ai  pici  si  mira, 

Indi  si  volge  al  grido,  e  si  protende 

Per  lo  disio  del  pasto,  che  là  il  tira, 
Tal  mi  fec'  io:  e  tal,  quanto  si  fende 

La  roccia  per  dar  via  a  chi  va  suso. 

Ne  andai  inSn  dove  il  cerchiar  si  prende. 
Come  io  nel  quinto  giro  fui  dischiuso. 

Vidi  gente  per  esso,  clie  piangea. 

Giacendo  a  terra  tutta  volta  in  giuso. 
Adhacsit  pavimento  anima  mca, 

Sentii  dir  lor  con  sì  alti  sospiri, 

Che  la  parola  a  pena  s'  intendea. 
Oh  eletti  di  dio ,  li  cui  solTriri 

E  giustizia  e  speranza  fan  men  duri. 

Drizzate  noi  verso  li  alti  saliri  ! 
Se  voi  venite  dal  giacer  sicuri, 

E  volete  trovar  la  \ia  più  tosto, 

Le  vostre  destre  sien  sempre  di  furi! 
Così  pregò  il  poeta,  e  sì  risposto 

Poco  dinanzi  a  noi  ne  fu;  per  che  io 

Nel  parlare  avvisai  lo  altro  nascosto: 
E  volsi  li  occhi  alli  occhi  al  signor  mio  ; 

Ond'  egli  mi  assentì  con  lieto  cenno 

Ciò,  che  chiedea  la  vista  del  disio. 
Poi  che  io  potei  di  me  fare  a  mio  senno, 

Trassimi  sopra  quella  creatura. 

Le  cui  parole  pria  notar  mi  fenno. 
Dicendo:  spirto,  in  cui  pianger  matura 

Quel ,  sanza  il  quale  a  dio  tornar  non  pnossi. 

Sosta  un  poco  per  me  tua  maggior  cura! 
Chi  fosti,  e  per  che  volti  avete  i  dossi 

Al  su,  mi  di',  e  se  vuoi  che  io  t'  impetri 

Cosa  di  là ,  onde  io  vivendo  nios»i  ! 
Ed  egli  a  me:  per  che  i  nostri  diretri 

Rivolga  il  cielo  a  sé,  saprai;  ma  prima 

Scias ,  quod  cfio  fui  succcssor  Pctri. 
Intra  Siestri  e  Cliiaveri  si  adima 

Una  fiumana  beila,  e  del  suo  nome 

Lo  titol  del  mio  sangue  fa  sua  cima. 
Un  mese  e  poco  più  prova'  io  ,  «oiiic 

Pesa  il  gran  manto  a  «hi  dal  fango  il  guarda: 

Che  piuma  sciiibran  tutte  le  ali  re  some. 
La  mia  com fusione,  oiiiè!  fu  t.irda; 

Ma  come  fatto  fui  ronian  pastore, 

(]osì  scopersi  la  vita  bugiarda. 
Vidi,  che  lì  non  si  a(-(|U(^ta>a  il  core. 

Né  più  salir  potca.-i    in   quella  >ita; 

Per  che  di  questa  in  me  si  acceso  umore. 
Fino  a  ((ui'l  punto  uli^era  o  partita 

Da  dio  aiiiiii.i  fui,  del  tutti»  a>ara: 

Or,  collie  ^eili,  qui  ne  son  punita. 
Quel  che  avarizia  fa,  qui  .si  dichiara 

Li  purguzion  dello  anime  converse  : 


[123] 


PURGATORIO.    (XIX.  117— 145.  XX.  1  —  021 


E  nulla  pena  il  monte  ha  più  amara. 

Sì  come  r  occhio  nostro  non  si  aderse 
In  alto ,  fisso  alle  cose  terrene, 
Cosi  gùistizia  qni  a  terra  il  merse. 

Come  avarizia  spense  a  ciascun  bene 
Lo  nostro  amore,  onde  opera  perdési, 
Così  {jiustizia  qui  stretti  ne  tiene 

Kei  piedi  e  nelle  man  legati  e  presi, 
li  quanto  fia  piacer  del  giusto  sire, 
Tanto  staremo  immobili  e  distesi. 

Io  mi  era  inginocchiato,  e  volea  dire; 
Ma  come  io  incominciai ,  ed  el  si  accorse, 
Solo  ascoltando ,  del  mio  riTerire, 

Qual  cagion,  disse,  in  giù  così  ti  torse? 
Ed  io  a  lui  :  per  vostra  dignitate 
Mia  coscicnzia  dritta  mi  rimorse. 

Drizza  le  gambe,  e  levati  su,  frate! 
Rispose:  non  errar!  che  servo  sono 
Teco  e  con  li  altri  ad  una  potestate. 

Se  mai  quel  santo  evangelico  sono. 
Che  dice  ncque  nubcnt ,  intendesti, 
Ben  puoi  veder ,  per  che  io  così  ragiono. 

Vattene  ornai!  non  vo'  che  più  ti  arresti. 
Che  la  tua  stanza  mio  pianger  disagia, 
Col  qual  maturo  ciò  che  tu  dicesti. 

Kipote  ho  io  di  là ,  che  ha  nome  Alagia, 
Buona  da  sé ,  pur  che  la  nostra  casa 
Non  faccia  lei  per  esempio  malvagia: 

E  questa  sola  mi  è  di  là  rimasa. 


CANTO    XX. 


ARGOMENTO. 

Escmp)  di  povertà ,    liberalità  ed  avarizia.     Ugo   Cia- 
petta.     Tremuoto  del  monte.    Canto  degli  spirili. 

Contra  miglior  voler  voler  mal  pugna; 

Onde  contra  il  piacer  mio ,  per  piacerli, 

Trassi  dell'  acqua  non  sazia  la  spugna. 
Mossimi ,  e  il  duca  mio  si  mosse  per  li 

liochi  spediti  pur  lungo  la  roccia. 

Come  si  va  per  nuiro  stretto  ai  merli: 
Che  la  gente,  che  fonde  a  goccia  a  goccia 

Per  li  occhi  '1  mal  che  tutto  il  mondo  oc<;iips, 

Dall'  altra  parte  in  for  troppo  si  approccia. 
Maladetta  sic  tu,  antica  lupa, 

Che  più  die  tutte  le  altre  bestie  hai  preda 

Per  la  tua  famii  ganza  line  cupa! 
Oh  ciel,  nel  cui  girar  par  che  si  creda 

Le  condi/ion  di  qua  giù  trasmutarsi, 

Quando  verrà  per  cui  questa  disceda? 
Koi  and.ivam  coi  passi  lenti  e  scarsi, 

Ed  io  attento  alle  ombre,  che  io  sentia 

rietosamcntc  piangere  e  lagnarsi; 
E  per  ventura  lulii  :  dolce  Maria, 

Dinanzi  a  noi  chi.unar  così  nel  pianto, 

C>(»me  fa  donna,  che  in  partorir  eia, 
E  seguitar:  povera  fosti  tanto, 

Quanto  veder  si  può  per  quell'  ospizio. 

Ove  sponcsti  '1  tuo  portato  santo. 
Seguentemente  intci>i:  oh  buon  Fabbrlzio^ 


iy^3é 


Con  povertà  volesti  anzi  virtute. 

Che  gran  ricchezza  posseder  con  vizio. 

Queste  parole  mi  eran  si  piaciute. 

Che  io  mi  trassi  oltre,  per  aver  contezza, 
Di  quello  spirto,  onde  parean  venute. 

Esso  parlava  ancor  della  larghezza, 
Che  fece  Niccolao  alle  pulcelle. 
Per  condurre  ad  onor  lor  giovinezza. 

Oh  anima,  che  tanto  ben  favelle, 

Dimmi  chi  fosti,  dissi,  e  per  che  sola 
Tu  queste  degne  lode  rinnovelle? 

Non  fia  senza  mercè  la  tua  parola. 

Se  io  ritorno  a  compier  lo  cammin  corto 
Di  quella  vita ,  che  al  termine  vola. 

Ed  egli  :  io  ti  dirò ,  non  per  conforto. 
Che  io  attenda  di  là ,  ma  per  che  tanta 
Grazia  in  te  luce  prima  che  sie  morto. 

Io  fui  radice  della  mala  pianta,   ' 
Che  la  terra  cristiana  tutta  aduggia. 
Sì  che  buon  frutto  rado  se  ne  schianta. 

Ma  se  Doagio,  Guanto,  Lilla,  e  BVuggla 
Potesser ,  tosto  ne  saria  vendetta  ; 
Ed  io  la  cheggio  a  lui  che  tutto  giuggia. 

Chiamato  fui  di  là  Ugo  Ciapetta: 
Di  me  son  nati  i  Filippi  e  i  Luigi 
Per  cui  novellamente  è  Francia  retta. 

Figliol  fui  di  un  beccajo  di  Parigi.        •.re^^^CK' 
Quando  li  regi  antichi  venner  meno 
Tutti ,  for  che  un  redatto  in  panni  bigi, 

Trovami  stretto  nelle  mani  il  freno 
Del  governo  del  regno ,  e  tanta  possa 
Di  novo  acquisto ,  e  sì  di  amici  pieno, 

Che  alla  corona  vedova  promossa 
La  testa  di  mio  figlio  fu,  dal  quale 
Cominciar  di  costor  le  sacrate  ossa. 

Mentre  che  la  gran  dote  provenzale 
Al  sangue  mio  non  tolse  la  vergogna, 
Poco  valea ,  ma  pur  non  facea  male. 

Lì  cominciò  con  forza  e  con  menzogna 
La  sua  rapina,  e  poscia  per  ammenda 
Ponti ,  e  Normandi  prese  e  la  Guascogna. 

Carlo  venne  in  Italia,  e  per  ammenda 
Vittima  fé  di  Curradino ,  e  poi 
Uispinse  al  ciel  Tommaso  per  ammenda. 

Tempo  \eg<^^  io  non  molto  dopo  ancoi, 
VAie  tragge  un  altro  Carlo  for  di  Francia, 
Per  far  conoscer  meglio  e  sé,  e  i  suoi. 

Senz'  arme  n'  esce,  e  solo  con  la  lancia, 
Con  la  qual  giostrò  Giuda,  e  quella  pont<| 
Sì,  che  a  Fiorenza  fa  scoppiar  la  pancia. 

Quindi  non  terra  ,  ma  peccato  ed  onta 
Guadagnerà  perse,  tanto  più  grave, 
Quanto  più  lieve  sìmil  danno  conta. 

Lo  altro  che  già  uscì ,  preso  di  nave, 

Veggio  vender  sua  figlia,  e  patteggiarne. 
Come  fanno  i  corsar  delle  altre  schiave. 

Oh  avarizia  ,  che  puoi  tu  più  farne. 

Poi  che  hai  '1  sangue  mio  a  te  sì  tratto. 
Che  non  si  cura  della  propria  carne? 

Per  che  men  paja  il  mal  futuro  e  il  fatto. 
Veggio  in  Alagna  entrar  lo  fiordaliso, 
E  nel  vicario  suo  Cristo  esser  catto; 

Veggiolo  un'  altra  volta  esser  derìso; 
A  eggio  rinnovellar  lo  aceto  e  il  fele, 
E  tra  vivi  ladroni  essere  ancìso. 

VegL'i"  il  novo  Pilato  sì  crudele, 

Che  ciò  noi  sazia,  ma  senza  decreto 


1 


I 


125] 


PURGATORIO.    (XX.  93  — 151.   XXI.  1  —  59) 


[126] 


Porta  nel  tempio  le  cupide  Tel*». 

)h  signor  mio,  quando  sarò  io  lieto 
A  veder  la  vendetta ,  che  nascosa 
Fa  dolce  la  ira  tua  nel  tuo  segreto  ? 

Dio  che  io  dicea  di  quella  unica  sposa 
Dello  spirito  santo ,  e  che  ti  fece  i 

Verso  me  \olger  per  alcuna  chiosa,  '^V^v;,"'-^ 

fanto  è  disposto  a  tutte  nostre  prece. 
Quanto  il  di  dura  :  ma  quando  si  annotta, 
Contrario  suon  prendemo  in  quella  vece, 
oi  ripetiam  Pigmalione  allotta, 
Cui  traditore ,  e  ladro ,  e  patricida 
Fece  la  voglia  sua  dell'  oro  ghiotta  ;    ' 

S  la  miseria  dello  avaro  Mida, 
Che  seguì  alla  sua  dimanda  ingorda, 
_Fer  la  qual  sempre  convicn  che  si  rida. 

Del  folle  Ac.im  ciascun  poi  si  ricorda. 
Come  furò  le  spoglie,  sì  che  la  ira 
Di  Giosuè  qui  par  che  ancor  lo  morda. 

[ndi  accusiam  col  marito  Safira  : 
Lodiamo  i  calci  eh'  ebbe  Eliodoro, 
Ed  in  infamia  tutto  il  monte  gira 
olinestor,  che  ancise  Polidoro: 
Ultimamente  ci  si  grida  :  Crasso, 
Dicci,  che  il  sai,  di  che  sapor  è  1'  oro! 

Talor  parliam  lo  un  alto ,  e  lo  altro  basso, 

Secondo  T  aJFezion,  che  a  dir  ci  sprona 

Ora  a  maggioi-e  ed  ora  a  minor  passo. 

Però  al  ben,  che  il  dì  ci  si  ragiona, 
Dianzi  non  era  io  sol  :  ma  qui  da  presso 
Non  alzava  la  voce  altra  persona. 

Noi  eravam  partiti  già  da  esso, 

E  hrigavam  di  soverchiar  la  strada 
Tanto,  quanto  al  poter  n'  era  permesso, 

Qaando  io  sentii,  come  cosa  che  cada. 
Tremar  lo  monte:  onde  mi  prese  im  gelo, 
Qual  prender  suol  colui  ,  che  a  morte  vada. 

Certo  non  si  scotea  sì  forte  Delo, 

Pria  che  Latnna  in  lei  facesse  il  nido, 
A  parturir  li  due  occhi  del  ciclo. 

Poi  cominciò  da  tutte  parti  un  grido 
Tal,  che  il  maestro  inver  di  me  si  feo. 
Dicendo:  non  dublnar,  mentre  io  ti  guido! 

Ghria  in  excebis  tutti  Deo 

Dicean ,  per  quel  che  io  da  vicìn  compresi. 
Onde  intender  lo  grido  si  poteo. 

Noi  ci  rcstamnu»  immobili  e  sospesi, 

Come  i  pastor,  che  prima  udir  quel  canto. 
Fin  che  il  tremar  cessò ,  ed  el  compiési. 

Poi  ripigliammo  nostro  cammin  santo. 

Guardando  le  ombre  che  giacean  per  terra» 
Tornate  già  in  su  lo  u<^ato  pianto. 

Nulla  ignoranza  mai  con  tanta  guerra 
Mi  fé  desideroso  di  sapere. 
Se  la  memoria  mia  in  ciò  non  erra. 

Quanta  pareami  allor  pensando  avere: 
Né  per  la  fretta  dimandare  era  oso. 
Né  per   me  li   potea  cosa  vedere: 

Così  mi  andava  timido  e  peosutjo. 


CANTO    XXI. 

ARGOMENTO. 

Il  poeta  Stazio. 

La  sete  naturai ,  che  mai  non  sazia 

Se  non  con  1'  acqua,  onde  la  femminetta 
Sammaritana  dimandò  la  grazia, 

Mi  travagh"ava,  e  pungeami  la  fretta 

Per  la  impacciata  via  dietro  al  mio  duca, 
E  condoleumi  alla  giusta  vendetta. 

Ed  ecco ,  si  come  ne  scrive  Luca, 

Che  Cristo  apparve  ai  duo  eh'  erano  in  via. 
Già  surto  for  della  sepulcral  buca, 

Ci  apparve  una  ombra;  e  dietro  a  noi  venia, 
Da  pie  guardando  la  turba  che  giace: 
j\'è  ci  addemmo  di  lei ,  sì  parlò  pria. 

Dicendo  :  frati  miei ,  dio  vi  dea  pare  ! 
Noi  ci  volgemmo  subito,  e  Virgilio 
Rendè  lui  '1  cenno  che  a  ciò  si  conface, 

Poi  cominciò  :  nel  beato  concilio 
Ti  ponga  in  pace  la  verace  corte. 
Che  me  rilega  nello  eterno  esilio! 

Come,  diss'  egli,  e  parte  andavam  forte, 
Se  voi  siete  ombre ,  che  dio  su  non  degni, 
Chi  vi  ha  per  la  sua  scala  tanto  scorte? 

E  il  dottor  mio:  se  tu  riguardi  i  segni 
Che  questi  porta ,  e  che  lo  angel  profGIa, 
Ben  vedrai ,  che  coi  buon  convien  eh'  ci  regni. 

Ma  per  che  Lachesì ,  che  dà  le  fila, 
Non  li  avea  tratta  ancora  la  conocchia, 
Che  Cloto  impone  a  ciascuno ,  e  compila, 

L'  anima  sua,  eh'  è  tua  e  mia  sirocchia, 
Venendo  su,  non  potea  venir  sola. 
Però  che  al  nostro  modo  non  adocchia. 

Onde  io  fui  tratto  for  dell'  ampia  gola 
D'  inferno  per  mostrarli ,  e  mostrerolli 
Oltre,  quanto  il  potrà  menar  mia  scola. 

Ma  dinne,  se  tu  sai,  per  che  tai  crolli 

Die'  dianzi  'I  monte,  e  per  che  tutti  ad  una 
Parve  gridare,  inlìno  ai  suoi  piò  molli? 

Si  mi  die',  dimandando,  per  la  cruna 
Del  mio  disio,  che  pur  con  la  s(>eranza 
Si  fece  la  mia  sete  men  digiuna. 

Quei  cominciò  :  cosa  non  è ,  che  ganza 
Ordine  senta  la  religione 
Della  montagna,  o  che  sia  for  di  usanza. 

Libero  è  qui  da  ogni  alterazione: 

Di  quel  che  il  ciel  da  sé  in  sé  riceve, 
Esserci  puote ,  e  ncm  di  altro  cagione. 

Per  che  non  pioggia,  non  grando,  non  neve, 
Non  rugiada,  non  brina  più  su  cade. 
Che  la  scaletta  dei  tre  gradi  breve. 

Nuvole  spesse  non  pajon ,  né  rade. 
Né  corruscar,  né  figlia  di   TitiMnante, 
Che  di  là  cangia  sovente  «-.ontrade. 

Serro  vapor  non  surge  più  avante, 

('he  al  sonuno  dei  tre  gradi  ,  che  io  parlai, 
Dove  ha  il  vicario  di  l'ietro  le  piante. 

Trema  forse  più  (l'in  poco,  od  assai: 
]\la  per  vento  che  in  terra  si  nasconda. 
Non  so  come,  qua  su  non  trema  mai: 

Tremaci,  quando  alcun'  anima  monda 
Si  beute,  bì  che  turga,  u  che  bi  mova 


[12T] 


PURGATORIO.     (XXL  60  —  136.  XXII.  1  —  44) 


[128]  J  li 


Per  salir  sn ,  e  tal  grido  seconda. 
Della  mondizia  il  sol  voler  fa  prova, 
Che  tutto  libero  a  mutar  convento 
L'  alma  sorprende ,  e  di  voler  le  giova. 
Prima  vuol  ben  ;  ma  non  lascia  il  talento, 
Che  divina  giustizia  contra  voglia, 
Come  fu  al  peccar,  pone  al  tormento. 
Ed  io  che  son  giiiciuto  a  questa   doglia^^ 
Cinquecento  anni  e  più,  pur  mo  sentii 
Lìbera  volontà  di  miglior  soglia. 
Però  sentirti  '1  tremoto,  e  li  pii 
Spiriti  per  lo  monte  render  lode 
A  quel  signor,  che  tosto  su  1'  invii. 
Cosi  li  disse:  e  però  che  si  gode 

Tanto  del  ber,  quanto  è  grande  la  sete, 
Non  saprei  dir  quanto  el  mi  fece  prode. 
E  il  savio  duca:  omai  veggio  la  rete 
Che  qui  vi  piglia,  e  come  si  scalappia, 
Per  che  ci  trema ,  e  di  che  congaudete. 
Ora  chi  fosti ,  piacciati  che  io  sappia, 
E  per  che  tanti  secoli  giaciuto 
Qui  sei,  nelle  parole  tue  mi  cnppia! 
ISel  tempo  che  il  buon  Tito,  con  lo  ajuto 
Del  sommo  rege  vendicò  le  fora 
Onde  uscì  '1  sangue  per  Giuda  venduto. 
Col  nome  che  più  dura  e  più  onora, 
Era  io  di  là,  rispose  quello  spirto. 
Famoso  assai,  ma  non  con  fede  ancora. 
Tanto  fu  dolce  mio  vocale  spirto, 
Che  Tolosano  a  sé  mi  trasse  Roma, 
Dove  merlai  le  tempie  ornar  di  mirto. 
Stazio  la  gente  ancor  di  là  mi  noma: 

Cantai  di  Tebe,  e  poi  del  grande  Achille: 
Ma  caddi  'n  via  con  la  seconda  soma. 
Al  mio  ardor  fùr  seme  le  f<i\ille. 

Che  mi  scaldar,  della  divina  fiamma. 
Onde  sono  allumati  più  di  mille  : 
Della  Eneida  dico ,  la  qual  mamma 
Furami ,  e  furami  nutrice  poetando  : 
Sanza  essa  non  fermai  peso  di  dramma. 
E  per  esser  vivuto  di  là ,  quando 
Visse  Virgilio,  assentirei  un  sole 
Più ,  che  i(»  non  deggio ,  al  mio  uscir  di  bando. 
Volser  Virgilio  a  me  queste  parole 
Con  viso,  che  tacendo  dicea:  Taci! 
Ma  non  può  tutto  la  virtù  che  vuole; 
Che  riso  e  pianto  son  tanto  seguaci 
Alla  passion,  da  che  ciascun  si  epicca, 
Che  inen  seguon  voler  nei  più  veraci. 
Io  pur  sorrisi,  come  1'  om  che  ammicca: 
Per     che  la  ombra  si  tacque,  e  riguardommi 
Nelli  occhi ,  ove  il  sembiante  più  si  ficca. 
£ ,  se  tanto  lavoro  in  bene  assommi. 
Disse,  j)er  che  la  faccia  tua  testeso 
Ln  lampf'<rgiiir  di  riso  dimostrommi? 
Or  son  io  da  una  parte  e  d'  altra  preso: 
La  una  mi  fa  tacer ,  T  altra  scongiura, 
Che  io  dica;  onde  io  sospiro,  e  sono  inteso. 
Di',  il  mio  maestro ,  e  non  aver  paura. 
Mi  disse,  di  parlar,  ma  parla,  e  digli 
Quel  cir  «1  diuianda  con  cotanta  cura! 
Onde  io  :  forse  che  tu  ti  maravigli. 
Antico  spirto,  del  rìder  che  io  fei: 
Ma  più  di  anmiirazìon  vo',  che  ti  pigli. 
Questi,  che  guida  in  allo  li  occhi  miei, 
E  quel  ^irgilio,  dal  qual   tu  togliesti 
Forze  a  cantar  dclli   omini  e  dei  dei. 


Se  cagione  altra  al  mio  rider  credesti. 
Lasciala  per  non  vera  esser,  e  credi 
Quelle  parole,  che  di  lui  dicesti! 

Già  s'  inchinava  ab  abbracciar  li  piedi 
Al  mio  dottor:  ma  quei  li  disse:  frate, 
IVon  far!  che  tu  sei  ombra,  ed  ombra  vedi. 

Ed  ei  surgendo:  or  puoi  la  quantitate 

Comprender  dello  amor  che  a  te  mi  scalda, 
Quando  dismento  nostra  vanitale, 

Trattando  le  ombre  come  cosa  salda. 


CANTO    XXII. 


ARGOMENTO.  \ 

Sesto  balzo:  i  golosi.     Continua  Stazio.     Albero  nu's-^ 
tico.    Esempj  di  sobrietà,  -, 

\ 

Già  era  lo  angel  dicti'O  a  noi  rìmaso,  ; 

Lo  angel,  che  ne  avea  volti  al  sesto  giro,  j 

Avendomi  dal  viso  un  colpo  raso,  i 

E  quei  che  hanno  giustizia  in  lor  disiro. 

Dello  ne  avean  Beati,  e  le  sue  voci. 

Con  sltiunt  senz'  altro  ciò  fornirò, 
Ed  io  più  lieve  che  per  le  altre  foci, 

Mi  andava  sì,  che  senz'  alcun  labore 

Seguiva  in  su  li  spix-iti  veloci  : 
Quando  Virgilio  cominciò:  amore 

Acceso  di  virtù  sempre  altro  accese, 

Pur  che  la  fiamma  sua  paresse  fore. 
Onde  dalla  ora,  che  tra  noi  discese 

Nel  limbo  dello  inferno  Giovenale, 

Che  la  tua  afFezion  mi  fé  palese, 
Mia  benvoglienza  inverso  te  fu ,  quale 

Più  strinse  mai  di  non  vista  persona; 

Sì  che  or  mi  parran  corte  queste  scale. 
Ma  dimmi,  e  come  amico  mi  perdona. 

Se  troppa  sicurtà  mi  allarga  il  freno, 

E  come  amico  omai  meco  ragiona: 
ICome  poléo  trovar  dentro  al  tuo  seno 
j     Loco  avarizia  tra  cotanto  senno, 

Di  quanto  per  tua  cura  fosti  pieno? 
I  Queste  parole  Stazio  mover  fenno 
j      Ln  poco  a  riso  pria;  poscia  rispose: 
!      Ogni  tuo  dir  di  amor  mi  è  caro  cenno. 
Veramente  più  volte  appajon  cose. 

Che  danno  a  dubitar  falsa  matera. 

Per  le  vere  cagion  che  sono  ascose. 
La  tua  dimanda  tuo  creder  mi  avvera 

Esser,  che  io  fossi  avaro  in  T  altra  vita, 

Forse  per  quella  cerchia,  dove  io  era. 
Or  sappi ,  che  avarizia  fu  partita 

Troppo  da  me;  e  questa  dismisora 

Miglìfìja  di  lunari  hanno  punita. 
E  se  non  fosse,  che  io  drizzai  mia  cura. 

Quando  io  intesi  là  dove  tu  chiame 

Crocciato  quasi,  alla  umana  natura. 
Per  che  non  reggi  tu ,  oh  sacra  fame 

Dell'  oro ,  lo  appetito  dei  mortali  ? 

^  oliando  sentirei  le  gi(»stre  grame. 
Allor  mi  accorsi ,  che  troppo  aprir  le  ali 

Potean  le  mani  a  spendere,  e  pentémi 


yL29] 


PURGATORIO.     (XXn.  45-154.  XXIII.  1  -  12) 


Cosi  di  quel ,  come  dellì  altri  mali, 
janti  rlsiirgeran  coi  crini  scemi 
Per  la  ip^noranza ,  che  di  questa  pecca 
Toglie  il  penttr  rivendo ,  e  nelli  estremi  ! 
sappi  che  la  colpa ,  che  rimbecca 
Per  dritta  opposizione  a!cun  peccato, 
Con  CiSfiO  insieme  qni  suo  verde  secca. 
;rò  se  io  son  tra  quella  gente  stato 
Che  piange  1'  avarizia ,'  per  purgarmi 
Per  lo  contrario  suo  mi  è  incttntrato. 
r  quando  tu  cantasti  le  crude  armi 
Della  doppia  tristizia  di  Giocasta, 
Disse  il  cantor  dei  bucolici  carmi, 
er  quel  che  Clio  li  con  tcco  tasta. 
Non  par  che  ti  facesse  ancor  fedele 
La  fé,  senza  la  qual  ben  far  non  basta. 
B  così  è,  qual  sede,  o  qiiai  candele 
Ti  stencbraron  sì ,  che  tu  drizzasti 
Poscia  diretro  al  pescator  le  vele  ? 
d  egli  a  lui:  tu  prima  m'  inviasti 
Verso  Parnaso  a  ber  nelle  sue  grotte, 
E  prima  a  presso  dio  mi  alluminasti, 
acesti  come  quei  che  va  di  notte. 
Che  porta  il  lume  dietro ,  e  a  sé  non  giova, 
Ma  dopo  sé  fa  le  persone  dotte, 
•uandu  dicesti  :  secol  si  rinnova. 
Toma  giustizia,  e  primo  tempo  umano, 
E  progenie  discende  dal  ciel  nova, 
er  te  poeta  fui,  per  te  cristiano. 
Ma  per  che  veggi  mei  ciò  che  io  disegno, 
A  colorar  distenderò  "la  mano. 

ria  era  il  mondo  tutto  quanto  pregno 
Della  vera  credenza,  seminata 
Per  li  messaggi  dello  eterno  regno, 
la  parola  tua  sopra  toccata 
Si  consonava  ai  novi  predicanti, 
Onde  io  a  visitarli  presi  usata. 

^ennermi  poi  parendo  tanto  santi, 
Che,  quando  Domizian  li  pcrseguette, 
Senza  mio  lacrimar  non  fur  lor  pianti. 

']  mentre  che  di  là  ])er  me  si  stette. 
Io  li  sovvenni,  e  lor  dritti  costumi 
Fcr  dispregiare  a  me  tutte  altre  sette. 

i  pria  che  io  conducessi  i  Greci  ai  fiumi 
Di  Tebe  poetando,  ebh'  io  battesmo; 
Ma  per  paura  chiuso  Cristian  fumi, 

jungamentc  mostrando  pagauesmo; 
E  questa  tepidezza  il  quarto  cerchio 
Cercar  mi  fé  più  che  il  quarto  centesmo. 

Fu  dunque,  che  levato  hai  '1  coperchio. 
Che  mi  ascondeva  quanto  bene  io  dico. 
Mentre  che  del  salire  avém  soperchio. 

Dimmi ,  dov'  è  Terenzio  nostro  antico, 
Cecilio,  IMauto,  e  Varrò,  se  lo  sai? 
Dimmi,  se  son  dannati,  ed  in  qual  vico? 

Costoro ,  e  Persio ,  ed  io ,  ed  altri  assai, 
Rispose  il  duca  mio ,  siam  con  quel  Greco, 
Che  le  muse  lattar  più  che  altro  mai. 

Nel  primo  cinghio  del  carcere  cicco. 
Spesse  fiate  ragioniam  del  monte, 
Clio  ha  lo  nutrici  nostre  sempre  ecco. 

Euripide  vi  è  nosco,  e  Anacn^ontc, 
Siiiionide,  Agat«ine,  ed  altri  piiìo 
Greci,  «he  già  Hi  lauro  ornar  la  fronte. 

Quivi  si  veggion  delle  genti  tue 
Antigone  ,  Dcililc  ,  ed  Argia, 
Ed  Ismene  si  trista  corno  fuo. 


[130] 


Vcdesi  quella,  che  mostrò  Langfa; 
Evvi  la  figlia  di  Tiresla,  e  Teti, 
E  con  le  suore  sue  Deìdaraia. 

Tacevansi  ambo  e  due  già  li  poeti, 
Di  novo  attenti  a  riguardare  intorno, 
Liberi  dal  salire,  e  dai  pareti;  -^ 

E  già  le  quattro  ancelle  eran  del  g^orno^~" 
Himase  a  dietro,  e  la  quinta  era  al  temo, 
Drizzando  pure  in  su  lo  ardente  corno, 

Quando  il  mio  duca  :  io  credo ,  che  allo  stremo 
Le  destre  spalle  volger  ci  convegna 
Girando  il  monte ,  come  far  solemo. 

Così  la  usanza  fu  li  nostra  insegna: 
E  prendemmo  la  via  con  men  sospetto, 
Per  lo  assentir  di  quell'  anima  degna. 

Essi  givan  dinanzi ,  ed  io  soletto 
Diretro,  ed  ascoltala  i  lor  sermoni. 
Che  a  poetar  mi  davano  intelletto. 

Ma  tosto  ruppe  le  dolci  ragioni 

Un  allier,  che  trovammo  in  mezza  strada 
Con  pomi  ad  odorar  soavi  e  buoni. 

E  come  abete  in  alto  si  digrada 
Di  ramo  in  ramo,  così  quello  in  giuso, 
Credo  io,  per  che  persona  su  non  vada. 

Dal  lato ,  onde  il  cammin  nostro  era  chiuso 
Cadca  dall'  alta  roccia  un  liquor  chiaro, 
E  si  spande\a  per  le  foglie  suso. 

Li  due  poeti  allo  alber  si  appressare 
Ed  una  voce  per  entro  la  fronde 
Gridò  :  di  questo  cibo  avrete  caro. 

Poi  disse  :  più  pensava  Maria ,  onde 
Fosser  le  nozze  orrevoli  ed  intere. 
Che  alla  sua  bocca,  che  or  per  voi  risponde: 

E  le  Romane  antiche  per  lor  bere 
Contente  furon  di  acqua,  e  Daniello 
Dispregiò  cibo  ed  acquistò  savere. 
•  Lo  secol  primo,  che  quant'  or  fu  bello, 
Fé'  saporose  con  fame  le  ghiande, 
E  nettare  per  se(e  ogni  ruscello. 

i\Iele  e  locuste  furon  le  vivande, 
Che  nudriro  il  Battista  nel  diserto  : 
Per  che  egli  è  glorioso ,  e  tanto  grande. 

Quanto  per  lo  evangelio  vi  è  aperto. 


CANTO     XXIII. 

ARGOMENTO. 

Forese  loda  la  sua  moglie,  sferza  le  donne  fiorcnUnc. 

Mentre  che  lì  occhi  i)er  la  fronda  verde 

Ficcava  io  così ,  come  far  suole 

Chi  dietro  allo  uccellin  sua  vita  perde. 
Lo  più  che  padre  mi  dicea,  figliole, 

Vieni  oniiiiai  !  che  il   tempo,  che  n'  é  imposto, 

Più  utilmente  compartir  t.i  vuole. 
Io  voUi  "l  >iso,  e  il  passo  non  men  tosto, 

A  presso  ai  savj ,  che  parlavan  sic. 

Che  lo  andar  mi  fucean  di  nullo  costo. 
Ed  ecco  iiianger  e  cantar  si  lidie, 

Ltibia  ;;u«,   Ihminc ,  per  modo 

Tal,  che  diletto  e  doglia  parturie. 

»f 


[131] 


PURGATOniO.     (XXIII.  13—133) 


[1321 


Oh  dolce  padre,  che  è  quel  che  io  odo? 
Cominiùa'  io;  ed  egli:  ombre,  clic  vanno 
Forse  di  lor  dover  solvendo  il  nodo. 
Si  come  i  peregria  pensosi  fanno, 

Giiignendo  per  caraniin  gente  non  nota, 
Che  si  volgono  ad  essa,  e  non  ristanno, 
Così  diretro  a  noi  più  tosto  mota 
Venendo,  e  trapassando  ci  ammirava 
Di  anime  turba  tacita  e  devota. 

Kelli  occhi  era  ciascuna  oscura  e  cava, 
Pallida  nella  faccia,  e  tanto  scema. 
Che  dalle  ossa  la  pelle  s'  informava.  . 

Non  credo ,  che  così  a  buccia  strema  jtii\*di    ,  \' 
Erisitón  si  fusse  fatto  secco,  iv 

Per  digiunar ,  quando  più  n'  ebbe  tema. 

Io  dicea ,  fra  me  stesso  pensando  :  ecco 
La  gente,  che  perde  Gerusalemme, 
Quando  Maria  nel  figlio  die'  di  becco! 

Parean  le  occhiaje  anella  senza  genmie. 
Clii  nel  viso  delli  omini  legge  omo, 
lien  avria  quivi  conosciuto  la  emme. 

Chi  crederebbe,  che  1'  odor  di  un  pomo 
Sì  governasse ,  generando  brama, 
E  quel  di  un'  acqua,  non  sapendo  comò? 

Già  era  in  ammirar,  che  sì  lì  afrania. 
Per  la  cagione  ancor  non  manifesta 
Di  lor  magrezza,  e  di  lor  trista  squama: 

Ed  ecco  del  profondo  della  testa 

Volse  a  me  li  occhi  una  ombra,  e  guardò  fiso, 
Poi  gridò  forte:  qnal  grazia  mi  è  questa? 

Mai  non  lo  avrei  riconosciuto  al  viso: 
Ma  nella  voce  sua  mi  fu  palese 
Ciò  che  lo  aspetto  in  sé  avea  conquiso. 

Questa  favella  tutta  mi  raccese 

Mia  conoscenza  alla  cambiata  labbia, 
E  ravvisai  la  faccia  di  Forese. 

Deh ,  non  contendere  all'  asciutta  scabbia, 
Che  mi  scolora ,  pregava  ,  la  pelle, 
j\è  a  difetto  di  carne  che  io  abbia  ! 

Bla  dimmi  '1  ver  di  te,  e  chi  son  quelle 
Due  anime,  che  là  ti  fanno  scorta  ! 
Non  rimaner,  che  tu  non  mi  favelle! 

La  faccia  tua,  che  io  lagrimai  già  morta, 
Mi  dà  di  pianger  mo  non  minor  doglia, 
Risposi  lui,  veggendola  sì  torta. 

Però  mi  di',  per  dio,  che  si  vi  sfoglia! 
Non  mi  far  dir,  mentre   io  mi  maraviglio: 
Che  mal  può  dir,  chi  è  pien  di  altra  voglia. 

Ed  egli  a  me:  dello  eterno  consiglio 
Cade  virtù  neil'  acqua,  e  nella  pianta 
Kiuiasa  a  dietro ,  onde  io  sì  mi  assottiglio. 

Tutta  està  gente,  che  piangendo  canta, 
Per  seguitar  la  gola  oltre  misura. 
In  fame  e  in  sete  qui  si  ri  là  santa. 

Di  bere  e  di  mangiar  ne  accende  cura 

L'  odor  eh'  esce  del  pomo ,  e  dello  sprazzo, 
Che  si  distende  su  per  sua  verdura. 

E  non  pure  ima  volta ,  questo  spazzo  ( 

Girando,  si  rinfresca  nostra  pena: 
Io  dico  pena,  e.  dcvria  dir  sollazzo: 

Che  quella  voglia  all(»  alhero  ci  mena, 
Che  menò  (Jrioto  lieto  a  dire  Eli, 
Quando  ne  liberò  con  la  sua  vena. 

Ed  io  a  lui  :  l''ore^e,  da  qu<'l  dì, 

Nel  qiial  Iuuta^ti  mondo  a  miglior  vita. 
Cinque  anni  non  son  volti  inlìno  a  qui. 

Se  prima  fu  la  possa  in  te  finita 


DI  peccar  più ,  che  sorvenisse  la  ora 
Del  buon  dolor,  che  a  dio  ne  rimarita,   /ì\i^''' 
Come  sei  tu  qua  su  venuto  ?  ancora  'jAC 

Io  ti  credea  trovar  là  giù  di  sotto. 
Dove  tempo  per  tempo  si  ristora. 
Ed  egli  a  me:  sì  tosto  mi  ha  condotto 

A  ber  lo  dolce  assenzio  dei  martiri 

La  Nella  mia  con  suo  pianger  dirotto. 
Con  suoi  preghi  devoti,  e  con  sospiri 

Tolto  mi  ha  della  co^ti1,  ove  si  aspetta, 

E  liberato  mi  ha  dclli  altri  giri. 
Tanto  è  a  dio  più  cara  e  più  diletta 

La  vedovella  mia,  clie  tflnto  amai. 

Quanto  in  bene  operare  è  più  soletta; 
Cile  la  Barbagia  di  Sardigna  assai 

Nelle  femmine  sue  più  è  pudica. 
Che  la  Barbagia  dove  io  la  lasciai. 
Oh  dolce  frate,  che  vuoi  tu  che  io  dica? 

Tempo  futijro  mi  è  già  nel  cospetto. 

Cui  non  sarà  questa  ora  nuilto  antica, 
Nel  qual  sarà  in  pergamo  interdetto 

Alle  sfacciate  donne  fiorentine 

Lo  andar  mostrando  colle  poppe  il  petto. 
Quai  Barbare  fur  mai ,  quai  Saracino, 

Cui  bisognasse,  per  farle  ir  coverte, 

O  spiritali,  0  altre  discipline? 
Ma  se  le  svergognate  fosser  certe 

Di  ciò,  che  il  ciel  veloce  loro  ammanna. 

Già  per  urlare  avTiau  le  bocche  aperte. 
Che  se  lo  antiveder  qui  non  m'  inganna, 

Prima  fien  triste,   che  le  guance  impeli 

Colui ,  che  mo  si  consola  con  nanna. 
Deh  frate,  or  fa  che  più  non  mi  ti  celi! 

Vedi  che  non  pur  io ,  ma  questa  gente 

Tutta  rimira  là  dove  il  sol  veli. 
Per  che  io  a  lui:  se  ti  riduri  a  mente, 

Qual  fosti  meco,  e  quale  io  teco  fui. 

Ancor  fia  grave  il  memorar  presente. 
Di  quella  vita  mi  volse  costui 

Che  mi  va  innanzi ,  lo  altro  ìer,  quando  tonda 

^i  si  mostrò  la  suora  di  colui; 
E  il  sol  mostrai.     Costui  per  la  profonda 

Notte  menato  mi  ha  dei  veri  morti 

Con  questa  vera  carne ,  che  il  seconda. 
Indi  mi  lian  tratto  su  li  suoi  conforti. 

Salendo  e  rigirando  la  montagna, 

Che  drizza  voi,  che  il  mondo  fece  torti. 
Tanto  dice  di  farmi  sua  compagna. 

Che  io  sarò  là,  dove  sarà  Beatrice: 

Quivi  convien ,  che  senza  lui  rimagna. 
Virgilio  è  questi,  che  così  mi  dice; 

E  additaiio;  e  questo  altro  è  quella  ombra. 

Per  cui  scosse  dianzi  ogni  pendice 
Lo  vostro  regno ,  che  da  sé  la  sgombra. 


133] 


PURGATORIO.     (XXIV.  1  —  125) 


[134] 


CANTO      XXIV. 


ARGOMENTO. 

tRonaghinta  da    Lucca.      Dello   siile   amoroso, 
albero  mistico.     J^lJf'ctti  della  gola. 


|iVè  il  dir  lo  anilnr,  né  lo  andar  lui  più  lento 
Faoea  ;  ma  ragionando  andavaiii  forte, 

Si  come  nave  pinta  ('a  buon  vento. 
E  le  ombre,  che  parean  cose  rimorte, 

Per  le  fosse  deiìi  occhi  ammirazione 

Tracan  di  me,  di  mio  vivere  accorte. 
Ed  io  continuando  il  mio  sermone, 

Dissi:  ella  sen  va  su  forse  più  tarda. 

Che  non  farebbe  per  altrui  cagione. 

Ma  dimmi ,  se  tu  sai ,  dov'  è  Piccarda  ! 

Dimmi,  se  io  veggio  da  notar  persona 

Tra  questa  gente,  che  sì  mi  riguarda! 
La  mia  sorella,  che  tra  bella  e  buona 

IVon  so  qual  fosse  più ,  trionfa  lieta 

INjiilo  alt'  Olimpo  già  di  sua  corona. 
Sì  disse  prima,  e  poi:  qui  non  si  vieta 

Di  nominar  ciascun ,  da  eh'  è  sì  munta 

Ko4ra  sembianza  via  per  la  dieta. 
Questi  (e  mostrò  col  dito)  è  Bonagiunta, 

Bonagiunta  da  Lucca;  e  quella  faccia 

Di  là  da  Ini,  i)iù  che  le  altre  trapunta. 
Ebbe  la  santa  chiesa  in  le  sue  braccia: 

Dal  Torso  fu ,  e  purga  per  digiuno 

Le  anguille  di  Bolsena  e  la  vernaccia. 
Molti  altri  mi  nomò  ad  uno  ad  uno: 

E  del  nomar  parean  tutti  contenti, 

Sì  che  io  però  non  vidi  un  atto  bruno. 
Vidi  per  fame  a  voto  usar  li  denti 

Ulialdin  dalla  Pila ,  e  Bonifazio, 

Che  pasturò  col  rocco  molte  genti. 
Vidi  mcsser  Marchese,  eh'  ebbe  spazio 

Già  di  bere  a  Forlì  con  men  secchezza, 

E  sì  fu  tal,  che  non  si  senti  sazio. 
Ma  come  fa  chi  guardiv.,  e  poi  fa  prezza 

Più  di  un  che  di  altro,  fé'  io  a  quel  da  Lucca, 

Che  più  parca  di  me  voler  contezza. 
Ei  mormorava  :  e  non  so  che  gentucca 

Sentiva  io  là ,  ov'  ci  sentia  la  piaga 

Della  giustizia,  che  sì  li  pilucca. 
Oh  anima ,  diss'  io ,  che  par'  sì  vaga 

Di  parlar  meco ,  fa  si  che  io  t'  intenda, 

E  te  e  me  col  tuo  parlare  appaga  ! 
Feimnina  è  nata,  e  non  porta  ancor  benda. 

Cominciò  ci ,  che  ti  farà  piacere 

La  mia  città,  come  che  <im  la  riprenda. 
Tu  te  ne  andrai  con  questo  antivedere; 

Se  nel  mio  moruu)rar  prendesti  errore, 

Dichiareranti  ancor  le  cose  vere. 
Ma  di',  se  io  veggio  qui  colui  che  fore 

Trasse  le  novo  rime,  cominciando: 

Donne,  che  avete  inlclletto  di  «moie. 
Ed  io  a  hi!  :  io  mi  ^on  un  «he ,  quando 

Amor  mi  spiiii ,   noto,  ed  in  quel  modo 

Che  ditta  dentro  ,   vo  significando. 
Oh  frate,  ì^^sa  vcgg'  io,  diss'  egli,  il  nodo, 

Clio  il  \otaro,  e  (ìiiittone  ,  e  me  ritenne 

Di  qua  dal  dolco  «lil  novo  che  i(»  odo. 
Io  veggio  ben ,  come  le  vostro  penne 


Diretro  al  dittator  sen  Tanno  strette. 
Che  delie  nostre  certo  non  avvenne. 

E  qual  più  a  gradire  oltre  si  mette, 

IVon  vede  più  dallo  uno  allo  altro  stilo  : 
E  qì!a*i  contentandosi  tacette. 
y..      Come  li  augei,  che  vernan  verso  il  Nilo, 
Alcuna  volta  in  nere  fanno  schiera. 
Poi  volan  più  in  fretta ,  e  vanno  in  filo, 

Così  tutta  la  gente  che  lì  era, 

Volgendo  il  viso  rafi'rettò  suo  passo, 
E  per  magrezza,  e  per  voler  leggiera. 

E  come  r  om ,  che  di  trottare  è  lasso. 

Lascia  andar  li  c<impag;ii  ,  e  sì  passeggia. 
Fin  che  si  sfoglii  lo  affollar  del  casso. 

Sì  lasciò  trapassar  la  santa  greggia 
Forese,  e  dietro  meco  sen  veniva 


Dicendo:  quando  fia  che  io  ti  ri'veggia? 
Non  so,  rispos'  io  lui,  quanto  io  mi  viva: 
3Ia  già  non  ila  il  tornar  mio  tanto  to,*to. 
Che  io  non  sia  col  voler  prima  alla  riva. 
Però  che  il  loco  u'  fui  a  viver  posto. 
Di  giorno  in  giorno  più  di  ben  si  spolpa 
Ed  a  trista  mina  par  disposto. 
Or  va!  diss'  ei ,  che  quei  che  più  ne  ha  colpa, 
yegg'  io  a  coda  di  una  bestia  tratto 
Verso  la  valle,  ove  mal  non  si  scolpa. 
La  bestia  ad  ogni  passo  va  più  ratto. 

Crescendo  sempre,  infin  eh'  ella  il  percote, 
E  lascia  il  corpo  vilmente  disfatto. 
Xon  hanno  molto  a  volger  quelle  rote, 

(E  drizzò  li  occhi  al  cicl)  che  a  te  Ca  chiaro 
Ciò  che  il  mio  dir  più  dichiarar  non  potè. 
Tu  ti  rimani  ornai ,  che  il  tempo  è  caro 
In  questo  regno  sì ,   che  io  perdo  troppo. 
Acuendo  teco  si  a  paro  a  paro. 
Qual  esce  alcuna  volta  di  galoppo 
Lo  cavalier  di  schiera,  che  cavalchi, 
E  va  per  farsi  onor  del  primo  intoppo, 
Tal  sì  partì  da  noi  con  maggior  valchi  : 
j      Ed  io  rimasi  in  via  con  essi  due, 
I     Che  fur  del  mondo  sì  gran  marescalchi. 
E  quando  innanzi  a  noi  sì  entrato  fiie, 
!     Che  li  occhi  miei  si  fòro  a  lui  seguaci, 

Come  la  mente  alle  parole  sue, 
Parvermi  i  rami  gravidi  e  vivaci 

Di  un  altro  pomo  ,  e  non  molto  lontani, 
Per  esser  pure  allora  volto  in  lati. 
Vidi  gente  sotto  css(»  alzar  le  mani, 
E  gridar  non  so  che  verso  le  fronde, 
Quasi  bramosi  fantolini  e  vani, 
Che  pregano,  e  il  pregato  non  risponde: 
Ma  per  fare  esser  ben  lor  voglia  acuta, 
Tien  alto  lor  disio,  e  noi  nasconde. 
Poi  si  |)artì ,  si  come  ricreduta  : 

E  noi  venimmo  al  gran«le  albero  adesso. 
Che  tanti  preghi  e  lacrime  rifiuta. 
Trapassate   oltre,  senza  farvi  presso! 
Legno  è  più  su ,  che  fu  morso  du  Evo, 
E  questa  pianta  si  levò  da  esso. 
Sì  fra  lo  frasche  non  so  chi  diceva: 

Per  che  Virgilio,  e  Stazio,  ed  io  ristretti 
Oltre  amia  vaili  dal  lato,  che  si  leva. 
Uicurdivi,  dicea  ,  dei  maladetti 
Nei  nuvoli  tiiriiiati,  che  satolli 
Teseo  coiiili<ilt(  r  coi  dop|'J  petti  ; 
E  degli    l'iblei ,  che  al  ber  si  mostrar  molli, 
Per  che  no  i  volle  (ìedcòn  compagni, 

9  * 


[135] 


PURGATORIO.     (XXTV.  12^—154.  XXV.  1—01  ) 


Quando  inver  Madian  discese  i  colli. 

Si  accojitati  allo  un  dei  due  viragni, 
Ptissamnio  udendo  colpe  della  gola, 
Seguite  già  da  nii<eri  guadagni. 

Poi  rallarf^ati  per  la  strada  sola 

Ben  mille  passi  e  più  ci  portammo  oltre, 
Contemplando  ciascun  ,  senza  parola. 

Che  aniLite  pensando  si  voi  sol  tre.'' 
Subita  voce  di*se  :  onde  io  mi  scossi, 
Come  fan  bestie  spaventate  e  poltre. 

Drizzai  la  testa  per  veder,  chi  fossi; 
E  giammai  non  si  videro  in  fornace 
Vetri ,  o  metalli  si  lucenti  e  rossi, 

Come  io  vidi  un  che  dicea:  se  a  voi  piace 
Montare  in  su,  qui  si  convien  dar  volta: 
Quinci  si  va,  chi  vuole  andar  per  pace. 

Lo  aspetto  suo  mi  avea  la  vista  tolta  ; 

Per  che  io  mi  volsi  retro  ai  miei  dottori, 
Come  om  che  va  secondo  eh'  egli  ascolta. 

E  quale  annunziatrine  delli  albóri 

L'  aura  di  maggio  niovesi  ed  olezza, 
Tutta  impregnata  dalla  erba  e  dai  fiori, 

Tal  mi  sentii  un  vento  dar  per  mezza 
La  fronte ,  e  ben  sentii  mover  la  piuma, 
Che  fé'  sentir  di  ambrosia  la  orezza. 

E  sentii  dir:  beati,  cui  alluma 

Tanto  di  grazia ,  che  Io  amor  del  gusto 
Nel  petto  lor  troppo  dislr  non  fuma, 

Esurieudo  sempre,  quanto  è  giusto  ! 


CANTO    XXV. 


ARGOMENTO. 


Salgono   al  settimo  balzo,    ove    si  purga    la  lussuria. 

Ccnerazioae  i   infusione  deW  anima  nel  corpo;   corpo 

aereo  dopo  la  morte. 

Ora  era,  onde  il  salir  non  volea  storpio, 

Che  il  sole  avea  il  cerchio  di  merigge 

Lasciato  al  tauro,  e  la  notte  allo  ^corpio. 
Per  che,  come  fa  1'  om  che  non  si  affigge. 

Ma  vassi  alia  via  sua ,  che  che  li  appaja^ 

Se  di  bisogno  stimolo  il  trafigge, 
Co!<i  cntramiuo  noi  per  la   callaja 

Uno  innanzi  altro ,  prendendo  la  scala, 

Che  p(;r  artezza  i  salitor  dispaja. 
E  quale  il  cicognin,  che  leva  1'  ala 

Per  voglia  di  volare ,  e  non  si  attenta 

Di  abbandonar  Io  nido,  e  giù  la  cala. 
Tal  era  io  con  vo;j;Iia  accesa  e  spenta 

Di  dimandar,  venendo  infino  allo  atto, 

Cile  fa  colui  che  a  dicer  si  argomenta. 
Non  lascio  per  lo  andar  che  fosse  ratto, 

Lo  doliMt  padre  mio,  ma  disse:  scocca 

Lo  arco  del  dir,  <;h(;  infino  al  ferro  hai  tratto! 
Allor  siruraincnte  aprii  la  bocca, 

K  cominciai  :  come  si   pu«'»  far  magro, 

Là  dine  r  opo  di  nutrir  non  tocca.'' 
Se  ti  anlm(■nta^^i,  come;  iVlcleagro 

S(  coiiHumò  al  consumar  di  un  tizzo, 

Non  fura,  dibse,  a  te  questo  si  agro. 


E  se  pensassi ,  come  al  vostro  guizzo 

Guizza  dentro  allo  specchio  vostra  ìmage, 

Ciò  che  par  duro  ti  parrebbe  vizzo. 
Ma  per  che  dentro  a  tuo  voler  ti  adage. 

Ecco  qui  Stazio:  ed  io  lui  chiamo  e  prco, 

Che  fia  or  sanator  delle  tue  piage. 
Se  la  veduta  eterna  li  dispiego. 

Rispose  Stazio,  là  dove  tu  sie. 

Discolpi  me  non  potert'  io  far  niego  ! 
Poi  cominciò  :  se  le  parole  mie, 

Figlio,  la  mente  tua  guarda  e  riceve, 

Lume  ti  fieno  al  come,  che  tu  die. 
Sangue  perfetto ,  che  mai  non  si  beve 

Dalle  assetate  vene,  e  si  rimane 

Quasi  alimento  che  di  mensa  leve. 
Prende  nel  core  a  tutte  membra  umane 

Virtute  informativa,  come  quello 

Che  a  farsi  quelle  per  le  vene  vane. 
Ancor,  digesto  scende  ov'  è  più  bello  x.V^"^     | 

Tacer,  che  dire:  e  quindi  poscia  geme.? 

Sovr'  altrui  sangue  in  naturai  vasello. 
Ivi  si  accoglie  lo  uno  e  lo  altro  insieme. 

Lo  un  disposto  a  patire,  e  lo  altro  a  fare, 

Per  lo  perfetto  loco,  onde  si  preme: 
E  giunto  lui  comincia  a^  operare 

Coagulando  prima ,  e  poi  avviva 

Ciò ,  che  per  sua  materia  fé'  constare. 
Anima  fatta  la  virtute  attiva, 

Qual  di  una  pianta,  in  tanto  differente. 

Che  questa  è  in  via ,  e  quella  è  già  a  riva, 
Tant'  opra  poi ,  che  già  si  move  e  sente. 

Come   fungo  mai-ino,  ed  ivi  imprende 

Ad  organar  le  posse,  end'  è  semente. 
Or  si  spiega ,  figliolo,  or  si  distende 

La  virtù  ,  eh'   è  dal  cor  del  generante, 

Dove  natura  a  tutte  membra  intende. 
Ma  come  di   animai  divegna  fante. 

Non  vedi  tu  ancor  :  questo  è  tal  punto, 

Che  più  savio  di  te  già  fece  errante. 
Si ,  che  per  sua  dottrina  fé'  disgiunto 

Dall'  anima  il  possibile  intelletto, 

Per  che  da  lui  non  vide  organo  assunto. 
Apri  alla  verità,  che  viene,  il  petto, 

E  sappi  che ,  si  to.-to  come  al  feto 

Lo  articolar  del  cerebro  è  perfetto. 
Lo  motor  primo  a  lui  si  volge  lieto 

Sovra  tant'  arte  di  natura ,  e  spira 

Spirito  novo  di  virtù  repleto. 
Che  ciò ,  che  trova  attivo  quivi ,  tira 

In  sua  sostanzia,  e  fassi  un'  alma  sola. 

Che  vive ,  e  sente ,  e  sé  in  sé  rigira. 
E  per  che  meno  ammiri  la  parola. 

Guarda  il  calor  del  sol ,  che  si  fa  vino. 

Giunto  allo  umor  che  dalla  vite  cola! 
E  quando  Lachcsi  non  ha  più  lino, 

Solvesi  dalla  carne,  ed  in  virtute 

Seco  ne  porta  e  lo  umano  ,  e  il  divino. 
Le  altre  potenzio  tutte  quasi  mute  ; 

Memoria,  intelligenzia,  e  volontade. 

In  atto  molto  più  che  prima  acute. 
Senz'  arrestarsi,  per  sé  stessa  cade 

Mirabilmente  alla  una  delle  rive: 

Quivi  conosce  prima  le  sue  strade. 
Tosto  che  loco  lì  la  circonscrive, 

La  \irtù  informativa  raggia  intorno 

Co'i  e  quanto  nelle  membra   vive. 
te  come  lo  acre,  quando  è  bcnj^vorno 


i 


.137] 


PURGATORIO.     (XXV.92- 139.  XXVI^1-.T4) 


[138] 


Per  lo  altrui  raggio,  che  in  sé  si  riflette, 
Di  diversi  color  si  mostra  adorno, 
losì  lo  acre  vicin  quivi  si  mette 
In  quella  forma ,  che  in  lui  suggella 
Virtualmente  1'  alma  che  ristette, 
1  simiglujnte  poi  alla  fiammella, 
Che  segue  il  foco  là  ovunque  si  mu 
Segue  allo  spirto  sua  forma  uovella. 
ero  che  quindi  ha  poscia  sua  parut.i, 
È  chiamata  ombra:  e  quindi  organa  poi 
Ciascun  sentire  iiifino  alla  veduta. 
Quindi  parliamo ,  e  quindi  ridiam  noi: 
Quindi  facciara  le  lacrime  e  i  sospiri, 
Che  per  lo  monte  aver  sentili  puoi, 
econdo  che  ci  affiggono  i  disiri, 
E  li  altri  affetti,  la  omhra  si  figura: 
E  questa  è  la  cagion ,  di  che  tu  miri 
già  venuto  alla  ultima  tortura 
Si  era  per  noi,  e  volto  alla  man  destra, 
Ed  eravamo  attenti  ad  altra  cura. 
Juivi  la  ripa  fiamma  in  for  balestra,  ... 
E  la  cornice  spira  fiato  in  suso. 
Che  la  rcHette,  e  via  da  lei  sequestra: 
Onde  ir  ne  convenia  dal  lato  schiuso 
Ad  uno  ad  uno  ,  ed  io  temeva  il  foco 
Quinci ,  e  quindi  temeva  il  cader  giuso. 

Lo  duca  mio  dicea  :  per  questo  loco 
Si  vuol  tenere  alli  occhi  stretto  il  freno. 
Però  eh'  errar  potrelthesi  per  poco. 

Summae  Deus  clementiae,  nel  seno 
AI  grande  ardore  allora  udii  cantando, 
Che  di  volger  mi  fé'  caler  non  meno. 

E  vidi  spirti  per  la  fiamma  andando  : 
Per  che  io  guardava  ai  loro  ed  ai  miei  passi, 
Compartendo  la  vista  a  quando  a  quando. 

A  presso  il  fine  che  a  quello  inno  fassi. 
Gridavano  alto,  viriim  non  cognosco  : 
Indi  ricominciavan  lo  inno  ))assi. 

Finitolo  ,  anche  gridavano  :  al  bosco 
Si  tenne  Uiana,  ed  Elice  caccionne. 
Che  di  Venere  avea  sentito  il  tosco.    ■■'  \,i\ 

Indi  al  cantar  tornavano:  indi  donne"      i    ^ 
Gridavano ,  e  mariti  che  fur  casti, 
Come  virtute  e  matrimonio  imponne. 

E  questo  modo  credo  che  lor  basti  ' 

Per  tutto  il  tempo  che  il  f«H;o  li  ahbrusa. 
Con  tal  cura  conviene ,  e  con  tai  pasti, 

Che  la  piaga  daesezzo  sia  richiusa. 


CANTO      XXVI. 

ARGOMENTO. 

Guido  Guinicclli.     Arnaldo  Daniello. 

Mentre  che  si  per  I'  orlo ,  uno  innanzi  altro, 
(y'e  ne  andavamo ,  e  spesso  il  buon  maestro 
Diceva:  guarda!  gio^i,  <;bc  io  ti  scaltro, 

Fcriiuni  'I  sole  in  su  V   omero  destro, 
Clic  già  ,  raggiando  ,  tutto  1'  ociidento 
Mutava  in  bianco  aspetto  di  cilcstro  : 

Ed  io  facca  con  lu  ombra  più  rodente 


Parer  la  fiamma,  e  pure  a  tanto  indizio 
!      Vidi  molte  ombre  andando  poner  mente. 
Questa  fu  la  cagion  che  diede  inizio 
Loro  a  parlar  di  me,  e  cominciarsi 
A  dir:  colui  non  par  corpo  fittizio. 
Poi  verso  me  quanto  jìotevan  farsi, 
Certi  si  feron ,  sempre  con  riguardo 
Di  non  uscir  ,  dove  non  fossero  ar.-i. 
Oh  tu  che  vai,  non  per  esser  più  tarilo, 
Ma  forse  reverente,  alli  altri  dopo, 
Rispondi  a  me,  che  in  sete  ed  in  foco  ardo! 
Né  solo  a  me  la  tua  risposta  é  opo  : 
Che  tutti  questi  ne  hanno  maggior  sete, 
Che  di  acqua  fredda  Indo  o  Etiópo. 
Dinne,  com'  è,  che  fai  di  te  parete 
Al  sol,  come  se  tu  non  fossi  ancora 
Di  morte  entrato  dentro  dalla  rete? 
Sì  mi  parlava  un  di  essi,  ed  io  mi  fora 
Già  manifesto,  se  io  non  fossi  atteso 
Ad  altra  novità  che  apparse  allora; 
Che  per  lo  mezzo  del  cammino  acceso 
'tenne  gente  col  viso  incontro  a  questa. 
La  qual  mi  fece  a  rimirar  sospeso. 
Li  veggio  da  ogni  parte  farsi  presta 

Ciascuna  ombra,  e  basiarsi  una  con  una 
Senza  ristar,  contente  a  breve  festa. 
Cosi  per  entro  loro  schiera  bruna 
Si  ammusa  la  una  con  1'  altra  formica. 
Forse  a  spiar  lor  via  e  lor  fortuna. 
Tosto  che  parton  1'  accoglienza  amica. 
Prima  che  il  primo  passo  lì  trascorra, 
Sopragridar  ciascuna  si  alT.itica 
La  nova  gente,  Soddoma  e  Gomorra! 
E  r  altra  :  nella  vacca  entra  Pasite, 
Per  che  il  torello  a  sua  lussuria  corra. 
Poi  come  grue  ,  che  alle  montagne  llife 
Volasser  parte ,  e  parte  in  ver  le  arene. 
Queste  del  gelo,  quelle  del  sol  schife. 
La  una  gente  sen  va ,  1'  altra  sen  viene, 
£  tornan  lagrimando  ai  primi  canti. 
Ed  al  gridar,  che  più  lor  si  conviene: 
E  raccostaiiji  a  me ,  come  davanti, 
Essi  mcdesmi,  «he  mi  avean  pregato, 
Attenti  ad  ascoltar  nei  lor  seinbianli. 
Io,  che  due  volte  avca  visto  lor  grato, 
Incominciai:  oh  anime  sicure 
Di  aver,  quando  che  sia,  di  pace  stato, 
jVon  son  rimase  acerbe,  nò  mature 

Le  membra  mie  di  là,  ma  son  qui  meco 
Col  sangue  suo  ,  e  con  le  sue  giunture. 
Quinci  su  vo,  per  non  esser  più  cieco. 

Donna  è  di  sopra ,  che  no  ac(iui>ta  grazia, 
Per  che  il  mortai  per  vo.>tro  mondo  reco, 
a  se  la  vostra  maggior  voglia  sazia 
Tosto  divcgna,  sì  che  il  cicl  vi  alberglii, 
Clr  è  pieu  di  amore,  o  più  ampio  si  spazia. 
Ditemi,  ac<iò  «he  ancor  carie  n(;  terghi, 
Chi  siete  voi ,  e  chi  è  quella  turba. 
Che  se  ne  va  dirctro  ai  mostri  terghi? 
iVon  altrimenti  stii|>ido  si  turba 

liO  montanaro,  e  rimiranih»  nmiimta. 
Quando  rozzo   e  salvatico  s'  inurba, 
Cb<-  ciascuna  <iuibra  fece  in  sua  parata: 
iVla  poi   che   i'uron  di  stnp(U'(>  scar<'lio, 
Lo  qual  nclli  alli  cor  tosto  si  attuta: 
Hcalo  t«',  «he  delle  no^tre  marche, 
Uicoiiiinciò  colei  che  pria  ne  cilici. 


[13S] 


PURGATORIO.     (XXVI^75— 118^  XXVII.  1  —  45) 


[140]^ 


Per  viver  meglio  esperienza  imbarclic  ! 

La  fjente,  che  non  vien  con  noi,  oltese 
Di  ciò,  per  che  già  Cesar  trionfando 
Regina  contra  sé  chiamar  s'    intese: 

Per»  si  parton  Soddoma  gridando 

Rimproverando  a  sé,  come  hai  udito, 
E  dan  giunta  all'  arsura  vergognando. 

Nostro  peccato  fu  erniafrodito. 

Ma  per  che  non  servammo  umana  legge, 
Seguendo  come  bestie  lo  appetito, 

In  obi)robrio  di  noi  per  noi  si  legge. ^ 

Quando  partiamci ,  il  nome  di  colei,  ,'  \ 

Che  s'  iiii!)estiò  nelle  imbestiate  schegge. 

Or  sai  nostri  atti,  e  di  che  fummo  rei: 
Se  forse  a  nome  vuoi  saper,  chi  semo, 
Tempo  non  è  da  dire,   e  non  saprei. 

Farotti  ben  di  me  volere  scemo: 

Sou  Guido  Guinicelli,  e  già  mi  purgo, 
Per  ben  dolermi ,  prima  che  allo  stremo. 

Quali  nella  tristizia  di  Licurgo 

Si  fèr  duo  figli  a  riveder  la  madre, 

Tal  mi  fec'  io ,  ma  non  a  tanto  ìnsurgo, 

Quando  io  udii  nomar  sé  stesso  il  padre 
Mio  e  delli  altri  miei  miglior,  clie  mai 
Rime  di  anuìie  u.-àr  dolci  e  leggiadre; 

E,  senza  udire  e  dir,  pensoso  andai 
Lunga  fiata  rimirando  luì, 
l\é  per  h»  foco  in  là  più  mi  appressai. 

Poi  che  del  riguardar  pasciuto  fui. 

Tutto  mi  oil'ersi  pronto  al  suo  servigio, 
Con  lo  affermar ,  che  fa  credere  altrui. 

Ed  egli  a  me  :  tu  lasci  tal  vestigio, 

Per  quel  che  io  odo ,  in  me ,  e  tanto  chiaro, 
Che  Lete  noi  può  torre,  né  far  bigio.  ^.  ,, 

Ma  se  le  tue  parole  or  ver  giuraro, 

Dinmii ,  che  è  cagion,  per  che  dimostri 
Nel  dire,  e  nel  guardar  di  avermi  caro? 

Ed  io  a  Ini:  li  dolci  detti  vostri, 

Che ,  tjuanto  durerà  lo  uso  moderno, 
Farauiio  <;ari  ancora  i  loro  inchiostri. 

Oh  frate,  disse:  questi,  che  io  ti  scerno 
Col  dito  (e  additò  uno  spirto  innanzi). 
Fu  miglior  fabbro  del  parlar  materno. 

Versi  di   amore ,  e  prose  di  romanzi 
Soverchiò  tutti;  e  lascia  dir  li  stolti, 
Che  quel  di  Lemosi  credon  die  a%anzi! 

A  voce  più  che  al  ver  drizzan  li  volti, 
E  cosi  ferman  sua  opinione, 
Prima  che  arte  o  ragion  per  lor  si  ascolti. 

Così  fer  molti  anticiiì  di  Giiittone, 

Di  grido  in  grido  pur  lui  dando  pregio. 
Fin  che  Io  ha  vinto  il  ver  con  più  persone. 

Or  se  tu  hai  sì  ampio  privilegio. 

Che  licito  ti  sia  lo  andare  al  chiostro, 
Nel  quale  è  Cristo  abate  del  collegio. 

Pàli  |ier  mi;  udir  di  un  paternostro 

Quanto  liisogna  a  noi  di  (jnesto  mondo, 
0\e  poter  peccar  non  è  più  nostro. 

Poi,  forse  per  dar  loco  altrui,  secondo 
Che  presso  avea,  disparve  per  lo  foco, 
Come  per  l'  acqua  il  pesile  andando  al  fondo. 

Io  mi  feci  al  mo^truto  innanzi  un  poco, 
E  dÌ8r<i,  che  al  suo  nome  il  mio  desire 
Apparecchiava  grazioho  hx.o. 

£ì  comincio  liberami  iite  a  dire; 

Tali  ni'  uhhrlts  vostre  cortes  dcman. 
Clic  cu  non  jiui  ne  vuoti  a  vos  cobrìre. 


Jcu  sol  Àrnaut,  che  jìlor,  e  vai  cantan  ; 
Coiisiros  vci  la  spassadu  foUor, 
Et  vci  gianscn  te  joi ,  che  sper  denari. 

Ara  vs  predi  per  a  elicila  valor. 

Che  vs  guida  al  som  scns  frcieh  e  sens  calinu, 
Aouc^««  i'((s  a  ievips  de  wa  dolor: 

Poi  si  ascose  nel  loco ,  che  li  affina. 


CANTO    XXVII. 


ARGOMENTO. 

A  nome   di  Beatrice   il  poeta    attraversa   le  fiamme 

del  pitrgaiorio.     J  isioue  di  Lia  e  Rachele,    la  vita 

attiva  e    la  contemplativa.     ì  irgilio  lascia  D. 

in  balia  di  sé    stesso. 


jSì  come,  quando  i  primi  raggi  vibra 

Là  dove  il  suo  fattore  il  sangue  sparse, 

Cadendo  Ibéro  sotto  1'  alta  libra, 
,  E  le  onde  in  Gange  da  nona  riarse, 
I      Sì  stava  il  sole ,  onde  il  giorno  sen  giva, 

Quando  lo  angel  di  dio  lieto  ci  apparse, 
;  For  (iella  fiamma  stava  in  su  la  riva, 
ì      E  cantava:  Jhati  mundo  cordeì 
i      In  voce  assai  più  che  la  nostra  viva: 
;  Poscia  :  più  non  si  va ,  se  pria  non  morde, 
>     Anime  sante,  il  foco:  entrate  in  esso. 

Ed  al  cantar  di  là  non  siate  sorde  ! 
j  Sì  disse,  come  noi  li  fummo  presso: 

Fer  cl'.e  io  divenni  tal,  quando  lo  intesi, 
I      Qual  è  colui  che  nella  fossa  è  messo. 
I  In  su  le  mani  tutto  mi  protesi. 

Guardando  il  foco  ,  e  immaginando  forte 

Umani  corpi  già  veduti  accesi. 
Volsersi  verso  me  le  buone  scorte: 

E  Virgilio  mi  disse:  figliol  mio, 
'      Qui  puotc  esser  tormento ,  ma  non  morte. 
(Ricordati,  ricordati!  e  se  io 
I      Sovresso  Gerion  ti  guidai  salvo, 
I      Che  farò  or,  che  son  più  presso  a  dio? 
Credi  per  certo  che,  se  dentro  allo  alvo 
I      Di  questa  iiamma  stessi  ben  mille  anni, 

Non  ti  potrebbe  far  di  un  capei  calvo. 
]  E  se  tu  forse  credi  che  io  t'  inganni. 

Fatti  ver  lei ,  e  fatti  far  credenza 
I      Con  le  tue  mani  al  lembo  dei  tuoi  panni! 
Fon  giù  omai,  pon  giù  ogni  temenza! 
I      Volgiti  'n  qua,  e  vieni  oltre  sicuro! 
I      Ed  io  pur  fermo ,  e  contro  a  coscienza. 
i  Quando  mi  vide  star  pur  fermo  e  duro, 

Turbato  un  poco  disse:   or  vedi,  figlio, 
I      Tra  Reatrice  e  te  è  questo  muro. 
I  Come  al  nome  di  Tisbe  aperse  il  ciglio 
I       i'irauu)  in  su  la  morte,  e  riguardolla, 

Allor  che  il  gelso  diventò  vermiglio, 
Cosi ,  la  mia  durezza  fatta  solla. 

Mi  volsi  al  savio  duca ,  udendo  il  nome, 

Che  nella  mente  sempre  mi  rampolla.     ; 
Ond'  ei  crollò  la  testa,  e  disse:  come,         i 

Voicmci  star  di  qua?  indi  sorrise, 

Como  al  fanciul  si  fa,  eh'  ù  vinto  al  pome- 


141] 


PURGATORIO.      (XXVIL  40- 142.  XXVIII.  l  -25) 


^oi  dentro  al  foco  innanzi  mi  si  mise, 
Pregando  Stazio  che  venisse  retro, 
Che  pria  per  lunga  strada  ci  divijie. 

Jome  io  fui  dentro,  in  un  Iiogliente  vetro 
Gittato  mi  sarei  per  rinfrescarmi, 
Tanto  era  ivi  Io  incendio  senza  metro. 

^0  dolce  padre  mio  ,  per  confortarmi, 
Pur  di  Beatrice  ragionando  andava, 
Dicendo  :  li  occhi  suoi  già  veder  parmi. 

jculdavaci  una  voce,  clie  cantava 
Di  là  :  e  noi  attenti  pure  a  lei 
Venimmo  for,  là  ove  si  montava. 

fenile,  hcnedkti  jìatris  mei! 
Sonò  dentro  ad  un  lume  che  lì  era, 
Tal  che  mi  vinse,  e  guardar  noi  potei. 

[jO  sol  scn  va,  soggiunse,   e  vien  la  sera: 

Kon  vi  arrestate ,  ma  studiate  il  passo. 

Mentre  che  1'  occidente  non  si  annera  ! 

)rìtta  salia  la  via  perentro  il  sasso 
Verso  tal  parte,  che  io  toglieva  i  raggi 
Dinanzi  a  me  del  sol,  eh'  era  già  hasso. 


[U2] 


[>itt/-H 


E  di  pochi  scaglion  levammo  i  saggi 
Che  il  sol  colcar,  per  la  omhra  che  si  spense, 
Sentimmo  dietro  ed  io  e  li  miei  saggi. 
B  pria  che  in  tutte  le  sue  parti  immense 
Fosse  orizzonte  fatto  di  un  aspetto, 
E  notte  avesse  tutte  sue  dispense, 
Diascun  di  noi  di  un  grado  fece  letto  ; 
Che  la  natura  del  monte  ci  affranse 
\  La  possa  del  salir,  più  che  il  diletto, 
[mali  si  stanno  ruminando  inanse 
Le  capre,  state  riipidc  e  proterve 
Sopra  le  cime,  avante  che  sica  pranse, 
Tacite  alla  ouihra,  mentre  che  il  sol  ferve. 
Guardate  dal  pastor,  che  in  su  la  verga 
Poggiato  si  è ,  e  lor  poggiato  serve;    , 
B  quale  il  mandrian,  che  fori  alherga, 
Lungo  il  peculio  suo,  queto  pernotta, 
Guardando,  per  che  fiera  non  lo  sperga; 
Tali  eravamo  tutti  e  tre  allotta. 

Io  come  capra,  ed  ci  come  pastori, 
I    Fasciati  quinci  e  quindi  dalia  grotta. 
jPoco  pareva  lì  del  ciel  di  fori  : 

Ma  per  quel  poco  vedeva  io  le  stelle 
Di  lor  solere  e  j»iù  chiare  e  nuiggiori. 
Sì  ruminando,  e  si  mirando  in  quelle, 
Mi  prese  il  sonno;  il  sonno,  che  sovente. 
Anzi  che  il  fatto  sia ,  sa  le  novelle. 
Nella  ora ,  credo ,  che  dell'  oriente 
Prima  raggiò  nel  monte  Citerea, 
Clic  di  foco  di  amor  par  sempre  ardente, 
Giov.ine  e  hella  in  sogno  mi  parca 
Donna  vedere  andar  per  una  landa 
Cogliendo  fiori  ;  e  cantando  dicca  : 
Sappia  qualunque  il  mio  nome  dimanda, 
Che  io  mi  son  Lia ,  e  vo  movendo  intorno 
Le  lidie  mani  a  farmi  una  ghirlanda. 
Per  piacermi  allo  specchio,  qui  mi  adorno: 
Ma  mia  suora  llaclu'l  mai  non   si  smaga 
Dal  suo  miraglio,  «;  si('.l(^  tutto  giorno. 
Fila  è  dei  suoi  Ix-ili   oo.lii  \(-dcr  vaga, 
Conu;  io  d<>llii  adornarmi  con  le  mani: 
Lei  lo  vedere  ,  e  me  1'  ornare  appaga. 
£  già  per  li  siilundori  anteliuani, 

Che;  tanto  ni  peregrio  siirgon  più  grati. 
Quanto,  tornando,  alltcrgan  m(;n  hiuLuii, 
Le  tenebre  fuggiau  da  tutti  i  lati, 


E  il  sonno  mio  con  esse:  onde  io  levami, 
Vcggendo  i  gran  mae-tri  .<;ii'i  levati. 
Quel  dolce  pomo ,  che  jier  tanti  rami 
Cercando  va  la  cura  dei  mortali, 
Ogui  porrà  in  pace  le  tue  fami  : 
Virgilio  inverso  me  queste  cotali 
Parole  usò  :  e  mai  non  furo  strenne. 
Che  fi)sser  di  piacere  a  queste  iguali. 

{ Tanto  voler  sovra  voler  mi  venne 

I      Dello  esser  su ,  che  ad  ogni  passo  poi 

I      Al  volo  mio  sentia  crescer  le  penne. 
Come  la  scala  tutta  sotto  noi 

Fu  corsa,  e  lumino  in  sul  grado  superno, 
In  me  ficcò  Virgilio  li  occhi  suoi, 

E  disse  :  il  temporal  foco  e  lo  etemo 

Veduto  hai ,  figlio ,  e  sei  venuto  in  parte, 
Ove  io  per  me  più  oltre  non  discerno. 

Tratto  ti  ho  qui  con  ingegno  e  con  arte  ; 
Lo  tuo  piacere  omai  prendi  per  duce  ! 
For  sei  dell'  erte  vie,  for  sei  dell'  arte. 

Vedi  il  sole,  che  in  fronte  ti  riluce. 
Vedi  la  erbetta,  i  fiori,  e  li  arltoscelli, 
Che  quella  terra  sol  da  sé  produce. 

Mentre  che  vegnon  lieti  li  occhi  belli. 
Che  lagrimaudo  a  te  venir  mi  fenno, 
Seder  ti  puoi ,  e  puoi  andar  tra  clli. 

Non  aspettar  mio  dir  più,  né  mio  cenno! 
Libero ,  dritto ,  e  sano  è  tuo  arbitrio, 
E  fallo  fora  non  fare  a  suo  senno  : 

Per  che  io  te  sopra  te  corono  e  uiiu-io. 


CANTO    XXVIII. 


ARGOMENTO, 

Paradiso   terrestre.    Matclda. 

Vago  già  di  cercar  dentro  e  dintorno 
La  divina  foresta  spessa  e  viva. 
Che  alli  occhi  temperava  il  novo  giorno, 

Senza  più  aspettar  lasciai  la  riva. 
Prendendo  la  campagna  lento  lento 
Su  per  Io  suol,  clie  da  ogni  parte  oliva. 

Un'  aura  dolce,  senza  luntamenlo 
Avere  in  sé,  ini  feria  per  la  fronte, 
Non  di  più  colpo  che  soave  vento: 

Per  cui  le  fromlc  tremolando  pronte 
Tutte  quitnte  pi<'gavano  alla  parte, 
li  la  prima  ombra  gitta  il  santo  monte; 

Non  però  dal  loro  e-si  r  dritto  sp.irtc 
Tant(»,  clif  li  aiigcllclti  per  le  cime 
Lasciasser  ili  opcriiK!  o^ni  lor  arte, 

Ma  con  piena  hti/.ia  lo  ori'  |irime 
f^antiindo  rice\(Miiii  intra  le  foglie, 
Cile  teneviin  bordoiu^  alle  sue  rimo 

Tal  ,  qnal  di  rumo  in  ramo  si  raccoglie 
P<-r  la  piiK-t.i  in  sul  lilo  di  (}|iias»i, 
Quando  Koio  MÌrocco  for  discioglie. 

Già  mi  axMii  trasportali)  i   lenti  pa'^si 
Dentro  alla  si-ha  antita  tanto,  <:he  in 
Non  potca  ri\ edere.  oniU;  io  mi  entrale»! : 
Ed  ceco  più  andar  mi  tol>u  un  rio, 


[143] 


PURGATORIO.      (XXVIII.   26-148) 


[1+^]: 


Clie  inrer  sinistra  con  sue  picciole  onde 
Piegava  la  erba ,  che  in  sua  ripa  uscio. 
Tutte  le  acque  che  son  di  qua  più  monde, 
Parrieno  avere  in  sé  mistura  alcuna 
Verso  di  quella,  die  nulla  nasconde; 
A^"vegna  che  si  mova  bruna  bruna 
Sotto  la  orubra  perpetua,  che  mai 
Raggiar  non  lascia  sole  ivi ,  né  luna. 
Coi  pie  ristetti,  e  con  li  ocelli  pa.*sai 
Di  là  dal  fiumicello  ,  per  mirare 
La  gran  variazion  dei  freschi  mai: 
E  là  mi  apparve,  sì  cora'  egli  appare 
Subitamente  cosa,  che  disvia 
Per  maraviglia  tutto  altro  pensare, 
Una  donna  soletta,  che  si  pia 

Cantando  ed  iscegliendo  fior  da  fiore, 
Ond'  era  pinta  tutta  la  sua  via. 
Deh,  bella  donna,  che  ai  raggi  di  amore 
Ti  scaldi ,  se  io  vo'  credere  ai  sembianti. 
Che  soglion  esser  testimon  del  core, 
Vegnati  voglia  di  traggerti  avanti, 
Diss'  io  a  lei ,  verso  questa  rivera, 
Tanto  che  io  possa  intender  che  tu  canti! 
Tu  mi  fai  rimembrar,  dove  e  qual  era 
Proserpina  nel  tempo,  che  perdette 
La  madre  lei ,  ed  ella  primavera. 
Come  si  volge  con  le  piante  strette 
A  terra  ed  intra  sé  donna  che  balli, 
E  piede  innanzi  piede  a  pena  mette, 
Vol>e>i  'n  sui  vermigli  ed  in  su  i  gialli 
Fioretti  verso  me  ,  non  altrimenti 
Che  vergine,  che  li  occhi  onet-ti  avvalli: 
E  fece  i  preghi  miei  esser  contenti,  ~" 

Sì  appressando  sé,  che  il  dolce  sono 
Veniva  a  me  coi  suoi  intendimenti. 
Tosto  che  fu  là  dove  1'  erbe  sono 
Bagnate  già  dalle  onde  del  bel  fiume. 
Di  levar  li  occhi  suoi  mi  fece  dono. 
Kon  credo ,  che  splendesse  tanto  lume 
Sotto  le  ciglia  a  Venere  trafitta 
Dal  figlio ,  for  di  tutto  suo  costume. 
Ella  ridca  dall'  altra  riva  dritta, 
Traendo  più  color  con  le  sue  mani. 
Che  r  alta  terra  senza  seme  gitta. 
Ti'e  passi  ci  facea  il  fiume  lontani  : 
Ma  Ellesponto,  là  ove  passò  Xerse, 
Ancora  freno  a  tutti  orgogli  umani. 
Più  odio  da  Leandro  non  soflcrse. 

Per  mareggiare  intra  Sesto  ed  Abido, 
Che  quel  da  me,  per  che  allor  non  si  aperse. 
Voi  siete  novi ,  e  forse  i>er  che  io  rido. 
Cominciò  ella,  in  questo  loco  eletto 
Alla  umana  natura  per  suo  nido, 
Maravigliando  tienvi  alcun  sospetto; 
Ma  luce  rende  il  salmo  Dctectasti, 
Che  potè  disnebbiar  vostro  intelletto. 
E  tu  che  sei  dinanzi ,  e  mi  pregasti, 

Di'  se  altro  vuoi  udir  !  che  io  venni  presta 
Ad  ogni  tua  qnestion  ,  tanto  che  basti. 
L'  acqua,  dis<'  io,  e  il  suon  della  foresta 
Impngnan  dentro  a  me  novella  fede 
Di  co«a,  che  io  udii  contraria  a  questa. 
Ond'  ella  :  io  dicerò  come  procede 

Per  sua  cagion  ciò  clic  ammirar  ti  face, 
E  purgherò  la  nebbia  che  ti  fiede. 
Lo  sommo  bene ,  che  solo  a  sé  piace, 

Ecce  r  om  buono ,  e  il  ben  di  questo  loco 


Diede  per  arra  a  hii  di  eterna  pace. 

Per  sua  difTalta  qui  dimorò  poco: 

Per  sua  diilalta  in  pianto  ed  in  affanno 
Cambiò  onesto  riso  e  dolce  gioco. 

Per  che  il  turbar,  che  sotto  da  sé  fanno 
L'  esalazion  dell'  acqua  e  della  terra, 
Che  quanto  posson  dietro  al  calor  vanno. 

All'  omo  non  facesse  alcuna  guerra, 
Questo  monte  salio  ver  lo  ciel  tanto, 
E  libero  è  da  indi ,  ove  si  serra. 

Or  per  che  in  circuito  tutto  quanto 
Lo  aere  si  volge  con  la  prima  volta, 
Se  non  li  é  rotto  il  cerchio  d'  alcun  canto, 

In  questa  altezza,  che  tutta  è  disciolta 
Rello  aere  vivo ,  tal  moto  perente, 
E  fa  sonar  la  selva  per  eh'  è  folta: 

E  la  percossa  pianta  tanto  potè, 

Che  della  sua  virtute  1'  aura  impregna, 
E  quella  poi  girando  intorno  scote: 

E  r  altra  terra,  secondo  eh'  è  degna 
Per  sé ,  o  per  suo  ciel ,  concepe  e  figlia 
Di  diverse  virtù  diverse  legna. 

Non  parrebbe  di  là  poi  maraviglia. 
Udito  questo ,  quando  alcuna  pianta 
Senza  seme  palese  vi  si  appiglia. 

E  saper  dei,  che  la  campagna  santa,         ,     i  _,  ^ 
Ove  tu  sei,  di  ogni  semenza  è  piena,  JK'-^'* 
E  frutto  ha  in  sé ,  che  di  là  non  si  schianìa^^ 

L'  acqua  che  vedi,  non  surge  di  vena. 
Che  ristori  vapor ,  che  il  gel  converta, 
Come  r  altra  ,  che  acquista  e  perde  lena, 

Ma  esce  di  fontana  salda"  e  certa, 
Che  taiito  del  voler  di  dio  riprende. 
Quanto  ella  >ersa  da  due  parti  aperta. 

Da  questa  parte  con  virtù  discende. 

Che  toglie  altrui  memoria  del  peccato: 
Dall'  altra  di  ogni  ben  fatto  la  rende. 
Quinci  Lete,  così  dallo  altro  lato 
Eunoè  si  chiama ,  e  non  adopra. 
Se  quinci  e  quindi  pria  non  è  gustato. 
A  tutti  altri  sapor  questo  è  di  sopra: 
E  avvegna  che  assai  possa  esser  sazia 
La  sete  tua,  per  che  io  più  non  ti  scopra, 
Darotti  un  corollario  ancor  per  grazia, 

I      Kè  credo,  che  il  mio  dir  ti  sia  men  caro, 

I      Se  oltre  promission  teco  si  spazia. 

'  Qu'illi ,  che  anticamente  poetare 

I      La  età  dell'  oro,  e  suo  stato  felice, 

i      Forse  in  Parnaso  esto  loco  sognaro. 

I  Qui  fu  innocente  la  umana  radice  : 

Qui  primarera  sempre,  ed  ogni  frutto 
jNcttare  è  questo,  di  che  ciascun  dice. 

I  Io  mi  rivolsi  a  dietro  allora  tutto 

1      Ai  miei  poeti,  e  vidi,  che  con  riso 

I      Udito  avevan  lo  ultimo  costrutto  : 

'  Poi  alla  bella  donna  tornai  '1  viso. 


^ 


45] 


PURGATORIO.      (XXrX.  1—125) 


[146] 


CANTO    XXIX. 


ARGOMENTO. 

a  ninfa  e  i  tre  poeti  dall'  una    e   dalV  altra   parte 

lungo  il  fiume.     Vista  di  cose  che  ricordano  V  A- 

pocalisse. 


alitando,  come  donna  innamorata, 

Continuò  col  fin  di  sue  parole  : 

Beati  quorum  tecta  sunt  peccata  ! 
come  ninfe,  che  si  givan  sole 

Per  le  selvatiche  ombre  disiando, 

Qual  di  fuggir,  qual  di  veder  lo  sole, 
llor  si  mosse  contra  il  fiume,  andando 

ISu  per  la  riva,  ed  io  pari  di  lei, 
Ficciol  passo  con  picciol  seguitando. 
gton  eran  cento  tra  i  suoi  passi  e  i  miei, 
Quando  le  ripe  igualmente  dièr  volta, 
Per  modo,  che  a  levante  mi  rendei. 

iè  anche  fu  così  nostra  via  molta. 
Quando  la  donna  tutta  a  me  si  torse, 
Dicendo:  frate  mio,  guarda  ed  ascolta! 

Sd  ecco  un  lustro  subito  trascorse 
Da  tutte  parti  per  la  gran  foresta,  r: 

Tal  che  di  balenar  mi  mise  in  forse.  '^'^ttu^V 

\Ha.  per  che  il  balenar,  come  vien,  resta, 

£  quel  durando  più  e  più  splendeva, 

Nel  mio  pensar  dicea:  che  cosa  è  questa? 

Id  una  melodia  dolce  correva 

Per  Io  aere  luminoso:  onde  buon  zelo 

Mi  fé'  riprender  lo  ardimento  di  Eva: 

Ch'  ella,  dove  ubbidia  la  terra  al  cielo. 
Femmina  sola,  e  pur  testé  formata,      0 
Non  sofferse  di  star  sotto  alcun  velo; 

Sotto   il  qual  se  divota  fosse  stata, 
Avria  quelle  inefTabili  delizie 
Sentite  prima,  e  più  lunga  fiata. 

Uentre  io  mi  andava  tra  tante  primizie 
Dello  eterno  piacer  tutto  sospeso, 
E  desioso  ancora  a  più  letizie. 

Dinanzi  a  noi  tal ,  quale  un  foco  acceso, 
Ci  si  fé'  lo  aere  sotto  i  verdi  rami, 
E  il  dolce  suon  per  canti  era  già  inteso  : 

Oh  sacrosante  vergini,  se  fami. 

Freddi  o  vigilie  mai  per  voi  soffersi, 
Cagion  mi  sprona  che  io  mercè  ne  chiami. 

Or  convicn  cìi'  Elicona  per  me  versi,  . 

Ed  Urania  ini  ajiiti  col  suo  coro 
Forti  cose  a  pensar,  mettere  in  versi. 

Poco  più  oltre  sette  an)eri  di  oro 
Falsava  nel  jjarere  il  lungo  tratto 
Del  mezzo,  eh'  era  ancor  tra  noi  e  loro  : 

Ma  quando  io  fui  sì  presso  di  lur  fatto. 

Che  l'obbietto  comun,  che  il  senso  inganna, 
Non  pcrdca  per  distanza  alcun  suo  atto, 

La  virtù,  che  a  ragion  discorso  annnannii,  . 
Sì  com'  elii  eran  candelabri,  apprese, 
E  nelle  voci  del  cantare  osanna. 

Di  sopra  riaimneggiiiva  il  bello  arnese 
Più  chiaro  assai,  che  luna  per  sereno 
Di  mezza  n(»tte,  nel  suo  mezzo  mese. 

Io  ini  rivolsi  di  ammirazion  pieno 
Al  buon  Virgilio:  ed  esso  mi  rispose 
Con  vista  ciirca  di  stnpor  non  meno. 

Indi  rendei  lo  aspetto  alle  alte  cose, 


ìM^ 


Che  si  movieno  incontro  a  noi  si  tardi. 

Che  foran  vinte  da  novelle  spose. 
La  donna  mi  sgridò:  per  che  pur  ardi 

Sì  nello  aspetto  delle  vive  luci, 

E  ciò  che  vien  diretro  a  lor  non  guardi? 
Genti  vid'  io  allor,  come  a  lor  duci, 

Venire  a  presso,  vestite  di  bianco  : 

E  tal  candor  giammai  di  qua  non  fuci. 
L'  acqua  splendeva  dal  sinistro  fianco, 

E  rendea  a  me  la  mia  sinistra  costa, 

Se  io  riguardava  in  lei,   come  specchio  anco. 
Quando  io  dalla  mia  riva  ebbi  tal  posta, 

Che  solo  il  fiume  mi  facea  distante,  '•  l    \ 

Per  veder  meglio,  ai  passi  diedi  sosta:  J+W^"-*»^ 
E  vidi  le  fiammelle  andare  avante. 

Lasciando  dietro  a  sé  lo  aere  dipinto, 

E  di  tratti  pennelli  avean  sembiante,     ^   ; ,  S^ 
Sì  che  lì  sopra  rimanea  distinto 

Di  sette  liste,  tutte  in  quei  colori, 

Onde  fa  lo  arco  il  sole,  e  Delia  il  cinto. 
Questi  ostendali  dietro  eran  maggiori, 

Che  la  mia  vista:  e,  quanto  a  mio  avviso, 

Diece  passi  distavan  quei  di  fori. 
Sotto  così  bel  ciel,  come  io  diviso,  . 

Ventiquattro  seniori  a  due  a  due 

Coronati  venian  di  fiordaliso. 
Tutti  cantavan:  benedetta  tue 

Nelle  figlie  di  Adamo ,  e  benedette 

Sieno  in  eterno  le  bellezze  tue  ! 
Poscia  che  i  fiori  e  le  altre  fresche  erbette, 

A  rimpetto  di  me  dall'  altra  sponda, 

Libere  fur  da  quelle  genti  elette. 
Sì  come  luce  luce  in  ciel  seconda. 

Vennero  presso  a  lor  quattro  animali, 

Coronati  ciascun  di  verde  fronda. 
Ognuno  era  pennuto  di  sei  ali, 

Le  penne  piene  di  occhi  ;  e  li  occhi  di  Argo, 

Se  fosser  vivi,  sarebber  cotali. 
A  descriver  lor  forme  più  non  spargo 

Rime,  lettor  ;  che  altra  spesa  mi  strigne 

Tanto,  che  in  questa  non  posso  esser  largo. 
Ma  leggi  Ezechièì,  che  le  dipigne. 

Come  le  vide  dalla  fredda  parte 

Venir  con  vento,  con  nube,  e  con  igne: 
E  quai  li  troverai  nelle  sue  carte, 

Tali  eran  quivi  ;  salvo  che  alle  penne 

Giovanni  è  meco,  e  da  lui  si  diparte. 
Lo  spazio  dentro  a  lor  qjiattro  contenne 

Vn  carro  in  su  due  rote  trionfale. 

Che  al  collo  di  un  grifon  tirato  venne: 
Ed  esso  tendea  su  la  una  e  le  altre  alo 

Tra  la  mezzana  e  le  tre  e  tre  liste. 

Sì  che  a  nulla  fendendo  facca  male. 
Tanto  salivan,  che  non  eran  viste: 

Le  membra  di  oro  avea,  quanto  ora  uccello, 

E  bianche  le  altre,  di  vermiglio  miste. 
Non  che  Koma  di  carro  così  bello 

Rallegrasse  Affricano,  ovvero  Augusto  ; 

Ma  quel  del  sol  saria  pover  con  elio: 
Quel  del  sol,  che  sviando  fu  combusto, 

l'or  la  ora/.ion  della  terra  devota. 

Quando  fu  (ìiove  arcanamente  giusto. 
Tre  donno  in  giro  dalla  destra  rota 

Venien  danzando,  la  una  tanto  rossa, 

Cile  a  pena  fora  dentro  al  foco  unta: 
L'  ultra  era  rome  so  le  carni  e  le  ossa 

Fossero  stato  di  smeraldo  fatte; 

10 


[147] 


PURGATORIO.     (XXIX.  126— 154.  XXX.  1— fl3.) 


La  terza  parea  neve  testé  mossa: 

Ed  or  parevan  dalla  bianca  tratte, 
Or  dalla  rossa,  e  dal  canto  di  questa 
Le  altre  togliean  lo  andare  e  tarde  e  ratte. 

Dalla  sinistra  quattro  facean  festa, 
In  porpora  vestite,  dietro  al  modo 
Di  una  di  lor,  che  avea  tre  occhi  in  testa. 

A  presso  tutto  il  pertrattato  nodo 
Vidi  duo  Tccchi  in  abito  dispari, 
Ma  pari  in  atto,  ognuno  onesto  e  sodo.   '^ 

Lo  un  si  mostrava  alcun  dei  famigliari 
Di  quel  sommo  Ippocràte,  che  natura 
Alli  animali  fé',  eh'  ella  ha  più  cari: 

Mostrava  lo  altro  la  contraria  cura, 
Con  una  spada  lucida  ed  acuta, 
Tal  che  di  qua  dal  rio  mi  fé'  paura. 

Poi  vidi  quattro  in  umile  paruta, 
E  diretro  da  tutti  un  veg-lio  solo 
Venir  dormendo  con  la  faccia  arguta. 

E  questi  sette  col  primajo  stuolo 
Erano  abituati  ;  ma  di  gìgli 
Dintorno  al  capo  non  facevan  brolo, 

Anzi  di  rose  e  di  altri  fior  vermìgli. 
Giurato  avria  poco  lontano  aspetto, 
Che  tutti  ardesser  di  sopra  dai  cigli. 

E  quando  il  carro  a  me  fu  a  rimpetto. 
Un  tuon  si  udio  :    e  quelle  genti  degne 
Parvero  aver  lo  andar  più  interdetto, 

Fermandob'  ivi  con  le  prime  insegne. 


iièju.'- 


CANTO    XXX. 

ARGOMENTO. 

Bealrtce  discende.     Virgilio  sparisce.    Stazio  rimane. 

Quando  il  settentrion  del  primo  cielo. 

Che  nò  occaso  mai  seppe,  né  orto, 

TVè  di  altra  nebbia,  che  di  colpa  velo, 
E  che  faceva  lì  ciascuno  accorto 

Di  suo  dover,  come  il  più  basso  face 

Qual  timon  gira  per  venire  a  porto, 
Fermo  si  affisse;  la  gente  verace 

Venuta  prima  tra  il  grifone  ed  esso, 

Al  carro  volse  sé,  come  a  sua  pace: 
Ed  un  di  loro  quasi  dal  ciel  messo, 

Tdii,  sponsa,  de  Libano!  cantando 

Gridò  tre  volte,  e  tutti  li  altri  a  presso. 
Quale  i  beati  al  novissimo  bando 

Surgcran  presti,  ognim  di  sua  caverna, 

La  rinvestita  voce  allclujando, 
Cotali  in  su  la  divina  basterna   \  Wij^c '^ 

Si  levar  cento ,  ad  vocem  tanti  senis, 

Ministri  e  messaggier  di  vita  eterna. 
Tutti  dicean,  benedictus  qui  venis  ! 

E  fior  gittando  di  sopra  e  dintorno, 

Mauibua  o  dalc  lilia  plenis! 
Io  vidi  già  nel  cominciar  del  giorno 

La  parte  orientai  tutt'  arrossata, 

E  lo  altro  ciel  di  liei  sereno  adorno, 
E  la  faccia  del  sol  nascere  ombrata, 

Si  che,  per  ten)pcranza  di  vapori, 


J}*% 


L'  occhio  la  eostenea  lunga  fiata: 

Così  dentro  una  nuvola  di  fiori, 
Che  dalle  mani  angfliclie  saliva, 
E  ricadeva  in  giù,  dentro  e  di  fori, 

Sovi'a  candido  vel,  cinta  di  oliva. 

Donna  mi  apparve  sotto  verde  manto, 
Vestita  di  color  di  fiamma  viva. 

E  lo  spirito  mio,  che  già  cotanto 

Tempo  era  stato  che  alla  sua  presenza 
Non  era  di  stnpor  tremando  afTranto, 

Sanza  delli  occhi  aver  più  conoscenza, 

^   Per  occulta  virtù,  che  da  lei  mosse, 
T)i  antico  amor  sentì  la  gran  potenza.^ 

Tosto  che  nella  vista  mi  percosse 

L'alta  virtù,  che  già  mi  avea  trafitto, 
Prima  che  io  for  di  puerizia  fosse, 

Volsimi  alla  sinistra  col  respittp, 

Col  quale  il  fantolin  corre  alìa'~marama. 
Quando  ha  paura,  o  quando  egli  è  afflitto, 

Per  dicere  a  Virgilio:  men  che  dramma 
Di  sangue  mi  è  riraasa,  che  non  tremi  ; 
Conosco  i  segni  dell'  antica  fiamma. 

Ma  Virgilio  ne  avea  lasciati  scemi 
Di  sé,  Virgilio,  dolcissimo  padre, 
Virgilio,  a  cui  per  mia  salute  diemi  : 

Né  quantunque  perdco  l'antica  madre, 
Valse  alle  guance  nette  di  rugiada, 
Che  lagrimando  non  tornassero  adre. 

Dante,  per  che  Virgilio  se  ne  vada, 

Non  piangere  anco,  non  piangere  ancora! 
Che  pianger  ti  convien  per  altra  spada. 

Quasi  ammiraglio,  che  in  poppa  ed  in  prora 
Viene  a  veder  la  gente,  che  ministra 
Per  li  alti  legni,  ed  a  ben  far  la  incora, 

In  su  la  sponda  del  carro  sinistra. 

Quando  mi  volsi  al  suon  del  nome  mio. 
Che  di  necessità  qui  si  rigistra, 

Vidi  la  donna,  che  pria  niì  apparto, 
Velata  sotto  1'  angelica  festa, 
Drizzar  li  occhi  ver  me  di  qua  dal  rio. 

Tutto  che  il  vel,  che  le  scendea  di  testa. 
Cerchiato  dalla  fronda  di   Minerva, 
Non  la  lasciasse  parer  manifesta, 

Regalmente  nello  atto  ancor  proterva 
Continuò,  come  colui,  che  dice 
E  il  più  caldo  parlar  dietro  riserva  : 

Guardami  ben  !  son  ben ,  son  ben  Beatrice. 
Come  degnasti  di  accedere  al  monte? 
Non  sapei  tu,  che  qui  é  1'  om  felice? 

Li  occhi  mi  cadder  giù  nel  chiaro  fonte: 
Ma  veggendomi  in  esso  io  trassi  alla  erba; 
Tanta  vergogna  mi  gravò  la  fronte! 

Così  la  madre  al  figlio  par  superba. 

Coni'  ella  parve  a  me:  per  che  di  amaro 
Sente  il  sapor  della  pietate  acerba. 

Ella  si  tacque,  e  li  angeli  cantaro 
Di  subito  :    In  te,  domine,  speravi. 
Ma  oltra  pcdcs  mcos  non  passare. 

Si  come  neve  tra  le  vive  travi 
Per  lo  dosso  d'  Italia  sì  congela, 
Sot'fìata  e  stretta  dalli  venti  schiavi, 

Poi  liquefatta  in  sé  stessa  trapela,  /  ! 

Pur  che  la  terra,  che  perde  ombra,  spiri. 
Sì  che  par  foco  fonder  la  candela: 

Così  fui  senza  lagrime  e  sospiri 

Anzi  'I  cantar  di  quei,  che  notan  sempre 
Dietro  alle  note  dclli  clcrni  giri. 


iuw^' 


149] 


PURGATORIO.  (XXX.  94—145.  XXXI.  1—69) 


[150] 


Ha  poi  che  intesi  nelle  dolci  tempre 
Lor  compatire  a  me,  più  che  se  detto 
Avesser:  donna,  per  che  sì  lo  stempre? 
Lo  giel ,  che  mi  era  intorno  al  cor  ristretto, 
Spirito  ed  acqua  fessi,  e  con  angoscia 
Per  la  hocca  e  per  li  occhi  usci  del  petto. 
i!la  pur  ferma  in  su  la  detta  coscia 
Del  carro  stando ,  alle  sustanzie  pie 
Volse  le  sue  parole  così  poscia: 
Voi  vigilate  nello  eterno  die, 
Sì  che  notte,  né  sonno,  a  voi  non  fura  -. 
Passo  che  faccia  il  secol  per  sue  vie: 
Dmle  la  mia  risposta  è  con  più  cura. 
Che  m'  intenda  colui  che  di  là  piagne, 
Per  clie  sia  colpa  e  duol  di  una  misura. 
Ndn  pur  per  opra  delle  rote  magne, 
Che  drizzan  ciascun  seme  ad  alcun  fine, 
vSccondo  che  le  stelle  son  compagne, 
Ma  per  larghezza  di  grazie  divine. 
Che  sì  alti  vapori  hanno  a  lor  piova, 
Che  nostre  viste  là  non  van  vicine. 

Questi  fu  tal  nella  sua  vita  nova 
Virtualmente,  clie  ogni  ahito  destro 
Fatto  averehbe  in  lui  rairal)il  prova. 

M.i  tanto  più  maligno  e  più  Silvestro 

Si  fa  il  terren  col  mal  seme,  e  non  colto, 
Quanto  el  ha  più  di  buon  vigor  terrestro. 

Alcun  tempo  il  sostenni  col  mio  volto, 
Mostrando  li  occhi  giovinetti  a  lui. 
Meco  il  menava  in  dritta  parte  volto. 

Si  tosto ,  come  in  su  la  soglia  fui 
Di  mia  seconda  etade,  e  mutai  vita, 
Questi  si  tolse  a  me ,  e  diessi  altrui. 

Quando  di  carne  a  spirto  era  salita, 
E  bellezza  e  virtù  cresciuta  mi  era. 
Fu'  io  a  lui  men  cara  e  n?'?n  gradita  : 

E  volse  i  passi  suoi  per  via  non  vera, 
Immagini  dì  ben  seguendo  false, 
Che  nulla  promission  rendono  intera. 

Né  lo  impetrare  spirazion  mi  valse. 

Con  le  quali  ed  in  sogno,  ed  altrimenti, 
Lo  rivocai  ;  sì  poco  a  lui  ne  calse  ! 

"Tanto  giù  cadde,  che  tutti  argomenti 
Alla  salute  sua  cran  già  corti, 
Por  che  mostrarli  le  ])er(hite  genti. 

Per  questo  visitai  lo  uscio  dei  morti, 
£d  a  colui ,  che  lo  ha  qua  su  condotto. 
Li  preghi  miei  piangendo  fnron  porti. 

Lo  alto  fato  di  dio  sarebbe  rotto, 

Se  Lete  si  passasse ,  e  tal  vivanda  .        i 
Fosse  gustata,  senza  alcuno  scotto,  -^^'^'f^ 

Di  pentimento  che  lacrime  spanda,    '-^^'^''r'' 


CANTO    XXXI. 


ARGOMENTO. 

Dante,  confessati  i  suoi  errori,  da  Mtitdda  tuffato 
Lete,  vede  e  contempla  svclaliiincnte  Ueaùice. 

Oh  tu  ,  che  sei  dì  I»  dal  fiume  snero. 
Volgendo  suo  jiarlare  a  me  per  pnnta, 


nei 


Clie  pur  per  taglio  mi  era  paruto  acro. 
Ricominciò  seguendo  senza  cunta: 

Di',  di',  se  questo  é  vero?  A  tanta  accusa 
Tua  eonfession  conviene  esser  congiunta. 
Era  la  mia  virtù  tanto  confusa, 

Che  la  voce  si  mosse,  e  pria  si  spense, 
Che  dalli  organi  suoi  fosse  dischiusa. 
Poco  sofferse;  poi  disse:  che  pense? 
Rispondi  a  me  !  che  le  memorie  triste 
In  te  non  sono  ancor  dalle  acque  ofiense. 
Confusione  e  paura  insieme  miste 
Mi  pinsero  un  tal  sì  for  della  bocca. 
Al  quale  intender  fur  mestier  le  viste. 

Come  al  balestro  frange,  quando  scocca. 
Da  troppa  tesa,  la  sua  corda  e  lo  arco, 
E  con  men  foga  l'  asta  il  segno  tocca: 

Sì  scoppia'  io  sottesso  grave  carco. 
Fuori  sgorgando  lacrime  e  sospiri, 
E  la  voce  allentò  per  lo  suo  varco. 

Ond'  eli'  a  me:   perentro  i  miei  disiri. 
Che  ti  menavau  ad  amar  lo  bene. 
Di  là  dal  qual  non  è  a  che  si  aspiri, 

Quai  fosse  attraversate ,  o  quai  catene 
Trovasti,  per  che  del  passare  innanzi 
Dovessiti  così  spogliar  la  spene? 

E  quali  agevolezze,  o  quali  avanzi 
ISella  fronte  delli  altri  si  mostrare. 
Per  che  dovessi  lor  passeggiar  anzi? 

Dopo  la  tratta  di  un  sospiro  amaro 
A  pena  ebbi  la  voce,   che  rispose, 
E  le  labbra  a  fatica  la  formaro. 

Piangendo  dissi:  le  presenti  cose 

Col  falso  lor  piacer  volser  miei  passi, 
Tosto  che  il  vostro  viso  si  nascose. 

Ed  ella  :  se  tacessi ,  o  se  negassi 

Ciò  che  confessi ,  non  fora  men  nota 
La  colpa  tua;  da  tal  giudice  sassi! 

Ma  quando  scoppia  dalla  propia  gota 
L'  accusa  del  peccato ,  in  nostra  corte 
Rivolge  sé  centra  il  taglio  la  rota: 

Tuttavia  per  che  mo  vergogna  porte 
Del  tuo  errore,  e  per  che  altra  volta. 
Udendo  le  Sirene,  eie  più  forte, 

Pon  giù  il  seme  del  piangere,  ed  ascolta! 
Sì  udirai ,  come  in  contraria  parte 
Mover  dovcati  mia  carne  sepolta. 

Mai  non  ti  appresentò  natura  od  arte 

Piacer ,  quanto  le  belle  membra  in  che  io 
Rinchiusa  fui ,  e  che  son  terra  sparte. 

E  se  il  sommo  piacer  si  ti  fallio 

Per  la  mia  morte ,  qual  cosa  mortale 
Dovea  poi  trarre  te  nel  suo  disio? 

Ben  ti  dovevi  per  lo  prinu)  strale 
Delle  cose  f.illaci  levar  suso 
Dirctro  a  me,  che  non  era  più  tale. 

Non  ti  dovea  gravar  le  penne  in  giuso 
Ad  aspettar  più  colpi,  o  pargoletta, 
O  altra  vanità,  con  sì  breve  uso. 

Novo  augellitto  due  o  tre  aspella: 
Ma  dinair/i  dalli  occhi  dei  pennuti 
Rete  si  spiega  indarno,  o  si  saetta. 

Qiuili  i  fanciulli  vergognando  muli. 

Con   li  orchi  a  terra,  stannosi  ascoltando, 
i']  sé  riconoscendo,  e  ripentnti. 

Tal  mi  slava  io,  ed  ella  disse:  quando 
Per  udir  ^ei  dolente ,  al/.a  la  barba, 
E  prenderai  più  doglia,  riguardando. 

10  * 


[151] 


PURGATORIO.   (XXXr.  W— 145.  XXXII.  1—43) 


[152] 


Con  men  di  resistenza  si  dibarba 

Robusto  Cerro ,  o  vero  allo  austral  vento, 
O  vero  a  quel  della  terra  d'  larba, 

Che  io  non  levai  al  suo  comando  il  mento: 
E  quando  per  la  barba  il  viso  chiese. 
Ben  conobbi  '1  veien  dello  argomento. 

E  come  la  mia  faccia  si  distese, 
Posarsi  quelle  prime  creature 
Da  loro  aspersion  1'  occhio  comprese; 

E  le  mie  luci,  ancor  poco  sicure, 
Vider  Beatrice  volta  in  su  la  fiera, 
Ch'  è  sola  una  persona  in  due  nature. 

Sotto  suo  velo ,  ed  oltre  la  riviera 
Verde ,  pareami  più  sé  stessa  antica 
Vincer,  che  le  altre  qui ,  quando  ella  ci  era. 

Di  penter  si  mi  punse  ivi  la  ortica. 
Che  di  tutte  altre  cose,  qual  mi  torse 
Più  nel  suo  amor,  più  mi  si  fé  nimica. 

Tanta  riconoscenza  il  cor  mi  morse. 

Che  io  caddi  vinto  :  e  quale  allora  femmi. 
Salsi  colei  che  la  ragion  mi  porse. 

Poi  quando  il  cor  virtù  di  for  rendemmì, 
La  donna,  che  io  avea  trovata  sola. 
Sopra  me  vidi,  e  dicea:  tiemmi ,  tiemmi! 

Tratto  mi  avea  nel  fiume  infino  a  gola, 
E  tirandosi  me  dietro ,  sen  giva 
Sovresso  1'  acqua  lieve  come  stola. 

Quando  fui  presso  alla  beata  riva, 
Asperges  me  si  dolcemente  udissi, 
Che  io  noi  so  rimembrar,  non  che  io  lo  scriva. 

La  bella  donna  nelle  braccia  aprissi, 

Abbracciommi  la  testa ,  e  mi  sommerse. 
Ove  convenne  che  io  V  acqua  inghiottissi: 

Indi  mi  tolse,  e  bagnato  mi  offerse 
Dentro  alla  danza  delle  quattro  beile, 
E  ciascuna  col  braccio  mi  coperse. 

Noi  sem  qui  ninfe,  e  nel  ciel  semo  stelle? 
Pria  che  Beatrice  discendesse  al  mondo, 
Fummo  ordinate  a  lei  per  sue  ancelle. 

Merremti  alli  occhi  suoi  ;  ma  nel  giocondo 
Lume ,  eh'  é  dentro ,  aguzzeran  li  tuoi 
Le  tre  di  là,  che  miran  più  profondo. 

Così  cantando  cominciaro,  e  poi 
Al  petto  del  grifon  seco  menarmi, 
Ove  Beatrice  volta  stava  a  noi. 

Dìsser:  fa  che  le  viste  non  risparmi! 
Posto  ti  avem  dinanzi  alli  smeraldi, 
Onde  amor  già  ti  trasse  le  sue  armi. 

Mille  disiri  più  che  fiamma  caldi 

Strinsermi  li  occhi  alli  occhi  rilucenti. 
Che  pur  sopra  il  grifon  stavano  saldi. 

Come  in  lo  specchio  il  sol,  non  altrimenti. 
La  doppia  fiera  dentro  vi  raggiava 
Or  con  uni,  or  con  altri  reggimenti. 

Pensa,  lettor,  se  io  mi  maravigliava, 
Quando  velica  la  cosa  in  sé  star  queta^ 
E  nello  idolo  suo  si  trasmutava. 

Mentre  che  piena  di  stupore,  e  lieta 
L'  anima  mia  gustava  di  quei  cibo, 
Che  saziando  di  sé,  di  sé  asseta, 

Sé  dimoslriindo  di  più  alto  tribo 
Nelli  atti,  le  altre  tre  si  fero  avanti 
Danzando  al  loro  angelico  caribo. 

Volgi,  Beatrice,  volgi  li  occhi  santi! 
y.rd  la  sua  canzone,  al  tuo  fedele. 
Che  por  vederti  ha  mossi  |tasHÌ  tanti  ! 

Per  grazia  fa  noi  grazia,  che  disvelo 


A  luì  la  faccia  tua,  f!Ì  che  discema 
La  seconda  hellezza  che  tu  cele! 

Oh  isplendor  di  viva  luce  eterna. 
Chi  pallido  si  fece  sotto  la  ombra 
Sì  di  Parnaso,  o  bevve  in  sua  cisterna, 

Che  non  paresse  aver  la  mente  ingombra. 
Tentando  a  render  te,  qual  tu  paresti 
Là  dove  armonizzando  il  ciel  ti  adombra, 

Quando  nello  aere  aperto  ti  solvesti? 


CANTO    XXXII. 


ARGOMENTO. 

Oggetti  misteriosi;  pianta  che  perde  e  rinnova  le  fo- 
glie; grifone,  aquila,  drago,  volpe,  mostro  di  sette 
teste,  meretrice,  gigante,  che  vanno  sopra  din- 
torno al  bel  carro  trionfale  di  Beatrice. 

Tanto  eran  li  occhi  miei  fisi  ed  attenti 

A  disbramarsì  la  decenne  sete, 

Che  li  altri  sensi  mi  eran  tutti  spenti: 
Ed  essi  quinci  e  quindi  avean  parete 

Di  non  caler;  così  lo  santo  riso 

A  sé  tracli  con  l'  antica  rete  ! 
Quando  per  forza  mi  fu  volto  il  viso 

Ver  la  sinistra  mia  da  quelle  Dee, 

Per  che  io  udia  da  loro  un  troppo  fisa. 
E  la  disposizion,  che  a  veder  ee 

Nelli  occhi  pur  testé  dal  sol  percossi, 

Sanza  la  vista  alquanto  esser  mi  fee: 
Ma  poi  che  al  poco  il  viso  riforraossi  — 

Io  dico  al  poco,  per  rispetto  al  molto 

Sensibile,  onde  a  forza  mi  rimossi  — 
Vidi  in  sul  braccio  destro  esser  rivolto 

Lo  glorioso  esercito,  e  tornarsi  ■ 

Col  sole,  e  con  le  sette  fiamme  al  Tolto. 
Come  sotto  li  scudi  per  salvarsi 

Volgesi  schiera,  e  sé  gira  col  segno. 

Prima  che  possa  tutta  in  sé  mutarsi. 
Quella  milizia  del  celeste  regno. 

Che  procedeva,  tutto  trapassonne, 

Pria  che  piegasse  il  carro,  il  primo  legno. 
Indi  alle  rote  si  tornar  le  donne, 

E  il  grifon  mosse  il  benedetto  carco. 

Sì  che  però  nulla  penna  crollonne. 
La  bella  donna  che  mi  trasse  al  varco, 

E  Stazio,  ed  io  seguitavam  la  rota. 

Che  fé'  la  orbita  sua  con  minore  arco. 
Sì  passeggiando  l'  alta  selva  vota. 

Colpa  di  quella,  che  al  serpente  crese. 

Temprava  ì  passi  un'  angelica  nota. 
Forse  in  tre  voli  tanto  spazio  prese 

Disfrenata  saetta,  quanto  ernmo 

Kimo!>si,  quando  Beatrice  scese. 
Io  sentii  mormorare  a  tntti  :  Adamo  ; 

Poi  cerchiaro  una  pianta  dispogliata 

Di  fiori,  e  di  altra  fronda,  in  ciascun  ramo. 
La  coma  sua,  che  tanto  si  dilata 

Più,  quanto  più  é  su,  fora  dall'  Indi 

Nei  boschi  lor  per  altezza  ammirata. 
Beato  sci,  grifun,  che  non  disciudi 


153] 


PURGATORIO.       (XXXII.  44—160.  XXXIII.  l— 3) 


Col  becco  di  esto  leg-no  dolce  al  gusto, 
Poscia  che  mal  si  torse  il  ventre  quindi. 
ZIosì  d'  intorno  allo  arl)ore  robusto 
Gridaron  li  altri:  e  lo  animai  binato; 
Sì  si  conserva  il  seme  di  ogni  giusto. 
E  volto  al  temo,  eh'  egli  avea  tirato, 
Trasselo  al  pie  della  vedova  frasca; 
E  quel  di  lei  a  lei  lasciò   legàTòT^ 
Come  le  nostre  piante,  quando  casca 
Giù  la  gran  luce  mischiata  con  quella, 
Che  raggia  dietro  alla  celeste  lasca, 
Turgide  fansi,  e  poi  si  rinnovella 
Di  suo  color  ciascuna,  pria  che  il  sole 
Giunga  li  suoi  corsier  sotto  altra  stella; 
.Men  che  di  rose,  e  più  che  di  viole, 
Colore  aprendo,  s'  innovò  la  pianta. 
Che  prima  avea  le  ramora  si  sole. 
Io  non  lo  intesi,  né  qua  giù  si  canta 
Lo  inno  che  quella  gente  allor  cantaro, 
jN'è  la  nota  soffersi  tutta  quanta. 
Se  io  potessi  ritrar,  come  assonnaro 
Li  occhi  jpjetatij  udendo  di  Siringa, 
Li  occhi,  a  cui  pur  vegghiar  costò  sì  caro, 
Come  pintor  che  con  esemplo  pinga. 
Disegnerei  come  io  mi  addormentai: 
Ma  qual  vuol  sia  che  lo  assonnar  ben  finga! 
Però  trascorro  a  quando  mi  svegliai, 

E  dico  che  un  splendor  mi  squarciò  il  velo^'j. 
Del  sonno,  ed  un  chiamar:  sUrgì,  che  fai?  '^ 
Quale  a  veder  dei  fioretti  del  melo, 
Che  del  suo  pomo  li  angeli  fa  ghiotti, 
E  perpetue  nozze  fa  nel  cielo, 
Piero  e  Giovanni  e  Jacopo  condotti, 
E  vinti,  ritornaro  alla  parola. 
Dalla  qual  furon  maggior  sonni  rotti, 
E  videro  scemata  loro  scola, 
Così  dì  Moisè,  come  di  Elia, 
Ed  al  maestro  suo  cangiata  stola. 
Tal  torna'  io,  e  vidi  quella  pia 
Sovra  me  starsi,  che  conducitrìce 
Fu  dei  mici  passi  lungo  il  fiume  pria^ 
jE  tutto  in  dubbio  dissi:  ov'  è  Beatrice? 
I      Ed  ella:  vedi  lei  sotto  la  fronda 
I      Nova  sedersi  in  su  la  sua  radice. 
Vedi  la  compagnia,  che  la  circonda: 
Lì  altri  dopo  il  grifon  sen  vanno  suso 
Con  più  dolce  canzone  e  più  profonda. 
E  86  fu  più  lo  suo  parlar  difTuso, 

Non  so  :  però  che  già  nclli  occhi  mi  era 
Quella,  che  ad  altro  intender  mi  avea  chiuso» 
Sola  sedeasi  in  su  la  terra  vera, 

Come  guardia  lasciata  li  del   plaustro. 
Che  legar  vidi  alla  biforme  fiera. 
In  cerchio  le  facevan  di  sé  claustro 
Le  sette  ninfe,  con  quei  lumi  in  mano. 
Che  son  sicuri  di  aquilone  e  di  austro.! 
Qui  sarai  tu  poco  tempo  silvano,  Wi^-^va* 

E  gami  m«co  sanza  fine  clve 
Di  quella  Roma,  onde  Cripto  è  Romano. 
Però  in  prò  del  mondo,  ch«^  mal  vive. 

Al  carro  tieni  or  li  occhi,  e  quel  che  vedi, 
Ritiirnatn  di  là,  fa  che  tu  scrìve! 
Così  Reatrice;  ed  io,  che  tutto  ai  piedi 
Dei  suoi  comnndanic-nti  era  devoto. 
La  mente  e  li  occhi,  ov'  ella  volle,  diedi. 
Non  scese  mai  con  mì  veloce  molo 
Foco  di  spessa  nube,  quando  piove 


[154] 


Vi' 


Da  quel  confine  che  più  è  remoto. 
Come  io  vidi  calar  lo  nccel  di  Giove 
Per  lo  arbor  giù,  rompendo  della  scorza, 
Kon  che  dei  fiori  e  delle  foglie  nove: 
E  ferio  il  carro  di  tutta  sua  forza; 
Ond'  el  piegò,  come  nave  in  fortuna, 
Vinta  dalle  onde  or  da  poggia  or  da  orza 
Poscia  vidi  avventarsi  nella  cana  . 
Del  trionfai  veicolo  una  volpe. 
Che  di  ogni  pasto  buon  parca  digiuna. 
Ma  riprendendo  lei  dì  laide  colpe. 
La  donna  mia  la  volse  in  tanta  futa. 
Quanto  sofTerson  le  ossa  senza  polpe. 
Poscia  per  indi,  ond'  era  pria  venuta, 
L'  aquila  vidi  scender  giù  nell'  arca 
Del  carro ,  e  lasciar  lei  di  sé  pennuta. 
E  qual  esce  di  cor  che  si  rammarca,       -\f--' 
Tal  voce  uscì  del  cielo  ,  e  cotal  disse  : 
Oh  navicella  mia,  com'  mal  sei  carca! 
Poi  parve  a  me  che  la  terra  si  aprisse 
Tra  'mbe  le  rote,  e  vidi  uscirne  un  drago, 
Che  per  lo  carro  su  la  coda  fisse: 
E  come  vespa  che  ritragge  lo  ago, 
A  se  traendo  la  coda  maligna, 
Trasse  del  fondo ,  e  gissen  vago  vagO- 
Quel  che  rimase,  come  di  gramigna 
Mvace  terra,  della  piuma  offerta. 
Forse  con  intenzion  sana  e  benigna. 
Si  ricoperse,  e  funne  ricoperta 

E  la  una  e  1'  altra  rota  e  il  temo  ,  in  tanto 
Che  più  tiene  un  sospir  la  bocca  aperta. 
Trasformato  così  '1  dificio  santo 
Mise  for  teste  per  le  parti  sue, 
Tre  sovra  il  temo ,  ed  una  in  ciascun  canto. 
Le  prime  eran  cornute  come  bue: 

Ma  le  quattro  un  sol  corno  avcan  per  fronte: 
Simile  mostro  visto  mai  non  fue. 
Sicura ,  quasi  rocca  in  alto  monte. 
Seder  sovresso  unti  puttana  sciolta 
Mi  apparve,  con  le  ciglia  intorno  pronte. 
E,  come  per  che  non  li  fosse  tolta. 
Vidi  di  costa  a  lei  dritto  un  gigante  : 
E  basiavansi  insieme  alcuna  volta. 
Ma  per  clic  1'  occhio  cupido  e  vagante 
A  me  rivolse ,  quel  feroce  drudo 
La  flagellò  dal  capo  insin  le  pianto. 
Poi  di  sospetto  pieno,  e  d'  ira  criulo 

Disciolse  il  mostro,  e  trassel  per  la  selva 
Tanto ,  che  sol  dì  lei  mi  fece  scudo 
Alla  puttana )  ed  alla  nova  belva. 


CANTO    XXXIIT. 


ÀRGOMEyTO. 

Altre  cose  e  predizioni  allcf^orichc.     Dante  hrvc   ì*  ac- 
qua dclfiiiinc  Jùmoè  e  si  sente  dc^iio   di   salire 
III  ciclo. 


Dell'i,  ì^encnml  pentcx,  alternando. 
Or  tre  or  quattro  ,   dolce  siihnodin 
Lo  donne  iucoiuinci<iru  lacrimando. 


[155] 


PURGATORIO.     (XXXIII.  4—137) 


[156] 


/. 


E  Beatrice  sospirosa  e  pia 

Quelle  ascoltava  sì  fatta,  che  poco 
Più  alla  croce  si  cambiò  Maria. 

Ma  poi  che  le  altre  verdini  dier  loco 
A  lei  di  dir,  levata  ritta  in  più, 
Rispose  colorata  come  foco  : 

Modicum ,  et  non  videbitis  me  : 
Et  iterum ,  sorelle  mie  dilette, 
Modicum  j  et  vos  videbitis  me. 

Poi  le  si  mise  innanzi  tutte  e  sette, 
E  dopo  sé,  solo  accennando,  mosse 
Me,  e  la  donna,  e  il  savio  che  ristette. 

Così  sen  giva  :  e  non  credo  che  fosse 
Lo  decimo  suo  passo  in  terra  posto. 
Quando  con  li  occhi  li  occhi  mi  percosse. 

E  con  tranquillo  aspetto,  vien  più  tosto, 
Mi  disse,  tanto  che,  se  io  parlo  teco, 
Ad  ascoltarmi  tu  sie  ben  disposto! 

Sì  come  io  fui,  come  io  doveva,  seco. 
Dissemi  :  frate ,  per  che  non  ti  attenti 
A  dimandarmi  omai,  venendo  meco? 

Come  a  color,  che  troppo  reverenti 
Dinanzi  a  suo  maggior  parlando  sono. 
Che  non  traggon  la  voce  viva  ai  denti, 

Avvenne  a  me,  che  senza  intero  suono 
Incominciai:  madonna,  mia  bisogna 
/     Voi  conoscete,  e  ciò  che  ad  essa  è  buono. 

Ed  ella  a  me:  da  tema  e  da  vergogna 
Voglio  che  tu  omai  ti  disvìluppe. 
Sì  che  non  parli  più  come  om  che  sogna. 

Sappi  che  il  vaso,  che  il  serpente  ruppe, 
Fu,  e  non  è:  ma  chi  ne  ha  colpa,  creda 
Che  vendetta  di  dio  non  teme  suppe. 

Non  sarà  tutto  tempo  sanza  reda 

L'  aquila  che  lasciò  le  penne  al  carro: 
Per  che  divenne  mostro ,  e  poscia  preda. 

Che  io  veggio  certamente,  e  però  il  narro, 
A  darne  tempo  già  stelle  propinque. 
Sicuro  da  ogn'  intoppo  e  da  ogni  sbarro, 

Nel  quale  un  cinquecento  diece  e  cinque 
Messo  di  dio  anciderà  la  fiija, 
E  quel  gigante  che  con  lei  delinque. 

E  forse  che  la  mia  narrazion  buja, 
Qual  Temi  e  Sfinge ,  men  ti  persuade, 
Per  che  a  lor  modo  lo  intelletto  attuja  : 

Ma  tosto  fien  le  fata  le  Na  jade. 

Che  solveranno  questo  enigma  forte. 
San/a  danno  di  pectore  o  di  biade. 

Tu  nota,  e  sì  come  da  me  sun  parte 
Queste  parole,  sì  le  insegna  ai  vivi 
Del  viver,  eh'  è  un  correre  alia  morte! 

Ed  aggi  a  mente  ,  quando  tu  le  scrivi, 
Di  non  celar ,  qual  hai  vista  la  pianta, 
Cli'  è  or  due  volte  dirubata  quivi! 

Qualunque  ruba  quella,  o  quella  schianta, 
Con  bestemmia  di  fatto  oH'ende  a  dio. 
Che  solo  allo  uso  suo  la  cren  santa. 

Per  morder  quella  ,  in  pena  ed  in  disio 
Cinqucniillc  anni  e  più  l'  anima  prima 
Bramò  colui,  che  il  morso  in  sé  punio. 

Dorme  Io  ingegno  tuo,  se  non  istima 
Per  singular  cagione  esser  eccelsa 
Lei  tanto,  e  sì  travolta  nella  cima. 

E  se  stati  non  fossero  acqua  di  Elsa 
Li  pensicr  vani  intorno  alla  tua  niente, 
E  il  piacer  loro  un  Piranio  alla  gelsa, 

Per  tante  circostanze  bolamcntc 


La  giustizia  di  dio  nello  interdetto 

Conosceresti  allo  alber  moralutente. 
Ma  per  che  io  veggio  te  nello  intelletto 

Fatto  di  pietra,  ed  impetrato  e  tinto, 

Sì  che  ti  abbaglia  il  lume  del  mio  detto. 
Voglio  anche,  e  se  non  scritto,  almen  dipinto, 

Che  il  te  ne  porti  dentro  a  te,  per  quello,      j    i 

Che  si  reca  il  bordon  di  palma  cinto.  ^A  ' 

Ed  io  :  sì  come  cera  da  suggello. 

Che  la  figura  impressa  non  trasmuta, 

Segnato  è  or  da  voi  lo  mio  cervello. 
Ma  per  che  tanto  sovra  mia  veduta 

Vostra  parola  disiata  vola, 

Che  più  la  perde,  quanto  più  si  ajuta? 
Per  che  conoschi,  disse  ,  quella  scola 

Che  hai  seguitata ,  e  veggi  sua  dottrina 

Come  può  seguitar  la  mia  parola  ; 
E  veggi  vostra  via  dalla  divina 

Distar  cotanto,  quanto  si  discorda 

Da  terra  il  ciel  che  più  alto  festina. 
Onde  io  risposi  lei  :  non  mi  ricorda  -^ 

Che  io  straniassi  me  giammai  da  voi, 

Né  honne  coscienzia  che  rimorda. 
E  se  tu  ricordar  non  te  ne  puoi. 

Sorridendo  rispose ,  or  ti  i-ammenta. 

Come  di  Lete  tu  bevesti  ancoi: 
E,  se  dal  fummo  foco  si  argomenta, 

Cotesta  oblivion  chiaro  conchiude 

Colpa  nella  tua  voglia  altrove  attenta. 
Veramente  oramai  saranno  nude 

Le  mie  parole,  quanto  converrassi 

Quelle  scovrire  alla  tua  vista  rude. 
E  più  corrusco ,  e  con  più  lenti  passi 

Teneva  il  sole  il  cerchio  di  merigge, 

Che  qua  e  là ,  come  li  aspetti ,  l'assi. 
Quando  si  affisser  ,  sì  come  si  affigge 

Chi  va  dinanzi  a  schiera  per  iscorta. 

Se  trova  novitate  in  sue  vestigge, 
Le  sette  donne  al  fin  di  una  ombra  smorta, 

Qual  sotto  foglie  verdi  e  rami  nigrì. 

Sopra  suoi  freddi  rivi  1'  Alpe  porta. 
Dinanzi  ad  esse  Eufrates  e  Tigri 

Veder  mi  parve  uscir  di  una  fontana, 

E  quasi  amici  dipartirsi  pigri. 
Oh  luce,  oh  gloria  della  gente  umana. 

Che  acqua  è  questa ,  che  qui  si  dispiega 

Da  un  principio ,  e  sé  da  sé  lontana  ? 
Per  cotal  prego  detto  mi  fu  :  prega 

Matelda  che  il  ti  dica!  E  qui  rispose, 

Come  fa  chi  da  colpa  si  dislega, 
La  bella  donna:  questo  ed  altre  cose 

Dette  lì  son  per  me:  e  son  sicura 

Che  r  acqua  di  Lete  non  liei  nascose. 
E  Beatrice:  forse  maggior  cura, 

Che  spesse  volte  la  memoria  priva. 

Fatto  ha  la  mente  sua  nelli  occhi  oscura. 
Ma  vedi  Eunoé,  che  là  deriva! 

Menalo  ad  esso ,  e  come  tu  set  usa, 

La  tramortita  sua  virtù  ravviva  ! 
Come  anima  gentil,  4-he  non  fa  scusa, 

Ma  fa  sua  voglia  della  voglia  altrui, 

'l'osto   coni'  è  per   segno   for  dischiusa. 
Così  poi  «-he  da  essa  preso  fui, 

La  bella  donna  iiu)ssesi,  ed  a  Sta/.io 

Donnescamente  disse:  vien  con  lui! 
Se  io  avessi,  lettor,  più  lungo  spazio 

Da  scrivere ,  io  pur  cantere'  in  parte 


[157]    PURGATORIO.  (XXXIIT.  138— 145.J  PARADISO.  (I.   i_91)    [158] 


Lo  dolce  ber  ,  che  mai  non  mi  avria  sazio. 
]Ma  per  che  piene  son  tutte  le  carte 
Ordite  a  questa  cantica  seconda, 
Non  mi  lascia  più  ir  io  fren  dell'  arte. 


Io  ritornai  dalla  santìssima  onda 
Rifatto  sì ,  come  piante  novelle 
Rinnovellate  di  novella  fronda. 

Puro  e  disposto  a  salire  alle  stelle. 


PARADISO. 


|v- 


CANTO      I. 


ARGOMENTO. 

Esordio  ed  invocazione.     Natura   del  poeta  cangiato. 
Beatrice  risolve  alcuni  dubbj. 


jLa  gloria  di  colui  che  tutto  move, 
Per  lo  universo  penetra,  e  risplende 
In  una  parte  più ,  e  meno  altrove. 

Nel  ciel  che  più  della  sua  luce  prende 
Fu'  io,  e  vidi  co>e  che  ridire 
Nò  sa  né  può  qual  di  là  su  discende: 

Per  che  appressando  sé  al  suo  disire 
Nostro  intelletto  si  profonda  tanto, 
Che  retro  la  memoria  non  può  ire. 

Veramente  quanto  io  del  regno  santo 

Nella  mia  mente  potei  far  tesoro. 

Sarà  ora  materia  del  mio  canto. 

Oh  buono  Apollo,  allo  ultimo  lavoro 
Fammi  del  tuo  valor  sì  fatto  vaso, 
Come  dimanda  dar  lo  amato  alloro  ! 

Lisino  a  qui  lo  un  giogo  di  Parnaso 
Assai  mi  fu  :  ma  or  con  ambi  e  due 
Mi  è  opo  entrar  nello  aringo  riraaso. 

Entra  nel  petto  mio ,  e  spira  tue, 
Sì  come  quando  Marsia  traesti 
Della  vagina  delle  membra  sue  ! 

Oh  divina  virtù,  se  mi  ti  |)re»ti 

Tanto ,  che  la  ombra  del  beato  regno 
Segnata  nel  mio  capo  io  manifesti, 

Venir  vedràimi  al  tuo  diletto  legno, 
E  coronarmi  allor  di  quelle  foglie. 
Che  la  materia  e  tu  mi  farai  degno. 

Sì  rade  volte ,  padre ,  se  ne  coglie, 
Per  trionfare  o  Cesare  ,  o  poeta, 
(Colpa  e  vergogna  delle  umane  voglie!) 

Che  partorir  letizia  in  su  la  lieta 
DclfK-a  deità  dovria  la  fronda 
Peneia,  quando  alcun  di  sé  asseta. 

Poca  f.ivilla  gran  fìaniina  seconda  : 
Forse  diretro  a  me  con  miglior  voci 
Si  pregherà  per  che  Cirra  risponda. 

Surge  ai  mortali  per  diverse  foci 

La  lu(-erna  del  mondo  :  ma  da  quella, 
Clic  gingne  quattro  cerchi  «  r>n  tre  croci. 

Con  miglior  corso  ,  e  con  iiiigli(»rc  stella 
Esce  congiunta,  o  la  mondana  cera 


Più  a  suo  modo  tempera  e  suggella. 

Fatto  avea  di  là  mane,  e  di  qua  sera 
Tal  foce  e  quasi   tutto  era  là  bianco 
Quello  emisperio,  e  1'  altra  parte  nera, 

Quando  Beatrice  in  sul  sinistro  fianco 
A  idi  rivolta,  e  riguardar  nel  sole: 
Aquila  sì  non  li  si  affisse  unquanco. 

E  sì  come  secondo  raggio  suole 
Uscir  del  primo  ,  e  risalire  insuso, 
Pur  come  peregrin,  che  tornar  vuole. 

Così  dello  atto  suo,  per  li  occhi  infuso 
Nella  immagine  mia,  il  mio  si  fece, 
£  fìssi  li  occhi  al  sole  oltre  a  nostro  uso. 

.\Iolto  è  licito  là,  che  qui  non  lece 
Alle  nostre  virtù,  mercè  del  loco 
Fatto  per  proprio  della  umana  spece. 

Io  noi  soffersi  molto  ,  né  sì  poco, 
Che  io  noi  vedessi  sfavillar  dintorno, 
Qual  ferro  che  bollente  esce  del  foco. 

E  disubito  parve  giorno  a  giorno 

Essere  aggiunto,  come  quei  che  puotc 
Avesse  il  ciel  di  un  altro  sole  adorno. 

Beatrice  tutta  nell'  eterne  rote 
Fissa  con  li  occhi  stava,  ed  io  in  lei 
Le  luci  fìsse,  di  là  su  rimote, 

Xel  suo  aspetto  tal  dentro  mi  fei, 
Qual  si  fé  Glauco  nel  gustar  della  erba, 
Che  il  fé  consorto  in  mar  delli  altri  dei. 

Friisumanar  significar  per  vcrba 
Non  si  poria:  però  lo  esempio  basti 
A  cui  esperienza  grazia  serba! 

Se  io  era  sol  di  me  quel  che  creasti 

Novellamente,  Amor,  che  il  ciel  governi. 
Tu  il  sai,  che  col  tuo  hmie  mi  legasti. 

'Quando  la  rota,  che  tu  sempiterni 
Desiderato,  a  sé  nù  fece  atteso 
Con  r  ariiuinia  che  temperi,  e  disoerni, 

l'arvemi  tanto  allor  del  cit-lo  acceso 
Dalla  fiamma  del  sol,   che  pioggia  o  fiume 
Laco  non  fece  mai  tanto  «li^trso. 

La  novità  del  suono  e  il  grande  lume 
Di  l(ir  cagìou  mi  accesero  un  disio 
ì\Iai  ncui  sentito  di  cotanto  acume. 

Ond'  ella,  che  >(>ilca  me  sì  come  io. 
Ad  nc(|U('larMii  lo  aniiiu)  commosso. 
Pria  che  io  a  dimandar,  la  bocca  aprio, 

E  cominciò:  tu  stesso  ti  fai  grosso 
Col  fiilso  inunaginar,  sì  che  non  vedi 
Ciò  che  v(>dresti,  se  Io  avessi  scosso. 

Tu  non  se'  iu  terra  sì  come  tu  credi: 


[159] 


PARADISO.  (I  92—142.  II.  1  —  71) 


[160] 


Ma  folgore,  fuggendo  il  primo  gito, 
Non  corse  come  tu,  che  ad  esso  riedi. 

Se  io  fui  del  primo  dubbio  disvestito. 
Per  le  sorrise  parolette  brevi, 
Dentro  ad  un  novo  più  fui  irretito; 

E  dissi:  già  contento  requievi 

Di  grande  ammirazion  ;  ma  ora  ammiro 
Come  io  trascenda  questi  corpi  lievi. 

Ond'  ella,  a  presso  di  un  pio  sospiro. 

Li  occhi  drizzò  ver  me  con  quel  sembiante. 
Che  madre  fa  sopra  figliol  deliro, 

E  cominciò:  le  cose  tutte  quante 

liann'  ordine  tra  loro:  e  questo  è  forma, 
Che  lo  universo  a  dio  fa  simigliante. 

Qui  veggion  le  alte  creature  la  orma 
Dello  eterno  valore,  il  quale  è  fine, 
Al  quale  è  fatta  la  toccata  norma. 

JieìV  ordine,  che  io  dico,  sono  accline 
Tutte  nature,  per  diverse  sorti 
Più  al  principio  loro  e  raen  vicine: 

Onde  si  movono  a  diversi  porti 

Per  lo  gran  mar  dello  essere,  e  ciascuna 
Con  istinto  a  lei  dato  che  la  porti  ; 

Questi  ne  porta  il  foco  inver  la  luna: 
Questi  nei  cor  mortali  è  permotore: 
Questi  la  terra  in  sé  stringe  ed  aduna. 

Kè  pur  le  creature,  che  son  fore 
D'  intelligenzia,  questo  arco  saetta, 
Ma  quelle,  che  hanno  intelletto  ed  amore. 

La  providcnzia,  che  cotanto  assetta, 
Del  suo  lume  fa  il  ciel  sempre  quieto, 
?iel  qual  si  volge  quel,  che  ha  maggior  fretta: 

Ed  ora  lì,  come  a  sito  decreto, 

Ccn  porta  la  virtù  di  quella  corda, 

Che  ciò  che  scocca  drizza  in  segno  lieto. 

Vero  è,  che  come  forma  non  si  accorda 
Molte  fiate  alla  intenzion  dell'  arte. 
Per  che  a  risponder  la  materia  è  sorda, 

Co^ì  da  questo  corso  si  diparte 
Talor  la  creatura  che  ha  podere 
Di  piegar,  così  pinta,  in  altra  parte. 

(E  si  come  vedersi  può  cadere 
Foco  di  nul)e)  se  lo  impeto  primo 
L'  atterra  torto  da  falso  piacere, 

Non  dei  più  ammirar,  se  bene  stimo. 
Lo  tuo  salir,  se  non  come  dì  un  ri%o. 
Se  d'  alto  monte  scende  giuso  ad  imo. 

Maraviglia  sarebbe  in  te,  se  privo 
D'  impedimento  giù  ti  fossi  assiso, 
Come  materia  quieto  in  foco  vivo. 

Quinci  rivolse  inver  lo  cielo  il  viso. 


CANTO    IL 


ARGOMENTO. 

Prima  delle  nove  sfere  del  paradiso.     Quistione 
macchio  della  luna  e  sulla  cosmogonia. 

Oh  voi,  che  siete  in  piccioletta  barca, 

Deciderosi  tli  ascoltar,  seguiti 

Dietro  al  mio  legno,  «;hc  cantando   varca, 
Tornate  a  riveder  li  vostri   liti. 


autte 


Non  vi  mettete  in  pelago,  che  forse, 
Perdendo  me,  rimarreste  smarriti. 

L'  acqua,  che  io  prendo,  già  mai  non  si  corse: 
Minerva  spira,  e  conducemi  Apollo, 
E  nove  muse  mi  dimostran  le  orse. 

Voi  altri  pochi,  che  drizzaste  il  collo 
Per  tempo  al  pan  delli  angeli,  del  quale 
Vivesi  qui,  ma  non  si  vien  satollo, 

Metter  potete  ben  per  lo  alto  sale 
Vostro  navigio,  servando  mio  solco 
Dinanzi  all'  acqua,  che  ritorna  eguale. 

Quei  gloriosi,  che  passaro  a  Coleo, 
Non  si  ammiraron,  come  voi  farete, 
Quando  vider  Jason  fatto  bifolco. 

La  concreata  e  perpetua  sete 
Del  deiforme  regno  cen  portava 
Veloci  quasi  come  il  ciel  vedete. 

Beatrice  in  suso,  ed  io  in  lei  guardava: 

E  forse  in  tanto,  in  quanto  un  quadrel  posa, 
E  vola,  e  dalla  noce  si  dischiava, 

Giunto  mi  vidi,  ove  mirabil  cosa 

Mi  torse  il  viso  a  sé  :  e  però  quella. 
Cui  non  potea  mia  opra  esser  ascosa. 

Volta  ver  me  si  lieta,  come  bella: 

Drizza  la  mente  in  dio  grata,  mi  disse. 
Che  ne  ha  congiunti  con  la  prima  stella! 

Parevami,  che  nube  ne  coprisse 
Lucida,  spessa,  solida,  e  pulita, 
Quasi  adamante,  che  lo  sol  ferisse. 

Per  entro  sé  la  eterna  margherita 
Ne  ricevette,  come  acqua  ricepe 
Raggio  di  luce,  permanendo  unita. 

Se  io  era  corpo,  e  qui  non  si  concepe. 
Come  una  dimensione  altra  patio, 
Ch'  esser  convien  se  corpo  in  corpo  repe. 

Accender  ne  dovria  più  il  disio 

pi  veder  quella  essenzia,  in  che  si  vede 
Come  nostra  natura  in  dio  si  unio. 

Li  si  vedrà  ciò  che  tenem  per  fede. 
Non  dimostrato,  ma  fia  per  sé  noto, 
A  guisa  del  ver  primo,  che  1'  om  crede. 

Io  risposi:  madonna,  sì  devoto, 

Com'  esser  posso  più,  ringrazio  lui. 
Lo  qual  dal  mortai  mondo  mi  ha  rimoto. 
Ma  ditemi,  che  sono  i  segni  bui 

Di  questo  corpo,  che  là  giuso  in  terra 
Fan  di  Cain  favoleggiare  altrui? 
Ella  sorrise  alquanto  e  poi:  s'egli  erra 
Ija  opinion,  mi  disse,  dei  mortali. 
Dove  chiave  di  senso  non  disserra. 
Certo  non  ti  dovrien  ptmger  li  strali 

Di  ammirazione  ornai:  più,  dietro  ai  sensi 
Vedi  che  la  ragione  ha  corte  le  ali. 
Ma  dimmi  quel  che  tu  da  te  ne  pensi. 
Ed  io:  ciò  che  ne  appar  qua  su  diverso. 
Credo  che  il  fanno  i  corpi  rari  e  densi. 
Ed  ella:  certo  assai  vedrai  sommerso 
Nel  falso  il  creder  tuo,  se  bene  ascolti 
Lo  argomentar,  che  io  li  farò  avverso. 
La  spera  ottava  vi  dimostra  molti 

Lumi,  li  quali  nel  quale,  e  nel  quanto 
Notar  si  posson  di  diversi  volti. 
Se  raro  e  denso  ciò  f.icesser  tanto, 
Una  sola  virtù  sarebbe  in  tutti 
Più  e  mcn  distributa,  ed  altrettanto.  ' 
Virtù  diverse  esser  convognon  frutti 
Di  principj  formali,  e  quei,  for  che  una, 


161] 


PARADISO.     (II.  72  — 148.  III.  1—43 ) 


[162] 


Seguiteriano  a  tua  ragion  distrutti. 
kncor  se  raro  fosse  di  quel  bruno 

Cagion,  che  tu  dimandi,   od  oUre  in  parte. 

Fora  di  sua  materia  sì  digiuno 
5^to  pianeta,  o,  sì  come  coniparte 

Lo  grasso  e  il  magro  un  corpo,  così  questo 

Nel  suo  volume  cangerebbe  carte, 
se  il  primo  fosse,  fora  manifesto 
.'    Nella  eclissi  del  sol,  per  trasparere 
,     Lo  lume,  come  in  altro  raro  ingesto. 
[Questo  non  è:  però  è  da  vedere 
j    Dello  altro  :  e  s'  egli  avvien,  che  io  lo  altro  cassi, 

Falsificato  fia  lo  tuo  parere. 
S'  egli  è,  che  questo  raro  non  trapassi, 

Esser  conviene  un  termine,  da  onde 

Lo  silo  contrario  più  passar  non  lassi: 
Ed  indi  lo  altrui  raggio  si  rifonde 

Così,  come  color  torna  per  vetro. 

Lo  qual  diretro  a  sé  piombo  nasconde. 
Or  dirai  tu ,  eh'  el  si  dimostra  tetro 

Quivi  lo  raggio  più  che  in  altre  parti, 

Per  esser  lì  rifratto  più  a  retro. 
Da  questa  instanzia  può  diliberarti 

Esperienza,  se  giammai  la  provi, 

Ch'  esser  suol  fonte  ai  rivi  di  vostre  arti. 
Tre  specchj  prenderai,  e  due  rimovi 

Da  te  di  un  modo,  e  lo  altro  più  rimosso 

Tr'  ambo  li  primi  li  occhi  tuoi  ritrovi  : 
Rivolto  ad  essi  fa,  che  dopo  il  dosso 

Ti  stea  un  lume,  che  i  tre  specchj  accenda, 

£  torni  a  te  da  tutti  ripercosso  : 
Benché  nel  quanto  tanto  non  si  stenda 

La  vista  più  lontana,  lì  vedrai 

Come  con\ien,  eh'  egualmente  risplenda. 
Or  come  ai  colpi  delli  caldi  rai 

Della  neve  riman  nudo   il  suggetto, 

E  dal  colore,  e  dal  freddo  prìmai, 
Così  rimaso  te  nello  intelletto 

Voglio  informar  di  luce  sì  vivace. 

Che  ti  tremolerà  nel  suo  aspetto. 
Dentro  dal  ciel  della  divina  pace 

Si  gira  un  corpo,  nella  cui  virtute 

Lo  esser  di  tutto  suo  contento   giace. 
Lo  ciel  segnentc,  che  ha  tante  vedute. 

Quello  esser  parte  per  diverse  essenze 

Da  lui  distinte,  e  da  lui  contenute. 
Li  altri  giron  per  varie  diderenze 

Le  distinzion,  che  dentro  da  sé  hanno, 

Dispongono  a  lor  fini,  e  lor  semenze. 
Questi  organi  del  mondo  così  vanno. 

Come  tu  vedi  omai,  di  grado  in  grado, 

Che  di  su  prendono,  e  di  sotto  fanno. 
Riguarda  bene  a  me  sì  come  io  vado 

Per  questo  laco  al  ver,  che  tu  disiri. 

Sì  che  poi  sappi  sol  tener  lo  guado! 
Lo  moto  e  la  virtù  dei  santi  giri. 

Come  dal  fabbro  1'  arie  del  martello. 

Dai  beati  niotor  convien  che  spiri. 
E  il  (-iel,  cui  tanti  lumi  fanno  bello. 

Dalla  mente  profonda,  che   lui  v«ilve. 

Prende  In  inuige,  e  fassene  suggello. 
E  come  r  itliiiii  dentro  a  vostra  p(»lvc 

Per  dill't-renti  membra,  e  conformato 

A  di\eri>e  pott-nzie  si  risolve. 
Così  la  intelligenzia  sua  bontatc 

IV1ulti|*licata  per  le  stelle,   spiega, 

Girando  so  sovra  bua  unitato. 


Virtù  diversa  fa  diversa  lega 

Col  prezioso  corpo,  eh'  eli'  avviva, 
I      Nel  qual,  si  come  vita  in  voi,  si  lega. 
Per  la  natura  lieta,  onde  deriva, 

La  virtù  mista  per  lo  corpo  luce, 
I      Come  letizia  per  pupilla  viva. 
Da  essa  vien  ciò,  che  da  luce  a  luce 
i      Par  differente,  non  da  denso  e  raro: 
Essa  è  formai  principio,  che  produce. 
Conforme  a  sua  bontà,  lo  turbo  e  il  chiaro. 


CANTO     ITI. 


ARGOMENTO. 

Nella  luna  stanno  le  professe,  che  tratte  per  violenza 
dal  chiostro  non  vi  tornarono,  ma  vissero  nella  vir- 
tù.   Piccarda,  sorella  di  Forese. 

Quel  sol,  che  pria  di  amor  mi  scaldò  il  petto, 

Di  bella  verità  mi  avea  scoverto. 

Provando  e  riprovando,  il  dolce  aspetto: 
Ed  io,  per  confessar  corretto  e  certo 

Me  stesso,  tanto,  quanto  si  convenne. 

Levai  il  capo  a  profferer  più  erto. 
Ma  visione  apparve,  che  ritenne 

A  sé  me  tanto  stretto,  per  vedersi. 

Che  di  mia  confession  non  mi  sovvenne. 
Quali  per  vetri  trasparenti  e  tersi, 

O  ver  per  acque  nitide  e  tranquille 

Non  sì  profonde,  che  i  fondi  sien  persi, 
j  Tornan  dei  nostri  visi  le  postille 

Debili  sì,  che  perla  in  bianca  fronte 

Non  vien  men  forte  alle  nostre  pupille  ; 
I  Tali  vid'  io  più  facce  a  parlar  pronte; 

Per  che  io  dentro  allo  error  contrario  corsi 

A  quel,  che  accese  amor  tra  1'  omo  e  il  fonte. 
;  Subito,   sì  come  io  di  lor  mi  accorsi. 

Quelle  stimando  specchiati  sembianti. 

Per  veder  di  cui  fosser,  li  occhi  torsi, 
E  nulla  vidi,  e  ritorsili  avanti 

Dritti  nel  lume  della  dolce  guida. 

Che  sorridendo  ardea  nelli  occhi  santi. 
Non  ti  maravigliar,  per  che  io  sorrida, 

Mi  disse,  a  presso  il  tuo  pueril  coto. 

Poi  sopra  il  vero  ancor  Io  pie  non  fida. 
Ma  te  rivolvi,  come  suoli,  a  voto! 

Vere  sustanzie  son  ciò,  che  tu  vedi, 

Qui  rilegate  per  manco  «li  voto. 
Però  parlii  con  esse,  ed  odi  e  credi. 

Che  la  verace  luce  ,  che  le  appaga. 

Da  sé  non  lascia  lor  torrcr  li  piedi  ! 
Ed  io  alla  ombra,  che  parca  più  voga 

Di  ragionar,  dri/.zammi,  e  cominciai 

Quasi  come  om,  cui  troppa  voglia  smaga: 
Oh  ben  creato  spìrito,  <lie  ai  rai 

Di   vita  eterna  la  doIre/./a  senti, 

(/he  non  gustata  non  s'intende  mai; 
Grazioso  mi  fia,  se  mi  contenti 

Del  nome  tuo,  e  della  vostra  sorte. 

Ond'  ella  pronta  e  con  occhi  ridenti  : 
La  nostra  carità  non  serra  porte 

11 


fÌ63] 


PARADISO.     (III.  44  — 130.  IV.  1  —  33) 


[164] 


A  giusta  voglia,   se  non  come  quella, 
Cile  vuol  simile  a  sé  tutta  sua  corte. 

Io  fui  nel  mondo  vergine  sorella  ; 
E  se  la  mente  tua  ben  si  riguarda, 
Non  mi  ti  celerà  io  esser  più  bella, 

Ma  riconoscerai,  che  io  son  Piccarda, 
Che,  posta  qui  con  questi  altri  beati, 
Beata  son  nella  spera  più  tarda. 

Li  nostri  affetti ,  che  solo  infiammati 
Son  nel  piacer  dello  spirito  santo, 
Letizian  del  suo  ordine  formati: 

E  questa  sorte,  che  par  giù  cotanto, 
Però  n'  è  data ,  per  che  f ur  negletti 
Li  nostri  voti ,  e  voti  in  alcun  canto. 

Onde  io  a  lei  :  nei  mirabili  aspetti 
Vostri  risplende  non  so  che  divino, 
Che  vi  trasmuta  dai  primi  concetti: 

Però  non  fui  a  rimembrar  festino; 
Ma  or  mi  ajuta  ciò  che  tu  mi  dici, 
Sì  che  raffigurar  mi  è  più  latino. 

Ma  dimmi:  voi,  che  siete  qui  felici, 
Desiderate  voi  più  alto  loco, 
Per  più  vedere,  o  per  più  farvi  amici? 

Con  quelle  altre  ombre  pria  sorrise  un  poco; 
Da  indi  mi  rispose  tanto  lieta. 
Che  arder  parea  di  amor  nel  primo  foco  : 

Frate ,  la  nostra  volontà  quieta 
Virtù  di  carità,  che  fa  volerne 
Sol  quel  che  avemo,  e  di  altro  non  ci  asseta. 

Se  disiassimo  esser  più  superne, 
Foran  discordi  li  nostri  disiri 
Dai  voler  di  colui ,  che  qui  ne  cerne  : 

Che  vedrai  non  capere  in  questi  giri, 
S'  essere  in  caritate  è  qui  necesse, 
E  se  la  sua  natura  ben  rimiri  ; 

Anzi  è  formale  ad  esto  beato  esse, 
Tenersi  dentro  alla  divina  voglia, 
Per  che  una  fansi  nostre  voglie  stesse. 

Sì  che  cnme  noi  sem  di  soglia  in  soglia 
Per  questo  regno ,  a  tutto  il  regno  piace. 
Come  allo  re,  che  in  suo  voler  ne  invoglia: 

E   la  sua  volontade  è  nostra  pace: 

Ella  è  quel  mare,  al  qual  tutto  si  move 
Ciò  ,  eh'  ella  cria ,  o  che  natura  face. 

Chiaro  mi  fu  allor,  come  ogni  dove 
In  cielo  è  paradiso ,  e  se  la  grazia 
Del  sommo  ben  di  un  modo  non  vi  piove. 

Ma  si  com'  egli  avvien ,  che  un  cibo  sazia, 
E  di  un  altro  rimane  ancor  la  gola, 
Che  quel  si  chiere ,  e  di  quel  si  ringrazia, 

Cosi  fec'  io  con  atto  e  con  parola. 
Per  apprender  da  lei,  qual  fu  la  tela, 
Onde  non  trasse  insino  al  co  la  spola. 

Perfetta  vita  ed  alto  merto  inciela 

Donna  più  su,  mi  disse,  alla  cui  norma 
INel  vdstro  mondo  giù  si  veste  e  vela; 

Per  che  infino  al  morir  si  vegghì  e  dorma 
Con  quello  sposo,  che  ogni  voto  accetta, 
Che  caritate  a  suo  piacer  conforma. 

Dal  mondo  ,  per  seguirla ,  giovinetta 
Fuggimmi ,  e  nel  suo  abito  mi  chiusi, 
E  pro^li^i  la  via  dcUa  sua  setta. 

Omini  pdi  a  mal,  più  che  a  bene  usi, 
For  mi  rapinin  della  «hilce  chiostra: 
Dio  1(1  si  sa  qii.il  (»oi  mia  vita  fusi. 

E  quoto  altro  h|ilend(ir,  eli»;  ti   «i  mostra 
Dulia  mia  destra  parte,  e  che  bi  accendo 


Di  tutto  il  lume  della  spera  nostra. 

Ciò  che  io  dico  di  me,  di  sé  intende: 
Sorella  fu ,   e  co?ì  le  fu  tolta 
Di  capo  la  ombra  delle  sante  bende. 

Ma  poi  che  pur  al  mondo  fu  rivolta 

Contra  suo  grado,  e  contra  buona  usanza. 
Non  fu  dal  vel  del  cor  giammai  disciulta. 

Questa  è  la  luce  della  gran  Costanza, 
Che  del  secondo  vento  di  Soave, 
Generò  il  terzo,  e  la  ultima  possanza. 

Così  parlommi  :  e  poi  cominciò  Ai  E 
MARIA,  cantando,  e  cantando  vanio. 
Come  per  acqua  cupa  cosa  grave. 

La  vista  mia ,  che  tanto  la  segolo. 
Quanto  possibil  fu ,  poi  che  la  perse, 
^  olsesi  al  segno  di  maggior  disio, 

Ed  a  Beatrice  tutta  si  converse  : 

Ma  quella  folgorò  nello  mio  sguardo 
Sì,  che  da  prima  il  viso  non  sofferse; 

E  ciò  mi  fece  a  dimandar  più  tardo. 


CANTO    IV. 


ARGOMEISTO. 

Qmsilonì  sul  luogo  de'    beati ,    sulle  due  volontà  del- 

r  uomo,  e  sul  modo  di  supplire  al  non  adempimento 

de'  voli. 

Intra  due  cibi  distanti  e  moventi 

Di  un  modo ,  prima  si  morria  di  fame, 
Che  li  ber'  ora  lo  un  si  recasse  a  denti. 

Sì  si  starebbe  un  agno  intra  due  brame 
Di  fieri  lupi  ,  egualmente  temendo  : 
Sì  si  starebbe  un  cane  intra  due  dame. 

Per  che  se  io  mi  tiicea,  me  non  riprendo, 
Dalli  mici  dubbj  di  un  modo  sospinto, 
Poi  eh'  era  neces.-ario ,  uè  commendo. 

Io  mi  tacea:  ma  il  mio  disir  dipinto 
Mi  era  nel  viso,  e  il  dimandar  con  elio 
Più  caldo  assai ,  che  per  parlar  distinto. 

Fé'  si  Beatrice ,  qu.il  fé'  Daniello, 
Nabucodònosor  levando  d  '  ira, 
Che  lo  avea  fatto  ingiustamente  fello. 

E  disse:  io  veggio  ben  come  ti  tira 
Uno  ed  altro  disio,  sì  the  tua  cura 
Sé  stessa  lega  sì ,  che  for  non  spira. 

Tu  argomenti,  se  il  buon  voler  dura. 
La  violenza  altrui  per  qual  ragione 
Di  meritar  mi  scema  la  misura? 

Ancor  di  dubitar  ti  dà  cagione. 
Parer  tornurii  le  anime  alle  stelle, 
Secondi»  l.i  sentenza  di  Platone. 

Queste  son  le  questiou  che  nel  tuo  velie 
Fontano  igualemente  :  e  però  jjrìa 
Tratterò  quc^lla,  che  più  ha  di  felle. 

Dei  Serafin  colui ,  che  più  s'  india, 
Moisé,  Samuello ,  e  quel  Giovanni, 
Qual  prender  vogli ,  io  dico,  non   Maria, 

Non  haiuio  in  altro  cielo  i   loro  scanni, 
(/he  questi  spirli,  che  nu)   ti  apparirò, 
Né  hanno  allo  esser  lur  più  o  men  anni; 


!65] 


PARADISO.     (IV.  34-142.  V.  1— 11) 


[166] 


la.  tutti  fanno  bello  il  primo  giro, 
E  difterenteiuente  han  dolce  vita, 
Fcr  sentir  più  e  nien  lo  eterno  spiro. 
•  ili  si  mostraro,  non  per  che  sortita 
Sia  questa  spera  lor,  ma  per  far  segno 
Della  celestiai ,  che  ha  nien  salita. 
osi  parlar  conviensi  al  vostro  ingegno, 
Però  che  solo  da  sensato  apprende 
Ciò ,  che  fa  poscia  d  '  intelletto  degno. 
'er  questo  la  scrittura  condiscende 
A  vostra  facultate ,  e  piedi  e  mano 
Attribuisce  a  dio,  ed  altro  intende: 
]  santa  chiesa  con  aspetto  umano 
Gabbrieir  e  Michel  vi  rappresenta, 
E  lo  altro  ,  che  Tobbia  rifece  sano, 
^uel  che  'i'imeo  delle  anime  argomenta, 
l%on  è  simile  a  ciò  che  qui  si  vede, 
Però  che,  come  dice,  par  che  senta. 
)ii  e  che  1'  alma  alla  sua  stella  riede. 
Credendo  quella  quindi  esser  decìsa, 
C^)iiando  natura  per  forma  la  diede. 
■l   Torse  sua  sentenza  è  di  altra  guisa 
Cile  la  voce  non  suona ,  ed  esser  potè 
Ci>n  intenzion  da  non  esser  derisa. 
1'  egi'  intende  tornare  a  queste  rote 
L'  onor  della  inlìuenza,  e  il  biasmo  ,  forse 
In  alcun  vero  suo  arco  percote. 
buesto  principio  male  inteso  torse 
I    Già  tutto  il  mondo  quasi ,  sì  che  Giove, 
Mercurio,  e  Marte  a  nominar  trascorse. 
'  altra  dubitazion ,  che  ti  conimove. 
Ila  men  velen ,  però  che  sua  malizia 
]Von  ti  porla  menar  da  me  altrove. 
?arere  ingiusta  la  nostra  giustizia 
Nelli  occhi  dei  mortali ,  è  argomento 
Di  fede,  e  non  di  eretica  nequizia. 
Ha  per  che  potè  vostro  accorgimento 
Ben  penetrare  a  questa  veritate. 
Come  disiri,  ti  farò  contento. 
Se  violenza  è,  quando  quel  che  paté, 
Kìcnte  conferisce  a  quel  che  sforza, 
Aon  fur  queste  alme  per  essa  scusate: 
yhù  volontà ,  se  non  vuol ,  non  si  ammorza, 
Ma  fa  come  natura  face  in  foco. 
Se  mille  volte  violenza  il  torza: 
jPer  che  s'  ella  si  piega  assai  o  poco, 
Segue  la  (orza:   e  cosi  queste  fero, 
l'ossendo  riliiggir  nel  santo  loco, 
e  fosse  stato  il  lor  volere  intero, 
Come  tenne  Lorenzo  in  su  la  grada, 
E  fece  Muzio  alla  sua  man  severo, 
Cosi  le  avria  ripinte  per  la  strada, 
Ond'  cran  tratte,  come  furo  sciolte; 
Ma  cosi  salda  voglia  è  troppo  rada. 
E  per  queste  parole,  se  ricoltc 

Le  hai,  come  dei,  è  lo  argomento  casso. 
Che  ti  avria  fatto  noja  ancor  più  volte. 
Ma  or  ti  si  attraversa  un  altro  passo 
Dinanzi  alli  occhi  tal ,  «;he  per  te  stesso 
ÌNon  ne  usciresti,  pria  saresti  lasso, 
lo  ti  ho  per  certo  nella  mente  messo, 
Che  alma  beata  non  poria  m(;ntirc, 
l'ero  eh'  è  8eni|ire  al  primo  vero  u  prcsso: 
E  poi  potesti  da  l'iccarda  udire, 

Che  r  alVezion  del  vel  Costanza  tenne, 
Si  cir  ella  par  qui  meco  contraddire. 
Molte  fiate  già,  Irate,  adiveune, 


Che,  per  fuggir  periglio,  centra  grato 
Si  fé  di  quel,  che  far  non  si  convenne: 

Come  Almeone,  che,  di  ciò  pregato 
Dal  padre  suo,  la  propria  madre  spense, 
Per  non  perder  pietà  si  fé  spietato. 

A  questo  punto  voglio  che  tu  penso, 

Che  la  forza  al  voler  si  mischia,  e  fanno 
Sì ,  che  scusar  non  si  posson  le  offense. 

Voglia  assoluta  non  consente  al  danno: 
Ma  consentevi  in  tanto,  in  quanto  teme. 
Se  si  ritrae ,  cadere  in  più  affanno. 

Però  quando  Piccarda  quello  spreme. 
Della  voglia  assoluta  intende,  ed  io 
Dell'  altra,  si  che  ver  diciamo  insieme. 

Cotal  fu  1'  ondeggiar  del  santo  rio. 

Che  uscia  del  fonte,  onde  ogni  ver  deriva: 
Tal  pose  in  pace  uno  ed  altro  disio. 

Oh  amanza  del  primo  amante,  oh  diva, 
Diss'  io  a  presso,  il  cui  parlar  m'  innonda 
E  scalda  sì,  che  più  e  più  mi  avviva. 

Non  é  la  voce  mia  tanto  profonda, 

Che  basti  a  render  voi  grazia  per  grazia: 
Ma  quei ,  che  vede  e  potè ,  a  ciò  risponda  ! 

Io  veggio  ben,  che  giammai  non  si  sazia 
Nostro  intelletto ,  se  il  ver  non  lo  illustra. 
Di  for  dal  qual  nessun  vero  si  spazia. 

Posasi  in  esso ,  come  fera  in  lustra. 

Tosto  che  giunto  lo  ha ,  e  giugner  puollo, 
Se  non  ciascun  disio  sarebbe  frustra. 

Nasce  per  quello  a  guisa  di  rampollo 
A  pie  del  vero  il  dubbio  :  ed  è  natura, 
Che  al  sommo  pinge  noi  di  collo  in  collo. 

Questo  m'  invita,  questo  mi  assicura 
Con  riverenza,  donna,  a  dimandarvi 
Di  un'  altra  verità ,  che  mi  è  oscura. 

Io  vo'  saper ,  se  1  '  om  può  soddisfarvi 
Ai  voti  manchi  sì  con  altri  boni. 
Che  alla  vostra  staterà  non  sicn  parvL 

Beatrice  mi  guardò  con  li  occhi  pieni 
Di  faville  di  amor,  così  divini, 
Che ,  vinta  mia  virtù ,  diedi  le  reni, 

E  quasi  mi  perdei  con  li  occhi  chini. 


CANTO     V. 


ARGOMENTO. 

Soluzione  della  quistioiìc  intorrio  al  voto.    Secondo  cie- 
lo ^  Mercurio,  di  coloro,  che  il  desiderio  di  fama 
mosse  a  (gloriose  imprese. 

Se  io  ti  fiammeggio  nel  caldo  di  amore 

Di  là  dal  modo  che  in  terra  si  vede. 

Sì  che  delli  occhi  tuoi  vinco  il  valore, 
Aon  ti  maravigliar!  cliè  ciò  procede 

Da  perfetto  veder  die,  come  apprende, 

Così  nel  bene  appreso  move  il  piede. 
Io  veggio  ben  sì  come  già  risplende 

Aello  intelletto  tuo  la  eterna  luce. 

Che  vista  sola  sempre  amore  accende  ; 
K  se  altra  cosa  vostio  amor  seduce, 

>on  è  bc  non  di  quella  alcun  vestigio 


[16T] 


PARADISO.     (¥^12-130) 


[168] 


Mal  conosciuto,  che  quivi  traluce. 
Tu  vuoi  saper ,  se  càìiì  altro  servigio 

J'er  manco  voto  si  può  render  tanto, 

Clie  l'anim'  assicuri  di  litìgio. 
Si  cominciò  Beatrice  questo  canto  : 

E  sì  come  oiu  che  suo  parlar  non  spezza, 

Continuò  cosi  'i  processo  santo. 
Lo  maggior  don ,  che  dio  per  sua  larghezza 

Fesse  creando ,  e  alla  sua  Ijontate 

Più  conformato,  e  quel  eh'  ei  più  apprezza, 
Fu  della  volontà  la  liberiate, 

Di  che  le  creature  intelligenti, 

E  tutte  e  sole  furo  e  son  dotate. 
Or  ti  parrà,  se  tu  quinci  argomenti. 

Lo  alto  valor  del  voto  s'  è  sì  fatto, 

Che  dio  consenta ,  quando  tu  consenti  : 
Che  nel  fermar  tra  dio  e  1'  omo  il  patto, 

\  ittima  fassi  di  questo  tesoro. 

Tal,  qual  io  dico,  e  fassi  col  suo  atto. 
Dunque  che  render  puossi  per  ristoro? 

Se  credi  hene  usar  quel  che  hai  offerto, 

Di  mal  tolletto  vuoi  far  huon  lavoro. 
Tu  sei  ornai  del  maggior  punto  certo. 

Ma  per  che  santa  chiesa  in  ciò  dispensa, 

Che  par  contrario  al  ver,  che  io  ti  ho  scoverto, 
'  Convienti  ancor  sedere  un  poco  a  mensa, 
*      Però  che  il  cibo  rigido ,  che  hai  preso, 

Richiede  ancora  ajuto  a  tua  dispensa. 
Apri  la  mente  a  quel  che  io  ti  paleso, 

E  formalvi  entro!  che  non  fa  scienza 

Senza  lo  ritenere  avere  inteso. 
Due  cose  si  convegnono  alla  essenza 

Di  questo  sacrilìcio  :  la  una  è  quella 

Di  che  si  fa;  I'  altra  è  la  convenenza. 
Questa  ultima  giammai  non  si  cancella 

Se  non  servata ,  ed  intorno  di  lei 

Sì  preciso  di  sopra  si  favella: 
Però  necessitato  fu  alli  Ebrei 

Pur  r  offerire,  ancor  che  alcuna  offerta 

Si  permutasse ,  come  saper  dei. 
L'  altra,  che  per  materia  ti  è  aperta, 

l'uote  ben  esser  tal,  che  non  si  falla, 

Se  con   altra  materia  si  converta. 
Ma  non  trasuuiti  carco  alla  sua  spalla 

Per  suo  ar!)itrio  alcun  .  senza  la  volta 

E  delia  cliiave  bianca  e  della  gialla; 
Ed  ogti'.  peruiutanza  credi  stolta, 

Se  la  cosa  dimessa  in  la  sorpresa, 

Come  il  quattro  nel  sei,  non  è  raccolta. 
Però  qualunque  cosa  tanto  pesa 

Per  suo  valor,  che  tragga  ogni  bilancia. 

Soddisfar  non  si  può  con  altra  spesa. 
Non  prendano  i  mortali  il  voto  a  ciancia: 

Siiite  fedeli ,  ed  a  ciò  far  non  biecì. 

Come  fu  lepte  alla  sua  prima  mancia: 
Cui  più  si  conveiiìa  dicer:  mal  feci, 

l'Aie  ^ervando  far  peggio:  e  così  stolto 

liitrovar  puoi  lo  gran  duca  dei  Greci; 
Onde  pian-ie  Ifigenia  il  suo  bel  volto, 

E  fc  pianger  di  sé  e  i  folli  e  i  savi, 

Che  udir  parlar  di  co>i  fatto  colto. 
Siate,  crÌNtiaiii,  a  movervi  più  gravi! 

Aon  sìiite  rouie  penna  ad  ogni  vento, 

E  non  crediate,  che  ogni  acqua  vi  lavi! 
Avete  il  vecchio  e  il  novo  testamento, 

E  il  pa^tor  della  chic  a,  vhf  %i  guida: 

Questo  vi  babli  a  vostro  balvaiueuto  I 


Se  mala  cupidigia  altro  vi  grida, 
Omini  siate,  e  non  pecore  matte. 
Sì  che  il  Giiuleo  tra  voi  di  voi  non  rida! 

Non  fate  come  agnel,  che  lascia  il  latte 
Della  sua  madre ,  e  semplice  e  lascivo 
Seco  medesmo  a  suo  piacer  comltatte  ! 

Così  Beatrice  a  me  come  io  lo  scrivo  : 
Poi  si  rivolse  tutta  disiante 
A  quella  parte,  ove  il  mondo  è  più  vìvo. 

Lo  suo  tacere ,  e  il  trasmutar  sembiante 
Poser  silenzio  al  mio  cupido  ingegno, 
Che  già  nove  quìstioni  avea  davaute. 

E  sì  come  saetta,  che  nel  segno 

Percote  pria  che  sia  la  corda  queta. 
Così  corremmo  nel  secondo  regno. 

Quivi  la  donna  mìa  vid'  io  sì  lieta. 
Come  nel  lume  di  quel  ciel  si  mise. 
Che  più  lucente  se  ne  fé'  il  pianeta. 

E  se  la  stella  si  cambiò  e  rise, 

Qual  mi  fec'  io,  che  pur  di  mia  natura 
Trasmutabile  son  per  tutte  guise  ! 

Come  in  peschiera,  eh'  è  tranquilla  e  pura. 
Traggono  i  pesci  a  ciò,  che  vien  di  fori 
Per  modo,  che  lo  stimin  lor  pastura, 

Si  vid  '  io  ben  più  di  ìnille  splendori 
Trarsi  ver  noi,  ed  in  ciascun  si  udia: 
Ecco  chi  crescerà  li  nostri  amori  ! 

£  si  come  ciascuno  a  noi  venia, 
Vedeasi  la  ombra  piena  di  letizia 
Nel  folgor  chiaro ,  che  di  lei  uscia. 

Pensa,  lettor,  se  quel,  che  qui  s'  inizia, 
Non  procedesse,  come  tu  avresti 
Di  più  savere  angosciosa  carizia: 

E  i)cr  te  vederai ,  come  da  questi 

Mi  era  in  disio  di  udir  lor  condizioni. 
Sì  come  alli  occhi  mi  fur  manifesti. 

Oh  bene  nato ,  a  cui  veder  li  troni 
Del  trionfo  eternai  concede  grazia, 
Prima  che  la  milizia  si  abbandoni. 

Del  lume  che  per  tutto  il  ciel  si  spazia, 
Noi  semo  accesi;  e  però,  se  disii 
Di  noi  chiarirli,  a  tuo  piacer  ti  sazia! 

Così  da  un  di  quelli  spirti  pii 

Detto  mi  fu,  e  da  Beatrice:  di',  di' 
Sicuramente,  e  credi  come  a  dii  ! 

Io  veggio  ben  sì  come  tu  ti  annidi 

Nel  proprio  lume,  e  che  dalli  occhi  il  traggi. 
Per  eh'  ei  corruscan ,  si  come  tu  ridi  : 

Ma  non  so ,  chi  tu  sei,  né  per  che  aggi, 
Anima  degna ,  il  grado  delia  spera. 
Che  si  vela  ai  nutrtai  con  li  altrui  raggi. 

Questo  diss'  io  diritto  alla  lumiera, 

Che  pria  mi  avea  )>arlato  :  ond'  ella  fessi 
Lucente  più  assai  di  quel  eh'  ella  era. 

Sì  come  il  sol ,  che  si  cela  egli  stessi 

Per  troppa  luce,  quando  il  caldo  ha  rose 
Le  temperanze  dei  vapori  spessi: 

Per  più  leti/àa  sì  mi  si  nascose 
Dentro  al  suo  raio  la  fìgiu-a  santa, 
E  così  chiusa  chiusa  mi  rispose 

Nel  modo,  che  il  seguente  canto  canta. 


169] 


PARADISO.     (VI.  1  —  126) 


rnoi 


CANTO    VI. 


ARGOMENTO. 

L' imperator  Giustiniano^  Quadro  della  storia  romana. 

Poscia  che  Constanlin  1'  aquila  volse 

Contra  il  corso  del  ciel ,  eh'  ella  seguio 

Dietro  allo  antico  ,  che  Lavinia  tolse. 
Cento  e  cento  anni  e  più  lo  uccel  di  dio 

ISello  stremo  di  Europa  si  ritenne 

Vicino  ai  monti ,  dei  qiiai  prima  uscio, 
(E  sotto  la  ombra  delie  sacre  penne 

Governò  il  mondo  lì  di  mano  in  mano, 

^  sì  cangiando  in  su  la  mia  pervenne. 

lesare  fui ,  e  son  Giustiniano, 

Che  per  voler  del  primo  amor,  che  io  sento, 

Dentro  alle  legjji  trassi  il  troppo  e  il  vano: 
E  prima  che  io  alla  apra  fossi  attento, 

Una  natura  in  Cristo  esser,  non  piùe, 

Credeva ,  e  di  tal  fede  era  contento. 
Ma  il  benedetto  Agapito ,  che  fue 

Sommo  pastore,  alla  fede  sincera 

Mi  ridrizzò  con  le  parole  sue. 
Io  li  credetti,  e  ciò  che  in  sua  fed'  era 

Veggio  ora  chiaro ,  sì  come  tu  vedi 

Ogni  contraddizione  e  falsa  e  vera. 
Tosto  che  con  la  chiesa  mossi  i  piedi, 

A  dio  per  grazia  piacque  d'  inspirarmi 

Lo  alto  lavoro,  e  tutto  in  lui  mi  diedi. 
E  al  mio  Bellisar  commendai  le  armi, 

Cui  la  destra  del  ciel  fu  sì  congiunta, 

Che  segno  fu  che  io  dovessi  posarmi. 
Or  qui  alla  quistiun  prima  si  appunta 

La  mia  risposta ,  ma  la  condizione 

Mi  stringe  a  seguitare  alcuna  giunta, 
Per  che  tu  veggi  ,  con  quanta  ragione 

Si  move  contra  il  sacrosanto  segno, 

E  chi  '1  si  appropria ,  e  chi  a  lui  si  oppone. 
Vedi  quanta  virtù  lo  ha  fatto  degno 

Di  reverenza,  e  cominciò  dalla  ora. 

Che  l'aliante  morì ,  per  darli  regno. 
Tu  sai,  eh'  el  fece  in  Alba  sua  dimora 

Per  trecento  anni ,  ed  oltre  insino  al  fine, 

Che  i  tre  ai  tre  per  lui  pugnar  ancora. 
Sai  quel  che  fé'  dal  mal  delle  Sabine 

Al  dolor  di  Lucrezia  in  sette  regi. 

Vincendo  intorno  le  genti  vicine. 
Sai  quel  che  fé'  portato  dalli  egregi 

Romani  incontro  a  Itreniio,  incontro  a  Pirro, 

Incontro  alli  altri  principi  e  collegi: 
Onde  Torquato  e  Quintio,  che  dal  cirro 

Negletto  fu  nomato,  e  i  Deci  e  i  Fabi 

Ebber  la  fama,  che  volentier  mirro. 
Esso  atterrò  1'  orgoglio  degli  Anlbi, 

Che  diretro  ad  Anniltale  passare» 

Le  alpestre  rocce.  Pò,  di  che  tu  labi. 
Sotto  esso  giovanetti  trionfaro 

Scipione  e  Pompeo,  ed  a  quel  colle, 

Sotto  il  qual  tu  nascesti ,  parvt;  amaro. 
Poi  presso  al  tempo,  elio  tutto  il  ciel  volle 

Ridiir  lo  mondo  a  huo  iiiotlo  sereno, 

Ce. are  per  voler  di  Roma  il   tolte: 
E  quel  che  fé'  da  \  aro  innino  al  lleno, 

Isara  vide  ed  Era,  e  vide  Senna, 


Ed  ogni  valle,  onde  il  Rodano  è  pieno. 

Quel  che  fé'  poi  eh'  egli  uscì  di  Ravenna, 
E  saltò  il  Rubicon ,  fu  di  tal  volo, 
Che  noi  seguiteria  lingua ,   né  penna. 

Inver  la  Spagna  rivolse  lo  stuolo  ; 

Poi  ver  Uurazzo,  e  Farsaglia  percosse 
Sì,  che  il  INil  caldo  sentis^si  del  duolo. 

Antandro  e  Simoenta,  onde  si  mosse, 
Rivide,  e  là  dov'  Ettore  si  cuba, 
E  mal  per  Tolommeo  poi  si  riscosse. 

Da  indi  scese  folgorando  a  Giuba: 
Poi  si  rivolse  nel  vostro  occidente. 
Dove  sentia  la  Pompejana  tuba. 

Di  quel  che  fé'  col  bajulo  seguente, 
Bruto  con  Cassio  nello  inferno  latra, 
E  Modona  e  Perugia  fé'  dolente. 

Piangene  ancor  la  trista  Cleopatra, 
Che,  fuggendoli  innanzi,  dal  colubro 
Prese  la  morte  subitana  ed  atra. 

Con  costui  corse  insino  al  lito  rubro  ; 
Con  costui  pose  il  mondo  in  tanta  pace, 
Che  fu  serrato  a  Giano  il  suo  delubro. 

.Via  ciò,  che  il  segno,  che  parlar  mi  face. 
Fatto  avea  prima,  e  poi  era  fatturo 
Per  lo  regno  mortai  che  a  lui  soggiace, 

Diventa  in  apparenza  poco  e  scuro. 
Se  in  mano  al  terzo  Cesare  si  mira 
Con  occhio  ..'liaro ,  e  con  alletto  puro  ; 

Che  la  viva  gi-jstizia,  che  mi  spira, 
Li  concedette  in  mano  a  quel  che  io  dico. 
Giuria  di  far  vendetta  alla  sua  ira. 

Or  qui  ti  ammira  in  ciò  che  io  ti  replico! 
Poscia  con  Tito  a  far  vendetta  corse 
Della  vendetta  del  peccato  antico. 

E  quando  il  dente  longobardo  morse 
La  santa  chiesa,  sotto  alle  sue  ali 
Carlo  Magno  vincendo  la  soccorse. 

Ornai  puoi  giudicar  di  quei  colali, 

Che  io  accusai  di  sopra,  e  dei  lor  falli, 
Che  son  cagion  di  tutti  i  vostri  mali. 

Lo  uno  al  pubblico  segno  i  gigli  gialli 

Oppone,  e  quel  si  appropria  lo  altro  a  parte, 
Sì  eh'  è  forte  a  veder  chi  più  si  falli. 

Faccian  li  Ghibellin,  faccian  lor  arte 
Sotto  altro  segno:  che  mal  segue  quello 
Sempre  chi  la  giustizia  e  lui  diparte: 

E  non  lo  abbatta  esto  Carlo  lutvello 
Coi  Guelfi  suoi,  ma  tema  delli  artigli, 
Che  a  più  alto  leon  trasser  lo  vello. 

.Molte  fiate  già  pianser  li  figli 

Per  la  colpa  dui  padre  :  e  non  si  creda. 
Che  dio  trasmuti  le  armi  per  suoi  gigli- 
Questa  picciola  stella  si  correda 

Dei  buoni  spirti  che  son  stati  attivi. 
Per  che  (Uiore  e  fama   li  su(-('eda: 

E  quando  li  desiri  poggian  quivi 

Si  dis> illudo,   pui'  convieu  che  i  raggi 
Del  vero  amore  in  su  poggio  mcn  vi\L 

Ma  nel  commeiisurar  dei  nostri  gaggi 
('«>1  merto  ,  è  |iarte  di  nostra  letizia. 
Per  clic;  non   li  vedi  in  minor,  né  maggi. 

Quindi  addolciare  l.i  viva  giustizia 
In  noi  lo  all'etto  hi  ,   che  non  si  potè 
Torcer  giamiiiai  ad  aliuna  nequiziii. 

Diverse  vnri  f.iiiuo  dolij  noie: 
(/'osi  di  verni  sianiii  in  iio^tr.i  vita 
Rundon  dolce  armonia  tra  queste  rote, 


[171] 


PARADISO.    rvLi^^~"^^^-  ^"-  ^~^^^) 


[172] 


E  dentro  alla  presente  margherita 
Luce  la  luce  di  Romèo,  di  cui 
Fu  la  opra  grande  e  bella  mal  gradita. 

Bla  i  Provenzali,  che  fér  contra  lui, 
Non  hanno  riso  :  e  però  mal  cammina, 
Qual  si  fa  danno  del  ben  far  di  altrui. 

Quattro  figlie  ebbe  ,  e  ciascuna  reina, 
Ramondo  Berlinghieri ,  e  ciò  li  fece 
Romeo  persona  umile  e  peregrina: 

E  poi  il  mosser  le  parole  biece 

A  dimandar  ragione  a  questo  giusto, 
Che  li  assegnò  sette  e  cinque  per  diece. 

Indi  partissi  povero  e  vetusto: 

E  se  il  mondo  sapesse  il  cor  eh    egli  ebbe, 
3Iendicando  sua  vita  a  frusto  a  frusto, 

Assai  lo  loda,  e  più  lo  loderebbe. 


CANTO     VII. 


ARGOMENTO. 

V  incarnazione  del  Jcrho,  V  immortalità  dell''  anima, 
e  la  risurrezione  de'  corpi. 

Osanna  sanctus  Deus  Sabaoth, 

Superillustrans  claritate  tua 

Fclices  ignes  horum  malachoth.  ! 
Cosi  volgendosi  alla  rota  sua 

Fu  ^iso  a  me  cantare  essa  sustanza, 

Sopra  la  qual  doppio  lume  s'  ìndua: 
Ed  essa  e  le  altre  mossero  a  sua  danza, 

E  quasi  velocissime  faville 

Mi  si  velar  di  subita  distanza. 
Io  dubitava  e  dicea:  dille  dille! 

Fra  me,  dille,  diceva  alla  mia  donna. 

Che  mi  disseta  con  le  dolci  stille; 
Ma  quella  reverenza,  che  s'  indonna 

Di  tutto  me,  pur  per  B  e  per  ICE, 

Mi  richinava  come  1'  om  che  assonna. 
Poco  sofTersc  me  cotal  Beatrice, 

E  cominciò ,  raggiandomi  di  un  riso 

Tal,  che  nel  foco  faria  1'  om  felice. 
Secondo  mio  infalliliile  avviso, 

Come  giusta  vendetta  giustamente 

Punita  fosse,  ti  hai  in  pensier  mise; 
Ma  io  ti  solverò  tosto  la  niente, 

E  tu  ascolta  !  che  le  mie  parole 

Di  gran  sentenzia  ti  faran  presente! 
Per  non  soffrire  alla  virtù  che  vuole 

Freno  a  suo  prode,  quelP  oin  che  non  nacque, 

Dannando  se,  dannò  tutta  sua  prole: 
Onde  la  umana  specie  inferma  giacque 

Giù  per  secoli  molti  in  grand  '  errore. 

Fin  ciie  al  Verbo  di  dio  di  scender  piacque; 
L)  la  natura,  che  dal  suo  fattore 

Si  era  allungata,  unio  ii  s»;  in  persona 

Con  lo  atto  sol   del  suo  eterno  amore. 
Or  drizza  il  viso  a  quel  che  si  ragiona! 

Quesla  naiura  al  ^iio  fattore  unita, 
Qual  fu  creata,  fu  sincera  e  buona, 
l'er  sé  stessa  fu  pur  ella  isbandita 
Di  paradiso,  j»erò  che  si  torse 


Da  via  di  verità  e  da  sua  vita. 
La  pena  dunque,  che  la  croce  porse. 
Se  alla  natura  assunta  si  misura, 
ISulla  giammai  sì  giustamente  morse: 
E  così  nulla  fu  di  tanta  ingiura. 

Guardando  alla  persona  che  sofferse, 
In  che  era  contratta  tal  natura. 
Però  di  un  atto  uscir  cose  diverse: 

Che  a  dio  ed  ai  Giudei  piacque  una  morte: 
Per  lei  tremò  la  terra,  e  il  ciel  si  aperse. 
Non  ti  dee  oramai  parer  più  forte. 
Quando  si  dice,  che  giusta  vendetta 
Poscia  vengiata  fu  da  giusta  corte. 

Ma  io  veggi'  or  la  tua  mente  ristretta 
Di  pensier  in  pensier  dentro  ad  un  nodo. 
Del  qual  con  gran  disio  solver  si  aspetta. 

Tu  dici  :  ben  discerno  ciò  che  io  odo  : 
Ma  per  che  dio  volesse,  mi  è  occulto^ 
A  nostra  redenzion  pur  questo  modo. 

Questo  decreto,  frate,  sta  sepulto 
Alli  occhi  di  ciascuno ,  il  cui  ingegno 
Nella  fiamma  di  amor  non  è  adulto. 

Veramente,  però  che  a  questo  segno 
Molto  si  mira,  e  poco  si  discerne, 
Dirò,  per  che  tal  modo  fu  più  degno. 

La  divina  bontà ,  che  da  sé  speme 
Ogni  livore,  ardendo  in  sé  sfavilla, 
Sì  che  dispiega  le  bellezze  eterne. 

Ciò  che  da  lei  senza  mezzo  distilla, 
Non  ha  poi  fine ,  per  che  non  si  move 
La  sua  imprenta,  quando  ella  sigilla. 

Ciò  che  da  essa  sanza  mezzo  piove, 
Libero  è  tutto,  per  che  non  soggiace 
Alla  virtute  delle  cose  nove. 

Più  1'  è  conforme,  e  però  più  le  piace: 
Che  lo  ardor  santo  che  ogni  cosa  raggia, 
Nella  più  simigliante  è  più  vivace. 

Di  tutte  queste  cose  si  avvantaggia 
La  umana  creatura,  e  se  una  manca. 
Di  sua  nobilita  convien  che  caggia. 

Solo  il  peccato  è  quel  che  la  disfranca, 
E  falla  dissimile  al  sommo  bene. 
Per  che  del  lume  suo  poco  s'  imbianca  : 

Ed  in  sua  dignità  mai  non  riviene. 
Se  non  riempie,  dove  colpa  vota, 
Contra  uial  dilettar  con  giuste  pene. 

Nostra  natura,  quando  peccò  tota 
Nel  seme  suo ,  da  queste  dignitadì, 
Come  di  paradiso,  fu  remota: 

Xè  ricovrar  poteasi,  se  tu  badi 
Ben  sottilmente,  per  alcuna  via. 
Senza  passar  per  un  di  questi  guadi: 

0  che  dio  solo  per  sua  cortesia 

Dimesso  avesse ,  o  che  1  '  om  per  sé  isso 
Avesse  soddisfatto  a  sua  follia. 

Ficca  mo  1  '  occhio  perentro  lo  abisso 
Dello  eterno  consiglio,  quanto  puoi 
Al  mio  parlar  distrettamente  fìsso  ! 

Non  potea  1'  omo  nei  termini  suoi 

Mai  soddisfar,  per  non  potere  ir  giugo 
Con  uuiiltale,  ohbedieudo  poi, 

i^uanto  disubbidendo  intese  ir  suso: 

K  questa  è  la  ragion  per  clie  1  '  ora  fue 
Da  poter  soddi«ifar  per  sé  dischiuso. 

Dunque  a  dio  convenia  con  le  vie  sue 
Riparar  1'  omo  a  sua  intera  vita. 
Dico  con  la  una  o  ver  con  ambo  e  due. 


fns] 


PARADISO.   (VII.  106— 148.    Vili.  1  —  76) 


[174] 


Ma  per  che  la  opra  tanto  è  più  gradita 
Deli'  operante,  quanto  più  appre^enta 
Della  bontà  del  core  ond'  è  uscita, 
La  divina  bontà ,  che  il  mondo  iraprenta , 
Di  proceder  per  tutte  le  sue  vie 
A  rilevarvi  suso  fu  contenta  : 
Né  tra  la  ultima  notte  e  il  primo  die 
Si  alto  e  sì  magnifico  processo 
O  per  la  una  o  per  lo  altro  f»e  o  fie. 
Che  più  largo  fu  dio  a  dar  sé  stesso, 
Per  far  1'  om  sufficente  a  rilevarsi, 
Che  s'  egli  avesse  sol  da  sé  dimesso. 
E  tutti  li  altri  modi  erano  scarsi 
Alla  giustizia,  se  il  fìgliol  di  dìo 
Non  fosse  umiliato  ad  incarnarsi. 
Or  per  empierti  bene  ogni  disio, 
'  Ritorno  a  dichiarare  in  alcun  loco. 
Per  che  tu  veggi  lì  così  come  io. 
Tu  dici  :  io  veggio  lo  aere ,  io  veggio  il  foco, 
L'acqua,  e  la  terra,  e  tutte  lor  misture 
Venire  a  corruzione,  e  durar  poco; 
E  queste  cose  pur  fur  creature: 

Per  che  se  ciò  che  ho  detto  è  stato  vero» 
Esser  dovrian  da  corruzion  sicure. 
lii  angeli,  frate,  e  il  paese  sincero 
Nel  qual  tu  sei,  dir  si  posson  creati, 
Sì  come  sono  in  loro  essere  intero: 
Ma  li  elementi  che  tu  hai  nomati, 
E  quelle  cose  che  di  lor  si  fanno, 
Da  creata  virtù  sono  informati. 
Creata  fu  la  materia  eh'  elli  hanno: 
Creata  fu  la  virtù  informante 
In  queste  stelle  che  intorno  a  lor  vanno. 
L'  anima  di  ogni  bruto  e  delle  piante 
Di  complession  potenziata  tira 
Lo  raggio  e  il  moto  delle  luci  sante. 
Ma  nostra  vita  senza  mezzo  spira 

La  somma  benignanza,  e  la  innamora 
Di  sé,  sì  che  poi  sempre  la  disira. 
E  quinci  puoi  argomentare  ancora 
Nostra  reeurrezion ,  se  tu  ripensi 
Come  la  umana  carrie  fessi  allora. 
Che  li  primi  parenti  intrambo  fensi. 


CANTO     Vili. 


ARGOMENTO. 

Terzo  ciclo  di  Venere,    rfc'  puri  amanti  e  dcfiU  otti- 
mi amici.    Curio  Martello,  re  d'>  Lughiria.    Come  da 
buon  padre  nasca  Jì-rlio  mm  buono,  e  come  r  edu- 
cazione s'  opponga  alle  disposizioJii  naturali. 

Solca  creder  lo  monilo  in  suo  perirlo, 

Che  la  bv.Un  Ciprigna  il  folle  amore 

Uaggiasse  volta  nel  terzo  epiciclo  ; 
Per  «:ho  non  pure  a  lei  faccano  onoro 

Di  sacrifìci  e  di  votivo  grido 

Le  genti  anticho  nello  antico   errore; 
l>Ia  Dione  onoravano,  e  Cupido, 

Quella  per  madre  sua,   quoto  per  figlio, 

U  tlictUH  eh'  ti  bedeltc  in  grembo  u^Dido  : 


E  da  costei,  onde  io  principio  piglio, 
Pigliavano  il  vocabol  della  stella. 
Che  il  sol  vagheggia  or  da  coppa,  or  da  ciglio. 
Io  non  mi  accorsi  del  salire  in  ella; 
Ma  di  esservi  entro  mi  fece  assai   fede 
La  donna  mia,  che  io  vidi  far  più  bella. 
E  come  in  fiamma  favilla  si  vede, 
E  come  in  voce  voce  si  discerné, 
Quando  una  è  ferma,  e  1'  altra  va  e  rlede; 
Md'  io  in  essa  luce  altre  lucerne 
Moversi  in  giro  più  e  men  correnti. 
Al  modo ,  credo  ,  di  lor  viste  eterne. 
Di  fredda  nube  non  disceser  venti, 
O  visibili  o  no,  tanto  festini, 
Che  non  paressero  impediti  e  lenti 
A  chi  avesse  quei  lumi  divini 

Veduto  a  noi  venir,  lasciando  il  giro 
Pria  cominciato  in  li  alti  serafini: 
E  dietro  a  quei  che  più  innanzi  apparirò. 
Sonava  Osanna,  sì  che  unque  poi 
Di  riudir  non  fui  senza  disiro. 
Indi  si  fece  lo  un  più  presso  a  noi, 
E  solo  incominciò  :  tutti  sem  presti 
Al  tuo  piacer,  per  che  di  noi  ti  gioì. 
Noi  ci  volgiam  coi  principi  celesti 

Di  un  giro  ,  e  di  un  girare ,  e  di  una  sete. 
Ai  quali  tu  nel  mondo  già  dicesti; 
Voi,  che  intendendo  il  terzo  ciel  movete: 
E  sem  sì  pien  di  amor,  che  per  piacerti 
Non  fia  men  dolce  un  poco  di  quiete. 
Poscia  che  li  occhi  miei  si  furo  offerti 
Alla  mia  donna  riverenti ,  ed  essa 
Fatti  li  avea  di  sé  contenti  e  certi, 
Rivolsersi  alla  luce  che  promessa  • 

Tanto  si  avea,  e:  di',  chi  sei  tu,  fue 
La  voce  mia  di  grande  afiTetto  impressa. 
Eh  quanta  e  quale  vid'  io  lei  far  pine 
Per  allegrezza  nova  che  si  accrebbe, 
Quando  io  parlai,  alle  allegrezze  sue! 
Così  fatta,  mi  disse,  il  mondo  mi  ebbe 
Giù  poco  tempo,  e  se  più  fosse  stato. 
Molto  sarà  di  mal  che  non  sarebbe. 
La  mia  letizia  mi  ti  tien  celato. 

Che  mi  raggia  dintorno  e  mi  nasconde. 
Quasi  animai  di  sua  seta  fasciato. 
Assai  mi  amasti,  ed  avesti  ben  onde: 

Che ,  se  i(»  fossi  giù  stato ,  io  ti  mostrava 
Di  mio  amor  più  oltre  che  le  fronde. 
Quella  sinistra  riva  che  si  lava 

Di  Rodano ,  poi  eh'  é  misto  con  Sorga, 
Per  suo  signore  a  tempo  mi  a-:pctta\a; 
E  quel  corno  di  Ausonia  clic  s'  iuiborga 
Di  Hari,  di  Gaeta,   e  di  Catona, 
Da  onde  Tronto  e  Wrde  in  mare  sgorga. 
Fulgeaiui  già  in   fronte  la  corona 

Di  queit.i   terra  clic  il   Danubio  riga. 
Poi  «he  le  ri(i«'  tedesi-lie  altbandcuia  : 
E  la  bella  Trina<'ria  che  caliga 

'J"ra  Pitchino  e  P«loro,  sopra  il  golfo, 
Che  ri('<!ve  da  Kuro  maggior  briga, 
Non  per  'l'ilVo  ,  ma  per  na>ccnte  solfo. 
Atte*!  avr«'l»lic  li  suoi  regi  aurora 
Nati   |ii'r  me  di   ('arlo  e  di   Uiiloll'o, 
Se   mala   bignoria  ,  che  semprt;  accora 
Li   po|i(ili  NUggetli,    n(wi  awsse 
MorM»   P.ilcrmo  a  gridar:  mora,  mura! 
E  HO  mio  frate  questo  unli\  edesse, 


[175] 


PARADISO.      (VTTT.  77—148.  IX.  1—40) 


[176] 


L'  avara  povertà  di  Catalogna 

Già  fuggiria,  per  che  non  li  offendesse: 

Cile  veramente  provveder  bisogna 

Per  lui ,  o  per  altrui ,  si  che  a  sua  barca 
Carcata  più  di  carco  non  si  pogna. 

La  sua  natura ,  che  di  larga  parca 
Discese,  avria  mesitier  di  tal  iniiizia, 
Che  non  curasse  di  mettere  in  arca. 

Però  che  io  credo  che  1'  alta  letizia 

Che  il  tuo  parlar  m'  infonde ,  signor  mio, 
Ore  ogni  ben  si  termina  e  s'  inizia, 

Per  te  si  veggia,  come  la  \egg'  io; 

Grata  mi  è  più;  ed  anco  questo  ho  caro, 
Per  che  il  discerni  rimirando  iddio. 

Fatto  mi  hai  lieto:  e  così  mi  fa  chiaro. 
Poi  che  parlando  a  dubitar  mi  hai  mosso, 
Come  uscir  può  di  dolce  seme  amaro. 

Questo  io  a  lui;  ed  egli  a  me:  se  io  posso 
Mostrarti  un  vero,  a  quel  che  tu  dimandi, 
Teriai  lo  viso  come  tieni  '1  dosso. 

Lo  ben ,  che  tutto  il  regno ,  che  tu  scandi, 
Volge  e  contenta,  fa  esser  virtute 
Sua  providenza  in  questi  corpi  grandi  : 

E  non  pur  le  nature  provvedute 

Son  nella  mente,  eh'   è  da  sé  perfetta. 
Ma  esse  insieme  con  la  lor  salute. 

Per  che  quantunque  questo  arco  saetta. 
Disposto  cade  a  provveduto  fine, 
Si  come  cosa  in  suo  segno  diretta. 

Se  ciò  non  fosse,  il  ciel  che  tu  cammiue, 
Producerebbe  sì  li  suoi  effetti, 
Che  non  sarebber  arte ,  ma  mine  : 

E  ciò  esser  non  può,  se  1'  intelletti. 

Che  movon  queste  stelle,  non  son  manchi, 
E  manco  il  primo  che  non  li  ha  perfetti. 

Vuoi  tu  che  questo  ver  più  ti  s'  imbianchi  ? 
Ed  io:  non  già;  per  che  impossibil  veggio. 
Che  la  natura ,  in  quel  eh'  è  opo  ,  stanchi. 

Ond'  egli  ancora:  or  di',  sarebbe  il  peggio 
Per  r  omo  in  terra,  se  non  fosse  cive? 
Sì ,  rispos'  io ,  e  qui  ragion  non  cheggio. 

E  può  egli  esser,  se  giù  non  si  vive 
Diversamente,  per  diversi  ufici? 
IVo ,  se  il  maestro  vostro  ben  vi  scrive. 

Sì  venne  deducendo  insino  a  quicì  ; 

Poscia  conchiuse:  dunque  esser  diverse 
Convien  dei  vostri  effetti  le  radici  : 

Per  che  un  nasce  Solone,  ed  altro  Serse, 
Altro  Melchisedech,  ed  altro  quello 
Che  volando  per  lo  aere  il  figlio  perse. 

La  circular  natura,  eh'  è  suggello 
Alla  cera  mortai ,  fa  ben  su'  arte. 
Ma  non  distingue  lo  un  dall'  altro  ostello. 

Quinci  adivien,  eh'  Esaù  si  diparte 
Per  seme  da  Jacob:  e  vien  Quirino 
Da  si  vii  padre,  che  si  rende  a  Marte. 

Natura  generata  il  suo  cammino 
Simil  farebbe  sempre  ai  generanti. 
Se  non  vincesse  il  proveder  divino. 

Or  quel  ,  che  ti  era  dietro,  ti  è  davanti. 
Ma  per  che  kìii)|iì  elio  di  te  mi  giovai 
Un  corollario  vo^rli,,  ,;i,e  j,;  ammanti. 

Sempre  natura,  se  fortuna  trova 

Di-<c()rtle  a  t-ù,  come  ogni  altra  semente. 
Fori  (li  sua  n-gion,  fa  mala  prova. 

E  «e  il  mondo  là  giù  ponesse  mente 
Al  fuudauicntu  che  natura  pone. 


Seguendo  lui,  avria  buona  la  gente. 

Ma  voi  torcete  alla  religione 
Tal,  che  fia  nato  a  cingersi  la  spada, 
E  fate  re  di  tal,  eh'  è  da  sermone: 

Onde  la  traccia  vostra  è  for  di  strada. 


CANTO     IX. 


ARGOMENTO. 

Sfera  medesima.     Cunizza,  sorella  (V  Ezzelin  da  Ro- 
mano.    Folco  da  Marsiglia. 

Dapoi  che  Carlo  tuo,  bella  Clemenza, 

Mi  ebbe  chiarito ,  mi  narrò  1  '  inganni 

Che  ricever  dovea  la  sua  semenza. 
Ma  disse:  taci,  e  lascia  volger  li  anni! 

Sì  che  io  non  posso  dir,  se  non  che  pianto 

Giusto  verrà  diretro  ai  vostri  danni. 
E  già  la  vita  di  quel  lume  sauto 

Rivolta  si  era  al  sol ,  che  la  riempie, 

Come  qTiel  ben  che  ad  ogni  cosa  è  tanto. 
Ahi  anime  ingannate  e  fatture  empie, 

Che  da  sì  fatto  ben  torcete  i  cori, 

Drizzando  in  vanità  le  vostre  tempie! 
Ed  ecco  un  altro  di  quelli  splendori 

V^er  me  si  fece,  e  il  suo  voler  piacermi 

Significava  nel  chiarir  di  fori. 
Li  occhi  di  Beatrice  eh'  eran  fermi 

Sovra  me,  come  pria,  di  caro  assenso 

Al  mio  disio  certificato  férmi. 
Deh  metti  al  mio  voler  tosto  compenso, 

Beato  spirto,  dissi,  e  fammi  prova. 

Che  io  possa  in  te  rifletter  quel  che  io  penso! 
Onde  la  luce,  che  mi  era  ancor  nova, 

Del  suo  profondo ,  ond'  ella  pria  cantava, 

Seguette  come  a  cui  di  ben  far  giova. 
In  quella  parte  della  terra  prava 

Italica ,  che  siede  intra  Rialto, 

E  le  fontane  di  Brenta  e  di  Pia^-a, 
Si  leva  un  colle,  e  non  surge  molto  alto. 

Là  onde  scese  già  una  facella, 

Che  fece  alia  contrada  un  grande  assalto. 
Di  una  radice  nacqui  ed  io  ed  ella  : 

Cunizza  fui  chiamata ,  e  qui  rifulgo. 

Per  che  mi  vinse  il  lume  di  està  stella. 
Ma  lietamente  a  me  medesma  indulgo 

La  cagion  di  mia  sorte,  e  non  mi  noja, 

Che  forse  parria  forte  al  vostro  vulgo. 
Di  questa  luculenta  e  cara  gioja 

Del  nostro  cielo,  che  più  mi  è  propinqua. 

Grande  fama  rimase  e,  pria  che  moja. 
Questo  centesimo  anno  ancor  s'  incinqua. 

Vedi,  se  far  si  dee  I'  omo  eccellente. 

Sì  che  altra  vita  la  prima  rclinqua. 
E  ciò  non  pensa  la  turba  presente 

Che  Tagliamento  ed  Adige  richiude, 

]\è  per  (!sser  battuta  ancor  si  pentev 
i>Ia  tosto  fia  che  Padova  al  palude 

Cangerà  1'  acqua,  che  Vincenza  bagna. 

Per  essere  al  dover  le  genti  crude. 
E  dove  Silo  e  Cugnan  ti  accumpaj^na, 


;i7ì] 


PARADISO.  (IX.  50— 142.  X.l  — 29) 


Tal  signoregijia  e  va  con  la  testa  alta, 
Che  già  per  lui  carpir  si  fa  la  ragna. 

Piangerà  Feltro  ancora  la  diilalta 
Dello  empio  suo  pastor,  che  sarà  sconcia 
Sì ,  che  per  sirail  non  si  entrò  in  Malta. 

Troppo  sarebbe  larga  la  bigoncia, 
Che  ricevesse  il  sangue  ferrarese, 
E  stanco  chi  '1  pesasse  ad  oncia  ad  oncia, 

Che  donerà  questo  prete  cortese 

Per  mostrarsi  di  parte:  e  cotai  doni 
Conformi  fieno  al  viver  del  paese. 

Su  sono  specchj  ,  voi  dicete  troni, 
Onde  rifulge  a  noi  dio  giudicante 
Sì  che  questi  parlar  ne  pajon  buoni. 

Qui  si  tacette,  e  fecemi  sembiante, 
Che  fosse  ad  altro  volta  i»er  la  rota, 
'  In  cìie  si  mise  com'  era  davante. 

L'  altra  letizia  che  mi  era  già  nota. 
Preclara  cosa  mi  si  fece  in  vista, 
Qual  fin  balascio  in  che  Io  sol  pei'cota. 

Per  letiziar  là  su  fulgor  si  acquista. 
Si  come  riso  qui:  ma  giù  si  abbuja 
La  ombra  di  for,  come  la  mente  è  trista. 

Dio  vede  tutto,  e  tuo  veder  s'  inluia, 
Diss'io  ,  beato  spirto  ,  sì  che  nulla 
Voglia  di  sé  a  te  puote  esser  fuja. 

Dunque  la  voce  tua,  che  il  ciel  trastulla 
Sempre  col  canto  di  quei  fochi  pii. 
Che  di  sei  ali  fannosi  cuculia. 

Per  che  non  soddisface  ai  miei  disii? 
Già  non  attendere'  io  tua  dimanda, 
Se  io  m'  intuassi  come  tu  t' iminii. 

La  maggior  valle  in  che  V  acqua  si  spanda, 
Incominciaro  allor  le  sue  parole, 
For  di  quel  mar  che  la  terra  inghh'landa, 

Tra  discordanti  liti  contra  il  sole 
Tanto  sen  va ,  che  fa  meridiano 
Là  dove  1'  orizzonte  pria  far  suole. 

Di  quella  valle  fu'  io  littoi-ano 
Tra  Ebro  e  Macra,  che  per  cammìn  corto 
Lo  Genovese  parte  dal  Toscano. 

Ad  un  occaso  quasi ,  e  ad  un  orto 
Buggea  siede,  e  la  terra  onde  io  fui. 
Che  le'  del  sangue  suo  già  caldo  il  porto. 

Folco  mi  disse  quella  gente  ,  a  cui 
Fu  noto  il  nome  mio:  e  questo  ciclo 
Di  me  s'imprcnta,  4;ome  io  fei  di  lui: 

Che  più  non  arse  la  figlia  di  llelo, 
Mojando  ed  a  Sìcheo ,  ed  a  Crcusa, 
Dì  me,  infin  che  si  convenne  al  pelo: 

Nò  quella  Rodopea,  che  delusa 
Fu  da  Demofoonte,  nò  Alcide, 
Quando  Iole  nel  core  ebbe  richiusa. 

Non  però  qui  si  pente,  ma  si  ride, 
Kon  della  col|)a,  che  a  mente  non  torna, 
Ma  del  valore  cIk;  ordinò  e  provvide. 

Qui  si  rimira  nell'  arte  che  adorna 
Cotanto  ell'etto,  e  discerncsi  '1  bene. 
Per  che  ni  modo  di  su  quel  di  giù  torna. 

Ma  per  che  le  tue  voglie  tutte  j)iene 
Ten  porti  che  son  nate  in  questa  bpcra, 
Procedere  ancor  oltre  mi  contiene. 
Tu  vuoi  saper  chi  è  in  questa  lumiera, 
VAw,  qui  a  presso  me  così  Kcintilla, 
Conu!  raggio  di  sole  in  acqua  mera.  ^ 

Or  sappi  ,  che  là  entro  si  tranquilla 
Uaab,  ed  u  nueilr'  ordine  congiunta 


[178] 


Dì  lui  nel  sommo  grado  si  sigilla. 
Da  questo  cielo ,  in  cui  la  ombra  si  appunta. 

Che  il  Vostro  mondo  face,  pria  che  altr'  alma 

Del  trionfo  di  Cristo  fu  assunta. 
Ben  si  convenne  lei  lasciar  per  palma 

In  alcun  cielo  dell'  alta  vittoria 

Che  si  acquistò  con  la  una  e  1'  altra  palma, 
Per  eh'  ella  favorò  la  prima  gloria 

Di  Josuè  in  su  la  terra  santa. 

Che  poco  tocca  al  papa  la  memoria. 
La  tua  città,  che  di  colui  è  pianta, 

Clie  pria  volse  le  spalle  al  suo  fattore^ 

E  di  cui  è  la  invidia  tanto  pianta. 
Produce  e  spande  il  maladetto  fiore. 

Che  ha  disviate  le  pecore  e  li  agni, 

Però  che  fatto  ha  lupo  del  pastore. 
Per  questo  lo  evangelio  e  i  dottor  magni 

Son  derelitti,  e  solo  ai  decretali 

Si  studia  sì,  che  pare  ai  lor  vivagni. 
A  questo  intende  il  papa  e  i  cardinali: 

Non  vanno  i  lor  pensieri  a  Nazzarette, 

Là  dove  Gabbriello  aperse  le  ali. 
Ma  Vaticano ,  e  le  altre  parti  elette 

Di  Roma,  che  son  state  cimitcrio 

A  la  milizia  che  Pietro  seguette. 
Tosto  libere  fien  dallo  adulterio. 


CANTO    X. 


ARGOMENTO. 

Quarto  cielo:  il  sole  de'  teologi  più  degni,  dottori,  pa- 
dri di  chiesa.     Tommaso  d'  Aquino. 

Guardando  nel  suo  figlio  con  lo  amore, 
Che  lo  uno  e  Io  altro  eternalmente  spira. 
Lo  primo  ed  inefiabile  valore, 

Quanto  per  mente  o  per  occhio  si  gira. 
Con  tanto  online  fc',  eli'  esser  non  puote 
Senza  gustar  di  lui  chi  ciò  rimira. 

Lesa  dunque,  lettore,  alle  alte  rote 
Meco  la  vista  dritto  a  quella  parte, 
Dove  lo  un  moto  e  lo  altro  si  percote, 

E  lì  comincia  a  vagheggiar  nell'  arte 
Di  quel  maestro ,  che  dentro  a  sé  V  ama 
Tanto,  che  mai  da  lei  1'  occhio  non  parte! 

Vedi,  come  da  indi  si  dirama 

L'  obbliquo  cerchio  che  i  pianeti  porta. 
Per  soddisfare  al  mondo  che  li  chiama  ! 

E  se  la  strada  lor  non  fosse  torta, 
Molta  virtù  nel  ciel  sareblìc   invano, 
E  quasi  ogni  potenzia  qua  giù  morta. 

Cile  se  dal  dritto  più  o  nien  lontano 
Tosse  il  partire,  assai  siirtbbe  manco, 
E  Ki\  e  giù  (Icir  ordine  mondano. 

Or  ti  riman ,  lettor,  sopra  il  tuo  banco. 
Dietro  pensando  a  ciò  clic  si  |ireliba, 
S'esser  vuoi  lieto  as..iii  prima  che  stanco  ! 

Mt-ssn  ti  ho  iniian/.i;  ornai  |ier  te  ti  cibai 
('he  a  >è  rìtorii-  tiill.i  la  mia  cura 
Quella  mali  ria  onile  io  son   fatto  scriba. 

1,(1  mini>trii    niii;:<ii>r  dilla  nadira. 

Clic  del  valor  del  ciclo  il  nnuulo  imprcnta, 

12 


[179] 


PARADISO.      (X.  30-148.     XI.  1—3) 


[180] 


E  col  suo  lume  il  tempo  ne  misura, 

Con  quella  parte,  che  su  si  rammenta, 
Congiunto  si  girava  per  le  spire, 
In  che  più  tosto  ogni  ora  lo  appresentaj 

Ed  io  era  con  lui:  ma  del  salire 

Non  mi  accors'  io  se  non  come  ora  si  accorge 
Anzi  '1  primo  pensicr  del  suo  venire. 

Eh  Beatrice,  quella  che  sì  scorge 
Di  bene  in  meglio  sì  subitamente, 
Che  lo  atto  suo  per  tempo  non  si  sporge, 

Quanto  esser  convenia  da  sé  lucente  ! 

Quel  eh'  era  dentro  al  sol,  dove  io  entrami, 
Non  per  color,  ma  per  lume  parvente, 

Per  che  io  lo  ingegno  ,  e  1'  arte ,  e  lo  uso  chiami. 
Si  noi  direi,  che  mai  s'  immaginasse, 
Ma  creder  puossi,  e  di  veder  si  brami. 

E  se  le  fantasie  nosti-e  son  basse 
A  tant'  altezza,  non  è  maraviglia, 
Che  sopra  il  sol  non  fu  occhio  che  andasse. 

Tal  era  quivi  la  quarta  famiglia 

Dello  alto  padre  che  sempre  la  sazia, 
Mostrando  come  spira  e  come  figlia. 

E  Beatrice  cominciò  :  ringrazia. 

Ringrazia  il  sol  delli  angeli ,  che  a  questo 
Sensibil  ti  ha  levato  per  sua  grazia! 

Cor  di  mortai  non  fu  mai  sì  digesto 
A  divozion ,  ed  a  rendersi  a  elio 
Con  tutto  il  suo  gradir  cotanto  presto. 

Come  a  quelle  parole  mi  fec'  io  ; 

E  sì  tutto  il  mio  amore  in  lui  si  mise, 
Che  Beatrice  ecclissò  nell'  obblio. 

Kon  le  dispiacque  ;  ma  sì  se  ne  rìse, 
Che  lo  splendor  delli  occhi  suoi  ridenti 
Mia  mente  unita  in  più  cose  divise. 

Io  vidi  più  fulgor  vivi  e  vincenti 

Far  di  noi  centro,  e  di  sé  far  corona. 
Più  dolci  in  voce,  che  in  vista  lucenti. 

Così  cinger  la  figlia  di  Latona 

^edem  tal  volta,  quando  lo  aere  è  pregno, 
Sì  che  ritenga  il  fil  che  fa  la  zona. 

Nella  corte  del  ciel ,  onde  io  rivegno. 
Si  trovan  molte  gioje  care  e  belle 
Tanto,  che  non  si  posson  trar  del  regno. 

E  il  canto  di  quei  lumi  era  di  quelle: 
Chi  non  s'impenna  sì  che  là  su  voli, 
Dal  muto  appetti  quindi  le  novelle! 

Poi  si  cantando  qnegli  ardenti  soli 
Si  fnr  girati  intorno  a  noi  tre  \oltc. 
Come  stelle  \icinc  ai  fermi  poli. 

Donne  mi  parver  non  da  ballo  sciolte, 
Ma  che  sì  arrestin  tacite  ascoltando, 
Fin  che  le  nove  note  hanno  rìcoltc  ; 

E  dentro  all'  un  sentii   cominciar:  quando 
Lo  raio  della  grazia,  onde  sì  accende 
Ceraie  amore,  e  che  poi  cresce  amando, 

Multipliciito  in  te  tanto  risplende, 
Che  ti  conduce  su  per  quella  scala, 
\]  senza  risalir  nessim  discende; 

Qua!  ti  negasse  il  vin  della  sua  fiala 
Per  la  tua  sete,  in  libertà  non  fora. 
Se  non  come  acqua,  the,  al  mar  non  si  cala. 

Tu   vuoi  saper,  di  qnai   piante  s'  infiora 
QucNta  gliirlanfla  ,   clic  intorno  vagheggia 
ÌjU  bella  donna,  cIk;  al   cì(-l  ti  avvalora: 

Io  Ini  delli  ogni  della  santa  greggia, 
{;in-  Domenico  mena  per  cammino, 
U  ben  b'  impingua,  se  non  si  vaneggia. 


Questi ,  che  mi  è  a  destra  più  vicino. 
Frate  e  maestro  fammi;  ed  esso  Alberto 
E  di  Cologna ,  ed  io  Thomas  di  Aquino. 

Se  sì  di  tutti  li  altri  esser  vuoi  certo. 
Diretro  al  mio  parlar  ten  vien  col  viso 
Girando  su  per  Io  beato  serto  ! 

Quello  altro  fiammeggiare  esce  del  riso 
Di  Grazian ,  che  lo  uno  e  lo  altro  foro 
Ajutò  sì ,  che  piacque  in  paradiso. 

Lo  altro,  che  a  presso  adorna  il  nostro  coro, 
Quel  Pietro  fu,  che  con  la  poverella 
Offerse  a  santa  chiesa  il  suo  tesoro. 

La  quinta  luce,  eh'  è  tra  noi  più  bella, 
Spira  di  tale  amor,  che  tutto  il  mondo 
Là  giù  ne  gola  di  saper  novella. 

Entro  vi  è  1'  alta  mente  u  sì  profondo 
Saper  fu  messo,  che,  se  il  vero  è  vero, 
A  veder  tanto  non  surse  il  secondo, 

A   presso  vedi  '1  lume  di  quel  cero 
Che  giuso  in  carne  più  a  dentro  vide 
L'  angelica  natura  e  il  ministero. 

Neil'  altra  piccioletta  luce  i-ide 

Queir  avvocato  dei  tempi  cristiani, 
Del  cui  latino  Agostin  si  provvide. 

Or,  se  tu  r  occhio  della  mente  trani' 
Di  luce  in  luce  dietro  alle  mie  lode. 
Già  della  ottava  con  sete  rimani. 

Per  veder  ogni  ben  dentro  vi  gode 
L'  anima  santa,  che  il  mondo  fallace 
Fa  manifesto  a  chi  di  lei  ben  ode. 

Lo  corpo,  ond'  ella  fu  cacciata,  giace 
Giuso  in  Cieldoro,  ed  essa  da  martiro 
E  da  esilio  venne  a  questa  pace. 

Vedi  oltre  fiammeggiar  Io  ardente  spiro 
D'  Isidoro  ,  di  Beda ,  e  di  Riccardo, 
Che  a  considerar  fu  più  che  viro. 

Questi,  onde  a  me  ritorna  il  tuo, riguardo, 
E  il  lume  di  uno  spirto,  che  in  pensieri 
Gravi  a  morir  li  parve  venir  tardo. 

Essa  è  la  luce  eterna  di  Sigieri, 

Che  leggendo  nel  viso  degli  strami 
Sillogizzò  invidiosi  veri. 

Indi,  come  orologio  che  ne  chiami 
Nella  ora ,  che  la  sposa  di  dìo  surge 
A  mattinar  lo  sposo  per  che  lo  ami, 

Clie  la  una  parte  e  l'  altra  tira  ed  urge, 
Tin  tin  sonando  con  sì  dolce  nota. 
Che  il  ben  disposto  spirto  di  amor  turge: 

Così  vid'  io  la  gloriosa  rota 

Moversi ,  e  render  voce  a  voce  in  tempra 
Ed  in  dolcezza ,  eh'  esser  non  può  nota, 

Se  non  colà,  dove  il  gioir  s'insempra. 


CANTO     XI. 

ARGOMENTO. 

Francesco  d'  Assisi. 

Oh  ingcn>!ata  cura  d(^i  mortali. 
Quanto  son  difettivi  tiillogismi 
Quei,  che  ti  fanno  in  basso  batter  le  ali! 


[181] 


PARADISO.     (XI.  4  — 13T) 


[182] 


Chi  dietro  a  jura ,  e  chi  ad  aforismi 
Sen  giva,  e  chi  sej2;uend(t  sacerdi)zio, 
E  chi  regnar  per  forza  o  per  sofismi; 

E  chi  rubare,  e  chi  civil  negozio. 
Chi  nel  diletto  della  carne  involto 
Si  affaticava,  e  chi  si  dava  all'  ozio: 

Quando  io ,  da  tutte  queste  cose  sciolto, 
Con  Beatrice  mi  era  suso  in  cielo 
Cotanto  gloriosamente  accolto. 

Poi  che  ciascuno  fu  tornato  ne  lo 

Punto  del  cerchio,  in  che  avanti  si  era, 
Fermarsi  come  a  candellier  candelo. 

Ed  io  sentii  dentro  a  quella  lumiera. 
Che  pria  mi  avea  parlato ,  sorridendo 
Incominciar,  facendosi  più  mera: 

Così  come  io  del  suo  raggio  m'  accendo, 
Sì  riguardando  nella  luce  eterna 
Li  tuoi  pensieri,  onde  cagioni,  apprendo. 

Tu  dubbii,  ed  hai  voler  che  si  ricerna 
In  sì  aperta  e  si  distesa  lingua 
Lo  dicer  mio ,  che  al  tuo  sentir  si  sterna, 

Ove  dinanzi  dissi:  u  ben  s'  impingua, 
£  là ,  u  dissi  :  non  siirse  il  secondo  : 
E  qui  è  opo  che  ben  si  distingua. 

La  providenza,  che  governa  il  mondo 

Con  quel  consiglio ,  nel  quale  ogni  aspetto 
Creato  è  vinto  pria  che  vada  al  fondo, 

Però  che  andasse  ver  lo  suo  diletto 
La  sposa  di  colui,  che  ad  alte  grida 
Disposò  lei  col  sangue  benedetto, 

In  sé  sicura,  e  anche  a  lui  più  fìda, 
Due  principi  ordinò  in  suo  favore, 
Che  quinci  e  quindi  le  fosser  per  guida. 

Lo  un  fu  tutto  serafico  in  ardore. 
Lo  altro  per  sapienza  in  terra  fue 
Di  cherubica  luce  uno  splendore. 

Dello  un  dirò ,  però  che  di  ambi  e  due 

Si  dice  lo  un   pregiando,  qual  che  om  prende. 
Per  che  ad  un  fine  fùr  le  opere  sue. 

Intra  Tupino  e  1'  acqua,  che  discende 
Dal  colle  eletto  dal  beato  Ubaldo, 
Fertile  costa  di  alto  monte  pende. 

Onde  Perugia  sente  freddo  e  caldo 
Da  Porta  Sole,  e  dirietro  le  piange 
Per  greve  giogo  Noceia  con  Gualdo. 

Di  quella  costa  là,  dov'  ella  frange 

Più  sua  rattezza,  nacque  al  mondo  un  sole, 
Come  fa  questo  tal  volta  di  Gange. 

Però  chi  di  esso  loco  fa  parole, 

Non  dica  Assesi,  che  direbbe  corto, 
Ma  Oriente,  se  proprio  dir  vuole. 

Non  era  ancor  molto  lontan  dall'  orto, 
Ch'  el  cominciò  a  far  sentir  la  terra 
Della  sua  gran  virtude  alcun  confurto. 

Che  per  tal  donna  giovinetto  in  guerra 
Del  padre  corse ,  a  cui  come  alla  morte 
La  porta  del  piacer  nessun  disserra; 

E  dinanzi  alla  sua  spiritai  corte, 
Fd  coram  patre  le  si  fece  unito, 
Poscia  di  dì  in  dì  l'  amò  più  forte. 

QiHista,  privata  del  primo  marito, 

Millo  o  cento  anni  e  più  dispettu  e  scura 
Fino  a  costui  si  stette  senza  invito. 

Nò  valse  udir,  che  hi  trovò  sicura 
Con  Amiclate  al  suou  della  sua  voce 
Colui,  che  a  tutto  il  mond(t  lo'  paura: 

Nò  vttUo  esser  costante,  nò  feroce. 


Si  che  dove  Maria  rimase  gìuso, 
Ella  con  Cristo  salse  in  su  la  croce. 
Ma  per  che  io  non  proceda  troppo  cluu-;o 
Francesco  e  povertà  per  questi  amanti 
Prendi  oramai  nel  mio  parlar  diffuso  ! 
La  lor  concordia,  e  i  lor  lieti  sembianti 

j     Amore,  e  maraviglili,  e  dolce  sguardo 

!     Faceano  esser  cagion  di  peiisier  santi. 
Tanto  che  il  venerabile  Bernardo 

I      Si  scalzò  prima,  e  dietro  a  tanta  pace 

I      Corse,  e  correndo  li  parv'  esser  tardo. 
Oh  ignota  ricchezza,  oh  ben  ferace! 
Scalciasi  Egidio ,  e  scalciasi  Silvestro 

I     Dietro  allo  sposo  ;  sì  la  sposa  piace. 

'Indi  sen  va  quel  padre  e  quel  maestro 
Con  la  sua  donna,  e  con  quella  famiglia, 
Che  già  legava  lo  umile  capestro; 

Né  li  gravò  viltà  di  cor  le  ciglia 
Per  esser  fi  di  Pietro  Bernardone, 
Né  per  parer  dispetto  a  maraviglia. 

Ma  regalmente  sua  dura  intenzione 
Ad  Innocenzio  aperse ,  e  da  lui  ebbe 
Primo  sigillo  a  sua  religione. 

Poi  che  la  gente  poverella  crebbe 

!     Dietro  a  costui,  la  cui  mirabil  vita 

j     Meglio  in  gloria  del  ciel  si  canterebbe, 

Di  seconda  corona  redimita 

Fu  per  Onorio  dallo  eterno  spiro 

La  santa  voglia  di  esto  archimandrita: 

E  poi  che ,  per  la  sete  del  martiro. 
Nella  presenza  del  Soldan  superba 
Predicò  Cristo ,  e  li  altri  che  il  seguirò, 

E  per  trovare  a  conversione  acerba 

Troppo  la  gente,  e  per  non  stare  indarno, 
Reddissi  al  frutto  della  italica  erba. 

Nel  crudo  sasso  intra  Tevere  ed  Arno 
Da  Cristo  prese  lo  ultimo  sigillo. 
Che  le  sue  membra  due  anni  portarno. 

Quando  a  colui,  che  a  tanto  ben  sortillo, 
Piacque  di  trarlo  suso  alla  mercede, 
Ch'  el  meritò  nel  suo  farsi  pusillo. 

Ai  frati  suoi,  sì  come  a  giuste  erede. 
Raccomandò  la  donna  sua  più  cara, 
E  comandò  che  1'  amassero  a  fede: 

E  del  suo  grembo  1'  anima  preclara 
Mover  si  volse,  tornando  al  suo  regno. 
Ed  al  suo  corpo  non  volso  altra  bara. 

Pensa  oramai  qual  fu  colui ,  che  degno 
Collega  fu  a  mantener  la  barca 
Di  Pietro  in  alto  mar  per  dritto  segno  ! 

E  questi  fu  il  nostro  patriarca. 

Per  che  qual  segue  lui,  com'  ei  comanda, 
Discerner  puoi,  che  buona  merce  carca. 

Ma,  il  suo  peculio  di  nova  vivanda 
E    fatto  ghiotto  sì ,  cir  esser  non  potè 
Che  per  diversi  salti  non  si  spauda  : 

E  quanto  le  sue  pecore  riuiotc 
E  vagabonde  più  da  esso  vanno. 
Più  tornano  all'  in  il  di  latte  vote. 

Ben  son  di  quelle,  che  teuuuu)  il  danno 
E  stringonsi  al  pastor;  ma  son  si  poche, 
('he  lo  cappt!  fornisce  poco  panno. 

Or  se  h^  mie  parole  non  son  fioche, 
Se  l'.i  tua  audienza  ù  st.ita  attenta, 
Se  ciò  (In-  ho  detto  nll.i  nuiile  rivoclic. 

In  parte  Ha  la  tua  voglia  coiitenla: 

Per  che  vedrai  la  pianta  on:le  si  scheggia, 

12  * 


[183] 


PARADISO.  (XI.  138  — 139.    XII.  1  —  119) 


[184] 


E  vedrà'  il  coreggièr  che  argomenta 
U  ben  s'  impingua ,  se  non  si  vaneggia. 


CANTO     XII. 


ARGOMENTO. 


(J    San  Bonaventura  racconta  la  vita  di  san  Domenico , 
dà  contezza  d'  altri  celesti. 


Sì  tosto  come  la  ultima  parola 
La  benedetta  fìamiua  per  dir  tolse, 
A  rotar  cominciò  la  santa  mola: 

£  nel  suo  giro  tutta  non  si  \ohe, 

Prima  che  un'  altra  di  un  cerchio  la  chiuse, 
£  moto  a  moto ,  e  canto  a  canto  colse  : 

Canto ,  che  tanto  vìnce  nostre  muse, 
Nostre  sirene,  in  quelle  dolci  tube, 
Quanto  primo  splendor  quel  che  rifuse. 

Come  si  volgon  per  tenera  nube 
Due  archi  paralleli  e  concolori, 
Quando  Giunone  a  sua  ancella  jube, 

Nascendo  di  quel  di  entro  quel  di  fori, 
A  guisa  del  parlar  di  quella  vaga. 
Che  amor  consunse,  come  sol  vapori: 

E  fanno  qui  la  gente  esser  presaga 
Per  lo  patto  che  dio  con  Noè  pose 
Del  mondo ,  che  giammai  più  non  si  allaga  : 

Così  di  quelle  sempiterne  rose 

Volgeansi  circa  noi  le  due  ghirlande, 
E  sì  la  estrema  alla  intima  rispose. 

Poi  che  il  tripudio  e  1'  altra  festa  grande. 
Sì  del  cantare,  e  sì  del  fiammeggiarsi 
Luce  con  luce  gaudiose  e  blande. 

Insieme  a  punto,  ed  a  voler  quietarsi; 

Pur  come  li  occhi ,  che  al  piacer  che  ì  move 
Conviene  injiieme  chiudere  e  levarsi; 

Del  cor  della  una  delle  luci  nove 

Si  mosse  voce,  che  lo  ago  alla  stella 
Parer  mi  fece  in  volgermi  al  suo  dove, 

E  cominciò  :  lo  amor  che  mi  fa  bella. 
Mi  tragge  a  ragionar  dello  altro  duca, 
Per  cui  del  mio  sì  ben  ci  si  favella. 

Deffno  è  che  dov'  è  lo  un,  lo  altro  s'  induca 
Si,  che  com'  elii  ad  una  militaro. 
Così  la  gloria  loro  insieme  luca. 

Lo  esercito  di  Cristo,  che  sì  caro 
Costò  a  riarmar,  dietro  alla  insogna 
Si  movca  tardo ,  suspicioso  e  raro  ; 

Quando  lo  imperador ,  che  sempre  regna. 
Provvide  alla  milizia  eh'  era  in  forse. 
Per  sola  grazia,  non  per  esser  degna: 

E ,  com'  è  detto ,  a  sua  sposa  soccorse 

Con  duo  campioni,  al  cui  fare,  al  cui  dire 
Lo  popol  dis^iato  si  raccorse. 

In  quella  parte,  ove  surge  ad  aprire 
Zelfiro  dolce  le  novelle  fronde. 
Di  che  si  vede  europa  rivestire, 

Non  molto  lungi  al  percoter  delle  onde, 
Dietro  alle  quali  per  la  lunga  foga 
Lo  sol  tal  volta  ad  ogni  om  si  nasconde. 

Siede  la  fortunata  Callaroga 


Sotto  la  protczion  del  grande  scudo. 
In  che  soggiace  il  leone ,  e  soggioga. 

Dentro  vi  nacque  lo  amoroso  drudo 
Della  fede  cristiana,  il  santo  atleta, 
Benigno  ai  suoi ,  ed  ai  nimici  crudo  : 

E  come  fu  creata ,  fu  repleta 
Sì  la  sua  mente  di  viva  virtute, 
Che  nella  madre  lei  fece  profeta. 

Poi  che  le  sponsalizie  fur  compiute 
Al  sacro  funte  intra  lui  e  la  fede, 
U  si  dotar  di  mutua  salute. 

La  donna,  che  per  lui  lo  assenso  diede. 
Vide  nel  sonno  il  mirabile  frutto. 
Che  uscir  dovea  di  lui  e  dell'  erede; 

E  per  che  fosse ,  quale  era ,  in  costrutto, 
Quinci  si  mosse  spirito  a  nomarlo 
Del  possessivo  di  cui  era  tutto: 

Domenico  fu  detto  :  ed  io  ne  parlo 
Sì  come  dello  agricola,  che  Cristo 
Elesse  all'  orto  suo  per  ajutarlo. 

Ben  parve  messo  e  famigliar  di  Cristo, 

Che  il  primo  amor ,  che  in  lui  fu  manifesto, 
Fu  al  primo  consiglio  che  die  Cristo. 

Spesse  fiate  fu  tacito  e  desto 

Trovato  in  terra  dalla  sua  nutrice. 
Come  dicesse:  io  son  venuto  a  questo. 

Oh  padre  suo  veramente  Felice  ! 
Oh  madre  sua  veramente  Giovanna, 
Se  interpretata  vai  come  si  dice  ! 

Non  per  lo  mondo,  per  cui  mo  si  affanna 
Diretro  ad  Ostiense  ed  a  Taddeo, 
Ma  per  amor  della  verace  manna. 

In  picciol  tempo  gran  dottor  si  feo, 
Tal  che  si  mise  a  circuir  la  vigna, 
Che  tosto  imbianca  se  il  vignaro  è  reo. 

Ed  alla  sedia  ,  che  fu  già  benigna 
Più  ai  poveri  giusti ,  non  per  lei. 
Ma  per  colui  che  siede  e  che  traligna, 

Non  dispensar  e  o  due  o  tre  per  sei, 
Non  la  fortuna  di  prima  vacante, 
Aon  decimas,  qitae  suiit  paiiperiim  dei, 

Addimandò  ;  ma  centra  il  mondo  errante 
Licenzia  di  combatter  per  lo  seme, 
Del  qual  ti  fascian  ventiquattro  piante. 

Poi  con  dottrina  e  con  volere  insieme. 
Con  lo  uficio  a[(ostolico  si  mosse, 
Quasi  torrente  che  alta  vena  preme, 

E  nelli  sterpi  eretici  percosse 

Lo  impeto  suo  più  vivamente  quivi, 
Dove  le  resistenze  eran  più  grosse. 

Di  lui  si  fecer  poi  diversi  rivi, 
Onde  r  orto  cattolico  si  riga 
Sì,  che  i  suoi  arbuscflli  stan  più  vivi. 

Se  tal  fu  la  una  rota  della  biga. 
In  che  la  santa  chiesa  si  difese, 

1     E  vinse  in  campo  la  sua  civil  briga, 

jBen  ti  dovrebbe  assai  esser  palese 

I     La  eccellenza  dell'  altra ,  di  cui  Tomma 

j      Dinanzi   al  mio  venir  fu  sì  cortese. 

:Ma  la  orbita,  che  fé'  la  parte  sonmia 
,,     Di  sua  circonferenza,  è  derelitta 

I     Sì,  eh'  è  la  muila  dov'  era  la  gromma. 

ILa  sua  famiglia,  che  si  mosse  dritta 

I      Coi  piedi  alle  sue  orme,  è  tanto  volta, 
Che  quel  diniinzi  a  quel  dirctro  gitta: 

E  tosto  si  avvedi-)!  della  ricolta 

Della  mala  coltura,  quando  il  loglio 


;i85] 


PARADISO.  (XII.  120—145.  XIII.l  — 97) 


[186] 


Si  lagnerà  che  1'  arca  li  sia  tolta. 

Ben  dico  ,  chi  cercasse  a  foglio  a  foglio 
INostro  Tolurae,  ancor  troveria  carta 
U  leggerebbe  :  io  mi  son  quel  che  io  soglio. 

Ma  non  fia  da  Casal  né  d'  Acquasparta, 
Là  onde  vegnon  tali  alla  scrittura. 
Che  uno  la  fugge ,  e  lo  altro  la  coarta. 

Io  son  la  vita  di  Bonaventura 
Da  Bagnoregio  ,  che  nei  grandi  ullci 
Sempre  posposi  la  sinistra  cura, 
[laminato  ed  Agnstin  son  quici. 
Che  fùr  dei  primi  scalci  poverelli. 
Che  nel  capestro  a  dio  si  fero  amici. 

Ugo  da  Sanvittore  è  qui  con  elli, 

E  Pietro  Mangiadore,  e  Pietro  Ispano, 
Lo  qual  giù  luce  in  dodici  libelli: 

Natan  profeta,  e  il  metropolitano 

Crisostomo,  ed  Anselmo,  e  quel  Donato, 
Che  alla  prim'  arte  degnò  poner  mano; 

Babau  è  qui ,  e  lucerai  da  lato 
Il  Calabrese  abate  Giovacchino 
Di  spìrito  profetico  dotato. 

Ad  inveggiar  cotanto  paladino 
Mi  mosse  la  infiammata  cortesia 
Di  fra  Tommaso,  e  il  discreto  latino, 

E  mosse  meco  questa  compagnia. 


CANTO   XIII. 

ARGOMENTO. 

San  Tommaso  solve  un  dubbio. 

Immagini  chi  bene  intender  cupe 

Quel  che  io  or  vidi,  e  rìtcgna  la  image, 
Mentre  che  io  dico ,  come  ferma  rupe, 

Quindici  stelle  che  in  diverse  plage 
Lo  cielo  avvivan  di  tanto  sereno, 
Che  soverchia  dello  aere  ogni  compage! 

Immagini  quel  carro,  a  cui  il  seno 

Basta  del  nostro  ciclo  e  notte  e  giorno. 
Si  che  al  volger  del  temo  non  vien  meno! 

Immagini  la  bocca  di  quel  corno. 
Che  si  comincia  in  punta  dello  stelo, 
A  cui  la  prima  rota  va  d'  intorno, 

Aver  fatto  di  se  duo  segni  in  ciclo, 
Qual  fece  la  figliola  di  Minoi 
Allora  che  sentì  di  morte  il  gielo: 

E  lo  un  nello  altro  aver  li  raggi  suoi, 
Kd  ambi  e  due  girarsi  per  niiiniera. 
Che  lo  uno  andasse  al  pria,  lo  altro  al  poi: 

Ed  avrà  quasi  la  ombra  della  vera 
CostcIIa/.iono,  e  della  doppia  dan/<t. 
Che  cìrciiliiva  ì!  punto,  dove  io  era; 

Poi  eh'  è  tanto  di  là  da  nostra  usanza. 
Quanto  di  là  dal  mover  della  Chiana 
Si  niovc  il  ci«-l,  che  tiiltì  li  altri  avanza. 

Lì  hì  cantò  non  I{iic«;(» ,  non  Peana, 
iMa  tre  persone  in  divina  natura, 
K(i  in  una  |>ersona  essa  e  la  umana. 

Compiè  il  ciintarc  e  il  volger  sua  misura, 
Ed  attescr  a  noi  quei  mmù  lumi, 
Felicitando  sé  di  cura  iu  cura. 


Ruppe  il  silenzio  nei  concordi  numi 
Poscia  la  luce,  in  che  mirabil  vita 
Del  poverel  di  dio  narrata  fumi, 

£  disse:  quando  la  una  paglia  è  trita. 
Quando  la  sua  semenza  è  già  riposta, 
A  batter  1'  altra  dolce  amor  m'  invita. 

Tu  credi ,  che  nel  petto ,  onde  la  costa 
Si  trasse,  per  formar  la  bella  guancia, 
Il  cui  palato  a  tutto  il  mondo  costa, 

Ed  in  quel ,  che  forato  dalla  lancia, 
E  poscia  e  prima  tanto  soddisfece. 
Che  di  ogni  colpa  vince  la  bilancia^ 

Quantunque  alla  natura  umana  lece 
Aver  di  lume,  tutto  fosse  infuso 
Da  quel  valor ,  che  lo  uno  e  lo  altro  fece  : 

E  però  miri  a  ciò,  che  io  dissi  suso. 
Quando  narrai,  che  non  ebbe  secondo 
Il  ben  che  nella  quinta  luce  è  chiuso. 

Oi'a  apri  li  occhi  a  quel  che  io  ti  rispondo, 
E  vedrai  il  tuo  credere  e  il  mio  dire 
Nel  vero  farsi  come  centro  in  tondo. 

Ciò  che  non  more,  e  ciò  che  può  morire. 
Non  è  se  non  splendor  di  quella  idea. 
Che  partorisce  amando  il  nostro  sire; 

Che  quella  vera  luce,  che  s'  inea 
Dal  suo  lucente,  che  non  si  disuna 
Da  lui  nò  dallo  amor,  che  a  lor  s'  intrea, 

Per  sua  bontate  il  sua  raggiare  aduna, 
Quasi  specchiato  in  nove  sussistenze, 
Eternahnente  rimanendosi  una. 

Quindi  discende  alle  ultime  potenze 
Giù  di  atto  in  atto  tanto  divenendo, 
Che  più  non  fa  che  brevi  contingenze; 

E  queste  contingenze  essere  intendo 
Le  cose  generate,  che  produce 
Con  seme  e  senza  seme  il  cicl  movendo. 

La  cera  di  costoro ,  e  chi  la  duce. 

Non  sta  di  un  modo  ,  e  però  sotto  il  segno 
Ideale  poi  più  e  mcn  traluce  : 

Ond'  egli  avvien,  che  un  medesimo  legno. 
Secondo  specie,  meglio  e  peggio  frutta, 
E  voi  nascete  con  diverso  ingegno. 

Se  fosse  a  punto  la  cera  dedutta, 

E  fosse  il  cielo  in  sua  virtù  suprema. 
La  luce  del  suggel  parrebbe  tutta. 
!  Ma  la  natura  la  dà  sempre  scema,  -' 

Similemente  operando  allo  artista 
Che  ha  lo  abito  dell'  arte ,  e  man  che  trema. 

Però  se  il  caldo  amor  la  chiara  vista 
Della  prima  virtù  dispone  e  segna. 
Tutta  la  perfezion  ([uivi  t.i  acquista. 

Così  fu  fatta  già  la  terra  degna 
Di  tutta  r  animai  perfezione  : 
Così  fu  fatta  la  ^  ergine  pregna. 

Si  che  io  commendo  tua  opinione: 
Che  la  umana  natura  mai  non  fur. 
Né  fia,  qual  fu  in  quelle  diu-  persone. 

Or  se  io  iu>n  procedessi  avanti  piùe; 
Dunque  comm^  costui  fu  senza  pare? 
Coniincerebbcr  le  parole  tiu!. 

Ma,  per  clic  piija  ben  ciuci  che  non  paro. 
Pensa,  chi  era,  e  la  ragion  che  il  nu)SdC, 
Quando  fu  detto  chiedi,  a  dimandare. 

Non  ho  |)arlati»  sì  ,  «  he  tu  non  posse 
Ben  veder  eh'  «-l  fu  re  che  chiese  senno, 
Acciò  che  re  suflit'ientc  fosse: 

Non  pei'  sapere  il  numero ,  in  cJie  cnno 


fl87] 


PARADISO.     (XIII.    98  —  142.  XIV.  1  — tfi) 


[188]    1 


Lì  motor  di  qua  su ,  o  se  necesse 
Con  contingente  mai  necesse  fenno: 

Non  si  est  dare  primitm  motum  esse, 
O  ise  del  mezzo  cerchio  far  si  potè 
Triangol,  sì  che  un  retto  non  avesse: 

Onde,  se  ciò  che  io  dissi  e  questo  note, 
Regal  prudenza  è  quel  vedere  impari. 
In  che  lo  strai  di  mia  intenzion  per  cote: 

E  ,  se  al  siirse  drizzi  li  occhi  chiari, 
Vedrai  aver  solamente  rispetto 
Ai  re  che  sono  molti,  e  i  huon  son  rari. 

Con  quer.ta  distinzion  prendi  '1  mio  detto: 
E  così  puote  star  con  quel  che  credi 
Del  primo  padre  e  del  nostro  diletto. 

E  qiusto  ti  fia  sempre  piombo  ai  piedi, 
Ter  farti  mover  lento  come  om  lasso, 
Ed  al  sì  ed  al  no  che  tu  non  vedi: 

Che  quegli  è  tra  li  stolti  bene  a  basso, 
Che  senza  distinzion  afferma  e  niega 
Così  nello  un  come  nello  altro  passo  : 

Per  eh'  egl'  incontra  che  più  volte  piega 
La  opinion  corrente  in  falsa  parte, 
E  poi  lo  affetto  lo  intelletto  lega. 

Vie  più  che  indarno  da  riva  si  parte. 
Per  che  non  torna  tal  qual  ei  si  move. 
Chi  pesca  per  lo  vero,  e  non  ha  1'  arte: 

E  di  ciò  sono  al  mondo  aperte  prove 
Parmenide,  Melisso,  Brisso,  e  molti. 
Li  quali  andavan  e  non  sapean  dove. 

Sì  fé'  Sabello ,  ed  Arrio ,  e  quelli  stolti, 
Che  furon  come  spade  alle  scritture 
In  render  torti  li  diritti  volti. 

Non  sien  le  genti  ancor  troppo  sicure 
A  giudicar,  sì  come  quei  che  stima 
Le  biade  in  campo  pria  che  sien  mature! 

Cile  io  ho  veduto  tutto  il  verno  prima 
11  prun  mostrarsi  rigido  e  feroce, 
Poscia  portar  la  rosa  in  su  la  cima: 

E  legno  vidi  già  dritto  e  veloce 

Correr  lo  mar  per  tutto  il  suo  cammino, 
Perire  al  fine  allo  entrar  nella  foce. 

Non  creda  monna  Berta  e  ser  ÌVIartino, 
Per  vedere  un  furare,  altr'  offerere, 
Vederli  dentro  al  consiglio  divino! 

Che  quel  può  smgere,  e  quel  può  cadere. 


CANTO     XIV. 


ARGOMENTO. 

Altro  quesito  teologico.    Quinto  cielo,  Marte,  di  quelli, 
che  militarono  per  la  fede. 

Dal  centro  al  cerchio,  e  el  dal  cerchio  al  centro 
Movesi  r  acqua  in  un  rotundo  vaso. 
Secondo  eh'  è  percosso  fori  o  dentro. 

Nella  mia  mente  fé'  subito  caso 

Qiu;sto  che  io  dico  ,  hi  come  si  tacque 
La  glorin.-a  vita  di  Tonmiaso, 

Per  la  similitudine  che  nacque 

Del  suo  parlare  e  di  quel  di  Beatrice, 
A  cui  sì  cominciar,  dopo  lui,  piacque. 


A  costui  fa  mestieri,  e  noi  vi  dice 

Né  con  la  voce,  né  pensando  ancora, 
Di  un  altro  vero  andare  alla  radice. 

Diteli,  se  la  luce,  onde  s'  infiora 
Vostra  sustanzia,  rimarrà  con  voi 
Eternalmente  sì  coni'  ella  è  ora. 

E  se  rimane,  dite  come,  poi 
Che  sarete  visibili  rifatti, 
Es>er  potrà  che  al  veder  non  vi  nói. 

Come  da  più  letizia  pinti  e  tratti 
Alla  fiata  quei,  che  vanno  a  rota, 
Levan  le  voci  e  rallegrano  li  atti. 

Così  alla  orazion  pronta  e  devota 
Li  santi  cerchi  mostrar  nova  gìoja 
Nel  torneare ,  e  nella  mira  nota. 

Qual  si  lamenta  per  che  qui  si  mojei 
Per  viver  colà  su,  non  vide  quive 
Lo  refrigerio  della  eterna  ploja. 

Quello  uno  e  due  e  tre  che  sempre  vive, 
E  regna  sempre  in  tre  e  due  e  uno. 
Non  circonscritto,  e  tutto  circonscrive, 

Tre  volte  era  cantato  da  ciascuno 
Di  quelli  spirti  con  tal  melodia, 
Che  ad  ogni  mcrto  saria  giusto  mnno  : 

Ed  io  udii  nella  luce  più  dia 

Del  minor  cerchio  una  voce  modesta. 
Forse  qual  fu  dello  angelo  a  Maria, 

Risponder:  quanto  fia  lunga  la  festa 
Di  paradiso,  tanto  il  nostro  amore 
Sì  raggerà  d'  intorno  cotal  vesta. 

La  sua  chiarezza  seguirà  lo  ardore, 
Lo  ardor  la  visione,  e  quella  è  tanta, 
Quanto  ha  di  grazia  sopra  suo  valore. 

Come  la  carne  gloriosa  e  santa 
Fia  rivestita ,  la  nostra  persona 
Più  grata  fia  per  esser  tuttaquanta: 

Per  che  si  accrescerà  ciò  che  ne  dona 
Di  gratuito  lume  il  sommo  bene; 
Lume  che  a  lui  veder  ne  condiziona: 

Onde  la  vision  crescer  conviene, 

Crescer  lo  ardor,  che  di  quella  si  accende, 
Crescer  lo  raggio,  che  da  esso  viene. 

IVIa  sì  come  carbon  che  fiamma  rende, 
E  per  vivo  candor  quella  soperchia, 
Sì  che  la  sua  parvenza  si  difende. 

Così  questo  fulgor,  che  già  ne  cerchia, 
Fia  vinto  in  apparenza  dalla  carne, 
Che  tutto  dì  la  terra  ricoperchia  j 

Né  potrà  tanta  luce  affaticarne, 

Che  li  organi  del  corpo  saran  forti 
A  tutto  ciò  che  potrà  dilettarne. 

Tanto  mi  parver  subili  ed  accorti 

E  lo  uno  e  lo  altro  coro  a  dicer  amme, 
Che  ben  mostrar  disio  dei  corpi  morti  ; 

Forse  non  pur  per  lor,  ma  per  le  mamme, 
Per  li  padri ,  e  per  li  altri  che  fùr  cari 
Anzi  che  fosser  sempiterne  fiamme. 

Ed  ecco  intorno  di  chiarezza  pari 

Nascer  un  lustro  sopra  quel  che  vi  era, 
A  guisa  di  orizzonte  che  rischiari. 

E  BÌ  come  al  salir  di  prima  sera 

Comincian  per  lo  ciel  nove  parvenze. 
Sì  che  la  vista  pare  e  non  par  vera. 

Parventi  li  novelle  sussistenze 

Cominciare  a  vedere  e  fare  un  giro 
Di  for  dalle  altre  due  circonferenze. 

Oh  vero  sfavillar  del  santo  spiro, 


189] 


PARADISO.     (XIV.  7T  - 139.  XV.  1  -  58) 


Come  sì  fece  subito  e  candente 
Alli  occhi  miei,  che  vinti  noi  soffrirò! 
la  Beatrice  sì  bella  e  ridente 
Mi  si  mostrò,  che  tra  le  altre  redute 
Si  vuol  lasciar  che  non  seguir  la  mente. 
Quindi  ripreser  li  occhi  miei  virtute 
E  rilevarsi ,  e  vidimi  translato 
Sol  con  mia  donna  in  più  alta  salute.' 
ìcn  mi  accors'  io,  che  i'  era  più  leviito, 
Per  lo  affocato  riso  della  stella. 
Che  mi  parca  più  roggio  che  lo  ns;tto. 

;pon  tutto  il  core,  e  con  quella  favella 
Ch'  è  una  in  tutti,  a  dio  feci  olocausto, 
Qual  conveniasi  alla  grazia  novella  : 
non  er'  anco  del  mio  petto  esausto 
Lo  ardor  del  sacrifìcio,  che  io  conobbi 
ÌGsso  litare  stato  accetto  e  fausto; 
jè  con  tanto  lucore  e  tanto  robbi 
Mi  apparvero  splendor  dentro  ai  duo  raggi, 
Che  io  dissi:  oh  Eliós,  che  si  li  addobbi! 

Come  distinta  da  minori  in  maggi 

Lumi  biancheggia  tra  i  poli  del  mondo 
Galassia  sì ,  che  fa  dubbiar  ben  saggi, 

Si  costellati  facean  nel  profondo 
Marte  quei  rai  lo  venerabil  segno. 
Che  fan  giunture  di  quadranti  in  tondo. 

Qui  vince  la  memoria  mia  lo  ingegno  : 
Che  in  quella  croce  lampeggiava  Cristo, 
Si  che  io  non  so  trovare  esemplo  degno. 

Ma  chi  prende  sua  croce  e  segue  Cristo, 
Ancor  mi  scuserà  di  quel  che  io  lasso, 
Veggendo  in  quello  nibòr  balenar  Cristo. 

Di  corno  in  corno ,  e  tra  la  (-ima  e  il  basso. 
Si  movean  lumi  scintillando  forte 
Nel  congiungersi  insieme  e  nel  trapasso. 

Cosi  si  veggion  qui  diritte  e  torte 
Veloci  e  tarde,  rinnovando  vista, 
Le  minuzie  dei  corpi  lunghe  e  corte 

Moversi  per  lo  raggio ,  onde  si  lista 
Tal  volta  la  onilira,  che  per  sua  difesa 
La  gente  con  ingegno  ed  arte  acquista. 

E  come  giga  ed  arpa  in  tempra  tesa 
Di  molte  corde  fan  dolce  tintinno 
A  tal  da  cui  la  nota  non  è  intesa. 

Cosi  dai  lumi  che  lì  in'  apparinno 

Si  accogliea  per  la  croce  una  melode. 
Che  mi  rapiva  sen/a  intender  Io  inno. 

Ben  mi  accors'  io  eh'  ella  era  di  aite  lode, 
Però  che  a  me  venia  :  risurgi  e  vinci. 
Come  a  colui  che  non  intende  ed  ode. 

Io  m'  innamorava  tanto  quinci. 

Che  infino  a  lì  non  fu  alcuna  cosa, 
Che  mi  legasse  con  sì  dolci  vinci. 

Forse  la  mia  parola  par  tropp'  osa, 
Posponendo  il  piacer  delti  occhi  belli, 
Nei  quai  mirando  mio  dir>io  si  apposa. 

Ma  chi  si  avvede,  che  i  vìvi  suggelli 
Dì  ogni  belle/za  più  fanno  più  suso, 
E  che  io  non  mi  era  lì  rivolto  a  quelli, 

Escusiir  puouuni  dì  quel  che  io  mi  accuso 
Per  iscu-iiirnii ,  e  vedermi  dir  vero: 
Che  'I  piacer  santo  non  è  (|ui  dischiuso, 

Per  che  «i  fa,  montando,  più  eiucero. 


[190] 


CANTO    XV. 


ARGOMENTO. 

Cacciaguida ,  trisavolo  del  -poeta.     Lor  genealogia. 
Antichi  costumi  di  Firenze. 


Benigna  volontade,  in  che  si  liqua 

Sempre  lo  amor ,  che  drittamente  spira, 
Come  cupidità  fa  nella  iniqua. 

Silenzio  pose  a  quella  dolce  lira, 
E  fece  quietar  le  sante  corde, 
Che  la  destra  del  cielo  allenta  e  tira. 

Come  saranno  ai  giusti  prieghi  sorde 
Quelle  sustanze  che,  per  darmi  voglia 
Che  io  le  pregassi,  a  tacer  fur  concorde? 

Ben  è  che  senza  termine  si  doglia 
Chi,  per  amor  di  cosa  che  non  duri 
Eternalmente,  quello  amor  si  spoglia. 

Quale  per  li  seren  tranquilli  e  puri 
Discorre  ad  ora  ad  or  subito  foco, 
Movendo  li  occhi  che  stavan  sicuri, 

E  pare  stella  che  tramuti  loco, 

Se  non  che  dalla  parte ,  ond'  el  si  accende. 
Nulla  si  perde,  ed  esso  dura  poco; 

Tale  dal  corno  che  in  destro  si  stende, 
Al  pie  di  quella  croce  corse  im  astro 
Della  costellazion  che  lì  risplende. 

Ne  si  partì  la  gemma  dal  suo  nastro, 
Ma  per  la  lista  radiai  trascorse, 
Che  parve  foco  dietro  ad  alabastro: 

Sì  pia  la  ombra  di  Anchise  si  porse, 
Se  fede  merta  nostra  maggior  musa. 
Quando  in  Eliso  del  figlioi  si  accorse. 

0  sanguis  mcus!  o  Sìiperiufusa 
Gratia  Dei!  sicut  libi,  cui 
Bis  iinquam  cadi  janua  reclusa? 

Cosi  quel  lume,  onde  io  mi  attesi  a  luì: 
Poscia  rivolsi  alla  mia  donna  il  viso, 
E  quinci  e  quindi  stupefatto  fui: 

Che  dentro  alli  occhi  suoi  ardeva  un  riso 
Tal ,  che  io  pensai  coi  miei  toccar  lo  fondo 
Delia  mia  gloria  e  del  mio  paradiso. 

Indi  ad  udire  ed  a  veder  giocondo 

Giunse  lo  spirto  al  suo  principio  cose. 
Che  io  non  intesi,  sì  parlò  profondo: 

Nò  per  elezinn  mi  sì  nascose. 

Ma  per  necessità:  che  il  suo  connetto 
Al  segno  dei  mortai  si  soprappeso. 

E  quando  lo  arco  dello  ardente  aff<"lto 
Fu  sì  scoccato,  che  il  parlar  disrese 
Invcr  lo  segno  del  nostro  intelletto, 

La  prima  cosa  che  per  me  s'  inte-e. 
Benedetto  sic  tu  ,  fu ,   trino  ed  uno. 
Che  nel  mio  seme  sei  t.mto  cortese  ! 

E  seguitò:  grato  e  lontan  diijiuno 
Tratto,  leggendo  nel  niiigno  volume, 
1J  non  si  unita  mai  biiiiico  uè  bruno. 

Soluto  hai,  figlio,  dentro  u  questo  lume, 
In  che  io  ti  parlo,  mercè  di  colei 
Che  allo  ulto  volo  ti  ^estì  le  pilline. 

Tu  credi  cIk;  a  me  tuo  pen>ier  mei 
Da  qiu'l   «  Ir  è  primo  così  come  raja 
Dello  un,  se  t.ì  ciuioscc .  il  cinque  e  il   sei. 

E  però  che  io  mi  sia  e  per  che  io  paja 


[191] 


PARADISO.     (XV.  59—148.    XVI.  1—32) 


[192] 


Più  gaudioso  a  te,  non  mi  dimandi, 
Che  alcun  altro  in  questa  turba  gaja. 

Tu  credi  '1  yero ,  che  i  minori  e  i  grandi 
Di  questa  vita  niiran  nello  spcf^lio, 
In  che  prima  che  pensi  il  pensier  pandi.  ^ 

Ma  per  che  il  sacro  amore,  in  die  io  veglio 
Con  perpetua  vista,  e  che  mi  asseta 
Di  dolce  desiar,  si  adempia  meglio, 

La  voce  tua  sicura,  balda,  e  lieta 
Suoni  la  volontà,  suoni  '1  desio, 
A  che  la  mia  risposta  è  già  decreta. 

Io  mi  volsi  a  Beatrice:  e  quella  udio 

Pria  che  io  parlassi ,  e  arrissemi  un  cenno 
Che  fece  crescer  le  ali  al  voler  mio. 

Poi  cominciai  cosi:  lo  affetto  e  il  senno, 
Come  la  prima  equalità  vi  apparse. 
Di  un  peso  per  ciascun  di  voi  si  fenno, 

Però  che  il  sole  vi  allumò  ed  arse 
Col  caldo  e  con  la  luce,  e  si  eguali. 
Che  tutte  simiglianze  sono  scarse. 

3Ia  voglia  ed  argomento  nei  mortali. 
Per  la  cagion,  che  a  voi  è  manifesta, 
Diversamente  son  pennuti  in  ali. 

Onde  io ,  che  son  mortai ,  mi  sento  in  questa 
Disagguaglianza;  e  però  non  ringrazio 
Se  non  col  core  alla  paterna  festa. 

Ben  supplico  io  a  te,  vivo  topazio, 
Che  questa  gìoja  preziosa  ingemmi, 
Per  che  mi  facci  del  tuo  nome  sazio. 

Oh  fronda  mia,  in  che  io  compiacemmi, 
Pure  aspettando,  io  fui  la  tua  radice; 
Cotal  principio,  rispondendo,  femmì. 

Poscia  mi  disse:  quel,  da  cui  si  dice 
Tua  cognazione,  e  che  cento  anni  e  piue 
Girato  ha  il  monte  in  la  prima  cornice, 

Mio  figlio  fu,  e  tuo  bisavol  fue: 
Ben  si  convien,  che  la  lunga  fatica 
Tu  li  raccorci  con  le  opere  tue. 
//  Fiorenza  dentro  dalla  cerchia  antica 
/         Ond'  ella  toglie  ancora  e  terza  e  nona, 
Sì  stava  in  pace  sobria  e  pudica. 

Non  avea  catenella ,  non  corona, 
Non  doime  contigiate,  non  cintura 
Che  fosse  a  veder  più  die  la  persona. 

Kon  faceva  nascendo  ancor  paura 

La  figlia  al  |>adre;  che  il  tempo  e  la  dote 
Non  fuggian  quinci  e  quindi  la  misura. 

Non  avea  case  di  famiglia  vote; 

Non  vi  era  giunto  ancor  Sardanapalo 
A  mostrar  ciò ,  che  in  camera  si  potè. 

Non  era  vinto  ancora  Montcnialo 

Dal  vostro  uccellatoi',  che ,  com'  è  vinto 
Nel  montar  su,  così  sarà  nel  calo. 

Bellincion  Berti  vid'  io  andar  cinto 

Di  cuojii  e  di  osso,  e  venir  dallo  specchio 
La  donna  r^ww  senza  il  viso  dipinto: 

£  ^idi  i\\w\  di  ^(■rli  e  quel  del   Veccliio 
Eojiicr  contenti  alla  pelle  scojìprta, 
E  le  sue  donne  ni  fuso  ed  al  pennecchio. 

Oh  fortunate  !  e  «:iascuna  era  certa 
Della  sua  He|)nliura ,  ed  ancor  nulla 
Era  per   Francia  nel  letto  deserta. 

La  una  veggliiava  a  studio  della  culla, 
E  con.-iilanil(»  n<avii  lo  idioma 
(Jlie  pria  li  iiadri  e  le  madri  trastulla: 

L'  altra,  traendo  alla  roica  la  chioma, 
Favoleggiava  con  la  tua  famiglia 


Dei  Trojan! ,  di  Fiesole,  e  di  Roma. 

Saria  tenuta  allor  tal  mjiraviglia 

Una  Ciangliella,  un  Lapo  Salterello, 
Qual  or  saria  Cincinnato ,  e  Corniglia. 

A  così  riposato,  a  così  bello 
Viver  di  cittadini ,  a  così  fida 
Cittadinanza,  a  così  dolce  ostello. 

Maria  mi  die,  chiamata  in  alte  grida: 
fi  nello  antico  nostro  batisteo 
Insieme  fui  cristiano  e  Cacciaguida. 

Moronto  fu  mio  frate,  ed  Eliseo; 

Mia  donna  venne  a  me  di  Val  di  Pado, 
E  quindi  '1  soprannome  tuo  si  feo. 

Poi  seguitai  lo  imjìerador  Currado, 
Ed  el  mi  cinse  della  sua  milizia, 
Tanto  per  bene  oprar  li  venni  in  grado. 

Dietro  li  andai  incontro  alla  nequizia 
Di  quella  legge ,  il  cui  popolo  usurpa 
Per  colpa  dei  pastor  vostra  giustizia. 

Quivi  fu'  io  da  quella  gente  turpa 
Disviluppato  dal  mondo  fallace, 
Il  cui  amor  molte  anime  deturpa, 

E  venni  dal  martirio  a  questa  pace. 


CANTO     XVI. 
ab.gomet!ìt:o. 

Continuazione. 

Oh  poca  nostra  nobilita  di  sangue, 
Se  gloriar  di  te  la  gente  fai 
Qua  giù  dove  lo  affetto  nostro  langue, 

Mirabil  cosa  non  mi  sarà  mai: 
Che  là  dove  appetito  non  si  torce. 
Dico  nel  cielo ,  io  me  ne  gloriai. 

Ben  sei  tu  manto  che  tosto  raccorce. 
Sì  che,  se  non  si  appon  di  die  in  die, 
Lo  tempo  va  dintorno  con  le  force. 

Dal  voi  che  prima  Roma  soflerie. 
In  che  la  sua  famiglia  men  persevra, 
Ricominciaron  le  parole  mie: 

Onde  Beatrice ,  di'  era  un  poco  scevra. 
Ridendo  parve  quella  die  tussio 
Al  primo  fallo  scritto  di  Ginevra. 

Io  cominciai:  voi  siete  il  padre  mio. 
Voi  mi  date  a  parlar  tutta  haldezza: 
Voi  mi  levate  sì ,  che  io  son  più  che  io. 

Per  tanti  rivi  si  empie  di  allegrezza 
La  mente  mia,  che  di  sé  fa  letizia, 
Per  che  può  sostener  che  non  si  spezza. 

Ditemi  dunque,  cara  mia  primizia, 

Quai  tur  li  vostri  antichi ,  e  quai  fur  li  anni 
Che  si  scgnaro  in  vostra  puerizia? 

Ditemi  dell'  ovil  di  san  Giovanni, 

Quanto  er'  allora,  e  chi  eran  le  genti 
'i"ra  esso  degne  di  più  alti  scanni? 

Come  si  avviva  allo  spirar  dei  venti 
Carbone  in  fiamma,  così  vidi  quella 
Luce  risplendere  ai  miei  blandimenti. 

E  come  alli  occhi  mici  si  fé'  più  bella, 
Cosi  con  voce  più  dolco  e  soave, 


193] 


Ma  non  con  questa  moderna  favella, 

ìisseini:  da  quel  dì  che  fu  detto  Jve 
Al  parto  in  che  mia  madre,  clx'  è  or  santa, 
Si  alleviò  di  me  ond'  era  {;;rave, 

U  suo  Leon  cinquecento  cinquanta 
E  trenta  fiate  venne  questo  foco 
A  rinfiammarsi  sotto  la  sua  pianta. 

Lii  antichi  miei  ed  io  nacqui  nel  loco, 

I  Dove  si  trova  pria  lo  ultimo  sesto 
Da  quel  che  corre  il  vostro  annual  gioco. 

nasti  dei  miei  maggiori  udirne  questo: 
Chi  ei  si  furo ,  ed  onde  venner  quivi, 

1    Più  è  tacer ,  che  ragionare ,    onesto. 

fTutti  color,  che  a  quel  tempo  eran  ivi 

j     Da  portar  arme  tra  Marte  e  il  Batista, 

I     Erano  il  quinto  di  quei  che  son  vivi: 

Ma  la  cittadinanza,  eh'  è  or  mista 

Di  Campì ,  e  di  Certaldo ,  e  di  Figghine, 

'     Pura  vedeasi  nello  ultimo  artista. 

Oh  quanto  fora  meglio  esser  vicine 

Quelle  genti,  che  io  dico,  ed  al  Galluzzo 
Ed  a  Trespiano  aver  vostro  confine, 

Che  averle  dentro ,  e  sostener  lo  puzzo 
Del  villan  di  Aguglion,  di  quel  da  Signa, 
Che  già  per  barattare  ha  1'  occhio  aguzzo  ! 

Se  la  gente,  che  al  mondo  più  traligna, 
JVon  fosse  stata  a  Cesare  noverca. 
Ma  come  madre  a  suo  figlioi  benigna. 

Tal  fatto  è  Fiorentino,  e  cambia  e  marca, 
Che  si  sarebbe  volto  a  Simi  fonte 
Là  dove  andava  lo  avolo  alla  cerca. 

Sariesi  Montemurlo  ancor  di  Conte; 
Sarien  i  Cerchi  nel  piever  di  Acone, 
E  forse  in  Valdigrievc  i  Buondelmonte. 

Sempre  la  confusion  delle  persone 
Principio  fu  del  mal  della  cittade, 
Come  del  corpo  il  cibo  che  si  appone. 

E  cieco  toro  più  avaccio  cade, 

Che  cieco  agnello ,   e  molte  volte  taglia 
Più  e  meglio  una,  che  le  cinque  spade. 

Se  tu  riguardi  Luni  ed  Urbisaglia 
Come  son  ite,  e  cmue  se  ne  vanno 
Diretro  ad  esse  Chiusi  e  Sìnigaglia, 

Udir  come  le  schiatte  si  disfanno. 
Non  ti  parrà  nova  cosa  nò  forte. 
Poscia  che  le  cittadi  termine  hanno. 

Le  vostre  cose  tutte  hanno  lor  morte, 

.  Sì  come  voi  ;  ma  celasi  in  alcuna 
Che  dura  molto ,  e  le  vite  son  corte. 

E  come  il  volger  del  ciel  della  luna 
Copre  e  discopre  i  liti  senza  posa, 
Così  fa  di  Fiorenza  la  fortuna. 

Per  che  non  dee  parer  miraltil  cosa 
Ciò  che  io  dirò  dclli  alti  Fiorentini 
Dei  quai  la  fama  nel  tem|)n  è  nascosa 

Io  vidi  li  ligiii,  e  vidi  i  Catellini. 

Filippi,  Greci,  Ormanni,  ed  Alberichi, 
Già  nel  calare,  illustri  cittadini: 

E  vidi  così  grandi ,  come  antichi, 

Con  quel  della  Sannella  quel  dell'  Arca, 
E  Soldanieri,  ed  Ardingiii ,  e  Itostichi. 

Sovra  la  porta  che  al  presente  è  carca 
Di  nova  fellonia  di  tanto  peso. 
Che  t(»st.,  fiii  jattura  della  barca, 

Erano  i   llavignani,  ond'  è  disceso 

Il   (Jonti;  (illido,  e  qualunque  del  nome 
Dello  alto  Uellinciune  ha  puHcia  pruéo. 


PARADISO.     (XVI.  83  — 154) 


[194] 


Quel  della  Pressa  sapeva  già  come 
Regger  si  vuole,  ed  avea  Galigajo 
Dorato  in  casa  sua  già  lo  elso  e  il  pome. 

Grande  era  già  la  colonna  del  vajo. 
Sacchetti,  Giuochi,  Sisanti,  e  Barucci. 
E  Galli ,  e  quei  che  arrossan  per  Io  stajo. 

Lo  ceppo ,  di  che  nacqtiero  i  Calfucci, 
Era  già  grande ,  e  già  erano  tratti 
Alle  curuli  Sizii ,  ed  Arrigucci. 

Oh  quali  io  vidi  quei  che  son  disfatti 
Per  lor  superbia  !  e  le  palle  dell'  oro 
Fiorian  Fiorenza  in  tutti  suoi  gran  fatti. 

Così  facién  i  padri  dì  coloro 

Che,  sempre  che  la  vostra  chiesa  vaca, 
Si  fanno  grassi  stando  a  consistoro. 

La  oltracotata  schiatta,  che  s'  indraca 

Dietro  a  chi  fogge,  ed  a  chi  mostra  il  dente 
O  ver  la  borsa,  come  agnel  si  placa, 

Già  venia  su ,  ma  di  picciola  gente. 
Si  che  non  piacque  ad  Ubertin  Donato 
Che  poi  '1  socero  il  fesse  lor  parente. 

Già  era  il  Caponsacco  nel  mercato 
Disceso  giù  da  Fesoli ,  e  già  era 
Buon  cittadino  Giuda,  ed  Infangato. 

Io  dirò  cosa  incredibile  e  vera: 

Nel  picciol  cerchio  si  entrava  per  porta, 
Che  si  nomava  da  quei  della  Pera. 

Ciascun ,  che  della  bella  insegna  porta 

Del  gran  barone,  il  cui  nome  e  il  cui  preo'io 
La  festa  di  Tommaso  riconforta, 

Da  es«o  ebbe  milizia  e  privilegio; 
Avvegna  che  col  popol  si  ranni 
Oggi  colui  che  la  fascia  col  fregio. 

Già  eran  Guaherotti ,  ed  Importuni, 
Ed  anco  saria  Borgo  più  quieto, 
Se  di  novi  vicin  fosser  digiuni. 

La  casa,  di  che  nacque  il  vostro  fleto. 
Per  lo  giusto  disdegno  che  vi  ha  morti, 
E  pose  fine  al  vostro  viver  lieto, 

Era  onorata  essa  e  suoi  consorti. 

Oh  Buondelmonte,  quanto  mal  fuggisti 
Le  nozze  sue  per  li   altrui  conforti  ! 
I  Molti  sarebber  lieti  che  son  tristi, 
Se  dio  ti  avesse  conceduto  ad  Ema 
La  prima  volta  che  a  città  venisti. 

Ma  convenìasi  a  quella  pietra  scema 

Che  guarda  il  ponte,  che  Fiorenza  fesse 
l'ittima  nella  sua  pace  postrema. 

Con  queste  genti  e  con  altre  con  esse 
\hV  io  Fiorenza  in  sì  fatto  riposo, 
Che  non  avea  cagione  onde  piangesse. 

Con  queste  genti  vid'  io  glorioso 

E  giusto  il  popol  suo  tanto,  che  il  giglio 
Kon  era  ad  asta  mai  posto  a  ritroso, 

Kè  per  division  fatto  vermiglio. 


13 


[195] 


PARADISO.     (XVII.  I  —  m) 


[196]    Ift 


CANTO    XVII. 


ARGOMENTO. 

Continuazione   e  fine    del  colloquio.     Ode    D.  predirsi 

i  mali  dclV  esilio,  ed  e  invitato  a  scriver 

il  gran  viaggio. 

Qual  Tenne  a  Climenè  per  accertarsi 
Di  ciò  che  area  incontro  a  sé  iiilito, 
Quei  che  ancor  fa  li  padri  ai  figli  scarsi; 
Tale  era  io,  e  tale  era  sentito 

E  da  Beatrice  e  dalia  santa  lampa, 
Che  pria  per  me  avea  mutato  sito. 
Per  che  mia  donna:  manda  for  la  vampa 
Del  tuo  disio ,  mi  disse ,  si  eh'  ella  esca 
Segnata  hene  della  interna  stampa: 
Non  per  che  nostra  conoscenza  cresca 
Per  tuo  parlare,  ma  per  che  ti  aùììi 
A  dir  la  sete,  sì  che  1'  om  ti  mesca. 
Oh  cara  pianta  mia,  che  sì  t'  insusi. 
Che,  come  veggion  le  terrene  menti 
Non  capere  in  triangol  due  ottusi, 
Così  vedi  le  cose  contingenti 

Anzi  che  sieno  in  sé ,  mirando  il  punto 
A  cui  tutti  li  tempi  son  presenti. 
Mentre  che  io  era  a  Virgilio  congiunto 
Su  per  lo  monte  che  le  anime  cura, 
E  discendendo  nel  mondo  defunto, 
Dette  mi  fur  di  mia  vita  futura 

Parole  griivi  ;  avvegna  che  io  mi  senta 
Ben  tetragono  ai  colpi  di  ventura. 
Per  che  la  voglia  mia  sario  contenta 
D    intender  qual  fortuna  mi  si  appressa," 
Che  saetta  previsa  vien  più  lenta. 
Coj^ì  diss'  io  a  quella  luce  stessa, 

Che  pria  mi  avea  parlato,  e,  come  volle 
Beatrice,  fu  la  mia  voglia  confessa. 
Né  per  ambage,  in  che  la  gente  folle 
Già  8'  inveiscava,  pria  che  fosse  ancìso 
Lo  agnél  di  dio  che  le  peccata  toUe; 
]VIa  per  chiare  parole,  e  con  preciso 
Latin  rispose  quello  amor  paterno, 
Cliiuso  e  parvente  del  suo  proprio  riso: 
La  contingenza,  clie  for  del  quaterno 
Della  vostra  materia  non  si  stende, 
Tutta  è  dipinta  nel  cospetto  eterno, 
Necessità  però  quindi  non  prende, 

Se  non  come  dal  viso,  in  che  si  specchia 
N'ive  che  per  torrente  giù  discende. 
Da  indi,  sì  come  viene  ad  orecchia 
DdIcc  armonia  da  organo,  mi  viene 
A  vista  il  tempo  che  ti  si  apparecchia. 
Qual  si  partì  Ippolito  d'  Atene 
Per  la  spietata  e  perfida  noverca, 
Tal  di  l'iorenza  partir  ti  conviene. 
Questo  si  vuole,  e  questo  già  si  cerca; 
E  tosto  verrà  fatto  a  chi  ciò  pensa 
Là  dove  Cristo  tutto  dì  si  merca. 
La  colpa  seguirà  la  jiarte  ofTensa 

III  grido,  come  suol;  ma  la  vendetta 
Fia  testimonio  al  ver  die  la  dispensa. 
Tv  lascerai  ogni  cosa  dih^tta 

Più  caramente:  e  qiict^to  è  quello  strale 
Che  lo  arco  dello  esilio  pria  saetta. 


Tu  proverai  si  come  sa  di  sale 
Il  pane  altrui,   e  com'è  duro  calle 
Lo  scendere  e  il  salir  per  le  altrui  scale. 
E  quel,  che  più  ti  graverà  le  spalie. 
Sarà  la  compagnia  malvagia  e  scempia. 
Con  la  qual  tu  cadrai  in  questa  valle. 
Che  tutta  ingrata ,  tutta  matta  ed  empia 
Si  farà  contra  te;  ma  poco  a  presso 
Ella ,  non  tu  ,  ne  avrà  rossa  la  tempia. 
Di  sua  bestialitate  il  suo  processo 
Farà  la  prova ,  sì  che  a  te  fia  hello 
Averti  fatta  parte  per  te  stesso. 
Lo  primo  tuo  rifugio  e  il  primo  ostello 
Sarà  la  cortesia  del  gran  Lombardo, 
Che  in  su  la  Scala  porta  il  santo  uccello  : 
Che  in  te  avrà  sì  benigno  riguardo. 
Che  del  fare  e  del  chieder  tra  voi  due 
Fia  prima  quel  che  tra  li  altri  è  più  tardo. 
Con  lui  vedrai  colui  che  impresso  fue 
Nascendo  sì  da  questa  stella  forte. 
Che  mirabili  fien  le  opere  sue. 
Non  se  ne  sono  ancor  le  genti  accorte 
Per  la  novella  età,  che  pur  nove  anni 
Son  queste  rote  intorno  di  lui  torte. 
Ma  pria  che  il   Guasco  lo  alto  Arrigo  inganni, 
Parran  faville  della  sua  virtute 
In  non  curar  di  argento  né  di  affanni. 
Le  sue  magnificenze  conosciute 

Saranno  ancora  sì ,  che  i  suoi  nimici 
Non  ne  potran  tener  le  lingue  mute. 
A  lui  ti  aspetta  ed  a  suoi  benefici: 
Per  lui  fia  trasmutata  molta  gente. 
Cambiando  condizion  ricchi  e  mendici: 
E  portcraine  scritto  nella  mente 
Di  lui,  e  noi  dirai:  e  disse  cose 
Incredibili  a  quel  che  fia  presente. 
Poi  giunse:  figlio,  queste  son  le  chiose 
Di  quel  che  ti  fu  detto  ;  ecco  le  insidie 
Che  dietro  a  pochi  giri  son  nascose! 
Non  vo'  però  che  ai  tuoi  vicini  invidie, 
Poscia  che  s'infutura  la  tua  vita 
Via  più  là,  che  il  punir  di  lor  perfìdie. 
Poi  che  tacendo  si  mostrò  spedita 
L'  anima  santa  di  metter  la  trama 
In  quella  tela  che  io  le  porsi  ordita. 
Io  cominciai  come  colui  che  brama. 
Dubitando ,  consiglio  da  persona 
Che  vede,  e  vuole  drittamente,  ed  ama: 
Ben  veggio ,  padre  mio ,  si  come  sprona 
Lo  tempo  verso  me  per  colpo  darmi 
Tal  ch'è  più  grave  a  chi  più  si  abbandona. 
Per  che  di  pro^  edenza  è  buon  che  io  mi  armi, 
Sì  che ,  se  loco  mi  é  tolto  più  caro. 
Io  non  perdessi  li  altri  per  miei  carmi. 
Giù  per  lo  mondo  senza  fine  amaro, 
E  per  lo  monte,  del  cui  bel  cacume 
Li  occhi  della  mia  donna  mi  levaro, 
E  poscia  per  lo  ciel  di  lume  in  lume, 
Ho  io  appreso  quel  che,  se  io  ridico, 
A  molti  fia  sapor  di  forte  agrume: 
E  ,  se  io  al  vero  son  timido  amico. 
Temo  di  perder  viver  tra  coloro, 
Che  questo  tempo  chiameranno  antico. 
La  luce,  in  che  rideva  il  mio  tesoro 
('he  io  trovai  lì,  si  fc'  prima  corrusca, 
Quale  a  raggio  di  sole  specchio  di  oro: 
Indi  risposo  :  coscienza  fusca, 


1971 


O  della  propria  o  deli'  altrui  vergogna 
Pur  sentirà  la  tua  parola  brusca. 

Mh  nondimen  ,  rimossa  ogni  menzogna, 
Tutta  tua  vision  fa  manifesta, 
E  lascia  pur  grattar  dov'è  la  rogna !n\ 

,Cliè ,  se  la  voce  tua  sarà  molesta 
Nel  primo  gusto,  vital  nutrimento 
Lascerà  poi ,  quando  sarà  digesta. 
uesto  tuo  grido  farà  come  vento. 
Che  le  più  alte  cime  più  percote: 
E  ciò  non  fa  di  onor  poco  argomento. 

[Però  ti  son  mostrate  in  queste  rote, 
IVel  monte  e  nella  valle  dolorosa 
Pur  le  anime  che  son  di  fama  note: 

Che  lo  animo  di  quel  che  ode ,  non  posa, 
.  Me  ferma  fede  per  esempio  che  haja 
La  sua  radice  incognita  e  nascosa, 

Nò  per  altro  argomento  che  non  paja. 


PARADISO.  (XVII.  125  — 142.  XVIII.  1  —  104) 


lA^S 


CANTO    XVIII. 

ARGOMENTO. 

Giove     cielo  de'  principi. 

Già  sì  godeva  solo  del  suo  verbo 
Quello  specchio  beato,  ed  io  gustava 
Lo  mio ,  temprando  il  dolce  con  lo  acerbo  ; 

E  quello  donna,  che  a  dio  mi  menava, 
Disse:  muta  pensieri  pensa  che  io  sono 
Presso  a  colui  che  ogni  torto  disgrava  ! 

Io  mi  rivolsi  allo  amoroso  suono 

Del  mio  conforto,  e,  quale  io  allor  vidi 
INclii  occhi  santi  amor ,  qui  lo  abbandono  : 

Non  per  che  io  pur  di-i  mio  parlar  diffidi. 
Ma  per  la  mente  che  non  può  reddire 
Sovra  sé  tanto ,  se  altri  non  la  guidi. 

Tanto  posso  io  di  quel  punto  ridire, 
Che ,  rimirando  lei ,  lo  mio  aifetto 
Libero  fu  da  ogni  altro  disire. 

Fin  che  il  piacere  eterno,  che  diretto 
Raggiava  in  Beatrice  dal  bel  viso, 
Mi  contentava  col  secondo  as|>etto, 

Vincendo  me  col  lume  di  un  sorriso, 
Ella  mi  disse:  volgiti,  ed  ascolta! 
Che  non  pur  nei  miei  or-rhi  ù  paradiso. 

Come  si  vede  qui  alcuna  volta 

Lo  alletto  nella  vista,  e'  etlo  è  tanto, 
Che  da  lui  sia  tutta  1'  anima  tolta, 

Così  nel  fianunrggiar  del  fulgor  santo, 
A  (-Ili  mi  volsi ,   conohbi  la  voglia 
In  lui  di  ragionarmi  ancora  alquanto. 

£i  cominciò:  in  questa  quinta  soglia 
Dello  albero  che  vive  della  cima, 
E  frutta  sempre,  e  mai  non  perde  foglia. 

Spiriti  son  beati  che  giù,  prima 

Che  venissero  al  ciel,  fiir  di  gran  voce, 
Sì  che  <>i;ni  musa  ne  sarebbe  opima. 

Però  mira  nei  corni  della  croce  : 

Quello,  che  io  nomerò,  lì  farà  lo  atto 
Che  l'.i  in   nnlx;  il  suo  foco  veloce. 

Io  vidi  per  la  croce  un  lume  tratto 


Dal  nomar  Josuè,  com   ei  si  Feo: 

Né  mi  fu  noto  il  dir  prima  che  il  fatto. 

Ed  al  nome  dello  alto  Maccabeo 
Vidi  moversi  un  altro  roteando: 
E  letizia  era  ferza  dei  palèo. 

Cosi  per  Carlo  Magno,  e  per  Orlando 
Due  ne  segui  lo  mio  attento  sguardo. 
Come  occhio  segue  suo  falcon  volando. 

Poscia  trasse  Guiglielmo  e  Rinoardo 
E  il  duca  Gottifredi  la  mia  vista. 
Per  quella  croce ,  e  Roberto  Guiscardo. 

Indi  tra  le  altre  luci  mota  e  mista 

Mostrommi  1'  alma ,  che  mi  avea  parlato, 
Qual  era  tra  i  cantor  del  cielo  artista. 

Io  mi  rivolsi  dal  mio  destro  lato, 

Per  vedere  in  Beatrice  il  mio  dovere 
O  per  parole,  o  per  atto  segnato. 

Io  vidi  le  sue  luci  tanto  mere. 

Tanto  gioconde,  che  la  sua  sembianza 
Vinceva  ii  altri ,  e  io  ultimo  solere. 

E  come  per  sentir  più  dilettanza 

Bene  operando  1'  om  ,  di  giorno  in  giorno 
Si  accorge  che  la  sua  virtute  avanza. 

Sì  m'accors'  io ,  che  il  mio  girare  intorno 
Col  cielo  insieme  avea  cresciuto  lo'  arco, 
Veggendo  quel  miracol  più  adorno. 

E  quale  è  il  trasmutare  in  picciol  varco 
Di  tempo  in  bianca  donna,  quando  il  volto 
Suo  si  discarchi  di  vergogna  il  carco. 

Tal  fu  nelli  occhi  miei ,  quando  fui  volto. 
Per  lo  candor  della  temprata  stella 
Sesta ,  che  dentro  a  sé  mi  avea  ricolto. 

Io  vidi  in  quella  giovial  facella 

Lo  sfavillar  dello  amor,  che  lì  era. 
Segnare  alli  occhi  miei  nostra  favella. 

Che,  come  augelli  surti  di  riviera. 
Quasi  congi^atulando  a  lor  pasture. 
Fanno  di  sé  or  tonda  or  altra  schiera, 

Si  dentro  ai  lumi  sante  creature 
Volitando  cantavano  ,  e  faciensi 
Or  D,  or  ì.  or  L.  in  sue  figure. 

Prima  cantando  a  sua  nota  moviensi  ; 
Poi,  diventando  lo  un  di  questi  segni, 
Un  poco  si  arrestavano  e  taciensi. 

Oh  diva  Pegaséa,  che  1'  ingegni 
Fai  gloriosi,  e  rendili  longevi, 
Ed  essi  teco  le  cittadi  e  i  regni, 

Illustrami  di  te  sì  che  io  rilevi 

Le  lor  figure  come  io  le  ho  concette  ! 
Paja  tua  possa  in  questi  versi  brevi! 

Mostrarsi  dunque  cinque  volte  setto 
Vocali  e  consonanti:  ed  io  notai 
Le  parti  sì,  come  n)i  parler  dette. 

Dililiitc  jusdtiam  priniai 

Fur  verbo  e  nome  di  tutto  il  dipinto: 
Qui  Jiiilicatis  tcrriim  fur  sczzai. 

Poscia  nella  M.  del   \oc.ib(il  qninU» 
Rimaser  ordinate,  sì  clic  (■'io^c 
Pareva  argento  li  di  oro  distinto. 

E  vidi  scenilcr  altre  luci  dove 

Era  il  colmo  della  !\1 ,  e  li  quetarsi 
Cantando,  credo,  il  ben  che  a  sé  le  move. 

Poi  ,  come  nel  p(r<t>lrr  dei  ciocchi  arsi 
Sorgono  innumcriiiiili  ra\ille, 
Onde   li  ^tolti  xigliono  agMrar>i, 

Risorger  parler  quindi  più  di  mille 

Luci,  e  halir,  quali  asMii  e  quali  poro, 


.[199] 


PARADISO.     (X\Iir.l05-36.  XIX.  1  —  88) 


[200] 


Si  cfime  il  sol ,  che  le  accende ,  sortille  : 

E ,  quietata  ciascuna  in  suo  loco, 
La  testa  e  il  collo  di  un'  acjuìla  vidi 
Rappresentare  a  quel  distinto  foco. 

Quei,  che  dipinge  li,  non  ha  clii  i  guidi; 
3Ia  esso  guida ,  e  da  lui  si  rammenta 
Quella  virtù  eh' è  forma  per  li  nidi. 

L'  altra  beatitudo,  che  contenta 

Pareva  prima  d'ingigliar.-i  alla  emme, 
Con  poco  moto  seguitò  la  imprenla. 

Oh  dolce  stella,  quali  e  quasite  gemme 
Mi  dimostraron  ,  che  nostra  giustizia 
Effetto  sia  del  ciel  che  tu  ingemme! 

Per  che  io  prego  la  mente,  in  che  s'  inizia 
Tuo  moto  e  tua  virtute  ,  che  rimiri 
Ond'  esce  il  fummo  che  tuoi  raggi  vizia, 

Sì  che  un'  altra  fiata  ornai  si  adiri 
Del  comperare  e  vender  dentro  al 
Che  si  murò  di  segni  e  di  martiri. 

Oh  milizia  del  ciel ,  cu'  io  contemplo, 
Adora  per  color  che  sono  in  terra 
Tutti  sviati  dietro  al  malo  esemplo  ! 

Già  si  solea  con  le  spade  far  guerra: 
Ma  or  si  fa  togliendo  or  quindi  or  quivi 
Lo  pan  che  il  pio  padre  a  nessun  serra. 

Ma  tu ,  che  sol  per  cancellare  scrivi, 
Pensa ,  che  Pietro  e  Paolo ,  che  morirò 
Per  la  vigna,  che  guasti,  ancor  son  vivi! 

Ben  puoi  tu  dire:  io  ho  fermo  il  disiro 
Sì  a  colui  che  volle  viver  solo, 
E   che  per  salti  fu  tratto  a  martire. 

Che  io  non  conosco  il  pescator,  né  Polo. 


CANTO     XIX. 


ARGOMENTO. 


Onde  io  a  presso:  oh  perpetui  fiori 
Della  eterna  letizia ,  che  pur  uno 
Parer  mi  fate  tutti  i  vostri  odori. 
Solvetemi,  spirando,  il  gran  digiuno, 
Che  lungamente  mi  ha  tenuto  in  fame, 
Non  trovando  lì  in  terra  cibo  alcuno. 
Ben  so  io  che,  se  in  cielo  altro  reame 
La  divina  giustizia  fa  suo  specchio, 
Che  il  vostro  non  1'  apprende  con  velame. 
Sapete ,  come  attento  io  mi  apparecchio 
j      Ad  ascoltar;  sapete,  quale  è  quello 

Dubbio,  che  mi  è  digiun  cotanto  vecchio. 
I  Quale  falcon,  che  uscendo  del  cappello, 
I     Move  la  testa,  e  con  le  ali  si  plaude 
Voglia  mostrando ,  e  facendosi  bello, 
Vid'  io  farsi  quel  segno,  che  di  laude 
I     Della  divina  grazia  era  contesto. 

Con  canti ,  quai  si  èa  chi  là  su  gaude,       ^ 
Poi  cominciò:  colui,  che  volse  il  sesto  " 

Allo  estremo  del  mondo,  e  dentro  ad  esso 
Distinse  tanto  occulto  e  manifesto, 
Non  potco  suo  valor  sì  fare  impresso 
In  tutto  lo  universo ,  che  il  suo  verbo 
Non  rimanesse  in  infinito  eccesso. 
E  ciò  fa  certo ,  che  il  primo  superbo. 
Che  fu  la  somma  di  ogni  creatura, 
Per  non  aspettar  lume  cadde  acerbo. 
E  quinci  appar ,  che  ogni  minor  natura 
E  corto  recettacolo  a  quel  bene, 
Cli'  è  senza  fine ,  e  sé  con  sé  misura. 
Dunque  nostra  veduta,  che  conviene 
Essere  alcun  dei  raggi  della  mente, 
Di  che  tutte  le  cose  son  ripiene. 
Non  può  di  sua  natura  esser  possente 
Tanto ,  che  suo  principio  non  discerna 
Molto  di  là,  da  quel  eh'  egli  è,  parvente. 
Però  nella  giustizia  sempiterna 

La  vista,  che  riceve  il  vostro  mondo. 
Come  occhio  per  lo  mare  entro  s'  interna: 
Che,  benché  dalla  proda  veggia  il  fondo, 
In  pelago  noi  vede,  e  nondimeno 


„    ,    ,  .,  ,.      ,  T  TI-  1     ^  j         È    li,  ma  cela  lui  lo  esser  profondo. 

Parla  V  aquila^  e  gh  solve  vn  dubbio,  se  senza  la  fede  ^^^^  ^^^  ^^  ^^  ^^^  ^..^^  dal  sereno. 


cristiana  alcuno  jìossa  salvarsi. 
ad  alcuni  regnanti. 


Rimproveri 


Parca  dinanzi  a  me  con  le  ali  aperte 
La  bella  iinage,  che  nel  dolce  fruì 
Liete  faceva  le  anime  conserte. 

Parca  ciascuna  rubinetto,   in  cui 
Raggio  di  sole  ardesse  sì  acceso. 
Clic  nei  miei  occhi  rifrangesse  lui. 

E  «pici ,  che  mi  convien  ritrar  testeso. 

Non  portò  voce  mai ,  né  scrisse  inchiostro, 
Nò  fu  per  fantasia  giammai  compreso; 

Che  io  vidi,  ed  anche  udii  parlar  lo  rostro, 
K  sdiiiir  nella  voce  ed  io  e  mio, 
Quando  era  nel  concetto  noi  e  nostro. 

E  comincio:  i)cr  esser  giusto  e  pio 
Son  io  qui  esaltato  a  questa  gloria, 
(Jlie  non  ti  lascia  vincer  a  disio: 

Ed  in  terra  la-(ciai  la  mia  memoria 
Sì  l'atta ,  che  le  genti  li  iiialvage 
CoMimcndan  lei ,  ma  nrtn  seguon  la  storia. 

Così  un  sol  calor  di  molte  br.ige 
Si  fa  sentir,  come  di  molti  amori 
Us('i\a  bulu  un  suun  di  quella  imnge. 


Che  non  si  turba  mai  ;  anzi  è  tenebra, 
Od  ombra  della  carne,  o  suo  veleno. 

Assai  ti  è  mo  aperta  la  latebra, 
Che  ti  ascondeva  la  giustizia  viva. 
Di  che  facci  quistion  cotanto  crebra. 

Che  tu  dicevi  :  un  om  nasce  alla  riva 
Dello  Indo ,  e  quivi  non  è  chi  ragioni 
Di  Cristo,  né  chi  legga,  né  chi  scriva; 

E  tutti  suoi  voleri  ed  atti  buoni 
Sono,  quanto  ragione  umana  vede. 
Senza  peccato  in  vita  od  in  sermoni. 

More  non  battezzato  e  senza  fede  ; 

Ov'  é  questa  giustizia  che  il  condanna? 
Ov'  è  la  colpa  sua,  s'  elli  non  crede? 

Or  tu  chi  sei  che  vuoi  sedere  a  scranna 
Per  giudicar  da  lungi  mille  miglia 
Con  la  veduta  corta  di  una  spanna  ? 

Certo  a  colui ,  che  meco  si  assottiglia, 
Se  la  scrittura  sopra  voi  non  fosse, 
Da  dubitar  sarebbe  a  maraviglia. 

Oh  terreni  animali,  oh  menti  grosse! 
La  prima  volontà,  eh'  è  per  sé  buona, 
Da  sé,  eh'  é  sommo  ben,  mai  non  si  mosse. 

Cotanto  è  giunto,  quanto  a  lei  consuona, 


iOl] 


PARADISO.     fXTX.  80  — 148.    XX.i-^H) 


[202] 


Nullo  creato  bene  a  sé  la  tira, 
Ma  essa,  radiando,  lui  ca<^iona.  x^ 
uale  sovra  esso  il  nido  si  rigira, 
r  Poi  che  ha  pasciuti  la  ciccigna  i  figli, 
I   E  come  quel ,  eh'  è  pasto ,  la  rimira. 
Potai  si  fece ,  e  si  levai  li  cigli, 
I    La  benedetta  immagine ,  che  le  ali 

Movea  sospìnte  da  tanti  consigli, 
Roteando  cantava,  e  dioea:  quali 
Son  le  mie  note  a  te,  che  non  le  intendi, 
Tal  è  il  giudicio  eterno  a  voi  mortali. 
Poi  si  quetaro  quei  lucenti  incendi 
Dello  spirito  santo  ancor  nel  segno, 
Che  fé'  i  Romani  al  mondo  reverendi, 

Esso  ricominciò;  a  questo  regno 
.Non  salì  mai  chi  non  credette  in  Cristo 
]Nè  pria ,  né  poi  eh'  el  si  chiavasse  al  legno. 

Ma  vedi,  molti  gridan  Cristo  Cristo, 

Che  saranno  in  giudicio  assai  men  prozìe 
A  lui,  che  tal,  che  non  conobbe  Cristo 

E  tai  Cristian  dannerà  la  Etiope, 

Quando  si  partiranno  i  duo  collegi,  ? 

Lo  uno  in  eterno  ricco,  e  lo  altro  inóep'p»' 

Che  potran  dir  li  Persi  ai  vostri  regi,  .' 

Com'  ei  vedranno  quel  volume  aperto. 
Nel  qual  si  scrivon  tutti  suoi  dispregi! 

Li  sì  vedrà  tra  le  opere  di  Alberto 
Quella ,  che  tosto  moverà  la  penna. 
Per  che  il  regno  di  Praga  fia  deserto. 

Lì  si  vedrà  il  duol ,  die  sopra  Senna 
Induce,  falseggiando  la  moneta, 
Quel  che  morrà  di  colpo  dì  cotenna. 

Li  si  vedrà  la  superbia,  che  asceta. 
Che  fa  lo  Scotto  e  lo  Inghiiese  folle 
Sì ,  che  non  può  soiTrir  dentro  a  sua  meta. 

V'edrassi  la  lusssuria  e  il  viver  molle 

Di  quel  di  Spagna,  e  di  quel  di  Boemmq, 
Che  mai  valor  non  conoì)be,  né  volle. 

Vedrassi  al  Ciotto  di  Gerusalemme 
Segnata  con  una  I.  la  sua  bontadc, 
Quando  il  contrario  segnerà  una  emme. 

Vedrassi  1'  avarizia  e  la  viltade 

Di  quel  che  guarda  la  isola  del  foco, 
Dove  Anchise  fini  la  lunga  etade: 

£  a  dare  ad  intender  quanto  è  poco; 
La  sua  scrittura  lìen  lettere  mozze, 
Che  noteranno  molto  in  parvo  loco. 

E  parranno  a  ciascun  le  opere  sozze 

Del  Harba ,  e  del  fratel ,  che  tanto  egregia 
Nazione  e  due  corone  han  fatto  bozze. 

E  quel  di  Portogallo  e  di  Norvegia 
Lì  si  conosceranno,  e  quel  di  Rascia 
Che  male  ha  visto  il  conio  di  Mnegia. 

Oh  beata  Ungheria,  se  non  si  lascia 
Più  malmenare  !  e  beata  Navarra, 
Se  si  armasse  del  monte  che  la  fascia  ! 

E  creder  dee  ciascun ,  che  già  per  arra 
Di  questo,  ì\ic<»sia  e  l'^iunigosta 
Per  la  lor  bestia  si  lamenti  e  garra, 

Che  dal  fianco  delle  altre  non  si  ecobta. 


CANTO     XX. 


ARGOMENTO. 

Lode  di  re  antichi     Trajano   e  Rifeo   di  Troja ,   am- 
messi al  cielo,  perchè  illuininati. 

Quando  colui,  che  tutto  il  mondo  alluma. 

Dello  emi»perio  nostro  sì  discende. 

Che  il  giorno  da  ogni  parte  si  consuma; 
Lo  ciel ,  che  sol  di  lui  prima  si  accende, 

Subitamente  si  rifa  parvente 

Per  molte  luci  ,  in   clic  una  risplende,  ^x 
E  questo  atto  del  ciel  mi  venne  a  mente. 

Come  il  segno  del  mondo  e  dei  suoi  duci 

Nel  benedetto  rostro  fu  tacente  : 
Però  che  tutte  quelle  vive  luci, 

^  ie  più  lucendo,  cominciaron  canti 

Da  mia  memoria  labili  e  caduci. 
Oh  dolce  amor,  che  di  riso  ti  ammanti, 

Quanto  parevi  ardente  in  quei  flailii. 

Che  avién   spirito  sol  di  pensier  santi! 
Poscia  che  i  cari  e  lucidi  lapilli, 

Onde  io  vidi  'ngemmato  il  sesto  lume, 

Poser  silenzio  alli  angelici  squilli, 
Udir  mi  parve  un  moruioi-ar  di  fiume. 

Che  scende  chiaro  giù  di  pietra  in  pietra, 

Mostraiulo  la  uliertà  del  suo  cacume. 
E,  come  suono  al  collo  della  cetra 

Prende  sua  forma,  e  sì  come  al  pertugio 

Della  sampogna  vento  che  penetra, 
Così ,  rimosso  d'  aspettare  indugio, 

Quel  mormorar  deli'  aquila  salissi 

Su  per  lo  collo ,  come  fosse  bugio, 
Fecesi  voce  quivi,  e  quindi  uscissi 

Per  lo  suo  becco  in  forma  di  parole, 

Quali  aspettava  il  core ,  ove  io  le  scrissi. 
La  parte  in  me,  che  vede,  e  paté  il  sole 

Nelle  aguglie  mortali,  incominciummi: 

Or  fisamente  riguardar  si  vuole: 
Per  che  dei  fochi ,  onde  io  figura  fommi. 

Quelli ,  onde  1'  occhio  in  testa  mi  scintilla. 

Di  tutti  i  loro  gradi  son  li  sommi  : 
Colui,  che  luce  in  mezzo  per  pupilla, 

Fu  il  cantor  dello  spirito  santo, 

Che  1'  arca  traslatò  di  villa  in  villa: 
Ora  conosce  il  merto  del  suo  canto. 

In  quanto  afl'etto  fu  del  suo  consiglio 

Per  lo  remunerar,  eh'  é  altrettanto. 
Dei  cinque,  che   mi  fan  cerchio  per  ciglio, 

Colui ,  che  più  al  liec(-o  mi  si  accosta, 

La  vedovella  consolò  del  figlio  : 
Ora  conosce,  quanto  caro  corta 

Non  seguir  Cristo,  per  la  esperienza 

Di  qucrta  dolce  vita  e  della  ojiposta. 
K  quel,  che  sego»'  in  la  cir(  nnr(  renza, 

I>i  che  riigioiio ,  per  lo  arco  (.np(Tno, 

Morte  indugiò  per  vera  penitcn/.a: 
Ora  conosco,  che  il  giudit'io  et<iiio 

Non  si  traiiimita,  per  che  dcgiu)  prece 

Fa  craslino  là  giù  dell'  odierno. 
Lo  altro,  cIh5  segue,  con  le  leggi  e  mero 

Sotto  buona  inten/i(Mi,  clic  to'   mal  frutto, 

Per  cedere  al  pastor  ci  fece  (ìreco: 
Ora  conosce,  come  il  mal  deiluilo 


[203] 


PARADISOjXX.  59—148.    XXI.  1  —  31) 


[204] 


■p 


Dal  suo  bene  operar  non  li  è  nocivo, 
Avvpgna  che  sia  il  mondo  indi  distrutto. 
E  quel,  che  Aedi  nello  arco  declivo, 
Guigiiehno  fu ,  cui  quella  terra  plora, 
Che  piange  Carlo  e  Federico  vivo  : 
Ora  conosce,  come  s'  innamora 

Lo  ciel  del  giusto  rege,  ed  al  sembiante 
Del  suo  fulgóre  il  fa  vedere  ancora. 
Chi  crederebbe  giù  nel  mondo  errante, 
Che  Riféo  trnjano  in  questo  tondo 
Fosse  la  quinta  delle  luci  sante? 
Ora  conosce  assai  di  quel  che  il  mondo 
Veder  non  può  della  divina  grazia; 
Benché  sua  vista  non  discerna  il  fondo. 
Qual  aUodetta ,  che  in  aere  si  spazia 
Prima  cantando ,  e  poi  tace  contenta 
Della  ultima  dolcezza  che  la  sazia, 
Tal  mi  sembiò  la  immago  della  imprenta 
Dello  eterno  piacere,  al  cui  disio 
Ciascuna  cosa,  qual  ella  è,  diventa. 
Ed  avvegna  che  io  fossi  al  dubbiar  mio 
Lì,  quasi  vestro  allo  color,  che  il  veste; 
Tempo  aspettar  tacendo  non  patio  : 
Ma  della  bocca:  che  cose  son  queste? 
Mi  pinse  con  la  forza  del  suo  peso: 
Per  che  io  di  corruscar  vidi  gran  feste. 
Poi  a  presso  con  1'  occhio  più  acceso 
Lo  benedetto  segno  mi  rispose, 
Per  non  tenermi  in  ammirar  sospeso  : 
Io  veggio  che  tu  credi  queste  cose. 

Per  che  io  le  dico,  ma  non  vedi  come, 
Sì  che,  se  son  credute,  sono  ascose. 
Fai  come  quei  che  la  cosa  per  nome 
Apprende  ben  ,  ma  la  sua  quiditate 
Veder  non  puote,  se  altri  non  la  prome. 
Re"""W7n  caelorum  violenzia  paté 
Di  caldo  amore  e  di  viva  speranza. 
Che  vince  la  divina  volontate, 
Non  a  guisa  che  l'  omo  all'  om  sopranza; 
Ma  vince  lei ,  per  che  vuole  esser  vìnta, 
E  vinta  vince  con  sua  benignanza. 
La  prima  vita  del  ciglio  e  la  quinta 
Ti  fa  maravigliar,  per  che  ne  vedi 
La  region  delli  angeli  dipinta. 
Dei  corpi  suoi  non  uscir,  come  credi, 
Gentili ,  ma  cristiani  in  ferma  fede, 
Quel  dei  passuri ,  e  quel  di  passi  piedi  : 
Cile  la  una  dallo  inferno ,  u  non  si  riede 
(ìianiniai  a  buon  voler,  tornò  alle  ossa, 
E  ciò  di  viva  speme  fu  mercede: 
Di  viva  speme,  che  mise  sua  possa 
Mei  preghi  fatti  a  dio  per  suscitarla 
Si ,  che  potesse  sua  voglia  esser  mossa. 
L'  anima  gloriosa,  onde  ti  parla, 
Tctriiata  nella  carne  in  che  fu  poco, 
Ot^dette  in  lui  che  poteva  ajutarla, 
E  ,  <-redendo ,  si  accese  in  tant«)  foco. 
Di  vero  amor,  che  alla  morte  seconda 
Fu  degna  di  venire  a  questo  gioco. 
L'  altra  per  grazia,  che  da  sì  profonda 
F'oiitaiia  stilla,  che  mai  creatura 
Non  pin^c  r  occhio  in-iìno  alla  prima  onda, 
Tutto  suo  amor  là  giù  pose  a  drittura  : 

Per  che   di  gr;izia  in  grazia   iddio  li  aperse 
L'  <iccliio  alla   no^tl•a  rcdenzioii  futura: 
Onde  credette  in  quella,  e  non  sofferse 
Da  indi    1  puzzo  più  del  piigancniiio. 


E  riprendeane  le  genti  perverse. 

Quelle  tre  donne  li  fur  per  battesrao. 
Che  tu  vedesti  dalla  destra  rota, 
Dinanzi  al  battezzar  più  di  un  millcsmo. 

Oh,  predestinazion ,  quanto  rimota 
E  la  radice  tua  da  quelli  aspetti. 
Che  la  prima  cagion  non  veggion  tota! 

E  voi  mortali ,  tenetevi  stretti 

A  giudicar  !  thè  noi ,  che  dio  vedemo, 
Non  conosciamo  ancor  tutti  li  eletti: 

Ed  enne  dolce  così  fatto  scemo. 

Per  che  il  ben  nostro  in  questo  ben  si  affina, 
Che  quel  che  vuole  iddio ,  e  noi  volemo. 

Così  da  quella  immagine  divina, 

Per  farmi  chiara  la  mia  corta  vista, 
Data  mi   fu  soa\e  medicina. 

E ,  come  a  buon  cantor  buon  citarista 
Fa  seguitar  lo  guizzo  della  corda, 
In  che  più  di  piacer  lo  canto  acquista, 

Si ,  mentre  che  parlossi ,  mi  ricorda 
Che  io  vidi  le  due  luci  benedette, 
Pur  come  batter  di  occhi  si  concoi'da, 

Con  le  parole  mover  le  fìainmctte. 


CANTO    XXT. 


ARGOMENTO. 

Settimo  cielo  di  Saturno,  soggiorno  cZe'   contemplanti. 
Alta  scala  mistica.     S.  Pier  Damiano, 


Già  eran  lì  occhi  miei  rifissi  al  volto 
Della  mia  donna,  e  lo  animo  con  essi, 
E  da  ogni  altro  intento  si  era  tolto: 

Ma  quella  non  ridea  :  ma ,  se  io  ridessi, 
IMi  cominciò,  tu  ti  faresti  quale 
Fu  Semelè,  quando  di  cener  fessi: 

Che  la  bellezza  mia ,  che  per  le  scale 
Dello  eterno  palazzo  più  si  accende. 
Come  hai  veduto ,  quanto  più  si  sale. 

Se  non  si  temperasse,  tanto  splende, 

Che  il  tuo  mortai  podere  al  suo  fulgóre 
Sarebbe  fronda  che  trono  scoscende. 

Noi  sem  levati  al  settimo  splendore. 
Che  sotto  il  petto  del  Icone  ardente 
Raggia  mo  misto  giù  del  suo  valore. 

Ficca  dirietro  alli  occhi  tuoi  la  mente, 
E  fa  di  quelli  spechi  alla  figura 
Che  in  questo  specchio  ti  sarà  parvente. 

Qual  sapesse  qual  era  la  pastura 
Del  viso  mio  nello  aspetto  beato. 
Quando  io  mi  trasmutai  ad  altra  cara. 

Conoscerebbe  quanto  mi  era  a  grato 
Ubbidire  alla  mia  celeste  scorta. 
Contrappcsando  lo  un  con  In  altro  lato. 

Dentro  al  cristallo  che  il  vocabol  porta, 
Cerchiando  il  mondo,  del  suo  chiaro  duce 
Sotto  cui  giacque  ogni  malizia  morta. 
Di  color  di  oro,  in  che  raggio  tralucc, 
Vid'  io  uno  scaleo  eretto  in  suso 
Tanto,  che  noi  seguiva  la  mia  luce. 

^  Vidi  anche  per  li  gradi  scender  giuso 


205] 


PARADISO.     (XXf.  32  — 142.    XXIL  1  — io) 


[206] 


Tanti  splendor,  che  io  pensai  che  ogni  lame, 

Che  par  nel  ciel,  quindi  fosse  diffuso. 
Z  ,  come  per  lo  naturai  costume 

Le  poje  insieme  al  cominciar  del  giorno 

Si  movono  a  scaldar  le  fredde  piume, 
^oi  altre  vanno  via  senza  ritorno, 

Altre  rivolgon  sé  onde  son  mosse, 

E  alti'c  roteando  fan  soggiorno, 
Tal  modo  parve  a  me  che  quivi  fosse 

In  quello  sfavillar ,  che  insieme  venne 

Si  come  in  certo  grado  si  percosse  : 
quel,  che  presso  più  ci  si  ritenne. 

Si  fé'  sì  chiaro,  che  io  dicea  pensando, 

Io  veggio  ben  lo  amor  che  tu  mi  accenne. 

la  quella ,  onde  io  aspetto  il  come  e  il  quando 

Del  dire  e  del  tacer ,  si  sta  ;  onde  io 

"Contra  il  disio  io  ben,  se  io  non  dimando. 
?er  eh'  ella,  che  vedeva  il  tacer  mio 

Nel  veder  di  colui  che  tutto  vede. 

Mi  disse;  solvi  il  tuo  caldo  disio! 
IjEd  io  incominciai:  la  mia  mercede 

Non  mi  fa  degno  della  tua  risposta  ; 

Ma,  per  colei  che  il  chieder  mi  concede, 
Vita  beata,  che  ti  stai  nascosta 

Dentro  alla  tua  letizia ,  fammi  nota 

La  cagion  che  sì  presso  mi  ti  ha  posta, 

di' ,  per  che  si  tace  in  questa  rota 

La  dolce  sinfonia  di  paradiso. 

Che  già  per  le  altre  sona  sì  devota. 
jTu  hai  lo  udir  mortai  sì  come  il  viso. 

Rispose  a  me  ;   onde  qui  non  si  canta 

Per  quel  che  Beatrice  non  ha  riso. 
|Giù  per  li  gradi  della  scala  santa 

Discesi  tanta  sol  per  farti  festa  ? 

Col  dire  e  con  la  luce  che  mi  ammanta  : 
IVè  più  amor  mi  fece  esser  più  presta  ; 

Che  più  e  tanto  amor  quinci  su  ferve 

Si,  come  il  fiammeggiar  ti  manifesta. 
Ma  r  alta  carità ,  die  ci  fa  serve 

Pronte  al  consiglio  che  il  mondo  goTerna, 

Sorteggia  qui  sì ,  come  tu  osserve. 
Io  veggio  ben,  diss'  io,  sacra  lucerna. 

Come  libero  amore  in  questa  corte 

Basta  a  seguir  la  providenza  eterna. 
Ma  questo  è  quel ,  che  a  cerner  mi  par  forte  ; 

Per  che  predestinata  fosti  sola 

A  questo  uficio  tra  le  tue  consorte. 
Non  venni  prima  alla  ultima  parola, 

Che  del  suo  mezzo  f(;ce  il  lume  centro, 

Girando  sé  come  veloce  mola. 
Poi  rispose  lo  amor  che  vi  era  dentro  : 

Luce  divina  sovra  me  si  appunta. 

Penetrando  per  questa  onde  io  m'  inventro  : 
La  cui  virtù  col  mio  veder  congiunta 

Mi  leva  sovra  me  tanto,  che  io  veggio 

La  somma  essenzia,  della  quale  è  munta. 
Quinci  vien  1'  allegrezza  onde  io  fiammeggio, 

Per  che  alla  vista  mìa ,  quanto  ella  è  chiara, 

La  cliirità  della  fiamma   pareggio. 
Ma  qneli'  alma  nel  ciel  clic  più  si  ^chiara, 

Quel  Serafin  ,  che  in  dio  1'  occhio  ha  più  figso, 

Alia  dimainhi  tua  non  sati.Nfàra: 
Però  die  si  h'  iniiollra  nello  abisso 

Dello  eterno  statuto  quel  che  chiedi. 

Che  da  ogni  creata  vista  è  scisso. 
Ed  al  mondo  mortai ,  (jiiando  tu  riedi, 

Questo  rapporta  si ,  che  non  presuma 


A  tanto  segno  più  mover  li  piedi! 

La  mente,  che  qui  luce,  in  terra  fuma: 
Onde  riguarda,  come  può,  laggiùe 
Quel  che  non  punte,  per  che  il  ciel  lo  assuma. 

Sì  mi  prescrisser  le  parole  sue. 

Che  io  lasciai  la  quistione,  e  mi  ritrassi 
A  dimandar  umilmente  chi  fue. 

Tra  due  liti  d'  Italia  surgon  sassi, 
E  non  molto  distanti  alla  tua  patria 
Tanto,  che  i  toni  assai  suonan  più  bassi, 

E  fanno  un  gibbo,  che  si  chiama  Catiia, 
Disotto  al  quale  é  consecrato  un  ermo, 
Che  suol  esser  disposto  a  sola  latria. 

Così  ricominciommi  '1  terzo  sermo, 
E  poi  continuando  disse:  quivi 
Al  servigio  di  dio  mi  fei  sì  fermo. 

Che  pur  con  cibi  di  liquor  di  ulivi 
Lievemente  passava  e  caldi  e  gielì, 
Contento  nei  pensier  contemplativi. 

Render  solca  quel  chiostro  a  questi  cieli 
Fertilemente;  ed  ora  è  fatto  vano 
Sì,  che  tosto  convien  che  si  riveli. 

In  quel  loco  fu'  io  Pier  Damiano: 
E  Pietro  peccator  fu  nella  casa 
Di  nostra  donna  in  sul  lito  adriano. 

Poca  vita  mortai  mi  era  rimasa. 

Quando  fui  chiesto  e  tratto  a  quel  cappello, 
Che  pur  di  male  in  peggio  si  travasa. 

Venne  Cephas,  e  venne  il  gran  vasello 
Dello  spirito  santo ,  macri  e  scalzi 
Prendendo  il  cibo  da  qualunque  ostello: 

Or  yoglion  quinci  e  quindi  chi  rincalzi 
Li  moderni  pastori,  e  chi  li  meni. 
Tanto  son  gravi,  e  chi  dirietro  li  alzi. 

Copron  dei  manti  loro  i  palafreni, 

Sì ,  che  due  bestie  van  sotto  una  pelle  : 
Oh  pazienza,  che  tanto  sostieni!    ^ 

A  questa  voce  vid'  io  più  fiammelle 
Di  grado  in  grado  scendere  e  girarsi. 
Ed  «Igni  giro  le  facea  più  belle. 

Dintorno  a  questa  vennero  e  fermarsi, 
E  fero  un  grido  di  sì  alto  suono, 
Che  non  potrebbe  qui  assomigliarsi 
uNè  io  lo  intesi,  si  mi  vinse  il  tuono. 


CANTO    XXII. 


ARGOMENTO. 

S.   lìcnetlcllo.     Ascensione    in    Gemini.     Sguardo   per 
le  sfere  trascorse  e  sul  ;)iccio/o  nostro  globo. 

Oppresso  di  stupore  alla  mia  guida 
Mi  volsi   come  parvoi  ,  che  rirorcc 
Sempre  colà  dove  più  sì  (-iinlìdn. 

K  quella,  rome  madre  che  soccorre 
Subito  al  figlio  [lallido  ed  anelo 
Con  la  sua  voce,  che  il  suol  ben  disporre, 

>li  disse:  non  sai  (u  che  tu  sei  'n  «'ido, 
E  non  sui  tu  che  il  cielo  è  ludo  santo, 
E   ciò,   die  ri  si   fa,  ^ien  da  biinn  zelo? 

Como  ti  avrebbe  trasmutato  il  canto 


[2C7] 


PARADISO.     (XXII.  11  —  144) 


[208] 


Ed  io  rMendo,  mo  pensar  lo  puoi, 
P«iì»cia  che  il  grido  ti  ha  mosso  cotanto  ; 
Jk'el  qual  se  inteso  avessi  i  preghi  suoi, 
Già  ti  sarebbe  nota  la  vendetta, 
La  qual  vedrai  innanzi  che  tu  muoi. 
La  spada  di  qua  su  non  taglia  in  fretta, 
Sé  tardo  inache  al  parer  di  colui, 
Che  desiando  o  temendo  1'  aspetta. 
Ma  rivolgiti  ornai  inverso  altrui! 
Che  assai  illustri  spiriti  vedrai, 
Se,  come  io  dico,  lo  aspetto  ridui. 
Come  a  lei  piacque  li  occhi  ritornai, 
K  vidi  cento  sperule ,  che  insieme 
Più  si  abbellivan  con  mutui  rai. 

Io  stava  come  qisei  che  in  gè  repreme 
La  punta  del  disio  ,  e  non  si  attenta 
Del  dimandar ,  sì  del  troppo  si  teme  : 

E  la  maggiore  e  la  più  luciilenta 
Di  quelle  margherite  innanzi  fessi. 
Per  far  di  sé  la  mia  voglia  contenta. 

Poi  dentro  a  lei  udii  :  se  tu  vedessi, 
Come  io ,  la  carità  che  tra  noi  arde, 
Li  tuoi  concetti  sarebbero  espressi; 

Ma  per  che  tu  aspettando  non  tarde 
Allo  alto  fine,  io  ti  farò  risposta. 
Pure  al  pensier,  da  che  sì  ti  riguarde. 

Quel  monte,  a  cui  Cassino  è  nella  costa. 
Fu  frequentato  già  in  su  la  cima 
Dalla  gente  ingannata  e  mal  disposta 

E  quel  son  io   che  su  vi  portai  prima 
Lo  nome  di  colui ,  che  in  terra  addusse 
La  verità  che  tanto  ci  sublima: 

E  tanta  grazia  sopra  me  rìlusse, 
Che  io  ritrassi  le  ville  circonstanti 
Dallo  empio  culto,  che  il  mondo  sedusse. 

Questi  altri  fochi  tutti  contemplanti 
Omini  furo  ,  accesi  di  quel  caldo, 
Che  fa  nascere  i  fiori  e  i  frutti  santi. 

Quivi  è  Maccario  ,  quivi  è  Ronioaldo  : 

Qui  sono  i  frati  miei,  che  dentro  ai  chiostri 
Fermar  li  piedi  e  tennero  il  cor  saldo. 

Ed  io  a  lui  :  lo  affetto  ,  che  dimostri 
Meco  parlando ,  e  la  buona  sembianza, 
Che  io  veggio  e  noto  in  tutti  lì  ardor  vostri, 

Così  mi  ha  dilatata  mia  fidanza, 

Come  il  sol  fa  la  rosa,  quando  aperta 
Tanto  divien ,  quanto  ella  ha  di  possanza. 

Però  ti  prego ,  e  tu ,  padre  ,  mi  accerta, 
Se  io  posso  prender  tanta  grazia ,  che  io 
Ti  veggia  con  immagine  scoperta. 

Ond'  egli:  oh  frate,  il  tuo  alto  disio 
Sì  adempierà  in  su  la  ultima  spera, 
Ove  sì  adempion  tutti  lì  altri  e  il  mio. 

Ivi  è  perfetta,  matura,   ed  intera 
(Tinscuna  disianza:  in  quella  sola 
K  ogni  parte  là  dove  gempr'  era  : 

Per  die  non  è  in  loco,  e  non  s'impola: 
E  nostra  scala  infìno  ad  essa  varca, 
Onde  vAif'ì  dal  vìs(»  ti  s'invola. 

Infìn  là  su  la  vide  il  patriarca 
Jacob  i:i|)orger  la  superna  parte, 
Quando  li  apparve  dì  angeli  sì  carca. 

Ma  per  salirla  mo  nessim  diparte 
Da  terra  i  piedi ,  e  la  regola  mia 
Himasa  è  giù  pi-r  danno  delie  carte. 

Le  mure,  che  soleano  esser  badia, 
Fatte  sono  spelonche,  e  le  cocolle 


Sacca  son  piene  di  farina  ria. 
Ma  grave  usura  tanto  non  si  tolle 

Contra  il  piacer  dì  dìo ,  quanto  quel  frutto, 
Che  fa  il  cor  dei  monaci  si  folle. 
Che ,  quantunque  la  chiesa  guarda ,  tutto 
È  della  gente  che  per  dio  dimanda. 
Non  di  parenti ,  né  di  altro  più  brutto. 
La  carne  dei  mortali  è  tanto  blanda, 
Che  giù  non  basta  buon  cominciamento 
Dal  nascer  della  quercia  al  far  la  ghianda. 
Pier  cominciò  sanza  oro  e  sanz'  argento, 
Ed  io  con  orazioni  e  con  digiuno, 
E  Francesco  umilmente  il  suo  convento. 
|E,  se  guardi  al  principio  di  ciascuno. 

Poscia  riguardi  là  dov'è  trascorso, 
I  Tu  vederai  del  bianco  fatto  bruno. 
Veramente  Glordan  volto  retrorso 

Più  fu,  e  il  mar  fuggir,  quando  dio  volse, 
Mirabile  a  veder,  che  qui  il  soccorso. 
Così  mi  disse:  ed  indi  si  rìcolse 

Al  suo  collegio,  e  il  collegio  si  strinse: 
Poi  come  turbo  in  su  tutto  si  avvolse. 
La  dolce  donna  dietro  a  lor  mi  pinse 
Con  un  sol  cenno  su  per  quella  scala; 
Sì  sua  virtù  la  mia  natura  vinse! 
Né  mai  qua  giù,  dova  si  monta  e  cala. 
Naturalmente  fu  sì  ratto  moto, 
Che  agguagliar  si  potesse  alla  mia  ala. 
Se  io  torni  mai,  lettore,  a  quel  divoto 
Trionfo ,  per  lo  quale  io  piango  spesso 
Le  mie  peccata ,  e  il  petto  mi  perento, 
Tu  non  avresti  in  tanto  tratto  e  messo 

Nel  foco  il  dito ,  in  quanto  io  vidi  '1  segno 
Che  segue  il  tauro ,  e  fui  dentro  da  esso. 
Oh  gloriose  stelle,  oh  lume  pregno 
Di  gran  virtù ,  dal  quale  io  riconosco 
Tutto ,  qual  che  si  sia ,  il  mio  ingegno  ! 
Con  voi  nasceva  e  si  ascondeva  vosco 
Quegli ,  eh'  é  padre  di  ogni  mortai  vita. 
Quando  io  sentii  da  prima  lo  aere  tosco: 
E  poi ,  quando  mi  fu  grazia  largita 
Di  entrar  nell'  alta  rota  che  vi  gira, 
La  vostra  region  mi  fu  sortita. 
A  voi  divotamente  ora  suspira 
L'  anima  mia  ,  per  acqui»tfir  virtute 
Al  passo  forte  che  a  sé  la  tira. 
Tu  sei  sì  presso  alla  ultima  salute, 
Cominciò  Beatrice,  che  tu  dei 
Aver  le  bici  tue  chiare  ed  acute. 
E  però ,  prima  che  tu  più  t'  inlei. 

Rimira  in  giuso ,  e  vedi  quanto  mondo 
Sotto  lì  piedi  già  esser  ti  fei  ! 
Sì  che  il  tuo  cor,  quantunque  può,  giocondo 
Sì  appresentì  alla  turba  trionfante. 
Che  lieta  vien  per  questo  etera  tondo. 
Col  viso  ritornai  per  tutte  quante 
Le  sette  spere ,  e  vidi  questo  globo 
Tal,  che  io  sorrisi  del  suo  vìi  sembiante. 
E  quel  consiglio  per  migliore  appróbo 

("he  lo  ha  per  meno:  e  chi  ad  altro  pensa, 
Chiamar  si  jiote  veramente  probo. 
Vidi  la  figlia  di  Latona  incenda 

Senza  quella  ombra ,  che  mi  fu  cagione 
Per  che  già  la  credetti  rara  e  densa. 
Lo  aspetto  del  tuo  nato,  Iperiono, 
Quivi  sostenni  ,  e  vidi  come  sì  move 
Circa  e  vicino  a  lui  I\laja  e  Dione. 


1091 


Px^RADlSO.     (XXII.  145  —  154.  XXIII.  1  —  111) 


[210] 


)iiindi  m'  apparve  il  temperar  di  Giove 

Tra  il  padre  e  il  figlio ,  e  quindi  mi  fu  chiaro 

11  variar  che  fanno  di  lor  dove: 
C   tutti  e  sette  mi  s^i  dimostraro 

Quanto  son  grandi,  e  quanto  son  veloci, 

E  come  sono  in  distante  riparo. 
7  ajola,  che  ci  fa  tanto  feroci, 
M    Yolgendom'  io  con  li  eterni  gemelli, 

Tutta  mi  apparve  tra  colli  e  le  foci  ; 
Poscia  rivolsi  li  occhi  ahi  occhi  belli. 


CANTO     XXIII. 


ARGOMENTO. 

Beatrice  in  atto  iV  aspettare  gran  meraviglia.  Trionfo 
di  Gesù. 


Come  lo  augello  intra  le  amate  fronde 
Posato  al  nido  dei  suoi  dolci  nati. 
La  notte,  che  le  cose  ci  nasconde, 

Clie  per  veder  li  aspetti  desiati, 

E  per  trovar  lo  cibo  onde  li  pasca, 
In  che  i  gravi  lahor  li  sono  grati. 

Previene  il  tempo  in  su  1'  aperta  frasca, 
E  con  ardente  afletto  il  sole  aspetta, 
Fiso  guardando,  pur  che  1'  alba  nasca; 

Così  la  donna  mia  si  stava  eretta 
Ed  attenta,  rivolta  inver  la  plaga. 
Sotto  la  quale  il  sol  mostra  men  fretta; 

Si  che ,  veggcndola  io  sospesa  e  vaga, 
Fecirai  quale  è  quei ,  che  disiando 
Altro  vorria,  e  sperando  si  appaga. 

Ma  poco  fu  tra  uno  ed  altro  quando  ; 
Del  mio  attender  dico ,  e  del  vedere 
Lo  ciel  venir  più  e  più  risctiiarando. 

E  Beatrice  disse:  ecco  le  schiere 

Del  trionfo  di  Cristo,   e  tutto  il  frutto 
Uicolto  del  girar  di  queste  spere! 

Parvemi  clic  il  suo  viso  ardesse  tutto  : 
E  li  ocelli  avea  di  letizia  sì  pieni, 
Che  passar  mi  convien  senza  costrutto. 

Quale  nei  plcnilunìi  sereni 

Trivia  ride  tra  le  ninfe  eterne, 

Che  dipingono  il  ciel  per  tutti  i  seni, 

Vid'  io  sopra  mìgliaja  di  lucerne 

Un  sol,  che  tutte  quante  l'  aixendea. 
Come  fa  il  nostro  le  viste  superne  : 

E  per  la  viva  luce  trasparea 

La  lucente  sustanzia  tanto  chiara 
Mei  viso  mio ,  che  non  la  sostcnca. 

E  Ueatricc  ,  dolce  guida  e  cara, 

Allor  mi  disse:  quel,  che  ti  sopranza, 
E  virtù  da  cui  nulla  si  ripara. 

Quivi  ù  la  sapienza  e  la  possanza. 

Che  aprì  le  strade  tra  il  ci<lo  e  la  terra, 
Onde  fu  già  sì  lunga  desianza. 

Come  foco  di  nube  si  disserra 

Per  dilat.irsi  sì ,  che   non  vi  cape, 

E  f(ir  di  sua  natura  in  giù  kì  atterra: 

Così  la  mente  mia  tra  quelle  dape 
Fatta  più  grande,  di  sé  stessa  uscio, 


E  che  si  fesse  rimembrar  non  sape. 
Apri  li  occhi  e  riguarda  qual  sono  io: 
Tu  hai  vedute  cose ,  che  possente 
Sei  fatto  a  sostener  lo  riso  mìo. 

10  era  come  quei,  che  si  risente 

Di  visione  obblita ,  e  che  s'  ingegna 
Indarno  di  ridurlasi  alla  mente; 

Quando  io  udii  questa  proflerta  degna 
Di  tanto  grato ,  che  mai  non  si  estingue 
Del  libro ,  che  il  preterito  rassegna. 

Se  mo  sonasser  tutte  quelle  lingue, 
Che  Polinnia  con  le  suore  fero 
Del  latte  lor  dolcissimo  più  pingue. 

Per  ajutarmi,  al  millesmo  del  vero 
Non  si  verria  cantando  il  santo  riso, 
E  quanto  il  santo  aspetto  facea  mero. 

E  così  figurando  il  paradiso 

Convien  saltar  il  sagrato  poema. 
Come  chi  trova  suo  cammin  reciso. 

Ma  chi  pensasse  il  poderoso  tema, 
E  1'  omero  mortai  che  se  ne  carca. 
Noi  biasmerebbe  se  sotto  esso  trema. 

Non  è  paraggio  da  picciola  barca  ^ 

Quel ,  che  fendendo  va  1'  ardita  prora, 
Né  da  nocchier  che  a  sé  medesmo  parca. 

Per  che  la  faccia  mia  si  t'  innamora, 
Che  tu  non  ti  rivolgi  al  bel  giardino. 
Che  sotto  i  raggi  di  Cristo  s'  infiora  ? 

Quivi  è  la  rosa,  in  che  il  Verbo  divino 
Carne  si  fece;  quivi  son  li  gìgli, 
Al  cui  odor  si  apprese  il  buon  cammino. 

Così  Beatrice:  ed  io,  che  ai  suoi  consigli 
Tutto  era  pronto,  ancora  mi  rendei 
Alla  battaglia  dei  debili  cigli. 

Come  a  raggio  di  sol ,  che  puro  mei 
Per  fratta  nube,  già  prato  di  fiori 
Vidcr  coperto  di  ombra  li  occhi  miei; 

Vid'  io  così  più  turbe  di  splendori 
Fulgurati  di  su  da  raggi  ardenti, 
Sanza  veder  principio  di  fulgóri. 

Oh  benigna  virtù ,  che  sì  T  imprenti. 
Su  ti  esaltasti  per  largirmi  loco 
Alli  occhi  lì  che  non  eran  possenti. 

11  nome  del  bel  fior,  che  io  sempre  invoco 
E  mane  e  sera,  tutto  mi  ristrinse 

Lo  animo  ad  avvisar  lo  maggior  foco. 

E  ,  come  ambe  le  luci  mi  dipinse 
Il  quale  e  il  quanto  della  viva  stella. 
Che  là  su  vìnce  come  qua  giù  vinse, 

Perentro  il  ciclo  srese  ima  facella. 
Formata  in  cerchio  a  guisa  di  corona, 
E  elusela  e  girossi  intorno  ad  ella. 

Qualunque  melodia  più  dolce  suona 
Qua  giù,  ed  a  sé  più  l'  anima  tira. 
P.iriebite  nube  che  squ.iniata  tuona, 

Com|iarata  al  sonar  di  i|U(lla  lira. 
Onde  s'   incoronava  il  l»cl  zalViro, 
Del  quale  il  ciel  più  chiaio  s'  inzafTira. 

Io  sono  aiiiDre  angelico,  che  giro 
L'  alta  letizia  ,  che  spira  del  veutro 
Cile  lu  albergo  del   nostro  disiro; 

E  (iireromiui ,  donna  del  ciel,  mentre 
Cli«-  seguirai  tuo  llglio  .  e  farai  dia 
Più   la  spera  supri-ma,  per  che  lì  cnlrc. 

Così  la  circolata  melodia 

Si  sigillava,  e  tulli  li  allri  l'imi 
Facciin  sonar  il  nume  di  MVUIA. 


14 


[211] 


PARADISO.     (XXllI.  1 12—139.  XXIV.  1—94) 


[212] 


Lo  real  manto  di  tutti  i  volumi 

Del  mondo,  clie  più  ferve  e  più  si  avviva 
Nello  alito  di  dio  e  nei  costumi, 

Avea  sopra  di  noi  la  interna  riva 
Tanto  distante,  che  la  sua  parvenza 
Là,  dove  io  era,  ancor  non  mi  appariva: 

Però  non  ebber  li  occhi  miei  potenza 
Di  seguitar  la  coronata  fiamma, 
Che  si  levò  a  presso  a  sua  semenza. 

E,  come  fantolin ,  che  'nver  la  mamma 
Tende  le  braccia,  poi  che  il  latte  prese, 
Per  lo  animo  che  in  fin  di  for  s'  infiamma, 

Ciascun  di  quei  candori  in  su  si  stese 

Con  la  sua  fiamma  sì,  che  lo  alto  affetto, 
Ch'  elli  avveano  a  Maria,  mi  fu  palese. 

Indi  rimaser  li  nel  mio  cospetto. 
Regina  cadi  cantando  sì  dolce. 
Che  mai  da  me  non  si  parti  'l  diletto. 

Oh  quanta  è  la  libertà  che  si  soffolce 
In  quelle  arche  ricchissime ,  che  foro 
A  seminar  qua  giù  buone  bobolce  ! 

Quivi  si  gode  e  vive  del  tesoro, 

Che  si  acquistò  piangendo  nello  esilio 
Di  Babilòn,  ove  lasciò  1'  oro. 

Quivi  trionfa  sotto  lo  alto  fiiio 

Di  dio  e  di  Maria ,  di  sua  vittoria 
E  con  lo  antico  e  col  novo  concilio 

Colui ,  che  tien  le  chiavi  di  tal  gloria. 


CANTO     XXIV. 

ARGOMENTO. 

San  Pietro  esamina  Dante  sulla  fede. 

Oh  sodalizio  eletto  alla  gran  cena 

Del  benedetto  agnello ,  il  qual  vi  ciba 
Sì,  che  la  vostra  voglia  è  sempre  piena: 

Se  per  grazia  di  dio  questi  preliba 
Di  quel  che  cade  dalla  vostra  mensa. 
Anzi  che  morte  tempo  li  prescriba; 

Ponete  mente  all'  affezione  immensa, 
E  roratelo  alquanto  :  voi  bevete 
Sempre  del  fonte,  onde  vien  quel  oh'  ei  pensa. 

Così  Beatrice:  e  quelle  anime  liete 
Si  fòro  spere  sopra  fissi  poli, 
Fìammaudo  forte  a  guisa  di  comete. 

E,  come  cerchi  in  tempra  di  oriuoli 

Si  giran  si ,  che  il  primo  a  clii  pon  mente 
Quieto  pare ,  e  lo  ultimo  che  voli, 

Così  quelle  carole  differente- 

iDCìite  danzando ,  della  sua  ricchezza 
Mi  si  faccan  stimar  veloci  e  lente. 

Di  quella,  che  io  notai  di  più  bellezza, 
Vid'  io  uscire  un  foco  sì  felice. 
Che  nullo  vi  'asciò  di  più  chiarezza; 

E  tre  fiate  intorno  di  Beatrice 
Si  volse  con  un  canto  tanto  divo, 
Che  la  mia  fantasia  noi  mi  ridice  : 

Però  salta  la  penna ,  e  non  lo  scrivo. 
Che  lii  iniuiaginc  nostra  a  cotai  pieghe, 
^un  clic  il  purluro,  ù  troppo  color  vivo. 


Oh  santa  suora  mia,  che  sì  ne  preghe 
Divota  ,  per  lo  tuo  ardente  affetto 
Da  quella  bella  spera  mi  disleghe: 

Poscia ,  fermato  il  foco  benedetto. 
Alla  mia  donna  dirizzò  lo  spiro. 
Che  favellò  così  come  io  ho  detto. 

Ed  ella  :  oh  luce  eterna  del  gran  viro, 
A  cui  nostro  signor  lasciò  le  chiavi, 
Ch'  ei  portò  giù  di  questo  gaudio  miro, 

Tenta  co.«tui  dei  punti  lievi  e  gravi. 
Come  ti  piace  ,  intorno  della  fede, 
Per  la  qual  tu  su  per  lo  mare  andavi! 

S'  egli  ama  bene,  e  bene  spera,  e  crede. 
Non  ti  è  occulto ,  per  «;he  il  viso  hai  quivi, 
Ove  ogni  cosa  dipinta  si  vede. 

Ma ,  per  che  questo  regno  ha  fatto  civi, 
Per  la  verace  fede,  a   gloriarla. 
Di  lei  parlare  è  buon  che  a  luì  arrivi. 

Sì  come  il  baccellier  si  arma  e  non  parla, 
Fin  che  il  maestro  la  quistion  propone 
Per  approvarla ,  non  per  terminarla, 

Così  mi  armava  io  di  ogni  ragione, 

Mentre  eh'  ella  dicea,  per  esser  presto 
A  tal   querente  e  a  tal  professione. 

Di',  buon  cristiano,  fatti  manifesto: 
Fede  che  è .''  Onde  io  levai  la  fronte 
In  quella  luce,  onde  spirava  questo. 

Poi  mi  volsi  a  Beatrice,  ed  essa  pronte 
Sembianze  femmi ,  per  che  io  spandessi 
L'  acqua  di  for  del  mio  interno  fonte. 

La  grazia ,  che  mi  dà ,  che  io  mi  confessi. 
Comincia'  io ,  dallo  alto  primipilo. 
Faccia  li  miei  concetti  bene  espressi! 

E  seguitai:  come  il  verace  stilo 

Ne  scrisse,  padre,  del  tuo  caro  frate. 
Che  mise  Roma  teco  nel  buon  filo, 

Fede  è  sostanzia  di  cose  sperate, 
Ed  argomento  delle  non  parventi  : 
E  questa  pare  a  me  sua  quiditate. 

Allora  udii  :  dirittamente  senti. 

Se  bene  intendi ,  per  che  la  ripose 
Tra  le  sustanze,  e  poi  tra  li  argomenti. 

Ed  io   a  presso  :  le  profonde  cose. 
Che  mi  largiscon  qui  la  lor  parvenza, 
Alli  occhi  di  là  giù  son  sì  nascose. 

Che  lo  esser  loro  vi  è  in  sola  credenza, 
Sovra  la  qual  si  fonda  1'  alta  spene, 
E  però  di  sustanza  prende  intenza: 

E  da  questa  credenza  ci  conviene 
Solligizzar  senz'  avere  altra  vista: 
Pero  che  intenza  di  argomento  tiene. 

Allora  udii  :  se  quantunque  si  acquista 
Giù  per  dottrina  fosse  così  inteso. 
Non  vi  avria  loco  ingegno  di  sofista. 

Così  spirò  da  quello  amore  acceso; 
Indi  soggiunse:  assai  bene  è  trascorsa 
Di  està  moneta  già  la  lega  e  il  peso  : 

Ma  dimmi ,  se  tu  1'  hai  nella  tua  borsa. 
Ed  io:  sì,  la  ho  si  lucida  e  sì  tonda. 
Che  nel  suo  conio  nulla  mi  s'  inforsa. 

A  presso  usci  della  luce  profonda, 
Che  li  splendeva:  questa  cara  gioja, 
Sovra  la  quale  ogni  virtù  si  fonda. 

Onde  ti  venne .^  ed  io:  la  larga  ploja 
Dello  spirito  santo ,  eh'  è  diffusa 
In  su  le  vecchie  e  in  su  le  nove  cuoja, 

È  sillogismo,  che  la  mi  ha  conchiusa 


213] 


PARADISO.     (XXIV.  95— 154.    XXV.  1-59) 


Acutamente  sì ,  che  in  verso  di  ella 
Ogni  diraostrazifin  mi  pare  ottusa. 

fo  udii  poi:  r  antica  e  la  novella 
Proposizion  ,  che  così  ti  conchiude. 
Per  che  1'  hai  tu  per  divina  favella? 

Kd  io:  la  prova,  che  il  ver  mi  dischiude, 
Son  le  opere  seguite,  a  che  natura 
Kon  scaldò  l'erro  mai ,  né  -hattc  ancude. 
isposto  fummì:  di',  chi  ti  assicura, 
Che  quella  opere  fosser  quel  medcsmo 
Che  vuol  provarsi  ?  non  altri  il  ti  giura. 

Se  il  mondo  si  rivolse  al  cristianesmo, 
JDiss'  io ,  senza  miracoli ,  questo  uno 
E  tal,  che  li  altri  non  sono  il  centesmo: 

^hè  tu  entrasti  povero  e  digiuno 
Il    In  campo  a  seminar  la  hnona  pianta, 
Il     Che  fu  già  vite,  ed  ora  è  fatta  pruno. 
ItFinito  questo  ,  1'  alta  corte  santa 

I  Risonò  per  le  spere:  un  dio  lodiamo! 

II  IVella  melode  che  là  su  si  canta. 
|j£  quel  baron ,  che  si  di  ramo  in  ramo 

Esaminando ,  già  tratto  mi  a^  ea. 
Che  alle  ultime  fronde  appressavamo, 

^Ricominciò  :  la  grazia,  che  donnea 
Con  la  tua  mente,  la  bocca  ti  aperse 
Insino  a  qui ,  come  aprir  si  dovea  ; 

{Sì  che  io  approvo  ciò  che  fori  emerse: 
Ma  or  conviene  esprimer  quel  che  credi, 
E  onde  alla  credenza  tua  si  ofTerse. 

j  Oh  santo  padre  e  spirito,  che  vedi 
Ciò  che  credesti,  sì  che  tu  vincesti 
Ver  lo  sepolcro  più  giovani  piedi, 

Comincia'  io  :  tu  vuoi  <:he  io  manifesti 
La  forma  qui  del  pritnto  creder  mio, 
Ed  anco  la  cagion  di  lui  chiedesti. 

Ed  io  rispondo  :  io  credo  in  uno  dio 
Solo  ed  eterno ,  che  tutto  il  cìei  move, 
Non  moto,  con  amore  e  con  disio: 

Ed  a  tal  creder  non  ho  io  pur  prove 
Fisice  e  metafisice;  ma  dalmi 
Anche  la  verità  che  quinci  piove 

Per  Moisè ,  per  profeti ,  e  per  salmi. 

Per  lo  evangelio,  e  per  voi  che  scriveste, 
Poi  che  lo  ardente  spirto  vi  fece  almi. 

E  credo  in  tre  persone  eterne,  e  queste 
Credo  una  essenza  sì  una ,  e  sì  trina, 
Che  solferà  congiunto  sinit  et  cste. 

Della  profonda  condizion  divina. 

Clic  io  tocco  mo ,  la  mente  mi  sigilla 
Più  volte  la  evangelica  dottrina. 

Questa  è  il  principio:  questa  è  la  favilla. 
Che  si  dilata  in  fiamma  poi  vivace, 
E ,  come  stella  in  cielo  ,  iu  me  scintilla. 

Come  il  signor,  che  ascolta  quel  che  i  piace. 
Da  indi  abbraccia  il  servo,  gratulaiulo 
Per  la  novella,  tosto  eh'  el  si  tace. 

Cosi  benedicendomi  cantando. 

Tre  volte  cinse  me,  kì  come  io  tacqui, 
Lo  apostolico  lume,  al  cui  comando 

Io  avea  detto;  sì  nel  dir  li  piacqui! 


[214] 


CANTO     XXV. 

ARGOMENTO. 

San  Jacopo  esamina  D.  sulla  speranza. 

Se  mai  continga,  che  il  poema  sacro. 
Al  quale  ha  posto  mano  e  cielo  e  terra 
Sì,  che  mi  ha  fatto  per  molti  anni  macro 
Vinca  la  crudeltà,  che  for  mi  serra 
Del  bello  ovile,  ove  io  dormii  agnello 
Nimico  ai  lupi ,  che  li  danno  guerra, 
Con  altra  voce  ornai,  con  altro  vello 
Ritornerò  poeta,  ed  in  sul  fonte 
Del  mio  battesmo  prenderò  il  cappello: 
Però  che  nella  fede,  che  fa  conte 

Le  anime  a  dio ,  quivi  entra'  io ,  e  poi 
Pietro  per  lei  sì  mi  girò  la  fronte. 
Indi  si  mosse  un  lume  verso  noi 

Di  quella  spera,  onde  uscì  la  primizia. 
Che  lasciò  Cristo  dei  vicarj  suoi. 
E  la  mia  donna  piena  di  letizia 

Mi  disse:  mira,  mira!  ecco  il  barone. 
Per  cui  là  gin  si  visita  Galizia. 
Sì  come,  quando  il  colombo  si  pone 

Presso  al  compagno,  e  lo  uno  allo  altro  pànde 
Girando  e  mormorando,  1'  affezione, 
Così  vid'  io  lo  un  dallo  altro  grande 
Principe  glorioso  essere  accolto, 
Laudando  il  cibo  che  là  su  si  prande. 
Ma  poi  che  il  gratular  si  fu  assolto. 
Tacito,  corani  me,  ciascun  si  affisse 
Ignito  sì ,  che  vinceva  il  mio  volto. 
Ridendo  allora  Beatrice  disse: 
Inclita  vita,  per  cui  la  larghezza 
Della  nostra  basilica  si  scrisse. 
Fa  risonar  la  speme  in  questa  altezza! 
Tu  sai,  che  tante  fiate  la  figuri, 
Quanto  .Tcsù  ai  tre  fé'  più  chiarezza. 
Leva  la  testa ,  e  fa  che  ti  assicuri  ! 

Che  ciò ,  che  vien  qua  su  dal  mortai  inondo, 
Convien  che  ai  nostri  raggi  si  maturi. 
Questo  conforto  del  foco  secondo 

Mi  venne  :  onde  io  levai  li  occhi  ai  monti. 
Che  r  incur'>aron  pria  col  trop|)o  pondo. 
Poi  che  per  grazia  vuol,  che  tu  ti  affronti 
Nel  nostro  Imperadore,  anzi  la  morte 
Neil'  aula  più  secreta  coi  suoi  Conti, 
Sì ,  che ,   veduto  il  ver  di  questa  corto, 
La  speme ,  che  là  giù  bene  innamora. 
In  te  ed  in  altrui  di  ciò  conforle. 
Di'  quel  eh'  ella  è,  di'  come  se  ne  infiora 
La  mente  tua,  e  di'  onde  a  te  venne: 
Così  seguii)  il  secondo  lume  ancora. 
E  quella  pia,  che  guidò  le  |iennc 
Delle  mie  ali  a  così  alto  volo, 
Alla  risposta  cosi  mi  prevenne: 
La  chiesa  militante  alcun  figliolo 

Non  ha  con  più  s|)eranza,  coni'  è  scritto 
Nel  sol,  cIh^  raggia  tutto  nostro  stuolo: 
Però  li  è  c(uic(  liuti» ,  che  di  Kgitto 
Vegna  in  (ìerusalcmme  per  vedei-e. 
Anzi  ihv.  il  niililar  li  sia  prescritto. 
Li  altri  due  punti ,  che  non   per  sapere 
Son  dimandati,  ma  per  eh'  ei  rapporti 

14  * 


[215] 


PARADISO.     (XXV.  60  — 130.  XXYI.  1—  41 .) 


[216] 


Quanto  questa  TÌrtìi  ti  è  in  piacere, 

A  lui  la:>c'  io  :  che  non  li  saran  forti, 
>è  di  jattanzia:  ed  elii  a  ciò  risponda, 
E  la  grazia  di  dio  ciò  li  comporti. 

Come  discente,  che  a  dottor  seconda 

Pronto  e  libante  in  quello  eh'  e^li  è  sperto, 
Per  che  la  sua  bontà  si  diriascoiula: 

Speme,  diss'  io,  è  uno  attender  certo 
Della  gloria  futura,  che  produce 
Grazia  divina  e  precedente  niortr: 

Da  molte  stelle  mi  vien  que.-ita  hice;^ 
3Ia  quei  la  distillò  nel  mio  cor  pria, 
Che  fu  sommo  cantor  del  sommo  duce. 

Sperino  in  te,  nell'   alta  Teodia, 
Dice,  color  che  sanno  il  nome  tuo: 
E  chi  noi  sa,  s'  egli  ha  la  fede  mia? 

Tu  mi  stillasti  con  lo  stillar  suo 

jVella  epistola  poi  sì ,  che  io  son  pieno, 
Ed  in  altrui  vostra  ploja  repluo. 

3Ientre  io  diceva,  dentro  al  vivo  seno 
Di  quello  incendio  tremolava  un  lampo 
Subito  e  spesso  a  guisa  di  baleno. 

Indi  spirò:  lo  amore,  onde  io  avvampo 
Ancor  ver  la  virtù,  che  mi  seguette, 
Inlln  la  palma  ed  allo  uscir  del  campo. 

Vuol  che  io  respiri  a  te,  che  ti  dilette 
Di  lei  :  ed  emmi  a  grado  che  tu  diche 
Quello  che  la  speranza  ti  promette. 

Ed  io:  le  nove  e  le  scritture  antiche 

Pongono  il  segno,  ed  esso  lo  mi  addita. 
Delle  anime,  che  dio  si  ha  fatte  amiche. 

Dice  Isaia ,  che  ciascuna  vestita 
]\ella  sua  terra  fia  di  doppia  vesta, 
E  la  sua  terra  è  questa  dolce  vita. 

E  il  tuo  fratello  assai  vie  più  digesta 
Là ,  dove  tratta  delle  bianche  stole, 
Questa  rivelazion  ha  manifesta. 

E  prima,  presso  il  fin  dì  este  parole, 
Sperent  in  te  di  sopra  noi  si  udì, 
A  che  risposer  tutte  le  caròle: 

Poscia  tra  esse  un  lume  si  schiarì 

Si,  che,  se  il  cancro  avesse  un  tal  cristallo. 
Lo  inverno  avrebbe  un  mese  di  un  sol  di, 

E  come  surge,  e  va,  ed  intra  in  ballo 
Vergine  lieta,  sol  per  fare  onore 
Alla  novizia,  e  non  per  alcun  fallo, 

Così  vid'  io  lo  schiarato  splendore 

Vinire  ai  due,  che  si  volgeano  a  rota, 
Qual  convenìasi  al  loro  ardente  amore. 

Misesi  lì  nel  canto  e  nella  nota; 

E  la  mia  donna  in  lor  tenne  lo  aspetto, 
Pur  come  sposa  tacita  ed  immota. 

Questi  è  colui,  che  giacque  sopra  il  petto 
Del  nostro  pellicano:  e  questi  fuc 
In  su  la  croce  al  grande  uficio  eletto. 

La  donna  mia  così  :  ne  però  pine 
Mosse  la  vista  sua  da  stare  attenta 
Poscia  che  prima  alle  parole  sue. 

Quale  è  colui,  che  adocchia  e  si  argomenta 
Di  veder  eclissar  lo  sole  un  poco, 
(Jliè ,  per  veder,  non  vedente  diventa, 

Tal  mi  tee'  io  a  quello  nlliino  foco, 

IVIentre  che  detto  fu  :  per  <-lie  ti  abbagli 
l'er  ■\efl(T  «;osa  che  (pii  non  ha  loco? 

In   t'erra  è  terra  il  mio  ci)i])o,  e  saragli 
'l'iinto  con  li  altri,  che  il  numero  nostro 
Con  lo  eterno  proposito  ti  agguagli. 


Con  le  due  stole  nel  beato  chiostro 
Son  le  due  luci  sole  che  salirò: 
E  questo  apporterai  nel  mondo  vostro. 

A  questa  voce  lo  infiammato  giro 
Si  quietò  conesso  il  dolce  mischio. 
Che  si  facea  del  suon  nel  trino  spiro 

Sì,  come,  per  cessar  fatica  o  rischio, 
Li  remi  pria  nell'  acqua  ripercossi 
Tutti  si  posan  al  sonar  di  un  fischio. 

Ahi  quanto  nella  mente  mi  commossi. 
Quando  mi  volsi  per  veder  Beatrice, 
Per  non  poter  vederla ,  ben  che  io  fossi 

Presso  di  lei  e  nel  mondo-  felice. 


I 


CANTO    XXVI. 


ARGOMENTO. 

S.  Giovanni  esamina  sulla   carità.     Adamo  parla    di 
sua  felicità  e  sventura ,  e  del  primo  linguaggio. 

Mentre  io  dubbiava  per  lo  viso  spento. 

Della  fulgida  fiamma,  che  lo  spense, 

Usci  un  spiro  che  mi  fece  attento. 
Dicendo  :  in  tanto  che  tu  ti  rinsense 

Delia  vista,  che  hai  in  me  consunta. 

Ben  è  che  ragionando  la  compense. 
Comincia  dunque  e  di',  ove  si  appunta 

L'  anima  tua ,  e  fa  ragion  che  sia 

La  vista  in  te  smarrita  e  non  defunta! 
Per  che  la  donna,  che  per  questa  dia 

Region  ti  conduce,  ha  nello  sguardo 

La  virtù  eh'  ebbe  la  man  di  Anania. 
Io  dissi  :  al  suo  piacere  e  tosto  e  tardo 

Vegna  rimedio  alli  occLi,  che  fur  porte. 

Quando  ella  entrò  col  foco,  onde  io  sempre  ardo. 
Lo  ben ,  che  fa  contenta  questa  corte. 

Alfa  ed  omega  è  di  quanta  scrittura 

Mi  legge  amore  e  lievemente ,  e  forte. 
Quella  medesma  voce,  che  paura 

Tolta  mi  avea  del  subito  abbarbaglio^ 

Di  ragionare  ancor  mi  mise  in  cura 
E  disse:  certo  a  più  angusto  vaglio 

Ti  conviene  schiarar  :  dicer  convienti. 

Chi  drizzò  lo  arco  tuo  a  tal  bersaglio. 
Ed  io  :  per  filosofici  argomenti, 

E  per  autorità  che  quinci  scende. 

Cotale  amor  convien  che  in  me  s'  ìmprenti; 
Che  il  bene ,  in  quanto  è  ben ,  come  s'  intende, 

Così  accende  amore ,  e  tanto  maggio. 

Quanto  più  di  bontade  in  sé  comprende. 
Dunque  alla  essenza,  ov'  è  tanto  vantaggio. 

Che  ciascun  ben ,  che  for  di  lei  si  trova. 

Altro  non  è  che  del  suo  lume  un  raggio; 
Più  che  in  altra  convien  che  si  mova 

La  mente,  amando,  di  ciascun  che  cerne 

Lo  vero  in  che  si  fonda  questa  prova. 
Tal  vero  allo  intelletto  mio  sterne 

Colui ,  che  mi  dimostra  il  primo  amore 

Di  tutte  le  sustanzie  sem|)iterne. 
Stcrnel  la  voce  del  verace  autore. 

Che  dice  a  Moisò ,  di  sé  parlando, 


217] 


^MPI^-      (XXVI.  42-142.  XXVII.  1—19) 


[218] 


Io  ti  farò  vedere  og^ni  valore, 
ternilmi  tu  ancora,  incominciando 
Lo  alto  preconio,  che  grida  lo  arcano 
Di  qui  là  giù  sovra  ad  ogni  altro  bando, 
d  io  udii:  per  intelletto  umano, 
E  per  autoritade  a  lui  concorde, 
Dei  tuoi  amori  a  dio  guarda  il  sovrano, 
a  di'  ancor ,  se  tu  senti  altre  corde 
Tirarti  verso  lui  sì,  che  tu  suone 
Con  quanti  denti  questo  amor  ti  morde, 
on  fu  latente  la  santa  intenzione 
Deir  aguglia  di  Cristo ,  anzi  mi  accorsi 
Ove  menar  volea  mia  professione, 
ero  ricominciai  :  tutti  quei  morsi. 
Che  posson  far  lo  cor  volgere  a  dio, 
Alla  mia  caritate  son  concor^i  : 
che  lo  essere  del  mondo,  e  lo  esser  mìo, 
Lfi  morte ,  eh'  el  sostenne  per  che  io  viva, 
E  quel,  che  spera  ogni  fedel  come  io, 
Con  la  predetta  conoscenza  viva. 

Tratto  mi  hanno  del  mar  dello  amor  torto, 
E  del  diritto  mi  han  posto  alla  riva. 
Le  f rondi ,  onde  s'  infronda  tutto  1'  orto 
I      Dell'  ortolano  eterno ,  amo  io  cotanto, 

Quanto  da  lui  a  lor  di  bene  è  porto. 
I  Sì  come  io  tacqui ,  un  dolcissimo  canto 
Risonò  per  lo  cielo ,  e  la  mia  donna 
Dicea  con  li  altri:  Santo,  Santo,  Santo. 
E,  come  al  lume  acuto  si  disonna, 
Per  lo  spirto  visivo  che  ricorre 
Allo  splendor  che  va  di  gonna  in  gonna, 
E  lo  svegliato  ciò  che  vede  abborre. 
Sì  nescia  è  la  sua  subita  vigilia. 
Fin  che  la  stiniativa  noi  soccorre. 
Così  delli  occhi  miei  ogni  quisquilia 
Fugò  Beatrice  col  raggio  dei  suoi. 
Che  refulgea  da  più  di  mille  miiia: 
Onde  mei  che  dinanzi  vidi  poi, 
£  quasi  stupefatto  dimandai 
Di  un  quarto  lume  che  io  vidi  tra  noi. 
£  la  mia  donna  :  dentro  da  quei  rai 

Vagheggia  il  suo  fattor  l'  anima  prima. 
Che  la  prima  virtù  creasse  mai. 
Come  la  fronda,  che  flette  in  cima 
Nel  transito  del  vento,  e  poi  si  leva 
Per  la  propria  virtù  che  la  sublima, 
Fec'  io  in  tanto  in  quanto  ella  diceva, 
Stupendo ,  e  poi  mi  rifece  sicuro 
Un  disio  di  parlare  onde  io  ardeva: 
E  cominciai:  oh  pomo,  che  maturo 
Solo  prodotto  fosti,  oh  padre  antico, 
A  cui  ciascuna  sposa  è  figlia  e  nuru. 
Devoto,  quanto  posso,  a  te  supplico, 
Per  che  mi  parli  :  tu  vedi  mia  voglia  ; 
E,  per  udirti  tosto,  non  la  dico. 
Tal  volta  un  animai  coperto  broglia 
Sì,  che  lo  alletto  convicn  che  si  paja. 
Per  lo  seguir  che  face  a  lui  la  invoglia: 
E  similmente  1'  anima  primaja 
Mi  facea  trasparer  per  la  coperta 
Quanto  ella  a  compiacermi  venia  gaja. 
Indi  spirò:  senza  essermi  profferta 
Da  te  la  voglia  tua  disccrno  meglio. 
Che  tu  qualunque  cosa  ti  è  più  certa: 
Per  che  io  la  veggio  nel  verace  speglio 
Che  fa  di  sé  parcglio  le  altre  cose, 
E  nulla  face  lui  di  sé  parcglio. 


Tu  vuoi  udir  quanto  è  che  dio  mi  pose 
Nello  eccelso  giardino ,  ove  costei 
A  così  lunga  scala  ti  dispose  : 

E  quanto  fu  diletto  alii  occhi  miei, 

E  la  propria  cagion  del  gran  disdegno, 
E  lo  idioma  che  usai  e  che  io  fei. 

Or,  figliol  mio,  non  il  gustar  del  legno 
Fu  per  sé  la  cagion  di  tanto  esilio, 
Ma  solamente  il  trapassar  del  segno. 

Quivi,  onde  mosse  tua  donna  Virgilio, 
Quattromila  trecento  e  due  volumi 
Di  sol  desiderai  questo  concilio  : 

E  vidi  lui  tornare  a  tutti  i  lumi 
Della  sua  strada  novecento  trenta 
Fiate,  mentre  che  io  in  terra  furai. 

La  lingua ,  che  io  parlai ,  fu  tutta  spenta 
Innanzi  che  alla  opra  inconsumabile 
Fosse  la  gente  di  Nembrot  attenta  : 

Che  nullo  alletto  mai  razionabile 
Per  lo  piacere  uman  che  rinnovella. 
Seguendo  il  cielo  ,  sempre  fu  durabile. 

Opera  naturale  è  che  ora  favella: 
Ma  cosi  0  così ,  natura  lascia 
Poi  fare  a  voi  secondo  che  vi  abbella. 

Pria  che  io  scendessi  alla  infernale  ambascia, 
El  sì  appellava  in  terra  il  sommo  bene, 
Onde  vien  la  letizia  che  mi  fascia  : 

ELI  si  chiamò  poi:  e  ciò  conviene: 
Che  lo  uso  dei  mortali  è  come  fronda 
In  ramo,  che  sen  va,  ed  altra  viene. 

IVel  monte ,  che  si  leva  più  dalla  onda. 
Fu'  io  con  vita  pura  e  disonesta 
Dalla  prima  ora  a  quella ,  eh'  è  seconda. 

Come  il  sol  muta  quadra,  alla  ora  sesta. 


CANTO    XXVIT. 


ARGOMENTO. 

Gaudio  celeste.   Eloquente  collera  di  S.  Pietro,     f'oìo 
alla  nona  sfera,  il  primo  mobile.    lìeatricc  ripren- 
de il  secolo ,  ed  annunzia  migliori  destini. 

AI  Padre,  al  figlio,  allo  spirito  santo 

Cominciò  Gloria  tutto  il  paradiso 

Sì ,  che  m'  innebbriava  il  dolce  canto. 
Ciò,  che  io  vedeva,  mi  sembrava  un  riso 

Dello  universo:  per  che  mia  ebbrezza 

Entrava  per  lo  udire  e  per  lo  viso. 
Oh  gioja  !  oh  ineffabile  allegre/za  ! 

Oh  vita  intera  di  amore  e  di  pace! 

Oh  sanza  brama  sicura  rirchc/./,a! 
Dinanzi  alli  occhi  mici  le  quattro  face 

Stavano  accese,  e  quella,  che  pria  venne, 

Incominciò  a  farsi  più  vivace: 
R  tal  nella  sembianza  sua  divenne, 

Qual  diverrebbe  Giove,  s'  egli  e  Marte 

Fossero  augelli  v  cambiassrr.->i  penne. 
La  provedcn/a  ,  che  quivi  comparto 

\  i(-e  ed  ofliiio,  nel  beato  c(U-o 

Silenzio  piloto  a>ea  da  ogni  part;^, 
Quando  io  udii:  se  io  mi  trascoloro, 


[219] 


PARADISO.     (XX  VII.    20-148) 


Non  ti  niiiravigliar !  che,  dicendo  io, 
Vedrai  trascolorar  tutti  costoro. 
Quegli,  che  usurpa  in  terra  il  loco  mio, 
li  loco  mio ,  il  loco  mio ,  che  vaca 
Nella  presenza  del  figlici  di  dio. 
Fatto  ha  del  cimiterio  mio  cloaca 

Del  sangue  e  della  puzza,  onde  il  perverso, 
Che  cadde  di  qua  su  là  giù  si  placa. 
Di  quel  color,  che  per  lo  sole  avverso 
Nube  dipinge  da  sera  e  da  mane, 
Vid'  io  allora  tutto  il  del  cosperso. 
E ,  come  donna  onesta  che  permane 
Di  sé  sicura,  e  per  1'  altrui  fallanza, 
Pure  ascoltando  timida  si  fané. 
Così  Beatrice  trasmutò  sembianza: 
E  tale  eclissi  credo  che  in  ciel  fue 
Quando  patì  la  suprema  possanza. 
Poi  procedetter  le  parole  sue 

Con  voce  da  so  tanto  transmutata, 
Che  la  sembianza  non  si  mutò  piùe: 
Non  fu  la  sposa  di  Cristo  allevata 

Del  sangue  mio ,  di  Lin ,  di  quel  dì  Cleto, 
Per  essere  ad  acquisto  di  oro  usata. 
Ma  per  acquisto  di  esto  viver  lieto 
E  Sisto ,  e  Pio ,  Calisto ,  ed  Urbano 
Sparser  lo  sangue  dopo  molto  fleto. 

Non  fu  nostra  iutenzion  che  a  destra  mano 
Dei  nostri  successor  parte  sedesse, 
Parte  dall'  altra  del  popol  cristiano  : 

Né  che  le  chiavi,  che  mi  fur  concesse, 
Divenisser  signaculo  iu  vessillo 
Che  contra  i  battezzati  combattesse; 

Né  che  io  fossi  figura  di  sigillo 
Ai  privilegi  venduti  e  mendaci. 
Onde  io  sovente  arrosso  e  disfavillo. 

In  vesta  di  pastor  lupi  rapaci 

Si  veggion  di  qua  su  per  tutti  i  paschi. 
Oh  dilesa  di  dio  ,  per  che  pur  giaci! 

Del  sangue  nostro  Caorsini  e  Guaschi 

Si  apparecchian  di  bei-e:  oh  buon  principio, 
A  che  vii  fine  convien  che  tu  caschi! 

Ma  l'  alta  previdenza,  che  con  Scipio 
Difese  a  Roma  la  gloria  del  mondo, 
Soccorra  tosto  sì  come  io  concipio: 

E  tu ,  figliol ,  che  per  lo  mortai  pondo 
Ancor  giù  tornerai,  apri  la  bocca, 
E  non  asconder  quel  che  io  non  ascondo  ! 

Sì ,  come  di  vapor  gelati  fiocca 

In  giuso  lo  aer  nostro  ,  quando  il  corno 
Della  capra  del  ciel  col  sol  si  tocca, 

In  su  vid'  io  così  lo  etera  adorno 
Farsi ,  e  fioccar  di  vapor  trionfanti,^ 
Che  fatto  avean  con  noi  quivi  soggiorno. 

Lo  viso  mio  seguiva  i  suoi  sembianti, 
E  seguì  fin  che  il  mezzo  per  lo  molto 
Li  tolse  il  trapassar  del  più  avanti; 

Onde  la  donna,  che  mi  vide  assolto 
Dello  attendere  in  su,  mi  disse:  ndima 
11  viso,  e  guarda  come  tu  sci  volto! 

Dalla  ora,  che  io  avea  guardato  prima. 
Io  vidi  mosso  ine  per  tutto  lo  arco, 
Che  fa  dal  mez/.o  al  fine  il  |>rimo  clima, 

Sì ,  che  io  vedea  di  là  da  Gade  il  varco 
Folle  di  IJlisbC  ,  e  di  qua  presso  il  lito. 
Nel  qnal  si  fece  Europa  didce  carco: 

E  più  mi  fora  discoperto  il  sito 

Di  questa  ajola  ;  ma  il  sul  procedca 


[220] 


Sotto  i  miei  piedi  un  segno  più  partito. 
La  mente  innamorata,  che  donnea 
Con  la  mia  donna  sempre,  di  ridure 
Ad  essa  li  occhi  più  che  mai  ardea. 
E  se  natura  o  arte  fé'  pasture 

Da  pigliare  occhi  per  aver  la  mente, 
In  carne  umana,  o  nelle  sue  pitture. 
Tutte  adunate  parrebber  niente 

Ver  lo  piacer  diviu,  che  mi  rifulse 
Quando  mi  volsi  al  suo  viso  ridente. 
E  la  virtù,  che  lo  sguardo  m'  indulse, 
Del  bel  nido  di  Leda  mi  divelse, 
E  nel  ciel  velocissimo  m'  impulse. 
Le  parti  sue  vivissime  ed  eccelse 
Si  uniformi  son,  che  io  non  so  dire 
Qual  Beatrice  per  loco  mi  scelse. 
Ma  ella,  che  vedeva  il  mio  disire. 
Incominciò  ridendo  tanto  lieta. 
Che  dio  parca  nel  volto  suo  gioire. 
La  natura  del  mondo ,  che  quieta 
Il  mezzo,  e  tutto  lo  altro  intorno  move, 
Quinci  comincia  come  da  sua  meta. 
E   questo  ciclo  non  ha  altro  dove, 

Che  la  mente  divina,  in  che  si  accende 
Lo  amor  che  il  volve,  e  la  virtù  eh'  ei  piove. 
Luce  ed  amor  di  un  cerchio  lui  comprende 
Sì,  come  questo  li  altri,  e  quel  precinto 
Colui ,  che  il  cinge ,  solamente  intende. 
Non  è  suo  moto  per  altro  distinto  : 
Ma  li  altri  son  misurati  da  questo, 
Sì  come  diece  da  mezzo  e  da  quinto. 
E ,  come  il  tempo  tenga  in  cotal  testo 
Le  sue  radici ,  e  nelli  altri  le  fronde, 
Omai  a  te  puot'  esser  manifesto. 
Oh  cupidigia,  che  i  mortali  ailonde 
Sì  sotto  te,  che  nessuno  ha  podere 
Di  trarre  li  occhi  for  delle  tue  onde  ! 
Ben  fiorisce,  nelli  omini  'l  volere: 
Ma  la  pioggia  continua  converte 
In  hozzacchioni  le  susine  vere. 
Fede  ed  innoceirzia  son  reperto 

Solo  nei  pargoletti:  e  poi  ciascuna 
Pria  fugge  che  le  guance  sien  coperte. 
Tale,  balbuziendo,  ancor  digiuna, 
Che  poi  divora  con  la  lingua  sciolta 
Qualunque  cibo  per  qualunque  luna: 
E  tal  balbuziendo  ama  ed  ascolta 

La  madre  sua,  che  con  loquela  intera 
Disia  poi  di  vedcila  sepolta. 
Così  si  fa  la  pelle  bianca  nera 
Nel  primo  aspetto  della  bella  figlia 
Di  quel ,  che  apporta  mane  e  lascia  sera. 
Tu ,  per  che  non  ti  facci  maraviglia. 
Sappi  che  in  terra  non  è  chi  governi: 
Onde  si  svia  la  lunana  famiglia. 
Ma  prima  che  Gennajo  tutto  si  sverni. 
Per  la  ccntesma ,  eh'  è  là  giù  negletta, 
Ruggeran  sì  questi  cerchi  superni, 
Che  la  fortuna,  che  tanto  si  aspetta, 
Le  poppe  volgerà  u  son  le  prore 
Sì,  che  la  classe  correrà  diretta: 
E  vero  frutto  verrà  dopo  il  fiore. 


221] 


PARADISO.  (XXVIII.     1  —  125) 


[222] 


CANTO     XXVIII. 


ARGOMENTO. 

Visione  delia  divina  essenza ,   circondata  dai  nove 
degli  angeli  distinti  in  tre  gerarchie. 

Poscia  che  contro  alla  vita  presente 
Dei  miseri  mortali  aperse  il  vero 
Quella  che  imparadisa  la  mia  mente, 

Come  in  ispecchio  fianmia  di  doppiero 
Vede  colui ,  che  se  ne  altuma  retro, 
Prima  «he  1'  abbia  in  vista  od  in  pensiero, 

E  gè  rivolve  per  veder,  se  il  vetro 

Li  dice  il  vero ,  e  vede  eh'  el  si  accorda 
Con  esso ,  come  nota  con  suo  metro  ; 

Così  la  mici  memoria  si  ricorda 

Che  io  feci ,  riguardando  nei  belli  occhi. 
Onde  a  piji^liarmi  fece  amor  la  corda: 

E,  come  io  mi  rivolsi,  e  furon  tocchi 
Li  miei  da  ciò  che  pare  in  quel  volume. 
Quandunque  nel  suo  giro  ben  si  adocchi, 

Un  punto  vidi  che  raggiava  lume 

Acuto  sì,  che  il  viso,  eh'  egli  affoca, 
Chiuder  conviensi  per  Io  forte  acume. 

£  quale  stella  par  quinci  più  poca. 
Parrebbe  luna ,  locata  con  esso, 
Come  stella  con  stella  si  colloca. 

Forse  cotanto,  quanto  pare  a  presso 
Alò  cigner  la  luce  che  il  dipigne. 
Quando  il  vapor ,  che  il  porta ,  più  è  spesso. 

Distante  intorno  al  punto  un  cerchio  d'  igne 
Si  girava  sì  ratto ,  ehe  avria  vinto 
Quel  moto,  che  più  tosto  il  mondo  cigne: 

E  questo  era  da  un  altro  circoncinto, 

E  quel  dal  terzo,  e  il  tcr/o  poi  dal  quarto, 
Dal  quinto  il  quarto,  e  poi  dal  gesto  il  quinto. 

Sopra  scn  giva  il  settimo  sì  sparto 

Già  di  larghezza,  che  il  messo  di  Juno 
Intero  a  contenerlo  sarebbe  arto  : 

Così  r  ottavo,  e  il  nono:  e  ciascheduno 
Più  tardo  si  movea ,  secondo  eh'  era 
In  nimiero  distante  più  dallo  uno  : 

E  quello  avoa  la  fiamma  più  sincera, 
Cui  raen  distava  la  favilla  jìura. 
Credo  però  che  più  di  lei  s'  invera. 

La  donna  mia,  che  mi  vedeva  in  cura 
Forte  sospeso,  disse:  da  quel  punto 
Uepende  il  cielo  e  tutta  la  natura. 

Mira  quel  cerchio  che  più  li  è  congiunto, 
E  sappi,  che  il  suo  movere  è  si  tosto 
Per  lo  affocato  amore,  ond'  egli  è  punto. 

Ed  io  a  lei  :  se  il  mondo  fosse  posto 

Con  r  ordine,  che  io  veggio  in  quelle  rote, 
Sazio  mi  avrebbe  ciò  che  mi  ù  proposto: 

Ma  nd  mondo  sensibile  si  piu)tc 
Veder  le  cose  tanto  più  divine. 
Quanto  elle  son  dal  centro  più  remote. 

Onde ,  so  il  mio  disio   dee  aver  fine 
In  questo  miro  ed  angelit^o  tempio. 
Che  solo  amore  e  luce  ha  per  confine, 

Udir  convicmmi  ancor,  come  Io  esemplo 
E  Io  esemplare  non  vanno  di  un  modo  ; 
Che  io  per  me  indarno  a  ciò  contemplo. 

Se  li  tuoi  diti  min  sono  a  tal  nodo 


Sufficienti ,  non  è  maraviglia, 
Tanto  per  non  tentare  è  fatto  sodo. 

Così  la  donna  mia  ;  poi  disse  :  piglia 
Quel  che  io  ti  dicerò ,  se  vuoi  saziarti. 
Ed  intorno  da  esso  ti  assottiglia! 

Li  cerchi  corporali  sono  ampi  ed  arti 
Secondo  il  più  e  il  men  della  virtute. 
Che  si  distende  per  tutte  lor  parti. 

Maggior  bontà  vuol  far  maggior  salute: 
Maggior  salute  maggior  corpo  cape, 
S'  egli  ha  le  parti  ugualmente  compiute. 

Dunque  costui,  che  tutto  quanto  rape 
Lo  alto  universo,  secondo,  risponde 
Al  cerchio  che  più  ama  e  che  più  sape. 

Per  che  se  tu  alla  virtù  circondo 
La  tua  misur*,  non  alla  parvenza 
Delle  sostanze  che  ti  appajon  tonde, 

T«i  vederai  mirabii  conveuenza 

Di  maggio  a  piùe,  e  di  minore  a  meno. 
In  ciascun  cielo ,  a  sua  intelligenza. 

Come  rimane  splendido  e  sereno 

Lo  emispero  dello  aere,  quando  soffia 
Borea  da  quella  guancia  ond'  è  più  leno, 

Per  che  si  purga,  e  risolve  la  roffia, 
Che  pria  turbava,  sì  che  il  ciel  ne  ride 
Con  le  bellezze  di  ogni  sua  poroffia; 

Così  fec'  io  poi  che  mi  provvide 

La  donna  mia  del  suo  risponder  chiaro, 
E  come  stella  in  cielo  il  ver  si  vide, 

E,  poi  che  le  parole  sue  ristaro, 
JNon  altrimenti  ferro  dirfavilla 
Cile  bolle,  come  i  cerchi  sfavillaro. 

Lo  incendio  lor  seguiva  ogni  scintilla: 
Ed  erau  tante ,  che  il  numero  loro 
Più  che  il  doppiar  delli  scacchi  s'  immilla- 
lo sentiva  osannar  di  coro  in  coro 
Al  punto  fìsso ,  che  li  tiene  aili   ubi, 
E  terrà  sempre,  nei  quai  sempre  foro: 

E  quella,  che  vedeva  i  pensier  dubi 
Nella  mia  mente,  disse:  i  cerchi  primi 
Ti  hanno  mostrato  serali  e  cherùbi. 

Così  veloci  segiumo  i  soni  vimi. 

Per  simigliarsi  al  punto  quanto  ponno, 
E  possnn  quanto  a  veder  snn  sublimi. 

Quelli  altri  amori,  che  intorno  li  vunno, 
Si  chiaman  troni  del  divino  aspetto, 
Per  che  il  primo  tcrnaro  terminouno. 

E  dei  siipcr  che  tutti  hanno  diletto. 
Quanto  la  sua  veduta  si  profonda 
Nel  vero,  in  che  sì  queta  ogni  intelletto. 

Quinci  si  può  veder,  come  si  fonda 
Lo  esser  beato  nello  atto  che  vede. 
Non  in  quel  che  ama ,  c-lie  poscia  socomla  : 

E  del  vedere  è  misura  mercede. 

Che  grazia  i)artoris<e  e  l)ona  voglia; 
Così  di  grado  in  gratlo  si  procede. 

Lo  altro  fernaro ,  che  così  gernu)glia 
In  questa  primavera  sempiterna. 
Che  notturno  ariete  non  dispoglia, 

Perpetualenu;nte  osaima  sverna 

Con  tre  melòde,  che  sonano  in  treo 
Ordini  di  h-ti/.i.i  onde  s'  interna. 

Io  essa  gerarchia  son  le  alle  dee. 
Prima  dominazioni,  e  poi  viitudi: 
L'  online  <«tzo  di  pndestadi  ce. 

Poscia  nei  due  penultimi  tripudi 
Principati  ed  arcangeli  ^i  girano  : 


[223] 


PARADISO.  (XKVITT.  12«— 130.  XXIX.  1—1  Oìr) 


[224] 


Lo  ultimo  è  tutto  di  angelici  ludi. 

Questi  ordini  di  su  tutti  si  ammirano, 
E  di  giù  vincon  sì ,  che  verso  dio 
Tutti  tirati  sono  e  tutti  tirano. 

E  Dionisio  con  tanto  disio 

A  contemplar  questi  ordini  si  mise, 
Che  li  nomò,  e  distinse  come  io. 

Ma  Gregorio  da  lui  poi  si  divise: 
Onde,  sì  tosto  come  li  occhi  aperse 
In  questo  ciel ,  di  sé  mede^mo  rise. 

E  ,  se  tanto  secreto  ver  profTerse 

Mortale  in  terra ,  non  voglio  che  ammiri 
Che  chi  '1  vide  qua  su  liei  discoperse, 

Con  altro  assai  del  ver  di  questi  giri. 


CANTO  xxrx. 


ARGOMENTO. 

Creazione  e  ribcUione  degli  angeli.     Invettiva  contro 
a'  vani  e  cattivi  predicatori. 

Quando  amho  e  due  li  figli  di  Latona 

Coperti  del  montone  e  della  libra 

Fanno  dell'  orizzonte  insieme  zona, 
Quanto  è  dal  punto  che  il  zenit  i  libra, 

Iiifin  che  lo  uno  e  lo  altro  da  quel  cinto 

Cambiando  lo  eniisperio  si  dilibra, 
Tanto  col  volto  di  riso  dipinto 

Si  tacque  Beatrice  riguardando 

Fiso  nel  punto  che  mi  aveva  vinto  : 
Poi  cominciò  :  io  dico ,  e  non  dimando 

Quel  che  tu  vuoi  udir,  per  che  io  I'  ho  visto 

Ove  si  appunta  ogni  ubi  ed  ogni  quando. 
Non  per  avere  a  sé  di  bene  acquisto, 

Ch'  esser  non  può ,  ma  per  che  suo  splendore 

Potesse  risplendendo  dir  :  suhsisto. 
In  sua  eternità  di  tempo  fore,  , 

For  di  ogni  altro  comprender,  come  i  piacque, 

Si  aperse  in  nove  amor  lo  eterno  amore. 
]\è  prima  quasi  torpente  si  giacque  : 

Cbè  né  prima ,  né  poscia  procedette 

Lo  discorrer  di  dio  sopra  queste  acque. 
Forma  e  materia  congiimte  e  pnrette 

l  sciro  ad  esser  che  non  avea  fallo. 

Come  di  arco  tricordo  tre  saette; 
E,  come  in  vetro,  in  aml)ra,  od  in  cristallo 

Raggio  risplende  si ,  che  dal  venire 

Allo  esser  tutto  non  é  intervallo, 
Cofì  'l  triforme  efletto  dal  suo  sire 

Nello  esser  suo  raggiò  insieme  tutto 

Sanza  disten...ion  nello  esordire. 
(Concreato   fu  onliiie  e  costrutto 

Alle  Mistan/ii-,  e  quelle  t'oron  cima 

"Sci  mondo,  in  clie  puro  atto  fu  prodotto. 
Pura  potenzia  tenne  la  parte  ima: 

>(;l  iiHZZ<i  strinse  potenzia  con  atto 

Tal  vime,  <  In;  giauunai  non  si  divima. 
JertHiiuio  vi  seri-se  lungo  tratto 

Dei  secoli  delli  anj^eli  creati, 

Anzi  che  lo  altro  mondo  fosse  fatto. 
Ma  qucBto  vero  è  ecritto  in  molti  lati 


Dalli  scrittor  dello  spirito  santo: 
E  tu  te  ne  avvedrai ,  se  bene  guati. 
Ed  anche  la  ragione  il  vede  alquanto. 
Che  non  concederebbe,  che  i  motori 
Sanza  sua  perfezion  fosser  cotanto. 
Or  sai  tu  dove  e  quando  questi  amori 
Furon  eletti  e  come  ;  sì  che  spenti 
Nel  tuo  disio  già  sono  tre  ardori. 
Né  giugneriesi  ,  numerando ,  al  venti 
Sì  tosto  ,  come  delli  angeli  parte 
Turbò  il  subietto  dei  vostri  elementi. 
L'  altra  rimase ,  e  cominciò  quest'  arte, 
Che  tu  discerni,  con  tanto  diletto. 
Che  mai  da  circuir  non  si  diparte. 
Principio  del  cader  fu  il  maladctto 
Superbir  di  colui ,  che  tu  vedesti 
Da  tutti  i  pesi  del  mondo  costretto. 
Quelli,  che  vedi  qui,  furon  modesti 
A  riconoscer  sé  della  bontate, 
Che  li  avea  fatti  a  tanto  intender  presti: 
Per  che  le  viste  lor  furo  esaltate 

Con  grazia  illuminante  e  con  lor  merto 
Sì,  che  hanno  piena  e  ferma  volontate. 
E  non  voglio  che  dubbi ,  ma  sii  certo, 
Che  ricever  la  grazia  è  meritóro. 
Secondo  che  lo  affetto  1'  è  aperto. 
Ornai  dintorno  a  questo  consistoro 

Puoi  contemplare  assai ,  se  le  parole  , 
Mie  son  ricolte,  senz'  altro  ajutoro. 
Ma  per  che  in  terra  per  le  vostre  scole 
Si  legge,  che  l'  angelica  natura 
E  tal,  che  intende,  e  si  ricorda,  e  vuole; 
Ancor  dirò,  per  che  tu  veggi  pura 
La  verità ,  che  là  giù  si  confonde, 
Equivocando  in  sì  fatta  lettura. 
Queste  sustanzie,  poi  che  fur  gioconde 
Della  faccia  di  dio ,  non  volser  viso 
Da  essa,  da  cui  nulla  si  nasconde; 
Però  non  hanno  vedere  interciso 

Da  novo  obbietto,  e  però  non  bisogna 
Rimemorar  per  concetto  diviso. 
Sì  che  là  giù  non  dormendo  si  sogna, 
Credendo  e  non  credendo  dicer  vero: 
Ma  nello  uno  è  più  colpa  e  più  vergogna. 
Voi  non  andate  giù  per  un  sentiero, 
Filosofando;  tanto  vi  trasporta 
Lo  amor  dell'  apparenza,  e  il  suo  pensiero- 
Ed  ancor  questo  qua  su  si  comporta 

Con  men  disdegno,  che  quando  é  posposta 
La  divina  scrittura,  o  quando  è  torta. 
Non  vi  si  pensa  quanto  sangue  costa 
Seminarla  nel  mondo ,  e  quanto  piace 
Chi  umilmente  con  essa  si  accosta. 
Per  apparer  ciascun  s'  ingegna ,  e  face 
Sue  invenzioni ,  e  quelle  son  trascorse 
Dai  predicanti,  e  il  vangelio  si  tace. 
Un  dice,  che  la  luna  si  ritorse 

Nella  passion  di  Cristo,  e  s'  interpose. 
Per  che  il  lume  del  sol  giù  non  si  porse 
E  mente  ;  che  la  luce  si  nascose 
Da  sé:  però  all'  Ispani  e  all'  Indi, 
Come  ai  Giudei,  tale  eclissi  rispose. 
Non  ha  Firenze  tanti  Lapi  e  Hindi, 
Quante  sì  fatte  favole  per  anno 
In  pergamo  si  gridan  quinci  e  quindi: 
Sì ,  che  le  pecorelle ,  che  non  sanno, 
Tornan  dai  pasco  pasciute  di  vento, 


225] 


PARADISO.  (XXIX.  108  —  145.   XXX.  1^79^ 


E  non  le  scusa  non  veder  lo  danno, 
fon  disse  Cristo  al  suo  primo  convento  : 
Andate  e  predicate  al  mondo  ciance. 
Ma  diede  lor  verace  fondamento  : 
^  quel  tanto  sonò  nelle  sue  guance 
Si ,  che  a  pugnar ,  per  accender  la  fede, 
Dello  evangelio  fero  scudi  e  lance. 
|[)ra  si  va  con  motti  e  con  iscede 
A  predicare ,  e  pur  che  ben  si  rida. 
Gonfia  il  cappuccio,  e  più  non  si  richiede. 
Uà  tale  uccel  nel  becchetto  si  annida, 
Che ,  se  il  volgo  il  vedesse ,  non  torrebbe 
La  perdonanza,  di  che  si  confida. 

[Per  cui  tanta  stoltezza  in  terra  crebbe, 

j    Che  sanza  prova  di  alcun  testimonio 
Ad  ogni  promission  si  converrebbe. 
i  questo  ingrassa  il  porco  santo  Antonio, 
Ed  altri  assai,  che  sono  ancor  più  porci. 
Pagando  di  moneta  sanza  conio. 

Ma,  per  che  sem  digressi  assai,  ritorci 
Li  occhi  oramai  verso  la  dritta  strada 
Sì,  che  la  via  col  tempo  si  raccorci  ! 

Questa  natura  sì  oltre  s'ingrada 

In  numero ,  che  mai  non  fu  loquela, 
Kè  concetto  mortai  che  tanto  vada. 

E,  se  tu  guardi  quel  che  si  rivela 
Per  Daniel ,  vedrai  che  in  sue  migliaja 
Determinato  numero  si  cela. 

La  prima  luce,  che  tutta  la  raja, 
Per  tanti  modi  in  essa  si  ricepe, 
Quanti  son  li  splendori ,  a  che  si  appaja. 

Onde ,  però  che  allo  atto  che  concepc 
Segue  lo  afTetto ,  di  amor  la  dolcezza 
Diversamente  in  essa  ferve  e  tepe. 

Vedi  lo  eccelso  omai  e  la  larghezza 
Dello  eterno  valor,  poscia  che  tanti 
Speculi  fatti  si  ha ,  in  che  si  spezza, 

Uno  manendo  in  sé  come  davanti. 


CANTO     XXX. 

JRGOMENTO. 

Ascensione  aW  empireo.  Trionfo  degli  angeli  e  de 

Forse  seimila  miglia  di  lontano 

Ci  ferve  la  ora  sesta,  e  questo  mondo 
China  già  la  oinl)ra  quasi  al  letto  piano, 

Quando  il  mezzo  del  cielo  a  noi  profondo 
Comincia  u  farsi  tal  ,  che  alcuna  stella 
Perde  il  parere  iiifìno  n  questo  fondo: 

E,  come  vien  la  chiarissima  ancella 

Del  81)1   più  oltre,  così  il  del  si  chiude 
Di  vista  in  vista  infino  alla  più  bella; 

Non  altrimenti  'I  trionfo  ,  che  Inde 

Sempre  dintorno  al  punto  che  mi  vinse, 
Parendo  inchiuao  da  quei  eh'  cgl'  inchiudc, 


beati. 


[226] 


A  poco  a  poco  al  mio  veder  si  estinse: 
Per  che  tornar  con  li  occhi  a  Beatrice 
Kulla  vedere  ed  amor  mi  costrinse. 
Se  quanto  infìno  a  qui  di  lei  si  dice 
Fosse  conchiuso  tutto  in  una  loda, 
Fora  sarebbe  a  fornir  questa  vice. 
La  bellezza,  che  io  vidi,  si  trasmoda 

Non  pur  di  là  da  noi ,  ma  certo  io  credo, 
Che  solo  il  suo  fattor  tutta  la  goda. 
Da  questo  passo  vinto  mi  concedo 

Più  che  giammai  da  punto  di  suo  tema 
Suprato  fosse  comico   o  tragedo. 
Che ,  come  sole  il  viso  che  più  trema 
Così  lo  rimembrar  del  dolce  riso 
La  mente  mia  da  sé  medesma  scema. 
Dal  primo  giorno  che  io  vidi  '1  suo  viso 
In  questa  vita,  insino  a  questa  vista, 
Non  è  il  seguire  al  mio  cantar  preciso;        j 
Ma  or  convien ,  che  il  mio  seguir  desista' 
Più  dietro  a  sua  bellezza  poetando, 
Come  allo  ultimo  suo  ciascuno  artista. 
Cotal,  qual  io  la  lascio  a  maggior  bando 
Che  quel  della  mia  tuba,  che  deduce 
L'  ardua  sua  materia  terminando, 
Con  atto  e  voce  di  spedito  duce 
Ricominciò  :  noi  semo  usciti  fore 
Del  maggior  corpo  al  ciel  eh'  è  pura  luce: 
Luce  ìntellettual  piena  di  amore. 
Amor  di  vero  ben  pien  di   letizia. 
Letizia  che  trascende  ogni  dobuore. 
Qui  vederai  la  una  e  1'  altra  milizia 
Di  paradiso,  e  la  una  in  quelli  aspetti 
Che  tu  vedrai  alla  ultima  giustizia. 
Come  subito  lampo,  che  discetti 
Li  spiriti  visivi  sì  che  priva 
Dello  atto  1'  occhio  dei  più  forti  obbietti, 
Cosi  mi  circonfulse  luce  viva, 
E  lasciommi  fasciato  di  tal  velo 
Del  suo  fulgor,  che  nulla  mi  appariva. 
Sempre  lo  amor ,  che  queta  questo  cielo, 
Accoglie  in  sé  con  si  fatta  salute, 
Per  far  disposto  a  sua  fiamma  il  candelo. 
Non  fur  più  tosto  dentro  a  me  venute  i 

Queste  parole  brievi  ,  che  io  compresi 
Me  sormontar  di  sopra  a  mia  viriate; 
E  di  novella  vista  ini  raccesi 

Tale,  che  nulla  luce  è  tanto  mera. 
Che  li  occhi  miei  non  si  fosser  difesi: 
E  vidi  lume  in  forma  di  rivera 
Fulvido  di  fulgóri,  intra  due  rive 
Dipinte  di  mirabil  primavera. 
Di  tal  fiumana  uscian  faville  vive, 
E  da  ogni  parte  si  inettean  nei  fiori, 
Quasi  rubin  che  oro  circ(»n-;cri\e. 
Poi ,  «;ome  inebriate  dalli  odori, 
lliprofondavan  su  nel  miro  gnrge, 
E,  se  una  cntr.oa,  un    altra  no  usria  fuori. 
Lo  alto  disio  ,  che  ino  t'inriaiiiiiia  ed  urge. 
Di  aver  notizia  di  ciò  clie  tu  ^ei. 
Tanto  mi  piace  più  quanto  più  tnrgc. 
Ma  ili   ipiesl'  acqua  eon\ien  che  tu  bei 
Prima  elie  tanta  sete  in  te  si  sazii  ; 
Cosi  ini  disse  il  sol  delli  ocrhi  mici: 
Anrlie  soggiunse:  il  fiume,  e  li  topazii, 
('II'  entrai)  ed  escoii ,  e  il  rider  «lell'  erbe 
Son  di  lor  ^ero  ombriferi  prefa/.ii: 
Non  che  du  su  Hien  questo  coso  acerbe, 

15 


[22T] 


PARADISO.      (XXX.  80  — 148.    XXXL  1—48) 


[228] 


Ma  è  il  difetto  dalla  parte  tua, 
Che  non  hai  viste  ancor  tanto  superbe. 
Non  è  fantin  che  sì  subito  rua 

Col  volto  verso  il  latte,  se  si  svegli 
Molto  tardato  dalla  usanza  sua, 
Come  fec'  io  per  far  migliori  speglj 

Ancor  delii  occhi,  chinandomi  alla  onda 
Che  si  deriva  ,  per  che  vi  simmegli. 
E  ,  sì  come  di  lei  bevve  la  gronda      'y^rx)  ;  y 
Delle  palpebre  mie,  così  mi  parve 
Di  sua  lunghezza  divenuta  tonda. 
Poi,  come  gente  stata  sotto  larve. 

Che  pare  altro  che  prima,  se  si  sveste 
La  sembianza  non  sua  in  che  disparve, 
Così  mi  si  cambiare  in  maggior  feste 
Li  fiori  e  le  faville  sì,  che  io  vidi 
Ambe  le  corti  del  ciel  manifeste. 
Oh  isplendor  di  dio ,  per  cu'  io  vidi 
Lo  alto  trionfo  del  regno  verace, 
Dammi  virtude  a  dir  come  io  lo  vidi  ! 
Lume  è  là  su  che  visibile  face 
Lo  creatore  a  quella  creatura. 
Che  solo  in  lui  vedere  ha  la  sua  pace: 
E  si  distende  in  circular  figura 
In  tanto ,  che  la  sua  circonferenza 
Sarebbe  al  sol  troppo  larga  cintura. 
Fassi  di  raggio  tutta  sua  parvenza, 
Reflesso  al  sommo  del  mobile  primo, 
Che  prende  quindi  vivere  e  potenza: 
E ,  come  clivo  in  acqua  di  suo  imo 
Si  specchia  quasi  per  vedersi  adorno. 
Quanto  è  nell'  erbe  e  nei  fioretti  opimo, 
Sì  eoprastando  al  lume  intorno  intorno 
Vidi  specchiarsi  in  più  di  mille  soglie. 
Quanto  da  noi  là  su  fatto  ha  ritorno. 
E  ,  se  lo  inSmo  grado  in  sé  raccoglie 
Si  grande  lume  ,  quanta  è  la  larghezza 
Di  questa  rosa  nell'  estreme  foglie? 
La  vi^ta  mia  nello  ampio  e  nell'  altezza 
Xon  si  smarriva,  ma  tutto  prendeva 
11  quanto  e  il  quale  di  quella  allegrezza. 
Presso  0  lontano  li  né  pon ,  né  leva  : 
Che,  dove  dio  senza  mezzo  governa. 
La  legge  naturai  nulla  rilieva. 
Nel  giallo  della  rosa  sempiterna. 
Che  si  dilata,  digrada,  e  ridole 
Odor  di  lode  al  sul,  che  sempre  verna, 
Qual  é  colui  che  tace  e  dicer  vuole, 
Mi  trasse  Beatrice  ,  e  disse  :  mira 
Quanto  è  il  convento  delle  bianche  stole  ! 
Vedi  nostra  città  quanto  ella  gira! 
Vedi  li  nostri  scannLsì  ripieni, 
Che  poca  gente  omai  ci  si  disira! 
In  quel  gran  seggio,  a  che  tu  li  orchi  tieni. 
Per  la  corona  che  già  vi  è  su  posta, 
Prima  che  tu  a  queste  nozze  ceni. 
Sederà  1'  alma,  che  fia  giù  augosta 

Dello  alto  Arrigo,  che  a  dri/.zare  Italia 
Verrà  in  prima  eh'  ella  sia  disposta. 
La  cieca  cupidigia,  che  vi  ammalia. 
Simili  fatti  vi  ha  al  fantolino. 
Chi;  inuor  di  fame  e  caccia  via  la  balia; 
E  fia  prefetto  nel  foro  divino 
Allora  tal ,  che  palese  e  coverto 
Non  anderà  cr»n  lui  per  un  cammino. 
Ma  poco  poi  Harà  da  dio  solferto 
Nei  santo  ufficio  :  eh'  el  e&ià  detruso 


Là  dove  Simon  mago  è  per  suo  merto, 
E  farà  quel  di  Alagna  esser  più  giuso. 


CANTO    XXXI. 


ARGOMENTO. 

Due  corti  celesti.     Beatrice  sul  suo  trono    manda   an 
Bernardo  al  poeta.  Gloria  della  reina  del  cielo. 


In  forma  dunque  di  candida  rosa 
Mi  si  mostrava  la  milizia  santa, 
Che  nel  suo  sangue  Cristo  fece  sposa. 

Ma  r  altra,  che  volando  vede  e  canta 
La  gloria  di  colui  che  la  innamora, 
E  la  bontà  che  la  fece  cotanta. 

Sì  u>me  schiera  di  api  che  s'  infiora, 
Una  fiata,  ed  altra  si  ritorna 
Là,  dove  il  suo  lavoro  s'insapora. 

Nel  gran  fior  discendeva,  che  si  adorna 
Di   tante  foglie,  e  quindi  risaliva 
Là ,  dove  il  suo  amor  sempre  soggiorna. 

Le  facce  tutte  avean  di  fiamma  viva, 
E  le  ali  di  oro ,  e  lo  altro  tanto  bianco, 
Che  nulla  neve  a  quel  termine  arriva. 

Quando  scendean  nel  fior  di  banco  in  banco, 
Porgevan  della  pace  e  dello  ardore, 
Ch'  elli  acquistavan  ventilando  il  fianco. 

Né  lo  interporsi  tra  il  disopra  e  il  fiore 
Di  tanta  plenitudine  volante 
Impediva  la  vista  e  lo  splendore; 

Che  la  luce  divina  è  penetrante 

Per  lo  universo ,  secondo  eh'  è  degno, 
Si  che  nulla  le  puote  essere  ostante. 

Questo  sicuro  e  gaudioso  regno. 

Frequente  in  gente  antica  ed  in  novella, 
Viso  ed  amore  avea  tutto  ad  un  seguo. 

Oh  trina  Iure ,  che  in  unica  stella 
Scintillando  a  lor  vista  sì  li  appaga. 
Guarda  qua  giuso  alla  nostra  procella] 

Se  i  Barbari  venendo  da  tal  plaga. 
Che  ciascun  giorno  di  Elice  si  copra. 
Rotante  col  suo  figlio  nnd'  ella  è  vaga, 

V'eggendo  Roma  e  1'  ardua  sua  opra 
Stiipefaceansi,  quando  Laterano 
Alle  cose  mortali  andò  di  sopra; 

Io,  eh'  era  al  divino  dallo  umano. 
Ed  allo  eterno  dal  tempo  venuto, 
E  di  Fiorenza  in  popol  giusto  e  sano, 

Di  <!he  stupor  dovca  esser  compiuto  ! 
C(;rto  tra  es>o  e  il  gaudio  mi  facea 
Libito  non  udire ,  e  starmi  muto. 

E,  quasi  peregrio  che  si  ricrea 

Nel  tempio  del  suo  voto  riguardando, 
E  spera  già  ridir  com'  egli  stea, 

Si  per  la  viva  luce  passeggiando 
Menava  io  li  occhi  per  li  gradi, 
Mu  su,  mo  giù,  e  mu  ricircolando. 


229] 


PARADISO.      (XXXJ.  49-142.  XXXII.  1—23) 


[230] 


S  redea  Tisi  a  carità  guadi 
Di  altrui  lume  fregiati  e  del  suo  riso, 
£  di  atti  ornati  di  tutte  onestadi. 
La  forma  general  di  paradiso 
Già  tutta  lo  mio  sguardo  avea  compresa, 
lu  nulla  parte  ancor  fermato  fiso: 
E  volgeami  con  voglia  riaccesa 
Per  dimandar  la  mia  donna  di  cose, 
Di  che  la  mente  mia  era  sospesa. 

Uno  intendeva,  ed  altro  mi  rispose: 
Credea  veder  Beatrice,  e  vidi  un  sene 
A'estito  con  le  genti  gloriose. 

Diffuso  era  per  li  occhi  e  per  le  gene 
Di  henigna  letizia  in  atto  pio, 
Quale  a  tenero  padre  si  conviene. 

E,d,  ella  ov'è  ?  di  subito  diss'  io. 
Ond'  egli:  a  terminar  lo  tuo  disiro 
Mosse  Beatrice  me  del  loco  mio  : 

E ,  se  riguardi  su  nel  terzo  giro 
Dal  sommo  grado,  tu  la  rivedrai 
Kel  trono ,  che  i  suoi  merti  le  sortirò. 

Senza  risponder  li  occhi  su  levai, 
E  vidi  lei  che  si  fiicea  corona, 
Riflettendo  da  sé  li  eterni  rai. 

Da  quella  region  ,  che  più  su  tuona. 
Occhio  mortale  alcun  tanto  non  dista. 
Qualunque  in  mare  più  giù  si  abhaudona, 

Quanto  lì  da  Beatrice  la  mia  vista  : 
Ma  nulla  mi  facea  ;  cliè  sua  effige 
Non  discendeva  a  me  per  mezzo  mista. 

Oh  donna,  in  cui  la  mia  speranza  vige, 
£  che  sufi'risti  per  la  mia  salute 
In  inferno  lasciar  le  tue  vestige. 

Di  tante  cose,  quante  io  ho  vedute, 
Dal  tuo  podere  e  dalla  tua  hontate 
Riconosco  la  grazia  e  la  virtute. 

Tu  mi  hai  di  servo  tratto  a  liliertate 
Per  tutte  quelle  vie,  per  tutt'  i  modi, 
Che  di  ciò  fare  avei  la  potestate. 

La  tua  munificenza  in  me  custodi. 

Sì  che  I  anima  mia,  che  fatta  hai  sana, 
Piacente  a  te  dal  corpo  si  disnodi! 

Cosi  orai,  e  quella  sì  lontana, 

Come  parea,  sorrise  e  riguardommì. 
Fui  si  tornò  alla  eterna  fontana. 

E  il  santo  sene:  acciò  che  tu  assommi 
Perfettamente,  disse,  il  tuo  cammino, 
A  che  prego  ed  amor  snnto  matidoinmi, 

Vola  con  li  ocelli  per  questo  giardino! 
Che  veder  lui  ti  acconcierà  lo  sguardo 
Più  a  montar  per  lo  raggio   divino. 

E  la  regina  del  ciel ,  onde  io  ardo 
Tutto  di  amore,  ne  farà  ogni  grazia. 
Però  che  io  sono  il  suo  fedel  Bernardo. 

Quale  è  colui,  che  forse  di  Croazia 
\iene  a  veder  la  Veronita  nostra. 
Che  per  l'anticii  fama  non  »i  sazia. 

Ma  dice  nel  pe^^icr,  fin  clic  si  mostra, 
Signor  mio  (ìisù  Cristc»  re  verace, 
Or  fu  sì  fatta  la  sembianza  vostra? 

Tale  era  io  mirando  la  vivace 

Carila  di  colui,  che  in  questo  mondo 
Cont('ni|il,mdo  gi^tò  di  quella  pace. 

i'iglioi  di  grazia,  questo  e.-<>tr  giocondo, 
(/ominriò  l'gli,  non  ti  sarà  noto 
Tenendo  li  pur  occhi  qua  gìuso  al  fondo: 

Mu  guarda  i  cerchi  lino  al  più  rimuto, 


Tanto  che  veggi  seder  la  regina. 
Cui  questo  regno  è  suddito  e  divoto! 

Io  levai  li  occhi  ;  e ,  come  da  mattina 
La  parte  orientai  dell'  orizzonte 
Soverchia  quella  dove  il  sol  declina. 

Così ,  quasi  di  valle  andando  a  monte 
Con  li  occhi  vidi  parte  nello   estremo 
Vincer  di  lume  tutta  l'altra  fronte. 

E,  come  quivi,  ove  si  aspetta  il   temo. 
Che  mal  guidò  Fetonte,  più  s'infiamma, 
E  quinci  e  quindi  il  lume  si  fa  scemo, 

Così  quella  pacifica  Orifiamma 

]\el  mezzo  si  avvivava,  e  da  ogni  parte 
Per  egual  modo  allentava  la  fiamma. 

Ed  a  quel  mezzo  con  le  penne  sparte 
Vid'  io  più  di  mille  angeli  festanti, 
Ciascun  distinto  e  di  fulgóre  e  di  arte, 

Vidi  quivi  ai  lor  giochi  ed  ai  lor  canti 
Ridere  una  bellezza,  che  letizia 
Era  nelli  occhi  a  tutti  li  altri  santi. 

E ,  se  io  avessi  in  dir  tanta  divizia, 
Quanta  in  immaginar,  non  ardirei 
Lo  minimo  tentar  di  sua  delizia. 

Bernardo,  come  vide  li  occhi  miei 
Nel  caldo  suo  caler  fissi  ed  attenti, 
Li  suoi  con  tanto  affetto  volse  a  lei, 

Che  i  miei  di  rimirar  fé'  più  ardenti. 


CANTO    XXXII. 


ARGOMENTO. 

San   Bernardo   dimostra   al  poeta  V  anime  beate  del 

vecchio    e    del    nuovo    testamento,    v  jsli  cliiuriicc  un 

dubbio  intorno  a'  bambini. 


Affetto  al  suo  piacer  qtiel  contemplante 

Libero  ufficio  di  dottore  assunse, 

E  cominciò  queste  parole  sante: 
La  piaga  che  Maria  richiuse  ed  unse, 

.Quella  che  tanto  è  bella  d.ii  suoi  piedi. 

£  colei  che  l'  aper.-e  e  che  la  pun»e. 
Neil'  ordine,  che  fanno  i  terzi  sedi, 

Siede  Rachel  di  sotto  da  costei 

Con  Beatrice,  sì  come  tu  vedi. 
|Sara,  Rebecca,  Judit,  e  colei, 
I      Che  fu  bisava  al  cantor  che  per  doglia 

Del  fallo  disse  Miscnrc  mei. 
Puoi  tu  veder  cosi  di  soglia  in  soglia 
1      Giù  digradar,  couie  io  «he  a  proprio  nome 
I      Vo   per  la  rosa  giù  di  foglia  in  foglia, 
E  dal  settimo  grado  in  giù,  m  come 

Insino  ad  es>o.  suicedono  Ebree, 

Diiiuund<t  dil  lior  tutte  le  chiome: 
Per  che.  secondo  lo  sguardo  che  fec 

La  fede  in  ('ri-to,  qucte  sono  il  muro 

A  chi!  si   p.irton  le  s.icre  scalee. 
Da  «picsta  partf,  onde  il  fiore  è  mnturo 

Di  tutte  le  sue  foglie,  sono  assisi 

15  * 


[231] 


PARADISO.     (XXXII.   24  —  151) 


[232] 


Quei,  che  credettero  in  Cristo  venturo. 

Dall'  altra  parte ,  orde  sono  intercisi 
Di  voto  i  semicircoli,  si  stanno 
Quei,  che  a  Cristo  venuto  ebber  li  visi. 

E ,  come  quinci  il   glorioso  scanno 

Della  donna  del  citlo,  e  li  altri  scanni 
Di  sotto  lui  cotanta  cerna  fanno, 

Cosi  di  contra,  quel  del  gran  Giovanni, 
Che  sempre  santo  il  diserto  e  il  niartiro 
Sofferse,  e  poi  lo  inferno  da  due  anni: 

E  sotto  lui  co>ì  cerner  sortirò 

Francesco ,  Benedetto ,  e  Augustino,  ' 
E  li  altri  sin  qua  giù  di  giro  in   giro. 

Or  mira  lo  alto  provveder  divino  : 

Che  lo  uno  e  lo  altro  aspetto  della  fede 
Egualmente  empierà  questo  giardino. 

E  sappi  che  dal  grado  in  giù,  che  fiede 
A  mezzo  il  tratto  le  due  discrezioni, 
Per  nullo  proprio  merito  si  siede, 

Ma  per  lo  altrui  con  certe  condizioni: 
Che  tutti  questi  sono  spiriti  assolti 
Prima  che  avesser  vere  elezioni. 

Ben  te  ne  puoi  accorger  per  li  volti, 
Ed  anche  per  le  voci   puerili. 
Se  tu  li  guardi  bene,  e  se  li  ascolti. 

Or  dubbi  tu,  e  dubitando  sili  : 
Ma  io  ti  solverò  forte  legame, 
In  che  ti  stringon  li  pensier  sottili. 

Dentro  all'  ampiezza  di  questo  reame 
Casual  punto  non  puote  aver  sito. 
Se  non  come  tristizia,  o  sete,  o  fame: 

Che  per  eterna  legge  è  stabilito 

Quantunque  vedi,  si  che  giustamente 
Ci  si  risponde  dallo  anello  al  dito. 

E  però  questa  festinata  gente 
A  vera  vita  non  è  sinc  causa 
Intra  sé  qui  più  e  meno  eccellente. 

Lo  rege,  per  cui  questo  regno  pausa 
In  tanto  amore  ed  in  tanto  diletto, 
Che  nulla  voiontade  è  di  più  ausa, 

Le  menti  tutte  nel  suo  lieto  aspetto 
Creando,  a  suo  piacer  di  grazia  dota 
Diversamente  :  e  qui  basti  Io  effetto. 

E  ciò  espresso  e  chiaro  vi  si  nota 
INella  scrittura  santa  in  quei  gemelli, 
Che  nella  madre  ebber  la  ira  comniota. 

Però,  secondo  il  color  dei  capelli 
Di  cotal  grazia ,  lo  altissimo  lume 
Degnamente  convien  che  s'incappelli. 

Dunque  sanza  mercè  di  lor  costume 
Locati  son  per  gradi  differenti, 
Sol  differendo  nel  primiero  acume. 

Bastava  lì  nei  secoli  recenti 

Con  la  innocenza,  per  aver  salute, 
Solamente  la  fede  dei  parenti. 

Poi  che  le  prime  etadi  fur  compiute, 
Convenne  ai  maschi  alle  innocenti  penne 
Per  circoncidere,  acquistar  virtute. 

Ma,  poi  clic  il  tempo  della  grazia  venne, 
Senza  battesmo  perfetto  di  Cristo 
Tale  innocenza  là  giù  si  ritenne. 

Riguarda  ornai  nella  faccia,  che  a  Cristo 
Più  si  assomiglia;  che  la  sua  chiarezza 
Sola  ti  può  disporre  a  veder  Cristo. 

Io  vidi  sopra  lei  tanta  allegrezza 
Piover,  portata  nelle  menti  sante 
Create  u  trasvolar  per  quell'  altezza. 


Che,  quantunque  io  avea  visto  davante. 
Di  tanta  ammirazion  non  mi  sospese, 
Né  mi  mostrò  di  dio  tanto  sembiante. 

E  quello  amor,  clic  primo  lì  discese, 
Ciuitando  Ave  Maria  gratta  piena; 
Dinanzi  a  lei  le  sue  ali  distese. 

Rispose  alla  divina  cantilena 
Da  tutte  parti  la  beata  corte 
Sì,  che  ogni  vista  sen  fé'  più  serena. 

Oh  santo  padre,  che  per  me  comporte 
Lo  esser  qua  giù,  lasciando  il  dolce  loco, 
Nel  qual  tu  siedi  per  eterna  sorte, 

Qual  è  quelle  angel,  che  con  tanto  gioco 
Guarda  nelli  occhi  la  nostra  regina, 
Innamorato  sì,  che  par  di  foco? 

Così  ricorsi  ancora  alla  dottrina 
Di  colui,  che  abbelliva  di  Maria, 
Come  del  sol  la  stella  mattutina. 

Ed  egli  a  me:  baldezza  e  leggiadria. 

Quanta  esser  puote  in  angelo  ed  in  alma, 
Tutta  è  in  lui,  e  sì  volcm  che  sia: 

Per  eh'  egli  è  quello,  che  portò  la  palma 
Giuso  a  Maria ,  quando  il  fìgliol  di  dio 
Carcar  si  volle  della  nostra  salma. 

Ma  vieni  omai  con  li  occhi,  sì  come  io 
Andrò  parlando,  e  nota  i  gran  patrie! 
Di  questo  imperio  giustissimo  e  pio! 

Quei  due,  che  seggon  là  su  più  felici. 
Per  esser  propinquissìmi  ad  Augusta, 
Son  di  està  rosa  quasi  due  radici. 

Colui ,  che  da  sinistra  le  si  aggiusta, 
E  il  padre  per  lo  cui  ardito  gusto 
La  umana  specie  tanto  amaro  gusta. 

Dal  destro  vedi  quel  padre  vetusto 

Di  santa  chiesa,  a  cui  Cristo  le  chiavi 
Raccomandò  di  questo  fior  venusto. 

E  quei ,  che  ■\ide  tutt'  i  tempi  gravi 
Pria  che  morisse,  della  bella  sposa, 
Che  si  acquistò  con  la  lancia  e  coi  davi, 

Siede  lunghesso:  e  lungo  lo  altro  posa 
Quel  duca,  sotto  cui  visse  di  manna 
La  gente  ingrata  mobile  e  ritrosa. 

Di  contro  a  Pietro  vedi  sedere  Anna 
Tanto  contenta  di  mirar  sua  figlia. 
Che  non  move  occhio  per  cantare  0sanna5 

E  contro  al  maggior  padre  di  famiglia 
Siede  Lucia,  che  mosse  la  tua  donna, 
Quando  chinavi  a  ruinar  le  ciglia. 

Ma,  per  che  il  tempo  fugge  che  ti  assonna, 
Qui  l'arem  punto,  come  buon  sartore 
Che,  com'  egli  ha  del  panno,  fa  la  gonna: 

E  drizzeremo  li  occhi  al  primo  amore. 
Sì  che,  guardando  verso  lui,  penetri 
Quanto  é  possibil  per  lo  suo  fulgore. 

Veramente,  né  forse,  tu  ti  arretri 

Movendo  le  ali  tue,  credendo  oltrarti: 
Orando  grazia  convien  che  s'impetri, 

Grazia  da  quella  che  puote  ajutarti: 
E  tu  mi  segui  con  l'affezione, 
Sì  che  dal  dicer  mio  lo  cor  non  parti  ! 

E  cominciò  quelita  santa  orazione. 


233] 


PARADISO.     (XXXIII.    1  —  122) 


CANTO    XXXIII. 


ARGOMENTO. 

Lodi  e  preghiere  alla  Vergine.  D.  contempla  svelata- 
mente  dio.  Giunto  al  termine  di  sue  brame,  ter- 
mina il  poema. 

Vergine  madre,  fifjlla  del  tuo  figlio, 
Liuile  ed  alta  piìi  che  creatura. 
Termine  fisso  di  eterno  consiglio, 
Tu  sei  colei  che  la  umana  natura 
Nobilitasti  si ,  che  il  suo  fattore 
jNon  disdegnò  di  farsi  sua  fattura. 
Nel  ventre  tuo  si  raccese  lo  amore, 

Per  lo  cui  caldo  nella  eterna  pace 

Così  è  germinato  questo  fiore. 
Qui  sei  a  noi  meridiana  face 

Di  caritade,  e  giuso  intra  mortali 

Sei  di  speranza  fontana  vivace. 
Donna,  sei  tanto  grande ,  e  tanto  vali, 

Che  qual  vuol  grazia,  e  a  te  non  ricorre, 

Sua  disianza  vuol  volar  senz'  ali. 
La  tua  benignità  non  pur  soccorre 

A  chi  dimanda,  ma  molte  fiate 

Liberamente  al  dimandar  precorre. 
In  te  misericordia,  in  te  pìetate, 

In  te  magnificenza ,  in  te  si  aduna 

Quantunque  in  creatura  è  di  bontate. 
Or  questi ,  che  dalla  infima  lacuna 

Dello  universo  in  sin  qui  ha  vedute 

Le  vite  spiritali  ad  una  ad  una. 
Supplica  a  te  per  grazia  di  virtute, 

Tanto  che  possa  con  li  occhi  levarsi 

l'iù  alto  verso  la  ultima  salute. 
Ed  io ,  che  mai  per  mio  veder  non  arsi 

Più  che  io  fo  per  lo  suo,  tutt'  i  miei  preghi 

Ti  porgo,  e  prego  che  non  sieno  scarsi, 
Per  che  tu  ogni  nube  li  disleghi 

Di  sua  mortalità  con  preghi  tuoi, 

Si  che  il  sommo  piacer  li  si  dispieghi. 
Ancor  ti  prego ,  regina ,  che  puoi 

Ciò  che  tu  vuoli,  che  cttnservi  sani, 

Dopo  tanto  veder,  li  allctti  suoi. 
Vinca  tua  guardia  i  movimenti  umani! 

Vedi  Beatrice  con  quanti   beati 

Per  li  miei  preghi  ti  chiudon  le  mani. 
Li  occhi  da  dio  diletti  e  venerati 

Fissi  neir  oratnr  ne  «liuinstraro. 

Quanto  i  devoti  preghi   le  son  grati. 
Indi  allo  eterno  hiuie  si  dri/.zaro, 

Nel  qual  non  si  dee  «reder  che  s'invii 

Per  creatura  Tocchio  tanto  chiaro. 
Ed  io,  che  al  fine  di    tutti  ì  di.->ii 

Mi  appropìinpiava  sì  come  io  dovca, 

Lo  ardor  del  ilcsidcrio  in  nx;  finii. 
Bernardo  mi  accennava,  e  surridea, 

Per  clic  io  guiirdassi  in  huso  :  ma  io  era 

(ìià  per  me  stesso  tal  (|ual  ei   volca: 
Che  la  mia   vista,  venenilo  >iiic<-i'ii, 

E  più  «•  più  entrava  per  lo  raggio 

Dell'  alla  liu'.e  die  d.i  >è  è  vera. 
Da  quinci  iiuianzi  il  mio  veder  fu  maggio 


[234] 


Che  il  parlar  nostro,  che  a  tal  vista  cede 
E  cede  la  memoria  a  tanto  oltraggio. 

Quale  è  colui  che  sonniando  vede, 
E  dopo  il  sogno  la  passione  impressa 
Rimane,  e  lo  altro  alla  mente  non  riede, 

Cotal  sono  io;  che  quasi  tutta  cessa 
Mia  visione,  ed  ancor  mi  distilla 
Kel  core  il  dolce  che  nacque  da  essa. 

Cosi  la  neve  al  sol  si  disigilla: 
Cosi  al  vento  nelle  foglie  levi 
Si  perdea  la  sentenza  di  Sibilla. 

Oh  somma  luce,  che  tanto  ti  levi 
Dai  concetti  mortali,  alla  mia  mente 
Ripresta  un  poco  di  quel  che  parevi, 

E  fa  la  lingua  mia  tanto  possente. 
Che  una  favilla  sol  della  tua  gloria 
Possa  lasciare  alla  futura  gente! 

Che  per  tornare  alquanto  a  mia  memoria, 
E  per  sonare  un  poco  in  questi  versi, 
Più  si  conceperà  di  tua  vittoria. 

Io  credo,  per  lo  acume  che  io  soffersi 
Del  vivo  raggio,  che  io  sarei  smarrito, 
Se  li  occhi  miei  da  lui  fossero  aversi. 

E  mi  ricorda,  che  io  fui  più  ardito 

Per  questo  a  sostener  tanto  che  io  giimsi 
Lo  aspetto  mio  col  valore  infinito. 

Oh  abbondante  grazia,  onde  io  presunsi 
Ficcar  lo  viso  per  la  luce  eterna 
Tanto,  che  la  veduta  vi  cnnsunsi! 

Nel  suo  profondo  vidi  che  s'interna 
Legato  con  amore  in  un  volume 
Ciò,  che  per  lo  universo  si  squaterna; 

Sustanza,  ed  accidenze,  e  Inr  costume, 
Quasi  condati  insieme  per  tal  modo. 
Che  ciò  che  io  dico  è  un  semplice  lume. 

La  forma  universal  di  questo  nodo 

Credo  che  io  vidi,  per  che  più  di  largo, 
Dicendo  questo,  mi  sento  che  io  godo. 

Un  punto  solo  mi  è  maggior  letargo, 
Che  venticinque  secoli  alla  impresa 
Che  fé'  Nettuno  ammirar  la  ombra  di  Argo. 

Cosi  la  mente  mia  tutta  sospesa 
Mirava  fissa,  immollile,  ed  attenta, 
E  sempre  di  mirar  faceasi  accesa. 

A  quella  luce  cotal  si  diventa, 
,Che  volgersi  da  lei  per  altro  aspetto 
E  impossibil  che  mai  si  consenta: 

Però  che  il  ben ,  eh'  è  del  vedere  obbìetto, 
l'utto  si  accoglie  in  lei  ;  e  for  di  quella 
E  difettivo   ciò  eh'  è  li   perfetto. 

Ornai  sarà  più  corta  mia  favella, 

Pure  a  quel  che  io  ricordo,  che  di  un   fante 
(^he  bagni  ancor  la  lingua  alla  iiiauinirlla: 

Non  per  che  più  che  un  semplice   ^elnl>iante 
Fosse  nel  vi^o  hiiiie  che  io  mirava. 
Che  tal   è  sempre  qual  »i  era   davaiite; 

"Ma  jxT  la  vi.^ta,  che  ^i  u\>al(ira\a 
In  me  •^^uardainlo  una  sola  parvenza, 
Mutandiiin'  io,  a  me  si  tra>aglia>a. 
Nella  profonda  o  chiara  sus>i...t(ii7.a 
Dello  alto  lume  |iar\eriui  tre  giri 
Di  tre  colori  e  di  una  <  (iiitinen/a: 

E  lo  un  dallo  altro,  come  Iri  da   iri, 
l'area  riflesso:  e  il  terzo  parca  foco 
(he  quinci  e  quindi  egiialiiieute  si  spiri. 
Oh  quanto  è  corto  il  dire,  e  come   fioco 

Al  mio  concetto!  o  questo  a  quel  che  io  vidi 


[235] 


PARADISO.     (XXXIII.    123—145) 


E  tanto,  che  non  basta  a  dicer  poco. 

Oh  hice  eterna,  che  sola  in  te  sidi. 
Sola  t'  intendi,  e  da  te  intelletta. 
Ed  intendente  te  ami  ed  arridi  ! 

Quella  circulazion,  che  si  concetta 
PareTa  in  te,  come  lume  riflesso 
Dalli  occhi  miei  alquanto  circonspetta, 

Dentro  da  sé  del  suo  colore  istcsso 
Mi  parve  pinta  della  nostra  effige  : 
Per  che  il  mio  tìso  in  lei  tutto  era  messo. 

Qual  è  il  geometra  che  tutto  si  affige 
Per  misurarlo  cerchio,  e  non  ritrova. 


Pensando,  quel  principio  ond'  egli  indige, 
lale  era  io  a  quella  vista  nova: 
Veder  voleva  ,  come  ei  convenne 
La  imago  al  cerchio,  e  come  vi  s'  ìndAva: 

3Ia  non  eran  da  ciò  le  proprie  penne; 
Se  non  che  la  mia  mente  fu  percossa 
Da  mi  fulgóre,  in  che  sua  voglia  venne. 

Ali    alta  fantasia  qui  mancò  possa: 
Ma  già  volgeva  il  mio  disiro  e  il  velie. 
Sì  come  rota   eh'  egualmente  è  mossa. 

Lo  amor  che  move  il  gole  e  le  altre  stelle. 


PETRARCA. 


SAGGIO     SOPRA    IL    PETRARCA. 


Francesco  Petrarca  nacque  in  Arezzo  ai  20  lu- 
lio  del  1304  tla  Ser  Petracco  ,  notajo  fìorenlino, 
da  Eletta    Canigiani ,   esiliati  da    Firenze   nel 
|302,  per  esser  della  fazione  de'  Biancbi.  Dojoo 
ette  mesi  incirca  con  sommo  pericolo  di  vita  fu 
Urtato  air   Incisa,     podere  di    Petracco    nella 
ralle  d'Arno.      In  età  di  sette  anni  si  trasferì  a 
Hsa:    instruitovi  ne'  primi  rudimenti  da  Bar- 
laamo,  monaco  basiliano,   dopo  sette  mesi  passò 
In  Avignone,  e  quindi  a  Carpentrasso  ,  ove  im- 
)arò  la   grammatica,  rettorica,  e  dialettica,    e, 
jer  riuscire  leggista,  andò ,    giunto  a  '  quindici 
inni,   a  Monpellieri,   quindi,   dopo  quattro  anni, 
Bologna,     dove    trovò  fra  gli  altii  professori 
ICino  da  Pistoja.      Do})0  la  morte  di  suo  padre 
lel  1326,  tornando  in  Avignone,  per  ordinare 
le  cose  sue,    i-inunziò   allo   studio    odiato   delle 
leggi,  dandosi  alle  lettere,  e  principalmente  alla 
volgar  poesia,  con  che  acquistossi  in  poco  tempo 
l'amicizia  di  Giacomo  Colonna,  vescovo  lombe- 
riense,    e   del  suo  fratello  Giovanni    Cardinale. 
Ai  di  6  d^aprile  nel  1327,  assistendo  nella  chie- 
sa delle  religiose  di  S.  Clara   ai  divini  uffìzj,  in- 
namorossi  di  madomia  Laura,  figlia  di  Odiberto 
di  Noves,  cavaliere,  e  di  Ermessende,    e  mari- 
tata nel  diciottesimo  anno  ad  Ugo  de  Sade,  la 
quale  da  quel  tempo    innanzi    per  anni  trenta 
uno  divenne  l'oggetto  perpetuo   delle  sue  rime. 
Per  }nczzo  di    Giacomo    Colonna    conobbe    nel 
1330  due  giovani  :  Luigi,  }iato  alle  rive  del  Reno, 
dotto  da  lui  Socrate,   e  Lelio,  nato  alle  rive  del 
Tevere,   coi  quali  contrasse  amicizia  strettissima, 
Stefano  il  vecchio,    padre   del  cardinale,  detto 
da   lui  fenice   rinata  dalle  ceneri  di  lloma  anti- 
ca ;   e  Giov.  di  S.  Vito,  il  di  lui  fratello,  pro- 
scritto da  Bonifazio  Vili. 

Il  suo  amore  invan  combattuto  lo  spinse  a 
viaggiare.  Visilata  perciò  nel  1331  la  Francia, 
la  Fiandra,  e  parte  della  Germania,  tornò  però 
già  verso  l'autunno  dell'  istcsso  amio  in  Avigno- 
ne. Ivi  nel  1339  da  Simone  Memmi  pittore, 
allievo  di  Giotto,  fece  ritrarre  il  suo  bene,  e  di- 
venne amico  di  Sennureio  del  Beno.  Dopo  setto 
anni  imbarcossi  in  Marsiglia  per  Italia,  e,  tro- 
vato l'agro  romano  in  preda  allo  gnenc  intesti- 
ne de'  baroni  roiìiaiii,  si  rifugiò  in  Capianica, 
presso  Orso,  conte  dell'  Anguillara,  donde  le- 
vollo  Giacomo  con  Stefano  suo  fiatello,  condu- 
ccndolo  con  una  scorta  di  cento  cavalli  a  Roma. 


Quindi  imbarcatosi  corse  le  coste  della  Spagna, 
vide  il  fianco  occidentale  de'  Pirenei,  e  i  lidi 
britanni,  e  meritò  d'aver  posto  fra  i  primi  e 
più  dotti  \àaggiatori  d'Europa. 

Tornato  in  Avignone,  stanco,  per  quanto 
J5are,  dello  sterile  amore  platonico  ,  ebbe  da 
ima  donna,  di  cui  s'ignora  perfino  il  nome,  nel 
1337  un  figlio,  Giovanni,  clie  perde  poscia  nel- 
la 2)este  sopravvenuta  in  ^Milano  nel  1361;  e 
nel  1343  una  figlia  chiamata  Francesca,  mari- 
tata a  Franceschino  da  Brossano.  Fiifugiossi  in 
Valchiusa,  solitaria  valle  amenissima,  quindici 
miglia  da  Avignone,  dove  per  più  anni  dimo- 
rò, non  lasciando  però  d'andare  spesso  a  veder 
la  sua  Laura,  e  studiando  indefessamente  gli 
autori  antichi.  In  questo  tempo,  nel  1339,  prin- 
cij)iò  a  scrivere  ancora  la  sua  affrica,  poema 
in  lingua  latina,  donde  sperava  gloi-ia  immor- 
tale, e  che  finì  poscia,  riacceso  dalla  natura  ri- 
dente in  un  luogo  chiamato  Selva  piana,  vicino 
a  Pai'ma.  In  fatti  la  fama  del  suo  poema  volava 
per  tutto,  sicché  in  un  giorno  ebbe  lettere  dal 
senatore  di  Roma,  e  da  Roberto  Bardi,  cancel- 
liere dell'  università  di  Parigi,  che  l'invitarono 
a  recarsi  nelle  due  città,  per  prender  la  corona 
poetica  d'alloro.  Ebbro  di  questo  onore,  e 
stando  perplesso,  a  qual  partito  dovesse  appi- 
gliarsi, scrisse,  paragonandosi  al  JN'umida  Siface, 
al  cardinale,  da  cui  vcimc  esortato  a  preferire 
quella,  clic  dalla  patria  gliveiùva  ollerta.  An- 
dò dunque  a  Roma,  passando  prima  per  Na- 
poli, a  fine  di  aver  il  giudizio  del  re  Roberto, 
filosofo  e  mecenate  dei  dotti,  il  quale,  giudica- 
tolo degno  della  corona  e  jn'cgatolo  di  restare, 
ma  non  avendo  potuto  riuscirvi,  lo  fece  ono- 
revolmente accompagnare  a  Roma  ,  ove  gli  8 
d'aprile  del  1341  Orso  dell'  Anguillara,  sena- 
tore, alla  ])resenza  del  jiojiolo  e  del  sonalo,  lo 
cinse  della  corona,  donde  fece  dono  allinnua- 
gine  di  S.  Pieiro  nel  Valicano. 

Da  indi  in  qua  divcinic  l'uomo  del  suo  se- 
colo, ne  vi  fu  principe,  o  signore,  che  non 
s'a livellasse  a  colmarlo  di  diplomi  e  di  titoli, 
die  noi  volesse  aver  presso  di  so,  o  non  lo  im- 
[liogassc  in  ambascerie  e  noi  maneggi  j>iii  dilll- 
lili  di  sialo.  (^osì  nel  1342  '^^''■'d  rimoslranze, 
inutili  bensì,  a  Clemente  VI,  in  nome  de'  Ro- 
mani, i  quali,  morto  Benedetto  XII,  vollero 
supplicar   Clemente   di  ricondurre    ìa    cattedra 


IV 


SAGGIO  SOPRA    IL  PETRARCA. 


pontificia  in  Roma.  Da  Clemente  e  dal  cardi- 
nal Colonna  fu  spedito  nel  1343  alla  corte  di 
Napoli,  dove  vide  Tassassinio  dell'  infelice  re 
Andrea.  Da  Napoli  recossi  in  Parma  5  ma,  es- 
sendo nata  nell'anno  seguente  la  guerra  fra  Azzo 
e  Lucchino  Visconti,  e  vedendo  Parma  cinta 
d'armati,  sene  scappò  in  Bologna,  quindi,  in- 
vitato dal  sovrano  della  Scala,  a  Verona.  Ot- 
tenne varie  lucrose  dignità,  ma  tutte  chericali. 
Egli  però  non  volle  mai  conseguire  l'ordine  sa- 
cerdotale, anzi  ricusò  V  offerta  di  un  vesco- 
vado. 

Intanto  nel  1347  un  cancelliere  in  Campi- 
doglio, Niccolò  di  Lorenzo,  comunemente  cliia- 
mato  Cola  di  Rienzo,  cacciato  il  senato,  volendo 
l'istabilire  gli  ordini  antichi,  fé  cesi  capo  della 
romana  repubblica  sotto  nome  di  tribuno.  Il 
Petrarca,  entusiastico  ammiratore  della  gloria 
romana  antica,  spenta  oramai  nelle  domestiche 
discordie  continue,  messe  a  guadagno  da  po- 
poli forestieri,  sperando  di  veder  risorgere  la 
patria  amata,  applaudi  da  bella  prima  all'  im- 
prese giuste  di  quell'uomo  onorato  da  tutti. 
Ma  vedendolo  poscia  infeiiore  alla  propria  idea 
conceputa,  e  vaso  poco  capace  di  tal  disegno 
grandioso,  considerando  l'inutile  immolazione 
di  tre  Colonnesi,  posposti  anzi  alla  salute  della 
patria  e  tardi  pure  da  lui  compianti,  udendo  al- 
fine, che  il  suo  eroe  era  fuggito  da  Roma  come 
un  codardo  e  un  ti-aditore,  disperò  di  Roma  fatta 
in  brani ,  d'  Italia  devastata ,  e  disse  di  non 
aver  che  dare  altro,  che  lagrime. 

Dolente  di  così  sinistro  esito  si  rivolse  in 
Italia,  dove  da' signori  di  Verona,  di  Mantova, 
di  Ferrara,  di  Capra  e  di  Padova  gloriosamente 
accolto,  ebbe  pur  la  disgrazia  di  perdere  nella 
gran  peste  del  1348  Franceschino  degli  Albizzi, 
Oio.  Bardi,  il  cardinale  Colonna,  il  fedelissimo 
suo  Sennuccio,  e  finalmente  la  sua  Laura.  In 
quel  suo  tanto  dolore,  come  naufrago  appiccan- 
dosi all'  ultima  asse,  persuaso,  che  la  salvezza 
dell'  Italia  non  si  possa  originare  sennon  dall'im- 
peratore, o  dal  pontefice,  una  volta  ancora  nel 
1350si  volse  all'  imperatore  Carlo  IV  di  Lussem- 
burgo, invocandolo  a  sanare  le  piaghe  letali.  Si 
condusse  poscia  in  Firenze,  ove  acquistò  l'ami- 
cizia di  Giovanni  Boccaccio,  di  Francesco  Nelli, 
e  di  Zanobl  Slrala;  quindi  in  Arezzo,  Roma, 
Padova,  e  si  toinò  in  Avignone,  dove  vedendosi 
riuscire  invano  ogni  fatica  di  voler  indurre  pa|)a 
Clemente  a  porgcic  alcun  riparo  a  Roma  adìil- 
ta,  dopo  aver  riuniti  iu  uno  i  discordi  voleri 
dei  due  più  possenti  personaggi  di  Napoli,  il 
siniscalco  Acciaioli  e  Giovanni  Barrili,  si  rico- 
vera   nel   suo    transalpino  parnaso,    Valchiusa, 


onde  si  diparte  per  Pultima  volta,  riconducen- 
dosi in  Milano,  dove  Giovanni  Visconti,  ax'ci- 
vescovo  e  sovrano,  lo  riceve  affezionatamente 
e  lo  elegge  a  suo  consigliere  nel  governo  di 
quella  provincia.  Poco  dopo  mori  l'arcives- 
covo, lasciando  eredi  i  tre  nipoti  Matteo,  Ber- 
nabò e  Galeazzo.  Dopo  vai'ie  e  difficili  mission: 
in  Germania,  Francia  e  in  altre  tex^re,  dopo  avei 
persuaso  papa  Urbano  V,  successor  d'  Innocen- 
zo VI  sempliciotto^  a  trasferire  la  santa  sede  in 
Viterbo,  dopo  le  nobilissime  fatiche  di  promuo- 
vere lo  studio  della  classicità,  scelse  nel  1370 
Arquato,  ameno  e  dilettevole  luogo  in  uno  dei 
colli  euganei,  dove  fra  quei  poggi  rivestiti  di 
ulivi  e  di  viti,  fabbricatosi  una  casetta  di  gio-, 
conda  vista  e  dilettevole,  ricoverò  colla  sua  dol- 
ce famigliuola.  Ma  assalito  da  violentissim 
febbri  letargiche,  nò  cangiando  il  tenore  dell 
sua  vita  troppo  frugale  per  la  sua  vecchiezza,! 
astretto  in  oltre  ad  abbandonare  quell'  asil 
nella  guerra  accesa  fra  il  Carrarese  ed  i  Vene 
ziani,  tornatovi  alfine,  poco  dopo  spirò  nella' 
notte  del  18  di  luglio  del  1374,  l'antivigilia] 
del  settantesimo  anniversario  della  sua  nascita, 
dove  fu  trovato  morto  nella  sua  biblioteca  col 
capo  reclinato  sopra  un  libro  aperto.  Fu  il  suo 
corpo  riposto  in  Arquato  avanti  la  porta  della 
chiesa  in  un'  arca  di  marmo  rosso  sostenuta  da 
quattro  colonnette,  fatta  ergere  da  Franceschino 
da  Brossano,   suo  genero  ed  ex-ede. 

Fu  il  Pelx-arca  di  statura  piuttosto  gi'ande, 
bello  ed  avveixente  di  persona,  di  colore  txa  il 
bianco  e  il  bruno  ,  e  di  vista  vivace  e  acuta,  do- 
tato d'una  destrezza  mix'abile,  e  d'una  comples- 
sione sana.  Da  giovane  dilettossi  degli  abiti 
puliti,  e  molto  coltivò  la  chioma,  benché 
segli  incanutisse  px-ima  de'  venticinque  aimi, 
donde  si  consolò  cogli  esempj  di  Cesare  e  Vix-gi- 
lio,  grigi  in  gioventù.  Fu  ix^acondo  alquanto, 
ma  benevolo  ed  amorevole  in  uno ,  stimolato 
dalla  carne.  Amò  la  patx'ia,  odiò  gli  Fx'ancesi, 
da  lui  chiamati  pazzi  snervati,  ed  i  Tedeschi, 
schiavi  brutali.  L'invidia  massimamente  vei'so 
Dante,  nata  dalla  sua  vanità,  rimase  iu  lui  dor- 
migliosa; dirado  pei'ò  egli  proferì  quel  jiome,  ed 
affettò  di  non  leggex-e  mai  le  opere  di  Dante,  o 
s'egli  non  poteva  scmpx'e  scansax'si  dal  pai'lax'e 
del  suo  predecessoi'e,  ne  parlò  per  rilevarne 
)iultosto  i  difetti,  che  l'eccellenze.  La  morte 
di  Laura  e  di  molti  amici  della  gioventù,  spe- 
cialmente quella  di  tutti  i  Colonna,  la  veigo- 
gnosa  disfatta  di  Cola  di  Rienzo,  le  civili  guei'X'e 
d'Italia,  il  colmo  della  consumata  corruzione 
nella  chiesa,  la  barbara  ed  arrogante  ignoran- 
za de'  Icltex'ati  del  suo  secolo,  la  peste,  clie  de- 


SAGGIO  SOPRA  IL  PETRARCA. 


.olò  il  mezzodì  d'Europa,  e  l'invasione  di  Na- 
poli per  gli  [Jnglieri,   tutto  contribuì  a  renderlo 
nalinconico ,    bramoso  di  guadagnare  il   cielo, 
uesto  robusto    sentimento   di    religione  tenne 
utte  le  passioni  di  lui  in  lotta  costante,  e,    ac- 
uistando  intensità  dall'  azione,  valse  unicamen- 
e  ad  irritarlo  e  a  turbare  le  facoltà  dell'  animo 
uo,  che  furono  anzi  veementi,  che  vigorose. 
In  somma   dunque    tre   furono  le  tendenze 
[jpriniarie  della  vita  del  Petrarca  :    l'amor  patrio 
Inodrito  dall'orgoglioso  entusiasmo  per  la   gloria 
iantica  dell'  Italia  in  confronto  con  lo  scadimen- 
'to  di  essa  per  mezzo  d'ignoi'anza,  di  lussuria,  di 
discordie,    e    di  snervatezza    comune    dell'    età 
sua  —   fattezza   di  tutti  gì'  Italiani  nobili  mo- 
derni sino  al  di  d'oggi,   di  cui    già  detto  è  stato 
j abbastanza!  —   l'amor   e  lo  studio  delle  lette- 
re ,  e  della  poesia  j  e  finalmente  l'amor  platoni- 
co ovvero  ideale. 

In  quanto  alla  poesia  del  Petrarca,  e'  risulta 
da  quanto  è  stato  detto  e  nelP  introduzione  al 
al  parnaso  e  nel  coinento,  ch'egli,  qual  lirico,  ben- 
jlcbè  squisitissimo  in  quella  età  del  rinascimento 
delle  lettere,  varca  pure  una  sfera  di  sogettività 
assai  angusta,  monotona  ed  uniforme,  distinta 
non  di  rado  di  antitesi,  di  giuocolini,  bisticci 
e  concetti  contorti,  alTettati,  operosi,  (di  modo 
che  dirsi  potrebbe  ''chi  può  dir,  com'  egli  arde, 
è  'n  picciol  fuoco")  in  liiigua  elegante,  armoniosa, 
nitida  e  tersa  bensì,  ma  sconvolta  eziandio  tal- 
ora, scompigliata,  abbagliante,  e  poco  chiara. 
Or  siccome  ogni  poeta,  mentre  traspianta  nel 
mondo  il  suo  concetto ,  ha  da  pruovar  Tin- 
fluenza  inevitabile  del  tempo,  il  quale,  poco  più 


egli  mai  nel  disegno,  o  nella  pianta  !  Somiglia 
invero  ad  un  teatro  di  fantocci  dove,  dopoché 
un  fantoccio  sopravvenuto  ha  ingojato  l'altro, 
Tultimo  si  sprofonda  nella  rovina  del  teatro  in- 
tero, e  non  lascia  allo  spettatore  sennon  un  vuoto 
immenso.  Ciò  nonostante  non  nieghiamo,  che 
in  taluni  poemi  spira  veramente  T  anima  di 
poeta,  laddove  nella  più  parte  di  essi  si  scorge 
soltanto  un  intendimento  laborioso,  ch'assotti- 
glia, sofìstica  e  sforza  le  nozioni,  alle  quali  poi 
la  fantasia  presta  il  vestimento  e  il  corredo.  In- 
tanto se  o  Natura  o  Tempo  men  favorevoli  in- 
vidiarono ad  esso  talora  la  forza  oi'iginale,  fres- 
ca e  prò  creatrice  dell'  anima,  tornar  pur  fecero 
quel  suo  studio  indefesso  e  la  perpetua  contem- 
plazione mentale  dei  poeti  provenzali  e  degli 
autori  classici  antichi  al  prò  ed  alla  coltura  della 
lingua  volgar  illustre,  cui  lo  stile  e'foggiò  e  per- 
fezionò miracolosamente  e  da  rettorico  eccel- 
lente. Merito  tanto  maggiore,  quanto  piìi  roz- 
zo, barbaro  ed  arrogante  era  il  di  lui  secolo  ! 
Ma  non  minore  pur  fu  quel  suo  merito  della 
letteratura  degli  antichi,  li  quali  egli  stesso,  al 
parer  nostro,  forse  in  danno  delP  originalità 
propria,  imitò  pur  troppo.  Questi  già  sin  dall' 
età  verde  e'ii  ricercava  senza  posa  ne'  nascon- 
digli delle  biblioteche  monastiche,  e  così  non 
perdonando  a  danaro,  quando  era  povero,  ne  a 
fatica,  quando  era  già  vecchio  ed  informo,  mer- 
cè la  sua  diligenza  eie  ricerche  degli  amici,  ac- 
cumulò biblioteca  sceltissima,  non  solamente 
di  autori  latini,  ma  di  grechi  ancora,  allo  stu- 
dio de'  quali  s'accostò  dietro  la  scorta  del  mo- 
naco calabrese  Barlaamo,    tuttoché  vi  fosse  in- 


poco meno,  appassa  la  freschezza  ed  offusca  lo  terrotto  di  modo,  ch'appena  leggesse  greco.  Ai- 
splendore  delP  interno  intuito  vivo,  forza  è,  le  sue  ricerche  premurosissime  intanto  dovette 
che  ancora  di  questi  difetti  del  Petrarca  s'in-i  l'Italia  le  opere  d'Omero,  d'Esiodo,  d'Euripide, 
colpi  il  tempo,  a  cui  scontò  il  tributo;  mentre- |  e  di  Sofocle.  Donò  poscia  nel  1362  la  sua  bi- 
che le  forme  artifiziose  de'  poeti  siciliani,  pro-lblioteca,  o  gran  parte  almeno,  al  V^cneziani,  a 
venzali  e  spagnuoli  erano  l'archetipo,  ch'egli  es-  condizione,  che  fosse  aperta  al  comodo  della 
presse  poetando  in  lingua  volgare,  ch'era  per  gioventù  studiosa.  In  contraccambio  gli  ven- 
scaltrirsi  e  appropriarsi  il  campo    della  poesia  ne  per  decreto  della  signoria  assegnala  una  ca- 


per mezzo  di  Dante  e  di  esso  lui.  Dall'  altra 
parte  pero,  essendo  egli  incontrastabile,  clic, 
quanto   più  organico,    originale  e  vero   genio  e 


sa  assai  comoda  per  sua  abitazione.  Da  questa 
sua  donazione  ebbe  origine  la  colclne  libreria  di 
S.  Marco,   accresciuta  dipoi  dai  Cardinali  IJcssa- 


il  poeta,  tanto  piii  agevolmente  ci  vinca  le  dif-  rione,  e  Grimani.  Ma  de'  codici  del  P.  nessuno 
ficoltà  meccaniche,  di  modo,  che  non  si  seno-  forse  è  giunto  ai  dì  nostri,  essendo  già  nel  so- 
pra la  traccia  del  lavoro  e  della  ])cna,  non  pò-  colo  decimo  sesto  la  maggior  parie  di  ossi  guas- 
trassi  non  isccmaie  il  merito  veramente  poetico  ta  e  consumala  dall'  umido  di  qucU'  atmos- 
del  Petrarca.  Di  ciò,  se  quantità  di  sonelli,  fera  paludosa.  Combattè  inoltre  gli  errori  del 
canzoni  e  sestine  non  ne  facessero  fede,  potreb-  secolo  suo  astrologici,  alcliimislici,  promosse 
bcro  sicuramente  convincerci  i  Irioiifi.  Impc-  lo  studio  della  geografia,  e  raccolse  ne'  >iai;gi 
rocche  (|ueslo  poema  morale,  siasi  imilazione  suoi  un  medagliorc,  come  scoria  più  fida  noi  la- 
d'allri  parccclij  provenzali  anteriori,  o  dell'  Al-  herinlo  di  cronologie  e  di  genealogie  di  dinastie 
lighicri,    quanto  fiacco,    staccalo  e  mal   sodo  e  scomparse.        i'inaluicnlc    mostrando     l'insulfi- 


VI 


SAGGIO  SOPRA  IL  PETRARCA. 


cieiiza  della  dottrina  d'Aristotele,  prodigò  le 
sue  lodi  al  divino  suo  Platone ,  più  affine  al 
cristianesimo. 

Con   questo  siam  arrivati    al  punto  di  dire 
qualche   cosa  del  suo  amore,    e  di  Laura.     Es- 
sendo Platone  come   un  Giano,   e  guardando  si 
indietro  all'anticliità,    di  cui  esso   fu  la   cima,  e 
SI  avanti  alP  età  moderna,   poiclaè  col  cristiane- 
simo a  primeggiar  cominciava  l'idea,  ed  una  ten- 
denza ideale,   e  si  cambiava  affatto  lo  stato  del- 
le donne  e  dell'  amore,  naturalmente  ancoi'a  vi 
si  trasferi  la    teorica  platonica    dell'amore,    la 
quale  si  riduce  ad  una  riconoscenza  o  rammen- 
tanza  quasi  predestinata  d^anime  preesistenti  in 
altri  mondi,   che  già  adunate  in  un  coro   segui- 
rono il  lor  dio,    a  cui   di  rialzarsi  cercano  per 
A  ia  di  virtù.    A  promuovere  ed  a  coltivare  ques- 
ta  idea    mirabilmente  cospirarono    la  religione, 
e   la  scolastica,    quai   forze  ideali,    la  cavalleria 
ed  i  costumi  sociali  dell'età,   come  le  corti   d'a- 
more, i  giuochi  floreali,  quai  forze  reali.    Quel- 
la supei'stizione  dunque,    quel  raffinamento,    ed 
arguto   sottilizzare,   quella  fermezza  e  gentilezza 
faceta  si  riti-ovan  ancora  nell'  amor  del  Petrar- 
ca.     Peccato  ^)erò,   che,   per  mancanza  di  even- 
ti esterni,   di  nodi  più  tenaci,   in  somma  di  base 
reale,   quell'  idealità  si  attenua   sino   alla  nuvo- 
losità,  o  pure  ad  un'  aria  tanto  pura,   che  vi  si 
perde  la  lena  ed  il  polso  !     massimamente  dirim- 
petto all'   amor   molto  meno  platonico,    che  il 
])oeta  nodriva  per  filtra  donna,    il  quale  effetti- 
vamente   è  irrisione    amara   dell'  altro,    benché 
congcdiato    nel  quadragesimo    anno.       Ma  pre- 
scindendo ancora  da  questo,  il  tutto    si    cambia 
in  giuoco  poco  dilettevole,  se  più  fiso  guardia- 
mo Laura,  nata  intorno  al  1328,  o  1330,  madre 
d'  ondici  figli,  morta  vittima  di   pestilenza    il    6 
d'aiM-ile  l'anno  1348.   "A  giudicare  da' primi  ri- 
tratti di  Laura,"  dice  Lgo  Foscolo,    "  una  po- 
lita  fronte    con  occhj  neri,     rilevati  da  bianca 
carnagione  ed  aurea  chioma,   ecco  gli  unici  rari 
ornamenti,   ch'ella  sortisse  da   natura.      Oltre  il 
difetto  d'armonia  nelle  proporzioni,    le  sue  fat- 
tezze rivelano  V  afiettazionc  e  la  malizia  di  una 
aria  francese,    non   animata    jiè    dall'  attrattivo 
colore  delle  italiane,   uè  dalla  gaja  serenità  dello 
inglesi  l>ellezzc.   Da  alcuni  tocchi  qua  e  là  spar- 
si ne'   diversi  scritti    del  Petrarca  pare,   che  la 
figura  di  lei  fosse  meno  abbellita  dalla  regolari- 
ivL  e  digintà,  che  da  graziosa   eleganza,    e  le  più 
potenti  lusinghe  le  derivarono  dà'   sospiri  e   da' 
sorrisi,    dalla   melodia  della  voce,    dalla  dolce 
elofjucnza  degli  occhj,  e  sopra  tutto  dalla  natu- 
rale mobilità  del  volto,     sul    quale    il  mistero 
"  "'i'  abituale  pensosità  era  accresciuto  dal  su- 


bitaneo animarsi  ed  impallidire."        tJi  potrebbe 
forse  aggiungere  a  ciò  un  tocco   di  dolore   e  di 
malinconia  nata  del  di  lei   matrimonio  meno  fe- 
lice,  essendo  egli  ceito,   ch'una  sua  figlia,    chia- 
mata  Ogiera ,    cosi  palesamente   macchiò  l'onor 
del  sangue  suo,   da  meritar  d'esser  rinchiusa  in 
un  chiostro,  e  probabile,   che  il  marito  sensua- 
le,   che  già    sette   mesi  dopo  la  di  lei   morte  si 
ammogliò    di    nuovo ,     mentre   portava  ancora 
il  lutto  per  essa,  fosse  ancora  geloso  e  pieno  di 
sospetto,    mentre  i  parenti  vegliavano  ansiosa- 
mente la  di  essa  onestà.  Di  questa  pure  ella  stes- 
sa fu  senz'  altro  molto  fida  conservatrice^  o  per 
accortezza,     o  perchè    non    riamava   il   poeta, 
benché  amasse  la  passione  da  esso  lei  inspuata, 
e"  il  bel  nome,   chelunge  e  presso  col  suo  dire 
il  poeta  famoso  le  acquistava."        Che  da  una 
qualche  civetteria  furbesca,    da  certi  ingegni  ed 
arti  non  la  assolverà  certamente  chi  avrà  letto 
il  capitolo  secondo    del  trionfo  della  Morte,  o 
ponderato  il   lungo    e    continuo  dibattersi   del 
l'amante,  simile  ad  una  ftirfalla  trafitta  dallo  spi- 
letto,    e  in  generale   il  tenore  sforzato   e  con- 
torto di  siffatto  connnerzio.      Che   che  ne  sia, 
siffatto  amor  fantastico,   tutto  conforme  al  ge- 
nio di  quel  secolo,   divenne  ancora  nel  Petrar- 
ca il  eentro,  ove  s'adunavano  tutte  le  sue  forze 
intellettuali  e  sensitive  adoperate  a  stento  ad  ab- 
bellirlo.     E,    benché  pingendo  il   romanzo,  le 
smanie  ed  i  trastulli,  le  sinuosità  ed  i  meandri 
d'un  cuor  amoroso,  sia  spesse  volte  manierista, 
non  dimeno    ci  palesa   dilicatezza,   elasticità  ed 
intrinsichezza  d'  alma  gentil  e  nobile,   disprezzo 
sodo  del  volgo,    alto    entusiasmo  per  la  gloria 
della  patria,  per  la  scienza,  e  la  letteratura  de- 
gli anticlii,  atta  a  dissipare  le  tenebre  de'  secoK 
di  mezzo,  e  finalmente  un  desiderio  insaziabile 
d'un  esser  incorruttibile  eterno,  il  quale,  oppos- 
to alla   sua  persuasione  della  miseria  e  del  nulla 
di  questo  mondo,    mantenne  ed   alimentò  quella 
tensione,    anzi  tenzone,     ch'è  retaggio  d'anime 
privilegiate,  e  promotrice   de'  secoli.      Quindi 
quella  sua  inquietudine,  accanto  al  desio  di  ri- 
poso, queir  ambizione  e  vanità  accanto  al  dis- 
prezzo delle  cose  mondane,  quella  ritiratezza  e 
misantropia  accanto  al  bisogno  d'esser  amato,  al- 
la benevolenza,   al  continuo  viiiggiare  e  coglier 
l'applauso  quasi  importuno  e  la  venerazione  su- 
perstiziosa  de'    contemporanei,     quella  intolle- 
ranza delle  sue  opinioni  accanto  ad  una  pedan- 
tesca gravità  ed  una  simulala  modestia,  in  som- 
ma quel  contrasto  di  virtù  e  di  )iei,    che  sono  il 
retaggio  della  carne;  necessario,  per  quanto  pa- 
re,  a  livellare  massimamente  ingegni  più  subli- 
mi cogli  altri,  e  ad  inculcare  il  modo  religiosa- 


SAGGIO  SOPRA  IL  PETRARCA 


VII 


mente  da  tenersi  dagli  uomini,  tuttocliè,  simile 
al  santo  catino  mitico,  sempremai  da  loro  si 
discosti.  — 

Notizie  letterarie  e  biografiche  hanno  Qua- 
drio,  Tlraboschi ,  Cresclmbeni,  £beri's  allgenj. 
bibliogr.  Lexicon,  sotto  l'art.  Petrarca  —  Gùi- 
guenéhìst.lil.  d'it. —  Slsmondi  de  la  litérat.  du 
midi  de  l'Europe —  /FacA/e^-^'ò-Handb.  d.  Gesch. 
der  Liter.  To.  U.  f.  172.  s.  —  Marsand 
nell'  edizione  del  canzon.  del  Petrarca.  Padua 
1819.  n.  4.  —  Saggi  sopra  il  Peti-arca  pubbli- 
cati in  Inglese  da  Ugo  Foscolo  e  tradotti  in  Ita- 
liano. Lugano  1824.  8-  Curiosità  letteraria, 
perchè  pruova  rozzissima  ed  imperfetta  della  ti- 
pografia, è  V  Edizione  singolarissima  del  canzo- 


niere del  Petrarca,  descritta  ed  illustrata  dalFav- 
vocato  Domenico  Fiossi,  con  un  Facsimile  in  ra- 
me. Trieste  1826.  8.  distribuita  dall'autore  sol- 
tanto fra  i  di  lui  amici.  Forse  la  medesima  edi- 
zione, che  si  trova  citata  nel  catalogo  del  Lord 
Spencer  Voi.  IV.  f.  141  —  143.  Di  un  iMs.  au- 
tografo del  poeta  pur  ora  trovato  da  irrighi 
iii  Pietroburgo,  e  del  di  lui  critico  prezzo  non 
lece  giudicare  ancora. 

Del  resto,  seguendo  Tesempio  di  Biagiolie  di 
Marsand,  abbiamo  a  posta  omesso  in  questa  nos- 
tra edizione  la  giunta  aldina  d'altre  poesie  del 
Petrarca,  da  lui  stesso  rifiutate  colle  proposte 
d'  alcuni  poeti  di  que'  tempi  al  Petrarca. 


PETRARCA. 


PARTE     PRIMA 


DELLE 

RIME. 


SOXETTO      I. 

oi ,  eh'  ascoltate  in  rime  sparse  il  suono 
Di  quei  so.spiri,  ont!'  io  niiilriva  il  core 
In  sul  mio  primo  giovenile  errore, 
Quand'  era  in  parte  altr'  uom  da  quel  eh'  i'  sono! 

>el  vario  stile ,  in  eh'  io  piang^o  e  ragiono 
Fra  le  Tiine  speranze,  e  '1  van  dolore. 
Ove  sia  chi  per  prova  intenda  amore, 
Spero  trovar  pietà,  non  che  perdono. 

la  ben  veggi'  or,  !«ì  come  al  popol  tutto 
Favola  fui  gran  tempo ,  onde  sovente 
Di  me  medesmo  meco  mi  vergogno  : 
del  mio  vaneggiar  vergogna  è  i  frutto, 
E  '1  pentirsi,  e  '1  conoscer  chiaramente, 
Che  quanto  piace  al  mondo  è  breve  sogno. 

S  0  X  E  T  T  o      II. 
'er  far  una  leggiadra  sua  vendetta, 

E  punir  in  mi  dì  ben  mille  oflcse, 

Celatamente  Amor  l'  arco  riprese, 

Com'  uom ,  eh'  a  nocer  luogo  e   tempo  aspetta. 
Era  la  mia  vìrtute  al  cor  ristretta, 

Per  far  ivi  e  negli  ocdij  sue  difese, 

Quando  '1  colpo  mortai  laggiù  discese, 

Ove  solca  spuntarci  ogni  saetta. 
Però  turbata  nel  primii-ro  assalto, 

Kon  ebbe  tanto  nò  vigor ,  nò  spazio. 

Che  potesse  al  bisogno  prender  1'  arme, 
Ovvero  al  poggio  faticoso  ed  alto 

Ritrarmi  accortamente  dallo  »tr>i/io. 

Del  qual  oggi  vorrebbe ,  e  non  può  aiturme. 

S  0  \  E  T  T  o      III. 

Era  '1  giorno,  rh'  al  sol  si  scolorare 
l'cr  la  pietà  del  suo  fattore  i  rai, 
Quand'  io  fui  preso,  e  non  me  ne  guardai, 
Che  i  be'  vostr'  occb  j ,  donna ,  mi  Icgaro. 

Tempo  non  mi  parca  da  far  riparo 

Contr'  a'  colpi  d'  Amor;  però  n'  andai 
Seciir  senza  sospetto  :  onil«!  i  miei  guai 
INel  comune  dtdor  s'  incouiinciaro. 

Trovommi  Amor  del  tutto  disarmato, 
Ed  aperta  la   ^ia  per  gli  occlij   al  core. 
Che  di  lagrime  bon  fatti  uscio  e  varco. 


Però,  al  mio  parer,  non  gli  fu  onore 
Ferir  me  di  saetta  in  quello  stato, 
E  a  voi  armata  non  mostrar  pur  1'  arco. 
S  0  \  E  T  T  o      l\. 

Quel,  eh'  infinita  provvidenza  ed  arte 
Mostrò  nel  suo  mirabil  magistero. 
Che  criò  questo  e  quell'  altro  emispero, 
E  mansueto  più  Giove,  che  Marte, 

Venendo  in  terra  a  illuminar  le  carte, 
Ch'  avean  molt'  anni  già  celato  il  vero, 
Tolse  (iiovanni  dalla  rete ,  e  Piero, 
E  nel  regno  del  ciel  fece  lor  parte. 

Di  sé  ,  nascendo ,  a  Roma  non  fé'  grazia, 
A  Giudea  sì  :  tanto  sovr'  ogni  stato 
Umiltate  esaltar  sempre  gli  piacque! 

Ed  or  di  picciol  borgo  un  sol  n'  ha  dato 
Tal ,  che  natura  e  'i  loco  si  ringrazia. 
Onde  si  bella  donna  al  mondo  nacque. 

S  0  \  E  T  T  0      V. 

Quand'  io  movo  i  sospiri  a  chiamar  voi, 
E  '1  nome ,  che  nel  cor  mi  scrisse  Amore, 
LAUdando  s'  incomincia  a  udir  di  fore 
Il  suon  de'  primi  dolci  accenti  suoi. 

Vostro  stato  UKal,  che  'ncontro   poi, 

Raddoppia  all'  alta  impresa  il  mio  valore: 
Ala,  TAci ,  grida  il   fin;  «;liè  f<irlo  onore 
K'  d'  altri  omeri  soma,  che  da'  tiu)>. 

Così  LAI  dare  e  Riverire  insegna 

La  voce  stessa,  pur  eli'  altri  vi  chiami, 
Oh  d'  ogni  reverenza  e  d'  onor  degna! 

Se  non  che  forse  Apollo  si  disdegna, 

Ch'  a  parlar  de'  suoi  sempre  verdi  rami 
Lingua  mortai  presuntuosa  vegna. 

Sonetto     VI. 

Si  traviato  è  '1  folle  mio  desio 

A  seguitar  costei ,  che  'n  fuga  è  volta, 
E  de'  lacci  d'  Amor  leggiera  e  sciolta 
^  ola  dinan/.i  al  lento  correr   mio. 

Clic,  quanto  ricliiamando  più  1'  invio 
Per  la  senira  strad.i,    meo  in'    a^rolta. 
IV«;  mi   vale  sprtuiarlo,  t»  dargli  volta; 
Ch'  Amor  per  t>ua  natuni  il  fa  restio, 


[»] 


RIME   DEL    PETRARCA. 


[+] 


E  poiché  'l  fren  per  forza  a  sé  raccoglie. 
In  mi  rimango  in  signoria  di  lui, 
Che  mal  mio  grado  a  morte  mi  trasporta, 

Sol  per  venir  al  lauro ,  onde  si  coglie 
Acerbo  frutto ,  che  le  piaghe  altrui, 
Gustando,  affligge  più  che  non  conforta. 
Sonetto     V II. 

La  gola,  e  '1  sonno,  e  1'  oziose  piume 
Hanno  del  mondo  ogni  virtù  sbandita; 
Ond'  è  dal  corso  suo  quasi  smarrita 
Nostra  natura  vinta  dal  costume: 

Ed  è  si  spento  ogni  benigno  lume 

Del  ciel,  per  cui  s'  informa  umana  vita, 

Che  per  cosa  mirabile  s'  addita 

Chi  vuol  far  d'  Elicona  nascer  fìume. 

Qual  vaghezza  di  lauro?  qual  di  mirto? 
Povera  e  nuda  vai.  Filosofia, 
Dice  la  turba  al  vii  guadagno  intesa. 

Pochi  compagni  avrai  per  1'  altra  via  : 
Tanto  ti  prego  più ,  gentile  spirto, 
Non  lassar  la  magnanima  tua  impresa! 
Sonetto    Vili. 

A  pie  de'  colli,  ove  la  bella  vesta 
Prese  delle  terrene  membra  pria 
La  donna ,  che  colui ,  eh'  a  te  n'  invia, 
Spesso  dal  sonno  lagrimando  desta, 

Libere  in  pace  passavam  per  questa 
Vita  mortai ,  eh'  ogni  animai  desia, 
Senza  sospetto  dì  trovar  fra  via 
Cosa,  eh'  al  nostr'  andar  fosse  molesta. 

Ma  del  misero  stato,  ove  noi  semo 
Condotte  dalla  vita  altra  serena, 
Un  sol  conforto ,  e  della  morte ,  avemo  : 

Che  vendetta  è  di  lui ,  eh'  a  ciò  ne  mena, 
Lo  qual  in  forza  altrui,  presso  all'  estremo, 
Riman  legato  con  maggior  catena. 

SOTVETT  o      IX. 

Quando  '1  pianeta,  che  distingue  1'  ore, 
Ad  albergar  col  Tauro  si  ritorna. 
Cade  virtù  dall'  infiammate  corna, 
Che  veste  il  mondo  di  novel  colore; 

E  non  pur  quel,  che  s'  apre  a  noi  di  fore. 
Le  rive  e  i  colli  di  fioretti  adorna, 
Ma  dentro ,  dove  giammai  non  s'  aggiorna, 
Gravido  fa  di  sé  il  terrestre  umore, 

Onde  tal  frutto  e  simile  si  colga. 

Così  costei,  eh'  è  tra  le  donne  un  sole, 
In  me,  movendo  de'  begli  occhj  i  ral, 

Cria  d'  amor  pensieri ,  atti ,  e  parole  : 
Ma  come  eh'  ella  li  governi ,  o  volga, 
Primavera  per  me  pur  non  è  mai. 
Sonetto     X. 

Gloriosa  Colonna,  in  cui  s'  ajìpoggia 
Nostra  speranza,  e  '1  gran  nome  latino, 
Ch'  anc<»r  non  torse  dal  vero  cammino 
L'  ira  di  Giove  per  ventosa  pioggia! 

Qui  non  palazzi,  non  teatro,  o  loggia, 

Ma  'n  lor  vece  un  abete,  un  faggio,  un  pino 
Tra  r  erlii  verde,  e  'I  bel  monte  vicino, 
Onde  si  srende  poetando  ,  e  poggia, 

Levan  di  terra  al  ciel  nostr'  intelletto: 

E  'I  rnssigniiol ,  che  dolcemente  all'  ombra 
Tutte  le  notti  si  lamenta  e  piagne, 

D'  amorosi  pensieri  il  cor  ne  'ngombra. 
Ma  tanto  ben  sol  tronchi ,  e  fai  imperfetto 
Tu ,  che  da  noi ,  signor  mio ,  ti  scompagno. 


Ballata    I. 

Lassare  il  velo,  o  per  sole  o  per  ombra. 
Donna ,  non  vi  vìd^  io. 
Poi  che  'n  me  conosceste  il  gran  desio, 
Ch'  ogni  altra  voglia  dentr'  al  cor  mi  sgombra. 

Mentr'  io  portava  ì  be'  pensier  celati, 
C  hanno  la  mente  desiando  morta, 
Vidivì  di  j)ietate  ornare  il  volto. 
Ma,  poi  eh'  Amor  di  me  vi  fece  accorta, 
Fur  i  biondi  capelli  allor  velati, 
E  r  amoroso  sguardo  in  sé  raccolto. 
Quel  che  più  desiava  in  voi,  m'  è  tolto. 

Sì  mi  governa  il  velo, 
Che  per  mia  morte ,  ed  al  caldo ,  ed  al  gelo. 
De'  be'  Tostr'  occhj  il  dolce  lume  adombra. 
Sonetto     XI. 

Se  la  mia  vita  dall'  aspro  tormento 

Si  può  tanto  schermire,  e  dagli  affanni, 
Ch'  i'  veggia,  per  virtù  degli  ultim'  anni, 
Donna,  de'  be'  vostr'  occhj  il  lume  spento, 

E  i  cape'  d'  oro  fin  farsi  d'  argento, 
E  lasciar  le  ghirlande,  e  i  verdi  panni, 
E  '1  viso  scolorir,  che  ne'  miei  danni 
Al  lamentar  mi  fa  pauroso  e  lento, 

Pur  mi  darà  tanta  baldanza  Amore, 
Ch'  i'  vi  discovrirò  de'  miei  martiri 
Qua'  sono  stati  gli  anni,  e  i  giorni,  e  1'  ore. 

E  se  '1  tempo  è  contrario  ai  be'  desiri, 

Non  fia  ,  eh'  almen  non  giunga  al  mio  dolore 
Alcun  soccorso  di  tardi  sospiri. 

Sonetto    XII. 

Quando  fra  1'  altre  donne  ad  ora  ad  ora 
Amor  vien  nel  bel  viso  di  costei, 
Quanto  ciascuna  é  men  bella  di  lei. 
Tanto  cresce  '1  desio,  che  m'  innamora. 

r  benedico  il  loco ,  e  '1  tempo ,  e  1'  ora, 

I     Che  sì  alto  miraron  gli  occhj  miei, 
E  dico:  Anima,  assai  ringraziar  dei, 
Che  fosti  a  tanto  onor  degnata  allora. 

Da  lei  ti  vien  1'  amoroso  pensiero, 

Che,  mentre  '1  segui,  al  sommo  ben  t'  in^ia. 
Poco  prezzando  quel,  eh'  ogni  uom  desia; 

Da  lei  vien  1'  animosa  leggiadri  i, 

Ch'  al  ciel  ti  scorge  per  destro  sentero, 
Sicch'  i'  vo  già  della  speranza  altero. 
Ballata    II. 

Occhj  miei  lassi ,  mentre  eh'  io  vi  giro 
Nel  bel  viso  di  quella ,  che  v'  ha  morti, 

Pregovi ,  siate  accorti  ! 
Che  già  vi  sfida  Amore,  ond'  io  sospiro. 

Morte  può  chiuder  sola  a'  miei  pensieri 
L'  amoroso  cammìn ,  che  li  conduce 
Al  dolce  porto  della  lor  salute. 
Ma  puossi  a  voi  celar  la  vostra  luce 
Per  meno  oìibietto ,  penihè  meno  interi 
Siete  formati,  e  di  minor  virtute. 

P(!rò  dolenti ,  anzi  che  sian  venute 
L'  ore  del  pianto ,  che  son  già  vicine, 

Prendete  or  alla  fine 
Breve  conforto  a  sì  lungo  martiro. 
Sonetto     XIll. 

Io  mi  rivolgo  indietro  a  ciascun  passo 
C()l  corpo  stanco,  eh'  .1  gran  pena  porto, 
E  prendo  allor  del  vostr'  aere  conforto. 
Che  '1  fa  gir  oltra ,  dicendo  :  oimè  lasso  ! 


>] 


RIME   DEL    PETRARCA. 


m 


DÌ ,  ripensando  al  dolce  ben ,  eh'  io  lasso, 
Al  canimin  lungo,  ed  al  mio  viver  corto, 
Fermo  le  piante  sbigottito  e  smorto, 
E  gli  occlij  in  terra  lacrimando  abbasso, 

alor  m'  assale  in  mezzo  a'  tristi  pianti 
Un  dubbio,  come  possan  queste  membra 
Dallo  spirito  lor  viver  lontane. 

[a  rispondemi  Amor  :  non  ti  rimembra, 
Che  questo  è  privilegio  degli  amanti 
Sciolti  da  tutte  qualitati  umane? 
Sonetto      XIV, 

lovesi  '1  recchierel  canuto  e  bianco 
Del  dolce  loco,  ov'  ha  sua  età  fornita, 
E  dalla  famigliuola  sbigottita, 
Che  vede  '1  caro  padre  venir  manco. 

(idi  traendo  poi  T  antico  fianco 
Per  r  estreme  giornate  di  sua  vita, 
Quanto  più  può ,  col  buon  voler  s'  aita, 
lldtto  dagli  anni,  e  dal  cammino  stanco, 
viene  a  Roma,  seguendo  '1  desio. 
Per  mirar  la  sembianza  di  colui, 
Ch'  ancor  lassù  nel  ciel  vedere  spera. 

U)i\ ,  lasso ,  talor  vo  cercand'  io, 
Donna,  quant'  è  possibile,  in  altrui 
ha  desiata  vostra  forma  vera. 

S  0  M  E  T  T  O       XV. 

'iovonmi  amare  lagrime  dal  viso 
Con  un  vento  angoscioso  di  sospiri, 
Quando  in  voi  addivien  che  gli  occhj  girl. 
Per  cui  sola  dal  mondo  io  son  diviso. 

(IO  è,  che  '1  dolce  mansueto  rìso 
Pur  acqueta  gli  ardenti  miei  desiri, 
E  mi  sottragge  al  foco  de'  martiri, 
Alentr'  io  son  a  mirarvi  intento  e  liso: 

lii  gli  spiriti  miei  s'  agghiaccian  poi 
Ch'  i'  veggio  al  dipartir  gli  atti  soavi 
Idrcer  da  me  le  mie  fatali  stelle. 

(illibata  al  fin  con  1'  amorose  chiavi 
1/  anima  esce  del  cor,  per  seguir  voi, 
h  con  molto  pensiero  indi  si  svelle. 
Sonetto     XVI. 

)iinnd'  io  son  tutto  volto  in  quella  parte, 
()\e  '1  bel  viso  di  madonna  luce, 
E  m'  è  rimasa  nel  pensier  la  luce, 
Cile  m'  arde  e  strugge  dentro  a  parte  a  parte, 
»]" ,  che  temo  del  cor ,  che  mi  si  parte, 
E  veggio  presso  il  fin  della  mia  luce, 
Vonunenc  in  guisa  d'  orbo  senza  luce, 
Che  non  sa,  ove  si  vada,  e  pur  si  parte. 

Wi  davanti  ai  colpi  della  morte 
Fuggo  ;  ma  non  sì  ratto  ,  che  'l  desio 
Meco  non  venga ,  come  venir  sole. 

Tacito  vo;  che  le  parole  morte 
l'arian  pianger  la  gente ,  ed  io  desio. 
Che  le  lagrime  mie  si  spargan  sole. 
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tono  animali  al  mondo  di  sì  altera 
Vista,  che  'ncontr'  al  sol  pur  r-i  difende 
Altri,  però  che  '1  gran  lume  gli  offende, 
INon  «'(«con  fuor,  se  non  verso  la  sera: 

id  altri  col  desio  folle,  che  spera 
Gioir  forse  nel  foeo ,  per<-hè  splende, 
l'rovan  1'  altra  virtù,  quella  che  'nccndc. 
Lasso,  il  min  loco  è  'n  questa  ultima  schiera. 
ZW  V  non  Hon  forte  ad  aspettar  la  luce 
Di  questil  donna,  e  non  su  fare  schermì 


I     Di  luoghi  tenebrosi,  o  d'  ore  tarde. 

Però  con  gli  occhj  lagrimosi  e  'nferrai 

1     Mio  destino  a  vederla  mi  conduce; 

I     E  eo  ben,  eh'  i'  vo  dietro  a  quel,  che  m'  arde. 

i  Sonetto    XVIII. 

Vergognando  talor,  eh'  ancor  si  taccia. 
Donna,  per  me  vostra  bellezza  in  rima, 
Ricorro  al  tempo ,  eh'  i'  vi  vidi  prima. 
Tal  che  nuli'  altra  fia  mai  che  mi  piaccia. 

Ma  trovo  peso  non  dalle  mie  braccia, 
Kè  ovra  da  polir  con  la  mìa  lima  : 
Però  lo  'ngegno,  che  sua  forza  estima, 
Neil'  operazion  tutto  s'  agghiaccia. 

Più  volte  già  per  dir  le  labbra  apersi: 
Poi  rimase  la  voce  in  mezzo  '1  petto. 
Ma  qual  suon  poria  mai  salir  tant'  alto? 

Più  volte  incominciai  di  scriver  versi: 
Ma  la  penna,  e  la  mano,  e  V  intelletto 
Rimaser  vinti  nel  primiero  assalto^ 
So;vETTo     XIX. 

Mille  fiate,  oh  dolce  mia  guerriera. 
Per  aver  co'  begli  occhj  vostri  pace, 
V  aggio  proferto  il  cor;  ma  a  voi  non  piace 
Mirar  sì  basso  con  la  mente  altera. 

E  se  di  lui  fors'  altra  donna  spera. 
Vive  in  speranza  debile  e  fallace: 
Mio,  perchè  sdegno  ciò,  eh'  a  voi  dispiace, 
Esser  non  può  giammai  così ,  com'  era. 

Or  s'  io  lo  scaccio,  ed  e'  non  trova  in  Toi 
IVeir  esilio  infelice  alcun  soccorso, 
Kè  sa  star  sol,  né  gire,  ov'  altri  '1  chiama 

Poria  smarrire  il  suo  naturai  corso; 
Che  grave  colpa  fia  d'  ambeduo  noi, 
E  tanto  più  dì  voi ,  quanto  più  v'  ama. 
Sestina     I. 

A  qualunque  animale  alberga  in  terra. 
Se  non  se  alquanti ,  eh'  hanno  in  odio  il  sole. 
Tempo  da  travagliare  è  quanto  è  '1  giorno; 
Ma  poi  che  '1  ciel  accende  le  sue  stelle, 
Qual  torna  a  casa,  e  qual  s'  annida  iu  selva, 
Per  aver  posa  ahucno  infin  all'  alba. 

Ed  io,  da  che  comincia  la  beli'  alba 
A  scuoter  1'  ombra  intorno  della  terra. 
Svegliando  gli  animali  in  ogni  selva, 
Non  ho  mai  triegua  di  sospir  col  sole. 
Poi ,  quand'  io  veggio  fiammeggiar  le  stelle, 
Vo  lagrimando  e  desiando  il  giorno. 

Quando  la  sera  scaccia  il  chiaro  giorno, 
E  le  tenebre  nostre  altrui  iann"  alba, 
Miro  pensoso  le  cruilelì  st«l!e. 
Che  m'  hanno  fatto  di  seii.-ibil  t«rra, 
E  iiiaiedico  il  di,  eh'  i"  vidi  '1  sole. 
Che  mi  fa  in  vista  un  noni  nudrìto  in  selva. 

Non  credo,  che  pascessc  inni  per  selva 
Si  aspra  fera,  o  di  notte,  o  di  giorno, 
(Jome  costei,  eh'  i'  piango  all'  ombra  e  al  sole: 
E  non  mi  stanca  prinut  sonno,  «)d  alba  ; 
(;iir,  bciieir  i'  sia   mortai  corpo  di  terra. 
Lo  mio  (ermo  desir  vien  «lalle  >lelle. 

Prima  ch"  i'  torni  a  voi ,  lucenti  stelle, 
()  Iiiiiii  ^iii   iH'ir   nuuirosa  selva, 
Lix'iandii  il  corpo,  che  Ha  trita  terra. 
\  ('de~^'  io   in  lei   jiielà,   eh'  in  un  sol    giorno 
Può  ii.->torar  moli'  anni,  e  innanzi  1'  all);i 
Puummi  arricchir  dui  lranu)n(ar  del  ride! 
1    ♦ 


m 


RIME   DEL   PETRARCA. 


Con  lei  foss'io,  da  che  si  parte  il  sole, 
E  non  ci  vedess'  altri,   che  le  stelle 
Sol  una  notte,  e  mai  non  fo>»e  1'  alba, 
E  non  si  trasformasse  in  verde  selva 
Per  uscirmi   di  braccia,  come  il  giorno, 
Che  Apollo  la  segiiia  quaggiù  per  terra  ! 

Ma  io  sarò  sotterra  in  secca  selva, 

E  '1  giorno   andrà  picn  di  minute  stelle, 
Prima   th'  a  sì  dolce  alba  arrivi  il  sole. 

C  A  !V  z  O  !V  E      I. 

Nel  dolce  tempo  della  prima  etade, 

Che  nascer  vide ,  ed  ancor  quasi  in  erba. 
La  fera  voglia ,  che  per  mio  mal  crebbe, 
Perchè  cantando  il  duol  si  disacerba, 
Ciuiterò,  com'  io  vissi  in  libertade. 
Mentre  Amor  nel  mio  albergo  a  sdegno  s'  ebbe: 
Poi  seguirò,  sì  come  a  lui  ne  'ncrebbe 
Troppo  altamente  ,  e  che  di  ciò  m'   avvenne  ; 
Di  eh'  io  son  fatto  a  molta  gente  esempio: 

Benché  '1  mio  duro  scempio 
Sia  scritto  altrove,  sì  che  mille  penne 
Ne  son  già  stanche,  e  quasi  in  ogni  valle 
Rimbombi  '1  siion  de'  miei  gravi  sospiri, 
Ch'  acquistan  fede  alla  penosa  vita. 
E  se  qui  la  memoria  non  m'  aita, 
Come  suol  faie,  iscusinla  i  martiri, 
Ed  un  pensier  ,  che  solo  angoscia  dàlie 
Tal,  eh'  ad  ogni  altro  fa  voltar  le  spalle, 
E  mi  face  obbliar  me  stesso  a  forza, 
Cile  tien  di  me  quel  dentro,  ed  io  la  scorza. 

r  dico,  che  dal  dì  ,  che  '1  primo  assalto 
Mi  diede  Amor,  molt'  anni  eran  passati, 
Si  eh'  io  cangiava  il  giovenile  aspetto, 
E  d'  intorno  al  mio  cor  pensier  gelati 
Fatto  avean  quasi  adamantino  smalto, 
Ch'  allentar  non  lasciava  il  duro  affetto. 
Lagrima  ancor  non  mi  bagnava  il  petto. 
Né  rompea  il  sonno  ;   e  quel  che  'n  me  non  era, 
Mi  pareva  un  miriicolo  in  altrui. 

Lasso,  che  son?  che  fui? 
La  vita  il  fin,  e  '1  di  loda  la  sera. 
Che  sentendo  il  crudel ,  di  eh'  io  ragiono, 
Infin  allor  percossa  di  suo  strale 
Non  essermi  passata  oltra  la  gonna, 
Prese  in  sua  scorta  una  possente  donna. 
Ver  cui  poco  giammai  mi  valse,  o  vale 
Ingegno ,  o  forza  ,  o  dimandar  perdono. 
E  i  duo  mi  trasformaro  in  quel  eh'  i'  sono, 
Facendomi  d'  uom  vivo  un  lauro  verde, 
Cijc  per  fredda  stagion  foglia  non  perde. 

Qn.il  mi  fec'  io ,  quando  primier  m'  accorsi 
Della  trasfigurala  mia  p(;rsona, 
E  i  capei  vidi  far  di  quella  fn)nde, 
Di  che  speriito  avea  già  lor  corona, 
E  i  piedi ,    in  eh'  io  mi  stetti ,  e  mossi ,   e  corsi, 
Com'  (tgni  membro  all'  anima  risponde. 
Diventar  due  radici  sovra  1'  onde, 
Non  di  Penco,  ma  d'  un  più  altero  fiume, 
E  'n  duo  rami  mutarsi  ambe  le  braccia! 

Nò  meno  ancor  m'  agghiaccia 
L'  esser  c(»vcrto  poi  di  bianche  piume. 
Allorché  fulminato  e  morto  giacque 
Il  mio  sperar,  che  troppo  alto  montava. 
Cile  ,  perdi'  io  iion  snpea ,  dove  ,  né  quando 
Mei  ritrovassi,  solo  lagrimando 
Lsi,  've  tolto  ini  fu,  dì  e  notte  andava 


[S] 


Ricercando  dal  lato ,  e  dentro  all'  acque  : 
E  giammai  poi  la  mia  lingua  non  tacque, 
Mentre  poteo ,  del  suo  cader  maligno  : 
Ond'  io  presi  col  suon  color  d'  un  cigno. 

Così  lungo  1'  amate  rive  andai, 

Che  volendo  parlar  cantava  sempre, 

Mercè  chiamando  con  estrania  voce. 

Né  mai  in  si  dolci ,  o  in  sì  soavi  tempre 

Risonar  seppi  gli  amorosi  guai, 

Che  '1  cor  s'  umiliasse  aspro  e  feroce. 

Qual  fu  a  sentir,  che  '1  ricordar  mi  coce? 

Ma  molto  più  di  quel  eh'  é  per  innanzi, 

Della  dolce  ed  acerba  mia  nemica 

E  bisogno,  eh'  io  dica, 
Benché  sia  tal ,  eh'  ogni  parlare  avanzi. 
Questa,  che  col  mirar  gli  animi  fura, 
M'  aperse  il  petto,  e  '1  cor  prese  con  mano, 
Dicendo  a  me:  di  ciò  non   far  parola! 
Poi  la  rividi  in  altro  alìito  sola, 
Talch'  io  non  la  conobbi ,  (oh  senso  wnano!  ) 
Anzi  le  dissi  'l  ver  pien  di  paura: 
Ed  ella,  nell'  usata  sua  figura 
Tosto  tornando  ,  fecemi ,  oimé  lasso  ! 
D'  un  quasi  vivo  e  sbigottito  sasso. 

Ella  parlava  si  turbata  in  vista, 

Che  tremar  mi  fea  dentro  a  quella  petra 
Udendo:  i'  non  son  forse,  chi  tu  credi. 
E  dicea  meco:  se  costei  mi  spetra. 
Nulla  vita  mi  fia  nojosa,  o  trista. 
A  farmi  lagrimar,  signor  mio,  riedi  ! 
Come ,  non  so ,  pur  io  mossi  indi  i  piedi. 
Non  altrui  incolpando ,  che  me  stesso, 
Mezzo  tutto  quel  dì  tra  vivo  e  morto. 

Ma  perché  'l  tempo  é  corto. 
La  penna  al  buon  voler  non  può  gir  presso  ; 
Onde  più  cose  nella  mente  scritte 
Vo  trapassando ,  e  sol  d'  alcune  parlo. 
Che  meraviglia  fanno  a  chi  le  ascolta. 
Morte  mi  s'  era  intorno  al  core  avvolta, 
Né  tacendo  potea  di  sua  man  trarlo, 
O  dar  soccorso  alle  virtuti  afflitte. 
Le  vive  voci  m'  erano  interditte  : 
Ond'  io  gridai  con  carta,  e  con  inchiostro: 
Non  son  mio,  no:  s'  io  moro,  il  danno  è  vostro. 

Ben  mi  credea  dinanzi  agli  occhj  suoi 
D'  indegno  far  così  di  mercè  degno  : 
E  questa  speme  m'  avea  fatto  ardito. 
Ma  talor  umiltà  spegne  disdegno, 
Talor  lo  'nliamma:  e  ciò  sepp'  io  da  poi 
Lunga  stagion  di  tenebre  vestito  : 
Ch'  a  quei  prieghi  il  mio  lume  era  sparito. 
Ed  io  non  ritrovando  intorno   intorno 
Ombra  di  lei,  né  pur  de'  suoi  piedi  orma, 

Coni'  uom,  che  tra  via  dorma, 
Gittaimi  stanco  sopra  V  erba  un  giorno. 
Ivi  accusando  il  fuggitivo  raggio 
Alle  lagrime  triste  allargai    l  freno, 
E  lasciaile  cader,  come  a  lor  parve. 
Né  giammai  neve  sotto  al  sol  disparve, 
Com'  io  sentii  me  tutto  venir  meno, 
E  farmi  una  fontana  a  pie  d'  un  faggio, 
(ìran  temi»)  umido  tenni  quel  >inggio. 
Chi  udì  mai  d'  uom  vero  nascer  fonte  ? 
E  parlo  coso  manifeste  e  conte. 

L'  alma,  eh'  è  sol  da  Dio  fatta  gentile 
Clio  già  d'  altrui  non  può  venir  tal  grazia, 


'9] 


RIME    DEL    PETRARCA. 


Slmile  al  suo  fattor  stato  ritiene: 

Però  di  perdonar  mai  non  è  sazia 

A  chi  col  core,  e  col  sembiante  umile 

Dopo  quantunque  ofl'ese  a  mercè  viene: 

E  se  contra  suo  stile  ella  sostiene 

D'  esser  molto  pregata,  in  lui  si  specchia; 

E  fai,  perche  U  peccar  più  si  parente  : 

Che  non  hen  si  ripente 
Dell'  un  mal ,  chi  dell'  altro  s'  apparecchia. 
Poi  che  madonna  da  pietà  commossa 
Degnò  mirarmi,  e  riconobbe,  e  vide 
Gir  di  pari  la  pena  col  peccato. 
Benigna  mi  ridusse  al  primo  stato. 
Ma  nulla  è  al  mondo,  in  eh' uom  saggio  si  fide: 
Ch'  ancor  poi  ripregando,  i  nervi  e  l'  ossa 
Mi  volse  in  dura  selce,  e  cosi  scossa 
Voce  rimasi  dell'  antiche  some, 
Chiamando  morte  e  lei  sola  per  nome. 

BSpirto  doglioso  errante  ,  mi  rimembra, 
Per  spelunche  deserte  e  pellegrine 
Piansi  molt'  anni  il  mio  sfrenato  ardire: 
Ed  ancor  poi  trovai  di  quel  mal  fine, 
E  ritornai  nelle  terrene  membra, 
Credo ,  per  più  dolor  ivi  sentire. 
I'  seguii  tanto  avanti  il  mio  desire, 
Ch'  un  dì  cacciando,  si  coni'  io  solca. 
Mi  mossi,  e  quella  fera  bella  e  cruda 

In  una  fonte  ignuda 
Si  stava,  quando  '1  sol  più  forte  ardea. 
Io ,  perchè  d'  altra  vista  non  ni'  appago. 
Stetti  a  mirarla  :  ond'  ella  ebbe  vergogna, 
E  per  farne  vendetta ,  o  per  cclarse, 
L'  acqua  nel  viso  con  le  man  mi  sparse. 
Vero  dirò,  forse  e'  parrà  menzogna, 
Ch'  i'  sentii  trarmi  della  propria  immago, 
Ed  in  un  cervo  solitario  e  vago 
Di  selva  in  selva  ratto  mi  trasformo, 
Ed  ancor  de'  mici  can  fuggo  lo  stormo. 

Canzon,  i'  non  fu'  mai  quel  nuvol  d'  oro. 
Che  poi  discese  in  preziosa  pioggia. 
Si  che  '1  foro  di  Giov(!  in  parte  spense: 
Ma  fui  ben  fiamma,  eh'  un  bel  guardo  acccnse, 
E  fui  r  uccel ,  che  più  per  1'  aere  poggia. 
Alzando  lei,  clic  ne'  mici  detti  onoro: 
Kè  per  nova  figura  il  primo  alloro 
Seppi  lasciar;  che  pur  la  sua  dolce  ombra 
Ogni  nien  bel  piacer  del  cor  mi  sgombra. 

Sonetto     \X. 
Se  1'  onorata  fronde  ,  che  prescrive 

L'  ira  del  <!Ìcl,  quaiulo  'I  gran  Giove  tona, 

Non  m'  avesse  disdetto  la  corona. 

Che  snoie  ornar  chi  poetando  scrive, 
r  era  amico  a  queste  vostre  dive. 

Le  qna'  vilmente  il  secolo  abbandona: 

Ma  quella  ingiuria  già  lungo  mi  sprona 

Dall'  inventrire  delle  prime  olive: 
Che  non  bolle  la  polver  d'  Etiopia 

Sotto  '1  più  ardente  sol,  com'  io  sfavillo. 

Perdendo  tanto  amata  cosa  propia. 
Cercato  dunque  fonte;  più  tranquillo! 

Che  'I  mio  d'  ogni  licor  so>lieMe  inopia. 

Salvo  di  quel,  che  lagrimando  stillo. 

So\KTTO      WF. 

Amor  piangeva,  ed  io  con  lui  talvolta, 
Dal  qual  mici  passi  non  fùr  mai  lontani. 


[10] 


IMirando  per  gli  effetti  acerbi  e  strani 
L'  anima  vostra  de'  suoi  nodi  sciolta. 

Or  eh'  al  dritto  cammin  l'  ha  Dio  rivolta, 
Col  cor,  levando  al  cielo  ambe  le  mani. 
Ringrazio  lui ,  eh'  i  giusti  prieghi  umani 
Benignamente ,  sua  mercede  ,  ascolta. 
I  E  se  tornando  all'  amorosa  vita. 

Per  farvi  al  bel  desio  volger  le  spalle. 
Trovaste  per  la  via  fossati,  o  poggi. 

Fu  per  mostrar,  quant'  è  spinoso  'l  calle, 
E  quanto  alpestra  e  dura  la  salita, 
Onde  al  vero  valor  couvien  eh'  uom  poggi. 

SOXETTO     XXII. 
Più  di  me  lieta  non  si  vede  a  terra 
Nave  dall'  onde  combattuta  e  vinta. 
Quando  la  gente  di  pietà  dipinta 
Su  per  la  riva  a  ringraziar  s'  atterra; 
Né  lieto  più  del  career  si  disserra 

Chi  'ntorno  al  collo  ebbe  la  corda  avvinta. 
Di  me,  veggendo  quella  spada  scinta, 
Che  fece  al  signor  mio  sì  lunga  guerra. 
E  tutti  voi ,  eh'  Amor  laudate  in  rima. 
Al  buon  tpstor  degli  amorosi  detti 
Rendete  onor,  eh'  era  smarrito  in  prima! 
Che  più  gloria  è  nel  regno  degli  eletti 
D'  un  spirito  converso,  e  più  s'  estima, 
Che  di  novantanove  altri  perfetti. 
Sonetto     XXIII. 
Il  suecessor  di  Carlo ,  che  la  chioma 
Con  la  corona  del  suo  antico  adorna. 
Prese  ha  già  l'  arme,  per  fiaccar  le  corna 
A  Babilonia,  e  chi  da  lei  si  noma. 
E  '1  vicario  di  Cri^to  con  la  soma 

Delle  chiavi  e  del  manto  al  nido  torna  ; 
Sì  che,  s'  altro  accidente  noi  di>torna. 
Vedrà  Bologna,  e  poi  la  nobil  Roma. 
La  mansueta  vostra  e  gentil'  agna 
Abbatte  i    fieri  lupi  :  e  così  vada 
Chiunque  amor  legittimo  scompagna  ! 
Consolate  lei  dunque,  eh'  ancor  bada, 
E  Roma ,  che  del  suo  sposo  >i  lagna, 
E  per  Gesù  cingete  omai  la  spada! 
Canzone     II. 
Oh  aspettata  in  elei  beata  e  bella 
Anima,  che  di  nostra  umanitade 
Vestita  vai,  iu)n  come  l'  altre  carca. 
Perchè  ti  sian  iiieti  dure  orm.ii  le  ^tra(lc, 
A  Dio  diletta  obbediente  ancella. 
Onde  al  suo  regno  di  qua  giù  ^i  varca. 
Ecco  novellanu-nte  all.i  tua  barca. 
Ch'  al  cieco  mondo  ha  già  volte  le  spalle, 

Per  gir  a  miglior  porto, 
D'  un  vento  occidental  dolce  conforto, 
I      Lo  qual  per  mezzo  questa  oscura  %alle. 

Ove  piangiamo  il  no-tro  v  V  altrui  torto, 
I      La  condurrà  de'  lacci  antichi  sciolta 
Per  drittis>imo  calle 
Al  verace  oriente,  ov'  ella  è  volta. 
Forse  i  devoti  e  gli  amorosi  preghi, 
!      E  le  lagrime  sante  de'   mortali 
j     Son  giunte  innan/i  alla  pietà  superna, 
E  forse  non  fùr  mai   tante,  ne  tal<, 
(he  per  merito  lor  punto  si  pieghi 
I     Fuor  di  fììo  cor.NO  la  gin>li/ia  «terna : 
i      Ma  quel  benigno  re,  che  'I  ciel  governa, 
I     Al  sacro  luco,  ove  fu  posto  in  croce. 


[11] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[12] 


Gli  occhj  per  grazia  gira  ; 
Onde  nel  petto  al  novo  Carlo  spira 
La  vendetta,  eh'  a  noi  tardata  noce. 
Sì  che  raolt'  anni  Europa  ne  sospira: 
Così  soccorre  alla  sua  amata  sposa. 

Tal  che  sol  della  voce 
Fa  tremar  Babilonia,  e  star  pensosa. 

Chiunque  alberga  tra  Garonna  e  '1  monte, 

E  'ntra  'I  Rodano,  e  '1  Reno  ,  e  1'  onde  salse, 

Le  'nsegne  cristianissime  accompagna, 

Ed  a  cui  mai  di  vero  pregio  calse, 

Dal  Pireneo  all'  ultimo  orizzonte. 

Con  Aragon  lascerà  vota  Ispagna, 

Inghilterra  con  1'  isole,  che  bagna 

L'  oc«-ano  intra  '1  carro  e  le   colonne, 

Infin  là,  dove  sona 
Dottrina  del  santissimo  Elicona, 
Varie  di  lingue ,  e  d'  arme ,  e  delle  gonne, 
All'  alta  impresa  caritate  sprona. 
Deh  qual  amor  sì  licito,  o  sì  degno. 

Qua'  figli  mai,  quai  donne 
Furon  materia  a  sì  giusto  disdegno? 

Una  parte  del  mondo  è,  che  si  giace 

Mai  sempre  in  ghiaccio  ed  in  gelate  nevi. 
Tutta  lontana  dal  cammin  del  sole. 
Là,  sotto  i  giorni  nubilosi  e  brevi, 
INemica  naturalmente  di  pace 
Nasce  una  gente,  a  cui  'l  morir  non  dole. 
Questa,  se  più  devota,  che  non  sole, 
Col  tedesco  furor  la  spada  cigne: 

Turchi,  Arabi,  e  Caldei, 
Con  tutti  quei ,  che  speran  negli  Dei, 
Di  qua  dal  mar,  che  fa  1'  onde  sanguigne, 
Quanto  sian  da  prezzar,  conoscer  dei: 
Popolo  ignudo,  paventoso  e  lento. 

Che  ferro  mai  non  strigne. 
Ma  tutti  i  colpi  suoi  commette  al  vento! 

Dunque  ora  è  '1  tempo  da  ritrarre  il  collo 
Dal  giogo  antico ,  e  da  squarciare  il  velo, 
Ch'  è  stato  avvolto  intorno  agli  occhj  nostri; 
E  che  '1  nobile  ingegno ,  che  dal  ciclo 
Per  grazia  ticn  dell'  immortale  Apollo, 
E  r  eloquenza  sua  virtù  qui  mostri 
Or  con  la  lingua,  or  con  laudati  inchiostri: 
Perchè  d'  Orfeo  leggendo,  e  d'  Anfione, 

Se  non  ti  maravigli, 
Assai  men  fia  eh'  Italia  co'  suoi  figli 
Si  desti  al  suon  del  tuo  chiaro  sermone. 
Tanto,  che  per  Gesù  la  lancia  pigli: 
Che,  s'  al  ver  mira  questa  antica  madre. 

In  nulla  sua  tenzone 
Fùr  mai  cagion  sì  belle,  o  sì  leggiadre. 

Tu,  eh'  hai ,  per  arricchir  d'  un  bel  tesauro 
Volte  r  antirlie  e  le  moderne  carte, 
Volando  al  elei  con  la  terrena  soma. 
Sai  dall'  imperio  del  figliuol  di  Marte 
Al  granile  Angusto,  che  di  verde  lauro 
Tre  volte  trionfando  ornò  la  chioma, 
Neil'  altrui  ingiurie  del  suo  sangue  Roma 
Spesse  fiate  quanto  fu  cortese: 

Ed  or  perchè  non  fia 
Cortese  no  ,  ma  conoscente  e  pia 
A   vendicar  le  dispictatc  olTese 
Col  (ìglinol  glorioso  di  Maria? 
Che  dunque  la  nemica  parte  spera 


Neil'  umane  difese. 
Se  Cristo  sta  dalla  contraria  schiera? 
Pon  mente  al  temerario  ardir  di  Serse, 
Che  fece,  per  calcar  i  nostri  liti, 
Di  novi  ponti  oltraggio  alla  marina: 
E  vedrai  nella  morte  de'  mariti 
Tutte  vestite  a  brun  le  donne  perse, 
E  tinto  in  rosso  il  mar  di  Salamina. 
E  non  pur  questa  misera  mina 
Del  popolo  infelice  d'  oriente 

Vittoria  ten  promette, 
Ma  IWaratona,  e  le  mortali  strette, 
Che  difese  il  Leon  con  poca  gente. 
Ed  altre  mille,  eh'  hai  scoltate  e  lette. 
Perchè  inchinar  a  Dio  molto  conviene 

Le  ginocchia  e  la  mente, 
Che  gli  anni  tuoi  riserva  a  tanto  bene. 
Tu  vedrà'  Italia  e  1'  onorata  riva, 

Canzon,  eh'  agli  occhj  miei  cela  e  contende 

Non  mar ,  non   poggio ,  o  fiume, 
Ma  solo  Amor,  che  del  suo  altero  lume 
Più  m'  invaghisce,  dove  più  m'  incende: 
Né  natura  può  star  contra  '1  costume. 
Or  movi ,  non  smarrir  1'  altre  compagne  ! 

Cbè  non  pur  sotto  bende 
Alberga  Amor,  per  cui  si  ride  e  piagne. 

C  A  IN  Z  O  K  E    III. 

Verdi  panni,  sanguigni,  oscuri,  o  persi 

Non  vestì  donn<a  unquanco, 
Né  d'  or  capelli  in  bionda  treccia  attorse 
Sì  bella,  come  questa,  che  mi  spoglia 
D'  arbitrio ,  e  dal  cammin  di  libertade 
Seco  mi  tira  sì ,  eh'  io  non  sostegno 

Alcun  giogo  men  grave. 
E  se  pur  s'  arma  talor  a  dolersi 

L'  anima,  a  cui  vien  manco 
Consiglio ,  ove  '1  martir  1'  adduce  in  forse, 
Rappella  lei  dalla  sfrenata  voglia 
Subito  vista ,  che  del  cor  mi  rade 
Ogni  delira  impresa,  ed  ogni  sdegno 

Fa  '1  veder  lei  soave. 
Di  quanto  per  Amor  giammai  soffersi, 

Ed  aggio  a  soffrir  anco. 
Fin  che  mi  sani  '1  cor  colei ,  che  'I  morse 
Rubella  di  mercè,  che  pur  lo  'nvoglia. 
Vendetta  fia;  sol  che  contra  umiltade 
Orgoglio  ed  ira  il  bel  passo  ,  ond'  io  vegno, 

Non  chiuda,  e  non  inchiave. 
Ma  l'  ora ,  e  '1  giorno,  eh'  io  le  luci  apersi 

Nel  bel  nero,  e  nel  bianco, 
Che  mi  scacciar  di  là ,  dove  Amor  corse. 
Novella  d'  està  vita,  che  m'  addoglia, 
Furon  radice  e  quella,  in  cui  1'  etade 
Nostra  si  mira,  la  qual  piombo,  o  legno 

Vedendo  è  chi  non  pavé. 
Lagrima  dunque,  che  dagli  occhj  versi 

Per  qiurlle,  che  nel  manco 
Lato  mi  bagna  cbi  primier  s'  accorse, 
Qiiadreila,  dal  voler  mio  non  mi  svoglia: 
Che  'n  giusta  parte  la  sentenza  cade: 
Per  \vì  sospira  1'  alma,  ed  ella  è  degno 

Cile  le  sue  piaghe  lave. 
Da  me  son  fatti  i  miei  pensitr  diversi: 

Tal  già,  qual  io  mi  stanco, 
L'  amata  spada  in  sé  stessa  contorse. 


[13] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


["] 


Né  quella  prego,  che  però  mi  scioglia: 
Che  men  son  dritte  al  ciel  tutt'  altre  strade, 
E  non  s'  aspira  al  glorioso  regno 

Certe  in  più  salda  nave. 
Benigne  stelle,  che  compagne  fèrsi 

Al  fortunato  fianco, 
Quando  '1  bel  parto  giù  nel  mondo  scorse? 
Ch'  è  stella  in  terra,  e,  come  in  lauro  foglia, 
Conserva  verde  il  pregio  d'  onestade, 
Ove  non  spira  folgore ,  né  indegno 

Vento  mai,  che  1'  aggrave. 
So  io  ben ,  eh'  a  voler  chiuder  in  versi 

Sue  laudi ,  fora  stanco, 
Chi  più  degna  la  mano  a  scriver  porse. 
Qual  celia  è  di  memoria ,  in  cui  s'  accoglia 
Quanta  vede  virtù ,  quanta  beltade, 
Chi  gli  occhj  mira  d'  ogni  valor  segno. 

Dolce  del  mio  cor  chiave? 
Quanto  U  sol  gira,  Amor  più  caro  pegno, 

Doima,  di  voi  non  ave. 

Sestiwa  n. 

Giovane  donna  sott'  un  verde  lauro 

Vidi  più  bianca,  e  più  fredda,  che  neve 
Non  percossa  dal  sol  molti  e  molt'  anni  : 
E  '1  suo  parlar ,  e  '1  bel  viso ,  e  le  chiome 
Mi  piacquer  si,  eh'  i'  1'  ho  dinanzi  agli  occhj. 
Ed  avrò  sempre,  ov'  io  sia,  in  poggio,  o  'n  riva. 

Allor  saranno  i  miei  pensieri  a  riva, 
Che  foglia  verde  non  si  trovi  in  lauro. 
Quando  avrò  queto  il  core,  asciutti  gli  occhj, 
Vedrem  ghiacciar  il  foco,  arder  la  neve. 
Non  ho  tanti  capelli  in  queste  chiome. 
Quanti  vorrei  quel  giorno  attender  anni. 

Ma  perché  vola  il  tempo ,  e  fuggon  gli  anni 
Si ,  eh'  alla  morte  in  un  punto  s'  arriva, 
O  con  le  brune ,  o  con  le  bianche  chiome, 
Seguirò  r  ombra  di  quel  dolce  lauro 
Per  lo  più  ardente  sole ,  e  per  la  neve. 
Finche  1'  ultimo  di  chiuda  quest'  occhj. 

Non  fùr  giammai  veduti  sì  begli  occhj 
O  nella  nostra  etade,  o  ne'  prim'  anni; 
Che  mi  struggon  così ,  come  '1  sol  neve  : 
Onde  procede  lagrimosa  riva, 
Ch'  Amor  conduce  a  pie  del  duro  lauro, 
Ch'  ha  i  rami  di  diamante,  e  d'or  le  chiome. 

Io  temo  di  cangiar  pria  volto  e  chiome, 
Che  con  vera  pietà  mi  mostri  gli  occhj 
L'  idolo  mio  scol|)ito  in  vivo   lauro  : 
Che,  s'  al  contar  non  erro,   oggi  ha  sett'  anni. 
Che  sospirando  vo  di  riva  in  riva 
La  notte ,  e  '1  giorno,  al  caldo,  ed  alla  neve. 

Dentro  pur  foco,  e  fuor  candida  neve 
Sol  con  questi  ponsicr,  con  altre  chiome 
S(;m|ire  piangendo  andrò  per  ogni  riva, 
Per  far  forse  pietà  venir  negli  oc<;hj 
Di  tal,  che  nascerà  d(»pu  niill'  anni; 
Se  tanto  viver  può  ben  culto  lauro. 

L'  auro  <!  i  topa'/j  al  sol  sopra  la  ne\n 

\  ini-.on  !<■  Iiiiiii<l<;  rliiuuKi,  presso  agli  occlij. 
Che  nieiian  gli  anni  mici  si  tosto  a  riva. 

So  INETTO     WIV. 

Quo^t'  anima  gentil,  che  si  di|iarto 
Anzi  tempo  chiamata  all'  altra  vita, 


Se  là  suso  è,  quant'  esser  de',  gradita, 
Terrà  del  ciel  la  più  beata  parte. 

S'  ella  riman  fra  '1  terzo  lume  e  Marte, 
Fia  la  vista  del  sole  scolorita, 
Poich'  a  mirar  sua  bellezza  infinita 
L'  anime  degne  intorno  a  lei  fien  sparte. 

Se  si  posasse  sotto  '1  quarto  nido, 
Ciascuna  delle  tre  saria  men  bella. 
Ed  essa  sola  avria  la  fama,  e  i  grido. 

Nel  quinto  giro  non  abitrebb'  ella; 
Ma  se  A  ola  più  alto,  assai  mi  fido. 
Che  con  Giove  fia  vinta  ogni  altra  stella. 

Sonetto    XXV. 

Quanto  più  m'  avvicino  al  giorno  estremo. 
Che  r  umana  miseria  suol  far  breve, 
Più  veggio  'l  tempo  andar  veloce  e  leve, 
E  '1  mio  di  lui  sperar  fallace  e  scemo. 

r  dico  a'  miei  pensier  :  non  molto  andremo 
D'  amor  parlando  ornai;  che  '1  duro  e  greve 
Terreno  incarco  come  fresca  neve 
Si  va  struggendo;  onde  noi  pace  avremo. 

Perché  con  lui  cadrà  quella  speranza, 
Che  ne  fé'  vaneggiar  sì  lungamente; 
E  '1  riso,  e  '1  pianto,  e  la  paura,  e  1'  ira. 

Sì  vedrem  chiaro  poi,  come  sovente 
Per  le  cose  dubbiose  altri  s'  avanza, 
E  come  spesso  indarno  si  sospira. 

S  O  X  E  T  T  o   XXVI. 

Già  fiammeggiava  1'  amorosa  stella 
Per  r  oriente,  e  1'  altra,   che  Giunone 
Suol  far  gelosa,  nel  settentrione 
Rotava  i  raggi  suoi  lucente  e  bella; 

Levata  era  a  filar  la  vecchierella 

Discinta  e  scalza,  e  desto  avea  'I  carbone, 
E  gli  amanti  pungea  quella  stagione. 
Che  per  usanza  a  lagrimar  gli  appella: 

Quando  mia  speme  già  condotta  al  verde 
Giunse  nel  cor,  non  per  1'  usata  via. 
Che  r  sonno  tenea  chiusa,  e  'l  dolor  molle. 

Quanto  cangiata ,  oinié ,  da  quel  di  pria  ! 
E  parca  dir:  perché  tuo  valor  perde? 
Veder  quest'  occhj  ancor  non  ti  si  toile. 

Sonetto  XXMl. 

Apollo ,  s'  ancor  vive  il  bel  desio. 

Che  t'  infiammava  alle  tessaliche  onde, 
E  se  non  hai  1'  amate  chiome  bionde. 
Volgendo  gli  anni,  già  poste  in  oldilio. 

Dal  pigro  gelo,  e  dal  tenipo    aspro  e  rio. 
Che  doni,  quanto  'I  tuo  viso  s'  asconde. 
Difendi  or  1'  onorata  e  sacra  fronde. 
Ove  tu  prima,  e  poi  fu'  invescat'  io, 

E  per  virtù  dell'  amorosa  speme. 
Che  ti  sostenne  nella  vita  acerba. 
Di  queste  impression  V  acre  disgombra! 

Sì  vedrem  poi  per  maraviglia  insicuie 
Seder   la  detona  nostra  sopra  V  erba, 
E  far  delle  sue  braccia  a  sé  stess'  ombra. 

Sonetto   XXVIU. 
'  Solo  e  pensoso  i  più  deserti  rampi 
\o  iiii^iirandii  a  p.l^^i   tardi  e  hiiti, 
E  gli   occlij   porlo  per  fiigf;irc  intenti 
j      Dom;  \('-li;;io  niu.in  1'  arena  stampi. 
Altro  schcrino  non  trovo ,  che  mi  scampi 
Dal  manifesto  accorger  dello  genti, 


[15] 


BIME  DEL  PETRARCA. 


_ffl 


Percliè  negli  atti  d'  allegrezza  spentì 

Di  fuor  si  legge ,  com'  io  dentro  avvampi. 

Si  oh'  io  mi  creilo  ornai ,  die  monti,  e  piagge, 
E  fiumi,  e  selve  sappian,  di  che  tempre 
Sia  la  mia  vita ,  eh'  è  celata  altrui. 

Ma  pur  sì  aspre  vie ,  né  sì  selvagge 

Cercar  non  so,  eh'  Amor  non  venga  sempre 
Ragionando  con  meco,  ed  io  con  lui. 

SoiV  ETT  o  XXIX. 

S'  io  credessi  per  morte  Cf^sere  scarco 
Del  pensier  amoroso  ,  che  m'  atterra. 
Con  le  mie  mani  avrei  già  posto  in  terra 
Queste  membra  nojose,  e  quello  incarco. 

3Ia  perch'  io  temo ,  che  sarebbe  un  varco 

Di  pianto  in  pianto  ,  e  d'  una  in  altra  guerra, 
Di  qua  dal  passo  ancor,  che  mi  si  serra, 
Mezzo  rimango,  lasso,  e  mezzo  il  varco. 

Tempo  ben  fora  omai  d'  avere  spinto 
L'  ultimo  strai  la  dispietata  corda, 
Neil'  altrui  saìigue  già  bagnato  e  tinto! 

Ed  io  ne  prego  Amore ,  e  quella  sorda. 
Che  mi  lasciò  de'  suoi  color  dipinto, 
E  di  chiamarmi  a  sé  non  le  ricorda. 

C  A  \  Z  0  X  E     IV. 

Sì  è  debile  il  filo,  a  cui  s'  attiene 

La  gravosa  mia  vita, 

Che,  s'  altri  non  1'  aita, 
Ella  (ìa  tosto  di  suo  corso  a  riva  : 
l'ero  che  dopo  1'  empia  dipartita. 

Glie  dal  dolce  mio  bene 

Feci ,  sol  una  spene 
E'  stata  iiifin  a  qui  cagion,  eh'  lo  viva, 

Dicendo  :  perchè  priva 

Sia  dell'  amata  vista, 

Mantienti,  anima  trista  ! 
Che  sai,  s'  a  miglior  tempo  anco  ritorni 

Ed  a  più  lieti  giorni.'' 
O  se  '1  perduto  ben  mai  si  racquista? 
Questa  speranza  mi  sostenne  un   tempo; 
Or  vien  mancando,  e  troppo  in  lei  m'  attempo. 

Il  tempo  passa,  e  l'  ore  son  si  pronte 

A  fornire  il  viaggio, 

("Ir  assai  sjjazio  non  aggio 
Pur  a  pensar,  com'  io  corro  alla  morte. 
A  pena  spunta  in  oriente  un  raggio 

Dì  sol,  eh'  air  altro  monte 

Dell'  avverso  orizzonte 
Giunto  '1  vedrai  per  vie  lunghe  e  distorte, 

I-c  vite  son  sì  corte, 

Si  gravi  i  corjii  e  frali 

Degli  uomini  mortali, 
Clic,  quand'  io  mi  ritrovo  dal  bel  viso 

Contanto  esser  diviso, 
Col  de^io  non  possendo  mover  l'  ali, 
Poco  in'  avanza  del  conforto  usato; 
Nò  so,  qiiant'  io  mi  viva  in  questo  stato. 

Ogni  loco  m'  attrista,  ov'  io  non  veggio 

Quc'  begli  occhj  soavi, 

("he  porlaron  le  chiavi 
De'  miei  dolci  pensier,  mentr'a  Dìo  piacque: 
E  perchè  'l  duro  esilio  più  m'  aggravi, 

S'  io  dormo ,  o  vado ,  o  seggio, 

Altro  giammai  non  chicggio; 
E  ciò  eh'  io  vidi  dopo  lor,  mi  spiacque. 
Quante  montagne,  ed  acque, 


Quanto  mar,  quanti  fiumi 

M'  ascondon  que'  duo  lumi, 
Che  quasi  un  bel  sereno  a  mezzo  'l  die 

Fèr  le  tenèbre  mie. 
Acciò  che  '1  rinjembrar  più  mi  consumi: 
E  quant'  era  mia  vita  allor  giojosa, 
M'  insegni  la  presente  aspra  e  nojosa. 
Lasso ,  se  ragionando  si  rinfresca 

Queir  ardente  desio, 

Che  nacque  il  giorno,  eh'  io 
Lasciai  di  me  la  miglior  parte  addietro, 
E  s'  Amor  se  ne  va  per  lungo  obblio; 

Chi  mi  conduce  all'  esca, 

Onde  '1  mio  dolor  cresca.'* 
E  perchè  pria  tacendo  non  m'  impetro? 

Certo,  cristallo,  o  vetro 

Non  mostrò  mai  di  fore 

Nascosto  altro  colore, 
Che  r  alma  sconsolata  assai  non  mostri 

Più  chiari  i  pensier  nostri, 
E  la  fera  dolcezza,  eh'  è  nel  core, 
Per  gii  occhj ,  che  di  sempre  pianger  vaghi 
Cercali  di  e  notte  pur  chi  glieu'  appaghi. 
Novo  piacer ,  che  negli  umani  ingegni 

Spesse  volte  si  trova, 

D'  amar,  qual  co*a  nova 
Più  folta  schiera  di  sospiri  accogUa! 
Ed  io  son  un  di  quei,  che  '1  pianger  giova: 

E  par  ben ,  eh'  io  m'  ingegni, 

Che  dì  lagrime  pregni 
Sien  gli  occhj  miei,  siccome  'I  cor  di  doglia. 

E  perchè  a  ciò  m'  invoglia 

Ragionar  de'  begli  occhj. 

Né  cosa,  è  che  mi  tocchi, 
0  sentir  mi  si  l'accia  così  addentro. 

Corro  spesso  e  rientro 
Colà,  donde  più  largo  il  diiol  trabocchi; 
E  eien  col  cor  punite  ambe  le  luci 

Ch'  alla  strada  d'  amor  mi  furon  duci. 
Le  trecce  d'  or,  che  dovrien  far  il  sole 

D'  invidia  molta  ir  pieno, 

E  '1  bel  guardo  sereno, 
Ove  i  raggi  d'  amor  sì  caldi  sono. 
Che  mi  fanno  anzi  tempo  venir  meno, 

E  r  accorte  parole 

Rade  nel  mondo,  o  sole, 
Che  mi  fèr  già  di  sé  cortese  dono, 

Mi  son  tolte:  e  perdono 

Più  lieve  ogni  altra  ollesa. 

Che  r  essermi  contesa 
Quella  benigna  angelica  salute, 

Che  '1  mio  cor  a  virtute 
Destar  solca  con  una  voglia  accesa  ; 
Tal  eh'  io  non  penso  udir  cosa  giammai, 
Che  mi  conforti  ad  altro,  eh'  a  trar  guai. 
E  per  pianger  ancor  con  più  diletto, 

Le  man  bianche  sottili, 

E  le  braccia  gentili, 
E  gli  atti  suoi  soavemente  alteri, 
E  i  dolci  sdegni  alteramente  miiili, 

E  'l  bel  giovenil  petto, 

Torre  d'  alto  intelletto, 
Rli  celan  questi  luoghi  alpestri  e  feri: 

E  non  so ,  s'  io  mi  speri 

Vederla  anzich'  io  mora: 

Però  eh'  ad  ora  ad  ora 


l^] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[18J 


S'  erge  la  speme ,  e  poi  non  sa  star  ferma  ; 
la  ricadendo  afferma 
i  mai  non  \eder  lei ,  che  '1  ciel  onora , 
've  alberga  onestate  e  cortesia, 
dov  io  prego  che  '1  mio  albergo  eia., 
Canzon,  s'  al  dolce  loco 
La  donna  nostra  Tedi  ; 
Credo  ben ,  che  tu  credi 
ella  ti  porgerà  la  bella  mano, 
Ond'  io  son  si  lontano. 
bn  la  toccar  ;  ma  riverente  a'  piedi 

di',  eh'  io  sarò  là,  tosto  eh'  io  possa, 
spirto  ignudo ,  od  uom  di  carne  e  d'ossa  ! 

Sonetto     XXX. 
irso,  e'  non  ftiron  mai  fiumi,  né  stagni, 
Né  mare,  ov'  ogni  rivo  si  disgombra. 
Né  di  muro ,  o  di  poggio ,  o  di  ramo  ombra, 
Né  nebbia ,  che  '1  ciel  copra ,  e  '1  mondo  bagni, 
è  altro  impedimento  ,  ond'  io  mi  lagni. 
Qualunque  più  1'  umana  vista  ingombra, 
Quanto  d'  un  vel ,  che  due  begli  occhj  adombra, 
E  par  che  dica  :  or  ti  consuma ,  e  piagni  ! 
!  quel  lor  inchinar,  eh'  ogni  mia  gioja 
Spegne,  o  per  umiltate,  o  per  orgoglio, 
Cngion  sarà,  che  'nnanzi  tempo  i'  moja. 
3  d'  una  bianca  mano  anco  mi  doglio, 
Ch'  è  stata  sempre  accorta  a  farmi  noja, 
E  contra  gli  occhj  miei  s'  è  fatta  scoglio. 
Sonetto    XXXI. 
o  temo  si  de'  begli  occhj  1'  assalto. 
Ne'  quali  amore  e  la  mia  morte  alberga, 
Ch'  i'  fuggo  lor,  come  fanciul  la  verga, 
£  gran  tempo  è,  eh'  io  presi  '1  primier  salto. 
>a  ora  innanzi  faticoso  od  alto 
Loco  non  fia,  dove  '1  voler  non  s'  erga. 
Per  non  scontrar  chi  i  miei  senesi  disperga, 
Lasciando,  come  suol,  me  freddo  smalto. 
)Dnque  s'  a  veder  voi  tardo  mi  volsi, 
Per  non  ravvicinarmi  a  chi  mi  strugge, 
Fallir  forse  non  fu  di  scusa  indegno. 
'ìù  dico,  che  '1  tornare  a  quel  eh'  uom  fogge, 
E  i  cor ,  che  di  paura  tanta  sciolsi, 
Fur  della  fede  mia  non  Icggier  pegno. 
Sonetto     XXXII. 
S'  amore,  o  morte  non  dà  qualche  stroppio 
Alla  tela  novella,  eh'   ora  ordisco, 
E  s'  io  mi  svolvo  dal  tenace  visco, 
Mentre  che  1'  un  con  1'  altro  vero  accoppio, 
I'  farò  forse  un  mio  lavor  si  doppio 

Tra  lo  stil  de'  moderni  e  '1  scrmon  prisco, 
Che  (paventosamente  a  dirlo  ardisco) 
InfiM  a  Roma  n'  udirai  lo  scoppio. 
IVLi  però  che  ini  manca  a  fornir  1'  opra 
Alquanto  delle  fila  benedette, 
Cli'  avan/aro  a  quel  mìo  dilotto  padre, 
Perchè  ticn'  verso  me  le  man  sì  strette 

Contra  tua  usanza?  I'  prego  che  tu  1'  opra, 
E  vedrai  riuscir  cose  leggiadre. 

Soxetto    XXXIII. 
Quando  dal  proprio  sito  si  rimove 

1/  arbor,  di'  amò  già  Felio  in  corpo  umano, 

Sospiia  e  suda  all'  opera  \Hlcano, 

Per  rinfrescar  1'  aspro  saette  a  (iiove. 
Il  qual  or  tona,  or  nevica,  ed  or  piove. 

Senza  onorar  più  Celare ^  che  Giano: 


La  terra  piagne,  e  '1  sol  ci  sta  lontano, 
Che  la  sua  cara  amica  vede  altroAe. 
Alior  riprende  ardir  Saturno  e  iMarte, 
Crudeli  stelle,  ed  Orione  armato 
Spezza  a'  tristi  iiorcliif  r  governi  e  sarte. 
Kolo  a  Nettuno ,  ed  a  Giunon  turl)ato 
Fa  sentir ,  ed  a  noi ,  c<ime  si  parte 
il  bel  viso  dagli  angeli  aspettato. 
Sonetto     XXXIV. 

,Ma  poi  che  '1  dolce  riso  umile  e  piano 
Fili  non  asconde  sue  bellezze  nove, 
Le  braccia  alla  fucina  indarno  move 
L'   antiquissimo  fabbro  ^iciliano  : 

Cir  a  Giove  tolte  son  1'  arme  di  mano 
Temprate  in  Mongibello  a  tutte  prove, 
E  sua  sorella  par ,  che  si  rinnovo 
Nel  bel  guardo  d'  Apollo  a  mano  a  mano. 

Del  lito  Occidental  si  move  un  fiato, 
Che  fa  securo  il  navigar  senz'  arte, 
E  desta  i  fior  tra  1'  erba  in  ciascun  prato. 

Stelle  nojose  fuggon  d'  ogni  parte 
Disperse  dal  bel  viso  innamorato. 
Per  cui  lagrime  molte  son  già  sparte. 
Sonetto     XXXV. 

11  figliuol  di  Latona  avea  già  nove 
Volte  guardato  dui  balcon  sovrano 
Per  quella,  eh'  alcun  tempo  mosse  in^-ano 
I  suoi  sospiri ,  ed  or  gli  altrui  comiuove  : 

Poi  che  cercando  stanco  non  seppe ,  ove 
S'  albergasse  da  presso,  o  di  lontano, 
Mostrossi  a  noi  qual  uom  per  doglia  insano. 
Che  molto  amata  cosa  non  ritrove. 

E  cosi  tristo  standosi  in  disparte, 

Tornar  non  vide  il  vi?o,  che  laudato 
Sarà,  s'  io  vivo,  in  più  di  mille  carte: 

E  pietà  lui  mcdesmo  avea  cangiato 

Sì ,  che  i  begli  occhj  lagrimavan  parte  : 
Però  r  aere  ritenne  il  primo  sfato. 

Sonetto     XXXM. 

Quei,  eh'  in  Tessaglia  ebbe  le  man  si  pronte 
A  farla  del  civil  sangue  vermiglia. 
Pianse  morto  il  marito  di  stia  figlia, 
Raffigurato  alle  fattoz.e  conte. 

E  '1  pastor,  eh'  a  Golia  ruppe  la  fronte. 
Pianse  la  ribellante  sua  famiglia, 
E  sopra  'I  buon  Saul  cangiò  le  ciglia, 
Ond'  assai  può  dolersi  il  fiero  monte. 

^la  voi,  che  mai  pietà  non  discolora, 
E  eh'  avete  gli  schermi  sempre  accorti 
Contra  1'  arco  d'  Amor,  che  indarno  tira, 

Mi  vedete  straziare  a  mille  morti. 
Né  bigrima  però  discese  ancora 
Da'  be'  vostr'  occhj ,  ma  disdegno  ed  ira. 

Sonetto     XXXVII. 

Il  mio  avversario,  in  cui  veder  solete 

(ili  occfij  vostri,  (ir  Amore  e  "1  ciel  onora, 
Viìw  le  non  sue  bellezze  v'  innamora, 
Più  l'Ile  'n  gui^a  mortai  soa^i  e  lieto. 

Per  consiglio  di  Ini,  donna,  m'  avete 
SiMcciato  del  mio  dolce  albergo  fora. 
iMi.ero  esilio!  avvegna  eh'  io  non  fora 
D'  abitar  degno,  ove  ^oi  sola  siete. 

Ma  s'  io  v'  era  con  saldi  cbio>i  fisso, 
Non  devea  specchio  far\i  per  mio  danno, 
A  voi  stessa  piacendo,  a^'pra  e  superba. 

2 


[19] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[20] 


Certo,  se  vi  rimembra  di  Narcìsso, 

Quesito  e  quel  corso  ad  un  termino  vanno; 
Benché  di  sì  bel  fior  sìa  indegna  i'  erba. 

Sonetto     XXXV  III. 

L'  oro,  e  le  perle,  e  i  fior  vermigli,  e  i  bianchi, 
Che  '1  verno  devria  far  languidi  e  secchi, 
Son  per  me  acerbi  e  velenosi  stecchi, 
Ch'  io  provo  per  lo  petto,  e  per  li  fianchi. 

Però  i  dì  miei  fien  lagrimosi  e  manchi, 

Che  gran  duol  rade  volte  avvien  che  'nvecchì  : 
Ula  più  ne  'ncolpo  i  micidiali  specchi, 
Che  'n  vagheggiar  voi  stessa  avete  stanchi. 

Questi   poser  silenzio  al  signor  mio, 

Che  per  me  vi  pregava  ;  ond'  ei  si  tacque, 
Veggendo  in  voi  finir  vostro  desio. 

Questi  fur  fabbricati  sopra  1'  acque 
D'  abisso,  e  tinti  nell'  eterno  obblio. 
Onde  '1  principio  di  mia  morte  nacque. 

Sonetto     XXXIX. 

Io  sentìa  dentr'  al  cor  già  venir  meno 
Gli  spirti,  che  da  voi  ricevon  vita, 
£ ,  perchè  naturalmente  s'  aita 
Contra  la  morte  ogni  animai  terreno, 

Largai  '1  desio ,  eh'  i'  teng'  or  molto  a  freno, 
E  misil  per  la  via  quasi  smarrita, 
Però  che  dì   e  notte  indi  m'  invita. 
Ed  io  contra  sua  voglia  altronde  '1  meno. 

E'  mi  condusse  vergognoso  e  tardo 
A  riveder  gli  occhj  leggiadri,  ond'  io. 
Per  non  esser  lor  grave,  assai  mi  guardo. 

Vivrommi  un  tempo  ornai  ;  eh'  al  viver  mio 
Tanta  virtute  ha  solo  un  vostro  sguardo: 
E  poi  morrò ,  s'  io  non  credo  al  desio. 

Sonetto     XL. 

Se  mai  foco  per  foco  non  si  spense, 

Né  fiume  fu  giammai  secco  per  pioggia. 
Ma  sempre  T  un  per  l'  altro  simil  poggia, 
E  spesso  r  un  contrario  l'  altro  accense, 

Amor,  tu  eh'  i  pensier  nostri  dispense, 

Al  qual  un'  alma  in  duo  corpi  s'  appoggia. 
Perchè  fa'  in  lei  con  disusata  foggia 
Men  per  molto  voler  le  voglie  intense? 

Forse,  sì  come  '1  INil  d'  alto  caggendo 
Col  gran  suono  i  vicin  d'  intorno  assorda, 
E  'l  sol  abbaglia  chi  ben  fiso  il  guarda, 

Così  'I  desio,  che  seco  non  s'  accorda, 
Nello  sfrenato  obbietto  vien  perdendo, 
E  per  troppo  spronar  la  fuga  è  tarda. 

Sonetto     XLl. 

Perch'  io  t'  abbia  guardato  di  menzogna 
A  mio  podere,  ed  onorato  assai. 
Ingrata  lingua ,  già  però  non  m'  hai 
Kcndiito  onor ,  ma  fatto  ira,  e  vergogna; 

Che,  quando  piò  '1  tuo  ajuto  mi  bisogna 
Per  dimandar  mercede,  allor  ti  stai 
Sempre  piò  fredda,  e  se  parole  fai. 
Sono  impcrrette,  e  q<iasi  d'  uom ,  che  sogna. 

La(rriine  trinte,  e  voi  tutte  le  notti 

\r  accom|)agnate,  ov'  io  vorrei  star  solo, 
Poi  fuggite  ilinan/.i  alla  mia  pace. 

E  voi  si  pronti  a  darmi  angoscia  e  duolo. 
Sospiri,  nllor  traete  lenti  e  rotti: 
Sola  la  vitfta  mia  del  cor  non  tace. 


Canzone     V. 
Nella  stagion,  che  '1  ciel  rapido  inchina 
Verso  occidente,  e  che  'l  dì  nostro   vola 
A   gente,  che  di   là  forse  1'  aspetta, 
Veggendosi  in  lontan  paese  sola 
La  stanca  vecchiarella  pellegrina, 
Raddoppia  i  passi ,  e  più  e  più  s'  affretta, 

E  poi  cosi  soletta 

Al  fin  di  sua  giornata 

Talora  è  consolata 
D'  alcun  breve  riposo,  ov'  ella  obblia 
La  noja  e  'l  mal  della  passata  via. 
Ma  lasso ,  ogni  dolor ,  che  U  dì  m'  adduce. 

Cresce  ,  qualor  s'   invia 
Per  partirsi  da  noi  1'  eterna  luce. 

Come  'l  sol  volge  le  'nfiammate  rote. 
Per  dar  luogo  alla  notte,  onde  discende 
Dagli  altissimi  monti  maggior  l'  ombra, 
L'  avaro  zappator  l'  arme  riprende, 
E  con  parole,  e  con  alpestri  note 
Ogni  gravezza  del  suo  petto  sgombra; 

E  poi  la  mensa  ingombra 

Di   povere  vivande. 

Simili  a  quelle  ghiande. 
Le  quai  fuggendo  tutto  '1  mondo  onora. 
.Via  chi  vuol ,  si  rallegri  ad  ora  ad  ora, 
Ch'  i'  pur  non  ebbi  ancor,  non  dirò  lieta. 

Ma  riposata  un'  ora, 
Né  per  volger  di  ciel,  né  di  pianeta. 

Quando  vede  '1  pastor  calare  i  raggi 

Del  gran  pianeta  al  nido,  ov'  egli  alberga, 
E  'mbrunir   le  contrade  d'  oriente, 
Drizzasi  in  piedi ,  e  con  1'  usata  verga 
Lasciando  1'  erba,  e  le  fontane,  e  i  faggi. 
Move  la  schiera  sua  soavemente  : 

Poi  lontan  dalla  gente 

O   casetta  ,  o  spelonca 

Di  verdi  frondi  'ngiimca. 
Ivi  senza  pensier  s'  adagia  e  dorme. 
Ahi  crudo  Amor,  ma  tu  allor  più  m'    nforme 
A  seguir  d'  una  fera,  che  mi  strugge. 

La  voce,  e  i  passi,  e  l'  orme, 
E  lei  non  stringi ,  che  s'  appiatta  e  fugge. 
E  i  naviganti  in  qualche  chiusa  valle 

Gcttan  le  membra ,  poi  che  '1  sol  s'  asconde. 
Sul  duro  legno ,  e  sotto  l'  aspre  gonne. 
Ma  io,  perchè  s'  attuffì  in  mezzo  l'  onde, 
E  lasci  Spagna  dietro  le  sue  spalle, 
E  Granata  ,  e  Marocco ,  e  le  Colonne, 

E  gli    uomini,  e  le  donne, 

E  'l  mondo,  e  gli  animali 

Acquetino  i  lor  mali, 
Fine  non  pongo  al  mio  ostinato  aflannn, 
E    duoliiii ,  cir  ogni  giorno  arrogo  al  danno: 
Ch'   i'  son  già  pur  crescendo  in  questa  voglia 

Ben  presso  al  deiim'  anno. 
Né  posso  'ndovinar ,  chi  me  ne  scioglia. 
E  perché  un  poco  nel  parlar  mi  sfogo. 
Veggio  la  sera  i  buoi  tornare  scittiti 
Dalle  campagne,  e  da'  solcati  cidli. 
I  miei  sospiri  a  ine  perchè  non  tolti 
Quando  die  sia.''  per«^liù  no  'l  grave  giogo.'' 
Percbè  di  e  notte  gli  ocibj  miei  son  molli.'' 

Misero  me,  clic  volli, 

Quaiulo  priniier  si  ÌÌfU 

Li  tenni  nel  bel  viso, 


[21] 


RIME   DEL    PETRARCA. 


[22] 


Per  iscolpirlo  immaginando  in  parte, 
Onde  mai  né  per  forza ,  né  per  arte 
Mosso  sarà ,  fin  eh'  i'  sia  dato  in  preda 

A  chi  tutto  diparte? 
V\è  so  ben  anco,  che  di  lei  mi  creda. 

Canzon ,  se  1'  esser  meco 

Dal  mattino  alla  sera 

T'  ha  fatto  di  mia  schiera, 
Tu  non  vorrai  mostrarti  in  ciascnn  loco, 
E  d'  altrui  loda  curerai  sì  poco, 
Ch'  assai  ti  fia  pensar  di  poggio  in  poggio 

Come  ra'  ha  concio  '1  foco 

Di  questa  viva  petra ,  ov'  io  m'  appoggio. 

Sonetto     XLII. 

Poco  era  ad  appressarsi  agli  occhj  miei 
'La  luce,  che  da  lunge  gli  abbarbaglia, 
Che ,  come  vide  lei  cangiar  Tessaglia, 
Cosi   cangiato  ogni  mia  forma  avrei. 

E  s'    io  non   posso  trasformarmi  in  lei 

Più  eh'  i'  mi  sia  ,  non  eh'  a  mercè  mi  vaglia  ; 
Di  qual  pietra  più  rigida  s'  intaglia, 
Pensoso  nella  vista  oggi  sarei, 

O  di  diamante,  o  d'  un  bel  marmo  bianco 
Per  la  paura  forse,  o  d'  un  diaspro 
Pregiato  poi  dal  volgo  avaro  e  sciocco. 

E  sarei  fuor  del  grave  giogo  ed  aspro, 

Per  cu'  i'  ho  invidia  di  quel  vecchio  stanco. 
Che  fa  con  le  sue  spalle  ombra  a  Marocco. 

Ballata     III. 
Non  al  suo  amante  più  Diana  piacque. 
Quando  per  tal  ventura  tutta  ignuda 
La  vide  in  mezzo  delle  gelid'  acque, 
Ch'  a  me  la  pastorella  alpestra  e  cruda 
Posta  a  bagnare  un  leggiadretto  velo, 
Ch'  a  Lauro  il  vago  e  biondo  capei  chiuda; 
Tal  che  mi  fece  or,  quand'  egli  arde  il  cielo, 
Tutto  tremar  d'  un  amoroso  gelo. 

Canzone     VI. 
Spirto  gentil ,  che  quelle  membra  reggi. 
Dentro  alle  qua'  peregrinando  alberga 
Un  signor  valoroso ,  accorto ,  e  sitggio, 
Poi  che  se'  giunto  all'  onorata  verga. 
Con  la  qual  Roma  e  suo'  erranti  correggi, 
E  la  richiami  al  suo  anti<M)  viaggio  : 
Io  parlo  a  te,  però  eh'  altrove  un  raggio 
INon  veggio  di  virtù,  eh'  al  mondi>  è  spenta, 
Né  trovo,  chi  di  mal  far  si  vergogni. 
Che  s'  aspetti  non  so,  né  che  s'  agogni 
Italia ,  che  suoi  guai  non  par  che  senta, 

Vecchia,  «t/iosa,  e  lenta. 
Dormirà  sempre,  e  nor.  ila  chi  la  svegli? 
Le  man  1'  avess'  io  avvolte  entro  i  capegli! 

JNon  spero,  che  giammai  dal  pigro  sonno 
Mova  la  testa,  per  cbiainar  eh'  noni  faccia; 
Si  gravcnu;iit(^  è  opprc.-<<a,  e  di  tal  soma! 
Ma  non  sen/.a  dcslino  alle  tue  bra(-t:ia. 
Che  scuoter  forte,  e  sollevarla  |)(»nii(», 
E  or  comuH^sso  il  nostri»  capo ,   Umna. 
Pon  mano  in  quella  venerabìl  cbioma 
Seruraincnte,    e  nelle   trecce  sparte. 
Si  che  la  negliitt(>.-.a  esca  del  fango  ! 
r,  che  (li  e  notte  del  suo  htray/io  piango. 
Di  mia  speran/.a  ho  in  tv  la  maggior  parto: 
Che,  bc  'I  popol  di  Alarle 


Dovesse  al  proprio  onor  alzar  mai  gli  occhi 
Parmi  pur,  eh'   a'  tuoi  di  la  grazia  tocchi.  ' 
L'  antiche  mura ,  eh'  ancor  teme ,  ed  ama, 
E  trema  '1  mondo ,  quando  si  rimembra 
Del  tempo  andato ,  e  'ndietro  si  rivolve, 
E  i  sassi ,  dove  fùr  chiuse  le  membra 
Di  tai,  che  non  saranno  senza  fama, 
Se  1'  universo  pria  non  si  dissolve, 
E  tutto  quel,  eh'  una  mina  involve. 
Per  te  spera  saldar  ogni  suo  vizio. 
Oh  grandi  Scipioni ,  oh  fedel  Bruto, 
Quanto  v'  aggrada ,  s'  egli  è  ancor  venuto 
Komor  laggiù  del  ben  locato  uffizio  ! 

Come  ere',  che  Fabrizio 
Si  faccia  lieto ,  udendo  la  novella  ! 
E'  dice:  Roma  mia  sarà  ancor  bella! 
E  se  cosa  di  qua  nel  ciel  si  cura, 
L"  anime,  che  là  su  son  cittadine. 
Ed  hanno  i  corpi  abbandonati  in  terra, 
Del  lungo  odio  civil  ti  pregan  fine, 
Per  cui  la  gente  ben  non  s'  assicura; 
Onde  '1  cammino  a'  lor  tetti  si  serra, 
Che  fùr  già  sì  devoti,  ed  ora  in  guerra 
Quasi  spelunca  di  ladron  son  fatti. 
Tal  eh'  ai  buon  solamente  uscio  si  chiude, 
E  tra  gli  altari,  e  tra  le  statue  ignude 
Ogni  'mpresa  crudel  par  che  si  tratti. 

Deh  quanto  diver^i  atti! 
Né  senza  squille  s'  incomincia  assalto. 
Che  per  Dio  ringraziar  fùr  poste  in  alto. 
Le  donne  lagriniose ,  e  'l  volgo  inerme 
Della  tenera  etate,  e  i  vecchj  stanchi, 
Ch'  hanno  sé  in  odio ,  e  la  soverchia  vita, 
E  i  neri  fraticelli ,  e  i  bigi ,  e  i  bianchi, 
Con  r  altre  schiere  travagliate  e  'n ferme 
Gridano  :  oh  signor  nostro,  aita ,  aita  ! 
E  la  povera  gente  sbigottita 
Ti  scopre  le  sue  piaghe  a  mille  a  mille, 
Ch'  Annibale,  non  eh'  altri,  farian  pio: 
E  se  ben  guardi  alla  magion  di  Dio, 
Ch'  arde  oggi  tutta,  assai  poche  faville 

Spegnendo ,  fien  tranquille 
Le  voglie,  che  si  uiostran  sì  'nfiammate  : 
Onde  fien  1'  opre  tue  nel  ciel  laudate. 
Orsi,  lupi,  leoni,  aquile,  e  serpi 
Ad  una  gran  marmorea  Colonna 
Fanno  noja  so\ente,  ed  a  sé  danno. 
Di  costor  piagne  quella  gentil  donna, 
Che  t'  ha  chiamato,  acciò  che  di  lei  sterpi 
Le  male  piante,  che  fiorir  non  sanno. 
Passato  é  già  più  che  'I  mille.-'inr  anno. 
Che  'n  lei  mancar  qiull'  anime  leggiadre, 
('he  locata  V  avean   là  dov'  eli'  era. 
Alii  nova  gente  «tltra  mi..>ura  altera, 
Irreverente  a  tanta  ed  a  tal  madre  ! 

Tu  marito,  tu   padre; 
Ogni  soccorso  di  tua  man  s'  attende: 
Che  'I  maggior  padre  ad  altr'  opera  intende. 
Rade  voltt^  addi^ien,   eh'  all'  alte  imprese 
Fortuna   inginiio»a  non  contrasti, 
V,W  agli  a^inlo^i  fatti  mal  s'  accorda. 
Ora,  Ngoiiilirando    1  passo,  onde  tu  intrasti, 
Fanuni>i  perdonar  inolt'  altre  ofTive, 
CW  aliiicii  <pii  da  sé  stessa  ^i  discorda  : 
l'ero  che,  quanto  '1   mondo  si  ricorda. 
Ad  uom  mortai  non  fu  aperta  la  vi.i 

2  * 


[^3J 


RIME   DEL    PETRARCA. 


[24] 


Per  farsi,  come  a  te,  di  fama  eterno  : 
Che  puoi  drizzar ,  s'  io  non  falso  discirno. 
In  stato  la  più  nobil  monarchia. 

Quanta  gloria  ti  ila 
Dir:  gli  altri  T  aitar  giovane  e  forte; 
Questi  in  vecchiezza  la  scampò  da  morte. 
Sopra  '1  monte  tarpeo,  canzon,  vedrai 
Un  cavalier,  eh'  Italia  tutta  onora. 
Pensoso  più  d'  altrui ,  che  di  sé  stesso. 
Digli  :  un,  che  non  ti  vide  ancor  da  presso, 
Se  non  come  per  fama  uom  s'  innamora. 

Dice,  che  Roma  ogni  ora 
Con  gli  occhj  di  dolor  bagnati  e  molli 
Ti  chier  mercè  da  tutti  sette  i  colli. 

Ballata.    IV. 
Perch'  al  viso  d'  amor  portava  insegna. 

Mosse  una  pellegrina  il  mio  cor  vano, 

Ch'  ogni  altra  mi  parca  d'  onor  men  degna. 
E  lei  seguendo  su  per  1'  erbe  verdi 

Udii  dir  alta  voce  di  lontano: 

Ahi  quanti  passi  per  la  selva  perdi! 
Allor  mi  strinsi  all'  ombra  d'  un  bel  faggio, 

Tutto  pensoso,  e  rimirando  intorno 

Vidi  assai  periglioso  il  mio  viaggio, 

£  tornai  'ndietro  quasi  a  mezzo  il  giorno, 

Ballata    V. 

Quel  foco ,  eh'  io  pensai ,  che  fosse  spento 
Dal  freddo  tempo,  e  dall'  età  men  fresca, 
Fiamma  e  martir  nell'  anima  rinfresca. 

Non  fùr  mai  tutte  spente,  a  quel  eh'  i'  veggio, 
Ma  ricoperte  alquanto  le  faville; 
E  temo,  no  '1  secondo  error  sia  peggio. 
Per  lagrime ,  eh'  io  spurgo  a  mille  a  mille, 
Convien ,  che  '1  duol  per  gli  occbj  si  distille 
Dal  cor,  eh'  ha  seco  le  faville  e  1'  esca, 
Non  pur  qual  fu ,  ma  pare  a  me  che  ex-esca. 

Qual  foco  non  avrian  già  spento  e  morto 
L'  onde,  che  gli  occlij  tristi  versan  sempre? 
Amor  (avvegna  mi  sia  tardi  accorto) 
Vuol,  che  tra  duo  contrarj  io  mi  distempre, 
E  tende  lacci  in  sì  diverse  tempre, 
Che,  quand'  ho  più  speranza,  che  '1  cor  n'   esca, 
Allor  più  nel  bel  viso  mi  rinvesca. 

Sonetto     XLIII. 

Se  col  cieco  desir,  che  '1  cor  distrugge, 
Contando  1'  ore  non  m'  inganno  io  stesso, 
Ora ,  mentre  eh'  io  parlo ,  il  tempo  fugge, 
Cli'  a  me  fu ,  insieme  ed  a  mercè ,  promesso. 

Qual'  ombra  è  sì  crudel,  che  i  seme  adugge, 
Ch'  al  desiato  frutto  era  sì  presso.'' 
£  dentro  dal  mio  ovil  qnal  fera  rogge? 
Tra  la  spiga  e  la  man  qual  muro  è  messo? 

Lasso,  noi  so:  ma  sì  conosco  io  bene. 
Che,  per  far  più  dogliosa  la  mia  vita, 
Amor  m'  addusse  in  sì  giojosa  spene. 

Ed  or  di  quel,  eh'  io  ho  letto,  mi  sovviene: 
Che  'nnanzi  al  dì  dell'  ultima  partita 
Uom  beato  chiamar  non  si  conviene. 

Sonetto    XLIV. 
Mie  venture  al  venir  son  tarde  e  pigre. 

La  speme  incerta,  e  '1  desir  monta  e  cresce: 
Onde  i  lasciar  e  1'  a-pettar  m'  incresce, 
£  poi  al  partir  son  più  levi,  che  tigre. 


Lasso ,  le  nevi  fien  tepide  e  nigre, 

E  'l  mar  senz'  onda,  e  per  l'  alpe  ogni  pesce, 
E  corcherassi  'l  sol  là  oltre ,  ond'  esce 
D'  un  medesimo  fonte  Eufrate  e  Tigre, 

Prima  eh'  i  trovi  in  ciò  pace,  né  tregua, 
O  Amor,  o  madonna  altr'  uso  impari. 
Che  m'  hanno  congiurato  a  torto  incontra. 

E  s'  i'  ho  alcun  dolce ,  è  dopo  tanti  amari. 
Che  per  disdegno  il  gusto  si  dilegua. 
Altro  mai  di  lor  grazie  non  m'  incontra. 

Sonetto    XLV. 

La  guancia,  che  fu  già  piangendo  stanca, 
Riposate  su  1'  un,  signor  mio  caro, 
E  siate  omal  di  voi  slesso  più  avaro 
A  quel  crudel ,  che  i  suoi  seguaci  'mbianca  : 

Con  r  altro  richiudete  da  man  manca 
La  strada  a'  messi  suoi,  eh'  indi  passaro. 
Mostrandovi  un  d'  agosto,  e  di  gennaro, 
Perch'  alla  lunga  via  tempo  ne  manca: 

E  col  terzo  bevete  un  suco  d'  erba, 

Che  purghi  ogni  pensier,  che  '1  cor  afflige. 
Dolce  alla  fine ,  e  nel  principio  acerba. 

Me  riponete,  ove  '1  piacer  si  serba. 

Tal  eh'  i'  non  tema  del  nocchier  di  Stige, 
Se  la  preghiera  mia  non  è  superba! 

Ballata    VI. 
Perchè  quel ,  che  mi  trasse  ad  amar  prima. 
Altrui  colpa  mi  toglia. 
Del  mio  fermo  voler  già  non  mi  svoglia. 
Tra  le  chiome  dell'  or  nascose  il  laccio. 
Al  qual  mi  strinse,  Amore; 
E  da'  begli  occhj  mosse  il  freddo  ghiaccio, 

Che  mi  passò  nel  core 
Con  la  vertù  d'  un  subito  splendore. 

Che  d'  ogni  altra  sua  voglia 
Sol  rimembrando  ancor  1'  anima  spoglia. 
Tolta  m'  è  poi  di  que'  biondi  capelli. 
Lasso,  la  dolce  vista, 
E  '1  volger  de'  duo  lumi  onesti  e  belli 

Col  suo  fuggir  m'  attrista  : 
Ma  perché  ben  morendo  onor  e'  acquista. 

Per  morte,  né  per  doglia 
Non  vo',  che  da  tal  nodo  Amor  mi  sciojlia. 

Sonetto     XLVI. 

L'  arbor  gentil ,  che  forte  amai   molt'  anni. 
Mentre  i  bei  rami  non  m'  ebber'  a  sdegno, 
Fiorir  faceva  il  mio  debile  ingegno 
Alla  sua  ombra ,  e  crescer  negli  aflunni. 

Poi  che,  securo  me  di  tali  inganni. 
Fece  di  dolce  sé  spietato  legno, 
r  rivolsi  i  pensier  tutti  ad  un  sogno. 
Che  parlan  sempre  de'  lor  tristi  danni. 

Che  porà  dir  chi  per  amor  sospira, 
S'  altra  speranza  le  mie  rime  nove 
Gli  avcsser  data ,  e  per  costei  la  perde  ? 

Né  poeta  ne  colga  mai,  né  Giove 
La  privilegi  :  ed  al  sol  venga  in  ira 
Tal,  che  si  secchi  ogni  sua  foglia  verde! 

Sonetto    XLVII. 

Benedetto   sia  '1  giorno,  e  '1  mese,  e  1'  anno, 
E  la  stagione,  e  'l  tempo,  e  l'  ora,  e  'l  punto, 
E  '1  bel  piiesc,  e  'l  loco,  ov'  io  fui  giunto 
Da  duo  begli  occhj,  che  legato  m'  hanno: 

E  benedetto  il  primo  dolce  aflanno, 


25] 


RIME   DEL    PETRARCA. 


[26] 


Ch'  i'  ebbi  ad  esser  con  Amor  congiunto, 
E  1'  arco,  e  le  saette,  ond'  i  fui  punto, 
E  le  piaghe ,  eh'  inOn  al  cor  mi  vanno  ! 

Benedette  le  voci  tante,  eh'  io. 
Chiamando  il  nome  di  mia  donna,  ho  sparte, 
E  i  sospiri ,  e  le  lagrime ,  e  '1  desio  ! 

E  benedette  sian  tutte  le  carte, 
Ov'  io  fama  le  acquisto ,  e  '1  pensier  mio, 
Ch'  è  sol  di  lei,  sì  eh'  altra  non  v'  ha  parte! 

Sonetto     XLVIII. 
Padre  del  ciel,  dopo  i  perduti  giorni, 
Dopo  le  notti  vaneggiando  spese 
Con  quel  fero  desio ,  eh'  al  cor  s'  accese. 
Mirando  gli  atti  per  mio  mal  sì  adorni. 

Piacciati  omai  col  tuo  lume,  eh'  io  torni 
Ad  altra  vita,  ed  a  più  belle  imprese. 
Sì  eh'  avendo  le  reti  indarno  tese 
Il  mio  duro  avversario  se  ne  scorni  ! 

Or  volge ,  signor  mio ,  1'  undecira'  anno, 
Ch'  i'  fui  sommesso  al  dispietato  giogo, 
Che  sopra  i  più  soggetti  è  più  feroce. 

Miserere  del  mio  non  degno  affcinno  ! 
Riduci  i  pensier  vaghi  a  miglior  luogo  ! 
Rammenta  lor,  com'  oggi  fosti  in  croce! 
Ballata     VII. 

Volgendo  gli  occhj  al  mio  novo  colore, 
Che  fa  di  morte  rimembrar  la  gente, 
Pietà  vi  mosse:  onde  benignamente 
Salutando  teneste  in  vita  il  core. 

La  frale  vita,  eh'  ancor  meco  alberga, 
Fu  de'  begli  occhj  vostri  aperto  dono, 
E  della  voce  angelica  soave. 
Da  lor  conosco  1'  esser ,  ov'  io  sono  : 
Che,  come  suol  pigro  animai  per  verga, 
Così  destaro  in  me  1'  anima  grave. 
Del  mio  cor,  donna,  1'  una  e  1'  altra  chiave 
Avete  in  mano:  e  di  ciò  son  contento, 
l'resto  di  navigar  a  ciascun  vento: 
Ch'  ogni  cosa  da  voi  m'  è  dolce  onore. 
Sonetto     XLIX. 

Se  voi  poteste  per  turbati  segni» 

Ter  chinar  gli  occhj  ,  o  per  piegar  la  testa, 
0   per  esser  più  d'  altra  al  fuggir  presta. 
Torcendo  '1  viso  a'  preghi  onesti  e  degni, 

Lp(  ir  giammai,  ovver  per  altri  'ngegni, 
Del  petto ,  ove  dal  primo  lauro  innesta 
Amor  più  rami ,  i'  dirci  ben ,  che  questa 
Fosse  giusta  cagione  a'  vostri  sdegni: 

('III;  gentil  pianta  in  arido  terreno 
Far  che  si  disconvenga ,   e  però  lieta 
Naturalmente  quindi  si  diparte. 

Ma  poi  vostro  destino  a  voi  pur  vieta 
E'  esser  altrove  ;  provvedete  almeno 
Di  non  star  sempre  in  odiosa  parte. 

Sonetto    L. 
Lusso,  che  mal  accorto  fui  da  prima, 

Nel  giorno,  eh'  n  ferir  mi  venne  Amore, 

Clr  a  iiasso  a  passo  è  poi  fatto  si^^norc 

Della  mia  vita ,  e  posto  in  su  la  cima. 
Io  non  CI  (-dea .  per  l'or/a  di  sua  lima, 

Che  pmito  di  IVruic/./.a ,  o  di  valore 

Mancasse  mai  nell'  indurato  core; 

Ma  co>i   va  chi  sopra    1  v«!r  s'  estima. 
Da  ora  innan7.i  ogni  difesa  è  tnrda 

.\ltra,  che  di  provar,  ■'  assai  o  poco 


Questi  preghi  mortali  Amore  sguarda. 
Non  prego  già,  né  puote  aver  più  loco. 
Che  misuratamente  il  mio  cor  arda; 
Ma  che  sua  parte  abbia  costei  del  fuco. 

Sestina    III. 

L'  aere  gravato  e  1'  importuna  nebbia 
Compressa  intorno  da  rabbiosi  venti, 
Tosto  convien  che  si  converta  in  pioggia: 
E  già  son  quasi  di  cristallo  i  fiumi, 
E  'n  vece  dell'  erbetta  per  le  valli 
Non  si  vede  altro  che  pruine,  e  ghiaccio. 

Ed  io  nel  cor  vie  più  freddo  che  ghiaccio, 
Ho  di  gravi  pensier  tal  una  nebbia, 
Qual  si  leva  talor  di  queste  valli 
Serrate  incontr'  agli  amorosi  venti, 
E  circondate  di  stagnanti  fiumi. 
Quando  cade  dal  ciel  più  lenta  pioggia. 

In  picciol  tempo  passa  ogni  gran  pioggia, 
E  '1  caldo  la  sparir  le  nevi  e  '1  ghiaccio, 
Di  che  vanno  superbi  in  vista  i  fauni  : 
Kè  mai  nascose  il  ciel  sì  folta  nebbia. 
Che,  sopraggiunta  dal  furor  de'  venti. 
Non  fuggisse  dai  poggi,  e  dalle  valli. 

Ma,  lasso ,  a  me  non  vai  fiorir  di  valli  ; 
Anzi  piango  al  sereno,  ed  alla  pioggia, 
Ed  a'  gelati ,  ed  a'  soavi  venti  : 
Ch'  allor  fia  un  dì  madonna  senza  'I  ghiaccio 
Dentro,  e  di  fuor  senza  1'  usata  nel>bia, 
Ch'  i'  vedrò  secco  il  mare,  e  laghi,  e  fiumi. 

Mentre  eh'  al  mar  discenderanno  i  fiumi, 
E  le  fere  ameranno  ombrose  valli, 
Fia  dinanzi  a'  begli  occhj  quella  neb1>ia, 
Che  fa  nascer  de'  mici  continua  pioggia, 
E  nel  bel  petto  1'  indurato  ghiaccio. 
Che  trae  del  mio  sì  dolorosi  venti. 

Ben  debb'  io  perdonare  a  tutt'  i  venti, 

Per  amor  d'  un,  che  'n  mezzo  di  duo  fiumi 
Mi  chiuse  tra  '1  bel  verde  e  'l  dolce  ghiaccio. 
Tal  eh'  i'  dipinsi  poi  per  mille  valli, 
L'  ombra,  ov'  io  fui  ;  che  né  calor ,  né  pioggia. 
Né  suon  curava  di  spezzata  nebbia. 

Ma  non  fuggio  giammai  nebbia  per  venti. 
Come  quel  dì;  né  mai  fiume  per  pioggia; 
Né  ghiaccio,  quando  '1  sole  apre  le  valli. 

Sonetto     LI. 
Del  mar  tirreno  alla  sinistra  riva. 

Dove  rotte  dal  vento  piangon  1'  onde, 

Subito  vidi  queir  altera  fronde. 

Di  cui  convien,  che  'n  tante  carte  scriva. 
Amor,  che  dentro  all'  anima  bolliv,i. 

Per  rimcmbianza  delle  trecce  bionde 

Mi  spinse;  onilo  in  un  rio,  che  1'  erba  asconde. 

Caddi  ,  non  già  come  persona  viva. 
Solo  ov'  io  era  tra  boschetti   e  colli, 

Vergogna  ebbi  di  me;  eh'  al  cor  gentile 

Basta  ben  tanto;  ed  altro  spron  non  volli. 
Piacemi  alnien  d'  aver  cangiato  »tilc 

Dagli  ocrhj  a'   pie,  se  del  lor  esser  molli 

Gli  altri  asciugasse  un  più  cortese  aprile. 
So  \  etto     LII. 
L'  aspetto  sacro  della  terra  vostra 

ì\li  fa  del  mal  passato  traggcr  guai, 

Gridando:  ktn  su,  misrro,  che  l'ai.'' 

E  la  via  di  «alir  al  ciel  lui  mostra 


["] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


.[28] 


Ma  con  questo  pensier  un  altro  giostra, 

E  dice  a  me  :  perchè  fuggendo  vai  ? 

Se  ti  rimembra,  il  tempo  passa  ornai 

Di  tornar  a  veder  la  donna  nostra. 
r,  che  '1  suo  ragionar  intendo  allora, 

M'  agghiaccio  dentro,  in  guisa  d'  uoro,   eh'  ascolta 

Novella,  che  di  subito  1'  accora. 
Poi  torna  il  primo ,  e  questo  dà  la  volta. 

Qual  vincerà ,  non  so  :  ma  'nfino   ad  ora 

Combattut'  hanno,  e  non  pur  una  volta. 

So.\ETTO      LUI. 

Ben  sapev'  io ,  che  naturai  consiglio. 
Amor,  contra  di  te  giammai  non  valse: 
Tanti  lacciuol ,  tante  impromesse  false, 
Tanto  provato  avea  '1  tuo  fero  artiglio. 

Ma  novamente ,  ond'  io  mi  meraviglio, 
(Dirol  come  persona  a  cui  ne  calse, 
E  che  '1  notai  là  sopra  V  acque  salse, 
Tra  la  riva  toscana,  e  1'  Elba,  e  i  Giglio) 

r   foggia  le  tue  mani,  e  per  cammino 
Agitandom'  i  venti,  e  '1  cielo,  e  1'  onde, 
M'  andava  sconosciuto  e  pellegrino  ; 

Quand'  ecco  i  tuoi  ministri  (i'  non  so  donde). 
Por  darmi  a  diveder ,  eh'  al  suo  destino 
Mal  chi  contrasta  e  mal  chi  si  nasconde. 
Canzone     VII. 

Lasso  me ,  eh'  i'   non  so  in  qual  parte  pieghi 
La  speme,  eh'  è  tradita  ornai  più  volte: 
(;hè  se  non  è  chi  con  pietà  m'  ascolte. 
Perchè  sparger  al  ciel  sì  spessì  preghi .'' 
Ma  s'  egli  avvien  ,  eh'  ancor  non  mi  gi  nieghi 
Finire  anzi  '1  mio  fine 
Queste  voci  meschine, 
Non  gravi  al  mio  signor ,  perdi'  io  '1  ripreghi 
Di  dir  libero  un  dì  tra  1'  erba  e  i  fiori  : 
Drez  et  raison  es  qui  eu  ciani  emdemori. 

Ragion  è  hen ,  eh'  alcuna  volta  i'  canti. 
Però  eh'   ho  sospirato  sì  gran  tempo  ; 
(/he  mai  non  incomincio  assai  per  tempo, 
Per  adeguar  col  riso  i  dolor  tanti. 
E  s'  io  potessi  far,  eh'  agli  occhj  santi 
Porgesse  alcun  diletto 
Qualche  dolce  mìo  detto. 
Oh  me  beato  sopra  gli  altri  amanti  I 
IMa  più,  quand'  io  dirò  senza  mentire: 
Donna  mi  incga,  per  eh'  io  voglio  dire. 

Vnsihi  pensier,  che  così  passo  passo 
Scorto  ra'  avete  a  ragionar  tunt'  alto, 
\  ed«'te  che  madonna  ha  'l  cor  di  smalto 
Si  forte,  eh'  io  per  me  dentro  noi  passo. 
Ella  non  degna  di  luirar  sì  basso, 
Che  di  nostre  parole 
Curi;  che  '1  ciel  non  vuole, 
Al  qual  pur  contrastando  i"  son  già  lasso: 
Onde,  come  nel  cor  m'  induro  e  'naspro , 
C'osi  nei  mio  parlar  voglio  esser  aspro. 

Che  parlo?  o  do^e  sono?  e  chi  m'  inganna 
Altri,  di'  io  ^te.-iso ,  e  'I  desiar  soverchio? 
(»ià,  s'   i'  tra<(!(irro  il  ciel  di  cerchio  in  cerchio, 
Ne-sun  piiiiK'ta  a  pianger  ini  condanna. 
Se  morlal   velo  il  inio  cedere  appanna, 
(/'he  («dpa  è  delle  stelle, 
O  delle  co:^e  belle? 
Meco  si  sta  chi  dì  e  notte  m'  afTanna. 
Poi  che  de!  suo  piacer  ini  fc'  gir  grave 
{ju  dolce  vista  e  '/  6<7  guardo  soave. 


Tutte  le  cose ,  di  che  '1  mondo  è  adorno, 
Uscir  buone  di  man  del  mastro  eterno  : 
Ma  me,  che  così  a  dentro  non  dìscerno, 
Abbaglia  il  bel ,  che  mi  ^i  mostra  intorno  : 
E  s'  al  vero  splendor  giammai  ritorno, 
L'   occhio  non  può  star  fermo  ; 
Cosi  r  ha  fatto  infermo 
Pur  la  sua  propria  colpa,  e  non  quel  giorno, 
Ch'  io  '1  volsi  'nver  1'  angelica  beltade 
Nel  dolce  tempo  della  prima  etade. 

Canzone     Vili. 
Perchè  la  vita  è  breve, 
E  r  ingegno  paventa  all'  alta  impresa, 
Aè  di  lui,  né  di  lei  molto  mi  fido; 

Ma  spero,  che  sia  intesa 
Là,  dov'  io  bramo,  e  là,  dov'  esser  deve 
La  voglia  mia,  la  qual  tacendo  i'  grido: 
Occhj  leggiadri ,  dov'  amor  fa  nido, 
A  voi  rivolgo  il  mio  debile  stile, 
Pigro  da  sé,  ma  '1  gran  piacer  lo  sprona: 

E  chi  di  voi  ragiona, 
Tien  dal  soggetto  un  abito  gentile, 

Che  con  1'  ale  amorose 
Levando ,  il  parte  d'  ogni  pensier  vile. 
Con  queste  alzato  vengo  a  dire  or  cose, 
Ch'  ho  portate  nel  cor  gran  tempo  ascose, 
Xon  perdi'  io  non  m'  av  veggi  a, 

Quanto  mia  laude  è  ingiuriosa  a  voi  : 
Ma  contrastar  non  posso  al  gran  desio, 

Lo  qual  è  in  me  ,  da  poi 
Ch'  i'  vidi  quel ,  che  pensier  non  pareggia. 
Non  che  1'  agguagli  altrui  parlar,  o  mìo. 
Principio  del  mio  dolce  stato  rio. 
Altri  che  voi  so  ben  che  non  m'  intende. 
Quando  agli  ardenti  rai  neve  divegno. 

Vostro  gentile  sdegno 
Forse  di'  allor  mia  ìndegnitate  offende. 

Oh,  se  questa  temenza 
Non  temprasse  1'  arsura,  che  m'  incende. 
Beato  venir  men  !   che  'n  lor  presenza 
M'  è  più  caro  il  morir ,  che  '1  viver  senza. 
Dunque  di'  ì'  non  mi  sfaccia. 
Si  frale  oggetto  a  sì  possente  foco, 
]\on  è  proprio  valor  ,  che  me  ne  scampi  ; 

Ma  la  paura  un  poco. 
Che  'l  sangue  vag<»  per  le  vene  agghiaccia. 
Risalila  '1  cor,  perchè  più  tempo  avvampi. 
Oh  poggi ,  oh  valli,  oh  fiumi,  oh  selve,  oh  campì, 
Oh  testiiiKin  «Iella  mia  grave  vita. 
Quante  Attlte  m'  iuli»te  chiamar  morte? 

Ahi  dolorosa  sorte! 
Lo  star  mi  strugge,  e  '1  fuggir  non  m'  aita. 

Ma  se  maggior  paura 
Non  m'  aflreiiasse ,  via  corta  e  spedita 
Trarrebbe  a  fin  quest'  aspra  pena  e  dura  : 
E  la  colpa  è  di  tal  ,  che  non  ha  cura. 
Dolor ,  perchè  mi  meni 
Fuor  di  caminin  a  dir  quel  eh'  i'  non  voglio? 
Sostìcn,  clr  io  vada  ove  '1  piacer  mi  spigne. 

Già  di  voi  non  mi  doglio, 
Occhj  sopra   '1  mortai  corso  sereni, 
Né  di  lui ,  di'  a  tal  nodo  mi  distrigne. 
A  ('(lete  ben,  quanti  color  dìpigne 
Amor  sovente  in  mezzo  del  mio  volto; 
E  potrete  pensar,  qual  dentro  fammi. 
La'  ^e  die  notte  stammi 


i;9] 


RIME    DEL   PETRARCA. 


[30] 


Addosso  col  poder ,  eh'  ha  in  voi  raccolto, 

Luci  beate  e  liete  ! 
Se  non  che  '1  veder  voi  stesse  v'   è  tolto  : 
]Mii  quante  volte  a  me  vi  rivolgete, 
Conoscete  in  altrui  quel  che  voi  siete, 
a   voi  fosse  sì  notca 
La  divina  incredibile  bellezza, 
Di  eh'  io  ragiono,  come  a  chi  la  mira, 

Misurata  allegrezza 
Non  avria  '1  cor:  però  forse  è  remota 
Dal  vigor  naturai,  che  v'  apre  e  gira. 
P'elice  r  alma ,  che  per  voi  sospira, 
Lumi  del  ciel ,  per  li  quali  io  ringrazio 
La  vita ,  che  per  altro  non  m'  è  a  grado. 

Oimè  !  perchè  si  rado 
\Ii  date  quel,  dond'  io  mai  non  son  sazio? 

Perchè  non  più  sovente 
Mirate,  qual  Amor  di  me  fa  strazio.'' 
E  perchè  mi  spogliate  immantinente 
Del  ben ,  eh'  ad  ora  ad  or  1'  anima  sente  ? 
ùco  ,  eh'  ad  ora  ad  ora 
(\ostra  mercede,)  i'  sento  in  mezzo  1'  alma 
Lna  dolcezza  inusitata  e  nova, 

La  qual'  ogni  altra  salma 
Di  nojosi  pensier  disgombra  allora 
Sì,  che  di  mille  un  sol  vi  si  ritrova: 
(^Jiiel  tanto  a  me,  non  più,  del  viver  giova. 
E  se  questo  mio  ben  durasse  alquanto, 
Nullo  stato  agguagliarsi  al  mio  potrebbe. 

Ma  forse  altrui  farebbe 
Livido,  e  me  superbo  1'  onor  tanto: 

Però ,  lasso,  convicnsi 
Che  r  estremo  del  riso  assaglia  il  pianto, 
E  'nterrompendo  quelli  spirti  aceensi 
A  me  ritorni ,  e  di  me  stesso  pensi. 
j'  amoroso  pensiero 
Ch'  alberga  dentro,  in  voi  mi  si  discopre 
Tal,  che  mi  trae  del  cor  ogni  altra  gioja: 

Onde  parole  ed  opre 
Escon  di  me  sì  fatte  allor,  eh'  i'  spero 
Farmi  immortai ,  perchè  la  carne  moja 
I    Fugge  al  vostro  ai)parire  angoscia  e  noja, 
E  nel  vostro  partir  tornano  insieme  : 
Ma  perchè  la  memoria  innamorata 

Chiude  lor  ptti  I'  entrata. 
Di  là  non  vanno  dalle  parti  estreme  : 

Onde  s'  alcun  bel  frutto 
Nasce  di  me,  da  voi  vien  prima  il  seme. 
Io  per  me  son  quasi  im  terreno  asciutto 
Colto  da  voi,  e  '1  pregio  è  vostro  in  tutto. 
Canzon ,  tu  non  m'  acqueti ,  anzi  m'   inriauiini 
A  dir  di  quel,  eh'  a  me  stesso  m'  invola: 
Però  sia  certa  di  non  esser  sola! 
Caivzonk     IX. 
Gentil  mia  donna,  i'  veggio 

Nel  mover  d<;'  vostr'  occhj  un  dolce  lume, 
Che  mi  mostra  la  via,  «h'  al  ciel  conduce, 

E  per  lungo  coslitme 
Dentro  là,  do>e  sol  con  Amor  seggio, 
Q^a^i  visibilmente  il  cor  tralitt:c. 
Quesf  è  la   vinta ,  eh'   a  lieo  far  m'  induco 
K   che  mi  scorge  al  glorioso  line  : 
Questa  sola  dal  >olgo  m'  allontana; 

Né  f;ianmiai  lingua  innana 
Contar  poria  quel ,  che  le  due  divine 

Luci  Mentir  mi  fanno, 


E  quando  '1  verno  sparge  le  pruine, 
E  quando  poi  ringiovcnisce  1'   anno, 
Qual  era  al  tempo  del  mio  primo  affanno. 
Io  penso  :  se  là  suso, 

()nde  '1  motor  eterno  delle  stelle 
Degnò  mostrar  del  suo  lavoro  in  terra, 

Son  r  altr'  opre  sì  belle, 
Aprasi  la  prigion,  ov'  io  son  chiuso, 
E  che  '1  cammino  a  tal  vita  mi  serra. 
Poi  mi  rivolgo  alla  mia  usata  guerra. 
Ringraziando  natura,  e  '1  dì  eh'   io   nacqui, 
Che  riserbato  m'  hanno  a  tanto  bene, 

E  lei ,  eh'  a  tanta  spene 
Alzò  '1  mio  cor ,  che  'nsin'  allor  io  giacqui 

A  me  nojoso  e  grave. 
Da  quel  dì  innanzi  a  me  medesmo  piacqui. 
Empiendo  d'  un  pensier  alto  e  soave 
Quel  core,  ond'  hanno  i  begli  occhj  la  chiave. 
Né  mai  stato  giojoso 

Amor,  o  la  volubile  fortuna 

Dieder  a  chi  più  fùr  nel  mondo  amici, 

Ch'  i'  noi  cangiassi  ad  una 
Rivolta  d'  occhj,  ond'  ogni  mio  riposo 
Vien ,  com'  ogni  aibor  vien  da  sue  radici. 
A^aghe  faville  angeliche,  beatrici 
Della  mia  vita ,  ove  '1  piacer  s'  accende. 
Che  dolcemente  mi  consuma  e  strugge, 

Come  sparisce  e  fugge 
Ogni  altro  lume,  dove  '1  vostro  splende. 

Così  dello  mio  core. 
Quando  tanta  dolce7za  in  lui  discende. 
Ogni  altra  cosa,  ogni  pensier  va  fore; 
E  sol  ivi  con  voi  rimansi  Amore. 
Quanta  dolcezza  unquanco 

Fu  in  cor  d'  avventurosi  amanti  accolta 
Tutta  in  un  loco ,  a  quel  eh'  i'  sento ,  è  nulla, 

Quando  voi  alcuna  volta 
Soavemente  tra  'I  bel  nero  e  '1  bianco 
Volgete  il  ìume,  in  cui  Amor  si  tr.istulla  : 
E  credo,  dalle  fasce  e  dalla  culla 
Al  mio  'mperfetto,  alla  fortuna  avversa 
Questo  rimedio  provvedesse  il  cielo. 

Torto  ini  face  il  velo, 
E  la  man,  che  sì  spesso  s'  attraversa 

Fra  '1   mio  sommo  diletto 
E  gli  occhj;  onde  dì  e  notte  si  rinveriia 
Il  gran  desio  per  isfogar  il  petto, 
Che  forma  ticn  dal  variato  aspetto. 
Percir  io  veggio  (e  mi  spiace) 

Che  naturai  mia  dote  a  me  non  vale. 
Né  mi  fa  degno  d'  un  sì  caro  sguardo, 

Sforzomi  d'  esser  tale, 
Qual  all'  alta  speran/a  si  confiire. 
Ed  ili  foco   gentil,  ond'  io  Intt'  ardo. 
S'  al   licn  veloce,  ed  al  contrario  tardo, 
Disprc;[;iati>r  di  quanto  M   mondo  brama 
Per  sollecito  ^tlldio  pos.-o   l'arme, 

l'otrcbbe  forse  aitarinc 
Nel  benigno  giudiiio  una  tal  fama. 

(\;rto  il  fin  de'   mici  pianti. 
Che  non  iP  allromle  il   cor  doglioso  cliiamn. 
Vien  da'  begli  oci  lij  al  (In  dolce  tremanti, 
l illima  speme  ih;'  cortc.-<i  amanti 
Cnn/on  ,   1'   una  sorella  è  poi  o  innanzi. 
I      E  r   altra  sento  in  i|nel  medesmo  albergo 
I      Apparccchiurbi  :  ond'  io   più  carta  \ergo. 


[31] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


Canzone  X. 

Poi  clic  per  mio  destino 

A  dir  mi  sforza  quell'  accesa  voglia, 

Che  m'  ha  sforzato  a  sospirar  mai  sempre, 

Amor,  eh'  a  ciò  m'  invoglia, 
Sia  la  mia  scorta,  e   nsegnimi  '1  cammino, 
E  col  desio  le  mie  rime  contempre  ! 
Ma  non  in  guisa,  che  lo  cor  si  stempro 
Di  soverchia  dolcezza,  coro'  io  temo 
Per  quel,  eh'  i'  sento,  ov'  occhio  altrui  non  giugne  ; 

Che  '1  dir  m'  infiamma  e  pugne; 
Kè  per  mio  'ngcgno  (ond'  io  pavento  e  tremo) 

Si  come  talor  suole. 
Trovo  'I  gran  foco  della  mente  scemo; 
Anzi  mi  struggo  al  suon  delle  parole. 
Pur  coni'  io  fossi  un  uom  di  ghiaccio  alsolc. 
Kel  cominciar  credia 

Trovar,  parlando  al  mio  ardente  desire 
Qualche  hreve  riposo,   e  qualche  tregua. 

Questa  speranza  ardire 
Mi  porse  a  ragionar  quel  eh'  i'  sentia: 
Or  m'  ahlìandona  al  tempo  e  si  dilegua. 
Ma  pur  convien ,  che  1'  alta  impresa  segua, 
Continuando  1'  amorose  note  ; 
Sì  possente  è  il  voler ,  che  mi  trasporta  ! 

E  la  ragione  è  morta, 
CJie  tenea  '1  freno,  e  contrastar  noi  potè. 

Mostrimi  almen ,  eh'  io  dica, 
Amor,  in  guisa,  che,  se  mai  percote 
Gli  orecchj  della  dolce  mia  nemica, 
Kon  mia,  ma  dì  pietà  la  faccia  amica. 
Dico  :  se  'n  quella  etate, 

Cli'  al  vero  onor  fùr  gli  animi  si  accesi, 
L'  industria  d'  alquanti  uomini  s'  avvolse 

Per  diversi  paesi, 
Poggi  ed  onde  passando,  e  l'   onorate 
Cose  cercando,  il  più  bel  fior  ne  colse. 
Poi  che  Dio ,  e  Natura ,  ed  Amor  volse 
Locar  compitamente  ogni  virtute 
In  quei  he'  lumi ,  ond'  io  giojoso  vìvo. 

Questo  e  quell'  altro  rivo 
Non  convien,  eh'  ì'  trapasse ,  e  terra  mute, 

A  lor  sempre  ricorro. 
Come  a  fontana  d'  ogni  mìa  salute, 
E  quando  a  morte  desiando  corro, 
Sol  di  lor  vista  al  mio  stato  soccorro. 
Come  a  forza  di  venti 

Stanco  nocchier  di  notte  alza  la  testa 

A'  duo  lumi,  eh'  ha  sempre  il  nostro  polo, 

Così  nella  tempesta 
Cir  i'  sostengo  d'  amor,  gli  occhj  lucenti 
Sono  il  mio  segno,  e  '1  mio   conforto  solo. 
Liisso,  ma  troi)po  è  più  quel  eh'  io  ne  'ovolo 
Or  quinci,  or  quindi,  com'  Amor  m'  informa, 
Che  quel,  che  vicn  da  grazioso  dono: 

E  quei  poco  eh'  i'  sono, 
I^Ii  fa  di  lor  una  perpetua  norma  : 

Poi  eh'  io  li  vidi  in  prima. 
Senza  lor  a  li(;n  far  non  movsi  un'  orma: 
Co>ì  gli  ho  di  me  posti  in  sulla  cima. 
Che  '1  mio  valor  per  sé  falso  b'  estima! 
V  non  porla  giammai 

Immaginar ,  non  che  narrar  gli  "effetti. 
Che  nel  mìo  cor  gli  ocehj  soavi  fanno. 

Tolti  gli  altri  diletti 
Di  que-ta  vita  ho  per  minori  assai, 
E  tiitt'  altre  bellezze  indietro  vanno. 


i?2] 


Face  triinquilla  senz'  alcuno  affanno, 
Simile  a  quella,  che  nel  ciel  eterna, 
Move  dal  loro  innamorato  rìso. 

Cosi  vedess'  io  fiso, 
-Com'  Amor  dolcemente  li  governa, 

Sol  un  giorno  da  presso. 
Senza  volger  giammai  rota  superna. 
Né  pensassi  d'  altrui,  né  dì  me  stesso, 
E  'l  batter  gli  occhj  mici  non  fosse  spesso! 

Lasso ,  che  desiando 

Vo  quel,  eh'  esser  non  puote  in  alcun  modo, 
E  vìvo  del  desir  fuor  di  speranza! 

Solamente   quel  nodo, 
Cli'  Amor  circonda  alla  mia  lìngua,  quando 
L'  imiana  vista  il  troppo  lume  avanza, 
Fosse  disciolto  !  i'  prenderei  baldanza 
Di  dir   parole  in  quel  punto  sì  nove, 
Che  fariaii  lagrimar  chi  le  'ntendesse. 

Ma  le  ferite  impresse 
Volgon  per  forza  il  cor  piagato  altrove; 

Ond'  io  divento  smorto, 
E  '1  sangue  sì  nasconde,  i'  non  so  dove; 
Né  rimango  qual  era,  e  sommi  accorto. 
Che  questo  è  '1  colpo,  dì  che  Amor  m'  ha  morto 

Canzone,  i'  sento  già  stancar  la  penna 
Del  lungo  e  dolce  ragionar  con  lei  ;  ^ 
Ma  non   di  parlar  meco  ì  pensier  miei. 
S  O  X  E  T  T  o    LIV. 

Io  son  già  stanco  di  pensar,  sì  come 
I  miei  pensier  in  voi  stan»;hì  non  sono, 
E  come  vita  ancor  non  abbandono. 
Per  fuggir  de'  sospir  sì  gravi  some; 

E  come  a  dir  del  viso  e  delle  chiome, 

E  de'  begli  occhj ,  ond'  io  sempre  ragiono. 
Non  è  mancata  omaì  la  lingua,  e  '1  suono, 

I      Dì  e  notte  chiamando  il  vostro  nome  ; 

j  E  che  ì  pie  miei  non  son  fiaccati,  e  lassi 
A  seguir  1'  orme  vostre  in  ogni  parte, 

1      Perdendo  inutilmente  tanti  passi; 
Ed  onde  vien  1'  inchiostro,  onde  le  carte, 

j      Ch'  i'  vo  empiendo  di  voi  :  se  'ii  ciò  fallassi, 

!      Colpa  d'  amor,  non  già  difetto  d'  arte. 

'  Sonetto   LV' . 

'  I  begli  occhj ,  ond'  ì'  fui  percosso  in  guisa, 

I      Ch'  e'  medesmi  poriau  saldar  la  piaga, 

I      E  non  già  virtù  d'  erbe,  o  d'  arte  maga, 

I      O  di  pietra  dal  mar  nostro  divisa, 

!  M'  hanno  la  vìa  sì  d'  altro  amor  precìsa, 
Ch'  un  sol  dolce  pensier  1'  anima  appaga: 

!      E  se  la  lingua  di  seguirlo  è  vaga, 

La  scorta  può,  non  ella,  esser  derisa. 
Questi  son  que'  begli  occhj,  che  l'  imprese 
Del  mio  signor  vittoriose  fanno 
In  ogni  parte,  e  più  sovra  '1  mio  fianco. 

I  Questi  son  que'  begli  occhj ,  «he  mi  stanno 
Sempre  nel  cor  con  le  faville  accese, 
Fcrch'  io  dì  lor  parlando  non  mi  stanco. 
Sonetto  LVI. 

I  Anmr  con  sue  promesse  lusingando 
JMi  ricondusse  alla  prigione  antica, 
E  die'  le  chiavi  a  quella  mia  nemica, 
Ch'  ancor  me  di  me  stesso  tiene  in  bando. 

!  Non  me  n'  avvidi,  lasso,    se  non  quando 

I      Fu'   in  lor  forza ,  ed  or  i;(»n  gran  fatica 
(Chi  '1  crederà,  perché  giurando  il  dica.'') 

{      In  libertà  rit(U'no  so-:pirando. 


I 


33] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[34] 


■]  rome  vero  prigioniero  afHitto, 
Delle   catene  mie  gran  parte  porto, 
E  '1  cor  negli  occhj ,  e  nella  fronte  ho  scritto. 

Quando  sarai  del  mio  colore  accorto, 
Dirai:  S'  i'  guardo  e  giudico  ben  dritto. 
Questi  avea  poco  andare  ad  esser  morto. 

Sonetto   LVII. 
'cr  mirar  Policleto  a  prova  fiso 
dm  gli  altri,  eh'  cbber  fama  di  quell'  arte, 
iVlilP  anni  non  vedrian  la  minor  parte 
Della  beltà,  che  in'  bave  il  cor  conquiso. 
Vlii  certo  il  mio  Simon  fu  in  paradiso, 
Onde  questa  gentil  donna  si  parte  ; 
I^i  la  vide,   e  la  ritrasse  in  carte, 
ì^er  far  fede  qua  giù  del  suo  bel  viso. 
L    opra  fu  ben  di  quelle ,  che  nel  cielo 

Si  ponno  immaginar ,  non  qui  fra  noi, 
,i    Ove  le  membra  fanno  all'  alma  velo. 
iportcsia  fé;  né  la  potea  far  poi 
»    Che  fu  disceso  a  provar  caldo  e  gelo  ; 
E  del  mortai  sentiron  gli  occhj  suoi. 

Sonetto   LV'III. 
Quando  giunse  a  Simon  1'  alto  concetto, 

Cir  a  mio  nome  gli  pose  in  man  lo  stile, 

S'  avesse  dato  all'  opera  gentile 

Con  la  figura  voce  ed  intelletto, 
Di  sospir  molti  mi  sgombrava  il  petto: 

Che  ciò,  eh'  altri  han  più  caro,  a  me  fan    vile, 

Però  che  'n  vista  ella  si  mostra  umile, 

Promettendomi  pace  nell'  aspetto. 
Ha  poi  eh'  i'    vengo  a  ragionar  con  lei  ; 

Benignamente  assai  par  che  m'  asculte, 

Se  risponder  savesse  a'  detti  miei. 
Pigmalion ,    quanto  lodar  ti  dei 

Dell'  immagine  tua,  se  mille  volte 

N'  avesti  quel,  eh'  i'  sol'  una  vorrei! 

Sonetto    LIX. 

S'  al  principio  risponde  il  fine  e  '1  mezzo 
Del  quartodecim'  anno  ,  eh'  io  sospiro. 
Più  non  mi  può  scampar  1'  aura,  uè  '1  rezzo; 
Sì  crescer  sento  '1  mio  ardente  desiro  ! 

Amor ,  con  cui  i  pensier  mai  non  han  mezzo. 
Sotto  '1  cui  giogo  giammai  ncm  respiro. 
Tal  mi   governa,  eh'  i'  non  son  già  niezzo 
Per  gli  occhj  ,  eh'  al  mio   mal  sì  spesso  giro. 

Così  mancand(»  vo  di  giorno  in  giorno 

Si  chiusamente ,  eh'  io  sol  me  n'  accorgo, 
E  quella,  che  guardando  il  cor  mi  strugge. 

Ap|)ena  infin  a  qui  1'  anima  scorgo  ; 

Sé  so,  quanto  fia  meco  il  suo  soggi'imo: 
Che  lu  morte  «'  appressa ,  e  'I  viver  fugge. 

Sestina  \\. 

Oli  è  fermato  dì  menar  sua  vita 

Su  pi;r  r  onde  fallaci ,  e  per  gli  scogli, 
Scevro  da  iìH)rte  con  un  picriol  legni», 
Non  può  molto  lonluno  esser  d.il  fine: 
Pelò  sareìibe  ila  ritrarsi   in   porto, 
Mentre  al  governo  ancor  crede  la  vela. 

L'  aura  soave,  a  cui  governo   e  vela 
Coiiiini.'>i  enlriinilo  all'  amorosa  vita, 
E  siier.iiido  venire  n  miglior  porto. 
Poi  mi  ntniliisse  in  |)iù   di   mille  scogli  : 
E  le  Ciigiiin  del   mio  doglioso  fine 
^011  pur  d'  intorno  uvea,  ma  dentro  ni  legno. 


Chiuso  gran  tempo  in  questo  cieco  legno 
Errai  senza  levar  occhio  alla  vela, 
Ch'  anzi  '1  mio  dì  mi  trasportava  al  fine: 
Poi  piacque  a  lui ,  che  mi  produsse  in  vita, 
Chiamarmi  tanto  indietro  dagli  scogli, 
Ch'  almen  da  lunge  m'  apparisse  il  porto. 

Come  lume  di  notte  in  alcun  porto 
Vide  mai  d'  alto  mar  nave,  né  legno. 
Se  non  gliel  tolse  o  tempestate,  o  scogli; 
Così  di  su  dalla  gonfiata  vela 
Vid'  io  le  'nsegne  di  quell'  altra  vita: 
Ed  allor  sospirai  verso  '1  mio  fine; 

Non  perch'  io  sia  securo  anco  del  fine: 
Che ,  volendo  col  giorno  essere  a  porto, 
E   gran  viaggio  in  così  poca  vita. 
Poi  temo,  che  mi  veggio  in  fragil  legno, 
E  più  eh'  i'  non  vorrei ,  piena  la  vela 
Del  vento ,  che  mi   pinse  in  questi  scogli. 

S'  io  esca  vivo  de'  dubbiosi  scogli, 
Ed  arrive  il  mio  e»ilio  ad  un  bel  fine, 
Ch'  i'  sarei  vago  di  voltar  la  vela, 
E  1'  ancore  gittare  in  qualche  porto  ; 
Se  non  eh'  i'  ardo  come  acceso  legno  ; 
Sì  m'  è  duro  a  lasciar  1'  usata  vita! 

Signor  della  mia  fine ,  e  della  vita, 

Prima  eh'  i'  fiac(-hi  il  legno  tra  gli  scogli. 
Drizza  a  buon  porto  I'  affannata  vela  ! 

Sonetto  LX. 

Io  6on  sì  stanco  sotto  1  fascio  antico 
Delle  mie  colpe,  e  dell'  usanza  ria, 
Cli'  i'  temo  forte  di  mancar  tra  via, 
E  di  cadere  in  man   del  mio  nemico. 

Ben  venne  a  dilivrarmi  un  grand"  amico 
Per  somma  ed  iiiefTabil  cortesia; 
Poi  volò  fuor  della  veduta  mia 
Sì,  eh'  a  mirarlo  indarno  m'  affatico. 

Ma  la  sua  voce  ancor  qua  giù  rimbomba: 
Oh  voi,  che  travagliate,  ecco  '1  cammino! 
Venite  a  me,  se  'l  passo  altri  non  serra! 

Qual  grazia,  qual  amore,  o  qual  destino 
Mi  darà  penne  in  guisa  di  colomba, 
Ch'  i'  mi  riposi,  e  levimi  da  terra? 

Sonetto  LXI. 

Io  non  fu'  d'  amar  voi  lassato  unquanco, 
Madonna ,  né  sarò,  mentre  eh'   io  viva  : 
Ma  d'  odiar  me  inedesmo  giunto  a  riva, 
K  del  continuo  Ingriinar  son  stanco. 

E  voglio  anzi  un  sepoli-ro  bello  e  bianco. 
Che  '1  vostro  nome  a  mio  danno  si  scriva 
In  alcun  marmo,  ove  ili  spirto  priva 
Sia  la  mia  carne,  che  può  star  seco  anco. 

IV-rò  s'  ini  cor  pien  d'  amorosa  fede 
Può  coiilciitarvi ,  senza  f.irne  strazio, 
Piacciavi  ornai  di  questo  aver  mercede! 

S<r    n  altro  modo  cerca  d'  esser  sn/io 

Vostro  sdegno,  erra,  «  non  fia  quel  che  crede: 
Di  che  Amor  e  me  stesso  assai  ringrazio. 

S  o  >  K  t  T  o  LXII. 

Se  bianche  non  son  prima  ambe  le  tempie, 
(/ir   a  poco  a  poco  piir  che   'I   tempo  iiiidclii, 
Sicuro  non  sarò,  bendi'   io  m'   arrisclii 
'l'alor  ,  ov'   Amor  1'  arco  lira  ed  empie. 

Non  temo  già,  che  più  mi  strn/j ,  u  scempie. 

3 


[35] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[36] 


Né  mi  ritenga ,  perchè  ancor  m'  inviceli!, 
Né  m'  apra  il  cor ,  perchè  di  fuor  1'    in»  iìchi 
Con  sue  saette  velenose  ed  einjiie. 

Lagrime  oniai  dagli  occhj  uscir  non  ponno  ; 
Ma  di  gir  infin  là  sanno  il  viaggio, 
Si  eh'  appena  fia  mai  eh'  il  passo  chiuda. 

Ben  mi  può  riscaldar  il  fiero  raggio, 

Non  sì  eh'  i'  arda;  e  può  turb.ìrnii  il  sonno, 
Ma  romper  no ,  1'  immagine  aspra  e  cruda. 

So\  E  TTO  LXIII. 

P.    Occhj,  piangete;  accompagnate  il  core, 

Che  di  vostro  fallir  morte  sostiene.  — 
0.       Cosi  genipre  facciamo;  e  ne  con^iene 

Lamentar  più  1'  altrui,  che '1  nostro  errore. — 
P.   Già  prima  ebbe  per  voi  1'  entrata  Amore 

Là,  onde  ancor,  come  in  suo  albergo,  viene.  - 
0.       Noi  gli  aprimmo  la  via  per  quella  spene, 

Che  mosse  dentro  da  colui,  che  more.  — 
P.    Non  son,  com'  a  voi  par,  le  ragion  pari:' 

Che  pur  voi  foste  nella  prima  vista 

Del  vostro,  e  del  suo  mal  cotanto  avari.  — 
0.   Or  questo  è  quel,  che  più  eh'  altro  n'  attrista  ; 

Che  i  perfetti  giudirj  son  si  rari, 

£  d'  altrui  colpa  altrui  biasmo  s'  acquista. 

Sonetto  LXI V. 

Io  amai  sempre,  ed  amo  forte  ancora, 
E  son  per  amar  più  di  giorno  in  giorno 
Quel  dol<-e  loco,  ove  piangendo  torno 
Spesse  fiate,  quando  Amor  m'  accora. 

E  son  fermo  d'  amare  il  tempo ,  e  1'  ora, 
Ch"  ogni  vii  cura  mi  levar  d'  intorno, 
E  più  colei,  lo  cui  bel  viso  adorno 
Di  ben  far  co'  suo'  esempj  m'  innamora. 

Ma  chi  pensò  veder  mai  tutti  in.>.ieme. 

Per  assalirmi  '1  cor ,  or  quindi  or  quinci. 
Questi  dolci  nemici ,  eh'  i'  tant'  amo  ? 

Amor ,  con  quanto  sforzo  oggi  mi  vinci  ! 
E  se  non  eh'  al  desio  cresce  la  speme, 
r  cadrei  morto ,  ove  più  viver  bramo. 

Sonetto  LX V. 

Io  avTÒ  sempre  in  odio  la  fenestra, 

Onde  Amor  in'  avventò  già  mille  strali, 
Perch'  alquanti  di  lor  non  fùr  mortali; 
Ch'  è  bel  morir,  mentre  la  vita  è  destra. 

Ma  'I  sovrastar  nella  prÌ!;ion  tcrrestra 
Cagion  m'  è,  lasso,  d'  infiniti  mali: 
E  più  mi  duul,  che  sien  meco  iiiimorlalt, 
Poiché  r  alma  dal  cor  non  yi  sc^pe^tra. 

Misera!  che  dovrebbe  esser  accorta 

Per  lunga  sperienza  ornai,  che  '1  tempo 
Non  è  chi  'ndietro  volga,  o  chi  1'  ailreni. 

Più  volte  r  ho  con  tai  parole  scorta  : 
^  attene ,  trista  !  che  non  va  per  tempo, 
Chi  dopo  lascia  i  suoi  dì  più  sereni. 

Sonetto  LWI. 

Si  tosto ,  come  avvicn  che  1'  arco  scocchi 
BufMi  sagittario ,  di  lontan  discerne, 
Qnal  colpo  è  da  sprezzare,  e  qnal  d'  averne 
Fede,  eh'  al  destinato  segno  tocchi. 

Similemente  il  colpo  de'  vostr'  occhj, 
Donna,  sentiste  allo  mie  parti  interne 
Dritto  passare;  onde  convien,  eh'  eterno 
Lagrime  per  la  piaga  il  cor  trabocchi. 

E  certo  eon,  che  voi  diceste  allora: 


Misero  amante  !  a  che  vaghezza  il  mena  ? 
Ecco  lo  strale,  ond'  Amor  vuol,  eh'  e'  mora! 
Ora  veggendo,  come  il  duol  m'  alìVcna, 
Quel,  che  mi  fanno  i  miei  nemici  ancora. 
Non  è  per  morte,  ma  per  più  mia  pena. 

Sonetto  LX  VIL 

Poi  clic  mia  speme  è  lunga  a  venir  troppo, 
E  della  vita  il  trapassar  sì  corto, 
Aorreimi  a  miglior  tempo  esser  accorto, 
Per  fuggir  dietro  più  che  di  galoppo  : 

E  fuggo  ancor  così  debile  e  zoppo 

Dall'  un  de'  lati,  ove  '1  desio  m'  ha  storto, 
Securo  ornai  ;  ma  pur  nel  vÌl-o  porto 
Segni,   eh'  io  presi  all'   amoroso  intoppo. 

Ond'  io  consiglio  voi,  che  siete  in  via, 

Volgete  i  passi,  e  voi,  cu'  amore  avvampa. 
Non  v'  indugiate  sull'  estremo  ardore  ! 

Che,  perdi'  io  viva,  di  mille  un  non  scampa* 
Era  ben  forte  la  nemica  mia, 
E  lei  vid'  io  ferita  in  mezzo  '1  core. 

Sonetto  LXVIII. 

Fuggendo  la  prigione,  ov'  Amor  m'  ebbe 

Molt'  anni,  a  far  di  me  quel,  eh'  a  lui  parve, 
Donne  mie,  lungo  fora  a  ricontarve, 
Quanto  la  nova  libertà  m'  increbbe. 

Diceami  '1  cor,  che  per  sé  non  saprebbe 
Vivere  un  giorno,  e  poi  tra  Aia  m'  apparve 
Quel  traditor  in  sì  mentite  larve, 
Che  più  saggio  di  me  ingannato  avrebbe. 

Onde  più  volte  sospirando  indietro, 

Dissi:  oimè ,  il  giogo,  e  le  catene,  e  i  ceppi 
Eran  più  dolci,  che  1'  andare  sciolto. 

Misero  me!  che  tardo  il  mio  mal  seppi! 
E  con  quanta  fatica  oggi  mi  spetro 
Dell'  error ,  ov'  io  stesso  m'  era  involto  ! 
Sonetto  LXIX. 

Erano  i  capei  d'  oro  all'  aura  sparai, 
Che  'n  mille  dolci  nodi  gli  avvolgea, 
E  '1  vago  lume  oltra  misura  ardea 
Di  quei  begli  occhj ,  eh'  or  ne  son  si  scardi, 

E  '1  viso  di  pietosi  color  farsi. 

Non  so  se  vero ,  o  falso  ,  mi  parca. 
r,  che  r  esca  amorosa  al  petto  avea, 
Qnal  meraviglia,  se  di  suhit'  arsi? 

Non  era  1'  andar  suo  cosa  mortale, 
Ma  d'  angelica  forma ,  e  le  parole 
Sonavan  altro ,  che  pur  voce  umana. 

Uno  spirto  celeste,  un  vivo  sole 

Fu  quel,  eh'  i'  vidi  :  e  se  iu)n  fosse  or  tale, 
Piaga  per  allentar  d'  arco  non  sana. 
Sonetto  LXX, 

La  bella  donna,  che  cotanto  amavi, 
Subitamente  s'  é  da  noi  partita, 
E,  per  quel  eh'  io  ne  speri ,  al  cicl  salita  ; 
Sì  furon  gli  atti  suoi  dolci  e  soavi! 

Tempo  é  da  ricovrare  ambe  le  chiavi 
Del  tuo  cor  ,  eh'  ella  possedeva  in  vita, 
E  seguir  lei  per  via  dritta  e  spedita. 
Peso  terren  non  sia  più  che  t'  aggravi! 

Poi  <-.he  se'  sgtunbio  della  maggior  salma, 
L"  altre  puoi  ginso  agevolmente  porre. 
Salendo  quasi  un  pellegrino  scarcu. 

Ben  vedi  omai ,  siccome  a  morte  corre 
Ogni  cosa  creata ,  e  quanto  all'  alma 
BieiOgna  ir  lieve  al  periglioso  varco. 


[3Ì] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[38] 


Sonetto    LXXI. 
Piangete,  donne,  e  con  toì  pianga  Amore! 
Piangete,  amanti,  per  ciascun  paese, 
Poi  che  morto  è  colui,  che  tutto  intese 
In  farvi,  mentre  ■visse  al  iiiondo,  onore. 
Io  per  me  prego  il  mio  acerbo  dolore, 
INon  sian  da  lui  le  lagrime  contese, 
E  mi  sia  di  sospir  tanto  cortese, 
Quanto  bisogna  a  disfogare  il  core. 
Piangan  le  rime  ancor,  piangano  i  versi! 
Perchè  '1  nostro  amoroso  messcr  Cino 
IVovellamente  s'  è  da  noi  partito. 
iPianga  Pistoja,  e  i  cittadin  perversi, 
Che  perdut'  hanno  si  dolce  micino, 
E  rallegrisi  il  cielo,  ov'  egli  è  gito! 
Sonetto    LXXII. 
Più  Tolte  Amor  ra'  avea  già  detto:  scrivi. 
Scrivi  quel  che  vedesti,  in  lettre  d'  oro, 
Sì  come  i  mici  segnaci  discoloro, 
E  'n  un  momento  li  fo  morti  e  vivi. 
Un  tempo  fu,  che  'n  te  stesso  '1  sentivi, 
Volgare  esempio  all'  amoroso  coro  : 
Poi  (li  man  mi  ti  tolse  altro  lavoro  ; 
Ma  già  ti  raggians'  io,  mentre  fuggivi. 
E  gè  i  begli  occhj ,  ond'  io  mi  ti  mostrai, 
E  là  dov'  era  il  mio  dolce  ridutto. 
Quando  ti  ruppi  al  cor  tanta  durezza, 
Mi  rendon  1'  arco,  eh'  ogni  cosa  spezza; 
Forse  non  avrai  sempre  il  viso  asciutto: 
Ch'  i'  mi  pasco  di  lagrime,  e  tu  1  gai. 
Sonetto     LXXIII. 
Qnando  giugne  per  gli  occhj  al  cor  profondo 
L'  immagin  donna,  ogni  altra  indi  si  parte, 
E  le  virtù,  che  l'  anima  comparte, 
Lascian  le  membra  quasi  ìmmobii  pondo. 
E  dei  primo  miracolo  il  secondo 
Nasce  talor ,   che  la  scacciata  parte. 
Da  sé  stessa  fuggendo ,  arriva  in  parte. 
Che  fa  vendetta  ,  e  '1  suo  esilio  giocondo. 
Quinci  in  duo  volti  un  color  morto  appare; 
Perchè  il  vigor,  che  vivi  li  mostrava. 
Da  nessun  lato  è  più  là,  dove  stara. 
E  di  que^^lo  in  quel  dì  mi  ricordava, 
CIi'  i'  ^idi  duo  amanti  trasformare, 
E  far,  qual  io  mi  soglio  in  vista  fare. 
Sonetto     LXXIV. 
Cosi  potess'  io  ben  chiuder  in  versi 

I  miei  pensier ,  come  nel  cor  li  chiudo, 
Ch'  animo  al  mondo  non  fu  mai  sì  crudo, 
Ch'  i'  non  facessi  per  pietà  dolersi. 
Ma  voi ,  occhj   beati ,  ond'  io  soilcrsi 
Quel  colpo ,  ove  non  valse  elmo ,  nò  scudo, 
Di  fuor  e  dentro  mi  cedete  ignudo, 
Renchè  'n  laiii(!nti  il  duol  non  si  riversi: 
Poi  che  vostro  vedere  in  me  risplendc, 
Come  raggio  di  sol  traluce  in  vetro, 
liasti  dunque  il  desio,   senza  eli'  io  dica. 
Laiiso,  non  a  I\laria,  non  nocque  a  Pietro 
La  fede ,  eh'  a  me  sol  tanto  è  nemica  ; 
E  so  che,  altri  che  voi,  n(^-sun  m'  intende. 

S  ON  e  tt  o     LWV. 
Io  fion  dell'  aspettar  omai  sì  vinto, 
E  della  lunga  guerra  de'  sospiri, 
Ch'  i'  aggio   in  odio  la  speme,  e  i  dei>irì, 
Ed  ogni  laccio,  ondo  '1  mio  cor  è  uv\into. 


Ma  '1  bel  viso  leggiadro,  che  dipinto 

Porto  nel  petto,  e  veggio,  ove  eh'  io  miri 
Mi  sforza  ;  onde  ne'  primi  cmpj  martiri 
Pur  son  contra  mia  voglia  risospinto. 

Allor  errai,  quando  1'  antica  strada 
Di  libertà  mi  fu  precisa  e  tolta: 
Che  mal  si  segue  ciò ,  eh'  agli  occlij  aggrada. 

Allor  corse  al  suo  mal  libera  e  sciolta, 
Or  a  posta  d'  altrui  convien  che  vada 
L'  anima ,  che  peccò  sol  una  volta. 
Sonetto    LXXVI, 

Ahi  bella  libertà,  come  tu  m'  hai, 
Partendoti  da  me  ,  mostrato ,  quale 
Era  '1  mio  stato ,  qnando  'i  primo  strale 
Fece  la  piaga,  ond'  io  non  guarrò  mai! 

Gli  occhj  invaghirò  allor  ^^  de'  lor  guai. 
Che  '1  frcn  della  ragione  ivi  non  vale; 
Perdi'  hanno  a  schifo  ogni  opera  mortale: 
Lasso  !  cosi  da  prima  gli  avvezzai. 

ÌVè  mi  lece  ascoltar  chi  non  ragiona 
Della  mia  morte;  che  s^l  del  suo  nome 
A  o  empiendo  1'  aei-e ,  che  sì  dolce  suona. 

Amor  in  altra  parte  non  mi  sprona, 

Kè  i  pie  sanno  altra  via,  né  la  man,  come 
Lodar  si  pessa  in  carte  altra  persona. 
Sonetto    LXXVIL 

Orso ,  al  vostro  destrier  si  può  ben  porre 
Un  fren,  che  di  suo  corso  indietro  il  volga; 
Ma  '1  cor  chi  legherà,  che  non  si  sciolga. 
Se  brama  onore,  e  '1  suo  contrario  abborre.' 

Non  sospirate  !  a  lui  non  si  può  torre 

Suo  pregio,  perch'  a  voi  1'  andar  si  tolga; 

Che,  come  fama  pubblica  divolga. 

Egli  è  già  là ,  che  nuli'  altro  il  precorre. 

Basti,  che  si  ritrovo  in  mezzo  '1  campo 
Al  destinato  dì ,  sotto  quell'  arme. 
Che  gli  dà  il  tempo  ,  amor,  virtute,  e  '1  sangue, 

Gridando:  d'  un  gentil  de.-ire  avvampo 
Col  signor  mio ,  che  non  può  seguitarme, 
E  del  non  esser  qui  si  strugge,  e  langue. 

Sonetto     LXXVIII, 

Poi  che  voi  ed  io  più  volte  abbiam  provato. 
Come    1  nostro  sperar  torna  fallace, 
Dictr'  a  quel  sommo  ben,  che  mai  non  spiace, 
Levate  '1  core  a  più  felice  stato! 

Questa  vita  terrena  è  qua-i  un   prato, 
('he  '1  serpente  tra'  (ìiui  e  1'  erba  giace, 
E  s'  alcuna  sua  vir.ta  agli  occhj  piace, 
E   per  lasciar  più  1'  aniuio  invescato. 

Voi  dunque,  se  cercate  aver  la  mente 
Anzi  r  estrj-mo  di  qwcta  giamuiai, 
Seguite  i  pochi ,  e  non  la  a olgar  gente  ! 

Ben  si  può  (lire  a  me:  frate,  tu  vai 
Alustrando  altrui  la  via.  do\o  sovente 
Fosti  smarrito ,  ed  or  se'  più  che  mai. 

Sonetto     LWIX. 

Quella  foncstra,  ove  1'  nn  sol  si  >cdc, 

Quando  a  lui  piace,  e  1'  altro  in  sulla  nona, 
E  quella,  do\c  1'  acre  tVcildo  suon.i 
Ne'   brevi  gi<»riii ,  quando  borea  1'   fìcde  ; 

E    I  sasso ,  ove  a'  gran  dì  pensosa  siede 
Madonna,  e  sola  seco  si  ragiona, 
('on  quanti  luoglii  sua  bella  persona 
Cloprì  unii  d'  ombra,  n  disegnò  col  piede; 

E  '1  fiero  passo,  ove  iir  aggiunse  Amore; 

3  ♦ 


[39] 


RIME   DEL   PETRARCA. 


[40] 


E  la  noTa  station,  che  d'  anno  in  anno 
Mi  rinfresca  in  quel  dì  1'  antiche  piaghe; 

E  '1  volto,  e  le  parole,  che  mi  stanno 
Altamente  confitte  in  mezzo  '1  core, 
Fanno  le  luci  mie  di  pianger  Aaghe. 
Sonetto     LXXX. 

Lasso  !  hen  so ,  che  dolorose  prede 

Di  noi  fa  quella,  eh'  a  nuli'  uom  perdona, 

E  che  rapidamente  n'  abbandona 

II  mondo,  e  picciol  tempo  ne  tien  fede. 

leggio  a  molto  languir  poca  mercede, 
E  già  r  ultimo  dì  nel  cor  mi  tuona. 
Per  tutto  questo  Amor  non  mi  sprigiona, 
Che  r  usato  tributo  agli  (tcchj  chiede. 

So ,  come  i  dì ,  come  i  momenti ,  e  1'  ore 
]Ne  portan  gli  anni,  e  non  ricevo  inganno, 
Ma  forza  assai  maggior,  che  d'  arti  maghe. 

La  Aoglia  e  la  ragion  combattut'  hanno 
Sette  e  sett'  anni,  e  vincerà  il  migliore; 
S'  anime  son  qua  giù  del  ben  presaghe. 
Sonetto     LXXXI. 

Cesare,  poi  che  '1  traditor  d'  Egitto 
Gli  fece  il  don  dell'  onorata  testa. 
Celando  1'  allegrezza  manifesta, 
Pianse  per  gli  occhj  fuor,  sì  come  è  scritto. 

Ed  Annibal,  quand'  all'  imperio  afflitto 
Vide  farsi  fortuna  sì  molesta. 
Rise  fra  gente  lagrimosa  e  mesta. 
Per  isfogare  il  suo  acerbo  despitto. 

E  così  avvien,  che  1'  animo  ciascuna 
Sua  passìon  sotto  '1  contrario  manto 
Ricopre  con  la  vista  or  chiara,  or  bruna. 

Però,  s'  alcuna  volta  i'  rido,  o  canto, 

Facciol,  perdi'  i'  non  ho  se  non  quest'  una 
Via  da  celare  il  mio  angoscioso  pianto. 

Sonetto    LXXXII. 

Vinse  Annibal ,  e  non  seppe  usar  poi 
Ben  la  vittoriosa  sua  ventura: 
Però ,  signor  mio  caro ,  aggiate  cura, 
Che  similmente  non  avvegna  a  voi! 

L'  orsa  rabbiosa  per  gli  orsacchj  suoi, 
Che  trovaron  di  maggio  aspra  pastura, 
Rode  sé  dentro,  e  i  denti,  e  1'  unghie  indura, 
Per  vendicar  suoi  danni  sopra  noi. 

Mentre  'l  novo  d(»lor  dunque  1'  accora, 
j\on  riponete  1'  onorata  spada, 
Anzi  seguite  là,  dove  vi  chiama 

A  ostra  fortuna,  dritto  per  la  strada, 

Che  vi  piu't  dar ,  dopo  la  morte  ancora, 
Mille  e  miir  anni  al  mondo  onore  e  fama! 

Sonetto     LXXXlll. 

L'  a*pfttata  virtù,  che  'n  voi  fiorifa. 
Quando  Amor  cominciò  darvi  battaglia, 
Produce  or  frutto,  che  quel  fiore  agguaglia, 
E  che  mìa  speme  fa  venire  a  ri\a. 

Però  mi  di<;e  'l  cor,  eh'  io  in  <;arte  scriva 
Cosa,  onde  '1  vostro  nome  in  pregio  saglìa  : 
Che  'n  nulla  parte  sì  saldo  s'  intiiglia. 
Per  far  «li  marmo  una  persona  viva. 

Oedetc  voi ,  che  Cesare  ,  o  Marcello, 
0   Paolo ,  od  African  fossìn  cotali 
Per  in«;ude  gianmiai,  ni-  per  martello? 

Pandolfo  mio,  <|ii<>l'  opere  son   frali 

Al  lungo  andar;  ma  'I  nostro  studio  è  quello, 
Clic  fa  per  famu  gli  uomini  immortali. 


Canzone     XI. 
Mai  non  to'  più  cantar,  com'  io  soleva; 

Ch'  altri  non  m'  intendeva,  ond'  ebbi  scorno; 

E  puossi  in  bel  soggiorno  esser  molesto. 

Il  sempre  sospirar  nulla  rileva. 

Già  su  per  1'  alpi  neva  d'  ogn'  intorno. 

Ed  è  già  presso  al  giorno,  ond'  io  son  desto. 

Un  atto  dolce  onesto  è  gentil  cosa. 

Ed  in  donna  amorosa  ancor  m'  aggrada. 

Che  'n  vista  vada  altera  e  disdegnosa, 

Non  superba  e  ritrosa. 
Amor  regge  suo  imperio  senza  spada. 
Chi  smarrit'  ha  la  strada .  torni  'ndietro  ! 
Chi  non  ha  albergo ,  posisi  in  sul  verde  ! 

Chi  non  ha  1'  auro ,  o  '1  perde, 
Spenga  la  sete  sua  con  un  bel  vetro! 
r  die'  in  guardia  a  san  Pietro  ;  or  non  più ,  no  ! 
Intendami  chi  può,  eh'  i'  m'  intend'  io. 
Grave  soma  è  un  mal  fio  a  mantenerlo. 
Quanto  posso,  mi  spetro,  e  sol  mi  sto. 
Fetonte  odo,  che  'n  Po  cadde  e  morìo. 
E  già  di  là  dal  rio  passato  è  '1  merlo. 
Deh  venite  a  vederlo  !  or  io  non  voglio. 
Non  è  gioco  uno  scoglio  in  mezzo  1'  onde, 
E  'ntra  le  fronde  il  visco.     Assai  mi  doglio, 

Quaiid'  un  soverchio  orgoglio 
Molte  virtuti  in  bella  donna  asconde, 
Alcun  è,  che  risponde  a  chi  noi  chiama: 
Altri ,  a  chi  '1  prega ,  si  dilegua  e  fugge  : 

Altri  al  ghiaccio  si  strugge; 
Altri  dì  e  notte  la  sua  morte  hi*ama. 
Provverbio,  Ama  chi  V  ama,  è  fatto  antico. 
1'  so  ben  quel  eh'  io  dico.     Or  lassa  andare! 
Che  convien  eh'  altri  impare  alle  sue  spese. 
Un'  umil  donna  grama  un  dolce  amico. 
Mal  si  conosce  il  fico.    A  me  pur  pare 
Senno  a  non  cominciar  tropp'  alte  imprese, 
E  per  ogni  paese  è  buona  stanza. 
L'  infinita  speranza  uccide  altrui  : 
Ed  anch'  io  fui  alcuna  ^olta  in  danza. 

Quel  poco  ,  che  m'  avanza, 
Fia  chi  noi  schifi ,  s'  i'  '1  vo'  dare  a  lui. 
r  mi  fido  in  colui ,  che  il  mondo  regge, 
E  che  i  seguaci  suoi  nel  bosco  alberga  ; 

Che  con  pietosa  verga 
Mi  meni  a  pasco  ornai  tra  le  sue  gregge. 
Forse  eh'  ogni  uom,  che  legge,   non  s'  intende; 
E  la  rete  tal  tende,  che  non  piglia: 
E  chi  troppo  a.-:sottiglia,  si  scavezza. 
Non  sia  zoppa  la  legge ,  ov'  altri  attende  ! 
Per  bene  star  si  scende  molte  miglia. 
Tal  par  gran  meraviglia ,  e  poi  si  sprezza. 
Una  chiusa  bellezza  è  più  soave. 
Benedetta  la  chiave ,  che  s'  avvolse 
Al  cor,  e  >(-iolse  1'  alma,  e  scossa  1'  have 

Ili  catena  si  grave, 
E  'nfiniti  sospir  del  mio  sen  tolse! 
Là,  do\e  più  mi  dolse,  altri  si  dolc; 
E  dolendo  addolcisce  il  mio  dolore: 

Ond'  io  ringrazio  Amore, 
Che  più  noi  sento,  ed  è  non  men  che  suole. 
In  silenzio  parole  accorte  e  saggc  ! 

E    1  siion     che  mi  sottragge  ogni  altra  cura, 
E  la  prigìon  usctura  ,  «»v'  è  '1  bel  lume. 
Le  notturne  viole  per  le  piagge, 
E  le  fere  selvagge  eutr'  alle  mura, 


U] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[42] 


E  la  dolce  paura ,  e  'l  bel  costume, 
E  (li  duo  fonti  un  fiume  in  pace  volto, 
Dov'  io  bramo  ,  e  raccolto  ove  che  sia, 
Amor,  e  gelosia  ra'   hanno  il  cor  tolto, 

E  i  segni  del  bel  volto, 
Che  mi  conducon  per  più  piana  via 
Alia  speranza  mia ,  al  fin  degli  affanni. 
Oh  riposto  mio  bene,  e  quel  che  segue, 

Or  pace  ,  or  guerra ,  or  tregue. 
Mai  non  m'  abbandonate  in  questi  panni  ! 
e'  passati  miei  danni  piango  e  rido. 
Perchè  molto  mi  fido  in  quel ,  eh'  i'  odo. 
Del  presente  mi  godo,  e  meglio  aspetto, 
E  vo  contando  gli  anni ,  e  taccio  ,  e  grido, 
E  'n  bel  ramo  m'  annido,  ed  in  tal  modo, 
Ch'  i'  ne  ringrazio  e  lodo  il  gran  disdetto, 
Che  1'  indurato  affetto  al  fine  ha  vinto, 
E  nell'  alma  dipinto  'i'  sare'  udito, 
E  mostratone  a  dito'  ed  hanae  estinto 

(Tanto  innanzi  son  pinto, 
Ch'  il  pur  dirò)  'non  fostu  tanto  ardito.' 
Chi  m    ha  i  fianco  ferito,  e  chi  '1  risalda? 
Per  cui  nel  cor  vie  più  che  'n  carte  scrivo. 

Chi  mi  fa  morto  e  vìvo.'' 
Chi  'n  un  punto  m'  agghiaccia  e  mi  riscalda. 
Ballata     Vili. 
Tova  angeletta  sovra  1'  ale  accorta 
Scese  dal  cielo  in  sulla  fresca  riva, 
Là,  ond'  io  passava  sol  per  mio  destino. 
Poi  che  senza  compagno  e  senza  scorta 
Mi  vide,  un  laccio,  che  di  seta  ordiva. 
Tese  fra  I'  erba ,  ond'  è  verde  '1  cammino. 
Alior  fui  preso,  e  non  mi  spiacque  poi; 
Si  dolce  lume  uscia  degli  occhj  suoi! 
Sonetto     LXWIV. 
Son  veggio ,  ove  ecampar  mi  possa  omai  ; 
Sì  lunga  guerra  i  begli  occhj  mi   fauno, 
Ch'  io  temo,  lasso,  n<»  '1  soverchio  affanno 
Distrugga  'l  cor,  che  triegua  non  ha  mai. 
Fuggir  vorrei;  ma  gli  amorosi  rai. 
Che  dì  e  notte  nella  mente  stanno, 
Risplcndon  sì  ,  cir  al  quintodeciDi'  anno 
M'  abbagliali  più,  che    l  pi-iiuo  giorno  assai. 
E  1'  immagini  lor  son  si  cosparte, 

Che  volver  non  mi  posso  ,  ov'  io  non  veggia 
O  quella ,  o  simil  indi  accesa  luce. 
Solo  di  un  laur(»  tal  selva  verdeggia. 
Che  'l  mio  avversario  con  mirabil'  arte 
Vago  fra  i  rami,  ovunque  vuol,  m'  adduce- 
S  o  \  K T  T  o     L\\\ V. 
Avventuroso  più  d'  altro  terreno, 

Ov'  Amor  vidi  già  fermar  le  piante, 
Ver  me  volgendo  quelle  luci  sante. 
Che  fanno  intorno  a  sé  1'  a(;re  sereno, 
Prima  porla  per  teiupo  venir  meno 
lln'  iinmagiiie  salda  di  diiimante. 
Che  r  atto  dolce  non  mi  stia  davaiite, 
Uel  qual  ho  la  memoria  e    l  cor  si  pieno. 
Né  tante  volte  ti  vedrò  giaiiiuiai, 

CI  '  i'  non  m'  inchini  a  ricercar  dell'  orme, 
Che  'l  bel  piò  fece  in  quel  cortese  giro. 
Ma  s<!  'n  cor  valoroso  amor  non  dorme, 
Prega,  .Soiiniiccio  mio,  quiuido  'l  vedrai, 
Dì  qualche  lagriuietta,  o  d'  un  ^osplro. 
S<.NK,,o      lAWVI. 
Lasflo ,  quante  fiate  Amor  m"  assale. 

Che  fra  la  notte  u  '1  di  son  più  di  mille. 


Torno,  dov'  arder  vidi  le  faville, 

Che  '1  foco  del  mio  cor  fanno  immortale. 

Ivi  m'  acqueto  ,  e  son  condotto  a  tale, 

Ch'  a  nona ,  a  vespro ,  all'  alba  .  ed  alle  squille 
Le  trovo  nel  pensier  tanto  tranquille. 
Che  di  nuli'  altro  mi  rimembra ,  o  cale. 

L'  aura  soave,  che  dal  chiaro  viso 
Move  col  suon  delle  parole  accorte. 
Per  far  dolce     sereno  ,  ovunque  spira. 

Quasi  un  spirto  gentil  di  paradiso. 

Sempre  in  quell'  aere  par  che  mi  conforte, 
Sì  che  '1  cor  lasso  altrove  non  respira. 

Sonetto     LXXXVII. 
Perseguendomi  Amor  al  luogo  usati». 

Ristretto  in  guisa  d'  unni .  eh'  a*petta  guerra, 
Che  si  provvede ,  e  i  passi  intorno  serra. 
De'  mie'  antichi  pensier  mi  stava  armato. 
Volgimi,  e  vidi  un'  umbra,  che  da  lato 

'      Stampava  il  sole,  e  riconobbi  in  terra 

j      Quella  che ,  se  '1  giudicio  mio  non  erra, 

I      Era  più  degna  d'  immortale  ^tato. 
r  dicea  fra  mio  cor:  perchè  paventi? 

I      Ma  non  fu  prima  dentro  il  pensier  giunto, 

i     Che  i  raggi,  ov'  io  mi  struggo,  eran  presenti. 

;  Come  col  balenar  tuona  in   un  punto, 

1      Così  fu"  io  da'  begli  occhj  lucenti, 
E  d'  un  dolce  saluto  insieme  aggiunto. 
Sonetto     LXXXVllI. 

La  donna,  che  'l  mio  cor  nel  viso  porta, 
Là  dove  sol  fra  bei  pensier  d'  amore 
Sedea,  m'  apparve;  ed  io,  per  farle  onore. 
Mossi  con  fronte  reverente  e  smorta. 

Tosto  che  del  mio  stato  fossi  accorta, 
A  me  si  \olse  in  sì  novo  colore, 
Ch'  avrebbe  a  Giove  nel  maggior  furore 
Tolto  r  arme  di  mano ,  e  1'  ira  morta. 

I'  mi  riscossi,  ed  ella  oltra,  parlando. 
Passò ,  che  la  parola  i'  non  soffer.>i, 
Xè   '1  dolce  sfavillar  degli  occhj  suoi. 

Or  mi  ritrovo  pìeii  di  sì  diversi 
Piaceri  in  quel  saluto  ripensando, 
Che  duol  non  sento ,  né  sentii  ma'  poi. 

Sonetto    LXXXIX. 
iSennuccio,  i'  vo'  che  sappi,  in  qual  maniera 
:      Trattato  sono ,  e  qual  vita  è  la  mia. 
I      Ardomi  e  struggo  ancor ,  com'  io  solia  ; 
I      Laura  mi  volve,  e  son  pur  quel  eh'  i"  lu"  ir.i. 
iQui  tutta  umile,  e  qui  la  vidi  altera; 
i      Or  aspra,   or  piana,  or  dispietata,  or  pia; 
i      Or  vestirsi  onestate,  or  leggiadria, 
i      Or  mansueta,  or  disdegnosa  e  fera. 
Qui  cantò  dolcemente,  e  qui  s'  assise; 

Qui  si  rivolse,  e  qui   rattcnne  il  passo. 

Qui  co'  begli  occhj  mi  tran.->e  il  core. 
Qui  disse  Ulta  parola,  e  qui  sorrise, 

Qui  cangiò  'l  viso.     In  quegli  pensier,  lasso. 

>ottc  e  dì  tiemmi  il  signor  nostro  Amore. 

I  Sonetto     XC. 

Qui  dove  mezzo  son  ,  Scnniiccio  mio. 

((/'o.-ì  ci   fo>s'   io  intero,  e  voi   contento') 
I       \  Clini   fiiggeiiilo  la   tempesta  e    l  vento, 
I      ('ir  hanno  Mibito  fatto    il  tempo  rio. 

Qui   son  seciiro  ,  e   v(tv\i  dir,   perch*   io 
j      IVon,  ciuut^  soglio,  il   folgorar  pavento. 
I     E  perchè  mitigalo ,  non  che  spento, 


[43] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[441    I 


Né  mica  troYO  il  mio  ardente  desio. 
Tosto  che  giunto  al  amorosa  reggia 

Vidi ,  onde  nacque  Laura  dolce  e  pura, 

Cii'  acqueta  1'  aere,  e  mette  i  tuoni  in  bando, 
Amor  neir  alma,  ov'  ella  signoreggia, 

Raccese  il  foco,  e  spense  la  paura: 

Che  farei  dunque  gli  occhj  suoi  guardando? 
Sonetto     XCl. 
Dell'  empia  Babilonia,  ond'  è  fuggita 

Ogni  vergogna ,  ond'  ogni  bene  è_  fori, 

Albergo  di  dolor,  madre  d'  errori, 

Son  fuggii'  io  per  allungar  la  -vita. 
Qui  mi  sto  solo,  e,  come  Amor  m'  invita,^ 

Or  rime  e  versi,  or  colgo  erbette  e  fiori, 

Seco  parlando,  ed  a'  tempi  migliori 

Sempre  pensando  ;  e  questo  sol  m'  aita. 
Kè  del  vulgo  mi  cai,  né  di  fortuna, 

]Vè  di  me  molto,  né  di  cosa  vile; 

Kè  dentro  sento,  né  di  fuor  gran  caldo; 
So  due  persone  chieggio,  e  vorrei  1'  mia 

Col  cor  ver  me  pacificato  e  umile  ; 

L'  altro  col  pie,  sì  come  mai  fu,  &aIdo, 
Sonetto    XCII. 
In  mezzo  di  duo  amanti  onesta  altera 

Vidi  una  donna,  e  quel  signor  con  lei,  ^ 

Che  fra  gli  uomini  regna,  e  fra  gli  Dei, 

E  dall'  un  lato  il  sole ,  io  dall'  altr'  era. 
Poi  che  s'  accorse  clìiusa  dalla  spera 

Dell'  amico  più  bello,  agli  occhj  miei 

Tutta  lieta  si  volse  ;  e  ben  vorrei. 

Che  mai  non  fosse  inver  di  me  più  fera. 
Subito  in  allegrezza  si  converse 

La  gelosia,  che  'n  su  la  prima  vista 

Per  sì  alto  avversario  al   cor  mi  nacque. 
A  lui  la  faccia  lagrimosa  e  trista 

Un  nuviletto  intorno  ricoverse  ; 

Cotanto  I'  esser  vinto  gli  dispiacque! 

Sonetto     XCIIL 

Pien  di  quella  ineffabile  dolcezza, 

Che  del  bel  viso  trasser  gli  occhj  miei 
Kel  dì ,  che  volentier  chiusi  gli  avrei, 
Per  non  mirar  giammai  minor  bellezza. 

Lasciai  quel  eh'  i'  più  bramo:  ed  ho  sì  a^'^ezza 
La  mente  a  contemplar  sola  costei, 
Ch'  altro  non  vede ,  e  ciò  che  non  è  in  lei 
Già  per  antica  usanza  odia  e  disprezza. 

In  una  valle  chiusa  d'  ogn'  intorno, 
Ch'  é  refrigerio  de'  sospir  miei  lassi, 
Giunsi  sol  con  Amor,  pensoso  e  tardo. 

\\\  non  donne,  ma  fontane  e  sassi, 
E  1'  immagine  trovo  di  quel  giorno. 
Che  '1  pcnsier  mio  figura  ovunqii'  io  sguardo. 

Sonetto     XCIV. 

Se  'I  sasso ,  end'  è  più  chiusa  questa  valle, 
Di  che  '1  suo  proprio  nome  si  deriva, 
Tenesse  volto  per  natura  schiva 
A  Roma  il  viso,  ed  a  Babel  le  Kpallc, 

I  mici  sospiri  più  benigno  calle 

Avrian,  per  gire  ove  lor  spene  è  viva: 
Or  vanno  spiu>i ,  e  pur  ciascuno  arriva 
Là ,  dov'  io  'I  mando ,  che  sol  un  non  falle. 

£  son  di  là  sì  ddlcenientc  accolti, 

Com'  io  m'  accorgo ,  die  nessun  mai  torna. 
Con  titl  diletto  in  quelle  partì  stanno. 

Degli  occUj  è  '1  duol,  che  toiito  che  u'  aggiorna. 


Per  gran  desio  de'  bei  luoghi  a  lor  tolti 
Danno  a  me  pianto,  ed  a'  pie  lassi  affanno. 

Sonetto     XCV\ 

Rimansi  addietro  il  scstodecim'  anno 
De'  miei  sospiri,  ed  io  trapasso  innanzi 
Verso  r  estremo,  e  parmi,  che  pur  dianzi 
Fosse  '1  principio  di  cotanto  affanno. 

L'  amar  m'  é  dolce,  ed  utile  il  mio  danno, 
E  '1  viver  grave,  e  prego,  eh'  egli  avanzi 
L'  empia  fortuna ,  e  temo,  non  chiuda  anzi 
Morte  i  begli  occhj ,  che  parlar  mi  fanno. 

Or  qui  son ,  lasso ,  e  voglio  esser  altrove, 
E  vorrei  più  volere,  e  più  non  voglio, 
E  per  più  non  poter,  fo  quant'  io  posso. 

E  d'  antichi  desir  lagrime  nove 
Provan ,  coni'  io  son  pur  quel  eh'  i'  mi  soglio  ' 
]\é  per  mille  rivolte  ancor  son  mosso. 

Canzone     XIL 
Una  donna  più  bella  assai  che  '1  sole, 
£  più  lucente,  e  d'  altrettanta  etade. 

Con  famosa  beltade 
Acerbo  ancor  mi  trasse  alla  sua  schiera. 
Questa  in  pensieri ,  in  opre ,  ed  in  parole, 
Però  eh'  è  delle  cose  al  mondo  rade, 

Questa  per  mille  strade 
Sempre  innanzi  mi  fu  leggiadra  altera: 
Solo  per  lei  tornai  da  quel  eh'  i'  era, 
Poi  eh'  i'  soffersi  gli  occhj  suoi  da  presso; 

Per  suo  amor  m'  er'  io  messo 
A  faticosa  impresa  assai  per  tempo, 
Tal  che ,  s'  i'  arriì  o  al  desiato  porto. 

Spero  per  lei  gran  tempo 
Viver,  quand'  altri  mi  terrà  per  morto. 
Questa  mia  donna  mi  menò  molt'  anni 
Pien  di  vaghezza  giovenile  ardendo, 

Sì  com'  ora  io  comprendo. 
Sol  per  aver  di  me  più  certa  prova, 
Mostrandomi  pur  1'  ombra ,  o  '1  velo ,  o  i  panni 
Talor  di  sé,  ma  '1  viso  nascondendo: 

Ed  io,  lasso,  credendo 
Vederne  assai,  tutta  1'  età  mia  nova 
Passai  contento,  e  'l  rimembrar  mi  giova. 
Poi  eh'  alquanto  di  lei  veggi'  or  più  innanzi, 

r  dico  che  pur  dianzi, 
Qual'  io  non  1'  avea  vista  infin  allora, 
Mi  si  scoverse:  onde  mi  nacque  un  ghiaccio 

Kel  core ,  ed  evvi  ancora, 
E  sarà  gemiirc,  fin  eh'  io  le  sia  in  braccio. 
Ma  non  mei  tolse  la  paura  o  '1  gelo: 
Che  pur  tanta  baldanza  al  mio  cor  diedi, 

Ch'  i'  le  mi  strinsi  a'  piedi 
Per  più  dolcezza  trar  degli  occhj  suoi. 
Ed  ella,  che  rimosso  avea  già  il  velo 
Dinanzi  a'  miei,  mi  disse:  amico,  or  vedi 

Com'  io  son  bella,  e  cliiedi 
Quanto  par  si  convenga  agli  anni  tuoi. 
Madonna,  dissi,  già  gran  tempo  in  voi 
Posi  '1  mio  amor,  eh'  io  sento  or  ei  'nfiammato  ; 

Ond'  a  me  in  questo  stato 
Altro  volere,  o  disvoler  m'  è  tolto. 
Con  voce  allor  di  si  mirabil  tempre 

Rispose,  e  con  un  volto. 
Che  temer  e  sperar  mi  farà  sempre  : 
Rado  fu  al  mondo  fra  così  gran  turba, 
Chi,  udendo  ragionar  del  mio  valore. 


i-r,] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[46] 


Non  sì  sentisse  al  core, 
Per  l)reve  tempo  alinen,  qualche  favilla: 
>5>i  r  avversaria  mia,  che  '1  ben  perturba, 
Tosto  la  spegne  ;  end'  ogni  virtù  more, 

E    regna  altro  signore, 
Clic  promette  una  vita  più  tranquilla. 
Della  tua  mente  Amor,  che  prima  aprilla, 
Mi  dice  cose  veramente,   ond'  io 

Veggio,  che  il  gran  desio 
;  Pur  d'  onorato  fin  ti  farà  degno, 
E  come  già  se'  de'  miei  rari  amici, 

Donna  vedrai  per  segno, 
Che  farà  gli  occhj  tuoi  vie  più  felici., 

volea  dir:  qncst'  è  ìmunssibil  cosa  ; 

Quand'  ella:  or  mira,  e  leva  gli  occhj  un  poco, 

In  più  riposto  loco 
Donna ,  eh'  a  pochi  bi  mostrò  giammai. 
Ratto  inchinai  la  fronte  vergognosa. 
Sentendo  novo  dentro  maggior  foco  : 

Ed  ella  il  prese  in  gioco. 
Dicendo  :  i'  veggio  ben ,  dove  tu  stai. 
Sì  come  '1  sol  co'  suoi  possenti  rai 
Fa  subito  sparir  ogni  altra  stella, 

Co^i  par  or  men  bella 
La  vista  mia  ,  cui  maggior  luce  preme. 
Ala  io  però  da'  miei  non  ti  diparto: 

Che  questa  e  me  d'  un  seme, 
Lei  davanti ,  e  me  poi ,  produsse  un  parto. 

lappcsi  intanto  di  vergogna  il  nodo, 
Cii'  alla  mia  lingua  era  distretto  intorno 

Su  nel  primiero  scorno, 
AUor  quand'  io  del  suo  accorger  m'  accorsi  : 
E  'ncominciai:  s'  egli  è  ver  quel  eh'  i'  odo, 
Beato  il  padre,  e  benedetto  il  giorno, 

Ch'  ha  di  voi  T  mondo  adorno, 
E  tutto  il  tempo,  eh'  a  vedervi  io  cotoi! 
E  se  mai  della  via  dritta  mi  torsi, 
Duolmene  forte  assai  più  eh'  i'  non  mostro; 

Ma  se  dell'  esser  vostro 
Fossi  degno  udir  più ,  del  dcsìr  ardo. 
Pensosa  mi  rispose,  e  casi  fiso 

Tenne  '1  suo  dolce  sguardo, 
Ch'  al  cor  mandò  con  le  parole  il  viso. 

Sì  come  piacque  al  nostro  eterno  padre, 
Ciascima  di  noi  due  nacque  immortale. 

Miseri!  a  noi  che  vale? 
Me'  v'  era,  che  da  noi  fosse  'I  difetto. 
Amate,  belle,  giovani  e  leggiadre 
Fummo  alcun  tempo  ed  or  biam  giunte  a  tale, 

Che  costei  batte  1'  ale, 
Per  tornar  all'  antico  suo  ricetto. 
r  per  me  sono  un'  ombra ,  ed  or  t'  ho  detto, 
Quanto  per  te  sì  breve  intender  puossi. 

Poi  che  i  pie  suoi  fùr  mossi, 
Dicendo ,  non  temer  eh'  i'  m'  allontani  ! 
Di  verde  lauro  una  gliìrlanda  colse, 

La  qual  con  le  sue  mani 
Intorno  intorno  alle  mie  tempio  avvolse. 

Canzon  ,  chi  tua  ragion  cliiamasse  oscura. 
Di  :  non  ho  cura  ;  perihù  tosto  spero, 

(Jlr  altro  messaggio  il  vero 
Farà  in  più  chiara  voce  mani  Testo. 
Io  venni  sol  per  isvcgliare  altrui. 

Se ,  chi  m'  impose  questo, 
Non  w'  ingannò,  quand'  io  parli'  da  lui. 


So?.'ETTO      XCVI. 

Quelle  pietose  rime ,  in  eh'  io  m'  accorsi 
Di  vostro  ingegno ,  e  del  cortese  affetto, 
E!)ben  tanto  vigor  nel  mìo  cospetto, 
Che  ratto  a  questa  penna  la  man  porsi. 

Per  far  voi  certo ,  che  gli  estremi  morsi 

Di  quella ,  eh'  io  con  tutto  '1  mondo  aspetto, 
Mai  non  sentii ,  ma  pur  senza  sospetto 
InSn  all'  uscio  del  suo  albergo  corsi. 

Poi  tornai  'ndielro  ,  perch'  io  vidi  scritto 
Di  sopra  'I  limitar,  che  "1  tempo  ancora 
Non  era  giunto  al  mio  viver  prescrìtto, 

Bench'  io  non  ^i  leggessi  il  dì,  nò  I'  ora. 
Dunque  s'  acqueti  ornai  '1  cor  vostro  afflitto, 
E  cerchi  uom  degno,  quando  sì  1'  onora! 

Ballata     IX. 
Or  vedi,  Amor,  che  giovinetta  donna 

Tuo  regno  sprezza ,  e  del  mio  mal  non  cura, 

E  tra  duo  ta'  nemici  è  sì  secura. 

Tu  se'  armato  ,  ed  ella  in  trecce  e  'n  gonna 

Si  siede ,  e  scalza  in  mezzo  i  fiori  e  1'  erba, 

Ver  me  spietata ,  e  centra  te  superba. 
I'  son  prigion  :  ma  se  pietà  ancor  serba 

L'  arco  tuo  saldo  ,  e  qualcuna  saetta, 

Fa  di  te  e  di  me,  signor,  vendetta! 

Sonetto     XCVII. 

Diciassett'  anni  ha  già  rivolto  il  cielo, 
Poi  che  'n  prima  arsi ,    e  giammai  non  mi  spensi  ; 
Ma  quando  avvien ,  eh'  al  mio  stato  ripensi, 
Sento  nel  mezzo  delle  fiamme  un  gelo. 

\ero  è  "1  proverbio,  ch"  altri  cangia  il  pelo 
Anzi  che  'l  vezzo:  e,  per  lentar  i  sensi, 
Gii  umani  affetti  non  scm  meno  intensi: 
Ciò  ne  fa  l'  ombra  ria  del  grave  velo. 

Oimè  lasso  !  e  quando  fia  quel  giorno. 
Che  mirando  '1  fuggir  degli  anni  miei 
Esca  del  foco,  e  di  sì  lunghe  pene? 

\edrò  mai  'I  dì,  che  pur,  quant'   io  vorrei, 
Queir  aria  dolce  del  bel  viso  adorno 
Piaccia  a  quest'  occhj,  e  quanto  si  conviene? 

Sonetto    XCVIII. 

Quel  vago  impallidir ,  che  'I  dolce  riso 
D'  un'  amorosa  nebbia  ricoperse, 
Con  tanta  maestade  al  cor  s'  ofl'erse, 
Che  gli  si  fece  incontro  a  mezzo  'l  viso. 

Conobbi  allor,  sì  come  in  paradiso 

Vede  r  un  l'  altro;  in  tal  guisa  s'  aperse 
Quel  pietoso  pensier  ,  eh'  altri  non  si-ersc  ; 
Ma  vidir  io,  eh'  altrove  non  m'  affiso. 

Ogni  angelica  vista  ,  ogni  atto  umile. 

Che  giammai  in  donna,  ov'  anuir  fosse,  apparve. 
Fora  uno  sdegno  a  lato  a  quel  eh'  i'  dico. 

Chinava  a  terra  il  bel  ginirdo  gentile, 
E  tacendo  dice»  (coni'  a  me  parve) 
Chi  m'  allontana  il  mìo  fedele  amico  ? 

Sonetto     X('I\. 

Amor,  Forfuna,  e  hi  mia  mente  schi\a 
Di  ipicl  che  vede,  e  nel  passato  volta, 
M'  iiffliggon  sì,  eh'  io  porto  alcuna  volta 
Invidia  u  quei,  che  son  sull'  altra  riva. 

Amor  mi  struggo  'l  cor,  Eortuna  il  priva 
D'  ogni  conforto,  onde  la  mente  stolta 
S'  adira,  o  piagno;  e  così  in  pena  molta 
Sempre  convien  che  combattendo  viva. 


[*T] 


RIMK  DKL   PETRARCA. 


[48] 


Xè  spero,  i  «ìolci  dì  tornino  indirfro. 

Ma  pur  di  male  in  peggio  quel  clf  avanza: 
l]  di  mio  corso  ho  già  passato  il  mezzo. 

Las>o!  non  di  diamante,  ma  d'  un  vetro 
Veggio  di  man  cadérmi  ogni  speranza, 
r  tutt'  i  miei  pensìer  romper  nel  mezzo. 
Canzone     XIII. 

Se  'I  pensier,  che  mi  strugge, 

Com'  è  pungente  e  saldo, 
Cosi  vestisse  d'  im   color  conforme, 

Forse  tal  m'  arde  e  fugge, 

Ch'  avria  parte  del  caldo; 
E  desteriasi  Amor  là,  dov'  or  dorme. 

Men  solitarie  1'  orme 

Foran  de'  miei  pie  lassi 

Per  campagne ,  e  per  colli  : 

Men  gli  occhj  ad  ogni  or  molli. 
Ardendo  lei ,  che  come  un  ghiaccio  stassi  ; 

E  non  lassa  in  me  dramma, 

Che  non  sia  foca  o  fiamma. 
Però  oh'  Amor  mi  sforza, 

E  di  saver  mi  spoglia, 
Parlo  in  rim'  aspre  ,  e  di  dolcezza  ignude. 

Ma  non  sempre  alla  scorza 

Ramo,  né  'n  fior,  né  'n  foglia 
Mostra  di  fuor  sua  naturai  virtiide. 

Miri  ciò ,  che  '1  cor  chiude, 

Amor,  e  que'  hegli  occhj, 

Ove  si  siede  all'  ombra. 

Se  '1  dolor,  che  si  sgombra, 
Av\  ien  che  'n  pianto ,  o  'n  lamentar  trahocchi  : 

L'  un  a  me  noce ,  e  V  altro 

Altrui,  eh'  io  non  lo  scaltro. 
Dolci  rime  leggiadre. 

Che  nel  primiero  assalto 
D'  Amor  usai ,  quand'  io  non  ehlii  altr'  arme. 

Chi  verrà  mai,  che  sqiiadre 

Questo  mìo  cor  di  sm.iUo, 
Ch'  aimcn ,  com'  io  solca,  po-sa  sfogarrac.'' 

Ch'  aver  dentr'  a  lui  panne 

Un,  che  madonna  sempre 

Dipìnge,  e  di  lei  parla. 

A  voler  poi  ritrarla 
Per  me  non  hasto  ,  e  par  eh'  io  me  ne  stempro. 

Lasso,  così  m'  è  scorso 

Lo  mìo  dolce  soccorso. 
Come  fancìul,  eh'  appena 

Volge  la  lingua  e  snoda, 
Che  dir  non  sa,  ma    1  più  tacer  gli  è  noja. 

Cosi  '1  desir  mi  mena 

A  dire,  e  vo'  che  m'  oda 
La  mia  dolce  nemica,  anzi  eh'  io  raoja. 

Se  forse  ogni  sua  gìoja 

Nel  suo  bel  viso  è  solo, 

E  di  tutt'  altro  è  schiva, 

Odìl  tu,  verde  riva, 
E  presta  a  mici  sospìr  sì  largo  volo, 

Che  sempre  ei  ridica, 

Come  tu  111'  cri  amica! 
Ben  ^ai ,  che  si  bel  piede 

Non  toccò  terra  iin(|uanco. 
Come  quel ,  di  die  già  segnata  fosti  ; 

Onde  'I  cor  lasso  rìede 

Col  tormentoso  fianco 
A  partir  teco  i  lor  pcii>ìer  nascosti. 

Cofì  avctìtu  riposti 


De'  bei  vestigi  sparsi 

Ancor  tra'  fiori  e  1'  erba, 

Che  la  mìa  vita  acerba 
Lagrìmando  trovasse  ove  acquetarsi. 

Ma  come  può,  s'  appaga 

L'  alma  dubbiosa  e  vaga. 
Ovunque  gli  occhj  volgo. 

Trovo  un  dolce  sereno, 
Pensando  :  qui  percosse  il  vago  lume. 

Qualunque  erba  o  fior  colgo. 

Credo,  che  nel  terreno 
Aggia  radice,  ov'  ella  ebbe  in  costume 

Gir  fra  le  piagge ,  e  '1  fiume, 

E  talor  farsi  un  seggio 

Fresco ,  fiorito  ,  e  verde. 

Cosi  nulla  sen'  perde, 
E  più  certezza  averne  fora  il  peggio. 

Spirto  beato,  quale 

Se',  quando  altrui  fai  tale? 
Oh  poverella  mìa,  come  se'  rozza! 

Credo,  che  tei  conoschi  ; 

Rimanti  in  questi  boschi  ! 

Canzone     XIV. 
Chiare ,  fresche ,  e  dolci  acque, 

Ove  le  belle  membra 
Pose  colei,  che  sola  a  me  par  donna; 

Gentil  ramo,  ove  piacque 

(Con  sospìr  mi  rimembra) 
A  lei  ,  di  fare  al  liei  fianco  colonna; 

Erba  e  fior,  che  la  gonna 

Leggiadra  ricoverse 

Con  r  angelico  seno; 

Aèr  sacro  sereno, 
Ov'  Amor  co'  begli  occhj  il  cor  m'  aperse, 

Date  udienza  insieme 
Alle  dolenti  mie  parole  estreme! 
S'  egli  è  pur  mìo  destino, 

E  '1  cielo  in  ciò  s'  adopra, 
Ch'  Amor  quest'  occhj  lagrìmando  chiuda, 

Qualche  grazia  il  meschino 

Corpo  fra  voi  ricopra, 
E  tornì  r  alma  al  proprio  albergo  ignuda. 

La  morte  fia  men  cruda, 

Se  questa  speme  porto 

A  quel  duldiìoso  passo  : 

Che  lo  spirito  lasso 
Non  porla  mai  'n  più  riposato  porto. 

Nò  'n  più  tranquilla  fossa. 
Fuggir  la  carilo  travagliata,  e  1'  ossa. 

l'empo  verrà  ancor  forse, 

Cir  all'  usato  soggiorno 
Torni  la  fera  bella  e  mansueta, 

E  là  'v'  ella  mi  scorse 

Nel  benedetto  giorno, 
Volga  la  ^ista  desiosa  e  lieta. 

Cercandomi;  ed,  oh  pietà! 

Già  terra  infra  le  pietre 

Vedendo,  Amor  l'  inspiri 

In  guisa,  che  sospiri 
Si  doli;ciuentc,  che  mercè  m'  impctre, 

E  faiM'.ia  forza  al  ciclo. 
Asciugandosi  gli  occhj  col  bel  velo» 
Da'  be'  rami  scendca, 

Dolce  nella  memoria 
Una  pioggia  di  fior  sovra  '1  suo  grembo  ; 

Ed  ella  si  scdea 


19] 


RIME  DEL   PETRARCA. 


[50] 


Umile  in  tanta  gloria, 
Coverta  già  dell'  amoroso  nembo  : 

Qual  fior  cadea  ^iil  lembo 

Qual  sulle  trecce  bionde, 

Ch'  oro  forbito  e  perle 

Eran  quel  di  a  vederle  : 
Qual  si  posava  in  terra ,  e  qiial  sulF  onde, 

Qual  con  un  vago  errore 

Girando  parea  dir:  qui  regna  Amore. 
Quante  volte  diss'  io 

Allor  pien  di  spavento  : 
,  Costei  per  ferifio  nacque  in  paradiso; 

Così  carco  d'  obbiio 

li  divin  portamento, 
E  '1  volto,  e  le  pai'ole,  e  '1  dolce  riso 

M'  aveano,  e  si  diviso 

Dall'  immagine  vera, 

Ch'  i'  dicea  sospirando: 

Qui  come  venn'  io,  o  quando? 
Credendo  esser  in  ciel ,  non  là,  dov'  era. 

Da  indi  in  qua  mi  piace 
Qnest'  erba  si,  eh'  altrove  non  ho  pace. 
Se  tu  avessi  ornamenti ,  quanti'  hai  voglia, 

Potresti  arditamente 
Uscir  del  bosco ,  e  gire  infra  la  gente. 

C  A  N  z  0  X  E     XV. 
quella  parte,  dov'  amor  mi  sprona, 
Convien ,  eh'  io  volga  le  dogliose  rime. 
Che  son  segnaci  della  niente  afilitta. 
Quai  fien  ultime,  lasso,  e  qua'  fìen  prime? 
Colui,  che  del  mio  mal  meco  ragiona, 
Mi  lascia  in  dubbio;  si  confuso  ditta! 
Ma  pur  quando  1'  istoria  trovo  scritta 
In  mezzo  '1  cor ,  che  sì  spesso  rincorro. 
Con  la  sua  propria  man ,  de'  miei  martiri 

Dirò,  perchè  i  sospiri 
Parlando  han  triegua ,  ed  al  dolor  soccorro. 

Dico,  che,  perdi'  io  miri 
Mile  cose  diverse  attento  e  fiso. 
Sol  una  donna  veggio,  e  '1  suo  bel  viso. 
?oi  che  la  dispictata  mia  ventura 
M'  ha  dilungato  dal  maggior  mio  bene, 
Kojosa,  inesorabile  e  superba. 
Amor  col  rimembrar  sol  mi  mantiene. 
Onde,  e'  io  veggio  in  giovenil  figura 
Incominciarsi  '1  mondo  a  ve.-tir  d'  erba, 
l'armi  vedere  in  quella  etadc  acerba 
La  bella  giovinetta,  eh'  ora  è  donna. 
Poi  che  sormonta  riscaldando  il  sole. 

Farmi ,  qual'  esser  sole 
Fiamma  d'  aintir,  che  'n  cor  alto  b'  indonna: 

Ma  quando  il  dì  si  dole 
Di  lui ,  che  ]iasso  passo  addietro  torni, 
leggio  lei  giunta  a'  suoi  perfetti  giorni. 
In  ramo  fronde,  ovver  violo  in  terra 

Mirandi»  alla  stiigitm ,  <:he  '1  freddo  perde, 
K  le  stelle  migliori  acr/tiistan  for/.a, 
Ne^li  occbj  ho  pur  le  violette  e  'I  verde. 
Di  di'  era  nel  principio  di  mia  guerra 
Amor  aratato  m,  di'  ancor  mi  sfornii: 
K  quella  dol(-c  leggiadrcl'a  scorza. 
Che  ricopria  le  parf^olette  membra, 
Dov'  o<,^gi  alberga  ì'  anima  gentile, 

Ch'   (Igni  altro  piacer  ^ile 
Sem1)rar  mi  la;  hi  forte  mi  rimembra 

Del  portamento  umile 


Ch'  allor  fioriva,  e  poi  crebbe  anzi  agli  anni, 
Cagion  sola,  e  riposo  de'  mie'  affanni. 
Qualor  tenera  neve  per  li  colli 

Dal  sol  percossa  veggio  di  lontano. 
Come  '1  sol  neve,  mi  governa  amore. 
Pensando  nel  bel  viso  più  che  umano. 
Che  può  da  lunge  gli  occhi  miei  far  molli. 
Ma  da  presso  gli  abbaglia ,  e  vìnce  il  core  ; 
Ove  fra  '1  bianco  e  1'  aureo  colore 
Sempre  si  mostra  quel ,  che  mai  non  vide 
Occhio  mortai,   eh'  io  creda,  altro  che  '1  mio; 

E  del  caldo  desio, 
Ch'  è  quando  i'  sospirando  ella  sorride, 

M'  infiamma  sì ,  che  obbiio 
Niente  apprezza,  ma  diventa  eterno; 
Né  state  il  cangia,  né  lo  spegne  il  verno. 
Non  vidi  mai  dopo  notturna  pioggia 
Gir  per  l'  aere  sereno  stelle  erranti, 
E  fiammeggiar  fra  la  rugiada  e  'I  gelo, 
Ch'  i'  non  avessi  i  begli  occbj  davanti, 
0>c  la  stanca  mia  vita  s'  appoggia, 
Qual'  io  li  vidi  all'  ombra  d'  un  bel  velo. 
E  si  come  di  lor  bellezze  il  cielo 
Splendea  quel  dì ,  così  bagnati  ancora 
Li  veggio  sfavillar;  ond'  io  sembr'  ardo. 

Se  '1  sol  levarsi  sgiiardo. 
Sento  il  lume  apparir ,  che  m'  innamora  : 

Se  tramontarsi  al  tardo, 
Parmel  veder,  quando  si  volge  altrove. 
Lasciando  tenebroso,  onde  si  move. 
Se  mai  candide  rose  con  vermìglie 
In  vasel  d'  oro  vider  gli  occbj  miei, 
Allor  allor  da  vergine  man  colte, 
Veder  pensaro  il  viso  di  colei, 
Ch'  avanza  tutte  1'  altre  meraviglie 
Con  tre  belle  eccellenze  in  lui  raccolte: 
Le  bionde  trecce  sopra  '1  collo  sciolte, 
Ov'  ogni  latte  perderla  sua  prova, 
E  le  guance,  di'  adorna  un  dolce  foco- 
Ma  pur  che  1'  ora  un  poco 
Fior  bianchi  e  gialli  per  le  piagge  mova. 

Torna  alla  mente  il  loco, 
E  '1  primo  dì,  eh'  i'  vidi  a  Laura  sparsi 
I  capei  d'  uro  ,  ond'  io  si  subit'  arsi. 
Ad  una  ad  una  annoverar  le  stelle, 

E  'n  picciol  vetro  chiuder  tutte  1'  acque 
Forse  crcdea,  quando  in  sì  poca  carta 
Novo  pensìer  di  ricontar  mi  nacque. 
In  quante  parti  il  fior  dell'  altre  belle 
Stando  in  sé  stessa,  ha  la  sua  luce  sparta; 
Acciò  che  mai  da  lei  non  mi  diparia. 
Né  farò  io  :  e  se  pur  talor  fuggo, 
In  cielo  e  'n   terra  m'  ha  racchiusi  i  passi. 

l'erché  agli  occbj   miei  hit-A 
Semi»re  è  presente  :  ond'  io  tutt«»  mi  struggo  ; 

K  cori  meco  sta-si, 
Ch'  altra  non  ^cgf^io  mai ,  n«-  veder  bramo, 
Né  'I  nome  d"  altra  ne'  so>pir  miei  chiamo. 
Dcn  sai,  can/oii,  che  i|iiant'  io  parlo,  è  nulla 
Al  celato  amoroso   mio  pensiero. 
Che  dì  e  notte  nella  mente  porto; 

Solo  per  cui  conforto 
In  così  lunga  guerra  anco  non  pero  : 

(Ile  lieo  111°  avria  già  morto 
Ij»  lontananza  del  mio  cor  piangendo; 
Ma  quinci  dall.i  uuutc  indugio  prendo. 


[51] 


RIME    DEL   PETRARCA. 


[521 


Canzone.     XVI. 

Italia  mia,  benché  '1  parlar  sia  indarno 

Alle  piaghe  mortali, 
Che  nel  bel  corpo  tuo  sì  spesse  Teggio, 
Piacerai  almen,  che  i  miei  sospir  fien,  quali 

Spera  '1  Tevero ,  e  1'  Arno, 
E  '1  Po ,  dove  doglioso  e  grave  or  seggio. 

Rettor  del  cìei,  io  chicggio. 
Che  la  pietà,  che  ti  condusse  in  terra, 
Ti  volga  al  tuo  diletto  almo  paese. 

Vedi,  signor  cortese, 
Di  che  lievi  cagion  che  crudel  guerra, 

E  i  cor ,  eh'  indura ,  e  serra 

Marte  superbo  e  fero. 
Apri  tu,  Padre,  e  'ntenerisci,  e  snoda! 

Ivi  fa,  che  '1  tuo  vero 
(Qual  io  mi  sia)  per  la  mia  lingua  s'  oda 
Voi,  cui  Fortuna  ha  posto  in  mano  il  freno 

Delle  l)elle  contrade. 
Di  che  nulla  pietà  par  che  vi  stringa, 
Che  fan  qui  tante  pellegrine  spade? 

Perchè  '1  verde  terreno 
Del  barbarico  sangue  si  dipinja? 

Vano  crror  vi  lusinga: 
Poco  vedete ,  e  parvi  veder  molto  : 
Che  'n  cor  venale  amor  cercate,  o  fede. 

Qual  più  gente  possiede, 
Colui  è  più  da'  suoi  nemici  avvolto. 

Oh  diluvio  raccolto 

Di  che  deserti  strani. 
Per  inondare  i  nostri  dolci  campi! 

Se  dalle  proprie  mani 
Questo  n'  avvien,  or  chi  fia  che  ne  scampi? 
Ben  provvide  Natura  al  nostro  stato 

Quando  dell'  alpi  schermo 
Pose  fra  noi,  tedesca  rabbia. 
Ma  '1  desir  cieco,  e  'ncontra  '1  suo  ben  fermo 

S'  è  poi  tanto  ingegnato, 
Ch'  al  corpo  sano  ha  procuralo  scabbia. 
Or  dentro  ad  una  gabbia 


Fere  selvagge,  e  mansuete  gregge 
ili'" 
Ed  è  questo  del  seme, 


S'  annidan  si,  che  sempre  il  miglior  geme; 


Per  più  dolor ,  del  pop  il  senza  legge, 

Al  qual,  come  si  legge, 

Mario  aperse  si  '1  fianco, 
Che  memoria  dell'  opr.i  anco  non  langue; 

Quando  assetato  e  stanco 
Non  più  bevve  del  fuimu  acqua,  che  sangue. 
Cesare  taccio ,  che  per  ogni  piaggia 

Fece  '1  erbe  sanguig.ie 
Di  lor  vene,  ove  'l  nostr>>  ferro  mise. 
Or  par ,  non  so  per  che  stelle  maligne, 

Che  '1  cielo   in  odio  n'  aggia. 
Vostra  mercè,  cui  tanto  si  commise, 

Vostre  voglie  divise 
Guaetan  del  mondo  la  pia  bella  parte. 
Qual  colpa,  qual  giudizio,  o  qual  destino 

Fastidire  il  vicino 
Povero,  e  le  fortune  afflitte  e  sparto 

Perseguire,  e  'n  disparte 

Cercar  gente,  e  gradire. 
Che  sparga  'I  sangue,  e  venda  V  alma  a  prezzo? 

Io  parlo  per  ver  dire, 
Non  per  odio  d'  altrui ,  né  per  disprezzo. 
Kè  v'  accorgete  ancor  per  tante  prove 


Del  bavarico  inganno, 
Ch'   alzando  '1  dito  con  la  morte  scherza. 
Peggio  è  lo  strazio,  al  mio  parer,  che  '1  danno. 

\la  '1  vostro  sangue  piove 
Più  largamente,  eh'  altr'  ira  vi  sferza. 

Dalla  niiittina  a  terza 
Di  voi  pensate ,  e  vcderete ,  come 
Tien  caro  altrui,  chi  tien  sé  cosi  vile. 

Latin  sangue  gentile, 
Sgombra  da  te  queste  dannose  some! 
Non  far  idolo  un  nome 
Vano  senza  soggetto  ! 
Che  '1  furor  della  sua  gente  ritrosa 

Vincerne  d'  intelletto, 
Peccato  è  nostro,  e  non  naturai  cosa. 
Non  è  questo  il  terreo,  eh'  i'  toccai  pria? 
Non  è  questo  '1  mio  nido. 
Ove  nutrito  fui  si  dolcemente? 
Non  è  questa  la  patria ,  in  eh'  io  mi  fido, 

Madre  benigna  e  pia. 
Che  copre  1'  uno  e  1'  altro  mio  parente? 

Per  Dio,  questo  la  mente 
Talor  vi  mova,  e  con  pietà  guardate 
Le  lagrime  del  popol  doloroso, 

Che  sol  da  voi  riposo 
Dopo  Dio  spera:  e  pur  che  voi  mostriate 
Segno  alcun  di  pìetate, 
Virtù  contra  furore 
Prenderà  1'  arme,  e  fia  '1  combatter  corto? 

Cile  r  antico  valore 
Negl'  italici  cor  non  é  ancor  morto. 
Signor,  mirate,  come  '1  tempo  vola, 
E  si  come  la  vita 
Fugge,  e  la  morte  n'  è  sovra  le  spalle! 
Voi  siete  or  qui;  pensate  alla  partita; 

Che  r  alma  ignuda  e  sola 
Convicn  eh'  arrivo  a  quel  dubbioso  calle. 

Al  passar  que^^ta  valle 
Piacciavi  porre  giù  1'  odio  e  lo  sdegno. 
Venti  contrarj  alla  vita  serena: 
E  quel,  che  'n  altrui  pena 
Tempo  si  spende,  in  qualche  atto  più  degno 
O  di  mano,  o  d'  ingegno. 
In  qualche  bella  lode. 
In  qualche  onesto  studio  si  converta! 

Così  qua  giù  si  gode, 
E  la  strada  del  cicl  si  trova  aperta. 
Canzone,  io  t'  ammonisco 
Che  tua  ragion  cortesemente  dica: 
Perchè  fra  gente  altera  ir  ti  conviene, 

E  le  voglie  son  piene 
Già  dell  usanza  pessima  ed  antica, 
Del  ver  senjpre  nemica. 
Proverai  tua  ventura 
Fra  magnanimi  pochi,  a  chi  '1  ben  piace. 

Dì  lor:  chi  m'  assicura? 
r  vo  gridando:  Pace,  pace,  pace! 

Canzone    XVII. 
Di  pensier  in  pensier,  di  monto  in  monte 
Mi  guida  amor,  eh'  ogni  segnato  calle 
Provo  contrario  alla  tranquilla  vita. 
Se  'n  solitaria  piaggia,  ri\o,  o  fonte. 
Se  'nfra  duo  poggi  siede  ombrosa  valle, 
Ivi  s'  acqueta  1'  alma  sbigottita  : 

E  com'  amor  la  'nvìla, 
Or  ride,  or  piange,  or  teme,  or  e'  assicura, 


I 


,3] 


RIME    DEL   PETRARCA. 


[54] 


E  '1  volto,  che  lei  segue,  oV  ella  il  mena, 

Si  turba  e  rasserena, 
Ed  in  un  esser  picciol  tempo  dura. 
Onde,  alla  vista,  uom  di  tal  vita  esperto 
Diria:  questi  arde,  e  di  suo  stato  è  incerto, 
'er  alti  monti,  e  per  selve  aspre  trovo 
Qualche  riposo  :  ogni  abitato  loco 
È'  nemico  mortai  degli  occhj  miei. 
A  ciascun  passo  nasce  un  pensier  novo 
Della  mia  donna ,  che  sovente  in  gioco 
Gira  '1  tormento,  eh'  i'  porto  per  lei: 

Ed  a  pena  vorrei 
Cangiar  questo  mio  viver  dolce  amaro 
Ch'i'  dico:  forse  ancor  ti  serba  amore; 

Ad  un  tempo  migliore: 
Forse  a  te  stesso  vile,  altrui  se'  caro. 

1;    Ed  in  questa  trapasso  sospirando, 

1'    Or  potrebb'  esser  vero?  or  come?  or  quando? 

Dve  porge  ombra  un  pino  alto,  od  un  colle, 

i    Taìor  m'  arresto ,  e  pur  nel  primo  sasso 
Disegno  con  la  mente  il  suo  bel  viso. 

1 1    Poi  eh'  a  me  torno ,  trovo  il  petto  molle 

!    Della  pietate,  ed  allor  dico:  ahi  lasso, 

I    Dove  se'  giunto ,  ed  onde  se'  diviso  ? 
Ma  mentre  tener  fiso 

,    Fosso  al  primo  pensier  la  mente  vaga, 

:    E  mirar  lei ,  ed  obbliar  me  stesso, 
Sento  Amor  sì  da  presso, 

i    Che  del  suo  proprio  error  1'  alma  s'  appaga: 

I    In  tante  parti ,  e  sì  bella  la  veggio, 

Che,  se  1'  error  durasse,  altro  non  cheggio. 

ir  '1  ho  più  volte  (or  chi  fia,  che  mei  creda?) 
Neil'  acqua  chiara,  e  sopra  1'  erba  verde 
Veduta  viva,  e  nel  troncon  d'  un  faggio, 
E  'n  bianca  nube  sì  fatta,  che  Leda 
Avria  ben  detto,  che  sua  figlia  perde. 
Come  stella ,  che  '1  sol  copre  col  raggio. 

E  quanto  in  più  selvaggio 
Loco  mi  trovo ,  e  'n  più  deserto  lido, 
Tanto  più  bella  il  mio  pensier  1'  adombra. 

Poi ,  quando  '1  vero  sgombra 
Quel  dolce  error,  pur  lì  medesmo  assido 
Me  freddo,  pietra  morta  in  pietra  viva. 
In  guisa  d'  uom ,  che  pensi ,  e  pianga ,  e  scriva. 

Ove  d'  altra  montagna  ombra  non  tocchi 
Verso  '1  maggiore  e  "1  più  spedito  giogo. 
Tirar  mi  suol  un  desiderio  intenso. 
Indi  i  miei  danni  a  misurar  con  gli  occhj 
Comincio ,  e  'ntanto  lagrimando  sfogo 
Di  dolorosa  nebbia  il  cor  condenso, 

Allor ,  eh'  i'  miro  e  penso, 
Quant'  aria  dal  bel  viso  mi  diparte. 
Che  sempre  m'  è  si  presso,  e  sì  lontano. 

Poscia  fra  me  pian  piano: 
Clic  sai  tu  lasso?  forse  in  qiu-lla  parto 
Or  di  tua  lontananza  t<i  cospira: 
Ed  iu  questo  pensier  1'  alma  respira. 

Canzon ,  oltra  queir  alpe 

Là,  do^c  il  cielo  è  più  sereno  e  lieto, 
Mi  rivedrai  sovr'  un  rusccl  corrente, 

()\e  r  aura  .-i  sente 
D'  ini  fresco  ed  odorilcro  laureto. 
Ivi  è  'I  mio  cor,  e  quella,  che  'l  ni'  invola: 
Qui  veder  puoi  1'  immagine  mia  «ola. 
S  o  \  K  T  T  o      C. 

Poi  cho  'I  caramin  m'  è  chiuso  di  mercede, 


Per  disperata  via  son  dilungato 

Dagli  occhj  ,  ov'  era ,  i'  non  so  per  qual  fato. 

Riposto  il  guldardon  d'  ogni  mia  fede. 

Pasco  '1  cor  di  so'spir,  eh'  altro  non  chiede, 
E  di  lagrime  vivo,  a  pianger  nato: 
Né  di  ciò  donimi ,  perchè  in  tale  stato 
E'  dolce  '1  pianto  più,  eh'  altri  non  crede. 

E  solo  ad  una  immagine  m'  attegno. 

Che  fé'  non  Zeusi,  o  Prassitele,  o  Fidia, 
Ma  miglior  mastro ,  e  di  più  alto  'ngogno. 

Qual  Scizia  m'  assicura ,  o  qual  Numiclia, 
S'  ancor  non  sazia  del  mio  esilio  indegno 
Così  nascosto  mi  ritrova  invidia? 
Sonetto     CI. 

Io  canterei  d'  amor  sì  novamentc, 
Ch'  al  duro  fianco  il  dì  mille  sospiri 
Trarrei  per  forza,  e  mille  alti  desiri 
Raccenderci  nella  gelata  mente. 

E  '1  bel  viso  vedrei  cangiar  sovente, 
E  bagnar  gli  occhj,  e  più  pietosi  giri 
Far,  come  suol,  chi  degli  altrui  martiri 
E  del  suo  error,  quando  non  vai,  si  pente. 

E  le  rose  vermiglie  infra  la  neve 

Mover  dall'  ora,  e  discovrir  l'  avorio. 
Che  fa  di  marmo  chi  da  presso  '1  guarda: 
1  E  tutto  quel ,  perchè  nel  viver  breve 
!      Non  rincresco  a  me  stesso  ,  anzi  mi  glorio 
I      D'  esser  servato  alla  stagion  più  tarda. 

!  Sonetto     CII. 

ì  S'  amor  non  è;  che  dunque  è  quel  eh'  i'  sento? 

I      Ma  s'  egli  è  amor,  per  Dio,  che  cosa,  e  quale? 

j      Se  buona,  ond'  è  1'  effetto  aspro  e  mortale? 

i      Se  ria ,  ond'  è  sì  dolce  ogni  tormento  ? 
S'  a  mia  voglia  ardo,  ond'  è  '1  pianto  e  'l  lamento  : 
S'  a  mal  mio  grado,  il  lamentar  che  vale? 
Oh  viva  morte,  oh  dilettoso  male. 
Come  puoi  tanto  in  me,  s'  io  noi  consento? 
E  s'  io  '1  consento  ;  a  gran  torto  mi  doglio. 
Fra  si  contrari  venti  in  fragil  barca 
Mi  trovo  in  alto  mar  senza  governo, 
Sì  lieve  di  saver,  d'  error  sì  carca, 

Ch'  i'  medesmo  non  so  quel  eh'  io  mi  voglio, 
E  tremo  a  mezza  state,  ardendo  il  verno. 

Sonetto    CHI. 
Amor  m'  ha  posto  come  segno  a  strale, 
Com'  al  sol  neve,  come  cera  al  foco, 
E  come  nebbia  al  vento  ;  e  son  già  roco. 
Donna,  mercè  chiamando,  e  voi  non  cale. 

j  Dagli  occhj  vostri  uscio  '1  colpo  nu)rtale, 
Contra  cui  non  mi  vai  tempo,  né  loco: 
Da  veti  sola  procede  (e  parw  un  ploro) 

!      Il  sole,  e    1  foco, e    l  vento,  ond'  io  son  tale. 

!  I  pensier  son  saette,  e  '1  viso  un  sole. 

I      E  'I  desir  foco,  e  'nsicme  con  quest"  arme 

i      Mi  punge  Amor,  m'  abbaglia,  e  mi  distrugge: 

I  E  r  angelico  canto,  e  le  parole 

j      Col  dolce  spirto ,  ond'  io  non  posso  aitarme, 

I      Son  r  aura,  innanzi  a  cui  mia  vita  fogge. 

I  S  O  !t  E  T  T  0     CI  V. 

Ip.icn  non  trovo,  e  non  ho  da  far  guerra,  _ 

K  temo,  r  >pero ,  ed  ardo,  e  son  un  ghiaccio, 
l-;  \ol(»  sopra  'l  cielo,  e  giaccio  in  terra, 
K  nulla  stringo,  e  tutto  'l  mondo  ablirarrio. 
'l'ai  ni'  ha  in  prigion  ,  che  non  m'  apre,  né  serra. 

,      Né  per,  suo  mi  ritien,  nò  scioglie  il  laccio, 

4  '«^ 


[55] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[56] 


E  non  m'  ancide  Amor,  e  non  mi  sferra, 
Né  mi  VHol  vivo ,  nò  mi  trae  d'  impaccio. 

Veggio  senz'  occbj ,  e  non  Lo  lingua ,  e  grido, 
E  bramo  di  perir ,  e  cheggio  aita, 
Ed  ho  in  odio  me  stesso,  ed  amo  altrui. 

Pascomi  di  dolor ,  piangendo  rido  ; 
Egualmente  mi  spiace  morte  e  vita. 
In  questo  stato  son,  donna,  per  vui. 
Canzone    XVIII. 

Qual  più  diversa  e  nova 

Cosa  fu  mai  in  qualche  stranio  clima, 

Quella,  se  ben  si  stima. 
Più  mi  rassembra;  a  tal  son  giunto,  Amore. 

Là  onde  '1  dì  vien  foro, 
Vola  un  augel,  che  sol  senza  consorte 

Di  volontaria  morte 
Rinasce,  e  tutto  a  viver  si  rinnova. 

Così  sol  si  ritrova 
Lo  mio  voler,  e  così  in  sulla  cima 
De'  suoi  alti  pensieri  al  sol  si  volve; 

E  così  si  risolve; 
E  così  torna  al  suo  stato  di  prima: 
Arde,  e  more,  e  riprende  i  nervi  suoi, 
E  vive  poi  con  la  fenice  a  prova. 
Una  pietra  è  sì  ardita 

Là  per  r  indico  mar,  che  da  natura 

Tragga  a  sé  il  ferro,  e  il  fura 
Dal  legno  in  guisa,  che  i  navigli  afTonde, 

Questo  prov'  io  fra  1'  onde 
D'  amaro  pianto,  che  quel  bello  scoglio 

Ha  col  suo  duro  orgoglio 
Condotta,  ov'  affondar  convien,  mia  vita: 

Così  r  alma  ha  sfornita 
Furando  'i  cor,  che  fu  già  cosa  dura, 
E  me  tenne  un ,  eh'  or  son  diviso  e  sparso, 

Un  sasso  a  trar  più  scarso 
Carne,  che  ferro:  oh  cruda  mia  ventura! 
Che  'n  carne  essendo,  veggio  trarmi  a  riva 
Ad  una  viva  dolce  calamita. 
Neil'  estremo  occidente 

Una  fera  è  soave  e  queta  tanto, 

Che  nulla  più;  ma  pianto, 
E  doglia,  e  morte  dentro  agli  occbj  porta: 

Multo  conviene  accorta 
Esser  qual  vista  mai  ver  lei  si  giri: 

Pur  che  gli  orchj  non  miri, 
L'  altro  puossi  veder  securainentc. 

Ma  io  incauto,  dolente. 
Corro  sempre  al  mio  male,  e  so  ben,  quanto 
N'  lio  sofferto,  e  n'  aspetto:  ma  1'  ingordo 

Voler,  eh'  è  cicco  e  sordo. 
Sì  mi  trasporta  ,  che  '1  bel  viso  santo 
E  gli  occbj  vaghi  (ìcn  cagion ,  eh'  io  pera, 
Dì  questa  fera,  angelica,  innocente. 
Surge  nc;l  mezzogiorno 

Una  fontana,  e  tlen  nome  del  sole. 

Clic  per  natura  soie 
Bollir  le  notti,  e  'n  sul  giorno  esser  fredda, 

E  tanto  si  raflVcdda, 
Quanto  '1  sol  monta,  e  qi:anto  è  più  da  presso: 

Così  avvlcn  a  me  stesso. 
Che  son  funte  di  lagrime,  e  soggiorno. 

Quando  'l  bel  lume  adorno, 
Cli'  è  'l  mio  sol,  s'  allontana,  e  triste  e  sole 
Son  le  mio  luci,  e  notte  oscura  é  loro: 
Ardo  allor;  ma  se  1'  oro 


E  i  rai  veggio  apparir  del  vivo  sole, 
Tutto  dentro  e  di  fuor  sento  cangiarrac, 
E  ghiaccio  farme  :  così  freddo  torno. 
Un'  altra  fonte  ha  Epiro, 

Di  cui  si  scrive,  eh'  essendo  fredda  ella, 

Ogni  spenta  facella 
Accende ,  e  spegne  qual  trovasse  accesa. 

L'  anima  mia,  eh'  offesa 
Ancor  non  era  d'  amoroso  foco, 

Appressandosi  un  poco 
A  quella  fredda,  eh'  io  sempre  sospiro, 

Arse  tutta,  e  martìro 
Simil  giammai  né  sol  vide ,  ne  stella, 
Ch'  un  cor  di  marmo  a  pietà  mosso  avrebbe. 

Poi  che  'nfiamraata  1'  ebbe, 
Ri>pcnrcla  virtù  gelata  e  bella. 
Così  più  volte  ha  '1  cor  racceso  e  spento; 
Io  'l  so  ,  che  '1  sento ,  e  spesso  me  n'  adiro. 
Fuor  tutt'  i  nostri  lidi 

Neil'  isole  famose  di  Forttma 

Di!c  fonti  ha:  chi  dell'  una 
Beo,  muor  ridendo,  e  chi  dell'  altra,  scampa. 

Siiuil  fortuna  stampa 
Mia  vita,  che  morir  poria  ridendo 

Del  gran  piacer  ,  eh'  io  prendo, 
So  noi  temprassen  dolorosi  stridi. 

Amor,  eh'  ancor  mi  guidi 
Pur  all'  ombra  di  fama  occulta  e  bruna, 
Tacercm  questa  fonte,  eh'  ognor  piena, 

Ria  con  più  larga  vena 
Veggiara,  quando  col  tauro  il  sol  s'  aduna. 
Così  gli  occbj  mici  piangon  d'  ogni  tempo. 
Ma  più  nel  tempo,  che  madonna  vidL 
Chi  spiasse,  canzone, 

Quel  eh'  i'  fo,  tu  puoi  dir:  sott'  un  gran  sasso 
la  una  chiusa  valle ,  ond'  esce  Sorga, 

Si  sta ,  né  chi  lo  scorga 
V  è,  se  no  Amor,  che  mai  noi  lascia  un  passo, 
E  r  immagine  d'  una,  che  lo  strugge; 
Che  per  sé  fugge  tutt'  altre  persone. 

S  0  IV  E  T  T  o      CV. 

Fiamma  dal  ciel  sulle  tue  trecce  piova, 
Malvagia,  che  dal  fiume,  e  dalle  ghiande 
Per  r  altru'  impoverir  se'  ricca  e  grande, 
Poi  che  di  mal  oprar  tanto  ti  giova! 

Nido  di  tradimenti,  in  cui  si  cova 

Quanto  mal  per  lo  mondo  oggi  sì  spande, 
Di  vin  serva .  di  letti ,  e  di  vivande. 
In  cui  lussuria  fa  l'  ultima  prova  ! 

Per  le  camere  tue  fanciulle  e  vccchj 
Vanno  trescando,  e  Bcizebub  in  mezzo 
Co'  mantici,  e  col  foco,  e  con  gli  specchj. 

Già  non  fostu  nudrita  in  piume  al  rezzo, 
Ma  nuda  al  vento ,  e  scalza  fra  gli  stccclii, 
Or  vivi  sì ,  eh'  a  Dio  ne  venga  il  lezzo. 

[  Sonetto     CVI, 

iL'  avara  Babilonia  ha  colmo  il  sacco 
D'  ira  di  Dio ,  e  di  vizj  cnii)j  e  rei 
Tanto,  che  scoppia,  ed  ha  l'atti  suoi  Dei 
Non  Giove  e  Palla,  ma  A  encre  e  Bacco. 
Aspettando  ragion  mi  struggo  e  fiacco; 
3Ia  pur  nuovo  solilan  v«'ggio  per  lei, 
Lo  qual  farà,  non  già  cjtiand'  io  vorrei. 
Sol  una  sede,  e  qudla  fia  in  Baldacco. 
GÌ'   idoli  suoi  saranno  in  terra  sparsi, 


371 


RIME   DEL   PETRARCA. 


[581 


E  le  torri  snperbe  al  ciel  iiemiclie, 
E  i  suoi  terrier  di  fuor  come  dentr'  arsi. 
nimc  belle,  e  di  virtiite  amiche 
Terranno  'i  mondo,  e  poi  vcdrem  lui  fursi 
Aureo  tutto  ,  e  pien  deli'  opre  antiche. 

Sonetto  CV'II. 
fontana  di  dolore ,  albergo  d'  ira. 
Scola  d'  errori ,  e  tempio  d'  eresia, 
Già  Roma ,  or  Babilonia  {aha  e  ria, 
j!  Ver  cui  tanto  si  piagne,  e  si  sospira; 
Ì)h  fucina  d'  inganni,  oh  prigion  dira, 
f   Ove  '1  ben  more,  e  '1  mal  si  nutre  e  crìa, 
i^   Di  \ivi  inferno ,  un  gran  miracol  fia, 
(!   Se  Cristo  teco  al  fine  non  s'  adira. 
Ip^ ondata  in  casta  ed  uinil  poAcrtate, 
i!    Contr'  ai  tuoi  fondatori  alzi  le  corna, 
i    Putta  sfacciata;  e  dov'  hai  posto  spene? 
;\cgli  adulterj  tuoi,  nelle  mal  nate 

Klcchczze  tante?  or  Constantin  non  torna; 
jj    Ma  tolga  il  mondo  tristo,  che  '1  softieue. 

I  Sonetto   CVIII. 

^aanto  più  disiose  1'  ali  spando 
Verso  di  voi ,  oh  dolce  schiera  amica, 
Tanto  fortuna  con  più  visco  intrica 
Il  mio  volare,  e  gir  mi  face  errando. 

Il  cor,  che  mal  suo  grado  attorno  mando, 
E  con  voi  sempre  in  quella  valle  aprica, 
Ove  il  mar  nostro  più  la  terra  implica; 
L'  altr'  ier  da  lui  partintiui  lagriuiando. 

!'  da  man  manca,  e'  tenue  il  cainmin  dritto; 
1'  tratto  a  forza,  ed  ei  d'  amore  scorto: 
Egli  in  Gerusalemme  ,  ed  io  in  Egitto. 

Ma  sofferenza  è  nel  dolor  conforto: 
Che ,  per  lungo  uso  già  fra  noi  prescritto, 
Il  nostro  esser  insieme  è  raro,  e  corto. 

Sonetto    CIX. 

Amor,  che  nel  pensier  mio  vive  e  regna, 
E  i  suo  seggio  maggior  nel  mio  cor  tiene, 
Talor  armato  nella  fronte  viene  : 
Ivi  ei  loca,  ed  ivi  poa  sua  insegna. 

Qnella,  eh'  amare  e  sofTerir  ne  'nsegna, 
E  vuol,  che  '1  gran  desio,  T  accesa  spene. 
Ragion,  vergogna,  e  reverenza  afTrcnc, 
Di  nostro  ardir  fra  sé  stessa  si  sdegna. 

Onde  Amor  paventoso  fugge  al  coro. 
Lasciando  ogni  sua  iinjiresa;  e  pìììgnc,  e  trema: 
Ivi  s'  asconde,  e  non  app.ir  più  foro. 

Che  poss'  io  far,  temendo  il  mio  signoro, 
Se  non  star  seco  in^in  all'  ora  estrema? 
Che  bel  fin  fa,  chi  ben  amando  more. 

Sonetto   CX. 

Come  talora  al  calilo  tempo  solo 

Semplicetta  farfalla  al  lume  a\~vc7.zn. 
Volar  negli  ocrbj  alimi  pf;r  sua  vaglirzxi, 
Ond'  avvien  ,  eh'  ella  m«ire,  altri  si  dole, 

Coxl  seinpr'  io  corro  al  fiiliil  mio  sole 

Degli  orelij,  onde  mi  ^ien  (anta  dolcezza, 
Che  'I  frcn  delia  r.igione  Amor  non  prezza, 
K  chi  di^ccrnc  è  vinto  da  chi   vuole. 

E  veggio  ben,  ipianl'  cili  a  schivo  m'  hanno, 
E  so,  di'  i'  ne  morrò  veraci  uh  lite: 
Cile  mia  %irlù  non  può  conda  1'  alFuuno. 

Ma  8Ì  m'  abbaglia  Auiur  soavemente. 


Ch'  i'  piango  ¥  altrui  noja ,  e  no  '1  mio  danno, 
£  cieca  al  suo  morir  1'  alma  consente. 

Sestina   V. 

.\lla  dolce  ombra  delle  belle  frondi 
Corsi  fuggendo  un  dispietato  lume. 
Che  'nCn  qua  giù  ra'  ardea  dal  terzo  cielo, 
E  disgombrava  già  di  neve  i  poggi 
L'  aura  amorosa,  che  rinnova  il  tempo, 
E  finrian  per  le  piagge  1'  erbe  e  i  rami. 

Xon  vide  il  mondo  sì  leggiadri  rami. 
Ne  mosse  '1  vento  mai  sì  verdi  frondi. 
Come  a  me  si  mostrar  quel  primo  tempo: 
Tal  che  temc:ido  dell'  ardente  lume 
Non  volsi  al  mio  refugio  ombra  di  poggi. 
Ma  della  pianta  più  gradita  in  ciclo. 

Un  lauro  mi  difese  allor  dal  cielo: 
Onde  più  volte  vago  de'  bei  rami 
Da  poi  son  gito  per  selve,  e  per  poggi, 
Né  giammai  ritrovai  tronco,  né  frondi 
Tanto  onorate  dal  superno  lume. 
Che  non  cangiasser  qualitate  a  tempo. 

Però  più  fermo  ogni  or  di  tempo  in  tempo 
Seguendo,  ove  chiamar  m'  udia  dal  cielo, 
E  scorto  da  un  soave  e  chiaro  lume. 
Tornai  sempre  devoto  ai  primi  rami, 
E  quando  a  terra  son  sparte  le  frondf, 
E  quando  'l  sol  fa  verdeggiar  i  poggi. 

Selve,  sassi,  campagne,  fiumi,  e  poggi, 
Quant'  è  creato,  vince  e  cangia  il  tempo; 
Ond'  io  chieggio  perdono  a  queste  frondi. 
Se  rivolgendo  poi  molt'  anni  il  cielo 
Fuggir  disposi  gì'  invescati  rami, 
Tosto  eh'  incominciai  di  veder  lume. 

Tanto  mi  piacque  prima  il  dolce  lume, 
Ch'  i'  passai  con  diletto  assai  gran  poggi, 
Per  poter  appressar  gli  amati  rami  : 
Ora  la  vita  breve,  e  '1  loco,  e  1'  tempo 
Mostranmi  altro  scntier  di  gir  al  ciclo, 
E  di  far  frutto,  non  pur  fiorì  e  fiondi. 

Altro  amor,  altre  frondi,  ed  altro  lume, 
Altro  salir  al  ciel  per  altri  poggi 
Cerco  (che  n'  è  ben  tempo),  ed  altri  rami. 

S  OXBTTO    C\l. 

Quand'  io  v'  odo  parlar  si  dolcemente, 

Coni'  Amor  proprio  a'  suoi  seguaci  in.-lill.i. 

L'  acceso  mio  desir  tutto  sfavilla, 

Tal  che  'nfiammar  dovria  1'  ani  sue  «pcnle. 

Trovo  la  bella  donna  allor  presente. 
Ovunque  mi  fu  mai  dolce,  o  tranquilla,^ 
Neil'  abito,  eh'  al  suon  non  d"  altra  squilla, 
Ma  di  sospir  mi  fa  destar  so\ente. 

Le  chitnuc  aU'  aura  sparge  ,  e  lei  conversa 
Indietro  veglilo,  e  così  bella  ricdc 
Nel  cor,   ccuuc  colei,  che  tien  la  chiame: 

Ma  '1  soverchio  piacer,  clic  s'  at'ravcrsa 
All.i  mia  lingua,  qual  dentro  ella  ficde. 
Di  mostrarla  in  paleso  ardir  non  ha^c. 

Sonetto    C\1I. 

ii\é  così  bello  il  scil  giammni  lcvar>i, 

I      (Quando    1  ciel  fosM-  più  di  nebbia  srarro, 

I      Sé  di>po  pioggia  \idi    1  celo-ti^  arco 

I      Per  T  acce  in  color  tanti  cariarsi, 

iln  quanti  fiammeggiando  trasfurmar>i 


RIME   DEL   PETRARCA. 


[60] 


Nel  dì ,  eh'  io  presi  1'  amoroso  incarco, 

Quel  viso,  al  qual  (e  son  nel  mio  dir  parco) 

Nulla  cosa  mortai  puote  agguagliarsi. 
r  vidi  Amor ,   che  i  begli  occhj  volgea 

Soave  sì ,  eh'  ogni  altra  vista  oscura 

Da  indi  in  qua  ra'  incominciò  a  parere. 
Sennuccio,  il  vidi,  e  1'  arco,  che  tendea, 

Tal,  che  mia  vita  poi  non  fu  secura, 

Ed  è  sì  vaga  ancor  del  rivedere. 

S  0  W  E  T  T  O      CXIII. 

Forami  ore  '1  sol  occide  i  fiori  e  l'  erba, 
O  dove  vince  lui  '1  ghiaccio  e  la  neve. 
Forami  ov'  è  'I  carro  suo  temprato  e  leve, 
Ed  ov'  è  chi  cel  rende ,  o  chi  cel  serba  ! 

Pomm'  in  umil  fortuna,  od  in  superba. 
Al  dolce  aèr  sereno ,  al  fosco ,  e  greve, 
Pommi  alla  notte,  al  di  lungo  ed  al  breve, 
Alla  matura  etate,  od  all'  acerba! 

Pomm'  in  cielo ,  od  in  terra ,  od  in  abisso. 
In  alto  poggio,  in  valle  ima,  e  palustre, 
Libero  spirto ,  od  a'  suoi  membri  affisso  ! 

Pommi  con  fama  oscura ,  o  con  illustre  ; 
Sarò  qual  fui,  vivrò  cora'  io  son  visso, 
Continuando  il  mio  sospir  trilustre. 

Sonetto     CXIV. 

Oh  d"  ardente  virtute  ornata  e  calda 
Alma  gentil,  cui  tante  carte  vergo, 
Oh  sol  già  d'  onestate  intero  albergo, 
Torre  in  alto  valor  fondata  e  salda  ! 

Oh  fiamma,  oh  rose  sparse  in  dolce  falda 
Di  viva  neve ,  in  eh'  io  mi  specchio  e  tergo  ! 
Oh  piacer,  onde  1'  ali  al  bel  viso  ergo, 
Che  luce ,  sovra  quanti  'l  sol  ne  scalda  ! 

Del  vostro  nome,  se  mie  rime  intese 

Fossin  sì  lunge,  avrei  pìen  Tile  e  Battro, 
La  Tana,  il  Nilo,  Atlante,  Olimpo    e  Calpe. 

Poi  che  portar  noi  posso  in  tutte  quattro 
Parti  del  mondo,  udrallo  il  bel  paese, 
Ch'  apennin  parte,  e  '1  mar  circonda,  e  1'  alpe. 

Sonetto     CXV. 

Quando  '1  voler,  che  con  dno  sproni  ardenti, 
E  con  nn  duro  fren  mi  mena  e  regge, 
Trapassa  ad  or  ad  or  1'  nsata  leggo,^ 
Per  far  in  parte  i  mici  spirti  contenti) 

Trova  chi  le  paure  e  gli  ardimenti 
Del  cor  profondo  nella  fronte  legge, 
E  vede  Amor ,  che  sue  imprese  corregge, 
Folgorar  ne'  turbati  occhj  pungenti. 

Onde,  come  colui,  che  '1  colpo  teme 
Di  Giove  irato,  si  ritraggo  indietro, 
('tu';  gran  temenza  gran  desire  afl'rena. 

Ma  freddo  foco .  e  paventosa  speme 

Dell'  alma,  che  traluce  come  un  vetro, 
l'alor  !>ua  dolce  vista  rasserena. 

Sonetto     CXVL 
Non  Te!<in  ,  Po,  \  aro ,  Arno,  Adige,  e  Tebro, 
Eufrate,     Tigre,  Nilo,  Lrmo,  Indo,  e  Gange, 
lana,  l^t^o,  Alleo,  Garonna,  e  '1  mar  che  frimge, 
Kodano,  Ihero,  llcn,  Senna,  Albia ,   h]ra,  Eiiio; 
Non  edra,  abete,  pin,  faggio,  o  ginHlno 

Poria  i  foco  allentar,  clic  '1  cor  tritilo  auge, 
Qnant'  un  bel  rio ,  di'  ad  ogni  or  meco  piange 
Con  r  arboscel,  ciie  'n  rime  orno  e  celebro. 


Quest'  un  soccorso  trovo  tra  gli  assalti 
D'  amore,  onde  convien  eh'  armato  viva 
La  vita ,  che  trapassa  a  si  gran  salti. 

Così  cresca  'l  bel  lauro  in  fresca  riva, 
E  chi  '1  piantò,  pensier  leggiadri  ed  alti. 
Nella  dolce  ombra,  al  suon  dell'  acque  scriva! 

Baiiata    X. 
Di  tempo  in  tempo  mi  si  fa  men  dura 
L'  angelica  figura,  e  '1  dolce  riso, 

E  r  aria  del  bel  viso, 
E  degli  occhj  leggiadri  meno  oscura. 
Che  fanno  meco  ornai  questi  sospiri. 

Che  nascean  di  dolore, 

E  mostravan  di  fore 
La  mia  angosciosa  e  disperata  vita? 
S'  avvien,  che  '1  volto  in  quella  parte  giri. 

Per  acquetar  il  core, 

Farmi  veder  Amore 
Mantener  mia  ragion,  e  darmi  aita: 
Né  però  trovo  ancor  guerra  finita. 
Né  tranquillo  ogni  stato  del  cor  mio  : 

Che  più  m'  arde  '1  desio. 
Quanto  più  la  speranza  m'  assicura. 

Sonetto    CXVII. 
P.  Che  fai,  alma?  che  pensi?  avrem  mai  pace? 

Avrem  mai  tregua?  od  avrem  guerra  eterna? 
A.      Che  fia  di  noi,  non  so  ;  ma  in  quel  eh'  io  scerna 

A'  suoi  begli  occhj  il  mal  nostro  non  piace.  — 
P.  Cile  prò ,  se  con  quegli  occhj  ella  ne  face 

Di  state  un  ghiaccio,  un  foco  quando  verna?  — 
A.      Ella  no,  ma  colui,  che  li  governa.  — 
P.      Questo  eh'  è  a  noi,  s'  ella  sei  vede  e  tace?  — 
J.  Talor  tace  la  lingua,  e  'l  cor  si  lagna 

Ad  alta  vece,  e  'n  vista  asciutta  e  lieta 

Piange,  dove  mirando  altri  noi  vede.  — 
P.  Per  tutto  ciò  la  mente  non  s'  acqueta. 

Rompendo  '1  duol,  che  'n  lei  s'  accoglie  e  stagna 

Ch'  a  gran  speranza  uom  misero  non  crede. 

Sonetto    CXVHL 

Non  d'  atra  e  tempestosa  onda  marina 

Fuggio  in  porto  giammai  stanco  nocchiero. 

Com'  io  dal  fosco  e  torbido  pensiero 

Fuggo,  ove  '1  gran  desio  mi  sprona  e  'nchino. 

Né  mortai  vista  mai  luce  divina 

Vinse,  come  la  mia  quel  raggio  altero 

Del  bel  dolce  soave  bianco  e  nero. 

In  che  i  suoi  strali  Amor  dora  ed  affina. 

Cieco  non  già,  ma  faretrato  il  veggo. 
Nudo ,  se  non  quanto  vergogna  il  vela, 
Garzon  con  l'  ali,  non  pinto  ,  ma  vivo, 

Indi  mi  mostra  quel,  eh'  a'  molti  cela: 

Ch'  a  parte  a  parte  entr'  a'  begli  occhj  leggo 
Quant'  io  parlo  d'  amore,  e  quant'  io  scrivo. 

Son  e  tto    CXIX. 

Questa  umil  fera ,  un  cor  di  tigre ,  o  d'  orsa, 
Che  'n  vista  umana,  e  'n  forma  d'  angel  ^ienc, 
la  riso  e  'n  pianto,  fra  paura  e  spcne 
Mi  rota  sì ,  eh'  ogni  mio  stato  inforsa. 

Se  'n  br<!ve  non  m'  accoglie ,  o  non  mi  smorsa. 
Ma  jMir,  come  suol  far,  fra  due  mi  tiene, 
Per  quel,  eh'   io  sento  al  cor  gir  fra  le  vene 
Dolce  veneno.  Amor,   mia  vita  è  corsa. 

Non  può  più  la  virtù  fragile  e  stanca 
Tante  varictati  ornai  soffrire: 


il] 


RIME   DEL   PETRARCA. 


[62] 


Che  'n  un  punto  arde,  agghiaccia,  arrossa,  e  'mbianca. 
i^-^gendo  spera  i  suoi  dolor  finire, 
Come  colei,  che  d'  ora  in  ora  manca: 
jChc  ben  può  nulla,  chi  non  può  morire. 

Sonetto.     CXX. 
caldi  sospiri,  al  freddo  core, 

(Rompete  il  ghiaccio,  che  pietà  contende, 

E  se  prego  mortale  al  ciel  s'  intende, 
[Morte  o  mercè  sia  fine  al  mio  dolore! 

dolci  pensier,  parlando  fore 
j  Di  quello ,  ove  '1  bel  guardo  non  s'  estende  ! 

Se  pur  sua  asprezza ,  o  mia  stelJa  n'  olTende, 
J  Sarem  fuor  di  speranza,  e  fuor  d'  errore. 
|ir  si  può  ben  per  voi,  non  forse  appieno, 

Che  '1  nostro  stato  è  inquieto  e  fosco, 

Si  come  il  suo  pacifico  e  sereno. 
fite  securi  omai,  eh'  Amor  vien  vosco, 

E  ria  fortuna  può  ben  venir  meno, 

S'  ai  segni  del  mio  sol  1'  aere  conosco. 

Sonetto    CXXI. 
e  stelle ,  e  '1  cielo ,  e  gli  elementi  a  prora 
Tutte  lor  arti,  ed  ogni  estrema  cura 
Fuser  nel  vivo  lume,  in  cui  natura 
Si  specchia,  e  '1  sol,  eh'  altrove  par  non  trova, 
i'  opra  è  si  altera ,   sì  leggiadra  e  nova, 
Che  mortai  guardo  in  lei  non  s'  assicura; 
Tanta  negli  occhj  bei  fuor  di  mi^iura 
Par,  eh'  Amor  e  dolcezza  e  grazia  piova! 
/  aere  percosso  da'  lor  dolci  rai 
S'  infiamma  d'  onestate,  e  tal  diventa, 

&Che  '1  dir  nostro  ,  e  '1  pensier  vince  d'  assai, 
aiiso  dcsir  non  è,  eh'  ivi  si  senta; 
Ma  d'  onor,  di  virtute.  Or  quando  mai 
Fu  per  somma  beltà  vii  voglia  spenta? 

Sonetto    CXXII. 
^on  fùr  mai  Giove  e  Cesare  sì  mossi, 

A  fulminar  colui ,  questo  a  ferire, 

Che  pietà  non  avesse  spente  1'  ire, 

E  lor  dell'  usat'  arme  anibeduo  8C0S.4. 
Piangea  madonna;  e  '1  mio  signor,  eh'  io  fossi. 

Volse,  a  vederla,  e  suoi  lamenti  a  udire, 

l'er  colmarmi  di  doglia  e  di  desire, 

E  ricercarmi  le  midolle  e  gli  ossi. 
^uel  dolce  pianto  mi  dipinse  Amore, 

Anzi  scolpio,  e  que'  detti  soa^i 

Mi  scrisse  entr'  un  diamante  in  mezzo  '1  core. 
Ove  con  salde  ed  ingegnose  cliiavi 

Ancor  torna  so\ente  a  trarne  fore 

Lagrime  rare,  e  sospir  lunglii  e  gravi. 

Sonetto     CXXllI. 

I'  vidi  in  terra  angelici  costumi, 
E  celesti  bellezze  al  mondo  sole, 
Tal  che  di  rimembrar  mi  giova  e  dole: 
Che  quant'  io  miro,  par  sogni,  ombre,  e  fumi: 

E  ^idi  lagriuiar  qne'  duo  bei    lumi, 

Ch'  han  fatto  mille  volte  in\idia  ai  sole, 

Ed  udii  60i>pirando  dir  parole, 

Che  farian  gir  i  mmili,  e  ttar  i  fiumi. 

Amor,  cenno,  valor,  pictato,  e  doglia 
Facean  piangendo  un  più  dolce  concento 
D'  ogni  altro ,  che  nel  mondo  udir  si  soglia  ; 

Ed  era  'I  cicalo  all'  armonia  sì  'ntento, 
(;he  non  si  vedca  in  ramo  mover  foglia; 
Tanta  dolcezza  avca  pien  1'  acro,  o  '1  vento! 


Sonetto    CXXIV. 

Quel  sempre  acerbo  ed  onorato  giorno 
Mandò  sì  al  cor  1'  immagine  sua  viva, 
Che  'ngegno,  o  stil  non  fia  mai,  che  '1  descrìva. 
3Ia  spesso  a  lui  con  la  memoria  torno. 

L'  atto  d'  ogni  gentil  pietate  adorno, 
E  '1  dolce  amaro  lamentar,  eh'  i'  udi\'a, 
Facean  dubbiar,  se  mortai  donna,  o  diva 
Fosse,  che  '1  ciel  rasserenava  intorno. 

La  testa  or  fino ,  e  calda  neve  il  volto, 
Ebeno  i  cigli,  e  gli  occhj  eran  due  stelle, 
Ond'  amor  1'  arco  non  tendeva  in  fallo: 

Perle  e  rose  vermiglie,  ove  1'  accolto 
Dolor  formava  ardenti  voci  e  belle, 
Fiamma  i  sospir,  le  lagrime  cristallo. 
Sonetto     CXXV. 

Ove  eh'  i'  posi  gli  occhj  lassi,  o  giri. 
Per  quietar  la  vaghezza,  che  gli  spinge, 
Trovo  chi  bella  donna  ivi  dipinge. 
Per  far  sempre  mai  verdi  i  miei  desiri. 

Con  leggiadro  dolor  par,  eh'  ella  spiri 
Alta  pietà ,  che  gentil  core  stringe  : 
Oltra  la  vista,  alle  orecchie  orna  e'nfinge 
Sue  voci  vive ,  e  suoi  santi  sospiri. 

Amor  e  '1  ver  fùr  meco ,  a  dir  che  quelle, 
Ch'  i'  vidi ,  eran  bellezze  al  mondo  sole, 
Mai  non  vedute  più  sotto  le  stelle. 

Xè  sì  pietose  e  sì  dolci  parole 
S'  udiron  mal,  né  lagrime  sì  belle 
Di  sì  begli  occhj  uscir  mai  vide  il  sole. 
Sonetto     CXXVI. 

In  qual  parte  del  ciel,  in  quale  idea 
Era  r  esempio ,  onde  natura  tolse 
Quel  bel  viso  leggiadro,  in  eh'  ella  volse 
Mostrar  qua  giù  ,  quanto  là  su  potea  ? 

Qual  ninfa  in -fonti,  in  selve  mai  qual  dea 
Chiome  d'  oro  sì  fino  all'  aura  sciolse? 
Quand'  un  cor  tante  in  se  virtuti  accolse? 
Benché  la  somma  é  di  mia  morte  rea. 

Per  divina  bellezza  indarno  mira 
Chi  gli  occhj  di  costei  giammai  non  vide, 
Come  soavemente  ella  li  gira. 

IVon  sa  coni'  Amor  sana ,  e  come  ancide, 
Chi  non  sa ,  come  dolce  ella  sospira, 
£  come  dolce  parla,  e  dolce  ride. 
Sonetto     CXWII. 

Amor  ed  io  sì  pien  di  meraviglia. 
Come  chi  mai  cosa  incredibil  ^ide, 
Miriam  costei,  quand'  ella  paria  o  ride. 
Che  sol  sé  stessa,  e  nuli'  altra  simiglia. 

Dal  bel  seren  delle  tranquille  ciglia 
Sfa\illan  sì  le  mie  due  t-tclle  fide, 
Ch'  altro  lume  non  é,  eh'  inlìaiiiini,  o  guide 
Chi  d'  amar  altamente  si  con>!glia. 

Qual  miracolo  é  quel,  quandi)  fra  1'  erba 
Quasi  un  fior  siede?  ov\er  quand'  ella  premo 
Col  suo  candido  hcno  un  verde  cespo? 
Qual  dolcezza  è  nella  ^tagionc  acerba 
\ Cderla  ir  sola  coi  pen>ier  suoi  'nsicme, 
Tessendo  un  cer<:hio  all'  oro  terso  e  crespo? 

Sonetto     CXXMII. 
Oh  paesi  sparsi ,  oh  pensier  vaghi  e  pronti. 
Oh  tenace  memoria,  oh  fero  ardore, 
Oh  poB.sentc  desire,  oh  debii  core, 
Oh  occhj  nùci,  occhj  non  già,  ma  fonti! 


[63] 


RIME  DEL   PETRARCA. 


[64] 


Oh  fronde ,  onor  delle  famose  fronti. 
Oh  sola  insegna  al  gemino  valore. 
Oh  faticosa  vita,  oh  dolce  errore, 
Che  mi  fate  ir  cercando  piagge ,  e  monti  ! 

Oh  bel  riso,  ov'  amor  insieme  pose 

Gli  sproni  e  '1  fren,  ond'  e'  mi  punge  e  Tolve, 
Com'  a  lui  piace ,  e  calcitrar  non  vaie  ! 

Oh  anime  gentili  ed  amorose, 

S'  alcuna  ha  i  mondo,  e  voi  nude  ombre  e  polve, 
Deh  restate  a  veder,  qual  è  '1  mio  male! 
Sonetto    CX\1S. 

Lieti  Cori  e  felici ,  e  ben  nate  erbe, 
Clic  madonna  pensando  premer  suole, 
Piaggia ,  eh'  ascolti  sue  dolci  parole, 
E  del  bel  piede  alcun  vestigio  serbe. 

Schietti  arboscelli ,  e  verdi  froudi  acerbe, 
Amorosettc  e  pallide  vjole, 
Ombrose  ^elve,  ove  pcrcote  il  sole. 
Che  vi  fa  co'  suoi  raggi  alte  e  superbe, 

Oh  soave  contrada,  oh  puro  fiume. 

Che  bagni  '1  suo  bel  viso ,  e  gli  occhj  chiari, 
E  prendi  qualità  dal  vivo  lume, 

Quanto  v'  invidio  gli  atti  onesti  e  cari! 

Non  fia  in  voi  scoglio  omai,  che  per  costume 
D'  arder  con  la  mia  fiamma  non  impari. 

S  o  X  E  T  T  o     CXXX. 

Amor,  che  vedi  ogni  pensiero  aperto, 
E  i  duri  passi ,  onde  tu  sol  mi  scorgi, 
Nel  fondo  del  mio  cor  gli  occhj  tuoi  porgi 
A  te  palcic,  a  tntt'  nitri  coverto: 

Sai  quel,  che  per  seguirti  ho  già  sofferto, 
E  tu  pur  via  di  poggio  in  poggio  sorgi 
Vi  giorno  in  giorno ,  e  di  me  non  t'  accorgi, 
Che  son  sì  stanco,  e  'l  sentier  m'  è  tropp'  erto. 

Ben  vegg'  io  di  lontano  il  dolce  lume. 
Ove  per  aspre  vie  mi  sproni  e  girij 
Ma  non  ho ,  come  tu,  da  volar  piume. 

Assai  contenti  lasci  i  miei  desiri, 

Fur  che  ben  desiando  i'  mi  consume  ; 
Kè  le  dispiaccia,  che  per  lei  sospiri. 

Sonetto     CXXXl. 
Or  che  'l  elei,  e  la  terra,  e  '1  vento  tace, 

E  le  fere,  e  gli  augelli  il  sonno  affrena, 

Kotte  'l  caro  stellato  in  giro  mena,  ^ 

E  nel  suo  Ietto  il  mar  senz'  onda  giace, 
Vegghio,  penso,  ardo,  piango,  e  chi  mi  sface, 

Sempre  iii'  è  innanzi  per  mia  dolce  pena. 

Guerra  è  Ì  mio  stato,  d'  ira  e  di  duol  piena, 

E  sol  di  lei  pensando  ho  qualche  pace. 
Così  sol  d'  una  chiara  tonte  viva 

Move  'l  dolce  e  1'  amaro,  ond  io  mi  pasco: 

Una  man  sola  mi  riaiana,  e  punge. 
E  perchè    i  mio  martir  non  giunga  a  riva, 

Mille  volle  il  dì  moro,  e  mille  nasco; 

Tanto  dalla  salute  mia  son  lungo! 
Sonetto     CXXXII. 

Come  'l  candido  piò  per  l'  crl)a  fresca 
1  dolci  passi  onestamente  move, 
\  irta  ,  che  'ntorno  i  fiori  apra  e  rinpve, 
Delle  tenere  piante  sue  par  eh'  csi^i. 

Amor,  che  solo  i  cor  leggiadri  invesca, 
^^•  degna  di  prosar  Mia  l'orza  altrove. 
Da'  begli  occhj  un  j>iai:er  (>ì  caldo  piove, 
Cir  i'  non  curo  altro  ben  ,  nò  bramo  altr'  osca. 

E  con  r  andar,  o  col  boave  sguardo 


S'  accordan  le  dolcissime  parole. 
E  r  atto  mansueto,  umile,  e  tardo. 

Di  tai  quattro  faville,  e  non  già  sole, 
Nasce  'l  gran  foco,  dì  eh'  io  vivo  ed  ardo, 
Che  son  fatto  un  augel  notturno  al  sole. 
Sonetto     CXXXllI. 

S'     io  fossi  stato  fermo  alla  spelonca, 
Là  dov'  Apollo  diventò  jirofeta, 
Fiorenza  avria  fors'  oggi  il  suo  poeta. 
Non  pur  Verona ,  e  Mantova ,  ed  Arunca. 

Ma  perchè  '1  mio  terren  più  non  s'  ingiunca 
Dell'  umor  di  quel  sasso,  altro  pianeta 
Convien  eh'  i'  segua,  e  del  mio  campo  mieta 
Lappole  e  stocchi  con  la  falce  adunca. 

L'  oliva  è  secca ,  ed  è  rivolta  altrove 
L'  acqua,  che  di  Parnasso  si  deriva. 
Per  cui  in  alcun  tempo  ella  fioriva. 

Così  sventura,  ovver  colpa  mi  priva 
D'  ogni  buon  frutto,  se  1'  eterno  Giove 
Della  sua  grazia  sopra  me  non  piove. 

Sonetto    CXXXIV. 
Quando  Amor  i  begli  occhj  a  terra  inchina, 

E  i  vaghi  spirti  in  un  sospiro  accoglie 

Con  le  sue  mani,  e  poi  in  voce  gli  scioglie 

Chiara,  soave,  angelica,  divina, 
Sento  far  del  mio  cor  dolce  rapina, 

E  sì  dentro  cangiar  pensieri  e  voglie, 

Ch'  i'  dico  :  or  fien  di  me  l'  ultime  spoglie, 

Se  °l  ciel  sì  onesta  morte  mi  destina. 
Ma  '1  suon,  che  di  dolcezza  i  sensi  lega, 

Col  gran  desir  d'  udendo  esser  beata 

L'  anima  al  dipartir  presta  raffrena. 
Cosi  mi  vivo ,  e  così  avvolge  e  spiega 

Lo  stame  della  vita,  che  m'  è  data, 

Questa  sola  fra  noi  del  ciel  sirena. 

Sonetto    CXXXV. 
Amor  mi  manda  quel  dolce  pensiero. 

Che  secretarlo  antico  è  fra  noi  due, 

E  mi  conforta,   e  dice,  che  non  fue 

Mai,  com'  or,  presto  a  quel  eh'  i'  bramo,  e  spero, 
Io,  che  talor  menzogna,  e  talor  vero 

Ho  ritrovato  le  parole  sue. 

Non  so,  s'  il  creda,  e  vivomi  intra  due, 

Né  sì  né  no  nel  cor  mi  sona  intero. 
In  questa  passa  'l  tempo,  e  nello  specchio 

Mi  veggio  andar  ver  la  stagion  contraria 

A  sua  improme.isa ,  ed  alla  mia  speranza. 
Or  sia  che  può,  già  sol  io  non  invecchio: 

Già  per  etate  il  mio  desir  non  varia: 

Ben  temo  il  viver  breve,  che  n'  avanza. 
Sonetto    CXXXM. 
Picn  d'  un  vago  pensier,  che  mi  disvia 

Da  tutti  gli  altri,  e  fammi  al  mondo  ir  solo, 

Ad  or  ad  or  a  me  stesso  m'  involo. 

Pur  lei  cercando,  che  fuggir  dovria, 
E  vcggiola  passar  sì  dolce  e  ria, 

Che  r  alma  trema  per  levarsi  a  volo. 

Tal  d'  armati  sospir  conduce  stuolo 

Questa  bella  d'  amor  nemica,  e  mia! 
Ben,  s'  io  non  error,  di  pietatc  un  raggio 

Scorgo  fra  '1  nnbiloso  altero  ciglio, 

Che  'n  parte  rasserena  il  cor  doglioso. 
Allor  raccolgo  l"  alma  ,  e  poi  eh'  i'  aggio 

Di  scovrirle  il  mio  mal  preso  consiglio. 

Tanto  le  hu  a  dir,  che  incomiaciur  non  o»o. 


55] 


RIME   DEL  PETRARCA. 


[66] 


Sonetto     CXXXVIT. 

ili  volte  già  dal  bel  semliiante  umano 
Ho  preso  ardir  con  le  mie  fide  scorte 
D'  assalir  con  parole  oneste,  accorte. 
La  mia  nemica,  in  atto  umile  e  piano. 

anno  poi  gli  occhj  suoi  mio  pensier  vano  ; 
Perdi'  ogni  mia  fortuna,  ogni  mia  sorte. 
Mio  ben ,  mio  male ,  e  mia  vita ,  e  mia  morte 
Quel,  che  solo  il  può  far,  1'  ha  posto  in  mano. 

nd'  io  non  potè'  mai  formar  parola, 
Cli'  altro  che  da  me  stesso  fosse  intesa, 
Così  m'  ha  fatto  Amor  tremante  e  fioco! 

',  veggi'  or  ben ,  che  caritate  accesa 
Lega  la  lingua  altrui ,  gli  spirti  invola. 
Chi  può  dir  com'  egli  arde,  è  ^n  picciol  foco. 

Sonetto     CXXXVllI. 

li  unto  m'  ha  Amor  fra  belle  e  crude  braccia, 
Che  m'  ancidono  a  torto,  e  s'  io  mi  doglio, 
Doppia  'l  martir;  onde  pur,  com'  io  soglio, 
11  meglio  è,  eh'  io  mi  mora  amando,  e  taccia. 

he  porla  questa  il  Ren,  qualor  più  agghiaccia. 
Arder  con  gli  occhj,  e  romper  ogni  aspro  scoglio, 
Kd  ha  sì  egual  alle  bellezze  orgoglio. 
Che ,  di  piacere  altrui ,  j)ar  che  le  spiaccia. 

lilla  posso  levar  io  per  mio  'ngegno 
Del  bel  diamante,  ond'  eli'  ha  il  cor  sì  duro, 
L'  altro  è  d'  un  marmo,  che  si  mova  e  spiri 

ed  ella  a  me ,  per  tutto  '1  suo  disdegno, 
Torrà  giammai ,  né  per  sembiante  oscuro 
Le  mie  speranze  e  i  miei  dolci  sospiri. 

Sonetto     CXXXIX. 

)h  invidia,  nemica  di  virtute, 
Cir  a'  bei  principj  volentier  contrasti, 
Ver  qnal  scntier  così  tacita  intrasti 
In  quel  bel  petto,  e  con  qual'  arti  II  mute.^ 

)ii  radice  n'  hai  svelta  mia  salute. 
Troppo  felic*  amante  mi  mostrasti 
A  quella,  che  miei  preghi  umili  e  casti 
diadi  alcun  tempo,  or  par  eh'  odj  e  refute. 

u'  però  che  con  atti  acerbi  e  rei 
Del  mio  ben  pianga,  e  del  mio  pianger  rida, 
Porla  cangiar  sol  im  de'  pensier  miei: 

lion,  perchè  mille  volte  il  dì  m'  ancida, 
Fia,  eh'  io  non  1'  ami,    e  eh'  i'  non  speri  in  lei: 
Che ,  s'  ella  mi  epaventa ,  Amor  m'  aflida. 

Sonetto    CXL. 
Airando  '1  sol  de'  begli  oc<.h.j  sereno, 

Ov'  è  chi  spesso  i  miei  dipinge  e  bagna, 

Dal  cor  1'  anima  stanca  si  scompagna, 

Per  gir  nel  paradiso  suo  terreno. 
'oi  trovandol  di  dolce  e  d'  amar  pieno. 

Quanto  al  nu)ndo  si  tesse  opra  d'  aragna 

\ede;  onde  seco,  e  con  Amor  si  lagna, 

Ch'  ha  sì  caldi  gli  spron  ,  sì  duro  il  freno. 
Per  questi  estremi  duo  cnntrarj  e  misti, 

Or  con  voglie  gelate,  or  ccui  accese. 

Stassi  così  fra  misera  e  ft^lice. 
Ma  pochi  lidi,  e  molli  pensier  tristi, 

E  i  più  si  pento  dell'  ardile  imprese; 

Tal  frutto  naice  di  colai  radice! 

S  o  N  i;  T  t  o     CXLl. 
Fera  stella,  se  'l  rido  ha  forza  in  noi, 

Quaiit'  alcun  crede,  fu,  sotlo  eh'  io  nacqui, 
I     È  fera  cuna,  dove  nato  giacqui, 


I      E  fera  terra,  ov'  i  pie  mossi  poi, 
lE  fera  donna,  che  con  gli  o«chj  suoi, 
I     E  con  r  arco,  a  cui  sol  per  segno  piacqui, 
1      Fé  la  piaga,  ond'.  Amor,  teco  non  tacqui; 
'      Che  con  quell'  arme  risaldarla  puoi. 
Ma  tu  prendi  a  diletto  i  dolor  miei, 
Ella  non  già ,  perché  non  son  più  duri, 
E  '1  colpo  è  dì  saetta ,  e  non  di  spiedo. 
Pur  mi  consola ,  che  languir  per  lei 

Meglio  è,  che  gioir  d'  altra;  e  tu  mei  giuri 
Per  r  orato  tuo  strale,  ed  io  tei  credo. 

Sonetto     CXLIL 
Quando  mi  viene  innanzi  il  tempo  e  '1  loco, 
:      Ov'  io  perdei  me  stesso,  e  'l  caro  nodo, 
!     Ond'  Amor  di  sua  man  m'  avvinse  in  modo, 
j     Che  r  amar  mi  fé  dolce,  e  '1  pianger  gioco. 
Solfo  ed  esca  son  tutto,  e  'l  cor  un  foco 
Da  quei  soavi  spirti ,  i  quai  sempr'  odo, 
Acceso  dentro  sì ,  eh'  ardendo  godo, 
E  di  ciò  vivo ,  e  d'  altro  mi  cai  poco. 
Quel  sol ,  che  solo  agli  occhj  miei  risplende. 
Coi  vaghi  raggi  ancor  indi  mi  scalda 
A  vespro,  tal  qual  era  oggi  per  tempo. 
E  così  di  lontan  m'  alluma  e  'ncende. 
Che  la  memoria ,  ad  ognor  fresca  e  salda. 
Pur  quel  nodo  mi  mostra ,  e  'l  loco ,  e  '1  tempo. 
Sonetto     CXLUL 
Per  mezzo  i  boschi  inospiti  e  selvaggi, 
Onde  vanno  a  gran  rischio  uomini  ed  arme, 
Vo  slcur'  io  ;  che  non  può  spaventarnie 
Altri  che  '1  sol ,  eh'  ha  d'  amor  vivo  i  raggi. 
E  vo  cantando  (oh  pensier  miei  non  saggi  !) 
Lei ,  che  '1  ciel  non  porla  lontana  farme, 
Ch'  i'  r  ho  negli  occhj  ,  e  veder  seco  parme 
Donne ,  e  donzelle ,  e  sctno  abeti  e  faggi. 
Panni  d'  udirla,  udendo  I  rami,  e  1'  ore, 
E  le  frondi ,  e  gli  augel  lagnarsi ,  e  1'  acque 
Mormorando  fuggir  per  1'  erba  verde. 
Raro  un  silenzio  ,  un  solitario  orrore 
D'  ombrosa  selva  mai  tanto  mi  piacque; 
Se  non  che  del  mio  sol  troppo  si  perde. 

Sonetto     CXLIV. 

Mille  piagge  in  un  giorno,  e  mille  rivi 
Mostrato  m'  ha  per  la  famosa  Ardcnna 
Amor,  eh'  a'  suoi  le  piante  e  i  cori  impenna, 
Per  farli  al  terzo  ciel  volando  ir  vi^i. 

Dolce  m'  è  sol  senz'  arme  esser  stato  ivi. 
Dove  armato  fier  Marte,  e  non  accenna. 
Quasi  senza  governo,  e  senz'  antenna 
Legno  in  mar,  pien  di  peujier  graii  e  schivi. 

Pur  giunto  al  fin  della  giornata  or'inra, 

Riiiuinbrando  ond'  io  vegno  ,  e  con  quai  piume, 
Sento  di  troppo  ardir  nascer  paura. 

Ma  'i  bel  paese,  e    1  dilettoso  fiume 
Con  serena  accoglienza  ra<>i«nra 
li  cor  già  volto  ,  ov'  abita  il  suo  lume. 
Son  etto     CXLV. 

Amor  mi  sprona  in  im  tempo,  ed  nfiVena, 
As^ccnra,  e  spaMiita,  arde ,  ed  agghiaccia, 
(Jr.uli>ce,  e  sd«gna ,  a  sé  mi  chiama  e  sca«cia. 
Or  mi  tiene  in  speranza,  ed  or  in  pena. 

Or  allo,  or  basso  il  mio  cor  lasso  mena. 
Ondo  '1  vago  der.ir  perde  la  traccia, 
E  'I  «no  sommo  piacer  par  che  gli  spiacciu; 
D'  crror  bi  novo  la  mia  menlc  è  piena! 

5 


[67] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[68] 


Un  amico  pensier  le  mostra  il  rado, 

Non  d'  acqua,  che  per  gli  occhj  si  risolva, 
Da  gir  tosto  ove  spera  esser  contenta. 

Poi,  quasi  maggior  forza  indi  la  svolva, 

Convien  eh'  altra  via  segua ,  e  mal  suo  grado 
Alla  sua  lunga ,  e  mia  morte  consenta. 

S  o  >"  E  T  T  o     CXLV'I. 

Ceri ,  quando  talor  meco  s'  adira 

La  mia  dolce  nemica,  eh'  è  si  altera, 
Un  conforto  m'  è  dato,  eh'  i'  non  pera. 
Solo  per  cui  virtù  1'  alma  respira. 

Ovunqu'  ella  sdegnando  gli  occhj  gira, 
Che  di  luce  privar  mia  vita  spera. 
Le  mostro  i  miei  pien  d'  umiltà  si  rera, 
Ch'  a  forza  ogni  suo  sdegno  indietro  tira. 

Se  ciò  non  fosse ,  andrei  non  altramente 
A  Tcder  lei ,  che  '1  volto  di  Medusa, 
Cile  facea  marmo  diventar  la  gente. 

Così  dunque  fa  tu,  eh'  i'  veggio  esclusa 
Ogni  altr'  aita .  e  '1  fuggir  vai  niente 
Dinanzi  all'  ali ,  che  '1  signor  nostro  usa. 

So!VETTo    CXLVn. 

Po,  ben  può'  tu  portartene  la  scorza 
Di  me  con  tue  possenti  e  rapid'  onde, 
Ma  lo  spirto,  eh'  iv'  entro  si  nasconde, 
Non  cura  nò  di  tua,  nò  d'  altrui  forza: 

Lo  qual,  senz'  alternar  poggia  con  oraa, 
Dritto  per  l'  aure  al  suo  desir  seconde, 
Battendo  l'  ali  verso  1'  aurea  fronde, 
L'  acqua ,  e  '1  vento ,  e  la  vela ,  e  i  remi  sforza. 

Re  degli  altri ,  superbo  altero  fiume. 

Che  'neon tri  il  sol  ,  quando  e'  ne  mena  il   giorno, 
E  'n  ponente  abbandoni  un  più  bel  lume. 

Tu  te  ne  vai  col  mio  mortai  sul  corno, 
L'  altro  coverto  d'  amorose  piume 
Torna  volando  al  suo  dolce  soggiorno. 

Sonetto    CXLVin. 

Amor  fra  1'  erbe  una  leggiadra  rete 
D'  oro  e  di  perle  tese  sott'  un  ramo 
Dell'  arbor  sempre  verde,  eh'  i'  tant'  amo. 
Benché  n'  abbia  ombre  più  triste,  che  liete: 

L'  esca  fu  '1  seme ,  eh'  egli  sparge  e  miete, 
Dolce  ed  acerbo,  eh'  io  pavento  e  bramo: 
Le  note  non  fùr  mai,  dal  di  eh'  Adamo 
Aperse  gli  occhj,  sì  soavi  e  quete: 

E  '1  chiaro  lume,  che  sparir  fa  '1  sole. 
Folgorava  d'  intorno  e  'l  fune  avvolto 
Era  alla  man ,  eh'  avorio  e  neve  avanza. 

Così  caddi  alla  rete,  e  qui  m'  han  colto 
Gli  atti  vaghi ,  e  1'  angeliche  parole, 
E  '1  piacer,  e  '1  desire,  e  la  speranza. 

Sonetto     CXLIX. 

Amor,  che  'ncende  '1  cor  d'  ardente  zelo, 
Di  gelata  paura  il  tìen  costretto, 
E  qual  sia  più,  fa  dubbio  all'  intelletto. 
La  speranza,  o  il  timor,  la  fiamma,  o  '1  gelo. 

Trem'  al  più  caldo ,  ard'  al  più  freddo  cielo, 
Sempre  pien  di  desire,  e  di  sospetto, 
Pur  come  donna  in  un  vestire  schietto 
Celi  un  uum  vivo,  e  sott'  un  picciol  velo. 

Di  queste  pene  è  mia  propria  la  prima 

Arder  dì  e  notte ,  e  quanto  è  '1  dolce  male 

Nò  'n  pensier  cape,  non  che  'n  versi,  o  'n  rima: 

h'  altra  non  già,  che  'i  mio  bel  foco  è  tale, 


I 


Ch'  ogni  uom  pareggia ,  e  del  suo  lume  in  cima 
Chi  volar  pensa ,  indarno  spiega  1'  ale. 
Sonetto     CL. 

Se  '1  dolce  sguardo  di  costei  m'  ancide, 
E  le  soavi  parolette  accorte, 
E  s'  amor  sopra  me  la  fa  sì  forte, 
Sol  quando  parla,  ovver  quando  sorride, 

Lasso  !  che  fia ,  se  forse  ella  divìde 

O  per  mia  colpa,  o  per  malvagia  sorte. 
Gli  occhj  suoi  da  mercè,  sì  che  di  morte 
Là  dov'  or  m'  assccura ,  allor  mi  sfide? 

Però  s'  i'   tremo  ,  e  vo  col  cor  gelato, 
Qualor  veggio  cangiata  sua  figura. 
Questo  tener  d'  antiche  prove  è  nato. 

Femmina  è  cosa  mobil  per  natura: 
Ond'  io  so  ben ,  eh'  un  amoroso  stato 
In  cor  di  donna  picciol  tempo  dura. 
Sonetto    CLI. 

Amor,  natura,  e  la  beli'  alma  umile, 
Ov'  ogni  alta  virtute  alberga  e  regna, 
Contra  me  son  giurati.     Amor  s'  ingegna, 
Ch'  io  mora  affatto ,  e  'n  ciò  segue  suo  stile  ; 
Natura  tien  costei  d'  un  sì  gentile 

Laccio,  che  nullo  sforzo  è  che  sostegna; 

Ella  è  sì  schiva,  eh'  abitar  non  degna 
Più  nella  vita  faticosa  e  vile. 
Così  lo  spirto  d'  or  in  or  vien  meno 

A  quelle  belle  care  membra  oneste. 

Che  specchio  eran  di  vera  leggiadria. 
E  s*  a  morte  pietà  non  stringe  il  freno. 

Lasso  !  ben  veggio  ,  in  che  stato  son  queste 

Vane  speranze ,  ond'  io  viver  solia. 
Sonetto     CLII. 
Questa  fenice  dell'  aurata  piuma 

Al  suo  bel  collo  candido  gentile 

Forma  senz'  arte  un  sì  caro  monile, 

Ch'  ogni  cor  addolcisce  e  '1  mio  consuma. 
Forma  un  diadema  naturai,  eh'  alluma 

L'   aere  d'  intorno  ,  e  '1  tacito  focile 

D'  Amor  tragge  indi  un  liquido  sottile 

Foco ,  che  m'  arde  alla  più  algente  bruma. 
Purpurea  vesta  d'  un  cerculeo  lembo 

Sparso  di  rose  i  begli  omeri  vela  : 

Novo  abito ,  e  bellezza  unica  e  sola. 
Fama  nell'  odorato  e  ricco  grembo 

D'  arabi  monti  lei  ripone  e  cela, 

Che  per  lo  no>~tro  ciel  sì  altera  vola. 
Sonetto     CLlil. 
Se  Virgilio  ed  Omero  avesser  visto 

Quel  sole ,  il  qual  yegg''  io  con  gli  occhj  mici, 

Tutte  lor  forze  in  dar  fama  a  costei 

Avrian  posto ,  e  1'  un  stil  con  1'  altro  misto  : 
Di  che  sarebbe  Enea  turbato  e  tristo. 

Achille,  Ulisse,  e  gli  altri  semidei, 

E  quel,  che  resse  anni  cinquantasei 

Sì  bene  il  mondo,  e  quel,  eh'  ancise  Egisto. 
Quel  fior  antico  di  virtuti  e  d'  arme. 

Come  sembiante  stella  ebbe  con  questo 

Novo  fior  d'  onestate  e  di  bellezze! 
Ennio  di  quel  cantò  ruvido  carme; 

Di  quest'  altr'  io  :  ed  oh  pur  non  molesto 

Gli  bia  '1  mio   'ngegno,  e  '1  mio  lodar  non  sprc/ze  ! 
S  o  .%  E  T  T  o     CLIV. 
Giunto  Alessandro  alla  famosa  tomba 

Del  fero  Achille,  sospirando  Aiate: 


[69] 


RIME   DEL   PETRARCA. 


[70] 


Oh  fortunato,  che  gì  chiara  tromba 
Trovasti,  e  chi  di   te  si  alto  scrisse! 

Ma  questa  pura  e  candida  colomba, 
A  cui  non  so  s'  al  mondo  mai  par  \Uee, 
Nel  mio  stii  frale  assai  poco  rimbomba; 
Così  son  le  sue  sorti  a  ciascun  fisse! 

Cile  d'  Omero  di^nissima,  e  d'  Orfeo, 
0  del  pastor,  eh'  ancor  Mantova  onora, 
Ch'  andasser  sempre  lei  sola  cantando, 

Stella  difforme,  e  fato  sol  qui  reo 
Commise  a  tal ,  che  '1  suo  bel  nome  adora, 
Ma  forse  scema  sue  lodi  parlando. 

Sonetto     CLV. 

\lmo  sol,  quella  fronde,  eh'  io  sola  amo, 
Tu  prima  amasti,  or  sola  al  bel  soggiorno 
Verdeggia,  e  senza  par,  poi  che  1'  adorno 
Suo  male  e  nostro  vide  in  prima  Adamo. 

stiamo  a  mirarla:   i'  ti  pur  prego  e  chiamo, 
Oh  sole ,  e  tu  pur  fuggi    e  fai  d'  intorno 
Ombrare  i  poggi ,  e  te  ne  porti  i  giorno, 
E  fuggendo  mi  toi  quel ,  eh'   i'  più  bramo. 

J  ombra,  elie  cade  da  queir  umil  colle, 
0\e  sfavilla  il  mio  soave  foco, 
Ove  '1  gran  lauro  fu  picciola  verga, 

l'ifscendo,  nientr'  io  parlo,  agli  occhj  tolte 
Li!  dolce  vista  del  beato   loco, 
Ove  '1  mio   cor  con  la  sua  donna  alberga. 

Sonetto     CLVI. 

^a-?a  la  nave  mia  colma  d'  obblio 
Per  aspro  mare  ,  a  mezza  notte ,  il  verno. 
Infra  Scilla  e  Cariddi ,  ed  al  governo 
Siede  '1  signor,  anzi  '1  nemico  mio: 

\.  ciascun  remo  un  pcnsier  pronto  e  rio, 
Che  la  tempesta  e  '1  fin  par  eh'   abbi'  a  scherno: 
La  vela  rompe  un  vento  umido  eterno 
Di  sospir.  di  speranze,  e  di  desio. 

Pioggia  di  lagrimar ,  nebbia  di  sdegni 
Bagna  e  rallenta  le  già  stanche  sarte. 
Che  son  d'  errfir  con  ignoranza  attorto: 

ilielansi  i  duo  miei  dolci  usati  segni, 
Morta  fra  1'  onde  è  la  ragione,  e  1'  arte; 
Tal  eh'  incomincio  a  disperar  del  porto. 

Sonetto     CLVII. 
Jns  candida  cerva  sopra  1'  erba 

Verde  m'  apparve  con  due  corna  d'  oro, 

Fra  due  riviere,  all'  ombra  d'  un  alloro, 

Levando  '1  sole  alla  stagion  acerba. 
Sra  sua  vista  sì  dolce  superba, 

Ch'  i'  lasciai  per  seguirla  ogni  lavoro, 

Come  r  avaro  ,  che  'n  cercar  tesoro 

Con  diletto  1'  affanno  disacerba. 
Sessun  mi  tocchi,  al  bel  collo  d'  intorno 

Scritto  avea  di  diamanti  e  di  topazj  ; 
I    Libera  farmi  al  mio  Cesare  parve. 
pd  era  il  sol  già  volto  a  mezzo  giorno. 

Gli  occhj  miei  stanchi,  e  di  mirar  non  sazj, 
I   Quand'  i'  caddi  nell'  acqua ,  ed  ella  sparve. 

Sonetto     CLVIII. 
Si  come  eterna  vita  è  veder  Die», 

Né  più  hi  brama,  nò  bramar  più  lice, 

Co*ì   me,  dimiia,  il   voi  ^eder  felice 

Fa  in  questo  breve  e  frale  viver  mìo. 
io  voi  «tessa,  com'  or,  bella  vid'  io 

Giammai,  se  vero  al  cor  i'  occhio  ridice, 


Dolce  del  mio  pensier  ora  beatrice. 
Che  vince  ogni  alta  speme,  ogni  desio. 

E  se  non  fosse  il  suo  fuggir  sì  ratto, 
Più  non  dimanderei  ;  che  s'  alcun  vive 
Sol  d'  odore,  e  tal  fama  fedo  acquista, 

Alcun  d'  acqua,  o  di  foco  il  gusto  e  '1  tatto 
Acquetan,  cose  d'  ogni  dolzor  prive, 
r  perchè  non  della  vostr'  alma  vista? 
Sonetto    CLIX. 

Stiamo,  Amor,  a  veder  la  gloria  nostra. 
Cose  sopra  natura  altere  e  nove! 
Vedi  ben,  quanta  in  lei  dolcezza  piove. 
Vedi  lume,  che  'l  cielo  in  terra  mostra. 

Vedi  quant'  arte  dora,  e  'niperla,  e  'nnostra 
L'  abito  eletto,  e  mai  non  vi^to  altrove; 
Che  dolcemente  i  piedi  e  gli   occhj  move 
Per  questa  di  bei  colli  ombrosa  chiostra! 

L'  erbetta  verde,  e  i  fior  di  color  mille 
Sparsi  sotto  quell'  elee  antiqua  e  negra, 
Pregan  pur ,  che  '1  bel  pie  li  prema ,  o  tocchi, 

E  '1  ciel  di  vaghe  e  lucide  faville 
S'  accende  intorno ,  e  'n  vista  si  rallegra 
D'  esser  fatto  seren  da  sì  begli  occhj. 
Sonetto     CLX. 

Pasco  la  mente  d'  un  sì  nubii  cibo, 

Ch'  ambrosia  e  nettar  non  invidio  a  Giove  ; 
Che,  sol  mirando,  obblio  nell'  alma  piove 
D'  ogni  altro  dolce,  e  Lete  al  fondo  bibo. 

Tabu*  eh'  odo  dir  cose,  e  'n  cor  describo, 
Perchè  da  sospirar  sempre  ritrove. 
Ratto  per  man  d'  Amor,  né  so  licn  dove. 
Doppia  doli:ezza  in  un  volto  delibo; 

Che  quella  voce  infln  al  ciel  gradita 
Suona  in  parole  sì  leggiadre  e  cjire. 
Che  pensar  noi  porla  chi  non  1'  ha  udita. 

Allor  insieme  in  men  d'  un  palmo  appare 
Visibilmente,  quanto  in  questa  vita 
Arte,  ingegno,  e  natura,  e  '1  ciel  può  fare. 

Sonetto     CLXI. 
L'  aura  gentil ,  che  rasserena  i  poggi, 

Destando  i  fior  per  questo  ombroso  bosco, 

Al  soave  suo  spirto  riconosco. 

Per  cui  convien ,  che  'n  pena  e  'n  fama  poggi. 
Per  ritrovar,  ove  '1  cor  lasso  appoggi, 

Fugge  dal  mio  natio  dolce  aer  tosco  ; 

Per  far  lume  al  pen»ier  torbido  e  fosco, 

Cerco    l  mio  sole  ,  e  spero   vederlo  oggi: 
Nel  qual    provo  dolcezze  tante  e  tali, 

Ch'  amor  per  forza  a  lui  mi  riconduce  ; 

Poi  si  m'  abbaglia ,  che  '1  fuggir  m'  è  tardo. 
Io  chiedrci  a  scampar  non  arme,  anzi  ali; 

Ma  perir  mi  dà  'I  ciel  per   questa  luce, 

Che  da  lunge  mi  struggo,  e  da  press'  ardo. 

Sonetto     CLXII. 

Di  dì  'n  di  vo  cangiando  il  viso  e  '1  pelo, 
Né  però  smorso  i  dolce  inescati  ami, 
Né  sbranco  i  verdi  ed  invescati  rami 
Dell'  arbor ,  che  né  sol  cura,  né  gelo. 

Senz'  acqua  il  mare ,  e  senza  stelle  il  ciclo 

Fia  innanzi,  eh'  io  non  sempre  tema,  e  brami 
La  sua  beli'  ombra,  e  eh'  i'  non  odj  ,  ed  ami 
L'  alta  piaga  amoro>^a ,  che  mal  celo. 

Non  spero  del  mio  all'anno  aver  mai  posa, 
liifìn  cir  i'  mi  disosso,  e  snervo,  e  spolpo: 
Oh  la  uciuica  uiia  pietà  n*  avebsc! 

5  * 


[71] 


RIME    DEL    PETRARCA. 


[12] 


Esser  pnò  in  prima  ogn'  impossibil  cosa, 
C1i'  altri ,  che  morte  od  ella ,  sani  '1  colpo, 
Ch'  amor  co'  suoi  begli  occbj  al  cor  m'  impresse. 

Sonetto     CLXIII. 

L'  anra  serena  ,  che  fra  verdi  fronde 
3ìormorando  a  ferir  nel  volto  viemrae. 
Fammi  ri^ovvenir,  qiiand'  amor     diemme 
Le  prime  piaghe  sì  dolci  e  profonde  ; 

E  'i  bel  viso  veder,  eh'  altri  m'  asconde, 
Che  sdegno  o  gelosia  celato  tiemme, 
E  le  chiome,  or  avvolte  in  perle  e  'n  gemme, 
Allora  sciolte,  e  sovra  or  terso  bionde, 

Le  quali  ella  spargea  sì  dolcemente, 
E  raccogliea  con  si  leggiadri  modi. 
Che  ripensando  ancor  trema  la  niente. 

Torsele  il  tempo  poi  in  più  saldi  nodi  ; 
E  strinse  '1  cor  d'  un  laccio  sì  possente, 
Che  morte  sola  fia  eh'  indi  lo  snodi. 

Sonetto    CLXIV, 
L'  aura  celeste,  che  'n  quel  verde  hiuro 

Spira,  ov'  Amor  ferì  nel  fianco  Apollo, 

Ed  a  me  pose  un  dolce  giogo  al  collo, 

Tal  che  mia  libertà  tardi  restauro. 
Può  quello  in  me,  che  nel  gran  vecchio  mauro 

Medusa,  quando  in  selce  trasformoUo : 

Né  posso  dal  bel  nodo  omai  dar  crollo. 

Là  've  sol  perde ,  non  pur  1'  ambra  o  V  auro  : 
Dico  le  chiome  bionde,  e  '1  crespo  laccio, 

Che  si  soavemente  lega  e  stringe 

L'  alma,  che  d'  umiltiite  e  non  d'  altr'  armo. 
L'  ombra  sua  sola  fa  '1  mio  core  un  ghiaccio, 

E  di  bianca  paura  il  viso  tinge  ; 

Ma  gli  occlij  hanno  virtù  di  farne  un  marmo. 

Soletto     CLXV. 

L'  aura  soave ,  eh'  al  sol  spiega  e  vibra 
L'  auro,  eh'  Amor  di  sua  man  fila  e  tesse. 
Là  da'  begli  occhj  e  dalle  chiome  stesse 
Lega  '1  cor  lasso,  e  i  levi  spirti  cribra. 

Non  ho  midolla  in  osso ,  o  sangue  in  fibra, 

Ch'  i'  non  senta  tremar ,  pur  eh'  i'  m'  appresse, 
Dov'  è  chi  morte  e  vita  insieme  spesse 
A  olte  in  frale  bilancia  appende  e  libra, 

Vedendo  arder  i  lumi,  ond'  io  ni'  accendo, 
E  folgorar  i  nodi ,  ond'  io  son  preso. 
Or  sutr  omero  destro,  ed  or  sul  manco. 

r  noi  posso  ridir,  che  noi  comprendo: 
Da  tu'  due  luci  è  I'  intelletto  o/leso, 
E  di  tanta  dolcezza  oppresso  e  stanco. 

S  o  N^E  t  T  o     CLX  VL 

Oh  bella  man,  che  mi  distringi  '1  core, 
E  'n  poro  spazio  la  mia  vita  chiudi, 
.M.in  ,  ov'  ogni  artn ,  e  tutti  loro  studi 
l'o'cr  natura  e  Ì  eie! ,  per  farsi  onore  ! 

Di  ciiKiiu;  perle  orienta!  colore, 

E  sol  nelle  mie  piag'ic  acerbi  e  crudi 
Diti   si-liictti  soavi ,  a  tempo  ignudi 
C(»nseiite  or  voi ,  per  arricchirmi ,  Amore. 

Candido,  le;rgiad retto,  e  <:aro  guanto, 
CJIie  copria  netto  avorio  ,   e  IVc-iclie  rose. 
Citi   vide  al   mondo   mai  sì  dolci  spoglie? 

Co/i  avess'  lo  del  liei  velo  altrettanto  ! 
Oh  incostanza  dell'  umane  cose! 
l'ur  quc^to  è  furto ,  e  vicn,  eh'  i'  me  ne  epoglìc. 


Sonetto     CLXVIL 

Non  pur  queir  una  bella  ignuda  mano, 
Che  con  grave  mio  danno  si  riveste, 
Ma  r  altra ,  e  le  duo  braccia  accorte  e  preste 
Sono  a  stringere  il  cor  timido  e  piano. 

Lacci  Amor  mille,  e  nessun  tende  invano 
Fra  quelle  vaghe  nove  forme  oneste, 
Ch'  adornan  sì  1'  alto  abito  celeste, 
Ch'  aggingner  noi  può  stil,  né  'ngegno  umano: 

Gli  occhj  sereni ,  e  le  stellanti  ciglia. 
La  bella  bocca  angelica ,  di  perle 
Piena  e  di  rose ,  e  di  dolci  pcirole, 

Che  fanno  altrui  tremar  di  meraviglia, 
E  la  fronte ,  e  le  chiome ,  eh'  a  vederle 
Di  state  a  mezzo  dì  vincono  il  sole. 

Sonetto    CLXMH. 

3Iia  ventura  ed  Amor  m'  avean  sì  adorno 
D'  un  beli'  aurato  e  serico  trapunto, 
Ch'  al  sommo  del  mio  ben  quasi  era  aggiunto. 
Pensando  meco  a  chi  fu  quest'  intorno: 

Né  mi  ricde  alla  mente  mai  quel  giorno, 
Che  mi  fé  ricco  e  povero  in  un  punto, 
Ch'  i'  non  sia  d'  ira  e  di  dolor  compunto, 
Pien  di  vergogna ,  e  d'  amoroso  scorno, 

Che  la  mia  nobil  preda  non  più  stretta 
Tenni  al  bisogno ,  e  non  fui  più  costante 
Contra  lo  sforzo  sol  d'  un'  angioletta, 

0  fuggendo,  ale  non  giunsi  alle  piante. 
Per  far  almen  di  quella  man  vendetta. 
Che  degli  occhj  mi  trae  lagrime  tante. 

Sonetto    CLXIX. 

D'  un  bel,  chiaro,  polito,  e  vivo  ghiaccio 
Move  la  fiamma,  che  m'  incende  e  strugge, 
E  sì  le  vene  e  '1  cor  m'  asciuga  e  sugge, 
Che  'n visibilmente  i'  mi  disfaccio. 

Morte ,  già  per  ferire  alzato  'l  braccio. 
Come  irato  ciel  tona ,  o  leon  rugge. 
Va  perseguendo  mia  vita ,  che  fugge. 
Ed  io  pien  di  paura  tremo  e  taccio. 

Ben  poria  ancor  pietà  con  amor  mista, 
Per  sostegno  di  me,  doppia  colonna 
Porsi  fra  l'  alma  stanca ,  e  '1  mortai  colpo  : 

Ma  io  noi  credo  ,  né  'l  conosco  in  vista 
Di  quella  dolce  mia  nemica ,  e  donna. 
Né  di  ciò  lei ,  ma  mia  ventura  incolpo. 

Sonetto     CLXX. 

Lasso,  eh'  i'  ardo,  ed  altri  non  mei  crede! 
Sì  crede  ogni  uom ,  se  non  sola  colei, 
Ch'  é  sovr'  ogni  altra,  e  eh'  i'  sola  vorrei. 
Ella  non  par  che  '1  creda ,  e  sì  sei  vede. 

Infinita  bellezza  ,  e  poca  fede. 

Non  vedete  voi  'l  cor  negli  occhj  miei  ? 
Se  non  fosse  mia  stella ,  i'  pur  dovrei 
Al  fonte  di  pietà  trovar  mercede. 

Quest'  arder  mio  ,  di  che  vi  cai  sì  poco, 
E  i  vostri  onori  in  mie  rime  diffusi 
Ne  porian'  infiammar  fors'  ancor  mille  : 

Ch'  i'  veggio  nel  pensier ,  dolce  mio  f«ico. 
Fredda  una  lingua  ,  e  duo  begli  occhj  chiusi 
Ilimaner  dopo  noi ,  pien'  di  fa^  ille. 

Son  etto     CLXXL 
Anima ,  che  diverse  cose  tante 
Vedi,  odi,  e  leggi,  e  parli,  e  scrìvi,  e  pensi; 
Occlij  miei  vaghi,  e  tu  fra  gli  altri  sensi, 


I 


n] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


P4] 


Clie  scorgi  al  cor  1'  alte  parole  sante, 
cr  quanto  non  vorreste,  o  poscia  od  ante, 
L?;^er  giunti  al  cammin ,  clie  sì  mal  tiensi, 
Per  non  trovarvi  i  duo  bei  lumi  accensi, 
INè  r  orme  impresse  dell'  amate  piante? 
Ir  con  si  chiara  luce,  e  con  tai  segni 
Errar  non  dessi  in  quel  breve  viaggio. 
Che  ne  può  far  d'  eterno  albergo  degni, 
forzati  al  cielo ,  oh  stanco  mio  coraggio, 
Per  la  nebbia  entro  de'  suoi  dolci  sdegni 
Seguendo  i  passi  onesti ,  e  '1  divo  raggio  ! 

Sonetto     CLXXII. 

)oIci  ire ,  dolci  sdegni ,  e  dolci  paci, 
Dolce  mal,  dolce  affanno,  e  dolce  peso, 
Dolce  parlar,  e  dolcemente  inteso. 
Or  di  dolce  ora,  or  pien  di  dolci  faci! 

lima,  non  ti  lagnar  ,  ma  soffri  e  taci, 
E  tempra  il  dolce  amaro ,  che  n'   ha  offeso, 
VaA  dolce  onor,  che  d'  amar  quella  hai  preso, 
A  cu'  io  dissi:  tu  sola  mi  piaci. 

"or-e  ancor  fia  chi  sospirando  dica 
l'into  di  dolce  invidia:  assai  sostenne 
Per  bellissimo  amor  questi  ài  suo  tempo  ; 

Utrì  :  oh  fortuna  agli  occhj  miei  nemica! 
Perchè  non  la  vid'  io?  perchè  non  venne 
Ella  più  tardi,  ovver  io  più  per  tempo? 

Canzone     XIX. 
»'  il  dissi  mai ,  eh'  i'  venga  in  odio  a  quella. 
Del  cui  amor  vivo,  e  senza  '1  qual  morrei! 
S'  il  dissi,  oh'  i  miei  dì  sian  pochi  e  rei, 
E  di  vii  signoria  1'  anima  ancella! 
S'  il  di^si,  contra  me  s'  armi  ogni  stella, 

E  dal  mio  lato  sia 

Paura  e  gelosia, 

E  la  nemica  mia 
Più  feroce  ver  me  sempre,  e  più  bella! 
S'  il  dissi,  Amor  I'  aurate  sue  quadrella 
Spenda  in  me  tutte,  e  1'  impiombate  in  lei! 
S'  il  dissi,  cielo  e  terra,  uomini  e  Dei 
Mi  sian  contrarj ,  ed  essa  ognor  più  fella  ! 
S'  il  dissi,  chi  con  sua  cieca  facclla 

Dritto  a  morte  m'  invia. 

Pur  ,  come  suol ,  si  stia, 

Ne  mai  più  dolce  o  pia 
Ver  me  si  mostri  in  atto ,  od  in  favella  ! 
S'  il  dissi  mai,  di  quel  eh'  i'  men  vorrei, 
Piena  trovi  quest'  aspra  e  breve  via  ! 
S'  il  dissi,  il  fero  ardor,  che  mi  disvia. 
Cresca  in  me,  quanto  il  fìcr  ghiaccio  in  costei! 
S'  il  dissi,  unqua  non  veggian  gli  occhj  mici 

Sol  chiaro,  o  sua  sorella, 

Né  donna,  né  don'/.clla, 

Ma  terribil  procella, 
Qual  Faraone  in  perseguir  gli  Ebrei  ! 
S'  il  dissi,  co'  sospir,  quant'  io  mai   fei. 
Sia  pietà  per  ine  inorta ,  e  cortesia  ! 
S'  il  diissi ,  il  dir  s'  iiinaspri,   che  h'udìa 
Sì  dolce  allor,  che  vinto  mi  rendei! 
S'  il  dissi,  io  s|>ia(-c!a  a  (inella,  eh'  i'  torrei 

Sol  chiuso  in  fosca  cella, 

Dal  di,  che  la  inaminella 

Lahciai ,   fui  elic  si  svelta 
Da  me  1'  alma,  adorar!  forse  '1  farci. 
Ma  s'  io  noi  dis^i,  chi  sì  dolce  apria 
Mio  cor  a  speme  nell'  età  novella, 


Regga  ancor  questa  stanca  navicella 
Col  governo  di  sua  pietà  natia, 
INè  diventi  altra,  ma  pur  qual  eolia 

Quando  più  non  potei, 

Che  me  stesso  perdei, 

Né  più  perder  dovrei  ! 
Mal  fa,  chi  tanta  fé  sì  tosto  obblia! 
Io  noi  dissi  giammai,  né  dir  poria 
Per  oro,  o  per  cittadi,  o  per  castella. 
Vinca  '1  ver  dunque,  e  si  rimanga  in  sella, 
E  vinta  a  terra  caggia  la  bugia! 
Tu  sai  in  me  il  tutto.  Amor:  s'  ella  ne  spia, 

Dinne  quel,  che  dir  dei; 

r  beato  direi 

Tre  volte,  e  quattro,  e  sei. 

Chi ,  dovendo  languir ,  si  morì  pria. 

Per  Rachel'  ho  servito ,  e  non  per  Lia  : 

Né  con  altra  saprei 

Viver ,  e  sosterrei. 

Quando  '1  ciel  ne  rappella, 
Girmen  con  ella  la  sul  carro  d'  Elia. 

Canzone    XX. 
Ben  mi  credea  passar  mio  tempo  omai. 
Come  passato  avea  quest'  anni  addietro, 
Senz'  altro  studio ,  e  senza  novi  ingegni  : 
Or  ,  poi  che  da  madonna  i'  non  impetro 
L'  usata  aita,  a  che  condotto  m'  hai. 
Tu  'i  vedi ,  Amor  ;  che  tal'  arte  m'  insegni  ; 

Non  so,  s'  i'  me  ne  sdegni. 
Che  'n  questa  età  mi  fai  divenir  ladro 

Del  bel  lume  leggiadro. 
Senza  '1  qual  non  vivrei  in  tanti  alTanni. 

Cosi  avess'  io  i  prim'  anni 
Preso  lo  stil,  eh'  or  prender  mi  bisogna! 
Che  'n  giovenil  fallire  é  men  vergogna. 
Gli  occhj  soavi,  ond'  io  soglio  aver  vita, 
Delle  divine  lor  alte  bellezze 
Fùrmi  in  sul  cominciar  tanto  cortesi, 
Che  'n  guisa  d'  uom,  cui  non  proprie  ricchezze 
Ma  celato  di  fuor  soccorso  aita, 
Vissimi ,  che  né  lor ,  né  altri  otl'esi. 

Or  bendi'  a  me  ne  pesi. 
Divento  ingiurioso  ed  importuno: 

Che  '1  poverel  digiuno 
Vien  ad  atto  talor,  eh'  in  miglior  stato 

Avria  in  altrui  biasmato. 
Se  le  man  di  pietà  invidia  m'  ha  chiuse, 
Fame  amorosa,  e  '1  non  poter  mi  scuse. 
Ch'  i'  ho  cercate  già  vie  più  di  mille 
Per  provar  senza  lor ,  se  mortai  cosa 
Mi  potesse  tenere  in  vita  un  giorno: 
L'  anima,  poi  eh'  altrove  non  ha  posa. 
Corre  pur  all'  angelielic  faville  ; 
Ed  io ,  che  son  di  cera ,  al  foco  torno, 

E  i)ongo  mente  intorno, 
Ove  oi  fa  inen   guardia  a  quel,  eli'  i'  bramo; 

E  come  augello  in  ramo. 
Ove  men  lenu-,  wi  più  to^to  é  colto, 

('osi  dal   suo  bel  volto 
L'  involo  or  uno,  ed  or  un  altro  sguardo 
E  di  ciò  insieme  mi  luilrico ,   ed  ardo 
Di  mia  morte  mi  pasco,  e  vivo  in  fiamme; 
Strano  cibo,  e  mirabii  salamandra! 
Ma  miraeol  non  è;  da  tal  «i  voie. 
Felice  agnello  alla  penosa  inandra 


[T5] 


RIME  DEL   PETRARCA. 


_[Ì6] 


Mi  giacqui  un  tempo  ;  or  all'  estremo  famme 
E  fortuna,  ed  amor,  pur  come  sole. 

Cosi  rose  e  viole 
Ha  primavera ,  e   1  verno  ha  neve  e  ghiaccio  : 

Però,  s'  i'  mi  procaccio 
Quinci  e  quindi  alimenti  al  viver  curto, 

Se  vuol  dir,  che  sia  furto. 
Sì  ricca  donna  deve  esser  contenta, 
S'  altri  vive  del  suo ,  eh'  ella  noi  senta. 
Chi  noi  sa,  di  eh'  io  vivo,  e  vissi  sempre 
Dal  di,  che  prima  que'  begli  occhj  vidi. 
Che  mi  fecer  cangiar  vita  e  costume? 
Per  cercar  terra  e  mar  da  tutti  lidi. 
Chi  può  saver  tutte  1'  umane  tempre.' 
L'  un  vive,  ecco,  d'  odor  là  sul  gran  fiume; 

Io  qui  di  foco  e  lume 
Queto  ì  frali  e  famelici  mìei  spirti. 

Amor  (e  vo'  ben  dirti), 
Disconviensi  a  signor  1'  esser  si  parco. 

Tu  hai  gli  strali  e  1'  arco  : 
Fa  ti  tua  man,  non  pur  bramando,  i'  mora: 
Ch'  un  bel  morir  tutta  la  vita  onora. 
Chiusa  fiamma  è  più  ardente ,  e  se  pur  cresce. 
In  alcun  modo  più  non  può  celarsi. 
Amor,  i'  '1  so,   che  '1  provo  alle  tue  mani. 
Vedesti  ben,  quando  si  tacito  arsi; 
Or  de'  miei  gridi  a  me  medesmo  incresce, 
Che  vo  nojaudo  e  prossimi ,   e  lontani. 

Oh  mondo,  oh  pensier  vani! 
Oh  mia  forte  ventura  a  che  m'  adduce! 

Oh  di  che  vaga  luce 
Al  cor  mi  nacque  la  tenace  speme, 

Onde  1'  annoda  e  preme 
Quella,  che  con  tua  forza  al  fin  mi  mena! 
La  colpa  è  vostra,  e  mio  '1  danno  e  la  pena. 
Così  di  ben  amar  porto  tormento, 

E  del  peccato  altrui  cheggio  perdono, 
Anzi  del  mio  :  che  dovea  torcer  gli  occly 
Dal  troppo  lume ,  e  di  sirene  al  suono 
Chiuder  gli  orecchj  :  ed  ancor  non  men'  pento, 
Che  di  dolce  veleno  il  cor  trabocchi. 

Aspett'  io  pur  che  scocchi 
L'  ultimo  colpo,  chi  mi  diede  il  primo, 

E  fia ,  e'  i'  dritto  estimo, 
Un  modo  di  piotate  occider  tosto. 

Non  essend'  ei  di^iposto 
A  far  altro  di  me,  che  quel  che  soglia: 
Che  ben  mor,  chi  morendo  esce  dì  doglia. 
Canzon  mia ,  fermo  in  campo 

Starò:  eh'  egli  è  disnor  morir  fuggendo. 

E  me  stesso  riprendo 
Di  tni  lamenti  :  sì  dolce  è  mia  sorte. 

Pianto,  sospiri,  e  morte. 
Servo  d'  amor,  che  queste  rime  leggi, 
Ben  non  ha  '1  mondo,  che  '1  mio  mal  pareggi. 
Sonetto  CLXXIII. 
Rapido  fiume,  che  di  alpestre  vena 

Rodendo  intorno,  onde  '1  tuo  nome  prendi, 
Notte  e  dì  meco  desioso  scendi, 
Ov'  amor  me ,  te  sol  natura  mena, 
fattene  innanzi  !  il  tuo  corso  non  frena 

Né  etanchezza,  nò  sonno,  e  pria  che  rendi 
Suo  dritto  al  mar,  fiso,  u'  si  mostri,  attendi 
L'  erba  più  verde,  e  1'  aria  più  serena: 
Ivi  è  quel  nostro  \ì\o  e  dolce  «ole, 

Ch'  adorna  e  'ufioru  la  tua  riva  manca. 


Forse  (oh  che  spero!)  il  mio  tardar  le  dole. 
Baciale  '1  piede,  o  la  man  bella  e  bianca! 
Dille:  il  baciar  sia  'n  vece  di  parole! 
Lo  spirto  è  pronto,  ma  la  carne  è  stanca. 

Sonetto   CLXXIV. 

I  dolci  colli,  ov'  io  lasciai  me  stesso, 

Partendo ,  onde  partir  giammai  non  posso, 
Mi  vanno  innanzi ,  ed  emmi  ognor  addosso 
Quel  caro  peso ,  eh'  amor  m'  ha  commesso. 

Meco  di  me  mi  meraviglio  spesso, 

Ch'  i'  pur  vo  sempre,  e  non  son  ancor  mosso 

Dal  bel  giogo  più  volte  indarno  scosso; 

Ma  coni'  più  me  n'  allungo,  e  più  m'  appresso. 

E  qiial  cervo  ferito  di  saetta 

Col  ferro  avvelenato  dentr'  al  fianco 
Fugge,  e  più  duolsi,  quanto  più  s'  affretta, 

Tal  io  con  quello  strai  dal  lato  manco, 
Che  mi  consuma ,  e  parte  mi  diletta. 
Di  duol  mi  struggo,  e  di  fuggir  mi  stanco. 

Sonetto   CLXXV. 

Ricercando  del  mar  ogni  pendice, 

Non  dall'  Ispano  Ibero  all'  indo  Idaspe, 

Ne  dal  lito  vermiglio  all'  onde  caspe. 

Né  'n  ciel ,  né  'n  terra  è  più  d'  una  fenice. 

Qual  destro  corvo ,  o  qiial  manca  cornice 
Canti  '1  mio  fato.''  o  qual  Parca  1'  innaspe? 
Che  sol  trovo  pietà  sorda  com'  aspe, 
Misero ,  onde  sperava  esser  felice. 

Ch'  i'  non  vo'  dir  di  lei;  ma  chi  la  scorge, 
Tutto  '1  cor  di  dolcezza ,  e  d'  amor  1'  empie, 
Tanto  n'  ha  seco,  e  tant'  altrui  ne  porge! 

£  per  far  mie  dolcezze  amare  ed  empie, 
O  s'  infinge,  o  non  cura,  o  non  s'  accorge 
Del  fiorir  queste  innanzi  tempo  tempie. 

Sonetto  CLXX\T 

Voglia  mi  sprona,  amor  mi  guida  e  scorge, 
Piacer  mi  tira,  usanza  mi  trasporta, 
Speranza  mi  lusinga  e  riconforta, 
£  la  man  destra  al  cor  già  stanco  porge. 

II  misero  la  prende,  e  non  s'  accorge 
Di  nostra  cieca,  e  disleale  scorta: 
Regnano  i  sensi,  e  la  ragion  è  morta. 
Dell'  un  vago  desio  1'  altro  risorge. 

Virtute,  onor,  bellezza,  atto  gentile. 
Dolci  parole  ai  bei  rami  m'  han  giunto. 
Ove  soavemente  il  cor  s'  invesca. 

Mille  trecento  ventisette  appunto, 
Suir  ora  prima  il  dì  sesto  d'  Aprile 
Nel  laberinto  intrai,  uè  veggio  ond'  esca. 

Sonetto  CLXX VII. 

Beato  in  sogno ,  e  di  languir  contento, 

D'  abbracciar  1'  ombre,  e  seguir  1'  aura  estiva. 
Nuoto  per  mar,  che  non  ha  fondo  o  riva. 
Solco  onile,  e  'n  rena  fondo,  e  scrivo  in  vento. 

E  il  sol  vagheggio  sì ,  eh'  egli  ha  già  spento 
Col  suo  splendor  la  mia  virtù  visiva. 
Ed  una  cerva  errante  e  fuggitiva 
Caccio  con  un  bue  zoppo  e  'n fermo  e  lento. 

Cieco  e  stanco  ad  ogni  altro,  eh'  al  mio  danno, 
Il  qual  dì  e  notte  palpitando  cerco, 
Sol  amor,  e  madonna,   e  nutrtc  chiamo. 

Cosi  vent'  anni  (grave  e  liuigo  affanno  !) 
Pur  lagrime,  e  sospiri,  e  dolor  merco. 
In  talo  stella  presi  1'  esca  e  i'  amo. 


n] 


RIME   DEL    PETRARCA. 


Sonetto    CLXXVIII. 
l'razie ,  eh'  a  pochi  il  ciel  largo  destina, 
Rara  virtù ,  non  già.  d'  iirnana  gente. 
Sotto  biondi  capei  canuta  mente, 
E  'n  uniil  donna  alta  beltà  divina, 
leggiadria  singolare  e  pellegrina, 
E  1  cantar,  che  nell'  anima  si  sente, 
L'  andar  celeste ,  e  '1  vago  spirto  ardente, 
Ch'  ogni  dur  rompe,  ed  ogni  altezza  inchina, 

;  que'  begli  occhj,  che  i  cor  fanno  smalti, 
Possenti  a  rischiarar  abisso  e  notti, 
E  torre  V  alme  a'  corpi,   e  darle  altrui, 

'ol  dir  pien  d'  intelletti  dolci  ed  alti, 
(Jon  i  sospir  soavemente  rotti,  — 
Uà  questi  magi  trasformato  fui. 
Sestina    VI. 

inzi  tre  d^  creata  era  alma  in  parte 
Da  por  sua  cura  in  cose  altere  e  nove, 
E  dispregiar  di  quel ,  eh'  a  molti  è  'n  pregio  : 
Quest'  ancor  dubbia  del  fatai  suo  corso, 
Sola  pensando,  pargoletta,  e  sciolta 
Intrò  di  primavera  in  un  bel  bosco. 

jira  un  tenero  fior  nato  in  quel  bosco 
Il  giorno  avanti  e  la  radice  in  parte, 
Ch'  appressar  noi  poteva  anima  sciolta; 
Che  v'  eran  di  lacciuo'  forme  si  nove, 
E  tal  piacer  precipitava  al  corso. 
Che  perder  liberiate  iv'  era  in  pregio. 

Caro,  dolce,  alto,  e  faticoso  pregio, 
Clie  'ratto  mi  volgesti  al  verde  bosco, 
Usato  di  sviarne  a  mezzo  '1  corso  ! 
Ed  ho  cerco  poi  '1  inondo  a  parte  a  parte, 
Se  versi,  o  pietre,  o  buco  d'  erbe  nove 
Mi  rendesser  un  di  la  mente  sciolta. 

Ma,  lasso!  or  veggio,  che  la  carne  sciolta 

ria  di  quel  nodo ,  ond'  è  i  suo   maggior  pregio, 

Prima  che  medicine  antiche  o  nove 

Saldin  le  piaghe,  eh'  i'  presi  'n  quel  bosco 

Folto  di  spine:  ond'  i'  ho  ben  tal  parte, 

Che  zoppo  n'  esco ,  e  'ntraivi  a  si  gran  corso. 

Pien  di  lacci,  e  di  stecchi,  un  duro  corso 
Aggio  a  fornire,  ove  leggera  e  sciolta 
Pianta  avrebbe  uopo,  e  sana  d'  ogni  parte. 
Ma  tu,  signor,  eh'  hai  di  pietate  il  pregio. 
Porgimi  la  man  destra  in  questo  bosco! 
Vinca  'l  tuo  sol  le  mie  tenebre  nove  ! 

Guarda  '1  mio  stato  alle  vaghezze  nove. 
Clic  'nternimpeiido  di  mia  vita  il  corso, 
M'  han  fatto  abitator  d'  omliroso  bosco  ! 
Rendimi,  s'  esser  può,  libera  e  sciolta 
L'  errante  mia  consorte,  e  fia  tuo  '1  pregio, 
S'  ancor  tei-.o  la  trovo  in  miglior  parte. 

Or  ecco  in  parte  le  question  mie  nove: 

S'  alcun  pregio  in  me  vive  o  'n  tutti»   è  curio. 
O  r  alma  bciolta ,  o  ritenuta  al  bosco  ? 

So>KTTO    CIAXIX. 
In  nohil  sangue  y  ita  umile  e  queta. 

Ed  in  alto  inlcllilto  lui  puro  core, 

Frutto  senile  in  sul  gioveiiil  fiore, 

E  in  appetto  pensoso  anima  lieta, 
Raccolto  ha  'u  (juesta  donna  il  suo  pianeta, 

Anzi   'I  re  delle  stelle,  e  'I   vero  «uiorc. 

Le  degne  lodi,  e  'I  gran  pregi»,   e  "1  valore, 

Ch'  è  da  stancar  ogni  divin  poeta. 
Amor  ti    è  in  lei  con  uneitatc  aggiunto. 


[78] 


Con  beltà  naturale  abito  adomo. 
Ed  un  alto,  che  parla  con  silenzio, 

E  non  so  che  negli  occhj ,  che  'n  un  punto 
Può  far  chiara  la  notte,  oscuro  il  giorno, 
E  '1  mele  amaro,  ed  addolcir  1'  assenzio. 
Sonetto     CLXXX. 

Tutto  'I  di  piango  ,  e  poi  la  notte ,  quando 
Prendon  riposo  i  miseri  mortali, 
Trovom'  in  pianto,  e  raddoppiarsi  i  mali; 
Così  spendo  'l  mio  tempo  lagrimando. 

In  tristo  umor  vo  gli  occhj  consumando, 
E    1  cor  in  doglia  ,  e  son  fra  gli  animali 
L'  ultimo  si ,  che  gli  amorosi  strali 
Mi  tengon  ad  ognor  di  pace  in  bando. 

Lasso  !  elle  pur  dall'  uno  all'  altro  sole, 

E  dall'  un'  ombra  all'  altra  ho  già  il  più  corso 
Di  questa  morte,  che  si  chiama  vita. 

Più  r  altrui  fallo,  che  "l  mio  mal,  mi  dolo; 
Che  pietà  viva,  e  '1  mio  fido  soccorso 
Vedem'  arder  nel  foco ,  e  non  m'  aita. 

Sonetto     CLXXXI. 

Già  desiai  con  sì  giusta  querela, 
E  'n  sì  fervide  rime  farmi  udire, 
Ch'  un  foco  di  pietà  fessi  sentire 
Al  duro  cor,  eh'  a  mezza  state  gela, 

E  r  empia  nube ,  che  'l  raffredda ,  e  vela, 
Rompesse  all'  aura  del  mio  ardente  dire, 
O  fessi  queir  altru'  in  odio  venire. 
Che  i  belli ,  onde  mi  struggo ,  occhj  mi  cela. 

Or  non  odio  per  lei,   per  me  pietate. 

Cerco:  che  quel  non  vo,'  questo  non  posso: 
Tal  fu  mia  stella ,  e  tal  mia  cruda  sorte  ! 

Ma  canto  la  divina  sua  beliate, 

Che,  quand'  i'  sia  di  questa  carne  scosso, 
I      Sappia  '1  mondo,  che  dolce  è  la  mia  morte. 

,  Sonetto    CLXXXII. 

Tra  quantimque  leggiadre  donne ,  e  belle 
I      Giunga  costei,  «;h'  al  mondo  ncui  ha  pare, 
j      Col  suo  bel  >iso  suol  dell    altre  fare 
i      Quel,  che  fa  "I   di  delle  minori   stelle. 
:  Amor  par,  eh'  all'  oreci^hie  mi  favelle, 
j      Dicendo:   quando' questa  in  terra  appare, 

Fia  '1  viver  bello  ;  e  poi  "1  ^eJrem  turbare, 
I      Perir  virtutì,  e  'l  mio  regno  con  elle. 
1  Come  natura  al  ciel  la  luna ,  e  '1  sole, 
I      All'  aere  i  venti  ,  alla  terra  erbe  e  fronde, 
I      All'  uomo  e  1'  intelletto,  e  le  pande, 
I  Ed  al  mar  ritogliessc  i  pesci  e  1'  onde. 

Tanto ,  e  più  fien   le  cose  oscure  e  sole, 
I      Se  morte  gli  occhj  suoi  chiude,  ed  asconde. 
!  Sonetto     CLXXMII. 

j  II  cantar  novo  ,  e  '1  pianger  degli  augelli 
j      In  sul  di  fanno  risentir  le  valli, 
'      E  'l  moruutrar  <le'  liquidi  cristalli 
Giù  per  lucidi  frecciti  ri^i,  e  snelli. 
Quella,  eh'  ha  neve  il  volto,  oro  i  capelli, 
j      Nel  cui  amor  non  fùr  mai    uganni .  nò  falli, 
Destami  al  suoii  degli  amorosi  balli, 
Peltiuinido  al  suo  Aceihio  i  bianchi  velli. 
Così  mi  sveglio  a  sabotar  l'  aurora 

E   'I  sol,  di'    è  ^eco,  e  più  1'  altro,   ond'   io  fui 
INe'  priiu'  anni  abbagliato,  e  siuio  ancora. 
r  gli  ho  veduti  aloni  giorno  ambediii 

Levarsi  iu.-ìeme ,  e    n  un  pimt(»,  e  'n  un'  ora 
Quel  far  le  stelle,  e  que«to  sparir  lui. 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[80] 


Sonetto    CLXXXIV. 

Onde  tolse  Amor  1'  oro,  e  di  qiial  vena, 
Per  far  due  trecce  bionde?  e'  n  quali  spine 
Colse  le  rose,  e  'n  qual  piaggia  le  brine 
Tenere  e  fresche,  e  die'  lor  polso  e  lena? 

Onde  le  perle,  in  eh'  ei  frange  ed  affrena 
Dolci  parole,  oneste,  e  pellegrine? 
Onde  tante  bellezze,  e  sì  divine 
Di  quella  fronte  più  che  '1  ciel  serena? 

Da  quali  angeli  mosse,  e  di  qual  spera 
Quel  celeste  cantar,  che  mi  disfacc 
Sì .  che  m'  avanza  ornai  da  disfar  poco  ? 

Di  qual  sol  nacque  V  alma  luce  altera 

Di  que  begli  occhj ,  ond'  i'  ho  guerra  e  pace, 
Che  mi  cuocono  '1  cor  in  ghiaccio  e  'n  foco? 

Sonetto    CLXXXV'. 

Qual  mio  destin ,  qual  forza  o  qual  inganno 
Mi  riconduce  disarmato  al  campo 
Là ,  've  sempre  son  vinto ,  e  s'  io  ne  scampo, 
Meraviglia  n'  avrò;  s'  i'  moro,  il  danno? 

Danno  non  già,  ma  prò;  sì  dolci  stanno 
Ael  mio  cor  le  faville ,  e  '1  chiaro  lampo, 
Che r  abbaglia,  e  lo  strugge,  e 'n  eh' io  m' avvampo; 
E  son  già  ardendo  nel  vegesim'  anno. 

Sento  i  messi  di  morte,  ove  apparire 

Veggio  i  begli  occhj  ,  e  folgorar  da  lungo  : 
Poi ,  s'  avvien  eh'  appressando  a  me  li  gire, 

Amor  con  tal  dolcezza  m'  unge  e  punge, 
Ch'  i'  noi  so  ripensar,  non  che  ridire: 
Che  né  'ngegno ,  né  lingua  al  vero  aggiunge. 

Sonetto    CLXXXM. 
P.   Liete  e  pensose,  accompagnate  e  sole 

Donne,  che  ragionando  ite  per  via; 

Ov'  è  la  vita ,  ov'  è  la  morte  mìa  ? 

Perchè  non  è  con  voi ,  com'  ella  sole? 
D.  Liete  siam  per  memoria  di  quel  sole  ; 

Dogliose  per  sua  dolce  compagnia. 

La  qual  ne  toglie  invidia  e  gelosia, 

Che  d'  altrui  ben ,  quasi  suo  mal ,  si  dole. 
P.  Chi  pon  freno  agli  amanti,  o  dà  lor  legge? 
D.       Nessun  all'  alma  ;  al  corpo  ira  ed  asprci  za  : 

Que^to  ora  in  lei,  talor  si  prova  in  ni>i. 
Ma  spesso  nella  fronte  il  cor  si  legge  : 

Si  vedemmo  oscurar  l'  alta  bellezza, 

E  tutti  rugiadosi  gli  occhj  suoi. 

Sonetto    CLXXXVIL 

Quando  '1  sol  bagna  in  mar  1'  aurato  carro, 
E  r  aer  nostro,  e  la  mia  mente  iiul)runa. 
Col  ciclo,  e  con  le  stelle,  e  con  la  luna 
In'  angosciosa  e  dura  notte  innarro. 

Poi,  lasso!  a  tal,  che  non  m'  ascoltii  ,  narro 
'l'ulte  le  mie  fatiche  ad  una  ad  una, 
E  col  mondo,  e  con  mia  cieca  fortuna, 
Con  itinitr .  c(in  madonna ,  e  meco  garro. 

Il   sonno  e  'n  band(»;  e  del  riposo  è  nulla: 
Ma  sospiri  e  lamenti  infìn  all'  alba, 
E  lagrime ,  che  V  ahna  agli  occhj  invia. 

Vien  poi  r  aurora,  e  1'  aura  fosca  inalba, 

Me  no;  ma  'I  sol,  die  'I  cor  in"  arde  e  trastulla. 
Quel  può  solo  addolcir  la  doglia  mia. 

Sonetto     CLXWVIII. 
S"  una  fede  amorosa ,  un  cor  non  finto, 
1 1.   languir  dolce ,  un  desiar  cortese, 
S°  oneste  voglie  in  gentil  foco  accuse. 


S'  un  lungo  error  in  cieco  laberinto. 

Se  nella  fronte  ogni  pensier  dipinto, 
Od  in  voci  interrotte  appena  intese, 
Or  da  paura ,  or  da  vergogna  offese, 
S'  un  pallor  di  viola  ,  e  d'  amor  tinto, 

S'  aver  altrui  più  caro  che  sé  stesso. 
Se  lagrimar  e  sospirar  mai  sempre. 
Pascendosi  di  duol,  d'  ira,  e  d'  affanno, 

S'  arder  da  lunge ,  ed  agghiacciar  di  presso 
Son  le  cagion  ,  eh'  amando  i'  mi  distcm|ire. 
Vostro ,  donna ,  '1  peccato ,  e  mio  fia  'l  danno 
Sonetto     CLXXXIX. 

Dodici  donne  onestamente  lasse, 

Anzi  dodici  stelle,  e  n  mezzo  un  sole 
Vidi  in  una  barchetta,  allegre,  e  sole, 
Qual  non  so  s'  altra  mai  onde  solcasse. 

Siniil  non  credo,  che  Giason  portasse 

Al  vello,  ond'  oggi  ogni  uom  vestir  si  vole, 
Né    1  pastor,  di  che  ancor  Troja  si  dole, 
De'  qua'  duo  tal  romor  al  mondo  fasse. 

Poi  le  vidi  in  un  carro  trionfale, 

E  Laura  mia  con  suoi  santi  atti  schifi 
Sedersi  in  parte,  e  cantar  dolremente; 

Non  cose  umane,  o  vision  mortale. 
Felice  Autumedon  '  felice  Tifi, 
Che  conduceste  sì  leggiadra  gente! 

Sovetto     CXC. 

Passer  mai  solitario  in  alcun  tetto 

Non  fu,  quant'  io,  né  fera  in  alcun  bosco: 
Ch'  i'  non  veggio  'l  bel  viso,  e  non  conosco 
Altro  sol,  né  quest'  occhj  hann'  altro  obbietto. 

Lagrimar  sempre  è  i  mio  sommo  diietto. 
Il  rider  doglia ,  il  cibo  assenzio  e  tosco. 
La  notte  affanno,  e  '1  ciel  seren  m"  è  fosco 
E  duro  campo  di  battaglia  il  letto. 

Il  sonno  é  veramente ,  qual  u(  m  dice, 
Parente  della  morte,  e  '1  cor  sottragga 
A  quel  dolce  pensier,  che  'n  vita  il  tiene. 

Solo  al  mondo  paese  almo  felice, 
Verdi  rive,  fiorite  ombrose  piagge, 
Voi  possedete,  ed  io  piango  '1  mio  bene. 

Sonetto     CXCI. 

Aura ,  che  quelle  chiome  bionde  e  crespe 
Circondi  e  movi,  e  se'  mossa  da  loro 
Soavemente ,  e  spargi  quel  d(»lce  oro, 
E  poi  '1  raccogli,  e  'n  bei  nodi  *l  rincrcspe; 

Tu  stai  negli  occhj,  ond'  amorose  vespe 

Mi  pungon  si ,  che  'nfin  qua  il  sento  e  ploro, 

E  vacillando  cerco  il  mio  tesoro, 

Coni'  animai,  che  spesso  adombro  e  'ncespe  : 

Ch'  or  mei  par  ritrovar,  ed  or  m'  accorgo, 

Ch'  i'  ne  son  lunge;  or  mi  sollevo,   or  caggio  : 
Cir  or  quel  eh'  i'  bramo,  or  quel  eh'  è  vero,  scorgo. 

Aér  felice,  col  bel  vivo  raggio 

Rimanti  !  e  tu  ,  corrente  e  chiaro  gorgo. 
Che  non  poss'  io  cangiar  tcco  viaggio  ? 
Sonetto     CXCII. 

Amor  con  la  man  destra  il  lato  manco 

M'  aperse,  e  piantovv   entro  in  mezzo  'i  core 

l'n  lauro  verde  kì ,  che  di  colore 

Ogni  smeraldo  avria  ben  vinto  e  stanco. 

Vomer  di  penna  con  sospir  del  fianco, 

E  'I  piover  giù  d.igli  eiccbj  un  dolce  umore 

ì      L'  adornar  sì ,  eh'  al  ci«l  n'  andò  1'  odore, 

I      Qual  non  so  già,  se  d'  altre  frondi  unquanco. 


I 


*1] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


ima,  onor,  e  TÌrtiite  ,  e  leggiadria, 
(lista  bellezza  in  abito  celeste, 
Son  le  radici  della  nobil  pianta. 
'  il   la  mi  trovo  al  petto ,  ove  eh'  i'  sia  ; 
Felice  incarco  !  e  con  preghiere  oneste 
L'  adoro ,  e  'ncliino ,  come  cosa  santa. 

Sonetto     CXCIII. 
ijintai;  or  piango,  e  non  men  di  dolcezza 
'Del  pianger  prendo,  che  del  canto  presi; 
Ch'  alla  cagion ,  non  all'  efletto ,  intesi 
Son  i  miei  sensi  vaghi  pur  d'  altezza. 
dì  e  mansuetudine,  e  durezza 
|Ed  atti  fieri,  ed  umili,  e  cortesi 
Porto  egualmente,  né  mi  gravan  pesi, 
IN  è  r  arme  mie  punta  di  sdegni  spezza. 
;ngan  dunque  ver  me  1'  usato  stile 
Amor,  madonna,  il  mondo,  e  mia  fortuna, 
Ch'  r  non  penso  esser  mai  se  non  felice. 
'(hi,o  mora,  o  languisca,  un  più  gentile 
Stato  del  mio  non  è  sotto  la  luna  : 
I  Si  dolce  è  del  mio  amaro  la  radice  ! 
I  Sonetto     CXCIV. 

piansi  ;  or  canto ,  che  '1  celeste  lume 
(^nel  vivo  sole  agli  occhj  miei  non  cela, 
Sci  qual  onesto  amor  chiaro  rivela 
Sua  dolce  forza,  e  suo  santo  costume: 
ule  e'  suol  trar  di  lagrime  tal  fiume, 
Per  accorciar  del  mio  viver  la  tela, 
(he  non  pur  ponte,  o  guado,  o  remi,  o  vela, 
^la  scampar  non  potieiumt  ale ,  né  piume, 
profond'  era,  e  di  si  larga  vena 
H  pianger  mio,  e  sì  lungi  la  riva, 
VAv  i'  vi  aggiungeva  col  pensier  appena. 
)n  lauro ,  o  palma ,  ma  tranquilla  oliva 
l'ictà  mi  manda,  e  'i  tempo  rasserena, 
E    1  pianto  asciuga ,  e  vuol  ancor  eh'  i'  viva. 

Sonetto     CXCV, 
mi  vivea  di  mia  sorte  contento. 
Senza  lagrime,  e  senza  invidia  alcuna. 
Che,  s'  altro  amante  ha  più  destra  fortuna, 
Mille  piacer  non  vogliono  un  tormento, 
r  que'  begli  occhj,  ond'  io  mai  non  mi  pento 
Delle  mie  pene ,  e  men  non  ne  voglio  una. 
Tal  nebbia  copre ,  si  gravosa  e  bruna, 
Che  '1  sol  della  mia  vita  ha  quasi  spento, 
natura,  pietosa  e  fera  madre, 
Onde  tal  possa,  e  sì  contrarie  voglie, 
Di  far  cose,  e  disfar  tanto  leggiadre? 
'  un  vivo  fonte  ogni  poter  s'  accoglie: 
Ma  tu,  come  '1  consenti,  oh  sommo  padre, 
Che  del  tuo  caro  dono  altri  ne  spoglie? 

So  NETTO      C\C\  L 

incitnrc  Alessandro  V  ira  vinse, 
E  fcl  minor  in  parte,  che  Filippo; 
Che  gli  vai,  se  Pirgotele ,  e  Lisippo 
L'  intagliar  solo,  ed  Apellc  il  dipinse? 

i'  ira  'l'idèo  a  tal  rabbia  sospinse. 
Che  morend'  ci  si  rose  Menalippo: 
L'  ira  cieco  del  tutto,  non  pur  lippo, 
Fatto  uvea  Siila,  ali    ultimo  1'  cstinse. 

al  \alentiiiinii,  eh'  a  simil  pena 
Ira  ctmdiice,  e  sai,  quei  che  ne  moro, 
A.jai«!  in  molti ,  e  po'  in  sé  stesso  forte. 

ra  è  breve  furor,  e  chi  noi  frena, 
K  furor  lungo ,  che  '1  suo  possessore 
Spesso  a  vergogna,  e  tulor  mena  a  morte. 


[82] 


Sonetto     CXC\TI. 

Qual  ventura  mi  fu,  quando  dall'  uno 
De'  duo  i  più  begli  occhj ,  che  mai  furo, 
Mirandol  di  dolor  turbato  e  scuro, 
Mosse  virtù,  che  fé  '1  mio  infermo,  e  bruno! 

Send'  io  tornato  a  solver  il  digiuno 
Di  veder  lei ,  che  sola  al  mondo  curo, 
Fummi  '1  ciel  ed  amor  men  che  mai  duro, 
Se  tutte  altre  mie  grazie  insieme  aduno: 

Che  dal  destr'  occhio,  anzi  dal  destro  sole 
Della  mia  donna  al  mio  destr'  occhio  venne 
U  mal,  che  mi  diletta,  e  non  mi  dole: 

E  pur,  come  intelletto  avesse  e  penne, 
Passò,  quasi  una  stella,  che  'n  ciel  vole, 
£  natura  e  pietate  il  corso  tenne. 

Sonetto    CXCHIL 
Oh  cameretta,  che  già  fosti  un  porto 

Alle  gravi  tempeste  mie  diurne, 

Fonte  se'  or  di  lagrime  notturne, 

Che  '1  di  celate  per  vergogna  porto. 
Oh  letticciuol,  che  requie  eri,  e  conforto 

In  tanti  affanni,  di  che  dogliose  urne 

Ti  bagna  Amor  con  quelle  mani  eburne, 

Solo  ver  me  crudeli  a  sì  gran  torto! 
\è  pur  il  mio  secreto ,  e  '1  mio  riposo 

Fuggo ,  ma  più  me  stesso ,  e  '1  mìo  pensiero  ; 

Che  seguendoi  talor  levomi  a  volo. 
U  vulgo  a  me  nemico  ed  odioso 

(Chi  1  pensò  mai  ?)  per  mio  refugio  chero  : 

Tal  paura  ho  di  ritrovarmi  solo! 

Sonetto    CXCIX, 

Lasso ,  amor  mi  trasporta  ov'  io  non  voglio  ; 
E  ben  m'  accorgo  ,  che  '1  dover  si  varca: 
Onde,  a  chi  nel  mio  cor  siede  monarca, 
Son  importuno  assai  più,  eh'  i'  non  soglio. 

\è  mai  saggio  nocchier  guardò  da  scoglio 
Nave  di  merci  preziose  carca, 
Quant'  io  sempre  la  debile  mia  barca 
Dalle  percosse  del  suo  duro  orgoglio. 

Ma  lagrimosa  pioggia ,  e  fieri  venti 
D'  infiniti  sospiri  or  l'  hanno  spinta, 
Ch'  é  nel  mio  mar  orribil  notte  e  verno, 

Ov  altrui  noje,  a  sé  doglie  e  tormenti 
Porta ,  e  non  altro ,  già  dall'  onde  viotai 
Disarmata  di  vele,  e  di  governo. 

Sonetto     CO. 
Amor,  io  fallo,  e  veggio  il  mio  fallire: 

Ma  fo  sì  com'  uom,  eh'  arde,  e  '1  f«>co  ha  'n  seno; 

Che  '1  duol  pur  cresce,  e  la  ragion  vien  meno, 

Ed  è  già  quasi  vinta  dal  martire. 
Solea  frenare  il  mio  caldo  delire. 

Per  non  turbar  il  bel  >  iso  sereno: 

IVon  posso  |)iù ,  di  man  m'  hai  tolto  il  freno; 

E  r  alma  disperando  ha  pre^o  ardire. 
Però,  s'  oltra  suo  !>tile  ella  s'  a\ venta, 

Tn  'ì  fai,  clic  sì   r  accendi,  e  sì  la  sproni, 

Ch'  ogni  aspra   ^ia  per  sua  salute  tenta. 
E  più  'I   fanno   i  celesti  e  rari  doni, 

Cir  ha  in  sé  madonna:  or  fa  nimen,  eh'  ella  il  senta 

E  le  mio  colpe  a  sé  stessa  perdoni. 

Sestina     VII. 
I  Non  ha  tanti  animali  il  mar  fra  l'  onde, 
{      Né  là  su  sopra    l  cerchio  della  luna 
I      Vide  unii  tante  stelle  alcuna  notte, 

6 


[83] 


RIME  DEL    PETRARCA. 


[841 


Né  tanti  augelli  albergan  per  li  boschi, 
Nò  tant'  erbe  ebbe  mai  campo  né  piaggia, 
Quanti  ha  '1  mio  cor  pensier  ciascuna  sera. 

Di  di  in  dì  spero  omai  1'  ultima  sera, 
Che  scevri  in  me  dal  vivo  terren  1'  onde, 
E  mi  lasci  dormire  in  qualche  piaggia; 
Che  tanti  affanni  uom  mai  sotto  la  luna^ 
Non  sofferse,  quant'  io:  sannoisi  i  boschi, 
Che  sol  YO  ricercando  giorno  e  notte. 

I'  non  ebbi  giammai  tranquilla  notte. 
Ma  sospirando  andai  mattina  e  sera. 
Poi  eh'  amor  femmi  un  cittadin  de'  boschi. 
Ben  fia  in  prima,  eh'  i'  posi  il  mar  senz'  onde, 
E  la  sua  luce  avrà  '1  sol  dalla  luna, 
E  i  fior  d'  aprii  morranno  in  ogni  piaggia. 

Consumando  mi  vo  di  piaggia  in  piaggia 
il  di  pensoso;  poi  piango  la  notte, 
Né  stato  ho  mai,  se  non  quanto  la  luna.         [^ 
Ratto ,  come  imbrunir  veggio  la  sera, 
Sospir  del  petto,  e  degli  occhj  escon  onde. 
Da  bagnar  i'  erbe,  e  da  crollare  i  boschi. 

Le  città  son  nemiche,  amici  i  boschi 

A'  miei  pensìer,  che  per  quest'  alta  piaggia 
Sfogando  vo  col  mormorar  dell'  onde 
Per  lo  dolce  silenzio  della  notte; 
Tal  eh'  io  aspetto  tutto  '1  dì  la  sera, 
Che  '1  sol  si  parta  e  dia  luogo  alla  luna. 

Deh  or  foss'  io  col  vago  della  luna 
Addormentato  in  qualche  verdi  boschi, 
E  questa,  eh'  anzi  vespro  a  me  fa  sera. 
Con  essa ,  e  con  amor  in  quella  piaggia 
Sola  venisse  a  stars'  ivi  una  notte, 
E  '1  dì  si  stesse ,  e  '1  sol  sempre  nell'  onde  ! 

Sovra  dure  onde  al  lume  della  luna, 

Canzon  ,  nata  di  notte  in  mezzo  i  boschi. 
Ricca  piaggia  vedrai  diman  da  sera. 

Sonetto     CCI. 

Real  natura,  angelico  intelletto, 

Chiar'  alma ,  pronta  vista ,  occhio  cerviero. 
Provvidenza  veloce,  alto  pensiero, 
E  verr.inento  degno  di  quel  petto! 

Scudo  di  donne  un  bel  numero  eletto 
Per  adornar  il  dì  festo  ed  altero. 
Subito  scorse  il  buon  giudicio  intero 
Fra  tanti,  e  si  bei  volti,  il  più  perfetto: 

L'  altre  maggior  di  tempo  ,  o  di  fitrtuna 
Trarsi  in  »!isparte  comandò  con  mano, 
E  caramente  accolse  a  sé  queir  una: 

Gli  occlìj  e  la  fronte  con  sembiante  lunano 
Bacciolle  sì,  che  rallegrò  ciascuna: 
Me  empiè  d'  invidia  1'  atto  dolce  e  strano. 

Sestina     Vili. 

Là  ver  I'  aurora ,  che  si  dolce  1'  aura 
Al  tnnpo  nuovo  suol  muovere  i  fiori, 
E  gli  augelktti  inconiinciar  lor  vcr.-i. 
Si  dolcemente  i  pensier  dentro  all'  alma 
Mover  mi  sento  a  cbi  gli  ha  tutti  in  forza. 
Che  ritornar  convienimi  alle  mie  note. 

Ttmprar  potè»-;'  io  in  si  soavi  note 
I  miei  sori|)iri,  eh'  addoloisser  Laura, 
Facendo  a  lei  raf;i(in,  eh'  a  me  fa  forza! 
IMa  pria  (ia    1  verno  la  Rla>^ion  de'  fiori, 
Cli'  amor  fiorisca  in  (|iu-lla  nobil'  alma. 
Che  non  curò  giammai  rime ,  né  versi. 


Quante  lagrime,  lasso,  e  quanti  versi 

Ho  già  sparli  al  mio  tempo  !  e  'n  quante  note 

Ho  riprovato  umiliar  quell'  alma! 

Ella  si  sta  pur  com'  aspr'  alpe  all'  aura 

Dolce ,  la  qual  ben  move  frondi  e  fiori, 

Ma  nulla  può,  se  'ncontr'  ha  maggior  forza. 

Uomini  e  Dei  solca  vincer  per  forza 

Amor,  come  si  legge  in  prosa,  e  'n  versi. 
Ed  io  '1  provai  sul  primo  aprir  de'  fiorL 
Ora  né  '1  mio  signor,  né  le  sue  note. 
Né  '1  pianger  mio ,  né  i  preghi  pon  far  Laura 
Trarre  o  di  vita,  o  di  martir  quest'  alma. 

All'  ultimo  bisogno,  oh  miser'  alma, 

Accampa  ogni  tuo  ingegno  ,  ogni  tua  forza. 
Mentre  fra  noi  di  vita  alberga  1'  aura! 
Nuli'  al  mondo  è ,  che  non  possano  i  versi  : 
E  gli  aspidi  incantar  sanno  in  lor  note, 
Non  che  '1  gelo  adornar  di  novi  fiori. 

Ridon  or  per  le  piagge  erbette  e  fiori: 
Esser  non  può ,  che  qnell'  angelic'  alma 
Non  senta  '1  suon  dell'  amorose  note. 
Se  nostra  ria  fortuna  è  di  più  forza, 
Lngrimando ,  e  cantando  i  nostri  versi, 
E  col  bue  zoppo  andrem  cacciando  1'  aura. 

In  rete  accolgo  1'  aura,  e  'n  ghiaccio  i  fiori, 
E  'u  versi  tento  sorda  e  rìgid'  alma. 
Che  uè  forza  d'  amor  prezza,  né  note. 

Sonetto    CCII. 

r  ho  pregato  Amor,  e  nel  riprego, 
Che  mi  scusi  appo  voi,  dolce  mia  pena, 
Amaro  mio  diletto ,  se  con  piena 
Fede  dal  dritto  mìo  sentier  mi  piego. 

r  noi  posso  negar,  donna ,  e  noi  nego. 

Che  la  ragion,  eh'  ogni  buon'  alma  affrena. 
Non  sia  dal  voler  vinta;  ond'  ei  mi  mena 
Talor  in  parte,  ov'  io  per  forza  il  sego. 

Voi  con  quel  c(»r,  che  di  sì  chiaro  ingegno. 
Di  sì  alta  virtute  il  cielo  alluma. 
Quanto  mai  piovve  da  benigna  stella, 

Dovete  dir  pietosa  e  senza  sdegno: 

Che  può  questi  altro.''  il  mio  volto  '1  consuma: 
Ei  perché  ingordo,  ed  io  perché  sì  bella? 

Sonetto    CCIII. 
L'  alto  signor ,  dinanzi  a  cui  non  vale 

Nasconder,  né  fuggir,  né  far  difesa. 

Di  bel  piacer  m'  avea  la  mente  accesa 

Con  un  ardente  ed  amoroso  strale. 
E  benché  '1  primo  colpo  aspro  e  mortale 

Fosse  da  sé,  per  avanzar  sua  impresa, 

Una  saetta  di  pietate  ha  presa, 

E  quinci  e  quindi  '1  cor  punge,  ed  assale. 
L'  una  piaga  arde,  e  versa  foco  e  fiamma. 

Lagrime  1'  altra,  che  '1  dolor  distilla 

Per  gli  occhj  mìei  del  vostro  stato  rio. 
Né  per  duo  fonti  sol  una  favilla 

Rallenta  dell'  incendio  ,  che  m'  infiamma, 

Anzi  per  la  pietà  cresce  '1  desio. 

S  0  w  E  T  T  o     CCI  V. 

Mira  quel  colle,  oh  stanco  mio  cor  vago! 
Ivi  lasciammo  jer  lei,  eh'  alcun  tempo  ebbe 
Qualche  cura  di  noi ,  e  le  ne  'ncrcbbc, 
Or  vorria  trar  degli  occhj  nostri  un  lago. 

Torna  tu  in  là!  eh'  io  d'  esser  sol  in'  appago. 
Tenta,  se  forse  ancor  tempo  sarebbe 


5] 


RIME  DEL   PETRARCA. 


[86] 


Dii  scemar  nostro  duol,  che  "nfin  qui  crebbe, 
Oli  del  mio  mal  partecipe  e  presajifo  ! 

(   tu,  eh'  hai  post»  te  stesso  in  obblio, 
E  parli  al  cor  pur  coin'  e'  fos^c  or  teco, 
[Vli-^cro  e  pien  di  pensier  rani  e  sciocchi, 

ti'  al  dipartir  del  tuo  sommo  desio 
Tu  ten'  andasti ,  e'  si  rimase  seco, 
E  si  nascose  dentro  a'  suoi  begli  occhj. 

Sonetto    CCV. 
]  esco ,  ombroso  ,  fiorito  ,  e  Terde  colle, 
Ov'  or  pensando ,  ed  or  cantando  siede, 
lE  fa  qui  de'  celesti  spirti  fede 
IQuelIa,  eh'  a  tutto  'i  mondo  fama  tolle, 
]j  mio  cor ,  che  per  lei  lasciar  mi  volle, 
E  fb'  gran  senno,  e  più,  se  mai  non  riede, 
'Vfi,  or  contando ,  ove  da  quel  bel  piede 
Segnata  è  1'  erba,  e  da  quest'  occhj  molle. 
I  co  si  stringe,  e  dice  a  ciascun  passo: 
Deh ,  fosse  or  qui  quel  miser  pur  un  poco, 
Ch'  è  già  di  pianger  e  di  viver  lasso  ! 
la  sei  rido,  e  non  è  pari  il  gioco; 
Tu  paradiso,  ì'  senza  core  un  sasso, 
Oh  sacro  avventuroso  e  dolce  loco  ! 

Sonetto    CCVI. 

miil  mi  preme ,  e  mi  spaventa  '1  peggio, 
A!  qual  veggio  si  larga  e  piana  via, 
Ch    i'  son  intrato  in  simil  frenesia, 
E  con  duro  pensier  tcco  vaneggio. 
■  ^o ,  se  guerra,  o  pace  a  Dio  mi  cheggio: 
Chù  '1  danno  è  grave,  e  la  vergogna  ù  ria. 
Ma  perchè  più  languir?  dì  noi  pur  fia 
Quel ,  eh'  ordinato  è  già  nel  sommo  seggio. 
ench'  i'  non  sia  di  quel  grande  onor  degno, 
Che  tu  mi  fai ,  che  te  ne  'nganna  amore, 
Che  spesso  occhio  ben  san  fa  veder  torto, 
ur  d'  alzar  1'  alma  a  quel  coleste  regno 
Yj  '1  mio  consiglio,  e  di  s|)rotiare  il  core: 
Perchè  '1  carain  è  lungo,  e  '1  tempo  è  corto. 

Sonetto     CCVII. 
uè  rose  fresche ,  e  colte  in  paradiso 

L'  altr'  ier  nascendo,  il  di  primo  di  maggio, 

Bel  dono,  e  d'  un  amante  antico  e  saggio, 

Tra  duo  minori  egualmente  diviso, 
on  si  dolce  parlar ,  e  con  un  riso 

Da  far  innamorar  un  uom  selvaggio, 

Di  sfavillante  ed  amoroso  raggio 

E  r  uno  e  1'  altro  fé'  cangiar  il  viso, 
on  vede  un  simil  par  d'  amanti  il  sole, 

Dicea  ridendo  e  sospirando  insieme, 

K  stringendo  ambedue  volgcasi  attorno. 
0HÌ  partìa  le  rose ,  e  le  parole, 

Onde  'l  cor  lasso  ancor  s'  allegra  e  teme. 

Oh  felice  eloquenza  !  oh  lieto  giorno  ! 

Sonetto    CCVIII. 
i'  aura  ,  che  'l  verde  lauro ,  e  1'  aureo  crine 

Soavemente  sospirando  rao^c. 

Fa  con  sue  viste  Icggiadretto  e  nove 

Ij'  anime  da'  lor  corpi  pellegrine, 
'andida  rona  nata  in  dure  spine, 

Quando  fu\  chi  «uà  pari  al  mondo  trovo? 

Gloria  di  noxtra  ef.ite  !  oh  vivo  (ìiove, 

Manda,  prego,  il  iiiitt  in  prima,  che  'I  suo  fine, 
Sìrir  io  non  veggia  il  gran  publtlico  danno, 

E  '1  mondo  rimaner  senza  '1  suo  sole, 


Né  gli  occhj  miei,  che  luce  altra  non  hanno, 
Kè  l'  alma,  che  pensar  d'  altro  non  vole, 
Né  r  orecchie,  eh'  udir  altro  non  sanno 
Senza  1'  oneste  sue  dolci  parole. 

Sonetto     CCIX. 

Parrà  forse  ad  alcun,  che  'n  lodar  quella, 

Ch'  i'  adoro  in  terra,  errante  sia  '1  mio  stile, 
Facendo  lei  sovr'  ogni  altra  gentile, 
Santa,  saggia,  leggiadra,  onesta  e  bella. 

A  me  par  il  contrario;  e  temo,  eh'  ella 

Non  abbi'  a  schifo  il  mio  dir  troppo  umile. 
Degna  d'  assai  più  alto  e  più  sottile; 
E  chi  noi  crede,  venga  egli  a  vederla! 

Sì  dirà  ben  :  quello ,  ove  questi  aspii'a, 
È  cosa  da  stancar  Atene,  Arpìno, 
Mantova,  e  Smirna,  e  1'  una  e  1'  altra  lira. 

Lingua  mortale  al  suo  stato  divino 
Giunger  non  potè:  amor  la  spinge  e  tira, 
Non  per  elezion ,  ma  per  destino. 

Sonetto    CCX. 

Chi  Tuoi  veder,  quantunque  può  natura 
E  '1  ciel  tra  noi ,  venga  a  mirar  costei, 
Ch'  è  sola  un  sol,  non  pur  agli  occhj  miei, 
Ma  al  mondo  cieco,  che  virtù  non  cura. 

E  venga  tosto  ;  perchè  morte  fura 
Prima  i  migliori ,  e  lascia  star  i  rei. 
Questa,  aspettata  al  regno  degli  Dei, 
Cosa  bella  mortai  passa  e  non  dura. 

Vedrà,  s'  arriva  a  tempo,  ogni  virtute. 
Ogni  bellezza,  ogni  real  costume 
Giunti  in  un  corpo  con  mirabil  tempre. 

Allor  dirà,  che  mie  rime  son  mute, 
L'  ingegno  ofteso  dal  soverchio  lume  ; 
Ma  se  più  tarda ,  avrà  da  pianger  sempre. 

Sonetto    CCXI. 

Qual  paura  ho ,  quando  mi  torna  a  mente 
Quel  giorno ,  eh'  i'  lasciai  grave  e  pensosa 
Madonna,  e  '1  mio  cor  seco!  e  non  è  cosa, 
Che  si  volentier  pensi ,  e  sì  sovente. 

r  la  riveggio  starsi  umilemente 

Tra  beile  donne,  a  guisa  d'  una  rosa 
Tra  minor  fior,  né  lieta  né  dogliosa, 
Come  chi  teme,  ed  altro  mal  non  sente. 

Deposta  avea  1'  usata  leggiadria. 

Le  perle,  e  le  ghirlande,  e  i  panni  allegri, 
E  il  riso ,  e  '1  canto ,  e  'l  parlar  dolce  umano. 

Così  in  dubbio  lasciai  la  vita  mia. 

Or  tristi  augurj  ,  e  sogni ,  e  pensier  negri 

31i  danno  assalto;  e  piaccia  a  Dio  che  'u  vano! 

Sonetto    CCXIL 

Solca  lontana  in  sonno  consolarme 
Con  quella  dolce  angelica  sua  vista 
Madonna:  or  mi  spaventa,  e  mi  contrista; 
Nò  di  duol,  uè  di  tema  po-iso  aitanue: 

Che  spesso  nel  suo  volto  veder  panne 
Vera  pietà  con  grave  dolor  mista. 
Ed  udir  cose,  onde  '1  cor  fede  acquista, 
(>he  di  gioja ,  e  di  speme  si  disarmo. 

Non  ti  so^\i('n  di  queir  ultima  sera, 

Dice  ella,  <-h'  i'  lasciai  gli  «tccbj  tuoi  molli, 
E  sforzata  dal  tempo  nu-n'  andai.'' 

1'  non  tei   pulci  dire  allor,   né  Aolli, 

Or  tei  dico  per  ro-^a  esperta  e  ìera: 
I      Non  sperar  di  %  cdcriui  in  terra  mai  ! 

G  * 


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RIME   DEL   PETRARCA. 


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Sonetto    CCXIU. 

Oh  ^misera  ed  orribil  visione! 

E  dunque  Ter,  che  'nnanzi  tempo  spenta 
Sia  1'  alma  luce ,  che  suol  far  contenta 
Mia  vita  in  pene,  ed  in  speranze  bone? 

Ma  com'  è  che  sì  gran  romor  non  sone 
Per  altri  mcs«i ,  o  per  lei  stessa  il  senta? 
Or  ffià  Dio  e  natura  noi  consenta, 
E  falsa  sia  mia  trista  opinione  ! 

A  me  pur  giova  di  sperare  ancora 
La  dolce  vista  del  bel  viso  adorno, 
Che  me  mantiene,  e  '1  secol  nostro  onora. 

Se  per  salir  all'  eterno  soggiorno 
Uscita  è  pur  del  beli'  albergo  fora. 
Frego  non  tardi  il  mio  ultimo  giorno. 

Sonetto    CCXIV. 
In  dubbio  di  mìo  stato  or  piango ,  or  canto  ; 

E  temo ,  e  spero ,  ed  in  sospiri ,  e  'n  rime 

Sfogo  '1  mio  incarco:   amor  tutte  sue  lime 

Usa  sopra  '1  mio  cor  afflitto  tanto. 
Or  fia  giammai,  che  quel  bel  viso  santo 

Renda  a  qucst'  occhj  le  lor  luci  prime  ? 

(Lasso!  non  so  che  di  me  stesso  estime:) 

0  li  condanni  a  sempiterno  pianto? 
E  per  prender  il  ciel  debito  a  lui, 

jNon  curi  che  si  sia  di  loro  in  terra, 

Di  eh'  egli  è  '1  sole,  e  non  veggiono  altrui? 
In  tal  paura,  e  'n  si  perpetua  guerra 

Vivo ,  eh'  i'  non  son  più  quel  che  già  fui  ; 

Qual  chi  per  via  dubbiosa  teme,  ed  erra. 

So  NETTO      CCXV. 

Oh  dolci  sguardi,  oh  parolette  accorte, 

Or  fia  mai  '1  dì,  eh'  io  vi  riveggia  ed  oda? 
Oh  chiome  bionde,  di  che  '1  cor  m'  sinnoda 
Amor ,  e  così  preso  il  mena  a  morte  l 

Oh  bel  viso  a  me  dato  in  dura  sorte, 

Di  eh'  io  sempre  pur  pianga,  e  mai  non  goda! 
Oh  dolce  inganno,  ed  amorosa  froda, 
Darmi  un  piacer,  che  sol  pena  m'  apporte  ! 

E  se  talor  da'  begli  occhj  soavi, 

Ove  mia  vita ,  e  '1  mio  pensiero  alberga, 
Forse  mi  vien  qualche  dolcezza  onesta, 

Subito ,  acciò  eh'  ogni  mio  ben  disperga, 
E  m'  allontano,  or  fa  cavalli,  or  navi 
Fortuna,  eh'  al  mio  mal  sempr'  è  si  presta. 

Sonetto    CCWI. 

Io  pur  ascolto ,  e  non  odo  novella 
Della  dolce  ed  amata  mia  nemica, 
Kè  so,  che  me  ne  pensi,  o  che  mi  dica, 
Sì  'I  cor  tema  ,  e  speranza  mi  pimtella 

Norque  ad  alcuna  già  l'  esser  sì  bella  : 
QiiCfta  più  d'  altra  è  bella,  e  più  pudica. 
For^e  vuol  Dio  tal  di  virtute  amica 
Torre  alla  terra,  e  'n  ciel  farne  una  stella, 

Anzi  un  sole:  e  se  questo  è,  la  mia  vita 
I  mici  corti  riposi,  e  i  lunghi  aflanni 
Son  giunti  al  line.     Oh  dura  dipartita, 

Perche  lontaii  in'  hiii  fatto  da'  miei  danni 
La  mia  favola  breve  è  già  compita, 
E  fornito  il  mio  tempo  a  mezzo  gli  ano 

S  o  \  K  T  T  o     CCXVII. 
La  sera  desiar,  odiar  V  a<irora 

Soglion  questi  tranquilli,  e  lieti  amanti; 
A  me  doppia  la  bcra  e  doglia ,  e  pianti. 


La  mattina  è  per  me  più  felice  ora  : 
Che  spesso  in  un  momento  apron  allora 

L'  un  sole  e  1'  altro  quasi  duo  levanti. 

Di  beliate  e  di  lume  si  sembianti, 

Ch'  anco  '1  ciel  della  terra  s'  innamora, 
Come  già  fece  allor,  eh'  i  primi  rami 

Verdeggiar,  che  nel  cor  radice  m'  hanno; 

Per  cui  sempre  altrui  più  che  me  stesa'  ami. 
Così  di  me  due  contrarie  ore  fanno, 

E  chi  m'  acqueta ,  è  ben  ragion  eh'  i'  hrami, 

E  tema,  ed  odj,  chi  m'  adduce  affanno. 

Sonetto    CCXVIIL 

Far  potess'  io  vendetta  di  colei, 

Che  guardando,  e  parlando  mi  distrugge, 
E  per  più  doglia  poi  s'  asconde  e  fugge, 
Celando  gli  occhj  a  me  sì  dolci  e  rei! 

Così  gli  afflitti  e  stanchi  spirti  miei 
A  poco  a  poco  consumando  sugge, 
E  'n  sul  cor,  quasi  fero  léon,  rogge 
La  notte  allor ,  quand'  io  posar  dovrei. 

L'  alma,  cui  morte  del  suo  albergo  caccia, 
Da  me  si  parte,  e,  di  tal  nodo  sciolta 
Vassene  pur  a  lei,  che  la  minaccia. 

Meravigliomi  ben ,  s'  alcuna  volta, 

Mentre  le  parla,  e  piange,  e  poi  1'  abbraccia, 
Non  rompe  '1  sonno  suo,  s'  ella  1'  ascolta. 

Sonetto     CCXIX. 

In  quel  bel  viso,  eh'  i'  sospiro  e  bramo. 
Fermi  eran  gli  occhj  desiosi  e  'ntensi, 
Quand'  Amor  porse,  quasi  a  dir:  che  pensi? 
Queir  onorata  man ,  che  secondo  amo. 

n  cor  preso  ivi,  come  pesce  all'  amo, 
Onde  a  ben  far  per  vivo  esempio  viensi. 
Al  ver  non  volse  gli  occupati  sensi, 
O  come  novo  augello  al  visco  in  ramo. 

Ma  la  vista  privata  del  suo  obbietto, 
Quasi  sognando ,  si  facea  far  via. 
Senza  la  qual'  il  suo  ben  è  imperfetto: 

L'  alma,  tra  l'  una  e  1'  altra  gloria  mia, 
Qual  celeste,  non  so  ,  novo  diletto, 
E  qual  strania  dolcezza  si  sentia. 

Sonetto     CCXX. 

Vive  faville  uscian  de'  duo  bei  lumi 
\er  me  sì  dolcemente  folgorando, 
E  parte  d'  un  cor  saggio  sospirando 
D'  alta  eloquenza  sì  soavi  fiumi, 

Che  pur  il  rimembrar  par  mi  consumi, 
Qualora  a  quel  dì  torno  ripensando. 
Come  veniéno  i  miei  spirti  mancando 
Al  variar  de'  suoi  duri  costumi. 

L'  alma  nudrita  sempre  in  doglie  e  'n  pene 
(Quanf  è  'l  poter  d'  una  prescritta  usanza!) 
Contra  '1  doppio  piacer  sì  iufenna  fue, 

Ch'  al  gusto  sol  del  disusato  bene. 

Tremando  or  dì  paura,  or  di  speranza, 
D'  abbandonarmi  fu  spesso  intra  due. 

Sonetto    CCXXL 

Cercato  ho  sempre  solitaria  vita 

(Le  rive  il  sanno,  e  le  campagne,  e  i  boschi) 
Per  fuggir  quest'  ingegni  sordi  e  loschi. 
Che  la  strada  del  ciel  hanno  smarrita: 

E  se  mia  voglia  in  ciò  fosse  compita, 
Fuor  del  dolce  aere  de'  paesi  toschi 


89] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[90] 


Ancor  m'  a"»ria  tra'  suoi  be'  colli  foschi 
Sorga,  eh'  a  pianger,  e  a  cantar  ni'  aita. 

la  mia  fortuna  a  me  sempre  nemica 
3Ii  risospigne  al  loco ,  ov'  io  mi  sdegno 
^'etler  nel  fango  il  bel  tesoro  mio. 

Ula  man ,  ond'  io  scrivo ,  è  fatta  amica 
A  questa  volta:  e  non  è  forse  indegno: 
Amor  sei  vide,  e  sai  madonna,  ed  io. 
Sonetto     CCXXII. 

a  tale  stella  duo  begli  occhj  vidi, 
Tutti  pien  d'  onestate ,  e  di  dolcezza, 
Che ,  presso  a  quei  d'  amor  leggiadri  nidi. 
Il  mio  cor  lasso  ogni  altra  vista  sprezza. 

\im  si  pareggi  a  lei  qual  più  s'  apprezza 
In  qualch'  etade,  in  qualche  strani  lidi; 
INon  chi  recò  con  sua  vaga  bellezza 
In  Grecia  affanni,  in  Troja  ultimi  stridì; 
S  on  la  bella  romana ,  che  col  ferro 
Apri  '1  suo  casto  e  disdegnoso  petto; 
Non  Polissena,  Issifile,  ed  Argia. 
Questa  eccellenza  è  gloria  (s'  i'  non  erro) 

Grande  a  natura,  a  me  sommo  diletto: 

Ma  che  ?  vien  tardo  ,  e  subito  va  via. 

Sonetto    CCXXIH. 

f^>i]al  donna  attende  a  gloriosa  fama 
Di  senno,  di  valor,  di  cortesia, 
>liri  fiso  negli  occhj  a  quella  mia 
ÌNemica,  che  mia  donna  il  mondo  chiama! 

Come  s'  acquista  onor,  come  Dio  s'  ama, 
Cora'  è  giunta  onestà  con  leggiadria, 
Ivi  s'  impara,  e  qual'  è  dritta  via 
Di  gir  al  ciel ,  che  lei  aspetta  e  brama. 

Ivi  '1  parlar,  che  nullo  stile  agguaglia, 
E  '1  bel  tacere,  e  quei  santi  costumi, 
Ch'  ingegno  uman  non  può  spiegare  in  carte. 

L'  infinita  bellezza,  eh'  altrui  abbaglia, 
Non  vi  s'  impara;  che  quei  dolci  lumi 
S'  acqulstan  per  ventura,  e  non  per  arte. 

Sonetto    CCXXIV, 
M.  Cara  la  vita ,  e  dopo  lei  mi  pare 

Vera  onesttà,  che  'n  bella  donna  sia.  — 
L'  ordine  volgi;  e'  non  fùr ,  madre  mia. 
Senza  onestà  mai  cose  belle,  o  care; 
£  qual  si  lascia  di  suo  onor  privare, 

Nò  donna  è  più,  nò  viva,  e  se,  qua!  pria, 
Appare  in  vista ,  è  tal  vita  aspra  e  ria 
Vie  più  che  morte,  e  di  più  peno  amare. 
Né  di  Lucrezia  mi  maravigliai; 

Se  non  come  a  morir  le  bisognasse 
Ferro,  e  non  le  bastasse  il  dolor  solo.  — 
P.   Vengan  quanti  filosofi  fur  mai 

A  dir  di  ciò!  Tutte  lor  vie  fien  basse, 
E  quest'  una  vedremo  alzarsi  a  volo. 
Sonetto     CCXXV. 
Arlior  vittoriosa  trionfale, 

Onor  d'  imperadori,  e  di  poeti. 
Quanti  m'  hai  fatto  dì  dogliosi  o  lieti 
In  questa  breve  mia  vita  mortale  ! 
Vera  donna,  ed  a  cui  di  nulla  ciilc. 

Se  nctn  d'  onor,  clic  sovr'  ogni  altra  mieti 
Nò  d'  amor  visco  temi,  o  lacci,  o  reti, 
N«!  'iiganno  altrui  contia  'I  tuo  senno  vale. 
Gentilezza  di  sangue,  o  1'  altre  cure 
Cose  tra  noi,  porlo,  e  riiliini,  ed  oro, 
Quasi  vii  soma  cgualiuonto  dispregi. 


L. 


L'  alta  beltà,  eh'  al  mondo  non  ha  pare, 
Noja  te ,  se  non  quanto  il  bel  tesoro 
Di  castità  par,  eh'  ella  adorni,  e  fregi. 

Canzone     XXI. 
r  vo  pensando,  e  nel  pensier  m'  assale 
Una  pietà  si  forte  di  me  stesso, 

Che  mi  conduce  spesso 
Ad  altro  lagrimar,  eh'  i'  non  soleva: 
Che  vedendo  ogni  giorno  il  fin  più  presso, 
Mille  fiate  ho  chieste  a  Dio  quell'  ale, 

Con  le  quai  del  mortale 
Career  nostr'  intelletto  al  ciel  si  leva. 
Ma  infin  a  qui  niente  mi  rileva 
Prego,  o  sospiro,  o  lagrimar,  eh'  io  faccia; 
E  cosi  per  ragion  convien  che  sia: 
Che ,  ehi ,  possendo  star ,  cade  tra  via, 
Degno  è,  che  mal  suo  grado  a  terra  giaccia. 

Quelle  pietose  braccia, 
In  eh'  io  mi  fido,  veggio  aperte  ancora; 

Ma  temenza  m'  accora 
Per  gli  altrui  esempj  ,  e  del  mio  stato  tremo, 
Ch'  altri  mi  sprona,  e  son  forse  all'  estremo. 
L'  un  pensier  parla  con  la  mente,  e  dice: 
Che  pur  agogni.^  onde  soccorso  attendi? 

Misera!  non  intendi. 
Con  quanto  tuo  disnore  il  tempo  passa? 
Prendi  partito  accortamente,  prendi, 
E  del  cor  tuo  divelli  ogni  radice 

Del  piacer,   che  felice 
Noi  può  mai  fare,  e  respirar  noi  lassa! 
Se,  già  è  gran  tempo,  fastidita  e  lassa 
Se'  di  quel  falso  dolce  fuggitivo,  « 

Che  'I  mondo  traditor  può' dare  altrui, 
A  che  ripon'  più  la  speranza  in  lui. 
Che  d'  ogni  pace,  e  di  fermezza  è  privo? 

Mentre  che  '1  corpo  è  vivo , 
Ha  tu  '1  fren  in  balia  de'  pensier  tuoi. 

Deh,  stringilo  or  che  puoi! 
Che  dubbioso  è  '1  tardar,  come  tu  sai, 
E  '1  cominciar  non  fia  per  tempo  omai. 
Già  sai  tu  ben,  quanta  dolcezza  porse 
Agli  occhj  tuoi  la  vi.-ta  di  colei, 

La  qual'  anco  vorrei, 
Ch'  a  nascer  fosse,  per  più  nostra  pace. 
Ben  ti  ricordi  (e  ricordar  ten'  dei) 
Dell'  immagine  sua,  quand'  ella  corse 

Al  cor,  là  dove  forse 
Non  potea  fiamma  intrar  per  altrui  face. 
Ella  r  accese:  e  se  1'  ardor  fallace 
Durò  molt'  anni  in  aspettando  un  giorno. 
Che  per  nostra  salute  uuqua  non  viene, 
Or  ti  solleva  a  più  beata  spcne, 
3Iirando  'I  ciel,  che  ti  si  vulve  intomo, 

Immortal  ed  adorno! 
Che  dove  del  mal  suo  qua  giù  sì  lieta 

Vostra  vaghezza  acciueta 
Un  mover  d'  occhio,  un  ragionar,  un  canto. 
Quanto  fia  quel  pi.uer  ,  se  questo  è  tanto  ? 
Dall'  altra  parte  un  pensier  dolco  ed  agro 
Con  faticosa  e  diirttevoi  salma 

Sedendoci  entro  1'  alma, 
Prriuc    1  cor  ili  desio,  di  speme  il  pasce: 
('bò  sol   per  fama  gloriosa  ed  alma 
Non  sento,  iiiiand'  io  iigghiaccio,  o  quand*  io  Hagi 

S'  io  son  pallido  o  magro, 
E  8'  io  r  uccido,  più  forte  rinasce. 


[91] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[92] 


Questo,  d'  allor  eh'  i'  m'  addormiva  in  fasce, 
Venuto  è  di  dì  in  di  crescendo  meco, 
E  temo  che  un  sepolcro  ambeduo  chiuda. 
Poi  che  fia  l'  ahna  delie  membra  ignuda. 
Non  può  questo  desio  più  venir  seco. 

Ma  se  '1  latino  e  '1  greco 
Parlan  di  me  dopo  la  morte,  è  un  vento, 

Ond'  io,  perchè  pavento 
Adunar  sempre  quel  eh'  un'  ora  sgomlire, 
Vorre'  il  vero  abbracciar,  lasciando  1'  ombre. 
Ma  queir  altro  voler,  di  eh'  i'  son  pieno. 
Quanti  presso  a  lui  nascon  par  eh'  adugge: 

E  parte  il  tempo  fugge. 
Che  scrivendo  d'  altrui,  di  me  non  calme, 
E  '1  lume  de'  begli  occhj ,  che  mi  strugge 
Soavemente  al  suo  caldo  sereno, 

Mi  ritien  con  un  freno, 
Contra  cui  nullo  ingegno ,  o  forza  valme. 
Che  giova  dunque  perchè  tutta  spalmc 
La  mia  barchetta,  poi  che  'nfra  gli  scogli 
È  ritenuta  ancor  da  ta'  duo  nodi  ? 
Tu,  che  dagli  altri,  che  'n  diversi  modi 
Legano  '1  mondo  ,  in  tutto  mi  disciogli, 

Signor  mio ,  che  non  togli 
Omai  dal  volto  mio  questa  vergogna? 

Ch'  a  guisa  d'  uom  che  sogna. 

Aver  la  morte  innanzi  gli  occhj  parme, 

E  vorrei  far  difesa ,  e  non  ho  1'  arme. 

Quel  eh'  i'  fo,  veggio,  e  non  m'  inganna  il  vero 

Mal  conosciuto ,  anzi  mi  sforza  amore, 

Che  la  strada  d'  onore 
Mai  non  lascia  seguir ,  chi  troppo  'l  crede  : 
E  sento  ad  or  ad  or  venirmi  al  core 
Un  leggiadro  disdegno  aspro ,  e  severo, 

eh'  ogni  occulto  pensiero 
Tira  in  mezzo  la  fronte,  ov'  altri  '1  vede: 
Che  mortai  cosa  amar  con  tanta  fede. 
Quanta  a  Dio  sol  per  debito  conviensi, 
Più  si  disdice  a  chi  più  pregio  brama. 
E  questo  ad  alta  voce  anco  richiama 
La  ragione  sviata  dietro  ai  sensi: 

Ma  perchè  l'  oda ,  e  pensi 
Tornare  il  mal  costume  oltre  la  spigne, 

Ed  agli  occhj  dipigne 
Quella ,  che  sol  per  farmi  morir  nacque, 
Perch'  a  me  troppo,  ed  a  sé  stessa  piacque. 
Tsc  so  ,  che  spazio  mi  si  desse  il  cielo, 
Quando  novellamente  io  venni  in  terra 

A  soffrir  1'  aspra  guerra, 
Che  'ncontra  me  medesmo  seppi  ordire; 
Né  posso  il  giorno,  che  la  vita  serra, 
Antiveder  per  lo  corporeo  velo; 

Ma  variarsi  il  pelo 


Veggio ,  e  dentro  cangiarsi  ogni  desire. 
Or  eh'  i'  mi  credo  al  tempo  del  partire 
Esser  vicino  ,  o  non  molto  da  luiige. 
Come  chi  'l  perder  face  accorto  e  saggio, 
Vo  ripensando ,  ov'  io  lasciai  '1  viaggio 
Dalla  man  destra,  eh'  a  buon  porto  aggiunge: 

E  dall'  un  lato  punge 
Vergogna,  e  duol,  che  'ndietro  mi  rivolve, 

Dall'  altro  non  ra'  assolve 
Un  piacer  per  usanza  in  me  sì  forte, 
Ch'  a  patteggiar  n'  ardisce  con  la  morte. 
Canzon,  qui  sono,  ed  ho  '1  cor  vie  più  freddo 
Della  paura,  che  gelata  neve, 
Sentendomi  perir  senz'   alcun  dubbio  : 
Che  pur  deliberando  ho  volto  al  subbio 
Gran  parte  omai  della  mia  tela  breve  : 

Né  mai  peso  fu  greve, 
Quanto  quel,  eh'  i'  sostegno  in  tale  stato: 

Che  con  la  morte  a  lato 
Cerco  del  viver  mio  novo  consiglio, 
E  veggio  'l  meglio,  ed  al  peggior  m'  appiglio. 

Sonetto    CCXXVI. 

Aspro  core  e  selvaggio,  e  cruda  voglia 
In  dolce  umile  angelica  figura. 
Se  l'  impreso  rigor  gran  tempo  diu^, 
Avran  di  me  poco  onorata  spoglia  : 

Che  quando  nasce  e  muor  fior,  erba,   e  foglia, 
Quando  è  'l  dì  chiaro,  e  quando  è  notte  oscura, 
Piango  ad  ognor.     Ben  ho  di  mia  ventura, 
Di  madonna,  e  d'  amore,  onde  mi  doglia. 

Vivo  sol  di  speranza,  rimembrando. 
Che  poco  umor  già  per  continua  prova 
Consumar  vidi  marmi,  e  pietre  salde. 

Non  è  sì  duro  cor,  che  lagrimando. 
Pregando ,  amando ,  talor  non  si  smova, 
Né  sì  freddo  voler,  che  non  si  scalde. 

Sonetto    CCXXVII. 

Signor  mio  caro,  ogni  pensier  mi  tira 
Devoto  a  veder  voi,  cui  sempre  veggio: 
La  mia  fortuna  (or  che  mi  può  far  peggio?) 
Mi  tiene  a  freno,  e  mi  travolve,  e  gira. 

Poi  quel  dolce  desio,  eh'  amor  mi  spira. 

Menami  a  morte ,  eh'  i'  non  me  n'  aweggio, 
E  mentre  i  miei  duo  lumi  indarno  cheggio, 
Dovunqu'  io  son ,  dì  e  notte  si  sospira. 

Carità  di  signore,  amor  di  donna 
Son  le  catene,  ove  con  molti  affanni 
Legato  son ,  perdi'  io  stesso  mi  strinsi. 

Un  lauro  v  erde ,  una  gentil  colonna. 
Quindici  r  una,  e  1'  altro  diciott'  anni 
Portato  ho  in  seno,  e  giammai  non  mi  ecinsi. 


PARTE       SECONDA 

DELLE 

RIME. 


Sonetto    CCXXnn. 
)imè  il  bel  viso  !  cime  il  soave  sguardo  ! 

Oimè  il  leggiadro  portamento  aitero! 

Oiniò  '1  parlar  ,  eh'  ogni  aspro  ingegno  e  fero 

Faceva  umile,  ed  ogni  uom  vii  gagliardo! 
Z  (lime  il  dolce  riso,   ond'  uscio  '1  dardo, 

Di  che  morte ,  altro  Lene  ornai  non  spero  ! 

Alma  x-eal,  dignissima  d'  impero, 

Se  non  fossi  fra  noi  scesa  sì  tardo  ! 
?er  voi  convien  eh'  io  arda,  e  'n  voi  respire: 

Cli'  i'  pur  fui  vostro  :  e  se  di  voi  son  privo, 

\  ia  men  d'  ogni  sventura  altra  mi  dole. 
Di  speranza  m'  empieste,  e  di  desire, 

Quand'  io  partii  dal  sommo  piacer  vivo, 

Ala  '1  vento  ne  portava  le  parole. 

C  A  IV  Z  0  X  E       XXII. 

Che  debb  '  io  far  ?  che  mi  consigli,  amore  ? 

Tempo  è  hen  di  morire  : 
EA  ho  tardato  più  ,  eh'  i'  non  vorrei. 
Madonna  è  morta,  ed  ha  seco  '1  mio  core; 

E  volendol  seguire, 
Interromper  convien  qucst'  anni  rei: 

Perchè  mai  veder  lei 
Di  qua  non  spero,  e  1'  aspettar  ra'  ù  noja. 

Poscia  eh'  ogni  mia  gioja 
Per  lo  suo  dipartire  in  pianto  è  volta, 
Ogni  dolcezza  di  mia  vita  è  tolta. 
Amor,  tu  '1  senti,  ond'  io  teco  mi  doglio, 

Quant'  è  il  danno  aspro  e  grave, 
E  so,  che  del  mio  mal  ti  pesa  e  dolc, 
Anzi  del  nostro,  perdi'  ad  uno  scoglio 

Avem  rotto  la  nave. 
Ed  in  un  pimto  n'  è  scurato  il  sole. 

Qual  ingegno  a  parole 
Foria  agguagliar  il  mit»  doglioso  stato? 

Ahi  orbo  mondo  ingrato. 
Gran  cagion  hai  di  dover  pianger  meco  ; 
Che  quel  ben ,  eh'  era  in  te ,  perdut'  hai  seco. 
Caduta  è  la  tua  gloria,  e  tu  noi  vedi; 

Nò  degno  cri ,  mcntr'  ella 
Visse  qua  giù,  d'  aver  sua  conoscenza, 
Me  d'  esser  tocco  da'  suoi  santi  piedi: 

Perchè  cosa  si  bella 
Dovea  'l  cicl  adornar  di  sua  presenza. 

Ma  io  ,  lasso ,  che  senza 
Lei  né  vita  mortai,  né  me  stesa'  amo. 

Piangendo  la  richiamo. 
Questo  in'  avanza  di  cotanta  sprne, 
E  questo  solo  ancor  qui  mi  mantiene. 
Oimè  ,  terra  è  fatto  il  suo  ìtel  viso, 

Che  solca  far  del  ciclo 
E  del  ben  di  là  su  fede  fra  noi. 


L'  invisibii  sua  forma  è  in  paradiso 

Disciolta  di  quel  velo. 
Che  qui  fece  ombra  al  fior  degli  anni  suoi. 

Per  rivestirsen  poi 
Un'  altra  volta,  e  mai  più  non  spogliarsi, 

Quand'  alma  e  bella  farsi 
Tanto  più  la  vedrera ,  quanto  più  vale 
Sempiterna  bellezza,  che  mortale. 
Più  che  mai  bella ,  e  più  leggiadra  donna 

Tornami  innanzi ,  come 
Là ,  dove  più  gradir  sua  vista  sente. 
Quest'  è  del  viver  mio  1'  una  colonna; 

L'  altra  è  '1  suo  chiaro  nome. 
Che  sona  nel  mio  cor  sì  dolcemente. 

Ma  tornandomi  a  mente, 
Cile  pur  morta  è  la  mia  speranza  viva 

Allor  eh'  ella  fioriva. 
Sa  ben  Amor,  qual  io  divento,  e  spero 
Vedal  colei,  eh'  è  or  sì  presso  al  vero. 
Donne,  voi  che  miraste  sua  beltate, 

E  r  angelica  vita, 
Con  quel  celeste  portamento  in  terra, 
Di  me  vi  doglia,  e  vincavi  pietate! 

Non  di  lei ,  eh'  è  salita 
A  tanta  pace,  e  me  ha  lasciato  in  guerra 

Tal,  che,  s'  altri  mi  serra 
Lungo  tempo  il  cammin  da  seguitarla, 

Qtiel ,  eh'  Amor  meco  parla, 
Sol  mi  ritien,  eh'  io  non  recida  il  nodo: 
Ma  e'  ragiona  dentro  in  cotal  modo: 
Pon  freno  al  gran  dolor,  che  ti  trasporta! 

Che  per  soverchie  voglie 
Si  perde  '1  cielo,  ove  '1  tuo  core  aspira, 
Dov'  è  viva  colei ,  eh'  altrui  par  morta, 

E  di  sue  belle  spoglie 
Seco  sorride,  e  sol  di  te  sospira, 

E,  sua  fama,  che  spira 
In  molte  parti  ancor  per  la  tua  lingua. 

Prega  che  non  estingua, 
Anzi  la  voce  al  suo  nome  rischiari,  ^ 
Se  gli  occhj  suoi  ti  fùr  dolci  ne  cari. 
Foggi  '1  sereno,  e  '1  verde! 

Non  t'  appressar,  ove  sia  riso,  o  canto, 
Canzon  mia ,   no ,  ma  ]iianto. 
ÌNon  fa  per  te  di  star  fra  gente  allegra, 
Vedova  sconsolata  in  veste  negra. 

So\KTTO     CCXXIX. 
Ilotta  è  r  alta  colonna ,  e  '1  verde  lauro, 
(]|ie  farean  oinlira  al  mio  staw'o  pensiero. 
IVrdul'  ho  quel,  che  ritrovar  non  siicro 
Dal  borea  all'  austro,  o  dal  mar  indo  al  mauro. 
Tolto  m'  hai,  luorlc,  il  mio  doppio  tesaiiro. 


[95] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[96] 


Che  mi  fea  viver  lieto  e  gire  altero  ; 
E  ristorar  noi  può  terra,  né  impero, 
Aè  gemma  orientai,  né  forza  d'  auro. 

Ma  se  consentimento  è  di  destino. 

Che  pose'  io  più  se  no  aver  l'  alma  trista, 
Umidi  gli  occhj  sempre ,  e  '1  viso  chino  ? 

Oh  nostra  vita,  eh'  è  sì  bella  in  vista, 
Cora'  perde  agevolmente  in  un  mattino 
Quel,  che  'n  molt'  anni  a  gran  pena  e'  acquista' 

C  A  A  Z  O  A  E       XXIII. 

Amor,  se  vuoi,  eh'  io  torni  al  giogo  antìro, 
Come  par  che  tu  mostri,  un'  altra  prova 

Maravigliosa  e  nova. 
Per  domar  me ,  convienti  vincer  pria. 
Il  mio  amato  tesoro  in  terra  trova, 
Che  m'  è  nascosto ,  ond'  io  son  si  mendico, 

E  '1  cor  saggio  pudico. 
Ove  suol  albergar  la  vita  mia: 
E  s'  egli  è  ver ,  che  tua  potenza  sia 
Nel  ciel  sì  grande ,  come  si  ragiona, 
E  neir  abisso,  (perché  qui  fra  noi 

Quel ,  che  tu  vali  e  puoi. 
Credo  che  'l  senta  ogni  gentil  persona) 
Ritogli  a  morte  quel ,  eh'  ella  n'  ha  tolto, 
E  ripon'  le  tue  insegne  nel  bel  volto! 
Riponi  entro  '1  bel  viso  il  vivo  lume, 
Cli'  era  mia  scorta ,  e  la  soave  fiamma, 

Ch'  ancor,  lasso,  in'  infiamma 
Essendo  spenta;  or  che  fea  dunque  ardendo? 
E'  non  si  vide  mai  cervo,  né  damma 
Con  tal  desio  cercar  fonte ,  né  fiume, 

Qual  io  il  dolce  costume, 
Ond'  ho  già  molto  amaro ,  e  più  n'  attendo. 
Se  ben  me  stesso ,  e  mia  vaghezza  intendo, 
Che  mi  fa  vaneggiar  sol  del  pensiero, 
E  gir  in  parte ,  ove  la  strada  manca, 

E  con  la  mente  stanca 
Cosa  seguir,  che  mai  giugner  non  spero. 
Or  al  tuo  richiamar  venir  non  degno. 
Che  signoria  non  hai  fuor  del  tuo  regno. 
Fammi  sentir  di  quel!'  aura  gentile 

Di  fuor,  sì  come  dentro  ancor  ^i  sente, 

La  qual'  era  possente 
Cantando  d'  acquetar  gli  sdegni,  e  l'  ire. 
Di  serenar  la  tempestosa  mente, 
E  sgombrar  d'  ogni  nebbia  oscura  e  vile. 

Ed  alzava  il  mio  stile 
Sovra  di  sé  ,  dov'  or  non  poria  gire. 
Agguaglia  la  speranza  col  desire, 
E  poi  che  1'  alma  è  in  sua  ragion  più  forte. 
Rendi  agli  occhj,   agli  orcccbj  il  proprio  obbietto, 

Senza  '1  qual  imperfetto 
E  lor  oprar ,  e  '1  mio  viver  è  morte. 
Indarno  or  sopra  me  tua  forza  adopre. 
Mentre  'I  mio  primo  amor  terra  ricopre. 
Fa ,  eh'  io  rivcggia  il  bel  guardo ,  eh'  un  sole 
Fu  sopra  'I  ghiaccio,  ond'  io  s(»lea  gir  carco! 

Fa,  eh'  io  ti  trovi  al  varco, 
Onde  hcn/a  tornar  passò  'I  mÌ4)  core  ! 
Prendi  i  dorati  strilli ,  e  prendi  l'  arco, 
E  facciamisi  udir  hi  come  suole, 

Col  hiion   delle   parole. 
Nelle  quiili  io  'inpariii  che  cosa  è  amore  ! 
Movi  la  lingua,  ov'   enino  a  twlt'  ore 
Diripo^ti  gli  ami,  (»v'  io  fui  preso,  e  1'  esca, 
Ch'  i'  bramo  8cm)>re,  e  i  tuoi  lacci  nascondi 


Fra  i  capei  crespi  e  biondi  ! 
Che  '1  mio  voler  altrove  non  s'  invesca. 
Spargi  con  le  tue  man  le  chiome  al  vento  ! 
Ivi  mi  lega,  e  può'  mi  far  contento. 
Dal  laccio  d'  or  non  fia  mai  chi  mi  scioglia. 
Negletto  ad  arte ,  e  'nnanellato,  ed  irto  ; 

Né  dall'  ardente  spirto 
Della  sua  vista  dolcemente  acerba. 
La  qual  dì  e  rotte  più  che  lauro ,  o  mirto 
Tenea  in  me  verde  1'  amorosa  voglia. 

Quando  si  veste  e  spoglia 
Di  fronde  il  bosco  ,  e  la  campagna  d'  erba. 
Ma  poi  che  morte  é  stata  sì  superba. 
Che  spezzò  '1  nodo,  ond'  io  temea  scampare, 
Né  trovar  puoi,  quantunque  gira  il  mondo, 

Di  che  ordiscili  '1  secondo, 
Che  giova.  Amor,  tuo'  ingegni  ritentare? 
Passata  è  la  stagion ,  perduto  hai  l'  arme. 
Di  eh'  io  tremava:  omai  che  puoi  tu  farme? 
L'  arme  tue  furon  gli  occhj ,  onde  1'  accese 
Saette  uscivan  d'  invisibil  foco, 

E  ragion  temean  poco, 
(Che  contra  'l  ciel  non  vai  difesa  umana) 
Il  pensar  e  '1  tacer ,  il  riso  e  'l  gioco, 
L'   abito  onesto ,  e  '1  ragionar  cortese. 

Le  parole  che,  intese, 
Avrian  fatto  gentil  d'  alma  villana, 
L'  angelica  sembianza  umile   e  piana, 
Ch'  or  quinci,  or  quindi  udia  tanto  lodarsi, 
E  '1  sedere ,  e  lo  star ,  che  spesso  altrui 

Poser  in  dubbio ,  a  cui 
Dovesse  il  pregio  di  più  laude  darsi. 
Con  quest'  arme  vincevi  ogni  cor  duro: 
Or  se'  tu  disarmato  ;  i'  son  securo. 
Gli  animi ,  eh'  al  tuo  regno  il  cielo  inchina. 
Leghi  ora  in  uno,  ed  or  in  altro  modo: 

Ma  me  sol  ad  un  nodo 
Legar  potei ,  che  '1  ciel  di  più  non  volse. 
Queir  uno  é  rotto  ;  e  'n  libertà  non  godo. 
Ma  piango  e  grido  :  ahi  nobil  pellegrina, 

Qual  sentenza  divina 
Me  legò  innanzi,  e  te  prima  disciolse? 
Dio ,  che  sì  tosto  al  mondo  ti  ritolse. 
Ne  mostrò  tanta  e  sì  alta  virtute, 
Solo  per  infiammar  nostro  desio. 

Certo  omai  non  tein'  io. 
Amor ,  della  tua  man  nove  ferute, 
Indarno  tendi  1'  arco ,  a  voto  scocchi  : 
Sua  virtù  cadde  al  chiuder  de'  begli  occhi. 
Morte  m'  ha  sciolto ,  Amor ,  d'  ogni  tua  legge 
Quella,  che  fu  mia  donna,  al  cielo  è  gita, 
Lasciando  trista  e  libera  mia  vita. 

Sonetto     CCXXX. 

L'  ardente  nodo,  ov'  io  fui  d'  ora  in  ora, 
Contando  anni  ventuno  interi  preso, 
Morte  disciolse,  né  giammai  tal  peso 
Provai ,  né  «;redo  eh'  uom  di  dolor  mora. 

Non  volendomi  Amor  perder  ancora. 
Ebbe  un  altro  lacciuol  fra  l'  erba  teso, 
E  di  nov'  esca  un  altr«)   foco  acceso. 
Tal  che  a  gran   pena  indi  scampato  fora. 

E  se  non  fos»e  esperienza  molta 

De'  primi  ailanni ,  i'   sarei  preso  ed  arso. 
Tanto  più ,  quanto  son  ineu  verde  legno. 

Morte  m'  ha  liberato  un'  altra  volta, 


91] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[98] 


E  rotto  '1  nodo,  e  '1  foco  ha  spento  e  sparso, 
Contra  la  qual  non  \al  forza  né  'nge;^no. 
Sonetto     CCXXXI. 
la  vita  fngge,  e  non  s'  arresta  un'  oi-a, 
E  la  morte  TÌen  dietro  a  gran  giornate, 
E  le  cose  presentì,  e  le  passate 
Mi  danno  guerra,  e  le  future  ancora; 
;  '1  rimembrar  ,  e  1'  aspettar  m'  accora 
Or  quinci  or  quindi  gì,  che  'n  ventate, 
Se  non  eh'  i'  ho  di  me  stesso  piotate, 
r  sarei  già  di  questi  pensicr  fora. 
ornami  avanti ,  s'  alcun  dolce  mai 
Ebhe  '1  cor  tristo;  e  poi  dall'  altra  pai'te 
Veggio  al  mio  navigar  turbati  i  venti. 
e^gio  fortuna  in  porto ,  e  stanco  omai 
Il  mio  nocchier,  e  rotte  arbore  e  sarte, 
E  i  lumi  bei ,  che  mirar  soglio ,  spenti. 
So  \  ETTO     CCXXXII. 

lìv  fai?  che  pensi?  che  pur  dietro  giiardi 
Nel  tempo,  che  tornar  non  puote  omai. 
Anima  sconsolata?  che  pur  vai 
Giugnendo  legne  al  foco,  ove  tu  ardi? 

jG  soa^i  parole,  e  i  dolci  sguardi, 
Ch'  ad  un  ad  un  descritti  e  dipint'  hai, 
Son  levati  da  terra  ;  ed  è  (ben  sai) 
Qui  ricercarli  intempestivo  e  tardi. 

)ch,  non  rinnovellar  quel  che  n'  ancide! 
Non  seguir  più  pensier  vago  fallace, 
Ma  saldo  e  certo,  eh'  a  buon  fin  ne  guide! 

archiamo  '1  ciel,  se  qui  nulla  ne  piace; 
(he  mal  per  noi  quella  beltà  si  vide, 
Se  viva  e  morta  ne  dovca  tor  pace. 
Sonetto    CCXXXIII. 

)ateml  pace,  oh  duri  mici  pensieri! 
Aon  basta  ben,  eh'  Amor,  Fortuna,  e  Morte 
Mi  fanno  guerra  intorno ,  e  'n  su  le  porte, 
Senza  trovarmi  dentro  altri  guerrieri  ? 

■1  tu  ,  mio  cor,  ancor  se'  pur  qual  eri, 
Disleale  a  me  sol;  che  fere  scorte 
\<ù  ricettando,  e  sei  fatto  consorte 
De'  miei  nemici  si  pronti  e  leggieri. 

n  te  i  secreti  suoi  messaggi  Amore, 
In  te  spiega  Fortuna  ogni  sua  pompa, 
E  Morte  la  memoria  di  quel  col|)o, 

Pie  r  avanzo  di  me  convien  che  rompa: 
I    In  te  i  vaghi  pensier  s'  arman  d'  errore: 

Perchè  d'  ogni  mio  mal  te  solo  incolpo. 
Sonetto     CCXXXIV. 
Dcchj  mici,  oscurato  è  '1  nostro  sole, 

Anzi  è  salito  al  cielo,  ed  ivi  splende: 

Ivi  '1  vedremo  ancora ,  ivi  n'  attende, 

E  di  nostro  tardar  forse  gli  dolo. 
Orecchie  mie ,  1'  angeliche  parole 

Suonano  in  parte ,  ov'  è  chi  meglio  intende. 

Più  mìei,  vostra  ragion  là  non  si  stende, 

Ov  è  colei ,  eh'  esercitar  \i  sole. 
Dunque  perchè  mi  date  questa  guerra? 

(ìià  di  pcrd(a'  a  voi  cngion  non  fui 

lederla,  udirla,  e  ritrovarla  in  terra. 
Morte  biahmate;  anzi  laudale  Ini, 

Che  lega  e  Hciogli(;,  e  'n  un  punto  apre  o  serra, 

E  dopo  '1  pianto  uà  far  lieto  altrui! 
Sonktto     CC\XX\'. 
Poi  che  la  vista  angelica  serena 

Per  subita  partenza  in  gran  doloro 


Lasciato  ha  1'  alma ,  e  'n  tenebroso  orrote. 
Cerco  parlando  d'  allentar  mia  pena. 

Giusto  duol  certo  a  lamentar  mi  mena: 
Sassel  chi  n'  è  cagion,  e  sallo  Amore: 
Ch'  altro  rimedio  non  avea  '1  mio  core 
Contra  i  fastidj,  onde  la  vita  è  piena. 

Quest'  un ,  Morte ,  m'  ha  tolto  la  tua  mano, 
E  tu ,  che  copri ,  e  guardi ,  ed  hai  or  teco. 
Felice  terra ,  quel  bel  viso  umano, 

Me  dove  lasci  sconsolato  e  cieco. 

Poscia  che  '1  dolce  ed  amoroso  e  piano 
Lume  degli  ocrhj  miei  non  è  più  meco? 

Sonetto    CCXXaVI. 

S'  Amor  novo  consiglio  non  n'  apporta. 
Per  forza  converrà  che  U  viver  cange  ; 
Tanta  paura  e  duol  1'  alma  trista  ange. 
Che  '1  desir  vive ,  e  la  speranza  è  morta. 

Onde  si  sbigottisce  e  sì  sconforta 

Mìa  vita  in  tutto ,  e  notte  e  giorno  piango 
Stanca,  senza  governo,  in  mar,  che  frange, 
E  'n  dubbia  a  ia  senza  fidata  scorta. 

Immaginata  guida  la  conduce, 

Che  la  vera  è  sotterra,  anzi  è  nel  cielo; 
Onde  più  che  mai  chiara  al  cor  traluce, 

Agli  occhj  no:  eh'  un  doloroso  velo 
Contende  lor  la  desiata  luce, 
£  me  fa  sì  per  tempo  cangiar  pelo. 

Sonetto    CCXXXVO. 

NelF  età  sua  più  bella ,  e  più  fiorita, 
Quand'  aver  suol  amor  in  noi  più  forza, 
Lasciando  in  terra  la  terrena  scorza, 
È  Laura  mia  vital  da  me  partita, 

E  vìva,  e  bella,  e  nuda  al  ciel  salita. 
Indi  mi  signoreggia,  ìndi  mi  sforza. 
Deh ,  perchè  me  del  mio  mortai  non  scorza 
L'  ultimo  dì,  eh'  è  primo  all'  altra  vita, 

Che,  come  ì  miei  pensier  dietro  a  lei  vanno. 
Così  lieve,  e  spedita,  e  lieta  1'  alma 
La  segua ,  ed  io  sìa  fuor  di  tanto  afianno  ? 

Ciò  che  s'  indugia,  è  proprio  per  mio  danno, 
Per  far  me  stesso  a  me  più  grave  salma. 
Oh  che  bel  morir  era  oggi  è  terz'  anno  ! 

Sonetto     CCXXXVIIL 

Se  lamentar  augelli ,  o  verdi  fronde 
Mover  soavemente  all'  aura  estiva, 
O  roco  mormorar  dì  lucid'  onde 
S'  ode  d'  una  fiorita  e  fresca  riva, 

Là'  v'  io  scggia  d'  amor  pensoso  e  scrìva: 
Lei,  che  '1  ciel  ne  mostrò ,  terra  n'  asconde, 
Veggio ,  ed  odo ,  ed  intendo  :  eh'  ancor  viva 
Dì  si  lontano  a'  sospir  mici  risponde. 

Deh,  perchè  innanzi  tempo  ti  consume? 
Mi  dice  con  pietatc:  a  che  pur  versi 
Degli  occhj  tnsti  un  dolorost)  fiume  ? 

Di  me  non  pianger  tu  !  rh'  i  miei  dì  fèrsì, 
Morendo,  eterni;   e  nell'  elcrno  lume. 
Quando  mostrai  di  chiuder  ,  gli  occhj  apersi. 

Sonetto     CCXXXIX. 

Mai  non  fui  'n  parte,  ove  sì  chiar  vedessi 
Q\ìv\  che  veder  vorrei ,  poi  eh'  io  noi  vidi, 
>è  dove  in  tanta  liliertà  mi  stessi, 
Kè  'mpiesKÌ  '1   ciil  di  sì  amorosi  stridi. 

Né  giammai  ^idi  valle  aver  sì  spc8«i 
Luoghi  da  sospirar  riposti  e  fidi; 


[99] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


il?»] 


Né  credo  già,  eh'  Amor  in  Cipro  avessi, 

O  in  altra  riva  sì  soavi  nidi. 
L'  acque  parlan  d'  amore,  e  1'  ora,  e  i  rami, 

E  gli  augelletti ,  e  i  pesci ,  e  i  fiori ,  e  l"  erba, 

Tutti  insieme  pregando,  eh'  i'  sempr'  ami. 
Ma  tu ,    ben  nata ,  che  dal  ciel  mi  chiami. 

Per  la  memoria  di  tua  morte  acerba 

Preghi,  eh'  i'  sprezzi  '1  mondo,  e  suoi  dolci    ami 
S  O  X  E  T  T  o     CCXL. 
Quante  fiate  al  mio  dolce  ricetto, 

Fiitrtrcndo  altrui,  e,  s'  esser  può,  me  stesso, 

Vo  con  gli  occlij  bagnando  1'  erba ,  e  '1  petto, 

Rompendo  co'  sospir  1'  aere  da  presso  l 
Quante  fiate  sol,  pien  di  sospetto, 

Per  luoghi  ombrosi  e  foschi  mi  son  messo, 

Cercando  col  pensier  1'  alto  diletto. 

Che  morte  ha  tolto,  ond'  io  la  chiamo  spesso! 
Or  in  forma  di  ninfa,  o  d'  altra  diva. 

Che  del  più  chiaro  fondo  di  Sorga  esca, 

E  pongasi  a  seder  in  sulla  riva, 
Or  r  ho  veduta  su  per  1'  erba  fresca 

Calcare  i  fior,  com'  una  donna  viva. 

Mostrando  in  vista,  che  di  me  le  'ncresca. 
Sonetto     CCXLI. 
Alma  felice,  che  sovente  torni 

A  consolar  le  mie  notti  dolenti 

Con  gli  occhj  tuoi ,  che  morte  non  ha  spenti, 

Ma  sovra  '1  mortai  modo  fatti  adorni  ! 
Quanto  gradisco,  eh'  i  miei  tristi  giorni 

A  rallegrar  di  tua  vista  consenti  ! 

Così  incomincio  a  ritrovar  presenti 

Le  tue  bellezze  a'  suo'  usati  soggiorni. 
Là  've  cantando  andai  di  te  molt'  anni, 

Or,  come  vedi,  vo  di  te  piangendo; 

Di  te  piangendo  no ,  ma  de'  miei  danni. 
Sol  un  riposo  trovo  in  molti  affanni: 

Che ,  quando  torni ,  ti  conosco ,  e  'ntendo 

Air  andar,  alla  voce,  al  volto,  a'  panni. 

Soletto    CCXLIL 

Discolorato  hai,  Morte,  ii  più  bel  volto. 
Che  mai  si  vide,  e  i  più  begli  occhj  spenti; 
Spirto  più  acceso  di  virtuti  ardenti 
Del  più  leggiadro,  e  più  bel  nodo  hai  sciolto. 

In  un  momento  ogni  mio  ben  m'  hai  tolto  ; 
Posto  hai  silenzio  a'  più  soavi  accenti, 
Che  mai  s'  udirò,  e  me  pien  di  lamenti: 
Quant^  io  veggio,    m'  è  noja,   o  quaut'  io  ascolto. 

Ben  torna  a  consolar  tanto  dolore 
Madonna,  ove  pietà  la  riconduce; 
]\ù  trovo  in  questa  vita  altro  soccorso; 

£  se,  com'  ella  parla,  e  come  luce. 
Ridir  potessi,  accenderci  d'  amore, 
NuD  dirò  d'  uom,  un  cor  di  tigre  o  d'  orso. 

Sonetto    CCXLIII. 

SI  breve  è  '1  tempo,  e  '1  pensier  sì  veloce, 
Che  mi  rcndon  madonna  co!>ì  morta, 
Cli'  al  gran  dolor  la  medicina  è  corta: 
Pur,  iiicntr'  io  veggio  lei,  nulla  mi  noce. 

Amor,  che  m'  ha  legati»  e  tieinuii  in  croce, 
Trema,  quando  la  vede  in  sulla  porta 
Dell'  alma,  (»ve  ni'  ancide  ancor  u'i  scorta, 
Sì  dolce  in  virata,  e  si  soave  in  voce. 

Come  dimna  in  kuo  albergo  altera  viene 
Scacciando  dell'  oscuro  o  grave  coro 
Con  la  fronte  serena  i  pensier  tristi. 


L'  alma,  che  tanta  luce  non  sostiene. 
Sospira,  e  dice:  oh  benedette  1'  ore 
Del  dì,  che  questa  via  con  gli  occhj  apristi 
Sonetto     CCXLIV. 
Né  mai  pietosa  madre  al  caro  figlio. 
Né  donna  accesa  al  suo  sposo  diletto 
Die'  con  tanti  sospir,  con  tal  sospetto. 
In  dubbio  stato  sì  fedel  consiglio, 
Come  a  me  quella,  che  '1  mio  grave  esiglio. 
Mirando  dal  suo  eterno  alto  ricetto, 
Spesso  a  me  torna  con  l'usato  affetto, 
E  di  doppia  pietate  ornata  il  ciglio. 
Or  di  madre,  or  d'  amante,  or  teme,  or  arde 
D'  onesto  foco,  e  nel  parlar  mi  mostra 
Quel,  che  'n  questo  viaggio  fugga,  o  segua, 
Contando  i  casi  delia  vita  nostra, 
Pregando,  eh'  al  levar  1'  alma  non  tarde: 
E  sol,  quant'  ella  parla ,  ho  pace ,  o  tregua. 
Sonetto     CCXLV. 
Se  quell'  aura  soave  de'  sospiri, 

Ch'  i'  odo  di  colei ,  che  qui  fu  mìa 
Donna ,  or  é  in  cielo ,  ed  ancor  par  qui  sia, 
E  viva,  e  senta,  e  vada,  ed  ami,  e  spiri, 
Ritrar  potessi ,  oh  che  caldi  desirì 
Movrei  parlando!  sì  gelosa  e  pia 
Torna ,  ov'  io  son ,  temendo  non  fra  via 
Mi  stanchi ,  o  'ndietro ,  o  da  man  manca  girL 
Ir  dritto  alto  m'  insegna;  ed  io ,  che  'ntendo 
Le  sue  caste  lusinghe,  e  i  giusti  preghi. 
Col  dolce  mormorar  pietoso  e  basso, 
Secondo  lei  convien  mi  regga,  e  pieghi, 
Per  la  dolcezza ,  che  del  suo  dir  prendo, 
Ch'  avria  virtù  di  far  piangere  un  sasso. 
Sonetto     CCXLVI. 
Sennuccio  mio ,  benché  doglioso  e  solo 
M'  abbi  lasciato,  i'  pur  mi  riconforto. 
Perché  del  corpo  ,  ov'  eri  preso  e  morto, 
Alteramente  se'  levato  a  volo. 
Or  vedi  insieme  1'  uno  e  1'  altro  polo, 
Le  stelle  vaghe ,  e  lor  viaggio  torto, 
E  vedi  '1  veder  nostro ,  quanto  é  corto  ; 
Onde  col  tuo  gioir  tempro  '1  mio  duolo. 
Ma  ben  ti  priego,  che  'n  la  terza  spera 
Guitton  saluti ,  e  messer  Cino ,  e  Dante, 
Franceschin  nostro ,  e  tutta  quella  schiera. 
Alla  mia  donna  puoi  ben  dire,  in  quante 
Lagrime  i'  vivo,  e  son  fatto  una  fera, 
Membrando  '1  suo  bel  viso,  e  1'  opre  sante. 
Sonetto     CCXLVII. 
r  ho  pien  di  sospir  quest'  uer  tutto, 
D'  aspri  colli  mirando  il  dolce  piano. 
Ove  nacque  colei ,  eh'  avendo  in  mano 
Mio  cor  in  sul  fiorire,  e  'n  sul  far  fruito, 
E  gita  al  cielo,  ed  liauuui  a  tal  condutto 
Col  subito  partir,  che  di  lontano 
Gli  occli.j  miei  stanchi ,  lei  cercando  invano. 
Presso  di  sé  non  lascian  loco  asciutto. 
Non  é  sterpo  ,  né  sasso  in  questi  monti, 

Non  ramo,  o  fnuida  verde  in  queste  piagge, 
Non  fior  in  queste  valli,  o  foglia  d'  erba. 
Stilla  d'  acqua  non  vìen  di  que.-te  fonti, 
]\é  fiere  han  questi  boschi  sì  scUagge, 
Che  non  sappian ,  quant'  é  mia  pena  acerba. 
S  O  N  E  T  T  o     CCXLVIII. 
L'  alma  mia  fiamma  oltra  le  belle  bella, 
Oh'  ebbe  qui  '1  ciel  sì  amico ,  e  sì  curtcde, 


101] 


RIME   DEL    PETRARCA. 


[102] 


Anzi  tempo  per  me  nel  suo  paese 

È  ritornata ,  ed  alia  par  sua  stella. 
>r  comincio  a  svegliarmi  e  veggio,  eh'  ella 

Per  lo  migliore  al  mio  dcsir  contese, 

E  quelle  voglie  giovenili  accese 

Temprò  con  una  vista  dolce  e  fella. 
lei  ne  ringrazio  e  '1  suo  alto  con.*iglio, 

Che  col  bel  viso ,  e  co'  soavi  s^degni 

Fecemi  ardendo  pensar  mia  salute. 
>h  leggiadre  arti ,  e  lor  effetti  degni  ! 

L'  un  con  la  lingua  oprar,  1'  altra  col  ciglio. 

Io  gloria  in  lei ,  ed  ella  in  me  virtute  ! 

S0T«ETT0     CCXLIX. 
lome  va  'I  mondo  !  or  mi  diletta  e  piace 

Quel,  che  più  mi  dispiacque;  or  veggio  e  sento, 

Che,  per  aver  salute,  ebbi  tormento, 

E  breve  guerra  per  eterna  pace. 
Ih  speranza,  oh  desir  sempre  fallace! 

£  degli  amanti  più ,  ben  per  un  cento  ; 

Oh  quant'  era  '1  peggior  farmi  contento 

Quella,  eh'  or  siede  in  cielo,  e  'n  terra  giace! 
la  '1  cieco  amor  e  la  mia  sorda  mente 

Mi  traviavan  sì ,  eh'  andar  per  viva 

Forza  mi  convenia,  dove  morte  era. 
lenedetta  colei ,  eh'  a  miglior  riva 

\  olse  'I  mio  corso ,  e  1'  empia   voglia  ardente 

Lusingando  affrenò ,  perdi'  io  non  pera. 

Sonetto    CCL. 
fiiand'  io  veggio  dal  ciel  scender  1'  Aurora 
Con  la  fronte  di  rose,  e  co'  crin  d'  oro, 
Amor  m'  assale ,  ond'  io  mi  discoloro 
E  dico  sospirando  :  ivi  è  Laura  ora. 
Ih  felice  Titon!  tu  sai  ben  1'  ora 
Da  ricovrare  il  tuo  caro  tesoro; 
Ma  io ,  che  debbo  far  del  dolce  alloro, 
Che,  se  '1  vo'  riveder,  convien  eh'  io  mora? 
M)stri  dipartir  non  son  sì  duri; 
(Jli'  almen  di  notte  suol  tornar  colei, 
(Jhc  non  ha  a  schifo  le  tue  bianche  chiome. 
-e  mie  notti  fa  triste,  e  i  giorni  oscuri 
Quella,  che  n'  ha  portato  i  pensier  miei, 
IN  è  di  bè  m'  ha  lasciato  altro  che  '1  nome. 

SONKTTO      CCLL 
ìli  occhj  ,  di  eh'  io  parlai  sì  caldamente, 
F  le  braccia,  e  le  mani,  e  i  piedi,  e  '1  viso, 
Che  m'  avean  si  da  me  stesso  diviso, 
F  fatto  singular  dall'  altra  gente, 
iC  crespe  chiome  d'  or  puro  lucente, 
il  '1  lampeggiar  dell'  angelico  riso, 
('he  solean  fare  in  terra  un  paratliso, 
Foca  polvere  son,  che  nulla  sente: 
ùl  io  pur  vivo  ;  onde  mi  doglio  e  sdegno, 
Kimaso  senza  '1  lume ,   eh'  amai  tanto, 
la  gran  fortuna,  e  'n  disarmato  legno. 
)r  sia  qui  fine  al  mio  auuiroso  canto! 
Secca  è  la  vena  dell'  usato  ingegno, 
£  la  cetcra  mia  ricolta  in  pianto. 
Sonetto     CCLII. 
>'  io  avcAgi  pensato,  «;hc  sì  care 
Fossin  le  voci  de'  sospir  mie'  in  rima, 
Fatte  1'  avrei  dal  sospirar  mio  prima 
In  numero  più  spesse,  in  stil  più  rare. 
Aorta  colei,  che  mi  facca  parlare, 
E  elle  ai  stava  de'  pcnoier  mie'  in  cima, 
Non  posso ,  e  non  ho  più  sì  dolce  lima. 


Rime  aspre  e  fosche  far  soavi  e  chiare. 

E  certo,  ogni  mio  studio  in  quel  temp'  era 
Pur  di  sfogare  il  doloroso  core 
In  qualche  modo,  non  d'  acquistar  fama: 

Pianger  cercai,  non  già  del  pianto  onore. 
Or  vorrei  ben  piacer  :  ma  quella  altera 
Tacito  stanco  dopo  sé  mi  chiama. 
Sonetto    CCLIIL 

Solcasi  nel  mio  cor  star  bella  e  viva, 
Cora'  alta  donna  in  loco  umile  e  basso: 
Or  son  fatt'  io  per  1'  ultimo  suo  passo 
Non  pur  mortai,  ma  morto,  ed  ella  è  diva. 

L'  alma  d'  ogni  suo  ben  spogliata  e  priva, 
Amor  della  sua  luce  ignudo  e  casso 
Dovrian  della  pietà  romper  un  sasso: 
Ma  non  è  chi  lor  duol  riconti,  o  scriva; 

Che  piangon  dentro,  ov'   ogni  orecchia  è  sorda. 
Se  non  la  mia,  cui  tanta  doglia  ingombra 
Ch'  altro  che  sospirar  nulla  m'  avanza. 

Veramente  siam  noi  polvere  ed  ombra. 
Veramente  la  voglia  è  cieca  e  'ngorda. 
Veramente  fallace  è  la  speranza! 

Sonetto    CCLIV. 

Solcano  i  mìei  pensier  so.ivemente 
Di  lor  obbietto  ragionar  insieme  : 
Pietà  s'  appressa,  e  del  tardar  si  pente: 
Forse  or  parla  di  noi,  o  spera,  o  teme. 

Poi  che  1'  ultimo  giorno  e  1'  ore  estreme 
Spogliar  di  lei  questa  vita  presente, 
Nostro  stato  dal  ciel  vede,  ode,  e  sente: 
Altra  di  lei  non  è  rimasa  speme. 

Oh  miracol  gentile!  oh  felice  alma! 
Oh  beltà  senza  esempio  altera,  e  rara, 
Che  tosto  è  ritornata,  ond'  ella  uscio! 

Ivi  ha  del  suo  ben  far  corona  e  palma 
Quella,  eh'  al  mondo  sì  famosa  e  chiara 
Fé'  la  sua  grau  virtute,  e  '1  furor  mio. 

Sonetto    CCLV. 

F  mi  soglio  accusare,  ed  or  mi  scuso. 
Anzi  mi  pregio ,  e  tengo  assai  più  caro. 
Dell'  onesta  prigion,  del  dolce  amaro 
Colpo,  eh'  i'  portai  già  molt'  anni  chiuso. 

Invide  Parche,  sì  repente  il  fuso 

Troncaste,  eh'  attorcea  soave  e  chiaro 
Stame  al  mio  laccio  ,  e  quell'  aurato  e  raro 
Strale,  onde  morte  piacque  oltra  nostr'  uso! 

Che  non  fu  d'  allegrezza  a'  suoi  di  mai, 
Di  libertà,  di  vita  alma  si  vaga, 
Che  non  cangiasse  '1  suo  naturai  modo, 

Togliendo  anzi  per  lei  sempre  trar  guai, 
Che  cantar  per  qualunque ,    e  di  tal  piaga 
Morir  contenta,  e  viver  in  tal  nudo. 

Sonetto     CCLM. 

Due  gran  nemiche  insieme  erano  aggiunte, 
Kellczza  ed  onestà .  con   pace  tanta. 
Che  mai  rebellion  1'  anima  santa 
Non  sentì,  poi  eh'  a  star  seco  fùr  giunte. 

Ed  or  per  morte  son  sparAC ,  e  disgiunte  : 

L'   una  è  nel  ciel ,  che  se  ne  gloria ,  e  vanta, 
L'  altra  sotterra,  eh'  i  begli  occhj  aiumiuita, 
Ond'  uscir  già  tante  amorose  punte. 

L'  atto  soa\e,  e  'I  parlar  saggio  uuu'le, 

(/iuì  inovea  d'  alto  htcu ,  e  '1  dolce  sguardo, 
Che  piagava  'I  mio  core ,  e  ancor  1'  accenna, 

Sono  sparili:  e  s'  al  seguir  son  tardo, 
1    * 


[103] 


RIME   DEL   PETRARCA. 


[104] 


Forse  avrerrà ,  che  1  bel  nome  gentile 
Consacrerò  con  questa  stanca  penna. 
Sonetto     CCLVII. 

Quand'  io  mi  volgo  indietro  a  mirar  gli  anni, 
Ch'  hanno  fuggendo  i  miei  pensieri  sparsi, 
E  spento  '1  foco ,  ov'  agghiacciando  i'  arsi, 
E  finito  '1  riposo  pien  d'  affanni. 

Rotta  la  fé  degli  amorosi  inganni, 

E  sol  due  parti  d'  ogni  mio  ben  farsi, 
L'  una  nel  cielo,  e  1'  altra  in  terra  starsi, 
E  perduto  '1  guadagno  de'  miei  danni: 

r  mi  riscuoto  e  trovomi  sì  nudo, 

Ch'  i'  porto  invidia  ad  ogni  estrema  sorte; 
Tal  cordoglio  e  paura  ho  di  me  stesso! 

Oh  mia  stella;  oh  fortuna,  oh  fato,  oh  morte. 
Oh  per  me  sempre  dolce  giorno  e  crudo, 
Come  m'  avete  in  basso  stato  messo! 
Sonetto     CCLVIII. 

Ov'  è  la  fronte  ,  che  con  picciol  cenno 

Volgea  '1  mio  core  in  questa  parte,  e  'n  quella? 
Ov'  è  '1  bel  ciglio ,  e  1'  una  e  1'  altra  stella, 
Ch'  al  corso  del  mio  viver  lume  denno? 

Ov  è  '1  valor,  la  conoscenza,  e  '1  senno, 
L'  accorta,  onesta,  umìl,  dolce  favella? 
Ove  son  le  bellezze  accolte  in  ella. 
Che  gran  tempo  di  me  lor  voglia  fenno? 

Ov'  è  r  ombra  gentil  del  viso  umano, 
Ch'  óra  e  riposo  dava  all'  alma  stanca, 
E  là  've  i  miei  pensier  scritti  eran  tutti? 

Ov  è  colei,  che  mia  vita  ebbe  in  mano? 
Quanto  al  misero  mondo,  e  quanto  manca 
Agii  occhj  miei!  che  mai  non  fieno  asciutti. 
Sonetto     CCLIX. 

Quanta  invidia  io  ti  jjorto ,  avara  terra, 
Ch'  abbracci  quella,  cui  veder  m'  è  tolto; 
E  mi  contendi  1'  aria  del  bel  volto. 
Dove  pace  trovai  d'  ogni  mia  guerra! 

Quanta  ne  porto  al  ciel,  che  chiude  e  serrai 
E  sì  cupidamente  ha  in  sé  raccolto 
Lo  spirto  dalle  belle  membra  sciolto, 
E  per  altrui  sì  rado  si  disserra! 

Quanta  invidia  a  quell'  anime,  che  'n  sorte 
Hann'  or  sua  santa  e  dolce  compagnia, 
La  qual'  io  cercai  sempre  con  tal  brama! 

Quanta  alla  dispictata  e  dura  morte, 
Ch'  avendo  spento  in  lei  la  vita  mìa, 
Stassi  ne'  suoi  begli  occhj,  e  me  uou  chiama. 
Sonetto     CCLX. 

Talle ,  che  de'  lamenti  miei  se'  piena, 

Fiume ,  che  spesso  del  mio  pianger  cresci. 
Fere  silvestri,  vaghi  augelli,  e  pesci, 
Che  r  una  e  1'  altra  verde  riva  alTrena, 

Aria  de'  miei  sospir  calda  e  serena. 
Dolce  sentier,  che  si  amaro  riesci. 
Colle,  che  mi  piacesti,  or  mi  rincresci, 
Ov'  ancor  per  usanza  amor  mi  mena! 

Ben  riconosco  in  voi  l'  usate  forme, 
Non ,  lasiio ,  in  me  ,  che  da  sì  lieta  vita 
Son  fatto  albergo  d'  infinita  doglia. 

Quinci  vedca  '1  mio  bene,  e  per  quest'  orme 
'l'orno  a  veder,  ond'  al  ciel  nuda  è  gita, 
Lasciando  in  terra  la  sua  bella  spoglia. 
Som;  t  r  o     CCLXI. 

Levommì  il  mio  pensiero  iu  parte ,  ov'  era 
Quella,  eh'  io  cerco,  e  non  ritrovo  in  terra; 


Ivi  fra  lor,  che  '1  terzo  cerchio  serra. 
La  rividi  più  bella,  e  meno  altera. 

Per  man  mi  prese,  e  disse:  in  questa  spera 
Sarai  ancor  meco ,  se  '1  desir  non  erra, 
r  son  colei,  che  ti  die'  tanta  guerra, 
E  compie'  mia  giornata  innanzi  sera. 

Mio  ben  non  cape  in  intelletto  umano. 
Te  solo  aspetto ,  e  quel  che  tanto  amasti, 
E  là  giuso  è  rimaso ,  il  mio  bel  velo. 

Deh,  perchè  tacque,  ed  allargò  la  mano? 
('h'  al  suon  de'  detti  sì  pietosi  e  casti 
Foco  mancò,  eh'  io  non  rimasi  in  cielo. 

Sonetto    CCLXIL 

Amor,  che  meco  al  buon  tempo  ti  stavi 
Fra  queste  rive  a'  pensier  nostri  amiche, 
E  ,  per  saldar  le  ragion  nostre  antiche, 
Meco  e  col  fiume  ragionando  andavi! 

Fior,  frondi ,  erbe,  ombre,  antri,  onde,  aure  soavi. 
Valli  chiuse,  alti  colli,  e  piagge  apriche. 
Porto  dell'  amorose  mie  fatiche. 
Delle  fortune  mie  tante,  e  sì  gravi! 

Oh  vaghi  abitator  de'  verdi  boschi! 

Oh  ninfe ,  e  voi ,  che  'l  fresco  erboso  fondo 
Del  liquido  cristallo  alberga,  e  pasce! 

I  dì  miei  fùr  sì  chiari,  or  son  sì  foschi, 
('ome  morte  che  'l  fa.     Così  nel  mondo 
Sua  ventura  ha  ciascun  dal  dì,  che  nasce. 

Sonetto    CCLXIIL 

Mentre  che  '1  cor  dagli  amorosi  vermi 
Fa  consumato ,  e  'n  fiamma  amorosa  arse, 
Di  vaga  fera  le  vestigia  sparse 
Cercai  por  poggi  solitarj  ,  ed  ermi  ; 

Ed  ebbi  ardir  cantando  di  dolermi 

D'  amor,  di  lei,  che  sì  dura  m'  apparse: 
Ma  1'  ingegno,  e  le  rime  erano  scarse 
In  quella  etate  a'  pensier  novi  e  'nfermi. 

Quel  foco  è  morto,  e  '1  copre  un  picciol  marmo; 
Che,  se  col  tempo  fosse  ito  avanzando. 
Come  già  in  altri ,  infino  alla  vecchiezza, 

Di  rime  armato ,  ond'  oggi  mi  disarmo, 
Con  stil  canuto  avrei  fatto,  parlando. 
Romper  le  pietre,  e  pianger  di  dolcezza. 
Sonetto    CCLXIV. 

Anima  bella,  da  quel  nodo  sciolta. 

Che  più  bel  mai  non  seppe  ordir  natura, 
Fon'  dal  ciel  mente  alla  mia  vita  oscura, 
Da  sì  lieti  pensieri  a  pianger  volta! 

La  falsa  opinion  dal  cor  s'  è  tolta, 

Che  mi  fece  alcun  tempo  acerba  e  dura 

Tua  dolce  vista  :  ornai  tutta  secura 

Volgi  a  me  gli  occhj ,  e  i  miei  sospiri  ascolta  ! 

Mira  '1  gran  sasso,  donde  Sorga  nasce; 

E  vedra'vi  un ,  che  sol  tra  1'  erbe  e  l'  acque 
Di  tua  memoria  ,  e  di  dolor  si  pasce. 

Ove  giace  '1  tuo  albergo,  e  dove  nacque 
H  nostro  amor,  vo'  eh'  abbandoni  e  lasce. 
Per  non  veder  ne'  tuoi  quel,  eh'  a  te  epiacqae. 
Sonetto    CCLXV. 

Quel  sol ,  che  mi  mostrava  il  caramln  destro 
Di  gire  al  ciel  con  gloriosi  passi, 
Tornando  al  sommo  sole ,  in  pochi  gassi 
Chiuse  'I  mio  lume ,  e  'l  suo  career  terrestre. 

Ond'  io  son  fatto  un  animai  Silvestro, 
('he  co'  piò  vaghi ,  solitarj  ,  e  lassi 
Porto  '1  cor  grave,  e  gli  occhj  umidi  e  baaii 


105] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[106] 


: 


Al  mondo,  eh'  è  per  me  un  deserto  alpestro. 
si  To  ricercando  ogni  contrada, 
Ov'  io  la  TÌdi,  e  sol  tu,  che  m'  affllf^i. 
Amor,  TÌen'  meco,  e  mostrimi,  ond'  io  vada. 
liei  non  trov'  io  ;  ma  suoi  santi  vestigi 
Tutti  rivolti  alla  superna  strada 
Veggio  lunge  da'  laghi  averni  e  stigi. 

Sonetto     CCLXM. 

lo  pensava  assai  destro  esser  sull'  ale, 
Kon  per  lor  forza ,  ma  di  chi  le  spiega. 
Per  gir  cantando  a  quel  bel  nodo  eguale, 
Onde  morte  m'  assolve,  amor  mi  lega. 

'rovaimi  all'  opra  via  più  lento  e  frale, 
D'  im  picciol  ramo ,  cui  gran  fascio  piega, 
E  dissi:  a  cader  va  chi  troppo  sale, 
Xè  si  fa  ben  per  uom  quel ,  che  '1  ciel  nega. 
ai  non  poria  volar  penna  d'  ingegno, 
Non  che  stil  grave,  o  lingua,  ove  natura 
Volò  tessendo  il  mìo  dolce  ritegno. 

Seguilla  Amor  con  sì  mirabil  cura 
In  adornarlo ,  oh'  i'  non  era  degno 
Pur  delia  vista,  ma  fu  mia  ventura. 

Sonetto     CCLXVII. 

Jaella,  per  cui  con  Sorga  ho  cangiai'  Amo, 
Con  franca  povertà  serve  ricchezze, 
Volse  in  amaro  sue  sante  dolcezze, 
Ond'  io  già  vissi,  or  me  ne  struggo  e  scarno. 

Da  poi  più  volte  ho  riprovato  indarno 
Al  secol,  che  verrà,  l'  alte  bellezze 
Finger  cantando,  acciò  che  l'  ame  e  prezzo; 
Né  col  mio  stile  il  suo  bel  viso  incarno. 

Le  lode  mai  non  d'  altra,  e  proprie  sue. 
Che  'n  lei  fùr,  come  stelle  in  cielo  sparte, 

tPur  ardisco  ombreggiar,  or  una,  or  due: 
a  poi  eh'  i'  giungo  alla  divina  parte, 
Ch'  un  chiaro  e  breve  sole  al  inondo  fue  ; 
Ivi  manca  l'  ar Aìt ,  1'  ingegno ,  e  l'  arte. 
Sonetto     CCLXVllI. 
alto  e  novo  miracol ,  eh'  a'  di  nostri 
Apparve  al  mondo ,  e  star  seco  non  volse, 
Che  eoi  ne  mostrò  'l  ciel,  poi  se    l  ritolse, 
Per  adornarne  i  suoi  stellanti  chiostri, 
Tuoi,  eh'  i'  dipinga  a  chi  nol\ide,  e  l'  mostri. 
Amor,  che  'n  prima  la  mia  lingua  sciolse, 
Poi  mille  volte  indarno  all'  opra  volse 
Ingegno,  tempo,  penne,  carte,  e  'nchiostri. 
Non  eon  al  sommo  ancor  giunte  le  rime  : 
In  me  '1  conosco ,  e  provai  ben  chiunque 
£  'nOn  a  qui,  che  d'  amor  parli,  o  scriva. 
Chi  sa  pensare  il  ver ,  tacito  estimo, 

Ch'  ogni  stil  vince,  e  poi  sospire:  adunque 
Beati  gli  occhj,  che  la  vidcr  vivai 
Sonetto     CCLXIX. 
Zefiro  torna ,  e  'l  bel  tempo  rimena, 
E  i  fiori  e  r  erbe,  sua  dolce  famiglia, 
E  garrir  l'rogne,  e  pianger  filomena, 
E  primavera  candida  e  vermiglia. 
Ridono  i  prati,  e  'l  ciel  si  rasserena. 
Giove  b'  allegra  di  mirar  sua  figlia, 
L'  aria ,  e  T  acqua ,  e  la  terra  «;  d'  amor  piena. 
Ogni  animai  d'  amar  si  riconsiglia. 
Ma  per  mo,  lasso,  tornano  i  più  gravi 
Sn8|iiri,  che  del  cor  profondo  traggo 
Quella,  eh'  al  ciel  se  ne  portò  le  diiavi. 
E  contar  augcUetti,  e  liurir  piagge, 


E  'n  belle  donne  oneste  atti  soavi, 
Sono  un  deserto ,  e  fere  aspre  e  selvagge. 
Sonetto    CCLXX. 

I  Quel  rosignnol ,  che  si  soave  piagne 
Forse  suoi  figli,  o  sua  cara  consorte. 
Di  dolcezza  empie  il  cielo  e  le  campagne 
Con  tante  note  si  pietose,  e  scorte; 
E  tutta  notte  par  che  m'  accompagne^ 
E  mi  rammenti  la  mia  dura  sorte  : 
Ch'  altri  che  me  non  ho,  dì  cui  mi  lagne; 
Che  'n  Dee  non  credev'  io  regnasse  morte. 

Oh  che  lieve  è  ingannar  chi  s'  assecura! 

Que'  duo  bei  lumi  assai  più  che  '1  sol  chiari 
Chi  pensò  mai  veder  far  terra  oscura? 

Or  conosco  io,  che  mia  fera  ventura 
Vuol,  che  vivendo  e  lagrimando  impari, 
Come  nulla  qua  giù  diletta,  e  dura. 
Sonetto     CCLXXI. 

Né  per  sereno  cielo  ir  vaghe  stelle, 
Né  per  tranquillo  mar  legni  spalmati. 
Né  per  campagne  cavalieri  armati, 
Né  per  bei  boschi  allegre  fere,  e  snelle, 

Né  d'  aspettato  ben  fresche  novelle. 
Né  dir  d'  amore  in  stili  alti,  ed  ornati. 
Né  tra  chiare  fontane  e  verdi  prati 
Dolce  cantare  oneste  donne  -,  e  belle. 

Né  altro  sarà  mai ,  eh'  al  cor  m'  aggiunga  ; 
Sì  seco  il  seppe  quella  seppellire, 
Che  sola  agli  occhj  miei  fu  lume,  e  speglio. 

Noja  m'  è  '1  viver  si  gravosa,  e  lunga, 
Ch'  i'  chiamo  il  fine  per  lo  griin  desile 
Di  riveder  cui  non  veder  fu  'l  meglio. 
Sonetto     CCLXXIL 

Passato  é  'l  tempo  ornai,  lasso,  che  tanto 
Con  refrigerio  in  mezzo    1  foco  vissi, 
Passata  è  quella ,  di  eh'  io  piansi,  e  scrissi, 
Ma  lasciato  m'  ha  ben  la  penna,  e   1  pianto. 

'Passato  è  '1  viso  sì  leggiadro,  e  santo; 

Ma  passando,  i  dolci  occlij  al  cor  m'  ha  fissi, 
Al  cor  già  mio,  che,  seguendo,  partissi, 
Lei ,  ch*  avvolto  l'  avea  nel  suo  bel  manto. 

Ella  'l  se  ne  portò  sotterra  e  'n  cielo, 
Ov'  or  trionfa,  ornata  dell'  alloro, 
Che  meritò  la  sua  invitta  onestate. 

Così  disniolto  dal  moria!  mio  velo, 

Ch'  a  forza  mi  tien  qui ,  foss'  io  con  loro 
Fuor  de'  sospir  fra  1'  anime  beate  I 
Sonetto    CCLXXllI. 

Mente  mia,  che,  presaga  de'  tuoi  danni. 
Al  tempo  lieto  già  pensosa  e  trista, 
Si  intentamente  nell'  amata  vista 
Requie  cercavi  de'  futuri  affanni  : 

Agli  atti,  alle  parole,  al  viso,  ai  panni. 
Alla  nova  pietà  con  dolor  mi»ta. 
Potei  ben  dir ,  se  del  tutto  cri  avvista. 
Questo  è  1'  ultimo  dì  de'  miei  dolci  anni. 

Qual  dolcezza  fu  quella ,  oh  miscr'  alma  ! 
Clinic  ardevamo   in  quel   punto,  eh'  i'  vidi 
Gli  occlij,  i  qiiai  non  dovea  riveder  mai! 

Quando  a  lor,  come  a  duo  amici   più  fidi. 
Partendo,  in  guardia  la  più  nobii  saluuu 
1  miei  cari  pensieri  e  'l  cor,  lasciai. 
SONKTTO      CCLXXIV. 

Tutta  la  mia  fiorita  e  verde  efade 
PiUiiaTa,  0  'ntepidir  i>enlia  giù  i  fono. 


[lOt] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[108] 


Ch'  ar>:e  '1  mìo  cor,  ed  era  giunto  al  loco, 
Ove  scende  la  vita  ,  eh'  al  fjn  cade. 
Già  incominciava  a  prender  securtade 
La  mia  cara  nemica  a  poco  a  poco 
De'  suoi  sospetti ,  e  rivolgeva  in  gioco 
Mie  pene  acerbe  sua  dolce  onestade. 
Presìso  era  '1  tempo ,  dov'  Amor  si  scontra 
Con  castitate,  ed  agli  amanti  è  dato 
Sedersi  insieme,  e  dir  che  loro  incontra. 
Morte  el)be  invidia  al  mio  felice  stato, 
Anzi  alla  speme,  e  fcglisi  all'  incontra 
A  mezza  via,  come  nemico  armato. 
Sonetto     CCLXXV. 
Tempo  era  ornai  da  trovar  pace,  o  tregua 
Di  tanta  guerra,  ed  erane  in  via  forse, 
Se  non  che  i  lieti  passi  indietro  torse 
Chi  le  disagguaglianze  nostre  adegua. 
Che  come  nebbia  al  vento  si  dilegua. 
Così  sua  vita  subito  trascorse 
Quella ,  che  già  co'  begli  occhj  mi  scorse, 
Ed  or  convien ,  che  col  pensier  la  segua. 
Poco  aveva  a  'ndugiar;  che  gli  anni  e  '1  peìù 
Cangiavimo  i  costumi,  onde  sospetto 
Non  fora  il  ragionar  del  mio  mal  seco. 
Con  che  onesti  sospiri  1'  avrei  detto 
Le  mie  lunghe  fatiche,  eh'  or  dal  cielo 
Aede,  son  certo,  e  duolsene  ancor  meco! 
Sonetto     CCLXXVL 
Tranquillo  porto  avea  mostrato  amore 
Alla  mia  lunga  e  torbida  tempesta, 
Fra  gli  anni  dell'  età  matura  onesta. 
Che  i  vizj  spoglia,  e  virtù  veste,  e  onore. 
Già  traluceva  a'  begli  occbj  il  mio  cor*» 
£  r  alta  fede  non  più  lor  molesta. 
Ahi  morte  ria ,  come  a  schiantar  se'  presta 
Il  frutto  di  molt'  anni  in  sì  poche  ore! 
Pur  vivendo  veniasi ,  ove  deposto 

In  quelle  caste  orecchie  avrei  parlando 
De'  miei  dolci  pensier  1'  antica  soma: 
Ed  ella  avrebbe  a  me  forse  risposto 
Qualche  santa  parola  sospirando, 
Cimgiati  i  volti,  e  1'  una  e  1'  altra  coma. 
Sonetto     CCLXXVIL 
Al  cader  d'  una  pianta,  che  si  svelse, 
Come  quella,  che  ferro  o  vento  sterpe, 
Spargendo  a  terra  le  sue  spoglie  eccelse, 
Mostrando  al  sol  la  sua  squallida  sterpe, 
Vidi  un'  altra,  eh'  Amor  obbietto  s«;clse, 
Subbictto  in  me  Calliope  ed  Euterpe, 
Che  '1  cor  m'  avvinse,  e  proprio  albergo  felse, 
Qual  per  tronco,  o  per  muro  edera  serpe. 
Quel  vivo  lauro,  ove  solean  far  nido 

Gli  alti  pensieri,  e  i  miei  sospiri  ardenti, 
Clie  de'  bei  rami  mai  non  mosser  fronda. 
Al  cicl  traslato ,  in  quel  suo  albergo  fido 
Lasciò  radici,  onde  con  gravi  accenti 
E  ancor  chi  chiami ,  e  non  e  (;hi  risponda. 
Sonetto     CCLXXVllL 
I  di  miei  più  leggicr,  che  nessun  cervo. 

Fuggir  «om    ombra  ,  e  non  vider  più  bene, 
Ch'  un  batter  d'  occhio,  e  poche  ore  serene, 
Ch'  amare  e  di.lci  nella  mente  servo. 
Misero  mondo,  instabile,  e  protervo! 

Del  tutto  è  cieco,  chi  'n  te  pon  sua  spene; 

Che  'n  te  mi  fu    1  c(»r  tolto,  ed  or  sei  tiene 

Tal ,  eh'  è  già  terra ,   e  non  giunge   osso  a  nervo. 


Ma  la  forma  miglior,  che  vive  ancora, 
E  vivrà  sempre  su  nell'  alto  cielo, 
Di  sue  bellezze  ognor  più  m'  innamora. 

E  vo  sol  in  pensar  cangiando  '1  pelo, 

Qual'  ella  è  oggi,  e  in  qual  parte  dimora, 
Qual  a  vedere  il  suo  leggiadro  velo. 
Sonetto     CCLXXIX. 

Sento  '1  aura  mia  antica,  e  i  dolci  colli  J 

Veggio  apparir,  onde  'l  bel  lume  nacque,  ^ 

Che  tenne  gli  occhj  miei,  mcntr'  al  ciel  piacque, 
Bramosi  e  lieti ,  or  li  tien  tristi  e  molli. 

Oh  caduche  speranze,  oh  pensier  folli! 
Vedove  1'  erbe ,  e  torbide  son  F  acque, 
E  vóto ,  e  freddo  '1  nido  ,  in  eh'  ella  giacque, 
]\el  qual  io  vivo ,  e  morto  giacer  volli, 

Sperando  alfìn  dalle  soavi  piante, 

E  da'  begli  occhj  suoi,  che  '1  cor  m'  haim'  arso, 
Ripposo  alcun  delle  fatiche  tante. 

Ho  servito  a  signor  crudele,  e  scarso: 
Ch'  arsi  quanto  '1  mio  foco  ebbi  davante. 
Or  vo  piangendo  il  suo  cenere  sparso. 

Sonetto     CCLXXX. 

E  questo  '1  nido,  in  che  la  mia  fenice 
Mise  r  aurate,  e  le  purpuree  penne, 
Che  sotto  le  sue  ali  il  mio  cor  tenne, 
E  parole  e  sospiri  anco  ne  elice? 

Oh  del  dolce  mio  mal  prima  radice, 

Ov'  è  '1  bel  viso,  onde  quel  lume  venne. 
Che  vivo,  e  lieto  ardendo  mi  mantenne.'' 
Sola  eri  in  terra,  or  se'  nel  ciel  felice; 

E  me  lasciato  hai  qui  misero  ,  e  solo, 
Tal  che  pien  di  duo!  sempre  al  loco  torno, 
Che  per  te  consecrato  onoro,  e  colo, 

Veggendo  a'  colli  oscura  notte  intorno. 
Onde  prendesti  al  ciel  1'  ultimo  volo, 
E  dove  gli  occhj  tuoi  solean  far  giorno. 
Sonetto     CCLls^XXI. 

Mai  non  vedranno  le  mie  luci  asciutte 
Con  le  parti  dell'  animo  tranquille 
Quelle  note,  ov'  amor  par  che  sfaville, 
JE  pietà  di  sua  man  1'  abbia  costrutte. 

Spirto  già  invitto  alle  terrene  lutte, 

Ch'  or  su  dal  ciel  tanta  dolcezza  stille, 
Ch'  allo  stil ,  onde  morte  dipartille. 
Le  disviate  rime  hai  ricondutte! 

Di  mie  tenere  frondi  altro  lavoro 

Credea  mostrarti-    e  qual  fero  pianeta 
Ne  'nvidiò  insieme.?  Oh  mio  nobil  tesoro, 

Ch'  innanzi  tempo  mi  t'  asconde,  e  vieta. 
Che  col  cor  veggio,  e  con  la  lingua  onoro.-* 
E  'n  te,  dolce  sospir,  1'  alma  s'acqueta. 
Canzone     XXIV. 

Standomi  un  giorno  solo  alla  finestra, 
Onde  cose  vedea  tante ,  e  sì  nove, 
Cli'  era  sol  di  mirar  quasi  già  stanco, 
Una  fera  m'  apparve  da  man  destra, 
Con  fronte  umana  da  far  arder  Giove, 
Cacciata  da  duo  veltri ,  un  nero ,  un  bianco. 

Che  r  uno  e  1'  altro  fianco 
Della  fera  g<^ntil  mordean  sì  forte, 
Ch'  in  poco  tempo  la  mcnaro  al  passo, 

Ove,  chiuda  in  un  sasso. 
Vinse  molta  bellezza  acerba  morte, 
E  mi  l'è  sospirar  sua  dura  sorte. 

Indi  per  alto  mar  vidi  una  nave. 
Con  lo  sarte  di  seta,  e  d'  or  la  vela, 


09] 


RIME    DEL  PETRARCA. 


[110] 


Tutta  d*  avorio,  e  d'  ebeno  contesta, 
f;  1  mar  tranquillo,  e  1'  aura  era  soave, 
E  "1  ciel ,  qual  è ,  se  nulla  nube  il  vela  : 
Ella  carca  di  ricca  merce  onesta. 

Poi  repente  tempesta 
Orientai  turbò  si  l'aere  e  l'onde, 
Che  la  nave  percosse  ad  uno  scoglio. 

Oh  che  grave  cordoglio  ! 
Breve  ora  oppresse ,  e  poco  spazio  asconde 
L'  alte  ricchezze,  a  nuli'  altre  seconde. 
]  un  boschetto  novo  i  rami  santi 
Fiorian  d'  un  lauro  giovenetto  e  schietto, 
Ch'  un  degli  arbor  parca  di  paradiso. 
¥j  di  sua  ombra  uscian  sì  dolci  canti 
Di  varj  augelli,  e  tanto  altro  diletto, 
Che  dal  mondo  m'  avean  tutto  diviso. 

E  mirandol'  io  fiso, 
Cangiossi  'l  ciel  intorno,  e  tinto  in  vista 
Folgorando  '1  percosse,  e  da  radice 

Quella  pianta  felice 
Subito  svelse;  onde  mia  vita  è  trista: 
Che  simil'  ombra  mai  non  si  racquista. 
liiira  fontana  in  quel  medesmo  bosco 
Sorgea  d'  un  sasso,  ed  acque  fresche  e  dolci 
Spargea  soavemente  mormorando. 
Al  bel  seggio  riposto  ombroso  e  fosco 
ÌNè  pastori  appressavan ,  nò  bifolci, 
^la.  ninfe,  e  muse  a  quel  tenor  cantando. 

Ivi  m'  assisi,  e  quando 
Più  dolcezza  prendea  di  tal  concento, 
E  di  tal  vista,  aprir  vidi  uno  speco, 

E  portarsene  seco 
La  fonte ,  e  'I  loco  ;  ond'  ancor  doglia  sento, 
E  sol  della  memoria  mi  sgomento. 
Il  a  strania  fenice,  ambedue  V  ale 
Di  porpora  vestita,  e  '1  capo  d'  oro 
\  edendo  per  la  selva ,  altera  e  sola, 
\  cder  forma  celeste  ed  immortale 
Prima  pensai ,  fin  eh'  allo  svelto  alloro 
Giunse,  ed  al  fonte,  che  la  terra  invola. 

Ogni  cosa  al  fin  vola  : 
Che  mirando  le  frondi  a  terra  sparse, 
E  '1  troncon  rotto,  e  quel  vivo  umor  secco. 

Volse  in  sé  stessa  '1  becco 
Quasi  sdegnando,  e  'n  un  punto  disparse; 
Onde  '1  cor  dì  pictate,  e  d'  amor  m'  arse. 
.Ifiu  vid'  io  per  entro  i  fiori  e  1'  erba 
Pensosa  ir  sì  leggiadra  e  bella  donna, 
Clic  mai  noi  penso,  eh'  i'  non  arda  e  treme; 
llniile  in  sé,  ma  'ncontr'  amor  superba, 
Fd  avea  in  dosso  sì  candida  gonna, 
Si  tc^ta,  eh'  oro  e  neve  parca  insieme: 

Ma  le  parti  supreme 
Diano  avvolte  d'  una  nebbia  escara. 
Punta  poi  nel  tallon  d'  un  picciol  angoe, 

Come  fior  colt«>  langue, 
Lieta  si  dipartìo,  non  che  sicura. 
Ahi  nuli'  altro  che  pianto  al  mondo  dura  ! 
Janzon,  tu  puoi  ben  dire: 
Questo  sei  visioni  al  signor  mio 
lloa  fatto  uu  dolce  di  morir  desio. 

Ballata    XI. 
imor,  quando  fiori» 
Mia  spenc,  e  'i  guidardon  d'  ogni  mia  fede. 
Tolta  m'  è  quella,  oud'  altcndca  mercede. 


Ahi  dispietata  morte  !  ahi  crudel  vita  ! 

L'  una  m'  ha  posto  in  doglia, 
E  mie  speranze  acerbamente  ha  spente; 
L'  altra  mi  tien  qua  giù  centra  mia  voglia; 

E  lei,  che  se  n'  è  gita 
Seguir  non  posso,  eh'  ella  noi  consente. 

Ma  pur  ognor  presente 
Nel  mezzo  del  mio  cor  madonna  siede, 
E  qual'  è  la  mia  vita ,  ella  sei  vede. 

C  A  X  z  0  N  B     XXV. 
Tacer  non  posso ,  e  temo  non  adopre 
Contrario  effetto  la  mia  lingua  al  core, 

Che  vorria  far  onore 
Alla  sua  donna,  che  dal  ciel  n'  ascolta. 
Come  poss'  io,  se  non  m'  insegni.  Amore, 
Con  parole  mortali  agguagliar  1'  opre 

Divine,  e  quel  che  copre 
Alta  uroiltate  in  sé  stessa  raccolta? 
Nella  bella  prigione ,  ond'  or  é  sciolta. 
Poco  era  stata  ancor  1'  alma  gentile 
Al  tempo,  che  di  lei  prima  m'  accorsi: 

Onde  subito  corsi 
(Ch'  era  dell'  anno ,  e  di  mia  etate  aprile) 
A  coglier  fiori  in  quei  prati  d'  intorno. 
Sperando  agli  occhj  suoi  piacer  sì  adorno. 
Muri  eran  d'  alabastro,  e  tetto  d'  oro, 
D'  avorio  uscio ,  e  fenestre  di  zaffiro. 

Onde  '1  primo  sospiro 
Mi  giunse  al  cor ,  e  giugnerà  1'  estremo. 
Indi  i  messi  d'  Amor  armati  uscirò 
Di  saette  e  di  foco  :  ond'  io  di  loro 

Coronati  d'   alloro. 
Pur  com'  or  fosse ,  ripensando ,  tremo. 
D'  un  bel  diamante  quadro ,  e  mai  non  scemo, 
Vi  si  vedea  nel  mezzo  un  seggio  altero, 
Ove  sola  sedea  la  bella  donna. 

Dinanzi  una  colonna 
Cristallina,  ed  iv'  entro  ogni  pensiero 
Scritto,  e  fuor  tralucea  sì  chiaramente. 
Che  mi  fca  lieto,  e  sospirar  sovente. 
Alle  pungenti ,  ardenti ,  e  lucid'  arme. 
Alla  vittoriosa  insegna  verde. 

Centra  cu'  in  campo  perde 
Giove,  ed  Apollo,  e  Polifcmo  ,  e  Marte, 
Ov'  é  '1  pianto  ognor  fresco,  e  si  rinverde. 
Giunto  mi  vidi,  e  non  possendo  aitarme. 

Preso  lasciai  mcnarme, 
Ond'  or  non  so  d'  uscir  la  via,  né  1'  arte. 
Ma  sì  com'  uom  talor,  che  piange,  e  parte, 
Aede  cosa,  che  gli  occhj  e  '1   cor  alletta. 
Cosi  c<dei,  per  eh'  ut  son  in  prigione. 

Standosi  ad  un  balcone, 
Che  fu  sola  a'  suoi  dì  cosa  pcrfcttìi, 
Ctuiiiuciai  a  mirar  con  tal  desio  , 
Che  ine  stesso,  e  '1  mio  mal  posi  in  obblio. 
I'  era  in  terra ,  e  'I  cor  in  paradiso. 
Dolcemente  nbbliando  ogni  altra  cura, 

E  mia  viva  figura 
Far  seiilia  un  marmo,  e  'iiipicr  di  meraviglia, 
Qiiand'  una  donna  assai  pronta  e  sicura. 
Di  tempo  luitica.  e  giurane  del  vi^o, 

\  citcìiildiiii  si   fiso 
AlP  atto  d<'ll.i  fronte ,  o  delle  ciglia, 
'      Meco,  mi  di'^^(; ,  meco  ti  consiglia! 
I      ('ir  i'  son  d'  altro  poder ,  che  tu  non  credi, 
E  so  far  lieti  e  tribti  in  un  momento. 


[Ili] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[112] 


Più  leggiera,  che  '1  vento, 
E  reggo,  e  volvo  quanto  al  mondo  veili. 
Tien  pur  gli  occhj  ,  com'  aquila ,  in  quel  6ol«! 
Parte  dà  orecchj  a  queste  mie  parole  l 
Il  dì  che  costei  nacque,  eran  le  stelle. 
Che  producon  fra  toì  felici  e£fett!, 

In  luoghi  alti  ed  eletti, 
L'  una  ver  l'  altra  con  amor  converse. 
Venere  e  '1  padre  con  benigni  aspetti 
Tenean  le  parti  signorili  e  belle, 

E  le  luci  empie  e  felle 
Quasi  in  tutto  del  ciel  eran  disperse. 
Il  gol  mai  si  bel  giorno  non  aperse, 
L'  aere  e  la  terra  s'  allegrava,  e  1'  acque 
Per  lo  mar  avean  pace,  e  per  11  dami. 

Fra  tanti  amici  lumi 
Una  nube  lontana  mi  dispiacque. 
La  qual  temo  ,  che  'n  pianto  si  risolve. 
Se  pietate  altramente  il  ciel  non  voivc. 
&)m*  ella  venne  in  questo  viver  bass<», 
Ch' ,  a  dir  il  ver ,  non  fu  degno  d'  averla. 

Cosa  nova  a  vederla, 
Già  santissima  e  dolce,  ancor  acerba. 
Parca  chiusa  in  or  fin  candida  perla. 
Ed  or  carpone ,  or  con  tremante  passo 

Legno ,  acqua ,  terra ,  o  gasso. 
Verde  facea,  cliiara,  soave,  e  V  erba 
Con  le  palme ,  e  co'  pie  fresca  e  superba, 
E  fiorir  co'  begli  occhj  le  campagne. 
Ed  acquetar  i  venti,  e  le  tempeste, 

Con  voci  ancor  non  preste 
Di  lingua,  che  dal  latte  si  scompagne, 
Chiaro  mostrando  al  mondo  sordo  e  cieco, 
Quanto  lume  del  ciel  fosse  già  seco. 
Poiché,  crescendo  in  tempo  ed  in  virtute, 
Giunse  alla  terza  sua  fiorita  etatc, 

Leggiadria  nò  beltate 
Tanta  non  vide  il  sol,  credo,  giammai. 
Gli  occhj  pien  di  letizia  e  d'  onestate, 
E  '1  parlar  di  dolcezza  e  di  salute. 

Tutte  lìngue  son  mute 
A  dir  di  lei  quel ,  che  tu  sol  ne  sai. 
Sì  chiaro  ha  'l  volto  di  celesti  rai. 
Che  vostra  vista  in  lui  non  può  fermarse, 
E  da  quel  suo  bel  carcere  terreno 

Di  tal  foco  hai  '1  cor  pieno, 
Ch'  altro  più  dolcemente  mai  non  arse. 
Ma  parmi,  che  sua  subita  partita 
Tosto  ti  fia  cagion  d'  amara  vita. 
Detto  questo,  alla  sua  volubil  rota 

Si  volse,  in  eh'  ella  fila  il  nostro  stame. 
Trista  e  certa  indovina  de'  miei  danni: 

Che  dopo  non  molt'  anni 
Quella,  perdi'  io  ho  di  morir  tal  fame, 
Canzon  mia,  spense  morte  acerba  e  rea. 
Che  più  bel  corpo  uccider  non  potca. 

S  0  X  E  T  T  0    CCLXXXn. 

Or  hai  fatto  1'  estremo  di  tua  possa, 

Oh  cnidcl  morte  !  or  hai  'I  regno  d'  Amore 

Impoverito;  nr  di  bellezza  il  fiore 

E  'I  lume  hai  spento,  e  chiuso  in  poca  fossa. 

Or  hai  spogliata  nostra  vita,  e  scossa 

D'  ogni  ornamento,  e  del  sovran  suo  onore; 
Ma  la  fama ,  e  1  valor ,  che  mai  non  more, 
Non  è  in  tua  forza:  abbiti  ignude  1'  ossa! 


Che  r  altro  ha  'i  cielo ,  e  di  sua  chiaritate, 
Quasi  d'  un  più  bel  sol ,  s'  allegra ,  e  gloria, 
E  fia  ai  mondo  de'  buon  sempre  in  memoria. 

Vinca  '1  cor  vostro  in  sua  tanta  vittoria, 
Angel  novo ,  là  su  di  me  pietate, 
Come  vinse  qui  '1  mio  vostra  beltate! 

Sonetto    CCLXXXIH. 

L**  aura,  e  1'  odore,  e  '1  refrigerio,  e  V  ombcs 
Del  dolce  laiu'O,  e  sua  vista  fiorita, 
Lume  e  riposo  di  mia  stanca  vita. 
Tolto  ha  colei ,  che  tutto  '1  mondo  sgombra. 

Come  a  noi  '1  sol ,  se  sua  soror  1'  adombra, 
Così,  r  alta  mia  luce  a  me  sparita, 
Io  cheggìo  a  morte  incontr'  a  morte  aita  : 
Di  sì  scuri  pensieri  Amor  m'  ingombra  ! 

Dormito  hai,  bella  donna,  un  breve  sonno; 
Or  se'  svegliata  fra  gli  spirti  eletti. 
Ove  nel  suo  fattor  V  alma  s'  interna. 

E,  se  mie  rime  alcuna  cosa  ponno, 
Consecrata  fra  i  nobili  intelletti 
Fia  del  tuo  nome  qui  memoria  etema. 

Sonetto    CCLXXXIV. 

L'  ultimo ,  lasso ,  de'  miei  giorni  allegri, 
Che  pochi  ho  visto  in  questo  viver  breve, 
Giunt'  era,  e  fatto  '1  cor  tepida  neve. 
Forse  presago  de'  dì  tristi  e  negri. 

Qual  ha  già  i  nervi,  e  i  polsi ,  e  i  pensier  egri. 
Cui  domestica  febbre  assalir  deve, 
Tal  mi  sentia ,  non  sapend'  io ,  che  leve 
Venisse  '1  fio  de'  miei  ben  non  integri. 

Gli  occhj  belli ,  ora  in  ciel  chiari ,  e  felici 
Del  lume,  onde  salute  e  vita  piove, 
Lasciando  i  miei  qui  miseri ,  e  mendici, 

Dicean  lor  con  faville  oneste  e  nove:  i 

Rimanetevi  in  pace ,  oh  cari  amici  ! 
Qui  mai  più  no ,  ma  rivedrenne  altrove. 

SoisBTTO    CCLXXXV. 
Oh  giorno!  oh  ora!  oh  ultimo  momento! 

Oh  stelle  congiurate  a  'mpoverirme! 

Oh  fido  sguardo,  or  che  volei  tu  dirme, 

Partend'  io  per  non  esser  mai  contento? 
Or  conosco  i  miei  danni;  or  mi  risento: 

Ch'  i'  credeva  (ahi  credenze  vane  e  'nllraie!) 

Perder  parte,  non  tutto,  al  dipartirme. 

Quante  speranze  se  ne  porta  il  vento  ! 
Che  già  il  contrario  era  ordinato  in  cielo. 

Spegner  1'  almo  mio  lume,  ond'  io  vivea, 

E  scritto  era  in  sua  dolce  amara  vista. 
Ma  innanzi  agli  occhj  m'  era  posto  un  velo. 

Che  mi  fea  non  veder  quel  eh'  i'  vedea; 

Per  far  mia  vita  subito  più  trista. 

Sonetto    CCLXXXVL 
Quel  vago,  dolce,  caro,  onesto  sguardo 

Dir  parca:  to*  di  me  quel  che  tu  puoi! 

Che  mai  più  qui  non  mi  vedrai  da  poi, 

Ch'  avrai  quinci  '1  pie  mosso  a  mover  tardo. 
Intelletto  veloce  più  che  pardo. 

Pigro  in  antivedere  i  dolor  tuoi, 

('ome  non  vcdc:«tù  negli  occhj  suoi 

Quel,  che  ved'  ora .''  ond'  io  mi  strugga ,  ed  ardo, 
Taciti  ,  sfavillando  oltra  lor  modo, 

Dicean  :  oh  lumi  amici,  che  gran  tempo 

Coo  tal  dolcezza  feste  di  noi  spcccl\j. 


113] 


RIME  DEL  PETUARCA. 


[114] 


!  riel  n'  iu-ipetta  ;  a  toì  parrà  per  tempo  : 
Ma  chi  ne  strinse  qui,  dissolve  il  nodo, 
E  '1  vostro,  per  farv'  ira,  tuoI  che  'nvccchj. 
C  A  IV  z  o  A'  E      XXVI, 
(iolea  dalla  fontana  di  mia  vita 
AUontanarnic ,  e  cercar  terre  e  mari, 
]Von  mio  voler,  ma  mia  stella  seguendo; 
E  sempre  andai  (tal'  amor  diemnii  aita) 
In  quelli  esilj ,  quanto  e'  vide,  amari, 
Di  memoria,  e  di  speme  il  cor  pascendo. 
Or,  lasso,  alzo  la  mano,  e  V  arme  rendo 
Air  empia,  e  violenta  mia  fortuna. 
Che  privo  m'  ha  di  sì  dolce  speranza. 

Sol  memoria  m'  avanza, 
E  pasco  '1  f^-ran  desir  sol  di  quest'  una. 
Onde  r  alma  vien  men,  frale  e  digiuna. 
Jome  a  corricr  tra  via ,  se  'I  cibo  manca, 
Convien  per  forza  rallentar  il  corso, 
Scemaniio  la  virtù,  che  '1  fca  gir  presto, 
Così,  mancando  alla  mia  vita  etanca 
Quel  caro  nutrimento ,  in  che  di  morso 
Dio',  chi  'I  mondo  fa  nudo,  e  '1  mìo  cor  mesto, 
Il  dolce  acerbo ,  e  '1  bel  piacer  molesto 
Mi  si  fa  d'  ora  in  ora;  onde  '1  cammino 
Sì  breve  non  fornir  spero  e  pavento. 

Kebbia  o  polvere  al  vento 
Fuggo,  per  più  non  esser  pellegrino  : 
E  cosi  vada,  s'  è  pur  mio  destino! 
lai  questa  mortai  vita  a  me  non  piacque, 
(Sassel'  Amor,  con  cui  spesso  ne  parlo) 
Se  non  per  lei,  che  fu  'l  suo  lume,  e  '1  mio. 
Poi  che  'n  terra  morendo,  al  ciel  rinacque 
Quello  spirto ,  ond'  io  vissi ,  a  seguitarlo 
Licito  fosse!  è  '1  mio  sommo  desio. 
Ma  da  dolermi  ho  ben  sempre,  perch'  io 
I    Fui  mal  accorto  a  provveder  mio  stato, 
I    Ch'  Amor  mostrommi  sotto  quel  bel  ciglio, 
I  Per  darmi  altro  consiglio: 

1    Cile  tal  mori  già  tristo  e  sconsolato, 
Cui  poco  innanzi  era  '1  morir  beato. 
Segli  occhj,  ov'  abitar  solca  '1  mio  core, 
Fin  che  mia  dura  sorte  invidia  n'  ebbe, 
Che  di  sì  ricco  albergo  il  pose  in  bando. 
Di  sua  man  propria  avca  descritto  Amore 
Con  lettre  di  pietà  quel ,  eh'  avverrebbe 
Tosto  del  mio  si  lungo  ir  desiando. 
Bello  e  dolce  morire  era  allor  quando, 
Morcnd'  io,  non  moria  mia  vita  insieme, 
Anzi  vivea  di  me  1'  ottima  parte. 

Or  mie  speranze  sparte 
Ila  morte ,  e  poca  terra  il  mio  ben  preme  ; 
E  vivo ,  e  mai  noi  penso ,  eh'  i'  non  treme. 
Se  stato  fosse  il  mio  poco  intelletto 
Meco  al  bisogno ,  e  non  altra  vaghezza 

DIi'  avesse  desviando  altrove  volto, 
Nella  fronte  a  madonna  avrei  ben  Ietto: 
jil  Jìn  sc^  ffitinlo  f/'  ogjit  tua  dolcezza. 
Ed  al  principio  del  tuo  amaro  molto. 
Quc><to  intendendo ,  dolcemente  sciolto 
In  sua  presenza  del  mortai  mio  velo, 
E  di  questa  nojosa  e  grave  carne, 

INitca  innanzi  lei  andarne 
A  veder  prepnrar  sua  sedia  in  cielo: 
Or  r  andrò  dietro  ornai  con  altro  pelo. 
Canzon ,  s'  uom  tro\  i  in  suo  amor  viver  qucto. 
Di':  uiuor,  mentre  se'  lieto: 


Che  morte  al  tempo  è  non  duol,  ma  refu"-io, 
E  chi  ben  può  njorir,  non  cerchi  indugio. 
Sestina     IX. 
Mìa  benigna  fortuna,  e  '1  viver  lieto, 
I  chiari  giorni,  e  le  tranquille  notti, 
E  i  soavi  sospiri ,  e  'l  dolce  stile. 
Che  solca  risonar  in  versi  e  'n  rime, 
^  olti  subitamente  in  doglia  e  'n  pianto, 
Odiar  vita  mi  fanno,  e  bramar  morte. 
Crudele ,  acerba  ,  inesorahil  morte, 
Cagion  mi  dai  di  mai  non  esser  lieto. 
Ma  di  menar  tutta  mia  vita  in  pianto, 
E  i  giorni  oscuri,  e  le  dogliose  notti! 
l  mie'  gravi  sospir  non  vanno  in  rime, 
E  '1  mio  duro  martir  vince  ogni  stile. 
Ov'  è  condotto  il  mio  amoroso  stile? 
A  parlar  d'  ira,  a  ragionar  di  morte. 
U'  sono  i  versi,  u'  son  giunte  le  rime. 
Che  gentil  cor  udia  pensoso  e  lieto  ? 
Ov'  è  '1  favoleggiar  d'  amor  le  notti.-* 
Or  non  pari'  io,  nò  penso  altro,  che  pianto. 
Gfià  mi  fu  col  desir  sì  dolce  il  pianto, 
Che  condia  di  dolcezza  ogni  agro  stile, 
E  vegghiar  mi  facea  tutte  le  notti. 
Or  m'  è  il  pianger  amaro  più  che  morte, 
Non  sperando  mai  '1  guardo  onesto  e  lieto, 
Alto  soggetto  alle  mie  basse  rime. 
Chiaro  segno  Amor  pose  alle  mie  rime 
Dentro  a'  begli  occhj,  ed  or  l'  ha  posto  ia  pianto. 
Con  dolor  rimembrando  il  tempo  lieto  : 
Ond'  io  vo  col  pensier  cangiando  stile, 
E  ripregando  te ,  pallida  morte. 
Che  mi  sottragghi  a  sì  penose  notti. 
Fuggito  è  'l  sonno  alle  mie  crude  notti, 
E  '1  suono  usato  alle  mie  roche  rime, 
Che  non  sanno  trattar  altro,  che  morte; 
Così  è  'l  mio  cantar  converso  in  pianto. 
Non  ha  'l  regno  d'  Amor  sì  vario  stile: 
Ch'  è  tanto  or  tristo ,  quanto  mai  fu  lieto. 
Nessun  visse  giammai  più  di  me  lieto  : 
Nessun  vive  più  tristo  e  giorni ,  e  notti, 
E  doppiando  'l  dolor ,  doppia  lo  stile. 
Che  trae  del  cor  sì  lagrimose  rime. 
Vissi  di  speme,  or  vivo  pur  di  pianto: 
Nò  contra  morte  spero  altro  ,  che  morte. 
Morte  m'  ha  morto ,  e  sola  può  far  morte, 
Ch'  i'  torni  a  riveder  quel  viso  lieto. 
Che  piacer  mi  facea  i  sospiri,  e  "l  pianto» 
L'  aura  dolce ,  e  la  pioggia  alle  mie  notti, 
Quando  i  pensieri  eletti  tessea  in  rime, 
Amor  alzando  il  mio  debile  stile. 
Or  avess'  io  un  si  pietoso  stile, 

Che  Laura  mia  potesse  torre  a  morte, 
Coni'  Euridice  Orfeo  sua,  senza  rime: 
Cir  i'  vigerci  ancor  più  che  mai  lieto. 
S'  esser  non  può,  quabun.i  d'  rste  notti 
Chiuda  omai  queste  due  fonti  di  pianto! 
Amor,  i'  ho  molli  e  iiiolt'  anni  pianto 
IMit»  grave  danno  in  doloroso  siile, 
INè  da  te  spero  mai  men  fere  notti. 
E  però  mi  son  mosso  a  pregar  morte, 
('he  ini  tollu  di  qui  per  t'armo  lieto, 
Ov'  è  colei ,  eh'  i'  canto  e  piango  in  rime. 
Se  si  alto  pon  gir  mie  stanche  rimo. 

Ch'  aggiungan  lei,  eh'  è  fuor  d'  ira  e  di  pianto. 


[115] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[116] 


E  fa  '1  ciei  or  di  sue  bellezze  lieto, 
Ben  riconoscerà  '1  luutéito  stile, 
Che  già  forse  le  piacque ,  anzi  che  Morte 
Chiaro  a  lei  giorno,  a  me  fesse  atre  notti. 

Oli  voi,  che  sospirate  a  miglior  notti, 
Ch'  ascoltate  d'  amore  o  dite  in  rime, 
Pregate  non  mi  sia  più  sorda  Morte, 
Porto  delle  miserie,  e  fin  del  pianto. 
Muti  una  volta  quel  suo  antico  stile, 
Ch'  ogni  uomo  attrista,  e  me  può  far  sì  lieto! 

Far  mi  può  lieto  in  una ,  o  'n  poche  notti  : 
E  'n  aspro  stile,  e  'n  angosciose  rime 
Prego,  che  '1  pianto  mio  finisca  morte. 

So^ETTo     CCLXXXMI. 
Ite,  rime  dolenti,  al  duro  sasso, 

Che  'I  mio  caro  tesoro  in  terra  asconde! 

Ivi  chiamate  chi  dal  ciel  risponde. 

Benché  '1  mortai  sia  in  loco  oscuro  e  basso. 
Ditele ,  eh'  i'  son  già  di  viver  lasso. 

Del  navigar  per  queste  orriltili  onde; 

Ma  ricogliendo  le  sue  sparte  fronde 

Dietro  le  vo  pur  cosi  passo  passo. 
Sol  di  lei  raggionando  viva  e  morta. 

Anzi  pur  viva ,  ed  or  fatta  immortale. 

Acciò  che  '1  mondo  la  conosca  ed  ame. 
Piacciale  al  mio  passar  esser  accorta, 

Ch'  è  presso  ornai  !  Siami  all'  incontro ,  e  quale 

Ella  è  nel  ciclo,  a  sé  mi  tiri  e  chiame! 

SOTSETTO     CCLXXXVIII. 

S'  onesto  amor  può  meritar  mercede, 
E  se  pietà  ancor  può ,  quant'  ella  suole, 
Mercede  avrò;  che  più  chiara  che  '1  sole 
A  Madonna,  ed  al  mondo  é  la  mia  fede. 

Già  di  me  paventosa ,  or  sa ,  noi  crede, 
Che  quello  stesso ,  eh'  or  per  me  si  vole, 
Sempre  si  volse,  e  s'  ella  udia  parole, 
O  vedea  '1  volto,  or  1'  animo  e  '1  cor  vede. 

Ond'  io  spero,  che  'nfin  al  ciel  si  doglia 
De'  miei  tanti  sospiri ,  e   così  mostra 
Tornando  a  me  si  piena  di  pietate. 

E  spero,  eh'  al  por  giù  di  questa  spoglia 
\enga  per  me  con  quella  gente  nostra, 
Vera  amica  di  Cristo,  e  d'  onestate. 

Sonetto    CCLXXXIX. 
Vidi  fra  mille  donne  una  già  tale, 

('ir  amorosa  paura  il  cor  m'  assalga, 

Mirandola  in  immagini  non  false. 

Agli  spirti  celesti  in  vista  eguale. 
Niente  in  lei  terreno  era,  o  mortale, 

Sì  come  a  cui  del  ciel ,  non  d'  altro ,  calse. 

L'  alma,  <;h'  arse  per  lei  si  spesso,  ed  alee, 

A  aga  d'  ir  seco  aperse  ambedue  1'  ale. 
Ma  tropp'  era  alta  al  mio  peso  terrestre; 

K  poco  pili  ni'  uscì  'n  tutte  di  vista: 

Di  i;lie  pensando  ancor  m'  agghiaccio,  o  torpo. 
Oh   belle,  ed   alle,  e  lucide  finestre, 

Onde  colei ,  che  molla  gente  attrista, 

Trovò  la  via  d'  entrare  in  sì  bel  corpo! 

Sonetto     CC\C. 

Tornami  a  mente,  anzi  v'  è  dentro,  quella, 
(.'h'  ìnrli  per  Lete  esser  non  può  sbandita, 
Qiial'  io  la  vidi  in  snlP  eia  finrita. 
Tutta  accesa  de'  raggi  di  bua  htella. 

Sì  nel  mio  primo  occorso  onesta  e  bella 


Veggiolain  sé  raccolta,  e  si  romita, 

Ch'  i'  grido:  eli'  è  ben  dessa;  ancor  è  in  vita, 

E  'n  don  le  cheggio  sua  dolce  favella. 

Talor  risponde,  e  talor  non  fa  motto: 

J',  coni'  uom ,  eh'  erra,  e  poi  più  dritto  estima, 
Dico  alla  mente  mia:  tu  se  'ngannata. 

Sai,  che  'n  mille  trecento  quarant'  otto, 
Il  di  sesto  d'  aprile,  in  1'  ora  prima, 
Del  corpo  uscio  queir  anima  beata. 
Sonetto     CCXCL 

Questo  nostro  caduco  e  fragil  bene, 

Ch'é  vento  ed  ombra,  ed  ha  nome  beltate, 
Non  fu  giammai ,  se  non  in  questa  etate, 
Tutto  in  un  corpo ,  e  ciò  fu  per  mie  pene. 

Che  natura  non  vuol,  né  si  conviene, 

Per  far  ricco  nn,  por  gli  altri  in  povertate. 
Or  versò  in  una  ogni  sua  largitate. 
Perdonimi  qnal'  è  bella,  o  si  tiene! 

IVon  fu  simil  bellezza  antica,  o  nova, 
Kè  sarà,  credo;  ma  fu  sì  coverta, 
Ch'  appena  se  n'  accorse  il  mondo  errante. 

Tosto  disparve;  onde  '1  cangiar  mi  giova 
La  poca  vista  a  me  dal  cielo  offerta. 
Sol  per  piacer  alle  sue  luci  sante. 

Sonetto    CCXCIL 
Oh  tempo ,  oh  ciel  volubil ,  che  fuggendo 

Inganni  i  ciechi  e  miseri  mortali  ! 

Oh  dì,  veloci  più  che  vento  e  strali! 

Or  ab  esperto  vostre  frodi  intendo. 
Ma  scuso  voi,  e  me  stesso  riprendo; 

Che  natura  a  volar  v'  aperse  1'  ali, 

A  me  diede  occlij ,  ed  io  pur  ne'  miei  mali 

Li  tenni;  onde  vergogna  e  dolor  prendo. 
E  sarebbe  ora  ,  ed  è  passata  omai. 

Da  rivoltarli  in  più  sicura  parte, 

E  poncr  fine  agi'  infiniti  guai. 
Xè  dal  tuo  giogo ,  Amor ,  1'  alma  si  parte. 

Ma  dal  suo  mal;  con  che  studio,  tu  '1  sai: 

Non  a  caso  é  virtute,  anzi  è  beli'  arte. 

Sonetto     CCXCIIL 

Quel ,  che  d'  odore  e  di  color  vince» 
L'  odorifero  e  lucido  oriente, 
Frutti,  fiori,  erbe,  e  frondi,  onde  '1  ponente 
D'  ogni  rara  eccellenza  il  pregio  avea, 

Dolce  mio  lauro ,  ov'  abitar  solca 
Ogni  bellezza ,   ogni  virtute  ardente. 
Vedeva  alla  sua  ombra  onestamente 
Il  mio  signor  sedersi,  e  la  mia  dea. 

Ancor  io  il  nido  di  pensieri  eletti 
Posi  in  quell'  alma  pianta,  e  'n  foco,  e  'n  gelo. 
Tremando ,  ardendo ,  assai  felice  fui. 

Pieno  era  '1  mondo  de'  suo'  onor  perl'ettii 
Allor  che  Dio,  per  adornarne  il  cielo. 
La  si  ritolse ,  e   cosa  era  da  lui. 

Sonetto     CCXCIV. 

Lasciato  hai  ,  Morte ,  senza  sole  il  mondo 
Oscuro  e  freddo  ,  Amor  cieco  ed  inerme, 
Leggiadria  ignuda ,  le  bellezze  inferme. 
Me  sconsolato  ,  ed  a  me  grave  pondo, 

Cortesia  in  bando,  ed  onestate  in  fondo. 
Doglioin'  io  sol ,  né  sol  ho  da  dolerme. 
Che  sveli'  hai  di  virtute  il  chiaro  germe, 
Spento  il  primo  valor:  qual  fia  il  secondo? 

rianger  i'  aer,  e  la  terra,  e  '1  mar  dovrebbe, 
L'  uman  Icgnaggio,  che,  senz'  ella,  è  quasi 


1L7] 


RIME   DEL  PETRARCA. 


[1181 


Senza  fior  prato,  o  senza  gemma  anello. 
Non  la  conobbe  il  mondo,  mentre  1'  ebbe  : 
Conobbir  io,  eh'  a  pianger  qni  rimasi, 
E  '1  ciel,  che  del  mio  pianto  or  si   fa  bello. 

Sonetto     CCXCV- 
Conobbi,  quanto  il  elei  gli  occlij  m'  aperse, 

Quanto  studio  ed  amor  m'  alzaron  1'  ali, 

Cose  nove  e  leggiadre,  ma  mortali, 

Che  'n  un  soggetto  ogni  stella  cosperse. 
L'  altre  tante,  sì  strane  e  sì  diverse 

Forme  altere,  celesti,  ed  immortali, 

Perchè  non  furo  all'  intelletto  eguali, 

La  mia  debile  vista  non  sofferse. 
Onde,  quant'  io  di  lei  parlai,  né  scrissi, 

Cli'  or  per  lodi  anzi  a  Dio  preghi  mi  rende, 

Fu  breve  stilla  d'  infiniti  abissi  : 
Che  stile  oltra  I'  ingegno  non  si  stende,  ^ 

E ,  per  aver  uom  gli  occbj  nel  sol  fissi. 

Tanto  si  vede  men,  quanto  più  splende. 

Sonetto     CCXCVl. 

Dolce  mio  caro  e  prezioso  pegno. 

Che  natura  mi  tolse,  e  '1  ciel  mi  guarda. 
Deh ,  come  è  tua  pietà  ver  me  sì  tarda, 
Oh  usato   di  mia  vita  sostegno? 

Già  suo'  tu  far  il  mio  sonno  almen  degno 
Della  tua  vista ,  ed  or  sostien*,  eh'  i'  arda 
Senz'  alcun  refrigerio;  e  chi  '1  ritarda? 
Pur  là  su  non  alberga  ira  ,  né  sdegno, 

Onde  qua  giuso  un  ben  pietoso  core 
Talor  si  pasce  degli  altrui  tormenti. 
Sì  eh'  egli  è  vinto  nel  suo  regno  Amore. 

Tu,  che  dentro  mi  vedi,  e  '1  mio  mal  senti, 
E  sola  puoi  finir  tanto  dolore, 
Con  la  tua  ombra  acqueta  i  miei  lamenti! 

Sonetto     CCXCVII. 
i  Deh  ,  qual  pietà ,  qual  angel  fu  sì  presto 

A  portar  sopra  '1  cielo  il  mio  cordoglio? 

Ch'  ancor  sento  tornar ,  pur  come  soglio, 

Madonna  in  quel  suo   atto   dolce  onesto, 
Ad  acquetar  il  cor  misero  e  mesto , 

Piena  sì  d'  umiltà,  vota  d'  orgoglio, 

E  'n  somma  tal^  eh'  a  morte  i'  mi  ritoglio, 

E  vivo,  e  '1  viver  più  non  ra'  è  molesto. 
Beata  se',  che  puoi  beare  altrui 

Con  la  tua  vista,  ovver  con  le  parole 

Intelletto  da  noi  soli  ambcdui. 
Fedel  mio  caro ,  assai  di  te  mi  dnic  ; 

Ma  pur  per  nostro  ben  dura  ti  fui, 

Vice,  e  cos'  altre  d'  arrestar  il  sole. 

Sonetto     CCXCVIII. 

Del  cibo,  onde  'l   signor  mi«  sempre  abbonda, 
Lagrime  e  doglia,  il  cor  lasso  nndrisco, 
E  s|iesso  tremo,  e  spesso  impallidisco. 
Pensando  alla  sua  piaga  aspra,  e  profonda. 

Ma  chi  nò  prima  simil ,  né  seconda 

Ebbe  ili  suo  tempo ,  al  letto ,  in  eh'   io  languisco, 
Men  tal,  eh'  appena  a  rimirarla  ardisco, 
E  pietosa  e'  as:<ide  in  sulla  sponda. 

Con  quella  uiau  ,  che  tanto  desiai, 

I\r  asciuga  gli  occbj ,  e  col  sim  dir  m'  apporta 
Dohuzza  ,  eh'  uom  mortai  non  sentì  mai. 

Cile  vai,  dice,  a  saver,  chi  si  sconforta? 

Non  pianger  più!  non  m'   hai  tu  pianto  assai? 
Ch'  or  fostù  vivo,  com'  io  non  hoii  morta. 


Sonetto     CCXClX. 
Ripensando  a  quel ,  eh'  oggi  il  ciel  onora. 
Soave  sguardo,  al  chinar  V  aurea  testa, 
Al  volto ,  a  quella  angelica  modesta 
Voce,  che  m'  addohiva,  ed  or  m'  ancora, 
Gran  meraviglia  ho,  com'  io  viva  ancora, 
Aè  vivrei  già,  se,  chi  tra  bella  e  onesta, 
Qual  fu  più,  lasciò  in  dubbio,  non  ?ì  presta 
Fosse  al  mio  scampo  là  verso  1'  aurora. 
Oh  che  dolci  accoglienze,  e  caste,  e  pie! 
E  come  intentamente  ascolta  e  nota 
La  lunga  istoria  delle  pene  mie  ! 
Poi  che  '1  dì  chiaro  par  che  la  percota. 
Tornasi  al  ciel ,  che  sa  tutte  le  vie. 
Umida  gli  occbj ,  e  1'  una  e  1'  altra  gota. 
Sonetto     CCC. 
Fu  forse  un  tempo  dolce  cosa  amore. 

Non  perch'  io  sappia  il  quando  ;  or  è  si  amara. 
Che  nulla  più.     Ben  sa  '1  ver  chi  1'  impara, 
Com'  ho  fatt'  io  con  mio  grave  dolore. 
Quella,  che  fu  del  secol  nostro  onore. 
Or  è  del  ciel,  che  tutto  orna  e  rischiara. 
Fé'  mia  requie  a'  suoi  giorni  e  breve,  e  rara. 
Or  m'  ha  d'  ogni  riposo  tratto  fore. 
Ogni  mio  ben  crudel  morte  m'  ha  tolto  ; 
Né  gran  prosperità  il  mio  stato  avverso 
Può  consolar  di  quel  bel  spirto  sciolto. 
Piansi,  e  cantai,  non  so  più  mutar  verso; 
Ma  dì  e  notte  il  duol  nell'  alma  accolto 
Per  la  lingua  e  per  gli  occbj  sfogo  e  verso. 
Sonetto     CCCI. 
Spinse  amor  e  dolor,  ove  ir  non  debbe, 
La  mia  lingua  avviata  a  lamentarsi, 
A  dir  di  lei,  per  eh'  io  cantai,  ed  arsl,^ 
Quel  che,  se  fosse  ver,  torto  sarebbe. 
Ch'  assai  'l  mio  stato  rio  quetar  do^Tebbe 
Quella  beata,  e  "l  cor   racconsolarsi. 
Vedendo  tanto    lei  domesticarsi 
Con  colui ,  che  vivendo  in  cor  sempr'  ebbe. 
E  ben  m'  acqueto,  e  me  stesso  consolo. 
Né  vorrei  rivederla  in  questo  inferno, 
Anzi  voglio  morire  e  viver  solo. 
Che  pili  bella  che  mai  con  1'  occhio  interno 
Con  gli  angeli  la  veggio  alzata  a  volo, 
A'  pie  del  suo  e  mio  signore  eterno. 
Sonetto     CCCIL 
Gli  angeli  eletti,  e  1'  anime  beate 
Cittadine  del  cielo,  il  primo  giorno, 
Che  madonna  passò,  le  fùr  intorno 
Piene  di  meraviglia  e  di  pietate. 
Clie  luce  é  questa,  e  qual  nova  beliate? 
Dicean  tra  lor,  perch'  abito  sì  adorno^ 
Dal   mondo  errante  a  quesf  alto  soggiorno 
Non  sali  mai  in  tutta  qnc.-ta  etatc. 
Ella,  contenta  aver  cangiato  albergo. 
Si  paragona  pur  coi  più  perfetti, 
E  parte  ad  or  ad  or  ^i  volge  a  tergo, 
Mirando,  s'  io  la  segno ,  e  par  eh'  aspetti. 
Ond'  io  voglie  e  pensier  tutti  al  ciel  ergo. 
Perdi'  io  l'  odo  pregar  pur,  eh'  i'  m"  affretti. 

Sonetto     CCCIIL 
Donna,  che  lieta  col  principio  nostro 
Ti  >U\ì ,  come  tua  vita  alma  richiede, 
Assisa  in  alla  e  gloriosa  sede, 
E  d'  altro  ornala,  che  di  perle,  o  d'  ostro, 

8  + 


[119] 


RIME  DEL   PETRARCA 


[120] 


Oh  delle  dunne  altero  e  raro  mostro, 
Or  nel  Tolto  di  lui,  che  tutto  vede, 
Vedi  '1  lulo  amore,  e  quella  pura  fede. 
Per  eh'  io  tante  versai  lagrime,  e  'nchiostro; 

E  senti ,  che  ver  te  il  mìo  core  in  terra 

Tal  l'u ,  qual  ora  è  in  cielo,  e  mai  non  voi»! 
Altro  da  te,  che  '1  sol  degli  occlij  tuoi. 

Dunque  per  ammendar  la  lunga  guerra. 
Per  cui  dal  mondo  a  te  sola  mi  volsi. 
Prega,  eh'  i'  venga  tosto  a  star  con  voi! 
Sonetto     CCCIV. 

Da'  più  begli  occhj ,  e  dal  più  chiaro  viso. 
Cile  mai  splendesse ,  e  da'  più  bei  capelli. 
Che  facean  1'  oro  e  '1  sol  jiarer  men  belli, 
Dal  più  dolce  parlar,  e  dolce  riso. 

Dalle  man ,  dalle  braccia ,  che  conquiso. 
Senza  moversi,  avrian  quai  più  rebelli 
Fùr  d'  Amor  mai ,  da'  più  bei  piedi  snelli, 
Dalla  persona  fatta  in  paradiso, 

Prendean  vita  i  miei  spirti.     Or  n'  ha  diletto 
Il  re  celeste ,  e  ì  suo'  alati  corrieri. 
Ed  io  son  qui  rimaso  ignudo,  e  cieco. 

Sol  un  conforto  alle  mie  pene  aspetto: 
Ch'  ella ,  che  vede  tutti  i  miei  pensieri, 
M'  impetre  grazia,  eh'  i'  possa  esser  seco. 
Sonetto     CCCV\ 

E'  mi  par  d'  ora  in  ora  udire  il  messo. 
Che  madonna  mi  mando  a  sé  chiamando; 
Così  dentro  e  di  fuor  mi  vo  cangiando, 
E  sono  in  non  molt'  anni  si  dimesso, 

Ch'  appena  riconosco  omai  me  stesso  I 
Tutto  '1  viver  usato  ho  messo  in  bando; 
Sarei  contento  di  sapere  il  quando, 
Ma  pur  dovreI)be  il  tempo  esser  da  presso. 

Oh  felice  quel  di,  che,  del  terreno 
Carcere  uscendo ,  lasci  rotta  e  sparta 
Questa  mia  grave,  e  frale,  e  mortai  gonna, 

E  da  si  folte  tenebre  mi  parta, 
Volando  tanto  su  nel  bel  sereno, 
Ch'  i'  vcggia  il  mio  signore,  e  la  mia  donna! 
Sonetto     CCCVI. 

L'  aura  mia  sacra  al  mio  stanco  riposo 
Spila  si  spesso ,  eh'  i'  prendo  ardimento 
Di  dirle  il  mal ,  eh'  i'  ho  sentito  e  sento  ; 
Cbè,  vivend'  ella,  non  sarei  stato  oso. 

Io  'ncomincio  da  quel  guardo  amoroso, 
Cile  fu  principio  a  si  lungo  tormento. 
Poi  seguo,  come  misero  e  contento. 
Di  dì  in  dì,  d'  ora  in  ora  amor  m'  ha  roso. 

Ella  si  tace,  e  di  pietà  dipinta 
Fiso  mira  pur  me,  parte  sospira» 
E  di  lagrime  oneste  il  viso  adorna. 

Onde  1'  anima  mia  dal  dolor  vinta, 
Mentre  piangendo  allor  seco  s'  adira, 
Scioila  dal  sonno  a  sé  stessa  ritorna. 
Sonetto     CCCVII. 

Ogni  giorno  mi  par  più  di  mill'  anni, 
Ch'  i'  segua  la  mia  fida  e  cara  duce. 
Che  mi  cctndusse  al  mondo,  or  mi  conduce 
Per  miglior  via  a  vita  senza  affanni, 

E  non  mi  posson  ritener  gì'  inganni 

Del  mondo,  clT  il  (-(inosco,  e  tanta  luce 
Dentr'  al  mio  core  infin  dal  ciel  traluce, 
Ch'  incomincio  a  contare  il  tempo,  e  i  danni. 

Kè  minacce  temer  del)!);i  di  morte, 

Che  '1  re  Bollerbc  con  piii  grave  |)ena. 


Per  farme  a  seguitar  costJinte  e  forte; 

Ed  or  novellamente  in  ogni  vena 

latrò  di  lei ,  che  m'  era  data  in  sorte, 
E  non  turbò  la  sua  fronte  serena. 
Sonetto     CCCVIII. 

Non  può  far  morte  il  dolce  viso  amaro, 
Ma  'l  dolce  viso  dolce  può  far  morte. 
Cile  bisogna  a  morir  ben  altre  scorte? 
Quella  mi  scorge ,  ond'  ogni  bene  imparo. 

E  quei,  che  del  suo  sangue  non  fu  avaro, 
Che  col  pie  ruppe  le  tartaree  porte. 
Col  suo  morir  par,  che  mi  ricoaforte  ;  "" 
Dunque  vien',  morte  !  il  tuo  venir  m'  è  caro. 

E  non  tardar  !  eh'  egli  è  ben  tempo  omai  : 
E  se  non  fosse,  e'  fu  'l  tempo  in  quel  punto, 
Che  madonna  passò  di  questa  vita, 

D'  allor  innanzi  un  di  non  vissi  mai  : 

Seco  fu'  in  via ,  e  seco  al  fin  son  giunto, 
E  mia  giornata  ho  co'  suoi  piò  fornita. 
Canzone     XXVII. 

Quando  il  soave  mio  fido  conforto. 
Per  dar  riposo  alla  mia  vita  stanca, 
Ponsi  del  letto  in  sulla  sponda  manca 
Con  quel  suo  dolce  ragionare  accorto, 
Tutto  di  pietà  e  di  paura  smorto 
Dico:  onde  vien'  tu  ora,  oh  felice  alma? 

Un  ramoscel  di  palma. 
Ed  un  di  lauro  trae  del  suo  bel  seno 

E  dice:  dal  sereno 
del  empireo,  e  di  quelle  sante  parti 
Mi  mossi ,  e  vengo  sol  per  consolarti. 

In  atto  ed  in  parole  io  la  ringrazio 
Umi!emente,  e  poi  dimando:  or  donde 
Sai  tu  'l  mio  stato?  Ed  ella:  le  trisi'  onde 
Del  pianto,  di  che  mai  tu  non  se'  sazio. 
Con  r  aura  de'  sospir,  per  tanto  spazio 
Passano  al  cielo,  e  turban  la  mia  pace; 

Sì  forte  ti  dispiace. 
Che  di  questa  miseria  sia  partita, 

E  giunta  a  miglior  vita. 
Che  piacer  ti  dovria,  se  tu  m'  amasti, 
Quanto  in  sembianti,  e  nel  tuo  dir  mostrasti. 

Rispondo  :  io  non  piango  altro ,  che  me  stesso. 
Che  son  rimaso  in  tenelire,  e  'n  martire, 
Certo  sempre  del  tuo  al  ciel  salire, 
Come  di  cosa,  eh'  uom  vede  da  presso. 
Come  Dio  e  natura  avrcbben  messo 
In  un  cor  giovenil  tanta  virtute. 

Se  r  eterna  salute 
Non  fosse  destinata  al  suo  ben  fare? 

Oh  dell'  anime  rare, 
Ch'  altamente  vi>esti  qui  fra  noi, 
E  che  subito  al  ciel^volabti  poi  ! 

Ma  io  che  debbo  altro ,  che  pianger  sempre 
Misero  e  sol?  che  senza  te  son  nulla? 
Ch'  or  foss'  io  spento  al  latte  ed  alla  culla. 
Per  non  provar  dell'  amorose  tempre! 
Ed  ella:  a  che  pur  piangi,  e  ti  distempre? 
Quant'  era  meglio  alzar  da  terra  1'  ali, 

E  le  cose  mortali, 
E  q<ieste  dolci  tue  fallaci  ciance 

Librar  con  giusta  lanche, 
E  seguir  me,  s'  è  Acr,  che  tanto  m'  ami. 
Cogliendo  omai  qualcun  di  questi  rami! 

Io  volca  dimandar,  rispond'  io  allora. 
Che  voglion  importar  quelle  due  frondi? 


121] 


RIME    DEI    PETRARCA. 


[122] 


Ed  ella:  tu  medesmo  ti  rispondi, 

ru,  la  cui  penna  tanto  l'  una  onora! 

Palma  ò  vittoria;  ed  io  giovane  ancora 

Vinsi  '1  mondo,  e  me  stessa:  il  lauro  segna 

Trionfo,  ond'  io  son  deg^na, 

Mercè  di  quel  signor,  che  mi  die'  forza. 

Or  tu ,  s'  altri  ti  sforza, 
A  lui  ti  volgi ,  a  lui  chiedi  soccorso. 
Si  che  siani  seco  al  fine  del  tuo  corso  ! 
on  questi  i  capei  biondi,  e  1'  aureo  nodo. 
Dico  io,  eh'  ancor  mi  stringe,  e  quei  begli  occbj? 
Che  fiir  mio  sol?  IXon  errar  con  gli  sciocchi, 
INè  parlar,  dice,  o  creder  a  lor  modo! 
Spirito  ignudo  sono,  e  'n  ciel  mi  godo. 
Quel ,  che  tu  cerchi ,  è  terra  già  molt'  anni  ; 

Ma  per  trarli  d'  afTanui, 
.M'  è  dato  a  parer  tale;  ed  ancor  quella 

Sarò  più  che  mai  bella, 
A  te  più  cara  sì  selvaggia  e  pia, 
Salvando  insieme  turi  salute,  e  mia, 
'  lùango  ;  ed  ella  il  volto 
("on  le  sue  man  m'  asciuga,  e  poi  sospira 

Dolcemente,  e  s'  adira 
Con  parole,  che  i  sassi  romper  ponno. 
Li  dopo  questo  si  parte  ella,  e  '1  sonno. 

Canzone     XXVIII. 

^iitil'  antiquo  mio  dolce,  empio  signore, 
l'atto  citar  dinan/.i  alla  reina, 

Che  la  parto  divina 
Ticn  di  nostra  natura  e  'n  cima  sede, 
Ivi,  cora'  oro,  che  nel  foco  affina, 
Mi  ra])pre»ento  carco  di  dolore, 

Di  paura ,  e  d'  orrore. 
Quasi  uom ,  che  teme  morte ,  e  ragion  chiede  : 
E    ncomincio:  madonna,  il  manco  piede 
Giovinetto  pos'  io  nel  costui  regno: 

Ond'  altro ,  di'  ira  e  sdegno 
Non  ebbi  mai,  e  tanti  e  si  diversi 

Tormenti  ivi  solFer.-i, 
di'  alfine  vinta  fu  qiicU'  infinita 
Mia  pazienza,  e  'n  odio  ebbi  la  vita. 

CiKsì  '1  mio  tempo  infin  qui  trapassato 
E  in  fiamma,  e  'n  pene;  e  quante  utili  oneste 

Vie  sprezzai ,  quante  feste, 
Per  ser\  ir  questo  lusinghicr  crudele  ! 
E  qual  ingegno  ha  sì  parole  preste. 
Clic  stringer  possa  '1  mio  infelice  stato, 

E  le  mie  d'  csto  ingrato 
Tante  e  sì  gravi,  e  si  giuste  querele? 
Oh  poco  mei,  molto  aloè  con  fele! 
In  quanto  amaro  ha  la  mia  vita  avvezza 

Con  sua  falsa  dolcezza. 
La  qual  lìf  attrasse  all'  amorosa^  schiera  ! 

Che,  s'  ì'  non  m'  inganno,  era 
Disposto  a  sollevarmi  alto  da  lena: 
E'  mi  tolse  di  pace,  e  pose  in  guerra. 

Questi  m'  ha  fatto  men  amare  Dio, 

eh'  i'  non  do^ea,  e  men  curar  me  stesso; 

l'er  una  donna  ho  messo 
Egualniont»!  in  non  cale,  ogni  jionsicro  : 
Di  «•io  m'  è  sialo  «:on>iglier  sol  esso, 
Scmpr'  aguzzando  il  giovenil  desio 

All'  <inpia  cote,  ond'   io 
Sperai  riposo  ni  suo  giogo  a^prn  o  fero. 
Misero ,  a  che  quel  chiaro  ingegno  altero. 


E  1'  altre  doli  a  me  date  dal  cielo  ? 

Che  To  cangiando  '1  pelo, 
Né  cangiar  posso  1'  ostinala  voglùì; 

Così  in  tutto  mi  spoglia 
Di  libertà  questo  crudel,  eh'  i'  accuso, 
Ch'  amaro  AÌ\er  m'  lia  volto  in  dolce  uso. 

Cercar  m'  ha  fatto  deserti  paesi. 
Fiere,  e  ladri  rapaci,  ispidi  dumi. 

Dure  genti  e  costumi. 
Ed  ogni  error ,  che  i  pellegrini  intrica. 
Monti ,  valli ,  paludi ,   e  mari ,  e  fiumi, 
31ille  lacciuoli  in  ogni  parte  tesi, 

E  '1  verno  in  strani  mesi 
Con  pericol  presente,  e  con  fatica. 
Né  costui,  nò  queir  altra  mia  nemica, 
Ch'  i'  fuggia ,  mi  lasciavan  sol  un  punto. 

Onde,  s'  i'  non  son  giiuito 
Anzi  tempo  da  morte  acerba  e  dura, 

Pietà  celeste  ha  cura 
Di  mia  salute,  non  questo  tiranno, 
Che  del  mio  duol  si  pasce,  e  de!  mio  danno. 

Poi  che  suo  fui ,  non  ebbi  ora  tranquilla, 
Né  spero  aver,  e  le  mie  notti  il  sonno 

Sbandirò ,  e  più  non  ponno 
Per  erbe ,  o  per  incanti ,  a  sé  ritrarlo. 
Per  inganni  e  per  forza  è  fatto  donno 
Sovra  miei  spirti,  e  non  sonò  poi  squilla, 

Ov'  io  sìa  in  qualche  villa, 
Ch'  i'  non  1'  udissi,  ci  sa  che  '1  vero  parlo: 
Che  legno  vecchio  inai  non  rose  tarlo, 
Come  questi  '1  mio  core ,  in  che  s'  anuida, 

E  di  morte  lo  sfida. 
Quinci  nascon  le  lagrime,  e  ì  martiri. 

Le  parole  e  i  sospiri, 
Di  eh'  io  mi  vo  stancando ,  e  forse  altrui. 
Giudica  tu,  che  me  conosci,  e  lui! 
il  mio  avversario  con  agre  rampogne 

Comincia  :  oh  donna ,  intendi  1'  altra  parte, 

Cile  '1  vero ,  onde  si  parte 
Quest'  ingrato,  dirà  senza  difetto. 
Questi  in  sua  prima  età  fu  dato  all'  arte 
Da  vender  parolette,  anzi  menzogne; 

Né  par,  che  si  vergogne, 
Tolto  da  quella  noja  al  mio  diletto. 
Lamentarsi  di  me,  che  puro  e  netto 
Contra  "1  desio,  che  spes>o  il  suo  mal  vele. 

Lui  tenni ,  ond'  or  si  dolo, 
In  dolce  vita,  eh"  ei  miseria  chiama; 

Salito  in  qualche  fama 
Solo  per  me,  che  '1  suo  intelletto  alzai, 
Ov'  alzato  per  sé  non  fora  mai. 
Ei  sa,  che  '1  grande  Atride,  e  V  alto  Achille, 
Ed  Aunib.il  al  terrea  xoMo  amaro, 

E   di  tutli  il  più   chiaro. 
Un  altro,  e  di  >irlute,  e  di  fortuna, 
Com'  a  ciascun  le  sue  stelle  ordinaro, 
Lasci. li  cadere  in  vii  amor  d'  ancille; 

Ed  a  cosini  di  mille 
Donne  elette  ecci-lienli   n'  elessi  una, 
(,)iial  non  sì  >e(lrà  mai  sotto  l<i  luna, 
lienchè   liUire/ìa  ritoiiias:>c  U  Koma. 

I']  sì   dolce  idioma 
Le  diiili,  ed  un  cantar  tanto  soave, 

CIk-  pensier  basso  ,  e  grave 
Non  piitt'-  mai  durar  dinanzi  a  io'. 
Qiusti  h'     con  costui  gì'  inganni  miei. 


[123] 


RIME    DEL    PETRARCA. 


fl24 


Qaesto  fu  il  fel,  questi  gli  sdegni,  e  1'  ire 
Più  dolci  assai ,  che  di  nuli'  altra  il  tutto. 

Di  buou  seme  mal  frutto 
Mieto,  e  tal  merito  ha  chi  'ngrato  eerre. 
Sì  r  avea  sotto  1'  ali  mie  condutto, 
Ch'  a  donne  e  cavalier  piacea  '1  suo  dire, 

E  si  alto  salire 
Il  feci,  che  tra'  caldi  ingegni  ferve 
Il  suo  nome ,  e  de'  suoi  detti  conserve 
Si  fanno  con  diletto  in  alcun  loco, 

Ch'   or  saria  forse  un  roco 
Mormorador  di  corti,  un  uora  del  vulgo. 

I'  r  esalto  e  divulgo 
Per  quel  eh'  egli  imparò  nella  mia  scola, 
E  da  colei ,  che  fu  nel  mondo  sola. 

E ,  per  dir  all'  estremo  il  gran  servigio. 
Da  mill'  atti  inonesti  V  ho  ritratto. 

Che  mai  per  alcun  patto 
A  lui  piacer  non  potco  cosa  vile, 
Giovane  schivo ,  e  vergognoso  in  atto, 
Ed  in  pensier ,  poi  che  fatt'  era  uom  ligio 

Di  lei ,  eh'  alto  vestigio 
L'  impresse  al  core,  e  fecel  suo  simile. 
Quanto  ha  del  pellegrino ,  e  del  gentile. 
Da  lei  tiene,  e  da  me,  di  cui  si  bi.uma. 

Mai  notturno  fantasma 
D'  error  non  fu  si  pien ,  com'  ei  ver  noi, 

Ch'  è  in  grazia ,  da  poi 
Che  ne  conobbe ,  a   Dio  ed  alla  gente  ; 
Di  ciò  il  superbo  si  lamenta  e  pente. 

Ancor  (e  questo  è  quel ,  che  tutto  avanza) 
Da  volar  sopra  Ù  ciel  gli  avea  dat'  ali 

Per  le  cose  mortali. 
Che  son  scala  al  fattor ,  chi  ben  1'  estima  : 
Che  mirando  ei  ben  fiso ,  quante  e  quali 
Eran  virtuti  in  quella  sua  speranza, 

D'  una  in  altra  sembianza 
Potea  levarsi  all'  alta  cagion  prima: 
Ed  ei  r  ha  detto  alcima  volta  in  rima. 
Or  m'  ha  posto  in  obblio  con  quella  donna, 

Ch'  i'  gli  die'  per  colonna 
De  la  sua  frale  vita.     A  questo  un  strido 

Lagrimoso  alzo,  e  grido: 
Ben  me  la  die',  ma  tosto  la  ritolse. 
Risponde:  io  no,  ma  chi  per  se  la  volse. 

Alfìn  arabo  conversi  al  giusto  seggio, 

Io  con  tremanti,  ei  con  voci  alte,  e  crude, 

Ciascun  per  se  conchiude: 
Nobile  donna  ,  tua  sentenza  attendo. 

Ella  alior  sorridendo  : 
Piaceini  aver  vostre  questioni  udite; 
Ma  più  tempo  bisogna  a  tanta  lite. 

Sonetto     CCCIX. 

Dicemi  spesso  il  mio  fidato  speglio, 

Ij'  animo  stanco,  e  la  cangiata  scorza, 
E  la  scemata  mia  destrezza  e  forza: 
Non  ti  nasconder  più  !   tu  se'  pur  veglio. 

Obbedir  a   niitiira  in  tutto  è  il  meglio, 

Clr  a  conteiul('r  «-on  lei  il  tempo  ne  sforza. 
Subito  allor,  com'  acqua  il  foco  ammorza, 
D'  un  lungo  «•  grave  honno  ini  risveglio, 

E  veggio  ben,  che  '1  imstro  vìver  vola, 
E  eh'  esser  non  »i  può   più  d'  una  volta. 
E  'n  mezzo  'l  cor  mi  nona  una  parola 

Di  lei ,  eh'  è  or  dai  tiuo  bel  nudo  sciolta. 


Ma  ne'  suoi  giorni  al  mondo  fu  sì  sola, 
Ch'  a  tutte,  s'  i'  non  erro,  fama  ha  tolta. 
SOKKTTO      CCCX. 

Volo  con  1'  ali  de'  pensieri  al  cielo 
Sì  spesse  volte ,  che  quasi  un  di  loro 
Esser  mi  par,  eh'  hann'  ivi  il  suo  tesoro, 
Lasciando  in  terra  lo  squarciato  velo. 

Talor  mi  trema  '1  cor  d'  un  dolce  gelo. 
Udendo  lei,  per  eh'  io  mi  discoloro, 
Dirmi:  amico,  or  t'  am'  io,  ed  or  t'  onoro. 
Perdi'  hai  costumi  variati,  e  '1  pelo. 

Menami  al  suo  signore;  allor  m'  inchino 
Pregando  umilementc ,  che  consenta, 
Ch'  i'  sti'  a  veder  e  1'  uno  e  1'  altro  volto. 

Risponde:  egli  è  ben  fermo  il  tuo  destino; 
E,  per  tardar  ancor  vent'  anni,  o  trenta, 
Parrà  a  te  troppo ,  e  non  fia  però  multo. 
Soletto     CCCXI. 

Morte  ha  spento  quel  sol,  eh'  abbagliar  suohni, 
E  'n  tenebre  son  gli  occlij  interi  e  saldi  : 
Terra  è  quella,  ond'   io  ebbi  e  freddi,  e  caldi, 
Spenti  son  i  miei  lami  or  querce,  ed  olmi; 

Di  eh'  io  veggio  '1  mio  ben,  e  parte  duolmi. 
Non  è  chi  faccia  e  paventosi,  e  baldi 
I  miei  pensier,  né  chi  gli  agghiacci,  e  scaldi, 
Né  chi  gli  empia  di  speme,  e  di  duol  coIiuL 

Fuor  di  man  di  colui,  che  punge  e  molce, 
Che  già  fece  di  me  >ì  lungo  strazio. 
Mi  trovo  in  liberiate  amara  e  dolce. 

Ed  al  Signor,  eh'  i'  adoro,  e  eh'  i'  ringrazio. 
Che  pur  col  ciglio  il  ciel  governa  e  folce, 
Torno  stanco  di  viver ,  non  che  sazio. 
S  o  \  E  T  T  o     CCCXII. 

Tennemi  Amor  anni  ventuno  ardendo 

Lieto  nel  foco,  e  nel  duol  pien  di  speme; 
Poi  che  madonna  e  '1  mìo  cor  seco  insieme 
Salirò  al  ciel,  dieci  altri  anni  piangendo. 

Omai  son  stanco,  e  mia  vita  riprendo 
Di  tanto  error,  che  di  virtute  il  seme 
Ha  quasi  spento ,  e  le  mie  parti  estreme. 
Alto  Dio ,  a  te  devotamente  rendo. 

Pentito,  e  tristo  de'  miei  sì  spesi  anni, 
Che  spender  si  doveano  in  miglior  uso. 
In  cercar  pace,  ed  in  fuggire  all'anni. 

Signor ,  che  'n  questo  career  ra'  hai  rinchiuso, 
Trammene  salvo  dagli    eterni  danni  ! 
Ch'  i'  conosco  '1  mio  fallo,  e  non  lo  scuso. 
Sonetto     CCCXIIL 

V  vo  piangendo  i  miei  passati  tempi, 
1  quai  posi  in  amar  cosa  mortale, 
Senza  levarmi  a  volo,  avend'  io  1'  ale. 
Per  dar  forse  di  me  non  bassi  esempi. 

Tu,    che  vedi  i  miei  mali  indegni  ed  empi, 
Re  del  cielo  invisibile,  immortale, 
Soccorri  alT  alma  disviata  e  frale, 
E  '1  suo  difetto  di  tua  grazia  adempì! 

Sì  che,  s'  io  vissi  in  guerra,  ed  in  tempesta. 
Mora  in  pace,  ed  in  porto  e,  se  la  stanza 
Fu  vana,  almen  sia  la  partita  onesta. 

.1  quel  poco  di  viver,  che  m'  avanza, 
Ed  al  morir  degìii  esser  tua  man  presta! 
Tu  sai  ben ,  che  'n  altrui  non  ho  speranza. 
S  0  !\  K  T  T  o      CCCXIV. 

Dolci  durezze,  e  placide  repulse. 
Piene  di  casto  amore,  e  di  pietate. 


125] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[126] 


Leggiadri  sdegni,  che  le  mie  infìaniniate 
Voglie  temprai-o  (or  me  n'  accorgo),  e  'nsuUe, 
entìl  parlar,  in  cui  chiaro  refnl?e 
Con  somma  cortesia  somma  onestate. 
Fior  di  virtù,  fontana  di  heltatc, 
Ch'  ogni  hasso  pensier  del  cor  nr  avulse, 
ivino  sguardo  da  far  1'  uom  felice, 
;  Or  fiero  in  afiVenar  la  mente  ardita 
A  quel ,  che  giustamente  sì  disdice, 
r  presto  a  confostar  mia  frale  vita  — 
Questo  hel  variar  fu  la  radice 
Di  mia  salute ,  eh'  altramente  era  ita. 

Sonetto     CCCXV. 

plrto  felice,  che  si  <loIcemente 
Vtdgei  quegli  »)cclij  più  chiari  che  '1  sole, 
E  formavi  i  sospiti ,   e  le  parole 
Vìve ,  eh'  ancor  mi  suonan  nella  mente, 

ria  ti  vid'  io  d'  onesto  foco  ardente 
Mo^er  i  pie  fra  1'  erbe,  e  le  vi((le, 
Non  come  donna,  ma  com'  angel  sole, 
Di  quella,  eh'  or  m'  è  più  che  mai  presente; 

,ii  qr.al  tu  poi,  tornando  ni  tuo  fattore, 
Lasciasti  in  terra,  e  quel  soave  velo, 
(he  per  alto  destin  ti  venne  in  sorte. 

.(■1  tuo  partir  parti  del  mondo  amore 
E  cortesia ,  e  '1  sol  cadde  del  cielo, 
E  dolce  incominciò  farsi  la  morte. 

Sonetto     CCCXVL 
)eh  porgi  roano  all'  affannato  ingegno, 

Amor,  ed  allo  stile  stanco  e  frale, 

Per  dir  di  quella ,  eh'  è  fatta  immortale, 

E  cittadina  del  celeste  regno  ! 
)ammi ,  signor ,  che  '1  mio  dir  giunga  al  segno 

Delle  sue  lode ,  ove  per  sé  non  sale. 

Se  virtù ,  se  beltà  non  ebbe  eguale 

11  mondo,  che  d'  aver  lei  non  fu  degno. 
.Risponde  :  quanto  '1  ciel  ed  io  possiamo, 
ì    E  i  buon  consigli,  e  il  conversar  onesto. 

Tutto  fu  in  lei ,  di  che  noi  morte  ha  privi. 
Forma  par  non  fu  mai   dal  dì ,  eh'  Adamo 

Aperse  gli  occhj  in  prima,  e  basti  or  questo! 

Piangendo  il  dico,  e  tu  piangendo  scrivi! 

Sonetto     CCCXVIL 
V  ago  augelletto  ,  che  cantando  vai, 

Ovver  piangendo  il  tuo  tempo  passato, 

\  edendoti  la  notte  .  e  '1  verno  a  Iato, 

1^    1  dì  dopo  le  spalle ,  e  i  mesi  gai, 
Se,  come  i  tuoi  gravosi  all'anni  sai, 

Cosi  sapessi  il  mio  simile  stato, 

Verresti  in  grembo  a  questo  sconsolato, 

A  partir  seco  i  dolorosi  guai. 
I'  non  so,  se  le  parti  sarian  pari. 

Che  qiuìlla,  cui  tu  piangi,  è  forse  in  vita; 

Di  eh'  a  me  morte  e  'I  elei  son  tanto  avari: 
Ma  la  stagione  e  1'  ora  tnci  gradita, 

('ol  membrar  de'  dolrì  anni,  e  degli  amari, 

A  parlar  tcco  con  pietà  in'  invita. 

Canzone     XXIX. 
Vergine  bella,  che,  di  sol  vestita, 
C'Oronata  di  stelle,  al  komiiu»  solo 
l'iacesti  si ,  che  'n  te  sua  liiiu;  ascose, 
Amor  mi  s|>ing<;  n  dir  di  te  parole. 
Ma  non  so  'ncominc.iar  sen/.a  tu'  aita, 
E  «li  colui,  eh'  amando  in  te  si  pose. 


Invoco  lei,  che  ben  sempre  rispose, 

Chi  la  chiamò  con  fede. 

^  ergine ,  s'  a  mercede 
Miseria  estrema  dell'  umane  cose 
Giammai  ti  volse,  al  mio  prego  t'  inchina! 

Soccorri  alla  mia  guerra, 
Bench'  i'  sia  terra,  e  tu  del  ciel  regina. 

\  ergine  saggia ,  e  del  bel  numero  una 
Delle  beate  vergini  prudenti, 
Anzi  la  prima,  e  con  più  chiara  lampa! 
Oh  saldo  scudo  dell'  afflitte  genti 
Centra  colpi  di  morte,  e  di  fortuna. 
Sotto  'l  qual  si  trionfa,  non  pur  scampa! 
Oh  refrigerio  al  cieco  ardor ,  eh'  avvampa 

Qui  fra  mortali  sciocchi  ! 

tergine,  que'  begli  occhj, 
Clie  vider  tristi  la  spietata  stampa 
Ne'  dolci  membri  del  tuo  caro  figlio. 

Volgi  al  mio  dubbio  stato. 
Che  sconsigliato  a  te  vien  per  consìglio  ! 

Vergine  pura,  d'  ogni  parte  intera. 
Del  tuo  parto  gentil  figliuola  e  madre, 
Ch'  allumi  questa  vita ,  e  l'  altra  adorni. 
Per  te  il  tuo  figlio,  e  quel  del  sommo  padre. 
Oh  finestra  del  ciel  lucente,  altera. 
Venne  a  salvarne  in  su  gli  estremi  giorni: 
K  fra  tutt'  i  terreni  altri  soggiorni 

Sola   tu  fosti  eletta, 

tergine  benedetta. 
Che  '1  pianto  d'  Eva  in  allegrezza  torni. 
Fammi ,  cbè  puoi ,  della  sua  grazia  degno, 

Senza  fine  oh  beata. 
Già  coronata  nel  superno  regno  ! 

\  <rgìne  santa ,  d'  ogni  grazia  piena. 
Che  per  vera  ed  altissima  imiiltate 
Salisti  al  ciel ,  onde  miei  preghi  ascolti, 
Tu  partoristi  il  fonte  di  pietate, 
E  di  giustizia  il  sol,  che  rasserena 
Il  secol  pien  d'  errori  oscuri,  e  folti. 
Tre  dolci  e  cari  nomi  hai  'n  te  raccolti: 

M.idre,  figliuola,  e  sposa; 

A  ergine  gloriosa, 
Donna  del  re ,  che  nostri  lacci  ha  sciolti, 
E  fatto  '1  mondo  libero  e  felice, 

INelle  cui  sante  piaghe 
Prego,  eh'  appaghe  il  cor,  vera  beatrice. 

Vergine  sola  al  mondo  senza  esempio, 
('he  '1  ciel  di  tue  bellezze  innamorasti. 
Cui  né  prima  fu  simìl ,  né  seconda! 
Santi  pensieri,  atti  pietosi  e  casti 
Al  vero  Dio  >a(°rato  e  >ìvo  tempio 
Fecero  in  tua  virginità  fe<-onda. 
Per  le  può  la  mia  vita  esser  gioconda, 

S'  a'  tuo'  preghi,  oh  .Maria, 

Vergine  dolce  e  pia, 
Ove    l  fallo  abbondò,  la  grazia  abbonda. 
Con   le  ginoccbia  dilla  mente  inchine 

Prego,   che  >ia  mia  scorta, 
IO  la  mia  torta  via  drizzi  a  buon  fine. 

^'ergine  chiara,   «;  stabile  in  eterno, 
Di  questo  t<-uip(>toso  mare  stella, 
D"  ogni   fedcl  norrhicr  fidala  guida, 
Pon'  mente,   in   che   lerriliile   procella 
r  mi  ritroso  i,ol  senza  governo. 
Ed  ho  già  da  ^  icin  1'  ultime  slrida  ! 


[121] 


RIME  DEL  PETRARCA. 


[I2a] 


3Ia  pnr  in  te  1'  anima  mia  si  fida 

l^eccatrice .  ì'  noi  nejjo, 

Vergine,  ma  ti  prego, 
Che  '1  tuo  nemico  del  mio  mal  non  rida. 
Hicorditi,  che  fece  il  peccar  nostro 
Prender  Dio  .  per  scamparne, 
l'mana  carne  al  tuo  virginal  chiostro. 
Vergine,  quante  lagrime  ho  già  sparte. 
Quante  lusinghe,  qaanti  preghi  indarno, 
Pur  per  miapena ,  e  per  mio  grave  danno! 
Da  poi  eh'  i'  nacqui  in  sulla  riva  A'  Arno, 
Cercando  or  questa,  ed  or  queir  altra  parte, 
fson  è  stata  mia  vita  altro ,  eh'  all'anno. 
Mortai  bellezza,  atti,  e  parole  ra'  hanno 

Tutta  ingombrata  1'  alma. 

Vergine  sacra  ed  alma, 
Non  tiirdar ,  eh'  i'  son  forse  all'  nltim'  anno. 
1  di  miei  più  correnti,  che  saetta, 

Fra  miserie  e  peccati 
Son  seu'  andati,  e  sol  morte  n'  aspetta. 
Vergine,  tale  è  terra,  e  posto  ha  in  doglia 
Lo  mio  cor ,  che,  vivendo ,  in  pianto  il  tenne, 
E  di  mille  miei  mali  un  non  sapea, 
E  per  saperlo,  pur  quel,  che  n'  avvenne. 
Fora  avvenuto,  eh'  ogni  altra  sua  voglia 
Era  a  me  morte,  ed  a  lei  fama  rea. 
Or  tu,  donna  del  ciel,  tu  nostra  Dea, 

Se  dir  lice  e  conviensi, 

Vergine  d'  alti  sensi. 
Tu  vedi  il  tutto,  e  quel,  che  non  potea 
Far  altri,  è  nulla  alla  tua  gran  virtute, 

Por  fine  al  mio  dolore, 
Ch'  a  te  onore,  ed  a  me  fia  salute. 


Vergine,  in  cui  ho  tutta  mia  speranza. 

Che  possi  e  vogii  al  gran  bisogno  aitartue, 
JNon  mi  lanciare  in  su  1'  estrema  passo  ! 
Non  guardar  me ,  ma  chi  degnò  crcarnie, 
No  '1  mio  valor,  ma  1'  alta  sua  semltianza, 
Ch'   è  iu  me,  ti  mova  a  curar  d'  u«<m  sì  basso! 
Medusa ,  e  1'  error  mìo  m'  han  fatto  un  sasso 

D'  umor  vano  stillante; 

Vergine ,  tu  di  sante 
Lagrime  e  pie  adempì  '1  mio  cor  lasso! 
Cii'  almen  1'  ultim>>  pianto  sia  divoto, 

Senza  terrestro  limo, 
Come  fu    1  primo  non  d'  insania  voto. 
V'ergine  umana ,  e  nemica  d'  orgogli<t. 
Del  comune  principio  amor  t'  indura  ! 
Misercre  d'  un  cor  contrito  umile  ! 
Che,  se  poca  mortai  terra  caduca 
Amar  con  sì  mirabil  fede  soglio. 
Che  dovrò  far  di  te ,  cosa  gentile  ? 
Se  dal  mio  stato  assai  misero  e  vile 

Per  le  tue  man  resurgo. 

Vergine,  i'  sacro,  e  purgo 
Al  tuo  nome  e  pensieri,  e  'ngegno,  e  stile, 
La  lingua,  e  '1  cor,  le  lagrime,  e  i  sospiri. 

Scorgimi  al  miglior  guado, 

E  prendi  in  grado  i  cangiati  desiri  ! 

Il  dì  s'  appressa,  e  non  potè  esser  lunge; 

Sì  corre  il  tempo  e  vola, 

Vergine  unica  e  sola, 
E  '1  core  or  conscienza,  or  morte  punge. 
Raccomandami  al  tuo  figliuol,  verace 

l'omo,  e  verace  Dio, 
Ch'  accolga  'I  mio  spirto  ultimo  in  pace! 


PARTE        TERZA 

DELLE 

R       IME. 

TRI         O       N        F        I. 


TRIONFO    D'   AMORE. 


Capitoio    Primo. 

Nel  tempo ,  che  rinnova  i  mìei  sospiri, 
Per  la  dolce  memoria  di  quel  giorno, 
Che  fu  principio  a  si  lunghi  martiri. 

Scaldava  il  sol  già  1'  uno  e  1'  altro  corno 
5       Del  Tauro,  e  la  fanciulla  di  Titone 
Correa  gelata  al  suo  antico  soggiorno. 

Amor ,  gli  sdegni ,  e  '1  pianto ,  e  la  stagione 
Ricondotto  m'  aveano  al  chiuso  loco, 
Ov'  ogni  fascio  il  cor  lasso  ripone. 
10  Ivi  fra  r  crhe,  già  del   pianger  fioco, 
Vinto  dal  sonno,  vidi  una  gran  luce, 
E  dentro  assai  dolor  con  hreve  gioco. 

Vidi  un  vittorioso  e  sommo  duce, 

Pur  com'  im  di  color,  clic  'n  Campidoglio 
15       Trionfai  carro  a  gran  gh)ria  conduce. 

Io ,  che  gioir  di  tal  vista  non  soglio, 
Per  lo  secol  nojoso ,  in  eh'  io  ini  trovo, 
Vóto  d'  ogni  valor,  pien  d'  ogni  orgoglio, 

L'  abito  altero,  inusitato,  e  novo 
20       Mirai,  alzando  gli  occhj  gravi  e  stanchi  ; 
Ch'  altro  diletto,  che  'raparar,  non  provo. 

Quattro  destrier  via  più  che  neve  bianchi, 
Sopr'  un  carro  di  foco  un  garzon  crudo, 
Con  arco  in  mano,  e  con  saette  a'  fianchi, 
25  Contra  le  quai  non  vai  elmo,  né  scudo, 
Sopra  gli  omeri  avea  sol  due  grand'  ali 
Di  color  mille,  e  tutto  1'  altro  ignudo; 

D'  intorno  innumcrahili  mortali, 

Parte  presi  in  battaglia,  e  parte  uccisi, 
SO       Parte  feriti  da'  pungenti  strali. 

Vago  d'  udir  novelle,  oltra  mi  misi 

Tanto,  eh'  io  fui  nell'  esser  di  quegli  uno, 
Ch'  anzi  tempo  ha  di  vita  Amor  divi^L 

Allor  mi  strinsi  a  rimirar,  s'  alcuno 
S5      Ilironnsccsisi  nella  folta  schiera 

Del  re  sempre  di  lagrime  digiuno. 

Nessun  vi  riconobbi;  e,  s'  alcun  v'  era 
Di  mia  notizia,  avea  cangiato  vista 
Per  morte ,  «i  per  prigion  crudele  e  fera. 
40  Ln'  om))ra  alquanto  men  che  1'  altre  trista 
Mi  si  fc'  incontro  e  mi  chiamò  per  nome. 
Dicendo  :  qntvsto  per  amar  s'  acquista. 

Ond'  io  iiieravigliiind»  dissi:  or  come 
Conosci  me,   eh'  io  t«!  non  riconosca? 
45       V.A  ci:  qlIe^to  m'  av^icn  per  1'  aspre  some 

De'  legami,  eh'  io  porto,  o  1'  aria  fovea 


Contende  agli  occhj  tuoi  :  ma  vero  amico 
Ti  sono,  e  teco  nacqui  in  terra  tosca. 
Le  sue  parole  e  '1  ragionar  iintlco 
50       Scoperson  quel,  che  '1  viso  mi  celava, 
E  cosi  n'  ascendemmo  in  luogo  aprico. 
E  cominciò:  gran  tempo  è,  eh'  io  pensava 
Vederti  qui  fra  noi,  che  da'  prim'  anni 
Tal  presagio  di  te  tua  vista  dava. 
55  E'  fu  ben  ver:  ma  gli  amorosi  affanni 

Mi  spaventar  sì,  eh'  io  lasciai  1'  impresa; 
Ma  squarciati  ne  porto  il  petto  e  i  panni. 
Così  diss'  io ,  ed  ei ,  quand'  ebbe  intosa 
La  mia  risposta,  sorridendo  disse: 
00      Oh,  figliuol  mio,  qual  per  te  fiamma  è  accesa  ! 
Io  non  r  intesi  allor,  ma   or  sì  fisse 
Sue  parole  mi  trovo  nella  testa. 
Che  mai  più  saldo  in  marmo  non  si  scrisse. 
E  per  la  nova  età,  eh'  ardita  e  presta 
()5      Fa  la  mente  e  la  lingua ,  il  dimandai  : 

Dimmi,  per  cortesia,  che  gente  è  questa? 
Di  qui  a  poco  tempo  tu  'I  saprai 

Per  te  stesso ,  rispose ,  e  sarai  d'  elli  ; 
Tal  per  te  nodo  fassi,  e  tu  noi  sai. 
TO  E  prima  cangerai  volto  e  capelli. 

Che  '1  nodo,  di  eh'  io  parlo,  si  discioglia 
Dal  collo,  e  da'  tuo'  piedi  ancor  ribelli. 
Ma,  per  empir  la  tua  giovenil  voglia. 
Dirò  di  noi,  e  prima  del  magi^iore, 
75       Che  così  vita  e  lihert^'i  ne  sj)oglia. 

Qucst'  è  colui ,  che  '1  mondo  chiama  Amore, 
Amaro ,  come  vedi ,  e  vedrai  mcglic», 
Quando  fia  tuo,  come  nostro  signore. 
Mansueto  fanciullo,  e  fiero  veglio, 
80       Ben  sa  chi  '1  prova  ;  e  fiati  cosa  piana 
Anzi  miir  anni  e  'niìn  ad  or  ti  sveglio. 
Ei  nacque  d'  ozio,  e  di  lasci\ia  umana, 
IVudiito  di  pensier  dolci  e  soavi, 
Fatto  signor  e  Dio  da  gente  vana. 
85  Qual  è  morto  da  lui,  qual  con  più  gravi 
Leggi  mena  sua  vita  aspra  ci!  acerba 
Sotto  mille  catene,  e  mille  chiavi. 
Quel,  che  'n  xi  signorile  e  ci  superba 

\  ista  vien  prima,  è  ('esar,  che  'n  Egitto 
yO       Cleopatra  legò  tra  i  fiori  e  1'  erba. 
Or  di  lui  si  trionfa,  od  è  ben  dritto, 

Se  vinse  il  mondo,  ed  altri  ha  vinto  lai, 
Cile  del  siiti  viiiritor  si  glorie  il  vitto. 
L'  altro  e    1  liuo  figlio  [e  pur  umò  costui 

9 


[131] 


TRIONFO  D'    AMORE.     L  (95-lGO)  li.  (1-C6) 


[1321 


95      Più  giastamente)  egli  è  Cesare  Augusto, 
Che  Livia  sua  pregando  tolse  altrui. 
Nerone  è  '1  terzo ,  dispietato  e  'ngiusto. 
Vedilo  andar  pien  d'  ira,  e  di  disdegno; 
Femmina  '1  vinse,  e  par  tanto  robusCO. 
1W>  Vedi  '1  buon  Marco  d'  ogni  laude  degno, 
Pien  di  filosofia  la  lingua  e    l  petto; 
Pur  Faustina  il  fa  qui  star  a  segno. 
Que'  duo  pien  di  paura  e  di  sospetto, 

L'  un  è  Dionisio ,  e  1'  altro  è  Alessandro  : 
105       Ma  quel  del  suo  temer  ha  degno  effetto. 
L'  altro  è  colui,  che  pianse  sotto  Antandro 
La  morte  di  Creusa ,  e  'I  suo  amor  tolse 
A  quel ,  che  '1  suo  fìgliuol  tolse  ad  Evandro. 
Udito  hai  ragionar  d'  un,  che  non  volse 
110       Consentir  al  furor  della  matrigna, 

E  da'  suoi  preghi  per  fuggir  si  sciolse, 
Ma  quella  intcnzion  casta  e  benigna 
L'  uccise  ;  sì  1'  amor  in  odio  torse 
Fedra  amante,  terribile,  e  maligna! 
115  Ed  ella  ne  morio,  vendetta  forse 

D'  Ippolito ,  di  Teseo ,  e  d'  Adrianna, 
Ch'  amando ,  come  vedi ,  a  morte  corse. 
Tal  biasma  altrui,  che  sé  stesso  condanna. 
Che  chi  prende  diletto  di  far  frode, 
120      Non  si  de'  lamentar ,  s'  altri  1'  inganna. 
Vedi  '1  famoso  con  tante  sue  lode 
Preso  menar  fra  due  sorelle  morte, 
L'  una  di  lui ,  ed  ei  dell'  altra  gode. 
Colui,  eh'  è  seco,  è  quel  possente  e  forte 
125       Ercole ,  che  Amor  prese ,  e  1'  altro  è   Achille, 
Ch'  ebbe  in  suo  amor  assai  dogliosa  sorte. 
Queir  altro  è  Demofonte,  e  quella  è   Fille; 
Queir  è  Giason ,  e  quell'  altra  è  Medea, 
Ch'  Amor  e  lui  segui  per  tante  ville: 
130  E  quanto  al  padre,  ed  al  f ratei  fu  rea, 

'Tanto  al  suo  amante  più  turbata  e  fella, 
Che  del  suo  amor  più  degna  esser  credea. 
Isifìle  vien  poi ,  e  duolsi  anch'  ella 

Del  barbarico  amor .  che  '1  suo  le  ha  tolto. 
135       Poi  vien  colei,  eh'  ha  '1  titol  d'  esser  bella. 
Seco  ha  'l  pastor,  che  mal  il  suo  bel  volto 
Mirò  sì  fiso,  ond'  uscir  gran  tempeste, 
£  funne  il  mondo  sottosopra  volto. 
Odi   poi  lamentar  fra  1'  altre  meste 
HO       Enone  di  Paris ,  e  Menelao 

D'  Elena,  ed  Ermiòn  chiamare  Oreste, 
E  Laodamia  il  suo  Frotesihio, 

Ed  Argia  Polinice,  assai  più  fida, 
Che  r  avara  moglier  d'  Anfiarao 
145  Odi  i  pianti,  e  i  sospiri,  odi  le  strida 
Delle  misere  accese,  che  gli  spirti 
Renderò  a  lui ,  che    n  tal  modo  or  le  guida. 
Non  poria  mai  di  tutti  il  nome  dirti: 
Che  non  uomini  pur,  ma  Dei  gran  parte 
150       Kuipion  del   bosco   degli  ombrosi  mirti. 
Velli  \  en»  re  bella  ,  e  con  lei  Marte 

Cinto  di  ferro  i  piò,  le  braccia,  e  '1  collo, 
K  Fiutone,  e  Froscrpina  in  disparte. 
Vedi  (ìiiuion  golosa ,  e  '1  biondo  Apollo, 
155       Clic  solca  diNprezzar  l'  etate ,  e  l'  arco, 
Che  gli  diede  in  Tessaglia  poi  tal  crollo. 
Che  debb'  io  dir?  in  un  passo  mcn  tari:o: 
Tutti  son  qui  prigion  gli  Dei  di  Varrò; 
E  di  lacciuoli  iniiiiniiraliil  carco 
160  Vien  catcnato  Giove  innanzi  al  carro. 


Capitolo   Secondo. 


15 


20 


Stanco  già  di  mirar,  non  sazio  ancora. 
Or  quinci  or  quindi  mi  volgca  guardando 
Cose ,  eh'  a  ricordarle  è  breve  1'  ora. 

Giva  '1  cor  di  pensier  in  pensier,  quando 
5       Tutto  a  sé  'l  trasser  duo,  eh'  a  miauo  a  mano 
Passavan  dolcemente  ragionando. 

Mossemi  '1  lor  leggiadro  abito  strano, 
E  'l  parlar  percgrin  ,  che  ra'  era  oscuro  : 
Ma  I'  interprete  mio  me  'l  fece  piano. 
10  Poi  eh'  io  seppi,  chi  eran,  più  sicuro 

M'  accostai  lor;  che  l'  un  spirito  amico 
Al  nostro  nome,  1'  altro  era  empio  e  duro. 

Fecimi  al  primo:  oh  Mussinissa  antico. 
Per  lo  tuo  Scipione,  e  per  costei, 
Cominciai,  non  t'  incresca  quel  eh'  io  dico! 

Miromuii,  e  disse:  volentier  saprei, 

Chi  tu  se'  innanzi ,  da  poi  che  sì  bene 
Hai  spiato  amboduo  gli  affetti  miei. 

L'  esser  mio,  gli  risposi,  non  sostiene 
Tanto  conoscitor;  che  così  lunge 
Di  poca  fiamma  gran  luce  non  viene. 

Ma  tua  fama  real  per  tutto  aggiunge; 
E  tal ,  che  mai  non  ti  vedrà  ,  né  vide, 
Col  bel  nodo  d'   amor  teco  congiunge. 
25  Or  dimmi,  se  colu'  in  pace  vi  guide, 

(E  mostrai  '1  duca  lor)  cho  coppia  è  questa, 
Che  mi  par  delle  cose  rare  e  fide? 

La  lingua  tua  al  mio  nome  sì  presta, 

Prova  ,  diss'  ei ,  che  '1  sappi  per  te  stesso  : 
Ala  dirò,  per  sfogar  l'  anima  mesta. 

Avendo  in  quel  soram'  uom  tutto  T  cor  messo 
Tanto,  eh'  a  Lelio  ne  do  vanto  appena. 
Ovunque  fùr  sue  insegne,  fui  lor  presso. 

A  lui  fortuna  fu  sempre  serena  : 

Ma  non  già  quanto  degno  era  '1  valore, 

Del  qual  più,  eh'  altro  mai,  1'  alma  ebbe  piena. 

Poi  che  r  arme  romane  a  grand'  onore 
Per  r  estremo  occidente  furon  sparse. 
Ivi  n'  aggiunse ,  e  ne  congiunse  Amore. 
40  Né  mai  più  dolce  fiamma  in  duo  cor  arse, 
Kè  sarà,  credo,  oimé,  ma  poche  notti 
Fùr  a  tanti  desir  pur  brevi ,  e  scarse. 

Indarno  a  maritai  giogo  condotti  ; 
Che  del  nostro  furor  scuse  non  false, 
E  i  legittimi  nodi  furon  rotti. 

Quel,  che  sol  più,  che  tutto  '1  mondo,  valse. 
Ne  dipartì  con  sue  sante  parole  : 
Che  de'  nostri  sospir  nulla  gli  calse. 

E  benché  fosse,  onde  mi  dolse  e  dole. 
Pur  vidi  in  lui  chiara  virtute  accesa; 
Che  'u  tutto  é  orbo  chi  non  vede  il  sole. 

Gran  giustizia  agli  amanti  è  grave  offesa: 
Però  di  tanto  amico  un  tal  consiglio 
Fu  quasi  un  scoglio  all'  anu)rosa  impresa. 
55  Padre  m'  era  in  onor,  in  amor  figlio, 

Fratel  negli  anni;  ond'  obbedir  convenne, 
Ma  col  cor  tristo ,  e  con  turbato  ciglio. 

Cos    questa  mia  cara  a  morte  venne. 
Che,  vedendosi  giunta  in  forza  altrui. 
Morir  innanzi ,  che  servir ,  sostenne. 

Ed  io  del  mio  dolor  ministro  fui. 

Che  'l  pregator  e  i  preghi  fùr  sì  ardenti, 
Ch'  ollesi  me ,  per  non  offender  lui. 

E  mandailc  'l  vcnen  con  sì  dolenti 

Pensier ,  coni'  io  so  bene ,  ed  ella  il  crede, 
E  tu ,  se  tanto  o  quanto  d'  amor  senti. 


W 


I 


30 


85 


45 


50 


I 


60 


65 


.33] 


TRIONFO  D    AMORE.   11.    (67-187)    UI.    (1  —  12) 


[134] 


Pianto  fu  il  mio  di  tanta  sposa  erede  ; 

In  lei  ogni  mio  ben ,  ogni  speranza 

Perder  elessi,  per  non  perder  fede. 
0  Ma  cerca  ornai ,  se  trovi  in  questa  danza 

Miral)il  cosa,  perchè  'I  tempo  è  le^e, 

E  più  dell'  opra,  che  del  jjiorno,  avanza. 
Pien  di  pietate  er'  io  pensando  il  breve 

Spazio  al  gran  foco  di  duo  tali  amanti  : 
fS       Parearai  al  sol  aver  il  cor  di  neve, 
Quand'  udii  dir  su  nel  passar  avanti  : 

Costui  certo  per  sé  già  non  mi  spiace, 

Ma  ferma  son  d'  odiarli  tutti  quanti. 
Pon ,  dissi,  '1  cor,  oh  Sofonisba,  in  pace! 
^0       Che  Cartagine  tua  per  le  man  nostre 

Tre  volte  cadde,  eil  alla  terza  giace. 
Ed  ella:  altro  vogl'  io  che  tu  mi  mostre. 

S'  Africa  pianse ,  Italia  non  ne  rise  : 

Domandatene  pur  l'  istorie  vostre  ! 
^5  Intanto  il  nostro  e  suo  amico  si  mise 

Sorridendo  con  lei  nella  gran  calca, 

E  fùr  da  lor  le  mie  luci  divise. 
Com'  uom ,  che  per  terren  dubbio  cavalca. 

Che  va  restando  ad  ogni  passo,  e  guarda, 
90       E  "1  pensier  dell'  andar  molto  diffalca, 
Cosi  l'  andata  mia  dubbiosa  e  tarda 

Facean  gli  amanti,  di  che  ancor  ni'  aggrada 

Saper,  quanto  ciascun,  e  'n  qtial  foco  arda. 
r  vidi  un  da  man  manca  fuor  di  strada, 
05       A  guisa  di  chi  brami ,  e  trovi  cosa, 

Onde  poi  vergognoso  e  lieto  vada, 
Donar  altrui  la  sua  diletta  sposa  : 

Oh  sommo  amor,  oh  nova  cortesia! 

Tal,  eh'  ella  stessa  lieta  e  vergognosa 
00  Parca  del  cambio,  e  givansì  per  via 

Parlando  insieme  de'  lor  dolci  affetti, 

E  sospirando  il  regno  di  Soria. 
Trassimi  a  quei  tre  spirti,  che  ristretti 

Erano  per  seguir  altro  cammino, 
.05       E  dissi  al  primo  :  1'  prego  che  m'  aspetti. 
Ed  egli  al  suon  del  ragionar  latino 

Turbato  in  vista  si  ritenne  un   poco, 

E  poi ,  del  mio  voler  quasi  indovino. 

Disse:  io  Seleuco  son,  e  questi  è  Antioco, 

Ilo       3Iio  figlio,  che  gran  guerra  ebbe  con  voi: 

Ma  ragion  contra  forza  non  ha  loco. 
Questa  mia  prima,  sua  donna  fu  poi. 

Che,  per  scamparlo  d'  amorosa  morte, 

Gli  diedi;  e  '1  don  fu  licito  fra  noi. 
L15  Stratonica  è  '1  suo  nome,  e  nostra  sorte, 

Come  vedi ,  è  indivisa ,  e  per  tal  segno 

Si  vede  il  nostro  amor  tenace  e  forte. 
Fu  contenta  costei  lasciarmi  il  regno. 

Io  '1  mio  diletto ,   e  questi  la  sua  vita, 
120       Per  far  vie  più  che  sé ,  1'  un  I'  altro  degno. 
E  se  non  fosse  la  discreta  aita 

Del  fisico  gentil ,  che  ben  s'  accorse, 

L'  età  sua  'n  sul  fiorir  era  fornita. 
Tacendo,  amando  quasi  a  morte  corse, 
125       E  r  amar  forza ,  e  '1  tacer  fu  virtutc. 

La  mia,  vera  pietà,  eh'  a  lui  soccorse. 
Così  disse,  e  com'  uom,  che  voler  mute, 

C'ol  fin  delle  parole  i  passi  volse, 

('11'  appena  gli  potei  render  salute. 
130  Poiché  dagli  occlij  miei  I'  ombra  si  tolse, 

Uiiiiasi  grave ,  e  sospirando  andai  ; 

('he  '1  mio  cor  dal  suo  dir  non  si  disciolse, 
Infìn  che  ini  fu  detto  :  troppo  stai 


In  un  pensier  alle  cose  diverse, 
135       E  '1  tempo  eh'  è  brevissimo,  ben  sai. 
Non  menò  tanti  armati  in  Grecia  Serse, 
Quant'  ivi  erano  amanti  ignudi  e  presi, 
'Tal  che  1'  occhio  la  vista  non  sofl'erse. 
Yarj  di  lingue,  e  varj  di  paesi, 
liO       Tanto  che  di  mille  un  non  seppi  '1  nomo, 
E  fanno  istoria  que'  pochi,  eh'  io  'ntesi. 
Perseo  era  1'  uno,  e  volli  saper,  come 
Andromeda  gli  piacque  in  Etiopia, 
Vergine  bruna  i  begli  occhj ,  e  le  chiome. 
145  Ivi  '1  vano  araator ,  che ,  la  sua  propria 
Bellezza  desiando,  fu  distrutto. 
Povero  sol  per  troppo  averne  copia. 
Che  divenne  un  bel  fior  scnz'  alcun  frutto, 
E   quella  che,  lui  amando,  in  viva  voce 
150      Fecesi  '1  corpo  un  duro  sasso  asciutto. 
Ivi  queir  altro  al  mal  suo  sì  veloce 

Ifi,  eh'  amando  altrui,  in  odio  s'  ebbe. 
Con  più  altri  dannati  a  simil  croce, 
Gente,  cui  per  amar  viver  increbbe, 
155       Ove  raffigurai  alcun  moderni, 

Ch'  a  nominar  perduta  opra  sarebbe. 
Quei  duo,  che  fece  Amor  compagni  eterni. 
Alcione  e  Ceice,  in  riva  al  mare 
Fare  i  lor  nidi  a  più  soavi  verni, 
160  Lungo  costor  pensoso  Esaco  stare. 

Cercando  Esperia,  or  sopr'  un  sasso  assiso, 
Ed  or  sott'  acqua ,  ed  or  alco  volare, 
£  vidi  la  crude!  figlia  di  Mso 

Fuggir  volando  ,  e  correr  Atalanta 
165       Di  tre  palle  d'  or  vinta ,  e  d'  un  bel  viso  ; 
E  seco  Ippomenés,  che  fra  cotanta 
Turba  d'  amanti  e  miseri  cursori 
Sol  di  vittoria  si  rallegra,  e  vanta. 
Fra  questi  favolosi  e  vani  amori 
170       Vidi  Aci,  e  Galatea,  che  'n  grembo  gli  era, 
E  Polifemo  farne  gran  romori. 
Glauco  ondeggiar  per  entro  quella  schiera 
Senza  colei ,  cui  sola  par  che  pregi, 
Nomando  un'  altra  amante  acerba  e  fera, 
175  Carmente,  e  Pico,  un  già  de'  nostri  regi. 

Or  vago  augello ,  e  chi  di  stato  il  mosse, 
Lasciogli  '1  nome,    e  '1  real  manto,    e  i  fregi. 
Vidi  'I  pianto  d'  Egeria,  e  'n  vece  d'  osse 
Scilla  indurarsi  in  petra  aspra  ed  alpestra, 
180       Che  del  niar  siciliano  infamia  fosse. 
E  quella ,  che  la  penna  da  man  destra, 
Come  dogliosa  e  disperata  scriva, 
E  '1  ferro  ignudo  tien  dalla  sincstra. 
Pigmalion  con  la  sua  donna  viva. 
185       E  mille,  che  'n  Castalia,  ed  Aganippe 
A  idi  cantar  per  1'   una  e  1'  altra  riva, 
E  d'  un  pomo  beflata  al  fin  ('idippe. 

Capitolo     T  k  k  z  o. 
Era  si  pieno  il  cor  di  meraviglie, 

Cir  io  Sitava  come  1'  uom  ,  che  non  può  dire, 
K  tace,  e  guarda  pur  eh'  altri  il  consiglic. 
Quando  1'   amico  mio:  «lie  fai?   che  miiTr" 
5       ('be  pcnfi.-  disM-;   non  sai  tu    ben,  eh'  io 
Son  della  turba,  e  mi  convien  seguire.'' 
Frate,   ri>po>i .  e  tu  sai  1'  esser  mio, 

E  r   amor  di  saper ,  che  m'  ha  sì  acceso, 
('he  r  opra  è  ritardata  dal  desio. 
10  Ed  egli  :   i'  t'    avea  già  tacendo  inteso. 

Tu  vuoi  saper,  chi  son  qiiest'  altri  ancora. 
r  tei  dirò,  se  'I  dir  non  m'  è  conteso. 

y  * 


[135] 


TRIONFO   D'  AMORE.     Uh  (13—146) 


Vedi  quel  grande,  il  quale  ogni  uomo  onora: 

Egli  è  Pompeo ,  ed  ha  Cornelia  geco, 
15       Cile  del  tìI  Tolomeo  si  lagna,  e  plora. 

L'  altro  più  di  lontan ,    queir  è  '1  gran  Greco, 

IVè  vede  Egisto,  e  l'  empia  Clitenneftra  ; 

Or  puoi  veder  Amor,  s'  egli  è  ben  cieco. 
Altra  fede,  altro  amor,  vedi  Ipcrmestra; 
20       Vedi  Piramo  e  Tisbe  insieme  all'  ombra, 

Leandro  in  mare,  ed  Ero  alla  finestra. 
Quel  si  pensoso  è  Ulisse,  affabil  ombra, 

Che  la  casta  mogliera  aspetta  e  prega  ; 

Ma  Circe  amando  glicl  ritiene  e  'ngombra. 
25  L'  altr'  è  '1  figliuol  d'  Amilcar,  e  noi  piega 

In  cotant'  anni  Italia  tutta  e  Roma, 

Vii  femminella  in  Puglia  il  prende,  e  lega. 
Quella,  che  '1  suo  signor  con  breve  chioma 

Va  seguitando,  in  Ponto  fu  reina: 
30       Or  in  atto  servii  sé  stessa  doma. 

L'  altra  è  Porzia,  che  '1  ferro  al  foco  affina, 

Quel'  altra  è  Giulia,  e   duolsi  del  marito, 

Ch'  alla  seconda  fiamma  più  s'  inchina. 
Volgi  in  qua  gli  occhj  al  gran  padre  schernito, 
35      Che  non  si  pente  ,  e  d'  aver  non  gì'  incresce 

Sette  e  sett'  anni  per  Racht'l  servito. 
Vivace  amor,  che  negli  afTanni  cresce! 

Vedi  '1  padre  di  questo,  e  vedi  l'  avo, 

Come  di  sua  magion  sol  con  Sarra  esce. 
40  Poi  guarda,  come  amor  crudele  e  pravo 

Vinr.e  David ,  e  sforzalo  a  far  1'  opra. 

Onde  poi  pianga  in  luogo  oscuro  e  cavo. 
Simile  nebbia  par  eh'  oscuri  e  copra 

Del  più  saggio  figliuol  la  chiara  fama, 
45       E  '1  parta  in  tutto  dal  signor  di  sopra. 
Ve'  I'  altro,  che  'n  un  punto  ama  e  disama: 

Vedi  Tamar ,  eh'  al  suo  frate  Absalone 

Disdegnosa  e  dolente  si  richiama. 
Poco  dinanzi  a  lei  vedi  Sansone, 
50       Ma  più  forte,  che  saggio,  che  per  ciance 

In  grembo  alla  nemica  il  capo  pone. 
Vedi  qui  ben,  fra  quante  spade  e  lance 

Amor,  e  '1  sonno,  ed  una  vedovetta 

Con  bel  parlar  e  sue  pulite  guance 
&5  Vince  Oloferne ,  e  lei  tornar  soletta 

Con  un'  ancilla,  e  con  I'  orribil  teschio, 

Dio  ringraziando,  a  mezza  notte,  in  fretta. 
Vedi  Sichen,  e  '1  suo  sangue,  eh'  è  meschiu 

Della  circoncision ,  e  delia  morte, 
60       E  '1  padre  colto  e  '1  popolo  ad  un  Teschio  ; 
Questo  gli  ha  fatto  il  subito  amar  forte. 

Vedi  Assuero ,  e  'I  suo  amor  in  qiial  modo 

Va  medicando,  acciò  che  'n  pace  il  porte. 
Dall'  un  si  scioglie,  e  lega  all'  altro  nodo: 
65       Cotale  ha  questa  malattia  rimedio, 

Come  d'  asse  si  trae  chiodo  con  chiodo. 
Vuoi  veder  in  un  cor  diletto  e  tedio. 

Dolce  ed  amaro.''  or  mira  il  fero  Erode! 

Ch'  amor  e  crudeltà  gli  han   posto  assedio. 
10  Vedi,  rom'   arde  prima,  e  poi  si  rode 

Tardi  pentito  di  sua  feritate 

Marianne  chiamando  ,  che  non  I*  ode. 
Vedi  tre  belle  dcmne  innanu>rate, 

Procri,  Artemisia,  con  Deidamia, 
15       Ed  altrettante  ardite  e  scellerate, 
Semiramis,  e  Kibli,  e  Mirra  ria, 

C(»mo  ciascuna  par  die  si  vergogni 

Della  sua  non  conce>sa  e  torta  via. 
J^cco  quii,  che  le  carte  empion  di  sogni, 


[136] 


80      Lancilotto,  Tristano  ,  e  gli  altri  erranti, 

Onde  convien,  che  '1  vulgo  errante   agogni. 
Vedi  Ginevra ,  Isotta ,  e  1'  altre  amanti, 
E  la  coppia  d'  Arimino,  che  'nsieme 
Vanno  facendo  dolorosi  pianti. 
85  Così  parlava  :  ed  io  ,  com'  uom  che  teme 
Futuro  male,  e  trema  anzi  la  tromba. 
Sentendo  già,  dov'  altri  ancor  noi  preme, 
Avea  color  d'  uom  tratto  d'  una  tomba, 
Quand'  una  giovinetta  ebbi  da  Iato 
90       Pura  vie  più,  che  candida  colomba. 
Ella  mi  prese,  ed  io,  eh'  arci  giurato 
Difendermi  da  uom  coperto  d'  arme, 
Con  parole  e  con  cenni  fui  legato. 
E  come  ricordar  di  vero  parme, 
95       L'  amico  mio  più  presso  mi  si  fece, 
E  con  un  riso;  per  più  doglia  darme. 
Dissemi  entro  1'  orecchie:  ornai  ti  lece 
Per  te  stesso  parlar  con  chi  ti  piace, 
Che  tutti  Siam  macchiati  d'  una  pece. 
100  Io  era  un  di  color,  cui  più  dispiace 

Dell'  altrui  ben,  che  del  suo  mal,  vedendo. 

Chi  m'  avea  preso  in  llbertate  e  'n  pace: 

E  ,  come  tardi  dopo  '1  danno  intendo, 

Di  sue  bellezze  mia  morte  facea, 

105       D'  amor,  di  gelosia  ,  d'  invidia  ardendo. 

Gli  occhj  dal  suo  bel  viso  non  volgea, 

Com'  uom,  eh'  è  infermo,  e  di  tal  cosa  ingordo, 
Ch'  al  gusto  è  dolce  ,  alla  salute  è  rea. 
Ad  ogni  altro  piacer  cieco  era  e  sordo. 
Ilo       Seguendo  lei  per  si  dubbiosi  passi, 

Ch'  i'  tremo  ancor ,  qualor  me  ne  ricordo. 
Da  quel  tempo  ebbi  gli  occhj  umidi  e  bassi, 
E  '1  cor  pensoso ,  e  solitario  albergo, 
Fonti ,  fiumi ,  montagne ,  boschi,  e  sassi. 
115  Da  ìndi  in  qua  cotante  carte  aspergo 

Di  pensieri ,  di  lagrime ,  e  d'  inchiostro, 
Tante  ne  squarcio ,  n'  apparecchio ,  e  vergo. 
Da  indi  in  qua  so,  che  si  fa  nel  chiostro 
D'  Amor,  e  che  si  teme,  e  che  si  spera, 
120       A  chi  sa  legger  nella  fronte  il  mostro. 
E  veggio  andar  quella  leggiadra  fera. 
Non  curando  di  me,  nò  di  mie  pene, 
Di  sua  virtute,  e  di  mie  spoglie  altera. 
Dall'  altra  parte,  s'  io  disccrno  bene, 
125       Questo  signor,  che  tutto  'I  mondo  sforza, 
Teme  di  lei  ;  ond'  io  son  fuor  di  spene, 
Ch'  a  mia  difesa  non  ho  ardir ,  né  forza  : 
E  quello,  in  eh'  io  sperava,  lei  lusinga, 
Che  me  e  gli  altri  crudelmente  scorza. 
130  Costei  non  è  chi  tanto  o  quanto  stringa, 
Cosi  selvaggia  e  ribellante  suole 
Dall'  insegne  d'  Amor  andar  solinga. 
E  veramente  è  fra  le  stelle  un  solo 
Un  singular  suo  proprio  portamento, 
133       Suo  riso,  suoi  disdegni  e  sue  parole. 

Le  chiome  accolte  in  oro,  o  sparse  al  vento, 
Gli  occhj  eh'  accesi  d'  un  celeste  lume 
M'  infiamman  si ,  eh'  i'  son  d'  arder  contento. 
Chi  porla  'l  mansueto  alto  costume 
110      Agguagliar  mai  parlando,  o  la  virtute, 

Ov'  è  '1  mio  siil  quasi  al  niiir  picciol    fiume  ? 
Nove  cose,  e  giammai  più  non  vedute, 
]Vè  da  veder  giammai  più  d'  una  volta. 
Ove  tutte  le  lingue  sarian  mute  ! 
145  Cosi  preso  mi  trov(» ,  ed  ella  sciolta, 

E  prego  giorno  e  notte,  oh  stella  iniqua! 


(( 


13Ì] 


TRIONFO  D'AMORE.  III.  (147  — 190)  IV.  (1—88) 


[138] 


Ed  ella  appena  di  mille  uno  ascolta. 
Dura  legge  d'  Amor  !  ma  benché  obliqua, 
Servar  couTÌensi,    però  eh'  ella  aggiunge 
50       Di  cielo  in  terra,  universale,  antiqua. 
Or  so ,  come  da  sé  il  cor  si  disgiunge, 
E  come  sa  tur  pace,  guerra ,  e  tregua, 
E  coprir  suo  dolor,  quand'  altri  '1  punge. 
E  so  ,  come  in  un  punto  si  dilegua, 
55       E  poi  si  sparge  per  le  guance  il  sangue. 
Se  paura  o  vergogna  avvien  che  '1  segua. 
So,  come  sta  tra'  fiori  ascoso  1'  angue. 
Come  sempre  fra  due  si  vegghia  e  dorme. 
Come  senza  languir  si  more  e  languc. 
GO  So  della  mia  nemica  cercar  1'  orme, 

£  temer  di  trovarla,  e  so,  in  qunl  guisa 
L'  amante  nell'  amato  si  trasforme. 
So ,  fra  lunghi  sospiri  e  brevi  risa, 
Stato,  voglia,  color  cangiare  spesso, 
[65       Viver,  stando  dal  cor  1'  alma  divisa. 
So  mille  volte  il  dì  ingannar  me  stesso. 
So,  seguendo  '1  mio  foco,  ovunque  fugge. 
Arder  da  lungo,  ed  agghiacciar  da  presso. 
So ,  coro'  Amor  sopra  la  mente  rugge, 
L70       E  com'  ogni  ragione  indi  discaccia, 

E  so ,  in  quante  maniere  il  cor  si  strugge. 
So ,  di  che  poco  canape  s'  allaccia 
Un'  anima  gentil ,  quand'  ella  è  sola, 
E  non  è  chi  per  lei  difesa  faccia. 
Il')  So,  com'  Amor  saetta,     e  come  vola, 

E  so,  com'  or  minaccia,  ed  or  perente. 
Come  ruba  per  forza,  e  come  invola, 
E  come  sono  instabili  sue  rote, 

Le  speranze  dubbiose,  e  '1  dolor  certo, 
180       Sue  promesse  di  fé  come  son  vote, 
Come  neir  ossa  il  suo  foco  coperto, 
E  nelle  vene  vive  occulta  piaga. 
Onde  morte  è  palese,  e  'ncendio  aperto. 
In  somma  so,  coni'  è  incostante  e  vaga, 
1S5       Timida  ,  ardita  vita  degli  amanti  ; 

Ch'  un  poco  dolce  molto  amaro  appaga. 
E  so  i   costumi,  e  i  lor  sospiri,  e  i  canti, 
E  '1  parlar  rotto,  e  '1  subito  silenzio, 
E  'l  brevissimo  riso ,  e  i  liuighi  pianti, 
190  E  qual  è  '1  mei  temprato  con  1'  assenzio. 

Capitolo   Quarto. 

Poscia  che  mìa  fortuna  in  forza  altrui 
M'   eiibe  sospinto,  e  tutti  incidi  i  nervi 
Di  libcrtate,  ov'  alcun   tempo  fui, 

Io,  eh'  era  più  sabatico,  che  i  cervi, 
5       Hatto  doiucsticato  fui  con  tutti 
I  miei  infelici  e  miseri  ccuiservi. 

E  lo  fati<;hc  lor  ^idi,  e  i  lor  lutti. 

Per  che  torti  ^(;ntieri ,  e  con  qual'  arte 
All'  amorosa  greggia  «;ran  ciuidtitti. 
10  Mentre  eh'  i'  volgea  gli  orclij   in  ogni  parto, 
S'  i'  ne  vedessi  alcun  di  chinra  fama, 
0  per  antiihc! ,  o  per  iiuxUrne  carte. 

Vidi  colui,   che  sola  f'iuridicc;  ama, 

E  lei  segue  all'  inferno,  e  p(;r  lei  morto 
15       Con  la  lingua  già  fredda  l.i  richiama. 

Alceo  conobbi ,  a  dir  d'  amor  sì  scorto, 
l'iudaro  ,  Anarrcontcr ,  clic  rimesse 
Avea  sue  nuise  sol  d'  Amoro  in  pr»rto. 

Virgilio  vidi ,  e;  panni    intorno  adesso 
20       ('ompagni  d'  ulto  ingegno,  e  da  trastullo, 
Di  quei,  che  voicntier  già  4  mondo  eJe*jC. 


L'  un'  era  Ovidio,  e  1'  altr'  era  Catullo, 
L'  altro  Properzio,   che  d'  amor  cantaro 
Fervidamente,  e  l'  altr'  era  Tibullo. 
I    25  Una  giovane  greca  a  paro  a  paro 
{  Coi  nobili  poeti  già  cantando, 

i  Ed  avea  un  suo  stil  leggiadro  e  raro. 

I  Così,  or  quinci  or  quindi  rimirando, 

!  Vidi  in  una  fiorita  e  verde  piaggia 

I    30       Gente,  che  d'  amor  givan  ragionando. 
Ecco  Dante  e  Beatrice,  ecco  Selvaggia, 
Ecco  Cin  da  Pistoja,  Guitton  d'  Arezzo, 
Che ,  di  non  esser  primo  ,  par  eh'  ira  aggio. 
Ecco  i  duo  Guidi ,  che  già  furo  in  prezzo, 
85       Onesto  Bolognese ,  e  i  Siciliani 

Che  fùr  già  primi,  e  quivi  eran  da  sezzo. 
Senuuccio  e  Franceschin ,  che  fùr  sì  umani. 
Com'  ogni  uom  vide,  e  poi  v'  era  un  drappello 
Di  portamenti,  e  di  volgari  strani. 
40  Fra  tutti  il  primo  Arnaldo  Daniello, 

Gran  maestro  d'  amor,  eh'  alla  sua  terra 
Ancor  fa  onor  col  suo  dir  novo  e  bello. 
Eranvi  quei,   eh'  Amor  sì  leve  afferra, 

L'  un  Pietro,  e  1'  altro,  e  '1  raen  famoso  Arnaldo, 
45       E  quei,  che  fùr  conquisi  con  più  guerra; 
r  dico  r  uno  e  1'  altro  Raimbaldo, 

Che  cantar  pur  Beatrice  in  Monferrato, 
E  '1  vecchio  Pier  d'  Alvernia  con  Giraldo. 
Folchetto,  eh'  a  Marsiglia  il  nome  ha  dato, 
50       Ed  a  Genova  tolto,  ed  all'  estremo 

Cangiò  per  miglior  patria  abito  e  stato. 
Gianfrè  Rudel ,  eh'  usò  la  vela  e  'l  remo, 
A  cercar  la  sua  morte,  e  quel  Guglielmo, 
Che  per  cantar  ha  '1  fior  de'  suoi  dì  scemo. 
55  Amerigo,  Bernardo,  Ugo,  ed  Anselmo, 
E  mille  altri  ne  vidi ,  a  cui  la  lingua 
Lancia  e  spada  fu  sempre,  e  scudo,    ed  ehno. 
E  poi  convicn  che  '1  mio  dolor  distingua; 
A  olsimi  a'  nostri ,  e  vidi  '1  buon  Tinnnsso, 
CO       Ch'  ornò  Bologna,  ed  or  Mesisina  impingua. 
Oh  fugace  dolzezza  !  oh  viver  lasso  ! 
Chi  mi  ti  tolse  sì  tosto  dinanzi, 
Senza  '1  qual  non  sapea  mover  un  passo? 
Dove  se'  or,  che  meco  eri  pur  dianzi.^ 
65       Ben'  è  '1  viver  mortai,  che  sì  n'  aggrada. 
Sogno  d'  infermi,  e  fola  di  romanzi. 
Poco  era  fuor  della  comune  strada, 

Quando  Socrate  e  Lelio  vidi  in  prima; 
Con  lor  più  lunga  via  convien  eh'  io  ^ada. 
70  Oh  qual  coppia  d'  amici  !  che  né  'n  rima 

Poria,  né  'n  prosa  assai  ornar,  nò  'n  versi, 
Se,  come  dee,  virtù   nuda  si  stima. 
Con  questi  duo  cercai  nu>nti  diversi. 

Andando  tutti  e  tre  sem|ire  ad  un  giogo: 
75       A  questi  le  mie  piaghe  tutte  ajiersi. 
Da  costor  non   mi  può  tempo  ,  nò  luogo 
l)i\ider  mai,  sì  cinue  spero,  e  bramo, 
Infili  al  cener  del  funereo  rogo. 
Con  costor  colsi  'I  glorioso  ramo, 
80       Onde  forse  anzi  tempo  ornai  le  tempie 
In  m(;iiioria  di  (|nella,  eh'   i'  tant'  amo. 
Ma  |iiir  di  lei ,  elur    l  cor  di  pensier  m"  cuipie, 
^on  potei  coglier  mai  ramo,  nò  foglia; 
Sì  fùr  le  sue  radici  acerbe  ed  empie! 
85  Onde,   henclu-  talor  doler  mi  soglia, 

Com' uom,  eh'  è  offeso,  qiielcbecon  (iiir^C  or<hj 
\  idi,  lu'  ù  un  freii,  ch(>  mai  più  non  mi  doglia. 
Materia  da  coturni ,  e  non  da  succhi. 


[139]     TR.  1)    AM.  (IV.  89  — 16(?.),  DELLA  CASTITÀ.  (I.  1—30)    fl40j 


A  edcr  preso  colui ,  eh'  è  fatto  Ueo 
})<>       Da  tardi  ingegni ,  rintuzzati ,  e  sciocchi. 
Ma   prima  vo'  seguir,  chR  di  noi  feo, 
Poi  seguirò  quel,  che  da  altrui  sostenne. 
Opra  non  mia ,  ma  d'  Omero ,  o  d'  Orfeo. 
Seguimmo  il  suon  delle  purpuree  penne 
<)5      De'  volanti  corsier  per  mille  fosse, 

Fin  che  nel  regno  di  sua  madre  venne; 
Né  rallentate  le  catene  ,  o  scosse, 

Ma  straziati  per  selve,  e  per  montagne, 
Tal  che  nessun  sapea ,  in  qual  mondo  fosse, 
100  Giace  oltra,  ove  1'  Egeo  sospira  e  piagne, 
Un'  isoietta  delicata  e  molle 
Più  eh'  altra,  che  '1  sol  scalde,  o  che  '1  mar  bagne. 
Nel  mezzo  è  un  ombroso  e  verde  colle 
Con  sì  soavi  odor,  con  sì  dolci  acque, 
105       Ch'  ogni  maschio  pensier  dall'  alma  lolle. 
Quest'  è  la  terra ,  che  cotanto  piacque 

A  Venere ,  e  'n  quel  tempo  a  lei  fu  sacra, 
Che  '1  ver  nascoso  e  sconosciuto  giacque, 
Ed  anco  è  di  valor  sì  nuda  e  macra, 
Ilo      Tanto  ritien  del  suo  primo  esser  vile. 

Che  par  dolce  a'  cattivi,  ed  a'  buoni  aera. 
Or  quivi  trionfò  'l  signor  gentile 

Di  noi,  e  d'  altri  tutti,  eh'  ad  un  laccio 
Presi  avea  dal  mar  d'  ìndia  a  quel  di  Tile. 
115  Pensier  in  grembo,  e  vanitale  in  braccio, 
Diletti  fuggitivi,  e  ferma  noja, 
Rose  di  verno ,  a  mezza  state  il  ghiaccio. 
Dubbia  speme  davanti,  e  breve  gioja. 
Penitenza  e  dolor  dopo  le  spalle, 
120       Qual  nel  regno  di  Roma,  o  'n  quel  di  Troja. 
E  rimbombava  tutta  quella  valle 

D'  acque,  e  d'  augelli,  ed  eran  le  sue  rive 
Bianche ,  verdi ,  vermiglie  ,  perse ,  e  gialle. 
Rivi  correnti  di  fontane  vive 
12.'>       Al  caldo  tempo  su  per  1'  erba  fresca, 

E  l'  ombra  folta,  e  1'  aure  dol<;i  estive. 
Poi ,  quando  '1  verno  l'  àer  si  rinfresca, 


Tepidi  soli,  e  giochi,  e  cibi,  ed  ozio 
Lento,  che  i  semplicetti  cori  invesca. 
130  Era  nella  stagion ,  che  1'  equinozio 

Fa  vincitor  il  giorno,  e  Progne  riede 
Con  la  sorella  al  suo  dolce  negozio. 
Oh  di  nostra  fortuna  instabil  fede! 

In  quel  loco,  in  quel  tempo,  ed  in  quell'  ora, 
lo5       Che  più  largo  tributo  agli  occhj  chiede, 
Trionfar  volse  quel,  che  '1  vulgo  adora; 
E  vidi  a  qual  servaggio,  ed  a  qual  morte. 
Ed  a  che  strazio  va  chi  s'  innamora. 
Errori ,  sogni ,  ed  immagini  smorte 
140       Eran  d'  intorno  all'  arco  trionfale, 
E  fal^e  opinioni  in  su  le  porte, 
E  lubrico  sperar  su  per  le  scale, 

E  dannoso  guadagno,  ed  util  danno, 
E  gradi ,  ove  più  scende  chi  più  sale, 
145  Stanco  riposo ,  e  riposato  affanno, 

Chiaro  disnor,  e  gloria  oscura  e  nìgra, 
Perfida  leaUate ,  e  fido  inganno, 
Sollecito  furor ,  e  ragion  pigra. 

Career,  ove  si  vien  per  strade  aperte, 
150       Onde  per  strette  a  gran  pena  si  migra, 
Ratte  scese  all'  entrar ,  all'  uscir  erte, 
Dentro  confusion  torbida,  e  mischia 
Di  doglie  eerte,  e  d'  allegrezze  incerte. 
Non  bollì  mai  A'ulcan ,  Lipari,  od  Ischia, 
155       Stromboli,  o  Mongibello  in  tanta  rabbia: 
Poco  ama  sé,  ehi  'n  tal  gioco  s'  arrischia. 
In  così  tenebrosa  e  stretta  gabbia 

Rinchiusi  fummo,  ove  le  penne  usate 
]\Iutai  per  tempo,  e  la  mia  prima  labbia. 
IGO  E  'ntanto,  pur  sognando  liberiate, 

L'  alma,  che  '1  gran  desio  fea  pronta   e  leve, 
Consolai  con  veder  le  cose  andate. 
Rimirando ,  er'  io  fatto  al  sol  di  neve, 
Tanti  spirti ,  e  sì  chiari  in  career  tetro, 
165       Quasi  lunga  pittura  in  tempo  breve, 

Che  '1  pie  va  innanzi,  e  1'  occhio  torna  indietro. 


TRIONFO  DELLA  CASTITÀ. 


Quando  ad  un  giogo ,  ed  in  un  tempo  quivi 
Domita  r  alterezza  degli  Dei 
E  degli  uomini  vidi  al  mondo  divi, 

r  prcbi  esempio  de'  lor  stati  rei, 
5       Facendomi  profitto  1'  altrui  male 
In  consolar  i  casi  e  dolor  miei  ; 

Che,  s'  io  veggio  d'  un  arco  e  d'  uno  strale 
Febo  percosso,  e  '1  giovane  d"  Abido, 
L'  un  detto  Dio ,  1'  altr'  uom  puro  mortale, 
lo  E  veggio  ad  un  laceiuol  Giunone  e  Dido, 

Ch    amor  pio  del  suo  sposo  a  morte  spinse, 
Non  quel  d'  Enea,  eom'  è  '1  pubblico  grido, 

Non  mi  deltbo  doler,  s'  altri  mi  vinse 
Giovane  incanto,  disarmato,  e  solo, 
15       E  HC  la  mia  nemica  Amor  non  strinse. 

Non  è  ancor  giiHta  assai  ragion  di  duolo, 
Che  in  abito  il  ri\iiii,  eh'  io  ne  piansi, 
Si  tiilte  gli  eran  1'   ali ,  e  '1  gire  a  volo. 

Non  con  altro  romor  di  petto  dansi 


20      Duo  leon  fieri,  o  duo  folgori  ardenti, 

Ch'  a  cielo ,  e  terra ,  e  mar  dar  loco  fansi, 
Ch'  i'  vidi  Amor  con  tutti  suo'  argomenti 
Mover  contra  colei ,  di  eh'  io  ragiono, 
E  lei  pili  presta  assai  che  fiamma,  o  venti. 
25  Non  fan  sì  grande  e  sì  lerribil  suono 

Etna,  qualor  da  Encelado  è  più  scossa, 
Scilla  e  Cariddi ,  quand'  irate  sono, 
Che  vie  maggior  in  sulla  prima  mossa 
Non  fosse  del  dubbioso  e  grave  assalto, 
30       Ch'  i'  non  credo  ridir  sappia,  né  possa. 
Ciascun  per  sé  si  ritraeva  in  alto, 

Per  veder  meglio ,  e  1'  orror  dell'  impresa 
1  cori  e  gli  occhj  avea  fatti  di  smalto. 
Quel  vincitor ,  che  prima  era  all'  offesa, 
35      Da  man  dritta  lo  strai ,  dall'  altra  I'  arco, 
E  la  corda  all'  orecchia  avea  già  tesa. 
Non  corse  mai  si  leveniente  al  varco 
Di  fuggitiva  cerva  un  leopardo 
Libero  in  selva,  o  di  catene  ecarco. 


411 


TRIONFO   DELLA  CASTITÀ.       (40  —  173) 


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Che  non  fosse  stato  ivi  lento  e  tardo; 
Tanto  Amor  venne  pronto  a  lei  ferire 
Con  le  faville  al  volto ,  orni'  io  tutt'  ardo  ! 

Combattea  in  me  con  la  pietà  il  desire, 
Che  dolce  m'  era  si  fatta  compagna, 
Duro  a  vederla  in  tal  modo  perire. 

Ma  virtù ,  che  da'  buon'  non  si  scompagna, 
Mostrò  a  quel  punto  ben,    coni'  a  gran  torto, 
Chi  abbandona  lei,  d'  altrui  si  lagna. 

Che  giammai  schermidor  non  fu  si  accorto 
A  schifar  colpo  ,  né  nocchier  sì  presto 
A  volger  nave  dagli  scogli  in  porto. 

Come  uno  schermo  intrepido  ed  onesto 
Subito  ricoperse  quel  bel  viso 
Dal  colpo  ,  a  chi  1'  attende ,  agro  e  funesto. 

I'  era  al  fin  con  gli  occhj  e  col  cor  fiso, 
Sperando  la  vittoria,  ond'  esser  sole, 
E  per  non  esser  più  da  lei  diviso, 

Come  chi  smisuratamente  vuole, 

Ch'  ha  scritto,  innanzi  eh'  a  parlar  cominci, 
Negli  occhj  e  nella  fronte  le  parole, 

Volea  dir  io:  signor  mio,  se  tu  vinci, 
Legami  con  costei ,  s'  io  ne  son  degno, 
Kè  temer,  che  giammai  mi  scioglia  quinci! 

Quand'  io  'i  vidi  pien  d'  ira ,  e  di  disdegno 
Sì  grave,  eh'  a  ridirlo  sarian  vinti 
Tutti  i  maggior,  non  che  '1  mio  basso  ingegno, 

Che  già  in  fredda  onestate  erano  estinti 
I  dorati  suoi  strali  accesi  in  fiamma 
D'  amorosa  beliate,  e  'n  piacer  tinti. 

Non  ebbe  mai  di  vero  valor  dramma 

Camilla  ,  e  1'  altre  andar  use  in  battaglia 
Con  la  sinistra  sola  intera  mamma. 

Non  fu  sì  ardente  Cesare  in  Farsaglia 
Contra  '1  genero  suo,  com'  ella  fuc 
Contra  colui ,  eh'  ogni  lorica  smaglia. 

Armate  eran  con  lei  tutte  le  sue 
Chiare  virtuti  ;  oh  gloriosa  schiera  ! 
E  teneansi  per  mano  a  due  a  due. 

Onestate  e  vergogna  alla  front'  era. 
Nobile  par  delle  virtù  divine. 
Che  fan  costei  sopra  le  donne  altera. 

Senno  e  modestia  all'  altre  due  confine. 
Abito  con  diletto  in  mezzo  '1  core. 
Perseveranza  e  gloria  in  sulla  fine, 

Bell'  accoglienza,  e  accorgimento  fore, 
Cortesia  intorno  intorno,  e  puritate, 
Timor  d'  infamia ,  e  sol  desio  d'  onore, 

Pensicr  canuti  in  ginvenil'  etate, 

E ,  la  concordia ,  eh'  è  sì  rara  al  mondo, 
V  era  con  castità  somma  beliate. 

Tal  venia  contr'  Amor ,  e  'n  sì  secondo 
Favor  del  cielo,  e  delle  ben  nate  alme, 
Che  della  vista  ei  non  solTcrse  il  pondo. 

Mille  e  mille   famose  e  care  salme 
Torre  gli  vidi,  e  scuotergli  di  mano 
Mille  vittoriose  e  chiare  palme. 

Non  fu  'l  cader  di  subito  sì  strano 
Dopo  tante  vittorie  ad  Anniballe 
Vinto  alla  fin  dal  giovane  romano  ; 

Né  giacque  sì  smarrito  nella  vallo 
Di  Terebinto  quel  gran  l''ili.->teo, 
A  cui  tutto  Israel  dava  le  spalle. 

Al  primo  sasso  del  garzon  ebreo  ; 

Né  C'irò    in  Scizia ,  ove  la  vcdov'  orba 
La  gran  vendetta  e  niemorabii  l'co. 

Com'  uom,  eh'  è  tiauo,  e  'u  un  momento  ammorba. 


Che  sbigottisce,  e  duolsi,  o  colto  in  atto 

Che  vergogna  con  man  dagli  occhj  forba, 
Cotal  er'  egli ,  ed  anco  a  peggior  patto, 
110       Che  paura  e  dolor,  vergogna  ed  ira 

Eran  nel  volto  suo  tutti  ad  un  tratto. 
Non  freme  così  'l  mar  quando  s'  adira, 

Non  Inarime  allor  che  Tifeo  piagne. 

Non  Mongibel,  s'  Encelado  sospira. 
115  Passo  qui  cose  gloriose  e  magne, 

Ch'  io  vidi,  e  dir  non  oso:  alla  mia  donna 

Vengo,  ed  all'  altre  sue  minor  compagne. 
Ella  avea  in  dosso  il  dì  candida  gonna, 

Lo  scudo  in  man,  che  mal  vide  Medusa, 
120       D'  un  bel  diaspro  era  i^^  una  colonna. 
Alla  qual  d'  una  in  mezzo  Lete  infusa 

Catena  di  diamante,  e  di  topazio, 

Ch'  al  mondo  fra  le  donne  oggi  non  s'  usa, 
Legar  il  vidi ,  e  farne  quello  strazio, 
125       Che  bastò  ben  a  mill'  altre  vendette  ; 

Ed  io  per  me  ne  fui  contento  e  sazio. 
Io  non  poria  le  sacre  benedette 

Vergini,  eh'  ivi  fnr,  chiudere  in  rima; 

Non  Calliope  e  Clio  con  1'  altre  sette. 
luO  Ma  d'  alquante  dirò,  che   n  sulla  cima 

Son  di  vera  onestate,  infra  le  quali 

Lucrezia  da  man  destra  era  la  prima, 
L'  altra  Penelopea:  queste  gli  strali 

E  la  faretra,  e  l'  arco  avean  spezzato 
135       A  quel  protervo,  e  spennacchiate  1'  ali. 
Virginia  appresso  il  fiero  padre,  armato 

Di  disdegno,  di  ferro,  e  di  pietate, 

Ch'  a  sua  figlia ,  ed  a  Roma  cangiò  stato, 
L'  un'  e  r  altra  ponendo  in  liberiate; 
Ilo       Poi  le  Tedesche,  che  con  aspra  morte 

Servar  la  lor  barbarica  onestate. 
Giudit  ebrea,  la  saggia,  casta,  e  forte, 

E  quella  Greca,  che  saltò  nel  mare. 

Per  morir  netta ,  e  fuggir  dura  sorte. 
145  Con  queste,  e  con  alquante  anime  chiare 

Trionfar  vidi  di  colui,  che  pria 

Veduto  avea  del  mondo  trionfare. 
Fra  r  altre  la  Veslal  vergine  pia. 

Che  baldanzosamente  corse  al  Tibro, 
150       E  ,  per  purgarsi  d'  ogni  'nfamia  ria. 

Portò  dal  fiume  al  tempio  acqua  col  cribro  : 

Poi  vidi  Ersilia  con  le  sue  sabine, 

Schiera,  che  del  suo  nome  empie  ogni  libro. 
Poi  vidi  fra  le  donne  peregrine 
155       Quella,  che  per  lo  suo  diletto  e  fido 

Sposso ,  non  per  Enea ,  volse  ir  al  fine. 
Taccia  '1  vulgo  ignorante,  i'  dico   Dido, 

Cui  studio  d'  onestate  a  morte  spinse, 

Non  vano  amor,  coni'  è  '1  pubbliio  grido. 
IGO  Al  fin  vidi  una,  che  si  chiuse,  e  strinse 

Sopr'  Arno  per  servarsi,  e  non  le  valse; 

Che  forza  altru'  il  suo  bel  pensicr  vinse. 
Era  'I  trionfo,  dove  1'   onde  salse 

Percoton  Baja;  eh'  al  tepido  verno 
l(i5       Giunse  a  man  destra,    e    'n  terra  ferma  salse 
Indi  fra  monU^  Harlmro,  ed    \«(M-no, 

L'  anticiiis.-'imo  allirrgo  di   Sibilla 

Passando,  se  n"  andar  dritto  a  Linterno; 
In  così  angu>ta  e  solitaria  ^illa 
170       Era    'I  grand'  noni,    che  d"  AflVira  s'  appella. 

IVrilié  prima  col  ferro  al  vivo  ajirilla. 
Qui  dell'  ostile  onor  V  alta  novella 

Non  scemato  con  gli  occhj  a  tutti  piucqac. 


[143]     TR.  D.  CAST.  (  174—193),  DELLA  MORTE   1.(1  —  96)     [144] 


E  la  più  casta  era  ivi  la  più  bella. 

175  Kè  '1  trionfo  d'  altrui  seguire  spiacque 
A  lui  che,  se  credenza  non  è  vana. 
Sol  per  trionfi  e  per  imperj  nacque. 
Così  giugnernmo  alla  città  soprana 
Nel  tempio  pria,  che  dedicò  Sulpizia, 

180       Per  spegner  della  mente  fiamma  insana. 
Passanmio  ai  tempio  poi  di  Pudicizia, 
Cli'  accende  in  cor  gentil'  oneste  voglie, 
Non  di  gente  plebea,  ma  di  patrizio. 


Ivi  spiegò  le  gloriose  spoglie 
185       La  bella  vincitrice,  ivi  depose 
Le  sue  vittoriose  e  sacre  foglie: 
E  '1  giovane  toscan  ,  che  non  ascose 

Le  belle  piaghe,  che  '1  fèr  non  sospetto; 
Del  comune  nemico  in  guardia  pose, 
190  Con  parecchj  altri  ;  e  fummi  '1  nome  detto 
D'  alcun  di  lor,  come  mia  scorta  seppe, 
Ch'  avean  fatto  ad  Amor  chiaro  disdetto; 
Fra'  quali  vidi  Ippolito,  e  Gioseppe. 


TRIONFO  DELLA  MORTE. 


Capitoi.0  Primo. 

Questa  leggiadra  e  gloriosa  donna, 
Ch'  è  oggi  nudo  spirto ,  e  poca  terra, 
£  fu  già  di  valor  alta  colonna. 
Tornava  con  onor  dalla  sua  guerra 
5       Allegra,  avendo  vinto  il  gran  nemico, 

Che  con  suo'  inganni  tutto  '1  mondo  atterra. 
Non  con  altr'  arme ,  che  col  cor  pudico, 
E  col  bel  viso,  e  co'  pensieri  schivi. 
Col  parlar  gaggio,  e  d'  onestate  amico. 
10  Era  miracol  novo  a  veder  quivi 

Rotte  r  arme  d'  Amor ,  arco  e  saette, 
E  quai  morti  da  lui,  quai  presi  vivi. 
La  beila  donna  e  le  compagne  elette. 
Tornando  dalla  nobile  vittoria, 
15      In  un  bel  drappelletto  ivan  ristrette. 
Poche  eran,  perchè  rara  è  vera  gloria, 
Ma  ciascuna  per  sé  parea  ben  degna 
Di  poema  chiarissimo,  e  d'  istoria. 
Era  la  lor  vittoriosa  insegna 
20       In  campo  verde  un  candido  arraellino, 
Ch'  oro  fino ,  e  topazj  al  colio  tegna. 
Non  uman  veramente,  ma  divino 
Lor  andar  era,  e  lor  sante  parole: 
Beato  è  ben  chi  nasce  a  tal  destino  ! 
25  Stelle  chiare  pareano,  e  in  mezzo  un  sole. 
Clic  tutte  ornava  ,  e  non  toglica  lor  vista. 
Di  rose  incoronate ,  e  di  viole. 
E  come  gentil  cor  onore  acquista. 
Così  venia  quella  brigata  allegra, 
30       Quand'  io  vidi  un'  insegna  oscura,  e  trista, 
Ed  una  donna  involta  in  veste  negra. 
Con  un  furor,  quai  io  non  so,  se  mai 
Al  tempo  de'  giganti  fosse  a  Flcgra, 
Si  mosse,  e  disse:  oh  tu,  donna,  che  vai 
85       Di  gloventute  e  di  bellezze  altera, 
E  di  tua  vita  il  termine  non  sai, 
r  son  colei ,  che  sì  importuna  e  fera 
Chiamata  son  da  voi ,  e  sorda ,  e  cicca, 
Gente,  a  cui  tà  fa  notte  innanzi  sera. 
40  r  ho  «oiKJott'  al  fin  la  gente  greca, 
E  la  tnijana,  all'  ultimo  i  Romani 
Con  la  mìa  spada,  la  qnal  punge,  e  eeca, 
E  popoli  altri  bai'liareschi  e  strani, 

È  giungendo,  qiiand'  altri  non  m'  aspetta, 
t5       Ilo  intitnotti  mi  Ih;  pcnsier  vani. 


Or  a  VOI,  quando    \  \iver  più  diletta, 
Drizzo  '1  mio  cor«io,  innanzi  che  foi 


fortuna 


Nel  vostro  dolce  qualche  amaro  metta. 
In  costor  non  hai  tu  ragione  alcuna, 
50      Ed  in  me  poca,  solo  in  questa  spoglia; 
Rispose  quella,  che  fu  nel  mondo  una: 
Altri  so  che  n'  ara  più  di  me  doglia, 
La  cui  salute  dal  mio  viver  pende, 
A  me  fia  grazia ,  che  di  qui  mi  scioglia. 
55  Quai'  è  chi  'n  cosa  nova  gli  occhj  intende, 
E  vede ,  ond'  al  principio  non  s'  accorse. 
Sì  eh'  or  si  maraviglia ,  or  si  riprende, 
Tal  si  fé'  quella  fera ,  e  poi  che  'n  forse 
Fu  stata  un  poco ,  ben  le  riconosco, 
60      Disse,  e  so  quando  '1  mio  dente  le  morse. 
Poi  col  ciglio  men  torbido,  e  men  fosco 
Disse:  tu,  che  la  bella  schiera  guidi,. 
Pur  non  sentisti  mai  mio  duro  tosco. 
Se  del  consiglio  mio  punto  ti  fidi, 
65       Che  sforzar  posso,  egli  è  pur  il  migliore 
Fuggir  vecchiezza ,  e  suoi  molti  fastidj. 
r  son  disposta  farti  un  tal  onore, 

Quai  altrui  far  non  soglio,  e  che  tu  passi 
Senza  paura  e  senz'  alcun  dolore. 
70  Come  piace  al  signor,  che  'n  cielo  stassi, 
E  indi  regge,  e  tempra  1'  universo. 
Farai  di  me  quel,  che  degli  altri  fassì. 
Così  rispose:  ed  ecco  da  traverso 
Piena  di  morti  tutta  la  campagna, 
75       Che  comprender  noi  può  prosa ,  ne  verso. 
Da  India,  dal  Catai ,  Marrocco,  e  Spagna 
Il  mezzo  avea  già  pieno,  e  le  pendici, 
Per  molti  tempi,  quella  turba  magna. 
Ivi  eran  quei,  che  fùr  detti  felici, 
80       Pontefici,  regnanti,  e  'mperadori. 
Or  sono  ignudi ,  miseri  e  mendici. 
U'  son  or  le  ricchezze .''  u'  son  gli  onori, 
E  le  gemme ,  e  gli  scettri ,  e  le  corone. 
Le  mitre  con  purpurei  colori? 
85  Miser,  chi  speme  in  cosa  mortai  pone  ! 

Ma  chi  non  ve  la  pone?  e  s'  ei  si  trova 
Alla  fine  ingannato ,  è  ben  ragione. 
Oh  ciechi,  il  tanto  nlTalicar  che  giova? 
Tutti  tornate  alla  gran  madre  antica, 
90       E  'l  nome  ^  ostro  appena  si  ritrova. 
Pur  delle  mille  un'  utile  fatica. 
Clic  non  sian  tutte  vanità  palesi, 
Chi  'ntenile  i  vostri  studj,  sì  me  '1  dica. 
Che  vale  a  soggiogar  tanti  paesi, 
95       E  triluitarie  far  le  genti  strane 

Con  gli  animi  al  suo  danno  sempre  accesi? 


145]      TRIONFO  DELLA  MORTE.     I.  (0^  —  112)    n.   (1-.57)      [146] 


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115 


L50 


155 


|l60 


Dupo  r  imprese  perigliose  e  vane, 
E  col  sangue  acquistar  terra  e  tesoro, 
Vìe  più  dolce  si  trova  V  acqua  e  '1  pane, 

E  'I  vetro,  e  '1  legno,  che  le  gemme  e  V  oro. 
Ma  per  non  seguir  più  sì  lungo  tema. 
Tempo  è ,  eh'  io  torni  al  mio  primo  lavoro. 

I'  dico ,  che  giunt'  era  1'  ora  estrema 
Di  quella  breve  vita  gloriosa 
E  '1  dubbio  passo ,  di  che  '1  mondo  trema, 

Er'  a  vederla  un'  altra  valorosa 

Schiera  di  donne,  non  dal  corpo  sciolta, 
Per  saper,  s'  esser  può  Morte  pietosa. 

Quella  bella  compagna  er'  ivi  accolta 
Pur'  a  veder  e  contemplar  il  fine. 
Che  far  conviensi,  e  non  più  d'  una  volta. 

Tutte  sue  amiche ,  e  tutte  eran  vicine  : 
Allor  di  quella  bionda  testa  svelse 
Morte  con  la  sua  mano  un  aureo  crine. 

Così  del  mondo  il  più  bel  fiore  scelse, 
Non  già  per  odio ,  ma  per  dimostrarsi 
Più  chiaramente  nelle  cose  eccelse. 

Quanti  lamenti  lagrimosi  sparsi 

Fur'  ivi,  essendo  quei  begli  occhj  asciutti. 
Per  eh'  io  lunga  stagion  cantai,  ed  arsi! 

E  fra  tanti  sospiri  e  tanti  lutti 
Tacita  e  lieta  sola  si  sedea. 
Del  suo  bel  viver  già  cogliendo  i  frutti. 

Vattene  in  pace,  oh  vera  mortai  Dea, 
Diceano;  e  tal  fu  ben  ;  ma  non  le  valse 
Contra  la  morte  in  sua  ragion  sì  rea. 

Che  fia  dell'  altre,  se  quest'  arse  ed  also 
In  poche  notti,  e  si  cangiò  più  volte? 
Oh  umane  speranze  cieche  e  false! 

Se  la  terra  bagnar  lagrime  molte 
Per  la  pietà  di  quel!'  alma  gentile, 
Chi  '1  vide,  il  sa:  tu  'i  pensa,  che  1'  ascolte. 

L'  ora  prim'  era ,  e  '1  dì  sesto  d'  Aprile, 

Che  già  mi  strinse,  ed  or,  lasso,  mi  sciolse. 
Come  Fortuna  va  cangiando  stile! 

Ncssim  di  servitù  giammai  si  dolse. 
Né  di  morte,  qiiant'  io  di  libertate 
E  della  vita ,  eh'  altri  non  mi  tolse. 

Debito  al  mondo  ,  e  deìtito  all'  etate 

Cacciar  me  innanzi,  eh'  era  giunto  in  prima, 
Nò  a  lui  torre  ancor  sua  dignitate. 

Or  qual  fosse  '1  dolor,  qui  non  sì  stima, 
Ch'  appena  oso  pensarne,  non  eh'  io  sia 
Ardito  di  parlarne  in  verso,  o  'n  rima. 

Virtù  morta  è ,  bellezza  e  cortesia. 
Le  belle  donne  intorno  al  casto  Ietto 
Triste  diceano:  ornai  di  noi  che  fia? 

Chi  vedrà  mai  in  donna  atto  perfetto? 
Chi  udirà  il  parlar  di  saper  pieno, 
E  'I  canto  pien  d'  angelico  diletto? 

Lo  spirto,  per  partir  dì  quel  bel  seno, 
Con  tutte  sue  virtuti  in  su  romito, 
Fatt'  avea  in  qu«-lla  parte  il  ciel  sereno. 

Nessun  degli  avversarj  iti  sì  ardito, 

<'h'  apparisse  giammai  con  vista  oscura, 
Finché  Morte  il  suo  assalto  cblie  fornito. 

Poi  che,  deposto  il  pianto,  e  la  paura. 
Pur  al  liei  vi.so  era  ciascuna  intenta, 
E  per  disperazion  fatta  sicura, 

Non  com(;  fiamma,  che  per  forza  è  Rpenta, 
Ma  che  per  se  lucilesma  si  c(msume. 
Se  n'  andò  in  pace  1'  anima  contenta. 

A  guisa  d'   un  soave  o  chiaro  lume, 


Cui  nutrimento  a  poco  a  poco  manca, 
165      Tenendo  al  fin  il  suo  usato  costume. 
Pallida  no,  ma  più  che  neve  bianca. 
Che  senza  vento  in  un  bel  colle  fiocchi, 
Parea  posar,  come  persona  stanca. 
Quasi  un  dolce  dormir  ne'  suoi  begli  occhj, 
170       Sendo  Io  spirto  già  da  lei  diviso. 

Era  quel,  che  morir  chiaman  gli  sciocchi. 
Morte  bella  parea  nel  suo  bel  viso. 

Capitolo  seco?; do. 
La  notte,  che  seguì  I'  orribil  caso. 

Che  spense  '1  sol ,  anzi  'I  ripose  in  cielo, 
Ond'  io  son  qui  coni'  uora  cieco  rimaso, 
Spargea  per  1'  aere  il  dolce  estivo  gelo, 
5       Che  con  la  bianca  amica  dì  Tìtone 
Suol  de'  sogni  confusi  torre  il  velo; 
Quando  donna  sembiante  alla  stagione, 
Dì  gemme  orientali  incoronata. 
Mosse  ver  me  da  mille  altre  corone  ; 
10  E  quella  man  già  tanto  desiata 

A  me  parlando  e  sospirando  porse, 
Ond'  eterna  dolcezza  al  cor  m'  è  nata: 
Riconosci  colei ,  che  prima  torse 
I  passi  tuoi  dal  pubblico  viaggio, 
15       Come  '1  cor  giovenil  di  lei  s'  accorse. 
Così  pensosa  in  atto  umile  e  saggio 
S'  assise ,  e  seder  femmi  in  una  riva, 
La  qual'  ombrava  un  bel  lauro,  ed  un  faggio. 
Come  non  conosco  io  I'  alma  mia  diva? 
20      Risposi  in  guisa  d'  uom,  che  parla,    e  plora. 
Dimmi  pur ,  prego ,  se  sei  morta ,  o  viva. 
Viva  son  io,  e  tu  sei  morto  ancora, 

Diss'  ella,  e  sarai  sempre  ìnfin  che  giunga 
Per  levarti  dì  terra  1'  ultim'  ora. 
25  Ma  '1  tempo  è  breve,  e  nostra  voglia  è  lunga. 
Però  t'  avvisa,  e  'I  tuo  dir  stringi,  e  frena, 
Anzi  che  '1   giorno  già  vicin  n'  aggiunga! 
E  io  :  al  fin  di  quest'  altra  serena, 

Ch'  ha  nome  vita ,  che  per  prova  '1  sai, 
80       Deh  dimmi,  se  'I  morir  è  sì  gran  pena. 
Rispose:  mentre  al  vulgo  dietro  vai, 
Ed  ali'  opinion  sua  cieca  e  dura, 
Esser  felice  non  può'  tu  giammai. 
La  morte  è  fin  d'  una  prigion  oscura 
35      Agli  animi  gentili  ;  agli  altri  è  noja, 

Ch'  hanno  posto  nel  fango  ogni  lor  cura. 
Ed  ora  il  morir  mio ,  che  si  t'  annoja, 
Ti  farebbe  allegrar ,  se  tu  sentissi 
La  millesima  parte  di  mia  gioja. 
40  Così  parlava,  e  gli  occhj  ave'  al  ciel  fissi 
Divotamente  :  poi  mise  in  silenzio 
Quelle  labbra  rosate,  infin  eh'  io  dissi: 
Siila,  Mario,  Neron,  (ì.ijo,  e  Mezenzio, 
Fianchi,  stomachi,  feldiri  ardenti  fanno 
45       Parer  la  morto  amara  più  eh'  assenzio. 
Negar,  disse,  non  posso,  clic  T  all'anno. 
Che  va  innanzi  al  morir,  non  doglia  forte, 
E  più  la  tema  dell'  eterno  danno; 
Ma  pur  che  1'  alma  in  Dio  si  riconforte, 
50       E  '1  cor,  che    n  sé  medesmo  forse  è  lasso. 
Che  altro  eh'  un  sospir  breve  è  la  morte? 
r  avea  già  vicin  1'  ultimo  passo. 

La  carne  inferma ,  e  1'  anima  ancor  pronta, 
Quaiid'  udii  dir  in  un  suon  tristo  e  basso: 
55  Oh  misero  colui,  eh'  i  giorni  conta, 

E  pargli  r  un  milP  anni ,  e  'ndarno  vive, 
£  bccu  in  terra  inai  non  si  rallrontu! 

10 


[147] 


TRIONFO  DELLA  MORTE.     II.  (58  —  190) 


J148] 


E  cerca  '1  mar,  e  tutte  le  sue  rive, 

E  scnuire  un  stile,  ovunqu'  e'  fosse,  tenne, 
60       Sol  di  lei  pensa,  o  di  lei  parla,  o  scrive 
AUor  in  quella  parte,  onde  'i  suon  venne, 
Gli  oc.clij  languidi  volgo,  e  veggio  quella, 
Ch'  aniho  noi ,  me  sospinse ,  e  te  rilcune. 
Riconohhila  al  volto,  e  alla  favella, 
65       Che  spesso  ha  già    1  mio  cor  racconsolato, 
Or  grave  e  saggia,  allor  one^ta  e  hella. 
E  quand'  io  fui  nel  mio  più  bello  stato, 
Aeir  età  mia  più  verde,  a  te  più  cara, 
Ch'  a  dir  ed  a  pensar  a  molti  ha  dato: 
70  Mi  fu  la  vita  poco  men  che  aniara, 
A  rispetto  di  quella  mansueta 
E  dolce  morte ,  eh'  a'  mortali  è  rara.  ^ 
Cile  'n  tutto  quel  mio  passo  er'  io  più  lieta^ 
Che  qual  d'  esilio  al  dolce  albergo  riede, 
75       Se  non  che  mi  stringea  sol  di  te  pietà. 
Deh,  madonna,  diss'  io,  per  quella  fede, 
Che  vi  fu,  credo,  al  tempo  manifesta. 
Or  più  nel  volto  di  chi  tutto  vede, 
Creovvi  Amor  pensier  mai  nella  testa 
80       D'  aver  pietà  del  mio  lungo  martire, 

Non  lasciando  vostr'  alta  impresa  onesta? 
Che  i  vostri  dolci  sdegni,  e  le  dolc'  ire, 
Le  dolci  paci  ne'  begli  oc(;hj  scritte 
Tenner  molt'  anni  in  dubbio  il  mio  desire, 
85  Appena  ebb'  io  queste  parole  ditte, 

Ch'  i'  vidi  lauipeggiar  quel  dolce  riso, 
Ch'  un  sol  fu  già  di  mie  virtuti  afflitte. 
Poi  disse  sospirando:  mai  diviso 

Da  te  non  fu  'I  mio  cor,  giammai  fia, 
90      Ma  temprai  la  tua  fiamma  col  mio  viso. 
Perchè  a  salvar  te  e  me  nuli'  altra  via 
Era  alla  nostra  giovinetta  fama, 
Kè  per  ferza  è  però  madre  men  pia. 
Quante  volte  diss'  io:  questi  non  ama, 
95       Anv  i  arde  ;  onde  convien  eh'  a  ciò  provvcggia  : 
E  mal  può  provveder  chi  teme,  o  brauia. 
Quel  di  for  miri,  e  quel  dentro  non  veggia: 
Questo  fu  quel,  che  ti  rivolse,  e  strinse 
Spesso,  come  cavai  fren,  che  vaneggia. 
100  Più  di  uiille  fiate  ira  dipinse 

Il  volto  mio ,  eh'  amor  ardeva  il_  core. 
Ma  voglia  in  me  ragion  giammai  non  vinse. 
Poi  se  vinto  ti  vidi  dal  dolore, 

Drizzai  'n  te  gli  occhj  allor  soavemente, 
105       Salvando  la  tua  vita,  e  1'  nostro  onore. 
E  se  fu  passion  troppo  possente, 
E  la  fronte,  e  la  voce  a  salutarti 
Mossi,  or  timorosa,  ed  or  dolente. 
Questi  fùr   teco  mici  'ngegni,  e  mie  arti, 
110       Or  benigne  accoglienze,  ed  ora  sdegni: 

Tu  '1  sai,  che  n'  liai  cantato  in  molte,  parti. 
Ch'  i'  vidi  gli  occhj  tuoi  talor  sì  pregni 
Di  lagrime,  eh'  io  dissi:  questi  è  corso 
A  morte,  non  l'  aitando,  i'  veggio  i  segni. 
115  Allor  |)rovvldi  d'  onesto  soccorso. 

'lalor  ti  vidi  tali  sproni  al  fianco, 
Ch'  i'  dissi  :  qui   convien  più  duro  morso. 
Cosi  caldo  ,  vermiglio  ,  freddo  e  bianco. 

Or  tri^to,  or  lieto,  infin  qui  t'  ho  condutto 
120       Salvo,  ond'  io  mi  rallegro,  benché  stanco. 
Ed  io  :  madonna,  assai  fora  gran  frutto 

Questo  d'  ogni  mia  fé,  pur  eh'   io  'I  credessi, 
Dissi  treiiiando  ,  e  non  vm\  viso  asciutto. 
Di  poca  fede       rio ,  so  noi  sapesisi! 


125       Se  non  fosse  ben  ver,  perchè  'I  direi? 

Rispose,  e  'n  vista  parve  s'  accendessi. 

S'   al  mondo  tu  piacesti  agli  occhj  miei. 

Questo  mi  taccio:  pur  quel  dolce  nodo 

Mi  piaique  assai,  che  'ntorno  al  cor  avei: 

130  E  piacenii  '1  bel  nome,  se    l  ver  odo. 

Che  lunge  e  presso  col  tuo  dir  m'  acquisti; 
Né  mai  'n  tuo  amor  richiesi  altro,    che  modo 
Quel  mancò  solo ,  e  mentre  in  atti  tristi 

Volei  mostrarmi  quel ,  eh'  io  vedea  sempre, 
135       II  tuo  cor  chiuso  a  tutto  'i  mondo  apristi. 
Quinci  '1  mio  gelo,  ond'  ancor  ti  distemprc: 
Che  concordia  era  tal  tiell'  altre  cose, 
Qual  giunge  amor,  più*  eh'  onestate  il  tempre.l 
Fùr  quasi  eguali  in  noi  fiamme  amorose, 
140       Almen  poi  eh'  io  m'  avvidi  del  tuo  foco; 
Ma  r  un  le  appalesò,  1'  altro  le  ascose. 
Tu  eri  di  mercè  chiamar  già  roco, 

Quand'  io  tacca ,  perchè  vergogna  e  tema 
Facean  molto  desir  parer  si  poco. 
145  Non  è  minore  il  duol,  perdi'  altri  '1  prema, 
Né  maggior  per  andarsi  lamentando: 
Per  fizion  non  cresce  il  ver,  uè  scema. 
Ma  non  si  ruppe  almen  ogni  vel,  quando 
Sola  i  tuoi  detti  te  presente  accolsi, 
150       Vir  inù  non  osa  il  nostro  amor,  cantando? 
Teco  era  '1  cor,  a  me  gli  occhj  raccolsi: 
Di  ciò,  come  d'  iniqua  parte,  duelli. 
Se  '1  meglio,  e  '1  più  ti  diedi,  e  '1  men  ti  tolsi 
Né  pensi  che,  perché  ti  fosscr  tolti 
155       Ben  mille  volte,  e  più  di  mille  e  mille 
Henduti,  e  con  pietate  a  te  fùr  volti. 
E  state  foran  hir  luci  tranquille 

Sempre  ver  te ,  se  non  eh'   ebbi  temenza  i 

Delle  pericolose  tue  faville. 
160  Più  ti  vo'  dir ,  per  non  lasciarti  senza 
Una  conclusìon,  eh'  a  te  fia  grata 
Forse  d'  udir  in  su  questa  partenza: 
In  tutte  l'  altre  cose  assai  beata. 
In  una  sola  a  me  stessa  dispiacqui, 
165       Che  'n  troppo  umil  terren  mi  trovai  nata. 
Duolmi  ancor  veramente,  eh'  io  non  nacqui 
Almen  più  presso  al  tuo  fiorito  nido; 
Ma  assai  fu  bel  paese,  ov'  io  ti  piacqui. 
Che  potea  '1  cor,  del  qual  sol  io  mi  fido, 
170       Volgersi  altrove,  a  te  essendo  ignota; 

Ond'  io  fora  men  chiara,  e  di  men  grido. 
Questo  no ,  rispos'  io  :  perchè  la  rota 
Terza  del  eiel  m'  alzava  a  tanto  amore, 
Ovunque  fosse,  stabile  ed  immota. 
175  Or  che  si  sia,  diss'  ella,  i'  n'  ebbi  onore, 
('h'  ancor  mi  segue  :  ma  per  tuo  diletto 
Tu  non  t'  accorgi  del  fuggir  dell'  ore. 
Vedi  r  Aurora  dell'  aurato  letto 

liiuienar  a'  mortali  il  gii)rno  ,  e  '1  sole 
180       Già  fuor  dell'  oceiino  infili  al  petto. 
Questa  vien  per  ])artirci ,  onde  mi  dole; 
S'  a  dir  hai  altro ,  studia  d'  esser  breve, 
E  col   tempo  dispensa  le  parole! 
Quant'  io  soflersi  mai ,  soave  e  leve, 
185       Dissi,  ih'  ha  fatto  il  parlar  dolce  e  pio; 
Ma  'l  viver  senza  voi  in'  è  duro  e  greve. 
Però  saper  vorrei ,  madonna ,  s'  io 

S<ui  per  tardi  seguirvi  o  se  per  tempo. 
Ella  già  mossa  dis>e:  al  creder  mio, 
190  Tu  stara'  in  terra  henza  me  griui  tempo. 


149] 


TRIONFO  DELLA  FAMA.     L  (1—126) 


[150] 


TRIONFO  DELLA  FAMA. 


Capitolo  primo. 
Da  poi  che  Morte  trionfò  nel  volto. 
Che  di  me  stesso  trionfar  snlea, 
E  fu  del  nosttro  mondo  il  suo  sol  tolto, 
Partissi  quella  dispietata  e  rea, 
5       Pallida  in  Arista,  orribile,  e  superba, 
Che  '1  limie  di  beltate  spento  avea; 
Quando  mirando  intortio  su  per  1'  erba, 
Vidi  dall'  altra  parte  giunger  quella. 
Che  trae  V  uom  del  sepolcro,  e  'n  vita  il  serba. 
10  Qual  in  sul  giorno  I'  amorosa  stella 

Suol  venir  d'  oriente  innanzi  al  sole. 
Che  s'  accompagna  volentier  con  ella; 
Cotal  venia;  ed  io:  dì  quali  scole 

Verrà  il  maestro ,  che  descriva  appieno 
15       Quel,  eh'  i'  vo'  dir  in  semplici  parole? 
Era  d'  intorno  il  ciel  tanto  sereno, 

Che  pur  tutto  '1  desio,  eh'  ardea  nel  core, 
L'  occhio  mio  non  potea  non  venir  meno. 
Scolpito  per  le  fronti  era  '1  valoi-e 
20       Dell'  onorata  gente ,  dov'  io  scorsi 
Molti  di  quei,  che  legar  vidi  Amore. 
Da  man  destra,  ove  gli  occhj  prima  porsi, 
La  bella  donna  avea  Cesare,  e  Scipio; 
Ma  qual  più  presso ,    a  gran  pena  m'  accorsi 
25  L'  un  di  virtute,  e  non  d'  amor  mancipio: 
L'  altro  d'  entrambi  :  e  poi  mi  fu  mostrata 
Dopo  sì  glorioso  e  bel  principio 
Gente  di  ferro  e  dì  valor  armata. 

Siccome  in  Campidoglio  al  tempo  antico 
80       Talora  o  per  via  sacra ,  o  per  via  lata. 
Venian  tutti  in  quell'  ordine  eh'  i'  dico, 
F.  leggeisi  a  ciascun  intorno  al  ciglio 
11  nome  al  mondo  più  dì  gloria  amico. 
r  era  intento  al  nobile  lìisbiglio, 
35      Al  volto,  agli  atti,  e  dì  que'  primi  due 

L'  un  seguiva  il  nipote,  e  1'  altro  il  figlio, 
Che  sol  seiiz'  alcun  par  al  mondo  fue, 
E  quei,  che  volscr'   a'  nemici  armati 
Chiudere  il  passo  con  le  membra  sue, 
40  Duo  padri  da  tre  figli  accompagnati  ; 

L'  un  giva  innanzi ,  e  duo  ne  venian  dopo, 
E  1'  ultimo  era    1  primo  tra'  laudati. 
Poi  fiammeggiava  a  guisa  d'  un  piropo 
Colui ,  che  col  consiglio  ,  e  con  la  mano 
45       A  tutta  Italia  giunse  al  maggior  uopo. 
Di  Claudio  dico,  che  notturno  e  piano, 
Come  '1  Metauro  vide,  a  purgar  venne 
Di  ria  semenza  il  ituon  campo  romano. 
Egli  ebl)e  occhj   al  veder,  al  volar  penne, 
50       Ed  un  gran  vecchio  il  secondava  appresso. 
Che  con  arte  Annilialh;  a  bada  tinne. 
Un  altro  Fabio ,  e  duo  (latini  con  esso, 
Duo  Paoli,  duo  Hruti ,  e  duo  ^larcelli, 
Un  llegol ,  eh'  amò  Uoma,  e  non  sé  stesso, 
55  Un  Curio,  <ul  un   Fabrizio,  assai  più  belli 
Con  la  lor  po\ertà,  che  Mida,  o  Crasso 
Con  r  oro,  ond'  a  virtù  furon  ribelli. 
Cincinnato,  e  Serran  ,  che  soli»  un  passo 

Senza  coNtor  n«in  vanno,  e  'I  gran  Cauimillo 
60       Di  viver  prima  che  di  ben  far  lasso  : 
Perch'  il  sì  alto  grado  il  citi  sortillo, 
Che  eua  chiara  virtute  il  ricondusse» 


Ond'  altrni  cieca  rabbia  dìpartillo. 
Poi  quel  Torquato,  che  '1  figliuol  percnsse, 
65       E  viver  orbo  per  amor  solTerse 

Della  milizia ,  perch'  orba  non  fusse. 
L'  un  Uecio,  e  1'  altro,  che  col  petto  aperse 
Le  schiere  de'  nemici  :  oh  fiero  voto  ! 
Che  '1  padre,  e  '1  figlio  ad  una   morte  offerse. 
70  Curzio  con  lor  venia  non  men  devoto, 

Che  dì  sé  e  dell'  arme  empiè  lo  speco 
In  mezzo  '1  foro  orribilmente  vóto. 
Mummio,  Levino,  Attilio,  ed  era  seco 
Tito  Flaminio ,  che  con  forza  vinse, 
75       Ma  assai  più  con  pietate,  il  popol  greco. 
Eravi  quel,  che  '1  re  dì  Siria  cinse 

D'  un  magnanimo  cerchio,  e  con  la  fronte, 
E  con  la  lingua  a  suo  voler  lo  strinse  ; 
E  quel ,  eh'  armato  sol  difese  il  monte, 
80       Onde  poi  fu  sospinto,  e  quel,  che  solo 
Centra  tutta  Toscana  tenne  il  ponte; 
E  quel,  che  'n  mezzo  del  nemico  stuolo 
Mosse  la  mano  indarno ,  e  poscia  1'  arse. 
Si  seco  irato,  che  non  sentì  '1  duolo; 
85  E  chi  'n  mar  prima  vincitor  apparse 
Contr'  a'  Cartaginesi,  e  chi  lor  navi 
Fra  Sicilia  e  Sardigna  ruppe ,  e  sparse. 
Api)io  conobbi  agli  occhj ,  e  a'  suoi ,    che  gravi 
Furon  sempre  e  molesti  all'  umil  plebe  j 
90       Poi  vidi  un  grande  con  atti  soavi; 

E  se  non  che  '1  suo  lume  all'  estremo  hebe, 
Fors'  era    1  primo ,  e  certo  fu  fra  noi, 
Qual  Bacco,  Alcide,  Epaminonda  a  Tebe: 
Ma  'I  peggio  è  viver  troppo  :  e  vidi  poi 
95       Quel,  che  dell'  esser  suo  destro  e  leggiero 
Ebbe   1  nome ,  e  fu  "1  fior  degli  anni  suoi. 
E  quanto  in  arme  fu  crude  e  severo, 

Tanto  quel  ,  che  "I  seguiva  ,  era  benigno, 
INon  so  ,  se  miglior  duce ,  o  cavaliere, 
100  Poi  venia  quel,  che  'i  livido  maligno 

Turaor  di   sangue  bene  oprando  oppresse, 
Volumnio  nnbil  d'  alta  laude  digno. 
Cosso,  Fìlon ,  Rutilio  ,  e  dalle  spesse 
Luci  in  disparte  tre  soli  ir  vedeva, 
105       E  membra  rotte,  e  smagliate  arme  e  fesse, 
Lucio  Dentato,  e  Marco  Sergio,  e  Sceva; 
Quei  tre  folgori,  e  tre  scogli  dì  guerra; 
Ma  r  un  ri(»  successor  dì  fama  \q\a: 
Mario  poi ,  che  Giugurta  e  i  Cimbri  atterra, 
110        E  'I  tedesco  furor,  e  Fulvio    Fiacco, 

Ch'  agi'  ingrati  troncar  a  bel  studio  erra. 
E  'I  più  nobile  Fulvio  ,  e  sol  un  Gracco 
Di  quel  gran  nido  garrulo  e  inquieto, 
Che  fé  'I  popol  roman  più  volte  stracco. 
115  E  quel,   che  parve  altrui  Itcato  e  lieto, 
Son  dico  fu:  che  non  chiaro  si  vedo 

I  II  chiuso  cor  in  suo  alto  secreto; 
Metello  dico,  e  suo  padre,  e  suo  rede; 

('he  già  dì  ALicediuiia ,  e  de'  .Numidi, 
120       E  di  Creta,  e  di  Spagna  addusser  prede. 
Poscia   Wspasiiin  col  figlio  ^idi, 

II  buono,  e    i  bullo,    non  già  '1  bello  e  'I  rio. 
E    1  buon  Nierva,  e  'i'rajan,  principi  fidi. 

Elio    \driano,  e  M  suo  Antonio   l'io; 
125       Itella  succes^ionc  ìnfino  a  .'Marco, 
Ch'  ebbcr'  ahueno  il  naturai  desio. 

10  * 


[151]        TRIONFO  DELLA  FAMA.  I.  (127—130)  II.    (1—129)        fl52] 


Mentre  che"  vago  oltra  con  gli  occlij  varco, 
^idi    '1  gran  fondator,  e  i  regi  cinque: 
L'  altr'  era  in  terra  di  mal  peso  carco, 
130  Come  addiviene  a  chi  virtù  relinque. 

Capitolo     secondo. 
Pien  d'  infinita  e  nobil  meraviglia 

Presi  a  mirar  il  buon  popol  di  3Iarte; 
Ch'  al  mondo  non  fu  mai  simil  famiglia. 
Giugnca  la  vista  con  1'  antiche  carte, 
5       Ove  son  gli  alti  nomi  e  i  sommi  pregi, 
E  sentia  nel  mio  dir  mancar  gran  parte. 
Ma  disviarmi  i  peregrini  egregi, 

Annii)al  primo,  e  quel  cantato  in  versi 
Achille,  che  di  fama  ebhe  gran  fregi: 
10  I  di!o  chiari  Trojan! ,  e  i  duo  gran  Pers^i: 

Filippo,  e  '1  figlio,  che,  da  Pella  agi'  Indi 
Correndo,  vinse  paesi  diversi. 
Vidi  r  altr'  Alessandro  non  lunge  indi 

Non  già  correr  così ,  eh'  ebb'  altro  intoppo. 
15       Quanto  del  vero  onor,  Fortuna,  scindi! 
I  tre  Teban,  eh'  io  dissi,  in  un  bel  groppo: 
jVeir  altro  ,  Ajace ,  Diomede ,  e  Ulisse, 
Che  desiò  del  mondo  veder  troppo. 
Nestor ,  che  tanto  seppe,  e  tanto  visse; 
20      Agamennon',  e  jMenelao,  che  'n  spose 
Poco  felici  al  mondo  fèr  gran  risse. 
Leonida,  eh'  a'  suoi  lieto  propose 
Un  duro  prandio,  una  terribil  cena, 
E    n  poca  piazza  fé  mirabil  cose. 
25  Alcibiade,  che  sì  spesso  Atena, 

Come  fu  suo  piacer,  volse  e  rivolse 
Con  dolce  lingua,  e  con  fronte  serena. 
Milciade ,  che  '1  gran  giogo  a   Grecia  tolse, 
E  '1  buon  figliuol ,  che  con  pietà  perfetta 
30       Legò  sé  vivo ,  e  '1  padre  morto  sciolse. 
Temistocle ,  e  Teseo  con  questa  setta  : 
Aristide,  che  fu  un  greco  Fabrizio. 
A  tutti  fu  crudelmente  interdetta 
La  patria  sepoltura ,  e  1'  altrui  vizio 
85      Illustra  lor;  cliè  nulla  meglio  scopre 

Contrarj  duo,  eli'  un  picciol  interstizio. 
Foción  va  con  questi  tre  di  sopre. 

Che  di  sua  terra  fu  scacciato  e  morto  ; 
Molto  contrario  il  guidardon  dall'  opre! 
§0  Coni'  io  mi  volsi ,  il  buon  Pirro  ebbi  scorto, 
E  '1  buon  re  Massinissa:  e  gli  era  avviso, 
D'  esser  senza  i  Roman ,  ricev  er  torto. 
Con  lui  mirando  quinci  e  quindi  fiso, 
leron  siracusan  conol)l)i ,  e  '1  crudo 
45       Amilcare  da  lor  molto  diviso. 
Vidi,  qual  uscì  già  del  foco  ignudo 
Il  re  di  Lidia;  manifesto  esempio. 
Che  poco  vai  contra  fortiuia  scudo  ! 
Vidi  Siiace  pari  a  simil  scempio  : 
50       IJrenno,  sotto  cui  cadde  gente  molta, 
E  poi  cadd'  ci  sotto  'I  famoso  tempio. 
In  aliU(»  diversa,  in  popol  folta 

Fu  quella  scliiera,  e  mentre  gli  occhj  alti  ergo, 
\  idi  una  parte  tutta  in  se  raccolta: 
55  E  <|U(;I,  «iic  volse  a  Dio  far  grande  albergo, 
Per  aìiitar  fra  gli  uomini,  era  '1  primo; 
Ma  I  Ili  II;'  l''  (ipra,  gli  venia  da  tergo. 
A  lui  lo  dc.-iliiiatd ,  onde  da  imo 

l'irdushc  al   M)uimo  1'  edificio  santo, 
CO       Non  tal  dentro  arc^bitetto ,  com'  io  stimo. 
Poi  quel ,  di'  a  Dio  familiar  fu  tanto, 
In  (grazia  a  parlar  8c«:o  a  faccia  a  faccia  ; 


Che  nessun  altro  se  ne  può  dar  vanto. 

E  quel  che,  come  un  animai  s'  allaccia, 
65       Con  la  lingua  possente  legò  il  sole, 

Per  giugner  de'  nemici  suoi  la  traccia. 

Oh  fidanza  gentil  !  chi  Dio  ben  cole, 
Quanto  Dio  ha  creato,  aver  soggetto, 
E  '1  ciel  tener  con  semplici  parole  ! 
70  Poi  vidi  '1  padre  nostro,  a  cui  fu  detto, 

Ch'  uscisse  di  sua  terra,  e  gisse  al  loco, 
Ch'  all'  umana  salute  era  già  eletto. 

Seco  '1  figlio,  e  '1  nipote,  a  cui  fu  '1  gioco 
Fatto  delle  due  spose;  e  'I  saggio  e  casto 
75       Giosef  dal  padre  allontanarsi  un  poco. 

Poi  stendendo  la  vista,  quant'  io  basto, 
Rimirando,  ove  V  occhio  oltra  non  varca. 
Vidi  '1  giusto  Ezechia,  e  Sanson  guasto. 

Dì  qua  da  lui,  chi  fece  la  grand'  arca, 
80      E  quel,  che  cominciò  poi  la  gran  torre, 
Che  fu  sì  di  peccato,  e  d'  error  carca. 

Poi  quel  buon  Giuda,  a  cui  nessun  può  torre 
Le  sue  leggi  paterne,  invitto  e  franco, 
Com'  uom,  che  per  giustizia  a  morte  corre. 
85  Già  era  il  mio  desir  presso  che  stanco, 
Quando  mi  fece  una  leggiadra  vista 
Più  vago  di  veder,  eh'  io  ne  foss'  anco. 

Io  vidi  alquante  donne  ad  una  lista. 
Antiope,  ed  Orizia  armata  e  bella, 
90      Ippolita  del  figlio  afflitta  e  trista, 

E  Menalippe,  ciascuna  sì  snella. 

Che  vincerle  fu  gloria  al  grande  Alcide, 
Che  r  una  ebbe,  e  Teseo  1'  altra  sorella. 

La  vedova,  che  sì  sicura  vide 
95      Morto  '1  figliuol ,  e  tal  vendetta  feo. 

Ch'  uccise  Ciro,  ed  or  sua  fama  uccide. 

Però  vedendo  ancora  il  suo  fin  reo. 

Par  che  di  novo  a  sua  gran  colpa  moja; 
Tanto  quel  dì  del  suo  nome  perdéo  ! 
100  Poi  vidi  quella,  che  mal  vide  Troja, 
E  fra  queste  una  vergine  latina, 
Ch'  in  Italia  a'  Trojan  fé  tanta  noja. 

Poi  vidi  la  magnanima  reina, 
Ch'  una  treccia  rivolta ,  e  1'  alti'a  sparsa 
105       Corse  alla  babilonica  mina. 

Poi  vidi  Cleopatra  ;  e  ciascun'  arsa 

D'  indegno  foco ,  e  vidi  in  quella  tresca 
Zenobia  del  suo  onor  assai  più  scarsa. 

Beli'  era,  e  nell'  età  fiorita  e  fresca: 
110       Quanto  in  più  gioventute ,  e  'n  più  bellezza. 
Tanto  par  eh'  onestà  sua  laude  accresca. 

Nel  cor  femmineo  fu  tanta  fermezza. 
Che  col  bel  viso,  e  con  I'  armata  coma 
Fece  temer  chi  per  natura  sprezza. 
115  P  parlo  dell'  imperio  alto  di  Roma, 

Che  con  arme  assalio ,  bendi'  all'  estremo 
Fosse  al  nostro  trionfo  ricca  soma. 

Fra  i  nomi ,    che  'n  dir  brei  e  ascondo  e  premo, 
Non  fia  Giudit  la  vedovctta  ardita, 
120       Che  fé'  'I  folle  amator  del  capo  scemo. 

Ma  Nino,  ond'  ogn'  istoria  umana  è  ordita, 
Dove  lass'  io?  e  'I  suo  gran  successore, 
(/he  superbia  condusse  a  bestiai  vita? 

Belo  dove  riman ,  fonte  d'  errore, 
125      Non  per  sua  colpa.''  dov'  è  Zoroastro, 
Che  fu  dell'  arte  magica  inventore? 

E  chi  de'  nostri  duci ,  che  'n  duro  astro 
Passar  r  Eiifratt;,   face  'I  mal  governo, 
All'  italiche  doglie  fiero  impiastro? 


153]         TRIONFO  DELLA  FAMA,    n.  (130-163)  m.  (1-99)        [154] 


150 


153 


l30  Ov  è  '1  gran  IMitridate,  qucll'  eterno 
Nemico  de'  Roman,  che  sì  ramingo 
Fuggi  dinanzi  a  lor  la  state  e  '1  verno? 

Moke  gi'an  cose  in  pìcciol  fascio  stringo. 
Ov'  è  il  re  Artù ,  e  tre  Cesari  Augusti, 
135       Un  d'  Affrica,  un  di  Spagna,  un  Loteringo? 

Cingean  costu'  i  suoi  dodici  robusti  : 
Poi  venia  solo  il  buon  duce  Goffrido, 
Che  fc'  r  impresa  santa ,  e  i  passi  giusti. 

Questo,  di  eh'  io  mi  sdegno,  e  'ndarno  grido, 
140      Fece  in  Gerusalém  con  le  sue  mani 
Il  mal  guardato  e  già  negletto  nido. 

Ite,  superbi  e  miseri  cristiani. 

Consumando  1'  un  1'  altro ,  e  non  vi  caglia, 
Che  '1  sepolcro  di  Cristo  è  in  man  di  canil 
113  Raro,  o  nessun,  eh'  in  alta  fama  saglia, 
Vidi  dopo  costui,  s'  io  non  ra'  inganno, 
O  per  arte  di  pace,  o  di  battaglia. 

Pur,  com'  uomini  eletti  ultimi  vanno, 
Vidi  verso  la  fine  il  Saracino, 
Che  fece  a'  nostri  assai  vergogna  e  danno. 

Quel  di  Luria  seguiva  il  Saladino: 

Poi  '1  duca  di  Lancastro,  che  pur  dianzi 
Er'  al  regno  de'  Franchi  aspro  vicino. 

Miro ,  com'  uora,  che  volentier  s'  avanzi, 
S'  alcuno  vi  vedessi,  qual  egli  era 
Altrove  agli  occhj  miei  veduto  innanzi: 

E  vidi  duo ,  che  si  partir  jersera 
Di  questa  nostra  etate,  e  del  paese: 
Costor  chìudean  quell'  onorata  schiera: 
Idi}  Il  buon  re  sicilian,  eh'  in  alto  intese, 
E  lungo  vide,  e  fu  verainent'  Argo: 
Dall'  altra  parte  il  mio  gran  Colonnese, 

Magnanimo,  gentil,  costante,  e  largo. 
Capitolo   Terzo. 

Io  non  sapea  da  tal  vista  Icvarme; 

Qnand'  io  udii:  pon'  mente  ììU'  aJtro  Iato! 
Che  s'  acquista  ben  pregio   altro  clie  d'  arme. 

Volsimi  da  man  manca,  e  vidi  Plato, 
5       Che  'n  quella  schiera  and»)  più  presso  al  segno. 
Al  qua!  aggiunge  a  chi  dal  cielo  è  dato. 

Aristotele  poi  pien   d'   alto  ingegno  ; 
Pitag(»ra ,  che  primo  luniiementc 
Filosofia  chiamò  per  nome  degno. 
10  Socrate,  e  Senofonte,  e  queil'  ardente 

Vecchio  ,  a  cui  fùr  le  muse  tanto  amirlie, 
Ch'  Argo,  e  Micena,  e  Troja  se  ne  sente. 

Questi  «auto  gli  errori  e  le  fatiche 
Del  figliMol  di  Laerte  ,  e  della  Diva, 
Primo  pittor  delle  nicuu)rie  anti<;he. 

A  m;in  ii  man  con  lui  cantando  giva 
11  iMiuiloan  ,  che  di  par  seco  giostra, 
Ed  uno,  al  cui  passar  I'  erba  fioriva. 

Quest'  è  quel  .Marco  'l'uilio ,  in  cui  si  mostra 
Chiaro,  quanl'  ha  eloquenza  e  frutti,    e  fiori; 
Questi  fion  gli  or<;hj  della  lingua  nostra. 

Dopo  venia  Denio>ti'nc,  «;he  fuori 
E  di  speranza  ornai  del  primo  loco, 
Non  ben  contento  de'  sec<inili  onori. 
25  Un  gran  foigor  parca  tutto  di   foco  : 
Esriiine  il  dica ,  <!ie  'I  potè  sentire. 
Quando  presso  al  huo  timn  parve  già  reco. 

Io  0(10  posso  per  ordine  riiiire, 

Quc-.t(»  o  «juel ,  do%«;  mi   vedessi,  o  quando, 
30       l'i  (|ual  innan/i  andar,  e  qiiiil  seguire; 

Che  cose  innuineriibili  pcns.iiulo, 
E  mirando  la  turba  tato  e  tanta, 


15 


20 


L'  occhio  il  pensier  ni'  andava  desviando. 
Vidi  Solón,  di  cui  fu  1'  util  i>ianta, 
35       Che,  s'  è  mal  eulta,  mal  frutto  produce; 

Con  gli  altri  sei ,  di  cui  Grecia  si  vanta. 
Qui  vid'  io  nostra  gente  aver  per  duce 

A'arrone,  il  terzo  gran  lume  romano. 

Che,  quanto  '1  miro  più,  tanto  più  luce. 
40  Crispo  Salustio,  e  seco  a  mano  a  mano 

Uno,  che  gli  ebbe  invidia  e  videi  torto, 

Cioè  'l  gran  Tito  Livio  padovano. 
Mentr'  io  mirava,  subito  ebbi  scorto 

Quel  Plinio  veronese,  suo  vicino, 
45       A  scriver  molto,  a  morir  poco  accorto. 
Poi  vidi  '1  gran  platonico  Plotino, 

Che,  credendosi  in  ozio  viver  salvo, 

Prevento  fu  dal  suo  fiero  destino, 

qual  seco  venia  dal  matern'  alvo  ; 
50       E  però  provvidenza  ivi  non  valse: 

Poi  Crasso,  Antonio,  Ortensio,  Galba,  e   Calvo 
Con  Pollion ,  che  'n  tal  superbia  salse. 

Che  centra  quel  d'  Arpino  armar  le  lingue 

Ei  duo  cercando  fame  indegne  e  false. 
55  Tucidide  vid'  io,  che  ben  distingue 

1  tempi,  e  i  luoghi,  e  loro  opre  leggiadre, 

E  di  che  sangue  qual  campo  s'  impingue. 
Erodoto ,  di  greca  istoria  padre, 

Vidi;  e  dipinto  il  nobil  geometra 
60      Di  triangoli,  tondi,  e  forme  quadre. 
E  quel ,  che  'nver  di  noi  divenne  petra, 

Porfirio,  che  d'  acuti  sillogismi 

Emj)iè  la  dialettica  faretra. 
Facendo  contra  '1  vero  arme  I  sofi-fuii, 
63       E  quel  di  Coo ,  che  fé'  vie  miglior  1'  opra. 

Se  ben  intesi  fosser  gli  aforismi. 
Apollo ,  ed  E^culapio  gli  son  sopra 

Chiusi,  cir  appena  il  viso  gli  comprende. 

Sì  par,  che  i  nomi  il  tempo  limi,  e  copra! 
70  Un  di  Pergamo  il  segue;  e  da  lui  pende 

L'  arte  guaita  fra  noi ,  allor  non  vile, 

Ma  breve  e  os(-ura,  ei  la  dichiara,   e   stende. 
Vidi  Anasarco  intrepido  e  virile, 

E  Senocrate  jìiù  saldo  ,  eh'  un  sasso, 
75       Che  nulla  forza  il  volse  ad  atto  vile. 
Vidi  Archimede  star  col  viso  basso, 

E  Denu)crito  andiir  tutto  i)ensoso, 

Per  suo  voler  di  lume  e  d"  oro  casso. 
Vid'  Ippia  il     vecchierel ,  che  già  fu  oso 
80       Dir:  i'  so  tutto,  e  poi  di  nulla  certo, 

iMa  d'  ogni  cosa  .Arcliesilao  dubbioso. 
Vidi  in  suoi  detti  Eraclito  coperto, 

E  Diogene  cinico   in  suoi  fatti 

Assai  più ,  che  non  vnol  vergogna  .  aperto 
85  E  quel ,   che  lieto  i  suoi  campi  disfatti 

\i(le,  e  ile?erti ,  d'  altra  uicnc  carco, 

Credendo  averne  invidiosi  patti. 
Iv'  era  il  curioso  Dicearco, 

Ed  in  suoi  magisteri  assai  dispari 
90       Quintiliano,   e  Seneca,  e  Plutarco. 
Vidi^i  alquanti,  eh'  bau  turbati  i  mari 

(Jou  %enti  avver-i  ed   intelletti  vaghi. 

Non  per  saper,   ma  per  contender  chiari. 
Urtar,  come  leoni,    v  conie  draglii 
*)5       Con  le  code  avviuchiar>i.     Or  che  è  questo, 

('ir  ognun  d<'l  ^no  saper  par  che    s'    appaghi? 
Cameade  vidi   io  ^ulli  studj  ^ì  desto. 

Che  parbind'  egli,  il   vero  e  "I  falso  appena 

Si  dibcerneu;  co»i  nel  dir  fu  presto. 


[1551TRIONFO  DELLA  FAMA(!iI  100  — 121)DELTEMPO.(l-96)[156] 


100  La  liiTig'a  vita,  e  la  sua  lar/^a  rena 

D'  ingegno  po«e  iu  accordiir  !e  parti, 


105 


110 


—     --o'O'-"    r"-"   ••■   " — 1 ^•' 

Che  *l  furor  letterato  a  guerra  mena. 

Né  'l  potéo  far  :  che  come  crebber  1'  arti. 
Crebbe  I'  invidia,  e  coi  sapere  insieme 
Ne'  cuori  enfiati  i  suoi  veneni  sparti. 

Centra  '1  buon  sire,  che  1'  umana  speme 
Alzò,  ponendo  1'  anima  immortale, 
S'  armò  Epicuro,  onde  sua  fama  geme, 

Ardito  a  dir,  eh'  ella  non  fosse  tale: 
Cosi  al  lume  fu  famoso,  e  lippo 


Con  la  hrigata  al  suo  maestro  eguale; 
Di   Metrodoro  parlo,  e  d'  Aristippo. 

Poi  con  gran  subbio,  e  con  mirabil  fuso 
Vidi  tela  sottil  tesser  Crìsippo. 
115  Degli  Stoici  '1  padre  alzato  in  suso, 

Per  fiir  chiaro  suo  dir,  vidi  Zenone 
Mostrar  la  palma  aperta,  e   1  pugno  chiamo, 
E  per  fermar  sua  bella  intenzione. 
La  sua  tela  gentil  tesser  Cleante, 
120       Che  tira  al  ver  la  vaga  opinione. 

Qui  lascio,  e  più  di  lor  non  dico  avante. 


TRIONFO  DEL   TEMPO. 


Dell'  aureo  albergo  con  1'  aurora  innanzi 
Sì  ratto  usciva  'I  sol  cinto  di  raggi. 
Che  detto  aresti  :  e'  si  corcò  pur  dianzi. 
Alzato  un  poco,  come  fanno  i  saggi, 
5       Guardoss'  intorno,  ed  a  sé  stesso  disse: 

Che  pensi?  ornai  convien,  che  più  cura  aggi. 
Ecco,  s'  un  uom  famoso  in  terra  visse, 
E  di  sua  fama  per  morir  non  esce. 
Che  sarà  della  legge,  che  '1  ciel  fìsse? 
10  E  se  fama  mortai  morendo  cresce. 

Che  spegner  si  doveva  in  breve ,  veggio 
Nostra  eccellenza  al  fine;  onde  m'  incresce. 
Che  più  s'  aspetta ,  o  che  potè  esser  peggio  ? 
Che  più  nel  ciel  ho  io,  che  'n  terra  un  uomo, 
15      A  cui  esser  cgual  per  grazia  cheggio? 
Quattro  cavai  con  quanto  studio  comò, 
Pasco  neir  oceano ,  e  sprono ,  e  sferzo, 
E  pur  la  fama  d'  un  mortai  non  domo? 
Ingiuria  da  corruccio  e  non  da  scherzo, 
20       Avvenir  questo  a  me  ;  s'  io  foss'  in  cielo, 
Non  dirò  primo,  ma  secondo,  o  terzo. 
Or  convien,  che  s'  accenda  ogni  mio  zelo 
Sì,  eh'  al  mie»  volo  V  ira  addoppj  i  vanni: 
Ch'  io  porto  invidia  agli  uomini,  e  noi  celo. 
25  De'  quali  veggio  alcun  dopo  mill'  anni, 

E  mille  e  mille  più  chiari ,  che  'n  vita, 
Ed  io  m'  avanzo  di  perpetui  alTanni. 
Tal  son,  qual  era,  anzi  che  stabilita 
Fosse  la  terra,  dì  e  notte  rotando 
30       Per  la  strada  rotonda ,  eh'  è  inlìnita. 
Poi  che  questo  ebbe  detto  ,  disdegnando 
Riprese  il  corso  più  veloce  assai, 
Che  falcon  d'  alto  a  sua  preda  volando. 
Più  dico,  né  pensicr  porla  giaumiui 
35       Seguir  suo  volo,  non  che  lingua,  o  etile, 
Tal  che  con  gran  paura  il  riniirai. 
Allor  tf-nn'  io  il  viver  nostro  a  vile 
Per  la  mirabil  sua  velocitate. 
Me  |)iù  eh'  innanzi  noi  tenca  gentile. 
40  E  par\('ini   mirabil  vanitate 

rcniiar  in  cioè  il  cor,  che  'I  tempo  preme, 
Che  mentre  più   le  stringi ,  sou  passate. 
Però  chi  dì  ^u(>  xtiito  (-ura,  o  teme, 

Prov\eggia  lien ,  iiientr'  è  1'  arliitrio  intero, 
45       Fondar  in  lue»»  stabile  sua  speitie! 

Che  quant'  io  vidi    1  tciujio  andar  leggiero 
Dopo  la  guida  sua,  che  mui  non  posa, 
1'  nul  dirò ,  perché  poter  oul  spero. 


r  vidi  '1  ghiaccio,  e  li  presso  la  rosa, 
50       Quasi  in  un  punto  il  gran  freddo  ,  e  'I  gran  caldo  ; 
Che  pur  udendo  par  mirabil  cosa. 
Ma  chi  ben  mira  col  giudicio  saldo. 
Vedrà  esser  così  ;  che  noi  vid'  io  ; 
Di  che  contra  me  stesso  or  mi  riscaldo. 
55  Seguii  già  le  speranze,  e  '1  van  desio; 

Or  ho  dinanzi  agli  occhj  un  chiaro  specchio, 
Ov'  io  veggio  me  stesso  ,  e  'i  fallir  mio. 
E  quanto  posso,  al  fine  m'  apparecchio, 
Pensando  '1  breve  viver  mio,  nel  quale 
CO       Stamane  era  un   fanciullo,  ed  or  son  vecchio. 
Che  più  d'  un  giorno  é  la  vita  mortale 
Nubilo,  breve,  freddo,  e  pien  di  nnja? 
Che  può  bella  parer,  ma  nulla  vale? 
Qui  r  umana  speranza,  e  qui  la  gioja, 
65       Qui  i  miseri  mortali  alzun  la  testa, 

E  nessun  sa,  quando  si  viva,  o  moja. 
Veggio  la  fuga  del  mio  vìver  presta. 
Anzi  di  tutti ,  e  nel  fuggir  del  sol» 
La  mina  del  mondo  manifesta. 
^y  Or  vi  riconfortate  in  vostre  fole. 

Giovani,  e  misurate  il  tempo  largo! 
Che  piaga  antiveduta  assai  men  dolc. 
Forse  che  'ndarno  mie  parole  spargo  ; 
Ma  io  v'  animnzio ,  che  voi  sete  offesi 
75       Di  un  grave  e  mortifero  letargo. 

Che  volan  1'  ore,  i  giorni,  e  gli  anni,  e  i  mesi, 
E  'nsieme  con  brevissimo  intervallo 
Tutti  avemo  a  cercar  altri  paesi. 
Non  fate  contra  '1  vero  al  core  un  callo, 
80       Come  siete  usi ,  anzi  volgete  gli  occhj, 
Mentr'  emendar  potete  il  vostro  fallo! 
Non  aspettate,  che  la  morte  scocchi. 
Come  fa  la  più  parte:  che  per  certo 
Infinita  é  la  schiera  degli  sciocchi. 
85  Poi  eh'  i'  ebbi  veduto ,  e  veggio  aperto 
Il  volar,  e    1  fuggir  del  gran  pianeta, 
Ond'  i'  ho  danni,  e  'nganni  assai  sofferto. 
Vidi  una  gente  andarsen  qiieta  queta. 
Senza  temer  di  tempo,  o  di  sua  rabbia, 
90       Che  gli  avea  in  guardia  istorico,  o  poeta. 
Di  lor  par  più,  che  d'  altri,  invidia  s'  abbia. 
Che  per  sé  st«s>i  son  levati  a  volo, 
Uscendo  fuor  ilella  comune  gabbia. 
Contra  costor  colui  ,  che  splende  solo, 
95      S'  ap|>arecchiava  con  maggiore  sforzo, 
E  riprendeva  un  più  spedito  volo. 


157]TRIONFODELTEMPO(97— 145)DELLAD1VINITA.(1— 68)[158] 


A'  snoi  corsici'  raddoplat'  era  I'  orzo, 

E  la  reina,  di  eh'  io  sopra  dissi, 

Volea  d'  alcun  de'  suoi  già  far  divorzi). 
.00  Udii  dir,  non  so  a  chi,  ma  '1  detto  scri?;si: 

In  questi  umani,  a  dir  proprio,  ligustri, 

Di  cieca  (lìjblivione  oscuri  abissi, 
Volgerà  il  sol  non  pur  anni,  ma  lustri, 

E  secoli  vittor  d'  ogni  cerebro, 
JI5       E  vedrà'  il  vaneggiar  di  questi  illustri. 
Quanti  fùr  chiari  tra  Penéo  ed  Ebro, 

Che  son  venuti,  o  verran  tosto  meno! 

Quant'  in  sul  Xanto,  e  quant'  in  vai  di  Tebro  ! 
Un  dubbio  verno ,  un  instabil  sereno 
liO       E  vostra  fama,  e  |)oca  nebbia  il  rompe, 

E  '1  gran  tempo  a'  gran  nomi  è  gran  venenu. 
Passan  vostri  trionfi,  e  vostre  pompe, 

Passan  le  signorie,  passano  i  regni. 

Ogni  cosa  mortai  tempo  interrompe; 
L15  E  ritolta  a'  men  buon',  non  dà  a'  più  degni, 

E  non  pur  quel  di  fuori  il  tempo  sol^e. 

Ma  le  vostre  eloquenze,  e  i  vostri  ingegni. 
Così  fuggendo  il  mondo  seco  volve, 

jVù  mai  si  posa,  né  s'  arresta,  o  torna, 

120       Fin  che  v'  ha  ricondotti  in  poca  polve. 

Or  perchè  umana  gloria  ha  tante  corna, 


Non  è  gran  meraviglia,  s'  a  fiaccarle 
Alquanto  oltra  1'  usanza  si  soggiorna. 
Ma  chennque  si  pensi  il  vulgo,  o  parie, 
125       Se  '1  viver  vostro  non  fosse  sì  breve. 
Tosto  vedreste  in  polve  ritornarle. 
Udito  questo  (perchè  al  ver  si  deve 
Mon  contrastar ,  ma  dar  jierletta  fede) 
Mdi  ogni  nostra  gloiia  al  sol  di  ne^e, 
130  E  vidi  '1  tempo  rimenar  tal  prede 

De'  vostri  nomi,   eh'  i'  gli  ebbi  per  nulla, 
Benché  la  gente  ciò  non  sa,  né  crede. 
Cieca,  che  sfinpre  al  vento  si  trastulla, 
E  pur  di  false  opinion  si  pasce, 
135       Lodando  più  '1  morir  vecchio,  che  'n  culla. 
Quanti  felici  son  già  morti  in  fasce! 
Quanti  miseri  in  ultima  vecchiezza! 
Alcun  dice:  beato  è  chi  non  nasce! 
Ma  per  la  turba  a'  grandi  errori  avvezza, 
ilo       Dopo  la  lunga  età  sia  'l  nome  chiaro. 
Che  è  questo  però,  che  sì  s'  apprezza  ? 
Tanto  vìnce,  e  ritoglie  il  tempo  avaro: 
Chiamasi  fama,  ed  è  morir  secondo, 
Né  più,  che  contra  '1  primo,  é  alcim  riparo. 
145  Cosi  '1  tempo  trionfa  i  nomi,  e  '1  mondo! 


TRIONFO  DELLA  DIVINITÀ, 


Da  ])oi  clic  sotto  'I  ciel  cosa  non  vidi 

Stabile  e  ferma ,  tutto  sbigottito 

Mi  volsi  e  dissi:  guarda,  in  che  ti  fidi? 
Risposi  :  nel  signor  ,  che  mai  fallito 
3       INon  ha  promessa  a  chi  »i  fid.i  in  lui: 

3Ia  veggio  ben,  che  '1  mondo  m'  ha  schernito, 
E  sento  quel  eh'  io  sono,  e  quel  eh'  i'  fui, 

E  veggio  andar,  anzi  volar  il  tempo, 

E  doler  mi  vorrei ,  né  so  di  cui. 
1()  Che  la  colpa  é  pur  mia,  che  più  por  tempo 

Dovea  aprir  gli  occlij ,  e  non  tardar  al  fine . 

Ch'  a  dir  il  vero ,  ornai  tro[i]io  ni'  attempo. 
Ma  tarde  min  fùr  mai  griizie  diiiiie: 

in  quelle  spero,  ciie  'n  me  ancor  faranno 

Alte  operazioni  e  pellegrine. 
Così  detto ,  e  rispo.^to  :  or  se  non  stanno 

Que^te  cose  ,  che  "1   elei  volge  e  governa, 

Dopo  molto  voltar,  che  line  aranno? 
Questo  pensava ,  e  mctntre  più  s'    interna 

La  mente  mia,  veder  mi  parve  im  utondo 

!\ov(» ,  in  etate  immollile  ed  el(;rna, 
E  '1  sole,  e  tutto  '1  ei);l  di.'-f.M-e  a  t(»ndo 

Con  le  sue  stelle,  ancor  la  terra,  e    1  mare, 

E  rifarne  un  piii  bello,  e  più  giocondo. 
25  Qual  meraviglia   elib'  io,  (piando  restare 

\'u\'\  in   un  pie  colui,  che  n  ai  nini  stette. 

Ma  discorrendo  ^uol   tutto  cangiare! 
E  le  tre  parti  sue  vidi   ristrette 

Ad  una  sola ,  e  quell'  una  esser  ferma. 

Sì   ebe,  <;on>e  solca,  più  n(ni  s'  airrctte! 
E  qna-*i  in  (erra  d'  erba  ignuda  ed   erma, 

>è  (ia ,  nò  fu,  nò  mai  v'  era  air/.i ,  o  dielr>). 

Clic  amara  vita  fanno,  varia  e  'ni'erma. 
Passa  '1  piiirier,  sì  come  solo  in  vetro, 


15 


20 


30 


35      Anzi  più  assai,  però  che  nulla  il  tiene. 

Oh  qual  grazia  mi  fia,  se  mai  l'  impetro, 
Ch'  i'   vcggia  i\i  presente  il  sommo  bene. 
Non  alcun  mal ,  che  solo  il  tempo  mesce, 
E  con  lui  si  diparte,  e  con  lui  viene! 
iO  Non  avrà  albergo  il  sol  in  tauro,  o  'n  pesce. 
Per  lo  cui  variar  nostro  lavoro 
Or  nasce,  or  more,  ed  or  scema,  ed  or  cresce 
Beati  spirti ,  che  nel  sommo  coro 

Si  troveranno,  o  trovano  in  tal  grado, 
45       Che  sia  in  memoria  eterna  il  nome  loro! 
Oh  felice  colui,  che  trova  il  guado 
Di  questo  alpesiro  e  rapido  torrente, 
Ch'  ha  nome  vita,  eh'  a  molti  è  si  a  grado! 
Misera  la  volgare  e  cieca  gente, 
50       Che  pon  qui  sue  speranze  in  cose  tali. 
Che    1  tempo  le  ne  porta  sì  repenu! 
Oh  veramente  sordi,  ignudi,  e  frali. 
Poderi  d'   argomeiito,  e  di  consiglio, 
Egri  del  tutto ,   e  miseri  mortali  ! 
55  Quel ,  che    1  mondo  g(»verna  pur  col  ciglio, 
(/he  conturba  ed  ac'jueta  gli  elementi. 
Al  e;ii  saper  nini  pur  io  non  m'  appiglio. 
Ma  gli  aiig<-li  ne  son   lieti   e  i-ontenti 
Di  veder  delle  mille  parli  l'  una, 
v'iO       E  in  <:ìò  si  stanno  desiosi  e  'nt(-nti. 
Oh   Mient(?  ><ig<i  '>1   lui  sempre  digiuna! 
\  cIk;  t.iiiti   pen-'ierì.''  un'   (U°a  sgoinlira 
Quel  ,   l'In;  "o   molt'   anni  appena  si   raguna. 
Quel,   iIk;  r   anima  nostra  preme  e  'ngombra, 
<)5        Dianzi,   adesso,  ier,  diman  ,   mattino  e  sera, 
TiiUi  in  un  punto  passeraii,  coiu'  omLra. 
Non  a\rà  loco  fu,  sarà,  né  era, 

Ma  è  kolo  in  prosente,  e  ora,  e  oggi. 


[159] 


TRIONFO  DELLA  DIVINITÀ.     (69-145) 


[160] 


E  sola  eternità  raccolta  e  'ntera. 
70  Quanti  spianati  dietro  e  innanzi  poggi, 

Ch'  occupavan  la  vista!  e  non  fia  in  cui 
Nostro  sperar  e  rimembrar  s'  appoggi  J 
La  qiial  varietà  fa  spesso  altrui 

Vaneggiar  sì,  che  '1  viver  pare  un  gioco, 
75       Pensando  pur,   che  sarò  io?  che  fui? 
Non  sarà  più  diviso  a  poco  a  poco. 

Ma  tutto  insieme ,  e  non  più   state  ,  o  verno, 
Ma  morto  '1  tempo,  e  variato  il  loco: 
E  non  avranno  in  man  gli  anni  '1  governo 
80      Delle  fame  mortali,  anzi  chi  fia 

Chiaro  una  volta,  fia  chiaro  in  eterno. 
Oh  felici  queir  anime,  che  'n  via 
Sono  o  saranno  di  venir  al  fine. 
Di  eh'  io  ragiono  ,  quandunqu'  e'  si  sia  ! 
85  E  tra  1'  altre  leggiadre  e  pellegrine, 
Beatissima  lei,  che  morte  ancise 
Assai  di  qua  dal  naturai  confine  ! 
Parranno  allor  1'  angeliche  divise, 
E  r  oneste  parole  ,  e  i  pensier  casti, 
90       Che  nel  cor  giovenil  natura  mise. 

Tanti  volti ,  che  '1  tempo  e  morte  han  guasti, 
Torneranno  al  lor  più  fiorito  stato, 
E  vedrassi,  ove.  Amor,  tu  mi  legasti, 
Ond'  io  a  dito  ne  sarò  mostrato  : 
95      Ecco  chi  pianse  sempre,  e  nel  suo  pianto 
Sopra  '1  riso  d'  ogni  altro  fu  beato. 
E  quella,  di  cu'  ancor  piangendo  canto. 
Avrà  gran  meraviglia  di  sé  stessa, 
Vedendosi  fra  tutte  dar  il  vanto. 
100  Quando  ciò  fia,  noi  so,  sassel  proprio  essa; 
Tanta  credenza  a'  più  fidi  compagni 
Di  si  alto  secreto  ha  chi  s'  appressa. 
Credo,  che  s'  avvicini,  e  de'  guadagni 
Veri  e  de'  falsi  si  farà  ragione: 
l05       Che  tutte  fieno  allor  opre  di  ragni. 
Vedrassi,  quanto  in  van  cura  si  pone, 
E  quanto  indarno  s'  affatica,  e  suda, 


Come  sono  ingannate  le  persone. 
Nessun  secreto  lìa  chi  copra ,   o  chiuda, 
110       Fia  ogni  conscienza  o  chiara ,  o  fosca, 
Dinanzi  a  tutto  '1  mondo  aperta  e  nuda. 
E  fia  chi  ragion  giudichi  e  conosca  ; 
Poi  vcdrcm  prender  ciascun  suo  viaggio, 
Come  fiera  cacciata  si  rimbosca. 
115  E  vcderassi  in  quel  poco  paraggio. 

Che  vi  fa  ir  superbi ,  oro  e  terreno 
Essere  stato  danno,  e  non  vantaggio. 
E  'n  disparte  color,  che  sotto  '1  freno 
Di  modesta  fortuna  ebbero  in  uso 
120       Senz'  altra  pompa  di  godersi  in  seno. 
Questi  cinque  trionQ  in  terra  giuso 
Avem  veduti,  ed  alla  fine  il  sesto, 
Dio  permettente ,  vederem  là  suso  ; 
E  '1  tempo  a  disfar  tutto ,  così  presto, 
125       E  morte  in  sua  ragion  cotanto  avara. 

Morti  saranno  insieme  e  quella,  e  questo. 
E  quei,  che  fama  meritaron  chiara. 

Che  '1  tempo  spense,  e  i  bei  visi  leggiadri. 
Che  'mpaliìdir  fé  '1  tempo,  e  morte  amara: 
130  L'  obblivion  ,  gli  aspetti  oscuri  ed  adri. 
Più  che  mai  bei  tornando ,  lasceranno 
A  morte  impetuosa,  ai  giorni  ladri. 
Neil'  età  più  fiorita  e  verde  avranno 
Con  immortai  bellezza  eterna  fama  : 
135     ,  Ma  innanzi  a  tutti,  eh'  a  rifar  si  vanno, 
I         E   quella ,  che  piangendo  il  mondo  chiama 

Con  la  mia  lingua,  e  con  la  stanca  penna: 
I  Ma  '1  ciel  pur  di  vederla  intera  brama. 

A  riva  un  fiume,  che  nasce  in  Gebenna, 
140       Amor  mi  die'  per  lei  sì  lunga  guerra. 
Che  la  memoria  ancora  il  core  accenna. 
Felice  sasso,  che  '1  bel  viso  serra! 

Che  poi  eh'  avrà  ripreso  il  suo  bel  velo. 
Se  fu  beato  chi  la  vide  in  terra, 
145  Or  che  fia  dunque  a  rivederla  in  cielo? 


Fine  de'  Trionfi. 


ARIOSTO. 


DISCORSO    DELLA     VITA    E    DELLE    POESIE 

o  I 
LODOVICO    ARIOSTO. 


Uà  Niccolò  Ariosto,  gentiluomo  ferrarese,  capi- i gentiluomini  della  sua  corte,  sin  da'  primi  mesi 
ano  per  Ercole  I,  duca  secondo  di  Ferrara,  della  del  1518,  e  nelle  maggiori  e  più  difficili  occor- 
:iUadella  di  Reggio,  e  dalla  Daria Malaguzzi,  gen-|renze  sue,  e  in  quelle  d'  Alfonso  suo  fratello 
ildonnareggiana,  nacqueLodo  vico  Ariosto,  succeduto  nel  ducato  ad  Ercole,  loro  padie    nel 

1505,  stimò  suo  vantaggio  di  valersi  di  lui. 
Il  che  si  vide  nelle  due  molto  imperlanti  spedi- 
zioni a  Giulio  secondo,  la  prima  in  dicembre 
del  1509,  per  impetrar  dal  papa  soccorso  e  di 
danaro  e  di  truppe  a  favore  del  duca  minacciato 
e  assalito  dalla  repubblica  di  Venezia  j  l'altra  tra 
il  primo  di  giugno  e  li  9  d"  agosto  del  1510,  per 
mitigare  quel  focoso  pontefice  irato.  Si  distinse 
per  altro  ancora  il  nostro  Lodovico  senza  dubbio 


nino  di  cinque  fratelli  e  di  altrettante  sorelle, 
l  giorno  8  di  settembre  dell'  anno  1474.      Dalla 

uà  fanciullezza  fece  conoscere  1'  inclinazione  e 
ibililà  sua  nelle  poetiche  invenzioni,  componen- 
io  drammaticamente  in  volgai'e  la  favola  di  Tis- 
>c,  la  qualpoi  s'  industriò  di  rappresentare,  aju- 
cilo  dai  suoi  fratelli.  Per  ubbidire  a  suo  padre 
mpicgò  cinque  anni  (1489  — 1494)  della  sua 
[ioventù-  nello  studio  delle  leggi,    ma  con  tanta 


icchlezza  ed  avversione,  che,  non  corrisponden-  in  una  di   quelle  diverse  scaramucce     che  si  at- 
lo  vàie  speranze  il  profitto,  fu  pei-suaso  il  padre  itaccarono  li  22  di  novembre  avanti  all'  ultima 
i  lasciarlo  in  libertà  di  applicarsi,  dove  l'inclina-  battaglia  alla  Pollicella.     Fu  in  corte  del  card 
:ione  il  portava.    Studiò  di  nuovo  accuratajuen- 
e  la  lingua  latina  sotto  Gregorio  da  Spoleti,  ai- 
ora  in  casa  del  Sgr.  Rinaldo  daEste  in  Ferrara, 
!  con  ardore  si  diede  all'   esame  de'  più  eccel- 
enli  scrittori  di  quella,  massimamente  de'  poeti. 
|)i  provò  a  ridurre  la   commedia  italiana  sulle 


naie,  che,  per  farselo  maggiormente  grato,  pensò 
l'Ariosto  di  comporre  un  poema  in  lode  di  lui 
e  della  sua  casa,  prendendo  a  compire  la  tela 
ordita  dal  conte  Bojardo  nel  suo  Innamoralo. 
Dopo  dieci  anni  o  undici  al  più  di  lavoro  molle 
volte  intermesso,  si  credette  di  aver  condotto  atalc 
■egolc  della  greca  e  della  latina,  componendo 'stato  il  suo  poema  da  poterlo  pubblicare  colle  stara, 
n  prosa  prima  del  1500  la  Causarla  e  i  'S«/j-|pe,  a  fine  di  averne  comodamente  non  solo  il  <tìu_ 
»oói7/,  che  poi  più  tardi  in  versi  sdruccioli  tra-  dizio  de'  suoi  amici,  maTunivcrsal  sentimento  e 
lusse.  Si  dolse  molto  della  partenza  di  Grcgo-  poi  richiamarlo  a  un' esalta  correzione.  Il  che  si 
io  nel  1499  con  Isabella,  duchessa  di  Milano, 'fece  nel  1516,  e  con  moltissime  correzioni,  mu- 
)orlata  in  Francia  col  figlio  prigione.  La  morte  tazioni  e  giunte  di  sei  canti  di  nuovo  il  1  d'  ot- 
»oi  del  jKadre,  avvenuta  in  febbrajo  del  1500,!lobre  del  1532.  Frattanto  intiepidito  e  scon- 
;li  tolse  in  gran  parte  il  comodo  e  il  tempo  di  cerlalo  dalla  disgrazia,  che  dopo  quindici  aiuii 
n-oscguirc  gP  intrapresi  esercizj  nella  latina  e^di  fedele  e  faticoso  servigio  imontiò  del  suo 
taliaiia  ])ocsia,  ])oiclic  dovette  darsi  a  uii  bri-|])aclronc ,  e  liavaglialo  da  ostinati  litij>i  che  il 
[OSO  mcslierc  molto  diverso,  e  lutto  nuovo  ])cr  patrimonio  gli  minacciavano,  o  nulla  attese  per 
ui,  qual  fu  il  regolamento  de'  suoi  domestici  molto  Icmpo,  o  j)oco  e  con  pocogcnio ,  alla  revi- 
ilaii,  non  di  maniera  però,  che  affatto  se  ne! sione  del  suo  poema;  di  maniera  che  sul  fine 
listogliesse:  mcntrechc  furono  lavori  di  quel  della  sua  vita  ebbe  a  dolersi,  clic  il  suo  /'«/-/ojo 
cmpo  in  buona  parte  le  sue  liriche  poesie  ila-  della  sua  compiuta  collezione  mancasse  parte 
iant;  e  Ialine.  Per  mezzo  di  queste  si  {wfi  nolo  por  colpa  delle  sue  domestiche  occuiiazioni  e 
[  talento  di  lui  al  cardinale  Ippolito  d'Eslc,  li-  liavcisie,  e  parte  per  volere  de'  suoi  padroni 
liuolo  del  duca  Ercole  I,  il  quale  il   volle  lia'  che  di  continuo  il  distrassero  in  via"<ti    in  le"a- 


IV 


DISCORSO  DELL'  ARIOSTO. 


zioni  e  governi.    Qualunque  pure  inoltre  si  fosse  j  1520.     Ma  nel  rimetterla  sulla  scena  la  ritoccò    j, 
il   concetto,     che  sul  principio  avesse  di  quel,  in  molti  luoghi  non  senza  notabili  cangiamenti, 
poema  quel  principe,  —  il  suo  giudizio  poco  Per  la  recita  di  queste  commedie  non  risparmiò  j 
principesco  noto  e  basso  assai  dinota  purtroppo  il  duca  Alfonso  veruna  spesa,  perchè  si  alzasse 


la  natm-a  di  quel  suo  padronaggio  —  cello  e, 
che  non  passarono  diciotto  mesi,  che  l'Ariosto  fu 
privato  del  frutto  delle  onorevoli  sue  fatiche  per 
questo  solo,  che  nell'  andata  del  cardinale  in 
Ungheria  li  20  d'  ottobre  del  1517,  per  fermar- 
visi  due  anni  e  alquanti  mesi,  egli,  per  l'atten- 
zione, che  richiedeva  la  poco  stabile  sua  salute, 
e  per  la  cura,  che  doveva  aUa  sua  famiglia,    si 


uno  stabile  teatro  nella  sala  del  suo  palazzo,  di- 
rimpetto al  vescovado,  secondo  l'architettura] 
dal  poeta  isLesso  ideata  e  diretta,  il  quale  ri- 
uscì di  tanta  vagliezza  e  ^lagnificenza ,  che  il 
più  bello  e  il  più  ricco  non  era  mai  stato  veduto  a 
que'  tempi.  Vennero  con  sommo  applauso  e  diletto 
rappresentate  più  volte  a  diversi  principi  le  so- 
pradette commedie   da  gentiluomini  ed  onorate 


scusò  di  seguirlo  (  v.  sat.  1.).  Da  quel  punto  lo  persone,  come  a  quell'  età  si  costumava;  e  fino  il 
privò  non  già  della  sua  carica,  vantaggiosa  più  principe  D.Francesco,  altro  figliuolo  del  duca,  non 
al  cardinale,  che  al  poeta,  ma  almeno  della  sua  isdegnò  di  recitare  il  prologo  della  Lena  la  prima 
grazia,  e  diede  segni  d'averlo  in  odio  e  in  dispetto,  volta  ,  che  l'anno  1528  fi-i  posta  sulla  scena. 
Lo  ristorò  di  questa  perdita  il  duca  Alfonso,  che|  Oltre  1'  impresa  d'  un  nuovo  poema  coli'  ab- 
1'  accolse  appresso  di  sé  tra'  gentiluomini  suoi j bozzarne  que'  cinque  canti,  che  dopo  la  sua 
familiari,  e  gli  assegnò  anzi  nella  cancelleria  di  morte  furono  col  Fuiioso  stampati,  non  già  per 
Milano,  che  sborsò  un  salario  di  21  lire  per  mese,  infrappoili  in  diversi  luoghi  del  suo  poema  com^ 
insieme  con  vettovaglia  per  tre  servitori  e  due  pito,  molte  altre  cose  compose  per  esercizio  e 


cavalli. 

Godè  di  quiete  nel  nuovo  servigio  per  li  suoi 
studj  sino  al  febbrajo  del  1522,  dove  fu  spedito 
dal  duca  commissario  nella  Garfagnana,  in  occa- 
sioni assai  torbide  e  pericolose  di  fazioni  e  di 
masnadieri  (sat.  4- )•  Cavalcando  là  un  giorno 
colla  sua  famiglia,  eh'  erano  da  sei  o  sette  ca- 
valli, e  convenendogli  presso  Rodea  passar  per 
mezzo  aduna  compagnia  d'  uomini  armati,  che 
sedevano  sotto  diverse  ombre,  andò  oltre,  non 
senza  qualche  sospetto  ;  ed  essendo  passato  avan- 
ti un  tiro  di  mano,  colui,  eh'  era  capo  loro, 
dimandò  al  servitore,  eh'  era  più  addietro  degli 
altri,  chi  fosse  il  gentiluomo  ;  e  udito,  eli'  era 
Lodovico  Axiosto ,  subito  si  mise  a  corrergli  die- 
tro, e  riverentemente  salutatolo  gli  disse,  eh' 
era  Filippo  Pacchione,  capo  di  ladroni,  egli 
domandò  perdono,  se  non  gli  avea  fatto  motto 
nel  passar  oltre,  poiché  non  sapeva,  chi  egli 
fosse,  ma  che,  avendolo  inteso  poi,  era  venuto 
per  conoscerlo  di  vista,  come  molto  prima  l'avea 
conosciuto  per  fama.  Ecco  un  incontro,  dal 
quale  si  conosce,  come  possano  talvolta  gareg- 
giare in  condiscendenza  un  ladro  e  un  niecciiale! 

Finito  il  tempo  del  suo  governo,  che  fu  di 
tre  anni,  si  restituì  Ariosto  a  Ferrara;  dove  per 
compiacere  al  duca ,  che  diletto  trovava  nelle 
sceniche  rappresentazioni,  si  diede  a  comporre 
le  tre  ultime  sue  commedie,  la  Lena,  il  Negro- 
mante, e  la  Scoi  aulica,  la  qual  ultima  poi  non 


per  prova,  e  spezialmente  si  applicò  alle  tradu- 
zioni in  Italiano  di  varj  romanzi  spagnuoli,  fran- 
cesi, e  di  molte  commedie  di  Plauto  e  di  Te- 
renzio. 

Fu  conosciuto  il  sommo  valor  dell'  Ariosto 
da'  primi  ingegni  della  sua  età,  co'  quali  tenne 
perfetta  anùcizia,  ed  onorevole  ricordanza  ne  fece 
nel  suo  poema;  ma  singolarmente  fu  stimato  e 
ammirato  da'  primarj  signori  d'£uro})a ,  fra' 
quali  Pimperador  Carlo  V  nel  novembre  del  1532 
trovandosi  in  Mantova ,  volle  di  propria  mano 
pubblicamente  onorarlo  della  corona  d'alloro. 

In  quella  notte  preceduta  all'  ultimo  giorno 
del  1532,  in  cui  s'  incendiò  quella  parte  del  pa- 
lazzo ducale ,  dov'  era  il  superbo  teatro  sopra- 
mentovato,  cominciò  1'  Ariosto  a  sentire  una 
ostruzione  nel  collo  della  vescica,  male  ch« 
in  cinque  mesi  lo  condusse  al  sepolcro ,  il  ch« 
avvenne  la  sera  de'  sei  di  giugno  1533,  cinquan- 
tanovesimo  della  sua  vita.  Fu  sotterrato  assa: 
semplicemente,  portato  da  quattro  uomini,  e  con 
due  lunù  soli  alla  clncsa  veccliia  di  San  Bene* 
detto  ;  ma  1'  umile  suo  sepolcro  fu  da  molti  poet 
onorato  con  greche,  latine  e  italiane  composi-; 
zioni.  Quaranta  anni  dopo,  a  spese  di  Agosti-! 
no  Mosti,  che  giovanotto  sotto  PArioslo  si  appli- 
cò a'  poetici  studj,  gli  fu  eretto  nella  nuova  chiesi 
de'  monaci  Benedettini,  nella  cappella  alla  destrJ 
dell'aliai-  maggiore,  un  più  dccoi'oso  sepolcro, 
e  voile  il  Mosti  il  contento  di  trasportarvi  colle 


condusse  a  comjìimcnto,  lasciandola  abbozzata  pro|iric  mani,  non  senza  molte  lagrime,  le  ossa 
sino  alla  terza  scena  dell'  atto  terzo.  Vero  è  di  lui  il  giorno  sesto  di  giugno  dei  1573-  Ma 
però,  olle  il  Negromante  l'avea  composto  al  nel  1612  un  nuovo  sepolcro  assai  magnifico  nell' 
tempo  di  Leone  X,  prima  de'  16  di  gemi  ajo  del 'altra  cappella  a  sinistra  dell'  altare  suddetto  gli 


DISCORSO  DELL'  ARIOSTO- 


fu  innalzato  da  Lodovico  suo  pronipote,  e  un 
nuovo  trasporto  vi  fu  fatto  delle  sue  ceneri,  dove 
sino  al  presente  si  conservano. 

Da'  suoi  poemi,  e  spezialmente  dalle  sue  sa- 
lire abbiamo  una  chiara  e  sincera  esposizione 
delle  doti  dell'  animo  suo  assai  conformi  alla  più 
onesta  e  regolata  morale,  come  affabilità  nel  con- 
versare, schiettezza  e  lealtà  nel  px'ocedere,  mo- 
destia e  rispetto ,  giustizia,  mansuetudine,  pia- 
cevolezza, moderazione  nel  desiderio  d'onori, 
sobrietà,  e  nobil  entusiasmo  di  libertà.  In  quanto 
poi  agli  amori  suoi  donneschi ,  li  rende  scusa- 
bili l'universal  genio  e  la  libertà  del  suo  secolo. 
Sicuro  egli  è,  che  due  figliuoli  si  procacciò,  Vir- 
ginio e  Giovanbatista ,  l'uno  canonico  della  cat- 
tedrale di  Ferrara,  l'altro  capitano  della  milizia 
del  duca.  Se  d'  una  stessa  donna ,  Orsolina, 
nascessero  ambidue,  noti  è  certo.  Meritò  egli 
dunque  le  lodi  atti-iWitcgli  in  varj  poemi ,  tra' 
quali  trascriviamo  qui  il  sonetto  del  cavalier  Lui- 
gi Lamberti,  scritto  nell'  occasione  dell'  ultimo  so- 
lenne trasporto  delle  ceneri  dell'  Ariosto  : 

Se  grido  nniversal  d'umana  lode. 

Di  stiipor  figlia  e  di  commosso  affetto, 

Può  dolcemente  rallegrare  il  jietto 

D'  immortai  vate ,   che  nel  cicl  si  gode. 

Gioisci  or  si,   che  n'  hai  hen  donde,   o  prode 
Cigno  da  Febo  a  &i  gran  voli  eletto, 
Scoltando  i  plausi,   ond'  oggi  il  tuo  diletto 
Suol  t'  esulta ,  e  del  Po  tutte  le  prode. 

Ma  più  che  all'  opra  de'  scarpelli  industri. 
Più  che  alle  ricdie  pompe,   e  alhi  canora 
Voce,   eh'  odi  sonar,    di  spirti  illustri. 

Godi,   che  fra  lo  stuol,    clic  Pindo  onora, 
Pel  giro ,   or  presso  di  sessanta  lustri, 
11  più  grande  di  Te  non  sursc  ancora. 

Per  compire  il  ritratto  di  questo  pocla  clas- 
sico italiano,  si  permetta  ora  di  dare  qualcJie 
cenno  sui  poemi  suoi  in  particolare. 

In  quanto  dunque  la  poesia  e  Parmonia  del- 
l'invisibile e  del  visil)ile,  del  mondo  reale  ed  ideale, 
in  quanto  perciò  ella  e  astrclla  alle  leggi  dcHa 
natura  e  dell'  inlcllcllo  concoidi  insieme  e  a  lor 
modo  paralkìlc,  mancar  ella  non  può,  né  devo 
di  base  e  di  fondo  istorico  e  reale  dall'  una,  e 
di  quanto  è  stato  ognora  lior  e  corona  dell'  in- 
IcUclto,  dall'  altra  parte.  Un  albero  ella  sem- 
bra, che,  abbarbicalo  ncll'  imo  grembo  della 
tcira  ,  innalza  allo  nubi  la  sua  cima,  simile  a 
qucU'  albero,  che  in  ogni  milulogia  i  simbolo 
dell'  universo.  E  conio  qucll'  albciu  \as.si  tlira- 
mando  tra  per  lo  spazio  indnilo,  cosi  pure  la 
poesia  vediamo  eh'  ella  ò,  o  più  o  mono,  bone 
e  dono  comune  di  tulle  le  nazioni,  ed  dadi,   dio 


ne  formano  le  parli  diverse,  con  questa  differen- 
za però ,  che ,  mentre  ninna  n'  è  assolutamente 
esclusa,  pur  questa  parte,  o  quella  prepondera 
nell'  una ,  o  nell'  altra  ;  e  laddove  Tantica  età 
pagana,  abbandonata  e  quasi  devoluta  alla  na- 
tura, è  in  preferenza  obbiettiva  e  plastica,  lamo- 
derna  cristiana  è  suggettiva  e  pittoresca  ;  quel- 
la il  mondo  d'  adempimento ,  questa  il  mondo 
di  desiderio.  Ma  siccome  quella,  immersa  e 
sprofondata,  per  dir  rosi,  nella  natura,  non 
potendo  pure  mancare  d'  un  elemento  ideale,  l' 
ebbe  nella  mitologia,  cosi  questa,  riscattata  e 
quasi  apostatata  dallanatura,  divota  all'  intelletlo, 
non  potette  andar  scevra  d'un  elemento  reale, 
e  trovollo  nella  storia,  che  pure  al  fondo  non  e 
altro  fuorché  incarnazione ,  riscatto,  espiazione 
e  redenzione.  Questa  metamorfosi  dell'  intel- 
letto umano ,  il  quale ,  essendo  creato  secondo 
l'immagine  di  Dio,  é  insieme  divino,  niun  poeta 
forse  r  ha  mai  con  più  gran  forza  e  A'igore  effi- 
giata e  rappresentala,  che  il  Dante,  come  e  sta- 
to detto  a  luogo  suo. 

Or  siffatto  compartimento  e  conforme  al  te- 
nor  di  tutta  la  storia.  Che,  posciaché  Roma, 
insaziabile  di  conquiste,  con  ingordigia  non  me- 
no snaturata,  irreligiosa  e  fastosa,  che  pernizio- 
sa ,  considerando  se  sola  qual  centi'o  del  mon- 
do, ingojati  tulli  gì'  imperj ,  e  quanto  il  mondo 
antico  vantava  di  tesori  d'  arte  e  di  scienza,  non 
potè  piu'e,  scomposta,  marcia  e  soluta  in  se, 
qualora,  contenere,  non  che  organizzare  quel- 
l'infinità di  forze  e  di  doti,  anzi  irritato  ebbe  con- 
tro a  sé  tutto  il  settentrione  barbaro ,  ma  fresco 
e  robusto;  posciaché  frattanto  il  cristianesimo, 
additando  beni  celesti  e  intellelluali  eterni,  ebbe 
consolate  1' anime  oppresse  e  affili  le  dalle  tribola- 
zioni di  questo  secolo;  e  posciaché,  per  riunire 
quelle  forze  sparse  ed  erranti,  e  per  por  argine  agli 
avversar]  pagani,  Carlo  Magno,  bilanciando  ben 
la  conlesa  dell'  aulico  e  del  nuovo  mondo  (con- 
tesa tra  carne  e  spirito  !  ) ,  concentrò  e  consolidò 
questo  ultimo  noi  crisliancsimo  :  si  cambiò  poco 
a  ])o(o  il  sembiante  del  mondo.  Tanti  e  tanti 
ruiDiio  in  fatti  i  tli  lui  sforzi,  e  (|Uollide"  suoi  pa- 
ladini od  eroi ,  con  tanti  sagrilizj  furono  com- 
piali  ed  acquistali  i  vantaggi  noccssarj  allo  slabi- 
linicnlo  d'un  mondo  nuovo,  tanto  fu  inspirato 
ed  infiammalo  quel  nuovo  mondo  di  quella  sua 
idea  costitutiva  più  sublime,  che,  bramando 
una  mitologia  conforme,  intraprese  le  crocialo; 
di  modo  clic  col  tciii])o  Carlo,  qual  cpiailro  ab- 
brunilo ocoollonlc,  cinto  il  taj)o  dclf  auioola  ili 
mai  loro  o  di  santo  ,  divenne  il  centro  d'un  cor- 
cliio  di  tradizioni  miliclio,  elio,  offrendo  bensì 
in  sé  un  'opposizione  risultante  e   condizionata 


VI 


DISCORSO  DELL'  ARIOSTO. 


dal  vivo  giuoco  delle  forze ,  venne  arriccliito  di 
quanto  simboleggiò  quelle  forze  miracolose  so- 
Araumane,    cbe  produssero  un    mondo  nuovo. 
IS^el  che ,  se  le  fate  e  i  gciij  e  tutto  quel  mondo 
fantastico  e  sereno  danno  una  tempra  orientale 
a  queUe  finzioni,  si  noti,  che,  come  sempre, 
dove  si  tratta  di  trasformazione  intellettuale,  spi- 
ra quel  fresco  soffio  orientale,   che  già  mormorò 
intorno  alla  culla  dell'  umanità,    così  pur  qui 
fai  manifesta  l'influenza  degli  Arabi  sui   secoli  di 
mezzo.     Questo  cerchio  fu  sì  particolare  e  pro- 
prio a'  Francesi  o  Normandi,  come  da  un  altro 
!;anto  quel  del  re  Artù  e  del  santo  catino ,  e  quel 
degli   Amadissi    a'     Butani.   Fonte    di     questo 
cerchio   mitico  carolino  fu    la  cronaca  di  Tur- 
])ino,    scritta  per  quanto  si  vuole,     intorno  al 
1095       e   citata     tante    volle    dalP     Ariosto  *. 
Che  questo    cerchio    mitico    carolino  è    il   car- 
dine,   sul  quale  si  gira  l'Orlando  furioso,    co- 
me pure  il  Morgante  Maggiore  di  Luigi  Pulci 
(nato  1431,  morto  1487),  e  l'Orlando  innamo- 
rato di  Matteo  Maria  Bojardo,    conte   di 
Scandiano  (nato  1430,    morto  1494) ,  di  cui  il 
poema  ariosteo  è  quasi  una  continuazione,    ma 
sostanzievole ,   soda  e  di  man  maestra ,    scritta 
coli'  intento  di  glorificare  la  casa  d'Este ,  rino- 
mata, più  di  quel  che  merita,  negli  annali  della 
storia  a  causa  del  suo  padronaggio  letterario  *. 
Furono  però  già  appassite  e  scolorate  al  tempo 
d'Ariosto  quelle  figure  e  forme  d'  un  mondo  mi- 
racoloso, già  l'oggetto  di  credenza  divota;   e  co- 
me  pur  Omero  avea  fatto  uso  degli  elementi  d'un 
mondo  anteriore  mitico  a  modo  suo,  più  proprio 
però  alla  natura  e  alle  leggi   del  poema  eroico, 
eh'  al  profondo  senso  originario  de'  miti,  ante- 
ponendo il  simulacro  all'  idea,    così    1'  Ariosto 
ancora  si  servì  della  sua  materia  in  modo  con 
forme  al  genio  lieve,    sereno  e  fantastico,    ad 
una  ener"ia  ed  elasticità  sensuale ,  che  non  dis- 
degna gli  scherzi  egli  spropositi  di  questo  mondo 
Con  libertà  dunque  sfrenata,  impaziente  di  quaL 
sivo"lia  legge  egli  si  abbandonò  intieramente  ad 
una  fantasia  creatrice  sovrana ,  al  giuoco  magico 
di  forme  e  figure  fresche  aiìbllate  ,    e  lussuriò 
in    continue  vicende,    combinazioni  nuove,    e 
nebbiosi  scioglimenti.     Laonde  il  suo  Furioso  è 
unlabberinto  d'avventure  fabulose,  di  fatti  an- 
tichi trasformati,  or  mitologizzali,  per  dir  cosi, 
or   involti  in  allegoria,    ricco   di    rimembranze 
del  passalo  e  di  risguardi  a'  casi  e  alle  persone 
dell'    età  sua,    pieno    d'  allusioni  satiriche,  d 

1  V.  Ludvv.  Uhi  and  uber  das  altfranz.  Kpos,  nel 
giornale  detto  le  Muse.  —  GiJrres,  die  deutschcu 
Volksbiichtr  (Ileidclb.   1807.  8.),  p.  100  ss. 

2  Come  «arii  detto  nella  vita  del  lasso. 


fattezze  fm-besche  e  lascive,  e  di  quadri  salaci.' 
Manca  il  poema  d'  unità  epica,  e  di  regolartes, 
silura  e  sviluppo,  che  pare  che  il  poeta  abbia 
interrotti  e  sciolti  a  posta  e  con  capriccio  ;  gli 
elementi  particolaii  sono  spesse  volte  infilzati 
senza  combinazione  interna  e  con  transizioni 
arbili'arie  ;  vi  si  desidera  non  di  rado  un  disegno 
fisso ,  sodo  e  fermo  ;  ma  la  rappresentazione  de* 
gruppi  particolari,  le  narrazioni  e  le  descrizioni 
hanno  compiuta  evidenza  pittoresca ,  e  spirano 
una  vita  iucca ,  una  sensualità  vigorosa,  e  insieme 
una  profonda  ironia  veramente  poetica;  di  colpi 
grandiosi  da  maestro  e  di  sorprese  varie  v'  è 
abbondanza.  Le  stanze  sono  armoniose  ;  la  lin- 
gua, salvo  alcune  noncuranze  geniali,  ha  solida 
dovizia ,  e  correggimento  maschio.  Pare  che 
la  governi  con  freno  d'  oro,  e  che  la  guidi  do- 
vunque vuole  ,  di  modo  che  le  rime  in  apparenza 
le  più  bizzarre  e  strane  si  adunino  a  formare 
un  senso  comodo ,  convenevole ,  pieno  di  brio, 
consono  e  armonioso. 

Quanto  potremmo  forse  aggiunger  in  oltre, 
per  ritrarre  il  carattere  e  lo  stile  del  poeta,  lo 
dica  in  vece  nostra  un  passo  ,  quanlunquee  in  de- 
bil  metro'  da  noi  tradotto ,  del  poeta  tedesco, 
cui  il  nome  immortale  orna  il  nostro  parnasso. 
Quel  passo  si  trova  nel  dramma  intitolato  '  Tasso  ' 
e  concerne  1'  Ariosto. 

A   g-uisa  che  con  gaje  spoglie   verdi 

Natura  ammanta  il   colmo   petto   iiiterno, 

Ei  quanto  mai   può   render  degno  1'   uomo 

D'   amor  e  di  rispetto ,   tutto   il  cinge 

Del  iìorìdo   velame   delia   fiaba. 

Contento ,    esperienza  ed  intelletto, 

E   senno,   gusto,   e   sentimento  puro 

Del  l)en  verace  sembran  ne'   suoi  canti 

Idealmente    in  uno   ed   in  persona 

Sotto   alberi  fioriti  riposarsi, 

De'   fior  nevosi  lesti  e  molli  all'   ombra, 

Di   rose   coronati,    tra  i  prestigj 

iMaglii   e   i  furbeschi  giochi   d'    amoretti. 

Mormora  appresso   il  rio   dell'  abbondanza 

l'icno   di  varj   pesci  portentosi. 

Di  rari   augelli  l'   aria  si  riempie. 

Di  strane   gregge   al)bonda  e   prato  e  bosco. 

Scaltrezza   spia   nel  verde   mezzo   ascosa. 

D'   insù   d(»rata   nube   la  sapienza 

Ad    or  ad    or    sublimi   detti  intona, 

Mentre   sul    ben   temprato   liuto   il    fero 

Delirio   par  sossopra  andar   frugando, 

E   pur  ben  ricompone  i  moti   suoi. 

Oltre  r  Orlando  furioso  si  han  d'Ariosto  cin- 
que cauli  d'  un  nuovo  poema  cavalo  dal  mede- 
simo cerchio  mitico;  selle  &uti/T  tradotte  in  In 


i| 


DISCORSO  DELL'  ARIOSTO. 


VII 


glese  da  Gen^.  Markham,  1608.  4.  come  1'  Or- 
lando furioso  da  John  Harington,  1591  —  v. 
Drake ,  Shaksp.  and  bis  tinie  (Lond.  1817.  II, 
4.  j  Voi.  I.  p.  505.  S.629.  s.  —  importanti  prin- 
cipalmente, perchè  sono  ritratto  anzi  dell' uomo 
nelle  varie  situazioni  della  sua  vita ,  e  de'  suoi 
punti  di  vista  riguardo  alla  vita ,  che  acerbe  in- 
vettive ,  o  castighi  crucciosi  di  vizj  e  difetti  del 
suo  tempo;  rime,  o  molli  e  teneri  sfoghi  schietti 
e  naturali  senza  pretensione  alcuna  ;  cinque 
commedie.,  cioè  la  Cassar ia,  i  Suppositi,  la 
\Lenay  il  Negromante,  la  Scolastica,  tutti  in 
i versi  sdruccioli,  benché  le  due  primiere  fossero 
I originalmente  state  in  prosa,  modellate  secondo 
i  Plauto  e  Terenzio ,  regolari  bensì ,  ma  freddic- 
|)ce,  e  smorte  ne'  ceppi  del?  imitazione;  erbo- 
lato ,  saggio  della  nobiltà  deli'  uomo ,  e  dell' 
arte  della  medicina  ;  Lettere ,  e  due  libri  di  poe- 
mi latini. 

In  quanto  alla  letteratura  ed  all'  edizioni 
dell'  Ariosto,  si  vegga  Fr.  ^dolf  JEbert  allge- 
meines  bibliographisches  Lexikon  (Lips.  1821. 
1)  5  sotto  1'  articolo:  Ariosto. 

Il  testo,  che  qui  diamo,  è  quel,  che  nascer 
dovette  da  un  riscontro  delle  migliori  edizioni 
si  antiche ,  che  moderne ,  fralle  quali  siano  men- 


tovate soltanto  quella  delle  opere  in  versi  e  in 
prosa,  italiane  e  latine  di  Lod.  Ar.  con  dichia- 
I  razioni  (di  G.  And.  Baratti),  di\'ise  in  sei  tomi. 
[Venezia,  1766;  la  pisana  in  sei  tomi,  del  1815; 
la  fernoviana  in  cinque  tomi,  Jena  1805;  e  la 
milanese  del  1812  in  cinque  volumi.  In  questa 
fatica,  disdegnando  a  posta  ogni  arcaismo  affet- 
tato d'  ortografia  ,  il  quale ,  lungi  dall'  essere 
ruggine  veneranda ,  mentrechè  confonde  coloro, 
che  non  ne  sono  pratici ,  non  sarà  desiderato  da' 
conoscitori,  abbiamo  adottato  quella  lezione, 
che  ci  sembrò  la  più  convenevole  all'  oggetto, 
al  senso,  ed  al  poeta,  di  che  conto  è  stato  ren- 
duto  nel  comento.  Il  riscontro  di  tutti  i  pen- 
timenti del  poeta ,  quantunque  interessanti  per 
altro,  non  parve  convenevole  alla  brevità  di- 
segnata, a  fin  di  chiosare  cose  più  necessarie. 
E  così  questo  comento  barottiano  in  parte, 
oltre  le  critiche  annotazioni,  contiene  in  bre- 
ve quanto  richiedeva  la  storia  e  la  lingua ,  sal- 
vo le  trivialità ,  massimamente  mitologiche, 
delle  quali  la  notizia  o  è  da  supporsi ,  o  da 
acquistarsi  a  buon  prezzo  ;  di  modo  che  ancor 
così  speriamo  d'  incontrare  con  questa  nitida 
edizione  il  gradimento  e  P  indulgenza  degli  ami- 
ci della  letteratura  italiana  poetica. 


ORLANDO     FURIOSO 


D  I 


LODOVICO    ARIOSTO. 


CANTO      PRIMO. 


ARGOMENTO. 

Segue  Rina  do  il  stto  destricr  lìajardo, 
Ed  Angelica  incontra,  che  fuggia; 
Seco  s'  azzuffa  Ferraii  gagliardo. 
Poi  torna  al  fonte,  ou'  era  giunto  pria. 
Conosce  Sacripante  agli  atti ,  al  guardo 
La  bella  donna  ,  e  gli  si  mostra  pia. 
Rinaldo  intanto  soprnggiungc  ratto. 
Da  lunge  grida,  e  lo  disturba  affatto. 


1.  Le  donne ,  i  cavalicr ,  V  arme,  gli  amorì, 
Le  cortesie,  1'  audaci  imprese  io  cinto, 
die  turo  ai  teni|io  ,  che  |)assar(»  i  Mori 

D'  Africa  il  mare,  e  in  Francia  nocqucr  tanto; 
Sejj^nendo  1'  ire,  e  i  giovenil  Inrori 
D'  Af^ramante  lor  re,  che  si  die  ^anto 
Di  vendicar  la  morte  di  Trojano 
Sopra  re  Carlo ,  imperator  Homaiw). 

2.  Dir»'»  d'()rlan<lo  in  un  mcfh'smo  fratto 
Cosa  non  distia  in  prosa  mai,  né  in  rima; 
Che  per  am(»r  M-nne  in  l'nrorc,  <•  malto, 
D'  noni,  che  sì  »a<!;^<;^io  era  .stimato  prima; 
Se  da  colei,  che  tal  qnasi  ni'  ha  fatto, 
('he  '1  poco  in<^e|;;no  ad  <»ra  ad  or  mi  lintu, 
IVlc  ne  sarà  però  tanto  concesso. 

Che  mi  hasti  a  finir  qnanto  lio  promes:f)0. 

3.  l'iacciavi,  generosa  F'a-cnlca  prole. 
Ornamento  t;  splendor  del  secol  nostro, 
IpiMilito,  afrj^radir  qne<to  che  \n(.Ie, 

I',  diir\i  s(»l  può  1   nmil  scr\o  \ostro! 
<,)n<l,   eh"   io  ^i  d<;l)l)(),  pos.-o  di  parole 
l'afgan-  in  parte,  e  d'opera  d'inchio.-.tro. 
^(•,  elle  poco  io  \i  dia,  da  impntar  sono; 
Che  quanto  io  posso  dar,  tutto  vi  dono. 


4.  Tol  sentirete,  fra  i  più  degni  eroi, 
Che  nominar  con  laude  m'apparecchio, 
Ricordar  quel  Unggier,  <lie  fu  di  voi 

E  de'  vostri  avi  illu^tri  il  ceppo  vecchio. 
L'  alto  valore  e  i  chiari  «j^esti  suoi 
Vi  farò  udir,  se  voi  mi  date  orecchio: 
E  vostri  alti  pensier  cedano  un  poco. 
Si  elle  tra  h)r  miei  versi  ahbiano  lo<'0. 

5.  Orlando,  che  f]^ran  tempo  innamorato 
Fu  della  bella  Any^elica,  e  per  lei 

In  India,  in  Media,  in  Tarlarla  lasciato 
Avea  itrfìnitì  ed  immortai  trofei. 
In  Ponente  con  essa  era  tornato, 
DoAe,  sotto  i  ffran  monti  Pirenei, 
Con  la  gente  di  Francia  e  di  Lamagna, 
Re  Carlo  era  attendato  alla  campagna  ; 

6.  Per  fare  al  re  ^lar^ilio,  e  al  re  Agramante 
Battersi  an<-or  del  folle  ardir  la  gnaniia, 
D'a\er  condotto,  l'nn  d'Africa  quante 

Genti  erano  atte  a  portar  spada  e  lancia  ; 
L'altro,  d'aver  spinta  la  Spagna  innante, 
A  distru/.ion  del  bel  regno  di  P'rancia. 
E  cosi  Orlando  arri\ò  quivi  appunto; 
l\Li  tosto  si  penti  d'esservi  giunto: 

7.  Che  gli  fu  tolta  la  sua  donna  poi; 
(Ecco  il  gindicio  unian  come  spi'sso  erra  !) 
<^uella.  cl;e  dagli  operj  ai  liti  eoi 

A^«■a  dife.-a  con  >i  hmga  guerra. 
Or  tolta  gli  è  fra  tanti  amici  suoi. 
Seu'/.a  spada  adoprar,  nella  sua  terra. 
Ilsa^io  imperator,  ch'e.>tinguei-  >ols'e 
Un  gravo  incendio,  fu,  che  gliela  tolse. 

8.  Nata  pochi  di  innanzi  era  una  gara 

Tra  il  conte  Ori. nulo  e    1  mio  ciigin  Rinaldo; 
(^hé  amliiduo  a\ean  per  la  bellezza  rara 
D'amoro>o  di~io  l'animo  caldo. 
Carlo,  che  non  a^ea  tal  lite  cani. 
Che  gli  riiulea  l'.ijnlo  lor  men  saldo, 
(Quella  donztlla,  che  la  causa  n'era, 
ToUe,  e  die  in  mano  ul  duca  di  Damiera. 


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ORLANDO  FURIOSO.     (I.  ft_24) 


r*l 


9,      In  premio  promettendola  a  quel  d'essi, 
Che  in  quel  conflitto,  in  quella  gran  giornata, 
Dcgl'  infedeli  più  copia  uccidessi, 
E  di  sua  man  prestasse  opra  più  grata. 
Contrari  ai  voti  poi  furo  i  successi  : 
Che  'n  fuga  andò  la  gente  battezzata, 
E  con  molti  altri  fu  '1  duca  prigione 
E  re*tò  abbandonato  il  padiglione  ; 

10.  Dove,  poiché  rimase  la  donzella, 

'  Ch'  esser  dovea  del  vincitor  mercede. 
Innanzi  al  caso  era  salita  in  sella, 
E,  quando  bisognò,  le  spalle  diede, 
Presaga,  che  quel  giorno  e.-scr  rubella 
Dovea  fortuna  alla  cristiana  fede. 
Entrò  in  un  bosco,  e  nella  stretta  via 
Rincontrò  uu  cavalìer ,  eh'  a  piò  venia. 

11.  Indosso  la  corazza,  l' elmo  in  testa, 

La  spada  al  fianco,  e  in  braccio  avea  lo  scudo  ; 

E  più  leggier  correa  per  la  foresta, 

Ch'  al  palio  rosso  il  villan  mezzo  ignudo. 

Timida  pastorella  mai  sì  presta 

Kon  vol?e  piede  innanzi  a  serpe  crudo, 

Come  Angelica  tosto  il  freno  torse,  ^ 

Che  del  guerrier,  eh'  a  più  venia,  s'accorse. 

12.  Era  costui  qtiel  paladin  gagliardo, 
Figliuol  dWmon,  signor  di  Mont'  Albano, 
A  cui  pur  dianzi  il  suo  dcstrier  Kajardo, 
Per  strano  caso,  uscito  era  di  mano. 
Come  alla  donna  egli  drizzò  lo  sguardo. 
Riconobbe,  quantunque  di  lontano. 
L'angelico  scmiiiante,  e  quel  bel  volto, 
Ch'  all'  amorosa  rete  il  tenea  involto. 

13.  La  donna  il  palafreno  addietro  volta, 
E  per  la  selva  a  tutta  briglia  il  caccia; 
Né  per  la  rara  più,  che  per  la  folta. 
La  più  >icura  e  miglior  via  procaccia  ; 
Ma  pallida,  tremando,  e  di  sé  t(dta, 
La.-cia  cura  al  destrier ,  che  la  via  faccia. 
Di  su,  di  giù,  neir  alta  selva  fiera 
Tanto  girò,  che  venne  a  una  riviera. 

14.  Su  la  riviera  Fen-aù  trovosse 
Di  sudor  pieno,  e  tutto  polveroso. 
Dalla  battaglia  dianzi  h>  rimosse 
Un  gran  di-io  di  l)ere  e  di  riposo; 

E  poi,  malgrado  suo,  qni\i  fcrmosse, 
r<rcb«;  dell"  acqua  ingordo,  e  frettoloso. 
L'elmo  nel  fiinne  jÌ  la>riò  cadere, 
^ò  ra>ea  potuto  anco  riavere. 

15.  Quanto  potea  più  forte,  ne  veniva 
Gridando  la  donzella  spa^entata. 

A  quella  voce  salta  in  su  la  riva 
Il  Saracino,  e  nel  vi-o  la  guata  ; 
E  la  conosce  subito  <h'  arriva, 
IJcncliè  di  timor  pallida  e  turbata, 
E  ^i(•^  più  di,  cii<;  nini  nudi  n<)\<lla, 
Che  bcnza  dubbio  cU'  è  Angelica  bella. 

16.  E  perchè  era  cortese,  e  n'  avca  forse 
Non  meli  dcj  due  cugini  il  petto  caldo, 
L'ajuto.  clic  p<»t<-a,  tutto  le  porse: 

Pur.  cKiiir  a\e->e  !"  elmo,  ardito  e  baldo, 
l'ra-sc  la  .-pada.  <'  minai  riandò  corse, 
Do\e  |io('0  di   Ini  tiiiir-a  lliiialdo. 
l'in  ^(dlc  ^"  eran  già  iio"  pur  veduti. 
Ma  al  paragon  dell'  arme  c«>nubciuti. 


17.  Cominciar  quivi  una  crudel  battaglia. 
Come  a  pie  si  trovar ,  coi  brandi  ignudi. 
Non  che  le  piastre,  e  la  minuta  maglia. 
Ma  ai  colpi  lor  non  reggerian  gì'  iiuudi. 
Or,  mentre  1'  un  con  l'  altro  si  travaglia, 
Bisogna  al  palafren,  che  '1  passo  stiuij  : 
Che,  quanto  può  menar  delle  calcagna. 
Colei  lo  caccia  al  bosco  e  alla  campagna. 

18.  Poiché  s'  affaticar  gran  pezzo  invano 

I  due  guerrier,  per  por  1'  un  1'  altro  sotto; 
Quando  non  meno  era  con  1'  arme  in  mano 
Questo  di  quel,  né  quel  di  questo  dotto; 
Fu  primiero  il  signor  di  Mont'  Albano, 
Che  al  cavalier  di  Spagna  fece  motto  ; 
Sì  come  quel ,  eh'  ha  nel  cor  tanto  foco, 
Che  tutto  lì'  arde ,  e  non  ritrova  loco. 

19.  Disse  al  pagan  :  Me  sol  creduto  avrai, 
E  pur  avrai  te  meco  ancora  offeso: 

Se  questo  av\icn,  jierché  i  fulgenti  rai 

Del  nuovo  sol  t'  abbiano  il  petto  acceso, 

Di  farmi  qui  tardar,  che  guadagno  hai? 

Che,  qn.uiiìo  ancor  tu  m'  abbi  nuirto,  o  presQ» 

Non  però  tua  la  bella  donna  fia, 

Che,  mentre  noi  tardiam,  se  ne  va  via. 

20.  Quanto  fia  meglio,  amandola  tu  ancora. 
Clic  tu  le  venga  a  traversar  la  strada, 

A  l'itenerìa ,  e  farle  far  dimora. 
Prima  che  più  lontana  se  ne  vada. 
Come  r  a^  remo  in  potcstade,  allora. 
Di  chi  esser  de',  si  jirovi  con  la  spada! 
Non  so  altramente,  dopo  un  lungo  affanno. 
Che  possa  riuscirne  altro,  che  danno. 

21.  Al  pngan  la  proposta  non  dispiacque: 
Così  in  differita  la  tenzone; 

E  tal  tregua  tra  lor  subito  nacque. 

Sì  r  odio  e  r  ira  va  in  obblivione, 

Che  'l  pag.mn,  al  partir  dalle  fresche  ncque, 

N(Ui  lasciò  a  predi  il  buon  figliuol  d'  Amone: 

C<m  preghi  invita,  e  al  fin  lo  toglie  iu  groppa, 

E  per  r  orme  d'  Angelica  galoppa. 

22.  O  gran  bontà  de' cavalieri  antiqui! 
Eran  rivali,  eran  di  i'é  diversi, 

E  si  sentian  degli  aspri  colpi  iniqui 

Per  tutta  la  persona  anco  doleiv-ì  ; 

E  pur  per  selve  oscure  e  calli  obblìqui 

Iiisìcine  ^an,  senza  sospetto  a>cr>i. 

Da  quattro  siinnii  il  de-trior  |)unt<)  arriva. 

Dove  una  strada  in  duo  si  dipartila. 

23.  E  come  quei,  che  non  sapeun,  se  1' una, 
O  r  altra  via  face<se  la  donzella, 

l'ero  ch(^  senza  differenza  alcuna 
Apparta  in  ambedue  l'  orma  novella. 
Si  mi>ero,  ad  aibilrio  di  l'orluiia, 
Hiiialdo  a  questa,  il  Saracino  a  (|wclla. 
Pel  boxo  Ferraù  mollo  s'  avvoUe, 
E  ritrovossi  alfine,  onde  t-i  tolse. 

24.  Pur  si  ritrova  ancor  snlla  riviera. 
Là  do^e  1'  elmo  gli  cascò  iiell'  ond«j. 
l'oi(dié  la  donna  ritrovar  non  spera. 

Per  aver  I'  elmo,  clic  U  fiume  gli  asconde. 
Li  (|U(lla  patte,  onde  cadnlo  gli  era, 
Di.-ci'iidc  nell    estreme  umide  s|)onde; 
ì\Li  (jucllo  era  sì  fitto  nella  salibìa, 
Chg  molto  avrà  da  far  prima  che  1'  aì)bia. 


[51 


ORLANDO  FURIOSO.     (I.  25-40) 


[6] 


25.  Con  un  gran  ramo  d'  albero  rimondo, 
Di  che  avea  fatto  una  pertica  lunga, 
Tenta  il  fiume ,  e  ricerca  insino  al  fondo, 
Kè  loco  lascia ,  ove  non  batta  e  punga. 
Mentre  con  la  maggior  stizza  del  mondo 
Tanto  r  indugio  suo  quivi  prolunga, 
lede  di  mezzo  il  fiume  un  cavaliero 
Infino  ai  petto  uscir ,  d'  aspetto  fiero. 

26.  Era ,  fuorcliè  la  testa ,  tutto  armato, 
Ed  avea  un'  elmo  nella  destra  mano  ; 
Avea  il  medesimo  elmo  ,  che  cercato 
Da  Ferraù  fu  lungamente  in  vano. 

A  Ferraù  parlò  come  adirato, 
E  disse  :  Ah  mancator  di  fé ,  marrano. 
Perchè  di  lasciar  1'  elmo  an<;he  t'  aggrevi, 
•   Che  render  già  gran  tempo  mi  dovevi  ? 

27.  Ricordati ,  pagan ,  quando  uccidesti 
D'  Angelica  il  fiatel ,  che  son  qucU'  io  : 
Dietro  r  altre  arme  tu  mi  promettesti 
Fra  podii  di  gettar  1'  cimo  nel  rio. 
Or,  se  Fortuna,  quel  che  non  volesti 
Far  tu,  pone  ad  effetto  il  voler  mio, 
IVon  ti  turbare:   e,  se  turbar  ti  dei. 
Turbati ,  che  di  l'è  mancato  sei  ! 

Ma ,  se  desir  pur  hai  d'  im  elmo  fino, 
Trovane  un  altro,  ed  «abbil  con  più  onore! 
Un  tal  ne  porta  Orlando  paladino, 
Ln  tal  Rinaldo,  e  forse  anco  migliore. 
L'  un  fu  d'  Almonte,  e  1'  altro  di  Mambrino. 
Acqiìista  un  di  quei  due  col  tuo  valore, 
E  questo,  eh'  hai  già  di  lasciarmi  detto. 
Farai  bene  a  lasciarmelo  in  effetto. 

21).      Air  apparir,  che  fece  all'  improvviso 
Dell'  acqua  l'  <tml»ra,  ogni  pelo  aiTÌcciossi, 
E  scolorossi  al  Saracino  il  viso  ; 
La  voce  ,  (;h'  era  per  uscir,  fermossi. 
Udendo  poi  dall'  Argalia,  eh'  ucciso 
Qui>i  a%ea  già  (che  1'  Argalia  noraossi). 
La  rotta  fede  cosi  iniproverarse, 
Di  scorno  e  d'  ira  dentro  e  di  fuor  arse. 

iìO.      Né  tenij)o  avendo  a  pensar  altra  scusa, 
E  conoscendo  ben,  die  '1  ver  gli  disse, 
Resto  senza  risposta  a  bocca  chiusa. 
Ma  la  vergogna  il  cor  sì  gli  trafisse. 
Che  giurò  per  la  vita  di  Lanfu>a, 
IVon  Aoier  mai,  eh'  altro  elmo  lo  copriss**, 
Se  non  quel  buono,  che  già  in  Aspramontc 
Trasse  del  capo  Orlando  al  fiero  Almonte 

31.  E  servò  meglio  questo  i;iiuanu'nto. 
Che  non  a>ca  quirll'  altro  fatto  prima. 
Quindi  si  piirte  tiiiito  mal  contento, 
Che  molti  giorni  poi  >i  rodt;  e  lima. 
S<d  di   cercare  il  paladino  è  intenti» 
Di  «pia,  di  là,   doM- trovarlo  sliniii. 
Altra  avventura  al  buon  Rinaldo  accado. 
Che  da  costui  tenea  di^  erse  btrade. 

32.  \on  molto  va  Rinaldo,  che  si  vede 
Saltare  innanzi  il  >tio  destricr  IVroc(!  : 
Ferma,  Riijiirdo  mio,  deb  ferma  il  piede 
Che   r  (>»«;!•  r-enza  te  troppo  mi  nuoci-, 
l'er  questo  il  de^trier  >ordo  a  lui  non  riedo, 
Anzi  piò  se  ne  va  sempre  \eIoce. 
Segiu!  Rinaldo,  e  d'  ira  si  distrugge. 
Mu  scgtiiliiuuu  Angelica,  che  fugge. 


33.  Fugge  tra  selve  spaventose  e  scure. 
Per  lochi  inabitati ,  ermi  e  selvaggi. 
Il  mover  delle  f rondi  e  di  verzure, 

Che  dì  ceni  sentia ,  d'  olmi ,  e  di  faggi, 

Fatto  le  avea  con  subite  paure 

Trovar  di  qua  e  di  là  strani  viaggi; 

Ch'  ad  ogni  ombra  veduta  o  in  monte,  o  in  valle, 

Temea  Rinaldo  aver  sempre  alle  spalle. 

34.  Qual  pargoletta  damma  o  capriola. 
Che,  tra  le  frondi  del  natio  boschetto. 
Alla  madre  veduta  abbia  la  gola 

Stringer  dal  pardo,  e  aprirle  il  fianco,  o  il  petto. 
Di  selva  in  selva  dal  crudel  s'  invola, 
E  di  paura  trema ,  e  di  sospetto  : 
Ad  ogni  sterpo,  che  passando  tocca. 
Esser  si  crede  all'  empia  fera  in  bocca. 

35.  Quel  dì ,  e  la  notte ,  e  mezzo  1'  altro  giorno 
S'  andò  aggirando,  e  non  sapeva,  dove; 
Trovossi  alfine  in  un  boschetto  adorno, 

Che  lievemente  la  fresca  aura  move. 
Due  chiari  rivi ,  niornu)ra!ido  intorno. 
Sempre  l'  erbe  vi  fan  tenere  e  nuove; 
E  rendea  ad  ascoltar  dolce  concento 
Rotto  tra  picciol  sassi  il  correr  lento. 

36.  Quivi  parendo  a  lei  d'  esser  sicura 
E  lontana  a  Rinaldo  mille  miglia. 
Dalla  via  stanca  e  dall'  estiva  arsura, 
Di  riposare  alquanto  si  consiglia. 

Tra  fiori  smonta,  e  lascia  alla  pastura 
Andare  il  palafren  senzti  la  briglia; 
E  quel  va  errando  intorno  alle  chiare  onde, 
Che  di  fresch'  erbe  a>  ean  piene  le  sponde. 

•37.      Ecco  non  lungi  mi  bel  cespuglio  vede 
Di  spin  fioriti  e  di  vermiglie  ro,-e. 
Che  delle  liquide  onde  a  specchio  siede, 
Cliiuso  dal  Sol  fra  1'  alte  querce  ombrose; 
Cosi  vuoto  nel  mezzo  ,  che  concede 
Fresca  stanza  fra  1'  ombre  più  nascose; 
E  hi  foglia  co'  r.imi  in  modo  è  mista. 
Che  '1  sol  non  v'  entra,  non  che  minor  vista. 

38.  Dentro  letto  vi  fan  tenere  erbette, 
Che  ÌM>itano  a  posar  chi  s'  appresenta. 
La  bella  d(»nna  in  mezzit  a  quel  si  mette, 
Ivi  si  corca,  ed  ivi  s'  addiuiiienta; 

Ma  non  per  lungo  spazio  così  stette, 
Cile  un  calpestio  le  par  che  ^  enir  senta  : 
Chetii  si  leva,  e  appresso  alla  ri>iera 
Aede ,  eh'  armato  un  cavalier  giunt'  era. 

39.  S'  egli  è  amico,  o  nemico,  non  comprende: 
Tema  e  speranza  il  dubbio  cor  le  scuote; 

E  di  quella  avM'ntnia  il  (ine  altende, 
Né  pur  d    un  sol  siojiir  1"  aria  percuote. 
Il   cavaliero  in  riva  al  fitime  scinde 
Sopra  r  un  braccio  a  riposar  le  gote; 
i;d  in  un  gran  pen-ier  tanto  penelriL, 
Che  par  cangiato  in  inscusibil  pietra 

40.  Pensoso  più  d'  un"  ora  a  capo  basso 
Stette,  Signore,   il  cabalici- doleiUe: 
l'oi  comini'ió,  con  Miono  afilitto  e  lasso, 
A  l.uuentarsi  sì  soaMUiente, 

('Ir  avrebbe  di  pietà  spezzato  un  sasso, 
l  na  tigre  crudel  fatta  clemente. 
Sospirando  piangea,  tal  eh'  un  rnsccllo 
l'arean  le  guance,  e  'l  petto  un  Mongiliello. 
1    * 


m 


ORLANDO  FURIOSO.     (I.  41— 5fi) 


[8] 


41.  Pensier,  dìcea,  che  '1  cor  m'  agfghlacci  ed  ardi, 
E  cau*i  il  duol,  che  sempre  il  rode  e  lima! 

Che  debbo  far,  poiché  soii  giunto  tardi, 
E  eh'  altri  a  corre  il  frutto  è  andato  prima  ? 
Appena  avuto  io  n'  ho  parole  e  sguardi, 
Ed  altri  n'  ha  tutta  la  spoglia  opima. 
Se  non  ne  tocca  a  me  frutto ,  né  fiore. 
Perché  affligger  per  lei  mi  vo'  più  il  core  ? 

42.  La  verginella  è  simile  alla  rosa,  ^ 
Cile  'n  bel  giardìn ,  su  la  nativa  spina. 
Mentre  sola  e  sicura  si  riposa, 

Né  gregge ,  né  pastor  se  le  avvicina  : 
L'  aura  soave,  e  1'  alba  rugiadosa, 
L'  acqua,  la  terra  al  suo  favor  s'  inchina  : 
Giovani  vaghi ,  e  donne  innamorate 
Amano  averne  e  seni  e  tempie  ornate; 

43.  3Ia  non  sì  tosto  dal  materno  stelo 
Rimossa  viene,  e  dal  suo  ceppo  verde. 
Che  quanto  avea  dagli  uomini  e  dal  cielo 
Favor ,  grazia  e  bellezza  ,  tiitto  perde. 
La  vergine,  che  '1  fior ,  di  che  più  zelo, 
Cile  de'  begli  occhj  e  della  vita ,  aver  de'. 
Lascia  altrui  corre,  il  pregio,  eh'  avea  innanti. 
Perde  nel  cor  di  tutti  gli  altri  amanti. 

44.  Sia  vile  agli  altri ,  e  da  quel  solo  amata, 
A  cui  di  sé  lece  sì  larga  copia. 

Ah  fortuna  crudel,  fortuna  ingrata! 
Trionfau  gli  altri ,  e  ne  mor'  io  d'  inopia. 
Dunque  esser  può,  che  non  mi  sia  più  grata? 
Dunque  poss'  io  lasciar  mia  Aita  propia? 
Ah ,  più  tosto  oggi  manchino  i  dì  miei, 
Ch'  io  viva  più,  s'  amar  non  debbo  lei  ! 

45.  Se  mi  dimanda  alcun,  chi  costui  sia, 
Clie  versa  sopra  il  rio  lagrime  tante. 
Io  dirò,  che  egli  è  il  re  di  Circassia, 
Quel  d'  amor  travagliato  Sacripante: 
lo  dirò,  ancorché  di  sua  pena  ria 

Sia  prima  e  sola  causa  essere  amante, 
E  pure  un  degli  amanti  di  costei: 
E  ben  riconosciuto  fu  da  lei. 

4(».      Appresso,  ove  il  sol  cade,  per  suo  amore 
Venuto  era  dal  capo  d'  Oriente: 
Che  seppe  in  India,   con  suo  gran  dolore. 
Come  ella  Orlando  seguitò  in  l'unente; 
Poi  seppe  in  Francia,  die  l'  iniperatore 
Sequestrata  I'  avea  dall'  altra  gente, 
E  promessa  in  mercede  a  <;hi  di  loro 
Più  quel  giorno  ajutasse  i  gigli  d'  oro. 

47.  Stato  era  in  campo ,  e  avea  veduta  quella. 
Quella  rotta ,  che  dianzi  eld)e  re  Curio, 
("creò  vestigio  d'  Angelica  liella, 

l\è  potuto  avea  ancora  ritrovarlo. 
Questa  è  dunque  la  trista  e  ria  novcllil. 
Che  d'  amorosa  doglia  fa  penarlo, 
Affligger,  lamentarsi,  e  dir  parole. 
Che  di  pietà  potrian  fermare  il  sole. 

48.  Mc-ntrc  costui  co.>ì  s'  affligge  e  duole, 
V,  fa  degli  oi-chj  suoi  tepida  fonte, 

E  dice  quirite  e  molte  altre  parole, 

Che  non  mi  par  bisogno  esser  racconto, 

L'  uvventurosa  sua  fortuna  vuole, 

Ch'  alle  ore«-rliie  d'  Angelica  «ien  conte, 

E  cosi  quel  ne  viene  a  mi'  ora,  u  un  puntn, 

Che  iji  mille  unni,  o  mai  più,  ntui  è  raggiuMto. 


49.      Con  molta  attenzion  la  bella  donna 
Al  pianto  ,  alle  parole ,  al  modo  attende 
Di  colui,  che  in  amarla  non  assonna; 
]\è  questo  è  il  primo  dì,  eh'  ella  1'  intende: 
Ma  dura  e  fredda  più  d'  una  colonna, 
Ad  averne  pietà  non  però  scende  ; 
Come  colei,  eh'  ha  tutto  il  mondo^a  sdegno, 
E  non  le  par ,  eh'  alcun  sia  di  lei  degno. 


50. 


Pur  tra  quei  boschi  il  ritrovarsi  sola 
Le  fa  pensar  di  tor  costui  per  guida: 
Che  chi  neir  acqua  sta  fin'  alla  gola, 
Ben  é  ostinato  ,  se  mercé  non  grida. 
Se  questa  occasione  or  se  1'  invola. 
Non  troverà  mai  più  scorta  sì  fida; 
Ch'  a  lunga  prova  conosciuto  innante 
S'  avea  quel  re  fedel  sopra  ogni  amante. 


51 


52 


Ma  non  però  disegna  dell'  affanno, 
Che  lo  distrugge ,  alleggerir  chi  T  ama, 
E  ristorar  d'  ogni  passato  danno 
Con  quel  piacer,  eh'  ogni  amator  più  brama; 
j\Ia  alcuna  finzione  ,  alcuno  inganno, 
Di  tenerlo  in  speranza,  ordisce  e  trama; 
Tanto  eh'  al  suo  bisogno  se  ne  serva, 
Poi  torni  all'  uso  suo  dura  e  proterva. 

E  fuor  di  quel  cespuglio  oscuro  e  cieco 
Fa  di  sé  bella  ed  improvvisa  mostra. 
Come  di  selva ,  o  fuor  d'  ombroso  speco 
Diana  in  scena,  o  Clterea  si  mostra; 
E  dice  all'  apparir  :  Pace  sia  teco  ; 
Teco  difenda  Dio  la  fama  nostra  ; 
E  non  comporti  contra  ogni  riigione, 
Ch'  abbi  di  me  sì  falsa  opinione  ! 

53.  Non  mai  con  tanto  gaudio ,  o  stupor  tanto 
Levò  gli  occhj  al  figliuolo  alcuna  madre, 
Ch'  avea  per  morto  sospirato  e  pianto. 
Poiché  senza  esso  udì  tornar  le  squadre^ 
Con  quanto  gaudio  il  Saracin  ,  con  quanto 
Stupor  r  alta  presenza  e  le  leggiadre 
Blanierc,  e  '1  vero  angelico  sembiante 
Improvviso  apparir  si  vide  innante. 

54.  Pieno  di  dolce  e  d'  amoroso  affetto 
Alla  lìua  donna,  alla  sua  diva  corse. 
Che  con  le  braccia  al  collo  il  tenne  stretto  — 
Quel  eh'  al  Catai  non  avria  fatto  forse. 
Al  patrio  regno  ,  al  suo  natio  ricetto. 
Seco  avendo  costui,  1'  animo  torse; 
Subito  in  lei  s'  avviva  la  speranza, 
Di  tosto  riveder  sua  ricca  stanza. 

55.  Ella  gli  rende  conto  pienamente 
Dal  giorno ,  che  mandato  fu  da  lei 
A  (huiiaiidar  soccorso  in  Oriente 
Al  re  de'  sericani  Nabatei  ; 
E  come  Orlando  la  guardò  soa  ente 
Da  umrte,  dadisnor,  da  casi  rei  ; 
E  «'he  '1  fior  virginal  c(»sì  avea  salvo, 
Come  se  lo  portò  dal  materno  alvo. 

Forse  era  ver,  ma  non  i)etò  credibile 
A  <;hi  del  senso  suo  fosse  signore: 
Ma  parvo  facilmente  a  lui  possibile, 
(/'ir  era  perduto  in  \'n-  più  grave  errore. 
Quel,  che  l'   uom  vede,  amor  gli  fa  invitàbìtc; 
E  r  invi-ibil  fa  Acden^  amore. 
Questo  creduto  fu  :  cliè  "I  miser  euole 
D.ir  facile  credeii/.a  u  quel ,  che  vuole. 


5r>. 


[9] 


ORLANDO  FURIOSO,     fi.  57-72) 


[10] 


57.  Se  mal  sì  seppe  il  cavalier  d'  Anelante 
Pig^liar,  per  sua  sciocchezza,  il  tempo  buouo, 
Il  danno  se  n'  avrà  ;  che  da  qui  innante 

Kol  chiamerà  Fortuna  a  sì  gran  dono, 

(Tra  sé  tacito  parla  Sacripante.) 

Ma  io  per  imitarlo  già  non  sono, 

Che  lasci  tanto  ben ,  che  m'  è   concesso, 

£  eh'  a  doler  poi  m'  abbia  di  me  stesso. 

58.  Corrò  la  fresca  e  mattutina  rosa, 
Che ,  tardando ,  stagion  perder  polria. 

So  ben ,  eh'  a  donna  non  si  può  far  cosa, 

Che  più  soave  e  più  piacevo!  sia, 

Ancorché  se  ne  mostri  disdegn(»>a, 

E  talor  mesta  e  ilebil  se  ne  stia. 

R'on  starò,  per  repulsa,  o  finto  sdegno, 

Ch'  io  non  adombri  e  incarni  il  mio  disegno. 

59.  Così  dice  egli  ;  e  mentre  s'  apparecchia 
Al  dolce  assalto ,  un  gran  rumor ,  clie  suona 
Dal  vicin  bosco,  gì'  introna  1'  orecchia 

Si,  che  malgrado  1'  impresa  abbandona, 
E  si  pon  r  ehno;  eh'  avea  usanza  vecchia 
Di  portar  sempre  armata  la  persona. 
Viene  al  destriero,  e  gli  ripon  la  briglia, 
Rimonta  ùi  sella,  e  la  sua  lancia  piglia. 

60.  Ecco  pel  bosco  un  cavalier  venire, 

11  cui  sembiante  è  d'  uom  gagliardo  e  fiero  : 

Candido,  come  neve,  è  il  suo  vestire; 

Un  bianco  pennoncelio  ha  per  cimiero. 

Re  Sacripante,  che  non  può  patire, 

Che  quel  con  1'  importuno  suo  sentiero 

Gli  abbia  interrotto  il  gran  piacer,  eh'  avea, 

Con  vista  il  guarda  disdegnosa  e  rea. 

61.  Come  è  più  appres^o,  lo  sfida  a  battaglia; 
Che  crede  ben  fargli  votar  1'  arcione. 

Quel ,  che  di  lui  non  stimo  già  ciie  vaglia 
Ln  grano  meno,  e  ne  f.i  paragone, 
L'  orgogliose  minacce  a  ine/zo  taglia. 
Sprona  a  un  tempo ,  e  la  lancia  in  resta  pone. 
Sacripante  ritorna  con  tempesta, 
E  corronsi  a  ferir  tota  per  testa. 

62.  Non  sì  vanno  i  leoni,  o  i  tori  in  salto 
A  dar  di  petto ,  ed  a  cozzar  sì  crudi, 
Come  quei  duo  guerrieri  al  fiero  assalto, 
Che  parimente  si  pas^àr  gli  scudi. 

Fé'  lo  scontro  tremar  dal  bas^io  all'  alto 
L'  erbose  valli  insino  ai  pogi;i  ignudi  ; 
E  ben  giovò,  che  fur  buoni  e  perfetti 
Gli  usberghi  ci,  che  lor  salvaro  i  petti. 

63.  Già  n(»n  fero  i  cavalli  imi  correr  torto, 
Anzi  cozzaro  a  guisa  ili  moiiloiii. 

Quel  del  giierrier  pagali  morì  di  corto, 
Cli'  era  vivendo  in  numero  de'  l>iioiii : 
Queir  altro  cadde  ancor,  ma  fu  risorto 
Tosto  cir  al  fianco  si  senti  gli  sproni. 
QiK-l  del  re  Saraciii  rotò  di>te.->o 
Addosso  il  suo  signor  con  tutto  il  peso. 

64.  L'  incognito  <-ampion,  clit^  restò  ritto, 
E  vide  r  altro  col  ra\all<»  in   terra. 
Stimando  avere  as-ai  di  quel   (  onliitto, 
Non  hi  curò  di  rinnovar  la  glicini  ; 

Ma,  dove  p(;r  la  rx-ha  «'■  il  caiiiiiiiii  dritto, 
('orrendo  a  tutta  iirìglia  si  disserra, 
E  primarlic  di  briga  cM-a  il  pagano, 
La  miglio,  o  poro  meno,  è  già  lontimo. 


C5.      Quale  stordito  e  stupido  aratore, 
Poich'  è  passato  il  fulmine ,  si  leva 
Di  là ,  dove  1'  altissimo  fragore 
Presso  agli  uccisi  buoi  steso  1'  avevji. 
Che  mira  senza  fronde  e  senza  onore 
Il  pin  ,  che  di  lontan  veder  soleva  : 
Tal  si  levò  il  pagano ,  a  pie  rimaso. 
Angelica  presente  al  duro  caso. 

66.  Sospira  e  geme ,  non  perchè  V  annoi, 

Che  piede,  o  braccio  s'  abbia  rotto,  o  smosso; 
Ma  per  vergogna  sola,  onde  a'  dì  suoi, 
]\è  pria,  né  dopo,  il  viso  ebbe  sì  rosso: 
E  più ,  eh'  oltre  il  cader,  sua  donna  poi 
Fu ,  che  gli  tolse  il  gran  peso  d'  addosso. 
Muto  restava,  mi  cred'  io,  se  quella 
Non  gli  rendea  la  voce  e  la  favella. 

67.  Deh ,  disse  ella ,  signor ,  non  \i  rincresca  ! 
Che  del  cader  non  è  la  colpa  vostra. 

Ma  del  cavallo ,  a  cui  riposo  ed  esca 
IMeglio  si  convenìa ,  che  nuova  giostra. 
Né  per  ciò  quel  guerrier  sua  gloria  accresca  ! 
Ch'  essere  stato  il  perditor  dimostra  : 
Così ,  per  quel  eh'  io  me  ne  sappia  ,  stimo. 
Quando  a  lasciare  il  campo  è  stato  il  pruuo. 

68.  Mentre  costei  conforta  il  Saracino, 
Ecco,  col  corno  e  con  la  tasca  al  fianco, 
Galoppando  venir  sopra  im  ronzino 

Un  messaggier,  che  parca  affiitto  e  stanco; 
Che ,  come  a  Sacripante  fu  vicino. 
Gli  domandò,  se  con  lo  scudo  bianco 
E  con  un  bianco  pennoncelio  in  testa, 
Mde  un  guerrier  passar  per  la  foresta. 

69.  Rispose  Sacripante:  Come  vedi, 

M'  ha  qui  abbattuto ,  e  se  ne  partì  or'  ora. 

E,  perdi'  io  sappia  chi  m'  ha  messo  a  piedi. 

Fa  che  per  nome  io  lo  conosca  ancora  ! 

Ed  egli  a  lui  :  Di  quel ,  che  tu  mi  chiedi. 

Io  ti  satisfarò  senza  dimora: 

Tu  dei  saper,  «-he  ti  levò  di  sella 

L'  alto  valor  d'  una  gentil  donzella. 

70.  Ella  è  gagliarda,  ed  è  più  bella  molto; 
Né  il  suo  famoso  nome  anco  t'  ascondo  : 
Fu  nradaiiiaiite  quella ,  che  t'  ha  tolto 
Quanto  oiior  mai  tu  guadagna>ti  al  mondo. 
Poii-h'  ebbe  così  detto ,  a  freno  sciolto 

li  Saracin  lasciò  poco  giocondo, 

(JIk-  non  sa,  che  s<i  dica,  o  che  ^i  faccia. 

Tutto  avvampato  di  vergogna  in  faccia. 

71.  Poiché  gran  pezzo  al  ca>o  intervenuto 
Ebbe  pensato  in  vano,   e  fiiialiiu'iite 

Si  trovò  da  una  feiiimina  alibattnto. 
Che  pensandovi  più,  più  didor  .«ente; 
3Iontò  r  altro  de»tricr,  tacito  e  muto, 
E  senza  far  parola,  clirtaiiiinte 
ToUe  Angelica  in  groppa,  e  diirerilln 
A  più  lieto  uso,  a  staii/.a  più  tranquilla. 

72.  Non  furo  iti  due  miglia,  che  sonare 
Odoii  la  »rha,   cliir  li  cinge  intorno, 
(/Oli  tal  riiiiiiire  e  strepito,  che  par»' 
Clic  tremi  la  for«-,sta  d'  ogn"  intorno; 

E  poro  dopo  1111  gran  di>tricr  n'  appar<*, 
D'  oro  giicriiito  ,  r  riccamente  adorno. 
Clic  salta  iiiaccliie  e  rivi,  ed  a  IracashO 
Arbori  iiicim,  r  ciò,  che  vieta  il  piu^o. 


[li; 


ORLANDO  FURIOSO.      (1.  7S-81) 


[121 


73.  Se  gì'  intricati  rami  e  1'  aer  fosco 

•  (Dijse  la  donna)  agli  occlij  non  contende, 
Hajardo  è  quel  destrier ,  eh'  in  mezzo  il  1)0S(M) 
Con  tal  mraor  la  chiusa  via  é^i  fende. 
Que>to  è  certo  Bajardo  ;  io  'l  riconosco  : 
Deh  come  ben  nostro  bisogno  intende  ! 
Che  un  sol  ronzin  per  due  saria  mal'  atto; 
E  ne  ^ien  egli  a  satisfarci  ratto. 

74.  Smonta  il  Circasso,  ed  al  destrier  s'  accosta, 
E  si  pensava  dar  di  mano  al^  freno  : 

Con  le  groppe  il  destrier  gli  fa  risposta, 
Che  fu  presto  al  girar  ,  come  un  baleno  ; 
Ma  non  arriva,  dove  i  calci  apposta. 
Misero  il  cavalier,  se  giungca  appieno! 
•  Che  ne'  calci  tal  possa  avea  il  cavallo, 
Ch'  avrìa  spezzato  un  monte  di  metallo. 

75.  Indi  va  mansueto  alla  donzella, 
Con  umile  sembiante  e  gesto  umano, 
Come  intorno  al  padrone  il  can  saltella. 
Che  sia  due  giorni ,  o  tre  stato  lontano. 
Bajardo  ancora  avea  memoria  d'  ella. 
Che  in  Albracca  il  servia  già  di  sua  mano 
Nel  tempo ,  che  da  lei  tanto  era  amato 
Rinaldo,  allor  crudele,  allora  ingrato. 

76.  Con  la  sinistra  man  prende  la  briglia. 
Con  r  altra  tocca  e  palpa  il  collo  e  il  petto. 
Quel  destrier,  di'  avea  ingegno  a  maraviglia, 
A  lei ,  come  un  agn^l ,  si  fa  soggetto. 
Intanto  Sacripante  il  tempo  piglia. 

Monta  Bajardo  ,  e  l'  urta  ,  e  lo  tien  stretto. 
Del  ronzin  disgi-avato  la  donzella 
Lascia  la  groppa ,  e  si  ripone  in  sella. 


77.  Poi  rivolgendo  a  caso  gli  occhj  ,  mira 
Venir  sonando  d'  arme  un  gran  pedone  ; 
Tutta  s'  avvampa  di  dispetto  e  d'  ira; 
Che  conosce  il  figliuol  del  duca  Amone. 
Più  che  sua  vita  1'  ama  egli  e  desira; 

L'  odia  e  fugge  ella  più ,  che  gru  falcone. 
Già  fu ,  eh'  egli  odiò  lei  più  che  la  morte  ; 
Ella  amò  lui:  or  han  cangiato  sorte. 

78.  E  questo  hanno  causato  due  fontane, 
Clie  di  diverso  effetto  hanno  liquore, 
Ambe  in  Ardenua  ,  e  non  sono  lontane  : 
D'  amoroso  dÌ!.io  1'  una  empie  il  core; 
Chi  bce  dell'  altra,  senza  amor  rimane, 

E  volge  tutto  in  ghiaccio  il  prinu»  ardcH'c. 
Rinaldo  gustò  d'  una ,  e  amor  lo  strugge  ; 
Angelica  dell'  altra ,  e  l'  odia  e  fugge. 

79.  Quel  liquor  di  secreto  venen  misto. 
Che  muta  in  odio  1'  amorosa  cura. 

Fa  che  la  donna ,  che  Rinaldo  ha  visto. 

Nei  sereni  occhj  subito  s'  oscura, 

E  con  vorc  tremante ,  e  viso  tristo. 

Supplica  Sacripante  e  lo  scongiura. 

Che  quel  gucrrier  più  appresso  non  attenda, 

i\Ia  che  insieme  con  lei  la  foga  prenda. 

30.      Son  dunque,  disse  il  Saracino,  sono 
Dunque  in  sì  poco  credito  con  vuì, 
('he  mi  stimiate  inutile ,  e  non  buono 
Da  potervi  difender  da  costui? 
Le  battaglie  d'  Albracca  già  vi  sono 
Di  mente  uscite?  e  la  notte,  ('h'  io  fui 
Per  la  salute  vostra ,  solo  e  nudo. 
Contro  Agricane  e  tutto  il  canij.-o,  scudo  ? 


81 .     Non  risponde  ella ,  e  non  sa ,  che  si  faccia  : 
Percl.è  Rinaldo  ornai  1'  è  troppo  appresso, 
Che  da  lontano  al  Saracin  minaccia, 
Come  vide  il  cavallo  e  conobbe  esso, 
E  rironobbc  V  angelica  faccia. 
Che  r  amoroso  incendio  in  cor  gli  ha  messo. 
Quel  che  seguì  tra  questi  due  superbi, 
Vo'  che  per  1'  altro  canto  si  riserbi. 


[13] 


ORLANDO  FURIOSO.     (II.  1_121 


Ii£ 


CANTO      SECONDO. 


ARGOMENTO. 

Un  vecchio  astuto,  d'  amoroso  fuoco 

Per  Angelica  acceso ,    e  negromante. 

Fra  ì  dui  rivai ,  che  non  V  avean  da  giuoco, 

Fa  che  la  pugna  non  procede  ovante. 

jS'e  va  in  Parigi,  ed  in  lontano  loco 

Mandato  vicn  Rinaldo ,  eh'  era  amante. 

Pinabel  Rrudamantc  mal  condotta 

Fa  cader  da  un  gran  monte  in  una  grotta. 


1.  Ingiustissimo  Amor,  perchè  si  raro 
Corrispondenti  fili  nostri  desiri  ? 
Onde,  perfi'O,  avvien ,  che  t'  è  sì  caro 
Il  discorde  voler,  clie  in  due  cor  miri? 
Ir  non  mi  lasci  al  facil  g-uado  e  chiaro, 
E  nel  più  cieco  e  map's^ior  fondo  tiri  ? 

Da  chi  di.sia  il  mio  amor,  tu  mi  richiami; 
E  chi  ra'  ha  in  odio,  vuoi  eh'  adori  ed  ami. 

2.  Fai ,  clie  a  Rinaldo  Anj^clica  par  hella, 
Quando  esso  a  hi  bratto  e  spiaccvol  pare: 
Quando  le  ])area  hello ,  e  1'  amava  elhi, 
E,'.^li  odiò  lei,  quanto  si  può  i)ii'i  odiare. 
Ora  s'  afilifT'.ve  indarno  e  si  flaji^ella; 

(/0>i  rendalo  ben  f^li  è  ]ìiu'c  a  |)<ire. 

Ella  r  ha  in  odio;  e  V  odio  è  di  tal  sorte, 

Clic  più  tosto,  che  lui,  vorri'a  la  Hiortc. 

3.  Rinaldo  al  Saracin  con  molto  orp-oijlio 
Gridò:  scendi,  ladron,  del  mi(»  cavallo! 
Che  mi  sia  tolto  il  mio,  patir  non  ^co^^j-lio, 
ÌMa  ben  fo,  a  chi  lo  vuol,  <;aro  costallo. 
E  levar  (piesta  donna  anco  ti  vo,'.;^lio5 
Che  sarebbe  a  lasciartela  <^ran  l'alio, 

isi  perfetto  dcstrier,  donna  sì  de/ina, 

A  un  ladron  nini  mi  par  che  si  convcgna. 

4.  Tu  te  ne  menti,  che  lailrone  io  sia, 
Rispose  il  Saracin  non  meno  altiero: 
Chi  dicesse  a  tv  ladro,  la  diria 

(Quanto  io  u'  odo  per  fama)  |»iù  c'on  vero, 
Ija  prova  or  si  >cdrà,  chi  di  noi  sia 
l'iù  dej^no  della  donna  e  del  destriero; 
Henchè,  quanto  a  lei,   teco  io  mi  «•ouvegTia, 
Che  non  è  cosa  al  mondo  altra  »ì  dc<|;na. 

5.  Cmuo  sop;lion  talor  due  can  mordcMiti, 
O  per  insidia,  o  per  altro  imIìo  mossi, 
Av\i(iniir>i  (li^ri;;naiiil()  i  l'cnli. 

Con  occlij  biechi ,  e  più  (  h  •  bran^ia  rossi, 
Indi  a'  morsi  >enir,  di  r.ibbia  ardenti, 
Cauì  afilli  rinirhj  e  rabbullali  do.ssi  : 
C;osi  alli^  spade  dui  f;;ridi  e  d.ill"  onte 
Venne  il  CircnsiiU  e  «i»cl  di  Cliiaraniontc. 


6.  A  piedi  è  r  un ,  1'  altro  a  cavallo.   Or  quale 
Credete  eh'  abbia  il  Saracin  vantaggio  ? 

Né  ve  n'  ha  però  alcun  ;  che  così  vale 
Forse  ancor  men,  eh'  uno  inesperto  paggio: 
Che  '1  destrier,  per  istinto  naturale, 
Non  A  olea  fare  al  suo  signore  oltraggio  : 
jVè  con  man ,  uè  con  spron  potea  il  Circasso 
Farlo  a  volontà  sua  mover  mai  passo. 

7.  Quando  ci'cde  cacciarlo,  egli  s'  arresta; 
E  ,  se  tener  lo  vuole ,  o  corre ,  o  trotta, 
Poi  sotto  il  petto  si  caccia  la  testa, 
Giuoca  di  schiena ,  e  mena  calci  in  frotta. 
Vetlendo  il  Saracin ,  eh'  a  domar  questa 
Bestia  superba  era  mal  tempo  allotta, 
Fei'ma  le  miin  sul  primo  arcione,  e  s'  alza, 
E  dal  sinistro  fianco  in  piedi  sbalza. 

8.  Sciolto  che  fu  il  pagan  con  leggier  salto 
Dall'  ostinata  furia  di  Bajardo, 

Si  vide  cominciar  ben  degno  assalto 

D'  un  par  di  cavalier  tanto  gagliardo. 

Suona  r  un  brando  e  Y  altro,  or  basso  or'  alto. 

Il  martel  di  Vulcano  era  più  tardo 

jVella  spelonca  affumicata,  dove 

Battea  all'  incudc  i  folgori  di  Giove. 

9.  Fanno  ^  or  con  lunghi ,  ora  con  finti  e  gcar*i 
Colpi  veder,  che  mastri  son  del  gioco; 

Or  li  vedi  ire  altieri ,  or  ranniccliiarsi, 
Ora  coprirsi ,  ora  mostrarsi  un  poco, 
Ora  crescere  innanzi,  ora  ritrarsi, 
Ribatter  colpi,  e  spesso  lor  dar  loco, 
Girarsi  intorno ,  e  donde  l'  uno  cede, 
L'  altro  a^  cr  posto  iaimantiuente  il  piede. 

10.  Ecco  Rinaldo  con  la  spada  addosso 
A  Sacripante  tutto  s'  abbandona: 

E  quel  porge  lo  scudo ,  eh'  era  d'  osso. 

Con  la  piastra  d'  acciar  temprata  e  buona. 

Tagliai  Fiis'ieria ,  ancorché  molto  grosso. 

Ne  geme  la  lor(;sta ,  e  ne  risuona. 

L'  o.-so ,  e  1'  acciar  ne  va .  che  par  di  ghiaccio, 

E  hucia  al  Saracin  stordito  il  braccio. 

11.  C'(une  vide  la  timida  donzella 
Dal  fiero  colpo  uscir  tanta  mina, 
Per  gran  timor  cangiò   la  faccia  bella, 
Quale  il  reo.  eh'  al  sup|ilicio  s'  avvicina; 
i\è  le  par,  che  ^i  sia  da  tard.ir,  s'  ella 
Non  '\U()I   di   quel   Itinaldo  e.^>er  rapina; 
Di  ipiel  Rinaldo,  eh'  ella  tanto  odiaviL, 
Quanto  esso  lei  mi.^er.imente  amava. 

12.  A  (dta  il  cavallo,  e  neli<i  sel>a  folta 
Lo  caccia  per  un  a>pr(»  e  slictto  calle; 
E  spesso  il  \ìso  smorto  addietro  volta. 
Viu:  le  par,  che  Rinaldo  abbia  alle  ^pallc. 
Fuggendo  non  a\ea  fatto  \ì,i  nn>lta, 

Clu-  scontrò  nn'  cremila  in  una  \allc, 

Ch'  nwti  lunga  la  barba  a  mezzo  il  petlo. 

Devoto  e  venerabile  d'  appetto. 


[15] 


ORLANDO  FURIOSO.    .(II.  is-28) 


[16] 


13.  Dagli  anni  e  dal  digiuno  attenuato, 
Sopra  un  lento  asinel  se  ne  veniva, 

E  parca,  più  eh'  alcun  fosse  mai  stato. 
Di  coscienza  scrupolosa  e  schiva. 
Come  egli  vide  il  viso  delirato 
Della  donzella,  che  sopra  gli  arriva, 
Dcbil  quantunque,  e  mal  gagliarda  fosse, 
Tutta  per  carità  se  gli  commosse. 

14.  La  donna  al  fraticel  chiede  la  via, 
Che  la  conduca  ad  un  porto  di  mare; 
Perchè  levar  di  Francia  si  vorria, 
Per  non  udir  Rinaldo  nominare. 

Il  frate,  che  sapea  negromanzia, 
IN'on  cessa  la  donzella  confortare. 
Che  presto  la  trarrà  d'  ogni  periglio; 
Ed  ad  una  sua  tasca  die  di  piglio. 

15.  Trassene  un  libro ,  e  mostrò  grand'effetto  ; 
Che  legger  non  finì  la  prima  faccia, 

Ch'  uscir  fa  un  spirto ,  in  forma  di  valletto, 
E  gli  comanda  quanto  vuol,  che  faccia. 
Quel  se  ne  va,  dalla  scrittura  astretto. 
Dove  i  due  cavalieri  a  faccia  a  faccia 
Eran  nel  bosco,  e  non  stavano  al  rezzo. 
Fra'  quali  entrò  con  grande  audacia  in  mezzo. 

16.  Per  cortesia,  disse,  un  di  voi  mi  mostre, 
Quando  anco  uccida  1'  altro,  che  gli  vaglia? 
Che  merlo  avrete  alle  fatiche  vostre, 
Finita  che  tra  voi  sia  la  battaglia, 

Se  'l  conte  Orlando,  senza  liti,  o  giostre, 
O  senza  pure  aver  rotta  una  maglia, 
Verso  Parigi  mena  la  donzella. 
Che  v'  ha  condotti  a  questa  pugna  fella? 

17.  Vicino  un  miglio  ho  ritrovato  Orlando, 
Che  ne  va  con  Angelica  a  Parigi, 

Di  voi  ridendo  insieme  e  motteggiando, 
Che  senza  frutto  alcun  siate  in  litigi. 
11  meglio  forse  vi  sarebbe  or,  quando 
INon  son  più  lungi,  a  seguir  lor  vestigi; 
Che,  se  in  Parigi  Orlando  la  può  avere, 
;Non  ve  la  lascia  mai  più  rivedere. 

18.  Veduto  avreste  i  cavalicr  turbarsi 

A  queir  annunzio,  e  mesti  e  sbigottiti, 
Senza  occhj  e  senza  mente  nominarsi. 
Che  gli  aves,>e  il  rivai  cosi  scherniti, 
Ma  il  buon  Kinaldo  al  suo  cavallo  trarsi 
Con  sospir ,  cbc  parean  del  fuoco  usciti, 
E  giurar  per  isdcgno  e  per   furore. 
Se  giiuige  Orlando,  di  cavargli  il  core. 

19.  E,  dove  aspetta  il  suo  Bajardo,  passa, 
E  sopra  vi  si  lancia,  e  via  galoppa: 

>t;  al  cavalicr,  che  a  più  nel  bosco  lassa. 
Pur  dice  addio,  non  che  T    inviti  in  groppa. 
Ìj    allì^lo^o  cavallo  urta  e  friicassji. 
Punto  dal  suo  signor,  ciò  eh'  egli  intoppa, 
Non  pornio  fosse,  o  fiumi,  o  sassi,  o  spiiu; 
Far,  (Ih;  dal  corso  il  corridor  declinc. 

20.  Sif^nor,  non  voglio,  che  vi  paja  strano. 
Se  llinaldi»  or  sì  tosto  il  (kstricr  piglia, 
VAìv  già  (lii'i  giorni  ha  seguitalo  in  vano, 
^(-  gli  bit  |)(itiili)  mai  toci'ar  la  briglia, 
Fec(;  il  d(-tri<r,  <  li'  avca  intelletto  umano, 
>oii  per  vizio  seguirsi  V.iulc  miglia, 

Ma  per  guidar,  ^\\>\^•  la  donna  gi>a, 
11  buu  signor,  du  chi  bramar  1'  udiva. 


21.  Quando  ella  si  fuggi  dal  padiglione, 
La  vide,  ed  appostolla  il  buon  destriero, 
Che  si  trovava  aver  vuoto  l'  arcione. 
Però  che  n'  era  sceso  il  cavali  ero, 

Per  combatter  di  par  con  un  barone, 
Che  men  di  lui  non  era  in  arme  fiero: 
poi  ne  seguitò  l'orme  di  lontano. 
Bramoso  porla  al  suo  signore  in  mano. 

22.  Bramoso  di  ritrarlo,  ove  fosse  ella, 
Per  la  gran  seha  innanzi  se  gli  messe; 
]\è  lo  volea  lasciar  montare  in  sella, 
Perchè  ad  altro  camrain  non  lo  Aolgesee. 
Per  lui  trovò  Rinaldo  la  donzella 

Una  e  due  volte,  e  mai  non  gli  successe; 
Che  fu  da  Fcrraù  prima  impedito. 
Poi  dal  Circasso,  come  avete  udito. 

23.  Ora  al  demonio,  che  mostrò  a  Rinaldo 
Della  donzella  li  falsi  vestigi, 

Credette  Bajardo  anco,  e  stette  saldo 

E  mansueto  ai  soliti  servigi. 

Rinaldo  il  caccia,  d'  ira  e  d'  amor  caldo, 

A  tutta  briglia,  e  sempre  inver  Parigi; 

E  vola  tanto  col  disio,  che  lento, 

jVon  eh'  un  destrier ,  ma  gli  parrebbe  il  vento. 

24.  La  notte  appena  di  seguir  rimane. 
Per  affrontarsi  col  signor  d'  Anglante; 
Tanto  ha  creduto  alle  parole  vane 
Del  messaggier  del  cauto  negromante. 
]\on  cessa  cavalcar  sera  e  dimane, 
Che  si  vede  apparir  la  terra  avantc, 
Dove  re  Carlo ,  rotto  e  mal  condotto. 
Con  le  reliquie  sue  s'  era  ridulto. 

25.  E  perchè  dal  re  d'  Africa  battaglia 
Ed  assedio  v'  aspetta,  usa  gran  cura 
A  raccor  buona  gente  e  vettovaglia. 
Far  cavamenti ,  e  riparar  le  mura  : 
Ciò,  eh'  a  difesa  spera  che  gli  vaglia, 
Senza  gran  differir,  tutto  procura: 
Pensa  mandare  in  Inghilterra ,  e  trarne 
Gente,  onde  possa  un  nuovo  campo  farne: 

26.  Che  vuole  uscir  di  nuovo  alla  campagna, 
E  ritentar  la  sorte  della  guerra. 

Spaccia  Rinaldo  subito  in  Bretagna, 
(Bretagna,  che  fu  poi  detta  Inghilterra.) 
Ben  dell'  andata  il  paladin  si  lagna; 
INon  eh'  abbia  cosi  in  odio  quella  terra. 
Ma  perchè  Carlo  il  manda  allora  allora, 
]Nè  pur  lo  lascia  un  giorno  far  dimora. 

27.  Rinaldo  mai  di  ciò  non  fece  meno 
Volentier  cosa,  poiché  fu  distolto 

Di  gir  «ercaiulo  il  bel  viso  sereno, 

(Mie  gli  a^ea  il  cor  di  mezzo  il  petto  tolto. 

Ma,  per  ubbidir  Carlo,  nondimeno 

A  qiulla  via  si  fu  subito  volto, 

Ed  a  ('alesse  in  poche  ore  trovossi; 

E  giiuito ,  il  dì  medesimo  imbarcossì. 

28.  Contea  la  volontà  d'  ogni  nocchiero, 
Pel  gran  desir,  che  di  tornare  avea. 
Entrò  nel  mar,  eh'  era  turliato  e  fiero, 
E  gran  procella  minruxiar  pan^a. 

Il  ^ento  si  sdf'gnò,  che  dall'  altiero 
Si>r(z/ar  si  vidtr,  v.  con  tempesta  rea 
Sollevò  il  mare  intorno,  e  con  tal  rabbia, 
Clic  li  mandò  a  bagnar  bino  alla  gabbia. 


[It] 


ORLANDO  FURIOSO.     (II.  29—44.) 


29.  Calano  tosto  i  mai-inari  accorti 

Le  maggior  vele,  e  pensano  dar  volta, 

E  ritornare  in  quei  niedei^mi  porti, 

Donde  in  mal  punto  avean  la  nave  sciolta. 

JNon  convien ,  dice  il  vento ,  eli'  io  comporti 

Tanta  licenzia ,  che  v'  avete  tolta  : 

E  soffia  e  grida ,  e  nanfragio  minaccia, 

Se  altrove  van ,  che  dove  egli  li  caccia. 

30.  Or- a  poppa,  or  all'  orza  hanno  il  crudele. 
Che  mai  non  cessa,  e  vien  più  ognor  crescendo. 
Essi  di  qua  di  là  con  umil  vele 

Vansi  aggirando,  e  1'  alto  mar  scorrendo- 
Ma  perchè  varie  fila  a  varie  tele 
Uopo  mi  son,  che  tutte  ordire  intendo, 
Lascio  Rinaldo,  e  1'  agitata  prua, 
E  torno  a  dir  di  Bradamante  sua. 

Io  parlo  di  quell'  inclita  donzella, 
Per  cui  re  Sacripante  in  terra  giacque, 
Che ,  di  questo  signor  degna  sorella. 
Del  duca  Amone  e  di  Beatrice  nacque. 
La  gran  possanza  ,  e  il  molto  ardir  di  quella 
Non    mono  a  Carlo  ,    e  a  tutta  Francia  piacque, 
Che  più  d'  un  par^^gon  ne  vide  saldo, 
Che  '1  lodato  valor  del  huon  Rinaldo. 

La  donna  amata  fu  da  un   cavaliero, 
Che  d'  Africa  passò  col  re  Agramante, 
Che  partorì  del  seme  di  Ruggiero 
La  disperata  figlia  d'  Agolante. 
E  costei,  che  né  d'  orso,  nò  di  fiero 
Leone  u.>^cì,   non  sdegnò  tal'  amante; 
Benché  concesso ,  fuor  che  vedersi  una 
Volta  ,  e  parlarsi ,  non  ha  lor  fortuna. 

Quindi  cercando  Bradamantc  già 
L'  amante  suo,  eh'  avea  nome  dal  padre, 
Cosi  siciira  senza  compagnia. 
Come  avesse  in  sua  guardia  mille  squadre: 
E,  fatto  eh'  ehhe  il  re  di  (Jircasfia 
Battere  il  Aolto  dell'  antica  madre, 
Traver.-ò  un  ])osco ,  e  dopo  il  bosco  un  monte, 
Tanto  che  giunse  ad  una  l»ella  fonte. 

La  fonte  discorrea  per  mezzo  un  prato, 
D'  arhori  antichi  e  di  ))ell'  onihre  adorno. 
Che  i  viandanti  col  mormorio  grato 
A  bere  invita ,  e  a  far  seco  soggiorno. 
Un  cullo  monticel  dal  manco  lato 
Le  difende  il  calor  del  mezzo  gìcu'no. 
Quivi,  come  i  begli  occlij  |)riiini  torse, 
D'  un  cavalier  la  giovane  s'  accorse; 

D'  un  cavalier,  eh'  all'  onjbra  d'  un  liosduetto, 
Nel  margin  Acrde  e  biiinco  e  ros.-^o  e  giallo, 
Sedea  pensoso  e  tacilo  e  soletto 
Sopra  (jiiel  (tliiaro  (;  liquido  cristallo. 
Lo  scucio  lutn  lontan  jìciide  v.  V  elnietlo 
Dal  faggio,  o\f'.  legato  era  il  <:avallo; 
Ed  avea  gli  occlij  molli  e  '1  viso  basso, 
E  si  mostrava  addoloralo  e  lassù. 

Questo  desìr,  eh'  a  lutti  sta  nel  core, 
De'   fatti  altrui  senipii^  cercar  nmellu. 
Fece  a  qm-l   cavalier  del  siu>  dolore 
La  cagion  donrandar  dalla  donzella. 
Esili   r  aperse,  e  (ulta  nut<irò  fuore, 
Dal  «orlcM-  parlar  iikks»»»  di  quella, 
E  dal  semliiaute  allier,  eh'  al   primo  sguardo 
Gli  oeuibrò  di  gucrrier  molto  gagliardo. 


XI8] 


37.  E  cominciò:  Signore,  io  conduce» 
Pedoni  e  cavalieri,  e  venia  in  campo 
Là  dove  Carlo  Marsilio  attendea, 

Pcrcliè  al  scender  del  monte  avesse  inciampo  ; 

E  una  giovane  bella  meco  avea. 

Del  cui  fervido  amor  nel  petto  avvampo; 

E  ritrovai  presso  a  Rodonna  armato 

Un,  elle  frenava  un  gran  destriero  alato. 

38.  Tosto  che  '1  ladro,  o  sia  mortale,  o  sia 
Lina  delle  infernali  anime  orrende. 

Vede  la  l;ella  e  cara  donna  mia, 
Come  falcon,  che  per  ferir  discende, 
Cala  e  poggia  in  uno  attimo ,  e  tra  via 
Getta  le  mani,  e  lei  smarrita  prende. 
Ancor  non  m'  era  accorto  dell'  assalto. 
Che  della  donna  io  sentii  '1  grido  in  alto. 

39.  Cosi  il  i-apace  nibbio  furar  suole 

Il  misero  pulcin  presso  alla  chioccia. 

Che  di  sua  inavvertenza  poi  si  duole, 

E  in  van  gli  grida,  e  in  van  dietro  gli  croccia. 

Io  non  posso  seguire  un  uom,  che  vole, 

Chiuso  tra  monti,  a  pie  d'  una  erta  roccia. 

Stanco  ho  il  destrier,  che  muta  appena  i  passi, 

Neil'  aspre  vìe  de'  faticosi  sassi. 

40.  Ma,  come  quel,  che  raen  curato  atTei 
Vedermi  trar  di  mezzo  il  petto  il  core. 
Lasciai  lor  via  seguir  quegli  altri  miei. 
Senza  mia  guida  e  senza  alcun  rettore. 
Per  gli  scoscesi  poggi  e  manco  rei 
Presi  la  via ,  che  mi  mostrava  amore, 

E  dove  mi  parca,  che  quel  rapace 
Portasse  il  mio  conforto  e  la  mia  pace. 

41.  Sei  giorni  me  n'  andai  mattina  e  sera. 
Per  balze,  e  per  pendici  orride  e  sti-ane. 
Dove  non  via ,  dove  senlier  non  era. 
Dove  né  segno  di  vestigia  umane  : 

Poi  giunsi  in  una  valle  inculta  e  fiera. 
Di  ripe  cinta,  e  spaventose  tane. 
Che  nel  mezzo  su  un  sasso  avea  un  castello 
Forte,  e  ben  posto,  e  a  maraviglia  bello. 

42.  Da  lungi  par  che  come  fiamma  lustri. 
Né  sia  di  (erra  cotta,  né  di  marmi. 
Come  più  m'  avvicino  ai  muri  illustri, 
L'  o|)ra  i)iù  bella  e  più  mira])il  parmi. 
E  seppi  poi,  come  i  demonj  industri. 
Da  sun'umigi  tratti,  e  sacri  carmi. 
Tutto  d'  acciajo  avean  cinto  il  bel  loco, 
Temprato  all'  onda  ed  allo  sligio  foco. 

43.  Di  si  forbito  acciar  luce  ogni  torre, 
Ch(!  non  ^'t  può  né  ruggine,  né  macchia. 
Tutto  il  j)i'>es{!  giorno  e  notte  scorre, 

E  poi  là  dentro  il  rio  ladron  ^'  immacchin. 
(lo.'^a  non  lia  ripar  ch(^  coglia  torre: 
Sol  dietro  in  ^aii  se  gii  lie>(enmiia  e  gracclùa. 
Qui%i  la  donna,  anzi  il  mio  cor,  mi  tiene, 
Ch(!  ili  mai  ric(tvrar  Liscio  ogni  spene. 

44.  -Ahi  las.so  !  che  poss'  io  più,  che  mirare 
La  rocca  lungi,  ove  il  mio  ben  m'  è  chiut>u.'' 
Come  la  vtdpe,  che    l  llglio  gridare 

Nel  nido  oda  ilelT  aquila  di  giuso, 
S'  aggira  iiiloriio  ,  «•  non  sa  che  si  fare. 
Poiché  r  ali  non  ha  da  gir  là  suso. 
Erio  è  quel  sas.so  sì,  tale  è  il  castello. 
Che  non  \i  può  salir  chi  non  è  augello. 

2 


[19] 


ORLANDO  FURIOSO.     (IL  45-60.) 


[20] 


45.  Mentre  io  tardava  quivi,  ecco  venire 
Duo  cavalier ,  eh'  avean  per  guida  un  nano, 
Che  la  speranza  aggiunsero  al  desire  : 

Ma  ben  fu  la  speranza  e  il  desir  vano. 
Ambi  erano  gucrrier  di  sommo  ardire. 
Era  Gradasso  V  un,  re  sericano, 
Era  r  altro  Ruggier ,  giovane  forte, 
Pregiato  assai  nell'  africana  corte. 

46.  Vengon ,  mi  disse  il  nano  ,  per  far  prova 
Di  lor  virtù  col  sir  di  quel  castello, 

Che  per  via  strana,  inusitata  e  nova 
Cavalca  armato  il  quadrupede  augello. 
Deh,  signor,  diss'  io  lor,  pietà  vi  mova 
Del  duro  caso  mio  spietato  e  fello  ! 
Quando ,  come  ho  speranza ,  voi  linciate, 
Vi  prego,  la  mia  donna  mi  rendiate  ! 

47.  E  come  mi  fu  tolta  ,  lor  narrai. 
Con  lagrime  affermando  il  dolor  mio. 
Quei ,  lor  mercè ,  mi  proferirò  assai, 
E  giù  calaro  il  poggio  alpestre  e  rio. 
Di  lontan  la  battaglia  io  riguardai, 
Pregando  per  la  lor  vittoria  Dio. 
Era  sotto  il  castel  tanto  di  piano, 
Quanto  in  due  volte  si  può  trar  con  mano. 

48.  Poiché  fur  giunti  a  pie  dell'  alta  rocca, 
L'  uno  e  1'  altro  volea  combatter  prima. 
Pure  a  Gradasso  ,  o  fosse  sorte,  tocca, 

O  pur,  che  non  ne  fé'  Ruggier  più  stima. 
Quel  Serican  si  pone  il  corno  a  bocca  ; 
Rimbomba  il  sasso ,  e  la  fortezza  in  cima. 
Ecco  apparire  il  cavaliero  armato 
Fuor  della  porta ,  e  sul  cavallo  alato. 

49.  Cominciò  a  poco  a  poco  indi  a  levarse, 
Come  suol  far  la  peregrina  grue. 

Che  correr  prima,  e  poi  veggiamo  alzarse 

Alla  terra  vicina  un  braccio  o  due  ; 

E ,  quando  tutte  sono  all'  aria  sparse, 

Velocissime  mostra  1'  ali  sue. 

Sì  ad  alto  il  negromante  batte  1'  ale, 

Ch'  a  tanta  altezza  appena  aquila  sale. 

50.  Quando  gli  parve  poi,  volse  il  destriero, 
Che  chiuse  i  vanni ,  e  venne  a  terra  a  piombo, 
Come  casca  dal  ciel  falcon  maniero, 

Che  levar  veggia  l'  anitra,  o  il  colombo. 
Con  la  lancia  arrestata  il  cavaliero 
L'  aria  f';ndendo  vicn  d'  orribil  rombo  : 
Gradasso  appena  del  calar  s'  avvede. 
Clic  se  lo  sente  addosso,  e  che  lo  fiede. 

51.  Sopra  Gradasso  il  mago  l'  asta  roppe. 
Ferì  Gradasso  il  vento  e  1'  aria  vana. 
Per  questo  il  volator  non  interroppc 

11  batter  1'  ale,  e  quindi  s'  allontana. 
Il  grave  scontro  fa  chinar  le  groppe 
Sul  verde  prato  alla  gagliarda  affana. 
Griidassn  avea  una  aliana  la  più  bella, 
E  la  miglior,  che  mai  portasse  scila. 

52.  Sino  alle  stelle  il  volator  trascorse. 
Indi  girosftì,  e  tornò  in  fretta  al  basso, 
E  percosse  Ruggier,  che  non  s'  accorse; 
Ruggier,  clic  tutto  intento  era  a  Gradasso. 
Ruggier  del  grii\e  coljx)  si  distorse, 

E  'I  suo  dcstricr  piti  rinculò  d'  un  passo; 
E  quando  si  voltò,  per  lo!  ferire, 
Da  se  lontano  il  vide  al  eie!  salire. 


53.  Or  su  Gradasso ,  or  su  Ruggier  percote, 
Nella  fronte ,  nel  petto  e  nella  schiena  ; 

E  le  botte  di  quei  lascia  ognor  vote, 
Perch'  è  sì  presto ,  che  si  vede  appena. 
Girando  va  con  spaziose  rote, 
E  quando  all'  uno  accenna ,  all'  altro  mena  : 
All'  uno  e  all'  altro  sì  gli  occhj  abbarbaglia, 
Che  non  ponno  veder,  donde  gli  assaglia. 

54.  Fra  due  guerrieri  in  terra ,  ed  uno  in  cielo 
La  battaglia  durò  sin  a  quell'  ora. 
Che ,  spiegando  pel  mondo  oscuro  velo, 
Tutte  le  belle  cose  discolora. 
Fu  quel  eh'  io  dico,  e  non  v'aggiungo  un  pelo. 
Io  '1  vidi,  io  r  so,  né  m'  assicuro  ancora 
Di  dirlo  altrui  :  che  questa  maraviglia 

Al  falso  più  eh'  al  ver  si  rassomiglia. 

55.  D'  un  bel  drappo  di  seta  avea  coperto 
Lo  scudo  in  braccio  il  cavalier  celeste. 
Come  avesse ,  non  so ,  tanto  sofferto 
Di  tenerlo  nascosto  in  quella  veste  ; 

Che  immantinente,  che  lo  mostra  aperto. 
Forza  è ,  chi  '1  mira ,  abbarbagliato  reste, 
E  cada,  come  corpo  morto  cade, 
E  venga  al  negromante  in  pctestade. 

56.  Splende  lo  scudo  a  guisa  di  piropo, 
E  luce  altra  non  è  tanto  lucente. 
Ciiderc  in  terra  allo  splendor  fu  d'  uopo. 
Con  gli  occlij  abbacinati  e  senza  mente. 
Perdei  da  lungi  anch'  io  li  sensi ,  e  dopo 
Gran  spazio  mi  riebbi  finalmente, 

]Nè  più  i  guerrier ,  nò  più  vidi  quel  nano. 

Ma  vuoto  il  campo ,  e  scuro  il  monte  e  il  piano. 

57.  Pensai  per  questo  ,  che  1'  incantatore 
Avesse  ambidue  colti  a  un  tratto  insieme, 
E  tolto  per  virtù  dello  splendore 

La  libertade  a  loro ,  e  a  me  la  speme. 
Cosi  a  quel  loco,  che  chiudea  il  mio  core. 
Dissi,  partendo,  le  parole  estreme. 
Or  giudicate ,  s'  altra  pena  ria, 
Che  causi  amor,  può  pareggiar  la  mia! 

58.  Ritornò  il  cavalier  nel  primo  duolo, 
Fatta  che  n'  ebbe  la  cagion  palese. 
Questo  era  il  conte  Pinabel,  figliuolo 
D'  Anselmo  d'  Altaripa,  maganzese, 
Che  tra  sua  gente  scellerata  solo 
Leale  esser  non  volle ,  né  cortese  ; 
Anzi  ne'  vizj  abbominandi  e  brutti, 

Non  pur  gli  altri  adeguò,  ma  passò  tutti. 

59.  La  bella  donna  con  diverso  aspetto 
Stette  ascoltando  il  Maganzese  cheta; 
Che,  come  prima  di  Ruggier  fu  detto. 
Nel  viso  si  uiostrò  più  clic  mai  lieta: 

Ma  quando  sentì  poi,  di'  era  in  distretto, 
Turbossi  tutta  d'  amorosa  pietà, 
Né  per  una,   o  due  volte  contentossc, 
Che  ritornato  a  replicar  le  fosse. 

60.  E  poich'  alfin  le  parve  esserne  chiara, 
Gli  disse:  Cavalier,  datti  riposo! 

(3lié  lieo  piu)  la  mia  giunta  esserti  cara. 
Parerti  questo  giorno  avventuroso. 
Andiam  più-  tosto  a  quella  stanza  avara, 
Che  sì  ricco  tesor  ci  tiene  ascoso! 
Né  spesa  sarà  in  van  questa  fatica. 
Se  fortuna  non  m'  è  troppo  nemica. 


I 


:2i] 


ORLANDO    FURIOSO.      (II.  61—76.) 


[22] 


61.  Rispose  il  cavalier:  Tu  tuoi,  che  io  passi 
Di  nuovo  i  monti,  e  mostriti  la  \ia? 

A  me  molto  non  è  perdere  i  passi, 
Perduta  avendo  ogni  altra  cosa  mia. 
Ma  tu  per  balze,  e  ruinosi  sassi 
Cerchi  entrare  in  prigione;  e  cosi  sìa; 
Non  hai  di  che  dolerti  di  me  poi; 
Ch'  io  tei  predico ,  e  tu  pur  gir  vi  ìtioì. 

62.  Cosi  dice  egli ,  e  torna  al  suo  destriero, 
£  di  quella  animosa  si  fa  guida, 

Che  si  mette  a  periglio  per  Ruggiero, 
Che  la  pigli  quel  mago ,  o  che  1'  ancida. 
In  questo ,  ecco  alle  spalle  il  messaggiero, 
Che,  aspetta,  aspetta!  a  tutta  voce  grida  ; 
Il  messaggier,  da  chi  '1  Circasso  intese, 
Che  costei  fu ,  eh'  all'  erba  lo  distese. 

63.  A  Bradamante  il  messaggier  novella 
Di  Mompolieri  e  di  Narbona  porta, 
Ch'  alzato  gli  stendardi  di  Castella 
Avcan ,  con  tutto  il  lito  d'  Acquamorta  ; 
Y,  elle  Marsiglia ,  non  v'  essendo  quella. 
Che  la  dovea  guardiir,  mal  si  contorta; 
E  consiglio  e  soccorso  le  dcmianda 

Per  questo  messo  ,  e  se  le  raccomanda. 

64.  Questa  cittade ,  e  intorno  a  molte  miglia 
Ciò ,  che  fra  A'aro  e  Rodano  al  mar  siede, 
Avea  r  imperator  dato  alla  figlia 

Del  duca  Amone,  in  eli'  avea  speme  e  fede; 
Però  che  '1  suo  valor  con  maraviglia 
Riguardar  suol ,  quando  armeggiar  la  vede. 
Or,  com'  io  dico,  a  dimandare  ajuto 
Quel  messo  da  Marsiglia  era  venuto. 

G.'t.      Tra  sì  e  nò  la  giovane  sospesa, 
Di  voler  ritornar  dubita  un  poco. 
Quinci  r  onore  e  il  debito  le  pesa, 
Quindi  r  incalza  1'  amor(»so  foco. 
Fermasi  alfui  di  seguitar  1'  impresa, 
E  trar  Ruggier  dell'  incantato  loco, 
E,  quando  sua  virtù  non  possa  tanto, 
Almcn  restargli  prigioniera  a  canto. 

66.  E  fece  scusa  tal ,  clic  quel  messaggio 
Parve  contento  rimanere  e  cheto. 

Indi  girò  la  briglia  al  suo  viaggio 
Con  l'inabcl,  che  non  ne  par^e  lieto: 
Che  seppe  esser  costei  di  quel  lignaggio. 
Che  tanto  lia  in  odio  in  pubblico  e  Li  secreto  ; 
E  già  s'  avvisa  le  future  angosce, 
Se  lui  per  Maganzese  ella  conosce. 

67.  Tra  casa  di  Maganza  e  di  Cliiarmonte 
Era  odio  aulico,  e  nenii(-izia  intensa; 

E  più  voitt^  s'  av(!an  rotta  la  fronte, 
E  sparso  di  lor  sangue  copia  immensa: 
E  però  pel  suo  cor  1'  iniquo  conte 
Tradir  1'  incauta  giovane;  >i  pensa, 
O,  come  prima  comodo  gli  accada, 
Lasciarla  sola,  e  trovar  altra  strada. 

68.  F'  tanto  gli  occupò  la  fantasia 

Il  nativo  odio,   il  dubltio  <■  la  paura, 

Che  inavvfulutauientc  uscì  di  via, 

E  ritrov(ls^i  in  una  selva  oscura, 

Che  nel  nuv/.zo  avea  un  moiit»;,  die  finfa 

La  nuda  cima  in  una  piclra  dura; 

E  la  figlia  del  duca  di  Dordona 

Gii  è  sempre  dietro,, e  mai  non  1'  abbandona. 


69.  Come  sì  vide  il  Maganzese  al  bosco, 
Pensò  torsi  la  donna  dalle  spalle. 
Disse  :  prima  che  'l  ciel  torni  più  fosco, 
Verso  un  albergo  è  meglio  farsi  il  calle. 
Oltra  quel  monte ,  s'  io  lo  riconosco, 
Siede  un  ricco  castel  giù  nella  valle. 

Tu  qui  m'  aspetta  ;  che  dal  nudo  scoglio 
Certificar  con  gli  occhj  me  ne  voglio. 

70.  Così  dicendo ,  alla  cima  superna 
Del  solitario  monte  il  destrier  caccia. 
Mirando  pur,  se  alcuna  via  discerna, 
Come  lei  possa  tor  dalla  sua  traccia. 
Ecco  nel  sasso  trova  una  caverna, 
Clic  si  profonda  più  di  trenta  braccia  : 
Tagliato  a  picchi  ed  a  scarpelli  il  sasso 
Scende  giù  al  dritto ,  ed  ha  una  porta  al  basso. 

71.  jNel  fondo  avea  una  porta  ampia  e  capace, 
Che  in  maggior  stanza  largo  adito  dava, 

E  fuor  n'  uscia  splendor,  come  di  face. 
Che  ardesse  in  mezzo  alla  montana  cava. 
Mentre  quivi  il  fellon  sospeso  tace. 
La  donna ,  che  da  lungi  il  seguitava, 
Perchè  perderne  l'  orme  si  temea, 
Alla  spelonca  gli  sopraggiungea. 

72.  Poiché  si  vede  il  traditore  uscire 
Quel,  eh'  avea  prima  disegnato ,  in  vano, 
O  da  sé  torla ,  o  di  farla  morire, 
Nuovo  argomento  immaginossi  e  strano. 
Le  si  fé'  incontra ,  e  su  la  fé'  salire 

Là ,  dove  il  monte  era  forato  e  vano, 
E  le  disse ,  eh'  avea  visto  nel  fondo 
Una  donzella  di  viso  giocondo, 

73.  Che  a'  bei  sembianti ,  ed  alla  ricca  vesta. 
Esser  parca  di  non  ignobil  grado, 

Ma,  quanto  più  potea ,  turbata  e  mesta, 

Mostrava  esservi  chiusa  suo  mal  grado: 

E  per  saper  la  condizion  di  questa, 

Ch'  avea  già  cominciato  a  entrar  nel  guado  ; 

E  eh'  era  uscito  dell'  interna  grotta 

Un ,  che  dentro  a  furor  1'  avea  ridotta. 

74.  Bradamante,  che,  come  era  animosa, 
Così  mal  cauta ,  a  Pinabcl  die  fede, 

E  d'  ajutar  la  donna  disiosa, 

Si  pensa  come  por  ccdaggiù  il  piede. 

Ecco  d'  un  olmo  alla  cima  frondosa 

Volgendo  gli  occhj,  un  lungo  ramo  vede; 

E  con  la  spada  quel  subito   tronca, 

E  lo  declina  giù  nella  spelonca. 

75.  Dove  è  tagliato ,  in  man  lo  raccomanda 
APinabello,  e  poscia  a  quel  s'  apprende: 
Prima  giù  i  piedi  nella  tana  manda, 

E  sulle  hraccia  tutta  si  sospciidc. 

Sorride  Pinabello,  e  Iv  di)iiiaii(la, 

CoMu-  ella  salii;  e  le  mani  apre  e  stende. 

Dicendole:  Qui  fosser  teco  iii>ieme 

Tutti  li  tuoi ,  eh'  io  ne  spegncsiii  il  seme  ! 

76.  Non,  come  volse  Pinalu'IIo,  avvenne 
Dell'  iiuiocentc  gimaiu-  la  sorte; 
Perchè  giù  dirocciuuio  ,  a  ferir  venne 
l'riuia  nel  rullilo  il  ramo  siildo  e  forte. 
Ben  >i  spe/'/.ò ,  ma  laiilo  la  so.steiine, 
('he  'I  suo  fallir  Li  liberò  da  morte, 
(riacqiie  ^(orllila  la  donzella  alquanto, 
Come  io  vi  hcgiiirò  ncU'  altro  canto. 

2  * 


[23] 


ORLANDO  FURIOSO.     (III.  i  — 12) 


[24] 


CANTO      TERZO. 


ARGOMENTO. 

Bradamante  dalV  empio  cavaliero 
Fatta  cader  nella  caverna  dura 
Vede  di  $è  e  del  seme  di  Ruggiero 
La  stirpe,  or  cosi  illustre,  allora  oscura. 
Quindi  lui ,  che  d'  Atlante  è  prigioniero. 
Di  tosto  liberar  cerca  e  procura  : 
Melissa  ne  V  informa ,  e  dclV  anello 
Le  dà  notizia  ;  alfin  trova  Brunello. 


1.  Chi  mi  darà  la  voce  e  le  parole 
Convenienti  a  si  nobil  sogf^etto  ? 

Clii  r  ale  al  yerso  presterà ,  che  vole 
Tanto,  che  arrivi  all'  alto  mio  concetto? 
Molto  maggior  ài  quel  furor,  die  suole, 
Bea  or  convicn ,   che  mi  riscaldi  il  petto; 
Che  questa  ])arte  al  mio  Signor  si  dchhe, 
Clie  canta  gli  avi,  onde  ì'  origin'  ebbe, 

2.  Dì  cui  fra  tutti  li  signori  illustri, 
Dal  ciel  sortiti  a  governar  la  terra, 
Konvedi,  o  Fcho,  che '1  gran  mondo  lustri, 
Più  gloriosa  stirpe  ,  o  in  pace,  o  in  guerra  ; 
I\è  cJie  sua  nohiltadc  abbia  piti  lustri 
Serbala ,  e  scrijerà ,  se  in  me  non  erra 
Quel  profetico  lume  ,  «he  m'  inspiri, 
Finché  d'  intorno  al  polo  il  ciel  s'  aggiri. 

3.  E  volendone  appien  dicer  gli  onori, 
Bisogna  non  la  mìa ,  ma  quella  cetra, 
Con  che  tu,  dopo  i  gigantei  furori. 
Rendesti  grazia  al  regnator  dell'  etra. 
Se  ihtrumcnti  avrò  mai  da  te  migliori, 
Atti  a  scolpire  in  così  degna  pietra, 

In  queste  helle  immagini  disegno  ^ 

Forre  ogni  mìa  fatica,  ogni  mio  ingegno. 

4.  Levando  intanto  queste  prime  rudi 
Sc-iglìc  n'  andrò  con  lo  scarpello  inetto  : 
Forse  eh'  ancor  con  pìii  solerti  studj 
Poi  rìdtarò  questo  lavor  perfetto. 

IVla  ritorniamo  a  quello,  a  cui  nò  scudi 
Potrau,  né  usbergliì,  assicurare  il  petto  i 
Parlo  di  Pinabello  di  Maganza, 
Che  d'  uccider  la  donna  ebbe  speranza. 

5.  Il  traditor  pensò,  che  la  donzella 
Foxse  nell   allo  precipizio  morta; 

K  con  iialliila  taccia  lanciò  quella 
Tri^ta,  e.  \n-ì-  lui  coiitamiiiata  porta, 
]•;  tornò  ()r('sto  a  rimontare  in  sella; 
l'i  come  quel,  eh'  avca  1'  anima  torta, 
l'er  ginginr  <()lpa  a  colpa  ,  r  fallo  a  fallo, 
])i  liradamanle  ne  menò  il  cavallo. 


6.  Lasciam  costui ,  che ,  mentre  all'  altrui  vila; 
Ordisce  inganno,  il  suo  morir  procura, 

E  torniamo  alla  donna,  che  tradita 
Quasi  ebbe  a  un  tempo  morte  e  sepoltura. 
Poich'  ella  si  levò  tutta  stordita, 
Ch'  avea  percosso  in  sulla  pietra  dura, 
Dentro  la  porta  andò ,  eh'  adito  dava 
Rella  seconda ,  assai  più  larga ,  cava. 

7.  La  stanza  quadra  e  spaziosa  pare 
Una  devota  e  venerahll  chiesa, 
Che  su  col(»nnc  alalìastrine  e  rare 
Con  bella  architettura  era  sospesa. 
Sorgea  nel  mezzo  un  ben  locato  altare, 
Cli'  avea  dinanzi  una  lampada  accesa; 
E  quella  di  splendente  e  chiaro  foco 
Rendea  gran  lume  all'  uno  e  all'altro  loco. 

8.  Di  devota  umiltà  la  donna  tocca. 
Come  si  vide  in  loco  sacro  e  pio, 
Incominciò  col  core  e  con  la  hocca, 
Inginocchiata,  a  mandar  prieghi  a  Dio. 
\Jn  picciol  uscio  intanto  stride  e  crocea, 
Ch'  era  all'  incontro ,  onde  ima  donna  usci» 
Discinta  e  scalza ,  e  sciolte  avea  le  chiome, 
Che  la  donzella  salutò  per  noìne, 

9.  E  disse  :  0  generosa  Bradamante, 
Non  giunta  qui  senza  voler  divino. 

Di  te  più  giorni  m'  ha  predetto  limante 

Il  profetico  spirto  di  Merlino, 

Che  visitar  te  sue  reliquie  sante 

Dovevi  per  insolito  cammino  ; 

E  qui  son  stata ,  accioech'  io  ti  riveli 

Quel  eh'  han  di  te  già  statuito  i  cieli. 

10.  Questa  è  1'  antica  e  raemorahil  grotta, 
Che  edificò  Merlino,  il  savio  mago,        ^ 
Che  forse  ricordare  odi  talotta, 

Dove  ingannoUo  la  donna  del  Lago. 
Il  sepolcro  è  qui  giù,  dove  corrotta 
Giace  la  carne  sua;  dove  egli,  vago 
Di  satisfare  a  lei,  che  gliel  suase, 
^  ivo  corcossi ,  e  morto  ci  rimase. 

11.  Col  corpo  morto  il  vivo  spirto  alberga, 
Siuch'  oda  il  suon  dell'  angelica  tromba, 
Cile  dal  ciel  lo  bandisca ,  o  che  ve  1'  erga. 
Secondo  che  sarà  corvo  ,  o  colomba. 

A  ive  la  vcx'c,  e  come  chiara  emerga. 
Udir  potrai  dalla  marmorea  tomba; 
Che  le  passate  e  le  future  «;ose, 
A  chi  gli  domandò ,  sempre  rispose. 

12.  Piò  giorni  son,  che  in  questo  ciniìtcrio 
Venni  di  rimotissim(»  paese. 

Peritile  circa  il  mio  studio  alto  misterio 

Mi  faces.sc  i>lcrlin  nu-glio  palese: 

E  perchè  ebbi  vederti  desiderio, 

Poi  <:i  son  stata  oltre  il  disegno  un  mese; 

('Alò  JMerlin,  che  'I  ver  sempre  mi  predisse. 

Termine  al  venir  tuo  questo  dì  iissc. 


25] 


ORLANDO  FURIOSO     (IH.  13-28) 


[26] 


13.  Stassi  d'  Araon  la  shigottita  figlia, 
Tacita  e  fissa  al  ragionar  tìi  quej^ta, 
Ed  ha  si  pieno  il  cor  di  meravigìia. 

Che  non  sa,  s'  ella  dorme,  o  sella  è  desta; 
E  con  rimesse  e  vergognose  ciglia, 
Come  quella ,  che  tutta  era  modesta. 
Rispose:  Di  che  merito  son  io, 
Che  antiveggian  profeti  il  venir  mio  ? 

14.  E  lieta  dell'  insolita  avventura, 
Dietro  alla  maga  subito  fu  mo^Mi, 
Che  la  condusse  a  quella  sepoltura, 

Che  chiudea  di  Merlin  1'  anima  e  l'  ossa. 
Era  queir  arca  d'  una  pietra  dura. 
Lucida  e  tersa ,  e  come  fiamma  rossa. 
Tal  eh'  aUa  stanza ,  benché  di  sol  priva. 
Dava  splendore  il  lume ,  che  n'  usciva. 

15.  O  che  natura  sia  d'  alcuni  marmi. 
Clic  movan  V  ombre  a  guisa  di  facelle,. 
O  forza  pur  di  sufTumigj  e  carmi, 

E  segni  impressi  all'  osservate  stelle. 
Come  più  questo  verisimil  parmi; 
Discopria  lo  splendor  più  cose  belle 
E  di  scultura  e  di  color,  che  intorno 
Il  vcnerabil  loco  aveano  adorno. 

16.  Appena  ha  Bradamante  dalla  soglia 
Levato  il  piò  nella  secreta  cella, 

Che  '1  vivo  spirto  dalla  morta  spoglia 

Con  chiarissima  voce  le  favella  : 

Favorisca  fortuna  ogni  tua  voglia, 

O  casta  e  nobilissima  donzella. 

Del  cui  ventre  uscirà  il  setiie  fecondo. 

Che  onorar  deve  Italia,  e  tutto  il  mondo  * 

17.  L'  antico  sangue,  che  venne  da  Troja, 
Per  li  duo  miglior  rivi  in  te  commisto 
Produrrai'  ornamento,  il  fior,  la  gioja 

D'  ogni  lignaggio  ,  eh'  abbia  il  sol  mai  ^  i.=t(» 
Tra  r  Indo  e  '1  Tago ,  e  '1  IXiio  e  la  Danojir,. 
Ti-a  quanto  è  in  mezzo  Antartico  e  Calisto: 
^ella  itrogenie  tua  con  sonnni  onori 
Saran  marchesi,  duchi  e  imperatori. 

18.  I  capitani  e  i  cavalicr  robusti 

Quindi  usciran ,  che  col  ferro  e  col  senno 
Ricuperar  tutti  gli  onor  vetusti 
Dell'  arnie  invitte  alla  sua  IhiSia  denno. 
Quindi  terran  lo  sc(;ttro  i  signor  giusti, 
Clic,  come  il  savio  Augusto  e  INuiiia  fenno. 
Sotto  il  benigno  e  buon  governo  loro 
Ritorneran  la  prima  età  dell'  oro. 

19.  Aci'iò  dunque  il  voler  del  ciel  si  metta 
In  elTctto  per  te,  che  di  Kiiggiero 

T'  ha  per  moglìer  fin  da  principio  eletta, 
Segui  animosamente  il  tuo  s(;ntiero  ! 
Che  cosa  non  sarà ,  che  s'  intrometta, 
Da  poterti  turbar  quoto  pensiero. 
Sì  che  non  mandi  al  primo  assalto  in  terra 
Quel  rio  ladron  ,  eh'  ogni  tuo  1)en  ti  serra. 

20.  Tacque  Merlino,  avendo  co~i  detto, 
Ed  agio  all'  opre  della  maga  diede, 
Cir  a  itradamante  dimostrar  i'  aspetto 
Si  preparava  di  riascun  suo  erede. 
Avca  di  spirti  un  gran  numero  eletto, 
IVon  so,  ne  dall'  iiircrno  ,  o  da  (piai  sede, 
E  tutti  (|Nelli  in  un  luogo  rac<  ulti, 

Sotto  abiti  diversi,  e  varj  volti. 


21.  Poi  la  donzella  a  sé  ricliiama  in  chiesa, 
Là ,  dove  prima  avea  tirato  un  cerchio. 
Ole  la  potea  capir  tutta  distesa, 

Ed  avea  un  palmo  ancora  di  soverchio  : 
E  perchè  dagli  spirti  non  sia  oiTesa, 
Le  fa  d'  un  gran  pentacolo  copercliio, 
E  le  dice,  che  taccia,  e  stia  a  mirarla; 
Poi  scioglie  il  libro ,  e  co'  demonj  parla. 

22.  Eccovi  fuor  della  prima  spelonca, 

Cile  gente  intorno  al  sacro  cerchio  ingrossa,- 
Bla ,  come  vuole  enti-ar ,  la  via  1'  è  tronca, 
Come  lo  cinga  intorno  muro  o  fossa. 
In  quella  stanza ,  ove  la  bella  conca 
In  sé  chiudea  del  gran  profeta  F  ossa, 
Entravan  1'  ombre  ,  poich'  avean  tre  volte 
Fatto  d'  intorno  lor  debite  volte. 

23.  Se  i  nomi  e  i  gesti  di  ciascun  vo'  dirti, 
Dicea  r  incantatricc  a  Bradamante, 

Di  questi,  eh'  or  per  gì'  incantati  spirti. 
Prima  che  nati  sien  ,  ci  sono  avante. 
Non  so  veder  ,  quando  abbia  da  spedirti  : 
Che  non  basta  una  notte  a  cose  tante; 
Sì  eh'  io  te  ne    verrò  scegliendo  alcuno 
Secondo  il  tempo ,  e  che  sarà  opportuno. 


24 


25 


26. 


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28 


Vedi  quel  primo ,  che  ti  rassomiglia       ^ 
Ne'  bei  sembianti ,  e  nel  giocondo  aspetto .-' 
Capo  in  Italia  fia  di  tua  famiglia, 
Del  seme  di  Ruggiero  in  te  concetto. 
Veder  del  sangue  di  Fontier  vermigli.! 
Per  mano  di  costai  la  terra  a^'petto, 
E  vendicato  il  tradimento  e  il  torto 
Centra  quei,  che  gli  avranno  il  padre  morto. 

Per  opra  di  costui  sarà  disorto 
Il  re  de'  Longobardi  Desiderio. 
D'  Este  e  di  Calaón  per  questo  merto  _ 
Il  bel  domino  avrà  dal  sommo  imperio. 
Quel  che  gli  è  dietro,  è  il  tuo  niinjte  Vberto, 
Onor  dell'  arme ,  e  del  paese  esperio  : 
Per  costui  coritra  Barbari  difesa 
Più  d'  una  volta  Ca  la  santa  chiesa- 

Vedi  qui  Alberto ,  invitto  capitano. 
Che  ornerà  di  trofei  fanti  deluorì. 
Ugo  il  figlio  è  con  lui,  che  di  .Milano 
Farà  1'  acquisto,  e  spiegherà  i  colubri. 
Az'zo  è  queir  altro,  a  cui  resterà  In  mano, 
Dopo  il  fratello,  il  regno  degT  Insubri. 
Ecco  Albertazzo,  il  cui  savio  consiglio 
Torrà  d'  Italia  Beringiirio  e  il  figlio  ; 

E  sarà  degno ,  a  cui  Cesare  Ottone 
Alda,  sua  figlia,  in  matrimonio  aggmn?:». 
Veli  un  altro  l'go:  o  l)ella  Mic<e->>ione, 
Che  dal  patrio  valor  non  ?i  diiiinga! 
Co>tuisarà,  che  per  giu>ta  cagione 
Ai  superbi  Uiunan  V  orgoglio  emungn; 
Clic   1  terzo  Ottone  «•  il  pont<'fuc  tolga 
Delle  iii.in  loro ,  e  "1  grave  assedio  sciolga. 

Vedi  Folco,  che  par  che  al  suo  germ.uio 
Ciò  che  in  Italia  avea,  tutto  abbia  dato, 
E  vada  a  pos-eilere  indi  lontiino 
In  m«'7,zo  a;; li  Alatiianui  un  gr.in  ducato, 
E  dia  alla  casa  di  Sau^ogna  mano, 
Che  caduta  sarà  tutta  da  un  laio; 
!•;  per  la  linea  della  madre  creile 
Con  la  progenie  sua  la  terrà  in  piede. 


ORLANDO  FURIOSO     (III.  29-44.) 


[28] 


29.  Questo,  eh'   or  a  noi  viene,  è  il  secondo  Azzo, 
Di  cortesia  più  che  di  guerre  amico, 

Tra  due  figli ,  Bertoldo  ed  Albertazzo. 
Vinto  dall'  un  sarà  il  secondo  Enrico, 
E  del  sangue  tedesco  orribil  guazzo 
Parma  vedrà  per  tutto  il  campo  aprico; 
Dell'  altro  la  contessa  gloriosa, 
Saggia  e  casta  Matilde,  sarà  sposa. 

30.  Virtù  il  farà  di  tal  connubio  degno  : 
Ch'  a  quella  età  non  poca  laude  estimo, 
Quasi  di  mezza  Italia  in  dote  il  regno, 
E  la  nipote  aver  d'  Enrico  primo. 
Ecco  di  quel  Bertoldo  il  caro  pegno, 
Rinaldo  tuo  ,  eh'  avrà  1'  onore  opimo 
D'  aver  la  chiesa  dalle  man  riscossa 
Dell'  empio  Federico  Barbarossa. 

31.  Ecco  un'  altro  Azzo,  ed  è  quel,  che  Verona 
AwÀ  in  poter  col  suo  bel  tenitorio  ; 

E  sarà  detto  marchese  d'  Ancona 
Dal  quarto  Ottone ,  e  dal  secondo  Onorio. 
Lungo  sarà,  s'  io  mostro  ogni  persona 
Del  sangue  tuo  ,  eh'  avrà  del  concistorio 
Il  gonfiilone,  e  s'  io  narro  ogni  impresa 
Vinta  da  lor  per  la  romana  chiesa. 

32.  Obizzo  vedi  e  Folco  ,  altri  Azzi ,  altri  Ughi, 
Ambì  gli  p]nrichi ,  il  figlio  al  padre  accanto  ; 
Duo  Guelfi ,  de'  quai  1'  uno  Umbria  soggiughi, 
E  vesta  di  Spoletì  il  ducal  manto. 

Ecco  chi  '1  sangue  e  le  gran  piiighe  asciughi 
D'  Italia  afflitta ,  e  volga  in  riso  il  pianto  : 
Di  costui  parlo  (e  mostrolle  Azzo  quinto) 
Onde  Ezellin  fia  rotto,   preso  e  estinto. 

33.  Ezellino ,  immanìssimo  th-anno, 
Clie  fia  creduto  figlio  del  demonio, 
Farà  ,  troncando  i  sudditi ,  tal  danno, 
E  distruggendo  il  bel  paese  ausonio, 
Che  pietosi  appo  lui  stati  saranno 
Mario,  Siila,  Xeron,  Cajo  ed  Antonio. 
E  Federico  imperator  secondo 

Fia  per  quest'  Azzo  rotto ,  e  messo  al  fondo. 

34.  Terrà  costui  con  più  felice  scettro 
La  beila  terra,  clie  siede  sul  fiume. 
Dove  chiamò  con  lagrimoso  plettro 

Febo  il  figliuol ,  eh'  avca  mal  retto  il  lume, 
Quando  fu  pianto  il  fabuloso  elettro, 
E  Cigno  si  vestì  di  bianche  piume; 
E  questa  di  mille  o)d>lighi  mercede 
Gli  donerà  1'  apostolica  sede. 

35.  Dove  lascio  il  fratello  Aldobrandino, 
Che ,  per  dare  al  pontefice  soccorso 
Contra  Otton  quarto,  e  'I  campo  ghibellino. 
Che  sarà  presso  al  Campidoglio  corso, 

Ed  a^  rà  preso  ogni  loco  vicino, 
£  po.'-lo  agli  Umbri  ed  ai  Piceni  il  morso; 
^^;  potendo  prestargli  ajuto  senza 
Slolto  tesor,  ne  chiederà  a  Fiorenza? 

36.  E  non  avendo  gioja,  o  miglior  pegni, 
Per  sicurtà  darallc  il  frate  in  mano; 
Spiegherà  i  suoi  littorio»]  segni, 

E  romperà  l'  cstrcito  gerniauo  : 
In  beggi(t  riporrà  la  chiesa  ,  e  degni 
Darà  ^llp|lli(  j  ai  (nuli  di  Celano; 
Ed  al  scr\izio  del  sommo  paNtorc 
Finirà  gli  aiuii  buoi  nel  più  bel  fiore: 


37.  Ed  Azzo_  il  suo  fratel  lascierà  erede 
Del  dominio  d'  Ancona  e  di  Pisauro, 
D'  ogni  città,  che  da  Troento  siede. 
Tra  il  mare  e  1'  Apennin  sino  all'  Isauro. 
E  di  grandezza  d'  animo  e  di  fede 

E  di  virtù ,  miglior  che  gemme  ed  auro  : 
Che  dona  e  tolle  ogni  altro  ben  fortuna; 
Solo  in  vii'tù  non  ha  possanza  alcuna. 

38.  ì  edi  Rinaldo ,  in  cui  non  minor  raggio 
Splenderà  di  valor ,  purché  non  sia 

A  tanta  csaltazion  del  bel  lignaggio 
Morte,  o  fortuna,  invidiosa  e  ria.  — 
Udu-ne  il  duol  fin  qui  da  Napoli  aggio, 
Dove  del  padre  allor  statico  fia. 
Ora  Obizzo  ne  vien,  che  giovinetto 
Dopo  r  avo  sarà  principe  eletto. 

39.  Al  bel  dominio  accrescerà  costui 
Reggio  giocondo,  e  Modena  feroce. 
Tal  sarà  il  suo  valor  ,  che  signor  lui 
Domanderanno  i  popoli  a  una  voce. 

ì  edi  Azzo  sesto,  un  de'  figliuoli  sui, 
Gonfalonier  della  cristiana  croce: 
Avrà  il  ducato  d'  Andria  con  la  figlia 
Del  secondo  re  Cario  di  Siciglia. 

40.  A' edi  in  un  bello  ed  amichevol  groppo 
Delli  principi  illustri  1'  eccellenza, 
Obizzo,  Aldobrandin,  ÌNiccolò  Zoppo, 
Alberto,  d'  amor  pieno  e  di  clemenza. 

10  tacerò  ,  per  non  tenerti  troppo. 
Come  al  bel  regno  aggiungeran  Faenza, 

E  con  maggior  fermezza  Adria,  che  valse 
Da  sé  nomar  1'  indomite  acque  salse  ; 

41.  Come  la  terra ,  il  cui  produr  di  rose 
Le  die  piacevol  nome  in  greche  voci  ; 
E  la  città,  che  in  mezzo  alle  piscose 
Paludi  del  Pò  teme  ambe  le  foci. 
Dove  abitan  le  genti  disiose. 

Che  '1  mar  si  turbi ,  e  sieno  i  venti  atroci. 
Taccio  d'  Argenta ,  di  Lugo ,  e  di  mille 
Altre  castella  e   popolose  ville. 

42.  A  e'  Niccolò,  che  tenero  fanciullo 

11  popol  crea  signor  della  sua  terra, 
E  di  Tideo  fa  il  pensicr  v  ano  e  nullo, 
Che  contra  lui  le  civili  arme  aflerra. 
Sarà  di  questo  il  pueril  trastullo 

Sudar  nel  ferro,  e  travagliarsi  in  guerra; 
E  dallo  studio  del  tempo  primiero 
Il  fior  riuscirà  d'  ogni  guerriero. 

43.  Farà  de'  suoi  ribelli  uscire  a  voto 
Ogni  (li.^cgno,  e  lor  tornare  in  danno; 
Ed  ogni  stratagemma  avrà  si  noto, 
Che  sarà  duro  il  poter  fargli  inganno. 
Tardi  di  questo  s'  avvedrà  il  terzo  Oto , 
E  di  Reggio  e  di  Parma  aspro  tiranno. 
Che  da  costui  spogliato  a  un  tempo  fia 
E  del  dominio ,  e  della  vita  ria. 

44.  Avrà  il  bel  regno  poi  sempre  augumcnto, 

Senza  torcer  mai  pie  dal  canunin  dritto  ; 

Né  ad  alcun  farà  mai  più  nocumento. 

Da  cui  prima  non  sia  d   ingiima  afflitto: 

Ed  é  per  questo  il  gran  inotor  contento, 

Che  non  gli  sia  alcun  termine  prescritto. 

Ma  duri  prosperando  in  iift^glio  sempre, 

Finché  bi  volga  il  cicl  nelle  gue  tempre. 


ORLANDO  FURIOSO.     (HI.  45—60.) 


m 


45 


46. 


47. 


Vedi  Leonello ,  e  vedi  il  primo  duce, 
Fama  della  sua  età ,  1'  inclito  Berso, 
Che  siede  in  pace ,  e  più  trionfo  adduce 
Di  quanti  in  altrui  terre  abbiano  corso. 
Chiuderà  Marte,  ove  non  veggia  luce, 
E  stringerà  al  furor  le  mani  al  dorso. 
Di  questo  signor  splendido  ogni  intento 
Sarà,  che  '1  popol  suo  viva  contento. 

Ercole  or  vien ,  che  al  suo  vicin  rinfaccia, 
Col  pie  mezzo  arso ,  e  con  quei  debol  passi, 
Come ,  a  Budrio  col  petto  e  con  la  faccia 
Il  campo  volto  in  fuga  gli  fermassi  ; 
Non  perchè  in  premio  poi  guerra  gli  faccia, 
Né  per  cacciarlo  sin  nel  Barco  passi. 
Questo  è  il  signor ,  di  cui  non  so  esplicarme, 
Se  fia  maggior  la  gloria  o  in  pace ,  o  in  arme. 

Terran  Pugliesi ,  Calabri  e  Lucani 
De'  gesti  di  costui  lunga  memoria, 
Là ,  dove  avrà  dal  re  de'  Catalani 
Di  pugna  singoiar  ia  prima  gloria  ; 
E  nome  tra  gV  invitti  capitani 
Si  acquisterà  con  più  d'  una  vittoria; 
Avrà  per  sua  virtù  la  signoria 
Più  di  trenta  anni  a  lui  debita  pria. 


48< 


49 


E  quanto  più  avere  obbligo  si  possa 
A  principe ,  sua  terra  avrà  a  costui  ; 
Non  perchè  fia  delle  piìludi  mossa 
Tra  campi  fertilissimi  da  lui  ; 
Non  perchè  la  farà  con  muro  e  fossa 
Meglio  capace  a'  cittadini  sui, 
E  r  ornerà  di  templi  e  di  palagi, 
DI  piazze ,  di  teatri ,  e  di  mille  agi  : 

Non  perchè  dagli  artigli  dell'  audace 
Aligero  leon  terrà  difesa  ; 
Non  perchè ,  quando  la  gallica  face 
Per  tutto  avrà  la  bella  Italia  accesa, 
Si  starà  sola  col  suo  stato  in  pace, 
E  dal  timore  e  da'  tributi  illesa  : 
Non  sì  per  questi  ed  altri  benefity 
Saran  sue  genti  ad  Ercol  debitrici, 

50.  Quanto  che  darà  lor  1'  inclita  prole, 
n  giusto  Alfonso ,  e  Ippolito  benigno, 
Che  sariin ,  quai  1'  antica  fama  suole 
Narrar  de'  figli  del  tindareo  cigno, 
Cli'  alternamente  si  piivan  del  sole, 
Per  trar  1'  un  1'  altro  dell'  acr  maligno. 
Sarà  ciascuno  d'  essi  e  pronto  e  forte 
L'  altro  salvar  con  sua  perpetua  morte. 

51.  B  grande  amt)r  di  questa  bella  coppia 
Renderà  il  popol  suo  via  più  sicuro, 
Che  se  per  opra  di  Vulcan  ,  di  d(>|)pia 
Cinta  di  ferro  avesse  intorno  il  muro. 
Alfonso  è  quel,  che  col  sapere  a<;coppìa 
Si  la  bontà ,  che  al  secolo  futuro 

La  gente  crederà,  che  sia  dal  cielo 
Tornata  Astrea ,  dove  può  il  caldo  e  il  gelo. 

52.  A  grand'  uopo  gli  fia  I'  esser  prudente, 
E  di  vabtre  l'Lssiinigliarsi  al  padre: 

Che  sì  ritroverà  con  ]io(-a  gcwitc, 
Da  un  lato,  nw.r  U:  veneziane  squadro. 
Colei  dall'  altro  ,  clu;  più  giustamente 
Non  HO  ^  se  dovrà  dir  matrigna,  o  madre; 
Ma  se  pur  madre,  a  lui  poco  più  pia, 
Che  Medea  a  i  figli,  o  Progne  btulu  aia. 


53.  E  quante  volte  uscirà,  giorno  o  notte. 
Col  suo  popol  fedel  fuor  della  terra, 
Tante  sconfitte  e  memorabil  rotte 

Darà  a'  nemici ,  o  per  acqua ,  o  per  terra. 
Le  genti  dì  Komagna,  mal  condotte 
Contra  i  vicini ,  e  lor  già  amici  in  guerra, 
Se  n'  avvedranno  ,  insanguinando  il  suolo, 
Che  serra  il  Po  ,  Santerno  e  Zanniolo. 

54.  Ne'  medesmi  confini  anco  saprallo 
Del  gran  pastore  il  mercenario  Ispano, 
Che  gli  avrà  dopo  con  poco  intervallo 
La  Bastia  tolta  ,  e  morto  il  castellano, 
Quando  1'  av  rà  già  preso  ;  e  per  tal  fallo, 
Non  fia,  dal  minor  fante  al  capitano. 
Chi  del  racquisto  e  del  presìdio  ucciso 
A  Roma  riportar  possa  l'avviso. 

55.  Costui  sarà  col  senno  e  con  la  lancia, 
Ch'  avrà  1'  onor  nei  campi  di  Romagna, 
D'  aver  dato  all'  esercito  di  Francia 

La  gran  vittoria  contra  Giulio  e  Spagna. 
Nuoteranno  i  destrier  fin'  alla  pancia 
Nel  sangue  uman  per  tutta  la  campagna; 
Ch'  a  seppellire  il  popol  verrà  manco 
Tedesco ,  Greco  ,  Ispano ,  Italo ,  e  Franco. 

56.  Quel,  che  in  pontificale  abito  imprime 
Del  purpureo  cappel  la  sacra  chioma, 

E  il  liberal,  magnanimo,  sublime 
Gran  cardinal  della  chiesa  di  Roma, 
Ippolito,  eh'  a  prose,  a  versi,  a  rime 
Darà  materia  eterna  in  ogni  idioma  ; 
La  cui  fiorita  età  vuole  il  ciel  giusto. 
Ch'abbia  un  Maron,  cora'  un  altro  ebbe  Augusto. 

57.  Adornerà  la  sua  progenie  bella. 
Come  orna  il  sol  la  macchina  del  mondo, 
Molto  più  della  luna  e  d'  ogni  stella; 

Ch'  ogn'  altro  lume  a  lui  sempre  è  secondo. 
Costui  con  pochi  a  piedi ,  e  meno  in  sella, 
^  eggio  uscir  mesto ,  e  poi  tornar  giocondo  ; 
Che  quindici  galee  mena  cattive, 
Oltra  mill'  altri  legni ,  alle  sue  rive. 

58.  Vedi  poi  r  uno  e  1'  altro  Sigismondo, 
Vedi  d'  Alfonso  i  cinque  figli  cari. 
Alla  cui  fama  ostar,  che  di  sé  il  mondo 
Non  empia,  i  monti  non  potran,  uè  i  mari. 
Gener  del  re  di  Francia,  Ercol  secondo, 
ET  un;  quest'  altro,  acciò  tutti  gì'  impari, 
Ippolito  è,  che  n«)n  con  minor  raggio. 
Che    'l  zio  ,  risplenderà  nel  suo  lignaggio. 

59.  Francesco  il  terzo ,  Alfonsi  gli  altri  dui 
Ambi  son  detti.     Or ,  come  io  di?>^i  prinui, 
S'  ho  da  mostrarti  ogni  tuo  ramo ,  il  cui 
Valor  la  stirpe  sua  tanto  sublima, 
Bisognerà,  che  si  ri^clliari  e  abbui 

Più  volte  iirima  il  cicl ,  eh'  ii»  te  gli  esprima; 

E  sarà   tempo  ormai,  quando  ti  piaccia, 

Ch'  io  dia  licenza  all'  ombre,  e  di'  io  mi  taccia. 

60.  Co>i  con  volontà  della  donzella 
I/a  «lotta   inraiilalri<c  il  libro  chiuse. 
Tulli  gli   spirti  allora  ncllii  cella 
Sparirò  in  fretta,  o\v.  erau  1'  ossa  chiuse. 
Qui  Bradaiiianle,  poirbè  in  favella 

ÌM  fu  con^e^^u  usar,   la  bocca  scliiuse 
E   domandò:  Chi  son  li  due  si  tristi, 
Cile  tra  Ippolito  e  Alfonso  abbiamo  visti. ^ 


[31] 


ORLANDO  FURIOSO.     (III.  oi-tO) 


132] 


61.  Veniano  sospirando ,  e  gli  occlij  bassi 
Parean  tener ,  ci'  ogni  baldanza  privi  ; 
E  gir  loiitan  da  loro  io  vedea  i  passi 
Dei  frati ,  sì  che  ne  pareano  schifi.  _ 
Parve  eh'  a  tal  domanda  si  cangiassi 
La  maga  in  viso ,  e  fé'  degli  occlij  rii  i  ; 
E  grid()  :  Ah  sfortunati ,  a  quanta  pena 
Lunijo  instigar  d'  uomini  rei  vi  mena  ! 

62.  Oli  buona  prole,  oli  degna  d'  Ercol  buono, 
]Von  vinca  il  lor  fallir  vostra  boutade  ! 

Di  vostro  sangue  i  miseri  pur  sono: 
Qui  ceda  la  giustizia  alla  pietade! 
Indi  soggiunse  con  più  basso  suono: 
Dì  ciò  dirti  più  innanzi  non  accade. 
Statti  col  dolce  in  bocca ,  e  non  ti  doglia, 
Ch"  amareggiare  alfin  non  te  la  voglia  ! 

f>3.      Tosto  che  spunti  in  ciel  la  prima  luce, 
Piglierai  meco  la  più  dritta  via, 
Ch'  al  lucente  castel  d'  acciar  conduce, 
Dove  Iluggier  vive  in  altrui  balia. 
Io  tnnto  ti  sait)  compagna  e  duce, 
Che  tu  sia  fuor  dell'  a^pi•a  selva  ria. 
T'  insegnerà,  poiché  sarem  sul  mare, 
Sì  ben  la  via,  che  non  potresti  errare. 

64.  Quivi  r  audace  giovane  rimase 
Tutta  la  notte ,  e  gran  pezzo  ne  spese 
A  parlar  con  Merlin ,  che  le  sùi.se 
Rendersi  tosto  al  suo  Ruggier  cortese. 
Lasciò  dipoi  le  sotterranee  case, 

Che  di  nuovo  splendor  1'  aria  s'  accese, 
Per  un  cammin  gran  spazio  oscuro  e  cieco. 
Avendo  la  spirtal  femmina  seco  ; 

65.  E  riuscirò  in  un  burrone  ascoso 
Tra  monti  inaccessibili  alle  genti  ; 
E  tutto  '1  dì,  senza  pigliar  riposo, 
Saliron  balze ,  e  traversar  torrenti  : 
E  perchè  men  1'  andar  fosse  nojoso, 
Di  piacevoli  e  bei  ragionamenti, 

Di  quel ,  che  fu  più  a  conferir  soave, 

L'  aspro  caumiin  faccan  parer  men  grave  : 

Ufi.      De'  quali  era  però  la  maggior  parte, 
Ch'  a  Uradamante  vien  la  dotta  maga 
Mostrando,  con  clic  astuzia  e  con  qual'  arte 
Prcsccdcr  de' ,  se  di  Ruggiero  è  vaga. 
Se  tu  fossi,  dicea,  l'allade,  o  Marte, 
E  conducessi  gente  alla  tua  paga, 
Più  che  non  ha  il  re  Carlo  e  il  re  Agraraantc, 
Non  dureresti  contra  il  negromante: 

67.  Clu-,  oltre  che  d'  acciar  murata  eia 
La  rocca  inespugnabile  e  tant'  alla; 
Oltre  che  '1  suo  dcstrier  si  faccia  via 
Per  mezzo  l'  aria,  ove  galoppa  e  salta, 
Ila  lo  scudo  mortai,  che  come  pria 

Si  scopre,  il  suo  splendor  sì  gli  occhj  assalta, 
La  vista  toglie,  e  tanto  occupa  i  sensi. 
Clic  come  morto  rimaner  conviensi. 

68.  E  se  forse  ti  pensi,  che  ti  vaglia 
Combattvndo  tener  serrati  gli  occhj  ; 
(yome  potrai  saper  nella  battaglia, 
Quando  ti  >rlii\i,  o  1'  avversario  tocchi? 
Ma  per  luf^girc  il  liune,  eh'  altbarbaglia, 
E  "li  altri  incinti  di  colui  far  s(ioc,<:hi, 
'l'i  mo.-'trero  un  rimedio,  una  via  presta; 
.\è  altra  in  tutto  '1  mondo  è,  se  non  questa. 


69.  Il  re  Agramante  d'  Africa  un'  anello, 
Che  fu  rubato  in  India  a  una  regina, 
Ha  dato  a  un  suo  baron ,  detto  Rrunello, 
Che  poche  miglia  innanzi  ne  cammina  ; 
Di  tal  virtù,  che  cìii  nel  dito  ha  quello, 
Confra  il  mal  degl'  incanti  ha  medicina. 
Sa  di  furti  e  d'  inganni  Brunel,  quanto 
Colui ,  che  tìen  Ruggier ,  sappia  d'  incanto. 

70.  Questo  Brunel  sì  pratico  e  sì  astuto, 
Come  io  ti  dico,  è  dal  suo  re  mandato, 
Acciocché  col  suo  ingegno ,  e  con  1'  ajuto 
Di  questo  anello  in  tai  cose  provato, 

Di  quella  rocca ,  dove  è  ritenuto. 
Tragga  Ruggier:  che  così  s'  è  vantato. 
Ed  ha  così  jjromesso  al  suo  signore, 
A  cui  Ruggiero  è  più  d'  ogn'  altro  a  core. 

71.  7*Ia  perchè  il  tuo  Ruggiero  a  te  sol  abbia, 
E  non  al  re  Agramante,  ad  obbligarsi, 
Che  tratto  sia  dell'  incantata  gabbici, 

T'  insegnerò  il  rimedio ,  che  de'  usarsi. 
Tu  te  n'  andrai  tre  dì  lungo  la  sabbia 
Del  mar,  che  ormai  è  presso  a  dimostrarsi; 
Il  terzo  giorno  in  un  albergo  teco 
Arri^  era  costui ,  eh'  ha  1'  anel  seco. 

72.  La  sua  statura ,  acciò  tu  lo  conosca. 
Non  è  sci  palmi ,  ed  ha  il  capo  ricciuto. 
Le  chiome  ha  nere ,  ed  ha  la  pelle  fosca, 
Pallido  il  viso,  oltre  il  dover  barbuto, 
Gli  occhj  gonfiati,  e  guardatura  losca, 
Schiaci-iato  il  naso ,  e  nelle  ciglia  irsuto. 
L'  abito ,  acciocch'  io  lo  dipinga  intero, 
E  stretto  e  corto ,  e  sembra  di  corriere. 

73.  Con  esso  lui  t'  accaderà  soggetto 
Di  ragionar  di  quegl'  incanti  strani  : 
IMostra  d'  aver ,  come  tu  a^xai  in  effetto, 
Disio,  che  '1  mago  sia  teco  alle  mani! 
Ma  non  mostrar ,  che  ti  sia  stato  detto 

Di  quel  suo  anel ,  che  fa  gì'  incanti  vani  ! 
Egli  t'  offerirà  mostrar  la  via 
Fino  alla  rocca ,  e  farti  compagnia. 

74.  Tu  gli  va  dietro  ;  e  come  t'  avvicini 
A  questa  rocca,  si  eh'  ella  si  scopra, 
Dagli  la  m(ute;  né  pietà  t'  inchini, 

Che  tu  non  metta  il  mio  consiglio  in  opra  ! 
Né  far,  eh'  egli  il  pensier  tuo  s'  indovini, 
E  eh'  abbia  tempo,  che  1'  anel  lo  copra; 
Perchè  ti  sparirla  da  gli  occhj  tosto 
Ch'  in  bocca  il  sacro  anel  s'  avesse  posto. 

75.  Così  parlando ,  giunsero  sul  mare. 
Dove  presso  a  Rordea  mette  Garonna. 
Quivi,  luui  senza  alquanto  lagrimare. 
Si  dipartì  l'  una  dall'  altra  diurna. 

La  figliuola  d'  Amon,  che,  per  slegare 
Di   prigione  il  suo  amante,  non  assonna, 
Camminò  tanto ,  che  Acnnc  una  sera 
Ad  un  albergo,  ove  Rrunel  prim'  era. 

76.  Conosce  ella  Rrunel ,  come  lo  vede, 
Di  cui  la  forma  uvea  scolpita  in  mente. 
Onde  ne  \iene,  ove  ne  va,  gli  chiede; 
Quel  le  risponde,  e  d'  ogni  cosa  mente. 
La  donna,  già  iirc\ista  ,  non  gli  cede 
In  dir  menzogne,  e  simula  ugualmente 

E  patria,  e  stirpe,  e  sella,  e  nome,  e  sesso, 
E  gli  volta  alle  uian  più*  gli  occhj  (spesdo. 


[33] 


ORLANDO  FURIOSO.     (III.  77.  IV.  1  — io) 


77.      Gli  ra  gli  occhj  alle  man  spesso  voltando, 
In  dubbio  sempre  esser  da  lui  rubata  ; 
INè  lo  lascia  venir  troppo  accostando, 
Di  sua  condizion  bene  informata. 


Stavano  insieme  in  questa  guisa ,  quando 
L'  orecchia  da  un  roraor  lor  fu  intronata. 
Poi  vi  dirò,  Sij^nor,  che  ne  fu  causa, 
Ch'  a^TÒ  fatto  al  cantar  debita  pausa. 


[34] 


CANTO    QUARTO. 


ARGOMENTO. 

Libera  V  animosa  Bradamante 
Il  suo  Ruggiero  da  lei  tanto  amato  ^ 
E  quel  per  opra  poi  del  mago  Atlante 
Dair  alato  destriero  è  via  portato. 
Rinaldo,  che  d^  Angelica  era  amante. 
Da  Carlo  in  Inghilterra  vien  mandato, 
E  di  Ginevra  ode  Vaccusa  fella  ; 
Indi  salva  da  morte  una  donzella. 


1.  Quantunque  il  simular  sia  le  più  volte 
Ripreso,  e  dia  di  mala  mente  indicj, 

Si  trova  pure  in  molte  cose  e  molte 
Aver  fatti  elidenti  benclicj, 
E  danni,  e  biasmi,  e  morti  aver  già  tolte; 
Che  non  conversiam  sempre  con  gli  amici 
In  questa  assai  più  oscura ,  che  serena 
Vita  mortai,  tutta  d'  invidia  piena. 

2.  Se ,  dopo  lunga  prova ,  a  gran  fatica 
Trovar  si  può ,  chi  ti  sia  amico  vero, 
Ed  a  chi  senza  alcun  sospetto  dica, 

E  discoperto  mostri  il  tuo  pensiero; 
Che  de'  far  di  lluggicr  la  bella  amica 
Con  quel  lirunel ,  non  puro  e  non  sincero. 
Ma  tutto  simulato  e  tutto  fìnto, 
Come  la  maga  gliel'  avca  dipinto? 

8.     Simula  anch'  ella,  e  così  far  conviene 
Con  c.<so  lui,  di  fìn/ioni  padre;; 
E,  «'ouie  io  dissi,  spesso  ella  gli  tieno 
Gli   occlij  alle  man,  eh'  cran  rapaci  e  ladro. 
E(xo  all'  orecchie  un  gran   romor  lor  viene. 
Disse  la  donna:  O  gloriosa  madre! 
O  re  del  ciel!  che  cosa  sarà  questa  .-^ 
E  dove  era  il  romor,  si  trovò  presta. 

4.     E  vede  1'  oste,  e  tutta  la  famiglia, 
E  chi   a  finestre,  e  chi   fuor  nella  vin, 
'J'ener  ledati  al  <-iel  gli  oeclij  e  le  ciglia, 
Come  r  eelis...c ,  o   la  cometa  sia. 
Vede  la  donna  mi'  alta  maraviglia. 
Che  di  h-ggier  creduta  non  tiiu  ia  : 
Vede  paN>arc  un  gran  dotriero  alato, 
Che  porta  in  aria  un  cavaliere  armato. 


5.  Grandi  eran  1'  ale,  e  di  color  diverso, 
E  vi  sedea  nel  mezzo  un  cavaliero, 
Di  ferro  armato  luminoso  e  terso, 
E  ver  Ponente  avea  dritto  il  sentiero. 
Calossi,  e  fu  tra  le  montagne  immerso; 
E,  come  dicea  1'  oste,  e  dicea  il  vero, 
Queir  era  un  negromante,  e  facea  spesso 
Quel  varco ,  or  più  da  lungi ,  or  più  da   presso. 

6.  Volando  talor  s'  alza  nelle  stelle, 
E  poi  qua^i  talor  la  terra  rade; 
E  ne  porta  con  lui  tutte  le  belle 
Donne,  che  trova  per  quelle  contrade: 
Talmente ,  che  le  misere  donzelle, 
Ch'  abbiano ,  o  aver  si  credano  beltade, 
e  Come  affatto  costui  tutte  le  invole) 
Non  escon  fuor,  si  che  le  veggia  il  sole. 

7.  Egli  sul  Pireneo  tiene  un  castello. 
Narrava  1'  oste,  fatto  per  incanto, 
Tutto  d'  acciajo,  e  sì  lucente  e  bello, 
Ch'  altro  al  mondo  non  è  mirabil  tanto. 
Già  molti  cavalier  sono  iti  a  quello, 
E  nessun  del  ritorno   si  dà  vanto  ; 
Si  eh'  io  penso,  signore,  e  temo  forte, 
O   che  sian  presi ,  o  sian  condotti  a  morte. 

8.  La  donna  il  tutto  ascolta,  e  le  ne  giova 
Credendo  far,  come  farà  per  certo. 

Con  r  anello  mirabile  tal  prova, 

Che  ne  fìa  il  mago  e  il  suo  castel  diserto, 

E  dice  all'  oste:  Or  un  de'  tiu)ì  mi  trova, 

Che  più  di  me  sia  del  viaggio  o?perto  ! 

Ch'  io  non  posso  durar,  tanto  ho  il  cor  vago 

Di  far  battaglia  contro  a  questo  mago. 

9.  Non  ti  mancherà  guida,  le  rispose 
Rrunello  allora,  e  ìtv.  verrò  teco  io; 

IMeco  lio  la  strada  in  scritto ,  ed  altre  cose. 
Che  li  l'aran   jiiacere  il  venir  mio. 
V  <ille  dir  dell'  anel ,  ma  non  I'  espose, 
Né  chiarì  più,  per  non   pagarne  il  fio. 
Grato  mi  fia,  dis.ve  «Ila,  il  venir  tuo; 
Volendo  dir,  eh'  indi  1'  uoel  fìa  suo. 

10.      Quel  cir  era  utile  n  dir ,  disse  ;  o  quel  tacque., 
('Ite  nuocer  le  polca  col  Siiracino. 
A\ea  r  o>(e  «in  de^liicr,   eh'  a  costei  piacque, 
("h"  era  buon  da  Jialtaglia  e  da  cauunino  ; 
Compenditi,  e  parti^.^i,  come  nacque 
Del  bel  giorno  seguente  il   mallntiuo: 
Prc.M-  la  via  per  una  stretta  uille. 
Con  Urunellu  ora  innanzi ,  ora  alle  spalle. 

a 


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ORLANDO  FURIOSO.     (IV.  11  —  26) 


11.  Di    monte  in  monte,  e  d'  uno  in  altro  bosco, 
Giunsero ,  ore  1'  altezza  di  Pirene 

Può  dimostrar,  se  non  è  1'  aer  fosco, 

E  Francia,  e  Spagna,  e  due  diverse  arene; 

Come  Apennin  scopre  il  mar  schiaTO  e  il  tosco 

Dal  giogo ,  onde  a  Camaldoli  si  viene. 

Quindi  per  aspro  e  faticoso  calle 

Si  discendea  nella  profonda  valle. 

12.  Vi  sorge  in  mezzo  un  sasso,  che  la  cima 
D'  un  bel  muro  d'  acciar  tutta  si  fascia; 

E  quella  tanto  verso  il  ciel  sublima. 
Che,  quanto  ha  intorno,  inferior  si  lascia. 
Non  faccia,  chi  non  vola,  andarvi  stima; 
Che  spesa  indarno  vi  saria  ogni  ambascia. 
Brunel  disse:  Ecco  dove  prigionieri 
Il  mago  tien  le  donne  e  i  cavalieri! 

13.  Da  quattro  canti  era  tagliato,  e  tale. 
Che  parca  dritto  a  fil  della  sinopia. 

Da  nessun  lato  né  sentier,  né  scale 

V  eran,  che  di  salir  facesser  copia: 

E   bene  appar,  che  d'  animai,  eh'  abbia  ale, 

Sia  questa  stanza  nido  e  tana  propia. 

Quivi  la  donna  esser  conosce  1'  ora 

Di  tor  r  anello  e  far,  che  Brunel  mora. 

14.  3Ia  le  pare  atto  vile  a  insanguinarsi 

D'  un  uoni  senza  arme,  e  di  sì  ignobii  sorte; 

Che  ben  potrà  posseditrice  farsi 

Del  ricco  anello,  e  Ini  non  porre  a  morte. 

Brunel  non  avea  mente  a  riguardarsi; 

Si  eh'  ella  il  prese,  e  lo  legò  ben  forte 

Ad  un  abete,  eh'  alta  avea  la  cima; 

Ma  di  dito  1'  anel  gli  trasse  prima, 

15.  Né  per  lagrime ,  gemiti  e  lamenti. 
Che  facesse  Brunel,  lo  volse  sciorre. 
Smontò  della  montagna  a  passi  lenti. 
Tanto  che  fu  nel  pian  sotto  la  torre: 
E ,  perché  alla  battaglia  s'  appresenti 
Il  negromante,  al  corno  suo  ricorre; 
E  dopo  il  suon ,  con  minacciose  grida 

Lo  chiama  al  campo,  ed  alla  pugna  sfida. 

16.  Non  stette  molto  a  uscir  fuor  della  porta 
L'  incantator,  eh'  udì  il  suono  e  la  voce. 
L'  alato  corridor  per  1'  aria  il  porta 
Contra  costei ,  che  sembra  uomo  feroce. 
La  donna  da  principio  si  conforta. 

Che  vede,  che  colui  pocc»  le  nuoce; 
Non  porta  lancia,  nò  spada,  né  mazza, 
Cli'  a  forar  1'  abbia ,  o  romper  la  corazza. 

17.  Dalla  sinistra  sol  lo  sciulo  avea 
Tutto  coperto  di  seta  vermiglia; 
Nella  man  destra  un  lilno,  onde  facea 
Na.-<er,  leggendo,  l'  alta  maraviglia; 
Che  la  lancia  talor  correr  purea, 

E  fatto  avea  a  più  d'  un  lìattcr  le  ciglia: 
Talor  pania   ferir  «;on  mazza  o  stocco, 
E  lontiiiiii  era ,  e  non  avea  ab-un  tocco. 

18.  Non  é  fìnto  il  ilestrier,  ma  naturale, 
Ch*  luiii  giiiini'iita  generò  d'  un  grifo. 
Simile  al  padre  avea  la  piuma  e  i'  ale, 
Lì  piedi  iititi-n'iiri ,   il  «-apo  e  il  grifo; 
In  tutte  r  altre  ineinbra  parca  (piale 
Era  la  inaiire.   e  rliìnuia^i  Ippogrifo; 
Che  nei  monti   Kilci  v«Migon  ,    ma  nirì. 
Multo  di  Li  dagli  aggliiarciati  maru 


ffl 


19.      Quivi  per  forza  lo  tirò  d'  incanto  ; 
E  poiché  r  ebbe  ,  ad  altro  non  attese, 
E  con  studio  e  fatica  operò  tanto, 
Ch'  a  sella  e  briglia  il  cavalcò  in  un  mese; 
Così  che  in  terra ,  e  in  aria ,  e  in  ogni  canto 
Lo  facea  volteggiar  senza  contese. 
Non  finzicm  d'  incanto ,  come  il  resto, 
Ma  vero  e  natm-al  si  vedea  questo. 

20.  Del  mago  ogni  altra  cosa  era  figmento. 
Che  comparir  facea  per  rosso  il  giallo  ; 
Ma  con  la  donna  non  fu  di  momento, 
Che,  per  1'  anel,  non  può  a  edere  in  fallo. 
Più  colpi  tuttaA  ia  disserra  al  vento, 
E  quinci  e  quindi  spinge  il  suo  caA  allo,  j 
E  si  dibatte ,  e  si  travaglia  tutta,  j 
Com'  era,  innanzi  che  venisse,  instrutta: 

21.  E  poiché  esercitata  si  fu  alquanto 

Sopra  il   destricr ,  smontar  volse  anco  a  piede. 

Per  poter  meglio  al  fin  venir  di  quanto 

La  cauta  maga  instruzion  le  diede. 

Il  mago  vien  per  far  1'  estremo  incanto; 

Che  del  fatto  ripar  né  sa,  né  crede: 

Scopre  Io  scudo ,  e  certo  si  presume 

Farla  cader  con  l'  incantato  lume. 

22.  Potea  così  scoprirlo  al  primo  tratto. 
Senza  tenere  i  cavalieri  a  bada  : 

Ma  gli  piacea  veder  qualche  bel  tratto. 
Di  correr  1'  asta  ,  o  di  girar  la  spada  ; 
Come  si  vede,  eh'  all'  astuto  gatto 
Scherzar  col  topo  alcuna  volta  aggrada, 
E  poiché  quel  piacer  gli  viene  a  noja. 
Dargli  di  morso,  e  alfin  voler  che  moja. 

23.  Dico  che  '1  mago  al  gatto,  e  gli  altri  al  topo 
S'  assomigliar  nelle  battaglie  dianzi; 

Ma  non  s'  assomigliar  già  così,  dopo 
Che  con  l'  anel  si  fé'  la  donna  innanzi. 
Attenta  e  fissa  stava  a  quel  eh'  era  uopo, 
Acciocché  nulla  seco  il  mago  acanzi; 
E  come  vide,  che  lo  scudo  aperse. 
Chiuse  gli  occhj  ,  e  lasciò  quivi  caderse. 

24.  Non  che  il  fulgor  del  lucido  metallo. 
Come  soleva  agli  altri,  a  lei  nocesse; 
]Ma  così  fece ,  acciocché  dal  cavallo 
Contra  sé  il  vano  incantator  scendesse. 
Né  parte  andò  del  suo  disegno  in  fallo; 
Che  to.-to  eh'  ella  il  capo  in  terra  messe, 
Accelerando  il  volator  le  penne 

Con  larghe  ruote  in  terra  a  por  si  venne. 

25.  Lascia  all'  arcion  lo  scudo,  che  già  posto 
Avea    nella  coperta,  e  a  pie  discende 

Aerso  la  donna,  che,  come  riposto  ■ 

Lupo  alla  macchia,  il  capriolo  attende;  \ 

Senza  più  indugio  ella  si  leva,  tosto 

Che  r   ha  vicino,  e  ben  stretto  lo  prende. 

Avea  lasciato  quel  misero  in  terra 

Il  libro,  che  facea  tutta  la  guerra; 

26.  E  con  una  catena  no  correa. 
Che  solca  portar  cinta  a  simil  uso  ; 
Perchè  non  incu   legar  «olcì  credea. 
Che  per  addietro  altri  legare  era  uso. 
La  donna  in  terra  posto  già  1'  avea; 
St;  (|uel   non  si  dires<-,   io  Ikui  l'  cscuso; 
('bè  troppo  era  la  cosa  dilFerentc 
Tra  uu  debii  vecchio,  e  lei  tanto  possente. 


I 


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ORLANDO  FURIOSO.      (IV.  27—42) 


[38] 


-7.      Disegnando  levargli  ella  la  testa, 
Alza  la  man  vittoriosa  in  fretta; 
Ma  poiché  '1  viso  mira ,  il  colpo  arresta, 
Quasi  sdegnando  sì  bassJi  vendetta. 
Un  veneraliil  vecchio  in  faccia  mesta 
Vede  esser  quel ,  eh'  ella  ha  giunto  alla  stretta; 
Che  mostra  al  viso  crespo  e  al  pelo  bianco 
Età  di  settanta  anni ,  o  poco  manco. 

28.     Tommilavita,  giovane,  per  Dio! 
Dicea  il  vecchio  picn  d'  ira  e  di  dispetto. 
Ma  quella  a  torla  avea  sì  il  cor  restio. 
Come  quel  di  lasciarla  avria  diletto. 
La  donna  di  sapere  ebbe  disio, 
Chi  fosse  il  negromante,  ed  a  che  effetto 
Edificasse  in  quel  luogo  selvaggio 
La  rocca ,  e  faccia  a  tutto  il  mondo  oltraggio. 

~9.     Kè  per  maligna  intenzione  ,  ahi  lasso  ! 
Disse  piangendo  il  vecchio  incantatore. 
Feci  la  bella  rocca  in  cima  al  sasso, 
INè  per  avidità  son  rubatore  ; 
Ma  per  ritrar  sol  dall'  estremo  passo 
Un  cavalier  gentil ,  mi  mosse  amore, 
Che,  come  il  ciel  mi  mostra,  in  tempo  breve 
Morir  cristiano  a  tradimento  deve. 

30.     Non  vede  il  sol  tra  questo  e  il  polo  auetrioo, 
Un  giovane  sì  bello  e  sì  prestante; 
Ruggiero  ha  nctmc ,  il  qual  da  piccolino 
Da  me  nutrito  fu ,  eh'  io  sono  Atlimte. 
Disio  d'  onore,  e  suo  fiero  destino 
L'  lian  tratto  in  Francia  dietro  al  re  Agramante; 
Ed  io ,  che  I'  amai  sempre  più  che  figlio. 
Lo  cerco  trar  di  Francia  e  di  periglio. 

81.     La  bella  rocca  solo  edificai, 
Per  tenervi  Ruggier  sicuramente. 
Che  preso  fu  da  me ,  come  sperai 
Che  fossi  oggi  tu  preso  similmente; 
E  donne  e  c;a\alier,  che  tu  vedrai. 
Poi  ci  ho  ridotti ,  ed  altra  nobii  gente  ; 
Acciocché,  quando  a  vo,:j;lia  sua  non  esca. 
Avendo  compagnia,  inen  gli  rincretica. 

33.     Purch'  uscir  di  lassù  non  si  dimande, 
1)'  ogni  altro  gaudio  lor  cura  mi  tocca: 
Che,  quanto  averne  da  tutte  le  bande 
Si  può  del  mondo,  è  tutto  in  quella  rocca: 
Suoni,  canti,  vestir,  giuochi,  vivande. 
Quanto  può  cor  pensar ,  può  chieder  bocca. 
Ben  seminato  avea,  ben  cogliea  il  frutto; 
Ma  tu  l^ei  giunto  a  disturbarmi  il  tutto. 

83.      Deh  !  se  non  hai  del  viso  il  cor  men  bello, 
Non  impedire  il  mio  consiglio  onesto! 
Piglia  lo  s«;udo,  eh'  io  tei  dinio,  e  quello 
Destrier,  che  va  per  1'  aria  così  presto, 
E  non  t'  impacciar  oltra  n«'l  castelh»  ! 
O  tranne  uno,  o  du(;  amici,  e  lascia  il  resto! 
O  tranne  tutti  gli  altri ,  «;  più  non  clien». 
Se  non  che  tu  mi  la»ci  il  mi(»  Ruggiero. 


34. 


E  se  disposto  sei  volerinci  t<»rre, 
Deh!  prima  ahiu-n,  <:lie  tu  '1  rimeni  in  Francia, 
Piacciati  questa  afflitta  anima  sciorre 
Della  suii  Ncor/.a,  ormai  putrida  e  rancia! 
Ri^pohc  la  donzella:  Lui  vo'  jiorre 
In  libertà;  tu,  se  sai ,  gracchia  e  ciancio. 
Nò  mi  oHerir  di  dar  h»  scudo  in  dono, 
U  quel  detitrier  !  chù  mici ,  non  più  tuoi ,  Mtno. 


35.     Né ,  s'  anco  stesse  a  te  di  torre  e  darli. 
Mi  parrebbe ,  che  '1  cambio  convenisse. 
Tu  di',  che  Ruggier  tieni,  ]ìer  vietarli 
il  malo  influsso  di  sue  stelle  fisse. 
O  che  non  puoi  s.iperlo,  o  non  schivarli, 
Sappiendol ,  ciò  che  '1  ciel  di  lui  prescrisse. 
Ma  se  '1  mal  tuo ,  eh'  hai  sì  vicin ,  non  vedi 
Peggio  r  altrui ,  eh'  ha  da  venir ,  prevedL 

36.  Non  pregar ,  eh'  io  t'  uccida  !  che  i  tuoi  prieghi 
Sariano  indarno  ;  e ,  se  pur  i  uoi  la  morte, 
Ancorché  tutto  il  mondo  darla  nieghi. 

Da  sé  la  può  a^er  sempre  animo  forte: 
Ma  ,  priaehé  l'  alma  dalla  carne  sleghi, 
A  tutti  i  tuoi  prigioni  apri  le  porte  ! 
Così  dice  la  donna,  e  tuttavia 
U  mago  preso  incontra  al  sasso  inila. 

37.  Legato  della  sua  propria  catena 

N'  andava  Atlante  ,  e  la  donzella  appresso  : 
Che  così  ancor  se  ne  fidava  appena, 
Benché  in  vista  parca  tutto  rimesso. 
Non  molti  passi  dietro  se  lo  mena, 
Ch'  a  pie  del  monte  han  ritrovato  il  fesso, 
E  gli  scaglioni ,  onde  si  monta  in  giro, 
Finché  alla  porta  dei  castel  salirò. 

38.  Di  sulla  soglia  Atlante  un  sasso  tolle 
Di  caratteri  e  strani  segni  sculto. 
Sotto  vasi  vi  son ,  che  chiamano  olle, 

Che  fuman  sempre,  e  dentro  han  foco  occulto: 
L'  incantator  le  spezza,  e  a  un  tratto  il  colle 
Riman  deserto  ,  inospite,  ed  inculto; 
Né  muro  appar ,  né  torre  in  alcun  lato, 
Come  ce  mai  castel  non  vi  sia  stato. 

39.  SI)rigossi  dalla  donna  il  mago  allora, 
Come  fa  spesso  il  tordo  dalla  ragna; 

E  con  lui  sparve  il  suo  castello  a  un'  ora, 

E  lasciò  in  libertà  quella  compagna. 

Le  donne  e  i  cavalier  si  trovar  fuora 

Delle  superl)e  stanze  alla  campagna; 

E  furon  di  lor  molti  a  chi  ne  dolse; 

Cile  tal  franchezza  un  gran  piacer  lor  tolse. 

40.  Quivi  é  Gradasso,  quivi  è  Sacripante, 
Quivi  é  Prasildo  ,  il  nobil  cavaliero, 
Che  con  Rinaldo  venne  di  Levante, 

E  seco  Iroldo ,  il  par  d'  amici  vero. 
Alfin  trovò  la  bella  Itradamantc 
Quivi  il  desiderato  suo  Ruggiero, 
Che ,  poiché  n'  ebbe  (;crta  conoscenza, 
Le  fé'  buona  e  gratissima  accoglienzii, 

41.  Come  a  colei ,  che  più  che  gli  occlij  .sui, 
Più  »he  '1  suo  cor,  più  che  la  propria  vita, 
Ruggiero  amò  dal  tiì ,  eh'  essa  jitr  Ini 

Si  trassi;  1'  elmo ,  on«lc  ne  In  Iciila. 
Lungo  sarebbe  a  dir  come,  e  da  cui, 
E  quanto  nella  selva  a>|)ra  e  roiuita 
Si  cer«:àr  poi  la  noti*;,  e  il  giorno  chiaro, 
Né,  se  non  qui,  mai  '^iù  si  ritruvaro. 

42.,    Or,  che  quivi  la  vede  e  sa  lien,  di'  ella 

È  ^tata  sola  la  sua  redentrice. 

Di   tanto  gaudio  ha  pieno  il  cor,  che  appella 

Sé  fiirtunalo  ed  unici»  rdii-e. 

S('c>cro  il  uKinlc,  e  disiuontaro  in  quella 

>ali<'.  <)«<■  fu  la  doini.i  vincitrice, 

E  «love  l"  Ippogiifo  trovaro  anco, 

Cir  uvea  lo  scudo,  ma  coperto,  al  fianco. 

3  * 


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ORLANDO  FURIOSO.     (IV.  43-58) 


[40] 


43.  La  donna  va  per  prenderlo  nel  freno, 
E  quel  r  aspetta  finché  se  gli  accosta; 
Poi  spiega  r  ale  per  1'  aer  sereno, 
E  si  rlpon  non  lungi  a  mezza  costa. 
Ella  lo  segue,  e  quel  né  più  né  meno 
Si  leva  ia  aria,  e  non  troppo  si  scosta; 
Come  fa  la  cornacchia  in  secca  arena, 
Che  dietro  il  cane  or  qua  or  là  si  mena. 

44.  Rug-gier  ,  Gradasso ,  Sacripante  ,  e  tutti 
Quei  cavaller,  che  scesi  erano  insieme, 
Chi  di   sii,  chi  di  giù  si  son  ridutti, 
Dove,  clie  torni  il  volatore,  han  speme. 
Quel,  poiché  gli  altri  invano  ebbe  condutti 
Più  volte ,  e  sopra  le  cime  supreme, 

E  negli  umidi  fondi  tra  quei  sassi. 
Presso  a  Ruggiero  alfin  ritenne  i  passi. 

45.  E  questa  opera  fu  del  vecchio  Atlante, 
Di  cui  non  cessa  la  pietosa  voglia 

Di  trar  Ruggier  del  gran  periglio  instante  : 
Di  ciò  sol  pensa,  e  di  ciò  solo  ha  doglia. 
Però  gli  manda  or  l'  Ippogrifo  avantc, 
Perché  d'  Europa  con  questa  arte  il  toglia. 
Ruggier  lo  piglia ,  e  seco  pensa  trarlo  ; 
Ma  quel  s'  arretra,  e  non  vuol  seguitarlo. 

46.  Or  di  Frontin  queir  animoso  smonta, 
(Frontino  era  nomato  il  suo  destriero^ 

È  sopra  quel,  che  va  per  1'  aria,  nionta, 
E  con  gli  spron  gli  attizza  il  core  altiero. 
Quel  corre  alquanto,  ed  indi  i  piedi  ponta, 
E  sale  inverso  il  ciel,  vìa  più  leggiero 
Che  'l  girifalco ,  a  cui  leva  il  cappello 
Il  mastro  a  tempo,  e  fa  veder  V  augello. 

47.  La  bella  donna ,  che  sì  in  alto  vede, 
E  con  tanto  periglio ,  il  suo  Ruggiero, 
Resta  attonita  in  modo,  che  non  riede 
Per  lungo  spazio  al  sentimento  vero. 
Ciò,  ciie  già  inteso  avea  di  Ganimede, 
Cii'  al  del  fu  assunto  dal  paterno  impero. 
Dubita  assai  che  non  accada  a  quello 
Non  men  gentil  di  Ganimede,  e  bello. 

48.  Con  gli  occhj  fissi  al  cicl  lo  segue,  quanto 
Basta  il  veder;  ma,  poiché  si  dilegua, 

Sì  che  la  vista  non  può  correr  tanto. 
Lascia  clic  sempre  1'  animo  lo  segua. 
Tuttavia  con  sospir,  gemito  e  pianto 
Non  ha,  né  vuole  aver  pace,  né  tregua. 
Poiché  Ruggier  di  vista  se  le  tolse. 
Al  buon  destricr  Frontin  gli  occhj  lùvolse, 

49.  E  sì  dcli!)crò  di  non  lasciarlo. 

Che  fosse  in  preda  a  chi  venisse  prima, 

IMa  di  condurlo  seco,  e  dipoi  darlo 

Al  suo  signor,  eh'  anco  veder  pur  stima. 

Poggia  r  augel,  né  può  Ruggier  frenarlo: 

Di  sotto  rimaner  vede  ogni  cima, 

Va\  abbassarci  in  guisa,  «he  non  scorge, 

Dove  é  piano  il  terren,  né  dove  sorge. 

50.     Pollile  sì  ad  alto  vien ,  eh'  un  pi(;ciol  punto 
Lo  può  stimar  chi  dalla  terra  il  mira, 
Prcniie  la  via  ver.'-o  o\e  <'ade  appunto 
11  Sol,  quando  col  granchio  si  raggira, 
E  p«"r  r  aria  ne  va,  come  legno  unto, 
A   cui  nel  mar  propizio  vento  spira. 
Lasciamlo  andar,  «In;  farà  buon  cammino! 
E  torniamo  a  Rinaldo  paladino! 


51.  Rinaldo  1'  altro  ,  e  1'  altro  giorno  scorse. 
Spinto  dal  vento,  un  gran  spazio  di  mare. 
Quando  a  Ponente,  e  quando  contra  V   Orse, 
Che  notte  e  dì  non  cessa  mai  solflare. 
Sopra  la  Scozia  ultimamente  sorse, 

Dove  la  selva  calidonia  appare, 

Che  spesso  fra  gli  antichi  ombrosi  corri 

S'  ode  sonar  di  bellicosi  ferri. 

52.  Vanno  per  quella  i  cavalieri  erranti 
Incliti  in  arme  di  tutta  Bretagna, 

E  de'  prossimi  luoghi ,  e  de'  distanti. 
Di  Francia,  di  Norvegia  e  di  Lamagna. 
Chi  non  ha  gran  valor,  non  vada  innanti! 
Che  dove  cerca  onor  ,  morte  guadagna. 
Gran  cose  in  essa  già  fece  Tristano, 
Lancilotto ,  Galasso ,  Artù  e  Galvano, 

53.  Ed  altri  cav  alieri ,  e  della  nova 
E  della  vecchia  Tavola  famosi. 
Restano  ancor  di  più  d'  una  lor  prova 
Li  monumenti  e  li  trofei  pomposi. 

L'  arme  Rinaldo ,  e  il  suo  Bajardo  trova, 
E  tosto  si  fa  por  ne'  liti  ombrosi, 
Ed  al  nocchier  comanda  che  si  spicche, 
E  lo  vada  aspettare  a  Beroicche. 

54.  Senza  scudiero  e  senza  compagnia 

Va  il  cavalier  per  quella  selva  immensa. 
Facendo  or  una ,  ed  or  un'  altra  via, 
Dove  più  aver  strane  avventure  pensa. 
Capitò  il  primo  giorno  a  una  badia. 
Che  buona  parte  del  suo  aver  dispensa 
In  onorar  nel  suo  cenobio  adorno 
Le  donne  e  i  cavalier ,  che  vanno  attorno. 

55.  Bella  accoglienza  i  monachi  e  1'  abbate 
Fero  a  Rinaldo,  il  qual  domandò  loro, 
(Non  prima  già,  che  con  vivande  grate 
Avesse  avuto  il  ventre  ampio  ristoro) 
Come  dai  cavalier  sien  ritrovate 

Spesso  avventure  per  quel  tenitoro. 

Dove  si  possa  in  qualche  fatto  egregio 

L'  uora  dimostrar ,  se  merta  biasmo ,  o  pi'«gio. 

56.  Risposergli,  che  errando  in  quelli  boschi 
Trovar  potila  strane  avventure  e  molte: 
Ma  come  i  luoghi,  i  fatti  ancor  son  foschi; 
Che  non  se  n'  ha  notizia  le  più  volte. 
Cerca ,  dlceano  ,  andar  ,  dove  conoscili, 
Che  r  opre  tue  non  restino  sepolte  ! 
Perché  dietro  al  periglio  e  alla  fatica 
Segua  la  fama,  e  il  debito  ne  dica. 

57.  E  se  del  tuo  valor  cerchi  far  prova, 
T'  é  preparata  la  più  degna  impresa, 
Che  nella  antica  etade,  o  nella  nova 
Giammai  da  cavalier  sia  stata  presa. 
La  figlia  del  re  nostro  or  si  ritrova 
Bisognosa  d'  ajuto  e  di  difesa 

('(Ultra  un  baron ,  che  Lurcanio  si  chiama, 
Che  torle  cerca  e  la  vita  e  la  fama. 

58.  Questo  Lurcanio  al  iiailrt;  l'  ha  accusata 
(Forse  per  odio  più ,  cIh;  per  ragione^ 
Àverbi ,  a  mezzanotte,  ritrovata 
'i'rarre  un  suo  amante  a  sé  sopra  un  verone. 
Per  le  h'ggi  del  regno  condannata 
Al  foco  ha  ,  se  non  trova  campione, 
Che  fra  un  mese,  oggimai  iiresso  a  finirò, 
L'  iniquo  accusalur  faccia  mentire. 


41] 


ORLANDO  FURIOSO.     (IV.  59— «) 


[42] 


59.  L'  aspra  legge  di  Scozia,  empia  e  severa 
A  uol,  eh'  ogni  donna,  e  di  ciascuna  sorte. 
Cli'  ad  uom  si  giunga,  e  non  gli  sia  mogliera, 
Se  accusata  ne  viene,  abbia  la  morte. 

>.è  riparar  sì  può ,  eh'  ella  non  pera, 
Quando  per  lei  non  venga  un  guerrier  forte, 
Che  tolga  la  difesa,  e  che  sostegna, 
Che  sia  innocente ,  e  di  morire  indegna. 

60.  Il  re  dolente  per  Ginevra  bella, 
(Che  così  nominata  è  la  sua  figlia) 
Ha  pubblicato  per  città  e  castella. 
Che,  s'  alcun  la  difesa  di  lei  piglia, 
E  che  r  estingua  la  calunnia  fella, 
(Purché  sia  nato  di  noliil  famiglia) 

L'  avrà  per  moglie,  ed  uno  stato,  quale 
Fia  convenevol  dote  a  donna  tale. 

GÌ.      3Ia  se  fra  un  mese  alcun  per  lei  non  viene, 
0  venendo  non  vince,  sarà  uccisa. 
Simile  impresa  meglio  ti  conviene. 
Che  andar  pei  bosciiì  errando  a  questa  guisa. 
Oltre  che  onor  e  fama  te  n'  avviene. 
Che  in  eterno  da  te  non  fsa  divisa, 
Guadagni  il  fior  eli  quante  belle  donne 
Dall'  Indo  sono  all'  atlantee  colonne  ; 

62.  E  una  ricchezza  appresso,  ed  uno  stato, 
Che  sempre  far  ti  può  viver  contento; 

E  la  grazia  del  re,  se  suscitato 

Per  te  gli  fia  il  suo  onor,  eh'  è  quasi  spento. 

Poi  per  cavalleria  tu  se'  obbligalo 

A  vendicar  di  tanto  tradimento 

Costei,  che.  per  comune  opinione, 

Di  vera  pudicizia  è  un  paragone. 

63.  Pensò  Rinaldo  alquanto,  e  poi  rispose: 
Una  donzella  dunque  de'  morire, 
Penile  lascid  sfogar  nelle  amorose 

Sue  braccia  al  suo  amator  tanto  dc:»ire  ? 
Sia  maladelto  chi  tal  legge  pose, 
E  maladctto  chi  la  può  patire! 
Debitamente  muore  una  crudele, 
\on  chi  dà  vita  al  suo  asnator  fedele. 

64.  Sia  vero,  o  falso,  che  Ginevra  tolto 

S'  abbia  il  sut»  amante,  io  non  riguardo  a  questo. 

D'  averlo  fatto  la  loderei  molto, 

Quando  non  fosse  stato  manifesto. 

Ho  in  sua  difesa  ogni  pen>ier  rivolto. 

Datemi  pure  un  che  mi  guidi  presto, 

E,  dove  sia  1'  accusator,  mi  mene! 

Ch'  io  spero  in  Dio  Ginc%ra  trar  di  pene. 

65.  \ou  vo'  già  dir,  eh'  ella  non  I'  abbia  fatto  ; 
Che,  noi  sapendo,  il  falso  dir  potrei  : 
Dirò  ben,  che  non  de',  per  simil  atto, 
Pnni/.ion  cadere;  alcuna  in  lei  ; 
E  dirò,  che  fu  ingiu.^to,  o  <;he  fu  matto, 
Chi  fece  prima  gli  statuti  rei  ; 
E,  come  ini(|ui,   rivocar  si  denno, 
E  nuova  legge  far  con  miglior  senno. 


66.  S'  un  medesimo  ardor,  s'  un  desir  pare 
Inchina  e  sforza  1'  uno  e  1'  altro  sesso 

A  quel  soave  fin  d'  amor,  che  pare 
All'  ignorante  vulgo  un  grave  eccesso. 
Perchè  sì  de'  punir  donna,  o  biasmare, 
Clie  con  uno,  o  più  d'uno  abbia  conunesso 
Quel,  che  1'  uom  fa  con  quante  n'  ha  appetito, 
E  lodato  ne  va,  non  che  impunito  ? 

67.  Son  fatti  in  questa  legge  disuguale 
Veramente  alle  donne  espressi  torti  ; 

E  spero  in  Dio  mostrar,  eh'  egli  è  gran  male, 

Che  tanto  lungamente  si  comporti. 

Rinaldo  ebbe  il  consenso  universale, 

Che  fur  gli  antichi  ingiusti  e  male  accorti, 

Che  consentirò  a  cosi  iniqua  legge  ; 

E  mal  fa  il  re,  che  può,  né  la  corregge. 

68.  Poiché  la  luce  candida  e  vermiglia 
Dell'  altro  giorno  aperse  1'  eraispero, 
Rinaldo  1'  arme  e  il  suo  Bajardo  piglia, 
E  di  quella  badia  tolle  un  scudiero, 

Che  con  lui  viene  a  molte  leghe  e  miglia, 
Sempre  nel  bosco  orribilmente  fiero. 
Verso  la  terra,  ove  la  lite  nova 
Della  donzella  de'  venire  in  prova. 

69.  Avean,  cercando  abbreviar  cammino. 
Lasciato  pel  sentier  la  maggior  via, 
Quando  un  gran  pianto  udir  sonar  vicLio, 
Che  la  foresta  d'  ogni  intorno  empia. 
Bajardo  spinse  lun,  1'  altro  il  ronzino 
Verso  una  valle,  onde  quel  grido  uscia; 
E  fra  due  mascalzoni  una  donzella 
Vider,  che  di  lontan  parca  assai  bella, 

IO.      Ma  lagrimosa  e  addolorata,  quanto 
Donna,  o  donzella,  o  mai  persona  fosse. 
Le  sono  due  col  ferro  nudo  accanto. 
Per  farle  far  1'  erbe  di  sangue  rosse. 
Ella  con  prieghi  dill'erendo  alquanto 
GÌAa  il  morir,  sinché  pietà  si  mosse. 
Venne  Rinaldo;  e  come  se  n'  accorse. 
Con  alti  gridi  e  con  minacce  accor^e. 

71 .      \  oltaro  i  malandrin  tosto  le  spalle, 
Cile  "1  soccorso  lontan  vidcr  ^enire, 
E  s'  appiattar  nella  profonda  valle. 
Il  paladin  non  li  cui-ò  seguire. 
Venne  alla  donna,  e,  qual  gran  colpa  dalle 
Tanta  ptinizion,  cena  d'  udire; 
E,  per  tcnipo  avanzar,  fa  allo  scudiero 
Lcvai-la  in  groppa,  e  torna  al  suo  sentiero. 

12.      E  cavalcando  poi  meglio  la  guata 
Molto  esser  bella,  e  di  maniere  accorte, 
Ancorché  fosse  tutta  >pa\entata 
Per  la  paura,  vìi'  ebbe  della  morto, 
l'oidi'  ella  fu  di  nuo\o  iloniamlata, 
(Ili  r  aAca  tratta  a  >i  inrclicc  sorte, 
liicoininciò  con  umil  xocc  a  dire 
Quel ,  eh'  io  vo'  all'  altro  canto  differire. 


[43] 


ORLANDO  FURIOSO.     (V.  1-12Ì 


[**] 


CANTO      QUINTO. 


ARGOMENTO. 

Lurcanio  stima  che  H  fratel  sia  morto 

Per  Vamor,  che  a  Ginevra  esso  portava  ; 

E  lei  d'impudicizia  accusa  a  torto 

Al  re,  che  molto  la  figliuola  amava. 

Ma  a  tempo  le  ha  Rinaldo  ajiito  porto. 

Che  intese  chiaro,  come  il  ver  si  stava. 

Va  nella  terra,  e  uccide  Polinesso; 

QueUohalsuo  error,  priachè  si  muoja,  espresso. 


1.  Tutti  gli  altri  animai,  che  eono  in  terra, 
O  che  \ivon  quieti,  e  stanno  in  pace, 

O,  se  vengono  a  rissa  e  si  fan  guerra. 
Alla  femmina  il  maschio  non  la  face. 
L'  orsa  con  1'  orso  al  bosco  sicura  erra. 
La  leonessa  appresso  il  leon  giace, 
Col  lupo  vive  la  lupa  sicura, 
Né  la  giovenca  lia  del  torel  paura. 

2.  Ch'  al)l)ominevol  peste,  che  Megera 
Evenuta  a  turbargli  umani  petti? 
Che  si  sente  il  marito  e  la  mogliera 
Sempre  garrir  d'  ingiuriosi  detti, 
Stracciar  la  faccia,  e  far  livida  e  nera, 
Bagnar  di  |)ianto  i  geniali  letti, 

E  non  di  pianto  sol,  ma  alcuna  volta 
Di  sangue  gli  ha  bagnati  1'  ira  stolta. 

3.  Parmi  non  sol  gran  mal,  ma  che  1'  nora  faccia 
Cuiitra  natura,  e  Aa  di  Dio  ribello, 

Che  s'  induce  a  percuotere  la  faccia 
Di  bella  donna,  o  romperle  un  capello. 
Ma  «hi  1(!  dà  vencMio,  o  chi  le  cactùa 
L'  alma  dal  corpo  con  laccio,  o  coltello, 
Ch'  uonm  sia  quel,  non  crederò  in  eterno, 
Ma  in  vista  umana  un  spirto  dell'  inferno. 

4.  Cotali  esser  doveano  i  due  ladroni, 
Che  Uinaldo  cacciò  dalla  donzella 

Da  lor  condotta  in  quei  scuri  valloni, 
l'erchc  n(Ui  se  n'  udisse  più  novella. 
Io  lasciai,  cir  ella  render  le  cagioni 
S'  apparecchiava  di  .>-ua  sorte  fella 
Al  paladin,  che  le  fu  buono  amico; 
Or  ^egucndo  i'  istoria,  così  dico. 

5.  La  donna  incominciò  :  Tu  intenderai 
La  maggior  crudcltade,  e  la  più  espressa. 
Clic  in  Tebe,  o  in  Argo,  o  clic  in  Micene  mai, 
O  in  ludico  |>iù  crucici  fosse  commessa. 

E,   p'C  rolainld  il  sole  i  chiarì  cai, 
Qui  Mu:n  eh"  all'  altre  region  s'  appressa, 
(Jredo,   eh'  a  noi  mal  volentieri  arrivi, 
Fcrcliù  veder  bì  crudcl  gente  bchivi. 


6.  Ch'  agli  nemici  gli  nomini  sien  crudi. 
In  ogni  età  se  n'  è  veduto  esempio  ; 
Ma  dar  la  morte  a  chi  procuri  e  siudj 

Il  tuo  ben  sempre,  è  troppo  ingiusto  ed  empio. 
E  acciocché  meglio  il  vero  io  ti  denudi. 
Perchè  costor  volesser  fare  scempio 
Degli  anni  verdi  miei  centra  ragione, 
Ti  dirò  da  principio  ogni  cagione. 

7.  Voglio  che  sappi,  signor  mio,  eh'  essendo 
Tenera  ancora,  alli  servigi  venni 

Della  figlia  del  re,  con  cui  crescendo 
Buon  luogo  in  corte,  ed  onorato  tenni. 
Crudele  Amore,   al  mio  stato  invidendo. 
Fé'  che  seguace  (ahi  lassa  !)  gli  divenni  : 
Fé'  d'  ogni  cavalier,  d'  ogni  donzello 
Parermi  il  duca  d'  Albania  più  bello. 

8.  Perchè  egli  mostrò  amarmi  più  che  molto, 
Io  ad  amar  lui  con  tutto  il  cor  mi  mossL 
Ben  s'  ode  il  ragionar,  si  vede  il  volto  ; 

Ma  dentro  il  petto  mal  giudicar  puossi. 
Credendo,  amando,  non  cessai,  che  tolto 
L'  ebbi  nel  letto ,  e  non  guardai  ch   io  fossi 
Di  tutte  le  real  camere  in  quella. 
Che  più  secreta  avea  Ginevra  bella  ; 

9.  Dove  tenea  le  sue  cose  più  care, 
E  dove  le  più  volte  ella  dormia. 

Si  può  di  quella  in  su  un  verone  entrare, 
Che  fuor  del  muro  al  discoperto  uscia  : 
Io  facea  il  mio  amator  quivi  montare, 
E  la  scala  di  corde,  onde  salia, 

10  stessa  dal  veron  giù  gli  mandai, 
Qualvolta  meco  averlo  desiai. 

10.  Che  tante  volte  ve  lo  fei  venire, 
Quante  Ginevra  me  ne  diede  1'  agio. 
Che  solca  mutar  letto,  or  per  fuggire 

11  tempo  ardente,  ora  il  brumai  malvagio. 
]Von  fu  veduto  d'  alcun  mai  salire. 
Perocché  quella  parte  del  palagio 
Risponde  verso  alcune  case  rotte. 

Dove  nessun  mai  passa  o  giorno,  o  notte. 

11.  Continuò  per  molti  giorni  e  mesi 
Tra  noi  secreto  l'  anuu-oso  giom. 
Scmiire  crebbe  l'  amore,  e  sì  iii    accesi, 
Che  tutta  dentro  io  mi  sentia  di  foco: 

E  cieca  ne  fui  sì,  eh'  io  non  «-ompresi, 
Cli'  egli  finge; a  molto  e  amava  poco, 
Ancorché  li  suo'  inganni  discoperti 
Esser  doveanmi  a  mille  segni  <;erti. 

12.  Dopo  alcun  di  si  mostrò  nuovo  amante 
Della  bella  (àinevra.    lo  non  >o  appunto, 
S'  allora  cominciasse,  o  pure  innante 
Dell'  amor  mio  n'  avesse  il  cor  già  punto. 
Vetli,  se  in  me  venuto  era  arrogante, 

Se  imperio  nel  mio  «or  s'  ave; a  assunto! 
(;iiè  mi  ^copcr^e,  e  non  t-bbe  rossore 
Chiedermi  ajuto  in  questo  nuovo  amore. 


ORLANDO  FURIOSO.     (V.  13-28) 


[46] 


13.  Ben  diceva,  eh'  ugnale  al  mio  non  era, 
Né  vero  amor,  quel  eh'  egli  avea  a  costei; 
Ma,  simulando  esserne  acceso,  spera 
Celebrarne  i  legittimi  imenei. 
Dal  re  ottenerla  fia  cosa  leggiera, 
Qualor  vi  sia  la  volontà  di  lei  ; 
Che  di  sangue  e  di  stato  in  tutto  il  regno 
Non  era,  dopo  il  re,  di  lui  '1  più  degno. 

14.  Mi  persuade,  se  per  opra  mia 
Potesse  al  suo  signor  genero  farsi, 
(Che  veder  posso,  che  se  n'  alzeria 
A  quanto  presso  al  re  possa  uomo  alzarsi) 
C3ie  me  n'  avria  buon  merto,  e  non  saria 
Mai  beneficio  tal  per  iscordarsi, 
E  eh'  alla  moglie,  e  eh'  ad  ogn'  altro  innante 
Mi  porrebbe  egli  in  sempre  essermi  amante. 

15.  Io,  eh'  era  tutta  a  satisfarlo  intenta, 
Né  seppi,  o  volli  contradirlo  mai, 
E  sol  quei  giimii  io  mi  vidi  contenta, 
Ch'  averlo  compiaciuto  mi  trovai. 
Piglio  r  occasion,  che  s'  appresenta, 
Di  parlar  d'  esso,  e  di  lodarlo  assai, 
Ed  ogni  industria  adopro,  ogni  fatica. 
Per  far  del  mio  amator  Ginevra  amica. 

16.  Feci  col  core  e  con  1'  effetto  tutto 
Quel,  che  far  si  poteva;  e  sallo  Dio; 
Né  con  Ginevra  mai  p(»tei  far  frutto, 
Ch'  io  le  ponessi  in  grazia  il  dura  mio. 
E  questo,  che  ad  amar  ella  avea  indutto 
Tutto  il  pensiero  e  tutto  il  suo  disio, 
Un  gentil  cavalier,  bello  e  cortese, 
Venuto  in  Scozia  di  lontan  paese. 

Che  con  un  suo  fratel  ben  giovinetto 
Venne  d'  Italia  a  stare  in  questa  corte, 
Sì  fé'  ncir  arme  poi  tanto  perfetto. 
Che  la  Bretagna  non  avea  il  più  forte. 
11  re  l'  aula^  a  e  ne  mostrò  l'  elTetto  ; 
Che  gli  donò  di  non  picciola  sorte 
Castella,  e  ville,  e  giurisdizioni, 
E  lo  fé'  grande  al  par  de'  gran  baroni . 

Grato  crii  al  re,  più  grato  era  alla  figlia 
Quel  cavalier,  chiamato  Ariodante, 
Per  esser  valoroso  a  meraviglia  ; 
Ma  più,  eh'  ella  sapea,  che  T  era  amante. 
Né  Vesuvio,  nò  il  monte  di  Siciglia, 
Né  Troja  avvampò  mai  di  fianune  tante, 
Quanto  ella  conoscea,  che  per  suo  amore 
Ariodante  ardea  per  tutto  il  core. 

L'  amar,  che  dunque  ella  facca  colui 
Con  cor  sincero  e  con  perfetta  fede. 
Fé',  che  pel  du('a  male  udita  fui, 
Né  mai  risposta  da  sperar  ini  diede; 
Anzi,  quanto  io  pregala  più  per  lui, 
E  gli  stiuliava  d'  impietrar  nHM'cedc, 
Ella,  biasmandoi  sempre  e  dispregiando. 
Se  gli  venia  più  sempre  inimicando. 

^.      Io  confortai  l'  amator  mio  sovente. 
Che  volesse  lasciar  la  ^ana  impresa, 
^è  si  sptuasst;  mai  Aolger  la  mente 
Di  costei,  trt)ppo  ad  altro  amore  intesa; 
E  gli  feci  conoscer  chiaramente, 
Come  era  si  d'  Ari()dant<;  accesa. 
Che  quanta  at-qna  è  nel  mar,  picciola  dramma 
Non  spcgncriti  della  uuu  inuuent>u  fiamiiia. 


IT 


18. 


L9 


21.  Questo  da  me  più  volte  PoIìrcsso 
(Cile  cosi  nome  ha  il  duca)  avendo  udito, 
È  ben  compreso,  e  AÌsto  per  sé  stesso, 
Che  molto  male  era  il  suo  amor  graditt». 
Non  pur  di  tanto  amor  si  fu  rimesso, 
Ma  di  vedersi  un   altro  preferito. 

Come  superbo,  co^ì  mal  sofferse. 

Che  tutto  in  ira  e  in  odio  sì  converse: 

22.  E  tra  Gine^Ta  e  V  amator  suo  pensa 
Tanta  discordia  e  tanta  lite  porre, 

E  farvi  nimicizia  così  intensa, 

Che  mai  più  non  si  possano  comporre; 

E  por  Ginevra  in  ignominia  immensa. 

Donde  non  s'  abbia,  o  viva,  o  morta,  a  torre  : 

Né  dell'  iniquo  suo  disegno  meco 

Volle  o  con  altri  ragionar,  che  seco. 

23.  Fatto  il  pensier  :  Diilinda  mia,  mi  dice, 
(Che  così  son  nomata)  saper  dei. 

Che  come  suol  tornar  dalla  radice 
Arbor,  che  tronchi ,  e  quattro  volte  e  sei, 
Così  la  pertinacia  mia  infelice. 
Benché  sia  tronca  dai  successi  rei, 
Dì  germogliar  non  resta  ;  che  venire 
Pur  vorria  al  fin  di  questo  suo  desìre. 

24.  E  non  lo  bramo  tanto  per  diletto. 
Quanto  perché  vorrei  vincer  la  prova; 
E,  non  potendo  farlo  con  effetto, 

S'  io  lo  fo  immaginando,  anco  mi  gioTa. 
Voglio,  qualvolta  tu  mi  dai  ricetto. 
Quando  allora  Ginevra  sì  ritrova 
Nuda  nel  letto,  che  pigli  ogni  vesta, 
Ch'  ella  posta  abbia,  e  tutta  te  ne  vesta. 

25.  Come  ella  s'  orna,  e  come  il  crin  dispone. 
Studia  imitarla,  e  cerca  il  più  che  sai. 

Dì  parer  dessa  ;  e  poi  sopra  il  verone 
A  mandar  giù  la  scala  ne  verrai. 

10  verrò  a  te  con  immaginazione 

Che  quella  sia,  di  cui  tu  ì  panni  avrai, 
E  così  spero,  me  stesso  ingannando. 
Venire  in  breve  il  mio  de-^ir  scemando. 

2fi.     Così  disse  egli.     Io,  che  divisa  e  sce^Tft, 
E  lungi  era  da  me,^  non  posi  mente. 
Che  questo,  in  che  pregando  egli  persevra, 
Era  nna  fraudc  pur  troppo   evidente: 
E  dal  veron,  co'  panni  di    Ginevra, 
riandai  la  scala,  onde  sali  sovente; 
E  non  m'  ac<u)rsi  priuui  dell'  inganno. 
Che  n'  era  già  tutto  accaduto  il  danno. 

27.  Fatto  in  quel  tempo  con  Ariodante 

11  duca  avea  (|ne.»te  parole,  o  tali; 
(^hé  grandi  amici  erano  stati,  innante 
(;iie  per  Ginevra  si  fcssou  rivali. 

Mi  meraviglio  (incomin(iò  il  mio  amante), 
Ch'  aAcndoti  io,  fra  tutù   li  mie'  jiguali. 
Sempre  a>ut«)  in  ri>pct[o  e  >empre  amato, 
lo  bia  da  te  sì  mal  rhnuncrat«i. 

28.  Io  son  ben  certo,  che  comprendi  e  sai 
Di  (lincerà  e  di  me  1'  antico  amore; 

K  per  spo.-a    legillima   oggimai 
l'cr  impetrarla  mhi  «lai  mio  NÌgnore. 
i'erchè  mi  turbi   (u?  perchè  pur   vai 
Senza  frutto   in  co-tei   ponendo   il  core  ? 
lo  beiu!  a  te  ri>pel(o  avrei,  per  Dio, 
S'  io   nel  tuo  grado  f(ts>i,  e  tu  nel  mìo. 


[*^] 


ORLANDO  FURIOSO.     (V.  29-«) 


[48] 


29.  Ed  io  (rispose  Ariodante  a  lui) 
Di  te  mi  meraviglio  maggiormente: 
Che  di  lei  prima  innamorato  fui, 
Che  tu  r  avessi  vista  solamente  ; 

E  so  che  sai,  quanto  è  1'  amor  tra  nui, 
Ch'  esser  non  può  di  quel  che  sia  più  ardente, 
E  sol  d'  esserrai  moglie  intende  e  hrama, 
E  so,  che  certo  sai,  eh'  ella  non  t'  ama. 

30.  Perchè  non  hai  tu  dunque  a  me  '1  rispetto 
Per  r  amicizia  nostra,  che  domande, 

Ch'  a  te  aver  deljlia,  e  eh'  io  t'  avre'  in  effetto. 
Se  tu  fossi  con  lei  di  me  più  grande  ? 
]Nè  men  di  te  per  moglie  averla  aspetto, 
Se  l)en  tu  sei  più  ricco  iu  queste  bande. 
Io  non  son  meno  al  re,  che  tu  sia,  grato. 
Ma  più  di  te  dalla  sua  figlia  amato. 

31.  Oh,  disse  il  duca  a  lui,  grande  è  cotesto 
Errore,  a  che  t'  ha  il  folle  amor  condotto. 
Tu  credi  esser  più  amato  :  io  credo  questo 
Mcdesmo  ;  ma  si  può  vedere  al  frutto. 

Tu  fammi  ciò,  eh'  hai  seco,  manifesto. 
Ed  io  il  secreto  mio  t'  aprirò  tutto; 
E  quel  di  noi,  che  manco  aver  si  veggia, 
Ceda  a  chi  vince,  e  d'  altro  si  proveggia  ! 

32.  E  sarò  pronto,  se  tu  vuoi,  eh'  io  giuri, 
Di  non  dir  cosa  mai,  che  mi  riveli. 

Così  voglio,  eh'  ancor  tu  m'  assicuri, 
Che  quel,   eh'  io  ti  dirò,  sempre  mi  celi. 
Venner  dunque  d'  accordo  agli  scongiuri, 
E  posero  le  man  su  gli  evangelj  ; 
E  poiché  di  tacer  fede  si  diero, 
Ariodante  incominciò  primiero  ; 

33.  E  disse  per  lo  giusto  e  per  lo  dritto. 
Come  tra  sé  e  Ginevra  era  la  cosa  : 

Ch'  ella  gli  avea  giurato,  e  a  bocca,  e  in  scritto, 
Che  mai  non  saria  ad  altri,  eh'  a  lui,  sposa; 
E,  se  dal  re  le  venia  contraditto. 
Gli  promettea  di  sempre  esser  ritrosa 
Da  tutti  gli  altri  maritaggi  poi,  ^ 
E  viver  sola  in  tutti  i  giorni  suoi, 

34.  E  eh'  esso  era  in  speranza,  pel  valore, 

Cli'  avea  mostrato  in  arme  a  più  d'  un  tìegno, 

Ed  era  per  mostrare,  a  laude,  a  onore, 

A  beneficic»  del  re  e  del  suo  regno. 

Di  crescer  tanto  in  grazia  al  suo  signore, 

Che  sarebbe  da  lui  stimato  degno. 

Che  la  figiiuola  sua  per  moglie  avesse, 

Poii-hè  piacere  a  lei  cosi  intendesse. 

35.  Poi  disse:  A  questo  termine  son  io. 

Né  credo  già,  eh'  alcun  mi  ^  enga  appresso  ; 

Né  cerco  più  di  questo,  né  disio 

Dell'  amor  d'  essa  aver  segno  più  espresso; 

ÌNé  più  vorrei,  se  non  quanto  da  Dio 

Per  coiinnliio  legìttimo  é  concesso. 

E  '>aria  in  vano  il  domandar  più  innanzi; 

('ile  di  bontà  so  come  ogn'  altra  acanzi. 

36.  I'oi<  h'  citbe  il  vero  Ariodante  esposto 
Delia  men^é,  eh'  aspetta  a  sua  fatica, 
Poline-so,  clic  già  s'  avea  proposto 

Di  far  (ìinevra  al  suo  amator  nemica, 
(Joniiiirió  :  Sei  ila  me  mollo  di.^costo, 
H  \(i',  riie  di  tua  bocca  aiic(t  tu  '1  dica; 
E,  del  n»io  ben  ceduta  la  radii;c, 
Che  confejisi,  me  boIu  csser  felice. 


37.      Finge  ella  teco,  né  t'  ama,  né  prezza; 
Che  ti  pasce  di  speme  e  di  parole  ; 
Oltra  questo,  il  tuo  amor  sempre  a  sciocchezza, 
Quando  racco  ragiona,  imputar  suole. 
Io  ben  d'  esserle  caro  altra  certezza 
Ceduta  n'  ho,  che  di  i>romesse,e  fole; 
E  tei  dirò  sotto  la  fé  in  secreto, 
Benché  farei  più  il  debito  a  star  cheto. 

33.      ìVon  passa  mese,  che  tre,  quattro,  e  sei, 
E  talor  dieci  notti  io  non  mi  trovi 
Nudo  abbracciato  in  quel  piacer  con  lei, 
Ch'  all'  amoroso  ardor  par  che  sì  giovi. 
Sì  che  tu  puoi  veder  se  a'  piacer  miei 
Son  d'  agguagliar  le  ciance,  che  tu  provi. 
Codimi  dunque,  e  d'  altro  ti  provedi, 
Poiché  si  inferior  di  me  ti  vedi  ! 

39.  Non  ti  vo'  creder  questo  (gli  rispose 
Ai'iodantc),  e  certo  so  che  menti, 

E  composto  fra  te  t'  hai  queste  cose. 
Acciocché  dall'  impresa  io  mi  spaventi. 
Ma  perché  a  lei  son  troppo  ingiuriose. 
Questo,  eh'  hai  detto,  sostener  convienti  ; 
Che  non  bugiardo  sol,  ma  voglio  ancora, 
Che  tu  sci  traditor,  mostrarti  or'  ora. 

40.  Soggiunse  il  duca:  Non  sarebbe  onesto, 
Che  noi  volessim  la  battaglia  torre 
Dilquel,  che  t'  offerisco  manifesto, 
Quando  ti  piaccia,  innanzi  agli  occhj  porre. 
Resta  smarrito  Ariodante  a  questo, 

E  per  r  ossa  un  tremor  freddo  gli  scorre; 
E,  se  creduto  ben  gli  avesse  appieno, 
Venia  sua  vita  allora  allora  meno. 

41.  Con  cor  trafitto,  e  con  pallida  faccia, 
E  con  voce  tremante  e  bocca  amara 
Rispose:  Quando  sia,  che  tu  mi  faccia 
Veder  questa  a\"ventura  tua  si  rara. 
Prometto  di  costei  lasciar  la  traccia, 

A  te  sì  liberale,  a  me  sì  avara. 

Ma  eh'  io  tei  voglia  creder,  non  far  stima, 

S'  io  non  lo  veggio  con  questi  occhj  prima  ! 

42.  Quando  ne  sarà  il  tempo,  avviserotti, 
Soggiunse  Polinesso,  e  dipartisse. 

Non  credo,  che  passar  più  di  due  notti, 
Ch'  ordine  fu,  che  '1  duca  a  me  venisse. 
Per  scoccar  dunque  i  lacci,  che  condotti 
Avea  sì  cheti,  andò  al  rivale  e  disse, 
Che  s'  ascondesse  la  notte  seguente 
Tra  quelle  case,  ove  non  sta  mai  gente  : 

43.  E  diinostrogli  un  luogo  a  dirimpetto 
Di  (|tul  verone,  ove  solca  salire. 
Ariodante  avea  preso  sospetto, 

Cile  lo  cercasse  far  quivi  venire, 
('ome  in  un  luogo,  dove  avesse  eletto 
Di  por  gli  agguati,  e  farvelo  morire, 
Sotto  «|ucsta  finziou,  che  vuol  mostrargli 
Qiu'l  di  Ginevra,  che  impossibil  pargli. 

44.  Di  volervi  venir  prese  partito. 
Ma  in  guisa,  che  di  hii  non  sia  men  forte; 
Pcrclu'*,  accadendo  che  fosse  assalito, 
Si  tro>i  sì,  clu!  non  tema  di  morte. 
Un  siu)  fratelit»  avea  saggio  ed  ardito, 
Il  più  fanuiso  in  arme  della  corte, 
Detto  liurcanio;  e  avea  più  cor  con  ceso. 
Che  tìK  dicci  altri  avesse  avuto  appresso. 


49] 


ORLANDO  FURIOSO.     {A^45_60) 


[50] 


45.  Seco  chiaraollo  e  volle,  clic  prendesse 
L'  arnie,  e  la  notte  lo  menò  con  Ini. 
Kon  che  '1  secreto  suo  già  gli  dicesse  ; 
Kè  r  avria  detto  ad  esso,    né  ad  altrui. 
Da  sé  lontano  un  trar  di  pietra  il  messe. 
Semi  senti  chiamar,  vien  (disse)  a  niii; 
Ma  se  non  senti,  prima  eh'  io  ti  chiami, 
jVon  ti  partir  di  qui,  frate,  se  m"  ami  1 

46.  Va  pur,  non  du])itar,  disse  il  fratello. 
E  così  venne  Ariodantc  cheto, 

E  si  celò  nel  solitario  ostello, 
Ch'  era  d'  intorno  al  mio  veron  secreto. 
Vien  d'  altra  parte  il  fraudolente  e  fello, 
Che  d'  infamar  GincAra  era  sì  lieto, 
.   E  fa  il  segno,  tra  noi  solito  innante, 
A  me,  clic  dell'  inganno  era  ignorante. 

47.  Ed  io  con  \c^tc  candida,  e  fregiata 
Per  mezzo  a  liste  d'  oro,  e  d'  ogni  intorno, 
E  con  rete  pur  d'or  tutta  adonilirata 

Di  hei  flocchi  vermigli  al  capo  intorno, 
(Foggia,  che  sol  fu  da  Ginevra  irsata, 
Son  da  alcun'  altra,)  udito  il  segno,  torno 
Sopra  il  veron,  die  in  modo  era  locato, 
Che  ini  scopria  diinianzi  e  d'  ogni  lato. 

48.  Lurcanio  in  questo  mezzo  dubitando. 
Che  '1  fratello  a  pericolo  non  vada, 
O,  come  è  pur  comun  desio,  cercando 
Di  spiar  sempre  ciò,  che  ad  altri  accada, 
L'  era  pian  pian  venuto  seguitando. 
Tenendo  1'  ombre  e  la  più  oscura  strada; 
E  a  mendi  dicci  passi  a  lui  discosto 
Kel  medesimo  ostel  s'  era  riposto. 

19.      \on  sapendo  io  di  questo  cosa  alcuna, 
Venni  al  veron  nell'  abito,  eh'  ho  detto. 
Sì  come  già  venuta  era  più  d'  una, 
E  più  dì  due  fiate  a  buono  effetto. 
Le  vesti  si  vedean  chiare  alla  lima; 
IVè  dissimile  essendo  anch'  io  d'  aspetto, 
^è  di  persona  da  Ginevra  nudto. 
Fece  parere  un  per  un  altro  il  volto. 

50.  E  tanto  più,  eh'  era  gran  spazici  in  mezzo 
Fra  dove  io  ^cnni,  e  quelle  incnltc  case, 
Ai  due  fratelli,  che  stavano  al  rezzo, 
]|  duca  agevolmente  persuase 
Quel  eh'  era   falso.     Or  pensa,  in  che  ribrezzo 
Ariodantc,  in  clie  dohu-  rimase  ! 
A  ieii  Poliiiesso,  e  alla  sciila  s'  appoggia, 
(Jhe  giù  mandaigli,  e  monta  in  sulla  Itiggia. 

51.  A  prima  giunta  io  gli  getto  le  ìiraccia 
Al  collo;  eh'  io  non  penso  esser  veduta; 
Lo  bacio  in  bocca,  e  per  tutta  la  faccia, 
Come  far  soglio  ad  ogni  sua  ACiuita. 
Egli  più  dell'  usato  si  procaccia 

D'  accarezzarmi,  e  la  sua  fialide  ajiita. 
Queir  altro,  al  rio  spettacolo  condutto, 
Misero  sta  huitano  e  vede  il  tutto. 

i2.      ('ade  in  tanto  dolor,   che  si  dispone 
Allora  allora  di  \oler  morire; 
E  il  pomo  della  spada  in  t<-rra  pone, 
Mie  sulla  punta  si  mìUh  IViire. 
Lurcanio,  clic  cimi  grande  ammirazione 
Avea  ceduto  il  dtua  u  uu-  salire, 
Ma  non  già  conosciuto,  chi  si  fosse. 
Scorgendo  1'  atto  del  fratcl,  si  mosse, 


53.  E  gli  vietò,  che  con  la  propria  mano 
jVon  si  passasse  in  quel  furore  il  petto. 
S'  era  più  tardo,  o  poco  più  lontano, 

\on  giungea  a  tempo,  e  non  faceva  effetto. 
Ah  misero  fratel,  fratello  insano! 
(Gridò)  perdi'  hai  perduto  1'  intelletto, 
Ch'  una  femmina  a  morte  trar  ti  debbia.^ 
Ch'  ir  possan  tutte,  come  al  vento  nebbia! 

54.  Cerca  far  morir  lei,  che  morir  merta, 
E  serva  a  più  tuo  onor  tu  la  tua  morte  ! 
Fu  da  amar  lei,  quando  non  t'  era  aperta 
La  fraudo  sua;  or  è  da  odiar  ben  forte. 
Poiché  con  gli  occhj  tuoi  tu  vedi  certa, 
Quanto  sia  meretrice ,  e  di  che  sorte. 
Serba  quest'  arme,  che  volti  in  te  stesso, 
A  far  dinanzi  aj  re  tal  fallo  espresso  ! 

55.  Quando  si  vede  Ariodantc  giunto 
Sopra  il  fratel,  la  dura  impresa  lascia; 
Ma  la  sua  intenzion  da  quel,  eh'  assunto 
Avea  già  di  morir,  poco  s'  accascia. 
Quindi  si  leva,  e  porta,   non  che  punto. 
Ma  trapassato  il  cor  d'  estrema  amliascia. 
Pur  finge  col  fratel,  che  quel  furore 

Non  abbia  più,  che  dianzi  avea,  nel  core. 

56.  Il  seguente  mattin,  senza  far  motto 

Al  suo  fratello,  o  ad  altri,  in  via  si  messe. 
Dalla  mortai  dis|)crazion  condotto; 
j\è  di  lui,   |)er  più  d^  fu  chi  sapesse. 
Fdorcliè  '1  duca  e  il  fratello,  ogni  iiltro  indotta 
Era.  chi  mosso  al  dipartir  1'  avesse. 
ISella  casa  del  re  di  lui  diversi 
Ragionamenti,  e  in  tutta  Scozia  fèrsi. 

57.  In  capo  d'  otto,  o  di  più  giorni,  in  corte 
Venne  innanzi  a  Ginei  ra  un  viandante, 

E  novella  arrecò  dì  mala  sorte, 

Che  s'  era  in  mar  sommerso  Ariodante 

Di  volontaria  sua  libera  morte, 

Non  per  colpa  di  Borea,  o  di  Levante: 

D'  un  sasso,  die  sul  mar  sporgea  molt'  alto, 

Avea  col  capo  in  giù  preso  un  gran  salto. 

58.  Colui  dicea:  Priacliè  Acuisse  a  questo, 
A  me,  che  a  caso  riscontrò  per  via, 
Disse:  Vien  meco,  acciocché  manifesto 
Per  te  a  Ginevra  il  mio  successo  t'ia; 

E  dille  poi,  che  la  cagioii  del  resto, 
Che  tu  Acdrai  di  me,  eh'   or  ora  fia, 
E  stato  sol,  percir  ho  troppo  veduto: 
Felice,  se  senza  occhj  io  fossi  suto  ! 

59.  Eramo  a  caso  sopra  (/iipobasso, 

Clic  verso  Irlanda  alquanto  sporge  in  mare: 
Così  dicendo,  di  cima  d'  un  sasso 
Lo  vidi  a  capo  in  giù  soft'  accpia  andato. 
lo  lo  lasciai  nel  mare,   ed  a  gran  passo 
Ti  son  venuto  la  nuova  a  portare, 
(■inora  sbigottita,  e  in  >iso  smorta, 
Uimase,  a  quello  anniin/.io,  mezza  morta. 

60.  0  Dio!   che  dissi-  «•  lece,  poicJiè  sola 
Si  ritrovò  nel  suo  fui. ito  ielto  ! 
Percosse  il  s<'iio,  e  si  stracciò  la  stola, 
i;  fece  air  aureo  criii  danno  e  dispetto, 
Ui|ielriido  siMcnlc  la  parola, 

('ir    \iindaii(c  a%ca  ili  estremo  detto: 
Che  la  cagioii  del  suo  caso  empio  e  tristo 
Tuttu  venia  per  aver  troppo  aìsIo. 


[51] 


ORLANDO  FURIOSO.     (V.  «i_w) 


61.  II  rumor  scor?e  di  costui  per  tutto. 
Che  per  dolor  s'  avea  dato  la  morte. 

Ui  questo   il  re  non  tenne  il  viso  asciutto, 

Kù  cavalier,  né  donna  della  corte. 

Di  tutti  il  suo  l'ratel  mostrò  più  lutto, 

E  si  sommerse  nel  dolor  ti  lorte, 

Ch'  ad  esempio  di  lui    contra  sé  stesso 

Voltò  quii»i  la  man,  per  irgli  appresso. 

62.  E  molte  volte  ripetendo  seco, 

Che  fu  Ginevra ,  che  '1   fratel  gli  estinge, 

E  che  non  fu  ,  se  non  quelT  atto  bieco. 

Che  di  lei  vide,  eh'  a  morir  lo  spinse; 

Di  voler  vendicarsene  sì  cieco 

Venne,  e  si  V  ira  e  si  il  dolor  lo  vinse, 

Che  di  perder  la  grazia  vilipese. 

Ed  aver  1'  odio  del  re  e  del  paese, 

63.  E  innanzi  al  re ,  quando  era  più  di  gente 
La  sala  piena,  se  ne  venne  e  disse: 

Sappi ,  signor ,  che  di  levar  la  mente 

Al  mio  fratel,  sì  eh'  a  morir  ne  gis^e, 

Stata  è  la  figlia  tua  sola  nocente! 

Ch'  a  lui  tanto  dolor  1'  alma  trafisse 

D'  aver  veduta  lei  poco  pudica. 

Che  più  che  vita,  ebbe  la  morte  amica. 

64.  Erane  amante;   e  perchè  le  sue  voglie 
Disoneste  non  fur,  noi  v«»'  coprire: 

Per  virtù  meritarla  aver  per  moglie 
Da  te  sperava ,  e  per  fedel  servire  : 
Ma,  mentre  il  lasso  ad  odorar  le  foglie 
Stava  lontano,  altrui  vide  salire, 
Salir  sul  r  arhor  riserbato,  e  tutto 
Essergli  tolto  il  disiato  frutto. 

65.  E  seguitò ,  come  egli  avea  vednt» 
Venir  Ginevra  sul  verone;  e  come 
Mandò  la  scnila,  onde  era  a  lei  venuto 

Un  drudo  suo ,  di  che  egli  non  sa  il  nome  ; 
Che  s'  avea,  per  non  esser  conosciuto. 
Cambiati  i  panni,  e  nascose  le  chiome. 
Soggiunge,  che  c(m  l'arme  egli  volea 
Frovar,  tutto  esser  ver  ciò,  che  dìcea. 

66.  Tu  puoi  pensar,  se  'l  padre  addolorato 
Kiman ,  quando  accusar  sente  la  figlia  ; 
Si,  perchè  ode  di  lei  quel,  die  pensato 
Mai  non  avrebbe,   e  n'  ha  gran  meraviglia; 
Si,  perchè  sa,  «lie  fia  necessitato. 

Se  la  difesa  alcun  giierrier  non  piglia. 
Il  qiial  Lurcanìo  possa  far  mentire, 
Di  condannarla,  e  farla  poi  morire. 

67.  Io  non  credo  ,  signor ,  che  ti  sia  nova 
La  legge  nostra,  ohe  comlanna  a  morte 
Ogni  donna  e  donzella .  che  si  pntva 

Di  sé  far  copia  altrui,  eh'  al  c»uo  consorte. 
Morta  ne  vien ,  se  in  un  ine>e  non   trova 
In  sua  difesa  un  cavalier  .-i  forte, 
Clie  «M)ntra   il   falso  arni.-ator  sostegna. 
Che  via  inn<M;ente,  e  di  morire  indegna. 

68.  Ha  l'atto  il  re  bandir,  per  liberarla, 
(Che  pur  gli  par,  eh'  a  torto  sia  accusata^ 
l'Air  \iitil  per  moglie,  e  e(»n  gran  dote,  darla 
A  chi  torrà  T  iiiiuniia,  che  l  è  data. 

Cile  per  lei  4-unlpari^ca,  ntm  si  parla, 
Guerriero  ancora,  hìv/à  1'  nn   1'  altro  goata  ; 
C1ié  quel   JiUrcaiiio  in  arine  è  ^o^ì  fiero, 
Che  pur  che  di  lui  tema  ugni  guerriero. 


[52] 


69.      Atteso  ha  1'  empia  sorte,  che  Zerbino, 
Fratel  di  lei,  nel  regno  inni  si  trove. 
Che  ^a  già  molti  mesi  peregrina, 
Mostrando  di  sé   in  arme  inclite  prove: 
Che,  quando  si  trovasse  più  vicino 
Quel  cavalier  gagliardo,  o  in  luogo,  dove 
Potesse  avere  a  tempo  la  novella, 
Kun  mancheria  d'  ajutu  alla  sorella. 

10.      Il  re,  che  intanto  cerca  di  sapere 
Per  altra  prova,  che  per  arme  ancora. 
Se  sono  queste  ac<Mi.-e  o  fiil>e,   o  vere. 
Se  dritto,  o  torto  é,  che  sua  figlia  mora, 
Ha  fatto  prender  certe  cameriere, 
Che  lo  dovrian  saper ,  se  vero  fora: 
Ond'  io  previdi,  che,  se  presa  era  io. 
Troppo  periglio  era  del  duca ,  e  mio. 

71.  E  la  notte  medesima  mi  tras>i 

Fuor  della  corte,  e  al   duca  mi  condussi, 
E   gli  feci  veder,  quanto  importas^i 
AI  capo  d'  ambedue,  se  presa  io  fiissi. 
Lodommi ,  e  disse,   eh'  io  non  dubitassi: 
A'  suoi  conforti  poi  venir  m'   indussi 
Ad  una  sua  fortezza ,  eh'  è  qui  presso. 
In  compagnia  di  due ,  che  mi  diede  esso. 

72.  Hai  sentito,  signor,  con  quanti  etl'ettì 
Dell'  amor  mio  tei  Folinesso  certo: 

E   s'  era  debitor,  per  tai  rispetti, 
D'  avermi  caia ,  o  no ,  tu  '1  vedi  aperto. 
Or  senti  il  guiderdon  ,  <^h'  io  ricevetti  ; 
Vedi  la  gran  mercè  del  mio  gran  mcito; 
Aedi,  se  deve,  per  amare  assai. 
Donna  sperar  d'  essere  amata  mai  ! 

73.  Che  questo  ingrato,  perfido  e  crudele, 
Della  mia  fede  ha  preso  dubbio  al  fine. 
Venuto  è  in  sospiziiui,  eh'  io  non   rivele 
A  lungo  andar  le  fraudi  sue  volpine. 
Ha  finto,  acciocché  m'  allontani  e  cele. 
Finché  l'  ira  e  1'  furor  del  re  decline, 
Adler  mandarmi  ad  un  suo  luogo  forte, 
E  mi  volea  mandar  dritto  alla  morte. 

74.  Che  di  secreto  ha  commesso  alla  guida. 
Che,  come  m'  abbia   in  queste  selve  tratta, 
Per  degno  premio   di  mia  l'è,  m'  uccida. 
Cosi  r  iiitenzion  gli  venia  fatta. 

Se  tu  inni  eri  appresso  alle  mie  grida. 
Ve',  come  Amor  ben  ehi  lui  segue  tratta! 
Ctisì  narrò  Dalinda  al  paladino, 
Seguendo  tutta  volta  il  lor  cammino. 

75.  A  cui  fu  sopra  ogni  avventura  grata 
Questa ,  d'  aver  trovata  la  donzella , 
('he  gli  avea  tutta  1'  istoria  narrata 
Dell'  innocen/a  di  Ginevra  bella. 

E  ^e  sperato  aveii  (  quando  accusata 
Anc(u'  fosse  a  nigioii  )  d'  ajiitar  quella, 
Con  via  iiiiiggior  l>aliliin/,a  or  viene  in  prova, 
Poiché  evidente  la  calunnia  trova. 

76.  E  verso  la  città  di  santo  Andrea, 
Dove  era  il  re  c(mi  tutta  la  famiglia, 
E  la  battaglia  siiigolar  dovea 
Esser  della  ([ucrela  della  figlia. 
Andò   Uiiialdo  (jiianto  andai'  potea, 
Fini'lié  vicino  giunge  a   poche  miglia. 
Alla  «iltà  vicini)  giunse,  dove 

Trovò  un  scudier,  eh'  avea  più  fresche  nove: 


[53] 


ORLANDO  FURIOSO.     (V.    11-02) 


m 


77.  Ch'  un  cavaliero  strano  era  tenuto, 
rii'  a  difender  Ginevra  s'  avea  ti>lto, 
Con  non  usate  insegne,  e  sconosciuto; 
l'eroccliè  sempre  ascoso  andava  molto, 
E  che ,  dapoichè  v'  era ,  ancor  veduto 

]Von  gli  avea  alcuno  al  discoperto  il  volto: 
E  che  '1  proprio  scudier,  che  gli  ser^ia, 
Dicca  giurando  :  Io  non  so  dir ,  chi  sia. 

78.  Non  cavalcaro  molto,  che  alle  mura 
Si  trovar  della  terra,  e  in  sulla  porta. 
Dalinda  andar  più  innanzi  a^c-a  ]iauraj 
Pur  va,  poiché  Rinaldo  la  coiii'orta. 

La  porta  è  chiusa,  ed  a  chi  n"  avea  cura 
Rinaldo  domandò:  Questo  che  importa? 
E  fogli  detto  :  Perchè  il  popol  tutto 
A  veder  la  battaglia  era  ridutto, 

79.  Che  tra  Lurcanio  e  un  cavaliere  istrano 
Si  fa  neir  altro  capo  della  terra, 

Ove  era  un  prato  spazioso  e  piano, 
E  che  già  cominciata  hanno  la  guerra. 
Aperto  fu  al  signor  di  Mont'  Albano, 
E  tosto  il  portinar  dietro  gli  serra. 
Per  la  vuota  città  Rinaldo  jiassa, 
Ma  la  donzella  al  primo  albergo  lassa, 

80.  E  dice,  che  sicura  ivi  si  stia. 
Finché  ritorni  a  lei,  che  sarà  tosto  ; 
E  verso  il  campo  poi  ratto  s'  invia, 
Dove  li  due  guerrier  dato  e  risposto 
Molto  s'  aveano,  e  davan  tuttavia. 
Stava  Lurcanio  di  mal  cor  disposto 
Contro  Ginevra  ;  e  1'  altro  in  sua  difesa 
Ben  sostcnea  la  favorita  impresa. 

81.  Sei  «ravalier  con  lor  nello  steccato 
Erano  a  piedi,  armati  di  «-orazza. 
Col  duca  d'  Albania,  eh'  era  montato 
Su  un  possente  corsier  di  buona  razza: 
Come  a  gran  contestabile,  a  lui  dato 

I.a  guardia  fu  del  campo  e  della  piazza; 
E  di  \eder  Ginevra  in  gran  periglio 
Avea  '1  cor  lieto,  ed  orgogliose»  il  c-iglio. 

82.  Rinaldo  se  ne  va  tra  gente  e  gente, 
Fussi  far  largo  il  buon  (lestrier  Hajardo: 
Chi  la  tempesta  del  suo  venir  sente, 

A  dargli  via  non  par  zoppo,  né  tardo. 
Rinaldo  vi  compar  sopra  eminente, 
E  ben  rassembra  il  fior  d'  ogni  gagliardo: 
l'oi  si  ferma  all'  incontro,  ove  il  re  siede. 
Ognun  s'  accosta  per  udir,  che  chiede. 

83.  Rinaldo  disse  al  re  :  Magno  signore. 
Non  lasciarla  Itattaglia  più  seguire! 
Perché,   di  questi  due  qualunque  muore, 
Sappi,  eh'  a  torto  tu  '1  lasci  nutrire. 

L'  un  crede  aver  ragione,  ed  é  in  errore, 
E  dice  il  falso,  e  non  sa  di  mentire; 
Ma  quel  medcsmo  error,  vhc  'I  suo  germano 
A  morir  trasse,  a  lui  pon  1'  nruie  in  mano. 

84.  L'  altro  non  sa,  se  s'  abbia  dritto,  o  torto; 
Ma  sol  per  gentilezza  e  per  boutade 

In  pericol  si  é  posto  d'  esser  morto. 
Per  non  lasciar  morir  tanta  birllade. 
Io  la  salute  all'  innocenza  porto  ; 
Porto  il  contrario  a  clii  usa  faUitade. 


Ma,  per  Dio,  questa  pugna  prima  parti 
Poi  mi  dà  udienza  n  quel,  eh'  io  vo'  nai 


narrarti  1 


85.  Fu  djiir  autorità  d'  un  uom  si  degno 
Come  Rinaldo  gli  parea  al  sembiante. 
Si  mosso  il  re,   che  disse  e  fece  segno, 
Che  non  andasse  più  la  pugna  innante. 
Al  quale  insieme,  ed  ai  baron  del  regno, 
E  ai  cavalieri,  e  all'  altre  turbe  tante, 
Rinaldo  fé'  1'  inganno  tutto  espresso, 
Ch'  avea  ordito  a  Gine^Ta  Polinesso. 

86.  Indi  s'  offerse  dì  voler  provare 

Con  r  arme,  eli'  era  ver  quel,  eh'  avea  detto. 
Cliiamasi  Polinesso,  ed  ei  compare. 
Ma  tutto  conturbato  nell'  aspetto  : 
Pur  con  audacia  cominciò  a  negare. 
Disse  Rinaldo:  Or  noi  ^edrem  1'  effetto. 
L'  uno  e  1'  altro  era  armato,  il  campo  fatto, 
Si  che  senza  indugiar  vengono  al  fatto- 

87.  0  quanto  ha  il  re,  quanto  ha  il  suo  popol  caro 
Che  Ginevra  a  prov.ìr  s'  abbia  innocente! 
Tutti  han  speranza,  che  Dio  mostri  chiaro 

Ch'  impudica  era  detta  ingiustamente. 
I  Crudel,  superbo,  e  riputato  avaro 

Fu  Polinesso,  iniquo  e  fraudolente; 
Si  che  ad  alcun  miracolo  non  fia, 
Che  r  inganno  da  lui  tramato  sia, 

88.  Sta  Polinesso  con  la  faccia  mesta. 
Col  cor  tremante,  e  con  pallida  guancia, 
E  al  terzo  suon  mette  la  lancia  in  resta: 
Cosi  Rinaldo  inverso  lui  si  lancia; 
Che,  disioso  di  finir  la  festa, 

Mira  a  passargli  il  petto  con  la  lancia. 
Né  discorde  al  desir  segui  1'  effetto; 
Che  mezza  1'  asta  gli  cacciò  nel  petto. 

89.  Fisso  nel  tronco  lo  trasporta  in  terra, 
Lontan  dal  suo  destrier  più  di  sei  braccia. 
Rinaldo  smonta  subito,  e  gli  afferra 

L'  elmo,  priachè  si  levi,  e  gli  lo  slaccia. 
Ma  quel,  che  non  può  far  più  troppa  guerra. 
Gli  domanda  mercè  con  umil  faccia, 
E  gli  confessa,  udendo  il  re  e  la  corte, 
La  fraude  sua,  che  1'  ha  condotto  a  morte. 

90.  Non  fini  il  tutto,  e  in  mezzo  la  parola 
E  la  voce  e  la  vita  1'  abbandona. 

Il  re,  che  liberata  la  figliuola 
Vede  da  morte,  e  da  fama  non  buona. 
Più  s'  allegra,  gioisce,  e  racconsola. 
Che,  s'  avendo  perduta  la  corona, 
Ripor  se  la  vedesse  allora  alb»ra  : 
Si  che  Rinaldo  unicamente  onora. 

91.  E,  poich'  al  trar  dell'  elmo  conosciuto 
L'  ebbe,  perdi'  altre  volte  V  avea  >  isto, 
Levò  le  inani  a  Dio,  che  d'  un  ajuto. 
Come  era  quel,  gli  avea  sì  ben  provvisto. 
Queir  altro  cavalier,  che  sr«»nosriuto 
Soccorso  avea  Ginevra  al  caso  tristo. 

Ed  armato  per  lei  s'  era  condotto, 
Stat(»  da  parte  era  a  vedere  il  tutto. 

92.  Dal  re  pregato  fu  di  dire  il  nome, 
O  di  lanciarsi  almen  ^cder  scoperto. 
Perchè  da  lui  fosse  |)r(  inìato,  come 

Di  sua  buona  tiilcn/.ion  ctiiidcva  il  merto. 
Quel,  dopo  lunghi  preghi,  dalle  cbionie 
Si  levò  r  «'Imo,   «•  IV  palese  e  certe» 
Quel,  che  ne-U'  altnt  canto  ho  da  seguire. 
Se  grato  vi  sarà  l'  istoria  udire. 

4  * 


[55] 


ORLANDO  FURIOSO.     (VI.  1_12) 


[56] 


CANTO        SESTO. 


ARGOMENTO. 

Intesa  V  innocenza  della  figlia 
Il  re  le  fa  marito  Artodante. 
Ituggicr  sulV  ippogrifo,  onde  le  ciglia 
Dolse  in  guardar  tanV  alto  a  Bradamante, 
Ne  va  ad  Alcina.     Astolfo  lo  consiglia. 
Cangiato  in  mirto,  a  non  passar  più  ovante. 
Ruggier  cerca  ridursi  a  miglior  stato, 
Ma  da  più  mostri  è  il  buon  voler  turbato. 


1.  Miser,  chi  male  oprando  si  confida, 
Ch'  ognor  star  delihia  il  maleficio  occulto! 
Che,  quando  og'ni  altro  taccia,  intorno  grida 
L'  aria,  e  la  terra  ijstejisa,  in  eh'  è  sepulto: 
E  Dio  fa  spesso,  che  '1  peccato  guida 

Il  peccator,  poich'  alcun  di  gli  ha  indulto, 
Che  sé  medesmo,  senza  altrui  richiesta, 
Inavvedutamente  manifesta. 

2.  Avca  creduto  il  miser  Polinesso 
Totalmente  il  delitto  suo  coprire, 
Dalinda  consapevole  d'  appresso 
Levandosi,  che  sola  il  potea  dire: 

E,  aggiungendo  il  secondo  al  primo  eccesso, 

AlTrctto  il  mal,  che  potea  differire, 

E  potea  differire,  e  schivar  forse  ; 

Ma,  sé  stesso  spronando,  a  morir  corse; 

S.     E  perde  amici  a  un  tempo,  e  vita,  e  stato, 
£  onor,  che  fu  molto  più  grave  danno. 
Dissi  di  sopra,  che  fu  assai  pregato 
Il  cavalier,  che  ancor  chi  sia  non  sanno. 
Alfio  si  trasse  1'  elmo,  e  '1  vis(»  amato 
S«;operse,  che  più  volte  veduto  hanno; 
K  dimostrò,  come  era  Ariodante, 
l'cr  tutta  Scozia  lagrimatu  innante; 

4.  Ariodante,  che  Ginevra  pianto 
Avea  per  morto,  e  '1  fratel  pianto  avea, 
Il  re,  la  corte,  il  popol  tutto  quanto; 
Di  tal  bontà,  di  tal  valor  splciidea. 
Ailiiiiqnc  il  peregrio  mentir,  di  quanto 
Diiin/.i  (li  lui  narrò,  quivi  appartai  ; 

K  fu  pur  ver.  «'he  dal  sasso  marino 
(•ittar»i  in  mar  io  vide  a  capo  chino. 

5.  Ma,  (-ome  avvitane  a  un  dispentto  spesso, 
Che  da  loiitan  hrauui  e  disia  la  mitrte, 

E  r  oilia,  poirlu";  se  la  veile  appresso, 
(Tanto  gli  \ìnrv  il  passo  acerbo  e  forte)  ; 
Ariodante.  poicln-  in  mar  fu  mc-so, 
Si  penti  di  morire;  e,  coui<;  forte, 
K  come  dc>tro,  e  più  d'  ogni  altro  ardito, 
Si  miec  a  nuoto,  e  rilornos>i  al  lilo, 


6.  E,  dispregiando,  e  nominando  folle 
Il  desir,  eh'  ebbe,  di  lasciar  la  vita, 
Si  mise  a  camminar  bagnato  e  molle, 
E  capitò  all'  ostel  d'  un  eremita. 
Quivi  secretamente  indugiar  volle 
Tanto  che  la  novella  avesse  udita, 
Se  del  caso  Ginevra  s'  allegrasse, 

O  pur  mesta  e  pietosa  ne  restasse. 

7.  Intese  prima,  che  per  gi*an  dolore 
Ella  era  stata  a  rischio  di  morire. 

La  fama  andò  di  questo  in  modo  fuore. 
Clic  ne  fu  in  tutta  1'  isola  che  dire  ; 
Contrario  effetto  a  quel,  che  per  errore 
Credea  aver  visto  con  suo  gran  martire! 
Intese  poi,  come  Lurcanio  avea 
Fatta  Ginevra  appresso  il  padre  rea. 

8.  Contra  il  fratel  d'  ira  minor  non  arse,^ 
Che  per  Ginevra  già  d'  amore  ardesse  ; 
Che  troppo  empio  e  crudele  atto  gli  parse. 
Ancoraché  per  lui  fatto  1'  avesse. 
Sentendo  poi,  che  per  lei  non  comparse 
Cavalier,  che  difenderla  volesse; 

Che  Lurciinio  sì  forte  era  e  gagliardo, 

Ch'  ognun  d'  andargli  contra  avea  riguardo. 

9.  E  chi  n'  avea  notizia,  il  riputava 
Tanto  discreto,  e  sì  saggio  ed  accorto. 
Che,  se  non  fosse  ver  qnel,  che  narrava. 
Non  si  porrebbe  a  rischio  d'  esser  morto  : 
Per  questo  la  più  parte  dubitava 

Di  non  pigliar  questa  difesa  a  torto. 

Ariodante,  dopo  gran  discorsi, 

Pensò  all'  accusa  del  fratello  opporsi. 

10.  Ahi  lasso  !  io  non  potrei,  seco  dicca, 
Sentir  per  mia  cagion  perir  costei. 
Troppo  mia  morte  fora  acerba  e  rea. 
Se  innanzi  a  me  morir  vedessi  lei. 
Ella  è  pur  la  mia  donna,  e  la  mia  dea; 
Questa  è  la  luce  pur  degli  occhj  miei. 
Convien,  eh'  a  dritto,  o  a  torto  per  suo  scampo 
Pigli  r  impresa,  e  resti  morto  in  campo. 

11.  So,  eh'  io  m'  appìglio  al  torto  ;  e  al  torto  sia: 
E  ne  morrò,  nò  questo  mi  sconforta; 

Se  non  eh'  io  so,  che  per  la  morte  mia 

Sì  l>ella  donna  ha  da  restar  poi  morta. 

Un  sol  confiU'to  nel  morir  nn  fia, 

Che,  se  '1  suo  Polinesso  amor  le  porta, 

Chiaramente  vedere  avrà  potuto, 

Che  n()n  s'  è  mosso  ancor  per  darle  ajuto: 

12.  E  me,  che  tanto  espressamente  ha  offeso. 
Vedrà,  per  l<ù  salvare,  a  morir  giunto. 

Di  mio  fratello  insi«;me,  il  quale  acceso 
Tanto  foco  ha,  vendichcrommi  a  nn  punto: 
(^li'  io  lo  farò  doler,  poit-hè  compreso 
11  fine  avrà  del  suo  crudele  assunto: 
('reduto  ven<ii(-are  avrà  il  germano, 
E  gli  avrà  dato  morte  di  sua  mano. 


I 


[■>V 


ORLANDO   FURIOSO.     (VI.  13-28) 


[58] 


13.  Concliiuso  oh'  ebbe  questo  nel  pens:iero, 
Nuove  arme  ritrovò,  nuovo  cavallo, 

E  sopravveste  nera,  e  scudo  nero 
Portò,  freg-iato  a  color  verde  e  «giallo. 
Per  avventura  si  trovò  un  scudiero 
Ignoto  in  quei  paese,  e  menato  hallo; 
È  sconosciuto,  come  ho  già  narrato, 
S'  apprescntò  contra  il  fratello  armato. 

14.  Narrato  v'  ho ,  come  il  fatto  successe, 
Come  fu  conosciuto  Ariodante. 

Non  minor  gaudio  n'  ebbe  il  re ,  eh'  avesse 

Della  figliuola  liberata  innante. 

Seco  pensò,  che  mai  non  si  potesse 

Trovare  un  più  fedele  e  vero  amante; 

Che,  dopo  tanta  ingiuria,  la  difesa 

Di  lei  contra  il  fratel  proprio  avea  presa. 

15.  E  per  sua  incllnazion  ,  eh'  assai  1'  amava, 
E  per  li  jìrcghi  di  tutta  la  corte, 

E  di  Rinaldo ,  che  più  d'  altri  instava, 
Della  bella  figlinola  il  fa  consorte. 
La  duchèa  d   Albania,  eh'  al  re  tornava. 
Dappoiché  Poline^so  ebbe  la  morte, 
In  miglior  tempo  discadcr  non  puote. 
Poiché  la  dona  alla  sua  figlia  in  dote. 

16.  Rinaldo  per  Dalinda  impetrò  grazia, 
Che  se  n'  andò  di  tanto  errore  esente  ; 
La  qual  per  voto ,  e  perchè  molto  sazia 
Era  del  mondo ,  a  Dio  volse  la  mente. 
Monaca  s'  andò  a  render  fino  in  Dazia, 
E  si  levò  di  Scozia  immantinente. 

Ma  tempo  è  omai  di  ritrovar  Ruggiero, 
Che  scorre  il  ciel  suU'  animai  leggiero. 

17.  Benché  Ruggier  sia  d'  animo  costante, 
Ne  cangiato  abbia  il  solito  c(»lore, 

lo  non  gli  voglio  creder,  che  tremante 
Non  abbia  dentro,  più  che  foglia,  il  core. 
Lasciato  avea  di  gran  spazio  distante 
Tutta  r  Europa,  ed  era  uscito  fiiore 
Per  molto  spazi;»  Il  segno,  che  prescritto 
Avea  già  a'  naviganti  Ercole  invitto. 

18.  Queir  ippogriio ,  grande  e  strano  augello. 
Lo  porta  via  con  tal  prestcv.za  d'  ale. 
Che  lascerìa  di  lungo  tratto  quello 
Celer  ministro  del  fnliuiiieo  str.ile. 
Non  va  per  1'  aria  altro  animai  sì  snello, 
Cbe  di  velocità  gli  fi>s>c  uguale. 
Credo,  eh'  appena  il  tuono  e  la  saetta 
Venga  in  terra  dal  <  iel  con  nniggior  fretta. 

19.  Poiché  r  augel  trascorso  ebbe  gran  spazio 
P(n-  linea  dritta,  e  senza  mai  piegarsi, 
Con  iarglie  ruote,  ornai  deir  aria  sazio, 
Cominciò  sopra  un'  i^ola  a  calarsi, 
Pari  a  quella,   ove,  dopo  lungo  strazio 
Far  del  suo  amante,  e  lungo  a  Ini  celarsi, 
lia  ^ei-gine  Aretusa  [uismì  in  \iu\» 
Di  sotto  il  mar,  per  canunin  cieco  e  strano. 

20.  Non  vide  né  '1  più  b<-l,  né  '1  più   giocondo 
Da  tutta  r  aria,  ove  le  penne  ste>e; 
Né,  se  tutto  c(;rcato  a\esse  il  inoiulo, 
ledria  di  questo  il  più  gentil  paese; 
()%e,   dopo  un  girarci  di  gran  tondo, 
('on  KMg;i;i<'r  fvrn  il  granile  ang«l  dis(;esc. 
(jil(e  pianure  e  delii.ati  colli. 
Chiare  acque ,  umbruse  ripe  ,  e  prati  molli. 


21.  Vaghi  boschetti  di  soavi  allori. 
Di  palme  e  di  anicnissime  mortelle, 
Cedri  ed  aranci ,  eh'  avean  frutti  e  fiori. 
Contesti  in  varie  forme ,  e  tutte  belle, 
Facean  riparo  ai  fervidi  calori 

De'  giorni  estivi,  con  lor  spesse  ombrelle; 
E  tra  qnc'  rami  con  sicuri  voli 
Cantando  se  ne  giano  i  rossignuoli. 

22.  Tra  le  purpuree  rose  e  i  bianchi  gigli, 
Che  tepid'  aura  freschi  ognora  serba, 
Sicuri  si  vedean  lepri,  e  conigli, 

E  cervi  con  la  fronte  alta  e  superba, 
Senza  temer,  eh'  alcun  gli  uccida  o  pigli» 
Pascano,  o  stiansi  ruminando  l'  erba. 
Saltano  i  dàini ,  e  i  capri  snelli  e  destri, 
Che  sono  in  copia  in  que'  luoghi  campestri. 

23.  Come  sì  presso  é  1'  ippogrifo  a  terra, 
Ch'  esser  ne  può  men  periglioso  il  salto, 
Ruggier  con  fretta  dell'  arcion  si  sferra, 
E  si  ritrova  in  suU'  erboso  smalto. 
Tuttavia  in  man  le  redini  si  serra. 

Che  non  vuol,  che  '1  dcstrier  più  vada  in  alto; 

Poi  lo  lega  nel  margine  marino 

A  un  verde  mirto,  in  mezzo  un  lauro  e  un  pmo. 

24.  E  quivi  appresso  ,  ove  sorgea  una  fonte. 
Cinta  di  cedri  e  di  fe(M)nde  jìalme. 

Pose  lo  scudo ,  e  1'  elmo  dalla  fronte 
Si  trasse,  e  disarmossi  ambe  le  palme; 
Ed  ora  alla  marina ,  ed  ora  al  monte 
Volgea  la  faccia  all'  aure  fresche  ed  alme. 
Che  r  alte  cime  con  mormorii  lieti^ 
Fan  treuudar  de'  faggi  e  degli  abeti. 

25.  Bagna  talor  nella  chiara  onda  e  fresca 
Le  asciutte  labbra  ,  e  con  le  man  diguazza, 
Acciocché  delle  vene  il  calor  esca, 

Che  gli  ha  acceso  il  portar  della  corazza. 
Né  maraviglia  é  già,  dv  ella  gì'  incresca; 
Che  non  é  stato  un  far  vederci  in  piazza, 
Ma,  senza  mai  posar,  d'  arme  gnernito, 
Tremila  miglia,  ognor  correndo,  era  ito. 

2(5.     Quivi  stando  il  dcstrier,  eh'  a^ea  lasciato 
Tra  le  più  dense  frasche  alla  fresca  ombra. 
Per  fuggir  si  rivtdta,  spaventato 
Di  non  so  che,  che  dentro  al  bosco  adombra, 
E  fa  crollar  si  il  mirto ,  ove  è  legato. 
Che  delle  fn>ndi  iotorno  il  pie  gì  ingombra. 
Crollar  fa  il  mirto,  e  fa  cader  la  foglia. 
Né  succede  però ,  che  se  ne  scioglia. 

27,  Come  ceppo  talor,  die  le  midolle 
Rare  e  vóto  abbia ,  e  posto  al  loco  sia, 
P«ii«hè  per  gran  «-iilor  quclT  aria  molle 
Resta  consunta,  che  in  iiicz/.o  1    «lupia. 
Dentro  risnona,  e  ceni  >tr<  pito  bolle, 
'J'anto  che  quel  furor  tro>i  la  ^ia: 
Co>\  mormoni,  e  stride,  e  .«.i  «■orrncxi» 
Quel  mirto  olVesi»,  e  al  fine  apre  la  bucata, 

28.  Onde  con  inc-la  e  (lebil  %oce  uscio 
Esp(;«lita  e  clliari^>iula  l'avella, 

E  di>se:  Se  tu  >ei  cor!c«c  e  i>io. 
C<Miie  «liiiHH-tri  alla  pi-escnza  bilia. 
ÌA-Mi  i|U<-sto  animai  dall'  arbor  mio? 
D.isti,  clic   1  mio  mal  proprio  mi  lìagdla. 
Scir/.a  altiM  pena,  senza  altro  dolore, 
Cir  a  tormcnlariiii  ancor  venga  tli  fuorc. 


[59] 


ORLANDO  FURIOSO.  (VI. 29 -44) 


[60] 


29 


30 


Al  primo  suon  di  queliti  voce  tor^^e 
Ruggiero  il  viso ,  e  subito  levosse  ; 
E ,  poich'  uscir  dall'  arbore  s'  accorse. 
Stupefatto  vei*tò  più  che  mai  fosse. 
A  levarne  il  de.^trier  subito  corse, 
E  eoa  le  guance  di  vergogna  rosse, 
Qual  «he  tu  sii,  perdonami,  dicea, 
O  spirto  umano,  o  boschereccia  dea! 

Il  non  aver  saputo,  che  s'  asconda 
Sotto  ruvida  scorza  umano  spirto, 
M'  ha  lasciato  turbar  la  bella  fronda, 
E  fare  ingiuria  al  tuo  vivace  mirto  : 
Ma  non  restar  però,  che  non  risponda, 
Clii  tu  ti  sia,  che  'n  corpo  orrido  ed  irto, 
Con  voce  e  razionale  anima  vivi  — • 
Se  da  grandine  il  ciel  sempre  ti  schivi! 

31.  E  se  ora,  o  mai  potrò  questo  dispetto 
Con  alcun  beneficio  compensarle, 

Per  quella  bella  donna  ti  prometto, 
Quella,  che  di  me  tìen  la  miglior  parte 
Ch'  io  farò  c(m  parole  e  con  etletto, 
Cli'  avrai  giusta  cagion  di  me  lodarle. 
Come  Ruggiero  al  suo  parlar  fin  diede, 
Tremò  quel  mirto  dalla  cima  al  piede. 

32.  Poi  sì  vide  sudar  su  per  la  scorza, 
Come  legno  dal  bosco  allora  tratto, 
Che  del  foco  venir  sente  la  forza, 
Posciachè  invano  ogni  ripar  gli  lia  fatto, 
E  cominciò:  Tua  cortesia  mi  sforza 

A  discoprirti  in  un  medesmu  tratto. 

Chi  fossi  io  prima,  e  chi  converso  m'  aggìa 

In  questo  mirto  in  suir  amena  s|)iaggia. 

33.  II  nome  mio  fu  Astolfo,  e  paladino 
Era  di  Francia,  assai  tcimito  in  guerra: 
D'  Orlando  e  di  Rinaldo  era  cugino, 
La  cui  fama  alcun  termine  non  serra; 
E  sì  spettava  a  me  tutto  il  domino, 
Dopo  il  mio  padre  Otton,  dell'  Inghilterra. 
Leggiadro  e  bel  fui  si,  che  di  me  accesi 
Più  d'  una  donna,  e  alfin  me  solo  olTesi. 

84.      Ritornando  io  da  quelle  isole  estreme 
Cile  da  Levante  il  mare  ìndico  lava. 
Dove  Rinaldo  ed  alcun'  altri  insieme 
Meco  fur  chiusi  in  parte  oscura  e  cava, 
E  donde  liberati  le  supreme 
Forze  n'  avean  del  cavalier  di  Brava, 
Ver  Ponente  io  venia  lungo  la  sabbili. 
Che  del  settentrion  sente  la  rabbia: 

35.     E  come  la  via  nostra,  e  '1  duro  e  fello 
Destin  ci  trasse,  uM;immo  una  mattina 
Sopra  la  bella  spiaggia,  uve  un  castello 
Siede  t-ìil  mar  della  possente  Alcina. 
Trovammo  lei,  eh'  uscita  era  di  quello, 
E  stava  sola  in  ripa  alla  marina, 
E  senza  rete  e  senz<i  amo  traeva 
Tutti  li  pesci  al  liti»,  che  voleva. 

Veloci  vi  correvano  i  delfini  ; 
\  i  venia  a  bocca  aperta  il  grosso  tonno, 
I  capidogli  co'  vecciii  marini 
Vcngou,  turbati  dal  lor  pign»  sunno. 
Mule,  Malpe,  salmoai  e  coracini 
Nuutano  a  schiere,  in  più  fretta  che  ponno, 
Pistrìci,  fisiteri,  orche  e  balene 
Ericon  del  mar  con  mostruose  schiene. 


86 


.31.      Veggiamo  ima  balena,  la  maggiore, 
Che  mai  per  tutto  il  mar  veduta  fosse; 
Undici  passi  e  più  dimostra,  fuorc 
Dell'  onde  salse,    le  spailacce  grosse. 
Caschiamo  tutti  insieme  in  uno  errore; 
(Percjr  era  ferma,  e  che  mai  non  si  scosse) 
Ch'    ella  sia  un''  isoletta,  ci  credemo. 
Così   distante  ha  1'  un  dall'  altro  estremo. 

38.  Alcina  ì  pesci  uscir  farea  dell'  ncque 
Con  semplici  parole  e  puri  incanti. 

Con  la  fata  Morgana  Alcina  nacque, 

Io  non  so  dir,  s'a  un  parto,  o  dopo,  o  ìnnantf. 

Guaidommi  Alcina,  e  subito  le  piacque 

L'  aspetto  mio,  come  mostrò  ai  sembianti, 

E  pensò  con  astuzia  e  con  ingegno 

Tormì  a'  compagni  ;  e  riusci  'l  disegno. 

39.  Ci  venne  incontra  con  allegra  faccia, 
Con  modi  graziosi  e  riverenti, 

E  disse:  Cavalier,  quando  vi  piaccia 

Far  oggi  meco  i  vostri  alloggiamenti, 

Io  vi  farò  veder  nella  mia  caccia 

Di  tutti  i  pesci  sorti  ditTerenti 

Chi  scaglioso,  chi  molle,  e  chi  col  pelo; 

E  saran  più,  che  non  ha  stelle  il  cielo. 

40.  E  volendo  vedere  una  sirena. 

Che  col  suo  dolce  canto  accheta  il  mare, 

Passiam  di  qui  fin  su  quell'  altra  arena, 

Dove  a  quest'  ora  suol  sempre  tornare. 

E  ci  mostrò  quella  maggior  balena, 

Che,  come  io  dissi,  un'  isoletta  pare. 

Io,  che  sempre  fui  troppo  (e  me  n'  ìncresce) 

Volonteroso,  andai  sopra  quel  pesce. 

41.  Rinaldo  m'  accennava,  e  similmente 
Dudon,  eh'  io  non  v'  andassi;  e  poco  valse. 
La  fata  Alcina  con  faccia  rìdente, 
Lasciando  gli  altri  due,  dietro  mi  salse. 

La  balena  all'  ufficio  diligente, 
Nuotando  se   n'  andò  per  1'  onde  salse. 
Di  mia  sciocchezza  tosto  fui  pentito; 
Ma  troppo  mi  trovai  lungi  dal  lito. 

42.  Rinaldo  si  cacciò  nell'  acqua  a  nuoto 
Per  ajutarmi,  e  quasi  si  sommerse, 
Perchè  levossi  un  furioso  Noto, 

Che  d'  ombra  il  cielo  e  '1  pelago  coperse. 
Quel  che  di  lui  segni  poi,  n<m  m'  è  noto. 
Alcina  a  confortarmi  sì  converse; 
E  quel  dì  tutto,  e  la  notte,  che  venne. 
Sopra  quel  mostro  in  mezzo  il  mar  mi  tenne  ; 

48.      Finché  venimmo  a  quest'  ìsola  bella, 
Di  cui  gran  parte  Alcina  ne  pos.^iede: 
E  r  ha  usurpata  ad  una  sua  sorella, 
Che  '1  padre  già  lasciò  del  tutto  erede. 
Perchè  sola  legìttima  avea  quella, 
E  (come  alcun  notizia  me  ne  diede. 
Che  pienamente  iiistrutto  era  di  questo) 
Sono  quest'  altre  due  nate  d'  incesto. 

44.      E,  come  sono  inique  e  scellerate, 
E  piene  d'  ogni  vizio  infame  e  brutto, 
Cor^ì  qiH-lla,   vivendo  in  caslitate, 
Posto  ha  nelle  virtuti  il  suo  c(»r  tutto. 
Contra  lei  queste  due  son  c<uigiuratc, 
E  già  più  d'  un  esercito  hanno  instrutto, 
Per  cacciarla  dell'  isola,  e  in  più  volte 
Più  di  cento  castella  l'  hanno  tolte. 


[81] 


ORLANDO    FURIOSO.     (VI.    45_eo1 


[62] 


45.  Né  ci  terrebbe  ormai  spanna  di  terra 
Colei,  che  Logistilla  è  nominata, 

Se  non  clic  quinci  un  golfo  il  passo  serra, 

E  quindi  una  montagna  inabitata  ; 

Sì  come  tien  la  Scozia  e  1'  Inghilterra) 

Il  monte  e  la  riviera  s^eparata. 

Kè  però  Alcina,  né  Morgana  resta. 

Che  non  le  \oglia  tor  ciò,  che  le  resta. 

46.  Perché  di  \izj  é  questa  coppia  rea, 
Odia  colei,  perclié  é  pudica  e  santa. 
Ma,  per  tornare  a  quel,  di'  io  ti  dicca, 
£  seguir  poi,  coni'  io  divenni  pianta; 
Alcina  in  givin  dcli/ie  mi  tenca, 

E  del  mi()  amore  ardeva  tutta  quanta  : 
Ké  min(»r  fìamiiia  nel  mìo  <u»re  accese 
Il  veder  lei  si  bella  e  si  cortese. 

47.  Io  mi  godea  le  delicate  membra  : 
Pareami  aver  qui  tutto  il  ben  raccolto, 
Che  fra'  mortali  in  più  parti  si  smeinlira, 

A  chi  più,  ed  a  chi  meno,  e  a  ne--uii  molto. 
]\è  di  Francia,  né  d'  altro  mi  rimcmlira; 
Stavami  sempre  a  contemplar  quel  volto  : 
Ogni  pensiero,  ogni  mio  l)el  disegno 
In  lei  finia,  né  passava  oltre  il  segno. 

48.  Io  da  lei  altrettanto  era,  o  più,  amato. 
•  Alcina  più  non  si  curava  il'  altri: 

Ella  ogni  altro  suo  amante  avea  lasciato  ; 
Che  innanzi  a  me  ben  ce  ne  tur  degli  altri. 
Me  consiglier,  me  avea  dì  e  notte  a  lato, 
E  me  fé'  quel,  che  comandava  agli  altri. 
A  me  credeva,  a  me  si  riportava, 
]\é  notte  o  dì  con  altri  mai  parlava. 

49.  Deh  !  perché  vo  le  mie  piaghe  toccando, 
Senza  speranza  poi  di  medicina.'' 

Perché  l'  avuto  ben  vo  rimembrando, 
Quando  io  patisco  estrema  disciplina.'' 
Quando  credea  d'  esser  felice,  e  quando 
Credca,  eh'  ama»'  più  mi  dovesse  Alcina, 
Il  cor,  che  m'  avea  «lato,   si  rit«»lse, 
E  ad  altro  nuovo  amor  tutta  si  volse. 

50.  Conobbi  tardi  il  suo  m<d>ile  ingegno, 
Usato  amare  e  disamare  a  un  punto. 
Non  era  stato  oltre  a  due  mesi  in  regno, 

Cli'  un  nuovo  amante  al  liu>go  mio  fu  assunto. 
Uà  sé  cacciommi  la  t'ala  ctm  sdegno, 
E  dalia  grazia  sua  in'  ebbe  ilisgiunto; 
E  seppi  poi,  che  tratti  a  simil  porto 
Aveii  mill'  altri  amanti,  e  tutti  a  torto. 

51.  E  perché  essi  non  ^  adano  pel  lunndu 
Di  lei  narrando  la  vita  lasciva. 
Chi  quìi,  chi  là  jicr  lo  tenen  fecondo 
Li  iimta,  altri  in  abete,  altri  in  oli^a, 
Altri  in  palma,   altri  in  cedro,  altri  secondo 
Che  vedi  me,  su  que.-ta  verde  riva. 
Altri  in  lii|uiiio  fonI<%  alcuni  in  f<-ra. 
Come  più  aggriula  a  quella  fata  altera. 

S,      Or  tu,  die  sei  per  non  usata  viii. 
Signor,  venuto  all'  isola  fatale, 
Acciocdr  ahuno  amante  p<'r  le  sìa 
CouMM-so  In  pietra,  o  in  onda,  o  fatto  tale-, 
Avrai  d'  Aliina  si-cllr«»  e  >ignoriiL, 
E  sarai  lido  >opra  ogni  miirtale. 
Ma  certo  sii  di  giunger  Ui>to  al  pa>.«n 
D'entrar  o  in  t'era,  u  in  fonie,  u  in  legno,  nin  sasso. 


33.      Io  te  n'  ho  dato  volentieri  avviso. 

Non  di'  io  mi  creda,  che  debbia  giovarle-; 
Pur  meglio  fìa,    che  non  vadi  improwLs», 
E  de'  costumi  suoi  tu  sappia  parie; 
Che  forse,  come  é  differente  il  \iso, 
E'   difl'erente  ancor  1'  ingegno  e  1'  arte. 
Tu  saprai  forse  riparare  al  danno. 
Quel  che  saputo  mill'  altri  non  hanno. 

54.  Ruggier,  che  conosciuto  avea  per  fama, 
Ch'  Astolfo  alla  sua  donna  cugin  era, 

Si  dolse  assai,  che  in  steri!  pianta  e  grama 
Mutato  avesse  la  scmbianya  vera; 
E  per  amor  di  quella,  che  tanto  ama. 
Purché  sapulo  avesse,  in  che  maniera 
Cili  avria  fallo  servigio;  ma  ajutarlo 
In  altro  non  polca,  che  in  confortarlo. 

55.  Lo  fé'  al  meglio  che  seppe  e  domandoUi 
Poi,  se  via  e'  era,  eh'  al  regno  guidas^i 
Dì  I.ogislilla,  o  per  piano,  o  per  colli. 

Sì  che  per  quel  d'  Alcina  non  andassi. 
Che  ben  ve  n'  era  un'  altra,  rìtornolli 
L'  arbore  a  dir,  ma  piena  d'  aspri  sassi, 
S'  andando  un  poco  innanzi  alla  man  destra, 
Salisse  il  poggio  invcr  la  cima  alpestra: 

56.  Ma  che  non  pensi  già,  che  seguir  possa 
Il  suo  cammin  per  quella  strada  troppo  : 
Incontro  avrà  di  gente  ardita  grossa 

E  fiera  compagnia  con  duro  intoppo. 
Alcina  ve  gli  lìen  per  muro  e  fossa, 
A  chi  volesse  uscir  fiH)r  del  suo  groppo. 
Ruggier  quel  mirto  ringraziò  del  lutto, 
Poi  da  lui  si  parli  dotto  ed  instrullo. 

57.  Venne  al  cavallo,  e  lo  disciolse,  e  pre^e 
Per  le  redini,  e  dietro  se  lo  trasse; 

Né,  come  fece  prima,  più  1'  ascese. 
Perché  mal  grado  suo  non  lo  portasse. 
Seco  pensava,  come  nel  paese 
Di  LogislìCla  a  salvamento  andas>e. 
Era  disposto  e  fermo  usare  ogni  opra. 
Che  non  gli  avesse  imperio  Alcina  sopra. 

<  58.      Pensò  di  rimontar  sul  suo  ca^  allo, 

f  E  per  r  aria  spnuiarlo  a  nuovo  corso; 

Ala  dubitò  dì  far  poi  maggior  fallo: 

i  Che  troppo  mal  qiu-l  gli  ubbidiva  al  morso. 

I  Io  passerò  per  f«»rza,  s'  io  non  fallo, 

I  Dicea  tra  sé:  ma  vano  era  il  discorso. 

i  ]^on  fu  duo  miglia  liuigi  alla  marina, 

{  Che  la  bella  città  vide  d'  Alcina. 

59.  Lontan  sì  v<;de  una  muraglia  lunga, 
Clu!  gira  intorno,  e  gran  paese  -eira  ; 

E  par,  che  la  sua  alte/za  al  ciel  s"  ìiggiuuga 

E  d'  oro  sìa  ilall'  alla  cima  a  It-rra. 

Alcun  dal  mio  parer  qui  >i  dilunga. 

E  dice,  eh'  ella  è  alebiiiiìa:  e  forse  ch"  erra. 

Ed  anco  l'orse  meglio  dì  me  iiilemle. 

A  me  pur  oro,  poiché  ^ì   rispleiide. 

60.  Come  fu  press<i  alle  -i  ricche  mura. 
Vììv  M  mondo  altre  non  ha  della  lor  sort<'. 
Lasciò  la  str.idii,  die  per  la  pianura 
Ampia  e  diritta  andana  alle  gran  porte; 
Ed  a  limo  di-s(ra.   a  quella  |iiù  -iciira, 

di'  al  monte  già,  pìegossi  il  giierrier  forte: 
>Li    to.-to  ritrovò  1'  iniqua  frotta. 
Dui  cui  furor  gii  fu  turbala  e  mlta. 


[63] 


ORLANDO  FUBIOS^O.  (VI.  61-70) 


fil.      IVoii  fu  veduta  mai  più  strana  torma. 
Più  mostruosi  Tolti,  e  peggio  fatti. 
Alcun  dal  collo  in  giù  d'uomini  lian  forma, 
Col  viso  altri  di  sciniic.  altri  di  gatti  ; 
Stampano    alcun  co'  pie  caprìgni  1'  orma. 
Alcuni  son  centauri  agili  ed  atti  ; 
Son  giovani  impudenti,  e  vecclij  stolti; 
Chi  nudi,  e  chi  di  strane  pelli  involti. 

62.      Clii  senza  freno  in  su  un  destrier  galoppa; 
Clii  lento  va  con  1'  asino,  o  col  bue: 
Altri  saliscc  ad  un  centauro  in  groppa; 
Struzzoli  molti  han  sotto,  aquile  e  grue. 
Ponsi  altri  a  bocca  il  corno,  altri  la  coppa; 
Chi  femmina,  e  chi  maschio,  e  chi  ambedue. 
(;iii  porta  uncino  ,   e  chi   scala  di  corda, 
Chi  pai  di  ferro,  e  chi  una  lima  sorda. 

(io.      Di  questi  il  capitano  si  vedea 

Aver  gonfiato  il  ventre ,  e  '1  viso  grasso  ; 

Il  qual  su  una  testuggine  scdea, 

Che  con  gran  tardità  mutava  il  passo. 

Avea  di  qua  e  di  là   chi  lo  reggca, 

Perdi'   egli  era  ebbro ,  e  tenea  il  ciglio  basso. 

Altri  la  fronte  gli  asciugava  e  il  mento; 

Altri  i  panni  scotea  per  fargli  vento. 

64.  Un,  eh'  avea  umana  forma,  i  piedi,  e  'I  ventre, 
E  collo  avea  di  cane,  orecchie  e  testa,  ^ 
Centra  Ruggiero  abbaja,  accìocch'  egli  entre 
^ella  l)eUa  città  ,  eh'  addietro  resta. 

Rispose  il  cavalier:  ^ol  farò,  mentre 
Avrà  forza  la  man  di  regger  questa  — 
E  gli  mostra  la  spada,  di  cui  volta 
Avea  r  aguzza  punta  alla  sua  volta. 

65.  Quel  mostro  lui  ferir  vuol  d'  una  lancia  ; 
Ma  Ruggier  presto  se  gli  avventa  addosso  : 
Una  stoccata  gli  trasse  alla  pancia, 

E  la  fé'  un  palmo  i-iuscìr  pel  dosso. 

Lo  scudo  imbraccia,  e  qua  e  là  si  lancia. 

Ma  r  inimico  stuolo  è  troppo  grosso:  j 

L'  un  quinci  il  punge,  V  altro  quindi  afferra:         i 

Egli  s'  arrosta ,  e  fa  lor  aspra  guerra.  I 

66.  L'  un  sino  a'  denti,  e  l'  altro  sino  al  petto      j 
Partendo  va  di  quella  iniqua  razza; 
Ch'  alla  sua  spada  non  s'  oppone  elmetto, 
j\è  scudi»,  né  panziera,  né  corazza. 
Ma  da  tutte  le  parti  è  co.sì  a.^tretto, 
Che  bisogno  saria ,  per  trovar  piazza, 
E  tener  da  sé  largo  il  popol  reo, 
D'  aver  più  braccia  e  man,  che  Briarco. 

67.  Se  di  scoprire  avesse  avuto  avviso 
liO  scudo  .  che  già  fu  del  negromante; 
I»  dico  quel,  eh'  abljarliagliava  il  aÌsoì,  . 
Quel,  eh'  all'  arcione  avea  lasciato  AUMtc; 
Suliito  avria  quel  brutto  stuol  conquiso, 
E  l'attosel  cader  cieco  davante: 
E  forse  ben ,  vha  dispri-zzò  quel  modo, 
Perchè  virtude  usar  volse,  e  non  frodo. 

(ìH.      Sia  quel  che  può,  più  tosto  vuol  morire, 
Che  reiul<T>i  prigione  a  si  vii  gente. 
Eccoti  intanto  dalla  porta  uscire 
Del  nuiri» ,  di'  io  dicea,  d'  oro  liurcntc, 
Due  giovimi  ,  cir  ai  gesti  ed   al  vestire 
Non  eran  da  stimar  nate  uuiihncntc, 
>è  da  pa-lor  nutrile  cimi  disagi, 
Ma  fra  delizie  di  real  palagi. 


[64] 


6  '     L'  una  e  1'  altra  sedea  su'  nn  liocorno 
Candido  più,  che  candido  armellino. 
L'  una  e  1'  altra  era  bella,  e  di  si  adorno 
Abito,  e  modo  tanto  pellegrino. 
Che  all'  uom  guardando  e  contemplando  intorno 
Bisognerebbe  avere  occliio  divino. 
Per  far  di  lor  giudizio;  e  tal  saria 
Beltà,  s'  avesse  corpo  e  leggiadria. 

'JO.     L'  una  e  1'  altra  n'  andò,  dove  npl  prato 
Ruggiero  è  opj>resso  dallo  stuol  villano. 
Tutta  la  turba  si  levò  da  lato; 
E  quelle  al  cavalier  porser  la  mano, 
Che ,  tinto  in  viso  di   color  rosato. 
Le  donne  ringraziò  dell'  atto  umano, 
E  fu  contento,  compiacendo   loro. 
Di  ritornarsi  a  quella  porta  d'  oro. 

71.  L'  adornamento,  che  s'  aggira  sopra 
La  bella  porta,  e  sporge  un  poco  avante. 
Parte  non  ha,  che  tutta  non  si  copra 
Delle  più  rare  gemme  di  Levante. 

Da  quattro  parti  si  riposa  sopra 

Grosse  colonne  d'  integro  diamante. 

O  vero  ,  o  falso  ,  eh'  all'  occhio  risponda, 

Non  è  cosa  più  bella ,  o  più  gioconda. 

72.  Su  per  la  soglia,   e  fuor  per  le  colonne, 
Corrou  scherzando  lascive  donzelle, 

Che ,  se  i  rispetti  dd>iti  alle  donne 

Servasser  più,  sariau  forse  più  belk: 

Tutte  vestite  eran  di  verdi  gonne, 

E  coronate  di  frondi  novelle. 

Queste,  con  molte  olTerte  e  con  buon  viso 

Ruggier  fecero  entrar  nel  paradiso: 

73.  Che  si  può  ben  così  nomar  quel  loco. 
Ove  mi  credo  che  nascesse  Amore. 

]\on  vi  si  sta ,  se  non  in  danza  e  in  gioco, 

E  tutte  in  festa  vi  si  spendon  1'  ore. 

Pensier  canuto ,  né  molto ,  né  poco. 

Si  può  qui>i  albergare  in  alcun  core. 

jVou  entra  quivi  disagio ,  né   inopia. 

Ma  vi  sta  ognor  col  corno  pien  la  copia. 

74.  Qui ,  dove  con  serena  e  lieta  fronte 
Par,  eh'  ognor  rida  il  grazioso  aprile, 
Giovani  e  donne  son  :  qual  presso  a  fonte 
Canta  *;on  dolche  e  dilettoso  stile; 

Qual,  d'  un  arbore  all'  ombra,  e  qual  d'  un  monte, 
()  giuoca,  o  danza,  o  fa  cosa  non  vile; 
E  qual ,  liuigi  dagli  altri ,  a  un  suo  fedele 
Discopre  l'  amorose  sue  querele. 

75.  Pt'r  le  cime  de'   pini  e  degli  allori. 
Degli  alti  faggi  e  degl'  irsuti  abeti, 
^(>lan  scherzaiulo  i  pargoletti  Amori, 
Di   lor  vittorie    altri  godendo  lieti. 
Altri  pigliando  a  saettare  i  cori 

La  mira  qiiiiuli ,   altri  tendendo  reti. 

('Ili  tempra  dardi  ad  un  ruscd  più  basso, 

E  ehi  gli  aguzza  ad  un  volubil  sasso. 

76.  Qui^i  a  Ruggiero  mi  gran  corsier  fu  dato, 
Fort«;,  gagliardo,  f^  tutti»  di  pel  sauro, 

Ch'  a\(-a  il  bel  guernimento  ricamato 
Di  preziose  gemme  e  di  (in  auro; 
E  fu  lanciato  in  guardia  quell'  alato. 
Quel  di<;  solca  iililtidin-  al  secchio  Mauro, 
A  un  giovaiK',   che  dietro  lo  menassi 
Al  buon  Ruggier  con  mcn  frettusi  pacifii. 


[65] 


ORLANDO  FURIOSO.     (VI.  rr— 81.     VU.  ]_e) 


[66] 


.      Quelle  due  belle  giorani  amorose, 
Ch'  avean  Kuggier  dall'  empio  litiiol  difeso, 
Dall'  empio  stuol,  clie  dianzi  se  gli  oppose 
Sn  quel  cnmmin,  eli'   avea  a  man  destra  preso, 
Gii  dissero:  Signor,  le  rirtuose 
Opere  vostre  ,  che  già  abbiamo  inteso, 
Ne  fan  sì  ardite,  che  1'  ajuto  vostro 
Vi  chiederemo  a  beneficio  nostro. 


79. 


Oltre  che  sempre  ci  turbi  il  cammino. 
Che  libero  saria,  se  non  foss'  ella. 
Spesso  correndo  per  tutto  il  giardino 
Va  disturbando  or  questa  cosa,  or  quella. 
Sappiate,  che  del  popolo  assassino. 
Che  vi  assalì  fuor  della  porta  bella. 
Molti  suoi  figli  son ,  tutti  seguaci, 
Empj  com'  ella,  inospiti  e  rapaci. 


80. 


.     Noi  troverera  tra  via  tosto  una  lama. 
Che  fa  due  parti  di  questa  pianura. 
Una  crudel ,  che  Erifila  s-i  chiama. 
Difende  il  ponte,  e  sforza,  e  inganna,  e  fura 
Chiunque  andar  nell'  altra  ripa  brama; 
Ed  ella  è  gigantcssa  di  statura  ; 
Li  denti  ha  lunghi ,  e  velenoso  il  morso, 
Acute  r  ugne,  e  graffia  come  un  oi'so. 

81.      Le  donne  molte  grazie  riferirò 

Degne  d'  un  cavalier ,  come  quell'  era  : 
E  cosi  ragionando  ne  vcniro, 
Dove  videro  il  ponte  e  la  riviera; 
E  di  smeraldo  ornata  e  di  zaffiro 
Su  r  arme  d'  or  vider  la  donna  altera. 
Bla  dir  neir  altro  canto  niifcrisco, 
Come  Kuggicr  con  lei  si  pose  a  risco. 


lluggier  rispose  :  Non  eh'  una  battaglia. 
Ma  per  voi  sarò  pronto  a  farne  cento. 
Di  mia  persona,  in  tutto  quel  che  vaglia, 
Fatene  voi ,  secondo  il  vostro  intento  ! 
Che  la  cagion,  eh'  io  vesto  piastra  e  maglia, 
Non  è  per  guadagnar  terre ,  né  argento, 
Ma  sol  per  farne  beneficio  altrui; 
Tanto  più  a  belle  donne,  come  vui. 


CANTO    SETTIMO. 


ARGOMENTO. 

Ruggier  la  gigantessa  abbaile  e  stende, 
Fi  ne  va  drillo  a  ritrovar  Àlcina, 
Clic  con  finta  bella  tanto  V  accende, 
CK  ei  più  non  pensa  ad  altra  disciplina. 
Ma  la  maga ,  che  rf'  esso  cura  prende, 
Gli  porta  del  suo  mal  la  medicina; 
Che  con  V  anel  gli  mostra  a  parte  a  parie 
Le  celate  bruttezze  in  lei  con  urte. 


1.  Chi  va  lontan  dalla  sua  patria,  vede 
Cose  da  quel ,  che  già  oredea  ,  h)ntane, 
Che,  narrandole  poi,  non  se  gli  crede, 
E  stimato  bugi.irdo  ne  rimane: 

Che  '1  volgo  sciocco  non  gli  viu)l  dar  fede,     ; 
Se  non  le  vede  e  tocca  chiiire  e  piane. 
Por  f|ucsto  io  so ,  che  l'  inesperienza 
Farà  al  mio  canto  dar  poca  credenza. 

2.  Poca,  o  molta  eli'  io  n'  abbia  ,  non  bisogna, 
Ch'  io  ponga  mente  al  ^olgo  sciocco  e  ignaro. 
A  ^oi  hO  ben,  che  non  parrà  menzogna, 

Che  '1  lume  del  discorso  aveie  cliian»  ; 
Ed  a  voi  soli  ogni  mio  intento  agogna, 
Che    I  frutto  sia  di  niiir  fatiche  «aro. 
I(t  ^i  luHiiai,  <-|ie  'I  ponte  e  la  risiera 
Vider,  clu;  in  guardia  a\ea  Drifila  allicrn. 


3.  Quell'  era  armata  del  più  fin  metallo, 
Ch'  avean  di  più  color  gemme  di>tinto; 
Rubin  vermiglio ,  crisolito  giallo, 
Verde  smeraldo ,  con  flavo  giacinto. 
Era  montata ,  ma  non  a  cavallo  : 

In  vece  awn  di  quello  un  lupo  spinto; 
Spinto  avea  un  lupo ,  ove  si  passa  il  fiume, 
Con  ricea  sella  fuor  d'  ogni  costume. 

4.  Non  credo,  eh'  un  si  grande  Apulia  n'  abbia; 
Egli  era  grosso  ed  alto  più  d'  un  bue. 

Con  fren  spumar  non  gli  facea  le  labbia. 
Né  so,  come  lo  regga  a  coglie  sue. 
Ija  sopravA'esta  di  color  di  sabbia, 
Suir  arme  avea  la  maladetta  lue  ; 
Era,  fuorché '1  color,  di  quella  sorte, 
Che  i  vescovi  e  i  prelati  usano  in  corte. 

5.  Ed  avea  nello  scudo  e  sul  cimiero 
Una  gonfiata  e  velenosa  bolla. 

Le  donne  la  mostraro  al  ca^aliero. 

Di  qua  dal  ponte  per  gio^lrar  ridotta, 

E  fargli  sc«)rno ,  e  rompergli  il  sentiero, 

Conu-  ad  alcuni  usata  era  lalolta. 

Ella  a  Unggier,  che  torni  a  di«-fro,  grida: 

Quel  piglia  un'  asta ,  e  la  minaccia  e  sfida. 

6.  Non  mcn  la  gigantessa  ardita  e  presta 
Sprona  il  gran  lupo,  e  nell'  arcion  si  serra, 
E  pon  la  lancia  a  nuv./o  il  cor>o  in  resta, 

E  fa  tremar  nel  suo  %enir  bi  terra. 
Ma  pur  sul  prato  al  fiero  incontro  resta; 
('bè  sotto  r  elmo  il  buon  Itnggicr  1"  alferra, 
E  dell'  arci(ui  cimi  tal  funu'  la  «accia, 
Che  lu  riporta  'uidielro  oltra  sei  braccia. 


[6Ì] 


ORLANDO  FURIOSO.     (VII.   ìr-22) 


[68] 


7.  E  già ,  tratta  la  spada ,  eh'  avea  cinta, 
Venia  a  levarle  la  te>ta  superba  : 

E  ben  Io  potea  far,  che  come  estinta 
Eriiila  giacca  tra'  fiori  e  1    erba. 
Ma  le  donne  gridar:  Basti  sia  vinta! 
Senza  pigliarne  altra  vendetta  acerba 
Ripon,  cortese  cavalier ,  la  spada; 
Passiamo  il  ponte  ,  e  seguitiam  la  strada! 

8.  Alquanto  malagevole  ed  aspretta 
Per  mezzo  un  bosco  presero  la  via, 
Clie,  oltra  che  sassosa  fosse  e  stretta. 
Quasi  su  dritta  alla  collina  già. 

Ma  poiché  furo  ascesi  in  sulla  vetta, 
Uscirò  in  spaziosa  prateria, 
Dove  il  più  bel  palazzo  e  '1  più  giocondo 
Vider ,  che  mai  fosse  veduto  al  mondo. 

9.  La  bella  Alcina  venne  un  pezzo  innante 
Verso  Ruggier  fuor  delle  prime  porte, 

E  lo  raccolse  in  signoril  sembiante, 
In  mezzo  bella  ed  onorata  corte. 
Da  tutti  gli  altri  tanto  onore,  e  tante 
Riverenze  fur  fatte  al  guerrier  forte, 
Che  non  ne  potrian  far  più,  se  tra  loro 
Fosse  Dio  sccso  dal  superno  coro. 

10.  ^on  tanto  il  bel  palazzo  era  eccellente. 
Perchè  vincc.-sc  ogni  altro  di  riccliezza, 
Quanto  eh'  avea  la  più  piacevol  gente 
Che  fosse  al  mondo,  e  di  più  gentilezza. 
Poco  era  l'  un  dall'  altro  differente 

E  di  fiorita  etade,  e  di  bellezza. 

Sola  di  tutti  Alcina  era  più  bella, 

Si  come  è  bello  il  sol  più  d'  ogni  stella. 

11.  Di  persona  era  tanto  l>en  formata. 
Quanto  me'  finger  san  pittori  industri. 
Con  bionda  chioma,  lunga  ed  annodata, 
Oro  non  è,  che  più  risplenda  e  lustri. 
Spargea^i  per  la  guancia  delicata 
Misto  color  di  rose  e  di  ligustri. 

Di  terso  avorio  era  la  fronte  lieta, 
Che  lo  spazio  finia  con  giusta   meta. 

12.  Sotto  due  negri  e  sottilissimi  archi 
Son  due  negri  oc(  hj,  anzi  due  chiari  soli, 
Pietosi  a  riguardare,  a  mover  panili. 
Intorno  a  cui  par  eh'  Anuir  scherzi  e  voli, 
E  eh'  indi  tutta  la  faretra  scarehi, 

E  che  vi.-ibilmente  i  cori  involi  ; 
Quindi  il  na>o  per  mezzo  il  viso  scende, 
Cile  non  trova  V  invidia,  ovel'  emende. 

13.  Sotto  quel  sta.  cjiia>i  fra  due  vallette, 
La  biicca,  sjvirsa  di  natio  cinal)ro. 
QiTni  due  filze  son  di  perle  elette, 

Clie  (binde  ed  apre  \ìiì  belb»  e  dolce  labro. 

Quindi  esco;i  le  cortesi  parolette, 

])a  render  molle  ogni  (;<ir  rozzo  e  scabro: 

Qui^i  ^i  forma  cjuel  ■«Mive  rìso, 

(Jh'  apre  a  sua  posta  in  terra  il  paradiso. 

14.  Kianea  neve  è  il  bel  collo,  e  'l  petto  latte: 
Il  collo  è  tondo,   il  petto  è  coluut  e  largo: 
Due  poma  acerbe,  e  pur  d'  avorio  fatte, 

\  engorio  e  \.im,  comk;  onda  al  primo  margo, 

Quando  piao-M)!  aura  il  mar  combatte. 

N(m  potn'a  1"  altre  purti  \eder  Argo: 

liei)  ^i   può  gindiear,  elie  corrir,pondc 

A  ({nel,  eh'  appar  di  fuor,  (pul,  che  u'  asconde. 


15.  Mostran  le  braccia  sue  misura  giusta, 
E  la  candida  man  spesso  si  vede, 
Lunghetta  alquanto,  e  di  larghezza  angusta^ 
Dove  né  nodo  appar,  né  vena  eccede. 

Si  vede  al  fin  della  persona  augusta 
Il  breve,  a?ciutto  e  ritondetto  piede. 
Gli  angelici  sembianti  nati  in  cielo 
Kon  si  ponno  celar  sotto  alcun  velo. 

16.  Avea  in  ogni  sua  parte  un  laccio  teso, 
O  parli,  o  rida,  o  canti,  o  passo  mova: 
]Né  maraviglia  è,  se  Ruggier  n'  è  preso. 
Poiché  tanto  benigna  se  l.i  tro^  a. 

Quel,  che  di  lei  già  avea  dal  mircO  inteso, 
Com'  è  perfida  e  ria,  poco  gli  giova  : 
Che  inganno,  o  tradimento  non  gli  è  o.wisO 
Che  possa  star  con  sì  soave  riso. 

17.  Anzi  pur  creder  vuol,  che  da  costei 
Fosse  converso  Astolfo  in  soli'  arena 
Per  li  suoi  portamenti  ingrati  e  rei, 

E  sia  degno  di  questa,  e  di  più  pena: 
E  tutto  quel,  eh'  udito  avea  di  lei. 
Stima  esser  falso,  e  che  vendetta  mena, 
E  mena  astio  ed  invidia  quel  dolente 
A  lei  biasraare,  e  che  del  tutto  mente. 

18.  La  bella  donna,  che  cotanto  amava, 
Novellamente  gli  è  dal  cor  partita; 
Che  per  incanto  Alcina  glielo  lava 

D'  ogni  antica  amorosa  sua  ferita, 
E  di  sé  sola,  e  del  suo  amor  lo  grava, 
E  in  quello  essa  riman  sola  scolpita: 
Si  che  scusare  il  buon  Kuggier  si  deve. 
Se  si  mostrò  quivi  incostante  e  lieve. 

1 

;    19.     A  quella  mensa  cetere,  arpe  e  lire, 
E  diversi  al;ri  dilettevol  *noni 
Faceano  intorno  1'  aria  tintinnire 
D'  armonia  dolce  e  di  concenti  buoni. 
IVon  vi  mancava  chi  cantando  dire 
D'  amor  sapesse  gaudj  e  passioni  ; 
0  con  inven/.ioni  e  poesie 
Rappresentasse  grate  fantasie. 

20.  Qual  mensa  trittnfante  e  sontuosa 
Di  quaKivoglia  successor  di  >ino, 

O  qual  mai  tanto  celebre  e  famosa, 
Di  Cleopatra  al  vincitor  latino, 
Potria  a  questa  esser  par,  che  1'  amorosa 
Fata  avea  posta  innanzi  al  paladino? 
Tal  udn  cred'  io  che  s'  apparecchi,  doT« 
Ministra  Ganimede  al  sommo  Giove. 

21.  Tolte  che  fur  le  mense  e  le  vivande, 
Facean  sedendo  in  cerihio  un  gioco  lieto. 
Che  neir  orecchio  1'  un  l'  altro  domande, 
Come  pili  piace  lor,  qualche  secreto  ; 

II  che  agli  amanti  fu  comodo  grande 
Di  scoprir  r  amor  lor  senza  divieto  ; 
E  fiiroii  lor  eoiicliisi'oiii  e-treme 

Di  ritrovarsi  quella  noite  insieme. 

22.  Finir  quel  gioco  tosto,   e  molto  innanzi 
Che  non  solca  là  th-nlro  esser  costume. 
Con  torchj  allora  i  paggi  entrati  innanij 
Le  tenebre  l'acciàr  ('oii  mollo  lume. 

Tra  bella  compagnia  dietro  e  dinanzi 
Andò  liiiggiero  a  rilro\ar  \r  piume, 

III  una  adorna  e  fresca  cameretta, 
Per  la  miglior  di  tutte  l"  altre  eletta. 


[69] 


ORLANDO  FURIOSO.     (VH.  23— S8) 


im 


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E  poiché  di  confetti  e  di  buon  vini 
Di  nuovo  fatti  fur  debiti  inviti, 
K  partir  gli  altri  riverenti  e  chini, 
Ed  alle  stanze  lor  tutti  son  iti  : 
Ruggiero  entrò  ne'  profumati  lini, 
Che  pareano  di  man  d'  Ararne  nsciti 
Tenendo  tuttavia  1'  oi-eccliie  attente, 
Se  ancor  venir  la  bella  donna  sente. 

Ad  ogni  picciol  moto,  eh'  egli  udiva. 
Sperando,  che  fosse  ella  ,  il  capo  alzava. 
Sentir credeasi,  e  spesso  non  sentiva; 
l'oi  del  suo  errore  accorto  sospirava. 
Talvolta  nscia  del  letto,  e  T  u-cio  apriva. 
Guatava  fuori,  e  nulla  vi  trovava  ; 
E  maledi  ben  mille  volte  1'  ora. 
Che  facea  al  trapassar  tanta  dimora. 

Tra  sé  dicea  sovente  :  Or  si  parte  ella  ; 
E  cominciava  a  noverare  i  passi, 
Ch'  esser  potean  dalla  sua  stanza  a  quella, 
Dove  aspettando  sta,  che  Alcina  passi. 
E  questi,  ed  altri,  primachè  la  bella 
Donna  vi  sia,  vani  disegni  fassi  : 
Teme  di  qualche  impedimento  spesso, 
Che  tra  '1  frutto  e  la  man  non  gli  sia  messo. 

Alcina,  poich'  ai  preziosi  odori. 
Dopo  gran  spazio,  pose  alcuna  meta, 
Venuto  il  tempo,  che  più  non   dimori, 
Ormai  che  'n  casa  era  ogni  cosa  cheta, 
Della  camera  sua  sola  uscì  fuori, 
E  tacita  n'  andò  per  via  secreta, 
Dove  a  Ruggiero  avean  timore  e  speme 
Gran  pezzo  intorno  al  cor  pugnato  insieme. 

Come  si  vide  il  successor  d'  Astolfo 
Sopra  apparir  quelle  ridenti  stelle, 
Cora'  abbia  nelle  vene  acceso  zolfo. 
Non  par,  che  capir  possa  nella  pelle. 
Or  fino  agli  occlij  ben  ntiota  nel  golfo 
Delle  delìzie  e  delle  cose  belle, 
Salta  del  letto,  e  in  lìracrtt»  la  raccoglie, 
INè  può  tanto  a-pettar,  eh'  ella  si  spoglie; 

Renelle  né  gonna,  né  faldiglia  avesse: 
Che  venne  avvolta  in  r.n  leggier  zendado, 
Che  sopra  una  camicia  ella  si  messi-, 
Rianca  e  sottil  nel  più  eccellente  grado. 
Come  Ruggiero  abbracciò  lei,  gli  cesse 
Il  manto,  e  restò  il  vel  sottile  e  rado, 
Che  non  coi)ria  dinanzi,  né  di  dietro, 
l'iù  clie  le  rose,  o  i  gigli  un  (Jilaro  vetro. 

Non  così  strettamente  edera  preme 
Pianta,  ove  intorno  abbarìticata  s'  alibi», 
Come  si  stringon  li  due  amanti  insieme, 
Cogliendo  dcllt»  spirto  in  sulle  labbia 
SÒBAC  fior,  qual  non  produce  seme 
Indo,  o  saheo  nell'  odorata  sabbia. 
Del  gran  piiicer  eh'  avean,  lor  dicer  tocca; 
Cile  spesso  areali  più  d'  una  lingua  in  bocca. 

Queste  cose  là  dentro  cran  secreto, 
O,  se  pur  non  scerete,  almen  taciute: 
Che  raro  fu  tener  le  lalihra  chele 
Riasmo  ad  alcun,  ma  lien  spesso  virtutfi- 
Tutte  proferte,  ed  accitglienze  liete 
Fanno  a  Uuggier  quelle  persone  astute; 
Ognun  lo  ri\crisce,  e  se  gli  inchina: 
Clio  cosi  vuol  i'  innamorata  Alcina. 


31.  Non  è  diletto  alcun,  che  di  fuor  reste: 
Che  tutti  son  nell'  amorosa  stanza; 

E  due  e  tre  volte  il  di  mutano  veste. 

Fatte  or  ad  una,  or  ad  un'  altra  usanza. 

Spesso  in  conviti,  sempre  stanno  in  feste. 

In  giostre,  in  lotte,  in  scene,  in  bagno,  in  danza. 

Or  presso  ai  fonti,  all'  ombre  de'  poggetti, 

Leggon  d'  antichi  gli  amorosi  detti  ; 

32.  Or  per  1'  ombrose  valli,  e  lieti  colli 
Tanno  cacciando  le  paurose  lepri  ; 

Or  con  sagaci  e  mi  i  fagian  folli 

Con  strepito  uscir  fan  di  stoppie  e  vepri  ; 

Or  a'  tordi  lacciuoli,  or  vischi  molli 

Tendon  tra  gli  odoriferi  ginepri; 

Or  con  ami  inescati    ed  or  con  reti 

Turbano  a'  pesci  i  grati  lor  secretL 

33.  Stava  Ruggiero  in  tanta  gioja  e  festa. 
Mentre  Carlo  é  in  travaglio,  ed  Agramantc; 
Di  cui  r  istoria  io  non  vorrei  per  questa 
Porre  in  obblio,  né  lasciar  Bradamante, 
Che  con  travaglio  e  con  pena  molesta 
Pianse  più  giorni  il  disiiito  amante, 

Ch'  iixcA  per  strade  disusate  e  nove 
Veduto  portar  via,  né  sapea,  dove. 

34.  Di  costei,  prima  che  degli  altri,  dico. 
Che  molti  giorni  andò  cercando  invano 
Pe'  boschi  ombrosi  e  per  lo  campo  aprico. 
Per  ville,  per  città,  per  monte  e  piano, 
Né  mai  potè  saper  del  caro  amico, 

Che  di  tanto  intervallo  era  lontano. 

Neil'  oste  saracin  spesso  venia. 

Né  mai  del  suo  Ruggier  ritrovò  spia. 

35.  Ogni  di  ne  domanda  a  più  di  cento. 
Né  alcun  le  ne  sa  mai  render  ragioni; 
D'  alloggiamento  va  in  alloggiamento, 
Cerc-andone  trabacche  e  patliglioni. 

E  lo  può  far;  che  senza  impedimento 
l'assa^ra  cavalieri  e  tra  pedoni, 
Merc^  r  anel,   che  fuor  d'  ogni  uman  uso 
La  fa  sparir,  quando  1'  é  in  bocca  chiuso. 

3fi.      Né  può,  né  creder  vuol,   che  morto  sia; 
Perché  di  sì  grande  uom  1'  alta  ruina 
Dair  onde  idaspe  udita  si  sana, 
Fin  dove  il  sole  a  riposar  declina. 
Non  sa  né  dir,   né  immaginar,   che  via 
Far  jtossa,  o  incielo,  o  in  terra;  e  pur  meschina 
ÌAì  va  cercando,  e  jier  compagni  mena 
S(»spiri  e  pianti,  ed  ogni  acerlia  pena. 

37.  Pensò  alfin  dì  tornare  alla  spelonca, 
Dove  «'ran  l'  «)ssa  dì  .\Ierlin  profeta, 
E  gridar  tanto  intorno  a  quella  conca. 
Che  "1  freddo  marmo  si  movesse  a  pietà  ; 
Che,  se  vivea  liuggiero.  o  gli  iiM-a  tronca 
1/  alta  necessità  la  ^ita  licLii. 

Si  sapria  quindi,  e  poi  >"  appiglierebbe 
A  quel  miglior  consiglio,   che  n*  avrebbe. 

38.  Con  questa  intenzion  prese  il  cammino 
Verso  le  selve  prossiuu-  a  l'ontiero. 
Dove   la  vocal  lonilia  di  Merlino 

Era  1). licosa  in  loco  iilpestro  e  fiero. 
Ma  quella  maga,  che  Hcmpre  \irino 
Tenuto  a  Hnidamante  avea  il  pensiero; 
Quella,  dico  io,  che  nella  liella  grotta 
L'  ave^i  della  sua  stirpe  instrutta  e  dotta  : 
fi    * 


[71] 


ORLANDO    FURIOSO.     (VII.    39—54) 


[72] 


S9.     Quella  benigna  e  saggia  incantatrice, 
La  quale  ha  sempre  cura  di  costei, 
Sapendo,  eh'  esser  de'  progenitrice 
D'  uomini  invitti,  anzi  di  semidei, 
Ciascun  dì  vnol  saper,  che  fa,  che  dice, 
E  getta  ciascun  dì  sorte  per  lei. 
Di  Uuggier  liberato,  e  poi  perduto, 
E  dove  in  India  andò,  tutto  ha  sapcito. 

40.  Ben  veduto  1'  avea  su  quel  cavallo, 
Cile  regger  non  potea,  eh'  era  sfrenato, 
Scostarsi  di  lunghissimo  intervallo 
Per  sentier  periglioso  e  non  usato; 

E  ben  sapea,  che  stava  in  gioco  e  in  ballo 
E  in  cibo,  e  in  ozio  molle  e  delicato, 
]Vè  più  memoria  avea  del  suo  signore, 
INè  della  donna  sua,  nò  del  suo  onore. 

41.  E  così  il  fior  de'  più  begli  anni  suoi 
In  lunga  inerzia  aver  potila  consunto 
Sì  gentil  cavalìer,  per  dover  poi 
Perdere  il  corpo  e  1'  anima  in  un  punto  ; 
E  queir  odor,  che  sol  riraan  di  noi, 
Posciachè  '1  resto  fragile  è  defunto. 

Che  trae  1'  uom  del  sepolcro,  e  in  vita  il  serba, 
Gli  saria  stato  o  tronco,  o  svelto  in  erba. 

42.  5Ia  quella  gentil  maga,  che  più  cura 
N'  avea,  eli'  egli  medesmo  di  sé  stesso, 
Pensò  di  trailo  per  via  alpestra  e  dui-a 
Alla  vera  virtù,  malgrado  d'  esso  — 
Come  eccellente  medico,  che  cura 
Con  ferro  e  fuoco,  o  con  veleno  spes.«o. 
Che,  se  ben  molto  da  principio  ofl'ende, 
Poi  giova  alfine,  e  grazia  se  gli  rende. 

43.  Ella  non  gli  era  facile,  e  talmente 
Fattane  cieca  di  soverchio  amore, 
Che,  come  facea  Atlante,  solamente 
A  dargli  vita  avesse  posto  il  core. 
Quel  più  tosto  A  olea  che  lungamente 
Vivesse  senza  fama  e  senza  onore,  » 
Che,  con  tutta  la  lode,  che  sia  al  mondo, 
Mancasse  un  anno  al  suo  viver  giocondo. 

44.  L'  avea  mandato  all'  isola  d'  Alcina, 
Perchè  obbliasse  1'  arme  in  quella  corte; 
E  come  mago  di  somma  dottrina, 

Ch'  asar  sapea  gì'  in(;anti  d'  ogni  sorte, 
Avea  il  cor  stretto  di  quella  regina 
INeir  amor  d'  esso,  d'  un  laccio  sì  forte, 
Clic  njin  se  n'  era  mai  per  poter  sciorre. 
Se  invecchiasse  Uuggier  più  di  jVcstorrc. 

45.  Or,  tornando  a  colei,  eh'  era  presaga 
Di  quanto  de'  av^enil•,  di(!o,  che  tenne 
La  dritta  via,  do^c  1'  errante  e  vaga 
Figlia  d'  Amun  seco  a  incontrar  si  venne. 
Dradamante,  vedendo  la  sua  maga, 
IMuta  la  pena,  clic  prima  sostenne, 

Tutta  in  speranza;  e  quella  1'  apre  il  vero, 
Ch'  ad  Alciiui  è  condotto  il  suo  Ruggiero. 

46.  La  giovane  riman  presso  che  morta, 
Quando  ode,  die  '1  suo  amante  è  così  lungo, 
E  più  che  nel  suo  amor  periglio  porta. 

Se  gran  rimcilio,  e  subito  non  giunge. 
Ma  la  benigna  maga  la  conforta, 
E  presta  pon  1'  impia>tro,  ove  il  duol  punge, 
E  le  promette  e  giura  in  pochi  giorni 
Far,  che  Uuggiero  a  ri\eder  lei  torni. 


47.  Dachè,  donna,  dicea,  1'  anello  hai  teco. 
Che  vai  contra  ogni  magica  fattura, 

Io  non  ho  dubliio  alcun,  che,  s'  io  1'  arreco 
Là,  dove  Alcina  ogni  tuo  ben  ti  fura, 

10  non  le  rompa  il  suo  disegno,  e  meco 
Non  ti  rimeni  la  tua  dolce  cara. 

Me  n'  andrò  questa  sera  alla  prim'  ora, 
E  sarò  in  India  al  nascer  dell'  aurora, 

48.  E  seguitando,  del  modo  narrolle, 
Che  disegnato  avea  d'  adoperarlo, 

Per  trar  del  regno  effemminato  e  molle 

11  caro  amante,  e  in  Francia  rimenarlo. 
Bradamante  1'  auel  del  dito  toUe; 

]Sè  solamente  avria  coluto  darlo. 
Bla  dato  il  core,  e  dato  avria  la  vita, 
Purché  n'  avesse  il  suo  Ruggiero  aita. 

49.  Le  dà  1'  anello,  e  le  si  raccomanda, 
E  più  le  raccomanda  il  suo  Ruggiero, 
A  cui  per  lei  mille  saluti  manda  ; 
Poi  prese  ver  Provenza  altro  sentiero. 
Andò  r  incantatrice  a  un'  altra  banda, 
E  per  porre  in  effetto  il  suo  pensiero, 
Un  palafreu  fece  apparir  la  sera, 

Gli'  avea  un  pie  rosso,  e  ogni  altra  parte  nera. 

50.  Credo  fosse  un  Alchino,  o  un  Farfarello, 
Clie  dall'  inferno  in  quella  forma  trasse; 
E  scinta  e  scalza  montò  sopra  a  quello, 

A  chiome  sciolte,  e  orribilmente  passe. 
Ma  ben  di  dito  si  levò  1'  anello, 
Perchè  gi'  incanti  suoi  non  le  vietasse; 
Poi  con  tal  fretta  andò,  che  la  mattina 
Si  ritrovò  uell'  isola  d'  Alcina. 

51.  Quivi  mirabilmente  trasmutossc. 

S'  accrebbe  più  d'  un  palmo  di  statura, 
E  fé'  le  membra  a  proporzion  più  grosse; 
E  restò  appunto  di  quella  misura. 
Che  si  pensò,  che  '1  negromante  fosse, 
Quel  che  nutrì  Ruggier  con  sì  gran  cura. 
^  estì  di  lunga  barba  le  mascelle, 
E  fé'  crespa  la  fronte  e  1'  altra  pelle. 

52.  Di  faccia,  di  parole,  e  di  sembiante 
Si  lo  seppe  imitar,  che  totalmente 
Potea  parer  F  incantatore  Atlante. 
Poi  si  nascose,  e  tanto  pose  mente, 
Che  da  Ruggiero  allontanar  1'  amante 
Alcina  vide  un  giorno  finalmente. 

E  fu  gran  sorte  ;  che  di  stare,  o  d'  ire 
Scnz'  esso  un'  ora  mal  potea  patire. 

53.  Soletto  lo  troAÒ,  come  lo  volle. 
Che  si  godea  il  mattili  fresco  e  sereno. 
Lungo  un  bel  rio,  che  discorrea  d'  un  colle, 
Verso  un  laghetto  limpido  ed  ameno. 

Il  suo  vestir  delizioso  e  molle 
Tutto  era  d'  ozio  e  di  lascivia  pieno; 
(-he  di  sua  man  gli  avea  di  seta  e  d'  oro 
Tessuto  Alcina  con  sottil  lavoro. 

54.  Di  ricche  gemine  un  splendido  monile 
Gli  disccndea  dal  collo  in  mezzo  il  petto; 
E  neir  uno  e  nell'  altro  già  virile 
Braccio  girava  un  lu<i(!o  cerchietto. 

Gli  avea  ftirato  mi  fil  d'  oro  sottile 
Ambo  r  orecdiie  in  forma  d'  anelletto, 
E  due  gran  perle  pendevano  quindi, 
Qual  mai  non  ebboii  gli  Arabi,  uè  gì'  Indi. 


[73] 


ORLANDO  FURIOSO.     (VII.  55— TO) 


[U] 


55.  Umide  area  V  inanellate  rliiome 

De'  più  soavi  odor,  che  ^ieiio  in  prezzo. 
Tutto  ne'  gesti  era  amoroso,    come 
Fosse  in  Valenza  a  servir  donne  avvezzo. 
]Von  era  in  lui  di  sano  altro ,  che  '1  nome. 
Corrotto  tutto  il  resto ,  e  più  che  mezzo. 
Così  Ruggier  fu  ritrovato,  tanto 
Dall'  esser  suo  mutato  per  incanto. 

56.  Nella  forma  d'  Atlante  se  gli  affaccia 
Colei ,  che  la  sembianza  ne  tenea, 
Con  quella  grave  e  venerahil  faccia, 
Che  Ruggier  sempre  riverir  solca, 

Con  queir  occhio  pien  d'  ira  e  di  minaccia, 
Che  sì  temuto  già  fanchìUo  avea  ; 
Dicendo;   E  questo  dunque  il  frutto,  eh'  io 
Lungamente  atteso  ho  del  sudor  mio? 

57.  Di  mcdoUe  già  d'  orsi  e  di  leoni 
Ti  porsi  io  dunque  li  primi  alimenti; 
T'  ho ,  per  caverne  ed  orridi  burroni. 
Fanciullo  avvezzo  a  strangolar  serpenti. 
Pantere  e  tigri  disarmar  d'  unghioni, 
Ed  a'  vìvi  cinghiai  trar  spesso  i  denti. 
Acciocché,  dopo  tanta  disciplina, 

Tu  sii  r  Adone,  o  1'  Atide  d'  Alcina? 

58.  E  questo  quel ,  che  1'  osservate  stelle, 
Le  sacre  fibre  e  gli  accoppiati  punti, 
Responsi,  augurj,  sogni,  e  tutte  quelle 
Sorti,  ove  ho  troppo  i  miei  studj  consunti. 
Di  te  promesso  fin  dalle  manmielle 

M'  avean,  comeqiicst'  anni  fiisser  giunti, 
Che  in  arme  1'  opre  tue  così  preclare 
Esser  dovcan ,  che  sariiin  senza  pare  ? 

59.  Questo  è  ben  veramente  alto  principio, 
Onde  si  può  sperar,  che  tu  sia  jiresto 

A  farti  un  Alessandro,  un  Giulio,  un  Scipio. 
Chi  potea,  oimè  !  di  te  mai  creder  questo, 
Che  ti  facessi  d'  Alcina  mancipio.-' 
E  perchè  ognun  lo  veggia  manifesto, 
Al  collo  ed  alle  bra{;cia  hai  la  catena, 
Con  che  ella  a  voglia  sua  preso  ti  uicna. 

60.  Se  non  ti  muovon  le  tue  proprie  laudi, 

E  r  opre  eccelse,  a  che  t'  ha  il  cielo  eletto. 

La  tua  succession  perchè  defraiuli 

Del  ben ,  che  mille  volte  io  t'  ho  predetto? 

Deh  !  por<;hè  il  ventre  eteniamente  claudi, 

Dove  il  ciel  vuol,  che  sia  jìcr  te  concetto 

La  gloriosa  e  soprumana  prole, 

Ch'  esser  de'  al  moiulo  più  chiara,  che  '1  sole? 

61.  Deh!  non  vietar,  che  le  più  nolìil' alme. 
Che  bian  formate  nell'  eterni!  idee, 

Di  tempo  in  tempo  abbian  corp(»rec  salme 
Dal  ceppo,  che  radice  in  tv,  aver  d(!e  ! 
Deh  !  non  vietar  mille  trionfi  e  palme, 
Con  (die,  dopo  aspri  danni  e  piaghe  ree, 
Tuoi  figli,  tuoi  nipoti  <;  siu;<"essori 
Italia  torneran  ne  'primi  onori! 

62.  Non  eh'  a  piegarti  a  questo  tante  e  tante 
Anime  belle  aver  do\csscr  pondo, 

(/he  ciliare,  iilii^lri,  inclite,  imititi  e  sante 
Sini  p(;r  fiorir  dall'  arbor  tuo  fe<:oiido  ; 
Ma  ti  dovria  una  coppia  (rsser  l»a>tante, 
Ippolito  e   1  fratel:  ciiè  pochi  il  mondo 
Ha  tali  avuti  ancor  fin  al  di  d'  oggi, 
l'er  tutti  i  gradi,  onde  a  virtù  si  poggi. 


63.  Io  solca  più  di  questi  due  narrarti, 

Ch'  io  non  facea  di  tatti  gli  altri  insieme  ; 
Sì  perchè  essi  terran  le  maggior  parti, 
Che  gli  altri  tuoi,  nelle  virtù  supreme; 
Sì  perchè  al  dir  di  lor  mi  vedea  darti 
Più  attenzion  ,  che  d'  altri  del  tuo  seme. 
Vedea  goderti ,  che  sì  chiari  eroi 
Esser  dovessin  de'  nipoti  tuoi. 

64.  Clie  ha  costei,  che  t'  hai  fatto  regina, 
Che  non  abbian  mill'  altre  meretrici  ? 
Costei,  che  di  tant'  altri  è  concubina, 

Ch'  al  fin  sai  ben,  s'  ella  suol  far  felici? 
Ma  perchè  tu  conosca,  clii  sia  /Ucina, 
Levatone  le  fra-.idi  e  gli  artifici, 
Ticn  questo  anello  in  dito,  e  torna  ad  ella, 
Ch'  avveder  ti  potrai,  come  sia  bella. 

65.  Rnggier  si  stava  vergognoso  e  muto, 
Blirando  in  terra,  e  mal  sapea,  che  dù-e; 
A  cui  la  maga  nel   dito  minuto 

Pose  r  anello,  e  lo  fé'  risentire. 

Come  Ruggiero  in  sé  fu  rivenuto, 

Di  tanto  scorno  si  vide  assalire, 

Ch'  esser  vorria  sottei'ra  mille  braccia, 

Che  alcun  veder  non  lo  potesse  in  faccia. 

66.  Nella  sua  prima  forma  in  un  istante^ 
Così  parlando,  la  maga  rivenne: 

Né  bisognava  più  quella  d'  Atlante, 

Seguitone  1'  effetto  ,  per  che  venne. 

Per  dirvi  quel,  eh'  io  non  vi  dissi  innante, 

Costei  Jlelissa  nominata  venne, 

Ch'  or  dio  a  Rnggier  di  sé  notizia  vera, 

E  dissegli,  a  che  effetto  venuta  era. 

Mandata  da  colei ,  che  d'  amor  piena, 
Sempre  il' disia,  né  iiiù  può  starne   senza, 
Per  liberarlo  da  quella  catena. 
Di  che  lo  cinse  magica  violenza; 
E  preso  avea  d'  Atlante  di  Carena 
La  forma,  per  trovar  meglio  credenza: 
Ma  poich'  a  sanità  1'  ha  ornai  ridotto. 
Gli  vuole  aprire,  e  far  che  vcggia  il  tutto. 

Quella  donna  gentil ,  che  t'  ama  tanto. 
Quella,  che  del  tuo  amor  degna  sarebbe, 
A  cui,  se  non  ti  scorda,  tu  sai,  quanto 
Tua  liìicrtà,  da  lei  servata,  debbc, 
Questo  anel,  che  ripara  ad  ogni  incanto. 
'i'i  manila;  e  co.-ì   il  cor  mandato  avrebbe, 
S'  avesse  avuto  il  cor  così  virtiito, 
Ctune  r  anello ,  alta  alla  tua  salute. 

E  seguitò  narrandogli  V  amore. 
Che  IJradamaiite  gli   ha  portato  e  porta: 
Di  quella  insieme   commendò   il  >alore, 
In  quanto  il  vero  e  l'  allV/ion  comporta; 
Ed  usò   modo  e  termine  migliore, 
("he  si  ((unenga  a  mi-ssaggiera  accorta; 
Ed  in  queir  odio  Alcina  a  Uuggier  podC, 
In  che  soglion>i  a^er  l'  orribil  cose. 

In  odio  gliela  po'^e,  ancorché  tanto 
L'   amas>c  diaii/.i:  r  non  aì  paja  strano. 
(,)iiando  il  suo  amor  per  forza  era  d'  incanto, 
Cir  (•«.■;en(lo>i  1'   anel,  rimale  a  ano. 
l'ece  r  ami  palcx-  ancor,   cJie  <pianto 
Di  beltà  .Vicina  a^ea,  tutto  era  strano; 
Estrano  avea,  o  non  sito,  dal  pie  alLi  treccia: 
11  bel  no  tiparvc,  e  le  rc6tò  la  feccia. 


67. 


68. 


69. 


70. 


[75] 


ORLANDO  FURIOSO.     (VII.  71 —  ro) 


[t6] 


71. 


Come  fanciullo,  che  maturo  frutto 
Ripone,  e  poi  si  scorda,   ove  è  riposto, 
E  dopo  molti  giorni  è  ricondotto 
Là,  dove  trova  a  caso  il  suo  deposto, 
Si  maraviglia  di  vederlo  tutto 
Putrido  e  guasto,  e  non  come  fu  posto, 
E  dove  amarlo ,  e  caro  aver  solia, 
L'  odia ,  sprezza ,  n'  ha  schivo ,  e  '1  gcita  via  : 

72.  Così  Ruggier,  poiché  3Ieli-sa  fece, 
Ch'  a  riveder  se  ne  tornò  ia  fata 

Con  queir  anello,  innanzi  a  cui  non  lece, 
Quando  s"  ha  in  dito,  usare  opra  incintala, 
Ritrova,  contra  ogni  sua  stima,  in  vece 
Della  bella,  che  dianzi  avca  lasciata, 
Donna  sì  laida,  che  la  terra  tutta 
Tsè  la  pili  Tecchia  avca,  né  la  più  brutta. 

73.  Pallido,  crespo  e  macilente  avea 
Alcina  il  viso  ,  il  crin  raro  e  canuto  : 
Sua  statura  a  sei  palmi  non  giungea  : 
Ogni  dente  di  bocca  era  caduto  ; 
Che  più  d'  Ecuba  e  più  della  Cumea, 
Ed  avea  più  d'  ogni  altra  mai  vivuto: 
Ma  sì  r  arti  usa  al  nostro  tempo  ignote. 
Che  bella  e  giovanetta  parer  puote. 

74.  Giovane  e  bella  ella  sì  fa  con  arte 
Sì,  che  molti  ingannò,  come  Ruggiero: 
Ma  r  anel  venne  a  interpretar  le    carte. 
Che  già  molti  anni  avean  celato  il  vero. 
Miracol  non  è  dunque ,  se  si  parte 
Dell'  animo  a  Ruggiero  ogni  pensiero, 
Ch'  avea  d'  amare  Alcina,  or  che  la  trova 
In  guisa  che  sua  fraudo  non  le  giova. 

75.  Ma,  come  I'  avAÌsò  Melissa,  stette 
Senza  mutare  il  solito  sembiante, 
Finché  ddì'  arme  sue,  più  dì  neglette, 
Si  fu  vestito  dal  capo  alle  piante; 

E,  per  non  farle  ad  Alcina  sospette, 
Finse  provar,  se  in  esse  era  ajutante. 
Finse  provar,  s'  egli  era  fatto  grosso, 
Dopo  alcun  di,  che  non  l'  ha  avute  iadoseo. 


76.  E  Balisarda  poi  si  mise  al  fianco; 
(Che  così  nome  la  sua  spada  avca) 
È  lo  scudo  mirabile  tiilse  anco, 

Che  non  pur  gli  occhj  alibarbagliar  solea, 
Ma  r  anima  facea  sì  venir  manco, 
Che  dal  corpo  esalata  esser  parca. 
Lo  tolse,  e  col  zendado,  in  che  trovollo. 
Che  tutto  lo  copria,  sei  mise  al  collo. 

77.  Venne  alla  stalla,  e  fece  briglia  e  sella 
Porre  a  un  destricr  più  che  la  j)ece  nero. 
Così  Melissa  1'  avca  instrutto;  eli'  ella 
Sapea,  quanto  nel  corso  era  leggiero. 
Chi  lo  conosce  ,  Rabican  1'  appella; 

Ed  è  quel  proprio ,  che  col  cavaliero, 

Del  quale  i  venti  or  pres.so  al  mar  fan  giow), 

Portò  già  la  balena  in  questo  loco. 

78.  Potea  aver  F  ippogrifo  similmente, 
Che  presso  a  Rabicano  era  legato  ; 

]\Ia  gli  avea  detto  !a  maga  :  Abbi  mente, 
Ch'  egli  è ,  come  tu  sai ,  troppo  sfrenato  : 
E  gli  diede  intenzion,  che  '1  dì  frCguentè 
Gli  lo  trarrebbe  fuor  di  quello  stato, 
Là  dove  ad  agio  poi  sarebbe  instrutto, 
Come  frenarlo ,  e  farlo  gir  per  tutto. 

79.  ]\è  sospetto  darà ,  se  non  lo  toUe, 
Della  tacita  fuga ,  che  apparecchia. 
Fece  Ruggier,   come  Melissa  volle, 

Ch'  invisibile  ognor  gli  era  ali"  orecchia. 
Così  fingendo ,  del  lascivo  e  m  >lle 
Palazzo  uscì  della  puttana  vecchia, 
E  si  venne  accostando  ad  una  porta. 
Donde  è  la  via,  eh'  a  Logistilla  il  porta. 

80.  Assaltò  gli  guardiani  all'  improvviso, 
E  sì  cacciò  tra  lor  col  ferro  in  mano; 
E  qnal  lasciò  ferito ,  e  quale  uc<-iso, 

E  corse  fuor  del  ponte  a  mano  a  mano; 
E ,  prima  che  n'  avesse  Alcina  avviso. 
Di  molto  spazio  fu  Ruggier  lontano- 
Dirò  neir  altro  canto,  che  via  tenne, 
Poi,  come  a  Logistilla  se  ne  venne. 


[7^] 


ORLANDO  FURIOSO.     (Vili,  i  — 12) 


JTS] 


CANTO     OTTAVO. 


ARGOMENTO. 

Fugge  Ruggier  da  Alcina.    Astolfo  toma 
Per  opra  di  Melissa  in  corpo  umano  : 
Fa  gente  in  Iiìghilterra,  e  non  soggiorna, 
Per  ispcdirsi,  il  Sir  di  Munf  Albano. 
Angelica  di  tal  bellezza  adorna 
E  condotta  per  cibo  a  un  pesce  strano  ; 
Orlando  il  suo  mal  sogna,   e  si  diparte 
Da  Carlo,  per  cercarla  in  ogni  parte. 


1.  0  quante  sono  ìncantatrici,  o  quanti 
Incantator  tia  noi,  che  non  si  sanno  ; 
Che  con  lor  arti  uomini  e  donne,  amanti 
Di  sé,    cangiando  i  visi  h)r,  fatto  hanno  f 
Non  con  spirti  costretti  tali  incanti, 

INè  con  osservazion  di  stelle  fanno. 
Ma  con  simulazion,  menzogne  e  frodi 
Legano  i  cor  d'  indissoluhil  nodi. 

2.  Chi  r  anello  d'  Angelica,  o  più  tosto 
Clii  avesse  quel  della  ragion,   potria 
Vedere  a  tiitti  il  viso,  che  nascosto 
Da  finzione  e  da  arte  non  saria. 

Tal  ci  par  hello  e  buono,   che,    deposto 
Il  liscio,  hrntto  e  rio  forse;  parria. 
Fu  gran  ventura  quella  di  Knggìero, 
Ch'  ehhe  1'  anel,  che  gli  scoperse  il  vero. 

ftuggier,  coin'  io  dicea,  dissimulando. 
Su  Kaltican  venne  alla  porta  armato, 
Trovò  le  guardie  sprov>edute,  e  qiiando 
Giunse  tra  lor,  iu>n  tenne  il  lirando  a  lato. 
Chi  morto,  e  chi  a  mal  termine  las(-iando. 
Esce  flel  ponte,  e  'l  rastrello  ha  spezzalo. 
Prende  ai  hct-co  la  via  ;    ma  poco  (-orre, 
Ch'  ad  uu  de'  ser^  i  disila  fata  tx-corre. 

4.  11  servo  in  jingno  avea  un  aug«>l  grifagno, 
Che  volar  con  jìlacer  Iacea  ogni  giorno, 
Ora  a  canipagna,  ora  a  un  micino  stiigno. 
Dove  era  sempre  da  fiir  preda  inlr)rno. 
Avea  da  lato  il  (;an,  fido  <:(im|ingni>  ; 
Cavah'ava  im  riinzin  non  troppo  adorno. 
Hen  p(!nsò,  «:he  Knggier  d((\«!,i  fuggire;, 
(Quando  lo  vide  in  tal  fretta  venire. 

5.  Se  gli  fo'  inciMilni.  e  con  semhiante  altero 
(ìli  domandò,  perchè  in  tal  fretta  gis>e. 
Ilispouder  non  gli  vol>e  il  liuon  lluggiero: 
l'en  io  colui,  più  certo  clu;  fuggisse. 

Di  volerlo  iirre^lar  fece  pensieri», 

K  dihtiiiilinilo  il  hr.K'cio  manco,  disse: 

(;he  dirai  tu,  se  snl>ito  ti  fermo? 

Se  conlra  questo  augel  non  avrai  schermo? 


6.  Spinge  r  augello;  e  qncl  batte  sì  1'  ale. 
Che  non  1'  avanza  Rabican  di  corso. 

D(l  palafreno  il  cacciator  giù  sale, 

E  tutto  a  un  tempo  gli  ha  levato  il  mor^o. 

Quel  par  dall'  arco  un  avventato  strale. 

Di  calci  formidabile  e  di  morso  ; 

E  'l  servo  dietro  si  veloce  viene, 

Che  par,  che  'l  vento  anzi  che  'l  foco  il  mene. 

7.  Non  vuol  parere  il  can  d'  esser  più  tar.lo  ; 
Ma  segue  Rabican  con  quella  fretta, 

Con  che  la  lepre  suol  seguire  il  pardo. 
Vergogna  a  Ruggier  par,  se  non  aspetta  : 
Voltasi  a  quel,  che  vient-ì  a  piò  gagliardo, 
Né  gli  vede  arme,  fiiorch'  una  bacchetta, 
Quella,  con  che  ubbidire  al  cane  insegna: 
Ruggier  di  trar  la  spada  si  disdegna. 

8.  Quel  se  gli  appressa,  e  forte  lo  percuote; 
Lo  morde  a  un  tempo  il  can  nel  piede  manco. 
Lo  sfrenato  destrier  la  groppn  scuote 

Tre  volte  e  più,  né  falla  il  destro  fianco. 
Gira  r  augello,  e  gli  fa  mille  ruote, 
E  con  r  ugna  sovente  il  ferisce  anco  ; 
Sì  il  destrier  con  lo  strido  impaurisce, 
Ch'  alla  mano  e  allo  spron  poco  ubbidisce. 

9.  Ruggiero  alfin  costretto    il  ferro  caccia  ; 
E  perchè  tal  molestia  se  ne  vadn. 

Or  gli  animali,  or  quel  villan  minaccia 
Col  taglio,  e  con  la  punta  della  spada. 
Quella  importinia  turba  più  1'  impaccia; 
Presa  ha  chi  qua,  ehi  là  tutta  la  strada. 
Vede  Ruggiero  il  disonore  e  il  danno. 
Che  gli  a-verrà,  s«;  più  tardar  lo  fanne». 

10.  Sa,  eh'  ogni  poco  più.  eh'  ivi  rimane, 
Ah;ina  avrà  col  popolo  alle  spalle. 

Di  trombe,  di  tamburi  e  di  rampane 
Già  s'  ode  alto  romore  in  ogni  valle. 
Contra  un  servo  senz'  arme,  e  contra  un  cane 
Gli  par  eh'  a  usar  la  spada  troppo  falle. 
Meglio  V   più  bre\e  è  dunqiu\  eh"  egli  scopra 
Lo  scudo,  che  d'  Atlante  era  .»tato  opra. 

11.  Levò  il  drappo  vermiglio,  in  che  coperto 
Già  molti  giorni  lo  .•-cndo  si  tenne. 

Fece  r  elVetto  mille  -,  olte  e>|ierlo 
Il  lume,  o^e  a  ferir  ne<ill  occbj  venne: 
Uc-ta  d.:i  sen>i  il  cacciator  de.-erto, 
('ade  il  cane  <•  il  nnr/in,  cadon  le  penne, 
('he  in  aria  sostener  1'  augel  in)n  ponno: 
Lieto  Ruggier  li  lascia  in  pi-eda  al  sonno. 

12.  .'\l<-iiia,  eh'  a^ea  intanto  avuto  a^vi^o 
Di  Knggier.  che  «forzalo  a\ea  la  porla, 
E  della  guani!. I  buon  nunu-ro  ucciso. 
Fu,  linla  d.il  dolor,  per  restar  morta. 
Si|uarcio>.-i  i  panni,  e  si  percos.-e  il  \iso, 
l'I  sciocca  uominos>i  e  malaccorta. 

E  fece  dare  ali"  arme  inuuaulinentr, 
i:  intorno  a  ^è  raccor  tutta  sua  gente. 


ORLANDO  FURIOSO.     (Vili.  13-28) 


[791 

13.      E  poi  ne  fa  due  parti,  e  manda  1'  una  ' 

Per  quella  strada,  ove  Ruggier  cammina; 

Al  porto  r  altra  suliito  raguna, 

L'  imbarca,  e  uscir  la  fa  nella  marina  ; 

Sotto  le  Tele  aperte  il  mar  s'  imbruna. 

Con  questi  Ta  la  disperata  Alcina, 

Che  "1  desiderio  di  lìiiggicr  sì  rode, 

Che  lascia  sua  città  senza  custode. 
li.      Non  lascia  alcuno  a  guardia  del  palagio  ; 

n  che  a  3ielissa,  che  slava  alla  posta, 

Per  liberar  di  quel  regno  malvagio 

La  s"en£e,  che  in  miseria  v'  era  posta, 

Diede  comodità,  diede  grande  agio 

Di  gir  cercando  ogni  cosa  a  sua  posta  ; 

Immagini  abbruciar,  suggelli  torre, 

E  nodi  e  rombi  e  turbini  disciorre. 

15,      Indi  pe'  campi  accelerando  i  passi, 

Gli  antichi  amanti,  eh'  erano  in  gran  torma, 

Conversi  in  fonti,  in  fere,  in  legni  e  in  sassi. 

Fé'  ritornar  nella  lor  prima  forma  ; 

E  quei,  poich'  allargati  furo  i  passi, 

Tutti  del  buon  Ituggier  seguiron  1'  orma  : 

A  Logiitilla  si  salvaro,  ed  indi 

Tcrnaro  a'  Sciti,  a'  Persi,  a'   Greci,  agi'  Indi. 

IG.      Li  rimandò  l^Ielissa  in  lor  paesi, 
Con  obbligo  di  mai  non  esser  sciolto. 
Fu  innanzi  agli  altri  il  duca  degl'  Inglesi 
Ad  esser  ritornato  in  mnan  volto  ; 
Che  "1  parentado,  in  questo,  e  li  cortesi 
Preghi  del  buon  Uuggier  gli  giovar  molto. 
Oltre  i  preghi,  Uuggier  le  die  1'  anello, 
Perché  meglio  potesse  ajutar  quello. 

17.  A'  preghi  dunque  di  Ruggier  rifatto 
Fu  il  paladin  nella  sua  prima  faccia. 
Nulla  pare  a  3Ielissa  d'  aver  fatto, 
Quando  ricovrar  1'  arme  non  gli  faccia, 

E  quella  lancia  d'  or,  eh'  al  primo  tratto, 

Quanti  ne  tocca,  della  sella  caccia. 

Dell'  Argalia,  poi  fu  d'  Astolfo  lancia, 

E  molto"  onor  fé'  all'  uno  e  all'  altro  in  Francia. 

18.  Trovò  Melissa  questa  lancia  d'  oro, 
Ch'  Alciiia  avea  riposta  nel  palagio, 
E  tutte  r  arme,  che  del  duca  foro, 

E  gli  fur  tolte  nell'  ostel  malvagio. 
IMonlò  il  destrier  del  negromante  ^loro, 
E  fé'  mont.'re  Astolfo  in  groppa  ad  agio; 
E  quindi  a  Logistilla  si  condusse 
D'  un'  ora  prima,  che  Ruggier  vi  fusse. 

19.  Tra  duri  sassi  e  folte  spine  già 
Ruggiero  intanto  in^er  la  fata  saggia,^ 
Di  balzo  in  ])alzo,  e  d'  una  in  altra  via, 
Aspr.i,  solinga,  inospita  e  selvaggia; 
Tanto  eh'  a  gran  fatica  riuscia. 

Sulla  fervida  nona,  in  una  spiaggia, 

Tra  1  mare  e  '1  monte,  al  mezzodì  scoperta, 

Arsiccia,  nuda,  sterile  e  deserta. 

20.  Percuote  il  sole  ardente  il  vicin  colle; 
E  del  calor.  die  si  rillette  addietro. 

In  uhkIo  r  aria  <;  l'  arena  ne.  liolle, 

Clu;  haria  tnipiio  ii  Tar  rK|MÌdo  il  \etro. 

Star.-<i  ebeti)  hììiù  augello  alT  ombra  molle: 

Sol  la  cicala  col  nojoso  metro. 

Fra  i  densi  rami  d«;l  fronzuti»  stelo, 

Le  \alli  e  i  monti  assorda,  e  '1  mare  e  '1  cielo. 


[80 


21.  Quivi  il  caldo,  la  sete  e  la  fatica, 
Ch'  era  di  gir  per  quella  via  arenosa, 
Facean,  lungo  la    spiaggia  erma  ed  aprica, 
A  Ruggier  compagnia  grave  e  no.josa. 

Ma  perchè  non  con\icn,  che  sempre  io  dica, 
Né  eh'  io  vi  occupi  sempre  in  una  cosa, 

10  lascerò  Ruggiero  in  questo  caldo, 
E  girò  in  Scozia  a  ritrovar  Rinaldo. 

22.  Era  Rinaldo  molto  ben  veduto 
Dal  re,  dalia  iìgliuoia  e  dal  paesi^; 
Poi  la  cagion,  che  qtiivi  era  venuto. 
Più  ad  agio  il  paladin  l'ere  palese: 
Che  in  nome  del  suo  re  chiedeva  ajuto, 
E  dal  regno  di  Scozia,  e  dall'  Inglese; 
Ed  ai  preghi  soggiunse  anco  di  Carlo 
Giustissime  cagion  di  dover  farlo. 

23.  Dal  re  senza  indugiar  gli  fu  risposto, 
Che,  di  quanto  sua  forza  s'  estendea. 
Per  utile  ed  onor  sempre  disposto 

Di  Carlo  e  dell'  imperio  esser  volea  ; 

E  che  fra  pochi  dì  gli  avìTebbe  posto 

Più  cavalieri  in  punto,  che  potea  ; 

E,  se  non  eli'  esso  era  oggimai  pur  vecchio, 

Capitano  verria  del  suo  apparecchio. 

24.  Né  tial  rispetto  ancor  gli  parria  degiìo 
Di  farlo  rimaner,  se  non  avesse 

11  figlio,  che  di  forza  e  più  d'  ingegno 
Dignissimo  era,  a  chi  '1  governo  desse. 
Benché  non  si  trovasse  allor  nel  regno  ; 
]\Ia  che  sperava,  che  venir  dovesse, 
Mentre  eh'  insieme  aduneria  lo  stuolo, 
E  eh'  adunato  il  troveria  il  figliuolo. 

25.  Così  mandò  per  tutta  la  sua  terra 
Suoi  tesorieri  a  far  cavalli  e  gente, 
Niivi  apparecchia,  e  munizion  da  guerra, 
VettoA  aglìa  e  denar  maturamente. 
Venne  intanto  Rinaldo  in  Inghilterra; 

E  "l  re,  nel  suo  partir,  cortesemente 
Insino  a  Berolcche  accompagnollo, 
E  visto  pianger  fu,  quando  lasciollo. 

26.  Spirando  il  vento  prospero  alla  poppa. 
Monta  Rinaldo,  ed  addio  dice  a  tutti  ; 

La  fune  indi  al  viaggio  il  nocdiier  sgroppa, 

Tanto  che  giunge,  ove  nei  salsi  flutti 

Il  bel  Tamigi  amareggiando  intoppa. 

Con  gran  flusso  del  mar  quindi  condutti 

I  naviganti  ])er  camrain  sicuro, 

A  vela  e  remi  insino  a  Londra  furo. 

27.  Rinaldo  avea  da  Carlo,  e  dal  re  Ottone, 
Che  con  Carlo  in  Parigi  era  assediato, 

Al  principe  di  Vallia  commissione 
Per  contrassegni  e  lettere  portato, 
Cbe  ciò,  che  potea  far  la  regione 
Di  fanti  e  di  ciivalli  in  ogni  lato. 
Tutto  debba  a  Calesio  traghittarlo, 
Sì  clic  ajutar  si  possa  Francia  e  Carlo. 

28.  Il  principe,  cb'  io  dico  eh'  era,  in  veoe 
D'  Otton.  rimiiso  nel  seggio  reale, 

A  Rinaldo  d'  Anion  tanto  onor  lece. 
Clic  non  r  avrclfbe  al  suo  re  fatto  uguale. 
Indi  alle  sue  domande  satisfece; 
Pcrcbé  a  tutta  lii  gente  marziale, 
E  di  Hretagna,  e  dell'  isole  intorno, 
Di  ritrovar:)!  ai  mar  prefisse  il  giorno. 


181] 


ORLANDO  FURIOSO.     (Vili.  20—44) 


[82] 


29.      Signor,  far  mi  convien,  corno  fa  il  buono 
Sonator  sopra  il  suo  strumento  arguto, 
Clic  spesso  luuta  corda,  e  varia  suono. 
Ricercando  ora  il  grave,  ora  1'  acuto. 
Mentre  a  dir  di  Rinaldo  attento  sono, 
D'  Angelica  gentil  m'  è  sovvenuto, 
Di  che  lasciai,  eh'  era  da  lui  fuggita, 
E  eh'  avea  riscontrato  un  eremita. 

•ji).     Alquanto  la  sua  istoria  vo'  seguire. 
Dissi,  che  domandava  con  gran  cura, 
Come  potesse  alla  marina  gire  ; 
Che  di  Rinaldo  avea  tanta  paui-a, 
Che,  non  passando  il  mar,  credea  morire, 
]\c  in  tutta  Europa  si  tenea  sicura: 
Ma  r  eremita  a  bada  la  tenea. 
Perchè  di  star  con  lei  piacere  avea. 

•)1.      Quella  rara  bellezza  il  cor  gli  accese, 
E  gli  scaldò  le  frigide  raedolle  : 
31a  poiché  vide,  clie  poco  gli  attese, 
E  eh'  oltra  soggiornar  seco  non  volle, 
Di  cento  pimte  V  asinelio  offese, 
]Nè  di  sua  tardità  ])erò  lo  tulle, 
E  poco  va  di  passo,  e  men  di  trotto, 
ISè  stender  gli  si  vuol  la  bestia  sotto. 

'j'i.      E  perchè  molto  dilungata  s'  era, 
E  poco  più  n'  avria  perduta  1'  orma, 
Ricor>e  il  frate  alla  spelonca  nera, 
E  di  demonj  uscir  fece  una  torma; 
E  ne  sceglie  uno  di  tutta  la  schiera, 
E  del  bisogno  suo  prima  1'  informa. 
Poi  lo  fa  entrare  addosso  al  corridore, 
Che  via  gli  porta  con  la  donna  il  core. 

•jtj.     E  qual  sagace  can  nel  monte  usato 
A  volpi ,  o  lepri  dar  spesso  la  caccia. 
Che,  se  la  fera  andar  vede  da  un  lato, 
]\e  va  da  un  altro,  e  par  sprezzi  la  traccia; 
Al  varco  poi  lo  sentono  arrivato. 
Che  r  ha  già  in  bocca,  e  1' apre  iilianco e  straccia: 
Tal  r  eremita  per  diversa  strada 
Aggiungerà  la  donna,  ovunque  vada. 

34.  Che  sia  il  disegno  suo,  ben  io  comprendo; 
E  dirollo  anco  a  voi.  ma  in  altro  loco. 
Angelica,  di  ciò  nulla  temendo, 
Cavalcava  a  giornate,  or  molto,  or  poco. 
I\el  cavallo  il  demon  si  già  coprendo. 
Come  si   copre  alcuna  a  olla  il  foco. 

Che  con  sì  grave  incendio  poscia  a^vamjìa, 
Che  n«)n  si  estingue,  e  appena  se  ne  scampa. 

35.  Poiché  la  donna  preso  eblie  il  sentiero 
Dietro  il  gran  mar,  «lic  li  (ìuasconi  hna. 
Tenendo  appre«:>o  iilf  itiu\v  il  suo  de^triero, 
l)o\e  l'  umor  la  ^ia  piii  l'erma  da^a, 

Quel  le  fu  tr.itto  dal  dcnionio  fiero 
IVeir  acqua,  sicché  dentro  \i  nuotala. 
]Non  sa,  clic  far,  la  timida  iloiizella, 
Se  non  tenersi  ferma  in  sulla  sella. 

86.      Per  tirar  briglia,  non  gli  può  dar  volta; 
l'ili  e  più  .xeinpi'c  (|uel  »i  caccia  in  alto. 
Ella  leiK-a  la  ve^ta  in  su  i-a<-i-olta, 
P<r  non  bu<;narla,  e.   traea  i  piedi   in  alto. 
Per  le  i-palU;  la  iliioma  iva  disciolla, 
E  r  aur.i  le  Iacea  lascilo  as.Nallo. 
Stavano  cheti  tulli  i  maggior  venti. 
Forse  a  tanta  beltà  col  unire  attenti. 


I  37.     Ella  Tolgea  i  begli  occhj  a  terra  invano, 
Che  bagnavan  di  pianto  il  viso  e  '1  seno; 

i         E  vedea  il  lito  andar  sempre  lontano, 

1         E  decrescer  più  sempre,  e  venir  meno. 

i         il  destrier,  che  nuotava  a  destra  mano, 
Dopo  un  gran  giro  la  portò  al  terreno, 
Tra  scuri  sassi  e  spaventose  grotte, 
Già  cominciando  ad  oscurar  la  notte. 

»jS.     Quando  si  vide  sola  in  quel  deserto. 
Che  a  riguardarlo  sol  mcttca  paura, 
j\eir  ora,  che  nel  mar  Febo  coperto 
L'  aria  e  la  terra  avea  lasciata  oscura, 
Fcrmossi  in  atto,  eh'  avria  fatto  incerto 
Chiunque  avesse  visto  sua  figura, 
S'  ella  era  donna  sensitiva  e  vera, 

0  sasso  colorito  in  tal  maniera. 

39.  Stupidii,  e  fissa  nell'  incerta  sabbia. 
Co'  capelli  disciolti  e  rabbuffati. 

Con  le  man   giunte  e  con  immote  labbia, 

1  languidi  occli.j  al  cicl  tenea  levati. 

Come  accusando  il  gran  motor,  che  1'  abbia 

Tutti  inclinati  nel  suo  danno  i  fati. 

Immota,  e  come  attonita  ste'  alquanto. 

Poi  sciolse  al  duolla  lingua,  e  gli  occhj  al  pianto. 

40.  Dicea:  Fortuna,  che  più  a  far  ti  resta. 
Perchè  di  me  ti  sazj,  e  ti  disfami.^ 

Che  dar  ti  posso  omai  più,  se  non  questa 
Misera  vita.-'  ma  tu  non  la  brami; 
Ch'  or  a   trarla  del  mar  sei  stata  presta, 
Quando  potea  finir  suoi  giorni  grami. 
Perchè  ti  parve  di  voler  più  ancora 
Vedermi  tormentar  prima  eh'  io  mora. 

41.  Ma  che  mi  possi  nuocere,  non  veggio, 
Più  di  quel,  che  sin  qui  nociuto  m'  hai. 
Per  te  cacciata  son  del  real  seggio. 
Dove  più  ritornar  non  spero  mai; 

Ho  perduto  1'  onor,  eh'  è  stato  peggio: 
Che,  se  ben  con  cfFctto  io  non  peccai, 
Io  do  però  materia,  eh'  ognun  dica. 
Ch'  essendo  vagabonda,  io  sia  impudica. 

42.  Che  aver  può  donna  al  mondo   più   di  buono, 
A  cui  la  castità  levata  sia.-* 

Mi  nuoce,  oimè  !  eh'  io  son  giovane,  e  sono 

Tenuta  bella,  o  sia  vero,  o  bugia. 

CJià  non  ringrazio  il  ciel  di  questo  dono; 

Che  di  qui  nasce  ogni  mina  mia. 

Morto  per  questo  fu  Argalia  mio  frate; 

Che  poco  gli  giocar  l'  arme  incantate. 

43.  Per  questo  il  re  di  Tartaria  Agricane 
Di>fe<'e  il  genitor  mio  (Talal'ione, 

Che  in  India  «lei  Calajo  era  gran  Cane: 

Ond'   io  son  giunta  a  tal  condi/ione. 

Che  muto  aII)ergo  da  Mia  u  dìiiianc. 

Si'   r  aMT,  se  r  oiior,  >e  le  pcr>one 

M'  hai  tolto,  e  fatto  il  mal,   che  far  mi  puoi, 

A  che  più  dogli.i  anco  serliar  mi   ^iioi? 

44.  Se  r  alfogiiniii  in  mar  morie  non  era 
A  tuo  senno  crndcl,   piirch"   io  ti  >a/j, 
IVon  ricuM),  che  mandi  alcuna  fera. 

Che  mi  di* ori,  e  non  mi   tenga   in  strazj. 
D'  ogni  marlir.  rhe  sin,  piirrir  io  ne  pera, 
Es.-er  non  può,  eh'  sis.-ai   luni  ti    ringia/j. 
C'ohì  dicea  la  donna  con  gran  pianto. 
Quando  le  apparse  l'  eremita  u  canto. 


[83] 


ORLANDO  FURIOSO.     (Vili.  45— ro) 


m 


45.  Avea  mirato  dall'  e>treina  cima 
D'  un  rilevato  sasso  V  eremita 
Angelica,  che  giunta  alla  parte  ima 
E  dello  scoglio,  afflitta  e  s^bigottita. 
Era  sei  giorni  egli  venuto  prima  ; 

Ch'  un  demonio  il  portò  per  via  non  ti'ita: 
E  venne  a  lei  fingendo  divozione. 
Quanta  avesse  mai  Paolo    o  Ilarione. 

46.  Come  la  donna  il  cominciò  a  vedere, 
PrCf^e,  non  conoscendolo,  conforto, 

E  cej:sò  a  poco  a  poco  il  suo  temere, 

Bench'  ella  avesse  ancora  il  viso  smorto. 

Come  fu  presso,  disse:  Miserere, 

Padre,  di  me,  che  son  giunta  a  mal  porto  : 

E  con  voce  interrotta  dal  singulto 

Gli  disse  quel,  eh'  a  lui  non  era  occulto. 

47.  Comincia  1'  eremita  a  confortarla 
Con  alquante  ragion  hellc  e  divote, 

E  pon  le  antraci  man,  mentrechè  parla, 
Or  per  lo  seno,  or  per  1'  umide  gote: 
Poi  più  sicnit»  va  per  ahhracciarla, 
Ed  ella  sdegnnsetta  lo  percuote 
Con  una  man  nel  petto,  e  Io  rispinge, 
E  d'  onesto  rossor  tutta  si  tinge. 

48.  Egli,  eh'  allato  avea  una  tasca,  aprilla, 
E  trassene  un'  ampolla  di  liquore, 

E  negli  occlij  possenti,  onde  sfavilla 
La  più  cocente  face    eh'  abbia  Amore, 
Spruzzò  di  quel  leggiermente  una  stilla, 
Che  di  farla  dormire  ebbe  valore: 
Già  resupiiia  nell'  arena  giace 
A  tutte  voglie  del  secchio  rapace. 

49.  Egli  r  abhraccìa,  ed  a  piacer  la  tocca, 
Ed  ella  dorme,  e  non  può  fare  ischerrao. 
Or  le  bacia  il  bel  petto,  ora  la  bocca: 

]\on  è  chi  il  veggia  in  quel  loco  aspro  ed  ermo, 
Ma  neir  incontro  il  suo  destrier  trabocca; 
Ch'  al  de»i(»  non  risponde  il  corpo  infermo. 
Era  mal  atte»,  per<hè  avea  troppi  anni  ; 
E  potrà  peggio,  quanto  più   1'  afTanni. 

50.  Tutte  le  vìe,  tutti  lì  modi  tenta; 
Ma  quel  pigro  rozzon  non  però  salta: 
Indarno  il  frcn  gli  scuote,  e  lo  tormenta, 
E  non  può  far,  che  tenga  la  testa  alta. 
AUìn  presso  alla  donna  s"  addormenta, 

E  nuova  altra  seiiigura  anco  1    a.<salta. 

INon  comincia  fortuna  mai  per  poco, 

Quiindo  un  mortai  >i  piglia  a  scherno  e  a  gioco. 

51.  Bisogna,  primacli'  io  vi  narri  il  caso, 
Ch'  im  poco  dal  sentier  dritto  mi  torca, 
]\(l  mar  di  tramontana  iiiver  V  occaso, 
OUr«-   r  Irlanda  un'  isola  si  corca, 
Ebiida  nominata,  ove  è  rimaso 

Il  popol  raro,  poi<  he  la  brutta  orca, 
E  r  altro  marin  gregge  la  distrusse, 
Che  in  sua   v«'ndetta  Proteo  vi  condusse. 

52.  Narran  1'  anticlie  i>torie,  o  vere  o  false, 
Che  tenne-  già  qiul   luogo    un  re  possente, 
Ch'  ebbe  mia  figlia,  in   cui   belle/za  valse 
E  grazia  sì,  che  potè  facilmente, 

Poi«hè   mo>(ro'si  in  suH'  ar«'ne  salse, 
Prot«!(t  hipiriarc  in  mezzo  l'  accjue  ardente; 
E  quella,  un  di  che  sola  ritrovolla. 
Compresse,  e  di  sé  gravida  lasciolla. 


53. 


La  cosa  fu  gravissima  e  molesta 
Al  padre,  più  d'  ogni  altro  empio  e  severo; 
]\è  per  iscusa,   o  per  pietà  la  testa 
Le  perdonò:  sì  può  lo  sdegno  fiero! 
Kè  per  vederla  gravida  si  resta 
Di  subito  eseguire  il  crudo  impero  ; 
E  '1  nipotin,  che  non  avea  pecctato. 
Prima  fere  morir,  che  fosse  nato. 


54. 


Proteo  marin,  che  pasce  il  fiero  armento) 
Di  Nettuno,  che  1'  onda  tutta  regge, 
Sente  della  sua  donna  aspro  tormento, 
E  per  grand'  ira  r^mpe  ordine  e  legge. 
Si,  che  a  mandare  in  terra  non  è  lento 
L'  or<lie,  le  foche,  e  tutto  il  marin  gregge, 
Che  distruggon  non  sol  pecore  e  huoi. 
Ma  ville  e  borghi,  e  li  cultori  suoi. 

55.      E  spesso  vanno  alle  città  murate, 
E  d'  ogni  intorno  lor  mettono  assedio. 
INOtte  e  dì  stanno   le  persone  armate 
Con  gran  tinuu'e  e  dispiacevol   tedio: 
Tutte  hanno  le  camiiagne  abbandonate ^ 
E  per  trovarvi   al  fin  qualche  rimedio, 
Aiutarsi  a  consigliar  di  queste  cose 
All'  oracol,  che   lor  così  rispose  : 

50.      Che  trovar  bisognava  mia  donzella, 
Clie  fosse  all'  altra  di  bellezza  pare, 
Ed  a  Proteo  sdegnato  ofierir  quella. 
In  cambio  della  morta,  in  lito  al  mare. 
S'  a  sua  satisfazion  gli  parrà  bella. 
Se  la  terrà,  né  li  verrà  a  sturbare  : 
Se  per  questo  nim  sta,   se  gli  apprcsenti 
L<na,  ed  un'  altra,  finché  si  contenti. 

57.  E  così  cominciò  la  dura  sorte 

Tra  quelle,  che  più  grate  eran  dì  faccia, 
Ch    a  Proteo  ciascun  giorno   una  si  porte, 
Finché  trovino  donna,  che  gli  piaccia. 
La  prima  e  tutte  l'  altre  ebbono  morte; 
Che  tutte  giù  pel  ventre  se  le  caccia 
In'  orca,  che  restò  presso  alla  foce, 
Poìcliè  '1  resto  partì  del  gregge  atroce. 

58.  O  vera    o  falsa  che  f«)sse  la  cosa 

Di  Proteo,  (cir  io  in>n  so,  che  me  ne  dica) 
Servossi  in  quella  terra,  con  tal  chiosa, 
Contra  le  donne  un'  empia  legge  antica: 
Che  di  lor  carne  1'  orca  mostruosa. 
Che  A'iene  ogni  dì  al  lito    si  nutrica. 
Bench'  esser  donna  sia  in  tutte  le  bande 
Danno  e  sciagura,   quivi  era  più  grande. 

59.  Oh  misere  donzelle,  che  trasporte 
Fortuna  ingiuriosa  al  lito  infausto, 
Dov(;  le  gf'iiti  stan  sul  nrare  accorte, 
l'er  far  delle  straniere  empio  olocaii.-tc»  ! 
Che  ,    conu^   più  di   fuor  ne  sono  morte, 
11  niiiin-r  delle  loro  é  meno  esiiu^to  ; 

IMii,   |ierchè  il   \cnto  ognor  preda  nou  mona, 
Uicercando  ne  \an  p<'r  ogni  artnia. 

(iU.      A  aii  discorrendo  tutta  la   marina 

Con  l'uste  e  grippi,  ed  altri  legni  loro, 

E  da   lontana  |)arte  e  da  vicina 

Portan  sollevaimmto  al   lor  martoro. 

Molte  donne  han  p«-r  l'orza  e  per  rapina, 

Alcune'  i>er  lusin!;be,  altre  per  oro; 

E  sem|)re  da  diverse  regioni 

!N'    haiinti  pieno  le  t«>rri  e  le  prigioni. 


[85] 


ORLANDO  FURIOSO.      (VIU.  61— W) 


[86] 


(il.     Passando  una  lor  fusta  a  terra  a  terra 
Innanzi  a  quella  solltariii  riva, 
Uovo  fra  sterpi  in  siili"  erbosa  terra 
La  sfortunata  Angelira  dormiva, 
Smontare  alquanti  galeotti  in  terra, 
Per  riportarne  legna  ed  acqua  viva  ; 
E  di  quante  mai  fur  belle  e  leggiadre, 
Trovare  il  fiore  in  braccio  al  santo  padre. 

62.      Oh  troppo  cara,  oh  troppo  eccelsa  preda 
Per  si  barbare  genti  e  si  villane  ! 
Oh  fortuna  cruciti,  chi  fia  che  "1  creda, 
Ciie  tanta  forza  hai  nelle  co>e  umane. 
Che  \>tv  til)o  d'  un  jiiostro  tu  conceda 
La  gran  beltà,  che  in  hidia  il  re  Agiii-..ne 
Fete  venir  dalle  t.iucajce  porte, 
Cun  mezza  Scizia,  a  guadagnar  la  rac.rte? 

G3.      La  gran  beltà,  che  fu  da  Sacripant.- 

l'offta  ini. anzi  al  tuo  onore  e  al  suo  bel  regno  ; 
La  gran  beltà,  eh'  al  gran  signor  d'  AiigLinte 
ALic(  Ilio  la  chiara  fama  e  1'  alto  ingegno  ; 
La  gran  beltà,  che  fc'  tutto  Le^  ante 
Sottosopra   voltar?!,  e  stare  al  segno, 
Cra  mai  ha  (ci)?ì  rliiiasa  ù  »ola) 
Chi  le  dia  ajutu  pur  d'  una  parola. 

u4.      La  bella  donna,  di  gran  sonno  oppressa, 
Incatenata  fu  piiiiia,  che  desta. 
Portare  il  frate  incantator  con  essa 
Nel  legno  picn  di  turba  afflitta  e  mesta. 
La  vela,  in  cima  all'  arbore  rimessa, 
Rendè  la  nave  all'  isola  fmiesta, 
Dove  chiuscr  hi  donna  in  rocca  forte, 
Fino  a  quel  dì,  di'  a  lei  ti-ccò  la  sorte. 

()5.      Ma  potè  si,  per  esser  tanto  bella, 
La  fiera  gente  muovere  a  pleiade, 
Che  multi  dì  le  dill'eriron  quella 
Morte,  e  serbarla  a  gran  neces?itiide; 
E  linch'  ebber  di  fumé  altra  donzella, 
Perdonare  all'  angelica  beltade. 
Al  mo^tro  fu  condotta  fìniiliuciite. 
Piangendo  dietro  a  lei  tutta  hi  gente. 

66.  Chi  narrerà  1'  angosce,  i  pianti  e  i  gridi, 
L'  alta  querela,  elio  nel  ciel  penetrar' 
.Marii\iglia  ho,  cl-.e  non  s'  aprirò  i  lidi, 
Quando  fu  posta  in  >ulla  fredda  pietra, 
l)o\c  in  catena,  priva  di  sus.'-idj, 

.alerte  aspettai  a  abboinino^a  e  tetra. 
Io  noi  dirò;  «he  si  il  dolor  mi  muove, 
Che  mi  sfor/.a  a  ^  oltar  le  rime  altrove, 

67.  E  trovar  moì  non  tanto  luguliri, 
FiiK'hè   1  mio  t<pirto  stanco  si  riabbia: 
Che  non  potrian  gli  squallidi  coliiliri. 

Nò  r  orba  tigre  ac«H'sa  in  maggior  rabbia, 
Né  ci«i,  che  dall'  Atlantt;  ai  liti  rubri 
\eneiiosoerra  per  la  calda  sabbia, 
Né  veder,  né  pensar  senza  ciu'doglio 
Angelica  legata  al  nudo  scoglio. 

68.  Oh!  se  r  avesse  il  mio  Orlando  naputo, 
Cli'  era  per  ritrovarla  ito  a  Parigi; 

O  li  due,  che  ingannò  (|nel  vecchio  astuto 
lUA  messo,  che  venia  dai  luoglii  »tigi  ; 
Fra  iiiiMe  morti,  per  donarle  ajiito, 
Cercalo  avriau  gli  angelici  vestigi. 
Ma  che  fariano,  avendone  anco  spili, 
Poiché  distanti  bun  di  tanta  ^  iu  ? 


69.  Parigi  intante  avea  1'  assedio  intomo 
Dal  famose  figliuol  del  re  Trojano, 

E  venne  a  tanta  estremitade  un  giorno, 
Che  n'  andò  quasi  al  suo  nemico  in  mano  : 
E,  se  non  che  li  voti  il  ciel  piacerne. 
Che  dilagò  di  pioggia  oscura  il  piano, 
Cadea  quel  dì  per  1'  africana  lancia 
11  santo  imperio,  e  "1  gran  nome  di  Francia. 

70.  Il  somme  Creator  gli  ecchj  rivolse 
Al  giusto  lamentar  del  vecchio  Carlo, 
E  con  subita  pioggia  il  foco  tolse, 
Né  forse  uman  saper  potea  smorzarlo. 
Savio  chiunque  a  Dio  sempre  si  volse! 
Ch'  altri  non  puote  mai  meglio  ajutaiio. 
Ben  dal  devoto  re  fu  conosciuto. 

Che  si  salvò  per  Io  di^ ino  njuto. 

II.      La  notte  Orlando  alle  nojose  piume 
Del  veloce  peusiir  fa  parte  assai: 
Or  quinci,  or  quindi  il  volta,  or  lo  rassjtmu 
Tiitt«»  in  un  loco,  e  non  lo  ferma  mai  — 
Qual  (!'  acqua  chiara  il  tremolante  lume 
Dal  s<!l  percossa,   o  da'  notturni  rai, 
Per  gli  ampli  tetti  va  con  lungo  salto 
A  destra  ed  a  sinistra,  e  basso  ed  alto. 

72.  La  doana  sua,  che  gli  ritorna  a  mente. 
Anzi  che  mai  non  era  indi  partita. 

Gli  raccende  nel  «ore,  e  fa  più  ardente 
La  fiamma,  che  nel  di  parea  sopita. 
Costei  vj'iiiita  seco  era  in  Ponente 
Fin  dal  Catajo,  e  qui  1'  avea  smarrita, 
I\é  ritrovato  poi  vestigia  d'  ella. 
Che  Carle  rotto  fu  presso  a  Uordella. 

73.  Di  questo  Orlando  avea  gran  doglia,  e  seco 
Indarno  a  sua  sciocchez/a  ripensava. 

Cor  mio,  dicea,  come  v  ilmente  teco 
Mi  son  portato!  Oimé!  quanto  mi  grava, 
Che,  potendoti  aver  notte  e  dì  meco. 
Quando  la  tua  bontà  non  mei  negava, 
T'  abbia  lasciato  in  man  di  \amo  porre. 
Per  non  sapermi  a  tanta  ingiuria  opporre! 

74.  Non  aveva  ragione  io  di  sJMisarme? 
E  Carlo  non  m'  avria  forse  disdetto. 

Se  pur  disdetto    e  chi  potea  sforzarme.'' 
Chi  mi  ti  velea  torre  al  mio  dispetto.' 
Non  potev'  io  venir  piuttosto  ali  .iriiie, 
Ijasciar  j>iuttosto  traimi  il  cor  del  petto.-' 
Ma  né  ('arie,  né  tutta  la  sua  gente 
Di  tormiti  per  forza  «-ra  possente. 

75.  .Vlmen  1'  avesse  posta  in  guardia  liiiona 
Dentro  a  P.irigi,  e  in  qualche  rocca  forte! 
Clic  r  abbia  data  a  \aiiio,  mi  consona 

Sol,   perché  a  perder  1'  abbia  a  questa  ^orte. 
VAù   la  dovisi  guardar  meglin  persona 
Di  me  P  cir  io  dovea  farlo  fino  a  morte; 
(ìuartlarla  più  che    1  cor,  elie  gli  occhj  miei: 
E  dovea,  e  potea  farlo ,  e  pur  noi  lei. 

76.  Dell  !  dove  senza  me.   dolce  mia  vita, 
Uìmara  sei  sì  giovane  e  sì  bella.'' 
Come.  poì(  Ile  la  luce  é  dipiirtita, 
Kiiiian  tra'  liosclii  I.i  smarrita  agnella, 
(Mie  dal  pastor  s|)er<iiido  e>ser  udita. 

Si  va  l.iguaiido  in  questa  parte   e  in  quella. 
Tanto  «he  'I  lupo  1°  ode  da  lontano, 
E  '1  mibcre  pastor  ne  piange  invano. 


[87] 


ORLANDO   FURIOSO.     (Vili.  77-91) 


[88] 


77.  Dove,   speranza  mia,  dove  ora  sci? 
Vai  tu  soletta  forse  ancora  errando? 
O  pur  t'  hanno  trovata  i  Inpi  rei, 
Senza  la  guardia  del  tuo  fido  Orlando? 

E  '1  fior,  che  in  ciel  potea  ponili  fra  ì  Dei, 
Il  fior,  che  intatto  io  mi  venia  serbando, 
Per  non  turbarti,  oimè!  V  animo  casto, 
Oimè,  per  forza  avranno  colto  e  guasto  ? 

78.  Oh  infelice  !  oh  misero  !  che  voglio. 

Se  non  morir,  se  '1  mio  bel  fior  colto  hanno? 
O  sommo  Dio!  fammi  sentir  cordoglio 
Prima  d'  ogni  altro,  che  di  questo  danno! 
Se  questo  è  ver,  con  le  mie  man  mi  toglio 
La   vita ,  e  1'  alma  disperata  danno. 
Così  piangendo  forte ,   e  sospirando, 
Seco  dicca  1'  addolorato  Orlando. 

79.  Già  in  ogni  parte  gli  animanti  lassi 
Davan  riposo  ai  travagliati  spirti, 
Chi  sulle  piume,  e  chi  sui  duri  sassi, 

E  chi  suir  erbe,  e  chi  su'  faggi  o  mirti. 
Tu  le  palpebre,  Orlando,  appena  abbassi, 
Punto  da'  tuoi  pensieri  acuti  ed  irti; 
]\è  quel  sì  breve  e  fuggitivo  sonno 
Goder  in  pace  anco  lasciar  ti  ponno. 

80.  Parca  ad  Orlando,  su  una  verde  riva 
D'  odoriferi  fior  tutta  dipinta, 

]Mirare  il  bello  avorio,  e  la  nativa 
Porpora,  eh'  avea  Amor  di  sua  man  tinta, 
E  le  due  chiare  stelle,  onde  nutriva 
Nelle  reti  d'  Amor  V  anima  avvinta: 
Io  parlo  de'  begli  occbj  e  del  bel  volto. 
Che  gli  hanno  il  cor  di  mezzo  il  petto  tolto. 

81.  Sentia  il  maggior  piacer,  la  maggior  festa, 
Cì\e  sentir  possa  alcun  felice  amante: 

IMa  ecco  intanto  uscire  una  tempesta. 
Clic  struggea  i  fiori,  ed  abbattea  le  piante. 
INon  se  ne  suol  veder  simile  a  questa, 
Quando  giostra  aquilone,  austro  e  levante: 
Parca  che,  per  trovar  qualche  cojierto, 
Andasse  errando  invan  per  un  deserto. 

82.  Intanto  1'  infelice  (e  non  sa  come) 
Perde  la  donna  sua  per  l'  acr  fosco  ; 
Onde  di  qua  e  di  là  del  suo  bel  nome 
Fa  risonare  ogni  campagna  e  bosco  ; 
E,  mentre  dice  indarno:  Miscn»  me! 
Chi  ha  cangiata  mia  dob-c/.za  in  tosco  ? 
Ode  la  donna  sua ,  che  gli  domanda 
Piangendo  ajuto,  e  se  gli  raccomanda. 


84. 


Senza  pensar,  che  sian  l'  immagin  false, 
Quando  per  tema,  o  per  disio  si  sogna. 
Della  donzella  per  modo  gli  calse, 
Che  stima  giunta  a  danno,  od  a  vergogna, 
Che  fulminando  fiuir  del  letto  salse. 
Di  piastra  e  maglia,  quanto  gli  bisogna. 
Tutto  guarnissi,  e  Brigliadoro  tolse, 
j\è  di  scudiero  alcun  servisiio  volse. 


85 


86 


87 


83.     Onde  par  eh'  esca  il  grido,  va  veloce, 
£  quinci  e  quindi  s'  an'ati(-a  assai. 
Oh  quanto  è  il  suo  dolore  aspro  ed  atroce, 
Che  non  può  rivedere  i  dolci  rai  ! 
Ecco  eh'  altronde  ode  da  un'  altra  voce: 
K(»n  sperar  più  gioirne  in  terra  mai  ! 
A  quc.'-to  orribil  grido  ri,-.vegliossi, 
E  tutto  pien  di  lagrime  trovossi. 

Ul.      Il  qual ,  poiché  mnlr.te  ebbe  d'  Almonlc 
Le  glorio»»-  insegne ,  anilò  alla  porta, 
E  dis-e  neir  orecrbii»:   lo   sono  il  conte, 
A  un  ca|)ilan,  cli<;  vi  fai.ea  la  scinta; 
E.   fatto>i  abba>sar  subito  il  ponte, 
Per  quella  strada,  «lie  più  lutile  porta 
Agi'  inÌMiii:i,  se  n'  andò  diritto. 
Quel  clu-  segui,  n(!ir  altro  canto  è  scritto. 


E  per  poter  entrare  ogni  sentiero, 
Che  la  sua  dignità  macchia  non  pigli, 
Kon  r  onorata  insegna  del  Quartiero, 
Distinta  di  color  bianchi  e  vermigli. 
Ma  portar  volse  un  ornamento  nero, 
E  forse  accioccir  al  suo  dolor  simigli? 
E  quello  avea  già  tolto  a  un'  Araostante, 
Ch'  uccise  di  sua  man  pochi  anni  innante. 

Da  mezza  notte  tacito  si  parte, 
E  non  saluta,  e  non  fa  motto  al  zio, 
]\è  al  fido  suo  compagno  Brandimarte, 
Che  tanto  amar  solca,  pur  dice  addio. 
Ma  poiché  '1  sol  con  I'  auree  chiome  sparte 
Del  ricco  albergo  di  Titone  uscio, 
E  fé'  r  ombra  fuggire  umida  e  nera, 
S'  avvide  il  re,  che  '1  paladìn  non  v'  era. 

Con  suo  gran  dispiacer  s'  avvede  Carlo, 
Cbe  partito  la  notte  è  il  suo  nipote, 
Qaand'  esser  dovea  seco,  e  più  ajutarlo, 
E  ritener  la  collera  non  puote, 
Ch'  a  lamentarsi  d'  esso,  ed  a  gravarlo 
Non  incominci  di  hiasmevol  note, 
E  minacciar,  se  non  ritorna,  e  dire, 
Che  lo  farla  di  tanto  error  pentire. 

Brandimarte,  eh'  Orlando  amava  a  pare 
Di  sé  medesmo,  non  fece  soggiorno; 
O  che  sperasse  farlo  ritornare, 
O  sdegno  avesse  udirne  biasmo  e  scorno; 
E  volse  appena  tanto  dimorare, 
Ch'  uscisse  fuor  nell'   oscurar  del  giorno. 
A  Fiordi  ligi  sua  nulla  ne  disse. 
Perchè  '1  disegno  suo  non  gì'  impedisse. 

89.  Era  questa  una  donna,  che  fu  molto 
Da  lui  diletta,  e  ne  fu  raro  senza. 

Di  costumi ,  di  grazia  e  di  bel  volto 
Dotata,  e  d'  accortezza  e  di  prudenza. 
E,  se  licenzia  or  non  n'  aveva  tolto, 
Fu,  che  sperò  tornarle  alla  presenza 
Il  di  medesmo:  ma  gli  accadde  poi, 
Che  lo  tardò  più  dei  disegni  suoi. 

90.  E  poich'  ella  aspettato  quasi  un  mese 
Indarno  1'  ebbe,  e  che  tornar  noi  vide. 
Di  desiderio  si  di  lui  s'  accese, 
(/he  si  partì  senza  compagni,  o  guide, 
E  cercandone  andò  molto  paese, 
Come  r  istoria  al  luogo  suo  decide. 
Di  questi  due  non  ^  i  dico  or  più  innante  ; 
Che  più  m'  importa  il  cavalier  d'  Anglante; 


88 


[89J 


ORLANDO    FURIOSO.      (TX.  1  — 12  ) 


[mi] 


CANTO    NONO. 


ARGOMENTO. 

Ode  Orlando  il  costume  empio  d'  Ebuda, 
Che  le  donzelle  al  marin  mostro  espone  ; 
E  stimando  di  quella  gente  cruda 
Fosse  Angelica  preda,  irvi  propone. 
Ma  poi  d'  Olimpia  ,  di  conforti  ignuda, 
Inteso  i  casi,  le  sue  forze  pone 
In  sua  difesa,  e  fatto  venir  meno 
Cimosco ,  le  ritorna  il  suo  Bireno. 


1.  Che  non  pnò  far  d'  un  cor ,  eh'   abbia  soggetto 
Questo  crudele  e  traditore  Amore, 

Poich'  ad  Orlando  piiò  levar  del  petto 
La  tanta  fé,  che  deve  al  suo  signore? 
Già  savio  e  pieno  fu  d'  og'ni  rispetto, 
E  della  santa  chiesa  difensore  ; 
Or,  per  un  vano  amor,  poco  del  zio, 
E  di  sé  poco ,  e  men  cura  di  Dio. 

2.  Ma  r  escuso  io  pur  troppo  ,  e  mi  raIle<Tro 
Nel  mio  difetto  aver  compaj^no  tale  ; 

Ch'  anch'  io  sono  al  mio  ben    languido  ed    egro, 

Sano  e  gagliardo  a  seguitare  il  male. 

Qiu;l  se  ne  va  tutto  vestito  a  negro, 

ì\è  tanti  amici  al)Iian(h)nar  gli  cale, 

E  passa,  dove  d'  Alii(!a  e  di  Spagna 

La  gente  era  attendata  alla  campagna. 

3.  Anzi  non  attendata  ;  perchè  sotto 
Alberi  e  tetti  1'  ha  sparsa  la  pioggia: 

A  dieci,  a  venti,  a  quattro,  a  sette,  ad  otto, 
Chi  più  distante,  e  chi  più  presso  allog^gia. 
Ognuno  dorme  travagliato  e  i-otto  ; 
Chi  steso  ili  terra,  e  chi  alla  man  s'  appog'gia. 
J)ormono,  e  'l  ccuite  uccider  ne  può  assai; 
]Nè  però  stringe  Durindana  nuii. 

ì.      Di  tanto  core  è  il  generoso  Orlando, 
Che  non  degna  ferir  gente,  che  dorma. 
Or  (piesto  ,  e  quando  quel  luogo  <u-rcaudo 
Aa,  per  trovar  d<;lla  sua  doiuia  1'  orma. 
Se  trovii  alcim ,  che  vegglii ,  sospirando 
Gliene  <li|iinge  1'  ahito  e  la  forma, 
E  poi  io  priega ,  v.Uv  per  «M>rtesia 
(ir  insegni  andare  in  parte,  ove  ella  sia. 

5.      1")  poiché  venne  il  dì  chiaro  <;  lucente,  j 

Tutto  cercò  1'  (r^er<•ito  uuirc-co  : 
E  lu'U  lo  polca  far  r^iiiir.iuieiite, 
A\ciulo  indosso  r  aitilo  aralursco: 
Ed  ajulollo  ili  qiM'.td  piiriiuriili'. 
('he  >a|)e\ii  aldo  idioma,  clic  francc*co ; 
E  r  africano  a\ea  tanto  espedito, 
Clic  parca  nato  a  Tripoli ,  e  nutrito. 


6*.      Quivi  il  tutto  cercò ,  dove  dimora 
Fece  tre  giorni,  e  non  per  altro  efletto. 
Poi  dentro  alle  cittadi,  e  a'  borghi  fuora, 
]Von  spiò  sol  per  Francia  e  suo  distretto, 
7tla  per  Uà  ernia  e  per  Guascogna  ancora 
llivide  sino  all'  ultimo  borglietto, 
E  cercò  da  Provenza  alla  Bretagna, 
E  dai  Piccardi  ai  termini  di  Spagna. 

7.  Tra  il  fin  d'  ottobre,  e  il  capo  di  novembre, 
Nella  stagion ,  che  la  frondosa  vesta 
Vede  levarsi,  e  discoprir  le  mcmbre 
Trepida  pianta  ,  finché  nuda  resta, 
E  van  gli  augelli  a  strette  schiere  insembre, 
Orlando  entrò  nell'  amorosa  inchiesta; 
Né  tutto  il  verno  appresso  lasciò  quella, 
Né  la  lasciò  nella  stag-ion  novella. 

8.  Passando  un  giorno  ,  come  avca  costume 
D'  un  paese  in  un  altro ,  arrivò ,  dove 
Parte  i  Normandi  dai  Britoni  un  fiume, 
E  verso  il  viciii  mar  clieto  si  muove, 
('h'  allora  gonfio  e  bianco  già  di  spume, 
ì'er  neve  sciolta  e  per  montane  piove; 
E  r  ìmpeto  dell'  acqua  avea  disciolto, 
E  tratto  seco  il  ponte ,  e  '1  passo  tolto. 

!).      Con  gli  occh j  cerca  or  questo  lato ,  or  quello 
Lungo  le  ripe  il  paladin ,  se  vede 
(Quando  né  pesce  egli  non  é,  né  augello) 
C/'ome  abbia  a  por  nelT  altra  ripa  ii  piede  ; 
Ed  ecco  a  sé  venir  vede  im  battello, 
Nella  ("ui  poppa  una  donzella  ^ie(!e, 
("he  di  volere  a  lui  venir  fa  segno, 
Né  lascia  poi,  eh'  arrivi  in  terra  il  legno. 

10.  Prora  in  terra  non  pon  ;  clié  d'  esser  c^irca 
(y'ontra  sua  Aolontà  forse  snsjìctta. 
Orlando  prega  lei,  che  nella  barca 

Seco  lo  tolga ,  ed  oltre  il  fiume  il  metta. 
Ed  ella  a  lui:  (^uì  cavalier  non  varila, 
11  qiial  sulla  fé  sua  non  mi  pn):uet!a 
Di  fare  una  battaglia,  a  mia  ricliicsia. 
La  più  giusta  del  mondo,  e  la  più  oiiota. 

11.  Sicché  ,  se  avete,  cavalier,  desirc 
Di  por  per  me  nell'  altra  ripa  i  passi, 
Prometlelemi ,  ]>rimaché  finire 
(^ue.-.t'  altro  uuve  prossimo  ,>i  lassi, 
(/'ir  al  re  d"  Iberiiia  v'  aiiilcrete  a  unire, 
Appresso  al  (|iial  la  bella  ami, ita  f.i>si, 
Per  di^lriigger  quell"  isola  d"  Ebuila, 

(Jlic  ili  quante  il  mar  cinge  è  la  più  cruda. 

12.  \  oi  dovete  sa|)er  ,  vW  olire  1'  Irlanda, 
Fra  molle,  «he  >i  son ,  V  isola  giace 
Noni. Ila  l')biiil,i,  che  per  leg'^'c  manda 
Itili), indo  inloi-iio  il  suo  popol  nipace, 

E,  c{iiiiiile  donne  |iiiò  pigliar,  vivanda 
Tutte  de>lina  a  un  aniiiial  mumci;, 
('In;  \ieiie  ogni  di  al  lilo,  e  sempro  nuora 
Donna  o  d<ui/.ella,  onde  si  pasca,  ti-o\a  : 


[911 


ORLANDO  FURIOSO.     (IX.  13  —  28) 


[92] 


23. 


24 


13.      Che  iiiiiT.inti  e  C(ir  ur,  cl:e  \anno  attorno,  I    21. 

Ve  ne  fan  cojìia ,  e  più  delle  più  belle. 
Ben  potete  contare,    una  per  giorno. 
Quante  morte  vi  sian  donne  e  donzelle. 
Ma,  se  pietade  in  voi  trova  so^igiorno, 
Se  non  siete  d'  Amor  tutto  riìselle, 
Siate  contento  es.-er  tra  questi  eletto, 
Clic  van  per  far  ^ì  fruttuoso  effetto. 

li.      Orlando  vol-e  appena  ;idire  il  tutto. 

Che  giurò  d'  esser  prÌ!!!o  a  qiieila  impresa, 
Come  quel,  eh'  alcun  atto  iniquo  e  brutto 
ISon  [HO  sentire,  e  d'  ascoltar  gli  \ìv^ìi 
V.  fu  il  pensare,  indi  a  temere  iudiitti». 
Che  quella  gente  Angelica  abbia  prc^a, 
Pdichè  cercata  l'  ha  per  tanta  via, 
"Sé  potutone  ancor  ritrovar  spìa. 

15.  Questa  immaginayion  sì  gli  confuse, 
E  sì  gli  tolse  ogni  primier  disegno. 
Che,  quanto  in  fretta  più  potea  ,  conchiusc 
Di  navigare  a  quello  iuiqiio  regno. 
ISè  prima  i'  altro  sol  nel  mar  j^i  chiuse, 
Che  presso  a  San  3Ialò  ritrovò  un  legno, 
jVel  qual  si  pose;  e,  fiitto  alzar  le  vele, 
Passò  la  notte  il  monte  San  Michele. 

16.  Breaco  e  Laudriglier  lascia  a  man  manca. 
Fi  va  radendo  il  gran  lito  britone, 
K  poi  si  drizza  inver  T   arena  bianca, 
Onde  Inghilterra  si  nomò  Albione: 
3la  il  vento  ,  eh'  era  da  merigge ,  manca, 
E  soffia  tra  il  ponente  e  l'  aquilone 
Con  tanta  forza ,  che  fa  al  basso  porre 
Tutte  le  vele ,  e  sé  per  poppa  torre 

17.  Quanto  il  naviglio  innanzi  era  venuto 
In  quattro  giorni,  in  un  ritornò  indietro, 
Aell"  allo  mar  dal  buon  nocchier  tenuto, 
Che  non  dia  in  terra,  e  sembri  un  fragil  vetro. 
Il  vento  poi,  che  furioso  sut(» 
Fu  qualtro  giorni,  il  quinto  cangiò  metro. 
Lasciò  senza  contrasto  il  legno  entrare, 
Dove  il  firme  d'  Anversa  ha  foce  in  mare. 

18.  Tostochè  nella  foce  entrò  lo  stiinco 
Nocchier  col  legno  afflitto,  e  il  lito  prese, 
Fuor  fi"   una  terra,  che  sul  destro  fianco 
Di  quel  fiume  sfide^  a ,  un  vecchio  scese 
Di  molta  età ,  per  quanto  il  crine  bianco 
Ne  dava  indizio;  il  qual  tutto  cortese 
Dopo  i  saltiti  al  conte  rivoltosa!, 
Che  capo  giudicò  che  di  lor  fosse;  ' 

19.  E  da  parte  il  pregò  d'  una  donzella,  27. 
Ch"  a  lei  v«-iiir  non  gli  paresse  grave, 
La  qual  ritroverebbe,   oltre  che  liclla,                      1 
l'iù   eli'  allra  al  mondo  affabile  e  soave; 
0\^er  fo.se  contento  aspettar,  eh'  ella 
Airrcbbc  a  tro\ar  lui  fino  alla  nave, 
Né  più  restio  volesse  esser  di  quanti 
Quivi  eran  giunti  cavalieri  erranti. 

20.  Che   nessun  altro  cavalier,  che  arriva  '   28. 
O  per  ferra,  o  psr  mare,  a  questa  foce. 
Di  ragionar  con  la  donzella  scliiva, 
I'«;r  consigliarla  in   un   suo  caso  atroce. 
L'dilo  quc-lo,  Orlando  in  sulla  riva. 
Senza  punto  indugiarsi,  usrj  veloce, 
E  ,  cojvie  umano  e   picn  di   cortesia, 
Dove  il  vecchio  il  menò,  pre;>e  la  vìa. 


Fu  nella  terra  il  paladin  condutto 
Dentro  un  palazzo  .  ove  al  salir  le  scale 
Una  donna  trovò  piena  di  lutto, 
Per  quanto  il  vir-o  nu  hicca  segnale, 
E  i  negri  panni,  che  coprian  per  tutto 
E  le  logge,  e  le  camere,  e  le  sale; 
La  qual ,  dopo  accoglienza  grata  e  onesta, 
Fattoi  seder,  gli  disse  in  voce  mesta: 

Io  voglio,  che  sappiate,  che  figliuola 
Fui  del  conte  d'  Olanda,  a  lui  sì  grata, 
CQuantunqne  prole  io  non  gli  fossi  sola, 
Ch'  era  da  due  fratelli  accompagnata) 
Ch'  a  quanto  io  gli  chiedea,  da  lui  parola 
Contraria  non  mi  fu  mai  replicata. 
Standomi  lieta  in  questo  stato,  avvenne, 
Che  nella  nostra  terra  un  duca  venne. 

Duca  era  dì  Selandia ,  e  se  ne  giva 
Verso  Bis<aglia  a  guerreggiar  co'  Mori. 
La  bellezza  e  1'  età,  che  'n  lui  fioriva, 
E  li  non  più  da  me  sentiti  amori, 
Con  poca  guerra  me  gli  fer  cattiva  ; 
Tanto  più  che ,  per  quel ,  eh'  aj  parea  fuori. 
Io  credea,  e  credo,  e  creder  credo  il  vero, 
Ch'  amasse,  ed  ami  me  con  cor  ^incero. 


Quei  giorni ,  che  con  noi  contrario  vento. 
Contrario  agli  altri ,  a  me  propi,.io  ,  il  teuiie, 
Ch'  agli  altri  fur  quaranta,    a  me  un  luoniento, 
Cosi  al  fuggire  ebbon  veloci  penne, 
Fummo  più  volte  insieme  a  parlamento; 
Dove  che  'l  matrimonio  con  solenne 
Rito ,  al  ritorno  suo ,  saria  tra  nui, 
3Ii  promise  egli ,  ed  io  '1  promisi  a  lui- 

25.  Bireno  appena  era  da  noi  partito, 
CChé  cosi  ha  nome  il  mio  fedele  amante^ 
Che    l  re  di  F'risa ,  la  qual,  quanti»  il  lito 
Del  mar  divide  il  fiume,  è  a  noi  di-t,inte. 
Disegnando  il  fìgliuol  farmi  marito. 
Ch'  unico  al  mondo  avea,  nomato  Arbante, 
Per  li  più  degni  del  suo  stati»  manda 
A  domandarmi  al  mio  padre  in  Olanda. 

26.  Io ,  eh'  all'  amante  mio  dì  quella  fede 
Mancar  non  possu,  che  gli  aveva  data, 
E,  aucorch'  io  possa,  amor  non  mi  concede. 
Che  poter  voglia,  e  eh'  io  sia  tanto  i.igrata; 
Per  minar  la  pratica,  che  Ìtì  piede 
Era  gagliarda,  e  presso  al  fin  guidata. 
Dico  a  mio  padre ,  che ,  primaché  in  Frisa 
Mi  dia  marito,  io  voglio  esser  uccisa. 

Il  mio  buon  padre,  al  qual   s(»l  pìacea,  quanto 
A  me  placca ,   né  mai  tnriiar  mi  volse, 
Per  consolarmi,  e  far  cessare  il  pianto, 
Ch'  io  ne  Iacea ,  la  pratica  di?ciolse  ; 
Di  che  il  superbo  re  di  Frisa  tanto 
Disdi'gno  prese.,  e  a  tanto  odio  si  volse, 
Ch'  entrò  in  Olanda,  e  cominciò  la  guerra, 
Cile  tutto  il  sangue  mio  cacciò  sotterra. 

Oltre  che  sia  robusto,  e  sì  possente. 
Che  pochi  pari ,   a  nostra  età .   ritrova, 
E  sì  astuto  ili  mai  far,  eli'  altrui  niente 
La  possanza,  i'  ardir,  l'  ingegno   gi(»va. 
Porta  ulciin'  arme,  che  1'  antica  gente 
Non  vide  mai,  né,  fiiorch'  a  lui,  la  nuova: 
l^n  ferro  bugio,  lungo  da  due  liraccia. 
Dentro  a  cui  polve  (;d  una  palla  caccia. 


93] 


ORLANDO   FURIOSO.     (IX.    ^9-44) 


[94] 


29.      Col  fuoco  dietro,  ove  la  canna  è  chiusa. 
Tocca  un  spiraglio ,  che  si  vede  appena, 
A  guisa  che  toccare  il  medico  usa, 
Dove  è  hìsogno  d'  allacciar  la  vena  ; 
Onde  vien  con  tal  suim  la  piilla  esclusa, 
Che  si  può  dir ,  che  tuona  e  che  balena  : 
\è  men,  che  soglia  il  fulmine,  t)-e  pa  ?a, 
Ciò  che  tocca ,    arde  ,   abbatte  ,    apre  e  fracassa 

Ji-J.      Pose  due  volte  il  nostro  caiii;)0  in  rotta 
Con  questo  inganno,  e  i  miei  fratelli  uccise; 
Nel  primo  assalto  il  primo,   die  la  ìvitta. 
Roteo  r   usbergo,  in  mezzo  il  ci»r  g!i  mi~e: 
Neil'  altra  zuffa  all'  altro,  il  quale  in  frotta 
Fuggiti  ,  dal  c(U'po  r  anima  disise, 
E  lo  feri  lontan   dietro  la  spalla, 
E  fuor  del  petto  uscir  fece  la  palla. 

31.      Difenf1en''o>ì   poi  mio  padre  un  giorno, 
Dentro  un  cartel ,  clie  sol  gli  era  riinaso, 
Che  tutto  il  resti)  avea  perdiito  intiKui), 
Lo  fé'  con  siiiiil  (;i>lpo  ire  ali"  occaso; 
Che  mentre  andava,  e  che  ficea  ritorno, 
Provvedendo  or  a  questo ,  or  a  quel  ca,«o, 
Dal  traditor  fu  in  mezzo  gli  oc(;lij  colto, 
Che  r  avea  di  lontan  di     mira  tolto. 

G2.      Morti  i  fratelli  e  '1  padre,  e  rimala  io 
Dell'  isola  d"  Olanda  unica  erede. 
Il  re  di  Frisa,  perchè  avea  disio 
Di  ben  fermare  in  quello  stato  il  piede, 
IVIi  fa  sapere,  e  cosi  al  popol  mio. 
Che  |)ace,  e  che  ripo'^o  mi  concede, 
Qnan'lo  io  voglia  or  quel,  che  non  \olsi  innante, 
Tor  per  marito  il  suo  figliuolo  Arbante. 

33.  Io  ,   per  r  odio  non  si ,  che  grave  [Hìrto 
A  lui  ,  e  a  tutta  la  >\m  iniqua  schiatta, 

11  qual  m'  ha  due  fratelli   e  '1  padre  morto, 
S.iccbe^giiita  la  patria,  arsa  e  disf.itt.i, 
Come ,  perchè  a  colui    non  vo'   far  torto, 
A  cui  già  la  prcmiessa  aveia  fatta, 
Ch'  altr'  nomo  non  saria  ,  che  mi  sposasse, 
Finché  di  Spagna  a  me  non  ritorna>se: 

34.  Per  un  mal,  eli'  io  patisco,  ne  vo'  cento 
Patir,  rispondo,  e  far  di  tutto  il  resto, 
Esser  morta,  arsa  viva,  e  che  sia  al  vento 
La    cener  sparsa,   innnnzirliè  far  qucyto. 
J^Uidiii    la  gente  mia  dì   questo   intento 
Tornii;  < -li  priega,  e  chi    mi   fa  prototo, 
Di  dargli   in  ni;uio   me  e   la  terra,    prima 
Che  la  mia  ostin<i/ion  tutti  ci  opprimi). 

ó5.     CoHÌ ,  poicliè  i  prote>ti  e  i  pregili  i. ivano 
Vider  gittarsi,  e  che  pur  stava  dura, 
Presero  accordo  co!   !•  risone,  e  in   mano 
(("ome  avean  di-ttoj   uli   dier  me.   e  lo  mura. 
<^uel ,  senza  farmi  alcuno  allo  villano, 
Della  vita  e  «lei   regno   m'  a-siciira, 
Pnrcb'  io  indobi^ca  1<;  indurate  voglie. 
K  ('he  d'   Arliante  suo  mi  faccia  moglie. 

31).      lo ,  che  sforzar  cosi  mi  veggio ,  voglio, 
Per  uscirgli  di  man,  perder  la  vita; 
Ma,  se  pria  non   mi   ■Nctidico,   mi    do^-I'o 
Più,  che  di  (pianta  ingiuria   alibia  palila. 
Fi»  pensier  molli,  i;  veg^^io  al  mio  cordoglio, 
(;he  -olo  il   simular  può  dan-  aita. 
Fingo,  ch"  io  brami,  non  che  non  mi  piaccia, 
('he  mi   piiiloiii,  e  sua  nuora  mi  faciia. 


37.  Fra  molti,  eh'  al  servìzio  erano  stati 
Già  di   mio  padre,  io  scelgo  duo  fratelli 
Di  grande  ingegno  e  di  gran  cor  dotati, 
]Ma  più  di  vera  fede,  come  quelli. 

Che  cresciutici  in   coite  ed  alleviiti  ^ 

S*i  Min  con  noi  da  teneri  zitelli, 
E  tanto  miei ,  che  poco  lor  parria 
La  vita  por  per  la  salute  mia. 

38.  Comunico  con  loro  il  mio  disegno  : 
Es?i  prometton  d'  essermi  in  ajuto. 

L' un  viene  in  Fiandra,  e  v' apparecchia  un  legno; 

L'  altro  meco  in  Olanda  ho  ritenuto. 

Or,  mentre  i  forestieri,  e  quei  del  regno 

S'  invitano  alle  nozze ,  fu  saputo, 

Che  Bireno  in  Biscaglia  avea  un'  armata, 

Per  venire  in  Olanda  ,  apparecchiata  : 

Perrocchè,  fatta  la  prima  battaglia. 


59. 


Dove  fu  rotto  un  mio  fratello  e  ucciso, 
Spacciar  tosto  un  corrier  feci  in  Biscaglia, 
Che  portasse  a  Bireno  il  tristo  avviso: 
li  qu:il ,  inentrechè  s'  arma  e  si  travaglia, 
l>al  re  di  Frisa  il  resto  fu  conquido. 
Bireno,  che  di  ciò  nulla  sapea. 
Per  darci  ajuto ,  i  legni  sciolti  avea. 

40.  Di  questo  avuto  avviso  il  re  frisone 
Delle   nozze  al  figliuol  la  cura  lassa. 
E  con  r  armata  sua   nel  mar  si  pone  ; 
Trova  il  duca ,  lo  rompe  ,  arde  e  fracassa, 
E,  come  vuol  fortuna,  il  fa  prigione: 

Ma  di  ciò  ancor  la  nuova  a  noi  non  passa. 
3li  sposa  intanto  il  giovane ,  e  >i  vuole 
Meco  corcar  ,  come  si  corchi  il  sole. 

41.  Io  dietro  alle  cortine  avea  nasaìso 
Quel  mio  fedele,  il  qnal  nulla  si   mosse 
l'rimacliè  a  me  venir  vide  lo  sposo  ; 

E  non  r  attese  che  corcato  fosse. 
Che  alzò  un'  acci-tta ,  e  con  sì  valoroso 
Braccio  dietro  nel  capo  lo  percosse, 
Che  gli  le-.o  la  vita  e  la  parola: 

10  s.iltai  presta  ,  e  gli   segai  la  gola. 

42.  Come  cadei-e  il  1)uc  suole  al  macello, 
C.idde  il  malnato  giovane,  in  dispetto 
Del  re  (amo?co,  il  più  d"  ogni  altix»  fello, 
((Jliè  r  empio  re  di    Fri^-a  è  co>ì  detto) 
(he  morto  l'   uno  e  1'  altro  mio  fratello 

IM"    a\ea  col  padre,   e,  jier  meglio  soggetto 
Farsi  il   mio  stato,    mi  volea   per  niior". 
E  l'or?e  un  giorno  uccisa  a>ria  me  ancora. 

43.  Priiiiacir  altro  disturlto  vi  si  metta. 
Tolto  quel,  che  più  \ale,  e  meno  jiesa, 

11  mio  ciiiir|iagiio   al  mar  mi   cala  in   fretta 
l'alia    fine  tra  a  un  cana|ie  >o-pe>a, 

là.  doM-  aUento   il  suo   fratello  appetta 
Sopra  la  barca,  eh'  avea  in  Fi.indrii  prisa. 
Deiiimo  le  vele  ni  venti,  e  i   remi  ali"  aeque. 
E  tutti  ci  saUium,  come  a  Dio  |>iacquc. 

41.      Non  so,  se'l  n-   di   Fri>a  più   dolente 
Del   lìgliuol   morto,  o  se   più    d  ira  acceso 
Fo-se  iMiilra  di  me,  che  'l  dì  seguente 
(ìiiiii>elà.  dove  si  trovò  ^i  oll'eso. 
Superbo   riloiniMa  egli    e  sua  gente 
Della   littoria,  e  di   Itireno  pre.>o, 
E  credendo  venire  a  nozze  o  a  fe«ta, 
0«riii  i-osii  |ro\ò  scura  e  fiuiesta. 


ORLANDO   FURIOSO.     (IX.  45-60) 


[9i)j 


•15.     La  pietà  del  figliiiol,  l'odio  cli'aAcva 
A  me,  r.è  di,  nò  notte  il  lascia  mai. 
Ma  perchè  il  pianger  morti  non  rileva, 
E  la  vendetta  sfoga  l'odio  assai, 
La  parte  del  pensier,  ch'esser  doTCAa 
Della  pietadc  in  sospirare  e  in  guai,  _ 
Auol,  che  con  l'odio  a  investigar  s'nnisca, 
Come  egli  m'abbia  in  mano,  e  mi  punisca, 

46.  Quei  tutti,  che  sapeva,  e  gli  era  dotto, 
Che  mi  fossino  amici,  o  di  quei  miti, 
Che  m'aveano  ajutata  a  far  l'effetto, 
Uccise,  o  lor  hcni  arse,  o  li  fc'  rei. 
Volse  uccider  Direno  in  mio  dispetto  ; 
Cile  d'altro  sì  doler  non  mi  potrei  : 

Gli  parve  poi,  se  vivo  lo  tenesse, 

Che  per  pigliarmi  in  man  la  rete  avesse. 

47.  3Ia  gli  propone  una  crudele  e  dura 
Condizion:  gli  fa  termine  un  anno, 

Al  fin  del  qual  gli  darà  morte  oscura, 
Se  prima  egli,  per  forza,  o  per  inganno. 
Con    amici  e  parenti  non  procura 
Con  tutto   ciò,  clie  ponno  e  ciò,  che  sanno, 
Di  darmegli  in  prigion:  sì  che  la  via 
Di  lui  salvare  è  sol  la  morte  mia. 

48.  Ciò  che  si  possa  far  per  sua  salute, 
Fuorcliè  perder  me  stessa,  il  tutto  ho  fafto. 
Sci  ca^tclla  ehhi  in  Fiandra,  e  l'iio  vendiiie, 
E'I  poco   ol  nu»lt()  prezzo,  ch'io  n'ho  tratto 
Parte,  tentando  per  per.-onc  astute 

I  guardiani  corrompere,  ho  dijtratto, 

E  parte  per  far  movere  alli  danni 

Di  queir  empio,  or  gl'Inglesi,  or  gli  Alamanni. 

49.  I  mezzi  o  che  non  ahliìano  potuto, 
O  che  non  a1)hian  fatto  il  dover  loro, 
Mlianno  dato  parole,  e  non  ajuto, 

E  sprezzano  or,  che  n'han  cavato  l'oro  : 
E  presso  al  fine  il  termine  è  venuto, 
Dopo  il  qual  né  la  forza,  nè'l  tesoro 
Potrà  giunger  più  a  tempo,  sì  che  morte 
E  strazio  sclu\i  al  mio  caro  consorte. 


50 


Mio  padre  e'  miei  fratelli  mi  son  stati 
Morti  per  lui,  per  lui  toltimii  il  regno; 
Per  lui  quei  pochi  beni,  che  restali 
^l'eran,  del  ^ivcr  mio  soli  sostegno, 
Per  trarlo  di  prigione  ho  dissipati; 
INè  mi  resta    ra,  in  clu;  più  far  disegno, 
Se  non  d'andarmi  io  stessa  in  mano  a  porre 
Di  sì  crudel  nemico,  e  Ini  disciorre. 


51 


Se  dunque  da  fare  altro  non  mi  resta. 
Né  si  trova  al  suo  scam]>o  altro  ri|)aro. 
Che  per  lui  por  questa  mia  Aita,  questa 
Mia  Aita  per  lui  por  mi  sarà  caro. 
Ma  sola  una  paura  mi  nu)lesta, 
(;iic  non  saprò  far  jiatto  cosi  chiaro, 
Che  m'assicuri,  die  non  >ia  il  tirainio, 
Poich'avuta  m'avrà,  per  fare  inganno. 

52.      lo  dubito,  che,  poiché  m'avrà  in  gabbia, 
E  fatti  avrà  di  me  tutti  gli  stra/.j. 
^è  Direno  |ier  (juesto  a  lasciar  abltia. 
Sì  ch'esser  \n-r  me   s<:iolto  mi  ringriizj; 
Come  perjiiro,  e  piiii  di  tanta  rabbia, 
Che  di  me  sola  uccider  non  si  sazj  ; 
E  quel,  cb'aM'à  di  me,  ut-  più  né  meno 
Faccia  di  poi  del  miecro  Direno. 


53.  Or  la  cagìon,  che  conferir  con  voi 

Mi  fa  i  miei  casi,  e  ch'io  li  dico  a  quanti 
Signori  e  cavalicr  vengono  a  noi, 
E  solo,  acciò,  parlandone  con  tanti, 
M'insegni  alcun  d'assicurar,  che,  poi 
Ch'a  quel  crudel  mi  sia  condotta  avanti, 
Non  abbia  a  ritener  Direno  ancora, 
Kè  voglia,  morta  me,  ch'esso  poi  mora. 

54.  Pregato  ho  alcun  guerrier,  che  meco  sin, 
Quando  io  mi  darò  in  mano  al  re  di  Frisa  ; 
Ma  mi  prometta,  e  la  sua  l'è  mi  dia, 

Che  questo  cambio  sarà  fatto  in  guisa, 
Ch'a  un  tempo  io  data,  e  liberato  sia 
Direno;  sic(;hè,  quando  io  sarò  uccisa, 
Morrò  contenta,  poiché  la  mia  morto 
Avià  dato  la  vita  al  mio  consorte. 

55.  ]Sè,  fino  a  questo  dì,  trovo  chi  toglla 
Sopra  la  fede  sua  d'assicurarmi, 

Che,  quando  io  sia  condotta,  e  che  mi  voglia 

Aver  quel  re,  senza  Direno  darmi, 

Egli  non  lascerà  contra  mia  v  oglia. 

Che  presa  io  sia;  sì  teme  ognun  qtiell'  armi: 

Teme  quell'  armi,  a  cui  par  che  non  possa 

Star  piastra  incontra,  e  sia,  quanto  vuol,  grossa. 

56.  Or,  se  in  voi  la  virtù  non  é  difforme 
Dal  fior  sembiante,, e  dall'  erculeo  aspetto, 
E  credete  poter  darmegli,  e  torme 

Anco  da  lui,  quando  non  vada  retto. 
Siate  contento  d'esser  meco  a  porme 
Nelle  man  sue:  ch'io  non  avrò  sospetto. 
Quando  voi  siate  meco,  se  ben  io 
Poi  ne  morrò,   che  mora  il  signor  mio. 

57.  Qui  la  donzella  il  suo  parlar  conchiuse. 
Che  con  pianto  e  sospir  spesso  iiiterroppe-, 
Orlando,  poich'olla  la  bocca  chiuse. 

Le  cui  voglie  al  ben  far  mai  non  fur  zoppe, 
In  parole  con  lei  non  si  diffuse, 
Che  di  natura  non  n'usava  troppe, 
Ma  le  promise,  e  la  sua  fé  le  diede. 
Che  farla  più  di  quel,  ch'ella  gli  chiede. 

58.  Non  è  sua  intcnzion,  ch'ella  in  raan  vada 
Del  suo  nemico,  per  salvar  Direno  ; 

Den  salverà  ambedue,  se  la  sua  spada 
E  l'usato  valor  non  gli  vien  mono. 
D  medesimo  dì  piglian  la  strada, 
Poich'  hanno  il  vento  prospero  e  sereno. 
11  paladin  s'affretta;  che  di  gire 
All'  isola  del  mostro  avea  desire. 

59.  Or  volta  all'  una,  or  volta  all'  altra  banda 
Per  gli  alti  stagni  il  buon  nocchier  la  vela: 
Scopr(!  un'  isola  e  ini'  altra  di  Zelanda, 
Scopro  una  iiiiiaitzi,  e  un'  altra  addietro  cela. 
Orlando  sannita  il  terzo  dì  in  Olanda: 

Ma  non  smonta  colei,  che  si  querela 

Del  re  di  Frisa:  Orlando  vuol,    che  intenda 

La  mort(!  di  «luol  rio,  priniacbé  sc(rnda. 

60.  Nel  lito  armato  il  paladino  A-ar('a 
Sopra  mi  <Mu\-ior  di  pel  tra  higio  e  ncrro, 
Nutrito  in  Fiandra,  «^  nato  in  Dauimarci, 
(«r.iiule  e  possente  assai  più  clie  b^ggiero  ; 
Porocb'avca,  ((inuido  si  mise  in  barca. 

In  Drotagna  lasciato  il  suo  destrieri». 
Quel  Drigliador  sì  bolbt  e  sì  gagliardo. 
Che  non  ha  par.igon,  fu(U'chù  Dajardo. 


[9T] 


ORLANDO  FURIOSO.     (IX.  61-70) 


[98] 


61.  Giunge  Orlando  a  Dordrecche,  e  quivi  trova 
Di  molta  gente  armata  in  sulla  porta; 

Si  perchè  sempre,  ma  più  qiianiio  è  nuova, 

Seco  ogni  signoria  sospetto  porta  ; 

Sì,  perchè  dianzi  giunta  era  una  nuova, 

Che  di  Selandiii  con  armata  scorta 

Di  navigli  e  di  gente  un  cugin  viene 

Di  quel  signor,  che  qui  prigioa  si  tiene. 

62.  Orlando  pricga  uno  di  lor,  che  vada, 
£  dica  al  re,  eh'  lui  cavaliero  errante 
Disia  con  lui  provarsi  a  lancia  e  a  spnda  ; 
Ma  che  vuol,  che  tra  lor  sia  patto  innante, 
Che  se  '1  re  fa,  che  chi  lo  slìdu,  cada, 

La  donna  ahhia  d'aver,  eli'  uccise  Ar')antc; 
Clìè  '1  caviilitr  1'  ha  ia  loco  non  lontano, 
Da  poter  sempre  mai  dargliela  in  mano  : 

63.  Ed  all'  incontro  vuol,  die  'I  re  prometta, 
di',  ove  egli  vinto  nella  pugna  sia, 
Bireno  in  libertà  subito  metta, 

E  che  lo  lasci  andare  alla  sua  via. 
11  tante  al  re  fa  1'  ambasciata  in  fretta: 
Ma  quel,  che  né  virtù,   uè  cortesia 
Conobbe  mai,  drizzò  tutto  il  suo  intento 
Alla  fraude,  all'  inganno,  al  tradimento. 

64.  Gli  par,  eh'  avendo  in  mano  il  cavaliero, 
Avrà  ia  donna  ancor,  che  sì  1'  ha  offeso, 

Se  in  possanza  di  lui  la  donna  è  Aero 
Che  si  ritrovi,  e  il  fante  ha  ben  inteso. 
Trenta  uomini  pigliar  fece  sentiero 
Diverso  dalla  porta,  ov'  era  atteso, 
Che,  dopo  occulto  ed  assai  lungo  giro, 
Dietro  alle  spalle  al  paladino  uscùo. 

65.  Il  traditore  intanto  dar  parole 

Fatto  gli  avca,  finché  i  cavalli  e  i  fanti 
Vede  esser  giunti  al  loco,  ove  li  vuole; 
Dalla  porta  esce  poi  con  altrettanti. 
Come  le  fere  e  'l  bosco  cinger  suole 
Perito  cacciator  da  tutti  i  canti; 
Come  presso  a  A'olana  i  pesci  e  l'  onda 
Con  lunga  rete  il  pescator  circonda: 

66.  Così  per  ogni  via  dal  re  di  Frisa, 

Che  quel  gu(;rrier  non  fugga,  si  provvede. 

A'ivo  lo  vuole,  e  non  in  altra  guisa: 

1']  questo  far  sì  l'aciliiunte  crede. 

Che  '1  fulmine  terrc-tre,  con  che  uccisa 

Ila  tanta  e  tanta  gente,   ora  non  chiede; 

Che  quivi  non  gli  par  che  si  convegna, 

Dove  pigliar,  non  far  morir,  disegna. 

67.  Qual  cauto  uccellator,  che  serba  vivi. 
Intento  a  maggior  pn;da,  i  primi  augelli, 
l'erchè  in  più  qnantitad(;   altri  cattici 
Faccia  col  gictco  e  col  zimbel  di  quelli  : 
Tal  esser  volse  il  re  (Jimosco  quivi. 

Ma  già  non  volse  Orlanilo  esser  di  quelli, 
('he  si  lascian  pigliare  al  primo  tratto, 
E  to8to  ruppe  il  cerchio,  eh'  avean  fatto. 

68.  Il  cavalier  d'  Anglante,  ove  più  spesse 
Vide  le  genti  e  V  arme,  abbassò  1'  asta, 
i!d  uno  in  quella,  *;  poscia  un  altro  uu^^se, 

lì  un  altro,  e  un  altro,  che  sembrar  di  pa<«tu  ; 

V,  fino  a  sei  ve  n'infilzò,  e  li  resse 

'J'utti  lina  lancia:  e,  perch'  ella  non  basta 

A  più  rapir,  lasciò  il  settimo  fuore, 

Ferito  fti,  clic  di  quel  colpo  muore. 


69.  Non  altrimenti  nell'  estrema  arena 
Vcggiam  le  rane  de'  canali  e  fosse. 

Dal  cauto  arcier,  nei  fianchi  e  nella  schiena, 
L'  una  vicina  all'  altra  e>ser  percosse, 
I\è  dalla  frec<:ia,  finché  tutta  piena 
]\on  >ia  da  un  capo  all'  altro,  esser  rimosse. 
La  grave  lancia  Orlando  da  sé  scaglia, 
K  con  la  spada  entrò  nella  battaglia. 

70.  Rotta  la  lancia,  quella  spada  strinse, 
Quella,  che  mai  non  fu  menata  in  fallo, 

E  ad  ogni  colpo,  o  taglio,  o  punta,  estinse 
Quando  uomo  a  piedi,  e  quando  uomo  a  cavallo: 
Dove  toccò,  sempre  in  Aermiglio  tin>e 
L'azzurro,  il  bianco,  il  verde,   il  nero  e  '1  giallo. 
Duolsi  Ciinosio,  che  la  canna  e  'I   foco 
Seco   or  non  ha,  quando  v'  avricUi  più  loco: 

71.  E  con  gran  voce  e  con  miiiarce  chiede, 
Che  portati  gli  sian  ;  ma  poco  é  udito  : 
Che  chi  ha  ritratto  a  salvamento  il  piede 
Nella  città,  non  è  d'  uscir  più  ardito. 

Il  re  frison,  che  fuggir  gli  altri  vede. 
D'esser  salvo  egli  ancor  piglia  partito. 
Corre  alla  ]iorta,   e  vuole  alzare  il  ponte: 
Ria  troppo  è  presto  ad  arrivare  il  conte. 

72.  Il  re  volta  le  spalle,  e  signor  lassa 

Del  ponte  Orlando,  e  d'  ambedue  le  porte; 
E  fugge,  e  inaanzi  a  tutti  gli  altri  passa. 
Mercé  «he  'I  su(»  destrier  corre  più  forte. 
Non  mira  Orlando  a  quella  plebe  bassa; 
A  u«)le  il  fellon,  non  gli  altri.  porr('  a  morte: 
jMa  il  suo  destrier  sì  al  corso  poco  vale. 
Che  restio  sembra,  e  chi  fugge  abbia  l'  ale. 

73.  D'una  in  un'  altra  via  si  leva  ratto 
Di  vista  al  paladin  :  ma  indugia  ]>oco, 

Che  torna  con  nuove  armi:  che  s'   ha  fatto 
Portare  intanto  il  cavo  ferro,  e    l  foco; 
E  dietro  un  «tanto  postosi  di  piatto, 
L'  attende,  conu^  il  ca<ciatore  al  loco 
Co'  cani  armati,  e  con  lo  spiedo  attende 
Il  fior  cinghiai,  che  ruinoso  scende, 

74.  Che  spezza  i  rami,  e  fa  cadere  i  sassi, 
E,  ovunque  «Irizzi  1'  orgogliosa  fronte. 
Sembra,  a  tanto  riuuor,  «Ik^  si  frac.issi 
La  selva  inl(U-no,  e  che  si  svella  il  iiutnte. 
Sta  ('imosco  alla  posta,  acciò  non  passi, 
Seir/a  pagargli  il  fio,   1'  audace  conte. 
Tosto  «'h'  appare,  allo  spiriiglio  tei'ca 
Col  foco  il  ferro,   e  qiu'l  subito  ^(•0(•ca. 

75.  Dietro  lampeggia  a  gnì-^a  di   baleno, 
Dinanzi  si  (>|)pia,  e  manda  in   arni   il  tuono. 
Treman  le  mnr.i.   «•  sotto   i   pie  il  tt-rreno  ; 
Il  ciel   rimbomba  al  pavrnlo.-o  sikhio. 

L'  iirdent»'  slral,  <lie  spezza,  e  venir  uu-no 
Fa  ciò  che  incanirà,  e  a  nessim  dà  perdono, 
Sibila  e  stride;  ma,   couh-  è  il  delire 
Di  quel  brutto  as.^assin,  non  va  a  ferire. 

7G.      O  sia  la  fretta,  o  sia  la  troppa  voglia 
D'   uccider  f|uel  bacon,   eh'  errar  lo  faccia; 
<)  sia,  che  'I  cor,   (remando,  come  foglia, 
Faccia  in>iemc  tremare  e  mani  e  bracci.i  ; 
O   la   bonlà  divina,  che  non   voglia. 
Che    1  suo   ledei  cimpion  sì  (osto   giaccia: 
Quel  colpo  al   mentre  del  des(rier  si  torre, 
Lu  cacciò  in  terra,  onde  mai  più  non  kurse- 


[99] 


ORLANDO    FURIOSO.     (IX.    77     92) 


[iOOJ 


77.  C.ide  A  ten-ii  il  ravallo  e  'l  cavaliero: 
La  preme  1'  un,  la  tocca  l"  .litro  appena, 
Che  si  leva  si  tle^tr»  e  ?ì  k-g^gicni, 
Come  cresciuto  gii  sia  possa  e  lena. 
Quale  il  libico  Anteo  seiupie  più  fiero 
Sorger  solca  dalla  percossa  arena, 

Tal  sorger  parve,  e  che  la  forza,  quando 
Toccò  il  terren,  si  raddoppiasse  a  Orlando. 

78.  Chi  vide  mai  dal  cicl  cadere  il  foco, 
Che  con  sì  orrendo  suon  Giove  di-serra, 
E  penetrare,  ove  un  rinchiuso  loco 
Carbon  con  zollo  e  con  sahiitro  serra; 
Ch'  appena  ari  iva,  appena  tocca  un  poco. 

Che  par,  eh'  avvampi  il  <;iel ,  non  clic  la  terra, 
Spezza  le  mura,  e  i  gra^i  marmi  svelle, 
£  fa  i  sassi  volar  sino  alle  stelle, 

79.  S'  immagini,  che  tal,  poiché  cadeudt» 
Toccò  la  terra,  il  paladino  fosse. 

Con  sì  fiero  semlìiaiite  aspro  ed  orrendo, 
Da  far  tremar  nel  ciel  Marte ,  si  ui(».-.>e. 
Di  che  smarrito  il  re  fii-on ,  torcendo 
La  briglia  indietro,  per  fuggir  voltosse: 
I\Ia  gli  fu  dietro  Orlando  con  più  fretta, 
Che  non  e^ce  dall'  arco  una  saetta. 

80.  E  quel,  che  non  avea  potuto  prima 
Fare  a  cavallo  ,  or  farà  essendo  a  piede. 
Lo  seguita  sì  ratto,  eh'  ogni  stima 

Di  chi  noi  vide,  ogni  credenza  e.cede. 
Lo  giunse  in  poca  strada ,  ed  alia  cima 
Dell'  elmo  alza  la  spada,  e  sì  lo  fiede. 
Che  gli  parte  la  testa  fino  al  collo, 
L  in  terra  il  manda  a  dar  l'  ultimo  crollo. 

81.  Ecco  levar  nella  città  si  sente 
Nuovo  rumor,  nuovo  menar  di  spade; 
Che    l  cugin  di  lìireno,  con  la  gente, 
Ch'  avea  condotta  dalle  sue    contrade. 
Poiché  la  porta  ritrovò  patente, 

Era  Acniito  dentro  alla  cittade, 

Dal   paladino  in  tal  timor   ridutta, 

Cile  senza  intoppo  la  può  scorrer  tutta. 

82.  Fugge  il  popolo  in  rotta,  che  non  scorge, 
Ci'.i  questa  gente  >ia  ,  né  che  domandi. 

H'a  poich'   uno  ed   un  altro  pur  s'  accorge, 
All'  abito   e  al  parlar,  che  son   h'elanài, 
Chiede  lor  pace,  e  "l  foglio  !)ianco  porge, 
E  dice  al  capitan,  che  gli  comandi, 
E  dar  gli  vuol  contra  i   Frisoni   ajuto. 
Che  'l  suo  duca  in  prigion  gli  lian  ritenuto. 

83.  Quel  popol  sempre  stato  era  nimico 
Del  re  di   Fri.-a  .  e  d'  ogni  suo  seguace, 
l'crchè  morto  gli  avea  il    -ignore  antico, 
Ma  pili,  pcrch'  era  in   into,  empio  e  rapace. 
()rlan(lo  s"   interpose,  coii'.e  amico 

D'  ambe  le  parti,  e  fece  lor  far  pace; 
Li-  quali   unite  ,   non  lasciar  Frisone 
Che  non  morisse,  o  non  fosse  prigione. 

84.  Ij<;  porle  delh;  carceri     gittate 

A  terra  sono ,  e  non  si  cerca  chiave. 
Direno  al  conte  con   parole  grate 

Mostra  e isccr  1'   obbligo,   che   gli  havc. 

Indi   insieme,   e  con  molte  altre  brigate, 
Se  IK-  xanno,  o\e  attende  Olimpia  in  nave. 
Cosi   la  doima.  a  (-ni  di   ragion   spelta 
li  duiiiiniu  dell'  isola,  tua  detta; 


85. 


Quella,  che  quivi     Orlando  avea  condutto, 
Kon  con  pensier,  che  far  dovesse  tanto; 
Che  le  parca  bastiir,  che,   posta  in  lutto 
Sol  lei,  lo  sposo  avesse  a  trar  di  pianto, 
Lei  riverisce  e  onora  il  popol  tutto. 
Lungo  saiebbe  a  raccontarvi  ,  quanto 
Lei  Bireno  accarezzi,  ed  ella  lui, 
Quai  grazie  al  eonte  rendano  ambedui. 

86.  Il  popol  la  donzella  nel  paterno 
Seggi;»  rimette  ,  e  fedeltà  le  giura. 
Ella  a  Bireno ,  a  cui  con  iiodo  eterno 
La  legò  Amor  d'  una  catena   dura, 
Dello  stato  e  di  sé  dcnia  il  goveriu)  : 
Ed  egli,  tratto  poi  «la  un'  altra  cura. 
Delie  fortezze  e  di  tutto  il  domiiio 
Dell'  isola  giiardian  lascia  il  cugino  : 

87.  Che  tornare  in  Selandia  avea  disegno, 
E  menar  seco  la  fedel  consi»rte; 

E  clicca  voler  fare  indi  nel  regno 
Di  Frisa  esperienza  di  sua  sorte; 
Perché  di  ciò  1'  assicurava  un  pegno, 
Ch'  egli  aiea  in  mano,  e  lo  stimava  forte: 
La  figliucla  del  re ,  che  fra  i  cattivi. 
Che   vi  tur  multi,  avea  trovata  quivi: 

88.  E  dice ,  eh'  egli  vuol ,  eli'  un  suo  germano, 
Ch'  era  minor  d'  età,  l'  ahbia  per  moglie. 
Quindi  si  parte  il  senator  romano 

Il  di  medesnu),  che  Bireno  scioglie. 
]\on  volse  porre  ad  altra  cosa  mano, 
Fra  tante  e  tante  guadagnate  spoglie. 
Se  non  a  quel  tormento,  eh'  abbiam  detto 
Ch'  al  fulmine  assimiglia  in  ogni  effetto. 

ti).      L'  intenzion  non  già ,  perchè  lo  tolle, 
Fu  per  voglia  d'  usarlo  in  sua  difesa; 
Che  sempre  atto  stiun»  d'  animo  molle 
Gir  con  vantaggio  in  qual  si  voglia  impresa; 
Sia  per  gittarlo  in  parte,  onde  non  volle, 
Che  mai  potesse  ad  uom  più  fr.re  offesa. 
E  la  polve  e  le  palle  e  tutto  il  resto 
Seco  portò,  eh'  apparteneva  a  questo: 

5)0.      E  cosi,  poiché  fuor  della  marea 
Nel  più  protolido  unir  si  vide  uscito. 
Si,  che  segno  lontan  nini  si  vedea 
Del  destro  più,  né  del  sinistro  lito. 
Lo  tolse,  e  disse:  Perché  più  non  stea 
]\Iai  eavalier  per  le  d'  essere  ardilo. 
Né,  quanto  il  buono   vai,  mai   più  si  vanti 
11  rio  per  te  valer,  qui  giù  rimanti! 

f)J,      O  maladetto ,  o  abbominoso  ordigno, 
Cile  fabbricato  nel   tar;areo   fondo 
Fosti  per  man  dì  Bei/.elìà  maligno, 
C'Iit^  rniinir  per  te  disegnò  il  ir.ondo, 
Air   inferno,  onde  uscisti,   ti  r.issigno  ! 
Così  dicendo  ,   lo  git!ò  in   profondo. 
Il  vento  intanto  le  gonfiale  \el(^ 
Spiiige  alla  vìa  deli'  isola  crudele. 

02.      Tanto  desire  il   p.iladino  preme 
Di  sa|)er ,  se  la  iloniia   ì\i  si   tro\a, 
(Jir  ama  a-sai  |)iù,    ehi-  tutto  il  mondo  insieme 
Né  un'   ora  senza  lei   >iver  gii  gio\a, 
Cile,  se  in   Ibernia  nnùie  il  piede,   teme 
Di   non  dar  lem|io   a  (|ii<ilche  cosa  nuova: 
Si  «'ir  abbia   poi  da  dire  invano:   Ahi  lasso, 
(  h'  al  \enir  mio  non  alVrettai  più  il  passo! 


[101] 


ORLANDO  FURIOSO.     (IX.    93.94.      X.    1—10) 


[102] 


93.      Né  scala  in  Inghilterra,  né  in  Irlanda 
>liiì  lasciò  far,  nò  sul  contrario  lito. 
Mii  lasciamolo  andar ,  dove  lo  n^anda 
!1  nudo  arcier ,  che  1'  ha  nel  cor  ferito, 
l'rimach'  io  più  ne  parli,  io  to'  in  Olanda 
Tornare,   e  toì  meco  n  tornarvi  imito; 
Che.  come  a  me,  so  spiacerclihe  a  voi. 
Che  quelle  nozze  fos?:iii  senza  noi. 


94 


Le  nozze  belle  e  sontuose  fanno, 
3Ia  non  sì  sontuose,  né  sì  belle. 
Come  in  Selandia  dicon  che  saranno. 
Pur  non  disegno,  che  vegniate  a  quelle; 
Perchè  nuovi  accidenti  a  nascer  hanno 
Per  disturbarle  ;  de'  quai  le  novelle 
Air  altro  canto  vi  farò  sentire. 
Se  all'  altro  canto  rai  verrete  a  udire. 


CANTO     DECIMO. 


ARGOMENTO. 

Olimpia  lascia  il  vii  Jìireno  ingrato, 
Àrdi'Jìfìo  tutto  di  novello  amore. 
Dalle  forze  d'  Alvina  alfin  campato 
Rvggier  cavalca  alla  fata  migliore, 
La  qiial  gli  torna  il  suo  corsiero  alato; 
E  la  gente,  che  va  alV  imperatore. 
Vede  a  Tamigi;  e  daW  orca  marina 
Salva  la  donna,  del  Calai  regina. 


[.      Fra  quanti  amor,  fra  quante  fedi  al  mondo 
Mai  si  trovar,  fra  quanti  cor  costanti, 
Fra  quanti ,  o  ])er  dolente,  o  per  giocondo 
Stato,  fér  prove  mai  famosi  aniiiiiti, 
Piuttosto  il  jìrimo  loco,  che  'I  se<(>ndo. 
Darò  ad  Olimpia;  <',  s»;  pur  non  va  iiinanti, 
Hen  vdglio  dir.  che  fra  gli  antichi  e  nuovi 
Maggi(U'  dcir  amor  suo  non  si  ritrovi, 

1.      E  clie  eon  tante  e  con  sì  chiare  no!« 
ni  questo  ha  fatto  il  su(»  liinmo  certo. 
Clic  douiui   più   far  certo  uomo  non  piuitc, 
Qiiand'  ance»  il    petto  e  '1  cor  mostrasse   aperto 
K,  se  anime  sì  fide  e  sì  devote 
1)'  un  reciproci»  amor  deniu)  aver  merto, 
Dico,  cir  Olimpia  è  degna,  che  non  meno, 
Au/i  pili  die  sé,  ancor  T  ami  Hireiio; 

K  che  non  pur  non  1'  abbandoni  mai 
Per  altra  donna,  se  l)en  fosse  quella, 
Cir   i']iir(i|ia  eil  A^ia  mi>e  in  tanti  guai, 
O  fv.  alira  ha  maggior  titolo  di  liclla; 
IMa,  piuttosto  cIh^  lei,  lasci,  co'  rai 
Del  sol,  r  odilo  e  il  giist(» ,  *•  la  favella, 
K  la  Aita,  e  la   fama,  e  se  altra  cosa 
Dire,  o  |iensar  si  può  più  pr(■/i^»^a. 

Se  Hireiio  anni   lei,  eouu*  ella    amalo 
liiieno  uvea  ;  se  fu  sì  a   lei  fedel»-. 
CoUH!  ella  a  lui;  se  mai   non   ha   voltato 
Ad   altra  ^ia,  che  a  seguir  lei,   le   \  i\r  ; 
Oppur,  se  a  tanta  servitù   fu  ingrato, 
A   tanta  fede  «•  a  tanto  auuir  crudele: 
lo  vi  vo'  dire,  e  far  di  maraviglia 
Stringer  le  labbra,  ed  inarcar  le  ciglia. 


5.  E  poiché  nota  1    empietà  vi  fia. 
Che  di  tanta  bontà  fu  a  lei  mercede. 
l)(ume,  alcuna  di  voi  mai  |>iù  non  sia. 
Che  a  parole  d'  amante  al>bia  a  dar  fede! 
L'  amante,  per  aver  quel  che  disia. 
Senza  guardar,  che  Dio  tutto  ode  e  ve;le. 
Avviluppa  i)r(imesse  e  giuramenti, 

Che  tutti  spar^^jon  poi  per  l  aria  i  venti. 

6.  I  giuramenti  e  le  promesse  vanno 
Dai  venti  in  aria  dis-ipate  e  sparse, 
Tostoclìè  trntta  qni'sti  amiinti  s'  hanno 
1/  avirla  sete,  che  gli  acce>e  ed  arse. 
Siate  a'  prieghi  ed  a'  pianti,  che  vi  fanno, 
Per  qiiesto  e-empio  .  a  credere  j;iù  scarse! 
Ben  è   ielice  quel ,  donne  mie  care, 

Ch'  essere  accorto  all'  altrui  spe^e  im;iare. 

7.  Guardatevi  da  questi,  che.  sul  fiin-c 
De'   lor  hegli  anni,  il  viso  bau  sì  polito; 
(]hè  presto  nasce  in  loro  ,  e  |)resto  muore, 
(gitasi  un  foco  di  paglia  ,  ogni  appetito. 
Come  segue  la  lejire  il  cacciatore 

Al  freddo,  al  calcio.  aUa  montagna,  al  lito, 

I\è  più   la  stima  ,  poiché  presa  vefle. 

E  sol  dietro  a  chi  fugge  alfretta  il  piede: 

8.  Così  fan  questi  giovani ,  che  tanto 
Clic  vi  mostrate  lor  dure  e  proterve, 
V  amano  e  ri\('riscono  con  quanto 
SUuIio  de'  far.  chi  led<'lmente  serve: 
IMa  non  sì  foste)  si  |)otran  dar   vanto 
Della  vittoria,  che  di  donne  ser^e 

Ai  d«vrrete  esser  l'afe,  e  da   >oi   lol.o 
Aedrete  il  falso  anu)re.  e  altrove  volto. 

9.  Non  vi  vieto  |ier  questo,  (eh'  a\rei  torto) 
Che  vi  lasciate  amar;  che,  senza  amante, 
Sareste  ciuue  iiiculta  vite  in  orlo. 

("he  non  ha  palo,  o>e  s"  appoggi,  o  piante. 
Sol  la  prima   lanugine  vi  e>orlo 
'liitla  a  fuggir,   >oliiI)ile  <•  incosfinte, 
E  corre  i   frutti  non  accrl)i  e  duri, 
.Ma  che  non  sien  p«-rò  tnippo  maturi. 

10.      Di  >opra  io  vi  dicea  ,  eh'  una  figliu:ila 
Del   re  di   Frisa  quiti   lianiu»  troiata. 
Che  iia  ,  per  i|iianto  n'   lian  mo>so  parol.i. 
Da   nircno   al   fratel    per  moglie  data. 
!Ma,  a   dire   il   \ero  ,  esso   %*  a\ea   la  gola: 
('he  vitanda  era  troppo  delicata: 
E  riputato  a^ria   corle>ia  sciocca. 
Per  darla   altrui,   levarcela  di   liocca 

7  ♦ 


[103] 


ORLANDO  FURIOSO.     (X.  11-26) 


[104] 


11.  La  damigella  non  passava  ancora 
Quattordici  anni ,  ed  era  bella  e  fresca. 
Come  rosa,  che  spunti  allora  allora 
Fuor  della  buccia,  e  coi  sol  nuovo  cresca. 
Non  pur  di  lei  Bireno  s'  innamora, 
3Ia  foco  mai  co?ì  non  accese  esca, 
Kù  se  lo  poiignn  1'  invide  e  nemiche 
Mani  talor  nelle  mature  spiche, 

12.  Come  egli  se  n'  accese  immantinente. 
Come  egli  n'  ar?e  fin  nello  medolle; 
Chù  sopra  il  padre  morto  lei  dolente 
Vide  di  pianto  il  bel  viso  far  molle  : 
E  come  suol,  se  1'  acqua  fredda  sente, 
Quella  restar ,  che  prima  al  foco  bolle. 
Così  r  ardor,  eh'  accese  Olimpia,  vinto 
Dal  nuovo  successore,  in  lui  fu  estinto. 

13.  Non  pur  sazio  di  lei ,  ma  fastidito 
N'  è  già  cosi,  che  può  vederla  appena; 
E  sì  dell'  altra  acceso  ha  l'  appetito. 
Che  ne  morrà,  se  troppo  in  lungo  il  mena. 
Pur,  finché  giunga  il  dì,  eh'  ha  statuito 
A  dar  fine  al  disio ,  tanto  l'  affrena. 
Che  par,  eh'  adori  Olimpia,  non  che  V  ami, 
E  quel  che  piace  a  lei,  sol  voglia  e  brami. 

14.  E  se  accarezza  1'  altra,  (che  non  punte 
Far,  che  non  l'  accarezzi  più  del  dritto) 
Non  è  chi  questo  in  mala  parte  note. 

Anzi  a  pictade,  sinzi  a  b<nità  gli  è  ascritto: 
Che  rilevare  un ,  che  fortuna  ruote 
Talora  al  fondo ,  e  consolar  l'  aKlitto, 
Mai  non  fu  biasmo,  ma  gloria  sovente; 
Tanto  più  una  fanciulla,  una  innocente. 

15.  Oh  sommo  Dio ,  come  i  giudicj  umani 
Spesso  offuscati  son  da  un  neml)o  oscuro  ! 
I  modi  di  Bireno ,  empj  e  profani, 
Pictofi  e  santi  riputati  furo. 

1  marinari,  già  messe  le  mani 

Ai  remi ,  e  sciolii  dal  lito  sicuro, 

Poitavan  lieti  pe'  salati  stagni 

Verso  Selandia  il  duca  e  i  suoi  compagni; 

16.  Già  dietro  rimasi  erano  e  perduti 
Tutti  di  ■\ista  i  termini  d'  Olanda; 
Che  ,  per  non  toccar  l'ri>a ,  più  tenuti 
S'  eran  ver  Scozia  alla  ^inistra  banda; 
Quando  da  un  vento  far  sopravvenuti, 
Ch"  errando  in  alto  mar  tre  dì  li  nnmda. 
Sorsero   il  terzo  ,  già  presso  alla  sera, 
Dove  inculta  e  deserta  un'  isola  era. 

17.  Tratti  che  si  fur  dentro  un  piccini  seno, 
Olimpia  venne  in  terra,  e  con  diletto 

In  c<Mnpagiùa  dell'  infcdel  Binano 
Cenò  contenta  ,   e  fuor  d'  ogni  sospetto: 
Indi  con  Ini  là,  do^e  io  loco  ameno 
'JVso  era  nn  padiglione,  entrò  nel  letto. 
Tutti  gli  altri  compagni  rilornaro, 
E  sopra  i  legni  lor  .-i  riposaro. 

18.  il  travaglio  del  mare  e  la  paura, 
Che  tenuta  alcun  dì  1'  av(^ano  desta; 
Il  ritr(i\ai>i  al  lito  tua  sicura, 
Lontana  dal  rnnitir  ,  nell.i  foresta  ; 

I'^  clur  iie«snn  pendice,  nessuna  cura. 
Poiché  '1  suo  amante  ha  seco,  la  molesta, 
Fur  ragion  ,  eh'  eltbe  Olimpia  sì  gran  sonno, 
Che  gli  orsi  e  i   ghiri  aver   maggior  noi  ponno. 


19.  Il  falso  amante,  che  I  pensati  ingannì 
Vegghiar  facean,  come  dormir  lei  sente, 
Pian  piano  esce  del  letto,  e,  «le'  suoi  panni 
Fatto  nn  fastel ,  non  si  veste  altramente  ; 

E  lascia  il  padiglione,  e,  come  i  vanni 
Nati  gli  sian ,  rivola  alla  sua  gente, 
E  li  risveglia,  e  senza  udirsi  un  grido. 
Fa  entrar  nell'  alto ,  e  abbandonare  il  lido. 

20.  Rimase  addietro  il  lito,  e  la  meschina 
Olimpia,  che  dormì  senza  de.^tarse, 
Finché  r  Aurora  la  gelata  brina 
Dalle  dorate  r:!ote  in  terra  sparse, 

E  s'  udir  le  Alcioni  alla  marina 
Dell'  anti(M)  inf<irtunio  lamentarse. 
Né  desta,  né  dormendo,  ella  la  mano 
Per  Bireno  abbracciar  stese ,  ma  invano. 

21.  Nessuno  trova  ;  a  sé  la  man  ritira  : 
Di  nuovo  tenta,  e  pur  nessuno  trova: 

Di  qua  r  nn  braccio ,  e  di  là  1'  altro  gira. 
Or  r  una,  or  1'  altra  gamba,  e  nulla  giova. 
Caccia  il  sonno  il  timor;  gli  occhj  apre,  e  mira; 
Non  vede  alcuno.     Or  già  non  scalda  e  cova 
Più  le  vedove  piume,  ma  si  getta 
Del  letto,  e  fuor  del  padiglione  in  fretta, 

22.  E  corre  al  mar ,  graffiandosi  le  gote, 
Presaga  e  certa  omai  di  sua  fortuna. 

Si  straccia  i  crini ,  e  '1  petto  si  percuote, 
E  va  guardando  (che  splendea  la  luna^ 
Se  veder  cosa,  fuorché  'l  lito,  puote; 
Né ,  fuorché  'l  lito ,  vede  cosa  alcuna. 
Bireno  chiama  ,  e  al  nome  di  Bireno 
liispondean  gli  antri ,  che  pietà  n'  a^  iéno. 

Quivi  sorgea  nel  lito  estremo  un  sasso, 


23. 


Ch'  avep.no  1'  onde ,  col  picchiar  frequente, 

Cavo ,  e  ridotto  a  guisa  d'  arco,  al  basso, 

E  stava  sopra  il  mar  curvo  e  pendente: 

Olimpia  in  cima  vi  salì  a  gran  passo, 

(Così  la  tacca  1'  animo  possente) 

E  di  Imitano  le  gonfiate  vele 

"\  ide  fuggir  del  suo  signor  crudele, 

24.  Aide  lontano,  o  le  parve  vedere; 
Cile  r  aria  chiara  ancor  non  era  molto. 
Tutta  tremante  si  lasciò  cadere, 

Più  bianca  ,  e  più,  che  neve,  fredda  in  volto. 
IVla  poiché  di  legarsi  elibe  potere, 
Al  cammin  delle  iiav  i  il  grido  volto. 
Chiamò,  quanto  potca  chiamar  più  forte, 
Più  volte  il  nome  del  crudel  consorte  : 

25.  E  dove  non  potca  la  debil  voce. 

Suppliva  il  pianto,  e   1  batter  palma  a  palma. 

Dove  fuggi,  crudel,  così  veloce? 

Non  ha  il  tuo  legno  la  debita  salma; 

Fa,  che  levi  me  ancor:  poco  gli  nuoce, 

Clic  porti  il  corpo ,  poiché  porta  1'  alniiU 

E  con  le  braccia  e  con  le  vesti  segno 

Fa  tuttavia,  perché  ritorni  il  legno. 

26.  Ma  i  venti ,  che  portavano  le  vele 
Per  r  alto  mar  di  quel  giovane  infido, 
Portavano  anco  i  preghi  e  l<;  querele 

Dell'  infelice  Olimpia,  o  'i  pianto    e  '1  grido; 
lia  «piai  tre  volle  ,  a  sé  stcsssa  crudele. 
Per  affogarsi  si  spiccò  dal  lido: 
Piin^  alfin  si  levò  da  mirar  V  acque, 
E  ritornò,  dove  la  notte  giacque; 


[105] 


ORLANDO  FURIOSO.     (X.     2T— 42) 

. 


[106] 


27.  E  con  la  faccia  in  giù  stesa  sul  letto, 
Bagolandolo  ili  pianto,  dice  a  lui: 
lersera  desti  insìciuc  a  due  ricetto, 
Perchè  insieme  al  levar  non  siamo  dui? 
Oh  perfido  Bireno!  Olimaladetto 
Giorno  ,  eh'  al  mondo  p:cnerata  fui  ! 
Che  debbo  far  ?  Che  poss'  io  far  qui  sola  ? 
Chi  mi  dà  ajuto,  cime!  chi  mi  consola? 

28.  Uomo  non  veggio  qui ,  non  ci  veggio  opra, 
Donde  io  pos.*a  stimar,  eh'  uomo  qui  sia: 
Kave  non  veggio ,  a  cui  salendo  sopra. 
Speri  iillo  scampo  mio  ritrovar  via. 

Di  disagio  morrò ,  né  chi  mi  copra 
Gli  occhj  sarà ,  nò  chi  sepolcro  dia, 
Se  forse  in  ventre  lor  non  me  lo  danno 
Jlupi,  oimè!  che  in  queste  selve  stanno. 

29.  Io  sto  in  sospetto  ,  e  già  di  veder  parmi 
Di  questi  boschi  orsi  o  leoni  uscire, 

O  tigri ,  o  fere  tal ,  che  natura  armi 
D'  aguzzi  denti ,  e  d'  unghie  da  ferire. 
jHa  quai  fere  crudel  potriano  farmi, 
Feracrudel,  peggio  di  te  morire? 
Darmi  una  morte,  so,  lor  parrà  asvai; 
ÌL,  tu  di  mille  ,  oimè  !  morir  mi  fai. 

80.      Ma  presuppongo  ancor,  eh'  or  ora  arrivi 
Nocchicr,  che  per  pietà  di  qui  mi  porti, 
E  così  lupi ,   orsi  e  leoni  schivi, 
Strazj ,  disagi,  ed  altre  orrihil  morti: 
Mi  porterà  forse  in  Olanda,  s'  ivi 
Per  te  si  guardan  le  fortezze  e  i  porti? 
Mi  porterà  alla  terra,   ove  soii  nata. 
Se  tu  con  fraudo  già  me  1'  hai  levata  ? 

31.  T»  m'  hai  lo  stato  mio  ,  sotto  pretesto 
Di  parentado  e  d'  amicizia,  tolto. 

Ben  ft)sti  a  porvi  le  tue  genti  [iresto, 

Per  avere  il  dominio  a  te  rivolto. 

'J'(»rnerò  in  Fiandra ,  ove  lio  venduto  il  resto, 

IM  eh'  io  vivea ,  benché  non  fosse  molto, 

Per  sovvenirti ,  e  di  prigione  trarte? 

Meschina!  dove  andrò?  ^on  si»,  in  qual  parte. 

32.  Debbo  forse  ire  in  Frisa ,  ove  io  potei, 
E  per  te  non  vi  volsi ,  e.-ser  regina  ? 

Il  «he  dc^l  padre  e  «le'  fratelli  miei, 
E  d'  ogni  altro  mio  ben  fu  la  mina. 
Quel  «;li'  ho  fatt«>  per  te ,  iu)u  ti  vorrei, 
Ingrato,  improxerar,  né  di>eipliiia 
Dartene,  cIk;  n<ui  uien  di  nu;  lo  sai  : 
Or  ecco  il  guiderdou  ,   che  me  ne  dai! 

83.     Deh!  purché  da  color,  che  \nnno  in  corso, 
Io  non  sia])resa,  e  poi  venduta  schiava; 
Priniarhè  que^t«>,  il  lupo,  il  leon  ,  V  orso 
Venga,  e  la  tigre,  e  «)gn'  altra  fera  bra^a. 
Di  cui  r  ugna  mi  stratMM ,  e  franga  il  morso, 
E  inm'ta  mi  strascini  alla  sua  (;ava! 
C«isì  dicendo,  le  mani  si  caccia 
Me'  clipei  d'  oro ,  e  a  cio(H;a  il  ciocca  straccia. 

34.      C«)rre  di  nuovo  in  sull'  <;strema  sabbia, 
E  ru«tta  il  capo ,  e  sparge  all'  aria  il  crine, 
E  sembra  fors<>nnata,  <;  «^h'  atldoss«)  abbia, 
>*ni  IMI  demonio  sol,  ma  le  d<-cini-; 
O  qual  Eciiba.  già  conversa  in  rabbia, 
V'ist«>si  morto  P«tlidoro  alfìno. 
Or  si  ferma  su  un  Hass«i,  e  giuirda  il  mare, 
Né  meii  d'  un  vero  suttso  un  kiiu>o  pare. 


35.  Ma  lascìamla  doler,  finch'  io  ritorno, 
Per  voler  di  Ruggier  dirvi  pur  anco, 
Che  nel  più  intenso  ardor  del  mezzogiorno 
Cavalca  il  lito  ,  aflaticato  e  stanco. 
Percuote  il  sol  nel  colle ,  e  fa  ritorno  ; 

Di  sotto  bolle  il  sabbion  trito  e  bianco: 
Mancava  all'  arme  ,  eh'  avea  indosso  ,  poco 
Ad  esser,  come  già,  tutte  di  foco. 

36.  Mentre  la  sete ,  e  dell'  andar  fatica 
Per  r  alta  sabbia,  e  la  solinga  via 

Gli  facean,  hmgo  quella  spiaggia  aprica, 
Nojosa  e  dispiacevol  compagnia. 
Trovò ,  eh'  all'  ombra  d'  una  torre  antica, 
Che  fuor  dell'  onde  appresso  il  lito  uscia, 
Della  corte  d'  Alcina  eran  tre  donne, 
Che  le  conobbe  ai  gesti  ed  alle  gomie. 

37.  Corcate  su  tappeti  alessandrini 
Godeansi  il  fresco  rezzo  in  gran  diletto. 
Fra  molti  vasi  di  diversi  vini, 

E  d'  ogni  buona  sorte  di  confetto. 
Presso  la  spiaggia  co'  flutti  marini 
Scherzando  le  aspettava  un  lor  legnetto. 
Finché  la  vela  empiesse  agevol  ora  ; 
Ch'  un  fiato  pur  non  ne  spirava  allora. 

38.  Queste,  eh'  andar  per  la  non  ferma  sabbia 
Yider  Ruggiero  al  suo  viaggio  dritto, 

Che  sculta  avea  la  sete  in  sulle  labbia, 

Tutto  picn  di  sudore  il  viso  afllitto, 

Gli  cominciaro  a  dir ,  che  sì  non  abbia 

11  cor  volonteroso  al  cammin  fitto, 

(]h'  alla  fresca  e  dolce  ombra  non  si  pieghi, 

E  ristorar  lo  stanco  corpo  nieghi. 

39.  E  di  lor  una  s'  accostò  al  cavuUo 
Per  la  staffa  tener ,  che  ne  scendesse  ; 
L'  altra  con  una  coppa  di  cristallo 

Di  vin  spumante  più  sete  gli  messe. 
Ma  Ruggiero  a  quel  suou  non  entrò  in  ballo  ; 
Perchè  d'  ogni  tardar ,   che  fatto  avesse. 
Tempo  di  giunger  dato  avria  ad  .Vicina, 
Che  venia  dietro  ed  era  omaì  vicina. 

10.      Non  così  fin  salnitro  e  zolfo  puro. 
Tocco  dal  fuoco ,  subito  s'  avvampa, 
Né  cosi  freme  il  mar,  quando  1"  oscuro 
Turbo  dis«K'nde,  e  in  nie/.zo  se;  gli  accampa. 
Come,  vedendo,  che  Ruggier  sicuro 
Al  suo  dritto  cammin  V  arena  stam[>a, 
E  «'he  le  sprezza,  (e  pur  si  tenean  belle) 
D'  ira  arse  e  di  furor  la  terza  d"  elle. 

41.  Tu  non  sci  né  gentil,  né  ca^aliero, 
(Dice  gridando  quanto  può  più  Torte) 
Ed  liai  rubate  1'  arme,  e  ipui  de^t^ic^o 
Non  saria  tuo  per  Atrun'  altra  ^orte; 
E  c«)si,  ««tme  lu'u  m'  appongo  al  vero. 
Ti  vedessi  punir  di  d«'gna  nuirte. 

Che  (ox>ì  fatto  in  quarti,  arso  o  impiccato, 
Itruttt»  ladron,  viliau,  superbo,  ingrato! 

42.  Oltre  a  quc^te  e  uutit'  altre  ingiiuiose 
Parole  ,  «he  gli  usò  la  doiuia  altera, 
Aiicor«:lié  mai  Ruggier  non  le  ri-p«tse, 
C'Iie  «li  .■>!  \ìl  ten/on  poco  oiior  .-pera. 
Con  l«^  sorelle  to>to  ella  si  pose 

Sul  legno  in  mar ,  «he  al  (or  servigio  v"  era, 
Ed  alIVettando  i  remi  lo  >egMÌ\a. 
\  eili-ndol  tuttavia  dietro  alla  ri\.i 


[lOÌ] 


ORLANDO  FURIOSO.      (X.    43-58) 


[108] 


4o.      Minaccia  sempre ,  maledice,  eincarca; 
Cile  V  onte  sa  trovar  per  ogni  punto. 
Intanto  a  quello  stretto ,  onde  si  varrà 
Alla  fata  più  bella,  è  Rnggier  giunto, 
Dove  un  verrhio  nocchiero  una  sua  barca 
Scioglier  dall'  altra  ripa  vede  RpjMinto. 
Come,  avvisato  e  già  provvisto,  (piivi 
Si  stia  aspettando,  che  Ruggiero  arrivi. 

44.  Scioirlie  il  nocchier,  come  venir  lo  ve.!.', 
Di  trasportarlo  a  miglior  ripa  lieto; 
Che,  se  la  farcia  psiò  del  cor  dar  fede, 
Tutto  l)enigno  e  tistfo  era  discreto. 

Pose  Uuggier  sopra  il  navìglio  il  piede, 
Dio  ringraziando,  e  ]>er  lo  mar  quieto 
Ragionando  venia  col  galeotto 
Saggio,  e  di  lunga  esperienzia  dotto. 

45.  Quel  lodava  Ruggier,  che  si  s'  avesse 
Saputo  a  tempo  tor  da  Alcina,  e  innantì 
Che  'I  calice  incantato  ella  gli  desse, 

Cli'  avea  alfin  dato  a  tutti  gli  altri  amanti  ; 

E  poi ,  che  a  Logistilla  si  traesse, 

Dove  veder  potria  costumi  santi. 

Bellezza  eterna ,  ed  infinita  grazia, 

Clie  'l  cor  nudrisce  e  pasce,  e  mai  non  sazi.i. 

46.  Coste? .  dicea ,  stupore  e  riverenza 
Induce  all'  alma  ,  ove  si  scopre  j)riiua. 
Conteniiila  meglio  poi  1'  alta  presenza. 
Ogni  altro  hen  ti  par  di  poca  stima. 

D  suo  amore  ha  dagli  altri  differenza: 
Speme,  o  timor,  negli  altri,  il  cor  ti  lima; 
In  questo  il  desiderio  più  iu)n  chiede, 
E  contento  rimnn ,  come  la  vede. 

47.  Ella  t'  insegnerà  studj  più  grati, 
Che  su()ni,  danze,  odori,  hngni  e  cibi; 
lila  come  i  pen-ier  tiu)i  meglio  formati 
Poggin  più  ad  alto,  che  per  1"  aria  ì  nihi; 
E   come  della  gloria  de'  beati 

Ael  mortai  corpo  ])arte  si  delibi. 
Co-ì  parlando  il  marinar  veniva 
LontaiK»  ancora  alla  sicura  riva, 

48.  Quando  vide  scoprire  alla  marina 
Molti  naviglj .  e  tutti  alla  sua  volta. 
Con  quei  ne  vien  1'  ingiiu'iata  Alcina; 
E  molta  di  sua  gente  avea  rac<-olta. 
Per  por  lo  stato  e  sé  stessa  in  mina, 
O  racqui>tar  la  cara  cosa  tolta. 

E  ben'  è  Ani(»r  di  «;iò  cagion  non  lieve. 
Ma  r  ingiuria  n(m  inen ,  cJie  ne  riceve. 

4fl.      Ella  non  ebbe  sdegno ,  dacliè  nacqite. 

Di  questo  il  maggior  mai,  eh'  ora  la  rode: 
Onde  fa  i  remi  sì  affrettar  per  1"  acque, 
Che  la  spuma  ne  sj)arge  ambe  le  jirode. 
Al  gran  rumor  uè  mar,  uè  ripa  t:i(que. 
Ed  eco  risonar  jx-r  tutto  s'  ode. 
Scopri,  Ruggier,  lo  scudo!  che  bisogna; 
Se  non  ,  sci  morto  o  preso  «-on  vergogna. 

50.      Co-i  disse  il  nocchier  di  Eogistilla: 
Ed,  oltre   il  d»-tlo,  egli  luedesnu)   prese 
La  tasca,  e  dallo  scudo  di|)arlilla, 
E   fé"  il  lume  di   quel  chiaro  e  |)ales<-. 
L'  incantalo  splendor,   che  ne  sfuviila, 
Gli  ocehj  degli  awersiirj  co-i   olfese. 
Che  li   le'   re.-lar  ciechi   allora  allora, 
E  cader  chi  da  poppa,  e  chi  da  prora. 


5L     Un,  eh'  era  alla  veletta  in  sulla  rocca, 
Dell'  armata  d'  Alcina  si  fu  accorto, 
E  la  campana  martellando  tocca. 
Onde  il  soccorso  \ìvn  subito  al  porto. 
L'  artiglieria,  come  tempesta,  fiocca 
Centra  chi  vuole  a!  bunti  Ri'ggier  far  torto; 
Sì,  che  gli  venne  d'  ogni  parte  aita, 
Talché  salvò  la  libertà  e  la  vita. 

52.  Giunte  soil  quattro  donne  in  sulla  spiaggia. 
Che  subito  ha  mandate  Logistilla: 

La  valorosa  Andronica,  e  la  saggia 

Fronesia ,  e  1'  onestissima  Dicilhi, 

E  Sofrosìna  casta.,  che,  come  aggia 

Quivi  a  far  più,  che  1'  altre,  arde  e  sfavilla. 

L'  esercito,  eh'  al  mondo  è  sen.a  pare. 

Del  castello  esce ,  e  si  distende  al  mare. 

53.  Sotto  il  Castel ,  nella  tranquilla  foce, 
Di  molti  e  grossi  legni  era  un'  armata, 
Ad  un  botto  di  squilla ,  ad  una  voce, 
Giorno  e  notte  a  battaglia  apparecchiata. 
E  così  fu  la  pugna  aspra  ed  atroce 

E  per  acqua  e  per  terra  incominciata, 
Per  cui  fu  il  regno  sottosopra  volto, 
Ch'  avea  già  Alcina  alla  sorella  tolto. 

54.  Oh  di  quante  battaglie  il  fin  successe 
Diverso  a  quel,  che  si  credette  innante! 
Non  sol  eh'  Alcina  allor  non  riavesse 
(Come  stimossi)  il  fuggitivo  amante. 
Ma  delle  navi ,  che  pur  dianzi  spesse 
Fur  sì ,  eh'  appena  il  mar  ne  capi.i  tante, 
Fuor  della  fiamma ,  che  tutt'  altre  avvampa, 
C<in  un  legnetto  sol  misera  scampa. 

55.  Fuggesi  Ah'ina ,  e  sua  misera  genie 
Arsa  e  presa  riiuan,  rotta  e  soujuuTsa. 
D'  aver  Ruggier  perduto  ella  si  sente 
Via  più  doler  ,  che  d'  altra  cosa  avA  ersa. 
iNotte  e  dì  per  Ini  geme  amaramente. 

E  lagrime  |>er  Ini  dagli  ocehj  versa, 
E,  per  dar  fine  a  tanto  aspro  martire, 
S]ies-o  si  duol  di  nini  j)otcr  morire. 

56.  Morir  non  ptiote  alcuna  fata  mal, 
Finché  '1  sol  gira,  o  '1  ciel  non  muta  stilo. 
Se  ciò  non  fosse,  era  il   dolore  assai. 

Per  mover  Cloto  ad  innasparle  il  filo; 
O,  qual  Didon,  finia  col  ferro  i  guai; 
O  la  regina  splendida  del  Nilo 
Avria  imitata  con  mortifer  sonno: 
Ma  le  f.ite  morir  sempre  non  ponno. 

57.  l'orniamo  a  quel  di  eterna  gloria  degno 
Ruggiero,  e  Alcina  stia  nella  sua  pena! 
Dico  (li   Ini.  che     poiihè   l'uor  del   legno 
Si  fu  condotto   in  j)iù  sicura  arena. 

Dio  ringra/ianilo.  che  tntto  il  disegno 
Gli  era  successo,  al  mar  voltò  la  s(-hiena. 
Ed  allrellando  per  1'  asciutto  il  piede. 
Alla  rocca  ne  va,  che  qiiiii  siede. 

58.  Né  la  più  forte  ancor,  né  la  più  bella 
Mai  Aide  occhio  imtrlal  .  pri'iui,  né  dopo. 
Soti  di  più  pre/.'/.o  h*  mura  di  quella. 
(>lie  se  diamante   fos-ino,  o  piropo. 

Di  tai  geuinu-  ((uaggìù  inni  si  faxclla. 
Ed  a  chi  ^  noi  notizia  averne,  é  d  uo|)0 
('he  vada   quivi;  che  ncui  credo  altrove. 
Se  n(ui  forse  su  in  «iel  .    se   ne  rilro^e. 


i09] 


ORLANDO  FURIOSO.     (X.  59-74) 


[110] 


59.      Quel  clie  più  fa,  che  lor  s'inchina  e  cede 
0""ni  altra  gemma,  è,  clic  mirandi»  in  esse, 
L'uom  sino   in  mezzo  ali'  iinima  s^i  voile, 
Vede  suoi  vizj   e  sue  AÌrtiidi  espresse, 
Sicché  a  lusinghe  poi  di  sé  non  crede, 
]\c  a  clii  dar  hiasnio  a  torto  js^li  volesse: 
Tassi,  mirando  allo  specchio  lucente, 
Sé  stesso  conoscendosi  prudente. 

CO.      Il  chiaro  lume  lor,  che  imita  il  sole, 
Manda  splendore  in  tanta  copia  intorno, 
Che,  chi  riia, ovunque  sia,  sempre  che  vuole, 
Febo,  mal  grado  tuo,  si  può  far  giorno. 
Ré  mirahil  vi  ?on  le  pietre  sole, 
Ma  la  materia  e  1'  arlificio  a. i orno 
Contendon  ^ì,  che  mal  giudicar  puo^^si, 
Qual  delle  due  eccellenze  maggior  fossi. 

61.  Sopra  gli  altissimi  archi,  che  puntelli 
Pareau  ,  che  del  elei  fossino  a  vederli, 
Eran  gi.udin  sì  spaziosi  e  belli, 

(/he  j.aria  al  piano  anco  fati<;a  averli: 
A  erdeggiar  gli   odoriferi  lubuscelli 
Si  pon  veder  fra  i  luminosi  merli; 
Che  adorni  son,  l'estate  e'I  verno,  tutti 
Di  vaghi  fiori    e  di  maturi  frutti. 

62.  Di  così  nobili  arbori  non  suole 
Prodursi  fuor  di  questi  hei  giardini  ; 
I\é  di  tai  r(»se ,  o  di  simil  viole. 

Di  gigli,  di  amaranti,  o  di  gesmini. 
Altrove  appar ,  come  a  mi  medesmo  sole 
E  nasca ,  e  viva ,  e  morto  il  capo  inchini, 
E  come  lasci  vedovo  il  suo  stelo 
11  fior ,  soggetto  al  variar  del  cielo  : 

63.  Ma  quivi  era  perpetua  la  verdura, 
Perpetua  la  heltà  de'  fiori  eterni: 
]Son,  che  benignità  della  natura 

Sì  temperatamente  li   governi; 
Ma  Logi-tìlla,  con  suo  studio  e  cura, 
Senza  b^^ogno  de'  moti   superni, 
(Quel  che  agli  altri  impossibile  parca) 
Sua  primavera  ognor  ferma  tenea. 

64.  Logistilla  mostrò  m(»lto  aver  grato, 
Ch"a  lei  venisse  mi  sì  gentil  signore, 
E  comaiulò  ,  che  fosse  accarezzato, 

E  die  studiasse  ognim  di  fargli  onore. 
Gran  pe  zo  innau/.i  Astolfo  era  arrivato, 
Che  visto  da    lluggier  fu  di  buon  core: 
Fra  poclii  gioiiii  ^ciuier  gli  altri  tutti, 
Ch'  all'  esser  lor  Melissa  avca  ridutti. 

(i§.      Poiché   ffi  fur  posati   im  giorno  e  dui, 
Venne  Kuggiero  alla  fata  prudente 
Col  duca  Asttilfo,  che  non  meu  di  lui 
Avea  desir  di  riveder  Pont-iite. 
Melissa  le  parlò  per  ambedui, 
E  supplica  la  fata  umìlemente, 
Cile  li  concigli,   favorisca  e    ajiilì 
Si ,  che  ritorniu  donde  eraa  venuti. 

(>6.      Disse  la  fata:  lo  ci  porrò  il  pensiero, 
E   Tra  due  dì   ti;  li   darò  e.-^peiiili. 
Di -<  iure  poi  tra  sé,   conu;   Kiiggiero, 
E  dopo   Ini  ,   collie  <|iicl  duca  aiti  : 
Co.icliiiiile  iiiiìii,  rlie'l  \olator  destriero 
Uiionii  il  primo  agli  a(|uilaui   liti  ; 
iMa  prima   \uol,  che  ne  gli  faccia  mi  morso, 
Con  clic  1(»  volga,  o  gli  ruil'reiii  il  cordo. 


67.      Gli  mostra,  come  egli  abbia  a  far,  se  vnoI(*. 
Che  poggi  in  alto ,  e  come  a  far ,  che  cali, 
E  come,  se  vorrà,  che  in  giro  vole, 
O  v-ada  ratto,  o  che  si  stia  sull'  ali; 
E  quali  effetti  il  cavalier  far  suole 
Di  buon  destriero  in  piana  terra,  tali 
Iacea  lluggier,  che  mastro  ne  divenne, 
Per  l'aria ,  del  destrier ,  ch'avea  le  penne. 


G8. 


Poiché  Ruggier  fu  d'ogni  cosa  in  pmito, 
Dalla  fata  gentil  commiato  prese. 
Alla  qual  restò  poi  sempre  congiunto 
Di  grande  amore,  e  uscì  di  quel  paese. 
Prima  di  lui,  che  se  n'andò  in  buon  punto, 
E  poi  dirò,  come  il  guerriero  inglese 
Tornasse,  con  più  tempo  e  più  fatica. 
Al  magno  Carlo,  ed  alla  corte  amica. 


69 


Quindi  parti  Ruggier;  ma  non  rivenne 
Per  quel!a  via ,  che  fé'  già  suo  mal  grado 
Allorché  sempre  1'  ippogrifo  il  tenne 
Sopra  il  mare ,  e  terren  vide  di  rado  ; 
Ma  potendogli  or  far  batter  le  penne 
Di  qua,  di  là,  dove  piìi  gli  era  a  grado, 
Volle  al  ritorno  far  nuovo  sentiero, 
Come ,  schivando  Erode ,  i  magi  fero. 

10.  Al  venir  quivi  era ,   lasciando  Spagna, 
Venuto  India  a  trovar  per  dritta  riga. 
Là ,  dove  il  mare  orientai  la  bagna, 
Dove  una  fata  avea  con  1'  altra  briga. 
Or  veder  si  dispose  altra  campagna, 
Che  quella,  dove  i  venti  Eolo  instiga, 

E  finir  tutto  il  cominciato  tondo, 

Per  aver,  come  il  sol,  girato  il  mondo. 

11.  Quinci  il  Catajo,  e  quindi  Mangiana 
Sopra  il  gran  Quinsaì  vide  passando: 
Voltò  sopra  l'   Imavo  ,  e  Sericana 
Lasciò  a  man  destra  ;  e  sempre  declinando 
Dagl'  iperborei  Sciti  all'  onda  ircana, 
Giunse  alle   parti  di  Sarmazia;  e  quando 
Fu ,  dove  Asia  da  Europa  ^i  divide, 
Russi  e  Pruteni ,  e  la  Pomeria  vide. 

12.  Renelle  di  Ruggier  fosse  ogni  desire 
Di  ritornare  a  Bradamante  presto. 
Pur,  gustato  il  piacer,  eh'  avea  di  gire 
(y'erraiido   il   mondo ,  non  restò  per  questo, 
Cir  alli  Polac(  hi ,  agli  I  nglieri  venire 
Ron  volesse  anco,  alli  Germani,  e  al  resto 
Di  quella  boreale   orrida  terra, 

E  venne  alfin  nell'  ultima  Inghilterra. 

73.  Non  crediate.  Signor,  che  però  stia 
Per  >ì  lungo   camiiiin  sempre  siili'  alo. 
Ogni  scr.i  air  albergo  se  ne  già, 
Scliiv.indo  a  suo  poier  d'  alloggiar  male, 
E  spe.M-  giorni  e  me-i  in  questa  via; 

Sì   di   veder  la  terra  el  mar  gli  cale. 
Or   presso  a  Londra  giunto  una  mattina. 
Sopra  Tamigi  il  volator  d«alina, 

74.  l><ne  ne'  prati  alla  città  vicini 

\  iile  adunali   iKniiiiii  d'arine  e  fanti, 

Cir  a  siioii  ili  lioiiibe  e  a  siion  di  tamburini 

\  liliali,   parliti  a  belle  sebiere,  acanti 

II  liiioii    Uiiialilo,  oiior  «!<■'   paladini, 

Di'l  qual,  se  vi  ricorda,  io  dissi  ìiinanli. 
Che,  mandalo  da  Carlo,  era  venuto 

III  queste  parli  a  ricercare  ajuto. 


ORLANDO   FURIOSO.     (X.  15-90) 


[mi 

75.  Giunse  appunto  Ruggier,  che  si  facca 
La  bella  mostra  fuor  di  quella  terra; 
E  per  sapere  il  tutto ,  ne  chiedea 
Un  cavalier,  ma  scese  prima  in  terra: 
E  quel ,  ch'affabil  era  ,  gli  dicea, 
Che  di  Scozia  e  d'Irlanda,  e  d  Inghilterra, 
E  dell'  isole  intorno,  cran  le  scliicre, 
Che  quivi  alzate  avean  tante  bandiere: 

76.  E  finita  la  mostra  che  faceano, 
Alla  marina  si  distenderanno, 
Dove  aspettati,  per  solcar  l'Oceano, 
Son  dai  naviglj,  che  nel  porto  stanno. 

I  Franceschi  assediati  si  recreano, 
Sperando  in  questi,  che  a  salvar  li  vanno. 
Ma  acciocché  te  n'informi  pienamente, 

10  ti  distinguerò  tutta  la  gente. 

77.  Tu  vedi  ben  quella  bandiera  grande, 
Ch'  insieme  pon  la  fiordiligi  e  i  pardi; 
Quella  il  gran  capitano  all'  aria  spande, 
E  quella  han  da  seguir  gli  altri  stendardi. 

II  suo  nome,  famoso  in  queste  bande, 
È  Leonetto,  il  fior  delli  gagliardi. 
Di  consiglio  e  d'  ardire  in  guerra  mastro, 
Del  re  nipote,  e  duca  di  Lincastro. 

78.  La  prima  appresso  il  gonfalon  reale. 
Che  '1  vento  tremolar  fa  verso  il  monte, 
E  tien  nel  campo  verde  tre  bianche  ale, 
Porta  Riccardo,  di  Varvecia  conte. 

Del  duca  di  Glocestra  è  quel  segnale, 
Ch'  ha  due  corna  di  cervo,  e  mezza  fronte: 
Del  duca  di  Chiarenza  è  quella  face; 
Queir  arbore  è  del  duca  d'  Eborace. 

79.  Vedi  in  tre  pezzi  una  spezzata  lancia. 
Gli  è  il  gonfalon  del  duca  di  Norfozia. 
La  fulgure  è  del  buon  conte  di  Cimcia; 

11  grifone  è  del  conte  di  Pembrozia; 
Il  duca  di  Sufolcia  ha  la  bilancia. 
Vedi  quel  giogo,  che  due  serpi  assozia, 
É  del  conte  d'  Esénia;  e  la  ghirlanda 

In  campo  azzurro  ha  quel  di  Norbclanda. 

80.  Il  conte  d'  Arindelia  è  quel,  eh'  ha  meijfo 
In  mar  quella  barchetta,  che  s'  affonda. 
Vedi  il  marchese  di  Bardei,  e  appresso 

Di  Marchia  il  conte,  e  'l  conte  di  Ritmonda; 
Il  primo  porta  in  bianco  un  monte  fesso, 
L'  altro  la  palma,  il  terzo  un  pin  nell'  onda. 
Quel  di  Dorsczia  è  conte,  e  quel  d'  Antona; 
Che  1'  mio  ha  il  carro,  e  I'  altro  la  corona. 

81.  Il  falcon,  che  sul  nido  i  vanni  inchina. 
Porta  Raimondo,  il  conte  di  Devonia: 

11  giallo  e  negro  ha  quel  di  A'igorina; 

Il  can  quel  d'  Erbia,  un  orso  quel  d'  Ogonia. 

La  croce,  che  là  vedi,  cristallina 

E  del  ricco  prelato  di  Battonia. 

Vedi  nel  bigio  una  spezzata  sedia, 

E  del  duca  Ariman  di  Sormosedia. 

82.  Gli  uomini  d'  arme,  e  gli  arcieri  a  cavallo 
Di  quarantaduomila  nuincr  fanno; 

Sono  duo  tanti,  o  di  cent*»  non  fallo. 
Quelli,  clic  a  pie  nella  Iiattaglia  vanno. 
Mira  quei  segni,  un  bigio,  un  verde,  un  giallo, 
E  di  nero  e  d'  az7.ur  listato  un  pann«)  ; 
Goffredo,   Enrico,  Ermante  ed  Odoardo 
Guìdan  pedoni,  ognun  cui  suo  atendardo. 


rii2i 


83.  Duca  di  Bocchingamia  è  quel  dinnantc; 
Enrico  ha  la  contèa  di  Sarisberia  ; 
Signoreggia  Biirgcnia  il  vecchio  Krinantej 
Queir  Odoardo  è  conte  di  Croìsberia. 
Questi  alloggiati  più  verso  Levante 

Sono  gì'  Inglesi.     Or  volgiti  all'  Esperia, 
Dove  si  veggion  trentamila  Scotti, 
Da  Zerbin ,  figlio  del  lor  re,  condotti. 

84.  Vedi,  tra  due  unicorni,  il  gran  leone. 
Che  la  spada  d'  argento  ha  nella  zampa; 
Quello  è  del  re  di  Scozia  il  gonfalone; 
Il  suo  figliuol  Zcrliino  ivi  s'  accampa. 
Non  è  un  sì   bello  in  tante  altre  persone: 
Natura  il  fece,  e  poi  ruppe  la  stampa  : 
Non  è ,  in  cui  tal  virtù ,  tal  grazia  luca, 
O  tal  possanza;  ed  è  di  Rosela  duca. 

85.  Porta  in  azzurro  mia  dorata  sbarra 
Il  conte  d'  Ottonici  nello  stendardo  : 

L'  altra  bandiera  è  del  duca  di  Marra, 
Che  nel  travaglio  porta  il  leopardo. 
Di  più  colori  e  di  più  augei  bizzarra 
Mira  r  insegna  d'  Alcabrun  gagliardo. 
Che  non  è  duca,  conte,  né  marchese, 
Ma  primo  nel  sabatico  paese. 

86      Del  duca  di  Trasfordia  è  quella  insegna. 

Dove  è  r  augel,  eh'  al  sol  tien  gli  occhj   franchi. 
Lnrcanio  conte,  che  in  Angoscia  regna, 
Porta  quel  tauro ,  eh'  ha  duo  veltri  ai  fiancliì. 
Vedi  là  il  duca  d'  Albania ,  che  segna 
Il  campo  di  colori  azzurri  e  bianchi. 
Queir  avoltor,  eh'  un  drago  verde  lania, 
E  r  insegna  del  conte  di  Boccania. 

87.      Signoreggia  Forbesse  il  forte  Armano, 
Che  di  bianco  e  di  nero  ha  la  bandiera  ; 
Ed  ha  il  conte  d'  Erelia  a  destra  mano, 
Che  porta  in  campo  verde  una  lumiera. 
Or  guarda  gì'  Ibernesi  appresso  il  piano: 
Sono  due  squadre,  e  'l  conte  di  Childera 
Mena  la  prima  ;  il  conte  di  Dcsmonda 
Da  fieri  monti  ha  tratta  la  seconda. 

I   88.      Nello  stendardo  il  primo  ha  un  pino  ardente; 
L'  altro  nel  bianco  una  vermiglia  banda. 
Non  dà  soccorso  a  Carlo  solamente 
La  terra  inglese,  e  la  Scozia,  e  l'  Irlanda; 
]Ma  vien  di  Svezia  e  di  Norvegia  gente, 
Da  Tilc,  e  fin  dalla  remota  Islanda; 
Da  ogni  terra  in  somma,  che  là  giace, 
Nimica  naturalmente  di  pace. 

89.  Sedici  mila  sono ,  o  poco  manco. 
Delle  spelonche  usciti  e  delle  selve. 
Hanno  peloso  il  viso,  il  petto,  il  fianco, 
E  dossi,  e  braccia,  e  gambe,  c»»me  belve. 
lnt«)rno  allo  stendardo  tutto  biancc», 

Par,  che  quel  pian  di  lor  lance  s'  inselvo: 
Così  Moratto  il     porta ,  il  capo  loro, 
Per  dipingerlo  poi  di  sangue  moro. 

90.  Mentre  Ruggier  di  quella  gente  bella. 
Che  per  soc<Murer  Francia  si  prepara. 
Mira  le  a  arie;  insegne,  e  ne  lineila, 

E  de'  signor  britanni  i  nomi  impara, 
Uno  ed  un  altro   a  lui,  per  luirar  quella 
Bestia,  sopra  cui  biede,  unica  o  rara, 
Maraviglioso  corre ,  e  stupefatto  ; 
E  toaitu  il  cerchio  intorno  gli  fu  fatto, 


[113] 


ORLANDO  FURIOSO.     (X.  91  —  106) 


91.  Sicché,  per  dtare  ancor  più  maraviglia, 
E  per  pigliarne  il  buon  Ruggier  più  gioco, 
Al  volante  cor:<ier  scuote  la  briglia, 

E  con  gli  sproni  al  fianchi  il  tocca  un  poco. 
Quel  verso  il  elei  per  1'  aria  il  cammin  piglia, 
E  lascia  ognuno  attonito  in  quel  loco. 
Quindi  Ruggier,  poiché  di  banda  in  banda 
Vide  gì'  Inglesi,  andò  verso  1'  Irlanda  ; 

92.  E  vide  Ibernia  fabulosa,  dove 
n  santo  vecchiarcl  fece  la  cava, 

In  che  tanta  mercè  par  che  si  trove. 

Che  1'  uom  vi  purga  ogni  sua  colpa  prava. 

Quindi  poi  sopra  il  mare  il  destrier  muove, 

Là  dove  la  minor  Bretagna  lava; 

E  nel  passar  vide,  mirando  a  basso, 

Angelica  legata  al  nudo  sasso  ; 

93.  Al  nudo  sasso,  all'  Isola  del  pianto, 
(Che  r  isola  del  pianto  era  nomata 
Quella,  che  da  crudele  e  fiera  tanto 
Ed  inumana  gente  era  abitata) 

Che,  come  io  vi  dicea  sopra  nel  canto, 
Per  varj  liti  sparsa  iva  in  armata 
Tutte  le  belle  donne  depredando, 
Per  farne  a  un  mostro  poi  cibo  nefando. 

94.  Vi  fu  legata  pur  quella  mattina, 
Dove  venia  per  trangugiarla  viva 
Quel  smisurato  mostro,  orca  marina. 
Che  d'  abliorrcvol  esca  si  nutriva. 
Dissi  di  sopra,  come  fu  rapina 

Di  quei,  che  la  trovaro  in  sulla  riva 
Dormire  al  vecchio  incantatore  accanto, 
Ch'  Ivi  1'  avea  tirata  per  incanto. 

95.  La  fiera  gente  inospitale  e  cruda 
Alla  bestia  crudcl  nel  lito  espose 
La  bellissima  donna  così  ignuda. 
Come  natura  prima  la  compose. 

Un  velo  non  ha  pure,  in  che  rincliiuda 
I  bianchi  gigli  e  le  vermiglie  rose, 
Da  non  cader  per  luglio,  o  per  decembre, 
Di  che  son  sparse  le  polite  lucmbre. 

96.  Creduto  avrla,  clic  fosse  statua  finta, 
0  d'  alabastro,  o  d'  altri  marmi  illustri, 
Ruggiero,  e  sullo  scoglio  cosi  avvinta 
Per  artifìcio  di  scultori  industri. 

Se  non  vedea  la  lagrima  distinta 
Tra  fres(;he  rose  e  candidi  ligustri 
Far  rugiadose  le  crudette  pome, 
E  1'  aura  sventolar  l'  aurate  chiome. 

97.  E  come  ne'  begli  occhj  gli  occhj  affisse, 
Della  sua  Hradamanlc  gli  sovvenne. 
Pictade  e  amore  a  un  tempo  Io  trafisse, 

E  dì  piangere  appena  si  ritenne; 
E  dolcemente  alla  d(ur/.ella  disse, 
Polche  dei  suo  deslrier  frenò  le  penne: 
O  donna,  degua  sol  della  catena, 
Con  che  i  suoi  ser\i  Amor  legati  mena, 

98.  E  ben  di  qne>to,   e  d'  ogni  male  indegna! 
Chi  è  quel  crudel,  vìu:,  con  voler  jìcrverso, 
D'  iuiporluno  livor  stringendo  segna 

Di  queste  b«llo  man  l  avorio  terso? 
For/.a  è,  (;he  a  quel  parlare  ella  divegna, 
Qiial  i:  di  grana  un  bianco  avorio  asp«Tso, 
Di  he  vedendo  qii(;||(>  pinti  igninb; 
Che,  ancorché  belle  sian,  ^ergogna  chiude. 


Jili] 


99.     E  coperto  con  man  s'  avrebbe  il  volto 
Se  non  eran  legate  al  duro  sasso  ; 
Ma  del  pianto,  eh'  almen  non  l'  era  tolto 
Lo  sparse,  e  sì  sforzò  di  tener  basso, 
E  dopo  alcun  slngozzo  il  parlar  sciolto. 
Incominciò  con  fioco  suono  e  lasso. 
Ma  non  seguì,  che  dentro  il  fé'  restare 
Il  gran  rumor,  che  si  sentì  nel  mare. 

100.  Ecco  apparir  Io  smisurato  mostro. 
Mezzo  ascoso  nell'  onda,  e  mezzo  sorto. 
Come  sospinto  suol  da  borea  ed  ostro 
Venir  lungo  naviglio  a  pigliar  porto, 
Così  ne  viene  al  cibo,  che  1'  è  mostro, 
La  bestia  orrenda  ;  e  I'  intervallo  è  corto. 
La  donna  é  mezza  morta  di  paura, 

Kè  per  conforto  altrui  si  rassicura. 

101.  Tenea  Ruggier  la  lancia  non  in  resta. 
Ma  sopra  mano,  e  percoteva  1'  orca. 
Altro  non  so  che  s'  assimigli  a  questa 

Ch'  una  gran  massa,  che  s'  aggiri  e  torca; 
IVè  f(«-ma  ha  d'  animai,  se  non  la  testa, 
Ch'  ha  gli  occhj  e  1  denti  fuor,  come  di  porca. 
Ruggiero  in  fronte  la  feria  tra  gli  occhj  ; 
3Ia  par  che  un  ferro,  o  un  duro  sasso  tocclii. 

102.  Poiché  la  prima  botta  poco  vale. 
Ritorna  per  far  meglio  la  seconda. 
L'  orca,  che  vede  sotto  le  grandi  ale 
L'  ombra  di  qua  e  di  là  correr  sull'  onda 
Lascia  la  preda  certa  litorale, 
E  quella  vana  segue  furibonda  ; 
Dietro  quella  si  volve  e  si  raggira: 
Ruggier  giù  cala,  e  spessi  colpi  tira. 

103.  Come  d'  alto  venendo  aquila  suole, 
Ch'  errar  fra  Y  erbe  a  isto  abbia  la  biscia, 
O  che  stia  sopra  un  nudo  sasso  al  sole. 
Dove  le  spoglie  d'  oro  abbella  e  liscia, 
Non  assalir  da  quel  lato  la  vuole. 

Onde  la  velenosa  e  sofl'ia  e  striscia, 
Ma  da  tergo  1'  adugna,  e  batte  i  vanni, 
Acciò  non  le  si  volga,  e  non  V  azzanni  : 

104.  Così  Ruggier  con  l'asta  e  con  la  spada, 
Non  dove  era  de'  denti  armato  il  muso, 
Ma  vuol,  che'l  colpo  tra  1'  orecchie  cada, 
Or  sulle  schiene,  or  nella  coda  giuso. 

Se  la  fera  si  volta,  ei  mnta  strada, 
Ed  a  tempo  giù  cala,  e  poggia  in  suso; 
Ma,  come  sempre  giunga  irt  un  diiispro. 
Non  può  tagliar  lo  scoglio  duro  ed  aspro. 

105.  Siniil  battaglia  fa  la  mosca  audace 
Ctuitra  il  mastio  nel  polveroso  agosto, 
O  nel  mese  dinnanzi,  o  nel  seginirc, 

L'  mio  «li  spicbe,  e  T  altro  picn  di  mo<ito. 
Negli  occlij  il  punge,  e  nel  grifo  uutrdace 
Aolagli  intorno,   v  gli  sta  ><Mnpre  acrosto; 
E  quel  sonar  fa  spesso  il  dente  ax'intto. 
Ma  un  tratto  «h'egli  arrivi,  appaga  il  tutto. 

100.      Sì  forte  ella  nel  mar  balte  la  coda, 
CIk;  la  tiiini»  al  cirl  1'  acqua  iruial/are, 
'l'alche  non  sa,  se  1'  al<-  in  aria  snoda, 
()  pur  !>e'l  suo  d<'-<lrier  nuota  nel  uiar<*. 
(ìli  è  spe>M),  che  di-ia  tro\ar>i  a  proda  ; 
Che,  se  lo  >prn//.o  ha  in  tal  modo  a  durare. 
Teme  >i  l'ale  innallì  all'  ippc»griro, 
(/'he  brami  invano  avere  o  /.ucca,  o  •iciiii'o 


[115] 


ORLANDO  FURIOSO.     (X.  104-115) 


[116] 


107.  Prese  nuovo  consiglio,  e  fu  il  migliore, 
DI  vincer  con  altre  arme  il  mostro  crndo. 
Abbarbagliar  lo  yhoI  con  lo  splendore, 
Ch'  era  incantato  nel  coperto  scudo. 
Vola  nel  lito,  e  per  non  far  errore, 

Alla  donna  legata  al  sasso  nudo 
Lascia  nel  minor  dito  della  mano 
L'anel,  che  potea  far  l'incanto  vano. 

108.  Dico  l'anel,  clie  Bradamante  avea. 
Per  liberar  Ruggier,  tolto  a  Briuiello, 
Poi,  per  trarlo  di  man  d'  Alrina  rea. 
Mandato  in  India  per  Melissa  ha  quello. 
Melissa  (come  dianzi  io  vi  dicea) 

In  ben  di  molti  adoperò  1'  anello, 
Indi  a  Riiggier  1'  avea  restituito, 
Dal  qual  poi  sempre  fu  portato  in  dito. 

109.  Lo  dà  ad  Angelica  ora,  perchè  teme, 
Clie  del  suo  scudo  II  folgorar  non  viete  ; 
E  perchè  a  lei  ne  sien  difesi  insieme 

GII  occhj,  che  già  1'  aveau  preso  alla  rete. 
Or  viene  al  lito,  e  sotto  il  ventre  preme 
Ben  mezzo  li  mar  la  snrisurata  cete. 
Sta  Ruggiero  alla  posta  e  leva  II  velo,_ 
E  par,  eh'  aggiunga  mi  altro  sole  al  cielo. 

110.  Feri  negli  occhj  1'  Incantato  lume 


111.  La  bella  donna  tuttavolta  II  prega, 
Che  invan  la  dura  squama  oltre  non  pesti. 
Torna  per  Dio,  signor  !  prima  mi  slega, 
(Dicea  piangendo)  che  V  orca  si  desti  ! 
Portami  teco,  e  In  mezzo  II  mar  mi  annega  ; 
Non  far,  che  In  ventre  al  brutto  pesce  Io  resti! 
Ruggier,  commosso  dunque  al  giusto  grido. 
Slegò  la  donna,  e  la  levò  dal  Udo. 

112.  11  destrier  punto,  penta  i  pie  all'  arena, 
E  sbalza  in  aria,  e  per  lo  del  giiloppa, 

E  porta  il  cavaliero  in  sulla  schiena, 

E  la  donzella  dietro  in  sulla  groppa. 

Cosi  privò  la  fera  della  cena. 

Per  lei  soave  e  delicata  troppa, 
I         Ruggier  si  va  volgendo,  e  mille  baci 
'         Figge  nel  petto  e  negli  occhj  vivaci. 

[ll3.     Non  più  tenne  la  via,  come  propose 
Prima,  di  circondar  tutta  la  Spagna, 
Ma  nel  propinquo  lito  il  destrier  pose, 
Dove  entra  in  mar  più  la  minor  Bretagna. 
Sul  lito  un  bosco  era  di  querce  ombrose, 

1         Dove  ognor  par  che  Filomena  piagna  ; 

Che  In  mezzo  avea  un  pratel  con  una  fonte, 

!         E  quinci  e  quindi  im  solitario  monte. 

1114.      Quivi  II  bramoso  cavaller  ritenne 
I         L'  audace  corso,  e  nel  pratel  discese, 

E  fé'  raccorrò  al  suo  destrier  le  penne, 
I         aia  non  a  tal,  che  più  le  avea  distese. 

Del  destrier  sceso,  appena  si  ritenne 
!         Di  salir  altri  ;  nui  tennel  1'  arnese  ; 

L'  arnese  II  tenne,  che  bisognò  trarre, 

E  contra  il  suo  desir  mise  le  sbarre. 


Di  quella  fera,  e  fece  al  modo  usato. 

Quale  o  trota,  o  scnglion  va  giù  pel  fiume, 

Ch'  ha  coti  calcina  il  montanar  turbato. 

Tal  si  vedea  nelle  marine  schiume 

Il  mostro  orriliilmente  riversato. 

DI  qua,  di  là  Ruggier  percuote  assai, 

Ma  di  ferirlo  via  non  ti'ova  mai. 

115.      Frettoloso,  or  da  questo,  or  da  quel  canto 
Confusamente  l'  arme  si  levava. 
Non  gli  parve  altra  volta  mai  star  tanto  ; 
Che,  se  un  laccio  sclogllea,  due  n'  annodava, 
aia  troppo  è  lungo  oniai,  Signore,  Il  canto, 
E  forse  eh'  anco  1'  ascoltar  vi  grava, 
Sì,  eh'  io  differirò  l'  istoria  mia 
In  altro  tempo,  che  più  grata  sia. 


[117] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XI.  1  —  12) 


[118] 


CANTO    UNDECIMO. 


ARGOMEyrO. 

Angelica,  daìV  orca  liberata, 
Con  r  anello  a  liuagier  fugge  (lavante, 
Il  qual  in  una  selva  mentre  guata. 
Tede  una  domia  in  braccio  ri'  un  gigante. 
L*  un  segue,  V  altro  fugge  ;  e  via  portata 
Gli  è  la  sua  bella  e  cara  Bradamantc. 
Orlando  Glimpia  dal  rio  mostro  scioglie, 
E  quella  Oberto  poi  prende  per  moglie. 


1.  Qnantunqne  debil  freno  a  mezzo  il  corso 
Animoso  tlestrier  spesso  raccol<;a, 

llaro  è  però,  die  di  ragione  il  morso 

Libidinosa  furia  addietro  voifj^a. 

Quando  il  piacere  ha  in  pronto  :  a  guisa  d'orso, 

Che  dal  mei  non  sì  tosto  si  distolga, 

Poiché  glie  n'  è  venuto  odore  al  naso, 

0  qualche  stilla  ne  gustò  sul  vaso. 

2.  Qual  ragion  Ila,  che  U  huon  Ruggier  ralTrenc, 
Si  che  non  voglia  ora  pigliar  diletto 

D'  Angelica  gentil,  che  nuda  tiene 

Nel  solitario  e  comodo  boschetto? 

Dì  Bradamante  più  non  gli  sovviene, 

Che  tanto  aver  solca  fissa  nel  petto  ; 

E  se  ne  gli  so^vien  pur,  come  prima,  \ 

Pazzo  è,  se  questa  ancor  non  prezza  e  stiina,  | 

3.  Con  la  qual  non  saria  stato  quel  crudo  | 
Zcnocrate  di  li;ì  più  continente. 

Gittate)  area  Uuggier  l'  asta  e  lo  scudo, 
E  si  traea  1'  altre  arme  impaziente, 
Quando,  abl)as?ando  nel  bel  ccu-po  ignudo 
La  donna  gli  occlij  vergognosamente, 
Si  vide  in  dito  il  prezioso  anello. 
Che  già  le  tolse  ad  Albracca  Brunello. 

4.  Questo  è  r  ancl,  eh'  ella  portò  giù  in  Francia 
La  prima  volta,  che  le'  qu<l  camiuino 

Col  l'ratel  >uo,  che  v'  iirreco  la  l.miia, 

La  qual  iu  ])()ì  d'  Aslollò  pal.tditui. 

<"on  (picsto  le'  gì'  iiu  lUili  u-cire  in  ciancia. 

Di  Malagigì  al  jx'tron  di  Mcilino. 

Con  questo  Orlando  ed  altri  una  mattina 

Tolse  di  servitìi  di  Dragontina: 

5.  (AMI  qiu;sto  usci  in\i.^iliil  dilla  torre. 
Dove  1'  a\ea  rinchiuda  un  vecchio  rio. 

A  che  Aoglio  io  tutte  siu;  prove  accorre, 
Se  le  hapele  voi  c(»»ì  cdinc  io? 
Druucl  hiii  nel  giroii  gliel  wìììw  a  torre; 
('II'  Agraiuanle  d'  merlo  vhUr  di>io. 
Da  indi  in  quii  scuiiin;  lortiiiia  a  sdegno 
Lbbe  cosici,  (ìathè  le  tol.-e  il  regno. 


6.  Or  che  sei  vede,  come  ho  detto,  in  mano. 
Sì  di  stupore  e  d'  allegrezza  è  piena, 

Che,  quasi  dubbia  di  sognarsi  invano. 

Agli  occhj,  alla  man  sua  dà  fede  appena. 

Del  dito  se  lo  leva,  e  a  mano  a  mano 

Sci  chiude  in  bocca;  e  in  men  che  non  balena. 

Così  dagli  occhj  di  Ruggier  si  cela. 

Come  fa  il  sol,  quando  la  nube  il  vela. 

7.  Ruggier  pur  d'  ogn'  intorno  riguardava, 
E  s'  aggirava  a  cerco,  come  un  matto  : 
]\Ia  poiché  dell'  ancl  si  ricordava, 
Scornato  si  rimase  e  stupefatto  ; 

E  la  sua  inavvertenza  bestemmiava, 
E  la  donna  accusava  di  quell'  atto 
Ingrato  e  discortese,  che  renduto 
In  ricompensa  gli  era  del  suo  ajuto. 

8.  Ingrata  damigella,  è  questo  quello 
Guiderdone,  dicea,  che  tu  mi  rendi, 
Che  piuttosto  involar  vogli  1'  anello, 

Ch'  averlo  in  don?  Perchè  da  me  nolpi-endi? 
]Von  pur  quel,  ma  lo  scudo,  e  il  destricr  snello, 
E  me  ti  d(»no,  e  come  vuoi,  mi  spendi, 
Solchè  'l  bel  viso  tuo  non  mi  nascondi  ! 
Io  so,  crudel,  che  m'  odi,  e  non  rispondi. 

9.  Cosi  dicendo,  intorno  alla  fontana 
Brancolando  n'  andava,  come  cieco. 
Oh  quante  volte  abbracciò  I'  aria  vana, 
Sperando  la  donzella  abbracciar  seco  ! 
Quella,  che  s'  era  già  fatta  lontana, 

I\Iai  non  cessò  d'  andar,  che  giunse  a  im  speco. 
Che  sotto  un  monte  era,  capace  e  grande, 
Dove  al  bisogno  suo  trovò  vivande. 

10.     Quivi  un  vecchio  pastor,  che  di  cavalle 
Un  grande  armento  avea,  facea  soggiorno. 
Le  giumente  pascean  giù  per  la  valle 
Le  tenere  erbe  ai  freschi  riv  i  intorno. 
Di  <|uà,  di  là  dall'  antro  <rano  stalle. 
Dove  fuggiano  il  sol  del  mezzogiorno. 
Angelica  quel  dì  lunga  dimena 
Là  dentro  fece,  e  non  fu  vista  ancora. 

11.      E  circa  il  vespro,  poiché  rinfrcscosij, 
E  le  fu  avviso  esser  posata  assai, 
In  certi  drappi  niz/.i  av  viluppossi, 
Dis^iiuil  troppo  ai  portanienli  gai, 
Cylie  verdi,  gialli,  pcr?i,  azzurri  e  rossi 
El>be,  e  di  (piante  foggt^  liinui  mai. 
I\on  le  |>uò  tor  jx-rò  tanto  uuiil  goniiii. 
Che  bella  non  ra.-^.^cuiitri,  e  nobii  donna. 

12.      Taccia,  chi  loda  l'illidc  o  Neera, 
O  Aniarilli,  o  (ìalalca  fugace; 
('ile  d'  e.-sc  alcuna  sì  bella  non  era, 
Titiro  e  Melibeo,  c«)u  vo>tra  pace. 
I,a  bella  donna  trae  fuor  della  schiera 
Dille  giiiiiKiUe  una,  che  più  le  piace; 
Allora  allora  m-  le  fece  iiuiante 
L  n  pen^ier  di  tornarsene  iu  Le^  ante. 

8  * 


[119] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XI.  13-28) 


[120] 


ly.      Ruggiero  intanto,  poich'  ebbe  gran  pezzo 
Indarno  atteso,  s'  ella  si  scopriva, 
E  che  s'  avvide  del  suo  error  da  sezzo, 
Che  non  era  vicina  e  non  V  udiva; 
Dove  lasciato  avea  il  cavallo,  avvezzo 
In  cielo  e  in  terra,  a  riraont.ir  veniva, 
E  ritrovò ,  che  s'  avea  tratto  il  morso, 
E  salia  in  aria  a  più  libero  corso. 

14.  Fu  grave  e  mala  giunta  all'  altro  danno, 
Vedersi  anco  restar  s-enza  V  augello. 
Questo ,  non  men  che  '1  femminile  inganno. 
Gli  preme  il  cor;  ma  più  che  questo  e  quello, 
Gli  preme,  e  fa  sentir  nojoso  aftanno 

L'  aver  perduto  il  prezioso  anello; 
Ver  le  virtù  non  tanto,  che  'n  lui  sono, 
Quanto  che  fu  della  sua  donna  dono. 

15.  Oltre  modo  dolente  si  ripose 
Indosso  r  arme,  e  lo  scudo  alle  spalle. 
Dal  mar  slungossi ,  e  per  le  piagge  erbose 
Prese  il  cammin  verso  una  larga  valle, 
Do^  e  per  mezzo  all'  alte  selve  ombrose 
yide  il  più  largo  e  '1  più  segnato  calle. 
Kon  molto  va ,  eh'  a  destra ,  ove  più  folta 
E  quella  selva ,  un  gran  strepito  ascolta. 

l6     Strepito  ascolta ,  e  spaventevol  suono 
D'  arme  percosse  insieme  ;  onde  s'  affretta 
Tra  pianta  e  pianta,  e  trova  due,  che  sono 
A  gran  battaglia  in  poca  piazza  e  stretta. 
]Von  s'  hanno  alcun  riguardo  ,  né  perdono, 
Per  far ,  non  so  di  che ,  dura  vendetta. 
L'  uno  è  gigante  alla  sembianza  fiero, 
Ardito  r  altro  e  franco  cavaliero. 

17.  E  questo  con  Io  scudo  e  con  la  spada 
Di  qua  di  là  saltando  si  difende. 
Perchè  la  mazza  sopra  non  gli  cada, 

Con  che  il  gigante  a  due  man  sempre  offende. 
Giace  morto  il  cavallo  in  sulla  strada. 
Ruggier  si  ferma ,  e  alla  battaglia  attende, 
E  tosto  inchina  1'  animo ,  e  disia, 
Che  vincitore  il  cavalier  ne  sia. 

18.  Non   che  per  questo  gli  dia  alcun  ajuto, 
Ma  si  tira  da  parte,  e  sta  a  vedere. 

Ecco  col  biiston  gra^e  il  più  membruto 
Sopra  r  elmo  a  due  man  del  minor  fere. 
Della  percossa  è  il  caAalier  caduto. 
L'  altro,  «Jie  '1  vide  attonito  giacere. 
Per  dargli  mm'te  I'  elmo  gli  di-laccia, 
E  fa  sì ,  che  Ruggier  lo  vede  in  faccia. 

19.  Vede  Ruggier  della  sua  dolce  e  bella 
E  carissima  donna  Hradamantc 
Scoperto  il  viso  ;  e  lei  vede  esser  quella, 
A  cui  dar  morte  vuol  I'  empio  gigante; 
Sicché  a  battaglia  subito  1'  appella, 

E  con  la  >paila  nuda  »i  fa  innante: 

Ma  <|u<-l ,  che  uuo'n  a  pugna  non  attende, 

La  donna  tramortita  in  braccio  prende 

20.  E  >-(•.  V  arreca  in  spalla,  e  ^ia  la  porta, 
Come;  lupo  talor  pi(-<'iolo  agnello, 

0   r   aquila  portar  nelT  ungliia  tortil 
Suole  o  t'uidMiho,  o  ^iiuile  altro  augello. 
Vede   Rng;;i<r  ,  quanto  il  suo  ajuto  importa, 
E  vien  correndo  a  più   poter;   ma  (piello 
Con  tanta  fretta  i   Ium;;Iiì  pil^^i  mena, 
Che  con  gli  occbj  Ruggier  lo  segue  appena. 


21.  Cosi  correndo  1'  uno,  e  seguitando 

L'  altro  per  un  sentiero  omliroso  e  fosco, 
Che  sempre  si  venia  più  dilatando, 
In  un  gran  prato  uscir  fuor  di  quel  bosco.  — 
Non  più  di  questo  ;  eh'  io  ritorno  a  Orlando, 
Che  'I  folgor,  che  portò  già  il  re  Cimosco, 
Avea  gittato    in  mar  nel  maggior  fondo. 
Perchè  mai  più  non  si  trovasse  al  mondo. 

22.  3Ia  poco  ci  giovò;  che  '1  nimico  empio 
Dell'  umana  naturii ,  il  qual  del  telo 

Fu  r  in-.entor,  eh'  ebbe  da  quel  1"  esemplo, 
Ch'  apre  le  nubi,  e  in  terra  ^ien  dal  ciclo, 
Con  qua>i  non  minor  di  quello  scempio. 
Che  ci  die,  quando  Eva  ingannò  col  melo. 
Lo  fece  ritrovar  da  un  negromante 
Al  tempo  de'  nostri  avi,  o  poco  innante. 

23.  La  macchina  infernal  di  più  di  cento 
Passi  d'  acqua,  ove  ascosa  ste'  molt'  anni, 
Al  sommo  tratta  per  incantamento, 
Prima  portata  fu  tra  gli  Alamanni, 

Li  quali  uno  ed  un  altro  esperimento 
Facendone,  e  il  demonio,  a'  nostri  danni, 
Assottigliando  lor  via  più  la  mente. 
Ne  ritrovaron  1'  uso  finalmente. 

24.  Italia  e  Francia ,  e  tutte  1'  altre  bande 
Del  mondo  bau  poi  la  crudel'  arte  appresa. 
Alcuno  il  bronzo  in  cave  forme  spande, 
Che  liquefatto  ha  la  fornace  accesa; 

Bugia  altri  il  ferro;  e  ehi  picciol,  chi  grande 
Il  vaso  forma,  che  più  e  meno  pesa; 
E  qual  bombarda,  e  qual  nomina  scoppio, 
Qual  semplice  cannon,  qual  cannon  doppio, 

25.  Qual  ssigra ,  qual  falcon  ,  qual  colubrina 
Sento  nomar,  come  al  suo  autor  più  aggrada, 
Che  '1  ferro  spezza,  e  i  marmi  apre  e  mina, 
E ,  ovunque  passa ,  si  fa  dar  la  strada. 
Rendi ,  miser  soldato  ,  alla  fucina 

Pur  tutte  r  arme,  eh'  hai,  fino  alla  spada, 

E  in  spalla  un  scoppio ,  o  un  arcobugio  prendlf 

Che  senza ,  Io  so ,  non  toccherai  stipendj. 

26.  Come  trovasti,  o  scellerata  e  brutta 
Invcnziiin,  mai  loco  in  uman  core? 
Per  te  la  militar  gloria  è  distrutta, 

Per  te  il  mestier  dell'  arme  è  senza  onore; 
Per  te  è  il  valore  e  la  virtù  ridotta, 
Che  spesso  par  del  Ituono  il  rio  migliore; 
Non  più  la  gagliardia ,  non  più  1'  ardire 
Per  te  può  in  campo  al  paragon  venire. 

27.  Per  te  son  giti  ed  anderan  sotterra 
Tanti  signori  e  cavalieri  tanti, 
Primachè  sia  finita  questa  guerra, 
Cile    1  nutndc»,  ma  più  Italia,  ha  messo  in  pianti. 
Cile,  s'   io  v'  ho  dett(»,  il  detto  mio  non  erra, 
Che  ben  fu  il  più  crudele,  e  il  più  di  quanti 
Mai  furo  al  mondo  ingegni  empj   e  maligni, 
Clii  immaginò  sì  abbominosi  ordigni. 

28.  E  crederò,  che  Dìo,  perchè  vendetta 
Ne  sia  in  eterno,  nel  profondo  chiuda 
I)(;l  cieco  abisso  quella  maladetta 
Anima  appresso  al  maladetto  Giuda. 
Ma  ^cguitiaulo  il  cavalier.  che  in  fretta 
Itrama  trovarsi  all'  isola  d'  Ebuda, 
Dove  le   liellt^  donne  e  delicate 

Son  per  vivanda  a  uu  mariu  mostro  date. 


[121] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XI.   29  -  «  ) 


[122] 


29.  Ma  quanto  avea  più  fretta  il  paladino, 
Tanto  parca  che  men   V  avesse  il  vento. 
Spiri ,  o  dal  lato  destro ,  o  dal  timncino, 
O  nelle  poppe ,  sempre  è  cojÌ  lento, 
Che  si  può  far  con  lui  poco  camiiiino, 

E  rimanea  tal  volta  in  tutto  spento. 
Soffia  talor  sì  avverso,  che  gli  è  forza 
0  di  tornare,  o  d'  ir  girando  all'  orza. 

30.  Fu  volontà  di  Dio ,  che  non  venisse, 
Priraachè  '1  re  d'  Ibernia,  in  quella  parte; 
Perchè  con  più  facilità  seguisse 

Quel,  c:h'  udir  vi  farò  fra  poche  carte. 
Sopra  r  isola  sorti.  Orlando  disse 
Al  suo  n()C(;hiero  :  Or  qui  potrai  fcrinarte, 
E  '1  hattel  darmi  ;  che  portar  mi  voglio, 
Senz'  altra  compagnia ,  sopra  lo  scoglio  ; 

31.  E  voglio  la  maggior  gómona  meco, 

E  r  àncora  maggior ,  eh'  abbi  sul  legno. 

Io  ti  farò  veder,  perchè  1'   arreco, 

Se  con  quel  mostro  ad  affrontar  mi  vegno. 

Gittar  fé'  in  mare  il  pali.*chermo  seco. 

Con  tutto  quel ,  eh'  era  atto  al  suo  disegno  ; 

Tutte  r  arme  lasciò ,  fuorché  la  spada, 

E  ver  lo  scoglio  sol  prese  la  strada. 

32.  Si  tira  i  remi  al  petto,  e  tien  le  spalle 
Volte  alla  parte,  ove  discender  vuole; 

A  guisa  che,  del  mare ,  o  della  valle 
Uscendo  al  lito,  il  salso  granchio  suole. 
Era  neir  ora,  che  le  chiome  gialle 
La  bella  Aurora  avea  spiegate  al  sole, 
"Mezzo  scoperto  ancora ,  e  mezzo  ascoso, 
Kon  senza  sdegno  di  Titon  geloso. 

83.     Fattosi  appresso  al  nudo  scoglio,  quanto 
Potria  gagliarda  man  gittare  un  sasso, 
Gli  pare  udire  e  non  udire  lui  pianto. 
Si  all'  orecchie  gli  vien  debole  e  lasso. 
Tutto  si  volta  sul  sinistro  canto, 
E ,  posto  gli  occhj  appresso  all'  onde  al  basso, 
Vede  una  donna  nuda,  come  nacque. 
Legata  a  un  tronco,   e  i  pie  le  bagnan  I'  acque 

34.  Perchè  gli  è  ancor  lontana ,  e  perchè  china 
La  faccia  tien,  non  ben  ,  chi  sia,  discerne. 
Tira  in  fretta  ambi  ì  remi,  e  s'  avvicina 
C(m  gran  disio  di  più  notizia  averne  : 

Ma  mugghiar  sente  in  questo  la  marina, 
E  rimbomltar  le  selve  e  le  caverne; 
Gonfiansi  F  (»nde,  ed  c(-co  il  iiutstro  appare, 
Che  sotto  il  petto  ha  quasi  ascuso  il  uuu'C> 

35.  Come  d'  oscura  valle  umida  ascende 
Nube  di  pioggia  e  di  tempesta  pregna, 
Che,  più  che  <;ie(a   notte,  si  distende 

Per  tutto  il  mondo ,  e  par  che  '1    giorno  spegna 
Così  nuota  la  fera,  e  del  mar  prende 
Tanto,  che  si  |)uò  dir,  che  tutto  il  tegna. 
Frenu)no  1'  onde.    Orlando  in  sé  raccolto 
La  mira  allìer,  né  cangia  cor,  né  \olto: 

'•jiì.      \]  come  quel,  eh'  avea   il  pcnsier  ben  fermo 
Di  quanto  volea  far,  si  ino.-sf?  ratto; 
E  perché  alla  donzella  essere  schermo, 
V.  la  fera  a.ssalir  potesse  a  un  tratto, 
Entrò  fra   T  orca  e  lei  col  palischrruu), 
IS(;1  fodero  biM-iiindo  il  brando   piatto  ; 
L'  lincora  <-ou  la  gómona  in  man  preso, 
Poi  con  gran  cor  T  orribil  mostro  attese. 


37.  Tostochè  r  orca  s'  accostò ,  e  scopei-sc 
Lui  nello  s<hifo  con  poco  intervallo, 
Per  inghiottirlo  tanta  bocca  aperse, 

Ch'  entrato  un  uomo  vi  saria  a  cavallo. 
Si  spinse  Orlando  innanzi ,  e  se  1'  immerse 
Con  quella  àncora  in  gola,  e,  s'  io  non  fallo. 
Col  battello  anco,  e  l'  àncora  attaccolle 
E  nel  palato  e  nella  lingua  molle; 

38.  Sicché  né  più  si  pon  calar  di  sopra. 
Né  alzar  di  sotto  le  mascelle  orrende; 
Cosi,  chi  nelle  mine  il  ferro  adopra. 
La  terra ,  ovunque  si  fa  via ,  sospende. 
Che  subita  n'iina  non  lo  copra, 
Mentre  mal  cauto  al  suo  lavoro  intende. 
Da  un  amo  all'  altro  l'  àncora  è  tanto  alta, 
Che  non  v  '  arriv  a  Orlando ,  se  non  salta. 

39.  flesso  il  puntello ,  e  fattosi  sicuro. 

Che  'l  mostro  più  serrar  non  può  la  bocca. 
Stringe  la  spada ,  e  per  queir  antro  oscuro 
Di  qua  e  di  là  con  tagli  e  punte  tocca. 
Come  si  può ,  poiché  son  dentro  al  muro 
Giunti  i  nemici,  ben  difender  rocca, 
Cosi  difender  1'  orca  si  potea 
Dal  paladin ,  che  nella  gola  avea. 

40.  Dal  dolor  vinta,  or  sopra  il  mar  si  lancia, 
E  mostra  i  fianchi  e  le  scagliose  schiene. 
Or  dentro  vi  si   attuffa,  e  con  la  pancia 
Muove  dal  fondo ,  e  fa  salir  1'  arene. 
Sentendo  1'  acqua  il  cavalier  di  Francia, 
Che  troppo  abbonda,  a  nuoto  fuor  ne  viene. 
Lascia  1'  ancora  fitta  ,  e  in  mano  prende 

La  fune,  che  dall'  àncora  depende, 

41.  E  con  quella  ne  vien  nuotando  in  fretta 
Verso  lo  scoglio ,  ove ,  fermato  il  piede, 
Tira  r  àncora  a  sé ,  che  'n  bocca  stretta 
Con  le  due  punte  il  brutto  mostro  fiede. 
li'  orca  a  seguire  il  cànape  è  costretta 
Da.  quella  forza ,  eh'  ogni  forza  eccede  — 
Da  quella  forza,  «he  più  in  una  sc'ossa 
Tira,  che  in  dieci  un  àrgano  far  possa. 

42.  Come  toro  salvatico,  eh'  al  corno 
Gittar  si  senta  un  improvviso  laccio, 
Salta  di  qua,  e  di  là,  s'  aggira  intorno. 

Si  colca  e  leva ,  e  non  può  uscir  d'  impiiccio  : 
Cosi  fuor  del  suo  antico  aluu)  soggiorno 
L'  orca  tratta  per  forza  di  quel  braccio, 
Con  mille  guizzi  e  mille  strane  ruote 
Segue  la  fune,  e  scior  non  se  ne  puotc. 

43.  Di  bocca  il  sangue  in  tanta  copia  fonde. 
Che  questo  oggi  il  mar  rosso  si  può  dire, 
Dove  in  tal  guisa  ella  percuote  1"  onde, 
(;ir  in.-ino  al  fondo  le  \edrcste  aprire; 

Ed  or  ne  bagna  il  cielo,  e  il  lume  asconde 
Del  chiaro  sol,  tanto  h-  fa  salire. 
Uimbombano  al  rmuor.  che  intorno  s 
Le  seUe,  i  nutnti ,  e  le  lontane  prode 


ode, 
quando 


44.      Fuor  della  grotta  il  vecchio  Proteo 
Ode  tanto  rumor,  sopra  il  mar  e.-ce, 
E,  visto  entrare  e  uscir  dell'  orca  Orlando, 
E  al  lito  trar  si  suii>urato  pesc(>, 
l''ugge  per  V  allo  Oceano,  obbllando 
Lo  sparro  gregge;  e  sì  il  tumtillo  cr('>ce. 
Che  ,    fatto  al  carro  i  >uoi  dcllini  [xirre. 
Quel  dì  Nettuno  in  Etiopia  corre. 


[123] 


ORLANDO  FURIOSO.     fXL  45-60) 


45.  Con  Melicerta  in  collo  Ino  piangendo, 
E  le  Nercidi  co'  capelli  sparsi, 

Glauci  e  Tritoni,  e  gli  altri,  non  sapendo 
Dove,  chi  qua,  chi  là  van  per  salvarsi. 
Orlando  al  lito  trasse  il  pesce  orrendo, 
Col  qnal  non  bisognò  più  affaticarsi; 
Che  pel  travaglio  e  per  V  avuta  pena 
Prima  morì,  che  fosse  in  suU'  arena. 

46.  Dell'  isola  non  pochi  erano  corsi 
A  riguardar  quella  battaglia  strana, 

I  quai,  da  vana  religion  rimorsi, 
Così  sant'  opra  riputar  profana; 

E  dicean,  che  sarebbe  un  nuovo  torsi 
Proteo  nemico ,  e  attizzar  1'  ira  insana. 
Da  fargli  porre  il  maria  gregge  in  terra, 
E  tutta  rinnovar  1'  antica  guerra; 

47.  E  che  meglio  sarà  di  chieder  pace 
Prima  all'  oileso  Dio,  cìie  peggio  accada: 
E  questo  si  farà,  quando  V  audace 
Gittato  in  mare  a  placar  Pròteo  vada. 
Come  dà  fuoco  V  una  ali"  altra  face, 

E  tosto  alluma  tutta  una  contrada. 

Così  d'  un  cor  nell"  altro  si  diffonde 

L'  ira ,  che  Orlando  vuol  gittar  nell'  onde. 

48.  Chi  d*  una  fromba,  e  chi  d'  un  arco  armato, 
Clii  d'   asta,  chi  di  spada,  al  lito  scende, 

E  dinnanzi  e  di  dietro,  e  d'  ogni  lato, 
Lontano  e  appresso ,  a  più  poter  1'  oflende. 
Di  si  bestiale  insulto ,  e  troppo  ingrato, 
Gran  maraviglia  il  paladin  si  prende. 
Pel  mostro  ucciso  ingiuria  far  si  vede. 
Dove  aver  ne  sperò  gloria  e  mercede. 

49.  Ma,  come  1'  orso  suol,  che  per  le  fiere 
Menato  sia  da  Russi  o  Lituani, 
Passando  per  la  via,  poco  temere 

L'  importuno  abbajar  de'  picciol  cani, 
Che  pur  non  se  li  degna  di  vedere: 
CoM  poco  temea  di  que'  villani 

II  paladin,  clie  con  un  soffio  solo 
INc  potrà  fracassar  tutto  lo  stuolo. 

50.  E  ben  si  fece  far  subito  piazza, 
Cile  lor  si  volse,  e  Durindana  prese. 
S'  avea  creduto  quella  gente  pazza, 
Che  le  dovesse  far  poclie  contese, 
Quando  né  indosso  gli  vedca  corazTU, 

iSè  scudo  iu  braccio,  né  alcun  altro  arnese; 
Bla  non  sajìca  che,  dal  capo  alle  piante, 
Dura  la  pelle  avea  più  che  diamante. 

51.  Quel  clie  d'  Orlando  agli  altri  far  non  lece. 
Di  far  degli  altri  a  lui  già  non  è  tolto  : 
Trenta  ne  uccise ,  e  fm-o  in  tutto  die«e 
Dotte;  o,  se  più,  non  le  passò  di  molto. 
Tosto  intorno  sgombrar  1'  arena  fece, 

E  i>i'r  hlegar  la  donna  era  già  v(tlto, 
Quanilo  nuovo  tumulto  e  nuovo  grido 
le    risonar  da  un'  altra  parte  il  lido. 

52.  Mentre  avea  il  paladin  da  questa  banda 
Co>ì  tenuto  i  biir!)ari  ÌMi|iediti, 

Eran  m-ii/.u  <'ontra^to  (pici  iP  Irlanda 
Da  più   parli  imU'  i.^ola  salili, 
E,  spenta  ogni   pielà  ,  strage  nefanda 
Dì  cpiel   |Mi|Mil  laccali  p«-r  liitli  i  liti  : 
Eo^Be  giii-lizìa ,   o  losse  ci  udeltadc, 
^è  bCbau  riguardavano,  uè  elude. 


[124]; 


53.     Nessun  i-ipar  fan  gì'  isolani,  o  poco; 
Parte,  che  colti  son  troppo  jni|)roA^iso, 
Parte,  che  poca  gente  ha  il  picciol  loco, 
E  quella  poca  è  di  nessuno  avviso. 
L'  aver  fu  messo  a  sacco,  e  messo  fuoco 
Fu  nelle  caso,  il  popolo  fu  ucciso. 
Le  mura  fur  tutte  adeguate  al  suolo. 
Non  fu  lasciato  vivo  un  capo  solo. 

51.      Orlando  .  come  gli  appartenga  nulla 
L'  alto  rumor,  le  strida  e  la  mina, 
"^  iene  a  colei,  che  sulla  pietra  brulla 
Avea  da  divorar  1'  orca  marina. 
Guarda,  e  gli  par  conoscer  la  fanciulla, 
E  più  gli  pare,  più  che  s'  anicina: 
Gli  pare  Olimpia  ;  ed  era  Olìmpia  certo. 
Che  di  sua  fede  ebbe  sì  iniquo  merto. 

55.  Misera  Olimpia,  a  cui  dopo  lo  scorno, 
Che  le  fé'  Amore,  anco  Fortuna  cruda 
Mandò  i  corsari,  e  fu  il  medesmo  giorno, 
Che  la  portare  all'  isola  d'  Ebuda. 
Riconosce  ella  Orlando  nel  ritorno, 
Che  fa  allo  scoglio;  ma,  perdi'  ella  è  nuda, 
Tien  basso  il  capo  ;  e  non  che  non  gli  parli, 
Bla  gli  occhj  non  ardisce  al  viso  alzarli. 

56.  Orlando  domandò,  che  iniqua  sorte 
L'  avesse  fatta  all'  isola  venire. 
Di  là ,  dove  lasciata  col  consorte 
Lieta  r  avea,  quanto  si  può  più  dire? 
Non  so,  disse  ella,  s'  io  v'iio,  che  la  morte 
Voi  mi  schiva>te,  grazie  a  riferire, 
O  da  dolermi,  che  per  voi  non  sia 
Oggi  finita  la  miseria  mia. 

57.  Io  v'  !io  da  ringraziar,  eh'  una  maniera 
Di  morir  mi  schivaste  troppo  enorme; 
Che  troppo  saria  enorme ,  se  la  fera 
Nel  brutto  ventre  avesse  avuto  a  porrne: 
Ma  già  non  vi  ringrazio ,  eh'  io  non  pera  ; 
Che  morte  sol  può  di  miseria  torme. 
Ben  vi  ringrazierò ,  se  da  voi  darmi 
Quella  vedrò,  che  d'  ogni  duol  può  trarmi. 

58.  Poi  con  gran  pianto  seguitò,  dicendo, 
Come  Io  sposo  suo  1'  avea  tradita; 
Che  la  lasciò  suU'  isola  dormendo. 
Donde  ella  poi  fu  dai  corsar  rapita. 
E,  mentre  ella  parlava,  rivolgendo 
S'  andava  in  quella  guisa,  che  scolpita 
O  dipinta  è  Diana  nella  fonte, 
Che  getta  1'  acqua  ad  Attenne  in  fronte: 

59.  Che,  quanto  può,  nasconde  il  petto  e'I  ventre, 
Pili  liberal  de'  fianchi  e  delle  rene. 
Brama  Orlando,  che  in  porto  il  suo  legno  entre; 
Che  lei .  «;he  sciolta  avea  «lallc  catene, 
A  orria  coprir  d'  alcuna  vesta.  Or  mentre 
(Jir  a  ((ue>to  è  intento ,  Oberto  sopravv  iene, 
Oberto,  il  re  d'  Ibcrnìa,  eh'  a>ea  inteso, 
Che  '1  luarin  mostro  era  sul  lito  steso, 

CO.      E  clic  nuotando  un  cavaliero  era  ito 
A  jioigli  ili  gola  un'  iincora  assai  grave, 
E  cl:c   r  avea  co^ì  tirato  al  lito. 
Come  fti  suol  tirar  coiitr'  acqua  nave. 
Oblilo,  per  Acder,  se  riferito 
('(lini ,  da  chi  1'  lia  inteso ,  il  vero  gli  havc. 
Se  ne  aìcu  quivi,  e  la  sua  genie  intanto 
Arde  e  distrugge  Ebuda  in  ogni  canto. 


[125] 


ORLANDO  FURIOSO.     CXI.   61  — TC) 


[126] 


61.  n  re  d'  Ilternia,  ancorché  fosre  Orlando 
Dì  sangue  tinto,  e  d'  acqua  molle  e  brntto, 
Brutto  del  sangue ,  che  si  tras.*e ,  quando 
Uscì  dell'  orca ,  in  eh'  era  entrato  tutto, 
Pel  conte  I'  andò  pur  raffigurando; 

Tanto  più ,  che  nell'  animo  avea  ìndutto, 

Tostocliè  del  valor  sentì  la  nuova, 

Ch'  altri,  eh'  Orlando,  non  faria  tal  prova. 

62.  Lo  conoscea,  perdi'  era  stato  infante 
D'  onore  in  Francia;  e  se  n'  era  partito, 
Per  pigliar  la  corona,  1'  anno  innante, 
Del  padre  suo,  ch'aera  di  vita  uscito. 
Tiinte  volte  veduto  ,  e  tante  e  tante 

Gli  avea  parlato,  eh'  era  in  infinito. 
Lo  corse  ad  abbracciare  e  a  fargli  festa, 
Trattasi  la  celata ,  eh'  avea  in  testa. 

63.  Non  meno  Orlando  di  veder  contento 
Si  mostrò  il  re,  che  'l  re  di  AcHcr  lui. 
Poiché  furo  a  iterar  1'  abbracciaracnto 
Una  o  due  volte  tornati  aniJiedui, 
]Varrò  ad  Obcrto  Orlando  il  tradimento, 
Che  fu  fatto  alla  giovane,  e  da  cui 
Fatto  le  fu  :  dal  perfido  liircno. 

Che  via  d'  ogni  altro  lo  dovea  far  meno. 

64.  Le  prove  gli  narrò,  che  tante  volte 
Ella  d'  amarlo  dimostrato  avea; 
Come  i  parenti  e  le  sostanze  tolte 

Le  furo,  e  alfin  per  lui  morir  volea; 
E  eh'  esso  testimonio  era  di  molte, 
E  renderne  buon  conto  ne  potca. 
Mentre  parlava .  i  begli  occhj  sereni 
Della  donna  di  lagrime  eran  pieni. 

65.  Era  il  bel  viso  suo ,  qual  esser  suole 
Dì  primavera  alcuna  volta  il  cielo. 

Quando  la  pioggia  cade,  e  a  un  tempo  il  sole 

Sì  sgombra  intorno  il  nubiloso  velo. 

E ,  come  il  rosignnol  dolci  carole 

Mena  ne'  rami  allor  del  verde  stelo  : 

Così  alle  belle  lagrime  le  piume 

Si  bagna  Amore,  e  gode  al  chiaro  lume: 

66.  E  nella  face  de'  begli  occhj  accende 
L'  aurato  strale,  e  nel  ruscello  ammorza, 
Che  tra  vermigli  e  bianchi  fiori  scende; 
E,  tem|)rato  che  1'  ha,  tira  di  forza 
Contra  il  garzon ,  «:Iie  ne  scudo  dil'ende, 
Né  maglia  doppia,  ne,  ferrigna  scorza; 

Che,  mentre  sta  a  mirar  gli  occhj  e  le  chiome, 
Si  sente  il  cor  ferito,  e  non  sa  come. 

67.  Le  bellezze  d'  Olimpia  eran  di  quelle, 
Che  son  più  rare  ;  e  non  la  fronte  sola. 

Gli  occhj  e  le  guance  e  i»;  i^hioiiK^  a^«•a  belle, 
La  bocca,  il  naso,  gli  omeri,  e  la  gola; 
Mti  disccndend(»  giù  dalle  mammelle, 
Lo  parli,  che  solca  (-oprir  la  stola, 
Far  di  tanta  eccellenza ,  eh'  aiiteporse 
A  quante  n'  avea  il  mondo ,  poteau  forse. 

68.  Vinceano  di  candor  le  nevi  intatte, 
Ed  eran  più  cb'  avorio  a  toccar  molli. 
Le  poppe  ritondctte   parcau   laUc, 

C;iie  fuor  de'  gimicbi  alliua  allora  tulli: 
Spazio  fra  lor  tal  disceiulea ,  qual  fatte 
EsM-r  vcggiaiu   \'v,i  piccolini  colli 
L'  ombrose  valli,  in  sua  stagione  amene. 
Che  '1  verno  abbia  di  neve  allora  piene. 


09.  I  rilevati  fianchi ,  e  le  belle  anche, 

E  netto ,  più  che  specchio ,  il  ventre  piano, 

Pareano  fatti,  e  quelle  cosce  bianche. 

Da  Fidia  a  torno,  o  da  più  dotta  mano. 

Dì  quelle  parti  debbovì  dir  anche, 

Cile  pur  celare  ella  bramava  in  vano? 

Dirò  in  somma,  che  in  lei,  dal  capo  al  piede, 

Quant'  esser  può  beltà,  tutta  si  vede. 

10.  Se  fosse  stata,  nelle  vaUì  idée. 

Vista  dal  pastor  frigio,  io  non  so  quanto 
Vener,  scbben  vincea  quell'  altre  Dee, 
Portato  avesse  di  bellezza  il  vanto; 
Kè  forse  ito  saria  nelle  amìclée 
Contrade  esso  a  violar  l'  ospizio  santo; 
Ma  detto  avria:  Con  iMencIao  ti  resta. 
Elena,  pur;  eh'  altra  io  non  vo'  che  questa. 

71.      E,  se  fosse  costei  stata  a  Crotone, 
Quando  Zeusi  l'  immagine   far  volse. 
Che  por  dovea  nel  tempio  di  Giunone, 
E  tante  belle  nude  insieme  accolse, 
E  che,  per  una  farne  in  perfezione. 
Da  chi  una  parte,  da  chi  un'  altra  tolse, 
Non  avea  da  torre  altra  che  coseti; 
Che  tutte  le  bellezze  erano  in  lei. 

73.      Io  non  credo,  che  mai  Bireno  nudo 
Vedesse  quel  bel  corpo;  eh'  io  son  certo. 
Che  stato  non  saria  mai  così  crudo, 
Clie  r  avesse  lasciata  in  quel  deserto. 
Che  Oberto  se  n'  accende,  io  vi  concludo. 
Tanto,  che  '1  fuoco  non  può  star  coperto: 
Si  studia  consolarla,  e  darle  speme, 
di'  uscirà  in  bene  il  mal,  eh'  ora  la  preme. 

73.  E  le  promette  andar  seco  in  Olanda  ; 
Né,  finché  nello  stato  la  rimetta, 

E  eh'  abbia  fatto  giusta  e  memoranda 
Dì  quel  perjuro  e  traditor  vendetta, 
Non  cesserà  con  ciò,  che  po>sa  Irlanda, 
E  lo  farà,  quanto  potrà  più,  in  fretta: 
Cercare  intanto  in  quelle  case  e  in  queste 
Facea  dì  gonne  e  dì  femminee  veste. 

74.  Bisogno  non  sarà,  per  trovar  gonne, 
Cli'  a  cercar  fuor  dell'  ìsola  si  mande  ; 
Ch'  ogni  di  se  n'  avea  da  quelle  donne. 
Che  dell'  avido  mostro  eran  vivande. 
Non  fé'  molto  cercar,  che  ritrovonne 
Di  varie  f*>gge  Olterto  copia  grande. 

E  fé'  vestire  Olimpia;  e  ben  gì"  increbbe 
Non  la  poter  vestir,  come  vorrcbc. 

75.  Ma  nò  sì  bella  seta ,  o  sì  fin  ore. 
Mai  Fiorentini  industri  tcs.<er  fenno, 
Né  chi  ricama,  lece  mai  la^oro, 
Postovi  tempti.  diligenza  e  siim<». 
Che  potesse  a  costui  panr  decoro. 

Se  l(»  fes.s<^  :\Iiiurva.  o  il  Dio  di  Lenno ; 

E  degno  di  coprir  sì  lielle  membre. 

Ole  forza  é  ad  ora  ad  or  >e  ne  rimendtre. 

76.  Per  più  rispetti   il   paladino  molto 
Si  dimo-trò  di  questo  amor  contento; 
Cbè,  «dtre  clie  'I  re  non  lascerebbe  assolto 
Bireno  andar  di  tanto  tradimento. 
Sarchile  aiM-h"  «-s-o ,  per  tal  mezzo,  tolto 
Di  grave  e  di  nojoso  iinpe<limento. 
Quivi,  non  per  Olimpia,  ma  venuto 

Per  dar,  se  v'  era,  alla  sua  donna  ajnto. 


[127]  ORLANDO   FURIOSO.     (XI.    17-83.     XII.  1  —  4) 


[128] 


78 


77.      Ch'  ella  non  v'  era ,  si  chiarì  di  corto, 
Ma  già  non  si  chiarì,  se  v'  era  stata  ; 
Perchè  ogni  nomo  nell'  isola  era  morto, 
Né  un  sol  rimaso  di  sì  gran  brigata. 
n  di  seguente  si  partir  del  porto, 
E  tutti  insieme  andaro  in  mi'  armata. 
Con  loro  andò  in  Irlanda  il  paladino  ; 
Che  fu,  per  gire  in  Francia,  il  suo  cammino. 

Appena  un  giorno  si  fermò  in  Irlanda; 
Non  valser  preghi  a  far,  che  più  \ì  stesse: 
Amor,  che  dietro  alla  sua  donna  il  manda, 
Di  fermarvisi  più  non  gli  concesse. 
Quindi  si  parte,  e  prima  raccomanda 
Olimpia  al  re,  e  che  servi  le  promesse; 
Benché  non  bisognasse;  che  le  attenne 
Molto  più  che  di  far  non  si  convenne. 

Così,  fra  pochi  dì  gente  raccolse, 
E  fatto  lega  col  re  d'   Inghilterra, 
E  con  r  altro  di  Scozia,  gli  ritolse 
Olanda ,  e  in  Frisa  non  gli  lasciò  terra  ; 
Ed  a  ribellione  anco  gli  volse 
La  sua  Selandia;  e  non  finì  la  guerra, 


79 


80, 


Olimpia  Oberto  si  pigliò  per  moglie, 
E  di  contessa  la  fé'  gran  regina. 
Ma  ritorniamo  al  pahniin  ,  che  scioglie 
Nel  mar  le  vele,  e  notte  e  dì  cammina; 
Poi  nel  medesmo  porto   le  raccoglie. 
Donde  pria  le  spiegò  nella  marina  ; 
E  sul  suo  Brigliadoro  armato  salse, 
E  lasciò  addietro  i  venti  e  1'  onde  salse. 


81 


Credo ,  che  'I  resto  di  quel  verno  cose 
Facesse ,  degne  di  tenerne  conto  ; 
Ma  fur  sin'  a  quel  tempo  sì  nascose, 
Che  non  è  colpa  mia,  s'*or  non  le  conto: 
Perchè  Orlando  a  far  1'  opre  virtuose 
Più ,  che  a  narrarle  poi ,  sempre  era  pronto  ; 
Né  mai  fu  alcuno  de'  suoi  fatti  espresso. 
Se  non  quando  ebbe  i  testimonj  appresso. 

82.     Passò  il  resto  del  verno  cosi  cheto. 
Che  di  lui  non  si  seppe  cosa  vera; 
]\Ia  poiché  '1  sol  nell"  animai  discreto 
Che  portò  Friso .  illuminò  la  sfera, 
E  Zefiro  tornò  soave  e  lieto 
A  rimenar  la  dolce  primavera, 
D'  Orlando  usciron  le  mirabìl  prove 
Co'  vaghi  fiori  e  con  l'  erbette  nove. 


Clie  gli  die  morte:  né  però  fu  tale 
La  pena,  eh'  al  delitto  andasse  eguale 

83.      Di  piano  in  monte  ,  e  di  campagna  in  lido, 
Pien  di  travaglio  e  di  dolor  ne  già. 
Quando,  all'  entrar  d'  un  bosco,  un  lungo  grido, 
Un  alto  duol  l'  orecchie  gli  feria. 
Spinge  il  cavallo ,  e  piglia  il  brando  fido, 
E,  donde  viene  il  suon,  ratto  s'  invia. 
Ma  differisco  un'  altra  volta  a  dire 
Quel,  che  seguì,  se  mi  vorrete  udire. 


CANTO     DUODECIMO 


ARGOMENTO. 

Orlando  seguitando  un  cavaliero, 
Ch'  Angelica ,  il  suo  ben ,  ne  porta  via. 
Arriva  ad  un  palazzo,  ove  Ruggiero 
Giunse  insieme ,  e  'l  gigante  in  compagnia. 
Orlando  n'  esce ,  ed  è  al  litigio  fiero 
Con  Ferrali ,  che  V  cimo  suo  desia. 
Fa  co'  pagani  una  lodcvol  prova. 
Indi  Isabdla  in  una  grotta  trova. 


1.     Cerere,  poiché  dalla  madre  idea 
T(»rnando  in  fretta  alla  solìnga  valle, 
lià ,  dove  calca  la  montagna  etnèa 
Al  fulminato  Kncclado  le  s|)alle, 
La  figlia  non  trovò,  dove  1'  avca 
l^ifciata,  fuor  d    ogni  segualo  calle; 
Fatto  cU'  eblK!  alle  gnauic,  al   petto,  ai  crini 
E  agli  occhj  danno,  alfin  svelse  due  pini, 


2.  E  nel  fuoco  gli  accese  di  Vulcano, 

E  die'  lor  non  potere  esser  mai  spenti  ; 
E  portandosi  questi,  imo  per  mano, 
Sul  carro ,  che  tiravan  due  serpenti, 
Cercò  le  selve ,  i  campi ,  il  monte ,  il  piano, 
Le  valli ,  i  fiumi ,  gli  stagni ,  i  torrenti, 
La  terra  e  '1  mare  ;  e  poiché  tutto  il  mondo 
Cercò  di  sopra,  andò  al  tartareo  fondo. 

3.  Se  in  poter  fosse  stato  Orlando  pare 
All'  eleusina  Dea,  come  in  disio. 

Non  avria,  per  Angelica  ccirare, 
Las<:iato  o  selva,  o  campo,  o  stagno,  o  rio, 
O  valle,  o  monte,  o  piano,  o  terra,  o  mare, 
Il  cielo ,  e  'l  fondo  dell'  eterno  obblio  ; 
Ma  poiché  '1  carro  e  i  draghi  non  aven, 
La  già  cercando  al  meglio  che  potea. 

4.  L'  ha  cercata  per  Francia;  or  s'  apparecchia 
Per  Italia  cercarla  e  per  Lamagna, 

Per  la  nuova  Castiglia  e  per  la  vecchia, 
E  poi  passare  in  Libia  il  mar  di  Spagna. 
Mentre  pensa  così,  sente  all'  orecchia 
l'na  ^oce  venir,  che  par  che  piagna. 
Si  spinge  innanzi ,  e  sopra  un  gran  destriero 
Tnittar  si  \ede  innanzi  un  cavaliero, 


[129] 


ORLANDO  FURIOSO.  (XU.  5—20  ) 


[130] 


5.  Che  porta  in  braccio  e  suU'  arcion  davante 
Per  forza  una  mestìssinia  donzella. 

Piiinge  ella,  si  dibatte,  e  fa  sembiante 

Di  gran  dolore ,  ed  in  soccorso  appella 

Il  valoroso  prìncipe  d'  Anglante, 

Che,  come  mira  la  giovane  bella. 

Gli  par  colei ,  per  cui  la  notte  e  'I  giorno 

Cercato  Francia  avea  dentro  e  d'  intorno. 

6.  Non  dico ,  eh'  ella  fosse ,  ma  parca 
Angelica  gentil ,  eh'  egli  tanto  ama. 
Egli ,  che  la  sua  donna  e  la  sua  dea 
Vede  portar  si  addolorata  e  grama, 
Spinto  dall'  ira  e  dalla  furia  rea, 

Con  voce  orrenda  il  ca>alier  richiama; 
Richiama  il  cavaliero  e  lo  minaccia, 
E  Brigliadoro  a  tutta  briglia  caccia. 

7.  IVon  resta  quel  fellon  ,  né  gli  risponde, 
All'  alta  preda  ,   al  gran  guadagno  intento, 
E  si  ratto  ne  va  per  quelle  fronde, 

Che  saria  tardo  a  >eguitarlo  il  vento. 
L'  un  fugge  e  1'  altro  caccia  ;  e  le  profonde 
Selve  s'  odon  sonar  d'  alto  lamento. 
Correndo  uscirò  in  un  gran  prato  ,  e  quello 
A\  ea  nel  mezzo  un  grande  e  ricco  ostello. 

8.  Di  varj  marmi  con  sottil  lavoro 
Enincato  era  il  palazzo  altiero. 
Corse  dentro  alla  porta  messa  d'  oro. 
Con  la  doirzella  in  braccio  ,  il  cavaliero. 
Dopo  non  molto  giunse  Brigliadoro, 
Clic  porta  Orlando  disdegnoso  e  fiero. 
Orlando,  come  è  dentro  ,  gli  occhj  gira, 
Kè  più  il  guerrier,  né  la  donzella  mira. 

9.  Subito  smonta,  e  fulminando  passa, 
Dove  più  dentro  il  bel  tetto  s'  alloggia  ; 
Corre  di  qua,  corre  di  là,  né  lassa. 

Che  non  vegga  ogni  camera ,  ogni  loggia. 
Poiché  i  secreti  d'  ogni  stanza  bas^a 
Ila  cerco  invan ,  su  per  le  scale  poggia, 
E  non  men  perde  anco  a  i-ercar  di  s(»pra. 
Che  perdesse  di  sotto ,  il  tempo  e  1'  opra. 

10.  D'  oro  e  di  seta  i  letti  ornati  vede  : 
Rulla  de'  muri  appar,  né  de'  pareti; 

Che  quelli ,  e  '1  suolo ,  ove  si  mette  il  piede, 
Son  da  cortine  ascosi  e  da  tappeti. 
Di  su  ,  di  giù  va  il  conte  Orlando  e  riedc, 
Ré  per  qiu;sto  può  far  gli  occhj  mai  lieti. 
Che  riveggiano  Angelica,    o  quel  ladro. 
Che  n'  ha  portato  il  bel  viso  leggiadro. 

11.  E  mentre  or  quinci,  or  quindi  invano  il   passo 
Movca ,  picn  di  travaglio  e  di  pensieri, 
Ferraù  ,  Hrandiniarte  v.  il  re  Gradasso, 

Re  Sa(-ripant(;  ed  altri  cavalieri 
\  i  ritrovò  ,  eh'  andavano  alto  e  basso, 
Ré  men  facean  di  lui  vani  sentieri, 
E  si  rauimarica^an  del  malvagio 
ln>isibil  signor  di  quel  palagio. 

12.  Tutti  cercando  il  van ,  tutti  gli  danno 
('ol|iii  di  furto  alcun  ,  i^Ih;  lor  fatto  iihbia. 
Del  deslrier,  che  gli  hit  tolto,    altri  è  in  affanno  ; 
Cir  aliliia  perduta  altri  la  donna,  arrabbia; 
Altri  d'  altro  l'  accusa;  e  cosi  statnio. 
Che  non  si  san  partir  di  quella  galtbia: 
E  vi  son  molti .  a  questo  inganno  pre«ii, 
Stali  le  settimane  intere  e  i  me&i. 


13.  Orlando ,  poiché  quattro  volte  e  sei 
Tutto  cercato  ebbe  il  palazzo  strano, 
Disse  fra  sé  :  Qui  in  dimorar  potrei 
Gìttare  il  tempo  e  la  fatica  invano, 

E  potria  il  ladro  aver  tratta  costei 
Da  im'  altra  uscita ,  e  molto  esser  lontano. 
Con  tal  pensiero  uscì  nel  verde  prato. 
Dal  qual  tutto  il  palazzo   era  aggirato. 

14.  Mentre  circonda  la  casa  silvestra, 
Tenendo  pure  a  terra  il  viso  chino, 

Per  veder ,  s'  orma  appare ,  o  da  man  destra, 
O  da«inistra,  di  nuovo  cammino. 
Si  sente  richiamar  da  una  finestra, 
E  leva  gli  occhj  ;  e  quel  parlar  divino 
Gli  pare  udire ,  e  par  che  miri  il  viso 
Che  r  ha  da  quel  che  fu ,  tanto  diviso. 

15.  Pargli  Angelica  udir,  cbe  supplicando 
E  piangendo  gli  dica:  Aita,  aita! 

La  mia  virginità  ti  raccomando 
Più  che  r  anima  mia,  più  che  la  vita. 
Dimquc  in  presenza  del  mio  caro  Orlando 
Da  questo  lariro  mi  sarà  rapita? 
Piuttosto  di  tua  man  dammi  la  morte, 
Che  venir  lasci  a  si  infelice  sorte! 

16.  Queste  parole  una  ed  un'  altra  volta 
Fauno  Orlando  tornar  per  ogni  stanza. 
Con  passione  e  con  fatica  m(»lta, 

Ma  temperata  pur  d'  alta  speranza. 
Talor  si  ferma,  ed  una  voce  ascolta. 
Che  di  quella  d'  Angelica  ha  sembianza, 
E  ,  s'  egli  è  da  una  parte,  suona  altronde. 
Che  chieggia  ajuto  ,  e  non  sa  trovar  ,  donde. 

17.  Ma  tornando  a  Ruggier,  eh'  io  lasciai,  quando 
Dissi,  che  per  sentiero  ombroso  e  fosco 

Il  gigante  e  la  donna  seguitando, 

In  un  gran  prato  uscito  era  del  bosco, 

1(»  di(H),  eh'  arrivò  qui,  dove  Orlando 

Dianzi  arrivò  (se  "1  loco  riconosco^. 

Dentro  la  porta  il  gran  gigante  passa  ; 

Ruggier  gli  é  appresso ,  e  di  seguir  non  lassa. 

18.  Tostoché  pon  dentro  alla  soglia  il  piede, 
Per  la  gran  corte  e  per  le  logge  mira, 

Ré  più  il  gigante ,  iiè  la  donna  v<'de, 

E  gli  occhj  indarno   or  quinci ,  or  quindi  aggira 

Di  su ,  di  giù  va  molte  volte  e  riede, 

Ré  gli  siiciedc  mai  quel  cbe  desira. 

Ré  si  sa  iuuuaginar,  dove  sì  tosto 

Con  la  diuuia  il  fellon  >i  sia  nascosto. 

19.  Poiché  rivisto  ha  quattro  volte  o  cinque 
Di  su,  di  giù,  camere  e  logge  e  sale. 
Pur  di  nuovo  ritorna  ,   e  non  relinque, 
(^he  non  ne  cerchi  fin  sotto  h^  scale. 

Con  epeme  alfin  ,  che  sian  nelle  propinque 
Selve,  si  parte;  ma  una  >oce.  (|nale 
Richiamò  Orlantlo ,  lui  chiamò  non  manco, 
E  nel  p.ilaz/o  il  fé"  ritornar  anco. 

20.  lina  voce  mcdcsma  ,  una  persona, 
CIk'  p. trota  era  Angelica  ìmI  Orlando, 
Parve  a  Unggic-  la  donn  i  di  Dordona, 
Clic  lo  tcnca  di  m'-  iMcdcsmo  in  hando. 
Se  con  (ìradasso,  o  con  alciui  ragiona 

Di  quei,   «h'  anda>an  nel  pala/./o  errando, 

A  tulli  par  chi;  quella  cosa  sia. 

Che  più  ciascun  per  tè  brama  e  desia. 

9 


[131] 


ORLANDO  FURIOSO.  (XII.  21-SO) 


[132] 


21.      Questo  era  un  nuovo  e  disusato  incanto, 
Ch'  avea  composto  Atlante  di  Carena, 
Perchè  Ruggier  fosse  occupato  tanto 
In  quel  travaglio ,  in  quella  dolce  pena. 
Che  '1  mal  influsso  n'  andasse  da  canto, 
L'  influsso,  eh'  a  morir  giovane  il  mena. 
Dopo  il  Castel  d'  acciar ,  che  nulla  giova, 
E  dopo  Alcina ,  Atlante  ancor  fa  prova. 

22.  Non  pur  costui ,  ma  tutti  gli  altri  ancora, 
Che  di  valore  in  Francia  hau  maggior  fama, 
Acciocché  di  lor  man  Ruggier  non  mora. 
Condurre  Atlante  in  questo  incanto  trama  : 
E  ,  mentre  fa  lor  far  quivi  dimora, 
Perchè  di  cibo  non  patiscan  brama, 
Si  ben  fornito  avea  tut:o  il  palagio. 
Che  donne  e  cavalicr  vi  stanno  ad  agio. 

23,  Ma  torniamo  ad  Angelica,  che  seco 
Avendo  queir  anel  miral)il  tanto, 

Che  in  bocca  a  veder  lei  fa  1'  occhio  cieco, 

Kel  dito  r  assicura  dall'  incanto  ; 

E  ritrovato  nel  montano  speco 

Cibo  avendo  e  cavalla ,  e  \cste ,  e  quanto 

Le  fu  bisogno,  avea  fatto  disegno 

Di  ritornare  in  India  al  suo  bel  regno. 

24.     Orlando  volentieri ,  o  Sacripante 

Voluto  avrebbe  in  compagnia:  non  eh'  ella 

Più  caro  avesse  1'  un,  che  1'  altro  amante, 

Anzi  di  par  fu  a  lor  desii  rubella; 

Ma  dovendo,  per  girsene  in  Levante, 

Passar  tante  città,  tante  castella, 

Di  compagnia  bisogno  avea,  e  di  guida; 

Né  potea  aver  con  altri  la  più  fida. 

^.     Or  r  uno,  or  1'  altro  andò  molto  cercando,. 
Primachè  indizio  ne  trovasse,  o  spia; 
Quando  in  cìttadi,  e  quando  in  ville,  e  quando 
In  alti  boschi,  e  quando  in  altra  via. 
Fortuna  alfin  là ,  dove  il  conte  Orlando, 
Ferraù  e  Sacripante  era ,  la  invia, 
Con  Ruggier,  con  Gradasso,  ed  altri  molti. 
Che  v'  avea  Atlante  in  strano  intrico  avvolti. 

26.      Quivi  entra,  che  veder  non  la  può  il  mago, 
E  cerca  il  tutto ,  ascosa  dal  suo  anello, 
E  trova  Orlando,  e  Si^cripante  v.ngo 
Di  lei  cercare  invan  per  quello  ostello. 
Vede  come ,  fingemlo  la  sua  immago. 
Atlante  usa  gran  fraude  a  questo  e  a  quello. 
Chi  tor  debba  di  lor ,  molto  rivolve 
Nel  suo  pensier,  nò  ben  se  ne  risolve. 

27.     Non  sa  stimar  ,  chi  sia  per  lei  migliore, 
Il  conte  Orlando ,  o  il  re  de'  ficr  Circassi. 
Orlando  la  potrà  con  più  valore 
Meglio  salvar  n<;'  perigliosi  passi  ; 
Ma,  se  sua  guida  il  fa,  sei  fa  signore, 
Ch'  ella  non  vede  come  poi  1'  abbassi, 
Qualunque  volta,  di  lui  sazia,  farlo 
\oglia  minore,  o  in  Francia  rimandarlo. 

28.     Ma  il  Circasso  depor,  quando  le  piaccia. 
Potrà  ,  se  ben  1'  a\ess«!  posto  in  cieb». 
Questa  solii  cagion  vuoi,  eh'  ella  il  faccia 
Sua  scorta,  e  mostri  avergli  fede  e  zelo. 
li'  anel  t^a^^c  di  boi^a ,  e  di  sua  faccia 
Levo  dagli  occlij  a  Sacripante  il  velo. 
Credette  a  lui  sol  dimostrarsi,  e  avvenne, 
^'h'  Oriundo  e  Ferraù  le  8upravvcmie. 


29.  Le  sopravvenne  Ferraù  ed  Orlando; 
Che  r  uno  e  1'  altro  parimente  giva 
Di  su,  di  giù,  dentro  e  di  fuor  cercando 
Del  gran  palazzo  lei ,  eh'  era  lor  diva. 
Corser  di  par  tutti  alla  donna,  quando 
Nessuno  incantamento  gì'  impediva; 
Perchè  1'  anel,  eh'  ella  si  pose  in  mano, 
Fece  d'  Atlante  ogni  disegno  vano. 

30.  L'  usbergo  indosso  aveano,    e  1'  elmo  In  teàta 
Due  di  questi  guerrier ,  de'  quali  io  canto. 
Né  notte  o  di,  dappoich'  entrare  in  questa 
Stanza,  gli  aveano  mai  messi  da  canto; 
Che  facile  a  portar ,  come  la  vesta, 
Era  lor,  perchè  in  uso  1'  avean  tanto. 
Ferraù  il  terzo  era  anco  armato,  eccetto 
Che  non  avea,  né  volea  avere  elmetto, 

31.  Finché  quel  non  avea,  che  '1  paladino 
Tolse  Orlando  al  fratel  del  re  Trojano: 
Ch'  allora  lo  giurò ,  che  1'  elmo  fino 
Cercò  dell'  Argalia  nel  fiume  invano  : 
E  se  ben  quivi  Orlando  ebbe  vicino. 
Né  però  Ferraù  pose  in  lui  mano. 
Avvenne,  che  conoscersi   tra  loro 
Non  si  poter,  mentre  là  dentro  foro. 

32.     Era  cosi  incantato  quelF  albergo, 
!  Che  insieme  riconoscer  non  poteansi. 

I         Né  notte  mai ,  né  di ,  spada  né  usbergo, 
Né  scudo  pur  dal  braccio  rimoveansi. 
I  lor  cavalli  con  la  sella  al  tergo, 
I         Pendendo  i  morsi  dall'  arcion,  pasceansi 
i         In  una  stanza ,  che  presso  all'  uscita 
!         D'  orzo  e  di  paglia  sempre  era  fornita. 

j   33.     Atlante  riparar  non  sa,  né  puote. 

Che  in  sella  non  rimontino  i  guerrieri. 
Per  correr  dietro  alle  vermiglie  gote, 
All'  auree  chiome ,  ed  a'  begli  occhj  neri 
I         Della  donzella,  che  in  fuga  percuote 
I         La  sua  giumenta,  perchè  volentieri 
j         Non  vede  li  tre  amanti  in  compagnia, 
I         Che  forse  tolti  un  dopo  l'  altro  avria. 

i   34.      E  poiché  dilungati  dal  palagio 

Gli  ebbe  sì ,  che  temer  più  non  dovea, 
Che  contra  lor  1'  incantator  malvagio 
Potesse  oprar  la  sua  fallacia  rea, 

I         L'  anel ,  che  le  schivò  più  d'  un  disagio, 

i  Tra  le  rosate  labbra  si  chiudea  ; 

Donde  lor  sparve  subito  dagli  occhj, 
E  li  lasciò  come  insensati  e  sciocchi. 

35.  Comeché  fosse  il  suo  priraier  disegno 
Di  voler  seco  Orlando  o  Sacripante, 
CU'  a  ritornar  1'  avessero  nel  regno 
Di  Galafron,  nell'  ultimo  Levante: 
Le  vennero  ambedue  subito  a  sdegno, 
E  si  mutò  di  voglia  in  un  istante, 
E  senza  più  obbligarsi  o  a  questo ,  o  S  quello, 
Pensò  bastar  per  ambedue  il  suo  anello. 

36.  Volgon  pel  bosco  or  quinci,  or  quindi  in  frot 
Quegli  scherniti  la  stupida  faccia, 
(!ome  il  cane  talor,  se  gli  è  intercetta 
O  lepre ,  o  volpe ,  a  cui     dava  la  caccia. 
Che  d'  improvviso  in  qualche  tana  stretta, 
O  in  folta  ma(H'liia ,  o  in  un  fosso  si  caccia. 
Di  lor  8Ì  ride  Angelica  proterva, 
Cho  non  ò  vifitu ,  e  i  lor  progressi  osserva. 


[133] 


ORLANDO  FURIOSO.  (XII.  37-52) 


_[134] 


37.  Per  mezzo  il  bosco  appar  sol  una  strada: 
Credono  i  cavalier,  che  la  donzella 
Innanzi  a  lor  per  quella  se  ne  vada; 

Che  non  se  ne  può  andar,  se  non  per  quella. 

Orlando  corre,  e  Fcrraìi  non  bada, 

Kè  Sacripante  mcn  sprona  e  puntella, 

Angelica  la  briglia  più  ritiene, 

E  dietro  lor  con  minor  fretta  viene. 

38.  Giunti  che  fur  correndo,  ove  i  sentieri 
A  perdi  r  si  venian  nella  foresta, 

E  cominciar  per  1'  erba  i  cavalieri 
A  riguiirdar ,  se  vi  trovavan  pesta  : 
Ferraù,  che  potea,  fra  quanti  altieri 
Mai  fosser ,  gir  con  la  corona  in  testa, 
Si  volse  con  mal  viso  agli  altri  dui, 
E  gridò  lor:  Dove  venite  vui? 

39.  Tornate  addietro,  o  pigliate  alti-a  via, 
Se  non  volete  rimaner  qui  morti! 

]Vè  in  amar,  né  in  seguir  la  donna  mia. 
Si  creda  alcun,  che  compagnia  comporti! 
Disse  Orlando  al  Circasso  :  Che  potria 
Più  dir  costai ,  s'  ambi  ci  avesse  scorti 
Per  le  più  vili  e  timide  puttane, 
Che  da  conocchie  mai  tracsser  lane? 

40.  Poi,  Tolto  a  Ferraù,  disse:  Uom  bestiiile, 
S'  io  non  guardassi ,  che  senza  elmo  sei, 

Di  quel  eh'  hai  detto ,    s'  hai  ben  detto  o  malo. 

Senz'  altro  indugio  accorger  ti  farci. 

Disse  il  Spagnuol:   Di  quel,    eh'  a  me  non  cale. 

Perchè  pigliarne  tu  cura  ti  dei? 

Io  sol  contro  ambedue  per  far  son  buono 

Quel  che  detto  ho,  senza  cimo,  come  sono. 

41.  Deh!  disse  Orlando  al  re  di  Circassia, 
In  mio  servìgio  a  costui  1'  elmo  presta. 
Tanto  eh'  io  gli  abbia  tratta  la  pazzia, 
Ch'  altra  non  vidi  mai  simile  a  questa. 
Rispose  il  re:  Chi  più  pazzo  saria? 
Ma  se  ti  par  pur  la  domanda  onesta. 
Prestagli  il  tuo  !  eh'  io  non  sarò  men  atto, 
Che  tu  sia  forse,  a  castigare  un  matto. 

42.  Soggiunse  Ferraù  :  Sciocchi  voi ,  quasi 
Che,  se  mi  fosse  il  portare  cimo  a  grado, 
Voi  senza  non  ne  foste  già  rimasi; 

Che  t«>lti  i  vostri  avrei,  vostro  mal  grado. 
Ma,  per  narrarvi  in  parte  li  miei  casi. 
Per  voto  così  senza  me  ne  vado, 
Ed  anderò,  flnch'  io  non  ho  quel  fino, 
Che  porta  in  capo  Orlando  paladino. 

43.  Dunque,  rispose  sorridendo  il  conte, 
Ti  pensi  a  capo  nudo  esser  bastante. 
Fare  ad  Orlando  quel  clic  in  Aspramonto 
Egli  già  fece  al  figlio  d'  Agolantc? 
Anzi  cred'  io  ,  se  tei  vedessi  a  fronte, 

Kc  treiuere.-ti  dal  capo  alle  piante  : 

Ron  che  volessi  1'  cimo,  ma  daresti 

L  '  altre  arme  a  lui  di  patto,  che  tu  veetL 

44.  11  vantator  Spagnuol  disse:  Già  molte 
Fiate  e  molte  ho  co^ì  Orlando  astretto. 
Che  facilmente  l'  arme  gli  avrei  tolte, 
Quante  indosso  n'  avea,  non  che  l'  elmetto; 
E  s'  io  noi  feci ,  occorrono  alle  volte 
Pensier,  che  prima  non  ^"  aveano  in  petto. 
Kon  n'  ebbi,  già  fu,  voglia;  or  1'  aggio,  e  spero, 
Che  mi  potrà  succeder  di  leggiero. 


45.  Non  potè  aver  più  pazienza  Orlando, 
E  gi'idò  :  Mentitor ,  brutto  marrano, 

In  che  paese  ti  trovasti,  e  quando, 

A  poter  più  di  me  con  1'  arme  in  mano  ? 

Quel  paladin,  di  che  ti  vai  vantando, 

Son  io,   che  ti  pensavi  esser  lontano. 

Or  vedi,  se  tu  puoi  I'  elmo  levarme, 

O  s'  io  son  buon  per  torre  a  te  1'  altre  arme. 

46.  Né  da  te  voglio  un  mìnimo  vantaggio. 
Cosi  dicendo,  1'  elmo  si  disciolse, 

E  lo  sospese  a  un  ramoscel  di  faggio, 
E  quasi  a  un  tempo  Durindana  tolse. 
Ferraù  non  perde  di  ciò  il  coraggio; 
Trasse  la  spada ,  e  in  atto  si  raccoke, 
Onde  con  essa  e  col  levato  scudo 
Potesse  ricoprirsi  il  capo  nudo. 

47.  Così  li  duo  guerrieri  incomincìaro, 
Lor  cavalli  aggirando ,  a  volteggiarsi, 
E  dove  r  arme  si  giungeano ,  e  raro 
Era  più  il  ferro,  col  ferro  a  tentarsi. 
Non  era  in  tutto  il  mondo  un  altro  paro. 
Che  più  di  questo  avesse  ad  accoppiarsi. 
Pari  eran  di  vigor,  pari  d'  ardire, 

Né  r  un ,  né  1'  altro  si  potea  ferire. 

48.  Clr  abbiate.  Signor  mio,  già  inteso,  estimo, 
Cile  Ferraù  per  tutto  era  fatato, 

Fuorché  là,  doAe  1'  alimento  primo 
Piglia  il  bambin  nel  ventre  ancor  sen-ato; 
E,  finché  del  sepolcro  il  tetro  limo 
La  faccia  gli  coperse,  il  luogo  armato 
Usò  portar,  dov'  era  il  dubbio,  sempre 
Di  sette  piastre  fati  e  a  buone  tempre. 

49.  Era  ugualmente  il  principe  d'  Anglante 
Tutto  fatato,  fuorché  in  una  parte. 
Ferito  esser  potea  sotto  le  piante  ; 

Ma  le  guardò  con  ogni  studio  ed  arte. 
Duro  era  il  resto  lor ,  più  che  diamante, 
Se  la  fama  dal  ver  non  si  diparte, 
E  r  uno  e  1'  altro  andò  ,  più  per  ornato. 
Che  per  bisogno,  alle  sue  imprese  ai'iuato. 

50.  S'  incrudelisce  e  innaspra  la  battaglia, 
D'  orrore  in  vista,  e  di  ^paAento  piena. 
Ferraù  ,  quando  punge  e  quando  taglia. 
Né  mena  botta,  che  non  Aada  piena: 
Ogni  colpo  d'  Orlando  o  piastra,  o  maglia 

E  schioda  ,  e  rompe ,  ed  apre ,  e  a  strazio  mena. 
Angelica  invisibil  lor  pon  mente. 
Sola  a  tanto  spettacolo  presente. 

51.  Intanto  il  re  di  Circassia,  stimando. 
Che  poco  innan/.i  Angelica  corresse, 
Poiché  attaccati  Ferriiù  ed  Orlando 

A  idc  restar,  per  quella  via  si  uiessc. 
Che  si  credea,  che  la  don/ella,  quando 
Da  lor  dì.-.parve,  seguitata  avesse; 
Sicché  a  quella  battaglia  la  figliuola 
Di  (ìalafroii  fu  tesliiiionio  sola. 

52.  Poiché  orribil ,  <ome  «'la,  espaient»)sa 
L'  ebbe  da  parte  ella  iiiiiata  alquanto, 

E  che  le  pai"\e  a>s.ii  peric-nlosa. 

Così  dall'  un,  come  ilalP  altro  canto; 

Di  >o(l«rr  iKnilà  volonterosa, 

Di>egMÒ  r  elmo  top,  per  mirar,  quanto 

Farìano  i  duo  giierrier  ,  vi»tosel  tt)lto; 

Dell  con  pcusicr,  di  nini  tenerlo  multo. 

9  * 


[135] 


ORLANDO  FURIOSO.   (XII.  53  —  68) 


[136] 


53.      Ha  ben  di  darlo  al  conte  intenzione  ; 
Ma  se  ne  vuole  in  prima  pigliar  gioco. 
L'  elmo  dispicca,  e  in  grembo  se  io  pone, 
E  sta  a  mirare  i  cavalieri  un  poco  : 
Dì  poi  si  parte,  e  non  fa  lor  sermone; 
E  lontana  era  un  pezzo  da  qnel  loco, 
Primachè  alcun  di  lor  v'  avesse  niente  ; 
Si  r  uno  e  r  altro  era  nell'  ira  ardente. 


54 


Ma  Ferrai! ,   che  prima  v'  ebbe  gli  occhj, 
Si  dispiccò  da  Orlando ,  e  disse  a  lui  : 
Deh  !  come  n'  ha  da  male  accorti  e  sciocchi 
Trattati  il  cavalier,  eh'  era  Con  nui  ! 
Che  premio  fia,  eh'  al  vincitor  più  tocchi, 
Se  il  beli'  elmo  involato  n'  ha  costui  ? 
Ritrassi  Orlando  ,  e  gli  occhj  al  ramo  gira  ; 
]Von  vede  T  elmo,  e  tutto  avvampa  d'  ira. 


55 


E  nel  parer  di  Ferraù  concorse, 
Che  '1  cavalier ,  che  dianzi  era  con  loro, 
Se  lo  portasse;  onde  la  briglia  torse, 
E  fé'  sentir  gli  sproni  a  Brigliadoro. 
Ferraù,  che  del  campo  il  vide  torse. 
Gli  venne  dietro ,  e  poiché  giunti  foro. 
Dove  nell'  erba  appar  1'  orma  novella, 
Ch'  avea  fatto  il  Circasso  e  la  donzella, 

56.  Prese  il  sentiero  alla  sinistra  il  conte. 
Verso  una  valle ,  ove  il  Circasso  era   ito  ,• 
Si  tenne  Ferraù  più   presso  al  monte. 
Dove  il  sentiero  Angelica  avea  trito. 
Angelica ,  in  quel  mezzo ,    ad  una  fonte 
Giunta  era  ombrosa,  e  di  giocondo  sito, 

Ch'  ognun,  che  passa ,  alle  fresche  ombre  invita; 
^è,  senza  ber,  mai  lascia  far  partita. 

57.  Angelica  sì  ferma  alle  chiare  onde. 
Non  pensando,  che  alcun  le  sopravvegna; 
E  per  lo  sacro  anel,  che  la  nascttnde, 
Ron  può  temer,  che  caso  rio  le  avvegna. 
A  prima  giunta  in  sull'  erbose  sponde 
Dei  rivo ,  1'  elmo  a  un  ramoscel  consegna. 
Poi  cerca ,  ove  nel  bosco  è  miglior  frasca, 
La  giumenta  legar ,  perchè  si  pasca. 

58.  Il  cavalier  di  Spagna ,  che  venuto 
Era  per  l'  orme ,  alla  fontana  giunge. 
Non  r  ha  sì  tosto  Angelica  veduto, 
Che  gli  dispare,  e  la  cavalla  punge. 

L'  elmo,  che  sopra  1'   erba  era   (-aduto, 
Ritor  non  può ,  che  troppo  resta  lunge. 
Come   il  pagan  d'  Angelica  s'  accorse, 
Tosto  ver  lei  pien  di  letizia  corse. 

59.  Gli  sparve,  come  io  dico,  ella  davante, 
CJome  fantasma  al  dipartir  del  sonno. 
Cercando  egli  la  va  per  quelle  piante. 

Nò  i  miseri  occhj  più  veder  la  ponno. 
Kestemmiando  Maconc  e  Trivigante, 
E  di  sua  legge  ogni  maestro  e  donno. 
Ritornò  Ferraù  verso  la  fonte, 
Li'  neir  erba  giacca  1'  elmo  del  conte. 

60.  liO  r:<onobI»e  toscochè  mirollo. 

Per  lettere ,  oh'  avea  scritte  nell'  orlo. 
Che  (liccan ,  dove  Orlando  guadagnollo, 
E  come,   e  quando,  ed  a  chi  fé'  deporlo. 
Armosseiie  il  pagano  il  capi:  e  'I  collo, 
Che  non  lasciò,  pe.'  duol  eli'  avea,  di  torlo; 
Pel  duol ,  eh'  avea  di  quella,  che  gli  sparve, 
Come  Hparir  tiogliun  notturne  larve. 


61-      Poich'  allacciato  s'  ha  il  buon  elmo  in  testa, 
Avviso  gli  è ,  che ,  a  contentarsi  appieno, 
Sol  ritrovare  Angelica  gli  resta, 
Che  gli  appare   e  dispar,  come  baleno. 
Per  lei  tutta  cercò  1'  alta  foresta  ; 
E  poich'  ogni   speranza  venne  meno 
Dì  più  poterne  ritrovar  vestigi, 
Tornò  al  campo  spagnuol  verso  Parigi; 

62.  Temperando  il  dolor,  che  gli  ardea  il  petto. 
Di  non  aver  sì  gran  desir  sfogato, 

Col  refrigerio  di  portar  1'  elmetto, 
Cile  fu  d'  Orlando ,  c«)nie  avea  giurato. 
Dal  conte ,  poiché  '1  certo  gli  fu  detto, 
Fu  lungamente  Ferraù  cercato  ; 
Né  fin  quel  dì  dal  capo  glielo  sciolse, 
Che  fra  duo  ponti  la  vita  gli  tolse. 

63.  Angelica  invisibile  e  soletta 

^  ìa  se  ne  va,  ma  con  turbata  fronte; 
Che  dell'  elmo  le  duol ,  che  troppa  fretta 
Le  avea  fatto  lasciar  presso  alla  fonte. 
Per  voler  far  quel ,  eh'  a  me  far  non  spetta, 
(Tra  sé  dìcea)  levato  ho  l'  elmo  al  conte. 
Questo  é  pel  primo  merito  assai  buono 
Di  quanto  a  lui  pur  obbligata  sono. 

64       Con  buona  intenzione,  e  sallo  Dio, 
Benché  diverso  e  tristo  effetto  segua. 
Io  levai  r  elmo;  e  solo  il  pensier  mio 
Fu,  di  ridur  quella  battaglia  a  tregua; 
E  non  ,  che  per  mio  mezzo  il  suo  desio 
Questo  brutto  Spagnuol  oggi  consegua. 
Così  di  sé  s'  andava  lamentando, 
D'  aver  dell'  el  no  suo  privato  Orlando. 

65.  Sdegnata  e  mal  contenta  la  via  prese. 
Che  le  parca  miglior,  verso  Oriente. 
Più  volte  ascosa  andò     talor  palese. 
Secondo  era  opportuno ,  infra  la  gente. 
Dopo  molto  veder  molto  paese, 
Giunse  in  un  bosco ,  dove  iniquamente 
Fra  duo  c(tnipagiii  morti  un  giovinetto 
Trovò,  eh'  era  ferito  in  mezzo  il  petto. 

66.  Ma  non  dirò  d'  Angelica  or  più  innante, 
Che  molte  cose  ho  da  narrarvi  prima; 

Né  sono  a  Ferraù ,  né  a  Sacripante, 

Sino  a  gran  pezzo,  per  donar  più  rima. 

Da  lor  mi  leva  il  principe  d'  Anglante, 

Che  di  sé  vuol ,  che  innanzi  agli  altri  esprima 

Le  fatiche  e  gli  aflanni,  che  sostenne 

Nel  gran  desio  dì  che  a  fin  mai  non  venne. 

67.  Alla  prima  città ,  eh'  egli  ritrova, 
(Perché  d'  andare  occulto  avea  gran  cui'a) 
Si  pone  in  capo  una  barbuta  nuova. 
Senza  mirar,  s'  ha  debil  tempra  o  dura. 
Sia  qual  si  vuol,  poco  gli  nuoce,  o  giova; 
Sì  nella  fatagion  si  rassicura. 

Così  coperto  seguita  V  imhiesta, 

Né  notte  o  giorno,    «  pioggia,   o    sol   V  aiTCSta. 

68.  Era  neir  ora ,  che  traia  i  cavalli 
Febo  del  mar  con  rugiadoso   pelo, 
E  r   Aurora  di  fior  vermigli  e  gialli 
Venia  spargendt»  d'  ogni   intorno  il  cielo, 
E  lasciato  le  ^telle  aveano  i  balli, 

E  ,  p>'r  partirri ,  postosi  già  il  velo, 
Quando,  appresso  a  Parigi  un  dì  passando, 
Mutftrò  di  sua  viitù  gran  segno  Orlando. 


[137] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XII.  69-8Ì) 


[138] 


69.  In  due  squadre  incontrossi;  e  Manilardo 
Ne  reggca  1'   una ,  il  Saracin  canuto, 

Re  di  Gorizia,  già  fiero  e  gagliardo. 
Or  miglior  di  consiglio ,  che  d'  ajuto  : 
Guidava  1'  altra  sotto  il  !^uo  stendardo 
Il  re  di  Tremisen ,  eh'  era  tenuto 
Tra  gli  Africani  cavalier  perfetto  : 
Alzirdo  fu,  da  chi  1  conobbe,  detto. 

70.  Questi  con  1'  altro  esercito  pagano 
Quella  invernata  avean  fatto  soggiorno, 
Chi   presso  alla  città,  chi  più  lontane». 
Tutti  alle  ville ,  o  allo  castella  intorno  : 
Che  avendo  speso  il  re  .4graniante  in  vano, 
Per  espugnar  Parigi ,  più  d'  un  giorno, 
Volse  tentar  1'  assedio  finalmente, 

Poiché  pigliar  non  lo  potca  altramente. 

71.  E  per  far  questo,  avea  gente  infinita: 
Che  oltre  a  quella,  che  con  lui  giunta  era, 
E  quella  ,  che  di  Spagna  avea  seguita 
Del  re  iVIiirsilio  la  real  bandiera, 
Molta  di  Francia  n'  avea  al  soldo  unita: 
Che  da  Parigi  insino  alla  riviera 
D'  Arli  con  parte  di  Guascogna,  eccetto 
Alcune  rocche,  avea  tutto  soggetto. 

72.  Or  cominciando  i  trepidi  ruscelli 
A  sciorre  il  freddo  ghiaccio  in  tepide  onde, 
E  i  prati  di  nuove  erbe,  e  gli  arbuscelli 
A  rivestirsi  di  tenera  fronde, 
Ilagimò  il  re  Agramante  tutti  quelli. 
Che  segiiian  le  fortune  sue  seconde. 
Per  farsi  rassegnar  l'  armata  torma; 
Indi  alle  cose  sue  dar  miglior  forma. 

73.  A  questo  effetto  il  re  di  Tremisenne 
Con  quel  della  Norizia  ne  venia, 
Per  là  giungere  a  tempo,  ove  si  tenne 
Poi  conto  d'  «tgni  squadra,  o  huona,  o  ria. 
Orlando  a  caso  ad  incontrar  si  venne. 
Come  io  v'  ho  detto,  in  questa  compagnia, 
Cercando  pur  colei ,  com'  egli  era  uso, 
Che  nel  career  d'  Amor  lo  tenea  chiuso. 

74.  Come  Alzirdo  appressar  vide  quel  conte. 
Che  di  valor  non  avea  pari  al  mondo 
In  tal  sembiante,  in  si  superba   fronte. 
Che  'I   Dio  dcir  arme  a  lui  parca  i^econdo, 
Restò  stupito  alle   fattezze  conte. 
Al  fiero  sguardo,  al  viso  fiirìbonilo, 
K  lo  stimò  guerrier  d'  alta  prodezza  : 
Ma  ebbe  del  provar  troppa  vaghezza. 

ìi.      Era  giovane  Alzirdo  ed  arrogante, 
Per  molta   forza  e  per  gran  cor  pregiato. 
Per  giostrar  spinse  il  suo    cavallo   innante. 
Meglio  per  lui,  «e   fosse  in  schi<;ra  stato; 
Che  nello  scontri»  il  principe  d'  Anglante 
Lo  fé'  cader  per  mezzo  il  cor  pa.ssato. 
Giva  in  fuga  il  desfrier  di  timor  pieno; 
Cile  su  non  v'  era  chi  regge!.^e  il  freno. 

16.      liCivasi  un  grido  subito  ed  orrendi». 

Chi;  d'  ogn'  intorno  n'  ha  i'  aria  ripiena, 
('omo  fi  vede  il  giovane  c.idindo 
Spicciare  il  sangue  di   sì  larga  vena. 
La  turba  verso  il  conte  vico    fremendo 
Disordinata,  e  tagli   i-  ponte  uu-na  : 
Ma  quella  è  più,  che  con  pennuti  dardi 
Tcmpesln  il  liiir  de'  cuvalier  g.iglianli 


77. 


78. 


79. 


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Con  qual  rumor  la  setolosa  frotta 
Correr  da  monti  suole,  o  da  campagne, 
Se  'l  lupo  uscito  di  nascosa  grotta, 
O  1'  orso  sceso  alle  minor  montiigne, 
In  tener  porco  preso  abbia  taloha , 
Che  con  grugnito  e  gran  strìdor  si  lagne  : 
Con  tal  lo  stuol  barbarico  era  mosso 
Verso  il  conte,  gridando  :  Addosso,  addosso  ! 

Lance ,  saette  e  spade  ebbe  1'  u>bcigo 
A  un  tempo  mille,  e  lo  scudo  altrettante; 
Chi  gli  percote  con  la  mazza   il  tergo. 
Chi  minaccia  da  lato,  e  chi  davante. 
Ma  quel,  eh'  al  timor  mai  non  diede  alhergo. 
Estima  la  vii  turba  e  l'  arme  tante, 
Quel  che,  dentri»  alla  mandra ,  ali'  aer  ciilpo, 
11  nuiner  dell'  agnelle  estimi  il  lupo. 

ÌVuda  avea  in  man  quella  fulminea  spada, 
Che  posto  Iia  tanti  Saracini  a  n>orte. 
Dunque  chi  vuol,  di  quanta  turba  cada. 
Tenere  il  conto,  ha  impresa  dura  e  forte. 
Rossa  di  sangue  già  correa  la  strada, 
Capace  ajipena  a  tante  genti  morte  ; 
Perchè  nò  targa,  né  cappel  difende 
La  fatai  Durindana,  ove  discende. 

Né  vesta  piena  di  cotone,  o  tele, 
Che    circondino   il  capo  in  mille  volti. 
]Non   pur  per  1'  aria  gemiti  e  querele. 
Ma  volan  braccia  e  spalle,  e  capi  M-iolti. 
Pel  campo  errando  va  morte  crudele 
In  molti,  varj ,  e  tutti  orribii  volti; 
E  tra  sé  dice:  In  man  d'  Orlando  vaici 
Durindana  per  cento  di  mie  falci. 

Una  percossa  appena  1'  altra  aspetta. 
Bentosto  cominciar  tutti  a  fuggire: 
E  quando  prima  ne  veniano  in  fretta, 
Perdi'  era  sol,  credeanselo  inghiottire; 
Non  è  chi  ,  per  levar,»!  della  stretta, 
L'  amico  aspetti,  e  cerchi  insieme  gire: 
Chi  fugge  a  piedi  in  qua,  chi  colà  sprona; 
JNessun  domanda,  se  la  strada  è  buoiiu. 

Virtute  andava  intorno  con  lo  speglio, 
Che   fa  veder  nell'  anima  ogni  ruga  : 
Nessun  vi  si  mirò,  se  non  un  veglio, 
A  cui  il  sangue   1'  età,  non  l"  ardir,  scinga. 
Aide  costui ,  quanto  il  morir  sia  uu-glio, 
Che  con  suo  disonur  mettersi  in  fuga; 
Dico  il   re  di  Norizia  ,  onde  la  lancia 
Arrestò  contra  il  paladin  di  Francia, 

E  la  rup|)e  alla  penna   dello  scudo 
Del  fiero   conte,  che  nulla  si   mos>e. 
Egli,  I  ir  aM-a  alla  posta  il  brando  laido. 
Uè   Manilardo  al   trapassar  percosse. 
Fortuna  I'  ajiilò.  che  "1   ferro  crudo 
In  man  d'  Orlando  al  venir  giù   voltos.se: 
Tirarti  i  colpi   a  filo  ognor  tutu   lece; 
Ma  pur  di  sella  stramazzar  lo  fece. 

Stordito  dell'  arrioii  quel  re  straiunz/a. 
.Non  .si   rivolge  Orlando  a   rivederlo, 
('Ile  gli  altri  taglia,   lron<:a.   fende,   amiiiazxii. 
A  tulli  pare  in  sulle  spaile  averlo. 
CoiiM-  per   r  aria,  ove  bau   si   larga  ])iaz7.a. 
Fnggoii    gli   storni    dall'   audace   siiieilo  : 
Così  di  quella  M|uadni  ormai  disfalla 
Altri  cade,  altri  fugge,  altri  s'  appiatta 


[139] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XH.  85-94) 


[140! 


85.  Non  cessò  pria  la  sanguinosa  spada. 
Che  fu  ili  viva  gente  il  campo  voto. 
Orlando  è  in  dubbio  a  ripigliar  la  strada, 
Benché  gli  sia  tutto  il  pac.-^e  noto: 

O  da  man  destra,  o  da  sinistra  vada, 
Il  pensier  dall'  andar  sempre  è  rimoto; 
D'   Angelica  cercar,  fuorcli'  ove  sia, 
Sempre  è  in  timore,  e  far  contraria  via. 

86.  n  suo  cammìn,  di  lei  chiedendo  spesso, 
O  per  li  campi,  o  per  le  selve  tenne; 

E     siccome  era  uscito  di  so  stesso. 
Uscì  di  strada,  e  a  pie  d'  un  monte  venne, 
Dove  la  notte  fuor  d'  un  sasso  fesso 
Lontan  vide  un  splendor  batter  le  penne. 
Orlando  al  sasso  per  veder  s'  accosta. 
Se  quivi  fosse  Angelica  riposta. 

87.  Come  nel  bosco  dell'  imiil  ginepre, 
O  nella  stoppia  alla  campagna  aperta, 
Quando  si  cerca  la  paurosa  lepre 

Ter  traversati  solchi  e  per  via  incerta, 
Si  va  ad  ogni  cespuglio,  ad  ogni  vepre, 
Se  per  ventura  vi  fosse  coperta: 
Così  cercava  Orlando  con  gran  pena 
La  donna  sua,  dove  speranza  il  mena. 

88.  Verso  quel  raggio  andando  in  fretta  il  conte 
Giunse,  ove  nella  selva  si  diffonde 

Dall'  angusto  spiraglio  di  quel  monte, 
Ch'  una  capace  grotta  in  sé  nasconde  ; 
E  trova  innanzi  nella  prima  fronte 
Spine  e  virgulti ,  come  mura  e  sponde. 
Per  celar  quei,  che  nella  grotta  stanno. 
Da  chi  far  lor  cercasse  oltraggio  e  danno. 

81>.     Dì  giorno  ritrovata  non  sarebbe  ; 
Ma  la  facea  di  notte  il  lume  aperta. 
Orlando  pensa  ben  quel,  eh'  esser  debbe; 
Pur  vuol  saper  la  cosa  anco  più  certa. 
Poiché  legato  fuor  Brigliadoro  ebbe, 
Tacito  viene  alla  grotta  coperta, 
E  fra  gli  spessi  rami  nella  buca 
Entra,  senza  chiamar,  chi  T  introduca. 


90.  Scende  la  tomba  molti  gradi  al  basso, 
Dove  la  viva  gente  sta  sepolta. 

Era  non  poco  spazioso  il  sas^so. 

Tagliato  a  piuite  di  scarpelli  in  volta; 

Rè  di  luce  diurna  in  tutto  casso, 

Benché  1'  entrata  non  ne  dava  molta  ; 

Ma  ne  veniva  assai  da  una  finestra. 

Che  sporgea  in  un  pertugio  da  man  destra. 

91.  In  mezzo  la  spelonca,  appresso  a  un  foco, 
Era  una  donna  di  giocondo  viso: 
Quindici  anni  passar  dovea  di  poco. 
Quanto  fu  al  conte  al  primo  sguardo  avAÌso; 
Ed  era  bella  sì ,  che  facea  il  loco 
Sabatico  parere  un  paradiso. 

Bendi'  avca  gli  occhj  di  lagrime  pregni, 
Del  cor  dolente  manifesti  segnL 

92.  V  era  ima  vecchia,  e  facean  gran  contese, 
Come  uso  femminil  spesso  esser  suole; 

Ma ,  come  il  conte  nella  grotta  scese, 
Finiron  le  dispute  e  le  parole. 
Orlando  a  salutarle  fu  cortese. 
Come  con  donne  sempre  esser  si  tuoIc; 
Ed  elle  si  levaro  immantinente, 
E  lui  risalutar  benignamente. 

93.  Gli  è  ver,  che  si  smarrirò  in  faccia  alquant 
Come  improvviso  udiron  quella  voce, 
E  insieme  entrare  armato  tutto  quanto 
Vider  là  dentro  un  uom  tanto  feroce. 
Orlando  domandò,  qual  fosse  tanto 
Scortese,  ingiusto,  barbaro  ed  atroce, 
Che  nella  grotta  tenesse  sepolto 
Un  sì  gentile  ed  amoroso  volto? 

91.     La  vergine  a  fatica  gli  rispose. 
Interrotta  da  fervidi  singozzi, 
Che  da'  coralli  e  dalle  preziose 
Perle  uscir  fanno  i  dolci  accenti  mozzL 
Le  lagrime  scendean  tra  gigli  e  rose, 
Là  dove  avvien  ,  eh'  alcuna  se  n'  inghiozzl. 
Piacciavi  udir  nell'  altro  canto  il  resto. 
Signor;  che  tempo  è  ornai  di  finir  questo. 


[141] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XIII.  1—12) 


[142] 


CANTO     DECIMOTERZO. 


ARGOMENTO. 

Racconta  la  mestissima  Isabella 
Ad  Orlando  con  faccia  lacrimosa 
La  fiera  sua  fortuna  acerba  e  fella, 
Che  la  teneva  in  quella  grotta  ascosa. 
Uccide  i  malandrini  Orlando,  e  quella 
Seco  ne  mena  afflitta  e  dolorosa. 
Per  liberar  Ruggier  va  Bradnmante, 
E  prigiona  ella  ancor  resta  d'  Atlante. 


1.  Ben  furo  avventarosi  i  cavalieri, 

Cli'  erano  a  quella  età,  che  ne'  valloni, 
Kelle  scure  spelonche  e  boschi  fieri, 
Tane  di  serpi ,  d'  orsi  e  di  leoni, 
Trovavan  quel,  che  ne'  palazzi  altieri 
Appena  or  trovar  pon  giudici  huoni: 
Donne,  che  nella  lor  più  fre!.ca  etade 
Sieu  degne  d'  aver  titol  di  beltade. 

2.  Di  sopra  vi  narrai,  che  nella  grotta 
Avea  trovato  Orlando  una  donzella, 

E  che  le  dimandò,  eh'  ivi  condotta 

L'  avesse.     Or  seguitando  dico  ,  eh'  ella 

(Poiché  più  d'  un  singozzo  1'  ha  interrotta) 

Con  dolce  e  soavissima  favella 

Al  conte  fa  le  sue  sciagure  note, 

Con  quella  brevità  che  meglio  puote. 

3.  Bencir  io  sia  certa,  dice,  o  cavaliere, 
Cli'  io  porterò  del  mio  parlar  supplizio, 
Percliè  a  colui ,  che  qui  m'  ha  chiusa ,  spero 
Che  costei  ne  darà  subito  indizio. 

Pur  son  disposta  non  celarti  il  vero, 

E  vada  la  mia  vita  iu  precipizio. 

E  che  aspettar  poss'  io  da  lui  più  gioja, 

Che  si  disponga  un  di  voler,  eh'  io  muoja? 

4.  Isabella  son'  io,  che  figlia  fui 
Del  re  mal  fortunato  di  Galizia  ; 

Ben  dissi  fui  ;  eh'  or  non  soli  più  di  Ini, 
Ma  di  dolor,  d'  alTanuo  e  di  uu'stizia  — 
Ci>lpa  d'  Amor  !  v.W  io  non  sapr«'i,  di  cui 
Dolermi  più,  che  della  sua  nequizia, 
Che  dolcemente  ne'  priucipj  applaude, 
E  tesse  di  nascosto  inganno  e  i'raudc. 

5.  Già  mi  vivcn  di  mia  sorte  felice. 
Gentil,  giovane,  ricca,  onesta  e  liella; 
lile  e  povera  or  sono,  ora  inl'elice; 

E,  s'  altra  è  peggior  sorte,  io  sono  in  quella. 

Ma  voglio  Niippi  111  prima  radice, 

C;iie  prodiisse  «|uel  mal,  che  mi  flagella; 

E  beurliè  ajulo  poi  da  te  non  esca, 

Poco  non  mi  parrà,  che  te  n'  incrctjca. 


6.  Mio  padre  fé'  in  Bajona  alcune  giostre, 
Esser  denno  oggiraai  dodici  mesi. 
Trasse  la  fama  nelle  terre  nostre 
Cavalieri  a  giostrar  di  più  paesi. 

Fra  gli  altri  (o  sia  eh'  Amor  cosi  mi  mosti'e, 

O   che  virtù  pur  sé  stessa  palesi) 

Mi  parve  da  lodar  Zerbino  solo. 

Che  del  gran  re  di  Scozia  era  figliuolo: 

7.  Il  qual,  poiché  far  prove  in  campo  vidi 
Miracolose  di  cavalleria, 

Fui  presa  del  suo  amore,  e  non  m'  avvidi, 

Ch'  io  mi  conobbi  più  non  esser  mia. 

E  pur,  benché  '1  suo  amor  così  mi  guidi. 

Mi  giova  sempre  avere  in  fantasia, 

Ch'  io  non  misi  il  mio  core  in  luogo  immondo. 

Ma  nel  più  degno  e  bel,  eh'  oggi  sia  al  mondo. 

8.  Zerbino  di  bellezza  e  di  valore 
Sopra  tutti  i  signori  era  eminente. 
Mostrommi,  e  credo  mi  portasse  amore, 
E  che  di  me  non  fosse  meno  ardente. 
Non  ci  mancò  chi  del  comune  ardore 
Interprete  fra  noi  fosse  sovente. 
Poiché  di  vista  ancor  fummo  disgiunti; 
Che  gli  animi  restar  sempre  congiunti: 

9.  Perocché ,  dato  fine  alla  gran  festa, 
n  mio  Zerbino  in  Scozia  fé'  ritorno. 

Se  sai,   che  cosa  é  amor,  ben  sai,  che  mesta 
Restai ,  di  lui  pensando  notte  e  giorno  ; 
Ed  era  certa ,  che  non  men  molesta 
Fiamma  intorno  il  suo  cor  facea  soggiorno. 
Egli  non  fece  al  suo  desio  più  schermi, 
Se  non  che  cercò  \'m  di  seco  aAcriui. 

10.  E  «perché  vieta  la  diversa  fede, 
Essendo  egli  cristiano,  io  saracina, 

Ch'  al  mio  padre  per  moglie  non  mi  cliicdc, 
Per  furto  indi  levarmi  si  destina  ; 
Fuor  della  ricca  mia  patria,  che  siedo 
Tra  verdi  campi,  allato  alla  marina, 
Aveva  un  Ind  giardiu  sopra  una  riva, 
Che  i  colli  intorno  e  tutto  il  mar  scopriva. 

11.  Gli  parve  il  luogo  a  fornir  ciò  disposto, 
Che  la  diversa  religion  ci  vieta; 

E  mi  fa  saper  1'  ordine,  che  posto 

Avea,  di  l'ar  la  nostra  vita  lieta. 

Appresso  a  santa  Marta  avea  nascosto 

Con  gente  armata  una  galea  secreta. 

In  guardia  d'  Odoriro  di  lliseaglìa, 

E  ia  mare  e  iu  terra  mastro  di  battaglia. 

12.  Né  potendo  in  persona  far  1'  effetto. 
Perdi'  egli  allora  era  dal  padre  antico 
A  iLir  soccorso  al  re  di  Francia  astretto, 
Mauileria  in  vece  sua  questo  Odorico, 
('he  fra  ditti  i   red<-li  amici  eletto 

S'  a>ea  p<'l  più  h-dele,  e  pel  y'iii  amico 

E  ben  e.-<.>>er  do^ca,  se  i   benefici 

Sempre  hanno  forza  d'  acquietar  gli  amici. 


[143] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XIII.  13-28) 


[144] 


13.  Verria  costruì  sopra  un  naviglio  armato, 
Al  terminato  tempo ,  indi  a  levarmi. 

E  così  venne  il  giorno  desiato, 

Che  dentro  il  mio  gìardin  lasciai  trovarmi. 

Odorico  la  notte ,  accompagnato 

Di  gente  valorosa  all'  acqua  e  all'  armi. 

Smontò  ad  un  fiume  alla  città  vicino, 

E  venne  chetamente  al  mio  giardino. 

14.  Quindi  fui  tratta  alla  galea  spalmata, 
Primachè  la  città  n'  avesse  avvisi. 
Della  famiglia  ignuda  e  disarmata 
Altri  fuggirò,  altri  restaro  uccisi; 
Parte  cattiva  meco  fu  menata. 

Cosi  dalla  mia  terra  io  mi  divisi  ; 
Con  quanto  gaudio ,  non  ti  potrei  dire, 
Sperando  in  breve  il  mio  Zerbin  fruire. 

15.  Voltati  sopra  Mongia  eramo  appena. 
Quando  ci  assalse  alla  sinistra  sponda 
Vn  vento,  che  turbò  l'  aria  serena, 

E  turbò  il  mare,  e  al  ciel  gli  levò  1'  onda. 
Salta  un  maestro ,  eh'  attraverso  mena, 
E  cresce  ad  ora  ad  ora ,  e  soprabbonda  ; 
E  cresce  e  soprabbonda  con  tal  forza, 
Che  vai  poco  alternar  poggia  con  orza. 

16.  Non  giova  calar  vele,  e  l'  arbor  sopra 
Corsia  legar ,  né  minar  castella  ; 

Che  ci  veggiam ,  mal  grado ,  portar  sopra 

Acuti  scogli  appresso  alla  Roccella. 

Se  non  ci  ajuta  quel,  che  sta  di  sopra, 

Ci  spinge  in  terra  la  crudel  procella. 

Il  vento  rio  ne  caccia  in  maggior  fretta, 

Che  d'  arco  mai  non  sii  avventò  saetta. 

17.  Vide  il  periglio  il  Biscaglino,   e  a  quello 
Usò  un  rimedio,  che  fallir  suol  spesso: 
Ebbe  ricorso  subito  al  battello, 

Calossi ,  e  me  calar  fece  con  esso  ; 
Sceser  due  altri ,  e  ne  scendea  un  drappello, 
Se  i  primi  scesi  1'  avesser  concesso  : 
Ma  con  le  spade  li  tenner  discosto, 
Tagliar  la  fune,  e  ci  allargammo  tosto. 

18.  Fummo  gittati  a  salvamento  al  lito 
Noi ,  che  nel  palischermo  eramo  scesi, 
Periron  gli  altri  col  legno  sdrucito  ; 

In  preda  al  mare  andar  tutti  gli  arnesi. 
All'  eterna  boutade,  all'  infinito 
Amor,  rendendo  grazie,  le  man  stesi, 
Che  non  m'  avesse  dal  furor  marino 
Lasciato  tor  di  riveder  Zerbino. 

1!>.      Comedi'  io  avessi  sopra  il  legno  e  vesti 
I.Misciato,  e  gioje,  e  V  altre  cose  care, 
Porcile  la  speme  di  .''erbin  mi  re.-ti, 
(Contenta  soii ,  che  s'  abh.'«i  "l  resto  il  mare. 
Non  sono,  ove  scendemmo,  j  'iti  pesti 
D'  alcun  senticr,  nò  intorno  al.'.'crgo  appare, 
Ma  solo  il  monte,  al  qual  mai  sei?UHe  fiede 
L'  Oli.".'.""''"  *^"P»  il  vexjio,  e  '1  mare  11  picdc. 

20.      Qoi^i  il  crudo  tiranno  Amor,  che  sempre 
D'  ogni  promessa  tiua  fu  disleale, 
E  Hcmpre  guarda ,  come  involva  e  btempre 
Ogni  nostro  disegno  razionale. 
Mutò,  l'.on  tri-te  e  disoneste  tempre 
Mìo  conforto  in  dolor,  mio  ben*;  in  male; 
VAù:  qu«;ir  amico ,  in  <-.lii  Zerbin  sì  crede. 
Di  desir  arae,  ed  agghiacciò  di  fede. 


21.      O  che  ra'  avesse  in  mar  bramata  ancora, 
Né  fosse  stato  a  dimostrarlo  ardito; 
O  cominciasse  il  desiderio  allora, 
Che  r  agio  v'  ebbe  dal  solingo  lito: 
Disegnò  quivi,  senza  più  dimora, 
Condurre  a  fin  l'  ingordo  suo  appetito, 
Ma  prima  da  sé  torre  un  delli  dui. 
Che  nel  battei  campati  eran  con  nui. 

22-      Queir  era  uomo  di  Scozia,  Almonìo  detto, 
Che  mostrava  a  Zerbin  portar  gran  fede, 
E  commendato  per  guerrier  perfetto 
Da  lui  fu ,  quando  ad  Odorico  il  diede. 
Disse  a  costui ,  che  biasmo  era  e  difetto, 
Se  mi  traeauo  alla  Roccella  a  piede, 
E  lo  pregò ,  di'  innanzi  volesse  ire 
A  farmi  incontra  alcun  ron/in  venire. 

23.  Almonio,  che  di  ciò  nulla  temea. 
Immantinente  innanzi  il  cammin  piglia 
Alla  città,   che  '1  bosco  ci  ascondea, 
E  non  era  lontana  oltra  sei  miglia. 
Odorico  scoprir  sua  voglia  rea 

All'  altro  finalmente  si  consiglia; 

Sì,  perché  tor  non  se  lo  sa  dappresso, 

Sì,  perché  avca  gran  confidenza  in  esso. 

24.  Era  Corchi)  di  Bilbao  nomato 

Quel,  di  eh'  io  parlo,  che  con  noi  rimase, 
Che  da  fanciullo  picciolo  allevato 
S'  era  con  lui  nelle  medesme  case. 
Poter  con  lui  comunicar  l'  ingrato 
Pensiero  il  traditor  si  persuase, 
SpeiMndo,  di'  ad  amar  saria  più  presto 
Il  piacer  dell'  amico ,  che  l'  onesto. 

25.  Corebo ,  che  gentile  era  e  cortese. 
Non  lo  potè  ascoltar  senza  gran  sdegno; 
Lo  chiamò  traditore ,  e  gli  contese 
Con  parole  e  con  fatti  il  rio  disegno. 
Grande  ira  all'  uno  e  all'  altro  il  core  accese, 
E  con  le  spade  nude  ne  fer  segno. 

Al  trar  de'  ferii,  io  fui  dalla  paura 
Volta  a  fuggir  per  l'  alta  selva  oscura. 

26.  Odorico,  che  mastro  era  di  guerra. 
In  pochi  colpì  a  tal  vantaggio  venne. 
Che  per  morto  lasciò  Corebo  in  terra, 
E  per  le  mie  vestige  il  cammin  tenne. 
Prestogli  Amor  fse  '1  mio    creder  non  erra). 
Perché  potesse  giungermi,  le  penne, 

E  gì'  insegnò  molte  lusinghe  e  preghi, 

Con  che  ad  amarlo  e  compiacer  mi  pieglii  — 

27.  Ma  tutto  indarno;  che  fermata  e  certa 
Piuttosto  era  a  morir  ,  eh'  a  satisfarli. 
Poich'  »)gni  prego ,  ogni  lusinga  esperta 
Ebbe,  e  minaci^e,  e  non  p<»tean  giocarli, 
Si  ridusse  alhi  forza  a  faixìa  aperta. 
Nulla  mi  vai ,  che  supplicando  parli 
Della  fé ,  eh'  avea  in  lui  Zerbino  avuta, 
E  ('II'  Io  nelle  sue  man  in'  era  creduta. 

28.  Poiché  gittar  mi  vidi  i  pricghi  invano, 
Né  mi  sperare  altronde  altro  soccorso, 
E  che  più  sempre  cupido  e  villano 
A   me  venia,  come  famelitu»  orso: 
Io  mi  difesi  con  piedi  e  con  mano. 
Ed  adopraivi  sin  all'  iigne  e    1  morso; 
Pdaigli  il  mento,  e  gli  graffiai  la  pelle, 
Con  stridi  che  n'  andavano  alle  bielle. 


[145] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XIII.   29  —  41) 


[146] 


29.  Non  so,  se  fosse  caso,  o  li  miei  gridi, 
Che  si  doveano  udir  lungi  una  lega, 
Oppur ,  eh'  usati  sian  correre  ai  lidi. 
Quando  na\iglio  alcun  si  i-onipe,  o  annega: 
Sopra  il  monte  una  turba  apparir  vidi, 

E  questa  al  mare  e  verso  noi  si  piega. 
Come  la  Tede  il  Biscaglin  venire, 
Lascia  1'  impresa ,  e  voltasi  a  fuggire. 

30.  Centra  quel  disleal  mi  fu  ajutrìce 
Questa  turba,  signor;  ma  a  quella  immage. 
Che  sovente  in  proverbio  il  volgo  dice, 
Cader  della  padella  nelle  brage. 

Gli  è  ver,  eh'  io  non  son  stata  sì  infelice, 
]Vè  le  lor  menti  ancor  tanto  malvage, 
Ch'  a1>biano  violata  mia  persona  : 
Non  che  sia  in  lor  virtù,  né  cosa  buona; 

31.  Ma  perchè,  se  mi  sei-ban,  come  io  sono, 
Vergine ,  speran  vendermi  più  molto. 
Finito  è  il  mese  ottavo,  e  viene  il  nono, 
Che  fu  il  mio  vivo  corpo  qui  sepolto. 

Del  mio  Zerbino  ogni  speme  aI)bandono  ; 
Che  già,  per  quanto  ho  da'  lor  detti  accolto, 
M^  han  promessa  e  venduta  a  un  mercadante, 
Che  portare  al  soldan  mi  de'  in  Levante. 

32.  Così  parlava  la  gentil  donzella 

E  spesso  con  singhiozzi  e  con  sospiri 
Interrompea  1'  angelica  favella, 
Da  movere  a  pietade  aspidi  e  tiri. 
Mentre  sua  doglia  cosi  rinnovella, 
O  forse  disacerba  i  suoi  martiri. 
Da  venti  uomini  entrar  nella  spelonca 
Armati,  chi  di  spiedo,  e  chi  di  ronca. 

33.  Il  primo  d'  essi,  uom  di  spietato  viso, 
Ha  solo  un  occhio ,  e  sguardo  scuro  e  bieco  ; 
L'  altro ,   d'  un  colpo ,  che  gli  avea  reciso 
Il  naso  e  la  mascella ,  è  fatto  cieco. 
Costui  vedendo  il  <;avariero  assiso 
Con  la  vergine  bella  entro  lo  speco. 
Volto  a'  compagni,  disse:  Ecco  augel  nuovo, 
A  cui  non  tesi ,  e  nella  rete  il  trovo. 

84.     Poi  disse  al  conte  :  Uomo  non  vidi  mai 
Più  comodo  di  te,  né  più  opportuno. 
Non  so ,  se  ti  se'  apposto ,  o  se  lo  sai, 
Perchè  te  1'  abbia  forse  detto  alcuno, 
Che  sì  beli'  arme  io  desiava  assai, 
E  questo  tuo  leggiadro  abito  bruno. 
Venuto  a  tempo  \  eramcntc  sei. 
Per  riparare  agli  bisogni  miei. 

35.     Sorrise  amaramente,  in  pie  salito 
Orlando,  e  le'  risposta  al  mascalzone: 

10  ti  venderò  1'  arnu;  ad  un  |)ai'tilo. 
Che  non  ha  mercadanle  in  sua  ragione. 
Del  fuoco,  eh'  a^ea  presso,  indi  i'a|>ito 
l'icn  di  fuoco  e  di  fumo  uno  s(i/.zon(; 
l'rasse,  e  percosse  il  malandrino  a  caso, 
Dove  confìna  con  le  ciglia  il  naso. 

86.      liO  stizzonc  ambe  le  palpebre  colse, 
Ma  maggior  danno  fé'  nella  siniijtra; 
Che  qiieliii  parte  misera  <;lì  lolse, 
i'ìu:  della  luce  sobi  rra  miuihtra: 
^è  d'  ae<(-(-iirlo  contentar  si  volse 

11  colpo  fier,  se  ancor  nini  lo  registra 
Tra  quegli  -pirli,  clu;  co'  suoi  compagni 
Fu  blur  Chiroa  dentro  ai  bollenti  blagui. 


37.  Nella  spelonca  una  gran  mensa  siede. 
Grossa  duo  palmi ,  e  spaziosa  in  quadro, 
Che,  sopra  un  mal  pulito  e  grosso  piede 
Cape  con  tutta  la  famiglia  il  ladro. 
Con  queir  agevolezza  ,  che  si  vede 
Gittar  la  canna  lo  Spagnuol  leggiadro. 
Orlando  il  grave  desco  da  sé  scaglia, 
Dove  ristretta  insieme  è  la  canaglia. 

38.  A  chi  '1  petto,  a  chi  '1  ventre,  a  chi  la  testa, 
A  ehi  rompe  le  gambe,  a  chi  le  braccia. 

Di  che  altri  muore,  altri  storpiato  resta: 
Chi  meno  è  offeso  ,  di  fuggir  procaccia. 
Così  talvolta  un  grave  sasso  pesta 
E  fianchi  e  lomlìi,  e  spezza  capi  e  schiaccia, 
Giltato  sopra  un  gran  drappel  di  bisce. 
Che  dopo  il  verno  al  sol  si  goda  e  lisce. 

39.  Nascono  casi ,  e  non  saprei  dir ,   quanti  • 
Una  muore  ,  una  parte  senza  coda; 

Un'  altra  non  si  può  mover  davanti, 
E  'l  deretano  indarno  aggira  e  snoda; 
Un'  altra ,  eh'  ebbe  più  propizj  santi, 
Striscia  fra  1'  erbe,  e  va  serpendo  a  proda. 
Il  colpo  orribil  fu ,  ma  non  mirando, 
Poiché  lo  fece  il  valoroso  Orlando. 

40.  Quei,  che  la  mensa  o  nulla,  o  poco  offese, 
(E  Turpin  scrive  appunto  che  fur  settej 

Ài  piedi  raccomandan  sue  difese. 
Ma  neir  uscita  il  paladin  si  mette  ; 
E,  poiché  presi  gli  ha  senza  contese, 
Le  man  lor  lega  con  la  fime  strette. 
Con  una  fune  al  suo  bisogno  destra. 
Che  ritrovò  nella  casa  silvestra. 

41.  Poi  gli  strascina  fuor  della  spelonca. 
Dove  facea  grande  ombra  nn  vecchio  sorbo. 
Orlando  con  la  spada  i  rami  tronca, 

E  quelli  attacca  per  vivanda  al  corbo. 
Non  bisognò  catena  in  capo  adonca; 
Che,  per  purgare  il  mondo  di  quel  morbo, 
L'  arbor  medesmo  gli  uncini  prcstollì, 
Con  che  pel  mento  Orlando  ivi  attaccoUì. 

42.  La  donna  vecchia ,  amica  a'  malandrini, 
Poiché  restar  tutti  li  vide  estinti, 

Fuggì  piangendo ,  e  con  le  mani  ai  crini. 

Per  selve  e  boscherecci  labirinti. 

Dopo  aspri  e  malagevoli  canunini, 

A  gravi  passi ,  e  dal  timor  sospìnti, 

In  ripa  nn  fiiune  in  un  guerrier  scontrosso: 

Ma  differisco  a  raccontar  ,  chi  fo!.se, 

43.  E  torno  all'  altra ,  che  si  raccomanda 
Al  paladin  ,  clu;  non  la  lasci  sola, 

E  dice  di  seguirlo  in  ogni  banda. 
Corte<cnu>Mt(!  Orlando  la  consola: 
E  quindi,  poicir  u>r]  roii  la  gliirlandii 
Di  rose;  adorna,  e  di  pnr|iurea  .>tola 
La  bianca  Aurora  al  solito  cammino, 
Partì  <:on  Isabella  il  p>iladino. 

44.  Senza  trovar  rosa  ,  che  degna  sìa 
D'  istoria,  molti  giorni  insieme  andaixi 
E  (inuhnentc  mi  ra>alier  per  >ia, 

(/he  prigione  er.i  fratto,  risconlraro. 
('Ili  ^o^^e,  dirò   poi;  rì\    or  nu'  ne  s^ia 
Tal,  di  chi  lulir  non  \i  sarà  meu  caro  : 
La  figliuola  d'  Amon,  la  qual  lasciai 
Languida  dianzi  in  uuuiro.xi  guai. 

10 


[147] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XIII.   45—60) 


45 


46 


La  bella  donna ,  disiando  invano, 
Cii'  a  lei  facesse  il  suo  Riig-g^ier  ritorno, 
Stava  a  Marsilia ,  ove  allo  stiiol  pagano 
Dava  da  travaj^liar  quasi  oj^ni  giorno  ;  _ 
Il  qual  scorrea  rubando  in  monte  e  in  piiino 
Per  Lingiiadoca  e  per  Provenza  intorno  : 
Ed  ella  ben  facea  1'  ufficio  vero 
Di  savio  duca,  e  d'  ottimo  guerriero. 

Standosi  quivi ,  e  di  gran  spazio  essendo 
Passato  il  tempo ,  che  tornare  a  lei 
Il  suo  Ruggier  dovea,  nò  Io  vedendo, 
Vivea  in  timor  di  mille  casi  rei. 
Un  dì  fra  gli  altri ,  che  di  ciò  piangendo 
Stava  solinga ,  le  arrivò  colei. 
Che  portò  nell'  anel  la  medicina, 
Che  sanò  il  cor,  eh'  avea  ferito  Alcina. 


47 


Come  a  so  ritornar  senza  il  suo  amante,' 
Dopo  sì  lungo  termine ,  la  vede, 
Resta  pallida  e  smorta ,  e  sì  tremante, 
Che  non  ha  forza  di  tenersi  in  piede. 
Ma  la  maga  gentil  le  va  davante 
Ridendo,  poiché  del  timor  s'  avvede, 
E  con  viso  giocondo  la  conforta, 
Qual  aver  suol,  chi  buone  nuove  apporta. 

48.  Non  temer,  disse,  di  Ruggier,  donzella! 
Ch'  è  vivo  e  sano,  e,  come  suol ,  t'  adora: 
Ma  non  è  già  in  sua  libertà;  che  quella 
Pur  gli  ha  levata  il  tuo  nimico  ancora; 
Ed  è  bisogno  che  tu  monti  in  sella, 

Se  brami  averlo,  e  che  mi  segui  or  ora. 
Cile,  se  mi  segui,  io  t'  aprirò  la  via, 
Donde  per  te  Ruggier  libero  fia. 

49.  E  seguitò  narrandole  di  quello 
Magico  error,  che  gli  avea  ordito  Atlante, 
Che ,  simulando  d'  essa  il  viso  bello, 

Che  cattiva  parca  del  rio  gigante, 
Tratto  r  avea  nell'  incantato  ostello, 
Dove  sparito  poi  gli  era  damante; 
E  come  tarda ,  con  simile  i'iganno. 
Le  donne  e  i  cavalier,  che  di  là  vaimo. 


50 


A  tutti  par,  r  incantator  mirando. 
Mirar  quel,  che  per  se  l)rama  ciascuno: 
Donna,  sciuiier,  compagno,  amico;  quando 
Il  de.-iderio  iiman  non  è  tiitt'  uno. 
Quindi  il  palagio  van  tutti  cercando 
Con  lungo  afl'aniio,  e  senza  frutto  alcuno: 
E  tanta  è  la  speranza  e  '1  gran  desire 
Del  ritrovar,  che  non  ne  san  partire. 


51 


Come  tu  giungi,  disse,  in  quella  parte, 
Che  giace  presso  all'  incantata  stanza, 
Verrà  l'  incantatore  a  ritrovarle. 
Che  terrà  di  Ruggiero  ogni  sembianza, 
E  ti   farà  parer,  con  sua  mal'  arte, 
Ch'  ivi  lo  vinca  alcun  di  più  possanza, 
Acciocché  tu  per  ajufarlo  vada. 
Dove  con  gli  altri  poi  li  tenga  a  bada. 

52.      Penile  gì'  inganni,  in  che  son  tanti  e  tanti 
Caduti ,  non   ti  colgan  ,  sì<;  avvertita. 
Che,  M!  ben  di  Ruggier  viso  e  sembianti 
Ti  parrà  di  ^cder,  che  chieggia  aita. 
Non  gli  dar  ftd(r  tu;  ma,  come  avanti 
Ti  virn,  fagli  bi-ciiir  1'  indegna  vita: 
Nò  dubitar  p<;riio ,  che  Ruggier  moja. 
Ma  ben  colui ,  che  li  dà  tanta  noju  ! 


53.  Ti  parrà  duro  assai  (lien  lo  conosco) 
Uccider  un,  che  sembri  il  tuo  Ruggiero; 
Pur  non  dar  fede  all'  occhio  tuo ,  clic  losco 
Farà  1'  incanto ,  e  ccleragli  il  ver((. 
Fermati  pria  eh'  io  ti  conduca  al  bosco. 
Sì,  che  poi  non  si  cangi  il  tuo  pensiero  ! 
Che  sempre  di  Ruggier  rimarrai  pri^a, 

Se  lasci ,  per  viltà  ,  che  '1  mago  viva. 

54.  La  valorosa  giovane ,  con  questa 
Inlenzion  ,  che  'l  fraudolente  uccida, 

A  pigliar  1'  arme,  ed  a  seguire  è  presta 
Melissa ,  che  sa  ben  ,  quanto  l'  è  fida. 
Quella ,  or  per  terren  culto ,  or  per  foresta 
A  gran  giornate  in  gran  fretta  la  guida, 
Cercando  alleviarle  tuttavia 
Con  parlar  grato  la  nojosa  via. 

55.  E ,  più  di  tutti  i  bei  ragionamenti. 
Spesso  leripetea,  che  uscir  di  lei 

E  di  Ruggier  doveano  gli  eccellenti 
Principi ,  e  gloriosi  semidei. 
Come  a  Slelissa  fossino  presenti 
Tutti  i  secreti  degli  eterni  Dei, 
Tutte  le  cose  ella  sapea  predire, 
Ch'  avcan  per  molti  secoli  a  venire. 

56.  Deh!  come,  o  prudentissima  mia  scorta, 
(Dicea  alla  maga  1'  inclita  donzella) 
Àlolti  anni  prima  tu  m'  hai  fatto  accorta 
Di  tanta  mia  viril  progenie  bella, 

Così  d'  alcuna  donna  mi  conforta. 

Che  di  mia  stirpe  sia,  se  alcuna  in  quella 

Metter  si  può  tra  belle  e  virtuose. 

E  la  cortese  maga  le  rispose: 

57.  Da  te  uscir  veggio  le  pudiche  donne. 
Madri  d'  imperadori  e  di  gran  regi, 
Reparatrici ,  e  solide  colonne 

Di  case  illustri  e  di  dominj  egregi. 
Che  men  degne  non  son  nelle  lor  gonne. 
Che  in  arme  i  cavalier  di  sonimi  pregi. 
Di  pietà,  di  gran  cor,  di  gran  prudenza. 
Di  somma  e  incomparabil  continenza. 

58.  E  se  avrò  da  narrarti  di  ciascuna. 
Che  nella  stirpe  tua  sia  d'  onor  degna. 
Troppe»  sarà  ;  eh'  io  non  ne  veggio  alcuna, 
Che  passar  con  silenzio  mi  convegna. 

Ma  ti  farò  tra  mille  scelta  d'  una 

O  di  due  coppie,  acciocch'  a  fin  ne  vegna. 

jVella  spelonca  perchè  noi  dicesti. 

Che  r  immagini  ancor  vedute  avresti? 

59.  Della  tua  chiara  stirpe  uscirà  quella 
D'  opere  illustri  e  di  bei  studj  amica, 

Ch'  io  non  so  ben ,  se  più  leggiadra  e  bella 

Mi  debba  dire,  o  più  saggia  e  pudica. 

Liberale  e  magnanima  Isabella, 

Che  del  bel  lume  suo  ,  di  e  notte ,  aprica 

Farà  la  terra,  clu;  sul  Rienzo  siede, 

A  cui  la  madre  d'  Orno  il  nome  diede:       ' 

60.  Dove  onorato  e  splendido  certame 
Avrà  col  suo  dignissimo  consorte. 
Chi  di  lor  più  le  virtù  prezzi  ed  ame, 
E  chi  meglio  a|)ra  a  cortesia  le  porte. 
Se  un  narrerà,  *.\\  al  Taro,  e  nel  reiuno 
Fu  a  liberar  da'  (ìalli  Italia  forte, 

L'  altra  dirà:  Sol  perchè  casta  visse, 
Penelope  non  fu  minor  d'  Llisse. 


[148] 


[149] 


OKLANDO  FURIOSO.     (XIII.  6I-W) 


[150] 


61.      Gran  cose  e  molte  in  brevi  detti  accolgo 
Di  questa  donna,  e  più  dietro  ne  lasso, 
Che  in  quelli  dì ,  eh'  io  mi  levai  dal  volgo, 
Mi  fé'  chiare  Merlin  dal  cavo  sasso  : 
E  ,  se  in  questo  gran  mar  la  vela  sciolgo, 
Di  lungo  Tifi  in  navigar  trapasso. 
Conchiudo  in  somma,  eh'  ella  a\Tà  per  dono 
Della  virtù  e  del  ciel  ciò  eh'  è  di  buono. 

62.  Seco  avrà  la  sorella  Beatrice, 

A  cui  si  converrà  tal  nome  appunto  ; 

Ch'  essa  non  sol  del  ben ,  che  quaggiù  lice, 

Per  quel  che  vivcrà ,  toccherà  il  punto, 

Ma  avrà  forza  di  far  seco  felice 

Fra  tutti  i  ricchi  duci  il  suo  congiunto, 

11  qual,  come  ella  poi  lascerà  il  mondo, 

Così  degl'  infelici  andrà  nel  fondo. 

63.  E  ]Moro,  e  Sforza,  e  viscontei  colubri, 
Lei  viva,  formidabili  saranno 

Dalle  iperboree  nevi  ai  lidi  rnbrì. 

Dall'  Indo  ai  monti,  eh'  al  tuo  mar  via  danno. 

Lei  morta,  andran  col  regno  dcgl'  Insubri, 

E  con  grave  di  tutta  Italia  danno. 

In  servitute;  e  fia  stimata,  senza 

Costei ,  ventura  la  somma  prudenza. 

64.  Vi  saranno  altre  ancor,  eh'  avranno  il  nome 
Mcdesmo  ,  e  nasceran  molti  anni  prima  ; 

Di  che  una  s'  ornerà  le  sacre  chiome 
Della  corona  di  Pannonia  opima  ; 
Un'  altra ,  poiché  le  terrene  some 
Lasciate  avrà ,  fia,  nell'  ausonio  clima, 
CoUocata  nel  numer  delle  Dive, 
Ed  avrà  incensi  e  immagini  votive. 

65.  Dell' altre  tacerò  ;  che,  come  ho  detto. 
Lungo  sarebbe  a  ragionar  di  tante. 
Benché  per  s«;  ciascuna  abbia  suggetto 
Degno  ,  eh'  eroica  e  chiara  tuba  caute. 
Le  Bianche ,   le  Lncrezie  io  terrò  in  petto, 
E  le  Costanze,  e  l'  altre,  che  di  quante 
Splendide  case  Italia  reggeranno, 
Reparatrici  e  madri  ad  esser  hanno. 

66.  Più ,  eh'  altre  fosser  mai ,  le  tue  faraìglie 
Saran  nelle  lor  donne  avventurose; 

Non  di('o  in  quella  \)'iii  delle  lor  figlie. 
Che  neir  alta  onestà  dello  lor  spose. 
E  acciò  da  te  notizia  anco  si  piglio 
Di  questa  parte ,  che  Merlin  mi  espose. 
Forse  percli'  i(»  'I  do\cssi  a  te  ridire, 
Ilo  di  parlarne  non  poco  desire. 

67.  E  dirò  prima  di  Uicciarda,  degno 
J]seiiipio  (li  fortezza  e  d'  onestade. 
Vedova  rimarrà  giovane  a  sdegno 
Di  fortuna;  il  che  spesso  ai  buoni  accade. 
I  figli  ,  pri\i  del  paterno  regno. 
Esuli  andar  vedrà  in  strane  contrade, 
Fanciulli  in  man  degli  a^^ersarj  loro: 
Ma  in  fine  avrà  il  suo  mah;  ampio  ristoro. 

68.  Dell'  alta  stirpe  d'  Aragona  antica 
ìSon  tacerò  la  splendida  regina. 
Di  cui  n«:  saggia  ^ì ,  uè  ^ì  pudica 
Veggio   istoria  hidar  greca  o  Ialina, 
Mò  a  cui  Fortuna  più  si  mostri  amica, 
Poii'ln-  sarà  dalla  lionlà  divina 
Eletta  madre  a  partorir  la  hella 
Progenie.  Alfonso,  Ippolito  e  Isabella. 


69.  Costei  sarà  la  saggia  Leonora, 

I  Clie  nel  tuo  felice  arbore  s' innesta, 

I  Che  ti  dirò  della  seconda  nuora, 

j  Succeditrice  prossima  di  questa, 

!  Lucrezia  Borgia ,  di  cui  d'  ora  in  ora 

j         La  beltà ,  la  virtù ,  la  fama  onesta 
'         E  la  fortuna  crescerà  non  meno. 

Che  giovin  pianta  in  morbido  terreno  ? 

70.  Qual  lo  stagno  all'  argento,  il  rame  all'  oro, 
\         Il  campestre  papavero  alla  rosa. 

Pallido  salce  al  sempre  verde  alloro. 
Dipinto  vetro  a  gemma  prezio.<a. 
Tale  a  costei ,  eh'  ancor  non  nata  onoro, 
Sarà  ciascuna  insino  a  qui  famosa 
Di  singoiar  beltà,  di  gran  prndenza, 
E  d'  ogni  altra  lodevole  eccellenza. 

71.  E  sopra  tutti  gli  altri  incliti  pregi. 
Che  le  saranno  e  a  viva  e  a  morta  dati. 
Si  loderà,  che  dì  costumi  regi 
Ercole  e  gli  altri  figli  avrà  dotati, 

E  dato  gran  principio  ai  ricchi  fregi. 
Di  che  poi  s'  ornerimno  in  toga,  e  armati: 
Perchè  1'  odor  non  se  ne  va  sì  in  fretta. 
Che  in  nuovo  vaso ,  o  buono  o  rio ,  si  metta. 

12.     Non  voglio,  clic  in  silenzio  anco  Renata 
Di  Fi-ancia,  nuora  dì  costei,  rimagna. 
Di  Luigi  il  duodecimo  re  nata, 
E  dell'  eterna  gloria  di  Bretagna. 
Ogni  virtù,  che  in  donna  mal  sia  sfata. 
Dappoiché  'l  fuoco  scalda,  e  1'  acqua  b.igna, 
E  gira  intorno  il  cielo  ,  insieme  tutta 
Per  Renata  adornar  veggio  ridutta. 

73.  Lungo  sarà,  che  d'  Alda  di  Sansogna 
Narri ,  o  della  contessa  di  Celano, 

O  di  Bianca   IMaria  di  Catalogna, 

O  della  figlia  del  re  siciliano, 

O  della  bella  Lippa  da  Bologna, 

E  d'  altre;  che ,  s'  io  vo'  di  mano  in  mano 

Venirtene  dicendo  le  gran  lode, 

Entro  in  un  alto  mar,  che  non  ha  prode. 

74.  Poiché  le  raccontò  la  maggior  parte 
Della  futura  stirpe  a  suo  grand'  agio, 
Più  volte  e  più  le  replicò  dell'  arte, 

Ch'  avea  tratto  Itnggier  deiitro  al  palagio. 
Melissa  si  fermò,  poiché  In  in  ])arte 
Vicina  al  luogo  del  vecchio  malvagio; 
E  non  le  jiarve  di  venir  piò  innante, 
Perché  vedala  non  fosse  da  Allintc. 

j5.      e  la  don/ella  di  nuovo  ronsij^lia 

Di  quel  ,  che  mille  volte  ormai  le  ha  detto. 

La  lascia  sola:  e  quella  oltre  a  due  miglia 

Non  cavalcò  per  un  sentiero  stretto, 

Che  vide  quel,  eh'  al  suo  KMgj;ier  simiglia, 

E  due  giganti  di  crudele  aspetto 

Intorno  a>ea,  che  lo  slriufican  sì  forte, 

Cir  era  vicino  esser  condotto  a  morte. 

16.      Come  la  donna   in  tal  periglio  vede 
Cedui  ,  che  di  liuggiiro  ha  tutti  i  s«'gnì, 
Suhito  «aniiia  in  so>pi/.ion  la  f«'de, 
Suhilo  olililia  tutti  i  suoi  bei  disegni. 
Che  sia  in  odio  a  ìlclissa  Ituggicr  credo 
Per  nuova  ini;iuria,  e  non  intesi  sdi-giu", 
]'!  c:erchi  far,  con  disusata  trama, 
C'bc  sia  morto  da  lei ,  che  <-osì  1'  ama. 

10  * 


[151]         ORLANDO  FURIOSO^    (XIII. -Sf7- 83.     XIV.  1-4) [152J 


ti.     Seco  dicea  :  Non  è  Ruggier  costui, 

Che  col  cor  sempre ,    ed  or  con  gli  occhj  veggio  ; 

E  s'  or  non  veggio  e  non  conosco  lui,  ^ 

Chi  mai  vedere ,  o  mai  conoscer  dcggip  ? 

Perchè  voglio  io  ,  delia  credenza  altrui, 

Che  la  veduta  mia  giudichi  peggio  ? 

Che  ,  senza  gli  occhj  ancor ,  sol  per  se  stessa 

Può  il  cor  sentir ,  se  gli  è  lontano ,  o  appresso. 

18.     Mentiechè  così  pensa ,  ode  la  voce, 
Che  le  par  di  Ruggier ,   chieder  soccorso, 
E  vede  quello  a  un  tempo ,  che  veloce 
Sprona  il  cavallo ,  e  gli  rallenta  il  morso  ; 
E  r  un  nemico  e  1'  altro  suo  feroce, 
Che  lo  segue  e  lo  caccia  a  tutto  corso. 
Di  lor  seguir  la  donna  non  rimase, 
Che  si  condusse  alle  incantate  case, 

7!).     Delle  quai  non  più  tosto  entrò  le  porte, 
Che  fu  sommersa  nel  comune  errore. 
Lo  cercò  tutte  per  vie  dritte  e  torte, 
In  van  di  su,  di  giù,  dentro  e  di  fuore; 
Né  cessa  notte,  o  dì;  tanto  era  forte 
L'  incanto;  e  fatto  avea  1'  incantatore, 
Cile  Ruggier  vede  sempre,  e  gli  favella, 
Né  Ruggier  lei ,  né  lui  riconosce  ella. 


80.  Ma  lasciam  Bradamante ,  e  non  v'  ìncrcsca 
Udir ,  che  così  resti  in  quell'  incanto  ! 

Che ,  quando  sarà  il  tempo ,  eh'  ella  n'  esca, 
La  farò  uscire ,  e  Ruggiero  altrettanto. 
Come  raccende  il  gusto  il  mutare  esca, 
Così  mi  par ,  che  la  mia  istoria ,  quanto 
Or  qua  or  là  più  variata  sia. 
Meno,  a  chi  1'  udirà,  nojosa  Ila. 

81.  Di  molte  fila  esser  hisogno  parme 
A  condur  la  gran  tela,  eh'  io  lavoro? 
E  però  non  vi  spiaccia  d'  ascoltarme, 
Come,  fuor  delle  stanze,  il  popol  Moro 
Davanti  al  re  Agramante  ha  preso  1'  arme. 
Che ,  molto  minacciando  ai  gigli  d'  oro, 
Lo  fa  assemhrare  ad  una  mostra  nuova. 
Per  saper  quanta  gente  si  ritrova. 

82.      Perchè ,  oltre  i  cavalieri ,  oltre  i  pedoni, 
Ch'  al  numero  sottratti  erano  in  copia, 
Mancavan  capit.ini,  e  pur  de'  huoni, 
E  di  Spagna  e  di  Libia  e  d'  Etiopia, 
E  le  diverse  squadre  e  le  nazioni 
Givano  errando  senza  guida  propia. 
Per  dare  e  capo  ed  ordine  a  ciascuna. 
Tutto  il  campo  alla  mostra  si  raguna. 


83.     In  supplimento  delle  turbe  uccìse 
Nelle  battaglie,  e  ne'  fieri  conflitti, 
L'  un  signore  in  Ispagna ,  e  1'  altro  mise 
In  Africa  ,  ove  molti  erano  scritti. 
E  tutti  alli  lor  ordini  divise, 
E  sotto  i  duci  lor  gli  ebbe  diritti. 
Differirò  ,  Signor,  con  grazia  vostra, 
Neil'  altro  canto  l'  ordine  e  la  mostra. 


CANTO    DECIMOQUARTO. 


ARGOMENTO. 

Fatto  avendo  la  mostra  il  re  Agramante 
Velie  sue  genti,  egli  s'  avvede  tardo. 
Che  con  due  schiere  (il  che  non  seppe  avantc) 
Mancava  insieme  Alzirdo  e  Manilurdo. 
Va  per  trovar  il  gran  signor  d'  Anglantc, 
E  trova  Doralicc  ,  Mandricardo. 
Regge  Michel  di  Rinaldo  i  vestigi, 
Mentrechè  i  Mori  assaltano  Parigi. 


Nei  molti  assalti ,   e  nei  crndel  conflitti, 
Ch'  avuti  avea  con  Fraru;ia  Africa  e  Spagna, 
Morti  erano  infiniti  e  derelitti 
A!  lupo,  al  c<»rvo,  all'  a(|uila  grifagna; 
E  bencliè  i  Frimclii  fopisero  più  affiitti, 
Clie  tutta  avcan  perduta  la  campagna. 
Più  i>i  doh^ano  i  Saracin,    p(?r  molti 
Princij)!  e  gran  baron ,  eli'  cran  h»r  tolti. 


2.  Ebbon  vittorie  così  sanguinose. 
Che  lor  poco  avanzò  di  che  allegrarsi  : 
E  se  alle  antique  le  moderne  cose. 
Invitto  Alfonso  ,  denno  assimigliarsi, 
La  gran  vittoria,  onde  alle  virtuose 
Opere  vostre  può  la  gloria  darsi. 

Di  che  aver  sempre  lagriniose  ciglia  ^ 
Ravenna  debbe ,  a  queste  s'  assimiglia  : 

3.  Quando  ,  cedendo  Morini  e  Piccardi, 
L'  esercito  noriinindo  e  1'  aquitauo,^ 
Voi  nel  mezzo  assaliste  gli  stendardi 
Del  quasi  vincitor  nimico  ispano  ; 
Seguendo  voi  quei  giovani  gagliardi, 
Che  uKu-itàr  con  valorosa  niano^ 
Quel  dì  da  voi,  per  onorati  doni, 

L'  else  indorate ,  e  gì'  iiulorati  sproni. 

4.  Con  si  animosi  petti,  che  vi  foro 
Vicini ,  o  poco  liuigi  al  gran  periglio, 
Crolla^t»!  sì  le  ricche  ghiaiule  d'  oro, 

Sì  rcuupeste  il  baston  giallo  e  vermiglio, 
Cir  a  voi  si  deve  il  trionfale  alloro, 
Che  non  fu  guasto ,  uè  sfiorato  il  giglio. 
D'  un'  altra  fronde  v'  orna  anco  la  chioma 
L'  aver  serbalo  il  suo  I'"al)rizio  a  Roma. 


[153] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XIV.    5  —  20) 


[154] 


5.     La  gi-an  Colonna  del  nome  romano, 
Clic  voi  prendeste ,  e  che  serbaste  intera, 
Vi  dà  più  onor ,  che  se  di  vostra  mano 
Fosse  caduta  la  milìzia  fiera, 
Quanta  n'  ingrassa  il  campo  raTegnano, 
E  quanta  se  n'  andò  senza  bandiera 
D'  Aragon  ,  di  Castiglia  e  di  \avarra. 
Veduto  non  giovar  spiedi ,  nò  carra. 

6b      Quella  vittoria  fu  più  di  conforto, 
Che  d'  allegrezza  ;  perchè  troppo  pesa 
Centra  la  gioja  nostra  il  veder  moi-to 
Il  capitan  di  Francia,  e  dell'  impresa; 
E  seco  avere  una  procella  assorto 
Tanti  principi  illustri ,  che  a  difesa 
De'  regni  lor  ,  de'  lor  confederati, 
Di  qua  dalle  fredde  Alpi  eran  passati. 

7.  Nostra  salute ,  nostra  vita  In  questa 
Vittoria  suscitata  si  conosce, 

Che  difende ,  che  '1  a  erno  e  la  tempesta 
Di  Giove  irato  sopra  noi  non  croscè  : 
Ma  né  goder  possiam,  nò  fai-ne  festa, 
Sentendo  i  gran  rammarichi  e  1'  angosce, 
Che,  in  vesta  bruna  e  lagrimosa  guancia, 
Le  vedovelle  fan  per  tutta  Francia. 

8.  Bisogna ,  che  proveggia  il  re  Luigi 
Di  nuovi  capitani  alle  sue  squadre, 
Che,  per  onor  dell'  aurea  fiordilìgi, 
Ciistighino  le  man  rapaci  e  ladre. 

Che  suore  e  frati,  e  bianchi  e  neri  e  hìgì. 
Violato  hanno ,  e  sposa,  e  figlia,  e  madre; 
Gittato  in  terra  Cristo  in  sacramento. 
Per  torgli  un  tabernacolo  d'  argento. 

9.  O  misera  Ravenna,  t'  era  meglio 
Clic  al  vincitor  non  fessi  resistenza  ; 

Far,  eh'  a  te  fosse  innanzi  Brescia  speglio. 
Che  tu  lo  fossi  a  Rimino  e  a  Faenza. 
Manda ,  Luigi ,  il  buon  Trivulzio  veglio. 
Che  insegni  a  questi  tuoi  più  confinenza, 
E  conti  lor ,  quanti ,  per  simil  torti. 
Stati  ne  sian  per  tutta  Italia  morti  ! 

10.  Come  dì  capitani  l)isogna  ora, 
Che  '1  re  di  Francia  al  campo  suo  proveggia. 
Così  Marsilio,  ed  Agramante  allora, 
Ver  dar  buon  reggimento  alla  sua  greggia, 
Dai  lochi,  dove  il  ^erno  fé'  ilimora, 
Vuol,  che  in  campagna  all'  ordine  si  veggia. 
Perchè,  vedendo,  ove  bisogno  sia, 
Guida  e  governo  ad  ogni  scliicra  dia, 

11.  Marsilio  prima,  e  poi  fece  Agramante 
Passar  la  gente  sua  schiera  \h'v  schiera. 

I  Catalani  a  tutti  gli  altri  innante 
Di  l)orif<;bo  van  con  la  biiiidicra. 
Dopo  vien  senza   il  suo  re  Folvirantc, 
Clic  per  man  di  Rinaldo  già  morto  era, 
La  gente  di  Xavarra;    e  lo  re  i>pano 
Halle  dato  Itjoiicr  |)er  ca])i(ano. 

12.  Raingantc  del  popol  di  Leone, 
(irandonio  cura  d(;gli  Algarbi  |>iglia: 

II  Iratel  di  Miir.silio,   Falsirone, 
ila  seco  armala  la  minor  Ciistiglia. 
Scgiicui  di  Madiira^sii  il  goiil'iilone 
Quei,  che  laxiato  bau  Malaga  <•  Siviglia, 
Dal  mar  di  (iade  a  Conbna  Irconda 
Lu  verdi  ripe,  «tvunque  il  Reti  inonda. 


13.  Stordilano  e  Tessira  e  Baricondo, 

L'  un  dopo  r  altro  mostra  la  sua  gente; 
Granata  al  primo ,  Ulisbona  al  secondo, 
E  3Iajorica  al  terzo  è  ubbidiente. 
Fu  d'  Ulisbona  re  (tolto  dal  mondo 
Larbin)  Tessira,  di  Larbin  parente. 
Poi  vien  Galizia,  che  sua  guida,  in  vece 
Di  3Iaric()ldo ,  Serpentino  fece. 

14.  Quei  di  Toledo,  e  quei  di  Calatrava, 
Di  eh'  ebbe  Sinagon  già  la  bandiera, 
Con  tutta  quella  gente,  che  si  lava 

In  Guadiana ,  e  bee  della  riviera, 
L'  audace  Matalista  governava. 
Bianzardin  quei  d'  Asturga  in  una  schiera, 
Con  quei  di  Salamanca  e  di  Piagenza, 
D'  Avila ,  di  Zamorra  e  di  Palenza. 

15.  Di  quei  di  Saragosa,  e  della  corte 
Del  re  Marsilio ,  ha  Ferraù  il  governo. 
Tutta  la  gente  è  ben  armata  e  forte. 
In  questi  è  Malgarino  e  Balinverno, 
Maizarise  e  Morgante,  eh'  una  sorte 
Area  fatto  abitar  paese  esterno  ; 

Che ,  poiché  i  regni  lor  lor  f uron  tolti, 
Gli  avea  3Iarsilio  in  corte  sua  raccolti. 

16.  In  questa  è  di  Marsilio  il  gran  bastardo, 
Follicon  d'  Almeria ,  con  Doriconte, 
Bavarte ,  e  l'  Argalifa  ed  Analardo, 

Ed  Archidante,  il  sagontino  conte, 
E  r  Ammirante,   e  Langhiran  gagliardo. 
E  Malagur ,  eh'  avea  1'  astuzie  pronte  ; 
Ed  altri  ed  altri ,  de'  quai  penso ,  dove 
Tempo  sarà ,  di  far  veder  le  prove. 

17.  Poiché  passò  1'  esercito  di  Spagna 

Con  bella  mostra  innanzi  al  re  Agramante, 

Con  la  sua  squadra  apparve  alla  campagna 

Il  re  d'Oran  ,  che  quasi  era  gigante. 

L'  altra,  che  vien,  per  IMartasin  ^i  lagna, 

li  qual  morto  le  fu  da  Bradaniante; 

E  si  duol,  eh'  una  femmina  si  vanti 

D'  a^cre  ucciso  il  re  de'  Garamantì. 

18.  Segue  la  terza  schiera  di  Marmonda, 

Ch'  Argosto  morto  abbandonò  in  Guascogna. 
A  questa  im  capo,  come  alla  seconda, 
E  come  anco  alla  quarta,  dar  bi-ogna. 
Quantun(|ue  il  re  Agramante  non  abbonda 
Di  caiììtani ,  pur  ne  finge  e  sogna: 
Dunque  Ruraldo,  Ormida,  Arganio  elesse, 
E,  dove  uopo  ne  fu,  guida  li  messe. 

19.  Diede  ad  Arganio  quei  di  Libicana, 
Clic  piangean  nioito  il  negro  Dudriiiasso. 
Guida  Kriinello  i  suoi  di    Tiiigilana, 

Con  viso  nubiloso,  e  ciglio  ba>so: 

Che,  poiché  nella  >clva  non  lontana 

Dal  Castel,  eh'  ci)i)c  Aliante  in  cima  ai  sasso, 

(ìli  fu  tolto  r   anrl  da  Kradamanle, 

Caduto  era  in  di>grazia  al  re  Agramante: 

20.  E ,  KC  'I  fratel  di  Ferraù  ,  Isoliero, 
Cir  air  arbore  legato  ritrovollo, 

Aon   facci  fede  innaii/i  al  re  del  vero, 
A\r«bbe  dato  in  >ullc  rorilie  un  crtillo. 
I\lutò,    a'  preghi  di  molli,   il  re  pcii>i«'ro. 
Già  a>endo  latto  ptngli  il  biccio  al  cidlo  : 
(ìlielo  fece  levar,  ma  rixriiarlo 
Pel  primo  error;  che  poi  giurò  impiccarlo. 


[155] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XIV.  21-30) 


[156] 


21.  Siedi'  avea  causa  di  venir  Brunello 
Col  viso  mesto  e  con  la  testa  china. 
Segnia  poi  Farurante ,  e  dietro  a  quello 
Evan  cavalli  e  fanti  di  Manrina. 
Tenia  Libanio  appresso,  il  re  novello: 
La  gente  era  con  lui  di  Costantina; 
Perocché  la  corona  e  '1  baston  d'  oro 
Gli  ha  dato  il  re ,  che  fu  di  Pinadoro. 

22.  Con  la  gente  d'  Esperia  Sondano, 
"^  E  Dorilon  ne  vien  con  quei  di  Setta  : 

Ne  vien  co'  Nasamoni  Puliano  : 

Quelli  d'  Araonia  il  re  Agricalte  affretta  ; 

Malabuferso  quelli  di  Fizano  : 

Da  Finaduro  è  1'  altra  squadra  retta, 

Che  di  Canaria  viene  e  di  Marocco  : 

Balastro  ha  quei,  che  fur  del  re  Tardocco. 

23.  Due  squadre,  una  di  Malga,  una  d'  Arzillii. 
Seguono ,  e  questa  ha  il  suo  signore  antico, 
Quella  n'  è  priva;  e  però  il  re  sortilla, 

E  diella  a  Corinéo ,  suo  fido  amico  : 
E  così  della  gente  d'  Alraansilla, 
Ch'  ebbe  Tanfirion ,  fé'  re  Caico  ; 
Die  quella  di  Gctulia  a  Rimedonte; 
Poi  vien  con  quei  di  Cosca  Balinfrontc. 

24      Quell'  altra  schiera  è  la  gente  di  Bolg;:  ; 
*  Suo  re  è  Clarindo ,  e  già  fu  Blirabaldo  : 
Vien  Baliverzo,  il  qual  vo'  che  tu  tolga 
Di  tutto  il  gregge  pel  maggior  ribaldo. 
Non  credo  in  tutto  il  campo  si  disciolga 
Bandiera,  eh'  abbia  esercito  più  saldo 
Dell'  altra,  conche  segue  il  re  Sohrino, 
?^è  più  di  lui  prudente  Saracino. 

25.  Quei  di  Bellamarina,  che  Gualciotto  ^ 
Solca  guidare,  or  guida  il  re  d'  Algierl, 
Rodomonte  di  Sarza  ,  che  condotto 

Di  nuovo  avea  pedoni  e  cavalieri  ; 
Che  mentre  il  sol  fu  nubiloso  sotto 
Il  "-ran  centauro ,   e  i  corni  orridi  e  fieri, 
Fu^in  Africa  mandato  da  Agramante, 
Onde  venuto  era  tre  giorni  innante. 

26.  ^on  avea  il  campo  d'  Africa  più  forte, 
Né  Saracin  più  audace  di  costui  ; 

E  più  temean  le  parigine  porte. 

Ed  avcan  più  cagion  di  temer  lui, 

Che  Marsilio,  Agramante,  e  la  gran  corte, 

Ch'  avea  seguit<»  in  Francia  questi  dui; 

E  più  d'  ogni  altro  ,  che  facesse  mostra. 

Era  nimico  della  fede  nostra. 

27.  Vien  Prusione,  il  re  dell'  Alvaracchic; 
Poi  quel  della  Zumara,  Dardinello. 

Non  so,  s'  abbiano  <»  nottole  o  cornacchie, 
O  altro  manco  ed  importuno  augello, 
Il  qual  dai  tetti  e  dalle  fronde  gracchie 
Futuro  mal,  predetto  a  questo  e  a  quello. 
Che  fissa  in  ciel  nel  dì  seguente  ì:  V  ora. 
Che  r  uno  e  1'  altro  in  quella  pugna  mora. 

28.  In  campo  non  arcano  altri  a  venire. 
Che  «luci  di  'l'r(;mi>enne  e  di  ^orizia; 
Nò  hi   vtrdea  alla  mostra  comparire 

Il  BCgno  lor ,  ni:  «lar  di  t-ò  notizia. 
Non  sapendo  Agiamanti^,  <:he  si  dire, 
N«;  che  peiif-ar  di  (|iic>ta  lor  pigrizia, 
Uno  scudiero  allìii  gli  fu  cotulntto 
Del  re  di  Tremi.-en ,  che  narrò  il  tutto  ; 


29.  E  gli  narrò,  eh'  Alzirdo  e  Manilardo, 
Con  molti  altri  de'  suoi ,  giaceano  al  campo. 
Signor,  dìss'  egli,  il  cavalier  gagliardo, 

Ch'  ucciso  ha  i  nostri ,  ucciso  avrìa  il  tuo  campo, 
Se  fosse  stato  a  torsi  via  più  tardo 
Di  me,  eh'  appena  ancor  così  ne  scampo- 
Fa  quel  de'  cavalieri  e  de'  pedoni, 
Che  '1  lupo  fa  di  capre  e  di  montonL 

30.  Era  venuto  pochi  giorni  avante 

Nel  campo  del  re  d'  Africa  un  signore; 
Né  in  Ponente  era,  né  in  tutto  Levante 
Di  più  forza  di  lui ,  né  di  più  core. 
Gli  facea  grande  onore  il  re  Agramante, 
Per  esser  costui  figlio  e  successore 
In  Tartaria  del  re  Agrican  gagliardo: 
Suo  nome  era  il  feroce  Mandricardo. 

31.  Per  molti  chiarì  gesti  era  famoso, 
E  di  sua  fama  tutto  il  mondo  empia; 
Ma  lo  facea  più  d'  altro  glorioso, 
Ch'  al  Castel  della  fata  di  Soria 

L'  usbergo  avea  acquistato  luminoso, 
Ch'  Ettor  trojan  portò  mille  anni  pria. 
Per  strana  e  formidabile  avventura, 
Che  'l  ragionarne  pur  mette  paura. 

32.  Trovandosi  costui  dunque  presente 
A  quel  parlare,  alzò  1'  ardita  faccia, 
E  si  dispose  andare  immantinente. 

Per  trovar  quel  guerrier,  dietro  alla    raccia. 
Ritenne  occulto  il  suo  pensiero  in  mente, 
O  sia  perché  d'  alcun  stima  non  faccia, 
O  perché  tema,  se  '1  pensier  palesa, 
Ch'  un  altro  innanzi  a  lui  pigli  1'  impresa. 

33.  Allo  scudier  fé'  dimandar,  come  era 
La  sopravvesta  di  quel  cavaliero. 
Colui  rispose  :  Quella  è  tutta  nera. 

Lo  scudo  nero ,  e  non  ha  alcun  cimiero. 
E  fu,  Signor,  la  sua  risposta  vera  ; 
Perché  lasciato  Orlando  avea  il  quartìero  ; 
Che  ,   come  dentro  1'  animo  era  in  doglia, 
Così  imbrunir  di  fuor  volse  la  spoglia. 

3i.      Marsilio  a  Mandricardo  avea  donato 
Un  dcstrier  bajo,  a  scorza  di  castagna, 
Con  gambe  e  chiome  nere  ,  ed  era  nato 
Di  frisa  madre,  e  d'  un  villan  di  Spagna. 
Sopra  vi  salta  Mandricardo  armato, 
E  galoppando  va  per  la  campagna, 
E  giura  non  tornare  a  quelle  schiere, 
Se  non  trova  il  campion  dall'  arme  nere  ; 

35.  Molta  incontrò  della  paurosa  gente. 
Che  dalle  man  d'  Orlando  era  fuggita. 
Chi  del  figliuol ,  chi  del  fratel  dolente, 
Che  innanzi  agli  occlij  siuoi  perde  la  vita. 
Atuora  la  codarda  e  trista  mente 

Nella  pallida  faccia  era  scolpita; 
Ancor,  per  la  paura,  che  avuta  hanno, 
Pallidi,  muti  ed  insensati  vanno. 

36.  Non  Ce'  huigo  cammlr»  ,  che  venne,  dove 
Cruilcl  spettacolo  ebbe ,  ed  inumimo, 

Ma  t(\-.tinu)nio  alle  mirabil  prove. 
Che  fur  racconto  innanzi  al  re  Africano. 
Or  mira  questi,  or  <(uelli  nu)rti,  e  muo^c, 
E  vuol  li;  piaghe  misurar  con   mano, 
Mosso  da  strana  insidia,  eh'  egli  porla 
Al  cavalier ,  eh'  avea  la  gente  morta. 


[157] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XIV.    37-52) 


[158] 


37.  Come  lupo  o  mastin ,  eh'  ultimo  giugne 
Al  bue  lasciato  morto  da'  villani, 

Che  trova  sol  le  corna,  1'  ossa  e  1'  ugne, 
(Del  resto  son  sfamati  augelli  e  cani) 
Riguarda  invano  il  teschio,  che  non  ugne: 
Così  fa  il  crudel  Barbaro  in  quei  piani. 
Per  duol  bestemmia,  e  mostra  invidia  immensa. 
Che  ven  ne  tardi  a  cosi  ricca  mensa. 

38.  Quel  giorno  e  mezzo  1'  altro ,  segue  incerto 
D  cavalier  dal  negro ,  e  ne  domanda. 

Ecco  vede  un  pratel  d'  ombre  coperto, 
Che  si  d'  un  alto  fiume  si  ghirlanda, 
Che  lascia  appena  un  bre^c  spazio  aperto, 
Dove  r  acqua  si  torce  ad  altra  banda. 
Un  simil  luogo  con  gii-evol  onda 
Sotto  Otricoli  il  Tevere  circonda. 

39.  Dove  entrar  sipotea,  con  1'  arme  indosso 
Stavano  molti  cavalieri  armati. 
Chiede  il  pagan ,  chi  gli  avea  in  stuol  sì  grosso. 
Ed  a  che  efietto ,  insieme  ivi  adunati  ? 
Gli  fc'  risposta  il  capitano ,  mosso 
Dal  signoril  sembiante,  e  da'  fregiati 
D'  oro  e  di  gemme  arnesi  di  gran  pregio, 
Che  lo  mostravan  cavaliero  egregio  : 

40.  Dal  nostro  re  siam  ,  disse,  di  Granata 
Cliìamati  in  compagnia  della  figliuola. 
La  quale  al  re  di  Sarza  ha  maritata, 
Benché  di  ciò  la  fama  ancor  non  vola. 
Come,  appresso  la  sera,  racchetata 
La  cicaletta  fia,  eh'  or  s'  ode  sola. 
Avanti  al  padre  fra  1'  Ispane  torme 
La  condurremo  :  intanto  ella  si  dorme. 

41.  Colui ,  che  tutto  il  mondo  vilipende, 
Disegna  di  veder  tosto  la  prova. 
Se  quella  gente  o  bene ,  o  mal  difende 
La  donna,  alla  cui  guardia  si  ritrova. 
Disse:  Costei,  per  quanto  se  n'  intende^ 
E  bella,  e  di  saperlo  ora  mi  giova. 
A  lei  mi  mena,  o  falla  qui  venire! 
Ch'  altrove  mi  convien  subito  gire. 

13.      Esser  per  certo  dei  pazzo  solenne, 
Rispose  il  Granatin  :  nò  più  gli  disse  : 
Ma  il  Tartaro  a  ferir  tosto  Io  venne 
Con  r  asta  bassa,  e  il  petto  gli  tralìsse, 
Che  la  corazza  il  colpo  non  sostenne, 
E  forza  fu,  che  morto  in  terra  gisse. 
L'  asta  ricovra  il  figlio  d'  Agricanc, 
Perchè  altro  da  ferir  non  gli  rimane. 

43.  Non  porta  spada ,  né  l)aston  ;  che ,  quando 
L'  arme  acquistò,  clic  fur  d'  Etfcor  trojano, 
Perchè  trovò,  clic  lor  mancava  il  brando, 
Gli  convenne  giurar  (uè  giurò  invano), 
Che,  finché  non  togliea  quella  d'  Orlando, 
Mai  non  porrebbe  ad  altra  spada  mano. 
Diuiiidana,  che  Almonle  ehix;  in  gran  stima, 
E  Orlando  or  porta ,  Ettor  portava  prima. 

44.  Grande  è  l'ardir  del  Tartaro,  che  vada 
Con  di^vantaggio  tal  contra  coloro. 
Gridando:  VAù  mi  \uol  vietar  la  strada? 
E  con  la  lan(Ma  si  caciùò  tra  l(»ro. 
Chi  r  asta  abbassa  ,  e  chi  trae  fuor  la  spada, 
E  d'  (»gni  intorno  subito  gli  foro. 
Egli  ne  fece  morire  una  frotta, 
Prùuuchù  quella  lancia  fossc  rotta. 


45.  Rotta  che  se  la  vede ,  il  gran  troncone. 
Che  resta  intero  ,  ad  ambe  mani  afferra, 
E  fa  morir  con  quel  tante  persone. 

Che  non  fu  vista  mai  più  crudel  guerra. 

Come  tra'  Filistei  1'  ebreo  Sansone, 

Con  la  mascella  ,  che  levò  di  terra. 

Scudi  spezza,  elmi  schiaccia,  e  un  colpo  spesso 

Spegne  i  cavalli  ai  cavalieri  appresso. 

46.  Corrono  a  morte  quei  miseri  a  gara, 
Né,  perché  cada  1'  un,  1'  altro  andar  cessa  ; 
Che  la  maniera  del  morire  amara 

Lor  par  più  assai ,  che  non  é  morte  istessa. 
Patir  non  ponno ,  che  la  vita  cara 
Tolta  lor  sia  da  un  pezzo  d'  asta  fessa, 
E  sieno ,  sotto  alle  picchiate  strane, 
A  morir  giunti ,  come  bisce  o  rane. 

47.  Ma  ,  poiché  a  spese  lor  si  furo  accorti. 
Che  male  in  ogni  guisa  era  morire, 
Sendo  già  presso  alli  duo  terzi  morti. 
Tutto  r  avvanzo  cominciò  a  fuggire. 
Come  del  proprio  aver  via  se  gli  porti. 

Il  Saracin  crudel  non  può  patire, 
Ch'  alcun  di  quella  turba  sbigottita 
Da  lui  partir  si  debba  con  la  vita. 

48.  Come  in  palude  asciutta  dura  poco 
Stridula  canna,  o  in  campo  arida  stoppia, 
Contra  il  soffio  di  Borea ,  e  contra  il  fuoco. 
Che  '1  cauto  agricoltore  insieme  accoppia. 
Quando  la  vaga  fiamma  occupa  il  loco, 

E  scorre  per  li  solchi ,  e  stride  ,  e  scoppia  : 
Cosi  costor  contra  la  furia  accesa 
Di  Mandricardo  fan  poca  difesa. 

49.  Posciach'  egli  restar  vede  1'  entrata, 
Che  mal  guardata  fu ,  senza  custode, 
Per  la  via ,  che  di  nuovo  era  segnata 

Neil'  erba ,  e  al  suon  de'  rammarichi,  ch"  ode, 
Viene  a  veder  la  donna  di  Granata, 
Se  di  bellezze  è  pari  alle  sue  lode. 
Passa  tra  i  corpi  della  gente  morta. 
Dove  gli  dà ,  torcendo ,  il  fiume  porta  ; 

50.  E  Doralice  in  mezzo  il  prato  vede 
(Che  così  nome  la  donzella  avea), 
La  qual ,  sofl'olta  dall'  antico  piede 
D'  un  frassino  silvestre,  si  dolca. 

Il  pianto,  come  un  rivo,  che  succede 
Di  viva  vena,  nel  bel  sen  aulea; 
E  nel  bel  viso  si  vedea,  che  insieme 
Dell'  altrui  mal  si  duole ,  e  del  suo  temo. 

51.  Crebbe  il  timor, come  venir  lo  vide 

Di  sangue  brutto ,  e  con  farcia  empia  e  oscura  ; 

E  'I  grillo  sino  al  elei  1'  aria  di>idc, 

Di  >è  e  della  sua  gente   per  piinra: 

Che,  olire  i  cavalier,   v"  ciano  guide, 

Che  della  bella  infante  av(  ano  cura. 

Maturi  verdi  j ,  e  assai  donne  e  don/elle 

Del  regno  di  Granata,  e  le  più  belle. 

52.  Come  il  Tartaro  vede  ([nel  bel  viso. 
Che  non  lia  p.iriigone  in  tutta  Spagna, 

E  eh'  ha  nel  pianto    (or  eh"  esser  de'  nel  riso?) 

Tesa  d'  Auu)r  1'  inolricaliil  ragna. 

Non  sa,  se  vi^e  o  in  terra,  o  in  paradiso. 

Ne  d(*lla  sua  vittoria  altro  guadagna. 

Se  lutn  clic  in  lUiUi  della  sua  prigioniciii 

Si  dà  prigione,  o  uon  sa,  in  qual  maniera. 


[159] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XIV.  53—68) 


[160] 


53.  A  lei  però  non  sì  concede  tanto. 
Che  del  travaglio  suo  le  doni  il  frutto. 
Benché  piangendo  ella  dimostri,  quanto 
Possa  donna  mostrar  dolore  e  lutto. 
Egli ,  sperando  volgerle  quel  pianto 

In  sommo  gaudio ,  era  disposto  al  tutto 
alenarla  seco  ;  e  sopra  un  bianco  ubino 
aiontar  la  fece  ,  e  tornò  al  suo  cammino, 

54.  Donne  e  donzelle ,  e  vecchj  ,  ed  altra  gente, 
Ch'  eran  con  lei  venuti  di  Granata , 

Tutti  licenziò  benignamente, 

Dicendo  :  Assai  da  me  fia  accompagnata  j 

10  mastro ,  io  balia ,  io  le  sarò  sergente 
In  tutti  i  suoi  bisogni  ;  addio  brigata  ! 
Così ,  non  gli  potendo  far  riparo, 
Piangendo  e  sospirando  se  n'  andaro 

55.  Tra  lor  dicendo  :  Quanto  doloroso 
Ne  sarà  il  padre,  come  il  caso  intenda! 
Quanta  ira  ,  quanto  duol  ne  avrà  il  suo  sposo  ! 
O  come  ne  farà  vendetta  orrenda  ! 

Deh  !  perchè  a  tempo  tanto  bisognoso 
Non  è  qui  presso  a  far,  che  costui  renda 

11  >ang!'.e  illustre  del  re  Stordilano, 
Primachè  se  lo  porti  più  lontano  ! 

50.      Della  gran  preda  il  Tartaro  contento,  _ 
Che  fortuna  e  valor  gli  ha  posta  innanzi, 
Di  trovar  quel  dal  negro  vestimento 
Non  par  eh'  abbia  la  fretta,  eh'  avea  dianzi. 
Correva  dianzi  ;  or  viene  adagio  e  lento, 
E  pensa  tuttavia,  dove  si  stanzi, 
Dove  ritrovi  alcun  comodo  loco, 
Per  esalar  tanto  amoroso  foco. 

57.  Tuttavolta  conforta  Doralice, 

Che  avea  di  pianto  gii  occhj  e  'I  viso  molle: 
Compone  e  finge  molte  cose,  e  dice, 
Che  per  fama  gran  tempo  ben  le  volle, 
E  che  la  patria  e  '1  suo  regno  felice. 
Che  4  nome  di  grandezza  agli  altri  tolle. 
Lasciò ,  non  per  vedere  o  Spagna ,  o  Francia, 
Ma  sol  per  contemplar  sua  bella  guancia. 

58.  Se,  per  amar,  1'  uora  deve  essere  amato, 
Merito  il  vostro  amor  ;   che  v'  ho  amata  io. 
Se  per  stirpe  ,  di  me  chi  ò  meglio  nato. 
Che  'l  possente  Agri(;an  fu  il  padre  mio? 
Se  per  ricchezze,  chi  ha  di  me  più  stato, 
Che  di  dominio  io  cedo  solo  a  Dio? 

Se  per  valor ,  credo  oggi  avere  esperto, 
Ch'  essere  amato  per  valore  io  merto. 

5!).      Queste  parole ,  ed  altre  assai ,  che  Amore 
A  Mandricardo  di  sua  bocca  ditta, 
\'an  dolcx-mente  a  c(in>olare  il  core 
Della  donzella  di  paura  afflitta. 
Il  timor  cessa,  e  poi  cessa  il  dolore, 
Che  le  avea  quasi  1'  anima  trafìtta. 
Ella  «-omincia  con  più  pazienza 
A  dar  più  grata  al  nuovo  amante  udienza; 

(JO.     Poi ,  con  risposte^  più  benigne  molto, 
A  mo>trargli.'.i  adabile  e  cortese, 
E  nctn  ncgiirgli  «li  iVuinar  nel  volto 
Talor  le  luci  di  pietad(!  accese: 
Onde  il  pagati,  clic  dallo  stial  fu  colto 
Altre  volle  d'  Amor,   certezza  prese. 
Non  che  speranza,  ehi;  la  donna  bidia 
Non  yjLii'A  a'  »uoi  di:sir  bciiipre  rubcUu. 


(il.      Con  questa  compagnia  lieto  e  giojoso. 
Che  sì  gli  satisfa,  sì  gli  diletta, 
Essendo  presso  all'  ora ,  che  a  riposo 
La  fredda  notte  ogni  animale  alletta, 
A^edendo  il  sol  già  basso  e  mezzo  ascoso. 
Cominciò  a  cavalcar  con  maggior  fretta. 
Tanto  ,  eh'  udì  sonar  zufToli  e  canne, 
E  vide  poi  fumar  a  ille  e  capanne. 

63.      Erano  pastorali  alloggiamenti  ; 

Miglior  stanza ,  e  più  comoda ,  che  bella. 
Quivi  il  guardian  cortese  degli  armenti 
Onorò  il  cavaliero  e  la  donzella, 
Tanto ,  che  si  chiamar  di  lui  contenti  : 
Che  non  pur  per  cittadi  e  per  castella, 
Ma  per  tugurj  ancora  e  per  fenili 
Spesso  si  trovan  gli  uomini  gentili. 

63.  Quel,  che  fosse  dipoi  fatto  all'  oscuro 
Tra  Doralice  e  '1  figlio  d'  Agricanc, 
Appunto  raccontar  non  mi  assicuro. 
Siedi'  al  giudicio  di  ciascun  rimane. 
Creder  si  può ,  che  ben  d'  accox-do  furo  ; 
Che  si  levar  più  allegri  la  dimane, 

E  Doralice  ringraziò  il  pastore. 

Che  nel  suo  albergo  le  avea  fatto  onore. 

64.  Indi,  d'  uno  in  un  altro  luogo  errando. 
Si  ritrovaro  alfin  sopra  un  bel  fiume, 
Che  con  silenzio  al  mar  va  declinando, 

E  se  A  ada ,  o  se  stia ,  mal  si  presume  ; 
Limpido  e  chiaro  si ,  che  in  lui  mirando. 
Senza  contesa  al  fondo  porta  il  lume. 
In  ripa  a  quello,  a  una  fresca  ombra  e  bella. 
Trovar  due  cavalieri  e  una  donzella. 

65.  Or  r  alta  fantasia,  che  un  sentier  solo 
Non  vuol  eh'  io  segua  ognor,  quindi  mi  guida 
E  mi  ritorna ,   ove  il  moresco  stuolo 
Assorda  di  rumor  Francia,  e  di  grida, 

D'  intorno  il  padiglione,  ove  il  figliuolo 
Del  re  Trojano  il  santo  imperio  sfida; 
E  Rodomonte  audace  se  gli  vanta 
Arder  Parigi,  e  spianar  Roma  santa; 

66.  Venuto  ad  Agramante  era  all'  orecchio. 
Che  già  gì'  Inglesi  avean  passato  il  mare; 
Però  Slarsilio ,  e  il  re  del  Garbo  vecchio, 
E  gli  altri  capitan  fece  chiamare. 
Consiglian  tutti  a  far  grande  apparecchio. 
Sicché  Parigi  possano  espugnare: 

Ponno  esser  certi,  che  più  non  s'  espugna, 
Se  noi  fan,  primachè  1'  ajuto  giugna. 

67.  Già  scale  innumerabili  per  questo 
Da'  luoghi  intorno  avean  fatto  raccorrà. 
Ed  assi ,  e  travi ,  e  vimine  contesto, 
Che  le  poteano  a  diversi  usi  porre, 

E  na\i  e  ponti:  e  più  facea,  che  '1  resto, 
II  primo  e  '1  secondo  ordine  disporre 
A  dar  1'  assalto;  ed  egli  vuol  venire 
Tra  quei ,  che  la  città  deano  assalire. 

68.  L'  imperatore  il  dì  che  '1  dì  prccesee 
Della  battaglia,  le'  dentro  a  Parigi 
Per  tutt«  celebrare  uffici  e  messe 

A  preti  e  frati  bianchi,  neri,  e  bigi; 
E  le  genti ,  che  dianzi  eran  confesse, 
E  di  man  tolt^  agi'  inimici  stigi, 
Tolte  comunicar,  non  altramente, 
Ch'  avessino  u  morire  il  dì  seguente. 


[161] 


ORLANDO  FURIOSO.     {XIV.  69—84) 


[162] 


(J9.     Ed  egli,  tra  baroni  e  paladini, 

Principi  ed  oratori,  al  maggior  tempio 

(;on  molta  religione  a  quei  divini 

Atti  intervenne,  e  ne  die  agli  altri  esempio. 

Con  le  man   giunte,  e  gli  occhj   al  del  supini, 

Disse:  Signor,  bench'  io  sia  iniquo  ed  cmpin, 

IVon  voglia  tua  bontà,  per  mio  fallire, 

Che  '1  tuo  popol  fedele  abbia  a  patire  ! 

70.  E,  s'  egli  è  tuo  voler,  eh'  egli  patisca, 
E  eh'  abbia  il  nostro  error  degni  supplici, 
Almen  la  punizion  si  differisca. 

Sicché  per  man  non  sia  de'  tuoi  nemici! 
Che  ,  quando  lor  d'   uccider  noi  sortisca, 
Che  nome  avemo  pur  d'  esser  tuoi  amici, 
I  pagani  diran,  che  nulla  puoi, 
Che  perir  lasci  i  partigiani  tuoi, 

71.  E  per  un  ,  che  ti  sia  fatto  ribelle, 
Cento  ti  si  faran  per  tutto  il  mondo  ; 
Talché  la  legge  falsa  di  Babelle 
Caccerà  la  tua  fede,  e  porrà  al  fondo. 
Difendi  queste  genti ,  che  son  quelle, 

Che  il  tuo  sepolcro  hanno  purgato  e  mondo 
Da'  brutti  cani,  e  la  tua  santa  chiesa 
Con  li  vicarj  tuoi  spesso  difesa. 

72.  So ,  che  i  meriti  nostri  atti  non  sono 
A  satisfare  al  deliito  d'  un'  oncia; 

Né  doverao  sperar  da  te  perdono. 

Se  riguardiamo  a  nostra  vita  sconcia: 

>Ia  se  vi  aggiiigni  di  tua  grazia  il  dono, 

>ostra  ragion  fia  ragguagliata  e  concia: 

\è  del  tuo  ajuto  disperar  possiamo, 

C^ualor  di  tua  pietà  ci  ricordiamo. 

't'ò.     Così  dicea  1'  impcrator  devoto. 
Con  uiniltade  e  contrizion  di  core: 
(iiunse  altri  prieghi  e  convenevol  voto 
Al  gran  bi.sogno,  e  ali"  alto  suo  splendore. 
IVon  fu  il  caldo  prc^gar  d'  efletto  vuoto; 
Perocché  '1  genio  siu),  l'  angel  migliore, 
I  prieghi  tolse,  e  spiegò  al  ciel  le  penne, 
Ed  a  narrare  al  Salvator  li  venne. 

74.     E  furo  altri  infìniti  in  quello  istante 
Da  tali  messaggier  portati  a  Dio, 
Che ,  come  gli  ascoltar  1'  anime  sante, 
Dipinte  di  pietade  il  viso  pio. 
Tutte  miiaro  il  sempiterno  amante, 
E  gli  mostraro  il  coniun  lor  disio. 
Che  la  giusta  ora/ion  fosse  esaudita 
Del  popolo  Cristian,  che  chiede  aita. 

r5.      E  la  bontà  incflabile,  che  invano 
Non   fu  pregata  mai   da  cor  fedele, 
Leva  gli  occhj  pietosi,  e  fa  con  ninno 
Cenno,  che  venga  a  sé  1'  angel  Michele. 
Aa,  gli  disse,  all'  esercito  cristiano. 
Che  dianzi  in  Piccanh'a  calò  le  vele, 
E  al  muro  di  Parigi   1'  appresenta 
Sicché  il  campo  nimico   non  lo  senta! 

Trova  prima  il  Silenzio,  e  da  mia  parte 
fili  di',  che  tcco  a  questa  impresa  ^ciiga; 
Cir  egli  ben  piov\eder  con  ottima  arte 
Saprà,  di  quanto  provved<!r  conveiigii. 
Fornito  questo,  subito  va  in  parte, 
Dove  il    suo  seggio  iii  Discordia  tenga: 
Dille,  che  I'  cbcu  e  '1  focii  seco  pr«!nda, 
£  nel  campo  do'  Mori  il  fuoco  accenda; 


77.  E  tra  quei,  che  vi  son  detti  più  forti 
Sparga  tante  zizanie  e  tante  liti, 

Che  combattano  insieme ,  ed  altri  morti 
Altri  ne  sieno  presi ,  altri  feriti, 
E  fuor  del  campo  altri  lo  sdegno  porti, 
Sicché  il  lor  re  poco  di  lor  s'  aiti  ! 
]Non  replica  a  tal  detto  altra  parola 
Il  benedetto  augel,  ma  dal  ciel  vola. 

78.  Dovunque  drizza  Michel  angel  1'  ale, 
Fuggon  le  nubi,  e  toma  il  ciel  sereno. 
Gli  gira  intorno  un  aureo  cerchio  ,  quale 
Veggiam  di  notte  lampeggiar  baleno. 
Seco  pensa  tra  via,  dove  si  cale. 

Il  celeste  corrier,  per  fallir  meno, 

A  trovar  quel  nimico  di  parole, 

A  cui  la  prima  commission  far  vuole. 

79.  Vien  scorrendo,  ov'  egli  abiti,  ov'  eHi  usi- 
E  si  accordaro  iufin  tutti  i  pensieri, 

Che  de'  frati  e  de'  monachi  rinchiusi 
Lo  può  trovare  in  chiese  e  in  monasteri. 
Dove  sono  i  parlari  in  modo  esclusi, 
Che  '1  Silenzio ,  ov  e  cantano  i  salteri, 
Ove  dormono,  ove  hanno  la  piatanza, 
E  Analmente  é  scritto  in  ogni  stanza. 

80.  Credendo  quivi  ritrovarlo,  mosse 
Con  maggior  fretta  le  dorate  penne; 
E  di  veder  eh'  ancor  Pace  vi  fosse,. 
Quiete  e  Carità,  sicuro  tenne. 

Ma  dall'  opinion  sua  ritrovosse 
Tosto  ingannato  ,  che  nel  chiostro  venne  : 
IVon  è  Silenzio  quivi;  e  gli  fu  ditto. 
Che  non  v'  abita  più,  fuorché  in  iscritto. 

81.  Né  Pietà,  né  Quiete,  né  Umiltado, 
Né  quivi  Amor,  né  quivi  Pace  mira. 
Ben  vi  fur  già,  ma  nell'  amica  etade; 
Che  le  cacciar  Gola,  Avarizia  ed  Ira, 
Superbia^  Invidia,  Inerzia  e  Crudcltade. 
Di  tanta  novità  1'  angel  si  ammira  : 
Andò  guardando  qTiella  brutta  schiera, 
E  vide,  eh'  anco  la  Discordia  v'  era, 

82.  Quella,  che  gli  avea  detto  il  padre  eterno. 
Dopo  il  Silenzio ,  che  trovar  dovesse. 
Pensato  avea  di  far  la  via  d'    A^erno, 

('he  si  credea,  che  tra'  dannati  stesse; 
E  ritrovolla  in  questo  nuovo  inferno 
(Chi  'I  crederla?)  tra  santi  uffici  e  messe. 
Par  di  straim  a  .Michel,  eh'  ella  \i  già. 
Che  per  trovar  credea  di  far  gran  via. 

83.  La  conobbe  al  vestir  di  color  cento. 
Fatto  a  liste  ineguali  ed  infinite, 

(Jh'  or  l<i  coprono,   or  no;  che  i  passi  e  'I  vc.ito 

Le  giano  aprendo,  eh'  erano  sdru<-ite. 

I  crini  avea  qual  d'   oro,  e  qual  d'  argento, 

E  neri  e  bigi,  e  aver  pareano  lite; 

Altri  in  tr(?ccia ,  altri  in  nastro  eran  raccolti. 

Molli  alle  spalle,  alcuni  al  petto  sciolti. 

84.  Di  citatorie  piene  e  di  libelli, 
D'  esamine  e  (li  carte  di  procure, 
Avea  le  mani  e  il  s«-no ,  e  gran  fastelli 
Di  chios<\  di  i(»n«igli  e  di   letture; 
Per  cui   le  facnllà  de'  poverelli 

Non  sono  mai  nclh-  citlà  sirnre. 
Avea  dietro,  dinanzi,  e  d'  ambi  i  lati 
Notai ,  procuratori  ud  avvocati. 
11 


[163] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XIV.   85-100) 


[164 


85.  La  chiama  a  sé  Michele,  e  le  comanda, 
Che  tra  i  più  forti  Saracini  scenda, 

E  cagion  trovi,  che ,  con  memoranda 
Ruina,  insieme  a  guerreg-giar  gli  accenda. 
Poi  del  Silenzio  nuova  le  domanda: 
Facilmente  esser  può,  eh'  essa  n'  intenda. 
Siccome  quella,  che,  accendendo  fuochi, 
Di  qua  e  di  là  va  per  diversi  lochi. 

86.  Rispose  la  Discordia:  Io  non  ho  a  mente, 
In  alcun  loco  averlo  mai  veduto: 

Udito  r  ho  ben  nominar  sovente, 

E  molto  commendarlo  per  astuto. 

Ma  la  Fraude ,  una  qui  di  nostra  gente. 

Che  compagnia  talvolta  gli  ha  tenuto, 

Penso,  che  dir  te  ne  saprà  novella  ;  , 

E  verso  una  alzò  il  dito ,  e  disse  :  E  quella. 

87.  Avea  piacevol  viso ,  abito  onesto. 

Un  umil  volger  d'  occhj,  un  andar  grave, 
Un  parlar  sì  benigno  e  si  modesto. 
Che  parca  Gabriel,  che  dicesse  :  Ave. 
Era  brutta  e  deforme  in  tutto  il  resto, 
Ma  nascondea  queste  fattezze  prave 
Con  lungo  abito  e  largo;  e  sotto  quello 
Attossicato  avea  sempre  il  coltello. 

88.  Domanda  a  costei  1'  angelo ,  che  via 
Debba  tener,  sicché  '1  Silenzio  trove? 
Disse  la  Fraude  :  Già  costui  solia 

Fra  virtudi  abitare ,  e  non  altrove, 
Con  Benedetto  e  con  quelli  d'  Elia, 
Nelle  badie,  quando  erano  ancor  nuove. 
Fé'  nelle  scuole  assai  della  sua  vita, 
Al  tempo  di  Pitagora  e  d'  Archita. 

8J).     Mancati  quei  filosofi  e  quei  santi. 
Che  lo  soleau  tener  pel  cammin  ritto, 
Da'xli  onesti  costumi,  eh'  avea  iunanti, 
Fece  alle  scelleraggini  tragitto. 
Cominciò  andar  la  notte  con  gli  amanti, 
Indi  co'  ladri ,  e  fare  ogni  delitto. 
Molto  col  Tradimento  egli  dimora; 
Veduto  r  ho  con  I'  Omicidio  ancora. 

90.  Con  quei ,  che  falsau  le  monete ,  ha  usanza 
Di  ripararsi  in  qualche  buca  scura. 

Così  spesso  compagni  muta  e  stanza, 
Che  il  ritrovarlo  ti  saria  ventura; 
Ma  pur  ho  d'  insegnartelo  speranza. 
Se  d'  arrivare  a  mezza  notte  hai  cura 
Alla  casa  del  Sonno,  senza  fallo 
Potrai ,  che  quivi  dorme ,  ritrovallo. 

91.  Benché  soglia  la  Fraude   esser  bugiarda, 
Pure  è  tanto  il  suo  dir  simile  al  vero, 
Che  r  angelo  le  crede:  indi  non  tarda 

A  volarsene  fuor  del  monastero. 
Tempra  il  batter  dell'  ali,  e  studia  e  guaitla 
Giungere  in  tempo  al  fin  del  suo  sentiero, 
Ch'  alla  casa  del  Sonno ,  che  ben ,  dove 
Era ,  sapea ,  questo  Silenzio  trove. 

02.     Giace  in  Arabia  una  valletta  amena. 
Lontana  da  citladi  e  da  villaggi. 
Che  all'  omlira  di  duo  monti  é  tutta  piena 
D'  anticli!  abeli  e  di  robusti  faggi. 
Il  sole  iiid.iriio  il  chiaro  dì  vi  nu;na, 
Cile  non  \i   |iiiò  mai   penetrar  co'  raggi, 
Sì  gli  è  la  via  da'  folli  rami  tronca, 
E  quivi  voti'a  HOlterru  una  spelonca. 


93.  Sotto  la  negi-a  selva  una  capace 
E  spaziosa  grotta  entra  nel  sasso. 
Di  cui  la  fronte  1'  edera  seguace 
Tutta  aggirando  va  con  torto  passo. 

In  questo  ail)ergo  il  grave  Sonno  giace; 
L'  Ozio,  da  un  canto,  corpulento  e  grasso; 
Dall'  altro ,  la  Pigrizia  in  terra  siede. 
Che  non  può  andare,  e  mai  reggesi  in  piede, 

94.  Lo  smemorato  Ohblio  sta  sulla  porta: 
Non  lascia  entrar,  né  riconosce  alcuno; 
Non  ascolta  imbasciata,  né  riporta, 

E  parimente  tien  cacciato  ognuno. 
Il  Silenzio  va  intorno ,  e  fa  la  scorta  : 
Ha  le  scarjìe  di  feltro,  e  '1  mantel  bruno; 
Ed  a  quanti  ne  incontra ,  di  lontano. 
Che  non  debban  lenù',  cenna  con  mano. 

95.  Se  gli  accosta  all'  orecchio ,  e  pianamente 
L'  angel  gli  dice:  Dio  vuol,  che  tu  guidi 

A  Parigi  Rinaldo  con  la  gente, 

Che  per  dar  mena  al  suo  signor  sussidj  ; 

Ma  che  lo  facci  tanto  chetamente. 

Che  alcun  de'  Saracin  non  oda  i  gridi  ; 

Sicché  più  tosto,  che  ritrovi  il  calle 

La  fama  d'  avvisar ,  gli  abbia  alle  spalle. 

96.  Altramente  il  Silenzio  non  ripose. 
Che  col  capo  accennando,  che  l'aria; 
E  dietro  ubbidiente  se  gli  pose, 

E  furo  al  primo  volo  in  Piccardia. 
Michel  mosse  le  squadre  coraggiose, 
E  fé'  lor  breve  un  gran  tratto  di  via. 
Sicché  in  un  di  a  Parigi  le  condusse. 
Né  alcun  s'  a^'AÌde,  che  miracol  fussc. 

97.  Discorreva  il  Silenzio,  e  tutta  volta 

E  dinanzi  alle  squadre,  e  d'  ogn'  intorno 
Facea  girare  un'  alta  nebbia  in  volta. 
Ed  avea  chiaro  ogni  altra  parte  il  giorno; 
E  non  lasciava  qnesta  nebbia  folta, 
Che  s'  udisse  di  fuor  tromba,  né  corno. 
Poi  n'  andò  tra'  pagani ,  e  menò  seco 
Un  non  so  che,  eh'  ognun  fé'  sordo  e  cieco. 

98.  Mentre  Rinaldo  in  tal  fretta  venia, 
Che  ben  parca  dall'  angelo  condotto, 
E  con  silenzio  tal ,  che  non  s'  udia 
Nel  campo  saracin  farsene  motto, 

Il  re  Agramante  avea  la  faateria 
Messa  ne'  borghi  di  Parigi ,  e  sotto 
Le  minacciate  mura  in  sulla  fossa, 
Per  far  quel  dì  1'  estremo  di  sua  possa. 

99.  Chi  può  contar  1'  esercito ,  che  mosso 
Questo  dì  contra  Carlo  ha  il  re  Agramante, 
Conterà  ancora  in  suU'  ombroso  dosso 

Del  silvoso  Appennin  tutte  le  piante; 

Dirà,  quante  onde,  quando  é  il  mar  più  gross 

Bagnano  i  piedi  al  inauritano  Atlante, 

E  per  quanti  occbj  il  ciel  le  furtive  opre 

Degli  amatori  a  mezza  notte  scopre. 

100.     Le  campane  si  sentono  a  martello 
Di  spessi  colpi  e  spaventosi  tocche  ; 
Si  vede  molto  in  qm^sto  tempio  e  in  quello 
Alzar  di  mani ,  e  dimenar  di  bocche. 
S('  il  te-ioro  paresse  a  Dio  sì  bello, 
('ouu;  all(^  nosti't;  o|)ìnioni  sciocche. 
Questo  era  il  dì ,  <:lic  'I  santo  c(Micistoro 
Fatto  avria  in  terra  ogni  sua  statua  d'  oro. 


165] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XIV.  101  —  116) 


[166] 


101.  S'  odon  rammarirare  ì  vecclij  giusti, 
Clie  s'  erano  ser))ati  ia  quegli  ailanni, 
K  nominar  felici  i  sacri  busti, 
Composti  in  terra  già  miìiti  e  molti  anni. 
Ma  gli  animosi  giovani  rolìusti, 

Che  miran  poco  i  lor  propinqui  danni, 
Sprezzando  le  ragion  de'  più  maturi, 
Di  qua ,  di  là  \anno  correndo  ai  muri. 

102.  Quivi  erano  baroni  e  paladini. 

Re,  duchi,  cavalier,  mardiesi  e  conti, 
Soklati  forestierii  e  cittadini, 
Per  Cristo  e  per  suo  onore  a  morir  pronti, 
Che ,  per  uscire  addosso  ai  Saracini, 
Pregan  1'  iinpcrator,   che  abbassi  i  ponti. 
Gode  egli  di  veder  I'  iiiiimo  audace; 
Ma  di  lasciarli  uscir  lor  non  compiace; 

LOS.      E  li  dispone  in  opportuni  lochi, 
Per  impedire  ai  l)arl)ari  la  via. 
Là  si  contenta  clie  ne  vadan  pochi  ; 
Qua  non  basta  una  grossa  compagnia. 
Alcuni  han  cura  maneggiare  i  fochi. 
Le  macchine  altri ,  ove  bisogno  sia. 
Carlo  di  qua,  di  là  non  sta  mai  fermo. 
Va  soccorrendo ,  e  fa  per  tutto  schermo. 

.04.      Siede  Parigi  in  una  gran  pianura, 
Neil'  ombilico  a  Francia,  anzi  nel  core. 
Gli  passa  la  riviera  entro  le  mura, 
E  corre,  ed  esce  iu  altra  parte  fuorc; 
Ma  fa  un'  isola  prima,  e  vi  assicura 
Delle  città  una  [)arte ,  e  la  migliore: 
L'  altre  due  (cliè  in  tre  parti  è  la  gran  terra) 
Di  fuor  la  fossa,  e  dentro  il  fuuue  s;erra. 

.05.     Alla  città  ,  che  molte  miglia  gira, 
Da  molte  parti  si  può  dar  battaglia; 
Ma  percliè  sol  da  ini  canto  assalir  mira, 
Kè  volenticr  l'  esercito  sbaraglia, 
Oltre  il  fiume  Agramante  si  ritira 
Verso  Ponente,  ac(-i(>ccliè  quindi  assaglia; 
Perocché  né  cittade,  nò  cam])agna 
Ha  dietro,  se  non  sua,  fui  alla  Spagna. 

06.     Dovunque  intorno  il  gran  muro  circonda, 
Gran  munizioni  a^ea  già  Carlo  fatte, 
Fortificando  d'  argine  ogni  spoiula 
Con  scannafossi  dentro ,  e  casematte. 
Oiule  entra  nella  terra  ,  onde  esce  1'  onda, 
Grossissime  catene  a\  èva  tratte  : 
Ma  fece,  ])iii  eh'  altrove,  provvedere, 
Là  dove  avea  più  causa  di  temere. 

107.  Con  occlij  d'  Argo  il  figlio  di  Pipino 
Previde,   ove  assalir  do\ea  Agramante; 
E  non  fc(;e  di.^cgiK»  il  Saracino, 
A  cui  n(Ui  fossi;  riparato  innante, 
Vaìh  Fcrraù  ,  Isolicro  (!  Serpentino, 
Graiidonìo,  I''aUir(ine  e  ISaIngantc, 
E  con  ciò,  che  di  Spagna  a^('a  menato, 
Uestò  Marsilio  alla  campagna  armato. 

108.  Sobria  gli  era  a  man  manca  ia  ripa  a  Senna, 
Con  l'uiian,    con  Darilincl  d'  Almonte, 
('ol  re  d'  Oran,  eh'  esser  giganl»;  accenna, 
Lungo  sei  hrac(  ia  da'  piedi  alla  fronte. 
Deh!   per(  iu-  a  mover  nien  son  in  la  |ienna, 
Ch(!  «juelle  genti  amiivir  1'  arme  iironle? 
Che  "I  re  di  Sarza  ,  pien  d'  ira  «•  di  sdegno, 
Gridìi  e  heeleiumiii,  e  aoa  può  t.tar  più  a  segno. 


109.  Come  assalire  o  vasi  pastorali, 
0  le  dolci  reliquie  de'  convivj 
Soglion,  con  rauco  suon  di  stridule  ali. 
Le  impronte  mosche  a'  caldi  giorni  estivi; 
Come  gli  storni  a'  rosseggianti  pali 

^  anno  di  mature  uve  :  così  quivi, 
Empiendo  il  ciel  di  grida  e  di  romori, 
ì  eniano  a  dare  il  fiero  assalto  i  MorL 

110.  L'  esercito  Cristian  sopra  le  mura 

Con  lance  ,  spade ,  e  scure ,  e  pietre ,  e  fuoco. 

Difende  la  città  senza  paura, 

E  il  barbarico  orgoglio  estima  poco; 

E  dove  morte  uno  ed  un  altro  fura. 

Non  è  chi  per  viltà  ricusi  il  loco. 

Tornano  i  Saracin  giù  nelle  fosse, 

A  furia  di  ferite  e  di  percosse. 

111.  Non  ferro  solamente  vi  si  adopra, 
Ma  grossi  sassi ,  e  merli  integri  e  saldi, 
E  muri  dispiccati  con  molt'  opra, 
Tetti  di  torri,  e  gran  pezzi  di  spaldi. 
L'  aeque  ì»ollenti ,  che  vengon  di  sopra, 
Portano  a'  Mori  insttpportabil  caldi; 

E  male  a  questa  pioggia  si  resiste, 

Cii'  entra  per  gli  elmi ,  e  fa  accecar  le  viste  ; 

112.  E  questa  più  nocca  ,  che  '1  ferro  quasi. 
Or  che  de'  far  la  nebbia  di  calcine? 

Or  che  dovcano  far  gli  ardenti  vasi 

Con  oglio  e  zolfo,  e  peci,  e  trementine? 

I  cerclij  in  munìzion  non  son  rimasi, 

Che  d'  ogni  intorno  hanno  di  fiamma  il  crine: 

Questi,  scagliati  per  diverse  bande, 

Mettono  a'  Saracini  aspre  ghirlande. 

113.  Intanto  il  re  di  Sarza  avea  cacciato 
Sotto  le  mura  la  schiera  seconda. 

Da  lìuraldo  e  da  Ormida  accompagnato, 
Quel  Garamante ,  e  (|ue^to  di  Marmonda. 
Clarindo  e  Soridan  gli  sono  a  lato, 
Né  par  die   1  i"e  di  Setta  si  nasconda. 
Segue  il  re  di  Marocco,   e  qiiel  di  Cosca, 
Ciascun,  perchè  '1  valor  suo  si  conosca. 

114.  Nella  bandiera,  eh' è  tutta  vermiglia, 
Ilodomonte  di  Sarza  il  leon  spiega, 
Che  la  feroce  bocca  ad  una  briglia, 

Clic  gli  pon  la  sua  donna,  aprir  non  nega. 

Al  leon  sé  medesimo  assimiglia; 

E  per  la  donna ,   che  lo  frena  e  lega. 

La  bella  Doralice  ha  figiu'ata. 

Figlia  di  Stordilan ,  re  di  Granata. 

115.  Quella  che  tolto  avea,  come  io  narrava, 
Ile  Maniiricardo  (^e  dis?i  do^e,  «■  a  cui), 
Era  costei ,  che  Kodonu)nte  amava 

Più  che   I  suo  regno,  e  più  che  gli  occly  sui; 

E  cortesia  e  ^alor  per  lei  mostrala. 

Non  già  sapendo,  eh'  era  in  forza  altrui. 

S(;  saputo  r  a^esrc,  allora  allora 

Fatto  a> ria  quel ,  che  lo'  quel  giorno  ancoro. 

116.  Sono  appoggiate  a  un  tempo  mille  scale, 
Clu;  non  han  inea  di  due  per  ogni  grado. 
Spinge  il  secondo  i|uel ,  eh'  innanzi  sale, 
('Ile    1  terzo  lui  mondir  fu  suo  mal  grado. 
Chi  per  virtù,  chi  per  paura  mì\v: 
('onvien  ,  eh'  ognun  per  forza  entri  nel  guado; 
('he  qnali:ni|ii(>  s'  adagia,  il  re  d'  Algicre, 
Uodomonte  crudele,   uccide  o  fere. 

Il    + 


16Ì] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XIV.  in-132) 


[168] 


117.  Ognun  dunque  si  sforza  di  salire, 
Tra  '1  fuoco  e  le  ruine ,  in  sulle  mura. 
Ma  tutti  gli  altri  guardano,  se  aprire 
Veggiano  passo,  ove  sia  poca  cura. 
Sol  Rodomonte  sprezza  di  venire, 

Se  non,  dove  la  via  meno  è  sicura: 

Dove  nel  caso  disperato  e  rio 

Gli  altri  fan  voti,  egli  bestemmia  Dio. 

118.  Armato  era  d'  un  forte  e  duro  usbergo, 
Cile  fu  di  drago  una  scagliosa  pelle. 

Di  questa  già  si  cinse  il  petto  e  'l  tergo 

Quello  avol  suo ,  eh'  edilìcò  Babelle, 

E  si  pensò  cacciar  dell'  aureo  albergo, 

E  torre  a  Dio  il  governo  delle  stelle. 

L'  elmo  e  lo  scudo  fece  far  perfetto, 

E  il  brando  insieme,  e  solo  a  questo  effetto. 

119.  Rodomonte,  non  già  men  di  Nembrotte 
Indomito,  superbo  e  furibondo, 

Che  d    ire  al  ciel  non  tarderebbe  a  notte, 
Quando  la  strada  si  trovasse  al  mondo. 
Quivi  non  sta  a  mirar,  se  intere  o  rotte 
Sìcno  le  mura,  o  s'  abbia  1'  acqua  fondo: 
Passa  la  fossa,  anzi  la  corre,  e  vola 
Neil'  acqua  e  nel  pantan  fino  alla  gola. 

120.  Di  fango  brutto,  e  molle  d'  acqua,  vanne 


Tra  il  fuoco  e  i  sassi,  e  gli  archi,  e  le  balestiT, 

Come  andar  suol  tra  le  palustri  canne 

Della  nostra  Malica  porco  silvestre. 

Che  col  petto,  col  grifo  e  con  le  zanne 

Fa,  dovunque  si  volge,  ampie  finestre. 

Con  lo  scudo  alto  il  Saracin  sicuro 

Ke  vien  sprezzando  il  cicl,  non  che   quel   muro 

121.  Non  sì  tosto  all'  asciutto  è  Rodomonte, 
Che  giunto  si  senti  su  le  hcrtresche. 
Che  dentro  alla  muraglia  facean  ponte 
Capace  e  largo  alle  squadre  franccsche. 
Or  si  vede  spezzar  più  d'  una  fronte, 
Far  chieriche  maggior  delle  fratesche; 
Braccia  e  capi  volare,  e  nella  fossa 
Cader  da'  muri  una  fiumana  ros»a. 

122.  Getta  il  pagan  lo  scudo,    e  a  due  man  prende 
La  cruda  spada,  e  giunge  il  duca  Arnolfo. 
Costui  venia  di  là,  dove  discende 
L'  acqua  del  Reno  nel  salato  golfo. 
Quel  miser  contra  lui  non  si  difende 
Meglio,  che  faccia  contra  il  fuoco   il  zolfo, 
E  cade  in  terra  ,  e  dà  1'  ultimo  crollo, 
Dal  capo  fesso  un  palmo  sotto  il  collo. 

123.  Uccise  di  rovescio  in  una  wìta 
Anselmo,  Oldrado,  Spincloccio  e  Prando: 
Il  luogo  stretto  e  la  gran  turba  folta 
Fece  girar  sì  pienamente  il   Itrando. 
Fu  la  prima  uietade  a  Fiandra  tolta, 
L'  altra  scemata  al  popolo  nonnando. 
Divise  appresso  dalla  fronte  al  petto. 

.  Ed  indi  al  ventre ,  il  mugaiizes(!  Orghctto. 

124.  Getta  da'  merli    Aiuh-opono  e  Moschinu 
Giù  nella  fossa.     Il  primo  è  sacerdote: 
Non   adora  il  secondo  altro  clu;  'I  vino, 
E  le  bigoiK-e  a  un  sorso  n'  ha  già  vote; 
Come  veleno  ,  e  sangue  viperino. 
L'  acqua  foggia,  quanto  fuggir  si  punte: 
Or  quivi   muore;  <•  quel,  che  più  1'  anno.ja, 
E  il  sentir,  che  nell'  acqua  se  ne  muja. 


125.  Tagliò  in  due  parti  il  provenzal  l'uigi, 
E  passò  il  petto  al  tolosano  Arnaldo; 

Di  Torse  Oberto  ,  Claudio ,  Ugo  e  Dionigi 
Mandar  lo  spirto  fuor  col  sangue  caldo  ; 
E,  presso  a  questi,  quattro  da  Parigi, 
Gualtiero,  SataUone,  Odo  ed  Ambaldo, 
Ed  altri  molti ,  eh'  io  non  saprei ,  come 
Di  tutti  nominar  la  patria  e  '1  nume. 

126.  La  turba  dietro  a  Rodomonte  presta 

Le  scale  appoggia,  e  monta  in  più  d'  un  loco. 

Quivi  non  fanno  i  Parigin  più  testa  ; 

Che  la  prima  difesa  lor  vai  poco. 

San  ben ,  eh'  alli  nemici  assai  più   resta 

Dentro  da  fare,  e  non  1'  avran  da  giuoco; 

Perchè  tra  il  muro  e  l'  argine  secondo 

Discende  il  fosso  orribile  e  profondo. 

127.  Oltrachè  i  nostri  facciano  difesa 
Dal  basso  all'  alto  ,  e  mostrino  valore. 
Nuova  gente  succede  alla  contesa, 
Sopx'a  r  erta  pendice  interiore, 

Che  fa  con   lance  e  con  saette  offesa 
Alla  gran  moltitudine  di  fuore. 
Che  credo  ben ,  che  saria  stata  meno, 
Se  non  v'  era  il  figliuol  del  re  UUeno. 

128.  Egli  questi  conforta,  e  quei  riprende, 
E  lor  mal  grado  innanzi  se  li  caccia. 
Ad  altri  il  petto,  ad  altri  il  capo  fende, 
Che  per  fuggir  veggia  voltar  la  faccia. 
Molti  ne  spinge  ed  urta;  alcuni  prende 
Pe'  capelli ,  pel  collo  e  per  le  braccia, 
E  sossopra  laggiù  tanti  ne  getta. 
Che  quella  fossa  a  capir  tutti  è  stretta. 

129.  Mentre  lo   stuol  de'  Barbari  si  cala, 
Anzi  traboi'ca  al  periglioso  fondo. 
Ed  indi  cerca  per  diversa  scala 
Di  salir  sopra  l'  argine  secondo. 
Il  re  di  Sarza,  come  avesse  un'  ala 
Per  ciascun  de'  suoi  membri,  levò  il  pondo 
Di  sì  gran  corpo ,  e  con  tante  arme  indosso, 
E  netto  si   lanciò  di  là  dal  fosso. 

130.  Poco  era  men  di  trenta  piedi ,  o  tanto  ; 
Ed  egli  il  passò  destro  ,  come  un  veltro, 
E  fece  nel  cader  strepito .  quanto 
Avesse  avuto  sotto  i  piedi  il  feltro  ; 
Ed  a  questo  ed  a  quello  affrappa  il  manto. 
Come  sien  1'  arme  di  tenero  peltro, 
E  non  di  ferro,  anzi  pur  sien  di  scorza; 
Tal  la  sua  spada  ,  e  tanta  è  la  sua  forza  ! 

131.  In  questo  tempo  i  nostri,  da  (-hi  tese 
L'  insidie  son  nella  cava  profonda. 
Che  v'  han  scope  e  fascine  in  c«»|)ia  stese, 
Intorno  a'  quai  di  molta  pece  abbonda, 
^è  jKTÒ  alcuna  si   vede  pah'se, 
Bcncliè  n'  è  piena  1'  una  e   1'  altra  sponda, 
Dal   fond4)  cupo  fino  all'  orlo  quasi  ; 
E  senza  fin  v'  hanno  appiattati  vasi, 


132.     Qual  con  salnitro,  qual  con  ogiio,  quale 
Con   zolfo,  qual  con  altra  simil  cstra: 
I  nostri  in  (|uesto  tempo  ,   perchè  male 
Ai   Saracini  il   folle  ardir  riesca, 
Ch'  eran  nel  fosse» ,  e  per  di^  erse  scale 
Cr('(l<-an  m(»ntar  sulT  ultima  bcrtresca, 
l'dit(»  il  s<-gno  ,  (la  opportuni  lochi 
Di  qua  e  di  là  fenno  avvampare  i  fuochi. 


[169]        ORLANDO  FURIOSO.      (XIV.  133.  134.     XV.   1  —  10)        [ITO] 


133.      Tornò  la  fiamma  sparsa,  tutta  in  una 

Che  tra  una  ripa  e  1'  altra  ha  '1  tutto  pieno  ; 
E  tanto  ascende  in  alto,  eh'  alla  luna 
Può  d'  appresso  asciugar  1'  umido  seno. 
Sopra  si  volve  oscura  nebbia  e  bruna, 
Che  'i  sole  adombra  ,  e  spegne  ogni  sereno. 
Sentesi  un  scoppio  in  un  perpetuo  suono, 
Simile  a  un  grande  e  spaventoso  tuono. 


134.      Aspro  concento,  orribile  armonia 
D'  alte  querele  ,  d'  ululi  e  di  strida 
Della  misera  gente ,  che  peria 
"Sei  fondo,  per  cagìon  della  sua  guida, 
Istranamente  concordar  s'  lulia 
Col  fiero  suon  della  fiamma  omicida. 
Non  più,  Signor,  non  più  di  questo  canto; 
Ch'  io  son  già  rauco ,  e  vo'  posarmi  alquanto. 


CANTO    DECIMOQUINTO. 


ARGOMENTO. 

Mentrechè  7  re  Marsilio,  e  'l  re  A^ramante 
Danno  a  Parigi  aspra  battaglia  e  dura, 
Da  LogistiUa ,  avendo  un  libro  avante, 
Astolfo  parte  ,  ed  ha  scorta  sicura. 
Tira  alla  rete  sua  Caligorante  ; 
La  vita  a  Orril ,  tagliando  i  crini ,  fura. 
Ritrova  Saiisonetto;  indi  Grifone 
Ha  della  donna  sua  nuove  non  buone. 


1.  Fa  il  TÌncer  sempre  mai  laudabil  cosa, 
Vincasi  o  per  fortuna,  o  per  ingegno. 
Gli  è  ver,  che  la  vittoria  sanguino>a 
Spe>so  far  suole  il  capitan  men   degno  ; 
E  quella  eternamente  è  gloriosa, 

E  de'  divini  onori   arriva  al  segno, 

Quando ,  servando  i  suoi  senza  alcun  danno, 

Sì  fa,  che  gì'  inimici  in  rotta  vanno. 

2.  La  vostra,  Signor  mìo,  fu  degna  hida. 
Quando  al  Leone,  in  mar  tanto  feroce, 
Ch'  avea  occupata  1'   una  e  1'  altra  proda 
Del  Pò,  da  Francolin  fino  alla  foce, 
Fa«e-ite  sì  ,  eh'  ancorché  ruggir  1'  oda, 
S"  io  vedrò   voi ,  non  temerò  la  voce. 
Come  vincer  si  de',  ne  dimostraste; 

Che  uccidente  i  nemici ,  e  noi  salvaste. 

8.      Questo  il  pagan,  troppo  in  suo  d.inno  audace 
Kou  seppe  far,  che  i  suoi  nel  fosso  spinse, 
Dove  la  fianuiia  subita  e  vorace 
Non  perd«uiò  ad  alcini ,  ma  tutti  estìnse. 
A  tanti  non  saria  stato  capace 
Tutto  il  gran    fosso  ;  ma  il  fuoco  restrinse. 
Restrinse  i  corpi ,  e   in  pidve  li  ridusse, 
Acciocch'  abile  a  tutti  il  luogo  fusse. 

4.      I  ndici  mila,  e^l  otto  sopra  venti 
Si   ritnnàr  n<ir  airix^ata   buca, 
("Ile  v'  erano  disce.-.i  mal  ciHiIrnti; 
Mii  coM  xille  il  piK-o  saggio  duca. 
Qiii^i  ira  tanto  Inme  or  sono  spenti, 
E  la   torace  tìanuna  li   inannra  ; 
E  llo(lon>onte,  causa  del  mal  loro, 
Se  ne  \a  e^cntc  du  tuuto  martoro: 


5.  Cile  tra'  nemici  alla  ripa  più  intema 
Era  passato  d'  un  mirabil  salto. 

Se  con  gli  altri  scendea  nella  caverna, 
Qfiesto  era  ben  il  fin  d'  ogni  suo  assalto. 
Rivolge  gli  occhj  a  quella  valle  inferna, 
E  quando  vede  il  fuoco  andar  tant'  alto, 
E  di  sua  gente  il  pianto  ode  e  lo  strido, 
Bestemmia  il  ciel  con  spaventoso  grido. 

6.  Intanto  il  re  Agramantc  mosso  avea 
Impetuoso  assalto  ad  una  porta: 

Che .  mentre  la  crudel  battaglia  ardea 
Quivi,  ove  è  tanta  gente  afflitta  e  morta, 
Quella  sprovvista  forse  esser  credea 
Di  guardia,  che  bastas-e  alla  sua  scorta. 
Seco  era  il  re  d'  Arzilla  Bambirago, 
E  Baliverzo ,  d'  ogni  vizio  vago  ; 

7.  E  Corineo  ni  Mulga ,  e  Prusione, 
II   ricco  re  dell'  isole  beate; 
Malabuferso,   che  la  regione 

Tien  di  Fi/.an  sotto  continua  estate; 
Altri  signori,  ed  altre  assai  persone 
Esperte  nella  guerra,  e  bene  armate; 
E  molti  ancor  senza  valore,  e  nudi. 
Che  '1   cor  non  s'  armerian  con  mille  scudi. 

8.  Trovò  tutto  il  contrario  al  suo  pensiero 
In  questa  parte  il  re  de'  Saracini  ; 
Perchè  in  persona  il  capo  dell'  impero 

V   era,  re  Carlo,  e  de'  suoi  |)al.i(lini, 

Ile  Salamone,   ed  il  danese  l  ggiero. 

Ed  ambo  i  Guidi,   ed  ambo  gli    Angelini, 

E    1  dut-a  di  Baviera,  e  Ganellone, 

E  Berlingliier,  e  Avolio,  e  Avino,  e  Ottone. 

9.  Gente  infinita  poi  di  minor  conto. 

De'  Franchi ,  de'  Tedeschi  e  de'  Lombardi. 

Presente  il  >no  >ignor  .   cia^itnu)  pronto 

.A    far>i    riputar  fra  i  più  gagliardi. 

Di  ((iiesto  altrove  io  >o'   rrnderti  conto; 

Che  ad  un  gran  duca   è  for/.a  eh'  io  riguardi 

Il  qnal  mi  grida,  e  di  lontano   accenna, 

E  prega,  eh'  io  noi   lasci  nella  penna. 

10.      (»li  è  tempo  ,  eh'   io    ritorni ,  ove  lai^ciiii 
1/  a>\eMtnroso  .Astolfo  d'   Ingbilterra, 
Che   'I   lungo  e>ilio  adendo  in  odio  ornai. 
Di  desiderio  ardea  della  sua  t<-rra  ; 
(/«•me  glien    avea  data  pur  assai 
Speme  colei,  che  .Alcina  liiise  in  guerra. 
Ella  di  riiuandiirx-lo  a^ea  cura 
Per  la  via  più  e^pcditu  e  più  sicura. 


[171] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XV.    11-26) 


[172] 


11.  E  cosi  una  galèa  fu  apparecchiata, 
Di  che  miglior  mai  non  solcò  marina: 
E  perdio  ha  dubliio  pur  tutta  fiata, 
Che  non  gli  turbi  il  ^no  viaggio  Alcina, 
Vuol  Logi.>tilla  ,  che  con  l'orto  armata 
Andronica  ne  \i^■^a.,  e  Sofrosiina, 
Tanto  che  nel  mar  ci'  Arabi,  o  nel  golfo 
De'  Persi,  giunga  a  salvamento  Astolfo. 

12.  Piuttosto  vuol ,  che  volteggiando  rada 
Gli  Sciti  e  gì'  Indi ,  e  i  regni  nabatei, 
E  torni  poi  per  così  lunga  strada 
A  ritrovare  i  Persi  e  gli  Eritrei, 
Che  per  quel  boreal  pelago  vada, 
Che  turban  sempre  iniqui  venti  e  rei  : 
E  sì  qualche  stagion  povcr  di  sole, 
Che  starne  senza  alcuni  mesi  suole. 

13.  La  fata ,  poiché  vide  acconcio  il  tutto, 
Diede  licenza  al  duca  di  partire, 
Avendol  prima  ammaestrato,   e  instrutto 
Di  cose  assai,  che  fora  lungo  a  dire; 
E  per  scl'.ivar,  che  non  sia  più  ridntto 
Per  arte  maga,  onde  non  possa  uscire, 
Un  bello  ed  util  libro  gli  uvea  dato. 
Che  per  suo  amore  avesse  ognora  a  lato. 

14.  Come  1'  uom  riparar  debba  agi'  incanti. 
Mostra  il  libretto,  che  costei  gli  diede; 
Dove  ne  tratta,  o  più  dietro,   o  più  innantì, 
Per  rubrica  e  jier  indice  si  vede. 
Un  altro  don  gli  fece  ancor,  che  quanti 
Doni  fur  mai,  di  gran  vantaggio  eccede; 
E  questo  fu  ,  d'  orri!»il  suono  un  corno, 
Che  fa  fuggire  ognun  ,  che  i'  ode  intorno. 

15.  Dico,  che  'l  corno  è  di  sì  orribil  suono. 
Che,  ovunque  s'  ode,  fa  fuggir  la  gente: 
]\on  può  trovarsi  al  mondo  un  cor  si  buono, 
Che  possa  non  fuggir ,  come  lo  sente. 
Rumor  di  vento  e  di  tremuoto ,  e  '1  tuono, 
A  par  del  suon  di  qiu-sto,  era  nicntc- 
(](Mi  nuilto  rctVrir  di  grazie,  jìrese 
Dalla  fata  licenzia  il  buon  Inglese. 

IG.     Lasciando  il  porto  e  1'  onde  più  tranquille, 
Con  felice  aura  ,  che  alla  poppa  spira. 
Sopra  le  ricche  e  popolose  ville 
Dell'  odorifera  India  il  duca  gira, 
S<;oprendo  a  detra  ed  a  sinistra  mille 
Isole  sparse;  e  Uinto  va,  che  mira 
La  terra  di  'r<u«unaso ,  onde  il  nocchiero 
Più  a  tramontana  poi  volge  il  sentiero. 

17.      Quasi  radendo  T  aurea  Chersonesso, 
La  l)ella  armata  il  gr.!ii  pelago  frange; 
E  costeggiando  i  ricihi  liti  spesso, 
Vede,  c(,me  nel  mar  biiiiicheggi  il  Gange; 
E  Taprobanc  vede,  e  Cori  appre-so, 
E  vede  il  mar,  <bc  fra  i  duo  liti  s'  angc. 
Dopo  gran   ^ìa  furo  a  (Jochin<» ,  e  quindi 
L^^:iro  fuor  dei  termini  degl'  Iiuli. 

18.      Scorrendo  il  duca  il  mar  con  si  fedele 
E  sì  sicura  scorta,  int(;nder  vuoh;, 
E   ne  domanda  Andronica,  se  de  lo 
Parli ,  I  ir  lian  nome  dal  cader  del  onlCf 
Mai  legno  alciui ,  «:h<!  ^  aila  a  remi  e  a  vele, 
^^•l  luare  oricnlab!  apparir  suole; 
E  s<;  anilar  (mio,  >eiiz.i  toccar   mai  terra. 
Chi  J'Iudia  icioglia.  in  Fr>mcia  o  in  iH^hilterra. 


19.  Tu  dei  sapere,  Andronica  rispondo. 

Che  d'  ogn'  intorno  il  mar  la  terra  abbraccia; 

E  van  r  una  ncU'   altra  tutte  V  onde. 

Sia  dove  bolle ,  o  dove  il  mar  s'  agghiaccia. 

Ma  perchè  qui  davante  si  dirtonde, 

E  sotto  il  mezzodì  molto  si  caccia 

La  terra  d'  Etiopia ,  alcuno  ha  detto, 

Ch'  a  Nettuno  ir  più  innanzi  ivi  è  interdetto. 

20.  Per  questo  dal  nostro  indico  Levante 
Nave  non  è,  che  per  Europa  scioglia; 
Né  si  muove  d'  Europa  navigante. 

Che  in  queste  nostre  parti  arrivar  voglia. 

Il  ritrovarsi  questa  terra  avantc 

E  questi  e  quelli  al  ritornare  invogliar 

Che  credono ,  veggendola  sì  lunga, 

Che  con  1'  altro  emisperio  si  congiunga. 

21.  Ma,  volgendosi  gli  anni,  io  veggio  uscire 
Dall'  estreme  contrade  di  Ponente 

Nuovi  Argonauti  e  nuovi  Tifi,  e  aptiro 
La  stratia  ignota  infino  al  dì  presente; 
Altri  volteggiar  V  Africa ,  e  seguire 
Tanto  la  costa  della  negra  gente, 
Cile  passino  quel  segnct,  ove  ritorno 
Fa  il  sole  a  noi,  lasciando  il  capricorno} 

22.  E  ritrovar  del  lungo  tratto  il  fine. 
Che  questo  fa  parer  duo  mar  diversi j 
E  scorrer  ttitti  i  liti,  e  le  vicine 
Isole  d'  Indi,  d'  Arabi  e  di  Persi: 
Altri  lasciar  le   destre  e  le  mancine 
Rive,  che  due  per  opra  erculea  fersi; 
E  ,  del  sole  imitando  il  cammin  tondo, 
Ritrovar  nuove  terre,  e  nuovo  mondo. 

23.  Veggio  la  santa  croce,  e  veggio  i  segni 
Imperiai  nel  verde  lito  eretti. 

A  eggio  altri  a  guardia  de'  battuti  legni. 
Altri  all'  acquisto  del  paese  eletti: 
A  eggio  da  dieci  cacciar  mille,  e  i  regni 
Di  là  dall'  India  ad  Arisgon  suggctti, 
E  veggio  i  capitan  di  Carlo  quinto. 
Dovunque  vanno,  aver  per  tutto  vinto. 

24.  Dio  vuol,  eli'  ascosa  anticamente  questa 
Strada  sia  stata ,  e  ancor  gran  tempo  stia. 
Nò  che  prima  si  sappia ,  che  la  sesta 

E  la  seltiiua  età  passata  sia: 
E  serba  a  farla  al  tempo  manifesta. 
Che  vorrà  porre  il  mondo  a  monarchia 
Sotto  il  più  saggio  imperatore  e  giusto. 
Che  sia  stato ,  o  sarà  mai  dopo  Augusto. 

25.  Del  sangue  d'  Austria  e  d'  Aragona  io  veggi 
Nascer  sul  Reno  alia  sinistra  riva 

In  princijìc,  al  valor  del  qual  pareggio 
Nessun  valor,  di  cui  si  parli,  o  scriva. 
Astrea  veggio  per   lui   riposta  in  seggio. 
Anzi  di  nuirta  ritornala  viva, 
E  1(!  virtù,  che  cacciò  il  mondo,  quando 
Lei  cacciò  ancora,  uscir  p(!r  lui  di  bando. 

2G.      Per  questi  merli  la  biuità  suprema 
Non   solauiente  di  (|uel  grande  impero 
Ila  disegnato  eh'  abbia  il  diadema, 
Cli'  ebbe  Augusto,  Trajan,  Marco  e  Severo, 
Ma  <r  ogni  terra  e  (iuiiu;i  e  quindi  estrema, 
i'Aiv.  mai  né  al  sol,  né  all'  aniut  apre  il  sentiero  ; 
E  vuol,  che  sotto  a  questo  imperatore 
Solo  un  o\ile  sia,  solo  un  pastore. 


[173] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XV.  27-42) 


[174] 


27.  E  perch'  abbian  più  facile  successo 
Gli  ordini  in  cielo  eternamente  scritti, 
Gli  pon  la  somma  Provyidenza  appresso 
In  mai-e  e  in  terra  capitani  invitti. 
Veggio  Ernando  Cortese,  il  quale  ha  messo 
Nuove  città  sotto  i  cesarei  editti, 
E  regni  in  Oriente  si  remoti, 
Cli'  a  noi ,  che  siamo  in  India ,  non  son  noti. 

28.  Veggio  Prosper  Colonna,  e  di  Pescara 
Veggio  un  marchese ,  e  veggio,  dopo  loro, 
Un  giovane  del  Vasto  ,  che  fan  cara 
Parer  la  bella  Italia  ai  gigli  d'  oro. 
Veggio,  eh'  entrare  innanzi  si  prepara 
Quel  terzo  agli  altri  a  guadagnar  l'  alloro; 
Come  buon  corridor,  eh'  ultimo  la>sa 
Le  mosse,  e  giunge,  e  innanzi  a  tutti  passa. 

29.  Veggio  tanto  il  valor,  veggio  la  fede 
Tanta  d'  Alfonso  (che  '1  suo  nome  è  questo), 
Che  in  così  acerba  età,  che  non  eccede 
Dopo  il  vigesimo  anno  ancora  il  sesto, 
L'  imperator  1'  esercito  gli  crede; 
Il  qual  salvando,  salvar  non  che  'i  resto, 
Ma  farsi  tutto  il  mondo  ubbidiente, 
Con  questo  capitan,  sarà  possente. 

30.  Come  con  questi,  ovunque  andar  per  terra 
Si  possa,  accrescerà  1'  imperio  antico, 
Così  per  tutto  il  mar,  che  in  mezzo  serra 
Di  là  r  Europa ,  e  di  qua  1'  Afro  aprico, 
Sarà  vittorioso  in  ogni  guerra, 
Poich'  Andrea  Doria  s'  avrà  fatto  amico. 
Questo  è  quel  Doria,  clie  fa  dai  pirati 
Sicuro  il  vostro  mar  per  tutti  i  lati. 

31.  INon  fu  Pompejo  a  par  di    costui  degno, 
Se  ben  vinse  e  cacciò  tutti  i  corsari; 
Peroc<-hè  quelli  al  piii  possente  regno 
Che  fosse  mai ,  non  poteano  esser  pari  ; 
3Ia  questo  Doria  sol  col  proprio  ingegno 
E  proprie  forze  purgherà  que'  mari; 
Sicché  da  Calpe  al  Aito ,  ovunque  s'  oda 
Il  nome  suo ,  tremar  veggio  ogni  proda. 

32.  Sotto  la  fede  entrar,  sotto  la  scorta 
Di  questo  capitan,  di  eh'  io  ti  parlo, 
Veggio  in  Italia,  ove  da  lui  la  porta 
Gli  sarà  aperta  alia  corona,  Carlo. 
Veggio,  clic  '1  premio  cIk;  di  ciò  rijìorta, 
N(ui  tien  |ier  sé ,  ina  fa  alla  patria  darlo  : 
C(»n  preghi  otlien  ,  «;lic  in  libertà  la  metta. 
Dove  altri  a  sé  1'  avria  forse  suggetta. 

33.  ,  Questa  ]iie(à ,  eh'  egli  alla  patria  mostra, 
E  degna  di  piti  onor  d'  ogni  baltiiglia. 

Che  in  Fraiuia,  o  in  Spugna,  o  nella  f(;rra  vostra 
\ incesse  (tÌiiIìo,  o  in  Africa,  o  in  Tessaglia: 
Né  il  grande  Ottavic» ,  né  chi  seco  giostra 
Di  pari,  Antonio,  in  più  onorair/a  saglia 
IV  g«!sti  suoi  ;  che  ogni  lor  huidc;  aumu>rzn 
L'  avere  usato  alla  lor  patria  forza. 

34.  Qiu-sti  ed  ogni  altro ,  «he  la  patria  tenta 
Di  libera  far  serva  ,  si  arrossisca  ; 

Né  ,  dove  il  nome  d'  Andrea  Doria  senta. 
Di  l<;var  gli  <»cchj   in   ^i^o  d'   uomo  ardisca! 
leggio  Carlo,  che  'I  premio  gii  augumcnta  : 
Cile  ,    olire  quel  che  in  comiin   vuol  clic  fruisca. 
Gli  dà  la  riera  terra,  che  a'   Vorinandi 
Sarà  principio  a  farli  in  Puglia  grandi. 


35.  A  questo  capitan  non  pur  cortese 

Il  magnanimo  Carlo  ha  da  mostrarsi, 

Ma  a  quanti  avrà,  nelle  cesaree  imprese, 

Del  sangue  lor  non  ritrovati  scarsi. 

D'  aver  città,  d'  aver  tutto  un  paese 

Donato  a  un  suo   fedel ,  più  rallegrarsi 

Lo  veggio,  e  a  tutti  quei,  che  ne  son  degni, 

Che  d'  acquistar  nuov'  altri  imperj  e  regni. 

36.  Così  delle  vittorie,  le  qnai,  poi 

Cli'  un  gran  numero  d'  anni  sarà  corso, 

Daranno  a  Carlo  i  capitani  suoi, 

Facea  col  duca  Andronica  discorso; 

E  la  compagna  intanto  a'  venti  eoi 

Viene  allentando  e  raccogliendo  il  morso, 

E  fa,  eh'  or  questo  ,  or  quel  propizio  1'  esce, 

E ,  come  vuol ,  li  minuisce  e  cresce. 

37.  Veduto  aveano  intanto  il  mar  de'  Persi 
Come  in  sì  largo  spazio  si  dilaghi. 
Onde  vicini  in  pochi  giorni  fersi 

Al  golfo,  che  nomar  gli  antichi  maghi. 
Quivi  pigliaro  il  porto,  e  fur  conversi 
Con  la  poppa  alia  ripa  i  legni  vaghi: 
Quindi,  slcur  d'  Alcina,  e  di  sua  guerra, 
Astolfo  il  suo  cammin  prese  per  terra. 

38.  Passò  por  più  d'  un  campo  e  più  d'  un  bosco, 
Per  più  d'  un  monte,  e  per  più  d'  una  valie, 
Ove  ebbe  spesso  all'  aer  chiaro  e  al  fosco 

I  ladroni,  ora  innanzi,  or  alle  spalle; 
Vide  leoni ,  e  draghi  picn  di  tosco, 
Ed  .iltre  fere  attravcrsiirgli  il  calle; 
Ma  non  sì  tosto  avea  la  borea  al  como^ 
Che  spaventati  gli  fuggian  d'  intorno. 

39.  Vìen  per  I'  Arabia,  eh'  è  detta  Felice, 
Ricca  di  mirra  e  d'  odorato  incenso. 
Che  per  suo  albergo  V  unirà  fenice 
Eletto  s'  ha  di  tutto  il  mondo  immenso; 
Finché  r  onda  trovò  vendicatrice 

Già  d'  Israel,  che  per  divin  consenso 
Faraone  sommerse  e  tutti  i  suoi  ; 
E  poi  venne  alla  terra  degli  Eroi. 

-10.      Lungo  il  fiume  Trajano  egli  cavalca 

Su  quel  de.-trier,  che  al  mondo  è  senza  pare. 
Che  tanto  leggermente  e  corre  e  valca. 
Che  neir  arena  l'  orma  non  n    appiire. 
L'   erlia  non  pur,  non  pur  la  neve  c.ilra  ; 
Co'  piedi  asciutti  andar  potria  sul  mare; 
E  sì  si  stende  al  ciu'so,  e  si  s'  aflVeUa, 
Che  passa  e  vento,  e  folgore,  e  saetta. 

41.  Questo  é  il   destrirr,  che  fu  dell'  Argalia, 
Che  di  fi. mima  e  di   venlo  era  conretto, 

E,  sen/.a  lieno  e  lii  ida ,  .-i   uiitria 
Dell'  aria  pura;  e  Uahirin  lu  detto. 
Venne  seguend»»  il  dura  la  sua  via, 
Dove  dà  il  Mio  a  quel  (liiuir  ricetto; 
E,   primaclié  giunge-.-c  in  sulla  foce, 
A  ide  un  legno  venire  a  sé  vcltice. 

42.  Naviga  in  sulla  poppa  un  eremita 

Con  bianca   barba  a  mez/.o  il  petto  lunga. 
Che  sopra  il  legno   il  p.iladino  invita, 
E,  (ìgiiuol  mio,  gli  srida  dalla  lunga, 
Se  non  t'  è  in  odio   la  tua  propria  vita. 
Se  non  brami ,  che  inort*-  oggi  ti  giunga. 
Venir  ti  piaccia  su  que>l'  altra  arena! 
Cile  u  morir  quella  via  dritto  ti  mena. 


[175] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XV.  43-58) 


[176] 


43.  Tu  noa  andrai  più  che  sei  miglia  innante, 
Che  troverai  la  sanguinosa  stanza. 

Dove  s'  alberga  un  orribil  gigante, 

Che  d'  otto  piedi  ogni  statura  avanza. 

Non  abbia  cavalier,  nò  viandante 

Di  partirsi  da  lui  vivo  speranza; 

Che  altri  il  crudel  ne  scanna,  altri  ne  scuoja; 

Molti  ne  squarta,  e  vivo  alcun  ne  ingoja. 

44.  Piacer,  fra  tanta  crudeltà,  si  prende 

D'  una  rete ,  eh'  egli  ha ,  molto  ben  fatta. 
Poco  lontana  al  tetto  suo  la  tende, 
E  nella  trita  polve  in  modo  appiatta, 
Che .  chi  prima  noi  sa  ,  non  la  comprende, 
Tanto  è  sottil,  tanto  egli  ben  1'  adatta; 
E  con  tai  gridi  i  peregrin  minaccia, 
Che  spaventati  dentro  ve  li  caccia: 

45.  E  con  gran  risa  avviluppati  in  quella 
Se  li  strascina  sotto  il  suo  coperto  ; 

Né  cavalier  riguarda,  né  donzella, 

O  sia  di  grande,  o  sia  di  pic(;i()l  merto; 

E  mangiata  la  carne ,  e  le  cervella 

Succhiate  e  'l  sangue  ,  dà  l'ossa  al  deserto  ; 

E  dell'  umane  pelli  intorno  intorno 

Fa  il  suo  palazzo  orribilmente  adorno. 

46.  Prendi  quest'  altra  via,  prendila,  figlio, 
Che  fin  al  mar  ti  fia  tutta  sicura! 

Io  ti  ringrazio ,  padre ,  del  consiglio, 

Rispose  il  cavalier  senza  paura; 

Ma  non  estimo  per  1'  onor  periglio, 

Di  che  assai  più  che  della  Aita  ho  cura. 

Per  far,  eh'  io  passi,  invan  tu  parli  meco; 

Anzi  vo'  al  dritto  a  ritrovar  lo  speco. 

47.  Fuggendo,  posso  con  disnor  salvarmi; 
Ma  tal  salute  ho ,  più  che  morte ,  a  schivo. 

S'  io  vi  vo',    al  peggio,    che  potrà  incontrarmi, 

Fra  molti  resterò  di  \ita  privo. 

Ma,  quando  Dio  così  mi  drizzi  1'  armi, 

Che  colui  morto  ,  ed  io  rimanga  vivo. 

Sicura  a  mille  renderò  la  via, 

Si  che  r  util  maggior,  che  'I  danno  fia. 

48.  Metto  all'  incontro  la  morte  d'  un  solo 
Alla  salute  di  gente  infinita. 

Vattene  in  pace,  rispose,  figliuolo: 
Dio  mandi  in  difension  della  tua  vita 
L'  arcangelo  >Ii<;hel  dal  sommo  polo! 
E  benedillo  il  semplice  eremitiu 
Astolfo  lungo  il  MI  tenne  la  strada, 
Sperando  più  nel  suon,  che  nella  spada. 

49.  Giace,  tra  1'  alto  finme  e  la  palude, 
Picciol  s-entir  nell'  arenosa  riva: 

La  solitaria  casa  lo  rinchiude, 

D'   iiinanitadc  e  di  commercio  priva. 

Son  fisse  intorno  teste  e  membra  nude 

Dell'  infelice  gente,  che  vi  arriva: 

Non  vi  è  finestra,  non  vi  è  merlo  alcuno, 

Onde  penderne  almen  non  si  vcggia  uno. 

50.      C^ual  nelle  alpine  ville  o  ne'  castelli 

Suol  (:iuciat(»r ,  «Jie  gran  perigli  ha  scorsi, 
Sulle  porte  attaccar  1'  irsute  pelli, 
L'  orr'uU:  zaiiii)«,  «  »  gro>si   capi  d'  orsi: 
Tal  dimostrava  il  (ìi-r  gigante  quelli, 
Che  di  niaggior  virtù  gli  erano  occorsi: 
D'   altri  infiniti  sparse  appajon  I"  os^a, 
Ed  è  di  sangue  uman  piena  ogni  fossa. 


51.  Stassi  Caligorante  in  sulla  porta, 
(Cile  cosi  ha  nome  il  dispìetato  mostro, 
Ch'  orna  la  sua  magion  di  gente  morta, 
Come  alcun  suol  de'  panni  d'  oro  o  d'  ostro). 
Costui  per  gaudio  appena  si  comporta, 
Come  II  duca  lontan  se  gli  è  dimostro  ; 

Che  eran  duo  mesi ,  e  '1  terzo  ne  venia, 
Che  non  fu  cavalier  per  quella  via. 

52.  Ver  la  palude,  eh'  era  scura,  e  folta 
Di  verdi  canne  ,  in  gran  fretta  ne  viene; 
Che  disegnato  avea  correre  in  volta, 

E  uscire  al  paladin  dietro  alle  schiene; 
Che  nella  rete,  che  tenea  sepolta 
Sotto  la  polve,  di  cacciarlo  ha  spene. 
Come  avea  fatto  agli  altri  peregrini. 
Che  quivi  tratto  avean  lor  rei  destini. 

53.  Come  venire  il  paladin  lo  vede, 
Ferma  il  destrier ,  non  senza  gran  sospetto, 
Che  non  vada  in  que'  lacci  a  dar  del  piede. 
Di  che  il  buon  vecchiarel  gli  avea  predetto. 
Quivi  il  soccorso  del  suo  corno  chiede, 

E  quel  suonando  fa  1'  usato  effetto: 
Nel  cor  fere  il  gigante ,  che  1'  ascolta. 
Di  tal  timor ,  eh'  addietro  i  passi  volta. 

54.  Astolfo  suona ,  e  tuttavolta  bada  ; 

Cile  gli  par  sempre ,  che  la  rete  scocchi. 
Fugge  il  fellon ,  nò  vede ,  ove  si  vada  ; 
Che,  come  il  core,  avea  perduti  gli  (»cchj. 
Tanta  è  la  tema ,  che  non  sa  far  strada. 
Che  ne'  suoi  proprj  agguati  non  trabocchi. 
Va  nella  rete ,  e  quella  si  disserra, 
Tutto  r  annoda ,  e  lo  distende  in  terra. 

55.  Astolfo,  che  andar  giù  vede  il  gran  peso, 
Già  sicuro  per  sé,  v'  accorre  in  fretta, 

E  con  la  spada  in  man,  d'  arcion  disceso, 

Va  per  far  di  mille  anime  vendetta. 

Poi  gli  par ,  che ,  se  uccide  un ,  che  sia  preso, 

Viltà  più,  che  virtù,  ne  sarà  detta; 

Che  legate  le  braccia ,  i  piedi  e  il  collo 

Gli  vede  si,  che  non  può  dare  un  crollo. 

56.  Avea  la  rete  già  fatta  Vulcano 

Di  sottil  fil  d'  acciar,  ma  con  tal'  arte, 
Che  saria  stata  ogni  fatica  in  vano 
Per  ismagliarne  la  più  debol  parte  ; 
Ed  era  quella ,  clie  già  piedi  e  mano 
Avea  legati  a  Venere  ed  a  Marte. 
La  fé'  il  geloso .  e  non  ad  altro  effetto, 
Che  per  pigliarli  insieme  ambi  nel  letto. 

57.  Mercurio  al  fabbro  poi  la  rete  invola,  ! 
Che  doride  pigliar  con  essa  vuole, 

Cloride  bella,  «he  per  l'  aria  vola 
Dietro  air  Aurora  ,  all'  apparir  del  sole, 
E  dal  raccolto  lembo  della  stola 
Gigli  spargendo  va ,    rose  e  viole. 
Mercurio  tanto  questa  ninfa  attese. 
Che  con  la  rete  in  aria  un  dì  la  prese. 

58.  Dove  entra  in  mare  il  gran   fiume  etiope, 
Par,  che  la  Dea  presa  volando  fosse: 
Poi  nel  tempio  d'  Anuliide  a  Canopo 
La  rete  molli  se«-oli  serbosse. 
Caligorante,  tre  mila  anni  dopo. 
Di  Li,  dove  era  sacra,  la  riuutsse. 
S(^  ne  portò  la  rete  il   ladron  empio. 
Ed  arse  la  cittade,  e  rubò  il  tempio. 


;m] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XV.  59-74) 


[ns] 


59.  Quivi  adattoUa  in  modo  in  suU'  arena, 
die  tutti,  quei,  eh'  avean  da  lui  la  caccia. 
Vi  davan  dentro;  ed  era  tocca  appena, 
Che  lor  legava  e  collo,  e  piedi,  e  braccia. 
Di  questa  levò  Astolfo  una  catena, 
E  le  man  dietro  a  quel  fellon  n'  allaccia; 
Le  braccia  e  '1  petto  in  p^uisa  g^liene  fascia^ 
Che  non  può  sciorsi;  indi  levar  lo  lascia. 

60.  Dagli  altri  nodi  avendol  sciolto  prima, 
(Ch'  era  tornato  uman  più  che  donzella,) 
Di  trarlo  seco,  e  di  mostrarU»  stima 
Per  ville,  per  cittadi  e  per  ca^tclla. 
Vuol  la  rete  anco  aver,  di  che  né  lima, 
Kè  martel  fece  mai  cosa  piii  bella: 
]Ne  fa  soraier  cohii,  eh'  alla  cattena 
Con  pompa  trionfai  dietro  si  mena. 

61.  L'  elmo  e  lo  scudo  anche  a  portar    gli  diede 
Come  a  valletto,  e  seguitò  il  cammino. 
Di  gaudio  empiendo,  ovunque  metta  il  piede, 
Che  ir  possa  ormai  sicuro  il  pellegrino. 
Astolfo  se  ne  va  tanto,  che  vede. 
Che  a'  sepolcri  di  Menfi  è  già  vicino, 
Menfi  per  le  piramidi  famoso: 
Vede  air  incontro  il  Cairo  populoso. 

62.  Tutto  il  popol  correndo  si  traea 
Per  vedere  il  gigante  smisurato. 
Come  è  possibil,  1'  un  1'  altro  dicea. 
Che  quel  piccolo  il  grande  abbia  legato? 
Astolfo  apjjena  innanzi  andar  potea, 
Tanto  la  calca  il  preme  da  ogni  lato, 
E,  come  cavalier  d'  alto  valore, 
Ognun  r  ammira,  e  gli  fa  grande  onore. 

63.  Non  era  grande  il  Cairo  così  allora, 
Come  se  ne  ragiona  a  nostra  etade; 
Cile  il  popolo  capir,  che  vi  dimora, 
Non  pon  diciotto  mila  gran  contrade; 
E  che  le  case  hanno  tre  palchi,  e  ancora 
Ne  dormano  infiniti  in  sulle  strade; 
E  che    l  snidano  v'  abita  un  castello 
Mirabil  di  grandezza,  e  ricco  e  bello; 

64.  E  che  quindici  mila  suoi  vassalli, 
Che  son  cristiani  rinnegati   tutti. 
Con  mogli,  con  famiglie  e  con  cavalli, 
Ila  sotto  nn  tetto  sol  quivi  ridutti. 
Astolfo  Acder  Miole,  ove  s'  avvalli, 
E  quanto  il  Nilo  entri  nei  salsi  flutti 
A  Daiiiiata;  eh'  avca  quivi  inteso. 
Qualunque  passa,  restar  morto,  o  preso; 

65.  Perocché  in  ripa  al  Nilo  in  sulla  foce 
Si  rijiara  un  ladron  dentro  una  torre, 
Che  a'  paesani  e  a'  peregrini  nuoce, 
E  fin  al  Cairo,  ognun  riibaiid«t,  s<-orrc. 
Non  gli  può  alcun  resistere;  ed  ha  voce. 
Che  1'  uom  gli  cerca  iiivan  la  vita  torre: 
Cento  mila  ferite  egli  ha  già  avuto, 
Kè  ucciderlo  però  mai  si   è  potuto. 

p6.      INt  veder,  se  può  far  romper»!  il  filo 
Alla  l'aria  di  Ini,  sicrlu-  non    \i\a, 
Asloll'o  viene  a  ritrovare  Orrilo 
(Co>i  avea  nome),  e  a  Daiiiiata  arri^a. 
Ed  indi  passa,  ove  entra  in  mare  il   Mio, 
E   vede  la  gran  torre  in  sulla  riva. 
Dove  s'  alberga  1'  anima  incantata. 
Clic  A'  un  folletto  nacque  e  d'  una  fata. 


67.  Quivi  ritrova,  che  crudel  battaglia 
Era  tra  Orrilo  e  due  guerrieri  accesa. 
Orrilo  è  solo,  e  sì  que'  due  travaglia, 
Ch'  a  gran  fatica  gli  pon  far  difesa. 

E  quanto  in  arme  1'  uno  e  1'  altro  vaglia 
A  tutto  il  mondo  la  fama  palesa: 
Questi  erano  i  due  figli  d'  Oliviero, 
Grifone  il  bianco,  ed  Aquìlante  il  nero. 

68.  Gli  è  ver,  che  'I  negromante  venuto  era 
Alla  battaglia  con  vantaggio  grande; 
Che  seco  tratto  in  campo  avea  una  fera. 
La  qual  si  trova  solo  in  quelle  bande; 
Vive  sul  lito,  e  dentro  alla  riviera, 

E  i  corpi  umani  son  le  sue  vivande 
Delle  persone  misere  ed  incaute 
De'  viandanti,  e  d'  infelici  naute. 

69.  La  bestia  nell'  arena  appresso  il  porto 
Per  man  de'  due  fratei  morta  giacca; 

E  per  qu«sto  ad    Orrìl  non  sì  fa  torto. 
Se  a  un  tempo  1'  uno  e  1'  altro  gli  nocca. 
Più  volte  r  iian  smembrato,  e  non  mai  morto 
Né  per  sinemlirarlo  uccider  si  |)otea; 
Che,  se  tagliata  o  mano  o  gamba  gli  era. 
La  rappiccava,  che  parca  di  cera. 

70.  Or  fin  ai  denti  il  capo  gli  divide 
Grifone,  or  Aquilante  fin  al  petto: 
Egli  de'  colpi  lor  sempre  si  ride. 

S'  adiran  essi,  che  non  hanno  effetto. 
Chi  mai  d'  alto  cader  V  argento  vide, 
Che  gli  alchimisti  hanno  mercurio  detto, 
E  spargere  e  raccor  tutti  ì  suoi  membri. 
Sentendo  di  costui,  se  ne  rimembri. 

71.  Se  gli  spiccano  il  capo.  Orrilo  scende. 
Né  cessa  brancolar,  finché  lo  ti'ovi. 

Ed  or  pel  crine,  ed  or  pel  naso  il  prende, 
Lo  salda  al  collo,  e  non  so,  con  che  chiovì. 
Pigliai  talor  Grifone,  e  '1  braccio  stende. 
Nel  fiume  il  getta,  e  non  par,  eh'  anco  giovi: 
Che  nuota  Orrilo  al  fondo,  come  un  pesce, 
E  coi  suo  capo  ealvo  alla  ripa  esce. 

72.       Due  belle  donne  onestamente  ornate, 
1/  una  vestita  a  bianco,  e  1'  altra  a  nero. 
Che  della  pugna  causa  erano  state. 
Stavano  a  riguardar  1'  assalto  fiero. 
Queste  eran  quelle  due  benigne  fate, 
(;iie  avean  nutriti  i   figli  d'  Oliviero, 
pitiche  li  tiasson   teneri  zittelli 
Dai  curvi  artigli  di  due  grandi  augelli, 

73.  Che  rapiti  gli  avevano  n  Gismonda, 
E   portati  lontan  dal  suo  paese. 

]\la  non  bisogna  in  ciò.  eh'   io  mi  diffonda; 
Chi  a  tutto  il  mondo  è  V  i-toria  palese; 
Deiichè  r  autor   nel   padre   si  confonda. 
Che  un  per  un  altro  (io   non  so  coiiu-)   i)rcse. 
Or  la  battaglia  i  duo  giovani  f.uino, 
Che  le  duo  donne  ambi  pregati  n'  hanno. 

74.  Era  in  quel  clima  già  sparito  il  giorno, 
Air  i-^ole  aiictu-  alto  di  Fortuna; 

L'  ombre  avean  tolto  ogni  vedere  attorno 
Sotto  r  incerta  e  mal  coniprc>a   luna, 
Qii.indo  alla  rocca  OrriI  fece  ritorno. 
Poicir   all.i  biama,  e  alla  sorella  bnina 
Piacque  di  dilfcrir  1'  aspra  battagliti, 
Fiiichò  '1  sol  nuuvu  all'  orizzonto  saglia. 

12 


[119] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XV.    75—90) 


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75.  Astolfo,  che  Grifone  ed  Aqnilante 

Ed  air  insegne,  e  più  al  ferir  gagliardo, 
Riconoficinto  area  gran  pezzo  innante, 
Lor  non  fu  altero  a  salutar,  né  tardo. 
Essi,  vedendo,  che  quel,  che  '1  gigante 
Traea  legato,  era  il  baron  dal  Pardo, 
(Che  così  in  corte  era  quel  duca  detto) 
Raccolser  lui  con  non  minore  affetto. 

76.  Le  donne  a  riposare  i  cavalieri 
Menaro  a  un  lor  palagio  indi  vicino. 
Donzelle  incontra  vennero  e  scudieri, 
Con  torchj  accesi,  a  mezzo  del  cammino. 
Diero  a  chi  n'  ebbe  cura  i  lor  destrieri  ; 
Trassonsi  1'  arme,  e  dentro  un  bel  giardino 
Trovar,  che  apparecchiata  era  la  cena 

Ad  mia  fonte  limpida  ed  amena. 

77.  Fan  legare  il  gigante  alla  verdura 
C»)n  un'  altra  catena  molto  grossa. 
Ad  una  quercia  di  molt'  anni  dura, 
Che  non  si  romperà  per  ima  scossa; 
E  da  dicci  sergenti  averne  cura, 
CJiie  la  notte  discior  non  se  ne  possa, 
Ed  assalirli,  e  forse  far  lor  danno. 
Mentre  sicuri  e  senza  guardia  stanno. 

78.  All'  abbondante  e  sontuosa  mensa. 
Dove  il  manco  piacer  fur  le  vivande, 
Del  ragionar  gran  parte  sì  dispensa 
Sopra  d'  Orrilo,  e  del  miracol  grande, 
Che  quasi  pare  un  sogno  a  chi  vi  pensa, 
Che  or  capo,  or  brjiccìo  a  terra  se  gli  mande. 
Ed  egli  Io  raccolga  e  Io  raggiugna, 

E  più  feroce  oguor  torni  alla  pugna. 

79.  Astolfo  nel  suo  libro  avca  già  Ietto  — 
Quel,  che  agi'  incanti  riparare  insegna,  — 
Che  ad  OrriI  non  trarrà  l'  alma  del  petto, 
Finche  un  crine  fatai  nel  capo  tegna; 
Ma,  se  lo  svelle ,  o  tronca,  fìa  constretto, 
Che,  suo  malgrado,  fuor  1'  alma  ne  vegna. 
Questo  ne  dice  il  libro  ;  ma  non,  come 
Conosca  il  crine  in  così  folte  chiome. 

80.  Non  raen  della  vittoria  si  godea. 
Che  s(!  n'  avesse  Astolfo  già  la  palma. 
Come  chi  speme  in  pochi  colpi  avea 
Svellere  il  crine  al  negromante  e  1'  alma. 
Però  di  queir  impresa  promette» 

Tor  su  gli  omeri  suoi  tutta  la  salma; 
Orril  farà  morir,  quando  non  spiaccia 
Ai  duo  fratei,  eh'  egli  la  pugna  faccia. 

81.  Ma  quei  gli  danno  volentier  l'  impresa. 
Certi,  che  debbia  affaticarsi  invano. 

Era  già  1'  altra  aurora  in  cielo  ascesa, 
Quando  calò  dai  muri  Orrilo  al  piano, 
'J"ra  il  duca  e  lui  fu  la  battaglia  accesa. 
La  ma/za  1'  un,  l'  altro  ha  la  spada  in  mano. 
Di  mille  attf^nde  Astolfo  un  colpo  trarne. 
Che  lo  spirto  gli  sciolga  dalla  carne. 

82.  Or  cader  gli  fa  il  pugno  con  la  mazza, 
Or  r  imo,  (u-  l'  altro  braccio  con  la  mano  ; 
Quando  taglia  a  traverso  la  corazza, 

E  quando  il  va  troncando  a  brano  a  brano: 
Ma  raccogli»!ndo  sempre  dalla  pia/za 
Va  le  sue  menibra  Orrilo,  e  si  fa  sano. 
Se  in  cento  pizzi  ben  1'  avesse  fatto, 
K(-dintcgrarsi  il  vedea  A.^tolfo  a  un  tratto. 


83.  Alfin  di  mille  colpi  un  gliene  colse 
Sopra  le  spalle  ai  termini  del  mento; 
La  testa  e  1'  elmo  dal  capo  gli  tolse, 
Kè  fu  d'  Orrilo  a  dismontar  \nn  lento. 
La  sanguinosa  chioma  in  man  s'  a^  volse, 
E  risalse  a  cavallo  in  un  momento, 

E  la  portò,  correndo  centra  '1  Nilo, 
Che  riaver  non  la  potesse  Orrilo. 

84.  Quel  sciocco,  che  del  fatto  non  si  accorse. 
Per  la  polve  cercando  iva  la  testa  : 

Ma  come  intese  il  corridor  via  torse. 
Portare  il  capo  suo  per  la  foresta. 
Immantinente  al  suo  dcstrier  ricorse, 
Soj)ra  vi  sale,  e  di  seguir  non  resta, 
^'olea  gridare  :  Aspetta,  volta,  volta  ! 
Ma  gli  avea  il  duca  già  la  bocca  tolta. 

85.  Pur,  che  non  gli  ha  tolto  anco  le  calcagna, 
Sì  riconforta,  e  segue  a  tutta  briglia. 
Dietro  il  lascia  gran  spazio  di  campagna 
Quel  Rabican,  che  corre  a  maraviglia. 
Astolfo  intanto  per  la  cuticagna 

Va  dalla  nuca  fin  sopra  le  ciglia 
Cercando  in  fretta,  se  '1  crine  fatale 
Conoscer  può,  clie  Orril  tiene  immortale. 

86.  Fra  tanti  e  innumerabili  capelli, 

Un  più  dell'  altro  non  si  stende,  o  torce. 
Qual  dunque  Astolfo  sceglierà  di  quelli, 
Che,  per  dar  morte  al  rio  ladron,  raccorce? 
Bleglio  è,  disse,  che  tutti  io  tagli  o  svelli: 
JNè  si  trovando  aver  rasoi,  né  force. 
Ricorse  immantinente  alla  sua  spada. 
Che  taglia  sì,  che  si  può  dir,  che  rada; 

87.  E,  tenendo  quel  capo  per  lo  naso, 
Dietro  e  dinanzi  lo  dischioma  tutto. 
Trovò  fra  gli  altri  quel  fatale  a  caso. 
Si  fece  il  viso  allor  pallido  e  brutto; 
Travolse  gli  occhj,  e  dimostrò  all'  occaso, 
Per  manifesti  segni,  esser  condotto, 

E  '1  busto,  che  scguia  troncato  al  collo. 
Di  sella  cadde,  e  die  l'  ultimo  crollo. 

88.  Astolfo,  ove  le  donne  e  i  cavalieri 
Lasciato  avea,  tornò  col  capo  in  mano. 
Che  tutti  avea  di  morte  i  segni  veri, 

E  mostrò  il  ti'onco,  ove  giacca  lontano. 
Non  so  ben,  se  lo  vider  volentieri, 
Ancorché  gli  mostrasser  viso  umano; 
Cile  la  intercetta  lor  vittoria  forse 
D'  invidia  ai  duo  germani  il  petto  morse. 

80.      Kè,  che  tal  fin  quella  battaglia  avesse, 
Credo  più  fosse  alle  due  donne  grato. 
Queste,  perchè  più  in  lungo  si  traesse 
De'  diu)  fratelli  il  doloroso  fato. 
Che  in  Francia  par  che  in  ln-eve   esser  dovesse 
Con  loro  Orrilo  avean  quivi  azzuffato, 
Con  speme  di  tenerli  tanto  a  bada. 
Che  la  trista  inlluenza  se  no  vada. 

90.     T«)stochè  'l  castcllan  di  Damlata 
Certi fi(;ossi,  eh'  era  morto  Orrilo, 
La  colomba  lasciò,  che  avea  legata 
Sotto  r  ala  la  lettera  col  filo. 
Quella  andò  al  C.iiro,  c>l  indi  fu  lasciata 
Un'   altra  altrove,  come  quivi  è  stilo; 
Sicché  in  pocbissinie  ore  andò  I'  avviso 
Per  tutto  Egitto,  eh'  era  Ori-ilo  ucciso. 


[181] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XV.    91  —  105) 


[182] 


91.  n  duca,  come  al  fin  trasse  1'  impresa. 
Confortò  molto  i  nobili  garzoni. 
Benché  da  sé  t'  avean  la  voglia  intesa, 
IVé  bisognavan  stimoli,  né  sproni: 

Che,  per  difender  della  santa  chiesa 
E  del  romano  imperio  le  ragioni, 
Lasciasser  le  battaglie  d'  Oriente, 
E  cercassino  onor  nella  lor  gente. 

92.  Così  Grifone  ed  Aquilante  tolse 
Ciascuno  dalla  sua  donna  licenzia  ; 

Le  quali,  ancorché  lor  ne  increbbe  e  dolse 
Non  \i  seppon  però  far  resistcnzia. 
Con  essi  Astolfo  a  man  destra  si  volse, 
Che  sì  deliberar  far  riverenzia 
Ai  santi  luoghi,  ove  Dio  in  carne  visse, 
Priraachè  vei'so  Francia  si  Acnijse. 


93. 


Potuto  avrian  pigliar  la  via  mancina, 
Ch'  era  più  dilettevole  e  più  piana, 
E  mai  non  si  scostar  dalla  marina  ; 
Ma  per  la  destra  andaro  orrida  e  strana. 
Perché  1'  alta  città  di  Palestina, 
Per  questa,  sei  giornate  é  men  lontana. 
Acqua  si  trova,  ed  erba  in  questa  via; 
Di  tutti  gli  altri  ben  v'  è  carestia. 


94 


Sicché,  prima  eh'  entrassero  in  viaggio, 
Ciò  che  lor  bisognò,  fecion  raccorre, 
E  carcar  sul  gigante  il  carriaggio, 
Ch'  avria  portato  in  collo  anco  una  torre. 
Al  finir  del  caramiiio  aspro  e  selvaggio, 
Dall'  alto  monte  alla  lor  vista  occorre 
La  santa  terra,  ove  il  superno  Amore 
Lavò  col  proprio  sangue  il  nostro  errore. 

95.     Trovano  in  suU'  entrar  della  cittade 
Un  giovane  gentil,  lor  conoscente, 
Sansonetto  da  3Iccca,  oltre  1'  ctade, 
Ch'  era  nel  primo  fior,  molto  prudentei, 
D'  alta  cavalleria,  d'  alta  boutade 
Famoso  e  riverito  fra  la  gente. 
Orlando  lo  converse  a  nostra  fede, 
E  di  sua  man  battesmo  anco  gli  diede. 

Quivi  lo  trovan,  che  disegna  a  fronte 
Del  calife  d'  Egitto  una  fortezza; 
E  circondar  vuole  il  Calvario  iiu)nte 
Dì  muro  di  due  miglia  di  lunghczziu 
Da  lui  raccolti  fur  con  quella  fronte, 
Che  può  d'  interno  amor  dar  più  (•hiai'ezza  ; 
E  dentro  accompagnati,  e  con  grand'  agio 
Fatti  alloggiar  nel  suo  rcal  palagio. 

Avea  in  governo  egli  la  terra,  e  in  vece 
Dì  Carlo  vi  reggca  l'  imperio  giusto. 
Il  duca  Astolfo  a  costui   ilono  fece 
Di  quel  sì  grande  e  smisurato  busto, 
Che  a  piutar  pesi  gli  varrà  per  diece 
li<•^tie  «la  soma,   tanto  <'ra  robusto, 
Diegii  Astolfo  il  gigante,  e  dirgli  appresso 
La  rete,  che 


96 


97 


sua  forza  V  a\<;a  messo 

105.      P<;rò  U-vii  p(-nsier,  senza  i>arlarnc 
Con  A(|uilaiite,  girsene   soletto 
Sin  dentro  d'  Antiochia,  v  quindi  trarne 
Colei,  che  tratti»  il  cor  ^li  a^ea  d<  I   petto, 
'rro\ar  «dlui,  «he  ;;liel"  ha  tolta.  «•   farno 
\<tidetta  tal,  che  ne   sia  ^elnp^(!  detto. 
Dirò,  rome  ad  clVctto  il  pcusier  messe, 
Neil'  altro  canto,  o  ciò  che  ne  successe. 


98.  Sansonetto  all'  incontro  al  duca  diede 
Per  la  spada  una  cinta  ricca  e  bella, 

E  diede  spron  per  1'  uno  e  1'  altro  piede. 
Che  d'  oro  avean  la  fibbia  e  la  girella; 
Ch'  esser  del  cavalier  stati  si  crede. 
Che  liberò  dal  drago  la  donzella. 
Al  Zaffo  avuti,  con  molt'  altro  «arnese, 
Sansonetto  gii  avea,  quando  lo  prese. 

99.  Purgati  di  lor  colpe  a  un  monasterio. 
Che  dava  di  sé  odor  di  buoni  esempj. 
Della  passion  dì  Cristo  ogni  misteri© 
Contemplando  n'  andar  per  tutti  i  tempj. 
Che  or,  con  eterno  obbrobrio  e  vituperio, 
AUi  Cristiani  usurpano  i  3Iorì  empj. 

L'  lluropa  é  in  arme,  e  di  far  gùerx-a  agogna 
In  ogni  parte,  fuorché  ove  bisogna. 

100.  Mentre  avean  quivi  1'  animo  divoto, 
A  perdonanze  e  a  cerimonie  intenti, 
Lin  peregrio  di  Grecia,  a  Grifon  noto, 
Rovelle  gli  arrecò  gravi  e  pungenti. 
Dal  suo  primo  disegno  e  lungo  voto 
Troppo  diverse  e  troppo  differenti; 
E  quelle  il  petto  gì'  infiammaron  tanto, 
Che  gli  scacciar  1'  oi-azion  da  canto. 

101.  Amava  il  cavalier,  per  sua  sciiigura. 
Una  donna,  che  avea  nome  Origille: 
Di  più  bel  volto  e  di  miglior  statura 
]\on  se  ne  sceglierebbe  una  tra  mille; 
Ma  disleale,  e  di  sì  rea  natura. 
Che  potresti  cercar  cittadi  e  ville. 
La  terra  ferma  e  1'   isole  del  mare, 
Ké  credo,  eh'  una  le  trovassi  pare. 

102.  Kella  città  di  Costantin  lasciata 
Grave  l'  avea  dì  febbre  acuta  e  fiera. 
Or,  quando  rivederla  alla  tornata. 

Più  che  mai  bella,  e  di  goderla  spera, 
Ode  il  jneschin,  che  in  Antiochia  andata 
Dietro  un  sin»  nuovo  amante  ella  se  n'  era, 
Aon  le  parendo  ormai  di  più  patire, 
Che  abbia  in  sì  fresca  età  sola  a  doriuìre. 

103.  Da  indi  in  qua,  eh'  ebbe  la  trista  nuova. 
Sospirava  Grifon  notte  e  dì  sempre. 

Ogni  piacer,  che  agli  altri  aggrada  e  giova, 
l'ar,  che  a  costui  piii   T  animo  distempre. 
Pensilo  ognun,  nelli  cui  danni  prova 
Amor,  se  li  suoi  strali  liau  buone  tempre. 
Ed  era  grave  sopra  ogni  martire. 
Che  il  nuli,  eh'  avea,  si  vergognava  a  dire. 

104.  Questo,  perché  mille  fiate  innante 
Già  ripreso  l  avea  di  quell'  auutre. 
Di  lui  più  saggio  il  fratello  Aquihuite, 
E  cercato  colei  trargli  del  core, 

C(dei,   che  al  suo  giuiru  io  era,  di  quante 
Feumiine  rie  si  tro>in,   la  peggiore. 
Griltui  r  escusa,  se    1  fratel  la  danna: 
Che  le  più  volte  il  parer  proprio  inganna. 


12  * 


[183] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XVI.  1-12) 


[184] 


CANTO    DECIMOSESTO. 


ARGOMENTO. 

Con  Origine  trova  il  vii  Martano 
Grifone  ,  e  suo  fratello  stima  e  crede. 
Giugne  al  campo  il  signor  di  Moni'  Albano, 
A  tempo  che  'l  suo  ajuto  più  richiede. 
Rodomonte  in  Parigi,  ei  fuor  nel  piano 
Fa  gran  mortalità,  travaglia  efiede. 
Dell'  uno  e  V  altro  son  le  prove  tali, 
Che  posson  stare  a  una  bilancia  eguali. 


1.  Grarl  pene  in  amor  si  proTan  molte, 
Di  che  patito  io  n'  ho  la  niag-gior  parte, 
E  quelle  in  danno  mio  sì  ben  raccolte, 
Ch'  io  ne  posso  parlar,  come  per  arte. 
Però  ,  s'  io  dico ,  e  s'  ho  detto  altre  volte, 
E  quando  in  voce ,  e  quando  in  vive  carte. 
Che  un  mal  sia  lieve,  un  altro  acerbo  e  fiero, 
Date  credenza  al  mio  giudizio  vero  ! 

2.  Io  dico  e  dissi,  e  dirò  fin<;h'  io  viva. 
Che  chi  si  trova  in  degno  laccio  preso, 
Se  ben  di  sé  vede  sua  donna  schiva. 

Se  in  tutto  avversa  al  suo  desire  acceso, 
Se  bene  amor  d'  ogni  mercede  il  priva, 
Poscia<hè  il  tempo  e  le  fatiche  ha  speso. 
Purché  altamente  abbia  locato  il  core, 
Pianger  non  de'  ,  se  ben  languisce  e  muore. 

3.  Pianger  de'  quel,  che  già  sia  fatto  servo 
Di  duo  vaghi  occlij  e  d'  una  bella  treccia, 
Sotto  »;ui  si  nasconda  nn  cor  protervo, 
Che  poco  puro  abbia  con  molta  feccia. 
\orria  il  niiser  fuggire,  e  come  cervo 
Ferito ,  ovunque  va  ,  porta  la  freccia. 

Ha  di  sé  stesso  e  riel  suo  amor  vergogna, 
j\è  r  osa  dire ,  e  iii^  an  »anarsi  agogna. 

4.  In  questo  caso  é  il  gi<»vane  Grifone, 

Che  non  .si  può  emendare,  e  '1  suo  error  vede; 

Aede,  quanto  vilmente  il  suo  cor  pone 

In  Origlile  iniqua  e  ^enza  fede; 

Pur  dal  mal  uso  è  %inta  la  ragione, 

K  pur  r  arbitrio  all'  appetito  (ede: 

i'r-ilida  sia  quantunque,  ingrata  e  ria. 

Sforzato  è  di  cercar,  dov'  ella  sia. 

5.  Dico  ,  la  Ixlla  istoria  ripigliando, 
Che  u-(  1  (Icllii  ciitii  secrctanu-nte, 

Né  parlarne  s'  ardi  col  fratel,  quando 
Ripreso  in>aii  da  lui  ne  fu  sovente. 
Verso  Uiuna  ,   n  sini,,t,ii  declinando. 
Prese  la  \ia  piò  piana  ,;  pi,,  ^drente: 
F'u  in  sei  giorni  a  I)aiiias( o  di  S(>na, 
Indi  verbo  Antiochia  ac  ne  •'iu. 


6.  Scontrò  presso  a  Damasco  il  cavaliere, 
A  cui  donato  avea  Origille  il  core, 

E  convcnian  di  rei  costumi  in  vero, 
Come  ben  si  convien  1'  erba  col  fiore  : 
Che  r  uno  e  1'  altro  era  di  cor  leggiero; 
Perfida  1'  una,  e  1'  altro  traditore; 
E  copria  1'  uno  e  1'  altra  il  suo  difetto. 
Con  danno  altrui ,  sotto  cortese  aspetto. 

7.  Come  io  vi  dico ,  il  cavalier  venia 

Su  un  gran  destrier  con  molta  pompa  armato. 

La  perfida  Origille  in  compagnia 

In  un  vestire  azzur,  d'  oro  fregiato, 

E  duo  valletti ,  donde  si  servia 

A  portar  elmo  e  scudo,  aveva  allato; 

Come  quel ,  che  volea  con  bella  mostra 

Comparire  in  Damasco  ad  una  giostra. 

8.  Una  splendida  festa,  che  bandire 
Fece  il  re  di  Damascc»  in  quelli  giorni. 
Era  cagion  di  far  quivi  venire 

I  cavalier,  quanto  potean  più  adorni. 
Tostoché  la  puttana  comparire 

Vede  Grifon ,  ne  teme  oltraggi  e  scorni: 

Sa,  che  1'  amante  suo  non  è  si  forte, 

Che  contra  lui  1'  abbia  a  campar  da  morte. 

9.  Ma,  siccome  audacissima  e  scaltrita. 
Ancorché  tutta  di  paura  trema, 

S'  acconcia  il  viso,  e  sì  la  voce  aita. 
Che  non  appare  in  lei  segno  di  tema. 
Col  drudo  avendo  già  1'  astuzia  ordita. 
Corre,  e,  fingendo  una  letizia  estrema, 
Verso  Gli  fon  1'  aperte  braccia  tende, 
Lo  stringe  al  collo ,  e  gran  pezzo  ne  pende. 

10.  Dopo ,  accordando  alTettùosi  gesti 
Alla  soavità  delle  parole, 

Direa  piangendo:  Signor  mio,  son  questi 

D(!biti  prenij  a  chi  t'  adora  e  cole, 

Che  sola  senza  te  già  un  anno  resti, 

E  va  per  1'  altro ,  e  ancor  non  te  ne  duole? 

E ,  se  io  stava  aspettare  il  tiu)  ritorno, 

Kon  so,  se  mai  veduto  avrei  quel  giorno. 

11.  Quando  aspettava ,  che  di  jNicosia, 
Dove  tu  te  n'  andasti  alla  gran  corte, 
Tornassi  a  me  ,  che  con  la  febbre  ria 
La.-iciata  avevi  in  dubbio  della  morte, 
Int(^-i ,  che  passato  cri  in  Soria  ; 

II  che  a  patir  mi  fu  sì  duro  e  foric. 
Che  ,  non  sapendo  ,  come  io  ti  seguissi, 
Quasi  il  cor  di  man  propria  mi  trafissi. 

12.  Ma  fortiuia  di  nu-  con  d(>|)pìo  dono 
Mostra  d'  aver,  quel  che  non  hai  tu,  cura. 
Mandommi  il  fratel  mio,  col  quale  io  sono 
Sin  qnì  scuota  del  mio  onor  sicura; 

Ed  or  mi  manda  questo  iiu^ontro  biu>no 
Di  te,  eh'  io  stimo  sopra  ogni  avventura ^ 
E  bene  a  tempo  il  fa;  che,  piò  tardando, 
31orta  sarei,  te,  signor  mio,  bramando. 


185] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XVI.   13-28) 


ri86] 


13.     E  seguitò  la  donna  fraudolente, 
Di  cui  i'  opere  fur  più  che  di  volpe, 
La  sua  querela  così  astutamente, 
Che  riversò  in  Grifon  tutte  le  colpe. 
Gli  fa  stimar  colui,  non  che  parente, 
Ma  che  d'  un  padre  seco  al)hia  ossa  e  polpe  ; 
E  con  tal  modo  sa  tesser  gì"  inganni. 
Che  men  verace  par  Luca  e  Giovanni. 

lì.     Non  pur  di  sua  perfidia  non  riprendo 
Grifon  la  donna  iniqua  più  che  bella; 
Non  pur  vendetta  di  colui  non  prende. 
Che  fatto  s'  era  adultero  di  quella; 
Ma  gli  par  fare  assai,  se  si  difende, 
Che  tutto  il  hiasmo  in  lui  non  riversi  ella; 
E,  come  fosse  suo  cognato  vero, 
D'  accarezzar  non  cessa  il  cavaliero. 

15.  E  con  lui  se  ne  vien  verso  le  porte 
Di  Damasco,  e  da  lui  sente  tra  via, 
Che  là  dentro  dovea  splendida  corte 
Tenere  il  ricco  re  della  Soria, 
E  che  ognun  quivi ,  di  qualunque  sorte, 

0  sia  Cristiano,  o  d'  altra  legge  sia, 
Dentro  e  di  fuori  ha  la  città  sicura 
Per  tutto  il  tempo,  che  la  festa  dura. 

16.  Non  però  son  di  seguitar  sì  intento 
L'  istoria  della  perfida  Origlile, 
Che  a'  giorni  suoi  !U)n  pure  un  tradimento 
Fatto  agli  amanti  avca ,  ma  mille  e  mille, 
Cli'  io  non  ritorni  a  riveder  dugento 
Mila  persone  o  ^jìù  delle  scintille 
Del  fuoco  stuzzicato ,  ove  alle  mura 
Di  Parigi  facean  danno  e  paura. 

17.  Io  vi  lasciai,  come  assaltato  avea 
Agramante  una  porta  della  terra, 
Che  trovar  senza  guartlia  si  credea; 
Né  più  riparo  altrove  il  passo  serra; 
Perchè  in  persona  (Jarlo  la  tenea. 
Ed  avea  seco  i  mastri  delia   guerra  ; 
Duo  Guidi,  duo  Angelini,  un  Angciiero, 
Avino,  Avolio ,  Ottone  e  Berlinghiero. 

18.  Innanzi  a  Carlo ,  innanzi  al  re  Agnimanto 
L'  un  stuoh»  e  l'  altro  si  vuol  far  vedere, 
Ove  gran  loda,  ove  mercè  ahhondaiitc 
Si  può  acquistar,  facx-ndo  il  !suo  dovere. 

1  Muri  non  però  fèr  prove  tante, 
Che  par  ristoro  al  dainio  aliliian  d'  avere; 
Perchè  ve  ne  restar  morti  parccuhj. 
Che  agli  altri  fur  di  folle  audacia  spccclij. 

19.  Grandine  senihran  le  spesse  saette 
Dal  muro  sopra  gì'  iniini(-i  sparte. 
Il   grido  infin  al  ciel  |)aura  mette, 
Che  fa  la  nostra  e  la  ciiiitrat'ia  parte. 
Ma  Carlo  mi  poco   ed  Agramante  aspetto; 
Ch'  io  vo'  contar  dell'  africaiu»  Mart<<, 
Rodomonte  terrihilc  «-d  orrendo, 
(yhe  \a  per  mezzo  la  città  «;orrendo. 

Non  so,  Signor,  se  più  vi  ricordiate 
Di   «picsto  Saracin  tanto  kÌc-iuo, 
(he  morto  le  mi<;  fr,.|,ti  ;n,.ii  |a<ciiito 
'l'ia  il  secondo  ripiiro  e    l  |iriiiio  muro. 
Dalla   r.ipace  fiaiiima  devorate; 
Che  non  fu   iimi  spettacolo  più  oscuro. 
Dissi,   eh'  ciitiò  d'   un  salto  nella  terra 
Sopra  la  fossa,  che  la  cinge  e  serra. 


21.      Quando  fu  noto  il  Saracino  atroce 
All'  arme  istiane,  e  alla  scagliosa  pelle. 
Là ,  dove  i  vecchj  e  '1  popol  men  feroce 
Tendean  1'  orecchie  a  tutte  le  novelle, 
Levossi  un  pianto,   un  grido,  un'  alta  voce, 
Con  un  batter  di  man,  che  andò  alle  stelle j 
E  chi  potè  fuggir,  non  vi  rimase. 
Per  serrarsi  ne'  templi  e  nelle  case. 

22-      Ma  questo  a  pochi  il  brando  rio  concede, 
Che  intorno  ruota  il  Saracin  robusto. 
Qui  fa  restar  con  mezza  gamba  un  piede, 
Là  fa  un  caj.'O  sbalzar  lungi  dal  busto  ; 
L'  un  tagliare  a  traverso  se  gli  vede. 
Dal  capo  all'  anche  un  altro  fender  giusto; 
E  di  tanti,  eh'   uccide,  fere  e  caccia, 
Non  se  gli  vede  alcun  segnare  in  faccia. 

I    23.      Quel ,  che  la  tigre  dell'  armento  imbelle 
j  Ne'  campi  ircani ,  o  là  vicino  al  G.iiige, 

j  O  il  lupo  delle  capre  e  dell'  agnelle 

Nel  monte,  che  Tiféo  sotto  si  frange, 
I  Qlli^i  il  crudel  pagan  facea  di  quelle, 

!  Non  dirò  squadre,  non  dirò  falange, 

[  Ma  vulgo  e  pj)pi)lazzo  voglio  dire, 

j         Degno,  primachè  nasca,  di  morire. 

24.      Non  ne    trova  un  ,  che  veder  possa  in  fronte 
j  Fra  tanti  che  ne  taglia ,  fora  e  svena. 

1  Per  quella  strada,  che  vien  dritto  al  ponte 

!  Di  san  Michel,  sì  pop(data  e  piena, 

1  Corre  il  fiero  e  terribil  Rodomonte, 

E  la  sanguigna  spada  a  cerchio  mena. 
I  Non  riguarda  né  al  servo,  nò  al  signore, 

!         Né  al  giusto  ha  più  pietà,  che  al  peccatore. 

!   25.      Relìgion  non  giova  al  sacerdote. 
Né  r  innocenza  al  pargoletto  giova; 
Per  sereni  occhj ,  o  per  vermiglie  gote 
Mercè  né  donna,  né  donzella  trova: 
La  vecchiezza  si  «accia  e  si  percuote: 
Né  quivi  il  Sara<'in  fa  maggior  |)rova 
Di  gran  Aalor,  che  di  gran  crudeltade; 
Che  non  di^cerne  sesso,  ordine,  etadc. 

26.  Non  pur  nel  sangue  iiman  1'  ira  si  stende 
Dell'  empio  re ,  capo  e  signor  degli  empj. 
Ma  coiitra  i  tetti  ancor ,  sicché  ne  incende 
Le  belle  case  e  i  prolànati  tempj. 

Le  cas(^  eran ,  per  quel  che  se  n'  intende, 
Quasi  tutte  di  legno  in  quelli  tempi: 
E  ben  creder  si  può,  che  in  Parigi  ora 
Delle  dieci  le  sei  son  così  ancora. 

27.  Non  par,  quantunque  il  fuoco  ogni  cosa  arda. 
Che  sì  grande  odio  aia-or  saziar  si  possa. 
Dove  s'  aggrappi  con  le  mani ,  guarda, 
Sic<hè  mini  un  tetto  ad  ogni   scossa. 

Signor»; ,   avete  a  creder  ,  che  bombaritu 
Mai  non   vedeste  a  Padova  sì  grossa, 
('li<;  tanto  muro  possa  far  «adere. 
Quanto  fa  in  una  scossa  il  re  if  Algierc. 

28.  ìlentn;  «|ni>i  col   ferro   il  maladett^i 
E  culi   le  fiaiiiiiu;  l'arca  tanta  guerra. 
Se  di   fuor  Agraiiianl»-  aresse  astretto. 
Perduta  era  quel  di  tutta  la  terra. 

!Ma  non  v'  ehi»'  agio;  che  gli  fu   interdc'lto 
Dal    palailin.  <'li<;  \eiiia  d'   lnghilt<-rra, 
('o!  popolo  alle  '>palle  inglese  e  scotto. 
Da!  Silenzio  e  dall'  an";elo  condotto. 


[18ì]^ 


ORLANDO    FURIOSO.     (XVI.  2D— 44) 


[188] 


29.  Dio  volse,  nell'  entrar,  che  Rodomonte 
Fé'  nella  tcn-a,  e  tanto  fuoco  accese, 
Che  presso  ai  muri  il  fior  di  Chiaraniontc, 
Rinaldo  g:itinse,  e  seco  il  campo  inglese. 
Tre  leghe  sopra  avea  gittato  il  ponte, 
E  torte  vie  da  man  sinistra  prese, 
Qie,  disegnando  i  Barbari  assalire, 
11  fiume  non  1'  avesse  ad  impedire. 

30.  Mandato  avea  sei  mila  fanti  arcieri 
Sotto  r  altera  insegna  d'  Odoardo, 
E  duo  mila  cavalli,  i  più  leggieri, 
Dietro  alla  guida  d'  Ariman  gagliardo; 
E  mandati  gli  avea  per  li  sentieri. 
Che  vanno  e  vengon  dritto  al  mar  piccardo, 
CJie  a  porta  san  i^Iartino  e  san  Dionigi 
Entrassero  a  soccorso  di  PàrigL 

31.  I  carriaggi  e  gli  altri  impedimenti 
Con  lor  fece  drizzar  per  questa  strada. 
Egli,  con  tutto  il  resto  delle  genti. 
Più  sopra  andò  girando  la  contrada. 
Seco  avea  navi  e  ponti,  ed  argomenti 
Da  passar  Senna,  che  non  hen  si  guada. 
Passato  ognuno ,  e  dietro  i  ponti  rotti, 
KeUe  lor  schiere  ordinò  Inglesi  e  Scotti. 

32.  Ma  prima  quei  haroni  e  capitani 
Rinaldo  intorno  avendosi  ridutti 
Sopra  la  riva,  eh'  alta  era  dai  piani, 
Sicché  poteano  udirlo  e  veder  tutti. 
Disse  :  Signor ,  hen  a  levar  le  mani 
Avete  a  Dio,  che  qui  v'  abbia  condutti, 
Perchè,  dopo  un  brevissimo  sudore. 
Sopra  ogni  nazion  vi  doni  onore. 

33.  Per  voi  saran  due  principi  salvati. 
Se  levate  1'  assedio  a  quelle  porte; 
n  vostro  re,  che  voi  siete  obbligati 
Da  servitù  difendere  e  da  morte; 
Ed  uno  impcrator  de'  più  lodati. 

Che  mai  tenuto  al  mondo  abbiano  corte; 
E  con  loro  altri  re,  duchi  e  marchesi. 
Signori  e  cavalier  di  più  paesi  — 

34.  Sicché,  salvando  una  città,  non  soli 
Parigini  obbligati  vi  saranno, 

Che  molto  più,  che  per  li  proprj  duoli, 
Timidi,  aHìitti  e  sbigottiti  stanno^ 
Per  le  lor  mogli  e  per  li  lor  figliuoli. 
Che  a  un  mcdesmo  pericolo  seco  hanno, 
E  per  le  sante  vergini  rinchiuse, 
Ch'  oggi  non  sien  de'  voti  lor  deluse. 

33.        Dico,  salvando  voi  questa  cittade, 
V  o1)l)ligate  non  solo  i  Parigini, 
Ma  d'  ogni  intorno  tutte;  le  contraile. 
]Son  jìarlo  sol  de'  popoli  vicini; 
Ma  non  è  terra  per  cristlanitade, 
Cbc  non  abl)ia  quii  dentro  cittadini; 
Sicché,  vincendo,  a^ete  da  tenere. 
Che,  più  elle  Francia,  v'  abbia  obbligo  avere. 

36.     Se  donavan  gli  antichi  una  corona 
A  chi  halvasse  a  un  cittadin  la  vita, 
Or,  clic  degna  m«!rcede  a  voi  si  dona. 
Saitando  moltitudine  infinita? 
Ma  bc,  da  in\l(lia  o  da  viltà,  ci  buon» 
E  sì  banta  opra  rimarrà  impedita, 
Credet(;mi,  clic,  prese  quelle  mura, 
^è  Italia,  uè  Luinagna  anco  è  sicura. 


37. 


Né  qualunque  altra  parte,  ove  8'  adori 
Quel,  che  volse  per  noi  pendei  sul  legno. 
]\é  voi  crediate  aver  lontani  i  3Iori, 
]Né,  che  pel  mar  sia  forte  il  vostro  regno; 
Che,  s'  altre  volte  quelli,  uscendo  fuori 
Di  Zibeltarro,  e  dell'  erculeo  segno, 
Riportar  preda  dall'  isole  vostre, 
Che  faranno  or,  s'  avran  le  terre  nostre? 


38 


3Ia,  quando  ancor  nessun  onor,  nessuno 
Util  v'  inanimasse  a  questa  impresa, 
Coraun  debito  é  ben  soccorrer  1'  uno 
L'  altro,  che  militìam  sotto  una  chiesa. 
Ch'  io  non  vi  dia  rotti  i  nimici,  alcuno 
Kon  sia  che  tema,  e  con  poca  contesa; 
Che  gente  mal  esperta  tutta  panni, 
Senza  possanza,  senza  cor,  senz'  armL 

39.  Potè  con  queste  e  con  miglior  ragioni, 
Con  parlar  espedito  e  chiara  voce, 
Eccitar  quei  magnanimi  baroni 
Rinaldo,  e  quello  esercito  feroce; 

E  f n ,  com'  è  in  proverbio ,  aggiunger  sproni 
Al  buon  corsier,  che  già  ne  va  veloce. 
Finito  il  ragionar,  fece  le  schiere 
Mover  pian  pian  sotto  le  lor  bandiere. 

40.  Senza  strepito  alcun,  senza  rumore 
Fa  il  tripartito  esercito  venire. 
Lungo  il  fiume  a  Zerbin  dona  1'  onore 
Di  dover  prima  i  Barbari  assalire; 

E  fa  quelli  d'  h'ianda,  con  maggiore 
Volger  di  via,  più  tra  campagna  gire; 
E  i  cavalieri  e  i  fanti  d'  Inghilterra 
Col  duca  di  Lincastro  in  mezzo  serra. 

41.  Drizzati  che  gli  ha  tutti  al  lor  cammino, 
Cavalca  il  paladin  lungo  la  riva, 

E  passa  innanzi  al  buon  duca  Zerbino, 

E  a  tutto  il  campo ,  che  con  lui  veniva  ; 

Tanto  che  al  re  d'  Orano  e  al  re  Sobrino, 

E  agli  altri  lor  compagni  soprarriva. 

Che  mezzo  miglio  appresso  a  quei  di  Spagna 

Guardavan  da  quel  canto  la  campagna. 

42.  L'  esercito  Cristian,  che  con  si  fida 
E  sì  sicura  scorta  era  venuto, 

Ch'  ebbe  il  Silenzio  e  l'  angelo  per  guida, 
Kon  potè  omai  patir  più  di  star  muto. 
Sentiti  gì'  inimici ,  alzò  le  grida, 
E  delle  trombe  udir  fé'  il  suono  arguto; 
E  con  r  alto  rumor,  eh'  arrivò  al  cielo. 
Mandò  neir  ossa  a'  Saracini  il  gelo. 

43.  Rinaldo  innanzi  agli  altri  il  destrier  punge 
E ,  con  la  lancia  per  cacciarla  in  resta. 
Lascia  gli  Scotti  un  tratto  d'  arco  lungo, 
Cbé  ogni  indugio  a  ferir  sì  lo  molesta. 
Come  groppo  «li  vento  talor  giunge, 

Che  si  trae  dietro  un'  orrida  tempesta; 
Tal  fuor  di  squadra  il  cavalier  gagliardo 
Venia  spronando  il  corridor  Bajardo. 

Al  comparir  del  paladin  di  Francia 


I 


44. 


Dan  segno  i  Mori  alle  future  angosce: 
Tremare  a  tutti  in  man  vedi  la  lancia, 
1  piedi  in  stafi'a ,  e  nell'  arcion  le  cosce. 
Re  Puliano  sol  non  unita  guancia; 
Cile  questo  esser  Rinaldo  non  conosce; 
Né  pensando  trovar  sì  duro  intoppo, 
Gli  muove  il  destrier  contra  di  galoppo  ; 


189] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XVI.  45—60) 


[190] 


45.  E  sulla  lancia  nel  partir  si  stringe, 
E  tutta  in  se  raccoglie  la  persona; 

Poi  con  ambo  gli  sproni  il  destrier  spinge, 
E  le  redine  innanzi  gli  abbandona. 
Dall'  altra  parte  il  suo  valor  non  finge, 
E  mostra  in  tatti  quel,  che  in  nome  suona, 
Quanto  abbia  nel  giostrare  e  grazia  ed  arte 
Il  figliuolo  d'  Amone,  anzi  di  Marte. 

46.  Furo  al  segnar  degli  aspri  colpi  pari  ; 
Che  si  posero  i  ferri  ambi  alla  testa: 
Ma  furo  iu  arme  ed  in  virtù  dispari; 

Che  r  un  via  passa,  e  1'  altro  morto  resta. 
Bisognan  di  valor  segni  più  chiarì, 
Che  por  con  leggiadria  la  lancia  in  resta: 
Ma  fortuna  anco  più  bisogna  assai  ; 
Che  senza,  vai  virtù  raro,  o  non  mai. 

47.  La  buona  lancia  il  paladin  racquista, 
E  verso  il  re  d'  Oran  ratto  si  spicca, 
Che  la  persona  avca  povera  e  trista 
Di  cor,  ma  d'  ossa  e  di  gran  polpe  ricca. 
Questo  por  tra  bei  colpi  si  può  in  lista, 
Benché  in  fondo  allo  scudo  gli  1'  appicca; 
E  chi  non  vuol  lodarlo ,  abbialo  escuso, 
Perchè  non  si  potca  giunger  più  in  suso. 

18.  Non  Io  ritien  lo  scudo,  che  non  entre, 
Benché  fuor  sia  d'  acclar,  dentro  di  palma, 
E  che  da  quel  gran  colpo  uscir  pel  ventre 
Non  faccia  1'  ineguale  e  picciol'  alma. 
Il  destrier,  che  portar  si  crcdea,  mentre 
Durasse  il  lungo  dì,  sì  grave  salma. 
Riferì  in  mente  sua  grazie  a  Rinaldo, 
Che  a  quello  incontro  gli  schivò  un  gran  caldo. 

19.  Rotta  r  asta,  Rinaldo  il  destrier  volta 
Tanto  leggler,  che  fa  sembrar  eh'  «abbia  ale, 
E ,  dove  la  più  stretta  e  maggior  folta 
Stipar  si  vede,  impetuoso  assale. 
Mena  Fusberta  sanguinosa  in  volta, 
Che  fa  l'  arme  parer  di  vetro  frale. 
Tempra  di  ferro  il  suo  tagliar  non  schiva, 
Cile  non  vada  a  trovar  la  carne  vi^a. 

iO.      Ritrovar  poche  tempre  e  pochi  ferri 
Può  la  tagliente  spada,  ove  s'  incappi. 
Ma  targhe,   altre  di  cuojo,  altre  di  cerri. 
Giubbe  trapunte  e  attorcigliati  drapjii. 
Giusto  è  I)eu  dunque ,  che  Rinaldo  atterri 
Qualunque  assale ,  e  fori ,  e  squarci  e  allrappi  ; 
Che  non  più  si  difende  da  sua  spada, 
Ch'  erba  da  falce,  o  da  tempesta  i)iada. 

il.     La  prima  schiera  era  già  messa  iu  rotta, 
Quando  Zerbin  con  1'  antiguardia  arriva. 
Il  cavaliere  innanzi  alla  gran  frotta 
(Um  la  lancia  arrestata  ne  veniva. 
La  gente  gotto  il  suo  pcuuon  coiulotta 
f'on  non  minor  fierezza  lo  seguiva: 
Tanti  lupi  parcan ,  tanti  leoni, 
Wie  andassero  assalir  capro,  o  montoni. 

Vi.     Spinse  n  un  tempo  ciascuno  il  suo  cavallo. 
Poiché  fur  presso;  e  sparì  immanlìiicnte 
Quel  breve  spazio.  qiKil  poco  intervallo, 
Che  si  vciloa  fra  i'  una  <;  1'  altra  genio. 
Non  fu  Kcntito  mai  più  strano  ballo: 
Cile  ferian  gli  Scozzesi  solameulo  ; 
Solaiiu-nlo  i  jìagani  eraii  distrutti, 
C/'oine  sol  per  morir  f<»sser  coiululti. 


53 


54 


36, 


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58, 


59. 


60 


Parve  più  freddo  ogni  pagan,  che  ghi.-iccio; 
Parve  ogni  Scotto  più  che  fiamma  caldo. 
I  Mori  si  crcdean,  che  avere  il  braccio 
Dovesse  ogni  Cristian ,  eh'  ebbe  Rinaldo. 
Mosse  Sobrino  i  suoi  schierati  avaccio, 
Senza  aspettar  che  lo  invitasse  araldo. 
Dell'  altra  squadra  questa  era  migliore 
Di  capitano ,  d'  arme  e  di  valore. 

D'  Africa  v'  era  la  men  trista  gente. 
Benché  né  questa  ancor  gran  prezzo  vaglia. 
Dardinel  la  sua  mosse  incontinente, 
E  male  armata,  e  peggio  usa  in  battaglia; 
Bendi'  egli  in  capo  area  1'  elmo  lucente, 
E  tutto  ora  coperto  a  piastra  e  a  maglia. 
Io  credo,   che  la  quarta  miglior  sia. 
Con  la  quale  Isolicr  dietro  venia. 

Trasone  intanto,  il  buon  duca  dì  Marra, 
Che  ritrovarsi  all'  altra  impresa  gode. 
Ai  cavalieri  suoi  leva  la  sbarra, 
E  seco  invita  alle  famose  lode, 
Poiché  Isolier  con  quelli  di  Navarra 
Entrar  nella  battaglia  vede  ed  ode. 
Poi  mosse  Ariodante  la  sua  schiera, 
Che  nuovo  duca  d'  Albania  fatt'  era. 

L'  alto  rimior  delle  sonore  trombe. 
De'  timpani ,  e  de'  barbari  stromenti, 
Giunti  al  continuo  suon  d'  archi,  di  frorabe, 
Di  macchine,  di  ruote  e  di  tormenti, 
E  quel,  di  clie  più  par  clic  il  cicl  rimbombc. 
Gridi,  tumulti,  gemiti  e  lamenti, 
Rendono  un  alto  suon,  eh'  a  quel  s'  accorda, 
Con  che  i  vicin ,  cadendo ,  il  Nilo  assorda. 

Grande  ombra  d'  ogni  intorno  il  cielo  involve, 
Nata  dal  saettar  delli  duo  campi, 
L'  alito,  il  fumo  del  sudor,  la  polve. 
Par  che  nell'  aria  oscura  nebbia  stampi. 
Or  qua  1'  un  campo  ,  or  1'  altro  là  si  volve  ; 
Vedreste  or  come  un  segua,  or  come  scampi, 
Ed  ivi  alcuno,  o  non  troppo  di^i:jo, 
RJraimcr  morto ,  ove  ha  il  nimico  ucciso. 

Dove  una  squadra  per  stanchezza  è  mossa, 
Un'  altra  si  fa  tosto  andare  innauti. 
Dì  qua,  di  là  la  gente  d'  arme  ingrossa; 
Là  cavalieri,  e  qua  si  metton  fanti. 
La  terra ,  che  sosticn  1'  assalto ,  è  rossa  ; 
Mutato  ha  il  verde  ne'  sanguigni  manti; 
E ,  dov'  erano  i  fiori  azzurri  e  gialli. 
Giacciono  uccisi  or  gli  uomini  e  1  cavalli. 

Zerbin  facea  le  più  inir.ibii  pio-.c 
Clic  mai  facesse  di  sua  eia  g,ii/i)nc. 
L'  esercito  pagan,  che  intorno  |iio\e, 
Taglia  ed  uccide,  e  mena  a  di?truzi(UJC. 
Ariodante  alle  sue  genti  nuove 
Mostra  di  Mia  virtù  gran  paragone, 
E  dà  di  sé  timore  e  iiiarin  iglia 
A  quelli  di  Navarra  e  di  Cartiglia. 

Chcliudo  V.  >lo>co  ,  i  duo  figli  bastardi 
Del  tuorlo  ('alabruii ,  re  d'  Ar.igona, 
Ed  un,  clic  reput.ito  Ira"  gagli.irdi 
Era,  ('aliunidor  da   ititnreilnna, 
S'  ax'an  hi--i°ialo  addietro  gli  stendardi, - 
E,  cre<lcndo  a(-(|ni>tar  gloria  e  corona 
Pur  uc(-id<T  Zerbin,  gli  furo  addo-so, 
E  ne'  fianchi  il  destrier  gli  lianui>  peri'^x'o. 


[191] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XVI.  61— T6) 


01.     Piif^jiato  da  tre  lance  il  destiier  morto 
Cade:  ma  il  buon  Zerbin  subito  è  in  piede, 
€hè  a  quei,  eh'  al  suo  cavallo  han  fatto  torto. 
Per  vendicarlo  va,  dove  li  vede  : 
E  prima  a  3Iosco,  al  g^iovane  inaccorto, 
Che  g^li  sta  sopra,  e  di  pigliar  sei  crede, 
Siena  di  punta ,  e  lo  passa  nel  fianco, 
E  fuor  di  sella  il  caccia  freddo  e  bianco. 

62.  Poicl'è  si  vede  tor ,  come  di  furto, 
Chelindo  il  fratel  suo  ,  di  furor  pieno 
Aenne  a  Zerbino,  e  pensò  dargli  d'  urto: 
Ma  gli  prette  egli  il  corridor  pel  freno. 
Tramiselo  in  terra ,  onde  non  è  mai  surto. 
E  non  mangiò  mai  più     biada,   né  fieno; 
Cile  Zerbin  sì  gran  forza  a  un  colpo  mise. 
Che  lui  col  suo  signor  d'  nn  taglio  uccise. 

63.  Come  Calamidor  quel  colpo  mira, 
Volta  la  briglia  per  levarsi  in  fretta  ; 
Ma  Zerbin  dietro  un  gran  fendente  tira, 
Dicendo:  Traditore,  a-petta,   aspetta! 
Kon  va  la  botta,  ove  n'  andò  la  mira; 
^'on  che  però  lontana  vi  si  metta. 

Lui  non  potè  arrivar;  ma  il  destrier  prese 
Sopra  la  groppa,  e  in  terra  lo  distese. 

64.  Colui  lascia  il  cavallo ,  e  via  carpone 
Va  per  campar:  ma  poco  gli  successe: 
Che  venne  a  caso  ,  che  '1  duca  Trasone 
Gli  passò  sopra ,  e  col  peso  1'  oppresse. 
Ariodante  e  Lurcanio  si  pone, 

Dove  Zerbino  è  fra  le  genti  spesse, 

E  seco  hanno  altri,  e  cavalieri  e  conti, 

Che  fanno  ogni  opra,  che  Zerbin  rimonti. 

65.  Menava  Ariodante  il  brando  in  giro  ; 
E  ben  lo  seppe  Artalico  e  Margano  ; 
Ma  molto  più  Etearco  e  Casimiro 

La  po>sanza  sentir  di  quella  mano. 

1  primi  duo  feriti  se  ne  giro  ; 

Rimaser  gli  altri  duo  morti  sul  piano. 

Lurcanio  fa  veder,  quanto  sia  forte. 

Che  fere ,  urta ,  riversa ,  e  mette  a  morte. 

66.  Non  crediate.  Signor,  che  fra  campagna 
Pugna  minor ,  che  presso  al  fiume ,  sia, 
Nò  che  addietro  1'  esercito  rimagna. 

Che  di  Lincastro  il  buon  duca  seguia. 
Le  bandiere  assali  questo  di  Spagna, 
E  molto  ben  di  par  la  cosa  già; 
Che  fanti,  cavalieri  e  capitani 
Di  qua  e  di  là  sapean  menar  le  mani. 

67.  Dinanzi  viene  Oldrado  e  Fieranionte, 
X^n  du(ui  di  Gloccstra,  im  d'  Eborace; 
C<ui  lor  Riccardo ,  di  Varvecia  conte, 
E  di  Chiarenza  il  duca  Enrico  audace. 
Han  Matali.->ta  e  Folliconc  a  fronte, 

E  Haricondo,  ed  ogni  lor  seguace. 
Tiene  il  |>rimo  Almeria,  tiene  il  gecondo 
Granata,  tien  Majorca  Baricondo. 

68.  La  fiera  pugna  un  pezzo  andò  di  pare. 
Clic  vi  bi  discernea  poco  vantaggio. 
Acdcasi  (»r  V  uno,  or  V  altro,  ire  e  tornare, 
Come  le   biade  al  ventolin  di  maggio, 

O  come  soi)ra  il  lito  un  moliil  ni. ire 
Or  viene,  or   va,   ne  nini  liiiie  un  viaggio. 
Poiché  Fortuna  eblte  scb(;rz.ito  un  pezzo. 
Dannosa  ai  Mori  ritorno  da  .«czu. 


[192 


69.  Tutto  in  un  tempo  il  duca  di  Glocestm 
A  IMatalista  fa  votar  1'  arcione. 

Ferito  a  un  tempo  nella  spalla  destra 
Fieramonte  riversa  Follicone; 
E  r  un  pagano  e  1'  altro  si  sequestra, 
E  tra  gì'  Inglesi  se  ne  va  prigione; 
E  Baricondo  a  un  tempo  riman  senza 
^  ita   per  man  del  duca  di  Chiarenza. 

70.  Indi  i  Pagani  tanto  a  spaventarsi, 
Indi  i  Fedeli  a  pigliar  tanto  ardire, 
Che  quei  non  facean  altro  che  ritrarsi, 
E  partirsi  dall'  ordine,  e  fuggire: 

E  questi  andare  innanzi ,  ed  avvanzarsl 
Sempre  terreno,  e  spingere  e  seguire; 
E,  se  non  vi  giungea  chi  lor  die'  ajuto, 
Il  campo  da  quel  lato  era  perduto. 

71.  Ma  Ferraù,  che  sin  qui  mai  non  s'  era 
Dal  re  Marsilio  suo  troppo  disgiunto, 
Quando  vide  fuggir  quella  bandierii, 

E  r  esercito  suo  mezzo  consunto, 
Spronò  il  cavallo,  e  dove  ardea  più  fiera 
La  battaglia,  lo  spinse,  e  arrivò  appunto 
Che  vide  dal  destrier  cadere  in  terra 
Col  capo  fesso  Olimpio  dalla  Serra, 

72.  Un  giovinetto,  che  col  dolce  canto 
Concorde  a!  suon  della  cornuta  cetra 
D'  intenerire  un  cor  si  dava  vanto. 
Ancorché  fosse  più  duro  che  pietra. 
Felice  lui,  se  contentar  di  tanto 
Onor  sapeasi ,  e  scudo ,  arco  e  faretra 
Avere  in  odio ,  e  scimitarra  e  lancia. 
Che  lo  fecer  morir  giovane  in  Francia! 

73.  Quando  lo  vide  Ferraù  cadere. 

Che  solca  amarlo ,  e  avere  in  molta  stima, 

Si  sente  di  lui   sol  via  più  dolere. 

Che  di  miir  altri,  che  periron  prima; 

E  sopra  chi  l'  uccise  in  modo  fere. 

Che  gli  divide  1'  elmo  dalla  cima, 

Per  la  fronte  .  jx-r  gli  occhj  e  |>er  la  fatela. 

Per  mezzo  il  petto ,  e  miu'to  a  terra  il  caccia, 

74.  Né  qui  s'  indugia,  e  'l  brando  intorno  mota 
Che  ogni  elmo  rompe,  ogni  lorica  smaglia: 

A   chi  segna  la  fronte,  a  chi  la  gota. 

Ad  altri  il  capo,  ad  altri  il  braccio  taglia; 

Or  questo ,  or  quel  di  sangue  e  d'  alma  vuot 

E  ferma  da  quel  canto  la  battaglia, 

Onde  la  spaventata  ignobil  frotta 

Senza  ordine  fuggia ,  spezzata  e  rotta. 

75.  Entrò  nella  battaglia  il  re  Agramante, 
D'  uccider  gente,  e  di  far  prove  vago, 
E  seco  ha  Baliverzo  e  Faruraiite, 
Prusion  ,  Soridano  e  Baiuliiragt»  : 

Poi  son  le  genti  senza  nome  tante. 
Che  del  lor  sangue  oggi  faranno  un  lago, 
Che  megli»!  conterei  ciascuna  foglia. 
Quando  1'  autunno  gli  arbori  ne  spoglia. 

76.  Agramante  dal  muro  una  gran  banda 
Di  fanti  avendo  e  di  cavalli  tolta, 

('ol  re  di  Feza  subito  li  manda. 
Che  dietro  ai  pailiglion  piglia  la  volta, 
E  vadano  ad  opporsi  a  quei  d'  Irlanda, 
Le  cui  squadre  vedtsi  con  fretta  molta. 
Dopo  gran  giri  e  larghi  avvolgimenti, 
Venir  per  occupar  gli  alloggiauu^iiti. 


[193] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XVI.  YT— 89) 


[194] 


T7 


78, 


79. 


80. 


81. 


*82. 


Fa  il  re  di  Fczn  ad  eseguir  ben  presto  ; 
Cile  ogni  tardar  troppo  nociuto  arria. 
Raguna  intanto  il  re  Agramante  il  resto, 
Parte  le  squadre ,  e  alia  battaglia  invia. 
Egli  \a  al  fiume;  che  gli  par,  che  in  quest 
Luogo  del  suo  venir  bisogno  sia, 
E  da  quel  canto  un  messo  era  venuto 
Del  re  Sobrino  a  domandare  ajuto. 

Tenera  in  una  squadra  più  di  mezzo 
n  campo  dietro ,  e  sol  del  gran  romore 
Tremar  gli  Scotti;  e  tanto  fu  il  ribrezzo, 
Clv   abbandonavan  1'  ordine  e  1'  onore. 
Zerbin,  Lurcanio  e  Ariodantc  in  mezzo 
Vi  restar  soli  incontra  quel  furore, 
E  Zerbin,  eh'  era  a  pie,  vi  perla  forse; 
Ma  il  buon  Uln.ildo  a  tempo  se  n'  accorse. 

Altrove  intanto  il  paladin  s'  avesi 
Fatto  innanzi  fuggir  cento  bandiere. 
Or,  che  1'  orecchie  la  nocella  rea 
Del  gran  periglio  di  Zerbin  gli  fei'c, 
Che  a  piedi  fra  la  gente  cirenea 
Lasciato  solo  aveano  le  sue  schiere, 
Volta  il  cavallo,  e,  dove  il  campo  scotto 
Vede  fuggir,  prende  la  via  di  butto. 

Dove  gli  Scotti  ritornar  fuggendo 
Vede,  s'  appara  e  grida:  Or  dove  andate.' 
Perchè  tanta  viltade  in  voi  comprendo, 
Che  a  sì  vii  gente  il  campo  abbandonate? 
Ecco  le  spoglie,  delle  quali  intendo 
Cli'  esser  dovean  le  vostre  chiese  ornate? 
Oh  che  laude,  oli  che  gloria,  che  '1  figliuolo 
Del  vostro  re  si  lasci  a  piedi  e  solo! 

Da  im  suo  scudiere  una  grossa  asta  afferra) 
E  vede  Prusion  poco  lontano. 
Re  d'  Alvarac<hic,  e  addosso  se  gli  serra, 
E  dell'  arcion  lo  porta  morto  al  piano. 
Morto  Agricalte  e  Rambirago  atterra; 
Dopo  fere  aspramente  Soridano, 
E,  come  gli  altri,  1'  avria  messo  a  morte, 
Se  nel  ferir  la  lancia  era  più  forte. 

Stringe  Fusberta,  poiché  T  asta  è  rotta^ 
E  tocca  Serpentin,  qiu-l  dalla  Stella. 
Fatate  1'  arme  avea,  ma  quella  botta 
Pur  tramortito  il  manda  fuor  di  sella; 
E  cosi  al  duca  della  gente  scotta 
Fa  piazza  intorno  spaziosa  e  bella, 
SìccIjc  senza  contesa  un  destrier  puotc 
Salir  di  quei ,  che  vanno  a  selle  vuote. 


83.  E  ben  si  ritrovò  salito  a  tempo; 
Che  forse  noi  facca,  se  più  tardava; 
Perchè  Agramante  e  Dardinello  a  un  tempo 
Sobrin  col  re  Balastro  v'  arrivava. 

Ma  egli,  che  montato  era  per  tempo, 
Di  qua  e  di  là  col  brando  s'  aggirava, 
Mandando  or  questo,  or  quel  giù  nell'  inferno 
A  dar  notizia  del  viver  moderno. 

84.  Il  buon  Rinaldo ,  il  quale  a  porre  in  terra 

I  più  dannosi  avea  sempre  riguax-do. 

La  spada  contra  il  re  Agramante  afferra, 
Che  troppo  gli  parca  fiero  e  gagliardo; 
(Facea  egli  sol,  più  che  mille  altri,  guerra) 
E  se  gli  spinse  addosso  con  Bajardo: 
Lo  fere  a  punto,  ed  urta  di  traverso. 
Sicché  lui  col  destrier  manda  riverso. 

85.  Mentre  di  fuor  con  si  crudel  battaglia 
Odio,  rabbia,  furor,  V  un  T  altro  offende, 
Rodomonte  in  Parigi  il  popol  taglia, 

Ije  belle  case  e  i  sacri  templi  incende. 
Carlo ,  che  in  altra  parte  si  travaglia, 
Questo  non  vede,  e  nulla  ancor  ne  intende; 
Odoardo   raccoglie  ed  Arimanno 
]Nella  città  col  lor  popol  britanno. 

86.  A  lui  venne  un  scudicr  pallido  in  volto, 
Che  potea  appena  trar  del  petto  il  fiato. 
Oimè!  signore,  oimè!  replica  molto. 
Primach'  abbia  a  dir  altro  incominciato; 
Oggi  il  romano  imperio,  oggi  è  sepolto; 
Oggi  ha  il  sno  popol  Cristo  abbandonato. 

II  demonio  dal  cielo  è  piovuto  oggi. 
Perchè  in  questa  città  più  non  s'  alloggi. 

87.  Satanasso,  perdi'  altri  esser  non  puote, 
Strugge  e  rùina  la  città  infelice. 
Volgiti,  e  mira  le  fumose  ruote 

Della  rovente  liarama  predatrice  ! 

Ascolta  il  pianto ,  che  nel  ciel  percuote, 

E  faccian  fede  a  quel,  che  il  servo  dice! 

L'n  solo  è  quel,  che  a  ferro  e  a  Inoro  sfi't^ge 

La  bella  terra,  e  innanzi  ognun  gli  fugge. 

88.  Quale  è  colui,  che  prima  oda  il  tumulto, 
E  delle  sacre  squille  il  batter  spesso. 

Che  veggia  il  fuoco,  a  nessun'  altro  occulto 
Cir  a  sé,  che  più  gli  tocca,  e  gli  è  più  presso: 
Tal  è  il  re  Carlo,  udendo  il  nuovo  insulto. 
E  conoscendo!  poi  con  1'  occhio  istcsso  : 
Onde  lo  sforzo  di  sua  miglior  gente 
Al  grido  drizza,  e  al  gran  ruuior^  che  gente. 


89.      De'  paladini  e  de'  gucrrier  più  degni 
Carlo  si  chiama  dietro  una  gran  parte, 
E  v«-r  la  pia/za  la  drizzare  i  segni. 
Che  '1  pagan  s'  era  tratto  in  quella  parte. 
Ode  il  rumor,  vede  gli  «)rriliil  segni 
Di  crudellà,   1'  umane  mcmiua  sparte. 
Ora  non  più!  riloriii  un"  altra  >olta 
Chi  vulentier  la  bella  iuluria  accolta! 


13 


[195] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XVII.    1-12) 


ri961 


CANTO    DECIMOSETTIMO. 


ARGOMENTO. 

Esorta  prima  ogni  suo  paladino, 
E  poscia  va  V  Imperator  romano 
Contro  di  Rodomonte.   A  Norandino 
Giunge  il  forte  Grifon  col  rio  Martano. 
Quel  vince  in  giostra,  e  questo  gli  è  vicino j 
Ma  timido  è  di  cuor,  e  vii  di  mano. 
S'  usurpa  poi  con  V  arme  sue  V  onore; 
E  Grifon  ne  riceve  onta  e  disnore. 


1.  Il  giusto  Dio  ,  quando  ì  peccati  nostri 
Han  di  renit>sion  passato  il  segno, 
Acciocché  la  giustizia  sua  dimostri 
Uguale  alla  pietà ,  spesso  dà  regno 

A  tiranni  atrocissimi  ed  a  mostri, 
E  dà  lor  foraa,  e  di  mal  fare  ingegno. 
Per  questo  Mario  e  Siila  pose  al  mondo, 
E  duo  JNeroni ,  e  Cajo  furibondo, 

2.  Domiziano ,  e  I'  ultimo  Antonino, 

£  tolse  dalla  immonda  e  ba?sa  plebe. 

Ed  esaltò  all'  imperio  Massimino  ; 

E  nascer  prima  fé'  Creonte  a  Tebe; 

E  die  Mezenzio  al  popolo  sigilino, 

Che  fé'  di  sangue  uman  grasse  le  glebe, 

E  diede  Italia,  a'  tempi  meo  rimoti, 

In  preda  agli  Unni ,  ai  Longobardi ,  ai  Gfoti. 

3.  Che  d'  Attila  dirò?  che  dell'  iniquo 
Ezzcllin  da  Roman  ?  che  d'  altri  cento, 

Che,  dopo  un  lungo  andar  sempre  in  obbliquo, 
]\e  manda  Dio  per  pena  e  per  tormento? 
Di  que.:to  abliiam ,  non  pure  al  tempo  antiquo, 
Ma  ancora  al  nostro,  chiaro  esperimento, 
Quando  a  noi ,  greggi  inutili  e  mal  nati, 
Ha  dato  per  guardiau  lupi  arrabbiati, 

4.  A  cui  non  par  eh'  abbia  a  bastar  lor  fame, 
eh'  abbia  il  lor  ventre  a  capir  tanta  carne; 

K  cliiani-.ui  lupi  di  piti  ingorde  brame, 

\ÌA  bo-cbi  oltniinontanl ,  a  divorarne. 

Di  Tra>im«'no  1'  inscpnlto  (»^same, 

K  di  Canne  e  di  Trebbia  poco  parnc 

Verso  quel,  che  le  ripe  e  i  cani|)i  ini^rassa, 

Dov'  Adda,  e  Meila,  e  Ronco,  e Tarro  passa. 

5.  Or  Dio  consente  ,   che  n(»i  siam  puniti 
Da  popoli  di  noi  forse  peggiori, 

l'cr  li  iiioliiplicati  ed  inliniti 
No.-tri  iK^taiidi  obbrobn'o.-i  errori. 
Tempo  \errà,  die  a  depredar  lor  liti 
Andremo  noi  ,  se  mai  isarem  migliori, 
E  i;he  i  peccati  lor  f^iiiii'^ano  al  s<gno, 
Che  r  elcrnu  bontà  umo\aiio  a  sdegno. 


6.  Doveano  allora  aver  gli  eccessi  loro 
Di  Dio  turbata  la  serena  fronte  ; 

Che  scorse  ogni  lor  luogo  il  Torco  e  '1  Mmto, 
Con  stupri,  uccision,  rapine  ed  onte: 
Ma,  più  di  tutti  gli  altri  danni,  foro 
Gravati  dal  furor  di  Rodomonte. 
Dissi ,  eh'  ebbe  di  Ini  la  nuova  Cai-lo 
E  che  in  piazza  venia  per  ritrovarlo, 

7.  Vede  tra  via  la  gente  sua  troncata. 
Arsi  i  palazzi ,  e  róinati  i  templi. 
Gran  parte  della  terra  desolata: 

Mai  non  si  vider  sì  cinideli  esempli. 
Dove  fuggite,  turba  spaventata? 
Non  è  tra  voi,  chi  '1  danno  suo  contempli? 
Che  città ,  che  refugio  più  vi  resta. 
Quando  si  perda  sì  vilmente  questa? 

8.  Dunque  un  uoni  solo  ,  in  vostra  terra  preso, 
Cinto  di  mura,  onde  non  può  fuggire, 

Si  partirà ,  che  non  1'  avrete  offeso. 
Quando  tutti  vi  avrà  fatto  morire? 
Così  Carlo  dicea,  che,  d'  ira  acceso, 
Tanta  vergogna  non  potea  patire, 
E  giunse ,  dove  iniianti  alla  gran  corte 
Vide  il  pagan  por  la  sua  gente  a  morte. 

9.  Quivi  gran  parte  era  del  popolazzo, 
Spcnmdovi  trovare  ajuto ,  ascesa. 
Perchè  forte  di  mura  era  il  palazzo, 
Con  munizion  da  far  lunga  difesa. 
Rodomonte,  d'  orgoglio  e  d'  ira  piizzo, 
Solo  s'  avea  tutta  la  piazza  presa; 

E  r  una  man  ,  che  prezza  il  mondo  poco, 
Ruota  la  spada ,  e  1'  altra  getta  il  fuoco. 

10.  E  della  regal  casa  alta  e  sublime 
Percuote  e  risonar  fa  le  gran  porte. 
Gettan  le  turbe  dalle  eccelse  cime 

E  merli  e  torri ,  e  si  metton  per  morte. 
Guastare  i  tetti  non  è  alcun,  che  stime; 
E  legne  e  pietre  vanno  ad  una  sorte. 
Lastre  e  colonne,  e  le  dorate  travi. 
Che  furo  in  prezzo  alli  lor  padri,  e  agli  avi. 

11.  Sta  sulla  porta  il  re  d'  Algier ,  Immote 

Di  chiaro  ac(^iar,  che  'l  capo  gli  arma,  e  '1  busto> 

Come  iis(;ito  di  tenebre  serpente, 

Poicliè  ha  lasciato  ogni  squallor  vetusto, 

Del  nuovo  scoglio  altero,    e  che  si  sento 

Riiigiovciiito,   e  più  che  mai  robusto, 

Tre  lingue  vibra ,  ed  ha  negli  occhj  fuoco  ; 

Dovunque  pas^a,  ogni  animai  dà  loco. 

12.  Non  sasso,  merlo  ,  tra'»  e ,  arco  o  balestra, 
Nò  ciò,  che  sopra  il  Saracin  percuote, 
Ptiniio  allentar  la  sanguinosa  destra, 
Cile  la  gran  porta  taglia,  spezza  e  scuote; 
E  dentro  l'atto  v'  ha  tanta  finestra, 
('he  li<;ii  ^ edere,  e  %eiliito  esser  puote 
Dai  \isi  iiiipres.'«i  di  color  di  morte, 
Che  tutta  piena  quivi  hanno  la  corte. 


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ORLANDO    FURIOSO.     (X\TI.  13—28) 


[198] 


16 


13.  Sonar  per  gii  alti  e  spaziosi  tetti 
S'  odono  gridi  e  femminil  lamenti. 
Le  afflitte  donne,  percuotendo  i  petti, 
Corron  per  casa  pallide  e  dolenti, 

E  abbraccian  gli  usci ,  e  i  geniali  letti. 
Che  tosto  hanno  a  lasciare  a  strane  gentL 
Tratta  la  cosa  era  in  periglio  tanto, 
Quando  '1  re  giunse,  e  i  suoi  baroni  accanto. 

14.  Carlo  si  volse  a  quelle  man  robuste, 

Ch'  ebbe  altre  volte  a'  gran  bit^ogni  pronte. 
]\on  sete  quelle  voi,  che  meco  fuste 
Contra  Agolante  (disse)  in  Aspramonte? 
Sono  le  torze  vostre  ora  sì  fruste, 
Che,  se  uccideste  lui,  Trojano ,  e  Ahnonte, 
Con  cento  mila ,   or  ne  temete  un  solo, 
Pur  di  quel  sangue,  e  pur  di  quello  stuolo? 

15.  Perchè  debbo  vedere  in  voi  fortezza 
Ora  minor,  eh'  io  la  vedessi  allora? 
Mostrate  a  questo  can  vostra  prodezza, 
A  questo  can,  che  gli  uomini  divora! 
Un  magnanimo  cor  morte  non  prezza. 
Presta  o  tarda  che  sia,  purché  ben  muora. 
Ma  dubitar  non  posso,  ove  voi  sete, 
Che  fatto  sempre  vincitor  m'  avete. 

Al  fin  delle  parole  urta  il  destriero 
Con  i'  asta  bassa  al  Saracino  addosso. 
Mossesi  a  un  tratto  il  paladino  Uggiero; 
A  un  tempo  Narao  ed  Olivier  si  è  mosso, 
Avino,  Avolio,  Ottone  e  Bcrlinghiero, 
Che  un  senza  1'  altro  mai  veder  non  posso; 
E  ferir  tutti  sopra  a  Rodomonte, 
E  nel  i>etto,  e  ne'  fianchi,  e  nella  fronte. 

17.  Ma  lasciamo  per  Dio  ,  Signore ,  ornai 
Di  parlar  d'  ira,  e  di  cantar  di  morte, 
E  sia  per  questa  volta  detto  assai 
Del  Saracìn  non  men  crudel,  che  forte! 
Che  tempo  è  ritornar,  dov'  io  lasciai 
Grifon  giunto  a  Damasco  in  sulle  porte, 
Con  Origlile  perfida,  e  con  quello, 
Ch'  adultero  era ,  e  non  di  lei  fratello. 

18.  Delle  più  ricche  terre  di  Levante, 
Delle  più  popolose  e  meglio  ornate, 
Si  dice  esser  Damasco,  che  distante 
Siede  a  Gerusalem  sette  giornate, 

In  un  piano  fruttìfero  e  abbondante, 
^lon  men  giocondo  il  verno ,  che  1'  estate. 
A  questa  terra  il  primo  raggio  tulle 
Della  nascente  aurora  un  vicin  colle. 

Per  la  città  duo  fiumi  rristallìni 
V^anno  innai'fiaiulo  per  di^cr.>i  rivi 
Un  numero  infinito  di  giardini, 
Non  mai  dì  fior,  non  mai  dì  frondi  privi. 
Dicchi  ancor,  che  macinar  mulini 
Potrfan  far  l'  acque  Linfe,   che  son  quivi 
E  chi  va  per  le  vìe,  vi  sente  fuorc 
Dì  tutte  quelle  case  uscire  odore. 

Tutta  coperta  è  la  strada  maestra 
Dì  panni  di  diversi  cobtr  lieti, 
E  d'  odorifera  erba,  e  dì  siivcstrn 
Fronda,  la  terra  e  tutte  le  pareti: 
Adorna  «ni  ogni  porta,  ogni  finestra 
Dì  finissimi   drappi  e  dì  ta|>peti  ; 
Ma  più  dì  belle  e  ben  ornate  dtmnc 
Di  ricche  gemine,  e  dì  superbe  gonne. 


21.  Vedeansi  celebrar  dentn»  alle  porte 
In  molti  luoghi  sollazzevol  balli, 

Il  popò! ,  per  le  vie  di  miglior  sorte. 
Maneggiar  ben  guarniti  e  bei  cavalli. 
Facea  più  bel  veder  la  ricca  corte 
De'  signor,  de'  baroni  e  de'  vassalli, 
Con  ciò  che  d'  India  e  d'  eritree  maremme 
Di  perle  aver  si  può,  d'  oro  e  di  gemme. 

22.  Venia  Grifone  e  la  sua  compagnia. 
Mirando  e  quinci  e  quindi  il  tutto  ad  agio. 
Quando  fermoUì  im  cavaliero  in  via, 

E  li  fece  smontare  a  un  suo  palagio, 
E  per  r  usanza,  e  per  sua  cortesia, 
Di  nulla  lasciò  lor  patir  disagio. 
Li  fé'  nel  bagno  entrar,  poi  con  serena 
Fronte  gli  accolse  a  sontuosa  cena: 

23.  E  narrò  lor,  come  il  re  Norandino, 
Re  di  Damasco  e  di  tutta  Soria, 
Fatto  avea  il  paesano  e  '1  peregrino, 
Ch'  ordine  avesse  di  cavalleria, 

Alla  giostra  invitar,  che  al  mattutino 
Del  di  seguente  in  piazza  si  faria  ; 
E  che,  se  avean  valor  pari  al  sembiante, 
Potrian  mostrarlo  ,  senza  andar  più  innante. 

24.  Ancorché  quivi  non  venne  Grifone 
A  questo  effetto,  pur  V  invito  tenne; 
Che ,  qual  volta  se  n'  abbia  occasione, 
Mostrar  virtude  mai  non  disconv^enne. 
Interrogollo  poi  della  cagione 

Di  quella  festa,  e  s'  ella  era  solenne 
Usata  ogni  anno ,  o  pure  impresa  nuova 
Del  re ,  che  i  suoi  veder  volesse  in  pro^a. 

25.  Rispose  il  cavalier:  La  bella  festa 

S'  ha  da  far  sempre  ad  ogni  quarta  luna. 
Dell'  altre,  che  verran  ,  la  prima  è  questa; 
Ancora  non  se  n'  è  più  fatta  alcuna. 
Sarà  in  memoria,  che  salvò  la  testa 
11  re  in  tal  giorno  da  una  gran  fortuna, 
Daiwirhè  quattro  mesi  in  doglie  e  in  pianti 
Sempre  era  stato ,  e  con  la  morte  innanti. 

26.  Ma,  per  dirvi  la  cosa  pienamente. 

Il  nostro  re,  che  ì\(»randin  s'  appella, 
Molti  e  molt'  anni  avuto  ha  il  core  ardente 
Della  leggiadra  e  sopra  ogni  altra  bella 
Figlia  del  re  di  Cipro;  e,  finalniciite 
Avutala  per  Mu»glie,  iva  con  quella, 
(^)n  cavalieri  e    donne  in  compagnia, 
E  dritto  avea  il  caiumin  verso  Soria. 

27.  Ma  poiché  fummo  tratti  a  piene  vele 
Lungi  dal  porto  nei  Carpa/io  iniquo, 
La  tempesta  saltò  tanto  crudele. 

Che  sbigottì  fin  al  padrone  antiquo, 
'i'rc  dì  e  tre  notti  andaiunu>  errando  ne  le 
]\lìnac(-ìose  mule,  per  cauiinino  oiiltliquo. 
l'scìnnuo  alfin  nel  lilo  stanchi  e  molli. 
Tra  freschi  ri>i  ombrosi,  e  ^erdì  lolli. 

28.  Piantare  ì  padiglioni ,  e  le  cortine 
Fra  gli  arl)ori  tirar   faccnuno  lieti: 

S'  appareci-liiauo  1  fuochi  e  le  cucine. 
Le  mense  d'  altra  parte  in  su  tappeti. 
Intanto  il   re  ciriaiido  iiiic  \ii'iiu- 
\  alli  era  andato ,  v  a'  boschi  più  secreti. 
Se  ritrova>se  capre,  o  daini,  o  ce^^ì; 
E  r  arco  gli  portar  dietro  duo  ?er\i. 

13  ♦ 


[199] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XVII.  29  —  44) 


[200] 


29.  Mentre  aspettiamo  in  gran  piacer  sedendo, 
Che  da  cacciar  ritorni  il  s^ignor  nostro. 
Vedemmo  I'  orco  a  noi  venir  correndo 
Lungo  il  lito  del  mar,  tcrribil  mostro. 

Dio  vi  guardi,  Signor,  che  '1  viso  orrendo 
Dell'  orco  agli  occlij  mai  vi  sia  dimostro! 
Meglio  è  per  fama  aver  notizia  d'  esso, 
Ch'  andargli  si,  che  Io  reggiate,  appresso. 

30.  Non  ri  può  comparir,  quanto  sia  lungo; 
Sì  smisuratamente  è  tutto  grosso. 

In  luogo  d'  occhj,  di  color  di  fungo 
Sotto  la  fronte  ha  due  coccole  d'  osso. 
Verso  noi  vien,  come  vi  dico,  lungo 
Il  lito,  e  par,  che  un  raonticel  sia  mosso. 
Mostra  le  zanne  fuor,  come  fa  il  porco; 
Ha  lungo  il  naso,  il  sen  bavoso  e  sporco. 

31.  Correndo  viene,  e  'I  muso  a  guisa  porta, 
Che  '1  bracco  suol,  quando  entra  in  sulla  traccia. 
Tutti,  che  lo  veggiam,  con  faccia  smorta 

In  fuga  andiamo,  ove  il  timor  ne  caccia. 
Poco  il  veder  lui  cieco  ne  conforta, 
Quando,  fiutando  sol,  par,  che  più  faccia, 
Ch'  altri  non  fa,  rh'  abbia  odorato  e  lume; 
E  bisogno  al  fuggire  eran  le  piume. 

32.  Corron  chi  qua,  chi  là;  ma  poco  lece 
Da  lui  fuggir,  veloce  più  che  'I  Noto. 
Di  quaranta  persone  appena  diece 
Sopra  il  naviglio  si  salvaro  a  nuoto. 
Sotto  il  braccio  un  fastel  d'  alcuni  fece; 
Nò  il  grembo  si  lasciò,  né  il  seno  vuoto: 
Un  suo  capace  zaino  empissene  anco. 
Che  gli  pendea,  come  a  pastor,  dal  fianco. 

33.  Portocci  alla  sua  tana  il  mostro  cieco. 
Cavata  in  lito  al  mar  dentr'  uno  scoglio. 
Di    marmo  così  bianco  è  quello  speco, 
Come  esser  soglia  ancor  non  scritto  foglio. 
Quivi  abitava  una  matrona  seco, 

Di  dolor  piena  in  vista  e  di  cordoglio; 
Ed  avea  in  compagnia  donne  e  donzelle 
D'  ogni  età,  d'  ogni  sorte,  e  brutte  e  belle. 

34.  Era  presso  alla  grotta,  in  eh'  egli  stava, 
Quasi  alla  cima  del  giogo  superno, 

IJn'  altra  non  minor  di  quella  cav.i. 
Dove  del  gregge  suo  Iacea  governo. 
Tanto  n'  avea,  che    non  si  numerava; 
E  n'  era  egli  '1  pastor  la  state  e  '1  verno. 
Ai  tempi  suoi  gli  apri\a,  e  teiica  chiuso, 
Per  spasso  che  n'  avea,  più  che  per  uso. 

35.  L'  umana  carne  meglio  gli  sapeva; 

E  prima  il   fa  veder,  clie  all'  antro  arrivi: 
Che  tre  de'  nostri  giovani,  eh'  aveva. 
Tutti  li  mangia,  anzi  trangugia  vivi. 
Vicine  alla  .»talla,  e  un  gnin  sasso  ne  leva, 
Ne  caccia  il  gregge,  e  noi  ri»(rrra  quivi. 
Con  quel  sen  va  do^e  il  suol  far  satollo, 
Sonando  una  zampogna,  eh'  avea  Li  collo. 

30.      II  signor  nostro,  intanto  ritornato 
Allii  inariiia,  il  suo  flanno  comprende; 
Cli«';  tro\a  gran  silenzio  in  ogni  Iato, 
Voli  fr.iMuli.  e  padiglioni  e  tende. 
Né  ca  pcn-ar,  «hi   ^ì   1'  ubbia  rubato, 
E  pi<n   di   gran  timore  al  lilo  sc(rnde. 
Onde  i  nocchieri  huoi   vede  in   disparte 
Surpar  lor  ferri,  e  in  opra  por  le  sarto. 


37. 


38. 


Tostoch'  essi  lui  vcggiono  sul  lito. 
Il  palischermo  mandano  a  le\  arlo  : 
Ma  non  sì  tosto  ha  Norandino  udito 
Dell'  orco,  che  venuto  era  a  rubai'lo. 
Che,  senza  più  pensar,  piglia  partito, 
Dovunque  andato  sia,  di  seguitarlo. 
Vedersi  tor  Lucina  sì  gli  duole, 
Che  o  racquistarla,  o  non  più  viver  vuole. 

Dove  vede  apparir  lungo  la  sabbia 
La  fresca  orma,  ne  va  con  quella  fretta. 
Con  che  lo  spinge  1'  amorosa  rabbia. 
Finché  giunge  alla  tana,  eli'  io  v'  ho  detta, 
Ove  con  tema,  la  maggior  che  s'  abbia 
A  patir  mai,  1'  orco  da  noi  s'  aspetta. 
Ad  ogni  suono  di  sentirlo  parci, 
Che  afiamato  ritorni  a  divorarci. 


39. 


40, 


Quivi  fortuna  il  re  da  tempo  guida. 
Che  senza  1'  orco  in  casa  era  la  moglie. 
Come  ella  il  vede:  Fuggine,  gli  grida: 
Misero  te,  se  I'  orco  ti  ci  coglie  ! 
Coglia,  disse,  o  non  coglia,  o  salvi  o  uccida; 
Che  miserrimo  io  sia,  non  mi  si  toglie. 
Disir  mi  mena ,  e  non  error  di  via, 
Che  ho  di  morir  presso  alla  moglie  mia. 

Poi  seguì ,  dimandandole  novella 
Di  quei,  che  prese  I'  orco  in  sulla  riva; 
Prima  degli  altri,  di  Lucina  bella. 
Se  r  avea  morta,  o  la  tenea  cattiva. 
La  donna  umanamente  gli  favella, 
E  lo  conforta,  che  Lucina  è  viva, 
E  che  non  è  alcun  dubbio,  eh'  ella  mora; 
Clio  mai  femmina  1'  orco  non  divora. 

41.  Esser  di  ciò  argomento  ti  poss'  io, 
E  tutte  queste  donne,  che  son  meco  : 

Né  a  me,  né  a  lor  mai  1'  orco  é  stato  rio, 
Purché  non  ci  scostiam  da  questo  speco. 
A  chi  cerca  fuggir,  pon  grave  fio, 
Né  pace  mai  pòn  ritrovar  più  seco  : 
O  le  sotterra  vive,  o  le  incatena, 
O  fa  star  nude  al  sol  sopra  l'  arena. 

42.  Quando  oggi  egli  portò  qui  la  tua  gente, 
Le  femmine  dai  maschi  non  divise; 

Ma  sì,  come  gli  avea,  confusamente 

Dentro  a  quella  spelonca  tutti  mise. 

Sentirà  a  naso  il  sesso  differente. 

Le  donne  non  temer,  che  sieno  uccise: 

Gli  uomini,  siine  certo;  ed  empirannc 

Di  quattro  il  giorno,  o  sei,  1'  a\ide  canne. 

43.  Di  levar  lei  di  qui  non  ho  consiglio. 
Che  dar  ti  possa;  e  contentar  ti  puoi. 
Che  nella  vita  sua  non  è  periglio  : 

Starà  qui  al  bene  e  al  mal,  eh'  avremo  noi. 
Ma  vattene  per  Dio,  vattene,  figlio, 
Che  r  orco  non  ti  senta,  e  non  t'  ingoi  l 
Tostoché  giunge,  d'   ogni  intorno  annasa, 
E  sente  sin  a  un  topo,  che  sia  in  casa. 

44.  Rispose  il  re,  non  si  voler  partire, 
Se  non  vedea  la  sua  Lucina  prima, 
E  che  |)iuttosto  appresso  lei  morire. 
Che  viverne  loiitan  faceva  stiniiu 
Quaiulo  vede  ella,  non  potergli  dire 
Cosa,  che  'I  muova  dalla  voglia  prima, 
Per  ajutarlo  fa  luiovo  disegno, 

E  polivi  ogni  uua  industria,  ogni  suo  ingegno. 


1 


I 


201] 


ORLANDO  FURIOSO.  (XVH.  45-60) 


[202] 


45.  Morte  avea  in  casa,  e  d'  ogni  tempo  appese, 
Con  lor  inalili,  assai  capre,  ed  agnelle, 

Onde  a  se  ed  alle  sue  tacca  le  spese, 

E  dal  tetto  pendea  più  d'  una  pelle. 

La  donna  fa',  che  '1  re  del  grasso  prese. 

Che  avea  un  gran  hecco  intorno  alle  hudelle, 

E  che  se  n'  unse  dal  capo  alle  piante. 

Finché  r  odor  cacciò,  di'  egli  ehhe  innante: 

46.  E  poiché  '1  tristo  puzzo  aver  le  parve, 
Di  che  il  fetido  hecco  ognora  sape, 
Piglia  r  irsuta  pelle,  e  tutto  entrarve 

Lo  fé'  ;  eh'  ella  è  sì  grande,  che  lo  cape. 
Coperto  sotto  a  cosi  strane  larve, 
Facendol  gir  carpon,  seco  lo  rape 
Là,  dove  chiuso  era  d'  un  sasso  grave 
Della  sua  donna  il  hel  viso  soave. 

47.  Norandino  uhhidisce,  ed  alla  huca 
Della  spelonca  ad  aspettar  si  mette. 
Acciò  col  gregge  dentro  si  conduca; 
E  fino  a  sera  disiando  stette. 
Ode  la  sera  il  suon  della  samhuca, 
Con  che  invita  a  lasciar  V  umide  erbette, 
E  ritornar  le  pecore  all'  alhergo 
Il  fier  pastor,  che  lor  venia  da  tergo. 

48.  Pensate  voi,  se  gli  tremava  il  core, 
Quando  l'  orco  senti,  che  ritornava, 
E  che  '1  viso  crudel,  pieno  d'  orrore 
Vide  appressare  all'  uscio  della  cava! 
Ma  potè  la  pietà  più,  che  'l  timore  : 
S'  ardea,  vedete,  o  se  fingendo  amava. 

Vien  r  orco  innanzi,  e  leva  il  sasso,  ed  apre: 
Norandino  entra  fra  pecore  e  capre. 

49.  Entrato  il  gregge,  l'  orco  a  noi  discende; 
Ma  prima  sopra  sé  1'  uscio  si  chiude. 
Tutti  ne  va  fiutando  ;  alfìn  duo  prende, 
Che  vuol  cenar  delle  lor  carni  cnule. 
Al  rimembrar  di  quelle  zanne  orrende 
Kon  posso  far,  che  ancor  non  tremi  e  6udc. 
Partito  r  ()rco,  il  re  gitta  la  gonna, 
Cli'  avea  di  becco,  e  abbraccia  la  sua  donna. 

50.  Dove  averne  piacer  deve  e  conforto, 
V'cdendol  quivi,   ella  n'  ha  alTannu  e  noja. 
Lo  vede  giunto,  ove  lia  da  restar  morto, 
E  non  può  far  però,  eh'  essa  non  muoja. 
Con  tutto  il  mal,  diceiigli,  eh'  io  sopporto, 
Signor,  sentia  non  m('dio(;rc  gioja, 
Che  ritrovato  non  t'  cri  con  uni, 
Quando  dall'  orco  oggi  qui  tratta  fui. 

51.  Che,  ec  1)en  il  trovarmi  ora  in  ])ro<:into 
D'  uscir  di  vita,  m'  era  acerbo  e  forte, 
Pur  mi  sarei,  conica  è  (-omune  instinto, 
Doluta  sol  della  mia  trista  s(u-te: 
Ma  ora,  o  prima,  o  poiché  tu  r-ia  estinto, 
Più  mi  dorrà  la  tua,  che  la  mia  morte. 
E  seguitò  mostrando  assai   più  aHainu» 
Di  quel  di  INoraiulin,  che  del  suo  danno. 

Ì2.      La  speme,  disse;  il  re,  mi  fa  venire, 
Cli'  ho  di  salvarti,  e  tutti  questi  trro; 
K,  h'  io  noi  posso  f.ir,  nu-giio  è  morire. 
Clic  senza  te,  mio  sol,  \hvr  mai  «;ieco. 
Come  io  «i  Acnni,  mi  potrò  partire, 
E  voi  lutt'  altri  ne  verrete  meco, 
Se    non  avrete,  couu;  io  non  ho  avuto, 
Schivo  a  pigliare  odor  d'  annual  bruto. 


53.  La  fraude  insegnò  a  noi,  che  contra  il  naso 
Dell'  orco  insegnò  a  lui  la  moglie  d'  esso, 
Di  vestirci  le  pelli,  in  ogni  caso 

Ch'  egli  ne  palpi,  nell'  uscir  del  fesso. 
Poiché  di  questo  ognun  fu  persuaso. 
Quanti  dell'  un,  quanti  dell'  altro  sesso 
Ci  ritroviamo,  uccidiam  tanti  becchi, 
Quelli  che  più  fetean,  eh'  eran  più  vecchi. 

54.  Ci  ungerao  i  corpi  di  qiiel  grasso  opimo, 
Cile  ritroviamo  all'  intestine  intorno, 

E  dell'  orride  pelli  ci  vestimo. 
Intanto  uscì  dell'  aureo  albergo  il  giorno. 
Alla  spelonca,  come  apparve  il  primo 
Raggio  del  sol,  fece  il  pastor  ritorno, 
E,  dando  spirto  alle  sonore  canne. 
Chiamò  il  suo  gregge  fuor  delle  capanne. 

55.  Tenea  la  mano  al  buco  della  tana. 
Perchè  col  gregge  non  uscissim  noi. 

Ci  prendea  al  varco,  e  quando  pelo,  o  lana 
Sentia  sul  dosso,  ne  lasciava  poi. 
Uomini  e  donne  uscimmo  per  si  strana 
Strada,  coperti  dagl'  ii-siiti  cuoj  ; 
E  r  orco  alcun  di  noi  mai  non  ritenne. 
Finché  con  gran  timor  Lucina  venne. 

5C.      Lucina,  o  fosse,  perdi'  ella  non  volle 
Ungersi,  come  noi,  che  schivo  n'  ebbe; 
O  eh'  avesse  1'  andar  più  lento  e  mollo, 
Che  r  imitata  bestia  non  avrebbe  ; 
O,  quando  1'  orco  la  groppa  toccollc. 
Gridasse,   per  la  tema,  che  le  accrebbe; 
O  che  se  le  sciogliessero  le  chiome: 
Sentita  fu,  né  ben  so  dirvi  come. 

57.  Tutti  eravam  si  intenti  al  caso  nostit), 
Cile  non  avemmo  gli  occhj  agli  altrui  fatti. 

10  mi  rivolsi  al  grido,  e  vidi  il  mostro, 
Che  già  gi'  irsuti  spogli  le  a^ea  tratti, 
E  fattola  tornar  nel  cavo  chiostro. 
Noi  altri,  dentro  a  nosti-e  gonne  piatti. 

Col  gregge  andanmio,  ove  il  pastor  ci  mona. 
Tra  verdi  colli  in  una  piaggia  amena. 

58.  Quivi  attendiamo,  infinché,  steso  all'  ombra 
D'  un  bosco  opaco,  il  nasuto  orco  dorma. 

Chi  lungo  il  mar,  chi  verso  il  monte  sgombra; 
Sol  Norandin  non  vuol  seguir  nostr'  orma. 
L'  amor  della  sua  donna  sì  lo'ngombra, 
Ch'  alla  grotta  tornar  vuol  fra  la  torma, 
Né  partirsene  mai  fin  alla  morte. 
Se  non  racquista  la  fedel  con.-orle. 

51).      Che,  quando  dianzi  avea  all'  uscir  del    chiuso 
Vedutala  restar  cattiva  sola. 
Fu  per  gittarsi  dal  dolor  confuso 
Spont;in<;ament(;  al  vorace  orco  in  gola; 
E  si  nu>>se,  e  gli  corse  iiifino  al  muso, 
]\é  fu  lontano  a  gir  a.)tto  la  mola: 
Ma  pur  lo  tenne  in  mandra  la  speranza. 
Vài'  uvea  di  trarla  ancor  di  quella  sl^uwi. 

CU.      La  sera,  quando  alla  spelonca  mena 

11  gregge  r  orco,  e  noi  fuggiti  s<'nte, 
E  di'   ha  da  rimaner  |>ri>o  di  cena. 
('biama  Lucina  (!'  ogni    mal  iincciite. 

E  la  <'ond.iiina  a  st.ir  sempre  in  citeiis 
Allo  scoperto  sul  sa-^so  emiiicnie. 
\edela  il  re  per  sua  cagitui  patire. 
E  bi  distrugge,  e  »ol  n«m  può  morire 


|203]- 


ORLANDO  FURIOSO.     (XVII.  61—76) 


[204] 


GÌ.      Mattina  e  sera  1'  infelice  amante 

La  può  veder ,  come  s'  affligga  e  piagna  : 
Che  le  ^a  niisito  fra  le  capre  avante, 
Torni  alla  stalla ,  o  torni  alla  campagna. 
Ella  con  viso  lueeto  e  snpplicante 
Gli  accenna ,  che  per  Dio  non  vi  rimagna, 
Perchè  vi  età  a  gran  rischio  della  vita, 
Kè  però  a  lei  può  dare  alcuna  aita. 

G2.     Cosi  la  moglie  ancor  dell'  orcopriega 
11  re ,  che  se  ne  vada  ;  ma  non  giova  : 
Che  d'  andar  mai  senza  Lucina  niega, 
E  sempre  più  costante  si  ritrova. 
In  questa  servitudc,  in  che  lo  lega 
Pleiade  e  amor,  stette  con  lunga  prova 
Tantn,  che  a  capitar  venne  [a  quel  sasso 
Il  figlio  d'  Agricane ,  e  '1  re  Gradasso, 

63.  Dove  con  loro  audacia  tanto  fenno, 
Che  liberaron  la  bella  Lucina; 
Benché  vi  fu  ventura  più  che  senno  ; 
E  la  portar  correndo  alla  marina, 

E  al  padre  suo ,  che  quivi  era ,  la  dernio  s 
E  questo  fu  nell'  ora  mattutina, 
Che  Norandin  con  1'  altro  gregge  stava 
A  ruminar  nella  montana  cava. 

64.  Ma  poiché  il  giorno  aperta  fu  la  sbarra, 
E  sejjpe  il  re  la  donna  esser  partita, 

Che  la  moglie  dell'  orco  glielo  narra, 
E  come  appunto  era  la  cosa  gita  ; 
Grazie  a  Dio  rende ,  e  con  voto  n'  innarra, 
Ch'  essendo  fuor  di  tal  miseria  uscita. 
Faccia,  che  giunga,  onde  per  arme  possa, 
Per  prieghi ,  o  per  tesoro  esser  riscossa. 

65.  Pien  di  letizia  va  con  1'  altra  schiera 
Del  simo  gregge ,  e  viene  ai  verdi  paschi, 
E  quivi  appetta,  finch'  all'  ombra  nera 

U  mostro  per  dormir  nell'  erba  caschi  : 
Poi  ne  vien ,  tutto  il  giorno  e  tutta  sera, 
E  alfin  sicnr,  che  l'  orco  non  lo  'ntasclii, 
S«>pra  un  naviglio  monta  in  Satalia, 
E  son  tre  mesi ,  che  arrivò  in  Soria. 

60.     In  Ilodi,  in  Cipro  ,  e  per  città  e  castella 
E  d'  Africa,  e  d'  Egitto,  e  di  Turclua, 
Il  r(!  cercar  fé'  di  Lucina  bella, 
Né  fin  r  altr'  ieri  aver  ne  potè  spia. 
L'  altr'  ier  n'  ebbe  dal  suocero  noveUaj 
Che  f.cco  r  avea  salva  in  Nicosia, 
Dappoiché  molti  di  vento  crudele 
Era  stato  contrario  alle  sue  vele. 

67.  Per  allegro/za  della  buona  nuova 
Prepara  il  nostro  re  la  ricca  festa, 

E  vuol,  eh'  ad  ogni  quarta  luna  nuova 

Ina  Mi  n'  abbia  a  far  simile  a  questa; 

Cile  la  Hieinoria  rinfrescar  gli  giova 

De'  quattro  mesi,  che  in  irsuta  vesta 

Fu  tra  il  gregge  dell'  orco;  e  un  giorno,  quali 

Sani  dimane,  uscì  di  tanto  male. 

68.  Quoto ,  eh'  io  v'  ho  narrato ,  in  parte  vidi. 
In  parte  udii  da  chi  trovossi  al  lutto; 

Dal  re  \i  diro,  che  calende  ed  idi 
Vi  stette,  iiirntrlu',  vdl.^c  in  riso  il  lutto; 
E,  KV.  n'  udilc  unii  far  altri  gridi, 
Direte  a  chi  li  fa ,  4 1,,;  ,„i,l  n'  ,'•  in^trutto 
Il  gentil  uomo  in  tal  modo  a  (ìrifone 
Della  festa  narrò  1  alta  cagione. 


C9.     Un  gran  pezzo  di  notte  si  dispensa 
Dai  cavalieri  in  tal  ragionamento  ; 
E  conchiudon  ,  che  amore  e  pietà  immensa 
Mostrò  quel  re  con  grand'  esperimento. 
Andaron  ,  poiché  si  levar  da  mensa, 
Ove  ebbon  grato  e  buono  alloggiamento. 
Nel  seguente  mattin  sereno  e  chiaro 
Al  suon  dell'  allegrezze  si  destaro. 

70.  Vanno  scorrendo  timpani  e  trombette, 
E  ragunando  in  piazza  la  cittade. 

Or,  poiché  di  cavalli  e  di  carrette, 
E  rimbombar  di  gridi  odon  le  strade, 
Grifon  le  Incide  arme  si  rimette, 
Che  son  di  quelle,  che  si  trovan  rade; 
Che  le  avea  impenetrabili  e  incantate 
La  fata  bianca  di  sua  man  temprate. 

71.  Quel  d'  Antiochia ,  più  d'  ogni  altro  vile, 
Armosfii  seco  e  campagnia  gli  tenne. 
Preparate  avea  lor  l'  oste  gentile 
Nerbose  lance  e  salde,  e  grosse  antenne, 
E  del  suo  parentado  non  umile 
Compagnia  tolta,  e  seco  in  piazza  venne; 
E  scudieri  a  cavallo ,  e  alcuni  a  piede, 

A  tai  servigi  attissimi ,  lor  diede. 

73.      Giunsero  in  piazza ,  e  trassersi  in  disparte, 
Né  pel  campo  curar  far  di  sé  mostra, 
Per  veder  meglio  il  bel  popol  di  Marte, 
Che  ad  uno ,  o  a  due ,  o  a  tre  veniano  in  giostra 
Chi  con  colori  accompagnati  ad  arte 
Letizia,  o  doglia  alla  sua  donna  mostra; 
Chi  nel  cimier ,  chi  nel  dipinto  scudo 
Disegna  Amor ,  se  1'  ha  benigno ,  0  crudo. 

73.      Soriani  in  quel  tempo  aveano  usanza 
D'  armarsi  a  questa  guisa  di  Ponente. 
Forse  ve  gli  inducea  la  vicinanza 
Che  de'  Franceschi  avean  continuamente  ; 
Che  quivi  allor  reggean  la  sacra  stanza, 
Dove  in  carne  alutò  Dio  onnipotente, 
Ch'  ora  i  superi)!  e  miseri  Cristiani, 
Con  biasmo  lor ,  lasciano  in  man  de'  cani. 

7ì.      Dove  abbassar  dovrebbono  la  lancia 
In  augumento  della  santa  fede, 
Tra  lor  si  dan  nel  petto  e  nella  pancia, 
A  destruzion  del  poco,  che  si  crede. 
Voi  ,  gente  ispana,  e  voi ,  gente  di  Francia, 
Volgete  altrove,  e  voi  , Svizzeri,  il  piede, 
E  voi.  Tedeschi,  a  far  più  degno  acquisto  ! 
Che  quanto  qui  cercate ,  è  già  di  Cristo. 

75.  Se  cristianissimi  esser  voi  volete, 
E  voi  altri  cattolici  ncuiiati. 
Perchè  di  Cristo  gli  uomini  uccidete.'' 
Perchè  de'  beni  lor  son  dispogliati? 
Perché  Genisalem  non  riavete, 
Cile  tolto  è  stato  a  voi  da'  rinnegati? 
Perchè  Costantinopoli ,  e  del  nuuido 
La  miglior  pai-te  04;cupa  il  Turco  immondo  ? 

76.  Non  hai  tu  ,  Spagna,  1'  Africa  vicina, 
Che  t'  ha  ^ia  più  di  questa  Italia  «ifTesa? 
E  pur,  |w-r  dar  travaglio  alla  meschina, 
Las4-.i  la  prima  tua  sì  beila  impresa  ! 
O  d'  ogni  vizio  fetida  sentina  ! 
Dormi,  Italia  imbriaca,  e  non  ti  pesa, 
Ch'  ora  di  questa  gente,  ora  di  quella. 
Clic  già  bcrva  ti  fu  ,  sei  fatta  ancella  ! 


Il 


205] 


ORLANDO  FURIOSO.  (XVII.  t7-92) 


r206 


n 


78. 


19, 


JO. 


H. 


S. 


Se  'I  diiLbio  di  morir  nelle  tue  tane, 
Svizzer,  di  fame,  in  Lombardia  ti  guida, 
E  ti'a  noi  cerchi  o  chi  ti  dia  del  pane, 
O  per  uscir  d'  inopia ,  chi  t'  uccida  : 
Le  ricchezze  del  Turco  hai  non  lontane. 
Cacciai  d'  Europa,  o  ahnen  di  Grecia  snida f 
Così  potrai  o  dal  digiuno  trartì. 
O  cader  con  più  merto  in  quelle  parti. 

Quel,  che  a  te  dico,  io  dico  al  tuo  vicino 
Tedesco  ancor.     Là  le  ricchezze  sono, 
Che  vi  portò  da  Roma  Costantino  : 
Portonne  il  meglio,  e  fé'  del  resto  dono. 
Fattolo  ed  Ermo ,  onde  si  trae  l'  or  fmo, 
Migdonia  e  Lidia,,  e  quel  paese  buono 
Per  tante  laudi  in  tante  istorie  noto, 
Non  è,  se  andar  vi  vuoi,  troppo  remoto. 

Tu ,  gran  Leone ,  a  cui  prcmon  le  terga 
Delle  chiavi  del  cicl  le  gravi  some, 
Kon  lasciar,  che  nel  sonno  si  sommerga 
Italia,  se  la  man  1'  hai  nelle  chiome! 
Tu  sei  pastore;  e  Dio  t'  ha  quella  verga 
Data  a  portare ,  e  scelto  il  fiero  nome, 
Perchè  tu  ruggi ,  e  che  le  hracda  stenda. 
Sicché  dai  lupi  it  gregge  tuo  difenda. 

Ma  d'  un  parlar  nell'  altro,  ove  son  ito 
Si  lungi  dal  cammin,  eh'  io  facev'  ora? 
Non  lo  credo  però  sì  aver  smarrito, 
Ch'  io  non  lo  sappia  ritrovare  ancora. 
Io  dieea,  che  in  Soria  si  tenen  il  rito 
D'  armarsi,  che  i  Franceschi  aveano  allora; 
Sicché  bella  in  Damasco  era  la  piazza 
Di  gente  armata  d'  elmo  e  di  corazza. 

Le  vaghe  donne  gettano  dai  palchi 
Sopra  i  giostranti  fior  vermigli  e  gialli. 
Mentre  essi  fanno,  a  suon  degli  oricalchi. 
Levare  a  salti  ed  aggirar  cavalli. 
Ciascuno,  o  bene  o  mal  eh'  egli  cavalchi. 
Vuol  far  quivi  vedersi,   e  sprona,  e  dalli; 
Di  eh'  altri  ne  riporta  pregio  e  lode, 
Muove  altri  a  riso,  e  gridar  dietro  s'  ode. 

Della  giostra  era  il  prezzo  un^  armatura^ 
Glie  fu  donata  al  re  pochi  di  innante, 
Che  sulla  strada  ritrovò  a  ventura 
Ritornando  d'  Armenia  un  mercatante, 
li  re  di  nol)ili:s8Ìma  testura 
La  sopravveste  all'  arme  aggiunse,  e  (ante 
Perle  vi  poeiC  intorno,  e  gemme,  ed  oro, 
Clic  la  fece  valer  molto  tesoro. 

Se  conosciute  il  re  quell'  arme  avesse, 
Care  avute  le  avria  sopra  ogni  arnese, 
Kè  in  premi(»  della  giostra  1'  avria  messe, 
Comechè  libeiUl  lof^se  e  cortese. 
Lungo  saria,  chi  raccontar  videssc. 
Oli  le  avea  si  sprezzati;  e  vilipese. 
Clic  'n  mezzo  della  strada  le  las<ùiissc 
Pr<-da   a  chiunque  o  innanzi,    o  in<lietro  andirs.^. 

I)r  que^to  ho  da  «untarvi  più   di  sotto: 
Or  dirò  di  (;rìron,  eh'  alla  sua  giunta 
Un  pajo  e  più   di  lanct;  trovò  rotto, 
Menato  più  d'  un  (a;;;lio  v  tV  una  pimtir. 
De'  più  niri  e  più  fidi  al  re  fur  otto, 
Cile  quivi  insirine  hvi><ib  lega  conginnta; 
Giovani  in  arnie  pratichi  ed   imlii>tri. 
Tutti  o  signori ,  o  di  fumiglic  illustri. 


85.  Q»eì  rispondean  nella  sbarrata  piazza, 

Per  un  dì,  ad  uno  ad  uno,  a  tutto  'l  miìndo-. 

Prima  con  lancia,  e  poi  con  spada,  o  mazz» 

Finch'  al  re  dì  guardargli  era  giocondo; 

E  si  foravan  spesso  la  corazza  ; 

Per  giuoco  in  somma  qui  faccan,  secondo 

Fiin  li  nimici  capitali,  eccetto 

Che  potea  il  re  partirìi  a  suo  diletto. 

86.  Quel  d'  Antiochia ,  un  uom  senza  ragione. 
Che  Martano  il  codardo  nominosse. 

Come  se  della  forza  di  Grifone, 
Poìch'  era  seco,  partecipe  fosse. 
Audace  entrò  nel  marziale  f^one, 
E  poi  da  canto  ad  aspettar  fermosse. 
Sinché  finisse  una  battaglia  fiera, 
Che  tra  duo  cavalier  cominciata  era, 

87.  Il  signor  ^  Seleucìa ,  di  quegli  uno. 
Che  a  sostener  l'  impresa  aveano  tolto, 
Combattendo  in  quel  tempo  con  Ombrano, 
Lo  feri  d'  una  punta  in  mezzo  'l  volto. 
Sicché  r  uccise:  e  pietà  n'  ebbe  ognuno. 
Perchè  buon  cavalier  lo  tenean  molto, 
Ed,  oltre  la  bonta<le,  il  più  cortese 

Non  era  stato  in  tutto  quel  paese. 

88.  Veduto  ciò,  Martano  ebbe  paura. 
Che  parimente  a  sé  non  avvenisse, 
E,    ritornando  nella  sua  natura, 

A  pensar  cominciò,  come  fuggisse. 
Grifon ,  che  gli  era  appresso ,  e  n'  avea  cura, 
Lo  spinse  pur,  poich'  assai  fece  e  disse, 
Contra  un  gentil  guerrier ,  che  s'  era  nsoeso, 
Come  si  spinge  il  cane  al  lupo  addosso, 

89.  Che  dieci  passi  gli  va  dietro  o  venti, 
E  poi  si  ferma,  ed  abbajando  guarda. 
Come  digrigni  i  minacciosi  denti. 
Come  negli  occhj  orribil  fuoco  gli  axda. 
Quivi,  ov'  erano  e  principi  presenti, 

E  tanta  gente  nobile  e  gagliarda. 

Fuggì  1'   incrontro  il  timido  .Martano, 

E  torse  il  freno  e  'I  capo  a  destra  mano. 

90.  Pur  la  colpa  potea  dare  al  cavallo. 
Chi  di  scusarlo  avesse  tolto  il  peso  ; 
Ma  con  la  spada  poi  fé'  sì  gran  fallo, 
('he  non  1'  avria  Demostene  difeso. 

Di  carta  armato  par,  non  di  metallo; 
Sì   teme  da  ogni  coijJO  essere  oll'c-o! 
Fugge>i  alfine,  e  gli  ordini  disturba. 
Ridendo  int<H-no  a  Ini  tutta  la  turba. 

91.  Il  liatter  delle  mani,   il  grido  intorno 
Se  gli  levò  del  po|ii)lazzo  tutto. 

Coiik;  lupo  cacciato,   le"  ritorno 
Martano  in  molta  fi-etta  al  mio  ridotto. 
Rota  {ìrifone,   e  gli  par  dello  scorno 
Del  S410  (-onipagno  isxr  mari  hiato  e  brutto: 
Esser  correbbe  stato  in  mezzo  il   fiimro 
Piuttosto,  che  trovarci  in  questo  U)Co. 

92.  Arde  nel  core,  e  fuor  nel  sifn  avvampa. 
Come  sia  tutta  sua  i|ii<-lla  vergogna; 
Perchè  l'  opere  sue  di  quella  stampa 
Aedcre  aspetta  il  po|Hilo  et!   agogna; 
Sicché  riiiilga  chiara  più.  che  lampa. 
Sua  virtù  ,  questa  \olta  gli  bisogna; 

(.'hù  iiii'  oncia,  un  dito  sol  d'  orror  che  faccia. 
Per  la  m<ila  iiiipn'ssiou  porrà  sci  braccia- 


[20t] 


ORLANDO   FURIOSO»     (XVU.  93-108) 


[208] 


93.  Già  la  lancia  avca  tolta  sulla  coscia 
Grifon ,  eh'  errare  in  arine  era  poco  uso. 
Spinse  il  cavallo  a  tutta  briglia,  e  poscia 
Ch'  alquanto  andato  fu,  la  mise  suso, 

E  portò   nel  ferire  estrema  angoscia 
Al  baron  rii  Simonia,  che  andò  giuso. 
Ognun  maravigliando  in  pie  si  leva; 
Che  1  contrario  di  ciò  tutto  attendeva. 

94.  Tornò  Grifon  con  la  medcsma  antenna, 
Clic  intera  e  ferma  ricovrata  avea, 

Ed  in  tre  pezzi  la  ruppe  alla  penna 

Dello  scudo,  al  signor  di  Lodicea. 

Quel,  per  cader,  tre  volte  e  quattro  accenna; 

Che  tutto  steso  alla  groppa  giacca: 

Pur  rilevato  alfiu  la  spada  strinse, 

Voltò  il  cavallo ,  e  ver  Grifon  si  spinse. 

95.  Grifon ,  che  '1  vede  in  sella,  e  che  non  basta 
Sì  fiero  incontro  ,  perchè  a  terra  vada, 

Dicea  fra  su  :  Quel  che  non  potè  1'  asta, 

In  cinque  colpi ,  o  'u  sei  farà  la  spada. 

E  sulla  tempia  subito  V  attasta 

D'  un  dritto  tal ,  che  par  che  dal  ciel  cada  ; 

E  un  altro  gli  accompagna ,  e  un  altro  appresso, 

Tanto  ,  che  l'  ha  stordito  ,  e  in  terra  messo. 

96.  Quivi  erano  d'  Apamìa  duo  germani. 
Solili  in  giostra  rimaner  di  sopra, 
Tir^e  e  Corimbo  ;  ed  ambo  per  le  mani 
Del  figlio  d'  Olivier  cadder  sozzopra. 

L'  uno  gli  arcion  lascia  allo  scontro  vani, 
Con  r  altro  messa  fu  la  spada  in  opra. 
Già  per  comun  gindicio  si  tien  certo. 
Che  di  costui  fia  della  giostra  il  merto. 

97.  Nella  lizza  era  entrato  Salinterno, 
Gran  diodarro ,  e  maliscalco  regio, 

E  che  di  tutto  '1  regno  avea  il  governo, 
E  di  sua  mano  era  guerriero  egregio. 
Costui,  sdegnoso,  che  un  guerriero  esterno 
Del)ba  portar  di  quella  giostra  il  pregio, 
Piglia  una  lancia ,  e  verso  Grifon  grida, 
E  molto  minacciandogli  lo  sfida. 

tì8.      Ma  quel  con  un  lancion  gli  fa  risposta, 
Ch'  avea  per  lo  miglior  fra  die«:i  eletto; 
E  per  non  far  error,  lo  scudo  ajìpnsta, 
E  >ia  lo  passa,  e  la  corazza  e  4  petto. 
Passa  il  ferro  crudel  tra  costa  e  costa, 
E  fuor  pel  tergo  \m  palmo  esce  di  netto. 
Il  colpo,  eccetto  al  re,  fu  a  tutti  caro; 
Che  ognuno  odiala  Salinterno  avaro. 

99.      Grifone  appresso  a  questi  in  terra  getta 
Duo  di  ]>ama?co  ,  Ermolilo  <;  Carmondo. 
La  milizia  del  re  dal  primo  è  retta, 
Del  mar  grande  ammiraglio  è  quel  secondo. 
Lancia  alli»  scontro  V  \in  la  sella  in  fretta; 
Addosso  air  altro  si  riversa  il  pondo 
Del  rio  de^trier,  che  sostener  non   puoto 
L'  alto  vulor  ,  con  che  Grifon  percuote. 

100.      Il  signor  di  Seleucia  ancor  restava, 
Miglior  guerrier  di  tutti  gli  altri  sette; 
E  ben  l.i  Mia  posranza  accompagnava 
Con  dolricr  liuotio ,  e  con  aruu;  pertettr. 
Dove  dell'  clnio  la  ^i^ta  si  chiava, 
li'  asta  allo  scimlro  f  uno  e  V  altro  mette: 
Pur  (ìrìi'on   inagginr  colpo  al  pagaa  di«;dc, 
Cile  lo  fc'  btallcggiar  dui  uuinco  piede. 


^! 


101.  Gittaro  i  tronchi ,  e  si  tornaro  addosso. 
Pieni  di  molto  ardir ,  co'  brandi  ignudi. 
Fu  il  pagan  prima  da  Grifon  percosso 
D'  un  colpo ,  che  spezzato  avria  le  incudi. 
Con  quel  fender  si  vede  e  ferro  ed  osso 
D'un,  eh'  eletto  s'  avea  tra  mille  scudi; 
E  ,  se  non  era  doppio  e  fin  1'  arnese. 
Feria  la  coscia,  ove  cadendo  scese. 

102.  Feri  quel  di  Seleucia  alla  visiera 
Grifone  a  un  tempo;    e  fu  quel  colpo  tanto, 
Che  r  avria  aperta  e  rotta ,  se  non  era 
Fatta  ,  come  l'  altre  arme  ,  per  incanto. 
Gli  è  un  perder  tempo ,  che  '1  pagan  più  fera, 
Cosi  son  r  arme  dure  in  ogni  canto  ; 
E  in  più  parti  Grifon  già  fessa  e  rotta 
Ha  r  armatura  a  lui ,  né  perde  botta. 

103.  Ognun  potea  veder  ,  quanto  di  sotto 
Il  signor  di  Seleucia  era  a  Grifone; 
E  se  partir  non  li  fa  il  re  di  botto, 
Quel  che  sta  peggio ,  la  vita  vi  pone. 
Fé'  Norandino  alla  sua  guardia  motto, 
Ch'  entrasse  a  distaccar  i'  aspra  tenzone. 
Quindi  fu  r  uno,  e  quindi  l'  altro  tratto; 
E  fu  lodato  il  re  di  sì  buon  atto. 

104.  Gli  otto ,  che  dianzi  avean  col  mondo  impresa,  „ 
E  non  potuto  durar  poi  contra  uno. 
Avendo  mal  la  parte  lor  difesa, 
Usciti  eran  del  campo  ad  uno  ad  uno. 
Gli  altri ,  eh'  eran  venuti  a  lor  contesa. 
Quivi  restar  senza  contrasto  alcuno, 
Avendo  lor  Grifon  solo  interrotto 
Quel ,  che  tutti  essi  avean  da  far  contr'otto. 

105.  E  durò  quella  festa  così  poco, 
Che  in  men  d'  un'  ora  il  tutto  fatto  s'  era. 
Ma  Norandin,  per  far  più  lungo  il  gioco, 
E  per  continuarlo  infino  a  sera. 
Dal  palco  scese,  e  fé'  sgombrare  il  loco^ 
E  poi  divise  in  due  la  grossa  schiera; 
Indi,  secondo  il  sangue,  e  la  lor  prova, 
Gli  andò  accoppiando ,  e  fc'  una  giostra  nuora* 

106.  Grifone  intanto  avea  fatto  ritorno 
Alla  sua  stanza,  pieu  d'  ira  e  di  rabbia; 
E  più  gli  preme  di  Martan  lo  scorno, 
Che  non  giova  1'  onor ,   eh'  esso  vinto  abbia 
Quindi,  per  tor  1'  obbrobrio,  eh'  avea  intorno, 
Martano  adojira  le  mendaci  labbia, 
E  r  astuta  e  bugiarda  meretrice. 
Come  meglio  sapea,  gli  era  ajutrice. 

107.  O  sì,  o  nò,  che  '1  giovin  gli  credesse, 
Pur  la  scusa  accettò,  come  discreto, 
E  pel  suo  meglio  allora  allora  elesse 
Quindi  levarsi  tacito  e  secreto. 
Per  tema  che  ,  se  '1  popolo  vedesse 
Martano  comparir,  non  stesse  cheto. 
('osi  per  una  via  nascosa  e  corta 
Esciro  al  cainmin  lor  fuor  della  porta. 

108.  Grifone,  o  eh'  egli,  o  che  '1  cavallo  fuFM 
Stanco ,  o  gravasse  il  sonno  pur  le  ciglia, 
Al  primo  albergo  «he  trovar,  fermosse, 
('Ile  non  erano  andati  oltre  <i  due  miglia. 
Si  trasse  l'  elmo  ,  e  tutto  disarmosse, 
E  trar  fece  a'  cavalli  e  sella  e  briglia, 
E  poi  serrossi  in  camera  soletto, 
E  nudo  per  dormire  entrò  nel  letto. 


9, 

I 


209] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XVII.   109—124) 


L09.      Non  ebbe  cosi  tosto  il  capo  basso, 

Che  chiuse  gii  occhj,  e  fu  dal  sonno  oppresso 
Così  profondamente,  che  mai  tasso, 
Kè  ghiro  mai  s'  addormentò,  quant'  esso. 
Martano  intanto  ed  Origille  a  spasso 
Entraro  in  un  giardin,  eh'  era  lì  presso. 
Ed  un  inganno  ordir,  che  fu  il  più  strano, 
Che  mai  cadesse  in  sentimento  umano. 

.10.     Martano  disegnò  torre  il  destriero, 

I  panni  e  1'  arme,  che  Grifon  s'  ha  tratte, 
E  andar  innanzi  al  re  pel  cavaliero. 
Che  tante  prove  a^ea  giostrando  fatte. 
L'  effetto  ne  seguì,  fatto  il  pensiero. 
Tolle  il  destrier  più  candido,  che  latte. 
Scudo  e  cimiero,  ed  arme  e  sopravveste, 
E  tutte  di  Grifon  1'  insegne  veste. 

11.      Con  gli  scudieri  e   con  la  donna,  dove 

Era  il  popolo  ancora,  in  piazza  venne, 

E  giunse  a  tempo,  che  fìnian  le  prove 

Di  girar  spade  e  d'  arrestare  antenne. 

Comanda  il  re,  che  '1  cavalier  si  trovo. 

Che  per  cimiero  avea  le  bianche  penne, 

Bianche  le  vesti,  e  bianco  il  corridore: 

Che    1  nome  non  sapea  del  vincitore. 

L2.     Colui,  che  indosso  il  non  suo  cuojo  aveva, 
Come  r  asino  già  quel  del  leone, 
Cliiamato  se  n'  andò,  come  attendeva, 
A  INorandino,  in  loco  di  Grifone. 
Quel  re  cortese  incontro  se  gli  leva, 
L'  abbraccia  e  bacia,  e  allato  se  lo  pone. 
Né  gli  basta  onorarlo,  e  dargli  loda; 
Che  vuol,  che  '1  suo  valor  per  tutto  s'  oda; 

13.  E  fa  gridarlo  al  suon  degli  oricalchi 
Vincitor  della  giostra  di  quel  giorno. 
L'  aita  voce  ne  va  per  tutti  i  palchi. 
Che  '1  nome  indegno  udir  fa  d'   ogni  intorno. 
Seco  il  re  vuol,  eh'  a  par  a  par  cavalchi. 
Quando  al  palazzo  suo  poi  fa  ritorno; 
E  di  sua  grazia  tanto  gli  comparte, 
Che  basteria,  se  fosse  Ercole  o  Marte. 

14.  Bello  ed  ornato  alloggiamento  dielli 
In  corte,  ed  onorar  fece  con  lui 
Origille  anco;  e  nobili  donzelli 
Mandò  con  essa,  e  cavalieri  sui. 
Ma  tempo  è,  eh'  anco  di  (ìrifon  favelli, 
Il  qual  né  dal  compagno,  ne  da  altrui 
'l'emendo  inganno,  aiìdormentato  s'  era, 
l\è  mai  si  risvegliò  ha  alla  sera. 

15.  Poiché  fu  desto,  e  clic  dell'  ora  tarda 
S'  accorse,  uscì  di  camera  con  fretta. 
Dove  il  falso  cognato  e  la  bugiarda 
Origille  lasciò  con  1'  altra  setta  : 
E,  quando  non  li  trova,  e  clic  riguarda 
Non  v'  esser  1'  arme,  né  i  panni,  sospetta: 
Ma  il  veder  poi  più  sospettoso  il  fece 
L'  insegne  del  compagno  in  quella  vece. 

G.      Sopravvieu  l'  oste,  e  di  colui  1'  infiu-ma, 
f'Iu'  già  gran  pezzo,  di  biaiich'  arme  adorno, 
Cini  la  donna,  e  col  resto  della  torma 
A\ca  nella  città  latto  ritorno. 
Trova  (irilone  a  po(-o  a  poco   1'  orma, 
Ch'  ascosa  gli  avcii  amor  fin  a  «(ini  giorno; 
E,  con  suo  gran  dohir  vede,  c>,^er  quello 
Adulter  d'  Origille,  e  non  fratello. 


[21"1 


117.  Di  sua  sciocchezza  indarno  ora  si  duole 
Cli'  avendo  il  ver  dal  peregrino  udito 
Lasciato  mutar  s'  abbia  alle  parole 

Di  chi  1'  avea  più  volte  già  tradito. 
Vendicar  si  potea,  né  seppe;  or  vuole 
L'  inimico  punir,  che  gli  è  fuggito. 
Ed  è  costretto,  con  troppo  gran  fallo, 
A  tor  di  quel  vii  uom  1'  arme  e  '1  cavallo. 

118.  Eragli  meglio  andar  senz'  arme,  e  nudo, 
Che  porsi  indosso  la  corazza  indegna, 

O  che  imbracciar  1'  abbominato  scudo, 

0  por  suir  elmo  la  beffata  insegna  : 
Ma  per  seguir  la  meretrice  e  '1  drudo. 
Ragione  in  lui  pari  al  disio  non  regna. 
A  tempo  venne  alla  città,  eh'  ancora 

Il  giorno  avea  quasi  di  vivo  un'  ora. 

119.  Presso  alla  porta,  ove  Grifon  venia, 
Siede  a  sinistra  un  splendido  castello. 

Che,  più  che  forte,  e  eh'  a  guerre  atto  eia, 
Di  ricche  stanze  è  accomodato  e  bello. 

1  re,  i  signori,   i  primi  di  Soria 

Con  alte  donne  in  un  gentil  drappello 
Celebravano  quivi  in  loggia  amena 
La  real,  sontuosa,  e  lieta  cena. 

120.  La  bella  loggia  sopra  il  muro  usciva, 
Con  r  alta  rocca  fuor  della  cittade, 

E  lungo  tratto  di  lontan  scopriva 

I  larghi  campi  e  le  diverse  strade. 
Or,  che  Grifon  verso  la  porta  arriva. 
Con  queir  arme  d'  obbrobrio  e  di  viltade, 
Fu,  con  non  troppo  avventurosa  sorte, 
Dal  re  veduto,  e  da  tutta  la  corte: 

121.  E  riputato  quel,  di  eh'  avea  insegna, 
Mosse  le  donne  e  i  cavalieri  a  riso. 

II  vii  Martano,  come  quel,  che  regna 

In  gran  favor,  dopo  '1  re  é  il  primo  assiso, 
E  presso  a  lui  la  donna  di  sé  degna; 
Dai  quali  Nurandin  con  lieto  viso 
^  (lise  saper,  chi  fosse  quel  codardo. 
Che  così  avea  al  suo  onor  poco  riguardo, 

122.  Che,  dopo  una  sì  trista  e  brutta  pruova. 
Con  tanta  fronte  or  gli  tornava  innante. 
Dicea  :  Questa  mi  par  cosa  assai  nuova, 
Ch'  essendo  voi  guerrier  degno  e  prestante. 
Costui  compagno  abbiate,  che  non  trova 
Di  viltà  pari  in  terra  di  Levante. 

Il  fate  f»»rse  per  mostrar  maggiore, 
Per  tal  contrario,  il  vostro  alto  valore. 

123.  Ma  ben  vi  giuro  per  gli  eterni  Dei, 
Che,  se  non  fosse  eh'  io  riguardo  a  ^uì, 
La  pubblica  ignominia  gli  farei, 

C'ir   io  soglio  fare  agli  altri  pari  u  lui: 

P<upetua  ri<(>rdanza  gli  darei, 

('ome  oguor  di  viltà  niiiiiro   fui. 

I\la  sappia,  se  iiiipiinito  se  ne  parte, 

Grado  a  voi,  che  '1  ineuaste  in  quc::>ta  porte. 

124.  Colui,  che  fu  di  tutti  i   \ì/.j  il  vaso, 
Ui.->pt>se:  Allo  ^ignor,  dir  non  sapria, 

(.'Ili  sia  costui;  eli'  io  1'  ho  trovato  a  caso, 
ì  (  iieinlo  d'   Aniioeliia  in  sulla   via. 
11  suo   beiiiliiaiite  in'  UNea  persuaso, 
(Ite  fo->se   tle^no  di  mia  compagnia; 
Che  intesa  non  n'  avea  prova,  né  vista, 
Se  non  quella,  clic  fece  oggi  assai  tri^ta: 

14 


[211] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XVR.  125- 135) 


125.      La  qual  mi  spiacque  si,  che  restò  poco, 
Clie,  per  punir  1'  estrema  sua  \iltade. 
jN'on  gli  facessi  allora  allora  un  gioco, 
Che  non  toccasse  più  lance,  né  spade. 
Ma  ebbi,  più  eh'  a  lui,  rispetto  al  loco, 
E  riverenza  a  vostra  maestade: 
Kè  per  me  voglio,  che  gli  sia  guadagno 
L'  essermi  stato  un  giorno  o  due  compagno: 

126.  Di  che  contaminato  anco  esser  panne; 
E  sopra  il  cor  mi  sarà  eterno  peso, 

Se,  con  vergogna  del  mestier  dell'  arme, 

Io  lo  vedr»)  da  voi  partire  illeso: 

E  meglio,  che  lasciarlo,  satisfarme 

Potrete,  se  sarà  da  un  merlo  impeso: 

E  fia  lodevol  opra  e  signorile. 

Perchè  sia  esempio  e  specchio  ad  ogni  vile. 

127.  Al  detto  suo  Martano  Origlile  ave, 
Senza  accennar,  confermatrice  presta. 
Kon  son,  rispose  il  re,  1'  opre  sì  prave, 

Ch'  al  mio  parer  v'  abbia  d'  andar  la  testa. 

Voglio,  per  pena  del  peccato  grave. 

Che  sol  rinnovi  al  popolo  la  festa. 

E  tosto  a  un  suo  baron,  che  fé'  venire, 

Impose,  quanto  avesse  ad  eseguire. 

128.  Quel  baron  molti  armati  seco  tolse. 
Ed  alla  porta  della  terra  scese, 

E  quivi  con  silenzio  li  raccolse, 

E  la  venuta  di  Grifone  attese; 

E  neir  entrar  sì  d'  improvviso  il  colse, 

Che  fra  i  duo  ponti  a  salvamento  il  prese, 

E  lo  ritenne,  con  beffe  e  con  scorno. 

In  ima  oscura  stanza  infin  al  giorno. 

129.  Il  sole  appena  avea  il  dorato  crine 
Tolto  di  grembo  alla  nutrice  antica, 
E  cominciava  dalle  piagge  alpine 

A  cacciar  1'  ombre,  e  far  la  cima  aprica, 
Quando,  temendo  il  vii  Martan,  eh'  alfine 
Grifone  ardito  la  sua  causa  dica, 
E  ritorni  la  colpa,  ond'  era  uscita, 
Tolse  licenza;  e  fece  indi  partita; 


130.      Trovando  idonea  scusa  al  prego  regio, 
Che  non  stia  allo  spettacolo  ordhiato. 
Altri  doni  gli  avea  fatto,  col  pregio 
Della  non  sua  vittoria,  il  signor  grato, 
E  sopra  tutto,  un  ampio  privilegio, 
Dov'  era  d'  alti  onori  al  sommo  ornato. 
Lasciamlo  andar  ;  eh'  io  vi  prometto  certo. 
Che  la  mercede  avrà,  secondo  il  mcrto. 

i  131.     Fu  Grifon  tratto  a  gran  v  ergogna  in  piazza. 
Quando  più  si  trovò  piena  di  gente. 
Gli  avean  levato  1'  elmo  e  la  corazza, 
E  lasciato  in  farsetto  assai  vilmente; 
E,  come  il  conducessero  alla  mazza, 
Posto  1'  avean  sopra  im  carro  eminente. 
Che  lento  lento  tiraAan  due  vacche. 
Da  lunga  fame  attenuate  e  fiacche. 

132.  Venian  d'  intorno  all'  ignobil  quadi-iga 
Vecchie  sfacciate,  e  disoneste  putte, 

Di  che  n'  era  una,  ed  ora  un'  altra  auriga, 
E  con  gran  biasmo  lo  mordeano  tutte. 
Lo  poneano  i  fanciulli  in  maggior  briga; 
Che,  oltre  le  parole  infami  e  brutte, 
1         L'  avrian  co'sassi  insino  a  morte  offeso. 
Se  dai  più  saggi  non  era  difeso. 

133.  L'  arme,  che  del  suo  male  erano  state 
I          Cagion,  che  di  lui  fèr  non  vero  iudicio, 

Dalla  coda  del  carro  strascinate, 

Patian  nel  fango  debito  supplicio. 

Le  ruote  innanzi  a  un  tribunal  fermate 

Gli  fero  udir  dell'  altrui  maleficio 

La  sua  ignominia,  eh'  in  su  gli  occhj  detta 

Gli  fu,  gridando  un  pubblico  trombetta. 

134.  Lo  levar  quindi,  e  lo  mostrar  per  tutto 
Dinanzi  a  templi,  ad  officine,  e  a  case, 
Dove  alcun  nome  scellerato  e  brutto, 
Che  non  gli  fosse  detto,  non  rimase. 
Fuor  della  terra  all'  ultimo  condutto 
Fu  dalla  turba,  che  si  persuase 
Bandirlo,  e  cacciare  indi  a  suon  di  busse. 
Non  conoscendo  ben,  chi  egli  si  fussc. 


135.     Sì  tosto  appena  gli  sferraro  i  piedi, 
E  liberargli  1'  una  e  l'  altra  mano, 
Che  tor  lo  scudo,  ed  impugnar  gli  vedi 
La  spada,  che  rigò  gran  pezzo  il  piano. 
Non  ebbe  contra  sé  lance,  né  spiedi; 
Che  senz'  arme  venia  il  popolo  insano. 
Neil'  altro  canto  differisco  il  resto; 
Che  tempo  è  ornai.  Signor,  di  finir  questo. 


:i3] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XVIll.    1-12) 


[214] 


CANTO    DECXMOTTAVO. 


ARGOMENTO. 

Rodomonte  esce  di  Parigi  fuore, 
E  va  là,  dove  lo  conduce  un  nano. 
Grifon  racquista  il  suo  perduto  onore, 
E  vien  punito  il  traditor  Martano. 
Uccide  DardincUo  ,  e  vincitore 
È  d'  Agramante  il  Sir  di  Montalbano. 
Marfisa  injesta  il  mare ,  e  H  bel  Medoro 
E  Cloridan  ne  portano  il  re  loro. 


1.  Magnanimo  Signore,  ogni  vostro  atto 
Ho  sempre  con  rtigion  laudato,  e  laudo, 
Benché  col  rozzo  stil,  duro  e  mal  atto 
Gran  parte  della  gloria  vi  defraudo  : 

Ma  più  dell'  altre  una  virtù  m'  ha   tratto, 
A  cui  col  core  e  con  la  lingua  applaudo; 
Che,  s'  ognun  trova  in  voi  ben  grata  udienza. 
Non  vi  trova  però  facil  credenza. 

2.  Spesso  in  difesa  del  hiasmato  assente 
Indur  vi  sento  una  ed  ini'  altra  scusa, 
O  riserbargli  almcn,  finché  presente 
Sua  causa  dica,  1'  altra  orecchia  chiusa, 
E  sempre,  primacliè  dannar  la  gente, 
Vederla  in  faccia,  e  udir  la  ragion  eh'  usa; 
Differire  anco  e  giorni,  e  mesi  ed  anni, 
Primachè  giudicar  negli  altrui  danni. 

8.     Se  jVorandino  il  simil  fatto  avesse. 
Fatto  a  Grifon  non  avria  quel,  che  fece. 
A  voi  utile  e  onor  sempre  successe; 
Denigrò  sua  fama  egli  più,  che  pece. 
Per  lui  sue  genti  a  morte  fiu(m  messe; 
Che  fé'  Grifone,  in  diece  tagli  e  in  diece 
Punte,  che  trasse  pien  d'  ira,  e  l)i///,arro, 
Che  trenta  ne  cascaro  appresso  al  carro. 

Van  gli  altri  in  rotta,  ove  il  timor  li  caccia, 
Chi  qua,  clii  là,  pc'  campi  e  per  le  strade, 
E  chi  d'  entrar  ncdla  città  procac-cia, 
E  r  un  snir  altro  nella  porta  cade. 
Grifon  non  fa  parole,  e  non  minaccia; 
Ma,  la>^ci;indo  lontana  ogni  pictade. 
Mena  tra  il  vulgo   incruM;  il  ferro  intorno, 
E  gran  vendetta  fa  d'  ogni  su(»  s<-,orno. 

5.      Di  quei,  che  primi  giuns«'ro  alla  porta, 
Che  le  piiinle  a  l(\arsi  ehhono  pronic. 
Parte,  al    hisoM^iio  suo  molto  più  accorta, 
Clu;  degli  iiiniii,  alzò  >uliito  il   ponte. 
Piangendo  parte,  e  con   la  faccia  smorta 
Fuggendo  andò,  senza  mai   \olf:^cr  fronte; 
E  nella  terra  per  tutte  le  bande 
Levò  grido  e  tumulto,  e  nniior  grande. 


6.  Grifon  gagliardo  duo  ne  piglia  in  quella. 
Che  '1  ponte  si  levò ,  per  lor  sciagura. 
Sparge  dell'  uno  al  campo  le  cervella, 
Che  lo  percuote  ad  una  cote  dura. 
Prende  1'  altro  nel  petto,  e  1'  arrandeila 

In  mezzo  alia  città  sopra  le  mura. 
Scorse  per  1'  ossa  ai  terrazzani  il  gelo. 
Quando  vider  colui  venir  dal  cielo, 

7.  Fur  molti,  che  temer,  che  '1  fier  Grifone 
Sopra  le  mura  avesse  preso  un  salto. 

]Non  vi  sarebbe  più  confusione, 

Se  a  Damasco  il  Soldan  desse  F  assalto. 

Un  mover  d'  arme,  un  correr  di  persone, 

E  di  talacimanni  un  giùdar  d'  alto, 

E  di  tamburi  un  suon  misto  e  di  trombe 

Il  mondo  assorda,  e  '1  cicl  par  ne  rirabombe. 

8.  3Ia  voglio  a  un'  altra  volta  differire 
A  ricontar  ciò,  che  di  questo  av\enne. 
Del  buon  re  Carlo  mi  convien  seguire, 
Che  contra  Rodomonte  in  fretta  venne. 
Il  qual  le  genti  gli  facea  morire. 

10  \'i  dissi,  eh'  al  re  compagnia  tenne 

11  gran  Danese,  e  Namo  ed  Oliviero, 

E  Avino ,  e  Avolio ,  e  Ottone ,  e  Berlinghiero. 

9.  Otto  scontri  di  lance,  che  da  forza 
Di  tali  otto  guerrier  cacciati  foro. 
Sostenne  a  un  tempo  la  scagliosa  scorza, 
Di  di'  area  armato  il  petto  il  crudo  Moro, 
Come  legno  si  drizza,  poiché  1'  orza 
Lenta  il  nocchier,  che  crescer  sente  il  coro  ; 
Così  presto  rizzossi  Rodouuinte 

Dai  colpi,  che  gittar  doveano  un  monte. 

10.  Guido ,  Ranier  ,  Riccardo  ,  Salanione, 
Ganellon  traditor,  Turpiii  fedele, 
Angiolieri,  Angiolino,  l  ghetto,  Ivone, 
Marco,   e  Matteo  dal  pian  di  san  Michele, 
E  gli  otto,  di  che  dianzi  tei  menzione, 
Son  tutti  intorno  al  S.iracin  crudele; 
Arimanno,  e  Odoardo  d*  InghilUrra, 

Ch'  entrati  eran  pur  dianzi  nella  terra. 

11.  Non  così  freme  in  sullo  scoglio  alpino 
Di  ben  fondata  rocca  alta  parete. 
Quando  il  furor  di  borea  o  di  g.irbino 
Svelle  dai  monti  il  frassino  e  1'  .ibcte, 
('omc  freni*'  d'  orgoglio  il  Saracino, 

Di  sdegno  acceso,  e  di  >angMÌgna  sete; 
E  come  a  un  t<'mpo  è  il  tuono  e  la  siictta, 
Così  r  ira  dell"  empio  e  la  \endetta. 

12.  l>Iena  alia  te.«(a  a  (pici ,  che  gli  è  più  presso. 
Cir  c,!;li  è  il  misero  l  ghetto  di  Dordon.i: 

Lo  |ioMc  in  tei-ra   iosìiio  ai  denti  l'c>so, 
('(imet'Iic  r  elmo  cr.i  di  (empia  buona, 
l'ercosso  III  (ulto  in  un  (eiii|io  anch'  osso 
Da  molti  colpi  in  tutta  la  persona; 
iMa  non  ^li  laii  più,  eli'  all'  incudc  Ingo, 
Sì  duro  intorno  hn  lo  scaglioso  drago. 

14  * 


[215] 


ORlìNDO  FURIOSO.    (XVIII.  1S-2S) 


[216] 


13.  Furo  tutti  i  ripar .  fu  la'ttade 
D'  intorno  intorno  abbandoi'*  tutta; 
Che  la  gente  alla  piazza,  di'. accade 
Maggior  bisogno,  Carlo  aTea^i""** 
Corre  alla  piazza  da  tutte  le  sF^ 
La  turba,  a  chi  il  fuggir  sì  poctri«a. 
La  persona  del  re  sì  i  cori  accende, 
Ch'  ognun  prend'   arme,  ognuno  aniniF^""* 

14.  Come  se  dentro  a  ben  rinchiusa  gabbia  I 
D'  antica  leonessa  usata  in  guerra,  j 
Perdi'  averne  piacere  il  popol  abbia, 
Talvolta  il  tauro  indomito  si  serra  ; 

I  leoncin,  che  veggion  per  la  sabbia 
Come  altero,  e  mugghiando  animoso  erra, 
E  veder  si  gran  corna  non  son  usi, 
Stanno  da  parte  timidi  e  confusi; 

15.  Ma  se  la  fiera  madre  a  quel  si  lancia, 
E  neir  orecchio  attacca  il  crudcl  dente. 
Vogliono  anch'  es^i  insanguinar  la  guancia, 
E  vengono  in  soccorso  arditamente; 

Chi  morde  al  tauro  il  dosso,  e  chi  la  pancia: 
Così  contra  il  pagan  fa  quella  gente. 
Da  tetti  e  da  finestre,  e  più  da  presso 
Sopra  gli  piove  un  nembo  d'  arme ,  e  spesso. 

16.  Dei  cavalieri  e  della  fanteria 
Tanta  è  la  calca,  eh'  appena  vi  cape. 
La  turba ,  che  vi  vien  per  ogni  via, 

V  abbonda  ad  ora  ad  or  spessa,  come  ape: 
Che  quando  disarmata  e  nuda  sia 
Più  facile  a  tagliar,  che  torsi  o  rape, 
Non  la  potria ,  legata  a  monte  a  monte. 
In  Tenti  giorni  spegner  Rodomonte. 

17.  Al  pagan ,  che  non  sa  ,  come  ne  possa 
Venire  a  capo ,  omai  quel  gioco  incresce 
Poco,  per  far  di  mille  o  di  più  rossa 
La  terra  intorno ,  il  popolo  discresce. 

Il  fiato  tuttavia  più  se  gì'  ingrossa 
Sicché  comprende  alfin,  che,  se  non  esce 
Or  eh'  ha  vigore ,  e  in  tutto  il  corpo  è  sano, 
Vorrà  da  tempo  uscir,  che  sarà  invano. 

18.  Rivolge  gli  occhj  orribili ,  e  pon  mente, 
Clie  d'  ogni  intorno  sta  chiusa  1'  uscita: 
Ma  con  ri'iina  d'  infinita  gente 

L'  aprirà  to.-to ,  e  la  farà  espedita. 

E<!co  vibrando  la  spada  tagliente, 

Clie  vien  qiicU'  empio,  ove  il  furor  Io  'nvita, 

Ad  assalire  il  nuovo  stuol  britanno. 

Che  vi  trasse  Odoardo  ed  Arimanno. 

19.  Clii  ha  visto  in  piazza  romjìere  steccato, 
A  cui  la  folta  turba  ondeggi  intorno. 
Immansueto  toro  accanoggialo, 
Stimolato  e  percosso  tiitto  il  giorno  ; 

Che  '1  popol  se  ne  fugge  spaventato. 
Ed  egli  or  questo,  or  quel  leva  sul  corno, 
P<nsi  che  tale,  o  più  terribil  fosse 
Il  crudele  African,  quando  si  mosse. 

20.  Quindici  o  venti  ne  tagliò  a  traverso, 
Altri  tanti  lasciò  del  capo  tronchi, 
Ciascun  d'  un  <:i>l|)o  sol  dritto  o  riverso; 
Che  ^ili,  o  salci  par  che  poti,  o  tronchi, 
Tutto  (li  KangHf  il  ficr  pagano  asperso, 
Lasciando  «N'ipi  feshi  e-  bracci  monchi, 

E  spalle,  V  gambe,  vA  altre  nu-uibra  sparte, 
Ovimque  il  passo  volga,  ulfin  si  parte. 


23 


21.      Della  piazza  si  vede  in  guisa  torre, 
Cile  non  si  può  notar,  eh'  abbia  paura: 
Ma  tuttavolta  col  pensier  discorre. 
Dove  sia  per  uscir  via  più  sicura. 
Capita  alfin,  dove  la  Senna  corre 
Sotto  all'  isola,  e  va  fuor  delle  mura. 
La  gente  d'  arme,  e  '1  popol  fatto  audace, 
Lo  stringe  e  incalza,  e  gir  noi  lascia  in  pace. 

22.      Qual  per  le  selve  nomadi  o  massile 
Cacciata  va  la  generosa  belva. 
Che  ancor  fuggendo  mostra  il  cor  gentile, 
E  minacciosa  e  lenta  si  riusciva  ;  _ 
"^al  Rodomonte ,  in  nessun  atto  vile,  | 

i"  '^«•ana  circondato  e  fiera  selva 
i;f  ^"^  e  di  spade,  e  di  volanti  dardi, 
ir,  ^.        fiume  a  passi  lunghi  e  tardi. 
Si  tira  al  . 

„    ,  '*e  e  più  r  ira  il  sospinse, 

E  SI  tre  voli,   fy^^,  vi  tornò  in  mezzo, 
Ch'  essendone  già  ,^^  ritinse, 
Ove  di  sangue  la  spa-..,|j  j^ezzo. 
E  più  di  cento  ne  levò  «ij^j^  vinse 
Ma  la  ragione  alfin  la  rau  andasse  il  lezzo, 
Dì  non  far  sì,  eh'  a  Dio  n   .jo^ijo 
E  dalla  ripa  per  miglior  con^^jj^  peri'^lio. 
Si  gittò  all'  acqua,  e  uscì  di' 

-^zzo  r  acque, 

24.  Con  tutte  l'  arme  andò  per  mjg 
Come  se  intorno  avesse  tante  ga.^cqi,e 
Africa ,  in  te  pari  a  costui  non  n,i;i)al!e. 
Benché  d'  Anteo  ti  vanti,  e  d'  An^^cquc 
Poiché  fu  giunto  a  proda ,  gli  disp 
Che  si  vide  restar  dopo  le  spalle 
Quella  città,  eh'  avea  trascorsa  tutta^. 
E  non  r  avea  tutta  arsa,  né  distrutt 

25.  E  sì  lo  rode  la  superbia  e  1'  ira,      a, 
Che  per  tornarvi  un'  altra  volta  guard 
E  di  profondo  cor  geme  e  sospira,         'rda. 
Né  vuoine  uscir ,  che  non  la  spiani  ed  a 
Ma  lungo  il  fiume  in  questa  furia  mirai. 
Venir  chi  1'  odio  estingue,  e  1'  ira  tardi» 
Chi  fosse,  io  vi  farò  bentosto  udire; 
Ma  prima  un'  altra  cosa  v'  ho  da  dire. 

26.  Io  v'  ho  da  dir  della  Discordia  altiera, 
A  cui  r  angcl  ^lichele  avea  commesso, 
Ch'  a  battaglia  accendesse  e  a  lite  fiera     !sso. 
Quei,  che  più  forti  avea  Agramante  appre 
Uscì  de'  frati  la  mcdesma  sera, 
Avendo  altrui  1'  ufficio  suo  commesso; 
Lasciò  la  Fraude  a  guerreggiar  il  loco, 
Finché  tornasse,  e  a  mantenervi  il  fuoco. 

27.  E  le  parve,  eh'  andria  con  più  possanza, 
Se  la  Superbia  ancor  seco  menasse; 
£  perchè  stavan  tutte  in  una  stanza, 
Non  fu  bisogno,  che  a  cercar  V  andasse. 
La  Superbia  v'  andò  ,  ma  non  che  senza 
La  sua  vicaria  il  monaster  lasciasse: 
Per  pochi  dì ,  che  credea  starne  assente. 
Lasciò  r  Ipocrisia  loc»)tenente. 

28.  L'  iuiplacabil  Discordia  in  compagnia 
Della  Superbia  si  mise  in  cauuuino, 
E  ritrovò,  che  la  mcilesma  via 
Facea,  per  gire  al  campo  Saracino, 
L'  afflitta  e  sconsolata  Gelosia;  i 
E  venia  seco  un  nano  pirciolino,                         \ 
II  qual  mandava  Doralice  bella 
AI  re  di  Sarza  a  dar  di  sé  novella. 


21Ì] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XVIII.   29—44) 


[218] 


29.  Quando  ella  venne  a  Mandricardo  in  mano 
(Ch'  io  v'  ho  già  raccontato ,  e  come ,  e  dove), 
Tacitamente  avea  commesso  al  nano, 

Che  ne  portasse  a  questo  re  le  nove. 
Ella  sperò ,  che  noi  saprebbe  invano, 
Ma  che  far  si  vedria  mirabil  prove, 
Per  riaverla ,  con  crudel  vendetta, 
Da  quel  ladron  ,  che  gliel'  avea  intercetta. 

30.  La  Gelosia  quel  nano  avea  trovato, 
E  la  cagion  del  suo  a  enir  compresa. 
A  camminar  se  gli  era  messa  allato, 
Parendole  aver  luogo  a  questa  impresa. 
Alla  Discordia  ritrovar  fu  grato 

La  Gelosia  ;  ma  più ,  quando  ebbe  intesa 
La  cagion  del  venir  ;  che  le  potca 
Molto  valere  in  quel,  che  far  volea. 

31.  D'  inimicar  con  Rodomonte  il  figlio 
Del  re  Agrican ,  le  pare  aver  suggetto. 
Troverà  a  sdegnar  gli  altri  altro  consiglio  ; 
A  sdegnar  questi  duo  questo  è  perfetto. 
Col  nano  se  ne  vien,  dove  1'  artiglio 
Del  ller  pagano  avea  Parigi  astretto  ; 
E  capitaro  a  un  punto  in  sulla  riva, 
Quando  il  crudel  del  fiume  a  nuoto  usciva. 

32.  Tostochè  riconobbe  Rodomonte, 
Costui  della  sua  donna  esser  messaggio, 
Estinse  ogn'  ira ,  e  serenò  la  fronte, 
E  si  sentì  brillar  dentro  il  coraggio. 
Ogn'  altra  cosa  aspetta  che  gli  conte, 
Primachè  alcuno  abbia  a  lei  fatto  oltraggio. 
Va  contra  il  nano,  e  lieto  gli  domanda: 
Ch'  è  della  donna  nostra .''  ove  ti  manda  ? 

33.  Rispose  il  nano  :  Né  più  tua ,  né  mia 
Donna  dirò  quella,  eh'  è  serva  altrui. 
Ieri  scontrammo  un  cavalicr  per  via, 
Che  ne  la  tolse,  e  la  menò  cim  lui. 
A  quello  annunzio  entrò  la  Gelosia 
Fredda ,  come  aspe ,  ed  abbracciò  costui. 
Seguita  il  nano,  enarragli,   in  che  guisa 
Un  sol  r  ha  presa ,  e  la  sua  gente  uccisa. 

ìi,     L'  acciajo  allora  la  Dis(;ordia  prese, 
E  la  pietra  focaja ,  e  picchiò  un  poco, 
E  r  esca  sotto  la  Superbia  stese, 
E  fu  attaccato  in  un  momento  il  foco; 
E  sì  di  questo  l'  anima  s'  accese 
Del  Saracin ,  che  non  trovava  loco. 
Sospira  e  freme  con  sì  orribil  faccia, 
Che  gli  elementi  e  tutto  il  ciel  minaccia. 

3S.      Come  la  tigre  ,  poiché  invan  discendo 
Nel  voto  albergo,  e  per  tutto  s'  aggira, 
E  i  cari  figli  all'  ultimo  comprende 
Esserle  tolti ,  avvampa  di  tant'  ira, 
A  tanta  rabbia,  a  tal  furor  s'  estende. 
Che  né  a  monte ,  né  a  rio ,  nò  a  notte  mira. 
Né  lunga  via,  nò  grandine  raflVena 
L'  odio,  che  dietro  al  prcdator  la  mena: 

86.       Così  fiirendn  il  Saracin  bizzarro 

Si  volge  al  nano ,  e  dice  :  Or  là  t'invia  ! 

E  n<m  UNpetta  né  destrier ,  né  <arro, 

E  non  fa  motto  alla  sua  compagnia. 

Va  con  più  fretta,  «;lie  non  va  il  ramarro. 

Quando  il  «icl  arde,  u  traversar  la  via! 

Destrier  non  lia;  ma  il  primo  for  <iiscgna. 

Sia  di  clii  vuol ,  che  ad  incontrar  lo  vegna. 


37.  La  Discordia ,  eh'  udì  questo  pensiero, 
Gur.rdò  ridendo  la  Superbia  ,  e  disse, 
Che  volea  gire  a  trovare  un  destriero. 
Che  gli  apportasse  altre  contese  e  risse, 
E  far  volea  sgombrar  tutto  il  sentiero, 

Ch'  altro  che  quello  in  man  non  gli  venisse  ; 
E  già  pensato  avea ,  dove  trovarlo  : 
Ma  costei  lascio ,  e  torno  a  dir  di  Carlo. 

38.  Poich'  al  partir  del  Saracin  si  estinse 
Carlo  d'  intorno  il  periglioso  fuoco, 
Tutte  le  genti  all'  ordine  restrinse. 
Lascionne  parte  in  qualche  debilloco; 
Addosso  il  resto  ai  Saracini  spinse, 

Per  dar  lor  scacco ,  e  guadagnarsi  il  gioco  ; 
E  li  mandò  per  ogni  porta  fuore. 
Da  san  Germano  ,  mfm  a  san  Vittore  ; 

39.  E  comandò ,  eh'  a  porta  san  Marcello, 
Dov'  era  gran  spianata  di  campagna, 
Aspettasse  1'  un  l'  altro,  e  in  un  drappello 
Si  ragunasse  tutta  la  compagna. 
Quindi ,  animando  ognuno  a  far  macello 
Tal ,  che  sempre  ricordo  ne  rimagna. 

Ai  lor  ordini  andar  fé'  le  bandiere, 
E  di  battaglia  dar  segno  alle  schiere. 

40.  Il  re  Agramante  in  questo  mezzo  in  sella, 
Malgrado  dei  Cristian  ,  rimesso  s'  era, 

E  con  r  innamorato  d'  Isabella 
Facea  battaglia  perigliosa  e  fiera. 
Col  re  Sobrin  Lurcanio  si  martella. 
Rinaldo  incontra  avea  tutta  ima  schiera, 
E  con  virtude  e  con  fortuna  molta 
L'  urta,  r  apre,  mina,  e  mette  in  volta. 

41.  Essendo  la  battaglia  in  questo  stato, 
L'  imperadore  assalse  il  retroguardo. 
Dal  canto,  ove  Marsilio  avea  fermato 

Il  fior  di  Spagna  intorno  al  suo  stendardo. 
Con  fanti  in  mezzo,  e  cavalieri  allato, 
Re  Carlo  spinse  il  suo  popol  gagliardo. 
Con  tal  rumor  di  timpani  e  di  trombe. 
Che  tutto  il  mondo  par  che  ne  rimbombe. 

42.  Cominciavan  le  schiere  a  ritirarse 
De'  Saracini ,  e  si  sarebbon  volte 
Tutte  a  fuggir  spezzate ,  rotte  e  sparse, 
Per  mai  più  non  potere  esser  raccolte  ; 
Ma  '1  re  Grand<niio ,  e  F'alsiron  comparse, 
Che  stati  in  maggior  briga  eran  più  volte, 
EBalugante,  e  Serpentin  feroce, 

E  Ferraù,  che  lor  dicea  a  gran  voce: 

43.  Ah,  dicea,  valentuomini,  ah  compagni. 
Ali  fratelli,  tenete  il  luogo  vostro! 

I  nimici  faranno  opra  di  ragni. 
Se  non  manchiamo  noi  del  dover  nostro. 
Guardate  V  alto  onor,  gli  anipj  guadagni. 
Che  Fortuna,  vincendo,  oggi  ci  ha  mostro! 
Guardate  la  vergogna  e  'I  daiuio  estremo, 
Ch'  essendo  vinti ,  a  patir  sempre  avremo! 

44.  Tolto  in  quel  tempo  una  gran  lancia  avea, 
E  contra  Herlingliicr  venne   di  bolt»), 

Che  sopra  1'  Argalilla  ronihattea, 
E  r  elmo  nella  fronte  gli  a\ea  rotto, 
(ìittollo  in  terra  ,   e  con  la  spada  rea 
Appresso  a  lui  ne  fé'  cader  forse  (ttto. 
Per  ogni  botta  almanco,   che  disserra, 
Cader  fa  sempre  un  ca^aliero  in  terra. 


[219] 


ORLANDO   FURIOSO.     ( XVIII.  45  - 60 ) 


[220] 


45.  In  altra  parte  ucciso  arca  Rinaldo 
Tanti  pagan ,  eh'  io  non  potrei  contarli. 
Dinanzi  a  lui  non  stava  ordine  saldo  ; 
Vedreste  piazza  in  tntto  il  campo  darli. 

Non  nicn  Zerbin,  non  nien  Lurcanio  è  caldo: 
Per  modo  fan ,  eh'  og-nnn  sempre  ne  parli. 
Questo  di  punta  avea  Balastro  ucciso, 
E  quello  a  Finadur  1'  elmo  diviso. 

46.  L'  esercito  d'  Alzerhe  avea  il  primiero, 
Che  poco  innanzi  aver  solca  Tardocco. 
L'  altro  tenea  sopra  le  squadre  impero 
Di  Zamoro ,  e  di  Saffi ,  e  di  Marocco. 
Non  è  tra  gli  Africani  un  cavaliero, 
Che  di  lancia  ferir  sappia,  o  di  stocco? 
Mi  si  potrebbe  dir  :  ma  passo  passo 
Nessun  di  gloria  degno  addietro  lasso. 

47.  Del  re  della  Zumara  non  si  scorda 
Il  nobil  Dardinel ,  figlio  d'  Almonte, 
Che  con  la  lancia  Ul)erto  da  Mirforda, 
Claudio  dal  Bosco,  Elio,  e  Dulfin  dal  Monte, 
E  con  la  spada  Anselmo  da  Stanforda, 

E  da  Londra  Raimondo ,  e  Pinaraonte 

Getta  per  terra,  ed  erano  pur  forti. 

Duo  storditi ,  un  piagato ,  e  quattro  morti. 

48.  Ma  con  tutto  '1  v.ilor ,  che  di  sé  mostra, 
Non  può  tener  sì  ferma  la  sua  gente, 

Sì  ferma ,  che  aspettar  voglia  la  nostra, 
Di  numero  minor,  ma  più  valente. 
Ha  più  ragion  di  ppada ,  e  più  di  giostra, 
E  d'  ogni  cosa  a  guerra  appartenente. 
Fugge  la  gente  maura,  e  di  Zumara, 
Di  Setta,  di  Marocco,  e  di  Canara. 

49.  Ria  più  degli  altri  fuggon  quei  d'  Alzerhe: 
A  cui  si  oppose  il  nobil  giovinetto. 

Ed  or  con  pricghi ,  or  con  parole  acerbe 
Ridur  lor  cerca  1'  animo  nel  petto. 
Se  Almonte  meritò ,  che  in  voi  si  serbe 
Di  lui  memoria ,  or  ne  vedrò  1'  efl'etto. 

10  vedrò,  dicea  lor,  se  me,  suo  figlio, 
Lasciar  vorrete  in  così  gran  periglio. 

50.  State  ,  vi  priego  per  mia  verde  etade. 
In  cui  solete  aver  sì  larga  speme  ! 

Deh!  non  vogliate  andar  per  fil  di  spade. 

Che  in  Africa  non  torni  ili  noi  seme! 

Per  tutto  ne  saran  chiuse  le  strade, 

Se  non  andiam  raccolti,  e  stretti  insieme; 

Troppo  alto  muro  e  troppo  larga  fossa 

E  il  monte  e  '1  mar,  priache  tornar  si  possa. 

51.  Molto  è  meglio  morir  qui ,  eh'  ai  supplici 
Darsi ,  e  alla  discrezion  di  questi  cani. 
State  saldi,  per  Dio,  fedeli  amici! 

Che  tutti  son  gli  altri  rimedj  vani. 

Nou  han  di  noi  più  vita  gì'  inimici, 

Più  d'   un'  alma  non  han  ,  più  di  due  mani. 

Cosi  dicendo  il  giovinc^tto  forte. 

Al  conte  d'  Ottonici  diede  la  morte. 

52.  Il  rimembrare  Almonte  così  accese 
Ij'  esen  ito  afriian  ,   cIk;  foggia  prima, 
Che  le  liriuciii  e  le  uiani  in  sue  difese 
Meglio,  «Ile  rivoltar  le  spalle,  estima. 
(»ugli(-lMio  (111  IJiiniii  11  erii  un  Inglese 
Maggior  di  tutti,  e  Diirditiello  il  cima, 

E  lo  pareggia  agli  altri,  e  appresso  taglia 

11  capo  ad  Aramon  di  Cornovaglia. 


53.  Morto  cadea  questo  Aramone  a  valle, 
E  v'  accorse  il  fratel,  per  dargli  ajuto; 
Ma  Dardinel  1'  aperse  per  le  spalle, 
Fin  giù ,  dove  lo  stomaco  è  forcuto. 
Poi  forò  il  ventre  a  Bogio  da  Vergalle, 
E  lo  mandò  del  debito  assoluto  : 

Avea  promesso  alla  moglier  fra  sei 
Mesi,  vivendo,  di  tornare  a  lei. 

54.  Vide  non  lungi  Dardinel  gagliai-do 
Venir  Lurcanio,  eh'  avea  in  terra  messo 
Dorchin  passato  nella  gola,  e  Gardo 
Per  mezzo  il  capo  infin  ai  denti  fesso  ; 
E  eh'  Alteo  fuggir  volse ,  ma  fu  tardo  ; 
Alteo ,  eh'  amò  quanto  il  suo  core  istesso  ; 
Che  dietro  alla  collottola  gli  mise 

Il  fier  Lurcanio  un  colpo  ,  che  1'  uccise. 

55.  Piglia  una  lancia,  e  va  per  far  vendetta, 
Dicendo  al  suo  Macon  (se  udir  lo  puote) 
Che,  se  morto  Lurcanio  in  terra  getta. 
Nella  moschea  ne  porrà  l'  arme  vote. 

Poi ,  traversando  la  campagna  in  fretta, 
Con  tanta  forza  il  fianco  gli  percuote. 
Che  tutto  il  passa  fin  all'  altra  banda. 
Ed  ai  suoi ,  che  lo  spoglino  ,  comanda. 

56.  Non  è  da  domandarmi,  se  dolere 
Se  ne  dovesse  Ariodante  il  frate, 
Se  desiasse  di  sua  man  potere 

Por  Dardinel  fra  l'  anime  dannate. 
Ma  noi  lascian  le  genti  adito  avere. 
Non  men  delle  infedel  le  battezzate. 
Vorria  pur  vendicarsi,  e  con  la  spada 
Di  qua  di  là  spianando  va  la  strada. 

57.  L' rta ,  apre ,  caccia ,  atterra ,  taglia  e  fende 
Qualunque  lo  'rapedisce ,  o  gli  contrasta  ; 

E  Dardinel ,  che  quel  desire  intende, 

A  volerlo  saziar  già  non  sovrasta  ; 

Ma  la  gran  moltitudine  contende 

Con  questo  ancora ,  e  i  suoi  disegni  guasta. 

Se  i  Mori  uccide  l'  un ,  l'  altro  non  manco 

Gli  Scotti  uccide,  e  'l  campo  inglese  e  '1  franco 

58.  Fortuna  sempre  mai  la  via  lor  tolse. 
Che  per  tutto  quel  dì  non  s'  accozzare. 
A  più  famosa  man  serbar  1'  un  volse  ; 
Che  r  uomo  il  suo  destin  fugge  di  raro. 
Ecco  Rinaldo  a  questa  strada  volse. 
Perchè  alla  vita  d'  un  non  sia  riparo. 
Ecco  Rinaldo  vien;  Fortunali  guida, 
Per  dargli  onor ,  che  Dardiuello  uccida. 

59.  IMa  sia  per  questa  volta  dotto  assai 
Dei  gloriosi  fatti  di  Ponente! 

Tempo  è  eh'  io  torni ,  ove  Grifon  lasciai. 
Che  tutto  d'  ira  e  di  disdegno  ardente 
Faeea ,  con  più  timor ,  che  avesse  mai, 
Tumultuar  la  sbigottita  gente. 
Re  Norandino  a  quel  rumor  eorso  era 
Con  più  di  mille  armati  in  una  schiera. 

60.  Re  Norandin  con  la  sua  corte  armata 
Vedendo  tutto  '1  popolo  fuggire, 
Venne  alla  porta  in  battaglia  ordinata, 
E  quella  ìvac  alla  sua  giunta  aprire. 
Grifone  intanto  avendo  già  cacciata 
Da  sé  la  turba  seiiuu'a,  e  senza  ardire, 
La  spre/./.ata  armatura  in  sua  difesa 
(Qual  ella  fosse)  avea  di  nuovo  presa; 


221] 


ORLANDO  FURIOSO.  (XVIII. 


61 


iCì) 


[222] 


CI.     E  presso  a  un  tempio  ben  murato  e  forte, 
Clie  circondato  era  d'  un'  alta  fossa, 
In  capo  un  ponticel  si  fece  forte. 
Perchè  chiuderlo  in  mezzo  alcun  non  possa. 
Ecco  gridando  e  minacciando  forte 
Fuor  della  porta  esce  una  squadra  grossa. 
L'  animoso  Grifon  non  muta  loco, 
£  fa  sembiante ,  che  ne  tema  poco. 

62.  E  poich'  avvicinar  questo  drappello 
Si  vide,  andò  a  trovarlo  in  sulla  strada, 
E  molta  strage  fattane  e  macello, 

(Che  menava  a  due  man  sempre  la  spada) 
Ricorso  avea  allo  stretto  ponticello  : 
E  quindi  li  tenea  non  troppo  a  bada: 
Di  nuovo  usciva,  e  di  nuovo  tornava, 
E  sempre  orribil  segno  vi  lasciava. 

63.  Quando  di  dritto,  e  quando  di  riverso, 
Getta  or  pedoni ,  or  cavalieri  in  terra  ; 
11  popol  contra  lui  tutto  converso 

Più  e  più  sempre  inaspera  la  guerra. 

Teme  Grifone  alfin  restar  sommerso, 

Sì  cresce  il  mar,  che  d'  ogni  intorno  il  serra; 

E  nella  spalla  e  nella  coscia  manca 

£  già  ferito ,  e  pur  la  lena  manca. 

64.  Ma  la  virtù ,  eh'  a'  suoi  spesso  soccorre, 
Gli  fa  appo  Norandin  trovar  perdono. 
Il  re,  mentre  al  tumulto  in  dubbio  corre, 
Vede  ,  che  morti  già  tanti  ne  sono. 
Vede  le  piaghe,  che  di  man  d'  Ettorre 
Pareano  uscite  ;  un  testimonio  buono, 
Che  dianzi  esso  avea  fatto  indegnamente 
Vergogna  a  un  cavalier  molto  eccellente. 

Poi ,  come  gli  è  più  presso  ,  e  vede  in  fronte 
Quel,  che  la  gente  a  morte  gli  ha  condutta, 
£  fattosene  avanti  orribil  monte, 
E  di  quel  sangue  il  fosso  e  1'  acqua  brutta; 
Gli  è  avviso  di  veder  proprio  sul  ponte 
Orazio  sol  contra  Toscana  tutta: 
£  per  suo  onore,  e  perchè  glicn'  increbbe, 
Ritrasse  i  suoi ,  né  gran  fatica  v'  ebbe. 

36.     Ed  alzando  la  man  nuda  e  senz'  arme, 
Antico  segno  di  tregua  o  di  pace. 
Disse  a  Grifon  :  Non  so,  se  non  chiamarmc 
D'  avere  il  torto,  e  dir,  che  mi  dispiace; 
Ma  il  mio  poco  giudicio,  e  lo  instigarme 
Altrui ,  cadere  in  tanto  crror  mi  face. 
Quel ,  elle  di  fare  io  mi  credea  al  più  vile 
Gucrrier  del  mondo  ,  ho  fatto  al  più  gentile. 

i7.     £,  sebbene  ali'  ingiuria  ed  a  quel!'  onta, 
Ch'  oggi  fatta  ti  fu  per  ignoranza, 
L'  onor ,  clic  ti  fai  qui ,  s'  adegna  e  sconta, 
O  (per  più  vero  dir)  supera  e  avanza; 
La  satisfazion  ci  sarà  pronta 
A  tutto  mio  sapere,  o  mia  ]iossanza, 
Quando  io  conosc^a  di  poter  far  quella 
Per  oro,  per  cittadi,  o  per  castella. 

i8.      Chiedimi  la  metà  di  questo  regno, 
CIi'  io  Hon  per  fartene  oggi  possessore 
Che  r  alta  tua  virtù  non  ti  fa  degno 
Di  qucHt«>  sol,  ma  «h'  io  ti  doni  il  core; 
£  la  tua  mano  in  que^lo  m«'zzo ,  pegno 
Di  fé,  mi  domi,  e  di  perpetuo  amore  ! 
Cohì  dicendo  da  cavallo  scchc, 
E  ver  Grifon  lu  destra  mano  stese. 


69.  Grifon ,  vedendo  il  re  fatto  benigno 
Venirgli  per  gittar  le  braccia  al  collo, 
Lasciò  la  spada  e  1'  animo  maligno, 

E  sotto  r  anche ,  ed  umile  abbracciollo. 
Lo  vide  il  re  di  due  piaghe  sanguigno, 
E  tosto  fé'  venir  chi  medicollo. 
Indi  portar  nella  cittade  adagio, 
E  riposar  nel  suo  real  palagio  ;^ 

70.  Dove  ,  ferito ,  alquanti  giorni ,  innante 
Che  si  potesse  armar,  fece  soggiorno. 
Ma  lascio  lui:  thè  al  suo  frate  Aquilante 
Ed  ad  Astolfo  in  Palestina  torno, 

Che  di  Grifon,  poiché  lasciò  le  sante 
Mura,  cercare  lian  fatto  più  d'  un  giorno 
In  tutti  i  lochi  in  Solima  devoti, 
£  in  molti  ancor  dalla  città  remoti. 

71.  Or  né  V  uno  ,  né  1'  altro  é  si  indovino, 
Che  di  Grifon  possa  saper  che  sia  ; 

Ma  venne  lor  quel  greco  peregrino, 
IVcl  ragionare,  a  caso  a  darne  spia. 
Dicendo  ,  eh'  Origlile  avea  il  cammino 
Vex'so  Antiochia  preso  di  Soria, 
D'  un  nuovo  drudo  ,  eh'  era  di  quel  loco. 
Di  subito  arsa ,  e  d'  improvviso  fuoco. 

72.  Dimandogli  Aquilante,  se  di  questo 
Così  notizia  avea  data  a  Grifone  : 

E ,  come  1'  affermò ,  s'  avvisò  il  resto, 
Perché  fosse  partito  ,  e  la  cagione. 
Ch'  Origlile  ha  seguito ,  é  manifesto. 
In  Antiochia,  con  intenzione 
Di  levarla  di  man  del  suo  rivale 
Con  gran  vendetta  e  memorabil  male. 

73.  Non  tollerò  Aquilante,  che  "1  fratello 
Solo ,  e  senz'  esso  a  quell'  impresa  andasse, 
E  prese  1'  arme,  e  venne  dietro  a  quello: 
Ma  prima  pregò  il  duca,  che  tardasse 

L'  andata  in  Francia  ed  al  paterno  ostello, 
Finch'  esso  d'  Antiochia  ritornasse. 
Scende  al  Zaffo,  e  s'  imbarca;  che  gli  pare 
E  più  breve ,  e  miglior  la  via  del  mare. 

74.  Ebbe  un  ostro  scilocco  allor  possente 
Tanto  nel  mare,  e  sì  per  lui  disposto, 
Che  la  terra  del  Surro  il  dì  seguente 
Vide,   e  Saffetto,  un  dopo  l'  altro  tosto. 
Passa  Baratti  e  1  Zibeletto ,  e  sente. 
Che  da  man  manca  gli  è  Cipro  discosto. 
A  Tortosa  di  Tripoli,   e  alla  Lizza, 

E  al  golfo  di  Lajazzo  il  cammin  drizza. 

75.  Quindi  a  Levante  fé'  il  nocchier  la  fronte 
Del  naviglio  voltar  snello  e  veloce, 

Ed  a  sorger  n'  andò  sopra  l"  Orontc, 
E  colse  il  tempo ,  e  ne  pigliò  la  for«. 
Gittar  fece  Aquilante  in  terra  il  ponte, 
£  n'  uscì  armato  sul  dotrier  feroce, 
£  contra  il  fiume  il  ciimiiiin  dritto  tcimc. 
Tanto ,  che  in  Antiochia  se  ne  venne. 

76.  Di  quel  ciarlano  ivi  ebbe  ad  informarsc. 
Ed  udì  ,   die  a  Damasco  se  n'  era  ilo 

(;«ni  Origille,  o^e  una  gio.>.tia  farse 
Dovea  solenne,  e  per  reale  in\ilo. 
'l'auto  d'  andargli  dietro  il  de.-ir  1'  ai>e, 
(Vrfo  ,  che   1  ^U(»  german  1'  abbia  seguito. 
Che  d'  Antiochia  anco  quel  dì  si  tolle  : 
Mu  giù  per  mar  più  ritornar  non  volle. 


[223] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XVIIl.  '?7— 92) 


[224] 


77.  Verso  Lidia  e  Larissa  il  camniìn  piega  : 
Resta  più  sopra  Aleppc  ricca  e  piena. 

Dio,  per  mostrar,  eh'  ancor  di  qua  non  niega 
IMerccde  al  bene,  ed  al  contrario  pena, 
Slartano  appresso  a  !\Iamiiga  una  lega 
Ad  incontrar?i  in  Aquilante  mena. 
Hklartano  si  facea  con  bella  mostra 
Portare  innanzi  il  pregio  della  giostra- 

78.  Pensò  Aquilante,  al  primo  comparire, 
Clie  '1  vii  Martano  il  suo  fratello  fosse; 
Che  r  ingannaron  1'  arme ,  e  quel  vestire 
Candido  più  ,  che  nevi  ancor  non  mosse  ; 
E  con  queir  Oh ,  che  d'  allegrezza  dire 
Si  suole,  incominciò:  ma  poi  cangiosse 
Tosto  dì  faccia  e  di  parlar ,  eh'  appresso 
S'  aA-AÌde  meglio,  che  non  era  desso. 

79.  Dubitò  che  ,  per  fraude  di  colei, 

Ch'  era  con  lui ,  Grifon  gli  avesse  ucciso. 
E  dimmi ,  gli  gridò  ,  tu  eh'  esser  dei 
Un  ladro  e  un  traditor ,  come  n'  hai  viso. 
Onde  hai  quest'  arme  avute  .-^  onde  ti  sei 
Sul  buon  de?trier  del  mio  fratello  assiso  ? 
Dimmi,  se  '1  mio  fratello  è  morto  o  vivo, 
Come  dell"  arme  e  del  destrier  V  hai  privo? 

80.  Quando  Origlile  udì  1'  irata  voce, 
Addietro  il  palafren  per  fuggir  volse; 
Ma  di  lei  fu  Aquilante  più  veloce, 

E  feccia  fermar,  volse,  o  non  volse. 
Martano ,  al  minacciar  tanto  feroce 
Del  cavalier,  che  si  improvviso  il  colse, 
Pallido  trema,  come  al  vento  fronda, 
]Nè  sa  quel,  che  si  faccia,  o  che  risponda. 

81.  Grida  Aquilante,  e  fulminar  non  resta, 
E  la  spada  gli  pon  dritto  alla  strozza, 

E  giurando  minaccia ,  che  la  testa 

Ad  Origille  e  a  lui  rimarrà  mozza, 

Se  tutto  il  fatto  non  gli  manifesta. 

Il  mal  giunto  Martano  alquanto  ingozza, 

E  tra  sé  volve,  se  può  sminuire 

Sua  grave  colpa;  e  poi  comincia  a  dire: 

82.  Sappi ,  signor ,  che  mia  sorella  è  questa, 
Kata  di  buona  e  virtuosa  gente, 

Benché  tenuta  in  vita  di^ionesta 

L'  abbia  Grifone  obbrobriosamente  : 

E  tale  infamia  essendomi  molesta, 

]Nè  per  forza  sentendomi  possente 

Di  torla  a  sì  grand'  uom ,  feci  disegno 

D'  averla  per  astuzia  e  per  ingegno. 

83.  Tenni  modo  con  lei ,  eh'  avea  desire 
Di  ritornare  a  più  lodala  vita, 

Che,  essendosi  Grifon  messo  a  dormire, 
Chetamente  da  lui  fesse  partita. 
Così  fec'  ella;  e  perdi'  egli  a  seguire 
Non  n'  abbia,  ed  a  turbar  la  tela  ordita, 
]\oi  lo  liisciamiiio  disarmato  e  a  piedi, 
E  qua  venuti  siam,  come  tu  vedi. 

84.  Potea>i  dar  di  somma  astuzia  vanto: 
Che  colui  facilmente  gli  crcjdea, 

E,  fuor  «he    II  torgli  arme  e  destriero,  c  qnanto 

Tenesse  di  (cibili,  non  gli  nocca, 

Se  non  vulca  pulir  sua  scusa  tanto, 

Clic  la  facesse  di  incnzofrnii  rea. 

Buona  era  ogni  altra  parte,  se  non  quella 

Che  la  fvmuunu  u  lui  fosse  sorella. 


85.     Avea  Aquilante  in  Antiochia  inteso 
Essergli  concubina ,  da  più  genti  ; 
Onde  gridando  di  furore  acceso: 
Falsissimo  ladron ,  tu  te  ne  menti  ; 
Un  pugno  gli  tirò  di  tanto  peso, 
Che  nella  gola  gli  cacciò  due  denti, 
E  senza  più  contesa  ambe  le  braccia 
Gli  volge  dietro ,  e  d'  una  fune  allaccia. 

88.      E  parimente  fece  ad  Origille, 

Benché  in  sua  scusa  ella  dicesse  assai. 
Quindi  li  trasse  per  casali  e  ville, 
Ké  li  lasciò  fin  a  Damasco  mai  ; 
E  delle  miglia  mille  volte  mille 
Tratti  gli  avrebbe  con  pene  e  con  guai, 
Finch'  avesse  trovato  il  suo  fratello. 
Per  farne  poi ,  come  piacesse  a  quello. 

87.  Fece  Aquilante  lor  scudieri  e  some 
Seco  tornare ,  ed  in  Damasco  venne, 
E  trovò  di  Grifon  celebre  il  nome 
Per  tutta  la  città  batter  le  penne. 
Piccioli  e  grandi,  ognun  sapea  già,  come 
Egli  era ,  che  sì  ben  corse  1'  antenne. 

Ed  a  cui  tolto  fu,  con  falsa  mostra, 
Dal  compagno  la  gloria  della  giostra. 

88.  Il  popol  tutto  al  vii  Martano  infesto, 
L'  uno  all'  altro  additandolo ,  lo  scopre. 
Non  è ,  dicean ,  non  è  il  ribaldo  questo. 
Che  si  fa  laude  con  1'  altrui  buone  opre  ? 
E  la  virtù  di  chi  non  è  ben  desto. 

Con  la  sua  infamia  e  col  suo  obbrobrio  copre  ? 

Kon  è  r  ingrata  femmina  costei. 

La  qual  tradisce  i  buoni,  e  ajuta  i  rei? 

89.  Altri  dicean:  Come  stan  bene  insieme. 
Segnati  ambi  d'  un  marchio  e  d'  una  razza! 
Chi  li  bestemmia,  chi  lor  dietro  freme. 

Chi  grida:  Impicca,  abbrucia,  squarta,  ammazza 
La  turba  per  veder  s'  urta ,  e  si  preme, 
E  corre  innanzi  alle  strade ,  alla  piazza. 
1  enne  la  nuoAa  al  re ,  che  mostrò  segno 
D'  averla  cara  più ,  che  un  altro  regno. 

90.  Senza  molti  scudier  dietro  o  davante, 
Come  si  ritrovò ,  si  mosse  in  fretta, 
E  venne  ad  incontrarsi  in  Aquilante, 
Che  avea  del  suo  Grifon  fatto  vendetta; 
E  quello  onora  con  gentil  sembiante, 
Seco  r  invita  e  seco  lo  ricetta, 
Di  suo  consenso  avendo  fatto  porre 
I  duo  prigioni  in  fondo  d'  una  torre. 

91.  Andaro  insieme,  ove  del  letto  mosso 
Grifon  non  s'  era,  poiché  fu  ferito; 
Che,  vedendo  il  fratel,  divenne  rosso: 
Che  bea  stimò,  eh'  avea  il  suo  caso  udito. 
E ,  poiché  motteggiando  un  poco  addosso 
Gli  andò  Aquilante ,  misero  a  partito 
Di  dare  a  quelli  duo  giusto  martcu'o, 
Acanti  in  man  degli  avvci'sarj  loro. 

92.  'iuole  Aquilante,  vuole  il  re,  che  mille 
Slra/j  ne  sieno  fatti;  ma  Grifone, 
P(M(;liè   non  osa  dir  sol  d'  Origlile, 
Air  un<»  e  air  altro  vuoi,  che  si  perdono. 
Disse  assai  cose,   e  mollo  bene  ordille; 
Fogli  risposto.     Or,  per  conclusione, 
I>lartano  é  disegnalo  in  mano  al  boja, 
Clr  abbia  a  scoparlo,  e  non  però  che  moja. 


;225] 


ORLANDO  FURIOSO,     (XVIII.  93-108) 


93 


94 


95. 


9G. 


97. 


98. 


100. 


Legar  Io  fanno,  e  non  tra'  fiori  e  l'  erba, 
E  por  tutto  scopar  1'  altra  mattina. 
Origlile  cattiva  si  riserba 
l'incbc  ritorni  la  bella  Lucina, 
Al  cui  saggio  parere,  o  lieve,  o  acerba, 
Kinietton  quei  signor  la  disciplina. 
Quivi  stette  Aqnìlante  a  ricrearsi 
Fincbè  '1  fratcl  fu  sano ,  e  potè  armarsi. 

Re  Norandin,  che  temperato  e  saggio 
Divenuto  era,  dopo  un  tanto  errore, 
Non  potea  non  aver  sempre  il  coraggio 
Di  penitenza  pieno  e  di  dolore, 
D'  aver  fatto  a  colui  danno  ed  oltraggio, 
Che  degno  di  mercede  era,  e  d'  onore; 
Sicché  di  e  notte  avca  il  pensiero  intento, 
Per  farlo  rimaner  di  sé  contento: 

E  statuì,  nel  pubblico  cospetto 
Della  città  di  tanta  ingiuria  rea, 
Con  quella  maggior  gloria ,  che  a  perfetto 
Cavalicr  per  un  re  dar  si  potea, 
Di  rendergli  quel  premio,  che  intercetto 
Con  tanto  inganno  il  traditor  gli  avea  : 
E  per  ciò  fé"   bandir  per  quel  paese. 
Che  farla  un'  altra  giostra  indi  ad  un  mese. 

Di  che  apparecchio  fa  tanto  solenne. 
Quanto  a  pompa  rcal  possibil  sia. 
Onde  la  fama  con  veloci  penne 
Portò  la  nuova  per  tutta  Soria, 
Ed  in  Fenicia   e  in  Palestina  venne, 
E  tanto,  che  ad  Astolfo  ne  die  spia, 
Il  qual  col  viceré  deliberossc, 
Che  quella  giostra  senza  lor  non  fosse. 

Per  guerrier  valoroso  e  di  gran  nome  ' 
La  vera  istoria  Simsonetto  vanta. 
Gli  die  battesmo  Orlando,  e  Carlo,  come 
V  ho  detto,  a  governar  la  terra  santa. 
Astolfo  con  costui  levò  le  some, 
Per  ritrovarsi,  ove  la  fama  canta, 
Sicché  d'  intorno  n'  ha  pi<'na  ogni  orecchia. 
Che  in  Damasco  la  giostra  s'  apparecchia. 

Or  cavalcando  per  quelle  contrade 
Con  non  lunghi  viaggi,  agiati  e  lenti. 
Per  ritrovarsi  fresclii  alla  cittadc 
Poi  di  Damasco  il  dì  de'  torniamenti, 
Scontraro,  in  una  croce  di  due  strade, 
Persona ,  che  al  vestire  e  a'  movimenti 
Avea  sembianza  d'   uomo ,  e  femmin'  era, 
Nelle  battaglie  a  maraviglia  fiera. 

La  vergine  Marfisa  si  nomava. 
Di  tal  valor,  che  con  la  spada  in  mano 
Fece  più  volte  al  gran  signor  di  Krava 
Sudar  la  fronte,  e  a  quel  di  Montalbano; 
E  '1  dì  e  la  notte  armata  sempre  andava 
Di  qua,  di  là  cercando  in  monte  e  in  piano 
Con  cavalieri  erranti  riscontrarsi, 
Ed   imnu)rtale  e  gloriosa  farsi. 

Coni'  ella  vide  Astolfo  e  Sansonetto, 
Che  appresso  le  veiiian  con  1'  anno  indosso, 
Prodi  guerrier  le  parvero  all'  aspetto, 
Ch'  erano  amhedue  grandi,  e  di  bnttn  osso; 
E,  perchè  di  provarsi  avria  diletlo, 
Per  isfidarlì  a>ea  il  destrier  già  mosso, 
Qmmdo,  affissando  1'  occhio  più  vicino, 
Conosciuto  ebbe  il  duca  paladino. 


[228] 


101.  Della  piacevolezza  le  sowenne 

Del  cavalier,  quando  al  Calai  seco  era, 
E  lo  chiamò  per  nome ,  e  non  si  tenne 
La  man  nel  guanto  ,  e  alzossi  la  visiera, 
E  con  gran  festa  ad  abbracciar  lo  venne, 
Comechè  sopra  ogn'  altra  fosse  altiera. 
Non  men  dall'  altra  parte  riverente 
Fu  il  paladino  alla  donna  eccellente. 

102.  Tra  lor  si  domandaron  di  lor  via; 
E  poich'  Astolfo ,  che  prima  rispose, 
Narrò,  come  a  Damasco  se  ne  già, 
Dove  le  genti  in  arme  valorose 
Avea  invitato  il  re  della  Soria, 

A  dimostrar  lor  opre  virtuose: 

MarCsa,  semjìre  a  far  gran  pruove  acoesa. 

Voglio  esser  con  voi,  disse,  a  questa  impresa. 

103.  Sommamente  ebbe  Astolfo  grata  quc^(a 
Compagna  d'  arme,  e  così  Sansonetto. 
Furo  a  Damasco  il  di  innanzi  la  festa, 

E  di  fuora  nel  borgo  ebbon  ricetto; 
E  sin  all'  ora,  che  dal  sonno  desta 
L'  Aurora  il  vecchiarel  già  suo  diletto, 
Quivi  si  riposar  con  maggior  agio, 
Che  se  smontati  fossero  al  palagio. 

104.  E  poiché  il  nuovo  sol  lucido  e  chiaro 
Per  tutto  sparsi  ebl)e  i  fulgenti  raggi. 

La  bella  donna  e  i  duo  guerrier  s'  ai'maro, 
Mandato  avendo  alla  città  messaggi, 
(/he,  come  tempo  fu.  lor  rapportare, 
Che  per  veder  spezziir  frassini  e  faggi, 
Re  IVorandino  era  venuto  al  loco, 
Ch'  avea  costituito  al  fiero  gioco. 

105.  Senza  più  indugio  alla  città  ne  vanno, 
E  per  la  via  maestra  alla  gran  piazza. 
Dove,  a>pettando  il  real  segno,  stanno 
Quinci  e  quindi  1  guerrier  di  buona  razza. 
I  premj ,  che  quel  giorno  si  daranno 

A  chi  vince,  è  uno  stocco  ed  una  mazza, 
Guerniti  riccamente ,  e  un  destrier ,  quale 
Sia  convenevol  dono  a  un  signor  tale. 

lOG.      Avendo  Norandin  fermo  nel  core, 

Che ,  come  il  primo  pregio  ,  il  secondo  anco, 
E   d'  ambedue  le  giostre  il  sommo   onore 
Si  debba  guadagnar  Grifone  il  bianco; 
Per  dargli  tutto  quel,  eh'  uoni  di  valore 
Dovrebbe  aver,  né  dcbbe  far  con  manco. 
Posto  con  r  arme  in  questo  ultimo  pregio 
Ila  stocco  e  mazza,  e  de^trier  molto  egregio. 

107.  L'  arme  ,  che  nella  giostra  fatta  dianzi 
Si  doveano  a  Gril'on  ,  che  "I  tutto  vinse, 
E  che  usurpate  avea  con  tristi  avanzi 
Martano ,  che  Grifone  esser  ci  finse, 
Quivi  si  fece  il  re  pendere  innanzi, 

E  il  ben  guernito  stocco  a  quelle  cinse, 
E  la  mazza  all'  nrcion  del  dcslrier  messe, 
Perchè  Grifon  1'  un  pregio  e   l'  altro  avesse. 

108.  ìMa  che  sua  intenzione  avesse  efTetto, 
\  ietò  quella  magnanima  guerriera, 
('he  con   A.-tnllo  e  col  buon  Sansonetto 
In  pia/za  niio\amfn(e  venuta  era. 

('ostei ,  vedendo  1'  arme,  eh'   io  v'  ho  detto. 
Subito  n'  ebb«'  conoscenza  vera  ; 
Perocché  già  sue  furo,  e  1'  ebbe  rare, 
Quanto  si  suol  le  cose  ottime  e  rare  ; 

15 


[227] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XVIII.  109-124) 


[228] 


109. 


110. 


111. 


113. 


Benché  1'  avea  lasciate  in  sulla  strada 
A  quella  volta,  che  le  fur  d'  impaccio. 
Quando ,  per  riaver  sua  buona  spada, 
Correa  dietro  a  Brunel  dep;no  di  laccio. 
Questa  istoria  non  credo  che  m'  accada 
Altramente  narrar ,  però  la  taccio  :^ 
Da  me  vi  basti  intendere,  a  che  guisa 
Quivi  trovasse  I'  arme  sue  Marfìsa. 

Intenderete  ancor ,  che ,  come  1'  ebbe 
Riconosciute  a  manifeste  note, 
Per  altro ,  che  sia  al  mondo ,  non  le  avrebbe 
Lasciate  un  di  di  sua  persona  vote. 
Se  più  tenere  un  modo  ,   o  un  altro  debbe 
Per  raccjuistarle,  ella  pensar  non  puote; 
Ma  se  gli  accosta  a  un  tratto ,  e  la  man  stende, 
E  senz'  altro  rispetto  se  le  prende. 

E  per  la  fretta,  eh'  ella  n'  ebbe,  avvenne 
Ch'  altre  ne  prese,  altre  raandonne  in  terra. 
Il  re,  che  troppo  offeso  se  ne  tenne. 
Con  uno  sguardo  sol  le  mosse  guerra; 
Che  '1  popol ,  che  1'  ingiuria  non  sostenne. 
Per  vendicarlo,  e  lance  e  spade  afferra, 
Kon  l'amracntando  ciò,  che  i  giorni  innanti 
Nocque  il  dar  noja  ai  cavalieri  erranti. 

Né  fra  vermigli  fiori ,  azzurri  e  gialli, 
A'ago  fanciullo  alla  stagion  novella, 
]Nè  mai  si  ritrovò  fra  suoni  e  balli 
Più  volentieri  ornata  donna  e  bella. 
Che  fra  stre])ito  d'  arme  e  di  cavalli, 
E  fra  punte  di  lance  e  di  quadrclla, 
Dove  si  sparga  sangue ,  e  si  dia  morte, 
Costei  si  trovi,  oltre  ogni  creder  forte. 

Spinge  il  cavallo,  e  nella  turba  sciocca 
Con  r  asta  bassa  impetuosa  fere, 
E  chi  nel  collo,  e  chi  nel  petto  imbrocca, 
E  fa  con  1'  urto  or  questo,  or  quel  cadere. 
Poi  con  la  spada  uno  ed  un  Jiltro  tocca, 
E  fa  qual  senza  capo  rimanere, 
E  qual  con  rotto ,  e  qual  passato  al  fianco, 
E  qual  del  braccio  privo ,  o  destro ,  o  manco. 

114.      L'  ardito  Astolfo  e  '1  forte  Sansonetto, 

Ch'  avean  con  lei  vestita  e  piastra  e  maglia, 
Benché  non  venner  già  per  tal  effetto. 
Pur,  vedendo  attaccata  la  battaglia, 
Abbassan  la  visiera  dell'  elmetto, 
E  poi  la  lancia  per  quella  canaglia; 
Ed  indi  van  con  la  tagliente  spada 
Di  qua  di  là ,  facendosi  far  strada. 

I  cavalier  di  naziim  diverse, 
Cir  erano  per  giostrar  quivi  ridutti, 
Vedendo  1'  arme  in  tal  furor  (onverse, 
E  gii  aspettati  giochi  in  gravi  lutti, 
Cile  la  ciigion  eli'  avesse;  di  dobu'sc 
lia  plebe  irata,  non  sapeano  tutti, 
IVè  che  al  re  tanta  ingiuria  fosse  fatta, 
Stavan  con  dubiiia  mente,  e  stupefatta: 

Di  che  altri  a  favorir  la  turba  venne, 
C'Iic  tardi  poi  n(ui  se  ne  fu  a  p(;ntire; 
Altri ,  a  cui  la  città  più  non  attenne, 
Clic  gli  ^trani(•ri ,  ar<<ir»e  a  dipartire; 
Altri,  più  maggio,  in  man  la  hriglia  tenne, 
ÌMirandit,  doNd  quc>to  avesse  a  uscire. 
Di  quelli  fu  (iriloiu;,   «d  Aquilaiite, 
Che  per  vendicar  l  arme  andaro  innante. 


113 


115. 


IH). 


117.  Essi ,  vedendo  il  re ,  che  di  veneno 
Avea  le  luci  inebriate  e  rosse, 

Ed  essendo  da  molti  istrutti  appieno 
Della  cagion,  che  la  discordia  mosse, 
E  parendo  a  Grifon,  che  sua  non  meno, 
Che  del  re  Norandin,  1'  ingiuria  fosse; 
S'  avean  le  lance  fatte  dar  con  fretta, 
E  venian  fulminando  alla  vendetta. 

118.  Astolfo,  d'  altra  parte  ,  Rabicano 
Venia  spronando  a  tutti  gli  altri  innante, 
Con  i'  incantata  lancia  d'  oro  in  mano, 
Che  al  fiero  scontro  abbatte  ogni  giostrante. 
Feri  con  essa,  e  lasciò  steso  al  piano 
Prima  Grifone,  e  poi  trovò  Aquilaute, 

E  dello  scudo  toccò  1'  orlo  appena. 
Che  lo  gettò  riverso  in  sull'  arena. 

119.  I  ca^  alier  di  pregio  e  di  gran  pruova 
Votan  le  selle  iiuianzi  a  Sansonetto. 

L'  uscita  della  piazza  il  popol  trova. 
Il  re  n'  arrabbia  d'  ira  e  di  dispetto. 
Con  la  i)rima  corazza  e  con  la  nuova 
Marfisa  intanto ,  e  V  uno  e  1'  altro  elmetto, 
Poiché  si  vide  a  tutti  dare  il  tergo, 
Vincitrice  venia  verso  1'  albergo. 

120.  Astolfo  e  Sansonetto  non  fur  lenti 
A  seguitarla,  e  seco  a  ritornarsi 
Verso  la  porta  (che  tutte  le  genti 

Le  davan  loco)  ,  ed  al  rastrel  fermarsi. 
Aquilaute  e  Grifon ,  troppo  dolenti 
Di  vedersi  a  un  incontro  riversarsi, 
Tenean  per  gran  vergogna  il  capo  chino, 
]\é  ardian  venire  innanzi  a  IVorcUidino. 

121.  Presi  e  montati  eh'  hanno  i  lor  cavalli. 
Spronano  dietro  agi'  inimici  in  fretta. 

Lì  segue  il  re  con  molti  suoi  vassalli. 
Tutti  pronti  o  alla  morte ,  o  alla  vendetta. 
La  sciocca  turba  grida:  Dalli,   dalli; 
E  sta  lontana,  e  le  novelle  aspetta. 
Grifone  arriva,  ove  volgean  la  fronte 
1  tre  compagni ,  ed  avean  preso  il  ponte. 

122.  A  prima  giunta  Astolfo  raffigura, 
I          Che  avea  quelle  medesime  divise, 

I  Avea  il  cavallo,  avea  quell' armatura, 

Cli'  ebbe  dal  di,   che  Orril  fatale  uccise. 
ISé  miratol ,  né  posto  gli  avea  cura, 
Quando  in  piazza  a  giostrar  seco  si  mise. 
Quivi  il  conoblte,  e  salutollo,  e  poi 
Gli  domandò  delli  compagni  suoi  ; 

123.  E  perché  tratto  avean  quell'  arme  a  terra. 
Portando  al  re  si  poca  riverenza. 

De'  suoi  compagni  il  duca  d'  Inghilterra 
Diede  a  Grifon  non  falsa  conoscenza. 
D(!ir  arme,  eh'  attaccata  avean  la  guerra. 
Disse,  (;lie  non  n'  avea  troppa  scienza: 
Ma,  perché  con  Marfisa  era  venuto, 
Dar  le  volea  con  Sansonetto  ajutu> 

124.  Quivi  c(ui  Grifon  stando  il  paladino, 
Viene;  Aquilaute,  e  lo  <;onosce  tosto, 
('Ile  parlar  col  fratel  T  ode  vicino, 

E  il  voler  cangia,   eh'  era  mal  ilispostn. 
Giuiigcan  moki  di  (pici  di  INOrandiiio, 
Ma  troppo  non  ardiaii   venire  ac(;ostu; 
E  tanto  più,    veiicndi»  i  |>arlam(;iiti. 
Stavano  cheti ,  e  per  udire  intenti. 


229] 


ORLANDO   FURIOSO.    (XVUI.  125-140) 


123.     Alcun,  che  intende  quivi  esser  Marfisa, 
Che  tiene   al  mondo  il  vanto  in  esser  forte, 
Volta  il  cavallo,  e  Norandino  avvisa. 
Che ,  s'  oggi  non  vuol  perder  la  sua  corte, 
Proveggìa,  priniachè  sia  tutta  uccisa. 
Di  man  trarla  a  Tisiifone  e  alla  morte; 
Perchè  Marfisa  veramente  è  stata, 
Che  r  armatura  in  piazza  gli  ha  levata. 

L'iO.      Come  il  re  Norandin  ode  quel  nome 
Cosi  temuto  per  tutto  Levante, 
Che  facea  a  molti  anco  arricciar  le  chiome. 
Benché  spesso  da  lor  fosse  distiinte; 
E  certo,  che  ne  debbia  venir,  come 
Dice  quel  suo,  se  non    pro'Jcde  innante. 
Però  li  suoi,  che  già  mutata  l'  ira 
Hanno  in  timore,  a  sé  richiama  e  tira. 

i27.     Dall'  altra  parte ,  i  figli  d'  Oliviero 
Con  Sansonctto  e  col  figliuol  d'  Ottone 
Supplicando  a  Marfisa,  tanto  fero. 
Che  si  die'  fine  alla  crudcl  tenzone. 
Marfisa,  giunta  al  re,  con  viso  altero 
Disse:  Io  non  so,  signor,  con  che  ragione 
Vogli  quest'  arme  dar,  che  tue  non  sono. 
Al  vincitor  delle  tue  giostre  in  dono. 

.28.      Mie  son  quest'  arme,  e  'n  mezzo  della  via. 
Che  vien  d'  Armenia,  un  giorno  le  lasciai, 
Perchè  seguire  a  più  mi  convenia 
Un  rubator,  che  m'  avea  offesa  assai. 
E  la  mia  insegna  testimon  ne  fia. 
Che  qui  si  vede,  se  notizia  n'  liaì. 
E  la  mostrò  con  la  corazza  impressa, 
Ch'  era  in  tre  parti  una  corona  fessiu 

.29.      Gli  è  ver ,  rispose  il  re ,  che  mi  fur  date, 
Son  pochi  dì,  da  un  mercatante  armeno: 
E  ,  se  voi  me  l'  aveste  domandate, 
L'  avreste  avute,  o  vostre,  o  no  die  sieno: 
Che,  a^vengach'  a  Cìrifon  già  1'  ho  donate, 
Ho  tanta  fede  in  lui ,  che  nondimeno, 
Per<;hè  a  voi  darle  avcsfi  anche  potuto, 
Volentieri  il  mio  don  m'  avria  renduto. 

30.      Non  bisogna  allegar,  per  farmi  fede. 
Che  vostre  si«!n,  «;hc  tengan  vostra  insegna; 
Basti  il  dirmelo  voi;  che  vi  ^i  crede 
Più,  eli'  a  qual  altro  testimonio  vegna. 
Che  vostr*;  sian  vostr'  arme ,  si  concede 
Alla  \irtii  dì  maggior  premio  degna. 
Or  ve  r  alibiate,  e  più  non  si  contenda; 
E  Grifon  maggior  premio  da  me  prenda! 

131.  Grifon,  «he  poco  a  core  av(!a  quell'  arme, 
Ma  gran  di»io ,  che  'l  re  si  satisfaccia, 
Gli  dis^e:  Assai  potete  couipciisarme, 
Se  mi  fate  sap<;r,  eli'  io  ^i  compiaccia. 
Tra  sé  dist-e  i>Iarfi>a:  esser  qui  parmc 
li'  onor  mio  in  tutto.     1]  <-on  benigna  faccia 
A  olle;  a  (ìril'oii  dell'  arnu;  esser  cortese, 
E  iinaluiente  in  tlon  da  Ini  le  prese. 

132.  Nella  città  con  pace  e  <:on  amore 
Tornaro,  o\e  U:  fott;  raddoppiarsi. 
Poi   la  giostra  si   le',  di   die  i    onore 
E  'I  pregio  a  Sansoiielto  lece  darsi: 
('he  Astolfo  V  i  duo  fratelli,  e  la  migliore 
Di   lor,    Marfi>a  ,  non   \olsou  |)ro\arsi; 
('ercando,  couu;  amici  v  buon  compagni, 
Che  Sansonctto  il  pregio  ne  guatlagni. 


[230] 


133.  Stati  che  sono  in  gran  piacere  e  in  festa 
Con  Norandino  otto  giornate  o  dicce. 
Perchè  1'  amor  di  J'rancia  li  molesta. 

Che  lasciar  senza  lor  tanto  non  lece, 
Tolgon  licenzia  ;  e  ■Marfisa ,  che  questa 
Via  disiava,  coni[)agnia  lor  fece. 
Marfisa  avuto  avea  lungo  desire 
Al  paragon  de'  paladin  venire, 

134.  E  far  esperienza,  se  1'  effetto 
Si  pareggiava  a  tanta  nominanza. 
Lascia  un  altro  in  suo  loco  Sansonctto, 
Che  di  Gerusalcm  regga  la  stanza. 

Or  questi  cinque  in  un  drappello  eletto, 
Che  pochi  pari  al  mondo  han  di  possansa. 
Licenziati  dal  re  Norandino, 
"\  anno  a  Tripoli ,  e  al  mar ,  che  v'  è  vicino. 

135.  E  quivi  una  caracca  ritrovaro, 
Che  per  ponente  mercanzie  raguna. 
Per  loro  e  pe'  cavalli  s'  accordare 

Con  un  vecchio  padron,  eh'  era  da  Luna. 
Mostrava  d'  ogni  intorno  il  tempo  chiaro, 
Ch'  avrian  per  molti  di  buona  fortuna. 
Sciolser  dal  lito,  avendo  iu-ia  serena, 
E  di  buon  vento  ogni  lor  vela  piena. 

136.  L'  isola  sacra  all'  amorosa  Dea 
Diede  lor  sotto  un'  aria  il  primo  porto, 
Cile,  non  eh'  a  offender  gli  uomini  sia  rea. 
Ma  stempra  il  ferro ,  e  quivi  è  il  v  iver  corto. 
Cagion  n'  è  un  stagno ,  e  certo  non  dovea 
Natura  a  Famagosta  far  quel  torto, 

D'  appressarle  Costanza  acre  e  maligna, 
Quando  al  resto  di  Cipro  è  sì  benigna. 

137.  Il  grave  odor,  che  la  palude  esala. 
Non  lascia  al  legno  far  troppe»  soggiorno. 
Quindi  a  un  greco  levante  spiegò  ogni  ala. 
Volando  da  man  destra  a  Cipro  intorno, 

E  surse  a  Pafo ,  e  pose  in  terra  scala, 
E  i  naviganti  usiùr  nel  lito  adorno, 
Chi  per  mercé  levar,  chi  per  vedere 
La  terra  d'  amor  piena  e  di  piacere. 

138.  Dal  mar  sei  miglia  o  sette ,  a  poco  a  poco 
Si  va  salendo  in  verso  il  colle  ameno. 
Mirti  e  cedri,  e  naranci ,  e  lauri  il  loco, 

E  mille  altri  soavi  arbori  han  pieno. 
Serpillo  e  persa,  e  rose ,  e  gigli ,  e  croco 
Spargcui  dall'  odorifero  terreno 
l'anta  soavità ,  che  in  mar  sentire 
La  fa  ogni  vento ,  che  da  terra  spire. 

139.  Da  limpida  fontana  t(itt<i  quella 
Piaggia  rigando  va  un  ruscd  fecondo. 
Ben  si  può  dir,  che  sia  di  \ Ciurr  bella 
Il  luogo  diletlevoh^  e  giocondo; 

Che  v'   è  ogni  donna  allatto,  ogni   donzella 
Pia(-e\ol  più,  eh'  altrove  sia  nel  uu)ndo, 
K  fa  la  l)ea,  che  tutte  arduo  d'  amore, 
Gio>ani  e  vecchie  inlino  all'  ultime  ore. 

140.  Qui\i  tidono  il  uu-ile>ÌMio,  che  udito 
Di   iiucina  e  ddl'  orco  li.unio  in  Soria, 
y.  ci>me  dì  tornare  ella  a  marito 
Facea  nuo\o  apparecchio  in   \icosia. 
Quinili  il  padroni;  (essendosi  e>pedito, 
V.  spiranilo  buon    vento  alla  sua  >ìa) 
li'  luicore  sarpa ,  e  fa  girar  la  proda 
Aersu  ponente,  ed  ugni  vela  «nodu. 

15  * 


[231] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XVIII.  141  —  150) 


[2321 


141.  Al  vento  di  niac.>tro  alzò  la  nave  ;149> 
Le  vele  all'  orza,  ed  allargossi  in  alto.  : 

In  ponente  lìbecchio,  «-lie  j^oave  i 
Parve  a  inincipio,  e  finché  '1  sol  stette  alto. 

E  poi  si  fé'  verso  la  sera  j;^rav<\  ! 

Le  leva  incontra  il  mar  con   fiero  a^^salt(»,  [ 

Con  tanti  tnoni  e  tanto  ardor  (ii   lampi,  \ 

Che  par  che  '1  del  si  spezzi  e  tutto  avvampi.  ' 

142.  Stcndon  le  r.iiJ)i   un  tenebroso  velo,  150. 
Che  né  sole  apparir  lascia ,  né  stella.                       | 

Di  sotto  il  mar ,  di  sopra  nnigge  il  cielo,  j 

Il  vento  d'  ogni  intorno ,  e  la  jiroreìla,  ( 

Che  di  pioggia  oscnris>inia  e  di  gelo  | 

I  naviganti  miseri  flagella:  | 

E  la  notte  più  sempre  si  dilTonde  I 

Sopra  r  irate  e  formidabil  onde.  j 

143.  I  naviganti  a  dimostrare  effetto  151. 
Vanno  dell'  arte,  in  che  lodati  sono:                        1 
Chi  discorre  fischiando  col  fraschetto,                      | 

E  quanto  han  gli  altri  a  far,  niostr.i  col  suono    ■ 
Chi  r  ancore  apparecchia  da  rispetto, 
E  chi  a  mainare,  e  chi  alla  scotta  é  buono;        j 
Chi  'I  timone,  chi  1'  arbore  assicura,  ! 

Chi  la  coperta  di  sgombrare  ha  cura. 

144.  Crebbe  il  tempo  crudel  tutta  la  notte  152. 
Caliginosa  e  più  scura ,  che  inferno. 
Tien  per  l'  alto  il  padrone,  ove  men  rotte 
Crede  1'  onde  trovar,  dritto  il  governo, 
E  volta  ad  ora  ad  or  contra  le  botte 
Del  mar  la  proda,  e  dell'  orribil  verno; 
Non  senza  speme  mai ,  che ,  come  aggiorni, 
Cessi  Fortuna,  o  più  placabil  tornì. 

145.  Non  cessa ,  e  non  si  placa ,  e  più  furore 
Mostra  nel  giorno;  se  pur  giorno  é  questo,  j 
Che  si  conosce  al  numerar  dell'  ore, 

Non  che  per  lume  già  sia  manifesto.  ! 

Or  con  minor  speranza,  e  più  timore 
Si  dà  in  poter  del  vento  il  padron  mesto  :  | 

Volta  la  poppa  all'  onde,  e  il  mar  crudele 
Scorrendo  se  ne  va  con  umll  vele. 

14G.      Mentre  Fortuna  in  mar  questi  travaglia,  154. 

ÌVon  lascia  anco  posar  quegli  altri  in  terra,  j 

Che  sono  in  Francia,  ove  s'  uccide  e  taglia         [ 
Co'  Saracini  il  popol  d'  Inghilterra. 
Quivi  Rinaldo  assale,  apre  e  sbaraglia  j 

Le  schiere  avverse,  e  le  bandiere  attei-ra. 
Di-ssi  di  lui ,  che  'l  suo  destrier  Bajardo  i 

Mosso  avca  contra  Dardinel  gagliardo.  ! 

147.  Vide  Rinaldo  il  segno  del  «juartiero,  155. 
Di  che  superbo  era  il  figlinol  d'  Almonte; 

E  lo  stimò  gagliardo  e  buon  guerriero,  | 

(Jhc  concorrer  d'  insegna  ardia  col  conte.  i 

A  enne  più  appresso,  e  gli  parca  più  vero;  j 

('he  avea  d'  intorno  uomini  uccisi  a  monte.  , 

Meglio  é,  gridò,  che  prima  io  svella  e  spenga  'f 

Que^to  mal  germe,  che  maggior  divenga.  ' 

148.  Dovunque  il  viso  drizza  il  paladino,  1156. 
liCvaKi  ognuno,  e  gli  dà  larga  strada.  | 

>é   men  sgombra  il  Fedel,  che  '1  Saracino;  ' 

Si  riverita  è  la  famosa  spada!  ' 

Rinaldo ,  fuorché  Dardinel  meschino,  ' 

Non  vede  alcinio ,  e  lui  seguir  n(m  bada, 
(irida:  Fanciullo,  gran  briga  ti  diede 
Chi  ti  lii8<-iò  di  qucbto  scudo  crede. 


153 


Vengo  a  te  per  provar,  se  tu  m'  attendi, 
Come  ben  guardi  il  quartier  rosso  e  bianco  ; 
Che  s'  ora  contra  me  non  lo  difendi. 
Difender  contra  Oliando  il  potrai  inanro. 
Risposv?  Dardinello:  Or  chiaro  apprendi, 
Che,  s'  il)  lo  porto,  il  so  difender  anco; 
E  guadagnar  più  onor,  che  briga  posso 
Del  paterno  quartier  candido  e  rosso. 

Perché  fanciullo  io  sia,  non  creder  farnie 
Però  fuggire,  o  che  '1  quartier  ti  dia! 
La  vita  mi  torrai ,  se  mi  toi  1'  arme  : 
Ma  spero  in  Dio,  eh'  anzi  iì  contrario  fia. 
Sia  quel  che  vuol ,  non  potrà  alnm  biasmarme 
Che  mai  traligni  alla  progenie  mia. 
Così  dicendo ,  con  la  spada  in  mano 
Assalse  il  civalier  da  Montalbano. 

Un  timor  freddo  tutto  '1  sangue  oppresse, 
Che  gli  Africani  aveano  intorno  al  core, 
Come  viiier  Rinaldo,  che  si  messe 
Con  tanta  ralibia  incontra  a  quel  signore. 
Con  quanta  andria  un  leon,  eh'  al  prato  avesse 
Visto  un  torci,  che  ancor  non  senta  amore, 
il  primo  che  ferì,  fu  il  Saracino; 
Ma  picchiò  invan  suli'  elmo  di  Mambrino. 

Rise  Rinaldo,  e  disse:  Io  vo'  ta  senta, 
S'  io  so  meglio  di  te  trovar  la  vena. 
Sprona,  e  a  un  tempo  al  destrier  la  briglia  allenta. 
E  d'  una  punta  con  tal  forza  mena, 
D'  una  punta ,  eh'  al  petto  gli  appresenta, 
Che  gli  la  fa  a])parir  dietro  alla  schiena. 
Questa  trasse,  al  tornar,  l'  alma  col  sangue; 
Di  sella  il  corpo  uscì  freddo  ed  esangue. 

Come  purpureo  fior  languendo  more, 
Che  '1  vomere  al  passar  tagliato  lassa; 
O  come ,  carco  di  soa  erchio  umore. 
Il  papaver  nell'  orto  il  capo  abbassa: 
Così ,  giù  della  faccia  ogni  colore 
Cadendo ,  Dardinel  di  vita  passa. 
Passa  di  vita,  e  fa  passar  con  luì 
L'  ardire  e  la  virtù  di  tutti  i  sui. 

Qual  soglion  '1  acque  per  umano  ingegno 
Stare  ingorgate  alcuna  volta  ,  e  chiuse. 
Che,  quando  lor  vien  poi  rotto  il  sostegno, 
Cascano,  e  van  con  gran  rumor  diffuse: 
Tal  gli  African,  che  avean  qualche  ritegno, 
Mentre  virtù  lor  Dardinello  infuse, 
Ne  Aanno  or  sparti  in  questa  parte  e  in  quella 
Che  r  han  veduto  uscir  morto  di  sella. 

Chi  vuol  fuggir,  Rinaldo  fuggir  lassa, 
Ed  attende  a  cacciar  chi  vuol  star  saldo. 
Si  cade  ovtmque  Ariodantc  passa, 
Che  molto  va  qtiel  dì  presso  a  Rinaldo. 
Altri  Lionctto,  altri  Zerbin  fracassa, 
A  gara  ognuno  a  far  gran  pruo^e  caldo. 
Carlo  fa  il  suo  dover,  lo  fa  Oliviero, 
Turpino  e  Guido,  e  Salomone  e  Uggiero. 

I  Mori  fur  quel  giorno  in  gran  periglio, 
Che  'n  Pagania  non  ne  tornasse  testa. 
Ma  'I  saggio  re  di  Spagna  dà  di  piglio, 
E  se  ne  va  <-on  quel ,  clu;  in  man  gli  resta. 
Restar»!  in  ilanno  tien  miglior  consiglio, 
(;iic  tutti   i  dcnar  perdere  e  la  vesta. 
Meglio  é  ritrarsi  e  salvar  qualche  schiera. 
Clic,  stando,  esser  cugiun,  eho  '1  tutto  pera. 


iS 


i 


"233] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XVIII.   157-172) 


[234] 


ir^T,      Verso  gli  alloggiamenti  i  segni  invia, 
Ch'  eran  serrati  d'  argine  e  di  fosisa, 
Con  Stordilan ,  eoi  re  d'  Andologia, 
Col  Portughe»e  in  una  squadra  grossa. 
Manda  a  pregare  il  re  di  Barbarla, 
Che  si  cerchi  rìtrar  meglio  che  possa; 
E,  se  quei  giorno  la  persona  e  '1  loco 
Potrà  salvar ,  non  avrà  fatto  poco. 

158.      Quel  re,  che  si  tenca  spacciato  al  tutto, 
Né  mai  credea  più  riveder  Biserta, 
Chi;  con  viso  sì  orribile  e  sì  brutto 
Unquanco  non  arca  Fortuna  esperta, 
S'  allegrò  ,  clic  Marsilio  avca  ridotto 
Parte  del  campo  in  sicurezza  certa, 
Ed  a  ritrarsi  cominciò ,  e  a  dar  volta 
Alle  bandiere,  e  fé'  suonar  raccolta. 

I5y.      Ma  la  più  parte  della  gente  rotta 

Né  tromba,  né  tainbur,  né  segno  ascolta. 
Tanta  fu  la  viltà,  tanta  la  dotta. 
Che  in  Senna  se  ne  vide  allogar  molta. 
11  re  Agramante  vuol  ridar  la  frott.;  ; 
Seco  ha  Sobrino,  e  van  scorrendo  in  volta; 
E  con  lor  s'  affatica  ogni  buon  duca, 
Che  ne'  ripari  il  campo  si  riduca. 

GO.      Ma  né  il  re,  né  Sobrio,  né  duca  alcuno 
Con  prieghi,  con  minacce  e  con  affanno 
Ritrar  può  il  terzo ,  non  eh'  io  dica  ognuno, 
Dove  1'  irtsegne  mal  seguite  vanno. 
Morti  o  fuggiti  ne  son  due  per  uno, 
('iie  ne  rimane,  e  quel  non  senza  danno. 
Ferito  é  chi  di  dieti'o,  e  chi  davanti, 
Mii  travagliati  e  lassi  tutti  quanti. 

GÌ.      E  con  gran  tema  sin  dentro  alle  porte 
De'  forti  alloggiamenti  ebbon  la  caccia  : 
Ed  era  lor  quel  luogo  anco  mal  forte, 
Con  ogni  provveder,  che  vi  si  faccia; 
Cl>é  ben  pigliar  nel  crin  la  buona  sorte 
Carlo  sapea,  quando  volgea  la  faccia; 
Se  non  venia  la  notte  tenebrosa, 
Che  staccò  il  fatto,  ed  acquetò  ogni  cosa, 

G2.     Dal  Creatore  accelerata  forse, 
Che  della  sua  fattura  ebbe  pietade. 
Ondeggiò  il  sangue  per  campagna,  e  corse, 
Come  un  gran  fìnuu;,  e  dilagò  le  strade. 
Ottantamila  corpi  numerorse, 
(^he  l'iir  quel  dì  messi  per  fìl  di  spade; 
\  illanì ,  e  lupi  us(;ìr  poi  delle  grotte 
A  dispogliarli  e  a  divorar,  la  notte. 

fio.     Carlo  non  torna  più  dentro  alla  terra, 
IMa  contra  gì'  inimici  fuor  s'  accampa, 
Ed  in  assedio  le  lor  t(!nde  serra. 
Ed  alti  e  spessi  fuochi  intorno  avvampa. 
Il  pagan  si  provvede  e  cava  terra, 
Fos^i  e  ripari  e  bastioni  stampa. 
\:i  rivedendo,  e  ticn  le  guardie  deste; 
Né  tutta  notte  mai  1'  arme  si  svelte. 

M.      Tutta  la  notte,  per  gli  alloggiaujenli 
De'   mal  numi  Saracini  oppres^i. 
Si   vcrsau   pianti  ,  gemiti  e  lamenti, 
M.ì .  (pianto  pili  si  può,  cheti  e  soppicssi; 
Altri,  penile  gli  aniiri  hanno,  e  i  patx-iili 
Labiali  morii;  ed  altri  per  sé  stessi, 
(Ile  SOM   fcrili,  o  con  disagio  stanno: 
Ma  più  i;  la  tema  del  futuro  danno. 


1G5 


166. 


167. 


188. 


Duo  3Iori  Ivi  ixa  gli  altri  si  trovaro 
D'  oscura  stirpe  nati  in  Tolomitta, 
De'  quai  1'  istoria,  per  esempio  raro 
Di  vero  amore,  é  degna  esser  descritta. 
Cloridano  e  Medor  si  nominaro, 
Ch'  alla  fortuna  prospera  e  all'  afflitta 
Aveano  sempre  amato  Dardinello, 
Ed  or  passato  in  Francia  il  mar  con  quello. 

Cloridan,  cacciator  tutta  sua  vita, 
Di  robusta  persona  era  ed  isnella. 
Medoro  avea  la  guancia  colorita, 
E  bianca,  e  grata  nell'  età  novella; 
E  fra  la  gente  a  quella  impresa  uscita 
Non  era  faccia  più  gioconda  e  bella. 
Occhj  avea  neri ,  e  chioma  crespa  d'  oro, 
Angel  parea  di  quei  del  sonmio  coro. 

Erano  questi  duo  sopra  i  ripari 
Con  molti  altri,  a  guardar  gli  alloggiamenti, 
Quando  la  Notte  fra  distanze  pari 
]\lirava  il  ciel  con  gli  occhj  sonnolenti. 
Medoro  quivi  in  tutti  i  suoi  parlari 
Non  può  far,  che  '1  signor  suo  non  rammenti 
Dardinello  d'  Almonte,  e  che  non  piagna, 
Che  resti  senza  onor  nella  campagna. 

Volto  al  compagno,  disse:  0  Cloridano, 
Io  non  ti  posso  dir,  quanto  m'  incres«;a 
Del  mio  signor,  che  sia  l'imaso  al  piano, 
Per  lupi  e  cerbi ,  oimé  !  troppo  degna  esca  ; 
Pensando ,  come  sempre  mi  fu  umano, 
Mi  par,  che,  quando  ancor  questa  anima  esca 
In  onor  di  sua  fama,  io  non  compensi. 
Né  sciolina  verso  lui  crii  obblighi  immensi. 


1G9. 


Io  voglio  andar,  perché  non  stia  insepulto 
In  mezz(»  alla  campagna,  a  ritrovarlo: 
E  forse  Dio  vorrà,  eh'  io  vada  occulto 
Là ,  dove  tace  il  campo  del  re  Carlo. 
Tu  rimarrai:  che,  quando  in  t:iel  sia  sculto, 
Ch'  io  vi  debl)a  morir,   potrai  narrarlo; 
Che,  se  Fortuna  vieta  si  beli'  opra. 
Per  fama  almeno  il  mio  buon  cor  si  scopra. 

110.      Stupisce  Cloridan ,  che  tanto  core, 

Tanto  amor,  tanta  fede  abbia  un  fanciullo, 
E  cerca  assai,  perché  gli  porta  auu)re. 
Di  fargli  quel  pensiero  irrito  e  nullo: 
Ma  non  gli  vai,   perché  un  sì  gnin  doIoiiB 
Non  riceve  conforto,  né  trastullo. 
I\ledoro  era  disposto  o  di  morire. 
O  nella  tomba  il  stm  signor  coprire. 

ITI.      Veduto  che  noi  piega  e  che  noi  move, 
Cloridan  gli  risponde:  E  verrò  anch'  io. 
Anch'  io  vo'  pormi  a  sì  lodevol  )irovc  ; 
Anch'  io  famosa  morte  amo  e  disio. 
Qual  cosa  sarà  unii,  che  più  mi  giove, 
S'  io  roto  senza  te,  Medoro  mio.'' 
Morir  tcco  con  l'  arme  è  iiu-glio  iiu>I(o, 
Che  poi  di  diu>l,  se  avvien  che  mi  sii  tolto. 

172.      Cosi  disposti ,  misero  in  quel  loco 
Le  succes>i^e  guardie ,  e  se  ne  vanno. 
Eascian  fosse  e  stcìcati ,  e  dopo  poco 
Tra'  nostri  son,  che  senza  cura  stanno. 
Il  campo  donne,  O  tutto  è  spento   il  fuoco. 
Perché  de"  Saracin  poca  tema  hanno. 
Tra   r  urine  e  carriaggi  stan  ridersi. 
Nel  vin,  nel  sonno  iusiiio  agli  occhj  iininrr>i. 


[235] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XVDI.  17S-188) 


173.  Fci-mossì  alquanto  Cloridano  e  disse: 
ìN'on   son  mai  da  lasciar  1'  occasioni. 

Di  questo  stuol,  «he  '1  mio  signor  trafisse, 
]Non  debito  far,  Medoro,  occisioni.'* 
Tu,  porcile  sopra  alcun  non  ci  venisse, 
Gli  occlij  e  gli  orecchj  in  ogni  parte  poni; 
Ch"  io  m'  ofterisco  farti  con  la  spada 
Tra  gì'  inimici  spaziosa  strada. 

174.  Così  disse  egli ,  e  tosto  il  parlar  tenne, 
Ed  entrò  dove  il  dotto  Alleo  dormia, 

Che  r  anno  innanzi  in  corte  a  Carlo  renne,    • 
Medico  e  mago,  e  pien  d'  astrologia. 
Ma  poco  a  questa  volta  gli  sovvenne; 
Anzi  gli  disse  in  tutto  la  bugia. 
Predetto  egli  s'  avea,  che  d'  anni  pieno 
Dovea  morire  alla  sua  moglie  in  seno; 

175.  Ed  or  gli  ha  messo  il  cauto  Saracino 
La  punta  della  spada  nella  gola. 
Quattro  altri  uccide  appresso  all'  indovino. 
Che  non  han  tempo  a  dire  una  parola. 
Mcnzion  de'  nomi  lor  non  fa  Turpino, 

E  il  lungo  andar  le  lor  notizie  invola; 
Dopo  essi  Palidon  da  Moncalieri, 
Clic  sicuro  dormia  fra  duo  destrieri. 

176.  Poi  se  ne  vicn,  dove  col  capo  giace 
Appoggiato  al  barile  il  miscr  Grillo. 
Avealo  voto,  e  avea  creduto  in  pace 
Goder  un  sonno  placido  e  tranquillo. 
Troncogli  il  capo  il  Saracino  audace; 
Esce  col  sangue  il  vin  per  uno  spillo. 

Di  che  n'  ha  in  corpo  più  d'  una  bigoncia; 
E  di  ber  soglia,  e  Cloridan  lo  sconcia. 

177.  E  presso  a  Grillo,    un  Greco  ed  un  Tedesco 
Spegne  in  duo  colpi ,  Andropono  e  Corrado, 
Che  della  notte  avean  goduto  al  fresco 

Gran  parte  ,  or  con  la  tazza ,  ora  col  dado. 
Felici,  se  veggliiar  sapeano  a  desco, 
rinchè  dell'  Indo  il  sol  passasse  il  guado! 
Ma  non  polria  negli  uomini  il  destino. 
Se  de!  futuro  ognun  fosse  indovino. 

178.  Come  imjìasto  leone  in  stalla  piena. 

Che  lunga  fame  abbia  smagrito  e  asciutto, 
Uccide,  scanna,  mangia,  e  a  strazio  mena 
L'  infermo  gregge  in  sua  balia  condutto; 
Così  il  crudcl  pagan  nel  sonno  svena 
La  nostra  gente,  e  fa  macel  per  tutto. 
La  sjtada  di  Medoro  anco  non  ebe  ; 
Ma  si  sdegna  ferir  1'  ignobil  plebe. 

IT!).      Venuto  era,  ove  il  duca  di  Labretto 
Con  una  dama  stia  dormia  abbracciato; 
E  r  un  con  1'  altro   si  tenea  sì  stretto, 
Che  non  saria  tra  lor  1'  aere  entrato. 
Medoro  ud  ambi  taglia  il  capo  netto; 
0  felice  moriie  !   o  dolce  fato! 
Che  come  erano  i  corpi ,  ho  così  fede 
Cir  andar  1'  alme  abbracciate  alla  lor  eeile. 

180.      Malindo  uccise,  e  Ardalii-o  il   fratello. 
Che  del   <  onte  di  Fiandra  <rano  iigli  ; 
E  r  mio  i;  r  altro  ca%alier  no\eilo 
Fatto  n\<-ii  ('arlo,    e  aggiunto    all'  arme  i 
l'ercliè  il  giorno  ambedirtr  «l'  o>til  mattilo 
(y'on  gli  htiicchi  Ituiiar  AÌde  vermigli. 
E  terre  in  l"ri>a  a^ea  promesso   loro, 
E  date  avriu  ;  ma  lo  vietò  Medoro. 


[236] 


g'gi'! 


181-      GF  insidiosi  ferri  eran  Aicini 
Ai  padiglioni,  che  tiraro  in  volta 
Al  padiglion  di  Carlo  i  paladini, 
Facendo  ognun  la  guardia  la  sua  volta, 
Quando  dall'  empia  strage  i  Saracìni 
Trasson  le  spade,  e  diero  a  tempo  volta; 
Che  irapossibil  lor  par,  tra  si  gran  torma. 
Che  non  s'  abbia  a  trovare  un,  che  non   dorma. 

182,  E  benché  possan  gir  di  preda  carchi, 
Salvia  pur  sé,  che  fanno  assai  guadagno. 
Ove  più  crede  aver  sicuri  i  varchi. 

Va  Cloridano ,  e  dietro  il  suo  compagno. 
Vengon  nel  campo,  ove  fra  spade  ed  archi, 
E  scudi  e  lance ,  in  un  vermiglio  stagno 
Giaccion  poveri  e  ricchi,  e  re  e  vassalli, 
E  sozzopra  con  gli  uomini  i  cavalli. 

183,  Quivi  de'  corpi  1'  orrida  mistura, 

Che  piena  avea  la  gran  campagna  intorno, 

Potea  far  Aaneggiar  la  fedel  cura 

De'  duo  compagni ,  insino  al  far  del  giorno, 

Se  non  traea  fuor  d'  una  nube  oscura, 

A'  prieghi  di  3Iedor ,  la  Luna  il  corno. 

Medoro  in  ciel  divotamente  fisse 

Verso  la  luna  gli  occhj ,  e  così  disse  : 

j  164.      O  santa  Dea,  che  dagli  antichi  nostri 
Debitamente  sei  detta  triforme. 
Che  in  cielo,  in  terra  e  nell'  inferno  mostri 
L'  alta  bellezza  tua  sotto  più  forme, 
E  nelle  selve  di  fere  e  di  mostri 
Vai ,  cacciatrice ,  seguitando  1'  orme  ; 
]\Iostrami,  ove  '1  mio  re  giaccia  fra  tanti, 
Che  vivendo  imitò  tuoi  studj  csanti  ! 

185.  La  luna,  a  quel  pregar,  la  nube  apet-sc, 
O  fosse  caso ,  o  pur  la  tanta  fede  ; 

Bella  come  fu  allor ,  eh'  ella  s'  offerse, 

E  nuda  in  braccio  a  Endimion  si  diede. 

Con  Parigi ,  a  quel  lume ,  si  scoperse 

L' un  campo  e  1'  altro,  e '1  monte  e '1  pian  sì  vede. 

Si  videro  i  duo  colli  di  lontano, 

Martire  a  destra,  e  Lerì  all'  altra  mano. 

186.  Rifulse  lo  splendor  molto  più  chiaro, 
Ove  d'  Almonte  giacca  morto  il  figlio. 
Medoro  andò  piangendo  al  signor  caro. 

Che  conobbe  il  quartier  bianco  e  vermiglio  ; 
E  tutto  '1  viso  gli  bagnò  d'  amaro 
Pianto ,  che  n'  nxen  un  rio  sotto  ogni  ciglio, 
In  sì  dolci  atti,  in  sì  dolci  lamenti. 
Che  potea  ad  ascoltar  fermare  i  >enti: 

187.  Ma  con  sommessa  voce,  e  ajipena  udita. 
Non  che  risguardi  a  non  si  f.ir  sentire, 
Perch'  abbia  alcun  pensier  della  sua  vita; 
Piuttosto  r  odia,  e  ne  vorrebbe  uscire; 
Ma  per  tiuu)r ,  che  non  gli  sia  imp(;dita 
L'  <»pera  pia,  che  qui>i   il  fé'  Aenire. 
Fu   il  morto   re  su  gli  omeri  sospeso 
Di  tramendue,  tra  lor  partendo  il  peso. 

188.  A  anno  affrettando  i  passi,  quanto  ponno. 
Sotto  r  amata  soma,  che  gì'  ingombra: 
E  già  venia  chi   della  luce  è  donno. 
Le  stelle  a  tor  del  ciel,  di  terra  1'  ombra. 
Quando   Zerbino,  a  cui  del  petto  il  sonno 
L'  alta  virlude,  ove  è  bisogno,  sgombra, 
(cacciato  avendo  tutta  notte  i  Mori, 
Al  campo  si  traea  nei  primi  albori: 


[237]       ORLANDO  FURIOSO.    (XVUI.  189-192.    XIX.    1—8)       [238] 


189 


190 


E  seco  alquanti  cavalieri  avea, 
Che  videro  da  [unge  i  duo  compagni. 
Ciascuno  a  quella  parte  si  traea, 
Sperandovi  trovar  prede  e  guadagni. 
Frate,  bisogna,  Cloridan  dicea, 
Gittar  la  soma,  e  dare  opra  ai  calcagni; 
Che  sarebbe  pensier  non  troppo  accorto, 
Perder  duo  vivi  per  salvare  un  morto. 

E  gittò  il  carco ,  perchè  si  pensava, 
Che  '1  suo  Medoro  il  simil  far  dovesse: 
Ma  quel  meschin,  che  '1  suo  signor  più  amava, 
Sopra  le  spalle  sue  tutto  lo  resse. 
L'  altro  con  molta  fretta  se  n'  andava, 
Come  r  amico  a  paro  o  dietro  avesise. 
Se  sapea  di  lasciarlo  a  quella  sorte, 
Mille  aspettate  avria,  non  eh'  una  morte. 


191.  Quei  cavalier  con  animo  disposto. 

Che  questi  a  render  s'  abbiano ,  o  a  morire, 
Chi  qua,  chi  là  si  spargono,  ed  han  tosto 
Preso  ogni  passo,  onde  s-i  possa  uscire. 
Da  loro  il  capitan  poco  discosto 
Più  degli  altri  è  sollecito  a  seguire; 
Che  in  tal  guisa  vedendoli  temere, 
Certo  è ,  che  sian  delle  nimiche  schiere. 

192.  Era  a  quel  tempo  ivi  una  selva  antica, 
D'  ombrose  piante  spessa ,  e  di  virgulti  ; 
Che,  come  labirinto,  entro  s'  intrica 

Di  stretti  calli ,  e  sol  da  bestie  culti. 
Speran  d'  averla  i  duo  pagan  sì  amica, 
Ch'  abbia  a  tenerli  entro  a'  suoi  rami  occulti 
Ma  chi  del  canto  mio  i>iglia  diletto, 
Uà'  altra  volta  ad  ascoltarlo  aspetto 


O  A  N  T  O    D  E  C  I  M  O  N  O  N  O. 


ARGOMENTO. 

Ucciso  è  Cloridan,  Medor  ferito 
E  vicino  a  sentir  V  estremo  male  : 
Poi  dalla  bella  angelica  è  guarito  ; 
Ella  piagata  rf'  amoroso  strale. 
Marfisa  co'  covipagni  intende  il  rito 
Del  femminil  diuppello  marziale: 
Nove  guerrieri  uccide,  e  con  Guidone 
Fa  poi  fino  alla  notte  aspra  tenzone. 


Alcun  non  può  saper ,  da  chi  sìa  amato. 
Quando  felice  in  sulla  ruota  siede  ; 
Perocch'  ha  i  veri  e  i  finti  amici  allato, 
Che  mostran  tutti  una  medesma  fede. 
Se  poi  fri  cangia  in  triste»  il  lieto  :<tato, 
Volta  la  turba  adclatrice  il  piede; 
E  quel,  che  di  cor  ama,  riuian  forte, 
Ed  ama  il  suo  signor  dopo  la  morte. 

Se,  come  il  viso,  si  mostrasse  il  core, 
Tal  nella  corte  è  grande,  e  gli  altri   prciuc, 
E  tal  è  in  poca  grazia  al  suo  ..migliore, 
C'Iie  la  lor  sorte  nuiteriaiio  insieme. 
Qiie«t(»  umil    diverria  tosto  il  maggiore; 
Staria  quel  grande  infra  le   turbe  e.-tremc. 
!Vla  torniamo  a  Medor  fedele  e,  grato, 
Che  in  vita  e  in  morte  ha  il  suo  sigm)rc  aiiiuto. 

Cercando  già  nel  più  intricato  calle 
Il  giovine  ìnf(;lice  <ii  salv.ir>i; 
Ma  il  gra\e  peso,  eh'  avea  sulle  spalle, 
(ìli   Iacea  uscir  tutti  i  partiti  scarsi. 
^nn  conoKcr  il  paese,  v  la  >ia  falle, 
E  torna  fra  le  spine  a  iiivilMp|*ar>i. 
Lungi  da  lui    tratto  al  sicuro  s'  era 
L'  altn»,  che  a\ca  la  spalla  più  leggiera. 


4'.      Cloridan  s'  è  ridutto,  ove  non  sente 
Di  chi  segue  lo  strepito  e  '1  rumore. 
Ma  quando  da  Medor  si  vede  assente, 
Gli  pare  aver  lasciato  addietro  il  core. 
Deh  !   come  fui ,  dicea ,  si  negligente. 
Deh  !  come  fui  sì  di  me  stesso  fuore. 
Che  senza  te,  Medor,  qui  mi  ritrassi, 
]Nè  sappia,  quando,  o  do\e  io  ti  iodciassi! 

5.  Così  dicendo,  nella  torta  via 
Dell'  intricata  selva  si  ricaccia. 
Ed .  onde  era  venuto ,  si  ravvia, 

E  torna  di  sua  morte  in  sulla  traccia. 
Ode  i  cavalli  e  i  gridi  tuttavia, 
E  la  nimica  voce,  che  minaccia; 
All'  ultimo  ode  il  suo  3ledoro,  e  vede, 
Clic  tra  molti  a  cavallo  è  solo  a  pietle. 

6.  Cento  a  cavallo  —  e  gli  son  tutti  intorno  — 
Zerbin  comanda ,  e  grida ,  die  sia  preso. 

L'  infelice  s'  aggira ,  come  un  torni», 

E,  quanto  può,  si  tien  da  h>r  difeso. 

Or  dietro  quin-cia.  or  olmo,  or  faggio,  or  orno, 

INè  si  discosta  mai  dal  caro  pc^o. 

L'  ha  riposato  allìn  snll'  erba,  quando 

Regger  noi  puote ,  e  gli  va  intorno  errando: 

7.  C(»me  orsa,  che  l"  alpestre  cac-t  latore 
Aella  pietrosa  tana  assalita  ablìia. 

Sta  s(»pra  i  figli  c(»n  incerlo  core. 

E  freme  in  suono  di  pietà  e  di  rabbia. 

Ira  la  invita,  e  naturai  furore 

A  spiegar  V  ugne,  e  a  insanguinar  le  labbia. 

Amor  la  intenerisce,  e  la  ritira 

A  riguardare  ai   lìgli  in  mezzo  all'  ini. 

8.  Cloridan,  che  non  sa,  ctìine  1"  ajnli, 
E  cir  «rssi-r  vuole  a  nH»rir  seco  ancora. 
Ma  non  die  in  nu>rte  prima  il  >ivcr  imiti, 
('h(;   vi.i   non  Inni,  o*e  più   d'  \ì\ì  ne   mora; 
Mette  siiir  an-o  un  de'  suoi  strali  acuti. 

E  nascoso  con  (|ud   si   ben   laxora. 
(;iie  fora  ad  uno  Scotto  le  cervella. 
E  bciiza  vita  il  fa  cader  di  sdlii. 


[2391 


ORLANDO  FURIOSO.     (XIX.    9—24) 


[240J 


!>.      Vulg;on»i  tutti  ^li  altri  a  quella  banda, 
Onde  era  uscito  il  calamo  oiuicida. 
Intiinto  un  altro  il  Saracin  ne  manda. 
Perchè  'l  secondo  allato  al  primo  uccida; 
Che  mentre  in  fretta  a  questo  e  a  quel  domanda, 
Ch    tirato  al)l)ia  l'   arco ,  e  forte  grida. 
Lo  strale  arriva ,  e  gli  passa  la  gola, 
E  gli  taglia  per  mezzo  la  parola. 

10.  Or  ZerLin  ,  eh'  era  il  capitano  loro, 
Non  potè  a  questo  aver  più  pazienza. 
Con  ira  e  con  furor  venne  a  Medoro, 
Dicendo:  Ne  farai  tu  penitenza. 

Stese  la  mano  in  quella  chioma  d'  oro, 
E  strascinollo  a  sé  con  violenza: 
]\Ia,  come  gli  occhj  a  quel  bel  volto  mise, 
Gli  ne  venne  pietade,  e  non  1'  uccise. 

11.  Il  giovinetto  si  rivolse  a'  prieghì, 
E  disse:  cavalier,  per  lo  tuo  Dio, 
Non  esser  si  crudel,  che  tu  mi  nieghi, 
Ch'  io  seppellisca  il  corpo  del  re  mio  ! 
Non  vo'  eh'  altra  pietà  per  me  ti  pieghi. 
Né  pensi ,  che  di  vita  abbia  disio. 

Ho  tanta  di  mia  vita,  e  non  più,  cura, 
Quanta,  che  al  mio  signor  dia  sepoltura. 

12.  E  se  pur  pascer  vuoi  fiere  ed  augelli. 
Che  in  te  il  furor  sia  del  teban  Creonte, 
Fa  lor  ccmvito  de'  mici  membri,  e  quelli 
Seppellir  lascia  del  figliuol  d'  Almontc! 
Così  dicea  Medor  con  modi  belli, 

E  con  parole  atte  a  voltare  un  monte; 
E  si  commosso  già  Zerbino  avea. 
Che  d'  amor  tutto,  e  di  pietade  ardea. 

13.  In  questo  mezzo  un  cavalier  villano. 
Avendo  al  suo  signor  poco  rispetto. 
Ferì  con  una  lancia  sopra  mano 

Al  supplicante  il  deliciito  petto. 
Spiacque  a  Zerbin  l'  atto  crudele  e  strano 
Tanto  più ,  che  del  colpo  il  giovinetto 
A  ide  cader  sì  sbigottito  e  smorto. 
Che  in  tutto  giudicò,  che  fosse  morto. 

11.      E  se  ne  sdegnò  in  guisa,  e  si  ne  dolse. 
Glie  disrie:  Invendicato  già  non  fia. 
E  pien  di  mal  talento  si  rivolse 
Al  cavalier,  che  fé'  1'  impresa  ria. 
Ma  quel  prese  vantaggio ,  e  se  gli  tolse 
Dinanzi  in  un  momento ,  e  fuggì  via. 
Cl«)ridan,  che  Medor  vede  per  terra, 
Salta  del  bosco  a  discoperta  guerra, 

15.  E  getta  r  arco,  e  tutto  pien  di  rabbia 
Tra  gì'  inimici  il  ferro  intorno  gira. 

Più  per  morir,  che  per  pensicr,  eh'  egli  abbia 

Di  far  vendetta ,  che  pareggi  1'  ira. 

Del  proprio  sangue  rosseggiar  la  sabbia 

Fra  tante  spade,  e  al  Ha  venir  si  mira; 

E  tolto  che  si  sente  ogni  pitterò. 

Si  lascia  accanto  il  suo  Medor  cadere. 

16.  Seguon  gli  Scotti,  ove  la  guida  loro 
l'cr  I'  alta  selva  alto  disdegno  mena, 
l'oichù  lasciato  ha  1'  uno  e  I'  altro  Moro, 
L'  un  morto  in  tutto,  e  1'  altro  \ivo  appena, 
(ìiacque  gran  pezzo  il  giovane  Medoro, 
Spicciando  il  ««angiie  da  ^i  larga  vena, 

Che  di  sua  vita  al  fìn  saria  venuto. 
Se  non  surpravvenia  chi  gli  die'  ajuto 


17. 


Gli  sopravvenne  a  caso  una  donzella 
Avvolta  in  pastorale  ed  uraii  veste. 
Ma  di  real  presenzia,  e  in  viso  bella, 
D'  alte  maniere,  e  accortamente  oneste. 
Tanto  è,  eh'  io  non  ne  dissi  più  novella, 
Che  appena  riconoscer  la  dovreste. 
Questa,  se  noi  sapete.  Angelica  era, 
Del  gran  Cau  del  Catai  la  figlia  altera. 


18 


19 


21 


Poiché  '1  sno  anello  Angelica  riebbe, 
Di  che  Brunel  1'  avea  tenuta  priva. 
In  tanto  fasto,  in  tanto  orgoglio  crelibe, 
Ch'  esser  parca  di  tutto  '1  mondo  schiva. 
Se  ne  va  sola ,  e  non  si  degnerebbe 
Compagno  aver  qual  più  famoso  viva. 
Si  sdegna  a  rimembrar,  che  già  suo  amante 
Abbia  Orlando  nomato,  o  Sacripante: 

E  sopra  ogn'  altro  error  via  più  pentita 
Era  del  ben ,  che  già  a  Rinaldo  v  olse. 
Troppo  parendole  essersi  avvilita, 
Che  a  riguardar  sì  basso  gli  occhj  volse. 
Tanta  arroganza  avendo  Amor  sentita, 
Più  lungamente  comportar  non  volse. 
Dove   giacca  Medor,  si  pose  al  varco, 
E  r  aspettò ,  posto  lo  strale  all'  arco. 

20.      Quando  Angelica  vide  il  giovinetto 
Languir  fei-ito,  assai  vicino  a  morte, 
Che  del  suo  re,  che  giacca  senza  tetto. 
Più  che  del  proprio  mal ,  si  dolca  forte 
Insolita  pietade  in  mezzo  al  petto 
Si  senti  entrar  per  disusate  porte. 
Che  le  fé'  il  duro  cor  tenero  e  molle, 
E  più,  quando  il  suo  caso  egli  narroUc. 

E  rivocando  alla  memoria  1'  arte. 
Che  in  India  imparò  già,  di  chiurgia, 
(Che  par ,  che  questo  studio  in  quella  parte 
Nobile  e  degno,  e  di  gran  laude  sia, 
E  senza  molto  rivoltar  di  carte, 
Che  '1  padre  ai  figli  ereditario  il  dia) 
Si  dispose  opi  rar  con  succo  d'  erbe, 
Che  a  più  matura  vita  lo  riserbe. 

E  ricordossi ,  che  passando  avea 
V^eduta  un'  erba  in  una  piaggia  amena. 
Fosse  dittamo ,  o  fosse  panacea, 
O  non  so  qual ,  di  tal  elTetto  piena. 
Che  stagna  il  sangue,  e  della  piaga  rea 
Leva  ogni  spasmo  e  perigliosa  pena. 
La  trovò  non  lontana;  e,  quella  colta. 
Dove  lasciato  avea  Medor,  die'  volta. 

23.  Nel  ritornar  s'  incontra  in  un  pastore. 
Che  a  cavallo  pel  bosco  ne  venita 
Cercand<»  una  giuvenca,  che  già  fuore 
Duo  dì  di  mandra ,  e  senza  guardia  giva. 
Seco  lo  trasse ,  ove  jierdea  il  vigore 
Medor  col  sangue,  che  del  petto  usciva, 
E  già  n'  avea  di  tanto  il  terreo  tinto, 
Ch'  era  ornai  presso  a  rimanere  estinto. 

24.  Del  pahifreno  Angelica  giù  scese, 
E  scendere  il  pastor  si-co   fece  anche. 
Pestò  ciui  sassi  1'  erba,  indi  la  prese, 
E  succo  ne  ca^ò  fra  le  man  bianche: 
Nella  piaga  ne  infuse,  e  ne  distese 

E  pel  petto  e  pel  ventre,  e  fino  all'  anche: 

E  fu  di  tal  virtù  questo  liquore. 

Che  stagnò  il  sangue,  e  gli  tornò  il  vigore, 


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ORLANDO  FURIOSO.     (XIX.  25-40) 


[242] 


25.  E  gli  die'  forza,  che  potè  salire 
Sopra  il  cavallo ,  che  '1  pastor  condusse. 
]\on  però  volse  indi  Medor  partire, 
Primachè  in  terra  il  suo  signor  non  fusse; 
E  Cloridan  col  re  fé'  seppellire, 

E  poi ,  dove  a  lei  piacque ,  si  ridusse  : 
Ed  ella ,  per  pietà ,  nell'  umil  case 
Del  cortese  pastor  seco  rimase. 

26.  Né,  finché  no  '1  tornasse  in  sanitade, 
Volea  partir;  cosi  di  lui  fé'  stima, 
Tanto  s'  intenerì  della  pietade 

Che  n'  ebbe,  come  in  terra  il  vide  prima! 
Poi ,  vistone  i  costumi  e  la  beltade. 
Roder  si  senti  il  cor  d'  ascosa  lima: 
Roder  si  sentì  il  core,   e  a  poco  a  poco 
Tutto  infiammato  d'  amoroso  fuoco. 

27.  Stava  il  pastore  in  assai  buona  e  bella 
Stanza ,  nel  bosco  infra  duo  monti  piatta. 
Con  la  moglie  e  co'  figli,  ed  avea  quella 
Tutta  di  nuovo ,  e  poco  innanzi  fatta. 
Quivi  a  Medoro  fu  per  la  donzella 

La  piaga  in  breve  a  sanità  ritratta. 
Ma  in  minor  tempo  si  sentì  maggiore 
Piaga  di  questa  avere  ella  nel  core. 

28.  Assai  più  larga  piaga  e  più  profonda 
Nel  cor  sentì  da  non  veduto  strale. 
Che  da'  begli  occhj  e  dalla  testa  bionda 
Di  Medoro  avventò  1'  arcier ,  eh'  ha  V  ale. 
Arder  si  sente  ,  e  sempre  il  fuoco  abbonda, 
E  più  cura  1'  altrui,  che  '1  proprio  male. 
Di  sé  non  cura,  e  non  è  ad  altro  intenta, 
Che  a  risanar  chi  lei  fere  e  tormenta. 

29.  La  sua  piaga  più  s'  apre  e  più  incrudisce, 
Quanto  più  l'  altra  si  ristringe  e  salda. 

Il  giovane  si  sana;  ella  languisce 

Di  nuova  febbre,  or  agghiacciata,  or  calda. 

Di  giorno  in  giorno  in  lui  beltà  fiorisce; 

La  misera  si  strugge,  come  falda 

Strugger  di  neve  intempestiva  suole. 

Che  in  loco  aprico  abbia  scoperta  il  sole. 

30.  Se  di  desìo  non  vuol  morir,  bisogna, 
Che  senza  indugio  ella  sé  stessa  aiti. 

E  ben  le  par,  che  di  quel,  eh'  essa  agogna, 

Non  sìa  tempo  aspettar,  eh'  altri  la  inviti. 

Dunque,    rotto  ogni  freno  di  vergogna, 

La    lingua  ebbe  non  raen,  che  gli  occhj  arditi, 

E  di  quel  colpo  dimandò  mercede, 

Che ,  forse  non  sapendo ,  esso  le  diede. 

31.  O  conte  Orlando,  o  re  di  Circassia, 
Vostra  inclita  virtù,  dite,  che  giova? 
Vostro  alto  onc^r,  dite,  in  che  prezzo  sìa? 
O  che  mercè  v«>stro  servir  ritrova? 
Mostratemi  una  sola  cortesia. 

Che  mai  costei  v'  usasse,  o  vecchia  o  nuova, 
Per  riccunpcnsa  e  guiderdono ,  o  inerto 
Di  quanto  avete  già  per  lei  soflcrto. 

32.  Oh ,  8C  potessi  ritornar  mai  vivo, 
Quanto  ti  parria  duro,  o  re  Agricanc, 
Cliù  già  mostrò  costei  sì  av(;rti  a  schivo. 
Con  repulse  crudeli  ed  inumane! 

O  Ferniù  ,  o  mille  altri ,  eh'  io  non  scrivo. 
Che  avete  fatto  mille  prove  vane 
Per  questa  inarata ,  quanto  aspro  vi  fora, 
Se  a  costui  in  braccio  voi  la  vedeste  ora! 


33.  Angelica  a  Medor  la  prima  rosa 
Coglier  lasciò,  non  ancor  tocca  innante; 
Né  persona  fu  mai  sì  avventurosa. 

Che  'n  quel  giardin  potesse  por  le  piante. 
Per  adombrar,  per  onestar  la  cosa, 
Si  celebrò  con  cerimonie  sante 
Il  matrimonio,  eh'  auspice  ebbe  Amore, 
E  pronuba  la  moglie  del  pastore. 

34.  Fersi  le  nozze  sotto  all'  umil  tetto, 
Le  più  solenni,  che  vi  potean  farsi; 
E  più  di  un  mese  poi  stero  a  diletto 

I  duo  tranquilli  amanti  a  ricrearsi. 
Più  lunge  non  vedea  del  giovinetto 
La  donna,  né  di  lui  potea  saziarsi. 

Né,  per  mai  sempre  pendergli  dal  collo, 

II  suo  disir  sentia  di  lui  satollo. 

35.  Se  stava  all'  ombra ,  o  se  del  tetto  usciva, 
Avea,  dì  e  notte,  il  bel  giovine  allato. 
Mattina  e  sera  or  questa,  or  quella  riva 
Cercando  andava  ,  o  qualche  verde  prato. 
Nel  mezzo  giorno  un  antro  li  copriva. 
Forse  non  men  di  quel  comodo  e  grato, 

Ch'  ebber,  fuggendo  1'  acque,  Enea  e  Dido, 
De'  lor  secreti  testimonio  fido. 

36.  Fra  piacer  tanti ,  ovimque  un  arbor  dritto 
Vedesse  ombrare ,  o  fonte ,  o  rivo  puro, 

V  avea  spillo ,  o  coltel  subito  fitto  ; 
Così,  se  v'  era  alcun  sasso  men  duro. 
Ed  era  fuori  in  mille  luoghi  scrìtto, 
E  così  in  casa  in  altri  tanti  il  muro, 
Angelica  e  Medoro  in  varj  modi. 
Legati  insieme  di  diversi  nodi. 

37.  Poiché  le  parve  aver  fatto  soggiorno 
Quivi  più  eh'  abbastanza,  fé'  disegno 
Di  fare  in  India  nel  Catai  ritorno, 

E  Medor  coronar  del  suo  bel  regno. 
Portava  al  braccio  un  cerchio  d'  oro,  adorno 
Di  ricche  gemme,  in  testimonio  e  segno 
Del  ben,  che  '1  conte  Orlando  le  volea; 
E  portato  gran  tempo  ve  1'  avea. 

38.  Quel  donò  già  Morgana  a  Ziliante, 
Nel  tempo,  che  nel  lago  ascoso  il  tenne; 
Ed  esso  ,  poiché  al  padre  jMonodante 
Per  opra  e  per  virtù  d'  Orlando  venne, 

Lo  diede  a  Orlando:  Orlando,  eh'  era  amante. 
Di  porsi  al  braccio  il  cerchio  d'  or  sostenne, 
Avendo  disegnato  di  donarlo 
Alla  regina  sua,  di  eh'  io  vi  parlo. 

39.  Non  per  amor  del  paladino ,  quanto 
Perché  era  ricco ,  e  d'  artifìcio  ogrt-gio, 
Caro  avuto  1'  avea  la  donna  tanto. 

Che  più  non  si  può  aver  cosa  di  pregio. 
Se  lo  serbò  nelT  isola  del  pianto. 
Non  so  già  dirvi,  con  che  privilegio, 
Là,  dove  esposta  al  marin  mostro  nuda 
Fu  dalla  gente  inospitale  e  cruda. 

40.  Quivi,  non  si  tro\iuuln  altra  mercede, 
Che  al  buon  pastore  ed   alla  moglie  dessi, 
('he  serviti  gii  a>ea  con  sì  gran  lede. 
Dal  dì,   che  nel  suo  albergo  si  fnr  messi, 
Levò  dal  braccio  il  «tTchio ,  e  glielo  diede. 
l]  volse  per  suo  amor ,  che  lo  tcne^^i. 

Indi  siiliron  vcr^o  la  montagna. 
Che  divide  la  Francia  dalla  Spagna. 

lU 


[243] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XIX.  41— 56) 


[244] 


41.      Dentro  a  Valenza ,  o  dentro  a  Barcellona 
Per  qualche  giorno  avean  pensato  porsi, 
Finché  accadesse  alcuna  nave  buona. 
Che  per  Levante  apparecchiasse  a  sciorsi. 
Videro  il  mar  scoprir  sotto  a  Girona, 
Nel  calar  giù  delli  montani  dorsi  ;_ 
E  costeggiando  a  man  sinistra  il  lite, 
A  Barcellona  andar  pel  cammin  trito. 

42.  Ma  non  vi  giunser  prima ,  che  un  uoni  pazzo 
Giacer  trovaro  in  sull'  estreme  arene, 

Che,  come  porco,  di  loto  e  di  guazzo 

Tutta  era  brutto ,  e  volto ,  e  petto ,  e  schiene. 

Costui  si  scagliò  lor ,  come  cagnazzo, 

Clie  assalir  forestier  subito  vienne, 

E  die'  lor  noja ,  e  fu  per  far  lor  scorno. 

Ma  di  Marfisa  a  ricontar  vi  torno. 

43.  Di  Marfisa,  d'  Astolfo,  d'  Aquiiante, 
Di  Grifone,   e  degli  altri  io  vi  vo'  dire, 
Che  travagliati,  e  con  la  morte  innante, 
Mal  si  poteano  incontra  il  mar  sc»:ei.:iire  : 
Che  sempre  più  superba  e  più  arrogante 
Crescea  fortuna  le  minacce  e  1'  ire: 

E  già  durato  era  tre  di  lo  sdegno, 
Kè  di  placarsi  ancor  mostrava  segno. 

44.  Castello  e  ballador  spezza  e  fracassa 

li'  onda  nimica ,  e  1'  vento  cgnor  più  fiero. 

Se  parte  ritta  il  verno  pur  ne  lassa, 

La  taglia,  e  dona  al  mar  tutta  il  nocchiero. 

Chi  sta  col  capo  chino  in  una  cassa, 

Sulla  carta  appuntando  il  suo  sentiero, 

A  lume  di  lanterna  piccolina; 

E  chi  col  torchio  giù  nella  sentina. 

45.  Un  sotto  poppa ,  un  altro  sotto  prora 
Si  tiene  innanzi  1'  oriuol  da  polve, 

E  torna  a  rivedere,  ogni  mezz'  ora. 
Quanto  è  già  corso ,  ed  a  che  via  si  volve. 
Indi  ciascun  con  la  sua  carta  fuora 
A  mezza  nave  il  suo  parer  risolve. 
Là  dove  a  un  tempo  i  marinari  tutti 
Sono  a  consiglio  dal  padron  ridutti. 

46.  Chi  dice  :  Sopra  Liuiissò  venuti 

Siamo ,  per  quel  che  io  trovo ,  alle  seccagne. 
Clii ,  di  Tripoli  appresso  i  sassi  acuti, 
Dove  il  mar  le  più  volte  i  legni  fragne. 
Chi  dice:  Siamo  in  Satalìa  perduti, 
Per  cui  più  d'  un  nocchier  sospira  e  piagne. 
Ciascun  secondo  il  parer  suo  argomenta; 
Ma  tutti  ugual  timor  preme  e  sgomenta. 

47.  Il  terzo  giorno  con  maggior  dispt^tto 

Gli  asjale  il  vento,  e  '1  mar  più  irato  freme; 

E  r  un  ne  spezza  e  portane  il  trìncbetto, 

E  '1  tinion  r  altro ,  e  chi  lo  volge  insieme. 

Ben  è  di  forte  e  di  marmoreo  jìctto, 

E  più  duro,  eli'  acciar,  clii  ora  non  teme. 

Marfisa ,  clje  già  fu  tanto  sicura, 

Kon  negò ,  che  quel  giorno  ebbe  paura. 

48.  Al  monte  Sinai  fu  peregrino, 

A  Galizia  promc-sso,  a  Cijiro ,  a  Roma, 

Al  sepolcro,  alla  \(;rgine»r  Ettino, 

E  flc  celebre  luogo  altro  si  noma. 

Sul  mare  inliuito  ,  e  s|)esso  al  ciel  vicino 

L'  afllitto  e  coti(|iia>siitolcgno  toma; 

Di  mi,  per  min  Iraviiglio,  avca  il  padrone 

Fatto  r  arlior  tagliar  dell'  artimone. 


49.  E  colli  e  casse,  e  ciò  che  v'  è  di  grave, 
Gitta  da  prora ,  e  da  poppa ,  e  da  sponde, 
E  fa  tutte  sgombrar  camere  e  giave, 

E  dar  le  ricche  merci  all'  avide  onde. 
Altri  attende  alle  trombe,  e  a  tor  di  nave 
L  acque  importune ,  e  il  mar  nel  mar  rifonde  ; 
Soccorre  altri  in  sentina ,  ovunque  appare 
Legno  da  legno  aver  sdrucito  il  mare. 

50.  Stero  in  questo  travaglio ,  in  questa  pena 
Ben  quattro  giorni ,  e  non  avean  più  schermo  ; 
E  n'  avria  avuto  il  mar  vittoria  piena, 

Poco  più  ,  che  '1  furor  tenesse  fermo. 

Ma  diede  speme  lor  d'  aria  serena 

La  disiata  luce  di  sant'  Ermo, 

Che  in  prua  jU  una  cocchina  a  por  si  venne  ; 

Che  più  non  v'  erano  arbori ,  né  antenne. 

51.  Veduto  fiammeggiar  la  bella  face, 
S'  inginocchiai'o  tutti  i  naviganti, 

E  domandaro  il  mar  tranquillo  e  pace, 
Con  umidi  occhj  e  con  voci  tremanti. 
La  tempesta  crudel ,  che  pertinace 
Fu  fin  allora ,  non  andò  più  innanti. 
Maestro  e  traversia  più  non  molesta, 
E  sol  del  mar  tiran  libecchio  resta. 

52.  Questo  resta  sul  mar  tanto  possente, 
E  dalla  negra  bocca  in  modo  esala. 
Ed  è  con  lui  sì  rapido  il  torrente 
Deli'  agitato  mar,  che  in  fretta  cala, 
Che  porta  il  legno  più  velocemente, 
Che  pellegrin  falcon  mai  facesse  ala. 

Con  timor  del  nocchier ,  che  al  fin  del  mondo 
Kon  lo  trasporti ,  o  rompa ,  o  cacci  al  fondo. 

53.  Rimedio  a  questo  il  buon  nocchier  ritrova, 
Che  comanda  gittar  per  poppa  spere, 

E  caluma  la  gómona,  e  fa  prova 
Di  duo  terzi  del  corso  ritenere. 
Questo  consiglio ,  e  più  1'  augurio  giova 
Di  chi  avea  acceso  in  proda  le  lumiere. 
Questo  il  legno  salvò ,  che  perla  forse, 
E  fé',  che  in  alto  mar  sicuro  corse. 

54.  Nel  golfo  di  Lajazzo  in  ver  Soria, 
Sopra  una  gran  città  si  trovò  sorto, 
E  sì  vicino  al  lito ,  che  scopria 

L'  uno  e  1'  altro  castel,  che  serra  il  porto. 
Come  il  padron  s'  accorse  della  via, 
Che  fatto  avea,  ritornò  in  viso  smorto; 
Che  né  porto  pigliar  quivi  Aolea, 
Nò  stare  in  alto ,  né  fuggir  potea. 

55.  Né  potea  stare  in  alto,  né  fuggire; 
Che  gli  arbori  e  1'  antenne  avea  perdute: 
Eran  tavole  e  travi,  pel  ferire 

Del  mar  ,  sdrucite  ,  macere  e  sbattute. 
E  '1  pigliar  porto  era  un  voler  morire, 
O  pt^rpetuo  legarsi  in  servitute: 
Che  riman  serva  ogni  jiersona ,  o  morta. 
Che  quivi  (irroro,  o  ria  fortuna  porta. 

56.  TiO  stare  in  dubbio  era  con  gran  periglio, 
Che  non  salisser  genti  della  terra 
Con  legni  armati,  e  al  suo  desser  di  pìglio. 
Mal  atto  a  star  sul  mar ,  non  che  a  far  guerra.] 
Mentre  il  padron  non  sa  pigliar  consiglio, 
Fu  domaiuiato  da  (jnel  d'  Ingliilterra, 
VAìè  gli  tenea  sì  1'  animo  sospeso? 
E  perchè  già  non  avea  il  porto  preso? 


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ORLANDO  FURIOSO.     (XIX.  57—72) 


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58 


59. 


.     n  padron  narrò  a  lui ,   che  quella  riva 
Tutta  tenean  le  femmine  omicide, 
Di  cui  r  antica  legge  ognim ,  che  arriva, 
Ih  perpetuo  tien  servo ,  o  che  1'  uccide. 
E  questa  sorte  solamente  schiva 
Chi  nel  campo  dieci  uomini  conquide, 
E  poi  la  notte  può  assaggiar  nel  letto 
Dieci  donzelle  con  carnai  diletto. 

E  se  la  prima  prova  gli  vien  fatta, 
E  non  fornisca  la  seconda  poi, 
Egli  vien  morto ,  e  chi  è  con  lui ,  si  tratta 
Da  zappatore,  o  da  guardian  di  huoi. 
Se  di  far  1'  uno  e  altro  è  persona  atta, 
Impetra  libertade  a  tutti  i  suoi  ; 
A  sé  non  già;  eh'  ha  da  restar  marito 
Di  dieci  donne ,  elette  a  suo  appetito. 

Non  potè  udire  Astolfo  senza  risa 
Della  vicina  terra  il  rito  strano. 
Sopravvien  Sansonetto,  e  poi  Marfisa, 
Indi  Aquilante ,  e  seco  il  suo  germano  : 
Il  padron  parimente  lor  divisa 
La  causa .  che  dal  porto  il  tien  lontano. 
Voglio,  dicea,  che  innanzi  il  mar  m' affoghi, 
Cli'  io  senta  mai  di  servitude  i  gioghi. 


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61 


62. 


tftì 


Del  parer  del  padrone  i  marinari 
E  tutti  gli  altri  naviganti  furo; 
Ma  Marfisa  e  i  compagni  eran  contrari. 
Che,  più  che  1'  acque,  il  lito  avean  sicuro. 
Via  più  il  vedersi  intorno  irati  i  mari, 
Che  cento  mila  spade,  era  lor  duro. 
Parca  lor  questo,  e  ciascun  altro  loco 
Dove  arme  usar  potean ,  da  temer  poco. 

Bramavano  i  guerricr  venire  a  proda; 
Ma  con  maggior  baldanza  il  duca  inglese. 
Che  sa  ,  come  del  corno  il  rumor  s'  oda, 
Sgombrar  d'  intorno  si  farà  il  paese. 
Pigliare  il  porto  1'  nna  parte  loda, 
E  r  altra  il  biasma ,  e  sono  alle  contese  : 
Ma  la  più  forte  in  guisa  il  padron  stringe. 
Che  al  porto,  suo  mal  grado,  il  legno  spinge. 

Già ,  quando  prima  s'  erano  alla  vista 
Della  città  crudel  sul  mar  scoperti, 
Veduto  aveano  nna  galea  provvista 
Di  molta  ciurma,  e  di  nocchieri  esperti. 
Venire  al  dritto  a  ritrovar  la  trista 
Nave,  confusa  di  consigli  incerti; 
Che ,  r  alta  proni  alle  sue  poppe  basse 
Legando ,  fiutr  dell'  empio  mar  la  trasse. 

63.  Entrar  nel  porto  rimorchiando ,  e  a  forza 
Di  remi  più  ,  «he  per  favor  di  vele, 
Perocché  1'  alternar  di  poggia  e  d'  orza 
Avca  levato  il  vento  lor  (-rudcle. 
Intanto  ripigliar  la  diuM  scorzii 
I  cavalieri,  e  il  brando  lor  fedele. 
Ed  al  padrone,  «-d  a  ciast-un  rhv.  teme. 
Non  cessai!  dar  v.o'  lor  contorti  speme. 

64.  Fatto  è  il  porto  a  sembian/a  d'  una  luna, 
E  gira  più  di  quattro  miglia  intorno. 
Seicento  passi  è  in  bocca,   ed  in  ciascuna 
Parte  una  rocca  ha  nel  finir  del  conio. 
Non  teuu;  alcun  assalto  di  fortuna. 
Se  non  <|uando  gli  vien  dal  iui"/./.ogiornn. 
A  guisa  di  teatro  se  gli  stende 
La  città  a  cerco ,  o  verso  il  poggio  ascende. 


65.  Non  fa  quivi  si  tosto  il  legno  sorto, 
(Già  r  avviso  era  per  tutta  la  terra) 
Che  fur  sei  mila  femmine  sul  porto 

Con  gli  archi  in  mano,  in  abito  di  guerra: 

E  per  tor  della  fuga  ogni  conforto. 

Tra  r  una  rocca  e  1'  altra  il  mar  si  serra: 

Da  navi  e  da  catene  fu  rinchiuso, 

Che  tenean  sempre  instrutte  a  cotal  uso. 

66.  Una ,  che  d'  anni  alla  Cumea  d'  Apollo 
Potea  uguagliarsi ,  e  alla  madre  d'  Ettorre, 
Fé'  chiamare  il  padrone  e  domandoUo, 

Se  si  volean  lasciar  la  vita  torre, 

O  se  voleano  pure  al  giogo  il  collo, 

Secondo  la  costuma ,  sottoporre. 

Degli  due  1'  uno  aveano  a  torre,  o  quivi 

Tutti  morire ,  o  rimaner  cattivi. 

67.  Gli  è  ver,  dicea,  che  s'  uora  si  ritrovasse 
Tra  voi  cosi  animoso  e  così  forte, 

Che  con  tra  dieci  nostri  uomini  osasse 
Prender  battaglia,  e  desse  lor  la  morte, 
E  far  con  dieci  femmine  bastasse 
Per  una  notte  ufficio  di  consorte, 
Egli  si  rimarria  principe  nostro, 
E  gir  voi  ne  potreste  al  cammin  vostro. 

68.  E  sarà  in  vostro  arbitrio  il  restar  anco. 
Vogliate  o  tutti,   o  parte;  ma  con  patto. 
Che ,  chi  vorrà  restare ,  e  restar  franco, 
IMarito  sia  per  dieci  femmine  atto. 

Ma,  quando  il  guerrier  vostro  possa  manco 
Dei  dieci ,  che  gli  fian  niniici  a  un  tratto, 
O  la  seconda  prova  non  fornisca, 
Vogliam  voi  siate  schiavi ,  egli  perisca. 

69.  Dove  la  vecchia  ritrovar  timore 
Credea  nei  cavalier ,  trovò  baldanza  ; 
Che  ciascun  si  tenea  tal  feritore. 

Che  fornir  1'  uno  e  1'  altro  avea  speranza: 
Ed  a  Marfisa  non  mancava  il  core. 
Benché  non  atta  alla  seconda  danza: 
Ma ,  dove  non  1'  aitasse  la  natura. 
Con  la  spada  supplir  stava  sicura. 

70.  Al  padron  fu  commessa  la  risposta. 
Prima  conchiusa  per  comun  consiglio, 

Ch'  avean  ,  chi  lor  potria  di  sé,  a  lor  posta. 
Nella  piazza  e  nel  letto  far  periglio. 
Levan  1'  ollese,  ed  il  nocchier  s'  accosta. 
Getta  la  fune,  e  le  fa  dar  di  piglio, 
E  fa  acconciare  il  ponte,  onde  i  guerrieri 
Escono  armati ,  e  tranno  i  lor  destrieri. 

71.  E  quindi  van  per  mezzo  la  cittade, 
E  vi  ritrovan  le  donzelle  altere 
Succinte  cavalcar  per  le  contrade. 

Ed  in  piazza  armeggiar,   rouH- guerriero. 
Né  calzar  qui\i  spron,  né  cinger  spade, 
Né  cosa  d"  arme  pon  gli  uomini  avere. 
Se  non  dieii  alla  volta,  per  rispetto 
Dell'  antica  costiuua ,  eh'  io  v'  ho  detto. 

72.  Tutti  gli  altri  alla  spola,  all'  ago,  al  fuso, 
Al  pettine  ed  al  naspo  sono  intenti, 

Con  ^esli  fenwuinil,  che  \anno  giuso 

\u>ui  al  pie,   die  li  la  iiiidli  e  lenti. 

Si  lengtino  in  catena  alcuni ,   ad  uso 

D"  arar  la  terra,  o  di  guardar  gli  armenti. 

.Soli  pochi  ì  iiiasclij  ,  e  non  son  ben,  per  mille 

Feiuuiiiie,  cento  fra  citladi  e  ville. 

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ORLANDO    FURIOSO.     (XIX.  T3— 88) 


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73.  Volendo  torre  i  caralieri  a  sorte 
Chi  di  ior  debba  per  comune  scampo 
L'  ima  decina  in  piazza  porre  a  morte, 
E  poi  r  altra  ferir  nell'  altro  campo, 
Kon  disegnavan  di  Marfisa  forte; 
Stimando ,  ohe  troA  ar  dovesse  inciampo 
Nella  seconda  giostra  della  sera; 

Che  ad  averne  vittoria  abil  non  era. 

74.  Ma  con  gli  altri  esser  volse  ella  sortita. 
Or  sopra  lei  la  sorte  in  somma  cade. 
Ella  dicea  :  Prima  v'  ho  a  por  la  vita, 
Che  v'  abbiate  a  por  voi  la  libertade. 
Ma  questa  spada  (e  Ior  la  spada  addita, 
Che  cinta  avea^  \i  do  per  sicurtade, 

Ch'  io  \ì  sciorrò  tutti  gì'  intrichi  al  modo, 
Che  fé'  Alessandro  il  gordiano  nodo. 

75.  Non  vo'  mai  più ,  che  forestier  si  lagni 
Di  questa  terra,  finché  '1  mondo  dura. 
Cosi  disse,  e  non  poterò  i  compagni 
Torle  quel,  che  le  dava  sua  ventura. 
Dimque ,  o  che  in  tutto  perda ,  o  Ior  guadagni 
La  libertà ,  le  lasciano  la  cura. 

Ella,  di  piastre  già  guernita  e  maglia, 
S'  appresentò  nel  campo  alla  battaglia. 

76.  Gira  una  piazza  al  sommo  della  terra. 
Di  gradi  a  sedere  atti  intorno  chiusa. 
Che  solamente  a  giostre ,  a  simil  guerra, 
A  cacce ,  a  lotte ,  e  non  ad  altro  s'  usa. 
Quattro  porte  ha  di  bronzo ,  onde  si  serra. 
Quivi  la  moltitudine  confusa 

Dell'  armigere  femmine  si  trasse, 

E  poi  fu  detto  a  Marfisa,  eh'  entrasse. 

77.  Entrò  Marfisa  su  un  destrier  leardo. 
Tutto  sparso  di  macchie  e  di  rotelle. 
Di  picciol  capo  e  d'  animoso  sguardo, 
D'  andar  superbo  e  di  fattezze  belle. 

Pel  maggiore  e  più  vago,  e  più  gagliardo 
Di  mille,  che  n'  avea  con  briglie  e  selle, 
Scelse  in  Damasco,  e  realmente  ornollo, 
Ed  a  Marfisa  Norandin  donoUo. 

78.  Da  mezzogiorno ,  e  dalla  porta  d'  Austro 
Entrò  Marfisa ,  e  non  vi  stette  guari, 

Che  appropinquare  e  risonar  pel  claustro 
Udì  di  trombe  acuti  suoni  e  chiari  ; 
E  vide  poi  di  verso  il  freddo  plaustro 
Entrar  nel  campo  i  dicci  suoi  contrarj. 
Il  primo  cavalìer,  che  apparve  innante. 
Di  ^aler  tutto  il  resto  avea  sembiante. 

79.  Quel  venne  in  piazza  sopra   un  gran  destriero 
Che,  fuorcliè  in  fronte  e  nel  pie  dietro  manco, 
Era,  più  che  mai  corbo  ,  oscuro  e  nero; 

Nel  pie  e  nel  capo  avea  alcun  pelo  bianco. 
Del  color  del  cavallo  il  cavalicro 
Ac.-tito,  volea  dir,  che  come  manco 
Dell'  oscuro  era  il  chiaro,  era  altrettanto 
Il  riso  in  lui ,  verso  1'  oscuro  pianto. 

80.  Dato  che  fu  della  battaglia  il  segno, 
Nove  gucrricr  I  il^t<'  (liiiinro  a  un  tratto  : 

Ma  qiurl  dal  nero  vhhi-  il  vantaggio  u  sdegno; 

Si  ritirò.  111!  di   giontrar  fece  atto. 

A  noi,  cir  alle  leggi  innanzi  di  quel  regno, 

Cir  alla  sua  cortesia  sia  contraflatto. 

Si  trae  da  parie,  v.  sta  a  veder  le  prove, 

Ch'  una  sol'  a>ta  farà  contra  nove. 


81.  Il  destrier,  eh'  avea  andar  trito  e  soave, 
Portò  air  incontro  la  donzella  in  fretta, 
Che  nel  corso  arrostò  lancia  si  grave, 

Clie  quattro  uomini  avriano  appena  retta. 
L'  avea  pur  dianzi  al  dismontar  di  nave 
Per  la  più  salda  in  molte  antenne  eletta. 
Il  fier  sembiante,  con  eh'  ella  si  mosse, 
Mille  facce  imbiancò,  mille  cor  scosse. 

82.  Aperse  al  primo,  che  trovò,  sì  il  petto, 
Cile  fora  assai,  che  fosse  stato  nudo. 

Gli  passò  la  corazza  e  il  soprappetto, 
Ma  prima  un  ben  ferrato  e  grosso  scudo  : 
Dietro  le  spalle  un  braccio  il  ferro  netto 
Si  vide  uscir  ;  tanto  fu  il  colpo  crudo  ! 
Quel  fitto  nella  lancia  addietro  lassa, 
E  sopra  gli  altri  a  tutta  briglia  passa. 

83.  E  diede  d'urto  a  chi  venia  secondo. 
Ed  a  chi  terzo  sì  terribil  botta. 

Che  rotto  nella  schiena  uscir  del  mondo 

Fé'  r  uno  e  1'  altro,  e  della  sella  a  im'  utta; 

Sì  duro  fu  r  incontro ,  e  di  tal  pondo, 

Sì  stretta  insieme  ne  venia  la  frotta  ! 

Ho  veduto  bombarde  a  quella  guisa 

Le  squadre  aprir,  che  fé'  lo  stuol  Marfisa.' 

84.  Sopra  di  lei  più  lance  rotte  furo  ; 
Ma  tanto  a  quelli  colpi  ella  si  mosse, 
Quanto,  nel  giuoco  delle  cacce,  un  muro 
Si  muova  a'  colpi  delle  palle  grosse. 

L'  usbergo  suo  di  tempra  era  sì  duro, 
Che  non  gli  potean  contra  le  percosse, 
E  per  incanto  al  fuoco  dell'  inferno 
Cotto  e  temprato  all'  acque  fu  d'  Averno. 

85.  Al  fin  del  campo  il  destrier  tenne  e  volse, 
E  fermò  alquanto  ;  e  in  fretta  poi  lo  spinse 
Incontra  gli  altri ,  e  sbaraglioUi  e  sciolse, 

E  di  Ior  sangue  infin  all'  elsa  tinse. 

All'  uno  il  capo,  all'  altro  il  braccio  tolse, 

E  un  altro  in  guisa  con  la  spada  cinse, 

Che  '1  petto  in  terra  andò  col  capo  ed  ambe 

Le  braccia,  e  in  sella  il  ventre  era  e  le  gambe 

86.  Lo  partì,  dico,  per  dritta  misura 
Delle  coste  e  dell'  anche  alle  confine, 
E  lo  fé'  rimaner  mezza  figura, 
Qual  dinanzi  alle  immagini  divine 
Poste  d'argento ,  e  più  di  cera  pura, 
Son  da  genti  lontane  e  da  vicine, 

Che  a  ringraziarle ,  e  sciorre  il  voto  vanno 
Delle  domande  pie,  ch'ottenute  hanno. 

87.  Ad  uno ,  che  foggia ,  dietro  si  mise  ; 
Nò  fu  a  iiiezzo  la  piazza ,  che  lo  giunse, 
E  '1  capo  e  '1  collo  in  modo  gli  divise, 
Che  medico  mai  più  non  lo  raggiunse. 
In  somma  tutti ,  un  dopo  Taltro ,  uccise, 
O  ferì  sì ,  ch'ogni  a  Igor  n'emunse  ; 

E  fu  sicura,  che  levar  di  terra 

Mai  più  non  si  potrian,  per  farle  guerra. 

88.  Stato  era  il  cavalier  sempre  in  un  canto, 
Che  la  decina  in  piazza  avea  condotta, 
Perocché  contra  un  solo  andar  con  tanto 
Vantaggio ,  opra  gli  parve  iniqua  e  brutta. 
Or,  che  p(T  una  man  torsi  da  canto 

A  ide  si  tosto  la  c<)ni|)agna  tutta. 
Per  dimostrar,  che  la  tardanza  fosse 
Cortesia  stata,  e  non  timor,  si  mosse. 


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ORLANDO  FURIOSO.     (XIX.  89—101) 


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89.  Con  man  fé'  cenno  di  Tolere,  innanti 
Clic  facesse  altro ,   alcuna  cosa  dire  ; 

E  non  pensando ,  in  sì  yiril  sembianti, 
Che  s'avesse  una  virgine  a  coprire, 
Le  disse  :  Cavaliero ,  ornai  di  tanti 
Esser  dei  stanco,  eh'  hai  fatto  morire; 
E ,  s'  io  volessi  piii  di  quel ,  che  sei, 
Stancarti  ancor ,  discortesia  farei. 

90.  Che  ti  riposi  insino  al  giorno  novo, 
E  doman  torni  in  campo ,  ti  concedo. 
Non  mi  fìa  onor,  se  teco  oggi  mi  provo; 
Che  travagliato  e  lasso  esser  ti  credo. 

Il  travagliare  in  arme  non  m'è  novo, 
3Vè  per  si  poco  alla  fatica  cedo, 
Disse  Marfisa ,  e  spero  ,  che  a  tuo  costo 
Io  ti  farò  di  questo  avveder  tosto. 

91.  Della  cortese  offerta  ti  ringrazio: 
Ma  riposare  ancor  non  mi  bisogna, 
E  ci  avanza  del  giorno  tanto  spazio, 

Che  a  porlo  tutto  in  ozio  è  pur  vergogna. 
Rispose  il  cavalier:  Foss'  io  sì  sazio 
D'  ogn'  altra  cosa,  che  '1  mio  core  agogna, 
Come  t'ho  in  questo  da  saziar!  Ma  vedi, 
Che  non  ti  manchi  il  dì ,  più  che  non  credi. 

93.  Così  disse  egli,  e  fé'  portare  in  fretta 
Due  grosse  lance,  anzi  due  gravi  antenne, 
Ed  a  Marfisa  dar  ne  fé'  l'eletta, 

Tolse  l'altra  per  sé,  che  indietro  venne. 
Già  sono  in  punto ,  ed  altro  non  s'aspetta, 
Che  un  alto  suon,  che  lor  la  giostra  accenne 
Ecco  la  terra  e  l'aria  e'I  mar  rimbomba 
Nel  mover  loro  al  primo  suon  di  tromba. 

93-      Trar  fiato,  bocca  aprire,  o  batter  occhj 
Non  si  vedea  de'  riguardanti  alcuno; 
Tanto  a  mirare  ,  a  chi  la  pahna  tocchi 
De'  duo  campioni,  intento  era  ciascuno! 
Marfisa,  accioccliè  dell'  arcion  trabocchi. 
Sicché  mai  non  si  levi  il  gnerrier  bruno, 
Drizza  la  lancia  ;  e  '1  guerrier  bruno  forte 
Studia  non  raen  di  por  Marfisa  a  morte. 

94.  Le  lance  ambe  di  secco  e  sottil  salce, 
Non  di  Cerro  sembrar  grosso  ed  acerbo, 
Cosi  n'andaro  in  tronchi  fin  al  calce  ; 

E  r  incontro  ai  dcstrier  fu  sì  superbo. 
Che  parimente  parve  da  una  falce 
Delle  gambe  esser  lor  tronco  ogni  nerbo. 
Caddero  ambi  ugualmente  ;  ma  i  campioni 
Fur  presti  a  disbrigarsi  dagli  arcioni. 

95.  A  mille  cavalieri  alla  sua  vita 

Al  primo  incontro  avea  la  sella  tolta 
Marfisa,  ed  ella  mai  non  n'era  uscita; 
E  n'uscì,  come  udite,  a  questa  volta. 
Del  caso  strano  non  pur  sbigottita. 
Ma  quasi  fu  per  rimanerne  stolta. 
Parve  anco  strano  al  cavalier  dal  nero, 
Che  non  solca  cader  già  di  h^ggiero. 

96.  Tocca  avcan  nel  cader  la  tc^rra  appena, 
Che  furo  in  pìcnli ,    e  rinnovar  !'  assalto. 
Tagli  e  punte  a  furor  quivi  si  mena; 
Quivi   ripara  or  scudo,  or  lama,  or  salto. 
Vada  la  botta  vota  ,  o  vada  piena. 
L'aria  ne  stride ,  e  ne  risuona  in  alto. 
Quegli  elmi,  quegli  U'>berglii,  quegli  scudi 
Mostrar,  eh'  erano  saldi  più  che  inciidi. 


97.  Se  dell'  aspra  donzella  il  braccio  è  gl'ave. 
Né  quel  del  cavalier  nimico  è  lieve. 

Ben  la  misura  ugual  1'  un  dall'  altro  bave: 
Quanto  appunto  1'  un  dà,  tanto  riceve. 
Chi  vuol  due  fiere  audaci  anime  brave, 
Cercar  più  là  di  queste  due  non  deve. 
Né  cercar  più  destrezza,  né  più  possa. 
Che  n'han  tra  lor  quanto  più  aver  si  possa. 

98.  Le  donne,  che  gran  pezzo  mirato  hanno 
Continuar  tante  percosse  orrende, 

E  che  ne'  cavalier  segno  d'affanno 
E  di  stanchezza  ancor  non  si  comprende, 
De'  duo  miglior  guerrier  lode  lor  danno, 
Che  sien  tra  quanto  il  mar  sue  braccia  stende. 
Par  lor,  che  se  non  fosser  più  che  forti. 
Esser  dovrian  sol  del  travaglio  morti. 

99.  Ragionando  tra  sé  dicea  Marfisa: 

Buon  fu  per  me ,  che  costui  non  sì  mosse  ; 
Che  andava  a  rischio  di  restarne  uccisa, 
Se  dianzi  stato  co'  compagni  fosse; 
Quando  io  mi  trovo  appena  a  questa  guisa 
Di  potergli  star  conti-a  alle  percosse. 
Così  disse  Marfisa;  e  tutttivolta 
Non  resta  di  menar  la  spada  in  volta. 

100.  Buon  fu  per  me,  dicea  quell'  altro  ancora. 
Che  riposar  costui  non  ho  lasciato. 
Difender  me  ne  posso  a  fatica  ora. 

Che  dalla  prima  pugna  è  travagliato. 
Se  fin  al  nuovo  dì  facea  dimora 
A  ripigliar  vigor,  che  saria  stato? 
Ventura  ebbi  io ,   quanto  più  possa  aversi. 
Che  non  volesse  tor  quel,  eh'  io  gli  offersi. 

101.  La  battaglia  durò  fino  alla  sera; 

Né  chi  avesse  anco  il  meglio,  era  palese; 
Né  r  un  né  1'  altro  più ,  senza  lumiera. 
Saputo  avria  ,  come  schivar  1'  offese. 
Giunta  la  notte,  all'  inclita  guerriera 
Fu  primo  a  dire  il  cavalier  cortese  : 
Che  farem ,  poiché  con  ugual  fortuna 
N"ha  sopraggiunti  la  notte  importuna? 

102.  Meglio  mi  par,  che  '1  vìver  tuo  prolunghi 
Almeno  insino  a  tanto,  che  s'  aggiorni. 

Io  non  posso  concederti,  che  aggiungili 
Fuor  eh'  una  notte  piccìola  ai  tinti  giorni. 
E   di  ciò,  che  non  gli  abbia  aver  più  lunghi, 
La  colpa  sopra  me  non  vo'  che  torni: 
Torni  pur  sopra  alla  spietate  legge 
Del  sesso  femminil,  che  '1  loco  regge. 

103.  Se  di  te  duolmi ,  e  di  questi  altri  tuoi, 
Lo  sa  colui  ,   che  nulla  cosa   ha  oscura. 
Co'   tiu)i  compagni  star  meco  tu  puoi: 
Con  altri  non   avrai  stanza  ^i^llra; 
Perchè  la  tiuba ,  a  cui  i  muriti  suoi 
Oggi   uccisi  hai,  già  contra  te  ouigiurn. 
Ciascun  di  questi,  a  cui  dato  hai  la  morte, 
Era  di  dieci  femmine  consorte. 

104.  Del  danno,  eh'  lian  da  te  rice^nt'  oggi, 
Disian  nttvanta  femniinf  vendetta: 
Sicché,  se  meco  ad  albergar  non  poggi. 
Questa  notte  assalito  esser  t'  aspetta. 
Disse  Marfisa:   Accetto  che  m'   alloggi; 
('on  sicurtà,  che  non  sia  men  perfetta 

In  te  la  fede,   e  la  l)ontà  del    core. 
Che  sia   l  ardire  ,  e  'I  corporal  valore. 


[251]        ORLANDO    FURIOSO.     (XIX.  105  —  108.    XX.  1-8)        [252] 


105,  Sia  che  t'  incresca,  che  m'  al)bi    ad  uccidere, 
Ben  ti  può  increscer  anco  del  contrario. 

Fin  qui  non  credo,  che  t'  abbi  da  ridere, 
Perch'  io  sia  men  di  te  duro  avversario. 
O  la  pugna  seguir  vogli,  o  dividere, 
O  farla  all'  uno  o  all'  altro  luminarlo, 
Ad  ogni  cenno  pronta  tu  m'  avrai,  ^ 
E  come,  ed  ogni  volta,  che  vorrai. 

106.  Cosi  fu  differita  la  tenzone 

Finché  di  Gange  uscisse  il  nuovo  albore, 

E  si  restò  senza  conclusione. 

Chi  d'  essi  duo  guerrier  fosse  il  migliore. 

Ad  Aquilante  venne  ed  a  Grifone, 

E  così  agli  altri  il  liberal  signore, 

E  li  pregò,  che  fino  al  nuovo  giorno 

Piacesse  lor  di  far  seco  soggiorno. 


107.  Tenner  I'  invito  senza  alcun  sospetto; 
Indi  a  splendor  di  bianchi  torchj  ardenti. 
Tutti  salirò,  ov'  era  un  rcal  tetto. 
Distinto  in  molti  adorni  alloggiamenti. 
Stupefatti  al  levarsi  dell'  elmetto. 
Mirandosi,   restaro  i  combattenti; 

Che  '1  cavalier,  per  quanto  apparea  fuora, 
Non  eccedeva  i  diciotto   anni  ancora. 

108.  Si  maraviglia  la  donzella,  come 
In  arme  tanto  un  giovinetto  vaglia; 

Si  maraviglia  1'  altro  ,  eh'  alle  chiome 
S'  avvede,  con  chi  avea  fatto  battaglia; 
E  si  domandan  T  un  con  F  altro  il  nome, 
E  tal  debito  tosto  si  ragguaglia. 
Ma,  come  si  nomasse  il  giovinetto, 
JNeU'  altro  canto  ad  ascoltar  v'  aspetto. 


CANTO     VENTESIMO. 


ARGOMENTO. 

Pi  sé  conto  a  Marfisa  dà  Grifone, 
E  narra  la  cagion  del  rito  strano. 
Partonsi,  e  Astolfo  a  bocca  il  corno  pone, 
E  le  donne ,  e  ciascun  fugge  lontano. 
È  Grifone  e  'i  fratel  posto  in  prigione. 
Marfisa  Pinabel  getta  nel  piano; 
Dei  panni  giovami  veste  Gabrina, 
Indi  la  dà  a  Zcrbin  per  disciplina. 


Le  donne  antiche  hanno  mirabil  cose 
Fatto  ncir  arme  e  nelle  sacre  muse, 
E  di  lor  opre  belle  e  gloriose 
Gran  lume  in  tutto  il   mondo  si  diffuse. 
Arpalicc  e  Camilla  son  famose, 
Perchè  in  battaglia  erano  esperte  ed  use: 
Saffo  e  Corinna ,  perchè  furon  dotte, 
Splendono  illustri,  o  mai  non  veggon  notte. 

Le  donne  son  venute  in  eccellenza 
Di  ciascun'  arte,  ove  hanno  posto  cura; 
E  qualunque  all'  istorie  abbia  avvertenza, 
"Se  sente  ancor  la  fama  non  oscura. 
Se  'I  mondo  n'  è  gran  tempo  stato  senza, 
Aon  però  sempre  il  mal  influssi»  dura, 
E  forse  ascosi  han  lor  dei)iti  onori 
L'  invidia,  o  il  non  saper  degli  scrittori. 

Den  mi  par  di  veder,  «ih'  al  seco!  nostro 
Tanta  virtù  fra  belle  dcuine  emerga, 
Che  può  dar  opra  a  carte  «-d  ad  incliiostro, 
Penile  ne'  futuri  anni  bi  disperga, 
E  perchè,  odioM;  lingue,  il  mal  dir  vostro 
Con  vostra  eterna  inlaMiia  si  sommerga; 
E  le  lor  lodi  appariranno  in  guisa, 
Che  di  gran  lunga  avanzcran  Marfisa. 


4.  Or,  pur  tornando  a  lei,  questa  donzella 
"Al  cavalier,  che  1'  usò  cortesia. 

Dell'  esser  suo  non  nega  dar  novella, 
Quando  esso  a  lei  voglia  contar  ,  chi  ei 
Sbrigossi  tosto  del  suo  debito  ella, 
Tanto  il  nome  di  lui  saper  disia! 
Io  son,  disse,  Marfisa:  e  fu  assai  questo; 
Che  si  sapea  per  tutto  '1  mondo  il  resto. 

5.  L'  altro  comincia,  poiché  tocca  a  lui. 
Con  più  proemio  a  darle  di  sé  conto, 
Dicendo:   Io  credo,  che  ciascun  di  vui 
Abbia  della  mia  stirpe  il  nome  in  pronto; 
Che  non  pur  Francia  e  Spagna ,  e  i  vicin  sui. 
Ma  r  India,  l'  Etiopia  e  il  freddo  Ponto 
Han  chiara  cognizion  di  Chiaramente, 

Onde  uscì  il  cavalier,  eh'  uccise  Almonte, 

6.  E  quel,  che  a  Chiariello  e  al  re  Mambrino 
Diede  la  morte,  e  il  rcsgno  lor  disfece. 

Di  questo  sangue,  dove  nell'  Eusino 

L'  Istro  ne  vien  con  otto  corna  o  diece. 

Al  duca  Amone ,   il  qual  già  peregrino 

Vi  capitò,  la  madre  mia  mi  fece; 

E  r  anno  è  ormai,  eh'  io  la  lasciai  dolente, 

Per  gire  in  Francia  a  ritrovar  mia  gente. 

7.  Ma  non  potei  finire  il  mio  viaggio; 
Che  qua  mi  spinse  un  tempestoso  noto. 
Son  dieci  mesi ,   o  più ,  cbe  stanza  v'  aggio. 
Che  tutti  i  giorni  e  tutte  1'  ore  noto. 
INominato  son  io   Guidon  Selvaggio, 

Di  poca  prova  ancora,  e  poco  noto, 
Uccisi  qui  Argib)n  da  Melibea, 
Con  dieci  cavalier,  che  seco  avea. 

8.  Feci  la  prova  ancor  delle  donzelle: 
Così  u'  ho  die<i  a'  miei  piaceri  allato, 
Ed  alla  scelta  mia  son  le  più  belle, 

E  son  le  più  gentil  di  questo  stato: 
E  qiu^st(^  reggo,  e  tutte  1'  altre;  eh'  elle 
Di  sé  in'  hanno  governo  e  scettro  dato. 
Così  daranno  a  qualunque  altro  arrida 
Fortuna  sì,  che  la  decina  ancida. 


[253] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XX.    9—24) 


[254] 


9.  I  caralier  domandano  a  Guidone, 
Come  ha  si  pochi  niasclij  il  tenitore, 
E  s'  alle  mogli  hanno  sHfcgezione, 
Come  es^se  1'  han  negli  altri  lochi  a  loro. 
J)Use  Guidon:  Più  Aoltc  la  cagione 
Udita  n'  ho,  dappoiché  qui  dimoro; 

E  vi  sarà  (secondo  eh'  io  1'  ho  udita) 
Da  me,  poiché  V  aggrada,  riferita. 

10.  Al  tempo  ,  che  tornar,  dopo  anni  venti, 
Da  Troja  i  Greci  ;  che  durò  1'  assedio 
Diece ,  e  diece  altri  da  contrarj   venti 
Furo  agitati  in  mar  con  troppo  tedio  ; 
Trovar,  che  le  lor  donne  alli  tormenti 
Di  tanta  assenzia  avean  preso  rimedio. 
Tutte  s'  avean  giovani  amanti  eletti, 
Per  non  si  raffreddar  sole  ne'  letti. 

11.  Le  case  lor  trovaro  i  Greci  piene 
Degli  altrui  figli ,  e  per  parer  comune 
Perdonano  alle  mogli;  die  san  bene. 
Che  tanto  non  potean  viver  digiune. 
Ma  ai  figli  degli  adulteri  conviene 
Altrove  procacciarsi  altre  fortune; 
Che  tollerar  non  vogliono  i  mariti, 
Che  più  alle  spese  lor  sieno  nutriti. 

12.  Sono  altri  esposti,  altri  tenuti  occulti 
Dalle  lor  madri ,  e  sostenuti  in  vita. 

In  varie  squadre  quei,  eh'  erano  adulti, 

Feron ,  chi  qua,  chi  là,  tutti  partita. 

Per  altri  1'  arme  son ,  per  altri  culti 

Gli  studj  e  r  arti,  altri  la  terra  trita; 

Serve  altri  in  corte,  altri  é  giiardian  di  gregge, 

Come  piace  a  colei,  che  quaggiù  regge. 

lo.     Parti  fra  gli  altri  un  giovinetto  ,  figlio 
Di  Clitennestra,  la  crudel  regina. 
Di  diciotto  anni,  fresco,  come  un  giglio, 
O  rosa  colta  allor  di  su  la  spina. 
Questi ,  armato  nn  suo  legno ,   a  dar  di  piglio 
Si  pose,  e  a  depredar  per  la  marina, 
In  compagnia  di  cento  giovinetti 
Del  tempo  suo ,  per  tutta  Grecia  eletti. 

U.     I  Cretesi  in  quel  tempo,  che  cacciato 
Il  crudo  Idomenéo  del  regno  aveano, 
E  per  as>icurarsi  il  nuovo  stato, 
D'  uomini  e  d'  arme  adunazion  faceano; 
Fero,  con  buon  stipendio,  lor  soldato 
Falanto  (cosi  al  giovine  diceano) , 
E  lui,  con  tutti  quei,  che  seco  avca, 
Poser  per  guardia  alla  città  Dittea. 

15.      Fra  cento  alme  città,  eh'  erano  in  Creta, 
Dittea  più  ricca  e  più  lìiaccAol'  era, 
Di  helle  donne  ed  amoro.xe  lieta. 
Lieta  di  giochi  da  mattina  a  sera: 
E,  coni'  era  ogni   tempo  consueta 
D'  accarezzar  la  gente  forestiera, 
Fé'  a  costor  sì  ,  che  molto  non  rimase 
A  fargli  anco  signor  delle  lor  case. 

10.  Eran  giovani  tutti,  e  helli  affatto; 
Che  'I  fior  di  (irccìa  avea  Kalaiito  eletto: 
Sicch'  alle  helle  donne,  al  lìiiino  tratto 
Clu!  v"  apparir,  trassero  i  cor  d<'l  p«tto. 
Poiché,  non  nicn  che  helli,   ancora  in   fatto 
Si  dimostrar  buoni  e  gagliardi  al  letto, 

Si  l'ero  ad  ess(^  in  pcxlii  di  sì  grati, 

Che  sopra  ogni  altro  ben  n'  erano  umuti. 


17.  Finita  che  d'  accordo  è  poi  la  guerra, 
Per  cui  stato  Falanto  era  condutto, 

E  lo  stipendio  militar  si  serra, 
Sicché  non  v'  hanno  i  giovani  più  frutto, 
E  per  questo  lasciar  voglion  la  terra: 
Fan  le  donne  di  Creta  maggior  lutto, 
E  per  ciò  vcrsan  più  dirotti  pianti, 
Che  se  i  lor  padri  avessin  morti  avanti. 

18.  Dalle  lor  donne  i  giovani  assai  foro, 
Ciascun  per  sé,  di  rimaner  pregati: 
Né  volendo  restare,  esse  con  loro 

K'  andar,  lasciando  e  padri,  e  figli,  e  frati, 

Di  ricche  gemme  e  di  gran  somma  d'  oro 

Avendo  i  lor  domestici  spogliati: 

Cile  la  pratica  fu  tanto  secreta. 

Che  non  senti  la  fuga  uomo  di  Creta. 

19.  Si  fu  propizio  il  vento,  sì  fu  1'  ora 
Comoda,  che  Falanto  a  fuggir  colse. 
Che  molte  miglia  erano  usciti  fuora. 
Quando  del  danno  suo  Creta  si  dolse. 
Poi  questa  spiaggia,  inabitata  allora, 
Trascorsi  per  fortuna  li  raccolse. 

Qui  si  posaro,  e  oui  sicuri  tutti 
Meglio  del  furto  lor  videro  i  fruttL 

20.  Questa  lor  fu  per  dieci  giorni  stanza 
Di  piaceri  amorosi  tutta  piena. 

Ma  come  spesso  avvien,  che  1'  abbondanza 
Seco  in  cor  giovanil  fastidio  mena, 
Tutti  d'  accordo  fur  di  restar  sanza 
Femmine,  e  liberarsi  di  tal  pena. 
Che  non  è  soma  da  portar  si  grave. 
Come  aver  donna,  quando  a  noja  s'  have. 

21.  Essi ,  che  di  guadagno  e  di  rapine 
Eran  bramosi ,  e  di  dispendio  parchi, 
Vider,  eh'  a  pascer  tante  concubine, 

D'  altro,  ched'  aste  avean  bisogno,  e  d'  ardii: 

Sicché  sole  lasciar  qui  le  meschine, 

E  se  n'  andar,  di  lor  ricchezze  carchi. 

Là  dove  in  Puglia  in  ripa  al  mar  poi  sento 

Ch'  edificar  la  terra  di  Tarento. 

22.  Le  donne,  che  si  videro  tradite 

Da'  loro  amanti ,  in  chi  più  fede  aveano. 
Restar  per  alcun  dì  sì  sbigottite. 
Che  statue  immote  in  lito  al  mar  parcano. 
Visto  poi,  che  da  gridi  e  da  infinite 
Lagrime  alcun  profitto  non  traeano, 
A  pensar  cominciaro ,  e  ad  aver  cura. 
Come  ajutarsi  in  tanta  lor  sciagura. 

23.  E  proponendo  in  mezzo  i  lor  pareri. 
Altre  diceano  :  In  Creta  è  da  torniusi, 
E  piuttosto  air  arbitrio  de'  severi 
Padri  ed  offesi  lor  mariti  darsi. 

Che  ne'  deserti  liti  e  boschi  fieri 
Di  disagio  e  di  fame  consumarsi. 
Altre  dicean,  die  ìov  ^aria  più  onesto 
Allogarsi  nel  mar,  che  mai  far  questo, 

24.  E  che  manco  mal  era,  meretrici 

Andar  pel  iiionilo.  andar  mendiche  O  schiave, 

Che  sé  stes>e  offerire  alli  supplici. 

Di  eh'  «'raii  degne  1"  opere  lor  prave. 

Questi  e  siiiiil  partili  le  infelici 

Si  pro|ionean ,  <-iasciiii  più  duro  e  grave. 

Tra  loro  al  Vìiw  una  Oroiilca  h^osse, 

Cir  origine  traea  dal  re  .>Iinosse, 


[255] 


ORLANDO  FURIOSO.      (XX.   25-40) 


[256] 


25.  La  più  giovan  dell'  altre ,  e  la  più  bella, 
E  la  più  accorta ,  e  eh'  avea  meno  errato. 
Amato  avea  Falanto  ,  e  a  lui  pulzella 
Datasi ,  e  per  lui  il  padre  avea  lasciato. 
Costei,  mostrando  in  viso  ed  in  favella 

Il  magnanimo  cor  d'  ira  infiamraatOj 
Redarguendo  di  tutte  altre  il  detto, 
Suo  parer  disse ,  e  fé'  seguirne  effetto, 

26.  Di  questa  terra  a  lei  non  parve  torsi, 
Che  conobbe  feconda,  e  d'  aria  sana, 
E  di  limpidi  fiumi  aver  discorsi, 

Di  selve  opaca ,  e  la  più  parte  plana, 
Con  porti  e  foci ,  ove  dal  mar  ricorsi 
Per  ria  fortuna  avea  la  gente  estrana. 
Che  or  d'  Africa  portava ,  ore  d'  Egitto 
Cose  diverse ,  e  necessarie  al  vitto. 

27.  Qui  parve  a  lei  fermarsi ,  e  far  vendetta 
Del  viril  sesso  ,  che  le  avea  sì  offese. 

Vuol,  eh'  ogni  nave,  che,  da'  venti  astretta, 

A  pigliar  venga  porto  in  suo  paese, 

A  sacco ,  a  sangue ,  a  fuoco  alfin  sì  metta, 

Né  della  vita  a  un  sol  si  sia  cortese. 

Cosi  fu  detto ,  e  così  fu  conchiuso  ; 

£  fu  fatta  la  legge ,  e  messa  in  uso, 

28.  Come  turbar  1'  aria  sentiano  ,  armate 
Le  femmine  correan  sulla  marina. 
Dall'  implacabil'  Orontea  guidate. 

Che  die'  lor  legge,  e  si  fé'  lor  regina; 

E  delle  navi  ai  liti  lor  cacciate 

Faceano  incendj  orribili  e  rapina, 

Uom  non  lasciando  vivo ,  che  novella 

Dar  ne  potesse  o  in  questa  parte ,  o  in  quella. 

29.  Così  solinghe  vissero  qualch'  anno 
Aspre  nimiche  del  sesso  virile. 

Ma  conobbero  poi ,  che  '1  proprio  danno 
Procaccerian ,  se  non  mutavan  stile  ; 
Che,  se  di  lor  propagine  non  fanno^ 
Sarà  lor  legge  in  breve  irrita  e  vile, 
E  mancherà  con  l'  infecondo  regno. 
Dove  di  farla  eterna  era  il  disegno. 

30.  Sicché ,  temprando  il  suo  rigore  un  poco, 
Scelsero,  in  spazio  di  quattro  anni  interi, 
Pi  quanti  capitaro  in  questo  loco, 

Dieci  belli  e  gagliardi  cavalieri, 
Clie  per  durar  ncU'  amoroso  gioco 
Contr'  esse  cento  fosser  buon  guerrieri. 
Esse  in  tutto  cran  cento ,  e  statuito 
Ad  ogni  lor  decina  fu  un  marito. 

31.  Prima  ne  fur  decapitati  molti, 
Clie  riuscirò  al  paragon  mal  forti. 
Or  questi  dieci  a  buona  prova  tolti, 
Del  letto  e  del  governo  ebbcr  consorti  ; 
Fac<;ndo  lor  giurar,  che,  se  più  colti 
Altri  uomini  verriano  in  questi  porti. 
Essi  sarian,  che,  spenta  ogni  pietade, 
Li  porriano  ugualmente  a  lil  di  spade, 

32.  Ad  ingrossare  ed  a  figliar  appresso 
Ijc  donne,  indi  a  temere  inconiinciaro» 
Che  tanti  na>4x-rJan  del  viril  sesso. 
Che  «-.ontra  lor  non  avrìan  poi  riparo; 
E  al  fine  in  man  degli  uomini  rimesso 
Saria  il  governo,  ih'  elle  avean  si  caro; 
Sicch'  ordinar,  mentre  cran  gli  anni  imbeUi, 
Far  bi,  che  mai  non  fosson  lor  ribelli. 


33.  Perchè  il  sesso  viril  non  le  soggioghi, 
Uno  ogni  madre  vuol  la  legge  orrenda, 
Che  tenga  seco  ,  e  gli  altri  o  li  soffoghi, 
O  fuor  del  regno  li  permuti,  o  venda. 
Ne  mandano  per  questo  in  varj  luoghi, 
E  a  chi  li  porta,  dicono,  che  prenda 
Femmine,  se  a  baratto  aver  ne  puote. 
Se  no ,  non  torni  almen  con  le  man  vote. 

34.  Nò  uno  ancora  alleverian,  se  senza 
Potessm  fare  e  mantenere  il  gregge. 
Questa  è  quanta  pietà,  quanta  clemenza 
Più  a'  suoi  eh'  agli  altri  usa  1'  iniqua  legge. 
Gli  altri  condanna  con  ugual  sentenza; 

E  solamente  in  questo  si  corregge, 

Che  non  ^tioI,  che,  secondo  il  primier  uso, 

Le  femmine  gli  uccidano  in  confuso. 

35.  Se  dicci,  o  venti,  o  più  persone  a  un  tratto 
Vi  fosser  giunte,  in  carcere  eran  messe, 

E  d'  una  il  giorno ,  e  non  di  più ,  era  tratto 

Il  capo  a  sorte,  che  perir  dovesse 

Nel  tempio  orrendo,  eh'  Orontea  avea  fatto 

Dove  un'  altare  alla  Vendetta  eresse; 

E  dato  all'  im  de'  dieci  il  crudo  ufficio 

Per  sorte  era ,  di  farne  sacrificio. 

36.  Dopo  moU'  anni  alle  ripe  omicide 
A  dar  venne  di  capo  un  giovinetto. 

La  cui  stirpe  scendea  dal  buono  Alcide, 
Di  gran  valor  nell'  arme,  Elbanio  detto. 
Qui  preso  fu ,  eh'  appena  se  n'  avvide, 
Come  quel ,  che  venia  senza  sospetto, 
E  con  gran  guardia  in  stretta  parte  chiuso. 
Con  gli  altri  era  serbato  al  crudel  uso^ 

37.  Di  viso  era  costui  bello  e  giocondo, 
E  di  maniere  e  di  costumi  ornato, 

E  di  parlar  sì  dolce  e  sì  facondo, 
Ch'  un'  aspe  volentier  l'  avria  ascoltato: 
Sicché ,  come  di  cosa  rara  al  mondo, 
Dell'  esser  suo  fu  tosto  rapportato 
Ad  Alessandra,  figlia  d'  Orontea, 
Che,  di  molt'  anni  grave,  anco  vivea. 

38.  Orontea  vivea  ancora,  e  già  mancate 
Tutte  eran  l'  altre,  eh'  abitar  qui  prima; 
E  dieci  tante,  e  più  n'  erano  nate, 

E  in  forza  eran  cresciute,  e  in  maggior  stima. 

Né  tra  dieci  fucine ,  che  serrate 

Stavan  pur  spesso,  avean  più  d'  una  lima: 

E  dieci  cavalieri  anco  avean  cura 

Di  dare  a  chi  venia  fiera  avventura. 

39.  Alessandra,  bramosa  di  vedere 
n  giovinetto,  eh'  avea  tanta  lode. 
Dalla  sua  madre  in  singoiar  piacere 
Impetra  sì,  eh'  Elbanio  vede  ed  ode; 
E,  quando  vuol  partirne,  rimanere 

Si  sente  il  core,  ove  é  chi  il  punge  e  rode. 
Legar  si  sente ,  e  non  sa  far  contesa, 
E  alfin  diil  suo  prigion  si  trova  presa. 

40.  Elbanio  tlisse  a  lei  :  Se  di  pietade 
S'  avesse,  donna,  qui  notizia  ancora. 
Come  se  n'  ha  per  tutt'  altre  contrade, 
Dovunque  il  vago  sol  luce  e  colora. 

Io  mi  oserei,  per  vostr'  alma  beltade, 
Ch'  ogn'  iuiiuio  gentil  di  sé  innamora, 
Cliicdervi  in  don  la  vita  mia,  che  poi 
Saria  ©gnor  presto  a  spenderla  per  voi. 


I 


257] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XX.    41  —  56) 


[258] 


41.  Or,  quando  fuor  d'  ogni  ragion  qui  sono 
Privi  d'  umanitade  i  cori  umani, 

]\on  vi  domanderò  la  vita  in  dono, 

Cile  i  prieghi  miei  so  ben  che  sarian  vanì  ; 

Ma  che  da  cavaliero,  o  tristo  o  buono 

Ch'  io  sia  ,  possa  morir  con  1'  arme  in  mani, 

E  non  come  dannato  per  giudicio, 

0  come  animai  bruto  in  sacrificio. 

42.  Alessandra  gentil,  eh'  umidi  avea, 
Per  la  pietà  del  giovinetto ,  i  rai, 
Rispose:  Ancorché  più  crudele  e  rea 
Sia  questa  terra,  eh'  altra  fosse  mal, 
IVon  concedo  però,  che  qui  Medea 
Ogni  femmina  sia,  come  tu  fai; 

E ,  quando  ogni  altra  cosi  fosse  ancora, 
Me  sola  di  tante  altre  io  vo'  trar  fuora, 

43.  E ,  se  ben  per  addietro  io  fossi  stata 
Empia  e  crudel,  come  qui  sono  tante, 
Dir  posso,  che  suggello,  ove  mostrata 
Per  me  fosse  pietà,  non  ebbi  avante. 
Ma  ben  sarei  di  tigre  più  arrabbiata, 

E  più  duro  avrei  il  cor,  che  di  diamante, 
Se  non  m'  avesse  tolto  ogni  durezza 
Tua  beltà ,  tuo  valor ,  tua  gentilezza. 

44.  Così  non  fosse  la  legge  più  forte. 
Che  contra  i  peregrini  è  statuita, 
Come  io  non  schiverei  con  la  mia  morte, 
Di  ricomprar  la  tua  più  degna  vita! 

Ma  non  è  grado  qui  di  sì  gran  sorte, 
Che  ti  potesse  dar  libera  aita  : 
E  quel ,  che  chiedi  ancor,  benché  sia  poco, 
Difficile  ottener  fia  in  questo  loco. 

45.  Pur  io  vedrò  di  far,  che  tu  1'  ottenga. 

Che  alibi ,  innanzi  al  morir ,  questo  contento. 
Ma  mi  dubito  ben ,  che  te  n'  avvenga. 
Tenendo  il  morir  lungo ,  più  tormento. 
Soggiunse  Elbanio  :  (Quando  int;ontro  io  venga 
A  dieci  armato,  di  tal  cuor  mi  sento, 
Che  la  ^  ita  ho  speranza  da  salvarme, 
E  uccider  lor ,  se  ttitti  fosser  arme. 

46.  Alessandra  a  quel  detto  non  rispose 
Se  non  un  gran  sospiro ,  e  dipartisse, 
E  portò  nel  partir  mille  amorose 
Punte  nel  cor,  mai  non  sanabii ,  fìsse. 
^cnne  alla  madre,  e  volontà  le  pose 
Di  non  lasciar,  che  '1  cavalier  morisse, 
Quando  si  dimostrasse  co.^i  forte, 

Cile  solo  avesse  posto  i  dieci  a  morte. 

47.  La  regina  Orontea  fece  raccorrò 

Il  suo  consiglio,  e  disse:  A  noi  conviene 
Sempre;  il  miglior,  clu-  ritroviamo,  porre 
A  guardar  nostri  porti  e  no>tre  arene. 
E  per  saper,  ehi  ben  lasciar,  chi  torre. 
Prova  è  sempre  da  far,  quando  egli  avviene, 
Per  non  patir  con  nostro  danno  a  torto. 
Che  regni  il  vile,  e  chi  Ini  valor,  sia  morto. 

48.  A  me  par,  se  a  voi  par,  che  statuito 
Sia,  eh'  ogni  cavalier  p<;r  lo  avvenire. 
Che  hirtiina  abbia  tratto  al  nostro  lite, 
Priiiiac.li'  al  t(;mpio  .-!  farria  iiiorirp, 
Possa  egli  sili,  ti(;  gli  piar*-  il  partito, 
Incontra  i  dicci  alla  battaglia  uscire, 

E  ,  tu',  di  tutti  viiiierli  è  possente. 

Guardi  egli  il  porto,  e  seco  ubbia  altra  gente. 


49.  Parlo  così,  perchè  abbiam  qui  un  prigione. 
Che  par,  che  vincer  dieci  s'  offerisca. 
Quando  sol  vaglia  tante  altre  persone, 
Dignissimo  è ,  per  Dio  ,  che  s'  esaudisca. 
Così  in  contrario  avrà  punizione. 

Quando  vaneggi,  e  temerario  ardisca. 
Orontea  fine  al  suo  parlar  qui  pose, 
A  cui  delle  più  antiche  una  rispose  : 

50.  La  principal  cagion,  che  a  far  disegno 
Sul  commercio  degli  uomini  ci  mosse, 
Non  fu ,  perchè  a  difender  questo  regno 
Del  loro  ajuto  alcun  bisogno  fosse; 

Che  per  far  questo  abbiamo  ardire  e  ingegno 
Da  noi  medesinc  ,  e  a  sulficienza  posse: 
C(»sì  senza  sapessimo  far  anco, 
Che  non  venisse  il  propagarci  manco  ! 

51.  Ma  ,  poiché  senza  lor  questo  non  lece. 
Tolti  abbiam  ,  ma  non  tanti ,  in  compa"-nia. 
Che  mai  non  sia  più  d'  uno  incontra  diece. 
Sicché  aver  di  noi  possa  signoria. 

Per  concepir  di  lor  questo  si  fece, 
]\on  che  di  lor  difesa  uopo  ci  sia. 
La  lor  prodezza  sol  ne  vaglia  in  questo, 
E  sieno  ignavi  e  inutili  nel  resto  ! 

52.  Tra  noi  tenere  un  nom ,   che  sia  sì  forte, 

Contrario  è  in  tutto  al  principal  disegno. 

Se  può  un  solo  a  dieci  uomini  dar  morte, 

Quant'ì  donne  farà  stare  egli  al  segno? 

Se  i  dieci  nostri  fosser  di  tal  sorte, 

Il  primo  di  n'  avrebbon  tolto  il  regno. 

]Von  è  la  Aia  di  dominar,  se  vuoi 

Por  r  arme  in  mano  a  chi  può  più  di  noi. 

53.  Pon  mente  ancor ,  che  quando  così  aiti 
Fortuna  questo  tuo,  che  i  dicci  uccida, 
Di  cento  donne,  diede'  lor  mariti 
Iiiui.:rrau  prive,  sentirai  le  grida. 

Se  vui)l  campar,  proponga  altri  partiti, 
Ch'  esser  di  dieci  giovani  omicida  ! 
Pur,  se  per  far  con  cento  donne  è  buono 
Quel,  che  dieci  fariano ,  abbia  perdono. 

54.  Fu  d'  Artemia  crudel  questo  il  parere. 
CCosi  avca  nome^  e  non  mancò  per  lei 
Di  far  nel  tempio  Elbanio  rimanere 
Scannato  innanzi  agli  spietati  Dei. 

Ma  la  madre  Orontea,  «:lie  compiacere 
A  (lise  alla  figlia,  re[)licò  a  colei 
Altre  ed  altre  ragioni,  e  modo  tenne. 
Che  nel  senato  il  suo  parer  s'  ottenne. 

55.  L'  aver  Elbanio  di  bellezza  il  vanto 
Sopra  ogni  cavalier.  ihc  fosse  al  mondo. 
Fu  tu;'  «or  delle  gio>ani  di  tanto, 

Ch'  erano  in  quel  consiglio,  e  di  tal  pondo, 
('he    1  parer  delle  vecchie  andò  da  canto, 
Clic  con  Artemia  volcan  far.  secondo 
1/  ordine  antico;  né  lontan  fu  molto 
Ad  esser  p«'r  fasore  lilbanio  assolto. 

56.  Di  perdiinargli  in  soiiiina  fu  conchiuso, 
IMa  poiclié  la  dei  ina  a\e»e  spento, 

1",  clic  lidi'  alilo  as>alto  fos.->»'  ad  uso 

Di  dicci  iloiiiK-  buono,  e  non  di  cento. 

Di  career  l'  allro  giorno  fu  dixbiiiso; 

E,  avuto  arme  «•  cavallo  a  suo  talento, 

C'ontra  dieci  giicrrier  solo  hì  mise, 

E  r  lino  appresso  all'  altro  in  piazza  uccìse. 

lì 


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ORLANDO  FURIOSO.     (XX.  57  —  72) 


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57.  Fu  la  notte  seguente  a  pro^  a  messo 
Centra  dieci  donzelle  ignudo  e  solo, 

Dove  cLbe  all'  ardir  suo  sì  buon  successo, 
Che  fece  il  saggio  di  tutto  lo  stuolo  : 
E  questo  gli  acquistò  tal  grazia  appresso 
Ad  Orontea,  che  1'  ebbe  ppr  figliuolo, 
E  gli  diede  Alessandra,  e  1'  altre  nove, 
Con  chi  avea  fatto  le  notturne  prove. 

58.  E  lo  lasciò  con  Alessandra  bella. 
Che  poi  die  nome  a  questa  terra,  erede, 
Con  patto,  eh'  a  serbare  egli  al)bia  quella 
Legge,  ed  ogni  altro,  che  da  lui  succede. 
Che  ciascnn,  che  giammai  sua  fiera  stella 
Farà  qui  por  lo  sventurato  piede. 
Elegger  possa,  o  in  sacrificio  dar*i, 

O  con  dieci  guerrier  solo  provarsi: 

59.  E ,  se  gli  avvien ,  che  '1  di  gli  uomini  uccida, 
La  notte  con  le  femmine  si  provi  : 

E  quando  in  questo  ancor  tanto  gli  arrida 

La  sorte  sua ,  che  vincitor  si  trovi, 

Sia  del  femmineo  stuol  principe  e  guida, 

E  la  decina  a  scelta  sua  rinnovi. 

Con  la  qual  regni ,  fincli'  un  altro  arrivi. 

Che  sia  più  forte ,  e  lui  di  vita  privi. 

60.  Appresso  a  duemila  anni  il  costume  empio 
S'  è  mantenuto  ,  e  si  mantiene  ancora; 

E  sono  pochi  giorni,  che  nel  tempio 
Un  infelice  peregria  non  mora. 
Se  cnntra  dieci  alcun  chiede,  ad  esempio 
D'  Elbanio  .  armarsi  (che  ve  n'  è  talora). 
Spesso  la  vita  al  primo  assalto  lassa, 
]\è  di  mille  uno  all'  altra  prova  passa. 

61.  Pur  ci  passano  alcuni,  ma  si  rari, 
Cile  sulle  dita  annoverar  si  ponno. 
Uno  di  questi  fu  Argilon  ;  ma  guarì 
Con  la  decina  sua  non  fu  qui  donno  ; 
Che,  cacciandomi  qui  venti  contx-ai'j, 
Gli  occhj  gli  chiusi  in  sempiterno  sonno. 
Cosi  foss'  io  con  lui  morto  quel  giorno, 
Primachè  viver  servo  in  tanto  scorno! 

62.  Che  piaceri  amorosi,  e  riso  e  gioco. 
Che  suole  amar  ciascun  della  mia  etade. 
Le  porpore  e  le  gemme,  e  1'  aver  loco 
Innanzi  agli  altri  nella  sua  cittade, 
Potuto  hanno ,  per  Dio ,  mai  giovar  poco 
All'  uom,  clic  privo  sia  di  libertade: 

E  '1  non  poter  mai  più  di  qui  levarmi 
Servitù  grave  e  intoilerabil  parmi. 

63.  Il  vedermi  lograr  de'  miglior  anni 

Il  più  bel  fiore  in  si  vile  opra,  e  molle, 
Tiemmi  il  cor  sempre  in  stimolo  e  in  alTannl, 
Ed  ogni  gusto  di  piacer  mi  tolle. 
La  fama  del  mio  sangue  spiega  ì  vanni 
Per  tutto  il  mondo,  e  fin  al  ciel  s'  eslolle; 
CJhè  forse  buona  parte  anch'  io  n'  avrei, 
S'  esser  potessi  co'  fratelli  miei. 

64.  Panni ,  clic  ingiuria  il  mio  destlu  mi  faccia, 
Avendomi  a  sì  vii  servigio  «detto; 

Come  <:bi  ncll'  armento  il  destrier  caccia, 
11  qual  d'  occhj ,  o  di  piedi  a1d>ia  dil'elto, 
(),  per  altro  accidente,  «;Ih'  dispiaccia. 
Sia  fallo  air  arme  e  a  miglior  u.>i»  inetto. 
^è  Hperando  io,  ne  non  per  morte,  uscire 
Di  si  vii  servitù,  bramo  morire 


65.  Guidon  qui  fine  alle  parole  pose, 
E  maledì  quel  giorno  per  isdegno, 
Il  qual  de'  cavalieri  e  delle  spose 
Gli  die'  vittoria  in  acquistar  quel  regno. 
Astolfo  stette  a  udire,  e  si  nascose 
Tanto ,  che  si  fé'  certo  a  più  d'  un  segno, 
Che ,  come  detto  avea ,  questo  Guidone 
Era  figliuol  del  suo  parente  Amone. 

66.  Poi  gli  rispose  :  Io  sono  il  duca  inglese, 
Il  tuo  cugino  Astolfo ,  ed  abbracciollo, 
E  con  atto  amorevole  e  cortese, 
Non  senzii  sparger  lagrime,  baciollo. 
Caro  parente  mio ,  non  più  palese 
Tua  madre  ti  potea  por  segno  al  collo  i 
Ch'  a  farne  fede,  che  tu  sei  de'  nostri, 
Basta  il  valor,  che  con  la  spada  mostri. 

67.  Guidon,  eh'  altrove  avria  fatto  gran  festa 
D'  aver  trovato  un  si  stretto  parente, 
Quìaì  r  accolse  con  la  faccia  mesta. 
Perchè  fu  di  vedervelo  dolente. 
Se  vive,  sa,  che  Astolfo  schiavo  resta, 
Kè  il  termine  è  più  là,  die  '1  dì  seguente: 
Se  fia- libero  Astolfo,  ne  muor  esso: 
Sicché  '1  ben  d'  uno  è  il  mal  dell'  altro  espresso. 

68.  Gli  duol,  che  gli  altri  cavalieri  ancora 
Abbia,  vincendo,  a  far  sempre  cattivi; 

Né   più ,  quando  esso  in  quel  contrasto  mora. 

Potrà  giovar,  che  servitù  lor  schivi: 

Che  se  d'  un  fango  ben  li  porta  fuora, 

E  poi  s'  inciampi,  come  all'  altro  arrivi. 

Avrà  lui  senza  prò  vinto  Marfisa, 

Ch'  essi  pur  ne  fien  schiavi ,  ed  ella  uccisa» 

69.  Dall'  altro  canto,  avea  1'  acerba  etade, 
La  cortesia  ,  e  '1  valor  del  giovinetto, 

D'  amore  intenerito ,  e  di  pleiade 
Tanto  a  Marfisa  ed  ai  compagni  il  petto, 
Che,  con  morte  di  lui  lor  libertade 
Esser  dovendo,  aveau  quasi  a  dispetto: 
E,  se  Marfisa  non  può  far  con  manco, 
Che  uccider  lui ,  vuol  essa  morir  anco. 

70.  Ella  disse  a  Guidon:  Vientene  insieme 
Con  noi ,  eh'  a  viva  forza  uscircin  quinci. 
Deh  !  (rispose  Guidon)  lascia  ogni  speme 
Di  mai  più  uscirne ,  o  perdi  meco ,  o  vinci  ! 
Ella  soggiunse:  Il  mio  cor  mai  non  teme 
Di  non  dar  fine  a  cosa,  che  cominci; 

Né  trovar  so  la  più  sicura  strada 

Di  quella,  ove  mi  sia  guida  la  spada. 

71.  Tal  nella  piazza  ho  il  tuo  valor  provato. 
Che,   s'  io  son  teco,  ardisco  ad  ogni  impresa. 
Quando  la  turba  intorno  allo  steccato 

Sarà  dimane  in  sul  teatro  ascesa. 

Io  vo' ,  che  r  nccidiam  per  ogni  lato, 

O  vada  in  fuga,  o  cerchi  far  difesa, 

E  di'  indi  a'  lupi  e  agli  avvoltoi  del  loco 

Lasciamo  i  corpi ,  e  la  cittade  al  foco. 

72.  Soggiunse  a  lei  Guidon:  Tu  m'  avrai  pronto 
A  seguitarti,  ed  a  morirti  accanto. 

Mii  vi^i  riuiìiner  non  facciam  conto! 

Bastar  ik^  può  di  v<-n(licar<ù  alquanti»: 

Che  sp(;sso  dieci  mila  in  piazza  conto 

Dd  popol  femminile,  vi\  altrettanto 

Resta  a  guardiire  e  |iorto  ,  e  rocca,  e  mura. 

Né  alcuna  via  d'  uscir  trovo  sicura. 


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ORLANDO    FURIOSO.     (XX.    T3  -  88) 


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73.  Disse  Marfisa:  E  molto  più  sieno  elle 
Degli  uomini,  che  Serse  ebbe  già  intorno, 
E  sieno  più  dell'  anime  ribelle 

Che  uscir  del  ciel  con  lor  perpetuo  scorno: 
Se  tu  sei  meco,  o  almen  non  sii  con  quelle, 
Tutte  le  voglio  uccidere  in  un  giorno. 
Guidon  soggiunse:  Io  non  ci  so  ria  alcuna, 
Ch'  a  valer  n'  abbia ,  se  non  vai  quest'una. 

74.  Ne  può  sola  salvar,  se  ne  succede, 
Quest'  una,  eh'  io  dirò,  eh'  or  mi  sovviene. 
Fuorch'  alle  donne,  uscir  non  si  concede, 
Kè  metter  piede  in  sulle  salse  arene. 

E  ,  per  questo ,  commettermi  alla  fede 

D'  una  delle  mie  donne  mi  conviene. 

Del  cui  perfetto  amor  fatta  ho  sovente 

Più  prova  ancor ,  eh'  io  non  farò  al  presente. 

75.  Non  men  di  me  tormi  costei  disia 
Di  sei-^itù,  purché  ne  venga  meco; 
Che  cosi  spera ,  senza  compagnia 
Delle  rivali  sue,  eh'  io  vi\a  seco. 
Ella  nel  porto  o  fusta  o  saettia 

Farà  ordinar,  mentre  è  ancor  1'   aer  cieco. 
Che  i  marinari  vostri  troveranno 
Acconcia  a  navigar,  come  vi  vanno. 

76.  Dietro  a  me  tutti  in  un  drappel  ristretti, 
Cavalieri ,  mercanti  e  galeotti, 

Che  ad  albergarvi  sotto  a  questi  tetti 
Meco,  vostra  mercè,  siete  ridotti. 
Avrete  a  farvi  ampio  senticr  co'  petti, 
Se  del  nostro  cammin  siamo  interrotti. 
Così  spero ,  ajiitandoci  le  spade, 
Ch'  io  vi  trarrò  della  crudel  cittade. 

77.  Tu  fa,  come  ti  par,  disse  Marfisa; 
Ch'  io  son  per  me  d'  uscir  di  qui  sicura. 
Più  facil  fia ,  «he  di  mia  mano  uccisa 

La  gente  sia,  che  è  dentro  a  queste  mura, 
Cile  mi  veggi  fuggire,  o  in  altra  guisa 
Alcun  poi«sa  notar,  eh'  abl)ia  paura. 
A o'  uscir  di  giorno,  e  sol  per  forza  d'  arme; 
Che  per  ogn'  altro  modo  obbrobrio  panne. 

78.  S'  io  ci  fossi  per  donna  conosciuta. 
So,  eh'  avrei  dalle  d<»nnc  onore  e  pregio, 
E  voicnticri  io  <;i  sarei  tenuta, 

E  tra  le  prinu^  forse  del  collegio: 

Ma  con  <;ost<iro  essen(lo<;i  ^«tiiuta. 

Non  ci  vo'  d'  essi  aver  piii  privilegio. 

Tro|)po  error  Hua,   (-h'  io  mi  stessi,  o  andassi 

Libera,  e  gli  altri  in  servitù  lasciassi. 

79.  Queste  parole,  ed  altre  seguitando, 
Mostrò  iMarlìsa,  vUc  'I  rispetto  solo, 

C/h'  a>ea  al  periglio  di;'   ((.nipagni ,  ("quando 
Potria  loro  il  suo  ardir  toriiart;  in  duolo) 
La  tenea ,  «lu^  con  alto  <;  ineiuorandt» 
Segno  d'  ardir  non  assalia  lo  stuolo; 
E  per  qiie>to  a  (ìiiidon  lascia  la  cura 
D'  usar  la  >ia,  che  più  gli  par  sicura. 

80.  Guidon  la  notle  c(in    Alcria  |)arla  : 
(Così  avcii  nome  la  |>ii'i   lìda  moglie) 
Né  bisogno  gli  fu  molto  pregarla, 
(;hè  la   trovò  disposta  alle;  sue  voglie. 
Ella  tol-e  una  na\e,  e  Ice*!  armarla, 
E   \'  arrecò  le  sue  più  ricche  s|ioglic. 
Fingendo  di  voleri-,  al   nuovo  albore, 
Con  le  compagn»!  uscir»;  in  corso  fuore. 


81.  Ella  avea  fatto  nel  palazzo  innanti 
Spade  e  lance  arrecar,  corazze  e  scudi, 
Onde  armar  si  potessero  i  mercanti 

E  i  galeotti ,  eh'  eran  mezzi  nudi. 
Altri  dormirò,  ed  altri  stèr  vegghianti. 
Compartendo  tra  lor  gli  ozj  e  gli  studj. 
Spesso  guardando,  e  pur  con  1'  arme  indosso. 
Se  r  oriente  ancor  si  facea  rosso. 

82.  Dal  duro  volto  della  terra  il  sole 
Non  tollea  ancora  il  velo  oscuro  ed  atro. 
Appena  avea  la  licaonia  prole 

Per  li  solchi  del  ciel  volto  1'  aratro. 
Quando  il  femmineo  stuol,  che  veder  vuole 
11  fin  della  battaglia,  empì  il  teatro. 
Come  ape  del  suo  claustro  empie  la  soglia, 
Che  mutar  regno  al  nuovo  tempo  voglia. 

83.  Di  trombe ,  di  tambur  ,  di  suon  di  corni 
Il  popol  risuonar  fa  cielo  e  terra, 

Cosi  citando  il  suo  signor ,  che  torni 

A  terminar  la  cominciata  guerra. 

Aquilante  e  Grifon  stavano  adorni 

Delle  lor  arme,  e  il  duca  d'  Inghilterra, 

Guidon,  3Iarfisa  e  Sansonetto,  e  tutti 

Gli  altri ,  chi  a  piedi ,  e  chi  a  cavallo   instrutti. 

84.  Per  scender  dal  palazzo  al  mare  e  al  porto, 
La  piazza  traversar  si  convenia. 

Né  v'  era  altro  cammin  lungo,  né  corto; 

Così  Guidon  disse  alla  compagnia. 

E  poiché  di  ben  far  molto  conforto 

Lor  diede  ,  entrò  senza  rumore  in  via, 

E  nella  piazza,  dove  il  popol  era, 

S'  appresentò  con  più  di  cento  in  schiera. 

85.  Molto  affrettando  i  suoi  compagni,  andava 
Guidone  all'  altra  porta  per  uscire: 

Ma  la  gran  moltitudine,  che  stava 
Intorno  armata ,  e  sempre  atta  a  ferire. 
Pensò ,  c(uue  lo  v  ide ,  che  menava 
Seco  quegli  altri,  che  volea  fuggire; 
E  tutta  a  un  tratto  agli  archi  suoi  ricorse, 
E  parte,  onde  s'uscia,  venne  ad  opporsc. 

86.  Guidone  e  gli  altri  cavalier  gagliardi, 
E  sopra  tutti  lor  Marfisa  forte. 

Al  menar  delle  man  non  furou  tardi, 
E  molto  fèr  per  islorzar  le  porte. 
Ma  tanta  e  tanta  copia  era  de'  dardi, 
Che  con  ferite  de'  c(»uipagtii ,  e  morte. 
Piov cauo  lor  di  sopra ,  e  d'  ogni  intorno, 
Ch'  alfin  temean  d"  averne  daimo  e  scorno. 

87.  D'  ogni  guerrier  1'  usbergo  era  perfetto; 
Che,  se  non  era,  avean  più   da  temere. 
Fu  UKuto   il   deslrier  sotto  a  SanM)netto; 
Quel  di   Marfisa  v'  elibe  a  rimanere. 
Astolfo  tra  sé  disse:  Ora  che  aspetto, 
l'hv  mai  mi  possa  il  corno  più  valere? 

lo  vo'  veder,  lìoicbè  non  gicna  spada, 
S'  io  so  col  corno  assicurar  la  strada. 

88.  Come  ajutar  nelle  fiutone  estreme 
Sempre  si  suol,  si  pone  il  corno  a  bocca. 
Par  che  la  terra  e  tutto  'I  umndo  treiuc, 
Qnaiulo  V  orriliil  siion  nelT  aria  sco«-c4l. 
Sì   nel   cor  deil.i  genie  il  liuuu'  preme, 
Che  per  di>io  di   fuga  si  trabocca 

(ìiii   d<-l  teatro  sbigottita  e  smorta. 
Non  che  lasci  la  guardia  della  porta. 

17  * 


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ORLANDO  FURIOSO.     (XX.  89  —  104) 


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89.  Come  talor  sì  gitta  e  sì  periglia 
E  da  finestra  e  da  sublime  loco 
L'  esterrefatta  subilo  famiglia, 

Che  vede  appresso  e  d'  ogni  intorno  il  fuoco, 
Che ,  mentre  le  tenea  gvaxì  le  ciglia 
Il  pigro  sonno,  crebbe  a  poco  a  poco: 
Così ,  messa  la  vita  in  abbandono, 
Ognun  fuggia  lo  spaventoso  suono. 

90.  Di  qua,   di  là,  di  su,  dì  giù,  smarrita 
Sorge  la  turba ,  e  di  fuggir  procaccia. 

Son  più  di  mille  a  un  tempo  ad  ogni  uscita: 
Cascano  a  monti ,  e  1'  mia  1'  altra  impaccia. 
In  tanta  calca  perde  altra  la  vita, 
Da  palchi  e  da  finestre  altra  si  schiaccia: 
Più  d'  un  braccio  si  rompe  e  d'  una  testa, 
Di  che  altra  morta,  altra  storpiata  resta. 

91.  Il  pianto  e  '1  grido  ìnsino  al  ciel  saliva, 
D'  alta  rùina  misto,  e  di  fracasso. 
Affretta,  ovunque  il  suon  del  corno  arriva, 
La  turba  spaventata  in  fuga  il  passo. 

Se  udite  dir,  che  d'  ardimento  priva 
La  vii  plebe  si  mostri ,  e  di  cor  basso, 
Non  vi  maravigliate;  che  natura 
E  della  lepre  aver  sempre  paura. 

92.  Ma  che  direte  del  già  tanto  fiero 
Cor  dì  MariL<a  e  di  Guidon  Selvaggio? 
De'  duo  giovani  figli  d'  Oliviero, 

Che  già  tanto  onorare  il  lor  lignaggio  ? 
Già  centomila  avean  stimati  un  zero, 
E  in  fuga  o»*  se  ne  van  senza  coraggio, 
Come  conigli,  o  timidi  colombi, 
A  cui  vicino  alto  rumor  rimbombi. 

93.  Così  noceva  a'  suoi ,  come  agli  strani. 
La  forza  ,  che  nel  corno  era  incantata. 
Sansonetto  ,  Guidone  e  i  duo  germani 
Fuggon  dietro  a  Marfisa  spaventata  ; 

Né  fuggendo  ponno  ir  tanto  lontani. 
Che  lor  non  sia  1'  orecchia  anco  intronata. 
Scorre  Astolfo  la  terra  in  ogni  lato. 
Dando  via  sempre  al  corno  maggior  fiato. 

94.  Chi  scese  al  mare,  e  chi  poggiò  su  al  monte, 
E  chi  tra  i  boschi  ad  occultar  si  venne; 
Alcuna ,  senza  mai  volger  la  fronte, 

Fuggir  per  dieci  di  non  si  ritenne: 
Usci  in  tal  punto  alcuna  fuor  del  ponte, 
Che  in  vita  sua  mai  più  non  vi  rivenne. 
Sgombrare)  in  modo  e  piazze ,  e  templi ,  e  case, 
Che  quasi  vota  la  città  rimase. 

95.      Marfisa  e  '1  buon  Guidone ,  e  i  duo  fratelli, 
K  Sansonetto,  pallidi  e  tremanti. 
Foggiano  inverso  il  mare,  e  dietro  a  quelli 
Foggiano  i  marinari  e  i  mercatanti. 
Ove  Aleria  trovar,  che  fra  i  castelli 
Loro  avea  im  legno  a|)i);ircccliiato  innanti. 
Quindi ,  poiché  in  gran  fictla  li  racc(»lse. 
Die'  i  remi  iilT  acqua,  ed  ogni  vela  sciolse. 

90.      Dentro  e  d'  intorno  il  duca  la  cittadc 
Avea  scorsa  dai  colli  inlino    all'  onde, 
Fatto  HM-.i  Tdte  rimaner  le  strade; 
Ognun  lo  fugge  ,  ognun  se  gli  nasconde. 
Molte  trovate  fur,  che  per  viltade 
S'  eran  gittale  in  parti  oscure  e  immonde, 
E  molte,  non  >iipen(lo ,  ov«!  s'  andare, 
Me>sesi  annoto,  eil  affogate  in  mare. 


97.  Per  trovare  i  compagni  il  duca  viene. 
Che  si  credea  di  riveder  sul  molo. 

Si  volge  intorno  ,  e  le  deserte  arene 
Guarda  per  tutto ,  e  non  v'  appare  un  solo. 
Leva  più  gli  oc«!lij  ,  e  in  alto  a  vele  piene 
Da  sé  lontani  andar  li  vede  a  volo, 
Sicché  gli  convien  fare  altro  disegno 
Al  suo  cammin ,  poiché  partito  é  il  legno. 

98.  Lasciamolo  andar  pur;  né  vi  rincresca, 
Che  tanta  strada  far  debba  soletto 

Per  terra  d'  infedeli ,  e  barbaresca. 

Dove  mai  non  si  va  senza  scjspetto  ! 

Non  é  periglio  alcuno ,  onde  non  esca 

Con  quel  suo  corno ,  e  n'  ha  mostrato  effetto  ; 

E  de'  compagni  suoi  pigliamo  cura, 

Ch'  al  mar  fuggian ,   tremando  dì  paiu-a. 

99.  A  piena  vela  si  caccìaron  lunge 
Dalla  crudele  e  sanguinosa  spiaggia; 
E  poiché  di  gran  lunga  non  li  giunge 

L'  orribil  suon ,  eh'  a  spaventar  più  gli  aggìa. 
Insolita  vergogna  si  li  punge, 
Che,  come  un  fuoco,  a  tutti  il  viso  raggia: 
L'  un  non  ardisce  mirar  1'  altro,  e  stassì 
Tristo  ,  senza  parlar ,  con  gli  occhj  bassi. 

100.  Passa  il  nocchiero ,  al  suo  viaggio  intento, 
E  Cipro  e  Rodi  ,  e  giù  per  1'  onda  egea 

Da  sé  vede  fuggire  isole  cento. 
Col  periglioso  capo  di  Malea; 
E  con  propizio  ed  immutabil  vento. 
Asconder  vede  la  greca  Morea; 
Volta  Sicilia  ,  e  per  lo  mar  tirreno 
Costeggia  dell'  Italia  il  lito  ameno  ; 

101.  E  sopra  Luna  ultimamente  sorse. 
Dove  lasciato  avea  la  sua  famiglia  ; 
Dio  ringraziando ,  che  '1  pelago  corse 
Senza  più  danno ,  il  noto  lito  piglia. 

Quindi  un  noccliier  trovar  per  Francia  sciorse, 

Il  qual  di  venir  seco  li  consiglia  ; 

E  nel  suo  legno  ancor  quel  di  montare, 

Ed  a  iMarsUia  in  breve  si  trovare. 

102.  Quivi  non  era  Bradamante  allora, 
Ch'  aver  s(»lea  governo  del  paese  ; 
Che,  sevi  fosse,  a  far  seco  dimora 
Gli  avria  sforzati  con  parlar  cortese. 
Sceser  nel  lito ,  e  la  medesima  ora 
Dai  quattro  cavalier  congedo  prese 
Marlisa,  e  diilla  donna  del  Selvaggio, 
E  pigliò  alla  ventura  il  suo  viaggio, 

103.  Dicendo,  che  lodevole  non  era 
Ch'  andasser  tanti  cavalieri  insieme; 

Che  gli  storni  e  i  colombi  vanne»  in  schiera, 
I  daini  e  i  cervi,  e  ogni  animai  che  teme; 
Ma  r  audace  falcon,  1'  aquila  altera. 
Che  neir  ajuto  altrui  non  metton  spem 
Orsi,  tigri,  lecui,  soli  ne  vanno. 
Che  di  più  forza  alcun  tiuu)r  non  hanno. 

104.  Nessun  degli  altri  fu  di  quel  pensiero; 
Siedi'  a  lei  sola  toccò  a  far  partita. 
Per  mezzo  ì  bosclii  e  per  strano  sentiero 
Dunque  ella  se  n'  andò  sola  e  romita. 
(rriiiMit-  il  bianco  ,  ed  Aquilante  il  nero 
Pi".!iàr  con  gli  altri  duo  la  via  più  trita, 
E  giunsero  a  un  (pastello  il  di  seguente. 
Dove  albergati  far  cortesemente. 


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ORLANDO   FURIOSO.     fXX.  ]«5  — 120^ 


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105.  Cortesemente  dico,  in  apparenza: 
Ma  tosto  vi  sentir  contrario  effetto  : 
Che  '1  signor  del  castel ,  benivolenza 
Fingendo  e  cortesia,  lor  die'  ricetto; 
E  poi  la  notte ,  che  sicuri  senza 
Timor  dormian ,  li  fc'  pigliar  nel  letto  ; 
Né  prima  li  lasciò ,  che  d'  osservare 
Una  costuma  ria  li  fé'  giurare. 

106.  Ma  vo'  seguir  la  hellicosa  donna, 
Prima,  Signor,  che  di  costor  più  dica. 
Passò  Druenza,  il  Rodano  e  la  Sonna, 
E  ìcnne  appiè  d'  una  montagna  aprica. 
Qni^  i ,  lungo  un  torrente ,  in  negra  gonna 
Vide  venire  una  femmina  antica, 

Che  stanca  e  lassa  era  di  lunga  via, 
Ma  via  più  afflitta  di  malinconia. 

107.  Questa  è  la  vecchia,  clie  solca  sentire 
Ai  malandrin  nel  cavernoso  monte, 

Là ,  dove  alta  giustizia  fé'  venire, 
A  dar  lor  morte,  il  paladino  c(uite. 
La  vecchia,  che  timore  ha  di  morire. 
Per  le  cagion,  che  poi  vi  saran  conte. 
Già  molti  di  va  per  via  oscura  e  fosca, 
Fuggendo  ritrovar,  chi  la  conosca. 

108.  Quivi  d'  cstrano  cavalier  sembianza 
L'ebbe  Marfisa  all'  abito  e  all'  arnese, 
E  perciò  non  fuggi ,  coni'  avea  usanza 
Fuggir  dagli  altri ,  eh'  eran  del  paese  ; 
Anzi  con  sicurezza  e  con  baldanza 

Si  fermò  al  guado ,  e  di  lontan  l'  attese  : 
Al  guado  del  torrente,  ove  trovolla, 
La  vecchia  le  uscì  incontra  e  salutolla. 

100.      Poi  la  pregò ,  che  seco  oltr'a  quell'acque 
Neil'  altra  ripa  in  groppa  la  portasse. 
IMarfisa,  (;hc  gentil  fu  dacché  nacque. 
Di  là  dal  fìumicel  seco  la  trasse, 
E  portarla  anch'  un  pezzo  non  le  spiacque, 

,         Finch'  a  miglior  cammin  la  ritornasse, 

Fuor  d'  un  gran  fango;  e  al  fin  di  quel  sentiero 
Si  videro  all'  incontro  un  cavaliero. 

HO.     Il  cavalier  su  ben  guernita  sella, 
Di  lucide  arme  e  di  bei  panni  ornato. 
Verso  il  fiume  venia,  da  una  donzella 
E  da  un  solo  scudiero  accompagnato. 
La  donna,  eh'  a^ca  seco,  era  a^sai  bella, 
Ma  d'  altero  sembiante ,  e  poco  grato, 
Tutta  d'    orgoglio  e  di  fastidio  piena, 
Del  cavalier  ben  degna ,  che  la  mena. 

111.  Pinabello ,  un  de'  conti  miigan/.esi, 
Era  quel  cavalier,  eh'  ella  avea  seco, 
Quel  medesmo,  che  dianzi  a  pochi  mesi 
liradamante  giltò  nel  cavo  spiM^o. 
Quei  sospir,  que  singulti  così  accesi, 
Quel  pianto,   che  l(»   te'  già  quasi  cieco. 
Tutto  fu  p(T  costei .   eh'  <tr  seco  avea, 
Chel  negromante  allor  gli  ritenca. 

112.  Ma  poiché  fu  levato  di   sul  colh; 
L'  incantato  castel  del  vecchio  Atlante, 
E  che  potè  ciascuno     ire,  ove;  \ollr. 
Per  opra  e  per  virtù  di  liradaniante: 
('(»^t('i ,  di'  alii  disii  facile  e  molle 
Di  Piiiabel  sempre  era  slata  innante, 
Si  tornò  a  Ini ,  ed  in  sua  compagnia 
Da  un  castello  ad  un  altro  or  >e  ne  già. 


113.  E,  siccome  vezzosa  era,  e  mal  usa, 
Quando  vide  la  vecchia  di  Marfisa, 
Non  si  potè  tenere  a  bocca  chiusa 

Di  non  la  motteggiar  con  beffe  e  risa. 
Marfisa  altera ,  appresso  a  cui  non  s'  usa 
Sentirsi  oltraggio  in  qualsivoglia  guisa, 
Rispose,  d'ira  accesa,  alla  donzella. 
Che  di  lei  quella  vecchia  era  più  bella, 

114.  E  eh'  al  suo  cavalier  volea  provallo, 
Con  patto  di  poi  torre  a  lei  la  gonna 
E  il  palafren,  eh'  avea,  se  da  cavallo 
Gittava  il  cavalier ,  di  chi  era  donna. 
Pinabel ,  che  farla,  tacendo,  fallo, 

Di  risponder  coli'  arme  non  assonna. 
Piglia  lo  scudo  e  1'  asta,  e  '1  destrier  gira, 
Poi  vien  Marfisa  a  ritrovar  con  ira. 

115.  Marfisa  incontro  una  gran  lancia  afferra, 
E  nella  vista  a  Pinabel  1'  arresta, 

E  sì  stordito  lo  riversa  in  terra. 

Che  tarda  un'  ora  a  rilevar  la  testa. 

jMarfisa  vincitrice  della  guerra 

Fé'  trarre  a  quella  giovane  la  vesta, 

Ed  ogni  altro  ornamento  le  fé'  porre, 

E  ne  fé'  il  tutto  alla  sua  vecchia  torre. 

116.  E  di  quel  giovanile  abito  volse 
Che  si  vestisse  e  se  n'  ornasse  tutta; 
E  fé',  che  1'  palafreno  anco  si  tolse. 
Che  la  giovane  avea  quivi  condutta. 
Indi  al  preso  cammin  con  lei  si  volse. 

Che ,  quanto  era  più  ornata ,  era  più  brutta. 
Tre  giorni  se  n'  andar  per  lunga  strada. 
Senza  far  cosa,  onde  a  parlar  m'  accada. 

117.  Il  quarto  giorno  un  cavalier  trovaro. 
Che  venia  in  fretta  galoppando  solo. 
Se  di  saper,  chi  sia,  forse  v'  è  caro, 
Dicovi,  che  è  Zerbin,  di  re  figliuolo, 
Di  virtù  esempio ,  e  di  bellezza  raro, 
Che  sé  stesso  rodea  d'  ira  e  di  duolo 
Di  non  aver  potuto  far  vendetta 

D'  un,  che  gli  avea  gran  cortesia  interdetta. 

118.  Zerbino  indarno  per  la  selva  corse 

Dietro  a  quel  suo,  che  gli  avea  fatto  oltraggio: 

Ma  sì  a  tempo  cohii  seppe  via  torse. 

Si  seppe  nel  fuggir  prender  vantaggio, 

Si  il  bosco,  e  sì  una  nebbia  lo  soccorse, 

Ch'  avea  offuscato  il  mattutino  raggio. 

Che  di  man  di  Zerltin  si  levò  netto, 

Finché  r  ira  e  '1  furor  gli  usci  del  petto. 

119.  N(m  potè,  ancorché  Zerbin  fosse  irato. 
Tener,  vedendo  quella  vecchia,  il  riso; 
('he  gli  |)area  dal  gio^eniic  ornato 
Troppo  diverso  il  brutto  aulico  viso; 

Ed  a  Marfisa,  che  le  wn'ui  allato. 
Disse:  (ìuerrier,  (u  sei  pien  d'ogni  av\iso, 
Che  damigella  di   tal  sorte  gnidi. 
Che  non  temi  trovar,  chi  te  la  in%idi. 

120.  Avea  la   donna  (>e  la  crespa  buccia 
Può  danit;  indi/io)  più  della  Sibilla, 
M  parca,  cosi  ornata,  una  bertuccia. 
Quando  per  mover  riso  alcun   > estilla; 
Eli  or  più  liiiitta  par,  cIh;  si  cori-uccia. 
E   che  dagli  occlij   1'  ira  le  sra\illa: 
Che  a  donna  non  si   fa  maggior  dispetto, 

(he  qnaiulo,  o  vecchia,  o  brutta   le  vicii  delio. 


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ORLANDO   FURIOSO.     (XX.  121-J36) 


[2G8] 


121.  Mostrò  turbarsi  1'  inclita  donzella. 
Per  prenderne  piacer,  come  si  prese; 

E  rispose  a  Zerbin  :  Mia  donna  è  bella, 
Per  Dio,  via  più,  che  tu  non  sei  cortese; 
Comech'  io  creda,  che  la  tua  favella 
Da  quel,  che  sente  1'  animo,  non  scese. 
Tu  fingi  non  conoscer  sua  beltade, 
Per  cscusar  la  tua  somma  viltade. 

122.  E  chi  saria  quel  cavalier,  che  questa 
"  Si  "^iovane  e  sì  bella  ritrovasse 

Senza  più  compagnia  nella  foresta, 
E  che  di  farla  sua  non  si  provasse? 
Sì  ben,  disse  Zerbin,  teco  s'  assesta. 
Che  saria  mal,  eh'  alcun  te  la  levasse; 
Ed  io  per  me  non  son  così  indiscreto. 
Che  te  ne  privi  mai;  stanne  pur  lieto! 

123.  Se  in  altro  conto  aver  vuoi  a  far  meco, 
Di  quel,  eh'  io  vaglio,  son  per  farti  mostra; 
Ma  per  costei  non  mi  tener  sì  cieco. 

Che  solamente  far  voglia  una  giostra. 
O  brutta ,  o  bella  sia ,  restisi  teco  ! 
Non  vo'  partir  tanta  amicizia  vostra. 
Ben  vi  siete  accoppiati:  io  giurerei, 
Com'  ella  è  bella,  tu  gagliardo  sei. 

124.  Soggiunse  a  lui  Marfisa:  Al  tuo  dispetto 
Di  levarmi  costei  provar  convienti. 

]Non  vo'  patir,  che  un  sì  leggiadro  aspetto 
Abbi  veduto ,  e  guadagnar  noi  tenti. 
Rispose  a  lei  Zerbin:  Non  so,  a  che  effetto 
L'  uom  si  metta  a  periglio ,  e  si  tormenti, 
Per  riportarne  una  vittoria  poi, 
Che  giovi  al  vinto,  e  il  vincitore  annoi. 

125.  Se  non  ti  par  questo  partito  buono, 
Te  ne  do  un  altro;  e  ricusar  noi  dei. 
Disse  a  Zerbin  Marfisa:  che  s'  io  sono 
Vinto  da  te,  m'  abbia  a  restar  costei; 
Ma  s'  io  te  vinco,  a  forza  te  la  dono. 
Dunque  proviam,  chi  de'  star  senza  lei  ! 
Se  perdi ,  converrà ,  che  tu  le  faccia 
Compagnia  sempre  ,  ovmique  andar  le  piaccia. 

126.  E  così  sia ,  Zerbin  rispose  ;  e  volse, 
A  pigliar  campo ,  subito  il  cavallo. 
Si  levò  sulle  staffe,  e  si  raccolse 

Fermo  in  arcione;  e  per  non  dare  in  fallo, 
Lo  sciuio  in  mezzo  alla  donzella  colse: 
Ma  parve  urtasse  un  monte  di  metallo  ; 
Ed  ella  in  guisa  a  lui  toccò  l'  elmetto, 
Che  stordito  il  mandò  di  sella  netto. 

127.  Troppo  spiacque  a  Zerbin  l'  esser  caduto. 
Che  in  altro  scontro  mai  più  non  gli  avvenne, 
E  n'  av(!a  mille  e  mille  egli  abbattuto; 

Ed  a  perpetuo  scorno  se  lo  tenne. 
Stette  per  lungo  spazio  in  terra  muto, 
E  pili  gli  dolse,  poiché  gli  sovvenne,^ 
Cb'  av<-a  promesso ,  e  die  gli  convenia 
Aver  la  brutta  vcccliia  in  compagnia. 

128.  Tornando  a  lui  la  vincitrice  in  sella, 
Disse  ridendo  :  Questa  t'appresento  ; 

E  <|naiito  pili  la  veggio  e  grata  e  bella, 
Tanto,  eli'  ella  hia  tua,  più  mi  contento. 
Or  tu  in  mio  loco  sei  (^anipion  di  quella. 
Ma  la  tua  tè   non  t-v.  ne  porti   il  vento, 
(Ah;  per  sua  guida  e  scorta  tu  non  vada, 
Come  hai  promesso,  ovunque  andar  1'   aggrada. 


129.  Senza  aspettar  risposta,  urta  il  destriero 
Per  la  foresta,  e  subito  s'  imbosca. 
Zerbin,  che  la  stimava  un  cavaliero, 
Dice  alla  vecchia;  Fa  eh'  io  lo  conosca! 
Ed  ella  non  gli  tiene  ascoso  il  vero, 
Onde  sa,  clie  lo  'ncende  e,  che  1'  attosca: 
Il  colpo  fu  di  man  d'  una  donzella. 

Che  t'  ha  fatto  votar ,  disse ,  la  sella. 

130.  Pel  suo  valor  costei  debitamente 
Usurpa  a  cavalieri  e  scudo  e  lancia, 
E  venuta  è  pur  dianzi  d'  Oriente 
Per  assaggiare  i  paladin  di  Francia. 
Zerbin  di  questo  tal  vergogna  sente, 
Che  non  pur  tinge  di  rossor  la  guancia, 
Ma  restò  poco  di  non  farsi  rosso 

Seco  ogni  pezzo  d'  arme,  eh'  aAca  indosso. 

131.  Monta  a  cavallo ,  e  sé  stesso  rampogna. 
Che  non  seppe  tener  strette  le  cosce. 

Tra  sé  la  vecchia  ne  sorride ,  e  agogna 

Di  stimolarlo,  e  di  più  dargli  angosce. 

Gli  ricorda ,  che  andar  seco  bisogna  ; 

E  Zerbin ,  eh'  obbligato  si  conosce, 

L'  orecchie  abbassa,   come  vinto  e  stanco 

Destrier,  ch'ha  in  bocca  il  fren,  gli  sproni  al  fianco. 

132.  E  sospirando  :  Oimè  !  fortuna  fella, 
Dicea,  che  cambio  è  questo  che  tu  fai? 
Colei,  che  fu  sopra  le  belle  bella, 

Ch'  esser  meco  dovea,  levata  m'  hai: 
Ti  par,  che  in  luogo  ed  in  ristor  di  quella 
Si  debba  por  costei,  eh'  ora  mi  dai? 
Stare  in  danno  del  tutto  era  men  male, 
Che  fare  un  cambio  tanto  diseguale. 

133.  Colei,  che  di  bellezze  e  di  virtuti 
Unqua  non  ebbe,  e  non  avrà  mai  pare. 
Sommersa,  e  rotta  tra  gli  scogli  acuti. 
Hai  data  a'  pesci,  ed  agli  augei  del  mare; 
E  costei ,  che  dov  ria  già  aver  pasciuti 
Sotterra  i  vermi,  liai  tolta  a  preservare 
Dieci ,  o  venti  anni  più ,  che  non  dovevi. 
Per  dar  più  peso  agli  mie'  affanni  grevi. 

134.  Zerbin  così  parlava  ;  uè  men  tristo 
In  parole  e  in  sembianti  esser  parca 

Di  questo  nuovo  suo  sì  odioso  acquisto, 
Che  della  donna,  che  perduto  avea. 
La  vecchia,  ancorché  non  avesse  visto 
Mai  più  Zerbin ,  per  quel  eh'  ora  dicea, 
S'avvide  esser  colui,  di  che  notizia 
Le  diede  già  Isabella  di  Galizia. 

135.  Se  vi  riccorda  quel,  eh'  avete  udito, 
Costei  dalla  spelonca  ne  veniva. 
Dove  Isabella ,  che  d'  anM)r  ferito 
Zeiliino  avea,  fu  molti  di  cattiva. 
Più  volte  ella  le  avea  già  riferito, 
Conu;  lasciasse  la  paterna  riva, 

E  come,  rotta  in  mar  dalla  procreila. 
Si  salvasse  alla  spiaggia  di  Uocella. 

136.  E  sì  spesso  dipinto  di  Zerbino 
Le  avea  il  bel  viso,  e  le  fattezze  conte, 
Ch'  ora  lulendoi  parlare,  e  più  vicino 
Gli  occlij  alzandogli  meglio  nella  fronte, 
\'uh;  «"sscr  ((lu-l,  per  cui  sempre  meschino 
Fu  d'  Isabella  il  cor  nel  cavo  monte; 
Clic  di  non  veder  lui  più  si  lagnava, 
Che  d'  esser  fatta  ai  malandrini  schiava. 


[269] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XX.  137—114.  XXI. 


1  —  r 


[2Ì0] 


137.  La  vecchia,  dando  alle  parole  udienza, 
Che  con  sdegno  e  con  duol  Zerbino  versa, 
S'  avvede  ben ,  eh'  egli  ha  falcia  credenza, 
Che  sia  Isabella  in  mar  rotta  e  sommersa  : 
E  bendi'  ella  del  certo  abbia  scienza, 

Per  non  lo  rallegrar,  pur  la  pert'ersa 
Quel  che  far  lieto  lo  potria,  gli  tace, 
E  sol  gli  dice  quel,  che  gli  dispiace. 

138.  Odi  tu,  gli  disse  ella,  tu,   che  sei 
Cotanto  altier,  che  sì  mi  scherni  e  sprezzi, 
Se  sapessi,  che  nuova  ho  di  costei. 

Che  morta  piangi,  mi  faresti  vezzi. 
Ma ,  piuttosto  che  dirtelo ,  torrei, 
Che  mi  strozzassi,  o  fessi  in  mille  pezzi; 
Dove,  s'  eri  ver  me  più  mansueto, 
Forse  aperto  t'  avrei  questo  secreto. 

139.  Come  il  mastin ,  che  con  furor  s'  avventa 
Addosso  al  ladro,  ad  acchetarsi  è  presto, 
Che  quello  o  pane  o  cacio  gii  appresenta, 
O  che  fa  incanto  appropriato  a  questo  : 
Così  tosto  Zerl)ino  umil  diventa, 

E  vien  bramoso  di  sapere  il  resto. 

Che  la  vecchia  gli  accenna,  che  di  quella, 

Che  morta  piange ,  gli  sa  dir  novella. 

140.  E  volto  a  lei  con  più  piacevol  faccia. 
La  supplica,  la  pi'ega,  la  scongiura 

Per  gii  uomini  e  per  Dio ,  che  non  gli  taccia 
Quanto  ne  sappia,  o  buona,  o  ria  ventura. 
Cosa  non  udirai,  che  prò  ti  faccia. 
Disse  la  vecchia  pertinace  e  dui-a  : 
j\on  è  Isal)ella ,  come  credi ,  morta, 
Ma  viva  sì,  che  a'  morti  invidia  porta. 


141.  E  capitata  in  questi  pochi  giorni. 

Che  non  n'  udisti ,  in  man  di  più  di  venti  ; 
Sicché  qualora  anco  in  man  tua  ritorni. 
Ve',   se  sperar  di  corre  il  fior  convienti. 
Ah  vecchia  maladetta,  come  adorni 
La  tua  menzogna!  e  tu  sai  pur,  se  menti. 
Se  ben  in  man  di  venti  eli'  era  stata, 
]\on  r  avea  alcun  però  mai  violata. 

142.  Dove  r  avea  veduta  ,  domandclle 
Zerbino,  e  quando?  ma  nulla  n'  invola; 
Che  la  vecchia  ostinata  mai  non  volle 

A  quel ,  eli'  ha  detto ,  aggiunger  più  parola. 
Prima  Zerbin  le  fece  un  parlar  molle. 
Poi  minaccioUe  di  tagliar  la  gola; 
Ma  tutto  è  invan  ciò  che  minaccia  e  prega; 
Che  non  può  far  parlar  la  brutta  strega. 

143.  Lasciò  la  lingua  all'  ultimo  in  riposo 
Zerbin ,  poiché  '1  parlar  gli  giovò  poco  ; 
Per  quel ,  che  udito  avea ,  tanto  geloso. 
Che  non  trovava  il  cor  nel  petto  loco  ; 
D'  Isabella  trovar  sì  disioso. 

Che  saria ,  per  vederla ,  ito  nel  fuoco. 
j         3Iii  non  poteva  andar  più   che  volesse 
Colei ,  poich'  a  Marfisa  lo  promesse. 

144.  E  quindi  per  solingo  e  strano  calle, 

I  Dove  a  lei  piacque  ,  fu  Zerl)in  condotto. 

I  Kè  per  o  poggiar  monte ,  o  scender  valle, 

I  Mai  si  guardaro  in  faccia ,  o  si  fùr  motto. 

I  Ma  poich'  al  mezzodì  volse  le  spalle 

Il  vago  sol ,  fu  il  lor  silenzio  rotto 

I  Da  un  cavalier,  che  nel  cammiu  scontraro. 

I  Quel  che  seguì,  nell'  altro  canto  è  chiaro. 


CANTO    VENTESIMOPRIMO. 


ARGOMENTO. 

Zerbin,  clic  di  virtù  fit  paragone. 
Per  mantener  sua  fc  costante  e  forte. 
Con  Ermonide  piglia  aspra  tenzone, 
Quello  scavalca  ,  e  lo  ferisce  a  morte; 
Da  cui,  qual  sia  Gabrina,   e  la  cagione 
Intende  poi  di  sua  malvagia  soì-tc. 
E  mentre  ciò  gli  punge  e  preme  il  core. 
Lo  toglie  a  quel  pensier  grave  rumore. 


\è  fune  intorno  «Tederò  che  stringa 
Soma  così,  né  co>ì   legno  chiodo, 
(/'omo  la  le,   di'  una  bt-ir  alnni  cinga 
Del  suo  tenace  indir-soluliil   nodo. 
Né  dagli   anlidii  pur  cIh:  si  di|iinga 
La  santa  i'V-  \i'stitii  in  altro  iiioilo. 
Che  d'  mi   vd  bianco,  die  lu  copra  tutta; 
Cir  ini  sol  punto,  un  sol  uro   hi  può  iar  brutta 


2.  La  fede  unqua  non  deve  esser  corrotta, 
O  data  a  un  solo ,  o  data  insiciiie  a  mille, 
E  cosi  in  una  selva,  in  una  grotta. 
Lontan  dalle  cittadi  e  dalie  >ille. 

Come  dinanzi  a'  tribunali ,  in  frolla 
Di  testimon,   di  scritti,  e  di  poslillc 
Senza  gilll•ar(^,  o  segno  allro  più  espresso, 
Basti  una  volta ,  die  s'  abbia  promesso. 

3.  Quella  servò,  come  servar  si  drbbe. 
In  ogni   impresa  il  ca\alicr  Zerbino, 

E  quivi  dimostrò,  die  conto  n'ebbe. 
Quando  si  toUt-  d.ii  proprio  cammino. 
Per  andar  con  cost«-i .  la  (|ual  gì'  increbbe, 
Come  se  avesse  il  morbo  si   >i(ino, 
Oppur  la  morte  stessa:  ina  potcu 
Più  die  '1  disio,  qnd  che  promesso  a>ea. 

i.      Dissi  di   lui,  ch<-  di  cederla  sotto 
La  sua  condotta  tanti»  al  cor  gli  preme, 
(;he   n'    arrabliia  di  duol ,  uè  le  fa  motto, 
E  vanno  muli  e   taciturni   insieme. 
Dissi,  che  poi   fu  quel   silcii/.iu   rotto, 
('he  ni  iniMido  il  sol   mostrò  le  ruote  estreme. 
Da  un  ca^  alien»  avvcnliinxo  errante, 
Che  in  mcv./o  dcJ  citmmin   lur  bi  fé'  innante 


[271] 


ORLANDO   FURIOSO.  (XXI.  5  —  20) 


[272] 


5.  La  vecchia ,  che  conobbe  il  cavaliere, 
Ch'  era  nomato  Ermonide  d'  Olanda, 
Che  per  insegna  ha  nello  scudo  nero 
Attraversata  una  vermiglia  banda, 
Posto  r  orgoglio  e  quel  sembiante  altero. 
Umilmente  a  Zerbin  si  raccomanda, 

E  gli  ricorda  quel ,  eh'  esso  promise 
Alla  guerriera,  che  in  sua  man  la  mise. 

6.  Perchè  di  lei  nimico,  e  di  sua  gente. 
Era  il  guerrier,  che  contra  lor  venia. 
Ucciso  ad  essa  avea  il  padre  innocente. 
Ed  un  fratel,  che  solo  al  mondo  avia; 
E  tuttavolta  far  del  rimanente. 

Come  degli  altri,  il  traditor  disia, 
Fincli'  alla  guardia  tua,  donna,  mi  senti, 
Dicea  Zeibin,  non  vo'  che  tu  paventi. 

7.  Come  più  presso  il  cavalier  sì  specchia 
In  quella  faccia ,  che  si  in  odio  gli  era  : 
O  di  combatter  meco  t'  apparecchia, 
Gridò  con  voce  minacciosa  e  fiera, 

O  lascia  la  difesa  della  vecchia, 
Che  di  mia  man ,  secondo  il  merto,  pera  ! 
Se  combatti  per  lei ,  rimarrai  morto  : 
Che  così  avviene  a  chi  s'  appiglia  al  torto. 

8.  Zerbin  cortesemente  a  lui  risponde, 
Ch'  egli  è  desir  di  bassa  e  mala  sorte, 
Ed  a  cavalleria  non  corrisponde, 

Che  cerchi  dare  ad  una  donna  morte. 
Se  pur  combatter  vuol,  non  si  nasconde; 
Ma  che  prima  consideri ,  che  importe, 
Ch'  un  cavalier,  com'  era  egli,  gentile, 
Voglia  por  man  nel  sangue  femminile. 

9.  Queste  gli  disse  e  più  parole  invano  ; 
E  fu  bisogno  alCn  venire  ai  fatti. 
Poiché  preso  abbastanza  ebbon  del  piano, 
Tornarsi  incontra  a  tutta  briglia  ratti. 
]Non  van  sì  presti  i  razzi  fuor  di  mano. 
Che  al  tempo  son  delle  allegrezze  tratti, 
Come  andaron  veloci  i  duo  destrieri 

Ad  incontrare  insieme  i  cavalieri. 

10.  Erraonide  d'  Olanda  segnò  basso. 
Che  per  passare  il  destro  fianco  attese; 
Ma  la  sua  debol  lancia  andò  in  fracasso, 
E  poco  il  cavalier  di  ScozLa  offese. 
Non  fu  già  r  altro  colpo  vano  e  casso; 
Ruppe  lo  scudo,  e  sì  la  spalla  prese. 
Che  la  forò  dall'  uno  all'  altro  lato, 

E  riversar  fé'  Ermonide  sul  prato. 

11.  Zerbin,  che  si  pensò  d'  averlo  ucciso, 
Di  pietà  vinto  scese  in  terra  presto, 

E  levò  r  elmo  dallo  smorto  viso; 

E  quel  guerrier,  come  dal  soniu)  desto, 

Senza  parlar  guardò  Zerbino  fiso, 

E  poi  gli  disse:  Non  m'  è  già  molesto, 

Ch'  io  sia  da  te  abbattuto  ;  che  ai  sembianti 

Mostri  esser  fior  de'  cavalieri  erranti  ; 

12.  Ma  ben  mi  duol,  che  questo  per  cagione 
D'  una  femmina  perfida  m'  avviene, 

A  cui  non  so  come  tu  sia  campione. 
Che  troi)po   al   tuo  valor  si  disconviene. 
E  quando  tu  sajicssi  la  cagione, 
Cir  a  vendicarmi  di  costei  mi  mene, 
Avresti,  ognor  che  'l  rimembrassi,  affanno, 
D'  aver,  per  campar  lei,  fatto  a  me  d  inno. 


13.  E ,  se  spirto  abbastanza  avrò  nel  petto, 
Ch'  io  '1  possa  dir  (ma  del  contrario  temo), 
Io  ti  farò  veder,  che  in  ogni  effetto 
Scellerata  è  costei   più,  che  in  estremo. 

Io  ebbi  già  un  fratel,  che  giovinetto 

D'  Olanda  si  partì ,  donde  noi  semo, 

E  si  fece  d'  Eraclio  cavaliero, 

Ch'  allor  tenea  de'  Greci  il  sommo  impero. 

14.  Quivi  divenne  intrinseco  e  fratello 
D'  un  cortese  baron  di  quella  corte. 

Che  nei  confin  di  Servia  avea  un  castello. 
Di  sito  ameno,  e  di  muraglia  forte. 
Nomossi  Argéo  colui,  di  eh'  io  favello. 
Di  questa  iniqua  femmina  consorte. 
La  quale  egli  amò  sì ,  che  passò  il  segno, 
Ch'  a  un  uom  si  convenia,  come  lui  degno. 

15.  Ma  costei ,  più  volubile ,  che  foglia, 
Quando  1'  autunno  è  più  privo  d'  umore, 
Che  '1  freddo  vento  gli  alberi  ne  spoglia, 
E  le  soffia  dinanzi  al  suo  furore. 

Verso  il  marito  cangiò  tosto  voglia, 
Che  fisso  qualche  tempo  ebbe  nel  core, 
E  volse  ogni  pensiero ,  ogni  desio 
D'  acquistar  per  amante  il  fratel  mio. 

16.  ^la  né  sì  saldo  all'  impeto  marino 
L'  Acrocerauno  d'  infamato  nome, 

]Vè  sta  sì  duro  incontro  Borea  il  pino. 
Che  rinnovato  ha  più  di  cento  chiome. 
Che,  quanto  appar  fuor  dello  scoglio  alpino. 
Tanto  sotterra  ha  le  radici  :  come 
Il  mio  fratello  a'  pricghi  di  costei, 
Kido  dì  tutti  i  vizj  infandi  e  rei. 

17.  Or,  come  a^'^iene  a  un  cavaliere  ardito, 
Che  cerca  briga ,  e  la  ritrova  spesso, 

Fu  in  una  impresa  il  mio  fratel  ferito, 
Molto  al  Castel  del  suo  compagno  appresso, 
Dove  venir  senza  aspettare  invito 
Solca,  fosse  o  non  fosse  Argeo  con  esso; 
E  dentro  a  quel  per  riposar  fermosse 
Tanto,  che  del  suo  mal  libero  fosse. 

18.  Mentre  egli  quivi  sì  giacca ,  convenne, 
Che  in  certa  sua  bisogna  andasse  Argeo. 
Tosto  questa  sfacciata  a  tentar  venne 

Il  mio  frcitello,  ed  a  sua  usanza  feo. 
Ma  quel  fedel  non  oltre  più  sostenne 
Avere  ai  fianchi  un  stimolo  sì  reo  ; 
Elesse,  per  servar  sua  fede  appieno, 
Di  molti  mal  quel,  che  gli  parve  meno. 

19.  Tra  molti  mal  gli  parve  elegger  questo: 
Lasciar  d'  Argeo  1'  intrinsichezza  antiqua, 
Lungi  andar  sì ,  che  non  sia  manifesto 
Mai  più  il  suo  nome  alla  femmina  iniqua. 
Bencliè  duro  gli  fosse,  era  più  onesto. 
Che  satisfare  a  quella  voglia  obbliqua, 

O  che  accusar  la  moglie  al  suo  signore, 
Da  cui  fu  amata  a  par  del  proprio  core. 

20.  E  delle  sue  ferite  ancora  infermo 

L'  arme  si  veste,  e  del  castcl  si  parte, 

E  con  animo  va  costante  e  fermo, 

Di  non  mai  piti  tornare  in  quella  parte. 

Ma  non  gli  vai  ;  che  ogni  difesa  e  schermo 

Gli  dissipa  fortuna  con  nuova  arte. 

Ecco  il  marito,  che  ritorna  intanto, 

E  trova  la  moglicr,  che  fa  gran  pianto, 


[273] 


ORLANDO    FURIOSO.      (XXL   21—36) 


I^Iil 


21.  E  scapiijliatii ,  e  con  la  faccia  rossa  ; 
E  le  domanda,  di  che  sia  turbata. 
Priinach'  ella  a  rispondere  sia  mossa, 
Pregar  si  lascia  più  d'  una  fiata, 
Pensando  tuttavia ,  come  si  j)o.ssa 
Vendicar  di  colui,  die  1'  ha  lasciata. 

E  ben  convenne  al  suo  mobile  ingegno 
Cangiar  1'  amore  in  subitano  sdegno. 

22.  Deh!  disse  alfine,  a  che  1'  error  nascondo, 
Che  ho  commesso,  signor,  nella  tua  assenza? 
Che  quando  ancora  io    1  celi  a  tutto  'i  mondo. 
Celar  noi  posso  alla  mia  conscienza. 

L'  alma ,  che  sente  il  suo  peccato  immondo, 
Paté  dentro  da  sé  tal  penitenza, 
Ch'  avanza  ogni  altro  corporal  martire, 
Che  dar  mi  possa  alcun  del  mio  fallire; 

23.  Quando  fallir  sia  cuiel,  che  si  fa  a  forza. 
M.i  sia  quel  che  si  vuol ,  tu  sappil  anco, 
Poi  con  la  spada  dalla  immondii  scorza 
Si^iogii  lo  spirto  ininiaculato  e  bianco, 

E  le  mie  luci  eternamente  ammorza  ! 
Cile,  dopo  tanto  vituperio,  almanco 
'JYnerlc  basse  ognor  non  mi  bisogni, 
E  di  ciascun,  eh'  io  vegga,  io  mi  vergogni. 

24.  Il  tuo  compagno  ha  1'  onor  mio  distrutto, 
Questo  corpo  per  forza  ha  violato; 

E  ,  perchè  teme ,  eh'  io  ti  narri  il  tutto, 
Or  si  parte  il  villan  senza  conmiiato. 
In   odio  con  quel  dir  gli  cl)bc  ridutto 
Ctdui,  che  più  d'  ogni  altro  gli  fu  grato. 
Argeo  lo  crede  ,  ed  altro  non  aspetta, 
Ma  piglia  r  arme,  e  corre  a  far  vendetta. 

25.  E  come  quel,  eh'  avea  il  paese  noto, 
Lo  giunse ,  che  non  fu  troppo  lontano  : 
Che  '1  mio  fratello  debole  ed  egroto, 
Senza  sospetto  se  ne  già  pian  piano. 

E  brevemente  iii  un  luogo  remoto 

Pose ,  per  vendicarsene ,  in  lui  mano. 

IVou  trova  il  fratel  mio  scusa,  che  vaglia; 

Cile  in  sonmia  Argeo  con  lui  vuol  la  battaglia. 

20.      Era  I'  nn  sano,  e  pien  di  nuovo  sdegno, 
Iniermo  1'  altro  ,  ed  all'  usanza  amico. 
Sicché  ebbe  il  fratel  mio  poco  ritegno 
Coiitra  '1  compagno ,  fattogli  nemico. 
Dunque  Filandro,  di  tal  sorte  indegno, 
(Dell'  infelice  giovane  ti  dico, 
Così  avea  nome),  non  soflVendo  il  peso 
Di  si  fiera  battaglia ,  rct-iò  preso. 

27.  Non  piaccia  a  Dio  ,  che  mi  conduca  a  tale 
11  mio  giust(»  furore ,  ci  tuo  dcmerto, 

(ìli  disse  Argeo,  che  mai  sia  micidiale 
Di  te,  cfie  amava;  e  me  tu  amavi  certo, 
Dcnchè  nel  fin  ux;  1'  hai  mostrato  m.ile. 
Pur  voglio  a  tutto  il  mondi»  fare  aperto, 
Che,  come  fui  nel  tem|)o  dtdl'  anmre, 
Così  neir  <idio  son  di  te  migliore. 

28.  Per  altro  modo  punirò  il  tuo  fallo, 
('Ile  le  mie  man  più  nel  tuo  sangue  porre, 
('osi  dicendo,  fece  sul  cavallo 

Di  verdi  rami  una  bara  comporre, 
E,  quasi  morto,  in  quella  riportallo 
Dentro  til  castello  in  unu  cbiu^a  torre. 
Dove  in   perpclm»  per  punizione 
Condannò  1'  innocente  a  «tar  prigione. 


29.  Non  però  eh'  altra  cosa  avesse  manco, 
t          Che  la  libertà  prima  del  partire; 

Perchè  nel  resto,  come  sciolto  e  franco, 
i         Vi  comandava,  e  si  facea  ubbidire. 
]'.Ia  non  essendo  ancor  1'  animo  stanco 
Di  questa  ria  del  suo  pcnsier  fornire, 
(^uasi  ogni  giorno  alia  prigion  veniva; 
Che  avea  le  chiavi ,  e  a  suo  piacer  1'  apriva, 

30.  E  movea  sempre  al  mio  fratello  assalti, 
E  con  maggiore  audacia,  che  dapprima. 
(Questa  tua  fedeltà,  dicca,  che  vaiti, 
Poic'iè  perfidia  per  tutto  si  stima? 

Oh  che  trionfi  gloriosi  ed  alti  ! 

Oh  che  superbe  spoglie  e  preda  opima! 

Oii  che  merito  aifiii  te  ne  risalta. 

Se,  come  a  traditore,  ognun  t'  insulta? 

31.  Quanto  utilmente,  quanto  con  tuo  onore 
M'  avresti  dato  quel ,  che  da  te  volli  ! 

Di  questo  sì  ostinato  tuo  rigore 

La  gran  mercè,  che  fu  guadagni,  or  tolli 

In  prigion  sci  ;  né  crederne  uscir  fuore, 

Se  la  durezza  tua  prima  non  molli. 

Ma,  quando  mi  conijìiacci ,  io  farò  trama 

Di  racqui^ta^tì  e  libertadc  e  fama. 

32.  No,  non,  disse  Filandro,  aver  mai  spene. 
Che  non  sia,  come  sisol,  mia  vera  fede! 
Se  ben  contra  ogni  dt-liito  mi  avviene, 

Ch'  io  ne  riporti  sì  dura  mcrceile, 
E  di  me  creda  il  mondo  men  che  bene  : 
Basta,  che  innanti  a  quel,  che  '1  tutto  vede, 
E  mi  può  ristorar  di  grazia  eterna, 
Chiara  la  mia  innocenza  si  discerna. 

33.  Se  non  basta,  eh'  Ar?:eo  mi  tenga  preso, 
T<;lgaini  ancor  questa  noiosa  vita  ! 

Fiir^e  non  mi  fia   il  premio  in  cicl  conteso 
Delia  buona  opra,  qui  poco  gradita. 
Forse  egli ,  die  da  me  si  chiama  ofTeso, 
Quando  sarà  quest'  anima  partita. 
S'  avvedrà  poi  d'  avermi  fatto  torto, 
E  piangerà  il  fedel  compagno  morto. 

34.  Cosi  più  volte  la  sfacciata  donna 
TcMita  Filaiulro,  e  (orna  senza  frutto. 
Ma  il  cieco  suo  desir,  che  non  assonna 
Trar  del  suo  sctdlerato  amor  costrutto. 
Cercando  va  più  dentro ,  eh'  alla  gonna, 
Suoi  ^izj  antichi,  e  ne  discorie  il  tutto. 
Mille   pcnsier  fa  d'  uno  in  altro  modo, 
Primacbè  fermi  in  alcun   de>si  il  chiodo. 

35.  Stette  sei  mesi,  che  non  mise  piede. 
Come  prima  facea,  nella    prigione: 

Di   che  il   miser  Filandro  e  spera  e  crede, 

Che  costei  più    non  gli   abbili  alle/ione, 

Ecco  fortuna .  al  mal  propizia ,  diede 

A  cpiesta  scellerata  o(•ca^iolle 

Di  metter  fin  ,  con  mcmorabil  male. 

Al  suo  cieco  appetito  irrazionale. 

za.      Antica  ioimici/.ia  avea  il  marito 

Con  un  barou  .  detto    Morando  il   Ix'llo, 
Clic,  non  >'e->>einlo    \rgco,  spessii  era  ardito 
Di   com'r  Milo,   e  fin  dentro  al  castello: 
Ma  se  Argro   \'   era,   non   tema   lo    n\ilo, 
ISè  s'  accostu>a  a  dieci  miglia  a  quello. 
Or  per  poterlo  iiuhir,  che  ci    veni-se, 
D'  ire  in  ticnit^lem  por  voto  dist>e. 

18 


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ORLANDO    FURIOSO.   (XXI.  37  —  52) 


[276] 


37.  Disse  d'  andare  ;  e  partesi ,  eh'  oj;nuno 
Lo  Tede ,  e  fa  di  ciò  -ipiirii^er  le  n:rida. 
]Nè  il  suo  pensier,  fuorché  la  inojj^lie,  alcuno 
Puote  saper;  che  sol  di  lei  si  fida. 
Torna  poi  nel  castello  all'  aer  bruno, 
Né  mai ,  se  non  la  notte ,  ivi  s'  annida, 
E  con  mutate  insegne  al  nuovo  albore, 
Senza  vederlo  alcun,  sempre  esce  fuorc. 

38.  Se  ne    va  in  questa  e  in  quella  parte  errando,  j 
E  volteggiando  al  suo  castello  intorno, 
Pur  per  veder ,  se  "1  credulo  Morando 
Volesse  far ,  come  solca ,  ritorno. 
Stava  il  di  tutto  alla  foresta ,  e  quando 
Nella  marina  vedea  ascoso  il  giorno. 
Venia  al  castello ,  e  per  nascose  porte 
Lo  togliea  dentro  1'  infedel  consorte. 

39.  Crede  ciascun,  fuorché  1'  iniqua  moglie,  ! 
Che  molte  miglia  Argeo  lontan  si  trove.  I 
Dunque  il  tempo  opportuno  ella  si  toglie.  \ 
Al  fratel  mio  va  con  malizie  nuove,  I 
Ha  di  lagrime,  a  tutte  le  sue  voglie, 

Un  nembo ,  che  dagli  occhj  al  sen  le  piove.  : 

Dove  potrò,  dicea.  trovare  ajuto,  ! 

Che  in  tutto  1'  onor  mio  non  sia  perduto  ? 

40.  E  col  mio  quel  del  mìo  marito  insieme? 
n  qual,  se  fosse  qui,  non   temerci. 

Tu  conosci  Plorando,  e  sai,  se  teme. 
Quando  Argeo  non  ci  sente,  uomini  e  Dei. 
Questi,  or  pregando,  or  minacciando,  estreme     • 
Prove  fa  tuttavia;  né  alcun  de'  miei  ' 

Lascia  che  non  contamini ,  per  trarmi  ' 

A'  suoi  desii  ;  né  so ,  s'  io  potrò  aitarmi. 

41.  Or ,  eh"  ha  inteso  il  partir  del  mio   consorte, 
E  che  al  ritorno  non  sarà  si  presto, 

Ha  avuto  ardir  d'  entrar  nella  mia  corte 
Senza  altra  scusa  e  senz'  altro  pretesto: 
Che,  se  ci  fosse  il  mio  signor  per  sorte, 
Non  sol  non  avria  audacia  di  far  questo, 
Ria  non  si  terria  ancor,  per  Dio,  sicuro 
D'  appressarsi  a  tre  miglia  a  questo  muro. 

42.  E  quel  che  già  per  messi  ha  ricercato. 
Oggi   me  r  ha  richiesto  a  fronte  a  fronte, 
E  con  tai  modi ,  che  gran  dubbio  è  stato 
Dell'  avvenirmi  disonore  ed  onte  ; 

E  se  non  che  parlar  dolce  gli  ho  usato,  j 

E  finto  le  mìe  voglie  alle  sue  pronte, 
Saria  a  forza  di  quel  suto  rapace, 
Che  spera  aver  per  mie  parole  in  pace. 

43.  Promesso  gli  ho ,  non  già  per  osservargli. 
Che  fatto  per  timor  luillo  é  il  contratto  ; 
Ma  la  mia  intenziou  fu  per  vietargli 

Quel ,  clie  per  forza   avrebbe  allora  fatto. 

Il  caso  è  qui  :  tu  sol  puoi  rimediargli  ;  [ 

Del  mìo  onor  altrìmente  sarà  tratto, 

E  di  quel  del  mio  Argeo,    che  già  m'  liai  detto 

Avere  o  tanto,  o  più,  che    1  proprio,  a  petto. 

44.  E  se  questo  mi  nìcghi,  io  dirò  diuiqiie. 
Che  ìli  te  non  sia  la  fé,  di  che  ti  vanti, 
Ma  clic  fu  sol  per  crudeltà,  qualunque 

\  (tha  liai   spn  y,/,iiti  i  mìci  supplici  pianti. 
Non   per  ri^p(•ttn  al<:uii  d'  Arg»'o;  quantunque 
M'Iiai  questo  ^<:ud()  ognora  opi>o>to  inuiuiti. 
Saria  stata  tra  noi  la  co>a  occulta; 
Ma  (fi  qui  aperta  infamia  mi  risulta. 


45.  Non  si  convien ,  disse  Filandro  ,  tale 
Prologo  a  me,  per  Argeo  mio  dìspo^to. 
Narrami  pur  quel,  che  tu  vuoi;  che,  quale 
Sempre  fui,  di  sempre  essere  ho  proposto: 
E  benché  a  torto   io  ne  riporti  male, 

A  lui  non  ho  questo  peccato  imposto. 

Per  lui  son  pronto  andare  anco  alla  morte, 

E  siami  contro  il  mondo,  e  la  mia  sorte. 

46.  Rispose  r  empia:  Io  voglio,  che  tu  spenga 
Colui ,  che  '1   nostro  disonnr  procura. 

Non  temer,  che  alcun  mal  dì  ciò  t'  a'^ienga  ! 

Ch'  io  te  ne  mostrerò  la  via  sicura. 

Deve  egli  a  me  tornar,  come  rivenga 

Sull  'ora  terza  la  notte  più  scura; 

E ,  fatto  un  segno ,  di  eli'  io  1'  ho  avvertito, 

10  r  ho  a  tor  dentro ,  che  non  sìa  sentito. 

47.  A  te  non  graverà  prima  aspettarmc 
Nella  camera  mìa,   dove  non  luca, 
Tanto  che  dispogliar  gli  faccia  l'  arme, 
E  quasi  nudo  in  man  te  lo  conduca. 
Cosi  la  moglie  conducesse  panne 

11  suo  marito  alla  tremenda  buca; 
Se  per  dritto  costei  moglie  s'  appella. 
Più  che  furia  infernal  crudele  e  fella. 

48.  Poiché  la  notte  scellerata  venne, 

Fuor  trasse  il  mio  fratel  con  l'  arme  in  mano, 
E  neir  oscura  camera  lo  tenne. 
Finché  tornasse  il  niiser  castellano. 
Come  ordine  era  dato,  il  tutto  av\enne: 
Che  "I  consìglio  del  mal  va  raro  in\ano. 
Cosi  Filandro  il  buono  Argeo  i)ercossc. 
Che  si  pensò ,  che  quel  Plorando  ftisse. 

49.  Con  esso  un  colpo  il  capo  fesse  e  il  collo; 
Ch"  elmo  non  v'  era,  e  non  vi  fu  riparo. 
Pervenne  Argeo ,  senza  pur  dare  un  crollo. 
Della  misera  vita  al  fine  amaro  : 

E  tal  r  uccise ,  che  mai  non  pensollo, 
Né  mai  r  avria  creduto.     O  caso  raro  ! 
Che,  cercando  giovar,  fece  all'  amie» 
Quel,  di  che  peggio  non  si  fa  al  nimic». 

50.  Posciachè  Argeo  non  conosciuto  giacque, 
Renile  a  Gabrina  il  mio  fratel  la  spad.i. 
Gabrina  é  il  mane  di  costei,  che  nacque 
Sol  per  tradire   ognun ,  che  in  man  le  cada. 
Ella,  che  '1  ver  fino  a  queir  ora  tacque. 
Vuol ,  clic  Filandro  a  riveder  ne  vnda 

Col  lume  in  mano  il  morto,  ond'  egli  è  reo; 
£  gli  dimostra  il  suo  compagno  Argeo. 

51.  E  gli  minaccia  poi ,  se  non  consente 
All'  amoroso  suo  lungo  desìre. 

Dì  palesare  a  tutta  quella  gente 

Quel,  eh'  egli  ha  fatto,  e  noi  può  contraddire 

E  lo  farà  vituperosamente. 

Come  assassino  e  tradìtor,  morire, 

E  gii  ricorda ,  che  sprezzar  la  fama 

Non  de',  se  ben  la  vita  sì  poco  ama. 

52.  Pìen  dì  paura  e  dì  dolor  rimase 
Fìlaiulro,  poiché  del  suo  error  s'  accorse. 
Qua>i   il  primo  furor  gli  persuase 
1)'  uccider  que>ta,  e  stt-Ite  un  pezzo  in  forse: 
E  se  non  che  nelle  nimiche  case 
Si  ritro^  ò ,  che  la  ragion  soccorse, 
Non  sì  tro\audo  a^er  altr'  arme  in  mano, 
Co'  denti  la  stracciava  a  bnmo  a  bnuio. 


[2T7] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXI.  5S  — 68) 


[278J 


53.  Come  nell'  alto  mar  legno  talora, 
Che  da  duo  Tenti  sia  percosso  e  vìnto, 

Ch'  ora  uno  innanzi  1'  ha  mandato ,  ed  ora 

Un  altro  al  primo  termine  respinto, 

E  r  han  girato  da  poppa  e  da  prora, 

Dal  più  possente  alfin  resta  sospinto: 

Cosi  Filandro,  tra  molte  contese 

De'  duo  pensieri,  al  manco  rio  s'  apprese. 

54.  Ragion  gli  dimostrò  il  pericol  grande, 
Oltre  il  morir,  del  fine  infame  e  sozzo, 
Se  r  omicidio  nel  Castel  si  spande  ; 

E  del  pensar  il  termine  gli  è  mozzo. 

Voglia,    o  non  voglia,  alfin  convien,  che  mande 

L'  amarissimo  cali('e  nel  gozzo. 

Pur  finalmente  nell'  afflitto  core 

Più  dell'  ostinazion  p(»tè  il  timore. 

53.      11  timor  del  supplicio  infame  e  hrutto 
Prometter  fece  con  mille  scongiuri, 
Che  farìa  di  Gahrina  il  voler  tutto, 
Se  di  quel  loco  si  partian  sicuri. 
Cosi  per  forza  colse  1'  empia  il  frutto 
Del  suo  desire,  e  poi  lasciar  quei  muri. 
Così  Filandro  a  noi  fece  ritorno, 
Di  sé  lasciando  in  Grecia  infamia  e  scorno. 

56.  E  portò  nel  cor  fisso  il  suo  compagno, 
Che  così  scioccamente  ucciso  avea, 

Per  far,  con  sua  gran  noja,  empio  guadagno 

D'  una  Progne  crudel,  d'  una  Medea. 

E  se  la  fede  e  '1  giuramento,  magno 

E  duro  freno  ,  non  Io  ritcnea, 

Come    al  sicuro  fu ,  morta  1'  a^rehbe  : 

Ma,  quanto  più  si  puote  ,  in  odio  V  ebbe. 

57.  Non  fu  da  indi  in  qua  rider  mai  visto; 
Tutte  le  sue  parole  erano  meste. 
Seuipre  sospir  gli  us(;ian  del  petto  tristo, 
Ed  era  divenuto  im  nuovo  Oreste, 
Poiché  la  madre  uccise  e  '1  sacro  Egitto, 
E  che  r  nitrici  furie  ebbe  moleste: 

E,  senza  mai  cessar,  tanto  1'  afflisse 
Questo  dolor,  che  infermo  al  letto  il  fisse. 

58.  Or  questa  meretrice ,  che  sì  pensa, 
Quanto  a  ques^t'  altro  suo  poco  sia  grata, 
Muta  la  fiamma,  già  d'   amore  intensa, 
In  odio,  in  ira  ardente  ed  arrabbiata; 

ISè  meno  è  c(u;tra  al  mio  fratello  acccnsa, 
Cile  fosse  contra  .\rgco  la  scellerata; 
E  dispone  tra  se  levar  dal  mondo. 
Come  il  primo  marito  ,  anco  il  secondo. 

59.  Un  medico  trovò  d'  inganni  pieno. 
Sufficiente  ed  atto  a  simil  uopo, 
Che  sapea  meglio   uccider  di  ^eiicno. 
Che   risanar  gì'   infirmi   di  ^cilopl^; 
E  gli  pri)nii>e  innanzi   più  che  meno 
Di  quel,  che  domaiulò,  lionargli ,  dopo 
('II'  aves>e,  con  moitircro  liiiuore. 
Levatole  dagli  occbj  il  ^uo  f-ignore. 

60.  Già  in  mia  presenza,  e  d'  altre  più  persone, 
\enia  col  to^co  in   mano   il   vecchio  ingiusto, 
Dii cudo  ,  eh'  era   buona  po/.ione 

l)a  ritornare  il  mio  fralcl  robu>to. 

]Ma  (ìaìirìna  con    nuova  intenzione, 

l'riacltc  r  inlcrino  ne  lurba^^e  il  gu>to. 

Per  tor.-i  il  cl^n^a^le^ol(•  ti'  ap|iresM», 

O  per  ntui  dargli  ipul  eh'  nwn  promo«>«o, 


61.  La  man  gli  prese,  quando  appunto  dava 
La  tazza ,  dove  il  tosco  era  celato, 
Dicendo:  ingiustamente  è,  se  ti  grava, 

Ch'  io  tema  per  costui,  eh'  ho  tanto  amato. 

^  oglio  esser  certa  che  bevanda  prava 

Tu  non  gli  dia,  nò  succo  a>"\elenato: 

E  per  questo  mi  par,  che  "1  beveraggio 

Non  gli  abbia  a  dar,  se  non  ne  fai  tu  il  saggio. 

62.  Come  pensi ,  signor ,  che  rimanesse 
Il  miser  vecchio  conturbato  allora.'' 
La  brevità  del  tempo  sì  1'  oppresse, 
Che  pensar  non  potè  ,   che  meglio  fora. 
Pur,  per  non  dar  maggior  sospetto,  elesse 
Il  calice  gustar  senza  dimora; 

E  r  infermo ,  seguendo  una  tal  fede, 
Tutto  il  resto  pigliò,  che  se  gli  diede. 

63.  Come  sparvier,  che  nel  piede  grifagno 
Tenga  la  starna,  e  sia  per  trarne  pasto, 
Dal  can ,  che  si  tenea  fido  compagno. 
Ingordamente  è  sopraggiimto  e  guasto: 
Così  il  medico ,  intento  al  rio  guadagno, 
Donde  sperai  a  ajuto ,  ebbe  contrasto. 
Odi  di  somma  audacia  esempio   raro  : 

E  così  avvenga  a  ciascun  altro  avaro! 

64.  Fornito  questo ,  il  vecchio  s"  era  messo, 
Per  ritornare  alla  sua  stanza,  in  via. 

Ed  usar  qualche  medicina  appresso, 
Che  lo  salvasse  dalla  |)este  ria; 
!Ma  da  Gabrina  non  gli  fu  concesso. 
Dicendo  non  voler,  eh'  andasse,  pria 
Che  '1  succo  nello  stomaco  digesto 
Il  suo  valor  facesse  manifesto. 

65.  Pregar  non  vai.  né  far  di  premio  ofTcrta, 
Che  lo  voglia  lasciar  quindi  partire. 

Il  disperato ,  poiché  vede  certa 

La  morte  sua  ,  né  la  poter  fuggire, 

Ai  circo>tanti  fa  la  cosa  aperta. 

Né  la  seppe  costei  troppo  coprire. 

E  co^ì  quel ,  che  fece  agli  altri  spesso 

Quel  buon  medico,  alfin  fece  a  sé  stesso. 

66.  E  iseguitò  con  1'  alma  quella,  eh'  era 
Già  del  mio  frate  camminata  innanzi. 
Noi  circostanti,  che  la  <Misa  vera 

Dal  \c(ihio  udiimno ,  che  le"  pochi  avanzi. 
Pigliammo  ((nota  ahliouiinevol  fera. 
Più  (;ruilel  di  qualini(jnc  in  sel\a  stanzi, 
E  la  serrammo  in  t<  lK'lu•o^o  loco. 
Per  condannarla  al  meritato  fuoco. 

67.  Questo  Ernu)nide  disse  :  e  più  volerli 
Seguir,  <"om'  ella  di  prigion  Ic^ossi; 
3la  il   (Ittldi-  della  piaga  >i  V  .iggrc\a, 
('he  pallido  nell'  erba   ri*(r.>o>>i. 
Inlanlo  duo  scudier.  che  seco  aveva, 
l'atto  una  bara  avean  di  rami  groa^i  : 
l'iriuonide   si   fece  in   i|iiella   porre, 

Clr  indi  ahranu-nle  non  >i  potea  torre. 

fi8.      Zerbin  col  ca^alier  fece  sua  scusa, 
('he  gì'  iiuie-cea  d"  avergli  l'alto  oll'esa ; 
!Ma ,   come  pur   tra    cavalieri  s'usa. 
Colei  .  che  venia  seco,    avea  dife.<n, 
("II"  allrauienle  sua  fé  saria  confusa; 
l'ercbè  ,  qtiaiulo  in  sua  guardia  1"  avea  |)resa, 
VroMiì>e  a  ►uà  possanza  ili  >al>arla 
Coiitra  ogiiiiii ,  che   veni^^e  a  disturbarla, 

1»    * 


[279]        ORLANDO  FURIOSO.     (XX[^69  — 72.     XXII.  1  —  8)         [280] 

69.  E ,  se  in  altro  potea  stratificargli, 
Prontissimo  offeriasi  alla  sua  voglia. 
Kispose  il  cavalier ,  che  ricordargli 
Sol  vuol ,  che  da  Gahrina  si  discioglia, 
Priraach'  ella  ahbia  cosa  a  macchinargli, 
Di  eh'  esso  indarno  poi  !?i  penta  e  doglia. 
Gahrina  tenne  sempre  gli  ocdij  bassi, 
Perchè  non  ben  risposta  al  vero  dassi. 

70.  Con  la  Tecrhia  Zerbin  quindi  partisse 
Al  già  promesso  debito  viaggio, 
E  tra  sé  tutro  il  dì  la  maledisse, 
Cile  far  gli  lece  a  quel  barone  oltraggio: 
Ed  or ,  che  pel  gran  mal ,  clie  gli  ne  disse 
Chi  lo  sapea,  di  lei  fn  instriitto  e  saggio. 
Se  prima  1'  avea  a  noja  e  a  dispiacere. 
Or  r  ordia  sì ,  che  non  la  può  vedere. 


71.  Ella,  c)ìc  di  Zerbin  sa  1'  odio  appieno, 

Kè  in  niiibi  volontà  vuoi  esser  vinta, 
Un'  ouciii  a  lui  non  ne  riporta  meno  ; 
La  tieu  di  quarta,  e  la  rità  di  quinta. 
Nel  core  era  gonfiata  di  veneno, 
E  nel  viso  iiitrimenti  era  dipinta. 
Dunque  nella  concordia,  eh'  io  vi  dico, 
Tenean  lor  via  per  mezzo  il  bosco  antico. 

72.  Ecco ,  volgendo  il  sol  verso  la  sera, 
Udiron  gridi  e  gtrt'j)iti  e  percosse. 
Che  faccan  segno  di  battaglia  fiera. 
Che.  quanto  era  il  rumor,  vicina  fosse. 
Zerbino ,  per  veder  la  cosa  eh'  era. 
Verso  il  rumore  in  gran  fretta  si  mosse; 
Né  fu  Gabrina  lenta  a  seguitarlo. 

Di  quel ,  che  avvenne,  all'  altro  cinto  io  parlo. 


CANTO    VENTESIMOSECONDO. 


ARGOMENTO. 

L'  incantato  palagio  al  mago  Atlante 
Disfà  V  Inglese ,  e  volge  in  fuga  quello. 
Si  riirovan  Ruggiero  e  Bradamantc, 
E  van  per  trar  da  morte  un  damigello 
Ad  un  Castel.     Conosce  nel  sembiante 
La  donna  il  traditor  di  Pinabello. 
Quattro  guerricr  Ruggiero  abbatte  in  fretta. 
E  poi  lo  scudo  entro  d'  un  pozzo  getta. 


1.  Cortesi  donne,  e  grate  al  vostro  amante, 
Voi ,  che  d'  un  solo  amor  siete  contente, 
Comeché  certo  sia  ,  fra  tante  e  tante. 
Che  rarissime  siate  in  questa  mente; 

Non  vi  dispiaccia  quel ,  eh'  io  di<si  innante. 
Quando  contra  Gabrina  fui  si  ardente, 
E  se  ancor  son  per  spendervi  alcun  verso, 
Di  lei  biasmando  1'  animo  perverso. 

2.  Ella  <Ta  tale;  e,  come  imposto  fammi 
Da  chi  può  in  me,  non  prc-terisco  il  vero. 
Per  questo  io  non  oscuro  gli  onor  sommi 

D'  una  e  d'  un'  altra,  eh'  abl)ia  il  <;or  sincero. 
Quel  ,  che  'l  maestro  suo  per  trenta  nummi 
Diede  a'  Giudei,    non  nocque  a  (ìianni,  o  aPit 
Né  d'  IpiTinc-tra  é  la  faina  men  bella, 
Sebben  di  tante  inique  era  sorella. 

3.  Per  una ,  che  I)iasmar  cantando  ardisco. 
Che  r  ordinata  istoria  così  vuole, 
liodarnc;  cento  incontra  m'  ofìerisco, 

E  far  lor  virtù  iJiiara  più  che  '1  sole. 
Ma  tornainlo  al  lavor,  che  vario  ordisco, 
(^In-  a  molti,   lor  nurcé,  graJo  esser  suole, 
Del  cavalier  di  Scozia  io  vi  dìcea. 
Che  un  alto  gr'iAa  appresso  udito  avea. 


ro; 


4.  Fra  due  montagne  entrò  in  un  stretto  calle. 
Onde  uscia  il  grido;  e  non  fu  molto  innante, 
Che  giunse,  dove  in  una  chiusa  valle 
Si  vide  un  cavalier  morto  davante. 
Chi  sia,  dirò;  ma  prima  dar  le  spalle 
A  Francia  voglio,  e  girmene  in  Levante, 
Tanto  eh'  io  trovi  Astolfo  jìaladino, 
Che  per  Ponente  avea  preso  il  cammino. 

5.  Io  lo  lasciai  nella  città  crudele. 
Onde  col  suon  del  forniidabll  corno 
Avea  cacciato  il  popolo  infedele, 
E  gran  periglio  toltosi  d'  intorno, 
Ed  a'  compagni  fatto  alzar  le  vele, 
E  dal  lito  fuggir  con  grave  scorno. 
Or  seguendo  di  lui,  dico  ,  che  prese 
La  via  d'  Armenia,  e  uscì  di  quel  paese: 

6.  E  dopo  alquanti  giorni  in  Natòlia 
Trovossi,  e  in  verso  Bursia  il  cammin  tenne; 
Onde,  continuando  la  sua  via. 
Di  qua  dal  mare  in  Tracia  se  ne  venne. 
Lungo  il  Danubio  andò  per  1'  Unglieria, 
E .  come  avesse  il  suo  destrier  le  penne, 
I  Ì^IoraA  i  e  i  Boemi  passò  in  meno 
Di  venti  giorni ,  e  la  Franconia ,  e  il  Reno. 

7.  Per  la  selva  d'  Ardenna  in  Aquisgrana 
Giunse,  e  in  Brabante,  e  in  P'iandra  a Ifin  s' imbarca. 
L'  aura,  che  soffia  verso  Tramontana, 
La  vela  in  guisa  in  sulla  prora  carca. 
Che  a  mezzo  giorno  Astolfo  non  lontana 
^ede  Inghilterra,  ove  nel  lito  varca. 
Salta  a  cavallo ,  e  in  tal  modo  lo  punge, 
Ch'  a  Londra  quella  sera  ancora  giunge. 

8.  Quivi  sentendo  poi  ,  che  '1  vecchio  Ottone 
Già  molti  mesi  innanzi  era  in  Parigi, 
E  che  di  novo  quasi  ogni  barone 
Avea  imitato  i  suoi  degni  vestigi, 
D'  andar  subito  in  Francia  si  dispone, 
E  cosi  (orna  al  porto  di  l'amigi  ; 
Onde,  con  le  vele  alte  uscendo  fuora, 
\  erso  Culessio  fc'  driivzar  la  prora. 


[281] 


ORLANDO  FURIOSO.  (XXIF.  9-24) 


[282] 


9.     Un  ventolin ,  che  leggermente  all'  orza 
Ferendo ,  avea  adescato  il  ìef- no  all'  onda, 
A  poco  li  poco  cresce  e  si  rinforza, 
Poi  vien  A,  eh'  al  nocchier  ne  sojìrahbonda. 
Che  gli  volti  la  poppa  alfine,  è  forza; 
Se  non,  j;li  caccerà  sotto  la  sponda. 
Per  la  scliiciia  del  usar  ticn  (ìrilto  il  legno, 
E  fa  carainin  diverso  al  suo  disegno. 

10.  Or  corre  a  destra,  ora  a  sinistra  mano, 
Di  qua,  di  là,  dove  fortuna  spinge, 

E  piglia  terra  aliin  pre-so  a  Roano, 

E  come  prima  il  dolce  lito  attinge, 

Fa  rimetter  la  sella  a  Hiibicano, 

E  tutto  s'  arma,  e  la  spada  si  cinge: 

Prende  il  camiiiino  ,,  ed  lia  fcco  quel  corno, 

Che  gli  vai  più,  che  mille  uomini  intorno. 

11.  E  giunse,  traversando  una  foresta, 
A  pie  d'  un  coVle,  ad  una  chiara  fonte, 
Neil'  ora,  che  '1  monton  di  pascer  resta 
Chiuso  in  capanna,  o  sotto  un  cavo  monte; 
E  dal  gran  caldo  e  dalla  sete  infc-ta 

A  inio  si  trasse  1'  elmo  d  illa  fronte, 
Legò  il  destrier  tra  le  più  spesse  fronde, 
E  poi  venne  per  bere  alle  fresche  onde. 

12.  Non  avea  messo  ancor  le  labbra  in  molle, 
Ch'  un  villanel,  che  v'  era  ascoso  appresso, 
Sbuca  fuor  d'  una  macchia,  e  il  destrier  tolle; 
Sopra  vi  sale ,   e  se  ne  va  con  esso. 

Astolfo  il  rumor  sente,  e  il  capo  estolle; 
E  poiché  '1  danno  suo  vede  sì  espresso, 
Lascia  la  fonte ,  e  sazio  senza  bere 
Gli  va  dietro  correndo  a  più  potere. 

13.  Quel  ladro  non  si  stende  a  tutto  corso, 
Cile  dileguato  .nÌ  saria  di  botto; 

^la,  or  lenti'.ndo ,   or  raccogliiMido  il  morso, 

Se  ne  va  di  galojipo,  e  di  buon  trotto. 

Escon  del  bosco  dopo  un  gran  discorso, 

E  r  imo  e  r  altro  alfin  si  fu  ridotto 

Là,  dove  tanti  nobili  baroni 

Eran,  senza  prigion,  più  che  prigioni. 

14.  Dentro  il  palagio  il  villanel  si  caccia 

Con  quel  destrier,  che  i  venti  al  corso  adegna. 

Forza  è,  ch'Astolfo,  il  qiial  lo  scudo  impaccia, 

L'  elmo  e  l'  altre  arme,  di  lontan  lo  segua. 

Pur  giunge  anch'  egli  ;  e  tutta  (ludla  traccia 

C;ii(!  fin  qui  a^ca  ^eguita,  si  dilegua, 

('ile  più  uè  Uabicau,   nò  il  ladro  vitdc, 

E  gira  gli  occhj,   e  indarno  allretla  il  piede. 

15.  Aft'retta  il  piede,  e  va  cercando  invano 
E  le  logge,  e  le  camere,  e  le  sale; 

Ma  per  trovare  il  perfido  villano. 

Di  sua  fatica  nulla  »i  prevale. 

Non  sa,  dove  alibia  ascoso  HaI)ic.ino, 

Quel  suo  veloci!  sopra  ogni  animale, 

E  ^^•nza  frutto  alcun  tulio  (pul  gidrno 

('creò  di  ^u,  di  giù,  dentro  e  «1'  intorno. 

l-'i.      Confuso  e  lasso  d'  iig<;irarsi  lauto, 
S'  awidn,  rhe  (|u<l  luco  era  incmlato, 
E  del  liliretlo,  ih'  avea  sfimpn-  accanto, 
<1ic  LogÌNiillii  i„  India  gli  a.ca  dato, 
Acciocclir  ,  ricadendo  iu  nuovo  incanto, 
Potc-sc  (iit.ir,i,  .si  It,  ricordato; 
Ali'  indice  riciuM-,  e  \i(ii;  to>to, 
A  quante  carte  era  it  rimedio  posto. 


17.  Del  palazzo  incantato  era  diiTuso 
Scritto  nel  lihro;  e  v'  eran  scritti  i  modi 
Di  fare  il  mago  rimaner  confuso, 

E  a  tutti  quei  prigion  disciorrc  i  nodu 
Sotto  la  soglia  era  uno  spirto  chiuso. 
Che  iacea  questi  inganni  e  queste  frodi; 
E  levata  la  pietra,  ov'  è  sepolto,  _ 
Per  lui  sarà  il  palazzo  in  fumo  sciolto. 

18.  Desideroso  di  condurre  a  fine 
Il  paladin  sì  gloriosa  impresa, 

]\on  tarda  più,  che  '1  braccio  non  ìnchine 
A  prosar,  quanto  il  grave  marmo  pesa. 
Come  Atlante  le  man  vede  vicine 
l'cr  far,  che  1'  arte  sua  sia  vilipesa, 
Sospettoso  di  quel ,  che  può  avvenire, 
Lo  va  con  nuovi  incanti  ad  assalire. 

19.  Lo  fa,  con  diaboliche  sue  larve, 
Parer  da  quel  diverso,  che  solca. 
Gigante  ad  altri ,  ad  altri  un  villan  parve, 
Ad  altri  un  cavalier  di  faccia  rea. 
Ognuno  in  quella  forma,  in  che  gli  apparve 
ISel  bosco  il  mago,  il  paladin  vedea; 
Sicché,  per  riaver  quel,  che  gli  tolse 

11  mago,  ognuno  al  paladin  si  volse. 

20.  Ruggier,  Gradasso,  Iroldo ,  Bradaniante, 
Brandimarte,  Prasildo,  altri  guerrieri, 

In  questo  nuovo  error  si  fero  innante. 
Per  distruggere  il  duca  accesi  e  fieri. 
Ma  ricordossi  il  corno  in  quello  istante, 
Che  fé'  loro  abbassar  gli  animi  altieri. 
Se  non  si  snccorrea  col  grave  suono, 
Morto  era  il  paladin  senza  perdono. 

21.  Ma  tostochè  si  pon  quel  corno  a  bocca, 
E  fa  sentire  intorno  il  suono  orrendo, 

A  guisa  di  colombi ,  quando  scocca 
liO  scoppio ,  vanno  i  cavalier  fuggendo. 
Kon  meno  al  negromante  fuggir  tocca. 
Non  men  fuor  della  tana  esce  temendo, 
Pallido  e  sbigottito,  e  se  ne  shuiga 
Tanto  ,  che  '1  suono  orribil  non  lo  giunga. 

22.  Fuggì  il  guardian  co'  suoi  prigioni,  e  dopo 
Delle  stalle  fuggir  molti  cavalli, 

Cli'  altro  che  lune  a  ritenerli  era  uopo, 

E  seguirò  i  padron  per  varj  calli. 

In  casa  non  restò  gatta,   né  topo 

Al  suon  ,  che  par  che  dica:  Dalli,  dalli! 

Sarebbe  ito  con  gli  altri  Uabicaiio, 

So  non  eh'  all'  uscir  venne  al  duca  in  mano. 

23.  Astolfo,  |)oi(h'  ebbe  cacciato  il  i"«ig«»> 
Levò  di  sulla  soglia  il  gra^e  sasso, 

E  vi  ritrovò  sotto  alcuna  iuimago. 
Ed  altre  cose,  che  di  scri\cr  lasso; 
E  di  distrugger  quello  incanto  vagQ, 
Di  ciò  .  «;he  vi  trovò  ,   fece  fracasso. 
Come  gli  mostra  il  liluo ,  vUt'.  far  debbia; 
E  si  s(  iol>c  il  pala/./.o  in  fumo  e  in  nebbia. 

2-1.      Cenivi  trovò,  che  di  catena  d'  oro 
Di  Ituggiero  il  cavallo  era  legato: 
Parlo  di  (juel,   che  'I   negromante  moro, 
Per  mandarlo  ad    Vicina,  gli  aNca  dato; 
A  cui  poi  Logi.'.tilla  le'  il  lavoro 
D<-l   freno,  ond'   era  in   l''r.in(-i.i  ritornato, 
E  giralo  dall'  India  all'  Inghilterra 
Tutto  avea  il  lato  destro  della  terra. 


[283] 


ORLANDO    FURIOSO.      (XXII.  25— 40) 


[284] 


25.  Non  so,  se  tÌ  ricorda,  rlie  la  briglia 
Laj^ciò  attaccata  all'  arbore  (jnei  giorno. 
Che  nuda  da  Riiggìer  spari  la  figlia 

Di  Galafrone,   e  gli  fc'  1'  alto  scorno. 
Fé'  il  volante  destricr,  con  maraviglia 
Di  chi  lo  vide ,  al  mastro  suo  ritorno, 
E  con  Ini  stette  infìn  al  giorno  sempre, 
Che  dell'  incanto  fur  rotte  le  tempre. 

26.  Non  potrebbe  esser  stato  più  giocondo 
D'  altra  avventura  Astolfo ,  che  di  questa  ; 
Che  per  cercar  la  terra  e  '1  mar .  secondo      , 
Ch'  avea  desir ,  quel  che  a  cercar  gli  resta, 
E  girfir  tutto  in  pochi  giorni  il  mondo, 
Troppo  venia  questo  ippogrifo  a  sesta. 
Sapea  egli  ben,  quanto  a  portarlo  era  atto; 
Che  r  avea  altrove  assai  provato  in  fatto. 

27.  Quel  giorno  in  India  lo  provò,  che  tolto 
Dalla  savia  Melissa  fu  di  mano 

A  quella  scellerata ,  che  travolto 

Gli  avea  in  mirto  silvestre  il  a  iso  umano  : 

E  ben  vide  e  notò ,  come  raccolto 

Gli  fu  sotto  la  briglia  il  capo  vano 

Da  Logistilla;  e  Aide,  come  instrutto 

Fosse  Ruggier  di  farlo  andar  per  tutto. 

28.  Fatto  disegno  1'  ippogrifo  torsi, 

La  sella  sua,  che  appresso  avea,  gli  messe, 

E  gli  fece,  levando  da  più  morsi 

Ina  cosa  ed  un''  altra,  un  che  lo  i'es.se; 

Che  dei  destrier,  che  in  fuga  erano  corsi, 

Qnivi  attaccate  erau  le  briglie  spesse. 

Ora  un  jx-nsicr  di  Rabicano  solo 

Lo  fa  tardar,    che  non  si  leva  a  aoIo, 

29.  D'  amar  quel  Rabicano  aA'ea  ragione. 
Che  non  n'  era  un  miglior  per  correr  lancia; 
E  r  avea  dall'  estrema  regione 

Dell'  India  caAalcato  insin  in  Francia, 
l'ensa  egli  molto ,  e  in  sonuna  si  dispone 
Darne  più  tosto  ad  un  suo  amico  mancia. 
Che  ,  la^(•iandolo  qui^  i  in  sulla  strada, 
Se  r  abbia  il  primo ,  che  a  passarvi  accada. 

30.  Stava  mirando,   se  vedea  venire 

l'el  bosco  o  cacciatore,  o  alcun  villano, 
Dii  cui  far  si  potesse  indi  seguire 
A  qualche  terra,  e  trarvi  Rabicano. 
Tutttt  quel  giorno,  e  sin  all'  apparire 
Dell'  altro  ,  stette  riguardando  invano. 
L'  altro  mattiu,  «li'  era  auc(u'  1'  aer  fosco. 
Veder  gli  parve  un  cavalier  pel  bosco, 

31.  Manli  bisogna,  s'  io  ao'  dirvi  il  resto, 
Ch'  io  tro\i  Ruggier  prima,  e  Hradaniante. 
l'oichè  si  tacque  il  corno .   e  che  da  questo 
LiM!o  la  bella  cop[>ia  fu  distante, 

(ìuardò  Ruggiero  ,  e  fu  a  c;onosccr  presto 
Quel ,  che  fin  qui  gli  av(;a  nascoso  Allaate. 
Fatto  avea  Atlante;,  che  (in  a  qiu^ll'  oru 
Tra  lor  non  s'  erau  conosciuti  ancora. 

32.  Ruggier  riguarda  Hradamante,  ed  ella 
Riguarda  Ini  cou  alta  maraviglia, 

Che  tanti  dì  1'  aliltia  olVusrato  quella 
lilu>ion  sì  r  animo  e  le  ciglia. 
Ruggiero  ahlìraccia  la  sua  donna  bella. 
Che,  più  <  he  ^o^a,   nr-di\ifii   vermiglia; 
E  iKii  di  sulla  bocca  i  primi  (lori 
Cogliendo  vien  de'  suoi  liiati  anuiri. 


33.  Tornaro  ad  iterar  gli  abbracciamenti 
Mille  fiate ,  ed  a  tenersi  stretti 

I  duo  felici  amanti,  e  sì  contenti, 
Ch'  appena  i  gaudj  lor  capìano  i  petti. 
Molto  lor  dnol,  che  per  incantamenti, 
Mentrechè  fu  negli  errabondi  tetti, 
Tra  lor  non  s'  eran  mai  riconosciuti, 
E  tanti  lieti  giorni  eran  perduti. 

34.  Rradamantc,  disposta  di  far  tutti 
I  piaceri ,  che  far  vergine  saggia 
Debbia  ad  un  suo  amator,  sicché  di  lutti. 
Senza  il  suo  onore  offendere ,  il  sottraggia, 
Dice  a  Ruggier,  se  a  dar  gli  ultimi  frutti 
Lei  non  a  noi  sempre  aver  dura  e  selvaggia. 
La  faccia  domandar  per  buoni  mezzi 

Al  padre  Amon;  ma  prima  si  battezzi. 

35.  Ruggier ,  che  tolto  avria  non  solamente 
Viver  cristiano  per  auu)r  di  questa, 

Coni'  era  stato  il  padre,  e  anticamente 
L'  avolo  ,  e  tutta  la  sua  stirpe  onesta. 
Ma ,  per  farle  piacere  ,  immantinente 
Data  le  avria  la  vita ,  che  gli  resta  : 
Non  che  nell'  acqua,  disse,  ma  nel  fuoco 
Per  tuo  amor  porre  il  capo  mi  fia  poco, 

3fi.      Per  l)attezzarsi  dunque ,  indi  per  sposa 
La  donna  aver ,   Ruggier  si  mise  in  via. 
Guidando  Rradamante  a  \allombrosa; 
(('osi  fu  nominata  una  badia 
Ricca  e  bella,  né  men  religiosa, 
E  cortese  a  c;!iinnque  a  i  Acnia) 
E  trovaro,  all'  uscir  della  foresta. 
Donna,  che  molto  era  nel  a  iso  mesta. 

37.  Ruggier,  che  sempre  uman  ,  sempre  cortole 
Era  a  ciascun,  ma  più  alle  donne  molto. 
Come  le  belle  lacrime  comprese 

Cader  rigando  il  delicato  volto, 
N'  ebbe  pietade,  e  di  disir  s'  accese 
Di  sapere  il  suo  affanno  ;  ed  a  lei  volto, 
Dopo  onesto  saluto  domandolle, 
Perchè  aAca  sì  di  pianto  il  viso  molle. 

38.  Ed  ella ,  alzando  i  begli  umidi  rai, 
Umanissimamente  gli  rispose, 

E  la  (ragion  de'  suoi  penosi  guai. 
Poiché  le  domandò,  lottagli  espo!»e. 
Gentil  signor  ,  disse  ella,  intenderai, 
Che  queste  guaine  son  sì  lacrimose 
Per  la  pietà ,  che  a  un  giovinetto  porto, 
Che  in  un  castel  qui  presso  oggi  fia  morto. 

39.  Amando  una  gentil  giocane  e  bella, 
Che  di  Mar>ilio  re  di  Spagna  è  figlia; 
Sotto  un  vel  bianco ,  e  in  femminil  gonnella, 
Fiiùa  la  voce  e  il  volger  delle  ciglia. 

Egli  ogni  notte  si  giiK^ea  con  quella, 

Senza  darne  sospetto  alla  famiglia; 

]\Ia  »!  secreto  alcuno  esser  non  puote, 

Che  a  lungo  andar  non  sia  chi  '1  vegga  e  note. 

40.  Se  n'ac'corse  uno ,   e  ne  parlò  con  dui. 
Li  dui  con  altri  ,   infinchè  al  re  fu  detto. 
A  enne  un  fedel  del  re  1'  altrieri  a  nui, 
('he  (juesti  amanti  fé'  pigliar  nel  letto; 
E  nella  rociM  gli  ha  fatto  amitedui 
Dixi-ameute  chiudere;  in  distretto; 

Né  credo  per  tutt'  oggi  ,   «;h'  abbia  spazio 
11  gioA  in ,  che  neni  mora  in  pena  e  in  strazio. 


[285] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXU.  41-56) 


[286] 


Fuggita  ine  ne  son  ,  per  non  vedere 
Tal  ciiidcltù  ;  che  vivo  1'  arderanno 
IVè  cosa  mi  jiotreblìe  |iiù  dolere, 
Che  faccia  di  si  bel  giovane  il  danno. 
Kè  potrò  aver  giammai  tanto  piacere, 
Che  non  si  volga  subito  in  affanno, 
Che  della  crudel  fiamma  mi  rimembri, 
Ch'  abbia  arsi  i  belli  e  delicati  membri. 

Bradamante  ode ,  e  par  rlie  as«ai  le  prema 
Questa  novella,  e  molto  il  cor  1'  annoi; 
]\è  par .  che  men  per  quel  dannato  teina, 
Cl\e  se  fosse  uno  de'  fratelli  suoi. 
Kè  certo  la  paura  in  tutto  scema 
Era  di  cansa,  come  io  dirò  poi. 
Si  volse  ella  a  Ruggiero  e  disse  :  Parme, 
Che  in  favor  di  costui  sicn  le  nostr'  arme. 

E  disse  a  quella  mesta:  Io  ti  conforto, 
Che  tu  vegga  di  porci  entro  alle  mura  ; 
Che,  se  '1  giovine  ancor  non  avran  morto. 
Più  non  r  iiccidcran;  stanne;  sicura  ! 
Ruggiero  avendo  il  cor  benigno  scorto 
Delia  sua  donna,  e  la  pietosa  cura, 
Sentì  tutto  infiannnar;.i  di  desirc 
Di  non  lasciare  il  giov  ine  morire. 

Ed  alla  donna,  a  cui  dagli  occhj  cade 
Un  rio  di  pianto,  dice:  Or  che  s'  aspetta? 
Soccorrer  qui ,  non  lacrimare  accade. 
Fa,  eh'  ove  è  questo  tuo,  pur  tu  ci  metta! 
Di  mille  lance  trar ,   di  mille  spade 
Tel  pronicttiam  ,  purché  ci  meni  in  fretta. 
Ma  studia  il  passo  più  che  puctì,  che  tarda 
iVon  sia  r  aita,  e  in  tanto  il  fuoco  1'  arda! 

L'  alto  parlare  e  la  fiera  sembianza 
Di  quella  coppia  a  maraviglia  ardita, 
Ebbon  di  tornar  forza  la  speranza 
Colà,  dond'  era  già  tutta  l'uggita. 
Ma  perchè  an4;or,  più  che  la  lontananza, 
Temeva  il  ritrovar  la  >ia  inii)edita, 
E  che  saria  per  questa  in(iarno  presa, 
Stava  la  donna  in  ^è  tutta  sospesa. 

Piti  disse  lor  :  Facendo  noi  la  vìa, 
Che  dritta  e  piana  va  sin  a  quel  loco, 
Credo,  che  a  teni|io  \ì  si  giungeria, 
Che  non  sarebbe  ancora  acceso  il  fuoco; 
Ma  gir  convìen  per  co,-ì  torta  e  ria, 
Che  'I  termine  d'  un  giorno  saria  po<;o 
A  riu><rirne;  e  quando  y'i  saremo, 
Che  troviam  morto  il  giofine,  mi  temo. 

E  |)er(-hè  non  andiaiii,  disse  Ruggiero, 
Per  la  più  corta.''  lì  la  donna  ri-^pose: 
Perchè  un  castel  de'  <;onti  da  Ponliero 
Tra  via  si  trovii,  ove  un  costuiiu;  pose. 
Kon  son  tre  gìoriù  ancora  ,  iniquo  u  fiero 
A  cavalieri  <;  a  donne  avventurose, 
Pinabeilo,  il  |H-'rj>;ior  uomo,  «he  viva, 
l'igliuol  del  <:onte  Anselmo  d'  Altariva. 

Quindi  né  ravalicr,  uè  donna  |>a<sa. 
Che  se  ne  v.id.i  ^en/.a  ingiuria  e  «Ianni. 
|j'  niu)  e  r  altra  a  pie  nrsta,  ma  vi  lassa 
Il  ^urrrier  1'  arme,  e  la  dony.ella  i  panni. 
Miglior  «avalier  lancia  non  abba>sa, 
K  non  alibasso  i  i  Fniniia  già  molt"  anni. 
Di  quattro,   clw;  ^Muralo  hanno  al  «listello 
La  legge  mantener  di  l'inalicllo. 


49.  Come  1'  usanza,  che  non  è  più  antiqua 
Di  tre  di,  cominciò,  vi  vo'  narrare; 

E  sentirete ,  se  fu  dritta ,  o  obbliqua 
Cagion ,  che  ì  cavalier  fece  giurare. 
Pinabello  ha  una  donna  così  iniqua, 
Cosi  bestiai,  che  al  mondo  è  senza  pare; 
Che  con  lui,  non  so  dove,  anilimdo  un  giorno, 
Ritrovò  un  cavalier,  che  le  fé'  sconto. 

50.  II  cavalier,  perchè  da  lei  beffato 

Fu  d'  una  vecchia  ,  che  portava  in  groppa. 
Giostrò  con  Pinabel ,  eh'  era  dotato 
Di  poca  forza,  e  di  superbia  tropi)a; 
Ed  abbattello ,  e  lei  smontar  nel  prato 
Fece,  e  provò,  se  andava  dritta,  o  zoppa. 
Lasciolla  a  piede,  e  fé'  della  gonnella 
Di  lei  vestir  1'  antica  damigella. 

51.  Quella,  che  a  pie  riu)ase,  dispettosa 
E  di  vendetta  ingorda  e  sttii)onda. 
Congiunta  a  Pinabel,  che  d'  ogni  cosa. 
Dove  sia  da  mal  far ,  ben  la  seconda, 
j\è  giorno  mai,  né  notte  mai  riposa, 

E  dice,  che  non  fìa  mai  |)iù  gioconda, 

Se  mille  cavalieri  e  mille  donne 

Non  mette  a  piedi,  e  lor  tolle  arme  e  gonne. 

52.  Giunsero  il  di  medesmo,  come  accade, 
Quattri»  gran  cavalieri  ad  un  suo  loco, 
Li  quai  di  riinotissinie  contrade 

Venuti  a  queste  parti  eran  di  poco; 
Di  tal  valor,  che  non  lia  nostra  etade 
Tanti  altri  buoni  al  bellic(»so  gioco  : 
Aquilante,  Grifone  e  Sansonetlo, 
Ed  un  Guidon  Selvaggio  giovinelto. 

53.  Pinabel  con  sembiante  assai  cortese 
Al  Castel,  eh'  io  v'  ho  detto,  li  raccolse; 
La  notte  poi  tutti  ned  letto  prese, 

E  presi  tenne,   e  prima  n(tn  gli  sciolse 
Che  li  fece  giurar,  che  un'  ainio  e  un  mese 
(Qui'sto  fu  appunto  il  termine,    che  tolsc_) 
Stariano  quivi,  e  s|jogli(r<'bl)on  quanti 
Vi  capitasser  cavalieri  erranti, 

51.      E  le  donzelle ,  eh'  avcsser  con  loro, 
Porriano  a  piede,  e  torrian  lor  le  Acsti. 
Così  giurar,  così  costretti  fttro 
Ad  osservar,  benché  turbati  e  me>ti. 
]\t>n  par,  che  fin  a  qui  contro  cosioro 
Alcun  possa  giostrar,  che  a  pie  non  ri'>ti  ; 
E  capitati  ^^  sono  infiniti. 
Che  a  pie ,  e  senz'  amie  se  ne  son  partiti. 

55.      E  ordine  tra  lor,  die  chi  per  sorte 
Esce  fuor  prima,  ^ada  a  correr  solo  ; 
Ma  se  trova  il  nimico  <-osì   foiie. 
Che  resti  in  sella,  e  gclli  Ini  nel  ^nolo, 
Sono  o!»bligali  gli  altri  inlin  a  morte 
l'igiiar  r  iiiiproa  ludi  in  uno  stuolo. 
Aedi  or,  »c  <'iascnn  d'  «>«i  é  co>ì  buono. 
Quel  «tIi'  esser  de',  s<;  tutti  in>icme  sono 

5f>.      Poi  non  coniienr  all'  iuiport.in/a  nostra, 
('he  ne  vieta  ogni  indugio,  o<;ni  dimora, 
('he  punto  vi  feriiiiale  a  ijuclla  giostra. 
E  prc>ii|ipongo  ,   chi*  riix-iate  ancora  ; 
(Jlié  vostra  alta  prc>en/.ia  lo  diino>tra: 
ì\la  non  è  n»sa  da  fare  in  un'  oni  : 
Ed  è  gran  dubbio,  rh<-  'I  giov, un-  s'  ard.i. 
Se  tuli"  o<r<'ì  a  socmrrcrlo  >i  larda 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXIL^T-^ 


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59. 


60 


Di.■^^e  ilu<?gier  :  Non  riguardiamo  a  questo  : 
Facciam  noi  quel,  che  si  può  far  per  ma; 
AMiia  chi  regge  il  ciel  cura  <kl  resto, 
O  hi  fortuna,  ee  non  tocca  a  hii! 
Ti  Ga  per  questa  giostra  manifesto, 
Se  huonì  siamo  iV  ajutar  coku, 
Che  per  cagion  sì  debole  e  sì  lieve. 
Come  n'  hai  detto,  oggi  bruciar  si  deve. 

Senza  risponder  altro,  la  donzella 
Si  mise  per  la  via ,  eh'  era  più  corta. 
Più  di  tre  miglia  non  andar  per  quella, 
Che  si  trovaro  al  ponte  ed  alla  porta, 
Dove  si  perdon  l'  arme  e  la  gonnella, 
E  della  vita  gran  dubbio  si  porta. 
Al  primo  apparir  lor  ,  di  sulla  rocca 
È  clùduo  botti  la  campana  tocca: 

Ed  ceco  della  porta  con  gran  fretta 
Trottando  su  un  roir/ino  un  vecchio  uscio  ; 
E  quel  venia  gridando:  Aspetta,  aspetta! 
Restate,  olà!  che  qui  si  pagali  fio; 
E  se  r  usanza  non  v'  è  stata  detta. 
Che  qui  si  tien ,  or  ve  la  vo'  dir  io  ; 
E  contar  loro  incominciò  di  quello 
Costume,  che  servar  fa  Pìnabello. 

Poi  scuitò,  volendo  dar  consigli, 
Cora'  era  usato  agli  altri  cavalieri.  ^ 
Fate  spogliarla  donna,  dicca,  figli,^ 
E  voi  r  arme  lasciateci ,  e  i  destrieri, 
E  non  vogliate  mettervi  a  perigli  ^    _ 

B'  andare  incontra  a  tai  quattro  guerrieri . 
Per  tutto  vesti,  arme  e  cavalli  s'  hanno; 
La  vita  sol  mai  non  ripara  il  danno. 
61.      Non  più,  disse  Ruggier,  non  più!  clV  io  son(, 
Del  tutto  inforraatissimo  ;  e  qui  venni. 
Per  far  prova  di  me,  se  coȓ  buono 
In  fatti  son ,  come  nel  cor  mi  tenni. 
Arme  ,  vesti ,  e  cavallo  altrui  non  dono, 
S'  altro  non  sento ,  che  minacce  e  cenni  ; 
E  son  ben  certo  ancor,  che  per  parole 
Il  mio  compagno  le  sue  dar  nini  vuole. 
6*»      Ma,  per  Dio,  fa  eh'  io  vegga  tosto  in  ftontc 
"'  Quei,  che  ne  voglion  torre  arme  e  cavallo; 
Che  abbiamo  da  passar  anco  quel  monte, 
E  qui  non  si  può  far  troppo  intervallo. 
Rispose  il  vecchio:  Eccoti  fuor  del  ponte. 
Chi  vien  per  farlo  ;  e  non  lo  disse  in  fallo  : 
Che  un  cavalier  n'  uscì ,  che  sopravveste 
Vermiglie  avea,  di  bianchi  fior  conteste. 
«3.     Bradnmantc  pregò  molto  Ruggiero, 
die  le  lasciasse  in  cortesia  1'  assunto 
Di  gittiir  della  sella  il  cavaliere, 
Ch'  avea  di  fiori  il  bel  vestir  trapunto: 
Ma  non  potè  impetrarlo;  e  fu  mestiero 
A  lei  far  ciò ,  <.he  Ruggi(!r  volse  appunto. 
Egli  volse  r  impresa  tutta  avere, 
e"b  rad  amante  si  stesse  a  vedere. 
64.      Ruggiero  al  vecchio  domandò,  chi  fosse 
Qucr-to  primo,  eh'  uacia  luor  della  porta. 
E  San>on('tto,  disse,  eh'  alle  rosse 
Vesti  conosco  e  i  bianchi  fior ,  che  porta. 
L'  uno  di  (|ua,  1'  altro  di  là  si  mosso 
Senza  parlarsi,  a  fu  l'  indugia  corta ;_ 
Che  wi  audaro  a  trovar  <-,o'  ferri  bassi,^ 
Molto  allVettaiulo  i  lor  dostrkai  i  passi. 


03.      In  questo  mezzo,  della  rocca  usciti 
Eran  con  Pinabel  molti  pedoni. 
Presti  per  levar  l'  arme  ed  es[(editi 
Ai  cavalier,  eh'   uscian  fuor  degli  arcioni. 
"\  eniansi  incontra  i  cavalieri  arditi 
Fermando  in  sulle  reste  i  gran  Inncioni, 
Grossi    duo  palmi,  di  nativo  ceiTO, 
Che  quasi  erano  uguali  insino  al  ferro. 

66.  Di  tali  n'  avea  piìi  d'  una  decina 
Fatto  tiigliar  di  su  lor  ceppi  \ivi 
SansonetU)  a  una  seha  indi  vicina, 
E  portatone  duo  per   giostra  quivi. 
Aver  scudo  e  corazza  adamantina^ 
Bisogna  ben  ,  che  le  percosse  schivi. 
Aveane  fatto  dar,  tostochè  venne, 

L'  uno  a  Ruggier ,  l'  altro  per  se  ritenne. 

67.  Con  questi,  che  passar  dovean  gV  inondi, 
Sì  ben  ferrate  avean  le  punte  estreme. 

Di  qua  e  di  là  fermandoli  agli  scudi, 
A  mezzo  il  c(trso  si  scontraro  insieme.  _ 
Quel  di  R'ìggiero ,  cb.e  i  dciuoiìj  ignudi 
Fece  sudar,  poco  del  colpo  teme; 
Dello  scudo  vo'   dir  ,   che  fece  Atlante, 
Delle  cui  forze  io  v'  iio  già  detto  innante. 

68.  Io  v'  ho  già  detto,  che  con  tanta  forza 
E'  incantato  splendor  negli  occhj  fere, 
Che  al  discoprirsi    ogni  veduta  ammorza, 
E  tramortito  1'  uom  f.i  rimanere. 
Perciò,  se  un  gran  bisogno  non  lo  sforza, 
D'  un  vcl  coperto  lo  solca  tenere. 

Si  crede,  eh'  anco  impenetrabil  fosse, 
Poich'  a  questo  incontrar  nulla  si  mo.;sc. 
69.      L'  altro,  eh'  ebbe  1'  artefice  mcn  dotto, 
Il  gravissimo  colpo  non  sofferse; 
Come  tocco  dal  fulmine,  di  botto 
Die'  loco  al  ferro,  e  pel  mezzo  s'  aperse. 
Die'  loco  al  ferro,  e  quel  trovò  di  sotto 
Il  braccio,  eh'  assai  mal  si  ricoperse; 
Sicché  ne  fu  ferito  Sansonetto, 
E  della  sella  tratto  al  suo  dispetto. 
10.      E  questo  il  primo  fu  di  quei  compagni. 
Che  quivi  mantenean  l'  usaiiza  iella, 
Che  delle  spoglie  altrui  non  fo'   guadagni, 
E  eh'  alla  giostra  uscì  fuor  della  sella. 
Convien,  chi  ride,  anco  talor  si  lagni, 
E  fortuna  talor  trovi  ribella. 
Quel  dalla  rocca  replicando  il  botto, 
Ne  fece  agli  altri  cavalieri  motto. 

71.  S'  era  accostato  Pìnabello  intanto 
A  Bradamante ,  per  saper ,  chi  fosse 
Colui,  che  con  prodezza  e  valor  tanto 
Il  cavalier  del  suo  castel  percusse. 
La  giustizia  di  Dio  ,  per  dargli  quanto 
Era  il  merito  suo,  ve  lo  condusse. 
Su  quel  destricr  medesimo,  che  innante 
Tolto  avea  per  inganno  a  Bradamante. 

72.  Fornito  appunto  era  l'  ottavo  mese. 
Che  con  lei  ritrovandosi  al  cammino, 
Se  vi  ricorda,  qiu^sto  Maganzese, 
La  gittò  nella  tomba  di  >lerlino; 
Quando  da  morte  un  ramo  la  difese,    ^ 
Che  s<!co  cadde,  anzi  il  suo  buon  destino; 
E  tfiissene,  credendo  nello  speco 
Ch'  ella  fosse  «sepolta,  il  dcstrier  seco. 


[289] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXU.    73-88) 


[290] 


73.  Bradamante  conosce  il  suo  cavallo, 
E  conosce  per  lui  I'  iniquo  conte; 

E  pi)ichè  ode  lii  voce,  e  vicino  hallo 
Con  majjgior  attenzion  mirato  in  fronte: 
Questo  è  il   traditor ,  disse ,  senza  fallo. 
Che  procacciò  di  farmi  oltrajfgio  ed  onte. 
Ecco  il  peccato  suo ,  che  1'  ha  condutto. 
Ove  avrà  de'  suoi  merli  il  premio  tutto. 

74.  Il  minacciare,  e  '1  por  mano  alla  spada 

Fu  tutto  a  un  tempo ,  e  1'  aA  ventarsi  a  quello  ; 
Ma  innanzi  tratto  gli  levò  la  strada, 
Clie  non  potè  fuggir  verso  il  castello. 
Tolta  è  la  speme ,  eh'  a  salvar  si  vada, 
Come  volpe  alla  tana,  Pinahello. 
Egli  gridando  e  senza  mai  far  testa, 
Fuggendo  si  cacciò  nella  foresta. 

75.  Pallido  e  sbigottito  il  miser  sprona; 
Cile  posto  ha  nel  fuggir  1'  ultima  speme. 
L'  animosa  donzella  di  Dordona 

Gli  ha  il  ferro  ai  fianchi,  e  lo  percuote  e  preme. 
\u-n  con  lui  sempre,  e  mai  non  '1  abbandona. 
Grande  è  il  rumore,  e  '1  bosco  intorno  geme. 
]\ulla  al  Castel  di  questo  ancor  s'  intende, 
Ferocch'  ognuno  a  Ruggier  solo  attende. 

76.  Gii  altri  tre  cavalier  della  fortezza 
Intanto  erano  usciti  in  sulla  via, 

Ed  avean  seco  quella  male  avvezza, 

Che  v'  avea  |)osta  la  costuma  ria. 

A  ciascun  di  lor  tre,  che  'l  morir  prezza 

Più,  eh'  aver  vita,  che  con  bia.^mo  sia, 

Di  vergogna  arde  il  viso ,  e  '1  cor  di  duolo, 

Che  tanti  ad  assalir  vadano  un  solo. 

77.  La  criMlel  meretrice,  eh'  avea  fatto 
Por  quella  iniqua  usanza ,  ed  osservarla, 
Il  giuramento  lor  ricorda ,  e  il  patto, 
di'  essi  fatto  le  iiveau  di  vendicarla. 

Se  sol  con  questa  lancia  te  gli  abbatto, 
Perchè  mi  vuoi  con  altre  accompagnarla? 
Dicea  Guidon  Selvaggio,  e  s'  io  ne  mento, 
Levami  il  capo  poi,  eh'  io  son  contento. 

78.  Cosi  dicea  Grifon  ,  così  Aquilante: 
Giostrar  da  solo  a  sol  volea  ciascuno, 
E  jìreso  e  morto  rimanere  innante, 

Ch'  incontra  un  sol  voler  andar  più  d'  uno. 
La  donna  dicea  loro:  A  che  far  tante 
Parole  qui  senza  profitto  alcuno.'' 
Per  torre  a  colui  1'  arme  io  v'  ho  qui  tratti. 
Non  per  far  nuove  leggi  e  nuovi  patti. 

79.  Quando  io  v'  a^  ea  in  prigione,  era  da  farmc 
Queste  ^cuse ,  e  non  ora ,  che  son  tarde. 

Aoi  dovete  il  preso  ordine  servarmc, 

Kon  vostre  lingue  far  vane  e.  bugiarde. 

Iluggic'r  gridava  loro:  Eccovi   l'  arme, 

Ecco  il  «lestrier,  eh'  ha  nuove  e  sella  e  barde; 

1  panni  della  doinia  (uc-ovi  ancora; 

So  li  volete,  a  che  più  far  dimora.'' 

80.  La  donna  del   ca.-tel  da  miì  lato  preme, 
llngglcr  dall'  altro  li  chiama  e  rampogna, 
'lantd  che  a  f<»r/,a  ^i  spi<  curo  in>ieme, 
Ma  nel  vi.-o  inliauunali  di  >ergogna. 
Dinanzi  appar\e  1'  mio  e  1'  altro  seme 
Del  marchese  onorato  di   llorgogiia; 

Ma  (Jiiidon,  che  più  gra\e  ebbe   il  camallo, 
Venia  lor  dietro  con  poco  inter\ullo. 


81.  Con  la  medesima  asta,  con  che  avea 
Sansonetto  abbattuto ,  Huggier  viene 
Coperto  dallo  scudo,  clie  solca 
Atlante  aver  sui  monti  di  Pirene; 
Dico  quello  incantato,  che  splendca 
'lanto,  che  umana  vista  noi  sostiene; 
A  cui  Ruggier  per  1'  ultimo  soccorso 
Kei  più  gravi  perigli  avea  ricorso. 

82.  Benché  sol  tre  fiate  bisognolli, 

E  certo  in  gran  periglio,  usarne  il  lume: 
Le  prime  due,  quando  dai  regni  molli 
Si  trasse  a  più  laudevole  costume  ; 
La  terza,  quando  i  denti  mal  satolli 
Lasciò  dell'  orca  alle  marine  spume. 
Che  dovean  devorar  la  bella   nuda, 
Cile  fu ,  a  chi  la  campò  ,  poi  cosi  cruda. 

83.  Fuorché  queste  tre  volte,  tutto  '1  resto 
Lo  tenea  sotto  un  velo  in  modo  ascoso, 
Ch'  a   discoprirlo  esser  potea  ben  presto, 
Clic  del  suo  ajuto  fosse  bisognoso. 
Quivi  alla  giostra  ne  venia  con  questo. 
Come  io  v'  ho  detto  ancor,  cosi  animoso, 
Che  quei  tre  cavalier,  che  vcdea  innanti, 
Manco  temea ,  che  pargoletti  infanti. 

84.  Ruggier  scontra  Grifone,  ove  la  penna 
Dello  scudo  alla  vista  si  congiuKgc. 
Quel  di  cader  da  ciascun  lato  accenna, 
Ed  alfin  cade,  e  resta  al  destrier  lunge. 
Metto  allo  scudo  a  lui  Grifon  1'  antenna, 
IMa  per  traverso,  e  non  per  dritto  giunge; 
E  perchè  Io  trovò  forbito  e  netto, 

L'  andò  strisciando  ,  e  fé'  contrario  efTetto. 

85.  Ruppe  il  velo  e  squarciò  ,  che  gli  copria 
Lo  spaventoso  ed  incantato  lampo. 

Al  cui  splendor  cader  si  convenia 

Con  gli  occhj  ciechi,  e  non  vi  slia  alcun  scampo. 

Aquilante,  che  a  par  seco  venia, 

Stracciò  l'  avanzo  ,  e  fé'  lo  scudo  vampo. 

Lo  splendor  feri  gli  o(!chj  ai  duo  fratelli, 

Ed  a  Guidon,  che  correa  dopo  quelli. 

80.      Chi  di  qua,  chi  dì  là  cade  per  terra: 
Lo  scudo  non  pur  lor  gli  occhj  abbarbiiglia 
Ma  fa,  die  ogni  altro  senso  attonito  erra. 
Ruggier,  che  non  sa  il  fin  della  battaglia, 
Volta  il  cavallo,  e  nel  volture  all'erra 
La  spada  sua,  che  sì  ben  punge  e  taglia; 
E  nessun  vede,  che  gli  ,-ia  ali    incontro. 
Che  tutti  eran  caduti  a  quello  scontro. 

87.  I  cavalieri ,  e  insieme  quei .  di'  a  piede 
Erano  usciti ,  e  così   Iv  donne  anco, 

E  non  meno  i  destrieri  in  guisa  ^edc, 
Che  par  che  per  morir  battano  il  fianco. 
Prima  fi  maraviglia,  e  poi  s'  a^^ede, 
Che'l  X'io  ne  pendea  dal   lato  manco; 
Dico  il  velo  di  seta,  in  che  solca 
Chiuder  la  luce  di  quel  caso  rea, 

88.  Pr<'sto  .««i  volge,  e  nel  volt.ir  cercando 
Con  gli  ocdij  va  1'  amata  sua  guerriera. 
E  ^iiii  là,  doM-  era  cimasa .  quando 

La  |iriiiia  gio-tra  cominciata  k'  era. 

Peii>a .  di'  andata  sia,   non   la  tro^.l^llo. 

A  %ietar,  «Ile  quel  giovine  non  pera. 

Per  dubbio,  eh'  ella  ha  forse,  che  non  s"  arda 

In  que.>lo  mezzo,  che  a  giostrar  »i  larda. 

19 


[291] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXII.  89-98) 


[292] 


89.  Fra  gli  altri,  che  giacean.  Tede  la  donna, 
La  donna,  che  1'  avea  quivi  guidato. 
Dinanzi  se  la  pon ,  siccome  assonna, 
E  \ia  cavalca  tutto  conturbato. 
D'  un  manto,  eh'  essa  avea  sojira  la  gonna, 
Poi  ricoperse  lo  scudo  incantato, 
E  i  sensi  riaver  le  fece  tosto 

'"  Che'i  nocivo  splendor  ebbe  nascosto. 

90.  Via  se  ne  va  Ruggier  con  faccia  rossa. 
Che  per  vergogna  di  levar  non  osa. 

Gli  par,  eh'  ognuno  iraproverar  gli  possa 
Quella  vittoria  poco  gloriosa. 
Ch'  emenda  poss'  io  fare,  onde  rimossa 
Mi  sia  una  colpa  tanto  obbrobriosa? 
Che  ciò ,  eh'  io  vinsi  mai ,  fu  per  favore, 
Diran,  d'incanti  e  non  per  mio  valore. 

91.  Mentre  così  pensando  seco  giva. 

Venne  in  quel,  che  cercava,  a  dar  di  cozzo; 
Che  'n  mezzo  della  strada  soprarriva. 
Dove  profondo  era  cavato  un  pozzo. 
Quivi  r  armento  alla  calda  ora  estiva 
Sì  ritraea,  poich'  avea  pieno  il  gozzo. 
Disse  Ruggiero:  Or  provveder  bisogna, 
Che  non  mi  facci,  o  scudo,  più  vergogna. 

92.  Più  non  starai  tu  meco;  e  questo  sia 

L'  ultimo  biasmo,  eh'  ho  d'  averne  al  mondo. 

Così  dicendo,  smonta  nella  via. 

Piglia  una  grossa  pietra,  e  di  gran  pondo, 

E  la  lega  allo  scudo ,  ed  ambi  invia 

Per  1'  alto  pozzo  a  ritrovarne  il  fondo. 

E  dice:  Costà  giù  statti  sepulto, 

£  teco  stia  sempre  il  mio  obbrobrio  occulto! 

93.  Il  pozzo  è  cavo,  e  pieno  al  sommo  d'  acque; 
Greve  è  lo  scudo,  e  quella  pietra  greve: 

Non  si  fermò,  finché  nel  fondo  giacque: 

Sopra  si  chiuse  il  liquor  molle  e  lieve. 

Il  nobil  atto  e  di  splendor  non  tacque 

La  vaga  Fama  ,  e  divulgoUo  in  breve, 

E  di  rumor  n'empì,  sonando  il  corno, 

E  Francia,  e  Spagna,  e  le  provincie  intorno. 


94.  Poiché  di  voce  in  voce  si  fé'  questa 
Strana  avventura  in  tutto  il  mondo  nota, 
Molti  guerrier  si  misero  all'  inchiesta, 

E  di  parte  vicina,  e  di  remota: 
Ma  non  sapcan ,  qual  fosse  la  foresta, 
Dove  nel  pozzo  il  sacro  scudo  nuota; 
Che  la  donna ,  che  fé'  l'atto  palese. 
Dir  mai  non  volse  il  pozzo ,  né  il  paese. 

95.  Al  partir  che  Ruggier  fé'  dal  castello, 
DoAe  avea  vinto  con  poca  battaglia, 
Cile  i  quattro  gran  carapion  di  Pinabello 
Fece  restar,  come  uomini  di  paglia, 
Tolto  lo  scudo,  avea  levato  quello 

Lume,  che  gli  occhj  e  gli  animi  abbaibaglia ; 
E  quei,  che  giaciuti  eran  come  morti. 
Pieni  di  meraviglia  eran  risorti. 

96.  ]\é  per  tutto  quel  giorno  si  favella 
Altro  fra  lor,  che  dello  strano  caso, 

E  come  fu,  che  ciascun  d'  essi  a  quella 
Orribil  luce  vinto  era  rimaso. 
Mentre  parlan  dì  questo ,  la  novella 
Vien  lor  di  Pinabel  giunto  all'  occaso. 
Che  Pinabello  è  morto,  hanno  1'  avviso, 
Ma  non  sanno  però,  chi  1'  abbia  ucciso. 

97.  L'  ardita  Bradamante,  in  questo  mezzo, 
Giunto  avea  Pinabello  a  un  passo  stretto, 
E  cento  volte  gli  avea  fin  a  mezzo 
Messo  il  brando  pe'  fianchi  e  per  lo  petto. 
Tolto  eh'  ebbe  dal  mondo  il  puzzo  e'I  lezzo. 
Che  tutto  intorno  avea  il  paese  infetto. 

Le  spalle  al  bosco  testimonio  volse 

Con  quel  destrier,  che  già  il  fellon  le  tolse. 

98.  Volle  tornar,  dove  lasciato  avea 
Ruggier,  né  seppe  mai  trovar  la  strada. 
Or  per  valle,  or  per  monte  s'  avvolge», 
Tutta  quasi  cercò  quella  contrada  : 

Non  volse  mai  la  sua  fortuna  rea. 
Che  via  trovasse,  onde  a  Ruggier  si  vada. 
Questo  altro  canto  ad  ascoltare  aspetto. 
Chi  dell'  istoria  mia  prende  diletto. 


[293] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXUl.  1  —  12) 


[294] 


CANTO    VENTESIMOTERZO. 


ARGOMENTO. 

Poggia  per  V  aria  sul  cavallo  alato 
Astolfo  ;  ed  è  dappoi  preso  Zerbino 
Dal  fiero  Anselmo ,  e  a  morte  condannato  ; 
iV'è  campato  dal  conte  paladino. 
Toglie  ad  Ippalca  Rodomonte  irato 
Il  destrier  di  Ruggicr ,  detto  Frontino. 
Combatte  Mandricurdo  e  Orlando;  eviene 
In  parte  ei  tal ,  che  pazzo  ne  diviene. 


1.  Studisi  ognun  giovare  altrui  ;  che  rade 
Volte  il  ben  far  senza  il  suo  premio  fia; 
E  s'  è  pur  senza,  alracn  non  te  ne  arcade 
Morte,  né  danno,  né   ignominia  ria. 

Chi  nuoce  altrui,  tardi  o  per  tempo  cade 
Il  debito  a  scontar,  che  non  s'  obitlia. 
Dice  il  proverbio  ,  che  a  trovar  si  vanno 
Gli  uomini  spesso,  e  i  monti  fermi  stanno. 

2.  Or  vedi  quel,  eh'   a  Pinabello  avviene, 
Per  essersi  portato  iniquamente. 

E  giunto  in  somma  alle  dovute  pene, 
Dovute  e  giuste  alla  sua  ingiusta  mente. 
E  Dio ,  che  le  più  volte  non  sostiene 
Veder  patire  a  torto  un  innocente, 
Salvò  la  donna;   e  salverà  ciascuno. 
Che  d'  ogni  fellonia  viva  digiuno. 

8.     Credette  Pinabel  questa  don/.ella 
Già  d'  aver  morta,  e  colà  giù  sepolta; 
Né  la  pensava  mai  veder,  ncni  eh'  ella 
Gli  avesse  a  tor  degli  error  sin)i  la  multa: 
Aè  il  ritrovarsi  in  mezzo  h;  castella 
Del  padre  in  alcun  util  gli  risulta. 
Quivi  Altaripa  era  tra  monti  (ieri, 
Vicina  al  tcnitorio  di  Pontieri. 

4.  Tenea  queir  AUaripa  il  vecchio  conto 
Anselnu» ,  di   chi  u^i  (jti(;>to  nial>agio. 
Che,  per  fuggir  la  man  di  (Jliiaramuntc, 
D'  amii'i  e  di  soccorso  ebbe  (lisa<;io. 

La  donna  al  traditore  a|>piè  il'  un  monte 
Tolse  r  indegna  \ita  a  suo  grande;  agio: 
Che  d'  altro  ajuto  i|nel  non  si  pro\vetl<-, 
Che  d'  alti  gridi ,  e  di  chiamar  luen-edo. 

5.  Morto  cir  ella  eltbe  il  falso  cavalicro, 
Che  lei  voluto  avea  già  porr*;  a  morte, 
Volse  tornare  ,  ove  lasciò   lluggi«Mo  ; 
Ma   non  lo  consenti  (.uà  dura  r-orte, 
Clic  la  fé'  traviar  per  un  sentiero 

Clu;  la  portò,  do\'  era  spesso  e  forte. 
Dove  piò  strano  e  piò  solingo  il   bosc(», 
Liitociaiido  il  sol  già  il  mondo  all'  uer  f(»scu. 


6.  Kè  sapendo  ella,  ove  potersi  altrove 
La  notte  riparar,  si  fermò  quivi 
Sotto  le  frasche  in  sull'  erbette  nuove. 
Parte  dormendo ,  finché  '1  giorno  arridi, 
Parte  mirando  ora  Saturno,  or  Giove, 
Venere  e  Marte,  e  gli  altri  erranti  divi, 

Ma  sempre,  o  vegli,  o  dorma,  con  la  mente 
Contemplando  Ruggier,  come  presente. 

7.  Spesso  di  cor  profondo  ella  sospira. 
Di  pentimento  e  di  dolor  compunta, 

Ch'  abbia  in  lei ,  più  che  amor ,  jiotuto  1'  ira. 
L'ira,  dicea,  m'  ha  dal  mio  amor  disgiunta. 
Almen  ci  avessi  io  posto  alcuna  mira, 
Poich'  avea  pur  la  mala  impresa  assunta, 
Di  saper  ritornar,  donde  io  veniva! 
Che  ben  fui  d'  occhj  e  di  memoria  priva. 

8.  Queste  ed  altre  parole  ella  non  tacque, 
E  molte  più  ne  ragionò  col  core. 

Il  vento  intanto  di  sospiri,  e  1'  acque 
Di  pianto  facean  pioggia,  e  di  dolore. 
Dopo  una  lunga  aspettazion  pur  nacque 
In  Oriente  il  desiato  albore; 
Ed  ella  prese  il  suo  destrier,  che  intomo 
Giva  pascendo ,  ed  andò  contra  il  giorno. 

9.  Né  molto  andò ,  che  si  trovò  all'  uscita 
Del  bosco  ,  ove  pur  dianzi  era  il  palagio, 
Là  dove  molti  dì  1'  avea  schernita 

Con  tanto  error  1'  incantator  malvagio. 
Ritrovò  quivi  Astolfo,  che  fornita 
La  briglia  all'  ippogrifo  avea  a  grand'  agio, 
E  stava  in  gran  pensier  di  Rabicano, 
Per  non  sapere ,  a  chi  lasciarlo  in  mano. 

10.  A  caso  si  trovò ,  che  fuor  di  testa 

L'  elmo  allor  s'  avea  tratto  il  paladino; 
Sicché ,  tosto  eh'  usci  della  foresta, 
llradamante  conobbe  il  suo  cugino. 
Di  ioutau  salutollo ,   e  con  gran  festa 
Gli  corse ,  e  V  abbracciò  poi  più  vicino, 
E  noniinossi,  ed  alzò  la  visiera. 
È  chiaramente  fé'  veder ,  chi  eli"  era. 

11.  Non  potea  Astolfo  ritrovar  jìcrsona, 
A  chi  il  sm)  Rabican  nu-giio  lasciasse. 
Perchè  «iovesse  averne  gnurdia  buona, 
E  renderglielo  poi ,  come  tornasse. 
Della  figlia  d<-l  duca  di   Dordiuia; 

E  parvegli ,  «he  Dio  gliela  mandasse. 

lederla  volentier  sempre  solca, 

3la  pel  bisogno  or  più  ,  eh'  egli  n'   avea. 

12.  Dappoiché  due  e  tre  volte  ritornati 
Fral<rnam(iit<'  ad   abliracciar  si   foro, 
E  si   l'ur  r   uno  all'  alt  io  domandati, 
(^Hl  molta  all'c/.ion  ,  «lell"  esser  lorn, 
Astolfo   disse  :  Ormai  ,   sc  dei   peiuiatì 
A  o'    il   pacsc  <°er('ar,   troppo  dimoro. 
Ed  aprendo  alla  donna  il  suo  pensiero, 
\cdcr  le  fece  il  vid.itor  destriero. 

19  * 


[295] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXIIT.  13- 28) 


[296] 


13.  A  lei  non  fu  di  molta  meraviglia 
Veder  spiegare  a  quel  dcstricr  le  penne. 
Che  altra  volta ,  reggendogli  la  briglia 
Atlante  incantator,  contra  le  venne, 

E  le  fece  doler  gli  occlij  e  le  ciglia; 
Sì  fisse  dietro  a  quel  volar  le  tenne, 
Quel  giorno,  che  da  lei  Ruggier  lontano 
Portato  fu  per  caraniin  lungo  e  strano. 

14.  Astolfo  disse  a  lei ,  che  le  volea 
Dar  Itabiciin ,  che  sì  nel  corso  affretta, 
Che,  se  scoccando  1'  arco  si  movea, 

Si  solca  lasciiir  dietro  la  saetta; 

E  tutte  r  arme  ancor,  quante  n'  avea; 

Che  vuol  che  a  Montalban  gliele  rimetta, 

E  gli  le  serbi  fin  al  suo  ritorno. 

Che  non  gli  fanno  or  di  bisogno  intorno. 

15.  Volendosene  andar  per  1'  ari,i  a  volo, 
Aveasi  a  far ,  quanto  potea  più ,  leve. 
Ticnsi  la  spada  e  '1  corno,  ancorché  solo 
Bastargli  il  corno  ad  ogni  rischio  deve. 
Bradaniante  la  lancia,  che  'I  figliuolo 
Portò  di  Galafrone ,  anco  riceve  ; 

La  lancia,  che  di  quanti  ne  percote, 
Fa  le  selle  restar  subito  vote. 

16.  Salito  A>t<dfo  sul  destrier  volante. 
Lo  fa  nio'.  ei-  per  1'  aria  lento  lento, 
Indi  lo  caccia  sì,  che  Bradamante 
Ogni  vista  ne  perde  in  un  inouicnto. 
Co^ì  si  parte ,  col  pilota  innante, 

Il  nocchìer,  che  gli  scogli  teme,  e  '1  vento; 
E  poiché  'I  porti»  e  i  lìti  addietro  lassa, 
Spiega  ogni  vela,  e  innanzi  ai  venti  passa. 

17.  La  donna,  poiché  fu  pai-tito  il  duca, 
Rimase  in  gran  travaglio  della  mente; 
Che  non  sa,  come  «t'Montalban  conduca 
L'  armatura  e  il  destrier  del  suo  parente  ; 
Perocché  '1  cor  le  cuoce  e  le  manuca 

L'  ingorda  voglia  e  '1  desiderio  ardente 
Di  riveder  Ruggier,  che,   se  non  prima, 
A  \'allombrosa  ritrovarlo  stima. 

18.  Stando  quivi  sospesa,  per  ventura 
Si  ^ede  innan/i  giungere  un  villano. 
Dal  qual  fa  rassettar  quel!'  armatura, 
Come  si  punte,  e  por  su  Rabicano; 
Poi  di  menarsi  dietro  gli  die'  cura 

I  due  ca^  alli ,  ini  carco ,  e  1'  altro  a  mano. 
Ella  n'  avea  due  jn-inia ;  che  a^ea  qiu;llo, 
Sopra  il  quul  levò  1'  altro  a  Pinabello. 

19.  Di  A'allombrosa  pensò  far  la  strada, 

Che  trovar  quivi  il  siu)  Ruggiero  ha  speme. 
Ma  qual  più  breve,  o  qual  miglior  vi  vadd, 
Poco  disceriu;,  e  d'ire  errando  teme. 

II  villan  nini  avea  della  contrada 
Pratica  molta,  ed  erreranno  insieme. 
Pur  andare  a  ventura  ella  ^i  messe, 
Do\e  p(;nsò,  che  '1  loco  esser  dovesse. 

20.  Di  qii;i,  di  lii  si  Aol-e;  né  persona 
Incontro  mai  da  dounindar  la  via. 

Si  tro>ò  Mhcir  del  |)om-o  in  sulla  nona, 
Do%e  un  ca-lel  poco  lontan  scopria. 
Il  qiial  la  ciuiii  il  un  nionticel  corona: 
Li>  mira,  t:  Montalban  le  par  vUr.  t-ia: 
Ld  era  certo  Montalliano;  e  in  quello 
Avea  la  iniitire  ed  alcun  sin»   fratello. 


21. 


Come  la  donna  conosciuto  ha  il  loco. 
Nel  cor  s'  attrista,  e  più  eh'  io  non  so  dire. 
Sarà  scoperta,  se  si  ferma  un  poco. 
Né  più  le  sani  lecito  partire. 
Se  non  si  i)arle ,  1'  amoroso  foco 
L'  arderà  sì ,  che  la  farà  morire  : 
Non  vedrà  |jìù  Ruggier,  né  farà  cosa 
Di  quel ,  eh'  era  ordinato  a  Vallombrosa. 

22.  Stette  alquanto  a  pensar,  poi  si  risolse 
Di  voler  dare  a  Montalban  le  spalle; 

E  verso  la  badia  pur  si  ri\olse, 
Che  quindi  ben  sapea,  qual  era  il  calle. 
Ma  sua  fortima,  o  buona  o  trista,  volse, 
Che ,  primach'  ella  uscisse  della  valle, 
Scontrasse  Alardo ,  un  de'  fratelli  sui, 
Né  tempo  di  celarsi  ebbe  da  lui. 

23.  Veniva  da  partir  gli  alloggiamenti 
Per  quel  contado  a'  cavalieri  e  a'  fanti  ; 
Che ,  ad  istanza  di  Carlo  ,  nuove  genti 
Fatto  avea  dalle  terre  circostanti. 

I  saluti  e  i  fraterni  abiiraciMamenti 

Con  le  grate  accoglienze  andaro  innanti  ; 

E  poi  di  molte  cose  a  paro  a  paro 

Tra  lor  parlando ,  in  Montalban  toi-naro. 

24.  Entrò  la  bella  donna  in  xMontalhano, 
Dove  1'  avea  con  lacrimosa  guancia 
Beatrice  molto  desiata  invano, 

E  fattone  cercar  per  tutta  Francia. 
Or  quivi  i  baci,  e  il  giunger  mano  a  mano 
Di  madre  e  di  fratelli ,  estimo  ciancia. 
Verso  gli  avuti  con  Ruggier  complessi, 
Cli'  avrà  nell'  alma  eternamente  iinprcssi. 

25.  Non  potendo  ella  andar,  fece  pensiero. 
Che  a  Vallombrosa  aUri  in  suo  nome  andasse 
Immantinente  ad  avvisar  Ruggiero 

Della  cagion,  eh'  andar  lei  non  lasciasse; 
E  lui  pregar  ,  s'  era  pregar  mestiero. 
Che  quivi  per  suo  anu>r  si  battezzasse, 
E  poi  venisse  a  far  quanto  era  detto, 
Sicché  si  desse  al  matrimonio  cfictto. 

26.  Pel  medesimo  messo  fé'  disegno 

Di  mandare  a  Ruggiero  il  suo  cavallo. 
Che  gli  solca  tanto  esser  caro;  e  degno 
D'  essergli  caro  era  ben  senza  fallo  : 
Che  iu>n  s'  avria  trovato  in  tutto  '1  regn 
De'  Saracin ,  né  sotto  il  signor  gallo, 
Più  bel  destrier  di  questo,   o  più  gagliardo. 
Eccetto  IJrigliador,  soli,  e  Bajardo. 

27.  Ruggier  quel  dì ,  che  troppo  audace  scese 
Suir  ippogrifo,  e  verso  il  ciel  levosse, 
Lasciò  Frontino,  e  Bradamante  il  prese; 
Frontino  ,  che  '1  destrier  così  n<»mosse. 
Marulollo  a  Montalbano,  e  a  buone  spese 
Tener  lo  fece;  e  mai  non  cavalcossc, 

Se  non  per  br<!ve  spazio  e  a  picciol  passo; 
Siccir  era,  più  che  unti,  lucido  e  grasso. 

28.  Ogni  sua  donna  tosto,  ogni  donzella 
Pon  seco  in  opra ,  e  con  sottil  lavoro 
Fa  sopra  seta  candida  e  nutrella 
Tesser  rii-amo  di  finis.^im'  oro, 

E  <ii  <|iiel  coprt;  ed  orna  briglia  e  sella 
Del  buon  d(>trier  ;    poi  sceglie  una  di  loro. 
Figlia  di  (allitrelìa,  sua  nutrit^e, 
D'  ogni  secreto  suo  fida  uditrice. 


[297] 


ORLANDO  FURIOSO.    (XXIII.   20—44) 


[298] 


29.  Quanto  Rng-»?ier  1'  era  nel  core  impresso. 
Mille  volte  narrato  a\ca  a  costti  ; 

La  l)eltà,  la  virtiitle,  i  niotli  d'  csSQ 
Esaltato  1'  a^ea  fin  sopra  i  Dei. 
A  sé  cliiiiniolla,  e  disse:  Miglior  messo 
A   tal  bisogno  elc^p^cr  non  potrei  ; 
Che  (li  te  uè  più  lido,  né  piiì  saggio 
Imbasiìatore ,  Ippalca  mia ,  non  aggio. 

30.  Ippalca  la  donzella  era  nomata. 

Va,  le  dice,  e  le  insegna  ove  de'  gire; 
E  pienamente  poi  1'  ebbe  informata 
Di  quanto  avesse  al  suo  signore  a  dire, 
E  far  la  scusa ,  se  non  era  andata 
Al  monaster,  che  non  fu  per  mentire, 
Ma  che  fortuna,  che  di  noi  potea 
Più,  che  noi  stessi,  da  imputar  s'  avca. 

31.  Montar  la  fece  su  tm  ronzino,  e  in  mano 
La  ricca  briglia  di  Frontin  le  messe; 

E  se  si  jiuzzo  alcuno ,  o  sì  ^  illano 
Trovasse,  che  levar  glielo  volesse, 
Per  fargli  a  una  parola  il  cervcl  sano, 
Di  chi  fosse  il  dc>trier,  sol  gli  dicesse: 
Che  non  sapea  sì  ardito  cavallcro. 
Che  non  tremasse  al  nome  di  Ruggiero. 

32.  Di  molte  cose  V  ammonisce,  e  molte, 
Che  trattar  con  Ruggiero  abbia  in  sua  vece; 
Le  quai ,  poich'  ebbe  Ippalca  ben  raccolte. 
Si  pose  in  via ,  né  più  dimora  fece. 

Per  strade  e  campi ,  e  seh  e  oscure  e  folte 
Cavale»)  delle  miglia  più  di  dicco, 
Che  non  fu  a  darle  noja  chi  venisse, 
INO  a  domandarla  pur  dove  ne  gisse. 

33.  A  mezzo  il  giorno ,  nel  calar  d'  un  monte, 
In  una  stretta  e  malagevol  via 

Si  %enne  ad  incontrar  con  Rodomonte, 

Che  armato  im  pi(-(Mol  nano  ,  e  a  piò  scguia. 

li  Moro  alzò  ver  lei  1'  altera  fronte, 

E  hesteiiimiò  1'  eterna  jerarchia, 

Poiché  sì  bel  destrier,  si  bene  ornato 

Non  avea  in  man  d'  un  ca^alìer  trovato. 

34.  Avea  giurato,  che  '1  primo  cavallo 
Torria  per  forza,   che  tra  via  incontriisse. 
Or  questo  é   stato   il  prinu»,  e  trovato  hallo 
Più  bello,  e  i)Ìm   per  lui,  che  m;!Ì  trovasse: 
ì\Ia  torlo  a  una  donzella  gli  par  fallo; 

E  pur  agogna  averlo,  e  in  dubbio  »tasse. 
Ìjo  mira,  h»  contempla,  e  dice  spesso: 
Deh  !  perché  il  suo  signor  non  è  coti  esso  ? 

35.  Dell,  ci  fosse  egli!  gli  rispose  Ippalca, 
Che  li  faria  cangiar  for.-e  pensiero. 
Assai  più  di  le  ^al,  chi  lo  cavalca; 

I\è  il»  pareggia  ni  mondi»  altro  guerriero. 

Chi  è,    le  dissi;  il   Mcuo ,  che  sì  lalca 

L'  onore  altrui?  Rispos'  ella:  Ruggiero. 

Il  quel  s<»ggiunse:  Adimque  il  de>[rier  voglio. 

Poiché  il  Ruggier,  sì  gr.in  campion,   h»  loglio; 

3G.      Il  qiial ,  se  sarà  ver,  come  In  parli, 

Che  sia  sì  forle,  e  jiiù  il'  ogn'  altro  vaglia, 
^oo   iIh!  il  distrier,  ma  la   Mttura  darli 
('oii\irraniini,   e  in  isiio  arbitrio   l\,i   I.i  taglia. 
Chi"  Rodomonte  io  sono,   liai  da  narrarli, 
E  die,  se  pur  vorrà  meco  battaglia. 
Mi  tro\erà;  che  iiviiii(|iie  io  vada  o  stia. 
Mi  fa  sempre  apparir  la  luce  mia. 


37.  Dovunque  io  vo,  sì  gran  vestigio  resta. 
Che  non  lo  lascia  il  fulmine  maggiore. 
Così  dicendo ,  avea  tornato  in  testa 

Le  redini  dorate  al   corridore. 
Sopra  gli  salta;  e  lacrimosa  e  mesta 
Rimane  Ippalca;  e  spinta  da!  dolore 
RIinaccia  Rodomonte,  e  gli  dice  onta. 
IVon  r  ascolta  egli,  e  su  pel  poggio  monta. 

38.  Per  quella  via,  dove  lo  guida  il  nano, 
Per  trovar  Mandricardo  e  Doralice, 

Gli  viene  Ippalca  dietro  di  lontano, 

E  lo  bestemmia  sempre  e  maledice. 

Ciò,  che  di  questo  avvenne,  altrove  è  piano. 

Turpin  ,  che  tutta  questa  i>toria  dice, 

Fa  qui  digresso ,  e  torna  in  quel  paese. 

Dove  fu  dianzi  morto  il  Maganzese. 

39.  Dato  avea  appena  a  quel  loco  le  spalle 
La  figliuola  d'  Amon,  che  in  fretta  già, 
Che  v'  arrivò  Zerbin  per  altro  calle. 
Con  la  fallace  secchia  in  compagnia; 

E  giacer  vide  il  corpo  nella  valle 
Del  cavalier,  che  non  sa  già,  chi  sia; 
Ma ,  come  quel ,  eh'  era  cortese  e  pio, 
Ebbe  pietà  del  caso  acerbo  e  rio. 

40.  Giaceva  Pinahello  in  tcri*a  spento, 
Versando  il  sangue  per  tante  ferite, 
Ch'  esser  dovcano  assai,  se  più  di  cento 
Spade  in  sua  morte  si  fossero   unite. 

Il  cavalier  di  Scozia  non  fu  lento 
Per  r  orme,  che  di  fresco  erau  scolpite, 
A  porsi  in  avventura,  se  potea 
Saper,  chi  l'  omicidio  fatto  avea. 

41.  Ed  a  Gabrina  dice ,  che  1'  aspettc, 
Che  senza  indugio  a  lei  farà  ritorno. 
Ella  presso  al  cadavero  si  mette, 

E  fissamente  vi  pon  gli  occhj  intorno; 
Perché,  se  cosa  v'  ha,  che  le  dilette, 
]Non  vuol  cir  un  morto  invan  più  ne  sia  adorno; 
Come  colei ,  che  fu ,  tra  1'  altre  note, 
Quanto  avara  esser  più  femmina  puute. 

42.  Se  di  portarne  il  furto  ascosamente 
Avesse  avuto  modo ,  o  alcuna  spejne, 
La  soprav\esta  fatta  riccamente 

Gli   a\  rebbe  tolta ,  e  le  beli'  arme  insieme. 
Ma  qu(;l ,  che  può  celarsi  agevolmenti-. 
Si  piglia,  e  '1  re.-to  fin  al  cor  le  preme: 
Fra  r  altre  spoglie  un  bel  liiiti»  leporine, 
E  se  ne  legò  i  fianchi  infra  due  gonne. 

43.  Poco  dopo  arrivò  Zerbin ,  che  avea 
Seguito  iman  di  ni-adamante  i  passi, 
Perchè  trovò  il  senlicr  ,  che  si  toneii 
In  molti  rami,  eh'  ivano  alti  e  bassi; 
E  poro  oiiiai  del  giorno  riiiianca, 

^è  Milea  al  bujo  star  fra  (jiii'lli  sassi; 
E  per  trovare  albergo  die'  Ir  .'.palle. 
Con  r  empia  \ cecilia,  alla  fune. la  \ane. 

-14.      Quindi  pi-e^so  a  duo  miglia  ritro^aro 
In  gran  castri,  rhe  fu  ditto   \llari\a, 
Dine  per  star  la  notte  si  lerniaro. 
Che  già  a  gr.in  volo  in  v<  ivo  il  citi  saliva. 
INon  y'i  stir  molto,  che  un  lamenlo  amaro 
1/  orecchie  d"  ogni  piirlc  lor  firi\a  ; 
E  »eggoii  lacriiiiur  da  tutti  gli  oixlij, 
C4)mc  la  cosa  a  lutto  il  pipol  tocchi. 


[299] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXIII.  45-60) 


45.  Zerbino  dimandonne ,  e  gli  fu  detto. 
Che  venut'  era  al  conte  Anselmo  avviso. 
Che  fra  duo  monti  in  un  sentiero  stretto 
Giacea  il  suo  figlio  Pinabello  ucciso. 
Zerbin,  per  non  ne  dar  di  sé  sospetto. 
Di  ciò  si  finge  novo,  e  abbassa  il  viso; 
Ma  pensa  ben,  che  senza  dubbio  sia 
Quel,  eh'  egli  trovò  morto  iji  sulla  via. 

46.  Dopo  non  molto  la  bara  funebre 
Giunse  a  splendor  di  torchj  e  di  facelle. 
Là ,  dove  fece  le  strida  più  crebre 

Con  un  batter  di  man  gire  alle  stelle, 
E  con  più  vena  fuor  delle  palpebre 
Le  lacrime  innondar  per  le  mascelle; 
Ma  più  dell'  altre  nubilose  ed  atre 
Era  la  faccia  del  misero  patte. 

47.  Mentre  apparecchio  si  facea  solenne 
Di  grandi  esequie ,  e  di  funebri  pompe. 
Secondo  il  modo  ed  ordine,  che  tenne 

L'  usanza  antica ,  e  che  ogni  età  corrompe  : 
Da  parte  del  signore  un  bando  venne, 
Che  tosto  il  popolar  strepito  rompe, 
E  promette  gran  premio  a  chi  dia  avviso, 
Chi  stato  sia  ,  che  gli  abbia  il  figlio  ucciso. 

48.  Di  voce  in  voce,  e  d'  una  in  altra  orecchia 
Il  grido  e  'l  bando  per  la  terra  scorse, 
Finché  r  udì  la  scellerata  vecchia, 

Che  di  rabbia  avanzò  le  tigri  e  1'  orse, 

E  quindi  alla  ruina  s'  apparecchia 

iJì  Zerbino,  o  per  l'  odio,  che  gli  ha  forse, 

O  per  vantarsi  pur,  che  sola  priva 

D'  uraanitade  in  uman  corpo  viva; 

49.  O  fosse  pur  per  guardagnarsi  il  premio. 
A  ritrovar  n'  andò  quel  signor  mesto, 

E  dopo  un  verisimil  suo  proemio 

Gli  disse,  che  Zerbin  fatto  avea  questo; 

E  quel  bel  cinto  si  levò  di  gremio, 

Che  'l  miser  padre,  a  riconoscer  presto, 

Appresso  il  testimonio  e  tristo  ufficio 

Dell'  empia  vecchia,  ebbe  per  chiaro  inillcio: 

50.  E  lacrimando  al  ciel  leva  le  mani, 
Che  'l  figliuol  non  sarà  senza  vendetta. 
Fa  circondar  1'  albergo  ai  terrazzani  ; 
Che  tutto  'l  popol  s'  è  levato  in  fretta. 
Zerbin ,  che  li  nimici  aver  lontani 

Si  crede ,  e  questa  ingiuria  non  aspetta 
Dal  conte  Anselmo ,  che  si  chiama  offeso 
Tanto  da  lui ,  nel  primo  sonno  è  preso, 

51.  E  quella  notte  in  tenebrosa  parte 
Incatenato  ,  e  in  gra>  i  ceppi  messo. 
Il  sole  ancor  non  ha  le  luci  sparte, 

Che  r  ingiusto  siipplicio  è  già  conunesso; 
Che  nel  Un-o  medesimo  si  squarte, 
Dove  fu  '1  mal,  eh'  hanno  imputato  ad  esso. 
Altra  esamina  in  ciò  non  si  facea; 
Uastava,  che  'l  signor  cosi  credea. 

52.  Poiché  r  altro  mattin  la  bella  Aurora 
L'  aer  scrcn  fé'  bianco  e  rosso  e  giallo, 
Tutto  '1  popol  gridando  :  Mora  ,  MU)ra  ! 
Vien  per  punir  /crbin  del  non   suo  fallo. 
Lo  sciocco  vulgo  r  iU'coiiipagna  fuora 
Senz'  ordine,  ciii  a  piede,  e  chi  a  cavallo; 
E  'l  cavalier  di  Sco/.iii  a  capo  chino 

Ke  vien  legato  in  su  un  piccini  ronzino. 


[300] 


53.     Ma  Dio,  che  spesso  gì'  innocenti  ajuta, 
Né  lascia  mai  chi  in  sua  bontà  si  fida, 
Tal  difesa  gli  avea  già  provveduta, 
Che  non  v'  è  dubbio  più,  eh'  oggi  s'  uccida. 
Quivi  Orlando  arrivò,  la  cui  venuta 
Alla  via  del  suo  scampo  gli  fu  guida. 
Orlando  giù  nel  pian  vide  la  gente, 
Clve  traea  a  morte  il  cavalier  dolente. 

51.     Era  con  lui  quella  fanciulla ,  quella, 
Cile  ritrovò  nella  selvaggia  grotta. 
Del  re  Galego  la  figlia  isabella, 
In  poter  già  de'  malandrin  condotta, 
Poiché  lasciato  avea  nella  procella 
Del  truculento  mar  la  nave  rotta; 
Quella,  che  più  vicino  al  core  avea 
Questo  Zerbin,  che  1'  alma,  onde  vivea. 

55.  Orlando  se  1'  avea  fatta  compagna. 
Poiché  della  caverna  la  riscosse. 
Quando  co>tei  li  vide  alla  campagna, 
Domandò  Orlando ,  chi  la  turba  fosse. 
]\on  so,  diss'  egli;  e  poi  sulla  montagna 
Lasciolla,  e  verso  il  pian  ratto  si  mosse; 
Guardò  Zerbino ,  ed  alla  vista  prima 

Lo  giudicò  baron  di  molta  stìuua. 

56.  E,  fattosegli  appresso ,  domandollo, 
Per  che  cagione,  e  dove  il  menin  preso. 
Levò  il  dolente  cavaliero  il  collo, 

E  meglio  avendo  il  paladino  inteso. 
Rispose  il  vero  ;  e  così  ben  narrollo. 
Che  meritò  dal  conte  esser  difeso. 
Ben  avea  il  conte  alle  parole  scorto, 
Ch'  era  innocente,  e  che  moriva  a  torto. 

57.  E  poich'  intese,  che  commesso  questo 
Era  dal  conte  Anselmo  d'  Altariva, 

Fu  certo,  eh'  era  torto  manifesto; 

Che  altro  da  quel  fellon  mai  non  deriva. 

Ed  oltre  a  ciò,  l'  uno  era  all'  altro  infesto. 

Per  1'  antichissimo  odio ,  che  bolliva 

Tra  'l  sangue  di  Maganza  e  di  Chiarmonte, 

E  tra  lor  eran  morti,  e  danni,  ed  onte. 

58.  Slegate  il  cavalier  ,  gridò ,  canaglia. 

n  conte  a'  masnadieri ,  o  eh'  io  v'  uccido. 
Clù  é  costui ,  che  sì  gran  colpi  taglia  ? 
Rispose  un,  che  parer  volle  il  più  fido; 
Se  di  cera  noi  fossimo,  o  di  paglia, 
E  di  fuoco  egli,  assai  fora  quel  grido. 
E  venne  centra  il  paladin  di  Francia. 
Orlando  centra  lui  chinò  la  lancia. 

59.  La  lucente  armatura  il  Maganzese, 
Che  levata  la  notte  avea  a  Zerbino, 
E  postasela  indosso,  non  difese 
Contro  r  aspro  incontrar  del  paladino. 
Sopra  la  de>tra  gaaiuia  il  ferro   prese: 
L'  elmo   non  passò  già,  perdi'  era  fino; 
Ma  tanto  fu  della  percossa  il  crollo, 
Che  la  vita  gli  tolse,  e  ruppe  il  collo. 

60.  Tutto  in  un  corso,  senza  tor  di  resta 

La  lancia,  passò  un  altro   in  mezzo  il  petto. 
Qui\i  lasciolla,  e  la  mano  ebbe  presta 
A  Durindana,   e  nel  drappel  più  stretto 
A  chi  lece  due  |>arti   della  testa, 
A  chi  le\ò  dal  busto  il  capo  netto; 
Forò  la  gola  a  molli,  e  in  un  momento 
N'  uccise  e  mise  in  rotta  più  di  cento. 


[301] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXIII.  61-76) 


[3021 


61.   Più  del  terzo  n'  ha  morto  ,  e  1  resto  caccia, 
E  taglia,  e  fende,  e  fere  ,  e  fora,  e  tronca. 
Chi  io  scudo ,  e  chi  1'  ehiio ,  che  lo  'mpaccia, 
E  chi  lascia  lo  spiedo,  e  chi  la  ronca; 
Chi  al  lungo,  chi  al  traverso  il  caniniin  spaccia; 
Altri  s'  appiatta  in  bosco ,  altri  in  spelonca. 
Orlando ,  di  pietà  questo  dì  privo, 
A  suo  poter  non  vuol  lasciarne  un  vivo. 

G2.     Di  cento  venti  (che  Turpin  sottrasse 
Il  conto)  ottanta  ne  perirò  almeno. 
Orlando  finalmente  si  ritrasse , 
Dove  a  Zerbin  tremava  il  cor  nel  seno. 
Se  al  ritornar  d'  Orlando  s'  allegrasse, 
IVon  si  potria  contare  in  versi  appieno. 
Se  gli  saria  per  onorar  prostrato  ; 
Ma  si  trovò  sopra  il  ronzin  legato. 

63.     Mentrechè  Orlando ,  poiché  lo  disciolse, 
L'  ajutava  a  ripor  1'  arme  sue  intorno, 
Che  al  capitan  della  sbirraglia  tolse. 
Che  per  suo  mal  se  n'  era  fatto  adorno  : 
Zerbino  gli  occhj  ad  Isabella  volse, 
Che  sopra  il  colle  avea  fatto  soggiorno, 
E  poiché  della  pugna  vide  il  fine. 
Portò  le  sue  bellezze  più  vicine. 

61.      Quando  apparir  Zerbin  si  vide  appresso 
La  donna,  che  da  lui  fu  amata  tanto, 
La  bella  donna ,  che  per  falso  messo 
Credea  sommersa ,  e  n'  ha  più  volte  pianto. 
Come  un  ghiaccio  nel  petto  gli  sia  messo. 
Sente  dentro  agge!ar^i ,  e  trema  alquanto  ; 
Ma  tosto  il  freddo  manca ,  ed  in  quel  loco 
Tutto  s'  avvampa  d'  amoroso  foco. 

()5.      Di  non  tosto  abbracciarla  lo  ritiene 
La  riverenza  del  signor  d'  Anglante; 
Perché  si  pensa,  e  senza  dnbhio  tiene, 
Che  Orlando  sia  della  don/ella  amante. 
Così  cadendo  va  di  pene  in  pene, 
E  poco  dura  il  gaudio,  eh'  ebbe  innante; 
E  vederla  d'  altrui  peggio  sopporta, 
Che  non  fé',  quando  udì ,  eh'  ella  era  morta. 

<)(>.      E  molto  più  gli  du(»l,  che  sia  in  podestà 
Del  cavaliero,  a  cui  cotanto  debbe  ; 
Perdio  volerla  a  lui  levar,  né  onesta, 
]\è  forse  impresa  facile  sarebbe. 
Nessun  altro  da  sé  lasciar  con  questa 
Preda  partir  senza  rumor  vorrebbe  ; 
Ma  verso  il  conte  il  suo  debito  chiede, 
Che  se  lo  lasci  por  sul  collo  il  piede. 

67.      Giunsero  taiùturni  ad  una  fonte, 
Dove  sniontaro,  e  fér  quale  lie  dimora. 
Trassesi  l'  elmo  il  travagliato  conte, 
Ed  a  Zerbin  lo  fece  trarre;  aii<;ora. 
Vede  la  donna  il  suo  amatore  in  fronte, 
E  di  subito  gaudio  si  scolora  ; 
Voi  torna ,  come  fiore  umido  suole. 
Dopo  gran  pioggia,  all'  apparir  del  solo; 

(iH.      E  s(;n7.a  indugio,  e  scnz'  altro  rispetto, 

('orre  al  f,uo  curo  amante,  e  il  rollo  abbraccia; 

E   non  può  trar  parola  fuor  del  petto, 

M.i  di  lacrinn;  il  nen  bagna,  e  la   l'accia. 

Orlando,  attento  all'  amoroso  all'etto, 

Senzai  Ile  più  chiarezza  se  gli  faccia, 

\'uU-  a  tutti  gì'  indizj  manifesto, 

Ch'  altri  es»er,  che  Zerbin,  non  polca  questo. 


69 


Come  la  voce  aver  puote  Isabella, 
■Von  ben  asciutta  ancor  1'  umida  guancia. 
Sol  della  molta  cortesìa  favella. 
Che  le  avea  usata  il  paladin  di  Francia. 
Zerbino ,  che  tenea  questa  donzella 
Con  la  sua  vita  pari  a  una  bilancia. 
Si  getta  a'  pie  del  conte ,  e  quello  adora, 
Come  a  chi  gli  ha  due  vite  date  a  un'  ora. 


TO 


12 


Molti  ringraziamenti  e  molte  offerte 
Erano  per  seguir  tra  i  cavalieri, 
Se  non  udian  sonar  le  vìe  coperte 
Dagli  arbori  di  frondi  oscuri  e  neri. 
Presti  alle  teste  lor,  eh'  eran  scoperte. 
Posero  gli  elmi ,  e  presero  i  destrieri  ; 
Ed  ecco  un  cavaliero  e  una  donzella 
Lor  sopravvien,  ci»'  appena  erano  in  sella. 

71.      Era  questo  guerrier  quel  Mandricardo, 
Che  dietro  Orlando  in  fretta  si  condusse, 
Per  vendicare  Alzirdo  e  Manilardo, 
Che  '1  paladin  con  gran  valor  percusse  ; 
Quantunque  poi  lo  seguitò  più  tardo. 
Che  Doralice  in  suo  poter  ridusse. 
La  quale  avea ,  con  un  troncon  di  cerro. 
Tolta  a  cento  guerrier  carchi  di  ferro. 

jVon  sapea  il  Saracin  però ,  che  questo 
Ch'  egli  seguia ,  fosse  il  signor  d'  Anglante  ; 
Ben  n'  avea  indizio  e  segno  manifesto, 
Ch'  esser  dovea  gran  cavaliero  errante. 
A  lui  mirò ,  più  eh'  a  Zerbino ,  e  presto 
Gli  andò  con  gli  occhj  dal  capo  alle  piante  ; 
E  i  dati  contrassegni  ritrovando 
Disse  :  Tu  se'  colui ,  eh'  io  vo  cercando. 

73.  Sono  omai  dieci  giorni ,  gli  soggiunse, 
Che  di  cercar  non  lascio  i  tuoi  vestigi; 
Tanto  la  fama  stimolommi  e  piuise. 
Che  di  te  venne  al  campo  di  Parigi, 
Quando  a  fatica  un  vivo  sol  vi  giunse 
Di  mille ,  che  mandasti  ai  regni  stigi, 

E  la  strage  contò,  che  da  te  venne 
Sopra  i  INorizj  e  quei  di  Treni iseiuie. 

74.  Kon  fui ,  come  Io  seppi ,  a  seguir  lento, 
E  per  V  ederti ,  e  per  provarti  appresso  : 

E  perché  m'  informai  del  guernimento, 

Ch'  hai  sopra  1'  arme ,  io  so ,  che  tu  sei  desso. 

E ,  se  non  1'  avessi  anco  ,  e  che  fra  cento. 

Per  celarti  da  me,  ti  fossi  messo, 

Il  tuo  fiero  sembiante  mi  faria 

Chiaramente  veder ,  che  tu  quel  sia. 

75.  Non  si  \mò ,  gli  rispose  Orlando ,  dire, 
Che  cavalier  non  sii  «1"  alto  valore; 
Pcroccliè  si  magnanimo  desire 

Non  mi  credo  allH-rgassc  in  iimil  core. 
Se  i  volermi  veder  ti  fa  venire, 
\o'  che  mi  veggi  dentro ,  come  fuorc. 
Mi   leverò  qnest'  elmo  dalle  tempie, 
Accioccli'  appiuito  il  tuo  dcsir  s'  adempie. 

76.  Ma  ,  poirliè  ben  m'  avrai  veduto  in  faccia. 
Air  altro  desìilcrio  ancora  attendi! 

Resta,  che  alla  cagion  tu  satisfaccia. 
Che  fu,  clu-  dietro  questa  via  mi  prendi; 
Che  >eggi.  se  'I  ^alor  mio  t^i  contine  in 
A  quel  seiiibiunte  lìcr,  che  si   comniendi. 
Orsù  ,    disse  il  pagano  ,  al  rimanente  ! 
Che  al  primo  ho  satisfatto  inter.iuientc. 


[303] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXIil.  17  —  02) 


[304] 


77.  Il  conte  tuttavia  dal  capo  al  piede 

Va  cercando  il  pagan  tutto  con  gli  occhj: 
Mira  ambi  ì  fiauclii,  indi  1'  arcion,  né  vede 
Pender  nò  qua ,  né  là  mazze ,  nò  stocchi. 
Gli  domanda ,  di  che  arme  si  provvede, 
Se  avvicn ,  che  con  la  lancia  in  fallo  tocchi. 
Rispose  c[uel:  ]\on  ne  pigliar  tu  cura! 
Coòì  a  molt'  .litri  ho  ancor  fatto  paura. 

78.  Ho  sacramento  di  non  cìnger  spada, 
Finch'  io  non  tolgo  Durindana  al  conte; 
E  cercando  lo  vo  per  ogni  strada, 
Perchè  più  d'  una  posta  meco  sconte. 
Lo  giurai ,  se  d'  intenderlo  t'  aggrada. 
Quando  mi  posi  quest'  elmo  alla  fronte. 

Il  qual ,  con  tutte  l'  altr'  arme ,  eh'  io  porto, 
Era  d'  Ettor,  che  già  mill'  anni  è  morto. 

79.  La  spada  sola  manca  alle  buone  arme: 
Come  rubata  fu,  non  ti  so  dire. 

Or,  che  la  porti  il  paladino,  parme, 
E  di  qui  vien ,  eh'  egli  ha  sì  grande  ardire. 
Ben  penso ,  se  con  lui  pos^o  accozzarmc, 
Fargli  il  mal  tolto  ornai  restituire. 
Cercolo  ancor  ,  che  vendicar  disio 
Il  famoso  Agrican ,  genitor  mio. 

80.  Orlando  a  tratlimento  gli  die'  morte  ; 
Ben  so ,  che  non  potca  farlo  altramente. 
Il  conte  più  non  tacque,  e  gridò  forte: 
E  tu ,  e  quiilunque  il  dice ,  se  ne  mente. 
Ma  quel,  che  cerchi,  t'  è  venuto  in  sorte. 
Io  sono  Orlando,  e  uccisil  giustamente; 
E  questa  è  quella  spada,  che  tu  cerchi, 
Che  tua  sarà,  se  Ci)n  virtù  la  merchi. 

81.  Quantunque  sia  debitamente  mùi, 
Tra  noi  per  gentilezza  si  contenda. 

Né  voglio  in  questa  pugna   eh'  ella  sia 

Più  tua,  che  mia,  ma  a  un  arbore  s'  appenda. 

Levala  tu  liberamente  via. 

Se  avvien,  che  tu  ra'  uccida,  o  che  mi  prenda. 

Così  dicendo ,  Durindana  prese, 

E  in  mezzo  il  campo  a  un  arbuscel  1'  appese. 

82.  Già  r  mi  dall'  altro  è  dipartito  lunge. 
Quanto  sarebbe  un  mezzo  tratto  d'  arco  ; 
Già  r  uno  «-nutra  l'  altro  il  destrier  punge, 
Né  delle  lente  redini  gli  è  parco; 

Già  r  "ino  e  1'  altro  di  gran  colpo  aggiunge, 
Dove  per  l'  elmo  la  veduta  ha  varco. 
Parvero  l'aste,  al  rompersi,  di  gelo, 
E  in  mille  schegge  andar  volando  al  cielo. 

83.  1/  una  e  1'  altra  asta  è  forza ,  che  si  spezzi, 
Che  non  vogtion  piegarsi  i  cavalieri, 

I  ca^alier,  che  tornano  co'  pezzi, 
Che  son  restati  appresso  i  calci  intieri. 
Quelli,  che  sempre  fur  nel  ferro  avvezzi. 
Or ,  come  duo  villan  per  sdegno  fieri 
^icl  partir  acque ,  o  termini  di  prati. 
Fan  crudel  zufla  di  duo  pali  armati. 

84.  Non  stanno  1'  aste  a  quattro  colpi  eaidc, 
E  mancan  nel  furor  di  quella  pugna. 

Di  qua  e  di  là  si  fan  l'  ire  più  calde, 
Né  (la  ferir  lor  re.^ta  altro,  che  pugna. 
S<liiodano  piastic; ,  o  straceian  maglie  e  falde, 
Purcbé  la  man  ,  dove  s'  aggraflì ,  gingna. 
Non  desideri  alcun,  perché  più  vaglia, 
Martcl  più  grave   .o  più  dura  tanaglia. 


85.  Come  può  il  Sarncin  ritrovar  sesto 
Di  finir  con  suo  onore  il  fiero  invito.-' 
Pazzia  sarebbe  il  perder  tempo  in  questo, 
Che  nuoce  al  feritor  più  eh'  al  ferito. 
Andò  alle  strette  1'  uno  e  l'  altro,  e  presto 
Il  re  pagano  Orlando  ebbe  ghermito. 

Lo  stringe  al  petto  ,  e  crede  far  le  |)rove. 
Che  sopra  Anteo  fé'  già  'l  figliuol  di  Giove. 

86.  Lo  piglia  con  molto  impeto  a  traverso: 
Quando  lo  spinge,  e  quando  a  sé  lo  tira; 
Ed  è  nella  gran  collera  sì  immerso, 
Che,  ove  resti  la  briglia,  poco  mira. 
Sta  in  sé  raccolto  Orlando ,  e  ne  va  verso 
Il  suo  vantaggio,  e  alla  vittoria  aspira: 
Gli  pon  la  cauta  man  sopra  le  ciglia 

Del  cavallo ,  e  cader  ne  fa  la  briglia. 

87.  Il  Saracino  ogni  poter  vi  mette, 

Che  lo  soffoghi,  o  dell'  arcion  lo  svella 

Negli  urti  il  conte  ha  le  ginocchia  strette. 

Né  in  questa  parte  vuol  piegar,  né  in  quella. 

Per  qi'.cl  tirar,  che  fa  il  pagan,  costrette 

Le  cinghie  son  d'  abbandonar  la  sella. 

Orlando  é  in  terra ,  e  appena  sei  conosce. 

Che  i  piedi  ha  in  staffa,  e  stringe  ancor  le  cosce. 

88.  Con  quel  rumor,  clie  un  sacco  d'  arme  cade, 
Risuona  il  conte ,  come  il  campo  tocca. 

Il  destrier,  eh'  ha  la  testa  in  libertade. 
Quello,   a  chi  tolto  il  freno  era  di  bocca, 
Non  più  mirando  i  boschi ,  che  le  strade, 
Con  ruiuoso  corso  si  trabocca, 
Spinto  di  qua  e  di  là  da  timor  cieco, 
E  Mandricardo  se  ne  porta  seco. 

89.  Doralice,  che  vede  la  sua  guida 
Uscir  del  campo,  e  torlesi  d'  appresso, 
E  mal  restarne  senza  si  confida, 

Dietro,  correndo,  il  suo  ronzin  gli  ha  messo. 
Il  pagan  per  orgoglio  al  destrier  grida, 
E  con  mani  e  con  piedi  il  batte  spesso, 
E,  come  non  sia  bestia,  lo  minac<;ia. 
Perchè  si  ferun ,  e  tuttavia  più  il  caccia. 

90.  La  bestia ,  eh'  era  spaventosa  e  poltra, 
Senza  guardarsi  ai  pie,  corre  a   traverso. 
Già  corso  avea  tre  miglia ,  e  seguiva  oltra, 
Se  un  fosso  a  quel  desir  non  era  avverso, 
Clie  ,  senza  aver  nel  fondo  o  letto  ,  o  coltra, 
Ricevè  r  uno  e  1'  altro  in  sé  riverso. 

Die'  Mandricardo  in  terra  aspra  percossa  ; 
Né  però  si  fiaccò,  né  si  ruppe  ossa. 

91.  Quivi  si  ferma  il  corridore  alfine; 

Ma  non  si  può  guidar ,  che  non  lia  freno. 
Il  Tartaro  lo  tien  preso  nel  crine, 
E  tutto  è  di  fiu'ore  e  d'  ira  pieno. 
Pensa,  e  non  sa  quel ,  che  di  far  destine. 
Pongli  la  briglia  del  mio  palafreno  ! 
La  donna  gli  dicea;  che  non  è  molto 
Il  mio  feroce,  o  sia  col  freno,  o  sciolto. 

92.  Al  Saracin  lìarea  discortesia  \ 
ha  profferta  accettar  di  Doralice: 

]Ma  IVen  gli  farà  aver  per  altra  via 
Fortuna,  a'  suoi  d(^>ii  uu>lto  fautrice. 
Quivi  (ìabrina  s(-ellerata  invia, 
('be  ,  poi(-liè  di  Zeibin  fu  traditrice. 
Foggia,  come  la  lupa,  che  lontani 
Oda  venire  i  cacciatori  e  i  cani. 


[305] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXIII.  93-108) 


[306] 


93.  Ella  avea  ancora  indosso  la  gonnella 
E  quei  medesini  giovanili  ornati. 

Che  furo  alla  vezzosa  damigella 

Di  Pinabel,  per  lei  vestir,  levati; 

Ed  avea  il  palafreno  anco  di  quella, 

De'  buon  del  mondo ,  e  degli  avvantaggiati  ; 

La  vecchia  sopra  il  Tartaro  trovosse, 

Che  ancor  non  s'  era  accorta,  che  vi  fosse. 

94.  L'  abito  giovanil  mos?e  la  figlia 
Di  Stordilano,   e  Mandricardo  a  riso, 
Vedendolo  a  colei ,  che  rassomiglia 

A  un  babl)HÌno,  a  un  bertuccione  in  viso. 
Disegna  il  Saracin  torle  la  briglia 
I  Pel  suo  destriero  ,  e  riuscì  1'  avviso. 

Toltogli  il  morso,  il  palafren  minaccia. 
Gli  grida,  lo  spaventa,  e  in  fuga  il  caccia. 

95.  Quel  fugge  per  la  selva,  e  seco  porta 
La  quasi  morta  vecchia  di  paura. 

Per  valli  e  monti ,  e  per  ^ia  dritta  e  torta, 
Per  fossi  e  per  pendi('i  alla  Aentnra. 
Ma  il  parlar  di  costei  sì  non  m'  importa, 
Ch'  io  non  debba  d'  Orlando  aver  piìi  cura. 
Che  alla  sua  sella  ciò,  eh'  era  di  guasto, 
Tutto  ben  racconciò  senza  contrasto. 

96.  Rimontò  sul  destriero ,  e  ste'  gran  pezzo 
A  riguardar,  che  '1  Saracin  tornasse; 

]Nè  '1  vedendo  apparir,  volse  da  sezzo 
Egli  esser  quel  ,  eh'  a  ritrovarlo  andasse. 
IVla,  come  costumato  e  ben  avvezzo. 
Non  prima  il  paladin  quindi  si  trasse. 
Che  con  dolce  parlar ,  grato  e  coi'tese, 
Buona  licenza  dagli  amanti  prese. 

97.  Zerbin  dì  quel  partir  molto  si  dolse  ; 
Di  tenerezza  ne  piagnca  Isabella. 
AOlcano  ir  seco;  ma  il  conte  non  volse 
Lor  compagnia,  bench"  era  buona  e  bella; 
E  con  questa  ragion  se  ne  «lisciolse, 

Che  a  guerrier  non  è  infamia  sopra  quella, 
Che,  quando  cerchi  un  suo  nemico,  prenda 
Compagno,  che  1'  ajuti,  e  che  "1  difenda, 

98.  Li  pregò  poi ,  che,  quando  il  Saracino, 
Primachè  in  lui ,  si  riscontrasse  in  loro, 
Gli  dicesser,  che  Orlando  avria  vicino 
Ancor  tre  giorni  per  quel  tenitoro  ; 

Ma  che  dopo  sar<!bbe  il  suo  cammino 
Aerso  le  'usegne  de'   bei  gigli  d'  oro. 
Per  esser  con  l'  esercito  di  Carlo  ; 
Perchè,  volendol,  sappia,  onde  chiamarlo. 

9f).      Quelli  promiser  farlo  volentieri, 

E  ijuesta,  e  ogni  altra  cosa  al  suo  comando. 

l'eroi!  camuiiu  diverso  i  (a\alieri. 

Di   «pia  /crbiiio.  e  di   là  il  conte  Orlando. 

Primachè  pigli  il  ccuitc  altri  sentieri. 

All'  arbor  fols<;,  e  a  sé  ripose  il  brando, 

l'I,  dove  iiief;lio  col  jìiigan  pensosse 

Di  potersi  incontrarti,   il  destrier  mosse. 

<i((.      Lo  strano  «orso,  «hi!  teiuH!  il  cavallo 
Del  Sara«in ,  p«'l  b«)sco  s«'ir/.a  ^ ia, 
l'ccf,  «'II'  Orlando  andò  duo  giorni  in  fallo, 
\è  lo  trovò  ,  ni:  |)ot«'  a\«'riie  spia, 
(iiiinse  ad  un  rivo,  «In!  pan-a  cri>fallo, 
\illc  «ni  spond«;  un  bel   pratel   lioria, 
ni  nativo  «Milor  vago  «;  di|)iiito, 
E  di  molli  e  begli  arbori  distinto. 


102 


101.      II  merigge  facea  grato  lo  rezzo 

AI  duro  armento,  ed  al  pastore  ignudo 
Sicché  né  Orlando  senlia  alcun  ribrezzo 
Che  la  corazza  avea,  1'  elmo  e  lo  scudc). 
Quivi  egli  entrò  per  riposarvi  in  mezzo, 
E  v'  ebbe  travaglioso  albergo  e  crudo, 
E  più,  che  dir  si  possa,  empio  soggiorno, 
Queir  infelice  e  sfortunato  giorno. 

^  olgendosi  ivi  intomo ,  vide  scritti 
Molti  arboscelli  in  sull'  ombrosa  riva. 
Tostoché  fermi  v'  ebbe  gli  occhj  e  fìtti. 
Fu  certo,  esser  di  man  della  sua  diva. 
Questo  era  un  di  quei  luoghi  già  descritti, 
Ove  sovente  con  3Iedor  veniva. 
Da  casa  del  pastore,  indi  vicina, 
La  bella  donna  del  Catai  regina. 

103.  Angelica  e  3Iedor  con  cento  nodi 
Legati  insieme,  e  in  cento  luoghi  vede. 
Quante  lettere  son,  tanti  son  chiodi. 

Co'  quali  amore  il  cor  gli  punge  e  fiede. 
^a  col  pensier  cercando  in  milie  modi 
Non  creder  quel,  che  al  suo  dispetto  crede: 
Ch'  altra  Angelica  sia,  creder  .-i  sforza, 
Ch'  abbia  scritto  il  suo  nome  in  quella  scorza. 

104.  Poi  dice:  Conosco  io  pur  queste  note; 
Di  tali  io  n'  ho  tante  vedute  e  lette. 
Finger  questo  Medoro  ella  si  puote; 
Forse  eh'  a  me  quest»)  cognome  mette. 
Con  tali  opinion  dal  ver  remote, 
Usando  fraude  a  sé  medesmo,   stette 
Nella  speranza  il  mal  contento  Orlando, 
Che  si  seppe  a  sé  stesso  ir  procacciando. 

103.      Ma  sempre  più  raccende  e  più  rinnova, 
Quanto  spegner  più  cerca  il  rio  sospetto; 
Come  1'  incauto  aiigel,  «he  si  ritrova 
In  ragna,  o  in  vis(;o  aver  dato  dì  petto. 
Quanto  più  batte  I'  ale,  e  più  si  prova 
Di  disbrigar,  più  vi  si  lega  stretto. 
Orlando  viene,  «»ve  s'  incurva  il  monte 
A  guisa  d'  arco  in  sulla  chiara  fonte. 

100.     Avevano  in  sull'  entrata  il  luogo  adorno, 
Co'  piedi  storti,  edere  e  viti  erranti. 
Quivi  solcano,  al  più  cocente  giorno. 
Stare  abbracciati  i  duo  felici  amanti. 
'i  '  aveano  i  nomi  lor  dcnlro  e  d'  intorno. 
Più  che  in  altro  «le'  luoghi  cii«()s.tanti. 
Scritti,  qiial  con  carbone,  e  qual  con  gesso. 
E  qual  c«Mi  punte  «li  coltelli  impresso. 

107.  Il  mesto  ccuite  a  pie  qiii\i  «lis«-cse, 
E  vi«le  in  siilT  entrala  dilla  grotta 
l'arole  assai,  che  di  siiu  man  di^lese 
Mediu-o  avea,  che  parean  .xritte  alhitta. 
Del  gr.iu  piacer,  «he  lu-lia  grotta   prese, 
Questa  sentenza  in  ver>i  avea  ridotta. 

Che  fos.v«-  (-ulta  in  mio  linguaggio,  io  penso, 
Ed  era  nella  nostra  tale  il  senso: 

108.  Li«tc  piante,  verdi  erbe,  limpid'  acque, 
Spcioiii-a  o|),ic.i  ,  e  di  IVcdilc  ombre  grata, 
Dine  la  bella    \iig(lica.  ilu!  nacque 

Di  (iiilal'ron,  «la  molli  invano  amala, 
Sp«'sM)  in-llc  mie  brat  (  ia  nuda  giacque, 
D«'lla  «iniKidiià.  ebe  (|ni  in"  è  data. 
Io  poveni   ìlnlof  ricoiiipcnsan  i 
D'  altro  non  posso,  cJie  «1'  ognor  lodarvi, 

20 


[307] 


ORLANDO  FURIOSO.    (XXIII.  109-124) 


_[308]ì 


109.  E  dì  pregare  ogni  signore  amante, 
E  cavalieri  e  damigelle,  e  ognuna 
Perdona  ,  o  paesana ,  o  riandante, 
Che  qui  sua  volontà  meni ,  o  fortuna, 

Ch"  all'  erba,  all'  ombra,  all'  antro,  al  rio,  alle  piante 

Dica  :  Benigno  abbiate  e  sole  e  luna  ! 

E  delle  ninfe  il  coro ,  che  provveggia. 

Che  non  conduca  a  voi  pastor  mai  greggia  ! 

110.  Era  scritto  in  arabico,   che  '1  conte 
Intendca  cosi  ben  ,  come  latino. 

Fra  molte  lingue  e  molte ,  eh'  avea  pronte, 

Prontissima  a^ea  quella  il  paladino, 

E  gli  schivò  più  volte  e  danni  ed  onte. 

Che  si  trovò  tra  il  popol  Saracino. 

Ma  non  si  vanti ,  se  già  n'  ebbe  frutto  ; 

Ch'  un  danno  or  n'ha,  che  può  scontargli  il   tutto. 

111.  Tre  volte ,  e  quattro ,  e  sei  lesse  lo  scritto 
Queir  infelice,  e  pur  cercando  invano, 
Che  non  vi  fosse  quel ,  che  v'  era  scritto, 
E  sempre  lo  vedea  più  chiaro  e  piano  ; 

Ed  ogni  volta  in  mezzo  il  petto  afllitto 
Stringersi  il  cor  sentia  con  freddii  mano. 
Rimase  alfin  con  gli  occhj  e  con  la  mente 
Fissi  nel  sasso ,  al  sasso  indifferente. 

112.  Fu  allora  per  uscir  del  sentimento  ; 
Si  tutto  in  preda  del  dolor  si  lassa! 
Credete  a  chi  n'  ha  fatto  esperimento, 

Che  questo  è  il  duol ,  che  tutti  gli  altri  passa. 
Caduto  gli  era  sopra  il  petto  il  mento. 
La  fronte  priva  di  baldanza,  e  bassa; 
3\è  potè  aver  (che  '1  duol  1'  occupò  tanto) 
Alle  querele  voce,  umore  al  pianto. 

113.  L'  impetuosa  doglia  entro  rimase. 
Che  volea  tutta  uscir  con  troppa  fretta. 
Così  veggiam  restar  1'  acqua  nel  a  asc. 

Che  largo  il  ventre,  e  la  l)occa  abbia  stretta; 

Che  nel  voltar ,  che  si  fa  in  sulla  base, 

L'  umor,  che  vorria  uscir,  tanto  s'  affretta, 

E  neir  angusta  via  tanto  s'  intrica. 

Che  a  goccia  a  goccia  fuor  esce  a  fatica. 

114.  Poi  ritorna  in  sé  alquanto ,  e  pensa ,  come 
Possa  esser,  die  non  sia  la  cosa  vera; 

Che  voglia  alcun  cosi  infamare  il  nome 
Della  sua  donna,  e  crede  e  brama  e  spera: 
O  graA  ar  lui  d'  insn|)portabil  some 
Tanto  di  gelosia,   che  se  ne  pera, 
Ed  abbia  quel ,  sia  chi  si  voglia  stato. 
Molto  la  man  di  lei  bene  imitato. 

115.  In  cosi  poca ,   in  cosi  debol  speme 
Sveglia  gli  spirti,  e  li  rinfranca  un  poco. 
Indi  al  suo  lirigliadoro  il  dosso  preme. 
Dando  già  il  sole  alla  sorella  loco. 

^on  molto  va,  che  dalle  vie  supreme 
De'  tetti  uscir  vede  il  vapor  del  foco. 
Sente  cani  abliajar,  muggire  armento, 
Viene  alla  villa,  e  piglia  alloggiamento. 

Ufi.      lianguido  smonta,  e  lascia  IJrigliailoro 
A  un  (li-creto  garzon ,  che  n'  abbia  <;ura: 
Altri  il  disarma,  altri  gli  s|)roni  d'  oro 
Gli  leva,  altri  a  forbir  va  1"  armatura. 
Era  questa  la  i  iifiu  ,  ove  Medoro 
Giacque  ferito,  «;  v'  elilie  alta  avventura. 
Colcarsi  Orlando,  e   non  n^nar  domanda, 
Di  dolor  sazio ,  e  non  d'  altra  vivanda. 


117. 


Quanto  più  cerca  ritrovar  quiete, 
Tanto  ritrova  più  travaglio  e  pena  ; 
Che  dell'  odiato  scritto  ogni  parete, 
Ogni  uscio ,  ogni  finestra  vede  piena. 
Chieder  ne  vuol ,  poi  tien  le  labbra  chete  ; 
Che  teme  non  si  fcir  troppo  serena, 
Troppo  chiara  la  cosa,  che  di  nebbia 
Cerca  offuscar,  perchè  men  nuocer  debbia. 


118 


Poco  gli  giova  usar  fraude  a  sé  stesso  ; 
Che,  senza  domandarne,  è  chi  ne  parla. 
Il  pastor ,  che  lo  vede  cosi  oppresso 
Di  sua  tristizia ,  e  che  vorria  levarla, 
L'  istoria  nota  a  sé ,  che  dicea  spesso, 
Di  quei  duo  amanti ,  a  chi  volea  ascoltarla. 
Che  a  molti  dilettevole  fu  a  udire. 
Gì'  incominciò  senza  rispetto  a  dire, 

119.  Come  esso,  a'  preghi  d'  Angelica  bella, 
Portato  avea  Medoro  alla  sua  villa, 

Ch  era  ferito  gravemente,  e  eh'  ella 
Curò  la  piaga ,  e  in  pochi  dì  guarilla  ; 
Ma  che  nel  cor  d'  una  maggior  di  quella 
Lei  feri  Amore,  e  di  poca  scintilla 
Le  accese  tanto  e  si  cocente  foco, 
Che  n'  ardea  tutta ,  e  non  troA  ava  loco  ; 

120.  E  senza  aver  rispetto ,  eh'  ella  fusse 
Figlia  del  maggior  re ,  eh'  abbia  il  Levante, 
Da  troppo  amor  costretta,  si  condusse 

A  farsi  moglie  d'  un  povero  fante. 

All'  ultimo  r  istoria  si  ridusse, 

Che  '1  pastor  fé'  portar  la  gemma  innante. 

Che  alla  sua  dipartenza,  per  mercede 

Del  buon  albergo.  Angelica  gli  diede. 

121.  Questa  conclusion  fu  la  secure. 

Che  '1  capo  a  un  colpo  gli  levò  dal  collo, 
Poiché  d'  innumerabil  battiture 
Si  vide  il  manigoldo  Amor  satollo. 
Celar  si  studia  Orlando  il  duolo,  e  pure 
Quel  gli  fa  forza,  e  male  asconder  puoUo; 
Per  lacrime  e  sospir ,  da  bocca  e  d'  oc(  hj 
Convien ,  voglia  o  non  voglia ,  alOn  che  scocchi 

122.  Poich'  allargare  il  freno  al  dolor  puote,  I 
i          Che  resta  solo,  e  senza  altrui  rispetto, 

!  Giù  dagli  occbj  rigando  per  le  gote 

'  Sparge  un  fiume  di  lacrime  sul  petto. 

Sospira  e  geme ,  e  va  con  spesse  ruote  [ 

Di  qua,  di  là  tutto  cercando  il  letto; 

E  più  duro  che  un  sasso ,  e  più  pungente, 

Che  se  fosse  d'  urtica ,  se  lo  sente. 

123.  In  tanto  aspro  travaglio  gli  soccorre, 
Che  nel  medesmo  letto ,  in  che  giaceva, 
L'  ingrata  donna  venutasi  a  porre 

Col  suo  drudo  più  volte  esser  doveva. 

Non  altramente  or  quella  piuma  abborrc, 

Ké  con  minor  prestezza  se  ne  leva. 

Che  dell'  erba  il  villan,  che  s'  era  messo 

Per  chiuder  gli  occhj,  e  vegga  il  serpe  approdo 

124.  Quel  letto,  quella  casa,  quel  pastore 
Imuiantinente  in  tant'  odio  gli  casca, 

Che ,  senza  aspettar  luna  ,  u  che  1'  albore. 
Che  va  dinanzi  al  nuovo  giorno ,  nasca. 
Piglia  r  arme  e  '1  destriero  ,  ed  esce  fuore 
Per  mez/.o  il  bosco  alla  più  oscura  frasca; 
E  quando  poi  gli  è  avviso  d'  esser  solo. 
Con  gridi  ed  urli  apre  le  porte  al  duolo. 


[309] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXIU.  126  —  136) 


[310] 


125.  Di  pianger  mai ,  mai  di  gridar  non  resta, 
Nò  la  notte ,  né  '1  dì  si  dà  niiii  pace, 
Fugge  cittadi  e  borghi,  e  alla  foresta 

Sul  terren  duro  al  discoperto  giace. 
Di  sé  si  maraviglia,  che  abbia  in  testa 
Una  fontana  d'  acqua  si  vivace, 
E  come  sospirar  possa  mai  tanto, 
E  spesso  dice  a  sé  così  nel  pianto  : 

126.  Queste  non  son  più  lacrime ,  che  f uore 
Stillo  dagli  occhj  con  sì  larga  vena. 
Non  suppliron  le  laciime  al  dolore; 
Finir,  clie  a  mezzo  era  il  dolore  appena. 
Dal  fuoco  spinto  ora  il  vitale  umore 
Fugge  per  quella  via ,  che  agli  occlìj  mena  ; 
Ed  é  quel ,  che  si  versa ,  e  trarrà  insieme 

E  '1  dolore  e  la  vita  all'  ore  estreme. 

127.  Questi,  che  indizio  fan  dei  mio  tormento, 
Sospir  non  sono ,  né  i  sospir  son  tali. 
Quelli  han  tregua  talora;  io  mai  non  sento 
Che  '1  petto  mio  meii  la  sua  pena  esali. 
Amor,  che  m'  arde  il  cor,  fa  questo  vento, 
Mentre  dibatte  intorno  al  fuoco  1'  ali. 
Amor,  con  che  miracolo  lo  fai, 

Che  'n  fuoco  il  tenghi ,  e  noi  consumi  mai  ? 

128.  Non  son ,  non  sono  io  quel ,  che  pajo  in  viso. 
Quel ,  eh'  era  Orlando ,  è  morto  ed  é  sotterra  : 
La  sua  donna  ingratissima  I'  ha  ucciso  ; 

Sì,  mancando  di  fé' ,  gli  ha  fatto  guerra  ! 
Io  son  lo  spirto  suo  da  lui  diviso, 
Che  in  quest'  inferno  tormentandosi  erra, 
Perché  con  1'  cnnbra  sia,  che  sola  avanza. 
Esempio  a  chi  in  amor  pone  speranza. 

129.  Pel  bosco  errò  tutta  la  notte  il  conte; 
E  allo  spuntar  della  diurna  fiamma, 

Ij«»  tornò  il  suo  destin  sopra  la  fonte, 
Dove  Medoro  isculse  1'  epigrainina. 
Veder  1'  ingiuria  sua  scritta  nel  nu)nte 
L'  accese  sì,  che  in  lui  non  re^tò  dramma. 
Che  non  fosse  odio,  rabbia,  ira  e  furore; 
Né  più  indugiò ,  che  trasse  il  brando  fuore. 

130.  Tagliò  lo  scritto  e  '1  sasso,  e  fino  al  cielo 
A  volo  alzar  fé'  le  ininutc  schegge. 
Infelice  queir  antro ,  ed  ogni  stelo. 

In  cui  Medoro  e  Angelica  si  legge  ! 
('osi  restar  quel  di,  eh'  ombra,  né  gelo 
A  pastor  mai  non  daraii  più  ,  né  a  gregge; 
E  quella  fonte,  già  sì  chiara  e  pura, 
Da  cotanta  ira  fu  poco  sicura  : 


131, 


132, 


133. 


il34 


135. 


136. 


Che  rami  e  ceppi ,  e  tronchi ,  e  sassi     e  zolle 
Non  cessò  di  gittar  nelle  beli'  onde, 
Finché  da  sommo  ad  imo  sì  turbolle, 
Che  non  furo  mai  più  chiare,  né  monde. 
E ,  stanco  alfin ,  e  allln  di  sudor  molle. 
Poiché  la  lena  vinta  non  risponde 
Allo  sdegno ,  al  grave  odio ,  all'  ardente  ira. 
Cade  sul  prato ,  e  verso  il  ciel  sospira. 

Afflitto  e  stanco  alfin  cade  nell'  erba, 
E  ficca  gli  occhj  al  cielo,  e  non  fa  motto. 
Senza  cibo  e  dormir  così  si  serba. 
Che  '1  sole  esce  tre  volte ,  e  torna  sotto. 
Di  crescer  non  cessò  la  pena  acerba. 
Che  fuor  del  senno  alfin  1'  ebbe  condotto. 
Il  quarto  dì ,   da  gran  furor  commosso, 
E  maglie  e  piastre  si  stracciò  di  dosso. 

Qui  riman  1'  elmo,    e  là  riman  lo  scudo, 
Lontan  gli  arnesi,  e  più  lontan  1'  usbergo; 
L'  arme  sue  tutte ,  in  somma  vi  concludo, 
Avean  pel  bosco  difTerente  albergo. 
E  poi  si  squarciò  i  panni,  e  mostrò  ignudo 
L'  ispido  ventre ,  e  tutto  '1  petto  e   1  tergo  ; 
E  cominciò  la  gran  follia  sì  orrenda, 
Che  della  più  non  sarà  mai  chi  'ntenda. 

In  tanta  rabbia,  in  tanto  furor  venne. 
Che  rimase  <»fliiscato  in   ogni  senso. 
Di  tor  la  spada  in  man  non  gli  *ov~*enne, 
Che  fatte  a^  ria  mirabil  cose  ,  penso. 
Ma  né  quella ,  né  scure ,  né  bipenne 
Era  bisogiu)  al  suo  vigore  immenso. 
Quivi  fé'  ben  delle  sue  prove  ecc^else; 
Che  un  alto  pino  al  primo  crollo  svelse: 

E  svelse,  dopo  il  primo,  altri  parecchj, 
Come  fosser  finocclij,  ebuli ,   o  aneti; 
E  fé'  il  siniil  di  querce,  e  d'  olmi  vecchj. 
Di  faggi  e  d'  orni  e  d'  ilici  e  d'  abeti. 
Quel  eh'  un  uccellator,  che  s'  apparecchi 
Il  campo  mondo,  fa,  per  por  le  reti. 
De'  giunchi,  e  delle  stoppie,  e  dell'  urtiche, 
Facea  di  ccrri  e  d'  nltre  piante  antiche. 

I  pastor ,  che  sentito  hanno  il  fracasso, 
La^ciando  il  gregge  sparso  alla  foresta. 
Chi  di  qua,  chi  di  là,   tutti  a  gran  passo 
Ai  ■\eiigono  a  veder,  che  cosa  è  questa. 
Ma  son  giunto   a  quel  seguo,  il  (jual  s"  io  pa^^o. 
Vi  potria  la  mia  istoria  e^ser  mole^ta  ; 
Ed  io  la  v(t'  piutto^to  dillVrire, 
Che  v'  abbia  per  liuighezza  a  fastidire. 


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ORLANDO  FURIOSO.     (XXIV.    1—12) 


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CANTO     VENTESIMOQUARTO. 


ARGOMENTO. 

H  cortese  Zcrbin  benignamente 
Grato  pcrdon  concede  ad  Odorico. 
Per  la  spada  fZ'  Orlando  arditamente 
JNe  mvor  per  man  del  Tartaro  nimico. 
Con  Rodomonte  poi  di  sdegno  ardente 
Combatte,  e  al/in  desio  di  gloria  amico, 
Tratti  ad  un  messo  a  lor  venuto  avante. 
Ambi  spinge  in  ajuto  d'  Argamante. 


1.  Clii  mette  il  pie  sull'  amorosa  pania, 
Cerchi  ritrarlo ,   e  non  \'  invet^chi  1'  ale  ! 
Che  non  è  in  somma  amor ,  se  non  insania, 
A  giudizio  de'  savj  universale: 

E  sebhen ,  come  Orlando,  ognun  non  smania, 
Suo  furor  mostra  a  qualche  altro  segnale. 
E  quale  è  di  pazzia  segno  più  espresso, 
Che ,  per  altri ,  voler  perder  sé  stesso  ? 

2.  ,  Varj  gli  effetti  son,  ma  la  pazzia 
E  tutt\  una  però,  che  li  fa  uscire. 

Gli  è  come  una  gran  selva,  ove  la  via 
Conviene  a  forza,  a  chi  vi  va,  fallire. 
Chi  su ,  chi  giù  ,  chi  qua ,  chi  là  travia. 
Per  concludere  ia  somma ,   io  vi  vo'  dire, 
A   chi  in  amor  s'  inveccliia ,  oltre  ogni  pena. 
Si  convengono  i  ceppi  o  la  catena. 

3.  Ben  mi  si  potria  dir:  Frate,  tu  vai 

L'  altrui  mostrando,  e  non  vedi  il  tuo  fallo. 

10  vi  rispondo ,  che  comprendo  assai 
Or,  che  di  mente  ho  lucido  intervallo: 
Ed  ho  gran  cura,  e  spero  farh)  ouiai, 
Di  riposarmi,  e  d'  uscir  fuor  di  hallo; 
]\Ia  tosti»  far,  come  vorrei,  noi  posso. 
Che  'i  nulle  è  penetrato  infin  all'  osso. 

4.  Signor,  neir  altro  canto  io  vi  dicea. 
Clic  '1  forsennato  e  fiuioso  Orlando 
trattesi  1'  arme,  e  siiarse  al  campo  avea. 
Squarciati  i  |)anni ,  e  via  gittato  il  brando, 
S\elte  le  piante ,  e  risonar  facea 

I  cavi  sassi,  e  V  alte  sel\e,  quiindo 
Alcun  ])asfori  al  simn  trasse  in  quel  Iato 
Lor  btelhi ,  o  qualche  lor  grave  peccato. 

5.  A  iste  del  ]>azzo  1'  iiu^redibil  prove 
Poi  |)iù  appresso,  e  la  possanza  estrema, 
Si  Aoltan  |)cr  fuggir,   ma  non  sanno  ove, 
Sic  come  av>iene  in  snhilaua  tema. 

11  pazzo  dielro  lor  ratto  si  muove. 
Uno  ne  piglia,  e  del  v.ì\h>  lo  scema, 
('on  la  fai'ililà,  che  torcia  alciuio 

Dall'  arhor  pome,  o  vago  fior  da!  pruno. 


6.  Per  una  gamba  il  grave  tronco  prese, 
E  quello  usò  per  mazza  addosso  al  resto. 
In  terra  un  pajo  addormentato  stese, 
Che  al  novissimo  di  forse  fia  desto. 

Gli  altri  sgombraro  subito  il  paese, 

Ch'  ebbono  il  piede,  e  il  buon   avviso  presto. 

Kon  saria  stato  il  pazzo  a  seguir  lento. 

Se  non  eh'  era  già  volto  al  loro  armento. 

7.  Gli  agricoltori ,  accorti  agli  altru'  esempli, 
Lascian  nei  campi ,  aratri  e  marre ,  e  falci  ; 
Chi  monta  sulle  case,  e  chi  su  i  templi, 
(Poiché  non  son  sicuri  olmi,  né  salci) 
Onde  r  orrenda  furia  si  contempli. 

Che  a  pugni,  ad  urti,  a  morsi,  a  graffi,  a  calci, 

Cavalli  e  buoi  romjìc,  fracassa  e  strugge; 

E  ben  é  corridor  chi  da  lui  fugge.  l 

8.  Già  potreste  sentir,  come  rimbombe 

L'  alto  rumor  nelle  propinque  ville,  ; 

D'  urli  e  di  corni    e  rusticane  trombe, 

E  più  spesso,  che  d'  altro,  il  suou  di  squille; 

E  con  spuntoni,  ed  archi,  e  spiedi,  e  frombe, 

Veder  dai  monti  sdrucciolarne  mille. 

Ed  altrettanti  andar  da  basso  ad  alto, 

Per  fare  al  pazzo  un  villanesco  assalto. 

9.  Qual  venir  suol  nel  salso  lito  1'  onda. 
Mossa  dall  '  austro ,  che  a  principio  scherza, 
Che  maggior  della  prima  è  la  seconda, 

E  con  i)iù  forza  poi  segue  la  terza. 
Ed  ogni  volta  più  1'  umore  abbonda, 
E  nell'  arena  più  stende  la  sferza: 
Tal  contra  Orlando  1'  empia  turba  cresce. 
Che  giù  da  balze  scende,  e  di  valli  esce. 

10.  Fece  morir  dicce  persone  e  diece. 

Che  senza  ordine  alcun  gli  andaro  in  mano; 

E  questo  chiaro  esperimento  fece, 

Ch'  era  assai  più  sicur  starne  lontano. 

Trar  sangue  da  quel  corpo  a  nessun  lece. 

Che  lo  fere  e  percuote  il  ferro  invano. 

Al  conte  il  Re  del  cìei  tal  grazia  diede,  i 

Per  porlo  a  guardia  di  sua  santa  fede. 

11.  Era  a  periglio  di  morire  Orlando, 
Se  fosse  di  morir  stato  capace  : 

Potea  imparar,  eh'   era  a  gittare  il  brando, 
E  poi  voler  senz'  arme  esser  audace. 
La  turba  già  s'  andava  ritirando. 
Vedendo  «)gni  suo  colpo  uscir  fallace. 
Orlando,  poi<;hè  più  nessun  1'  attende. 
Verso  un  borgo  di  case  il  cammiu  prende. 

12.  Dentro  non  vi  trovò  picciol,  nò  grande; 
Che  'I  borgo  ognun  per  tema  avea  lasciato. 
V  erano  in  copia  povere  vivande, 
Convcni(!nti  a  un  pastorale  stato. 

Senza  il  pane  disccrner  dalle  ghiande, 
Dal  digiuno  e  dall'   imix^to  (taccialo. 
Le  mani  e  il  dente  lasciò  andar  di  botto 
In  quel,  che  trovò  prima,  o  crudo,  o  cotto. 


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ORLANDO  FURIOSO.     (XXIV.    13-28) 


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13.  E  quindi,  errando  per  tutto  il  paese, 
Dava  la  caccia  e  agli  uomini ,  e  alle  fere  ; 
E  scorrendo  pe'  boschi ,  talor  prese 

I  capri  snelli ,  e  le  damme  leggiere  : 
Spesso  con  orsi  e  con  cinghiai  contese, 
E  con  man  nude  li  pose  a  giacere, 
E  di  lor  carne,  con  tutta  la  spoglia. 
Più  volte  il  ventre  empì  con  fiera  voglia. 

14.  Di  qua,  di  là,  di  su,  di  giù  discorre 

Per  tutta  Francia ,  e  un  giorno  a  un  ponte  arriva. 

Sotto  cui  largo  e  pieno  d'  acqua  corre 

Un  fiume  d'  alta  e  discoscesa  riva. 

Edificato  accanto  avea  una  torre. 

Che  d'  ogni  intorno  di  lontan  scopriva. 

Quel  che  fé'  qui ,  avete  altrove  a  udire. 

Che  di  Zerbin  mi  con^ien  prima  dire. 

15.  Zerbin,  dappoiché  Orlando  fu  partito. 
Dimorò  alquanto  ,  e  poi  prese  il  sentiero, 
Che  '1  paladino  innanzi  gli  avea  trito, 

E  mosse  a  passo  lento  il  suo  destriero. 
Non  credo,  che  due  miglia  anco  fosse  ito, 
Che  trar  vide  legato  un  cavaliero 
Sopra  un  piccol  ronzino,  e  d'  ogni  lato 
La  guardia  aver  d'  un  cavaliero  armato. 

16.  Zerbin  questo  prigion  conobbe  tnsto 
Che  gli  fu  appresso,  e  così  fé'  Isabella. 
Era  Odorico  il  Bi,->caglin ,  che  posto 

Fu  come  lupo  a  guardia  dell'  agnella. 
L'  avea  a  tutti  gli  amici  suoi  preposto 
Zerbino,  in  confidargli  la  donzella, 
Sperando ,  che  la  fede ,  che  nel  resto 
Sempre  avea  avuta,  avesse  ancora  in  questo. 

17.  Come  era  appunto  quella  cosa  stata, 
Venia  Isabella  r.iccontando  allotta; 
Come  nel  palischermo  fu  sahata, 
Primach'  avesse  il  mar  la  nave  rotta  ; 
La  forza,  che  le  avea  Odorico  usata, 
E  come  tratta  poi   fosse  alla  grotta. 

]Nè  giunta  era  anco  al  fin  di  quel  sermone. 
Che  trarre  il  malfattor  vider  prigione. 

18.  I  duo,   che  in  mezzo  avcan  preso  Odorico, 
D'  Isabella  notizia  ebbono  vera, 

E  s'  avvisaro  esser  di  lei  1'  amico, 

E  '1  signor  lor,  colui  che  a|)presso  1'  era; 

Ma  più,  che  n(;IIo  scudo  il  segno  antico 

Mder  dipinto  di  sua  stirpe  altera; 

E  troAi'ir,  poidiè  guardar  meglio  al  viso, 

Che  s'  era  al  vero  apposto  il  loro  avviso. 

19.  Saltaro  a  piedi,  e  con  aperte  braccia 
Correndo  se  n'  andar  verso  Zerltino, 

E  r  abliracciaro ,  ove  'I  maggior  s'  abbraccia. 
Col  (-ajio  nudo,  e  col  ginocciiio  chino. 
Zerbin  guardando  I'  uno  e  V  altro  in  faccia^ 
Vide  esser  1'  \in  Corebo  il  Itiscaglino, 
Almonii)  r  altro,  eh'  egli  avea  mandati 
Con  Odorico  in  sul  naviglio  armati. 

20.  Alnionìo  disse:  Poiché  piace  a  Dio, 
La  sua  mercè  ,  che  si.i  Isabella  Irro, 
lo  posso  ben  comprender,  signor  mit>, 
(/'he  inilia  cosa  nova  ora  t'  arn-co, 

S'  il»  vo'  dir  la  cagiou  ,  cIk;  que-to  rio 
Fa,  rhr.  così  legato  vedi  mirro; 
Che  da  costei ,  che  più  si  liti  V  «illesa, 
Appunto  a>rai  tutta  1'  istoria  intesa. 


21.  Come  dal  traditore  io  fui  schernito. 
Quando  da  sé  levomrai,  saper  dei, 

E  come  poi  Corebo  fu  ferito. 

Che  a  difender  s'  avea  tolto  costei. 

Ma  quanto  al  mio  ritorno  sia  seguito, 

IVè  veduto,  né  inteso  fu  da  lei. 

Che  te  r  abbia  potuto  riferire; 

Di  questa  parte  dunque  io  ti  vo'  dire. 

22.  Dalla  cittade  al  mar  ratto  io  veniva 
Con  cavalli ,  (^he  in  fretta  avea  trovati. 
Sempre  con  gli  occhj  intenti,  s'io  scopriva 
Costor,  che  molto  addietro  eran  restati. 

Io  vengo  innanzi ,  io  vengo  in  sulla  riva 
Del  mare ,  al  luogo ,  ove  gli  avea  lasciati  ; 
Io  guardo,  né  di  loro  altro  ritrovo. 
Che  nell'  arena  alcun  vestigio  novo. 

23.  La  pesta  seguitai,  che  mi  condusse 
Nel  bosco  fier;  né  molto  addentro  fui. 
Che,  dove  il  suon  1'  orreccliie  mi  percusse. 
Giacere  in  terra  ritrovai  costui. 

Gli  domandai,  che  della  donna  fusse, 
Che  d'  Odorico ,  e  chi  avea  offeso  lui. 

10  me  n'  andai ,  poiché  la  cosa  seppi, 

11  traditor  cercando  per  quei  greppi. 

24.  Molto  aggirando  vommi,  e  per  quel  giorno 
Altro  vestigio  ritrovar  non  posso. 

Dove  giacca  Corebo ,  alfiu  ritorno. 

Che  fatto   appresso  avea  il  terren  sì  rosso, 

Che ,  poco  più ,  che  vi  facea  soggiorno, 

Gli  saria  stato  di  bisogno  il  fosso, 

E  i  jireti  e  i  frati  piii  per  sotterrarlo, 

Che  i  medici  e  che  '1  letto ,  per  sanarlo. 

25.  Dal  bosco  alla  città  feci  portallo, 

E  posi  in  casa  d'  un  ostier,  mio  amico, 
Che  fatto  sano  in  poco  tciinine  hallo. 
Per  cura  ed  arte  d'  un  chirurgo  antico. 
Pili,  d'  arme  provveduti,  e  di  cavallo, 
Corebo  ed  io  cercammo  d'  Odorico, 
Che  in  corte  del  re  All'oiiso  di  liiscaglia 
Trovammo,  e  qui\i  fui  seco  a  battaglia. 

26.  La  giustizia  del  re,  che  il  loco  franco 
Della  pugna  mi  diede,  e  la  ragione. 

Ed  oltre  alla  ragion  la  fortuna  anco, 
Che  spesso  la  vittoria,    o^e  a  noi,  pone. 
Mi  gioxàr  si,    che  di  iim  potè  manco 
Il  traditore;  onde   fu  mio  prigione. 
Il  re,  udito  il  gran  fallo,  mi  concesse 
Di  poter  farne  quanto  mi  piacesse. 

27.  Non  1'  ho  voluto  uccider,  né  lasciarlo, 
Ma,  come  vedi,  trarloti  in  catena; 
Perché  vo'  eh'  a  te  stia  di  gimliciirlo, 
Se  morire ,   o  tener  si  dcAC   in    pena. 

L'  a\«Te  inteso  ,  «-h'  eri  appresso  u  Carlo, 
E    1  de>ir  di   trovarti   qui  mi  mena. 
Hingrazio   Dio,  die  mi  fa  in  qucstii  partC| 
D(Me   lo  sperai  meno,  ora  troMirte. 

28.  Kiiigra/iol  anco,  che  la  tua  Isabella 
Io   A<'ggo  (e  non  so  come),  che  teco  hai, 
Di  cui,  per  opra  del   IVllon,  nocella 
Pensai  vhv  non  aM'ssi  ad  udir  mai. 
Znliiiio  ascolta  Almoiiio,  e  non  favella, 
l'crmaiido  gli  occlij   in  Odorico  assai, 
I\oii  si  per  otiio,  «-onu-clié  j^-l'   incresce, 
Che  a  ti  mal  fin  tanta  amici/.ia  gli  esce. 


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ORLANDO   FURIOSO.     (XXIV.   61-76) 


[320]!' 


61.  Di  prestezza  Zerbin  pare  una  fiamma 
A  torti,  ovunque  Durindana  cada. 

Di  qua,  di  là  saltar,  come  una  dammn, 

Fa  il  suo  destrier,  dov'  è  miglior  la  strada. 

E  ben  convicn,  che  non  ne  perda  dramma; 

Che  andrà,  se  un  tratto  il  coglile  quella  spada, 

A  ritrovar  gì'  innamorati  spirti, 

Ch'  empion  la  selva  degli  ombrosi  mirti. 

62.  Come  il  veloce  can,  che  '1  porco  assalta. 
Che  fuor  del  gregge  errar  vegga  nei  campi. 
Lo  va  aggirando ,  e  quinci  e  quindi  salta. 
Ma  quello  attende,  eh'  una  volta  inciampi: 
Così,  se  vien  la  spada  o  bassa,  od  alta. 
Sta  mirando  Zerbin ,  come  ne  scampi  ; 
Come  la  vita  e  1'  onor  salvi  a  un  tempo. 

Vicn  sempre  1'  occhio,  e  fere,  e  fogge  a  tempo. 

63.  Dall'  altra  parte,  ovunque  il  Saracino 
La  fiera  spada  vibra,  o  piena,  o  vota. 
Sembra  fra  due  montagne  un  vento  alpino. 
Che  una  frondosa  selva  il  marzo  scota; 
Ch'  ora  la  caccia  a  terra  a  capo  chino, 
Or  gli  spezzati  rami  in  aria  ruota. 
Benché  Zerbin  più  colpi  e  fugga  e  sellivi, 
]Von  può  schivare  alfin  ,  eh'  un  non  gii  arrivi. 

64.  Non  può  schivar  alfine  un  gran  fendente, 
Che  tra  '1  brando  e  lo  scudo  entra  sul  petto. 
Grosso  r  Usbergo ,  e  grossa  parimente 

Era  la  piastra,  e  'l  panziron  perfetto: 
Pur  non  gli  stèrrin  contra,  ed  ugualmente 
Alla  spada  crudel  dieron  ricetto. 
Quella  calò  tagliando  ciò  che  prese, 
La  corazza ,  e  1'  arcion  fin  sull'  arnese. 

65.  E,  se  non  che  fu  scarso  il  colpo  alquanto, 
Per  mezzo  lo  fenrica ,  come  una  canna  ; 

Ma  penetra  nel  vivo  apjjena  tanto. 
Che   poco  più  che  la  pelle  gli  danna. 
La  non  profonda  piaga  è  lunga ,  quanto 
Non  si  misureria  con  una  spanna. 
Le  lucid'  arme  il  caldo  sangue  irriga 
Per  sino  al  pie  di  rubiconda  riga. 

66.  Così  talora  un  bel  purpureo  nastro 
Ilo  veduto  partir  tela  d'  argento 

Da  quella  bianca  man  più  che  alabastro, 
Da  <;ni  partire  il  cor  spesso  lui  sento. 
Quivi  poco  a  Zerbin  vale  esser  mastro 
Di  gnerra,  ed  aver  forza,  e  più  ardimento; 
Che  di  finezza  d'  arme,  e  di  possanza 
Il  re  di  Tartaria  tropi)o  1'  avanza. 

67.  Fu  questo  colpo  del  pagan  maggiore 
In  ajjparenza ,  che  fosse  in  (^ll'c^tto  ; 
'J'alch'  Isaliella  se  ne  sente  il  core 
Fendere  in  mezzo  all'  agghiacciato  petto. 
Zerbin,  pien  d'  ardimento  e  di  calore. 
Tutto  s'  infiamma  d'  ira  e  di  dispetto; 

E  quanto  più  ferire  a  due  man  puote, 
In  mezzo  l'  elmo  il   Tartaro  percnotc. 

68.  Qiia>i  snl  collo  del  de>trier  piegosso, 
Per  1'  a-pra  botta,  il  Saracin  superbo; 
E,  quando  V  elmo  senza  incanto   fosse, 
Partito  il  capo  gli  avria   il  colpo  acerbo. 
Con  poco  diIVcrir  ben  vendicosse, 

IVè  dis-e:  A  un'  altra  ^oUa   io  te  la  serbo; 
E  la  spada  gli  al/ò  v(mvo  1'  elmetto, 
Sperandoci  tagliarlo  inlino  al  petto. 


69.  Zerbin,  che  tenea  1'  occhio,  ove  la  mente, 
Presto  il  cavallo  alia  man  destra  volse; 
Non   sì  presto  però  ,  che  la  tagliente 

Spada  fuggisse,  che  Io  scudo  colse. 
Da  sommo  ad  imo  ella  il  partì  ugualmente, 
E  di  sotto  il  braccial  ruppe  e  disciolse, 
E  lui  ferì  nel  braccio,  e  poi  l'  arnese 
Spezzogli ,  e  nella  coscia  anco  gli  scese. 

70.  Zerbin  di  qua,  di  là  cerca  ogni  via, 

Né  mai  di  quel,  che  vuol,  cosa  gli  avviene; 
Che  r  armatura ,  sopra  cui  feria, 
Un  picciol  segno  pur  non  ne  ritiene. 
Dall'  altra  parte  il  re  di  Tartaria 
Sopra  Zerbino  a  tal  vantaggio  viene. 
Che  r  ha  ferito  in  sette  parti,  o  in  otto, 
Tolto  lo  scudo,  e  mezzo  F  elmo  rotto. 

71.  Quel  tuttavia  va  più  perdendo  il  sangue: 
Manca  la  forza,  e  ancor  par  che  noi  senta. 
Il  vigoroso  cor,  che  nulla  langue, 

Val  sì,  che  '1  debil  corpo  ne  sostenta. 
La  donna  sua,  per  timor,  fatta  esangue, 
Intanto  a  Doralice  s'  appresenta, 
E  la  prega  e  la  supplica  per  Dio, 
Che  partir  voglia  il  fiero  assalto  e  rio. 

72.  Cortese,  come  bella,  Doralice, 
Né  ben  sicura,  come  il  fatto  segua, 
Fa  volentier  quel ,  eli'  Isabella  dice, 

E  dispone  il  suo  amante  a  pace  e  a  tregua. 
Così,  a'  preghi  dell'  altra,  l'  ira  ultricc 
Di  cor  fugge  a  Zerbino,  e  si  dilegua. 
Ed  egli,  ove  a  lei  par,  piglia  la  strada, 
Senza  finir  1'  impresa  della  spada. 

73.  Fiordiligi,  che  mal  vede  difesa 
La  buona  spada  del  misero  conte. 
Tacita  duolsi,  e  tanto  le  ne  pesa. 
Che  d'  ira  piange ,  e  battesi  la  fronte. 
Vorria  aver  Brandimarte  a  quella  impresa; 
E  se  mai  lo  ritrova ,   e  gli  lo  conte, 

Non  crede  poi,  che  Mandricardo  vada 
Lunga  stagione  altier  di  quella  spada. 

7i.      Fiordiligi,  cercando  pure  invano 
Va  Brandimarte  stu)  mattina  e  sera, 
E  fa  cammin  da  lui  molto  lontano, 
Da  lui ,  che  già  tornato  a  Parigi  era. 
Tanto  ella  se  n'  andò  per  monte  e  piano, 
Che  giunse,  ove,  al  passar  d'  una  ri\iera. 
Vide  e  conobbe  il  miscr  paladino. 
Ma  diciain  quel,  eh'  avvenne  di  Zerbino. 

75.  Che  'l  lasciar  Durindana,  sì  gran  fallo 
Gli  par,  che  più  d'  ogni  altro  mal  gii  incres 
Quantunque  appena  star  possa  a  cavallo, 
Per  molto  sangue ,  che  gli  è  uscito  ed  esce. 
Or,  poiché  dopo  non  troppo  intervallo 
Cessa  con  1'  ira  il  caldo  ,   il  dolor  cresce  ; 
Cresce  il  dolor  si  impetuosamente, 

Che  mancarsi  la  vita  se  ne  sente. 

76.  Per  debolezza  più  non  ytotvn  gire, 
Sì  che  fernmssi  appresso  una  fontana. 
Non  sa,  che  far,  né  che  si  debba  dire 
Per  ajntallo,  la  donzella  umana. 

Sol  di  di-agio  lo  vede  nu)rire; 
Che  quindi  é  troppo  ogni  città  lontana. 
Dove  in  quel  punto  al  medico  ricorra, 
Che  per  pietade,  o  premio  gli  soccorrn. 


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ORLANDO   FURIOSO.     (XXIV.  77-92) 


[322] 


77.     Ella  ron  sn ,  se  non  invan  dolersi, 

Chiamar  lortuna  e  '1   cielo  empio  e  crudele. 

Percliè,  ahi  lastra!  dicea,  non  mi  sommersi, 

Qiumdo  levai  nell'  ocoan  le  vele? 

Zia"l)in,    che  i  languidi  ocrh.j  ha  in  lei  conversai, 

Sente  più  doglia,  eh'  ella  isi  querele, 

Cl»e  della  passio»  tenace  e  foi;tc, 

Che  1'  ha  condotto  ornai  vicino  a  morte. 

18.  Cosi,  cor  mio,  vogliate,  le  diceva, 
Dappoich'  io  sarò  morto,  amarmi  ancora, 
Come  solo  il  lasciarvi  è  che  m'  aggrava 
Qui  senza  guida,  e  non  già  perdi'  io  mora: 
Che,  se   in  sicura  parte  m'  accadeva 

Finir  della  mia  vita  1'  nltim'   ora. 
Lieto  e  contento ,  e  fortunato  appieno 
Morto  sarei  ,  poich'  io  vi   moro  in  seno. 

19.  Ma  poiché  '1  mio  destino  iniquo  e  duro 
Vuol,  eh'  io  vi  lasci,  e  non  so  in  man  di  cui, 
Per  questa  hocca  e  per  questi  occlij  giuro, 
Per  queste  cìiiome,  onde  allacciato  fui, 

Che  disperato  nel  profondo  oscuro 
Vo  dell'  inferno,  ove  il  pensar  di  vui, 
Ch'  al)bia  cosi  lasciata,  assai  più  ria 
Sarà  d'  ogni  altra  pena ,  che  vi  sia. 

80.      A  questo  la  mestissima  Isabella, 
Declinando  la  faccia  lacrimosa, 
E  congiungendo  la  sua  hocca  a  quella 
Di  Zerhin ,  languidetta  come  rosa, 
Rosa  non  colta  in  sua  stagion ,  siedi'  ella 
Impallidisca  in  sulla  sede  omI)rosa, 
Disse  :  Non  vi  pensate  già ,  mia  vita, 
Far  senza  me  quest'  ultima  partita! 

•il.      Di  ciò  ,  cor  mio ,  nessun  timor  vi  tocchi  ! 

CIi'  io  vo'  seguirvi ,    o  in  cielo ,    o  nell'  inferno. 

Convien ,  che  1'  uno  e  1'  altro  spirto  scocchi, 

Insieme  vada,  insieme  stia  in  eterno. 

Kon  sì  tosto  vciliò  chiuderai  gli  occhj, 

O  die  m'  uccid«rà  il  dohtrc  interno, 

O ,  se  quel  non  può  tanto ,  io  vi  prometto 

Con  questa  spada  oggi  passarmi  il  petto. 

82.  De'  corpi  nostri  ho  ancor  non  poca  speme, 
Che  me'  morti,  che  vivi,  ahhian  ventura. 
Qui  forse  alcun  capiterà,  che  insieme, 
Mosso  a  pietà,  darà  lor  sepoltura. 

Così  dicendo,  le  reliquie  estreme 
Delio  spirto  vital,  <-he  morte  fura. 
Va    ricogliendo  con  le  labbra  meste, 
Fincli'  una  minima  aura  ve  ne  reste. 

83.  Zcr1>iii,  la  debil  voce  rinforzando. 
Disse:  !<»  vi  prego  e  su|)pli<'o,  mia  diva, 
Per  quello  amor,  die  mi   mostraste,  quando 
Per  me  lasciaste  la  paterna  riva, 

E,  se  c(uiiaiular  posso,  io  vel  «comando, 
Che,  finché  pia<'cia  a  Dio ,  restiate  viva, 
Nò  mai  per  caso  poniate  in  obbli(», 
Che,  quanto  amar  si  può,  v'  abbia  amato  io. 

W4.      Dio  vi  provvcdcrà  d'  ajuto  forse. 
Per   lilierarvi  d'   ogni  atto  villano, 
Ciniie  fé',  quando  alla  spcloiKii  torse, 
Per  indi  trar\i,  il  s(;nator  romano. 
C«»si ,  lii  Hiia  mercè  ,  già  >  i  soc«;orsc 
Nel  mare,  e  contra  il   Itist-aglin  profano. 
E  ne  pure  avverrà,  che  poi  si  deggia 
Morire ,  allora  il  minor  mal  s'  deggin. 


85.  Non  credo .  che  quest'  ultime  parole 
Potesse  esprimer  si ,  che  fosse  inteso  ; 
E  finì ,  come  il  debil  lume  suole, 

(.'ili  cera  manchi,  od  altro,  in  che  sia  acceso. 

Oli  potrà  dire  appien,  come  si  duole, 

Poiché  si  vede  pallido  e  disteso 

La  giovinetta ,  e  freddo  come  ghiaccio. 

Il  suo  caro  Zerbin  restare  in  braccio  ? 

86.  Sopra  il  sanguigno  corpo  s'  abbandona, 
E  di  copiose  lacrime  lo  bagna; 

E  stride  sì ,  che  intorno  ne  risuona 
A  molte  miglia  il  bosco  e  la  campagna; 
Né  alle  guance,   né  al  petto  sì  perdona, 
Che  r  uno  e  1'  altro  non  percota  e  fragna; 
E  straccia  a  torto  T  auree  crespe  chiome. 
Chiamando  sempre  invan  I'  amato  nome. 

87.  In  tanta  rabbia ,  in  tal  furor  sommersa 
L'  avea  la  doglia  sua,  che  facilmente 
Avria  la  spada  in  sé  stessa  conversa. 
Poco  al  suo  amante  in  qiiesto  ubbidiente, 
Se  un  eremita,  eh'  alla  fresca  e  tersa 
Fonte  avea  usanza  di  tornar  sovente 
Dalla  sua,  quindi  non  lontana,  cella, 

Non  e'  opponea ,  venendo ,  al  voler  d'  ella. 

88.  Il  venerabil  uom  ,  eh'  alta  bontcìde 
Avea  congiunta  a  naturai  prudenza. 
Ed  era  tutto  pien  di  caritade. 

Di  buoni  csempj  ornato  ,  e  d'  eloquenza. 

Alla  giovan  dolente  persuade. 

Con  ragioni   efficaci ,  pazienza, 

Ed  innanzi  le  pon,  come  uno  specchio, 

Donne  del  testamento  e  novo  e  vecchio. 

89.  Poi  le  fece  veder,  come  non  fusse 
Alcun,  se  ntìn  in  Dio,  vero  contento, 
E  eh'  eran  1'  altre  transitorie  e  llusse 
Speranze  umane,  e  di  poco  momento; 
E  tant<»  seppe  dir,  che   la  ridusse 

Da  quel  crmlele  ed  ostinato  intento. 
Che  la  vita  seguente  ebbe  disio 
Tutta  al  servigio  dedicar  di  Dio. 

yO.      Non  che  lasciar  del  suo  signor  voglia  iinque 
.    Né  '1  grand'  amor,  né  lo  reliquie  morte; 

Convien  che  Y  abbia,    ovunque  stia,     e  o>-unque 
Vada ,  e  che  seco ,  e  notte  e  dì ,  le  porte. 
Quindi,  ajiitando  i'  eremita  dunque. 
Ch'  era  della  sua  eia  valido  e  forte. 
Sul   mesto  suo  destrier  Zerbin  posaru, 
E  molti  dì  per  quelle  selve  andaro. 

DI.      Non  volse  il  cauto  vecchio  ridur  seco 
Sola  con  s«)lo  la  giovane  Itclia, 
Là,  dove  ascosa  in  un  selvaggio  speco 
Non  lungi  avea  la  solitaria  cella, 
l'"ra  sé  di<endo:   (^on  periglio  arreco 
In  una  man  la  paglia  e  la  faiella. 
\é  si  fida  in  sua  età.   né  in  sua  prudenza, 
(Jhe  di  sé  faccia  tanta  esperienza. 

1.12.      Di  condurla  in  Provenza  eb?»e  pensiero, 
Non  lontano  a   IMarsilia.  in   un  castello, 
l)o>e  di  sante  donne  ui\  iiiDiiastero 
Kicdiissiiiio  era.  e  d'  edifìcio  bello; 
l'I .   p<'r  portarne  il  morto  ca^aliero, 
('oiiiposto  in  una  cassa  UAcaiio  quello, 
(;iie  in  un  caste!,  eh'  era  tra  vìa,  si  fece, 
làinga  e  capare,  u  ben  chiusa  di  pece. 

21 


[323] 


ORLANDO  FUHIOSO.     (XXIV.  93-108) 


[324] 


93.  Più  e  più  giorni  gi'an  spazio  di  terra 
Cercato,  e  sempre  per  loclii  più  inculti; 
Che ,  piena  essendo  ogni  cosa  di  guerra, 
Voleano  gir ,  più  che  poteano ,  occulti. 
Alfine  un  cavalier  la  \ia  lor  serra, 

Che  lor  fé'  oltraggi,  e  rìis(ìne;^ti  insulti; 
Di  cui  dirò ,  quando  il  suo  loco  fia  : 
Ma  ritorno  ora  al  re  di  Tartaria. 

94.  Avuto  eh'  ebbe  la  battaglia  il  fine. 
Che  già  t'  ho  detto,  il  giovin  si  raccolse 
Alle  fresche  ombre,  e  all'  onde  cristalline, 
Ed  al  destrier  la  sella  e    1  freno  tolse, 

E  lo  lasciò  per  1'  erbe  tenerine 
Del  prato  andar  pascendo  ,  ove  egli  volse  : 
Ma   non  ste'  molto,  che  vide  lontano 
Calar  dal  monte  un  cavaliero  al  piano. 

95.  Conobbel,  come  prima  alzò  la  fronte, 
Doralice,  e  mostrollo  a  Mandricardo, 
Dicendo  :  Ecco  il  superbo  Rodomonte, 

Se  non  m'  inganna  di  lontan  lo  sguardo: 
Per  far  teco  battaglia  cala  il  monte. 
Or  ti  potrà  giovar  1'  esser  gagliardo. 
Perduta  avermi  a  grande  ingiuria  tiene, 
Ch'  era  sua  sposa,  e  a  vendicarsi  viene. 

96.  Qual  bnon  astor,    che  1'  anitra  o  l'  acceggin. 
Starna  o  colombo ,  o  simil  altro  augello 
Venirsi  incontra  di  lontano   veggia, 

Leva  la  testa ,  e  si  fa  lieto  e  bello  : 
Tal  Mandricardo,  come  certo  deggia 
Di  Rodomonte  far  strage  e  macello, 
Con  letizia  e  baldanza  il  destrier  piglia, 
Le  staffe  ai  piedi,  e  alla  man  dà  la  briglia. 

97.  Quando  vicini  far  sì,  eh'  udir  chiare 
Tra  lor  poteansi  le  parole  altiere. 

Con  le  mani  e  col  capo  a  minacciare 
Incominciò  gridando  il  re  d'  Algiere, 
Ch'  a  penitenza  gli  faria  tornare. 
Che .  per  un  temerario  suo  piacere, 
Non  avesse  rispetto  a  provocarsi 
Lui,  eh'  altamente  era  per  vendicarsi. 

98.  Rispose  M.mdricardo:  Indarno  tenia 
Chi  mi  vuol  impaurir  per  minacciarmc. 
Co?i  fanciulli  o  femmine  spaventa, 

O  allri,  che  non  sappia,  <he  sieno  arme; 
Me  non,  cui  la  battaglia  più   talenta 
D'  ogni  riposo  ;  e  son  per  ado|;rarme 
A  |iiè ,  a  ca\a!lo,  arnnito  e  dis, innato, 
Sia  alla  campagna,   o  sia  nello  steccato. 

99.  Kcco  sono  aj  W  oltraggi,  al  grido,  all'  ire, 
Al  trar  de'  brandi,  al  crudel  suon  de'  ferri; 
Come  vento,  che  prima  appena  spire, 

Poi  cominci  a  crollar  frassini  e  cerri. 
Ed  indi  oscura  polve  in  cielo  aggire, 
Indi  gli  arbori  svella,  e  case  atterri, 
Sommerga  in  inar<!,  e  porti  ria  tempesta 
Che  '1  gregge  spar.sO  uccida  alla  foresta. 

100.      De'  duo  |>agani ,  senza  pari  in  terra, 
Gli  anda(-i^^imi  cor,   le  forze  estreme 
l'artori-cono   tcilpi ,  ed  uini  guerra 
Coii\cnient(r  a  si  feroce  seme. 
Del  grande  e   (irribii  suon  trema  la  tcrr:i, 
Quantlo  le  spade  son  pcjrcosse  insieme  : 
Gettano  V  arme  infMi  al  ciel  scintille, 
Anzi  lampade  accese,  a  mille  a  mille. 


101.      Senza  mai  ripo.«arsi ,  o  pigliar  fiato, 
Dura  fra  quei  duo  re  1'  aspra  battaglia, 
Tentando  tira  da  questo  ,  or  da  quel  lato 
Aprir  le  piastre,  e  penetrar  la  maglia; 
]\è  perde  1'  un ,  nò  l'  altro  acquista  il  prato, 
Ma ,  come  intorno  sian  fosse  o  muraglia, 

0  troppo  costi  ogni  oncia  di  quel  loco, 
Non  si  parton  d'  un  cerchio  angusto  e  poco. 

102.      Fra  mille  colpi  il  Tartaro  una  volta 
Colse  a  due  mani  in  fronte  al  re  d'  Algiere, 
Che  gli  fece  veder  girare  in  volta 
Quante  mai  furon  fiaccole  e  lumiere. 
Come  ogni  forza  all'  African  sia  tolta, 
Le  groppe  del  destrier  col  capo  fere. 
Perde  la  staffa,  ed  è,  presente  quella 
Che  cotant'  ama,  per  uscir  di  sella. 

103.  Ma ,  come  ben  composto  e  valido  arco 
Di  fino  acciaro ,  in  buona  somma  greve. 
Quanto  si  china  più ,  quanto  è  più  carco, 
E  più  lo  sforzan  martinclli  e  leve. 

Con  tanto  più  furor,  quando  è  ptii  scarco. 
Ritorna,  e  fa  più  nnil ,  che  non  riceve: 
Cooì  queir  African  tosto  risorge, 
E  doppio  il  colpo  all'  inimico  porge. 

104.  Rodomonte  a  quel  segno  ,  ove  fu  colto. 
Colse  appunto  il  figliuol  del  re  Agricane. 
Per  questo  non  potè  nuocergli  al  volto, 
Che  in  difesa  tro^ò  1'  arme  trojane; 

Ma  stordì  in  modo  il  Tartaro,  che  molto 
Non  sapea ,  s'  era  vespero  o  dimane. 
L'  irato  Rodomonte  non  s'  arresta, 
Che  mena  1'  altro  ,  e  pur  segna  alla  testa. 

105.  Il  cavallo  del  Tartaro ,  eh'  abborre 
La  spada,  che  fischiando  cala  d'  alto. 

Al  suo  signor  con  suo  gran  mal  soccorre: 
Perchè  s'  arretra  per  fuggir  d'  un  salti»  ; 
11  brando  in  mezzo  il  capo  gli  trascorre, 
Cl:è  al  signor,  non  a  lui,  movea  1'  assalto. 
Il  mi?er  non  avea  1'  elmo  di  Troja, 
Come  il  padrone;  on.le  convien  clic  muoja. 

106.  Quel  cade  ,  e  Mandricardo  in  piedi  guizza, 
Non  più  stordito,  e  Durindana  aggira; 
Veder  morto  il  cavallo  entro  gli  attizza, 

E  fuor  divampa  un  grave  incendio  d'  ira. 
L'  African,  per  urtarlo,  il  destrier  drizza; 
Ma  non  più  Mandricardo  si  ritira. 
Che  scoglio  far  soglia  dall'  onde;  e  avvenne 
Che  '1  destrier  cadde,  ed  egli  in  pie  si  tenne. 

107.  L'  African ,  che  mancarsi  il  destrier  sente, 
Lascia  le  staffe ,   e  su  gli  arcion  si  ponta, 

E  resta  in  piedi ,  e  sciolto  agevobnente, 
Così  r  un  altro  poi  di  pari  affninta. 
La  pugna,  più  che  mai,  ribolle  ardente, 
E   r  odio,  e  r  ira,  e  la  superbia  monta; 
Ed  era  per  seguir;  ma  quivi  giunse 
In  fretta  un  mcssaggier,  che  li  disgiunse. 

108.  Vi  giunse  un  nu'ssaggier  del  popol  moro. 
Di  molii,  che  per  Francia  eran  mandati, 
A  richiannirc  agli  stendardi  loro 

1  capitani,  e  i  cavali<-r  [trinati; 
Per(-liè  r  imperator  «lai  gigli  d'  oro 
Gli  avea  gli  alloggiitmenli  già  assediati;' 
E,  se  non  è  il  so(H:orso  a  venir  presto, 
L'  eccidio  buo  conosco  manifesto. 


f325]     ORLANDO  FURIOSO.     ( XXIV.   109  — 115.     XXV.  1  —  4 )      [326] 


109.  Riconobbe  il  messaggio  i  cavalieri. 
Oltre  all'  insegne,  oltre  alle  sopravveste, 
Al  girar  delle  spade     e  ai  colpi  fieri, 

Ch'   altre  man  non  farebbono ,  che  queste. 
Tra  lor  però  non  osa  entrar,   che  sperì, 
Che ,  fra  tant'  ira  ,  sicurtà  gli  preste 
L'  esser  messo  del  re;  né  si  conforta 
Per  dir,  eh'  ambasciator  pena  non  porta. 

110.  Ma  viene  a  Doralice,  ed  a  lei  narra, 
Ch'  Agramante,  Marsilio  e  Stordilano, 
Con  pochi ,  dentro  a  mal  sicura  sbarra, 
Sono  assediati  dal  popol  cristiano. 
]\arrato  il  caso,  con  prieghi  ne  inarra, 
Che  faccia  il  tutto  ai  duo  guerrieri  piano, 
K  che  gli  accordi  insieme,  e,   per  lo  scampo 
Del  popol  saracin,  li  meni  in  campo. 

111.  Tra  ì  cavalier  la  donna  di  gran  core 
Si  mette,  e  dice  loro:  Io  vi  comando, 
Per  quanto  so  che  mi  portate  amore, 
Clic  riserbiate  a  miglior  uso  il  brando, 
E  ne  vegnate  subito  in  favore 
Del  nostro  campo  Saracino ,  quando 
Si  trova  ora  assediato  nelle  tende, 
£  presto  ajuto,  o  gran  ruina  attende. 

115 


112,      Indi  il  messo  soggiunse  il  gran  periglio 
Dei  Saracini,  e  narrò  il  fatto  appieno, 
j;  diede  insieme  lettere  del  figlio 
Del  re  trojano  al  figlio  d'  Uli'eno. 
Si  piglia  finalmente  per  consiglio, 
Che  i  duo  guerrier,  deposto  ogni  veneno, 
Facciano  insieme  tregua,  fin  al  giorno 
Che  sia  tolto  1'  assedio  ai  Mori  intorno: 


113.  E ,  senza  più  dimora  ,  come  pria 
Liberato  d'  assedio  abbian  lor  gente, 
Non  s'  intendano  aver  più  compagnia, 
flia  crudel  guerra,  e  inimicizia  ardente. 
Finché  con  1'  arme  diffinito  sia, 
Chi  la  donna  aver  de'  meritamente. 
Quella,  nelle  cui  man  giurato  fue. 
Fece  la  sicurtà  per  ambedue. 

114.  Quivi  era  la  Discordia  impaziente, 
Inimica  di  pace  e  d'  ogni  tregua  ; 
E  la  Superbia  v'  è,  che  non  consente, 
Nò  vuol  ])atir ,  che  tale  accordo  segua: 
Ma  più  di  lor  può  Amor,  quivi  presente, 
Di  cui  r  alto  valor  nessuno  adegua; 
E  fé'  che  indietro,  a  colpi  di  saette, 
E  la  Discordia  e  la  Superbia  stette. 

Fu  conclusa  la  tregua  fra  costoro. 


Siccome  piacque  a  chi  di  lor  potea. 

Vi  mancava  uno  de'  cavalli  loro, 

Che  morto  quel  del  Tartaro  giacca; 

Però  vi  venne  a  tempo  Brigliadoro, 

Che  le  fresche  erlie  lungo  il  rio  pascea. 

Ma  al  fin  del  canto  io  mi  trov(»  esser  giunto, 

Sicch'  io  farò,  con  vostra  grazia,  punto. 


CANTO   V  E  N  T  E  S  T  M  O  0  X^  T  N  T  O. 


ARGOMENTO. 

Libera  Ricciardetto  il  buon  Ruggiero, 
Per  Fiordispina  condannato  al  foco  ; 
Quinci  mosso  alV  avviso  d'  Aldigiero, 
Di  por  la  vita  a  risco  estima  poco. 
Descrive  in  una  Icttra  il  suo  jìcnsicro 
A  Bradamante  :  ed  indi  giunto  al  loco 
Da'  Maganzesi  eletto,  ritrovaro 
Un  cavalier^  eh'   a  tutti  lor  fu  caro. 


Oh  gran  contrasto  in  giovenil  pensiero, 
Dcsir  di  huidc,  ed  impeto  d'  Amore! 
Rè,  chi  più  vaglia,  ancor  8Ì  trova   il  vero; 
Cile  resta  or  questo ,  or  quel  supcriore. 
Neil'  uno  ebbe,  e  nell'  altro  cavalicro 
Quivi  gran  forza  il  debito  e  i'  onore. 
Che  r  amorosa  lite  n'  interiiKtHso, 
Finché  uuccorno  il  ctuiipo  lur  s'  avesse. 


Ma  più  ve  1'  ebbe  Amor;  che,  se  non  era. 
Che  così  comandò   la  donna  loro, 
Kon  si   sciogliea  quella   battaglia  fiera, 
Che  r  un  n'  avrelibe  il  trionl'ale  alloro; 
Ed  Agramante  invan  con  la  sua   schiera, 
L'  ajuto  a\ria  aspeltato  di  cosioro. 
Dunque  Anu»r  sempre  rio  non   si  ritrova: 
Se  spesso  nuoce,  anco  taholta  gi(»a. 

.     Or  r  «no  e  V  altro  cavalier  pagano. 
Che  tutti  han  difleiiti  i  suoi  litigi. 
Va,  per  salvar  V  c-ercito  afiicano. 
Con  la  donna  g<-ntil  Aer.-.o  l'arigi; 
E  va  con  essi  ancora  il  piccini   nano, 
Che  seguitò  del  Tarlaro  ì  vestigi. 
Finché  con  lui  <-ouil<it(o  a  rrnnti-  a  fronte 
Avea  quivi  il  gelo-o   lloiloinonte. 

(^apitaro  in  lui  prato,  o>e  a  diletto 
Erano  cavnli<'r  so|ira  un  ruscello. 
Duo  di>arniati,  e  duo,  eh'  a^ean  1'  elmetto. 
V,  una  dinuMi  con  lor,   di  vi^o   hello, 
(hi   f'osrrr  ((uclli  ,   altrove  \\    fii   dcild. 
Or  no;  cliè  di   Kuggii-r  prima  favello, 
Del  buon   Kiiggicr,  <li  cui   \i   fu   ii.iiratn. 
Che  lo  scudo  nel   po/zo  avea  giltaJo 

2\    + 


[32Ì] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXV.    5—20) 


[3281 


5.  Non  è  dal  pozzo  ancor  lontano  un  miglio, 
Che  venire  un  corrier  vede  in  grnn  fretta, 
l)i  quei,  che  manda  di  Trojano  il  figlio 
Ai  cavalieri,  onde  soccorso  aspetta; 
Dal  qual  ode,  che  Carlo  in  tiil  periglio 
La  gente  saracina  tien  ristretta, 
Che,  se  non  è  clii  tosto  le  dia  aita, 
Tosto  r  onor  vi  lascerà,  o  la  vita. 

6.  Fu  da  molti  pensicr  ridutto  m  forse 
Ruggicr ,  che  tutti  1'  assalirò  a  un  tratto. 
Ma  qual  per  lo  miglior  dovesse  torse, 
Kè  luogo  avea,  nò  tempo  a  pensar  atto. 
Lasciò  andare  il  messaggio ,  e  '1  freno  torse 
Là,  dove  fu  da  quella   donna  tratto: 
Ole  ad  ora  ad  or  in  modo  egli  affrettava, 
Che  nessun  tempo  d'  indugiar  le  dava. 

7.  Quindi,  seguendo  il  cammin  preso,  venne. 
Già  declinando  il  sole,  ad  una  terra, 
Che  '1  re  Marsilio  in  mezzo  Francia  tenne, 
Tolta  di  man  di  Carlo  in  quella  guerra. 
Né  al  ponte,  nò  alla  porta  si  ritenne; 
Che  non  gli  niega  alcuno  il  passo ,  o  serra  ; 
Bench'  intorno  al  rastrello  e  in  sulle  fosse 
Gran  quantità  d'  uomini  e  d'  arme  fosse. 

8.  Perdi'  era  conosciuta  dalla  gente 
Quella  donzella,  che  avea  in  compagnia, 
Fu  lasciato  passar  liberamente, 
Né  domandato  pure,  onde  venia. 
Giunse  alla  piazza,  e  di  foco  lucente, 
E  piena  la  trovò  di  gente  ria, 
E  vide  in  mezzo  star  con  viso  smorto 
Il  giovine  dannato  ad  esser  Morto. 

9.  Ruggier,  come  gli  alzò  gli  occhj  nel  viso, 
Cile  cliino  a  terra,  e  lacrimoso  stava. 
Di  veder  Bradamante  gli  fu  avviso; 
Tanto  il  giovine  a  lei  rassomigliava! 
Più  dcssa  gli  parca,  quanti»  più  fiso 
Al  volto  e  alla  persona  il  riguardava; 
E  fra  >è  disse  :  O  questa  è  Bradamante, 
0  eh'  io  non  son  llnggier,  com'  era  innante. 

10.  Per  tropiMi  ardir  si  sarà  f(»rse  messa 
Del  gar/.on  condennato  alla  difesa  : 
E,  poiché  mal  la  cosa  1'  è  successa. 
Ne  sarà  stata,  com'  io  veggo,  presa. 
Deh  !  porcile  tanta  fretta  ,  che  con  essa 
Io  non  potei  trouirmi  a  questa  impresa? 
Ma  Dio  ringrazio,  che  ci  son  venuto, 
Ch'  a  tempo  ancora  io  potrò  darle  ajuto. 

11.  E ,  senza  i)iù  indugiar ,  la  spada  stringe, 
(Che  avea  all'  altro  castel  rotta  la  lancia) 
Ed  addosso  il  volgo  inerme  il  destrier  si)ingo 
Ver  lo  petto ,  pe'  fianchi ,  e  per  la  pancia. 
Mena  la  spada  a  cerco,  ed  a  chi  cinge 
La  fronte,  a  chi  la  gola,  a  chi  la  guancia. 
Fugge  il  pnpol  gridando,  e  la  gran  frotta 
Resta  o  sciancata ,  o  con  la  testa  rotta. 

12.  Cowm;  stormo  d'  augci,  che  in  ripa  a  un  stagno 
Vola  >it'iu'(),  e  a  s\ia  pastura  attcìule,  i 
Se  illl|)^ov^i^l)  dal  ciel  falcon  grifagno 

(ili  dà  nel  mezzo,  ed  un   ne  batte,  o  prende, 
Si  sparge  in  fuga,  ognun  lascia  il   compagno,       { 
E  dello  s<-ani|)o  suo  cura  si  prende:  | 

Cosi  veduto  avrchte  far  costoro, 
Tostoehc  '1  buon  Ruggicr  diede  fra  loro,  1 


13.  A  quattro,  o  sei  dai  colli  i  capi  netti 
Levò  Ruggier,  eh'  indi  a  fuggir  furienti; 
Ne  divise  altrettanti  infin  ni  pelli, 

Fin  agli  occhj  infiniti  ,  e  fin  ai  denti. 
Concederò ,  che  non  trovasse  elmetti. 
Ma  ben  di  ferro  assai  cuffie  lucenti  ; 
E  s'  elmi  fini  anco  vi  fosser  stati. 
Cosi  gli  avrebbe,  o  poco  men,  tagliati. 

14.  La  forza  di  Ruggier  non  era  quale 
Or  si  ritrovi  in  ca^alier  moderno. 

Nò  in  orso,  né  in  leon,  né  in  animale 

Altro  più  fiero,  o  nostrale,  od  esterno. 

Forse  il  tretnuoto  le  sarebbe  uguale, 

Forse  il  gran  diavol,  non  quel  dell'  inferno, 

Ma  quel  del  mio  Signor ,  che  va  col  foco, 

Ch'  a  cielo  e  a  terra,  e  a  mar  si  fa  dar  loco^ 

15.  D'  ogni  suo  colpo  mai  non  cadea  mauro 

D'  un  uomo  in  terra ,  e  le  più  volte  un  pajn, 

E  quattro  a  mi  colpo,   e  cinque  n'  uccise  anco. 

Sicché  si  venne  tosto  al  centinajo. 

Tagliava  il  brando ,  che  trasse  dal  fianco, 

Come  \\n  tenero  latte,  il  duro  acciajo. 

Falerina,  per  dar  morte  ad  Orlando, 

Fé',  nel  giardin  d'  Organa,  il  crudel  brando. 

16.  Averlo  fatto  poi  ben  le  rincrebbe. 
Che  '1  suo  giardin  disfar  vide  con  esso. 
Che  strazio  dtuique ,  che  mina  dcbi)c 

Far  or,  che  in  man  di  tal  guerriero  è  messo? 
Se  mai  Ruggier  furor,  se  mai  forza  ebbe, 
Se  mai  fu  l'  alto  suo  valore  espresso, 
Qui  r  ebbe ,  il  pose  qui ,  qui  fu  veduto, 
Sperando  dare  alla  sua  donna  ajuto. 

17.  Qual  fa  la  lepre  centra  i  cani  sciolti, 
Facea  la  turba  centra  lui  riparo: 
Quei,  che  restaro  uccisi,  furo»  molti. 
Furo  infuiiti  quei,  che  'n  fuga  andaro. 
Avea  la  donna  intanto  i  lacci  tolti, 

Ch'  ambe  le  mani  al  giovine  legaro; 
E.  come  potè  meglio,  presto  arnu)ilo; 
Gli  die'  una  spada  in  mano,  e  un  scudo  al  collo. 

18.  Egli ,  che  molto  è  offeso,  più  che  puote, 
Si  cerca  vendicar  di  quella  gente; 

E  quivi  son  sì  le  sue  forze  note, 
Ciie  riputar  si  fa  prode  e  valente. 
Già  avea  attuffato  le  dorate  ruote 
Il  sol  nella  marina  d'  Occidente, 
Quando  Ruggier  vittorioso ,  e  quello 
Giovine  seco,  uscir  fuor  del  castello. 

19.  Quando  il  garzon  sicuro  della  vita 
Con  Ruggier  si  trovò  fuor  delle  porte. 
Gli  rendè  molta  grazia  ed  infinita 
Con  gentil  modi  e  con  parole  accorte. 
Che,  non  lo  conoscendo,  a  dargli  aita 
Si  fosse  messo  a  rischio  della  morte, 
E  pregò,  che  '1  suo  nome  gli  dicesse. 
Per  sapere,  a  chi  tanto  obbligo  avesse. 

20.  Veggo,  dicea  Ruggier,  la  f.iccia  bella 
E  le  luUe  fattezz<^  e  '1  bel  sembiante, 
Ma  la  soavità  della  favella 

Non  odo  già  della  mia  llradamante; 

Né  la  relazion  di  grazie  é  quella, 

Ch'  ella  usar  debba  al  suo  fe.Iele  amante: 

Ma,  se  pur  «jucsta  è  Bradamante,  or  come 

Ila  sì  tosto  in  obbliu  mes«o  il  mio  nome  ? 


[329] 


ORLANDO  FURIOSO.     fXXV.  21-30) 


[3307 


21 


Per  ben  saperne  il  certo ,  accortamente 
Rnnrgier  gli  disse:  Io  v'  ho  verliito  altrove, 
Ed  ho  pensato,  e  penso,  e  finalmente 
Non  so ,  né  posso  ric(»rdarmi ,  dove. 
Ditemcl  voi,  se  vi  ritorna  a  mente, 
E  fate  che  'l  nome  anco  uiiir  mi  f:ioTe, 
Acciocch'  io  saper  possa,  a  cui  mia  aita 
Dal  foco  abbia  salvata  og-gi  la  vita. 


22 


23 


Che  voi  ni'  abitiate  visto,  esser  potria. 
Rispose  quel,  che  non  so,  dove,  (»  qnando. 
IJen  vo  pel  mondo  aneli'  io  la  parte  mia, 
Strane  avventure  or  qua ,  or  là  cercando. 
Forse  una  mia  sorella  stata  fia. 
Che  veste  1'  arme,  e  porta  allato  il  brando, 
Che  nacque  meco ,  e  tanto  mi  somiglia, 
Che  non  ne  può  dìscerner  la  famiglia. 

Né  primo ,  né  secondo ,  né  ben  quarto 
Sete  (li  quei,  eh'  errore  in  ciò  jireso  hanno; 
]\é  '1  padre,  né  i  fratelli,  né  chi  a  un  parto 
Ci  produsse  amiti,  scernere  ci  sanno. 
Gli  è  ver,  che  questo  crin  raccorcio  e  sparto, 
Ch'  io  porto  ,  come  gli  altri  uomini  fanno, 
Ed  il  suo  lungo,  e  in  treccia  al  capo  avvolta, 
Ci  solca  far  già  difi'erenza  molta. 

24.  Ma,  poiché  un  giorno  ella  ferita  fu 
Nel  capo  (lungo  saria  a  dirvi,   come,) 
E ,  per  sanarla ,  un  servo  di  Gesù 

A  mezza  orecchia  le  tagliò  le  cJiiome, 
Alcun  segn(t  tra  noi  non  re*tò  più 
Di  difi'erenza ,  fuorché  '1  sesso  e  'I  norac. 
Ricciardetto  son  io ,  Bradamante  ella, 
Io  fratel  di  Rinaldo ,  essa  sorella. 

25.  E ,  se  non  v'  increscesse  1'  ascoltarmi. 
Cosa  direi ,  che  vi  faria  stupire, 

La  qual  m'  occorse  per  assimigliarmi 
A  lei ,  gioja  al  principio ,  e  al  fin  martire. 
Ruggiero,   il  qual  più  graziosi  carmi, 
Fiù  dolce  i>toria  non  potrebbe  udire, 
Che  dove  alcun  ricordo  intei-venissc 
Della  sua  donna,  il  pregò  sì,  che  disse: 

26.  Accadde  ii  questi  di ,  die  pc'  vicini 
Boschi  passando  la  sorella  mia. 
Ferita  da  uno  stuol  di  Saracini, 

Che  senza  i'  elmo  la  trovar  per  vìa, 
Fu  di  scorciarsi  astretta  i  lunghi  crini. 
Se  sanar  volse  d'  una  piaga  ria, 
Ch'  avea,  con  gran  periglio,  nella  testa; 
E  così  scorcia  errò  per  la  foresta. 

27.  Errando  giunse  ad  una  ombrosa  fonte; 
E,  perchè  afilitta  e  stanca  ritrovosse. 
Dal  destrier  six'sc,  e  disarmò  la  fronte, 
E  sulle  tentare  erbe  addormentos,-e. 
Io  nini  credo,  che  favola  bi  conte. 
Che  più,  di  questa  istoria,  bella  fosse. 
Fiordispina  di  Spagna  soprarriva, 
Che  per  cacciar  nel  bosct»  ne  veniva: 

28.  E  quando  ritrovò  la  mia  sirocchia 
Tutta  coperta  d'  arme,  eccetto  il   viso, 
Cir  avea  la  spada  in  luogo  di  (ronorrhù), 
Ee  fu  %  edere  un  cavalieru  uvvi>o. 
lia  faccia  «;  lo  vìril  fattezze  adocchia 
Tanto,  che  se  ne  sente  il  «ror  «onqui-n, 
La  inula  a  mrcia  ,  e  ti  a  1' ombri>se  friMidr 
Luiige  dagli  altri  alfin  seco  s'  a.-conde. 


29.  Poiché  1'  ha  seco  in  solitario  loco, 
Dove  non  teme  d'  esser  sojtraggiunta. 
Con  atti  e  con  parole  a  poco  a  poco 
Le  scopre  il  fisso  cor  di  grave  jtiuita: 
Con  gli  occhj   ardenti,  e  co'  sospir  di  foco 
Le  mostra  1'  ahna  di  di^io  consunta: 

Or  si  scolora  in  viso,  or  si  raccende; 
Tanto  s'  arrischia,  eh'  uh  bacio  ne  prende. 

30.  La  mia  sorella  avea  ben  conosciuto, 
Che  questa  donna  in  cambio  V  avea  tolta, 
]Né  dar  poteale  a  quel  bisogno  ajuto, 

E  si  trovava  in  grande  impaccio  avvolta. 
Gli  é  meglio,  dicea  seco,  s'  io  rifiuto 
Que.^ta  avuta  di  me  credenza  st(vlta, 
E  s'   io  mi  mostro  fennniua  gentile. 
Che  lasciar  riputarmi  un  uomo  vile. 

31.  E  dicea  il  ver;  eh'  era  viltade  espressa, 
Conveniente  a  un  uom  fatto  di  stucco, 
Con  cui  sì  bella  donna  fosse  raes^a 
Piena  di  dolce  e  di  nettareo  succo, 

E  tutta\ia  stesse  a  parlar  con  essa. 
Tenendo  basse  l'  ale,  come  il  cucco. 
Con  modo  accorto  ella  il  parlar  ridusse, 
Che  venne  a  dir,  come  donzella  fosse: 

32.  Che  gloria,  qual  già  Ippolita  e  Camilla, 
Cerca  nell'  arme;  e  in  Africa  era  nata. 
In  lito  al  mar,  nella  città  d'  Arzilla, 

A  scudo  e  a  lancia  da  fanciulhi  u>ata. 
Per  questo  ntm  si  smorza  una  scintilla 
Del  foco  della  d(unia  innamorata. 
Questo  rimedio  all'  alta  piaga  è  tardo  ; 
Tanto  avea  Amor  cacciato  innanzi  il  dardo! 

33.  Per  questo  non  le  par  men  bello  il  viso, 
Men  bel  lo  sguardo,  e  men  belli  i  costumi; 
Perciò  non  torna  il  cor.  che,  già  diviso 
Da  lei,  godea  dentro  gli  amati  lumi. 
Vedendola  in  quel!'  abito ,  1'  è  avviso. 

Che  più»  far,  che  'l  desìr  non  la  consumi; 
E  quando,  eh'  ella  é  pur  femmina,  pen^a, 
So>pira  e  piange,  e  mostra  doglia  immensa. 

34.  Chi  avesse  il  suo  rammarico  e  '1  suo  pianto 
Quel  giorno  udito,  avria  pianto  eon  lei. 
Qnai  tonuenti,  dicea,  furon  mai  tanto 
("rudcl,  che  più  non  sian  crud<'!i  i  miei? 

D'  ogni  altro  amore,  o  scellerato,  o  *anto. 
Il  desiato  fin  sperar  potrei  ; 
Saprei  partir  la  rosa  dalle  spinr: 
Solo  il  mio  desiderio  è  senza  fine. 

35.  Se  pur  volevi ,  Amor ,  darmi  tormento. 
Che  t'  incresce-sc  il  mio  felice  stati>, 

D'  alcun  martir  dolevi  star  conlcnto. 
Che  fos>e  anc(»r  negli  altri  aujanli  u-ato. 
]Né  tra  gli  uomini  mai,  né  tra  1'  aniu-nlo. 
Che  feunnina  ami  femuiina ,  ho  trovato.; 
Non  par  la  donna  all'  altre  doiuu'  brll.i, 
Né  a  cerve  cerva,  né  all'  aguelle  agnelln. 

3G.      In  terra ,  in  aria ,  in  mar  sola  >pn  io. 
Che  patisco  da  t(^  sì  diu'o  sceui|iio; 
E  questo  bui  fatto,   acfiorrhè  l'  ermr  mio 
Sia  neir   imperio  tuo   1'  ultimo  esempio. 
La  moglie  del  re  Nino  eblie  d«'.io, 
Il  figlio  amando,  scellerate»  «-d  empio; 
E  Mirm   il  padre,  e  la  (/'relense  il  i<in>; 
I>la  gli  è  più  folle  il  mio,  eh'  alcun  di»'  Ior<<. 


[331] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXV.   3Tf  — 52) 


[332] 


'ò7.      La  femmina  nel  niasiichio  fé'  di:$egno, 
S|>eronne  i[  fine ,   ed  ebbelo ,  come  odo. 
r<i>ife  nella  vacca  entrò  di  legno; 
Altre  per  altri  mezzi  e  vario  modo. 
M.i,  se  volasse  a  me  con  ogni  ingegno 
Dedalo  ,  non  potria  scioglier  quel  nodo, 
Cile  fece  il  mastro  troppo  diligente, 
datura ,  d'  ogni  cosa  più  possente. 

38.      Cosi  si  duole,  e  si  consuma  ed  ange 
La  bella  donna,  e  non  s'  acclieta  in  fretta. 
Talor  si  batte  il  viso,  e  il  capei  frange, 
t  di  sé  contra  sé  cerca  vendetta. 
La  mia  sorella  per  pietà  ne  piange, 
t'A  è  a  sentir  dì  quel  dolor  costretta. 
Del  folle  e  van  disio  si  studia  trarlii  ; 
Bla  non  fa  alcun  profitto ,  e  invano  parla. 

oO.      Ella,  eh'  ajnto  cerea,  e  non  conforto. 
Sempre  più  si  lamenta ,  e  più  si  duole. 
Era  del  gioriut  il  termine  ormai  corto, 
Che  rosseggiala  in  occidente  il  sole; 
Ora  opportuna  da  ritrarsi  in  porto 
A  chi  la  notte  al  bosco  star  non  vuole  ; 
Quando  la  donna  invitò  Bradamante 
A  questa  terra  sua  poco  distante. 

40.  Non  le  seppe  negar  la  mia  sorella  ; 
E  così  insieme  ne  vennero  al  loco, 
Dove  la  turba  scellerata  e  fella 

l'osto  m'  avria,  se  tu  non  v'  eri,  al  foco. 

Fece  là  dentro  Fiordispina  bella 

La  mia  sirocchia  accarezzar  non  poco: 

E ,  rivestita  di  femminil  gonna, 

Conoscer  fé'  a  ciascun ,  eh'  ella  era  donna. 

41.  Perocché,  conoscendo,  che  nessuno 
Util  traea  da  quel  virile  aspetto, 

]Non  le  parve  anco  di  voler,  eh'  alcuno 

Biasmo  di  sé  per  questo  fosse  detto. 

Fello  anco ,  acciocché  '1  mal,  eh'  avea  dall'  uno 

Virile  abito,  errando,   già  concett»», 

Ora  con  V  altro,  discoprendo  il  vero, 

Provasse  di  cacciar  fuor  del  pejisiero, 

42.  Comune  il  Ietto  cbhon  la  notte  insieme, 
Ma  molto  diflerente  eblidu  riposo; 

Cile  r  una  dorme,  e  1'  altra  piange  e  geme, 
Che  sempre  il  suo  desir  sia  più  focoso. 
E  se  '1  sonno  talor  gli  occhj  le  preme, 
Quel  breve  sonno  è  tutto  immaginoso  : 
Le  par  veder,  clic  1'  ciel  le  abbia  concesso 
bradamante  cangiata  in  miglior  sesso. 

43.  Come  1'  infermo  acceso  di  gnin  sete, 

Se  ili  quella  ingorda  voglia  s'  addormenta, 

Neil'  interrotta  e  torbida  quiete, 

D'  ogni  acqua,  che  mai  vide,  si  rammenta: 

Cosi  a  costei  di  far  sue  voglie  liete 

L'  iinmiigine  del  sonno  rappresenta. 

Si  desta,  e  nel  destar  mette  la  mano, 

E  ritrova  pur  sempre  il  sogno  v.iiio. 

44.  Quanti  preghi,  la  notte,  quanti  voti 
OlVerse  al  suo  Macone,  e  a  tulli  i  Uei, 
Che,  con  iniracoli  apparenti  e  indi, 
Mutassero  in  miglior  sesso  costei! 

Ma  tutti   vede  andar  d'   efletto  voti; 
E  forse  ancora  il  «  i<l  ridea   di  lei. 
Puasa  la  notte  ,   e  Febo  il  capo   liioiido 
Trtieu  del  mare ,  e  «lava  luce  al  luouJo. 


45.  Poiché  '1  dì  venne,  e  che  lasciaro  il  letto, 
A  Fiordispina  s'  nugumenta  doglia; 

Che  Bradamante  ha  del  partir  già  detto, 

Cii'  uscir  di  questo  impaccio  avea  gran  voglia. 

La  gentil  donna  un  ottimo  ginetto   • 

In  don  da  lei  vuol  che  partendo  toglia, 

Guernito  d'  oro ,  ed  una   siipravvesta, 

Che  riccamente  ha  di  sua  man  contesta. 

46.  AccompagnoUa  un  pezzo  Fiordispina, 
Poi  fé'  piangendo  al  suo  castel  ritorno. 
La  mia  sorella  si  ratto  cammina, 

Che  venne  a  Montalbano  anco  quel  giorno. 
Noi,  suoi  fratelli,  e  la  madre  meschina. 
Tutti  le  siamo  festeggiando  intorno; 
Clìè,  di  lei  non  sentendo,  avuto  forte 
Dubbio  e  tema  avevam  della  sua  morte. 

il.     Miranuuo  ,  al  trar  dell'  elmo  ,   al  mozzo  crine, 
Ch'  intorno  al  capo  prima  s'  avvolgeaj 
Così  le  sopravveste  peregrine 
Ne  fèr  maravigliar,  eh'   indosso  avea:  i 

Ed  ella  il  tutto  dal  principio  al  fine  j 

Narronne,  come  dianzi  io  vi  dicea:  } 

Ccnne  ferita  fosse  al  bosco ,  e  come  ' 

Lasciasse,  per  guarir,  le  belle  chiome;  ' 

48.  E  come  poi,  dormendo  in  ripa  all'  acque, 
La  bella  cacciatrice  sopraggiunse, 

A  cui  la  falsa  sua  sembianza  piacque; 
E  come  dalla  schiera  la  disgiunse 
Del  lamento  di  lei  poi  nulla  tacque, 
Che  di  pietade  1'  anima  ci  punse; 
E  come  alloggiò  seco  ,  e  tutto  quello 
CJie  fece ,  linchè  ritornò  al  castello. 

49.  Di  Fiordispina  gran  notizia  ebb'  io, 
Che  in  Siragozza ,  e  già  la  vidi  in  Francia; 
E  piacquer  molto  all'  appetito  mio 
I  suoi  begli  occhj  e  la  polita  guancia: 
Ma  non  lasciai   fermarvisi  il  disio  ; 
Che  r  amar  senza  speme  è  «ogno  e  ciancia. 
Or,  quando  in  tal  ampiezza  mi  si  porge, 
L'  antica  fiamma  subito  risorge. 

50.  Di  questa  speme  Amore  ordisce  i  nodi, 
Che  d'  altre  fila  ordir  non  li  potea. 
Onde  mi  piglia,  e  mostra  insieme  i  modi. 
Che  dalla  donna  avrei  quel,  eh'  io  chicdea. 
A  succeder  saran  facil  le  frodi  ; 
Cile ,  come  spesso  altri  ingannato  avea 
La  simiglianza,  eh'  ho,  di  mia  sorella, 
Forse  anco  ingannerà  questa  donzella. 

51.  Faccio,  o  noi  faccio?  Aldn  mi  par,  che  buoni 
Sempre  cercar  quel,  che  diletti,  sia. 
Del  mio  pensier  con  altri  non  ragiono, 
Né  vo',  che  in  ciò  consiglio  altri  mi  dia. 
Io  vo  la  notte  ,  ove  qucll'  arme  sono, 
Che  s'  avea  tratte  la  sorella  mia; 
Tolgole,  e  col  destrier  suo  via  cammino; 
Né  sto  aspettar,  che  luca  il  mattutino. 

52.  Io  me  ne  vo  la  notte.  Amor  è  duce, 
A  ritrovar  la  Iiella  Fiordispina; 
E  v'  arrivai,  che  non  era  la  luce 
Del  sole  ascosa  ancor  nella  marina. 
Beato  é,  <-lii  correndo  si  c(Miduce, 
Prima  degli  altri,  a  dirlo  alla  regina, 
Da  lei  sperandi» ,  pei'  l'  annunzio  buono, 
Acquistar  grazia,  u  riportarne  dono! 


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ORLANDO   FURIOSO.     (XXV.  ns  — 68) 


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59. 


)0. 


Tutti  ra'  aveano  tolto  cosi  in  fililo, 
Come  hai  tu  fatto  ancor,  per  Brarlaniante; 
Tanto  più,  che  le  \es-ti  cl:lii,  e    1  camallo, 
Con  che  partita  era  ella  il  giorno  inn.inte. 
Vien  Fionlispina  di  poco  intervallo 
Con  fc-te  incontra,  e  con  caiezzc  tante, 
E  con  ."j  allegro  tìso,  e  sì  ginnindo, 
Che  più  gioja  mostrar  non  potria  al  mondo. 

Le  belle  braccia  al  collo  indi  mi  getta, 
E  dolcemente  stringe,  e  bacia  in  bocca. 
Tu  puoi  pensar,  s'  allora  la  saetta 
Dirizza  Amor,  so  in  mezzo  il  cor  mi  tocca. 
Per  man  mi  piglia,  e  in  camera  con  fretta 
Mi  mena  ;   e  non  ad  altri ,  eh'  a  lei ,  toci-a. 
Che  dair  elmo  allo  spron  1'  arme  mi  slacci, 
E  nessun  altro  vuol ,  che  se  n'  impacci. 

Poi  fatta^i  arrecare  una  sua  veste 
Adorna  e  ricca,  di  sua  man  la  spiega, 
E,  come  io  fo-;si  fcnunina,  mi  Aeste, 
E  in  reticella  d'  oro  il  cria  mi   lega. 
Io  muovo  gli  occhj  con  maniere  itncste, 
JNè  eh'  io  sia  donna ,  ah-uu  mio  gesto  niega. 
La  voce,  che  accusar  mi  potea  forse. 
Si  ben  usai,  eh'  alcun  non  se  n'  accorse. 

Uscimmo  poi  là,  dove  erano  molte 
Persoìie  in  sala,  e  cavalieri  e  donne, 
Dai  quali  funmio  con  1'  onor  rac'col'c, 
Ch'  alle  regine  tassi,  e  gran  madonne. 
Quivi  d'  alcuni  mi  risi  io  più  volte. 
Che,  non  sapendo  ciò,  che  sotto  gonne 
Si  nascondesse  valido  e  gagliardo, 
Mi  vagheggiavan  con  lascivo  sguardo. 

Poiché  si  fece  la  notte  più  grande, 
E  già  un  pezzo  la  mensa  era  levata, 
La  mensa,  che  fu  d'  ottime  vivande, 
Secondo  la  stagione,  apparecchi. l'a, 
Non  aspetta  la  donna ,  eh'  io  doiinindo 
Quel,  che  in'  era  cagion  del  venir  stata: 
Ella  ni'  invita  per  sua  cortesia. 
Che  quella  notte  a  giacer  seco  io  stia. 

Poiché  donne  e  donzelle  ornai  levate 
Si  furo,  e  paggi  e  canu-rieri    intorno, 
Essendo  ambe  nel  letto  (ii>pogliate, 
Co'  torelli  accei,  che  parca  «li  giorno, 
Io  cominciai:  Non  %i  maravigliate, 
Madonna ,   sc  sì  tosto  :i  voi  ritorno. 
Che  forse  v'  anda\ute  inunaginiindo 
Di  non  mi  riveder,  fm  Dio  ^a  quando. 

Dirò  prima  la  causa  del  partire, 
Poi  del  ritorno  V  udirete  ancora. 
Se  '1  vostro  ardor,  madoiuia,  inliepidire 
Potuto  aves^i  col  mio  far  dimora, 
Vivere  in  vostro  servigio,  e  morire 
coluto  avrei ,  uè  starne  senza  un'  ora  ; 
Ma,  visto,  quanti)  il  mio  star  vi  nt.res-i. 
Per  non  poter  far  meglio,  andare  elessi. 

Fortuna  mi  (irò  fuor  <lel  cammino 
III  mezzo  un  bosci:   d'  intricali   rami, 
Dove  odo   un  grido  risonar  vicino, 
(/ome  di  donna,  che  soccorso  chi.im*. 
A'   accorro,  e  sopra  iiu  lago  cri>tallino 
Ritrovo  un  Fauno,  eh'  avea  preso  agli  nnii 
In  mezzo   1'  acqua  una   donzella  nuda, 
E  mangiarsi  il  rrudel  la  volca  cruda. 


61.      Colà  mi  trassi,  e  con  la  spada  in  mano, 
Perch'  ajutar  non  la  potea  altramente. 
Tolsi  Ci  vita  il  pescntor  villano: 
Ella  saltò  neir  acqua  immantinente. 
jVoii  m'  avrai,  dis.-e,  dato  ajnto  invano; 
Ben  ne  sarai  {;»"e"i'''t"?  ^  riccamente. 
Quanto  chieder  saprai;  perchè  son  ninfa. 
Che  vivo  dentro  a  questa  chiara  linfa, 

fi2.      Ed  ho  possanza  far  cose  stupende, 
E  sforzar  gli  elementi  e  la  natura. 
Chiedi  tu ,  quanto  il  mio  valor  s'  estende. 
Poi  lascia  a  me  di  satisfarti  cura! 
Dal  ciel  l.i  luna  al  mio  cantar  discende, 
S    agghiaccia  il  fuoco,  e  V  aria  si  fa  dura. 
Ed  ho  tiilor,  con  semplici  parole, 
Mossa  la  terra,  ed  ho  fermato  il  sole. 

(i3.     jNon  le  domando,  a  qnesta  offeita,  nnire 
Tesor,  né  dominar  popoli  e  terre, 
Né  in  più  virtù,  nò  in  più  ^igor  salire, 
jNè  vincer  con  onor  tutte  le  guene; 
Ma  sol,  che  qualche  via,  donde  il  de  ire 
Vostro  s'  adempia,  mi  schiuda  e  disscrre. 
]\è  più  le  domando  un,  eh'  un  altro  effetto, 
3Ia  tutta  al  suo  giudicio  mi  rimetto. 

04.      Ebbile  appena  mia  domanda  esposta, 
Qi'  un'  altra  volta  la  vidi  attuU'ita, 
>>è  fece  al  mio  parlare  altra  risj'osta. 
Che  di  spruzzar  ver  me  l'  acqua  incantata. 
La  qual  non  prima  al  viso  mi  s"  acco^t<^ 
Ch'  io,  non  so  come,  son  tutta  mutata: 
Io  '1  veggo,  io  'l  sento,  e  appe:ia  vero  panni. 
Sento  in  maschio,  di  femmina,  mutarmi: 

65.  E  se  non  fosse,  che  senza  dimora 
Vi  potrete  chiarir,  noi  credereste; 

E  qual  neir  altro  sesso  ,  in  questo  ancora 
Ilo  le  mie  voglie  ad  ubbiilirvi  preste. 
Comandate  lor  pur,  che  fieno  or  ora, 
E  sempn-  mai   per  voi  vigili  e  deste. 
Così  le  dissi,  e  feci,  eh'  ella  stes-a 
Tn)vò  con  man  la  veritade  e^prcs-a. 

66.  Come  interviene  a  chi  già  fuor  di  speme 
Di  cosa  sia,  che  nel  pensier  molt'  abbia. 
Che,  mentre  più  d'  esserne  privo  gem?'. 

Più  se  11'  afiligge,  e  se  ne  strugge  e  arrabbia: 

Se  ben  la   trova  poi,  tanto  gli   preme 

Ij'  aver  gran  tempo  semin.ito  in  sabbia, 

E  la  di.-perazion  V  lia  sì  mal  uso, 

Cile  non  crede  a  sé  stesso,  e  ^ta  confuso 

67.  Così  la  donna,  poiché  tocca  e  vede 
Quel,  di  che  avuto  avea  tanfo  de^ire, 

.\gli  oi'clij,  al  tatto,  a  sé  >te»a  neii  crede, 

K   .^ta  diibliio.-a  ancor  di   non  dormire; 

E  buona  prova  lii^ognò  a  far  fede. 

Che  sentia  cpiel ,  che  le  purea  ^enti^r. 

Fa,  Dio,  disrio  <lla,  sc  son  sogni  que-li, 

Cli'  io  dorma  sempre,  e  mai  più  iioii    mi  d^^ti 

68.  Non  rumor  di  tamburi ,  o  suoii  di  trombe 
Furoii  principio  all'  amoroso  iissallo; 

ila  baci,  che  imilavan  le  colombe, 
Davnn  seguo  or  ili  gire,  or  di  far  alto, 
l  satinilo  allr'  armo,  che  snette,  o  fromho. 
lo  senza  scale  in  sulla  rocni  salto, 
E   lo   stend.irdo   piantovi   di   botto, 
E   la  nemica  mia  mi  caccio  sotto. 


[335] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXV.   (59—81) 


[336] 


69.  Se  ili  quel  ìcM),  Li  notte  <1ìiiimti, 
Fieli  di  sospiri  e  di  querele  gravi, 
Non  stette  r  altra  poi  senza  altrettanti 
Ilisi,  feste,  gioir,  giuochi  soavi. 
Non  con  più  noi'.i  i  ile.-isuo^i  acanti 
Le  colonne  circondano  e  le  travi, 

Di  quelli,  con  che  noi  legammo  stretti 

E  colli,  e  fianchi,   e  braccia,  e  gambe,  e  petti. 

70.  La  cosa  stava  tacita  fra  noi, 
Sicclic  durò  il  piat^er  per  alcun  mese. 
Par  si  trovò  chi  se  n'  accorse  poi, 
Tantoché,  con  mio  danno,  il  re  1'  intese. 
Voi ,  che  mi  liher.'.ste  da  quei  suoi, 

C!ie  nella  piazza  avc.in  le  ii.rmme  accese, 
Coniprcniicre  oggimai  potete  il  resto: 
M.i  i)io  sa  ben  ,  con  che  dolor  ne  resto. 

71.  Così  a  Iluggier  narrava  Uicciardetto, 
E  la  notturna  via  facea  mcii  grave, 
Salendo  tuttavia  verso  un  poggctto 
Cinto  di  ripe ,  e  di  pendici  (Mve. 

Un  erto  calie,  e  pien  di  sassi,  e  stretto 
Apria  il  camniin  con  faticosa  chiave. 
Sedca  al  sommo   nn  caste!  detto  Agrismonte, 
Ch'  avca  in  guardia  Aldigier  di  Chiaramontc. 

72.  Di  Buovo  era  costui  figliuol  bastardo, 
Fratel  di  Malagigi  e  di  Viviano, 

(/hi  legittimo  dice  di  Gerardo, 

È  testimonio  temerario  e  vano. 

Fosse  ,  come  si  voglia ,  era  gagliardo, 

Prudente  ,  liberal ,  cortese ,  umano  ; 

E   facea  quivi  le  fraterne  mura, 

La  notte  e  il  dì ,  guardar  con  buona  cura. 

73.  Ucaccolsc  il  cavalier  cortesemente, 
Come  dovea,  il  cugin  suo  Ricciardetto, 
Ch'  amò,  come  fratello;  e  parimente 
Pu  bea  vi<to  Iluggier  per  suo  rispetto: 
]\Ia  non  gli  usci  già  incontra  allegr<imentc, 
Come  cr.i  usato ,  anzi  con  tristo  aspetto  ; 
Pcrclsè  un  avviso  il  giorno  avuto  avea. 
Che  nel  viso  e  nel  cor  mesto  il  iacea, 

74.  A  Uicciardetto ,  in  cambio  di  saluto. 
Disse:   Fratello,  abbiam  nova  non  buona. 
Per  c<utissimo  messo  oggi  In»  saputo, 
Che  Hertolagi  iniquo  di  iiajcma 

Con  Lanfusa  crudel  s'  è  contenuto, 
,   Che  preziose  spoglie  esso  a  lei  dona, 
Ed  essa  a  lui  pon  nostri  frati  in  mano, 
Il  tuo  buon  Malagigi  e  il  tuo  Viviano. 

15.      Ella,  dal  di,  che  Ferrali  li  prese. 

Gli  ha  ognor  tenuti  in  loco  oscuro  e  fello. 

Finche  "1  brutto  contratto  e  discortese 

IN'    ira  fatto  con  costui,  di  df  io  favello. 

IjÌ  de'  maadiir  domane  al  Maganzese, 

Nei  coiifin  tra  Uajona  e  un  suo  castello. 

Verrà  in  persona  egli  a  pagar  la  mancia, 

Che  compra  il  miglior  sangue,  che  sia  iu  Francia. 

70.      ilinaldo  nostro  n'  Ito  avvisato  or  ora, 
Ed  hi»  cacciato  il  messo  di  galoppo  ; 
Ma  non  mi  par,  eh'   arrivar  possa  ad  ora, 
Che  non  hia  tarda,  che  '1  caimiiiiio  è  troppo, 
lo  non  ho  meco  gente  da  uscir  inora: 
L*  animo  è  pronto  ,  ma  il  potere  è  zoppo. 
Se  gli  Ila  quel  Iraditor,  li  fa  morire, 
Siccìiù  non  so  che  far,  non  so  che  dire. 


77.      La  dura  nuova  a  Ricciardetto  i^piace, 
E ,  perchè  spiace  a  lui ,  spiacc  a  Ruggiero, 
Che,  poiché  questo  e  quel  vede,  che  tace, 
Nò  trae  profitto  alcun  del  suo  pensiero, 
Disse  con  grande  ariiir:  Datevi  pace! 
Sopra  me  qucst'  impresa  tutta  chero; 
E  questa  mia  varrà,  per  mille  spade, 
A  riporvi  i  fratelli  in  libertadc. 

18.     Io  non  voglio  altra  gente  ,  altri  sussidj, 
Ch'  io  credo  bastar  solo  a  questo  fatto. 
Io  vi  domando  solo  un  che  mi  guidi 
Al  luogo,  ove  si  dee  fare  il  baratto: 

10  vi  farò   sin  qui  sentire  i  gridi 

Di  chi  sarà  presente  al  rio  contratto. 

Così  dicea;  nò  dicea  cosa  nuova 

All'  u»  de'  due,  che  n'  avca  visto  prova. 

79.  L'  altro  non  1'  ascoltava,  se  non  quanto 

S'  ascolti  un,  di'  assai  parli,  e  sappia  poco: 

Ma  Ricciardetto  gli  narrò  da  canto. 

Come  fu  per  costai  tratto  del  foc<»; 

E  eh'  era  certo ,  che  maggictr  del  vanto 

Faria  veder  l'  effetto  a  tempo  e  a  loco. 

Gli  diede  all(»r  udienza  più  che  prima, 

E  lùverillo,  e  fé'  di  lui  gran  stima, 

80.  Ed  alla  mensa,  ove  la  copia  fuse 

11  ctuno ,  r  onorò  ,  come  suo  donno. 
Quivi,  senz'  altro  ajuto,  si  conchiuse, 
Che  lib  erare    i  do  fnitelli  poiino. 
Intanto  sopravvenne,  e  gli  occhj  chiuse 
Ai  signori ,  e  ai  sergenti  il  pigro  sonno, 
Fuorch'  a  Ruggicr,  che,  per  tenerlo  desto. 
Gli  punge  il   cor  sempre  un  pcnsier  molesto. 

81.  L'  assedio  d'  Agraniantc,  eh'  avea  il  giorno 

Udito  dal  corrier,  gli  sta  nel  core. 
Ben  vede,  eh'  ogni  minimo  soggiorno, 
Che  faccia  d'  ajutarlo,  è  suo  disnore. 
Quanto  gli  sarà  infamia,  quanto  scorno. 
Se  co'  nemici  va  del  suo   signore! 
Oh  come  a  gran  viltade ,  a  gran  delitto. 
Battezzandosi  alior,  gli  sarà  ascritto! 

82.  Potria  in  ogni  altro  tempo  esser  creduto, 
Che  vera  religion  1'   avesse  mosso; 

]Ma  ora,  che  bisogna  col  suo  ajuto 
Agl'amante  d'  assedio  esser  riscosso, 
Piuttitsto  da  ciascun  sarà  tenuto, 
Che  timore  e  viltà  1'  abbia  percosso, 
Ch'  alciuia  opinion  di  miglior  fede: 
Questo  il  cor  di  Ruggier  stimola  e  fede. 

83.  Che  s'  abbia  da  partire,  anco  lo  punge. 
Senza  licenza  della  sua  regina. 

Quando  questo  peusicr,  quando  quel  giunge, 
Che  'l  dubbio  cor  diversamente  inchina. 
Gli  era  1'  avviso  riuscito  luiige 
Di  trovarla  al  castel  di  Fiordi-pina, 
Dove  insieme  dovean  ,  come  lio  già  detto, 
In  soccorso  venir  di  Ricciardetto. 

84.  Poi  gli  sovvien ,  eh'  egli  le  avca  promesso 
Di  seco  a  Vallombrosa  ritrovarsi. 

P<!nsa,  eh'  andar  v'  abbia  ella,  e  quivi  d'  eS80 
Che  non  ve  '1  trovi  poi,  mar.ivigliarsi. 
Potesse  almen  mandar  lettera ,  o  messo 
Sicch'    ella  non  avesse  a   lamentarsi. 
Che,  oltre  eh'  egli  mal  le  avea  ubbidito, 
Senza  far  motto  ancor  fosse  partito. 


[337] 


ORLANDO    FURIOSO.  (XXV.  85  —  97) 


85.  Poiché  più  cose  immaginate  s'  cLbe, 
Pensa  scriverle  alfiu  quiuito  gli  accadii  ; 
E,  bendi'  egli  non  sappia,  come  debbe 
La  lettera  inviar,  siccìiò  ben  vada, 
Kon  però  vuol  restar;  che  ben  potrebbe 
Alcun  messo  fedel  trovar  per  strada. 
Più  non  indugia,  e  salta  delle  piume. 

Si  fa  dar  carta ,  inchiostro ,  penna  e  lume. 

86.  I  camerier  discreti  ed  avveduti 
Arrecano  a  Ruggier  ciò,  che  comanda. 
Egli  comincia  a  scrìvere ,  e  i  saluti, 
Come  si  suol,  nei  primi  versi  manda; 
Poi  narra  degli  avvisi ,  che  venuti 
Son  dal  suo  re,  eh'  ajuto  gli  domanda, 
E ,  se  r  andata  sua  non  è  ben  presta, 
O  morto,  o  in  man  degl'  inimici,  i-esta, 

87.  Poi  seguita,  eh'  essendo  a  tal  partito, 
E  che  a  lui  per  ajuto  si  volgea, 
Vedesse  ella ,  che  ^1  biasmo  era  infinito, 
Se  a  quel  punto  negar  glielo  volea  ; 
E  eh'  esso,  a  lei  dovendo  esser  marito, 
Guardarsi  da  ogni  macchia  si  dovea; 
Che  non  si  convenia  ('on  lei,  che  tutta 
Era  sincera ,  alcuna  cosa  brutta. 

E  se  mai  per  addietro  un  nome  chiaro 
Ben  oprando  cercò  di  guadagnarsi, 
E  guadagnato  poi ,  se  avuto  caro, 
Se  cercato  1'  avea  di  conservarsi, 
Or  lo  cercava,  e  n'  era  fatto  avaro, 
Poiché  dovea  con  lei  participarsi,, 
La  qiial ,  sua  moglie ,  e  totalmente  in  dui 
Corpi  esser  dovea  un'   anima  con  luì, 

89.  E  sì,  come  già  a  l)occa  le  avea  detto, 
Le  ridicea  per  questa  carta  ancora  : 
Finito  il  tempo ,   in  che  per  fede  astretto 
Era  al  suo  re,  (piando  non  prima  muora. 
Che  si  farà  Cristian  co*i  d'  efletto, 
Come  di  buon  voler  stato  era  ognora, 
E  eh'  al  i)adrc  e  a  Rinaldo  e  agli  altri  suoi 
Per  moglie  domandar  la  farà  poi. 

90.  Voglio ,  le  soggiiuigea ,  quando  vi  piaccia, 
L'  assedio  al  mio  .«.iguor  levar  d'  intorno, 
Acciocché  r  ignorante  vulgo  taccia, 
11  qiial  direbbe,  a  mia  vergogna  v.  scorno: 
Ruggi<'r,  mentre  Agiamant*;  elibe  bonaccia, 
Mai  non  l'  al)l)an(!onò ,  notte  né  giorno; 
Or ,  che  fortinia  per  Carlo  si  piega. 
Egli  col  vincitor  1'  insegna  spiega. 


[338] 


91.  Voglio  quindici  dì  termine,  o  Tenti 
Tanto  che  comparir  possa  una  volta 
Sicché  degli  africani  alloggiamenti 
La  grave  ossidion  per  me  sia  tolta  : 
Intanto  cercherò  convenienti 

Cagioni,  e  che  sien  giuste,  di  dar  volta. 
Io  \ì  domando  per  mio  onor  sol  questo  ; 
Tutto  poi  vostro  è  di  mia  vita  il  resto. 

92.  In  simili  parole  si  diffuse 

Ruggier,  che  tutte  non  so  dirvi  appieno; 

E   segui  con  molt'  altre,  e  non  conclude. 

Finché  non  vide  tutto  il  foglio  pieno: 

E  poi  piegò  la  lettera,  e  la  chiuse, 

E  suggellata  se  la  pose  in  seno. 

Con  speme ,  che  gli  occorra ,  il'  dì  seguente. 

Chi  alla  donna  la  dia  sccretamente. 

93.  Chiusa  eh'  ebbe  la  lettera,  chiuse  anco 
Gli  occhj  sul  letto,  e  ritrovò  quiete; 

Che  'l  sonno  venne,  e  sparse  il  corpo  stanco 

Col  ramo  intinto  nel  liquor  dì  Lete; 

E  posò,  finch'  un  nembo  rosso  e  bianco 

Di  fiori  sparse  le  contrade  liete 

Del  lucido  oriente,  d'  ogni  intorno 

Ed  indi  uscì  dell'  aureo  albergo  il  giorno. 

94.  E  poiché  a  salutar  la  nuova  luce 
Pe'  verdi  rami  incominciar  gli  augelli, 
Aldigier ,  che  voleva  esser  il  duce 

Di  Ruggiero  e  dell'  altro,  e  guidar  quelli. 
Ove  fac(-ian  ,  che  dati  in  mano  al  truce 
Bertolagi  non  sinio  i  duo  fratelli, 
Fu  '1  primo  in  piede;  e,  quando  sentir  lui, 
Del  letto  uscirò  anco  quegli  altri  dui. 

95.  Poiché  vestiti  furo,  e  bene  armati, 
Co'  duo  cugin  Ruggier  si  mette  in  via. 
Già  molto  indarno  avendoli  pregati, 
Che  questa  impi-esa  a  lui  tutta  si  dia  : 
Ma  essi,  per  desir,  eh'  han  de'  lor  frati, 
E  perché  lor  parca  discortesia, 

Stcron  negando  più  duri,  che  sassi, 
!^é  consentiron  mai,  che  solo  andassi. 

96.  Giunsero  al  loco  il  dì ,  che  si  dovea 
Malagigi  mutar  ne'  carriaggi. 

Era  un'  ampia  campagna,  clie  giacca 

Tutta  scoperta  agli  apollinei  raggi  ; 

Quivi  né  allòr,  né  mirto  si  vedrà, 

INO  cipressi,  né  ^ra^^ini ,  né  faggi. 

Ma  nuda  ghìara,  e  qualche  iimil  virgulto, 

ISon  mai  da  marra,  o  mai  da  vomer  cullo. 


97.      I  tre  guerrieri  ardili  si  fcrmaro. 
Dove  ini  sentier  fcndea  quella  pianiim, 
E   giunger  quivi  un  ca^alicr  iiiiraro, 
(Jir  a\«a  d'  oro  fregiata  V  armafura. 
E  per  insegna,  in  cam|io  verde  il   raro 
E  bello   aiigel,   clic  più  d'  un  mcoI    dura. 
Signor,  non  piti,  cbè  giunlii  al   tiu  mi  seggio 
Di  qucbto  canto,  e  riposarmi  chieggio. 


22 


[339] 


ORLANDO   FURIOSO.  (XXVI.  1  —  12) 


[340] 


CANTO     VENTESIMOSESTO. 


ARGOMENTO. 

Malagigi  dichiara  le  figure, 
Che  ad  una  fonte  veggonsi  scolpite. 
Soprnvvien  Mandricardo ,  e  gravi  e  dure 
Pugne  ha  con  quel  d'  Àlgieri ,  e  nova  lite. 
Avvicn  eh'  ancor  Ruggier  con  ambi  cure 
Di  guerreggiar ,  ed  ambi  a  zuffa  invite  : 
Ma  Doralice  via  porta  il  ronzino, 
E  si  rivolgon  tutti  a  quel  cammino. 


1.  Cortesi  donne  el)be  1'  antica  etade, 
Che  le  virtù,  non  le  ricchezze  amaro. 
Al  tempo  nostro  si  ritrovan  rade, 

A  cui ,  più  del  guadagno ,  altro  sia  caro. 
Ma  quelle  clie,   per  lor  vera  Lontade, 
Non  seguon  delle  più  lo  stile  avaro, 
Vivendo,  degne  son  d'   esser  contente, 
Gloriose  e  immortai,  poiché  fian  spente. 

2.  Degna  d'  eterna  laude  è  Bradamantc, 
Cile  non  amò  tesor,  non  amò  impero, 
Ma  la  virtù,  ma  1'  animo  prestante, 
Ma  r  alta  gentilezza  di  Ruggiero, 

E  meritò,  che  ben  le  fosse  amante 
Un  così  valoroso  cavaliero, 
E  ,  per  piacere  a  lei,  facesse  cose 
Rei  secoli  a  venir  miracolose. 

3.  Ruggier ,  come  di  sopra  vi  fu  detto, 
Co''  duo  di  Cliiararaonte  era  venuto. 
Dico  c(m  Aliligier,  con  llicciardctto. 
Per  dare  ai  duo  fratei  prigioni  ajiito. 
Vi  dissi  ancor ,  che  di  superbo  aspetto 
Venire  un  cavaliero  aA'ean  veduto. 
Che  portiiva  1'  augcl,  che  si  rinnova, 
E  sempre  unico  al  mondo  si  ritrova. 

ì.      Come  dì  questi  il  cavalicr  s'  accorse. 
Clic  stavan  per  ferir  quivi  suU'  ale. 
In  prova  disegnò  «li  voler  jiorse, 
S'  alla  semhiany.a  avean  virtiule  uguale. 
Edi  voi,  disse  loro,  alciuio  forse, 
Che  provar  voglia,  <hi  di  noi  più  vale, 
A  colpi  o  della  lancia,  o  della  spada. 
Finché  r  un  resti  in  scila,  e  l'  altro  cada.-' 

5.      Farei,  disse  Aldigier,  tcco ,  o  volessi 
Menar  la  spada  a  coito,  o  correr  1'  asta; 
Ma  un'  altra  ini])r('sa ,  che ,  se  qui  tu  stessi, 
Veder  potresti ,  questa  in  modo  guasta, 
Ch'   a  parlar  tcco  (rum  cIk;  ci  traessi 
A  correr  gio>tra  )  appriia  il  temj)0  basta; 
Seicento  uomini  al  \ar(-o,  o  più,  attendiamo, 
Co'  quai  d'  oggi  provarci  obbligo  abbiiuno. 


6.  Per  tor  lor  duo  de'  nostri ,  che  prigioni 
Quinci  trarran ,  jiietade  e  amor  n'  ha  mosso. 
E  seguitò  narrando  le  cagioni, 
Che  li  fece  venir  con  1'  arme  indosso. 
Sì  giusta  è  qne^ta  scusa,  che  m'  opponi. 
Disse  il  guerrier,  che  contraddir  non  posso, 
E  fo  certo  giudicio  ,  che  voi  siate 
Tre  cavalier,  che  pochi  pari  abbiate. 

7.  Io  chiedea  un  colpo,  o  due  con  voi  scontrarmc 
Per  veder ,  quanto   fosse  il  valor  vostro  ; 
Ma ,  quando  all'  altrui  spese  dimostrarme 
Lo  vogliate,  mi  basta,  e  più  non  giostro. 
Vi  prego  ben.  che  por  con  le  vostr'  arme 
Qnest'  elmo  io  possa,  e  questo  scudo  nostro; 
E  spero  dimostrar,  se  con  voi  vegno, 
Che  di  tal  compagnia  non  sono  indegno. 

8.  Farmi  veder ,  che  alcun  saper  desia 
Il  nome  di  costui ,  che ,  quivi  giunto, 
A  Ruggiero  e  a'  compagni  si  offeria 
Compagno  d'  arme  al  periglioso  punto. 
Costei  ,  non  più  costui ,  detto  vi  sia, 
Era  Marfisa ,  che  diede  1'  assunto 
Al  misero  Zerbin  della  ribalda 
Vecchia  Gabrina ,  ad  ogni  mal  si  calda. 

9.  I  duo  di  Chiaramente  e  il  buon  Ruggiero 
L'  accettar  voicntier  nella  lor  schiera; 
Ch'  esser  crcdeano  certo  un  cavaliero, 
E  non  donzella,  e  non  quella,  eh'  eli'  era. 
Kon  molto  dopo  scoperse  Aldigiero, 
E  veder  fé'  ai  compagni  una  bandiera, 
Che  facea  1'  aura  tremolare  in  voltii, 
E  molta  gente  intorno  avea  raccolta. 

10.  E ,  poiché  più  lor  fnr  fatti  vicini, 
E  che  meglio  notar  1'  abito  moro, 
Conolìbero ,  che  gli  cran  Saracini, 
E  videro  i  prigioni ,  in  mezzo  a  loro 
Legati ,  e  tratti  su  picciol  ronzini 
A'  Maganzesi ,  per  cambiarli  in  oro. 
Disse  Marfisa  agli  altri:  Ora  che  resta. 
Poiché  son  qui,  di  cominciar  la  festa? 

11.  Ruggier  rispose:  Gì'  invitati  ancora 
Non  ci  son  tutti ,  e  manca  una  gran  parte. 
Gran  ballo  s'  apparecchia  di  far  ora; 
E,  perché  sia  solenne,  usiamo  ogni  arte! 
Ma  far  non  ponuo  ornai  Ituiga  dimura. 
Così  dicendo  ,  veggono  in  disparte 
Venire  i  traditori  di  Maganza, 
Siccii'  eran  presso  a  cominciar  la  danza. 

12.  Giungean  dall'  una  paiate  i  Maganzesi, 
E  condu(!ean  ('on  loro  i  muli  carchi 
D'  oro  e  di  vesti  e  d'  altri  ricchi  arnesi. 
Dall'  altra ,  in  mozzo  a  lance,  spade  ed  ardii, 
A Cnian  dolenti  i  due;  gerniani  presi. 
Che  si  \  ('deano  esser  attesi  ai  varchi  ; 
E  SJertoIagi ,  ou)[)io  nemico  loro, 
Udian  parlar  col  capitano  moro. 


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ORLANDO  FURIOSO.     (XXVI.  13  —  28) 


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13.  Né  di  Buovo  il  fìgliuol,  né  quel  d'  Ainone, 
Veduto  il  Mnganzese,  indugiar  puote: 

La  lancia  in  resta  i'  uno  e  1'  altro  pone, 
E  1'  uno  e  1'  altro  il  traditor  percuote. 
L'  un  gli  pas-sa  la  pancia  e  '1  primo  arcione, 
E  r  altro  il  viso  per  mezzo  le  gote. 
Così  n'  andasser  pur  tutti  i  malvagi, 
Come  a  quei  colpi  n'  andò  Bertolagi  ! 

14.  Marfisa  con  Ruggiero  a  questo  segno 
Si  muove,  e  non  aspetta  altra  trombetta; 
]\è  prima  rompe  1'  arrestato  legno, 

Che  tre,  1'  un  dopo  F  altro,  in  terra  getta. 
Dell'  asta  di  Ruggìer  fu  il  jìagan  degno, 
Che  guidò  gli  altri ,  e  uscì  di  vita  in  fretta  ; 
E   per  quella  medesima  con  lui, 
Lno  ed  un  altro  andò  nei  regni  bui. 

15.  Di  qui  nacque  un  error  tra  gli  assaliti. 
Che  lor  causò  lor  ultima  mina. 

Da  un  lato ,  i  Maganzcsi  esser  traditi 
Credeansi  dalla  squadra  saracina ; 
Dall'  altro,  i  Mori  in  tal  modo  feriti, 
L'  altra  schiera  chiamavano  assassina; 
E  tra  lor  cominciar,  con  fiera  clade, 
A  tirar  archi,  e  a  menar  lance  e  spade. 

16.  S<ilta  ora  in  questa  squadra,  ed  ora  in  quella 
Ruggiero,  e  via  ne  toglie  or  diece,  or  venti. 
Altrettanti  per  man  della  donzella 

Di:  qua  e  di  là  ne  son  scemati  e  spenti. 
Tanti  si  veggon  gir  morti  dì  sella, 
Quanti  ne  toccan  le  spade  taglienti, 
A  cui  dan  gli  elmi  e  le  corazze  loco, 
Come  nel  bosco  i  secchi  legni  al  foco. 

17.  Se  mai  d'  aver  veduto  vi  ricorda, 
O  rapportato  v'  ha  fama  all'  orecchie, 
Come,  allor«-hè  '1  collegio  si  discorda, 
E  vansi  in  aria  a  far  guerra  le  pecchie, 
Entri  fra  lor  la  rondinella  ingorda, 
E  mangi,  e  uccida,  e  guastine  parecchie, 
Dovete  immaginar,  che  similmente 
Ruggier  fosse,  e  Marfisa  in  quella  gente. 

18.  Non  così  Ricciardetto  e  il  suo  cugino 
Tra  le  due  genti  variavan  danza; 
Perchè ,  lasciando  il  campo  Saracino, 
Sol  tcneau  1'  occhio  all'  altrr»  di  iMaganza. 
Il  fratel  di  Rinaldo  paladino 
Con  molto  animo  avea  molta  possanza, 
E  quivi  raddojìpiar  gliela  farca 
L'  odio,  che  contra  ai  Maganzesi  avca. 

19.  Facca  parer  questa  nicdesma  causa 
Un  leon  fiero  il  l)astardo  di  Ruom), 
(]he  con  la  spada,  senza  indugio  e  |)ausa. 
Fende  ogni  ehno,  o  lo  >chiai-cia,  come  un  uovo. 
E  qual  persona  non  saria  stata  ausa. 
Non  saria  comparita  un  Kttor  niitivo, 
IVlarfisa  avendo  in  <:onipagnia,  e  Ruggiero, 
C'ir  cran  la  scelta  e  '1  fior  d'  ogni  guerriero  ? 

20.  Marfìsa  tuttavolta  comliattcndo, 
Spesso  ai  com))agni  gli  occlij  rivoltava, 
E ,  di  lor  forza   paragon   vedendo, 
Con  nu-ravigliii  tutti  li  lodava. 
>la  di   Ruggier  pure  il   valor  stupendo 
E  senza  pari  al  mondo  le  seml)ra>a: 
E  talor  si  credea,  clic  fos>e  Marte 
Sce:>u  dai  quinto  ciclo  in  quella  parie. 


21.  IMirava  quelle  orril)ili  percosse, 
Miravale  non  mai  calare  in  fallo. 
Parca ,  che  contra  Balisarda  fosse 
Il  ferro  carta,  e  non  duro  metallo. 
Gli  elmi  tagliava,   e  le  corazze  grosse, 
E  gii  uomini  fendca  fin  sul  cavallo, 

E  li  mandava  in  parte  uguali  al  prato, 
Tanto  dall'  un ,  quanto  dall'  altro  lato. 

22.  Continuando  la  medesma  botta 
Uccidea  col  signore  il  cavallo  anche. 
I  capi  dalle  spalle  alzava  in  frotta, 
E  spesso  i  busti  dipartia  dall'  anche  ; 
Cinque  e  più  a  un  colpo  ne  tagliò  talotta; 
E,  se  non  che  pur  dubito ,  che  manche 
Credenza  al  Acr,  eh'  ha  faccia  di  menzogna. 
Di  più  direi;  ma  di  men  dir  bisogna. 

23.  Il  buon  Turpin ,  che  sa ,  che  dice  il  vero, 
E  lascia  creder  poi  quel,   che  all'  uom  piace, 
Narra  mirabil  cose  di  Ruggiero, 

Ch"  udendol,   il  direste  voi  mendace. 

Così  parca  di  ghiaccio  ogni  guerriero 

Contra  Marfisa,  ed  ella  ardente  face; 

E  non  men  di  Ruggier  gli  occhj  a  sé  trasse, 

Ch'  ella  di  lui  1'  alto  valor  mirasse. 

24.  E ,  s'  ella  lui  Marte  stimato  avea. 
Stimato  egli  avria  lei  forse  Bellona, 
Se  per  donna  così  la  conoscea, 
Come  parea  il  contrario  alla  persona. 
E  forse  cmulazion  tra  lor  nascea 
Per  quella  gente  misera,  non  buona, 
Nella  cui  carne,  e  sangue,  e  nervi,  ed  ossa 
Fan  prova,  chi  di  loro  abbia  più  possa. 

25.  Bastò  di  quattro  1'  animo  e  '1  valore 

A  far ,  eh'  un  campo  e  1'  altro  andasse  rotto. 
Non  restava  arme,  a  chi  f uggia,  migliore, 
Che  quella ,  che  si  porta  più  di  sotto. 
Beato ,  chi  il  cavallo  ha  corridore  ! 
Che  in  prezzo  non  è  quivi  ambio ,  né  trotto  : 
E  chi  non  ha  destrier  ,  quivi  s'  .ivi  ede, 
Quanto  il  mestier  dell'  arme  è  tristo  a  piede. 

26.  Riman  la  preda  e  '1  campo  ai  vincitori; 
Che  non  è    fante,  o  mulattier,   «he  resti. 
Là  i  Maganzcsi,  e  qua  fuggono  i  .ìlori; 
Quei  lasciano  i  prigion ,  le  some  questi. 
Furon,   con  lieti  >isi,  e  più  coi  cori, 
Rlalagigi  e  Viviano  a  scioglier  presti. 
Non  tur  men  diligenti  a  sciorre  i  paggi, 
E  por  le  some  in  terra ,  e  i  carriaggi. 

27.  Oltre  una  buona  quantità  d'  argento, 
Che  in  diverse  vasella  era  formato, 
E<l   alcun  nmlicbre  Ae>tiui(iito 

Di  lavoro  bcllissiuu)  fregiato. 

E  per  stanze  reali  un  paramento 

D'  oro  e  di  seta,  in  Fiandra  lavorato, 

Ed  altre  cose  ricclu-  in  copia  grande, 

Fiaschi  di  vin  tro\àr,  pane  e  vivande. 

28.  Al  trar  di-gli  «Imi.  tutti  vidcr,  come 
Avea  l(U'  dato  ajuto  mia  (lon/«'lln. 

Fu  conosciuta  all'  anri-e  crespe  chioine 
Ed  alla    taccia  delicata  e  bella. 
L'  onorai)  nutlto,  e  i)regano ,  che  '1  nome 
ni  gloria  «li'guii  nini  as«-tuida  ;   «-d  ella. 
Clic  M-mprc  tra  >x\ì  amiti  «-rii  cortese, 
A  dar  di   sé  nuti/.ia  non  contese. 

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ORLANDO   FURIOSO.     (XXVI.  29-1^) 


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29.  Non  si  ponno  saziar  di  l'i^uardarla. 
Che  tal  visita  1'  avean  nella  battag^Iia. 
Sol  mira  ella  Riiggier ,  sol  con  lui  parla  ; 
Altri  non  prezza,  altri  non  par  che  vaglia. 
Vengono  i  servi  intanto  ad  invitarla 

Coi  compagni  a  goder  la  vettovaglia, 
Che  apparecchiata  avean  sopra  una  fonte, 
Che  dit'endea  dal  raggio  estivo  un  monte. 

30.  Era  una  delle  fonti  di  Merlino, 
Delle  quattro  di  Francia  da  lui   fatte, 
D'  intorno  cinta  di  bel  marmo  fuio, 
Lucido  e  terso,  e  bianco  più  che  latte. 
Quivi  d'  intaglio  con  lavor  di^ino 
Avea  5Ierlino  immagini  ritratte. 
Direste ,  che  spiravano  ,  e ,  se  prive 
Ron  fossero  di  voce ,  eh'  eran  vive. 

31.  Quivi  una  bestia  uscir  della  foresta 
Parea,  di  crudel  vista,  odiosa  e  brutta, 
Ch'  avea  1'   orecchie  d'  asino ,  e  la  testa 

Di  lupo,  e  i  denti,  e  per  gran  fame  asciutta; 
Branche  avea  di  leon;  1'  altro,  che  resta, 
Tutto  era  volpe;  e  parea  scorrer  tutta 
E  Francia  e  Italia,  e  Spagna  ed  Inghilterra, 
L'  Europa  e  i'  Asia,  e  alìln  tutta  la  terra. 

32.  Per  tutto  avea  genti  ferite  e  morte, 
La  bassa  plebe,  e  i  più  superbi  capi; 
Anzi  nocer  parea  molto  più  forte 

A  re ,  a  signori,  a  principi,  a  satrapi. 
Peggio  facea  nella  romana  corte  ; 
Che  v'  avea  uccisi  cardinali  e  papi, 
Contaminato  a'vea  la  bella  sede 
Di  Pietro,  e  messo  scandal  nella  fede. 

33.  Par,  che  dinanzi  a  questa  bestia  orrenda 
Cada  ogni  muro ,  ogni  ripar ,  che  tocca  : 
]\on  si  vede  città,  che  si  difenda; 

Se  1'  apre  incontra  ogni  castello  e  rocca. 
Par,  che  agli  onor  divini  anco  s'  estenda, 
E  sia  adorata  dalla  gente  sciocca, 
E  che  le  chiavi  s'  arroghi  d'  avere 
Del  cielo  e  dell'  abisso  in  suo  potere. 

34.  Poi  si  vedea ,  d'  imperiale  alloro 
Cinto  le  chiome,  un  cavalier  venire 

Ctm  tre  giovani  a  par,  che  i  gigli  d'  oro 

Tessuti  avean  nel  lor  real  vestire; 

E  con  insegna  simile  con  loro 

Parea  i\n  leon  contra  quel  mostro  uscire. 

Arta  lor  nomi,  chi  sopra  la  testa, 

E  chi  nel  lembo  scritto  della  vesta. 

35.  L'  un,  eh'  avea  fin  all'  elsa  nella  pancia 
La  spada  immersa  alla  maligna  fera, 
Fran<;csco  primo  avea  scritto  di  Francia; 
Massimiliano  d'  Austria  a  par  sec(»  era; 

E  Carlo  quinto,  imperator,  di  lancia 
Avea  passato  il  mostro  alla  giu'giera; 
E  r  altro,  che  di  strai  gli  figge  il  petto, 
L'  ottavo  Enrico  d'  Inghilterra  è  detto. 

Sf).      Decimo  ha  quel  Leon  scritto  sul  dosso, 

Ch'  al  biotto  m»t»tro   i  denti  ha  n(;gli  orecchj, 

E  tanto  r  lia  giù  travagliiUo  e  scosso. 

Che  vi  sono  arrivati  altri  parecch.j. 

Pare;»  del  mondi)  «igni  timor  rimosso; 

Eli  in  «tmend.i  degli   errori  vecchj 

]\obil  gente  arcoriea,  non   piii»  molta. 

Onde  alla  belva  era  la  vita  tolta. 


37.  I  cavalieri  stavano  e  Marfisa 
Con  desiderio  di  conoscer  questi. 
Per  le  cui  mani  era  la  besria  uccisa. 
Che  fatti  avea  tanti  luoghi  atri  e  mesti. 
Avvegnaché  la  pietra  fosse  inrisa 

De'  nomi  lor,  non  eran  manilesti. 
Si  pregavan  tra  lor ,  che  ,  se  sapesse 
L'  istoria  alcuno ,  agli  altri  la  dicesse, 

38.  Voltò  A'iviano  a  Malagigi  gli  occhj. 
Che  stava  a  udire ,  e  non  iacea  lor  motto. 
A  te,  disse,  narrar  1'  istoria  tocchi, 

di'  esser  ne  dei ,  per  quel  eh'  io  vegga ,    dotto 

Chi  son  costor,  che,  con  saette  e  stocchi 

E  lance,  a  morte  han  I'  animai  condotto? 

Rispose  Malagigi  :  Non  è  istoria. 

Di  eh'  abbia  autor  fin  qui  fatta  memoria. 

31).      Sappiate,  che  costor,  che  qui  scritto  hanno 
Nel  marmo  i  nomi ,  al  mondo  mai  non  furo. 
Ma  fra  settecent'  anni  vi  saranno. 
Con  grande  onor  del  secolo  futuro. 
Merlino,  il  savio  incantator  britanno. 
Fé'  far  la  fonte  al  tempo  del  re  Arturo, 
E  di  cose,  eh'  al  mondo  hanno  a  venire. 
La  fc'  da  buoni  artefici  scolpire. 

40.  Questa  bestia  crudele  uscì  del  fondo 
Dell'  inferno  a  quel  tempo,  che  fur  fatti 
Alle  campagne  i  termini ,  e  In  il  pondo 
Trovato,  e  la  misura,  e  scritti  i  patti. 
Ma  non  andò  a  principio  in  tutto  '1  mondo; 
Di  sé  lasciò  molti  paesi  intatti. 

Al  tempo  nostro  in  molti  lochi  sturba. 
Ma  i  popolari  ollende,  e  la  'ài  turba. 

41.  Dal  suo  principio  infin  al  secol  nostro 
Sempre  è  cresciuto,  e  sempre  andrà  crescendo 
Sempre  crescendo,  al  lungo  andar,  fia  il  mostr 
Il   maggior,  che  mai   fosse,  ed  il  più  orrendo 
Quel  Piton,  che  per  carte  e  per  inchiostro 

S'  ode ,  che  fu  si  orribile  e  stupendo, 
Alla  metà  di  questo  non  fu  tutto, 
Nò  tanto  abbominevul ,  nò  sì  brutto. 

42.  Farà  strage  crudel,  nò  sarà  loco, 
Cile  non  guasti,  contamini  ed  infetti; 
E  quanto  mostra  la  scoltura ,  è  poco 
De'  suoi  nefandi  e  abbominosi  elfettì. 
Al  mondo,  di  gridar  mercè  già  l'oco. 
Questi,  dei  quali  i  nomi  abbiamo  letti. 
Che  chiari  splenderan  più  che  piropo. 
Verranno  a  dare  ajuto  al  maggior  uopo. 

43.  Alla  fera  crudele  il  più  molesto 

Non  sarà  di  Francesco,  il  re  de'  Franchi: 
E  ben  convien ,  che  molti  ecceda  in  questo, 
E  nessun  prima,  e  pochi  n'  abbia  ai  fianchi. 
Quando  in  splendor  real ,  quando  nel  resto 
Di  virtù ,  farà  molti  parer  manchi, 
Che  già  parvcr  compiuti  ;  ccune  cede 
Tosto  ogni  altro  splendor ,  che  '1  sol  sì  vede. 

44.  L'  anno  primicir  del    fortunato  regno. 
Non  lerma  ancor  ben  la  corona  in  fronte. 
Passerà  l'  Alpe?,  e  romp«!rà  il  disegno 
Di  chi  all'  incontro  avrà  occu))ato  il  monte; 
Da  giusto  spinto  e  generoso   sdegni». 
Che  vtriulicale  ancor  non  sieno  1'  onte, 
('Ih;  dal  furor,  d<i  paschi  e  mandrc  uscito, 
L  'esercito  di  Francia  avrà  patito. 


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ORLANDO  FURIOSO.     (XXVI.  45—60) 


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I 


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E  quindi  scenderà  nel  ricco  piano 
Di  Lombardia ,  col  fior  di  Francia  intorno, 
E  si  i'  Elvezio  spezzerà,  che  invano 
Farà  mai  più  pensier  d'  alzare  ii  corno. 
Con  g^rande,  e  della  chiesa,  e  dell'  impano 
Campo,  e   del  fiorentin,  vergogna  e  scorno, 
Espugnerà   il  Castel,  che  prima  stato 
Sarà  non  espugnabile  stimato. 

Sopra  ogni  altr'  arme,  ad  espugnarlo,  molto 
Più  gli  varrà  quella  onorata  spada. 
Con  la  qual  jiriraa  avrà  di  vita  tolto 
Il  mostro  corrottor  d'  ogni  contrada. 
Convien,  eli'  innanzi  a  quella  sia  rivolto 
In  fuga  ogni  stendardo ,  o  a  terra  vada, 
Nò  fossa ,  nò  ripar ,  nò  grosse  mura 
Possan  da  lei  tener  città  sicura. 

Questo  prìncipe  avrà  quanta  eccellenza 
Aver  felice  imperator  mai  debbia; 
L'  animo  del  gran  Cesar ,  la  prudenza 
Di  chi  mostroHa  a  Trasimeno  e  a   Trebbia, 
Con  la  fortuna  d'  Alessandro ,  senza 
Cui  saria  fumo  ogni  disegno,  e  nebbia: 
Sarà  si  liberal,  eh'  io  lo  contemplo 
Qui  non  aver  né  paragon ,  nò  esemplo. 

Così  diceva  Malagigi ,  e  messe 
Desire  ai  cavalier  d'  aver  contezza 
De)  nome  d'  alcun  altro,  di'  uccidesse 
L'  infernal  bestia ,  a  uccider  gli  altri  avvezza. 
Quivi  un  Bernardo  tra'  primi  si  lesse, 
Clie  Merlin  molto  nel  suo  scritto  apprezza: 
Fia  nota  per  costui,  dicea ,  Bibiena, 
Quanto  Fiorenza  sua  vicina ,  e  Siena. 

Kon  mette  piedi  innanzi  ivi  persona 
A  (ìismondo ,  a  Giovanni,  a  Ludovico; 
Un  Gonzaga,  un  Salviati ,  un  d'Aragona, 
Ciascuno  al  I)rutto  mostro  aspro  nimico. 
^''  ò  Francesco  Gonzaga,  nò  abbandona 
Le  sue  vestige  il  figlio  Federico  ; 
Ed  ha  il  cognato  e  il  genero  vicino. 
Quel  di  Ferrara ,  e  quel  duca  d'  Urbino. 

Dell'  un  di  questi  il  figlio  Gnidoltahio 
Non  vuol,  clic  'i  padre,  o  eh' altri  addieti'O  il  metta. 
Con  Ottol>on  dal  P'iisco ,  Sinibaldo 
Caccia  la  fera,  e  van  di  pari  in  fretta. 
Luigi  da  Ìmh/aAo  lì  ferro  caldo 
Fatto  nel  collo  le  ha  d'  una  saetta, 
Che  con  1'  arco  gli  dio  Febo,  quando  anco 
Marte  la  spada  sua  gli  mise  al  fianco. 

Duo  Ercoli ,  duo  Ippnliti  da  Estc, 
Un  altro  Ercole ,  mi  altro  Ippolito  anco 
Da  Gonzaga,  e  de'  M'-diri,  !(;  jx-ste 
Seguon  del  mostro,  e  1'  han  cacciando  stanco. 
IVè  (ìiuliano  al  ligiiuol,   nò  par  clu;  reste 
Ferrante  al  fratel  dietro  ;  nò  <li<;  manco 
Andrea  Doria  sia  pronto;   nò  v.ìu^  lassi 
Francesco  Sforza,  eh'  i\i  u(»mo  lo  passi. 

Del  generoso  ,  illustre  e  chiaro  sangue 
D'  Avalo  vi  sou  dui,  eh'  bau  per  in^^egna 
Lo  scoglio,  cIm!,  dal  capo  ai  piedi  d'  angue. 
Par  «:lie  1'  empio  TilV-o  sotto  si  tegna. 
fiiUì  è  di  qne>li  duo,   per  far  esangue 
L'  «rribii  iiKistro,  elii  più  innanzi  vegnn. 
L'  uno  l''riinci's<o  di  IVseara  in\itto, 
L'  altro  Alfoni.0  del  \abto  ai  piedi  ha  scritto. 


53 


54 


Ma  Consalvo  Ferrante  ove  ho  lasciato, 
L'  ispano  onor,  che  in  tanto  pregio  v'  era. 
Che  fu  da  Malagigi  sì  lodato, 
Che  pochi  il  pareggiar  di  quella  schiera  .=* 
Guglielmo  si  vedea  di  Monferrato 
Fra  quei,  che  morto  avean  la  brutta  fera  ; 
Ed  eran  pochi,  verso  gì'  infiniti 
Ch'  ella  v'  avea,  chi  morti,  e  chi  feriti. 

In  giuochi  onesti ,  e  parlamenti  lieii, 
Dopo  mangiar,  spesero  il  caldo  giorno. 
Corcati  su  finissimi  tappeti. 
Tra  gli  arbuscelli,  ond'  era  il  rivo  adomo. 
Malagigi  e  Vivian,  pcrcliè  quieti 
Più  fosser  gli  altri,  tencan  1'  arme  intorno, 
Quando  una  donna  senza  compagnia 
lider,  che  verso  lor  ratto  venia. 

55.      Questa  era  quella  Ippalca ,  a  cui  fu  tolto 
Frontino  ,  il  buon  destrier ,  da  Rodomonte. 
L'  avea  il  di  innanzi  ella  seguito  molto, 
Pregandol  ora,  ora  dicendogli  onte: 
Ma,  non  giovando,  avea  il  cammin  rivolto, 
Per  ritrovar  Ruggiero  in  Agrismonte. 
Tra  via  le  fu,  non  so  già  <-.ome,  detto, 
Che  quivi  il  troveria  con  Ricciardetto. 

50.      E  perchè  il  luogo  ben  sapea ,  (chò  v'  era 
Stata  altre  voltej  se  ne  venne  al  dritto 
Alla  fontana,  ed  in  quella  maniera 
Yc  lo  trovò,  eh'  io  v'  Iio  di  sopra  scritto. 
Ma,  come  buona  e  cauta  messaggera, 
Che  sa  meglio  eseguir,  che  non  V  è  ditto, 
Quando  vide  il  fratel  di  Bradamante, 
Non  conoscer  Ruggier  fece  sembiante. 

57.     A  Ricciardetto  tutta  rivoltosse, 
Sì,  come  drittamente  a  lui  \enisse; 
E  quel,  che  la  conobbe,  se  le  mosse 
Incontra  ,  e  domandò ,  dove  ne  gisse. 
Ella,  che  ancor  avea  le  luci  rosse 
Del  pianger  lungo,  sospirando  disse: 
(^Ma  disse  forte ,  acciocché  fosse  espresso 
A  Ruggiero  il  suo  dir ,  che  gli  era  presso  :) 

59.      Mi  traca  dietro,  disse,  per  la  briglia. 
Come  imposto  mi  avea  la  tua  sorella. 
Un  bel  cavallo,  e  buono  a  meraviglia, 
Ch'  ella  molto  ama,  e  che  Frontino  appella. 
E  r  avea  tratto  più  di  trenta  miglia 
Verso  Marsilia,  ove  venir  dcbb'  ella 
Fra  pochi  giorni ,  e  dov'  ella  mi  disse, 
Ch'  io  r  a>pettas^i,  finche  vi  venisse. 

59.      Era  sì  baldanzoso  il  creder  mio, 

Ch'  io  non  stimava  alcun  di  cor  sì  saldo, 
Che  me  1'  avesse  a  ti>i-,  dicendogli  io, 
Ch'  era  della  soiella  «li  Uinaldo: 
Ma  vano  il  mio  «lisegno  jer  m   uscio, 
('Ilo  me  lo  l<tlse  un  saraciii  ribaldo  ; 
]\è,  per  udir,  di  chi  Frontino  fussc, 
A  volermelo  rendere  s'  indusse. 

Ttitt'  jeri  ed  ogi^i  1'  ho  pregato;  e  quando 
Ilo  \i>to  iixir  prirglii  e  miiiacce  iinano, 
i^laleilic-rndol   mollo  ,  e  lie>t(  imniaiido, 
L'  ho  lasciato  di  (pii  poco  lontano, 
I)o\e,  il  (-a>allo  e  sé  mollo  airiniiando, 
S'  a.juta,  quanto  può,  con  1'  ariiu^  in  mano 
C'oiitra  nn  giierrier,   che  in  tal   tiM\airlio  il  mette, 
Che  spero,  eh'  abbia  u  far  le  mie  %endelle. 


(>0 


[34Ì] 


ORLANDO    FURIOSO.      (XXVI.   61—76) 


[348 


61 


Ruggiero  ,  a  quel  parlar,  salito  in  picc'c, 
CIi'  avea  potuto  appena  il  tutto  udire, 
Si  volta  a  Riecinrdetto ,  e  per  mercede, 
E  premio  e  guiderdon  del  ben  serrire, 
Prieglii  aggiungendo  senza  fin ,  gli  chiede, 
Che  con  la  donna  solo  il  lasci  gire 
Tanto ,  che  '1  Saracin  gli  sia  mostrato, 
Ch'  a  lei  di  mano  ha  il  buon  destrier  levato. 


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64 


A  Ricciardetto  ,  ancorché  discortese 
n  concedere  altrui  troppo  paresse. 
Di  terminar  le  a  sé  debite  imprese, 
Al  Aoler  di  Ruggier  pur  si  rimesse: 
E  quel  licenza  dai  compagni  prese, 
E  con  Ippalca  a  ritornar  si  messe. 
Lasciando  a  quei,  che  riniancan,  stupore, 
Kon  meraviglia  pur  del  suo  valore. 

Poiché  dagli  altri  allontanato  alquanto 
Ippalca  r  ebbe,  gli  narrò,  che  ad  esso 
Era  mandata  da  colei,  che  tanto 
Avea  nel  core  il  suo  valore  impresso  ; 
E  senza  finger  più ,  seguitò ,  quanto 
La  sua  donna ,  al  partir ,  le  avea  commesso, 
E  che,  se  dianzi  avea  altrimenti  detto, 
Per  la  presenza  fu  di  Ricciax'detto. 

Disse,  che  chi  le  avea  tolto  il  tlestiicro, 
Ancor  detto  1'  avea  con  molto  orgoglio: 
Perché  so ,  che  '1  caA  allo  é  di  Ruggiero, 
Più  volentier  per  questo  te  lo  toglio. 
S'  egli  di  racquistarlo  avrà  pensiero, 
Fagli  saper,  che  asconder  non  gli  voglio, 
Ch'  io  son  quel  Rodomonte,  il  cui  valore 
Mostra  per  tutto  il  mondo  il  suo  splendore. 

65.      Ascoltando  Ruggier  mostra  nel  volto. 
Di  quanto  sdegno  acceso  il  cor  gli  sia; 
Sì ,  perché  caro  avria  Frontino  molto, 
Si,  perchè  venia  il  dono,  onde  venia; 
Sì ,  perché  in  suo  dispregio  gli  par  tolto. 
A  ede ,  che  biasmo  e  disonor  gli  Ila, 
Se  torlo  a  Rodomonte  non  s'  affretta, 
E  sopra  lui  non  fa  degna  vendetta. 

La  donna  Ruggier  guida,   e  non  soggiorna, 
Clic  por  lo  l)rama  col  pagano  a  fronte; 
E  giunge ,  ove  la  strada  fa  due  corna, 
L'  un  va  giù  al  piano,  e  l'  altro  va  su  al  monte; 
E  quci-to  e  quel  nella  vallea  ritorna, 
Dov'  ella  avea  lasciato  Rodomonte. 
Aspra ,  ma  breve ,  era  la  via  del  colle, 
L'  altra  più  lunga  assai ,  ma  piana  e  molle. 

Il  desiderio ,  che  conduce  Ippalca, 
D'  aver  Frontino,  e  vendicar  1'   oltraggio, 
Fa,  che    1  seiitier  della  montagna  calca. 
Onde  molto  |)iii  corto  era  il  viiigj!;!!). 
Per  r   altra  intanto  il   re  d'  Algier  cavalca 
Col  Tartaro  ,  e  con  gli  altri ,    clic  detto  haggio, 
E  giù  nel  pian  la  \ia  più  facil  tiene, 
INé  eoa  Ruggiero  ad  incontrar  si  viene. 

Già  son  le  lor  querele  diderite, 
Finclié  soccorso  ad  Agrainanle  sia, 
(Questo  Kai>ete)  ed  han  d'   ogni  l(»r  lite 
La  cagiiui ,  Udialice ,  in  coni|iag(iia. 
Ora  il  i>ur((>;s(i  deir  istoria  udite! 
Alla  foiitanii  è  hi  loi-  dritta  via, 
Ove  Aldigicr,   Mailìha  e  Ricciardetto, 
Malagigi  e  \iviun  btannu  a  dilettto. 


QCi 


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68 


69.  Marfisa ,  a'  i)reghi  de'  compagni ,  avea 
Aeste  da  donna,  ed  ornamenti  presi, 

Di  quelli ,  eh'  a  Lanfusa  si  credea 

Mandare  il  traditor  de'  Maganzesi; 

E  benché  veder  raro  si  solca 

Senza  l'  usbergo  e  gli  altri  buoni  arnesi. 

Pur  quel  dì  se  li  trasse,  e  come  donna, 

A'  prieghi  lor,  lasciò  vedersi  in  gonna. 

70.  Tostoché  vede  il  Tartaro  Marfisa, 
Per  la  credenza,  eh'  ha  di  guadagnarla. 

In  ricompensa  e  in  cambio  ugual,  s'  avvisa. 
Di  Doraliee  ,  a  Rodomonte  darla  ; 
Siccome  amor  si  regga  a  questa  guisa, 
Che  vender  la  sua  donna ,  o  permutarla 
Possa  r  amante,  né  a  ragion  s'  attristi, 
Se,  quando  una  ne  perde,  una  n'  acquisti. 

71.  Per  dunque  provedergli  di  donzella. 
Acciò  per  sé  quest'  altra  si  ritegna, 
Marfisa,  che  gli  par  leggiadra  e  bella, 
E  d'  ogni  cavalier  femmina  degna. 
Come  abbia  ad  aver  questa,  come  quella 
Subito  cara,  a  lui  donar  disegna; 

E  tutti  i  cavalier,   che  con  lei  vede, 
A  giostra  seco ,  ed  a  battaglia  chiede. 

72.  j\Ialagigi  e  Yivian ,  che  l'  arme  aveano 
Come  per  guardia  e  sicurtà  del  resto, 

Si  mossero  dal  luogo ,   ove  scdeano, 
L'  un .  come  l'  altro ,  alla  battaglia  presto, 
Perdié  giostrar  con  ambedue  credeano: 
Ma  r  Alrican ,  che  non  venia  per  questo, 
]\on  ne  fé'  segno  ,  o  movimento  alcuno, 
Sicché  la  giostra  restò  lor  contra  uno. 

73.  Yivìano  è  il  primo,  e  con  gran  cor  si  muoT» 
E  nel  venire  abbassa  im'  asta  grossa  ; 
E  'l  re  pagan  dalle  famose  prove 
Dall'  altra  parte  vicn  con  maggior  possa: 
Dirizza  1'  uno  e  1'  altro,  e  segna,  dove 
Crede  meglio  fermar  l'  a.  pra  jiertrossa. 
Viviano  indarno  all'  elmo  il  pagan  fere. 
Che  non  lo  fa  piegar,  non  che  cadere. 

i    74.      Il  re  pagan,  eh'  avea  più  1'  asta  dura. 
Fé'  lo  scudo  a  A  ivian  parer  di  ghiaccio  ; 

!  E  fuor  di  sella  in  mezzo  alla  verdura. 

All'  erlìe  e  ai  fiori  il  fé'  cadere  in  braccio. 

Yien  3Ialagigi ,  e  penisi  in  avventura 

Di  vendicare  il  suo  fratello  avaccio; 

Ma  poi  d'  andargli  appresso  ebbe  tal  fretta, 

Che  gli  fé'  compagnia,  più  che  vendetta. 

75.  L'  altro  fratel  fu ,  prima  del  cugino. 
Con  r  iirme  indosso,  e  sul  destrier  salito, 
E  disfidato  contra  il  Saracino, 
AiMine  a  scontrarlo  a  tutta  briglia  ardito. 
Risonò  il  colpo  in  mezzo  all'  ehno  fino 
Di  quel  jiagau  sotto  la  vista  un  dito. 
A  (ilo   al  ciel  r  asta  in  quattro  tronchi  rotta, 
Ma  non  mosse  il  pagan  per  quella  botta. 

76.  Il  ])agan  ferì  lui  dal  lato  manco; 
E  perché  il  colpo  fu  con  troppa  f(»rza, 
Poco  lo  scudo ,  e  la  corazza  manco 
(«li   valse,  <;he  s'  a|)rìr,  come  «ina  scorza. 
Passò  il  lerr(»  crudel  l'  omero  bianco: 
Piegò  Aldigicr  ferito  a  poggia  e  ad  orza; 
Tra  fiori  ed  erlie  alfm  si  vede  avvolto. 
Rosso  suir  arme,  e  pallido  nei  volto. 


[349] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXVI.  77—92) 


[350] 


I 


77.  Con  molto  ardir  vìen  Ricciardetto  appresso, 
E  nel  venire  arresta  sì  gran  lancia, 

Che  mostra  ben ,   come  ha  mostrato  spesso, 

Che  degnamente  è  paladin  di  Francia; 

Ed  al  pagan  ne  facea  segno  espresso. 

Se  fosse  stato  pari  alla  bilancia; 

Ma  sozzopra  n'  andò ,  perchè  il  cavallo 

Gli  cadde  addosso,  e  non  già  per  suo  fallo. 

78.  Poich'  altro  cavalier  non  si  dimostra, 
Che  al  pagan  per  giostrar  volti  la  fronte, 
Pensa  aver  guadagnato  della  giostra 

La  donna,  e  venne  a  lei  presso  alla  fonte, 

E  disse:  Damigella,  siete  nostra, 

S'  altri  non  è  per  voi ,  che  in  sella  monte. 

Noi  jiotete  negar ,  né  farne  scusa, 

Che  di  ragion  di  guerra  così  s'  usa. 

79.  Marfisa,  alzando  con  un  viso  altero 

La  faccia,  disse:  Il  tuo  parer  molto  erra. 
Io  ti  concedo ,  che  diresti  il  vero, 
Ch'  io  sarei  tua  per  la  ragion  di  guerra. 
Quando  mio  signor  fosse,  o  cavaliero 
Alcun  di  questi ,  eh'  hai  gittato  in  terra. 
Io  sua  non  son,  né  d'  altri  son,  che  mia: 
Dunque  me  tolga  a  me,  chi  mi  disia! 

80.  So  scudo  e  lancia  adoperare  anch'  io, 
E  più  d'  un  cavaliero  in  terra  lio  posto. 
Datemi  1'  arme,  disse,  e  il  destrier  mio, 
Agli  scudier,  che  1'  uhbidiron  tosto. 
Trasse  la  gonna,  ed  in  farsetto  uscio, 

E  le  belle  fattezze,  e  il   ben  disposto 
Corpo  mostrò ,  (-he  in  ciascuna  sua  parte, 
Fuorché  nel  viso ,  assiinigliava  a  Marte. 

81.  Poicliù  fu  armata,  la  spada  si  cinse, 
E  sul  dcsttier  montò  d'  un  leggier  siilto, 
E  qua  e  là  tre  volte  e  più  lo  spinse, 

E  quinci  e  quindi  fc'  girare  in  alto; 
E  poi,  sfidando  il  Saracino,  strinse 
La  grossa  lancia ,  e  couiiiu:iò  1'  assalto. 
Tal  nel  campo  trojan  Pentesilea 
Contra  il  tessalo  Achille  esser  dovea. 

82.  Le  lance  infìn  al  calce  si  fiaccaro, 
A  quel  su|)er!»o  scontro,  come  vetro; 
Kè  però  chi  le  corsero ,  piegaro, 
Che  si  notasse,  \m  dite»  solo  addietro, 
Marfisa ,  che  volila  <;oiioscer  chiaro, 
S'  a  più  streta  battaglia  siinil  metro 
Le  servirebbe  contra  il  lìcr  pagano. 
Se  gli  rivolse  con  la  tpada  in  mano. 

S3.     Bestemmiò  il  ciclo  e  gli  elementi  il  crado 
Pagan,  poiché  restar  la  ^ide  in    scila. 
Ella,  <;lie  gli  |i<'iisò  romper  lo  scudo, 
Non  meu  sdegnosa  coiiira  il  cicl  favella. 
Cìià  r  uno  e  1'  altro  ha    in  mano  il  ferro  nudo, 
E  sulle  latnr  arme  .^i    martella  : 
L'  aruHr  fatali   bau  |iarimcnt<;  intorno. 
Che  mai  non  l)i>ogiiàr  più  <li  qiul  giorno. 

M.      Si  buona  è  <|uclla  iiia-^lra  e  qirclla  magìia, 
Che  spada,  o  lancia  non   le  taglia,  o  fora; 
Sicché  polca  seguir  1"  a>|ua  battaglia 
Tutto  quel  giorno,  e  1'  altro  ap|)rcss()  ancora. 
M.i   ilodomiintc  in   mc/zo  lor  si  scaglia, 
E  ri|>i(nde  il   ri\al  dclbi  dimora, 
Dicendo:   Se  batliigliu  i>im-  far   vuoi, 
Finiam  la  comiiu;iaiii  o^i^^i  lin  ii„i. 


85.  Facemmo,  come  sai,  tregua,  con  patto 
Di  dar  soccorso  alla  milizia  nostra: 
Non  debbiam,  priraaché  sia  questo  fatto, 
Incominciare  altra  battaglia,  o  giostra. 
Indi  a  Marfisa ,  riverente  in  atto. 

Si  volta,  e  quel  messaggio  le  dimostra, 
E  le  racconta ,  come  era  venuto 
A  chieder  lor  per  Agramante  ajuto. 

86.  La  prega  poi ,  che  le  piaccia ,  non  solo 
Lasciar  quella  battaglia,  o  differire. 

Ma  che  voglia  in  ajuto  del  figliuolo 
Del  re  trojan  con  esso  lor  venire; 
Onde  la  fama  sua  con  maggior  volo 
Potrà  far  meglio  infin  al  ciel  salire. 
Che ,  per  querela  di  poco  momento. 
Dando  a  tanto  disegno  impedimento. 

87.  3Iarfisa,  che  fu  sempre  disiosa 

Di  provar  quei  di  Carlo  a  spada  e  a  lancia, 
Né  r  a^ea  indotta  a  venire  altra  cosa 
Di  sì  lontana  regione  in  Francia, 
Se  non  per  esser  certa,  se  famosa 
Lor  nominanza  era  per  vero,  o  ciancia. 
Tosto  d'  andar  con  lor  partito  prese. 
Che  d'  Agramante  il  gran  bisogno  intese. 

88.  Ruggiero  in  questo  mezzo  avea  seguito 
Indarno  Ippalca  per  la  via  del  monte, 

E  trovò,  giunto  al  loco,  che  partito 

Per  altra  via  se  n'  era  Rodomonte; 

E  pensando ,  che  lungi  non  era  ito, 

E  che  '1  sentier  tenea  dritto  alla  fonte, 

Trottando  in  fretta  dietro  gli  venia 

Per  r  orme,  eh'  eran  fresche  in  sulla  vìa. 

85).      Volse ,  che  Ippalca  a  IMontalban  pigliasse 
La  via,  eh'  una  giornata  era  vicino; 
Perché,  se  alla  fontana  ritornasse. 
Si  torria   troppo  dal  dritto  cammino; 
E  disse  a  lei ,  che  già  non  dubitasse 
Che  non  s'  avesse  a  ricovr.ir  Frontino; 
Ben  le  fareblìe  a  ^^lontalbano ,  o  dove 
Ella  si  trovi ,  udir  tosto  le  nuove. 

90.  E  le  diede  la  lettera ,  che  scrisse 

In  Agrismonte ,  e  che  si  portò  in  seno; 
E  molte  cose  a  bocca  anco  le  disse, 
E  la  pregò,  che  V  escusasse  api)ieno. 
Nella  memoria  Ippalca  il  tutto  fisse, 
Prese  licenza,  e  voltò  il  palafreno; 
E  non  cessò  la  buona  uu'ssaggiera. 
Che  in  Montalban  si  ritrovò  la  sera. 

91.  Seguia  Ruggiero  in  fretta  il  Saracino 
Per  r  orme ,  eh'  appari<in  nella  via  piana; 
Ma  non   lo  giunse  prima,  che  \iiiiu) 

Con   Mantlricardo  il  vide  alla  fontiina. 
Già  prouK's>o  s'  aveaTi ,  clic  per  canunin» 
L'  un  non  farebbe  all'  altro  cosa  stnina. 
Né  fi  neh'  al  campo  >i  fo-;se  soccorso. 
A  cui  (^arlo  era  apprcs>o  a  porre  il  morso. 

93.      Qiii^i  giunto  lìuggiir  l'rontin  conobbe, 
E  conobbe  |icr  Ini  ,   chi  addosso   gli   era; 
E  .sulla  lancia  fé'   le  spalle  gi»bbe, 
E  slìdò  r  African  con  voce  altera. 
Rodomonte  i|im-I  dì   fé'  più   che  (ìiobbo, 
Poicliè  domò   la  >ini  superbia  fiera, 
K  ricusò  la  pugna,  eh'  a\ea  us.m/.n 
Di  sempre  egli  cercjir  ctui  ogni  in^tan/a. 


[351] 


ORLANDO  FURIOSO.      (XXVI.  93—108) 


93.  Il  primo  giorno  e  1'  ultimo,  che  piig^a 
Mai  ricusasse  il  re  d'  Algier,  fu  questo: 
Ma  tanto  il  desiderio ,  che  si  giugna 

In  soccorso  al  suo  re ,  gli  pare  onesto, 
Che,  se  credesse  aAcr  Kuggier  nell'  ugna 
Più,  che  mai  lepre  il  pardo  isnello  e  presto, 
IS'on  si  vorria  fermar  tanto  con  lui, 
Che  fesse  un  colpo  della  spada,  o  dui. 

94.  Aggiungi,  che  sapea,  eh'  era  Ruggiero, 
Che  seco  per  Frontin  facea  battaglia. 
Tanto  famoso ,  eh'  altro  caraliero 

IS'on  è ,  che  a  par  di  lui  di  gloria  saglia  ; 
li'  uom ,  che  bramato  ha  di  saper  per  yero 
Esperimento,  quanto  in  arme  Taglia. 
E  pur  non  vuol  seco  accettar  1'  impresa; 
Tanto  r  assedio  del  suo  re  gli  pesa! 

95.  Trecento  miglia  sarebbe  ito  e  mille, 
Se  ciò  non  fosse,  a  comperar  tal  lite: 
Ma  ,  se  r  avesse  oggi  sfidato  Achille, 
Più  fatto  non  avria  di  quel,  che  udite; 
Tanto  a  quel  punto  sotto  le  faville 

Le  fiamme  avea  del  suo  furor  sopite! 
Karra  a  Ruggier,  perchè  pugna  rifiliti. 
Ed  anco  il  prega,  che  1'  impresa  ajuti; 

96.  Che  facendo] ,  farà  quel ,  che  far  deve 
Al  suo  signore  un  cavalier  fedele  : 
Semprechè  questo  assedio  poi  si  leve, 
Avran  ben  tempo  da  finir  querele. 
Ruggier  rispose  a  lui:  Mi  sarà  lieve 
Differir  questa  pugna  fincliè  de  le 
Forze  di  Carlo  si  tragga  Agramante, 
Parche  mi  rendi  il  mio  Frontino  innante. 

97.  Se  di  provarti ,  eli'  hai  fatto  gran  fallo, 
E  fatto  hai  cosa  indegna  ad  un  uom  forte, 
D'  aver  tolto  a  una  donna  il  mio  cavallo. 
Vuoi,  eh'  io  prolunghi,  finché  siamo  in  corte, 
Lascia  Frontino,  e  nel  mio  arbitrio  dallo! 
!Non  pensare  altramente,  eh'  io  sopporte, 

Che  la  baittigiia  qui  tra  noi  non  segua, 
O  eh'  io  ti  faccia  sol  d'  un'  ora  tregua. 

98.  3Icntre  Ruggiero  all'  African  domanda 
O  Frontino,  o  battaglia  allora  allora, 

E  quello  in  Iiuigo  e  1'   uno  e  1'  altro  manda, 
Kè  vuol  dare  il  destrier,  né  far  dimora, 
>ìandricardo  ne  vien  da  un'  altra  banda, 
E  mette  iii  campo  un'  altra  lite  ancora, 
Poicliè  vede  Ruggier,  che  per  insegna 
Porta  r  augel,  che  sopra  gli  altri  regna. 

99.  Nel  campo  azzur  1'  aquila  bianca  avea, 
Clie  de'  Trojiuii  fu  V  in^egna  bella. 
Perchè  Ruggier  V  origine  traca 

Dal  fortissimo  Ettor,  portava  quella. 
Ma  questo  .'Mandricardo  non  sapea, 
]\è  vuol  patire,  e  grande  ingiuria  appella, 
Che  nello  scudo  un  altro  debba  porre 
L'  aquila  bianca  del  famoso  Etturre. 

100.      Portava  ìMandricardo  similmente 
L'  augel,  che  rapì  in  Ida  Ganimede. 
Come  r  cl)be  quel  dì ,  che  fu  viru-ente 
Al  cast<;l  periglioso ,  per  mercede, 
Credo  y'ì  sia  <<ui  1'  altre  istorie  a  niente^ 
E  come  quella  fitta  gli  lo  diede, 
C(m  tutlx;  le  beli'  arme,  clie  \  ulcano 
Avea  già  date  al  cavalier  trojano. 


[352] 


102. 


101.     Altra  volta  a  battaglia  erano  stati 

Mandricardo  e  Ruggier  solo  per  questo; 
E  per  che  caso  fosser  distornati, 

10  noi  dirò;  che  già  v'  è  manifesto. 
Dopo  non  s'  eran  mai  più  raccozzati, 

Se  non  quivi  ora  ;  e  Mandricardo  presto. 
Visto  lo  scudo,  alzò  il  superbo  grido 
Minacciando,  e  a  Ruggier  disse:  Io  ti  sfido. 

Tu  la  mia  insegna,  temerario,  porti; 
Nò  questo  è  il  primo  di,   eh'  io  te  1'  ho  detto; 
E  credi ,  pazzo ,  ancorch'  io  tei  comporti, 
Per  una  volta,  eh'  io  t'  ebbi  rispetto: 
Ma ,  poiché  nò  minacce ,  né  conforti 
Ti  pon  questa  follia  levar  del  petto, 
Ti  mostrerò,  quanto  miglior  partito 
T'  era,  d'  avermi  subito  ubbidito. 

]103.      Come  ben  riscaldato  arido  legno 
A  picciol  soffio  su))ito  s'  accende. 
Così  s'  avvampa  di  Ruggier  lo  sdegno. 
Al  primo  motto,  che  di  questo  intende- 
Ti  pensi,  disse,  farmi  stare  al  segno. 
Perchè  quest'  altro  ancor  meco  contende: 
Ma  mostrerotti,  eh'  io  son  buon  per  torre 
Frontino  a  lui,  lo  scudo  a  te  d'  Ettorre. 

,104.      Un'  altra  volta  pur  per  questo  venni 

Teco  a  battaglia,  e  non  é  gran  tempo  anco; 
Ma  d'  ucciderti  allora  mi  contenni. 
Perchè  tu  non  a^evi  spada  al  fianco. 
Questi  fatti  saran ,  quelli  fur  cenni  ; 
E  mal  sarà  per  te  quell'  augel  bianco, 
Ch'  antica  insegna  è  stata  di  mia  gente: 
Tu  te  r  usurpi,  io  '1  porto  giustamente. 

105.  Anzi  t'  usurpi  tu  1'  insegna  mia, 
Rispose  Mandricardo,  e  trasse  il  brando, 
Quello,  che  poco  innanzi  per  follia 
Avea  gittato  alla  foresta  Orlando. 

11  buon  Ruggier,  che  di  sua  cortesia 
Non  può  non  sempre  ricordarsi ,  quando 
Vide  il  pagan ,  eh'  avea  tratta  la  spada. 
Lasciò  cader  la  lancia  nella  strada. 

106.  E  tutto  a  un  tempo  Balisarda  stringe. 
La  buona  spada,  e  me'  lo  scudo  imbraccia. 
]Ma  r  Africano  in  mezzo  il  destrier  spinge, 
E  ^larfisa  con  lui  presta  si  caccia; 

E  r  uno  questo,  e  1'  altro  quel  rispinge, 
E  pregano  ambedue,  clie  non  si  faccia. 
Rodomonte  si  duoi,  che  rotto  il  patto 
Due  volte  ha  3Iandricardo ,  che  fu  fatto. 

107.  Prima ,  credendo  d'  acquistar  3Iarfisa, 
Fermato  s'  era  a  far  più  d'  una  giostra; 
Or,   per  privar  Ruggier  d'  una  divisa, 
Di  curar  poco  il  re  Agramante  mostra. 
Se  pur,  dieea,  dei  fare  a  questa  guisa, 
Finiam  prima  tra  noi  la  lite  nostra, 
Conveniente  e  più  debita  assai, 

Ch'  alcuna  di  quest'  altre,  che  prese  hai! 

108.  Con  tal  condizion  fu  stal)ilita 

La  tregua,  e  questo  accoriio,  eh'  è  fra  nui. 

Come  la  pugna  teco  avrò  finita. 

Poi  del  destrier  risponderò  a  «uìstui: 

Tu  del  tuo  sciulo,  rimaiundo  in  vita, 

I<a  lite  avrai  da  terminar  con   lui. 

]\la  ti  darò  da  far  tanto,  mi  spero. 

Che  non  n'  avanzerà  troppo  a  Ruggiero. 


[353] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXVI.  109-124) 


[354] 


lOy.     La  parte,  che  ti  jiensi ,  non  n   avrai, 
Rispose  Mandricardo  a  Rodomonte  : 
Io  te  ne  darò  più,  clie  non  vorrai, 
E  ti  farò  sudar  dal  più  alla  fronte; 
E  me  ne  rimarrà  per  darne  assai, 
Come  non  manca  mai  1'  acqua  del  fonte, 
Ed  a  Rngp;iero ,  ed  a  mill'  nitri  seco, 
E  a  tutto  il  mondo ,  che  la  voglia  meco. 

110.  Moltiplicavan  1'  ire  e  le  parole, 
Quando  da  questo ,  e  quando  da  quel  lato. 
Con  Rodomonte  e  con  Riig-gier  la  vuole 
Tutto  in  un  tempo  Mandricardo  irato. 
Ruggier ,  che  oltraggio  sopportar  non  suole, 
Kon  vuol  più  accordo  ,  anzi  litigio  e  piato. 
Marfisa  or  va  da  questo ,  or  da  quel  canto, 
Per  riparar;  ma  non  può  sola  tanto. 

111.  Come  il  villan,  se  fuor  per  1'  alte  sponde 
Trapela  il  fiume .  e  cerca  nova  strada, 
Frettoloso  a  vietar ,  che  non  affonda 
I  verdi  paschi  e  la  sperata  biada, 
Chiude  una  via  e;!  un'  altra,  e  si  confonde; 
Che  ,  se  ripara  quinci  che  non  cada, 
Quindi  vede  lasci.ir  gli  argini  molli, 
E  fuor  1'  acqua  spicciar  con  più  rampolli: 

112.  Così ,  mentre  Ruggiero  e  Mandricardo 
E  Rodomonte  son  tutti  sozzopra, 
Ch'  ognun  vuol  dimostrarsi  più  gagliardo, 
Ed  ai  compagni  rimaner  di  sopra, 
Marfìsa  ad  ac(;hctarli  ave  riguardo, 

E  s'  afl'atica ,  e  perde  il  tempo  e  1'  opra  ; 
Che ,  come  ne  spicca  imo  e  lo  ritii'a, 
Gli  altri  duo  risalir  vede  con  ira. 

US.     Marfisa ,  che  volca  porli  d'  accordo, 
Dicea:  Signori,  udite  il  mio  consiglio! 
Differire  ogni  lite  è  buon  ricordo, 
Finch'  Agramante  sia  fiu)r  di  periglio. 
Se  ognun  vuole  al  suo  fatto  esser  ingordo, 
Anch'  io  con  Mandricardo  mi  ripiglio, 
E  vo'  vedere  allìn  ,  se  guadiigtiarme, 
Couie  egli  ha  detto ,  è  buon  per  forza  d'  arme. 

114.  Ma ,  86  sì  de'  soccorrere  Agramante, 
Soccorrasi,  e  tra  noi  non  si  contenda'. 
Per  me  non  si  starà  d'  andare  innante, 
Disse  Ruggicr,  purché  '1  dcstrier  si  renda, 
O  che  mi   dia  il  cavallo  (a  far  di  tante 
Una  parola)  o  che  da  me  il  difenda! 

O  che  qui  morto  ho  da  restare,  o  eh'  io 
In  campo  ho  da  tornar  sul  destrier  mìo. 

115.  Rispose  Rodomonte  :  Ottener  questo 
Non  fìa  co>ì ,  come  quell'  altro,  lieve. 
£  seguitò  di<!endo:  Io  ti  protesto. 

Che,  s'  alcun  danno  il  nostro  re  riceve, 
Fiu  per  lini  colpa  ;  eh'  io  p(;r  me  non  resto 
Dì  fare  a  tempo  quel,  che  far  si  deve, 
Ruggiero  a  quel  protesto  poto  bada; 
Ma,  stretto  dal  furor,  stringe  la  spada. 

116.  AI  re  d'  Algier  come  cinghiai  si  scaglia,  ' 
l'i  r  urta  con  lo  scudo  e  con  la  spalla, 

E  in  modo  lo  disordina  e  sitaraglia, 
Che  fa,  che  d'  una  staffa  il  pie  gli  falla. 
Mandricardo  gli  grida:  O  la  battaglia 
Differisci,   Ruggiero,  o  nu!Co  falla! 
E  crudele  e  fellon,  più  cIk;  urai  fosse, 
Ruggier  8uir  elmo  in  questo  dir  percosse. 


117.  Fin  sul  collo  al  destrier  Ruggier  s'  inchina, 
Né,  quando  volse,  rilevar  si  puote; 
Perchè  g'ì  sopraggiunge  la  ruina 

Del  figlio  d'  Ùlien,  che  lo  percuote. 
Se  non  era  dì  tempra  adamantina. 
Fesso  r  elmo  gli  avria  fin  tra  le  gote. 
Apre  Ruggier  le  mani  per  1'  ambascia, 
E  r  una  il  freii ,  1'  altra  la  spada  lascia. 

118.  Se  lo  porta  il  destrier  per  la  Campania; 
Dietro  gli  resta  in  terra  Balisarda. 
Marfisa,  che  quel  dì  fatta  compagna 

Se  gli  era  d'  arme ,  par  eh'  avvampi  ed  arda, 
Che  solo  fra  que'  duo  così  rimagua; 
E ,  come  era  magnanima  e  gagliarda. 
Si  drizza  a  Mandricardo,  e  col  potere, 
Ch'  avea  maggior  ,  sopra  la  testa  il  fere. 

119.  Rodomonte  a  Ruggier  dietro  si  spinge  : 
Vinto  è  Frontin ,  s'  un'  altra  gli  n'  appicca. 
Ma  Ricciardetto  con  Vivian  si  stringe, 

E  tra  Ruggiero  e  '1  Saracin  si  ficca. 
L'  uno  urta  Rodomonte ,  e  lo  rispinge, 
E  da  Ruggier  per  forza  lo  dispicca. 
L'  altro  la  spada  sua ,  che  fu  Viviano, 
Pone  a  Ruggier ,  già  risentito ,  in  mano. 

120.  Tostochè  '1  buon  Ruggiero  in  se  ritorna, 
E  che  \  ivian  la  spada  gli  apprescnta, 

A  vendicar  1'  ingiuria  non  soggiorna, 
E  verso  il  re  d'  Algier  ratto  s'  a>"\enta, 
Come  il  Icon,  che  tolto  sulle  corna 
Dal  bue  sia  stato,  e  clie  '1  dolor  non  senta, 
Sì  sdegno ,  ed  ira  ,  ed  impeto  1'  affretta. 
Stimola  e  sferza  a  far  la  sua  vendetta. 

121.  Ruggier  sul  capo  al  Saracin  tempesta  ; 
E  se  la  spada  sua  si  ritrovasse. 

Che ,  come  ho  detto ,  al  cominciar  di  questa 
Pugna,  di  man  gran  fulloiiiii  gii  trasse, 
Mi  credo ,  eh'  a  difendere  la  testa 
Di  Rodomonte  l'  elmt»  non  bastasse; 
Ij'  elmo ,  che  fece  il  re  far  di  Babelle, 
Quando  mover  pen^ò  guerra  alle  stelle. 

1 122.      La  Discordia,  credendo,  non  potere 
i  Altro  esser  quivi ,  che  contese  e  risse, 

j         Nò  vi  dovesse  nuiì  più  luogo  avere 

0  pace,  0  tregua,  alla  sorella  disse, 
Ch'  ornai  sicuramente  a  rivedere 

1  monachetti  suoi  seco  venisse. 
Lasciamle  andare,  e  stiani  noi,  dove  in  fronte 
Ruggiero  avea  ferito  Rodomonte  ! 

J12S.      Fu  il  colpo  di  lluggicr  di  si  gran  forza, 
Che  fece  in  sulla  grop|)a  di  Frontini» 
Percjioter  1'  elmo,  (•  «(uclla  dura  s((u-/,a, 
1  Di  eh'  avea  armato  il  dosso  il  Saracino, 

I  E  lui  tre  volte  e  quadro  a  poggia  e  ad  orza 

I  Piegar  per  gire  in  (erra  a  ca|)o  chino; 

I  K  la  spada  egli  ancora  a^ria  perduto. 

Se  legata  alla  man  non  fo^^e  suta. 

121.      Avea  Marfi.sa  a  Mandricardo  intanto 

Fatto  sudar  la  fronte ,  il  viso  e  il  petto, 
'  Ed  eglia>e>aa  lei  tatto  altrettanto: 

Ma  kÌ  r  UNlurgo  d'  amili  era  perfetto, 
I  Che  mai  poter  falsarlo  in  nessun  canto, 

i  E  stati  eraii  i-iii  qui  pari  in  effetto: 

I  i\1a  in  un  voltar,  che  fere  il  suo  destriero, 

Hisogno  ebbe  31aWisu  di  Kuggieru. 

23 


[355] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXVI.  125-137) 


125.  Il  destrier  di  Marfisa ,  in  un  voltarsi, 
Che  fece  stretto,  ov'  era  molle  il  prato. 
Sdrucciolò  in  guisa ,  che  non  potè  aitarsi 
Di  non   tutto  cader  sul  destro  lato  ; 

E  nel  volere  in  fretta  rilevarsi. 
Da  Brigliador  fu  per  traverso  urtato, 
Con  che  il  pagan  poco  cortese  venne. 
Sicché  cader  di  nuovo  gii  convenne. 

126.  Ruggier,  che  la  donzella  a  mal  partito 
Vide  giacer,  non  differì  il  soccorso. 

Or  che  l'  agio  n'  avea,  poiché  stordito 

Da  sé  lontan  quell'  altro  era  trascorso. 

Ferì  suir  elmo  il  Tartaro,  e  partito 

Quel  colpo  gli  avrìa  il  capo  ,  come  un  torso, 

Se  Ruggier  Balisarda  avesse  avuta, 

O  Mandricardo  in  capo  altra  barbuta. 


t*i'«bi 


131. 


127. 


Il  re  d'  Algicr  ,  che  si  risente  ,  in  questo 
Si  volge  intorno ,  e  Ricciardetto  vede, 
E  si  ricorda ,  che  gli  fu  molesto 
Dianzi ,  quando  soccorso  a  Ruggier  diede. 
A  lui  si  drizza  ;  e  saria  stato  presto 
A  dargli  del  ben  fare  aspra  mercede, 
Se,  con  grand'  arte  e  nuovo  incanto,  tosto 
Kon  se  gli  fosse  Malagigi  opposto. 


128. 


Malagigi,  che  sa  d'  ogni  malia 
Quel ,  che  ne  sappia  alcun  mago  eccellente. 
Ancorché  'I  libro  suo  seco  non  sia, 
Con  che  fermare  il  sole  era  possente. 
Pur  la  scongiurazione ,  onde  solia 
Comandare  ai  demonj ,  aveva  a  mente  : 
Tosto  in  corpo  al  ronzino  un  ne  costringe 
Di  Doralice,  ed  in  furor  lo  spinge. 

129.     Nel  mansueto  uhino,  che  sul  dosso 
Avea  la  figlia  del  re  Stordilano, 
Fece  entrare  un  degli  angel  di  Minosso, 
Sol  con  parole,  il  frate  di  Viviano; 
E  quel,  che  dianzi  mai  non  s'  era  mosso, 
Se  non  quanto  ubbidito  avea  alla  mano. 
Or  d' improvviso  spiccò  in  aria  un  salto, 
Che  trenta  pie  fu  lungo ,  e  sedici  alto. 

Fu  grande  il  salto,  non  però  di  sorte. 
Che  ne  dovesse  alcun  perder  la  sella. 
Quando  si  vide  in  aito  ,  gridò  forte, 
Che  si  tenne  per  morta,  la  donzella. 
Quel  ronzin,  come  il  diavol  se  lo  porte, 
Dopo  un  gran  saito ,  se  ne  va  con  quella, 
Che  pur  grida  soccorso ,  in  tanta  fretta, 
Che  non  1'  avrebbe  giunto  una  saetta. 


132. 


133. 


134, 


135. 


130. 


136 


Dalla  battaglia  il  figlio  d'  Uh'eno 
Si  levò  al  primo  snon  di  quella  voce, 
E  dove  fin-iava  il  palafreno, 
Per  la  donna  ajutar,  n'  andò  veloce. 
Mandricardo  di  lui  non  fece  meno, 
Xè  più  a  Ruggier,  né  più  a  Marfisa  nuoce; 
Ma,  senza  chieder  loro  o  paci,  o  tregue, 
E  Rod(imoiite  e  Doralice  segue. 

Marfisa  intanto  si  levò   di  terra, 
E  tutta  ardendo  di  disdegno  e  d'  ira, 
Crcdesi  far  la  sua  vendetta ,  ed  erra, 
Che  troppo  lungi  il  suo  nemico  mira: 
Ruggier ,  eh'  aver  tal  fin  vede  la  guerra, 
Rugge  ,  come  un  leon ,  non  che  sospira  : 
Ben  sanno ,  che  Frontino  e  Brigliadoro 
Giunger  non  ponno  coi  cavalli  loro. 

Ruggier  non  vuol  cessar,  finché  decisa 
Col  re  d'  Algier  non  1'  abbia  del  cavallo; 
Kon  vuol  quietare  il  Tartaro  Marfisa, 
Che  provato  a  suo  senno  anco  non  hallo. 
Lasciar  !a  sua  querela  a  questa  guisa, 
Parre))be  all'  uno  e  all'  altro  troppo  fallo. 
Dì  comune   parer  disegno  f.issi, 
Di  chi  offesi  gli  avea  seguire  i  passi. 

Nel  campo  saracin  li  troveranno. 
Quando  non  possan  ritrovarli  prima; 
Che  per  levar  1'  assedio  iti  saranno, 
Primaché   1  re  di  Francia  il  tutto  opprima. 
Così  diritlamente  se  ne  vanno. 
Dove  averli  a  man  salva  fanno  stima. 
Già  non  andò  Ruggier  coì»!  di  botto, 
Che  non  facesse  ai  suoi  compagni  motto. 

Ruggier  se  ne  ritorna  ,  ove  in  disparte 
J>a  il  Iratel  delia  sua  donna  bella, 
E  se  gli  profferisce  in  ogni  parte 
Amico  per  fortuna,  e  buona,  e  fella: 
Indi  lo  prega ,  e  lo  fa  con  beli'  arte, 
Cile  saluti  in  suo  nome  la  sorella  ; 
E  questo  così  ben  gli  venne  detto, 
Che  né  a  lui  die' ,  né  agli  altri ,  alcun  sospetto. 

E  «la  lui ,   da  Vivian  ,  da  Malagigi, 
Dal  ferito  Aldigier  tolse  commiato. 
Si  profferirò  anch'  essi  alli  servigi 
Di  ini ,  debitor  sempre  in  ogni  lato. 
Marfisa  avea  sì  il  cor  d'  ire  a  Parigi, 
Cli«  '1  salutar  gli  amici  avea  scordato; 
Ma  Malagigi  andò  tanto ,  e  Viviano, 
Che  pur  la  salutaron  di  lontano  : 


137.      E  così  Ricciardetto;  ma  Aldigiero 

Giace,  e  convien,  che  suo  mal  grado  resti. 
Verso  Parigi  avean  preso  il  sentiero 
Quelli  duo  prima  ,  ed  or  lo  piglian  questi. 
Dirvi,  Signor,  ncil' nitro  canto  spero 
Miracolosi ,  e  so|)i'auniani  gesti, 
Clic,  con  diuino  degli  uomini  di  Carlo, 
Ambe  le  cop|:ie  fér,  di  eh'  io  vi  parlo. 


357] 


OKLAADO    FURIOSO.     (XXVll     1—12) 


[358] 


CANTO    V  E  N  T  E  S  I  M  O  S  E  T  T  I  M  O. 


ARGOMENTO.  «. 


Mandricardo ,  e  Ruggiero  ,  e  Rodomonte 
E  Marfisa ,  seguendo  i  rei  vestigi 
Di  Doralice ,  con  ardita  fronte 
Assaltan  Carlo ,  e  '/  cacciano  in  Parigi. 
Di  poi  fra  loro  con  orgogli  ed  onte 
Sono  a  contese ,  e  terribil  litigi. 
Il  figlio  d'  Ulieno  è  rifiutato 
Da  Doralice,  e  si  diparte  armato. 


1.  Molti  coné;igIi  delle  donne  sono  j  8 
Meglio  improvviso,  eh'  a  pensarvi ,  usciti;  I 
Cile  questo  è  speciale  e  proprio  dono  | 
Fra  tanti  e  tanti  lor  dal  eie!  larghiti.  1 
Ma  può  mal  quel  degli  uomini  e;»ser  buono,  i 
the  maturo  discorso  non  aiti,  ' 
0>e  non  s'  abbia  a  ruminarvi  sopra 
Speso  alcun  tempo  ,  e  molto  studio  ed  opra.  i 

2.  Parve,  e  non  fu  però  buono  il  consiglio  9 
Di  Malagigi ,  ancorché  ,  come  ho  detto, 
Per  questo  di  grandissimo  periglio 
Liberasse  il  cugin  suo  Kicciardetto. 
A  levar  indi  ll(»donionte  e  il  figlio 
Del  re  Agrican  lo  spirto  avea  costretto, 
Ron  avvertend*»,  «he  sarebbon  tratti, 
Dove  i  Cristian  vi  rimarrian  disfatti. 

8.     Ma,  86  spazio  a  pensarvi  avesse  a>uto,  10. 

Creder  si  può,  che  dato  similmente 
Al  suo  cugino  avria  debito  ajuto, 
^è  fatto  danno  alla  cristiana  gente. 
C'omandare  alh»  spirto  avria  ixtluto, 
Cir  alla  via  di  Levante ,  o  di  Ponente 
Sì  dilungata  avesse  la  donzella. 
Che  non  n'  udisse  Francia  più  novella» 

4.  Co»i  gli  amanti  suoi  1'  avrian  seguita,  {    H 
Come  a  Parigi ,  anco  in  ogni  altro  loco. 
Ma  fu  <|U(;sta  avvertenza  inavvertita 
Da  Maliigigi ,  perpen>ar>i  poco; 
E  la  Malignità  dal  vìvi  bandita. 
Che  sempre  v«>rria  sangue ,  e  strage  ,  e  foco, 
Prese  la  via,  donde  più  Carlo  afllisso. 
Poiché  nessuna  il  mastro  le  prescrishe. 

5.  Il  palafrcn  ,  cir  hwaì  il  denutnio  al  fianco,  1". 
Portò  la  spa\«-ii(al>t  Doriilicc, 
Che  non  potò  arrc-^larla  fmme,  e  manco 
Fos>a,  bosco,  palude,  erta,   o  penilice, 
Fiiuliè,  per  nic/.y.o  il  campo  inglese  e  franco, 
E  r  altra  moltitudine  fautrice 
Dell'  insegna  di  Cristo  ,  rassegnata 
Non  r  ebbe  ul  padre  suo ,   ru  di  (ìranatu. 


Rodomonte  col  figlio  d'  Agricane 
La  seguitaro  il  primo  giorno  un  pezzo, 
Che  le  vcdean  le  spalle,  ma  lontane; 
Di  vista  poi  perderonla  da  sezzo, 
E  venner  per  la  traccia ,  come  il  cane 
La  lepre,  o  il  capriol  trovare  avvezzo  ; 
Né  si  fermar,  che  furo  in  parte,  dove 
Di  lei,  eh'  era  col  padre,  ebbono  nove. 

.     Guardati,  Carlo!  che  ti  viene  addosso 
Tanto  furor,  eh'  io  non  ti  veggo  scampo. 
Kè  questi  pur ,  ma  U  re  Gradasso  è  mosso 
Con  Sacripante  a  danno  del  tuo  campo. 
Fortuna,  per  toccarti  fin  all'  osso, 
Ti  tolle  a  un  tempo  1'  uno  e  1'  altro  lampo 
Di  forza  e  di  saper ,  che  vivea  teco  ; 
E  tu  rimaso  in  tenebre  sei  cicco. 

Io  ti  dico  d'  Orlando  e  di  Rinaldo; 
Che  r  uno  al  tutto  furioso  e  folle. 
Al  sereno,  alla  pioggia,  al  fi-eddo,  al  caldo, 
INudo  va  discorrendo  il  piano  e  '1  colle. 
L'  altro ,  con  senno  non  troppo  più  saldo, 
D'  appresso  al  gran  bisogno  ti  si  tolle; 
Che ,  non  trovando  Angelica  in  Parigi, 
Si  parte,  e  va  cercandone  vestigi. 

Un  fraudolente  vecchio  incantatore 
Gli  fé' ,  come  a  principio  vi  si  disse, 
Cr(!dcr,  per  un  fantastico  suo  errore, 
Chf  con  Orlando  Angelica  venisse  ; 
Onde,   di  gelosia  tocco  nel  core. 
Della  miigginr,  eh'  amante  mai  sentisse, 
^  enne  a  Parigi  ;  e  come  apparve  in  corte, 
D'  ire  in  Bretagna  gli  toccò  per  sorte. 

Or,  fatta  la  battaglia,  onde  portonne 
Egli  1'  onor  d'  aver  chiuso  Agramante, 
Tornò  a  Parigi  ;  e  monistcr  di  dimne, 
E  case,  e  rocche  cercò  tutte  quante. 
Se  murata  non  è  tra  le  colonne, 
L'  avria  trottata  il  curioso  amante. 
Vedendo  alfin,  eh'  ella  non  v'  è,  nò  Orlando, 
Ambedue  va  con  gran  di^io  cercando. 

Ponsò,  che  dentn»  .Anglante,  o  dentro  a  Bra>u 
Se  la  godesse  Orlando  in  lesta  e  in  gioco; 
E  qua  e   là,  |)er  ritrovarla,  ambiva, 
Né  in  quel  la  ritrovò,  né  in  questo  loco. 
A  Parigi  di  luiovo  ritornala, 
Pensando ,  i:he  tardar  dovesse  poco 
Di  capitare  il  paladino  al  ^arco  ; 
Che    1  suo  star  fuor  non  era  senza  incarco. 

Un  giorno,  o  du<'  nella  città  soggiorna 
Rinaldo,  e  poicb'  Orhmdo  tutti  arriva. 
Or  ^erso  .'\ngbint<-,  or  ^erso  Kra^a  torna, 
(/creando,  ao  di  lui  novella  (uli\a. 
('.ivalca,  e  quando  annotta ,  e  quando  aggiorna, 
Alla  fr(S<'u  alba,  e  ali    ardente  ora  estima, 
K  fa  al  lume  del  s(de  e  della  lima 
Dugciito  %ulte  questa  ^i.i,  non  eh'  unii. 


[359] 


ORLANDO   FURIOSO.      (XXVII.  13-28) 


[360 


13      Ma  r  antico  avversario,  il  qual  fece  Eva 
All'  interdetto  pomo  alzar  la  mano, 
A  Carlo  un  giorno  i  lividi  occlij  leva. 
Che  '1  buon  Rinaldo  era  da  lui  lontano; 
E  vedendo  la  rotta,  che  poteva _ 
Darsi  in  quel  punto  al  popolo  cristiano, 
Quanta  eccellenza  d'  arme  al  mondo  fusse 
Fra  tutti  i  Saracini,  ivi  condusse. 

14.  Al  re  Gradasso,  e  al  buon  re  Sacripante, 
Ch'  eran  fatti  compagni  all'  uscir  fuore 
Della  ,  piena  d'  error ,  casa  d'  Atlante, 

Di  venire  in   soccorso  mise  in  core. 
Alle  genti  assediate  d'  Agramante, 
E  a  destruzion  di  Carlo  imperatore; 
Ed  egli  per  1'  incognite  contrade 
Fé'  lor  la  scorta ,  e  agevolò  le  strade. 

15.  Ed  ad  un  altro  suo  diede  negozio 
D'  affrettar  Rodomonte  e  Mandricardo 
Per  le  vestige ,  donde  1'  altro  sozio 

A  condur  Doralice  non  è  tardo. 

Ke  mandò  ancora  un  altro,  perchè  in  ozio 

Kon  stia  Marfisa,  né  Ruggier  gagliardo; 

Ma  chi  guidò  1'  ultima  coppia,  tenne 

La  briglia  più,  né,  quando  gli  altri,  venne. 

16.  La  coppia  di  Marfisa  e  di  Ruggiero 
Di  mezz'  ora  più  tarda  si  condusse; 
Perocch'  astutamente  1'  angel  nero. 
Volendo  alli  Cristian  dar  delle  busse, 
Provvide,  che  la  lite  del  destriero 
Per  impedite  il  suo  desir  non  fusse, 
Che  rinnovata  si  saria,  se  giunto 

Fosse  Ruggiero  e  Rodomonte  a  im  punto. 

17.  I  quattro  primi  si  trovaro  insieme,^ 
Onde  potean  veder  gli  alloggiamenti 
Dell'  esercito  oppresso,  e  di  chi  'l  preme, 
E  le  bandiere,  che  feriano  i  venti. 

Si  consigllaro  alquanto,  e  far  1'  estreme 
Conclusion  de'  lor  ragionamenti, 
Di  dare  ajuto,  mal  grado  di  Carlo, 
Al  re  Agramante,  e  dell'  assedio  trarlo. 

18.  Stringonsi  insieme,  e  prendono  la  via^ 
Per  mezzo ,  ove  s'  alloggiano  i  Cristiani, 
Gridando,  Africa  e  Spagna,   tuttavia, 

E  si  scoprirò  in  tutto  esser  pagani. 

Pel  ci<mpo.  Arme!  Arme!  risonar  s'  udia; 

Ma  menar  si  sentir  prima  le  mani, 

E  della  retroguardia  una  gran  frotta, 

Kon  eh'  assalita  sia,  ma  fugge  in  rotta. 

19.  L'  esercito  Cristian ,  mosso  a  tumulto, 
Sozzopra  va,  senza  sapere  il  fatto. 
Estima  alcun ,  che  sia  un  usato  insulto. 
Che  Svizzfiji  o  Guasconi  ahltiano  fatto  ; 
Ma,  perdi  alla  più  parte  è  il  caso  occulto, 
S'  aduna  insieme  ogni  nazion  di  fatto. 
Altri  a  suon  di  tamburo,  altri  di  tromba: 
Grande  è  il  rumore,  e  fin  al  cicl  rimboiulia. 

20.  Il  magno  imperator,  fuorché  la  testa, 
È  tutto  armato ,  e  i  paladini  ha  presso, 
E  domaiul.indo  vien,  che  «u)sa  è  questa, 
CIh:  le  sipiadre  in  disordine  gli  ha  me. so, 

E  iiiina<:(  iando,  or  qiuisti ,  or  <|uogli  arresta; 
E  vede  a  molti  il  viso  e  il  pt'tto   fesso. 
Ad  altri  insanguinato  il  <-apo ,  o  il  gozzo. 
Alcun  tornar  con  mano ,  o  braccio  mozzo. 


21.  Giunge  più  innanzi,  e  ne  ritrova  molti 
Giacere  in  terra,  anzi  in  vermiglio  lago, 
]\el  proprio  sangue  orriiùlmente  involti, 
Né  giovar  lor  può  medico ,  né  mago  ; 

E  vede  dalli  busti  i  capi  sciolti, 
E  braccia  e  gambe  con  crudele  immago; 
E  ritrova ,  dai  primi  alloggiamenti 
Agli  ultimi ,  per  tutto  uomini  spenti. 

22.  Dove  passato  era  il  picciol  drappello, 
Di  chiara  fama  eternamente  degno. 
Per  lunga  riga  era  rimaso  quello 

Al  mondo  sempre  memorabii  segno. 
Carlo  mirando  va  il  crudel  macello 
Meraviglioso,  pien  d'ira  e  di  sdegno; 
Come  alcuno ,  in  cui  danno  il  folgor  venne. 
Cerca  per  casa  ogni  sentier,  che  tenne. 

23.  Non  era  alli  ripari  anco  arrivato 
Del  re  african  questo  primiero  ajuto, 
Che  con  Marfisa  fu  da  un  altro  lato 
L'  animoso  Ruggier  sopravvenuto. 
Poich'  una  volta,  o  due  l'  occhio  aggirato 
Ebbe  la  degna  coppia ,  e  ben  veduto, 
Qual  via  più  breve  per  soccorrer  fosse 

L'  assediato  signor,  ratto  si  mosse. 

24.  Come,  quando  si  dà  fuoco  alla  mina, 
Pel  lungo  solco  della  negra  polve. 
Licenziosa  fiamma  arde  e  cammina. 
Siedi'  occhio  addietro  appena  se  le  volve, 
E  qual  si  sente  poi  1'  alta  mina. 

Che  'l  duro  sasso,  o  il  grosso  muro  solve; 
Così  Ruggiero  e  31arfisa  veniro, 
E  tai  nella  battaglia  si  sentirò. 

25.  Per  lungo  e  per  traverso  a  fender  teste 
Incominciaro,  e  a  tagliar  braccia  e  spalle 
Delle  turbe,  che  mal  erano  preste 

Ad  espedire  e  sgombrar  loro  il  calle. 
Chi  ha  notato  il  passar  delle  tempeste, 
Ch'  una  parte  d'  un  monte  ,  o  d'  una  valle 
Ollende,  e  1'  altra  lascia,  s'  appresenti 
La  via  di  questi  duo  fra  quelle  genti. 

26.  Molti ,  che  dal  furor  di  Rodomonte, 
E   di  quegli  altri  primi  eran  fuggiti. 
Dio  ringraziavan ,  eh'  avea  lor  si  pronte 
Gambe  concesse,  e  piedi  sì  espediti; 

E  poi ,   dando  del  petto  e  della  fronte 
In  Marfisa  e  in  Ruggier,  vedean  scherniti, 
Come  r  uom  ,  né  per  star ,  né  per  fuggire, 
Al  suo  fisso  destin  può  contraddire. 

27.  Chi  fugge  r  un  pericolo,  rimane 

Neil'  altro,  e  paga  il  fio  d'  ossa  e  di  polpe. 
Cosi  cader  co'  figli  in  bocca  al  cane 
Suol,  sperando  fuggir,  timida  volpe, 
Poiché  la  caccia  dell'  anti<.he  tane 
li  suo  vicin ,  che  le  dà  mille  colpe, 
E  cautamente  con  fumo  e  con  foco 
Turbata  1'  ha  da  non  temuto  loco. 

28.  Nelli  ripari  entrò  de'  Saracini 
Marfisa  con  Ruggiero  a  salvamento. 
Quivi  tutti ,   con  gli  occhj  al  cicl  supini, 
Dio  ringraziar  del  luKuio  avvenimento. 
Or  non  v'  é  più  tinu)r  de'  paladini; 

Il  pili  tristo  pagan  ne  sfida  (x>nto; 
Ed  é  concluso,  che  senza  riposo 
Si  torni  a  far  il  campo  sanguinoso. 


![361] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXVH.  29—44) 


[362] 


SI 


29.  Corni ,  Lussoni ,  timpani  moreschi 
Enipieno  il  cicl  di  formitlabìl  suoni. 
]Neir  aria  tremolare  ai  venti  freschi 
Si  veggon  le  bandiere  e  i  gonfidoni. 
Dall'  altra  parte  i  capitan  carlesclii 
Strìngon  con  Alamanni  e  con  Britoni 

Quei  di  Francia,  d'  Italia,  e  d'  Inghilterra, 
E  si  mesce  aspra  e  sanguinosa  guerra. 

30.  La  forza  del  tcrrihil  Rodomonte, 
Quella  di  Mandricardo  furibondo. 
Quella  del  buon  Ruggier,  di  ^irtù  fonte. 
Del  re  Gradasso ,  si  famoso  al  mondo, 
E  di  Marfisa  1'  intrepida  fronte, 
Col  re  circasso ,  a  nessun  mai  secondo, 
Feron  chiamar  San  Gianni  e  San  Dionigi 
Al  re  di  Francia,  e  ritrovar  Farigi. 

Di  questi  cavalieri  e  di  Marfisa 
L'  ardire  invitto  e  la  mirabil  possa 
Kon  fu,  Signor,   di  sorte,  non  fu  iti  guisa, 
Ch'  immaginar,  non  che  descriver,  possa. 
Quindi  si  può  stimar,  che  gente  uccisa 
Fosse  quel  giorno,  e  che  crudel  percossa 
Avesse  Carlo.     Arroge  poi  con  loro, 
Con  Ferrali,  più  d'  un  famoso  Moro. 

Molti  per  fretta  s'  affogare  in  Senna, 
Che  '1  ponte  non  potea  supplire  a  tanti; 
E  disiar,  come  Icaro  ,  la  penna, 
Perchè  la  morte  avean  dietro  e  davanti. 
Eccetto  Uggieri ,  e  il  marchese  di  Vienna, 
I  paìadin  fur  presi  tutti  quanti. 
Olivier  ritornò  ferito  s(»tto 
La  spalla  destra ,  Uggier  col  capo  rotto. 

E  se,  come  Rinaldo  e  come  Orlando, 
Lasciato  Brandinrartc  avesse  il  gioco, 
Carlo  n'  andava  di  l'arigi  in  bando. 
Se  polea  \ivo  uscir  di  sì  gian  foco. 
Ciò,  che  potè,  fé' Brandimarte;  e  quando 
^ion  potè  più  ,  diede  alla  furia  lo(  o. 
Così  fortuna  ad  Agramante  arrise, 
Ch'  un'  altra  volta  a  Carlo  assedio  mise. 

34.  Di  vedovelle  i  gridi  e  le  querele, 
E  d'  orfani  fanciulli ,  e  di  vecchj  orbi, 
Neil'  eterno  seren  ,  dove  Michele 
Scdea,  salir  fuor  di  questi  aeri  torbi, 
E  gli  fecion  a eder ,  come  il  feihle 
Fopol  preda  de'  lupi  er.i ,  e  de'  corbì. 
Di  Francirf,  d'  Inghilterra,  e  di  Lamagna, 
Che  tutta  a\ean  coperta  la  campagna. 

35.  Nel  viso  «'  arrossì  1'  angel  beato. 
Parendogli ,  die  ni  il  fosse  ubbidito 
Al  Creatore,  e  si  chiamò  ingannato 
Dalli  Discordia  perfida,  e  tradito. 
D'  ai-ceiider  liti  tra  i  pagani  dato 

Ii<;  avea  I'  assunto,  e  mal  era  eseguito; 
Au7.i  tutto  il  contrario  al  >uo  dis(;gii(> 
l'area  a\er  fatto  ,  a  chi  guardava  al  segno. 

SO.      Collie  ser>o  fcdel,  che  jiiù  d'  amore. 

Che  di  memoria  aliboiidi,  e  che  s'  avveggia 

.\\vr  ìì\i's>;\  in  oblilio  «:o.-a ,  eh'  a  core. 

Quanto  la  vita  e  l'  anima,  aver  deggia, 

Studia  (Oli  fretta  d'  emendar  1'  errine, 

Né  vuol,  (he  prima  il  >uo  ^ign(lr  lo  veggia: 

C-'o.si  r  angelo  a  Dio  salir  iiim  volse, 

Se  dell'  obbligo  prima  non  mì  sciolse. 


37.  Al  monistcr ,  dove  altre  volte  avea 
La  Discordia  veduta,  drizzò  1'  ali. 
Trovolla  che  in  capitolo  sedea 

A  nova  elezion  degli  officiali, 
E  di  veder  diletto  si  prendea 
Volar  pel  capo  a'  frati  i  breviali. 
Le  man  le  pose  1'  angelo  nel  crine, 
E  pugna  e  calci  le  die'  senza  fine; 

38.  Indi  le  ruppe  un  manico  di  croce 

Per  la  testa  ,  pel  dosso ,  e  per  le  braccia. 
Mercè,  grida  la  misera  a  gran  voce, 
E  le  ginocchia  al  divin  nunzio  abbraccia. 
Michel  non  l'  abbandona ,  che  veloce 
Nel  cam|)o  del  re  d'  Africa  la  caccia, 
E  poi  le  dice:  Aspettati  aver  peggio, 
Se  fuor  di  questo  campo  più  ti  veggio  ! 

39.  Comcchè  la  Discordia  avesse  rotto 
Tutto  il  dosso  e  le  braccia,  pur  temendo 
Un'  altra  volta  ritrovarsi  sotto 

A  quei  gran  colpi ,  a  quel  furor  tremendo, 

Corre  a  pigliare  i  mantici  di  botto, 

Ed  agli  accesi  fochi  esca  aggiungendo, 

Ed  accendendone  altri ,  fa  salire 

Da  molti  cori  un  alto  incendio  d'  ire. 


M. 


41. 


E  Rodomonte,  e  Mandricardo,  e  insieme 
Ruggier  n'  infiamma  sì ,  che  innauiù  al  Moro 
Li  fa  tutti  venire,  or  che  non  preme 
Carlo  i  pagani ,  anzi  il  vantaggio  è  loro. 
Le  difl'erenze  narrano  ,  ed  il  seme 
Fanno  saper,  da  cui  prodotte  foro; 
Poi  del  re  si  rimettono  al  parere, 
Chi  di  lor  prima  il  campo  debba  avere. 

Marfisa  del  suo  caso  anco  favella, 
E  dice,  che  la  pugna  vuol  finire, 
Che  cominciò  col    Tartaro,  perdi'  ella 
Provocata  da  lui  vi  fu  a  venire; 
Nò,  per  dar  loco  all'  altre,  vi. Ica  quella 
Un'  ora,  non  che  un  giorno,  diiVeriie; 
Ma  d'  esser  prima  fa  1'  instanza  grande, 
Ch'  alla  battaalia  il  Tartaro  domaiuie. 


42 


Non  men  vuol  Rodomonte  il  primi»  campo 
Da  terminar  col  suo  ristai  I'  iiiipiesa, 
Che,  per  soci^orrer  1'  africano  campo. 
Ha  già  iiiterrolta,  e  fin  a  <jui  so>[iesa. 
Mette  Ruggier  le  Mie  piirolc  a  campo. 
E  dice,  «he  patir  troppo  gli  pesa. 
Che  Riidomonle  il  suo  de.-tiier  gli  tc:iga, 
E  eh'  a  pugna  con  lui  prima  non  veng;:. 

43,  Per  più  intricarla,  il  Tartaro  vini  anche, 
E  niega,   che  Ruggiero  ad  alenii  patto 
Debba  1'  aquila  aver  dall'  ale  liiandie; 

E  d'  ira  e  di  furori;  è  iiisi  matto. 

Che  vuol,  quando  dagli  altri  tre  non  manche. 

Combatter  tutte  le  querele  a  un  tratto. 

Nò  più  dagli  altri  ancor  saria  mancato. 

Se    1  consenso  del  re  vi  fos.->e  stato. 

44.  (^in  pregili  il  re  Agraniiinte,  e  linon  ricordi. 
Fa  quanto  può,  |ierdiè  la  pace  >egua; 

E  quando  allìii  tutti   li  vedi;  sordi, 

ISè  voler  assenlire  a  paci-,  o  a  tregua 

\a  di>coi-i-eiido,  cdiiie  .iliiien  gli  acciu'di. 

Siedi»;  r  un  do|io  1'  altro  il  campii  a-segua  ; 

E  pel  miglior  partito  alliii  gli  occorre, 

Ch'  ognuno  a  sorte  il  campo  s'  abbia  a  torre. 


[383] 


OULANDO   FURIOSO.     (XXVII   45  —  60) 


[au-i 


45-      Fé'  quattro  Ijrc\  i  porre  :  un  Mandricardo 
£  Rodomonte  insieme  scritto  avca  ; 
Neil'  altro  era  Rug-giero  e  Mandricardo; 
Rodomonte  e  Riiggier  l'  altro  dicea; 
Dicca  1'  altro  iìlarfisa  e  Mandricardo  : 
Indi  air  arbitrio  deli'  in:$tabil  Dea 
Li  fece  trarre;  e  '1  primo  fu  il  !<ig^nore 
Di  Sarza  a  uscir  con  3Iandricardo  fuore. 

46       Mandricardo  e  Rnggier  fu  nel  secondo, 
Nel  terzo  fu  Ruggiero  e  R()d(tmonte; 
Restò  Marfisa  e  3I.mdricardo  in  fondo, 
Di  che  la  donna  el)lie  turbata  fronte. 
Nò  Rnggier  più  di  lei  parve  giocondo; 
Sii ,   che  le  forze  de'  duo  priiiìi  pronte 
llan  tra  lor  da  finir  le  liti,  in  guisa 
Che  non  ne  fia  per  sé ,  nò  per  Marfisa. 

47.      Giacca  non  lungi  da  Parigi  un  loco. 

Che  volgea  un  miglio,  o  poco  meno,  intorno; 
Lo  cingca  tutto  un  argine,  non  poco 
Sublime ,  a  guisa  d'  un  teatro  adorno. 
Un  Castel  già  \ì  fu ,  ma  a  ferro  e  a  foco 
Lo  mura  e  i  tetti,  ed  a  mina  andoriio. 
Un  simil  può  vederne  in  sulla  strada, 
Qual  volta  a  Borgo  il  Parmigiano  vada- 

48       In  questo  loco  fu  la  lizza  fatta, 
Di  brevi  legni  d'  ogni  intorno  chiusa. 
Per  giusto  spazio  quadra ,  al  bisogno  atta, 
Con  due  capaci  porte,  come  s'  usa. 
Giunto  il  di,  eh'  al  re  par  che  si  combatta 
Tra  i  cavalier  ,  che  non  ricercan  scusa, 
Furo  appresso  alle  sbarre  in  ambi  i  lati 
Cuntra  i  rastrelli  i  padiglion  tirati. 

49.      Nel  padiglion,  eh'  è  più  verso  Ponente, 

Sta  il  re  d   Algier,  eh'  ha  membra  di  gigante. 

Gli  pon  lo  scoglio  imlosso  del  serpente 

L'  ardito  Ferraù  con  Sacripante: 

Il  re  Gradasso  e  Falsiron  possente 

Sono  in  queir  altro  al  lato  di  Levante, 

L  mctton  di  sua  man  l'  arme  trojane 

In  dosso  al  succe.-sor  del  re  Agricane. 

50       Sedeva  in  tribunale  ampie»  e  sublime 
11  re  d'  Africa,  e  seco  era  1'  ispano. 
Poi  Stordilano,  e  1"  altre  genti  prime, 
Che  riveria  I'  e-ercito  pagano. 
Beato ,  a  chi  pòn  dare  argini  e  cime 
D'  arbori  stanza,  che  gli  alzi  dal  piano! 
Grande  è  la  «;alca ,  e  grande  in  ogni  lato 
Popolo  ondeggia  intorno  al  gran  steccato. 

51.  Eran  con  la  regina  di  Castiglìa 
R(!gin<'  e  principesse  e  nobil  donne 

i)'  Aragi.n  ,  di  Granata,  e  di  Siviglia, 

K  fin  di  prtssso  all'  atlaiitce  colonne; 

Tra"  q  :ai  di  Stordilan  sedca  la  figlia, 

Che  di  duo  drappi  avca  le  ricche  gonne, 

L'  un  d'  un  rosso  mal  tinto,  e  l'  altro  verde; 

Ma  il  primo  quasi  imbianca,  e  il  color  perde. 

52.  In  abito  succinto  era  Marfìsa, 

Qual  si  convenne  a  donna  ed  a  guerriera. 
Termoodonte  forse  a  quella  guisa 
^idt:  Ippolita  ornarsi,  e  la  sua  schiera. 
Già  con  la  cotta  d'  arme,  alla  divisa 
Del  re  Agiamanlc,  in  campo  vcniit' era 
L'  araldo  a  far  divieto,  e  mi^ltcr  leggi, 
Che  nò  in  latti» ,  né  in  detto  alcun  parte»"-!. 


53.     La  spessa  turba  aspetta  disiando 

La  pugna ,  e  spesso  incolpa  il  venir  tardo 
De'  duo  famosi  cavalieri,  quando 
S'  ode  dal  padiglion  di  Mandricardo 
Alto  rumor,  che  vien  moltiplicando. 
Or  sappiate ,  Signor ,  che  '1  re  gagliardo 
Di  Sericana,  e  '1  Tartaro  possente. 
Fanno  il  tumulto  e  '1  grido ,  che  si  sente, 

51.      Avendo  armato  il  re  di  Sericana 
Di  sua  man  tutto  il  re  di  Tartaria, 
Per  porgli  al  fianco  la  spada  sovrana, 
Che  già  d'  Orlando  fu  ,  se  ne  venia; 
Quando  nel  pomo  scritto  Durindana 
Vide,  e  '1  quartier,  eh'  Almonte  aver  solia., 
Ch'  a  quel  mcschin  fu  tolto  ad  una  fonte, 
Dal  giovanetto  Orlando  in  Aspramontc. 

55.  Vedendola,  fu  certo,  eh'  era  quella 
Tanto  famosa  del  signor  d'  Anglante, 

Per  cui ,  con  grande  armata ,  e  la  più  bella 
Clic  giammai  si  partisse  di  Levante, 
Soggiogato  avea  il  regno  di  Castella, 
E  Francia  vinta  esso  pochi  anni  innante: 
Ma  non  |)hò  immaginarsi,  come  a-venga, 
Ch'  or  iMandricardo  in  suo  poter  la  tenga. 

56.  E  dimandogli,  se  per  forza,   o  patto 

L'  avesse  tolta  al  conte,  e  dove,  e  quando; 
E  M,indri(;ardo  disse,  eh'  avea  fatto 
Gran  battaglia  per  essa  con  Orlando  ; 
E  come  finto  quel  s'  era  poi  matto, 
Cosi  coprire  il  suo  timor  sperando, 
Ch'  era  d'  aver  continua  guerra  meco, 
Finché  la  buona  spada  avesse  seco. 

57.  E  dicea ,  che  imitato  avea  il  Castore, 
Il  qual  si  strappa  i  genitali  sui. 
Vedendosi  alle  spalle  il  cacciatore, 

Cile  sa ,  che  non  ricerca  altro  da  lui. 
Gradassi)  non  udì  tutto  il  tenore, 
Che  disse:  Non  vo'  darla  a  te,  né  altrui. 
Tanto  oro,  tanto  affanno,  e  tanta  gente 
Ci  ho  speso,  che  é  ben  mia  debitamente. 

58.  Cercati  |)ur  fornir  d'  un'  altra  spada, 
Cli'  io  voglio  que.-^ta;  e  non  ti  paja  nuovo! 
Pazzo,  o  saggio  eh'  Orlando  se  ne  vada, 
Averla  intendo ,  ovunque  io  la  ritrovo. 
Tu  senza  testimonj  in  sulla  strada 

Te  r  usurpasti  ;  io  qui  lite  ne  muovo 
La  mia  ragion  dirà  mia  scimitarra; 
E  faremo  il  giudicio  nella  sbarra. 

59.  Prima  di  guadagnarla  t'  apparecchia. 
Che  tu  l'  adopri  c(nitra  Rodomonte. 

Di  comprar  prima  l'  arme  é  usanza  vecchia, 
Cir  alla  battaglia  il  cavalier  s'  all'roiite 
Più  dohe  suini  non  mi  viene  ali    orecchia. 
Rispose,  alzando  il  Tartaro  la  fronte, 
Che  quando  di  battaglia  alcun  mi  tenta: 
Ma  fa,  clic  Rodomonte  lo  con^enta! 

60.  Fa,  che  sia  tua  la  prima,  e  diesi  tolga 
Il  re  di  .Sarza  la  tenzon  secondti; 

E  non  ti  dubitar,  eh'  io  non  mi  volga, 
E  eh'  a  te  ed  ad  ogni  altro  io  non  risponda. 
Rnggier  gridò:  Non  vo",  che  si  disciolga 
Il  patto,  o  più  la  sorte  si  confonda. 
O  Rodomonte  in  campo  prima  saglia, 
O  ili  la  sua  dopo  la  mia  battaglia. 


[365] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXVII.  «1-76) 


[366] 


61.  Se  di  Gradasso  la  ragion  prevale, 
Prima  acquistar,  die  porre  in  opra  I'  arme, 
jSè  tu  r  aquila  mia  dalle  liianclie  ale 
Prima  usar  dei ,  che  non  me  ne  di>arme. 
Ma,  poich'  è  stato  il  mio  voler  ^'ìh  tale, 

Di  mia  sentenza  non  voglio  appellarmc. 
Che  sia  seconda  la  baitagiia  mia, 
Quando  del  re  d'  Algier  la  prima  sia. 

62.  Se  turberete  voi  1'  (»r(!ine  in  parte, 
Io  totalmente  turberollo  ancora. 

Io  non  intendo  il  mio  scudo  lasciarte. 
Se  contra  me  non  lo  combatti  or  ora. 
Se  r  mio  e  1'  altro  di  voi  l'osse  Marte, 
Rispose  Mandricardo  irato  all«)ra, 
Non  saria  1'  un  né  1'  altro  atto  a  vietarme 
La  buona  spada,   o  quelle  nobili  arme. 

63.  E  tratto  dalla  collera  avventosse 
Col  pugno  chiuso  al  re  di  Sericana, 
E  la  man  dcstr.i  in  modo  gli  percosse, 
Ch'  abbandonar  gli  fece  Durindana. 
Gradasso,  non  credendo,  eh'  egli  l'osse 
Di  così  l'olle  audacia ,  e  così  insana, 
Coìto  improvviso  fu ,  che  stava  a  bada, 
E  tolta  si  trovò  la  buona  spada. 

6i.     Così  scornato,  di  vergogna  e  d'  ira 
Nel  viso  avvampa,  e  par  che  getti  foco; 
E  j)iù  r  affligge  il  caso ,  e  lo  martira, 
Poiché  gli  accade  in  sì  palese  loco. 
Rramoso  di  vendetta  si  rit.'ra, 
A  trar  la  scimitarra ,  addietro  un  poco. 
Mandricardo  in  sé  tanto  si  confida, 
Che  Ruggier  anco  alla  battaglia  slida. 

!»5.     Venite  pur  innanzi  ambedue  insieme, 
E  vengane  per  terzo  Rodomonte, 
Africa,  Spagna,  e  tiiJtti  V  uman  seme! 
Ch'  io  son  per  sempre  mai  volger  la  fronte. 
Così  dicendo  quel,  die  nulla  t«^me, 
Mena  d'  intorno  la  spada  d'  Almonte, 
Lo  scudo  imbrac<;ia ,  disdegnoso  e  fiero, 
Contra  Gradasso,  e  coiitra  il  buon  Ruggiero. 

i6.     Lascia  la  cura  a  me,  dicca  Gradasso, 
Ch'  io  guarisca  costui  della  pazzia! 
Per  Dio,  dicea  Ruggier,  non  te  la  lasso, 
Ch' esser  con\ien  questa  battaglia  mia. 
Va  indi<tro  tu!  va\>i  pur  tu!  né  pus^o 
Però  tornando,  gridan  tuttavia; 
Ed  attaccossi  la  battaglia  in  t(-rzo, 
Ed  era  per  uscirne  un  strano  scherzo, 

57.     Se  molti  non  si  fossero  inlerjiostì 
A  quel  furor,  non  ceni  tn)p|)o  consiglio; 
Ch'  a  spese  lor  ((nasi  imparar,  che  eo>li 
Volere  altri  sahar  con  suo  periglio. 
Kè  tutto   I  moiulo  mai  gli  avria  composti. 
Se  non  venia,  ol  re  di  Spagna,  il  figlio 
Del  famoso  'J'ro.jano,  al  cui  <'ospctto 
Tutti  ebbon  riterenza  e  gran  rispetto. 

Si  fé'  Agramanle  la  eagion  esporre 
Di  qui  sta  nuo\a  lite  così  ardente; 
Poi  molto  aflaticossi  per  disporr»-. 
Che  per  quella  giornata  solamente 
A  Maiidiicardo  la  spada  d'  Ettorre 
Concedesse  (iraduwso  umanamente. 
Tanto,  eh'  avesse  fìn  1'  aspm  c(uite«a, 
Ch'  uvea  giù  contra  Rodomonte  presa. 


69.  Mentre  studia  placarli  il  re  Agramante. 
Ed  or  con  questo ,  ed  or  con  quel  ragiona. 
Dall'  altro  padiglion  tra  Sacripante 

E  Rodomonte  un'  altra  lite  suona. 
Il  re  circasso  ,  come  é  detto  innante. 
Stava  di  Rodomonte  alla  persona. 
Ed  egli  e  Ferrali  gli  aveano  indotte 
L'  arme  del  suo  progenitor  Xembrotte. 

70.  Ed  eran  poi  venuti,  ove  il  destriero 
Facea,  mordendo,  il  ricco  fren  spumoso: 

10  dico  il  buon  Frontin ,   per  cui  Ruggiero 
Stava  irac-ondo,  e  più  che  mai  sdegnoso. 
Sacripante,  eh'  a  por  tal  cavaliero 

In  campo  avea,  mirava  curioso, 

Se  ben  ferrato,  e  ben  guernito,  e  in  punto 

Era  il  destrier,  come  doveasi  appunto: 

TI.      E  venendo  a  guardargli  più  a  minuto 
I  segni  e  le  fattezze  isnelle  ed  atte, 
Ebbe  fuor  d'  ogni  dubbio  conosciuto. 
Che  questo  era  il  destrier  suo  Frtuitalatte, 
Che  tanto  caro  già  s'  avea  tenuto. 
Per  cui  già  avea  mille  querele  fatte  ; 
E  poiché  gli  fu  tolto,  un  tempo  volse 
Sempre  ire  a  piede;  in  modo  gliene  dolse! 

72.  Innanzi  Albracca  glielo  avea  Brunello 
Tolto  di  sotto  quel  medesmo  giorno , 
Ch'  ad  Angelica  ancor  tolse  1'  lineilo. 
Al  conte  Orlando  Balisarda  e  "I  curno, 
E  la  spada  a  Marflsa;  ed  avea  quello, 
Dopoché  fece  in  Africa  ritorno. 

Con  Balisarda  insieme  a  Ruggier  dato, 

11  qual  r  avea  Frontin  poi  nominato. 

73.  Quando  conobbe  non  si  apporre  in  fallo, 
Disse  il  Circ.isso  al  re  d'  Algier  rivolto: 
Sappi,  signor,  che  questo  é  mio  cavallo, 
Ch'  ad  Albracca  per  furto  mi  fu  tolto. 
Ben  avrei  testimonj  da  proxa'lo: 

Ma  ,  perché  son  d.i  noi  lontani  molto, 
S'  alcun  lo  nega  ,  io  gli  vo'  »<)-teiiere 
Con  r  arme  in  man  le  mie  parole  vere. 

71.  Ben  son  contento,  per  la  compagnia 
In    questi  pochi  di  st^sta  fra  noi. 

Che  prestato  il  cavallo  oggi  ti  -ia, 

Ch'  io  veggo  ben  .   che  senza  f.ir  non  puoi  ; 

Però  con  patto,  se  per  cosa  mii', 

E  prestata  da  me,  c(nios«-er  aiioÌ  ; 

.'\ltrament(!  d'  a>erlo  non  f.ir  stiina, 

0  se  non  lo  comliatti  meco  prima. 

75.  Rodomonte,  del  ((uale  un  [liù  orgogli  'so 
Non  ebbe  mai  tulio  il  mcstier  dell    arme  ; 

VI  (piale  in  i-s«-r  forte  e  coriiggioso 
Ali'uit  antico  d'  agguagliar  non  parnx  : 
Rispose:  Sacripante,  ogni  altro,  di"  o<n. 
Fuorché  tu,  fosse  in  Ini  modo  a  pirlarme. 
('ou  suo  mal  si  saria  tosto  a^tediito. 
Che  iii(*glio  era  per  lui  di  nascer  muto. 

76.  Ma,  per  la  <'oui|iagnia ,  che,  come  bai  dette 
Nox'llameiile  insieme  abbiamo  pre<a, 

Ti  siui  contento  aM-r  tanto  ris;^etto, 

Cir  io  t'  ammonisca  n  tardar  questa  im]>reMi. 

Finché  della  battaglia  ^cggi  eiretlo, 

(^'lie  fra  il  Tartaro  e  me  tosto  tia  accesa  ; 

Dove  poi'ti  un  esempio  innanzi  «pero, 

('ir  avrai  di  grazia  u  dirmi:    \libi  il  dcsfrieio! 


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n.      Gli  è  teco  cortesia  1'  esser  villano. 
Disse  il  Circasso  pian  d'  ira  e  di  sdegno: 
Ma  più  chiaro  ti  dico  ora ,  e  più  piano, 
Ciic  tn  non  faccia  in  quel  destiier  disegno; 
Che  te  h>  di  feudo  io  ,   tanto  che  in  mano 
Questa  vindice  mia  spada  sostegno  ; 
E  mctterovvi  in.-;!no  all'  ugna  e  il  dente. 
Se  non  potrò  difenderlo  altramente. 

78.      Vciiner  dalle  parole  alle  contese, 
Ai  gridi,  alle  minacce,  alla  battaglia. 
Che  per  molt'  ira  in  più  fretta  s'  accese. 
Che  s'  accendesse  mai  per  fuoco  paglia. 
Rodomonte  ha  1'  usbergo  ed  ogni  arnese: 
Sacripante  non  ha  piastra,  né  maglia; 
Ma  par,  sì  ben  con  lo  schermir  s'  adopra, 
Che  tutto  con  la  spada  si  ricopra. 

19.     Non  era  la  possanza  e  la  fierezza 
Di  Rodomonte  (^ancorch'  era  infinita) 
Più  che  la  provvidenza  e  la  destrezza. 
Con  che  sue  forze  Sacripante  aita. 
Non  voltò  ruota  mai  con  piii  prestezza 
Il  macigno  sovran ,  che  '1  grano  trita, 
Che  faccia  Sacripante  or  mano,  or  piede, 
Di  qua,  di  là,  dove  il  bisogno  vede, 

80.  Ma  Ferraù,  ma  Serpentino  arditi 
Trasson  le  spade,  e  si  cacciar  tra  loro, 
Dal  re  Grandonio ,  da  Isolier  seguiti, 
Da  molt'  altri  signor  del  popol  moro. 
Questi  erano  i  romori ,  i  quali  uditi 
Neil'  altro  padiglion  fur  da  costoro. 
Quivi  per  accordar  venuti  invano 

Col  Tartaro  ,  Ruggiero ,  e  '1  Sericano. 

81.  Venne  chi  la  novella  al  re  Agramante 
Riportò  certa ,  come  pel  destriero 
Avea  con  Rodomonte  Sacripante 
Incominciato  un  aspro  assalto  e  fiero. 

Il  re  confuso  di  discordie  tanti;, 
Dis.-e  a  Marsilio:  Al)bi  tu  qui  pensiero. 
Che  fra  questi  guerrier  non  segua  peggio. 
Mentre  all'  altro  disordine  io  proveggio  l 

82.  Rodomonte,  che  '1  re,  suo  signor,  mira. 
Frena  l'  orgoglio,  e  torna  indietro  il  passò; 
Né  con  minor  rispetto  si  ritirii. 

Al  venir  d'  Agramante,  il  re  circasso. 
Quei  d(Miianda  la  causa  di  tant'  ini, 
Con  real  viso,  e  parlar  grave  e  basso, 
K  cerca,  poiché  n'  ha  compreso  il  tutto, 
Porli  d'  accordo  ,  e  non  vi  fa  alcun  frutto. 

83.  Il  re  circasso  il  suo  destrier  non  vuole 
Ch'  al  re  d'  Algier  più  lungamente  resti, 
Se  non  s'  umilia  tanto  di  parole, 

Che  lo  venga  a  pregar,  che  glielo  presti. 
Rodomonte  superbo  ,  come  suole, 
Gli  risjionde  :  Né  '1  ciel ,  né  tu  faresti. 
Clic  cosa ,  che  per  forza  a^  er  potessi. 
Uà  altri,  clie  da  me,  mai  conoscessi. 

84.  Il  re  chiede  al  Circasso,  che  ragione 
Ila  nel  cavallo,  e  come  gli  fu  tcdto.* 

E  quel  di  parte  in  parte  il  tutto  e.-ipone, 
Ed  ('^punendo  s'  arrossisce  in  volto. 
Quando  gli  narra,  che  '1  sottil  ladrone, 
Che  in  un  alto  puui'ir  l'  aveva  colto. 
La  «ella  ku  quattro  aste  gli  siill'olse, 
E  di  sotto   il  destrier  nudo  gli  toUv- 


85. 


Marfisa,  che  tra  gli  altri  al  grido  venne, 
Tostochè  '1  furto  del  cavallo  udì. 
In  viso  si  turbò,  che  le  sovvenne, 
Che  perde  la  sua  spada  ella  quel  dì, 
E  quel  destrier ,  che  purve  aver  le  penne 
Da  lei  fuggendo,  riconobbe  qui; 
Riconobbe  anco  il  buon  re  Sacripante, 
Che  non  avea  riconosciuto  innante. 


86. 


Gli  altri,  eh'  erano  intorno,  e  che  vantarsi 
Brunel  di  questo  aveano  udito  spesso, 
\  erso  lui  cominciaro  a  rivoltarsi, 
E  far  palesi  cenni,  eh'  era  desso. 
Marfisa  sospettando ,  ad  informarsi 
Da  questo  e  da  quell'  altro ,  eh'  iivea  appresso. 
Tanto,  che  venne  a  ritrovar,  che  quello, 
Che  le  tolse  la  spada,  era  Brunello. 

87.  E  seppe ,  che  pel  furto ,  onde  era  degno, 
Clie  gli  annodasse  il  collo  un  capestro  unto, 
Dal  re  Agramante  al  tingitano  regno 

Fu  con  esempio  inusitato  assunto. 
Marfisa,  rinfrescando  il  vecchio  sdegno, 
Disegnò  vendicarsene  a  quel  punto, 
E  punir  scherni  e  scorni ,  che  per  strada 
Fatti  le  avea  sopra  la  tolta  spada. 

88.  Dal  suo  scudicr  1'  elmo  allacciar  si  fece. 
Che  del  resto  dell'  arme  era  guernita  ; 
Senza  usbergo  io  non  troAO  che  mai  diece 
Volte  fosse  veduta  alla  sua  vita, 

Dal  giorno ,  che  a  portarlo  assuefece 
La  sua  persona ,  oltre  ogni  fede  tardità. 
Con  r  elmo  in  capo  andò ,  dove  fra  i  primi 
Brunel  sedea  negli  argini  sublimi. 

89.  Gli  diede  a  prima  giunta  ella  di  piglio 
In  mezzo  il  petto ,  e  da  terra  levollo, 
Come  levar  suol  col  falcato  artiglio 
Talvolta  la  rapace  aquila  il  pollo  ; 

E  là ,  dove  la  lite  innanzi  al  figlioj 
Era  del  re  trojan ,  così  portollo. 
Brunel,  che  giunto  in  male  man  si  vede, 
Pianger  non  cessa,  e  domandar  mercede. 

90.  Sopra  tutti  i  rumor ,  strepiti  e  gridi. 
Di  che  '1  campo  era  pien  quasi  uguabucnte» 
Brunel ,  eh'  ora  pleiade ,  ora  susfidj 
Doniiindando  >enia,  così  si  sente, 
Ch'  al  suono  di  rammarichi  e  di  stridi 
Sì  fa  d'  int(U'no  accor  tutta  la  gente. 
Giunta  innanzi  al  re  d'  Africa  Alarfisa, 
Con  viso  alticr  gli  dice  in  questa  guisa  : 

91.  Io  voglio  questo  ladro  ,  tuo  vassallo, 
Con  le  mie  mani  impender  per  la  gola, 
Perché  il  giorno  medesmo,  che  '1  cavallo 
A  costui  tulle ,  a  me  la  spada  invola. 
Ma  s'  egli  é  alcun  ,  che  voglia  dir  ,    eh'  io  tà 
Facciasi  innanzi,  e  dica  una  parola! 
Che  in  tua  presenza  gli  vo'  sostenere, 
Che  se  ne  mente ,  e  eh'  io  fo  il  mio  dovere. 

92.  Ma  perché  si  potria  forse  iin|>ntarme, 
Cli'  ho  atteso  a  farlo  in  nie///.o  a  tante  liti, 
Montreché  qii(>sti  più  famosi  in  arme 
D'  altre  quereh;  son  tutti  impediti. 
Tre  giiu'iii  ad  iiiipir(-arlo  io  ><>'  indugiarnie. 
Intanto,  o  vieni,  o  manda,  chi  1'  aiti! 
Che  dopo,  se  non  fia  chi  melo  vieti. 
Farò  di  lui  mille  uccellacci  lieti. 


369] 


ORLANDO   FURIOSO.    (XX\TI.  93  —  108) 


[370] 


93.      Di  qui  presso  a  tre  leghe,  a  quella  torre, 
Che  siede  innanzi  ad  un  picciol  boschetto, 

I        Senza  più  compagnia  mi  vado  a  porre, 
Che  d'  una  mia  donzella  e  d'  un  valletto. 

!        Se  alcuno  ardisce  di  venirmi  a  torre 

Questo  ladron,  là  Acnga,  eh'  io  1'  aspetto, 
Cosi  disse  ella;  e  dove  disse,  prese 
Tosto  la  via ,  né  più  risposta  attese. 

9i.     Sul  collo  innanzi  del  destrier  si  pone 
Brunel,  che  tuttavia  tien  per  le  chiome. 
Piange  il  misero ,  e  grida ,  e  le  persone, 
In  chi  sperar  solca ,   cliiama  per  nome. 
Resta  Agraraante  in  tal  contu>ione 
Di  questi  intrichi,  che  non  vede,  come 
Poterli  sciorre,  e  gli  par  via  più  greve, 
Che  Marfisa  Brunel  così  gli  leve. 

95.  Non  che  1'  apprezzi,  o  che  gli  porti  amore. 
Anzi  più  giorni  snn,  che  1'  odia  molto, 
E  spesso  ha  d'  impiccarlo  avuto  in  core, 
Dapoichè  gli  era  stato  1'  anel  tolto  : 
Ma  quest'  atto  gli  par  confra  il  suo  onore, 
Sicché  n'  avvampa  di    vergogna  in  volto. 
Vuole  in  persona  egli  seguirla  in  fretta, 
E  a  tutto  suo  poter  farne  vendetta. 

96.  Ma  il  re  Sohrino,  il  quale  era  presente, 
Da  questa  impresa  molto  il  dissuade, 
Dicendogli ,  che  mal  conveniente 
Era  all'  altezza  di  sua  mae?tade. 
Se  hen  avesse  d'  esserne  vincente 
Ferma  speranza,  e  certa  sicnrtadc; 
Più,  eh'  onor,  gli  Ila  biasmo,  che  si  dica, 
Ch'  abbia  vinta  una  femmina  a  fatica. 

97.  Poco  r  onore,  e  molto  era  il  periglio 
D'  ogni  battaglia ,  die  con  lei  pigliasse  ; 
E  che  gli  diiAa  per  migiiiu-  consiglio, 
Che  Brunello  alle  for(-lie  aver  lasciasse; 
E  se  credesse,  che  un  alzar  di  ciglio 
A  torlo  dal  capestro  gli  bastasse, 
Non  do^ea  alzarlo ,  per  non  contraddire. 
Che  s'  abbia  la  giustizia  ad  eseguire. 

I.     Potrai  mandare  un ,  che  Marfisa  preghi, 
Dicea,  che  in  questo  giiulice  ti  fac«ria. 
Con  promis^ion ,  che  al  ladi<incel  si  leghi 
]1  laccio  al  collo ,  e  a  lei  si  soddisfaccia  ; 
E  quando  anco  ostinata  te  lo  neghi. 
Se  r  al)l)ia,  e  il  suo  de>ir  tutt(»  compiaccia: 
Purché  da  tna  amicizia  non  ^i  spicc-hi, 
Brunello  e   gli  altri  ladri  tutti   impicchi. 

).     Il  re  Agriiiniint(!  voleiitier  s'  attenne 
Al  parer  di  Sobrin ,  discreto  e  saggio, 
E  Marlìsa  lasciò,  che  non  h;  ^enne, 
Kè  patì,  eh'  altri  andas.se  a  farle  oltraggio; 
Rè  (li  farla  pregare  anco  sosteinie, 
E  tollerò,  Di(»  sa,  con  die  coraggio, 
per  potere  acchctur  liti  maggiori, 
£  del  suo  campo  tor  tanti  riunuri. 

100.      Di  ciò  si  rid(!  la  Discordia  pazza, 

Che  pace;   o  tregua  oiiiai  più  tviiw.  poco. 
Scorre  di  (pia  e  di  là  tutta  la  piazza, 
Né  può  trovar  p<'r  allegrezza  loco. 
La  Superbia  con  lei  salta   e  ga\a///.a, 
E  legna  ed  esca  mi  giiiiigcntlo  al  foco, 
E  grida  sì  ,  v\ìv.  (in  ncll'  alto  regno 
Muiidu  a  Midid  della  vittoria  t.v":in). 


101.  Tremò  Parigi,  e  torbidossi  Senna 
All'  alta  voce,  a  queir  orribil  grido; 
Rimbombò  il  suon  fin  alla  selva  Ardenna, 
Sicché  lasciar  tutte  le  fere  il  nido. 
Udiron  1'  Alpi,  e  il  monte  di  Gebenna, 
Di  Blaja  e  d'  Arli  e  di  Roano  il  lido  : 
Rodano  e  Sonna  udì,  Garonna  e  il  Reno; 
Si  strinsero  le  madri  i  figli  al  seno. 

102.  Son  cinque  cavalier,  eh'  han  fisso  il  cliiodo 
D'  essere  i  primi  a  terminar  su<i  lite, 

L'  una  neir  altra  avviluppata  in  modo. 
Che  non  1'  avrebbe  Apoiline  espedite. 
I  Comincia  il  re  Agrauiante  a  sciorre  il  nodo 

I  Delle  prime  tenzon,  di'  aveva  udite. 

Che  per  la  figlia  del  re  Stordiiano 
'  Eran  tra  il  re  di  Scizia,  e  il  suo  africano. 

|i03.      Il  re  Agramante  andò,  per  porre  accordo, 
I  Di  qua   e  di  là  più  volte,    a  questo  e  a  quello; 

E  a  questo  e  a  quel  più  volte  die  ricordo 
Da  signor  giusto ,  e  da  fedel  fratello  : 
E  quando  parimente  trova  sordo 
1/  un  come  1'  altro,  indomito  e  rnbello 
I  Di  voler  esser  (]uel,  che  resti  senza 

La  donna,  da  cui  vien  lor  dilTerenza: 

104.  S'  appiglia  alfin ,  come  a  miglior  partito, 
Di  che  ambedue  si  contentar  gli  amanti, 
Che  della  bella  donna  sia  marito 

L'  uno  de'  duo,  quel  che  vuol  essa  innanti, 
E  da  quanto  per  lei  sia  stabilito. 
Più  non  fi  jios.-a  andar  dietro,  né  avanti. 
Air  uno  e  all'  altro  piace  il  compromesso. 
Sperando ,  eh'  esser  debbia  a  favor  d'  esso. 

105.  Il  re  di  Sarza,  che  gran  tempo  prima 
Di  Alandricardo  ama^a  Doralice, 

Ed  ella  1'  avea  posto  in  sulla  cima 

D'  ogni  favor,  eh'  a  donna  casta  lice, 

Che  debba  in  util  suo  venir  estima 
I  La  gran  sentenza ,   che  "I  può  far  felice. 

j\é  egli  avea  questa  credenza  solo, 
!         Ma  con  lui  tutto  il  barbaresco  stuolo. 

il06.      Ognun  sapea  ciò,  eh'  egli  avea  già  fatto 
j  Per  essa  in  giostre,  in  torniamenti,   in  guerra; 

E  .  (;he  stia  Mandricardo  a  questo  patto, 
Dic(mo  tutti ,  che  vaneggia  ed  erra. 
Ma  quel,  che  più  fiate,   e  più  di  piatto 
Con  lei  fu,   mentre  il  sol  stava  sotterra, 
E  sapea,  quanto  avea  di  certo  in  mano, 
Ridea  del  popolar  giiidicio  vano. 

107.  Poi  lor  convenzion  ratificaro 

In  mail  del  re  quei  duo  prodi!  f.imosi. 
Ed   indi  alla  donzella  se  n'   andaro; 
Ed  ella  abbassò  gli   ocdij   vergognosi, 
E  dis.-e,  die  più  il  Tart.iro  avea  caro; 
Di  che  tutti  re>làr  iiiarav  iglio>i, 
Ro(loiiionl(r  sì  atliniito  e  smarrito, 
Che  di  levar  non  er.i  il  viso,  ardito. 

108.  ^la ,  poidié  r  usala  ira  cacciò  qii(*ILi 
Vergogna,  cIk;  gli  avea  la  faccia  Unta, 
lngiu^la  e  faUa  la  Miiten/a  appella; 

E  la  spada  iiiipiigii.mdo,  di'  egli   jm  cinta. 

Dice,  lubiido   il  re  e  gli  altri,  che  vuol,    (IT  dia 

(ìli  dia  perduta  i|iiesla  causa,  o  milita, 

l'I   non  r   arbitrio  di   feiiimiiia  lieve, 

('he  kcuipre  inchiim  a  quel,  che  mcii  f.ir  deve. 

24 


[371] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXVII.  109-124) 


[:ni 


109.  Di  nuovo  Mandricardo  era  riporto, 
Dicendo:  Vada  pur,  come  ti  pare  ! 
Sicché,  priraachè  '1  legno  entrasse  in  porto, 
\'  era  a  solcare  un  gran  spazio  lìi  mare; 
Se  non  che  '1  re  Agramante  diede  torto 

A  Rodomonte  ,   clie  non  può  cliiamnre 
Più  3Iandricardo  per  qiielhi  querela, 
E  fé'  cadere  a  quel  furor  la  vela. 

110.  Or  Rodomonte,  che  notar  si  vede 
Dinanzi  a  quei  signor  di  doppio  scorno, 
Dal  suo  re,  a  cui  per  riverenza  cede, 

E  dalla  donna  sua ,  tutto  in  un  giorno, 
Quivi  non  volse  più  fermare  il  piede, 
E  dalla  molta  turba,  eh'  avca  intorno, 
Seco  non  tolse  più,  che  duo  sergenti, 
Ed  usci  de'  moreschi  alloggiamenti. 

111.  Come ,  partendo  ,  afflitto  tauro  suole, 
Che  la  giuvenca  al  vincitnr  cesso  abbia, 
Cercar  le  selve  e  le  rive  più  sole 

Lungi  dai  paschi,  o  qualche  arida  sahbia, 

Dove  muggir  non  cessa  all'  ombra  e  al  sole, 

]Nè  però  scema  1'  amorosa  x-abhia: 

Così  sen  va,  di  gran  dolor  confuso, 

Il  re  d'  Algier,  dalla  sua  donna  escluso. 

112.  Per  riavere  il  buon  destrier ,  si  mosse 
Ruggier,  che  già  per  questo  s'  era  armato; 
3Ia  poi  di  3Iandricardo  ricordosse, 

A  cui  della  battaglia  era  obl)ligato. 
Non  seguì  Rodomonte  ,  e  ritornosse, 
Per  entrar  col  re  tartaro  in  steccato, 
Primach'  entrasse  il  re  di  Sericana, 
Che  r  altra  lite  avea  di  Durindana. 

113.  Veder  torsi  Frontin  troppo  gli  pesa 
Dinanzi  agli  occbj  ,  e  non  poter  vietarlo  ; 
Ma ,  dato  eh'  abbia  fine  a  questa  impresa, 
Ha  ferma  intenzion  di  rico^  rarlo. 

Ma  Sacripante,  che  non  ha  contesa, 
Come  Ruggier,  che  possa  distornarlo, 
E  che  non  ha  da  far  altro,  che  questo, 
Per  r  orme  vien  di  Rodomonte  presto. 

114.  E  tosto  r  avria  giunto,  se  non  era 
L  n  caso  strano ,  che  trovò  tra  via, 
Che  lo  fé'  dimorar  fin  alla  sera, 

E  perder  le  vestige ,  che  seguia. 
Trovò  nna  donna ,  che  nella  riviera 
Di  Senna  era  caduta  ,  e  vi  peria. 
Se  a  darle  tosto   ajiito  non  veniva. 
Saltò  neir  acqua,   e  la  ritrasse  a  riva: 

115.  Poi,  quando  in  sella  volse  risalire, 
Aspettato  non  fu  dal  suo  destriero, 
(^lie  fin  a  sera  si  fece  seguire, 

E  non  si  lasciò  prender  di  h-ggiero. 
Precelo  alfin,  ma  non  seppe  venire 
Più,  donde  s'  era  tolto  dal  sentiero; 
Dngcnto  miglia  errò  tra  piano  e  munte, 
Primachè  ritrovasse  Rodomonte. 

116.  Dove  trovollo ,  e  come  fu  conteso, 
Con  di^vantaggio  assai  di  Sacripante; 
Come  perde  il  cavallo,  e  restò  preso, 
Or  non  dirò;  eh'  ho  da  narrarvi  innante, 
Di  quanto  >(lcgn(t  e  di  ([uanta  ira  acceso 
Contra  la  donim  ,  e  c(intr;i  il  re  Agramante, 
Del  campo  Rodonionte  >i  partiscc, 

U  ciò,  che  contra  i'  uno  e  I'  altro  disse. 


117.  Di  cocenti  sospir  1'  aria  accendea, 
Dovunque  andava  il  Saracin  dolente. 
Eco,  per  la  pietà,  che  gli  n'  avea. 
Da'  cavi  sassi  rispondea  sovente. 
Oh  femminile  ingegno,  egli  dicea, 
Come  ti  volgi ,  e  nuiti  facilmente. 
Contrario  oggetto  proprio  della  fede! 
Oh  infelice,  oh  miser,  chi  ti  crede! 

118.  Né  lunga  servitù,  né  grande  amore, 
Cile  ti  fu  a  mille  prove  manifesto, 
Ebbono  forza  di  tenerti  il  core, 
Che  non  fosse  a  cangiarsi  almen  sì  presto. 
Non ,  perché  a  Mandricardo  inferiore 
Io  ti  paressi,  di  te  privo  resto; 
Né  so  trovar  cagione  ai  casi  miei, 
Se  non  quest'  una ,  che  femmina  sei. 

119.  Credo  ,  che  t'  abbia  la  natura  e  Dio 
Produtto,  o  scellerato  sesso,  al  mondo 
Per  una  soma ,  per  un  grave  fio 
Dell'  uom,  che  senza  te  saria  giocondo; 

!  Come  ha  produtto  anco  il  serpente  rio, 

E  il  lupo,  e  r  orso,  e  fa  1'  aer  fecondo 
i  E  di  mosche,  e  di  vespe,  e  di  tafani, 

j         E  loglio  e  avena  fa  nascer  tra  i  grani. 

1 120.      Perchè  fatto  non  ha  1'  alma  natura, 

Che  senza  te  potesse  nascer  'uomo, 

Come  s'  innesta,  per  umana  cura, 

L'  un  sopra  1'  altro  il  pero,  il  sorbo,  e  '1  pomo? 

Bla  quella  non  può  far  sempre  a  misura; 

Anzi,  s'  io  vo'  guardar,  come  io  la  nomo, 
j         Veggo ,  che  non  può  far  cosa  perfetta, 
i         Poiché  Natura  femmina  vien  detta. 

il21.     Non  siate  però  tumide  e  fastose, 

j         Donne,  per  dir,  che  1'  uom  sia  vostro  figlio; 

j  Che  delle  spine  ancor  nascon  le  rose, 

I         E  d'  una  fetida  erba  nasce  il  giglio: 

Importune,  superbe,  dispettose, 
I  Prive  d'  amor ,  di  fede  e  di  consiglio, 

j  Temerarie,  crudeli,  inique,  ingrate, 

I         Per  pestilenza  eterna  al  mondo  nate! 

'122.     Con  queste,  ed  altre,  ed  infinite  appresso 
Querele  il  re  di  Sarza  se  ne  giva. 
Or  ragioiiaiulo  in  un  parlar  sommesso. 
Quando  in  un  suon,  che  di  lontan  s'  udiva, 

!  In  onta  e  in  biasmo  del  femmineo  sesso  : 

'  E  certo  da  ragion  si  dispartiva; 

Che,  per  una,  o  per  due,  che  trovi  ree, 

\  Che  cento  buone  sicn ,  creder  si  dee. 

:  123.     Sebben  di  quante  io  n'  abbia  fin  qui  amate, 
Non  n'  abbia  mai  trovata  una  fedele. 
Perfide  tutte  io  non  vo'  dir,  né  ingrate, 
Ma  darne  colpa  al  mio  destin  crudele. 
Molte  «)r  ne  sono,  e  più  già  ne  son  state, 
(Jhe  non  dan  causa  ad  uom,  che  »i  (luercle  ; 
Ma  mia  fortuna  vuol,  che,  s'  una  ria 
Ne  sia  tra  cento,  io  di  lei  preda  sia. 

124.      Pur  vo'  tanto  cercar  primach'  io  mora. 
Anzi  primachè  '1  criii  più  mi  s'  imbianchi. 
Che  forse  dirò  un  dì,  che  per  me  ancora 
Alcinia  sia,  che  di  sua  fé  non  manchi. 
Se  questo  avvicn,  (che  di  speranza  fuora 
Io  non  ne  son)  nini  lia  mai,  eh'  io  mi  stanchili 
Di  farla,  a  mia  possanza,  gloriosa. 
Con  lingua,  con  inchiostro,  e  in  verso,  e  in  prosa 


i  3T3] 


ORLANDO  FURIOSO.    (XXVII.  125-140) 


[3T4] 


25.     11  Saraciii  non  avea  manco  sdegno 

Centra  il  suo  re  ,  che  centra  la  donzella  ; 
E  cosi  di  ragion  passava  il  segno, 
Biasniando  lui ,  come  biasinando  quella. 
Ha  disio  di  veder,  che  sopra  il  regno 
Gli  cada  tanto  mal,  tanta  procella, 
Che  ili  Africa  ogni  casa  si  funesti, 
Kè  pietra  salda  sopra  pietra  resti  ; 

.25.      E  che,  spinto  del  regno,  in  duolo  e  in  lutto 
Viva  Agramante,  misero  e  mendico; 
E  eh'  esso  sia,  che  poi  gli  renda  il  tutto, 
E  Io  riponga  nel  suo  seggio  antico, 
E  della  fede  sua  produca  il  frutto, 
E  gli  faccia  veder ,  che  un  vero  amico 
A  dritto  e  a  torto  esser  dovea  preposto, 
Se  tutto  '1  mondo  se  gli  fosse  opposto. 

27.      E  così,  quando  al  re,  quando  alla  donna, 
Volgendo  il  cor  turl)ato ,  il  Saracino 
CaA  alca  a  gran  giornate ,  e  non  assonna, 
E  poco  riposar  lascia  Frontino. 
Il  dì  seguente,  o  1'  altro,  in  sulla  Senna 
Si  ritrovò  5   eh'  avea  dritto  il  cammino 
Verso  il  mar  di  Provenza ,  con  disegno 
Di  navigare  in  Africa  al  suo  regno. 

.28.     Di  barche,  e  di  sottil  legni  era  tutto, 
Fra  r  una  ripa  e  1'  altra,  il  fiume  pieno. 
Che,  ad  uso  dell'  esercito,  condutto 
Da  molti  lochi  vettovaglie  .ivieno; 
Perchè  in  poter  de'  ]\Iori  era  ridiitto, 
Acuendo  da  Parigi  al  lito  ameno 
D'  Acqnamorta,  e  voltando  inver  la  Spagna, 
Ciò  che  v'  è  da  man  destra  di  campagna. 

i29.     Le  vettovaglie  in  carra  ed  in  giumenti, 
Tolte  fuor  delle  navi,   erano  carche, 
E  tratte,  con  la  scorta  delle  genti. 
Ove  venir  non  si  potea  con  hart-he. 
A^ean  piene  le  ripe  i  grassi  armenti 
Qui^i  condotd  da  diverse  marche, 
E  i  conduttori  intorno  alla  riviera 
Per  varj  tetti  albergo  avean  la  sera. 

130.  Il  re  iV  Algicr,  perchè  gli  sopravvenne 
Quivi  la  notte ,  e  1'  aer  nero  e  cieco, 
D'  un  ostier  paesan  V  iu\it(»  tenne, 
Che  lo  pregò,  che  rimanesse  seco. 
Adagiato  il  destrier,  la  nu^nsa  veiuic 
Di  varj   cibi,  e  di  viu  cor.»o  e  greco: 
Che  '1  Saracin  nel  resto  alla  moresca. 
Ma  volse  far  nel  bere  alla  francesca. 

131.  L'  oste,  con  buona  mensa  e  miglior  viso. 
Studiò  di   fare  a   Kodomontt;  oniu'e  ; 
Che  la  pres(!nza  gli  «lie'  certo  avviso, 
Ch'  era  uomo  illustre,  e  pieii  d'  alto  valore  : 
Ma  quel,  che  da  sé  stesso  era  diviso, 
Rè  quella  sera  avea  ben  seiM»  il  c«»re, 
Che  mal  suo  grado  s'  era  riccuidotto 
Alla  donna  già  siui ,  non  Iacea  motto. 

182.  11  buon  ostier,  che  fu  dei  diligenti, 
Che  mai  si  sien  per  !•' rancia  ricordati, 
Quando  tra  le  lu-micbe  e  strane  genti 
li'  albergo  e  i  beni  suoi  s'  avea  salvati, 
P«T  servir  quivi,  alcuni  suoi  parenti 
A  tal  servigi!»  pronti,  avea  chiamati; 
De'  quai  non  era  alcun  di  parlar  oso. 
Vedendo  il  Saracin  unito  e  pensoso. 


13.      Di  pensiero  in  pensiero  andò  vagando 
Da  sé  stesso  lontano  il  pagan  molto, 
Col  viso  a  terra  chino,  né  levando 
Si  gli  occlij  mai,    eh'    alcun  guardasse  in  volto. 
Dopo  un  lungo  star  cheto,  sospirando, 
Siccome  d'  un  gran  sonno  allora  sciolto 
Tutto  si  scosse,  e  insieme  alzò  le  ciglia, 
E  voltò  gli  occlìj  air  oste  e  alla  famiglia. 

134.  Indi  ruppe  il  silenzio ,  e  con  senil)ianti 
Più  dolci  un  poco ,  e  viso  men  turbato, 
Domandò  all'  oste  e  agli  altri  circostanti 
Se  d'  essi  alcuno  avea  mogliere  allato. 
Che  r  oste,  e  che  quegli  altri  tutti  quanti 
L'  aveano,  per  risposta  gli  fu  dato. 
Domanda  lor  quel,  che  ciascun  si  crede 
Della  sua  donna  nel  servargli  fede. 

135.  Eccetto  V  oste,  fèr  tutti  risposta, 

Cile  si  credeano  averle  e  ca>te,  e  buone. 

Disse  r  oste:  Ognun  pur  creda  a  sua  posta, 

Ch'  io  so ,  eh'  avete  falsa  opinione. 

Il  vostro  sciocco  credere  ^i  costa, 

Ch'  io  stiìui  ognun  di  aoì  senza  ragione; 

E  così  far  questo  signor  deve  anco. 

Se  non  vi  vuol  mostrar  nero  per  bianco. 

136.  Perchè,  siccome  è  sola  la  fenice, 

'Sii  mai  più  d'  una  in  tutto  il  mondo  vive. 

Così,  né  mai  più  d"  uno  esser  si  dice. 

Che  della  moglie  i  tradimenti  schive. 

Ognun  si  crede  d'  esser  quel  felice, 

D'  esser  quel  sol ,  eh'  a  questa  palma  arrive. 

Come  è  possibil,  che  v'  arrivi  ognuno, 

Se  non  ne  può  nel  mondo  esser  più  d'  uno? 

137.  Io  fui  già  nell'  error,  che  siete  voi. 
Che  donna  casta  anco  più  d'  una  fussc. 
Un  gentil  uomo  di  Venezia  poi, 

Che  qui  n)ia  buona  sorte  già  condusse. 
Seppe  far  sì,  con    veri  esempj  suoi. 
Che  fuor  dell'  ignoranza  mi  ridusse. 
Gian  Francesco  \  alerio  era  nomato, 
Che  '1  nome  suo  non  mi  s'  è  mai  scordato. 

138.  Le  fraudi,  che  le  mogli  e  che  le  amiche 
Sogliono  usar,  sapea  tutte  per  conto; 

E  sopra  ciò  moderne  istorie  e  antiche, 
E  proprie  esperienze  avea  sì  in  pronto, 
Che  mi  mostrò  ,  che  mai  donne  pudiche 
Rou  si  trovare»,  o  p(»vere ,  o  di  conto; 
E,  s'  una  casta  più  dell'  altra  parse. 
Venia,  perchè  più  acciuta  era  a  celarsc. 

139.  E  fra  r  altre,  che  tante  me  ne  disse, 
Che  non  ne  posso  il  ter.o  ricord.irmi, 
Si  nel  capo  ima  istoria  mi  si  scrisse, 

Che  n(ui  si  scurisse  mai  più  saldo  in  marmi; 

lì   ben  parria   a  ciasitnno,  che  1'  udisse, 

Di  queste   rie  quel,  eh"  a  mi-   parve,  e  parmi: 

E  se,  signore^,  a  vi)i  non  spìacu  udire, 

A  lor  confusion  ve  la  ^u'  dire. 

HO.     Rispose  il  Saracin  :  Che  puoi  tu  farmi, 
VAìv  più  al  presente  mi  diletti  e  piaccia. 
Clic  dirmi  istorili,  e  qualclie  esempio  darmi, 
f'Iie  con  r  o)iinion  mia  si  confaccia.-' 
Penile   io  |)Ossa  lulir  nu-glio ,  e  tu   narrarmi, 
Si<-dimi  inciMilra,  eh'   io  ti   vegga  in  faccia! 
Ma  nel  canto,   che  segue,  io   v'   ho    da  dire 
Quel ,  che  fo'  1'  oste  a  Uodonu)nte  udire. 

24  ♦ 


[375] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXVIII.  1  -  12) 


[3T( 


CANTO     VENTESIMOTTAVO. 


ARGOMENTO. 

Rodomonte  dalV  oste  intende  indegno 
Biasimo  delle  donne.    Ah  lingua  fella! 
Portesi  col  -pcnsier  ri'  ir  nel  suo  regno^ 
E  poi  si  ferma  in  una  chiesa  bella; 
Ma  non  depone  giù  V  ira  e  lo  sdegno. 
Per  fin  che  vede  il  volto  d'  Isabella. 
Di  lei  s'  accende,  e  H  monaco  barbato 
Si  dispon  con  furor  torsi  da  lato. 


1.  Donne,  e  toI,  che  le  donne  avete  in  pregio, 
Per  Dio ,  non  date  a  questa  istoria  orecchia, 

A  questa ,  che  1'  ostier  dire  in  dispregio, 
E  in  vostra  infamia  e  biasmo  s'  apparecchia! 
Benché  né  macchia  vi  può  dar,  né  fregio 
Lingua  si  vile,  e  sia  1'  usanza  vecchia. 
Che  '1  volgare  ignorante  ognun  riprenda, 
E  parli  più  di  quel ,  che  meno  intenda. 

2.  Lasciate  questo  canto  !  che  senz'  esso 
Può  star  r  istoria,  e  non  sarà  men  chiara. 
Mettendolo  Turi)ino,  aneli'  io  1'  lio  messo, 
Non  per  malevolenza,  né  per  gara. 

Ch'  io  v'  ami,  oltre  mia  lingua,  che  l'ha  espresso, 
Che  mai  non  fu  di  celebrarvi  avara, 
>'  ho  fatto  mille  pi-ove,  e  v'  ho  dimostro, 
Ch'  io  son ,  né  potrei  esser ,  se  non  a  ostro. 

3.  Passi  chi  vuol,  tre  carte,  o  quattro,  senza 
Lcggci-ne  verso  ;  e  chi  pur  legger  vuole, 

Gli  dia  quella  medesima  credenza, 

C^he  si  suol  dare  a  finzioni  e  a  fole! 

Ma,  tornando  al  dir  nostro,  poich'  udienza 

Apparecchiata  vide  a  sue  parole, 

E  (laisi  luogo  incontra  al  cavaliero, 

Co?ì  r  istoria  incominiciò  1'  ostiero  : 

4.  Astolfo,  re  de'  Longobardi,  quello, 
A  cui  lasciò  il  fratel  monaco  il  regno, 
Fu  nella  giovinezza  sua  sì  l)ello, 

Che  mai  pochi  altri  giunsero  a  quel  segno. 
]\'  a^ria  a  fatica  un  tal  fatto  a  pennello 
Apelle,  o  Zeu^i,  o  se  v'  è  alcun  più  degno. 
Dello  era,  ed  a  ciascun  (;osì  |)area; 
Ma  di  molto  egli  ancor  più  si  tenea. 

5.  Non  stimava  egli,  tanto  per  1'  altezza 
Del  grado  suo,  d'  avere  ognun  minore, 
^è  tiinto,  clic  di   genti   e  di  ricchezza 
Di  tutti  i  re  vicini  era  il  maggiore, 
Quantocbi'  di  presc-nza  e  di  bellezza 
Avea  per  tutto    1   nu>Mdo  il  priuui  onore, 
(ìodca,   di   qnc-to  udendoci  dar  loda, 
(guanto  di  cosa  volcnlier  più  s'  oda. 


6.  Tra  gli  altri  di  sua  corte,  avea  assai  grato, 
Fausto  Latini,  un  cavalier  romano, 
Con  cui  sovente  essendosi  lodato. 
Or  del  bel  viso,  or  della  bella  mano. 
Ed  avendolo  un  giorno  domandato. 
Se  mai  veduto  avea ,  presso  o  lontano, 
Altro  uora  di  forma  cosi  ben  composto. 
Centra  quel ,  che  credea ,  gli  fu  risposto. 

7.  Dico,  rispose  Fausto,  che  secondo 
Ch'  io  veggo ,  e  che  parlarne  odo  a  cIascuilO|| 
INella  bellezza  hai  pochi  pari  al  mondo, 

E  questi  pochi  io  li  restringo  in  uno. 
Quest'  uno  è  un  fratel  mio,  detto  Giocondo. 
Eccetto  lui,  ben  crederò,  eh'  ognuno 
Di  beltà  molto  addietro  tu  ti  lassi. 
Ma  questo  sol  credo  t'  adegui  e  passi. 

8.  Al  re  parve  impossibil  cosa  udire, 
Che  sua  la  palma  infin  allora  tenne  j 
E  d'  aver  conoscenza  alto  desire 

Di  si  lodato  giovane  gli  venne. 
Fé'  sì  con  Fausto  ,  che  di  far  venire 
Quivi  il  fratel  prometter  gli  convenne; 
Bendi'  a  poterlo  indtu* ,  che  ci  venisse. 
Saria  fatica ,  e  la  cagion  gli  disse  : 

9.  Che  '1  suo  fratello  ei-a  uom,  che  mosso  il  pi( 
Mai  non  avea  di  Roma  alla  sua  vita. 

Che  del  ben,  che  fortuna  gli  concede, 

Tranquilla,  e  senza  affanni  ave<i  nodrita: 

La  roba,  di  che  '1  padre  il  lasciò  erede, 

Ne  mai  cresciuta  a^ea,  né  minuita; 

E  che  parrebbe  a  lui  Pavia  lontana 

Più,  che  non  parria   a  un  altro  ire  alla  Tan; 

10.  E  la  difficultà  saria  maggiore  ! 
A  poterlo  spiccar  dalla  mogliere. 

Con  cui  legato  era  di  tanto  amore. 
Che,  non  volendo  lei,  non  può  volere. 
Pur ,  jìer  ubbidir  lui ,  che  gli  è  signore 
Disse  d'  andare ,  e  far  oltre  il  potere. 
Giunse  il  re  ai  preghi  tali  offerte  e  doni, 
Che  di  negar  non  gli  lasciò  ragioni. 

11.  Partissi ,  e  in  pochi  giorni  ritrovossc 
Dentro  di  lloma  alle  paterne  case. 
Quivi  tanto  pregò,  che  '1  fratel  mosse 
Sicch'  a  venire  al  re  gli  persuase; 

E  fece  ancor,  benché  difiicil  fosse, 
Clic  la  cognata  tacita  rimase, 
Proponendole  il  ben,  che  n'  usciria. 
Oltre  eh'  (tbbligo  sempre  egli  le  ayria. 

12.  Fisse  Giocondo  alla  partita  il  giorno, 
Trovò  cavalli  e  scrvit(ui  intanto. 

Vesti  fé' far,  per  comparire  adorno; 
Che  talor  cresce  una  bella  un  bel  manto. 
La  notte  al  lato,  e  'l  dì  la  moglie  intorno, 
Con  gli  occbj  iid  ora  progni  di  \iianto 
Gli  dice,  die  non  sa,  come  patire 
Potrà  tal  lontananza ,  e  non  morire  ; 


rsn] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXVIII.  13—28) 


[378] 


13.  Che ,  pensandone  sol ,  dalla  radice 
Sveller  si  sente  il  cor  dal  lato  manco. 
Deh!  vita  mia,  non  piangere,  le  dice 
Giocondo,  e  seco  piange  egli  non  manco; 
Cosi  mi  sia  questo  cammin  felice. 

Come  tornar  vo'  fra  duo  mesi  almanco  : 
Kè  mi  faria  passar  d'  un  giorno  il  segno, 
Se  mi  donasse  il  re  mezzo  il  suo  regno. 

14.  ]Nè  la  donna  perciò  si  riconforta  : 
Dice ,  che  troppo  termine  si  piglia  ; 
E  s'  al  ritorno  non  la  trova  morta. 
Esser  non  può  ,  se  non  gran  meraviglia. 
]Non  lascia  il  dutil,  che  giorno  e  notte  porla, 
Che  gustar  cibo  ,  e  chiuder  possa  ciglia; 
Talché  per  la  pietà  Giocondo  spesso 

Si  pente,  eh'  al  fratello  abbia  promesso. 

15.  Dal  collo  un  suo  monile  ella  si  sciolse, 
Ch'  una  crocetta  avea  ricca  di  gemme 

E  di  sante  reliquie,  che  raccolse 
In  molti  luoghi  un  pellegrin  boemme  ; 
Ed  il  padre  di  lei ,  che  in  casa  il  tolse. 
Tornando  infermo  di  Gerusalemme, 
Venendo  a  morte  poi ,  ne  lasciò  crede  ; 
Questa  levossi ,  ed  al  marito  diede, 

16.  E  che  la  porti  per  suo  amore  al  collo, 
Lo  prega,  sicché  ognor  gli  ne  sovvenga. 
Piacque  il  dono  al  marito,  ed  accettollo, 
Non  perchè  dar  ricordo  gli  convenga. 
Che  né  tempo ,  né  assenza  mai  dar  crollo, 
Ké  ])Uona  o  ria  fortuna,  che  gli  avvenga, 
Potrà  a  quella  memoria  salda  e  forte, 

Ch'  ha  di  lei  sempre,  e  avrà  dopo  la  morte. 

17.  La  notte,  eh'  andò  innanzi  a  quella  aurora, 
Che  fu  il  termine  estremo  alla  partenza. 

Al  suo  (iiocondo  \y>ic ,  die  'u  braccio  mora 
La  moglie,  che  n'  ha  tosto  da  star  senza. 
Mai  non  si  dorme,  e  innanzi  al  giorno  un'  ora 
^  iene  il  marito  all'  ultima  licenza. 
Montò  a  cavallo,  e  si  parli  in  ell'etto; 
E  la  moglier  si  ricorcò  nel  Ietto. 

18.  Giocondo  ancor  duo  miglia  ito  non  era. 
Che  gli  venne  la  croce  raccordala, 

Cir  avea  sotto  il  guancial  messa  la  sera, 
Poi,  per  obblivion,  1'  avea  lasciala. 
Lasso!  (dicea  tra  se)  di  che  maniera 
Troverò  scusa,  clie  mi  sia  ac(;etlata. 
Che  mia  moglie  non  creda,  che  gradito 
Poco  da  me  sia  1'  amor  suo  infinito? 

19.  Pensa  la  scusa ,  e  poi  gli  cade  in  mente, 
Che  non  sarà  accettabile,  né  buona, 
Mandi  faiiiìgii,  o  mandici  altra  gente, 

S'  egli  mcilcf-ino  non  ^ì  va  in  pcr»ona. 
Si  Icrma,  v  al  fralel  (lic(;:  Or  pianamente 
Fin  a  Itaccano  al  primo  albergo  sprona! 
('Ile  dentro  a  Kiiiiia  è  forza  cIT  io  ri\ada, 
E  credo  anco  ili  giungerti  per  ^lrada. 

20.  Non  potria  fare  altri  il  bisogno  mio; 
Né  dubitar,  eh'  io  sarò  to.-lo    Irco. 
Voltò  il  ronzili  di  trotto,  e  disse  addio, 
Né  de'  famigli  suoi  volse  alcun  «eco. 
Già  comiiiciina,  quando  pas.-<ò  il  rio, 
Diiiair/i  al  sole  a  fuggir  I'  aer  cieco. 
Smonta  in  <  a-a .  va  al  Iclto,  e  la  consorte 
Quivi  ritrova  addoriiicnlala  forte. 


21.  La  cortina  levò  senza  far  motto, 
E  vide  quel ,  clie  men  veder  crcdea. 
Che  la  sua  casta  e  fedel  moglie  sotto 

La  coltre,  in  braccio  a  un  giovane  giacca. 
Riconobbe  1'  adultero  di  biitto, 
Per  la  pratica  lunga,  che  n'  avea; 
Ch'  era  della  famiglia  sua  un  garzone. 
Allevato  da  lui,  d'  umil  nazione. 

22.  Se  attonito  restasse,  e  mal  contento, 
Meglio  è  pensarlo ,  e  farne  fede  altrui, 
Ch'  esserne  mai  per  far  1'  esperimento. 
Che,  con  suo  gran  dolor,  ne  fé'  costui. 
Dallo  sdegno  assalito,  ebbe  talento 

Di  trar  la  spada,  e  ucciderli  ambedui: 
]\Ia  dall'  amor ,  che  porta ,  a  suo  dispetto. 
All'  ingrata  moglier,  gli  fu  interdetto. 

23.  Né  lo  lasciò  questo  ribaldo  amore 
(Vedi ,  se  se  1'  avea  fatto  vassallo  !) 
Destarla  pur ,  per  non  le  dar  dolore, 
Che  fosse  da  lui  colta  in  sì  gran  fallo. 
Quanto  potè  più  tacito  uscì  fuore, 
Scese  le  scale,  e  rimontò  a  cavallo; 
E ,  punto  egli  d'  amor ,  così  lo  punse, 

Ch'  all'  albergo  non  fu ,  che  '1  fratel  giunse. 

24.  Cambiato  a  tutti  parve  esser  nel  volto  ; 
Vider  tutti,  che  '1  cor  non  avea  lieto; 
Ma  non  v'  é,  chi  s'  apponga  già  di  molto, 
E  possa  penetrar  nel  suo  secreto. 
Credeano,  che  da  lor  si  fosse  tolto 

Per  gire  a  Roma,  e  gito  era  a  Corneto. 
Che  amor  sia  del  mal  causa,  ognun  s'  avvisa, 
Ma  non  é  già  chi  dir  sappia ,  in  che  guL^a. 

25.  Estimasi  il  fratel ,  che  dolor  abbia 
D'  aver  la  moglie  sua  sola  lasciata  ; 

E  pel  contrario  duolsi  egli  ed  arrabbia, 
Che  rimasa  era  troppo  accompagnata. 
Con  fronte  <-respa,  e  con  gonfiate  labbia 
Sta  r  infelice,  e  sol  la  terra  guata. 
Fausto,  eh'  a  confortarlo  usa  ogni  prova, 
Perchè  non  sa  la  causa ,  poco  giov  a. 

26.  Di  contrario  liquor  la  piaga  gli  unge, 
E,  dove  tor  dovria,  gli  accresce  doglie; 
Dove  dovria  saldar,  più  T  apre  e  punge: 
Questo  gli  fa  col  ricordar  la  moglie. 

Né  posa  di,  né  notte;  il  sonno  lungo 
Fugge  col  gusto,  e  mai  non  si  raccoglie; 
E  la  faccia,  che  dianzi  era  si  bella. 
Si  cangia  sì ,  che  più  non  sembra  quella. 

27.  Par,  che  gli  occbj  sì  ascondan  nella  testa. 
Cresciuto  il  naso  par  nel  vìm»  scarno: 
Della  beltà  si  jnica  gliene  re.>ta. 

Che  ne  potrà  far  parai^one  indarno. 

Col  diiol  \eiine  una  li  libre  .-i  molcsla, 

Che  lo  fé'  soggiornare  all'  Arbia  e  all'  Arno; 

E  se  di  bello  avi-a  serbata  cosa, 

Tosto  rcv-tò,  come  al  sol  colla  rosa. 

28.  (ìllie  eh"  a  Kaii-lo  iiicrcsca  del  fratello, 
(^hi;  reggia  a  siiiiil  Icriiiiiie  coiidiitlo, 

A  ia  più  gì'  iiici'fsce.  che  bugiardo  a  (|uello 
PriiK'ipe.  Il  cbi  lodollo,  parrà  in  tulio. 
IVlo.strar  di  (ulti  gli  uomini  il  più  bello 
(ìli  a\ca  |iri)iiir>so,   e  mostrerà  il  più  brullo. 
Ma  pur  conliiiiiaiido  la  sua  via, 
Seco  lu  trasse  allìii  dentro  ii  l'uria. 


[379] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXVIU.  29—44) 


[3b( 


29.  Già  non  atioI  ,  che  lo  veg'gìa  il  re  impro'v'^  iso. 
Per  non  mostriiisi  dì  giiitlicio  privo; 

Ma  per  lettere  innanzi  gli  dà  avviso, 
Che  '1  suo  fratel  ne  viene  appena  vivo, 
E  eh'  era  stato  all'  aria  del  bel  viso 
Un  affanno  di  cor  tanto  nocivo, 
Accompagnato  da  una  febbre  ria, 
Che  più  non  parea  quel ,  eh'  esser  soh'a. 

30.  Grata  ebbe  la  venuta  di  Giocondo, 
Quanto  potesse,  il  re  d'  amico  avere; 
Che  non  avea  desiderato  al  mondo 
Cosa  altrettanto  ,  che  di  lui  vedere. 
IN'è  gli  spiace  vederselo  secondo, 

E  di  bellezza  addietro  vimanei'e; 
Benché  conosca ,  se  non  fosse  il  male, 
Che  gli  saria  superiore ,  o  uguale. 

31.  Giunto,  lo  fa  alloggiar  nel  suo  palagio. 
Lo  visita  ogni  giorno ,  ognora  n'  ode, 

Fa  gran  provision,  che  stia  con  agio, 
E  d'onoi-arlo  assai  si  studia  e  gode. 
Langue  Giocondo ,  che  '1  pensier  malvagio, 
Ch'  ha  della  ria  moglier,  sempre  lo  rode; 
Kè  'l  veder  giochi,  né  musici  udire, 
Dramma  del  suo  dolor  può  minuire. 

32.  Le  stanze  sue ,  che  sono  appresso  al  tetto 
L'  ultime ,  innanzi  hanno  una  sala  antica. 
Quivi  solingo,  perchè  ogni  diletto, 
Perdi'  ogni  compagnia  prova  nimica. 

Si  ritraea,  sempre  aggiungendo  al  petto 
Di  più  gravi  pensier  nova  fatica  ; 
E  trovò  quivi,  or  chi  Io  crederia? 
Chi  lo  sanò  della  sua  piaga  ria. 

33.  In  capo  della  sala,  ove  è  più  scuro, 
Che  non  vi  s'  usa  le  finestre  aprire, 
Vede,  che  'l  palco  mal  si  giunge  al  muro, 
E  fa  d'  aria  più  chiara  un  raggio  uscire. 
Pon  r  occhio  quindi  ,  e  vede  quel ,  che  diu'o 
A  creder  fora  a  chi  T  udisse  dire: 

Non  r  ode  egli  d'  altrui,  ma  se  lo  vede; 
Ed  anco  agli  occhj  suoi  proprj  non  crede. 

34.  Quivi  scopria  della  regina  tutta 
La  più  secreta  stanza,  e  la  più  belili, 
Ove  persona  non  verria  introdutta. 
Se  per  molto  fedel  non  V  avesse  ella. 
Quindi  mirando  vide  in  strana  lutta, 

Ch'  un  nano  avviticchiato  era  con  quella; 
Ed  era  quel  piccin  stato  si  dotto, 
Che  la  regina  avea  messa  di  sotto, 

35.  Attonito  Giocondo  e  stupefatto, 

E  credendo  sognarci,  un  pezzo  stette; 

E  quando  vide  pur,  eh'  egli  era  in  fatto, 

E  n«tn  in  sogno,  a  se  stesso  credette. 

A  uno  scrignuto  mostro,  e  contrafiatto 

Dimqiie,  disse,  costei  si  sottomette. 

Che  '1  maggior  re  del  mondo  ha  per  marito. 

Più  bello  e  più  cortese.''  oh  che  appetito! 

3(1.      E  della  moglie  sua,  che  così  spesso 
Più  d'  ogni  altra  l)ia>ma\a,  ricordosse, 
l'crcbè    l  ragazzo  s'  avea  tolto  a|)presM); 
Ed   or  gli  parve,  the  cscusabii  fosse. 
Non  «Mii  colpa  sua,  più  clie  del  se»so, 
Che  d'  un  si>l  mimmo  mai  non  ciintcìitosse  ; 
E  s'  han  tutte  una  uiaccliia  d'  un  inchiostro, 
Almen  l«i  buu  non  s'  uvea  tolto  un  mostro. 


37.  Il  di  seguente  alla  medesima  ora. 
Al  medesimo  luogo  fa  ritorno, 
E  la  regina  e  il   nano  vede  ancora, 
Che  fanno  al  re  pur  il  mcdesnu»  scorno  : 
Trova  r   altro  dì  ancor  ,  che  si  lavora, 
E  r  altro,  e  alfin  non  si  fa  festa  giorno; 
E  la  regina,  che  gli  par  più  strano. 
Sempre  si  duol ,  che  poco  1'  ami  il  nano. 

38.  Stette,  fra  gli  altri,  un  giorno  a  veder,  eh'  e! 
Era  turbata,   e  in  gran  malinconia; 

Che  due  volte  chiamar  per  la  donzella 
Il  nano  fatto   avea,  né  ancor  Aenia. 
Mandò  la   terza  volta ,  ed  udì  quella, 
Che,  Madonna,  egli  giunca,  riferia  ; 
E  per  non  stare  in  perdita  d'  un  soldo, 
A  voi  niega  venire  il  manigoldo. 

39.  A  sì  strano  spettacolo  Giocondo 
Rasserena  la  fronte  e  gli  occhj  e  '1  viso; 
E  quale  in  nome ,  diventò  giocondo 

D'  effetto  ancora,  e  tornò  il  pianto  in  riso. 
Allegro  torna,  e  grasso  e  rubicondo. 
Che  sembra  un  cherubin  del  paradiso, 
Cb.e  il  re,  il  fratello,  e  tutta  la  famiglia 
Di  tal  mutazion  si  meraviglia. 

40.  Se  da  Giocondo  il  re  bramava  udire, 
Onde  venisse  il  subito  conforto, 

]Non  inen  Giocondo  lo  bramava  dire, 
E  fare  il  re  di  tanta  ingiuria  accorto. 
]\Ia  non  vorria,  che,  più  di  sé,  punire 
Volesse  il  re  la  moglie  di  quel  torto; 
Sicché,  per  dirlo,  e  non  far  danno  a  lei, 
11  re  fece  giurar  sull'   agnusdei. 

41.  Giurar  lo  fé',  che  né  per  cosa  detta, 
]Nè  che  gli  sia  mostrata,  che  gli  spiaccia, 
Ancorch'  egli  conosca,  else  diretta- 
Mentc  a  sua  maestà  danno  si  faccia, 
Tardi ,  o  per  tempo  mai  farà  vendetta  ; 

E  di  più,  vuole  ancor,  che  se  ne  taccia 
Sì,  che  né  il  malfattor  giammai  comprenda 
In  fatto  o  in  detto ,  che  "1  re  il  caso  intenda. 

42.  Il  re,  eh'  ogni  altra  cosa,  se  non  questa, 
Creder  potria,  gli  ginrò  largamente. 
Giocondo  la  cagion  gli  manifesta, 

Ond'  era  molti  dì  stato  dsilente; 

Perché  trovata  avea  la  disonesta 

Sua  moglie  in  braccio  d'  un  suo  vii  sergente, 

E  che  tal  pena  alfin  1'  avrebbe  morto. 

Se  tardato  a  venir  fosse  il  conforto. 

43.  IMa  in  casa  di  sua  alte/.za  avea  veduto 
Cosa,  che  molto  gli  scemava  il  dtuilo; 
Che,  sebbene  in  obbrobrio  era  caduto, 
Era  almen  certo  di  non  v'  esser  solo. 
Così  dicendo,  e  al  bnrolin  venuto, 

Gli  dimostro  il  bruitissinio  omicriuolo. 
Che  la  giumenta  altrui  sotto  si  tiene. 
Tocca  di  sproni,  e  fa  giocar  di  schiene. 

44.  Se  parve  al  re  vituperoso  1'  atto, 
liO  creilcrete  ben,   seiizaih'  io  'l  giurì. 
IVe  fu  per  arrabbiar,  per  venir  nuitto, 
INc  fu  per  dar  del  capo  in  tutti  i  muri. 
Fu  per  gridar,  fu  per  non  stare  al  patto; 
Ma  forza  é,  clu;  la  bocca  alfin  >i  turi, 

E  che  r  ira  trangugi  amara  ed  aera. 
Poiché  giurato  a^eu  suU'  ostia  sacra. 


181] 


ORLANDO    FURIOSO.    ( XXV1IL45--60) 


[382] 


15. 


16. 


17. 


Che  debbo  far ,  che  mi  consigli ,  frate, 
DUse  a  Giocondo ,  poiché  tu  mi  tolli, 
Che  con  degna  vendetta  e  crndeltate 
Questa  giustissima  ira  io  non  satolli? 
Èasoiam  ,  disse  Giocondo  ,  queste  ingrate, 
E  proviam  ,  se  son  1'  altre  così  molli  ! 
Facciam  delle  lor  femmine  ad  altrui 
Quel ,  eh'  altri  delle  nostre  han  fatto  a  nui. 

Ambi  giovani  siamo  ,  e  di  bellezza, 
Che  facilmente  non  troviamo  pari. 
Qnal  femmina  sarà,  che  n'  usi  asprezza, 
Se  coiitra  i  brutti  ancor  non  han  ripari? 
Se  beltà  non  varrà,  nò  giovinezza, 
Varranne  almen  1'  aver  con  noi  danari. 
INon  vo',  che  tornì,  die  non  abbia  prima 
DI  mille  mogli  altrui  la  spoglia  opima. 

La  lunga  assenza,  il  veder  varj  luoghi, 
Praticare  altre  femmine  di  fuore, 
Par ,  che  sovente  disacerbi  e  sloghi 
Dell'  amorose  passioni  H  core. 
Lauda  il  parer;  nò  vuol,  che  si  proroghi 
Il  re  r  andata,  e  fra  pochissime  ore. 
Con  duo  scudieri,  oltre  alla  compagnia 
Del  cavalier  roman  ,  si  mette  in  via. 

18.      Travestiti  cercaro  Italia  e  Francia, 
Le  terre  de'  Fiamminghi  e  degl'  Inglesi  ; 
E  quante  ne  vedean  di  bella  guancia, 
Trovavan  tutte  ai  preghi  lor  cortesi. 
Davano ,  e  data  loro  era  la  mancia, 
E  spesso  rimetteano  i  dauar  spesi. 
Da  lor  pregate  fiiron  molte ,  e  foro 
Anch'  altrettante,  che  pregaron  loro. 

In  questa  terra  un  mese,  in  quella  dui 
Soggiornandi) ,  accertarsi  a  v ra  prova, 
Che  non  men  nelle  lor,  che  ncU'  altrui 
Femmine  fede  e  castità  si  trova. 
Dopo  alcun  tcuipo  increbbe  ad  ambedui 
Di  sempre  procacciar  di  cosa  nova; 
Che  mal  poteano  entrar  nell'  altrui  porte, 
Senza  mettersi  a  rischio  della  morte. 

iO.      Gli  è  meglio  una  trovarne,  che  di  faccia 
£  di  costumi  ad  aml)i  grata  sia, 
Clie  lor  comunemculc  soddisfaccia, 
E  non  n'  abbian  d'  aver  mai  gelosia. 
E  perchè,  dicoa  il  ro,  vuoi,  che  mi  spiaccia 
Aver  più  te,  eh'  un  altro  in  compagnia? 
So  ben,  che  in  tutto  il  gran  femmineo  sIììì;1o 
Una  non  è,  che  stia  <;ontenta  a  un  solo. 

j»l.     Una,  senza  sforzar  nostro  potere. 
Ma  quando  il  naturai  Itisogiio  inviti, 
In  fe.ta  godereuu)ci ,  e  in  piacM'rc; 
Che  mai  contese  non  avrcm ,   nò  liti. 
Né  credo,  che  i>i  dt-blia  ella  dolere: 
Cile  m'  anco  ogni  altra  av(rsse  duo  mariti. 
Più  eh'  ad  un  solo,  a  duo  saria  f<;dek', 
Kè  forse  h'  udirian  tante  querele. 

Di  quel,  che  disse  il  re,  molto  contento 
llimaiu;r  par\e  il  giovani;  romano. 
Duii<|U(;  fermati  in  tal  proponimento, 
('«Tcàr  molte  uKMitagne  e  molto  piano, 
'l'ro^aro  alfin  ,  s(;condo  il  loro  intento, 
Ina  (igliuola  d'  un  ostieri»  i>paiio. 
Che  tenea  albergo  ni  porto  di  \  alen/.a, 
Hella  di  modi  ,  e  bella  di  presenza. 


J9, 


)2 


53.  Era  ancor  sul  fiorir  di  primavera 
Sua  tenerella  e  quasi  acerba  etaile. 
Di  molti  figli  il  padre  aggravato  era, 
E  nimico  mortai  di  povertade; 
Sicché  a  dispnrlo  fu  cosa  leggiera. 
Che  desse  lor  la  figlia  in  potestade, 
Ch'  ove  piacesse  lor,  potessin  trarla. 
Poiché  promesso  avean  di  ben  trattarla. 

54.  Pigliano  la  fanciulla ,  e  piacer  n'  hanno 
Or  r  uno,  or  V  altro,  in  caritade  e  in  pace; 
Come  a  vicenda  i  mantici ,  che  danno, 

Or  r  uno,  or  1'  altro,  fiato  alla  fornace. 
Per  veder  tutta  Spagna  indi  ne  vanno, 
E  passar  poi  nel  regno  di  Slface, 
E  '1  dì ,  che  da  Valenza  si  partirò, 
Ad  albergare  a  Zattiva  veniro. 

55.  I  padroni  a  veder  strade  e  palazzi 
Ne  vanno,  e  lochi  pubblici  e  divini; 
Che  usanza  han  di  pigliar  simil  sollazzi 
In  ogni  terra  ,  ove  entran  peregrini  ; 

E  la  fanciulla  resta  co'  ragazzi. 
Altri  i  letti,  altri  acconciano  i  ronzini; 
Altri  hanno  cura,  che  sia,  alla  tornata 
Dei  signor  lor,  la  cena  apparecchiata. 

56.  Neir  albergo  un  garzon  stava  per  fante, 
Che  in  casa  della  giovane  già  stette 

A'  servigi  del  padre  ,  e  d'  essa  amante 
Fu  da'  primi  anni,  e  del  suo  amor  godette. 
Ben  s'  adocchiar,  ma  non  ne  fér  sembiante; 
Ch'  esser  notato  ognun  di  lor  temette: 
Ma  tostoché  i  padroni  e  la  famiglia 
Lor  dieron  luogo ,  alzar  tra  lor  le  ciglia. 

57.  Il  fante  domandò,  dove  ella  gisse, 
E  qual  dei  duo  signor  l'  avesse  seco  ? 
Appunto  la  Fiammetta  il  fatto  disse. 

(Così  avea  nome,  e  quel  garzone  il  Greco.) 
Quando  sperai,  che  '1  tempo,  oiraù ,  venisse. 
Il  Greco  le  dicea,  di  viver  teco, 
Fiaunnetta,  anima  mia,  tu  te  ne  vai, 
E  non  so  più  di  rivederti  mai. 

58.  Fannosi  i  dolci  miei  disegni  amari,_ 
Poiché  sei  d'  altri ,  e  tanto  mi  ti  scosti. 
Io  disegnava  ,  avendo  alcun  danari 
Con  gran  fatica  e  gran  sudor  riposti. 
Che  avanzato  m'  avea  de'  miei  salarj, 
E  delle  benandate  di  molti  osti. 

Di  tornare  a  Valenza,  e  donrandarti  _ 
Al  padre  Ino  per  moglie,  e  di  sposarti. 

59.  La  f.inciiilla  negli  omeri  si  siringe, 
E  risponde,  «;be  fu  tardo  a  venire. 
Piange  il  Greco,  e  sospira,  e  piirte  finge. 
Vuoimi,  dice,  lasciar  co>i  nutrire? 

Con  [r.  tui-  br.iccia  i  fianchi  almen  mi  cinge; 
liasciami  di-fogar  tanto  desire! 
Che  iiuianziitbè  tu  parta  ,  ogni  momento. 
Che  teco  io  >tia,   mi  la  morir  conlento. 

60.  La  pìifosa  fanciulla  rispondendo: 
(Vedi,  dicea,  che  mrn  di  te  noi  bramo; 
Ma  né  lnogi>,  né  tempo  ci  compreiulo 
Qui,  dove  in  mezzo  di  tanti  occhj  >i.nuo. 
il  («reco  soggiungra:  ('erto  mi  rendo, 

Vìw  se  un  terzo  ami  me  di  quel .  ih'  io  l'  amo. 
in  qni'-ta  notte  almen  troverai  loro. 
Clic  ci  poi  rem  godere  insieme  mi  poco. 


[383] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXVIIl.  61-70) 


[38- 


61.  Come  potrò?  diceag;!!  la  faiicìiiHfi, 

Che  sempre  in  mezzo  a  duo  la  notte  giaccio  ; 
E  meco  or  1'  uno ,  or  1'  altro  si  trastulla, 
E  sempre  all'  un  di  lor  mi  trovo  in  braccio. 
Questo  ti  fia  ,  soggiunse  il  Greco,  nulla; 
Che  ben  ti  saprai  tor  di  questo  impaccio, 
E  uscir  dimezzo  lor,  purché  tu  voglia; 
E  dei  voler,  quando  di  me  ti  doglia. 

62.  Pensa  ella  alquanto,  e  poi  dice,  che  regna, 
Quando  creder  potrà,  che  ognuno  dorma, 

E  pianamente,  come  far  convegna, 

E  dell'  andare  e  del  tornar  1'  informa. 

Il  Greco,  siccome  ella  gli  disegna, 

Quando  sente  dormir  tutta  la  torma, 

Viene  all'  uscio,  e  lo  spinge,  e  quel  gli  cede  ; 

Entra  pian  piano  ,  e  va  a  tenton  col  piede. 

63.  Fa  lunghi  ì  passi ,  e  sempre  in  quel  di  dietro 
Tutto  si  ferma,  e  1'  altro  par  che  muova 

A  guisa,  che  di  dar  tema  nel  vetro, 

Non  che  '1  terreno  abbia  a  calcar  ,  ma  1'  aora  ; 

E  tien  la  mano  innanzi  simil  metro  : 

Va  brancolando  infinchè  '1  letto  trova; 

E  di  là,  dove  gli  altri  avean  le  piante, 

Tacito  si  cacciò  col  capo  innante. 

64.  Fra  1'  una  e  1'  altra  gamba  di  Fiammetta, 
Che  supina  giacca,  diritto  venne; 

E  quando  le  fu  a  par ,  1'  abbracciò  stretta, 
E  sopra  ki  sin  presso  al  dì  si  tenne. 
Cavalcò  forte,  e  non  andò  a  staffetta. 
Che  mai  bestia  mutar  non  gli  convenne: 
Che  q\iesta  pare  a  lui ,  che  si  ben  trotte, 
Che  scender  non  ne  vuol  per  tutta  notte. 

65.  Avea  Giocondo ,  ed  avca  il  re  sentito 
II  calpestio,  che  sempre  il  letto  scosse; 

E  r  uno  e  1'  altro ,  d'  iìì\  crror  schernito, 
S'  avea  creduto,  che  '1  compagno  fosse. 
Poi»-h'  ebbe  il  Greco  il  suo  cammin  fornito, 
Siccome  era  venuto ,  anco  tornosse. 
Saettò  il  sol  dall'  orizzonte  i  raggi  : 
Sorse  Fiammetta ,  e  fece  entrare  i  paggi. 

6j.      Il  re  disse  al  compagno  motteggiando: 
Frate,  molto  cammin  fatto  aver  dei, 
E  tempo  è  ben,  che  ti  ri|)osi,  quando 
Stato  a  cavallo  tutta  notte  sei. 
Giocondo  a  lui  rispose  di  rimando, 
E  disse:  Tu  di'   quel,  eh'  io  a  dire  avrei. 
A  te  tocca  posare,   e  prò  ti  faccia. 
Che  tutta  notte  hai  cavalcato  a  caccia. 

67.      Anch'  io ,  soggi(mse  il  re ,  senza  alcun  fallo. 
Lasciato  a^ria  il  mio  cau  correre  un  tratto. 
Se  m'  avessi  prestato  un  po'  il  cavallo, 
'J'anto  ,  c'he  'I  mio  bisogno  avessi  fatto. 
Giocondo  replicò  :  8<hi  tuo  vassallo, 
E  |)ii()i  far  meco,  e  ronijìcre  ogni  patto, 
Sicché  non  convenia  tai  cenni  usare; 
Hcti  mi  potevi  dir:  Lasciala  stare! 

C8.      Tanto  reiìlica  1'  un,  tanto  soggiunge 
L'  altro,  <lie  sono  a  grave  lite  in>iemc. 
Vengoii  da'  nu)tti  ad  un  parlar,  che  punge; 
Che  ad  aiulicdiu;  V  es>er  bell'aio  preme. 
Cliianiiin  l'iauiinctta ,  clui  non  era  lungc, 
E  della  Iraudc  cocr  >co|)rrta  teme, 
l'er  l'are  in  vi><»  T  uno  all'  altro  dire 
Quei,  che  negando  ambi  parean  mentire. 


69.  Dimmi ,  le  disse  il  re  con  fiero  sguardo, 
E  non  temer  di  me ,  né  di  costui  : 

Chi  tutta  notte  fu  quel  sì  gagliardo, 
Che  ti  godè,  senza  far  parte  altrui.'' 
Credendo  1'  un  provar  l'altro  bugiardo. 
La  risposta  aspettavano  ambedui. 
Fiammetta  a'  piedi  lor  si  gittò,  incerta 
Di  viver  più  ,  vedendosi  scoperta. 

70.  Domandò  !or  perdono ,  che  d'  amore, 
Ch'  a  un  giovinetto  avea  portato ,  spinta, 
E  da  pietà  d'  un  tormentato  core. 

Che  molto  aAea  per  lei  patito,  vinta, 

Caduta  era  la  notte  in  quell'  errore; 

E  seguitò ,  senza  dir  cosa  finta, 

Come  tra  lor  con  speme  si  condusse, 

Ch'  ambi  credesson  ,  che  '1  compagno  fussc. 

71.  Il  re  e  Giocondo  si  guardaro  in  viso, 
Di  maraviglia  e  di  stupor  confusi  ; 

Né  d'  aver  anche  udito  lor  fu  avviso, 
Ch'  altri  duo  fussin  mai  cosi  delusi. 
Poi  scoppiaro  ugualmente  in  tanto  riso, 
Che  con  la  bocca  aperta  e  gli  occhj  chiusi. 
Potendo  appena  il  fiato  aver  dal  petto, 
Addietro  si  lasciar  cader  sul  letto. 

72.  Poicli'  ebbon  tanto  riso  ,  che  dolere 

Se  ne  sentiano  il  petto ,  e  pianger  gii  occhj, 
Disson  tra  lor  :  Come  potremo  a^  ere 
Guardia,  che  la  moglier  non  ne  1'  accocchi, 
Se  non  giova  tra  duo  questa  tenere, 
E  stretta  sì,  che  1'  uno  1'  altro  tocchi? 
Se  più  che  crini  avesse  occhj  il  marito, 
]Non  potria  far ,  che  non  fosse  tradito. 

73.  Provate  mille  abbiamo ,  e  tutte  belle, 
Né  di  tante  una  è  ancor ,  che  ne  contraste. 
Se  proviam  1'  altre,  fian  simili  anch'  elle; 
Ma  per  ultima  prova  costei  baste  ! 
Dunque  possiamo  creder,  che  più  felle 
Konsien  le  nostre,  o  men  dell'  altre  caste; 
E  se  son  ,  come  tutte  I'  altre  sono, 

Che  torniamo  a  godercele ,  Ila  buono. 

74.  Conchiuso  eh' ebbon  questo,  chiamar  fèì-o 
Per  Fiammetta  medesima  il  suo  amante, 

E  in  presenza  di  molti  gliela  diéro 

Per  moglie,  e  dote  ,  elicgli  fu  bastante; 

Poi  montaro  a  cavallo,  e  il  lor  sentiero, 

Ch'  era  a  ponente ,  volsero  a  Levante, 

Ed  alle  mogli  lor  se  ne  tornaro, 

Di  che  affanno  mai  più  non  si  pigliaro. 

75.  1/  ostier  qui  fine  alla  sua  istoria  pose, 
Che  fu  con  molta  attenzione  udita. 
Udilla  il  Saracin  ,  né  gli  rispose 
Parola  mai,  sinché  non  fu  finita: 

Poi  disse:  Io  credo  ben,  che  dell'  ascose 
Femminil  frodo  sia  copia  infinita; 
Né  si  potria  della  millesma  parte 
Tener  memoria  con  tutte  le  carte. 

76.  Quivi  era  un  noni  d'  età,   eh'  avea  più  retta 
Opinion  degli  altri ,  e  ingegno  e  ardire, 

E  non  potcìidi»  oniai ,  che  sì  negletta 
Ogni  leiumina  fosse,   più  ])atire, 
Si  volse  a  quel  .  eh'  a\ea  I'  istoria  detta, 
E  gli  disse:  assai  cose  udiiimio  dire, 
Che  verilade  in  sé  non  lianiio  alcuna; 
E  lieii  di  ({ueste  è  la  tua  favola  una. 


385] 


OHLA]\DO  FURIOSO.     (XXVUl.  KT— 92) 


[386] 


77.  A  cìn  te  In  narrò ,  non  do  credenza, 
S'  CTangeìi»ta  oen  iosse  nel  resto  ; 
di'  opinione,  più  eh'  esperienza 

Ch'  abbia  di  donne,  lo  Iacea  dir  questo. 

L'  avere  ad  una,  o  due  inalivolenza 

Fa,  eh'  odia  e  biasnia  1'  altre  oltre  all'  onesto: 

Ma,  se  gli  passa  1'  ira,  io  to'   tu  1'  oda, 

Più  eh'  ora  biasmo  ,  anco  dar  lor  gran  loda. 

78.  E  se  Tonà  lodarne,  avrà  maggiore 

n  campo  assai ,  eh'  a  dirne  mai  non  ebbe. 
Di  cento  potrà  dir  degne  d'  onore. 
Verso  una  trista,  cìie  biasmar  si  «lebbe. 
IVon  biasmar  tutte,  ma  serbarne  fuore 
La  bontà  ri'  infinite  si  dovrebbe; 
E  se  '1  Valerio  tuo  disse  altramente, 
Disse  per  ii'a,  e  non  per  quel,  che  gente. 

79.  Ditemi  un  poco,  è  di  voi  forse  alcuno, 
Ch'  abbia  servato  alla  sua  moglie  fede? 
Che  neglìi  andar,  quando  gli  sia  opportuno, 
All'  altrui  donna,  e  darle  ancor  mercede? 
Credete  in  tutto  '1  mondo  trovarne  uno? 

Chi  '1  dice,  mente;  e  folle  è  ben  chi  '1  crede. 
Trovatene  voi  alcuna,  che  vi  chiami; 
]Von  parlo  delle  pubbliche  ed  infami. 

80.  Conoscete  alcun  voi,  che  non  lasciasse 
La  moglie  stila,  ancorché  fosse  bcllei, 
Per  seguire  altra  donna ,  se  sperasse 

In  breve  e  facilmente  ottener  quella? 
Che  farebbe  egli ,  quando  lo  pregasse, 
O  desse  premio  a  lui  donna,  o  donzella? 
Credo,  per  compiacere  or  queste,  or  quelle, 
Che  tutti  lasceremniovi  la  pelle.  | 

81.  Quelle,  che  i  lor  mariti  hanno  lasciati, 
Le  più  volte  cagione  avuta  n'  hanno. 
Del  suo  di  casa  li  veggon  sfogliati, 
E  che  fuor ,  dell'  altrui  bramosi ,  vanno. 
Dovriano  amar ,  volendo  esser  amati, 
E  tor  con  la  misura,  eh'  a  lor  danno. 
Io  farei,  se  a  me  stesse  il  darla  e  torre. 
Tal  legge,  eh'  noni  non  ^ì  potrebbe  opporre. 

82.  Sari'a  la  legge,  eh'  ogni  donna,  colta 
In  adulterio,  fosse  messa  a  morte. 
Se  provar  non  potesse,  che  una  volta 
Avesse  adulterato  il  suo  consorte. 
Se  provar  lo  potesse ,  andrebbe  assolta, 
Rè  temeria  il  marito,  né   la  corte. 
Cristo  ha  lasciato  nei  precetti  suoi: 
Kon  fare  altrui  quel,  che  patir  non  vuoi! 

L      L'  incontinenza  v,  quanto  mal  si  puote 
Imputar  Inr,  non  già  a  tutto  lo  stuolo. 
Ma  in  questo,  chi  ha  di  noi  più  Itruttc  note? 
Cile  continente  non  si  trova  un  ^olo. 
E  molto  più  n'  ba  ad  arrossir  le  gote, 
Quando  licsteunnia,  ladroneccio,  dolo. 
Usura  ed  omicidio,  e  se  v'  è  p«'ggio, 
Karu,  se  non  diigli  uomini,  far  veggio. 

84.      Ap|trcsso  all(r  ragioni  a>ca  il  sinc(;ro 
E  giusto  vccrliio  in  pronto  alcun  esempio 
Di  «lonne ,  clic  ru';  in  fatto,  uè  in  pensiero 
Mai  di  lor  castità  patiron  scempio: 
Ma  il  .Saracin ,  che  foggia  udire  il  ^ero, 
Lo  minar<-iit  con   »iso  cruilo  ed  empio, 
Sicché  lo  fece  per  tìmtu-  tacerti  ; 
Ma  già  non  lo  mutò  di  suo  parere. 


85.  Posto  eh'  ebbe  alle  liti  e  alle  contese 
Termine  il  re  pr.gan ,  lasciò  la  mensa  ; 
Indi  nel  letto  per  dormir  si  stese. 

Fin  al  partir  dell'  aria  scura  e  densa. 
JMa  della  notte  a  sospirar  1'  offese 
Più  della  donna,  eh'  a  dormir,  dispensa, 
i^'iiindi  parte  all'  uscir  del  nuovo  raggio, 
E  far  disegna  in  nave  ij  suo  viaggio. 

86.  Perocch'  avendo  tutto  quel  rispetto, 
Ch'  a  buon  cavallo  dee  buon  cavaliero, 
A  quel  suo  bello  e  buono,  clj'  a  dispetto 
Tenea  di  Sacripante  e  di  Jluggiero, 
Vedendo  per  duo  giorni  avctlo  stretto 
Più,  che  non  si  dovria  sì  buon  destriero, 
Lo  pon,  per  riposarlo,  e  lo  rassetta 

In  una  barca,  e  per  andar  più  in  fretta. 

SI.      Senza  indugio  al  nocchier  varar  la  barca, 
E  dar  fa  i  remi  all'  acqua  dalla  sponda. 
Quella,  non  molto  grande  e  poco  carca, 
Se  ne  va  per  la  Senna  giù  a  seconda. 
IVon  fugge  il  suo  pensier ,  né  se  ne  scarca 
Rodomonte  per  terra,  né  per  onda: 
Lo  trova  in  sulla  proda  e  in  sulla  poppa, 
E  se  cavalca,  il  porta  dietro  ia  groppa. 

88.  Anzi  nel  capo,  o  sia  nel  cor  gli  siede, 
E  di  fuor  caccia  ogni  conforto,  e  serra. 
Di  ripararsi  il  misero  non  vede, 
Dappoiché  gì'  inimici  ha  nella  terra. 
]\on  sa,  da  chi  operar  possa  mercede. 
Se  gli  fanno  i  domestici  suoi  guerra. 

La  notte  e  "1  giorno,  e  sempre  é  combtttuto 
Da  quel  crudel ,  che  dovria  dargli  ajuto. 

89.  Naviga  il  giorno,  e  la  notte  seguente 
Rodomonte ,  col  cor  d'  affanni  grave, 

E  non  si  può  V  ingiuria  tor  di  mente. 

Che  dalla  donna  e  dal  suo  re  avuto  bave; 

E  la  pena  e  il  dolor  medesmo  sente, 

Che  sentiva  a  cavallo,  ancora  in  nave: 

Né  spegner  può,  per  star  nell'   acqua  il  foco; 

]\é  può  stato  mutar  per  mutar  loco. 

90.  Come  r  infermo  che,  dirotto  e  stanco 
Di  febbre  ardente,  va  cangiando  lato; 
O  sia  suir  uno,  o  sia  sull    altro  fianco 
Spera  aver,  se  si  volge,  miglior  stato, 
Né  sul  destro  riposa,  né  sul  manco, 

E  per  tutto  ugualmente  é  travagliato: 
Co>i  il  pagano  al  male ,  ond'  era  infermo. 
Mal  trova  in  terra ,  e  male  iu  acqua  schermo. 

91.  Non  i>uote  in  na^c  aver  più  pazienza, 
E  si  fa  porre  in  terra  llodi)nu)nte. 
Lion  passa  e  \ ienna  ,   indi  \  alenza, 

E   vede   in  A\ignoiu!  il  ricco  ponte; 
Che  queste  terre   ed   altre  nliliidicn/a, 
(■he  s«ui  tra  il  finnu-  e  il  «cltilicro  monte, 
Rendeano  al  re  Agr.inuiiilc  e  al  re  di  >ipagna 
Dal  dì,  che  far  signor  della  camp^igna. 

iì2.      Verso  Ac(|uamorta  a  man  dritta  si  tenne. 
Con  animo  in  Algicr  passare  iu  fretta; 
E  sopra  un  liinue  ad  una  ^illa  venne, 
E  da  IJacco  e  da  Cerere  diletta, 
('Ile,  p«'r  le  spesse  ingiurie,  che  sostenne 
K.ii  soldati,  a  \otarsi  fu  co>trc!ta. 
Quinci  il  gran  mare,  e  quindi  nelT  apriche 
\alli  vede  ondeggiar   le  bionde  spiclie. 


[387] 


ORLANDO  FURIOSO.    (XXVIII.  93  —  102) 


r38^ 


93.      Quivi  ritrova  una  pìccola  chiesa 
Di  uuovo  sopni  un  nionticel  murata, 
Che,  poiché  intorno  era  la  guerra  accesa, 
I  sacerdoti  vota  avean  lasciata. 
Per  stanza  fu  da  Rodomonte  i>resa; 
Che  pel  sito,  e  perch'  era  sequestrata 
Dai  campi,  onde  avea  in  odio  udir  novella, 
Gli  piacque  sì,  che  mutò  Algieri  in  quella. 

IM.      Mutò  d'  andare  in  Africa  pensiero; 
Sì  comodo  g-ii  parve  il  hiogo  e  hello  ! 
Famigli  e  carriaggi  e  'I  suo  destriero 
Seco  alloggiar  fé'  nel  mcdesuu»  ostello. 
Vicino  a  poche  leghe  il  Mompolicro, 
E  ad  alcun  altro  ricco  e  buon  castello 
Siede  il  villaggio,  allato  alla  riviera. 
Sicché  d'  avervi  ogni  agio  il  modo  v'  era. 

95.      Standovi  un  giorno  il  Saracin  pensoso. 
Come  pur  era  il  più  del  tempo  usato, 
Vide  venir  per  mezzo  un  prato  erhoso. 
Che  d'   un  picciol  sentiero  era  segnato, 
Una  donzella  di  viso  amoroso. 
In  compagnia  d'   un  monaco  barbato; 
E  si  traeano  dietro  un  gran  destriero 
Sotto  una  soma  coperta  di  nero. 

9G.      Chi  la  donzella,  chi  'l  monaco  sia. 
Chi  portin  seco ,  vi  deve  esser  chiaro. 
Conoscere  Isabella  si  dovria, 
Che  '1  corpo  avea  del  suo  Zerbino  caro. 
Lasciai,  che  per  Provenza  ne  venia 
Sotto  la  scorta  del  vecchio  preclaro, 
Che  le  avea  persuaso  tutto  il  resto 
Dicare  a  Dio  del  suo  vivere  onesto. 

97.      Comechè  in  viso  pallida  e  smarrita 
Sia  la  donzella ,  ed  abbia  i  crini  inconti, 
E  facciano  i  sospir  continua  uscita 
Del  petto  acceso,  e  gli  occhj  sien  due  fonti, 
Ed  altri  testimoni  d'  una  vita 
Misera  e  grave  in  lei  si  veggan  pronti: 
Tanto  però  di  bello  anco  le  avanza, 
Che,  con  le  Grazie,  Amor  vi  può  aver  stanza. 


98.  Tostorhè  '1  Saracin  vide  la  bella 
Donna  apparir ,  mise  il  pensiero  al  fondo, 
Ch'  avea  di  biasmar  sempre,  e  d'  odiar  quella 
Schiera  gentil,  che  pur  adorna  il  mondo, 
E  ben  gli  par  dignissima  Isabella, 
In  cui  IdC.ir  debba  il  suo  amor  secondo, 
E  spegner  totalmente  il  primo ,  a  modo 
Che  dall'  asse  si  trae  chiodo  con  chiodo. 

99.  Incontra  se  le  fece,  e  col  più  mollo 
Parlar,  che  seppe,  e  col  miglior  sembiante, 
Di  sua  condizione  domaiidollc  ; 
Ed  ella  ogni  pcnsier  gli  spiegò   innante, 
Come  era  per  lasciar  il  mondo  folle, 
E  farsi  amica  a  Dio  con  opre  sante. 

j         Ride  il  pagano  altier,  che  in  Dio  non  crede, 
I  D'  ogni  legge  nimico,  e  d'  ogni  fedo  ; 

100.  E  chiama  intenzione  erronea  e  lieve, 
E  dice,  che  per  certo  ella  troppo  erra; 

[         Nò  men  biasmar,  che  l'  avaro  si  deve, 
Che  'l  suo  ricco  tesor  mette  sotterra, 
Alcun  util  per  sé  non  ne  riceve, 
E  dall'  uso  degli  altri  uomini  il  serra. 
Chiuder  leon  si  deano,  orsi  e  serpenti, 
E  non  le  cose  belle  ed  innocenti. 

101.  Il  monaco,  eh'  a  q;icsto  avea  l'  orecchia, 
ì         E  per  soccorrer  la  giovane  incauta. 

Che  ritratta  non  sia  per  la  via  vecchia, 
Sedea  al  governo,  qual  pratico  nauta, 
Quivi  di  spiritai  cibo  apparecchia 
Tosto  una  mensa  sontuosa  e  lauta  ; 
Ma  il  Saracin,  che  con  mal  gusto  nacque, 
Non  pur  la  saporò,  che  gli  dispiacque. 

102.  E  poiché  invano  il  monaco  intcrroppe, 
E  non  potè  mai  far  sì,  che  tacesse, 
E  che  di  pazienza  il  freno  ropsie, 

I  Le  mani  addosso  con  furor  gli  messe. 

i  Ma  le  parole  uiie  parervi  troppe 

1         Potriano  omai ,  se  più  se  ne  dicesse  ; 

Sicché  iùiirò  il  canto  ,  e  mi  fla  specchio 
Quel  che ,  per  troppo  dire  ,   accadde  al  vccehi 


.389] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXIX.  1—12) 


[390] 


CANTO    VENTESIMONONO. 


ARGOMENTO. 

La  pudica  Isabella ,  con  pensiero 
Di  mantener  sua  castitade ,  è  presta 
Ad  iridar  ebbro  Rodomonte  fiero 
Dal  collo  a  dipartir  la  bella  testa. 
Esso  fa  vn  ponte ,  ed  al  suo  cimitero 
Sacra  V  arme  d'  ognuno,  e  scpravvesta. 
S'  azzuffa  con  Orlando,  di'  ìndi  passa, 
E  di  pazzia  diversi  segni  lassa. 


Oh  degli  uomini  inferma  e  instabii  mente  ! 
Come  Siam  presti  a  variar  disegno! 
Tutti  i  pensier  mutiamo  facilmente, 
Più  quei .  che  nascon  d'  amoroso  gdegno. 
Io  vidi  dianzi  il  Saracin  sì  ardente 
('ontra  le  donne,  e  passar  tanto  il  segno. 
Che,  non  che  spegner  1'  odio,  ma  pensai, 
Che  non  dovesse  intiepidirlo  mai. 

Donne  gentil,  per  qnel ,  eh'  a  biasmo  vostro 
Parlò  contra  il  do^er,  sì  offeso  sono. 
Che  finché,  con  suo  mal,  non  gli  dimostro, 
Quanto  abbia  fatto  error,  non  gli  perdono, 
lo  farò  sì ,  con  penna  e  con  iiicliiostro, 
Ch'  ognun  vedrà,  che  gli  era  utile  e  buono 
Aver  taciuto  ,  e  morder-i  ìiik-o  poi 
Prima  la  lingua,  che  dir  mal  di  voi. 

Ma  che  parlò  come  ignorante  e  sciocco, 
Ve  lo  dimostra  chiara  esperienza. 
Già  Ciintra  tutte  trasse  fuor  lo  stocco 
Dell'  ira,  senza  farvi  dill'erenza; 
Poi  d'   Isabella  un  guardo  sì  1'  ha  tocco, 
Clic  subilo  gli  fa  muliir  sentenza. 
Già  in  cambio  di  qucll'  altra  la  disia; 
L'  ha  vista  appena,  e  non  sa  ancor,  chi  sia. 

E,  come  il  nuovo  amor  lo  punge  e  scalda, 
Muove  alcune  ragion  di  poco  frutto, 
Per  rcMupcr  qu<;Ua  mentt!  intera   e  salda, 
Ch'  ella  avea  fissa  al  creatctr  del  tutto. 
Ma  r  eremita,  che  l'  è  scudo  e  falda. 
Perchè  il  casto  pensier  non  sia  distrutto, 
Con  argomenti  più  validi  e  fermi, 
Quante»  più  può,  le  fa  ripari  e  schermi. 

Poiché  r  empio  pagan   molto  ha  soflcrto 
Con  lunga  noja  (pici  monaco  audace, 
K  t;he  gli  ha  detto  invan,  eh'  al  suo  deserto 
Senza  h-i   può  tornar,  quando  gli  piace, 
E  (^he  nuocer  si  \edc  a  >iso  aperto, 
E  che  seco  non  vuol  tregua,  m-  pace; 
La  mano  al  mento  con  furor  gli  stese, 
E  tanto  ih;  pelò,  quanto  ne  prese. 


6.  E  si  crebbe  la  furia,  che  nel  collo 
Con  man  lo  stringe  a  guisa  di  tanaglia, 
E  poich'  una  e  due  volte  raggindlo. 
Da  sé  per  I'  aria  verso  il  m.ir  h»  scaglia. 
Che  n'  avvenisse,  né  dico,  né  sollo. 
Varia  fama  è  di  lui,  né  si  ragguaglia. 
Dice  alcun,  che  sì  rotto  a  un  sa.-.-o  resta 
Che  1  pie  non  si  discerné  dalla  testa; 

7.  Ed  altri,  che  a  cadere  andò  nel  mare, 
Cli'  era  più  di  tre  miglia  indi  lontano; 
E  che    mori,  per  non  saper  notare, 
Fatti  assai  preghi  ed  orazioni  invano: 
Altri ,  che  un  santo  il  venne  ad  ajutare. 
Lo  trasse  al  lito  con  visibil  mano. 
Di  queste,  qual  si  vuol,  la  vera  sia; 
Di  lui  non  parla  più  1'  istoria  mia. 

8.  Rodomonte  crudel,  poiché  levato 
S'  ebbe  da  canto  il  garrulo  eremita, 

j  Si  ritornò  con  aìso  men  turbato 

Verso  la  donna  mesta  e  sbigottita, 

j  E  col  parlar,  eh'  é  fra  gli  amanti  usato, 

Dicea ,  eh'  era  il  suo  core  e  la  sua  vita, 
E  '1  suo  ciuiforto,  e  la  sua  cara  speme, 

I  Ed  altri  nomi  tai,  che  vanno  insieme. 

I      9.      E  si  mostrò  sì  costumato  allora, 
!  Che  non  le  fece  alcun  segno  di  forza. 

Il  semliiante  gentil,  che  l"  innamora, 
i  L'  usalo  orgoglio  in  lui  ^peglle  ed  ammorza: 

j  E  ,  benché  'l  frutto  trar  ne  possa  fuora, 

Passar  non  però  vuole  oltre  alla  scorza; 
;  Cile  non  gli  par ,  che  potesse  esser  buono, 

j  Quando  da  lei  non  V  accettasse  in  dono. 

'    10.      E  cosi  di  disporre  a  poco   a  poco 
I  A'  suoi  piaceri  Isabella  credea. 

I  Ella,  che  in  >ì  soliiigo  e  strano  loco, 

I  Qual  tcpo  in  jìiede  al  gatto  si  vedea, 

j  Vorria  trovarsi  innanzi  in  mezzo  il  foco; 

i  E  seco  tuttavolta  rivolgea, 

S'  alcun  partito,  alcuna  ^ia  foss(;  atta 
A  trarla  quindi  immactilata  e  intatta. 

I    11.     Fa  neir  animo  suo  pro|ioiiimento 

Di  darsi  c(ui  sua  m.iii  prima  la  morte. 

Che    i  barbaro  crudel   n'  alibia  il  suo  intento, 

I  E  che  le  sia  cagion  d'  errar  sì   forte 

Contra  quel  cavaiier,  <-li<'  in  braccio  spento 
L'   avea   crudele  e  dispiclata  sorte; 
A  cui  fatto   lia\(*,  col  peii>icr  devoto, 
Della  Mia  casliti'i  perpetuo   ^oto. 

!    12.      Crescer  jiiù  sempre  V  appetito  cie^-o 

^'ede  del  re  |iagiin  ,  né  sa,   che  farsi. 
I  lien  sa,  che  vuol   venire  all'  atto  liieco. 

Ove  i  cinitrast!  suoi  (ulti   fieu  scarsi. 
I  Pur  discorrendo  molte  co-»e  seco, 

11  modo  trovò  aHìii  di  ri|iararsi, 

E  di  salvar  la  castità  sua,  come 
'  iti  V  i  dirò ,  con  lungo  e  chiaro  nome. 

25  ♦ 


[391] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXIX.  13-28) 


\zf):\ 


13.  Al  brutto  Sararin ,  clie  le  venia 
Già  contra  con  parole  e  con  efFetti 
Privi  di  tutta  quella  col•te^ia, 

Che  mostrata  le  avea  ne'  primi  detti: 

Se  fate ,  che  con  voi  sicura  io  sia 

Del  mio  onor,  disse,  e  eh'  io  non  ne  sospetti, 

Cosa  all'  incontro  vi  darò,  che  molto 

Più  vi  varrà ,  eh'  avermi  1'  onor  tolto. 

14.  Per  un  piacer  di  sì  poco  momento, 

Di  che  n'  ha  sì  al)hondanza  tutto  '1  mondo, 

IVon  disprezzate  mi  perpetuo  contento, 

Un  vero  gaudio,   a  nullo  altro  secondo! 

Potrete  tuttavia  ritrovar  cento, 

E  mille  donne  di  viso  giocondo; 

Ma  chi  vi  possa  dar  questo  mio  dono, 

]\essuno  al  mondo,  o  pochi  altri  ci  sono. 

15.  Ho  notizia  d'  un'  erba,  e  1'  ho  vei'uta 
Venendo,  e  so,  dove  trovarne  appresso. 
Che,  bollita  con  ellera  e  con  ruta, 

Ad  un  fuoco   di  legna  di  cipresso, 
E  fra  mani  innoreiiù  indi  premuta. 
Manda  un  liquor ,  che ,  clii  si  bagna  d'  esso 
Tre  volte  iì  corpo ,  in  tal  modo  1'  indura, 
Che  dal  ferro  e  dal  fuoco  l'  assicura. 

16.  Io  dico,  se  tre  volte  se  n'  immolla, 
Un  mese  invulnerabile  si  tr<»va. 
Oprar  conviensi  ogni  mese  1'  ampolla, 
Che  sua  virtù  più  termine  non  giova. 

Io  so  far  r  acqua,  ed  oggi  ancor  f.irolla, 
Ed  oggi  ancor  voi  ne  vedrete  proNa: 
E  vi  può,  s'  io  non  fallo,  esser  più  grata. 
Che  d'  aver  tutta  Europa  oggi  acquistata. 

17.  Da  voi  dimando  in  guiderdon  di  questo. 
Che  sulla  fede  vostra  mi  giuriate, 

Clie  ne  in  detto ,  né  in  opera  molesto 

Mai  più  sarete  alla  mia  ca>titate. 

Così  dicendo,  Rodomonte  onesto 

Fc'  ritornar,  che  in  tanta  vohtntate 

Venne,  eh'  invulncrabil  si  facesse, 

Che  più,  eh'  ella  non  disse,  le  promesse. 

18.  E  serveralle,  finché  venga  fatto 
Della  mirabir  acqiia  espcrien/.a  ; 

E  sforzerassi  intanto  a  non  far  atto, 

A  non  far  segno  alciin  di  violenza. 

Ma  pensa  poi  di  non  tenere  il  patto; 

Perchè  non  ha  timor,  né  riverenza 

Di  Dio,  o  di  santi;   e,  nel  manc.ir  di  fede. 

Tutta  a  lui  la  bugiarda  Africa  cede. 

19.  Ad  Isabella  il  re  d'  Algier  scongiuri 
Di  n()n  la  molestar  fé'  più  di  mille, 
Purch'  essa  lavorar  1'  acttjua  procuri. 

Che  far  lo  può,  qr.al  fu  già  Cigno  e  Achille. 
Ella  per  balze  e  per  valloni  oscuri. 
Dalle  città  lontana,   e  dalle  ville, 
Uicoglie  di  moli'  erbe,  e  il  Saracino 
Kon  r  abbandona,  e  l'  è  sempre  vicino. 

20.  Poiché  in  più  parti,  quanto  era  abbastanza, 
Colsoii  dell'  erbe,  con  radici  e  senza, 

Tardi   si  ritoriiaro  alla  lor  stanza, 
D«>ve  quel  i)aragon  di  continenza 
Tutta  la  notte  >pende,  che  1'  avanza, 
A   bollir  eilx'  <on  molta  avvertenza; 
E  a  tutta  1'   o|)ra  e  a  tutti  quei  misteri 
Si  tro^Ti  ognor  presente  il  re  d'  Algicri, 


21.  Che ,  producendo  quella  notte  in  gioco 
Con  quelli  pochi  servi,  eh'  cran  seco, 
Sentia,  per  lo  calor  del  vicin  foco, 

Ch'  era  rinchiuso  in  quello  angusto  speco 
Tal  sete,  che  bevendo  or  molto,  or  poco, 
Duo  barili  votar  pieni  di  greco. 
Cli'  aveaiio  tolto,  uno  o  due  giorni  innanti, 
I  suoi  scudieri  a  certi  viandanti. 

22.  Non  era  Rodomonte  usato  al  vino, 
Perché  la  legge  sua  lo  vieta  e  danna; 
E,  poic'jé  lo  gustò,   liquor  divino 

Gli  par,  miglior  che  '1  nettare,  o  la  manna; 
E,  riprendendo  il  rito  Saracino, 
Gran  tazze  e  pieni  liasclii  ne  tracanna. 
Fece  il  buon  vino  ,  eli'  andò  spesso  intorno. 
Girare  il  capo  a  tutti,  come  un  torno. 

23.  La  donna ,  in  questo  mezzo ,  la  raldaja 
Dal  fuoco  tolse,  ove  quell'  erbe  cosse, 

E   disse  a  Rodomonte:  Acciocché  paja. 

Che  mie  |)arole  al  vento  non  ho  mosse, 

Quella ,  che  "l  ver  dalla  bugia  dispaja, 

E  che  può  dotte  f.ir  le  genti  grosse. 

Te  ne  t'arò  1'  esperienza  ancora, 

jNon  neir  altrui ,  ma  nel  mio  corpo  or  ora. 

24.  Io  voglio  a  fare  il  saggio  esser  la  prima 
Del  felice  liquor  di  virtù  pieno. 

Acciò  tu  forse  non  facessi  stima, 

Che  ci  fosse  mortifero  veneno. 

Di  questo  bagneromiui  dalla  cima 

Del  capo  giù  pel  colio  e  per  lo  seno; 

Tu  poi  tua  forza  in  me  prova ,  e  tua  spada. 

Se  questa  abbia  vigor,  se  quella  rada! 

25.  Bagnossij  come  disse,  e  lieta  porse 
Air  incauto  pagano  il  collo  ignudo; 
Incauto ,  e  vìnto  anche  dal  vino  f.u'se. 
Incontro  a  cui  non  vale  elmo,  né  scudo. 
Queir  uom  bestini  le  prestò  fede,  e  scorse 
Si  con  la  mano,  e  sì  col  ferro  crudo, 
Che  del  bel  capo,  già  d'  .\movo  albergo. 
Fé'  tronco  rimanere  il  petto  e  il  tergo. 

26.  Quel  fé'  tre  balzi ,  e  funne  udita  chiara 
Voce ,  eh'  uscendo  nominò  Zerbino, 

Per  cui  seguire  ella  trovò  sì  rara 
Via  di  fuggir  di  man  del  Saracino. 
Alma,  che  avesti  più  la  fede  cara, 
E'I  nome ,  quasi  ignoto  e  peregrino 
Al  tempo  nostro,  della  caslitade, 
Che  la  tua  vita  e  la  tua  verde  etade; 

27.  Vattene  in  pace,  alma  beata  e  bella! 
Così  i  miei  versi  avessin  forza,  come 
llen  m'  iill'aticlicrei ,  con  tutta  quella 
Alte,  che  tanto  il  i)arlar  orna  e  Ciunc, 
Perché  mille  e  mill'  anni,  e  pij,  novella 
Sentisse  il  mondo  del  tuo  chiaro  nome! 
Vattene  in  pace  alla  superna  sede, 

E  lascia  all'  altre  esempio  di  tua  fede! 

28.  All'  atto  incomparabile  e  stupendo. 
Dal  cielo  il  creator  giù  gli  occhj  volse 
E  disse:  Più  di  quella  ti  commendo, 

La  cui  morte  a  'l'arqiiinio  il  regno  tolse; 
E  per  questa  una  legge  fare  intendo, 
'J'ra  (|nelle  mie,   «he  mai  tenjpo  non  sciolse. 
La  qual  per  le  inviolabili  acqivc  giuro. 
Che  non  muterà  secolo  futuro. 


393] 


ORLANDO   FURIOSO.     fXXIX.    29-41) 


[394] 


29, 


30 


81. 


S2. 


33 


34 


35. 


36. 


Per  r  avvenir  vo' ,  clic  ciascuna,  eli'  aggia 
II  nome  tuo,  sia  di  sublime  ingegno, 
E  sia  bella ,  gentil ,  cortese  e  saggia, 
E  di  vera  onestade  arrivi  al  segno; 
Onde  materia  agli  scriltori  caggia 
Di  celebrare  il  nome  inclito  e  degno; 
Talché  Parnaso,  Pindo  ed  Elicone 
Sempre  Isabella ,  Isabella  risuone. 

Dio  cosi  disse,  e  ì'c'  serena  intorno 
L'  aria,  e  tranquillo  il  mar,  più  che  mai  fiis 
Fé'  r  alma  casta  al  terzo  ciel  ritorno, 
E  ili  braccio  al  suo  Zcrbin  si  riconiUisse. 
Rimase  in  terra  (;on  vergogna  e  scorno 
Quel  fier  senza  pietà  nuovo  Breu^se, 
Che,  poiché  '1  troppo  vino  ebbe  digesto, 
Biasmò  il  suo  errore ,  e  ne  restò  funesto. 

Placare ,  o  in  parte  satisfar  pensosse 
All'  anima  beata  d'  Isabella, 
Se ,  poich'  a  niiirtc  il  corpo  le  percosse, 
Desse  almcn  vita  alla  iiiPaioria  d'  ella. 
Trovò  per  mezzo,  acciocché  così  fosse, 
Di  convertirle  quella  chiesa,  quella. 
Dove  al)itava,  e  dove  ella  fu  uccisa. 
In  un  sepolcro  ;  e  vi  dirò ,  in  che  guisa. 

Di  tutti  ì  luoghi  inturno  fa  venire 
Mastri,  chi  per  amore,  e  ciii  per  tema; 
E,  fatto  ben  sei  mila  uomini  luiirc, 
De'  gravi  sassi  i  vicia  monti  scema, 
E  ne  fa  una  gran  massa  stiibilire, 
Che  dalla  cima  era  alla  parte  estrema 
Novanta  braccia;  e  vi  rincliiude  dentro 
La  chiesa ,  che  i  duo  amanti  ave  nel  centro. 

Imita  quasi  la  superba  mole, 
Che  fé'  Adriano  all'  onda  tiberina. 
Presso  al  sepolcro  una  torre  alta  vuole, 
Ch'  abitarvi  alcun  tempo  si  destina. 
Un  ponte  stretto,  e  di  due  braccia  sole 
Fece  sul!'  acqua,  che  correa  vicina. 
liUngo  il  ponte,  ma  largo  era  sì  poco. 
Che  dava  ai)pcna  a  duo  cavalli  loco; 

A  duo  cavalli ,  che  venuti  a  paro, 
O  che  insieme  si  fossero  scontrati  ; 
E  non  avea  né  sponda,  né  riparo, 
E  si  potea  v.kUt  da  tutti  i  Liti. 
II  passar  quindi  vuol  che  costi  caro 
A'  guerrieri,  o  pagani,  o  l)attezzati; 
Che  delle  spoglie  lor  mille  trofei 
Promette  al  cimitcrio  di  costei. 

In  dicci  giorni,  e  in  manco,  fu  perfetta 
L'  opra  del  ptuiticcl,   vìiv  passa  il  (ìiime; 
Ma  non  fu  già  il  sepolcro  c<»sì  in  frettii, 
Né  la  torre  condotta  al  suo  ca<  iiuic. 
Pur  fu  levata  sì ,  eh'  all.i  veletta 
Starvi  in  cima  una  guardia  avea  costume, 
(;hc  d'  ogni  cavalicr  ,  che  venia  al  punte, 
Col  corno  tacca  segno  a  iloiìomonle. 

V,  (piel  s'  arnniva,  o  se  gli  venia  a  opporre, 
Ora  suir  una,  ora  sull'  alira  riva: 
Che,  se  '1  gueriicr  venia  di  ver  la  torre, 
Suir  altra  (iroda  il  re  d'  Algier  veniva. 
Il  ponli(<'Il(>  è  il  campo,  o\e  si  corre; 
E  >e  'I  ibstricr  poco  «lei  s<'gno  u.>ci\a, 
Cadca  nel  tìume,  eh'  allo  era  e  profonilo. 
Ugual  periglio  a  quel  non  uvea  il  mondo. 


37.  Aveasi  immaginato  il  Saracino, 
Che,  per  gir  spesso  a  rischio  di  cadere 
Dal  ponticel  nel  (lume  a  capo  cìiino, 
Dove  gli  converria  molt'  acqua  bere, 

Del  fallo ,  a  che  V  indusse  il  troppo  vino, 
Dovesse  netto  e  mondo  rimanere; 
Come  r  acqua,  non  men  che  '1  vino,  estingua 
L'  error,  che  fa  pel  vino  o  mano,  o  lingua. 

38.  Molti,  fra  pochi  dì,  vi  capitare. 
Alcuni  la  via  dritta  vi  condusse, 

Che  a  quei,  che  verso  Italia,  o  Spagna  andare. 

Altra  non  era,  che  più  trita  fusse; 

Altri  r  ardire,  e  più  che  vita  caro 

L'  onore,  a  farvi  di  sé  prova,  indusse; 

E  tutti,  ove  acquistar  credean  la  palma, 

Lasciavan  I'  arme,  e  molti  insieme  1'  alma. 

39.  Di  quelli,  eh'  abbattea,  s'  eran  pagani. 
Si  contentava  d'  aver  spoglie  ed  armi, 

E  di  chi  prima  furo,  i  nomi  piani 
Vi  facea  sopra,  e  sospendeale  ai  marmi: 
Ma  ritenea  in  prigion  tutti  i  cristiani, 
E,  che  in  Algier  poi  li  mandasse,  parmi. 
Finita  ancor  non  era  1'  opra,  quando 
Vi  venne  a  capitare  il  pazzo  Orlando. 

40.  A  caso  venne  il  furioso  conte 
A  capitar  su  questa  gran  riviera. 
Dove ,  come  io  vi  dico ,  Rodomonte 
Far  in  fretta  facea ,  né  finita  era 

La  torre ,  né  il  sepolcro ,  e  appena  il  ponte  ; 

E   di  tutt'  arme,  fuorché  di  vi>iera, 

A  queir  ora  il  pagan  si  trovò  in  punto, 

Ch'  Orlando  al  fiume  e  al  p«Mite  é  sopraggiunto. 

41.  Orlando ,  come  il  suo  furor  lo  caccia, 
Salta  la  sbarra,  e  sopra  il  ptuite  corre  ; 
Ma  Ilodomonte,  con  turbata  faccia, 

A  piò,  coni'  era  innanzi  alla  gran  torre, 
Gli  grida  di  lontiuio  ,  e  lo  miniccia, 
Né  se  gli  degna  con  la  spada  t)|)porre  : 
Indi^creto  viìlan,  l'erma  le  pii'.ntc, 
Temerario  ,  importuno  ed  arrogante  ! 

42.  Sol  per  signori  e  cavalieri  é  fatto 
Il  ponte,  non  per  te,  bestia  balorda! 
Orlando,  eh'  era  in  gran   pensier  distratto, 
A  icn  pur  innanzi ,  e  fa  1'  orecchia  sorda. 
Bisogna  ,  eh'  io  c;!stighi  questo  malto. 
Disse  il  pagano,  e  con  la  voglia  ingorda 
Venia  per  traboccarlo  giù  ncll'  (uida. 

Non  peurando  tro>ar,  chi  gli  ri.>ponda. 

43.  In  questo  tempo  una  gentil  don/ella. 
Per  jiassar  sovra  il  ponte,  al  fiume  arriva, 
lifggiadramcnle  ornata,  in  viso  bella, 

E   iw'  sembianti  accortamente  schifa. 
Era,  se  vi  ricorda,  Signor,  quella. 
Che  per  ogni  altra  via  cenando  giva 
Di  lirandimarte ,  il  ^uo  aiiiator  ,  vei<tigì. 
Fuorché  do^c  era,  «lenirò  di  Parigi. 

44.  Neil'  arrivar  di  Fiordiligi  al  ponte, 
Che  così  la  donzella  nomala  era, 
()r!an«lo  s'  attaccò  c«m   UodomoutP, 
('he  lo  volea  gittar  m-lia  rixiera. 

La  (huuri,  eh'  a\ea  pratica  del  conto. 
Subito  n    ebbe  cono^ceir/.a  vera, 
E  r«>lò  «I    ulta  iiiiintvigliii  piena 
Della  i'ullia,  clic  così  uudii  il  mena- 


[395] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXIX.  45-GO) 


\'òm 


45.  Ffi'uiasi  a  riguiirdtrr,  che  fine  avere 
Deliba  il  furor  dei  duo  tanto  possenti. 
Per  far  del  ponte  1'  un  1'  altro  cadere, 
A  por  tutta  lor  forza  sono  intenti. 
Come  è ,  eh'  un  pazzo  debba  sì  valere  ? 
Seco  il  fiero  pagan  dice  tra'  denti: 

E  qua  e  là  si  volge  e  si  raggira, 
Pieno  di  sdegno  e  di  superbia  e  d'ira. 

46.  Con  r  una  e  1'  altra  man  va  ricercando 
Far  nuova  presa,  ove  il  suo  meglio  Acde; 
Or  tra  le  gambe,  or  fuor  gH  pone,  quando 
Con  arte  il  destro,  e  quando  il  raanix)   piede. 
Simiglili  Rodomonte  intorno  a  Orlando, 

Lo  stolido  orso,  che  sveller  si  crede 

L'  arbore,  onde  è  caduto;  e,  come  n'  abbia 

Quello  ogni  colpa,  odio  gli  porta,  e  rabbia. 

47.  Orlando ,  che  F  ingegno  avea  sommerso, 
Io  non  so  dove,   e  sol  la  forza  usava, 

L'  estrema  forza,  a  cui  per  1'  tmivcrdo 
Nessuno  ,  o  raro  parag<ui  si  dava. 
Cader  del  ponte  si  lasciò  riverso 
Col  pagano  abbracciato ,  come  sitava. 
Cadon  nel  fiume,  e  vanno  al  fondo  insieme; 
]Ne  salta  in  aria  1'  onda ,  e  il  lito  geme. 

48.  L'  acqua  li  fece  distaccare  in  fretta. 
Orlando  è  nudo ,  e  nuota  ,  com'  un  pesce 
Di  qua  le  braccia,  e  di  là  i  piedi  getta, 
E  viene  a  proda;  e  come  di  fuor  esce, 
Correndo  va,  uè  per  mirare  aspetta, 

Se  in  biasmo,  o  in  loda  questo  gli  riesce. 
Ria  il  pagan,  che  dall'  arme  era  imj)edito. 
Tornò  più  tardo,  e  con  più  alTanao  al  lito. 

49.  Sicuramente  Fiordilìgi  Intanto 
Avea  passato  il  ponte  e  la  riviera, 

E  guardato  il  sepolcro  in  ogni  canto, 

Se  del  suo  Brandimarte  insegna  v'  era. 

Poiché  né  1'  arme  sue  vede,  né  il  manto, 

Di  ritrovarlo  in  altra  parte  spera. 

Ma  ritorniamo  a  ragionar  del  conte, 

Cile  lascia  addietro  e  torre,  e  fiume,  e  ponte. 

59.      Pazzia  sarà ,  se  le  pazzie  d'  Orlando 
Prometto  raccontarvi  ad  una  ad  nna  ; 
Che  tante  e  tante  fur ,  eh'  io  non  so ,  quando 
Finir  :  ma  ve  n'  andrò  scegliendo  alcuna 
Solenne,  ed  atta  da  narrar  cantiindo, 
E  eh'  all'  istoria  mi  parrà  opportuna; 
"Sii  quella  tatuerò  miracolosa, 
Che  le'   nei  Pirenei  sopra  Tolosa. 

51 .      Trasi;orso  avea  molto  paese  il  conte, 
Come  dal  grave  suo  furor  fu  spinto  ; 
Ed  alfin  capitò  sopra  quel  monte, 
Per  cai  dal  Franco  è  il  Tarracon  distinto; 
Tenendo  tuttavia  volta  la  fronte 
Verso  là,  dove  il  sol  ne  viene  estinto; 
E    quivi  giunse  in  un  angusto  calle, 
Che  pendea  sopra  una  prolVuida  valle. 

52.      Si  vennero  a  incontrar  con  esso  al  varco 
Duo  boscherecci  giovani,  cbe  innante 
Avcan  di  legna  un  loro  asino  carco; 
E,  perchè  ben  s'  accorsero  al  sembiante, 
CI»'  avea  di  cr-rv(d  sano  il  capo  scarco, 
di  gridano  con  voce  minacciante, 
O  eh'  addietro,  o  da  parte  se  ne  vada, 
E  che  si  levi  di  mezzo  la  strada. 


53.  Orlando  non  risponde  altro  a  qtu;l  detto. 
Se  non ,  che  con  furor  tira  d'  un  piede, 
E  giunge  appunto  1'  asino  nel  jietto. 
Con  quella  forza,  che  tutte  altre  eccede; 
Ed  alto  il  leva  si ,  eh'  uno  augeUetto. 
Che  voli  in  aria,  sembra  a  chi  lo  vede. 
Quel  va  a  cadere  alla  cima  d'  un  colle, 
Ch'  un  miglio  oltre  la  valle  il  giogo  estolle. 

54.  Indi  verso  i  duo  giovani  s'  avventa. 
Dei  quali  mi,  più  che  senno,  ebbe  ventura: 
Che  dalla  balza,  che  due  volte  trenta 
Braccia  cadea,  si  gittò  per  paura: 
A  mezzo  il  tratto,  trovò  molle  e  lenta 
Una  macchia  di  rubi  e  di  verzura, 
A  cui  bastò  graffiargli  un  poco  il  volto  ; 
Del  resto  lo  mandò  libero  e  sciolto. 

55.  L'  altro  s'  attacca  ad  un  scheggion ,  eh'  uscin 
Fuor  della  roccia,  per  salirvi  sopra; 
Perché  si  spera,  s'  alla  cima  arriva, 
Di  trovar  via ,  che  dal  pazzo  lo  copra. 
Ma  quel  nei  piedi  (che  non  vuol,  che  vivaj 
Lo  ])iglia ,  mentre  di  salir  s'  adopra, 
E  quanto  più  sbarrar  puote  le  braccia, 
Le  sbarra  si,  eh'  in  duo  pezzi  lo  straccia; 

56.  A  quella  guisa,  che  veggiam  talora 
Farsi  d'  un  airon ,  farsi  d'  un  pollo. 
Quando  si  vuol  delle  calde  interiora, 
Che  falcone,  o  che  astor  resti  satollo. 
Quanto  è  ben  accaduto,  che  non  mora 
Quel,  che  fu  a  risco  di  fiaccarsi  il  collo! 
Che  ad  altri  poi  questo  niiracol  disse. 
Sicché  1'   udì  Turpino ,  e  a  noi  lo  scrisse. 

57.  E  queste,  ed  altre  assai  cose  stupende 
Fece  nel  traversar  della  montagna. 
Dopo  molto  cercare  alfin  discende 
A'erso  merigge  alta  terra  di  Spagna, 
E  lungo  la  marina  il  cammin  preiule. 
Che  intorno  a  Tarracona  il  lito  bagna; 
E,  come  vu(»l  l;i  furia,  che  lo  mena. 
Pensa  farsi  un  albergo  in  quella  arena, 

58.  Dove  dal  sole  alquanto  si  ricopra; 
E  nel  sabbi(ui  si  caccia  arido  e  trito. 
Stando  co?ì,  gli  venne  a  caso  sopra 
Angelica  la  bella,  e  il  suo  marito, 
Ch'  eran ,  siccome  io  vi  narrai  di  sopra, 
Scesi  dai  monti  in  siili'  ispano  lito. 

A  men  d'  un  bracitio  ella  gli  giunse  appresso 
Perché  non  s'  era  accorta  ancora  d'  esso. 

59.  Che  fosse  Orlando,  nulla  le  sovviene; 
Troppo  è  diverso  da  quel  ,  eh'  esser  suole. 
Da  indi  in  qua,  che  quel  furor  lo  tiene, 

E  sempre  andato  nudo  all'  ombra  e  al  sole. 

Se  fosse  nato  all'  a|n-ica  Siene, 

O  dove  Aminone  il  Garamante  cole, 

O  presso  ai  monti,  onde  il  gran  Nilo  spiccia, 

]\on  dovrebbe  la  carne  a>er  più  arsiccia. 

60.  Quasi  ascosi  avea  gli  occhj  nella  testa, 
lia  faccia  macra ,  e  come  un  osso  asciutta; 
La  chioma  rabbiiflata ,  orrida  e  mesta; 

La  barba  folta,  spa\entosa  e  brutta. 

Non  più  a  vederlo  Angelica  fu  presta, 

Che  fosse  a  ritornar  tremando  tutta. 

Tutta  tremando  ,  e  empiendo  il  ciel  di  grida, 

Si  volse  per  ajiitu  alla  sua  guida. 


39T1 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXIX.    61  —  74) 


;398] 


(il.      Come  di  lei  s'  accorse  Orlanilo  stolto,  j   68, 

Fcr  ritenerla  si  levò  eli  botto,  [ 

C(»sì  gli  piacque  il  delicato  volto, 
Cosi  ne  venne  immantinente  «ghiotto.  i 

D'  averla  amata  e  riverita  m()!to  i 

Ogni  ricordo  era  in  lui  guasto  e  rotto. 
Le  corre  dietro,  e  ticii  quelia  maniera, 
Che  tcrria  il  cane  a  seguitar  la  fei-a.  | 

62.      Il  giovane,  che  '1  pazzo  seguir  Tede  6J>. 

La  donna  sua,  gli  urta  il  camallo  addosso, 
E  tutto  a  un  tempo  lo  percuote  e  licde, 
Come  lo  trova,  che  gli  volta  il  do^^o. 
Spic<;iir  dal  busto  il  capo  se  gli  crede; 
Ma  la  pelle  tro^  ò  dura ,  cctme  osso. 
Anzi  via  più  eh'  acciar  :  eh'  Orlaiuio  nato 
Iinpenetrabil  era,  ed  alTatato. 

,63.     Come  Orlando  senti  battersi  dietro,  70. 

Girossi ,  e  nel  girare  il  pugno  strinse, 
E  con  la  forza,  che  passa  ogni  metro, 
Ferì  il  de>tricr,  che  '1  Saracino  spinse. 
Ferii  sul  capo,  e,  come  t'osse  vetro, 
Lo  spezzò  sì,  clie  quel  cavallo  estinse; 
E  rivoltossi  in  un  mede^mo  istante 
Dietro  a  colei ,  che  gli  fuggiva  iimante. 

64.  Caccia  Angelica  in  fretta  la  giumenta,  71, 
E  con  sferza  e  con  sprou  t(»cca  e  ritocca  ; 
Che  le  parrebbe  a  quel  bisogno  lenta, 
Se  ben  volasse  più ,  che  strai  da  cocca. 
Dell'   anel ,  eh'   ha  nel  dite» ,  si  rammenta, 
Clie  può  salvarla ,  e  se  lo  getta  in  bocca  ; 
E  r  anel ,  che  non  perde  il  suo  costume, 
La  fa  sparir,  come  ad  un  soffio  il  lume. 

65.  O  fosse  la  paura,  o  che  pigliasse  ;    73. 
Tanto  dlsconcio  nel  nmtar  l'  anello, 
Oppur  che  la  giumenta  traboccasse. 
Che  non  posso  alltrmar  questo,  né  quello; 
Nel  mede>!no  momento  ,  che  si  trasse 
L'   anello  in  bocca,  e  celò  il  viso  bello, 
Levò  le  gambe,  ed  uscì  dell'  arcione, 
£  si  trovò  riversa  in  sul  sabbione. 

Più  corto ,  che  quel  salto  era  due  dita,  i    73, 

Avviluppata  rimanea  col  matto. 
Che  con  1'  urt<»  le  avria  tolta  la  vita; 
Ma  gran  ventura  1'  ajutò  a  quel  tratto. 
Cerchi  pur,  eh'  altro  furto  le  dia  aita 
D'  un'  altra  be»tia,  come  prima  ha  fatto; 
Che  più  nt>n  è  per  riaver  mai  f(uesta, 
Ch'  innanzi  al  paladin  1'  arena  pesta. 

67.     Non  dubitate  già,  eh'  ella  non  h'  abbia  74 

A  provvedere;  o  seguitiamo  Orlando, 
In  cui  non  cessa  V  imp<-t<»  <^   la  rabbia. 
Perchè  si  vada  Angelica  celando.  ! 

Segue  la  bestia  per  la  nuda  sabbia, 
E  8R  le  vi(>n  più  sempre  appros>im.iiulo  ; 
Già  già  la  tocca ,  ed  (;cc(»  1'  ha  nel  crine,  i 

ludi  nel  freno,  e  la  ritiene  al  line.  | 


Con  quella  festa  il  paladin  la  piglia, 
Ch'  un  altro  avrebbe  fatto  una  donzella. 
Le  rassetta  le  redini  e  la  briglia, 
E  spicca  un  salto,   ed  entra  nella  sella, 
E  correndo  la  caccia  molte  miglia, 
Senza  riposo .  in  questa  parte  e  in  quella. 
Mai  non  le  leva  nò  sella,  né  freno, 
Né  le  lascia  gustare  erba,  né  fieno. 

Volendosi  cacciare  oltre  una  fossa, 
Sozzopra  se  ne  va  con  la  cavalla. 
Non  nocque  a  lui ,  né  sentì  la  percossa. 
Ma  nel  fondo  la  misera  si  spalla. 
Non  vede  Orlando ,  come  trar  la  possa, 
E  finalmente  se  l'  arreca  in  spalla, 
E  su  ritorna,  e  va,  con  tutto  il  carco, 
Quanto  in  tre  volte  non  trarrebbe  un  arco. 

Sentendo  poi ,  che  gli  gravava  tropi)n, 
La  pose  in  terra,  e  volea  trarla  a  mano. 
Ella  il  seguia  con  passo  lento  e  zoppo. 
Dicea  Orlando:  Cammina!  e  dicea  invano: 
Se  r  avesse  seguito  di  galoppo, 
Assai  non  era  al  doiilerio  insano. 
Alfin  ,  dal  capo  le  levò  il  capestro, 
E  dietro  la  legò  sopra  il  pie  dcstio. 

E  così  la  strascina ,  e  la  conforta. 
Che  lo  potrà  seguir  con  maggior  agio. 
Qual  leva  il  pelo ,  e  quale  il  cuojo  porta. 
Dei  sassi ,  eh'  eran  nel  cammin  malvagio. 
La  mal  condotta  bestia  restò  morta 
Finalmente  di  strazio  e  di  disagio. 
Orlando  non  le  pensa ,  e  non  la  guarda, 
E,  via  correndo,  il  suo  canunin  non  tarda. 

Di  trarla,   ancorché  morta,  non  rimase. 
Continuando  il  corso  ad  occidente  ; 
E  tuttavia  saccheggia  ville  e  case, 
Se  bisogno  di  cibo  aver  si  .-«ente; 
E  frutte  e  carne  e  pan,  purch'  egli  invase, 
llapi>ce,  ed  usa  forza  ad  ogni  gente: 
Qual   lascia  morto,  e  qual  .-torpiato  lassa; 
Poco  si  ferma,  e  sempre  iimauzi  passa. 

Avrebbe  così  fatto,  o  poco  manco. 
Alla  sua  donna ,  se  non  s'  ascondea  ; 
Perché  non  di.^cernea  il  nero  dal  bianco, 
E  di  giovar  noccudo  si  credea. 
Deh!  maladetto  sia  1'  anello,  ed  anco 
Il  cavalier,  che  dato  glielo  avea! 
(;hè,  >e  non  era,  avreltbe  Orlando  fatto 
Di  sé  vendetta,  e  di  mill'  altri  a  un  tratto. 

Né  questa  sola,  ma  fosser  pur  state 
In  man  d'  Orlando  quante  oggi  ne  sono; 
CW  ad  ogni  modo  tutte  sono  ingrate. 
Né  sì   trova  tra  loro  oncia  di    buono. 
Ma  priuiacbè  le  corde  rallcnlate 
Al  canto  disugual   rendano  il  suono, 
Fia  meglio  dilIVrirlo  a  un'  altra  volta, 
Acciò  mcu  bia  nojoso  a  chi  V  ascoltii. 


[3S9] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXX.  1  —  12) 


[Mn\ 


CANTO     TRENTESIMO. 


ARGOMENTO. 

Orlando  lascia  in  diverso  sentiero 
Di  diverse  pazzie  fiero  sembiante. 
Uccide  Mandricardo  il  buon  Ruggiero: 
Di  lui  si  lagna  e  duolsi  lìradamante, 
Che  ferito  ed  infermo  nel  pensiero. 
Le  manca  alle  promesse  fatte  avante. 
n  buon  Rinaldo  a  Montalban  venuto 
Va  per  dar  co'  fratelli  a  Carlo  ajuto. 


1.  Quando  vincer  dall'  impeto  e  dall'  ira 
Si  lascia  la  ragion ,  né  si  difende, 

E  che  '1  cieco  furor  sì  innanzi  tira 

O  mano,    o  lingua,  che  gli  amici  offende; 

Se  ben  dipoi  si  piange  e  si  sospira, 

Non  è  per  questo,  che  1'  error  s'  emende. 

Lasso  !  io  mi  doglio  e  affliggo  invan  di  quanto 

Dissi  per  ira  al  fin  dell'  altro  canto. 

2.  Ma  simile  son  fatto  ad  un  infermo, 
Che  dopo  molta  pazienza  e  molta. 
Quando  con  tra  il  dolor  non  ha  più  schermo, 
Cede  alia  rabbia,  e  a  lìes.'emmiar  si  volta. 
Manca  il  dolor,  nò  l'  impeto  sta  fermo, 
Che  la  lingua  al  dir  mal  Iacea  sì  sciolta; 

E  si  ravvede  e  pente,  e  n'  ha  disnetio  ; 

Ma  quel  eh'  ha  detto  ,  non  può  far  non  detto. 

3.  Ben  spero  ,  donne ,  in  vostra  cortesia 
Aver  da  voi  perdon,  poich'  io  vel  cliieggio. 
Voi  scuserete,  che  per  frenesia, 

Vinto  dall'  aspra  passion ,  vaneggio. 

Date  l;'  colpa  alla  nimica  mia. 

Che  mi  fa  star,  eh'  i(»  non  potrei  star  peggio, 

E  mi   fa  dir  quel,  di  eh'  io  son  poi  gramo: 

Sallo  yio,  s'  ella  ha  il  torto,  e  sa,  s'  io  1'  amo. 

4.  INon  mcn  son  fuor  di  me,    che  fosse  Orlando, 
E  non  son  men  di  lui  di  scusa  degno, 

VAi    or  per  li  monti,  or  i)er  le  piagge  errando, 

Si:ore  in  gran  parte  di  Marsilio  il  regno, 

Molti  di  la  cavalla  strascinando 

Morta,  com'  era,  senza  alcun  ritegno: 

Ma  giunto ,   ove  un    gran  fiume  entra  nel  mare, , 

Gli  in  forza  il  cadavero  lasciare. 

5.  Vj  ,  perchè  sa  nuotar ,  come  una  lontra, 
Entra  nel  fiume,  e  sorge  all'  altra  riv.i. 
Ecco  un  pa^tor  sopra  un  cavali;»  incontra. 
Che  per  alibcvcrarlo  al  fiume  arriva. 
Colili,   licucbè  gli  vada  Orlando  incontra, 
lVr<:liè  egli  è  sob».  e  mulo,   nmi   lo  schiva. 
A  (urei  del  tuo  ron/.in,  gli  di>.«e  il  matto, 
{/'on  la  giiuuenta  mia  fare  un  baratto. 


6.  Io  te  la  mostrerò  di  qui,  se  vuoi, 
Clie  morta  là  sull'  altra  ripa  giace: 
La  potrai   far  tu  medicar  dipoi; 
Altro  difetto  in  lei  non  mi  dispiace. 

Con  q!ialche  aggiunta  il  ronzio  dar  mi  puoi: 
Smontane  in  cortesia ,  perchè  mi  piace. 
Il  pastor  ride,  senz'  altra  risposta 
Va  verso  il  guado ,  e  dal  pazzo  si  scolta. 

7.  Io  voglio  il  tuo  cavallo:  olà!  non  odi? 
Soggiunse  Orlando,  e  con  furor  si  mosse. 
Avea  un  basion  con  nodi  spessi  e  sodi 
Quel  pastor  seco,  e  il  paladin  percosse. 
La  rabbia  e  l'  ira  passò  tutti  i  modi 

Del  conte,  e  parve  fier  più  che  mai  fosse. 

Sul  ca;io  del  pastore  un  pugno  serra, 

Che  spezza  l'  osso,  e  morto  il  caccia  in  terra 

8.  Salta  a  cavallo,  e  per  diversa  strada 
Va  discorrendo,  e  molti  pone  a  sacco. 
Non  gusta  il  ronzio  mai  fieno ,  né  biada, 
Tantoché  in  pochi  dì  ne  riman  fiacco. 
Ma  non  però ,  eh'  Orlando  a  piedi  vada  ; 
Che  di  vetture  vuol  vivere  a  macco; 

E  quante  ne  trovò,  tante  ne  mise 
In  uso,  poiché  i  lor  padroni  uccisie. 

9.  Capitò  alfine  a  Maiega,  e  più  danno 
\ì  fece,  cìi'  egli  avesse  altrove  fatto; 
Che  oltreché  ponesse  a  saccomanno 

Il  popol  sì,  che  ne  restò  disfatto, 
Né  si  potè  rifar  quel,  né  1'  altro  anno,  , 
Tanti  n'  uccise  il  periglioso  matto, 
\i  spianò  tante  case,  e  tante  accese. 
Che  disfo'  più  clic  'l  terzo  del  paese. 

10.  Quindi  partito,  venne  ad  una  terra, 

Zizera  detta  ,  che  siede  allo  stretto 

Di  Ziheltarro,  o  viu)i  di  Zibclterra; 

Cile  r  uno  e  l'  altro  nume  le  vien  detto  ; 

Ove  una  barca ,  che  sciogliea  da  terra, 

Vide  piena  di  gente  da  diletto. 

Che  sollazzando  all'  aura  mattutina 

Già  per  la  tranquillissima  marina. 

11.  Cominciò  il  pazzo  a  gridar  forte:  Aspetta!  > 
Che  gli  venne  disio  d'  andare  in  barca; 

Ma  ben  invano  e  i  gridi  e  gli  urli  getta, 
(;hé  voleiitier  tal  merce  non  si  carca. 
Per  1'  acqua  il  legno  va  con  quella  fretta, 
Che  va  jicr  1'  aria  irondinc  ,  che  varca. 
Orlando  urta  il  cavallo,  e  batte  e  stringe, 
E  c(ui  un  mazzafrusto  all'  acqua  il  spinge. 

12.  Forza  è,  eh'  alfin  ncll'  aiiqua  il  cavallo  entK 
Che  invan  contrasta,  e  spende  invano  ogni  opra 
lìiigna  i  giiutcchj ,  e  poi  la  groppa  e  "l  ventre, 
Indi  la  testa,  e  ap|)ena  appar  di  sopra. 
'J'oruiirc  addietro  non  si  speri,  mealre 

La  verga  tra  1'  orecchie  se  gli  ailopra. 
elisero,  o  si  con  vien  tra  ^ia  affogare, 
0  nel  lito  african  passare  il  mare  ! 


•01] 


ORLANDO   FURIOSO.      [XXX.  13-28) 


[402] 


o.      Non  vede  Orlando  più  poppe,  nò  sponde. 
Che  tratto  in  mar  V  avean  dal  lito  asciutto, 
Che  son  troppo  lontane,  e  le  nasconde 
Agli  occhj  bassi  1'  alto  e  mohil  flutto  ; 
E  tuttavìa  il  destrìer  caccia  tra  l'  onde, 
Ch'  andar  di  là  dal  mar  dispone  in  tutto. 
Il  destrier,  d'  acqua  pieno,  e  d'  abiia  voto, 
Finalmente  finì  la  vita  e  il  nuoto. 

4.      Andò  nel  fondo ,  e  \ì  traea  la  salma, 
Se  non  si  tenea  Orlando  in  sulle  braccia. 
Mena  le  gambe ,  e  1'  una  e  1'  altra  pabna, 
E  soffia ,  e  1'  onda  spinge  dalla  faccia. 
Era  r  aria  soave,  e  il  mare  in  calma; 
E  ben  vi  bisognò  più  che  bonaccia; 
Ch'  ogni  poco  che  '1  mar  fosse  più  sorto, 
Restava  il  paladin  nell'  acqua  morto. 

.3.      Ma  la  fortuna,  che  de'  pazzi  ha  cura. 
Del  mar  lo  trasse  nel  lito  di  Setta, 
la  una  spiaggia,  lungi  dalle  mura, 
Quanto  sarian  duo  tratti  dì  saetta. 
Lungo  il  mar  molti  giorni  alla  ventura 
\  orso  levante  andò  correndo  in  fretta. 
Finche  trovò,  dove  tendca  ,  sul  lito. 
Dì  nera  gente  esercito  infinito. 

G.     Lasciamo  il  paladin,  eh'  errando  vada! 
Ben  dì  parlar  di  lui  tornerà  tempo. 
Quanto,  Signore,  ad  Angelica  accada, 
Dappoiclì'  uscì  dì  man  del  pazzo  a  tempo, 
E  come  a  ritornare  in  sua  contrada 
Trovasse  e  buon  naviglio ,  e  miglior  tempo, 
E  dell'  India  a  Ì^Iedor  desse  lo  scettro, 
Forse  altri  canterà  con  miglior  plettro. 

.7.     Io  sono  a  dir  tante  altre  cose  intento. 
Che  di  seguir  più  questa  non  mi  cale. 
Volger  convienimi  il  bel  ragionamento 
Al  Tartaro,  che,  spento  il  suo  rivale, 
Quella  bellezza  si  godea  contento, 
A  cui  non  resta  in  tutta  Europa  eguale, 
Posciachè  se  n'  è  Angelica  partita, 
E  la  casta  Isabella  al  ciel  salita. 

Della  sentenza  Mandricardo  altero. 
Che  in  suo  favor  la  bella  ilonna  diede, 
Kon  può  fruir  tutto  '1  diletto  intero, 
Che  contra  lui  son  altre  liti  in  piede. 
L'  una  gli  muove  il  giovane  lluggicro. 
Perchè  l'  a((uila  bianca  non  gli  cede; 
L'  altra  il  famoso  re  di  Sericaiia, 
Che  da  lui  vuol  la  spada  Durindana. 

S'  affatica  Agr:nnante,  nò  disciorre, 
Né  Marsilio  con  Ini,  sa  questo  intrico; 
Né  solamente  non  li  può  disporre, 
Che  voglia  V  un  dell'  altro  esser  amico  ; 
Ma  che  Uuggiero  a  Mandricardo  torre 
Lasc'.ì  In  scuiìo  (\c\  Trojaiu>  antico, 
O  Gradasse»  la  spada  non  gli   ^ieti, 
Tanto,  elle  questa  o  quella  lite  accheti. 

Uuggicr  non  vuol ,  «he  in  altra  pugna  vada 
('on  io  suo  si.udo  ;  uè  (ìradasso  vuole 
Che,  fuor  che  contra  sé,  porti  la  spada. 
Che  'I  glorioso  Orlando  portar  suole. 
Alfin  veg<;ianio,  in  cui  la  sort<^  t'ada, 
DÌHse  yXgrauiaiitc ,  e  non  ^iaii  più  parole! 
Veggiani  r|uc'l  che  fortuna  iw.  ilisponga  ; 
E  bia  preposto  quel,  eh'  ella  preponga! 


18 


L9 


20. 


21.  E,  se  compiacer  meglio  mi  volete 
Onde  d'  aver  ve  n'  abbia  obbligo  ognora 
Chi  de'  dì  voi  combatter,  sortirete,  ' 
3Ia  con  patto,  eh'  al  primo,  che  esca  fuora 
Ambedue  le  querele  in  man  porrete; 
Sicché,  per  sé  vìncendo,  vinca  ancora 

Pel  compagno,  e  perdendo  1'  un  di  vuì, 
Cosi  perduto  abbia  per  ambiduì. 

22.  Tra  Gradasso  e  Ruggier  credo  che  sia 
Dì  valor  nulla,  o  poca  differenza; 

E  dì  lor  qual  si  vuol  venga  fuor  pria. 
So,  che  in  arme  farà  per  eccellenza. 
Poi  la  vittoria  da  quel  canto  stia, 
Che  vorrà  la  divina  provvidenza: 
Il  cavalier  non  avrà  colpa  alcuna. 
Ma  il  tutto  ìmputerassi  alla  fortuna. 

23.  Stèron   taciti  al  detto  d'  Agramante 
E  Ruggiero  e  Gradasso;  ed  accordarsi, 
Che,  qualunque  di  loro  uscirà  innante, 

E  r  una  briga  e  i'  altra  al)bia  a  pigliarsi. 

Così  in  duo  brevi,  eh'  avean  siniigliante 
I  Ed  ugual  forma,  i  nomi  lor  notarsi, 

j  E  dentro  un'  urna  quelli  hanno  rinchiusi, 

I         ì  ersati  molto ,  e  sozzopra  confusi. 

24.  Un  semplice  fanciul  nell'  urna  messe 

La  mano ,  e  prese  un  breve  ;  e  venne  a  caso  ' 

Che  in  questo  il  nome  di  Ruggier  si  lesse. 

Essendo  quel  del  Serican  rimaso. 

Non  si  può  dir,  quanta  allegrezza  avesse. 

Quando   Ruggier  si  senti  trar  del  vaso, 

E  d'  altra  parte  il   Sericano  doglia: 

Ma  quel,  che  manda  il  ciel,  forza  é  che  toglia. 

25.  Ogni  suo  studio  il  Sericano ,  ogni  opra 
A  favorire,  ad  jijutar  converte. 

Perché  Ruggiero  abbia  a  restar  di  sopra, 
E  le  cose  in  suo  prò ,  eh'  a^  ea  già  esperte, 
Come  or  di  spada,  or  di  sciulo  si  copra, 
Qual  sien  botte  fallaci,  e  qual  sien  eerte. 
Quando   tentar ,  quando  schivar  fortuna 
Sì  dee,  gli  torna  a  mente  ad  una  ad  una. 

26.  Il  resto  di  quel  di,  che  dall'  accordo 
¥j  dal  trar  delle  sorti  sopravvanza, 

È  speso  dagli  amici  in  dar  ricordo. 

Chi  all'  unguerricr,  chi  all'altro,  com'è  usanza. 

Il  pojiol ,  di  veder  la  pugna  ingordo, 

S'  affretta  a  gara  d'  occupar  la  stanza; 

Né  basta  a  untiti  innanzi  giorno  andarvi. 

Che  voglicni  tutta  notte  anco  vegghiarvi. 

27.  La  sciocca  turba  di>iosa  attende. 

Che  i  duo  buon  cavalier  vengano  in  prova; 
Che  non  mira  piò  lungi,  né  comprende 
Di  quel,  eh'  innanzi  agli  occhj  >i  ritnna. 
ila  Sobrino  ,  e  Mar>ilio  ,  e  clii  piò   intende, 
E  \eile  ciò  che  nuoce,   e  ciò  che  gio^a, 
Ria^ula  qm;sla  battaglia,  ed  .Agramante, 
Che  coglia  comportar,  che  >ada  innante. 

28.  Né  cessan  ricordargli  il  gra\e  danno, 
Che  u'  ha  d'  a^ere  il  |)op(i|  «.aracino, 
Mnora  Uuggiiro,  o  il  tartaro  tiranno. 
Quel,  che  pnlì.>s(»  è  dal  suo  ller  dentino; 
D'  un  ^ol  di  lor  na   piò  lii>ogno  a>raiuio 
Per  conlra>lare  al   liirjio  di   Pipino, 

Che  di  dieci  altri  mila,   che  ti  >oiio. 
Tra*  quai  fatica  è  ritro^anr  un  binino. 

2(; 


[403] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXX.    29—44) 


[40 


29.  Conosce  il  re  Agriimante ,  eli'  egli  è  vero. 
Ma  non  può  più  negar  ciò ,  eh'  ha  promesso. 
Ben  prega  Mandricardo  e  il  buon  Ruggiero, 
Che  gli  ridonin  quel ,  eh'  ha  lor  concesso  j 

E  tanto  più,  che  il  lor  litigio  è  un  zero, 
Kè  degno  in  prova  d'  arme  esser  rimesso; 
E,  se  in  ciò  pur  noi  vogliono  ubbidire, 
Vogliano  almen  la  pugna  dilTerire. 

30.  Cinque,  o  sei  mesi  il  singoiar  certame, 
O  meno,  o  più  si  differisca,  tanto 

Che  cacciato  abbian  Carlo  del  reame, 

Tolto  lo  scettro ,  la  corona  e  il  manto. 

Ma  r  uno  e  1'  altro,  ancorché  voglia  e  brame 

Il  re  ubbidir ,  pur  sta  duro  da  canto  ; 

Che  tale  accordo  obbrobrioso  stima 

A  chi  '1  consenso  suo  vi  darà  prima. 

31.  Ma  più  del  re,  ma  più  d'  ognun,   che  invano 
Spenda  a  placare  il  Tartaro  parole. 

La  bella  figlia  del  re  Stordilano 
Supplice  il  priega ,  e  si  lamenta  e  duole. 
Lo  prega,  che  consenta  al  re  africano, 
E  voglia  quel ,  che  tutto  il  campo  vuole. 
Si  lamenta  e  si  duol ,  che  per  lui  sia 
Timida  sempre,  e  piena  d'  agonia. 

32.  Lassa!  dicea,  che  ritrovar  poss'  io 
Rimedio  mai,  eh'  a  riposar  mi  vaglia, 
S'  or  contra  questo ,  or  quel ,  novo  disio 
Vi  trarrà  sempre  a  vestir  piastra  e  maglia? 
Ch'  ha  potuto  giovare  al  petto  mio 

Il  gaudio  ,  che  sia  spenta  la  battaglia 
Per  me  da  voi  contra  quell'  altro  presa, 
Se  un'  altra  non  minor  se  n'  è  già  accesa  ? 

83.      Oimè!  eh'  invano  io  me  n'  andava  altera, 
Ch'  un  re  sì  degno ,  un  cavalier  sì  forte, 
Per  me  volesse,  in  perigliosa  e  fiera 
Battaglia,  porsi  al  rischio  della  morte; 
Ch'  or  veggo ,  per  cagion  tanto  leggiera, 
jNon  meno  esporvi  alla  niedesma  sorte. 
Fu  naturai  ferocità  di  core, 
Ch'  a  quella  v'  instigò ,  più  che  '1  mio  amorc; 

34.  ]Ma  s'  egli  «;  ver,  che  '1  vostn)  amor  sìa  quello. 
Che  vi  sforzate  di  mostrarmi  ognora. 

Per  lui  vi  prego ,  e  per  quel  y^ran  lliigello. 
Che  mi  percuote  1'  alma,  e  che  m'  accora. 
Che  non  vi  caglia,  se  '1  candido  augello 
Ila  nello  scudo  quel  Ruggiero  ancora. 
Utile,  o  danno  a  voi  non  so  che  importi. 
Che  lasci  quella  insegna ,  o  che  la  porti. 

35.  Poco  guadagno,  e  perdita  uscir  molta 
Della  battaglia  può,  clic  per  far  sete. 
Quando  abbiate  a  Rug^Ier  1'  aquila  tolta. 
Poca  mercè  d'  un  gran  travaglio  avrete; 
Ma  se  f(utuna  le  spalle  vi  volta. 

Che  non  però  nel  crin  pie^a  tenete, 
Causate  un  danno,  che,  a  pensarvi  solo. 
Mi  Éicnto  il  petto  già  sparar  di  duolo. 

36.  Quando  la  vita  a  v(»i  per  voi  non  sia 
Cara,  e  più  amiate  nn'  aquila  dipinta. 
Vi  hìa  alincri  cara  per  la  vita  mia! 
'S(m  »arà  T  una  senza  1'  altra  estinta, 
^on  già  morir  con  voi  grave  mi  fia; 

Son  di  ncguirvi  in  Aita  e  in  morte  accinta; 
Ma  non  Aorni  morir  t^ì  nuli  contenta, 
Come  io  morrò ,  se  dopo  voi  son  spenta. 


37.  Con  taì  parole,  e  simili  altre  assai, 
Cile  lagrime  accompagnano  e  sospiri, 
Pregar  non  cessa  tutta  notte  mai, 
Perchè  alla  pace  il  suo  amator  ritiri. 
E  quel ,  suggendo  dagli  umidi  rai 
Quel  dolce  pianto ,  e  quei  dolci  martiri 
Dalle  vermiglie  labbra  più  che  rose, 
Lagrimando  egli  ancor,  così  rispose: 

38.  Deh!  vita  mia,  non  vi  mettete  affanno. 
Deh!  non,  per  Dio,  di  così  lieve  cosa! 
Che,  se  Carlo,  e  '1  re  d'  Africa,  e  ciò  eh'  hai 
Qui  di  gente  moresca  e  di  franciosa, 
Spicgasser  le  banJiere  in  mio  sol  danno, 
Voi  pur  non  ne  dovreste  esser  pensosa. 
Ben  mi  mostrate  in  poco  conto  avere. 
Se  per  me  un  Rnggier  sol  vi  fa  temere. 

39.  E  vi  dovria  pur  rammentar ,  che  solo, 
(E  spada  io  non  avea ,  né  scimitarra  ) 
Con  un  troncon  di  lancia ,  a  un  grosso  stuolo 
D'  armati  cavalier  tolsi  la  sbarra. 
Gradasso,  ancorché  con  vergogna  e  duolo 
Lo  dica,  pure  a  chi  '1  d<nnanda,  narra, 
Che  fu  in  Soria  a  un  cistel  mio  prigioniero  ; 
Ed  è  pur  d'  altra  fama,  che  Ruggiero. 

40.  Non  nega  similmente  il  re  Gradasso, 
E  sallo  Isolier  vostro  ,  e  Sacripante, 

Io  dico  Sacripante ,  il  re  circasso, 

E  '1  famoso  Grifone  ed  Aquilante, 

Cent'  altri,  e  più,  che  pure  a  questo  passo 

Stati  eran  presi  alcuni  giorni  innante, 

Blacomettani  e  gente  di  battesmo. 

Che  tutti  liberai  quel  dì  medesmo. 

41.  Non  cessa  ancor  la  maraviglia  loro 
Della  gran  prova,  eh'  io  feci  quel  giorno. 
Maggior,  che  se  l'  esercito  del  Moro 

E  del  Franco  inimici  avessi  intorno. 
Ed  or  potrà  Rnggier,  giovane  soro. 
Farmi  da  solo  a  solo  o  danno  ,  o  scorno  ? 
Ed  or ,  eh'  ho  Durindana ,  e  1'  armatura 
D'  Ettnr,  vi  de'  Rnggier  metter  paura? 

42.  Deh  !  perchè  dianzi  in  prova  non  venni  io. 
Se  far  di  voi  con  1'  arme  io  potca  acquisto? 
So ,  che  v'  avrei  si  aperto  il  valor  mio, 

Ch'  avreste  il  fin  già  di  Rnggier  previsto. 

Asciugate  le  lagrime,  e,  per  Dio, 

Non  mi  fate  un  augtuno  cosi  tristo, 

E  siate  certa,  che  '1  mio  onor  m'  ha  spinto. 

Non  nello-  scudo  il  bianco  augel  dipinto  ! 

43.  Così  disse  egli  ;  e  molto  ben  risposto 
Gli  fu  dalla  mestissima  sua  donna, 
Che  non  pur  lui  mutato  di  proposto. 
Ma  di  luogo  avria  mossa  una  colonna. 
Ella  era  per  dover  vincer  lui  tosto. 
Ancorché  armato ,  e  eh'  ella  fosse  in  gonna  ; 
E  r  avca  indotto  a  dir ,  se  '1  re  gli  parla 
D'  accordo  più,  che  volea  contentarla. 

44.  E  lo  facea  ,  se  non ,  tostocli'  al  sole 
La  vaga  Aurora  fé'  1'  usata  scorta, 
L'  animoso  Rnggier,  «he  uu)strur  vuole. 
Che  con  ragion  la  bella  aquila  porta, 
Per  non  udir  più  d'  atti  e  di  parole 
DilaziiMi,  ma  far  la  lite  corta, 
Dove  circonda  il  popol  lo  steccato, 
Sonundt»  il  corno  s'  apprescnta  armato. 


405] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXX.  45—60) 


15.      Tostochè  sente  il  Tartaro  superbo, 
Ch'  alla  battaglila  il  suono  altier  Io  sfida, 
IVon  vuol  più  dell'  accordo  intender  verbo. 
Ma  sì  lancia  del  Ietto,  ed  arme  grida; 
E  si  dimostra  si  nel  viso  acerbo, 
Che  Doralice  ij;tessa  non  si  fida 
Di  dirgli  più  di  pace ,  né  di  tregna  ; 
E  forza  è  infin  ,  che  la  battaglia  segua. 

VS.     Subito  s'  arma ,  ed  a  fatica  aspetta 
Da'  suoi  scudieri  i  debiti  servigi: 
Poi  monta  sopra  il  buon  cavallo  in  fretta, 
Che  del  gran  difensor  fu  di  Parigi, 
E  vien  correndo  inver  la  piazza  eletta 
A  terminar  con  1'  arme  i  gran  litigi. 
Yi  giunse  il  re  e  la  corte  allora  allora, 
Sicch'  air  assalto  fu  poca  dimora. 

;7.      Posti  lor  furo ,  ed  allacciati  in  testa 
I  lucidi  elmi ,  e  date  lor  le  lance., 
Segue  la  tromba  a  dare  il  segno  presta, 
Che  fece  a  mille  impallidir  le  guance. 
Poserc»  r  aste  i  cavalieri  in  resta, 
E  i  corridori  punsero  alle  pance, 
E  venncr  con   tal  impeto  a   ferirsi. 
Che  parve  il  cicl  cader ,  la  terra  aprirsi. 

8.  Quinci  e  quindi  venir  si  vede  il  bianco 
Augel,  che  GioAe  per  l'  aria  sostenne, 
Come  nella  Tessaglia  si  vide  anco 
Venir  più  volte ,  ma  con  altre  penne. 
Quanto  sia  1'  uno  e  1"  altro  ardito  e  franco, 
Mostra  il  j)ortar  delle  massicce  antenne; 

E  molto  più  ,  eh'  a  quell'    ini-ontro  duro 
Qual  torre  ai  venti,  o  scogli  all'  onde  furo. 

9.  I  tronchi  fino  al  ciel  ne  sono  ascesi. 
Scrive  Turpin ,  verace  in  questo  loco, 
Che  due  o  tre  giù  ne;  torniiro  accesi, 
Ch'  eran  saliti  alla  sfera  del  foco. 

I  cavalit'ri  i  lìrandl  arcano  presi, 
¥j  ,  come  quei ,  che  si  temean<»  poco, 
Si  ritornaro  incontra,  e  a  prima  giunta 
Ambi  alla  vista  si  ferir  di  punta. 

»0.      Ferirsi  alla  vi^i(■ra  al  primo  tratto, 
E  non  miraron  ,  per  mettersi  in  terra. 
Dare  ai  ca^  alli  morte  ;  eh'  è  mal  atto, 
Perdi'  essi  non  han  col|)a  della  guerra. 
Chi  pensa,  che  tra  lor  fosse  tal  patto, 
Kon  sa  1'  usanza  antica ,   e  di  molto  erra. 
Senz'  altro  patto  ,  «ra  vergogna  e  fallo, 
E  biasmo  eterno  ,    a  chi  feria  '1  cavallo. 

il.     Ferirsi  all<i  visiera ,  eh'  era  doppia, 
Ed  up|>ena  anco  a  tanta  furia  resse. 
li'  un  c(il|io  ;ippres>o  all'   altro  si  raddoppia; 
Le  botte  più  (-Ile  grandiiH^  soii  spesse. 
Che  sprz'/a  fronde;  e  rami  ,  e  grano,  e  stoppia, 
E  uscire  in>aii  fa  la  s|ierata  messe. 
Se  Durindana  e  lialis.irda  taglia, 
Supirte,  e  quanto  in  (|uc>te  mani  vaglia. 

i2.      ÌMa  degno  di  ^è  colpo  ancor  non  fanno; 
Sì   r    uno  (;  r  allro  ben  s'a  snll'  avviso! 
Usci  da   !Maiidri(-arilii   il  primo  danno, 
Pi!r  <^ui  fu  quasi   il   bitoii   lluggiero  ucciso. 
D"  uno  (li  (pici  gran  colpi,  «he  far  sanno, 
Gli   fu  lo  siiiiio  per  iiic/./o  di\iso, 
E   la  corazza  apertaf-li  dì  sotto, 
E  fin  sul  \ìvo  il  crudel  brando  ha  rotto. 


[406] 


53 


L'  aspra  percossa  agghiacciò  il  cor  nel  petto, 
Per  dubbio  di  Ruggiero  ,  ai  circostanti, 
Nel  cui  favor  si  conoscea  1'   affetto 
Dei  più  inchinar ,  se  non  di  tutti  quanti  ; 
E  se  fortuna  ponesse  ad  effetto 
Quel,  che  la  maggior  parte  vorria  innanti, 
Già  Mandricardo  saria  ranrto,  o  preso; 
Sicché  il  suo  colpo  ha  tutto  il  campo  offeso. 

54.  Io   credo,  che  qualche  angel  s'  interpose, 
Per  salvar  da  quel  colpo  il  cavaliero. 

Ma  ben ,  senza  più  indugio ,   gli  rispose 
Terribil  più  che  mai  fosse  Ruggiero. 
La  spada  in  capo  a  Mandricardo  pose; 
Ma  sì  lo  sdegno   fu  subito  e  fiero, 
E  tal  fretta  gli  fé',   eh'  io  men  l'  incolpo, 
Se  non  mandò  a  ferir  di  taglio  il  colpo. 

55.  Se  Balisarda  lo  giungea  per  dritto, 
L'  elmo  d'  Ettorrc  era  incantato  invano. 
Fu  sì  del  colpo  Mandricardo  afflitto. 
Che  si  lasciò  la  briglia  uscir  di  mano: 
D'  andar  tre  volte  a(xenna  a  capo  fitto, 
Mentre  scorrendo  va  d'  intorno  il  piano 
Quel  Brigliador,   che  conoscete  al  nume 
Dolente  ancor  delle  mutate  some. 

56.  Calcata  serpe  mai  tanto  non  ebbe, 
Né  ferito  leon ,  sdegno  e  furore. 
Quanto  il  'lartaro,  poiché  sì  riebbe 
Dal  colpo,  che  di  sé  Io  trasse  fuore: 
E  quanto  1'  ira  e  la  superbia  crebbe. 
Tanto  ,  e  più  crebbe  in  lui  forza  e  valore. 
Fe«;e  spiccare  a  Brigliadoro  un  salto 
"\erso  Ruggiero,  e  alzò  la  la  spada  in  alto. 

57.  Levossi  in  sulle  staffe,   ed  all'  elmetto 
Segnogli,  e  sì  credette  veramente 
Partirlo  a  quella  volta  fino  al  petto: 
Ma  fu  di  luì  Ruggìer  più  diligente. 

Che ,    prìachè  'l  braccio  scenda  al  duro  effetto. 
Gli  caccia  sotto  la  spada  pungente, 
E  gli  fa  nella  maglia  ampia  finestra, 
Che  sotto  difendea  l'  ascella  destra; 

58.  E  Balisarda  al  suo  ritorno  trasse 
Di  fuori  il  sangue  tepido  e  vermiglio, 
E  vietò  a  Durindana,  che  calasse 
Impetuosa  con  tanto  periglio; 
Benché   fin  sulla  groppa  sì  piegasse 
Iluggiero,  e  per  dolor  stringesse  il  ciglio; 
E,  s'  cimo  in  ca|)o  avca  di  pcggior  tempre. 
Gli  era  quel  colpo  memorabii  sempre. 

59.  Uiiggier  non  cessa,  e  spìnge  il   suo   cavallo, 
E  Maiidri(-ardo  al  destro  fianco  trova. 

Quivi  s(-elta  finezza  di  metallo, 
E  ben  condotta  tempra,  |iii(-o  giova 
Contra  la  spada  ,  clu;   non  sciinle  in  fallo, 
('he  fu  incantata,  non  per  altra  pro>a. 
Cile  per  far,  eh'  a'  suoi  colpi  nulla   vaglia 
Piastra  incantala,  ed  iiicanl.ita  maglia. 

60.  Taglionne  quanto   ella  ne  jirese ,  e  insieme 
liasciii  ferito  il    Tartaro  nel  fianco. 

Che    1  ciel   lic^lcmiiiia  ,   e  di    laiit'  ira   freme, 
Clic    l  tempestoso  iii.tr  è  orriliil  manco. 
Or  s"   appartrrliia  a  por   le   forze  estreme! 
Lo  scudo,   o\e  in   a//.iirro  è  l'  augel  l>ian(?0, 
\  iato   da  sdegno  ,  si  gitlò  lontano, 
E  uiikc  al  brando  e  1'  tuia  e  l'  altra  mano. 


[407] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXX.  61  — 70) 


[40 


61.  Ah!  disse  a  lui  Ruggìer,  senza  più,  basti 
A  mostrar,  che  non  merli  quella  inseg^na, 
Ch'  or  tu  la  getti ,  e  dianzi  la  tagliasti  ; 

Piò  potrai  dir  mai  più,  che  ti  convegna. 
Cosi  dicendo,  forza  è,  eh'  egli  aitasti, 
Con  quanta  furia  Durindana  regna, 
Che  si  gli  grava,  e  sì  gli  pesa  in  fronte, 
Clie  più  leggier  potea  cadervi  un  monte; 

62.  E  per  mezzo  gli  fende  la  visiera  ; 
Buon  per  lui,  che  dal  viso  si  discosta; 
Poi  cal«»  suir  arcion,  che  ferrato  era, 
]Vè  Io  difese  averne  doppia  crosta  : 
Giunse  allìn  suU'  arnese,  e,  come  cera, 
L'  aperse  con  la  falda  sopra  posta  ; 

E  ferì  gravemente  nella  coscia 

Ruggier  ,  sicch'  assai  stette  a  guarir  poscia. 

63.  Dell'  un  ,  come  dell'  altro ,  fatte  rosse 
Il  sangue  1'  arme  avea  con  doppia  riga; 
Talché  diverso  era  il  parer,  chi  fosse 

Di  lor ,  eh'  avesse  il  meglio  in  quella  briga. 
3Ia  quel  dubbio  Ruggier  tosto  rimosse. 
Con  la  spada,  che  tanti  ne  castiga. 
Mena  di  punta,  e  drizza  il  colpo  crudo^ 
Onde  gittato  avea  colui  lo  scudo. 

64.  Fora  della  corazza  il  Iato  manco, 
E  di  venire  al  cor  trova  la  strada  ; 

Cile  gli  entra  più  d'  un  palmo  sopra  il  fianco; 

Sicché  convien ,  che  Mandricardo  cada 

D'  ogni  ragion,  che  può  nell'  augel  bianco, 

O  che  può  aver  nella  famosa  spada  ; 

E  della  cara  vita  cada  insieme, 

Che  più ,  che  spada  e  scudo ,  assai  gli  preme. 

65.  IVon  morì  quel  racschin  senza  vendetta; 
Ch'  a  quel  medesmo  tempo ,  che  fu  colto, 
La  spada  ,  poco  sua ,  menò  di  fretta, 

Ed  a  Ruggiero  aAria  partito  il  volto. 
Se  già  Ruggier  non  gli  avesse  intercetta 
Prima  la  forza ,  e  assai  del  vigor  tolto. 
Di  forza  e  di  vigor  troppo  gli  tolse 
Dianzi,  che  sotto  il  destro  braccio  il  colse. 

66.  Da  Mandricardo  fu  Ruggier  percosso 
Nel  punto,  eh'   egli  a  Ini  tolse  la  vita; 
Talch'  un  cerchio  di  ferro,  ancorché  grosso, 
E  una  curfia  d'  acciar  ne  fu  parlila. 
Durindana  tagliò  cotenna  ed  osso, 

E  nei  capo  a  Ruggiero  entrò  due  dita. 
Ruggier  stordito  in  terra  si  riversa, 
E  di  sangue  un  ruscel  dal  capo  versa. 

07.  11  primo  fu  Rnggier,  che  andò  per  terra, 
E  di  poi  stette  1'  altro  a  cader  tanto, 

Che  qua?i  crede  ognun ,  clic  della  guerra 
Riporti  Maiulricardo  il  pregio  e  '1  Aanto: 
E  Doralice  sua,  che  con  gli  altri  erra, 
E  che  quel  dì  più  volte  ha  riso  e  pianto, 
Dio  ringraziò  con  mani  al  ciel  supine, 
Ch'  avesse  avuto  la  pugna  tal  fine. 

08.  Ma,  poicli'  appare  a  manifesti  segni 
Vivo  chi  vive,   e  s-enza  vila  il  morto, 
Nei  jielti  dei  l'autor  mutano  regni. 

Di  Ili  nu>ti/.iii ,  e  di  qua  vien  conforto. 
I  re ,  i  "ignori ,  i  eavalier  più  degni 
Con  Ruggier ,  che  a  fatica  era  risorto, 
A  ^allegrar^i ,  «d  al)hracciar>i  vanno, 
E  gloria  senza  fine ,  e  onor  gli  danno. 


69.  Ognun  s'  allegra  con  Ruggiero,  e  sente 
Il  medesmo  nel  cor,  eh'  lia  nella  bocca. 
Sol  Gradasso  il  pensiero  ha  differente 
Tutto  da  quel,  che  fuor  la  lingua  scocca. 
Mostra  gaudio  nel  viso  ,  e  occultamente 
Del  glorioso  acquisto  invidia  il  tocca, 
E  maledice ,  o  sia  dentino ,  o  caso. 
Il  qual  trasse  Ruggier  prima  del  vaso. 

70.  Che  dirò  del  favor  ,  che  delle  tante 
Carezze,  e  tante,  affettuose  e  vere. 
Che  fece  a  quel  Ruggiero  il  re  Agramante, 
Senza  il  qual  dare  al  vento  le  bandiere, 
Né  volse  mover  d'  Africa  le  piante. 
Né  senza  lui  si  fidò  in  tante  schiere? 
Or  che  del  re  Agricane  ha  spento  il  seme. 
Prezza  più  lui,  che  tutto  il  mondo  insieme. 

71.  Né  di  tal  volontà  gli  uomini  soli 
Eran  verso  Ruggier ,  ma  le  donne  anco. 
Che  d'  Africa  e  di  Spagna  fra  gli  stuoli 
Eran  venute  al  tenitorio  franco: 
E  Doralice  istessa,  che  con  duoli 
Piangea  1'  amante  suo  pallido  e  bianco, 
Forse  con  1'  altre  ita  sarebbe  in  schiera, 
Se  di  vergogna  un  duro  frcn  non  era. 

72.  Io  dico  forse,  non  eh'  io  ve  V  accerti; 
Ma  potrebbe  esser  stato  di  leggiero; 
Tal  la  bellezza,  e  tali  erano  i  merli, 

I  costumi  e  i  sembianti  di  Ruggiero  ! 
Ella  per  quel ,  che  già  ne  siamo  esperti, 
Sì  faeil  era  a  variar  pensiero, 
Che ,  per  non  si  veder  priva  d'  amore, 
Avria  potuto  in  Ruggier  porre  il  core. 

73.  Per  lei  buono  era  vivo  Mandricardo  ; 
Ma  che  ne  volea  far  dopo  la  morte.-* 
Pro^-A  eder  le  convien  d'  un  ,  che  gagliardo 
Sia  notte  e  di  ne'  suoi  bisogni ,  e  forte. 
Non  era  stato  intanto  a  venir  tardo 

II  più  perito  medico  di  corte, 
Che,  di  Ruggier  veduta  ogni  ferita, 
Già  r  avea  assicurato  della  vita. 

74.  Con  molta  diligenza  il  re  Agramante 
Fece  corcar  Ruggier  nelle  sue  tende  ; 
Che  notte  e  di  veder  sei  vuole  innante. 
Sì  r  ama ,  e  sì  di  lui  cura  si  prende. 
Lo  scudo  al  letto ,  e  1'  arme  tutte  quante, 
Che  fur  di  Mandricardo ,  il  re  gli  appende  : 
Tutte  le  appende ,  eccetto  Durindana, 
Che  fu  lasciata  al  re  di  Sericana. 

75.  Con  r  arme  1'  altre  spoglie  a  Ruggier  sono) 
Date  di  Mandricardo,  e  insieme  dato 
Gli  é  Brigliador,  quel  destrier  bello  e  buono,  i 
Che  per  furore  Orlando  avea  lasciato. 
Poi  qu(;llo  al  re  diede  Ruggiero  in  dono. 
Che  s'  avvide ,  eh'  assai  gli  saiia  grato. 
Non  i)iù  di  questo ,  che  tornar  bisogna 
A  chi  Ruggiero  invan  sospira  e  agogna. 

76.  Gli  amorosi  tormenti ,  che  sostenne 
Bradamante  aspettiuulo,  io  v'  ho  da  dire. 
A  !M(iiitall)<uio  Ijipalca  a  lei  rivenne, 
E  nuova  le  recò  del  suo  desire. 
Prima  di  quanto  di  Friuitin  le  avvenne 
Con  Rodcunonle ,  I'  ehhe  a  riferire; 
l'iti  di  Ruggier,  chi;  ritrovò  alla  fonte 
Con  Ricciardetto ,  e  i  frati  d'  Agrismonte  ; 


109] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXX.   7?— 92) 


[410] 


F7.      E  che  con  esso  lei  s'  era  partito, 
Con  speme  di  trov.ire  il  Saracino, 
E  punirlo  di  quanto  avea  fallito 
D'  aver  tolto  a  una  donna  il  suo  Frontino  ; 
J]  che  '1  disegno  poi  non  j^^li  era  uscito. 
Perchè  diverso  avea  fatto  il  cammino. 
La  cagion  anco,  perchè  non  venisse 
A  Montalban  lluggier,  tutta  le  disse: 

rS.      E  riferille  le  parole  appieno, 

Che  in  sua  scusa  Ruggler  le  avea  commesse; 

Poi  si  trasse  la  lettera  di  seno, 

Ch'  egli  le  die',  perdi'  ella  a  lei  la  desse. 

Con  viso  più  turbato  ,  che  sereno. 

Prese  la  carta  Bradamantc ,  e  lesse, 

Che ,  se  non  fosse  la  credenza  stata 

Già  di  veder  lluggier,  fora  più  grata. 

Ì9.     L'  aver  Ruggiero  ella  aspettato ,  e  in  vece 
Di  lui  vedersi  ora  appagar  d'  un  scritto, 
Del  bel  viso  turbar  1'  aria  le  fece 
Di  timor,  di  cordoglio   e  di  despitto. 
Baciò  la  carta  diece  volte  e  diece, 
Avendo  a  chi  la  scrisse  il  cor  diritto. 
Iie  lacrime  vietar ,  che  su  vi  sparse. 
Che  con  sospiri  ardenti  ella  non  1'  arse. 

BO.     Lesse  la  carta  quattro  volte  e  sei, 
E  volse,  eh'  altrettante  I'  imbasciata 
Replicata  le  fosse  da  colei, 
Che  r  una  e  1'  altra  avea  quivi  arrecata; 
Pur  tuttavia  piangendo ,  e  crederei, 
Cile  mai  non  si  saria  più  racchetata, 
Se  non  avesse  avuto  pur  conforto 
Di  rivedere  il  suo  Ruggicr  di  corto. 

Bl.  Termine  a  ritornar  quindici,  o  venti 
Giorni  avea  Ruggier  tolto ,  ed  afierraato 
L'  avea  ad  Ippalca  poi  con  giuramenti 
Da  non  temer,  (Aie  mai  fosse  mancato. 
Chi  ra'  assicura,  oimè  !  degli  accidenti, 
Ella  dicea,  eh'  han  forza  in  ogni  lato. 
Ma  nelle  guerre  più,  che  non  distorni 
Alcun  tanto  Ruggier,  che  più  non  torni."* 

82.      Oimè,  Ruggiero,  oimè!  chi  avria  creduto, 
Ch'  avendoti  amato  io  più  di  me  stessa. 
Tu  più  di  me,  non  eh'  altri,  ina  potuto 
Abbi  amar  gente  tua  nemica  espressa? 
A  chi  opprimer  dovresti,  d(»ni  ajuto; 
Chi  tu  dovrc-ti  aitare ,  è  da  te  «)pprcssa. 
Non  so ,  se  biasmo ,  o  laude  esser  ti  credi, 
Che  al  premiar  e  al  punir  sì  poco  vedi. 

88.     Fu  morto  da  Trojan ,  non  so  se  '1  sai, 
n  padre  tuo ,  ma  fnio  i  sassi  il  sanno  ; 
E  tu  del  fìglio  di  Trojan  cura  hai, 
Che  n<m  riceva  alcun  disnor,  nò  danno. 
E  questa  la  vendetta ,  che  ne  fai, 
Ruggiero.-'  E  a  quei,  che  vendicato  1'  hanno, 
Rendi  tal  premio,  che  d(;l  sangu(;  loro 
Me  fai  morir  di  strazio  e  di  luarloro? 

84.      Dicea  la  donna  al  suo  Ruggiero  assente 
Queste  p.irole,  va\  altre  lacrimaiulo, 
Non  ima  Hola  ^olta,  ma  soveiitt;. 
Ippalca  hi  venia  pur  «Mtnfortando, 
Chi!  Ruggicr  selcerebbe  iiiteraiiieiitc 
Sua  fiih; ,  (;  «:ir  (;]|ii  ('  aspettas.oc,  quando 
Altro  far  non  potoa,  fin  a  qu(;l  giorno, 
Cir  avea  Ruggier  prescritto  ul  suo  ritorno. 


85.  I  conforti  d'  Ippalca,  e  la  speranza, 
Cile  degli  amanti  suol  esser  compagna, 
Alla  tema  e  al  dolor  tolgon  possanza 
Di  far,  che  Bradamante  ognora  piagna. 
In  Montalban ,  senza  mutar  mai  stanza, 
Voglion,  che  fino  al  termine  rimagna. 
Fino  al  promesso  termine,  e  giurato. 
Che  poi  fu  da  Ruggier  mal  osservato. 

86.  Ma  eh'  egli  alla  promessa  sua  mancasse. 
Non  però  deve  aver  la  colpa  all'atto; 

Che  una  causa,  ed  un'  altra  si  lo  trasse. 
Che  gli  fu  forza  preterire  il  patto. 
Convenne ,  che  nel  Ietto  si  corcasse, 
E  più  d'  un  mese  si  stesse  di  piatto. 
In  dubbio  di  morir,  sì  '1  dolor  crebbe 
Dopo  la  pugna ,  che  col  Tartaro  ebbe. 

87.  L'  innamorata  giovane  1'  attese 
Tutto  quel  giorno,  e  dcsioUo  invano  ; 
Ne  mai  ne  seppe,  fuor  quanto  n'  intese 
Ora  da  Ippalca,  e  poi  dal  suo  germano, 
Che  le  narrò,  che  Ruggier  lui  difese, 

E  Malagigi  liberò ,  e  Viviano. 

Questa  novella,  ancorché  avesse  grata, 

Pur  di  qualche  amarezza  era  turbata; 

88.  Che  di  Marfisa  in  quel  discorso  udito 
L'  alto  valore  e  le  bellezze  avea. 
Udì,  come  Ruggier  s'  era  partito 

Con  esso  lei,  e  che  d'  andar  dicea 

Là ,  dove  con  disagio  in  debol  sito 

Mal  sicuro  Agramante  si  tenea. 

Si  degna  compagnia  la  donna  lauda, 

aia  non,  che  se  n'  allegri,  o  che  1'  applauda. 

89.  Né  picciolo  è  il  sospetto,   che  la  preme, 
Che,  se  MarGsa  è  bella,  come  ha  fama, 
E  che  fino  a  quel  dì  sicn  giti  insieme, 

E  maraviglia,  se  Ruggicr  non  V  ama. 

Pur  non  vuol  creder  anco ,  e  spera  e  teme, 

E  '1  giorno,  che  la  può  far  lieta  o  grama. 

Misera  aspetta,  e  sospirando  stassi. 

Da  Montalban  mai  non  movendo  ì  passi. 

90.  Stando  ella  quivi,  il  principe,  il  signore 
Del  bel  castello,  e  il  primo  de'  suoi  fiati, 
Io  non  dico  d'  etadc ,  ma  d'  onore. 

Che  di  lui  prima  duo  n'  erano  nati, 
Rinaldo,  che  di  gloria  e  di  splendore  _ 
Gli  ha,  come  il  sol  le  stelle,  illuininati. 
Giunse  al  castello  un  giorno  in  sull.i  nona. 
Né,  fuorché  un  paggio,  era  con  lui  persona. 

91.  Cagion  del  suo  venir  fu ,  che  da  Brava 
Ritornandosi  un  di  verso  Parigi, 

Come  v'  ho  detto,  che  so>eiite  andava. 
Per  ritrovar  d'  Angelica  vc.-tigi, 
Avea  sentila  la  novella  prava 
Del  suo  ^i>iallo  e  del  suo  Malagigi, 
Ch'  eran  per  esser  dati  al  >l.igair/.ege, 
E  perciò  ad  Agrismonle  la  via  prese; 

92.  Dove  intendendo  poi,  eh'  eran  salvati, 
E  gli  iivcerMUJ   lor  lumti  e  distrutti, 

E   ìlarfisa  e  Uugy;icro  erano  stati. 
Che  gli  accano  a  quei  termini  ridditi  ; 
E  suoi  fratelli .   <r  >iii»i  ciigia  tornati 
A    iMoiitalbaiio  in>i('iiir  erano   tolti; 
(ìli  par\e  ognora  un  anno  di  trovarsi 
Con  e^BU  lor  là  dentro  ad  abbra('<'iai>i. 


[411] 


ORLANDO  FURIOSO.    (XXX.  93—95    XXXI.  1—8)         [412  & 


gS.      Venne  Rinaldo  a  Montalbano ,  e  quivi 

Madre ,  moglie  abbracciò ,  figli  e  fratelli, 

E  i  cugini,  che  dianzi  crnn  cattivi; 

E  parve,  quando  egli  arrivò  tra  quelli, 

Dopo  gran  fame,  irondine ,  che  arrivi 

Col  cibo  in  bocca  ai  pargoletti  augelli: 

E ,  poiché  un  giorno  vi  fu  stato ,  o  dui, 

Partissi,  e  fé'  partire  altri  con  lui. 

J)5.      E  ben  lor  disse  il  ver;  eh'  ella  era  inferma, 
Ma  non  per  febbre,  o  corporal  dolore; 
Era  il  disio ,  che  1'  alma  dentro  inferma, 
E  le  fa  alterazion  patir  d'  amore. 
Rinaldo  in  Montalban  più  non  si  ferma, 
E  seco  mena  di  sua  gente  il  fiore. 
Come  a  Parigi  appropinquossi ,  e  quanto 
Carlo  ajutò,  vi  dirà  1'  altro  canto. 


94.      Ricciardo ,  Alardo ,  Ricciardetto ,  e  d'  ossi 
Figli  d'  Amone,  il  più  vecchio  Guicciardo, 
Slalagigi  e  Vivian  si  furon  me.*si 
In  arme ,  dietro  al  paladin  gagliardo. 
Bradamante  ,  aspettando ,  che  e'  appressi 
Il  tempo ,  eh'  al  desio  suo  ne  vien  tardo. 
Inferma ,  disse  alli  fratelli ,  eh'  era, 
E  non  volse  con  lor  venire  in  schiera. 


CANTO    TRENTESTMOPRIMO. 


ARGOMENTO. 

Combatte  con  Guidon  Rinaldo  ardito^ 
E  poscia  lo  conosce  per  fratello. 
Rompe  indi  seco  in  un  drappello  unito 
Agramante  ,  e  gli  porge  aspro  flagello. 
Con  Rodomonte  al  fiero  ponte  uscito 
Ha  Brandimarte  grave  aspro  duello  ; 
li'  è  preso  ;  ed  il  Signor  di  Montalbano 
Combatte  il  suo  dcstrier  col  Sericano. 


Che  dolce  più  ,  che  più  giocondo  stato 
Saria  di  quel  d'  un  amoroso  core.» 
Che  viver  più  felice  e  più  l)eato, 
Che  ritrovarsi  in  servitù  d'  amore? 
Se  non  fosse  l'  uom  sempre  stimolato 
Da  quel  sospetto  rio ,     da  quel  timore, 
Da  quel  inartir,  da  quella  frenesia, 
Da  quella  rabbia,  detta  gelosia.» 
;.      Perocch'  ogni  altro  amaro,  clie  si  pone 
Tra  questa  soavissiuia  dolcezza, 
E  un   angumento ,  una  perfezione, 
Ed  un  condurre  amore  a  più  finezza, 
L'  a«;que  parer  fa  saporite  e  biu»ne 
La  sete,  e  il  cibo  pel  digiun  s'  apprezza. 
^(»n  conosce  la  pace,  e  non  l'  estima, 
Chi  provato  non  ha  la  guerra  prima. 
;.      Se  ben  non  veggon  gli  occhj   ciò ,  che  Tede 
Ognora  il  core,  in   pace  si  sopporta. 
Lo  ^tar  lontano,  p«»i  ,  quando  si  riede. 
Quanto   più  lungo  fu  ,  più  riconforta. 
L(»  stare  io  Mr>itù  senza  mercede, 
Purché  non  roti  la  speranza  morta, 
Patir  hi  può  -,  elle  premio  al  ben  servire 
Pur  viene  allin ,  se  ben  tarda  a  venire. 


4.  Gli  sdegni,  le  repulse,  e  finalmente 
Tutti  i  martir  d'  amor ,  tutte  le  pene 
Fan ,  per  lor  rimembranza ,  che  si  sente 
Con  miglior  gusto  un  piacer ,  quando  viene: 
Ma,  se  r  internai  peste  un'  egra  mente 
Avvien  che  infetti ,  ammorbi  ed  avvelcne, 
Se  ben  segue  poi  festa  ed  allegrezza, 
Kon  la  cura  1'  amante,  e  non  1'  apprezza. 

5.  Questa  è  la  cruda  e  avvelenata  piaga, 
A  cui  non  vai  liquor,  non  vale  impiastro, 
'Sé  murmure,  né  immagine  di  saga, 
]\è  vai  lungo  osservar  di  benigno  astro, 
Kè  quanta  esperienza  d'  arte  maga 
Fece  mai  1'  inventor  suo  Zoroastro: 
Piaga  crudel,  che  sopra  ogni  dolore 
Conduce  1'  uora ,  che  disperato  muore  ! 

6.  Oh  incurabile  piaga,  che  nel  petto 
D'  un  amator  si  facile  s'  imprime, 
Non  men  per  falso ,  che  per  ver ,  sospetto  ! 
Piaga ,  che  l'  uom  sì  crudelmente  opprime. 
Che  la  ragion  gli  offusca ,  e  1'  intelletto, 
E  lo  trae  fuor  delle  sembianze  prime  ! 
Oh  iniqua  gelosia,  che  così  a  torto 
Levasti  a  Bradamante  ogni  conforto! 

7.  Aon  di  questo ,  che  Ippalca  e  che  '1  fratcll(r' 
Le  avea  nel  core  amaraiiiante   impresso, 

Ma  dico  d'  un  annunzio  crudo  e  fello, 
Che  le  fu  dato  pochi  giorni  appresso. 
Questo   era  nulla ,   a  paragon  di   q<iello, 
Ch'  io  vi  dirò,  ma  dopo  alcun  digresso. 
Di  Rinaldo  ho  da  dir  primieramente. 
Che  ver  Parigi  vien  con  la  sua  gente. 

8.  Scontraro  il  dì  seguente  inver  la  sera 

Un  cavalier ,  eh'  avea  una  donna  al  fianco, 
Con  scudo  e  sopravvesta  tutta  nera. 
Se  n<ui  che  per  traverso  ha  un  fregio  bianco. 
Sfidò  alla  giostra  Ricciardetto,   eh'  era 
Dinanzi,  e  vista  avea  di  guerrier  franco; 
E  quel ,  che  mai  nessun  ricusar  volse, 
Girò  la  briglia,  e  spazio  a  correr  tolse. 


H3] 


ORLANDO    FURIOSO.      (XXXI.  9  —  24) 


^414] 


9.     Senza  dir  altro ,  o  più  notìzia  darsi 
Dell'  esser  lor ,  si  vengono  all'  incontro. 
Rinaldo ,  e  gli  altri  cavalier  fermarsi, 
Ver  veder ,  come  seguirla  lo  scontro. 
Tosto  costili  per  terra  ha  da  versarsi. 
Se  in  luogo  fermo  a  mio  modo  lo  incontro, 
Dicca  tra  sé  medesmo  Ricciardetto  : 
Ma  contrario  al  pensier  seguì  1'  effetto; 

0.     Perocché  lui  sotto  la  vista  offese 
Di  tanto  colpo  il  cavalier  estrano, 
Che  lo  levò  di  sella,  e  lo  distese 
Più  di  due  lance  al  suo  destrier  lontano. 
Di  vendicarlo  incontinente  prese 
L'  assunto  Alardo ,  e  ritrovossi  al  piano 
Stordito  ,  e  mal  acconcio  ;  sì  fu  crudo 
Lo  scontro  fier,  che  gli  spezzò  lo  scudo. 

.1.      Guicciardo  pone  incontinente  in  resta 
L'  asta,  che  vetle  i  duo  germani  in   terra, 
Benché  Rinaldo  gridi;  Resta,  resta! 
Che  mia  convien  che  sia  la  terza  guerra. 
Ma  1'  elmo  ancor  non  ha  allacciato  in  testa; 
Sicché  Guicciardo  al  corso  si  disserra; 
Ké  più  degli  altri  si  seppe  tenere, 
E  ritrovossi  subito  a  giacere. 

.2.      Vuol  Ricciardo  ,  Viviano  e  Malagigi, 
E  r  un  prima  dell'  aliro ,  esser  in  giostra; 
Ma  Rinaldo  pon  fine  ai  lor  litigi, 
Che  innanzi  a  tutti  armato  si  dimostra, 
Dicendo  loro  :  E  tempo  ire  a  Parigi  ; 
E  saria  troppo  la  tardanza  nostra, 
S'  io  volessi  aspettar  linché  ciascuno 
Di  voi  fosse  abbattuto  ad  uno  ad  uno. 

S.     Dissel  tra  sé,  ma  non  die  fosse  inteso; 
Che  saria  stato  agli  altri  ingiuria  e  scorno. 
L'   uno  e  l'  altro  del  campo  avea  già  preso, 
E  si  faceano  incontro  aspro  ritorno. 
Non  fu  Rinaldo  per  terra  disteso, 
Che  valca  tutti  gli  altri,  eh'  avea  intomo. 
Le  lance  si  fiaciàr  come  di  vetro, 
Kè  i  cavalier  si  piegar  oncia  addietro. 

.4.      L'  uno  e  1'   altro  ravallo  in  guisa  «rfosse, 
Che  lor  fu  f<uva  in   terra  jior  le  groppe. 
Dajardo  innnantineiite  ridri'/zosse, 
Tanto  eh'  appena  il  corrile  iiiterroppe; 
Sinistraiiiente  sì  1'  altro  percosse. 
Che  la  spalla  e  la  schiena  insieme  roppe. 
Il  cavalier,  che  '1  destrier  morto  vede, 
Lascia  le  staffe,  ed  è  subito  in  piede. 

.5.      Ed  al  figlio  d'  Aiiion ,  che  già  rivolto 
Tornava  a  lui  con  bi  man  vota,  disse: 
Signore,  il  buon  de>trier,  clic  tu  in'  hai  tolto, 
Pirrrliè  caro  mi  fu,  iiientreché  visse. 
Mi  faria  uscir  del   mio  «libito  molto. 
Se  co>ì  iiiMiidicato  si  morisse; 
Sicché  vientcìie ,  e  la  ciò,  che  tu  puoi, 
Perché  baltiiglia  esser  convien  tra  noi. 

U».      Disse  Rinaldo  a  lui  :  Se  'I  destrier  morto, 
E  iKui  altro,  ci  de'  porre  a   battaglia, 
Un  de'  mici  ti  darò,  piglia  contorto, 
Cile  mcn  del  tuo  non  crederò  che  vaglia. 
Colui  soggiunse:  Tu  sci  mal  accorto. 
Se  creder  vuoi,  che  d'   mi  destrier  mi  raglia. 
Ma  poiché  non  coiiipicnili  ciò,  eli'  io  voglio. 
Ti  spiegherò  più  cliiarauienle  il  foglio. 


17.  Vo'  dir,  che  rai  parria  commetter  fallo, 
Se  con  la  spada  non  ti  provassi  anco, 

E  non  sapessi ,   se  in  qnest'  altro  ballo 
Tu  mi  sia  pari ,  o  se  più  vali ,  o  manco. 
Come  ti  piace,  o  scendi,  o  sta  a  cavallo. 
Purché  le  man  tu  non  ti  tenga  al  fianco, 

10  son  contento  ogni  vantaggio  darti. 
Tanto  alla  spada  bramo  di  provarti 

18.  Rinaldo  molto  non  lo  tenne  in  lunga, 
E  disse  :  La  battaglia  ti  prometto  ; 

E ,  perchè  tu  sia  ardito  ,  e  non  ti  punga 
Di  questi ,  di'  ho  d'  intorno ,  alcun  sospetto. 
Andranno  innanzi,  finch'  io  li  raggiunga; 
Kè  meco  resterà ,  fuorch'  un  valletto, 
Che  mi  tenga  il  cavallo.     E  così  disse 
Alla  sua  compagnia ,  che  se  ne  gisse. 

1!).      La  cortesia  del  paladin  gagliardo 
Commendò  molto  il  cavaliere  strano. 
Smontò  Rinaldo,  e  del  destrier  Bajardo 
Diede  al  valletto  le  i*edine  in  mano; 
E  poiché  più  non  vede  il  suo  stendardo, 

11  qnal  di  lungo  spazio  è  già  lontano, 

Lo  scudo  imbraccia,  e  stringe  il  brando  fiero, 
£  sfida  alla  battaglia  il  cavaliero. 

20.  E  quivi  s'  incomincia  una  battaglia. 

Di  eh'  altra  mai  non  fu  più  fiera  in  vista. 
Non  crede  1'  un  ,  che  tanto  1'  altro  vaglia, 
Che  troppo  lungamente  gli  resista. 
Ma ,  poiché  '1  paragon  ben   li  ragguaglia, 
Né  r  un  dell'  altro  più  s'  allegra,  o  attrista, 
Pongon  r  orgoglio  ed  il  furor  da  parte. 
Ed  al  vantaggio  loro  usano  ogni  arte. 

21.  S'  odon  lor  colpi  dispietati  e  crudi 
Intorno  rimbombar  con  suono  orrendo. 
Ora  levando  i  canti  a'  grossi  scudi, 
Schiodando  or  piastre,  e  quando  maglie  aprendo. 
Né  qui  bisogna  tanto,  che  si  studj 

A  ben  ferir,  quanto  a  parar,  volendo 

Star  r  uno  all'  altro  jiar;  eh'  eterno  danno 

Lor  può  causare  il  primo  error,  che  fanno. 

22.  DuW)  r  assalto  un'  ora ,  e  più  che  "1  mezzo 
D'  un'  altra,  ed  era  il  sol  già  sotto  1'  onde. 
Ed  era  spai*so  il  tenebroso  rezzo 

Dell'  orizzon  fin  all'  estreme  sponde. 
Né  riposato,  o  fatto  altro  intermezzo 
Avcano  alle  percosse  furibonde 
QiR'sti  guerrier,  <he  non   ira,   o  rancore. 
Ma  tratto  all'  arme  uvea  disio  d"  oiioi-c. 

23.  Rìvolve  tuttavia  tra  sé  Rinaldo, 
Chi  sia  r  cstrano  cavalier  si  forte. 

Che  non  pur  gli   sia  contili  ardilo  e  saldo, 
Ma  spesso  il  mena  a  rischio  dilla  morte, 
E  già  tanto  travaglio  e  tanto  caldo 
Gli   ha  posto,  che  del  fin  dubita  forte; 
E  volenticr ,  se  con  suo  onor  potesse, 
Vorria,  che  quella  pugna  riiiianisse. 

24.  Dall'  altra  parte  il  cavaliero  istrano, 
(Tlie  siiiiiliiiente  non  avea  iioti/.ia. 

Clic  quel  fosse  il  signor  di   Montalbaiio, 

Quel  si  famoso  in  tutta  la  niili/,ia, 

die  gli  uvea  incontri  con  la  spada  in  mano 

('oiidotto  cosi  poca  iiiiiiici/.ia. 

Era  certo,  che  d'   iiom  di  più  eccellenza 

Nini  |)otossìn  d.ir  I'  nniie   esperienza. 


[415] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXXI.  25-40) 


[4IC 


34, 


35 


25.      Vorrebbe  dell'  impresa  esser  digiuno,  1 33. 

Ch'  avea  di  vendicare  il  suo  cavallo  ; 
£ .  se  potesse  senza  biasmo  alcuno. 
Si  trarrla  fuor  del  periglioso  ballo. 
11  mondo  era  già  tanto  oscuro  e  bruno, 
Che  tutti  i  colpi  quasi  ivano  in  fallo  : 
Poco  ferire,  e  men  parar  sapeano, 
Ch'  appena  in  man  le  spade  si  vedeano. 

26,     Fu  quel  da  3Iontalbano  il  primo  a  dire, 
Che  far  battaglia  non  denno  all'  oscuro, 
Ma  quella  indugiar  tanto,  e  difierire, 
Ch"  avesse  dato  volta  il  pigro  Arturo; 
E  che  può  intanto  al  padiglion  venire, 
Ove  di  so  non  sarà  men  sicuro, 
Ma  servito,  onorato,  e  ben  veduto, 
Quanto  in  loco,  ove  mai  fosse  venuto. 

27-      Non  bisognò  a  Rinaldo  pregar  molto, 
Che  '1  cortese  baron  tenne  1'  invito. 
ÌNe  vanno  insieme,  ove  il  drappel  raccolto 
lìi  Montalbano  era  in  sicuro  sito. 
Rinaldo  al  suo  scudiero  avea  già  tolto 
Un  bel  cavallo,  e  molto  ben  guernito, 
A  spada  e  lancia,  e  ad  ogni  prova  buono, 
Ed  a  quel  cavalier  fattone  dono. 

28.  Il  guerrier  peregrin  conobbe  quello 
Esser  Rinaldo,  che  venia  con  esso; 
Che,  primachè  giungessero  all'  ostello, 
Venuto  a  caso  era  a  nomar  sé  stesso  : 
E ,  perchè  V  un  dell'  altro  era  fratello, 
Si  sentì  dentro  di  dolcezza  oppresso, 
E  di  j)ictoso  affetto  tocco  il  core, 
E  lacrimò  per  gaudio  e  per  amore. 

29.  Questo  guerriero  era  Guidon  Selvaggio, 
Che  dianzi ,  con  Marfisa  e  Sansonetto 
E  i  figli  d'  Olivier,  molto  viaggio 
Avea  fatto  per  mar,  come  v'  ho  detto. 
Di  non  veder  più  tosto  il  suo  legnaggio 
11  fellon  Pinabel  gli  avea  interdetto, 
Avendol  preso,  e   a  bada  poi  tenuto 
Alla  difesa  del  suo  rio  statuto. 

30.  Guidon,  che  questo  esser  Rinaldo  udio. 
Famoso  sopra  ogni  famoso  duce, 
Cli'  avuto  avea  più  di  veder  disio, 
Che  non  ha  il  cieco  la  perduta  luce, 
Con  molto  gaudio  disse:  Oh  sign(u-  mio, 
Qual  fortuna  a  combatter  mi  conduce 
Con  voi ,  che  lungamente  ho  amato  ed  amo, 
E  sopra  tutto  il  mondo  onorar  bramo  f 

31.  Mi  partorì  Costanza  nell'  estreme 
Ripe  del  mar  eusino.     Io  son  Guidone, 
Concetto  dell'  illustre  inclito  seme. 
Come  ancor  voi,  del  generoso  Amone. 
Di  voi  vedere ,  e  gli  altri  nctstri  insieme, 

11  desiderio  è  del  venir  cagione  ; 

E.  dove  mia  intenzion  fu  d'  onorarvi, 

^li  veggo  esser  venuto  a  ingiuriarvi.  i 

32.      Ala  scusimi  appo  voi  d'  un  error  tanto,  40. 

Cir  io  non  Ilo  voi,  nò  gli  altri  conosciuto  ! 
E  tt"  emendar  si  piìò  ,  ditemi ,  quanto  i 

Far  debbo;  che  in  ciò  far  nulla  rifiuto, 
l'oichè  bi  fu  da  questo  e  da  quel  cauto 
De'  compie-»!  iterati  al   fin  venuto, 
Rii^iuiée  a  ini  Rinaldo:  \on  vi  caglia 
Meco  scusarvi  più  ilclla  battaglia  ; 


Che  per  certificarne,  che  voi  sete 
Di  nostra  antica  stirpe  lui  vero  ramo, 
Dar  miglior  testimonio  non  potete, 
Che  1  gran    valor,   che  in  voi  chiaro  provìanic 
Se  più  pacifiche  erano  e  quiete 
Vostre  maniere,  mal  vi  credevamo; 
Che  la  damma  non  genera  il  leone, 
]\è  le  colombe  1'  aquila  o  '1  falcone. 

Non  ,  per  andar ,  di  ragionar  lasciando, 
Non  di  seguir,  per  ragionar,  lor  via. 
Vennero  ili  padiglioni ,  ove  narrando 
Il  buon  Rinaldo  alla  sua  compagnia. 
Che  questo  ei-a  Guidon ,  che  desiando 
Veder ,  tanto  aspettato  aveano  pria , 
Molto  gaudio  apportò  nelle  sue  squadre, 
E  parve  a  tutti  assiniigliarsi  al  padre. 

Non  dirò  1'  accoglienze,  che  gli  fero 
Alardo,  Ricciardetto  e  gli  altri  dui. 
Che  gli  fece  Viviano  ed  Aldigiero, 
E  Malagigi,  frati  e  cugin  sui, 
Ch'  ogni  signor  gli  fece,  e  cavaliero. 
Ciò,  che  egli  disse  a  loro,  ed  essi  a  lui; 
3Ia  vi  concluderò ,  che  finalmente 
Fu  ben  veduto  da  tutta  la  gente. 

36.  Caro  Guidone  a'  suoi  fratelli  stato  ^ 
Credo  sarebbe  in  ogni  tempo  assai  ; 
Ma  lor  fu  al  gran  bisogno  ora  più  grato, 
Ch'  psser  potesse  in  altro  tempo  mai. 
Posciachè  "1  nuovo  sole  incoronato 
Del  mare  uscì  di  luminosi  rai, 
Guidon,  coi  frati  e  coi  parenti  in  schiera, 
Se  ne  tornò  sotto  la  lor  bandiera. 

37.  Tanto  un  giorno  ed  un  altro  se  n'  andavo,  ^ 
Che  di  Parigi  alle  assediate  pcu'te 
A  men  di  dieci  miglia  s'  accostare. 
In  ripa  a  Senna,  ove  per  buona  sorte 
Grifone  ed  Aquilante  ritrovare, 
I  duo  guerrier  dall'  armatura  forte; 
Grifone  il  bianco,  ed  Aquilante  il  nero, 
Che  partorì  Gismonda  d'  Oliviero. 

SS.      Con  essi  ragionava  una  donzella. 
Non  già  di  vii  condizione  in  vista, 
ClfC  di  sciamito  bianco  la  gonnella 
Fregiata  intorno  avea  d'  aurata  lista  ; 
Molto  leggiadra  in  apparenza,  e  bella. 
Fosse  quantunque  lagrimosa  e  trista  ; 
E  mostrava  ne'  gesti  e  nel  sembiante 
Di  cosa  ragionar  molto  importante. 

Conobbe  i  cavalier,  come  essi  lui, 
Guidon  .  che  fu  con  lor  pochi  «lì  innanzi. 
Ed  a  Rinaldo   disse:  Eccovi  dui, 
A  cui  van  pochi  di  valore  innanzi  ; 
E  ,  se  per  Carlo  ne  verrau  con  nui, 
Non  ne  staranno  i  Sariu-ini  innanzi. 
Rinaldo  di  (ìnidon  conferma  il  detto. 
Che  r  uno  e  1'  altro  era  guerrier  perfetto. 

Gli  avea  riconosciuti  egli  non  manco; 
Perocché  quelli  sempre  erano  usati, 
L'  un  tutto  nero,  e  1'  altro  tutto  bianco 
Aestir  suir  arme,  e  nu)lto  andare  ornati. 
Dair  altra  parte  essi  conobber  anco, 
E  salutar  Guidon,  Rinaldo  e  i  frati. 
Ed  abbrac(^iàr  Rinaldo,  corno  amico, 
Messo  da  parte  ogni  ior  odio  antico. 


39. 


f 


417] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXF.  41  —  56) 


[418] 


41.  S'  ebbero  un  tempo  in  onta  e  in  gran  dispetto 
Per  Truffaldiu,  che  fora  lungo  a  dire; 

Ma  quivi  insieme  con  fraterno  affetto 
S'  accarezzar,  tutte  obbliando  1'  ire. 
Rinaldo  poi  si  volse  a  Sansonetto, 
Ch'  era  tardato  un  poco  più  a  venire, 
E  lo  raccolse  col  debito  onore, 
Appieno  instrutto  del  suo  gran  valore. 

42.  Tostochè  la  donzella  più  vicino 
Vide  Rinaldo  ,  e  cnno^ciuto  1'  ebbe, 
Ch'  avea  notìzia  d'  ogni  paladino, 

Gli  disse  una  novella,  che  gì'  increbbe, 
E  cominciò  :  Signore ,  il  tuo  cugino, 
I       A  cui  la  chiesa  e  l'  alto  imperio  debbe. 
Quel  già  si  saggio  ed  onorato  Orlando, 
E  fatto  stolto ,  e  va  pel  mondo  errando. 

143.      Onde  causato  così  strano  e  rio 
Accidente  gli  sia,  non  so  narrarte; 
La  sua  spada  e  l'  altr'  arme  ho  vedute  io, 
Che  per  li  campi  avea  gittate  e  sparte; 
E  vidi  un  cavalier  cortese  e  pio, 
Che  le  andò  raccogliendo  da  ogni  parte, 
E  poi  di  tutte  quelle  un  arbuscello 
Fé',  a  guisa  di  trofeo,  pomposo  e  bello. 

44.     Ma  la  spada  ne  fu  tosto  levata 

Dal  figliuol  d'  Agricane,  il  dì  medesmo. 
Tu  puoi  considerar,  quanto  sia  stata 
Gran  perdita  alla  gente  del  battesrao, 
L'  esser  un'  altra  volta  ritornata 
Durindana  in  poter  del  paganesmo. 
INO  Brigliadoro  mcn ,  eh'  errava  sciolto 
Intorno  all'  arme,  fu  dal  pagan  tolto. 

IT).      Son  pochi  dì,  eh'  Orlando  correr  vidi, 
Senza  vergogna  e  senza  senno,  ignudo, 
Con  urli  spaventevoli  e  con  gridi. 
Ch'  è  fatto  pazzo,  in  sonuna  ti  conchiudo: 
E  non  avrei,  fuorch'  a  questi  occhj  fidi, 
("leduto  mai  sì  acerbo  caso  e  crudo, 
l'oi  narrò,  che  lo  vide  giù  dal  ponte 
Abbracciato  cader  con  Rodomonte. 

46.  A  qualunque  io  non  creda  esser  nimico 
D'  Oliando,  soggiungea,  di  ciò  favello, 
Accioccir  alcun  di  tanti ,  a  eh'  io  io  dico, 
Mosso  a  pietà  del  caso  strano  e  fello, 
Cerchi  o  a  Parigi,  o  in  altro  luogo  amico 
Ridurlo,  finché  si   purghi  il  cervello. 
Ben  80,  se  Brandimarte  n'  avrà  nova, 
Sarà  per  farne  ogni  possibil  prova. 

47.  Era  costei  la  bella  Fiordiligi, 
Più  cara  a  Brandimarte,  che  sé  stesso, 
La  qual,  per  lui  trovar,  venia  a  Parigi: 
E  della  s|)ada  ella  soggiunse  appresso, 
(/he  discordia  e  conte!>a  e  gran  litigi 
Tra  il  SericaiU)  e  '1  Tartaro  avea  messo, 
E  di'  avuta  1'  avea,  poiché  fu  casso 
Ui  vita  Mandricardo,  allin  Gradasso. 

48.  Di  così  strano  e  misero  accidente 
Rinaldo  senza  fin  si  lagna  e  duole; 
^è  il  core  intenerir  nieii  se  ne  sente, 
Che  coglia  intenerirai  il  gliiaccio  al  sole; 
E  con  disposta  ed   immutabii  mente, 
Ovuiujuc  Orlando  sia,  cercar  lo  \uole. 
Con  bp«-ine,  poiché  ritrovato  V  abbia, 
Di  furio  risanar  di  quella  rabbia. 


49.  Ma  già  lo  stuolo  avendo  fatto  unire, 
Sia  volontà  del  cielo,  o  sia  avventura, 
Vuol  fare  i  Saracin  prima  fuggire, 

E  liberar  le  parigine  mura. 

Ma  consiglia  1'  assalto  differire, 

Che  vi  par  gran  vantaggio,  a  notte  scura, 

Nella  terza  vigilia ,  o  nella  quarta, 

Ch'  avrà  1'  acqua  di  Lete  il  sonno  sparta. 

50.  Tutta  la  gente  alloggiar  fece  al  bosco, 
E  quivi  la  posù  per  tutto  "1  giorno. 

3Ia,  poi'.lié  '1  sol,  lasciando  il  mondo  fosco. 

Alla  nutrice  antica  fé'  ritorno, 

Ed  orsi  e  capre ,  e  serpi  senza  tosco, 

E  r  altre  fere  ebbono  il  cielo  adorno, 

Che  state  erano  ascose  al  maggior  lampo. 

Mosse  Rinaldo  il  taciturno  campo  : 

r>l.      E  venne,  con  Grifon,  con  Aquilante, 
Con  Vivian ,  con  Alardo  e  con  Guidone, 
Con  Sansonetto ,  agli  altri  un  miglio  innante, 
A  cheti  passi ,  e  senza  alcun  sermone. 
Trovò  dormir  1'  ascolta  d'  Agramante; 
Tutta  r  uccise,  e  non  ne  fé'  un  prigione. 
Indi  arrivò  tra  I'  altra  gente  mora. 
Che  non  fu  visto,  né  sentito  ancora. 

53.      Del  campo  d'  infedeli  a  prima  giunta 
La  ritrovata  guardia  all'  improvviso 
Lasciò  Rinaldo  sì  rotta  e  consunta, 
Ch'  un  sol  non  ne  restò,  se  non  ucciso. 
Spezzata  che  lor  fu  la  prima  punta, 
1  Saracin  non  l'  avean  più  da  riso; 
Che  sonnolenti,  timidi  ed  inermi, 
Poteano  a  tai  guerrier  far  pochi  schermì. 

53.  Fece  Rinaldo,  per  maggior  spavento 
De'  Saracini,  al  mover  dell'  assalto, 

A  trombe  e  a  corni  dar  subito  vento, 
E  gridando  il  suo  nome  alzare  in  alto. 
Spinse  Bajardo ,  e  quel  non  parve  lento, 
Che  dentro  all'  alte  sbarre  entrò  d'  un  salto, 
E  versò  «:avalier,  pestò  pedoni. 
Ed  atterrò  trabacche  e  padiglioni. 

54.  Non  fu  si  ardito  tra  il  popol  pagano, 
A  cui  non  s'  arricciassero  le  chiiuue, 
Quando  sentì  Rinaldo  e  Montalbano 
Sonar  per  1'  aria  il  formidato  nome. 
Fugge  col  campo  d'  Africa  1'  lspaiu>, 
Né  perde  tempo  a  caricar  le  some; 
Ch'  as|)ettar  quella  furia  più  non  vuole, 
Ch'  aver  provata  anco  ^i  piagne  e  duole. 

55.  Giiidon  Io  segue  e  non  fa  men  di  lui  ; 
Né  nuMi  fanno  i  diu)  figli  d"  Olivier.», 
Alardo  e  Rie«'iardctto  ,  e  gli  altri  dui. 
Col  brando  Sansonetto  apre  il  sentiero. 
Aldigiero  e  ^i^iau  |)ro>are  altrui 

Fan,  quanto  in  arme  1'  uno  t'  1'  altro  è  fiero: 
C«)sì  fa  «tgnim,  che  segue  lo  steiulardu 
Di  Chiaramonto ,  da  guerrier  gagliardo. 

50.      Settecenti»  con  lui  tenea  Rinaldo 

In  ^lontalltano,  e  intorno  a  quelle  ville. 
Usati  a  portar  1'  arnu>  al  freddo  e  al  caldo. 
Non  già  più   rei  ile'   Mirmiilou  d'  Achille. 
Ciascun  d'  O'-i  al  iti^ogno  era  bì  saldo, 
('he  cento  infiline  non  fuggian   per  mille; 
E  se  uu  potean  uuilli  bceglier  fuori, 
(/he  d'  alcun  de'  famosi  eran  migliori. 

2Ì 


[419] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXL  57-72) 


[420 


57.  E ,  se  Rinaldo  ben  non  era  molto 
Ricco ,  né  di  città ,  né  di  tejioro, 
Facea  sì  con  parole  e  con  buon  volto, 

E  ciò  eh'  avea,  partendo  ognor  con  toro, 
Ch'  un  di  quel  nunier  mai  non  gli  fu  tolto. 
Per  offerire  altrui  più  somma  d^  oro. 
Questi  da  Montaiban  mai  non  riraove. 
Se  non  lo  stringe  un  gran  bisogno  altrove. 

58.  Ed  or,  perch'  abbia  il  Magno  Carlo  ajuto, 
Lasciò  con  poca  guardia  il  suo  castello. 

Tra  gli  African  questo  drappel  venuto, 
Questo  drappel.  del  cui  valor  favello, 
Ke  fece  quel,  che  del  gregge  lanuto 
Sul   falantéo  Galeso  il  lupo  fello, 
O  quel  che  soglia  del  barbato,  appresso 
Il  barbaro  Cinifio,  il  leon  spesso. 

59.  Carlo,  eh'  avviso  da  Rinaldo  avuto 
Avea ,  che  presso  era  a  Parigi  giunto, 
E  che  la  notte  il  campo  sprovve(Uito 
Volea  assalir,  stato  era  in   arme  e  in  punto, 
E  quando  Jìisognò ,  venne  in  ajuto 

Coi  paladini  ;  e  ai  paladini  aggiunto 
Avea  il  figliuol  del  ricco  Monodante, 
Di  Fiordiligi  il  fido  e  saggio  amante, 

(jO.      Ch'  ella  ,  più  giorni ,  per  si  lunga  via 
Cercato  avea  per  tutta  Francia  invano. 
Quivi,  all'  insegne,  che  portar  solia. 
Fu  da  lei  conosciuto  di  lontano. 
Come  lei  Brandimarte  vide  pria. 
Lasciò  la  guerra  ,  e  tornò  tutto  umano, 
E  corse  ad  abbracciarla,  e  d'  amor  pieno 
Mille  volte  bacioUa,  o  poco  meno. 

61.  Delle  lor  donne  e  delle  lor  donzelle 
Si  lìdàr  molto  a  quell'  antica  etade, 
Senz'  altra  scorta  andar  lasciando  quelle 
Per  piani  e  monti,  e  per  strane  contrade; 
Ed  al  ritorno  1'  han  per  buone  e  belle, 
Kè  mai  tra  lor  suspicione  accade. 
Fiordiligi  narrò  quivi  al  suo  amante. 
Che  fatto  stolto  era  il  signor  d'  Anglante. 

62.  Brandimarte  sì  strana  e  ria  novella 
Creder  ad  altri  aj>pena  avria  potuto  ; 
Ma  la  credette  a  Fiordiligi  bella, 

A  cui  già  maggior  cose  avea  creduto. 
Non  jìur  d'  averlo  udito  gli  di<:e  ella. 
Ma  che  con  gli  occlij  proprj   l'  ha  veduto  ; 
Cb'  ha  conoscenza  e  pratica  d'  Orlando, 
Quanto  alcun  altro;  e  dice,   dove  e  quando. 

63.  E  gli  narra  del  ponte  periglioso, 
Cbe  Rodomonte  ai  cavalier  difende, 
Ove  un  sepolcro  ad(u-na,  e  fa  pomposo 
Di  sopravveste,  e  d'  arnie  di  cbi  prende. 
ISarra ,  <h'  ha  visto  Orlaiulo  furioso 
Far  cose  <|uivi  orribili  e  stupende  ; 

('ile  nel  (iume  il  pagau  mandò  riverso, 
Con  gran  periglio  dì  restar  sommerso. 

64       Brandimarte,  che  'I  conte  ama\a,  quanto 
Si  può  compagno  amar,   fratello,  o  figlio, 
Dii-po-to  di  o-rc.irlo,  e  di  far  tanto, 
Non   ri(U..aiMl<>  alfaimo,  nò  periglio, 
('be  per  opra  <li  medico  o  d'  ini^into 
Si  ponga  a  quel  fur(»r  quab'he  consiglio, 
Così  come  lro\oHr-i  armato  in  sella, 
Si  inì?e  in  via  c(ui  la  sua  donna  bella. 


65. 


66. 


67. 


68 


69. 


70 


Verso   la  parte,  ove  la  donna  il  conte 
Avea  veduto,  il  lor  cammin  driz/aro, 
Di  giornata  in  giornata,  finch'  al  ponte. 
Che  guarda  il  re  d'  Algier,  si  vilrovaro. 
La  g'.jardia  ne  fé'  segno  a  Rodomonte, 
E  gli  scudieri  a  un  tempo  gli  arrecaro 
L'  arme  e  il  cavallo,  e  quel  si  trovò  in  punto, 
Quando  fu  Brandimarte  al  passo  giunto. 

Con  voce,  qual  conviene  al  suo  furore. 
Il  Saracino  a  Brandimarte  grida  : 
Qualunque  tu  ti  sia,  che  per  errore 
Di  via,  o  di  mente,  qui  tua  sorte  guida, 
Scendi ,  e  spogliati  l'  arme  ,  e  faune  onore 
Al  gran  sepolcro ,  innanzich'  io  t'  uc.  ida, 
E  che  vittima  all'  ombre  tu  sia  ofi'crto  ! 
Ch'  io  '1  farò  poi,  né  te  n'  avrò  alcun  merto. 

Non  volse  Brandimarte  a  quell'  altero 
Altra  risposta  dar  ,  che  della  lancia. 
Sprona  Batoido,  il  suo  gentil  destriero, 
E  inverso  quel  con  tanto  ardir  si  lancia, 
Che  mostra,  che  può  star  d'  animo  fiero 
Con  qualsivoglia  al  mondo  alla  liilancia; 
E  Rodomonte,  con  la  lancia  in  resta. 
Lo  stretto  ponte  a  tutta  briglia  pesta. 

Il  suo  destrier,  eh'  avea  continuo  uso 
D'  andarvi  sopra,  e  far  di  quel  sovente 
Quando   uno,  e  quando  un  altro  cader  giuso. 
Alla  giostra  correa  sicuramente. 
L'  altro,   del  corso  insolito  confuso, 
Venia  dubbioso ,  timido  e  tremente. 
Trema  anco  il  ponte ,  e  par  cader  nell'  onda, 
Oltrech'  è  stretto ,  e  che  sia  senza  sponda. 

I  cavalier,  di  giostra  ambi  maestri. 
Che  le  lance  avean  grosse ,  ctìuie  travi, 
Tali,  qual  fur  ne'  lor  ceppi  silvestri. 
Si  dieron  colpi  non  troppo  soavi. 
Ai  lor  cavalli  esser  possenti  e  destri 
Non  giovò  iiHtlto  agli  aspri  colpi  e  gravi  ; 
Che  *■!  versar  di  pari  aiiibi  sul  ponte, 
E  seco  i  signor  lor  tutti  in  un  monte. 


71 


Nel  volersi  levar  con  quella  fretta. 
Che  lo  spronar  de'  fianchi  insta  e  richiede, 
L'  asse  del  pontìcel  lor  fu  sì  stretta. 
Che  non  trovaro ,  ove  fermare  il  piede; 
Sicché  una  sorte  ugnale  ambi  li  getta 
Neil'  acqua,  e    gran  rimbombo  al  ciel  ne  rieJe 
Simile  a  quel ,  eh'  usci  del  nostro  fiume, 
Quando  ci  cadde  il  mal  rettor  del  lume. 

I  duo  camalli   andar  con  tutto  'l  pondo 
De'  cavalier ,  che  stèron  fermi  in  sella, 
A  cercar  la  riviera  inaino  al  fonilo , 
Se  v'  era  ascosa  alciuia  ninfa  bella. 
Non  è  già  il  primo  salto,  né  'l  sccomlo. 
Che  giù  del  ponte  abbia  il  pagano  in  quella 
Onda  spiccato  col  destriero  audace; 
PeiV»  sa  ben,  come  quel  fondo  giace. 

72.      Sa,  dove  è  saldo,  e  sa,  dove  è  più  molle; 
Sa,   dove  è  1'  acqua  bassa,  e  dove  è  l'  alta. 
Dal  fiume  il  capo ,  il  petto  e  i  fianchi  estolle, 
E  liraiulimarte  a  gran  vantaggio  assalta. 
Br;indimarte  il  correntt;  in  giro  tolle. 
Nella  sabbia  il  destrier,  che  '1  fondo  smalta, 
Tutte»  si  ficca ,  e  non  può  riaversi. 
Con  riscliio  di  restarvi  ambi  sommersi. 


t21] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXXI.  73-88) 


[422] 


3.      L'  onda  si  leva,  e  li  fa  andar  sozzojna, 
E  dove  è  più  protonda  li  trasporta. 
Va  Brandiinarte  sotto,  e  'I  destrier  sopra. 
Fiordiligi  dal  ponte  ,  afflitta  e  smorta, 
E  le  lagrime  e  i  voti  e  i  preghi  adopra. 
Ah,  R(»domonte,  per  colei,  cJie  morta 
Tu  riverisci ,  non  esser  si  fiero, 
Ch'  affogar  lasci  un  tanto  cavaliero  ! 

fi.      Deh  !  cortese  signor ,  s'  unqua  tu  amasti, 
Di  me,  eh'  amo  costui ,  pietà  ti  vegna  ! 
Di  farlo  tuo  prigion ,  per  Dio  ,  ti  basti  ! 
Che  s'  orni  il  sasso  tuo  di  quella  insegna, 
Di  quante  spoglie  mai  iu  gli  arrecasti, 
Questa  fla  la  più  beila,  e  la  più  degna. 
E  seppe  sì  ben  dir,  eh'  ancorché  f(tsse 
Si  crudo  il  re  pagan  ,  pm-  lo  commosse  ; 

<5.      E  fé',  che  'l  suo  nmator  ratto  soccorse, 
Che  sotto  acqua  il  destrier  tenea  sepolto, 
E  della  vita  era  venuto  in  forse, 
E  senza  sete  avea  bevuto  molto. 
Ma  ajuto  non  però  prima  gli  porse, 
Clie  gli  ebbe  il  brando  ,  e  di  poi  1'  elmo  tolto. 
Dell'  acqua  mezzo  morto  il  trasse,  e  porre 
Con  molti  altri  lo  fé'  nella  sua  torre. 

76.      Fu  nella  donna  ogni  allegrezza  spenta, 
Quando  prigion  vide  il  suo  amante  gire; 
Ma  di  questo  pur  meglio  si  contenta, 
Che  di  vederlo  nel  fiume  perire. 
Di  sé  stessa,  e  non  d'  altri  si  lamenta; 
Cile  fu  cagion  di  farlo  ivi  venire. 
Per  avergli  narrato ,  eh'  avea  il  conte 
Riconosciuto  al  periglioso  ponte. 

n.      Quindi  si  parte,  avendo  già  concetto 
Di  menarvi  Rinaldo  paladino, 
O  il  Selvaggio  (Guidone ,  o  Sansonetto, 
O  altri  della  corte  di  l'ipino. 
In  acqua  e  in  terra  ca^alier  perfetto, 
Da  poter  contrastar  col  Saracino; 
Se  non  più  forte,  aluien  più  fortunjito, 
Che  Ur<tndimartc  suo  non  era  stato. 

18.  Va  molti  giorni ,  primarlu'-  s'  abbatta 
In  alcun  cavalier ,  eh'  abbia  scnibiaiitc 
D"  esiser,  come  lo  vuol ,  percliè  combatta 
Col  Saracino,  e  liberi  il  suo  amante. 
Dopo  molto  cenuir  di  persona  atta 
Al  suo  bisogno,  un  le  vien  pur  avante, 

-  Che  sopra^  vestii  avea  ricca  ed  ornata, 
A  tronchi  di  cipres^^i  ricamata. 

19.  Chi  costui  fosse,  altrove  ho  da  narrarvi; 
Che  jìrima  ritornar  voglio  a  l'arigi, 

E  della  gran  s('()nfitta  seguitarvi, 
Cir  a'  Mori  die  Uiiialdo  e  Vlalagigi. 
Quei  «'he  fuggirò,  io  non  saprei  contarvi, 
Né  quei  che   tur  cacciati  ai  liuuii  stigj. 
Levò  a  'l'urpino  il  conto  T  aria  oscura. 
Che  di  contarli  s'   aica  preso  cura. 

80.      Nel  primo  sonno  dentro  al  padiglione 
Dorinia  Agramantc^ ,  e  un  c.ivalier  lo  decita, 
Dii  cndogli ,  che  fia  l'atto  prigione, 
Se  la  foga  min  è  \'ui  più  che  presta. 
Guarda  il  re  ìnt(M-no  ,  v.  la  conliisioiH; 
V«de  dei  suoi  ,  che  van  ,  senza  far  testa, 
Chi  qua,  clii  lù  fuggendo  inermi  e  nudi; 
('he  non  lian  l<;mpo  dì  più-  tor  gli  sciuli. 


83 


Tutto  confuso,  e  privo  di  consìglio, 
Si  iacea  porre  irnlosso  la  corazza. 
Quando  con  Falsiron  vi  giunse  il  figlio 
Grandonio  e  Balugante ,  e  quella  razza  ; 
E  al  re  Agramante  mostrano  il  periglio 
Di  restar  morto,  o  preso  in  quella  piazza; 
E  che  può  dir ,  se  salva  la  persona, 
Che  fortuna  gli  sia  propizia  e  buona. 

Così  Marsilio ,  e  cosi  il  buon  Sobrino, 
E  cosi  di<;on  gli  altri  ad  una  voce, 
Cli'  a  sua  distrnzion  tanto  è  vicino, 
Qnanto  a  Rinaldo,  il  qual  ne  vien  veloce; 
Che,  se  aspetta,  che  giunga  il  paladino 
Con  tanta  gente ,  e  un  uom  tanto  feroce. 
Render  certo  si  può ,  eh'  egli ,  e  ì  suoi  amici, 
Rìmarran  morti,  o  in  man  degl'  inimici. 

Ma  ridur  si  può  in  Arli,  o  sia  in  Xarbona, 
Con  quella  poca  gente,  eh'  ha  d'  intorno; 
Che  1'  una  e  l'  altra  terra  è  forte  e  buona 
Da  mantener  la  guerra  più  d'  un  giorno  : 
E  quando  salva  sia  la  sua  persona, 
Si  potrà  vendicar  di  questo  scorno, 
Rifacendo  1'  esercito  in  un  tratto. 
Onde  alfin  Carlo  ne  sarà  disfatto. 

81.      11  re  Agramante  al  parer  lor  s'  attenne. 
Benché  '1  partito  fosse  acerbo  e  duro. 
Andò  verso  Arli,  e  parve  aver  le  penne 
Per  quel  cammin ,  che  più  tro^ò  sicuro. 
Oltre  alle  guide,  in  gran  favor  gli  venne. 
Che  la  partita  fu  per  1'  aer   scuro. 
Aentimila,  tra  d'  Africa  e  di  Spagna, 
Fur  ,  eh'  a  Rinaldo  uscir  fuor  della  ragna. 

85.  Quei  eh'  egli  uccise  ,  e  quei  che  i  suo'  fratelh*, 

Quei  che  i  duo  figli  del  signor  di  A  ienna. 
Quei .  che  provaro  enipj  nemici  e  felli 
I  settecento,  a  cui  Rinaldo  accenna, 
E  quei  che  spense  Sansonetto  ,  e  quelli 
Che  nella  fuga  s'  ad'ogaro  in  Senna, 
Chi  potesse  ("oiitar  ,  conteria  ancora 
Ciò  che  sparge  d'  aprii  Favonio  e  Flora. 

86.  Estima  alctm  ,  che  Malagigi  parte 
Kella  littoria  avesse  delbi  notte; 

]\on  che  di  sangue  le  compagne  sparte 

Fosser  per  lui,  né  per  lui  teste  rotte; 

Ma  che  gf  inlVrnali  angeli  per  arte 

Facesse  uscir  dalle  tartaree  grotte, 

E  con  tante  bandiere  e  tante  lance. 

Che  in>iem('  più  non  ne  porrian  due  France; 

81.      E  che  facesse  udir  tanti  metalli. 
Tanti  tamburi,  e  tiUiti  mu\\  ^uoni, 
Tanti  aiiniiriri  in  aocc  di  cavalli, 
l'ariti  gridi  e   ttunulli  di  |)((loni. 
Che  ris(Hiar  e  piani  e  uuwiti  e  valli 
Dovean  «Ielle  longin<|U(ì  regioni: 
Ed  a'  >lori  con  (|ue>to  un  liiiior  diede, 
Che  li  fece  \ oliare  in  foga  il  piede. 

88.      INon  si  scordò  il  re  d'  Africa  Kuggiero, 
Cir  era  ferito,  e  stava  ancora  graM-: 
Quanto  potè  più  a<'i  oncio  ^u  un  destriero 
liO  lece  por,  eh'  a^ea  I"  andar  >oa>e; 
E,   poiché  r  el)lie  tratto.    in<-  il  s<>iitiero 
Fu  più  ^i^llro,  il  le'  ptoare  in  na%e, 
I!  ^(>rso  Arli  portar  comodHinenle, 
l)t)^e  w'  nvca  a  raccor  Ihiiìi  la  gente. 

Té   "^ 


[423] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXI.    89  —  104) 


[421 


89.  Quei  eh'  a  Rinaldo  e  a  Carlo  dièr  le  spalle, 
Far,   credo,  centomila,  o  poco  manco, 

Per  campag-ne ,  per  bosichi ,  e  monte ,  e  valle 

Cercar©  iiticir  di  man  del  popol  franco. 

Ma  la  più  parte  trovò  chiuso  il  calle, 

E  fece  rosso ,  ov'  era  verde  e  bianco. 

Così  non  fece  il  re  di  Sericana, 

Ch'  avea  da  lor  la  tenda  più  lontana. 

90.  Anzi ,  come  egli  sente ,  clic  '1  signore 
Di  3Iontalbano  è  questo  ,  che  gli  assalta. 
Gioisce  di  tal  giubilo  nel  core, 

Che  qua  e  là  per  allegrezza  salta. 
Loda  e  ringrazia  il  suo  sommo  Fattore, 
Che  quella  notte  gli  occorra  tant'  alta 
E  sì  rara  avventura,  d'  acquistare 
Bajardo ,  quel  destrier ,  che  non  ha  pare. 

91.  Avea  quel  re  gran  tempo  desiato, 
Credo  eh'  altrove  voi  1'  abbiate  letto, 
D'  aver  la  buona  Durindana  allato, 

E  cavalcar  quel  corridor  perfetto; 
E  già,  con  più  di  centomila  armato. 
Era  Aenuto  in  Francia  a  questo  effetto; 
E  con  Ilinahlo  già  sfidato  s'  era. 
Per  quel  cavallo ,  alla  battaglia  fiera  ; 

92.  E  sul  lito  del  mar  s'  era  condutto, 
Ove  dovea  la  pugna  diffiiiire: 

Ma  Malagigi  a  turbar  venne  il  tutto, 
Che  fc'  il  cugin  mal  grado  suo  partire, 
Avendol  sopra  un  legno  in  mar  ridutto. 
Lungo  sana  tutta  l'  istoria  dire. 
Da  indi  in  qua  stimò  timido  e  vile 
Sempre  Gradasso  il  paladin  gentile. 

93.  Or  che  Gradasso  esser  Rinaldo  intende 
Costui,  eh'  assale  il  campo,  se  u'  allegra. 
Si  veste  l'  arme,  e  la  sua  Alfana  prende, 
E  cercando  lo  va  per  1'  aria  negra; 

E  quanti  ne  riscontra ,  a  terra  stende, 
Ed  in  confuso  lascia  afflitta  ed  egra 
La  gente,  o  sia  di  Libia,  o  sia  di  Francia; 
Tutti  li  mena  a  un  par  la  buona  lancia. 

94.  Lo  va  di  qua ,  di  là  tanto  cercando, 
dilaniando  spesso,  e  quanto  può  più  forte, 
E  sempre  a  quella  parte  dec.iinando, 

Ove  jìiù  folte  son  le  genti  morte, 

Ch'  alfin  s'  incontra  in  lui  brando  per  brando, 

Poiché  le  lance  loro  ad  una  sorte 

Eriin  salite,  in  mille  schegge  rotte. 

Sin  al  carro  stellato  della  notte. 

95.  Quando  Gradasso  il  paladin  gagliardo 
Conos('e,  non  pen-liè  ne  Aegga  insegna, 
I\Ia  per  gli  orrendi  colpi,  e  per  (Jajardo, 
Che  par  ,  c-he  sol  tutto  quel  <  iimi)o  tegna, 
!\(m  è,  gridando,  a  iin|)r(»\  crargli  tardo 
La  prova,  che  di  sé  l'ciu;  non  degna; 

Ch'  al  dato  campo  il  giorno  non  compar 
Che  tra  lor  la  battaglia  dovea  farse. 

9fì.      Soggiunse  poi:  Tu  forse  avevi  speme. 
Se  i)(it(\i  na.(!onderti  quel  punto, 
Cile  non  mai  più  per  raccozzarci  insieme 
Fossiiiu)  al  mondo;  or  vedi,  eh'  io  t'ho  giunto. 
Sii  certo,  t.v,  tu  andassi  ncll'  estreme 
Fosse  di  Stigfr,  o  fossi  in  cielo  assunto. 
Ti  seguirò,  quando  abbi  il  destrier  tcco, 
Ncir  aita  luce ,  e  giù  nel  mondo  cieco. 


97.  Se  d'  aver  meco  a  far  non  ti  dà  il  core, 
E  vedi  già ,  che  non  puoi  stirmi  a  paro, 
E  più  stimi  la  vita ,  che  l'  onore, 
Senza  periglio  ci  puoi  far  riparo, 
Quando  mi  lasci  in  pace  il  corridore, 

E  viver  puoi ,  se  sì  t'  è  il  viver  caro: 
Ma  vivi  a  pie;  che  non  merti  cavallo, 
S'  alla  cavalleria  fai  sì  gran  fallo. 

98.  A  quel  parlar  si  ritrovò  presente. 
Con  Ricciardetto ,  il  cavalier  Selvaggio  ; 
E  le  spade  ambi  trassero  ugualmente. 
Per  far  parere  il  Serican  mal  saggio  ; 
Ma  Rinaldo  s'  oppose  immantinente, 

E  non  pati ,  che  se  gli  fesse  oltraggio, 
Dicendo  :  Senza  voi  dunque  non  sono, 
A  chi  m'  oltraggia ,  per  risponder  buono  ? 

99.  Poi  se  ne  ritornò  verso  il  pagano, 

E  disse  :  Odi ,  Gradasso  !  io  voglio  farte. 
Se  tu  m'  ascolti,  manifesto  e  piano, 
Ch'  io  venni  alla  marina  a  ritrovarte; 
E  poi  ti  sosterrò  con  l'  arme  in  mano. 
Che  t'  avrò  detto  il  vero  in  ogni  parte; 
E  sempre  che  tu  dica,  mentirai, 
Ch'  alla  cavalleria  mancassi  io  mai. 

100.  Ma  ben  ti  prego ,  che ,  primachè  sìa 
Pugna  tra  noi ,  tu  pienamente  intenda 
La  giustissima  e  vera  scusa  mia, 
Acciocch'  a  torto  più  non  mi  riprenda, 
E  poi  Bajardo  al  termine  di  pria 

Tra  noi  vorrò  eh'  a  piedi  si  contenda. 
Da  solo  a  solo  in  solitario  lato. 
Siccome  appunto  fu  da  te  ordinato. 

101.  Era  cortese  il  re  di  Sericana, 
Come  ogni  t;or  magnanimo  esser  suole, 
Ed  è  contento  udir  la  cosa  piana, 

E  come  il  paladin  scusar  si  vuole. 
Con  lui  ne  v  iene  in  ripa  alla  fiumana. 
Ose  Rinaldo  in  semplici  parole 
Alla  sua  vera  istoria  trasse  il  velo, 
E  chiamò  in  testimonio  tutto  '1  cielo. 

102.  E  poi  chiamar  fece  il  figliuol  di  Buovo, 

L'  uom  ,  che  di  questo  era  informato  appieno, 
Ch'  a  parte  a  parte  replicò  di  nuovo 
L'  incanto  suo,  né  disse  più,  né  meno. 
Soggiunse  poi  Rinaldo  :  Ciò ,  eh'  io  provo 
Col  testimonio,  io  vo'  che  1'  arme  sieno, 
Che  ora ,  e  in  ogni  tempo ,  che  ti  piace. 
Te  n'  abbiano  a  far  prova  più  verace. 

103.  II  re  Gradasso,  che  lasciar  non  volle. 
Per  la  seconda,  la  querela  prima. 

Le  scuse  di  Rinaldo  in  pace  tolle  ; 

Ma,  se  son  vere,  o  false,  in  dubbio  stima. 

]N()u  tolgon  campo  j)iù  sul  lito  molle 

Di  Barcelona,  ove  lo  tolser  prima, 

Ma  s'  a(-cordaro  per  l'  altra  mattina 

Tro^  arsi  a  una  fontana  indi  vicina  ; 

104.  Ove  Rinaldo  seco  abbia  il  cavallo, 
Che  posto  sia  comun(;iiieiite  in  mezzo. 
Se  '1  re  uccide;  Rinaldo  ,  o  il  fa  vassallo. 
Se  ne  pigli  il  destrier  senz'  altro  mezzo; 
Ma  se  (Gradasso  é  quel ,  che  faccia  fallo. 
Che  sia  condotto  all'  ultimo  rilirezzo, 
O,  per  più  non  poter,  che  gli  si  renda. 
Da  lui  Rinaldo  Durindana  prenda. 


i25]     ORLANDO   FURIOSO.  (XXXI.  105  —  110.     XXXII.  1—0)     [426] 


i5.     Con  marcaviglia  molta,  e  più  dolore 
Come  \'  ho  detto  ,  area  Rinaldo  udito 
Da  Fiordiligi  bella ,  eh'  era  fuore 
Dell'  intelletto  il  suo  cugino  uscito. 
Avea  dell'  arme  inteso  anco  il  tenore, 
E  del  litigio  ,  che  n'  era  seguito, 
E  che  in  somma  Gradasso  avea  quel  brando, 
Ch'  ornò  di  mille  e  mille  palme  Orlando. 

16.     Poiché  furon  d'  accoi-do ,  ritornosse 
Il  re  Gradasso  ai  servitori  sui. 
Benché  dal  paladin  pregato  fosse. 
Che  ne  venisse  ad  alloggiar  con  lui. 
Come  fu  giorno,  il  re  pagano  armosse. 
Così  Rinaldo;  e  giunsero  ambedui, 
Ove  dovea,  non  lungi  alla  fontana, 
Combattersi  Bajardo  e  Durindana. 

Della  battaglia,  che  Rinaldo  avere 
Con  Gradasso  dovea  da  solo  a  solo, 
Parean  gli  amici  suoi  tutti  temere, 
E  innanzi  il  caso  ne  faceano  il  duolo. 
Molto  ardir,  molta  forza,  alto  sapere 
Avea  Gradasso  ;  ed  or  che  del  figliuolo 
Del  gran  Milone  avea  la  spada  al  fianco, 
Dì  timor  per  Rinaldo  era  ognun  bianco. 


108.  E ,  più  degli  altri ,  il  frate  di  Viviano 
Stava  di  questa  pugna  in  dulibio  e  ia  tema  ; 
Ed  anco  volentier  vi  porrla  mano, 

Per  farla  rimaner  d'  effetto  scema; 
3Ia  non  vorria,  che  quel  da  Siontalbano 
Seco  venisse  a  nimicizia  estrema, 
Ch'  anco  avea  di  quell'  altra  seco  sdegno, 
Che  gli  turbò,  quando  il  levò  sul  legno. 

109.  Ma  stiano  gli  altri  in  dubbio,  in  tema,  e  in  doglia. 
Rinaldo  se  ne  va  lieto  e  sicuro, 

Sperando,  eh'  ora  il  biasmo  se  gli  toglia, 
Ch'  avere  a  torto  gli  parca  pur  duro  ; 
Slccliè  quei  da  Pontieri  e  d'  Altafogiia 
Faccia  cheti  restar,  come  mai  furo. 
Va  con  baldanza,  e  sicurtà  di  core 
Di  riportarne  il   trionfale  onore. 

110.  Poiché  r  un  quinci,  e  1'  altro  quindi  giimto 
Fu  quasi  a  un  tempo  in  sulla  chiara  fonte, 

S'  accarezzaro ,  e  fero  a  punto  a  punto 
Così  serena  ed  amichevoi  fronte, 
Come  di  sangue  e  d'  amistà  congiunto 
Fosse  Gradasso  a  quel  di  Chiaramonte. 
Ma,  come  poi  s'  andassero  a  ferire. 
Vi  voglio  a  un'  altra  volta  differire. 


CANTO    TRENTESIMOSECONDO. 


ARGOMENTO. 

Bradamante  Ruggiero  aspetta  tnvanOf 
K  per  annunzio  rio  prende  sospetto 
Che  V  amor  di  Marfisa  a  sé  lontano 
Lo  tenga ,  avendo  rf'  essa  acceso  il  petto. 
Si  parte  ,  ed  alla  rocca  di  Tristano 
Giunge;  ma  pria  con  glorioso  effetto 
Tre  re  de''  lor  destrieri  abbatte,  e  a  sera 
F'  e  accolla ,  e  seco  tien  la  messaggiera. 


Sowicmmi ,  che  cantare  io  vi  dovea 
(Già  Io  promisi,  e  poi   m'  usri  di  niente^ 
D'  una  sospi/ion ,  (-he  fatta  a\  ca 
La  bella  donna  di   Rnggier  dolente, 
Dell'  altra  più  spiace^dle  e  più  rea, 
E  di  più  acute»  e  \en<'noso   dente, 
Cbe ,  per  qn<!l  eh'  ella  udì  dit  Uicciardetto, 
A  divorarle  il  cor  1'  entrò  nel  petto. 

2.      Dovea  cantarne,  <d  altro  inconiiiiciai, 
Perchè  Uiniildo    in  mc/zo  s(>|i|)r;i\  \(nnc, 
E  poi  (ìiiidoii   mi  die  clic  fan;  assai, 
C'Iie  tra  r.uninino  a  bada  un  pezzo  il  tenne. 
D'  una  (o.ii  In   un'  ullra  in  modo  entrai, 
Che  mal  di   BiiKlainante   mi  so^^enne. 
SoMicuuucne  ora,  e  vo'  narrarne  innanti 
Che  di  Rinaldo  e  di  Gradasso  io  canti. 


3.  Ma  bisogna  anco,  primacli'  io  ne  parli. 
Che  d'  Agramante  io  vi  ragioni  un  poco, 
Ch'  avea  ridotte  le  reliquie  in  Arli, 

Cile  gli  restar  del  gran  notturno  foco, 
Quando  a  raccor  lo  sparso  campo,  e  a  darli 
Soccorso  e  vettovaglie,  era  atto  il  loco. 
L'  Africa  incontra,  e  la  Spagna  ha  vicina, 
Ed  é  in  sul  fiume  assiso  alla  marina. 

4.  Per  tutto  '1  regno  fa  scriver  .Miirsilio 
Gente  a  piedi  e  a  cavallo,  e  tri>ta  e  buona. 
Per  forza  e  per  amore  «igni  naviglio 

Atto  a  battaglia,  s'  arma  in  Barcelona. 
Agramante  ogni  dì  chiama  a  concilio, 
]\è  a  spesa,  uè  a  fatica  si  perdona. 
Intanto  gra%i  esazioni  e  spesse 
Tutte  hanno  le  città  d'  Africa  oppresse. 

5.  Egli  ha  fatto  offerire  a  Rodomonte, 
Perchè  ritorni,  (ed  iui|)('lrar  noi   [luote) 
Ina  cugina  sua,  figlia  d'  Aluionte, 

E  "I  bel  regno  d'  Oran  dargli  per  dote. 
I\()u  «i  \(d>e  r  allier  mover  dal  jionte, 
0\v.  tant'  arme,  e  tante  selle  vote 
Di  quei,   die  son  già  (.ijiitaii  al  passo. 
Ila  ragnnate,  che  ne  copre  il  sasso. 

0.      C>ià  non  Aolse  Marfisa  imitar  V  atto 
Di  Uod(iMu>n(e  ;  an/.i ,  coni'  ella  intese, 
(ir  Agramante  da  Carlo  era  disf.itto. 
Sue  genli   morie,  sa»  cbeirgiate  e  prese, 
E  cIh^  con  poi  Ili   in   Arli  era  rilrallo. 
Senza  asp(tlar<-  imito,  il  camiuin  prese, 
^ennc  in  ajnlo  della  bua  corona, 
E  r  aver  gli  profersc .  e  la  perdona  : 


[427] 


ORLANDO  FURIOSO.      (  XXXll.  7  —  22) 


7.  E  gli  menò  Brunello,  e  gli  ne  fece 
Libero  dono ,  il  qiial  non  avea  offeso. 
L'  avea  tenuto  diece  giorni ,  e  diece 
Notti ,  sempre  in  timor  d'  essere  appeso  ; 
E  poiché  né  <;on  forza,  né  con  prece 
Da  nessun  Aide  il  patrocinio  preso. 

In  sì  sprezzato  sangue  non  si  volse 
Bruttar  T  altere  mani ,  e  io  disciolse 

8.  Tutte  r  antiche  ingiurie  gli  riraesis*, 
E  seco  in  Arli  ad  Agramante  il  trasse. 
Ben  dovete  pensar ,  che  gaudio  avesse 
Il  re  di  lei,  eh'  ad  ajutarlo  andasse. 
E  del  gran  conto ,  eh'  egli  ne  facesse, 
Volse,  che  Brunel  prova  le  mostrasse; 
Che  quel ,  di  eh'  ella  gli  avea  fatto  cenno. 
Di  volerlo  impiccar,  fé'  da  buon  senno. 

9.  11  manigoldo ,  in  loco  inculto  ed  ermo. 
Pasto  di  corvi  e  d'  avoltoi  lasciollo. 
Ruggier,  eh'  un'  altra  volta  gli  fu  schermo, 
E  che  il  laccio  gli  avria  tolto  dal  collo, 

La  giustizia  di  Dio  fa  eh'  ora  infermo 
S'  è  ritrovato,  ed  ajutar  non  puoUo; 
E  quando  il  seppe,  era  già  '1  fatto  occorso, 
Sicché  restò  Brunel  senza  soccorso, 

10.  Intanto  Bradamante  iva  accusando. 
Che  cosi  lunghi  sian  quei  venti  giorni, 
Li  quai  finiti,  il  termine  era,  quando 
A  lei  Ruggiero,  ed  alla  fede  torni. 

A  chi  aspetta  di  carcere ,  o  di  bando 
Uscir ,  non  par  che  '1  tempo  più  soggiorni 
A  dargli  lihertade,   o  dell'  amata 
Patria,  vista  gioconda  e  desiata. 

11.  In  quel  duro  aspettare,  ella  tal  volta 
Pensa ,  eh'  Eto  o  Piroo  sia  fatto  zo|)po, 
O  sia  la  ruota  guasta ,  eh'  a  dar  volta 
Le  par  che  tardi ,  oltr'  all'  usato ,  troppo. 
Più  lungo  dì  quel  giorno,  a  cui,  per  molta 
Fede,  nel  ciclo  il  giusto  Ebreo  fé'  intoppo; 
Più  della  notte,  eh'  Ercole  produsse. 
Parca  a  lei ,  eh'  ogni  notte ,  ogni  dì  fus«e. 

12.  O  quante  volte  da  invidiar  le  dicro 

E  gli  orsi,  e  i  ghiri,  e  i  sonnaccliiosi  tassi! 
Che  quel  tempo  voluto  avrebbe  intero 
Tutto  dormir ,  che  luai  non  si  destassi  ; 
Ké  potere  altro  udir,  finché  Ruggiero 
Dal  pigro  sonno  lei  non  richiamassi. 
Ala  non  pur  questo  non  può  far,  ma  ancora 
INon  può  dormir  di  tutta  notte  un'  ora. 

13.  Di  qua,  di  là  va  le  nojose  piume 
Tutte  premendo,  e  mai  non  si  riposa: 
Spesr-o  aprir  la  finestra  ha  per  ««(stumc, 
Per  veder,  s'  imco  di  Titon  la  sposa 
Sparge  dinanzi  al  mattutino  lume 

Il  bianc!»  giglio  e  la  v<!riiiiglia  rosa; 

i\(»n  meno  ancor,  poich'  é  nasici iito  il  gi'irno, 

Briima  vedere  il  «:iel  di  stelle  a:!orno. 

14.  Poiché  fu  quattro,  o  cinque  giorni  appresso 
Il  tiiinide  a  finir,  piena  di  spenc, 

Stava  a>p(ttando  d'  «»ra  in  ora  il  messo, 
Che  le  apportasse!:  Ecco  Ruggier,  «he  viene! 
IMontava  sopra  un"  alta  tori(!  spes-o, 
(;iie  i  folli  li(iK<lii  e  le  campagne;  amene 
Scopria  d'  intorno,  e  puite  dell.i  via. 
Onde  di  Francia  a  ,\lontalban  A  eia. 


15.  Se  di  lontano  o  splendor  d'  arme  vede, 
O  cosa  tal,  che  a  cavalier  simiglia. 

Che  sia  il  suo  disiato  Ruggier  crede, 
E  rasserena  i  begli  occbj  e  le  ciglia; 
Se  disarmato,  o  viandante  a  piede, 
Che  sia  messo  di  lui,  speranza  piglia; 
E ,  se  ben  poi  fallace  la  ritrova, 
Pigliar  non  cessa  ima  ed  un'  altra  nuova. 

16.  Credendolo  incontrar,  talora  armossì, 
Scese  dal  monte,  e  giù  calò  nel  piano; 
]\è  lo  trovando ,  si  sperò ,  che  fossi 
Per  altra  strada  giunto  a  Montalbano; 
E  col  desir,  con  eh'  avea  i  piedi  mossi 
Fuor  del  castel,  ritornò  dentro  invano. 
Kè  qua,  né  là  trovollo ,  e  passò  intanto 
Il  termine  aspettato  da  lei  tanto. 

17.  Il  termine  passò  d'  uno,  di  dui, 

Di  tre  giorni,  di  sei,  d'  otto,  e  di  venti; 
Né  vedendo  il  suo  eposo,  né  di  lui 
Sentendo  nuova ,  incominciò  lamenti, 
Ch'  avrian  mosso  a  pietà  ne'  regni  bui 
Quelle  Furie  erinite  di  serpenti; 
E  fece  oltraggi  a'  begli  occhj  divini, 
Al  bianco  petto,  agli  aurei  crespi  crini. 

18.  Dunque  fia  ver ,  dicca  ,  che  mi  convegna 
Cercare  un ,  che  mi  fugge  ,  e  mi  s'  asconde  ? 
Dunque  debbo  prezzare  un ,  che  mi  sdegna  ? 
Debbo  pregar  chi  mai  non  mi  risponde.'' 
Patirò ,  che  chi  ra'  odia ,  il  cor  mi  tegna  ? 
Un  ,  che  sì  stima  sue  virtù  profonde, 

Che  bisogno  sarà,  che  dal  ciel  scenda 
Immortai  dea,    che  il  cor  d'   amor  gli  accenda 

19.  Sa  questo  altier,  ch'io  1'  amo  ,  e  ch'iol'  adori 
Né  mi  vuol  per  amante,  né  per  serva. 
Il  crudel  sa  ,  che  per  lui  spasmo  e  moro, 
E  dopo  morte  a  darmi  ajuto  serva. 
I] ,  perché  io  non  gli  narri  il  mio  martoro 
Atto  a  piegar  la  sua  voglia  proterva, 
Da  me  s'  asconde  ,  come  aspide  suole. 

Che ,  per  star  empio  ,  il  canto  udir  non  vuole, 

20.  Deh  !  ferma ,  Amor ,  costui ,  che  così  sciolto 
Dinanzi  al  lento  mio  correr  s'  affretta; 

O  tornami  nel  grado,  onde  m'  hai  tolto. 
Quando  né  a  te,  né  ad  altri  era  soggetta! 
Deh!  come  é  il  mio  sperar  fallace  e  stolto. 
Che  in  te  con  preghi  mai  pietà  si  metta; 
Che  ti  diletti,  anzi  ti  pasci,  e  vivi 
Di  trar  dagli  occhj   lagrimosi  rivi! 

21.  Ma  di  che  debbo  lamentarmi,  ahi  lassa! 
Fuorcììé  del  mio  desire  irrazionale? 

Ch'  alt»  mi  le\a,  e  sì  nell"  aria  passa, 
Che  arriva  in  parte,  ove  s'  abbrucia  1'  ale, 
Poi,  non  potendo  sostener,  mi  lassa 
Dai  ciel  c.ider;  né  ((ui  (iiiisce  il  male; 
Che  le  rimette ,  e  di  nuovo  arde  ;  ond'  io 
Non  ho  mai  fini;  al  precipizio  mio. 

22.  Anzi  via  più  <he  del  de-^ir,  mi  deggio 
Di  me  doler,  che  sì  gli  apersi  il  seno, 
Onde  caccìiita  ha  la  riigioii  di  seggio, 
Ed  ogni  mio  pitlcr  può  di  lui  meno. 

Quel  mi  trasporta  ogn<u-  <li  male  in  peggio, 
Né  b»  possi>  I regnar  ,  che  non  ha  freno; 
E  mi  fa  i-erla,  che  mi  iu(;na  a  morte, 
Perch'  aspettando  il  mal ,  noccia  più  forte. 


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ORLANDO  FURIOSO.     (XXXII.  23  —  38) 


[430] 


Deh  !  perchè  voglio  anco  di  me  dolermi  ? 
Ch'  error,  se  non  d'  amarti,  nnqiia  commessi 
Che  meraviglia,  se  fragili  e  i.ifermi 
Femminil  sensi  far  subito  ojìjircjsi  ? 
Perchè  dovev'  io  usar  rijiari  e  schermi. 
Che  la  somma  heltà  non  n}i  piacessi. 
Gli  alti  sembianti  e  le  sagge  parole? 
elisero  è  ben  ,  chi  veder  schiva  il  sole. 

Ed ,  oltre  al  mio  destino ,  io  ci  fui  spinta 
Dalle  parole  altrui  degne  di  fede. 
Sonmia  felicità  mi  fu  dipinta, 
Ch'  esser  dovca  di  questo  amor  mercede. 
Se  la  persua?ii)ne,  oimè!  fu  fìnta. 
Se  fu  inganno  il  ccin-iglio ,  die  mi  diede 
3Terlin  ,  posso  di  lui  ben  lamentarmi, 
?\la  non  d'  amar  Ruggier  posso  ritrarmi. 

Di  Merlin  posso,  e  di  Melissa  insieme 
Dolermi,  e  mi  dorrò  d'  essi  in  eterno. 
Che  dimostrare  i  frutti  del  mio  s-.ine 
311  fero  dagli  spirti  dell'  inferno. 
Per  pormi  sol ,  con  questa  falsa  speme. 
In  servitù  ;  né  la  cagion  discerno, 
Se  non  eh'  erano  forse  invidiosi 
De'  miei  dolci ,  sicuri ,  ahni  riposi. 

J6.      Si  r  occupa  il  dolor,  che  non  avanza 
Loco ,  ove  in  lei  conforto  abbia  ricetto  : 
Ma,  mal  grado  di  quel,  vien  la  speranza, 
E  vi  vuole  alloggiare  in  mezzo  il  petto, 
Ilinfrescandole  pur  la  rimeml)ranza 
Di  quel,  che  al  suo  partir  1'  Ita  Ruggier  detto: 
E  vuol,  contra  il  parer  degli  altri  alletti. 
Che  d'  ora  in  ora  il  suo  ritorno  aspetti. 

Questa  speranza  dunque  la  sostenne, 
Finiti  i  venti  giorni,  un  mese  appresso; 
Sicché  '1  dolor  sì  forte  non  le  tenne, 
Ctune  tenuto  avria,  1'  animo  oppresso. 
Un  di ,  che  per  la  strada  se  ne  venne. 
Che,  per  trovar  Ruggier,  solca  far  spesso, 
INovella  udì  la  misera,  else  insieme 
Fé',  dietro  all'  altro  ben,  fuggir  la  speme. 

J8.     Venne  a  incontrare  un  cavalier  gtiascone, 
Che  dal  campo  african  Aeriia  diritto, 
Ove  era  slato  da  qu«l  dì  prigicnie. 
Che  fu  innanzi  a  Parigi  il  gran  conllitto. 
Da  lei  fu  molto  posto  per  ragione. 
Finché  si  venne  al  terauine  prescritto. 
Dimandò  di  Ruggiero ,  e  in  lui  fermosse, 
Kè  fuor  di  que.-to  segno  più  si  mosse. 

19.  Il  cavalier  buon  conto  ne  rendette; 
Clic  ben  conoscca  tutta  qu«'lla  corte  ; 
E  narrò  di  Ruggier,  clic;  conlrastette 
Da  solo  a  solo  a  Mandricardo  forte  ; 
E  come  egli  1'  uccise  ,  e  poi  ne  stette 
Ferito  più  d'  un  mesi;  presso  a  niorl*;  : 
E,  b'  ora  la  sua  istoria  (jiii  i-on<;lusa. 
Fatto  avria  di  Ruggier  la  vera  scu^n. 

50.      Ma,  come  poi  soggiunse,  una  donzella 
K^ser  ni-l  campo,  nomata  .Marlisa, 
Clic  men  non  era.  iln;  gagiiania ,   bella, 
ÌSè  meno  esperta  d'  arme  in  ogni  gui.»a; 
Clic  lei  Ruggiero  amava,  v  Ruggier  ella; 
Cir  egli  da  lei,  eh"  ella  da  lui  di\isa 
Si  vedea  raro,  e  eh'  ivi  ognuno  cre<lr, 
Cliij  d'  abbiano  Ira  lor  data  la  fede; 


31.  E  che ,  come  Ruggier  si  faccia  sano, 
n  matrimonio  puhblicar  si  deve; 

E  eh'  ogni  re,  ogni  princi[)e  pagano 

Gran  piacere  e  letizia  ne  riceve  ; 

Che ,  dell'  uno  e  dell'  altro  soprumano 

Conoscendo  il  valor,  sperano  in  breve 

Far  una  razza  d'  uomini  da  guerra. 

La  più  gagliarda ,  che  mai  fosse  in  terra. 

32.  Credea  il  Guascon  quel  che  dicea,  non  senza 
Cngion;  che,  nell'  esercito  de'  Mori, 
Opinione,  e  univei'sal  credenza, 

E  pubblico  parlar  n"  era  di  fuori. 

I  molti  segni  di  benivolenza 

Striti  tra  lor  facean  questi  l'omori  : 

Che  tosto ,  o  huona ,  o  ria ,  che  la  fama  esce 

Fuor  d'  una  bocca ,  in  infinito  cresce. 

33.  L'  esser  venuta  a'  Mori  ella  in  aita 
Con  lui,  né  senza  lui  comparir  mai, 
Avea  questa  credenza  stabilita; 

Sia  poi  r  avea  cresciuta  pur  as^ai, 
Ch'  essendosi  del  campo  già  partita 
Portandone  Brunel,  come  io  contai. 
Senza  esservi  d'  alcuno  richiamata, 
Sol  per  veder  Ruggier  v'  era  tornata. 

34.  Sol  per  lui  visitar ,  che  gravemente 
Languia  ferito ,  in  campo  venuta  era. 
>on  una  sola  volta,  ma  sovente, 

Ai  stava  il  giorno,  e  si  partia  la  sera. 
E  molto  più  da  dir  dava  alla  gente, 
Ch'  essendo  conosciuta  così  altera. 
Che  tolto  '1  mondo  a  sé  le  ])area  vile. 
Solo  a  Ruggier  fosse  benigna  e  umile. 

35.  Come  il  Guascon  questo  afTermò  per  vero. 
Fu  Bradamante  da  cotanta  pena, 

Da  cordoglio  assalita  co?ì  fiero, 
Che  di  quivi  cader  si  tenne  ap|)cna. 
A  "Ito,  senza  fnr  motto,  il  suo  destriero. 
Di  gelo.-ia  ,  d'  ira  e  di  rabbia  piena, 
E,  da  sé  discacciata  ogni  speranza. 
Ritornò  furibonda  alla  sua  stanza, 

36.  E  senza  disarmarsi,  sopra  il  letto, 
Col  viso  volta  in  giù  ,  tutta  si  stese  ; 
Ove  ,  per  non  gridiir  ,  siccbè  sospetto 
Di  sé  facesse,  i  iKinni  in  bocca  prese, 
E  repetendo  quel .   che  1'  avea  detto 

II  cataliero,  in  tal  dolor  discese. 
Che,  più  non  lo  potendo  sollerire. 
Fu  forza  a  disfogarlo,  e  così  dire: 

37.  Misera,  a  chi  mai  più  creder  <!ebb"  io.-* 
A  o'  dir.   cir  ognuno  è  perfido  e  criulele. 
Se  perfiilo  e  cruih-l  sei,  Ruggier  mio, 
(Ik^  sì  pietoso  lenni ,  e  si  fedele. 

Qual  crudeltà  .  (piai  tradimento  rio 
I  nqua  s'  \n\\  per  Iragicbe  ijiurtle, 
('he  non  trovi  minor,  se  pensar  mai 
Al  min  merto  e  al  tuo  debito  corrai? 

38.  Perchè.  Ruiigier,  come  di  te  non  vive 
Ca\alier  di  più  ardir,  di  più  b<dle/./n, 

^è  clic,  a  gran  pez/.<» ,   al  tuo  »aloif  arrivo, 
>è  a'    tuoi  coitomi,   uè  a  li:a  gentilr//a; 
Percbè  non  fai.  clic  fra  liir  illustri  <■  dive 
A  irlù  si  dica  ancor,   eh'  alibi  feriiiez'Mi  .'* 
Si  dica,  cir  abbi  iiniolabii  tede. 
Adii  ogni  altra  virtù  a'  inchina  erode? 


[431] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXXIl.  39  — 54) 


[432 


39.  Non  sai ,  che  non  compar  ,  se  non  v'  è  quella, 
Alcun  valore,  alcun  nobil  costume, 

Come  né  cosa ,  e  sia  quanto  vuol  bella, 

Si  può  vedere,  ove  non  splenda  lume? 

Facil  ti  fu  ingannare  una  donzella. 

Di  cui  tu  signor  eri ,  idolo  e  nume, 

A  cui  potevi  far  con  tue  parole 

Creder ,  che  fosse  oscuro  e  freddo  il  sole. 

40.  Crudel,  di  che  peccato  a  doler  t'  hai, 
Se  d'  uccider  chi  t'  ama  non  ti  penti  ? 
Se  '1  mancar  di  tua  fé  sì  leggier  fai, 

Di  <:he  altro  peso  il  cor  gravar  ti  senti? 
Come  tratti  il  nemico,  se  tu  dai 
A  me,  che  t'  amo  si,   questi  tormenti? 
Ben  dirò,  cì;e  giustizia  in  ciel  non  sia, 
S'  a  veder  tardo  la  vendetta  mia. 

41.  Se  d'  ogni  altro  peccato  assai  più  quello 
Dell'  empia  ingratitudine  1'  uom  grava, 

E  per  questo  dal  ciel  1'  angel  più  bello 
Fu  relegato  in  parte  oscura  e  cava, 
E  se  gran  fallo  aspetta  gran  flagello, 
Quando  debita  emenda  il  cor  non  lava. 
Guarda,  eh'  aspro  flagello  in  te  non  scenda. 
Che  mi  se'  ingrato ,  e  non  vuoi  farne  emenda  ! 

42.  Di  furto  ancora ,  oltre  ogni  vizio  rio. 
Di  te,  crudele,  ho  da  dolermi  molto. 
Che  tu  mi  tenga  il  cor  ,  non  ti  dico  io  ; 
Di  questo  io  vo'  che  tu  ne  vada  assolto: 
Dico  di  te,  che  t'  eri  fatto  mio, 

E  po'-  contra  ragion  mi  ti  sei  tolto. 
Renditi,  iniquo,  a  me!  che  tu  sai  bene, 
Che  non  si  può  salvar,  chi  1'  alti'ui  tiene. 

43.  Tu  m'  hai,  Ruggier,  lasciata:  io  te  non  voglio, 
Né  la-ciarti  volendo  anco  potrei  : 

Ma ,  per  uscir  d'  affanni  e  di  cordoglio, 
Posso  e  voglio  finire  i  giorni  miei. 
Di  non  morirti  in  grazia  sol  mi  doglio: 
Che  ,  se  concesso  m'  avessero  i  Dei, 
Ch"  io  fl)S^i  niiirta,  quando  t'  era  grata, 
Morte  non  fu  giammai  tanto  beata. 

4ì.      Cosi  dicendo  ,  di  morir  disposta. 
Salta  del  letto ,  e  di  rabl)ia  infiammata 
Si  pon  la  spada  alla  sinistra  costa. 
Ma  si  ravvede  poi ,  che  tutta  è  armata. 
Il  miglior  spirto  in  questo  le  s'  accosta, 
E  nel  cor  le  ragicma:  Oh  donna,  nata 
Di  tanto  alto  lignaggio,  adunque  vuoi 
Finir  con  si  gran  biasuio  i  giorni  tuoi? 

45.  Non  è  meglio ,  eh'  al  campo  tu  ne  vada, 
Ove  morir  si  può  con  laude  ognora? 

Quivi,  s'  avvien,  che  innanzi  a  Kuggier  cada, 
Del  morir  tuo  si  dorrà  forse  ancora  ; 
Ma  se  a  morir  t'  avvien  per  la  sua  spada. 
Chi  ^a^i  mai,  che  più  contenta  mora? 
Ragione  é  ben,  che  di  vita  ti  privi, 
l'uiclr  è  cagion,  che  in  tanta  pena  vivi. 

46.  Verrà  f(U'se  anco,  che,  primaché  mori, 
Fanti  vendetta  di  quella  Vliirfisa, 

Che  t'  ha,  enn  fraudi  e  disonesti  amori 
Da  te  Uiiggicro  alienando  ,  uccisa. 
Questi  pcn-icii  piu\ero  miglitui 
Alla  donzella;  e  to>to  una  divisa 
Si  fé'  suir  arme,  die  volea  inferire 
Disperazione ,  e  voglia  di  morire. 


47.  Era  la  sopravvesta  del  colore, 

In  che  riman  la  foglia,  che  s'  imbianca. 
Quando  dal  ramo  è  tolta ,  o  che  1'  umore, 
Che  facea  vivo  1'  arbore ,  le  manca. 
Ricamata  a  tronconi  era,  di  fuore. 
Di  cipresso  ,  che  mai  non  si  rinfranca, 
Poich'  ha  sentita  la  dura  bipenne. 
L'  abito  al  suo  dolor  molto  convenne. 

48.  Tolse  il  destrier ,  eh'  Astolfo  aver  solca, 
E  quella  lancia  d'  or,  che,  sol  toccando, 
Cader  di  sella  ì  cavalier  facea. 

Perchè  gliela  die  Astolfo  ,  e  dove,  e  quando, 

E  da  chi  prima  avuta  egli  1'  avea. 

Non  credo  che  bisogni  ir  replicando. 

Ella  la  tolse ,  non  però  sapendo. 

Che  fosse  del  valor ,  eh'  era ,  stupendo. 

49.  Senza  scudiero ,  e  senza  compagnia 
Scese  dal  monte,  e  si  pose  in  cammino 
Verso  Parigi  alla  più  dritta  via, 

Ov'  era  dianzi  il  campo  Saracino  ; 
Che  la  novella  ancora  non  s'  udia, 
Che  r  avesse  Rinaldo  paladino, 
Ajutandolo  Carlo  e  Malagigi, 
Fatto  tor  dall'  assedio  di  Parigi. 

50.  Lasciati  avea  i  Cadurci ,  e  la  cittade 
Di  Caorse  alle  spalle ,  e  tutto  1  monte, 
Ove  nasce  Dordona,  e  le  contrade 
Scopria  di  ì\Ionferrante  e  di  Clarmonte, 
Quando  venir  per  le  medesrae  strade 
Vide  una  donna  di  benigna  fronte, 

Ch'  uno  scudo  all'  arcione  avea  attaccato, 
E  le  venian  tre  cavalieri  allato. 

51.  Altre  donne  e  scudìer  venivano  anco, 

Qual  dietro,  e  qual  dinanzi,  in  limga  schiera. 
Domandò  ad  un,  che  le  passò  da  fianco, 
La  figliuola  d'  Amon,  chi  la  donna  era? 
E  quel  le  disse  :  Al  re  del  popol  franco 
Questa  donna  mandata  messaggiera 
Fin  di  là  dal  polo  artico  è  venuta 
Per  lungo  mar,  dall'  isola  Perduta. 

52.  Altri  Perduta  ,  altri  ha  nomata  Islanda 
L'  isola,  donde  é  la  regina  d'  essa, 

Di  beltà  sopra  ogni  beltà  miranda. 
Dal  ciel  non  mai ,  se  non  a  lei ,  concessa. 
Lo  scudo,  che  vedete,  a  Carlo  manda; 
Ma  ben  con  patto  e  condizione  espressa. 
Che  al  miglior  cavalier  lo  dia,  secondo 
Il  suo  parer ,  eh'  oggi  si  trovi  al  mondo. 

53.  ,  Ella,  come  sì  stima,  e  come  in  vero 
E  la  più  bella  donna,  che  mai  fosse, 
Cosi  vorria  tro^  are  un  cavalieró, 
Cile  sopra  ogni  altro  avesse  ardire  e  possej 
Perchè  fondato  e  fisso  è  il  suo  pensiero. 
Da  non  (uuler  per  cento  mila  scosse, 
Che  sol  chi  terrà  in  arme  il  primo  onore, 
Abbia  ad  esser  suo  amante  e  suo  signore. 

54.  Spera,  che  in  Francia  ,  alla  famosa  corte 
Di  Carlo  Magno,  il  cavalier  si  trove, 
Che  d'  esser,  più  d'ogni  altro,  ardito  e  forte 
Abbia  fatto  vetler  con  mille  prove. 
I  tre,  «-he  suo  con  lei,  come  sue  scorte, 
Be  sono  tutti,  edirowi  an<o  do^e: 
Uno  iu  Svezia,  uno  in  d'ozia,  in  Norvegia  uno, 
Clio  pochi  pari  in  arme  hanno,  o  nessuno. 


433] 


ORLANDO    FURIOSO.    (XXXU.  55—70) 


55. 


56. 


Questi  tre,  la  cui  terra  non  vicina, 
Ma  men  lontana  è  all'  isola  Perduta, 
Detta  così,  perchè  quella  marina 
Da  pochi  naviganti  è  conosciuta. 
Erano  amanti ,  e  son ,  della  regina, 
E  a  pari  per  moglier  Y  hanno  voluta  ; 
E ,  per  aggradir  lei ,  cose  fatto  hanno, 
Che ,  finché  giri  il  eie! ,  dette  saranno. 

Ma  nò  questi  ella ,  né  alcun  altro  vuole. 
Che  al  mondo  in  arme  esser  non  creda  il  primo 
Ch'  abhiate  fatto  prove  (lor  dir  suole) 
In  questi  luoghi  appresso ,  poco  io  stimo  ; 
E  s'  un  di  voi,  qual  fra  le  stelle  il  soie. 
Fra  gli  altri  duo  sarà,  hen  lo  sublimo; 
Ma  non  però ,  che  tenga  il  vanto  parme 
Del  miglior  cavalier ,  eh'  oggi  porti  arme. 

')7.      A  Carlo  Magno  ,  il  quale  io  stimo  e  onoro 
Pel  più  savio  signor ,  che  al  mondo  sia, 
Son  per  mandare  un  ricco  scudo  d'  oro. 
Con  patto  e  condizion,  eh'  essolo  dia 
Al  cavaliero ,  il  quale  abbia  fra  loro 
Il  vanto  e  il  primo  onor  di  gagliardia. 
Sia  il  cavaliero ,  o  suo  vassallo ,  o  d'  altri, 
11  parer  di  quel  re  vo'  che  mi  scaltri. 

>8.      Se ,  poiché  Carlo  avrà  lo  scudo  avuto, 
E  r  avrà  dato  a  quel  sì  ardito  e  forte, 
Che  d'  ogni  altro  migliore  abbia  creduto. 
Che  'n  sua  si  trovi ,  o  in  alcun'  altra  corte, 
Uno  di  voi  sarà,  che,  con  V  iijuto 
Di  sua  virtù ,  lo  scudo  mi  riporte. 
Porrò  in  quello  ogni  amore,  ogni  disio, 
E  quel  sarà  il  marito  e  '1  signor  mio. 

■j9.      Queste  parole  lian  qui  fatto  venire 
Questi  tre  re  dal  mar  tanto  discosto. 
Che  riportarne  lo  scudo,  o  morire 
Per  man  di  chi  1'  avrà ,  s'  hanno  proposto. 
Stc'  molto  attenta  Bradamante  a  udire 
Quanto  le  fu  dallo  scuilier  risposto  ; 
11  qual  poi  r  entrò  innanzi ,  e  così  punse 
Il  suo  cavallo  ,  che  i  compagni  giunse. 

60.  Dietro  non  gli  galoppa,  né  gli  corre 
Ella  ,  eh'    adagio  il  suo  camniin  dispensa, 
E  molte  cose  tuttavia  dis«;orre. 
Che  son  per  accadere  ;  e  in  somma  pensa. 
Che  questo  scudo  in  Francia  sia  por  porre 
Discordia,  rissa,  e  nimicizia  immensa 
Fra'  jialadini  ed  altri ,  se  vuol  Carlo 
Chiarir,  chi  sia  il  miglior,  e  a  colui  darlo. 

61.  Le  preme  il  cor  questo  pensier;  ma  molto 
Più  glielo  jireme ,  e  strugge  in  peggior  guisa 
Quel,  eh'  eblte  prima  di  Kuggicr,  che  tolto 
11  suo  amor  le  abltia,  v  datolo  a  Marfisa. 
Ogni  suo  senso  in  questo  é  sì  sepolto, 
Che  non  mira  la  strada,  né  divisa. 
Ole  arrivar,  né  se  troverà  innanzi 
Comodo  albergo ,  ove  la  notte  stanzi. 

62.  Come  nave,  che  vento  dalla  ri^a, 
O  qualcir  altro  accidente  abbia  disciolt; 
^a,  di  nocchiero  <?  di  governo  jiriva. 
Ove  la  porti,  «>  meni  il  fìumt;  in  \olta: 
Così  r  amante  giovane  vi-niva. 
Tutta  in  pensare  al  sue»  lluggier  rivolta. 
Ove  vu<il  Kabit^an  ;  che  molte  miglia 
Lontano  e  il  cor,  che  do'  girar  la  briglia. 


[434] 


66 


63.  Leva  alfin  gli  occhj,  e  vede  il  sol,  che  'I  terc^o 
Avea  mostrato  alle  città  di  Bocco,  ° 
E  poi  s'  era  attulTato  come  il  mergo. 

In  grembo  alla  nutrice  ultra  Marocco  : 
E,  se  disegna,  chela  frasca  albergo 
Le  dia  ne'  campi,  fa  pensier  di  sciocco; 
Che  soffia  un  vento  freddo ,  e  1'  aria  «-reve 
Pioggia  la  notte  le  minaccia,  o  neve. 

64.  Con  maggior  fretta  fa  mover  il  piede 
Al  suo  cavallo  ;  e  non  fece  via  molta, 
Che  lasciar  le  campagne  a  un  pastor  vede. 
Che  s'  avea  la  sua  gregge  innanzi  tolta. 
La  donna  a  lui  con  molta  instanza  chiede, 
Che  le  insegni,  ove  possa  esser  raccolta 

O  bene,  o  mal:  che  mal  sì  non  s'  alloggia, 
Che  non  sia  peggio  star  fuori  alla  pioggia'. 
65.      Disse  il  pastore  :  Io  non  so  loco  alcuno, 
Ch'  io  vi  sappia  insegnar,  se  non  lontano 
Più  di  quattro ,  o  di  sei  leghe ,  fuorch'uno. 
Che  si  chiama  la  rocca  di  Tristano  : 
Ma  d'  alloggiarvi  non  succede  a  ognuno  ; 
Perché  bisogna,  con  la  lancia  in  mano, 
Che  se  1'  acquisti ,  e  che  se  la  difenda 
Il  cavalier ,  che  d'  alloggiarvi  intenda. 

Se,  quando  arriva  un  cavalier,  si  trova 
Vuota  la  stanza,  il  castellan  V  accetta  ; 
Ma  vuol,  se  soppravvien  poi  gente  nuova 
Ch'  uscir  fuori  alla  giostra  gli  prometta.  ' 
Se  non  vien,  non  accade,  che  si  muova: 
Se  vien  ,^  forza  è ,  che  1'  arme  si  rimetta, 
E  con  lui  giostri ,  e  chi  di  lor  vai  meno, 
Ceda  r  albergo,  ed  esca  al  ciel  sereno. 

Se  duo,  tre,  quattro,  o  più  guerrieri  a  un  tratto 
Vi  gìungon  prima,  in  pace  albergo  v'  hanno; 
E  chi  di  poi  vien  solo,  ha  peggior  patto. 
Perché  seco  giostrar  quei  più  lo  fanno. 
Così,  se  prima  un  sol  si  sarà  fatto 
Quivi  alloggiar,  con  lui  giostrar  vori-anno 
Iduo,  tre,  quattro,  o  più ,  che  verrandopo; 
Sicché,  s'  avrà  valor,  gli  fia  grand'  uopo. 

68.  Non  men,  se  donna  capita,  o  donzella 
Accompagnata,  o  sola,  a  questa  rocca, 
E  poi  v'  arridi  un'  altra,  alla  più  bella 

L'  albergo ,  ed  alla  men  star  di  fuor  tocca. 
Domanda  Bradamante,  ove  sia  quella; 
E  il  buon  pastor  non  pur  dice  con  bocca, 
Ria  le  dimostra  il  loco  anco  con  mano. 
Da  cinque,  o  da  sei  miglia  indi  lontano. 

69.  La  donna ,  ancorché  llabican  ben  trotto. 
Sollecitar  però  non  lo  sa  tanto 

Per  quelle  vie  tutte  fangose,  e  rotte 
Dalla  stagion  ,  eh'  er<i  pio\(isa  alquanto, 
("he  prima  arrivi,   che  la  ricia  notte 
Fatto  abbia  oscuro  il  moiulo  in  ogni  canto. 
Tro^ò  «-Illusa  la  porla;  e  a  chi  n"  avea 
La  guardia,  ilisse,  eh"  alloggiar  volea. 

70.  Ilispose  quel,   cb'  era  occupato  il  loco 
Da  doiuie  e  daguerricr,  che  M-nner  dianzi, 
i-I  stanano  a>pcttaiuio  intorno  al  foco, 

("be  ptista  ro>sc  lor  la  cena  innanzi. 

Per  lor  non  cr<(lo  1'  avrà  fatta  il  cuoco, 

S'  ella  v'  é  ancor,  né  1'  bau  mangiata  innanzi, 

Disse  la  donna:  Or  va!  clié  qui  gli  attendo; 

Che  Bo  r  usanza ,  e  di  ser\  aria  intendo. 

28 


67. 


[435] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXII.  iri-86) 


[436] 


71.  Parte  la  guardia ,  e  porta  1'  imbasciata 
Là ,  dove  i  cavalier  stanno  a  grand'  agio. 
La  qual  non  potè  lor  troppo  esser  grata. 
Ch'  all'  aer  li  fa  uscir  freddo  e  malvagio, 
Ed  era  una  gran  pioggia  incominciata. 

Si  levan  pure ,  e  piglian  1'  arme  adagio  ; 
Restano  gli  altri  ;  e  quei ,  non  troppo  in  fretta, 
Escono  insieme,  ove  la  donna  aspetta. 

72.  Eran  tre  cavalier ,  che  valcan  tanto, 
Cile  pochi  al  mondo  valean  più  di  loro  ; 
Ed  eran  quei,  che  '1  dì  medesmo  accanto 
Veduti  a  quella  messagicra  foro, 

Quei ,  che  in  Islanda  s'  avean  dato  vanto 
Di  Francia  riportar  lo  scudo  d'  oro  ; 
E  perchè  avean  meglio  i  cavalli  punti. 
Prima  di  Bradamante  erano  giunti. 

73.  Di  loro  in  ai'me  pochi  eran  migliori: 
Ma  di  quei  pochi  ella  sarà  hen  1'  una; 
Che  a  nessun  patto  rimaner  di  fuori 
Quella  notte  intendea,  molle  e  digiuna. 
Quei  d'  entro  alle  finestre  e  a'  corridori 
Miran  la  giostra  al  lume  della  luna. 
Che  mal  grado  de'  nuvoli  lo  spande, 

E  fa  veder,  benché  la  pioggia  è  grande. 

lì.      Come  s'  allegra  un  ben  acceso  amante, 
Ch'  a'  dolci  furti  per  entrar  si  trova. 
Quando  alfin  senta,  dopo  indugie  tante, 
Clie  1'  taciturno  chiavistel  si  muova: 
Così  volonterosa  Bradamante 
Di  far  di  sé  coi  cavalieri  prova 
S'  allegrò ,  quando  udì  le  porte  aprire. 
Calare  il  ponte ,  e  fuor  li  vide  uscire. 

75.  Tostochè  fuor  del  ponte  i  gucrrier  vede 
Uscir  insieme  ,  o  con  poco  intera  allo, 

Si  volge  a  pigliar  campo  ,  e  di  poi  riede 
Cacciando  a  tutta  briglia  il  buon  cavallo, 
E  la  lancia  arrestando,  che  le  diede 
II  suo  cugin ,  che  non  si  corre  in  fallo  ; 
Che  fuor  di  sella  è  forza  che  trabocchi, 
Se  fosse  Marte,  ogni  guerrier,  che  tocchi. 

76.  Il  re  di  Svezia,  che  priniicr  si  mosse, 
Fu  primier  anco  a  riversarsi  al  piano; 
Con  tanta  forza  1'  elmo  gli  |)ercosse 

L'  asta ,  che  mai  non  fu  abbassata  invano. 
Poi  corse  il  re  di  Gozia,  e  ritrovosse. 
Co'  piedi  in  aria ,  al  suo  dcstricr  lontano. 
Kimase  il  terzo  sottoso|)ra  volto 
]Neir  acqua,  e  nel  pantan  mezzo  sepolto. 

71.      Tostoch'  ella  in  tre  colpi  tutti  gli  ebbe 
Fatti  andar  co'  piedi  alti ,  e  i  capi  bassi, 
Alla  rocca  ne  va,  dove  aver  debbo 
La  notte  albergo  :  ma  prima  che  passi, 
V  è  chi  la  fa  giurar,  che  u'  uscirebbe 
Sempre,  eh'  a  giostrar  fuori  altri  cliiamassi. 
Il  signor  di  là  dentro  che  '1  valore 
Ben  n'  ha  veduto ,  le  fa  grande  onore. 

78.     CoM  le  fa  la  donna,  che  venuta 
Era  ,  con  quelli  tre ,  quivi  la  sera, 
Come  io  dicea,  dall'  isola  Perduta, 
Mandata  al  re  di  Francia  messagiera. 
Cortesemente  a  lei ,  clic  la  saluta, 
Siccome  graziosa  e  aflabil  cni, 
Si  leva  incontra,  e ,   con  faccia  serena. 
Piglia  per  mano ,  e  seco  al  fuoco  nicna. 


79.  La  donna,  cominciando  a  disarmarsi, 
S'  avea  lo  scudo ,  e  dipoi  1'  elmo  tratto. 
Quando  una  cuffia  d'  oro ,  in  clie  celarsi 
Solcano  i  capei  lunghi,  e  star  di  piatto, 
Uscì  con  1'  elmo,  onde  caderon  sparsi 

Giù  per  le  spalle ,   e  la  scoprirò  a  un  tratto, 

E  la  feron  conoscer  per  donzella, 

Kon  men ,  che  fiera  in  arme ,  in  viso  bella. 

80.  Quale,  al  cader  delle  cortine,  suole 
Parer  fra  mille  lampade  la  scena, 

D'  archi ,  e  di  più  d'  una  superba  mole, 
D'   oro  e  di  statue  e  di  pitture  piena; 
O ,  come  suol  fuor  della  nube  il  sole 
Scoprir  la  faccia  limpida  e  serena  : 
Così,  1'  elmo  levandosi  dal  aìso, 
Mostrò  la  donna  aprisse  il  paradiso. 

81.  Già  son  cresciute,  e  fatte  lunghe  in  modo 
Le  belle  chiome,  che  taglioUe  il  frate, 

Che  dietro  al  capo  ne  può  fare  un  nodo, 
Bencliè  non  sian,  come  son  prima  state. 
Cile  Bradamante  sia ,  tien  ferma  e  sodo. 
Che  ben  1'  avea  veduta  altre  fiate, 
II  signor  della  rocca ,  e  più  che  prima 
Or  r  accarezza,  e  mostra  farne  stima. 

82.  Siedono  al  foco ,  e  con  giocondo  e  onesto 
Ragionamento  dan  cibo  all'  orecchia, 
Mentre ,  per  ricreare  ancora  il  resto 

Del  corpo  ,  altra  vivanda  s'  apparecchia. 
La  donna  all'  oste  domandò ,  se  questo 
Modo  d'albergo  è  nuova  usanza ,  o  vecchia, 
E  quando  ebbe  principio,  e  chi  la  pose? 
E  il  cavaliero  a  lei  così  rispose  : 

83.  Kel  tempo,  die  regnava  Fieramente, 
Clodionc,  il  figliuolo,  ebbe  un'  amica 
Leggiadra  e  bella,  e  di  maniere  conte, 
Quanto  altra  fosse  a  quella  etade  antica; 
La  quale  amava  tanto ,  che  la  fronte 
Kon  rivolgea  da  lei,  più  che  si  dica 
Che  facesse  da  Ione  il  suo  pastore; 
Perchè  avea  ugual  la  gelosia  all'  amore. 

84.  Qui  la  tenea,  che  '1  luogo  avuto  in  dono 
Avea  dal  padre ,  e  raro  egli  n'  uscia  ; 

E  con  lui  dieci  cavalier  ci  sono, 
E  de'  miglior  di  Francia  tuttavia. 
Qui  stando,  venne  a  cipitarci  il  buono 
Tristano ,  ed  una  donna  in  compagnia, 
Liberata  da  lui  podi'  ore  innante. 
Che  traea  presa  a  forza  un  fier  gigante. 

85.  Tristano  ci  arrivò ,  che  '1  sol  già  volto 
'          Avea  le  spalle  ai  liti  di  Siviglia; 

'  E  domandò  qui  dentro  esser  raccolto, 

j  Perchè  non  e'  è  altra  stanza  a  dieci  miglia. 

Ma  Cloiììon,  che  molto  amava  e  molto 
I  Era  geloso ,  in  somma  si  consigliai, 

[  Che  lorcstier,  sia  chi  si  voglia,  mentre 

I  Ci  stia  la  beila  donna,  qui  non  cntre. 

.    86.     Poicliè  con  lunglic  ed  iterate  preci 
Non  potè  aver  qui  albergo  il  cavaliero: 
Or  quel,  che  far  con  preghi  io  non  ti  feci. 
Che  'l  facci,  disse,  tuo  malgrado,  spero. 
E  sfidò  Clodi(ui  con  tutti  i  dieci, 
Che  tenea  appresso ,  e  con  un  grido  altero 
Se  gli  oflersc  con  lancia  e  spada  in  mano 
Provai',  che  discortese  era  e  villano; 


431] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXII.  87-102) 


[438] 


1^7.     Con  patto  che,  se  fa,  che  con  lo  stuolo 
Suo  cada  in  terra ,  ed  ci  stia  in  sella  forte, 
Nella  rocca  alloggiar  vuol  egli  solo, 
E  vuol  gli  altri  serrar  fuor  delle  porte. 
Per  non  patir  quest'  onta,  va  il  figliuolo 
Del  re  di  Francia  a  rischio  della  morte  ; 
Ch'  aspramente  percosso  cade  in  terra, 
E  cadon  gli  altri ,  e  Tristan  fuor  li  serra. 

,88.      Entrato  nella  rocca  ,  trova  quella. 
La  qual  vi  ho  detto ,  a  Clodion  si  cara, 
E  eh'  avea  a  par  d'  ogni  altra  fatto  bella 
Natura ,  a  dar  bellezze  cosi  avara. 
Con  lei  ragiona  :  intanto  arde  e  martella 
Di  fuor  r  amante  aspra  pas.-ione  amara  ; 
H  qual  non  differisce  a  mandar  preghi 
Al  cavalier ,  che  dar  non  gliela  neghi. 

89.  Tristano ,  ancorché  lei  molto  non  prezze, 
Né  prezzar,  fuorch' Isotta ,  altra  potrebbe  ; 
Ch'  altra  né  eh'  ami  vuol ,  né  clic  accarezze, 
La  pozion ,  che  già  incantata  bebbe  ; 
Pur,  perché  vendicarsi  dell'  asprezze. 
Che  Clodion  gli  ha  usate,  si  vorrebbe: 
Dì  far  gran  torto  mi  parria ,  gli  disse, 
Che  tal  bellezza  del  suo  albergo  uscisse. 

90.  E ,  quando  a  Clodion  dormire  incresca 
Solo  alla  frasca,  e  compagnia  domandi, 
Una  giovane  ho  meco  bella  e  fresca, 
Non  però  di  bellezze  così  grandi. 
Questa,  sarò  contento,  che  fuor  esca, 
E  che  u])bidisca  a  tutti  i  suoi  comandi: 
Ma  la  più  bella  mi  par  dritto  e  giusto. 
Che  stia  con  quel  di  noi ,  eh'  è  più  robusto. 

Escluso  Clodione  e  mal  contento 
Andò  sbuffando  tutta  notte  in  volta, 
Come  se  a  quei,  che  nell'  alloggiamento 
Dorniiano  ad  agio,  fesse  egli  1'  ascolta; 
E  molto  più  ,  che  del  freddo  e  del  vento, 
Si  dolca  della  donna ,  che  gli  è  tolta. 
La  mattina  Tristano ,  a  cui  ne  increbbe, 
Gli  la  rendè,  donde  il  dolor  Cu  ebbe. 


91. 


92.  Perchè  gli  disse,  e  lo  fc'  chiaro  e  certo, 
Che,  qual  trovolla,  tal  gli   larendea; 

E  Itenchè  degno  era  d'  ogni  onta,  in  merto 

Della  discortcria,  eh'  u&ata  avea, 

Pur  contentar  d'  averlo  allo  scoperto 

Fatto  star  tutta  notte,  ^i  volea: 

Ne  r  esciisa  a(M-,ettò ,  che  fosse  niuoce 

Stato  cagion  di  così  grave  errore: 

93.  Cir  amor  de'  far  gentile  un  cor  villano, 
E  non  far  d'  un  gentil  contrario  effetto. 
Partito  che  si  fu  di  qui  Tristano, 
Clodion  non  sto'  molto  a  mutar  tetto. 
Ma  prima  consegnò  la  rocca  in  mano 

A  un  cavalier,  che  molto  gli  era  accetto. 
Con  patto ,  eh'  egli ,  e  chi  da  lui  venisse, 
Quest'  uso  in  albergar  sempre  seguisse: 

94.  Che  'I  cavalier ,  eh'  abbia  maggior  possanza, 
E  la  donna  beltà,  seinpre  ci  alloggi, 

E  chi  vinto  riiiian  ,  vuoti  la  stanza. 

Dorma  sul  prato  ,  (»  nitrose  sct^ndu  e  poggi. 

E  iìnaimente  ci  le'  por  1'  usiin/.a, 

Clie  vedete  durar  lìn  al  dì  d'  •>ggi. 

Or,  mentre  il  cavalier  questo  dicca, 

Lo  ucal«:o  por  la  mensa  fatto  uvea. 


ÌH) 


97. 


98 


95.     Fatta  1'  avea  nella  gran  sala  porre. 
Di  che  non  era  al  mondo  la  più  bella. 
Indi ,  con  torchi  accesi ,  venne  a  torre 
Le  belle  donne,  e  le  condusse  in  quella. 
Bradamante,  all'  entrar,  con  gli  occhj  scorre 
E  similmente  fa  l'  altra  donzella,  ' 

E  tutte  piene  le  superbe  mura 
ì  eggon  di  nobilissima  pittura. 

Di  si  belle  figure  è  adorno  il  loco, 
Cl\e  per  mirarle  obblian  la  cena  quasi, 
Ancorché  ai  corpi  non  bisogni  poco. 
Pel  travaglio  del  dì  lassi  rimasi, 
E  lo  scalco  si  doglia,  e  doglia  il  cuoco, 
Che  1  cibi  lascio  raffreddar  nei  vasi. 
Pur  fu  chi  disse:  Meglio  Ha,  che  voi 
Pasciate  prima  il  ventre ,  e  gli  occhj  poi. 

S'  erano  assisi ,  e  porre  alle  vivande 
Voleano  man,  quando  il  signor  s'  avvide, 
Che  r  alloggiar  due  donne  è  un  error  grande. 
L'  una  ha  da  star,  l'  altra  convien  che  snide: 
Stia  la  più  bella,  e  la  men  fuor  si  mande, 
Dove  la  pioggia  bagna,  e  '1  vento  stride: 
Perché  non  vi  son  giunte  ambedue  a  un'  ora, 
L'  una  ha  a  partire,  e  1'  altra  ha  a  far  dimora. 

Chiama  duo  vecch. j ,  e  chiama  alcune  sue 
Donne  di  casa,   a  tal  giudicio  buone, 
E  le  donzelle  mira,  e  di  lor  due, 
Chi  la  più  bella  sia,  fa  paragone. 
Finalmente  parer  di  tutti  fue, 
Ch'  era  più  bella  la  figlia  d'  Amone; 
E  non  nien  di  beltà  l'  altra  vincea. 
Che  di  valore  i  guerrier  Aiuti  avea. 

99.      Alla  donna  d'  Islanda,  che  non  sanza 
Molta  sospizion  stava  di  questo. 
Il  signor  disse  :  Che  serviam  1'  usanza. 
Non  v'  ha ,  donna  ,  a  parer  se  non  onesto. 
A  voi  convien  prot^acciar  d'  altra  stanza. 
Quando  a  noi  tutti  é  chiaro  e  manifesto, 
Che  costei  di  bellezze  e  di  sembianti, 
Ancorch'  inculta  sia  ,  vi  passa  innanti. 

Come  si  vede  in  un  momento  oscura 
Nube  salir  d'  umida  valle  al  cielo. 
Che  la  faccia ,  che  prima  era  sì  pura, 
Coi>re  del  sol  con  tenebroso  velo  : 
VaìA  la  donna  ,  alla  sentenza  dura. 
Che  fuor  la  caccia ,  ove  è  la  pioggia  e  'I  "-elo 
Cangiar  si  vede,  e  non  parer  più  quella. 
Che  fu  pur  <lianzi  sì  gioconda  e  bella. 

S'  impallidisce,  e  tutta  cangia  in  viso, 
Che  tal  sentenza  udir  poco  le  aggrada. 
Ma  Hradamante,  con  un  saggio  av\iso. 
Che  per  pietà  non  mkiI  ,  clic  se  ne  vada, 
Hispose:  A  me  non  par,  che  bni  deciso, 
Né  che  ben  giii>t(»  alcun  giudicio  e  atla, 
Ove  prima  non  s'  oda  quanto  neghi 
La  parte,  o  affermi,  e  sue  ragioni  alleghi. 


,100 


101 


102. 


Io,  cir  a  difender  qne.-.la  causa  toglio, 
Dii-o  ,  o  più  bella,  o  iiien  eh'  io  tiia  di  lei. 
Non  v<iini  cmiie  donna  (jui,  né  MX'-li» 
C'Iie  bian  di  donna  ma  i  progressi  mici. 
Ma  chi  dirà,  se  tutta  non  mi  spoglio, 
S'  io  sono,  o  ti'  il»  non  son  quel.  «  h"  è  costei.* 
!■;  qu«'l,  che  non  si  sa,   non  si  de'  dire, 
E  tanto  men  ,  quando  altri  n'  ha  a  patire. 

2H  * 


[439]  ORLANDO  FURIOSO.    (XXXII.  103  — 110-    XXXIIl.  1-4)    [440 


103.  Ben  son  degli  altri  ancor ,  eh'  hanno  le  chiome 
Lunghe,  com'  io,  né  donne  son  per  questo. 

Se  come  cavalier  la  stanza ,  o  come 
Donna ,  acquistata  m'  ahbia ,  è  manifesto. 
Perchè  dunque  Toletc  darmi  nome 
Di  donna ,  se  di  maschio  è  ogni  mio  gesto  ? 
La  legge  vostra  rnol,  clie  ne  sian  spinte 
Donne  da  donne,  e  non  da  guerrier,  vinte. 

104.  Poniamo  ancor,  che,  come  a  voi  pur  pare. 
Io  donna  sia,  (che  non  però  il  concedo) 

Ma  che  la  mia  beltà  non  fosse  pare 

A  quella  di  costei,  non  però  credo, 

Clìe  mi  vorreste  la  mercè  levare 

Di  mìa  virtù,  se  ben  di  viso  io  cedo. 

Perder,  per  men  beltà,  giusto  non  parml 

Quel,  eh'  ho  acquistato  per  virtù  con  1'  armi. 

105.  E  quando  ancor  fosse  1'  usanza  tale, 
Clic  chi  perde  in  beltà,  ne  dovess'  ire. 
Io  ci  vorrei  restare,  o  bene,  o  male 
Che  la  mia  ostìnazion  dovesse  uscire. 
Per  questo ,  che  contesa  diseguale 
Ètra  me,  e  questa  donna,  vo'  inferire; 
Che  contendendo  di  beltà,  può  assai 
Perdere,  e  meco  guadagnar  non  mai. 

106.  E  se  guadagni  e  perdite  non  sono 
In  tutto  pari,  ingiusto  è  ogni  partito; 
Siedi'  a  lei  per  ragion,  sì  ancor  per  dono 
Speziai,  non  sia  1'  albergo  probito. 

E  s'  alcuno  di  dir,  che  non  sia  buono 
E  dritto  il  mio  giudicio,  sarà  ardito, 
Sarò  per  sostenergli  a  suo  piacere. 
Che  '1  mio  sia  vero,  e  falso  il  suo  parere. 


107.  La  figliuola  d'  Amon,  mossa  a  pletade, 
Che  questa  gentil  donna  debba  a  torto 
Esser  cacciata,  ove  la  pioggia  cade. 
Ove  nò  tetto,  ove  né  pure  è  un  sporto, 
Al  signor  dell  albergo  persuade 

Con  ragion  molte,  e  con  parlare  accorto. 
Ma  molto  più  con  quel,  eh'  alfin  concluse, 
Che  resti  cheto ,  e  accetti  le  sue  scuse. 

108.  Qual,  sotto  il  più  cocente  ardore  estivo. 
Quando  di  ber  più  desiosa  è  1'  erba, 

11  fior,  eh'  era  vicino  a  restar  pri^o 

Di  tutto  queir  umor ,  che  in  vita  il  serba. 

Sente  1'  amata  pioggia,  e  si  fa  vivo: 

Così ,  poiché  difesa  sì  superba 

Si  vide  apparecchiar  la  messaggera, 

Lieta  e  bella  tornò,  come  prim'  era. 

109.  La  cena,  stata  lor  buon  pezzo  avante, 
Né  ancor  pur  tocca ,  alfiu  godersi  in  festa, 
Senzaché  più  di  cavaliero  errante 
Nuova  venuta  fosse  lor  molesta. 

La  goder  gli  altri ,  ma  non  Bradamante, 
Pure  all'  usanza  addolorata  e  mesta; 
Che  quel  timor,  che  quel  sospetto  ingiusto, 
Che  sempre  avea  nel  cor,  le  tollea  il  gusto. 

110.  Finita  eh'  ella  fu ,  che  saria  forse 
Stata  più  lunga,  se  '1  desir  non  era 
Di  cibar  gli  occhj  ,  Bradamante  sorse  ; 
E  sorse  appresso  a  lei  la  messaggera. 
Accennò  quel  signore  ad  un,  che  corse, 
E  prestamente  allumò  molta  cera, 
Cile  splender  fé'  la  sala  in  ogni  canto. 
Quel  che  segui ,  dirò  nell'  altro  canto. 


CANTO    TRENTESTMOTERZO. 


ARGOMENTO. 

In  una  sala  Bradamante  vede 
Diverse  guerre  de'  Francesi  arditi 
Fatte  in  Italia,  in  cui  fermar  il  piede 
Non  vuole  il  cicl,  ma  che  da  lor  s'  aiti. 
Rinaldo  e  'i  Scrican  combatte  a  jìicde 
Per  Jìajardo ,  del  qual  eran  a  liti. 
Astolfo  giugne  in  Etiopia ,  e  caccia 
L'  Arpie  in  inferno ,  u'  fa  che  'l  corno  taccia. 


Timagora ,  Parrasio ,  Polignoto, 
Protogene,  Timantc,  Apollodoro, 
Apelle,  più  di  tutti  questi  noto, 
E  Zeusi ,  e  gli  altri ,  die  a  qiu;i  tempi  foro, 
De'  qua!  la  fama  (mal  grado  di  doto. 
Clic  Bpensn  i  corpi ,  e  dipoi  1'  opre  loro) 
Sempre  starà,  (luche  si  legga  e  scrivii, 
Mercè  degli  scrittori,  al  mondo  viva; 


E  quei,  che  furo  a'  nostri  dì,  o  son  ora,    > 
Leonardo,  Andrea  Mantegna,  Gian  Bellino, 
Duo  Dossi,  e  quel,  che  a  par  sculpe  e  coloro, 
Michel,  più  che  mortale,  Angel  divino, 
Bastiano,  Rafael,  Tizian,  che  onora 
Non  men  Cador,  che  quei  Venezia  e  Urbino^ 
E  gli  altri,  di  cui  tal  1'  opra  si  vede, 
Qual  della  prisca  età  si  legge  e  crede; 

Questi,  che  noi  veggiam  pittori,  e  quelli. 
Che  già  mille  e  mill'  anni  in  pregio  furo. 
Le  cose,  che  son  state,  co'  pennelli 
Fatt'  hanno,  altri  sull'  asse,  altri  sul  maro; 
Non  però  udiste  antichi ,  né  novelli 
Vedeste  mai  dipingere  il  futuro  ; 
E  pur  si  sono  istorie  anco  trovate. 
Che  son  dipinte,  ìnnanziché  sien  state. 

Ma  di  saperlo  far  non  si  dia  vanto 
Pittore  antico,  nò  pittor  moderno; 
E  ceda  pur  quest'  arte  al  solo  incanto. 
Del  qual  treiiian  gli  spirti  dell'  inferno. 
La  sala,  eh'  io  dicca  nell'  altro  canto, 
Merlin  col  libro,  o  fosse  al  lago  averno, 
O  fosse  sacro  alle  nursine  grotte. 
Fece  far  dai  dciuonj  in  mia  notte. 


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ORLANDO  FURIOSO.     (XXXIU.  5  —  20) 


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c. 


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y. 


IO 


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Quest'  arte,  con  che  i  nostri  antichi  fenno 
3Iirande  prove,  a  nostra  etade  è  estinta. 
3Ia  ritornando ,  ove  aspettar  mi  dcnno 
Quei ,  che  la  sala  hanno  a  veder  dipinta, 
Dico,  che  a  uno  scudier  fu  fatto  cenno, 
Ch'  accese  i   torch. j ,  onde  la  notte ,  vinta 
Dal  gran  splendor,  si  dileguò  d'  intorno; 
INè  più  vi  si  vedrìa ,  se  fosse  giorno. 

Quel  signor  disse  lor:  Vo'  che  sappiate, 
Che  delle  guerre,  che  son  qui  ritratte, 
Fino  al  dì  d'  oggi  poche  ne  son  state, 
E  son  prima  dipinte,  che  sian  fatte: 
Chi  r  ha  dipinte,  ancor  1'  ha  indovinate. 
Quando  vittoria  a^Tan,  quando  disfatte 
In  Italia  saran  le  genti  nostre. 
Potrete  qui  veder,  come  si  mostre. 

Le  guerre,  che  i  Franceschi  da  far  hanno 
Di  là  dall'  Alpe ,  o  bene ,  o  mal  successe, 
Dal  tempo  suo  fino  al  millcssim'  anno 
Merlin  profeta  in  questa  sala  messe. 
Il  qual  mandato  fu  dal  re  britanno 
Al  franco  re,  che  a  Marcomir  successe: 
E  perchè  lo  mandasse ,  e  perchè  fatto 
Da  Merlin  fu  il  lavor ,  vi  dirò  a  un  tratto. 

Re  Fieramonte,  che  passò  primiero 
Con  r  esercito  franco  in  Gallia  il  Reno, 
P(»ichè  quello  occupò,  facea  pensiero 
Di  porre  alla  superba  Italia  il  freno. 
Faceal ,  perciocché  più  '1  romano  impero 
Vedea  di  giorno  in  giorno  venir  meno  ; 
E  per  tal  causa  col  britanno  Arturo 
Volse  far  lega  ;  eh'  ambi  a  un  tempo  furo. 

Artur ,  che  impresa  ancor  senza  consiglio 
Del  profeta  Merlin  non  fece  mai, 
(Di  Merlin,  dico,  del  demonio  figlio, 
Che  del  futuro  antivedeva  assai) 
Per  lui  seppe ,  e  saper  fece  il  periglio 
A  Fieramonte,  a  che  di  molti  guai 
Porrà  sua  gente,  s'  entra  nella  terra 
Che  Apennin  parte ,  e  '1  mar  e  l'  Alpe  serra. 

Merlin  gli  fé*  veder ,  che  quasi  tutti 
Gli  altri ,  che  poi  di  Francia  si:ettro  avranno, 
O  dì  ferro  gli  eserciti  distrutti, 
U  di  fame  ,  o  di  peste  si  vedranno  ; 
E  che  brevi  allegrezze  e  lunghi  lutti. 
Poco  guadagno  ed  inlìnito  danno 
Riporteran  d' Italia  ;  che  non  lice. 
Che  'l  giglio  in  quel  terreno  abbia  radice. 

Re  Fieramonte  gli  prestò  tal  fede. 
Che  altn»ve  disegnò  volger  1'  armata; 
E  Merlin ,  che  così  la  cosa  vede 
Cli'  abbia  a  venir,  come  se  già  sia  stata, 
Aver,  a'  preghi  di  quel  re,  si  crede 
La  sala  per  incanto  istoriata, 
Onde  de'  Franchi  ogni  futuro  gesto, 
Come  già  stato  sia,  fa  manifesto; 

Acciò  chi  poi  succederà,  comprenda, 
Che ,  rome  ha  da  acquistar  vittoria  e  onore, 
Qualor  d'   Italia  la  difesa  prenda 
incontra  ogni  altro  barbaro  furore, 
VaììÌ,  seavvien,  che  a  danneggiarla  scenda, 
Per  porle  il  giogo ,  e  farsene  signore, 
Comprenda,  dieo,  e  rendasi  ben  «erto, 
Cir  oltre  u  qu(;i  monti  avrà  il  s(|>olrro  aperto- 


13.      Così  disse,  e  menò  le  donne,  dove 
Incomincian  1'  istorie;  e  Sigisberto 
Fa  lor  veder,  che  pel  tesor  si  muove. 
Che  gli  ha  Maurizio  imperatore  offerto. 
Ecco  che  scende  dal  monte  di  Giove 
]Vel  pian,  dal  Lambro  e  dal  Ticino  aperto. 
Vedete  Entar,  che  non  pur  1'  ha  respinto, 
Ma  volto  in  fuga ,  e  fracassato  e  vinto. 

11.     Vedete  Clodoveo ,  che  a  più  di  cento 
Mila  persone  fa  passare  il  monte. 
Vedete  il  duca  là  di  Benevento, 
Che  con  numer  dispar  vien  loro  a  fronte. 
Ecco  fìnge  lasciar  1'  alloggiamento, 
E  pon  gli  agguati  :  ecco ,  con  morti  ed  onte, 
Al  vin  lombardo  la  gente  francesca 
Corre ,  e  riman  come  la  lasca  all'  esca. 

15.  Ecco  in  Italia  Childeberto,  quanta 
Gente  di  Francia ,  e  capitani  invia  ; 

Kè,  più  che  Clodoveo  ,  si  gloria  e  vanta, 
Ch'  abbia  spogliata ,  o  vinta  Lombardia  ; 
Che  la  spada  del  ciel  scende  con  tanta 
Strage  de'  suoi ,  che  n'  è  piena  ogni  via. 
Morti  di  caldo ,  e  di  profluvio  d'  alvo. 
Sicché  di  dieci  non  ne  torna  un  salvo. 

16.  Mostra  Pipino ,  e  mostra  Carlo  appresso, 
Come  in  Italia  im  dopo  Y  altro  scenda, 

E  v'  abbia  questo  e  quel  lieto  successo: 
Che  venuto  non  v'  è,  perchè  1'  offenda; 
Ma  r  uno,  acciò  "1  pastor  Stefano  oppresso, 
L'  altro  Adriano ,  e  poi  Leon  difenda. 
L'  un  doma  Aistulfo;  el'  altro  vince  e  prende 
Il  successore ,   e  al  papa  il  suo  onor  rende. 

17.  Lor  mostra  appresso  un  giovane  Pipino, 
Che  con  sua  gente  par,  che  tutto  copra 
Dalle  Fornaci  al  lito  palcstino, 

E  faccia ,  con  gran  spesa  e  con  lung'  opra. 

Il  ponte  a  Malamocco  ;  e  che  vicino 

Giunga  a  Rialto  ,  e  vi  combatta  sopra: 

Poi  fuggir  sembra  ,  e  che  i  suoi  lasci  sotto 

L' acque  ,  che  '1  ponte  il  vento  e  'l  mar  gli  han  rotto. 

18.  Ecco  Luigi  borgognon ,  che  scende 
Là ,   dove  par  che  resti  vinto  e  preso, 
E  che  giurar  gli  faccia,  chi  lo  prende. 
Che  più  dall'  arme  sue  non  sarà  offeso. 
Ecco,  che  '1  giuramento  vilipende; 
Ecco  di  niu)vo  cade  al  laccio  teso  ; 
Ecco  vi  lascia  gli  oc(-hj ,  e  come  talpe, 
Lo  riportano  i  suoi  di  qua  dall'  Alpe. 

11).      Vedete  un  Ugo  d'  Arli  far  gran  fatti, 
E  che  d'  Italia  eaccia  i  Bercngari  ; 
E  di»!,  o  tre  volte  gli  ha  rotti  «•  disfatti, 
Or  dagli  Inni  rimessi,  or  dai  Ha\ari. 
Poi  ila  più  forza  è  stretto  di  far  patti 
Con  r  inimico ,  e  non  sta  in  vita  guari, 
Né  guari,  dopo  lui ,  y't  sta  V  erede, 
E  '1  regno  int«'gro  a  Berengario  cede. 

20.      Vedete  un  altro  C'arlo ,  che  a'  conforti 
Del  l)uon  pastor  foro  in  Italia  ha  messo, 
E  in  due  fiere  liatlaglie  ha  duo  re  morti, 
.^lanl'redi  prima,  e  (,'orradiiio  appres>o. 
Poi  la  sua  gente,  ebe  cimi  intlle  torti 
Seiiitira  tenere  il  nuo^o  regno  oppresso, 
Di  qua  e  di  là  per  la  città  divisa. 
Vedete,  u  uu  suon  di  vespro,  tutta  uccisa. 


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ORLANDO  FURIOSO.     ( XXXIU.  21  - 36 ) 


I!!^l 


21.  Lor  mostra  poi  (ma  vi  parea  intervallo 
Di  molti  e  molti,  non  eh'  anni,  ma  lustri) 
Scender  dai  monti  un  capitano  gallo, 

E  romper  guerra  ai  gran  Visconti  illustri  ; 
E  con  gente  francesca  a  pie  e  a  cavallo. 
Par  eh'  Alessandria  intorno  cinga  e  lustri; 
E  che  '1  duca  il  presidio  dentro  posto, 
E  fuor  abbia  1'  agguato  un  po'  discosto; 

22.  E  la  gente  di  Francia  mal  accorta. 
Tratta  con  arte,  ove  la  rete  è  tesa, 
Col  conte  Armeniaco,  la  cui  scorta 
L'  avea  condotta  all'  infelice  impresa. 
Giaccia  per  tutta  la  campagna  morta, 
Parte  sia  tratta  in  Alessandria  presa; 

E  di  sangue  non  men,  che  d'  acqua,  grosso. 
Il  Tanaro  si  vede  il  Po  far  rosso. 

23.  Un,  detto  della  Marca,  e  tre  Angioini 
Mostra,  1'  un  dopo  1'  altro,  e  dice:  Questi 
A'  Bruci,  a'  Danni,  a'  Marsi ,  a'  Salentiui 
Vedete,   come  son  spesso  molesti: 

Ma  né  de'  Franchi  vai,  né  de'  Latini 
Ajuto,  sicché  alcun  di  lor  vi   resti; 
Ecco  li  caccia  fuor  del  regno  ,  quante 
Volte  vi  vanno,  Alfonso,  e  poi  Ferrante. 

2i,     Vedete  Carlo  ottavo ,  che  discende 

'  Dall'  Alpe ,  e  seco  ha  il  fior  di  tutta  Francia  ; 
Che  passa  il  Liri,  e  tutto  il  regno  prende 
Senza  mai  stringer  spada,  o  abbassar  lancia, 
Fuorché  lo  scoglio,  che  a  Tifeo  si  stende 
Sulle  braccia,  sul  petto,  e  sulla  pancia; 
Che  del  buon  sangue  d'  Avalo  al  contrasto 
La  virtù  trova  d'  Inico  del  Vasto. 

25.  n  signor  della  rocca,  che  venia 
Quest'  istoria  additando  a  Bradamante, 
Mostrato  che  1'  ebbe  Ischia,  disse:  Pria 

Ch'  a  veder  altro  più  vi  meni  avante,  1 

10  vi  dirò  quel ,  che  a  me  dir  solia  1 

11  bisavolo  mio,  quand'  io  era  infante,  | 
E  quel ,  che  similmente  mi  dicea  j 
Che  da  suo  padre  udito  anch'  esso  avea,  | 

26.  E  '1  padre  suo  da  un  altro,  o  padre,  o  fosse 
Avolo,  e  r  un  dall'  altro,  sino  a  quello,  j 
Ch'  a  udirlo  da  quel  proprio  ritrovosse,  ) 
Che  r  immagini  fé'  senza  pennello,  ! 
Che  qui  vedete  bianche ,  azzurre  e  rosse.  ! 
Ldì,  che,  quando  al  re  mostrò  il  castello,  \ 
Ch'  or  mostro  a  voi  su  questo  altero  scoglio,  j 
Gli  disse  quel ,  che  a  voi  riferir  voglio.  j 

27.  Udì,  che  gli  dicea,  che  in  questo  loco  i 
Di  quel  buon  cavalier,  che  lo  difende  j 
Con  tanto  ardir,  che  par  disprezzi  il  foco,  | 
Che  d'  ogn'  intorno  e  sino  al  Faro  incende,  I 
pascer  dchlìc  in  quei  tempi ,  o  dopo  poco,  j 
(K  ben  gli  disse  1'  anno  e  le  calende)  | 
Un  ca>aliero ,  a  cui  sarà  secondo 

Ogni  altro ,  che  sin  qui  sia  stato  al  mondo. 

28.  Non  fu  ÌVireo  sì  bel,  non  sì  eccellente 

Di  forza  Achille,  e  non  sì  ardito  Ulisse;  , 

Non  si  velucc  Lada ,  n(tn  prudente  j 

^icistor,  che  tanto  seppe,  e  tanto  visse;  | 

^on  tanto  lilicral,  tanto  clemente  j 

L'  antica  fania  ('«issare  descrisse,  ' 
Che ,  verr.0  1'  noni ,  che  in  Ischia  nascer  deve,  i 
Non  abbia  ogni  lor  vanto  a  restar  lieve. 


29. 


E  se  si  gloriò  1'  antica  Creta, 
Quando  il  nepote  in  lei  nacque  di  Celo; 
Se  Tebe  fece  Ercole  e  Bacco  lieta; 
Se  si  vantò  dei  duo  gemelli  Delo; 
Né  questa  isola  avrà  da  starsi  cheta. 
Che  non  s'  esalti ,  e  non  si  levi  in  cielo. 
Quando  nascerà  in  lei  quel  gran  marchese, 
Che  avrà  sì  d'  ogni  grazia  il  ciel  corteée. 


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Merlin  gli  disse,  e  replicogli  spesso, 
Cli'  era  serbato  a  nascere  all'  etade, 
Che  più  il  romano  imperio  saria  oppresso. 
Acciò  per  lui  tornasse  in  libertade. 
Ma ,  perché  alcuno  de'  suoi  gesti  appresa 
Vi  mostrerò,  predirli  non  accade. 
Così  disse ,  e  tornò  all'  istoria ,  dove 
Di  Carlo  si  vedean  1'  inclite  prove. 

Ecco,  dicea,  si  pente  Lodovico 
D'  aver  fatto  in  Italia  venir  Carlo  ; 
Che  sol  per  travagliar  1'  emulo  antico 
Chiamato  ve  1'  avea,  non  per  cacciarlo; 
E  se  gli  scopre,  al  ritornar,  nimico, 
Co'  Veneziani  in  lega  ,  e  vuol  pigliarlo. 
Ecco  la  lancia  il  re  animoso  abbassa, 
Apre  la  strada,  e  lor  mal  grado  passa. 

Ma  la  sua  gente,  che  a  difesa  resta 
Del  uuovo  regno,  ha  ben  contraria  sorte; 
Che  Ferrante  ,  con  1'  opra ,  che  gli  presta 
Il  signor  mantuan ,  torna  si  forte, 
Che  in  pochi  mesi  non  ne  lascia  testa, 
O  in  terra ,  o  in  mar  ,  che  non  sia  messa  a  morte 
Poi ,  per  \\n  uom ,  che  gli  è  con  fraudc  estinto 
Non  par  che  senta  il  gaudio  d'  aver  vinto 

Cosi  dicendo ,  mostragli  il  marchese 
Alfonso  di  Pescara  ,  e  dice  :  Dopo 
Che  costui  comparito  in  mille  imprese 
Sarà  più  risplendente,  che  piropo, 
Ecco  qui  neir  insidie,  che  gli  ha  tese, 
Con  un  trattato  doppio  ,  il  rio  Etiopo, 
Come  scannato  di  saetta  cade 
li  miglior  cavalier  di  quella  etade. 

84.     Poi  mostra,  ove  il  duodecimo  Luigi 
Pfissa  con  scorta  italiana  i  monti, 
E,  svelto  il  Moro,  pon  la  Fiordiligi 
Nel  fecondo  terren ,  già  de'  Visconti. 
Indi  manda  sua  gente  pe'  vestigi 
Di  Carlo,  a  far  sul  Garigliano  i  ponti, 
La  quale  appresso  andar  rotta  e  dispersa 
Si  vede,  e  morta,  e  nel  fiume  sommersa. 

35.      A  cdete  in  Puglia  non  minor  macello 
Dell"  esercito  franco  in   fuga  volto; 
E  Con^alvo  Ferrante  ispano  è  quello, 
Che  due  volte  alla  trappola  l'  ha  colto. 
E  ,  <H)nie  qui  turbato ,  così  bello 
Mostra  Fortuna  al  re  Luigi  il  volto, 
Nel  ricco  pian  che ,  fin  dove  Adria  stride. 
Tra'  r  Apennino  e  1'  Alpe ,   il  Po  divide. 

Così  dicendo ,  sé  stesso  riprende, 
Che  quel,  eh'  avea  a  dir  prima,   abbia  lanciato, 
E  torna  addietro,  e  mostra  uno,  che  vende 
Il  caste! ,  che  '1  signor  suo  gli  avea  dato  : 
Mostra  il  perfido  Svizzero,  che  prende 
Colui,  eh'  a  sua  dil'esa  1'  ha  assoldato; 
Le  qua!  due  cose,  senza  abbas>.ar  lancia, 
Ilan   dato  la  vittoria  al  re  di  Francia. 


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t45] 


ORLANDO  FURIOSO.    (XXXIII.  37-52) 


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7.     Poi  mostra  Cesar  Borgia,  col  favore 
Di  questo  re,  farsi  in  Italia  grande; 
Ch'  ogni  baron  di  Roma,  ogni  signore 
Soggetto  a  lei,  par  che  in  esìlio  mande. 
Poi  mostra  il  re,  che  di  Bologna  fuore 
Leva  la  sega,  e  vi  fa  entrar  le  ghiande  : 
Poi,  come  volge  i  Genovesi  in  fuga, 
Fatti  ribelli,  e  la  città  soggiuga. 

Vedete ,  dice  poi ,  di  gente  morta 
Coperta  in  Ghiaradadda  la  campagna. 
Par ,  eh'  apra  ogni  cìttade  al  re  la  porta, 
E  che  Venezia  appena  vi  rimagna. 
Vedete  come  al  papa  non  comporta 
Che ,  passati  i  confini  di  Romagna, 
Modena  al  duca  di  Ferrara  toglia  ; 
]\'è  qui  si  fermi,  e  '1  resto  tor  gli  voglia: 

9.      E  fa  all'  incontro  a  lui  Bologna  torre. 
Che  v'  entra  la  Bentivola  famiglia. 
Vedete  il  campo  de'  Francesi  porre 
A  sacco  Brescia,  poiché  la  ripiglia, 
E  quasi  a  un  tempo  Felsina  soccorre, 
E  '1  campo  ecclesiastico  scompiglia; 
E  r  uno    e  1'  altro  poi  nei  luoghi  bassi 
Par  si  riduca  del  lito  di  Chiassi. 

0.     Di  qua  la  Francia ,  e  di  là  il  campo  ingrossa 
La  gente  Ispana ,  e  la  battaglia  è  grande. 
Cader  si  vede  ,  e  far  la  terra  rossa 
La  gente  d'  arme  in  ambedue  le  l)ande. 
Piena  di  sangue  uman  pare  <tgni  fossa  ; 
Marte  sta  in  dubbio ,  u'  la  vittoria  mande. 
Per  virtù  d'  un  Alfonso  alfin  si  Acde, 
Che  resta  il  Franco,  e  che  1'  Ispano  cede; 

L     E  che  Ravenna  saccheggiata  resta. 
Si  morde  il  Papa  per  dolor  le  labbia, 
E  fa  dai  monti,  a  guisa  di  tempesta, 
Scendere  in  fretta  una  tedesca  rabbia, 
Ch'  ogni  Francese,  senza  mai  far  testa, 
Di  qua  dall'  Alpe  par  che  cacciat'  abbia, 
E  che  posto  un  rampollo  abbia  del  Moro 
Kel  giardino,  onde  svelse  i  gigli  d'  oro. 

3.      Ecco  torna  il  Francese:  eccolo  rotto 
Dall'  infedele  Elvezio,  che  in   suo  ajuto. 
Con  troppo  rischio,  ha  il  giovane  ciuidotto, 
Del  quale  il  padre  a^ca  preso  e  venduto. 
Vedete  poi  1'  esercito ,  rha  sotto 
La  mota  di  Fortuna  era  caduto. 
Creato  il  nuovo  re,  che  si  prepara 
Dell'  onta  vendicar,  eh'  ebbe  a  Novara: 

13.     E  con  miglior  auspizio  cc(ro  ritorna. 
Vedete  il  re  Francesco  innanzi  a  tutti, 
Clic  così  rompe  a'  Svizzeri  le  corna, 
Clie  poco  resta  a  non  gli  aver  distrutti; 
Sicché  '1  titolo  mai  più  non  gli  adorna. 
Clic  usurpato  s'  avran  quei  villan  brutti, 
Cile  domator  de'  principi ,  e  difesa 
Si  nonicran  della  cristiana  chiesa. 

ì.      Ec<;o,  mal  grado  della  lega,  prende 
Milano  ,  V.  accorda  il  giovane  Sforzesco. 
Ecco  Borbon ,  che  la  città  difende. 
Pel  re  di  Fnuicia,  dal  furor  tcd«s(0. 
Eccovi  poi,  che,  mentre  altro^(!  attende 
Ad  altre  magne  impresi;  il   re  Franr<-8C0, 
Kù  sa,  quanta  superbia  <;  crudt;Uadu 
li«ino  i  Muui,  gli  è  tolta  la  cittude. 


45.  Ecco  un  altro  Fi-ancesco ,  che  assimiglia 
Di  virtù  all'  avo,  e  non  di  nome  solo; 
Che ,  fatto  uscirne  i  Galli ,  si  ripiglia. 
Col  favor  della  chiesa ,  il  patrio  suolo. 
Francia  anco  torna,  ma  ritien  la  briglia, 
Kè  scorre  Italia,  come  suole,  a  volo; 
Che  '1  buon  duca  di  Mantiia  sul  Ticino 

Le  chiude  il  passo,  e  le  taglia  il  cammino. 

46.  Federico,  che  ancor  non  ha  la  guancia 
De'  prìmi  fiori  sparsa,  si  fa  degno 

Di  gloria  eterna,  eh'  abbia  con  la  lancia. 
Ma  più  con  diligenza  e  con  ingegno, 
Pavia  difesa  dal  furor  di  Francia, 
E  del  Leon  del  mar  rotto  il  disegno. 
Vedete  duo  marchesi ,  ambi  terrore 
Di  nostre  genti,  ambi  d'  Italia  onore; 

47.  Ambi  d'  un  sangue,  ambi  in  un  nido  nati. 
DI  quel  marchese  Alfonso  il  primo  è  figlio, 
Il  qual,  tratto  dal  Negro  negli  agguati, 
Vedeste  il  terren  far  di  sé  vermiglio. 
Vedete ,  quante  volte  son  cacciati 

D'  Italia  i  Fmnchi  pel  costui  consiglio. 
L'  altro,  di  sì  benigno  e  lieto  aspetto, 
Il  Vasto  signoreggia,  e  Alfonso  è  detto. 

48.  Questo  è  il  buon  cavalier,  di  cui  dicea, 
Quando  1'  isola  d'  Ischia  vi  mostrai. 
Che  già  profetizzando  detto  avea 
Merlino  a  Fieramonte  cose  assai; 

Che  diflerù-e  a  nascere  dovea 
Nel  tempo,  che  d'  ajuto  più  che  mai 
L'  afllitta  Italia,  la  chiesa  e  l'  impero 
Contra  ai  barbari  insulti  avria  mestiere. 

49.  Costui  dietro  al  cugin  suo  di  Pescara, 
Con  r  auspizio  di  Prctsper  colonnese. 
Vedete,  come  la  Bicocca  cara 

Fa  parere  all'  Elvezio ,  e  più  al  Francese. 
Ecco  di  nuovo  Francia  si  prepara 
Di  ristaurar  le  mal  successe  imprese. 
Scende  il  re  con  un  campc»  in  Lombardia; 
Un  altro,  per  pigliar  Napoli,  invia. 

50.  Ma  quella,  che  di  noi  fa,  come  il  vento 
D'  arida  polve,  che  1'  aggira  in  volta, 

La  leva  lino  al  cielo ,  e  in  un  momento 

A  terra  la  ricaccia,    onde  1'  ha  tolta. 

Fa ,  che  intorno  a  Pavia  crede  di  cento 

Mila  perstuie  aver  fatto  raccolta 

Il  re,  che  mira  a  quel,  che  di  man  gli  esce. 

Non ,  se  la  gente  sua  si  scema ,   o  cresce. 

51.  Così  per  colpa  de'  ministri  avari, 
E  per  bontà  del  re,  che  se  ne  fida, 
Sotto  r   insegne  si  raccolgon  rari, 
Quando  la   notte  il  campo   all'  arme  grida; 
Che  >i  vede  assalir  dentro  ai  ripari 

Dal  sagace  Spagnuol,  che  con  la  guida 
Di  duo  del  sangue  d'  Avalo ,  ardiriu 
Farcii  nel  cielo  e  nell'  inferno  via. 

52.  Vedete  il  meglio  della  nobillade 

Di  tutta  Francia  alla  campagiui  estinto. 
Vedete  ,  quante   lance  e  quante  spade 
ilan  d'  ogn'   intorno   il   re  iinimoso  «intu. 
Vedete,  che  "I  d<v.triir  sotto  gli  rade. 
Né  per  questo  ^i  rendi;,  o  cliiiuua  ^inlo; 
Itcnchè  a  lui   soh»  attenda,  a  Ini  sol  corra 
Lo  stuul  nemico,  e  non  è  cJii    1  soccorra. 


[447] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXIII.  53—68) 


[448 


53.     n  re  gagliardo  si  difende  a  piede, 
E  tutto  dell'  ostil  sangue  sì  bagna. 
Ma  virtù  alfine  a  troppa  forza  cede. 
Ecco  il  re  preso ,  ed  eccolo  in  Ispagna  ; 
Ed  a  quel  di  Pescara  dar  si  vede, 
Ed  a  chi  mai  da  lui  non  si  scompagna, 
A  quel  del  Vasto ,  le  prime  corone 
Del  campo  rotto ,  e  del  gran  re  prigione. 

5i.     Rotto  a  Pavia  1'  un  campo ,  1'  altro  eh'  era, 
Per  dar  travaglio  a  Napoli ,  in  cammino, 
Restar  si  vede ,  come ,   se  la  cera 
Gli  manca  o  1'  olio ,  resta  il  lumicino. 
Ecco,  che  '1  re  nella  prigione  ibera 
Lascia  i  figliuoli ,  e  torna  al  suo  domino. 
Ecco  fa  a  un  tempo  egli  in  Italia  guerra  ; 
Ecco  altri  la  fa  a  lui  nella  sua  terra. 

55.  Vedete  gli  omicidj  e  le  rapine 
In  ogni  parte  far  Roma  dolente, 
E  con  ineendj  e  stupri  le  divine 
E  le  profane  cose  ire  ugualmente. 
Il  campo  della  lega  le  ruine 
Mira  d'  appresso ,  e  '1  pianto  e  '1  gi-ido  sente  ; 
E ,  dove  ir  dovria  innanzi ,  torna  indietro, 
E  prender  lascia  il  successor  di  Pietro. 

56.  Manda  Lotrecco  il  re  con  nuove  squadre, 
Non  più  per  fare  in  Lombardia  1'  impresa. 
Ma  per  levar  delle  mani  empie  e  ladre 
Il  capo  ,  el'  altre  membra  della  chiesa; 
Che  tarda  si ,  che  trova  al  santo  Padre 
Non  esser  più  la  libertà  contesa. 
Assedia  la  cittade,  ove  sepolta 
E  la  sirena ,  e  tutto  il  regno  volta. 

57.  Ecco  r  armata  imperiai  si  scioglie. 
Per  dar  soccorso  alla  città  assediata; 
Ed  ecco  il  Doria ,  che  la  via  le  toglie, 
E  r  ha  nel  mar  sommersa,  arsa  e  spezzata. 
Ecco  Fortuna ,  come  cangia  voglie. 
Sin  qui  a'  Francesi  sì  propizia  stata. 
Che  dì  febbre  gli  uccide ,  e  non  di  lancia. 
Sicché  dì  mille  un  non  ne  torna  in  Francia. 

58.  La  sala  queste  ed  altre  istorie  molte, 
Che  tutte  saria  lungo  riferire. 
In  varj  e  bei  colori  avea  raccolte, 
Ch'  era  ben  tal ,  che  le  potea  capire. 
Tornano  a  rivetlerle  due  e  tre  volte; 
Né  par ,  che  se  ne  sappiano  partire  ; 

E  rìleggon  più  volte  quel ,  eh'  in  oro 
Si  vede  scritto  sotto  il  bel  lavoro. 

59.  Le  belle  donne ,  e  gli  altri  quivi  stati. 
Mirando  e  ragionando  insieme  un  pezzo, 
Fur  dal  signore  a  riposar  menati, 

Ch'  onorar  gli  osti  sii<»i  molto  era  avvezzo, 
(iià  scudo  tutti  gli  altri  addormentati, 
lìra<l  amante  a  col<-ar  si  va  dassezzo; 
E  si  volta  or  su  questo,  or  su  qiu:l  fianco. 
Né  può  dormir  sul  destro,  né  sul  manco. 

60.  Pur  chiude  alquanto,  appresso  all'  alba,  i  lumi, 
E  di  vcd<*r  le  paro  il  suo  Ruggiero, 

Il  qual  le  dica:  Perché  ti  consumi. 
Dando  (rcdcnzii  a  quel,  clic  non  é  vero? 
I'm  vedrai  prima  all'  erta  andare  i  fiumi, 
Che  ad  allri  unii ,  che  a  te  ,  volga  il  pensiero. 
S'  io  non  auiiiK^i  te ,  ni  il  cor  potrei, 
Né  ie  pupille  amar  degli  occhj  miei. 


61.  E  par  che  le  soggiunga  :  Io  son  venuto 
Per  battezzarmi ,  e  far  quanto  ho  promesso  ; 
E  s'  io  son  stato  tardi ,  m'  ha  tenuto 

Altra  ferita,  che  d'  amore,  oppresso.  j 

Fugge.NÌ  in  questo  il  sonno ,  né  veduto 
E  più  Ruggier,  che  se  ne  va  con  esso. 
Rinnova  allora  i  pianti  la  donzella, 
E  nella  mente  sua  così  favella: 

62.  Fu  quel,  che  piacque,  un  falso  sogno;  e  quosl 
Che  mi  tormenta,  ahi  lassa!  é  im  vegghiar  vep 
Il  ben  fu  sogno ,  a  dileguarsi  presto  ; 

Ma  non  è  sogno  il  martir  aspro  e  fiero. 
Perché  or  non  ode  e  vede  il  senso  desto 
Quel,  che  udire  e  veder  parve  al  pensiero? 
A  che  condizione ,  occhj  miei ,  sete. 
Che  chiusi  il  bene ,  e  aperti  il  mal  vedete  ? 

63.  Il  dolce  sonno  mi  promise  pace, 

Ma  r  amaro  vegghiar  mi  torna  in  guerra: 

Il  dolce  sonno  é  ben  stato  fallace, 

Ma  r  amaro  vegghiare ,  oimé  !  non  erra. 

Se  '1  vero  annoja ,  e  il  falso  sì  mi  piace, 

Non  oda ,  o  vegga  mai  più  vero  in  terra  ! 

Se  'l  dormir  mi  dà  gaudio  ,  e  il  vegghiar  guai, 

Possa  io  dormir  senza  destarmi  mai! 


64. 


65. 


66 


Oh  felici  animai,  che  un  sonno  forte 
Sei  mesi  tien ,  senza  mai  gli  occhj  aprire  ! 
Che  s'  assimigli  tal  sonno  alla  morte, 
Tal  vegghiare  alla  vita,  io  non  vo'  dire; 
Ch'  a  tutt'  altre  contraria  la  mia  sorte 
Sente  morte  a  vegghiar,  vita  a  dormire. 
Ma  ,  se  a  tal  sonno  morte  s'  assimiglia. 
Deh!  morte,  or  ora  chiudimi  le  ciglia! 

Dell'  orizzonte  il  sol  fatte  avea  rosse 
L'  estreme  parti ,  e  dileguate  intorno 
S'  eran  le  nubi ,  e  non  parca  che  fosse 
Simile  all'  altro  il  cominciato  giorno, 
Quando  svegliata  Bradamante  armosse, 
Per  fare  a  tempo  al  suo  cammin  ritorno, 
Rendute  avendo  grazie  a  quel  signore 
Del  buon  albergo,  e  dell'  avuto  onore. 

E  trovò ,  che  la  donna  messaggera, 
Con  damigelle  sue ,  con  suoi  scudieri 
Uscita  della  rocca,  vcnut'  era 
Là ,  do^  e  r  attendean  quei  tre  guerrieri, 
Quei,   che  con  1'  asta  d'  oro  essa  la  sera 
Fatto  avea  riversar  giù  dei  destrieri; 
E  che  patito  avean  con  gran  disagio 
La  notte  1'  acqua,   e  il  vento,   e  il  ciel  mah-agio] 


67 


Arroge  a  tanto  mal ,  che  a  corpo  vuoto 
Ed  essi  e  i  lor  cavalli  eran  rimasi, 
Battendo  i  denti ,  e  calpestando  il  loto  ; 
Ma  quasi  lor  più  incrcsce,  e  senza  quasi 
Incrc.sce,  e  preme  più,  che  farà  noto 
La  me^saggiera,  appresso  agli  altri  casi. 
Alla   sua  donna,  che  la  prima  lancia 
Gli  abbia  abbattuti,   eh'  han  trovatala  Francia 

68.      E  presti  o  di  morire,  o  di  vendetta 
Subii(»  fiir  del  rice^  uto  oltraggio, 
Acciò  la  messaggiera.  che  fu  detta 
Lllania,  che  nomata  più  non  aggio, 
La  mala  opinion  ,  eh'  a^  ea  concetta 
Forse  di  lor,  si  tolga  del  coraggio, 
La  figlinola  d'  Amon  sfidano  a  giostra 
Tostuchè  fuor  del  ponte  ella  si  mostra  ; 


449] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXIU.  69-84) 


[450] 


C9.     Non  pensando  però,  che  sia  donzella j 
Che  nessun  gesto  di  donzella  avea  ; 
Bradamante  ricusa ,  come  quella, 
Ch'  in  fretta  già,  né  soggiornar  volea. 
Pur  tanto  e  tanto  fur  molesti ,  eh'  ella, 
Che  negar  senza  hiasmo  non  potea, 
Abbass»)  i'  asta ,  ed  a  tre  colpi  in  terra 
Li  mandò  tutti,  e  qui  finì  la  guerra; 

70.  Che ,  senza  più  voltarsi ,  mostrò  loro 
Lontan  le  spalle,  e  dileguossi  tosto. 
Quei,   che  per  guadagnar  lo    scudo  d'  oro, 
Di  paese  venian  tanto  discosto, 

Poiché  senza  parlar  ritti  si  foro, 

(Che  ben  1'  avean  con  ogni  ardir  deposto) 

Stupefatti  parean  di  maraviglia, 

ISè  verso  Ullania  ardian  d'  alzar  le  ciglia: 

71.  Che  con  lei  molte  volte  per  cammino 
Dato  s'  avean  troppo  orgogliosi  vanti, 
Che  non  è  cavalier,  nò  paladino, 

Ch'  al  minor  di  lor  tre  durasse  avanti. 
La  donna,  perché  ancor  più  a  capo  chino 
A  adano ,  e  più  non  sian  cosi  arroganti. 
Fa  lor  saper,  che  fu  femmina  quella, 
iNon  paladin,  che  li  levò  di  sella. 

72.  Or  che  dovete,  dice        ^Ua,  quando 
Cosi  v'  abbia  una  feir    .    a  abbattuti, 
Pensar,  che  sia  Rinak-    ,  o  che  sia  Orlando, 
Non  senza  causa  in  tant'  onore  avuti.'' 

Se  un  d'  essi  avrà  lo  scudo  ,  io  vi  domando, 
Se  migliori  di  quel  che  siate  suti 
Contra  una  donna,  contra  lor  sarete? 
Noi  credo  io  già,  né  voi  forse  il  credete. 

l'j.     Questo  vi  può  bastar  ;  né  vi  bisogna 
Del  valor  vostro  aver  più  chiara  prova  ; 
E  quel  di  voi,  che  temerario  agogna 
Far  di  sé  in  Francia  esperienza  nuova, 
Cerca  giungere  il  danno  alla  vergogna, 
In  che  jeri  ed  oggi  s'  è  trovato  e  trova; 
Se  forse  egli  non  stima  utile  e  onore, 
Qualor  per  man  di  tai  guerrier  si  muore. 

74.  Poiché  l)en  certi  i  cavalieri  fece 
Ullania,  che  quella  era  una  dinizella, 
La  qual  fatto  avea  nera ,  più  <;he  pece, 
La  fama  lor,  eh'  esser  solca  sì  bella, 
E  do>e  una  bastava,  più  di  dicce 
Persone  il  detto  confermar  di  quella. 
Essi  fnr  per  voltar  1'   arnie  in  sé  stessi, 
Da  tal  dolor,  da  tanta  rabbia  oppressi. 

75.  E  dallo  sdegno  e  dalla  furia  s|iinti, 

L'  arme  si  spoglian ,  quante  ti  hanno  indosso, 
Né  si  lascian  la  spada,  onde  eran  cinti, 

E  del  caste!  la  gittano  nel  l'osso  ; 

E  giuran,  p()i<  he  gli  ha  una  donna  vinti, 
E  fatto  sul  terrei!  batteri;  il  ilo.>so, 

Che,  per  purgar  sì  grave  <;rror ,  staranno 

Senza  mai  vestir  1'  arme  intero  un  ainu); 

76.  E  clic  ne  andranno  a  |>iè  pur  tuttavia, 
O  sia  la  strada  piana,  o  scimmia,  o  eaglia: 
Né,  poiclié  r  ainio  an<;o  lìnito  sia, 

Sarai)  \>rr  cavalcare,  o  votir  maglia, 

S'  allr'  arnie,  altro  dcstricr  da  lor  non  fia 

(ìiiadagnato  per  lor/.a  di   b,ill.igli>i. 

Cuci  ^en7.'  arine,  per  punir  lor  fallo, 

Lssi  u  piò  86  n'  undùr,  gli  altri  n  cavallo. 


77.  Bradamante  la  sera  ad  un  castello, 
Ch'  alla  via  di  Parigi  si  ritrova. 

Di  Carlo,  e  di  Rinaldo  suo  fratello. 
Che  avean  rotto  Agramante,  udì  la  nuova. 
Quivi  ebbe  buona  mensa,  e  buono  ostello; 
Ma  questo,  ed  ogn'  altro  agio,  poco  giova; 
Che  poco  mangia,  e  poco  dorme,  e  poco 
Non  che  posar,  ma  ritrovar  può  loco. 

78.  Non  però  di  costei  voglio  dir  tanto, 
Ch'  io  non  ritorni  a  quei  duo  cavalieri, 
Che  d'  accordo  legato  aveano,  accanto 
La  solitaria  fonte,  i  duo  destrieri. 

La  pugna  lor,  di  che  vo'  dirvi  alquanto, 
Non  é  per  acquistar  terre,  né  imperj. 
Ma  ,  perché  Durindana  il  più  gagliardo 
Abbia  ad  avere,  e  a  cavalcar  Bajardo. 

79.  vSenzachè  tromba ,  o  segno  altro  accennasse, 
Quando  a  mover  si  avean ,  senza  maestro. 
Che  lo  schermo  e  '1  ferir  lor  ricordasse, 

E  lor  pungesse  il  cor  d'  animoso  estro, 
L'   uno  e  1'  altro  d'  accordo  il  ferro  trasse, 
E  si  venne  ca  trovare  agile  e   dentro. 
Gli  spessi  e  gravi  colpi  a  farsi  udire 
Licominciaro ,  ed  a  scaldarsi  1'  ire, 

80.  Due  spade  altre  non  so  per  prova  elette 
Ad  esser  ferme,  e  solide  ,  e  ben  dure. 
Che  a  tre  colpi  di  quei  si  fosser  rette, 
Ch'  erano  fuor  di  tutte  le  misure. 

Ma  quelle  fur  di  tempre  sì  perfette. 
Per  tante  esperienze  sì  sicure. 
Che  ben  poteano  insieme  riscontrarsi 
Con  mille  colpi  e  più,  senza  spezzarsi. 

81.  Or  qua  Rinaldo,  or  là  mutando  il  passo. 
Con  gran  destrezza ,  e  molta  industria  ed  arte, 
Fuggia  di  Durindana  il  gran  fracasso; 

Che  sa  ben ,  come  spezza  il  ferro ,  e  parte. 
Feria  maggior  percosse  il  re  Gradasso, 
Sia  quasi  tutte  al  vento  erano  sparte; 
E  se  cogliea  talor ,  coglieva  in  loco. 
Ove  potea  gravare  e  nuocer  poco. 

82.  L'  altro  con  più  ragion  sua  spada  inchina, 
E  fa  spesso  al  pagan  stordir  le  braccia; 

E  quando  ai  fianchi ,  e  quando  ove  confina 

La  corazza  con  l'  elmo,  gli  la  caccia; 

Ma  trova  1'  armatura  adainanlina 

Siedi'  una  maglia  non  ne  rompe,  o  straccia. 

Se  dura  e  forte  la  ritrova  tanto, 

Avvien ,  perdi'   ella  é  fatta  per  incanto. 

83.  Senza  prender  riposo  erano  stali 
Gran  pezzo  tanto  alla  battaglia  fi.-i, 

Che  volto  gli  ocdij  in  ne.'«.>iin  mai  de'  lati 
Aveano,  fuorché  nei   turbati  vi>i; 
Quando  d.i  un'  altra  zolla  di.^tornati, 
E  da  tanto  furor  fiiroii  ili\i>i. 
Ambi  voltalo  a   un  gran  ^^^•epito  il  ciglio, 
E  videro  Bajardo  in  gran  periglio. 

84.  Vider  Bajardo  a  zulTa  con  un  mostro. 
Cir  er.i  più  di   luì  grande,  ed  era  augello. 
Avea  )iiù   lungo  di   tre  braccia   il  ro»lro  ; 
L'  altre  faltcz/.e  aAca  di  pipi»tr<'llo. 

Avrà  la  piiiiiia  negra,  come  iiidiio>tro  ; 
Avea   r  artiglio  grande,  acuto  e  fello; 
Occhio  di  loi:o,  e  sguardo  avea  criuUh' ; 
L'  ale  avea  grandi ,  clic  parean  due  v  de. 

2» 


[451] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXIII.  85  —  100) 


[452i 


85.      Forse  era  vero  aiigel  ;  ma  non  so,  doTC, 
O  quandc»  un  altro  ne  sia  stato  tale. 
INOn  ho  veduto  mai ,  né  letto  altrove, 
Fuorché  in  Turpin ,  d'  un  sì  fatto  animale. 
Questo  rispetto  a  credere  ini  move, 
Che  r  augel  fosse  un  diabolo  infernale, 
Che  Malagigi  in  quella  forma  trasse, 
Acciocché  la  battag^lia  disturbasse. 

80".      Rinaldo  il  credette  anco ,  e  gran  parole 
E  sconce  poi  con  Miilagigi  n'  ebbe. 
Egli  già  confessar  non  gli  lo  vuole; 
E  perchè  tor  di  colpa  si  vorrebbe, 
Giura  pel  lume  che  dà  lume  al  sole, 
Che  di  questo  imputato  esser  non  debbe. 
Fosse  augello ,  o  demonio ,  il  mostro  scese 
Sopra  Bajardo,  e  con  1'  artiglio  il  prese. 

87.  Le  redine  il  destrier ,  eh'  era  possente, 
Subito  ro.nipe,  e  con  sdegno  e  con  ira 
Contra  1'  augello  i  calci  adopra,  e  '1  dente: 
Ma  quel  veloce  in  aria  si  ritira, 

Indi  ritorna,  e  con  1'  ugna  pungente 

Lo  va  battendo ,  e  d'  ogn'  intorno  aggira. 

Biijardo  offcjo,  e  che  non  ha  ragione 

Di  schermo  alcun,  ratto  a  fuggir  si  pone. 

88.  Fugge  Bajardo  alla  vicina  selva, 
E  va  cercando  le  più  spesse  fronde. 
Segue  di  sopra  la  pennuta  belva 

Con  gli  occhj  fissi,  ove  la  Aia  seconde; 
Ma  pure  il  buon  destrier  tanto  s'  inselva, 
C!ie  alfin  sotto  una  grotta  si  nasconde. 
Poiché  r  alato   ne  perde  la  traccia, 
Ritorna  in  cielo  ,  e  cerca  nuova  caccia. 

89.  Rinaldo  e  '1  re  Gradasso ,  che  partire 
\  eggono  la  cagion  della  lor  pugna, 
Restan  d'  accordo  quella   dilTerirc, 
Finché  Baj;»rdo  salvino  dall'  ugna. 
Che  per  la  scura  selva  il  fa  fuggire  ; 
Con  patto ,  che  qual  d'  essi  lo  raggiugna, 
A  quella  fonte  lo  restituisca, 

Ove  la  lite  lor  poi  si  fniisca. 

yO.      Seguendo  si  partir  dalla  fontana, 
L'  erbe  novellamente  in  terra  peste. 
Mrdto  da  lor  Bajardo  s'   alhnitana, 
Cir  ebbon  le  piante  in  seguir  lui  mal  preste. 
Gradasso,  che  non  Ituigi  avea  1'  Allana, 
Sopra  \\  salse ,  e  per  quelle  foreste 
Molto  lontano  il  paladiii  lasciosse. 
Tristo,  e  peggio  c(nitento,  che  mai  fosse. 

91.      Rinaldo  perde  Y  orme  in  pochi  passi 
Del  suo  destrier,  che  fé'  strano  viaggio; 
('11'  andò  rivi  cercando ,  arbori  e  sassi. 
Il  più  sprno-o  luogo,  e  il  più  selvaggio, 
A<<;ioccbé  da  quella  ugna  si  celassi, 
Clie  cadendo  dal  ciel  gli  facea  oltraggio. 
Rinaldo  dopo  la  fatica  vana 
Ritornò  ad  aspettarlo  alla  fontana; 

D'i.  Se  da  Gradasso  vi  fosse  condotto, 
Si<r<uuc  tra  lor  dianzi  si  contenne: 
Ma ,   poicliò  far  si  vide  poco  frutto, 


Dolente 


piedi   in  campo  se  ne  venne. 


Or  torniamo  a  quell'  altro,  al  quale  in  tutto 
Diverso  da  Uinaldo   il   caso  av\enne. 
>(Ui  per  ragion,  ma  per  suo  gran  destino, 
Sentì  annitrire  il  buon  destrier  vicino; 


93.  E  lo  trovò  nella  spelonca  cava. 
Dall'  avuta  paura  anco  sì  oppresso, 
Ch'  uscire  allo  scoperto  non  osava. 
Perciò  r  ha  in  suo  potere  il  pagan  messo. 
Ben  della  convenzion  si  ricordava, 

CI»'  alla  fonte  tornar  dovea  con  esso;  t 

Ma  non  é  più  disposto  d'  osservarla,  j 

E  cosi  in  mente  sua  tacito  parla: 

94.  Abbial  chi  aver  lo  vuol  con  lite  e  guerra!     i 
Io  d'  averlo  con  pace  piìi  disio. 

Dall'  URO  all'  altro  capo  della  terra 

Già  venni,  e  sol  per  far  Bajardo  mio: 

Or  eh'  io  r  ho  in  mano,    ben  vaneggia  ed  erri 

Chi  crede ,  che  dcpor  lo  voless'  io. 

Se  Rinaldo  lo  vuol ,  non  disconviene, 

Come  io  già  in  Francia,  or  s'  egli  in  India  viene 

95.  Non  men  sicura  a  lui  fia  Sericana, 
Che  già  due  volte  Francia  a  me  sia  stata. 
Cosi  dicendo,  per  la  ^ia  più  piana 

Ne  venne  in  Arli,   e  vi  trovò  1'  armata; 

E  quivi  con  Bajardo  e  Durindana 

Si  partì  sopra  una  galèa  spalmata. 

Ma  questo  a  un'  altra  volta  ;  eh'  or  Gradasso, 

Rinaldo,  e  tutta  Francia  addietro  lasso. 

96.  Voglio  Astolfo  seguir,  eh'  a  sella  e  a  morso 
A  uso  facea  andar  di  palafreno 

L'  Ippogrifo  per  1'  aria  a  sì  gran  corso. 

Che  r  aquila  e  il  falcon  vola  assai  meno. 

Poiché  de'   Galli  ebbe  il  paese  scorso 

Da  un  mare  all'  altro ,  e  da  Pirene  al  Reno, 

Tornò  verso  ponente ,  alla  montagna, 

Che  separa  la  Francia  dalla  Spagna. 

9T.      Passò  in  Na varrà,  ed  indi  in  Aragona, 
Lasciando,  a  chi  'I  vedea,  gran  meraviglia. 
Restò  lungi  a  sinistra  Tarracona, 
Biscaglia  a  destra,  ed  arrivò  in  Castiglia. 
Vide  Galizia ,  e  il  regno  d'  Llisbona ; 
Poi  volse  il  corso  a  Cordova  e  Siviglia: 
Kè  lasciò  presso  al  mar ,  né  fra  campagna 
Città,  che  non  vedesse  in  tutta  Spagna. 

98.  Vide  le  Gade,  e  la  meta  che  pose 
Ai  primi  naviganti  Ercole  invitto. 

Per  r  Afri<;a  vagar  poi  si  dispose  > 

Dal  mar  d'  Atlante  ai  termini  d'  Egitto. 
Vide  le  Baleariche  famose, 
E  vide  Evizi  appresso  al  cammìn  dritto. 
Poi  volse  il  freno ,  e  tornò  verso  Arzilla, 
Sopra  'I  mar,  che  da  Spagna  dipartilla. 

99.  Vide  Marocco  ,  Fcza ,  Orano  ,  Ippona, 
Algier,  Bnzéa,  tutte  città  superbe, 

Ch'  hanno  d'  altre  città  tutte  corona. 
Corona  d'  oro,  e  non  di  fronde,  o  d'  erbe. 
Verso  Diserta  e  'l'nnigi  poi  sprona; 
Vide  Ca|)isse,  e  1'  isola  d'  Alzerbe, 
E  Tripoli,  e  Berniche,  e  Tolomitta, 
Sin  dove  il  A  ilo  in  Asia  si  tragitta. 

100.      Tra  la  marina,  e  la  silvosa  schiena 
Del  fiero  Atlante,  vide  ogni  contrada: 
Poi  die'  le  spalle  ai  monti  di  Carena, 
E  sopra  i  Cirenei  prese  la  strada; 
E  tra^«•rsando  i  campi  dt-ll'  arena, 
Venne  a'  coiifìu  di  Niibìa  in  Albajada. 
Rimase  dietro  il  ciiniter  di  Batto, 
E  il  gran  tempio  d'  Amon ,  eh'  oggi  è  disfatto. 


15 


it53] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXXUl.  101-116) 


[454] 


>1.      Indi  g:iiJn.«e  afl  iin'  altra  Treni Lsennc, 
Che  di  3Iiiumetto  pur  segue  lo  stilo. 
Poi  volse  agli  altri  Etiopi  le  penne, 
Che  contra  questi  son  di  là  dal  ^Nilo; 
Alla  città  di  Nuhia  il  cammin  tenne, 
Tra  Uohada  e  Coalle ,  in  aria  a  filo. 
Questi  cristiani  son  ,  quei  saracini, 
E  stan  con  1'  arme  in  man  sempre  ai  confini. 

)2.      Senapo  ,  imperator  dell'  Etiopia, 

Che  in  luogo  tien  di  scettro  in  man  la  croce, 

Di  gente,  di  cittadi  e  d'  oro  ha  «;opia 

Quindi  fin  là,  dove  il  mar  rosso  ha  foce  ; 

E  serva  quasi  nostra  fede  propia, 

Che  può  salvarlo   dall'  esilio  atroce. 

Gli  è  (s'  io  non  piglio  errore)  in  questo  loco, 

Ove  al  hattesmo  loro  usano  il  foco. 

)3.      Dlsmontò  il  duca  Astolfo  alla  gran  corte 
Dentro  di  ^luhia,  e  visitò  il  Senapo. 
11  castello  è  più  ricco  assai ,  che  forte, 
Ove  dimora  d'  Etiopia  il  capo. 
Le  catene  dei  ponti  e  delle  porte, 
Gangheri ,  e  cliiavisìei  da  piedi  a  capo, 
E  finalmente  tutto  quel  lavoro. 
Che  noi  di  ferro  usiamo ,  ivi  usan  d'  oro. 

)4.      Ancorché  del  finissimo  metallo 

Vi  sia  tale  ahhondanza ,  è  pure  in  pregio  ; 

Colonnate  di  limpido  cristallo 

Son  le  gran  logge  del  palazzo  regio. 

Fan  rosso ,  hianco ,  verde ,  azzurro  e  giallo 

Sotto  i  bei  palchi  un  rilucente  fregio, 

Divisi  tra  proporzionati  spazj 

Rubin,  smeraldi,  zaffiri,  e  topazj. 

)5.      In  mora,  in  tetti,  in  pavimenti  sparte 
Eran  le  perle,  eran  le  ricche  gemme. 
Quivi  il  balsamo  nasce;  e  poca  parte 
1\'  ebbe ,  appo  questi ,  mai  Gerusalemme. 
Il  nuischio ,  eh'  a  noi  vien,  quindi  si  parte; 
Quindi  vien  1'  ambra,  e  cerca  altre  maremme; 
Vengoii  le  cose  ,  in  soiimia ,  da  quel  canto. 
Che  ne'  paesi  nostri  v  aglion  tanto. 

06.  Si  dice,  che  'l  soldan ,  re  dell'  Egitto, 
A  quel  re  dà  tributo,  e  sta  .-uggetto. 
Perchè  è  in  poter  di  lui  dal  canunin  dritto 
Levare  il  Mio,  e  dargli  altro  ricetto; 
£  per  que>to  lasciar  subito  affiitto 
Di  fame  il  Cairo ,  e  tutto  quel  distretto. 
Senapo  detto  è  da'  sudditi  suoi  ; 
Gii  (liciam  Presto,  o  Pretejanni  noi. 

07.  Di  quanti  re  mai  d'  Etiopia  foro. 
Il  più  ricco  fu  <|uesto,  (;  il  più  possente. 
i\Iii  <:on  tutta  sua  possa  e  suo  tesoro. 
Gli  occhj  perduti  avea  miseramente. 
E  quoto  era  il  minor  d'  ogni  martoro  : 
Gioito  er<'i  più  no.joso  e  più  spiac'ente. 
Che,  quantunque  ric('liis>imo  si  chiame. 
Crucialo  era  da  perpetua  fame. 

08.  Se  \ìvr  mangiare  o  hcr  quell"  infelice 
\<Miia  cacciato  dal  bi>ogno  grande, 
'l'osto  npparia  1'  iufcriial  schiera  nitrii»;. 
Le  mostruose  arpie;,   brutte  e  nefande, 
(Jhc  cui  grilo  e  con  1'  ugna  predatrice 
Spargeano  i  vasi,  e  rapian  le  vivande, 
E  (|nei,  che  nini  cnpia  lor  ventre  ingordo, 
\  i  rimanea  contaminato  e  lordo. 


!lC9.      E  questo,  pcrch',  essendo  d'  anni  acerbo, 
j  E  vistosi  lev  ato  in  tanto  onore, 

I  Che,  oltre  alle  ricche? ze,  di  più  nerbo 

I  Era  di  tutti  gli  altri,  e  di  più  core. 

Divenne,  come  Lucifer,  superbo, 
E  pensò  mover  guerra  al  suo  Fattore. 
Con  la  sua  gente  la  via  prese  al  dritto 
I         Al  monte,  onde  esce  il  gran  fiume  d'  Egitto. 

jilO.      Inteso  avea,  che  su  quel  monte  alpestre. 
Ch'  oltie  alle  nubi ,  e  presso  al  elei  si  leva, 

j  Era  quel  paradiso,  che  terrestre 

Si  dice,  ove  abitò  già  Adamo  ed  Eva. 
Con  cammelli ,  elefanti ,  e  con  pedestre 
Esercito ,  orgoglioso  si  mo^  ev  a. 
Con  gran  desir,  se  v'  abitava  gente, 
Di  farla  alle  sue  leggi  ubbidiente. 

111.  Dio  gli  represse  il  temerario  ardire, 
E  mandò  1'  angel  suo  tra  quelle  frotte. 
Che  centomila  ne  fece  morire, 

E  condannò  lui  di  perpetua  notte. 
Alla  sua  mensa  poi  fece  venire 
L'  orrendo  mostro  dall'  infernal  grotte, 
Che  gli  rapisce  e  contamina  i  cibi. 
Né  lascia,  che  ne  gusti,  o  ne  delibi. 

112.  Ed  in  disperazion  continua  il  messe 
Uno ,  che  già  gli  avea  profetizzato. 
Che  !e  sue  mense  non  sariano  oppresse 
Dalla  rapina,  e  dall'  odore  ingrato, 
Quando  v  enir  per  1'  aria  si  vedesse 
Vn  cavalier  sopra  un  cavallo  alato. 
Perchè  dunque  impossibil  parca  questo, 
Privo  d'  ogni  speranza  vivca  mesto. 

113.  Or  che  con  gran  stupor  vede  la  gente 
Sopra  ogni  muro ,  e  sopra  ogn'  alta  torre 
Entrare  il  cavaliero  ,  immantinente 

E  chi  a  narrarlo  al  re  di  >  tibia  corre, 
A  cui  la  profezia  ritorna  a  mente  ; 
Ed  obbliando  per  letizia  torre 
La  fedel  verga,  con  le  mani  innante 
Yien,  brancolando,  al  cavalier  volante. 

114.  Astolfo  nella  piazza  del  castello 
Con  spaziose  ruote  in  terra  scese. 
Poiché  fu  il  re  condotto  innanzi  a  quello, 
Inginocchiossi ,  e  le  man  giunte  stese, 

E  disse:  Angel  di  Dio,  Alessia  nodello! 
S"  io  non  merto  perdono  a  tante  olVese, 
]\lira ,  che  proprio  è  a  noi  peccar  sovente, 
A  voi  pei  d. mar  sempre  a  chi  si  pente. 

115.  Del  mio  error  <(iiis;ipe>oh> .  non  chieggio. 
Né  chiederti  ardirei  gli  antichi  liiiiii. 

Ch(!  tu  lo  possa  far,   ben  creder  (leggio  ; 

Che  sei  de'  cari  a  Dio  beati  iiuiiii. 

'l'i  basti  il  gran  iiiartir,  «  h'  io  ncui  ci  veggio, 

Senzachè  ogiior  la  fame  mi  consumi. 

Almen  disca<cia  le  letiib"  arpie. 

Che  non  rapiscan  le  vitande  mie! 

116.  E  di  marmore  un  Iciiipio  ti  prometto 
Edìricar  iicH'  alta  reggia   mia, 

(he  tutte  d'  oro  aliliia  le  porte,   e  il  tetto, 
E  deiilnt  e  fuor  di  gemme  ornato  sia; 
il  dal  tuo  ^allto  n(iiii(>  sarà  detto, 
E  del  iiiirai'ol  tuo  sciiipilo  fìa. 
Così  tiic<a  quel  re,  che  nulla  vede, 
Cercando  iiivnu  baciare  al  duca  il  piede. 

29  * 


L-' J 


r„  -   -UT,    -,  ^  ! J 


i^e  bon  messia  nnvpl     hA  j-^i     •  i 
Ma  .«n  mortale,  e  peccatore  anch'  fo     ' 
Io  S!     ^?'''^'  ^  "'^  concessa,  indegno. 
Pe.    n?„"f"    '"'r'''  «'^'^'"'^^'"^'  «•'  mostro  rio 
Pei   morte,  o  fuga  ioti  ],.vi  dui  regno. 
»    10  11  fo,  me  non,  ma  Dio  ne  loda  solo 
Che  per  tuo  ajuto  qui  mi  drizzò  il  ,olo  ! 

Fa  questi  voti  a  Dio,  debiti  a  lui  ' 
A  lui  le  duesc  edifica,  egli  altari!* 
Cosi  parlando  andavano  arahiduì 
Icrso  .1  castello  fra  i  baron  preclari. 
Il  re  comanda  ai  servitori  sui 
Che  subito  il  convito  si  prepa'ri; 
Sperando     che  non  debba  esser-li  tolta 
La  vivanda  di  mano  a  questa  v'o/ta"^ 

^:;^,r^.1f'!^-!---n«nente 


118 


119. 


--"  """.^"''"  saia  immantiiK 
Apparecchiossi  il  convito  solenne 
Col  Senapo  ^  assise  solamente 
Il  ducaAstolfo,  e  la  vivanda  venne. 
Ecco  per  r  aria  lo  stridor  si  sente 
Percossa  mtorno  dall'  orribil  penne. 

liatte  dal  cielo  a  odor  delle  vivande. 

^■^■Vohn?r"'  '"  ""^  ^'^'"^••«'  «  tutte 
Pei  h,nl-.  f""^  ^''^"  P^"''^^  «  ^™«rte, 
Per  lunga  fame  attenuate  e  asciutte 
Ombih  a  veder,  più  che  la  mo^t^ 
L    alacce  grand,  avean,   deformi  e  brutte 
Le  man  rapaci,  e  I'  ugne  incurve  e  forte 
Grande  e  fetido  il  venfre,  e  lun4  coda    ' 
Come  di  serpe,  che  s'aggira  e  ^noSa' 
121.     Si  sentono  venir  per  1'  aria,  e  quasi 

|J':i;ei5iti^-r---7s 

Astolfo,  come  1'  ,ra  lo  sospinge, 
Contra  gì'  mgordi  augelli?!  L'ro  stringe. 
1—      Uno  sul  collo,  un  altro  sulla  groppa 

Ma  TI'  V^'^""^  P^"«'  «  «hi^erala- 
Ma,  come  fera  ,n  su  un  sacco  di  stonoa 
Poi  langue  ,1  colpo ,  e  senza  effetto  Sa'' 
E  quei  non  vi  lasciar  piatto,  „è  coppa   "' 
Che  fosse  intatta;  né  sgombkr  la  sala 
Pnniachè  le  rapine  e  if  fiero  pasto        ' 
Coutaminato  U  tutto  avesse  e  guLto 


"'Nef  ducVT?'^  '':  ^^••'°*  speranza 
Ed  .u,  cheti  a'?"  ^''  •'i-«coiassi  ; 

E  co,,.hiude  tra  sé    E^^i"^' 
Per  discacciare  i  mostri, 'ottima  S. 

Di';a';rcera  vtV\ -^  ^?'  ^"«'  '^--^ 
Acciocché  tu?ti    come  Si"  ''  ''"'' 
Non  abbiano  a'ftZ:.  lo'rTu'":'"'' 
Prende  la  bnVJia    °  *    u         ^"f  ^^^'^a- 

Ma  ™„„„  i„  V„s„    £T  ""»  l""'». 

Tant!,     J       '""^  '"''■'*'  '«  ^«na   ro-o^ia 
lanto     che  sono  all'  iIh*    :.^      '"oo'»? 

Ove  il  Nilo  1.".  •  "'V^'™*»  ™on'e, 


[»C 


125. 


127, 


128 


Quasi  della  montagna  alla  radice 
Entra  sotterra  una  p^rofonda  gJo «a 
Che  certissima  porta  esser  siXe  ' 

Qui'V'é   ":rVr'-"^ei'Talotta. 
V""i  s    e  quella  turlia  predatrice 

^  gm  sm  di  Cucito  in  sulla  ni-oda 
Ali   ,„fer„„l  caliginosa  bar» 

i"T-iiif-;f.t:,ittr-'™- 

E  fé    raccorrò  al  suo  destrier  le  ulon,. 

Poiché  rta  („   i'  ]    ",;''kÌ  "!'"  «".!""""! 
Finire  Uea.t'c'"4«a.''S",4f;«"°- 


(■5T] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXIV.  1-12) 


[458] 


CANTO    TRE  N  TESI  MOQU  ARTO. 


ARGOMENTO. 

Dalla  mìsera  Lidia  Astolfo  intende 
La  crudeltà  ,  che  lei  in  inferno  pose  : 
Poi  nel  terrestre  paradiso  ascende. 
Ove  informato  vicn  di  molte  cose, 
lede  il  senno  d'  Orlando,  indi  lo  prende: 
E  7  suo,  che  nel  fiutar  se  lo  ripose: 
Poi  vede  i  velli  della  nostra  vita, 
Come  si  fila,  e  come  è  compartita. 


1.  Oh  fameliche,  inìque  e  fiere  arpìe, 
CIi'  all'  accecata  Itiilia,  e  iV  error  piena. 
Per  punir  f<irse  antiche  colpe  rie, 

In  ogni  mensa  alto  giudicio  mena  ! 
Innocenti  fanciulli ,  e  madri  pie 
Cascan  di  fame ,  e  veggon ,  eh'  una  cena 
Di  questi  mostri  rei  tutto  divora 
Ciò,  che  del  viver  lor  sostegno  fora. 

2.  Troppo  fallò  chi  le  spelonche  aperse, 
Che  già  moU'  anni  erano  state  cliiusc, 
Onde  il  fct«)ro  e  1'  iiigurdigiii  emerse, 
Ch'  ad  animorhare  Italia  si  dilluse. 

Il  bel  vivere  allora  si  sommerse, 

£  la  cpiicte  in  tal  modo  s'  escluse. 

Che  in  guerre,  in  povertà  sempre,   e  in  aflanni 

£  dopo  stata ,  ed  è  per  star  molt'  anni  ; 

Finch'  ella  un  giorno  a'  neghittosi  figli 
Scuota  la  chioma ,  e  cacci  fuor  di  Lete, 
Gridando  lor:  Aon  Ila  chi  russimiglì 
Alla  virtù  di  (Jnlai  e  di  Zete? 
Che  le  mense  dal  pn/./.o  e  dagli  artigli 
Liberi,  e  torni  a  lor  mondi/.ia  liete. 
Come  essi  già  quc^ile  di  Fineo,  e  dopo 
Fé'  il  paladin  quelle  del  re  etiope? 

Il  paladin  col  suono  orriliil  venne 
Le  lirntte  arpie  <-acciand(>  in  fuga  e  in  rotta, 
Tantoché  a  pie  d'  ini  monte  si  ritenne, 
Ove  esse  erano  entrato  in  una  grotta. 
L'  orecchie  attente  alU»  spiraglio  tenne, 
£  r  aria  ne  sentì  percossa  e.  rotta 
Da  pianti  ed  urli,  e  da  lamento  eterno; 
Segno  evidente,  quivi  esser  1    inferno! 

Astolfo  si  pensò  d'  entrar\i  dentro, 
E  veder  quei,  eh'  haiuio  perduto  il  giorno, 
K  penetrar  la  terra  (in  al  ccMiIro, 
E   le  ìiolg»;  infcTna!  (X-rcare  intorno. 
Di  che  dehho  tenn-r  ,  dicea,  «'   io  v'  entro. 
Che  mi  pos«iit  ajutar  sempre  «;ol  corno? 
Farò   liiggir  l'Iutone  e  .Satanasso, 
E   '1  cai)  Iriraucc  leverò  dal  paMO. 


3 


6.  Dell'  alato  destrier  presto  discese, 
E  lo  lasciò  legato  a  un  arbocello  ; 
Poi  si  calò  nell'  antro ,  e  prima  prese 

Il  corno ,  avendo  ogni  sua  speme  in  quello. 

]\on  andò  molto  innanzi ,  che  gli  offese 

Il  naso  e  gli  orchj  un  fumo  oscuro  e  fello. 

Più  che  di  pece  grave,  e  che  di  zolfo. 

Non  sta  d'  andar  ,  per  questo ,  innanzi  Astolfo. 

7.  Ma  quanto  va  più  innanzi ,  più  s'  ingrossa 
Il  fumo  e  la  caligine,  e  gli  pare, 

Che  andare  innanzi  più  troppo  non  possa, 

Che  sarà  forza  addietro  ritornare. 

Ecco ,  non  sa,  che  sia ,  vede  far  mossa 

Dalla  volta  di  sopra,  come  fare 

Il  cadavero  appeso  al  vento  suole, 

Che  molti  dì  sia  stato  all'  acqua  e  al  sole. 

8.  Sì  poco ,  e  quasi  nulla  era  di  luce 
In  quella  affumicata  e  nera  strada, 

Che  non  comprende  e  non  discerne  il  duce. 
Chi  questo  sia,  che  sì  per  1'  aria  vada; 
E  per  notizia  averne ,  si  conduce 
A  dargli  uno ,  o  duo  colpi  della  spada. 
Stima  poi,  eh'  uno  spirto  esser  quel  debbia; 
Che  gli  par  di  ferir  sopra  la  nebbia. 

9.  Allor  sentì  parlar  con  voce  mesta: 
Deh!  senza  fare  altrui  danno,  giù  cala! 
Pur  troppo  il  negro  fumo   mi  molesta. 
Che  dal  fuoco  infcrnal  qui  tutto  esala. 
Il  duca  stupefatto  allor  s'  arresta 

E  dice  all'  omiira:  Se  Dio  tronchi  ogni  ala 
Al  fumo ,  sicché  a  te  più  non  ascenda, 
INon  ti  dispiaccia,  che  '1  tuo  stato  intenda! 

10.  E  se  vuoi,  che  di  te  porti  novella 
Nel  mondo  su ,  per  satisfarti  sono. 

L'  ombra  rispose:  Alla  luce  alma  e  bella 
Tornar  per  fama  ancor  si  mi  par  buono. 
Che  le  parole  è  forza  che  mi  s. ella 
Il  gran  desir,  eh'  ho,  d'  aver  poi  tal  dono, 
E   che  '1  mio  nome  e  1'  esser  mio  ti  dica, 
Benché  'I  parlar  mi  sia  noja  e  fatica. 

11.  E  cominciò:  Signor,  Lidia  snn  io, 
Del  re  di  Lidia  in  grandi;  alte/./a  nata, 
Qui  dal  giudicio  altissimo  di  Dio 

Al  fumo  eternamente  condannata. 
Per  esser  stata  al  lido  amante  mio. 
Mentre  i(»  vissi ,  spiacevole  ed  ingraia. 
D'  altre  innnilt;  è  que-ta  grotta  piena, 
Pobte  per  simil  falh»  in  simil  peint. 

12.  Sta  la  cruda  Ana<s:irete  più  al  lnH90, 
Ov'  è  maggi(ue  il  fumo,  e  più  martire, 
itestò  ronversti   al  uuiiido  il  corpo  in  saiwo, 
E  r  anima  qua  giù  veiuir  a  patire. 
Poiché  ^ed<'r  [ler  lei   1'  alìlitto  e  buso 
Suo  amante  apiieso  potè  soll'erire. 

Qui  presso  è  Dnliie ,  eh'  or  s'  avvede,  qinuito 
Erriitjric  u  far  Apollo  corixr  tanto. 


[459] 


ORLANDO    FURIOSO.    (XXXIV.  13  —  28) 


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Lungo  i^tii-ia,  ne  gT  infelici  spirti 
Delle  femmine  ingrate,  che  qui  stanno. 
Volessi  ad  uno  ad  uno  riferirti  ; 
Che  tanti  son,  che  in  infinito  vanno. 
Più  lungo  ancor  saria  gli  uomini  dirti, 
A'  quai  r  essere  ingrati  lia  fatto  danno, 
E  che  puniti  sono  in  peggior  loco. 
Ove  il  fumo  gli  acceca,  e  cuoce  il  foco. 

Perchè  le  donne  più  facili  e  prone 
A  creder  son  ,  di  più  supplicio  è  degno 
Chi  lor  fa  inganno.     Il  sa  Teseo  e  Giasone, 
E  chi  turbò  a  Latin  1'  antico  regno. 
Sallo  chi  incontra  sé  il  frate  Assalone, 
Per  Tamar,  trasse  a  sanguinoso  sdegno; 
Ed  altri  ed  altre  ;  elio  sono  infiniti, 
Che  lasciato  han ,  chi  mogli ,  e  chi  mariti. 

15.      Ma ,  per  narrar  di  me  ,  più  che  d'  altrui, 
E  palesar  1'  error,  che  qui  mi  trasse. 
Bella,  ma  altiera  più,  sì  in  vita  fui, 
Che  non  so ,  s'  altra  mai  mi  s'  agguagliasse; 
Né  ti  saprei  ben  dir  di  questi  dui, 
Se  in  me  1'  orgoglio,  o  la  beltà  avanzasse; 
Quantunque  il  fasto  e  V  alterezza  nacque 
Dalla  beltà  ,  che  a  tutti  gli  occhj  piacque. 

Era  in  quel  tempo  in  Tracia  un  cavaliere. 
Estimato  il  miglior  del  mondo  in  arme. 
Il  qual ,  da  più  di  un  testimonio  vero. 
Di  singoiar  beltà  senti  lodarrae; 
Talché  spontaneamente  fé'  pensiero 
Di  volere  il  suo  amor  tutto  donarme, 
Stimando  meritar ,  per  suo  valore, 
Che  caro  aver  di  lui  dovessi  il  core. 

In  Lidia  venne,  e  d'  un  laccio  più  forte 
Vinto  restò ,  poiché  veduta  m'  ebbe. 
Con  gli  altri  cavalier  si  mise  in  corte 
Del  padre  mio,  dove  in  gran  fama  crebbe. 
L'   alto  valore,  e  le  più  d'  una  sorte 
Prodezze  ,   che  mostrò ,  lungo  sarebbe 
A  raccontarti ,  e  il  suo  merto  infinito, 
Quando  egli  avesse  a  più  grato  uora  servito. 

Panfilia  e  Caria ,  e  il  regno  de'  Cilici, 
Per  opra  di  costui,  mio  padre  vinse; 
Che  r  esercito  mai  contra  i  nemici. 
Se  non  quando  volea  costui ,  non  spinge. 
Costui ,  poiché  gli  pari  e  i  benefici 
Suoi  meiitarlo ,  un  di  col  re  si  strinse 
A  domandargli ,  in  premio  delle  spoglie 
Tante  arrecate ,  eh'  io  fossi  sua  moglie. 

19,  Fu  repulso  dal  re ,  che  in  griinde  stato 
Maritar  disegnava  la  figliuola  ; 

jVon  a  costui ,  clie  cav  aiier  privato 
Altro  non  tien ,  che  la  ^  irtude  sola  ; 
E    1  padre  mio ,  troppo  al  guadagno  dato, 
E  all'  avarizia,  d'  ogni  vizio  scuola, 
Tanto  apprezza  costumi ,  o  virtù  ammira, 
Quanto  1'  a^ino  fa    l  suon  della  lira. 

20.  Alce^te,  il  cavalier,  di  eh'  io  ti  parlo, 
(Che  co>ì  nome  avea)  poiclié  si  ve<le 
Kcpul-o  dii   (Ili  più  gratificarlo 

Era  più  debiti)!',  commiato  chiede; 
E    lo  minaccia  nel  partir,  di   farlo 
Peiitir  ,  clic  1,1  fi;j^linola  non  gli  dic;!e. 
Se  n'  andò  al  re  d'  Armenia,  emulo  antico 
Del  re  di  Lidia,  e  capital  nemico; 


18 


21. 


21 


25 


E  tanto  stimolò ,  che  lo  dispose 
A  pigliar  r  arme,  e  far  guerra  a  mio  padre. 
Esso,  per  V  opre  sue  chiare  e  famose. 
Fu  fatto  capitan  di  quelle  squadre. 
Pel  re  d'  Armenia  tutte  1'  altre  cose 
Disse  che  acquisteria  :  sol  le  leggiiidre 
E  lielle  membra  mie  volea  per  frutto 
Dell'  opra  sua ,  vinto  eh'  avesse  il  tutto. 

Io  non  ti  potre'  esprimere  il  gran  danno, 
Ch'  Alccste  al  padre  mio  fa  in  quella  gueirn. 
Quattro  eseri-iti  rompe,  e  in  meu  d'  un  anno 
Lo  mena  a  tal,  che  non  gli  lascia  terra. 
Fuorché  un  caste! ,  eh'  alte  pendici  fanno 
Fortissimo  ;  e  là  dentro  il  re  si  serra 
Con  la  famiglia ,  che  più  gli  era  accetta, 
E  col  tesor ,  clie  trar  vi  puote  in  fretta. 

Quivi  assedionne  Alceste ,  ed  in  non  molto 
Termine  a  tal  disperazion  ne  trasse. 
Che  per  buon  patto    avTia  mio  padre  tolto, 
Che  moglie  e  serva  ancor  me  gli  lasciasse. 
Con  la  metà  del  regno ,  s'  indi  assolto 
Restar  d'  ogni  altro  danno  si  sperasse. 
\edersi  iu  lireve  dell'  avanzo  privo 
Era  ben  certo ,  e  poi  morir  cattivo. 

Tentar ,  primaché  accada  ,  si  dispone 
Ogni  rimedio,  che  possibil  sia; 
E   me,  che  d'  ogni  male  era  cagione, 
Fuor  della  rocca,  ov'  era  Alceste,  invia. 
Io  vo  ad  Alceste,  con  intenzione 
Di  dargli  in  preda  la  persona  mia, 
E  pregar ,  che  la  parte ,  che  vuol ,  tolga 
Del  regno  nostro  ,  e  l'  ira  in  pace  volga. 

Come  ode  Alceste,  eh'  io  vo  a  ritrovarlo, 
]Mi  viene  incontra  pallido  e  tremante. 
Di  vinto  e  di  prigione ,  a  riguardarlo. 
Più  che  di  vincitore,  avea  sembiante. 
Io ,  che  conosco ,  eh'  arde ,  non  gli  parlo. 
Siccome  avea  già  disegnato  innante: 
Vista  r  occasion ,   fo  pensier  nuovo, 
Conveniente  al  grado .  in   eh'  io  lo  trovo. 


26 


A  maledir  comincio  1'  amor  d'  esso, 
E  di  sua  crudeltà  troppo  a  dolermi. 
Che  iniquamente  abbia  mio  padre  oppresso, 
E  che  per  forza  abbia  cercato  avermi  ; 
Che  con  più  grazia  gli  saria  successo 
Indi  a  non  molti  dì,  se  tener  fermi 
Saputo  avesse  i  modi  cominciati, 
Ch"  al  re  ed  a  tutti  noi  sì  furuu  grati. 

27.  E  sebben  da  principio  il  padre  mio 
Gli   avea  negata  la  domanda  onesta, 
Perocché  di  natura  è  un  poco  rio, 
ì\è  n)ai  si  piega  alla  prima  riciiie»ta, 
Farsi  perciò  di  ben  servir  restio 

>on  doveva  egli,  e  aver  l'  ira  sì  pi-esta; 
Anzi ,  ognor  meglio  oprando .  tener  certo 
Venire  in  breve  al  desiato  merto. 

28.  E  (piando  anco  mio  padre  a  lui  ritroso 
Stato  fosse,  io  l'  a\rei  tanto  pregato, 
Che  a\ria  1'  amante  mio  fatto  mio  sposo. 
Pur.  se  veduto  io  1"  a\c.-?i  ostinato. 
Avrei  fatto  tal'  opra  ili  nascoso. 

Che  di  me  Alceste  si  saria  lodato. 

Ma .  poiché  a  lui  tentar  parve  altro  modo. 

Io  di  mai  non  1'  amar  fisso  avea  il  chiodo. 


*6I] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXXIV.  29  — 44) 


[462] 


E  sebben  era  a  lui  venuta,  mossa 
Dalla  pietà,  che  al  mio  patire  portava, 
Sta  certo,  che  non  molto  fruir  possa 
Il  piacer,  che  al  dispetto  mio  gli  dava: 
Ch'  era  per  far  di  me  la  terra  ros^a, 
Tostoch'  io  avessi  alla  sua  \ Ofelia  prava 
Con  questa  mia  persona  satisfatto 
Di  quel ,  che  tutto  a  forza  saria  fatto. 

0.      Queste  parole ,  e  simili  altre  usai, 
Poiché  potere  in  lui  mi  vidi  tanto; 
E  il  più  pentito  lo  rendei,  che  mai 
Si  trovasse  nell'  eremo  alcnn  santo. 
Mi  cadde  a'  piedi,  e  supplicommi  a?sai, 
Che  col  coltel ,  che  si  levò  da  canto, 
E  volea  in  ogni  modo ,  eli'  io  '1  pigliassi, 
Di  tanto  fallo  suo  mi  vendicassi. 

Poich'  io  lo  trovo  tale,  io  fo  disegno 
li.i  gran  vittoria  insino  a!  fin  segsiire. 
(ili  do  speranza  di  farlo  anco  degno, 
Che  la  persona  mia  potrà  fruire. 
Se,  emendando  il  suo  error,  1'  antico  regno 
AI  (ladre  mio  farà  restituire, 
E  nel  tempo  a  venir  vorrà  acquistarnie 
fetrìcndo,  amando,  e  non  mai  più  per  erme. 

Cosi  far  mi  promise  ;  e  nella  rocca 
Intatta  mi  mandò,  come  a  lui  venni, 
>.(■  di  baciarmi  pur  s'  ardì  la  bocca. 
^  (di ,  se  al  collo  il  giogo  ben  gli  tenni; 
\  t(!i,  se  btn  Amor  per  me  Io  tocca. 
Se  convien ,  che  per  lui  più  strali  impenni  ! 
Al  re  d'  Armenia  andò  ,  di  cui  do\ea 
E.-ser,  per  patto,  ciò  che  si  prendea; 

E  con  quel  miglior  modo ,  che  usar  puote, 
liO  pr(!ga,  che  al  mio  padre  il  regno  lassi. 
Del  qual  le  terre  ha  depredati!  e  vote, 
ìa\  a  goder  1'  antica  Armenia  passi. 
(,^iicl  re,  d'  ira  infiaannando  ambe  le  gote, 
l)i>se  ad  Alceste,  che  non  vi  pensassi; 
<  he  non  si  volea  t(»r  da  quella  guerra, 
l'incile  mio  padre  a^ea  palmo  di  terra. 

E  se  Alceste  è  mutato  alle;  parole 
D'  una  vii  femminella,  abbiasi  il  danno! 
(ìià  a'   prieghi  esso  di  lui  perder  non  ^uole 
Quel,  eh'  a  fatica  ha  preso  in  tutto  un  anno. 
Di  nuovo  Alceste  il  prega,  e  poi  si  duole, 
Che  seco  e/letto  i  prieghi  .suoi  non  fanno. 
Air  ultimo  s'  adira,  e  lo  miiia(-cia, 
Che  vuol ,  per  forza  o  per  amor ,  Io  faccia. 

L'  ira  multiplicò  sicché  gli  s|iinsc 
Dalle  male  paroh;  a'  peggior  fatti. 
Alc(;st«;  contra  il  re  la  sjiarla  strinse 
Fra  mille,  che  in  mu)  ajuto  s'  eran  tratti, 
E  mal  grado  h»r  tutti ,  ivi  1'  estinse  ; 
E  quel  dì  ancor  gli  Armeni  ehlie  disfatti, 
Vauì  r  ajuto  de'  (Jilici  e  de'  'l'rai  i. 
Che  pagava  egli,  e  d'  altri  suoi  seguaci. 

Seguitò  la  ^iltoria,  ed  a  sue  spese. 
Senza  dispttndio  alcun  del  pmlr»-  mio, 
l\e  r<!»dè  tutto  il  regno  in  mcn  d'  titi  mese. 
Poi,  per  ricompi  iiKarn<;  il  (l:iiuu>  rio, 
Olire  alle  spoglie,  che  n<!  diede,  prese 
hi   \>,{ìU:,  e  gravò  in  parti;  di  gran  Ho 
Ann. -ni»  e  C«p|iadoria  ,  che  confina; 
E  scofcu  Ircania  lui  sulla  marina. 


37.  In  luogo  dì  trionfo ,  al  suo  ritorno, 
Facemmo  noi  pensier  dargli  la  morte. 
Restammo  poi,  per  non  ricever  scorno; 
Che  lo  veggiam  troppo  d'  amici  forte. 
Fingo  d'  amarlo ,  e  più  di  giorno  in  giorno 
Gli  do  speranza  d'  essergli  consorte. 

Ma  prima  contro  altri  nemici  nostri 
Dico  voler  che  sua  virtù  dimostri: 

38.  E ,  quando  sol ,  quando  con  poca  gente. 
Lo  mando  a  strane  imprese  e  perigliose, 
Da  farne  morir  mille  agevolmente. 

Ma  a  lui  successer  ben  tutte  le  cose  ; 
Che  tornò  con  vittoria ,  e  fu  sovente 
Con  orribil  persone  e  mostruose. 
Con  giganti  a  battaglia ,  e  Le.>trigoni, 
Ch'  erano  infesti  a  nostre  regioni. 

39.  Non  fu  da  Euristeo  mai ,  non  fu  mai  tanto 
Dalla  matrigna  esercitato  Alcide, 

In  Lerna  ,  in  Nemea,  in  Tracia,  in  Erimanto, 
Alle  valli  d'  Etolia ,  alle  Numide, 
Sul  Tebro,  suU'  Ibero,  e  altrove,  quanto, 
Con  prieghi  finti,  e  con  voglie  omicide. 
Esercitato  fu  da  me  il  mio  amante. 
Cercando  io  pur  di  torlomi  davante, 

40.  Né  potendo  venire  al  primo  intento, 
Vengone  ad  un  di  non  minore  effetto. 
Gli  fo  quei  tutti  ingiuriar,  eh'  io  sento 
Che  per  lui  sono,  e  a  tutti  in  odio  il  metto. 
Egli,  che  non  sentia  maggior  contento, 
Che  d'  ubbidirmi,  senza  alcnn  ri.^petto 

Le  mani  ai  cenni  miei  sempre  avea  pronte. 
Senza  guardare  un  più  d'  un  altro  in  fronte. 

41.  Poiché  mi  fu,  per  questo  mezzo,  avviso. 
Spento  aver  del  mio  padre  ogni  nimico, 

E  per  lui  stesso  Alceste  aver  conquiso. 
Che  non  si  avea ,  per  noi ,  lasciato  amico. 
Quel,  eh'  io  gli  avea  con  simulato  >iso 
('elato  fin  aUor,  chiaro  gli  e^j)Iìco; 
Che  grave  e  capitale  odio  gli  porto, 
E  pur  tuttavia  cerco  ,  che  sia  nnu'to. 

12.      Considerando  poi,  s'  io  lo  facessi, 
Che  in  pnbl)iica  ignominia  ne  verrei, 
(Sapeasi  trojipo ,  quanto  io  gli  dovessi, 
E   crnd<!l  detta  sempre  ne  Siirei) 
Mi  par\e  far  assai  ,  eh'  io  gli  toglicssi 
Di  mai  M-iiir  più  innanzi  agli  oct-hj  mici: 
Né  veder,  né  parlare  mai  gli  ^olsi, 
Né  me^so  udii ,  né  lettera  ne  tolsi. 

43.  Questa  mia  ingratitiuline  gli  diede 
Tanto  martir,  che  allin  ,  dal  dolor  vinto, 
E  dopo  un  lungo  doinaiidar  mercede, 
Infermo  cadde,  e  ne  riuia>e  «si loto. 

Per  jiena  ,  che  al  fallir  mio  >i  riihiede. 
Or  gli  occlij  ho  lacriuio,->i,  e  il  ^  iso  tinto 
Del  negro  turno,  e  co>i  a\rò  in  eterno; 
Che  nulla   redenzione  è  nell'  inferno. 

44.  Poiché  non  parla  più  Lidia  infelice, 
\ii  il  duca  per  saper,  s"  altri    \ì  stanzi; 
IMa  la  caligin  alta,  eh'  era  ullrice 

Dell'  opre  ingrate  ,  «ì  gì'  ingrossa  innanzi, 
Che  and, ire  iiii  palmo  sol  più  non  gli  lice. 
Anzi  a  forza  (ornar  gli   coiniene;  anzi. 
Perché  la   >ila  non  gli  sia  intercetta 
Dal  fumi),   i  passi  accelerar  con  fretta. 


[463] 


ORLANDO  FURIOSO.    (XXXIV.  45  —  60) 


[464; 


45.  Il  mutar  spesso  delle  piante  ha  vista 

Di  corso,  e  non  di  chi  passeggia,  o  trotta. 
Tanto ,  salendo  in  \erso  1'  erta ,  acquista, 
Che  vede,  dove  aperta  era,  la  grotta; 
E  r  aria,  già  caliginosa  e  trista, 
Dal  lume  cominciava  ad  esser  rotta. 
Alfin  con  molto  aft'anno  e  grave  amhascia 
Esce  dell'  antro,  e  dietro  il  fumo  lascia. 

46.  E  perchè  del  tornar  la  via  sia  tronca 

A  quelle  hestie,  eh'  han  si  ingorde  1'  epe, 

Ran-una  sassi,  e  molti  arhori  tronca, 

Che  v'  eran,  qnal  d'  amorao,  e  qiial  di  pepe, 

E  ,  come  può ,  dinanzi  alla  spelonca 

Fahhrica  di  sua  man  quasi  una  siepe; 

E  gli  succede  così  hen  quell'  opra, 

Che  più  le  arpie  non  torneran  di  sopra. 

47.  Il  negro  fumo  della  scura  pece. 
Mentre  egli  fu  nella  caverna  tetra, 

Non  macchiò  sol  quel ,  che  apparìa,  ed  infece, 
Ma  sotto  i  panni  ancora  entra  e  penetra. 
Sicché,  per  trovar  acqua,  andar  lo  fece 
Cercando  un  pezzo  ;   e  alfin  fuor  d'  una  pietra 
Vide  una  fonte  uscir  nella  foresta, 
Kella  qual  si  lavò  dal  piò  alla  testa. 

48.  Poi  monta  il  volatore,  e  in  aria  s'  alza, 
Per  giunger  di  quel  monte  in  sulla  cima, 
Che  non  lontan,  con  la  superna  balza, 
Dal  cerchio  della  luna  esser  si  stima. 
Tanto  è  il  desir,  che  di  veder  lo  'ncalza. 
Che  al  cielo  aspira,  e  la  terra  non  stima. 
Dell'  aria  più  e  più  sempre  guadagna, 
Tanto,  che  al  giogo  va  della  montagna. 

49.  Zafir,  ruhini,  oro,  topazj  e  perle 
E  diamanti,  e  crisoliti,  e  giacinti 
Potriano  i  fiori  assimigliar,  che  per  le 
Liete  piagge  v'  avea  l'  aura  dipinti: 

Si  verdi  l'  erbe,  che,  potendo  averle 
Qua  giù ,  ne  foran  gli  smeraldi  vinti  ; 
]Nè  men  belle  degli  arbori  le  frondi, 
E  di  frutti  e  di  fior  sempre  fecondi. 

50.  Cantan  fra  i  rami  gli  augeliettì  vaghi  ^ 
Azzurri  e  bianchi  e  verdi  e  rossi  e  gialli. 
Murmuranti  ruscelli  e  cheti  laghi 

Di  limpidezza  vincono  i  cristalli. 

Una  dolce  aura,  che  ti  par  che  vaghi 

A  un  modo  sempre,  e  dal  suo  stil  non  falli, 

Facea  si  1'  aria  tremolar  d'  intorno. 

Che  non  potea  nojar  calor  del  giorno; 

51.  E  quella  ai  fiori,  ai  pomi  e  alla  vcrzura 
Gli  odor  diversi  depredando  giva, 

E  di  tutti  faceva  una  mistura. 

Che  di  soavità  l'  alma  nutriva, 

Surgca  un  piilazzo  in  mezzo  alla  jìianura, 

Ch'  acceso  esser  parca  di  fiamma  viva; 

Tanto  >plendore  intorno ,  e  tanto   hiiue 

Raggiava  fuor  d'   ogni  mortai  costume! 

52.  Astolfo  il  suo  dostrier  vei-so  il  palagio. 
Che  pili  di  trenta  miglia  intorno  aggira, 
A   pass»  lento  fa  movere  ad  agio, 

E  quiiK^i  e  quindi  il  bel  paese  ammira; 
E  giudica,  ii|i))()  quel,   brutto  e  lUiilvagio, 
E   che  ^ia  al  cit-io  ed  a  natura  in  ira 
QiK>to  ,  che  aliitìaiu  noi ,  fetido  mondo  ; 
Tanto  ò  soave  quel ,  chiaro  e  giocondo! 


53.      Come  egli  è  presso  al  luminoso  tetto, 
Attonito  riman  di  maraviglia; 
Che  tutto  d'  una  gemma  è  il  muro  schietto, 
Più  di  carhonchio  lucida  e  vermiglia. 
Oh  stupenda  opra  !  oh  dedalo  architetto  ! 
Qual  fabbrica  tra  noi  le  rassimiglia? 
Taccia  qualunque  le  miral)il  sette 
Muli  del  mondo  in  tanta  gloria  mette! 


54.  Nel  lucente  vestihulo  di  quella  5? 
Felice  casa  un  vecchio  al  duca  occorre, 

Che  '1  manto  ha  rosso,  e  bianca  la  gonnella, 

Che  r  un  può  al  latte,  e  1'  altro  al  minio  oppone 

I  crini  ha  bianchi ,  e  hianca  la  mascella 

Di  folta  barba,  che  al  petto  discorre; 

Ed  è  sì  venerabile  nel  viso, 

Ch'  un  degli  eletti  par  del  paradiso. 

55.  Costui  con  lieta  faccia  al  paliidìno. 
Che  riverente  era  d'  arcion  disceso. 
Disse:  Oh  baron,  che  per  voler  divino 
Sei  nel  terrestre  paradiso  asceso  ; 
Comechè  né  la  causa  del  cammino, 
]\è  il  fin  del  tuo  desir  da  te  sia  inteso. 
Pur  credi ,  che  non  senza  alto  misterio 
Venuto  sei  dall'   artico  eniisperio. 

56.  Per  imparar,  come  soccorrer  dei 
Carlo ,  e  la  santa  Fé  tor  di  periglio. 
Venuto  meco  a  consigliar  ti  sei, 
Per  così  liuiga  via  senza  consiglio. 
Né  a  tuo  saper,  né  a  tua  virtù  vorrei, 
Ch'  esser  qui  giunto  attribuissi,  o  figlio; 
Che  né  il  tuo  corno,  né  il  cavallo  alato 
Ti  valea,  se  da  Dio  non  t'  era  dato. 

57.  Ragionerem  più  ad  agio  insieme  poi, 
E  ti  dirò,  come  a  proceder  hai; 
Ma  prima  vienti  a  ricrear  con  noi. 
Che  '1  digiun  lungo  de'  nojarti  ormai. 
Continuando  il  vecchio  i  detti  suoi. 
Fece  meravigliare  il  duca  assai; 
Quando ,  scoprendo  il  nome  suo ,  gli  disse, 
Esser  colui,  che  1'  evangelio  scrisse, 

58.  Quel  tanto  al  Redentor  caro   Giovanni, 
Per  cui  'l  sermone  tra  i  fratelli  uscio, 
Che  non  dovea  per  morte  finir  gli  anni  ; 
Sicché  fu  causa,  che  'l  figliuol  di  Dio 
A  Pietro  disse:  Perché  pur  t'  affanni. 
S'  io  vo',  che  così  aspetti  il  venir  juio? 
Benché  non  disse  :  Egli  non  de'  morire. 
Si  vede  pur ,  che  così  volse  dire, 

59..   Quivi  fu  assunto,  e  trovò  compagnia; 
Che  prima  Enoc  il  patriarca  v'  era; 
Eravi  insieme  il  gran  profeta  Elia, 
Che  non  hau  vista  ancor  l'  ultiuui  sera; 
E  fuor  neir  aria  pestilente  e  ria 
Si  goderan  1'  eterna  primavera, 
Fìncbé  dian  segno  l'  angeliche  tu1)e. 
Che  torni  Cristo  in  sulla  bianca  nube. 

60.      Con  accoglienza  grata  il  cavaliero 
Fu  dai  santi  allog<:>iato  in  ima  ^tal.za. 
Fu  provvisto  in  un'  altra  al  suo  destriero 
Di  buona  biada,  che  gli  fu  abbastanza. 
D(;'   frutti  a  lui  del   paradiso  diero. 
Di  tal  saj'Or,   (;he ,  a  suo  giudicio,  sanza 
Scusa  non  siuio  i  iliu>  primi   parenti, 
Se  per  quei  fur  eì  poco  ubbidienti. 


*65]. 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXXIV.  61  —  76) 


[466] 


il.      Poiché  a  natura  il  duca  avventuroso 
Satisfece  tlì  quel ,  che  se  le  debbe, 
Come  col  cibo,  così  col  riposo, 
Chù  tutti  e  tutti  i  comodi  cjuivi  ebbe; 
Lasciando  già  1'  Aurora  il  vecchio  sposo, 
Cli'  ancor  per  lunga  età  mai  non  le  inerebbe, 
Si  vide  incontra,  nell'  uscir  del  letto, 
Il  discepol  da  Dio  tanto   diletto, 


[|2.      Che  lo  prese  per  mano,  e  seco  scorse 
Di  molte  cose  di  silenzio  degne, 
E  poi  disse:  Figliuol,  tu  non  sai  forse, 
Che  in  Francia  accada ,  ancorché  tu  ne  vegne. 
Sappi,  che  '1  vostro  Orlando,  perchè  torse 
Dal  caramin  dritto  le  commesse  insegne, 
E  punito  da  Dio ,  che  più  s'  accende 
Contra  chi  egli  ama  più,  quando  s'  offende. 

()Z.      Il  vostro  Orlando ,  a  cui  nascendo  diede 
Somma  possanza  Dio  con  sommo  ardire, 
E  fuor  dell'  uman  uso  gli  concede, 
Che  ferro  alcun  non  lo  può  mai  ferire, 
Perchè  a  difesa  di  sua  santa  fede 
Così  voluto  r  ha  constituiro, 
Come  Sansone  incontra  a'  Filistei 
Constituì  a  difesa  degli  Ebrei; 

Ì6i.     Renduto  ha  il  vostro  Orlando  al  suo  signore 

'        Di  tanti  beneficj  iniquo  merto  ; 

Che ,  quanto  aver  più  lo  dovea  in  favore, 
IN'  è  stato  il  fedel  j)opol  più  deserto; 
Si  accecato  1'  avea  1'  incesto  amore 
D'  una  pagana,  cW  avea  già  soflerto 
Due  volte  e  più  venir,  empio  e  crudele, 
Per  dar  la  morte  al  suo  cngin  fedele. 

65.      E  Dio  per  questo  fa,  eh'  egli  va  folle, 
E  mostra  nudo  il  ventre,   il  petto  e  il  fianco; 
E  r  intelletto  si  gli  oH'usca  e  tolle. 
Che  non  può  altrui  conoscere,  e  se  manco. 
A  questa  guisa  si  legge,  che  volle 
Nabuccodonosor  Dio  punire  anco  ; 
Che  sette  anni  il  iiianilò  di  furor  pieno. 
Sicché ,  qual  bue ,  pasceva  1'  ciba  e  '1  fieno. 

6G.      Ma  perchè  assai  minor  del  paladino. 
Che  di  Nabucco,  é  stato  pur  V  eccesso. 
Sol  di  tre  me.>i  dal  voler  divino 
A  purgar  questo  error  termine  è  messo. 
^è  ad  altro  efletto  per  tanto  caiiunino 
Salir  qua  su  t'ha  il  Uedentor  concesso. 
Se  non  perché  da  noi  modo  tu  apprenda. 
Come  ad  Orlando  il  suo  senno  si  renda. 

07.      Gli  è  ver,  che  ti  bisogna  altro  viaggio 
Far  meco ,  e  tutta  abbandonar  la  terra. 
Nel  «■erchio  della  luna  a  menar  t'  aggio, 
(he  dei  pianeti  a  noi  più  prossini'   erra; 
l'erdiè  la  medicina,  che  può  saggio 
Uender  Orlando,  là  dentro  si  serra, 
(^oine  la  luna  questa  notte  sia 
Sopra  noi  giunta ,  ci  porremo  in  via. 

C8.      Di  questo ,  e   d'  altre  i;ose  fu  difliiso 
Il  |>arlar  dell'  apostolo  quel  giorno. 
i\la  poiché    1  sol  s'  elibe  n<'l  mar  rinchiuso 
K  .-opra  liir  levò  la   luna   il   corno, 
I  II   c.irni  app(irei'('liios.si ,  «IT  cni  iid   uso  I 

D    andar  scorri-iido  per  (|U('i  cicli   iiilor(n): 
(^iiil  già  nelle  montagne  di   (iiiidea 
Da'  mortali  ucchj  Elia  levalo  a\ea. 


69.  Quattro  destrier,  via  più  che  fiamma,  rossi 
Al  giogo  il  santo  evangelista  aggiunse-  ' 
E  poiché  con  Astolfo  rassettossi, 

E  prese  il  freno,  inverso  il  ciel  li  punse. 
Rotando,  il  carro  per  1'  aria  levossi, 
E  tosto  in  mezzo  il  fuoco  eterno  giunse* 
Che  '1  vecchio  fé'  miracolosamente. 
Che,  mentre  lo  passar,  non  era  ardente. 

70.  Tutta  la  sfera  varcano  del  foco, 
Ed  indi  vanno  al  regno  della  luna. 
Veggon  per  la  più  parte  esser  quel  loco. 
Come  un  acciar,  che  non  ha  macchia  alcmia; 
I^, Io  trovano  uguale,  o  minor  poco 

Di  ciò,  eh'  in  questo  globo  si  raguna. 
In  questo  ultimo  globo  della  terra 
Mettendo  il  mar,  che  la  circonda  e  serra. 

71.  Quivi  ebbe  Astolfo  doppia  mcravifriia 
Cile  quel  paese  appresso  era  sì  grande. 
Il  quale  a  un  picciol  tondo  rassimiglia 
A  noi,  che  lo  miriara  da  queste  bande; 
E  /;h'  aguzzar  conviengli  arabe  le  ciglia. 
S'indi  la  terra,  e  '1  mar,  che  intorno  spande 
Discerner  vuol;  che,  non  avendo  luce,  ' 
L'immagin  lor  poco  alta  si  conduce. 

72.  Altri  fiumi,  altri  laghi,  altre  campagne 
Sono  lassù,  che  non  son  qui  tra  noi. 
Altri  piani,  altre  valli,  altre  montagne, 
Ch'  han  le  cittadi ,  hanno  i  castelli  suoi; 
Con  case ,  delle  quai  mai  le  più  nia"-ne 
Non  vide  il  paladin  prima,  né  poi; 

E  vi  sono  ampie  e  solitarie  selve, 
Ove  le  ninfe  ognor  cacciano  belve. 

73.  jVon  stette  il  duca  a  ricercare  il  tutto  • 
Che  là  non  era  asceso  a  quello  effetto. 
Dall'  apostolo  santo  fu  condulto 

In  un  vallon  fra  due  m<intagne  stretto, 
Ove  mirabilmente  era  ridutto 
Ciò  che  si  perde,  o  per  nostro  difetto, 
0  per  colpa  di  tempo,  o  di  fortuna: 
Ciò,  che  si  perde  qui,  là  si  raguna. 

74.  Non  pur  di  regni ,  o  di  ricchezze  parlo. 
In  che  la  ruota  in^tabile  lavora  ; 

Ma  di  quel,  che  in  poter  di  tor,  di  darlo 
Non  ha  fortuna,  intender  voglio  ancora. 
Molta  fama  è  lassù,  che,  come  tarlo, 
Il  tempo  a  lungo  andar  qua  giù  diwira. 
Lassù  infiniti  prieghi  e  voti  stanno, 
Che  da  noi  peccatori  a  Dio  si  fanno  ; 

75.  Le  lacrime  e  i  sospiri  degli  amanti, 
L'   inutil  tempo,  che  si   perde  a  gioco, 
E  r  ozio  huigo  d'  utuniiii  ignoranti  ; 
Anni  dì>egni,  che  non  han  mai  loco: 

I  vani  de.-ìderj  sono  tanti. 
Che  la  più    parte  ingoiubran  di  quel   loco: 
Ciò  che,  in  somma,  quaggiù  perdesti  mai. 
Lassù  salendo,   ritro>ar  potrai. 

76.  Passando  il  paladin  per  quelle  biche 

Or  di  questo,  or  di  quel    chiede  alla   guida. 

Aide  un  monte  di  tuiiiiile  \e;.>i(he. 

Che  dentri»  parca  a\rr  tumulti  e  grida; 

E  seppe ,   eh'  eran  l<-  corone  antichu 

E   de-li   A»iij,    e  d.ll.i  terra   liihi, 

E  de"    l'ir.M  ^^   «le'  (ùcd,   ,  ]„■  già  furo 

Inditi,   ed  or  n'  è  quasi  il  uomo  oscuro. 

30 


[46Ì] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXIV.  T7  — 92) 


[468] 


77.  Ami  d'  oro  e  d'  argento  appresso  vede 
In  una  massa,  eh'  erano  quei  doni, 
Che  si  fan ,  con  speranza  di  mercede, 
Ai  re,  agli  avari  principi,  ai  patroni. 
Vede  in  ghirlande  ascosi  lacci,  e  chiede 
Ed  ode ,  che  son  tutte  adulazioni. 

Di  cicale  scoppiate  immagine  hanno 
Versi,  che  in  laude  dei  signor  si  fanno. 

78.  Di  nodi  d'oro,  e  di  gemmati  ceppi 
Vede,  eh'  han  forma  i  mal  seguiti  amori.^ 
V  eran  d'  aquile  artigli;  e  che  fiir,  seppi, 
L'  autorità,  che  a'  suoi  danno  i  signori.  ^ 

I  mantici,  che  intorno  han  pieni  i  greppi, 
Sono  i  fumi  dei  principi,  e  i  favori, 
Che  danno  un  tempo  ai  Ganimedi  suoi, 
Che  se  ne  van  col  fior  degli  anni  poi. 

79.  Ruine  di  cittadi  e  di  castella 
Stavan  con  gran  tesor  quivi  sozzopra: 
Domanda,  e  sa,   che  son  trattati,  e  quella 
Congiura,  che  si  mal  par  che  si  copra. 
Vide  serpi  con  faccia  di  donzella. 

Di  monetieri  e  di  ladroni  1'  opra. 
Poi  vide  hocco  rotte  di  più  sorti, 
Ch'  era  il  servir  delle  misere  corti. 

80.  Di  versate  minestre  ima  gran  massa 
Vede,  e  domanda  al  suo  dottor,  che  importe. 
L'  elemosina  è,  dico,  che  si  lassa 

Alcun ,  che  fatta  sia  dopo  la  morte. 
Di  varj  fiori  ad  un  gran  monte  passa, 
Ch'   ehbe  già  buon  odore ,  or  puzza  forte. 
Questo  era  il  dono,  se  però  dir  lece, 
Che  Costantino  al  buon  Silvestro  fece. 

81.  Vide  gran  copia  di  panie  con  visco, 
Ch'  erano,  oh  donne,  le  bellezze  vostre. 
Lungo  sarà,  se  tutte  in  verso  ordisco 
Le  cose,  che  gli  far  quivi  dimostre; 
Che  dopo  mille  e  mille  io  non  finisco; 
E  vi  son  tutte  1'  occorrenze  nostre. 

Sol  la  pazzia  non  v'  è  poca,  nò  assai; 
Che  sta  qua  giù,  né  se  ne  parte  mai. 

82.  Quivi  ad  alcuni  giorni  e  fatti  sui, 
Ch'  egli  già  avea  perduti,  si  converse: 
Che,  se  non  era  interprete  con  lui, 
Non  discernea  le  forme  ior  diverse. 

Poi  giunse  a  quel,  che  par  sì  averlo  a  nui. 
Che  mai  per  esso  a  Dio  voti  non  ferse; 

10  dico  il  senno;  e  n'  era  quivi  un  monte, 
Solo  assai  più,  che  l'  altre  cose  conte. 

83.  Era,  come  un  liquor  sottile  e  molle. 
Atto  a  esalar,  se  non  si  ticn  ben  chiuso; 
E  si  vedea  raccolto  in  varie  ampolle, 

Qual  più  ,  qual  mcn  capace ,  atte  a  quell'  uso. 
Quella  è  maggior  di  tutte,  in  che  del  folle 
Signor  d'  Anglante  era  il  gran  senno  infuso; 
E  fu  dall'  altre  conosciuta,  quando 
Avea  scritto  di  fuor:  Senno  d'  Orlando. 

84.  E  così  tutte  r  altre  avcan  scritto  anco 

11  nome  di  color,  di  chi  fu  il  senno. 
Del  suo  grim  parte  \'uk',  il  duca  franco: 
Ma  mollo  ]>in  maravigliar  lo  feinm 
Molti,  eh'  egli  credea,  che  dramma  manco 
Kon  dovessero  averne,  e  quivi  donno 
Chiara  notizia,  che  n(;  tenean  poco; 

Che  molta  quantità  n'  era  in  quel  loco. 


85.  Altri  in  amar  lo  perde,  altri  in  onori, 
Altri  in  cercar,  scorrendo  il  mar,  ricchezze. 
Altri  nelle  speranze  de'  signori, 

Altri  dietro  alle  uiagiche  sciocchezze, 
Altri  in  gemme ,  altri  in  opre  di  pittori. 
Ed  altri  in  altro,  che  più  d'  altro  apprezze. 
Di  sofisti  e  d'  astrologi  raccolto, 
E  di  poeti  ancor  ve  u'  era  molto. 

86.  Astolfo  tolse  il  suo,  che  gliel  concesse 
Lo  scrittor  dell'  oscura  apocalisse. 

L'  ampolla,  in  eh'  era,  al  naso  sol  sì  messe, 
E  par,  che  quello  al  luogo  suo  ne  gisse; 
E   che  Turpin  da  indi  in  qua  confesse, 
Ch'  Astolfo  lungo  tempo  saggio  visse; 
Ma  eh'  uno  error,  che  fece  poi,  fu  quello. 
Che  un'  altra  volta  gli  levò  il  cervello. 

87.  La  più  capace  e  piena  ampolla,  ov'  era 
Il  senno,  che  solca  far  savio  il  conte, 
Astolfo  tolle;  e  non  è  sì  leggiera. 

Come  stimò ,  con  l'  altre  essendo  a  monte. 
Primacliè  '1  paladin  da  quella  sfera 
Piena  di  luce  alle  più  basse  smonte, 
Menato  fu  dall'  apostolo  santo 
In  un  palagio,  ov'  era  mi  fiume  accanto; 

88.  Ch'  ogni  sua  stanza  avea  piena  dì  velli 
Di  lin  ,  di  seta ,  di  coton ,  di  lana, 
Tinti  in  varj  colori,  e  brutti  e  belli. 
Nel  primo  chiostro  una  femmina  cana 
Fila  a  un  aspo  traea  da  tutti  quelli; 
Come  veggiam  ,  1'  estate ,  la  villana 
Traer  dai  bachi  le  bagnate  spoglie, 
Quando  la  nuova  seta  si  raccoglie. 

89.  V  è  chi,  finito  un  vello,  rimettendo 

Ne  viene  un  altro,  e  chi  ne  porta  altronde* 
Un'  altra  delle  filze  va  scegliendo 
Il  bel  dal  brutto ,  che  quella  confonde. 
Che  lavor  si  fa  qui.''  eh'  io  non  1'  intendo, 
Dice  a  Giovanni  Astolfo  ;  e  quel  risponde  : 
Le  vecchie  son  le  Parche ,  che  con  tali 
Stami  filano  vite  a  voi  mortali. 

90.  Quanto  dura  un  de'  velli,  tanto  dura 
L'  umana  vita,  e  non  di  più  un  momento. 
Qui  tien  1'  occhio  la  Morte  e  la  Natura, 
Per  saper  l'  ora,  eh'  un  debba  esser  spento. 
Sceglier  le  belle  fila  ha  1'  altra  cura; 
Perchè  sì  tesson  poi  per  ornamento 

Del  paradiso;  e  de'  più  brutti  stami 
Si  fan  per  li  dannati  aspri  legami. 

91.  Dì  tutti  ì  velli,  eh'  erano  già  messi 
In  aspo,  e  scelti  a  farne  altro  lavoro, 
Erano  in  brevi  piastre  i  nomi  impressi. 
Altri  di  ferro,  altri  d'  argento,  o  d'  oro; 
E  poi  fatti  n'  avean  cumuli  spessi. 

Dei  quali,  senza  mai  farvi  ristoro. 
Portarne  via  non  si  vedea  mai  stanco 
Un  vecchio,  e  ritornar  sempre  per  anco. 

92.  Era  quel  vecchio  si  espedito  e  snello, 
Che  per  correr  parca,  che  fosse  nato; 
E  da  quel  nu>nte  il  lembo  del  mantello 
Portava  pien  del  nome  altrui  segnato. 
Ove  n'  andava,  e  perchè  facca  quello, 
Neil'  altro  canto  vi  sarà  narrato. 

Se  d'  avernt!  piacer  segno  farete 
Con  quella  grata  udienza,  che  solete. 


469] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXXV.  1  —  12) 


[470] 


CANTO     TRENTESIMO  QUINTO. 


ARGOMENTO. 

Gli  scrittori ,  e  i  poeti  parimente 
Dall'  apostol  diviii  sono  lodati. 
Abbatte  Bradamante  arditamente 
Bodomoiite ,  che  tanti  ha  scavalcati. 
Manda  Frontino  al  suo  Riiggier  dolente  '. 
Lo  sfida ,  e  poi  tre  cavalieri  pregiati 
Manda  giù  del  destriero  a  capo  chino 
Grandonio ,  Ferrauto  e  Serpentino. 


1.  Chi  salìiii  per  me,  madonna,  in  cielo 
A  riportarne  il  mio  perduto  ingegno. 

Che,  poich'  lisci  da'  he'  vostri  occhi  il  telo, 

Che  '1  cor  mi  fisse,  ognor  perdendo  vegno? 

Né  di  tanta  jattura  mi  querelo, 

Purché  non  cresca ,  ma  stia  a  questo  segno  ; 

Ch'  io  dii1>ìto,  se  |)iù  si  va  scemando, 

Di  venir  tal,  qual  ho  descritto  Orlando. 

2.  Per  riaver  l'  ingegno  mio,  m'  è  avviso, 
Che  non  l)i^ogna,  che  per  1'  aria  io  poggi 
Nel  ccrcliio  della  luna,  o  in  paradiso; 

Che  "I  mio  non  credo  che  tant'  alto  alloggi. 
Ne'  hei  vostri  occhj  e  nel  sereno  viso. 
Nel  sen  d'   avorio   e  alahastrini  poggi 
Se  ne  va  errando  ;  ed  io  con  qtiestn  lahhia 
Lo  corrò,  se  vi  par,  eh'  io  lo  riahhia. 

3.  Per  gli  ampli  tetti  andava  il  paladino 
Tutte  mirando  le  future  vite; 

Poich'  ehhe  visto  sul  Fatai  mulino 

A'oigersi  quelle,  eh'  erano  già  ordite, 

E  scorse  un  vello,  che  più  che  d'  or  fino 

Splender  |)area;  nò  sarian  gemme  trite, 

Se  in  filo  si  tirassero  con  arte. 

Da  comparargli  alla  millesma  parte. 

4.  ^lirahihiienti!  il  Ixl  vello  gli  ])iacque, 
Che,  tra  inliiiiti ,  paragcui  non  ehhe; 

K  di  sapere  alto  di^io  gii  nacque. 
Quando  sarà  tal  vita,  e  a  chi  si  dehbc. 
L'  c^angelista  nulla  gliene  tacque; 
Che  M-nti  anni  principio  prima  avrebbe, 
Che  col   iM  ,  e  col   D,  l'os>e  notato 
L'  anno  corrente  dal  \  erho  incarnato. 

5.  K  come  di  splendore  e  «li  Ixdtadc 
Quel  vello  non  avea  isimih;,  o  pare, 
Co'i  saria  la  fortunata  elade, 

CUv  do\<!a  uscirne,  al  mondo  singolare; 
Perche  tutte  le  grazie  indite  e  rade, 
CU    alma  natura,  o  proprio  studio  ilare, 
()  heniirna  fortiuia  ad   uomo  punte. 
Avrà  in  perpetua  ed  infallihii  dote. 


G.     Del  re  de'  fiumi  tra  I'  altere  coma 
Or  siede  iimil,  diceagli,  e  picciol  borgo 
Dinanzi  il  Po;  di  dietro  gli  soggiorna 
D'  alta  palude  un  nebuloso  gorgo, 
Che,  volgendosi  gli  anni,  la  piii  adorna 
Di  tutte  le  città  d'  Italia  scorgo. 
Non  pur  di  mura  e  d'ampli  tetti  regi, 
Ma  di  bei  studj ,  e  di  costumi  egregi. 

7.  Tanta  esaltazione ,  e  così  presta, 
Non  fortuita,  o  d'  avventura  casca, 

Ma  r  ha  ordinata  il  ciel ,  perchè  sia  questa 

Degna,  in  che  1'  uom,  di  eh'  io  ti  parlo,  nasca: 

Che,  dove  il  frutto  ha  da  venir,  s'  innesta, 

E  con  studio  si  fa  crescer  la  frasca; 

E  r  artefice  1'  oro  affinar  suole. 

In  che  legar  gemma  di  pregio  vuole. 

8.  Né  sì  leggiadra ,  né  si  bella  veste 

Unqua  ebbe  altr'  alma  in  quel  terrestre  regno; 

E  raro  é  sceso ,  e  scenderà  da  queste 

Sfere  superne  un  spirito  sì  degno, 

Come ,  per  farne  Ippolito  da  Èste, 

N'  bave  r  eterna  mente  alto  disegno. 

Ippolito  da  Este  sarà  detto 

L'  uomo,  a  chi  Dio  sì  ricco  dono  ha  eletto. 

9.  Quegli  ornamenti,  che,  divisi  in  molti, 
A  molti  basterian  per  tutti  ornarli, 

In  suo  ornamento  avrà  tutti  raccolti 
Cctstui ,  di  eh'  hai  voluto  eh'   io  ti  parli. 
Le  virtudi  per  lui ,  per  lui  soflolti 
Saran  gli  studj;  e,  s'  io  vorrò  narrar  li 
Alti  suoi  merti,  aUin  son  si  lontano, 
Ch'  Orlando  il  senno  aspetterebbe  invano. 

10.  Così  venia  1'  imitator  di  Cristo 
Ragionando  col  duca;  e  poiché  tutte 
Le  stanze  del  gran  luogo  ehbono  visto, 
Onde  r  umane  vite  eran  condotte. 
Sul  fiume  uscirò,  che,  d'  arena  misto, 
Con  r  onde  discorrea  torbide  e  brutte; 
E  vi  trovar  quel  vecchio  in  sulla  ri^a, 
Che  con  gì'  impressi  nomi  ^ì  veni\a. 

11.  Non  so,  se  vi  sia  a  mente;  io  dico  quello, 
Ch'  al  fin  dell'  altro  canti»  y\   biM-iai, 
Vecchio  di  faccia ,  e  si  di  membra  snello, 
C^he  d'  ogni  cervo  è  più   veloce  assai. 
Degli  altrui  nomi  egli  s'  empia  il  uumtello, 
Sceura>a  il  monte,  e  non  fini\a  mai; 

Ed   in  quel   fiume ,  che  Lete  si  noma, 
Scalcala,  anzi  perdeu  la  ricca  soma. 

VI.      Dici»  che,  come  a^^i^a  in  sulla  sponda 
Del    fiuuu',  qm-l   prodigo   secchio  scuote 
11   lembt»   |iieni> ,   e  nella   torbid'   onda 
Tutte  lascia  cader  l'   impressi'  note. 
In   numer  senza  fin  se  ne  profonda, 
Ch'   un  minimo   uso  aver  non  se  ne  piiotc; 
I!   di  Olito  migliiiJH,  che  l'  arena 
Sul  fonilo  imohe,  un  se  ne  ser^a  appena. 

3»  * 


[471] 


ORLANDO    FURIOSO.      (XXXV.  13  —  28) 


[4T2] 


13.  Lungo  e  d'  intorno  quel  fiume  volando 
Givano  corvi  ed  avidi  avoUoiù, 
3Iulacchie,  e  varj  augelli,  che  gridando 
Facean  discordi  strepiti  e  romori  ; 

Ed  alla  preda  correan  tutti,  quando^ 
Sparger  vcdean  gli  amplissimi  tesori; 
E  chi  nel  becco,  e  chi  nell'  ugna  torta 
Ne  prende;  ma  lontan  poco  li  porta. 

14.  Come  vogliono  alzar  per  1'  aria  i  voli. 
Non  han  poi  forza,  che  '1  peso  sostegna; 
Sicché  coiivicn,  che  Lete  pur  involi 

De'  ricchi  nomi  la  memoria  degna. 
Fra  tanti  augelli  son  duo  cigni  soli, 
Bianchi ,  Signor ,  come  è  la  vostra  insegna, 
Che  vengou  lieti  riportando  in  hocca 
Sicuramente  il  nome,  che  lor  tocca. 

15.  Così ,  contra  i  pensieri  empj  e  maligni 
Del  vecchio,  che  donar  li  vorria  al  fiume, 
Alcun  ne  salvan  gli  augelli  benigni; 
Tutto  r  avanzo  o!)blivion  consume. 

Or  se  ne  van  notando  i  sacri  cigni, 
Ed  or  per  1'  aria  battendo  le  piume, 
Finché,  presso  alla  ripa  del  fiume  empio, 
Trovano  un  colle,  e  sopra  il  colle  un  tempio. 

16.  Air  Immortalitade  il  luogo  è  sacro, 
Ove  una  bella  ninfa  giù  del  colle 
Tiene  alla  ripa  del  letéo  lavacro, 

E  di  bocca  dei  cigni  i  nomi  tolle, 

E  quelli  affigge  intorno  al  simulacro, 

Che  Li  mezzo  il  tempio  una  colonna  estolle. 

Quivi  li  sacra,  e  ne  fa  tal  governo, 

Che  vi  si  pon  veder  tutti  iu  eterno. 

17.  Chi  sìa  quel  vecchio,  e  perchè  tutti  al  rio 
Senza  alcun  frutto  i  bei  nomi  dispensi, 

E  degli  augelli,  e  di  quel  luogo  pio, 

Onde  la  bella  ninfa  al  fiume  viensi. 

Aveva  Astolfo  di  saper  disio 

I  gran  mister j  e  gl'incogniti  sensi; 

E  domandò  di  tutte  queste  cose 

L'  uomo  di  Dio,  che  così  gli  rispose: 

18.  Tu  dei  saper,  che  non  si  muove  fronda 
Laggiù ,  che  segno  qui  non  se  ne  faccia. 
Ogni  effetto  convien ,  che  corrisponda 

In  terra  e  in  ciel,  ma  con  diversa  faccia. 
Quel  vecchio,  la  cui  barba  il  petto  inonda, 
Veloce  sì ,  che  mai  nulla  l'  impaccia. 
Gli  effetti  pari ,  e  la  medesima  opra, 
Che  '1  Tempo  fa  laggiù ,  fa  qui  di  sopra. 

19.  Volte  che  son  le  fila  in  sulla  ruota. 
Laggiù  la  vita  umana  arriva  al  fine, 
La  lama  là,  qui  ne  riman  la  nota, 
Che  immortali  sariano  ambe  e  divine. 
Se  non  che  qui  quel  dalla  irsuta  gota, 
E  laggiù  il  Tempo  ognor  ne  fa  rapine. 
Questi  le  getta,  come  vedi,  al  rio, 

E  quel  r  immerge  nell'  eterno  obblìo. 

20.  E,  come  qua  su  i  corvi  e  gli  avoltori 
E  le  mulact^hie  e  gli  altri  varj  augelli 
S'  affaticano  tutti  per  trar  fuori 

Dell'  acqua  i  nomi,  che  veggion  più  belli; 
Così  laggiù  rutTiaiii ,  adulatori, 
Huil'on  ,  cinedi,  accusatori,  e  quelli. 
Che  vivono  alh;  corti,  e  che  vi  sono 
l'iù  grati  as&ai,  che  'l  virtuusiu  e  '1  buono; 


21.  E  son  chiamati  cortigian  gentili. 
Perchè  sanno  imitar  1'  asino  e  '1  ciacco  ; 
De'  lor  signor,  tratto  die  iv   abbia  i  fili 
I/a  giusta  Parca,  anzi  Venere  e  Bacco, 
Questi,  di  eh'  io  ti  dico,  inerti  e  vili, 
Nati  solo  ad  empir  di  cibo  il  sacco, 
Portano  in  bocca  qualche  giorno  il  nome; 
Poi  neir  obblio  lascian  cader  le  some. 

22.  Ma  come  i  cigni ,  che  cantando  lieti 
Rendono  salve  le  medaglie  al  tempio; 
(yosì  gli  uomini  degni  da'  poeti 

Son  tolti  dall'  obblio ,  più  che  morte  empio. 
Oh  bene  accorti  principi  e  discreti, 
Cile  seguite  di  Cesare  1'  esempio, 
E  gli  scrlttor  vi  fate  amici,  donde 
Non  avete  a  temer  di  Lete  1'  onde! 

23.  Son,  come  i  cigni,  anco  i  poeti  rari, 
Poeti ,  che  non  sicn  del  nome  indegni  ; 
Sì ,   perchè  il  cicl  degli  uomini  preclari 
Non  paté  mai,  che  troppa  copia  regni; 
Sì  per  gran  colpa  dei  signori  avari, 
Che  lascian  mendicare  i  sacri  ingegni  ; 
Che  le  virtù  premendo  ed  esaltando 

I  vizj  ,  cacciau  le  buone  arti  in  bando. 

24.  Credi ,  che  Dio  questi  ignoranti  ha  privi 
Dell'  intelletto ,  e  loro  offusca  i  lumi, 

Che  della  poesia  gli  ha  fatti  schivi. 
Acciocché  morte  il  tutto  ne  consumi. 
Oltreché  del  sepolcro  usclrian  vivi, 
Ancorch'  a^esser  tutti  i  rei  costumi, 
Purché  sapessin  farsi  amici  Cirra, 
Più  grato  odoi'e  avrian ,  che  nardo  o  mirra. 

25.  Non  sì  pietoso  Enea  ,  né  forte  Achille 
Fu ,  come  è  fama ,  né  si  fiero  Ettorre  ; 
E  ne  son  stati  mille,  e  mille,  e  mille. 
Che  lor  si  pon  con  verità  anteporre. 
Ma  i  donati  palazzi  e  le  gran  ville 
Dai  discendenti  lor,  gli  han  fatto  porre 
In  questi  senza  fin  sublimi  onori, 

Dall'  onorate  man  degli  scrittori. 

26.  Non  fu  sì  santo,  né  benigno  Augusto, 
Come  la  tuba  di  Virgilio  suona. 

L'  aver  avuto  in  poesia  buon  gusto, 
La  proscrizione  iniqua  gli  perdona. 
Nessun  sapria,  se  Neron  fosse  ingiusto, 
Né  sua  fama  saria  forse  nien  buona, 
(Avesse  avuto  e  terra  e  ciel  nemici^ 
Se  gli  scrittor  sapea  tenersi  amici. 

27.  Omero  Agamennon  vittorioso, 

E  fé'  i  Trojan  parer  vili  ed  inerti, 
E  che  Penelopca  fida  al  suo  sposo 
Dai  prochi  mille  oltraggi  avea  sofferti: 
E  se  tu  vuoi,  che  'l  ver  non  ti  sia  ascoso, 
Tutta  al  contrario  l'  istoria  converti  : 
Che  i  Greci  rotti,  e  che  Troja  vittrice, 
E  che  Penelopca  fu  meretrice. 

28.  Dall'  altra  parte ,  odi ,  che  fama  lascia 
Elisa,  di'  ebbe  il  cor  tanto  pudico; 
Che  riputata  viene  una  bagascia, 

Solo,  perché  Maron  non  le  fu  amico. 

Non  ti  maravigliar,  eh'  io  n'  abbia  arabaiscia, 

E  6C  di  ciò  diffusamente  io  dico: 

Gli  scrittori  amo,  e  fo  il  debito  mìo  ; 

Ch'  ul  vostro  mondo  fui  scrittore  anch'  Io. 


473] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXXV.    29-44) 


[*^-^] 


29.  E  sopra  tutti  gli  altri  io  feci  acqnijto, 
Che  non  mi  può  levar  tempo,  né  morte; 
E  ben  convenne  al  mio  lodato  Cristo 
Rendermi  guiderdon  di  si  gran  sorte. 
Duolmi  di  quei ,  che  sono  al  tempo  tristo, 
Quando  la  cortesìa  chiuse  ha  le  porte, 
Che  con  pallido  viso  e  macro  e  asciutto 
La  notte  e  'I  di  vi  picchian  senza  frutto. 

30.  Sicché,  continuando  il  primo  detto, 
Sono  i  poeti  e  gli  studiosi  pochi  ; 
Che,  dove  non  han  pasco,  nò  ricetto, 
Insin  le  fere  abbandonano  i  lochi. 
Così  dicendo  il  vecchio  benedetto 

Gli  occhj  inflannnò  ,  che  parvero  due  fochi  ; 
Poi ,  volto  al  duca  con  un  saggio  riso, 
Tornò  sereno  il  conturbato  viso. 

31.  Resti  con  lo  scrittor  dell'  evangelo 
Astolfo  ormai!  di'  io  voglio  far  un  salto, 
Quanto  sia  in  terra  a  venir  fin  dal  cielo; 
Ch'  io  non  posso  più  star  suU'  ali  in  alto. 
Torno  alla  donna,  a  cui  con  grave  telo 
Mosso  avea  gelosia  crudele  assiilto. 

Io  la  lasciai,  che  avea,  con  breve  guerra, 
Tre  re  gittati ,  un  dopo  1'  altro,  in  terra; 

32.  E  che,  giunta  la  sera  ad  un  castello, 
Ch'  alla  via  di  Parigi  si  ritrova, 

D'  Agramante,  che  rotto  dal  fratello 
S'  era  ridotto  in  Arli,  ebbe  la  nuova. 
Certa  ,  che  '1  suo  Uuggier  fosse  con  quello, 
Tostoclr  apparve  in  ciel  la  luce  nuova, 
A'crso  Provenza ,  dove  ancora  intese. 
Che  Carlo  lo  seguia,  la  strada  prese. 

33.  Verso  Provenza  per  la  via  più  dritta 
Andando,  s'  incontrò  in  una  donzella. 
Ancorché  fosse  lacrimosa  e  afilitta. 
Bella  di  faccia,  e  di  maniere  beila. 
Questa  era  quella  sì  d'  amor  trafitta 
Per  lo  figliuol  di  Monodante,  quella 
Donna  gentil ,  eh'  avea  lasciato  al  ponte 
L'  amante  suo  prigion  di  Rodomonte. 

34.  Ella  venia  cercando  un  ca^alicro, 
Ch'  a  far  battaglia  usato,  come  lontra, 
In  acqua  e  in  terra  fosse,  e  così  fiero, 
Che  lo  potesse  al  pagan  porre  incontra. 
La  sconsolata  amica  di  Ruggiero, 
Come  quest'  altra  sconsolata  incontra. 
Cortesemente  la  saluta,  e  poi 

Le  chiede  la  cagiun  dei  dolor  suoi. 

35.  Fiordiligi  lei  mira,  e  veder  parie 
Un  cavalicr,  eh'  al  suo  bisogno  fia; 
£  comincia  del   ponte  a  ricontarle. 
Ove  impedisce  il  re  d'  Algicr  la  via  ; 
E  eh'  era  stato  appresso  di  l(!\arle 

L'  amante  suo;  non  <-he  più  forte  eia, 

Ma  sapca  dar^i  il  Saracino  astuto, 

Col  ponte  stretto,  e  con  quel  fiume,  njuto. 

30.      Se  sei,  dicca,  sì  ardito  e  si  cortese, 

Come  ben  mostri   V  uno  e  T  altro  io   \ista. 

Mi  vendica,  per  Dio,  di  chi  mi  prese 

R  mio  signore,  e  mi  fa  gir  sì  trista! 

O  consigliuini  alm«;no     in  che  paese 

Poss'  io  tniviuir  un,  che  a  colui  resista, 

E  sappia  tanto  d'  arme  e  di   battaglia, 

Clic  '1  fiume  e  'l  ponte  al  pagan  poco  vaglia  ! 


37.  Oltreché  tu  farai  quel ,  che  conviensì 
Ad  uom  cortese,  e  a  cavaliero  errante, 
In  beneficio  il  tuo  valor  dispensi 

Del  più  fede!  d'  ogni  fedele  amante. 
Dell'  altre  sue  virtù  non  appartiensi 
A  me  narrar,  che  sono  tante  e  tante. 
Che  chi  non  n'  ha  notizia,  si  può  dire. 
Che  sia  del  veder  privo  ,  e  deli'  udire. 

38.  La  magnanima  donna,  a  cui  fu  grata 
Sempre  ogni  impresa ,  che  può  farla  degna 
D'  esser  con  laude  e  gloria  nominata, 
Subito  al  ponte  di  venir  disegna; 

Ed  ora  tanto  più  eh'  é  disperata, 

Yien  volentier ,  quando  anco  a  morir  vegna; 

Che  credendosi,  misera!  esser  priva 

Del  suo  Ruggiero,  ha  in  odio  d'  esser  viva. 

39.  Per  quel  eh'  io  vaglio ,  giovane  amorosa, 
Rispose  Bradaraante,  io  m'  offerisco 

Di  far  1'  impresa  dura  e  perigliosa. 
Per  altre  cause  ancor,  eh'  io  preterisco, 
Ma  più,  che  del  tuo  amante  narri  cosa. 
Che  narrar  di  pochi  uomini  avvertisco, 
Che  sia  in  amor  fedel  :  eh'  a  fé  ti  giuro. 
Che  in  ciò  pensai,  eh'  ognun  fosse  perjuro. 

40.  Con  un  sospir  quest'  ultime  parole 
Finì ,  con  un  sospir ,  eh'  uscì  dal  core  ; 
Poi  disse:  Andiamo!  e  nel  seguente  sole 
Giunsero  al  fiume,  e  al  passo  pien  d'  orrore. 
Scoperte  dalla  guardia ,  che  vi  suole 

Farne  segno  col  corno  al  suo  signore. 

Il  pagan  s'  arma  e ,  quale  é  "l  suo  costume. 

Sul  ponte  s'  appresenta  in  ripa  al  fiume. 

41.  E  come  vi  corapar  quella  guerriera. 
Di  porla  a  morte  subito  minaccia, 

Quando  dell'  arme,  e  del  destricr,  su  eh'  era, 
Al  gran  sepolcro  oblazion  non  faccia. 
Bradamante ,  che  sa  1'  istoria  vera, 
Come  per  lui  morta  Isabella  giaccia. 
Che  Fiordiligi  detto  gliel'  avea, 
Al  Suracin  superbo  rispondea: 

42.  Perché  vuoi  tu ,  bestiai ,  che  gì'  innocenti 
Facciano  penitenza  del  tuo  fallo  .^ 

Del  sangue  tuo  placar  costei  con\ienti; 
Tu  l'  uccidesti  ,  e  tutto  '1  mondo  sallo: 
Sicché  di  tutte  1'  arme ,  e  guernimenti 
Di  tanti,  che  gittati  hai  da  cavallo. 
Oblazione  e  vittima  più  accetta 
Avrà ,  eh'  io  te  l'  uccida  in  sua  vendetta. 

43.  E  di  mia  man  le  fia  più  grato  il  dono. 
Quando,  come  ella  fu,  son  tionna  anch'  io. 
Rè  qui  tenuta  ad  altro  elletto  senio, 

Ch'  a  vendicarla  :  e  questo  sol  disio. 

Ma  far  tra  noi  prima  alcim  patto  è  buono. 

Che  '1  tuo  valor  si  compari  col  mio. 

S'  abbattuta  sarò,  di   me  farai 

Quel ,  che  degli  altri  tiuti  prigion  fati'  hai  : 

44.  IMa  s'  io  t'  abbatto,  come  io  credo  e  >pcro. 
Guadagnar  soglio  il  (no  camallo  e  1'  armi, 

E  «piclle  otVcrir  sob»  al   cimit<-ro, 

E  tutte  r  altri!  distaccar  dai  unirmi; 

E  voglio  ,  clic  tu  lasci  ogni  guerriero. 

Rispose  Rodomonte:   (ìiiislo  parmi. 

('he  sia,  COMIC  tu  di':  ma  i  pri<;ion  darti 

Giù  non  potrei,  eh'  io  non  gli  ho  in  queste  parli 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXXV.  45-60) 


[475]___ 

45.  Io  gli  ho  al  mio  regno  in  Africa  mandati  : 
Ma  ti  prometto,  e   ti  do  ben  la  fede,_ 
Che ,   se  m'  avvien  .  per  casi  inopinati, 
Che  tu  stia   in  sella ,    e  eh'  io  rimanga  a  piede, 
Farò,  che  saran  tutti  liberati 
In  tanto  tempo,  quanto  si  richiede 
Di  dare  a  un  messo,  che  in  fretta  si  mandi 
A  far  quel  che,  s'  io  perdo,  mi  comandi. 

46.  Ma ,  se  a  te  tocca  star  di  sotto ,  come 
Più  si  contiene,  e  certo  so  che  fia, 
Non  vo',  che  lasci  1'  arme,  né  il  tuo  nome. 
Come  di  vinta ,  sottoscritto  sia  : 
Al  tuo  bel  viso,  a'  begli  occhj,  alle  chiome, 
Che  spiran  tutti  amore  e  leggiadria,  ^ 
Voglio  donar  la  mia  vittoria;  e  basti, 
Che  ti  disponga  amarmi,  ove  m'  odiasti. 

47.  Io  son  di  tal  valor,  son  di  tal  nerbo, 
Ch'   aver  non  dei  d'  andar  di  sotto  a  sdegno. 
Sorrise  alquanto,  ma  d'  un  riso  acerbo, 
Che  fece  d'  ira,  più  che  d'  altro,  segno, 
La  donna;  né  rispose  a  quel  superbo, 
Ma  tornò  in  capo  al  ponticel  di  legno. 
Spronò  il  cavallo,  e  con  la  lancia  d'  oro 
Venne  a  trovar  quell'  orgoglioso  Moro. 

48.  Rodomonte  alla  giostra  s'  apparecchia, 
Viene  a  gran  corso,  ed  è  si  grande  il  suono. 
Che  rende  il  ponte,  che  intronar  I'  orecchia 
Può  forse  a  molti ,  che  lontan  ne  sono. 
La  lancia  d'  oro  fé'  1'  usanza  vecchia  ; 
Che  quel  pagan ,  sì  dianzi  in  giostra  buono. 
Levò  di  sella,  e  in  aria  lo  sospese. 
Indi  sul  ponte  a  capo  in»  giù  lo  stese. 

49.  Nel  trapassar  ritrovò  appena  loco, 
Ove  entrar  col  destrier  quella  guerriera, 
E  fu  a  gran  rischio,  o  ben  vi  mancò  poco, 
Cli'  ella  non  traboccò  nella  riviera: 
Ma  Rabicano,  il  quale  il  vento  e  '1  foco 
Concetto  avean,  si  destro  ed  agii  era. 
Che  nel  margine  estremo  trovò  strada, 
E  sarebbe  ito  anco  su  un  fil  di  spada. 

50.  Ella  si  volta,  e  contra  l'  abbattuto 
Pagan  ritorna,  e  con  leggiadro  motto: 
Or  puoi,  disse,  veder,  chi  abbia  perduto, 
E  a  chi  di  noi  tocchi  lo  star  di  sotto. 
Ui  meraviglia  il  pagan  resta  muto, 
Cli'  una  donna  a  cader  1'  abbia  condotto, 
E  far  risposta  non  potè,  o  non  volle, 
E  fu  come  uom  pien  di  stupore,  e  folle. 

51.  Di  terra  si  levò  tacito  e  mesto, 
E,  poich'  andato  fu  quattro  o  sei  passi, 
Lo  scudo  e   1'   cimo,    e  dell'  altre  arme  il  resto 
Tutto  si  trasse,  e  gittò  contra  i  sassi, 
E  solo  ,  e  a  pie  fu  a  dileguarsi  presto  ; 
Non  che  commission  prima  non  lassi 
A  un  suo  scudier,  che  va«la  a  far  1'  effetto 
Dei  prigion  suoi,  secondocliè  fu  detto. 

52.  Partissi,  e  nulla  poi  più  se  n'  intese, 
Se  non ,  che  stava  in  una  grotta  scura. 
Intanto  Hradanrante  avea  sospese 
Di  costui  r  arme  all'  alta  sepoltura, 
E  fattone;  levar  tutto  1'  arnese, 
11  qual   dei  cuvalieri  alla  scrittura 
(yonoblte  della  corte  esser  ili  Carlo: 
Non  le>ò  il  resto,  e  non  lasciò  levarlo. 


[4761 


53.  Oltr'  a  quel  del  figliuol  di  Monodante, 

V  è  quel  di  Sansonetto  e  d"  Oliviero, 
Che ,  per  trovar  il  principe  d'  Anglante, 
Quivi  condusse  il  più  dritto  sentiero. 
Quivi  fur  presi,  e  furo  il  giorno  innante 
Mandati  via  dal  Saracino  altiero. 
Di  questi  r  arme  fé'  la  donna  torre 
Dall'  alta  mole,  e  chiuder  nella  torre. 

54.  Tutte  r  altre  lasciò  pender  dai  sassi, 
Che  fur  spogliate  ai  cavalier  pagani. 

V  eran  1'  arme  d'  un  re,  del  quale  i  passi 
Per  Frontalatte  mal  fur  spesi ,   e  vanì. 
Io  dico  r  arme  del  re  de'  Circassi, 
Che,  dopo  lungo  errar  per  colli  e  piani, 
A'enne  quivi  a  lasciar  1'  altro  destriero, 
E  poi  senz'  arme  andossene  leggiero. 

55.  S'  era  partito  disarmato  e  a  piede  '  '\ 
Quel  re  pagan  dal  periglioso  ponte. 
Siccome  gli  altri ,  eh'  eran  di  sua  fede. 
Partir  da  sé  lasciava  Rodomonte. 
Ma  di  tornar  più  al  campo  non  gli  diede 

\  Il  cor ,  eh'  ivi  apparir  non  avria  fronte  ; 

I  Che,  per  quel  che  vantossi,  troppo  scorno 

Gli  saria  farvi  in  tal  guisa  ritorno. 

51».      Di  pur  cercar  nuovo  desir  lo  prese 
Colei ,  che  sola  avea  fissa  nel  core. 
Fu  1'  avventura  sua,  che  tosto  intese. 
Io  non  vi  saprei  dir,  chi  ne  fu  autore, 
Ch'  ella  tornava  verso  il  suo  paese; 
Onde  esso,  come  il  punge  e  sprona  amore. 
Dietro  alla  pesta  subito  si  pone. 
Ma  tornar  voglio  alla  figlia  d'  Amone. 

57.  Poiché  narrato  ebbe  con  altro  scritto. 
Come  da  lei  iu  liberato  il  passo, 
A  Fiordiligi,  eh'  avea  il  core  afflitto, 
E  tenea  il  viso  lagrimoso  e  basso, 
Domandò  umanamente,  ov'  ella  dritto 
A  olea  che  fosse,  indi  partendo,  il  passo. 
Rispose  Fiordiligi:  11  mio  cammino 
Vo',  che  sia  in  Arli,  al  campo  Saracino; 

58.  Ove  naviglio ,  e  buona  compagnia 
Spero  trovar  da  gir  nell'  altro  lito. 
]>iai  non  mi  fermerò ,  finch'  io  non  sia 
Venuta  al  mio  signore  e  mio  marito. 
A  oglio  tentar ,  perché  in  prigion  non  slia, 
Più  modi  e  più  ;  che  se  mi  vien  fallito 
Questo  ,  che  Rodomonte  t'  ha  promesso. 
Ne  voglio  avere  uno,  ed  un  altro  appresso. 

59.  Io  m'  oflerisco ,  disse  Bradamantc, 
D'  accompagnarti  un  pezzo  della  strada, 
Tantoché  tu  ti  vegga  Arli  davaiite; 
Ove  p(!r  amor  mio  vo',  che  tu  Aada 
A  trovar  quel  Kuggier  del  re  Agraniante, 
Che  del  suo  nome  ha  piena  ogni  contrada, 
E  che  gli  rendi  questo  biu)n  destriero. 
Onde  abbattuto  ho  il  Saracino  altiero. 

(jO.      \  oglio,  eh'  ajipnnto  tu  gli  dica  questo: 
Un  cavalier,  che  di  provar  si  crede, 
E  faie  a  tutto  '1  mondo  manifesto, 
Che  contra  lui  sei  mancator  di   fede, 
Acciò  ti  trovi  apparecchiato  e  presto. 
Questo  destrier ,  pcrch'  io  tei  dia ,  mi  diede. 
Dice ,  che  trovi  tua  piastra  e  tua  maglia, 
E  che  r  aspetti  a  far  teco  battaglia. 


m] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXV.  61— T6) 


[4T8] 


il.      Digli  questo ,  e  non  altro  !  e  se  quel  Tuole 
Saper  da  te,  eh'  io  son,  di  che  noi  sai! 
Quella  rispose,  umana  come  suole: 
Non  sarò  stanca  in  tuo  servigio  mai 
Spender  la  vita ,  non  che  le  parole  : 
Che  tu  ancora  per  me  così  fatto  hai. 
Grazie  le  rende  Bradamante,  e  piglia 
Frontino ,  e  glielo  porge  per  la  briglia. 

)2.      Lungo  il  fiume  le  belle  e  pellegrine 
Giovani  ranno  a  gran  giornate  insieme, 
Tantoché  veggon  Arli,  e  le  vicine 
Rive  odon  risonar  del  mar,  che  freme: 
Bradamante  si  ferma  alle  confine 
Quasi  de'  borghi ,  ed  alle  sbarre  estreme, 
Per  dare  a  Fiordiligi  atto  intervallo, 
Clie  condurre  a  Ruggier  possa  il  cavallo. 

Go.      Vien  Fiordiligi  ed  entra  nel  rastrello, 
Nel  ponte  e  nella  porta;     e  seco  prende 
Chi  le  fa  compagnia  fin'  all'   ostello, 
Ove  abita  Ruggiero ,  e  quivi  scende  ; 
E  secondo  il  mandato  al  damigello 
Fa  r  imbasciata,  e  il  buon  Frontin  gli  rende. 
Indi  va,  che  risposta  non  aspetta, 
Ad  eseguù-e  il  suo  bisogno  in  fretta. 

61.     Ruggier  riman  confuso  e  in  pensier  grande, 
E  non  sa  ritrovar  capo  ,  né  via 
Di  saper,  chi  lo  sfidi,  e  clii  gli  mande 
A  dire  oltraggio  ,  e  a  fargli  cortesia. 
Che  costui  senza  fede  lo  domande, 
O  possa  domandar  uomo  che  sia. 
Non  sa  veder ,  né  immaginare  ;  e  prima, 
Ch'  ogn'  altro  sia,  che  Bradiimante,  stima. 

65.  Che  fosse  Rodomonte,  era  più  presto 
Ad  aver,  che  fosse  altri,  opinione; 

E  perchè  ancor  da  lui  liehba  udir  questo, 
Pensa,  né  immaginar  può  la  cagione. 
Fuorché  con  lui,  non  sa  di  tutto  '1  resto 
Del  mondo ,  con  chi  lite  abbia ,  e  tenzone, 
lutanti»  la  donzella  di  Dordona 
Chiede  battaglia,  e  forte  il  corno  suona. 

66.  Vien  la  nuova  a  Marsilio  e  ad  Agramante, 
Ch'  un  cavalier  di  fuor  chiede  battaglia. 

A  caso  Serpentin  lor  era  avante, 

Ed  impetrò  di  vestir  piastra  e  maglia, 

E  promise  pigliar  questo  arrogante. 

Il  pnpol  venne  sopra  la  nuiraglia; 

Né  fanciullo  restò  ,  né  restò  meglio, 

Che  non  fosse  a  veder,  chi  fesse  meglio. 

67.  Con  ricca  sopprawesta ,  e  bello  arnese, 
Serpentin  dalla  Stella  in  giostra  venne. 
Al  primo  scontro  in  terra  si  distese; 

Il  destriero  a^er  parM!  a  fuggir  penne. 
Dietro  gli  corse  la  dtuina  «^ttrtese, 
E  per  la  briglia  al  Saracin  lo  tenne; 
E  disse:  Monta,  e  fa,  die  'I  (uo  signore 
Mi  mandi  un  cavalier  di  le  migliore! 

68.  11  re  Afriran,  eh'  era  con  gran  famiglia 
Sopra  li;  mura  alla  giostra  micino. 

Del  cortes»!  atto   assai  si  mcra\ig!ia, 
Ch'  usato  ha  la  ilonzella  a  Scri><-ntino. 
Di  ragion  può  pigliarlo  ,  e  non  lo  piglia, 
Di<-c\a  niicndo  il  popol  Saracino. 
Serpentin  gitmgc,  e,  come  ella  comanda. 
Un  miglior  da  bua  parte  al  re  domanda. 


69.  Grandonlo  di  Voltema  furibondo, 
n  più  superbo  cavalier  di  Spagna, 
Pregando  fece  si ,  che  fu  il  secondo, 
Ed  usci  con  minacce  alla  campagna. 
Tua  cortesia  nulla  ti  vaglia  al  mondo; 
Che  quando  da  me  vinto  tu  rimagna. 
Al  mio  signor  menar  preso  ti  voglio: 
Ma  qui  morrai,  s'  io  posso,  come  soglio. 

70.  La  donna  disse  a  lui:  Tua  villania 
Non  vo'  ,  che  men  cortese  far  mi  possa, 
Ch'  io  non  ti  dica,   che  tu  torni  pria, 
C;iie  sul  duro  terren  ti  doglian  1'  ossa. 
Ritorna,  e  di'  al  tuo  re  da  parte  mia. 
Che  per  simile  a  te  non  mi  son  mossa; 

Ma  per  trovar  guerrier,  che  "1  pregio  vaglia, 
Son  qui  venuta  a  domandar  battaglia. 

71.  Il  mordace  parlare,  acre  ed  acerbo 
Gran  foco  al  cor  del  Saracino  attizza  ; 
Sicché ,  senza  poter  replicar  verbo, 
Volta  il  destrier  con  collera  e  con  stizza. 
Volta  la  donna ,  e  contra  quel  superba 
La  lancia  d'  Oro,  e  Rabicano  drizza. 
Come  r  asta  fatai  lo  scudo  tocca. 

Coi  piedi  al  cielo  il  Saracin  trabocca. 

72.  Il  destrier  la  magnanima  guerriera 
Gli  prese,  e  disse:  Pur  tei  prediss'  io, 
Che  far  la  mia  ambasciata  meglio  t'  era. 
Che  della  giostra  aver  tanto  disio. 

Di'  al  re,  ti  prego,  che  fuor  della  schiera 
Elegga  un  cavalier,  che  sia  par  mio; 
Né  voglia  con  voi  altri  alTaticarme, 
Ch'  avete  poca  esperienza  d'  arme. 

73.  Quei  dalle  mura,  che  stimar  non  sanno, 
Chi  sia  il  guerriero  in  sull'  arcion  sì  saldo. 
Quei  più  famosi  nominando  vanno, 

Che  tremar  li  fan  spesso  al  maggior  caldo. 
Che  Brandimarte  sia,  molti  detto  hanno; 
La  più  parte  s'  accorda  esser  Rinaldo. 
3Iolti  su  Orlando  avrian  fatto  disegno  ; 
Ma  il  suo  caso  sapean  di  pietà  degno. 

74.  La  terza  giostra  il  figlio  di  Lanfusa 
Chiedendo,  disse:  Non  che  vincer  speri. 
Ma  perchè  di  cader  più  degna  scusa 
Abbian ,  c<idendo  aneli"  io ,  questi  guerrieri. 
E  poi  di  tutto  quel ,  che  in  giostra  s'  usa, 
Si  mise  in  punto  ;  e  di  cento  destrieri. 
Che  tenea  in  stalla,  d'  un  tolse  1'  eletta, 

Ch'  avea  il  correre  acconcio,  e  di  gran  fretta 

75.  Contra  la  donna  per  giostrar  si  fece; 
Ma  prima  salutolla,  ed  ella  lui. 

Disse  la  donna  :  Se  saper  mi  lece, 
Ditemi  in  cortesia ,  chi  siete  vui. 
Di  questo  Ferraù  le  satisfece, 
(.'II'  u»ò  di  rado  di  celarsi  altrui. 
Ella  soggiunse:  \oì  già  non  rifìnto  ; 
3Ia  avria  più  volentieri  altri  coluto. 

76.  E  chi.'  Ferraù  disse;   ella  rispose: 
Ruggiero.     E  appena  il  potè  proferire, 
E  spars»!  ti'  un  color  .  come  di  rose. 
La  Ix'llis.sinia  faccia  in  questo  dire. 
Soggiunse  al  tlctti)  poi:   le  «ni  famose 
Lod»!  a  (.il  pru(Ma  ni'  bau  f.itto  \(Miirc. 
Altro  non  bramo,  e  d'  altro  non  mi  cale. 
Che  di  provar,  conio  egli  in  giostra  vale. 


[479]      ORLANDO  FURIOSO.    (XXXV.  77  — 80    XXXVI.    1  —  8)      [480 


77.  Semplicemente  di:«se  le  parole, 

Che  forse  alcuno  ha  già  prese  a  malizia. 
Rispose  Ferraù  :  Prima  si  vuole 
Provar  tra  noi,  chi  sa  più  di  milizia. 
Se  di  me  avvien  quel,  che  di  molti  suole, 
Poi  verrà  ad  emendar  la  mia  tristizia 
Quel  gentil  cavalier,  che  tu  dimostri 
Aver  tanto  disio,  che  teco  giostri. 

78.  Parlando  tutta  volta  la  donzella 
Teneva  la  visiera  alta  dal  viso. 
3Iirando  Ferraù  la  faccia  hella, 
Si  sente  rimaner  mezzo  conquiso, 
E  taciturno  dentro  a  sé  favella: 
Questo  un  angcl  mi  par  del  paradiso; 

K  ancorché  con  la  lancia  non  mi  tocchi, 
Abbattuto  son  già  da'  suoi  begli  occhj. 


79.  Preson  del  campo  ,  e ,  come  agli  altri  avvenni 
Ferraù  se  n'  uscì  di  sella  netto. 
Bradiiniante  il  destricr  suo  gli  ritenne, 

E  disse:  Torna,  e  serva  quel  eh'  hai  detto! 
Ferraù  vei'gognoso  se  ne  venne, 
E  ritrovò  Ilnggier,  eh'  era  al  cospetto 
Del  re  Agramantc ,  e  gli  fece  sapere, 
Ch'  alla  battaglia  il  cavalier  lo  chere. 

80.  Ruggier,  non  conoscendo  ancor,  chi  fosse. 
Che  a  sfidar  lo  mandava  alla  battaglia, 
Quasi  certo  di  vincere,  allegrosse, 

E  le  piastre  arrecar  fece ,  e  la  maglia  ; 
jNè  r  aver  visto  alle  gravi  percosse, 
Che  gli  altri  sian  caduti,  il  cor  gli  smaglia. 
Come  s'  armasse ,  come  uscisse ,  e  quanto 
Poi  ne  seguì,  lo  serbo  all'  altro  canto. 


CANTO    TRENTESIMOSESTO. 


ARGOMENTO. 

Con  la  lancia  incantata  abbatte  e  stende 
Bradamante  Marfisa,  ond'  ha  sospetto: 
Indi  V  un  campo  e  V  altro  V  arme  prende, 
E  nel  combatter  fa  V  usato  effetto. 
Col  suo  Ruggier  ,  di  cui  sì  amor  V  accende, 
Si  riduce  in  un  comodo  boschetto. 
La  disturba  Marfisa;  e  nel  fin  quella 
Ode  e  conosce  di  Ruggier  sorella. 


1.  Convien,  eh'  ovunque  sia,  sempre  cortese 

Sia  un  cor  gentil,  eh'  esser  non  può  altramente; 
-     Che  per  natura  e  per  abito  prese 

Quel,  che  di  mutar  poi  non  è  possente, 
Convien ,  eh'  ovunque  sia ,  sempre  palese 
L'n  cor  villan  si  mostri  similmente. 
Natura  inchina  al  nriale,  e  viene  a  farsi 
L'  abito  poi  difficile  a  rautarmi. 

2.  Di  cortesia,  di  gentilezza  esemp.j 
Fra  gli  antichi  guenicr  si  vider  molti, 
E  pochi  fra  i  moderni;  ma  degli  cniiij 
Costumi  avvien,  eh'  assai  ne  vj-gga  e  ascolli. 
In  quella  guerra,  Ippolito,   che  i  tempj 

Di  segni  ornaste,  agi'  inimici  tolti, 
E  che  traeste  lor  galee  cattive,^ 
Di  preda  cardie,  alle  paterno  rive; 

3.  Tutti  gli  atti  crudeli  ed  ìnimiani, 

Che  llsi^^se  mai  Tartaro  ,  o  Turco ,  o  Moro, 

ISon  già  con  volontà  de'  Veneziani, 

Che  sempre  e^eml)io  di  giustizia  foro, 

Lsaron  1'  empie  e  scellerato  mani 

De'  rei  soldati,  mercenarj  loro. 

lo  non  dico  or  di  tanti  acccNÌ  fochi, 

Ch'  ar«on  le  ville,  e  i  nostri  ameni  lochi: 


4.  Benché  fu  quella  ancor  brutta  vendetta, 
Massimamente  centra  voi ,  che  appresso 
Cesare  essendo,  mentre  Padua  stretta 
Era  d'  assedio,  ben  sapca,  che  spesso 
Per  voi  più  d'  una  fiamma  fu  interdetta, 
E  spento  il  foco  ancor,  poiché  fu  messo. 
Da'  villaggi  e  da'  templi,  come  piacque 
All'  alta  cortesia,  che  con  voi  nacque. 

5.  Io  non  parlo  di  questo,  né  di  tanti 
Altri  lor  discortesi  e  crudeli  atti, 

Ma  sol  di  quel,  che  trar  dai  sassi  i  pianti 
Debbe  poter,  qual  volta  se  ne  tratti; 
Quel  dì,  Signor,  che  la  famiglia  innauti 
Mostra  mandaste  là,  dove  ritratti 
Dai  legni  lor,  con  importimi  auspici, 
S'  erano  in  luogo  forte  gì'  inimici. 

0.     Qual  Ettore  ed  Enea  sin  dentro  ai  flutti, 
Per  abbruciar  le  navi  greche,  andarn: 
Un  Ercol  vidi  e  un  Alessandro,  indulti 
Da  troppo  ardir,  partirsi  a  paro  a  paro; 
E  spronando  i  destrier,  passarci  tutti, 
E  i  nemici  turbar  fin  nel  riparo  ; 
E  gir  sì  innanzi,  eh'  al  secondo  molto 
Aspro  fu  il  ritornare ,  e  al  primo  tolto. 

7.  Salvossi  il  Ferruffin ,  restò  il  Cantelmo. 
Che  cor,  duca  di  Sora,  clie  consiglio 

Fu  allora  il  tuo ,  che  trar  vedesti  1'  elmo, 

Fra  mille  spade,  al  generoso  figlio, 

E  menar  preso  in  nave,  e  sopra  un  schelmo 

'J'roncargli  il  capo.^  Dcn  mi  maraviglio, 

Che  darti  morte  lo  spettacol  solo 

INOn  potè ,  quanto  il  ferro  al  tuo  figliuolo. 

8.  SchiaA  nn  crudele,   onde  hai  tu  il  modo  appres 
Della  milìzia?  In  qual  Sci/ia  s'  intende, 

Che  uccider  si  dcbb'  un,  poich'  egli  è  preso, 
Che  r(-nde  1'  arme,  e  più  non  si  difende.'* 
Dunque  uccidesti  lui ,  perchè  ha  difeso 
La  patria?  Il  sole  a  ti>rto  oggi  risplende, 
Crtidel  secolo ,  poiché  pieno  sei 
Di  Tiesti ,  di  Tantali ,  e  di  Atrei. 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXVI.   9-24) 


i81] 

9  Fc«ti,  barbar  crudcl,  del  capo  scemo 
'n  pili  ardito  garzon ,  che  di  sua  etade 

Fosse  da  un  polo  all'   altro,  e  dall'  estremo 
Lito  degl'  Indi,  a  quello  ,  ove  il  sol  cade. 
Fotea  in  Antropofago  e  in  Polifemo 
La  beltà  e  gli  anni  suoi  trovar  pietade. 
Ma  non  in  te,  più  crudo  e  più  fellone 
D'  ogni  Ciclope,  e  d'  ogni  Lestrigone. 

10  Simil  esempio  non  credo  che  sia 
'Fra  gli  antichi  guerrier,  de'  quai  gli  studj 

Tutti  fur  gentilezza  e  cortesia  ;_ 

Né  dopo  la  vittoria  erano  crudi, 

Bradamante  non  sol  non  era  ria    ^ 

A  quei,  eh'  avca,  toccando  lor  gli  scudi, 

Fatto  uscir  della  sella;  ma  tcnea 

Loro  i  cavalli,  e  rimontar  facea. 

11.  Di  questa  donna  valorosa  e  bella 
"lo  vi  dissi  di  sopra,  che  abbattuto 

Aveva  Serpentin ,  quel  dalla  Stella, 
Grandonio  di  Volterra ,  e  Ferrauto, 
E  ciascun  d'  essi  poi  rimesso  in  sella; 
E  dis4  ancor  ,  che  il  terzo  era  venuto 
Da  lei  mandato  a  disfidar  Ruggiero, 
Là  dove  era  stimata  un  cavahero. 

12.  Ruggier  tenne  1'  invito  allegramente, 
"*E  r  armatura  sua  fece  venire. 

Or ,  mcntrechè  s'  armava  al  re  presente, 
Tornaron  quei  signor  di  nuovo  a  dire, 
Chi  fosse  il  cavalier  tanto  eccellente, 
Che  di  lancia  sapea  sì  ben  ferire; 
E  Ferraù ,  che  parlato  gli  avea, 
Fu  domandato,  se  lo  conoscea. 

13.  Rispose  Ferraù:  Tenete  certo. 

Ole  non  è  alcun  di  quei ,  eh'  avete  detto. 

A  me  parca,  che  'l  vidi  a  viso  aperto. 

Il  fratel  di  Rinaldo  giovinetto; 

Ma  ,  poich'  io  n'  ho  1'  alto  valore  esperto, 

E  so,  che  non  può  tanto  Ricciardetto, 

Penso,  che  sia  la  sua  sorella     molto. 

Per  quel  eh'  io  n'  odo,  a  lui  simil  di  volto. 

14  Ella  ha  ben  fama  d'  esser  forte  a  paru 
'Del  suo  Rinaldo,  e  d'  ogni  paladino; 

Ma    per  quanto  io  ne  veggo  oggi,  mi  pare, 
Che  vai  più  del  fiatel,  più  del  cugino. 
Come  Rnggier  lei  sente  ricordare. 
Del  vermiglio  color,  che  'l  mattutino 
Sparge  per  l'  aria,  si  dipinge  in  faccia, 
E  nel  cor  trema,  e  non  sa,  che  si  faccia. 

15  A  questo  annunzio,  stimulato  e  punto 
Dall'  amorosi»  stiiil,  dentro  inriuimuarse, 
E  per  r  ossa  sentì  tutlt»  in  un  ponto 
Correre  un  ghiaccio,  che    l  timor  v.  spar^; 
Timor ,  eh'  un  nuovo  sdegno  abbia  consunto 
Quel  grande  amor,  die  già  per  lui  si  1    ar^c  . 
Di  ciò  confuso,  non  si  risolvea, 

Se  incontra  uscirle,  o  pur  restar  dovea. 

16  Or  quivi  ^itrovando^i  Marfisa, 

C1,e  d-  uscire  alla  gio^tra  av«a  gran  voglia, 

Ed  era  armata;  (perchè  in  altra  gni-a 

E  raro,  o  notte  o  di,  che  tu  la  coglia) _ 

Sentendo ,  che  lluggier  h    arma ,  s    avvisa, 

Che  di  quella  vittoria  ella  m  spoglia, 

Se  lascia,  che  Ruggiero  esca  fuor  prima, 

Penna  ire  innanzi,  e  averne  il  pregio  blima. 


[482] 


17.  Salta  a  cavallo,  e  vien  spronando  in  fretta. 
Ove  nel  campo  la  figlia  d'  Amone 

Con  palpitante  cor  Ruggiero  aspetta, 
Desiderosa  farselo  prigione; 
E  pensa  solo,  ove  la  lancia  metta, 
Perchè  del  colpo  abbia  minor  lesione. 
Slarfisa  se  ne  vien  fuor  della  porta, 
E  sopra  l'  cimo  una  fenice  porta; 

18.  O  sia  per  sua  superbia,  dinotando 

Sé  stessa  unica  al  mondo  in  esser  forte; 
O  pur  sua  casta  intenzion  lodando. 
Di  viver  sempre  mai  senza  consorte. 
La  figliuola  d'  Amon  la  mira;  e  quando 
Le  fattezze,  eh'  amava,  non  ha  scorte, 
Come  si  nomi,  le  domanda;  ed  ode 
Esser  colei,  che  del  suo  amor  si  gode, 

19.  O  per  dir  meglio,  esser  colei,  che  crede, 
Che  goda  del  suo  amor  ;  colei ,  che  tanto 
Ha  in  odio  e  in  ira,  che  morir  si  vede, 
Se  sopra  lei  non  vendica  il  suo  pianto. 
Volta  il  cavallo,  e  con  gran  fiu-ia  riede, 
]\~on  per  desir   di  porla  in  terra,  quanto 

Di  passarle  con  1'  asta  in  mezzo  il  petto, 
E  libera  restar  d'  ogni  sospetto. 

20.  Forza  è  a  ÌMarfisa,  che  a  quel  colpo  vada 
A  provar,  se  '1  terreno  è  duro,  o  molle, 

E  cosa  tanto  insolita  le  accada, 

Ch'  ella  n'  è  per  venir  di  sdegno  folle. 

Fu  in  terra  appena,  che  trasse  la  spada, 

E  vendicar  di  quel  cader  si  volle. 

La  figliuola  d'  Amon ,  non  meno  altiera, 

Gridò:  Che  fai.^"  tu  sei  mia  prigioniera. 

21.  Se  ben  uso  con  gli  altri  cortesia, 
Usar  teco,  Marfisa,  non  la  voglio, 

[  Come  a  colei ,  che  d'  ogni  villania 

I  Odo  che  sei  dotata  e  d'  ogni  orgoglio. 

I  Marfisa,  a  quel  parlar,  fremer  s'  udia, 

I  Come  un  vento  marino  in  uno  scoglio. 

I  Grida,  ma  sì  per  rabbia  si  confonde, 

!  Che  non  può  esprimer  fuor  quel,  che  risponde. 

22.  Mena  la  spada ,  e  più  ferir  non  mira 

Lei,  che  '1  destrier ,  nel  petto  e  nella  pancia: 

Ma  Bradamante  al  suo  la  briglia  gira, 

E  quel  da  parte  subito  si  lancia, 

E  tutto  a  un  tempo,  con  isdegno  ed  ira 

La  figliuola  d'  Amon  spinge  la  lancia, 

E  con  quella  Marfisa  tocca  appena. 

Che  la  fa  riversar  sopra  l'  arena. 

23.  Appena  ella  fu  in  terra,  che  rizzojse, 
Cercando  far  <:<ni  la  spada  mar  opra. 
Di  nuovo  r  a^ta  Hrailauiante  mosse, 

E  Marfisa  di  nuovo  andò  so/./.opra. 
Benché  possente  HradamaiUe  fosse, 
>on  però  sì  a  Marfisa  era  di  sopra. 
Che  l'   avesse  ogni  c<dpo  riversata  ; 
Ma  tal  virtù  nell'  asta  era  incantata. 

24.  .Alcuni  cavalieri,  in  questo  mezzo, 
Alcuni,  dico,  dilla  parte  nostra 

Se  n'  erano   tenuti,  dove   in  mezzo 
Ìj'  un  (Miiipo  e  r  altro  si  facea  la  giostra, 
(('he  non  eran  lontani  un  miglio  e  mezzo) 
^  (duta  la  virtù,  che  'I  suo  dimostra; 
Il  suo,  che  non  eoiiosrono  altramente. 
Che  per  un  cavaliur  della  lor  gente. 

31 


[483] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXXVI.  25-40) 


[484] 


25.  Questi,  vedendo  il  generoso  figlio 
Di  Trnjano  alle  inui-a  approssimarsi, 
Per  ogni  caso ,  per  ogni  periglio 
Kon  volse  sprovveduto  ritrovarsi  : 

E  fé' ,  che  molti  all'  arme  dier  di  piglio, 
E  che  fuor  dei  ripari  appresentàrsi. 
Tra  questi  fu  Ruggiero ,  a  cui  la  fretta 
Di  Marfisa  la  giostra  avea  intercetta. 

26.  L'  innamorato  giovane  mirando 
Stava  il  successo  ,  e  gli  tremava  il  core, 
Della  sua  cara  moglie  dubitando  ; 

Che  di  Marfisa  hen  sapea  il  valore. 
Dubitò,  dico,  nel  principio,  quando 
Si  mosse  l'  una  e  l'  altra  con  furore  ; 
Ma ,  visto  poi ,   come  successe  il  fatto. 
Restò  meraviglioso  e  stupefatto. 

27.  E  poiché  fin  la  lite  lor  non  ebbe. 

Come  avean  1'  altre  avute  al  primo  incontro, 
Kel  cor  profondamente  gli  n'  increbbe, 
Dubbioso  pur  di  qualche  strano  incontro. 
Dell'  una  egli,  e  dell'  altra  il  ben  vorrebbe; 
Ch'  ama  ambedue:  non  che  da  porre  incontro 
Sien  questi  amori  :  è  1'  un  fiamma  e  furore, 
L'  altro  benivolenza  più  eh'  amore. 

28.  Partita  volentier  la  pugna  avria, 
Se  con  suo  onor  potuto  avesse  farlo  ; 

]Ma  quei ,  eh'  egli  avea  seco  in  compagnia, 
Perchè  non  vinca  la  parte  di  Carlo, 
Che  già  lor  par ,  che  superior  ne  sia, 
Saltan  nel  campo  ,  e  vogliono  turbarlo. 
Dall'  altra  parte  i  cavalier  cristiani 
Si  fanno  innanzi,  e  son  quivi  alle  mani. 

29.  Di  qua,  di  là  gridar  si  sente  all'  arme, 
Come  usati  eran  far  quasi  ogni  giorno. 
IMonti  chi  è  a  pie ,  chi  non  è  armato ,  s'  arme. 
Alla  bandiera  ognun  faccia  ritorno, 

Di<;ea .  con  chiaro  e  bellicoso  carme. 
Pili  d'  lina  tromba,  che  scorrea  d'  intorno; 
E  come  quelle  svegliano  i  cavalli. 
Svegliano  i  fanti  i  timpani  e  i  taballi. 

30.  La  scarjimuccia  fiera  e  sanguinosa. 
Quanto  si  possa  immaginar,  si  mesce. 
La  d(tnna  di  Dordona  valorosa, 

A  cui  mirabilmente  aggrava  e  incresce. 
Che  quel ,  di  eh'  era  tanto  disiosa. 
Di  por  Marfisa  a  morte,  non  riesce, 
Di  qua ,  di  là  si  volge  e  si  raggira. 
Se  Ruggier  può  veder,  per  cui  sospira. 

31.  Lo  riconosce  all'  aquila  d'  argento, 
Ch'  ha  nello  scudo  azzurro  il  giovinetto. 
Ella  con  gli  occhj  e  col  pensiero  intento 
Si  ferma  a  contemplar  le  spalle  e  'l  petto. 
Le  leggiadre  fattezze ,  e  '1  movimento 
Pieno  di  grazia;  e  poi,  con  gran  dispetto, 
Immaginando,  eh'  altra  ne  gioisse, 

Da  furore  assalita,  «;osì  disse: 

32.  Dunque  baciar  sì  belle  e  dolci  labbia 
Dev«'  altra,  se  baciar  non  le  poss'  io? 

Ah!  non  eia  vero  già,  eh'  altra  mai  t'  abbia! 

Che  d'  altra  esser  non  dei,  se  non  sei  mio. 

Pintto^to ,  che  morir  sola  di  rabbia, 

l'c  meco  di  mia  man  morir  disio; 

(;hè ,  se  ben  qui  ti  perdo,  almen  I'  inferno 

Poi  mi  ti  renda,  e  stii  meco  in  eterno! 


33.  Se  tu  m'  uccidi ,  è  ben  ragion  ,  che  deggi 
Darmi  della  vendetta  anco  cor.forto; 

Che  voglion  tutti  gli  ordini  e  le  leggi, 
Che  chi  dà  morte  altrui ,  debba  esser  morto. 
Kè  par,  eh'  anco  il  tuo  danno  il  mio  pareggi; 
Che  tu  mori  a  ragione ,  io  moro  a  torto. 
Farò  morir  chi  brama ,  oimè  !  eh'  io  mora, 
Ma  tu,  crudel,  chi  t'  ama,  e  chi  t'  adora. 

34.  Perchè  non  dei  tu  ,  mano ,  esser  ardita 
D'  aprir  col  ferro  al  mio  niiuicu  il  core. 
Che  tante  ^olte  a  morte  m'  ha  ferita 
Sotto  la  pace  in  sicurtà  d'  amore? 

Ed  or  può  consentir  tonni  la  ^ita, 
Kè  pur  aver  pietà  del  mio  dolore. 
Contra  questo  empio  ardisci,  animo  forte. 
Vendica  mille  mie  con  la  sua  morte! 

35.  Gli  sprona  contra  in  questo  dir  ;  ma  prima, 
Guardati,  grida,  perfido  Ruggiero  ! 

Tu  non  andrai,  s'io  posso,  della  opima 
Spoglia  del  cor  d'  una  donzella,  altiero. 
Come  Ruggiero  ode  il  parlare,  estima. 
Che  sia  la  moglie  sua,  com'  era  in  vero; 
La  cui  voce  in  memoria  sì  ben  ebbe, 
Che  in  mille  riconoscer  la  potrebbe. 

36.  Ben  pensa  quel ,  che  le  parole  denno 
Voler  inferir  più ,  eh'  ella  l'  accusa. 
Che  la  convenzion  ,  che  insieme  fenno, 
Kon  le  osservava;  onde,  per  farne  scusa, 
Di  volerle  parlar  le  fece  cenno  ; 

Ma  quella  già,  con  la  visiera  chiusa. 
Venia ,  dal  dolor  spinta  e  dalla  rabl)ia. 
Per  porlo ,  e  forse  ove  non  era  sabbia. 

37.  Quando  Ruggier  la  vede  tanto  accesa. 
Si  ristx-inge  nell'  arme  e  nella  sella, 

La  lancia  arresta,  ma  la  tiea  sospesa. 

Piegata  in  parte,  ove  non  noccia  a  quella. 

La  donna ,  eh'  a  ferirlo  e  a  fargli  offesa 

Venia  con  mente  di  pietà  rubella, 

Kon  potè  softcrir ,  come  fu  appresso, 

Di  porlo  in  terra ,   e  fargli  oltraggio  espresso. 

38.  Così  lor  lance  van  d'  effetto  vuote 

A  queir  incontro  ;  e  basta  ben  ,  s'  Amore 
Con  r  un  giostra  e  con  l'  altro ,   e  li  percuote 
D'  un'  amorosa  lancia  in  mezzo  il  core. 
Poiché  la  donna  sofferir  non  puote 
Di  far  onta  a  Ruggier,  volge  il  furore, 
Che  r  arde  il  petto,  altrove,  e  vi  fa  cose. 
Che  saran ,  finché  giri  il  ciel ,  famose. 

39.  In  poco  spazio  ne  gittò  per  terra 
Trecento ,  e  più  ,  con  quella  lancia  d'  oro. 
Ella  sola  quel  dì  vinse  la  guerra, 

Mi?e  ella  sola  in  fuga  il  popol  moro. 
Ruggier  di  qua  di  là  s'  aggira  ed  erra, 
Tanto,  che  se  le  accosta,  e  dice:  Io  moro, 
S'  io  non  ti  parlo.     Oimè  !  che  t'  ho  fatt'  io. 
Che  mi  debbi  fuggire  ?  Odi,  per  Dio! 

40.  Come  ai  meridional  tepidi  venti, 
Che  spirano  dal  mare  il  fiato  caldo, 
Le  nevi  si  disciolguno,  e  i  torrenti, 

E  '1  ghiaccio  ,  che  pur  dianzi  era  sì  saldo; 

Così  a  quei  preghi,  a  quei  brevi  lamenti 

Il  cor  d<^lla  sorella  di  Rinaldo 

Subito  ritornò  pietoso  e  molle. 

Che  r  ira ,  più  che  marmo  ,  indurar  volle. 


485] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXXVI.  41  —  56) 


[486] 


41.  Non  Aiiol  dargli ,  o  non  piiote ,  altra  risposta, 
Ma  da  traverso  sprona  Ral>i(!ano, 

E,  quanto  può,  dagli  altri  !<i  discosta, 
Ed  a  Ruggiero  accenna  con  la  mano. 
Fuor  della  moltitudine  in  riposta 
Valle  si  trasse,  ov'  era  un  picciol  piano, 
Che  in  mezzo  avea  un  boschetto  di  cipressi, 
Che  parean  d'  una  stampa  tutti  impressi. 

42.  In  quel  boschetto  era  di  bianchi  marmi 
Fatta  di  nuovo  un'  alta  sepoltura. 

Chi  dentro  giaccia,  era  con  Itievi  carmi 
Notato ,  a  chi  saperlo  avesse  cura. 
Ma  quivi  giunta  Bradamante,  parmi, 
Che  già  non  pose  mente  alla  scrittura. 
Ruggier  dietro  il  cavallo  alì'retta  e  punge 
Tanto,  eh'  al  bosco  e  alla  donzella  giunge. 

-\o.      Ma  ritorniamo  a  3Iarfisa ,  che  s'  era 
In  questo  mezzo  in  sul  destrier  rimessa, 
E  venia  per  trovar  quella  guerriera. 
Che  r  avea  al  primo  scontro  in  terra  messa  ; 
E  la  \n\e  partir  fuor  della  scliiera, 
E  partir  Ruggier  vide,  e  seguir  essa; 
Nò  si  pensò ,  che  per  amor  seguisse, 
Ma  per  finir  con  1'  arme  ingiurie  e  risse. 

44.     Urta  il  cavallo ,  e  vien  dietro  alla  pesta 
Tanto ,  eh'  a  un   tempo  con  lor  quasi  arriva. 
Quanto  sua  giunta  ad  ambi  sia  molesta. 
Chi  vive  amando,  il  sa,  scnzach'  io  '1  scriva. 
IVIa  Bradaniantc  offesa  più  ne  resta, 
Che  colei  vede ,  onde  il  suo  mal  deriva. 
Chi  le  può  tor,  ("he  non  creda  esser  vero, 
Che  r  amor  ve  la  sproni  di  Ruggiero? 

15.     E  perfido  Ruggier  di  nnovo  chiama. 
Non  ti  bastava,  perfido,  diss'  ella, 
Che  tua  perfidia  sapessi  per  fama. 
Se  non  mi  facevi  anco  veder  quella? 
Di  cacciarmi  da  te  >eggo  eh'  Imi  brama, 
E  per  sbramar  tua  coglia  iniqua  e  fella, 

10  vo'  morir;  ma  sforzerommi  ancora, 

Che  iniiora  meco,  chi  è  cagion,  eh'  io  mura. 

46.  Sdegnosa  più,  che  vipera,  s>i  spicca. 
Così  «licendo,  e  ^a  «;ontra  Marfisa, 

Ed  allo  s(Mulo  r  asta  sì  le  appi(-ca, 
Che  la  fa  adilietro  riversar  in  guisa, 
Che  qiia.-i  mezzo  1'  elmo  in  terra  fìcea. 
Né  si  può  dir,  (he  sia  colta  improvvisa; 
Anzi  fa  iiu^ontra  ciò,  che  far  si  puote; 
Eppur  in  terra  del  capo  percuote. 

47.  La  figlinola  d'  Amon  ,  che  vuol  morire, 
O  dar  niiirte  a  Marfisa ,  è  in  tiinta  rabbia, 
Che  non  ha  mente  di  nuovo  a  ferire 

Con  r   asta,  (uide  a  gittar  di  nuovo  I'   abbia; 
Ma  le  pensa  dal  busto  dipaitire 

11  capo,  mezzo  fit;o  nella  >abbia. 
Getta  da  sé  la  lancia  d'  oro ,  e  prende 
La  spada ,  e  del  destrier  subito  scende. 

48.  Ma  tarda  è  la  sua  giunta;  che  si  trova 
Mariìsa  incontra,  e  di  tant'  ira  piena, 
l'oicliè  s'   ha  \i'^ta  alla  M-conda  prova, 
(Jader  sì   fucilinente  siili'  arena, 

('he  pregar  nulla,  e  nulla  gridiir  gio\a 
A  Ruggier,  «he.  di  «[ueslo  a\ea  gran  pena: 
Sì  r  odio  o  r   ira  le  guerrier»;  abbaglia, 
Che  fan  da  disperate  la  battaglia. 


49.     A  mezza  spada  vengono  di  botto 

E  per  la  gran  superbia,  che  1'  ha  accese, 
^  an  pur  innanzi ,  e  si  son  già  sì  sotto 
C'h'  altro  non  pon ,  che  venir  alle  prese. 
Le  spade,  il  cui  bisogno  era  interrotto, 
Lascian  cadere,  e  cercan  nuove  offese. 
Prega  Ruggiero,  e  supplica  ambedue; 
Ma  poco  frutto  han  le  parole  sue. 

j   50.      Quando  pur  vede,  che  '1  pregar  non  vale, 

I  Di  partirle  per  forza  si  dispone. 

j  Leva  di  mano  ad  ambedue  il  pugnale, 

j  Ed   al  pie  d'  un  cipresso  lo  ripone. 

I  Poiché  ferro  non  han  più  da  far  male, 

Con  prieghi  e  con  minacce  ^'  interpone: 

Ma  tutto  è  invan  ;  che  la  battaglia  fanno 
!         A  pugni  e  a  calci,  poich'  altronon  hanno. 
.  51.      Ruggier  non  cessa  :  or  1'  una,  or  1'  altra  prende 
I  Per  le  man ,  per  le  braccia ,  e  la  ritira, 

I  E  tanto  fa ,  che  di  Marfisa  accende 

Contra  di  sé,  quanto  si  può  più,  1'  ira. 

Quella,  che  tutto  il  mondo  vilipende, 
j  All'  amicizia  di  Ruggier  non  mira:  ' 

'         Poiché  da  Bradamante  si  distacca, 
!         Corre  alla  spada,  e  con  Ruggier  s'  attacca. 

52.  Tu  fai  da  discortese  e  da  villano, 
Ruggiero,  a  disturbar  la  pugna  altrui. 
Ma  ti   farò  penlir  (;()n  questa  mano, 
Che  vo'  che  basti  a  vincervi  ambedui. 
Cerca  Ruggier  con  parlar  molto  luuano 
Marfisa  mitigar  ;  ma  ccuitra  lui 

La  troAa  in  modo  di>degiiosa  e  fiera, 
Ch'  un  perder  tempo  ogni  parlar  seco  era. 

53.  All'  ultimo  Ruggier  la  spada  trasse, 
Poiché  r  ira  anco  lui  fé'  rubicondo. 
Non  credo,  che  spettacolo  mirasse 
Atene,  o  Roma,  o  luogo  altro  del  mondo, 
Che  così  a'  riguardanti  dilettasse, 

Come  dilettò  questo,  e   fu  giocondo 
Alla  gelosa  Bradamante,  quando 
(Questo  le  pose  ogni  so>petto  in  bando. 

54.  La  sua  spada  avea  tolta  ella  di  terra, 
E  tratta  s'  era  a  riguardar  da  parte, 

E  le  parea  veder,  che    1  Uii»  di  guerra 
Fosse  Ruggiero  alla  possanza  e  all'  arte. 
Una  furia  infernai,  quando  si  .-ferra. 
Sembra  Marfisa,  se  quel  >einbra  .blatte. 
Vero  è,  »;he  un  pezzo  il  giovine  gagliardo 
Di  non  far  il  potere  ebbe  riguardo. 

55.  Sapea  ben  la  virtù  della  sua  spada. 
Che  tante  esperienze  n'  ha  già  fatto. 
Ove  giunge,  con\ien  che  ^e  ne    v.ula 

L'  incanto,  o  nulla  gio\i.  e  ^tia  di  piatto; 
Sicché  ritien,  che  '1  colpo  >.uo  nini  cada 
Di  taglio,  o  punta,  ma  sempre  di  piatto. 
Ebbe  a  questo   Ruggier  lunga  avvertenza: 
Ma  perde  pur  un  tratto  la  pazienza; 

56.  P«'rchè  .>larfì>a   una  percos>a  orrenda 
(Jli  mena,  per  dividergli  la  te>ta, 
Leva  lo  scudo,  che  "I   ca|)o  difenda, 
Ruggiero  ,  e  '!  colpo  in  .snll'  aquila  pe,»ta. 
\  iela  I'  incanto ,  che  lo  spezzi ,  o  fenda  ; 
Ma  di  stordir  n«in  però  il   brac<-io   resta  ; 

K  "'  uvea  altr'  arme,  vìw  quelle  d'  Lttorre, 
Gli  potea  il  fiero  colpo  il  braccio  torre; 

31  ♦ 


[48T] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXVI.  57—72) 


[488] 


57.  E  saria  sceso  indi  alla  testa,  dove 
Disegnò  di  ferir  1'  aspra  donzella. 
Ruggiero  il  braccio  manco  appena  muove, 
Appena  più  sostien  1'  aquila  bella. 

Per  questo  ogni  pietà  da  se  rimove: 
Par,  che  negli  occbj  avvampi  una  faccUa, 
E  quanto  può  cacciar,  caccia  una  punta. 
MarGsa,  mal  per  te,  se  n'  eri  giunta! 

58.  Io  non  vi  so  ben  dir,  come  si  fosse; 
La  spada  andò  a  ferire  in  un  cipresso, 

E  un  palmo,  e  più  nell'  arbore  cacciosse, 

In  modo  era  piantato  il  luogo  spesso. 

In  quel  momento  il  monte  e  '1  piano  scosse 

Un  gran  tremuoto;  e  si  sentì  con  esso 

Da  queir  avel  ,  che  in  mezzo  il  bosco  siede, 

Gran  voce  uscir,  eh'  ogni  mortale  eccede. 

59.  Grida  la  voce  orribile:  Non  sia 

Lite  tra  voi!  Gli  è  ingiusto  ed  inumano, 
Ch'  alla  sorella  il  fratel  morte  dia, 

0  la  sorella  uccida  il  suo  germano. 
Tu ,  mio  Ruggiero ,  e  tu ,  Marfisa  mia, 
(Credete  al  mio  parlar,  che  non  è  vano!) 
In  un  medesimo  utero,  d'  un  seme 
Foste  concetti,  e  usciste  al  mondo  insieme. 

CO.      Concetti  foste  da  Ruggier  secondo; 
Vi  fu  Galaciclla  genitrice; 

1  cui  fratelli,  avendone  dal  mondo 
Cacciato  il  genitor  vostro  infelice, 

Senza  guardar,  eh'  avesse  in  corpo  il  pondo 

Di  voi,  eh'  usciste  pur  di  lor  radice, 

La  fèr,  perchè  s'  avesse  ad  affogare, 

Su  un  debil  legno  porre  in  mezzo  al  mare. 

(il.      Ma  fortuna  ,  che  voi,  benché  non  nati, 
Avea  già  eletti  a  gloriose  imprese. 
Fece,  che  '1  legno  ai  liti  inabitati 
Sopra  le  sirti  a  salvamento  scese, 
O^e,  poiché  nel  mondo  v'  ebbe  dati, 
L'  anima  eletta  al  paradiso  ascese, 
Come  Dio  volse,  e  fu  vostro  destino. 
A  questo  caso  io  mi  trovai  vicino. 

G2.     Diedi  alla  madre  sepoltura  onesta, 
Qual  potea  darsi  in  sì  deserta  arena; 
E  voi  teneri,  avvolti  nella  vesta, 
IVIeco  p(»rtai  sul  monte  di  Carena  ; 
E  mansueta  uscir  della  foresta 
Feci ,   e  lasciare  i  figli  una  leena. 
Delle  cui  poppe  dieci  mesi  e  dieci 
Ambi  nutrir  con  molto  studio  feci. 

03.      Un  giorno,  che  d'  andar  per  la  contrada, 
E  dalla  stanza  allontanar  m'  occorse, 
\i  soppravvenne  a  caso  una  masnada 
D'  Aral>i ,  e  rìcordarvene  de'  forse. 
Che  te,  Jlarfi)<a,  tolser  nella  strada; 
Ma  non  poter  Ruggier ,  (;he  meglio  corse. 
Restai  della  tua  perdita  dolente, 
E  di  Ruggier  guardian  più  diligente. 

ai.      Ruggier,  se  ti  guardò,  mentre  che  visse, 
Il  tuo  iiiuestro  Atlante,  tu  Io  sai. 
Di  t<:  sentii  predir  le  stelle  fisse, 
C!hc  tra'  (/ririliiini  a  tradìgion  morrai  ; 
E  penile  il  ur.il  influsso  non  seguisse, 
l'cnertene  lontan  ni'  affaticai. 
Né  ohlare  al  fin  potendo   alla  tua  voglia, 
liirertiio  caddi ,  e  mi  morii  di  doglia. 


G5, 


Ma  innanzi  a  morte  qui,  dove  previdi 
Che  con  Alarfisa  aver  pugna  dovevi, 
Feci  raccor,  con  infernal  sussidj, 
A  formar  questa  tomba ,  i  sassi  grevi  ; 
Ed  a  Caron  dissi  con  alti  gridi: 
Dopo  morte  non  vo'  lo  spirto  levi 
Di  questo  bosco,  finché  non  ci  giugna 
Ruggier  con  la  sorella  per  far  pugna. 


G6 


Così  lo  spirto  mio  per  le  belle  ombre 
Ha  molti  di  aspettato  il  venir  vostro. 
Sicché  mai  gelosia  più  non  t'  ingombre, 
Bradamaute,  eh'  ami  Ruggier  nostro. 
Ma  tempo  è  ornai ,  che  della  luce  io  sgombre, 
E  mi  conduca  al  tenebroso  chiostro. 
Qui  si  tacque;  e  a  Marfisa,  ed  alla  figlia 
D'  Amon  lasciò ,  e  a  Ruggier ,  gran  meraviglia. 

67.      Riconosce  Marfisa  per  sorella 

Ruggier ,  con  molto  gaudio  ,  ed  ella  lui  ; 
E  ad  abbracciarsi,  senza  offender  quella. 
Che  per  Ruggiero  ardea,  vanno  ambidui; 
E  rammentando  dell'  età  novella 
Alcune  cose  :  Io  feci ,  io  dissi ,  io  fui  ; 
Vengon  trovando  con  più  certo  effetto 
Tutto  esser  ver  quel ,  eh'  ha  lo  spirto  detto. 

G8.      Ruggiero  alla  sorella  non  ascose. 
Quanto  avea  nel  cor  fissa  Bradamante; 
E  narrò  con  parole  affettuose 
Delle  obbligazion,  che  le  avea  tante; 
E  non  cessò ,  che  in  grande  amor  compose 
Le  discordie,  che  insieme  ebbono  avante, 
E  fé' ,  per  segno  di  pacificarsi, 
Ch'  umanamente  andaro  ad  abbracciarsi. 

69.  A  domandar  poi  ritornò  Marfisa, 

Chi  stato  fosse ,  e  di  che  gente  il  padre  ; 

E  chi  r  avesse  morto,  ed  a  che  guisa; 

Se  in  campo  chiuso,  o  fra  1'  armate  squadre; 

E  chi  commesso  avea ,  che  fosse  uccisa 

Dal  mare  atroce  la  misera  madre; 

Che,  se  già  1'  avea  udito  da  fanciulla. 

Or  ne  tenea  poca  memoria ,  o  nulla. 

70.  Ruggiero  incominciò,  che  da'  Trojani, 
Per  la  linea  d'  Ettorre ,  erano  scesi  ; 
Che  poiché  Astianatte  dalle  mani 
Campò  d'  Ulisse,  e  dagli  agguati  tesi, 
Avendo  un  de'  fanciulli  coetani 

Per  lui  lasciato,  uscì  di  quei  paesi, 
E  dopo  un  lungo  errar  per  la  marina, 
Venne  in  Sicilia,  e  dominò  Messina. 

71.  I  descendenti  suoi  di  qua  dal  Faro 
Signoreggiar  della  Calabria  parte  ; 

E  dopo  più  successioni  andaro 

Ad  abitar  nella  città  di  Marte. 

Più  d'  un  imperatore  e  re  preclaro 

Fu  di  quel  sangue  in  Roma,  e  in  altra  parte, 

Cominciando  a  Constante  e  a  Constantinu, 

Sino  a  re  Carlo,  figlio  di  Pipino. 

72.  Fu  Ruggier  primo ,  e  Giambaron  di  questi, 
Buovo,  Rambaldo ,  e  alfin  Ruggier  secondo, 
Che  fé' ,  come  da  Atlante  udir  potesti, 

Di  nostra  madre  1'  utero  fecondo. 
Della  progenie  nostra  i  chiari  gesti 
Per  r  istorie  vedrai  celebri  al  mondo. 
Segui  poi,  come  venne  il  re  Agolantc 
Con  Ahiioutc ,  e  col  padre  d'  Agraiuantc  ; 


i89] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXVI.  73  —  84) 


[490] 


i3.     E  come  menò  seco  una  donzella, 
Ch'  era  sua  figlia,  tanto  valorosa, 
Che  molti  paladln  gittò  di  sella, 
E  di  Ruggiero  alfin  venne  amorosa; 
E  per  suo  amor  del  padre  fu  ribella, 
E  Ijattezzossi ,  e  diventogli  sposa. 
Narrò  ,  come  Beltramo  traditore 
Per  la  cognata  arse  d'  incesto  amore, 

li.     E  che  la  patria,  e  'I  padre,  e  duo  fratelli 
Tradì ,  cosi  sperando  acquistar  lei. 
Aperse  Risa  alli  nemici;  e  quelli 
Fèr  di  lor  tutti  i  portamenti  rei. 
Come  Agolante,  e  i  figli  iniqui  e  felli 
Poser  Galaciella,  che  di  sei 
Mesi  era  grave ,  in  mar  senza  governo, 
Quando  fu  tempestoso ,  al  maggior  verno. 

15.  Stava  Marfisa  con  serena  fronte. 
Fissa  al  parlar,  che  '1  suo  gcrman  facea; 
E  d'  esser  scesa  dalla  bella  fonte, 
Ch'  avea  si  chiari  rivi,  si  godea. 
Quinci  Mongrana,  e  quindi   Chiaramonte, 
Le  due  progenie  ,  derivar  sapea, 
Ch'  al  mondo  fur  molti  e  molti  anni  e  lustri 
Splendide,  e  senza  par  d'  uomini  illustri. 

16.  Poiché  '1  fratello  alfin  le  venne  a  dire. 
Che  '1  padre  d'  Agramente  e  1'  avo  e'I  zio 
Ruggiero  a  tradigion  feron  morire, 
E  posero  la  moglie  a  caso  rio, 
Kon  lo  potè  più  la  sorella  udire. 
Che  lo  interroppc ,  e  disse  :  Fi-atel  mio. 
Salva  tua  grazia,  avuto  hai  troppo  torto, 
A  non  ti  vendicar  del  padre  morto. 

17.  Se  in  Almontc  e  in  Trojan  non  ti  potevi 
Insanguinar,  eh'  erano  morti  innante, 
Dei  figli  vendicar  tu  ti  dovevi. 
Perchè,  vivendo  tu,  vive  Agramante? 
Questa  ò  una  macchia ,  che  mai  non  ti  levi 
Dal  viso ,  poiché  dopo  offese  tante 

Non  pur  posto  non  hai  questo  re  a  morte, 
Ma  vivi  al  soldo  suo  nella  sua  corte. 

18.  Io  fo  ben  voto  a  Dio  (eh'  adorar  voglio 
Cristo,  Dio  vero,  eh'  adorò  mio  padre). 
Che  di  questa  armatura  non  mi  spoglio. 
Finché  Ruggier  non  vendico,  e  mia  madre: 
E  vo'  dolermi,  e  finora  mi  doglio 

Di  te,  se  più  ti  veggo  fra  le  squadre 
Del  re  Agramante ,  o  d'  altro  signor  moro. 
Se  non  col  ferro  in  man  per  donno  loro. 


19.     Oh  come,  a  quel  parlar,  leva  la  faccia 
La  bella  Bradaniante,  e  ne  gioisce! 
E  conforta  Ruggier,  che  cosi  faccia, 
Come  Marfisa  sua  ben  1'  ammonisce; 
E  venga  a  Carlo ,  e  conoscer  si  faccia. 
Che  tanto  onora,  lauda  e  riverisce 
Del  suo  padre  Ruggier  la  chiara  fama, 
Ch'  ancor  guerrier  senz'  alcun  par  lo  chiama! 

80.  Ruggiero  accortamente  le  rispose. 
Che  da  principio  questo  far  dovea; 
Ma  per  non  ben  aver  note  le  cose, 
Come  ebbe  poi ,  tardato  troppo  avea. 
Or,   essendo  Agramante,  che  gli  pose 
La  spada  al  fianco ,  farebbe  opra  rea 
Dandogli  morte,  e  saria  traditore; 
Che  già  tolto  r  avea  per  suo  signore. 

81.  Ben ,  come  a  Bradamante  già  promesse, 
Promettea  a  lei  di  tentar  ogni  via. 
Tanto  eh'  occasione ,  onde  potesse 
Levarsi  con  suo  onor,  nascer  faria. 

E  se  già  fatto  non  1'  avea,  non  desse 
La  colpa  a  lui,  ma  al  re  di  Tartaria, 
Dal  qual ,  nella  battaglia  che  seco  eblic, 
Lasciato  fu,  come  saper  si  debbe. 

82.  Ed  ella,  eh'  ogni  dì  gli  venia  al  letto. 
Buon  testùnon,  quanto  alcun  altro,  n'  era. 
Fu  sopra  questo  assai  risposto  e  detto 
Dall'  una  e  dall'  altra  inclita  guerriera. 

L'  ultima  conclusion ,  1'  ultimo  effetto 
E,  che  Ruggier  ritorni  alla  bandiera 
Del  suo  signor ,  finclié  cagion  gli  accada, 
Che  giustamente  a  Cai-lo  se  ne  vada. 

83.  Lascialo  pure  andar,  dicea  Marfisa 
A  Bradamante,  e  non  aver  timore! 
Fra  pochi  giorni  io  farò  bene  in  guisa. 
Che  non  gli  fia  Agramante  più  signore. 
Così  dice  ella  ;  né  però  divisa. 
Quanto  di  voler  fare  abbia  nel  core. 
Tolta  da  lor  licenzia,  alfin  Ruggiero, 
Per  tornare  al  suo  re,  volgea  il  destriero, 

81.    .  Quando  im  pianto  s'  udì  dalle  vicine 
Valli  sonar ,  che  li  fé'  tutti  attenti. 
A  quella  voce  fan  I'  orecchie  chine. 
Che  di  femmina  par ,  che  si  lamenti. 
Ma  voglio  questo  canto  abbia  qui  fine, 
E  di  quel,  che  vogl'  io,  siate  contenti; 
Che  miglior  cose  vi  ])rometto  dire. 
Se  all'  altro  canto  uii  verrete  a  udire. 


[491] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXXVII.  1-12) 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO. 


ARGOMENTO. 

Trovano  i  tre ,  che  san  dì  sopra  detti, 
Vllania,  a  cui  inimico  empio  tiranno 
Marganor  con  non  piii  veduti  effetti 
Aveva  fatta  aspra  vergogna  e  danno, 
lìitendon  le  cagion  di  quei  difetti, 
E  giusta  pena  all'  uom  ribaldo  danno. 
Contraria  legge  poi  fecero  porre 
Alla  legge  crudel  di  Marganorre. 


Se,  come  in  acquistar  qimich'  altro  dono, 
Clic  senza  industria  non  può  dar  natiu'a, 
Affaticate  notte  e  dì  si  sono, 
Con  somma  diligenza  e  lunga  cura. 
Le  valorose  donne  ;  e  se  con  buono 
Successo  n'  è  uscit'  opra  non  oscura; 
Così  si  fossin  poste  a  quej^li  studj, 
Clic  immortai  fanno  le  mortai  virtudi  ! 


2 


E  che  per  sé  medesime  potuto 
Ave-isin  dar  memoria  alle  lor  lode, 
Non  mendicar  dagli  scrittori  ajuto. 
Ai  quali  astio  ed  invidia  il  cor  sì  rode, 
Che  'l  hen,  che  ne  pon  dir,  spesso  è  taciuto, 
E  '1  mal ,  quanto  ne  san ,  per  tutto  s'  ode  ; 
Tanto  il  lor  nome  sorgerla,  che  forse 
"\'iril  fama  a  tal  grado  unqna  non  sorse. 

3.  Non  hasta  a  molti  di  prestarsi  1'  opra 
In  far  1'  un  1'  altro  glorioso  al  mondo, 
Cli'  anco  studian  di  far,  che  si  discopra 
Ci«'»,   che  le  donne  hanno  fra  lor  d'  immondo. 
Non  le  vorrian  lasciar  venir  di  sojìra, 

E,  quanto  pon,  fan  per  cacciarle  al  fondo. 

Dico  gli  antichi;  quasi  1'  onor  dchlùa 

D'  esse  il  loro  oscurar  ,  come  il  sol  nebbia. 

4.  Ma  non  ebbe,  e  non  ha  mano,  né  lingua, 
Formando  in  aocc,  o  d(!scrivendo  in  carte, 
(Quantunque  'I  mal, quanto  può,accrescc  e  impingua, 
E  minuendo  il  ben   va  con  ogni  arte) 

Poter  però,  clic  delle  donne  estingua 

La  gloria  sì,  che  non  ne  resti  parte; 

Ma  non  già  tal ,  che  presso  al  segno  giunga  ; 

Né  eh'  anco  se  gli  accosti  di  gran  lunga. 

5.  Ch'  Arpalicc  non  fu,  non  fu  Toniiri, 
Non  fu  chi  Turno  ,  n(ui  chi  Ettor  soccorse, 
Non  chi  seguila  da'  bidoni  e  Tiri 

Andò  per  lungo  mare  in  Libia  a  porse; 
Non  Zenobia,  non  quella  che  gli  Assirj, 
I  l'ersi  e  gì'  Indi  c<»u  vittoria  scorse; 
Non   fur  quest(r,  e  poc-lic  altre,  degne  sole, 
Di  cui  per  arme  eterna  fama  vule. 


6.  E  di  fedeli ,  e  caste  ,  e  saggc ,  e  forti 
State  ne  son,  non  pure  in  Grecia  e  in  Roma, 
Ma  in  ogni  parte,  ove  fra  gl'Indi,  e    gli  orti 
Delle  Esperide  il  sol  spiega  la  chioma; 
Delle  quai  sono  i  pregi  e  gli  onor  morti, 
Sicché  appena  di  mille  una  si  noma; 

E  questo,  perché  avuto  hanno  ai  lor  tempi 
Gli  scrittori  bugiardi,  invidi,  ed  empj. 

7.  Non  restate  però ,  donne ,  a  cui  giova 
Il  ben  oprar,  di  seguir  vostra  via; 

Né  da  vostra  alta  impresa  vi  rimuova 
Tema,  che  degno  onor  non  vi  si  dia! 
Che,  come  cosa  buona  non  si  trova. 
Che  duri  sempre ,  così  ancor  né  ria. 
Se  le  carte  sin  qui  state ,  e  gì'  inchiostri 
Per  voi  non  sono ,  or  sono  a'  tempi  nostri. 

8.  Dianzi  Marnilo  ed  il  Pontan  per  vui 
Sono,  e  duo  Strozzi,  il   padre  e  '1  figlio,  stat 
C  é  il  Bembo ,  e'  é  il  Cappel,  e'  è  chi,  qual  1 
leggiamo,  ha  tali  i  cortigian  formati. 
C  è  un  Luigi  Alaman ,  ce  ne  son  dui, 
Di  par  da  Marte  e  dalle  Muse  amati, 
Aml)i  del  sangue,  che  regge  la  terra, 
Che  '1  Menzo  fende ,  e  d'  alti  stagni  serra. 

9.  Di  questi  r  uno ,  oltreché  '1  proprio  iustinto 
Ad  onorarvi,  e  a  riverirvi  inchina, 
E  far  Parnasso  risonare,  e  Cinto 
Di  vostra  laude,  e  porla  al  ciel  vicina; 
L'  amor,  la  fede,  il  saldo  e  non  mai  vinto 
Per  minacciar  di  strazj  e  di  ruina, 
Animo,  eh'  Isabella  gli  ha  dimostro. 
Lo  fa  assai  più,  che  di  sé  stesso,  vosti-o: 

10.  Sicché  non  é  per  mai  trovarsi  stanco 
Di  farvi  onor  ne'  suoi  vivaci  carmi: 
E  s'   altri  vi  dà  biasmo,  non  é  chi  anco 
Sia  più  pronto  di  lui  per  pigliar  1'  armi: 
E  non  ha  il  mondo  cavalier  ,  che  manco 
La  vita  sua  per  la  virtù  risparmi. 
Dà  insieme  egli  materia,  ond'  altri  scriva, 
E  fa  la  gloria  altrui,  scrivendo,  viva. 

11.  Ed  é  ben  degno,  che  sì  ricca  donna. 
Ricca  di  tutto  quel  valor,  che  possa 
Esser  fra  quante  al  nuuido  portin  gonna, 
3Iai  non  si  sia  di  sua  costanza  mussa  ; 
E  sia  stata  per  lui  vera  colonna, 
S|)rezzan(lo  di  Fortuna  ogni  ixrcossa; 
Di  lei  degno  egli,  e  degna  ella  di  lui; 
Né  meglio  a'  accoppiaro  iniqua  altri  dui. 

12.  Nuovi  trofei  pon  sulla  riva  d'  Oglio, 
Che  in  mezzo  a  ferri ,  a  fuochi ,  a  navi,  a  ruc 
Ila  sparso  alcun  tanto  ben  scritto  foglio, 
Che  '1  virili  fiume  invidia  aver  gli  punte. 
Appresso  a  questo  un  Ercol  Biiiitivogiio 
Fa  chiaro  il  \()stro  «nior  con  chiare  note; 
E   Renato  Triviilzio,  e  'l  mio  Guidetto, 
E  U  Molza ,  a  dir  di  vui  da  Febo  eletto. 


•93] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXXVU.   33-28) 


[494] 


3.      C  è  il  duca  de'  Carnuti,  Ercol,  figliuolo 
Del  duca  mio ,  che  siiiega  1'  ali ,  come 
Canoro  cigno ,  e  va  cantando  a  volo, 
E  fui  al  cielo  udir  fa  il  vostro  nome. 
C"  è  il  mio  signor  del  Vasto,  a  cui  non  solo 
Di  dare  a  mille  Atene  e  a  mille  Rome 
Di  sé  materia  ha.sta ,  eh'  anco  accenna 
A  olervi  eterne  far  con  la  sua  penna. 

i.      Ed  oltre  a  questi,  ed  altri,  eh'  oggi  avete, 
Che  v'  hanno  dato  gloria ,  e  ve  la  danno, 
^  oi  per  voi  stesse  darvela  potete; 
Poiché  multe ,  lasciando  I'  ago  e  'I  panno, 
Son  con  le  Muse  a  spegnersi  la  sete 
Al  fonte  d'  Aganippe  andate,  e  vanno, 
E   ne  ritornan  tai ,  che  l'  opra  vostra 
E  più  bisogno  a  noi ,  che  a  voi  la  nostra. 

5.      Se  chi  sian  queste,  e  di  ciascuna  voglio 
llcndcr  huon  conto,  e  degno  pregio  darle, 
Bisognerà,  eh'  io  verghi  più  d'  un  foglio, 
E  eh'  oggi  il  canto  mio  d'  altro  non  parie: 
E  se  a  lodarne  cinque,  o  sei  ne  toglio. 
Io  potrei  i'  altre  olFendere,  e  sdegnarle. 
Che  farò  dunque.''  Ilo  da  tacer  d'  ognuna, 
Oppur  fra  tante  sceglierne  sol  una? 

16.      Sceglieronne  una,  e  sceglierolla  tale. 
Che  superato  avrà  1'  invidia  in  modo, 
Che  nes>uii'  altra  potrà  aAere  a  male. 
Se  r  altre  taccio ,  e  se  lei  sola  lodo. 
Quest'  una  ha  non  pur  sé  fatta  ininiortale 
Col  dolce  stil ,  di  che  il  miglior  non  odo; 
Ma  può  qualunque,  di  cui  parli,  o  scriva, 
Trar  del  sepolcro,  e  far  eh'  eterno  viva. 

lì.      Come  Febo  la  candida  sorella 

Fa  più  di  luce  adorna,  e  più  la  mira, 

Che  Venere,  o  che  Maja,  o  eh'  altra  stella. 

Che  va  col  cielo ,  o  che  da  sé  si  gira  : 

Così  facondia  più,  eh'  all'  altre,  a  quella, 

1)1  eh'  io  vi  parlo,  e  più  dolcezza  spira; 

E  dà  tal  forza  all'  alte  sue  parole, 

Cli'  orna  a'  dì  nostri  il  ciel  d'  un  altro  sole. 

18.  Vittoria  é  il  nome;  e  ben  conviensi  a  nata 
Fra  le  vittorie,  ed  a  chi,  o  vada,  o  stanzi. 
Di  trofei  sempre,  e  di  triiuifi  ornata. 

La  vittoria  abbia  seco,  o  dietro  o  innanzi. 
Questa  é  un'  altra  Arlemisìa,   che  lodata 
Fu  di  pietà  \erso   il  suo  Mausolo;  arr/.is 
Tanto  maggior,  quanto  è  più  as^ai  beli'  oiira, 
Che  por  sotterra  un  uom ,  trarlo  di  sopriu 

19.  So  Laodamia,  se  la  uu)glier  di  Hruto, 

S'  Arria,  s'  Argia,    s'  Evadue ,    e  s'  altre  molte 

Meritar  laude  per  av<r  voluto, 

Morti  i  mariti,  esser  con  lor  sepolte; 

Quanto  onore  a  \  ittoria  é  più  do\uto, 

Che  di  Lete,  e  «lei  rio,  chv.  no\e  ■»oUo 

L'  ombre  circonda,  ha  tratto  il  «uo  consorte, 

Mal  grado  delle  rarclie,  e  della   M(M-te.^ 

20.  Se  al  fiero  Achille  invidia  (hlla  chiara 
M(;onia  tromba  il   .Macedonico  ebbe; 
Quanto,  invitto  Francesco  di  l'escara, 
Maggituc  a  te,  se  vives>e  or,  1'  a\rebbo, 
Che  bÌ  casta  luogliere ,  e  a  ti;  «ì  cara 
Canti  r  eterno  onor,  che  ti  ^i  deldte; 
E  che  per  lei  sì  il  nome  tuo  rimboinbc, 
Cile  da  bramar  non  Imi  più  chiare  ti-oiiibc! 


21.  Se  quanto  dir  se  ne  potrebbe,  o  quanto 

10  n'  ho  desir,  volessi  porre  in  carte, 
Ne  direi  lungamente;  ma  non  tanto, 

Ch'  a  dir  non  ne  restasse  anco  gran  parte; 

E  di  Marfisa  e  de'  compagni  intanto 

La  bella  istoria  rimarria  da  parte, 

La  quale  io  vi  promisi  di  seguire, 

Se  in  questo  canto  mi  verreste  a  udire. 

22.  Ora  essendo  voi  qui  per  ascoltarmi, 
Ed  io  per  non  mancar  della  promessa. 
Serberò  a  maggior  ozio  di  provarmi, 
Ch'  ogni  laude  di  lei  sia  da  me  espressa: 
Kon  perdi'  io  creda  bisognar  miei  carmi 
A  chi  se  ne  fa  copia  da  sé  stessa. 

Ma  sol  per  satisfare  a  quejto  mio. 
Ch'  ho  d'  onorarla,  e  di  lodar,  disio. 

23.  Donne,  io  conchiudo  insomma,   eh'  ogni  etate 
Molte  ha  di  voi  degne  d'  istoiia  avute; 

3Ia ,  per  invidia  di  scrittori ,  state 
Non  siete  dopo  nunte  conosciute; 

11  che  più  non  sarà ,  poiché  voi  fate 
Per  voi  stesse  immortai  vostra  virtute. 
Se  far  le  due  cognate  sapean  questo. 
Si  sapria  meglio  ogni  lor  degno  gesto. 

24.  Di  Bradamante  e  di  Marfisa  dico. 
Le  cui  vittoriose  inclite  prove 

Di  ritornare  in  luce  m'  aiìatico; 
Ma  delle  diece  mancanmi  le  nove. 
Queste,  eh'  io  so,   ben  volentieri  esplico; 
Sì,  perché  ogni  beli'  opra  si  de',  dove 
Occulta  sia,  scoprir;  sì,  perché  bramo 
A  voi,  donne,  aggradii-,  eh'  onoro  ed  amo. 

25.  Stava  Ruggier,  eom'  io  vi  dissi,  iu  atto 
Di  partirsi ,  ed  avea  commiato  preso, 

E  dall'  arbore  il  brando  già  ritratto, 

Che,  come  dianzi,  non  gli  fu  conteso; 

Quando  un  gran  pianto,  che  non  lungo  tratto 

Era  lontan ,  lo  fé'  restar  sospeso  ; 

E  con  le  donne  a  quella  via  si  mosse, 

Per  ajutar,  dove  bisogno  fosse. 

26.  Spingonsi  innanzi,  e  via  più  chiaro  il  suon  ne 
Viene,  e  via  più  son  le  parole  intese. 

Giunti  nella  vallea  tro\aii  tre  donne, 
('he  fan  quel  duolo,  assai  strane  in  arnese; 
Che  (in   all'  oinbilico  ha  lor  le  goiuic 
Scorciate  non  so  chi ,  poco  cortese  ; 
E  per  non  saper  meglio  elle  celarsi 
Sedeauo  in  terra ,  e  non  ardiau  levarsi. 

27.  ('ome  quel  figlio  di  ^ulc;lll,  che  %enno 
Fuor  della  pohe  senza  iiiaMìe  in  \ita, 

E  l'allude  nutrir  le'   ceni  solenne 
Cura  d'  Aglauro ,  al  veder  troppo  arditii, 
Seilciido,  asi'osi  i   brutti  pi^di  (enne 
Sulla  (jiiadriga,  da  Ini  prima   ordita; 
(Josì  quelle  tre  giovani   le  cose 
Secreto  lor  tenean,  sedendo,  ascose. 

28.  Lo  spettacolo  enorme  e  disonolo 

L'  una   e  1'  altra  iiiaguaiiiuia  guerriera 
Fé'  del   cobo-,  «he  nei  giardiii  di  Pesto 
Esser   III  ro>a  siinl  da  |>riiiia\cra. 
Uiguardò   Hradariianle,  e  manifesto 
'l'opto  le  fu,  che  l  Mania  una  d'  esse  l'ViU 
1  llaiiia  ,  cIk;  dall'  isola    Perduta 
In  Francia  iiu;^uggiera  era  venuta. 


ORLANDO  FURIOSO.     [XXXVII.  29-41) 


£49dL_ 

29.     E  riconobbe  non  mcn  l'  altre  due,  i 

Che,  dove  vide  lei,  Aide  esse  ancora;  ! 

Bla  se  n'  andarou  le  parole  sue  ] 

A  quella  delle  tre,  eh'  ella  più  onora; 
E  le  domanda,  chi  sì  iniquo  fue,  i 

E  sì  di  legge  e  di  costumi  fuora, 
die  quei  secreti  agli  occbj  altrui  riveli, 
Che,  quanto  può,  par  che  natura  celi. 

50.  Ullania,  che  conosce  Bradamante, 
Non  meno  eh'  alle  insegne,  alla  favella, 
Esser  colei,  che  pochi  giorni  innante 
Avea  gittati  i  tre  guerrìer  di  sella, 
Karra,  che  ad  un  castel  poco  distante 
Una  ria  gente,  e  di  pietà  rubella, 
Oltre  all'  ingiuria  di  scorciarle  i  panni, 
L"  avea  battuta,  e  fattole  siltri  danni. 

51.  Kè  le  sa  dir ,  che  dello  scudo  sia, 
Nò  dei  tre  re,  che  per  tanti  paesi 
Fatto  le  avcan  si  lunga  compagnia,  _ 
Kon  sa,  se  morti,  o  sian  restati  presi; 
E  dice,  che  ha  pigliata  questa  via, 
Ancorch'  andare  a  pie  molto  le  pesi, 
Per  richiamarsi  dell'  oltraggio  a  Carlo, 
Sperando,  che  non  sia  per  tollerarlo. 

52.  Alle  guerriere  ed  a  Ruggier,  che  meno 
Non  bau  pietosi  i  cor,  eh'  audaci  e  forti, 
De'  bei  visi  turbò  1'  acre  sereno 

L'  udire,  e  più  il  veder  sì  gravi  torti; 
Ed  obbliando  ogni  altro  aliar  che  aviéno, 
E  senzachè  li  preghi,  o  che  gli  esorti 
La  donna  aflìitta.  a  far  la  sua  vendetta, 
Piglian  la  via  verso  quel  luogo  in  fretta. 

33.      Di  comune  parer  le  soprav-veste, 
Mosse  da  gran  bontà,  s'aveano  tratte, 
Che  a  ricoprir  le  parti  meno  oneste 
Di  quelle  sventurate  assai  furo  atte. 
Bradamante  non  vtiol,  eh'  Ullania  pcs^e 
Le  strade  a  pie,  eh'  avea  a  piede  anco  fatte, 
E  se  la  leva  in  groppa  del  destriero, 
L'  altra  Marfisa,  e  1'  altra  il  buon  Ruggiero. 

3i.     Ullania  a  Bradamante,  che  la  porta. 
Mostra  la  via,  che  va  al  castel  i)iù  dritta. 
Bradamante  all'  incontro  lei  conforta, 
Che  la  vendicherà  di  chi  V  ha  afflitta. 
Lascian  la  valle,  e  per  via  lunga  e  torta     _ 
Saf^lìono  un  colle,  or  a  man  manca,   or  dritta; 
E  prima  il  sol  fu  dentro  il  mare  ascoso, 
Che  volesser  tra  via  prender  riposo. 

35.      Trovare  una  -villetta,  che  la  schiena 
D'  un  erto  colle ,  aspro  a  salir ,  tenea, 
Ove  ebbon  buon  alltergo  e  buona  cena, 
Quale  aver  in  quel  h)co  si  potea. 
Si  mirano  d'  intorno,  e  quivi  piena 
Ogni  parte  di  donne  si  vedea, 
Quai  giovani ,  quai  veccliie ,  e  in  tanto  stuolo 
Faccia  non  v'  appari»  d'  un  uomo  solo. 

S6.     Non  più  a  Giason  di  meraviglia  denno, 
Nò  agli  Argonauti,  die  venian  con  lui. 
Le  donne,  che  i  mariti  iiioiir  fenno, 
E  i  figli  e  i  padri  co'  fratelli  uni. 
Sicché  per  tutta  l'  isola  di  Lerino 
Di  Airil  faccia   non  si  vidcr  dui. 
Che  Ruggier  quivi,  e  chi  con  Ruggier  era, 
Meraviglia  ebltc  all'  alloggiar  la  sera. 


[496 


37.  Fero  ad  Ullania,  ed  alle  damigelle, 
Che  venivan  con  lei,  le  due  guerriere 
La  sera  provveder  di  tre  gonnelle. 
Se  non  così  polite,  almeno  intere. 
A  sé  chiama  Ruggiero  una  di  quelle 
Donne,  eh'  .abitan  quivi,  e  vuol  sapere. 
Ove  gli  uomini  sian,  eh'  un  non  ne  vede; 
Ed  ella  a  lui  questa  risposta  diede: 

38.  Questa ,   che  forse  è  meraviglia  a  voi, 
Che  tante  donne  senza  uomini  siamo, 
E  grave  e  intollerabii  pena  a  noi, 
Che  qui  bandite  misere  viviamo. 
E  perchè  il  duro  esilio  più  ci  annoi. 
Padri,  figli,  e  mariti,  che  sì  amiamo, 
Aspro  e  lungo  divorzio  da  noi  fanno, 
Come  piace  al  crudel  nostro  tiranno. 

39.  Dalle  sue  terre,  le  quai  son  vicine 
A  noi  due  leghe,  e  dove  noi  slam  nate, 
Qui  ci  ha  mandate  il  barliaro  in  confine, 
Prima  di  mille  scorni  ingiuriate; 
Ed  ha  gli  uomini  nostri ,  e  noi  meschine 
Di  morte  e  d'  ogni  strazio  minacciate, 
Se  quelli  a  noi  verranno ,  o  gli  fia  detto, 
Che  noi  diam  lor,  venendoci,  ricetto. 

40.  Nimico  è  si  costui  del  nostro. nome, 
Che  non  ci  vuol,  più  eh'  io  vi  dico,  appresso, 
Né  eh'  a  noi  venga  alcun  de'  nostri,  come 

L'  odor  r  ammorbi  del  femmineo  sesso. 
Già  due  volte  1'  onor  delle  lor  chiome 
S'  hanno  spogliato  gli  alberi,  e  rimesso. 
Da  indi  in  qua  ,  che  '1  rio  signor  vaneggia 
In  furor  tanto;  e  non  è  chi  '1  correggia; 

41.  Che  '1  popolo  Ita  di  lui  quella  paura. 
Che  maggiore  aver  può  1'  uom  della  morte; 
Ch'  aggiunto  al  mal  voler  gli  ha  la  natura 
Una  possanza  fuor  d'  umana  sorte. 

Il  corpo  suo  di  gigantca  statura 
E  più,  che  di  cent'  altri  insieme,  forte. 
Né  pur  a  noi,  sue  suddite,  è  molesto, 
Ma  fu  alle  strane  ancor  peggio  di  questo. 

42.  Se  r  onor  vostro,  e  queste  tre  vi  sono 
Punto  care,  eh'  avete  in  compagnia, 
Più  vi  sarà  sicuro ,  utile  e  buono, 

Non  gir  più  innanzi,  e  trovar  altra  via. 
Questa  al  castel  dell'  uom,  di   eh'  io  ragiono, 
A  provar  mena  Li  costuma  ria. 
Che  v'  ha  posta  il  crudel  con  scorno  e  danno 
Di  donne  e  di  guerrier,  che  di  là  vanno. 

43.  Marganorre  il  fcllon,  (cosi  sì  chiama 
Il  signor,  o  il  tiran  di  quel  castello) 

Del  quai  Nerone,  o  s'  altri  é,  eh'  abbia  fama 

Di  crudcllà,  non  fu  più  iniquo  e  fello. 

Il  sangiu;  uman  ,  ma  '1  femminil  più  brama. 

Che  'l  lupo  non  lo  brama  dell'  agnello. 

Fa  con  onta  scacciar  le  donne  tutte. 

Da  lor  via  sorte  a  quel  castel  conduttc. 

44.  Perchè  quell'  empio  in  tal  furor  venisse,    • 
Volser  le  donni!  intendere,  e   Itnggicro. 
Pregar  colei,  clic  in  cortoia  scgdisisc. 
Anzi,  che  cominciasse  il  (;onto  intero. 

Fu  il  sigin)r  dei  cast(J ,    la  donna  disse,         ' 
Sempre  crud<-l,  seui|)re   inumano  o.  fiero. 
Ma  tenne  un  tempo  il  cor  maligno  ascolto, 
I  Né  si  lasciò  conoscer  cosi  tosto. 


•97] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXXVII.  45  —  60) 


[498] 


15.      Clic,  mentre  duo  suoi  figli  erano  vivi, 
Molto  diversi  dai  paterni  stili, 
Ch'  amavan  forestieri ,  ed  eran  schivi 
Di  mideltade,  e  degli  altri  atti  vili, 
Quivi  le  cortesie  fiorivan,  quivi 
I  bei  costumi,  e  1'  opere  gentili: 
Che  'i  padre  mai,  quantunque  avaro  fosse, 
Da  quel ,  che  lor  piacea  ,  non  li  rimosse. 

16.  Le  donne  e  i  cavalier,  che  questa  via 
Facean  talor,  venian  sì   hen  raccolti. 
Che  si  partian  dell'  alta  cortesia 

Dei  duo  germani  innamorati  molti. 
Ambedue  questi  di  cavalleria 
Parimente  i  santi  ordini  avean  tolti  ; 
Cilandro  1'  un,  l'  altro  Tanacro  detto, 
Gagliardi,  arditi,  e  di  reale  aspetto. 

17.  Ed  eran  veramente,  e  sarian  stati 
Sempre  di  laude  degni ,  e  d'  ogni  onore, 
Se  in  preda  non  si  fossino  si  dati 

A  quel  desir,  che  nominiamo  amore; 
Per  cui  dal  buon  sentier  fur  traviati 
Al  labirinto  ed  al  cammin  d'  errore; 
E  ciò,  che  mai  di  buono  aveano  fatto, 
Restò  contaminato  e  brutto  a  un  tratto. 

48.  Capitò  quivi  un  cavalier  di  corte 
Del  greco  imperator,  che  seco  avea 
Ina  sua  donna  di  maniere  accorte, 
Bella,  quanto  bramar  più  si  potea. 
Cilandro  in  lei  s'  innamorò  ^ì  forte. 
Che  morir,  non  1'  avendo,  gli  parca; 
Gli  parca,  che  dovesse,  alla  partita 
Di  lei,  partire  insieme  la  sua  vita. 

49.  E  perchè  i  prieghi  non  v'  avriano  loco, 
Di  volerla  per  forza  si  dispose. 
Armossi,  e  dal  ca^tel  lontano  un  poco, 
Ove  passar  dovean ,  cheto  s'  as(!0?c. 

L  usata  audai  ia  e  1'  a^loro^o  foco 
]\on  gli  lasciò  pensar  troppo  le  cose; 
Sicché,  vedendo  il  cavalier  venire, 
L'  andò  lancia  per  lancia  ad  assalire. 

50.  Al  primo  incontro  credea  porlo  in  terra, 
Portar  la  d(uiua  e  la  littoria  indietro; 
Ma  il  cavalier,  che  mastro  era  di  guerra, 
L'   usbergo  gli  spezzò,  come  di  vetro. 
Venne  la  nuo^a  al  padre  nella  terra, 

Che  lo  fé'  riportar  sopra  un  feretro, 
E  ritrovando!  morto,  con  gran   pianto 
Gli  die'    sepolcro  agli  antichi  a\i  accanto. 

Bl.      Né  più  però,  nò  manco  si  contese 

L'albergo  e  1'  a«(-oglienza  a  questo  e  a  quello; 

Perchè  non  ineii  Tanacro  era  «-ortese, 

Né  meno  era  g«'Util  di  ,-uo  fratello. 

L'  anno  medtsmo,  di   lontiin   pae^e 

Con  la  moglii;  tm  baron  venne  al  ca^tcIlo; 

A  maraviglia  egli  gagliardo,  ed  ella, 

Quanto  si  pos^a  dir,  leggiadra  e  bella; 

52.     \è  meo  ,  che  bella ,  onesta  e  valorosa, 
E  degna  veramente  d'  ogni   loda. 
Il  cavalier  di  stir|)e  generosa, 
Di  tanto  ardir,  quanto   più  d'   altri  s'  oda. 
E  ben  convien>i  a  tal  valor,   che  cosa 
Di  tanto  prezzo,  e  .-ì  cii'elli-nte  goda. 
Olindro  il  cav.ilier  da   Lnngavilla, 
La  donna  nomùuita  era  Drurilla. 


53.     Non  men  di  questa  il  giovane  Tanacro 
Arse,  che  '1  suo  fratel  di  quella  ardesse 
Che  gli  fé'  gustar  fine  acerbo  ed  ai-ro 
Dal  desiderio  ingiusto,  eh'  in  lei  messe; 
Non  men  di  lui  di  violar  del  sacro 
E  santo  ospizio  ogni  ragione  elesse. 
Piuttosto  che  patir,  che  '1  duro  e  forte 
Nuovo  desir  lo  conducesse  a  morìe. 

51.      3la,  perch'  avea  dinanzi  agli  occhj  il  tema 
Del  suo  fratel,  che  n'  era  stato  morto. 
Pensa  di  torla  in  guisa,  che  non  tema, 
Ch'  Olindro  s'  abbia  a  vendicar  del  torto. 
Tosto  s'  estingue  in  lui,  non  pur  si  scema, 
Quella  virtù,  su  che  solca  star  sorto. 
Che  non  lo  sommergean  de'  vizj  V  acque. 
Delle  quai  sempre  al  fondo  il  padre  giacque. 

55.  Con  gran  silenzio  fece  quella  notte 
Seco  raccor  da  vent'  uomini  aimati; 
E  lontan  dal  Castel,  per  certe  grotte. 
Che  si  trovau  tra  vìa.  mise  gli  a^-o-uati. 
Quivi  ad  Olindro  il  dì  le  strade  rotte, 

E  chiusi  i  passi  fur  da  tutti  i  lati; 
E  benché  fé'  lunga  difesa  e  molta. 
Pur  la  moglie  e  la  vita  gli  fu  tolta. 

56.  Ucciso  Olindro ,  ne  menò  cattiva 
La  bella  donna,  addolorata  in  guisa, 
Ch'  a  patto  alcim  restar  non  volca  viva, 
E  di  grazia  chiedea  d'  essere  uccisa. 
Per  morir  »i  gittò  giù  d'  una  riva. 

Che  vi  trovò  sopra  un  vallone  assisa; 
E  non  potè  morir,  ma  con  la  te»ta 
Rotta  rimase,  e  tutta  fiacca  e  pesta. 

57.  Altramente  Tanacro  riportarla 
A  casa  non  potè ,  che  in  una  bara. 
Fece  con  diligenza  medicarla; 

Che  perder  non  volea  preda  >i  cara. 
E  mentre  che  s'  indugia  a  risanarla, 
Di  (celebrar  le  nozze  si  prepara; 
Ch'  aver  sì  bella  donna  e  >ì  pudica 
Debbe  nome  di  moglie ,  e  non  d'  amica. 

58.  Non  pensa  altro  Tanacro ,  altro  non  brama, 
D'  altro  non  cura,  e  d'  altro  mai  non  parla. 
Si  vede  averla  olìesa.   e  se  ne;  chiama 

In  colpa;  e  ciò  che  può,  fa  d'  emendarla. 
Ma  tutto  è  invano:  quanto  egli  più  1'  ama. 
Quanti»  più  s'  ailatica  di  placarla, 
l'ant'  ella  odia  più  lui;  tanto  è  più  forte. 
Tanto  è  più  ferma  in  voler  porlo  a  morte. 

59.  Ma  non  però  quest'  odio  così  ammorza 
La  cono>ceiiza   in  lei,  clie  non  comprenda. 
Che,  se  vuol  far  quanti»  di>egna,  è  forzii 
Che  sitimli,  ed  occulte  in>i(iie  tenda; 

E  che  "1  desir  sotto  contraila  s<-orza 
(Il  (|uale  è  s(»l ,  come    Tanacro  ollenda) 
\'*'der  gli  faccia,  e,  clic  si  mo>tri  tolta 
Dal  prinu»  amori!  e  tutto  a  lui  ri\(ilta. 

60.  Simula  il  viso  pace,  ma  vendetta 
Cbiania  il  cor  dentro,  e  ad  altro  non  attende. 
Molle  c(»sc  ri>ol'.;e,  alcune  acielta. 

Altre  ne  lascia,  ed  altre  in  dubbio  appende. 
Le  par,  che,  quando  essa  a  morir  si  metta. 
Avrà  il  suo  intento;   e  quiti  alfin  s'  apprende. 
E  do^e  meglio  può  morire,  o  qinindo. 
Che  '1  suo  caro  marito  >endicaudo.^ 

32 


[499] 


ORLANDO   FURIOSO.  (XXXVH.  61  —  70) 


[5001 


61.  Ella  si  mostra  tutta  lieta,  e  finge 
Di  queste  nozze  aver  sommo  disio, 

E  ciò  che  può  indugiarle ,  addietro  spinge, 
Non  eh'  ella  mostri  averne  il  cor  restio. 
Più  dell'  altre  s'  adorna  e  si  dipinge; 
Olindro  al  tutto  par  messo  in  oljblio. 
Ma  che  sìan  fatte  queste  nozze  ,  vuole, 
Come  nella  sua  patria  far  si  suole. 

62.  Non  era  però  ver,  che  questa  usanza. 
Che  dir  v(ìlea,  nella  sua  patria  fosse; 
Ma  perchè  in  lei  peiisicr  mai  non  avanza, 
Cile  spender  possa  altrove ,  imsniiginosse 
Una  bugia,  la  qual  le  die'  speranza 

Di  fiir  morir,  chi  '1  suo  signor  percosse: 
E  disse  di  voler  le  nozze  a  guisa 
Della  sua  patria,  e  'I  modo  gli  divisa. 

63.  La  vedovella,  che  marito  prende. 
Deve  prima,  dicea,  che  a  lui  s'  appresso, 
Placar  1'  alma  del  morto  ,  che  ella  offende, 
Facendo  celebrargli  ufficj  e  messe, 

In  remission  delle  passate  mende, 

Kel  tempio,  ove  di  quel  son  1'  ossa  messe; 

E  dato  fin  eh'  al  sacrificio  sia. 

Alla  sposa  1'  anel  lo  sposo  dia. 

64.  Ma  eh'  abbia,  in  questo  mezzo,  il  sacerdote 
Sul  vino,  ivi  portato  a  tal  efletto, 
Appropriate  orazion  devote, 

Sempre  il  liquor  benedicendo,  detto: 
Indi,  che  'l  fiasco  in  una  coppa  vote, 
E  dia  agli  sposi  il  vino  benedetto. 
Ma  portare  alla  sposa  il  vino  tocca, 
Ed  esser  prima  a  porvi  su  la  bocca. 

65.  Tanacro,  che  non  mira,  quanto  importe, 
Ch'  ella  le  nozze  alla  sua  usanza  faccia, 
Le  dice:  Purché    1  termine  si  scorte 

D'  esser  insieme,  in  questo  si  compiaccia; 
Kè  s'  avvede  il  meschin ,  eh'  essa  la  morte 
D'  Olindro  veiulirar  così  procaccia, 
E  si  la  voglia  ha  in  un  oggetto  intensa, 
Che  sol  di  quello ,  e  mai  d'  altro  non  pensa. 

66.  Avea  seco  Drusilla  una  sua  vecchia, 
Che,  seco  presa,  seco  era  rimasa. 

A  sé  chiamolla,  e  le  disse  all'  orecchia, 

Sicché  non  potè  udire  uomo  di  casa  : 

Un  subitano  tosco  m'  apparccciiia, 

Qual  so,  che  sai  comporre,  e  me  lo  invasa! 

Ch'  ho  trovato   la  via  di  vita  torre 

11  traditor,  figlinol  di  Marganorre. 

67.  K  me  so  c<mie ,  e  te  salvar  non  meno; 
flia  dilTerisco  a  dirtelo  più  iid  agio. 
Andò  la  vecchia,  e  apparecchiò  il  veneno, 
Ed  a(M;onciollr) ,  e  ritornò  al  palagio. 

Di  ^in  dolce  di  Candia  un  fiasco  pieno 
Tro\ò  da  por  ceni  quel  f^uttco  malvagio  ; 
E  lo  serbò  pel  giorno  delle  nozze; 
Ch'  omai  tutte  l'  indugie  erano  mn/zc. 

68.  Lo  statuito  giorno  al  tempio  venne. 

Di  gemme  orniìta,  e  di  leggiadre  gonne; 
0\e  «I'  Olindro,  come  gli  ctnivenne. 
Fatto  a\ea  1'  arca  alzar  su  due  colonne. 
Quivi  r   ufli(-i(i  si  cantò  solenne. 
Trassero  a  nilirlo   tutti,   uomini  e  donne, 
E  liete»  Marganor  più   dell'  usato, 
Vcinic  col  figlio  e  con  gli  umici  allato. 


69.  Tostoch'  al  fin  le  sante  esequie  foro, 
E  fn  col  tosco  il  vino  benedetto, 

Il  sacerdote  in  una  coppa  d'  ora 
Lo  versò,  come  avea  Drusilla  detto. 
Ella  ne  bebbe  quanto  al  suo  decoro 
Si  conveniva ,  e  potea  far  l'  efletto  ; 
Poi  die'  allo  sposo,  con  viso  giocondo, 
Il  nappo;  e  quel  gli  fé'  apparire  il  fondo. 

70.  Renduto  il  nappo  al  sacerdote,  lieto 
Per  abbracciar  Drusilla  apre  le  braccia. 
Or  qui\i  il  dolce  stile  e  mansueto 

In  lei  si  cangia ,  e  quella  gran  bonaccia. 
Lo  spinge  addieiro ,  e  gli  ne  fa  divieto, 
E  par,  eh'  arda  negli  occhj  e  nella  faccia, 
E  con  voce  terribile  e  incomposta 
Gli  grida:  Traditor,  da  me  ti  scosta! 

71.  Tu  dunque  avrai  da  me  sollazzo  e  gioja, 
Io  lagrime  da  te,  martiri  e  guai.'* 

10  vo'  per  le  mie  man,  eh'  ora  tu  muoja  : 
Questo  è  stato  venen ,  se  tu  noi  sai. 

Ben  mi  duol,  eh'  hai  troppo  onorato  boja. 
Che  troppo  lieve  e  f.icil  morte  fai; 
Che  mani  e  pene  io  non  so  sì  nefande, 
Che  fossin  pari  al  tuo  peccato  grande. 

72.  Mi  duol  di  non  vedere  in  questa  morte 

11  sacrifi<;io  mio  tutto  perfetto: 

Che ,  s'  io  '1  poteva  far  di  quella  sorte, 
Ch'  era  il  disio,  non  avria  alcun  difetto. 
Di  ciò  mi  scusi  il  dolce  mio  consorte  ; 
Riguardi  al  buon  volere,  e  1'  abbia  accetto! 
Che,  non  potendo,  come  avrei  voluto, 

10  t'ho  fatto  morir ,  come  ho  potuto. 

73.  E  la  punizioji ,  che  qui ,  secondo 

11  desiderio  mio ,  non  posso  darti, 
Spero  r  anima  tua  nell'  altro  mon.do 
Veder  patire,  ed  io  starò  a  mirarti. 
Poi  disse,  alziinilo  con  viso  giocondo 
I  tor'ùdi  occlij  alle  superne  parti: 
Questa  vittima,  Olindro,  in  tua  vendetta 
Col  buon  voler  della  tua  moglie  accetta, 

74.  Ed  impetra  per  me  dal  Signor  nostro 
Grazia,  che  in  paradiso  oggi  io  sìa  teco! 
Se  ti  dirà,  che  senza  merto  al  nostro 

Regno  anima  non  vicn,  di,  eh'  io  1'  ho  meco; 
Che  di  quc.-t'  empio  e  scellerato  mostro 
Le  spoglie  opime  al  santo  tempio  arreco. 
E  che  inerti  esser  pon  mnggior  di  questi, 
Spegner  sì  brutte  e  abbominose  pesti? 

75.  Finì  il  parlare  insieme  con  la  vita; 
E  nu>rta  anco  parca  lieta  nel  volto, 
D'  a^er  la  crudeltà  così  punita 

Di  clii  il  caro  marito  le  avea  tolto. 
Non  so,  se  prevenuta,  o  se  seguita 
Fu  dallo  spirto  di  Tanacro  sciolto. 
Fu   pre^enuta,  credo:  eh'  cll'etto  ebbe 
Prima  il  Aeneno  in  lui,  perchè  più  bebbe. 

70.      Marganor ,  che  cader  vede  il  figliuolo, 
E  poi  recitar  nelle  sue  braccia  estinto. 
Fu  per  morir  con  lui,  dal  grave  duolo, 
(/'II'  all.i  sprovvista  lo  trafisse,  vinto. 
Duo  u'  ebbe  un  tempo,  or  si  ritrova  solo. 
Du(;  femmine  a  qu<^l   termine  I'  han  spinto» 
La  morto  all'  un  dall'  una  fu  causata, 
l'i  1'  altra  all'  altro  di  sua  man  1'  ha  data. 


►01] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXXVII.  77  —  92) 


[502] 


Amor,  plrtà,  sdegno,  dolore  ed  ira, 
Disio  di  molte  e  di  vem'etta  insiieine, 
Queir  infelice  ed  orbo  padre  aggira, 
Clie  come  il  raar,  che  turbi  il  vento,  freme. 
Per  vendicarsi  va  a  Drusilla,  e  mira, 
Che  di  sua  vita  ha  chiu^c  1'  ore  estreme; 
E  come  il  punge  e  sferza  1'  odio  ardente, 
Cerca  offendere  il  corpo,  che  non  sente. 

i.     Qual  serpe,  che  nell'  asta,  eh'  alla  sabbia       |  86 
La  tenga  fissa,  indarno  i  denti  metta; 
O  qual  mastin ,  eh'  al  ciottolo ,  che  gli  abbia 
Gittate  il  viandante,  corra  in  fretta, 
E  morda  invano  con  stizza  e  con  rabbifi, 
Kè  se  ne  voglia  andar  senza  vendetta: 
Tal  Marganor,  d'  ogni  mastin,  d'  ogJii  angue 
A  ia  più  crudel,  fa  contiti  il  corpo  esangue. 

79.  E  poiché,  per  sfracciai-lo ,  e  farne  scempio,  87, 
Kon  si  sfogta  il  fellon,  né  disacerba, 
Vien  fra  le  donne,  di  che  è  pieno  il  tempio, 
]Nè  più  r  una  dell'  altra  ci  riserba. 
Ma  di  noi  fa  col  brando  crudo  ed  empio 
Quel,  che  fa  con  la  falce  il  villan  d'  erba. 
Non  vi  fu  alciin  ripar,  che  in  un  momento 
Trenta  ne  uccise,  e  ne  ferì  ben  cento. 

80.  Egli  dalla  sua  gente  è  sì  temuto,  88, 
Ch'  uomo  non  fu,  eh'  ardisse  alzar  la  testa. 
Fuggon  le  donne  col  popol  minuto 
Fuor  della  chiesa ,  e  <;hi  può  uscir,  non  resta. 
Quel  pazzo  impeto  alGn   fu  ritenuto 
Dagli  amici  con  preghi ,  e  forza  onesta, 
E  lasciando  ogni  cosa  in  pianto  al  l)asso, 
Fatto  entrar  nella  rocca  in  cima  al  sasso. 

81.  E  tuttavia  la  collera  durando,  89 
Di  cacciar  tutte  per  partito  prese, 
Poiché  gli  amici  e  '1  popolo,  pregando, 
Che  non  ci  uccise  affatto ,  gli  contese  : 
E  quel  medesiJU)  di  fé'  andare  un  bando, 
Che  tutte  gli  sgombrassimo  il  paese  ; 
E  darci  qui  gli  piacque  le  conlJne. 
Misera,  chi  al  castel  più  s'  avvicine! 

82.  Dalle  mogli  così  furo  i  mariti,  90, 
Dalle  madri  così  i  figli  divi»i. 
Se  alcuni  sono  a  noi  venire  arditi, 
Noi  sappia  già  chi  Marganor  u'  avvisi; 
Che  di  multe  gravis.^ime  puniti 
N'  ila  moki,  e  molti   crudelmente  uccìsi. 
Al  suo  ca>tello  ha  poi  fatto  una  legge, 
Di  cui  pcggior  non  s'  ode,  né  si  legge. 

83.  Ogni  donna,  che  troviu  nella  valle,  91. 
La  legge  vuol  (eh'  alcuna  pur  vi  cade) 
Che  percuotan  <-.on  aìuiìiiì  alle  ^palle, 
E  la  faccian  Hgomlirar  ciucate  contrade; 
Ma  scorciar  prima  i  paiuii ,  e  mo.slrar  fallo 
Quel,  che  natura  asconde  ed  oneslade. 
E  s'  alcuna  vi  va,  eh'  armata  s(-orta 
Abbia  di  cavalier,  vi  resta  morta. 

84.  Quelle ,  eh'  hanno  |)er  scorta  cavalieri,  !   92. 
Sdii  da  (pioto  ninii<:o  di   pielate,  j 
Come  vittime,  tratti;  ai  cimiteri 

De'  morti  figli ,  e  di  sua  man  scannate.  1 

Le%a  con  ignominia  arme  (;  d<'>tri(TÌ, 

E  poi  cat'cia  in  prigion  chi  1'  lia  guidate.  i 

E   io  può  far;  che  sempre,   notte  e  giorno, 

Si  trova  più  di  mille  uomini  iuturnu.  | 


E  dir  di  più  VI  voglio  ancora ,  eh'  esso. 
Se  alcun  ne  lascia,  vuoi,  che  prima  giuri 
Suir  ostia  sacra  ,  che  '1  femmineo  sesso 
In  odio  avrà,  finché  la  vita  duri. 
Se  perder  queste  donne,  e  voi  appresso 
Dunque  vi  pare ,  ite  a  veder  quei  muri, 
Ove  alberga  il  fellone ,  e  fate  prova. 
Se  'n  lui  più  forza,  o  crudeltà  si  trova. 

Così  dicendo ,  le  guerriere  mosse 
Prima  a  pietade,  e  poscia  a  tanto  sdegno, 
Che  se ,  come  era  notte ,  giorno  fosse, 
Sarian  corse  al  castel  senza  ritegno. 
La  bella  compagnia  quivi  pososse, 
E  tostodiè  r  aurora  fece  segno. 
Che  dar  dovesse  al  sol  loco  ogni  stella, 
Ripigliò  l'  arme,  e  si  rimise  in  sella. 

Già  sendo  in  atto  di  partir ,  s'  udirò 
Le  strade  risonar  dietro  le  spalle 
D'  un  lungo  calpestio,  che  gli  occhj  in  giro 
Fece  a  tutti  voltar  giù  nella  valle: 
E  lungi ,  quanto  esser  potrebbe  un  tiro 
Di  mano ,  andar  per  uno  strelto  calle 
Vider  da  forse  venti  armati  in  schiera. 
Di  che  parte  in  arcion,  parte  a  pied'  era, 

E  che  traean  con  lor  sopra  un  cavallo 
Donna,  eh'  al  viso  aver  parca  molt'  anni, 
A  guisa,  che  si  mena  un,  che  per  fallo 
A  foco ,  o  a  ceppo ,  o  a  laccio  si  condamù. 
La  qual  fu,  non  ostante  1'  intervallo, 
Tosto  riconosciuta  al  viso  e  a'panni. 
La  riconobber  queste  della  villa 
Esser  la  cameriera  di  Drusilla; 

La  cameriera,  che  con  lei  fu  presa 
Dal  rapace  Tanacro,  come  ho  detto. 
Ed  a  chi  fu  dappoi  dala  1'  impresa 
Di  quel  venen ,  che  fé'  il  crudele  effetto, 
Non  era  entrata  ella  con  l'  altre  in  chiesa. 
Che  di  quel,  che  seguì,  stava  in  sospetto; 
Anzi  in  quel  tempo  della  villa  uscita, 
Ove  esser  sperò  salva,  era  fuggita. 

Avuta  Marganor  poi  di  lei  spia. 
La  qual  s'  era  ridotta  in  Ostericche, 
Non  ha  cessato  mai  di  cercar  via, 
Come  in  man  1'  al)bia,  acciò  l'  abbrucio  impicche; 
E  finalmente  1'  avarizia  ria 
l^lossa  da  doni,  e  da  proferte  ricche. 
Ila  fatto,  che  un  baron,  eh'  assicurata 
L'  avea  in  sua  terra,  a  >Iarganor  V  ha  data, 

E  mandata  gliel'  ha  fin  a  Costanza 
Sopra  un  soiiiier,  come  la  merce  s'  usa, 
Legata  e  stretta ,  e  toltole  po.-sanza 
Di  far  par«»i«! ,  e  in  una  ca>>a  chiusa: 
Onde  poi  que.->ta  genie  1'  ha,  ad  instanza 
Dell'   uom,  eh'   ogni  pleiade  ha  da  ^è  esclusa. 
Quivi  cond(»tta  ,  <(»u  disegno,  eh'  abbia 
L'  empio  a  >fogar  sopra  di  lei  sua  rabbia. 

CoiiU!  il  gran  fiume,  che  di  \  esulo  esce, 
Quanto  più   iruiair/.i  ,   e  verso  il  mar  discende, 
E  clic  con  lui   Lauibro  e  Ticiii  si  mesce, 
Ed   Adda,  e  gli  altri,  onde  tributo  prende, 
Tanto  più  altero  e  impetuoso  cresce: 
('osi    Kuggicr  ,  quante   più  «'olpe   iiilriulc 
Di   Margiiuor  ,  così   le  due  guerriere 
Se  gli  fan  cuiilra  più  sdc<;nose  e  fiere, 

32    * 


[503] 


ORLANDO    FURIOSO.    (XXXVIl.  93-108) 


[504], 


93.  Elle  fur  d'  odio,  elle  fur  d'  ira  tanta 
Contra  il  criidel,  per  tante  colpe,  accese, 
Che  di  punirlo,  mal  grado  di  quanta 
Gente  egli  avea ,  conclusion  si  pre^c. 

Ma  dargli  presta  morte,  troppo  siinta 
Pena  lor  parve,  e  indegna  a  tante  offese; 
Ed  era  meglio  fargliela  sentire, 
Fra  strazio  prolungandola  e  uiartire. 

94.  Ma  prima  liberar  la  donna  è  onesto, 
Che  sìa  condotta  da  quei  birri  a  m(u-te. 
Lentar  di  briglia  col  calcagno  presto 
Fece  a'  presti  destrier  far  le  vie  corte. 
Non  ebbon  gli  assaliti  mai  di  questo 
Un  incontro  più  acerbo,  né  più  forte: 
Sicché  han  di  grazia  di  lasciar  gli  scudi, 
E  la  donna,  e  l'  arnese,  e  fuggir  nudi: 

95.  Siccome  il  lupo  ,  che  di  preda  vada 
Carco  alla  tana,  e  quando  più  si  crede 
D'  esser  sicnr,  dal  cacciator  la  strada, 
E  da'  suoi  cani  attraversar  si  vede. 
Getta  la  soma ,  e  dove  appar  men  rada 

La  scura  macchia  innanzi,  affretta  il  piede, 
Già  men  presti  non  fur  quelli  a  fuggire, 
Che  si  fussin  quest'  altri  ad  assalire. 

98.      Kon  pur  la  donna  e  1'  arme  vi  lasciiiro, 
Ma  de'  cavalli  ancor  lasciaron  molti, 
E  da  rive  e  da  grotte  si  lanciaro. 
Parendo  lor  così  d'  esser  più  sciolti. 
Il  che  alle  donne  ed  a  Ruggier  fu  caro  ; 
Che  tre  di  quei  cavalli  ebbono  tolti. 
Per  portar  quelle  tre,  che  '1  giorno  d'  jeri 
Feron  sudar  le  groppe  ai  tre  destrieri. 

97.  Quindi  espediti  seguono  la  strada 
Verso  r  infame  e  dispietata  villa. 
Voglion,  che  seco  quella  vecchia  vada, 
Per  veder  la  vendetta  di  Drusilla. 

Ella ,  che  teme ,  che  non  ben  le  accada. 
Lo  nega  indarno,   e  piange  e  grida  e  strilla; 
Ma  per  forza  Ruggier  la  leva  in  groppa 
Del  buon  Frontino,  e  via  con  lei  gahippa. 

98.  Giunsero  in  somma,  onde  vedeano  al  basso 
Dì  molte  case  un  i-icco  borgo  e  grosso. 

Che  non  serrava  d'  alcun  lato  il  passo, 
Perchè  né  muro  intorno  aven ,  né  fosso. 
Avea  nel  mezzo  un  rilevato  sasso, 
Ch'  un'  alta  rocca  so?tenea  sul  dosso. 
A   quella  si  drizzar  con  gran  baldanza, 
Ch'  esser  sapean  di  Marganor  la  stanza. 

99.  Tostochè  son  nel  borgo ,  alcuni  fanti, 
Che  v'  erano  alla  guardia  dell'  entrata. 
Dietro  chiudon  la  sbarra,  e  già  daviiiilì 
A eggon,  <;he  l'  altra  usc'ita  era  serrata; 
Ed  creo  Marganorre,  e  seco  alcjnaiiti 

A  pie  e  a  <'a\allo,  e  tutta  gente  armata. 
Che  con  broi  parole,  ma  orgogliose. 
La  ria  costuuia  di  sua  terra  espose. 

100.      Marfì'ia ,  la  qnal  prima  avea  composta 
Con  Uradiiinante  e  con  Ruggier  la  c(»-:a. 
Gli  spronò  incontra  in  cambio  di  risposta; 
E  coni'  «ni  possente  e  valorosa, 
Senzii   <:h'  abbaisi   lancia,  o  che  slu  posta 
In  opra  quella  spada  si  fauutsa. 
Col  pugno  in  guisa  1'  eliuo  gli  martella, 
Che  lo  fa  tramortir  sopra  l.i  sella. 


101.  Con  Marfìsa  la  gìovjinc  di  Francia 

Spinge  a  un  tempo  il  destrier;  né  Ruggier  resta, 

]\la  con  tanto  valor  corre  la  lancia. 

Che  sei ,  senza  levarsela  di  resta, 

]N'  uccide,   uno  ferito  nella  pancia, 

Duo  nel  petto ,  un  nel  collo,  un  nella  testa  : 

Nel  sesto  ,  che  foggia ,  1'  asta  si  roppe, 

Ch'  entrò  alle  schiene ,  e  riuscì  alle  poppe. 

102.  La  figliuola  d'  Amon ,  quanti  ne  tocca 
Con  la  sua  lancia  d'  or,  tanti  n'  atterra: 
Fulmine  par,  che  '1  cielo  ardendo  scocca, 
Che  ciò,  che  incontra,  spezza,  e  getta  a  terra. 
Il  popol  sgombra ,  chi  verso  la  rocca. 

Chi  verso  il  piano;  altri  si  chiude  e  serra, 
Chi  nelle  cliiese ,  e  chi  nelle  sue  case. 
Né,  fuorché  morti,  in  piazza  uomo  rimase. 

103.  IMarfisa  3Iarganorre  avea  legato 
Intanto  con  le  man  dietro  alle  rene, 
Ed  alla  veccliia  di  Drusilla  dato, 
Ch'  appagata  e  contenta  se  ne  tiene. 
D'  arder  quel  borgo  poi  fu  ragionato, 
S'  a  penitenza  del  suo  error  non  viene. 
Levi  la  legge  ria  di  Marganorre. 

E  questa  accetti,  eh'  essa  vi  vuol  porre., 

104.  Non  fu  già  d'  ottener  questo  fatica, 
i          Che  quella  gente,  oltre  al  timor,  eh'  avea. 

Che  più  faccia  iMarfisa,  che  non  dica, 
Ch'  uccider  tutti,  ed  abbruciar  vclea, 
Di  Marganorre  affatto  era  nemica, 
!  E  della  legge  sua  crudele  e  rea  : 

I  Ma  '1  popolo  facea,  come  i  più  fanno, 

I  Che  ubbidiscou  più  a  quei,  che  più  in  odio  hanno 

105.  Perocché  l'  un  dell'  altro  non  si  fida, 
j          E  non  ardisce  conferir  sua  voglia. 

Lo  lascian,  eh'  un  bandisca,  un  altro  uccida, 
A  quel  r  avere  ,  a  questo  1'  onor  toglìa. 
Ma  il  cor,  che  tace  qui,  su  nel  ciel  grida, 
Finclié  Dio  e  santi  alla  vendetta  invoglia; 
I  La  qual,  sebben  tarda  a  venir,  compensa 

I  L'  indugio  poi  con  punizione  immensa. 

106.  Or  quella  turba,  d'  ira  e  d'  odio  pregna,     . 
Con  fatti  e  con  mal  dir  cerca  vendetta. 

Coni'  é  in  proverbio;  Ognun  corre  a  far  legna 

Air  arbore,  che  '1  vento  in  terra  getta. 

Sia  Marganorre  esempio  di  chi  regna! 

Che  chi  mal  opra,  male  al  fme  aspetta. 

Di  vederlo  punir  de'  suoi  nefandi 

Peccati ,  avean  piacer  pìccoli  e  grandi. 

107.  Molti ,  a  chi  fur  le  mogli ,  o  le  sorelle, 
0  le  figlie ,  o  le  madri  da  lui  morte, 
Non  più  celando  1'  aiiiuu»  ribelle, 
Correan  per  dargli  di  lor  man  la  morte: 
E  con  fatica  lo  difeser  qu(dle 
Magnanime  guerriere,  e  Ruggier  forte, 
Che  disegnato  aveaii  farlo  morire 

D'  affanno ,  di  disagio  e  di  martire. 

108.  A  quella  vecchia,  che  1'  odiava,  quanto 
Femmina  odiiire  alcun  nemico  possa, 
Nudo   ili  mano  lo  dier,  legato  tanto, 

Cbe  non  si  scioglierà  per  una  scossa; 
Ed  ella,  per  veiiiletta  (l<-l  suo  pianto, 
Gli   aiulò  facendo   la   persona  rossa 
('(ui  un  stimolo  aguzzo,  <:h'  un  villano, 
Gie  quì\i  sì  tro\ò,  le  pose  in  mano. 


11 


l 


)05] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXVII.  109—122) 


[506] 


)9.      La  messag:giera ,  e  le  sue  giovani  anco. 
Che  queir  onta  non  son  mai  per  scordarsi, 
Non  s'  hanno  più  a  tener  le  mani  al  fianco. 
Né  meno,  che  la  vecchia,  a  vendicarsi; 
Ma  si  è  il  de»ir  d'  offenderlo ,  che  manco 
Viene  il  potere,  e  pur  vorrian  sfofj^arsi. 
Chi  con   sassi  il  pcrcote,  (-hi  con  1'  ugne; 
Altra  lo  morde,  altra  cogli  aghi  il  pugne. 

10.  Come  torrente,  che  superbo  faccia 
Lunga  pioggia  talvolta,  o  nevi  sciolte. 
Va  ruinoso ,  e  giù  da'  monti  caccia 

Gli  arbori  e  i  sassi ,  i  campi  e  le  ricolte  : 
Vien  tempo  poi ,  che  l'  orgogliosa  faccia 
Gli  cade ,  e  sì  le  forze  gli  son  tolte, 
Ch'  un  fanciullo ,  una  femmina  per  tutto 
Passar  lo  puote,  e  spesso  a  piede  asciutto: 

11.  Cosi  già  fu,  che  Marganorre  intorno 
Fece  tremar,  dovunque  udiasi  il  nome; 
Or  venuto  è  chi  gli  ha  spezzato  il  corno 
Di  tanto  orgoglio ,  e  sì  le  f(U'ze  dome. 
Che  gli  pon  far  sin  ai  bambini  scorno, 
Clii  pelargli  la  barba,  e  chi  le  chiome. 
Quindi  Ruggiero  e  le  donzelle  il  passo 
Alla  rocca  voltar,  eh'  era  sul  sasso. 

112.  La  die'  senza  contrasto  in  poter  loro. 
Chi  v'  era  dentro,  e  così  i  ricchi  arnesi. 
Che  in  parte  messi  a  sacco ,  in  parte  foro 
Vati  ad  Ullania ,  ed  a'  compagni  offesi. 
Ricovrato  vi  fu  Io  scudo  d'  oro, 

E  quei  tre  re ,  eh'  avea  il  tiranno  presi, 

Li  quai  venendo  quivi ,  come  parmi 

U'  avervi  detto ,  erano  a  pie ,  senz'  armi. 

113.  Perchè  dal  dì,  che  fur  tolti  di  sella 
Da  Bradaraante,  a  pie  sempre  eran  iti 
Senz'  arme,   in  compagnia  della  donzella. 
La  qual  venia  da  sì  lontani  liti. 

Non  so,  se  meglio,  o  peggio  fu  di  quella. 
Che  di  lor  armi  non  fussin  guerniti. 
Era  ben  meglio  esser  da  lor  difesa; 
Ma  peggio  assai ,  se  ne  perdcan  1'  impresa. 

114.  Perchè  stata  sari'a,  com'  eran  tutte 
Quelle,  eli'  armate  avean  seco  le  scorte, 
Al  cimiterio  misere  conduttc 

Dei  duo  fratelli,  e  in  sacrifìcio  morte. 

Gli  è  pur  mcn  che  morir,  nu)strar  le  brutte 

E  disoneste  parti ,  duro  e  forte  ; 

E  sempre  que-to,  e  ogni  altro  obbrobrio  ammorza 

11  poter  dir,  che  le  sia  fatto  a  forza. 

115.  Primacir  indi  si  partan  le  guerriere, 
Fan  venir  gli  abitanti  a  giuramento, 
Che  daranno  i  mariti  alle  mogliere 
Della  terra  e  di  tutto  il  reggimento; 

E  castigato  con   pene  ^e^cre 
Sarà,  chi  contrastare  abbia  ardimento. 
In  somma  quel,  eh'  altrove  è  del  marito, 
Che  sia  qui  della  moglie,  è  btutuitu. 


116.  Poi  si  feron  promettere,  eh'  a  quanti 
Mai  verrian  quivi,  non  darian  ricetto 

O  fo!:sin  cavalieri ,  o  fossin  fanti, 
]Vè  entrar  li  lascerian  pur  sotto  un  tetto 
Se  per  Dio  non  giurassino  e  per  santi, 
O  s'  altro  giuramento  v'  è  più  stretto, 
Che  sarian  >euipre  delle  donne  amici, 
E  dei  nemici  lor  sempre  nemici; 

117.  E  s'  avranno  in  quel  tempo,  e  se  saranno 
Tardi  o  più  tosto ,  mai  per  aver  moglie, 
Che  sempre  a  quelle  sudditi  saranno, 

E  ubbidienti  a  tutte  le  lor  voglie. 
Tornar  Marfisa ,  primach'  esca  V  anno. 
Disse ,  e  che  perdan  gli  arbori  le  foglie  ; 
E  se  la  legge  in  uso  non  trovasse. 
Foco  e  ruina  il  borgo  s'  aspettasse. 

118.  Né  quindi  si  partir,  che  dell'  immondo 
Luogo,  dov'  era,  fèr  Drusilla  torre, 

E  col  marito  in  un  avel,  secondo 
Ch'  ivi  potean  più  riccamente ,  porre. 
La  vecchia  facea  intanto  rubicondo 
Con  lo  stimolo  il  dosso  a  Marganorre: 
Sol  si  dolca  di  non  aver  tal  lena, 
Che  potesse  non  dar  tregua  alla  pena. 

119.  L'  animose  guerriere  allato  un  tempio 
Videro  quivi  una  colonna  in  piazza. 
Nella  qual  fatt'  avea  quel  tiranno  empio 
Scriver  la  legge  sua  crudele  e  pazza. 
Elle,  imitando  d'  un  trofeo  l'  esempio. 
Lo  scudo  v'  attaccaro  e  la  corazza 

Di  Marganorre,  e  1'  elmo,  e  scriver  fenno 
La  legge  appresso,  eh'  esse  al  loco  denno. 

120.  Quivi  s'  indugiar  tanto,  che  Marfisa 
Fé'  por  la  legge  sua  nella  colonna, 
Contraria  a  quella,  che  già  v'  era  incisa 
A  morte  ed  ignominia  d'  ogni  donna. 
Da  questa  compagnia  restò  divisa 
Quella  d'  Islanda,  per  rifar  la  gonna; 
Che  comparire  in  corte  obbrobrio  stima. 
Se  non  si  veste  ed  orna,  come  prima. 

121.  Quivi  rimase  Ullania,  e  Marganorre 
Di  lei  restò  in  potere;  ed  essa  poi, 

Perchè  non  s'  abbia  in  qualche  modo  a  sciorrc, 
E  le  donzelle  un'  altra  volta  annoi, 
Lo  fé'  un  giorno  saltar  giù  d'  una  torre. 
Che  non  fé'  il  maggior  salto  a'  giorni  suoi. 
Non  più  di  lei ,  né  più  dei  suoi  si  parli. 
Ma  della  compagnia,  che  va  verso  Arli. 

122.  Tutto  quel  giorno,  e  1'  altro  fin  appresso 
L'  ora  di  terza  andaro;  e  poiché  furo 
Giunti ,  dove  in  due  strade  é   il  cauiniin  fesso, 
L'  una  va  al  cam|)o,  e  V  altra  d'  .Arli  al  iniiro; 
'J'ornàr  gli  ainanli  ad  abbracciarsi ,  e  spesso 

A  tor  commiato,  e  fciiipre  acerbo  e  duro. 
Alfio  le  donne  in  campo ,  e  in  Arli  é  gito 
Ruggiero,  ed  io  il  mio  cauto  ho  qui  Unito. 


[507] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXXVIII.    1  —  12) 


CANTO     TRENTESIMOTTAVO. 


[508 


* 


ARGOMENTO. 

Ruggier  TÌtorna  in  Arli  al  re  Agramante 

Pel  debito  servar  di  cavaliero. 

A  Carlo  va  Marfisa  e  Bradamante  ; 

Dal  paradiso  scende  Astolfo  altiero  : 

E  come  aveva  disegnato  avante, 

U  Africa  guasta  e  le  si  mostra  fiero. 

Carlo  e  'Z  re  moro  due  guerrier  perfetti 

Hanno ,  per  terminar  la  guerra ,  eletti. 


1.  Cortesi  donne,  che  benigna  udienza 

Date  a'  miei  versi ,  io  \i  reggo  al  sembiante, 

Che  quest'  altra  sì  subita  partenza, 

Che  fa  Riiggier  dalia  sua  fida  amante, 

Vi  dà  g-ran  noja ,  e  avete  displicenza 

Poco  minor ,  eh'  avesse  Bradamante  ; 

E  fate  anco  argomento ,  eh'  esser  poco 

In  lui  dovesse  1'  amoroso  foco. 

2.  Per  ogni  altra  cagion ,  che  allontanato 
Centra  la  voglia  d'  essa  se  ne  fusse. 
Ancorché  avesse  più  tesor  sperato, 

Che  Creso  o  Crasso  insieme  non  ridusse, 

10  crederla  con  voi ,  che  penetrato 

Non  fosse  al  cor  lo  strai ,  che  lo  percusse  ; 
Ch'  un  almo  gaudio ,  un  cosi  gran  contento 
Non  potrebbe  comprare  oro  ,  nò  argento. 

3.  P»u-  per  salvar  1'  onor,  non  solamente 
Di  scusa,  ma  di  laude  è  degno  ancora. 
Per  salvar ,  dico ,  in  caso  eh'  altramante 
Facendo,  biasmo  ed  ignominia  foca  : 

E  se  la  donna  fosse  renitente, 
Ed  ostinata  in  fargli  far  dimora, 
Durebhc  di  sé  indizio  e  <  hiaro  segno 
O  d'  amar  poco ,  o  d'  aver  poco  ingegno. 

4.  Che,  se  1'  amante  dell'  amato  deve 
La  vita  amar  più  della  propria ,  o  tanto, 
(lo  parh)  d'  un  amante ,  a  cui  non  lieve 
Colpo  d'  amor  passò  più  là  del  manto) 
Al  piacer  tanto  più,  cJi'  esso  rice\e, 

L'  onor  di  quello  antepor  deve,  quanto 
L'  onore  è  di  più  pregio,  che  la  vitii, 
Ch'  a  tutti  altri  piaceri  è  preferita. 

5.  Fece  Ruggiero  il  debito  a  seguire 

11  suo  hignor  ;  che  non  se  ne  potea, 
Se  non  con  ignominia,  dipartire; 
Che  ragion  di  lasciarlo  non  avca. 

E  t-e  Ainionte  gli  fc'  il  padre  morii-e, 
Tal  colpa  in  Agramante  non  cadea, 
Che  in  molti  cHUti  avca  con  Kuggicr  poi 
Emendato  ogni  error  dei  uiuggiur  euoi. 


6.  Farà  Ruggiero  il  debito  a  tornare 
Al  suo  signore;  ed  ella  ancor  lo  fece. 
Che  sforzar  non  lo  volse  di  restare, 
Come  potea  ,  con  iterata  prece. 
Ruggier  potrà  alla  donna  satisfare 
A  un  altro  tempo ,  s'  or  non  satisfece  ; 
Ma  all'  onor,  chi  gli  manca  d'  un  momento, 
Non  può  in  cento  anni  satisfar,  né  in  cento. 

7.  Torna  Ruggiero  in  Arli ,  ove  ha  ritratta 
Agramante  la  gente,  che  gli  avanza. 
Bradamante  e  Marfisa,  che  contratta 
Col  parentado  avean  grande  amistanza, 
Andaro  insieme,  ove  re  Carlo  fatta 
La  maggior  prova  avea  di  sua  possanza, 
Sperando  ,  o  per  battaglia,  o  per  assedio. 
Levar  di  Francia  cosi  lungo  tedio. 

8.  Di  Bradamante,  poiché  conosciuta 
In  campo  fu ,  si  fé'  letizia  e  festa. 
Ognun  la  riverisce  e  la  saluta. 
Ed  ella  a  questo  e  a  quel  china  la  testa. 
Rinaldo ,  come  udì  la  sua  venuta. 
Le  venne  incontra;  né  Ricciardo  resta, 
Né  Ricciardetto ,  od  altri  di  sua  gente, 
E  la  raccoglion  tutti  allegramente. 

9.  Come  s'  intese  poi,  che  la  compagna 
Era  Marfisa ,  in  arme  sì  famosa, 
Che  dal  Catajo  ai  termini  di  Spagna 
Di  mille  chiare  palme  iva  pomposa, 
Non  è  povero,  o  ricco,  che  rimagna 
Nel  padiglion;  la  turba  disiosa 
Vien  quinci  e  quindi,   e  s'  urta,  storpia  e  preme 
Sol  per  veder  sì  bella  coppia  insieme. 

10.  A  Carlo  riverenti  appresentàrsì. 
Questo  fu  il  primo  dì,  scrive  Turpino, 
Che  fu  vista  Marfisa  inginocchiarsi  ; 
Che  sol  le  parve  il  figlio  di  Pipino 
Degno ,  a  cui  tanto  onor  dovesse  faisi, 
Tra  quanti ,  o  mai  nel  popol  Saracino, 
O  nel  cristiano  ,  imperatori  e  regi 
Per  virtù  vide ,  o  per  ricchezze  egregi. 

11.  Carlo  benignamente  la  raccolse, 

E  le  uscì  incontra  fuor  dei  padiglioni; 
E  che  sedesse  a  lato  suo  poi  volse, 
Sopra  tutti  i  re ,  principi  e  baroni. 
Si  die'  licen7.a  a  chi  non  se  la  tolse. 
Sicché  tosto  restaro  i  pochi  e  buoni. 
Restaro  i  paladini  e  i  gran  signori; 
La  vilipesa  plebe  andò  di  fuori. 

12.  3Iarfisa  cominciò  con  grata  voce: 
Eccelso ,  invitto  e  glorioso  Augusto, 
Ch<;  dal  mar  indo  alla  tirintia  foce, 
Dal  bianco  Scita  all'  Etiope  adusto 
Riverir  fai  la  tua  c^indida  croce; 

Né  di  te  regna  il  più  saggio,  o  '1  più  giusto! 
Tua  fama  ,  eh'  alcun  termine  non  serra. 
Qui  trutta  m'  ha  fin  dall'  estrema  terra. 


09] 


ORLANDO  FURIOSO.     XXXVIII.  13—28) 


[510] 


:o. 


;.     E  per  narrarti  il  ver,  sola  mi  mosse 
Invidia ,  e  sol  per  farti  guerra  io  venni, 
Acciocché  sì  possente  un  re  non  fosse, 
Che  non  tenesse  la  lej^ge ,  eh'  io  tenni. 
Per  questo  ho  fatto  le  ciiiiij)iigne  rosse 
Del  Cristian  sangue  ;  ed  altri  fieri  cenni 
Era  per  farti  da  crudel  nemica, 
Se  non  cadea  chi  mi  t'  ha  fatto  amica. 

Quando  nuocer  pensai  più  alle  tue  squadre, 
Io  trovo  (e  come  sia,  din»  più  ad  agio). 
Che  'I  huon  Ruggier  di  Risa  fu  mio  padre. 
Tradito  a  torto  dal  fratel  malvagio. 
Portommi  in  corpo  mia  misera  madre 
Di  là  dal  mare,  e  nacqui  in  gran  disagio. 
]Nutrimmi  un  mago  iuliii  al  settimo  anno, 
A  cui  gli  Arabi  poi  rubata  m'  hanno; 

E  mi  venderò  in  Persia  per  ischiava 
A  un  re ,  che  poi  cresciuta  io  posi  a  morte, 
CIh!  mia  verginità  tor  mi  cercata. 
Uccisi  lui  con  tiitta  la  sua  corte, 
l'utta  cacciai  la  sua  progenie  prava, 
E  presi  il  regno  ;  e  tal  fu  la  mia  s«»rte. 
Che  diciotto  anni  d'  uno,  odi  duo  mesi 
Io  non  passai,  che  sette  regni  presi. 

FJ  di  tua  fama  invidiosa ,  come 

10  t'  ho  già  detto,  avea  fermo  nel  core 
La  grande  altezza  abbatter  del  tuo  nome, 
liirsc  il  faceva,  o  f«»rse  era  in  errore; 
-Ma  or  avvien ,  che  quc»ta  voglia  dome, 
i;  l'accia  cader  1'  ale  al  mio  furore 

L'  avere  inteso,  poiché  qui  son  giunta, 
(.\>me  io  ti  son  d'  afllnità  congiunta. 

E  come  il  padre  uùo  parente  e  servo 
l'i  fu  ,  ti  son  parente  e  serva  anch'  io  ; 
E  quella  invidia  e  quell'  odio  protervo, 

11  qual  io  t'  ebbi  un  teuipo,  or  tutto  obblio: 
An/i  contra  Agramaiite  io  lo  riservo, 

E  contra  ogni  altro,  che  bia  al  padre,  o  al  zio 
Di  lui  stato  parente  ;  che  l'ur  rei 
DI  porre  a  morte  i  genitori  miei. 

E  seguitò,  voler  cristiana  farsi; 
E  dappoich'  avrà  estinto  il  re  Agramunte^ 
Voler,  piacendo  a  Carlo,  ritornarsi 
A  battezzare  il  suo  regno  in  Levante; 
Ed  indi  contra  tutto  il  mondo  armarsi. 
Ove  Macon  s'  adori,  e  Trivigante; 
E  con  promis^iou,  eh'  ogni  suo  acquisto 
Sia  dell'  imperio ,  e  della  fé  di  Cristo. 

L'  impcrator ,  che  n(m  meno  eloquente 
Era ,  che  fosse  valoroso  e  saggio, 
Molto  esultando  la  donna  et-cellentc, 
E  nndta  il  padre,  e  molto  il  suo  lignaggio, 
Kisposc  ad  ogni  parte  umanamente, 
E  mostrò  in  rronte  aperto  il  suo  coraggio; 
E  conchiusc  neir  ultima  parola, 
Per  parente  accettarla,  e  per  figliuola. 

E  qui  si  lev  a ,   e  di  nuovo  V  abbraccia^ 
E  rome  figlia,  bacìa  nella  fronte, 
tengono  tutti  con  allegra  faccia 
Quei  di  Mongrana,  e  quei  di  (^hiaramontfr. 
Iiiuij;o  a  dir  fi)ra  ,   quanto  onor  Ir  faccia 
Ilinaldo,  rlu!  di  lei  le  pro\e  cenile 
Ardalo  avea  più  volte  al  paragone, 
Quando  Albraccii  asticdiùr  col  kUo!":inuio. 


21.  Lungo  a  dir  fora ,  quanto  il  giovinetto 
Guidon  s'  allegri  di  veder  costei, 
Afjuilante,  e  Grifone,  e  Sansonetto, 
Ch'  alla  cittì  crudel  furon  con  lei; 
Malagigi,  e  Viviano,  e  Ricciardetto, 
Ch'  all'  uccision  de'  Maganzesi  rei, 

E  di  quei  venditori  empj  di  Spagna 
L'  aveano  avuta  sì  fedel  compagna. 

22.  Apparecchiar  per  lo  seguente  giorno, 
Ed  ebbe  cura  Carlo  egli  medesmo. 
Che  fosse  un  luogo  riccamente  adorno. 
Ove  prendesse  Marfisa  battesmo. 

I  vescovi,  e  gran  chierici  d'  intorno, 
Che  le  leggi  sapean  del  cristianesmo, 
Fece  raccorje ,  acciò  da  loro  in  tutta 
Lu  santa  fé  fosse  Marfisa  instrutta. 

23.  Venne  in  pontificale  abito  sacro 
L'  arcivesco  Turpino,  e  battczzoUa. 
Carlo  dal  salutifero  lavacro 

Con  cerimonie  debite  levolla. 

Ma  tempo  è  ormai  ,  eh'  al  capo ,  voto  e  maero 

Di  senno,  si  soccorra  con  l'  ampolla, 

Con  che  dal  ciel  più  basso  ne  venia 

II  duca  Astolfo  sul  carro  d'  Elia. 

24.  Sceso  era  Astolfo  dal  giro  lucente 
Alla  maggiore  altezza  della  terra 
Con  la  felice  ampolla,  che  la  mente 
Dovea  sanare  al  gran  mastro  di  guerra. 
L'ii'  erba  quivi  di   virtù  eccellente 
Mostra  Giovanni  al  duca  d'  Inghilterra: 
Con  essa  vuol,  eh'  al  suo  ritorno  tocdù 
Al  re  di  Nubia,  e  gli  risani  gli  occhj, 

25.  Acciò,  per  questi  e  per  li  primi  merli 
Gente  gli  dia,  con  che  Riseria  assaglia: 
E  come  poi  quei  pitpoli  inesperti 
Aliai,  ed  acconci  ad  uso  di  battaglia, 

E  senza  danno  p.issi  |)e'  deserti. 
Ove  r  arena  gli  uomini  abbarbaglia, 
A  punto  a  punto  l'  ordine,  che  legna. 
Tutto  il  vecchio  santissimo  gì'  in>egna. 

26.  Poi  lo  fé'  rimontar  su  quello  alato, 
Cir  é  di  Ruggiero  ,  e  fu  prima  d'  Atlante. 
Il  paladin  la>ciò,  licenziato 

Da  san  («iovanni.  le  contrade  sante, 
E  secondììuilo  il  I\il(>  a  lato  a  lato, 
TojIo  i  Nubi  a|<paiir  si  vide  innante, 
E  nella  lena,  che  del  regno  è  capo. 
Scese  dall'  uria  ,  e  ritrovò  il  Senapo. 

27.  Molto  fu  il  gaudio  e  molta  fu  la  gio.ja. 
Che  portò  a  quel  signttr  nel  siu»  ritorno  ; 
Che  ben  si  ric(U'da\a  della  noja, 
(.'begli  atea  tolta  dell  arpie  d'  intorno. 
Ma,  poiché  la  gr(>s>e/,/,a  gli  disciioja 

Di  queir  uniur,  che  già  gli  tolse  il  giorno. 

E  che  gli  rende  la  vista  di  luiiua, 

1/  adora  «;  cole,  e  come  un  Dio  sublima, 

28.  Sicché  non  pur  la  gente ,  che  gli  chietlc 
Per  mover  f;uerra  al  regno  di  Ri>crta, 
Ma  (-entiimila  sopni  gli  ne  diede, 

E  gli  f»;'  ancor  di  su.i  persona  •►Iferhi. 
La  gentf  ii|t|>ena  .  di'  era  tutta  a  piedf, 
Pole.»  caiiir  iirll.i  <  ,iin|)agiia  aperta; 
(he  di  camalli  ha  quel  paese  inopia. 
Ma  d'  elefanti  u  di  cuiumelU  copii». 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXVIII.  29- M) 


1511] 

29.  Lii  notte  innanzi  al  di,  che  a  suo  cammino 
L'  erieicito  di  Niihia  dovea  porse, 

3lontò  sull'  ippogril'o  il  paladino, 
E  verso  mezzodì  con  fretta  c»)rse, 
Tantoché  giun^^e  al  m»)nte,  che  1'  auètrino 
Vento  produce,  e  spira  contra  1'  Orse. 
Trovò  la  cava,  onde  per  stretta  Locca 
Quando  si  desta,  il  furioso  scocca: 

30.  K  come  laccordogli  il  suo  maestro, 
Avea  seco  arrecato  un  utre  voto, 

11  qiial,  mentre  nell'  antro  oscuro  alpestro 

Aflaticato  dorme  il  fiero  Xoto, 

Allo  spiraglio  pon  tacito  e  destro; 

Ed  è  r  agguato  in  modo  al  vento  ignoto, 

Che,  credendosi  uscir  fuor  la  dimane, 

Preso  e  legato  in  quello  utre  rimane. 

31.  Di  tanta  preda  il  paladino  allegro 
Ritorna  in  Nuhia,  e  la  medesma  luce 
Si  pone  a  camminar  col  popol  negro, 
E  vettovaglia  dietro  si  conduce. 

A  salvamento  con  lo  stuolo  integro 

Verso  r  Atlante  il  glorioso  duce 

Pel  mezzo  vien  della  minuta  saltbia, 

Senza  temer,  che  '1  vento  a  nuocer  gli  abbia. 

32.  E  giunto  poi  di  qua  dal  giogo,  in  parte, 
Onde  il  pian  si  discopre,  e  la  marina, 
Astolfo  elegge  la  più  nobil  parte 

Del  campo,  e  la  meglio  atta  a  disciplina; 

E  qua  e  là  per  ordine  la  parte 

A  pie  d'  un  colle,  ove  nel  pian   confina. 

Quivi  la  lascia,  e  sulla  cima  ascende 

In  vista  d'  uom,  che  a  gran  pensieri  intende. 

33.  Poiché,  inchinando  le  ginocchia,  fece 
Al  santo  suo  maestro  orazione, 
Sicuro,  che  sia  udita  la  sua  prece. 
Copia  di  sassi  a  far  cader  si  pone.^ 

Oh  quanto ,  a  chi  ben  crede  in  Cristo ,  lece  ! 

I   sassi ,  fuor  di  naturai  ragiiuie 

Crescendo ,  si  vedean  venire  in  giuso, 

E  formar  ventre  e  gambe,  e  collo,  e  muso: 

34.  E  con  chiari  annitrir  giù  per  quei  calli 
Venian  saltando,  e  giunti  poi  nel  piano 
Scuotean  le  groppe,  e  fatti  eran  cavalli, 
Chi  bajo ,  e  chi  leardo ,  e  chi  rovano. 
La  turba,  eh'  ajpettando   nelle  valli 
Stava  alla  posta,  lor  dava  di  mano; 
Sicché  in  |)oche  ore  fur  tutti  montati, 
Che  con  sella  e  con  freno  erano  nati. 

35.  Ottanta  mila,  cento  e  due  in  un  giorno 
Fé'  di  pedoni  Astolfo  cavalieri. 

Con  questi  tutta  scorse  Africa  intorno, 
Faceiidii  prede,  incendj    e  prigioneri. 
Posto  Agramante  avea,  fin  al  ritorno. 
Il  re  di  Fer.^a  e  '1  re  degli  Algazeri, 
CaA  re  liran/ardo  a  guardia  del  paese; 
E  questi  si  fér  contra  al  duca  inglese. 

30.      Prima  avendo  spacciato  un  sottil  legno, 
Cir  a  vele  e  a  remi  andò  battendo  1'  ali, 
Ad  Aijriuuante  avvi,>ò,  come  il  regno 
Patia  dal  re  de'  ]\ubi  oltraggi  e  unili. 
(ìiorno  <;  notl(;  andò  quel  senza  ritegno, 
Tantocbé  giiiii«e  ai  liti  pr«)ven/ali; 
E  tr'Mo  in  Arli  il  suo  re  mezzo  oppresso, 
Che  '1  campo  a\ca  di  Carlo  un  miglio  uj'presso. 


[512] 


37.  Sentendo  il  re  Agramante,  a  che  periglio, 
Per  guadagnare  il  regno  di  Pipino, 
Lasciava  il  suo ,  chiamar  fece  a  consiglio 
Principi  e  re  del  popol  Saracino  ; 

E  poicli'  una  o  due  volte  girò  il  ciglio. 
Quinci  a  Marsilio ,  e  quindi  al  re  Sobrino, 
1  qnai  d'  ogni  altro  fiir,  che  vi  venisse, 
I  duo  più  antichi  e  saggi,  cosi  disse: 

38.  Quantunque  io  sappia,  come  mal  convegna, 
A  un  capitano  dir:  non  mei  pensai. 

Pur  lo  dirò  :  che ,  quando  un  danno  vegna 
D'  ogni  discorso  uman  lontano  assai, 
A  quel  fallir  par  che  sia  scusa  degna. 
E  qui  si  versa  il  caso  mio  :  eh'  errai 
A  lasciar  d'  arme  1'  Africa  sfornita, 
Se  dalli  Nubi  esser  dovea  assalita. 

3!).     Ma  chi  pensato  avria,  fuorché  Dio  solo, 
A  cui  non  é  cosa  futura  ignota, 
Che  dovesse  venir  con  sì  gran  stuolo 
A  farne  danno ,  gente  sì  remota, 
Tra  i  quali  e  noi  giace  1'  instabll  suolo 
Di  queir  arena ,  ognor  da'  venti  mota  ? 
Pur  é  venuta  ad  assediar  Diserta, 
Ed  ha  in  gran  parte  1'  Africa  deserta. 

40.  Or  sopra  ciò  vostro  consiglio  chieggio, 
Se  partirmi  di  qui  senza  fiir  frutto, 
Oppur  seguir  tanto  1'  impresa  deggio. 
Che  prigion  Carlo  meco  abbia  condutto: 
O  Clune  insieme  io  salvi  il  nostro  seggio, 
E  que^to  imperiai  lasci  distrutto. 

S'  alcun  di  voi  sa  dir ,  prego  noi  taccia, 
Acciò  si  trovi  il  meglio,  e  quel  si  faccia. 

41.  Così  disse  Agramante ,  e  volse  gli  occhj 
Al  re  di  Spagna,  die  gli  sedea  appresso, 
Come  mostrando  di  voler,  che  tocchi 

Di  quel ,  eh'  ha  detto ,  la  risposta  ad  esso. 
E  quel ,  poiché  sorgendo  ebbe  i  ginocchj 
Per  riverenza,  e  così  il  capo  flesso, 
Kel  suo  onorato  seggio  si  raccolse. 
Indi  la  lingua  a  tai  parole  sciolse: 

42.  O  bene,  o  mal,  che  la  fama  ci  apporti. 
Signor ,  di  sempre  accrescere  ha  in  usanza. 
Perciò  non  sarà  mai,  eh'  io  mi  sconforti, 
O  mai  più  del  dover  pigli  baldanza 

Per  casi ,  o  buoni ,  o  rei ,  che  sieno  sorti  ; 
]Ma  sempre  avrò  di  par  tema  e  speranza, 
Cli'  esser  debban  minori,  e  non  del  modo, 
Ch'  a  noi  per  tante  lingue  venir  odo. 

43.  E  tanto  men  prestar  gli  debbo  fede. 
Quanto  più  al  verisimile  s'  oppone. 
Or  s'  egli  é   verisimile,  si  vede, 

Ch'  abbia  con  tanto  numer  di  persone 
Post(»  nella  pugnace  Africa  il  piede 
Vn  re  di  sì  lontana  regione, 
Traversando  1'  arene,  a  cui  Camliise 
Con  mal  augurio  il  popol  suo  coiimiise. 

44.  Crederò  lien,  che  sian  gli  Arabi  scesì 
Dalle  uutntagne,  ed  abbiati  dato  il  guasto, 
E  saci-lu'ggi.ito ,  e  niorti  uomini ,  e  presi, 
Ove  trovato  avran  poco  c;ontrasto  ; 

E  die  Hranzardo,  che  di  quei  ])aesi 
Luog(»ten(;nt<!  e  viceré  é  rimasto, 
Per  le  decine  scriba  le  migliiija, 
Acciò  la  bcusa  sua  più  degna  puja 


)13] 


ORLANDO  FURIOSO.    (XXXVIII.  45  —  60) 


15.      V'o'  concedergli  ancor,  che  siano  i  Nubi 
Per  miracol  dal  ciel  forse  piovuti, 
O  for^e  ascosi  venner  nelle  nubi, 
Poiché  non  fiir  mai  per  camniin  veduti. 
Temi  tu,  che  tal  gente  Africa  ruhi, 
Scbben  di  più  soccorso  non  1'  ajuti  ? 
Il  tuo  presidio  avria  ben  trista  pelle. 
Quando  temesse  un  popolo  sì  imbelle. 

[().      Ma  se  tu  mandi  ancorché  poche  navi, 
Purché  si  veggan  gli  stendardi  tuoi, 
Aon  scioglieran  di  qua  sì  tosto  i  cavi, 
CJie  fuggiranno  ne'  confini  suoi, 
Questi,  o  sien  Nubi,  o  sieu  Arabi  ignavi, 
1       Ai   quali  il  ritrovarti  qui  con  noi. 
Sepurato  pei   mar  dalia  tua  terra, 
Ha  dato  ardir  di  romperti  la  guerra. 

|17.      Or  piglia  il  tempo,  che,  per  esser  senza 
Il  suo  nipote  Carlo,  hai  di  vendetta! 
Poich'  Orlando  non  e'  è,  far  resistenza, 

'       Non  ti  può  alcun  della  nemica  setta. 

i       Se  per  non  veder  lasci,  o  negligenza, 
L'  onorata  vittoria ,  che  t'   aspetta, 
Volterà  il  calvo,  ove  ora  il  crìn  ne  mostra, 
Con  molto  danno,  e  lunga  infamia  nostra. 

48.  Con  questi,  ed  altri  detti  accortamente 
L'  Ispano  persuader  vuoi  nel  concilio. 
Che  non  esca  di  Francia  questa  gente, 
Finché  Carlo  non  sia  spinto  in  esilio. 
jMa  il  re  Sobria,  che  vide  apertamente 

II  cammino,  a  che  andava  il  re  Marsilio, 
Che  più  per  1'  util  proprio  queste  cose, 
Che  pel  comun  dicea,  così  rispose: 

49.  Quando  io  ti  confortava  a  stare  in  pace, 
Foss'  io  stato,  signor,  falso  indovino! 

O  tu ,  se  io  dovea  pur  esser  verace. 
Creduto  avessi  al  tuo  fedel  Sobrino, 
£  non  piuttosto  a  Rodomonte  audace, 
A  Marbalusto,  a  Alzirdo  e  a  Martassino! 
Li  quali  ora  vorrei  qui  aver  a  fronte; 
Ma  vorrei  più  degli  altri  liodomunte, 

50.  Per  rinfacciargli,  che  volea  di  Francia 
Far  qiH'l,  che  si  faria  d'  un  fragii  vetro, 
E  in  cielo  e  ncll'  iuferno  la  tua  lancia 
Seguire;,  nn'/.ì  lasciarsela  di  dietro. 

Poi  nel  bisctgno  si  gratta  la  pancia, 
Neil'  o/io  iuuuerso  alibominosu  e  tetro  ; 
Fd  io,  clie  per  |)rcdirti  il  vero  allora 
Codardo  detto  fui ,  son  tcco  ancora  ; 

51.  E  sarò  sempre  mai ,  fiiich'  io  finisca 
Questa  vita ,  eh'  aucorrhè  d'  anni  grave, 
P()r^i  incontra  ogni  dì  per  te  s'  arrisca 
A  qualunque  di  Francia  più  nome  bave. 
^ié  cara  alcun,  sia  chi  si  ^uol,  die  ardisca 
Di  dir  ,  chi;  I'  opre  mie  mai  fosscr  prave. 
E  non  han  più  di  me  fatto,   né  tanto 
Molti,  che  si  donar  di  me  più  vanto. 

52.  Dico  così,  ]>cr  dimostrar,  che  (|uc}ln, 
C;ir  io  dis.-i  allora,  e  che  ti  voglio  or  dire, 
Ne  da  villade  vicn  ,  né  da  «or  fello. 

Ma  da  amor  vero,  e  da  ledei  .scr\ire. 
In  (i  c(Miforto,  di'  al   paterno  ostello 
l'iiillo>to,  che  tu  puoi,  vogli   rcilire; 
Che  poni  Miggio  si   può  dir  colui. 
Che  perde  il  buo,  per  acquistar  V  altrui. 


J514] 

53.  Se  acquisto  e'  è ,  tu  '1  sai.    Trentadnì  fummo 
Re ,  tuoi  vassalli ,  a  uscir  teco  del  porto  • 

Or,  se  di  nuovo  il  conto  ne  rassunimo, 

C  è  appena  il  terzo,  e  tutto  '1  resto  é  morto. 

Che  non  ne  cadan  più ,  piaccia  a  Dio  summo  ! 

Ma,  se  tu  vuoi  seguir,  temo  di  corto, 

Che  non  ne  rimarrà  quarto,  né  quinto, 

£  '1  miser  popol  tuo  ila  tutto  estinto. 

54.  Ch'  Orlando  non  ci  sia,  ne  ajuta;  eh'  ove 
Siam  pochi ,  forse  alcun  non  ci  saria. 

Ma  per  questo  il  periglio  non  rimuove, 
Sebben  prolunga  nostra  sorte  ria. 
Ecci  Rinaldo,  che  per  molte  prove 
Mostra,  che  non  minor  d'  Oi lindo  sia. 


55. 


56. 


C  è  il  suo  lignaggio,  e  tutti  i  paladini, 
Timore  eterno  a'  nostri  Saracini. 

Ed  hanno  appresso  quel  secondo  Marte 
(Benché  i  niinici  al  mio  dispetto  lodo); 
Io  dico  il  valoroso  Brandimarte, 
Non  men  d'  Orlando  ad  ogni  prova  sodo; 
Del  qual  provata  ho  la  virtude  in  parte. 
Parte  ne  veggo  all'  altrui  spese,  ed  odo. 
Poi  son  più  dì,  che  non  e'  è  Orlando  stato, 
E  più  perduto  abbiam ,  che  guadagnato. 

Se  per  addietro  abbiam  perduto,  io  temo. 
Che  da  qui  innanzi  perderem  più  in  grosso. 
Del  nostro  campo  IMandricardo  é  scemo. 
Gradasso  il  suo  soccorso  n'  ha  rimosso  ; 
Marfisa  n'  ha  lasciati  al  punto  estremo, 
E  così  il  re  d'  Algicr,  di  cui  dir  posso, 
Che ,  se  fosse  fedel ,  com'  è  gagliardo, 
Poe'  uopo  era  Gradasso ,  o  Maudricardo. 


57. 


Ove  sono  a  noi  tolti  questi  ajuti, 
E  tanti  mila  son  dei  nostri  morti, 
E  quei,  eh'  a  venir  han,  son  già  venuti, 
Né  s'  aspetta  altro  legno,  che  u'  apporti; 
Quattro  son  giunti  a  Carlo,  non  tenuti 
Manco  d'  Orlando,  o  di  Rinaldo  forti; 
E  con  ragion;  che  da  qui  sino  a  Battro 
Potresti  mal  trovar  tali  altri  quattro. 

58.  Non  so,  se  sai,  chi  sia  Guiilon  Selvaggio, 
E  Sansonetto,  e  i  figli  d'  Oliviero. 

Di  questi  fo  più  stima,  e  più  tema  aggio. 
Che  d'  ogni  altro  lor  i!uca  e  cavalieri). 
Che  di  Lamagna,   o  d'  altro  stran  linguaggio 
Sia  contra  noi  per  ajtitar  1'   impero: 
Benché  importa  anco  assai  la  gente  nuova, 
Ch'  a'  nostri  danni  in  campo  si  ritrosa. 

59.  Quante  volte  uscirai  alla  campiigna, 
Tante  avrai  la  peggiore,  o  sarai  rollo. 

Se  spesso  perde  il   «-aiiipo  Africa  e  Spagna, 

Quando  siaiii  stati  sedici  per  otto; 

('he  sarà  ,   poidi'  Italia  e  clic  liiiiiiiigna 

('on  Francia  è  unita,  e    1  popolo  anglo  e  scotto, 

E  ch<^  sei  contra  dodici  saranno? 

Ch'  altro  si  può  sperar,  die  biasiuo  e  danno? 

La  geut<;  qui ,   là  perdi  a  un  tempo  il  regno, 
Se  in  (jiiCNta  iiiijircsa  più  duri  (Kotiiiato; 
Ove,  s'  al  ritornar  muti   di:4<-gno, 
L'  avanzo  di   noi  Kcr>i  con  lo  >tato. 
liasciar  ìlaiviiio  é  di  te  ca-<o  indegno, 
Cli'  ognun  te  ne  terrebbe  molto  ingrato: 
Ma  e'  è  riiiieilio:  far  con  ('arto  pa<e; 
Ch'   n  lui  deve  piacer,  se  a  te  pur  piace. 

33 


(;o 


[515] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXVIII.  61-T6) 


[5161 


61.  Pur,  se  ti  par,  che  non  ci  sia  il  tuo  onore, 
Se  tu,  che  prima  offeso  sei,  la  chiedi; 

E  la  battaglia  più  ti  sta  nel  core, 
Che,  come  sia  fin  qui  successa.  Tedi, 
Studia  ahnen  di  restarne  vincitore  ! 
Il  che  forse  avverrà,  se  tu  mi  credi, 
Se  d'  ogni  tua  querela  a  un  cavaliero 
Darai  T  assunto,  e  se  quel  fia  Ruggiero. 

62.  Io  '1  so,  e  tu  '1  sai,  che  Ruggier  nostro  è  tale, 
Che  già  da  solo  a  sol  con  1'  arme  in  mano 
Non  men  d'  Orlando,  o  di  Rinaldo  vale, 

Kè  d'  alcun  altro  cavaller  cristiano  : 
Ma  se  tu  vuoi  far  guerra  universale, 
Ancorché  '1  valor  suo  sia  soprumano, 
Egli  però  non  sarà  più ,  che  un  solo, 
Ed  avrà  di  par  suoi  contra  uno  stuolo. 

63.  A  me  par,  se  a  te  par,  eh'  a  dir  si  mandi 
Al  re  Cristian,  che  per  finir  le  liti, 

E  perchè  cessi  il  sangue,  che  tu  spandi 
Ognor  de'  suoi,  egli  de'  tuo'  infiniti. 
Incontra  un  tuo  guerrier  tu  gli  domandi. 
Che  metta  in  campo  uno  de'  suoi  più  arditi; 
E  faccian  questi  duo  tutta  la  guerra. 
Finché  r  un  vinca ,  e  1'  altro  resti  in  terra  ; 

64.  Con  patto,  che,  qual  d'  essi  perde,  faccia, 
Che  '1  suo  re  all'  altro  re  tributo  dia. 
Questa  condizion  non  credo  spiaccia 

A  Carlo,  ancorché  sul  vantaggio  sia. 
Mi  fido  sì  nelle  robuste  braccia 
Poi  di  Ruggier,  che  vincitor  ne  fia; 
E  ragion  tanta  è  dalla  nostra  parte. 
Che  vincerà,  s'  avesse  incontra  Marte. 

65.  Con  questi,  ed  altri  più  efficaci  detti 
Fece  Sobrin  sì,  che  '1  partito  ottenne; 
E  gì'  interpreti  fur  quel  giorno  eletti, 
E  quel  di  a  Carlo  1'  imbasciata  venne. 
Carlo,  eh'  avea  tanti  guerrier  perfetti. 
Vinta  per  sé  quella  battaglia  tenne, 

Di  cui  r  impresa  al  buon  Rinaldo  diede. 
In  chi  avea ,  dopo  Orlando ,  maggior  fede. 

66.  Di  questo  accordo  lieto  parimente 
L'  un  esercito  e  l'  altro  si  godea; 

Che  '1  travaglio  del  corpo  e  della  mente 

Tutti  avea  stanchi ,  e  a  tutti  rincrescca. 

Ognun  di  riposare  il  rimanente 

Della  sua  vita  disegnato  avea; 

Ognun  maledicea  1'  ire  e  i  furori, 

Ch'  a  risse  e  a  gare  avean  lor  desti  i  cori. 

67.  Rinaldo,  che  esaltar  molto  si  vede. 
Che  Carlo  in  lui  di  quel,  che  tanto  pesa. 
Via  più  che  in  tutti  gli  altri ,  ha  avuto  fede. 
Lieto  si  mette  all'  onorata  impresa. 
Ruggier  non  stima,  e  veramente  crede, 

Che  contra  sé  non  potrà  far  difesa;        • 
Che  suo  pari  esser  possa,  non  gli  è  avviso, 
Sebben  in  campo  ha  Mandricardo  ucciso. 

68.  Ruggier,  dall'  altra  parte,  ancorché  molto 
Onor  gli  sia,  che  '1  suo  re  l'  abbia  eletto, 

E  pel  miglior  di  tutti  i  buoni  tolto, 

A  cui  commetta  un  si  importante  effetto. 

Pur  mostra  affanno,  e  gran  mesti/.ia  in  volto; 

Non  per  paura,  clic  gli  turbi  il  petto; 

Che,  non  eh'  un  koI  Rinaldo,  ma  non  teme, 

Se  fosse  con  Rinaldo  Orlando  insieme; 


69.  Ma  perché  vede  esser  di  lui  sorella 
La  sua  cara  e  fidissima  consorte, 
Cb'  ognor  scrivendo  stimola  e  martella, 
Come  colei,  eh'  é  inguriata  forte. 
Or,  s'  alle  vecchie  offese  aggiugne  quella 
D'  entrare  in  campo  a  porle  il  frate  a  morte, 
Se  la  farà  d'  amante  così  odiosa, 
Ch'  a  placarla  mai  più  fia  dura  cosa. 

70.  Se  tacito  Ruggier  s'  affligge  ed  auge 
Della  battaglia,  che  mal  grado  prende. 
La  sua  cara  moglier  lagrima  e  piange. 
Come  la  nuova  indi  a  poche  ore  intende. 
Batte  il  bel  petto,  e  l'  auree  chiome  frange, 
E  le  guance  innocenti  irriga  e  offende; 

E  chiama,  con  rammarichi  e  querele, 
Ruggiero  ingrato,  e  il  suo  desCin  crudele. 

71.  D'  ogni  fin,  che  sortisca  la  contesa, 

A  lei  non  può  venime  altro ,  che  doglia. 

Ch'  abbia  a   morir  Ruggiero  in  questa   impresa, 

Pensar  non  vuol,  che  par  che  'l  cor  le  togli». 

Quando  anco  ,  per  punir  più  d'  una  offesa, 

Ija  mina  di  Francia  Cristo  voglia; 

Oltreché  sarà  morto  il  suo  fratello. 

Seguirà  un  danno  a  lei  più  acerbo  e  fello: 

72.  Che  non  potrà,    se  non  con  biasmo  e  scornò, 
E  nimicizia  di  tutta  sua  gente. 

Fare  al  marito  suo  mai  più  ritorno. 

Sicché  lo  sappia  ognun  pubblicamente. 

Come  s'  avea ,  pensando  notte  e  giorno, 

Più  volte  disegnato  nella  mente; 

E  tra  lor  era  la  promessa  tale. 

Che  '1  ritrarsi  e  il  pentir  più  poco  vale. 

73.  Ma  quella,  usata  nelle  cose  avverse 
Di  non  mancarle  di  soccorsi  fidi, 
Dico  Melissa  maga ,  non  sofferse 
Udirne  il  pianto  e  i  dolorosi  gridi  ; 

E  venne  a  consolarla ,  e  le  prof  erse. 
Quando  ne  fosse  il  tempo ,  alti  sussidj 
E  disturbar  quella  pugna  futura. 
Di  eh'  ella  piange  e  si  pon  tanta  cura. 

74.  Rinaldo  intanto ,  e  1'  inclito  Ruggiero 
Apparecchiavan  1'  arme  alla  tenzone. 

Di  cui  dovea  l'  eletta  al  cavaliero. 

Che  del  romano  imperio  era  campione; 

E  come  quel  che,  poiché  '1  buon  destriero 

Perde,  Bajardo,  andò  sempre  pedone, 

Si  elesse  a  pie,  coperto  a  piastra  e  a  maglia, 

Con  r  azza  e  col  pugnai  far  la  battaglia. 

75.  O  fosse  caso,  o  fosse  pur  ricordo 
Di  Malagigi  suo ,  provido  e  saggio, 
Che  sapea,  quanto  Balisarda  ingordo 

Il  taglio  avea  da  fare  all'  arme  oltraggio. 
Combatter  senza  spada  fur  d'  accordo 
L'  uno  e  1'  altro  guerrier,  come  detto  aggio. 
Del  luogo  s'  accordar  presso  alle  mura 
Dell'  antico  Arli ,  in  una  gran  pianura. 

76.  Appena  avea  la  vigilante  Aurora 
Dall'  ostel  di  Titon  fuor  messo  il  capo. 
Per  dare  al  giorno  terminato ,  e  all'  ora, 
Ch'  era  prefissa  alla  battaglia,  capo. 
Quando  di  qua  e  di  là  vennero  fuora 

I  deputati;  e  questi  in  ciascun  capo 
Degli  steccati  i  padiglion  tiraro, 
Appresso  ai  quali  ambi  un  aitar  fermaro. 


.17] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXXVm.  n— 00) 


[518] 


7.  Non  molto  dopo,  instrutto  a  schiera  a   schiera 
Sì  vide  uscir  1'  esercito  pagano. 
In  mezzo  armato,  e  sontuoso  v'  era 
Di  bacharica  pompa  il  re  Africano, 
E  su  un  bajo  corsier  di  chioma  nera, 
ì)ì  fronte  bianca,  e  di  duo  piò  bai/ano; 
A  pari  a  par  con  lui  venia  Ruggiero, 
A  cui  servir  non  è  Marsilio  altiero. 

8.  L'  elmo,  che  dianzi  con  travaglio  tanto 
Trasse  di  testa  al  re  di  Tartaria; 
L'  elmo,  che,  celebrato  in  maggior  canto, 
Portò  il  trojano  Ettor  mill'  anni  pria, 
Gli  porta  il  re  Marsilio  a  canto  a  canto. 
Altri  principi  ed  altra  baronia 
S'  hanno  partite  1'  altre  arme  fra  loro, 
Ricche  di  gioje ,  e  ben  fregiate   d'  oro. 


^0. 


il. 


!'9.      Dall'  altra  parte,  fuor  dei  gran  ripari 
Re  Carlo  uscì  con  la  sua  gente  d'  arme, 
Con  gli  ordini  medesmi  e  modi  pari. 
Che  terria ,  se  venisse  al  fatto  d'  arme. 
Cingonlo  intorno  i  suoi  famosi  pari  ; 
E  Rinaldo  è  con  lui  con  tutte  1'  arme, 
Fuorché  1'  elmo ,  che  fu  del  re  Mambrino, 
Che  porta  Uggier  danese,  paladino: 

£  di  due  azze  ha  il  duca  INamo  V  una, 
E  r  altra  Salaraon,  re  di  Bretagna. 
Carlo  da  un  lato  i  suoi  tutti  raguna  ; 
Dall'  altro  son  quei  d'  Africa  e  di  Spagna, 
Nel  mezzo  non  appar  persona  alcuna; 
Voto  riman  gran  spazio  di  campagna; 
Che,  per  bando  comune,  a  chi  vi  sale. 
Eccetto  ai  duo  guerrieri,  è  capitale. 

Poiché  dell'  arme  la  seconda  eletta 
Si  die'  al  campion  del  popolo  pagano, 
Duo  sacerdoti ,  1'  un  dell'  una  setta, 
L'  altro  dell'  altra,  uscir  coi  libri  in  mano. 
In  quel  del  nostro  é  la  vita  perfetta 
Scritta  di  Cristo;  e  l'  altro  è  1'  Alcorano. 
Con  quel  dell'  evangelio  si  fé'  innante 
L'  imperator;  con  1'  altro  il  re  Agrasnante. 

Giunto  Carlo  all'  aitar,  che  statuito 
I  suoi  gli  aveano,  al  cit'I  levò  le  palme, 
E  disse:  Oh  Dio,  eh'  hai  di  morir  patito 
Per  redimer  da  morte  le  nostr'  alme! 
Oh  Donna,  il  cui  valor  fu  sì  gradito, 
Che  Dio  prese  da  te  1'  umane  salme, 
E  nove  mesi  fu  nel  tuo  santo  alvo. 
Sempre  serbando  il  fior  virgineo  salvo; 

53.     Siatemi  testimoni ,  eh'  io  prometto 
Per  me,  e  per  ogni  mia  successione. 
Al  re  Agramante,  ed  a  chi  dopo  eletto 
Sarà  al  governo  di  sjia  regione. 
Dar  venti  some  ogni  anno  d'  oro  s<-hietto, 
S'  oggi  qui  riman  vinto  il  mio  campione; 
E  clr  io  prometto  subito  la  tregua 
Incumiuciar,  che  poi  perpetua  bcgua! 


52 


84.     E  se  'n  ciò  manco,  subito  s'  accenda 
La  formidabil  ira  d'  ambidui  ; 
La  qual  me  solo  e  i  miei  figliuoli  offenda 
Non  alcun  altro,  che  sia  qui  con  nui; 
Sicché  in  brevissima  ora  si  comprenda. 
Che  sia  il  mancar  della  promessa  a  vui. 
Così  dicendo  Carlo,  sul  vangelo 
Tenea  le  mano,  e  gli  occhj  fissi  al  cielo. 

85, 


m 


87, 


Si  levan  quindi,  e  poi  vanno  all'  altare 
Cile  riccamente  avean  pagani  adorno  ; 
Ove  giurò  Agramante,  eh'  oltre  al  mare 
Con  r  esercito  suo  faria  ritorno, 
Ed  a  Carlo  darla  tributo  pare, 
Se  restasse  Ruggicr  vinto  quel  giorno; 
E  perpetua  tra  lor  tregua  saria, 
Coi  patti,  eh'  avea  Carlo  detti  pria. 

E  similmente  con  parlar  non  basso 
Cliiamando  in  testimonio  il  gran  3Iaumette 
Sul  libro,  che  in  man  tiene  il  suo  papasso' 
Ciò  che  detto  ha,  tutto  osservar  promette.  ' 
Poi  del  campo  si  partono  a  gran  passo 
E  tra  i  suoi  T  uno  e  1'  altro  si  rimette* 
Poi  quel  par  di  campioni  a  giurar  venne 
E  '1  giuramento  lor  questo  contenne: 

Ruggier  promette,  se  dalla  tenzone 
n  suo  re  viene,  o  manda  a  disturbarlo. 
Che  né  suo  guerrier  più,  né  suo  barone 
Esser  mai  vuol,  ma  darsi  tutto  a  Carlo. 
Giura  Rinaldo  ancor,  che,  se  cagione 
Sarà  del  suo  signor  quindi  levarlo. 
Finché  non  resti  vinto  egli,  o  Rufo-ìero 
Si  farad'  Agramante  cavaliero. 

Poiché  le  cerimonie  finite  hanno, 
Si  ritorna  ciascun  dalla  sua  parte; 
Né  v'  indugiano  molto,  che  lor  danno 
Le  chiare  trombe  segno  al  fiero  Marte. 
Or  gli  animosi  a  ritrovar  si  vanno. 
Con  senno  i  passi  dispensando,  ed  arte 
Ecco  si  vede  incominciar  l'  assalto. 
Sonar  il  ferro,   or  girar  basso,  or  alto. 

89.  Ora  innanzi  col  calce,  or  col  martello 
Accennan,  quando  al  capo,  e  quando  al  piede, 
Con  tal  destrezza,  e  con  modo  sì  snello 

Ch'  ogni  credenza  il  raccontarlo  eccede. 
Ruggier,  che  combattea  contra  il  fratello 
Di  chi  la  misera  alma  gli  possiede, 
A  ferir  lo  venia  con  tal  riguardo. 
Che  stimato  ne  fu  manco  gagliardo. 

90.  Era  a  parar,  più  eh'  a  ferire,  intento, 
E  non  sapea  egli  stesso  il  suo  desire. 
Spegner  Rinaldo  saria  mal  contento, 

Né  vorria  volentieri  egli  morire. 
Ma  ecco  giunto  al  termine  mi  sento. 
Ove  convien  i'  istoria  dillerirc. 
Neil'  altre»  canto  il  resto  intenderete, 
S'  udir  neir  altro  canto  mi  vorrete. 


&8. 


33  * 


[519] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXIX.  1  —  12.) 


imi 


CANTO     TRENTESIMONONO. 


ARGOMENTO. 

Ingannato  Àgramante  rompe  il  patto. 
Che  con  V  imperator  già  fatto  avea; 
Ed  è  il  campo  di  lui  rotto  e  disfatto, 
E  ne  ottiene  quel  fin  ,  c/t'  egli  dovea. 
Presso  Biserta  essendo  Orlando  tratto 
Riceve  il  senno,  che  7  duca  tenea. 
Con  più  legni  Àgramante  in  mar  si  pone, 
Ed  assalilo  vicn  dal  buon  Dudone. 


.  ^  L'  affanno  di  Rng^gier  ben  reramente 
E  sopra  ogni  altro  duro,  acerbo  e  forte, 
Di  cui  travaglia  il  corpo ,  e  più  la  mente, 
Poiché  di  due  fuggir  non  può  una  morte  ; 
O  da  Rinaldo,  se  di  lui  possente 
Fia  meno  ;  o  se  fia  più  ,  dalla  consorte. 
Che,  se  'l  fratel  le  uccide,  sa  che  incorre 
IVeir  odio  suo ,  che  più  che  morte  abborre. 

Rinaldo,  che  non  ha  sirail  pensiero, 
In  tutti  i  modi  alla  vittoria  aspira; 
Mena  dell'  azza  dispettoso  e  fiero, 
Quando  alle  braccia,  e  quando  al  capo  mira. 
Volteggiando  con  1'  asta  il  buon  Ruggiero 
Ribatte  il  colpo,  e  quinci  e  quindi  gira; 
E  se  percuote  pur,  disegna  loco. 
Ove  possa  a  Rinaldo  nuocer  poco. 

Alla  più  parte  de'  signor  paglini 
Troppo  par  diseguale  esser  la  zuffa. 
Troppo  è  Ruggier  pigro  a  menar  le  mani; 
Troppo  Rinaldo  il  giovane  ribuffa. 
Smarrito  in  faccia  il  re  degli  Africani 
Mira  r  assalto,  e  ne  sospira  e  sbuffa, 
Ed  accusa  Sobrin ,  da  cui  proi^e 
Tutto  r  error,  che  il  mal  consìglio  diede. 

Melissa,  in  questo  tempo,  eh'  era  fonte 
DI  quanto  sappia  incantatore,  o  mago, 
Avea  cangiata  la  fcnniiinil  fronte, 
E  del  gran  re  d'  Algier  presa  I'  imago. 
Sembrava  al  viso  e  ai  gesti  Rodomonte, 
E  parca  armata  di  jielle  di  drago; 
E  tal  lo  scudo,  e  tal  la  spada  al  fianco 
Avea,  quale  usava  egli,  e  nulla  manco. 

Spinse  il  demonio  innanzi  ai  mesto  figlia 
Del  re  trojan»,  in  forma  di  rav;:H«, 
E  con  gran  voce  e  con  loricato  ciglio 
Disse:  Signor,  questo  è  pur  troppi»   fallo, 
CAi'  un  giovane  inesperto  a  far  periglio, 
Contra  un  si  forte  e  si  famoso  Gallo 
Abbiate  eletto,  in  cohìi  di   tal  sorte. 
Che  '1  regno  e  1'  ouor  d'  Africa  ii'  importe. 


6.  Non  sì  lasci  seguir  questa  battaglia, 
Cile  ne  sareltbe  in  troppo  detrimento! 
Su  Rodomonte  sia  ;  né  ve  ne  caglia, 
L'  avere  il  patto  rotto,  e  '1  giuramento! 
Dimostri  ognun,  come  sua  spada  taglia! 
Poich'  io  ci  sono,  ognun  di  voi  vai  cento. 
Potè  questo  |)arlar  sì  in  Àgramante, 
Che,  senza  più  pensar,  si  cacciò  innante. 

7.  Il  creder  d'  aver  seco  il  re  d'  Algieri 
Fece,  che  si  curò  poco  del  patto; 

E  non  avria  di  mille  cavalieri, 
Giunti  in  suo  ajuto ,  sì  gran  stima  fatto. 
Perciò  lance  abbassar,  spronar  destrieri 
Di  qua,  di  là,  veduto  fu  in  un  tratto. 
Melissa ,  poiolié  con  sue  finte  larve 
La  battaglia  attaccò,  subito  sparve. 

8.  I  duo  campion,  che  veggono  tiu-barsi 
Contra  ogni  accordo ,  contra  ogni  promessa, 
Senza  più  1'  un  con  1'  altro  travagliarsi, 
Anzi  ogni  ingiuria  avendosi  rimessa, 

Fede  si  dan,  né  qua,  né  là  impacciarsi, 
Finché  la  cosa  non  sia  meglio  espressa. 
Chi  stato  sia,  che  i  patti  ha  rotto  innante, 
O  '1  vecchio  Carlo,  o  '1  giovane  Àgramante; 

9.  E  replicar  con  novi  giuramenti 

D'  esser  nemici  a  chi  mancò  di  fede. 

Sozzopra  se  ne  van  tutte  le  genti; 

Chi  porta  innanzi,  e  chi  ritorna  il  piede; 

Chi  sia  fra  i  vili,  e  chi  tra  i  più  valenti, 

In  un  atto  medesimo  si  vede. 

Son  tutti  parimente  al  correr  presti  ; 

Ma  quei  corrono  innanzi,  e  indietro  questi. 

10.  Come  levrier,  che  la  fugace  fera 
Correre  intorno ,  ed  aggirarsi  mira, 

]\é  può  con  gli  altri  cani  andare  in  schiera, 
Che  i  cacciator  lo  tien  ,  si  strugge  d'  ira, 
Si  tormenta,  s'  affligge  e  si  dispera. 
Schiattisce  indarno ,  e  si  dibatte ,  e  tira  : 
Così  sdegnosa  infili  allora  stata 
Marfisa  era  quel  dì  con  la  cognata. 

11.  Fin  a  queir  ora  avean  quel  dì  vedute 
Si  rilucile  prede  in  spazioso  piano  ; 

E  che  fosser  dal  patto  ritenute 
Di  non  poter  seguirle,  e  porvi  mano, 
Rammaricate  s'  erano,  e  dolute, 
E  n'  avean  molto  sospirato  invano. 
Or  che  i  patti  e  le  tregue  vider  rotte, 
Liete  saltar  nell'  africane  frotte. 

12.  Marfisa  cacciò  1'  asta  per  lo  petto 

Al  primo,  che  scontrò,  due  braccia  dietro; 

Poi  trasse  il  brando,  e  in  itien  che  non  1'  ho  detto, 

Spezzò  quattro  elmi ,  che  sembrar  di  vetro. 

Hradaiuante  non  le'  minore  effetto: 

Ma  r  asta  d'  or  tenne  diverso  metro: 

Tutti  quei,  che  toccò,  per  terra  mise; 

Duo  tanti  far,  ne  però  alcuno  uccise. 


.21] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XXXIX.  13  —  28) 


[522] 


Questo  sì  presso  V  una  all'  altra  fero,  .   21 

Che  testiraonie  se  ne  fiir  tra  loro.  j 

Poi  sì  scostaro  ,  ed  a  ferir  si  dicro,  1 

Ove  le  trasse  1'  ira,  il  popol  moro. 
Chi  potrà  conto  a\er  d'  Oji^ni  guerriero,  ' 

Ch'  a  terra  mandi  quella  lancia  d'  oro  ? 

0  d'  ojj^ni  testa,  che  tronca,  o   divisa 
Sia  dall'  orribil  «:pada  di  Marfisa.*' 

Come  al  soffiar  de'  più  benigni  venti,  22, 

Quando  Apennin  sciiopre  1'  erbose  spalle,  j 

Movonsi  a  par  due  torbidi  torrenti,  i 

Che  nel  cader  fan  poi  diverso  calle; 
Svellono  i  sassi ,  e  gli  arbori  eminenti  I 

Dall'  alte  ripe,  e  portan  nella  valle 
Le  biade  e  i  campi,  e  quasi  a  gara  fanno 
A  chi  far  può,  nel  suo  cammin,  più  danno: 

15.      Cosi  le  due  magnanime  guerriere,  23 

Scorrendo  il  camp(>  per  diversa  strada, 
Gran  strage  fan  nell'  africane  schiere, 

I       L'  una  con  1'  asta,  e  l'  altra  con  la  spada.  | 

Tiene  Agramante  ajìpena  alle  bandiere 
La  gente  sua,  che  in  fuga  non  ne  vada.  j 

luvan  domanda,  invan  volge  la  fronte,  i 

I       ÌNè  può  saper ,  che  sia  di  Rodomonte.  ' 

IG.      A  conforto  di  lui  rotto  avea  il  patto,  21. 

(Cosi  credea)  che  fu  solennemente,  I 

1  dei  chiamando  in  testimonio,  fatto; 

Poi  s'  era  dileguato  si  repente.  ] 

]\è  Sobrio  vede  ancor.     Sobrio  ritratto  i 

In  Arli  s'  era,  e  dettosii  innocente;  ! 

Perchè  di  quel  pergiuro  aspra  vendetta  | 

Sopra  Agramante  il  di  medesmo  aspetta.  ! 

17.  Marsilio  anco  è  fuggito  nella  terra,  !  25. 
Si  la  religion  gli  preme  il  core.  | 
Perciò  male  Agramante  il  passo  serra 
A  quei,  che  mena  Carlo  imperatore, 
D'Italia,  di  Lamagna  e  d'  Inghilterra, 
Che  tutte  genti  son  d'  alto  valore. 
Ed  hanno  i  paladin  sparsi  tra  loro. 
Come  le  gemme  in  un  ricamo  d'  oro. 

18.  E  presso  ai  paladini  alcun  perfetto,  2G, 
Quanto  esser  possa  al  moncb» ,  cavalicro  ; 
Guidon  Selvaggio ,  1'  intrepido  petto, 
E  i  duo  famosi  figli  d'  Oliviero. 
Io  non  voglio  ridir,  eh'  io  1'  ho  già  detto. 
Di  quel  par  di  donzctlle  ardito  e  fiero. 
Questi  uccidcan  di  genti  Saracino 
Tanto,  elle  non  v'  è  numero,  nò  fine. 

19.  Ma  differendo  questa  pugna  alquanto,  '•   27 
Io  vo'  passar  senza  naviglio  il  mare. 

Mon  ho  con  quei  di  Francia  da  far  tanto,  : 

Ch'  io  non  m'  abbia  d'  /lytolfo  a  ricordare.  I 

La  grazia,  «;he  gli  die'  i'  a|)ostol  santo. 

Io  v'  ho  già  d(^tto  ;  e  detto  aver  ini  pare. 

Che  '1  re  Hran/ardo  e  '1  re  dell'  Algazera,  I 

Per  girgli  inc(nitra ,  armasse  ogni  sua  schiera.  ' 

20.  Fnrnn  di  quei  .  eh'  aviT  poteano  in  frotta,  -8. 
Le  Hcliiere  di  ditta  Africa  raccolti', 

Non  ni(;n  d'  inleroia  <^là,  cIk-  di  perfetta; 
Qua^ì  eir  ancor  le  reniinine  tur  tolte. 
Agramante,  oslinato  alla  vendetta, 
Avea  già  vota  1'  Africa  due  volte. 
Poche  genti  rimale  erano  ,   e  quello 
Esercito  fucean  timido  e  imbelle. 


Ben  lo  mostrar  ;  che  lì  nemici  appena 
Vider  lontan ,  che  se  n'  andaron  rotti. 
Astolfo  come  pecore  li  mena 
Dinanzi  ai  suoi ,  di  guerreggiar  più  dotti, 
E  fa  restarne  la  campagna  piena. 
Pochi  a  Biserta  se  ne  son  ridotti. 
Prigion  rimase  Bucifar  gagliardo  ; 
Sah  ossi  nella  terra  il  re  Branzardo, 

Via  più  dolente  sol  dì  Bucifaro, 
Che  se  tutto  perduto  avesse  il  resto. 
Biserta  è  grande ,  e  farle  gran  riparo 
Bisogna;  e  senza  lui  mal  può  far  questo. 
Poterlo  riscattar  molto  avria  caro. 
Mentre  vi  pensa ,  e  ne  sta  affiitto  e  mesto, 
Gli  viene  in  mente,  come  tien  prigione 
Già  molti  mesi  il  paladin  Dudone. 

Lo  prese  sotto  a  Monaco  in  riviera 
n  re  di  Sarza  nel  primo  passaggio. 
Da  indi  in  qua  prigion  sempre  stato  era 
Dudon ,  che  del  danese  fu  lignaggio. 
Mutar  costui  eoi  re  dell'  Algazera 
Pensò  Branzardo,  e  ne  mandò  messaggio 
Al  capitan  de'  Kubi  ;  perchè  intese 
Da  vera  spia ,  eh'  egli  era  Astolfo  inglese. 

Essendo  Astolfo  paladin,  comprende, 
Che  dee  aver  caro  un  paladino  sciorre. 
Il  gentil  duca ,  come  il  caso  intende, 
Col  re  Branzardo  in  un  voler  concorre. 
Liberato  Dudon,  grazie  ne  rende 
Al  duca,  e  seco  si  mette  a  disporre 
Le  cose ,  che  appartengono  alla  guerra, 
Cosi  quelle  da  uiar,  come  da  terra. 

Avendo  Astolfo  esercito  infinito 
Da  non  gli  far  sette  Afriche  difesa, 
E  rammentando  ,  come  fu  ammonito 
Dal  santo  vecchio ,  che  gli  die  V  im|)rcsa. 
Di  tor  Provenza ,  e  d'  Acquamorta  il  lito 
Di  man  de'  Saracin ,  che  1'  avean  presa, 
D'  una  gran  turba  fece  nuova  eletta, 
Quella  eh'  al  mar  gli  parve  nnmco  inetta. 

Ed  avendosi  piene  ambe  le  palme, 
Quanto  potean  capir,  di  varie  fronde, 
A  lauri,  a  cedri  tolte,  a  olive,  a  palme, 
Venne  sul  mare ,  e  le  gittò  nell'  onde. 
Oh  felici ,  e  dal  ciel  ben  dilette  alme  ! 
Grazia,  che  Dio  raro  a' mortali  infonde! 
O  stupendo  miracolo  ,  che  nacque 
Di  quelle  frondi ,  come  fur  nell'  acque  ! 

Crebbero  in  quantità  fuor  d"  ogni  >tiina: 
Si  feron  curve  e  grosse  e  lunghe  e  gra\i. 
Le  vene,  eh'  attraverso  aveano  prima, 
Mutaro  in  dure  spranghe,  e  in  gro^se  travi; 
E  rimanendo  acute  in\er  la  cima, 
'l'utte  in  \in  tratto  di>entaron  navi. 
Di  dilVerenti  qualitadi ,  e  tante, 
Quante  raccolte  fur  da  varie  piante. 

Miracol  fu  veder  le  frondi  sparte 
Proibir  fu>te,    gab'-e,  inni  da  gabbia. 
Eli  mirabile  ancor,   che  >ele  e  >arte 
E  remi  avean  ,  quanto  ab  un  b^gno  n'.ibbia. 
Non  iii.incò  al  duca  poi  chi  a^e.^se  l    arie 
Di  governarsi  alla  ventosa  rabbia: 
('he  di  Sardi  e  di  Cor>ì  non  remoti, 
Noccliier,  padron,  pennesi  ebbe,  e  piloti. 


[523] 


ORLANDO  FURIOSO.      (XXXIX.  29-44) 


29.  Quelli,  che  entraro  in  mar,  contati  foro 
Ventisei  mila,  e  gente  d'  ogni  sorte. 
Dudone  andò  per  capitano  loro, 

Cavalier  saggio,  e  in  terra  e  in  acqua  fitrte. 
Stava  r  armata  ancora  al  lito   moro. 
Miglior  vento  aspettando,   che  la  porte. 
Quando  un  naviglio  giunse  a  quella  riva, 
Che  di  presi  guerrier  carco  veniva. 

30.  Portava  quei,  eh'  al  periglioso  ponte. 
Ove  alle  giostre  il  campo  era  si  stretto. 
Pigliato  avea  1'  audace  Rodomonte, 
Come  più  volte  io  v'  ho  di  sopra  detto. 
Il  cognato  tra  questi  era  del  conte, 

E   '1  t'edel  Brandimarte,  e  Sansonetto, 
Ed  altri  ancor,  che  dir  non  mi  hisogna, 
D'  Alamagna,  d'  Italia  e  di  Guascogna. 

31.  Quivi  il  nocchier ,    eh'  ancor  non  s'  era  accort< 
Delli  nemici,  entrò  con  la  galea. 

Lasciando  molte  miglia  addietro  il  porto 
D'  Algieri,  ove  calar  prima  volea, 
Per  un  vento  gagliardo ,  eh'  era  sorto 
E   spinto  oltre  il  dover  la  poppa  avea. 
Venir  tra  i  suoi  credette,  e  in  loco  fido. 
Come  vien  Progne  al  suo  loquace  nido. 

32.  Ma  ,  come  poi  1'  imperiale  augello, 

I  gigli  d'  oro ,  e  i  pardi  vide  appresso, 

Restò  pallido  in  faccia,  come  quello. 

Che  '1  piede  incauto  d'  improvviso  ha  messo 

Sopra  il  serpente  venenoso  e  fello. 

Dal  pigro  sonno  in  mezzo  1'  erhe  oppresso; 

Che  spaventato  e  smorto  si  ritira, 

Fuggendo  quel,  eh'  è  pien  di  tosco  e  d'  ira. 

33.  Già  non  potè  fuggir  quindi  il  nocchiero, 
Né  tener  seppe  i  prigion  suoi  di  piatto. 
Con  Brandimarte  fu ,  con  Oliviero, 

Con  Sansonetto ,  e  con  molti  altri  tratto. 
Ove  dal  duca,  e  dal  figliuol  d'  Uggieru 
Fu  lieto  viso  alli  suoi  amici  fatto; 
E  per  mercede  lui,  che  li  condusse, 
Volson,  che  condannato  al  remo  fusse. 

34.  Come  io  vi  dico,  dal  figliuol  d'  Ottone 
I  cavalier  Cristian  luron  ben  visti, 

E  di  mensa  onorati  al  padiglione, 

U'  arme,  e  di  ciò  che  bisognò,  provvisti. 

Per  amor  d'  essi  differì  Dudone 

L'  andata  sua;  clic  non  minori  acquisti 

Di  ragionar  con  tai  baroni   estima. 

Che  d'  ester  gito  uno,  o  due  giorni  prima. 

35.  In  che  stato,  in  che  termine  si  trove 
E  Francia  e  Carlo ,  istruziun  vera  ebbe, 
E  dove  più  sicuramente,  e  dove. 

Per   far  migliore  effetto,  calar  debbo. 

Mentre  da  lor  venia  intendendo  nuove,  j 

S'  udì  un  rumor,  che  tuttavia  più  crebbe;  | 

E  un  dar  all'  arme  ne  seguì  sì    fiero,  | 

Che  fece  a  tutti  far  più  d'  un  pensiero.  i 

36.  Il  duca  Astolfo  e  la  compagnia  bella, 

Clic  ragionando  insieme  si  trovaro,  i 

In  un   mi>mfnt<»  armati  furi»  ,  e  in  sella,  I 

E  verso  il  maggior  grido  in  fretta  andare.  I 

Di  qua  di  là  c(rrcaiHÙ>  pur  novella 

Di  quel  rumore ,   in   loc(»  capituro. 

Ove  videro  un  noni  tanto  feroce,  i 

Che,  nudo  e  buIu,  a  tutto  '1  campo  nuoce.  I 


I    37.      Menava  un  suo  baston  di  legno  in  volta, 
I  Ch'  era  sì  duro  e  sì  grave  e  sì  fermo, 

I  Clic  declinando   quel ,  Iacea  ogni  v«»lta 

Cadere  in  terra  un  uom  peggio,  clic  infermo. 

Già  a  più  di  cento  avea  la  vita  tolta, 

]\è  pili  se  gli   facea  riparo,  o  schermo, 
I  Se  non  tirando  di  lontun  saette; 

D'  appresso  non  è  alcun  già,  che  T  aspette. 

38.  Dudone,  Astolfo,  Brandimarte  ,  essendo 
Corsi  in  fretta  al  romore,  ed  Oliviero, 
Della  gran  forza  e  del  valor  stupendo 
Stavan  meravigliosi  di  quel  fiero  ; 
Quando  venir  su  un  palafren  correndo 

A  ider  una  donzella  in  vestir  nero, 

Cile  (;orse  a  Brandimarte,  e  salutollo, 

E  gli  alzò  a  un  tempo  ambe  le  braccia  al  collo. 

39.  Questa  era  Fiordiligi ,  che  sì  acceso 
Avea  d'  amor  per  Brandimarte  il  core, 
Che,  quando  al  ponte  stretto  il  lasciò  preso. 
Vicina   ad  impazzar  fu  di  dolore. 

Di  là  dal  mare  era  passata,  inteso 
Avendo  dal  pagan ,  che  ne  fu  autore, 
Che  mandato  con  molti  cavalieri 
Era  prigion  nella  città  d'  Algieri. 

40.  Quando  fu  per  passare,  avea  trovato 
A  Marsiiia  una  nave  di  Levante, 

Ch'  un  vecchio  cavaliero  avea  portato 
Della  famiglia  del  re  Monodante, 
11  qual  molte  province  avea  cercato, 
Quando  per  mar,  quando  per  terra  errante, 
Per  trovar  Brandimarte;  che  nuova  ebbe 
Tra  via  di  lui,  che  'n  Francia  il  troverebbe. 

il.      Ed  ella ,  conosciuto ,  che  Bardino 
Era  costui;  Bardino,  che  rapito 
Al  padre  Brandimarte  piccolino, 
Ed  a  rocca  Silvana  avea  nutrito, 
E  la  cagione  intesa  del  cammino. 
Seco  fatto  r  avea  scioglier  dal  lito, 
Avendogli  narrato,  in  che  maniera 
Brandimarte  passato  in  Africa  era. 

■12.      Tostochè  furo  a  terra,  udir  le  nuove, 
Ch'  assediata  da  Astolfo  era  Biserta. 
Cile  seco  Brandimarte  si  ritrovo, 
Udito  avean,  ma  non  per  cosa  certa. 
Or  Fiordiligi  in  tal  fretta  si  muove. 
Come  lo  vede,  che  ben  mostra  aperta 
Quella  allegrezza,  che  i  pi-ecessi  guai 
Le  fero  la  maggior ,  eh'  avesse  mai. 

43.  Il  gentil  cavalier  non  men  giocondo 
Di  veder  la  diletta  e  fida  moglie, 

Ch'  amava  più ,  che  cosa  altra  del  mondo, 

L'  abbraccia  e  stringe ,  e  dolcemente  accoglie  : 

]\è  jier  saziare  al  primo,  nò  al  secondo, 

Kè  al  tery.(»  bacio  era  l'  accese  voglie, 

Se  non ,    eh'  alzando  gli  occhj  ,  ebbe  veduto 

Bardin,  che  con  la  donna  era  venuto. 

44.  Stese  le  mani,  ed  abbracciar  lo  volle, 
E  insieme  diunandur,  perchè  venia; 
Ma  di  poterlo  far  tempo  gli  lolle 

11  <-.am|)o ,  che  in  disordine  foggia 
Dinanzi  a  quei  baston ,  che  '1  nudo  folle 
Menava  intorno ,  e  gli  facea  dar  via. 
Fiordiligi  mirò  quel  nudo  in  fronte, 
E  gridò  u  Brandimartu:  Eccovi  il  conte! 


25] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XXXIX.   45  —  60) 


[526] 


3.      Astolfo  tutto  a  un  tempo,  eh'  era  quivi. 
Che  questo  Orlando  fosse ,  ebbe  palese 
Per  alcun  se^no ,  che  da'  vecchj  divi 
Su  nel  terrestre  paradiso  intese. 
Altramente  restavan  tutti  privi 
Di  cognizion  di  quel  signor  cortese, 
Che ,  per  lungo  sprezzarsi ,  come  stolto, 
Avca  di  fera ,  più  che  d'  uomo ,  il  volto. 

5.     Astolfo  per  pietà,  che  gli  trafisse 
Il  petto  e  il  cor,  si  volse  lagrimando. 
Ed  a  Dudon,  che  gli   era  appresso,  disse. 
Ed  indi  ad  Oliviero  :  Eccovi  Orlando  ! 
Quei,  gli  occlij  alquanto  e  le  palpebre  fisse 
Tenendo  in  lui,  1'  andar  raflìgurando; 
E  '1  ritrovarlo  in  tal  calaniitade 
Gli  empì   di  meraviglia  e  di  pietade. 

17.      Piangcano  quei  signor  per  la  più  parte; 
Sì  lor  ne  dolse,  e  lor  n'  increbbe  tanto! 
Tempo  è,  lor  disse  Astolfo,  trovar  arte 
Di  risanarlo,  e  non  di  fargli  il  pianto. 
E  saltò  a  piede,  e  così  Brandiniarte, 
Sansonetto ,  Oliviero,  e  Dudon  santo; 
E  si  avvcntaro  al  nijiote  di  Carlo 
Tutti  in  un  tempo ,  che  volcan  pigliarlo. 

8.      Orlando,  che  si  vide  fjir  il  cerchio, 
3Ienò  il  baston  da  disperato  e  folle, 
Ed  a  Dudon ,  che  si  facea  coperchio 
Al  capo  dello  scudo,  ed  entrar  volle. 
Fé'  sentir,  eh'  era  grave  di   sopcrcliio; 
E  se  non  che  Olivier  col  brando  tolle 
Parte  del  colpo  ,  avria  il  Itastone  ingiusto 
Rotto  Io  scudo,  i'  elmo,  il  capo,  e  il  busto. 

19.      Lo  scudo  roppc  solo,   e  suH'  elmetto 
Tempestò  si,  che  Dudon  cadde  in  terra. 
Menò  la  spada  a  un  tempo  Sansonetto, 
E  del  baston  più  di  duo  braccia  afferra 
Con  valor  tal,  che  tutto  il  taglia  netto. 
Brandimarte ,  eh'  addosso  se  gli  serra, 
Gii  cinge  i  fianchi  quanto  può,  con   amlie 
Le  braccia,  e  Astolfo  il  piglia  nelle  gambe. 

50.  Scuotesi  Orlando,  e  lungi  dieci  passi 
Da  sé  r  Inglese  fé'  cader  ri\rr^o. 
Non  fa  però  ,  che  Brandimarte  il  lassi, 
C|ie  con  più  forza  T  ha  i)reso  attraverso. 
Ad  Olivier,  che  troppo  innanzi  fassl. 
Menò  un  pugno  sì  duro,  e  sì  perverso, 
Che  lo  fé'  cader  pallido  ed  «ssangiio, 

E  dal  naso  e  dagli  occlij  uscirgli  il  sangue. 

51.  E  se  non  era  1'  elmo  più  che  buono, 

Che  nvea  Olivier,  l'  avria  quel  pugno  uccido. 

Cadde  però ,  come  se  fatto  dono 

Avesse  dello  spirto  al  paradiso. 

Dud(»nc  e  Astolfo,  die  levati  sono, 

Ben<:liè  Oiulone  abbia  gonfiato  il  viso, 

E  Sansonetto,  che  '1  bel  colpo  ba  fatto. 

Addosso  u  Orlando  son  tutti  in  un  tratto. 

52.  Dudon  con  gran  vigor  dietro  1'  nbbraccìn, 
Pur  tentando  <;ol  jiit;  farlo  cadere  : 

AKttdfo  0  gli  altri  gli  bau  pir:.(;  le  braccia, 
Né  lo  pon  lutti  iii>i<;iiic  an<o  tenere. 
Chi  ba  vi>lo  toro,  a  cui  si  dia  la  caccia, 
E  cir  al  li;  oiiTcbie  abbia  le  zanne  fiere. 
Correr  miiggliiando,  e  trarre,  ovunque  corre, 
1  cani  geco,  e  non  potersi  sciorre; 


53.  Immagini,  che  Orlando  fosse  tale. 
Che  tutti  quei  guerrier  seco  traea. 
In  quel  tempo  Olivier  di  terra  sale 
Là,  dove  steso  il  gran  pugno  1'  avea; 
E  visto ,  che  così  si  potea  male 

Far  di  lui  quel ,  che  Astolfo  far  volea, 
Si  pensò  un  modo,  ed  ad  effetto  il  messe, 
Di  far  cader  Orlando,  e  gli  successe. 

54.  Si  fé'  quivi  arrecar  più  d'  una  fune, 
E  con  nodi  correnti  adattò  presto  ; 

Ed  alle  gambe  ed  alle  braccia  alcune 
Fé'  porre  al  conte ,  ed  attraverso  il  resto. 
Di  quelle  i  capi  poi  partì  in  comune, 
E  li  diede  a   tenere  a  quello   e  a  questo. 
Per  quella  via ,  che  maniscalco  atterra 
Cavallo,  o  bue,  fu  tratto  Orlando  in  terra. 

55.  Com'  egli  è  in  ten-a,  gli  son  tutti  addosso, 
E  gli  legan  più  forte  e  piedi  e  mani. 

Assai  di  qua,  di  là  s'  è  Orlando  scosso; 

Ma  sono  i  suoi  rinforzi  tutti  vani. 

Comanda  Astolfo,  che  sia  quindi  mosso; 

Che  dice  v<der  far ,  che  si  risani. 

Dudon,  eh'  è  grande,    il  leva  in  sulle  schiene, 

E  porta  al  mar  sopra  1'  estreme  sirene. 

56.  ,  Lo  fa  lavare  Astolfo  sette  volte, 
E  sette  volte  sott'  acqua  1'  attuffa. 
Sicché  dal  viso  e  dalle  membra  stolte 
Leva  la  brutta  ruggine  e  la  muffa; 

Poi  con  certe  erbe ,  a  questo  effetto  colte, 
La  bocca  chiuder  fa,  che  soffia  e  sbuffa. 
Che  non  volea ,  eh'  avesse  altro  meato, 
Onde  spirar,  che  per  lo  naso,  il  fiato. 

57.  Aveasi  Astolfo  apparecchiato  il  vaso, 
In  che  '1  senno  d'  Orlando  era  rinchiuso, 
E  quello  in  modo  appropinqiiogli  al  naso, 
Che  nel  tirar,  che   fece,  il  fiato  in  suso, 
Tutto  il  votò.     3Ieraviglioso  caso  ! 

Che  ritornò  la  mente  al  primier  uso, 
E    ne'  suoi  bei  discorsi  1'  intelletto 
Rivenne,  più  che  mai,  lucido  e  netto. 

58.  Come  chi  da  nojoso  e  grave  sonno. 
Ove  o  vedere  abbominevol  forme 

Di  mostri ,  che  non  son ,  uè  eh'  esser  ponno, 
O  gli  par  cosa  far  strana  ed  enorme, 
Ancor  si  meraviglia ,  poiché  donno 
E  fatto  de'  suoi  sensi,  e  che  non  dorme; 
C'osi ,   poiché  fu  Orlando  d'  error  tratto, 
Restò  meraviglioso  e  stupefatto. 

59.  E  Brandimarte  ,  e  il  fratel  d'  Aldabella, 
E  quel,   che  '1  senno  in  capo  gli  ridusse, 
Pur  pensando  riguarda,  e  non  fa\ella, 
Come  egli  quivi ,  o  quando  ^i  condii.-se. 
(ìirava  gli  oci-hj  in  (piesta  partii  e  in  quella, 
]Né  sapea  inimagiiiar,   dove  ^i  fiisse. 

Si  meraviglia,   che  nudo  hi  v«-de, 

E  tante  Inni  ha  dalle  spalle  al  piede, 

00.      Poi  disse,  come  già  disse  Sileno 
A  quei,  clur  lo    legar  nel  cavo  speco: 
Solfile  me!  con   v  i.-o  hi  8ereno, 
("oh  guardo  si  uien  dell'  usato  Iiicco, 
Che  fu  hlegalo  ;   v  de'  panni,  eh'  avìeno 
F.illi  arrecar,  parlieiparon  seco. 
Consolandolo   tutti   del   dolore. 
Che  lo   preiuea  ,  di  quel  passato  errore. 


[52T] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXXIX.  61  —  16) 


61.  l'oichè  fu  all'  esser  primo  ritornato 
Orlando  ,  più  che  mai  sago  io  e  virile, 
D'  amor  si  trovò  insieme  liberato  ; 
Sicché  colei ,  che  sì  bella  e  gentile 

Gli  parve  dianzi,  e  eh'  avea  tanto  amato. 
Non  stima  più ,  se  non  per  cosa  vile. 
Ogni  suo  studio,  ogni  disio  rivolse 
A  racquistar  quanto  già  amor  gli  tolse. 

62.  Narrò  Bardino  intanto  a  Brandimarte, 
Che  morto  era  il  suo  padre  Monodante, 
E  che  a  chiamarlo  al  regno  egli  da  parte 
Veniva ,  prima  del  fratel  Gigliante, 

Poi  delle  genti ,  eh'  abitan  le  sparte 
Isole  in  mare,  e  1'  ultime  in  Levante, 
Di  che  non  era  un  altro  regno  al  mondo 
Sì  ricco  ,  popoloso  ,  o  sì  giocondo. 

63.  Disse ,  tra  più  ragion ,  che  dovea  farlo  : 
Che  dolce  cosa  era  la  patria  ;  e  quando 
Si  disponesse  di  voler  gustarlo, 

Avria  poi  sempre  in  odio  andare  errando. 
Brandimarte  rispose ,  voler  Carlo 
Servir  per  tutta  questa  guerra ,  e  Orlando  ; 
E  se  potea  vederne  il  fiu ,  che  poi 
Penseria  meglio  sopra  i  casi  suoi. 

64.  11  di  seguente,  la  sua  armata  spinse 
Verso  Provenza  il  figlio  del  Danese; 
Indi  Orlando  col  duca  si  ristrinse. 

Ed  in  che  stato  era  la  guerra,  intese. 
Tutta  Diserta  poi  d'  assedio  cinse. 
Dando  però  1'  onore  al  duca  inglese 
D'  ogni  vittoria;  ma  quel  duca  il  tutto 
Pacca ,  come  dal  conte  venia  instrutto. 

65.  Ch'  ordine  abbian  tra  lor,  come  s'  assaglia 
La  gran  Diserta ,  e  da  che  lato ,  e  quando. 
Come  fu  presa  alla  prima  battaglia, 

Chi  neir  onor  parte  ebbe  con  Orlando, 
S'  io  non  vi  seguito  ora,  non  vi  caglia; 
Ch'  io  non  me  ne  vo  molto  dilungando. 
In  questo  mezzo  di  saper  vi  piaccia. 
Come  dai  Franchi  i  Mori  hanno  la  caccia. 

66.  Fu  quasi  il  re  Agramante  abbandonato 
Nel  pcricol  maggior  di  quella  guerra; 
Che  con  molti  pagani  era  tornato 
Ma^^ilio  e  '1  re  Sobrio  dentro  la  terra, 
Poi  suir  armata  e  questo  e  quel  montato, 
("he  dubbio  avean  di  non  salvarsi  in  terra; 
E  duci  e  cavalier  del  popol  moro 

Gioiti  seguito  avean  1'  esempio  loro. 

67.  Pure  Agramante  la  pugna  sostiene; 
E  quando  finalmente  più  non  puote, 
Volta  le  spalle,  e  la  via  dritta  tiene 
Alle  porte  non  troppo  indi  remote. 
Kabican  dietro  in  gran  fretta  gli  viene, 
(;be  Itradiiniantc  stimola  e  percote. 

1)'  uccìderlo  era  disiosa  molto, 

Clic  tante  volte  il  suo  Uuggier  le  ha  tolto. 

68.  Il  mede.smo  desir  Marfisa  avea, 
Per  far  del  padre  suo  tarda  vendetta; 
E  con  gli  ^l>^()ni ,  quanto  più  potea, 

Facea  al  dc^trier  sentir,  eh'  ella  avea  fretta. 
Ma  n«;  l'  una  ,  nò  l'  altra  vi  giiingea 
Si  a  tempo ,   che  lii  via  fosse  intercetta 
Al  re  d"  entrar  nelhi  città  serrata, 
Ed  indi  poi  bah  urei  in  buU'  annata. 


[528] 


69.  Come  due  belle  e  generose  nardc. 
Che  fuor  del  lasso  sien  di  pari  uscite, 
Posciachè  i  cervi ,  o  le  capre  gagliarde 
Indarno  aver  si  veggano  seguite, 
Vergognandosi  qua^i,  che  fur  tarde, 
Sdegnose  se  ne  tornano,  e  pentite: 
Così  tornar  le  due  donzelle,  quando 
Videro  il  pagan  salvo  ,  sospirando. 

70.  Non  però  si  fermar ,  ma  nella  frotta 
Degli  altri,  che  fuggivano,  cacciarsi. 
Di  qua ,  di  là  facendo  ad  ogni  botta 
Molti  cader,  senza  mai  più  levarsi. 

A  mal  partito  era  la  gente  rotta, 
Che  per  fuggir  non  potea  ancor  salvarsi  ; 
Ch'  Agramante  avea  fatto ,  per  suo  scampo, 
Chiuder  la  porta ,  eh'  uscia  verso  il  campo, 

71.  E  fatto  sopra  il  Rodano  tagliare 
I  ponti  tutti.     Ah  sfortunata  plebe. 
Che,  dove  del  tiranno  utile  appare. 
Sempre  è  in  conto  di  pecore  e  di  zebe! 
Cbi  s'  affoga  nel  fiume,  e  chi  nel  mare; 
Chi  sanguinose  fa  di  sé  le  glebe: 

j\I(ilti  perir,  pochi  restar  prigioni, 
Che  pochi  a  farsi  taglia  erano  buoni. 

72.  Della  gran  moltitudine  eh'  uccisa 

Fu  d'  ogni  parte  in  questa  ultima  guerra, 
(Benché  la  cosa  non  fu  ugual  divisa, 
Ch'  assai  più  andar  dei  Saracin  sotterra 
Per  man  di  Bradamante  e  di  Marfisa) 
Se  ne  vede  ancor  segno  in  quella  terra; 
Che  presso  ad  Arli ,  ove  il  Rodano  stagna, 
Piena  di  sepolture  è  la  campagna. 

73.  Fatto  avea  intanto  il  re  Agramante  sciorre, 
E  ritirare  in  alto  i  legni  gravi, 

Lasciando  alcuni ,  e  i  più  leggieri  a  torre 
Quei,  che  volean  salvarsi  in  sulle  navi. 
\ì  ste'  duo  dì,  per  chi  fuggia  raccorre; 
E  perchè  i  venti  eran  eontrarj  e  pravi, 
Fece  lor  dar  le  vele  il  terzo  giorno. 
Che  in  Africa  credea  di  far  ritorno. 

74.  Il  re  Marsilio,  che  sta  in  gran  paura, 

Ch'  alla  sua  Spagna  il  fio  pagar  non  tocche, 

E  la  tempesta  orribilmente  oscura 

Sopra  i  suoi  campi  all'  ultimo  non  scocche, 

Si  tv  porre  a  Valenza ,  e  con  gran  cura 

Cominciò  a  riparar  castella  e  rocche, 

E  preparar  la  guerra ,  che  fu  poi 

La  sua  mina  ,  e  degli  amici  suoi. 

75.  Verso  Africa  Agramante  alzò  le  vele 
De'  legni  male  armati ,  e  voti  quasi, 
D'  uomini  voti,  e  pieni  di  quer<'le. 
Perchè  in  Francia  i  tre  quarti  eran  rimasi. 
Chi  chiama  il  re  superbo,  chi  crudele, 
("hi  stolt»)  ;  e  come  avviene  in  simil  casi, 
Tutti  gli  voglion  mal  ne'  lor  secreti  ; 

Ma  timor  u'  hanno  ,  e  stan  per  forza  cheti. 

76.  Pur  duo  talora ,  o  tre  schiudon  le  labbia, 
Che  amici  sono,  e  che  tra  lor  s'  hau  fede, 
E  sfogano  la  collera  e  la  rabbia  ; 

E    1  misero  Agramante  ancor  si  crede, 
CAìv  ognun  gli  |)orti  amore,  e  pietà  gli  abbia. 
E  questo  gì'  intera  ien  ,  perchè  non  vede 
Mai  ^i.-i,  .se  non  fìnti,  e  mai  non  ode, 
Se  non  adulazion ,  menzogne  e  frode. 


I 


5^9J 


ORLANDO    FURIOSO.     (XXXIX.  ìì  — 86) 


[530] 


77.  Erasi  cons5j;:liato  il  re  afriofino 

Di  non  smontar  ne!  porto  di  Diserta; 
Perocch'  avea  del  popol  nubiano, 
Che  qnel   lito   tonca ,  novella  certa  ; 
Ma  tenersi  di  sopra  sì  lontano, 
Che  non  fosse  acre  la  discesa,  ed  erta; 
Mettersi  in  terra,  e  ritornare  al  dritto, 
A  dar  soccorso  al  suo  popolo  afflitto. 

78.  Ma  il  suo  fiero  destin ,  che  non  risponde 
A  quella  intenzion  provida  e  saggia. 
Vuol,  che  r  armata,  che  nacque  di  fronde 
Miracolosamente  nella  spiaggia, 

K  vien  solcando  inverso  Francia  1'  onde, 
Con  questa  ad  incontrar  di  notte  s'  aggia, 
A  nuhiloso  tempo,    oscuro  e  tristo, 
l'crchè  sia  in  più  disordine  sprovvisto. 

79.  Xon  ha  avuto  Agraraante  ancora  spia, 
Ch'  Astolfo  mandi  un'  armata  sì  grossa  ; 
^è  creduto  anco  a  chi  '1  dicesse  avria, 
Che  cento  navi  un  ranuiscel  far  possa: 
K  vien  senza  temer,  che  intorno  sia 
Chi  contra  lui  s'  ardisca  di  far  mossa, 
Kè  pone  guardie,  né  velette  in  gahhia. 
Che  di  ciò  che  si  scuopre,  avvisar  T  abbia. 

80.  Sicché  i  navigli ,  che  da  Astolfo  avuti 
Avea  Dudon ,  di  buona  gente  armati, 

E  che  la  sera  avean  questi  veduti, 
Ed  alla  Tolta  lor  s'  cran  drizzati, 
Assalirò  i  niniici  sprovveduti, 
Gittaro  i  ferri ,  e  sonsi  incatenati, 
l'oiclr  al  parlar  certificati  foro, 
Ch'  erauo  Mori,  ed  inimici  loro. 

81.  Neil'  arrivar,  che  i  gran  navigli  fenno, 
Spirando  il  vento  a  lor  desir  secondo, 

I      Nei  Saracin  con  tale  impeto  denno, 
r      Cile  molti  legni  ne  cacciaro  al  fondo  ; 

Poi  cominciaro  a  oprar  le  mani  e  il  senno, 
E  ferro  e  fuoco ,  e  sassi  di  gran  pondo 
Tirar  con  tanta  e  sì  fiera  tempesta, 
Cile  mai  non  ebbe  il  mar  simile  a  questa. 


82.  Quei  di  Dndone,  a  cui  possanza  e  ardire, 
r*!ù  del  solito  lor,  dato  è  di  sopra. 

Che  venuto  era  il  tempo  di  punire 

I  Saracin  di  più  d'  una  mal'  opra. 
Sanno  appresso  e  lontan  sì  ben  ferire, 
(he  non  trova  Agramante,  ove  si  cuopra. 
di    cade  sopra  un  nembo  di  saette, 

Da  lato  ha  spade  e  graffi,  e  picche  e  accette. 

83.  D'  alto  cader  sente  gran  sassi  e  gravi, 
Da  macchine  cacciati  e  da  tormenti; 

E  prore  e  poppe  fracassar  di  navi, 

Ed  aprir  usci  al  mar  larghi  e  patenti; 

E  '1  maggior  danno  è  degl'  incendj  pravi, 

A  nascer  presti ,  ad  ammorzarsi  lenti! 

La  sfortunata  ciurma  si  vuol  torre 

Del  gran  periglio ,  e  via  più  ognor  vi  corre. 

84.  Altri,  che  '1  ferro  e  1'  inimico  caccia. 
Nel  mar  si  getta,  e  vi  s'  alloga,  e  resta. 
Altri ,  che  muove  a  tempo  piedi  e  brarria, 

\ii  per  salvarsi,  o  in  quella  barca,  o  in  questa; 
Ma  quella ,  grave  oltre  il  dover ,  lo  scaccia, 
E  la  man,  per  salir  troppo  molesta. 
Fa  restare  attaccata  nella  sponda  ; 
Ritorna  il  resto  a  far  sanguigna  1'  onda. 

85.  Altri ,  che  spera  in  mar  salvar  la  vita, 
O  perderlavi  alnien  con  minor  pena, 
Poiché  nuotando  non  ritrova  aita, 

E  mancar  sente  1'  animo  e  la  lena. 

Alla  vorace  fiamma,  eh'  ha  fuggita, 

La  tema  d'  annegarsi  anco  riraena; 

S'  abbraccia  a  un  legno,  eh'  arde,  e  per  timore 

Ch'  ha  di  due  morti,  in  ambe  se  ne  muore. 

86.  Altri ,  per  tema  di  spiedo  o  d'  accetta, 
Che  vede  appresso ,  al  mar  ricorre  invano  ; 
Perchè  dietro  gli  vien  pietra ,  o  saetta. 
Che  non  lo  lascia  andar  troppo  lontano. 
Ma  saria  forse,   mentreché  diletta 

II  mio  cantar,  consiglio  utile  e  sano 
Di  finirlo ,  piuttosto  che  seguire 
Tanto,  che  y'  annojasse  il  troppo  dire. 


34 


[531] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XL.  1-12) 


[532] 


CANTO     QUARANTESIMO. 


ARGOMENTO. 

Fugge  Agramante  da  Dudon  spezzato, 
E  vede  la  sua  terra  arder  lontano  ; 
Poscia  in  certa  umil  isola  arrivato 
Trova  Gradasso  il  gran  re  sericano. 
Per  suo  consiglio  Orlando  vien  sfidato 
Con  altri  due  guerrier  dal  re  pagano. 
Vien  Ruggier  a  battaglia  con  Dudone, 
E  sette  regi  in  libertà  ripone. 


1.  Lungo  sarebbe,  se  i  diversi  casi 
Volessi  dir  di  quel  naval  conflitto; 
E  raccontarlo  a  voi  mi  parria  quasi, 
Magnanimo  figliuol  d'  Ercole  invitto, 
Portar ,  come  si  dice ,  a  Samo  vasi, 
Nottole  a  Atene,  e  crocodili  a  Egitto: 
Che,  quanto  per  udita  io  ve  ne  parlo, 
Signor ,  miraste ,  e  feste  altrui  mirarlo. 

2.  Ebbe  lungo  spettacolo  il  fedele 
Vostro  popol,  la  notte  e  '1  dì  che  stette. 
Come  in  teatro ,  l'  ininiiche  vele 
Rlirando  in  Pò,  tra  ferro  e  fuoco  astrette. 
Che  gridi  udir  si  possano,  e  querele, 

Cli'  onde  veder  ài  sangue  umano  infette, 
Per  quanti  modi  in  tal  pugna  si  muora. 
Vedeste ,  e  a  molti  il  dimostraste  allora. 

3.  Noi  vidi  io  già ,  eh'  era  sei  giorni  innanti, 
Mutando  ognora  altre  vetture,  corso 

Con  molta  fretta  e  molta  ai  piedi  santi 

Del  gran  pastore  a  domandar  soccorso. 

Poi  nò  cavalli  bisognar ,  né  fanti  ; 

Che    intanto  al  Leon  d'  or  1'  artiglio  e  '1  morso 

Fu  da  voi  rotto  sì,  che  più  molesto 

Non  r  ho  sentito  da  quel  giorno  a  questo. 

4.  Ma  Alfonsin  Trotto ,  il  qual  si  trovò  in  fatto, 
Annibale,  e  Pier  Moro,  e  Afranio,  e  Allicrto, 
E  tre  Ariosti ,  e  il  Bagno ,  e  il  Zerbiiuilto 
'J'anto  me  ne  contar ,  eh'  io  ne  fui  certo. 

Me  ne  chiarir  poi  le  bandiere  allatto, 
A  istone  al  tempio  il  gran  numero  ollerto, 
E  quindici  galóo.  eh'  a  queste  rive 
Con  mille  legni  star  vidi  cattive. 

5.  Chi  vìd(!  qucgl'  incend.j  e  quei  naufragi, 
Le  tante  u<;cisi(ini  e  fi  diver>e. 

Che ,  vendicando  i  nostri  arsi  palagi, 
Fincht;  fu  proo  <»gni  naviglio,  ferse. 
Potrà  veder  U-  indili  anco  e  i  disagi, 
Clie  '1  uiihir  popol  d'  Africa  soflerso 
Col  re  Agramante  in  ine/,/.o  1'  onde  salse, 
La  scura  notte ,  che  Uudon  l'  assalse. 


6.     Era  la  notte,  e  non  si  vedea  lume. 
Quando  s'  incominciar  1'  aspre  contese  : 
Ma  poiché  '1  zolfo  e  la  pece  e  '1  bitume 
Sparso  in  gran  copia  ha  prore  e  sponde  accese, 
E  la  vorace  fiamma  arde  e  consume 
Le  navi  e  le  galèe  poco  difese. 
Sì  chiaramente  ognun  si  vedea  intorno, 
Che  la  notte  parca  mutata  in  giorno. 

T.     Onde  Agramante,  che,  per  1'  aer  scuro, 
Non  avea  1'  inimico  in  sì  gran  stima, 
Né  aver  contrasto  si  credea  sì  duro. 
Che  resistendo  alfin  non  lo  reprima. 
Poiché  rimosse  le  tenebre  furo, 
E  vide  quel,  che  non  credeva  prima. 
Che  le  navi  nemiche  eran  due  tante. 
Fece  pensier  diverso  a  quel  d'  avante. 

8.  Smonta  con  pochi ,  ove  in  più  lieve  barca 
Ha  Brigliadoro,  e  1'  altre  cose  care. 

Tra  legno  e  legno  taciturno  varca. 

Finché  si  trova  in  più  sicuro  mare. 

Da'  suoi  lontan ,  che  Dudon  preme  e  carca, 

E  mena  a  condizioni  acre  ed  amare. 

Gli  arde  il  foco ,  il  mar  sorbe ,  il  ferro  strugge  : 

Egli ,  che  n'  è  cagion ,  via  se  ne  fugge. 

9.  Fugge  Agramante ,  ed  ha  con  lui  Sobrino, 
Con  cui  si  duol  di  non  gli  aver  creduto, 
Quando  previde  con  occhio  divino, 

E  '1  mal  annunziò,  eh'  or  gli  è  venuto. 
Ma  torniamo  ad  Orlando  paladino. 
Che,  primaché  Diserta  abbia  altro  ajuto. 
Consiglia  Astolfo ,  che  la  getti  in  terra, 
Sicché  a  Francia  mai  più  non  faccia  guerra. 

10.  E  così  fu  pubblicamente  detto, 

Che  '1  campo  in  arme  al  terzo  dì  sia  ìnstrutto. 
Molti  navigli  Astolfo  a  questo  effetto 
Tenuti  avea,  né  Dudon  n'  ebbe  il  tutto; 
De'  quai  diede  il  governo  a  Sansonetto, 
Sì  buon  guerriero  al  mar,  come  all'  asciutto; 
E  quel  si  pose,  in  suU'  ancore  sorto, 
Contra  Diserta,  un  miglio  appresso  al  porto. 

11.  Come  veri  cristiani,  Astolfo  e  Orlando, 
Che  senza  Dio  non  vanno  a  rischio  alcuno, 
Neil'  esercito  fan  pubblico  liando, 

Che  sicno  orazion  fatte,  e  digiuno, 
E  che  si  trovi  il  terzo  giorno ,  quando 
Si  darà  il  segno ,  apparecchiato  ognuno 
Per  espugnar  Hiscrta,  <;lie  dato  hanno. 
Vìnto  che  s'  abbia,  a  fuoco  e  a  saccomanno. 

12.  E  così,  poiché  le  astinenze  e  i  voti 
Devotamente  celebrati  foro, 

Parenti ,  amici  e  gli  altri  insieme  noti 
Si  cominciaro  a  convitar  tra  loro. 
Dato  restauro  a'  corpi  esausti  e  voti, 
Ahluacciaiidosi  insieme  lagrimoro, 
'J'ra  loro  usando  i  modi  e  le  parole, 
Che  tra  i  più  cari  al  dipartir  si  suole. 


533] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XL.  J3-28) 


13.  Dentro  a  Biserta  i  sacerdoti  santi 
Supplicando  coi  popolo  dolente, 
Btittonsi  il  petto,  e  con  dirotti  pianti 
Chiamano  il  lor  Macon,  che  nulla  sente. 
Quante  vigilie,  quante  oflcrte,  quanti 
Doni  promessi  son  privatamente! 
Quanti  in  pubblico  templi ,  statue ,  altari, 
Memoria  eterna  de'  lor  casi  amari! 

14.  E  poiché  dal  Cadi  fu  benedetto, 

Prese  il  popolo  1'  armo ,  e  tornò  al  muro. 
Ancor  giacea  col  suo  Titon  nel  letto 
La  bella  Aurora ,  ed  era  il  cielo  oscuro. 
Quando  Astolfo  da  un  canto,  e  Sansonetto 
Da  un  altro,  armati  agli  ordini  lor  furo; 
E  poiché  '1  seg-no ,  che  die'  il  conte ,  udù'O, 
Kiscrta  con  grande  ìmpeto  assalirò. 

15.  Avea  Biserta  da  duo  canti  il  mare, 
Sedea  dagli  altri  duo  nel  lito  asciutto. 
Con  fabbrica  eccellente  e  singolare 
Fu  anticamente  il  suo  muro  construtto. 
Poco  altro  ha  che  1'  ajuti,  o  la  ripare; 
Cile ,  poiché  '1  re  Branzardo  fu  ridutto 
Dentro  di  quella,  pochi  mastri,  e  poco 
Potò  aver  tempo  a  riparare  il  loco. 

l(i.      Astolfo  dà  r  assunto  al  re  de'  Neri, 
Che  faccia  ai  merli  tanto  nocumento, 
Con  falariche ,  (ionde  e  con  arcieri. 
Che  levi  d'  allacciarsi  ogni  ardimento; 
Slccliè  passin  pedoni  e  cavalieri 
Fin  sotto  la  muraglia  a  salvamento. 
Che  vengon,  chi  di  pietre,  e  chi  di  travi, 
Chi  d'  assi,  e  chi  d'  altra  materia  gravi. 

17.  Chi  questa  cosa,  e  clii  quel!'  altra  getta 
Dentro  alla  l«)ssa,  e  vien  di  mano  in  mano; 
Di  cui  r  acqua  il  dì  innanzi  fu  intercetta, 

^.    Sicché  in  più  parti  si  scopria  il  pantano. 
H     Ella  fu  piena ,  ed  atturata  in  fretta. 
Ut     e  fatto  ugiuilc  insin  al  muro  il  piano. 
Astolfo  ,  ()rlatido  ed  ()li^  ier  prociu'a 
Di  far  salire  i  fanti  in  sulle  mura. 

18.  I  Nubi ,  d'  ogni  indugio  im|)azienti. 
Dalla  speranza  del  guadagno  tratti, 
^On  mirando  a'  pericoli  imminenti. 
Coperti  da  testuggini  e  da  gatti, 
Con  arièti,  e  lor  altri  istrumentì 

A  fori'.r  torri,  e  p(trte  romper  atti, 
Tosto  si  fero  alla  città  vicini: 
^è  trovaro  spro>  visti  i  Saracini, 

19.  Che  ferro  e  foco ,  e  merli ,  e  tetti  gravi 
Cader  facendo  a  guisa  di  tempeste. 

Per  forza  aprian  le  tavole  e  le  travi 
Delle  macchine  in  lor  danno  conteste. 
Keir  aria  oscura,  e  ne'  principi  pravi 
I\Iolto  patir  le  batt(;zzate  test*;; 
Ma,  poiché  i  sole  u^i'i  dal  ricco  albergo, 
Voltò  Fortuna  ai  Saracini  il  tergo. 

20.  Da  tutti  i  canti   rinforzar  1'  a-salto 

Fé'  il  conte  Orlando,  (;  da  mare  e  da  terra. 
Sanscnietto  ,  eh'  avea  l'  armata  in  alto. 
Entrò  n(;l  porto,  e  s'  accostò  alla  terra; 
E  con  frombe  e  con  archi  Iacea  d'  alto, 
E  con  varj  tormenti  «vstrema  guerra  ; 
E  facea  inHÌenu;  espedir  lance  e  scale. 
Ogni  apparecchio  e  munizion  navale. 


[534] 


21 


Facea  Oliviero,  Orlando  e  Brandimarte 
E  quel,  che  fu  sì  dianzi  in  aria  ardito 
Aspra  e  fiera  battaglia  dalla  parte. 
Che  lungi  al  mare  era  più  dentro  al  lito. 
Ciascun  d'  essi  venia  con  una  parte 
Dell'  oste,  che  s'  avean  quadripartito. 
Quale  a  mur,  quale  a  porte,  e  quale  altrove, 
Tutti  davan  di  sé  lucide  prove. 

22.  Il  valor  di  ciascun  meglio  si  puote 

IVder  così,  che  se  fosser  confusi; 
Chi  sia  degno  di  premio ,  e  chi  di  note, 
Appare  innanzi  a  mill'  occhj  non  chiusi. 
Torri  di  legno  trannosi  con  rote, 
E   gli  elefanti  altre  ne  portan,   usi. 
Che  su  lor  dossi  così  in  alto  vanno. 
Che  i  merli  sotto  a  molto  spazio  stanno. 

23.  Vien  Brandimarte,  e  pon  la  scala  a'  muri 
E  sale,  e  di  salire  altri  conforta. 

Lo  seguon  molti  intrepidi  e  sicuri  ; 

Che  non  può  dubitar,  chi  1'  ha  in  sua  scorta. 

Kon  è  chi  miri,  o  chi  mirar  si  curi. 

Se  quella  scala  il  gran  peso  comporta. 

Sol  Brandimarte  agi'  inimici  attende; 

Pugnando  sale,  e  alfine  un  merlo  prende, 

24.  E  con  mano  e  con  pie  quivi  s'  attacca, 
Salta  su  i  merli,  e  mena  il  brando  in  volta. 
Urta,  riversa  e  fende,  e  fora  e  ammacca 

E  di  sé  mostra  csperienzia  molta. 
Ma  tutto  a  un  tempo  la  scala  si  fiacca. 
Che  troppa  soma,  e  di  soperchio  ha  tolta; 
E  fuorché  Brandimarte,  giù  nel  fosso 
Vanno  sozzopra  1'  uno  all'  altro  addosso. 

25.  Perciò  non  perde  il  cavalier  1'  ardii-e, 
Né  pensa  riportare  addietro  il  piede. 
Benché  de'  suoi  ncm  vede  alcun  seguire. 
Benché  bersaglio  alla  città  si  vede. 
Pregavan  molti ,   e  non  volse  egli  udire, 
Che  ritornasse;  ma  dentro  si  diede; 
Dico,  che  giù  nella  città  d'  un  salto 

Dal  muro  entrò,  che  trenta  braccia  era  alto. 

26.  Come  trovato  avesse  o  piume,  o  paglia. 
Presse  il  duro  terren  senza  alcun  danno; 

E  quei,  cir  ha  intorno,  afl'rappa  e  fora  e  ta«»'lia. 
Come  s'  alIVaiipa  e  fora  e  taglia  il  panno. 
Or  contra  questi,  or  contra  quei  si  scaglia, 
E  quegli  e  questi  in  fuga  se  ne  vanno. 
Pensano  quei  di  fuor,  che  l'  hiin  veduto 
Dentro  saltar,  che  tardt»  fia  ogni  ajuto. 

Per  tutto  '1  campo  alto  rumor  si  spande 
Di  V(»ce  in  voce,    e  '1  mormorio,    e  "1  bisbi"-lio. 
La  vaga  Fama  intorno  si  la  grande, 
E  narra,  ed   aiurescenilo   va  il   periglio. 
Ove   era  Orlando,  (penile  da  più   bande 
Si  dava  assalto)  ttw.  d"  Oticnu-  il  tiglio, 
0\e  Olivier,  quella  volando   \enne, 
Senza  posar  mai  le  veloci  penne. 

28.       Questi  guerrieri,  e  più  di  tutti  Orlando, 

Cir   amano    itriiinlimarte  ,  e  l  hanno  in  pre'MO. 
ledendo,   che,  se  vaii  troppo  indugiando, 
Pcrderaniu»  un  compagno  losì  «'gregio, 
Piglian  le  scale  ,  e  qua  e  là  iniuitando. 
Mostrano  a  gara  animo  altero  e  regio, 
C'on  hi  audace  sembiante  e  sì  gagliardo. 
Che  i  neinì(-i  tremar  fan  con  lo  sguardo. 

34  * 


27 


[535] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XL.  29  — 4i) 


[536] 


29.  Come  nel  mar,  die  por  tempestìi  ficrac, 
Assaglitm  r  acque  il  temerario  leiifiio, 

C]h'  or  dalla  prora,  or  dalle  parti  estreme 
Cercano  entrar  con  ralihia  e  con  isiiegno: 
Il  pallido  noccliier  sospira  e  geme, 
Cli'  ajutar  deve  ,  e  non  lia  cor ,  nò  ingegno  ; 
Un'  onda  viene  alfin,  eh'  occupa  il  tutto, 
E,  dove  quella  entrò,  segue  ogni  flutto: 

30.  Così,  dappoich'  ebbono  presi  i  muri 
Quc.-ti  tre  primi,   fu  sì  largo  il  p.isso, 
Cile  gli  altri  omai  seguir  ponno  sicuri, 
Cile  mille  scale  hanno  fermato  al  basso. 
Aveano  intanto  gli  arieti  duri 

Rotto  in  più  lochi ,  e  con  sì  gran  fracasso, 
Che  si  poteva  in  più  che  in  una  parte, 
Soccorrer  1'  animoso  Brandimarte. 

31.  Con  quel  furor,  che  '1  re  de'  fiumi  altero, 
Quando  rompe  talvolta  argini  e  sponde, 

E  che  nei  campi  ocnéi  s'  apre  il  sentiero, 
E  i  grassi  solchi  e  le  biade  feconde, 
E  con  le  sue  capanne  il  gregge  intero, 
E  coi  cani  i  pastor  jiorta  nell'  onde; 
Guizzano  i  pesci  agli  olmi  in  sulla  cima, 
Ove  solean  volar  gli  augelli  in  prima  : 

82.      Con  quel  furor  1'  impetuosa  gente 

Là,  dove  avea  in  più  parti  il  muro  rotto. 
Entrò  col  ferro  e  con  la  face  ardente 
A  distrugger  il  popol  mal  condotto. 
Omicidio  ,  rapina ,  e  man  violente 
jNel  sangue  e  nell'  aver ,  trasse  di  botto 
La  ricca  e  trionfai  città  a  mina. 
Che  fu  di  tutta  1'  Africa  regina. 

33.  D'  uomini  morti  pieno  era  per  tutto, 
E  delle  innumerabili  ferite 

Fatto  era  un  stagno  più  scuro  e  più  brutto 

Di  quel,  che  cinge  la  città  di  Dite. 

Di  casa  in  casa  un  lungo  incendio  indutto 

Ardea  palagi ,  portici  e  iiicschite. 

Di  pianti,  d'  urli,  e  di  biittuti  petti 

Suonano  i  voti  e  depredati  tetti. 

34.  I  vincitori  uscir  delle  funeste 
Porte  vedeansi  di  gran  preda  onusti, 
Chi  <on  bei  va?i .  e  chi  con  ri((-lie  ^ este. 
Chi  con  rapiti  argenti  a"  Dei  Actusti: 
Chi  tiaea  i  figli,  e  chi  le  madri  meste. 
Fur  fatti  stupri,  e  mille  altri  atti  ingiusti, 
D'i  quali  Orlando  una  gran  parte  intere, 
]\è  lo  potè  vietar,  uè  '1  duca  inglese. 

35.  Fu  Hucifar  deli'  Algiizera  morto 
Con  esso  un  colpo  da  Oli>i('r  gagliardo. 
Perduta  ogni  speranza,  ogni  (onforto, 
S"  ucci.-e  di  Mia  mano  il  re  Hrarizardo. 
Con  tre  ferite,   oiid*-  morì  di  c'mto. 

Fu  pre.-o  Foho  dal  dina  dal  l'ardo. 
Questi  eraii  tre,  che  al  >iio  parlir  lasciato 
Avea  Agramante  a  guardia  dello  stato. 

30.      Agramante  ,  che  intanto  avea  deserta 
L'  armata,  e  con  Sidiriii  n'  era  fuggito, 
Piange  da  linigi ,    e  so>pirò  Hiserta, 
Ceduto  si  gran  fiamiiia  arder  >ul  iito. 
Poi  pili  d'  iippres^o  ebbe  no\ ella  certa, 
('((ine  della  Mia  t<rra  il  caso  era   ito; 
E  d'  uccider  «e  stesso  in  pciisier  >enne, 
E  lo  facea,  ma  il  re  Sobrio  lo  tenne. 


37.  Dicea  Sobrin:  Che  più  vittoria  lieta. 
Signor,  potrebbe  il  tuo  nemico  avere, 
Che  la  tua  morte  udire,  onde  quieta 

Si  spereria  |)oi  l'  Afrii-a  godere? 
Questo  contento  il  viver  tuo  gli  vieta; 
Quindi  avrà  cagion  sempre  di  temere. 
Sa  ben,  che  lungamente  Africa  sua 
Esser  non  può ,  se  non  per  morte  tua. 

38.  Tutti  i  sudditi  tuoi ,  morendo  ,  privi 
Della  speranza  ,  un  ben  ,  che  sol  ne  resta. 
Spero  ,  che  n'  abbi  a  lilierar,  se  vivi, 

E  trar  d'  aflaniio ,  e  ritornare  in  festa. 
So  che,  se  muori ,  sempre  siam  cattivi, 
Africa  sempre  tributaria  e  iiie-ta. 
Dunque,  se  in  util  tuo  viver  non  vnoi, 
Vivi,  signor,  per  non  far  danno  ai  tu 

39.  Dal  Soldano  d'  Egitio,  tuo  vicino, 
Certo  esser  puoi  d'  aver  denari  e  gente. 
Mal  volentieri  il  figlio  di  Pipino 

In  Africa  vedrà  tanto  potente. 
Verrà  con  ogni  sforzo  Norandino, 
Per  ritornarti  in  regno,  il  tuo  parente. 
Armeni.  Turchi,  Per.-i,  Arali!  e  Medi, 
Tutti  in  soccorso  avrai,  se  tu  li  chiedi. 

40.  ('on  tali  e  slmil  detti  il  vecchio  accorto 
Studia  tornare  il  suo  signore  in  speme 

Di  racquistarsi  1'  Africa  di  corto; 

Ma  nel  suo  cor  forse  il  contrario  teme. 

Sa  ben  ,  quant'  è  a  mal  termine  e  a  mal  porto, 

E  come  spesso  iman  so.-pira  e  geme 

Chiunque  il  regno  suo  si  lascia  torre, 

E  per  soccorso  a'  Barbari  ricorre. 

41.  Annibale  e  Jugnrta  di  ciò  foro 

Buon  testimonj,  ed  altri  al  tempo  antico; 

Al  tempo  nostro,  Lodovico  il  Moro, 

Dato  in  poter  d'  un  altro  Lodovico. 

A  ostro  Iratello  ,  Alfonso,  da  costoro 

Ben  ebbe  esempio ,  (a  voi ,  Signor  mio  ,   dico) 

Che  sempre  ha  riputato  jiazzo  espresso 

Chi  più  si  fida  in  altri,  che  in  sé  stesso. 

12.      E  però  nella  guerra,  che  gli  mosse 
Del  pontefice  irato  un  duro  sdegno. 
Ancorché  nelle  debili  >ue  pos,-e 
Aon  potesse  egli  far  molto  disegno, 
E  chi  lo  dil'endea,  d'  Italia  fosse 
Spinto,  e  n'  avesse  il  suo  nemico  il  regno; 
]Vò  per  minacce  mai ,  nò  per  promesse 
S'  indusse,  che  lo  stato  altrui  cedesse. 

43.  Il  re  Agramante  all'  oriente  avea 
Volta  la  prora,  e  s'  era  spinto  in  alto. 
Quando  da  terra  una  tempesta  rea 
Mosse  di  liiinda  impetuoso  assalto. 

Il  nocchier,   eh'  al  governo  vi  sedea. 

Io  veggo,  disse,  alzando  gli  occlij  ad  alto, 

I  Ila  procella  apjiarei^chi.ir  ^ì  grave. 

Che  contrastar  non  le  potrà  la  nave. 

44.  S'  attendete,  signori,  al  mio  consiglio. 
Qui  da  mail  manca  ha  un'  isola  vicina, 

A  coi  mi  par,  eh'  abbiamo  a  dar  di  pìglio, 
Finche  pa-.-i  il  fiuvir  di  Ila  marina. 
Consenti  il  re  Agiaiuaiite.  e  di  periglio 
li>cì ,  piglìaiiilo  la  spiaggia  mancina. 
Che,  per  siiliiie  i!<^'  nocchieri,  giace 
Tra  gli  Afri ,  e  di  \  ulcan  l'  alta  faruace. 


j37] 


ORLANDO   FURIOSO.      (XL. 


60) 


[538] 


i5.      D'  abitazioni  è  l' iisolctta  rota, 
Piena  d'  uniil  mctrtelle  e  di  ginepri, 
Gioconda  solitudine  e  remota 
A  cervi,  a  daini,  a  caprioli,  a  lepri; 
E  ,  fuorch'  a  pescatori ,  è  poco  nota  ; 
Ove  sovente  a'  rimondati  vepri 
Sospendon,  per  seccar,  1'  umide  reti: 
Dormono  intanto  i  pesci  in  mar  quieti. 

46.      Qui^i  trovar,  che  s'  era  un  altro  legno, 
Cucciato  da  fortuna,  già  ridutto. 
li  gran  guerrier,  che  in  Sericana  ha  regno, 
licvato  d'  Arli ,  uvea  quivi  condutto. 
Con  modo  riverente  ,   e  di  so  degno, 
L'  un  re  con  1'  altro  ^'  abbracciò  all'  asciutto; 
Cli'  erano  aulici ,  e  poco  innanzi  furo 
Compagni  d'  arme  al  parigino  nuiro. 

•IT.      Con  molto  dispiacer  Gradasso  intese 
Del  re  Agramaiite  le  fortune  avver?e; 
l^oi  confortollo ,  e  come  re  cortese. 
Con  la  propria  persona  >e  gli  oirer.-e. 
3Ia,  eh'  egli  anda>se  all'  infedel  paese 
1)'  Egitto,  perajuto,  non  soll'erse. 
Che  vi  sia,  disse,  periglioso  gire, 
Dovria  Pompejo  i  profugi  ammonire. 

i*5.      E  perchè  detto  m'  hai ,  che  con  1'  ajuto 
Degli  Etiopi  sudditi  al  Seuapo, 
Astolfo  a  torti  1'  Africa  è  venuto, 
E  eh'  arsa  ha  la  città ,  che  n'  era  capo, 
E  eh'  Orlando  è  con  lui ,  che  dijuiiuito 
Poco  innanzi  di  senno  ave\a  il  capo; 
iMi  pare  al  tutto  un  ottimo  rimedio 
Aver  pensato,  a  farti  uscir  di  tedio. 

49.  Io  piglierò ,  per  amor  tuo ,  1'  impresa 
D'  entrar  col  conte  a  singoiar  certame. 
Contra  me  so,  che  non  avrà  difesa, 

Se  tutto  fosse  di  ferro,  o  di  rame. 

»    Morto  lui ,   stimo  la  cristiana  chiesa 
<^uel,  che  1'  agnelle  il  Iiiiio,  eh'  abbia  fame. 
1I(»  poi  pensato,   e  mi  fia  cosa  lieve. 
Di  fare  i  Anbi  uscir  d'  Africa  in  breve. 

50.  Farò,   che  gli  altri  \nhi,  che  da  loro 
Il  Mio  parte,  e  la  diverga  legge, 

K  gli  Arabi,  e  i  MacroliJ,  questi  d  <iro 
Uicchi  e  di  gente,  e  quei  d'  equino  gregge, 
IVm>ì  e  Caldei  (perchè  tutti  costoro 
Con  altri  nn)lti  il  mio  scettro  corregge) 
Farò,  che  in  ^ubia  lor  faran  tal  guerra, 
Che  non  si  fermeran  nella  tua  terra 

.51.      AI  re  Agramante  as.-ai  parve  opportuna 
Del  re  Gra(la?so  la  seconda  offerta  ; 
E  >i  chiamò  olibligalo  alla  iVutuiia, 
(/he  r  a\ea  tratto  ali    iaola  deverta; 
Ma  non  vuol  torre  a  coiiili/ionf;  alcuna, 
Se  rac(|ni>tar  (-redes^c;  indi  Itiserta, 
Ciu-  battaglia  per  lui  (ìrada^ro  prenda; 
Che  in  ciò  gli  par,  che  1'  onor  troppo  oflenda. 

5!^.      Si;  a  di>ndur  s'  ha  Orlando,  son  qucU'  io, 
Ui.>posv ,  a  coi  la  pugna  più  cnnxicne; 
E  prtMito  vi  sarò:  poi  faccia  Dio 
Di  me,  come  gli  pare,  ornale,  o  bene! 
Faciìam,  dis>e  (ìradasso,  a  modo  mio, 
A  nn  MU(no  modo,   che  in  p(ii>icr  mi  viene! 
Quota  battaglia  piglianu>  ambedui 
IiM-ontni  Urlando,  e  un  altro  sia  con  lui. 


55 


5« 


53.  Purch'  io  non  resti  fuor ,  non  me  ne  lagno, 
Disse  Agramante ,  o  sia  primo ,  o  secondo. 
Ben  so  ,  che  in  arme  ritrovar  compagno 

Di  te  miglior  non  si  può  in  tutto   1  mondo. 

Ed  io,  disse  Sobrin,  dove  rimagno? 

E  se  vecchio  vi  pajo ,  vi  rispondo, 

Ch'  io  debbo  esser  più  esperto  ;  e  nel  periglio, 

Presso  alla  forza ,  è  buono  aver  consiglio. 

54.  D'  una  vecchiezza  valida  e  robusta 
Era  Sobrino,  e  di  famosa  prova; 

E  dice,  che  in  vigor  1'  età  vetusta 
Si  sente  pari  alla  già  verde  e  nuova- 
Stimata  iu  la  sua  domanda  giu?ta, 
E  senza  indugio  un  messo  si  ritrova, 
li  qual  si  mandi  agli  africani  lidi, 
E  da  lor  parte  il  conte  Orlando  sfldi  ; 

Che  s'  abbia  a  ritrovar  con  numer  pare 
Di  cavalieri  armati  in  Lipadusa. 
(Un'  isoletta  e  questa,  che  dal  mare 
Medesmo ,  che  li  cinge ,  è  circonfusa.) 
Kon  cessa  il  messo  a  vela  e  a  remi  andare. 
Come  quel ,  che  prestezza  al  bisogno  usa, 
Che  fu  a  Diserta;  e  trovò  Orlando  quivi, 
Ch'  a'  suoi  le  spoglie  dividea ,  e  i  cattivi. 

L'  invito  di  Gradasso  e  d'  Agramante 
E  di  Sobrino,  in  pubblico  fu  espresso, 
Tanto  giocondo  al  principe  d'  Anglantc, 
Che  d'  ampli  doni  onorar  fece  il  messo. 
Avea  dai  suoi  coniiiagni  udito  innante. 
Che  Durindana  al  lianco  s'  avea  messo 
11  re  Gradasso  ;  onde  egli ,  per  desirc 
Di  racquistarla ,  in  India  volea  gire, 

Stimando,  non  aver  Gradasso  altrove, 
Poich'  udì,  che  di  Francia  era  partito. 
Or  più  vicin  gli  è  offerto  luogo,  dove 
Spera,  che  '1  suo  gli  fia  restituito. 
Il  bel  corno  d'  Almonte  anco  lo  move 
Ad  accettar  sì  volentier  1'  invito, 
E  Brigliiuior  non  men  ,  che  sapea  in  mano 
Esser  venuti  al  figlio  di  Trojano. 

38.      Per  compagno  s'  elegge  alla  battaglia 
Il  fedel  lìrandimarte,  e  '1  suo  cognato. 
Provato  ha,  quanto  l'  uno  e  V  altro  vaglia; 
Sa,  che  da  entrambi  è  soumianiente  am.ito. 
Buon  destrier,  buona  piastra  e  bi-.oua  maglia, 
E  spade  cerca,  e  lance  in  ogni  Iato 
A  sé  e  a'  compagni;  che  sappiate,  parme. 
Che  nessun  d'  essi  avea  le  solile  arme. 

59.      Orlando ,  come  io  v'  Iu»  detto  più  volte, 
Delle  sue  spar.^tr  per  furor  la  terra; 
Agli  altri  lui  UodouKinte  h'  hu-  tolte, 
Clr  or  alta  torre  iu  ripa  nn  iiinuc  >erra. 
Non  se  IU?  può  per  Alili  a  a\<r  molte: 
Sì,  perchè  in  Franci.t  avea  (r.ilto  alla  guerra 
Il  re  Agr.imanle  ciò,  eh'  era  di  buono; 
Sì ,  perchè  poche  in  .Vfrica  ne  sono. 

Ciò.   che  di  rugginoso  e  di  brimito 
A\er  fi  i>uò  ,   fa  ragiiuare  Orlando; 
E  co'  cou)pagni  intiinlo  \a  |iel  lito 
Della  futura  piign.i   ragiiuiando. 
(ìli  av\icn,   «ir  e^M mio  fuor  del  campo  uscito 
Più  di  (re  mii^lia,  egli  onbj  al  mare  ul/.aniio. 
\  ide  calar  cou  le  \ele  alte  un  legno 
A  ertio  il  litn  itfrican  senza  ritegno. 


57 


GO 


[539J 


ORLANDO   FURIOSO.     (XL.  61— 70) 


[540 


61.  Senza  nocchieri  e  senza  naviganti, 

Sol,  come  il  vento  e  sua  fortuna  il  mena, 

Tenia  con  le  vele  alte  il  legno  avanti, 

Tanto,  che  si  ritenne  in  sull'  arena. 

Ma  priraachè  di  questo  più  vi  canti, 

L'  amor,  eh'  a  Ruggier  porto,  mi  rimena 

Alla  sua  istoria ,  e  vuol ,  eh'  io  vi  racconte 

Di  lui,  e  del  guerrier  di  Chiararaonte. 

62.  Di  questi  duo  guerrier  dissi,  che  tratti 
*S'  erano  fuor  del  marziale  agone. 

Visto  convenzion  rompere,  e  patti, 

E  turbarsi  ogni  squadra  e  legione. 

Chi  prima  i  giuramenti  abbia  disfatti, 

E  stato  sia  di  tanti  mal  cagione, 

O  r  imperator  Carlo,  o  il  re  Agramante, 

Studian  saper  da  chi  lor  passa  avante. 

63.  Un  servitore  intanto  di  Ruggiero, 
Ch'  era  fedele  e  pratico  ed  astuto, 
Ké  pel  conflitto  dei  duo  campi  fiero 
Avea  di  vista  il  padron  mai  perduto. 
Venne  a  trovarlo  ,  e  la  spada  e  '1  destriero 
Gli  diede,  perchè  a'  suoi  fosse  in  ajiito. 
Montò  Ruggiero,  e  la  sua  spada  tolse; 
Ma  nella  zuffa  entrar  non  però  volse. 

64.  Quindi  si  parte;  ma  prima  rinnova 
La  convenzion,  che  con  Rinaldo  avea, 
Che,  se  perjuro  il  suo  Agramante  trova. 
Lo  lascerà  con  la  sua  setta  rea. 

Per  quel  giorno  Ruggier  fare  altra  prova 
D'  arme  non  volse,  ma  solo  attcndca 
A  fermar  questo  e  quello,  e  a  domandarlo, 
Clii  prima  ruppe,  o  '1  re  Agramante,  o  Carlo. 

65.  Ode  da  tutto  '1  mondo,  che  la  parte 
Del  re  Agramante  fu,  che  ruppe  prima. 
Ruggiero  ama  Agramante,  e  se  si  parte 
Da  lui  per  questo,  error  non  lieve  stima. 
Fur  le  genti  africane  e  rotte  e  sparte, 
(Questo  ho  già  detto  innanzi)  e  dalla  cima 
Della  volubil  rota  tratte  al  fondo, 

Come  piacque  a  colei,  eh'  aggira  il  mondo. 

66.  Tra  sé  volve  Ruggiero ,  e  fa  discorso, 
Se  restar  deve ,  o  il  suo  signor  seguire. 
Gli  pon  r  amor  della  sua  donna  un  morso, 
Per  non  lasciarlo  in  Africa  più  gire. 

Lo  volta  e  gira,  ed  a  contrario  corso 
liO  sprona ,  e  lo  minaccia  di  punire, 
Se  'l  patto  e  '1  giuramento  non  tien  saldo. 
Che  fatto  avea  col  paladin  Rinaldo. 

67.  Non  men  dall'  altra  parte  sferza  e  sprona 
La  vigilante  e  stimolosa  cura, 

Che,  se  Agramante  in  quel  caso  abbandona, 
A  viltà  gli  sia  ascritto,  ed  a  paiiriu 
Se  del  restar  la  causa  parrà  bu(Mia 
A  molti,  a  nutlti  ad  accettar  fia  dura. 
Molti  diran,  che  non  si  de'  osservare 
Quel,  eh'  era  ingiusto  e  illicito  a  giurare. 

68.  Tutto  quel  giorno  e  la  notte  seguente 
Stette  Koliiigi» ,  e  così   l'  altro  giorno, 
Pur  travagli.iiulo  la  dubltiosa  mente. 

Se  partir  deve,  o  far  quivi  soggiorno. 
Pel  signor  siui  conchiude  flnahuenle 
Di  fargli  dietro  in  Africa  ritorno. 
Polca  in  lui  molto  il  conjugalc  amore; 
Ma  vi  potea  più  il  debito  o  1'  onore. 


69.      Torna  verso  Arli;  che  trovarvi  spera 
L'  armata  ancor,  che  in  Africa  il  trasporti. 
Né  legno  in  mar,  né  dentro  alla  riviera, 
Ké  Saracini  vede,  se  non  morti. 
Seco  al  partire  ogni  legno ,  che  v'  era. 
Trasse  Agramante,  e  '1  resto  arse  nei  porti. 
Fallitogli  il  pensier,  prese  il  cammino 
Verso  Marsilia  pel  lito  marino. 

IO.    A  qualche  legno  pensa  dar  di  piglio, 

Ch'  a  prieghi ,  o  forza  il  porti  all'  altra  riva. 

Già  v'  era  giunto  del  Danese  il  figlio 

Con  r  armata  de'  Barbari  cattiva. 

Non  si  saria  potuto  un  gran  di  miglio 

Gittar  neir  acqua  ;  tanto  la  copriva 

La  spessa  moltitudo  delle  navi 

Di  vincitori  e  di  prigioni  gravi! 

71.  Le  navi  de'  pagani,  eh'  avanzato 
Dal  foco  e  dal  naufragio  quella  notte, 
Eccetto  poche,  che  in  fuga  n'  andaro, 
Tutte  a  Marsilia  avea  Dudon  condotte. 
Sette  di  quei ,  che  in  Africa  regnaro, 
Che ,  poiché  le  lor  genti  vider  rotte, 
Cimi  sette  legni  lor  s'  cran  renduti, 
Stavan  dolenti ,  lagrimosi ,  e  muti. 

72.  Era  Dudon  sopra  la  spiaggia  uscito, 

Ch'  a  trovar  Carlo  andar  volea  quel  giorno, 
E  de'  cattivi ,  e  di  lor  spoglie  ordito 
Con  lunga  pompa  avea  un  trionfo  adorno. 
Eran  tutti  i  prigioii  stesi  nel  lito, 
E  i  Nubi  vincitori  allegri  intorno. 
Che  faceano  del  nome  di  Dudone 
Intorno  risonar  la  regione. 

73.  Venne  in  speranza  di  lontan  Ruggiero, 
Che  questa  fosse  armata  d'  Agramante, 
E  per  saperne  il  vero ,  urtò  il  destriero  ; 
Ma  riconobbe,  come  fu  più  innante 

Il  re  di  Nasamona  prigioniero, 
Bambirago,  Agricalte  e  Farurante, 
Manilardo,  e  Balastro,  e  Rimedonte, 
Che  piangendo  tenean  bassa  la  fronte. 

74.  Ruggier,  che  gli  ama,  sofferir  non  puote, 
Che  stian  nella  miseria ,  in  che  li  trovii. 
Quivi  sa,  cii'  a  venir  con  le  man  vuote 
Senza  usar  forza ,  il  pregar  poco  giova  ; 

La  lancia  abbassa,  e  chi  li  tien  percuote, 
E  fa  del  suo  valor  1'  usata  prova. 
Stringe  la  spada ,  e  in  un  piccini  momento 
Ne  fa  cadere  intorno  più  di  cento. 

t    75.      Dudone  ode  il  rumor,  la  strage  vede, 

Che  fa  Ruggier,  ma  chi  sia,  non  coiu)s(?e. 
Vede  i  suoi ,  eh'  hanno  in  fuga  volto  il  piede. 
Con  gran  timor,  con  pianto  e  v.tm  angosce. 
Presto  il  dcstrier,  lo  scudo,  e  l'  <'lmo  chiede, 
Clu;  già  avea  armato  e  petto,  e  braccia,  e  cosci 
Salta  a  cavallo ,  e  si  fa  dar  la  lancia, 
E  n(Mi  obblia,  che  è  paladin  di  Francia. 

76.      Grilla,  che  si  ritiri  ognun  d.i  canto; 
Spinge  il  cavallo,  e  la  sj-ntir  gli  sproni. 
Ruggier  cent'  altri  n'  avea  uccisi  intanto, 
E  gran  speranza  dato  a  (|U(;i  prigioni; 
E  come  venir  vide  Uuihui  santo 
S«»lo  a  cavallo ,  e  gli  altri  esser  pedoni, 
Stimò ,  che  capo  e  che  signor  lor  fo^se, 
E  contra  lui  cini  gran  desir  si  mosse. 


["I 


ORLANDO  FURIOSO.     (XL.  «—82.    XLl  1—6) 


[542] 


7.  Già  mosso  prima  era  Dudon  ;  ma  quando 
Senza  lancia  Riiggier  vide  venire, 

Lunge  da  se  la  sua  gettò ,  sdegnando 
(,011  tal  vantaggio  il  cavalier  ferire. 
Ruggiero  al  cortese  atto  riguardando, 
Disse  fra  sé  :  Costui  non  può  mentire, 
Cii'  uno  non  sia  di  quei  guerrier  perfetti, 
Che  paladin  di  Francia  sono  detti. 

8.  Se  impetrar  lo  potrò,  vo',  che  '1  suo  nome, 
Innanzichè  segua  altro,  mi  palese: 

E  così  domandollo,  e  seppe,  come 
Era  Dudon ,  lìgliuol  d'  Uggier  danese. 
Dudon  gravò  Kuggier  poi  d'  ugual  some, 
E  parimente  lo  trovò  cortese. 
Poiché  i  nomi  tra  lor  s'  ehbono  detti, 
Si  disfidaro,  e  vennero  agli  effetti. 

ìi).      Avca  Dudon  quella  ferrata  mazza, 

Che  in  mille  imprese  gli  die'  eterno  onore. 

Con  essa  mostra  ben ,  eh'  egli  é  di  razza 

Di  quel  Danese  pien  d'  alto  valore. 

La  spada,  eh'  apre  ogni  elmo,  ogni  corazza. 

Di  che  non  era  al  mondo  la  migliore. 

Trasse  Ruggiero,  e  fece  paragone 

Di  sua  virtude  al  paladin  Dudune. 


80.  Ma,  perchè  in  mente  ognora  avea  di  meno 
Offender  la  sua  donna ,  che  potea, 

Ed  era  certo ,  se  spargea  il  terreno 
Del  sangue  di  costui,  che  1'  offendea; 
Delle  case  di  Francia  instrutto  appieno, 
La  madre  di  Dudone  esser  sapea 
Armeilina,  sorella  di  Beatrice, 
Ch'  era  di  Bradamante  genitrice. 

81.  Per  questo  mai  di  punta  non  gli  trasse, 
E  di  taglio  rarissimo  feria. 
Schermiasi ,  ovunque  la  mazza  calasse, 
Or  ribattendo ,  or  dandole  la  via. 

Crede  Turpin,  che  per  Ruggier  restasse, 
Che  Dudon  morto  in  pochi  colpi  avria. 
Né  mai ,  qualunque  a  olla  si  scoperse, 
Ferir,  se  non  di  piatto,  lo  sofl'erse. 

83.      Di  piatto  usar  potea,  come  di  taglio, 

Ruggier  la  spada  sua,  eh'  avea  gran  schiena, 

E  quivi  a  strano  gioco  di  sonaglio 

Sopra  Dudon  con  tanta  forza  mena, 

Che  spesso  agli  occhj  gli  pon  tal  barbaglio. 

Che  si  ritien  di  non  cadere  appena. 

Ma,  per  esser  più  grato  a  chi  m'  ascolta, 

Io  differisco  il  canto  a  un'  altra  volta. 


CANTO     Q  U  A  R  A  N  T  E  S  I  M  O  P  R  I  M  O. 


m 


ARGOMENTO. 

Ruggier  per  ritrovare  il  re  Àgramante 
Coi  sette  regi  in  un  naviglio  ascende. 
Poi  cade  in  mare ,  e  con  la  morte  avante 
Il  flutto  salvo  a  un  eremita  il  rende. 
Intanto  con  Orlando  il  re  prestante 
D*  Àfrica,  e  seco  la  battaglia  prende 
Gradasso  con  Sobrino,  e  ti'  altra  parte 
Oliviero;  ed  è  ucciso  Brandimartc. 


1.  L'  odor,  eh'  è  sparso  in  ben  nutrita  e  bella 
O  chioma  o  barlta,  o  delicata  vesta 

Di  giovane  leggiadro,  o  di  donzella, 
CJlie  amor  sovente  liigriinaiido  desta, 
Se  spira,  e  fa  sentir  di  m';  novella, 
K  dopo  molti  giorni  ancora  resta. 
Mostra  con  chiaro  (;d  e\i<lente  elletto, 
Come  a  prinripic»  binnio  <;ra  e  perfetto. 

2.  L'  almo  liquor,  che  ai  mietitori  suoi 
l'eee  Iran»  •;ii.'«lar  «un  >ìuì  ^ran  danno, 
E  che  hi  di<e  cIh;  già  a  Celti  «;  Boi 

Fé'  pas.-«ar  1'  Alpe,  e  non  sentir  I'  alT.innn, 
Mostra ,  c.Im!  dol(;c  era  a  ]iriiieipio ,  poi 
the  si  serba  ancor  dolce  al  Un  dell'  aiuio. 
L'  arbor,  eh'  al  tempo  rio  foglia  non  perde. 
Mostra ,  eli'  a  prinnivera  era  anc«»r  verd«!. 


3.  L'  inclita  stirpe,  che  per  tanti  lustri 
MostW)  di  cortesia  sempre  gran  limie, 

E  par,  eh'  ognor  più  ne  ri.splenda  e  lastri. 
Fa,  che  con  chiaro  indizio  si  presume, 
Che  chi  progenerò  gli  Estensi  illustri, 
Dovea  d'  ogni  laudabile  costume, 
Che  sublimare  al  ciel  gli  uomini  suole. 
Splender  non  men,  che  fra  le  stelle  il  sole. 

4.  Ruggier,  come  in  ciascun  suo  degno  gesto 
D'  alto  valor ,  di  cortesia  solca 
Dimostrar  chiaro  segno  e  manifesto, 

E  sempre  più  magnanimo  apparea, 

Cosi  verso  Dndon  Io  mostrò  in  questo; 

Col  qual ,  come  di  sopra  io  \i  dieea, 

Dissimulato  avea ,  quanto  era  forte. 

Per  pietà ,  clic  gli  avca ,  di  porlo  a  morte. 

5.  Avca  Dudon  ben  conosciuto  <erto. 
Che  ucciderlo  Ruggier  non  1'  ha  voluto, 
Perch'  or  s'  è  ritrovato  allo  !>n>p<Tto, 
Or  stanco  sircbè  più  non  lia  polnto. 
Poiché  rbian»  cnniprende,  e  ^ed»-  aperto, 
Cile  gli  h;i   rispetto,  e  ebe  va  ritenutt^ 
Quanto  di  forza  e  di  vigor  vai  meno, 

Di  cortesia  non  vuitl  ee<iergli  almeno. 

fl.      Per  Dio,  dice,  signor,  pace  faiTÌtimo! 
Cir  esser  non  pnò  più  la  vittoria    mia. 
Esser  nini  può  più  mia,  che  già  mi  chiamo 
^into,  e  prigion  della  tua  eorte>ia. 
Ruggier  ri.s'o.^e  :   Ed  io  la  pace  bramo 
Non   iiien  di  te,   ma  die  con  paltò  sia, 
Cbe  questi  .sette  re,  eh'  hai  qui   b'gati. 
Lasci ,  che  in  libertà  mi  bieno  dati. 


[543] 


OilLANDO    FURiOSO.    (XLI.   ?  — 22) 


r54« 


7.  E  gli  mob^trò  quei  sette  re ,  eh'  io  dissi, 
Che  stavano  legati  a  capo  chino, 

E  gli  soggiunse  ,  che  non  gì'  impedissi 

Pigliar  con  essi  in  Africa  il  canimino. 

E  così  furo  in  libertà  remissi 

Quei  re,  che  gliel  concesse  il  paladino. 

E  gli  concesse  ancor,  che  un  legno  tolse, 

Quel  eh'  a  lui  parve,  e  verso  Africa  sciolse. 

8.  n  legno  sciolse,  e  fé'  scioglier  la  vela, 
E  si  die'  al  vento  perfido  in  possanza, 
Che  da  principio  lu  gonfiata  tela 

Dri/.7.«>  a  cammino,  e  die'  al  nocchier  baldanza 
II  lito  fugge,  e  in  tal  modo  si  cela, 
Clie  par,  che  ne  sia  il  mar  rimaso  sanza. 
KcU'  oscurar  del  giorno  fece  il  vento 
Chiara  la  sua  perfidia  e  '1  tradimento. 

9.  IHutossi  dalla  poppa  nelle  sponde, 
Indi  alla  prora,  e  qui  non  rimase  anco. 
Ruota  la  nave,  ed  i  nocchier  confonde, 

Ch'  or  di  dietro,  or  dinanzi,  or  loro  è  al  fianco. 
Sorgono   altere  e  minacciose  1'  onde.  ! 

Muggendo  sopra  il  mar  va  il  gregge  bianco.       ' 
Di  tante  morti  in  dubbio  e  in  pena  stanno, 
Quante  son  1'  acque ,  eh'  a  ferir  li  vaimo. 

10.  Or  da  fronte,  or  da  tergo  il  vento  spira,  ! 
E  questo  innanzi,  e  quello  addietro  caciaia:  ' 
Un  altro  da  traverso  il  legno  aggira, 

E  ciascun  pur  naufragio  gli  minaccia. 
Quel,  che  siede  al  governo,  alto  sospira, 
Pallido  e  sbigottito  nella  faccia, 
E  grida  invano ,  e  Invan  con  mano  accenna, 
Or  di  voltare,  or  di  calar  1'  antenna. 

11.  Ma  poco  il  cenno,  e  '1  gridar  poco  vale. 
Tolto  è  il  veder  dalla  piovosa  notte: 

La  voce,  senza  udirsi,  in  aria  sale. 

In  aria,  che  feria  con  maggior  botte, 

De'  naviganti  il  grido  universale, 

E  'l  fremito  dell'  onde  insieme  rotte; 

E  in  prora  e  in  poppa,  e  in  ambedue  le  bande 

Kon  si  può  cosa  udir,  che  si  comande. 

13.     Dalla  rabbia  del  vento,  che  sì  fende 
Nelle  ritorte ,  escono  orribil  suoni. 
Di  spessi  lampi  l'  aria  si  raccende; 
Risuona  il  citi  di  spaventosi  tuoni. 
V  è  chi  corre  al  timon,  chi  i  remi  prende. 
Van  per  uso  agli  ul'ficj ,  a  che  son  buoni. 
Chi  s'  affatica  a  sciorre,  e  chi  a  legare; 
Vota  altri  1'  acqua ,  e  torna  il  mar  nel  mare. 

13-     Ecco  stridendo  l'  orrihil  procella, 
Che  '1  repentin  furor  di  ISorea  spinge, 
lia  vela  t onlra  1'  arbore  flagella  ; 
Il  mar  si  leva,  e  quasi   il  cielo  attinge. 
Frangonsi  i  remi ,  e  di  fortuna  fella 
Tanti»  la  rabbia  impetuosa  stringe, 
Che  la  prora  si  volta ,  e  verso  1'  onda 
Fé'  rimaner  la  disarmata  sponda. 

li.      Tutta  sotto  acqua  va  la  destra  bandn, 
E  sta  per  ri^(■r^ar  di  sopra  il  fon«I«. 
Ognun,  gridando,  a  Dio  si  raccomanda, 
("bc  più  cIh:  rrrli  son  gire;  al  profondo. 
D'  uno  in  lui  altro  mal  Forturth  manda; 
Il  jtrimo  scorre,  e   vi«n  dietro  il  seccndo. 
Il   legno  vinto  in  più  parti  si  lassa, 
E  dentro  V  inimica  onda  vi  passa. 


15.  Move  crudele  e  spaventoso  assalto 
Da  tutti  i  lati  il  tempestoso  verno. 
Veggon  talvolta  il  mar  venir  tant'  alto. 
Che  par,  eh'  arrivi  insin  al  ciel  superno. 
Talor  fan  sopra  1'  onde  in  su  tal  salto, 
Cir  a  mirar  giù,  par  !or  veder  l'  inferno. 
O  nulla ,  o  poca  speme  è  ,  che  conforte  ; 
E  sta  presente  inevitabil  morte. 

16.  Tutta  la  notte  per  diverso  mare 
Scorsero  errando,  ove  caccioUi  il  vento. 
Il  fiero  vento ,  che  dovea  cessare 
Nascendo  il  giorno ,  ripigliò  augumento. 
Ecco  dinanzi  un  nudo  scoglio  appare; 
Voglion  schivarlo,  e  non  v'  hanno  argomento. 
Li  porta,  lor  mal  grado,  a  quella  via 

Il  crudo  vento  e  la  tempesta  ria. 

17.  Tre  volte  e  quattro  il  pallido  nocchiero 
Mette  vigor ,  perchè  '1  timon  sia  v  olto, 

E  trovi  più  sicuro  altro  sentiero: 

Ma  quel  si  rompe ,  e  poi  dal  mar  gli  è  tolto. 

Ha  sì  la  vela  piena  il  vento  fiero. 

Che  non  si  può  calar  poco,  nò  molto. 

Kè  tempo  han  di  riparo  o  di  consiglio  ; 

Che  troppo  appresso  è  quel  mortai  periglio. 

X8.      Poiché  senza  rimedio  si  comprende 
La  irreparabil  rotta  della  nave. 
Ciascuno  al  suo  privato  utile  attende, 
Ciascun  salvar  La  vita  sua  cura  ave. 
Chi  può  più  presto  ,  al  palischermo  scende; 
!Ma  quello  è  fatto  subito  sì  grave 
Per  tanta  gente,  che  sopra  v'  abbonda, 
Che  poco  avanza  a  gir  sotto  la  sponda. 

19.  Ruggier,  che  vide  il  comito  e  '1  padrone 
E  gli  altri  abbandonar  con  fretta  il  legno, 
Come  seiiz'  arme  si  trovò  in  giubbone, 
Campar  su  quel  battei  fece  disegno; 

Ma  lo  trovò  sì  carco  di  persone, 
E  tante  venner  poi,  che  1'  acque  il  segno 
Passare  in  guisa ,  che  per  troppo  pondo 
Con  tutto  il  carco  andò  '1  legnetto  al  fondo; 

20.  Del  mare  al  fondo,  e  seco  trasse  quanti 
Lasciaro  a  eua  speranza  il  maggior  legno. 
Allor  s'  udì  con  dolorosi  pianti 
Chiamar  soccorso  dal  celeste  regno: 

31a  quelle  voci  andare  poco  innanti  ; 

Che  A  enne  il  mar  pien  d'  ira  e  di  disdegno, 

E  subito  occupò  tutta  la  vìa. 

Onde  il  lamento  e    1  flebil  grido  ascia. 

21.  Altri  laggiù,  senza  apparir  più,  resta; 
Altri  risorge,  e  sopra  l'  ondò  sbalza. 

Chi  vien  nuotando,  e  mostra  fuor  la  testa; 
Chi  mostra  un  braccio,  e  chi  ima  gamba  scalzi 
Ruggier,  che  '1  minacciar  della  tempesta 
Temer  non  vuol ,  dal  fondo  al  sonnno  e'  alza, 
E  vede  il  nudo  scoglio  non  lontano, 
Ch'  egli  e  i  compagni  avean  fuggito  invano. 

22.  Spera  per  forza  di  piedi  e  di  braccia 
Nuotando  di  salir  sul  lito  asciutto. 
Soffiando  viene,  e  lungi  dalla  faccia 
L'  onde  respinge,  e  1'  importuno  Hutto. 
Il  vento  intanto ,  «  la  tempesta  caccia 
Il  legno  voto ,  e  abbandonato  in  tutto 
Da  cpielli ,  che ,  per  lor  pessima  sorte. 
Il  disio  di  campar  trasse  alla  morte. 


ORLANDO   FURIOSO.     (XLI.  23-38) 


[546] 


i3.      Oh  fallace  degli  uomini  credenza! 
Campò  la  nave,  che  dovea  perire. 
Quando  il  padrone  e  i  galeotti  senza 
Governo  alcun  1'  avcan  lasciata  gire. 
Parve,  che  si  mutasse  di  sentenza 
Il  vento,  poiché  ogni  uom  vide  fuggire. 
Fece,  che  '1  legno  a  miglior  via  si  torse, 
Kè  toccò  in  terra,  e  in  sicura  onda  corse. 

24.  E  dove  col  nocchier  tenne  via  incerta, 
Poiché  non  1'  ebbe,  andò  in  Africa  al  dritto, 
E  venne  a  capitar  presso  a  Biserta 

Tre  miglia  ,  o  due,  dal  lato  verso  Egitto; 
E  nell'  arena  sterile  e  deserta 
Restò,  mancando  il  vento  e  V  acqua,  fitto. 
Or  quivi  soppravvenne,  a  spasso  andando, 
Come  di  sopra  io  vi  narrava ,  Orlando. 

25.  E  disioso  di  saper,  se  fusse 

La  nave  sola  ,  e  fosse  o  vota,  o  carca. 
Con  Brandimarte  a  quella  si  condusse, 
E  col  cognato  in  una  lieve  barca. 
Poiché  sotto  coverta  s' introdusse. 
Tutta  la  ritrovò  d'  uomini  scarca. 
^i  trovò  sol  Frontino,  il  buon  destriero, 
1/  armatura  e  la  spada  di  Ruggiero  ; 

20.     Di  cui  fu  per  campar  tanta  la  fretta, 
Ch'  a  tor  la  spada  non  ebbe  pur  tempo. 
Conoblic  quella  il  paladin ,  che  detta 
Fu  Balisarda,  e  che  già  sua  fu  un  tempo. 
So,  che  tutta  r  istoria  avete  letta, 
Come  la  tolse  a  Falcrina  ,  al  tempo 
Che  le  distru?:sc  anco  il  giardin  si  bello; 
E  come  a  lui  poi  la  rubò  Brunello  ; 

27.  E  come  sotto  il  monte  dì  Carena 
Brunel  ne  fé'  a  Ruggiero  libero  dono. 

Di  che  taglio  ella  fosse  ,  e  di  che  schiena, 
N'  avea  già  fatto  esperimento  buono; 

10  dico  Orlando  ;  e  però  n'  ebbe  piena 
Letizia,  e  ringrazionne  il  sommo  Trono, 
E  si  credette  ,   e  spesso  il  disse  dopo. 

Che  Dio  gli  la  mandasse  a  sì  grand'  uopo; 

28.  A  sì  grand'  uopo ,  come  era ,  dovendo 
Condurci  col   signor  di  Sericana, 

Ch'  oltreché  di  valor  fu^se  tremendo, 
Sapea ,  eh'  avea  Bajardo  e  Durindana. 
L'  altra  armatura,  non  la  conoscendo, 
Kon  apprezzò  per  cosa  si  soprana. 
Come  chi  ne  fc'  prova:  apprezzò  quella 
Per  buona  sì  ,  ma  per  più  ricca  e  bella. 

29.  E  perché  gli  facean  poco  mcsticro 
L'  arme,  eh'  era  invi<ilabilc  e  aliatalo, 
Contento  fu  cIk!  V  a\e.<se  Oliviero; 

11  brando  nò  ,  che  .-.«-l  pose  egli  a  lato. 
A  Brandimarte  consegnò  il  destriero. 
Co.-ì  diviso,  ed  ugualmente  dato 
Volse,  che  fosse  a  ciasrhedun  compagno. 
Che  insieme  si  trovar  ,  di  quel  guadagno. 

30.  Pel  dì  della  battaglia  ogni  guerriero 
Studia  aver  ricco  e  nuovi»  aliito  indosso. 
Orlanib»  ricamar  fa  nel  quarticro 

L'  alto  Baltcl  dal  fulmine  percosso. 
In  «;an  d'  argento  aver  vuole  Oliviero, 
Che  giaccia,  e  che  la  lassa  ab1)ia  huI  do^so, 
C-on  un  uu>tl<»,  che  dica:  Finché  vegna; 
E  vuol  d'  oro  la  vesta ,  e  di  sé  degna. 


31.  Fece  disegno  Brandimarte ,  il  giorno 
Della  battaglia ,  per  amor  del  padre, 

E  per  suo  onor,  di  non  andare  adorno, 
Se  non  di  sopravveste  oscure  ed  adre. 
Fiordiligi  le  fé'  con  fregio  intorno. 
Quanto  più  seppe  far ,  belle  e  leggiadre. 
Di  ricche  gemme  il  fregio  era  contesto 
D'  un  schietto  drappo ,  e  tutto  nero  il  resto. 

32.  Fece  la  donna  di  sua  man  le  sopra- 

A  esti ,  a  cui  1'  arme  converrian  più  fine. 

Di  cui  r  usbergo  il  cavalier  si  copra, 

E  la  groppa  al  cavallo ,  e  'I  petto  e  '1  crine. 

Ma  da  quel  dì ,  che  cominciò  quest'  opra. 

Continuando  a  quel ,  che  le  die'  fine, 

E  dopo  ancora,  mai  segno  di  riso 

Far  non  potè,  né  d'  allegrezza  in  viso. 

33.  Sempre  ha  timor  nel  cor,  sempre  tormento. 
Che  Brandimarte  suo  non  le  sia  tolto. 

Già  r  ha  veduto  in  cento  luoghi  e  cento 

In  gran  battaglie  e  perigliose  avvolto  ; 

Ké  mai ,  come  ora  ,  simile  spavento 

Le  agghiacciò  il  sangue  ,  e  impallidille  il  volto  : 

E  questa  novità  d'  aver  timore 

Le  fa  tremar  di  doppia  tema  il  core. 

34.  Poiché  son  d'  arme  e  d'  ogni  arnese  in  punto, 
Alzano  al  vento  i  cavalier  le  vele. 

Astolfo  e  Sansonetto  con  V  assunto 
Riman  del  grand'  esercito  fedele. 
Fiordiligi  c(»l  cor  di  timor  punto. 
Empiendo  il  ciel  di  voti  e  di  querele, 
Quanto  con  vista  seguitar  le  punte, 
Segue  le  vele  in  alto  mar  remote. 

35.  Astolfo  a  gran  fatica,  e  Sansonetto 
Potè  levarla  da  mirar  nelT  onda, 

E  ritrarla  al  palagio,  ove  sul  letto 
La  lasciaro  alfannata  e  tremebonda. 
Portava  intanto  il  bel  numero  eletto 
De'  tre  buon  cavalier  1'  aura  seconda  : 
Andò  il  legno  a  trovar  1'  isola  al  dritto, 
Ove  far  si  dovea  tanto  conflitto. 

36.  Sceso  nel  lito  il  cavalier  d'  Anglante, 
Il  cognato  Oliviero  e  Brandimarte, 
Col  padiglione  il  lato  di  levante 

Primi  occupar,  né  forse  il  fér  senz'  arte. 
Giunse  quel  dì  medesimo  Agramante, 
E  s'  accampò  dalla  contraria  parte: 
Ma ,  perchè  molto  era  inchinata  1'  ora, 
Diflerìr  la  battaglia  nell'  aurora. 

37.  Di  qua  e  di  là  fin  alla  nuova  luce 
Stanno  alla  guardia  i  servitori  armati. 
La  sera,  Brniuiimarte  si  conduce 

Là,  tiove  ì  Saracin  sono  alloggiati, 

E  parla,  con  licenza  del  suo  duce. 

Al  re  africaii  :  ch'amici  erano  stali; 

E  Brandimarte  già  con  la  h.indiera 

Del  tv.  Agrauiante ,  in  Francia  passato  era. 

38.  Dopo  ì  saluti ,  e  'I  giunger  mano  a  mano, 
]\loUu  ragion,  siccome  amico,  disse 

Il  IVdcl  ca\alicro  al  re  pagano, 

Perchè  a  quota  battaglia  non  venisse; 

E  ili  riporgli  ogni  cittade  in  mano. 

Che  sia  tra    1  Nilo,  e  'l  segno,  «h'  Ercol  lì>>e. 

(/on  volontà  «l'  Orlando,  gli  ollVria, 

So  creder  volci  ul  figlio  di  Maria. 

35 


[551] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XLI.  71-86) 


[552 


71.  Scontrossi  col  re  d'  Africa  Oliviero, 
E  fiir  di  quello  incontro  a  paro  a  paro. 
Brandimarte  restar  senza  destriero 
Fece  Sobrin  ;  ma  non  si  seppe  ciliare, 

Se  v'  ebbe  il  destrier  colpa,  o  il  cavallero; 
Ch'  avvezzo  era  Sobrin  cader  di  raro. 
O  del  destriero ,  o  suo  pur  fosse  il  fallo, 
Sobrin  si  ritrovò  giù  del  cavallo. 

72.  Or  Brandimarte ,  che  vide  per  terra 
Il  re  Sobrin ,  non  1'  assalì  altramente, 
Ma  centra  il  re  Gradasso  si  disserra, 
Ch'  avea  abbattuto  Orlando  parimente. 

Tra  il  marchese  e  Agramante  andò  la  guerra. 

Come  fu  cominciata  primamente  : 

Poiché  si  rupper  1'  aste  negli  scudi, 

S'  eran  tornati  incontra  a  stocchi  ignudi. 

73.  Orlando,  che  Gradasso  in  atto  vede. 
Che  par ,  eh'  a  lui  tornar  poco  gli  caglia, 
]Nè  tornar  Brandimarte  gli  concede, 
(Tanto  lo  stringe,  e  tanto  lo  travaglia) 
Si  volge  intorno,  e  similmente  a  piede 
Vede  Sobrin,  che  sta  senza  battaglia: 

Ver  lui  s'  avventa ,  e  al  mover  delle  piante 
Fa  il  ciel  tremar  del  suo  fiero  sembiante. 

74.  Sobrin,  che  di  tanto  uom  vede  1'  assalto, 
Stretto  neir  arme  s'  apparecchia  tutto. 
Come  nocchiero ,  a  cui  vegna  a  gran  salto, 
Muggendo  incontra,  il  minaccioso  flutto. 
Drizza  la  prora,  e,  quando  il  mar  tanto  alto 
Vede  salire,  esser  vorria  all'  asciutto. 
Sobrin  lo  scudo  oppone  alla  ruina. 

Che  dalla  spada  vitn  di  Falerina. 

75.  Di  tal  finezza  è  quella  Balisnrda, 
Che  r  arme  le  pon  far  poco  riparo. 
In  man  poi  di  persona  sì  gagliarda. 

In  man  d'  Orlando.^  unico  al  mondo,  o  raro, 
Taglia  lo  scudo,  e  nulla  la  ritarda, 
l'erchè  cerchiato  sia  tutto  d'  acciaro: 
Taglia  lo  scudo ,  e  sino  al  fondo  fende, 
E  sotto  a  quello  in  sulla  spalla  scende. 

70.      Scende  alla  spalla ,  e  perchè  la  ritrovi 
Di  doppia  lama,  e  di  maglia  coperta, 
Non  vuol  però ,  che  molto  olia  le  giovi. 
Che  di  gran  piaga  non  la  lasci  aperta. 
Mena  Sobrin;  ma  indarno  è,  che  si  provi 
Ferire  Orlando,  a  cui  per  grazia  certa 
Diede  il  motor  del  cielo  e  delle  stelle. 
Che  mai  forar  non  se  gli  può  la  pelle. 

77.  Raddoppia  il  colpo  il  valoroso  conte, 
E  pensa  dalle  spalle  il  capo  torgli. 
Sobrin,  che  sa  il  valor  di  (Jliiarainontc, 
E  che  poco  gli  vai  lo  scudo  opporgli, 
S" arretra,  ma  non  tanto,  che  la  fronte 
finn  venisse  anco  Balisarda  a  corgli. 

Di  piatto  fu,  ma  il  colpo  tant(»  follo, 

Ch'  ammaccò  1'  elmo,  e  gì'  intronò  il  cervello. 

78.  Cadde  Sobrin  del  fiero  colpo  in  terra, 
Onde  a  gran  pozzo  poi  non  è  risorto. 
Crede  fìnila  avor  con  Ini  la  guerra 

Il  paladino,  e  «he  si  giaccia  morto; 

E  verrfo  il  io  Grada>so  si  disserra. 

Che  Brandiinarto  non  moni  a  mal  porto  ; 

Che  'I  pagali  d'  arme  e  di  spada  1'  avanza, 

E  di  destriero,  e  forse  di  possanza. 


.      L'  ardito  Brandimarte  in  su  Frontino, 
Quel  buon  destrier ,  che  di  Uuggier  fu  dianzi, 
Si  porta  così  ben  col  Saracino, 
Che  non  par  già,  che  quel  troppo  I'  avanzi: 
E  s'  egli  avesse  usbergo  così  fino, 
Come  il  pagan,  gli  starla  meglio  innanzi: 
Ma  gli  convien,  che  mal  si  sente  armato. 
Spesso  dar  luogo ,  or  d'  uno ,  or  d'  altro  Iato. 

80.  Altro  destrier  non  è,  che  meglio  intenda. 
Di  quel  Frontino,  il  cavaliero  a  cenno. 
Par  che ,  dovunque  Durindana  scenda, 

Or  quinci,  or  quindi  <ibbia  a  schivarla  senno. 
Agramante  e  Olivier  battaglia  orrenda 
Altrove  fanno,  e  giudicar  si  donno 
Per  duo  guerrier  di  pari  in  arme  accorti, 
E  poco  difterenti  in  esser  forti. 

81.  Avea  lasciato,  come  io  dissi,  Orlando 
Sobrino  in  terra,  e  contra  il  re  Gradasso 
Soccorrer  Brandimarte  desiando, 

Come  si  trovò  a  pie,  venia  a  gran  passo. 
Era  vicin  per  assalirlo,  quando 
Vide  in  mezzo  del  campo  andare  a  spasso 
Il  buon  cavallo,  onde  Sobrin  fu  spinto, 
E  per  averlo  presto  si  fu  accinto. 

82.  Ebbe  il  destrier,  che  non  trovò  contesa, 
E  levò  un  salto,  ed  entrò  nella  sella j 
Neil'  una  man  la  spada  tien  sospesa. 
Mette  1'  altra  alla  briglia  ricca  e  bella. 
Gradasso  vede  Orlando ,  e  non  gli  pesa, 
Ch'  a  lui  ne  viene,  e  per  nome  1'  appella. 
Ad  esso  e  a  Brandimarte  e  all'  altro  spera 
Far  parer  notte  ,  e  che  non  sia  ancor  sera. 

83.  Voltasi  al  conte  e  Brandimarte  lassa, 
E  d'  una  punta  lo  trova  al  caniaglio. 
Fuorché  la  carne,  ogni  altra  cosa  passa; 
Per  forar  quella  è  vano  ogni  travaglio. 
Orlando  a  un  tempo  Balisarda  abbassa. 
Non  vale  incanto,  ov'  ella  mette  il  taglio. 
L'  elmo,  lo  scudo,  1'  usbergo  e  1'  arnese 
Venne  fendendo  in  giù  ciò,  eh'  ella  prese: 

84.  E  nel  volto  e  nel  petto  e  nella  coscia 
Lasciò  ferito  il  re  di  Sericana, 

Di  cui  non  fu  mai  tratto  sangue,  poscia 

Ch'  ebbe  quell'  arme:  or  gli  par  cosa  strana. 

Che  quella  spada  (e  n'  ha  dispetto  e  angoscia) 

Le  tagli  or  sì  ;  né  pur  è  Durindana. 

E  se  più  lungo  il  colpo  era,  o  più  appresso, 

L'  avria  dal  capo  insino  al  ventre  fesso. 

85.  Non  bisogna  più  aver  nell'  arme  fede. 
Come  avea  dianzi;  che  la  pro^a  è  fatta. 
Con  più  riguardo  e  più  ragion  procode. 
Che  non  solca;  meglio  al  parar  si  adatta, 
Brandimarte,  che  Orlando  entrato  vede, 
Che  gli  ha  di  man  quella  battaglia  tratta. 

Si  pone  in  mozzo  all'  una  e  all'  altra  pugna, 
Perchè  in  ajuto,  ove  è  bisogno,  giugna. 

86.  Essendo  la  battaglia  in  tale  stato, 
Sobrin ,  eh'  era  gia(-into  in  terra  molto. 
Si  levò,  poiché  in  sé  fu  ritornato; 

E  mollo  gli  dolca  la  spalla  e  'l  volto. 
Alzò   la  ^  ista ,  e  mirò  in  ogni  lato  ; 
Poi,  dove  vide  il  suo  signor,  rivolto, 
Per  dargli  ajuto  i  lunghi  passi  torse, 
Tacito  sì,  eli'  alcun  non  so  n'  accorse. 


53] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XLl.  8T-102) 


[554] 


57.     Vìen  dietro  ad  Olivier,  che  tenca  gli  occhj 
Al  re  Agraniante,  e  poco  altro  attendea  j 
E  gli  ferì  nei  deretan  ginocclij 
Il  destrier ,  di  percossa  in  modo  rea, 
Che  senza  indugio  è  forza  che  trabocchi. 
Cade  Olivier,  né  '1  piede  aver  potea, 
Il  manco  pie ,  eh'  al  non  pennato  caso 
Sotto  il  cavallo  in  staffa  era  rimaso. 

SS.     Sobrin  raddoppia  il  colpo,  e  di  riverso 
Gli  mena,  e  se  gli  crede  il  capo  torre; 
Ma  lo  vieta  1'  acciar  lucido  e  terso, 
Che  temprò  già  Viilcan,  portò  già  Ettorre. 
Vede  il  periglio  Brandimarte,  e  verso 
j       II  re  Sobrino  a  tutta  briglia  corre, 
j       E  lo  fere  in  sul  capo ,  e  gli  dà  d'  urto. 
■        Ma  il  fiero  vecchio  è  tosto  in  piò  risorto, 

89.  E  torna  ad  Olivier ,  per  dargli  spaccio, 
Sicch'  espedito  all'  altra  vita  vada, 

0  non  lasciare  almen ,  eh'  esca  d'  impaccio, 
Ma  che  si  stia  sotto  '1  cavallo  a  bada. 
Olivier,  eh'  ha  di  sopra  il  miglior  braccio, 
Sicché  si  può  difender  con  la  spada, 

Di  qua,  di  là  tanto  perente  e  punge, 

Clie,  quanto  è  lunga,  fa  Sobrin  star  lunge. 

90.  Spera,  s'  alquanto  il  tien  da  sé  rispìnto, 
In  poco  spazio  uscir  di  quella  pena. 
Tutto  di  sangue  il  vede  molle  e  tinto, 

E  che  ne  versa  tanto  in  sul!'  arena, 

Che  gli  par,  eh'  alibia  tosto  a  restar  vinto: 

Debole  è  sì,  che  si  sostiene  appena. 

Fa  per  levarsi  Olivier  molte  prove, 

Ké  da  dosso  il  destrier  però  si  muove. 

91.  Trovato  ha  Brandimarte  il  re  Agramante, 
E  cominciato  a  tenii)estargli  intorno. 

Or  con  Frontin  gli  è  al  fianco,  or  gli  è  davante 
Con  quel  Frontin,  che  gira,  come  un  torno. 
Buon  cavallo  ha  il  figliuol  di  Monodante; 
Non  r  ha  peggiore  il  re  di  3Iezzogiorno. 
Ha  Brigliador ,  che  gli  donò  Ruggiero, 
Poiché  lo  tolse  a  Mandrìcardo  altiero. 

92.  Vantaggio  ha  bene  assai  dell'  armatura; 
A  tutta  prova  1'  ha  buona  e  perfetta. 
Brandimarte  la  sua  tolse  a  ventura, 
Qual  potò  avere  a  tal  bisogno  in  fretta; 
Ma  sua  animosità  sì  l'  assicura, 

Che  in  miglior  tosto  di  cangiarla  aspetta, 
Come<;hé  '1  re  alriran  d'  aspra  percossa 
La  spalla  destra  gli  abbia  fatto  rossa, 

93.  E  serbi  da  Gradasso  anco  nel  fianco 
Piaga  da  non  pigliar  però  da  gioco. 
Tanto  r  attese  al  var<;o  il  giicrricr  franco, 
Che  di  cucciar  la  spada  (i-o\ò   lo<-o. 
Spezzò  lo  s(;udo,  e  l'ori  il  braccio  manco, 
E  poi  nella  man  destra  il  toccò  un  poco. 

Ma  questo  un  scherzo  si  può  dire,  e  un  spasso 
Verso  quel ,  che  fa  Orlando  e  '1  re  Gradasso. 

94.  Gradasso  ha  mezzo  Orlando  disarmato, 

L'  elmo  gli  ha  in  cima,  e  da  duo  lati  rotto, 
E  fattogli  cader  lo  s(  iido  al  prato, 

1  sbergo  e  maglia  apertiigli  di  ^otto. 
,Non  r  ha  fcrilo  già;   eli'  era  all'alato. 

Ma  il  paladino  ha  lui  peggio  coiulntlo: 
In  fa«:ci.i,  nella  gola,  in  mezzo  il  petti» 
L'  ha  ferito,  oltre  a  quel,  che  già  v'   ho  detto. 


95.  Gradasso  disperato,  che  si  vede 

Del  proprio  sangue  tutto  molle  e  brutto, 
E  eh'  Orlando  del  suo  dal  capo  al  piede 
Sta,  dopo  tanti  colpi,  ancora  asciutto. 
Leva  il  brando  a  due  mani,  e  ben  si  crede 
Partirgli  il  capo,  il  petto,  il  ventre  e  'l  tutto  ; 
E  appunto ,  come  vuol,  sopra  la  fronte 
Percote  a  mezza  spada  il  fiero  conte. 

96.  E  se  era  altri  eh'  Orlando,  l'  avria  fatto, 
L'  avria  sparato  fin  sopra  lascila; 

Ma,  come  colto  l'  avesse  di  piatto, 

La  spada  ritornò  lucida  e  bella. 

Della  percossa  Orlando  stupefatto, 

Vide,  mirando  in  terra,  alcuna  stella. 

Lasciò  la  briglia .  e  'l  brando  avria  lasciato  : 

Ma  di  catena  al  braccio  era  legato. 

97.  Del  suon  del  colpo  fu  tanto  smarrito 
Il  corridor,  eh'  Orlando  avea  sul  dorso, 
Che  discorrendo  il  polveroso  lito. 
Mostrando  già,  quanto  era  buono  al  corso. 
Dalla  percossa  il  conte  tramortito 

Non  ha  valor  di  ritenergli  il  morso. 
Segue  Gradasso,  e  l'  avria  tosto  giunto, 
Poco  più  che  Bajai'do  avesse  punto. 

98.  Ma  nel  voltar  degli  occhj  il  re  Agramante 
Vide  condotto  all'  ultimo  periglio; 

Che  neir  elmo  il  figliuol  di  Monodante 
Col  br.iccio  manco  gli  ha  dato  di  piglio, 
E  gli  r  ha  dislacciato  già  davante, 
E  tenta  col  pugnai  novo  consiglio. 
Né  gli  può  far  quel  re  difesa  molta, 
Perchè  di  man  gli  ha  ancor  la  spada  tolta. 

99.  Volta  Gradasso,  e  più  non  segue  Orlando; 
Ma,  dove  vede  il  re  Agramante,  accorre. 

L'  incauto  Brandimarte ,  non  pensando, 

Ch'  Orlando  costui  lasci  da  sé  torre, 

Non  gli  ha  né  gli  occhj  ,  né  '1  pensiero,  instando 

Il  coltel  nella  gola  al  pagan  porre. 

Giunge  Gradasso,  e  a  tutto  siu)  potere 

Con  la  spada  a  due  man  l-  elmo  gli  fere. 

100.  Padre  del  ciel,  dà  fra  gli  eletti  tuoi 
Spiriti  luogo  al  martir  tuo  fedele, 
Che  ,  giunto  al  fin  de'   tempestosi  suoi 
Viaggi,  in  porto  omai  lega  le  vele! 
Ah  Durindana,  dunque  esser  tu  puoi 
Al  tuo  signore  Orlando  sì  crudele, 

Che  la  più  grata  compagnia  e  più  fida, 

Ch'  egli  abbia  al  mondo,  innanzi  tu  gli  uccìda.'' 

101.  Di  ferro  un  cerchio  grosso  era  due  dita 
Intorno  all'  elmo  ,  e  fu  ta;?liato  e  rotto 
Dal  graAÌssiiiio  colpo,  e  fu  partita 

lia  curiìa  dell'  acciar,  eh'  era  di  sotto, 
lirandiuiarte  <'(in  l'accia  .«bigotlita 
Giù  del  destrier  si  ri\er>ò  di  botto, 
E  fuor  del  ììì\)0  fé'  con  larga  vena 
Correr  di  sangue  un  fiume  in  sull'  arena. 

102.  Il  conte  si  ri>ente,  e  gli  occhj  gira. 
Ed  ha  il  suo  lirandiuiarte  in  terra  ^corlo; 
E  sopra  in  atto  il  Serican  gli  mira, 

VAìv  ben  «oiuK-ier  può,  che  gliel'  ha  morto. 
Non  so,  si^  ili  Ini  potè  più  il  duolo,  o  1'  ira; 
I\la  da  piangere  il  tempo  avea  sì  corto. 
Che  restò  il  diiido  ,  e  1'  ira  usci  più  in  fretta. 
Ma  tempo  è  oiuai ,  che  fine  al  canto  io  niella. 


[555] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLll.  1  —  12) 


[556] 


CANTO     QUARANTESIMOSECONDO. 


ARGOMENTO. 

H  roman  senator ,  signor  d'  Ànglante, 

Con  V  alto  suo  valor  quasi  divino, 

Uccide  ilfier  Gradasso,  e  'Z  re  Àgramante; 

Conserva ,  e  medicar  fa  il  buon  Sobrino, 

Pel  suo  Ruggier  sospira  Bradamante  ; 

]S'è  meno  ancor  Rinaldo  paladino 

Si  lagna  per  Angelica.     E  lo  scioglie 

Lo  sdegno  ;  e  poscia  un  cavalier  V  accoglie. 


1.  Qnal  duro  freno ,  o  qual  ferrigiio  nodo, 
Qual,  s'  esser  può,  catena  dì  diamante 
Farà,  che  1'  ira  servi  ordine  e  modo, 

Che  non  trascorra  oltre  al  prescritto  innante, 
Quando  persona,  che  con  saldo  chiodo 
T'abbia  già  fissa  amor  nel  cor  costante, 
Tu  vegga,  o  per  violenza,  o  per  inganno, 
Patire  o  disonore,  o  mortai  danno? 

2.  E  s'  a  crudel,  s'  ad  inumano  effetto 
Queir  impeto  talor  1'  animo  svia, 
Merita  scusa;  perchè  allor  del  petto 
Kon  ha  ragione  imperio,  né  balia. 
Achille,  poiché  sotto  il  falso  elmetto 
Vide  Patroclo  insanguinar  la  via, 

D'  uccider  chi  1'  uccise  non  fu  sazio, 
Se  noi  traea,  se  non  ne  facea  strazio. 

3.  Invitto  Alfonso,  simile  ira  accese 
La  vostra  gente  il  di,  che  vi  percosso 
La  fronte  il  grave  sasso,  e  sì  v'  offese, 
Ch'  ognun  pensò ,  che  1'  alma  gita  fosse. 
L'  accese  in  tal  furor,  che  non  difese 
Vostri  nemici  argine,  o  mura,  o  fosse, 
Clie  non  fossino  insieme  tutti  morti, 
Senza  lasciar  chi  la  novella  porti. 

4.  H  vedervi  cader  causò  il  dolore, 

Che  i  vostri  a  furor  mosse,  e  a  crudcltade. 
S'  eravate  in  pie  voi,   forse  minore 
Licenza  avriano  avute  le  lor  spade. 
Eravi  assai,  che  la  Bastia  in  manco  ore 
V'  aveste  ritornata  in  potcstadc, 
Che  tolta  in  giorni  a  voi  non  era  etata 
Da  gente  cordovesc,  e  di  Granata. 

5.  Forse  fu  da  Dìo  vindice  permesso. 
Che  vi  trovaste  a  quel  caso  impedito  ; 
Acciocché  'l  crudo  e  scellerato  eccesso, 
Che  dianzi  fatto  avcan,  fosse  punito; 
Che,  poiché  in  lor  man  vinto  si  fu  messo 
Il  inÌBcr  Vcritidcl ,  lasso  e  ferito, 

Scnz'  arme,  fu  tra  r,«!nto  spade  ucciso 
Dal  popul  la  più  parte  circoncibo. 


6.  Ma,  perdi'  io  vo'  conchiudere,  vi  dico, 
Che  nessun'  altra  qtieU'  ira  pareggia, 
Quando,  Signor,  parente,  o  socio  antico 
Dinanzi  agli  occbj  ingiuriar  ti  veggia. 
Dunque  é  ben  dritto,  per  sì  caro  amico. 
Che  subit'  ira  il  cor  d'  Orlando  feggia, 
Cbc  dell'  orribil  colpo,  che  gli  diede 
Il  re  Gradasso,  morto  in  terra  il  vede. 

7.  Qual  nomade  pastor,  che  vedut'  abbia 
Fuggir  strisciando  l'  orrido  serpente, 
Cile  il  figlinol,  che  giocava  nella  sabbia. 
Ucciso  gli  ha  col  venenoso  dente, 
Stringe  il  baston  con  collera  e  con  rabbia; 
Tal  la  spada  d'  ogni  altra  più  tagliente 
Stringe  con  ira  il  cavalier  d'  Aiiglante. 
Il  primo,  che  trovò,  fu  il  re  Agramante, 

8.  Che  sanguinoso,  e  della  spada  privo. 
Con  mezzo  scudo,  e  con  1'  elmo  disciolto, 
E  ferito  in  più  parti ,  eh'  io  non  scrivo, 
S'  era  di  man  di  Brandimarte  tolto, 
Come  di  pie  all'  astor  sparvier  mal  vivo, 
A  cui  lasciò  la  coda  invido,  o  stolto. 
Orlando  giunse ,  e  mise  il  colpo  giusto, 
Ove  il  capo  si  termina  col  busto. 

9.  Sciolto  era  1'  elmo,  e  disarmato  il  collo, 
Sicché  lo  tagliò  netto,  come  un  giunco. 
Cadde,  e  die'  nel  sabbion  1'  ultimo  crollo 
Del  regnator  di  Libia  il  grave  trunco. 
Corse  lo  spirto  all'  acque,  onde  tiroUo 
Caron  nel  legno  suo  col  graffio  adunco. 
Orlando  sopra  luì  non  si  ritarda. 
Ma  trova  il  Serìcan  con  Balisarda. 

10.  Come  vide  Gradasso  d'  Agramante 
Cadere  il  busto  dal  capo  diviso. 
Quel ,  eh'  accaduto  mai  non  gli  era  innante. 
Tremò  nel  core ,  e  si  smarrì  nel  viso  ; 
E  all'  arrivar  del  cavalier  d'  Anglante, 
Presago  del  suo  mal,  parve  conquiso. 
Per  schermo  suo  partito  alcun  non  prese. 
Quando  il  colpo  mortai  sopra  gli  scese. 

11.  Orlando  lo  ferì  nel  destro  fianco 
Sotto  r  ultima  costa;  e  il  ferro,  immerso 
I\el  ventre ,  un  palmo  uscì  dal  lato  manco. 
Di  sangue  fin  all'  elsa  tutto  asperso. 
Mostrò  ben,   che  di  man  fu  del  più  franco 
E  del  miglior  gucrrier  dell'  universo 
Il  colpo,  eh'  im  signor  condusse  a  morte. 
Di  cui  non  era  in  pagania  il  più  forte. 

12.  Di  tal  vittoria  non  troppo  giojoso, 
Presto  di  sella  il  paladin  si  getta, 
E  col  aìso  turbato  e  lagrimoso 
A  I^randiuinrte  suo  corre  a  gran  fretta. 
Gli  vede  intorno  il  capo  sanguinoso, 
L'  elmo,    che  par  eh'    aperto  abbia  un'  accetta. 
Se  fosse  stato  fral  più  che  di  scorya. 
Difeso  non  1'  avria  con  minor  forza. 


57] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLII.   13  —  28) 


[558] 


-G. 


17. 


18. 


19. 


20. 


Orlando  1'  elmo  gli  levò  dal  tìso, 
E  ritroTÒ,  che  '1  capo  sino  al  naso 
Fra  r  uno  e  l'  altro  ciglio  era  diviso. 
Ma  pur  gli  è  tanto  spirto  anco  rimaso, 
Che  de'  suoi  falli  al  re  del  paradiso 
Può  domandar  perdono  anzi  1'  occaso; 
E  confortare  il  conte,  che  le  gote 
Sparge  di  pianto,  a  pazienza  puotc, 

E  dirgli:  Orlando,  fa  che  ti  ricordi 
Di  me  neir  orazion  tue  grate  a  Dio  ! 
Kè  iiien  ti  raccomando  la  mia  Fiordi.  .  . 
Ma  dir  non  potè ,  Ligi  ;  e  qui  finio. 
E  voci  e  suoni  d'  angeli  concordi 
Tosto  in  aria  s'  udir ,  che  l'  alma  uscio, 
La  qual,  disciolta  dal  corporeo  velo, 
Fra  dolce  melodia  salì  nel  cielo. 

Orlando ,  ancorché  far  dovea  allegrezza 
Di  si  devoto  fine ,  e  sapea  certo, 
Che  Brandimartc  alla  suprema  altezza 
Salito  era,  che  '1  ciel  gli  vide  aperto; 
Pur  dalla  umana  volontade ,  avvezza 
Coi  fragil  sensi ,  mal  era  solTerto, 
Ch'  un  tal ,   più  che  fratel ,  gli  fosse  tolto, 
E  non  aver  di  pianto  umido  il  volto. 

Sobrin,  che  molto  sangue  avea  perduto. 
Che  gli  piovca  sul  fianco  e  sulle  gote, 
Riverso  già  gran  pezzo  era  caduto, 
E  aver  ne  dovea  omai  le  vene  voto. 
Ancor  giacca  Olivier,  nò  riavuto 
Il  piede  avea  ;  né  riaver  lo  puote. 
Se  non  ismosso ,  e  dello  star,  che  tanto 
Gli  fece  il  destrier  sopra,  mezzo  infranto: 

E  se  '1  cognato  non  venia  ad  aitarlo, 
(Siccome  lagrimoso  era  e  dolente) 
Per  sé  medesmo  non  potea  ritrarlo; 
E  tanta  doglia  e  tal  martir  ne  sente. 
Che,  ritratto  che  l'  ebbe,  né  a  mutarlo, 
Ké  a  fermarvisi  sopra  era  possente: 
£d  ha  insieme  la  gaml>a  sì  stordita, 
Che  mover  non  si  può ,  se  non  si  aita. 

Della  vittoria  poco  rallegrossc 
Orlando;  troppo  gli  era  a(!er!)o  e  duro 
Veder,  che  morto  Hrantlimarte  fosse, 
Kè  del  cognato  molto  e>^er  sicuro. 
Sobrin,  che  vivea  ancora,  ritrovitssc; 
Ma  poco  chiaro  avea  con  molto  oscuro  : 
Che  la  sua  vita  per  1'  uscito  sangue 
Era  vicina  a  rimanere  esangue. 

Lo  fece  tor,  che  tutto  era  sanguigno, 
Il  conte,  e  medicar  discretamente, 
E  cnnfortotlo  con  parlar  benigno, 
Come  se  stato  gli  fosse  pariiitc  : 
Che  dopo  il  fatto  nulla  di  maligno 
In  sé  tcnea ,  ma  tutto  era  clemente. 
Fece  dei  morti  arme  e  «cavalli  torre; 
Del  resto  a'  servi  lor  lasciò  disporre. 

Qui  della  istoria  mia,  rh<;  non  sia  vera, 
Federico  Fiilgoso  è  in  dnbbio  al(|iiiinlo, 
Che,  con  1'  armata  a^endtt  la  ri\i<'ra 
Di  Darberia  trascorsa  in  ogni  canto, 
Capitò  quivi  ,  e  1'  isola  sì   fiera, 
Montnosa  e  incgnal  ritrovò  tanto, 
Che  non  è,   dire,  in   tntto  il   luogo  strano, 
Ove  un  sul  pie  si  puHsa  metter  piano  : 


21.  Né  verisimil  tien,  che  nell'  alpestre 
Scoglio  sei  cavalieri,  il  fior  del  mondo, 
Potessin  far  quella  battaglia  equestre. 
Alla  quale  objezion  cosi  rispondo  : 

Ch'  a  quel  tempo  una  piazza  delle  destre, 
Che  sleno  a  questo,  avea  lo  scoglio  al  fondo, 
Ma  poich'  un  sasso ,  che  '1  tremuoto  aperse, 
Le  cadde  sopra ,  tutta  la  coperse. 

22.  Sicché,   o  chiaro  fulgor  della  fulgosa 
Stirpe ,  o  serena ,  o  sempre  viva  luce. 
Se  mai  mi  riprendeste  in  questa  cosa, 

E  forse  innanzi  a  quello  invitto  duce, 

Per  cui  la  vostra  patria  or  si  riposa. 

Lascia  ogni  odio,  e  in  amor  tutta  s'  induce. 

Vi  prego,  che  non  siate  a  dirgli  tardo, 

Ch'  esser  può,  che  né  in  questo  io  sia  bugiardo. 

23.  In  questo  tempo  alzando  gli  occhj  al  mare, 
Vide  Orlando  venire  a  vela  in  fretta 

Un  naviglio  leggier,  che  di  calare 

Facea  sembiante  sopra  1'  isoletta. 

Di  chi  si  fosse,  io  non  voglio  or  contare, 

Perch'  ho  più  d'  uno  altrove,  che  m'  aspetta. 

Veggiamo  in  Francia,  poiché  spinto  n'  hanno 

I  Saracin,  se  mesti,  o  lieti  stanno. 

24.  Veggìam ,  che  fa  quella  fedele  amante, 
Che  vede  il  suo  contento  ir  sì  lontano  ; 
Dico  la  travagliata  Bradamante, 
Poiché  ritrova  il  giuramento  vano, 

Ch'  avea  fatto  Ruggicr  pochi  di  innante. 
Udendo  il  nostro ,  e  1'  altro  stuol  pagano. 
Poich'  in  questo  ancor  manca,  non   le  aNun/a. 
In  eh'  ella  debbia  più  metter  speranza: 

25.  E  ripetendo  i  pianti ,  e  le  querele. 
Che  pur  troppo  domestiche  le  furo, 
Tornò ,  a  sua  usanza ,  a  nominar  crudele 
Ruggiero,  e  '1  suo  destin  spietato  e  duro. 
Indi ,  sciogliendo  al  gran  dolor  le  vele, 

II  ciel,  che  consentia  tanto  pergiuro, 
Né  fatto  n'  avea  ancor  segno  evidente. 
Ingiusto  chiama,  debole  e  impotente. 

26.  Ad  accusar  jMclissa  si  converse, 
E  maledir  1'  oracol  della  grotta, 

Ch'  a  lor  mendace  suasion  s'  inuuerse 

Kel  mar  d'  amore,  ov'  è  a  morir  condotta. 

Poi  con  Marfisa  ritornò  a  dolerse 

Del  suo  fratel,  che  le  ha  la  fede  rotta. 

Con  lei  grida  e  si  sfoga,  e  le  domanda 

Piangendo  ajuto,  e  se  le  rnccomaiula. 

27.  Marfisa  si  ristringe  nelle  spalle, 

E  quel  sol  che  può  far,  le  dà  conforto. 

Né  crede,  che  Rnggier  mai  co»ì  falle, 

Ch'  a  lei  non  debba  ritornar  di  rorlo; 

E   se  non  torna  pur ,  sna  fede  dalle, 

Ch'   ella  non  patirà  si  grave  torto, 

O  che  battaglia  piglicrà  con  esso, 

0  gli  farà  osservar  ciò ,  eh'  ha  promesso. 

28.  Cosi  fa,   eh'  ella   un  poro  il  duol  ralfrena, 
Ch'  avendo  ove  sfogarlo ,  è  niciui  acerbo. 
Or  eh'  abbiam  vi>ta  liradamantt»  in  pena, 
('liiamar  Uuggi<-r  perginro  ,  empio  e   ...uperbo. 
^  cggianut  ancor,  se  miglior  vita  iiniia 

il  fratel  suo ,  che  non  ha  polso ,  o  ncrlni. 
Osso,  o  medolla.   che  non  senta   imIiIo 
Delle  fiuuuuc  d'  uiuur;  dico  Rinaldo. 


[559] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XLII.  29-4Ì) 


[560] 


29.  Dico  Rinaldo,  il  qiial,  come  sapete, 
Angelica  la  bella  amava  tanto. 

]Sc  r  avea  tratto  all'  amorosa  rete 
Si  la  beltà  di  lei,  come  1'  incanto. 
Aveano  gli  altri  paladin  quiete. 
Essendo  ai  3Iori  ogni  vigore  affranto; 
Tra  i  vincitori  era  rimaso  solo 
Egli  cattivo  in  amoroso  duolo. 

30.  Cento  messi  a  cercar,  che  di  lei  fusse, 
Avea  mandato,  e  cerconne  egli  stesso. 
AlGne  a  Malagigi  si  ridusse. 

Che  nei  bisogni  suoi  1'  ajutò  spesso. 
A  narrare  il  suo  amor  se  gli  condusse 
Col  viso  rosso  e  col  ciglio  dimesso; 
Indi  lo  prega,  clic  gì'  insegni,  dove 
La  desiata  Angelica  si  trove. 

31.  Gran  meraviglia  di  si  strano  caso 
Va  rivolgendo  a  Malagigi  il  petto. 
Sa ,  che  sol  per  Rinaldo  era  rimaso 
D'  averla  cento  volte,  e  più  nel  letto; 
Ed  egli  stesso,  acciocché  persuaso 
Fosse  di  questo,  avea  assai  fatto  e  detto 
Con  prieghi  e  con  minacce,  per  piegarlo, 
Kè  avuto  avea  giammai  poter  di  farlo. 

32.  E  tanto  più ,  eh'  allor  Rinaldo  avrebbe 
"  Tratto  fuor  Malagigi  di  prigione. 

Fare  or  spontaneamente  lo  vorrebbe,^ 

Che  nulla  giova,  e  n'  ha  minor  cagione. 

Poi  prega  lui,  che  ricordar  si  debbe 

Pur  quanto  ha  offeso  in  questo  oltr'  a  ragione, 

Che  per  negargli  già,  vi  mancò  poco 

Di  non  farlo  morire  in  scuro  loco. 

33.  Ma,  quanto  a  Malagigi  le  domande 
Di  Rinaldo  importune  più  pareano. 
Tanto,  che  1'  amor  suo  fosse  più  grande, 
Indizio  manifesto  gli  f accano. 

I  preghi,  che  con  lui  vani  non  spande, 
Fan,  che  subito  immerge  nell'  oceano 
Ogni  memoria  della  ingiuria  vecchia,^ 
E  che  a  dargli  soccorso  s'  apparecchia. 

34.  Termine  tolse  alla  risposta,  e  spene 
Gli  die',  che  favorcvol  gli  saria, 

E  che  gli  saprà  dir  la  via,  che  tiene 

Ann'cliea,  sia  in  Francia,  o  dove  sia. 

E  quindi  Malagigi  al  luogo  viene, 

Ove  i  demonj  scongiurar  solia, 

Ch'  era  fra  monti  inaccessibil  grotta. 

Apre  il  libro  ,  e  gli  spirti  chiama  in  frotta  : 

35.  Poi  ne  sceglie  un,  che  de'  casi  d'  amore 
Area  notizia,  e  da  lui  saper  volle. 

Come  sia,  che  Rinaldo,  eh'  avea  il  core 
Dinanzi     si  duro,  or  l'   abbia  tanto  molle. 
E  di  quelle  due  fonti  ode  il  tenore, 
Di  che  r  una  dà  il  foco,  e  1'  altra  il  lolle; 
E  al  mal ,  «;he  1'  una  fa ,  nulla  soccorre. 
Se  non  1'  altra  acqua,  <;he  contraria  corre. 

80.      Ed  ode,  come  avendo  già  di  quella, 
Che  r   amor  caccia,  bevuto  Rinaldo, 
Ai  lun^lii  preghi  d'  Angelica  bella 
Si  dimostrò  v.»-\  ostinato  e  ualdo  ; 
E   die  poi,  giunto,  per  sua  inìqua  stella, 
A  ber  n<-ir  altra  1'  auu)rosu  cahhN 
Tornò  ad  air.-.ir ,  per  forza  di  quelle  acque, 
Lie,  che  pur  dianzi  oltr'  al  dover  gli  ^piacque. 


37 


Da  iniqua  stella  e  fler  destin  fu  giunto 
A  ber  la  fiamma  in  quel  ghiacciato  rivo; 
Perclic  Angelica  venne  quasi  a  un  punto 
A  ber  nell'  altro  di  dolcezza  pi  ivo. 
Che  d'  ogni  amor  le  lasciò  il  cor  si  emunto, 
Ch'  indi  ebbe  lui,  più  che  le  serpi,  a  schivo. 
Egli  amò  lei  ;  e  1'  amor  giunse  al  segno. 
In  eh'  era  già  di  lei  1'  odio  e  lo  sdegno. 


38 


abbia 


Del  caso  strano  di  Rinaldo  appieno 
Fu  Malagigi  dal  demonio  istrutto, 
Che  gli  narrò  d'  Angelica  non  meno, 
Ch'   al  giovane  african  si  donò  in  tutto, 
E  come  poi  lasciato  avea  il  terreno 
Tutto  d'  Europa,  e  per  1'  instabil  Hutto 
Verso  India  sciolto  avea  dei  liti  Ispani 
SuU'  audaci  galee  de'  Catalani. 

39.  Poiché  venne  il  cugìn  per  la  risposta. 
Molto  gli  dissuase  Malagigi 
Di  più  Angelica  amar,  che  s'  era  posta 
D'  un  vilissimo  Barbaro  ai  servigi, 
Ed  ora  sì  da  Francia  si  discosta, 
Che  mal  seguir  se  ne  potria  i  vestigi; 
Ch'  era  oggiraai  più  là,  eh'  a  mezza  strada, 
Per  andar  con  Medoro  in  sua  contrada. 

40.  La  partita  d'  Angelica  non  molto 
Sarebbe  grave  all'  animoso  amante  ; 
]Vè  pur  gli  avria  turbato  il  sonno,  o  tolto 
Il  pensier  di  tornarsene  in  Levante: 
Ma  sentendo,  eh'  avea  del  suo  amor  colto 
Un  Saracino  le  primizie  innante, 
Tal  passione  e  tal  cordoglio  sente, 
Che  non  fu  in  vita  sua  mai  più  dolente. 

41.  Non  ha  poter  d'  una  risposta  sola; 
Trema  il  cor  dentro,  e  treman  fuor  le  labbia; 
Non  può  la  lingua  disnodar  parola  ; 
La  bocca  ha  amara,  e  par,  che  tosco  v' 
Da  Malagigi  subito  s'  invola, 
E  come  il  caccia  la  gelosa  rabbia, 
Dopo  gran  pianto ,  e  gran  rammaricarsi. 
Verso  Levante  fa  pensier  tornarsi. 

42.  Chiede  licenza  al  figlio  di  Pipino, 
E  trova  scusa,  che  '1  destrier  Bajardo, 
Che  ne  mena  Gradasso  Saracino, 
Contra  il  dover  di  cavalier  gagliardo. 
Lo  move  per  suo  onore  a  quel  cammino. 
Acciocché  vieti  al  Serican  bugiardo 
Di  mai  vantarsi,  che  con  spada  o  lancia 
L'  abbia  levato  a  un  paladin  di  Francia. 

Lasciollo  andar  con  sua  licenza  Carlo, 
Benché  ne  fu  con  tutta  Francia  mesto; 
Ma  finalmente  non  seppe  negarlo, 
Tanto  gli  parve  il   desiderio  onesto, 
^uol  Dudon,  vuol  Guidone  accompagnarlo. 
Ma  lo  nega  Rinaldo  a  quello  e  a  questo. 
Lascia  Parigi ,  e  se  ne  va  a  ia  solo, 
Pien  di  sospiri  e  d'  amoroso  duolo. 

Senipre  ha  in  menmria,  e  mai  non  se  gli  tot 
Ch'  averla  mille  volte  avea  potuto, 
E  mille  volte  avea  ostiuiiti»  e  folle 
Di  sì  rara  beltà  fatto  rifiuto, 
E  di  tanto  piac,<u' ,  eli'  aver  non  volle, 
Sì  bello  e  sì  liuon  tempo  era  perduto, 
Ed  ora  el(;gg(!rel)be  un  giorno  corto 
Averne  solo ,  e  rimaner  poi  morto. 


13 


44. 


561] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLII.  45-60) 


[562] 


45.     Ha  sempre  in  mente ,  e  mai  non  se  ne  parte, 
Come  esser  puotc,  eh'  un  povero  fante 
Abbia  del  cor  di  lei  spinto  da  parte 
Merito  e  amor  d'  ogni  altro  primo  amante. 
Con  tal  pensier ,  che  '1  cor  gli  straccia  e  parte, 
Rinaldo  se  ne  va  verso  Levante, 
E  dritto  al  Reno  e  a  Basilea  si  tiene, 
Finché  d'  Ardenna  alla  gran  selva  viene. 

-16.      Poiché  fu  dentro  a  molte  miglia  andato 
Il  paladin  pel  bosco  avventuroso, 
Da  ville  e  da  castella  allontanato. 
Ove  aspro  era  più  il  luogo  e  periglioso, 
Tutto  in  un  tratto  vide  il  ciel  turbato, 
Sparito  il  sol  tra  nuvoli  nascoso, 
Ed  uscir  fuor  d'  una  caverna  oscura 
Un  strano  mostro  in  femminil  figura. 

47.      Mille  occhj  in  capo  avea  senza  palpebre; 
Non  può  serrarli ,  e  non  credo ,  che  dorma. 
Non  men  che  gli  occhj ,  avea  1'  orrecchie  crebre  ; 
Avea,  in  loco  di  crin,  serpi  a  gran  torma. 
Fuor  delle  diaboliche  tenebre 
INel  mondo  uscì  la  spaventevol  forma. 
Un  fiero  e  maggior  serpe  ha  per  la  coda, 
Che  pel  petto  si  gira  ,  e  che  1'  anuoda. 

ÌS.      Quel,  eh'  a  Rinaldo  in  mille  e  mille  imprese 
Più  non  avvenne  mai,  quivi  gli  avviene; 
Che  come  vede  il  mostro,  eh'  all'  offese 
Se  gli  apparecchia ,  e  eh'  a  trovar  lo  viene, 
Tanta  paura,  quanta  mai  non  scese 
In  altri  forse ,  gli  entra  nelle  vene. 
Ma  pur  r  usato  ardir  simula  e  finge, 
E  con  trepida  man  la  spada  stringe. 

49.  S'  acconcia  il  mostro  in  guisa  al  fiero  assalto, 
Che  si  può  dir ,  che  sia  mastro  di  guerra. 
Vibra  il  serpente  venenoso  in  alto, 

E  poi  contra  Rinaldo  si  disserra. 
Di  qua,  di  là  gli  vien  sopra  a  gran  salto. 
Rinaldo  contra  Ini  vaneggia  ed  erra: 
Colpi  a  dritto  e  a  riverso  tira  assai. 
Ma  non  ne  tira  alciui ,  che  fera  mai. 

50.  Il  mostro  al  petto  il  serpe  ora  gli  appicca. 
Che  sotto  r  arme  ,  e  sin  nel  cor  1'  agghiaccia: 
Ora  per  la  visiera  glielo  ficca, 

E  fa ,  eh'   erra  pel  collo  e  per  la  faccia. 
Rinaldo  dall'  impresa  si  di>pi(-ca, 
E  quanto  può  con  sproni  il  destricr  caccia; 
Ma  la  furia  internai  già  non  par  zoppa, 
Che  spicca  un  sulto ,  e  gli  è  subito  in  groppa. 

51.  Vada  a  traverso,  o  a  dritto,  ove  sì  voglia, 
Sempre  ha  con  lui  la  inaladetta  peste; 

Né  sa  modo  trovar,   clic  se  ni-  scioglia, 
Hcnehè  'I  destrier  di  calcitrar  non  rote. 
Tremo  a  Uinaldo  il  cor,  come  una  foglia; 
Non  eh'  al(ranien(e  il  serpe  lo  moleste; 
Ma  tanto  orror  n(;  sente,  <;  tanto  schivo. 
Che  i-itride  «;  g(!ine,  e  duolsi .  «IT  egli  è  vivo. 

52.  N«d  più  tristo  sentier,  nel  peggior  calle 
Scorrendo  >a,  nel  più  intricato  bosco, 
0\e  ha  più  asprezza  il  balzo,  ove  la  valle 
r,  più  spinosa,  ov'  è  1'  aer  jìiù  fosco, 

<;o>i  sperando  torsi  dalU;   spalle 

Quel  limito,  altliominoso ,   orrido  tosco: 

!•;  ne  saria  mal  capitato  forse, 

Se  tosto  non  giungeu  chi  lo  hocoorsc. 


53.  Ma  lo  soccorse  a  tempo  un  cavaliero 
Dì  bello  ai-mato  e  lucido  metallo. 
Che  porta  un  giogo  rotto  per  cimiero. 
Di  rosse  fiamme  ha  pìen  lo  scudo  giallo, 
Così  trapunto  il  suo  vestire  altero, 

Così  la  soppravvcsta  del  cavallo. 

La  lancia  ha  in  pugno  ,  e  la  spada  al  suo  loco, 

E  la  mazza  all'  arcion,  che  getta  foco. 

54.  Piena  d'  un  foco  eterno  è  quella  mazza, 
Che,  senza  consumarsi,  ognora  avvampa. 
Né  per  buon  scudo ,  o  tempra  dì  corazza, 
O  per  grossezza  d'  elmo  se  ne  scampa. 
Diuique  sì  debbe  il  cavalier  far  piazza, 
Giri  ove  vuol  i'  inestinguibil  lampa  : 

Né  manco  bisognava  al  guerrier  nostro 
Per  levarlo  dì  man  del  crudel  mostro. 

55.  E  come  cavalier  d'  animo  ealdo. 

Ove  ha  udito  il  rumor,  corre  e  galoppa, 
Tanto  ,  che  vede  il  mostro  ,  che  Rinaldo 
Col  brutto  serpe  in  mille  nodi  aggroppa, 
E  sentir  fagli  a  un  tempo  freddo  e  caldo  ; 
Che  non  ha  via  di  torlosi  di  groppa. 
Va  il  cavaliero ,  e  fere  il  mostro  al  fianco, 
E  lo  fa  traboccar  dal  lato  manco. 

5f).      Ma  quello  è  appena  in  terra ,  che  sì  rizza, 
E  il  lungo  serpe  intorno  aggira  e  vibra. 
Quest'  altro  più  con  1'  asta  non  1'  attizza. 
Ma  dì  farla  col  fuoco  sì  delibra. 
Ija  mazza  impugna ,  e  dove  il  serpe  guizza. 
Spessì ,  come  tempesta  ,  ì  colpi  libra  ; 
Né  lascia  tempo  a  quel  brutto  animale, 
Che  possa  farne  im  solo ,  o  bene ,  o  male. 

57.  E  mentre  addietro  il  caccia ,  o  tiene  a  bada, 
E  lo  pcrcote,  e  vendica  mille  onte. 
Consiglia  il  paladin  ,  che  se  ne  vada 

Per  quella  via,  che  s'  alza  verso  il  monte. 
Quel  s'  appiglia  al  consiglio ,  ed  alla  strada, 
E  senza  tlietro  mai  volger  la  fronte. 
Non  cessa,  che  dì  vista  se  gli  tolle. 
Benché  molto  aspro  era  a  salir  quel  colle. 

58.  Il  cavalier,  poìch'  alla  scura  buca 
Fece  tornare  il  mostro  dell'  inferno, 
Ove  rode  sé  stesso,  e  sì  maniu;a, 

E  da  mille  occhj  ^ersa  il  pianto  eterno. 
Per  esser  di  Rinaldo  guida  e  duca 
(ìli  salì  dietro  ,  e  sul  giogo  superno 
(ìli  fu  alle  spalle,    e  si  mise  con  lui. 
Per  trarlo  fuor  de'  luoghi  oscuri  e  bui. 

59.  Come  Rinaldo  il  vide  ritornato, 

Gli  disse,  cIk!  gli  avea  grazia  infinita. 
E  rir  era  debitoria  in  ogni  lato 
Di  porre  al  beneficio  suo  l.i  y'itn. 
Ptii  io  doiuanda,  come  sia  nomato, 
.A('<  io  dir  sappia,  clii  gli  lia  dato  aita, 
i:  ha  guerrieri  possa,  e  innanzi  a  (/arlo. 
Dell'  alla  sua  Inuità  si^mpre  es.iltarlo. 

GO.      Ui>|>os(^  il  i-a^alier:   \on  ti  riiu'resca. 
Se  'I  nonu^  mio  scoprir  nuli  ti  soglio  ora! 
Ben  tei  diro,   primacii'  un  passo  «cresca 
L'  (uiibra  ;  <'hè  ci  sarà  poca  dimora, 
'l'rovaro  and. nulo  ìnsienu-  uà'  ai'qua  ficsra. 
l'\w.  col  suo  iMorniorio  Iacea  talora 
Pastori  o  AJaniianti  al  chiaro  rio 
Venire,  e  berne  V  amoroso  obblio 

a6 


[563] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLII.   61 -76) 


[564] 


61.  Signor,  queste  eran  quelle  gelide  acque, 
Quelle,  che  spengon  1'  amoroso  caldo, 

Di  cui  bevendo,  ad  Angelica  nacque 

L'  odio,  eh'  ebbe  di  poi  sempre  a  Rinaldo. 

E  s'  ella  un  tempo  a  lui  prima  dispiacque, 

E   se  neir  odio  il  ritrovò  sì  saldo, 

Non  derivò,  Signor,  la  causa  altronde. 

Se  non  d'  aver  bevuto  di  queste  onde. 

62.  Il  cavalier,  che  con  Rinaldo  viene. 
Come  si  vede  innanzi  il  chiaro  rivo. 
Caldo  per  la  fatica  il  destrier  tiene, 
E  dice:  Il  posar  qui  non  fia  nocivo. 
Non  fia,   disse  Rinaldo,  se  non  l)ene; 

Ch'  oltreché  prema  il  mezzogiorno  estivo, 
M'  ha  cosi  il  brntto  mostro  travagliato, 
Che  '1  riposar  mi  fia  comodo  e  grato. 

63.  L'  uno  e  1'  altro  smontò  del  suo  cavallo, 
E  pascer  lo  lasciò  per  la  foresta; 

E  nel  fiorito  verde  a  rosso  e  a  giallo 
Ambi  si  trasser  1'  elmo  della  testa. 
Corse  Rinaldo  al  liquido  cristallo, 
Spinto  da  caldo  e  da  sete  molesta, 
E  cacciò  a  un  sorso  del  freddo  liquore 
Dal  petto  ardente  e  la  sete,  e  1'  amore. 

64.  Quando  lo  vide  1'  altro  cavalicro 
La  bocca  sollevar  dall'  acqua  molle, 
E  rjtrarne  pentito  ogni  pensiero 

Di  quel  desir,  eh'  ebbe  d'  amor  si  folle, 
Si  levò  ritto ,  e  con  sembiante  altero 
Gli  disse  quel,  che  dianzi  dir  non  volle: 
Sappi ,  Rinaldo ,  il  nome  mio  è  lo  Sdegno, 
Venuto  sol  per  sciorti  il  giogo  indegno. 

65.  Così  dicendo ,  subito  gli  sparve, 

E  sparve  insieme  il  suo  destrier  con  lui. 
Questo  a  Rinaldo  un  gran  miracol  parve; 
S'  aggirò  intorno,  e  disse:  Ove  è  costui? 
Stimar  non  sa,  se  sian  magicht;  lar\e, 
Che  Malagigi,  un  de'  ministri  sui. 
Gli  abbia  mandato  a  romper  la  catena, 
Che  lungamente  1'  ha  tenuto  in  pena; 

66.  Oppur  che  Dio  dall'  alta  gerarchia 
Gli  abbia,  per  inefTalìil  sua  boutade. 
Mandato,  come  già  mandò  a  Tobia, 
Un  angelo  a  levar  di  cecitade. 

Ma  buono,  o  rio  demonio,  o  quel  che  sia, 
Che  gli  ha  renduta  la  sua  libertade, 
Ringrazia  e  loda,  e  da  lui  sol  conosce. 
Che  sano  ha  il  cor  dall'  amorose  angosce. 

67.  Gli  fu  nel  primicr  odio  ritornata 
Angelica  ,  e  gli  parve  troppo   indegna 
D'  esser ,  non  che  sì  Inngi  seguitata. 
Ma  che  per  lei  pur  mezza  lega  vegna. 
Per  riaver  Uajardo  tutta  fiata, 

Verso  India  in  Sericana  andar  disegna. 
Sì   perchè  l'  onor  suo  Io  stringe  a  farlo, 
Sì  per  averne  già  parlato  a  Carlo. 

68.  Giunse  il  giorno  s(tgn(;nte  a  liasilea. 
Ove  la  nuo^a  era  venuta  innante, 

Che  il  conte  Orlando  aver  pugna  «lovea 

Contra  Gradasso  e;  contra  il  re  Agramantc. 

Aè  questo  per  avviso  kÌ   sa[)ea, 

Cir  ave-^e  dato  il  cavali<:r  d'  Angliuite; 

Miì  di  Sicilia  in  fretta  venut'  era 

Ciii  la  nocella  v'  apportò  per  vera. 


69.  Rinaldo  vuol  trovarsi  con  Orlando 
Alla  battaglia,  e  se  ne  vede  lunge. 
Di  dieci  in  dieci  miglia  va  mutando 
Cavalli  e  guide,  e  corre,  e  sferza,  e  punge. 
Passa  il  Reno  a  Costanza,  e  in  su  volando 
Traversa  1'  Alpe,  ed  in  Italia  giunge; 
Verona   addietro,  addietro  Mantoa  lassa, 

Sul  Pò  si  trova,  e  con  gran  fretta  il  passa. 

70.  Già  s'  inchinava  il  sol  molto  alla  sera, 
Ed  apparia  nel  ciel  la  prima  stella, 
Quando  Rinaldo  in  ripa  alla  riviera 
Stando  in  pens  er,  s'  avea  da  mutar  sella, 
O  tanto  soggiornar,  che  1'  aria  nera 
Fuggisse  innanzi  all'  altra  aurora  bella, 
Venir  si  vede  un  cavaliero  innanti. 
Cortese  nell'  aspetto  e  ne'  sembianti. 

71.  Costui,  dopo  il  saluto,  con  bel  modo 
Gli  domandò ,  se  aggiunto  a  moglie  fosse. 
Disse  Rinaldo  :  Io  son  nel  giogal  nodo  ; 
Ma  di  tal  domandar  meravigliosse. 
Soggiunse  quel  :  Che  sia  così ,  ne  godo. 
Poi ,  per  chiarir ,  perchè  tal  detto  mosse. 
Disse  :  Io  ti  prego ,  che  tu  sia  contento, 
Ch'  io  ti  dia  questa  sera  alloggiamento: 

72.  Che  ti  farò  veder  cosa ,  che  debbe 
Ben  volentier  veder  chi  ha  moglie  allato. 
Rinaldo,  sì  perchè  posar  vorrebbe, 
Ormai  di  correr  tanto  affaticato. 

Sì  perchè  di  vedere  e  d'  udir  ebbe 
Sempre  avventure  un  desiderio  innato, 
Accettò  r  offerir  del  cavaliero, 
£  dietro  gli  pigliò  nuovo  sentiero. 

73.  Un  tratto  d'  arco  fuor  di  strada  uscirò, 
E  innanzi  un  gran  palazzo  si  trovaro. 
Onde  scudieri  in  gran  frotta  veniro 

Con  torchj  accesi,  e  fero  intorno  chiaro. 
Entrò  Rinaldo ,  e  voltò  gli  occhj  in  giro, 
E  vide  loco ,  il  qual  si  vede  raro. 
Di  gran  fabbrica ,  e  bella ,  e  ben  intesa  ; 
Né  a  privato  uom  convenia  tanta  spesa. 

74.  Di  serpentin ,  di  porfido  le  dure 
Pietre  fan  della  porta  il  ricco  volto. 
Quel  che  chiude  è  di  bronzo,   con  figure. 
Che  sembrano  spirar,  movere  il  volto. 
Sotto  un  arco  poi  s'  entra ,  ove  misture 
Di  bel  nuisaico  ingannan  1'  occhio  molto. 
Quindi  si  va  in  un  quadro,  eh'  ogni  faccia 
Delle  sue  logge  ha  lunga  cento  braccia. 

75.  La  sua  porta  ha  per  sé  ciascuna  loggia, 
E  tra  la  porta  e  sé  ciascuna  ha  un  arco. 
D'  ampie/za  pari  son,  ma  varia  foggia 
Fé'  d'  oniamenti  il  mastro  lor  non  parco. 
Da  ciascun  arco  s'  entra ,  ove  si  (loggia 
Sì  facii ,  che  un  somier  vi  può  gir  carco. 
Un  altro  arco  dì  su  trova  ogni  scala, 

E  tì'  entra  per  ogni  arco  in  una  sala. 

76.  Gli  archi   di  sopra  escono  fuor  del  segno 
Tanto,  che  fan  coperchio  alle  gran  porte j 
E  ciascun  due  «.olonne  ha  per  sostegno. 
Altre  di  bronzo ,  altre  di  pietra  forte. 
Lungo  sarà,   s(!  tutti  vi  disegno 

(ìli  ornati  alloggiamenti  della  corte; 

Ed  olirà  quel,  die  appar,  quanti  agi  sotto 

La  cava  terra  il  mastro  avea  ridotto. 


)65] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XLII.  77—92) 


7.      L'  alte  colonne  e  ì  capitelli  d'  oro, 
Di  che  i  g^eramati  palchi  cran  soffulti, 
I  peregrini  marini ,  che  \ì  foro 
Da  dotta  mano  in  varie  forme  sculti, 
Pitture  e  getti ,  e  tant'  altro  lavoro, 
BencJiè  la  notte  agli  occhj  il  più  ne  occulti, 
Mostran,  che  non  bastaro  a  tanta  mole 
Di  duo  re  insieme  le  ricchezze  sole. 

ÌS.      Sopra  gli  altri  ornamenti  ricchi  e  belli, 
Ch'  erano  assai  nella  gioconda  stanza, 
V  era  una  fonte,  che  per  più  ruscelli 
Spargea  freschissime  acque  in  abbondanza. 
Poste  le  mense  avean  quivi  i  donzelli, 
Ch'  era  nel  mezzo  per  ugual  distanza. 
Vedeva ,  e  parimente  veduta  era 
Da  quattro  porte  della  casa  altera. 

79.  Fatta  da  mastro  diligente  e  dotto 
La  fonte  era  ,  con  molta  e  sottil'  opra. 

Di  loggia  a  guisa,  o  padiglion,  che,  in  otto 

Facce  distinto,  intorno  adombri  e  copra. 

Un  ciel  d'  oro,  che  tutto  era  di  sotto 

Colorito  di  smalto,  le  sta  sopra; 

Ed  otto  statue  son  di  marmo  bianco, 

Che  sostengon  quel  ciel  col  bi-accio  manco. 

80.  Nella  man  destra  il  corno  d'  Amaitca 
Sculto  avea  lor  1'  ingenioso  mastro. 
Onde  con  grato  murmurc  cadea 

L'  acqua  di  fiiore  in  vaso  d'  alahastro; 
Ed  a  sembianza  di  gran  donna  avea 
Ridotto  con  grand'  arte  ogni  pilastro. 
Son  d'  abito  e  di  faccia  differente. 
Ma  grazia  hanno  e  beltà  tutte  ugualmente. 

81.  Fermava  il  pie  ciascun  di  questi  segni 
Sopra  due  belle  immagini  più  basse. 
Che  con  la  bocca  aiierta  facean  segni. 
Che  'I  canto  e  V  aiinonia  lor  dilettasse  : 

E  queir  atto ,  in  che  son ,  par  (^he  disegni, 
Che  r  opra  e  studio  lor  tutto  lodasse 
Le  l)elle  donne,  clic  su  gli  omeri  hanno, 
Se  fosser  quei,  di  cui  in  sembianza  stanno. 

82.  I  simulacri  inferiori  in  mano 
Avean  limghe  ed  amplissime  scritture, 
Ove  facean  con  molta  laude  piano 

1  nomi  (Ielle  più  degne  figiu-e; 

E  mostravano  an<-iir  poco  lontano 

1  propi'j   loro  in  note  non  ostuin;. 

I\1iró  Hinahio  a  lume  di  doppieri 

Le  donne  ad  una  ad  una,  e  i   cavalieri. 

83.  La  prima  inscrizion,  clic  agli  occhj  occorre, 
Con  lungo  onor  liUcrezia  itorgia  nt>iiiii, 

La  (Mii  billcz/.a  «-d  (uie-tà  prcporri- 
Debbe  alT  antica  la  sua  patria  Konia. 
1  duo ,  die  voluto  bari  s()|)ra  ^<è  torre 
Tanto  eccellente  ed  oinuala   s(min, 
Noma  io  scritto  ,  Antonio  'i'<-baldco. 
Ercole  Strozza,  un  Lino,  ed  uno  Orfeo. 

81.      Non  men  gioconda  statua ,  uè  mcn  bella, 
Si  vede  appreso,    e  la  scriltiira  dice: 
Ecco  la  figlia  d'  Ercole  ,  tabella, 
Per  cui  Ferrara  si  terrà  l'elict; 
Ma  più,  perchè  in   lei  nata   sarà  quella, 
("Ile  d'  altro  ben,  che  p^o^p('ra  e  fautrice 
E  briiigiia  Foriiiiia  dar  Iv.  deve, 
\olgendo  gli  anni  nel  suo  corso  lie\e. 


[566] 


85.  I  duo ,  che  mostran  disiosi  affetti. 
Che  la  gloria  di  lei  sempre  risuone, 
Gian  Giacobi  ugualmente  erano  detti, 
L'  uno  Calandra ,  e  1'  altro  Bardeione. 
Nel  terzo  e  quarto  loco,  ove  per  stretti 
Rivi  i'  acqua  esce  fuor  del  padiglione, 
Due  donne  son,  che  patria,  stirpe,  e  onore 
Hanno  di  par,  di  par  beltà  e  valore. 

86.  Elisabetta  1'  una,  e  Leonora 
Nominata  era  1'  altra  :  e  fia ,  per  quanto 
Narrava  il  marmo  sculto,  d'  esse  ancora 
Sì  gloriosa  la  terra  di  Pianto, 

Cile  di  VirgiHo,  che  tanto  1'  onora. 
Più  che  di  queste,  non  si  darà  vanto. 
Avea  la  prima  appiè  del  sacro   lembo 
Jacobo  Sadoleto ,  e  Pietro  Bembo. 

87.  Un  elegante  Castiglione,  e  un  culto 
Muzio  Arelio  dell'  altra  eran  soste'-^ni. 
Di  questi  nomi  era  il  bel  marmo  sculto. 
Ignoti  allora,  or  sì  famosi  e  degni, 
^eggon  poi  quella,  a  cui  da!  cielo  indulto 
Tanta  virtù  sarà,  quanta  ne  regni, 

O  mai  regnata  in  alcun  tempo  sia, 
Versata  da  fortuna  or  buona,  or  ria. 

S8.      Lo  scritto  d'  oro  esser  costei  dichiara 
Lucrezia  Bentivoglia;  e  fra  le  lode 
Pone  di  lei,  che  "1  duca  di  Ferrara 
D'  esserle  padre  si  rallegra  e  gode. 
Di  costei  canta  con  soave  e  chì<ira 
Voce  un  Cammil ,  che  '1  Reno  e  Felsìna  ode 
Con  tanta  attenzion,  tanto  stupore. 
Con  quanta  Anfriso  udì  già  il  suo  pastore. 

89.  Ed  un ,  per  cui  la  terra ,  ove  1'  Isauro 
Le  sue  dolci  acque  insala  in  maggior  vase. 
Nominata  sarà  dall'    Indo  al  ]\lauro, 

E  dall'  aiistrine  all'  iperboree  case, 
A  ia  più ,  che  per  pesare  il  roiiian  a\iro, 
Di  che  perpetuo  nome  le  rimase. 
Guido  Postumo,  a  cui  doppia  corona 
Pallade  quinci ,  e  quindi  Febo  duna. 

90.  L'  altra,  che  segue  in  ordine,  è  Diana. 
Non  guardar,  dice  il  marmo  scritto,  eh'  ella 
Sia  altera  in  vista;  che  nel  core  iiiiiana 
Non  sarà  però  men,  che  in  viso  bella. 

Il  dotto  Celio  CaliMgnin  lontana 
Farà  l.i  gb»ria  e    1  bel  nome  ili  quella 
Ael  regno  di  M»iiiese,  in  qin  I  di  .Suba, 
In  India  e  Spagna  udir  con  chiiira  tuba; 

91.  Ed  tin  Marco  Cavallo,  che  tal  fonte 
Farà  di  jtoesia  na»rer  «1'   Ancona, 

Qiial  fé'  il  ca\<illo  alato  iix'ir  del  monte. 
Non  so,  se  di   Pariiiiso ,  o  d'   Klicona. 
Beatri<-e  appresso  a  questa  alz,i  la  fronte, 
Di  cui   lo  scritto  suo  così  ragiona  : 
Beatrice  bea  vivendo   il  suo  cmisorte, 
E  lo  lascia  infelice  alla  sua  morte, 

92.  Anzi  tutta  1'  Italia,   clic  con  lei 
Fia  trionfante,    e  senza  lei  cattiva, 
l'n  signor  di  (torreggio  di  cosici 

(]oii  alto  stil  par  che  cantando  scriva, 
E  Timoteo ,  l'  onor  de'  Bnidcdci  : 
Ambi  farai!  tra  V  inni  e  1    altra  riva 
l''crmare  al  suoii  de'  lor  soavi  plettri 
11  fiume,  ove  sudar  gli  aniichi  elettri. 

3(»  * 


[567] 


ORLANDO  FURIOSO.    (XLII.  93  —  104) 


[568]! 


93.  Tra  questo  loco  ,  e  quel  della  colonna. 
Che  fu  scolpita  in  Borgia ,  coni'  è  detto, 
Formata  in  alabastro  una  gran  donna 
Era,  di  tiinto  e  sì  sublime  aspetto. 

Che  sotto  puro  velo ,  in  nera  gonna 
Senz'  oro  e  gemme ,  in  un  vestire  schietto, 
Tra  le  più  adorne  non  parca  men  bella, 
Che  sia  tra  1'  altre  la  ciprigna  stella. 

94.  jNon  si  potea  ben  contemplando  fiso 
Conoscer  ,  se  più  grazia ,  o  più  beltade, 
O  maggior  maestà  fosse  nel  viso, 

O  più  indizio  d'  ingegno  ,  o  d'  onestade. 
Chi  vorrà  di  costei  (dicea  1'  inciso 
Marmo)  parlar .  quanto  parlar  n'  accade. 
Ben  torrà  impresa  più  d'  ogni  altra  degna, 
Ma  non  però ,  che  a  fin  mai  se  ne  vegna. 

95.  Dolce  quantunque ,  e  picn  di  grazia  tanto 
Fosse  il  suo  bello  e  ben  formato  segno, 
Parca  sdegnarsi ,  che  con  umil  canto 
Ardisse  lei  lodar  sì  rozzo  ingegno, 

Cora'  era  quel ,  che  sol ,  senz'  altri  accanto, 
(Non  so  perchè)  le  fu  fatto  sostegno. 
Ì)i  tutto  il  resto  erano  i  nomi  scuUi; 
Sol  questi  duo  1'  artefice  avea  occulti. 

96.  Fanno  le  statue  in  mezzo  un  luogo  tondo, 
Cile  "1  pavimento  asciutto  ha  di  corallo. 

Di  freddo  soavissimo  giocondo, 

Che  rendea  il  puro  e  liquido  cristallo, 

Che  di  fuor  cade  in  un  canal  fecondo, 

Che  il  prato  verde ,  azzurro ,  bianco ,  e  giallo 

Rigando  scorre  per  varj  ruscelli, 

Grato  alle  morbide  erbe,  e  agli  arboscelli. 

97.  Col  cortese  oste  ragionando  stava 
Il  paladino  a  mensa;  e  spesso  spesso, 
Senza  più  difTerir ,  gli  ricordava, 

Che  gli  attenesse  quanto  avea  promesso  ; 
F  ad  «)r  ad  or  mirandolo ,  osservava, 
(Jir  avea  di  grande  affanno  il  core  oppresso, 
Che  non  può  star  momento ,  che  non  abbia 
Un  cocente  sospiro  in  sulle  labbia. 

98.  Spesso  la  voce  dal  desio  cacciata 
Viene  a  Rinaldo  fin  presso  alla  bocca 
Per  domandarlo  ,   e  quivi  raffrenata 
Da  corte>e  modestia  fuor  non  scocca. 
Ora  essendo  la  cena  terminata. 

Ecco  un  donzello ,  a  chi  1'  ufficio  tocca, 
Poh  sulla  mensa  un  bel  nappo  d'  or  fino, 
Di  fuor  di  gemme,  e  dentro  pien  di  vino. 


99.     Il  signor  della  casa  allora  alquanto 
Sorridendo  ,  a  Rinaldo  levò  il  viso  ; 
Ma  chi  ben  lo  notava,  più  di  pianto 
Parca,  eh'  avesse  voglia,  che  di  riso. 
Disse:  ora  a  quel,  che  mi  ricordi  tanto, 
Che  tempo  sia  di  soddisfar,  m'  è  avviso, 
Mostrarti  un  paragon ,  eh'  esser  de'  grato 
Di  vedere  a  ciascun ,  eh'  ha  moglie  allato. 

100.  Ciascun  marito ,  a  mio  giudicio  ,  deve 
Sempre  spiar,  se  la  sua  donna  1'  ama, 
Saper ,  so  onore  o  biasmo  ne  riceve, 

Se  per  lei  bestia,  o  se  pur  uora  si  chiama. 

L'  incarco  delle  corna  è  lo  più  lieve, 

Che  al  mondo  sia ,  sebben  V  uom  tanto  infama: 

Lo  vede  quasi  tutta  1'  altra  gente, 

E  chi  r  ha  in  capo ,  mai  non  se  lo  sente. 

101.  Se  tu  sai,  che  fedel  la  moglie  sia. 
Hai  di  più  amarla ,  e  d'  onorar  ragione, 
Che  non  ha  quel ,  che  la  conosce  ria, 

0  quel,  che  ne  sta  in  dubbio  e  in  passione. 
Di  molte  n'  hanno  a  torto  gelosia 

1  lor  mariti,  che  son  caste  e  buone  : 
Molti  di  molte  anco  sicuri  stanno, 
Che  con  le  corna  in  capo  se  ne  vanno. 

102.  Se  vuoi  saper,  se  la  tua  sia  pudica, 
(Come  io  credo  che  credi ,  e  creder  dei, 
Ch'  altramente  far  credere  è  fatica) 

Se  chiaro  già  per  prova  non  ne  sei, 

Tu  per  te  stesso ,  senza  eh'  altri  il  die  , 

Te  n'  avvedrai ,  se  in  questo  vaso  bei, 

Che  per  altra  cagion  non  è  qui  messo. 

Che  per  mostrarti  quanto  io  t'  ho  promesso 

103.  Se  bei  con  questo,  vedrai  grande  effetto: 
Che ,  se  porti  il  cimier  di  Cornovaglia, 

Il  vin  ti  spargerai  tutto  sul  petto, 
IVè  gocciola  sarà,  che  in  bocca  saglia: 
Ma,  se  hai  moglie  fedel,  tu  berrai  netto. 
Or  di  veder  tua  sorte  ti  travaglia. 
Così  dicendo,  per  mirar  tien  gli  occlij. 
Che  in  seno  il  vin  Rinaldo  si  trabocchi- 
lo!.     Quasi  Rinaldo  di  cercar  suaso 

Quel  che  poi  ritrovar  non  vorria  forse, 
]\Iessa  la  mano  innanzi ,  e  preso  il  vaiìo, 
Fu  presso  di  volere  in  prova  porse. 
Poi ,  quanto  fosse  periglioso  il  caso 
A  porvi  i  labbri ,  col  pensier  discorse. 
Ma  lasciate ,  Signor ,  eh'  io  mi  ripose  ! 
Poi  dirò  quel,  che  '1  paladin  rispose. 


)69] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XLIII.   1  —  12) 


[5Ì0Ì 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO. 


ARGOMENTO. 

Due  novelle  Rinaldo ,  in  vitupero 
Delle  donne  una,  e  V  altra  intende  ed  ode 
Degli  uomini;  e  dappoi  vario  sentiero 
Ritrova  Orlando ,  e  seco  poco  gode. 
L'  esequie  fan  di  Brandimartc ,  e  fiero 
Dolor  dì  Fior  diligi  il  petto  rode. 
Battesmo  ave  Sobrin  dalV  eremita, 
E  col  buono  Olivier  salva  la  vita. 


y^.      Oh  esecrabile  avarizia!  oh  ìng'orda 
Fame  iV  avere!   io  non  mi  ineravig^iio, 
Che  ad  ahna  vile ,  e  d'  altre  inaixhie  lorda 
Sì  facilmente  dar  possi  di  piglio; 
Ma  che  meni  lef»-ato  in  una  corda, 
E  che  tu  impiaghi  del  medet^mo  artiglio 
Alcun,  che  per  altezza  era  d'  ingegno, 
Se  te  schivar  potea,  d'  ogni  onor  degno. 

2.  Alcun  la  terra ,  e  '1  mare ,  e  i  ciel  misura, 
E  render  sa  tutte  le  cau^e  appieno 

D'  ogni  opra ,  d'  ogni  cfletto  di  natura, 
E  poggia  sì,  che  a  Dio  riguarda  in  seno; 
E  non  pu»>  aver  più  ferma  e  maggior  cura, 
Morso  dal  tuo  mortifero  veleno, 
Che  unir  tesoro  ;  e  questo  sol  gli  prcm 
E  ponvi  ogni  salute,  ogni  sua  speme. 

3.  Rompe  eserciti  alcuno,  e  nelle  porte 
Si  vede  entrar  di  bellicose  terre. 

Ed  esser  primo  a  porre  il  petto  forte, 
l  Itimo  a  trarre,  in  perigliose  guerre; 
E  non  può  riparar,  che  sino  a  morte 
Tu  nel  tuo  cieco  carcere  noi  serre. 
Altri  d'  altre  arti  e  d'  altri  studj  industri, 
Oscuri  fui ,  che  sarian  chiari  e  illustri. 

4.  Che  d'  alcune  dirò  belle  e  gran  donne, 
Che  a  belh-'/.'/.a,  a  virtù  di  lìdi  amanti, 

A   lunga  servitù  più  <:lie  colonne 

Io  veggo  dure,  iuuuobili  <;  co>tanti? 

Veggo  venir  poi  i'  avarizia,  e  ponne 

Far  ^i,  che  par,  che  subito  le  incanti. 

In  un  dì,  senza  amor  (chi  fìa  che  '1  creda?) 

A  un  vecchio,  a  un  brutto,  a  un  mo^tro  le  dà  in  preda 

5.  \on  è  senza  cagion  ,  s'  io  me  n(;  iloglio  : 
Intendami  chi   può ,  che  m'  inteiid'  io. 

]\ù   però  di  pro|iosito  mi  toglio, 

^<'-  la  uraleria  del  mio  c:anto  obblio; 

Ma  non  più  u  quel,  «-ir  ho  detto,  adattar  voglio, 

('he  il  quel,  eh'  io  v'  ho  da  dire,  il  parlar  mio. 

Or  torniamo  a  contar  del  piiladiiio, 

Clif  ini  a-sajrgiare  il  va.so   fu  »icii;o! 


6.  Io  vi  dicea ,  eh'  alquanto  pensar  volle. 
Prima  eh'  ai  labbri  il  vaso  s'  appressasse. 
Pensò,  e  poi  disse:  Ben  sarebbe  fo41e 

Chi  quel ,  che  non  vorria  trovar ,  cercasse. 
Mia  donna  è  donna,   ed  ogni  donna  è  molle: 
Lasciam  star  miii  credenza  come  stassc  ! 
Sin  qui  m'  ha  il  creder  mio  giovato  e  giova. 
Che  poss'  io  migliorar ,  per  farne  prova  ? 

7.  Potria  poco  giovare,  e  nuocer  molto  ; 
Che  '1  tentar  qualche  volta  Dio  disdegna. 
Non  so ,  se  in  questo  io  mi  sia  saggio ,  o  stolto, 
]Wa  non  vo'  più  saper,  che  mi  ctinvegna. 

Or  questo  vin  dinanzi  mi   sia  tolto  ! 
Sete  non  n'  ho ,  ne  vo'  che  me  ne  vegna  ; 
Che  tal  certezza  ha  Dio  più  proibita, 
Che  al  primo  padre  1'  arbor  della  vita. 

8.  Che,  come  Adam,  poiché  gustò  del  pomo, 
Che  Dio  con  propria  lìocca  gì'  interdisse. 
Dalla  letizia  al  pianto  fece  un  tomo, 

Onde  in  miseria  poi  sempre  s'  afflisse: 
Cosi ,  se  della  moglie  sua  vuol  1'  uomo 
Tutto  saper ,  quanto  ella  fece  e  disse, 
Cade  dall'  allegrezze  in  pianti  e  in  guai, 
Onde  non  può  più  rilevarsi  mai. 

t).      Così  dicendo  il  buon  Rinaldo,  e  intanto 
Respingendo  da  sé  1'  odiato  vase, 
Vide  abbondare  un  gran  rivo  di  pianto 
Dagli  occhj  del  signor  di  quelle  case, 
Che  disse,  poiché  racchetossi  alquanto: 
Sia  maladetto  chi  mi  persuase, 
Ch'  io  facessi  la  |>rova,  oimé!  di  sorte, 
Che  mi  levò  la  dolce  mia  consorte! 

10.  Perchè  non  ti  conobbi  già  dicci  anni, 
Sìcch'  io  mi  fossi  consigliato  teco, 
Primache  comincia>sero  gli  aflanni 

E  "1  lungo  pianto,  onde  io  .-«on  quasi  cieco? 

Ma  vo'  legarti  dalla  scena  i  panni. 

Che  '1  mio  mal  vogghi,   e  te  ne  dogli  meco; 

E    ti  dirò  il  principio  e  1'  argomento 

Del  mio  luui  comparabile  tormento. 

11.  (Quassù  lasciasti  una  città  virimi, 

A  cui  fa  intorno  un  chiaro  fiume  laco. 
Che  poi  si  steiule ,  e  in  (|ne.-.to  l'o  declina, 
E  r   «)rÌK:ine  sua  vien  di   IJi-iiaco. 
Fu  f.itta  la  città ,  quando  a  mimi 
Le  uuu-a  andar  d<ll'  agcnoreo  draco. 
Qni\i  na<'(|ui  io  di  slirp<-  assai  gentile. 
Ma  in  pover  tetto,   e  in  farultadc  umile. 

12.  Se  fortiuia  di  me  non  ebbe  cura, 
Si<cliè  mi  desse  al  nas<er  mio  ricchezza, 
Al  difetto  di    lei  supplì   natura, 

('he  so|)ra  ogni   mio  ugual  mi  die'  bellezza- 
Donne  e  doii'/.clle  già  di  mia  figura 
Arder  più  d'  mia  vidi  in  giovanezza; 
(ir  io  ci  seppi  accoppiar  cortc:>i  modi; 
Henrliè  stia  mal.   che  1'  uom  sé  »tesso  Indi. 


£571] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XLUI.  13  —  28) 


[572] 


13.  Nella  nostra  cìttade  era  un  iiom  saggio. 
Di  tutte  r  arti,  oltre  ogni  creder,  dotto, 
Che,  quando  chiuse  gii  occhj  al  febeo  raggio, 
Contava  gli  anni  suoi  cento  e  ventotto. 
Visse  tutta  sua  età  solo  e  selvaggio. 

Se  non  1'  estrema,  che,  da  amor  condotto, 
Con  premio  ottenne  una  matrona  bella, 
E  n'  ebbe  di  nascosto  una  zitella. 

14.  E  per  -^-ietar,  che  simil  la  figliuola 
Alla  madre  non  sia,  che  per  mercede 
Vendè  sua  castità,  che  valea  sola 

Più  che  quanto  oro  al  mondo  si  possiede, 
Fuor  del  commercio  popolar  la  invola, 
Ed,  ove  più  solingo  il  luogo  vede, 
Quest'  ampio  e  bel  palagio,  e  ricco  tanto 
Fece  fare  a'  demonj  per  incanto. 

15.  A  vecchie  donne  e  caste  fé'  nutrire 

La  figlia  qui,  che  in  gran  beltà  poi  venne, 
Kè  ,  che  potesse  altr'  uom  veder ,  né  udire 
Pur  ragionare  in  quella  età ,  sostenne. 
E  perchè  avesse  esempio  da  seguire, 
Ogni  pudica  donna,  che  mai  tenne 
Contra  illecito  amor  chiuse  le  sbarre, 
Ci  fé'  d'  intaglio,  o  di  color  ritrarre; 

16.  Non  quelle  sol,  che  di  virtude  amiche 
Hanno  si  il  mondo  all'  età  prisca  adorno. 
Di  cui  la  fama  per  1'  istorie  antiche 
Non  è  per  veder  mai  1'  ultimo  giorno, 
Ma  nel  futuro  ancora  altre  pudiche. 
Che  faran  bella  Italia  d'  ogn'  intorno. 

Ci  fé'  ritrarre  in  lor  fattezze  conte, 
Come  otto,  che  ne  vedi  a  questa  fonte. 

17.  Poiché  la  figlia  al  vecchio  par  matura. 
Sicché  ne  possa  1'  uom  cogliere  i  frutti, 

0  fosse  mia  disgrazia ,  o  mia  ventura, 
Eletto  fui  degno  di  lei  fra  tutti. 

1  lati  campi,  oltre  le  belle  mura. 

Non  meno  i  pescherecci,  che  gli  asciutti, 
Che  ci  son  d'  ogn'  intorno  a  venti  miglia, 
Mi  consegnò  per  dote  della  figlia. 

18.  Ella  era  bella  e  costumata  tanto, 
Che  più  desiderar  non  si  potea. 

Di  bei  trapunti  e  di  ricami,  quanto 

Mai  ne  sapesse  Pallade,  sapea. 

Vedila  andare,  odine  il  suono  e  '1  canto, 

Celeste  e  non  mortai  cosa  parca; 

E  in  modo  all'  arti  liberali  attese. 

Che  quanto  il  padre,  o  poco  men ,  ne  intese. 

li).     Con  grande  ingegno,  e  non  minor  bellezza. 
Che  fsitta  1'  avria  amabil  fino  ai  sassi, 
Era  giunto  un  amore,  una  dolcezza, 
Ch(!  par ,  che  a  rimembrarne  il  cor  mi  passi. 
Non  avca  più  piacer,  né  più  vaghezza. 
Che  d'  esser  meco,  ov'  io  mi  stessi,  o  andassi. 
Senza  aver  lite  mai  stemmo  gran  pezzo: 
L'  avemmo  poi  per  colpa  mia  da  sez/.o. 

20.      Morte»  il  suocero  mio  dopo  cinque  anni, 
Cir  io  sottoposi  il  colle»  al  giogal  nodo. 
Non  sten»  in«»lto  a  cominciar  gli  afViinni, 
Ch'  io  bent(»  ancora ,  e  ti  dirò  ,   in  c!ie  modo. 
Mentre  mi  rif^biiuira  tutto  coi  vanni 
L'  amor  <li  questa  mia,  che  sì  ti  lodo, 
Ina  tciiiniìiia  iioiiìl  did  paese, 
Quunlo  accender  si  può  ,  di  me  s'  accctic. 


21.  Ella  sapea  d'  incanti  e  di  malie 
Quel,  che  saper  ne  possa  alcuna  maga, 
liendea  la  notte  chiara,  oscuro  il  die, 
Fermava  il  sol,  facea  la  terra  vaga. 
Non  potea  trar  però  le  voglie  mie, 
Che  le  sanassìn  1'  amorosa  piaga 

Col  rimedio,  che  dar  non  le  potria, 
Senz'  alta  ingiuria  della  donna  mia. 

22.  Non  perchè  fosse  assai  gentile  e  bella. 
Né  perché  sapess'  io ,  che  sì  m'  amassi, 

Né  per  gran  don,  né  per  promesse,  eh'  ella 
Mi  fesse  molte,  e  di  continuo  instassi. 
Ottener  potè  mai  eh'  una  fiammella, 
Per  darla  a  lei ,  del  primo  amor  levassi  ; 
Che  addietro  ne  traea  tutte  mie  voglie 
Il  conoscermi  fida  la  mia  moglie. 

23.  La  speme,  la  credenza,  la  certezza. 
Che  della  fede  di  mia  moglie  avea, 
M'  avria  fatto  sprezzar  quanta  bellezza 
Avesse  mai  la  giovane  ledea, 

O  quanto  offerto  mai  senno  e  ricchezza 
Fu  al  gran  pastor  della  montagna  idea. 
Ma  le  repulse  mie  non  valean  tanto, 
Che  potessin  levarmela  da  canto. 

24.  Un  dì ,  che  mi  trovò  fuor  del  palagio 
La  maga ,  che  nomata  era  Melissa, 

E  mi  potè  parlare  a  suo  grande  agio. 
Modo  trovò  da  por  mia  pace  in  rissa, 
E  con  lo  spron  di  gelosia  malvagio 
Cacciar  del  cor  la  té ,  che  v'  era  fissa. 
Comincia  a  commendar  1'  intenzion  mia, 
Ch'  io  sia  fedele  a  chi  fedel  mi  sia. 

25.  Ma  che  ti  sia  fedel ,  tu  non  puoi  dire, 
Primaché  di  sua  fé  prova  non  vedi. 

S'  ella  non  falle,  e  che  potria  fallire. 
Che  sia  fedel,  che  sia  pudica,  credi. 
Ma  se  mai  senza  te  non  la  lasci  ire. 
Se  mai  vedere  altr'  uom  non  le  concedi, 
Onde  hai  questa  baldanza,  che  tu  dica, 
E  mi  vogli  alleruiar ,  che  sia  pudica  ? 

26.  Scostati  un  poco,   scostati  da  casa! 
Fa,  che  le  cittadi  odano  e  i  villaggi. 
Che  tu  sia  andato,  e  eh'  ella  sia  riniasa! 
Agli  amanti  dà  comodo ,  e  ai  messaggi  ! 
S'  a'  pieghi,  a'  doni  non  fia  persuasa 

Di  fare  al  letto  maritale  oltraggi, 
E  che,  facendol,  creda  che  si  cele, 
Allora  dir  potrai,  che  sia  fedele. 

27.  Con  tai  parole  e  simili  non  cessa 
L'  incantatricc,  finché  mi  dispone. 
Che  della  donna  mia  la  fede  espressa 
Veder  voglia  e  provare  a  paragone. 
Ora  poniamo  ,  le  soggiiuigo ,  eh'  ess^ 
Sia,  qual  non  posso  averne  opinione; 
Come  potrò  di  lei  poi  farmi  certo, 

Che  sia  di  punizion  degna,  u  di  merto? 

28.  Disse  Melissa:  Io  ti  darò  un  vasello 
Fatt(»  da  ber,  di  virtù  rara  e  strana; 
Qual  già ,  per  fare  accorto  il  suo  fratello 
Del  fallo  di  Ginevra,  fé'  Morgana. 

Chi  la  moglie  ha  pudica,  bce  con  quello; 
Ma  n(»n  vi  può  già  ber  vhì  V  ha  puttana; 
(jlié    1  vin,  quandi»  h»  crede  in  b(»c('a  porre. 
Tutto  bi  sparge ,  e  fuor  nel  petto  scorre. 


373] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLIII.  29-44) 


[5T4] 


29.      Primachè  parti,  ne  farai  la  prova, 
E  per  lo  creder  mia  tu  berai  netto; 
Che  credo ,  eh'  ancor  netta  si  ritrova 
La  moglie  tua,  pur  ne  vedrai  1'  effetto. 
Ma,  s'al  ritorno  esperienza  nuova 
Poi  ne  farai,  non  t'  assicuro  il  petto; 
Che,  se  tu  non  lo  immolli,  e  netto  bei, 
1       D'  ogni  marito  il  più  felice  sei. 

ISO.     L'  offerta  accetto:  il  vaso  ella  mi  dona; 

Ne  fo  la  prova ,  e  mi  succede  appunto  ; 

Che ,  com'  era  il  disio ,  pudica  e  buona 

La  cara  moglie  mia  trovo  a  quel  punto. 

Disse  Melissa:  Un  poco  1'  abbandona! 
j        Per  un  mese,  o  per  due  stanne  disgiunto, 
I        Poi  torna,  poi  di  nuovo  il  vaso  tolii  ; 

Prova,  se  bevi,  oppur  se  '1  petto  immolli! 

31.      A  me  duro  parca  pur  di  jìartire. 
Non  perchè  di  sua  fé  sì  dubitassi. 
Comedi'  io  non  potea  diu)  dì  patire. 
Nò  un'  ora  pur,  che  senza  me  restassi. 
Disse  Melissa:  Io  ti  farò  venire 
A  conoscere  il  Aer  con  altri  passi. 
Vo',  che  muti  il  parlare  e  i  vestimenti, 
£  sotto  viso  altrui  te  le  appresenti. 

3'i.      Signor ,  qui  presso  una  città  difende 
Il  Po ,  fra  minacciose  e  fiere  corna, 
La  cui  giurisdizion  di  qui  si  stende 
Fin  dove  il  mar  fugge  dal  lito ,  e  torna. 
Cede  d'  antichità,  ma  ben  contende 
Con  le  vicine  in  esser  ricca  e  adorna. 
Le  reliquie  trojane  la  foiidaro. 
Che  dal  flagello  d'  Attila  camparo. 

33.  Astringe  e  lenta  a  questa  terra  il  morso 
Un  cavalier,  giovane,  e  ricco,  e  belio, 

Che  dietro ,  un  giorno ,   a  un  suo  falcone  scorso, 

Essendo  capitato  entro  il  mio  osteUo, 

Vide  la  donna,  e  sì  nel  primo  occorso 

Gli  piacque ,  che  nel  cor  portò  il  suggello  ; 

Né  cessò  molte  pratiche   far  poi, 

Per  inchinarla  ai  desiderj  suoi. 

34.  Ella  gli  fece  dar  tante  repulse. 
Che  più  tentarla  alfine  egli  non  volse  ; 
Ma  la  beltà  di  lei ,  eh'  Amor  vi  sculse. 
Di  menutria  però  n(m  se  gli  tolse. 
Tanto  Melissa  lusingonuni  e  mulse, 
Ch'  a  tur  la  forma  di  colui  mi  volse; 
E  mi  nuitò ,  nò  so  ben  dirti  come, 

Di  faccia ,  di  parlar ,  d'  occlij  e  di  chiome. 

35.  Già  con  mia  moglie  av(;ndo  simulato 
D'  esser  partito,  e  gitone  in  Levante, 
Nel  giovane  amator  così  mutato 

L'  andar,  la  voce,  1'  abito  e  Ì  sembiante 

Me  ne  ritorno ,  ed  ho  iMclissa  allato,  1 

Che  s'  era  trasloruiala ,  <;  parca  un  fante;  ! 

i'ì  le  più  ricche  gcniuic  av(;a  con  lei,  1 

Che  mai  mandas»ìu  gì'  Indi  o  gli  eritrei.  I 

3(>.      Io ,  che  r  uso  saprà  del  mio  palagio, 
Kntro  sicuro,  e  \i(;n   Melissa  meco, 
E  madonna  ritrovo  a  ^ì  grande;  agio, 
VAn'.  non   ha  uè  scudicr,   né  donna  seco. 
I   mici  preghi  l'  «impongo,   indi   il  malvagio 
Slìinitli)  iiiiiair/.i  ilei  mal   far  le  aiT<('o, 
I   rultini,   i  diamanti  e  gli  smeraldi, 
Che  mosso  arebbuii  tulli  i  cor  più  buldi; 


37.  E  le  dico ,  che  poco  è  questo  dono 
Verso  quel ,  che  sperar  da  me  dovea. 
Della  comodità  poi  le  ragiono, 

Che,  non  v'  essendo  il  suo  marito,  avea; 
E  le  ricordo,  che  gran  tempo  sono 
Stato  suo  amante,  com'  ella  sapea: 
E  che  r  amar  mio  lei  con  tanta  fede 
Degno  era  avere  alfin  qualche  mercede. 

38.  Tui-bossi  nel  principio  ella  non  poco. 
Divenne  rossa,  ed  ascoltar  non  volle; 
Ma  il  veder  fiammeggiar  poi ,  come  foco. 
Le  belle  gemme,  il  duro  cor  fé'  molle; 
E  con  parlar  rispose  breve  e  fioco 
Quel,  che  la  vita  a  rimembrar  mi  tolle, 
Che  mi  compiacerla,  quando  credesse, 
Ch'  altra  persona  mai  noi  risapesse. 

39.  Fu  tal  risposta  un  venenato  telo, 
Di  che  me  ne  sentii  1'  alma  trafissa: 

Per  r  ossa  andommi  e  per  le  vene  un  gelo; 

Nelle  fauci  restò  la  voce  fissa. 

Levando  allora  del  suo  incanto  il  velo, 

Nella  mia  forma  mi  tornò  Melissa. 

Pensa ,  di  che  color  dovesse  farsi. 

Che  in  tante»  error  da  me  vide  trovarsi! 

40.  Divenimmo  ambi  di  color  di  morte  ; 

Muti  ambi ,  ambi  restiam  con  gli  occhj  bassi. 

Potei  la  lingua  appena  aver  sì  forte, 

E  tanta  voce  appena,  eh'  io  gridassi: 

Me  tradiresti  dunque  tu ,  consorte, 

Quando  tu  avessi,  chi  il  mio  onor  comprassi? 

Altra  risposta  darmi  ella  non  puote, 

Che   di  rigar  di  lagrime  le  gote. 

41.  Ben  la  vergogna  è  assai,  ma  più  lo  sdegno, 
Ch'  ella  ha,  da  me  veder  farsi  quell'  onta; 

E  moltiplica  si  senza  ritegno. 

Che  in  ira  alfine,  e  in  crudcl  odio  monta. 

Da  me  fuggirsi  tosto  fa  disegno, 

E  neir  ora-,  che  '1  sol  del  carro  smonta, 

Al  fiume  corse,  e  in  una  sua  barchetta 

Si  fa  calar  tutta  la  notte  in  fretta. 

42.  E  la  mattina  s'  appresenta  avante 

Al  cavalier ,  che  1'  avea  un  tempo  amata. 
Sotto  il  cui  viso,  solto  il  cui  sembiante 
Fu  contra  1'  onor  mio  da  me  tentata. 
A  lui ,  che  n'  era  stato  ed  era  amante, 
Creder  si  più» ,  i;he  fu  la  giunta  grata. 
Quindi  ella  mi  fé'  dir,  eh'  io  non  sperassi. 
Che  mai  più  fosse  mia ,  uè  più  m'  amassi. 

43.  Ahi  lasso!  da  quel  dì  con  lui  dimora 
In  gran  piacere,  e  di  me  prende  gioco; 
Ed  io  del  mal,  che  procacciaiini  allora. 
Ancor  languisco,  e  non  ritrovo  loco. 

Cresce  il  mal  sempre,  e  giusto  è,  eh'  io  ne  mora. 
E  resta  oiniii  da  coiisiimani  poro. 
Ben  credo ,  cb<;  "I  piiiiio  anno  sarei  morto. 
Se  non  mi  d.i\a  ajiito  un  sol  conl'orlo. 

44.  Il  conforto,   di'   io  prendo,  è,  che  di  quanti 
Per  dicci  anni  mai  Tur  sotto  al   mio  Idto, 
(Cir  a  lutti  (jiicsto  vaso  ho  messo  iniiiinli) 
Non  ne  trovo  un,  che  non  s'  ìmiuolli  il  pctio. 
Aver  mi  ca«o  min  c(uii|iiigni  tanli 

Mi  dà.  fra  tanto  mal,  (|iialihc  diletto. 
Tu,  tra  in/initi,  sol  sei  slato  saggio. 
Che  far  negasti  il  periglioso  saggio. 


[5T5] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLIIL  45—60) 


[516] 


45.  Il  mio  voler  cercare  oltre  alla  meta, 
Che  delLi  donna  sua  cercar  si  deve, 
Fa ,  che  iimI  [jììi  trovare  ora  quieta 

Kon  può  la  vita  mia,  sia  lung-a,  o  breve,. 
Di  ciò  Melissa  fu  a  principio  lieta  ; 
Ma  cessò  tosto  la  sua  gioja  leve; 
Ch'  essendo  causa  del  mio  mal  stata  ella, 
Io  r  odiai  sì,  olle  non  potea  vedella. 

46.  Ella  d'  essere  odiata  impaziente 

Da  me,  che  dicea  amar  più  che  sua  vita, 
Ove  donna  restarne  immantinente 
Creduto  avea,  che  1'  altra  ne  fosse  ita, 
Per  non  aver  sua  doglia  si  presente, 
^ton  tardò  molto  a  far  di  qui  partita; 
E  in  modo  abbandonò  questo  paese, 
Che  dopo  mai  per  me  non  se  n'  intese. 

47.  Cosi  narrava  il  mesto  cavaliere  : 
E  quando  fine  alla  sua  istoria  pose, 
Rinaldo  alquanto  ste'  sopra  pensiero, 
Da  pietà  vinto ,  e  poi  così  rispose  : 
Mal  consiglio  ti  die'  Melissa  invero, 
Che  d'  attizzar  le  vespe  ti  propose; 
E  tu  fosti  a  cercar  poco  avveduto 
Quel,  che  tu  avresti  non  trovar  voluto. 

48.  Se  d'  avarizia  la  tua  donna  vinta 
A  voler  fede  romperti  fu  indutta, 

Non  t'  ammirar!  né  prima  ella,  né  quinta 
Fu  delle  donne  prese  in  sì  gran  lutta; 
E  mente  via  più  salda  ancora  e  spinta 
Per  minor  prezzo  a  far  cosa  più  brutta. 
Quanti  uomini  odi  tu,  che  già  per  oro 
Han  traditi  padroni  e  amici  loro? 

49.  Non  dovevi  assalir  con  sì  fiere  armi, 
Se  bramavi  veder  farle  difesa. 

Kon  sai  tu  contra  1'  oro,  che  né  i  marmi, 
Né  '1  durissimo  acciar  sta  alla  contesa  ? 
Che  più  fallasti  tu  a  tentarla  parmi 
Di  lei ,  che  così  tosto  restò  presa. 
Se  te  altrettanto  avesse  ella  tentato. 
Non  so ,  se  tu  più  saldo  fossi  stato. 

50.  Qui  Rinaldo  fé'  fine,  e  dalla  mensa 
Levossi  a  un  tempo,  e  domandò  dormire; 
Che  riposare  un  poco ,  e  poi  si  pensa 
Iiiìianzi  al  dì  d'  un  ora  o  due  partire. 

Ila  poco  tempo,  e  '1  poco,  eh'  ha,  dispensa 
Con  gran  misura,  e  invan  noi  lascia  gire. 
11  signor  di  là  dentro  a  suo  piacere 
Disse ,  che  si  polca  porre  a  giacere, 

51.  Cir  apparecchiata  era  la  stanza  e  '1  letto  ; 
Ma  che ,  se  volea  far  per  suo  consiglio. 
Tutta  notte  dormir  potria  a  diletto, 

E  dormendo  avanzarsi  qualche  miglio. 
Acconciar  ti   farò,  disse,  un  legnetto, 
Con  che  volando,  e  scnz'  alcun  periglio, 
'J'utta  notte  dormendo  vo'  che  vada, 
E  una  giornata  avanzi  della  strada. 

52.  La  proferta  a  Rinaldo  accettar  piacque, 
E  molto  ringraziò  1'  oste  cortese; 

Poi  seiizii  indii-rio   là,  dove  nell'  acque 
Da|  na\igiiiiii  «ra  aspettato,  srese. 
Quivi  a  grainb;  agio  riposato  giacque. 
Mentre  il  corso  del  (inine  il  legno  prese. 
Clic  da  sei  nini  spinto,  lieve  e  snello 
Vr\  Jiiime  andò,  come  per  1'  aria  augello. 


I 


53.  Così  tosto  Cora'  ebbe  il  capo  chino, 
Il  cavalier  di  Francia  addormentosse; 
Imposto  avendo  già,  come  vicino 
Giungea  a  Ferrara,  che  svegliato  fosse. 
Restò  Melara  nel  lito  mancino. 
Nel  lito  destro  Sermide  restosse. 
Figai-olo  e  Stellata  il  legno  passa. 
Ove  le  corna  il  Po  iracondo  abbassa. 

54.  Delle  due  corna  il  nocchier  prese  il  destro, 
E  lasciò  andar  verso  Venezia  il  manco  : 
Passò  il  Bondeno  ;  e  già  il  color  cilestro 
Si  vedea  in  Oriente  venir  manco. 
Che,  votando  di  fior  tutto  il  canestro, 
L'  Aurora  vi  facea  vermiglio  e  bianco, 
Quando,  lontan  scoprendo  di  Tealdo 
Ambe  le  rocche ,  il  capo  alzò  Rinaldo. 

55.  Oh  città  bene  avventurosa!  disse. 
Di  cui  già  Malagigi,  il  mio  cugino. 
Contemplando  le  stelle  erranti  e  fisse, 
E  costringendo  alcun  spirto  indovino, 
Nei  secoli  futuri  mi  predisse, 

(Giacch'  io  facea  con  lui  questo  cammino) 

Ch'  anco  la  gloria  tua  salirà  tanto. 

Che  avrai  di  tutta  Italia  il  pregio  e  '1  vanto! 

55.     Così  dicendo,  e  pur  tuttavia  in  fretta 
Su  quel  battei,  che  parca  aver  le  penne. 
Scorrendo  il  re  de'  fiumi,  all'  isolctta, 
Ch'  alla  cittade  è  più  propinqua,  venne; 
E  benché  fosse  allora  erma  e  negletta. 
Pur  s'  allegrò  di  rivederla,  e  fenne 
Non  poca  festa;  che  sapea,  quanto  ella, 
Volgendo  gli  anni,  saria  ornata  e  bella, 

57.  Altra  fiata ,  che  fé'  questa  via, 
Udì  da  Malagigi,  il  qual  seco  era. 
Che,  settecento  volte  che  si  sia 
Girata  col  monton  la  quarta  sfera, 
Questa  la  più  gioconda  isola  fia 

Di  quante  cinga  mar,  stagno,  o  riviera; 
Sicché,  veduto  lei,  non  sarà  chi  oda 
Dar  più  alla  patria  di  Nausicaa  loda. 

58.  Udì ,  che  di  bei  tetti  posta  innante 
Sarebbe  a  quella  sì  a  Tiberio  cara; 
Che  cederian  1'  Esperide  alle  piante, 

Ch'  avria  il  bel  loco  d'  ogni  sorte  rara  ; 
Che  tante  specie  d'  animali ,  quante 
Vi  fien,  né  in  mandra  Circe  ebbe,  né  in  ara; 
Che  v'   avria  con  le  Grazie  e  con  Cupido 
Venere  stanza,  e  non  più  in  Cipro,   o  in  Gnido 

55).     E  che  sarebbe  tal  per  studio  e  cura 
Di  chi  al  sapere  ed  al  potere  imita 
La  voglia  avendo ,  d'  argini  e  di  mura 
Avria  si  ancor  la  sua  città  munita. 
Che  contra  tutto  il  mondo  star  sicura 
Potria ,  senza  cliiauuir  di  fuori  aita  ; 
E  che  d'  Ercol  lìgiiuol,  d'  Ercol  sarebbe 
Padre  il  signor,  che  questo  e  quel  far  debba. 

OO.      Così  venia  Rinaldo  ricordando 

Quel,  che  già  il  suo  cugin  detto  gli  avea, 

Delle  future  cose  divinando. 

Che  spesso  conferir  seco  solca: 

E  tuttavia  1'  umil  città  niiraiuln, 

('oni(!  esser  può,  eh'  ancor,  seco  dicea. 

Delibati   <-osì  fiorir  qnc^ste  paludi 

tìì  tutti  i  liberali  e  degni  studj  ? 


[•>"] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XLHI.  61— 76) 


[5781 


GÌ.      E  crescer  abbia  Ai  si  picclol  borgo 
Ampia  cittade,  e  di  sì  gran  bellezza? 
E  ciò ,  eh'  intorno  è  tutto  stagno  e  gorgo, 
Sien  lieti  e  pieni  campi  di  ricchezza? 
Città,  sinora  a  riverire  assorgo 
L'  amor,  la  cortesia,  la  gentilezza 
De'  tuoi  signori ,  e  gli  onorati  pregi 
Dei  cavalier,  dei  cittadini  egregi. 

62.  L'  ineflìiliil  bontà  del  Redentore, 

De'  tuoi  principi  il  senno  e  la  giustizia, 
Sempre  con  pace,  sempre  con  amore 
Ti  tenga  in  abbondanza  ed  in  letizia, 
E  ti  difenda  centra  ogni  furore 
De'  tuoi  nemici,  e  scopra  lor  malizia! 
Del  tuo  contento  ogni  vicino  arrabbi 
Piiiitosto,  che  tu  invidia  ad  alcun  abbi! 

63.  Mentre  Rinaldo  così  parla,  fende 
Con  tanta  fretta  il  sottil  legno  1'  onde. 
Che  con  maggiore  a  logoro  non  scende 
Falcon ,  eh'  al  grido  del  padron  risponde. 
Del  destro  corno  il  destro  ramo  prende 
Quindi  il  nocchiero,  e  mura  e  tetti  asconde. 
San  Giorgio  addietro ,  addietro  s'  allontana 
La  torre  della  Fossa,  e  di  Gaibana. 

61.      Rinaldo  ,  come  accade  eh'  un  pensiero 
Un  altro     dietro,  e  quello  un  altro  mena. 
Si  venne  a  ricordar  del  cavaliero. 
Nel  cui  palagio  fu  la  sera  a  cena. 
Che  per  questa  cittade,  a  dire  il  vero, 
Avca  giusta  cagion  dì  stare  in  pena; 
E  ricordossi  del  vaso  da  bere. 
Che  mostra  altrui  1'  error  della  mogliere: 

65.  E  ricordossi  insieme  della  prova. 
Che  d'  aver  fatta  il  cavalier  narrolli; 

Cile  di  quanti  avea  esperti ,  uomo  non  trova. 
Che  bea  nel  vaso,  e  '1  petto  non  s'  immolli. 
Or  si  pente;  or  tra  se  dice:  E'  mi  giova, 
Ch'  a  tanto  paragon  venir  non    volli: 
Riuscendo,  accertava  il  creder  mio; 
Non  riuscendo,  a  che  partito  era  io? 

66.  Gli  è  questo  creder  mio,  come  io  1'  avessi 
Ben  certo,  e  poco  accrescer  lo  jiotreij 
Sicché,  se  al  paragon  mi  succedessi. 

Poco  il  meglio  saria,  eh'  io  ne  trarrei; 
Ma  non  già  poco  il  mal,  quando  vedessi 
Quel  di  Clarice  mia ,  eh'  io  non  vorrei. 
Metter  saria  mille  i-ontra  uno  a  gio<:o  : 
Che  perder  si  può  molto,  e  acquistar  poco. 

67.  Stando  in  questo  pensoso  il  cavaliero 
Di  Cliiaranu>nte ,  e  non  alzando  il  viso, 
Con  molta  attenzion  fu  da  un  nocchiero, 
Clic  gli  era  incontra,  riguardato  fìso: 

E  percbè  di  veder  tutto  il  pensiero, 
C-'hc  r  occupava  tant«»,  gli  fu  avviso. 
Come  uom  ,  che  ben  parlava  ed  avea  ardire, 
A  seco  ragionar  lo  fece  uscire. 

C8.      La  somma  fu  del  lor  ragionamento, 
Che  colui  mal  a(-corto  era   ben  stato, 
CIh;  ncllii  moglie  sua  1'  esperimento 
Miif^gior,  die  può  far  donna,  avea  tentato; 
Cile  quella,  che  dall'  oro  e  dall'  argento 
Difende  il  cor  di  pudicizia  armato, 
'l'ra  iiiillc  spade  via  più  facilmeiitu 
Uifciulurallu ,  e  in  mezzo  al  fuoco  ardente. 


69.  Il  nocchìer  soggiungea  :  Ben  gli  dicesti 
Clie  non  dovea  offerirle  si  gran  doni  : 
Cbè  contrastare  a  questi  assalti  e  a  questi 
Colpi  non  sono  tutti  i  petti  buoni. 

Non  so ,  se  d'  una  giovane  intendesti, 
(Ch'  esser  può,  che  tra  voi  se  ne  ragioni) 
Che  nel  raedesmo  error  vide  il  consorte, 
Di  eh'  esso  avea  lei  condannata  a  morte. 

70.  Dovea  in  memoria  avere  il  signor  min. 
Che  r  oro  e  'l  premio  ogni  durezza  inchina; 
Ma  quando  bisognò,  l'  ebbe  in  obbllo. 

Ed  ei  si  procacciò  la  sua  ruina. 
Così  sapea  l'  esein|)io  egli,  com'  io, 
Che  fu  in  questa  cittade  qui  vicina, 
Sua  patria  e  mia ,  che  '1  lago  e  la  paludo 
Del  rifrenato  Menzo  intorno  chiude. 

71.  D'  Adonio  voglio  dir,  che  '1  ricco  dono 
Fé'  alla  moglie  del  giudice  d'  un  cane. 
Di  questo,  disse  il  paladino,  il  suono 
Non  passa  1'  Alpe,  e  qui  tra  voi  rimane; 
Perchè  né  in  Francia,  né  dove  ito  sono. 
Parlar  n'  udii  nelle  contrade  estrane; 
Sicché  di'  pur,  se  non  t'  incresce  il  dire; 
Che  volentieri  io  mi  t'  acconcio  a  udire. 

72.  Il  nocchier  cominciò  :  Già  fu  di  questa 
Terra  un  Anselmo ,  di  famiglia  degna  ; 
Che  la  sua  gioventù  con  lunga  vesta 
Spese  in  saper  ciò,  eh'  Ulpiano  insegna; 
E  di  nobil  progenie  ,  bella  e  onesta 
Moglie  cercò ,  eh'  al  grado  suo  convegna  ; 
E  d'  una  terra  quindi  non  lontana 

N*  ebbe  una  di  bellezza  soprumana, 

73.  E  di  bei  modi,  e  tanto  graziosi. 
Che  parca  tutta  amore  e  leggiadria; 
E  di  molto  più  forse,  eh'  ai  riposi, 
Ch'  allo  stato  di  lui  non  convenia. 
Tostochè  r  ebbe,  quanti  mai  gelosi 
Al  mondo  far,  passò  di  gelosia; 

Non  già,  eh'  altra  cagion  gliene  desse  ella. 
Che  d'  esser  troppo  accorta  e  troppo  bella. 

74.  Nella  città  medesma  un  cavaliero 
Era  d'  antica  e  d'  onorata  gente. 

Che  discendea  da  quel  lignaggio  altero, 
Ch'  usci  d'  una  mascella  di  serpente; 
Onde  già  Manto,  e  chi  con  essa  fero 
Tia  patria  mia ,  disceser  similmente. 
Il  cavalier ,  eh'  Adonio  noiiiinosse. 
Di  questa  bella  donna  innamorosse. 

75.  E  per  venire  a  fin  di  questo  amore, 
A  spender  cominciò  senza  ritegno. 

In  vestire,  in  conviti,  in  farsi  onore. 
Quanto  può  farsi  un  cavalier  più  degno. 
Il  tesor  di  Tiberio  imper.itore 
Non  saria  stato  a  tante  spese  al  segno. 
Io   credo  ben,  che  non  pa>Mir  duo  \cnii, 
Ch'  egli  uscì  fuor  di  lutti  i  ben  paterni. 

76.  La  cafia,  eh'  era  dianzi  frequentala. 
Mattina  e  sera,  tanto  dagli  amici. 
Sola  restò,  toslorbè  fu   pri\iita 

Di  starne,  di  i'agian,  di  codirnicl. 
Egli,  che  «apo  fu  della  Itrigata, 
Rimase  dietro ,  e  quasi  fra'  mendici. 
Pcn.-ò ,  poirir  in  miseria  era  venuto, 
U'  andare,  ove  non  fosse  coiiosriuto. 

37 


[5T9] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLIII.  77-92) 


[580] 


77.  Con  questa  intenzione  nna  mattina, 
Senza  far  motto  altrui ,  la  patria  lascia, 
E  con  sospiri  e  lagrime  cammina 
Lungo  lo  stagno ,  che  le  mura  fascia. 
La  donna,  che  del  cor  gli  era  regina, 
Già  non  obblia,  per  la  seconda  ambascia. 
Ecco  un'  altra  avventura,  che  lo  viene 
Di  sommo  male  a  porre  in  sommo  bene. 

78.  Vede  un  villan,  che  con  un  gran  bastone 
Intorno  alcuni  sterpi  s'  affatica. 

Quivi  Adonio  si  ferma,  e  la  cagione 

Di  tanto  travagliar  vuol  che  gli  dica. 

Disse  il  villan ,  che  dentro  a  quel  macchione 

Veduto  avea  una  serpe  molto   antica, 

Di  che  più  lunga  e  grossa,  a'  giorni  suoi, 

Kon  vide,  né  crcdea  mai  veder  poi; 


79, 


80 


E  che  non  si  voleva  indi  partire. 
Clic  non  r  avesse  ritrovata,  e  morta. 
Come  Adonio  lo  sente  così  dire, 
Con  poca  pazienza  lo  sopporta. 
Sempre  solca  le  serpi  favorire; 
Che  per  insegna  il  sangue  sno  le  porta, 
In  memoria,  eh'  usci  sua  prima  gente 
De'  denti  seminati  di  serpente. 

E  disse  e  fece  col  villano  in  guisa. 
Che  suo  mal  grado  abbandonò  l'  impresa; 
Sicché  da  lui  non  fu  la  serpe  uccisa, 
Kè  più  cercata,  né  altramente  offesa. 
Adonio  ne  va  poi ,  dove  s'  avvisa, 
Che  sua  condizion  sia  meno  intesa, 
E  dura  con  disagio  e  con  affanno 
Fuor  della  patria  presso  al  settimo  anno. 


81 


Né  mai  per  lontananza,  né  strettezza 
Del  viver,  che  i  pensier  non  lascia  ir  vaghi. 
Cessa  Amor  ,  che  *1  gli  ha  la  mano  avvezza, 
Ch'  ognor  non  gli  arda  il  core,  ognor  impiaghi. 
È  forza  alfm,  che   torni  alla  bellezza, 
Che  son  di  riveder  sì  gli  occbj  vaghi. 
Barbuto,  afilitto,  e  assai  male  in  arnese, 
Là,  donde  era  venuto,  il  cammin  prese. 

82.  In  questo  tempo  alla  mia  patria  accade 
Mandare  un  oratore  al  padre  santo. 

Che  resti  appresso  alla  sua  santitade 

Per  alcun  tempo ,  e  non  fu  detto ,  quanto. 

Gettan  la  sorte,  e  nel  giudice  cade. 

Oh  gi<»rno,  a  lui  ragion  sempre  di  pianto! 

Fé'  scuse ,  pregò  assai ,  diede  e  promesse, 

Per  non  partirsi,  e  alfin  sforzato  cesse. 

83.  Non  gli  parca  crudele  e  duro  manco 
A  dover  sopportar  tanto  dolore, 

Che  se  veduto  aprir  s'  avesse  il  fianco, 

E  vedutosi  trar  con  mano  il  core. 

Di  geloso  timor  pallido  e  bianco 

Per  la  sua  donna  .  mentre  staria  fuore, 

Lei  con  quei  modi,  che  giocar  si  crede. 

Supplice  prega  a  non  mancar  di  fede; 

84.  Dicendole,  eh'  a  donna  né  bellezza. 
Né  nobiltà,  né  gran  fortuna  ba<tii, 
Kicclié  di  viro  onor  monti  in  altezza. 
Se  per  nome  e  p<;r  opre  non  é  casta; 
E  cIk;  quella  >ii'lii   \i.i   più   si   prezza, 
Che  dì  hopra   liman,  quaiulo  contrasta; 

E  eh'  or  gran  campo  aMi'a,   per  questa  assenza. 
Di  far  di  pudicìzia  esperienza. 


85.  Con  tai  le  cerca,  ed  altre  a^sai  parole 
Persuader,  eh'  ella  gli  sia  fedele. 
Della  dura  partita  ella  sì  duole. 
Con  che  lagrime,  oh  Dio!  con  che  querele! 
E  giura,  cìie  piuttosto  oscuro  il  sole 
A'edrassi ,  che  gli  sia  mai  sì  crudele. 
Che  rompa  fede;  e  che  vorria  morire 
Piuttosto,  eh'  aver  mai  questo  desire. 

86.  Ancorché  a  sue  promesse  e  a'  suoi  scongiuri 
Desse  credenza,  e  si  acchetasse  alquanto. 
Non  resta,  che  più  intender  non  procuri, 
E  che  materia  non  procacci  al  pianto. 
Avea  un  amico  suo  ,  che  de'  futuri 
Casi  predir  teneva  il  pregio  e  '1  vanto, 
E  d'  ogni  sortilegio,  e  magica  arte 
O  il  tutto,  o  ne  sapea  la  maggior  parte. 

87.  Diegli ,  pregando  ,  di  vedere  assunto, 
Se  la  sua  moglie,  nominata  Argia, 
Nel  tempo,  che  da  lei  starà  disgiunto, 
Fedele  e  casta,  o  per  contrario  fia. 
Colui,  da'  preghi  vinto,  tolle  il  punto; 
Il  ciel  figura ,  come  par ,  che  stia. 
Anselmo  il  lascia  in  opra,  e  l'  altro  giorno 
A  lui  per  la  i-isposta  fa  ritorno. 

88.  L'  astrologo  tenea  le  labbra  chiuse, 
Per  non  dire  al  dottor  cosa ,  che  doglia, 
E  cerca  di  tacer  con  molte  scuse. 
Quando  pur  del  sno  mal  vede  «h'  ha  voglia. 
Che  gli  romperà  fede ,  gli  conchiuse, 
Tostoch'  egli  abbia  il  pie  fuor  della  soglia, 
Non  da  bellezza,  né  da  preghi  indotta. 
Ma  da  guadagno  e  da  prezzo  corrotta. 

89.  Giunte  al  timore  e  al  dubbio,  eh'  avea  prima, 
Queste  minacce  dei  superni  moti. 
Come  gli  stesse  il  cor,  tu  stesso  stima. 
Se  d'  amor  gli  accidenti  ti  son  noti  ! 
E  sopra  ogni  mestizia ,  che  l'  opprima, 
E  clie  r  afflitta  mente  aggiri  e  arruoti, 
E  il  saper,  come  vinta  d'  avarizia, 
Per  prezzo  abbia  a  lasciar  sua  pudicizia. 

90.  Or  per  far,  quanti  potea  far,  i-Ipari 
Da  non  lasciarla  in  queir  error  cadere, 
(Perché  il  bisogno  a  dispogliar  gli  altari 
Trae  l'  uom  talvolta,  che  sei  trova  avere) 
Ciò ,  che  tenea  di  gioje  e  di  danari, 
Che  n'  avea  somma ,  pose  in  sno  potere. 
Hendite  e  frutti  d'  ogni  possessione, 
E  ciò,  eh'  ha  al  mondo,  in  man  tutto  le  pone 

91.  Con  facoltade ,  disse  ,  che  ne'  tuoi 
Non  sol  bisogni,  te  li  goda  e  spenda. 
Ma ,  che  ne  possi  far  ciò ,  che  ne  vuoi. 
Li  consumi ,  e  li  getti ,  e  doni ,  e  venda. 
Altro  conto  saper  non  ne  vo'  poi, 
Piu-ché  ,  qual  ti  lascio  or,  tu  mi  ti  renda: 
Purché,  come  or  tu  sci  ,  mi  sie  rimasa. 
Fa ,  eh'  io  non  trovi  né  poder ,  né  casa. 

92.  La  prega,  che  non  faccia,  se  non  sente, 

Ch'  egli  ci  sia,  nella  città  dimora. 
Ma  nella  villa,  o^e  più  agiatamente 
Mv(u-  potrà  d'  ogni  commercio  fuora. 
Questo  dicea ,  ixuocc^bé  l'  lunil  gente 
Che  nel  gregge  o  ne'  i;ampi  gli  lavora, 
N«>n  gli  «^ra  avviso,  che  le  caste  voglie 
Contaminar  potessero  alla  moglie. 


[581] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLIII.  93  —  108) 


93.  Tenendo  tuttavia  le  belle  braccia 
Al  timido  marito  al  collo  Argia, 

E  di  lagrime  «empiendogli  la  faccia, 
Ch'  un  lìumicel  degli  occlij  le  n'  uscia, 
S'  attrista ,  che  colpevole  la  faccia, 
Come  di  fé  mancata  già  gli  sia; 
Che  questa  sua  sospizion  procede. 
Perchè  non  ha  nella  sua  fede  fede. 

94.  Troppo  sarà ,  s'  io  voglio  ir  rimembrando 
Ciò ,  eh'  al  partir  da  tramendue  fu  detto. 

Il  mio  onor,  dice  alflii,  ti  raccomando. 
Piglia  licenza  ,  e  partesi  in  efletto  ; 
E  ben  si  sente  veramente,  quando 
Volge  il  cavallo ,  uscire  il  cor  del  petto. 
Ella  lo  segue,  quanto  seguir  puotc. 
Con  gli  occhj,  che  le  rigano  le  gote. 

95.  Adonio  intanto  misero  e  tapino, 
E,  come  io  dissi,  pallido  e  liarbuto, 

\  erso  la  patria  avea  preso  il  cammino, 
Sperando  di  non  esser  conosciuto. 
Sul  lago  giunse  alla  <:ittà  vicino, 
Là,  dove  avea  dato  alla  biscia  ajuto, 
Ch'  era  assediata  entro  la  macchia  forte 
Da  quel  villan,  che  por  la  volea  a  morte. 

96.  Quivi  arrivando  in  sull'  aprir  del  giorno, 
Cile  ancor  splendea  nel  cielo  alcuna  stella. 
Si  vede  in  peregrino  fibito  adorno 

Venir  pel  lito  incontra  una  donzella 
In  signoril  sembiante,  ancorch'   intorno 
]\on  le  apparisse  né  scudier,  nò  ancella. 
Costei  con  grata  vista  lo  raccolse, 
E  poi  la  lingua  a  tai  parole  sciolse: 

97.  Sebben  non  mi  conosci,  o  cavaliere, 

Son  tua  parente,  e  grande  obbligo  t'  aggio. 
Parente  son,  perchè  da  Cadnu»  fiero 
Scende  d'  ambedue  noi  l'  alto  lignaggio. 
Io  son  la  fata  Manto ,  che  '1  primiero 
Sasso  misi  a  fondar  questo  villaggio, 
E  dal  mio  nome ,  come  ben  forse  hai 
Contare  udito,  .Muntua  la  nomai. 

98.  Delle  fate  io  son  una;  ed  il  fatale 
Stato  per  farti  anco  saper  eh'  importe, 
Nascemmo  a  un  punto ,  che  d'  ogni  altro  male 
Siamo  <'apaci ,  fuiuchè  della  morie. 

Ma  giinito  è,  «;on  questo  (!s.«ere  immortale, 
Condizion  non  inen  del  morir  forte; 
Cir  ogni  setlinu)  giorno  ognuna  è  certa, 
Cile  la  sua  forma  in  bircia  si  converta. 

99.  Il  vedersi  coprir  del  brutto  spoglio, 
E  gir  ser|)endo ,  è  cosa  tanto  schiva, 

('he  non  è  pan;  al  iikukIo  altro  cordoglio, 
Talché  bi-stenunia  ognuna  d'  esser  viva. 
E  r  obbligo  cir  io  t'  ho,  (perchè  ti  voglio 
InsiemeuH-ntc;  dire,  onde  dcri\a) 
Tu  saprai,  <li<!  qii<l  dì    per  esser  tali, 
Siamo  a  periglio  d'  infìiiili  mali. 

100.      INon  è  sì  odiato  altro  animale  in  terra. 

Come  la  serpe;  e  noi,  che  u'  ablùam  faccia, 
l'atimo  da  ciascuni»  «illraggio   v  guerra; 
Cile,  chi  ne  vidi-,  ne  pcrcote  <;  caccia. 
Se  non  troviamo,  o\e  tornar  sotterra, 
Sentiamo  ,  quanto  pesa  altrui  b;  luaccia. 
Meglii»  saria  poter   inoiir,  die  rotte 
£  tttorpiatu  restar  «otto  le  botte. 


[5821 

101.  L'  obbligo,  eh'  io  V  ho  grande,  è,  eh'  una  volta. 
Che  tu  passavi  per  quest'  ombre  amene 

Per  te  di  mano  fui  d'  un  villan  tolta, 
Che  gran  travagli  m'  avea  dati,  e  pene. 
Se  tu  non  eri ,  io  non  andava  assolta, 
Ch'  io  non  portassi  rotto  e  capo  e  schiene 
E  che  sciancata  non  restassi  e  storta, 
Sebben  non  vi  potea  rimaner  morta. 

102.  Perchè,  quei  giorni,  che  per  terra  il  petto 
Traemo  avvolte  in  serpentile  scorza, 

Il  ciel,  che  in  altri  tempi  è  a  noi  suggetto, 

Nega  ubbidirci,  e  prive  siam  di  forza. 

In  altri  tempi  ad  un  sol  nostro  detto 

Il  sol  si  ferma,  e  la  sua  luce  ammorza, 

L'  immobil  terra  gira,  e  muta  loco, 

S'  infiamma  il  ghiaccio,  e  si  congela  il  foco. 

103.  Ora  io  son  qui  per  renderti  mercede 
Del  beneficio,  che  mi  testi  allora. 
INessuna  grazia  indarno  or  mi  si  chiede, 
Ch'  io  son  del  manto  viperino  fuora. 
Tre  volte  più,  che  di   tuo  padre  erede 
]Non  rimanesti,  io  ti  fo  ricco  or  ora; 
Né  vo',  che  mai  più  povero  diventi. 

Ma,  quanto  spendi  più,  che  più  augumenti. 

104.  E  perchè  so,  che  nell'  antico  nodo. 

In  che  già  amor  t'  avvinse,  anco  ti  trovi, 
Voglioti  dimostrar  V  ordine  e  '1  modo, 
Ch'  a  disbramar  tuoi  desiderj  giovi. 

10  voglio,  or  che  lontano  il  marito  odo. 
Che  senza  indugio  il  mio  consiglio  provi, 
A  adi  a  trovar  la  donna,  che  dimora 
Fuori  alla  villa,  e  sarò  teco  io  ancora. 

105.  E  seguitò  narrandogli,  in  che  guisa 
Alla  sua  donna  vuol  che  s'  appresenti  ; 
Dico,  come  vestir,  come  precisa- 
Mente  abbia  a  dir,  come  la  preghi  e  tenti. 
E  che  forma  essa  vuol  pigliar,  divisa: 
Che,  fuorché  '1  giorno,  eh'  erra  tra  serpenti, 
In  tutti  gli  altri  si  può  far,  secondo 

Che  più  le  pare,  in  quante  forme  ha  il  mondo. 

106.  Mise  in  abito  lui  di  peregrino, 

11  qual  per  Dio  di  porta  in  porta  accatti. 
3Iutossi  ella  in  un  cane,  il  più  iticcino 
Di  qiututi  mai  n'  abbia  natiua  fatti, 

Di  pel  lungo,  più  bianco,  eh'  armellino, 
Di   grato  aspetto,  e  di  mirabili  atti. 
Cosi  trasfigurati  eiitraro  in  via 
A  erso  la  casa  dcll.i  bella  Argia; 

107.  E  dei  lavoratori  alle  capanne, 
Priuui  eh'  altrovf,  il  giovane  fermossc, 
E  couiiiiciò  a  suouiir  certe  sue  caiuie. 
Al  cui  suon(»  dan/.anilo  il   can  ri/./osM-. 
La  voce  e  "I  grido  alla  padrona  v.uuie, 
E   fece  sì,   clu;  per   veder  si   nutsse. 
I'\hx!   il   nuueo   «biauiar  mila   sua  corte. 
Siccome  d«-l  dottor  tr.ica  la  sorte. 

108.  E  quivi  Adonio  a  conuindarc  ni  cane 
Incominciò,  ed   il  caru-  a  ubbidir  lui, 

E  far  dan/.e  no^lral,  farne  d"  estrane. 

Con  passi,  «;  contincn/.e,  e   modi  sui, 

E  finalmente  con  maniere  umane 

Far  lio  ,   elle  comandur  sape  i  colui, 

(/Oli  laiitii  atten/iou,  rhe  chi   lo  mira. 

Non  batte  gli  occlij  ,  »■  appena  il  liuto  *pìra. 


[583] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XLIII.  109—124) 


[584] 


109.  Gran  meraviglia,  ed  indi  gran  desire 
Venne  alla  donna  di  quel  can  gentile, 
E  ne  fa  per  la  balia  proferire 

Al  cauto  peregrin  prezzo  non  vile. 

S'  avessi  più  tesor,  che  mai  sitire 

Potesse  cupidigia  femminile, 

Collii  rispose,  non  siiria  mercede 

Di  comprar  degna  del  mio  cane  un  piede. 

110.  E  per  mostrar,  che  veri  i  detti  foro, 
Con  la  balia  in  un  canto  si  ritrasse, 

E  disse  al  cane,  eh'  una  marca  d'  oro 
A  quella  donna  in  cortc.^a  donasse. 
Scossesi  il  cane ,  e  videsi  il  tesoro. 
Disse  Adonio  alla  balia,  che  '1  pigliasse; 
Soggiungendo  :  Ti  par ,  che  prezzo  sia, 
Per  cui  si  bello  ed  util  cane  io  dia? 

Ili,     Cosa  qual  vogli  sia ,  non  gli  domando. 
Di  eh'  io  ne  torni  mai  con  le  man  vote; 
E  quando  perle,  e  quando  anella,  e  quando 
Leggiadra  veste  e  di  gran  prezzo  scote. 
Pur  di'  a  madonna,  che  fia  al  suo  comando; 
Per  oro  no ,  eh'  oro  pagar  noi  puote  ; 
Ma  se  vuol,  eh'  una  notte  seco  io  giaccia. 
Abbiasi  il  cane,  e  '1  suo  voler  ne  faccia! 

112.  Cosi  dice,  e  una  gemma  allora  nata 
Le  dà,  eh'  alla  padrona  1'  apprcsentì. 
Pare  alla  balia  averne  più  derrata. 
Che  di  pagar  dieci  ducati,  o  venti. 
Torna  alla  donna,  e  le  fa  V  imbasciata, 
E  la  conforta  poi ,  che  si  contenti 

D'  acquistare  il  bel  cane;  eh'  acquistarlo 
Per  prezzo  può,  che  non  si  perde  a  darlo. 

113.  La  bella  Argia  sta  ritrosetta  in  prima. 
Parte,  che  la  sua  fé  romper  non  vuole; 
Parte,  eh'  esser  possibile  non  stima 
Tutto  ciò ,  che  ne  suonan  le  parole. 

La  balia  le  ricorda,  e  rode  e  lima. 
Che  tanto  ben  di  x'ado  avvenir  suole, 
E  fé' ,  che  1'  agio  un  altro  dì  si  tolse, 
Che  '1  can  veder  senza  tanti  occhj  volse. 

114.  Quest'  altro  comparir ,  eh'  Adonio  fece, 
Fu  la  ruina,  e  del  dottor  la  morte. 
Facea  nascer  le  doble  a  diece  a  diece. 
Filze  di  perle,  e  gemme  d'  ogni  sorte; 
Si(M;hè  il  superbo  cor  mansuefece. 

Che  tanto  meno  a  contrastar  fu  forte, 
Quando  poi  seppe,  che  costui,  di'  innante 
Le  fa  partito,  è  il  cavaiier  suo  amante. 

115.  Della  puttana  sua  balia  I  conforti, 
I  preghi  dell'  amante  e  la  pr(!senza, 
ì\  veder,  che  guadaguf)  se  1'  apporti. 
Del  misero  dottor  la  lunga  assenza, 

Lo  sperar,   eh'  alcun  mai  non  lo  rapporti, 
Fòro  ai  «;asti  pen^ier  tal  violenza, 
Cir  ella  accettò  il  bel  cane,  e  per  mercede 
In  braccio  e  in  preda  al  suo  uuiator  si  diede. 

116.  Adonio  lungamente  frutto  colse 
Della  sua  bella  donna,  a  cui  la  fata 
Grande  amor  pose,  e  tanto  le  ne  ^olse, 
Che  ^(nll|ll'('  .^(ar  con  lei  si   fu  ob!>lìgata. 
Per  tulli   i  M'alili  il  sol  prima   ^i   volse, 
Ch'   al  giudice^  licenza  fosse  data. 

Allin  tiu'nò  ,  ma  (lìcn  di  gran  sospetto. 
Per  quel,  che  già  1'  astrologo  uvea  detto. 


117.  Fa,  giunto  nella  patria,  il  primo  volo 
A  casa  dell'  astrologo,  e  gli  chiede, 

Se  la  sua  donna  fatto  inganno  e  dolo, 
O  pur  servato  gli  abbia  amore  e  fede. 
Il  sito  figurò  colui  del  polo. 
Ed  a  tutti  i  pianeti  il  luogo  diede; 
Poi  rispose ,  che  quel .  eh'  avea  temuto, 
Come  predetto  fu ,  gli  era  avvenuto  : 

118.  Che  da  doni  grandissimi  corrotta, 
Data  ad  altri  s'  avea  la  donna  in  preda. 
Questa  al  dottor  nel  cor  fu  sì  gran  botta. 
Che  lancia,  o  spiedo  io  vo'  che  ben  le  ceda. 
Per  esserne  più  certo,  ne  va  allotta 
(Benché  pur  troppo  all'  indovino  creda) 

Ov'  è  la  balia ,  e  la  tira  da  parte, 

E  per  saperne  il  certo  usa  grande  arte. 

]  119.      Con  larghi  giri  circondando  prova 
Or  qua,  or  là  di  ritrovar  la  traccia; 
E  da  principio  nulla  ne  ritrova, 
Con  ogni  diligenza,  che  ne  faccia; 
Ch'  ella,  che  non  avea  tal  cosa  nuova. 
Stava  negando  con  ìmmobil  faccia, 
E  come  bene  istrutta,  più  d'  un  mese 
Tra  il  dubbio  e  '1  certo  il  suo  patron  sospese. 

120.      Quanto  dovea  parergli  il  dubbio  buono, 
Se  pensava  il  dolor,  eh'  avria  del  certo! 
Poiché  indarno  provò  con  prego  e  dono. 
Che  dalla  balia  il  ver  gli  fosse  aperto, 
]\è  toccò  tasto,  ove  sentisse  suono 
Altro,  che  falso,  come  uom  bene  esperto, 
Aspettò,  che  discordia  vi  venisse: 
Ch'  ove  femmine  son,  son  liti  e  risse. 

il21.     E  come  egli  aspettò,  così  gli  avvenne; 

Ch'  al  primo  sdegno,  che  tra  lor  poi  nacque, 

Senza  suo  ricercar,  la  balia  venne 

n  tutto  a  raccontargli,  e  nulla  tacque. 

Lungo  a  dir^fora  ciò,  che  'l  cor  sostenne. 

Come  la  mente  costernata  giacque 

Del  giudice  mesehin ,  che  fu  si  oppresso, 

Che  stette  per  uscir  fuor  di  sé  stesso. 

122.  E  si  dispose  alfìn,  dall'  ira  vinto, 
Morir,  ma  prima  uccider  la  sua  moglie, 
E  che  d'  amlìedue  i  sangui  un  ferro  tinto 
Levasse  lei  di  biasmo,  e  sé  di  doglie. 
Kella  città  se  ne  ritorna ,  spinto 

Da  così  furibonde  e  cieche  voglie; 
Indi  alla  villa  un  suo  fidato  manda, 
E,  quanto  eseguir  debba,  gli  comanda. 

123.  Comanda  al  servo,  eh'  alla  moglie  Argia 
Torni  alla  villa,  e  in  nome  suo  le  dica, 
Ch'  egli  é  da  febbre  oppresso  così  ria. 
Che  di  trovarlo  vivo  avrà  fatica  ; 
Sicché,  senza  aspettar  più  com|)agnia. 
Venir  debba  con  lui,  s'  ella  gli  é  amica, 
(Verrà ,  sa  ben ,  che  non  farà  parola) 

È  che  tra  via  le  seghi  egli  la  gola. 

124.  A  chiamar  la  patrona  andò  il  famiglio,      '  C 
Per  far  di  lei,  quanto  il  signor  commesse. 
Dato  prima  al  sui»  cane  ella  di  piglio. 

Montò  a  cavallo,  ed  a  canuuin  si  messe. 
L'  avea  il  cane  avvisata  del  periglio. 
Ma  che  d'  andar  per  questo  ella  non  stesse; 
Ch'  avea     ben  disegnato  e  provveduto. 
Onde  nel  gran  bisogno  avrebbe  ujuto. 


IÒSd] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XLIU.   125— 140) 


[586] 


1-5.     Levato  il  servo  del  cammino  s'  era, 
E  per  diverse  e  solitarie  strade 
A  studio  capitò  su  una  riviera, 
Che  d'  Appennino  in  questo  fiume  cade: 
Ov'  era  bosco ,  e  selva  oscura  e  nera, 
Lungi  da  villa  ,  e  lungi  da  cittade. 
Gli  parve  loco  tacito  e  disposto 
Per  r  effetto  crudel ,  che  gli  fu  imposto. 

|J26.     Trasse  la  spada,  e  alla  patrona  disse, 
j         Quanto  commesso  il  suo  signor  gli  avea  ; 
Sicché  chiedesse ,  primachè  morisse, 
Perdono  a  Dio  d'  ogni  sua  colpa  rea. 
iNon  ti  so  dir,  come  ella  si  coprisse: 
Quando  il  servo  ferirla  si  credea, 
Più  non  la  vide,  e  molto  d'  ogn'  intorno 
L'  andò  cercando,  e  alfiu  restò  con  scorno. 

ili.      Torna  al  padron  con  gran  vergogna  ed  onta, 
Tutto  attonito  in  faccia  e  sbigottito, 
E  r  insolito  caso  gli  racconta, 
Ch'  egli  non  sa ,  come  si  sia  seguito. 
Ch'  a'  suoi  servigi  abbia  la  moglie  pronta 
La  fata  Manto,  non  sapea  il  marito; 
Che  la  balia,  onde  il  re-to  avea  saputo. 
Questo,  non  so  perchè,  gli  avea  taciuto. 

1-8.     Non  sa ,  che  far  ;  che  né  1'  oltraggio  grave 
Vendicato  ha,  né  le  sue  pene  ha  sceme. 
Quel  eh'  era  una  festuca,  or  é  una  trave; 
Tanto  gli  pesa ,  tanto  al  cor  gli  preme  ! 
L'  error,  che  sapean  pochi,  or  sì  aperto  ave, 
Che  senza  indugio  si  palesi ,  teme. 
Potea  il  primo  celarsi,  ma  il  secondo 
Pubblico  in  breve  fia  per  tutto  il  mondo. 

129.     Conosce  ben  ,  che,  poiché  '1  cor  fellone 
Avea  scoperto  il  misero  contra  essa, 
Ella,  per  non  tornargli  in  soggezione, 
D'  alcun  potente  in  man  si  sarà  messa, 
Il  qual  se  la  terrà  c(ui  irrisione 
Ed  ignominia  del  marito  espressa, 
E  forse  anco  verrà  d'  alcuno  in  mano, 
Che  ne  sia  insieme  adultero  e  ruffiano. 

ItiO.     Sicché,  per  rimediarvi ,  in  fretta  manda 
Intorno  messi  e  lettere  a  cercarne  ; 
Chi  in  quel  loco,  <;hi  in  questo  ne  domanda 
Per  Lomliardia,  senza  città  lasciarne. 
Poi  va  in  persona,  e  non  si  la:?cia  banda, 
Ove  o  non  vada,  o  mandin  a  spiarne; 
Né  mai  può  ritrovar  capo,  né  via 
Di  venire  a  notizia ,  che  ne  sia. 

131.  Alfin  chiama  quel  servo ,  a  chi  fu  imposta 
L'  opra  crudel,  che  poi  non  ebbe  effetto; 

E  fa  <-lie  lo  conduce,  o\e  nascosta 

Se  <jli  era  Argia,  nÌccoimc  gli  avea  detto; 

Clic  forse  in  qualche  maccliia  il  di  riposta, 

lia  notttr  si  rii)ara  ad  abbini  tcKo. 

Lo  guida  il  servo,  «ne  Intarsi  <'i'cde 

La  folta  selva,  e  un  gran  palagio  vede. 

132.  Fatto  avea  farsi  alla  sua  fata  intanto 
La  Ix^lla  Argia  con  subilo  lavoro 

D'  alal);l^lrì  un  palagio  per  incanto, 

Drnli'o  e  di  fuor  tiitfo  fregiato  d"  oro. 

Ni-  lingua  dir,   né  cor  pensar  può,  quanto 

\\<,i  bella  <li  fuor,  dentro  lc>oro. 

Quii,  «he  ,j(M>era  si  ti  par\e  bello. 

Dui  mio  signor,  caria  un  tugurio  a  qu(Jlu. 


133.      Che  di  panni ,  d'  arazzi ,  e  di  cortine 
Tessute  riccamente ,  e  a  varie  fogge 
Ornate  eran  le  stalle  e  le  cantine, 
\on  sale  pur ,  non  pur  camere  e  logge. 
Vasi  d'  oro  e  d'  argento  senza  fine. 
Gemme  cavate,  azzurre,  e  verdi,  e  rogge, 
E  formate  in  gran  piatti,  e  in  coppe.  »;  in  jjappi, 
E,  senza  fin,  d'  oro  e  di  seta  drappi. 

t34.     Il  giudice ,  siccome  io  vi  dicea. 

Venne  a  questo  palagio  a  dar  di  petto, 
Quando  né  una  capanna  si  credea 
Di  ritrovar,  ma  solo  il  bosco  schietto. 
Per  r  alta  meraviglia,  che  n'  avea, 
Esser  si  credea  uscito  d'  intelletto. 
]\on  sapea ,  se  fosse  ebbro  ,  o  se  sognasse, 
Oppur  se  '1  cervel  scemo  a  volo  andasse. 

135.  Vede  innanzi  alla  porta  un  Etiopo 

Con  naso  e  labbri  grossi  ;  e  ben  gii  é  avA  i*4i, 

Che  non  vedesse  mai  prima,  né  dopo, 

Un  così  sozzo  e  dispiacevoi  viso; 

Poi  di  fattezze,  qual  si  pinge  Esopo, 

D'  attristar,  se  vi  fosse,  il  paradiso; 

Bisunto  e  sporco,  e  d'  abito  mendico, 

IVè  a  mezzo  ancor  di  sua  bruttezza  io  dico. 

136.  Anselmo,  che  non  vede  altro,  da  cui 
Possa  saper,  di  chi  la  casa  sia, 

A  lui  s'  accosta ,  e  ne  domanda  a  lui  ; 

Ed  ei  risponde  :  Questa  casa  è  mia. 

Il  giudice  è  ben  certo,  che  colui 

Lo  beffi,  e  che  gli  dica  la  bugia; 

Ma  con  scongiuri  il  negro  ad  affermare, 

Che  sua  è  la  casa,  e  eh'  altri  non  v'  ha  a  fare; 

137.  E  gli  offerisce,  se  la  vuol  vedere. 
Che  dentro  vada,  e  cerchi,  come  voglia; 
E  se  v'  ha  cosa ,  che  gli  sia  in  piacere, 
O  per  sé,  o  per  gli  amici  se  la  toglia. 
Diede  il  cavallo  al  suo  servo  a  tenere 
Anselmo,  e  mise  il  pie  dentro  alla  soglia, 
E  per  sale  e  per  camere  condotto, 

Da  basso  e  d'  alto  andò  mirando  il  tutto. 

138.  La  forma ,  il  sito ,  il  ricco  e  bel  lavoro 
Va  contcniplando  ,  e  1'   ornamento  regio, 
E  spesso  dice  :  iSon  potria  quant'  on» 

E  sotto  il  sol ,  pagare  il  loco  egregio. 

A  questo  gli  rispoiule  il  brutto  Moro, 

E  di<;e  :  E  questo  ancor  trova  il  suo  pregi'), 

Se  non  d'  oro,  o  d'  argento,  nondiiueiut 

Pagar  lo  può  quel,  che  vi  costa  menu. 

131).      E  gli  fa  la  medesima  richiesta, 

('ir  avea   già  Adonio  alla  sua  uutglie  fatta. 
Dalla  brutta   domanda  e  disonesta 
Persona  lo  sliuio  lM>.>liale  <■  matta. 
P<r  tre  repulse  e  quattro  egli  non  restii, 
E   tanti  molli  a  per>uailerlo  adatta, 
Seuipie  ofVereiido   in   nierilo  il    pal.igio. 
Che  fé'  inchinarlo  al  xm  >olcr  malvagio. 

140.      La  moglie  Argia,  che  stava  appresiso  «i;c()t>;i, 
Poiché  lo  >ide  nel  suo  «-rror  caduto. 
Salto   luiira  griilainlo  :   Ah  degna  cosa, 
Cb"  io  \<'ggio  ili  dottor  saggio  tenuto! 
Trovato  in  >i  unii'  opra,   e  «i/iosa, 
Pen>a,  ne  ros.Mi   f.ir  si  ilelilie ,   e  muto! 
Oli   terra,   accio  ti   si  getta>se  dentro, 
PcriJié  allor  non  l'  apristi  iusiuo  al  centro? 


[587] 


ORLANDO  FURIOSO.      (  XLIU.   141—156) 


[588] 


141.  La  donna  in  suo  discarco,  ed  in  yerg:ogna 
D'  Anselmo,  il  capo  gì'  intronò  di  gridi. 
Dicendo  :  Come  te  punir  bisogna 

Di  quel,  che  far  con  si  tìI  iiom  ti  vidi, 
Se  per  seguir  quel,  che  natura  agogna, 
Me,  Tinta  a'  preghi  del  mio  amante,   uccidi, 
CU'  era  bello  e  gentile,  e  un  dono  tale 
Mi  fé',  che  a  quel  nulla  il  palagio  vale? 

142.  S'  io  ti  parvi  esser  degna  d'  una  morte, 
Conosci,  che  ne  sci  degno  di  cento! 

E  bendi'  in  questo  loco  io  sia  sì  forte, 

Ch'  io  possa  di  te  far  il  mio  talento. 

Pure  io  non  vo'  pigliar  di  peggior  sorte 

Altra  vendetta  del  tuo  fallimento. 

Di  par  r  avere  e  1'  dar,  marito,  poni; 

Fa,  com'  io  a  te,  che  tu  a  me  ancor  perdoni! 

143.  E  sia  la  pace,  e  sia  1'  accordo  fatto, 
Ch'  ogni  passato  error  vada  in  obblio, 
]Nè  eh'  in  parole  io  possa  mai ,  nò  in  atto 
Ricordarti  il  tuo  error ,  né  a  me  tu  il  mio  ! 
Al  marito  ne  parve  aver  buon  patto, 

Kè  dimostrossi  al  perdonar  restio. 

Così  a  pace  e  concordia  ritornaro, 

E  sempre  poi  fu  1'  imo  all'  altro  caro. 

144.  Così  disse  il  nocchiero,  e  mosse  a  riso 
Rinaldo  al  fin  della  sua  istoria  un  poco, 
E  diventar  gli  fece  a  un  tratto  il  viso, 
Per  r   onta  del  dottor,  come  di  foco. 
Rinaldo  Argia  molto  lodò,  eh'  avviso 
Ebbe  d'  alzare  a  quello  augello  un  gioco, 
Ch'  alla  medesma  rete  fé'  cascallo, 

In  che  cadde  ella,  ma  con  minor  fallo. 

145.  Poiché  più  in  alto  il  sole  il  cammin  prese, 
Fé'  il  paladino  apparecchiar  la  mensa, 

Ch'  avea  la  notte  il  Mantuan  cx)rtese 
Provvista  con  larghissima  dispensa. 
Fugge  a  sinistra  intanto  il  bel  paese. 
Ed  a  man  destra  la  palude  immensa; 
Viene  e  fnggesi  Argenta  e  '1  suo  girone 
Col  lito,  ove  Santcrno  il  capo  pone. 

146.  Allora  la  Bastia  credo  non  v'  era. 
Di  che  non  troppo  si  vantar  Spagnuoli 
D'  avervi  su  tenuta  la  bandiera, 

Ma  pili  da  pianger  n'  hanno  i  Romagnuoli. 
E  quindi  a  Filo  alla  dritta  riviera 
Cacciano  il  legno ,  e  fan  parer  che  voli, 
Lo  volgon  poi  per  una  fossa  morta, 
Ch'  a  mezzodì  presso  Ravenna  il  porta. 

147.  Benché  Rinaldo  con  pochi  danari 
Fosse  sovente,  pur  n'  avea  sì  allora, 
CIjc  cortesia  ne  fece  a'  marinari, 
Primaché  li  lasciasse  alla  biu»n'  ora. 
Quindi,  mutando  1)estie  e  cavallari, 
Arimino  passò  la  sera  ancora, 

]\é  in  Montefiore  aspetta  il  mattutino, 
E  quasi  a  par  col  sol  giunge  in  Urbino. 

148.  Quivi  non  era  Fcdei-igo  allora. 

Né  liisalK'tta,  né  '1  buon  Guido  v'  era, 
Né  Francc...r.o     Maria ,  né  Leonora, 
Che  con  cortese  forza  e  non  altera 
Avesse  astretto  a  far  seco  dinu)ra 
Sì  famoso  gu<rr«er  più  d'  una  sera, 
Come  lér  gin  molti  anni ,  ed  oggi  fanno 
A  donne  e  a  ca\alicr,  clic  di  là  vanno. 


149.  Poiché  quivi  alla  briglia  alcun  noi  prende. 
Smonta  Rinaldo  a  Cagli  alla  via  dritta. 

Pel  monte,  che  '1  Metauro,  o  il  Ganno  fendo. 
Passa  Apennino ,  e  più  non  1'  ha  a  man  ritta. 
Passa  gli  Ombri  e  gli  Etrusci,  e  a  Roma  scende; 
Da  Roma  ad  Ostia,  e  quindi  si  tragitta 
Per  mare  alla  cittade,  a  cui  commise 
II  pietoso  figliuol  r  ossa  d'  Anchise. 

150.  Muta  ivi  legno,  e  verso  1'  isoletta 
Di  Lipadusa  fa  ratto  levarsi. 
Quella  che  fu  dai  combattenti  eletta, 
Ed  ove  già  stati  erano  a  trovarsi. 
Insta  Rinaldo ,  ed  i  nocchieri  affretta, 

Ch'  a  vela  e  a  remi  fan  ciò ,  che  può  farsi. 
Ma  i  venti  avversi,  e  per  lui  mal  gagliardi 
Lo  fecer,  ma  di  poco,  arrivar  tardi. 

151.  Giunse ,  eh'  appunto  il  principe  d'  Anglante 
Fatta  avea  1'  util'  opra  e  gloriosa  : 

Avea  Gradasso  ucciso  ed  Agraniante, 
Ma  con  dura  vittoria  e  sanguinosa. 
Morto  n'  era  il  figliuol  di  Monodante; 
E  di  grave  percossa  e  perigliosa 
Stava  Olivier  languendo  in  .«•ull'  arena, 
E  del  pie  guasto  avea  martire  e  pena. 

152.  Tener  non  potè  il  conte  asciutto  il  viso. 
Quando  abbracciò  Rinaldo,  e  che  narrolli. 
Che  gli  era  stato  Brandimarte  ucciso, 
Che  tanta  fede  e  tanto  anior  portelli. 

Né  men  Rinaldo,  quando  sì  di^iso 
Vide  il  capo  all'  amico ,  ebbe  occhj  molli  ; 
Poi  quindi  ad  abbracciar  si  fu  condotto 
Olivier,  che  sedea  col  piede  rotto. 

153.  La  consolazion,  che  seppe,  tutta 
Die'  lor,  benché  per  sé  tor  non  la  possa; 
Che  giunto  si  vcdea  quivi  alle  frutta, 
Anzi  poiché  la  mensa  era  rimossa. 
Andaro  i  servi  alla  città  distrutta, 
E  di  Gradasso  e  d'  Agramante  1'  ossa 
Nelle  mine  ascoser  di  Biserta, 
E  quivi  divulgar  la  cosa  certa. 

154.  Della  vittoria,  eh'  avea  avuto  Orlando, 
S'  allegrò  Astolfo  e  Sansonctto  UKvlto  ; 
Non  sì  però ,  come  avrian  fatto,  quando 
Non  fosse  a  Brandimarte  il  lume  tolto. 
Sentir  lui  morto ,  il  gaudio  va  scemando 
Sì ,  che  non  ponno  asserenare  il  volto. 
Or  chi  sarà  di  lor,  eh'  annunzio  voglia 
A  Fiordiligi  dar  di  sì  gran  doglia.'' 

155.  La  notte ,  che  precesse  a  questo  giorno, 
Fiordiligi  sognò,  che  quella  vesta, 
(3lie  ,  per  mandarne  liraiulimartc  adorno, 
Ax-a  trapunta  e  di  sua  man  contesta, 
A  edea  per  mezzo  sparsa  d'  ogni  intorno 
Di  gocce  rosse,  a  guisa  di  tempest.a. 
l'area,  che  di  sua  man  così  V  avesse 
Ricamata  ella,  e  poi  se  ne  dolesse. 

156.  E  parca  dir:  Pur  hammi  il  signor  mio 
Commesso,  eh'   io  la  faccia  tutta  nera; 
Or  |)erclié  dunqu«  ricamata  holf  io, 
('oiitra  sua  voglia,  in  sì  strana  maniera? 
Di  ipiesto  sogno  fé'  giudicio  rio; 
Poi  la  ncnella  giunse  quella  sera  : 
Ma  tante»  Astidl'o  ascosa  gliela  tenne, 
Cli'  a  lei  con  Sansonctto  t>c  ne  venne. 


,589] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XLIR.  157-172) 


[590] 


57.  Tostocli'  entrare,  e   eli'  ella  loro  il  tìso 
Vide  di  gaudio  in  tal  vittoria  privo, 

Senz'  altro  annunzio  sa,  senz'  altro  avviso, 

Che  Brandimarte  suo  non  è  più  vivo. 

Di  ciò  le  resta  il  cor  così  conquiso, 

E  cosi  gli  occlij  hanno  la  luce  a  schivo, 

E  cosi  ogni  altro  senso  se  le  serra, 

Che,  come  morta,  andar  si  lascia  in  terra. 

58.  Al  tornar  dello  spirto ,  ella  alle  chiome 
Caccia  la  mano ,  ed  alle  belle  gote, 
Indarno  ripetendo  il  caro  nome. 

Fa  danno  ed  onta ,  più  che  far  lor  puote. 
Straccia  i  capelli,  e  sparge,  e  grida,  come 
Donna  talor,  che  '1  demon  rio  perente; 
O  come  s'  ode,  che  già  a  suon  di  corno 
Menade  corse,  ed  aggirossi  intorno. 

59.  Or  questo,  or  quel  pregando  va,  che  porto 
Le  sia  un  coltel ,  sicché  nel  cor  si  fera  ; 

Or  correr  %uol  là,  dove  il  legno  in  porto 

Dei  duo  signor  defunti  arrivato  era, 

E  dell'  uno  e  dell'  altro  cosi  morto 

Far  crudo  strazio  ,  e  vendetta  aera  e  fiera  ; 

Or  vuol  passar  il  mare,  e  cercar  tanto, 

Cile  possa  al  suo  signor  morire  accanto. 

GO.      Deh!  perchè,  Brandimarte,  ti  lasciai. 
Senza  me  andare  a  tanta  impresa?  disse, 
A  edendoti  partir ,  non  fu  più  mai. 
Che  Fiordiligi  tua  non  ti  seguisse. 
T'  avrei  giovato,  s'  io  veniva,  assai; 
Ch'  avrei  tenute  in  te  le  luci  fisse; 
E  se  Gradasso  aves^i  dietro  avuto. 
Con  un  sol  grido  io  t'  avrei  dato  ajuto. 

O  for.'C  esser  potici  stata  sì  presta, 
Ch'  entrando  in  mezzo,  il  c(»I|)o  t'  avrei  tolto: 
Fatto  scudo  t'  avrei  con  la  mia  testa; 
Che,  morendo  io,  non  era  il  danno   molto. 
Ogni  modo  io  morrò;  nò  fia  di  questa 
Dolente  morte  al<Min  profitto  colto! 
Che ,  quando  io  fossi  moria  in  lua  difesa, 
Non  potrei  meglio  aver  la  vita  spesa. 

Se  pure  ad  ajutarti  i  duri  fati 
Avessi  av  uti ,  e  tutto  il  cielo   avverso. 
Gli  ultimi  baci  alnuuio  io  t'  avrei  dati; 
Almen  t'  avrei  di  pianto  il  viso  asperso; 
E  primachè  con  gli  angeli  beati 
Fosse  lo  spirto  al  suo  Fattor  converso. 
Detto  gli  avrei:  \ìì  in  pace,  e  là  m'  aspetta! 
Ch'  ovunque  sei ,    son  per  seguirti  in  fretta. 

63.      E  questo,  Brandimarte,  è  questo  il  regno, 
Di  cb(!  pigliar  lo  scettro  ora  dovevi  ? 
Or  così  tcco  a  Dammogirc  io  vegno? 
Cosi  nel  rcal  seggio  mi  ricevi .'' 
Ah,  Fortuna  cruilel,  quanto  disegno 
Mi  rompi!  oh  che  sp(;ran/.a  oggi  mi  levi! 
Deh  !  clic  coso  io ,   poich'   Im   perduto  questo 
Tanto  mio  ben  ,  eh'  io  non  perdo  anco  il  resto? 

Questo,  ed  altro  dicendo,  in  lei  risorse 
Il  furor  «MMi  tanto   impeto,  e  la  rabbia, 
Cir  a  hlran  iiirc  il   bel  criri  di  nuo>o  corse. 
Come  il  bel  (-liii  tutta  la  colpa  n'   abbia. 
Le  mani   iiisicnu;   si  pentisse  e  morse; 
Nel  ficn  si  caieio  1"  ugne,  e   nelle  labitia. 
Ma  torno  a  Orlando,  «-d    a'  coni|iagni ,   intanto 
Ch'  ella  hi  strugge  e  si  consumu  in  pianto. 


61 


.62 


M 


165.      Orlando  col  cognato,  che  non  poco 
Bisogno  avea  di  medico  e  di  cura. 
Ed  altrettanto ,  perchè  in  degno  loco 
Avesse  Brandimarte  sepoltura, 
Verso  il  monte  ne  va,  che  fa  col  foco 
Chiara  la  notte,  e  il  dì  di  fumo  oscura. 
Hanno  propizio  il  vento ,  e  a  destra  mano 
Non  è  quel  lito  lor  molto  lontano. 

1G6.      Con  fresco  vento ,  che  in  favor  veniva, 
Scit)lser  la  fune  al  declinar  del  giorno. 
Mostrando  lor  la  taciturna  diva 
La  dritta  via  col  lusninoso  conio; 
E  sorser  1'  altro  dì  sopra  la  riva, 
Che  amena  giace  ad  Agrigento  intorno. 
Quivi  Orlando  ordinò  per  V  altra  sera 
Ciò ,  eh'  a  fonerai  pompa  bisogno  era. 

167.  Poiché  r  ordine  suo  vide  eseguito, 
Essendo  ornai  del  sole  il  lume  spento. 
Fra  molta  nobiltà ,  eh'  era  all'  invito 
De'  luoghi  intorno  corsa  in  Agrigento, 
D'  accesi  torchj  tutto  ardendo  il  lito, 
E  di  grida  sonando  e  di  lamento, 
Tornò  Orlando ,  ove  il  corpo  fu  lasciato, 
Che  vivo  e  morto  avea  con  fede  amato. 

168.  Quivi  Bardin,  di  soma  d'  anni  grave, 
Stava  piangendo  alla  bara  funebre. 

Che,  pel  gran  pianto  ,  eh'  avea  fatto  in  nave, 
Dovria  gli  ot-chj  aver  pianti  e  le  palpelire. 
Chiamando  il  ciel  crudel ,  le  stelle  prave, 
liuggia  come  un  leon,  eh'  abbia  la  febre. 
Le  mani  erano  intanto  empie  e  ribelle 
Ai  crin  canuti,  e  alla  rugosa  pelle. 

169.  Levossi,  al  ritornar  del  paladino, 
Maggiore  il  grido,  e  raddoppìossi  il  pianto. 
Orlando,  fatto  al  corpo  più  vicino. 

Senza  parlar  stette  a  mirarlo  alquanto, 
Pallido,  come  colto  al  mattutino 
E  da  sera  il  ligustro,  o  il  molle  acanto; 
E  dopo  mi  gran  sospir,  tenendo  fisse 
Sempre  le  luci  in  lui,  così  gli  disse: 

170.  Oh  forte,  oli  caro,  oh  mio  fedel  compagno. 
Che  qui  sei  morto,  e  so  «^he  ^  ivi  in  cielo, 

E  d'  una  vita  t'  hai  fatto  guadagiu). 
Che  non  ti  può  mai  tor  caldo ,  né  gelo, 
Perdonami ,  sebbeii  v  j-di  eh    io  piagno  1 
Perché  d'  esser  rimase»  mi  qiu>relo, 
E  che  a  tanta  letizia  io  non  seni  teco; 
Non  già,  perché  quaggiù  tu  non  sia  meco. 

171.  Solo  senza  te  son ,  né  cosa  in  ferra 
Senza  te  posso  a\er  più,   clur  mi  piaccia. 
Se  teco  <^ra  in  tempesta ,  e  teco  in  guerra, 
Perché  non  anco  in  o/io  ed   in  bonaccia? 
Ben  granchi  é  il  mio  fallir,  poiché  mi  serra 
Di  questo  fango  iixir  per  la  tua  traccia. 
Se  negli  all'anni  tcco  fui ,   perché  ora 

]\on  sono  a  parte  del  guaibigno  ancora  ? 

172.  Tu  guadagnato,  e  perdita  ho  fatto  io; 
Sol  tu  air  a<-(|ui>lo  ,  io  non  soii  solo  al  danno. 
Partecip<'  fatto  é  del  tlidor  mio 

L'  Italia,  il  regno  franco,  e  1' alamanno. 
Oli  ipianlo,  quanto  il  mio  signore  e  /io. 
Oli  quanto  i  paladin  da  doler  s'  hanno  ! 
Qu.uito  1    imperio,  e  la  cri.Niiana  cbi<->a. 
Cile  perduto  han  hi  sua  maggior  difesa  ! 


[591] 


ORLANDO    FURIOSO.    (XLIII.  173— 188) 


[592] 


1T3.      Oh  quanto  si  torrà ,  per  la  tua  morte, 
Di  terrore  a'  nemici,  e  di  spavento! 
Oh  quanto  pagania  sarà  più  forte! 
Quanto  animo  n'  avrà ,  quanto  ardimento  ! 
Oh  come  star  ne  dee  la  tua  consorte! 
Sin  qui  ne  veggo  il  pianto ,  e  '1  grido  sento. 
So  che  m'  accusa,  e  forse  odio  mi  porta, 
Cile  per  me  teco  ogni  sua  speme  è  morta. 

174.  Ma  Fiordiligi,  aimcn  resti  un  conforto 
A  noi ,  che  siani  di  Brandimarte  privi. 
Che  invidiar  lui  con  tanta  gloria  morto 
Denno  tutti  i  guerrier ,  eh'  oggi  son  vivi. 
Quei  Deci ,  e  quel  nel  roman  foro  assorto, 
Quel  sì  lodato  Codro  dagli  Argivi, 

](on  con  più  altrui  profitto,  e  più  suo  onore 
A  morte  si  donar  del  tuo  signore. 

175.  Queste  parole ,  ed  altre  dicea  Orlando. 
Intanto  i  bigi,  i  bianchi,  i  neri  frati, 

E  tutti  gli  altri  citerei  seguitando 

Andavan ,  con  lungo  ordine  accoppiati. 

Per  r  alma  del  defunto  Dio  pregando, 

Che  gli  donasse  requie  tra'  beati. 

Lumi  innanzi,  e  per  mezzo,  e  d'  ogn'  intorno 

Mutata  aver  parean  la  notte  in  giorno. 

ITfi.     Levan  la  bara,  ed  a  portarla  foro 
Messi  a  vicenda  conti  e  cavalieri. 
Purpurea  seta  la  copria,  che  d'  oro 
E  di  gran  perle  avea  compassi  altieri. 
Di  non  men  bello  e  signoril  lavoro 
Avean  gemmati  e  splendidi  origlieri; 
E  giacca  quivi  il  cavalier  con  vesta 
Di  color  pare,  e  d'  un  lavor  contesta. 

177.  Trecento  agli  altri  eran  passati  innanti 
De'  più  poveri ,  tolti  della  terra, 
Parimente  vestiti  tutti  quanti 

Di  panni  negri ,  e  lunghi  sino  a  terra. 
Cento  paggi  seguian  sopra  altrettanti 
Grossi   cavalli,  e  tutti  buoni  a  guerra; 
E  i  cavalli  co'  paggi  ivano  il  suolo 
Radendo  col  lor  abito  di  duolo. 

178.  Molte  bandiere  innanzi ,  e  molte  dietro, 
Che  di  diverse  insegne  eran  dipinte, 
Spiegate  accompagnavano  il  feretro. 

Le  quai  già  tolte  a  mille  schiere  vinte, 
E  guadagnate  a  Cesare  ed  a  Pietro 
Avean  le  forze,  eh'  or  giaceano  estinte. 
Scudi  v'  erano  molti ,  che  di  degni 
Guerrieri,  a  chi  fur  tolti,  aveano  i  segni. 

179.  Venian  cento,  e  cent'  altri  a  diversi  usi 
Dell'  esequie  ordinati;  ed  avean  questi. 
Come  anco  il  resto,  accesi  torclij  ;  e  chiusi 
Più  che  vestiti  eran  di  nere  vesti. 

Poi  scguia  Orlando,  e  ad  or  ad  or  guflusi 
Di  la^j^riiiie  avea  gli  occhj ,  e  rossi  e  mesti. 
Ne.  più  lìido  di  Ini  llinaldd  venne. 
Il  pie  Olivier,  che  rotto  avea,  ritenne. 

180.  Lungo  sarà,  e'  io  vi  vo'  dire  in  versi 

Le  (•erimonie,  e  raccontarvi  tutti 

I  di.^pcnMiti  manti  oscuri  e  persi, 

Gli  ai(:(>i  ton-lij  «;lic  vi  furon  strutti. 

Quindi  il  Ila  chiesa  cattedra!   conversi. 

Dovunque  andar,  non   lasciaro  occhj  asciutti: 

Si  bel ,  I-I  bu<in ,  si  giovane  a  pietade 

MusòV  ogni  bCbto ,  ogni  ordine,  ogni  etade. 


181. 


182. 


183. 


184 


185 


186 


187 


188 


Fu  posto  in  clilesa  ;  e  poiché  dalle  donne 
Di  lagrime  e  di  pianti  inutil'  opra, 
E  che  dai  sacerdoti  ebbe  Ekisonne, 
E  gli  altri  santi  detti  avuto  sopra. 
In  un'  arca  il  serbar  su  due  colonne; 
E  quella  vuole  Ox'lando  che  si  copra 
Di  ricco  drappo  d'  or ,  finché  riposto 
In  un  sopolcro  sia  di  maggior  costo. 

Orlando  di  Sicilia  non  si  parte, 
Che  manda  a  trovar  porfidi  e  alabastri. 
Fece  fare  il  disegno  ,  e  di  quell'  arte 
Innarrar  con  gran  premio  i  miglior  mastri. 
Fé'  le  lastre  (venendo  in  questa  parte) 
Poi  drizzar  Fiordiligi,  e  i  gran  pilastri. 
Che  quivi,  essendo  Orlando  già  partito, 
Si  fé'  portar  dall'  africano  lito: 

E  vedendo  le  lacrime  indefesse. 
Ed  ostinati  a  uscir  sempre  i  sospiri, 
]Sò  per  far  sempre  dire  ulfici  e  messe, 
M.ii  satisfar  potendo  a'  suoi  desiri. 
Di  non  partirsi  quindi  in  cor  si  messe. 
Finché  del  corpo  1'  anima  non  spiri: 
E  nel  sepolcro  fé'  fare  una  cella, 
E  vi  si  chiuse,  e  fé'  sua  vita  in  quella. 

Oltreché  messi  e  lettere  le  raande. 
Vi  va  in  persona  Orlando  per  levarla. 
Se  viene  in  Francia ,  con  pension  ben  grande, 
Compagna  vu^l  di  Galerana  farla  : 
Quando  tornare  al  padre  anco  domande, 
Sino  alla  Lizza  vuole  accompagnarla: 
Edificar  le  vuole  un  monastero. 
Quando  servire  a  Dio  faccia  pensiero. 

Stava  ella  nel  sepolcro ,  e  quivi  attrita 
Da  penitenza,  orando  giorno  e  notte, 
Non  durò  lunga  età,  che  di  sua  vita 
Dalla  Parca  le  fur  le  fila  rotte. 
Già  fatto  avean  dall'  isola  partita. 
Ove  i  Ciclopi  avean  le  antiche  grotte, 
I  tre  guerrier  di  Francia  afflitti  e  mesti. 
Che  '1  quarto  lor  compagno  addietro  resti. 

Non  volean  senza  medico  levarsi, 
Che  d'  Olivier  si  avesse  a  pigliar  cura. 
La  qual,  perchè  a  principio  mal  pigliarsi 
Potè ,  fatt'  era  faticosa  e  dura  : 
E  quello  udiano  in  modo  lamentarsi. 
Che  del  suo  caso  aA'ean  tutti  paura. 
Tra  lor  di  ciò  parlando ,  al  nocchier  nacque 
Un  pensiero,  e  lo  disse,  e  a  tutti  piacque. 

Disse,  eh'  era  di  là  poco  lontano 
In  un  solingo  scoglio  un  eremita, 
A  cui  ricorso  mai  non  s'  era  invano, 
O  fosse  per  consiglio,  o  per  aita; 
E  fat'ca  alcuno  ellctto  soprumano. 
Dar  lume  a'  ciechi ,  e  tornar  morti  a  vita, 
l'cMinare  il  vento  ad  un  segno  di  croce, 
E  far  tranquillo  il  mar,  quando  è  più  atroce; 

E  che  non  denno  dubitare,  andando 
A  ritrovar  quell'  uomo,  a  Dio  si  can», 
('he  lor  non  r(;nda  Olivier  sano,  quando 
l'atti»  ha  di  sua  >irtù  segno  più  chiaro. 
Questo  consiglio  sì  piacque  ad  Orlando, 
<'lie  v«'rso  il  santo  loco  si  dri/zaro  ; 
Né  mai  pi<;gando  dal  cainmin  la  prora, 
^ider  lo  scoglio  al  sorjjrtr  dell'  aurora. 


593] 


ORLANDO   FURIOSO.    (XLIII.  189—199) 


[594] 


59.      Scorgendo  il  legno  uomini  in  acqua  dotti. 
Sicuramente  s'  accostare  a  quello. 
Quivi  ajutando  servi  e  galeotti, 
Declinano  il  marchese  nel  battello, 
E  per  le  spumose  onde  fur  condotti 
Nel  nero  scoglio ,  ed  indi  al   santo  ostello 
Al  santo  ostello ,  a  quel  vecchio   medcsmo, 
Per  le  cui  mani  ebbe  Ruggier  battesmo. 

90.  Il  servo  del  signor  del  paradiso 
Raccolse  Orlando  ed  i  compagni  suoi, 
ìù  benedilli  con  giocondo  viso, 

E  de'  lor  casi  dimandolli  poi, 
Benché  di  lor  venuta  avuto  avviso 
Avesse  prima  dai  celesti  eroi. 
Orlando  gli  rispose  esser  venuto 
Per  ritrovare  al  suo  cognato  ajuto, 

91.  Ch'  era ,  pugnando  per  la  fò  di  Cristo, 
A  periglioso  termine  ridotto. 

Levogli  il  santo  ogni  sospetto  tristo, 
E  gli  promise  di  sanarlo  in  tatto. 
I\è  d'  unguento  trovandosi  provisto. 
Né  d'  altra  umana  medicina  instrutto, 
Andò  alla  chiesa ,  ed  orò  ni  Salvatore, 
Ed  indi  uscì  con  gran  baldanza  fnore; 

92.  E  in  nome  delle  eterne  tre  persone. 
Padre,  figliuolo,  e  spirto  santo,  diede 
Ad  Olivier  la  sua  benedizione. 

Oh  virtù,  che  dà  Cristo  a  chi  gli  crede! 

Cacciò  dal  cavalicro  ogni  passione, 

E  ritornngli  a  saiiitade  il  piede. 

Più  fermo  e  più  espedito,  che  mai  fosse; 

E  presente  Sol)rino  a  ciò  trovosse. 

.93.      Giunto  Sobria  delle  sue  piaghe  a  tanto, 
Clie  star  peggio  ogni  giorno  se  ne  sente. 
Tostochè  vede  del  monaco  santo 
II  mirac!)lo  grande  ed  evidente. 
Si  dispon  di  lasciar  Macon  da  canto, 
E  Cristo  confessar  vivo  e  potente, 
E  domanda,  con  cor  di  fede  attrito, 
D'  iniziarsi  ai  nostro  sacro  rito. 


194.     Così  r  uora  giusto  Io  battezza,  ed  anco 
Gli  rende,  orando ,  ogni  vigor  primiero. 
Orlando  ,  e  gli  altri  cavalier  non  manco 
Di  tal  conversion  letizia  fero, 
Clie  di  veder,  che  liberato  e  franco 
Del  periglioso  mal  fosse  Oliviero. 
3Iaggior  gaudio  degli  altri  Ruggier  ebbe, 
E  molto  in  fede  e  in  devozione  accrebbe. 

|195.     Era  Ruggier  dal  dì,  che  giunse  a  nuoto 
I  Su  questo  scoglio,  poi  statovi  ognora. 

I  Fra  quei  guerrieri  il  vecchiarel  devoto 

Sta  dolcemente  ,   e  li  conforta  ed  ora 
A  voler ,  schivi  di  pantano  e  loto, 
!%Iondi  passar  per  questa  morta  gora. 
Che  ha  nome  vita ,  e  sì  piace  agli  sciocchi, 
Ed  alla  via  del  ciel  sempre  aver  gli  occhj. 

j  196.      Orlando  un  suo  mandò  sul  legno ,  e  trarne 
Fece  pane  e  buon  vin,  cacio  e  presciutti; 
E  r  uom  di  Dio,  che  ogni  sapor  di  starne 
Pose  in  obblio,  poiché  aì-Aezzossi  a'  frutti, 
Per  carità  mangiar  fecero  carne, 
E  ber  del  vino ,  e  far  quel ,  che  fèr  tutti. 
Poiché  alla  mensa  consolati  foro. 
Di  molte  cose  ragionar  tra  loro. 

197.      E  come  accade  nel  parlar  sovente, 
Che  una  cosa  vien  1'  altra  dimostrando, 
Ruggier  riconosciuto  finalmente 
Fu  da  Rinaldo,  da  Olivier,  da  Orlando, 
Per  quel  Ruggiero  in  arme  sì  eccellente, 
11  cui  valor  s'  accorda  ognun  lodando; 
Né  Rinaldo  1'  avea  raffigurato 
Per  quel,  che  provò  già  nello  steccato. 

[198.      Ben  r  avea  il  re  Sobrio  riconosciuto, 
Tostochè  '1  vide  col  vecchio  appiìrirc; 
Ma  volse  innanzi  star  tacito  e  muto. 
Che  porsi  in  av ventina  di  fallire. 
Poiché  a  notizia  agli  altri  fu  venuto, 
Che  questo  era  itiiggier,  di  cui  1'  ardire, 

I  La  cortesia  e  'l  valore  alto  e  profondo 

Si  facea  nominar  per  tutto  il  momlo  ; 


19J).      E  sapendosi  già,  eh'  era  cristiano. 
Tutti  con  lieta  e  con  serena  faccia 
Vengono  a  lai.     Chi  gli  tocca  la  mano, 
E  chi  lo  lìacia  ,  e  chi  lo  stringe  e  abbraccia. 
Sopra  gli  altri  il  signor  di  Montalbanct 
D'  accarezzarlo,  e  fargli  onor  procaccia. 
l'erché  esso  più  degli  altri  ...  io  '1  serbo  a  dire 
Ncir  altro  canto,  se  '1  vorrete  udire. 


38 


[595] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XLIV.  1  -  12) 


[596] 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO. 


ARGOMENTO. 

Rinaldo  mosso  da  sì  gran  valore 

Di  Ruggier ,  gli  promette  per  consorte 

Bradamante  ;  indi  'i  magno  imperatore, 

E  seco  tutto  il  fior  della  sua  corte 

Riceve  con  gran  pompe  e  sommo  onore 

I  paladin  nelV  onorate  porte 

Di  Parigi,  di  cui  Ruggier  fa  uscita. 

Tirato  per  levar  Leon  di  vita. 


1.  Spesso  in  poveri  alberghi  e  in  picciol  tetti, 
Nelle  Ciilaini tildi  e  nei  disagi 

Meglio  s'  aggiungon  d'  amicizia  i  petti, 
Che  fra  ricchezze  invidiose  ed  agì, 
Delle  piene  d'  insidie  e  di  sospetti 
Corti  regali,  e  splendidi  palagi. 
Ove  la  caritade  è  in  tutto  estinta, 
Kè  si  vede  amicizia ,  se  non  finta. 

2.  Quindi  awien,  che  tra  principio  signori, 
Patti  e  convenzion  sono  sì  frali. 

Fan  lega  oggi  re,  papi ,  imperatori, 
Doman  saran  nemici  capitali  ; 
Pontile ,  qual  le  apparenze  esteriori, 
INon  hanno  i  cor,  non  lian  gli  animi  tali  ; 
Che  non  mirando  al  torto  più  che  al  dritto, 
Attendon  solamente  al  lor  profitto. 

3.  Questi ,  quantunque  d'  amicizia  poco 
Sieno  capaci ,  perche  non   sta  quella, 
Ove  per  cose  gravi ,  ove  per  gioco 
Mai  senza  fìnzion  non  si  favella. 

Pur ,  se  tah)r  gli  ha  tratti  in  umil  loco 

Insieme  una  fortuna  acerba  e  fella. 

In  poco  tempo  vengono  a  notizia 

(Quel  che  in  molto  non  fèr)  dell'  amicizia. 

4.  Il  santo  vecchiarel  nella  sua  stanza 
Giunger  gli  ospiti  suoi  con  nodo  forte 
Ad  amor  vero  meglio  ehbe  possanza, 
Ch'  altri  non  avria  fatto  in  reul  corte. 
Fu  questo  poi  di  tal  perseveranza, 
Che  non  si  sicolse  mai  fino  alla  morte, 
il  vecchio  li  trovò  tutti  benigni, 
Candidi  più  nei  cor,  che  di  fu(»r  cigni. 

5.  Trovoll!  tutti  amabili  e  cortesi, 

]\(in  della  iniquità,  eh'  io  v'  h(»  dipinta, 
Di  quei ,  riie  mai  non  escono  palesi, 
Ma  sem|)rc  van  con  apparenza  finta. 
Di  quanto  s'  eran  per  addietro  oflesi. 
Ogni  memoria  fu  tra  loro  estinta; 
E  se  d'  un  ventre  fossero ,  e  «1'  un  seme, 
ì\on  si  potrfano  amar  più  tutti  insieme. 


6.  Sopra  gli  altri  il  signor  di  Montalbano 
Accarezzava  e  riveria  Ruggiero  ; 

Si  perchè  già  1'  avea  con  V  arme  in  mano 
Provato,  quanto  era  animoso  e  fiero; 
Si  per  trovarlo  affabile  ed  umano 
Più  che  mai  fosse  al  mondo  cavaliere  ; 
Ma  molto  più  ,  che  da  diverse  bande 
Si  conoscea  d'  avergli  obbligo  grande. 

7.  Sapea,  che  di  gravissimo  periglio 
Egli  avea  liberato  Ricciardetto, 
Quando  il  re  ispano  gli  fé'  dar  di  piglio, 
E  con  la  figlia  prendere  nel  letto  ; 

E  eh'  avea  tratto  1'  uno  e  1'  altro  figlio 
Del  duca  Buovo,  coni'  io  v'  ho  già  detto. 
Di  man  dei  Saracini,  e  dei  malvagi, 
Ch'  eran  col  maganzese  Bertolagi. 

8.  Questo  debito  a  lui  parea  di  sorte, 
Ch'  ad  amar  lo  stringeva,  e  ad  onorarlo; 
E  gli  ne  dolse  e  gli  ne  increbbe  forte. 
Che  prima  non  avea  potuto  farlo. 
Quando  era  1'  un  nell'  africana  corte, 

E  r  altro  alli  servigi  era  di  Carlo. 

Or  che  fatto  Cristian  quivi  lo  trova, 

Quel,  che  non  fece  prima,  or  far  gli  giova. 

9.  Proferte  senza  fine,  onore,  e  festa 
Fece  a  Ruggiero  11  paladin  cortese. 
Il  prudente  eremita,  come  questa 
Benivolenza  vide  ,  adito  prese. 
Entrò  dicendo:  A  fare  altro  non  resta 
(E  lo  spero  ottener  senza  c(uitese) 
Che,  come  1'  amicizia  è  tra  voi  fatta, 
Tra  voi  sia  ancora  affinità  contratta, 

10.  Acciocché  delle  due  progenie  illustri. 
Che  non  han  par  di  nobiltade  al  mondo, 
Nasca  un  lignaggio,  che  più  chiaro  lustri. 
Che  '1  chiaro  sol ,  per  quanto  gira  a  tondo. 
E  come  andran  più  innanzi  ed  anni  e  lustri, 
Sarà  più  bello,  e  durerà  (secondo 

Che  Dio  m'  inspira,  acciocché  a  voi  noi  celi) 
Finché  terran  1'  usato  corso  ì  cieli. 

11.  E  seguitando  il  suo  parlar  più  innante, 
Fa  il  santo  vecchio  sì ,  che  persuade, 
Che  Rinaldo  a  Ruggier  dia  Bradamante, 
Benché  pregar  né  1'  un ,  né  l'  altro  accade. 
Loda  Olivier  «;ol  principe  d'  Anglante, 
Clu;  far  si  debba  questa  affinitade  ; 

Il  che  speran  che  approvi  Auu)ne  e  Carlo, 
E  debba  tutta  Francia  conmicndarlu. 

13.      Così  dicean;  ma  non  sapean,  che  Anione, 
Con  volontà  del  figli*»  di  Pipino, 
N'  avea  dato  in  quc^i  giorni  intenzione 
All'  imperator  gr(u:(»  ('ostaiitino, 
('he  gliela  d(»uianda^a  per  Leone, 
Suo  figlio  e  successor  del  gran  domino. 
Se  II'  era  pel  vahu-,  che  n'  avea  inteso. 
Senza  vederla ,  il  giovinetto  acceso. 


397] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLIV.  13—28) 


13.  Risposto  gli  avea  Amon,  che  da  sé  solo 
Non  era  per  conchiudere  altramente, 

Kè  pria,  che  ne  parlasse  col  figliuolo 
Rinaldo,  dalla  corte  allora  assente, 
Il  qual  credea ,  che  \ì  verrebbe  a  toIo, 
E  che  di  grazia  a\ria  si  gran  parente: 
Pur  per  molto  rispetto,  che  gli  avea, 
Risolver  senza  lui  non  si  volea. 

14.  Or  Rinaldo,  lontan  dal  padre,  quella 
Pratica  imperiai  tutta  ignorando, 
Quivi  a  Ruggier  promette  la  sorella, 
Di  suo  parere ,  e  di  parer  d'  Orlando, 
E  degli  altri,  eh'  avea  seco  alla  cella. 
Ma  sopra  tutti  1'  eremita  instando: 

E  crede  veramente ,  che  piacere 
Debba  ad  Amon  quel  parentado  avere. 

15.  Quel  di,  e  la  notte,  e  del  seguente  giorno 
Stèron  gran  parte  col  monaco  saggio, 
Quasi  obbliando  al  legno  far  ritorno. 
Benché  il  vento  spirasse  al  lor  viaggio. 
Ma  i  lor  nocchieri,  a  cui  tanto  soggiorno 
Increscea  ornai,  mandar  più  d'  un  messaggio. 
Che  si  gli  stimulàr  della  partita, 

Ch'  a  forza  si  spiccar  dall'  eremita. 

16.  Ruggier,  che  stato  era  in  esilio  tanto, 
Né  dallo  scoglio  avea  mai  mosso  il  piede. 
Tolse  licenza  da  quel  mastro  santo. 

Che  insegnata  gli  avea  la  vera  fede. 

La  spada  Orlando  gli  rimise  accanto, 

L'  arme  d'  Ettorre ,  e  il  buon  Frontin  gli  diede. 

Sì  per  mostrar  del  suo  amor  segno  espresso, 

Sì  per  saper,  che  dianzi  erano  d'  esso. 

17.  E  quantunque  miglior  nell'  incantata 
Spada  ragione  avesse  il  paladino, 

Che  con  pena  e  travaglio  già  levata 
L'  avea  dal  formidabile  giardino, 
Che  non  avea  Ruggiero,  a  cui  donata 
Dal  ladro  fu,  che  gli  die'  ancor  Frontino, 
Pur  volentier  gliela  donò  col  resto 
Dell'arme,  tostoché  ne  fu  richiesto. 

18.  Fur  benedetti  dal  vecchio  devoto, 
E  sul  naviglio  al/in  si  ritornaro. 

I  remi  all'  acqua,  e  dier  le  vele  al  Noto; 
E  fu  lor  sì  sereno  il  tempo  e  chiaro. 
Che  non  vi  bisognò  prego,  né  voto. 
Finché  nel  porto  di  Marsilia  entraro. 
Ma  quivi  stiano  tanto,  eli'  io  conduca 
Insieme  Astolfo ,  il  glorioso  duca. 

19.  Poiché  della  vittoria  Astolfo  intese, 
Clic  sanguinosa ,  e  jìoco  lieta  s'  ebbe, 
Aedendo,  che  ^i(;llra  dall'  ofl'ese 

1)'  Africa  oggiiiiai  Francia  esser  potrebbe, 
Pensò,  che  'I  re  de'  iNiiiii  in  suo  paese 
Con  r  esercito  sii«)  rimaiiderebbe 
Per  la  strada  iiicdesiiiia,  che  tenne. 
Quando  coiitra  Riserta  se  ne  venne. 

20.  1/  armata,  che  i  pagiin  riip|)e  ncIT  onde, 
(■ià  rimandata  avea  'I  (igliinil  tV  Iggiero, 
Di  cui,  nuovo  miracolo!   le  sponde, 
Tostocbè  ne  fu  uscito  il  popol  nero, 

E  le  |i()ppc  e  le  prori^  mutò  in  fronde, 
E  ritoriiollc  al  ^uo  sdito  primiero: 
Poi  >rMii(!  il  v«rnlo ,  e  come  cosa  lieve 
Levollc  in  aria ,  e  fc'  tipurirc  in  breve. 


[598] 


23 


24 


21.  Chi  a  piedi ,  e  chi  in  arcion ,  tutte  partita 
D'  Africa  fèr  le  nubiane  schiere: 

Ma  prima  Astolfo  si  chiamò  infinita 
Grazia  alSenapo,  ed  immortale  avere, 
Che  gli  venne  in  persona  a  dare  aita 
Con  ogni  sforzo  ed  ogni  suo  potere. 
Astolfo  lor  neir  uterino  claustro 
A  portar  diede  il  fiero  e  turbido  austro. 

22.  Negli  utri ,  dico  ,  il  vento  die'  lor  chiuso, 
Che  uscir  di  mezzodì  suol  con  tal  rabbia, 
Che  muove  a  guisa  d'  onde,  e  leva  in  suso, 
E  ruota  fino  in  ciel  1'  arida  sabbia. 

Acciò  se  lo  portassero  a  lor  uso, 
Che  per  cammino  a  far  danno  non  abbia, 
E  che  poi ,  giunti  nella  lor  regione. 
Avessero  a  lassar  fuor  di  prigione. 

Scrive  Turpino ,  come  furo  ai  passi 
Dell'  alto  Atlante,  che  i  cavalli  loro 
Tutti  in  un  punto  diventaron  sassi. 
Sicché,  come  venir,  se  ne  tornoro. 
Ma  tempo  é  omai ,  che  Astolfo  in  Francia  passi  : 
E  così ,  poiché  del  paese  moro 
Ebbe  provisto  a'  luoghi  principali. 
All'  ippogrifo  suo  fé'  spiegar  1'  ali. 

Volò  in  Sardigna  in  un  batter  di  penne, 
E  di  Sardigna  andò  nel  lito  corso, 
E  quindi  sopra  il  mar  la  strada  tenne. 
Torcendo  alquanto  a  man  sinistra  il  morso. 
Nelle  maremme  all'  ultimo  ritenne 
Della  ricca  Provenza  il  leggier  corso; 
Dove  seguì  dell'  ippogrifo ,  quanto 
Gli  disse  già  1'  evangelista  santo. 

25.  Hagli  commesso  il  santo  evangelista, 
Che  più,  giunto  in  Provenza,  non  lo  sproni, 
E  che  all'  impeto  fier  più  non  resista 

Con  sella  e  fren,  ma  libertà  gli  doni. 
Già  avea  il  più  basso  ciel,  che  sempre  acquista 
Del  perder  no>tro ,  al  corno  tolti  i  suoni, 
Che  muto  era  restato,  non  che  roco, 
Tostoch'  entrò  il  guerrier  nel  divin  loco. 

26.  Venne  Astolfo  a  Marsilia,  e  venne  appunto 
n  dì,  che  v'  era  Orlando  ed  Oliviero, 

E  quel  da  Ì^Iontalbano  insieme  giunto 
Col  buon  Sobrino,  e  col  miglior  Ruggiero. 
La  memoria  del  *o(io  lor  defunto 
Metò,   che  i  paladini  non  poterò 
Insienu;  così  ap|)uiito  rallegrarsi, 
Come  in  tanta  vittoria  dovea  farsi. 

27.  Carlo  avea  di  Siiilia  avuto  avviso 
Dei  duo  re  morti,   e  di  Sobrino  preso, 
E  eh'  era  stato  itraiidiiiiarte  ucciso; 
Poi  di   Ruggiero  avea  non  meno  inteso; 
E  ne  sta\a  col  ror  lieto  e  col  vi>o, 

1)'  aver  gittato  intollii-aliii  jicso, 
C;iie  gli   fu  sopra  gli  oiiii  ri  si  greve. 
Che  starà  un  pe/zo,  piiaché  si  rileve. 

28.  Per  onorar  costor,  eh'  cran  sostegno 
Del  sunto  imperio,  e  la  maggior  colonna, 
('arlo  iiiaiitio  la   iioiiiità  del  regno 

Ad  incoiitrarii  fin  sopra  la  .Sonna. 
Egli  usci  poi  col  Nilo  drap|)('l  |)iù  degno 
Di  re  e  di  duri,  e  con   la  propria  donna 
Fuor  delle  mura,  in  compagnia  di  belle 
E  ben  ornale  e  noiiili  don/.cile. 

3H   -^ 


[599] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLIV.  29— 44) 


[600] 


29.  L'  imperator  con  chiara  e  lieta  fronte, 
I  paladini,  e  gli  amici,  e  i  parenti, 

La  nobiltà,  la  plebe,  fanno  al  conte 
Ed  agli  altri  d'  amor  segni  evidenti. 
Gridar  s'  ode  Mongrana  e  Chiaramonte  : 
Si  tosto  non  finir  gli  abbracciamenti. 
Rinaldo  e  Orlando  insieme  ed  Oliviero 
Al  signor  loro  appresentàr  Ruggiero  ; 

30.  E  gli  narrar,  che  di  Ruggier  di  Rìsa 
Era  ìiglinol,  di  virtù  uguale  al  padre. 
Se  sia  animoso  e  forte,  ed  a  che  guisa 
Sappia  ferir,  san  dir  le  nostre  squadre. 
Con  Bradamante  in  questo  vicn  Marllsa, 
Le  due  compagne  nobili  e  leggiadre. 
Ad  abbracciar  Ruggier  vien  la  sorella  ; 
Con  più  rispetto  sta  1'  altra  donzella. 

31.  L'  imperator  Ruggier  fa  risalire, 
Clì'  era  per  riverenza  sceso  a  piede, 
E  lo  fa  a  par  a  par  seco  venire, 

E  di  ciò,  eh'  a  onorarlo  si  richiede, 
Ln  punto  sol  non  lascia  preterire. 
Ben  sapea,  che  tornato  era  alla  fede; 
Che,  tostocliù  i  gucrrier  furo  all'  asciutto, 
Certificato  avean  Carlo  del  tutto. 

32.  Con  pompa  ti-ionfal,  con  festa  grande 
Tornaro  insieme  dentro  alla  cittade. 
Che  di  frondi  verdeggia  e  di  ghirlande. 
Coperte  a  panni  son  tutte  le  strade: 
jScmbo  d'  erbe  e  di  fior  d'  alto  si  spande, 
E  sopra  e  intorno  a'  vincitori  cade, 

Che  da  veroni  e  da  finestre  amene 
Donne  e  donzelle  gittano  a  man  piene. 

33.  Al  volgersi  dei  canti  in  varj  lochi 
Trovano  archi  e  trofei  subito  fatti. 
Che  di  Diserta  le  ruinc  e  i  fochi 
Mostran  dipinti,  ed  altri  degni  fatti; 
Altrove  pah-hi  con  diversi  giochi, 

E  spettacoli ,  e  mimi ,  e  scenici  atti  ; 
Ed  è  per  tutti  i  canti  il  titol  vero 
Scritto  :  //'  liberatori  delV  impero. 

34.  Fra  il  suon  d'  argute  trombe  e  di  canore 
Pifiire,  e  d'  ogni  iiuisica  armonia, 

Fi'a  riso  e  plauso,  giubilo  e  favore 
Del  popolo,  che  appena  vi  capia, 
Smontò  al  palazzo  il  magno  imperatore, 
Ove  |)iù  giorni  quella  compagnia 
(Unì  torni.iinenti,  personaggi,  e  farse, 
Danze,  e  conviti,  attese  a  dilettarse. 

35.  Rinaldo  un  giorno  al  padre  fé'  sapere. 
Che  la  sorella  a  Ruggier  dar  volea; 
Che  in  presenza  d'  Orlando  [)er  mogliere 
E  d'  Olivier  promessa  gliel'  avea; 

Li  quali  erano  seco  d'  un  parere, 

('he  |)arei)tado  far  non  si  potea, 

l'cr  nobiltà  di  sangue  e  per  valore, 

Che  fosse  a  questo  par,  non  che  migliore. 

86.      Ode  Amone  il  figliiiol  con  (juah^hc  sdegno, 
Chr;,  s(;nza  conferirlo  seco,  gli  o>a 
La  figlia  niiritar,  eh'  esso  ha  disegno 
Che  del  fìgliuol  di  (*ostaiitin  sia  sposa  ; 
^(Mi  di  i{iig-i«ro ,  il  (|uai,  non  eh'  abbia  regno, 
Ma  non  può  al  mondo  dir:  Questa  è  mia  cosa  ; 
]Nè  sa,  «'he  nobiltà  poco  ^i  prezza, 
E  iiicn  \irtii,  se  non  v'  è  ancor  ricchcz/.a. 


37.  Ma  più  d'  Amon  la  moglie  Beatrice 
Biasma  il  figliuolo,  e  chiamalo  arrogante, 
E  in  secreto  e  in  palese  contradice. 
Che  di  Ruggier  sia  moglie  Bradamante. 
A  tutta  sua  possanza  imperatrice 
Ha  disegnato  farla  di  Levante. 
Sta  Rinaldo  ostinato ,  che  non  vuole, 
Che  manchi  un  jota  delle  sue  parole. 

38.  La  madre ,  eh'  aver  crede  alle  sue  voglie 
La  magnanima  figlia,  la  conforta 
Che  dica,  che  piuttosto  eh'  esser  moglie 
D'  un  pover  cavalier,  vuole  esser  morta; 
Nò  mai  più  per  figliuola  la  raccoglie, 
Se  questa  ingiuria  dal  fratel  sopporta. 
Neghi  pur  con  audacia,  e  tenga  saldo. 
Che  per  sforzar  non  la  sarà  Rinaldo. 

39.  Sta  Bradamante  tacita,  nò  al  detto 
Della  madre  s'  arrischia  a  contradire; 
Cile  1'  ha  in  tal  riverenza  e  in  tal  rispetto, 
Cile  non  potria  pensar  non  1'  ubbidire. 
Dall'  altra  parte  terria  gran  difetto. 
Se  quel,  che  non  vuol  far,  volesse  dire. 
Non  vuol,  perchè  non  può;  che  1'  poco  e  '1  molte 
Poter  di  sé  disporre,  Amor  le  ha  tolto. 

40.  Né  negar,  né  mostrarsene  contenta 
S'  ardisce,  e  sol  sospira,  e  non  risponde. 
Poi  5  quando  è  in  luogo ,  eh'  altri  non  la  senta, 
Versan  lagrime  gli  occlij  a  guisa  d'  onde, 

E  parte  del  dolor,  che  la  tormenta, 
Sentir  fa  al  petto  ed  alle  chiome  bionde; 
Che  r  un  percuote,  e  1'  altre  straccia  e  frange, 
E  cosi  parla,  e  così  seco  piange: 

41.  Ahimè  !  vorrò  quel ,  che  non  vuol  chi  deve 
Poter  del  \  oler  mio ,  più  che  poss'  io  ? 

Il  voler  di  mia  madre  avrò  in  sì  lieve 
Stima,  eli'  io  lo  posponga  al  voler  mio? 
Deh  !   qnal  peccato  puote  esser  sì  greve 
A  una  donzella,  qual  biasmo  sì  rio, 
Come  questo  sarà,  se,  non  volendo 
Chi  sempre  ho  da  ubbidir,  marito  prendo? 

42.  Avrà,  misera  me,  dunque  possanza 
La  nniterna  pietà,   eh'  io  t'  abbandoni. 

Oh  mio  Ruggiero?  e  eh'  a  nuova  speranza, 

A  desir  nuovo,  a  nuovo  amor  mi  doni? 

Oppur  la  riverenza  e  i'  osservanza, 

Ch'  ai  buoni  padri  denno  i  figli  buoni, 

Porrò  da  parte?  e  solo  avrò  rispetto 

Al  mio  bene ,  al  mio  gaudio ,  al  mio  diletto  ? 

43.  So  quanto,  ahi  lassa!  debbo  far;  so  quanto 
Di  bnona  figlia  al  debito  conviensi. 
Io  '1  so;  ma  che  mi  vai,  se  non  può  tanto 
La  ragion,  che  non  possano  più  i  sensi? 
Se  Amor  la  caccia,  e  la  fa  star  da  canto, 
l%è  lassa  eh'  io  disponga,  né  eh'  io  pensi 
Di  me  dispor ,  se  non  quanto  a  Ini  piaccia, 
E  sol  quanto  egli  detti,  io  dica  e  faccia? 

44.  Figlia  d'  Amone  e  di  Beatrice  sono, 
E  son,  misera  me!  ser*a  d'  Amore. 
Dai  genitori  miei  trctvar  |)erdono 
Spero.  (!  pmtà,  s'  io  caderò  in  errore; 
Ma  s(r  oflencbuò  Amor,  cìii  sarà  buono 
A  sclii^armi  con  preghi  il  suo  furore? 
('he  sol  coglia  una  di  mie  scuse  u<lire, 
E  non  mi  faccia  subito  morire? 


601] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XLIV.  45—60) 


[602] 


ìó.     Oimè  !  con  lunga  ed  ostinata  prova 
Ilo  cercato  Riig-gier  trarre  alla  fede, 
Ed  hello  tratto  alfin  ;  ma  che  mi  giova, 
Se  '1  mio  hen  fare  in  util  d'  altro  cede? 
Così ,  ma  non  per  sé ,  1'  ai>e  rinnova 
II  mele  ogni  anno ,  e  mai  non  lo  possiede. 
Ma  vo'  prima  morir  ^  che  mai  sia  vero, 
Ch'  io  pigli  altro  marito  ,  che  Ruggiero. 

46.  S'  io  non  sarò  al  mio  padre  ubbidiente, 
INè  alla  mia  madre ,  io  sarò  al  mio  fratello, 
Che  molto  e  molto  è  più  di  lor  prudente, 
Né  gli  ha  la  troppa  età  tolto  il  cervello. 

E  a  questo,  che  Hinahlo  vuol,  consente 
Orlando  ancora;  e  per  me  ho  questo  e  quello, 
I  quali  duo  più  onora  il  mondo  e  teme, 
Che  1'  altra  nostra  gente  tutta  insieme. 

47.  Se  questi  il  fior ,  se  questi  ognuno  stima 
La  gloria  e  lo  ^plelldor  di  Chiaramonte  ; 
Se  sopra  gli  altri  ognun  gli  alza  e  sublima 
Più,  che  non  è  del  piede  alta  la  fronte, 
Perchè  debbo  voler,   «;he  di  me  prima 
Amon  disponga,  che  Rinaldo  e  '1  conte? 
Voler  noi  debbo  ;  tanto  men ,  che  messa 
In  dubbio  al  Greco  ,  e  a  Ruggier  fui  pi-omessa. 

48.  Se  la  donna  s'  afHigge  e  si  tormenta, 
]\è  di  Ruggier  la  mente  è  più  quieta; 
Ch'  ancorché  di  ciò  nuova  non  si  senta 
Per  la  città,  pur  non  è  a  lui  segreta. 
Seco  di  sua  fortuna  si  lamenta, 
La  qual  fruir  tanto  suo  ben  gli  vieta, 
Poiché  ricchezze  non  gli  ha  date  e  regni, 
Di  che  è  stata  sì  larga  a  mille  indegni. 

49.  Di  tutti  gli  altri  beni ,  che  concede 
Katura  al  mondo,  o  proprio  studio  acquista, 
Aver  tanta  e  tal  parte  egli  si  vede, 

Quale,  e  quanta  altri  aver  mai  s'  abbia  vista; 

Ch'  a  sua  bellezza  ogni  bellezza  cede. 

Che  a  sua  possanza  è  raro  chi  resista. 

Di  magnanimità,  di  splendor  regio 

A  nessun ,  più  eh'  a  lui ,  si  deve  il  pregio. 

50.  Ma  il  volgo,  nel  cui  arbitrio  son  gli  onori. 
Che,  come  pare  a  lui,  li  leva  e  dona; 

(Né  dal  nome  del  volgo  voglio  fuori, 
Eccetto  r  noni  prudente,  trar  persona;) 
Che  né  papi,  né  re,  né  imperatori 
Nonne  trae  scettro,  mitra,  né  corona. 
Ma  la  prudenza,  ma  il  giudicio  buono; 
Grazie,  che  dal  ciel  diite  a  pochi  sono  !) 

51.  Questo  volgo,  per  dir  quel,  eh'  io  vo'  dire, 
Ch'  altro  non  riverisce,  che  ricchezza, 

Né  vede  cosa  al  mondo,  che  più  ammire, 

K  senza,  nulla  cura  r.  luilhi  apprezza, 

Sia  quanto  voglia  la  hellà,  V  ardire, 

La  possanza  del  corpo,  la  d(■^'rczza, 

La  virtù  ,  il  seiuu»,  la  hontà  ;  e  |)iù  in  questo. 

Di  eh'  ora  >  i  ragiono ,  che  nel  resto. 

52.  Dicea  Ruggier:  Se  pur  é  Amon  disposto, 
Che  la  figliuola  imperatrice  sia. 

Con  Iberni  non  concbiuda  co>ì  t(K-.to, 
Alinen  termine-  un  anno  anco  mi  dia! 
Ch'  io  H|iei-o  intanto,  che  da  ine  depo^(o 
Leon  col  padre  dell'  ini|)ei'io  fia; 
F  poiché  tolto  a\rò  lor  le  <(irr)ne. 
Genero  indegno  non  sarò  d'  .Vmiine. 


53.  Ma  se  fa  senza  indugio ,  come  ha  detto, 
Suocero  della  figlia  Costantino; 

S'  alla  promessa  non  avrà  rispetto 
Di  Rinaldo  e  d'  Orlando  suo  cugino. 
Fattami  innanzi  al  vecchio  benedetto, 
AI  marchese  Oliviero  e  al  re  Sobrino, 
Che  farò.-"  Vo'  patir  sì  grave  torto? 
O,  priraaché  patirlo,  esser  pur  morto? 

54.  Deh  !  che  farò  ?  Farò  dunque  vendetta 
Contra  il  padre  di  lei  di  questo  oltraggio  ? 
Non  miro,  eh'  io  non  son  per  farlo  in  fretta, 
O  s'  in  tentarlo  io  mi  sia  stolto ,  o  saggio. 
Ma  voglio  presuppor,  eh'  a  morte  io  metta 
L'  iniquo  vecchio ,  e  tutto  iì  suo  lignaggio, 
Questo  non  mi  farà  però  contento, 

Anzi  in  tutto  sarà  contra  il  mio  intento. 

55.  E  fu  sempre  il  mio  intento,  ed  é,  che  m'  ami 
La  bella  donna  ,  e  non  che  mi  sìa  odiosa  ; 
Ma,  quando  Ainone  uccida,  o  faccia,  o  trami 
Cosa  al  fratello ,  o  agli  altri  suoi  dannosa. 
Non  le  do  giusta  causa ,  che  mi  chiami 
Nemico,   e  più  non  voglia  essermi  sposa? 

Che  debbo  diuique  far?  debbol  patire? 
Ah,  non  per  Dio!  piuttosto  io  vo'  morire. 

56.  Anzi  non  ^o'  morir,  ma  vo',  che  muoja 
Con  più  ragion  questo  Leone  Augusto, 
Venuto  a  distur!)ar  tanta  mia  gioja; 

10  vo',  che  muoja  egli  e  '1  suo  padre  ingiusto. 
Elena  bella  all'  amator  di  Troja 

Non  costò  sì ,  né  a  tempo  più  vetusto 

Proserpiaa  a  Piritoo ,  come  voglio, 

Ch'  al  padre  e  al  figlio  costi  il  mio  cordoglio. 

57.  Pnò  esser,  vita  mia,  che  non  ti  doglia 
Lasciare  il  tuo  Ruggier  per  questo  Greco  ? 
Potrà  tuo  padre  far,  che  tu  lo  teglia, 
Ancorch'  avesse  i  tuoi  fratelli  seco? 

Ma  sto  in  timor,  eh'  al)!)i  piuttosto  voglia 
D'  esser  d'  accordo  con  Auion ,  che  meco, 
E  che  ti  paja  assai  miglior  i)artito 
Cesare  aver,  eh'  un  privato  uom  marito. 

58.  Sarà  possibil  mai ,  che  nome  regio. 
Titolo  imperiai ,  grandezza  e  pompa. 
Di  Bradamantc  mia  1'  animo  egregio, 

11  gran  valor,  I'  alta  virtù  corrompa, 
Sicch'  abbia  da  tenere  in  miiior  pregio 
La  data  fede,   e  le  promesse  rompa? 
Né,  piuttosto  d"  Amon  l'ar>i  nemica, 

Che  quel,  che  detto  lu"  ha,  sempre  non  dica? 

59.  Diceva  qiieste,  ed  altre  cose  molte 

!  Ragionando  fra  sé  Ruggiero ,  e  spesso 

!  Le  dicea  in  guisa ,  eh"  erano  raccolte 

Da  clii  tallir  se  gli  tro^a\a  appre.-so; 
Sicché  il  tormento  >U(»  più  di  iUw  >oUo 
Era  a  colei ,   per  cui  patÌNa,  espresso, 
I  A  cui  nini  dolca  meno  il  >('iitir  Ini 

J  Così  doler,   che  i  proprj  all'anni  *ui. 

'  CO.      Ma  più  d'  ogni  altro  (Iim)1  ,  clur  le  sia  detto 

i  Che  tormenti  Kuggicr.  di  que>to  ha  doglia, 

("he  intende,  clu;  »'  alllìgge  (ter  s(»>petlo, 

,  Cir  ella  Ini  lasci,   e  che  quel  (ireco  Miglia. 

I  Onde  .  acciò  si  conforti,  e  che  ilei  petto 

j  Questa  credenza  e  ipu-sto  error  si  loglia, 

I  l'er  una  di  sue  lìde  (-anieriere 

!  (ìli  fé"  quoto  jiarole  un  di  sajiere: 


[603] 


ORLANDO   FURIOSO     (XLIV.   61  —  76) 


[604] 


61.  Riiggier,  qual  sempre  fui,  tal'  esser  TOglìo, 
Fin  alla  morte  e  più ,  se  più  si  puote. 

O  siami  Amor  benigno ,  o  m'  usi  orgoglio, 
O  me  Fortuna  in  alto ,  o  in  basso  ruote, 
Immobil  son  di  vera  fede  scoglio, 
Che  d'  ogn'  intorno  il  vento  e  '1  mar  percuote. 
Kè  giammai  per  bonaccia ,  né  per  verno 
Luogo  mutai ,  né  muterò  in  eterno. 

62.  Scarpello  si  vedrà  di  piombo ,  o  lima 
Formare  in  varie  immagini  diamante, 
Primachè  colpo  di  fortuna,  o  prima 

Ch'  ira  d'  Amor  rompa  il  mio  cor  costante; 
E  si  vedrà  tornar  verso  la  cima 
Dell'  alpe  il  fiume  torbido  e  sonante. 
Che  per  nuovi  accidenti,  o  buoni ,  o  rei, 
Facciano  altro  viaggio  i  pensier  miei. 

63.  A  voi,  Ruggier,  tutto  il  dominio  ho  dato 
Di  me  ,  che  forse  è  più,  eh'  altri  non  crede. 
So  ben,  eh'  a  nuovo  principe  giurato 

]\on  fu  di  questa  mai  la  maggior  fede. 

So,  che  né  al  mondo  il  più  sicuro  stato 

Di  questo,  re  né  iniperator  possiede. 

]\on  vi  bisogna  far  fossa,  né  torre 

Per  dubbio ,  eh'  altri  a  voi  lo  venga  a  torre  : 

64.  Che  senzach'  assoldiate  altra  persona. 
Non  verrà  assalto,  a  cui  non  si  resista. 
]\on  è  ricchezza  ad  espugnarmi  buona; 
Non  si  vii  prezzo  un  cor  gentile  acquista. 
Né  nobiltà,  né  altezza  di  corona, 

Ch'  al  volgo  sciocco  abbagliar  suol  la  vista. 
Non  beltà,  che  in  lieve  animo  può  assai, 
Vedrò,  che  più  di  voi  mi  piaccia  mai. 

65.  Non  avete  a  temer,  che  in  forma  nuova 
Intagliare  il  mio  cor  mai  più  si  possa; 

Sì  r  immagine  vostra  si  ritrova 
Scolpita  in  lui,  eh'  esser  non  può  rimossa. 
Che  '1  cor  non  ho  di  cera,  è  fatto  prova; 
Che  gli  die'  cento,  non  eh'  una  percossa 
Amor,  primachè  scaglia  ne  levasse, 
Quando  all'  immagin  vostra  lo  ritrasse. 

66.  Avorio  e  gemma ,  ed  ogni  pietra  dura, 
Clie  meglio  dall'  intaglio  si  difende. 
Romper  si  può,  ma  non,  eh'   altra  figura 
Prenda,  che  quella,  eh'  una  volta  prende. 
Non  è  il  mio  cor  diverso  alla  natura 

Del  marmo ,  o  d'  altro,  eh'  al  ferro  contende. 
Prima  esser  può  ,  che  tutto  Amor  lo  spezze, 
Che  lo  possa  scolpir  d'  altre  bellezze. 

67.  Soggiunse  a  queste  altre  parole  molte 
Pien(!  d'  amor,  di  fede,  e  di  «conforto, 
Da  ritornarlo  in  vita  mille  volte. 

Se  stato  fosse  mille  volte  morto. 
Ma,  quando  più  dalla  tempesta  tolte 
Queste  speranze  esser  credeano  in   porto. 
Da  nn  nuovo  turbo  impetuoso  e  scuro 
Hi>pinte  in  mar,  lungi  dal  lito,  furo. 

68.  Perocché  Bradamante ,  eh'  eseguire 
Vorrjii  molto  più  ancor,  che  non  ha  detto, 
Ri\o<:iin(lo  nel  cor  1'   usato  ardire, 

E  lasciando  ir  da  parte  ogni  rispetto, 
S'  apprcMMita  nn  di  a  (Jarlo,  e  dice:  Sire, 
S'  a  vostra  inaestade  ab-iino  effetto 
lo  feri    mai ,  ilie  t<;  paresse  buono. 
Contenta  h'ìa  di  non  negarmi  un  dono! 


69.  E  primachè  più  espresso  io  glielo  chieggia, 
Sulla  real  sua  fede  mi  prometta 
Farmene  grazia!  e  vorrò  poi,  che  veggia 
Che  sarà  giusta  la  domanda  e  retta. 
Merta  la  tua  virtìi ,  che  dar  ti  deggia 

Ciò  che  domandi,  oh  giovane  diletta. 
Rispose  Carlo;  e  giuro,  sebben  parte 
Chiedi  del  regno  mio,  di  contentarte. 

70.  Il  don,  eh'  io  bramo  dall'  altezza  Tostra, 
È,  che  non  lasci  mai  marito  darme, 
Disse  la  damigella,  se  non  mostra, 

Che  più  di  me  sia  valoroso  in  arme. 

Con  qualunque  mi  vuol ,  prima ,  o  con  giostra, 

O  con  la  spada  in  mano ,  ho  da  provarme. 

Il  primo,  che  mi  vinca,  mi  guadagni; 

Chi  vinto  sia ,  con  altra  s'  accompagni. 

71.  Disse  r  imperator  con  viso  lieto, 
Che  la  domanda  era  di  lei  ben  degna, 
E  che  stesse  con  1'  animo  quieto. 
Che  farà  appunto  quanto  ella  disegna. 
Non  è  questo  parlar  fatto  in  segreto, 
Sicch'  a  notizia  altrui  tosto  non  vegna, 
E  quel  giorno  medesimo  alla  vecchia 
Beatrice,  e  al  vecchio  Amon  corre  all'  orecchia 

72.  I  quali  parimente  arser  di  grande 
Sdegno  centra  la  figlia,  e  di  grand'  ira; 
Che  vider  ben  con  queste  sue  domande, 

Ch'  ella  a  Ruggier,  più  che  a  Leone  aspira; 
E  presti,  per  vietar,  che  non  si  mande 
Questo  ad  effetto ,  a  eh'  ella  intende  e  mira, 
La  levaro  con  fraude  dalla  corte, 
E  la  menaron  seco  a  Rocca  Forte. 

1   73.      Questa  era  una  fortezza,  eh'  ad  Amone 

j         Donata  Carlo  avea  pochi  dì  innante, 

j         Tra  Perpignano  assisa,  e  Carcassone, 

I         In  loco  in  ripa  al  mar ,  molto  importante. 

I  Quivi  la  ritenean,  come  in  prigione, 

j         Con  pensier  di  mandarla  un  dì  in  Levante; 

Sicché  a  ogni  modo,  voglia  ella,  o   non  vogli 
Lasci  Ruggier  da  parte,  e  Leon  toglia. 

74.  La  valorosa  donna ,   che  non  meno 
Era  modesta ,  eh'  animosa  e  forte, 
Ancorché  posto  guardia  non  l'  aviéno, 
Che  potea  entrare,  e  uscir  fuor  delle  porte. 
Pur  stava  ubbidiente  sotto  il  freno 
Del  padre;  ma  patir  prigione  e  morte, 
Ogni  martire  e  crudeltà  piuttosto, 
Clie  mai  lasciar  Ruggier,  avea  proposto. 

75.  Rinaldo,  che  si  vide  la -sorella 
Per  astuzia  d'  Amon  tolta  di  mano, 
E  che  dispor  non  potrà  più  di  quella, 
E  eh'  a  Ruggier  1'  avrà  |)romessa  invano, 
Si  duol  del  padre,  e  contra  lui  favella, 
Posto  il  rispetto  filial  lontano: 
Ma  po(;o  cura  Amon  di  t<M  parole, 
E  di  sua  figlia  a  modo  suo  far  vuole. 

76.  Kuggier,  (;he  questo  sente,  ed  ha  in  timoi 
Di  riinan(;r  della  sua  donna  privo, 
E  (-he  1'  abbia,   o  per  l'orza,  o  per  amore 
I-eon  ,  se  resta  lunfj;auicnte  vivo. 
Senza  parlarne  altrui  si  mette  in  core 
Di  far,  die  uuioja  i'  sia,  d'  Augusto,  Divo, 
E  tor .  se  non  1'  inganna  la  sua  speme, 
Ai  padre  e  a  lui  la  vita ,  e  '1  regno  insieme. 


505] 


ORLANDO  FURIOSO.    (XLIV.  77  —  92) 


[606] 


i7.     L'  arme,  che  fur  già  del  trojano  Ettorre, 
E  poi  di  Mandricardo  ,  si  riveste, 
E  fa  la  sella  al  buon  Frontino  porre, 
E  cimier  muta ,  scudo ,  e  sopravreste. 
A  questa  impresa  non  gli  piacque  torre 
'      L'  aquila  bianca  nel  color  celeste; 
I      Ma  un  candido  liocorno ,  come  giglio, 
I      Vuol  nello  scudo  ,  e  '1  campo  abbia  vermiglio. 

78.  Sceglie  de'  suoi  scudieri  il  più  fedele, 
E  quel  vuole,  e  non  altri  in  compagnia, 
E  gli  fa  coramission ,  che  non  rivele 

In  alcun  loco  mai ,  che  Ruggier  sia. 
Passa  la  Mosa  e  'I  Reno ,  e  passa  de  le 
Contrade  d'  Ostericche  in  Ungheria, 
E  lungo  r  Istro  per  la  destra  riva 
Tanto  cavalca,  che  a  Belgrado  arriva. 

79.  Ove  la  Sava  nel  Danubio  scende, 

E  verso  il  mar  maggior  con  lui  dà  volta. 

Vede  gran  gente  in  padiglioni  e  tende 

Sotto  1'  insegne  imperiai  raccolta; 

Che   Costantino  ricovrare  intende 

Quella  città,  che  i  Bulgari  gli  han  tolta. 

Costantin  v'  è  in  persona,  e  '1  figliuol  seco. 

Con  quanto  può  tutto  T  imperio  greco. 

80.  Dentro  a  Belgrado,  e  fuor  per  tutto  il  monte, 
E  giù  fin  dove  il  fiume  il  pie  gli  lava, 
L'  esercito  de'  Bulgari  gli  è  a  fronte, 
E  r  uno  e  1'  altro  a  ber  viene  alla  Sava. 
Sul  fiume  il  Greco ,  per  gittare  il  ponte, 
Il  Bulgar,  per  vietarlo,  armato  stava. 
Quando  Ruggier  vi  giunse,  e  zuffa  grande 
Attaccata  trovò  fra  le  due  bande. 

81.  I  Greci  son  quattro  contra  uno,  ed  hanno 
Navi  co'  ponti  da  gittar  nell'  onda; 
E  di  voler  fiero  sembiante  fanno 
Passar  per  forza  alla  sinistra  sponda. 
Leone  intanto,  con  occulto  inganno 
Dal  fiume  discostandosi ,  circonda 
Molto  paese,  e  poi  vi  torna,  e  getta 
Keir  altra  ripa  i  ponti,  e  passa  in  fretta: 

82.  E  con  gran  gente,  chi  in  arcion,  chi  a  piede, 
Che  non  n'  avea  di  ventimila  un  manco, 
Cavalcò  lungo  la  riviera,  e  diede 
Con  fiero  assalto  agi'  inimici  al  fianco. 
L'  imperator,  tosto(!liè  '1  figlio  vede 
Sul  fiume  comparirsi  al  lato  manco, 
Ponte  aggiungendo  a  ponte,  e  nave  a  nave. 
Passa  di  là  con  quanto  esercito  ave. 

83.  Il  capo,  il  re  de'  Bulgari,  Vatrano, 
Animoso  e  prudente  e  prt»'  guerriero, 
Di  qua ,  di  là  s'  allàticava  invano 
Per  riparare  a  un  impeto  sì   fiero  ; 
Quando ,  cìngcndoi  con  robusta  mano 
Leon,  gli  fé'  cader  sotto  il  dc?tri(;ro, 

E   p«iich(;  dar  prigion  mai  non  si  volse, 
Con  mille  spade  la  vita  gli  tolse. 

84.  I  Bulgari  sin  qui  fatto  avean  testa; 
Ma  quando  il  lor  signor  si  ^id<-r  tolto, 
E  crescer  d'   ogn'  intorno  la  tempesta, 

\  oliar  le  f-palle,  ove  uvean  prima  il  volto. 

Ruggier,  che  misto  vien  fra  i  («rcci,  e  questa 

Sciwilitla  vedi!,  snr/.a  pensar  molto, 

I   Itnlgari  Mx-rorrcr  si  dispone, 

Percir  odia  Costantino,  e  più  Leone.  j 


85.  Sprona  Frontin ,  che  sembra  al  corso  un  vento, 
E  innanzi  a  tutti  i  corridori  passa; 

E  tra  la  gente  vien,  che  per  spavento 
Al  monte  fugge,  e  la  pianura  lassa. 
Molti  ne  ferma,  e  fa  voltare  il  mento 
Contra  i  nemici ,  e  poi  la  lancia  abbassa, 
E  con  si  fier  sembiante  il  destrier  move. 
Che  fin  nel  ciel  Marte  ne  teme,  e  Giove. 

86.  Dinanzi  agli  altri  un  cavaliero  adocchia. 
Che  ricamato  nel  vestir  vermiglio 

Avca  d'  oro,  e  di  seta  una  pannocchia 
Con  tutto  il  gambo,  che  parca  di  miglio; 
Nipote  a  Costantin  per  la  sirocchia, 
Ma  che  non  gli  era  men  caro,  che  figlio. 
Gli  spezza  scudo   e  usbergo ,  come  vetro, 
E  fa  la  lancia  un  palmo  apparir  dietro. 

87.  Lascia  quel  morto,  e  Balisarda  stringe 
V' erso  uno  stuol ,  che  più  si  vide  appresso  ; 
E  contra  a  questo  e  contra  a  quel  si  spinge. 
Ed  a  chi  tronco ,  ed  a  chi  il  capo  ha  fesso  ; 
A  chi  nel  petto,  a  chi  nel  fianco  tinge 

Il  brando,  e  a  chi  1'  ha  nella  gola  messo: 
Taglia  busti,  anche,  braccia,  mani  e  spalle; 
E  il  sangue,  come  un  rio,  corre  alla  valle. 

88.  Non  è,  visti  quei  colpi,  chi  gli  faccia 
Contrasto  più,  così  n'  è  ognun  smarrito; 
Sicché  si  cangia  subito  la  faccia 

Della  battaglia;  che,  tornando  ardito. 
Il  petto  volge,  e  ai  Greci  dà  la  caccia 
Il  Bulgaro ,  che  dianzi  era  fuggito. 
In  un  momento  ogni  ordine  disciolto 
Si  vede,  e  ogni  stendardo  a  fuggir  volto. 

89.  Leone  Augusto  su  un  poggio  eminente. 
Vedendo  i  suoi  fuggir,  s'  era  ridotto, 

E  sbigottito  e  mesto  ponea  mente 
(Perch'  era  in  loco,  che  scopriva  il  tutto) 
Al  cavalier ,  eh'  uccidea  tanta  gente, 
Che  per  Ini   sol  quel  campo  era  distrutto; 
E  non  può  far ,  sebben  a'  è  «dieso  tanto. 
Che  non  lo  lodi,  e  gli  dia  in  arme  il  vanto. 

90.  Ben  comprende  all'  insegne  e  sopravvesti, 
All'  arme  luminose,  e  ri<uhe  d'  oro. 

Che,  quantunque  il  guerricr  dia  ajuto  a  questi 

Nimicì  suoi ,  non  sia  però  di  loro. 

Stupido  mira  i  soprnmani  gesti, 

E  talor  pensa,  che  dal  soninu)  coro 

Sia,  per  punire  i  Greci,  un  agnol  sceso, 

Che  tante  e  tante  volte  hanno  Dio  offeso. 

91.  E  coni'  uom  d'  alto  e  di  sublinu-  core. 
Ove  r  avrian  molf  altri  in  odio  a\uto, 
Egli  s'  innamorò  del  siu)  valore. 

Né  veder  fargli  oltraggio  avria  voluto. 
Gli  sarebbe ,  per  un  d*;'   suoi .  vhv  umore. 
Vederne  morir  sci,  manco  spiiuiuto, 
E   pcrd«-r  anco  parte  ilei  suo  regno, 
Che  veder  morto   un  cavalier  sì  degno. 

92.  Come  bambin  ,  sebben  la  cara  madre 
Iraconda  lo   Itatte .  e  da  so  caccia. 

Non  ha  riciir>o  alla  sorella,  o  al  padre, 
I\la  a   lei  ritorna,  e  con  dolcez/.a  aidtraccìa: 
('osi   licon  ,  sebben   le  prime  s(|nailre 
Ruggier  gli  uccide,  e  1'  altre  gli  minaccia, 
^on   lo  può  oiiiar;   perchè  all'  amor  più  lira 
L'  ulto  ^alor,  che  qucll'  offesa  all'  !■'•> 


[6071 


ORLANDO   FURIOSO.    (XLIV.  93-104) 


93.  Ma,  se  Leon  Ruggiero  ammira  ed  ama, 
Mi  par,  che  duro  caml)io  ne  riporte; 
Che  Ruggiero  odia  hii,  uè  cosa  brama 
Più,  che  di  dargli  di  sua  man  la  morte. 
Molto  con  gli  occhj  il  cerca,  ed  alcun  chiama, 
Che  glielo  mostri:  ma  la  buona  sorte 

E  la  prudenza  dell'  esperto  Greco 

Kon  lasciò  mai,  che  s'  affrontasse  seco. 

94.  Leone,  acciocché  la  sua  gente  afTatto 
Non  fosse  uccisa,  fé'  sonar  raccolta. 

Ed  all'  imperatore  un  messo  ratto 
A  pregarlo  mandò,  che  desse  Yolta, 
E  ripassasse  il  fiume;  e  che  buon  patto 
IN'  avrebbe,  se  la  via  non  gli  era  tolta; 
Ed  esso  con  non  molti ,  che  raccolse, 
Al  ponte,  end'  era  entrato,  i  passi  volse. 

95.  Molti  in  poter  de'  Bulgari  restaro 

Per  tutto  il  monte,  e  sin  al  fiume  uccisi: 
E  vi  rcstavan  tutti ,  se  '1  riparo 
]\'on  gli  avesse  del  rio  tosto  divisi. 
Molti  cadder  dai  ponti ,  e  s'  afTogaro, 
E  molti,  senza  mai  volgere  i  visi, 
Quindi  lontano  irò  a  trovare  il  guado, 
E  molti  fur  prigion  tratti  in  Belgrado. 

96.  Finita  la  battaglia  di  quel  giorno. 
Nella  qunl,  poiché  il  lor  signor  fu  estinto. 
Danno  i  Bulgari  avriano  avuto,  e  scorno. 
Se  per  lor  non  avesse  il  gucrrier  vinto, 

11  buon  guerrier,  che  '1  candido  liocorno 
Nello  scudo  vermiglio  avea  dipinto; 
A  lui  si  trasson  tutti  ,  da  cui  questa 
Vittoria  conoscean,  con  gioja  e  festa, 

97.  Uno  il  saluta,  un  altro  se  gì'  inchina; 
Altri  la  mano,  altri  gli  bacia  il  piede; 
Ognun ,  quanto  più  può ,  se  gli  avvicina, 
E  beato  si  tien,  chi  appresso  il  vede, 

E  più,  chi  'i  tocca:  che  toccar  divina 
E  sopranaturai  cosa  si  crede. 
Lo  pregan  tutti,  e  vanno  al  ciel  le  grida, 
Che  sia  lor  re ,  lor  capitan  ,  lor  guida. 

98.      Ruggier  rispose  lor,  che  capitano, 

E  re  sarà,  quel  che  sia  lor  più  a  grado; 

Ma.  né  a  baston,  né  a  scettro  ha  da  por  mano. 

Né  per  quel  giorno  entrar  vuole  in  Belgrado; 

Che,   primachè  si  faccia  più  lontano 

Leone  Augusto,  e  che  rijìassi  il  guado, 

Lo  vuol  seguir,  né  torsi  dalla  traccia, 

Finché  noi  giunga,  e  che  morir  noi  faccia; 


99.      Che  mille  miglia  e  più  per  questo  solo 
Era  venuto,  e  non  per  altro  efittto. 
Così  senza  indugiar  lascia  lo  stuolo, 
E  si  volge  al  cammin,  che  gli  \ien  detto. 
Che  verso  il  ponte  fa  Leone  a  volo. 
Forse  per  dubbio  ,  che  gli  sia  intercetto. 
Gli  va  dietro  per  1'  orma  in  tanta  fretta. 
Che  '1  suo  scudier  non  chiama,  e  non  aspetta. 

100.  Leone  ha  nel  fuggir  tanto  vantaggio, 
(Fuggir  si  può  ben  dir,  più  che  ritrarse) 
Che  trova  aperto  e  libero  il  passaggio. 
Poi  rompe  il  ponte,  e  lascia  le  navi  arse. 
Non  v'  arriva  Ruggier,  eh'  ascoso  il  raggio 
Era  del  sol,  né  sa,  dove  alloggiarse. 
Cavalca  innanzi,   (che  Iucca  la  luna) 

Né  mai  trova  castel,  né  villa  alcuna. 

101.  Perchè  non  sa ,  dove  si  por ,  cammina 
Tutta  la  notte,  né  d'  arcion  mai  scende. 
Nello  spuntar  del  nuovo  sol  vicina 

A  man  sinistra  una  città  comprende, 
Ove  di  star  tutto  quel  dì  destina. 
Acciò  r  ingiuria  al  suo  Frontino  emende, 
A  cui ,  senza  posarlo  o  trargli  briglia, 
La  notte  fatto  avea  far  tante  miglia. 

102.  Ungiardo  era  signor  di  quella  terra. 
Suddito,  e  caro  a  Costantino  molto; 
Ove  avea ,  per  cagion  di  quella  guerra. 
Da  cavallo  e  da  pie  buon  numer  tolto. 
Quivi ,  ove  altrui  1'  entrata  non  si  serra. 
Entra  Ruggiero  ;  e  v'  é  sì  ben  raccolto, 
Cile  non  gli  accade  di  passar  più  avante 
Per  aver  miglior  loco ,  e  più  abbondante. 

103.  Nel  medesimo  albergo  in  sulla  sera 
Un  cavalicr  di  Romania  alloggiosse. 
Che  si  trovò  nella  battaglia  fiera. 
Quando  Ruggier  pe'  Bulgari  si  mosse, 
Ed  appena  di  man  fuggito  gli  era, 

Ma  spaventato  più,  eh'  altri  mai  fosse; 
Siedi'  ancor  trema ,  e  pargli  ancora  intorno 
Avere  il  cavalier  dal  liocorno. 

104.  Conosce,  tostoché  lo  scudo  vede. 

Che  '1  cavalier,  che  quella  insegna  porta, 
È  quel,  che  la  sconfitta  ai  Greci  diede. 
Per  le  cui  mani  è  tanta  gente  morta. 
Corre  al  palazzo ,  ed  udienza  chiede, 
I         Per  dire  a  quel  signor  cosa,  che  importa; 
E  sul)ito  intromesso ,  dice  quanto 
Io  mi  riscibo  a  dir  nell'  altro  canto. 


6091 


ORLANDO  FURIOSO.     fXLV.    1—12) 


[610] 


CANTO     QUA  KANT  ESIMO  QUINTO. 


ARGOMENTO. 

Rvggìer  fatto  è  prigion  di  Teodora, 

E  poscia  da  Leon  71'  è  liberato. 

Per  hii  del  merlo  in  ricompensa  ancora 

Pince  la  donna ,  onde  uvea  il  cor  piagato. 

Tanta  è  nel  fin  la  doglia,  che  V  accora, 

Cile  morir  si  risolve  disperato. 

Marfisa  intanto  con  forte  coraggio 

fa  innanzi  a  Carlo,  e  sturba  il  maritaggio. 


L     Quanto  più  sull'  instaliil  rota  redi 
Di  Fortuna  ire  in  alto  il  miser  uomo, 
Tanto  piuttosto  hai  da  vederci;!!  i  piedi, 
Ove  ora  ha  il  capo,  e  far  cadendo  il  tomo. 
Di  questo  esempio  è  Policrate,  e  il  re  di 
Lidia,  e  Dionigi,  ed  altri,  eh'  io  non  nomo, 
(/he  ruinati  son  dalla  suprema 
Gloria ,  in  un  dì ,  nella  miseria  estrema. 

2.  Così  air  incontro,  quanto  più  depresso, 
Quanto  è  più  V  uoiu  di  qucstii  rota  al  fondo, 
Tanto  a  quel  punto  più  si  trova  appresso, 
Ch'  ha  da  salir,  se  dee  «girarsi  in  tondo. 
Alcun  sul  ceppo  quasi  il  capo  ha  messo, 
Che  r  altro  <:;iorno  ha  dato  legge  al  mondo. 
Servio  e  Mario  e  Ventidio  1'  hanno  mostro 
Al  tempo  antico,  e  '1  l'e  Luigi  al  nostro; 

3.  Il  re  Luigi,  suocero  del  figlio 

Del  duca  mio ,  che  rotto  a  Santo  Albino, 

E  giunto  al  suo  nemico  nell'  artiglio, 

A  restar  senza  capo  fu  vicino. 

Scorse  di  questo  anco  maggior  periglio, 

Kon  molto  innanzi,  il  gran  Mattia  Corvino. 

Poi  I'  un  de'  Franchi ,  pas^ato  quel  punto, 

L'  altro  al  regno  degli  Lngheri  fu  assunto. 

4.  Si  vide  per  gli  esempj ,  di  che  piene 
Sono  r  antiche  e  h^  moderne  istorie, 

Che  '1  ben  va  dietro  al  male,  e  '1  male  al  bene, 
£  fin  son  1'  un  dell'  altro  e  biasmi  e  glorie; 
K  che  fidarsi  all'  uom  non  si  conviene 
In  suo  tesor ,  suo  regni» ,  e  sue  vittorie, 
Aè  disperarsi  per  fortuna  avversa, 
Che  sempre  la  sua  rota  in  giro  versa. 

5.  Iluggier  per  la  ^  ittoria ,  eh'  avca  avuto 
Di  Leone  e  del  padr(;  imperatore, 

In  tanta  (;onfi«h;n7.a  era  ^eiiuttt 

Di  sua  fortuna  e  di  suo  gran  valore. 

Clic  senza  compagnia,  sen/  altro  ajuto, 

Di  potere  egli  sol  gli  dava  il  ((ue, 

Fra  cento  a  pie  e  a  cmallo  armate  squadre, 

Uccider  di  sua  mano  il  figlio  e  '1  padre. 


6.  Ma  quella,  che  non  tuoI,  che  >■{  prometta 
Alcìm  di  lei ,  gli  mostrò  in  pochi  giorni. 
Come  tosto  alzi,  e  tosto  al  basso  metta, 

E  tosto  avversa ,  e  tosto  amica  torni. 
Lo  fé'  conoscer  quivi  da  chi  in  fretta 
A  procacciar  gli  andò  disagi  e  scorni, 
Dal  cavalier ,  che  nella  pugna  fii  ra 
Di  man  fuggito  a  gran  fatica  gli  era. 

7.  Costui  fece  ad  Ungiardo  saper,   come 
Quivi  il  guerrier ,  eh'  area  le  genti  rotte 
Di  Costantino,  e  per  molt'  anni  dome. 
Stato  era  il  giorno,  e  vi  starla  la  notte; 
E  che  fortuna  presa  per  le  chiome, 
Senzachè  più  travagli ,  o  che  più  lotte. 
Darà  al  suo  re,  se  fa  costui  prigione, 
Ch'  a'  Bulgari,  lui  preso,  il  giogo  pone, 

8.  Ungiardo  dalla  gente,  che  fuggita 
Dalla  battaglia  a  lui  s'  era  ridotta, 
(di'  a  parte  a  parte  v'  arrivò  infinita, 
l'erch'  al  ponte  passar  non  potea  tutta) 
Sapea,  come  la  strage  era  seguita. 
Che  la  metà  de'  Greci  avea  distrutta; 
E  come  un  cavalier  solo  era  stato, 

Ch'  un  campo  rotto,  e  1'  altro  avea  salvato. 

9.  E  che  sia  da  sé  stesso  senza  caccia 
Venuto  a  dar  del  capo  nella  rete. 

Si  meraviglia,    e  mostra,  che  gli  piaccia. 
Con  viso  e  gesti,  e  con  parole  liete. 
Aspetta ,  che  Ruggier  dormendo  giaccia  ; 
Poi  manda  le  sue  genti  chete  chete, 
E  fa  il  buon  cavalier,  eh'  alcun  sospetto 
Di  questo  non  avea,  prender  nel  letto. 

10.  Accusato  Ruggier  dal  proprio  scudo, 
Nella  città  di  Àovengrado  resta 

Prigion  d'  Ungiardo ,   il  più  d'  ogni  altro  crudo 

Che  fa  di  ciò  meravigliosa  festa. 

E  che  può  far  Ruggier,  poich'  egli  è  nudo, 

Ed  è  legato  già,  quando  si  desta .'' 

l'ngiardo  un  siu»  corrier  spaccia  a  staHetta 

A  dar  la  nuova  a  Costantino  in  fretta. 

11.  Avca  levato  Costantin  la  notte 
Dalle  ripe  di  Sava  ogni  sua  schiera, 
E  seco  a  Heleticche  a\ea  ridotte, 
CAh',  città  del  cognato  Androfilo  era, 
Pathe  di  quello,  a  cui  forale  e  rotte 
(('(ime  se  slate  fossino  di  cera) 

Al  prinu)  inciMitro  1'  arme  a^ea  il  gagliardo 
('a%ali(-ro ,  or  prigior»  del  fiero  l  iigiardo. 

12.  Qiii\i  fiirtificar  Tacca  le  mura 
L'  im|iei-alore ,  v.  lipariir  le  porte; 
('he  de'  Itiilgaii   ben  non   s'  assicura, 
(;iie  CIMI  la  guida  d'  un  guerrier  sì  forte 
Non  gli  facciano  peggio  clu-  paura, 

E    1   roto  ptmgan  di  sua  gente  a    morte. 
Or  che  r   ode  prigion,  né  <|iie!li    (eni<'. 
Nò  se  con  lur  t,ia  tutto  '1  mondo  iobicme. 

39 


[611] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XLV.  13— 28) 


[612] 


13.  L'  iinperator  nuota  in  un  mar  di  latte. 
Rè  per  letizia  sa  quel  che  sì  faccia. 
Ben  son  le  genti  Itiil'^^iuc  ni>fatte, 

Dice  con  lieta  e  con  sicura  faccia. 

Come  (iella  vittoria,  chi  coml)atte, 

Se  troncasse  al  nemico  amlie  !e  hraccìa, 

Certo  saria,  così  n' è  certo,  e  gode 

L'  iniperator,  poiché  '1  guerrior  preso  ode. 

14.  Non  ha  minor  cagion  dì  rallegrarsi 
Del  padre  il  figlio;  eh'  oltreché  si  spera 
Di  racquis^tar  Belgrado,  e  soggiogarsi 
Ogni  contrada ,  che  de'  Bulgari  era. 
Disegna  anco  il  guerriero  amico  f.irsi 
Con  henefizj,  e  seco  averlo  in  schiera: 
]Nè  Rinaldo ,  né  Orlando  a  Carlo  Magno 
Ha  da  invidiar,  se  gli  è  costui  compagno. 

15.  Da  questa  voglia  è  hen  diversa  quella 
Di  Teodora,  a  chi  '1  figliuolo  uccise 
Ruggier  con  1'  asta,  che  dalla  mammella 
Passò  alle  spalle,  e  un  palmo  fuor  si  mise. 
A  Costantin ,  del  quale  era  sorella, 
Costei  si  gittò  a'  piedi,  e  gli  conquise 

E  intenerlgli  il  cor  d'  alta  pietade 
Con  largo  pianto,  che  nel  sen  le  cade. 

16.  Io  non  mi  leAerò  da  questi  piedi, 
Diss'  ella,  signor  mìo,  se  del  fellone, 

di'  uccìse  il  mio  figiìuol ,  non  mi  c<mcedi 
Dì  veiulicare,  or  che  i'  ahhiam  prigione. 
Oltreché  stato  t'  è  nipote,  vedi, 
Quanto  t'  amò;  vedi,  quant'  opre  huone 
Ila  per  te  fatto;  e  vedi,  s'  avr.ii  torto 
Di  non  lo  vendicar  di  chi  1'  ha  morto. 

17.  Vedi,  che  per  pietà  del  nostro  duolo 
Ha  Dio  fatto  levar  dalla  campagna 
Questo  crudele,  e  come  augello,  a  volo 
A  dar  ce  1'  ha  condotto  nella  ragna. 
Acciò  in  ripa  di  Stige  il  mìo  figlinolo 
Molto  senza  vendetta  non  rimagna. 
Dammi  costui,  signore,  e  sii  contento, 
Ch'  io  disacerbi  il  mìo  col  suo  tormento! 

18.  Cosi  hen  piange,  e  cosi  hen  sì  duole, 
E  così  bene  ed  el'ficace  jiarla; 

]Nc  dai  piedi  levar  mai  se  gli  vuole, 
Benché  (re  volte  e  quattro  per  levarla 

I  sasse  Costantino  atti  e  parole, 

Ch'  egli  è  sforzato  alfin  dì  contentarla; 

E  cosi  comandò ,  che  si  facesse 

Colui  condurre ,  e  in  man  dì  lei  si  desse. 

ly.      E  per  non  fare  in  ciò  lunga  dimora, 
(Jon(!(itl<)  hanno  il  guerrier  dal  lincorno, 
ì'j   dati»  in  mano  alla  crmlcl  'l'codora, 
Cile  n(ni  ^i  i'u  intervallo  più  d'  un  giorno. 

II  far,   cIk;  ,-.ia  squartato  \ivo,    e  liiuoru 
l'ublìlìcamente  con  obbrobrio  e  scorno, 
l'oca  pena  le  pare;  e  studia  e  pensa 
AiUa  trovarne  inusitata  e  inuucMisa. 

20.      La  femmina  «rrudel  lo  fece  porre, 
Incatenalo  e  mani  e  piedi  e  c(»llo, 
INel  tenebroso  fonilo  d'  ima  torre, 
Ove  mai  non  entrò  raggio  d'  Apollo. 
Fuorcir  un  poco  dì  pan  mull'ato ,  torre 
(ìli  fé'  ogni  cibo,  e  bcnza  ancor  lascìollo 
Duo  dì   liilora;  i-  lo   die'  in  guai. li. i  a  tale, 
Cir  era  di  lei  più  pronto  a,  fargli  male. 


21.  Oh  se  d'  Amon  la  valorosa  e  bella 
Figlia,  oh  se  la  magnanima  Slarfisa 
A\ei!ie  avuto  di  Ruggier  novella, 

Clie  in  prigion  tormentasse  a  questa  guisa, 
Per  liberarlo  saria  questa  e  quella 
Postasi  al  rischio  dì  restarne  uc;ùsa: 
Né  Bradamante  avria,  per  dargli  ajuto, 
A  Beatrice,  o  ad  Amon  xispctto  avuto. 

22.  Re  Carlo  intanto  avendo  la  promessa 
A  costei  fatta,  in  mente,   che  consorte 
Dar  non  le  lascerà,  che  sia  men  d'  essa 
Al  paragon  dell'  arme  ardito  e  forte, 
Questa  sua  volontà  con  trombe  espressa 
Non  solamente  fé'  nella  sua  corte. 

Ma  in  ogni  terra  al  suo  imperio  soggetta; 
Onde  la  fama  andò  pel  mondo  in  fretta. 

2t!.      Questa  condizion  contiene  il  bando; 
Chi  la  figlia  d'  Amon  per  moglie  vuole. 
Star  con  lei  debba  a  pisragon  del  brando, 
Dall'  apparire  al  tramontar  del  sole; 
E  fin  a  quet-to  termine  durando, 
E  nini  sia  vinto,  senz'  altre  parole 
lia  donna  da  Ini  vinta  esser  s'  intenda, 
Né  possa  ella  negar,  che  non  lo  prenda: 

24.     E  che  r  eletta  ella  dell'  arme  dona, 
Sciiza  mirar,  chi  sia  di  lor,  che  chiede. 
E  lo  potea  ben  far,  perdi'  era  huona 
Con  tutte  r  arme,  o  sia  a  cavallo,  o  a  piede. 
Amon,   che  contrastar  con  la  corona 
Non  può,  né  vuole,  alfin  sforzato  cede, 
E  ritornare  a  corte  si  consiglia. 
Dopo  molti  discorsi,  egli  e  la  figlia. 

23.  Ancorch.è  sdegno  e  collera  la  madre 
Contra  la  figlia  avea,  pur  per  suo  onore 
Vestì  le  fece  far  ricche  e  leggiadre 

A  varie  fogge,  e  di  più  d'  un  colore. 
Bradamante  alia  corte  andò  col  padre; 
E  quando  quivi  non  trovò  il  suo  amore, 
Più  non  le  parve  quella  corte  quella. 
Che  le  solea  parer  già  così  bella. 

'liì.     Come  chi  visto  abbia,  1'  a|)rìle  o  il  maggio, 
Giardin  di  frondi  e  dì  bei  fiori  adorno, 
E  lo  rivegga  poi,  clie  'I  sole  il  raggio 
All'  austro  inchina,  e  lascia  breve  il  giorno. 
Lo  trova  deserto ,  orrido  e  selvaggio  : 
C'ojÌ  pare  alia  donna,  al  suo  ritorno. 
Che  da  Ruggier  la  corte  a!)bandonata 
Quella  non  sia,  eh'  avea  al  partir  lasciata. 

27.  Dr>mandar  non  ardisce,  che  ne  sia, 
Acciò  dì  sé  non  dia  maggior  sospetto  ; 
Ma  pon  r  orecchia,  e  cerca  tuttavia, 
Cìu',  senza  dotiiaiular  h;  ne  sia  detto. 
Sì  sa,  eh'  egli  è  partito;  ma  che  via 
Pres'  abbia,  non  fa  alcun  vero  concetto; 
Perché  partendo,  ad  altri  non  fé'  motto, 
Ch'  allo  scudier ,  che  seco  aA  ea  condotto. 

28.  Oh  come  ella  sospira,   oh  come  teme. 
Sentendo,  che  se  n'  é  come  fuggito! 
Oh  come  sojìra  ogni  (inutr  le  preme, 
('Ile  per   porla  in  obblio  se  lu^  sia  gito! 
VAìr  >irtosi  Amon  contra,   ed  ogni  speme 
P(uilut.i    m;iì   più   d'  «v<s<'rle  marito. 

Sì  sia  fililo  da  lei  lontano  ,  forse 
('osi  sperando  dal  suo  amor  dìscìorsc  : 


613] 


ORLANDO   FURIOSO.      (XLV.  29—44) 


[614] 


2«J. 


32. 


83 


U. 


35 


GG 


E  clic  fati'  al)bia  ancor  qualche  disegno, 
Per  piuttosto  levarsela  dal  core, 
D'  andar  cercando  d'  uno  in  altro  regno 
Donna,  per  coi  si  scordi  il  primo  amore; 
Come  si  dire:  Che  si  snol  d'  nn  legno 
Talor  cliiodo  con  chiodo  cacciar  fuore. 
Kuovo  pcnsier,  eh'  a  questo  poi  succede, 
Le  dipinge  Knggier  pieno  di  lede: 

E  lei ,  che  dato  orecchie  a1)hia ,  riprende, 
A  tanta  iniqua  suspizione,  e  stolta: 
E  così  r  un  pensicr  Knggier  difende, 
L'  altro  r  accusa;  ed  ella  ambedue  ascolta; 
E  quando  a  questo,  e  quando  a  quel   s'  apprende, 
]\è  risoluta  a  questo,  o  a  quel  si  volta. 
Pure  all'  opinion  piuttosto  corre, 
Che  più  le  giova ,  e  la  contraria  ahhorre. 

E  talor  anco ,  che  le  torna  a  mente 
Quel,  che  più  volte  ii  suo  liuggier  le  ha  detto, 
Come  di  grave  error  si  duole  e  pente, 
Ch'  avuto  n'  abbia  gelosia  e  sospetto  ; 
E  come  fosse  al  suo  Ruggier  presente, 
Chiama.-i  in  colpa,  e  se  ne  batte  il  petto. 
Ilo  fatto  error,  dice  ella,  e  me  n'  avveggio; 
Ma  chi  n'  è  causa ,  è  causa  ancor  di  peggio. 

Amor  n'  è  causa ,  che  nel  cor  m'  ha  impresso 
La  forma  tua  cosi  leggiadra  e  bella, 
E  posto  ci  ha  1'  ardir ,  V  ingegno  appresso, 
E  la  virtù,  di  che  ciascun  favella; 
Che  impossibil  mi  par ,  eh'  ove  concesso 
]Ne  sia  il  veder,  eh'  ogni  donna  e  donzella 
j\on  ne  sia  accesa ,  e  che  non  usi  ogni  arte 
Di  sciorti  dal  mio  amore ,  e  al  suo  legarle. 

Deh  !  avesse  Amor  così  nei  pensier  miei 
Il  tuo  pensier,  come  ci  ha  il  viso,  sculto! 

10  son  ben  certa ,  che  lo  troverei 
Palese  tal ,  qnal  io  lo  stimo  occulto, 
E  che  sì  fuor  di  gel()>ia  sarei, 

Ch'  ad  ora  ad  or  non  mi  farebbe  insulto, 
E  dove  appena  or  è  da  me  respinta, 
Rimarria  morta ,  non  che  rotta  e  vinta. 

Son  simile  all'  avar,  eh'  ha  il  cor  sì  intento 
Al  suo  tesoro,  e  sì  ve  l'  ha  sepolto. 
Che  non  ne  può  lontan  viver  contento, 
Kè  non  sempre  temer,  che  gli  ^ia  ttdto. 
Ruggiero  ,  or  può  ,  eh   io  lutn  ti  veggo  e  sento, 
In  me,  ]iìn  della  speme,  il  tinnir  molto; 

11  qual ,  beni:hè  bugiardo  e  vano  io  creda, 
INou  posso  far  di  non  mi  dargli  in  preda. 

Md  non  apparirà  'I  lume  sì  tosto 
Agli  occhj  miei  del  tuo  ^  iso  giocvuuio, 
Contr'  ogni  mia  credenza  a  me  nascosto, 
Non  so  in  qual  |)arte,  o  Uuggier  mio,  del  mondo, 
Conu;  il  falso  timor  sarà  deposto 
Dalla  ^era  speranza,  e  messo  ni  fondo. 
Deh!  t(nna  a  iiui ,   lliig;;i(r,  torna  e  conforta 
La  speme,  che  'l  timor  lJua^i  m'  ha  morta! 

(;om<;  al  partir  del  sol  si  fa  majjgiore 
L'  ombra,  ondi;  nas<!(;  poi  \ana  paura  ; 
E  «'om«!  all'  a|>parir  del  suo  splendore 
A  ien  meno  1'  ombra,  e    l  timido  assicura: 
(Josi  .-eir/.a  llug;;ier  scinto  timore; 
Se  Uu;,'^j;ier  ^e;;go,  in  un;  timor  non  dura. 
Dell!   (orna  ann;,  lln<;gier,  deli!   torna  prima, 
Che  'l  timor  lu  speranza  in  lutto  opprima! 


37.     Come  la  notte  ogni  fiammella  è  viva, 
E  riman  spenta,  subitochè  aggiorna: 
Così,  quando  il  mio  sol  di  sé  mi  priva. 
Mi  leva  incontra  il  rio  timor  le  corna. 
Ma  non  sì  tosto  all'  orizzonte  arriva, 
Che  '1  timor  fugge,  e  la  speranza  torna. 
Deh!  torna  a  me,  deh!  torna,  oh  caro  lume, 
E  scaccia  il  rio  timor,  che  mi  consume! 

SS.     Se  '1  sol  si  scosta,  e  lascia  i  giorni  brevi, 
Qiiimto  di  bello  avea  la  terra  asconde; 
J'remono  i  venti,  e  pcrtan  ghiacci  e  nevi, 
JSon  canta  augel,  né  fior  si  vede,  o  fronde: 
Così ,  qualora  avvien ,  che  da  me  levi, 
Oh  mio  bel  sol,  le  tue  luci  gioconde. 
Mille  timori ,  e  tutti  iniqui ,  fanno 
Un  aspro  verno  in  me  più  volte  1'  anno. 

39.  Deh!  torna  a  me,  mio  sol,  torna  e  rimena 
La  desiata  dolce  primavera! 

Sgomiira  i  ghiacci  e  le  nevi ,  e  rasserena 
La  mente  mia ,  sì  nnbilosa  e  nera  ! 
Qual  Progne  si  lamenta,  o  Filomena, 
Ch'  a  cercar  esca  ai  figiiuolini  ita  era, 
E  trova  il  nido  vuoto;  o  qual  si  lagna 
Tortore,  eh'  ha  perduto  la  compagna: 

40.  Tal  Bradamante  si  dolca;  che  tolto 
Le  fosse  stato  il  suo  Uuggier,  temea, 
Di  lagrime  bagnando  spesso  il  volto, 
31a  più  celatamcnte,  che  potca. 

Oh  quanto ,  quanto  si  dorria  più  molto, 
S'  ella  sapesse  quel ,  che  non  sapea  : 
Che  con  pena  e  con  strazio  il  suo  consorte 
Era  in  prigion,  dannato  a  crudel  morte! 

41.  La  crudeltà,  eh'  usa  1'  iniqua  vecchia 
Contra  il  buon  cavalier,  che  preso  tiene, 
E  che  di  dargli  nu»rte  s'  apparecchia 
Con  nuovi  strazj  ,  e  non  Usate  pene. 

La  suprema  Hontà  fa  ,  eh'  ali"  orecchia 
Del  cortese  fii^liuol  di  Cesar  viene, 
E  che  gli  mette  in  cor,  come  i'  ajute, 
E  non  lasci  perir  tanta  virtute. 

42.  Il  cortese  Leon  ,  che  Uuggiero  ama, 
Kon  che  sappia  però,  che  Uuggier  sia. 
Mosso  da  (|uel  ^alor,  eh'  unico  chiama, 
E  che  gli  par  che  soprumano  sia. 
Molto  fra  sé  discorre,   ordisce  e  trama, 
E  di  salvarlo  alfin  trova  la  ^  ia, 

In  guisa .  «lu!  <la  lui  la  zia  crudele 
Ofl'esa  non  si  tenga,  e  si  querele. 

43.  Parlò  in  secreto  a  chi  tenea  la  chiavo 
Della  prigione,  e  che  V(dea,  gli  disse, 

A  edere  il  ca\alier,   priachè  si  gra\c 
Setiteuza  contra  lui  dala  seiruisse. 
(iiunta  la  notte,  un  suo  feilel  seco  ave 
Aud.ice  e  forte,  ed  atto  a  zolle  e  a  ris-«p, 
E   fa,  che  '1  castellan,  senz'  altrui  dire, 
('ir  egli  fosse  LeiMi  ,  gli  ^iene  ajjrire. 

41.      11  castellan,  senzacli'  nleun  de'  sui 
Seco  abbia,   occiillamente  Leon  nuMin 
('ol  compa<;no  all.i  torre,  ove  h<i  colui, 
('liiì  si  scib.i  air  estreun»  «1'  «)gni  pena, 
(ìionti  là  dentro,  ^etlaito  auiliedui 
Al  «-.istclian,  chi;  >i)l;^e  lor  la  siliienn, 
Per  aprir  lo  s|)orl(Ilo.  al  collo  no   laccio. 
E  «ubilu  gli  il<in  r  ultimo  spaccio. 


[615] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XLV.  45—60) 


[tìl«] 


45.  Apron  la  cateraftii ,  onde  sospeso 
Al  canape,  ivi  a  tal  bisogno  posto, 

Leon  si  cala ,  e  in  mano  ha  un  torchio  acceso, 
Là ,  dove  era  Ruggier  dal  sol  nascosto. 
Tutto  legato ,  e  su  una  grata  steso 
Lo  trova ,  all'  acqua  un  palmo ,  e  iiien  discosto. 
L'  avria  in  un  mese  ,  e  in  termine  più  corto 
Per  se ,  senz'  altro  ajuto ,  il  luogo  morto. 

46.  Leon  Riiggier  con  gran  pietade  abbraccia, 
E  dice:  Cavalier,  la  tua  virtute 
Indissolubilmente  a  te  in'  allaccia 

Di  volontaria  eterna  servitute, 

E  vuol,  che  più  il  tuo  ben,  che  '1  mio  mi  piaccia. 

]\è  curi  per  la  tua  la  mia  salute, 

E  che  la  tua  amicizia  al  padre,  e  a  quanti 

Parenti  io  m'  abbia  al  mondo  ,  io  metta  iunanti. 

47.  Io  son  Leone,  acciò  tu  intenda,  figlio 
Di  Costiuitiu,  che  vengo  a  darti  ajuto, 
Come  vedi ,  in  persona  con  periglio, 

Se  mai  dal  padre  mio  sarà  saputo, 
D'  esser  cacciato,  o  con  turbato  ciglio 
Perpetuamente  esser  da  lui  v  eduto, 
Che  per  la  gente  ,   la  qual  rotta  e  morta 
Da  te  gli  fu  a  Belgrado ,  odio  ti  porta. 

48.  E  seguitò  ,  più  cose  altre  dicendo 
Da  farlo  ritornar  da  morte  a  vita, 
E  lo  vien  tuttavolta  disciogliendo. 
Ruggiergli  dice:  Io  v'  ho  grazia  infinita; 
E  questa  vita ,  eh'  or  mi  date  ,  intendo 
Che  serapremai  vi  sia  restituita. 

Che  la  vogliate  riavere,  ed  ogni 
Volta ,  che  per  voi  spenderla  bisogni, 

49.  Ruggier  fu  tratto  di  quel  loco  oscuro, 
E  in  vece  sua  morto  il  guardian  rimase  ; 
Né  conosciuto  egli,  né  gli  altri  l'uro. 
Leon  menò  Ruggiero  alle  sue  case, 
Ove  a  star  seco  tacito  e  sicuro 

Per  quattro,  o  per  sei  dì,  gli  persuase; 
Che  riaver  1'  arme  e  '1  destrier  gagliardo 
Gli  farla  intanto ,  che  gli  tolse  Ungiardo. 

50.  Ruggier  fuggito,  il  suo  guardian  strozzato 
Si  trova  il  giorno ,   e  aperta  la  prigione. 

Chi  quel ,  chi  questo  pensa ,  che  sia  stato  ; 
Ne  parla  ognun  ,  nò  però  alcun  s'  appone. 
Ben  di  tutti  gli  altri  uomini  pensato 
Piuttosto  si  saria  ,  che  di  Leone, 
Che  pare  a  molli,  eh'  avria  causa  avuto 
Di  farne  strazio ,  e  non  di  dargli  ajuto. 

51.  Riman  di  tanta  cortesia  Ruggiero 
Confuso  sì ,  sì  pien  di  meraviglia, 

E  tramutato  sì  da  quel  pcn/icro, 

Che  quivi  tratto  1'  avea  tante  miglia. 

Clic  mettendo  il  secondo  col  primiero, 

N»;  a  questi»  quel ,  uè  questo  a  quel  simiglia. 

Il  prinu»,  tutto  era  odio,  ira,  e  veneno; 

Di  pietade  è  il  secondo,  e  d'  amor  pieno. 

58.      Molto  la  notte,  e  molto  il  giorno  pensa, 
D'  altri»  non  cura,  ed  altro  non  disia, 
Che  dall'  oitbligazion ,  che  gli  avea  ijuracnso, 
Scior^i  con  pari  e  maggior  cortesia. 
Gli  par,  ^e  tutta  nuu  vita  dispensa 
In  lui  servire,  o  breve,  o  lunga  sìa, 
E  se  si  espone  a  mille  morti  certe, 
Non  gli  può  tanto  far ,  che  più  non  raerte. 


53.  Venuta  quivi  intanto  era  la  nuova 

Del  bando,  eh'  avea  fatto  il  re  di  Francia: 
Che,  chi  vuol  Bradamante,  abbia  a  far  prova 
Con  lei  di  forza ,  con  spada  e  con  lancia. 
Questo  udire  a  Leon  sì  poco  giova. 
Che  se  gli  vede  impallidir  la  guancia; 
Perchè  ,  come  uom,  che  le  sue  forze  ha  note. 
Sa ,  eh'  a  lei  pare  in  arme  esser  non  puote. 

54.  Fra  sé  discorre  e  vede  ,  che  supplire 
Può  con  r  ingegno ,  ove  il  vigor  sia  manco. 
Facendo  con  sue  insegne  comparire 

Questo  guerrier ,  di  cui  non  sa  'l  nome  anco, 
Che  di  possanza  giudica,  e  d'  ardire 
Poter  star  contra  a  qualsivoglia  Franco 
E  crede  ben ,  s'  a  lui  ne  dà  l'  impresa. 
Che  ne  fia  vinta  Bradamante,  e  presa. 

55.  Ma  due  cose  ha  da  far  ;  1'  una  disporre 
Il  cavalier ,  cjie  questa  impresa  accetti  ; 
L'  altra,  nel  campo  in  vece  sua  lui  porre 
In  modo,  che  non  sia  chi  ne  sospetti. 

A  sé  lo  chiama ,   e  '1  caso  gli  discorre, 
E  pregai  poi  con  efficaci  detti, 
Ch'  egli  sia  quel,  eh'  a  questa  pugna  vegna 
Col  nome  altrui,  sotto  mentita  insegna. 

56.  L'  eloquenza  del  Greco  assai  potea; 
3Ia  più  dell'  eloquenza  potea  molto 

L'  obbligo  grande,  che  Ruggier  gli  avea. 
Da  mai  non  ne  dover  essere  sciolto  ; 
Sicché,  quantunque  duro  gli  parca, 
E  non  possibil  quasi,  pur  con  volto 
Più  che  con  cor  giocondo  gli  rispose, 
Ch'  era  per  far  per  lui  tutte  le  cose. 

57.  Benché  da  fier  dolor,  tostochè  questa 
Parola  ha  detta ,  il  cor  ferir  si  senta. 
Che  giorno  e  notte  ,  e  sempre  lo  molesta. 
Sempre  1'  affligge  ,  e  sempre  lo  tormenta, 
E  vegga  la  sua  morte  manifesta, 

Pur  non  è  mai  per  dir ,  che  se  ne  penta  ; 
Che  prima,  eh'  a  Leon  non  ubbidire. 
Mille  volte ,  non  eh'  una ,  è  per  morire. 

58.  Ben  certo  é  di  morir;  perchè  se  lascia 
La  donna  ,  ha  da  lasciar  la  vita  ancora  ; 
O  che  r  accorerà  il  duolo  e  1'  ambascia; 
O  se  '1  duolo  e  l'  ambascia  non  l'  accora. 
Con  le  man  proprie  squarcerà  la  fascia. 
Che  cinge  1'  alma,  e  ne  la  trarrà  fuora: 
Ch'  ogni  altra  cosa  più  facil  gli  fia, 
Che  poter  lei  veder,  che  sua  non  sia. 

59.  Gli  è  dì  morir  disposto  ;  ma  che  sorte 
Di  morte  voglia  far,  non  sa  dir  anco. 
Pensa  talor  di  fingersi  men  forte, 

E  porger  nudo  alla  donzella  il  fianco; 
Che  non  fu  mai  la  più  beata  morte. 
Che  se  per  man  di  lei  venisse  manco. 
Poi  vede ,  se  per  lui  resta ,  che  moglie 
Sia  di  Leon ,  che  I'  obbligo  non  scioglie; 

60.  Perché  ha  promesso  ,  contra  Bradamante 
Entrare  in  <;ampo  a  singoiar  battaglia, 
Non  siumlare,  e  farne  sol  sembiante, 
Sicché  Leon  di  lui  poco  sì  vaglia. 
Dunque  starà  nel  detto  suo  costante; 

E  benché  or  questo ,  or  quel  pensier  1'  assa^a. 
Tutti  gli  scaccia,  o  solo  a  questo  cedo, 
li  qual  r  esorta  a  non  mancar  di  fede. 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLV.  61  —  76) 


[618] 


CI.     Avea  già  fatto  apparecchiar  Leone,., 
Con  licenza  del  padre  Costantino, 
Arme  e  cavalli ,  e  un  numer  di  persone, 
Qual  gli  convenne,  e  entrato  era  in  cammino, 
E  seco  avea  Ruggiero,  a  cui  le  buone 
Arme  avea  fatto  rendere ,  e  Frontino  ; 
E  tanto  un  giorno ,  e  un  altro ,  e  un  altro  andaro 
Che  in  Francia,  ed  a  Parigi  si  trovaro. 

C2.     Kon  volse  entrar  Leon  nella  citiate, 
E  i  padiglioni  alla  camptigna  tese; 
E  fé'  il  medesmo  dì  per  imbasciate, 
Che  di  sua  giunta  il  re  di  Francia  intese. 

I        L'  ebbe  il  re  caro,  e  gli  fu  più  fiate, 

'        Donando  e  visitandolo,  cortese. 
Della  venuta  sua  la  cagion  disse 
Leone,  e  lo  pregò,  che  1'  espedisse: 

Go.      Ch'  entrar  facesse  in  campo  la  donzella. 
Che  marito  non  vuol  di  lei  nien  forte; 
Quando  venuto  era  per  fare,  o  eh'  ella 
Moglier  gli  fosse ,  o  che  gli  desse  morte^ 
Carlo  tolse  1'  assunto,  e  fece  quella 
Comparir  1'  altro  dì  fuor  delle  porte 
Nello  steccato,  che  la  notte  sotto 
Ali'  alte  mura  fu  fatto  di  botto. 

CA.      La  notte,  eh'  andò  innanzi  al  terminato 
Giorno  della  battaglia,  Ruggier  ebbe 
Simile  a  quella,  che  suole  il  dannato 
Aver,  che  la  mattina  morir  dcbbe. 
Eletto  avea  combatter  tutto  armato, 
Perch'  esser  conosciuto  non  vorrebbe. 
]Nò  lancia,  né  destriero  adoprar  volse, 
Né ,  fuorché  '1  brando ,  arme  d'  olTesa  tolse. 

(i5.      Lancia  non  tolse;  non  perché  temesse 
Di  quella  d'  or,  che  fu  dell'  Argiilia, 
E  poi  d'  Astolfo ,  a  cui  costei  successe, 
(Jhe  far  gli  arcion  votar  sempre  solia  ; 
Perché  nessun ,  eh'  ella  tal  forza  avesse, 
0  fosse  fatta  per  negromanzia, 
Avea  saputo,  eccetto  quel  re  solo. 
Che  far  la  fece,  e  la  donò  al  figliuolo. 

06.  Anzi  Astolfo  e  la  donna,  che  portata 

L'  aveano  poi ,  credcan ,  «;lie  non  1'  incanto, 

Ma  la  propria  possanza  fosse  stata, 

Che  dato  loro  in  giostra  avesse  il  vanto; 

E  che  con  ogni  allr'  asta,  che  incontrata 

Fosse  da  lor,  l'ar(J>bono  altrettanto. 

La  cagion  sola,  clie  Ruggier  non  giostra, 

E,  per  non  far  del  suo  Frontino  mostra: 

07.  Che  lo  potria  la  donna  facilmente 
Conoscer,  se  da  lei  foss«;  veduto; 
Perocché  cavalcato  e  lungamente 

In  Montalban  1'  avea  seco  tenuto. 
Ruggier,  che  solo  f-tiulia,  e  solo  ha  mente, 
(^<uue  da  lei  non  sia  ric'onosciuto, 
Nò  vuol  Frontin,  né  vuol  <:os'  altra  avere, 
Cile  di  far  di  sé  iiulizio  abliia  poterò. 

68.      A  questa  impresa  un'  altra  sjìada  volle; 
Che  ben  sapca,  che  contro  a  Halisarda 
Sari'a  ogni  usltcrgo  ,  conu;  pasta,  molle; 
Cir  alcuna  t<;mpra  qu(;l  furor  non  tarila  ; 
E  lutto  il  taglio  anco  a  i|U(;.-<t'  altra  tolle 
(%in  un  niart<-ll<>,  e  la  fa  uicn  gagliarda. 
Con  (|uesl'  arnie  Ruggiero  al  primo   lampo, 
Cli'  apparve  ull'  orizzonte,  entrò  nel  c^uupo. 


I   69.     E  per  parer  Leon ,  le  soppravveste. 

Che  dianzi  avea  Leon ,  s'  ha  messe  indosso, 

E  l'  aquila  dell'  or  con  le  due  teste 

Porta  dipinta  nello  scudo  rosso. 

E  facilmente  si  potean  far  queste 

Finzion  ;  eh'  era  ugualmente  e  grande  o  grosso 

L'  un  come  1'  altro.     Appresentossi  1'  mio  ; 

L'  altro  non  si  lasciò  veder  d'  alcuno. 

70.  Era  la  volontà  della  donzella 

Da  quest'  altra  diversa  di  gran  lunga  : 
Che,  se  Ruggier  la  sua  spada  martella 
Per  rintuzzarla,  che  non  tagli  o  punga. 
La  sua  la  donna  aguzza ,  e  brama ,  eh'  ella 
Entri  nel  ferro ,  e  sempre  al  vivo  giunga. 
Anzi  ogni  colpo  sì  ben  tagli  e  fore, 
Che  vada  sempre  a  ritrovargli  il  core. 

71.  Qual  sulle  mosse  il  barbaro  si  vede. 
Che   '1  cenno  del  partir  focoso  attende. 
Né  qua,  né  là  poter  fermare  il  piede, 
Gonfiar  le  nari ,  e  che  1'  orecchie  tende  : 
Tal  r  animosa  donna ,  che  non  crede, 
Che  questo  sia  Ruggier,  con  chi  contende, 
Aspettando  la  tromba,  par  che  foco 

Nelle  vene  abbia,  e  non  ritrovi  loco. 

72.  Qnal  talor,  dopo  il  tuono,  orrido  vento 
Subito  segue,  che  sozzopra  volve 

L'  ondoso  mare,  e  leva  in  un  momento 
Da  terra  fino  al  ciel  l'  oscura  poh  e; 
Fuggon  le  fiere ,  e  col  pastor  1'  armento  ; 
L'  aria  in  grandine  e  in  pioggia  si  risolve: 
Udito  il  segno  la  donzella,  tale 
Stringe  la  spada,  e  '1  suo  Ruggiero  assale. 

73.  Ma  non  più  quercia  antica,  o  grosso  mnro 
Di  ben  fondata  torre,  a  Borea  cede. 

Né  più  all'  irato  mar  lo  scoglio  duro. 
Che  d'  ogn'  intorno  il  di  e  la  notte  il  fiede, 
Che  sotto  r  arme  il   buon  Ruggier  sicuro. 
Che  già  al  trojano  Ettor  Vulcano  diede, 
Ceda  all'  odio  e  al  furor,  che  lo  t(■mpe^ta 
Or  ne'  fianchi,  or  nel  petto,  or  nella  testa. 

71.     Quando  di  taglio  la  donzella ,  quando 
Mona  di  punta ,  e  tutta  intenta  mira. 
Ove  cacciar  tra  ferro  e  ferro  il  brando. 
Sicché  si  sfoghi  e  disacerbi  1'  ira. 
Or  da  un  lato,  or  da  un  altro  il  va  tentando; 
Quando  di  qua,  quaiulo  di  là  s'  aggira; 
E  si  rode,  e  si  duol,  che  non  le  avvegna 
Mai  fatta  alcuna  cosa ,  che  disegna. 

75.      Come  chi   assedia  una  città ,  che  forte 
Sia  di  buon  fianchi  e  di  miuiiglia  grossa, 
Spesso  r  assalta;  or  vuol  batter  le  pt)rlo, 
Or  r  alte  torri ,  or  atturar  la  fos^a, 
E  pont^  indarno  le  sue  genti  a  m«ute. 
Né  via  sa  ritrovar,  clic  «-ntrar  vi  possa: 
CopÌ  mollo  a'  nflainia  e  >i  travaglia, 
Né  può  la  donna  aprir  piastra,  nò  mnglin. 

7f».      Qnando  allo  scudo ,  e  quando  al  Ituon  elmetto, 
Quando  all'  u>bergo  fa  gitlar  scintille 
Con  colpi,  di'  alle  braccia,  al  capo,  al  petto 
Mena  dritti  e  rivcivi  ,  a  mille  a  mille, 
E  sp(s>i   più  ,  rhe  sul  sonante  letto 
La  grandine  far  soglia  delle  >ille. 
Ruggier  fUi  buir  avviso,  e  «i   diftnde 
Con  gran  destrezza,  e  lei  mai  non  oll'cnde. 


[619] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLV. '5^7—92) 


[020] 


77.  Or  si  ferma,  or  Yolto,£rp:i;i,  or  si  rih'rft, 

E  con  la  man  sjiesjio  accompagna  il  piede  ; 
Por^c  or  lo  scudo,  et!  or  la  spada  gira, 
Ove  pirar  la  man  nemica  vede. 
O  k'i  non  fere,  o  se  la  fere,  mira 
Ferirla  in  parte,  ove  men  nnocer  crede. 
La  donna,  piiniacliè  quel  dì  s'  incliine. 
Brama  di  dare  alla  battaglia  fine. 

78.  Si  ricordò  del  bando,  e  si  ravvide 
Del  suo  periglio,  se  non   era  presta; 

Che  se  in  nn  dì  non  prende,  o  non  uccide 
Il  suo  domandator,  presa  ella  resta. 
Era  già  jìrcsso  ai  termini  d'  Alcide 
Per  attuiTiir  nel  mar  Febo  la  testa, 
Qnando  ella  cominciò  di  sua  possanza 
A  diffidarsi,  e  perder  la  speranza. 

79.  Quanto  mancò  più  la  speranza .  crebbe 
Tanto  più  1'  ira,  raddoppiò  le  botte; 
Che  pur  queir  arme  rompere  vdrreblie. 
Che  in  tutto  il  dì  non  avea  ancora  rotte: 
Come  colui  eh'  al  lavorio,  che  debbc, 
Sia  stato  lento,  e  già  vegga  esser  notte, 
S'  afiVctta  indarno ,  si  travaglia  e  stanca, 
Finche  la  forza  a  un  tempo ,    e  '1  di  gii  manca, 

89.      Oh  misera  donzella,  se  costui 

Tu  conoscessi,  a  cui  dar  morte  bramì. 
Se  lo  sapessi  esser  Rnggier,  da  cui 
Della  tua  vita  pendono  gli  stami. 
So  ben ,  eh'  uccider  te  prima  che  hii 
Vorresti  ;  che  di  te  so  clic  più  l'  ami. 
E  quando  lui  Ruggiero  esser  saprai, 
Di  questi  colpi  ancor,  so,  ti  dorrai. 

81.  Carlo,  e  molti  altri  seco ,  che  Leone 
Esser  costui  credeansi,  e  non  Ruggiero, 
Veduto,  come  in  arme,  al  paragone 

Di  Bradamante,  forte  era  e  leggiero, 
E  senza  oflender  lei ,  con  che  ragione 
Difender  si  sapea ,  mntan  pensiero, 
E  diron  :  Ben  convengono  ambedui  ; 
Ch'  egli  è  di  lei  ben  degno,  ella  di  lui. 

82.  Poiché  Febo  nel  mar  tutto  è  nascoso, 
Carlo,  fatta  partir  quella  battaglia, 
Giu;iica,  che  la  donna  per  suo  sposo 
Prenda  Leon ,  nò  ricusar  Io  vaglia. 
Rnggier,  senza  jìigliar  quivi  riposo, 
Senz'  elmo  trarsi ,  o  alleggerirsi  maglia, 
Sopra  un  |)i(!ciol  ronzio  torna  in  gran  fretta 
Ai  padiglioni,  ove  Leon  1'  aspetta. 

83.  (ìittò  Leone  al  cavalier  le  braccia 
Due  v(»lte  e  più  fraternamente  al  collo, 
E  poi.  trattogli  1'  elmo  dalla  faccia. 

Di  qua  e  di  là  c(ui  grande  amor  liaciollo. 
Vo',  disse,  «;lie  di  me  sempre;  tu  f.iccia, 
Come  ti  par;  che  mai  tro\ar  satollo 
^on  mi  potrai,  che  me  v.  lo  stato  mio 
Spender  tu  possa  ad  ogni  tuo  disio. 

84.  ^è  veggo  ricompensa,  che  mai  questa 
Obblìgazion,   cIT   io  t'  ho,  (tossa  disciorre; 
E  non  ,  ^'  ancora  io  mi  levi  di  testa 

La  mia  corona,  e  a  le  la  venga  a  porre. 
Rnggier,  di  rm  la  luciit»^  auge  e  uu)lesta 
Allo  dolore,  e.  (  h<;  la  \ila  abborre, 
Poco   risponde,  e  1'    indegne   gli  rende, 
Che  n'  avea  a\ute,  e  'l  suo  liocoriiu  prende. 


85.  E  stanco  dimostrandosi  e  svogliato, 
Piuttosto,  che  potè ,  da  lui  levosse, 
Ed  al  suo  alloggiamento  ritornato. 
Poiché  fu  mezza  notte,  tutto  armossc, 
E  sellato  il  destricr,  senza  commiato, 
E  senza  clie  da  alcun  sentito  fosse. 
Sopra  vi  salse,  e  si  drizzò  al  canmiìno. 
Che  più  piacer  gli  parve  al  suo  Frontino, 

86.  Frontino  or  per  via  dritta,  or  per  via  torta. 
Quando  per  selve,  e  quando  per  campagna 

Il  suo  signor  tutta  la  notte  porta. 

Che  non  cessa  un  momento,  che  non  piaga. 

Ciiiama  la  morte,  e  in  quella  si  conforta, 

Che  r  ostinata  doglia  sola  fragna. 

Nò  vede  altro,  che  morte,  che  finire 

Possa  1'  insopportabil  suo  martire. 

87.  Di  chi  mi  debbo  oimè  !  dicea,  dolere, 

Che  cosi  m'  abbia  a  un  punto  ogni  ben  tolto? 
Deh!  s'  io  non  vo'  l'  ingiuria  sostenere 
Senza  vendetta,  incontra  a  cui  mi  volto? 
Fuorché  me  stesso,  altri  non  so  vedere, 
Che  m'  abbia  ofl'eso,  ed  in  miseria  volto. 
Io  m'  ho  dunque  di  me  centra  me  stesso 
Da  vendicar,  eh'  ho  tutto  il  mal  commesso. 

88.  Pur,  quando  io  avessi  fatto  solamente 
A  me  1'  ingiuria ,  a  me  forse  potrei 
Donar  perdon,  sebben  difficilmente. 
Anzi  vo'  dir,  clie  far  non  lo  vorrei. 

Or  quanto,  poiché  Bradamante  sente 
j\Ieco  r  ingiuria  ugual,  men  lo  farci? 
Quando  bene  a  me  ancora  io  perdonassi, 
Lei  non  convien,  che  invendicata  lassi. 

89.  Per   vendicar  lei  dimque  io  debbo  e  voglio 
Ogni  modo  morir;  né  ciò  mi  pesa; 

Ch'  altra  cosa  non  so ,  eh'  al  mio  cordoglio. 

Fuorché  la  morte,  far  possa  difesa; 

Ma  sol ,  che  allora  io  non  morii,  mi  doglio. 

Che  fatto  ancora  io  non  le  aveva  offesa. 

Oh  me  felice ,  s'  io  moriva  allora, 

Ch'  era  prigion  della  erudel  Teodora! 

90.  Sebben  m'  avesse  ucciso,  o  tormentato 
Prima  ad  arbitrio  di  sua  crudeltade, 

Da  Bradamante  almeno  avrei  sperato 

Di  ritrovare  al  mio  caso  pietade; 

Ma  quando  ella  saprà,  eh'  avrò  più  amato 

Leon  di  lei,  e  di  mia  volontade 

Io  me  ne  sia,  perdi'  egli  1'   abbia,  privo, 

Avrà  ragion  d'  odiarmi  e  morto  e  vivo. 

91.  Queste  dicendo,  e  molte  altre  parole, 
Che  sospiri  acxompagnano  e  singulti. 
Si  trova,  all'  apparir  del  nuovo  sole. 

Fra  semi  boschi  in  luoghi  strani  e  inculti; 

E  perdi'  é  disperato,  e  morir  vuole, 

E  pili  che  piM),  che  '1  suo  morir  s'  occulti. 

Questo  liutgo  gli  par  molto  nascosto, 

Ed  atto  a  far,  quant'  ha  di  sé  disposto. 

92.  Entra  nel  folto  bosco,  ove  più  spesso 
li'  ombrose  frasche,  e  più  intricate  vede: 
Ma  Frinitin  prinni  al  tutto  sciolto  messe 
Da  sé  lontano,  e  libertà  gli  diede. 

Oh  mio  Frontin,  gli  disse,  se  a  me  stesse 
Di  dare  a'  merli  tuoi  degna  mercede. 
Avresti  a  quel  destricr  da  in%idiar  poco, 
Che  volò  ai  ciclo,  e  fra  le  stelle  ha  loco. 


021] 


ORLANDO   FURIOSO.  (XLV.   93  —  108) 


[622] 


93.      Cillaro,  so,  non  fu,  non  fu  Arione 
Di  te  miglior,  ne  meritò  più  lode; 
]\è  alcun  altro  destrier  ,  dì  cui  menzione 
Fatta  da'  Greci ,  o  da'  Latini  s'  ode. 
Se  ti  fur  par  nell'  altre  parti  buone. 
Di  questo  so,  che  alcun  di  lor  non  gode, 
Di  i)otersi  vantar,  eh'  avuto  mai 
Abbia  il  pregio  e  1'  onoi-,  che  tu  avuto  hai  ; 

iJi.     Poich'  alla  più,  che  mai  sia  stata,  o  eia, 
Donna  gentile  e  valorosa  e  bella, 
Sì  caro  stato  sei ,  che  ti  nutria, 
E  di  sua  man  ti  ponea  freno  e  sella. 
Cai'o  eri  alla  mia  donna.     Ah  !  perchè  mia 
La  dirò  più,  se  mia  non  è  più  quella, 
S'  io  r  ho  donata  ad  altri.-'  Oimè!  che  cesso 
Di  volger  questa  spada  ora  in  me  stesso.'' 

,1)5.      Se  Ruggier  qui  s'  affligge  e  si  tormenta, 
E  le  fere  e  gli  augelli  a  pietà  muove, 
(di'  altri  non  è,  che  queste  grida  senta, 
Né  vegga  il  pianto,  che  nel  sen  gli  piove) 
Non  dovete  pensar,  che  più  contenta 
Bradamante  in  Parigi  si  ritrovc, 
Poiché  scusa  non  ha,  che  la  difenda, 

0  più  r  indugi,  che  Leon  non  prenda, 

96.  Ella,  priinach'  avere  altro  consorte, 
Che  '1  suo  lluggier,  vuol  far  ciò,  che  può  farsi  : 
Mancar  del  detto  suo,  Carlo  e  la  corte, 

1  parenti  e  gli  amici  inimicarsi, 
E  quando  altro  non  possa,  alfìn  la  morte 
O  col  veneno ,  o  con  la  spada  darsi  : 
Che  le  par  meglio  assai  non  esser  viva. 
Che,  vivendo,  restar  di  Ruggier  priva. 

97.  Deh!  Itnggier  mio,  dicea,  dove  sei  gito.'* 
Pnote  esser ,  che  tu  sia  tanto  discosto. 
Che  tu  non  abl)i  questo  bando  udito, 
A  nessun  altro,  fuorch'  a  te,  nascosto? 
Se  tu  '1  sapes>>i,  io  so,  che  comparito 
]\essim  altro  saria  di  te  più  tosto 
Misera  me,  eh'  altro  |)(;nsar  un  dcggio. 
Se  non  quel,  che  pensar  si  possa  peggio? 

98.  Come  è,  Ruggier,  pnssibii,  che  tu  solo 
Non  abbi  quel,  <;!k>  tutto  'I  mondo  Ini  inteso? 
Se  inteso  i'  hai,  nò  sei  venuto  a  ^ol^», 

Come  esser  può,  che  non  sii  morto,  o  preso? 
Ma  chi  sapesse  il  ver,  questo  figliuolo 
Di  Costantin  t'  avrà  alcun  laccio  teso; 
Il  traditor  t'  avrà  chins.i  la  via, 
A<:ciò  prima  di  lui  tu  qui  iu)n  sia. 

99.  Da  Carlo  im|)ctrai  grazia,  eli'  n  nessuno 
Meli  di  me  forte  aves.-i  ad  esser  ilata. 
Con  credenza,  che  tu   fo>si  cjiicll'   uno, 

A  cui  star  coiitra  io  non   poteoi   aritiata. 
l'iion'hè  U:  solo,   io  non   stiiinua   aldino; 
Mn  il(-ir  audacia  mia  in'  ha  Dio  |i;!g.i>a, 
Poiché  «ut.-tui ,   che  mai  più   non  le'  iinpresa 
D'  onoro  in  vita  sua,  c(k-<ì  m'  lia  presa. 

100.      Se  però  pr(;sa  son  ,  jier  non  a^  ero 
Ijccidcr  lui,   né  prenderlo  potuto; 
11  che  non  mi  par  gìii>lo,  uè  al  |iai-erc 
IVIni  ^oll  per  star,  che  in  <(uestt>  b.i  (Jarlo  avuto, 
So,  che  Incostante  io   mi   lino  tciiire, 
Se  da  quel,  eh'    ho  già  detto,  ora  mi  mulo; 
Ma  né   l.t  pillila  noii  ,  né  la  nv/.v.iy.i, 
Lu  qnul  parulii  «iu  ijico»tun(e,  e  |)<ija. 


101.  Basti,  che  nel  servar  fede  al  mìo  amante 
D'  ogni  scoglio  più  salda  mi  ritrovi, 

E  passi  in  questo  di  gran  lunga  quante 
]>Iai  furo  a'  tempi  antichi,  o  sieno  ai  nuovi. 
Che  nel  resto  mi  dicano  incostante. 
Non  curo,  purché  1'  incostanza  giovi, 
Purch'  io  non  sia  di  costui  torre  astretta, 
Volubil  più  che  foglia  anco  sìa  detta. 

102.  Queste  parole  ed  altre,  che  interrotte 
Da  sospiri  e  da  pianti  erano  spesso, 
Segui  dicendo  tutta  quella  notte, 

Ch'  all'  infelice  giorno  venne  appresso. 
Ma  poiché  dentro  alle  cimmerie   grotte 
Con  r  ombre  sue  Notturno  fu  rimesso, 
Il  cici,  eh'  eternamente  avea  voluto 
Farla  di  Ruggier  moglie,  le  die'  ajuto. 

103.  Fé'  la  mattina  la  donzella  altera 
lilarfisa  innanzi  a  Carlo  comparire. 
Dicendo,  eh'  al  fratel  suo  Ruggier  era 
Fatto  gjan  torto,  e  non  volea  patire, 
Che  gii  fosse  levala  la  mogliera. 

Né  pure  una  parola  gliene  dire; 

E  cinitra  clii  si  vuol,  di  provar  toglie. 

Che  Bradamante  di  Ruggiero  é  moglie. 

104.  E  innanzi  agli  altri,  a  lei  provar  lo  vuole, 
Quando  pur  di  negarlo  fosse  ardita. 

Che  in  sua  presenza  ella  ha  quelle  parole 
Dette  a  Ruggier,  clic  fa  chi  si  marita; 
E  con  la  cerimonia,  che  si  snoie, 
Già  sì  tra  lor  la  cosa  é  stabilita, 
Che  più  di  sé  non  possono  disporre. 
Né  r  un  r  altro  lasciar,  per  altri  torre. 

105.  Marfisa,  o  'I  vero  o  'l  fiilso  che  dicesse, 
Pur  lo  dicea,  ben  credo,  con  pensiero, 
l'erché  Leon  piuttosto  interrompesse 

A  dritto  e  a  torto,  die  per  dire  il  vero; 
E  cl:e  di  voloiitade  lo  facesse 
Di  Dradamante,  eh'  a  riaver  Ruggiero 
Ed  escluder  Leon ,  né  la  più  one>ta, 
Né  la  più  breve  ^ia  vedea  di  questa. 

106.  Turbato  il  re  dì  questa  cosa  molto, 
Bradamante  chianiar  fa  imiiianlinenie, 
E  quanto  di  ]iri>\ar  i^larfisa  ha  tolto, 
Le  fa  sapere,  ed  ce;  i  Ainon  presente. 
Tien  Dradamante  (liiiio  a  terra  il  volto, 
E  ciMii'iis.i  non   nega,  né  consente. 

In  guisa,  <'lie  com[irendcr  di  leggiero 
Sì  può ,  die  detto  abbia  Marlisa  il  vero. 

107.  Piace  a  Rinaldo,  e  placo  a  quel  d'  Anglanle 
Tal  cosa  udir,   eh'  esser  potrà  c-agioiie, 

('he  '1  parciiliido  non  andrà  più   limante, 

Che  già  ciiiidrni:<ii  ,»\rr  i-redca   Leone; 

E  pur  lluggier  la  lidia  lirad.iiiranto 

Miìl  grado  avrà  dell'  o.-tiiiatti   Amone, 

E  potrai!  senza  lite,   e  M-n/a  (rarl.i 

Di  man  per  forza  al  padre,  a  liiiggier  darla. 

108.  Cile  80  tra  lor  queste  parole  sfanno. 
La  vo<n  é  ferma,  e  non  andrà  per  terra, 
('osi  otterrai!  quel,  che  pro!iM-s:4o  gli   hanno. 
Più    onotaiiiente,  e  seir/ii  imo\)i  guerra. 
(Questo  è,  «liceva  Anioii,  qne.-to  è  un  inganno 
(/'ontia  me  oidito  :  ma    1   peiisier  Mi.-<lro  erra; 
Ch'   nnrordiè  fosse  \vv,  (|uai!lo  Mii   (iiilo 
Tru  voi  v'  u>cle,  iu  iiua  non  però  \iiilo. 


[623] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XLV  109— UT) 


[624] 


109.      Clio  presupposto,  (il  che  né  ancor  confesso, 
Kè  vo'  credere  ancor)  eh'  abbia  costei 
Scioccamente  a  Ruggier  cosi  promes^so, 
Come  voi  dite,  e  Ruggiero  abbia  a  lei: 
Quando,  e  dove  fu  questo?  che  più  espresso, 
Più  chiaro  e  piano  intenderlo  vorrei. 
Stato  so  che  non  è,  se  non  è  stato 
Prima,  che  Ruggier  fosse  battezzato. 

110.      Ma  s'  egli  è  stato  innanzi,  che  cristiano 
Fosse  Ruggier,  non  vo'  che  me  ne  caglia; 
Cli'  essendo  ella  fedele,  egli  pagano. 
Non  crederò,  che  'I  matrimonio  vaglia. 
Kon  si  debbe  per  questo  essere  invano 
Posto  al  rischio  Leon  della  battaglia; 
Kè  il  nostro  imperator,  credo,  voglia  anco 
Venir  del  detto  suo  per  questo  manco. 


113.  Chi  parla  per  Ruggier,  chi  per  Leone; 
3Ia  la  più  parte  è  con  Ruggiero  in  lega. 
Son  dieci,  e  più,  per  un,  che  n'  abbia  Amone 
L'  imperator  né  qua,  né  là  si  piega. 

Ma  la  causa  rimette  alla  ragione, 
E  al  suo  parlamento  la  delega. 
Or  vien  Marfìsa,  poich'  è  differito 
Lo  sponsalizio,  e  pon  nuovo  partito, 

114.  E  dice:  Conciossiach'  esser  non  poss^  i 
D'  altri  costei,  finché  '1  fratel  mio  vive, 

Se  Leon  la  vuol,  pur  suo  ardire  e  possa 
Adopri  sì,  che  lui  di  vita  prive; 
E  chi  manda  di  lor  1'  altro  alla  fossa, 
Senza  rivale  al  suo  contento  arrive. 
Tosto  Carlo  a  Leon  fa  intender  questo. 
Come  anco  intender  gli  avea  fatto  il  resto. 


111.  Quel,  eh'  or  mi  dite,  era  da  dirmi,  quando 
Era  intera  la  cosa ,  né  ancor  fatto 
A'  preghi  di  costei  Carlo  avea  il  bando 
Che  qui  Leone  alla  battaglia  ha  tratto. 
Così  contra  Rinaldo  e  contra  Orlando 
Amon  dicca ,  per  rompere  il  contratto 
Fra  quei  duo  amanti;  e  Carlo  stava  a  udire, 
Né  per  I'  un,  né  per  1'  altro  volea  dire. 

112.  Come  si  senton,  s'  austro,  o  borea  spira, 
Per  r  alte  selve  mormorar  le  fronde; 
O  come  soglion,  s'  Eolo  s'  adira 
Contra  Nettuno,  al  lito  fremer  1'  onde: 
Così  un  romor,  che  corre  e  che  s'  aggira, 
E  che  per  tutta  Francia  si  diffonde. 
Di  questo  dà  da  dire,  e  da  udir  tanto, 
Ch'  ogni  altra  cosa  è  muta  in  ogni  canto. 

117. 


115.  Leon,  che,  quando  seco  il  cavaliero 
Del  liocoi'no  sia,  si  tien  sicuro 
Di  riportar  vittoria  di  Ruggiero, 
Né  gli  abbia  alcuno  assunto  a  parer  duro  ; 
Non  sapendo ,  che  1'  abbia  il  dolor  fiero 
Tratto  nel  bosco  solitario  e  oscuro. 
Ma  che,  per  tornar  tosto,  uno  o  due  miglia 
Sia  andato  a  spasso,  il  mal  partito  piglia. 

116.  Ben  se  ne  pente  in  breve;  che  colui, 
I         Del  qual  più  del  dover  si  proraettea, 

Non  comparve  quel  dì ,  né  gli  altri  dei, 
I  Che  lo  seguir,  né  nuova  se  n'  avea. 

I         E  tor  questa  battaglia  senza  lui 
j  Contra  Ruggier,  sicur  non  gli  parca. 

I  Mandò,  per  schivar  dunque  danno  e  ecorno, 

Per  trovare  il  guerrier  dal  liocorno. 

Per  cittadi  mandò,  ville  e  castella 


Da  presso  e  da  lontan  per  ritrovarlo: 
Né  contento  di  questo,  montò  in  sella 
Egli  in  persona,  e  si  pose  a  cercarlo. 
Ma  non  n'  avrebbe  avuto  già  novella, 
Né  r  avria  avuta  uomo  di  quei  di  Carlo, 
Se  non  era  Melissa ,  che  fc'  quanto 
Mi  serbo  a  farvi  udir  neli'  altro  canto. 


ORLANDOJFU  RIO  SO._XJLVLJ— Jgì 


[626] 


CANTO     QUARANTES^MO^^^TO. 


ARGOMENTO. 

Leon  cerca  Biig-gler,  lo  trova;  e  Mesa 
La  cagion,  che  dolente  il  mena  a  morte, 
CU  cede  Bradaviante;  e  così  resa 
E  a  lui  la  desiata  sua  consorte. 
Funsi  le  nozze ,  e  pon  nuova  contesa 
Al  buon  Jiuggiero  il  re  di  Sarza  forte: 
Seco  comhatlc  ;  e  'l  re  più  d'  altro  altero 
Ucciso  è  finalmente  da  Ruggiero. 


1      Or,  se  mi  mostra  la  mia  carta  il  vero, 
"Non  è  lontano  a  discoprirsi  il  porto; 
Sicché  nel  lito  i  voti  scioglier  spero 
A  chi  nel  mar  per  tanta  via  ra'  ha  scorto, 
Ove,  o  di  non  tornar  col  legno  intero, 
O  d'  errar  s.^upre,  ehi.i  g.à  il  viso  smorto, 
aia  mi  par  di  veder,  ma  veggo  certo 
Veggo  la  terra,  e  veggo  .1  l.lo  aperto. 
2.     Sento  venir  per  allegrezza  un  tuono 

Che  Iremer  l'  aria,  e  nii.bomhar  la  l    ondo. 
Odo  di  squille,  odo  di  trou.l.e  un   suono, 
Clic  r  alto  popolar  grido  contonile. 
Or  comincio  a  di^cen.ere,  chi  sono 
Qucti    eh-  empion  del  p..rto  ambe  le  spondo, 
rar  clic  tutti  s'  allegrino,  eh'  io  bla 
Venuto  a  lìu  di  cosi  lunga  via. 
3      Oh  di  che  belle  e  saggc  donne  veggio, 
Oh  di  che  cavalieri  il  lif»  adorno! 
Oh  di  che  amici,  a  ehi  in  eterno  degg.o, 
Per  la  letizia,  eh'  han  del  uno  ntorno! 
M.mma,  e  (Ginevra,  e  l'altre  da  Correggio 

Vcir-M»  del  m..h»  in  sull'  estremo  corno. 
Veronica  da  (Jamhera  è  cu.  loro. 
Sì  grata  a  Febo,  e  al  santo  aon.o  coro. 
4      Vergo  un'  allra  (Jine^ra,  pur  .iscita 
"Del  medesimo  sangue,  e  (iiuha  seco. 
\,.,Mr„  Ippolita  SU.r/a,  e  la  nodrita 
Dauugella    liivul/ia  al  sacr..  speco. 
Ve.^-^o  le ,  Kuiilia  l'ia ,  te  ,  Margherita, 
(:h^  Angela  Horgia  e  (Jra/.iosa  hai  teco, 
CÀin  Kicciarda  da  Uste,  e.-co  le  hello 
bittuca  e  Diana,  e  l'  altre  lor  borellc. 


5  Ecco  la  bella,  ma  più  saggia  e  onesta 
Barbara  Turca,  e  la  compagna  e  Laura. 
ISon  vede  il  s(d  di  più  bontà  di  questa 
Coppia,  dair  Indo  all'  estrema  onda  muura. 
Kcco  Ginevra,  che  la  Malatesta     _ 

Casa  col  suo  valor  s'  ingennua  e  inaura, 
Cìie  mai  palagi  imperiali,  o  regi     ^ 
Non  ebbon  più  onorati  e  degni  tregi. 

6  Se  a  quella  etadc  ella  in  Arimino  era, 
Ou.aulo,  superbo  della  Gallia  doma, 
Cesar  fu  in  dubbio ,  s'  oltre  alla  riviera 
Dovea  passando  inimicarsi  Roma, 
Crederò,  che,  piegata  ogni  bandiera, 

E  scarta  di  trofei  la  ricca  soma. 

Tolto  avria  leggi  e  patti  a  voglia  d   es>^a, 

r%c  forse  mai  la  libertade  oppressa. 

7  Del  mio  signor  di  Bozolo  la  moglie, 
La  madre,  le  sirocchie  e  le  cngiuc, 

E  le  Torcile,  con  le  Benti voglie, 
E  le  Visconte,  e  le  Pallavicine. 
Ecco  chi,  a  quante  oggi  ne  sono,  toghe, 
E  a  quante,  o  greche,  o  barbai-e ,  o  latine 
>c  furon  mai ,  di  cui  la  fama  s    oda, 
Di  grazia  e  di  beltà  la  prima  loda; 
8.      Giulia  Gonzaga,  che,  dovunque  il  piede 
Volo-e ,  e  dovunque  i  sereni  occlij  gira, 
]\on  pare  ogni  altra  di  beltà  le  cede,  _ 
Ma,  come  scesa  dal  ciel  Dea,  l'  ammira. 
La  cognata  è  con  lei,  che  d.  sua  fede 
Aon  mosse  mai,  perchè  V  avesse  m  ira 
Fortuna,  che  le  te'  lungo  contrasto. 
Ecco  Anna  d'  Aragou ,  luce  del  \asto; 
I>       Anna  bella,  gentil,  cortese,  e  saggia, 
'dì  castità,  di  fede,  e  d'  amor  tempio. 
La  sorella  i  con  lei,  eh'  ove  ne  irraggia 
L'  alta  beltà,  ne  paté  ogni  altra  scempio. 
Ecco  chi  tolto  ha  dalla  .-cura  spiaggia   ^ 
Di  Stige.  e  fa  con  non  più  Y;'"  «^7"l'»«' 
Mal  grado  delle  l'arche  e  della  M.ule, 
Sple.nler  nel  ciel  1'  invitto  suo  consorte. 
10      Le  Ferraresi  mie  qui  sono,  e  quelle 
■  D.lla  corte  d'  l  rbiiio  ;  e  riconosco 
Ouelle  di   Manina,  e  quante  donne  lieUe 
j'ia  Lombardia,  quante  il  paese  tose». 
Il  ea>alier,  che  tra  lor  Mene,  e  eli    cll« 
Onoran  m  ,  >'  i»  "«'u  ho  1'  occhio  losco 
Dalla  luce  olliiscato  de'  bei  volti, 
V  il  tran  lume  orctin,  1'  unico  Accolli 

^     ^  40 


[62T] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XLVl.  11 -26) 


[628] 


11.  Benedetto,  il  nepote,  ecco  là  veggio, 

C  ha  purpureo  il  cappel,  purpureo  il  manto, 
Col  cardinal  di  Mantua,  e  col  Campeggio, 
Gloria  e  splendor  del  concistorio  santo  : 
E  ciascun  d'  essi  noto ,  (o  eh'  io  vaneggio) 
Al  viso  e  ai  gesti,  rallegrarsi  tanto 
Del  mio  ritorno,  che  non  facil  panni, 
Ch'  io  possa  mai  di  tanto  obhligo  trarrai. 

12.  Con  lor  Lattanzio,  e  Claudio  Tolomei, 
E  Paulo  Pausa ,  e  '1  Dressino ,  e  Latino 
Juvenal  parrai,  e  i  Capilupi  raiei, 

E  '1  Sasso,  e  '1  Molza,  e  Florian  Montino, 
E  quel,  che  per  guidarci  ai  rivi  ascrei, 
Mostra  piano,  e  più  breve  altro  cammino, 
Giulio  Caraillo;  e  par,  eh'  anco  io  ci  scerna 
Marc'  Antonio  Flamminio,  il  Sanga,  e  il  Berna. 

13.  Ecco  Alessandro,  il  mio  signor,  Farnese. 
Oh  dotta  compagnia ,  che  seco  mena  ! 
Fedro ,  Capella ,  Porzio  ,  il  bolognese 
Filippo,  il  Volterrano,  il  Maddalena, 
Blosio,  Pierio,  il  Vida  cremonese, 

D'  alta  facondia  inessiccabil  vena, 

E  Lascari,  e  Musuro,  e  Navagero, 

E  Andrea  Marone,  e  '1  monaco  Severo. 

14.  Ecco  altri  duo  Alessandri  in  quel  drappello, 
Da  gli  Orologi  1'  un,  l'  altro  il  Guarino. 
Ecco  Mario  d'  Olvito;  ecco  il  flagello 

De'  pi'incipi,  il  divin  Pietro  Aretino. 
Duo  Jeronimi  veggo  ;  l'  uno  è  quello 
Di  Veritade,  e  1'  altro  il  Cittadino. 
Veggo  il  Mainardo ,  e  veggo  il  Leoniceno, 
Il  Panizzato,  e  Celio,  e  il  Teocreno. 

15.     Là  Bernardo  Capei,  là  veggo  Pietro 
Bembo ,  che  'l  puro  e  dolce  idioma  nostro 
Levato  fuor  del  volgar  uso  tetro, 
Qual  esser  dee,  ci  ha  col  suo  esempio  mostro. 
Guasparo  Obizi  è  quel ,  che  gli  vien  dietro, 
Ch'  ammira  e  osserva  il  sì  ben  speso  inchiostro. 

10  veggo  il  Fracastoro ,  il  Bevazzano, 
Trifon  Gabriele ,  e  il  Tasso  più  lontano. 

16.  Veggo  Niccolò  Tiepoli,  e  con  esso 
Niccolò  Amanio,  in  me  affissar  le  ciglia; 
Anton  Fulgoso,  eh'  a  vedermi  appresso 
Al  lito ,  mostra  gaudio  e  meraviglia. 

11  mio  Valerio  è  quel,  che  là  s'  è  messo 
Fuor  delle  donne,  e  forse  si  consiglia 
Col  Barignan ,  e'  ha  seco ,  come  olfeso 
Sempre  da  lor,  non  ne  sia  sempre  acceso. 

17.  Veggo  sublimi  e  soprumani  ingegni. 

Di  sangue  e  d'  amor  giunti,  il  Pico  e  il  Pio. 
Colui,  che  con  lor  viene,  e  da'  più  degni 
Ila  tanto  onor,  mai  più  non  conobb'  io; 
Ma,  se  me  ne  fur  dati  veri  segni, 
E  r  uom ,  che  di  veder  tanto  desio, 
Giacobo  Sannazar,  che  alle  Camene 
Lasciar  fa  i  monti ,  ed  abitar  T  arene. 

18.  Ecco  il  dotto,  il  fedele,  il  diligente 
Secrelario  Pi^tofilo,  che  insieme 

Con  gli  Acciainoli,  e  con  l'  Angiar  mio,  sente 
Piacer,  «he  più  del  mar  per  me  non  teme. 
Annibal  Malaguzxo  il  mio  parente 
^^•ggo,  con  r  Adoardo,  che  gran  speme 
Mi  dà,  eh'  ancor  del  mio  nativo  nido 
Udir  farà  da  Calpc  agi'  Indi  il  grido. 


li).      Fa  Vittor  Fausto,  fa  il  Tancredi  festa 
Di  rivedermi,  e  la  fanno  altri  cento. 
Veggo  le  donne  e  gli  uomini  di  questa 
Mia  ritornata  ognun  parer  contento. 
Dunque  a  finir  la  breve  via,  che  resta, 
Non  sia  più  indugio ,  or  e'  ho  propizio  il  vento  ; 
E  torniamo  a  Melissa,  e  con  che  aita 
Salvò ,  diciamo ,  al  buon  Ruggier  la  vita. 

20.  Questa  Melissa,  come  so,  che  detto 
V  ho  molte  volte,  avea  sommo  desire. 
Che  Bradaniante  con  Ruggier  di  stretto 
Nodo  s'  avesse  in  matrimonio  a  unire  ; 

E  d'  ambi  il  bene  e  il  male  avea  sì  a  petto. 
Che  d'  ora  in  ora  ne  volea  sentire. 
Per  questo  spirti  avea  sempre  per  via, 
Che ,  quando  andava  1'  un  ,  1'  altro  venia. 

21.  In  preda  del  dolor  tenace  e  forte 
Ruggier  tra  le  scure  ombre  vide  posto, 
Il  qual  di  non  gustar  d'  alcuna  sorte 
Mai  più  vivanda,  fermo  era  e  disposto, 
E  col  digiun  si  volea  dar  la  morte  : 
Ma  fu  r  ajuto  di  Melissa  tosto  ; 

Che,  del  suo  albergo  uscita,  la  via  tenne. 
Ove  m  Leone  ad  incontrar  si  venne  ; 

22.  Il  qual  mandato  1'  uno  all'  altro  appresso 
Sua  gente  avea  per  tutti  i  luoghi  intorno, 
E  poscia  era  in  persona  andato  anch'  esso, 
Per  trovare  il  guerrier  dal  liocorno. 

La  saggia  incantatrice ,  la  qual  messo 
Freno  e  sella  a  uno  spirto  avea  quel  giorno, 
E  1'  avea  sotto  in  forma  di  ronzino, 
Trovò  questo  figliuol  di  Costantino. 

23.  Se  dell'  animo  è  tal  la  nobiltate, 

Qual  fuor,  signor,  diss'  ella,  il  viso  mostra; 
Se  la  cortesia  dentro  e  la  bontate 
Ben  corrisponde  alla  presenza  vostra. 
Qualche  conforto,  qualche  ajuto  date 
Al  miglior  cavalier  dell'  età  nostra. 
Che ,  s'  ajuto  non  ha  tosto  e  conforto. 
Non  è  molto  lontano  a  restar  morto! 

2i.     Il  miglior  cavalier,  che  spada  allato, 
E  scudo  in  braccio  mai  portasse,  o  porti. 
Il  più  bello  e  gentil ,  che  al  mondo  stato 
Mai  sia ,  di  quanti  ne  son  vivi ,  o  morti  ; 
Sol  per  un'  alta  cortesia,  e'  ha  usato. 
Sta  per  morir,  se  non  ha  chi  '1  conforti. 
Per  Dio ,  signor ,  venite  e  fate  prova, 
S'  allo  suo  scampo  alcun  consiglio  giova! 

25.  Neil'  animo  a  Leon  subito  cade. 
Che  '1  cavalier,  di  chi  costei  ragiona. 
Sia  quel,  che  per  trovar  fa  le  contrade 
Cercare  intorno,  e  cerca  egli  in  persona; 
Siedi'  a  lei  dietro ,  che  gli  persuade 

Sì  pietosa  opra ,  in  molta  fretta  sprona  ; 
La  qual  lo  trasse,  e  non  fèr  gran  cammino, 
Ove  alla  morte  era  Ruggier  vicino. 

26.  Lo  ritrovar,  che  senza  cibo  stato 
Era  tre  giorni,  e  in  modo  lasso  e  vinto. 
Che  in  piò  a  fatica  si  saria  levato 

Per  ricader,  sebben  non  fosse  spinto. 
Giacca  disteso  in  terra  tutto  armato 
Con  r  elmo  in  testa,  e  della  spada  cinto, 
E  giiancial  dello  scudo  s'  avea  fatto. 
In  che  '1  bianco  liocorno  era  ritratto. 


529] 


ORLANDO   FURIOSO.     (XLVI.  27-42) 


Quivi  pensando,  quanta  inguria  egli  abbia 
Fatto  alla  donna',  e  quanto  ingrato  ,  e  quanto 
Iticonoscerte  le  sia  stato ,  arrabbia, 
IVon  pur  si  duole,  e  se  n'  affligge  tanto. 
Che  si  morde  le  man ,  morde  le  labbia, 
Sparge  le  guance  di  continuo  pianto, 
E  per  la  fantasia,  che  \'  ha  sì  fissa, 
Kè  Leon  venir  sente,  né  Melissa. 

J8.     Né  per  questo  interrompe  il  suo  lamento, 
]Nè  cessano  i  sospir,  nò  il  pianto  cessa. 
Leon  si  ferma,  e  sta  ad  udire  intento; 
Poi  smonta  del  cavallo ,  e  se  gli  appressa. 
Amore  esser  cagion  di  quel  tormento 
Conosce  ben,  ma  la  persona  espressa 
Non  gli  è,  per  cui  sostien  tanto  martire; 
Ch'  anco  Ruggier  non  gliel'  ha  fatto  udire. 

29.  Più  innanzi ,  e  poi  più  innanzi  i  passi  muta, 
Tanto  che  se  gli  accosta  a  faccia  a  faccia, 
E  con  fraterno  affetto  lo  saluta, 
E  se  gli  china  allato ,  e  al  collo  abbraccia. 

10  non  so,  quanto  ben  questa  venuta 
Di  Leone  improvvisa  a  Ruggier  piaccia, 
Che  teme,  che  lo  turbi  e  gli  dia  noja, 
E  se  gli  voglia  oppor,  perchè  non  muojà. 

30.  Leon  con  le  più  dolci  e  più  soavi 
Parole,  che  sa  dir,  con  quel  più  amore. 
Che  può  mostrar,  gli  dice:  INon  ti  gravi 
D'  aprirmi  la  cagion  del  tuo  dolore  ! 
Cile  pochi  mali  al  mondo  son  si  pravi. 
Che  r  uomo  trar  non  se  ne  possa  fuore, 
Se  la  cagion  si  sa  ;  né  debbe  privo 

Di  speranza  esser  mai,  finché  sia  vivo. 

81.  Ben  mi  duol,  che  celar  t'  abbi  voluto 
Da  me,  che  sai,  s'  io  ti  son  vero  amico; 
]Non  sol  dipoi ,  eh'  io  ti  son  sì  tenuto, 
Che  mai  dal  nodo  tuo  non  mi  districo, 
Bla  fin  allora,  eh'  avrei  causa  avuto 

D'  esserti  sempre  capital  ìicmico  ; 

E  dei  sperar,  eh'  io  sia  per  darti  aita 

Con  r  aver ,  con  gli  amici ,  e  con  la  vita. 

82.  Di  meco  conferir  non  ti  rincresca 

11  duo  dolore ,  e  lasciami  far  prova. 
Se  forza,  se  lusinga,  acciò  tu  n'  esca. 
Se  gran  tesor,  s'  arte,  s'  astuzia  giova! 
Poi,  quando  1'  opra  mia  non  ti  riesca. 
La  morte  sia,  eh'  aUin  te  ne  rimniova! 
Ma  non  voler  venir  prima  a  qucst'  atto. 
Che  dò,  che  si  può  far,  non  abbi  fatto! 

33.  E  seguitò  con  sì  efficaci  preghi, 

E  con  parlar  sì  umano  e  sì  benigno. 

Che  non  può  far  Ruggier ,   che  non  sì  pieghi, 

Che  né  di  ferro  ha  il  cor,  né  di  macigno; 

E  vede ,  quando  la  risposta  neghi, 

Che  san'i  discortesc  atto  e  maligno. 

Risponde;  ina  due  volte,  o  tre  s'  incocca 

Prima  il  parlar,  eh'  uscir  voglia  di  bocca. 

34.  Signor  mio,  disse  alfin,  quando  saprai 
Colui,    eh'   i(»  son,  che  son  per  dirtcl  ora, 
Mi  rende»  certo,  che  di   me  sarai 

Non  nien  contento,  e  forse  più,  «-li'  io  mora. 
Sappi ,  eh'  io  hon  colui ,  che  sì  in  odio  hai  ; 
Io  son   lliiggier.  di'  cititi  te  in  «tdìo  ancora, 
E  (he  con  intcìi/.ion  di  porli   a  morte. 
Già  son  più  giorni,  uscii  dì  questa  corte, 


[6B0j 


S5.      Arciò  per  te  non  mi  vedessi  tolta 
■  Bradamante ,  sentendo,  esser  d'  Amone 
La  volontade  a  tuo  favor  rivolta. 
Ma  perchè  ordina  1'  uomo,  e  Dio  dispone 
Venne  il  bisogno ,  ove  mi  fé'  la  molta 
Tua  cortesia  mutar  d'  opinione  ; 
E  non  pur  1'  odio,  eh'  io  t'  avea,  deposi. 
Ma  fé',  eh'  esser  tuo  sempre  io  mi  disposi. 

36.      Tu  mi  pregasti,  non  sapendo,  eh'  io 
Fossi  Ruggier,  eh'  io  ti  facessi  avere 
La  donna,  eh'  altrettanto  saria,  il  mio 
Cor   fuor  del  corpo,  o  1'  anima  volere. 
Se  soddisfar  piuttosto  al  tuo  disio, 
Ch'  al  mio ,  ho  voluto ,  t'  ho  fatto  vedere. 
Tua  fatta  è  Bradamante;  abbila  in  pace! 
Molto  più  che  '1  mio  bene,  il  tuo  mi  piace. 

o7.      Piaccia  a  te  ancora,  se  privo  di  lei 
Mi  son,  che  insieme  io  sia  di  vita  privo! 
Che  piuttosto  senza  anima  potrei, 
Che  senza  Bradamante,  restar  vivo. 
Appresso   per  averla  tu  non  sei 
Mai  legìttimamente,  finch'  io  vivo; 
Che  tra  noi  sponsalizio  è  già  contratto, 
Rè  duo  mariti  ella  può  avere  a  un  tratto. 

38.  Riman  Leon  sì  pien  di  meraviglia, 
Quando  Ruggiero  esser  costui  gli  é  noto. 
Che  senza  mover  bocca,  o  batter  ciglia, 

O  mutar  pie,  come  una  statua,  è  immoto. 
A  statua  più,  eh'  ad  uomo  s'  assomiglia, 
Che  nelle  chiese  alcun  metta  per  voto. 
Ben  sì  gran  cortesia  questa  gli  pare. 
Che  non  ha  avuto ,  e  non  avrà  mai  pare. 

39.  E  conosciutol  per  Ruggier,  non  solo 
Non  scema  il  ben,  che  gli  voleva  pria. 
Ma  sì  r  accresce,  che  non  men  del  duolo 
Di  Ruggier  egli,  che  Ruggier,  patia. 
Per  questo ,  e  per  mostrarsi ,  che  figliuolo 
D'  imperator  meritamente  sia. 

Non  vuol,  sebben  nel  resto  a  Ruggier  cede, 
Che  in  cortesia  gli  metta  innanzi  il  piede, 

40.  E  dice:  Se  quel  dì,  Ruggier,  eh'  offeso 
Fu  il  campo  mio  dal  valor  tuo  stupendo, 
Ancorch'  io  t'  avea  in  odio,  avessi  inteso. 
Che  tu  fossi  Ruggier ,  come  ora  intendo. 
Così  la  tua  virtù  m'  avrebbe  preso, 
Come  fece  anco  allor,  non  lo  sapendo; 

E  così  spinto  dal  cor  1'  odio,  e  tosto 
Questo  amor,  eh'  io  ti  porto,  v'  avria  posto. 

41.  Che  prima  il  nome  di  Ruggiero  odiaci, 
Cli'  io  sapessi,  che  tu  fossi  Ituggiero, 
Non  negherò;  ma  eh'  or  più  inn.tn/.i  passi 
L'  odio,  eh'  io  t'  ebbi,  t'  esca  del  pensiero! 
E  se,  quando  di  canert!  io  ti  trassi, 

N'  avessi,  come  or  n'  ho,  sa|)uto  il  vero, 
Il  medesimo  avrei   fatto  anr4>  allora, 
CJi'  a  beneficio  tmt  sttu  per  far  ora. 

i2.      E  se  allor  vitLcntier  fatto  1"  avrei, 

Cir  io   non  V  era.  rome  or  sono,  obbligato, 

Quaiit'  or  più   farlo  delibo  ,  di«-  sarei. 

Non  lo  facendo,  il  più  d    ogn'  altro  ingrato; 

l'oidiè,  iH-giindo  il  tuo  vol«-r,  ti  sei 

Privo  d"  ogni  Ino  Itene,  e  a  me  V  hai  dato! 

Ma  ti-  lo  rendo,   e  più  contento  son» 

Renderlo  u  te,  di'  aver  i<»  avuto  il  dono. 

40  * 


[631] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLVI.  43  —  58) 


[632] 


43.  Molto  pili  a  te,  eh'  a  me,  costei  conviensi, 
La  qiiai ,  bendi'  io  per  li  suoi  meriti  ami, 
]Von  è  però,  s'  altri  1'  avrà,  eli'  io  pendii, 
Come  tu,  al  vìver  mìo  romper  ^\i  stami. 
Kon  vo' ,  che  la  tua  morte  mi  disipeiitii,  ^ 
Che  pos.*a  ,  sciolto  eh'  ella  avrà  i  le<^ami, 
Che  son  del  matrimonio  ora  (Va  voi, 

Per  legittima  moglie  averla  io  poi. 

44.  Non  che  di  lei ,  ma  restar  privo  voglio 

Di  ciò,   e'  ho  al  mondo,    e  della  vita  appresso, 

Primachè  s'  oda  mai ,  eh'  abbia  cordoglio 

Per  mia  cagion  tal  cavalier  oppresso. 

Della  tua  diffidenza  ben  mi  doglio. 

Che  tu,  che  puoi,  non  men  che  di  te  stesso, 

Di  me  dìspor,  piuttosto  abbi  voluto 

Morir  di  duci ,  che  da  me  avere  ajuto. 

45.  Queste  parole,  ed  altre  soggiungendo) 
Che  tutte  saria  lungo  a  riferire, 

E  sempre  le  ragion  redarguendo, 

Ch'  in  contrario  Uuggier  gli  potea  dire, 

Fé'  tanto ,  eh'  alfin  disse  :  Io  mi  ti  rendo, 

E  contento  sarò  di  non  morire. 

Ma  quando  ti  sciorrò  1'  obbligo  mai, 

Che  due  volte  la  vita  dato  m'  hai? 

46.  Cibo  soave  ,  e  prezioso  vino 
Melissa  i^  i  portar  fece  in  un  tratto, 
E  confortò  Kuggier ,  eh'  era  vicino. 
Non  s'  ajutando  ,  a  rimaner  disfatto. 
Sentito  in  questo  tempo  avea  Fi-ontino 
Cavalli  quivi,  e  v'  era  accorso  l'atto. 
Leon  pigliar  dagli  scudieri  suoi 

Lo  le' ,  e  sellare ,  ed  a  Ruggìer  dar  poi, 

47.  Il  qual  con  gran  fatica,  ancorch'  ajuto 
Avesse  da  Leon ,  sopra  vi  salse  ; 

Così  quel  vigor  manco  era  venuto. 
Che  pochi  giorni  innanzi  in  modo  valse, 
Che  vincer  tutto  un  campo  avea  potuto, 
E  far  quel ,  che  fé'  poi  con  l'  arme  false. 
Quindi  partiti  giunser,  che  i)iù  via 
Non  fèr  di  mezza  lega,  a  una  badia, 

48.  Ove  posaro  il  resto  di  quel  giorno, 

E  r  altro  appresso ,  e  1'  altro  tutto  intero, 

Tanto,  elle  '1  cavalier  dal  liocorno 

Tornat(»  fu  nel  suo  vigor  primiero. 

poi  con  Melissa  e  con  Leon  ritorno 

Alla  città  real  fece  Ruggiero, 

E  vi  trovò ,  che  la  passata  sera 

L'  ambasceria  de'  lìulgari  gìunt'  era. 

49.  Che  quella  naziou ,  la  qual  s'  avea 
Ruggiero  eletto  re,  quivi  a  chiamarlo 
Mandava  questi  suoi ,  che  si  credea 

D'  averlo  in  Trancia  apprev-<o  al  m.iguo  Carlo; 
I'<Trhè  giurargli  fedeltà  volea, 
I]  dar  di  sé  doiuinio,  e  coronarlo. 
Ijo  scudicr  di  Riiggier,  che  si  ritrova 
Con  qucrta  gente,  ha  di  lui  dato  nuova. 

50.  Della  ìiattiiglia  ha  detto,  eh'  in  favore 
De'  Ihilgari  a  Belgrado  egli  avea  fatta. 
Ove  Leon  col  padre  imperatore 

Vinto,  e  f^ua  gente;  avea  morta  e  disfatta; 
E  per  questo  V  avcan  fatto  signore, 
Mctso  da  piirle  o;;^iii  uomo  di  8ua  schiatta; 
E  come  a  NoMiif^rado  era  poi  stato 
Preso  da  Ungiardo,  e  u  Teodora  dato: 


51.  E,  che  venuta  era  la  nuova  certa, 
Che  '1  suo  guardian  s'  era  trovato  ucciso, 
E  lui  fuggito,  e  la  prigione  aperta. 
Che  poi  ne  fosse  ,  non  v'  era  altro  avviso. 
Entrò  Uuggier  per  via  molto  coperta 
Nella  città,  nò  fu  veduto  in  viso. 
La  seguente  mattina  egli  e  '1  compagno 
Leone  appresentossi  a  Carlo  magno. 

52.  S'  appresentò  Ruggìer  con  l'  augel  d'  oro, 
Che  nel  campo  vermiglio  avea  due  teste; 
E  come  disegnato  era  fra  loro, 
Con  le  medesme  insegne  e  sopravveste. 
Che ,  come  dianzi  nella  pugna  foro, 
Eran  tagliate  ancor,  forate  e  peste; 
Sicché  tosto  per  quel  fu  conosciuto, 
Ch'  avea  con  Bradamante  combattuto. 

53.  Con  ricche  vesti ,  e  regalmente  ornato 
Leon  senz'  arme  a  par  con  lui  venia, 
E  dinanzi  e  di  dietro  e  d'  ogni  lato 
Avea  onorata  e  degna  compagnia. 

A  Carlo  s'  inchinò ,  che  già  levato 
Se  gli  era  incontra ,  e  avendo  tuttavia 
Ruggìer  per  man ,  nel  quale  intente  e  fisse 
Ognuno  avea  le  luci ,  così  disse  : 

51.      Questo  è  il  buon  cavaliero,  il  qual  difeso 
S'  è  dal  nascer  del  giorno  al  giorno  estinto; 
E  poiché  Bradamante  o  morto,  o  preso, 
O  fuor  non  l'  ha  dello  stoccato  spinto. 
Magnanimo  signor,  sebhen  inteso 
Ha  il  vostro  bando ,  è  certo  d'  aver  vinto, 
E  d'  aver  lei  per  moglie  guadagnata  ; 
E  così  viene,  acciocché  gli  sia  data. 

55.  Oltreché  di  ragion ,  per  lo  tenore 

Del  bando ,  non  v'  ha  altr'  uora  da  far  disegno, 
Se  s'  ha  da  meritarla  per  valore, 
Qual  cavalier  più  di  costui  n'  è  degno? 
Se  aver  la  dee ,  chi  più  le  porta  amore. 
Non  è  chi  '1  passi ,  o  eh'  arrivi  al  suo  segno. 
Ed  è  qui  presto,  (;ontra  a  chi  s'  oppone, 
Per  difender  con  1'  arme  sua  ragione. 

56.  Carlo ,  e  tutta  la  corte  stupefatta, 
Questo  udendo ,  restò  ;  eh'  avea  creduto. 
Che  Leon  la  battaglia  avesse  fatta. 

Non  questo  cavalier  non  conosciuto. 
Marlisa,  che  con  gli  altri  quivi  tratta 
S'  era  ad  udire,  e  eh'  appena  potuto 
Avea  tacer,  finché  Leon  finisse 
Il  suo  parlar,  si  fece  innanzi,  e  disse: 

57.  Poiché  non  e'  è  Ruggier,  che  la  contesa 
Della  moglier  fra  sé  e  costui  discioglia, 
Acciò  per  mancamento  di  difesa 

Così  senza  rumor  non  se  gli  teglia, 
lo ,  (-he  gli  son  sorella ,  questa  impresa 
l'iglio  (U)ntra  ciascun ,  sia  chi  si  voglia. 
Che  dica  a\er  ragione  in  Bradamante, 
O  di  mertu  a  Ruggiero  andare  innante. 

58.  E  con  tant'  ira  e  tanto  sdegno  espresse 
Questo  parlar,  che  molti  ebber  sospetto. 
Che  senza  attender  Carlo,  che  le  desse 
Campo,  ella  avesse  a  far  quivi  1'  etletto. 
Or  non  parve  a  Leon  ,  che  più  dovesse 
Ruggier  celarsi,  e  gli  (-avo  V  elmetto; 

E  rivolto  a  Marlisa:  Ecco  lui  pronto 
A  rendervi  di  sé,  disse,  buon  conto! 


;33i 


ORLANDO  FURIOSO.     (XLVI.  59  —  74) 


[634J 


9.      Quale  il  canuto  Egeo  rimase,  quando 
Si  fu  alla  mensa  scellerata  accorto, 
Che  quello  era  il  suo  figlio,  al  quale,  Istando 
L'  iniqua  luogìie,   avcaii  veneno  porto, 
E  poco  più  che  fosse  ito  intlugiaudo 
Di  conoscer  la  spada ,  1'  avria  morto, 
Tal  fu  Marfisa,  quando  il  cavaliero 
Ch'  odiato  avea,  conobbe  esser  Ruggiero. 

id.     E  corse  senza  indugio  ad  al)l)racciarlo, 
Né  dispiccar  se  gli  sapca  dal  collo. 
Rinaldo,  Orlando,  e  di  lor  prima,  Carlo 
Di  qua  e  di  là  con  grand'  amor  bacioUo  ; 
Né  Dudon  ,  né  Olivier  d'  accarezzarlo, 
]\é'l  re  Sobrio  si  può  veder  satollo: 
Dei  paladini  e  dei  baron  nessuno 
Di  far  festa  a  Ruggier  restò  digiuno. 

il.      Leone,  il  qual  sapea  molto  ben  dire, 
Finiti  che  si  fùr  gli  abbracciamenti. 
Cominciò  innanzi  a  Carlo  a  riferire. 
Udendo  tutti  quei,   eh'  eran  presentì, 
Come  la  gagliardia,  come  l'  ardire. 
Ancorché  con  gran  danno  di  sue  genti, 
Di  Ruggier,  eh'  a  Belgrado  avea  veduto. 
Più  d'  ogni  offesa ,  avea  di  sé  potuto. 

2.      Sicché  essendo  dipoi  preso,  e  condotto 
A  colei ,  eh'  ogni  strazio  n'  avria  fatto, 
Di  prigion  egli,  malgrado  di  tutto 
Il  parentado  suo,  1'  aveva  tratto; 
E  come  il  buon  Ruggier,  per  render  frutto 
E  mercede  a  Leon  del  suo  riscatto. 
Fé'  r  alta  cortesia,  che  sempre  a  quante 
Ne  furo,  osaranmai,  passerà  innante. 

63.  E  seguendo  narrò  di  punto  in  punto 
Ciò,  che  per  lui  fatto  Ruggiero  avea, 
E  come  poi,  da  gran  dolor  compunto. 
Che  di  lasciar  la  moglie  gli  preinea, 
S'  era  disposto  di  nutrire;  e  giunto 
V  era  vicin,  se  non  si  soccorrca. 
E  «;on  sì  dolci  all'etti  il  tutto  espresse, 
Che  quivi  occhio  non  fu,  eh'  asciutto  stesse. 

64.  Rivolse  poi  con  sì  cfiìcaci  preghi 
Le  sue  parole  all'  ostinato  Anione, 

Che  non  sol ,  che  Io  muova  ,  che  lo  pieghi, 

Che  h»  faccia  mutar  d'  opinione, 

Ma  fa,  eh'  egli  in  persona  andar  non  neglù 

A  supplicar  Ruggier ,  che  gli  pcrdone, 

E  per  padre  e  per  suocero  1'  accette, 

E  cosi  liradamante  gli  promette; 

05.     A  cui  là,  dove  della  ^ita  in  forse 
Piangea  i  suoi  casi  in  canusa  segreta, 
Con  lieti  gridi  in  molta  fretta  cor>e 
Per  più  d'  un  nu's>o   la  novella  lieta  ; 
Onde  il  sangue^,  «h'  al  cor,  <|uaiido  lo  morse 
Prima  il  dolor,  fu  tratto  dalla  pietà, 
A  questo  niuuui/io  il  las(-iò  solo  in  guisa, 
Che  quasi  il  gaudio  ha  la   donzella  uccisa. 

66.     Ella  rimau  d'  ogni  vigor  >i  vuota. 
Che  di  teiHT.xì  in  pie  iion  ha  bali.i, 
RciK-Ju-  di  ijuclla  forza,  eh'  <!sser  nota 
\i  (leldie,  e  di  quel  grande  auiuui  sia. 
Non  più  di  lei,     chi  a  rep|io ,    a  laccio,  n  ruota 
Sia  conilannato  ,  o  ad   altra  morie;  ria, 
!■;  <li(r  già  agli  occhj  abbia  la  benda  ucgru, 
(iridar  ^cnlendo  grazia  !  si  ralU-gra. 


67.     Si  rallegra  Mongrana  e  Cbiaramonte, 
Di  nuovo  nodo  i  due  raggiunti  rami. 
Altrettanto  si  diu)l  Gano  rcil  conte 
An^eluH),  e  con  Falcon,  Gini  e  Ginami; 
Ma  pur  coprendo  sotto  un'  altra  fronte 
Van  lor  pensieri  invidiosi  e  grami, 
E  occasione  attendon  di  vendetta. 
Come  la  volpe  al  varco  il  lepre  aspetta. 

C8.      Oltreché  già  Rinaldo  e  Orlando  ucciso 
Molti  in  più  volte  avean  di  quei  malvagi  ; 
Benché   1'  ingiurie  fur  con  saggio  avviso 
Diil  re  acchetate,   ed   i  eomun  disagi, 
A\ca  di  nuovo  lor  levato  il  rìso 
L'  ucciso  Pinabello  e  Dertolagi. 
Ma  pur  la  fellonia  tenean  coperta, 
Dissiumlando  aver  la  cosa  certa. 

69.  Gli  ambasciatori  bulgari,  che  in  corte 
Di  Carlo  eran  venuti,    come  ho  detto. 
Con  speme  di  trovare  il  guerricr  forte 
Del  liocorno,   al  r;'gno  loro  eletto, 
Sentcndol  quivi ,  chiamar  buona  sorte 
La  lor,  che  dato  avea  alla  speme  effetto, 
E  riverenti  ai  pie  se  gli  gittaro, 

E  che  tornasse  in  Bulgheria  il  pregare  ; 

70.  Ove  in  Adrianopoli  servato 

Gli  era  lo  scettro,  e  la  real  corona: 
Ma  venga  egli  a  difender.-i  Io  stato  ; 
Che  a'  danni  lor  di  nuovo  si  ragiona. 
Che  più  numcr  di  gente  apparecchiato 
Ila  Costantino ,  e  torna  anco  in  persona. 
Ed  essi ,  se  '1  suo  re  ponno  aver  seco, 
Speran  di  torre  a  lui  1'  imperio  greco. 

71.  Ruggiero  accettò  il  regno ,  e  non  contese 
Ai  preghi  loro ,  e  in  Bulgheria  promesse 
Di  ritrovarsi  dopo  il  terzo  mese. 

Quando  Fortuna  altro  «li  lui  non  fesse. 
Leone  Augusto ,  che  la  cosa  intese. 
Disse  a  Ruggier ,  eh'  alla  sua  fede  stesse. 
Che,  poich'   egli  de'  Bulgari  ha  il  domino, 
La  pace  é  tra  lor  fatta,  e  Costantino. 

72.  Né  da  partir  di  Francia  s'  avrà  in  fretta, 
Per  esser  capitan  delle  sue  squadre; 

Che  d'  ogni  terra,  eh'  abbiaiu)  soggetta, 
Far  la  rinunzia  gli  farà  dal  padre. 
Non  è  virtù ,  che  di  Ruggier  sia  detta, 
Ch'  a  mover  si  1'  ambiziosa  madre 
Di  Bradamaiitc,    e  f;ir,  che  "I  genero  ami, 
Vaglia,  come  ora  udir,  che  re  si  chiami. 

73.  Fansi  le  nozze  splendide  e  reali, 
Convenienti  a   chi  cura  ne  piglia. 
Carlo  ne  piglia  cura,  e  le  fa  ,  quali 
Fare!)i)e ,  maritando  una  sua  figlia. 
I  merli  deil.i  donna  erano  tali. 
Oltre  a  quelli  di  tutta  sua  f.uuiglia, 

Ch'  a  quel  signor  non  parri.i  lixir  del  segno. 
Se  spendesse  per  lei  nu/.zo  il  suo  regno. 

H.      Libera  corte  fa  bandire  intorno. 
Ove  sicuro  ogiuni  po^sa  venire. 
E  campo  frani'it  fin  al  nono  giorno 
Conc«-(le  a  chi  conlese  ha  d.i  partire. 
Fé'  alla  <auipagna  1"  a;i;<aiato  adorno 
Di   rami   inloli  e  di   bei   fiorì  ordire, 
D'  oro  e  di  hcla  ]ioì,  liinlo  giocondo. 
Che  '1  più  bel  luogo  mai  iu>u  fu  nel  mondo. 


[635] 


ORLANDO   FURIOSO.     fXLVI.  ìr5-90) 


[6361 


75.     Dentro  a  Parigi  non  sanano  state 
Le  innumeralùl  genti  peregrine, 
Povere  e  ricche,  e  d'  ogni  qualitate. 
Che  v'  eran,  greche,  barbare  e  latine. 
Tanti  signori,  e  ambascerie  mandate 
Di  tutto  '1  mondo,  non  aveano  fine. 
Erano  in  padiglion  ,  tende  e  frascati, 
Con  gran  comodità  tutti  alloggiatL 

Con  eccellente  e  singolare  ornato 


83.     Dlena  nominata  era  colei, 

Per  cui  lo  padiglione  a  Proteo  diede, 
Che  poi  successe  in  man  de'  Tolomeì, 
Tantoché  Cleopatra  ne  fu  erede. 
Dalle  genti  d'  Agrippa  tolto  a  lei 
Kel  mar  leucadio  fu  con  altre  prede; 
In  man  d'  Augusto  e  di  Tiberio  venne, 
E  in  Roma  sino  a  Costantin  si  tenne; 


76 


La  notte  innanzi  avea  Melissa  maga 
D  maritale  albergo  apparecchiato, 
Di  eh'  era  stata  già  gran  tempo  vaga. 
Già  molto  tempo  innanzi  disiato 
Questa  copula  avea  quella  presaga: 
Dell'  avvenir  presaga,  sapea  quanta 
Boutade  uscir  dovea  dalla  lor  pianta. 

77.  Posto  avea  il  genial  letto  fecondo 

In  mezzo  un  padiglione  ampio  e  capace, 

Jl  più  ricco ,  il  più  ornato ,  il  più  giocondo, 

Che  giammai  fosse  o  per  guerra,  o  per  pace, 

O  prima ,  o  dopo  teso  in  tutto  il  mondo. 

E  tolto  ella  1'  avea  dal  lito  trace; 

L'  avea  di  sopra  a  Costantin  levato, 

Ch'  a  diporto  sul  mar  s'  era  attendato. 

78.  Melissa ,  di  consenso  di  Leone, 
O  piuttosto  per  dargli  meraviglia, 
E  mostrargli  dell'  arte  paragone, 

Ch  al  gran  verme  infernal  mette  la  briglia, 
E  che  di  lui,  come  a  lei  par,  dispone, 
E  della  a  Dio  nemica  empia  famiglia, 
Fé'  da  Costantinopoli  a  Parigi 
Portare  il  padiglion  dai  messi  stigi. 

Ttì.     Di  sopra  a  Costantin ,  eh'  avea  1'  impero 
Di  Grecia ,  lo  levò  da  mezzo  giorno, 
Con  le  corde  e  col  fusto ,  e  con  1'  intero 
Guernimento,  eh'  avea  dentro  e  d'  intorno; 
Lo  fé'  portar  per  i'  aria,  e  di  Ruggiero 
Quivi  lo  fece  alloggiamento  adorno. 
Poi ,  finite  le  nozze ,  anco  tornollo 
IVIiracolosamente ,  onde  levoUo. 

80.  Eran  degli  anni  appressochè  due  milia^ 
Che  fu  quel  ricco  padiglion  trapunto. 
Una  donzella  della  terra  d'  llia, 

Ch'  avea  il  furor  profetico  congiunto 
Con  studio  di  gran  tempo  e  con  vigilia. 
Lo  fece  di  sua  man  di  tutto  punto. 
Cassandra  fu  nomata,  ed  al  fratello 
Inclito  Ettór  fece  un  bel  don  di  quello. 

81.  Il  più  cortese  cavalier,  che  mai 
Dovea  del  ceppo  uscir  del  suo  germano, 
(Benché  sapea  dalla  radice  assai. 

Clic  quel  per  molli  rauii  era  lontano) 

Ritratto  avea  nei  bei  ricami  gai 

D'  oro  e  di  varia  seta  di  sua  mano. 

L'  ebbe  ,  mentrechè  visse ,  Ettorre  in  pregio 

Per  chi  lo  fece ,  e  pel  lavoro  egregio. 

82.  Ma  poiché  a  tradimento  ebbe  la  morte, 
E  fu   I  popol  trojan  da'  Greci  affiitto. 
Che  Sinoii  falso  aperse  lor  le  p(»*te, 

E  p(!ggi«)  seguitò ,  che  non  é  scritto, 
Menelao  ebhc  il  padiglione  in  sorte, 
Col  quale  a  ca|>Uar  venne  in  Egitto, 
Ove  al  re  Proteo  lo  lasciò,  se  volse 
La  moglie  aver,  che  quel  tiran  gli  tolse. 


84.      Quel  Costantin  ,  di  cui  doler  si  debbe 
La  bella  Italia ,  finché  giri  il  cielo. 
Costantin,  poiché  '1  Tevere  gì'  increbbe, 
Portò  in  Bisanzio  il  prezioso  velo. 
Da  un  altro  Costantin  Melissa  1'  ebbe. 
Oro  le  corde ,  avorio  era  lo  stelo  ; 
Tutto  trapunto  con  figure  belle, 
Più  che  mai  con  pennel  facesse  Apelle. 

83.     Quivi  le  Grazie  in  abito  giocondo 
Una  regina  ajutavano  al  parto. 
Sì  belio  infante  n'  apparia,  che  '1  mondo 
Kon  ebbe  un  tal  dal   secol  primo  al  quarto» 
\edeasi  Giove  e  Mercurio  facondo. 
Venere  e  Marte,  che  1'  aveano  sparto 
A  man  piene,  e  spargean  d'  eterei  fiori, 
Di  dolce  ambrosia  e  dì  celesti  odori. 

86.  Ippolito ,  diceva  una  scrittura 
Sopra  le  fasce  in  lettere  minute  : 
In  età  poi  più  ferma  la  Ventura 

L'  avea  per  mano,  e  innanzi  era  Virtate. 
Mostrava  nuove  genti  la  pittura 
Con  veste  e  chiome  lunghe ,  che  venute 
A  domandar  da  parte  di  Corvino 
Erano  al  padre  il  tenero  bambino. 

87.  Da  Ercole  partirsi  riverente 
Si  vede,  e  dalla  madre  Leonora, 
E  venir  sul  Danubio ,  ove  la  gente 

Corre  a  vederlo ,  e  come  un  Dio  1'   adora. 
Vedesi  il  re  degli  Ungheri  prudente. 
Che  '1  maturo  sapere  ammira  e  onora 
In  non  matura  età,  tenera  e  molle, 
E .  sopra  tutti  i  suoi  barou  1'  estolle. 

88.  V  è  che  negl'  infantili  e  teneri  anni 
Lo  scettro  di  Strigonia  in  man  gli  pone. 
Sempre  il  fanciullo  se  gli  vede  a'  panni. 
Sia  nel  palagio ,  sia  nel  padiglione. 

O  contra  Turchi,  o  contra  gli  Alemanni 
Quel  re  possente  faccia  espedizione, 
Ippolito  gli  é  appresso,  e  fiso  attende 
A'  magnanimi  gesti,  e  virtù  apprende. 

89.  Quivi  si  vede,  come  il  fior  dispensi 
De'  suoi  primi  anni  in  disciplina  ed  arte. 
Fusco  gli  é  appresso,  che  gli  occulti  sensi 
Chiari  gli  espone  dell'  antiche  carte. 
Questo  schivar,  questo  seguir  conviensi. 
Se  immortai  brami ,  e  glorioso  farte. 
Par  che  gli  dica;  così  avea  ben  finti 

I  gesti  lor,  chi  già  gli  avea  dipinti. 

yO.      Poi  cardinale  appar,  ma  giovinetto, 
Sedere  in  Vaticano  a  concistoro, 
E  con  facondia  aprir  1'  alto  intelletto, 
E  far  di  sé  stupir  tutto  quel  coro. 
Qual  fia  dunque  costui  d'  età  perfetto? 
Parcan  con  maraviglia  dir  tra  loro: 
Oh ,  se  di  l'i<;tro  mai   gli  tocca  il  manto. 
Che  fortunata  età,  che  secol  santo! 


53Ì] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XLVI.  91  —  106) 


!)1.     In  altra  parte  i  liberali  spassi 

Erano,  e  i  giuochi  del  giovane  illustre. 
Or  gli  orsi  affronta  sugli  alpini  sassi  ; 
Ora  in  cinghiali  in  valle  ima  e  palustre  : 
Or  su  un  giannetto  par  che  '1  vento  passi, 
Seguendo  o  caprio,  o  cerva  moltilustre. 
Che,  giunta,  par  che  bipartita  cada 
In  parti  uguali  a  un  sol  colpo  di  spada. 

92.  Di  filosofi  altrove,  e  di  poeti 

Si  vede  in  mezzo  un'  onorata  squadra. 
Quel  gli  dipinge  il  corso  de'  pianeti, 
Questi  la  terra ,  quegli  il  ciel  gli  squadra- 
Questi  meste  elegie ,  quel  versi  lieti , 
Quel  canta  eroici,  o  qualche  oda  leggiadra. 
elusici  ascolta,  e  varj  suoni  altrove; 
]\è  senza  somma  grazia  un  passo  muove. 

93.  In  questa  prima  parte  era  dipinta 
Del  sublime  garzon  la  puerizia. 
Cassandra  1'  altra  avea  tutta  distinta 
Di  gesti  di  prudenza,  di  giustizia, 

Di  valor,  di  modestia,  e  della  quinta, 
Che  tien  con  lor  strettissima  amicizia  ; 
Dico  della  virtù ,  che  dona  e  spende, 
Delle  quai  tutte  illuminato  splende. 

94.  In  questa  parte  il  giovine  si  vede 
Col  duca  sfortunato  degl'  Insubri, 

Ch'  ora  in  pace  a  consiglio  con  lui  siede 
Ora  armato  con  lui  spiega  i  colubri; 
E  sempre  par  d'  una  medesma  lede, 
O  ne'  felici  tempi ,  o  nei  lugubri. 
Nella  fuga  lo  segue,  e  lo  conforta 
Neil'  afilizion,  gli  è  nei  perigli  scorta. 

95.  Si  vede  altrove  a  gran  pensieri  intento 
Per  salute  d'  Alfonso ,  e  di  Ferrara, 
Che  va  cercando  per  strano  arg(»mcnto, 
E  trova ,  e  fa  veder  per  cosa  chiara 
Al  giustissimo  frate  il  tradimento, 
Che  gli  usa  la  famiglia  sua  più  cara; 
E  per  questo  si  fa  del  nome  erede. 
Che  Roma  a  Ciceron  libera  diede. 

96.  Vedesi  altrove  in  arme  rilucente, 
Ch'  ad  ajutar  la  chiesa  in  fretta  corre, 
E  con  tumultuaria  e  poca  gente 

A  un  esercito  instrutto  si  va  opporre; 

E  solo  il  ritrovarsi  egli  presente 

Tanto  agli  ecclesiastici  soccorre. 

Che  '1  foco  estingue  pria  eh'  arder  comince; 

Sicché  può  dir,  che  viene,  e  vede,  e  vince. 

97.  Vedesi  altrove  dalla  patria  riva 
Pugnare  incontra  la  più  torte  armata, 
Che  contra  Turchi ,  «»  eontra  gente  argiva 
Da'  ^'eneziani  mai  fosse  mandata. 

La  rompe  e  vince ,  ed  al  l'ratel  cattiva 
Con  la  gran  preda  1'  ha  tutta  donala; 
INè  per  sé  vedi  altro  serbarci  lui, 
Che  i'  onor  sol,  che  non  può  dare  altrui. 

98.  Le  donne  e  i  cavalier  mirano  fisi, 
Senza  trarne  construtto ,  le  lìgur«r. 
Perchè  non  hanno  appresso  chi  gli  avvisi, 
Clic  tutte  quelle  sien   cose  futiu-e. 
Prcndon  piacere  a  riguardare  i  vi»i 

IJclii  e  luti   latti,  e  legger  le  scritturo; 
Sol  Itraclaniante,  da  >lelis.-.a  instrutta. 
Gode  tra  sé,  che  sa  1'  istoria  tutta. 


[638] 


99.     Ruggiero,  ancorch'  a  par  di  Bradamante 
Non  ne  sia  dotto,  pur  gli  torna  a  mente. 
Che  fra  i  nipoti  suoi  gli  solca  Atlante 
Commendar  questo  Ippolito  sovente. 
Chi  potria  in  versi  appieno  dir  le  tante 
Cortesie,  che  fa  Carlo  ad  ogni  gente? 
Di  varj  giuochi  è  sempre  festa  grande, 
'         E  la  mensa  ognor  piena  di  vivande. 

1(M)      \  edesi  quivi,  chi  è  buon  cavaliero  ; 
Che  vi  son  mille  lance  il  giorno  rotte. 
Fansi  battaglie  a  piedi  ed  a  destriero. 
Altre  accoppiate,  altre  confuse  in  frotte. 
Più  degli  altri  valor  mostra  Ruggiero, 
Che  vince  sempre,  e  giostra,  iTdi  e  la  notte, 
E  cosi  in  danza,  in  lotta,  ed  in  ogni  opra 
Sempre  con  molto  onor  resta  di  sopra. 

101.  L'  ultimo  di,  nell'  ora,  che  'I  solenne 
Convito  era  a  gran  festa  incominciato, 
Che  Carlo  a  man  sinistra  Ruggier  tenne, 
E  Bradaraante  avea  dal  destro  lato. 

Di  verso  la  campagna  in  fretta  venne 
Contra  le  mense  un  cavaliero  armato. 
Tutto  coperto  egli  e  '1  destrier  di  nero. 
Di  gran  persona,  e  di  sembiante  altero. 

102.  Questi  era  il  re  d'  Algier,  che  per  lo  scorno, 
Che  gli  fé'  sopra  il  ponte  la  donzella. 
Giurato  avea  di  non  porsi  arme  intorno. 

Né  stringer  spada,  né  montare  in  sella. 
Finché  non  fosse  un  anno,  un  mese  e  un  giorno 
Stato ,  come  eremita ,  entro  una  cella. 
Così  a  quel  tempo  solean  per  sé  stessi 
Punirsi  i  cavalier  di  tali  eccessi. 

103.  Sebben  di  Carlo  in  questo  mezzo  intese, 
E  del  re,  suo  signore,  ogni  successo; 
Per  non  disdirsi,  non  più  1'  arme  prese. 
Che  se  non  pertenesse  il  fatto  ad  esso. 
Ma  poiché  tutto  1'  anno  e  tutto  '1  mese 
Vede  finito,  e  tutto  '1  giorno  appresso. 

Con  nuove  arme,  e  cavallo,  e  spada,  e  landa 
Alla  corte  or  ne  vien  quivi  di  Francia. 

104.  Senza  smontar,  senza  chinar  la  testa, 
E  senza  segno  alcun  di  riverenza. 
Mostra  Carh»  sprezzar  con  la  sua  gesta, 
E  di  tanti  signor  1'  alta  presenza  ! 
Meraviglioso  e  attonito  ogium  resta. 
Che  si  pigli  costui  tanta  licenza. 
Lasciano  i  cibi  e  lascian  le  parole, 

Per  ascoltar  ciò,  che  'l  guerrier  dir  vuole. 

105.  Poi«;hé  fu  a  Carlo  ed  a  Ruggiero  a  fronte, 
Con  alta  voce  ed  orgoglioso  grido, 

Son,  disse,  il  re  di  Sarza ,  Rodomonte, 
Che  te,  Ruggiero,  alla  battaglia  sfulo; 
E  qui  ti  vo',   piiiuarbè  "1  sol  Iramonte, 
Provar,  che  al   tuo  -igntu-  sei  stato  infido, 
E  che  non  merli,  che  >»i   traditore. 
Fra  questi  cavalieri  ali  un  onore. 

lOG.      Benché  tua  IVI  Ionia  ^1  vegga  aperta. 

Penile  esseiulo  Cristian,  non  puoi  negarla. 

Pur  per  i.irla  iipparcre  anco  più  certa. 

In  questo  campo  veng(»ti  a  provarla  : 

E  M-  pi-rsiina  hai  qui ,  che  l.uiia  ollVrta 

Di  combatter  per  W,  voglio  accettarla. 

Se  non  basta  una,  e  quattro  e  sei  ne  arretto, 

E  a  tutte  manterrò  quel,  eli'  io  t'  ho  detto. 


[639] 


ORLANDO  FURIOSO.     (XLVI.  107—122) 


[640] 


1C7.      Rngj;iero  a  quel  lìarlai-  ritto  levossc, 
E  con  licenza  rispose  <!i  Carlo, 
Clic  mentiva  egli,  e  qualiinqae  altro  fosse, 
Che  tradit<!r  volesse  nominarlo  ; 
Che  sempre  col  suo  re  così  portosse, 
Che  giustamente  alcun  non  può  hia^^marlo, 
E  eh'   era  apparecchiato  a  sostenere, 
Che  verso  lui  fc'  sempre  il  suo  dovere  : 

ICS.      E  eh'  a  c1ifen(]er  la  sua  causa  er'a  atto. 
Senza  torre  in  ajr.to  sno  veruno  ; 
E  che  sperava  di  mostrargli  in  latto, 
Ch'  assai  n'  avrebbe ,  e  forse  troj)po  d'  uno. 
Quivi  Rinaldo,   quivi  Orlando  tratto, 
Quivi  il  marchese,  e  '1  fii^lio  bianco,  e  '{  brttno, 
Diulon ,  IMarfisa,  centra  il  pagau  fiero 
S'  eran  per  la  difesa  di  lluggiero, 

109,      Mostrando,  clv  essendo  egli  nuovo  sposo, 
r^i  n  dovea  conturbar  le  proprie  nozze. 
Ri:ggier  rispose  lor:  State  in  riposo  1 
Che  per  me  foran  queste  scuse  sozze. 
L'  arme,  che  tolse  al  Tartaro  famoso. 
Tennero;  e  fur  tutte  le  lunghe  mozze. 
Gli  sproni  il  conte  Orlando  a  Ruggier  strinse, 
E  Carlo  al  fianco  la  spada  gli  cinse. 

liO.      Eradaraante  e  Blarfisa   la  corazza 

Posta  gli  aveano,  e  tutto  1'  altro  arnese. 
Tenne  Astolfo  il  destrier  di  buona  razza, 
Tenne  la  staffa  il  figlio  del  Danese. 
Fcron   d'  intorno  far  subito  piazza 
Rinaldo,  Namo,  ed  Olivier  marchese. 
Cacciaro  in  fretta  ognun  dello  steccato, 
A  tai  bisogni  sempre  apparecchiato. 

111.  Donne  e  donzelle  con  pallida  faccia 
Timide,  a  guisa  di  colombe,  stanno. 
Che  da'  granosi  paschi  ai  nidi  caccia 
Rabbia  de'  venti ,  che  fremendo  vanno 
Con  tuoni  e  lampi ,  e  '1  nero  aer  minaccia 
Grandine  e  pioggia,    e  a'  campi  strage  e  danno. 
Timide  stanno  per  Ruggier,  che  male 

A  quel  fiero  pagan  lor  pare  uguale. 

112.  Cosi  a  tutta  la  plebe,  e  alla  più  parte 
Dei  <avalieri  e  de'  baron  parea: 

Che  di  memoria  ancor  lor  non  si  parte 

Quel,  che  in  Parigi  il  pagan  fatto  avea. 

Che  solo  a  ferro  e  a  fuoco  una  gran  parta 

K'  avea  distrutta,  e  ancor  vi  rimanea, 

E  rimarrà  per  molti  giorni  il  segno; 

Né  maggior  danno  altronde  ebbe  quel  regno. 

113.  Tremava,  più  eh'  a  tutti  gli  altri,  il  core 
A  Rradamantc:  non  eh'  ella  credesse, 

Che  '1  Saracin  di  forza  e  di  valore. 
Che  vien  dal  cor,  più  di  Ruggier  potesse; 
ISè  che  ragion,  che  spesso  dà  1'  onore, 
A  chi  r  ha  seco,  Rodomonte  avesse: 
Pur  stare  ella  ntui  può  senza  sospetto, 
Che  di  temere,  amando,  ha  degno  effetto. 

114.  Oh  quanto  volentier  sopra  sé  tolta 

1/  iuiprci-a  avria  di  quella  pugna  incerta, 
Anc(ir<'liè  rimaner  di  '\ita  sciolta 
Per  quella  fctsse  stata  più  che  certa! 
Avria  eletto  morir  più  d'  una  volta, 
Se  può  pili  d'  ima  morte  esser  sofferta. 
Piuttosto  che  patir  ,   rlie  '1  suo  consurttt 
Si  puucdbc  a  pcricui  della  morte. 


115. 


IIC, 


UT. 


:118, 


119 


120, 


121 


122 


Ma  non  sa  ritrovar  prego,  che  vaglia, 
Perchè  Ruggiero  a  lei  1'  impresa  lassi. 
A  riguardare  adunque  la  battaglia 
Con  mesto  viso ,  e  cor  tepido  stassi. 
Quinci  Ruggier,  quindi  il  pagan  si  scaglia, 
E  vengonsi  a  trovar  co'  ferri  bassi. 
Le  lance  all'  incontrar  parver  di  gelo, 

I  tronchi  augelli  a  salir  verso  il  cielo. 

La  lancia  del  pagan ,  che  venne  a  corre  ' 

Lo  scudo  a  mezzo,  fé'  debole  effetto; 
'l'auto  r  acciar,  che  poi  famoso  Ettorre 
T«!mprato  avea  Vulcano,  era  perfetto! 
Ruggier  la  lancia  parimente  a  ])orre 
Gli  auilò  allo  scudo,  e  glielo  passò  netto, 
Tuttoché  fosse  appresso  un  paini o  grosso, 
Dentro  e  di  fuor  d'  acciaro,  e  in  mezzo  d'  osso. 

E  se  non  che  la  lancia  non  sostenne  j 

II  grave  scontro,  e  mancò  al  primo  assalto,        [ 
E  rotta  in  schegge  e  in  tronchi,  aver  le  penne 
Parve  per  1'  aria,  tanto  volò  in  alto, 
L'  usbergo  apria,  sì  furiosa  venne,        . 
Se  fosse  stato  adamantino  smalto, 
E  finia  la  battaglia:  ma  si  ruppe. 
Posero  in  terra  ambi  i  destrier  le  groppe. 

Con  briglia  e  sproni  i  cavalieri  instando 
Risalir  feron  subito  i  destrieri, 
E  donde  gittàr  1'  aste ,  preso  il  brando, 
Si  tornaro  a  ferir   crudeli  e  fieri. 
Di  qua,  di  là  con  maestria  girando 
Gli  animosi  cavalli,  atti  e  leggieri. 
Con  le  pungenti  spade  incominciaro 
A  tentar,  dove  il  ferro  era  più  raro. 

,     Non  si  trovò  Io  scoglio  del  serpente. 
Che  fu  sì  duro ,  al  petto  Rodomonte, 
]\è  di  Nembrotte  la  spada  tagliente, 
Né  'I  solito  elmo  ebbe  quel  di  alla  fronte; 
Clìè  r  usate  arme,  quando  fu  perdente 
Contra  la  donna  di  Dordona  al  ponte, 
Lasciato  avea  sospese  ai  sacri  marmi. 
Come  di  sopra  avervi  detto  parmi. 

Egli  avea  un'  altra  assai  buona  armatura, 
Non  com'  era  la  piuma  già  perfetta: 
Ma  uè  questa,  nò  quella ,  né  più  dura 
A  Balisarda  si  sarebbe  retta; 
A  cui  non  osta  incanto ,  né  fattura. 
Né  finezza  d'  acciar,  né  tempra  eletta. 
Ruggier  di  qua,  di  là  sì  ben  lavora, 
Cli'  al  pagau  I'  arme  in  più  d'  un  loco  fora. 

,     Quando  si  vide  in  tante  parti  rosse 
Il  pagan  1'  arme,  e  non  poter  schivare. 
Che  la  più  parte  di  quelle  percosse 
Non  gli  andasse  la  carne  a  ritrovare, 
A  maggior  rabbia ,  a  |)iù  furor  si  mosse, 
C^h'  a  mezzo  il  verno  il  tempestoso  mare. 
Getta  lo  scudo,  e  a  tutto  suo  potere 
Suir  elmo  di  Ruggiero  a  due  man  fere. 

Con  queir  estrema  forza,  che  percuote 
La  macchina,  che  in  Po  sta  su  due  navi, 
E  levata  con  uomini  e  con  ruote. 
Cader  si  lascia  sulle  aguzze  travi. 
Fere  il  pagan  Ruggier,  quanto  più  puots 
Cini  ambe  man ,  sopra  ogni  peso  gravi. 
Giova  l'  elmo  incantato;  che  senza  esso 
Lui  col  cavallo  avria  in  uu  colpo  fesso. 


341] 


ORLANDO    FURIOSO.     (XLVl.  123-138) 


23.  Riijrgiero  andò  clue  volte  a  capo  chino, 
E  per  cadere  e  braccia  e  gambe  aperse. 
Raddoppia  il  fiero  colpo  il  Saracino, 

Che  quel  non  abbia  tempo  a  riaverse. 
Poi  vien  col  terzo  ancor:  ma  il  brando  fino 
Sì  lungo  martellar  più  non  sofferse, 
Che  volò  in  pezzi ,  ed  al  criidel  pagano 
Disarmata  lasciò  di  sé  la  mano. 

24.  Rodomonte  per  questo  non  s'  arresta, 
Ma  s'  avventa  a  Ruggier,  che  nulla  sente; 
In  tal  modo  intronata  avea  la  testa, 

In  tal  modo  offuscata  avea  la  mente! 
Ma  ben  dal  sonno  il  Saracin  lo  desta: 
j       Gli  cinge  il  collo  col  braccio  possente, 
E  con  tal  nodo  e  tanta  forza  afferra, 
Che  dell'  arcion  Io  svelle,  e  caccia  in  terra. 

25.  \on  fu  in  terra  si  tosto ,  che  risorse. 
Via  più,  che  d'  ira,  di  vergogna  pieno, 
Perocché  a  Bradamante  gli  occhj  torse, 
E  turbar  vide  il  bel  viso  sereno. 

Ella,  al  cader  di  lui,  rimase  in  forse, 
E  fu  la  vita  sua  per  venir  meno. 
Ruggiero,  ad  emendar  tosto  quell'  onta, 
Stiinge  la  spada,  e  col  pagan  s'  affronta. 

20.      Quel  gli  urta  il  destrier  conti-a;  ma  Ruggiero 
Lo  scansa  accortamente,  e  si  ritira, 
E  nel  passare,  al  fren  piglia  il  destriero 
Con  la  man  manca ,  e  intorno  lo  raggira, 
E  con  la  destra  intanto  al  cavaliero 
Ferire  il  fianco,  o  il  ventre,  o  il  petto  mira; 
E  di  due  punte  fé'  sentirgli  angoscia, 
L'  una  nel  fianco,  e  1'  altra  nella  coscia. 

27.      Rodomonte,  eh'  in  mano  ancor  tenea 
Il  pomo  e  r  elsa  della  spada  rotta, 
Ruggier  suir  elmo  in  guisa  percuotea, 
Che  lo  potea  stordire  all'  altra  botta. 
Ma  Ruggier,  che  a  ragion  vincer  dovea. 
Gli  prese  il  braccio ,  e  tirò  tanto  allotta. 
Aggiungendo  alla  destra  l'  altra  mano. 
Che  fuor  di  sella  alfin  trasse  il  pagano. 

128.  Sua  forza,  o  sua  destrezza  vuol,  che  cada 
Il  pagan  sì ,  che  a  Ruggier  resti  al  paro. 

Vo'  dir,  ('he  cadde  in   jiié,  clic  i)er  la  spada 
Ruggiero  averne  il  meglio  giiulicaro. 
Ruggier  cen;a  il  pagan  tenere  a   bada 
Lungi  da  sé,  né  d'  accostarsi  ha  caro. 
Per  lui  non  fa  lasciar  venir.^i  addopbo 
IJn  corpo  così  grande,  e  così  grosso. 

129.  E  insanguinargli  pur  tuttavia  i  fianco 
Vede ,  e  la  «;oscia ,  e  1"  altie  sue  ferite. 

Spera,    che  v«mga  a  poco  a  poco  manco,  j 

Sicché  alfin  gli  abbia  a  dar  %inta   la  lite.  | 

L'  elsa  e   '1  pomo  a>ca  in    mano  il    pugan  anco,  . 
E  con  tutte  le  forze  insieme  unite  ( 

Da  se  scaglioni,  v  sì    Uiigf>ier  percosse,  i 

(Jlie  stordito   ne  fu,  più  <  he  mai  fosse. 

130.  \ella  guancia  dell'  elmo  e  nella  spalla 
l'ii  Knggier  collo;  e  ■^ì  «|iu'l  <;ol|)(i  sente, 
Clic  lutto  ne  vacilla  e  ne  traballa, 
i;  ritto  si  sostien  diflìciliiietite. 
Il  pagan  >uoi  entrar,  ma  il  pie  gli  falla. 
Clic  per  la  coseia  nnV-sii  era  iiii|Mitente; 
K  I  voUivi  alVretlar  pia  del  potere. 
Con  un  ginocchio  in  lena  il  la  cadere. 


[642] 


131.  Ruggier  non  perde  il  tempo ,  e  di  grande  urto 
Lo  percuote  nel  petto  e  nella  faccia 

E  sopra  gli  martella,  e  tien  si  curto, 
Che  con  la  mano  in  terra  anche  lo  caccia. 

j  IMa  tanto  fa  il  pagan ,  eh'  egli  é  risorto. 

j  Si   stringe  con   Ruggier,   sicché  F  abbraccia. 

I  L'  uno  e  1'  altro  s'  aggira,  e  scuote,  e  preme 

'■         Arte  aggiungendo  alle  sue  forze  estreme. 

132.  Di  forza  a  Rodomonte  una  gran  parte 
La  coscia  e  '1  fianco  aperto  aveano  tolto. 

I  Ruggiero  avea  destrezza,  avea  grand'  arte, 

Era  alla  lotta  esercitato  molto. 
j  Sente  il  vantaggio  suo ,  né  se  ne  parte  ; 

E  donde  il  sangue  uscir  vede  più  sciolto, 
!  E  dove  più  ferito  il  pagan  vede, 

I  Fon  braccia  e  petto ,  e  1'  uno  e  1'  altro  piede. 

,  133.      Rodomonte,  pien  d'  ira  e  di  dispetto 

i  Ruggier  nel  collo  e  nelle  spalle  prende; 

Or  lo  tira,  or  lo  spinge,  or  sopra  il  petto 

I  Sollevato  da  terra  lo  sospende; 

.         Quinci  e  quindi  lo  ruota,  e  lo  tien  stretto, 

i  E  per  farlo  cader  molto  contende. 

Ruggier  sta  in  sé  raccolto  ,  e  mette  in  opra 
Senno  e  valor,  per  rimaner  di  sopra. 

13§.      Tanto  le  prese  andò  mutando  il  franco 
E  buon  Ruggier,  che  Rodomonte  cinse; 
Calcogli  il  petto  sul  sinistro  fianco, 
E  con  tutta  sua  forza  ivi  lo  strinse. 
La  gamba  destra  a  un  tempo  innanzi  al  manco 
Ginocchio  e  all'  altro  attraversogli ,  e  spinse, 
E  dalla  terra  in  alto  sollevollo, 
E  con  la  testa  in  giù  steso  tornello. 

135.  Del  capo  e  delle  schiene  Rodomonte 
La  terra  impresse;  e  tal  fu  la  percossa. 
Che  dalle  piaghe  sue,  come  da  fonte. 
Lungi  andò  il  sangue  a  far  la  terra  rossa. 
Ruggier ,  eh'  ha  la  fortima  per  la  fronte. 
Perché  levar.«i  il  Saracin  non  possa, 

L'  una  man  col  pugnai  gli  ha  s«>pra  gli  occhj, 
L'  altra  alla  gola,  al  ventre  gli  ha  i  ginocchj. 

136.  Come  talvolta,  ove  si  cava  1'  oro, 
Là  tra'  Pannoni,  o  nelle  mine  ibére. 
Se  improvvisa  mina  su  coloro, 

j  Che  vi  condusse  empia  avarizia,  fere, 

Ke  restano  sì  oppressi ,  che  può  il  loro 

!  Spirto  appena,  onde  uscire,  adito  avere: 

Così  fu  il  Saracin  non  meno  oppresso 
Dal  vincitor ,  tostoché  in  terra  mi-sso. 

137.  Alla  vista  dell'  elmo  gli  appresenta 

La  punta  del   pugnai,  eh'  a>ea  già  tratto, 

E  che  fi   renda  iiiinaeeiando  tentiv, 

E  di   lax'iarlo  aì\o  gli  fa  pa(tt). 

Ma  (luel ,  che  ili  morir  manco  paventa. 

Che  di  mostrar  ^  iliade  a  un  niininio  at(o. 

Si  torce  e  scuote,  e  per  por  lui  di  sotto 

I\Iette  ogni  t-uo  vigor,  uè  gli  la  motto; 

138.  ('onie    mastin  ^otlo  il  feroce  alano, 
Clu!  fìs>i  i  denti  nella  gola  gli  abbia, 
I\Iolto  s'  alViiiMia,  e  ^i  dibalte  invano 
Con  occhj  ardenti,  e  con  i-pumosc  labbia, 
E  non   può  u>eire  al  predator  di  mano, 
Clic  vince  di  \igor,  non  già  di  rabbia: 
Cosi  falla  al  paglino  ogni  pen>ieio 

D'  Upcir  di  sotto  al  vincitor  Ituirgiero 

41 


[643] 


ORLANDO  FURIOSO.      (XLVl.  139-140) 


[644] 


159.      Pur  si  torce  e  dibatte,  sicché  viene 
Ad  espedirsi  col  braccio  migliore; 
E  con  la  destra  man,  che  '1  pugnai  tiene. 
Che  trasse  anch'  egli  in  quel  contrasto  fuore, 
Tenta  ferir  Ruggier  sotto  le  rene  : 
Ma  il  giovane  s'  accorse  dell'^  errore, 
In  che  potea  cader,  per  differire 
Di  far  quell'  empio  Saracin  morire. 


140.      E  due  e  tre  volte  ncU'  orrlhil  fronte. 
Alzando  più  che  alzar  si  possa  il  braccio. 
Il  ferro  del  pugnale  a  Rodomonte 
Tutto  nascose,  e  si  levò  d'  impaccio. 
Alle  squallide  ripe  d'  Acheronte 
Sciolta  dal  corpo ,  più  freddo  che  ghiaccio. 
Bestemmiando  fuggì  1'  alma  sdegnosa, 
Che  fu  6J  altera  al  mondo,  e  gì  orgogliosa. 


1 


FINE. 


TASSO. 


9. 


« 


SAGGIO   SOVRA    LA    VITA    E   GLI   SCRITTI 


D    l 


T  0  U  Q  U  A  T  O      1   A  S  S  O. 


vca  fedelmente  prestali  a  Ferrante  Sanseverino, 
rincipe  di  Salerno,  s'  ammogliò  con  Porzia  de' 
vossi,  gentildonna  napoletana,  giovinetta  bel- 
issima.  Disgustato  delle  pompe  di  corte,  volle 
j  tu  arsi  in  luogo  remoto  e  godervi  d'  una  vita 
runquilla  e  d'  ozio  libero  con  Porzia,  la  quale 
l;1ì  amava  quanto  la  luce  degli  ocelli  suoi,  ai- 
re Ltanto  amato  da  lei.  Laonde  elesse  per  abl- 
azione Sorrento,  città  da  Napoli  poco  lontana, 
anLo  piacevole  e  deliziosa,  che  i  poeti  fìnsero 
ssere  stata  albergo  delle  sirene;  deliziosa  non 
i  quelle  delizie,  clie  sogliono  gli  animi  nostri 
le'  vizj  e  nelle  voluttà  allettare ,  ma  di  quelle, 
he  alla  salute  e  a'  piaceri  deli'  animo  e  del 
orpo  insieme  sono  convenevoli. 

Quivi  Bernardo ,  lasciate  tutte  le  cure,  si 
licde  con  tranquillissimo  animo  a  comporre  il 
uo  Amadigi,  poema  in  lingua  italiana;  e 
'orzia  in  mezzo  agli  studj  poetici  del  marito, 
iella  maggior  contentezza  domestica,  e  tra  gli 
nflussi  favorevoli  di  quel  purissimo  cielo,  rimase 
|ravida  di  Torquato  Tasso. 

Nacque  egli  adunque  in  Sorrento  1'  anno 
1644.  agli  11  di  marzo  sul  punto,  che  il  sole  si 
rovava  nel  più  alto  meriggio. 

Il  padre  non  potò  trovarsi  presente  alla  nas- 
ata, essendogli  convenuto  seguitare  il  principe 
li  Salerno,  suo  signore,  generale  della  fanteria 
taliana  nella  guerra  del  Picmonlc,  che  appunto 
prosi  accesa  nel  j)rincipio  di  questo  anno  tra 
l'imperatoreCarlo  V.  e  Francesco  1.  re  di  Francia, 
finita  poi  la  guerra  gli  riuscì  di  ritirarsi  di 
nuovo,  e  di  rendersi  alle  muse  calla  sua  cara 
Famiglia.  Ma  qucst'  ozio  fu  di  tempo  pur  Irop- 
[50  breve. 

JNt'l  1547.  accadde  quella  sollevazione  di  Na- 
poli conln»  il  viccri;  Don  Pietro  di  Toledo,  dio 
voleva  stabilirvi  V  inquisizione.  11  princi])C  ac- 
■ellò  ujia  ambasceria  de'  sollevali  presso  1'  im- 
peratore, confortatovi  particolarmente  da  licr- 


3ernardo  Tasso,  di  patria  Bergamasco,  celebre  j  nardo.  Fa  questo  incarico  funestissimo  alpriii- 
l'oeta,  uomo  di  eccellenti  virtù,  vedendosi  assai  jcipe;  perciocché  egli  connobbe  d'  aver  con  esso 
'giato  di  beni  di   fortuna,  per  li  servigi,  che | incorso  lo  sdegno   dell'imperatore,  e  temendo 

di  peggio,  gittossi  nel  partito  del  re  di  Francia, 
dichiarato  perciò  ribello  e  spogliato  di  tutti  i 
suoi  beni. 

Il  Tasso,  avendo  egli  servito  22  anni  il  prin- 
cipe nella  prospera  fortuna,  volle  essere  anche 
neir  avversa  fedele  al  padrone,  e  scguillo  in 
Francia,  condannato  anch'  esso  per  ribello ,  e 
confiscate  le  robe  sue. 

Porzia  frattanto  attese  all'  educazione  di  Tor- 
quato. Stabilitasi  ella  in  Napoli, l'imnò  alle  scuole 
de^  Gesuiti,  dove  entrato  nel  settimo  anno  di  sua 
età,  vi  fece  sì  rapidi  progressi,  che  tre  anni  ap- 
presso potè  recitare  pubblicamente  orazioni  e 
versi  da  sé  composti. 

Nel  1554  ritornò  Bernardo  da  Parigi  a  Roma, 
per  cavare  la  sua  sventurata  famiglia  dal  regno  di 
Napoli.  Ma  per  gagliardi  impedimenti,  frap- 
postivi dall'  avarizia  e  dalla  malignità  de'  co- 
gnati, non  gli  riuscì  di  rivedere  ed  avere  seco  la 
sua  Porzia;  onde  nojato  della  fastidiosa  solitu- 
dine, in  cui  si  trovava,  diede  ordine,  che 
intanto  se  ne  venisse  il  figliuolo;  il  quale  nello 
stesso  anno,  con  infinito  dolore  suo  e  della  madide, 
pertossi  a  lloma. 

Ecco  come  Torquato  parecchi  anni  dappoi 
in  una  canzone  non  finita,  ove  prese  a  ram- 
mentare le  sue  sciagure,  descrive  la  sua  parlila, 
così  dicendo; 

Me  dal  ecn  della  madre  empia  fortuna 
Pargoletto  divclsc  ;  ah  di  ijiic'  baci, 
Ch'  «Ila  bagnò  ili  lagrime  dolenti, 
Con  biot^pir  mi  riineiiibra,  e  degli  ardenti 
Pregili,  che  scn  portar  I'  aure  fngur.i, 
Ch'  io  non  dovca  giunger  più  aoUu  a  volto 

Tra  quelle  braccia  accolto 
Con  nodi  co^ì  Mtrctti  e  sì  tenaci. 
liiisx)!   V  Hegnii  con  mal  eiciirc  piante, 
(pillile  A^ranio  u  Camilla,  il  padre  errante. 

Per  la  sollecitudine  del  padre  e  d' un  valente 


IV 


SAGGIO  SOVRA  IL  TASSO. 


niaestio,     attese   in   lloma   priiicipalineule  allo 
studio  delle  lingue  greca  e  latina. 

Giunse  poi  nel  1556  a  Bernardo  improvvi- 
samente la  dolorosa  novella  della  morte  di  Por- 
zia, la  quale,  non  potendo  più  resistere  ai  dis- 
piaceri, che  1'  erano  l'atti  da^  suoi  parenti,  nò 
tollerare  più  lungan)ente  il  desiderio  di  rivedere 
il  marito  e  il  suo  Torquato ,  eia  stata  sorpresa 
da  un  accidente^  che  in  poche  ore  l'aveva  tolta 
di  vita.  Ed  i  fjatclli  di  lei,  in  vece  di  sostenere 
e  difendere  l'innocenza  del  nipote,  mossero  lite 
per  escludere  Torquato  dall'  eredità  materna, 
allegando,  che  per  essersi  portato  a  Uoma  pres- 
so del  padre,  era  anch'  egli  caduto  nella  pena 
di  ribellione;  sicché  Torquato,  litigandone  insin 
che  visse,  mai  ottenne  cosa  alcuna. 

Il  bel  giovinetto,  benché  ancor  sì  tenero 
provasse  le  avversità  della  fortuna ,  continuò 
nondimeno  i  suoi  studj ,  circa  sei  mesi  in  Ber- 
gamo; due  intieri  anni  parte  in  Urbino  e  parte 
in  Pesaro  ,  applicandosi  particolarmente  al  Gre- 
co, alle  matematiche  ed  alle  arti  cavalleresche 
sotto  la  direzione  di  uomini  molto  illustri;  e 
poi  in  Venezia,  ove  facendo  grande  studio  sopra 
i  tre  padri  della  letteratura  italiana.  Dante,  Pe- 
trarca, e  Boccaccio,  si  rese  esercitato  nella  lin- 
gua volgare;  al  che  non  poco  gli  servì  il  rian- 
dare, ch'ei  faceva,  e  copiare  le  cose  del  padre. 

Nel  novembre  del  1560,  passando  di  poco 
Panno  sedicesimo  della  sua  età,  pienamente 
istruito  in  tutte  le  parti  dell'  amena  letteratura, 
cominciò  a  frequentare  lo  studio  di  Padova  ;  e 
volendo  secondare  le  premure  del  padre,  si  diede 
ad  intervenire  con  tutto  l'impegno  e  con  la  mag 
giore  assiduità  alle  lezioni  del  diritto  civile.  JNla 
il  genio  di  Torquato ,  che  alla  poesia  sovra  ad 
ogni  altra  cosa  l'inchinava,  non  vi  si  potè  per 
modo  veruno  adattare;  onde  di  nascosto  del 
padre  attendeva  a  coltivare  privatamente  i  suoi 
studj  geniali,  leggendo  e  scrivendo  sempre  al- 
cuna cosa;  simile  anche  in  questa  renitenza 
provocata  quasi  dalla  natura,  a  l'in  di  destar  e 
confortar  le  forze,  ad  altri  grandissimi  poeti, 
come  Ovidio,  il  Petrarca,  e  l'Ariosto,  i  quali 
incorsero  perciò  lo  sdegno  e  la  mala  soddisfa- 
zione de'  loro  genitori.  Frutto  di  questa  furtiva 
applicazione  fu  il  bel  poemetto  del  Rinaldo, 
c\\'  egli  compose  nel  1561,  in  tempo  che  il  j)a- 
dre  lo  credeva  lutto  dedito  allo  studio  delle  leg- 
gi. Ebbe  questo  poema  grandissinio  applauso; 
e  la  fama  del  Tarsino  —  che  così  allora  lo  chia- 
mavano a  distinzione  del  padre  —  presto  si 
sparse  per  tutta  Italia. 

Nel  1562   ])assi)  in  Bologna,   colà  chiamato 
dal  vicclegalo  Pier  Domenico  Cesi,    protettore 


splendido  de'  buoni  studj.  Ma  nel  1564,  per 
qualche  torto  ricevuto,  tornò  a  Padova,  invi- 
tato da  Scipione  Gonzaga,  e  sotto  nome  di  Perir- 
titu  fu  uno  de'  più  illustri  accademici  eterei,  de' 
quali  era  stato  istituloi'e  il  detto  Scipione. 

Egli  frattanto  avea  già  pubblicato  in  Venezia 
il  suo  Rinaldo  dedicato  al  cardinal  Luigi  da 
Este,  fratello  del  duca  Alfonso  II.;  la  qual  de- 
dica il  rendette  carissimo  a  quel  gran  cardinale, 
che  lo  chiamò  alla  corte  di  Ferrara. 

Giunse  adunque  il  Tasso  a  Fei'rara  il  dì  ul- 
timo d'ottobre  del  1565.  Egli  fu  accolto  con 
molta  amoi'evolezza ,  e  mantenuto  splendida- 
mente, assegnategli  stanze,  e  ogni  altra  cosa  al 
vivere  necessaria,  sicché  potesse  con  più  ozio 
coltivare  gli  studj,  e  avanzare  il  gran  poema 
della  Geru'ialemine  liberala ,  a  cui  egli  avea  da 
due  anni  già  posta  mano. 

Dopo  breve  dimora  in  Fcri'ara  gli  riuscì  d'in- 
sinuarsi nella  grazia  di  madama  Lucrezia  da  Este, 
e  per  mezzo  di  lei  anche  in  quella  di  madama 
Leonora,   sua  sorella.    Erano  queste  principesse 
bellissime  della  persona,  e  di  così  leggiadre  ma- 
niere, che  solean  desiare  annnirazione  in  chiun- 
que le  riguardasse.     La  madre,  che  fu  Renata, 
figliuola  di  Lodovico  XII,  re  di  Francia,   donna 
di  grandissimo  spirito,  avea  avuto  la  cura  di  far 
loro  apprendere  sin  da'  più  teneri  anni  le  buone 
lettere,  la  poesia,  la  musica,  ed  ogni  alti'a  no 
bile  disciplina,  che  ad  alta  e  real  donna  si  pò 
tesse   convenire;    sicché,    essendo  elle  ottima- 
mente istruite,   e  oltre  a  ciò  fornite  di  un  felici 
giudizio  e  d'un  delicato  e  finissimo  gusto,  parti 
colarmente    nelle  cose  italiane,    si    diletiavan< 
perciò  grandemente  della  compagnia  degli   uo- 
mini scienziati;  e  questi  solcano  elleno  pregiar 
e  favorire  più  d'ogni  altra  condizion  di  persone 
Per  tale  motivo  acquistò  il  Tasso  agevolment 
la  grazia  e  il  favore  di  queste  principesse;  e  se 
condo  eh'   egli  medesimo    lasciò   scritto  in  un 
lettera,  la  grazia  di  madama  Lucrezia  si  fece  in 
contro  alla  sua  servitù,  e  gli  diede  quell'  ardiri 
eh'  ci  non  avrebbe  preso  da  sé  stesso  ;  ed  acca 
rezzandolo  più  d'  alcun  altro  servitore,  non  g 
fu  data  mai  ripulsa  nell'  entrare  da  lei,   o  ii' 
supplicare,  anzi  non  gli  si  mostrò   men  faci 
nella  concesslou  delle  grazie,  che  nell'  anime! 
teiio  sempre  eh'  ei  volle  alla  sua  presenza. 

Ne  minor  ventura  ebbe  Torquato  presso  in; 
dama  Leonora,  dalla  quale  essendo  stato  iiitn 
dotto  subito  ch'ella  cominciò  a  riaversi  da  ui 
lunga  indisposizione,  questa  rara  principess, 
che  faceva  già  molla  stima  di  lui,  per  aver  ioli 
il  Rinaldo  ed  altre  sue  leggiadre  composizioi, 
si   compiacque    di    accoglierlo    con    incrcdib  ì 


SAGGIO  SOVRA  IL  TASSO. 


manìtà  e  cortesia,  dando  segno  insin  da  quel- 
ora  divederlo  assai  volentieri,  e  di  jorendere 
laraviglioso  diletto  de'  suoi  dotti  e  sensati  ra- 
ionamenti.  Dall'  altro  lato  anche  il  Tasso  in 
uella  bellissima  canzone,  che  comincia: 
Mentre  che  a  venerar  movon  le  genti, 
onfessa ,  die  al  vedere  la  pi-inia  volta  madama 
eonora,  egli  ne  provò  tale  e  così  gagliarda  im- 
ressione,  che,  se  non  era  la  somma  disuguagli- 
nza,  che  passava  tra  loro ,  egli  correa  pericolo 
i  restarne  perdutamente  invaghilo. 

Col  favore  di  queste  due  principesse  fugli  in 
reve  aperto  l'adito  anche  alla  grazia  del  duca 
.Ifonso  li,  il  quale,  conosciutele  rare  qualità  di 
uesto  giovane  cavaliere,  e  saputo,  ch'egli  sta- 
a  componendo  un  poema  sopra  la  conquista  di 
rerusaiemme,  prese  a  ben  volergli.  Ciò  fu  poi 
agione,  che  il  Tasso  si  risolvesse  d'indirizzare 
suo  poema  a  questo  principe,  e  d'introdurvi 
.inaldo  per  uno  de' principali  campioni  di  quella 
npresa ,  per  così  aver  campo  di  celebrare  la 
asa  estense.  Ed  ora  incoraggito  dal  favore  del 
uca ,  e  molto  più  dal  compiacimento ,  che  ne 
lostravano  le  due  principesse,  alle  quali  soleva 
ecitare  i  suoi  versi ,  diede  iiato  alla  sua  tromba 
en  d'altro  tono,  che  non  avea  fatto  dapiincipio. 
Non  lasciava  per  questo  di  scrivere  nel  tcm- 
o  medesimo  anche  de'  componimenti  lirici, 
ualora  principalmente  gli  si  preseiitasse  qual- 
he  occasione  di  contestare  alle  principesse  la 
lima  e  la  jnciaviglia,  che  sentiva  per  loro; 
ome  quando  fu  vietato  da'  medici  a  madama 
iConora  il  cantare,  che  fece  quel  bellissimo  so- 
dio, che  incomincia: 

Aliì  bene  è  reo  destin  ctc. 

quando  vide  madama  Lucrezia  diportarsi  nelle 

uè  stanze  ricamando  con  ingegnoso  artillcio  un 

nissimo  drappo;  nel  quale  incontro  scrisse  quello 

Uro  non  mcu  leggiadro  sonetto,  che  principia: 

Oh  Iiclla  man,  che  nel  felice  giorno  — 
t  finalmente  quando,   trovandosi  la  principessa 
ncoiiiodala  d'una  ilussion  d'occhi,  egli  si  pose 
.  dcploiarc  non  jneno  la  di  lei  informità,   che  il 
ìroprio  danno,   come  in  <[ucl  sonetto: 

I  ciliari  hinii,  onde  il  (li\in(>  amore  — 
Mentre  le  principesse  impiegavano  a  favor 
li  Torcpialo  diversi  buoni  ollicj,  piocuranilugli 
'ie  pili  comodi,  pose  egli  molla  cura  nel  catti- 
ar.si  raiiimo  degli  altri  cortigiani,  cui  da  priii- 
•ipio  appena  avcu  potuto  vedere:  ma  sopra  lutto 
i  studio  d"ac<|UÌ8tarc  la  benevolenza  di  lìcnc- 
letto  Manzuoli,  scgrctaiio  favoritissimo  del  car- 
linalc  Luigi,  l'resc  inoltre  domcsliclu/.za  con 
•*aij   Icllcrali,    che  allora  ilorivanu  in  Ferrara, 


come  con  Giovambattista  Pigna  e  Antonio  Mon- 
tecatino. 

Era  allora  in  Fen'ara  una  gentildonna ,  chia- 
mata Lucrezia  Bendidio ,  giovane  di  singolare 
bellezza,  di  vivacissimo  spirito,  e  di  meravi- 
glioso valore,  e  lodata  perciò  da  molti  illustri 
scrittori  del  suo  secolo.  11  Tasso,  forse  per  es- 
primere nascosamente  sotto  questo  nome  un 
altro  amore ,  si  pose  a  celebrarla  ardentemente, 
come  in  quel  sonetto  : 

Tu,  che  in  forma  di  dea  vera  sirena  — 
Trovò  in  questo  amoroso  alTare  un  rivale  assai 
potente,  che  fu  Giovambattista  Pigna,  segretario 
del  duca,  il  quale,  avendo  anch'  esso  preso  a 
corteggiare  questa  dama,  s'era  posto  altresì  a  lo- 
darla co'  suoi  versi,  inferiori  di  spirito  e  di  bel- 
lezza a  que'  di  Torquato,  ma  che  per  la  grazia 
e  per  l'autorità,  oud'egli  prevaleva  alla  corte, 
doveano  senza  dubbio  riuscire,  se  non  più  gi-a- 
diti,  almeno  più  stimali  di  quelli  del  nostro  poe- 
ta ,  solendo  gli  animi  donneschi  per  lo  più  sa- 
crificare  il  proprio  genio  alla  vanità  e  all'  ambi- 
zione. 

Intanto  madama  Leonoi'a,  che  da  un  lato 
s'avvide  della  passion  del  Tasso,  e  dall'  altro 
conosceva  troppo  bene  l'indole  ambiziosa  del 
Pigna,  per  ovviare  a  qualunque  inconveniente, 
con  un  sottile  avvedimento  fece  in  guisa ,  che  i 
due  rivali  furono  tra  di  loro  leggermente  d'ac- 
cordo. E  il  jnodo  fu,  che  Toi-quato  si  diede  ad 
illustrare  con  dottissime  considerazioni  alcune 
canzoni  fatte  dal  suo  antagonista  su  questo  ar- 
gomento, dedicando  poi  colali  sue  fatiche  a 
madama  Leonora  medesima.  La  signora  Bendi- 
dio per  altro  lo  mirò  sempre  di  buon  occliio, 
anche  dajipoichè  maritala  ad  un  cavaliere  di 
casa  3Iacchiavelli  fu  divenuta  una  delle  più  ri- 
guardevoli  matrone  della  corte. 

Intanto  Torquato,  in  mezzo  a  colali  studj 
poetici  e  amorosi,  ebbe  notizia,  che  Bernardo 
suo  padre  giaceva  infermo  gravemente  ad  Ostia 
sul  Po,  dove  era  go^■ernalorc  per  lo  duca  di 
Mantova.  Onde  non  mancò  di  accorrere  subita- 
mente, a  line  di  prestargli  qucU'  assistenza,  che 
gli  si  doveva  da  un  unico  e  cosi  all'ezionato  fi- 
gliuolo. Egli  trovò  quel  buon  vcccliio  in  istato 
assai  deplorabile,  e  molto  abbattuto  di  forze:  ma 
sopra  tulio  trovò  la  casa  in  grandissimo  disor- 
ilinc,  poiché,  essendo  solo  ed  infermo,  era  stato 
rubalo  grossamente  da'  servitori.  Era  non  molli 
giorni,  cioè  alli  4  di  seltenibrc  del  1569  suc- 
cesse la  morte  di  Uernardo  con  grandissimo  cor- 
doglio di  Tor(jualo.  Gli  sopravenne  perciò  una 
fastidiosa  malattia,  dalia  (piale  a])pena  riavuto- 
si ,  se  ne  ritornò  tulio  dolente  a  Ferrara. 


VI 


SAGGIO  SOVRA  IL  TASSO. 


Nel  verno  del  1570  si  concbiuse  il  maritag- 

{^io  di  madama  Lucrezia  col  principe  d'Urbino, 

l'rancesco  Maria  della  Rovere.    Dopo  la  partenza 

della  principessa  si  diede  il  Tasso  a  corteggiare 

con  maggiore  assiduità  madama  Leonora,    che 

era  bellissima  e  gentile  oltre  modo,    altrettanto 

schiva  e  riserbata;  onde  abborrendo  le  compar- 
se pubbliche  ed  ogni  vanità  ed   abbigliamento 

donnesco,  se  ne  stava  per  lo  più  ritirata  nelle 

sue  camere,    e  godeva  soltanto   d'  attendere  a^ 

suoi  studj ,  e  di  pascere  talvolta  la  niente  de' 

savj  e  dotti  ragionamenti  degli  uomini  letterati. 
Per  questa  cagione  ella  vedeva  molto  volentieri 
il  Tasso  ,  e  per  la  stima ,  che  faceva  del  suo  ec- 
cellente ingegno  e  delle  altre  nobili  qualità,  che 
lo  adornavano,  prese  poi  a  favorirlo  e  proteg- 
gerlo con  molto  impegno.  Onde  è  cosa  molto 
probabile,  che  il  Tasso  in  quel  bellissimo  episo- 
dio della  Gerusalemme  nella  persona  di  Sofronia 
abbia  inteso  di  fare  un  riti-atto  di  madama  Leo- 
nora. 

Nel  1570  parti  Torquato  col  cardinale  Luigi, 
suo  signore ,  j^er  Francia ,  ove  ricevette  dal  re 
Carlo  IX,  e  da  molti  uomini  dotti,  fra  i  quali 
era  il  celebre  Pier  l\onsardo  ,  i  più  distinti  ono- 
ri; alcuni  cortigiani  però  invidiosi  del  favore, 
a  cui  lo  vedevan  salito  presso  il  loro  padrone, 
gli  procurarono  tali  disgusti,  ch'ei  fu  costretto 
a  chiedere  il  suo  congedo;  e  ottenutolo,  sene 
tornò  in  Italia. 

Giunto  a  Roma  nel  gennajo  del  1572,  si  ma- 
neggiò gagliardamente  per  essere  ricevuto  alla 
corte  del  duca  Alfonso,  interponendovi  la  grazia 
e  l'autorilà  delle  due  principesse,  le  quali  tut- 
tavia v'ebbero  a  durar  poca  fatica. 

Abbandonala  dunque  Roma  nella  primavera 
dell'  istesso  anno,  entrò  con  onorevolissime  con- 
dizioni al  sei'vigio  del  duca.  Era  il  Tasso  lietis- 
simo di  questa  nuova  servitù,  vedendosi  ono- 
rato e  accarezzato  da  tutta  la  corte  assai  più  che 
creduto  non  avrebbe.  E  ben  si  può  dire ,  che 
allora  ei  cominciasse  a  gustare  qualche  felicità; 
cosicché  in  quella  bellissima  ottava,  con  cui 
dedica  al  duca  il  suo  poema,  ei  potè  dire: 

Tu ,  inagnaniino  Alfonso ,  il  qual  ritogli 
AI  furor  di  fortuna ,  e  ^uiili  in  porto 
Me  peregrino  errante,  e  fra  gli  scogli 
£  fra  l'onde  agitato,  e  quasi  absorto  ctc. 

Trovandosi  in  tale  ozio  e  in  tale  tranquillità  d'a- 
nimo, si  mise  di  proposito  a  ripulire  e  rasset- 
tare la  sua  Gcrusaleimne;  e  per  sollevarsi  dagli 
studj  \ìiii  impoi  tanti  e  faticosi,  scrisse  nel  1573 
il  suo  yìminla ,  favola  boscliereccia,  con  tanto 
genio,  che  in  mono  di  due  mesi  l'ebbe  ridotta | si  andava  spargendo,  del  suo  nobilissimo  p('' 


al  suo  compimento.  Ma  questa  pastorale,  rap- 
presentata subito  in  Ferrara  con  gì  and'applauso, 
al  poeta  destò  molla  invidia  in  alcuni  cervelli 
torbidi,  i  quali  da  quel  momento  non  lasciarono 
di  tentare  ogni  via  per  iscrediturlo ,  e  per  farlo 
cadere  da  quel  grado  di  stima  e  di  favore,  che 
egli  godeva  presso  la  corte. 

La  principessa  d'Uibino,  che  non  avea  po- 
tuto essere  presente  alla  recita  dell'  Aminta, 
venne  in  gran  desiderio  di  sentir  questa  favola 
dalla  bocca  stessa  delP  autore;  e  perciò  lo  fece 
graziosamente  invitare  a  Pesaro,  jiregando  il 
duca,  suo  fratello,  a  volerglielo  concedere  per 
qualche  mese.  Il  Tasso  adunque,  molto  deside- 
roso di  servire  e  di  compiacere  la  principessa, 
venne  a  Pesaro  sul  principio  dell'  estate  di  detto 
anno  1573.  Nel  crescere  della  state  la  princi- 
pessa Lucrezia,  per  ischivare  i  soverchi  caldi, 
si  trasferi  insieme  col  Tasso  a  Castel  Durante. 
Quivi  stette  Torquato  a  diporto  alcuni  mesi  eoa 
incredibile  piacer  suo  e  della  principessa,  la 
quale  godeva  infinitamente  della  conversazione) 
del  poeta,  e  di  sentir  recitare  alcuni  pezzi  dell 
suo  poema,  ch'egli  venne  altresì  componendo^ 
in  cotesta  solitudine.  Era  il  Tasso  dotato  d'una; 
tenacissima  memoria ,  e  solca  perciò  rade  volte? 
por  mano  alla  penna,  come  colui,  che  ritenevjf 
nella  mente  trecento  e  quattrocento  stanze  peil 
volta;  sicché  la  pi-incipessa ,  la  quale  era  di  cosi 
fino  gusto  e  di  tanta  intelligenza  delle  buoni 
lettere,  pendeva  dalla  bocca  di  questo  sovrani! 
poeta ,  nò  avrebbe  voluto ,  ch'egli  mai  si  pari 
fisse  dalla  sua  compagnia.  Torquato  altresì  pi'oj 
curava  di  corrispondere  all'  amorevolezza  ci 
madama  in  tutti  i  modi  possibili,  mostrandoli 
in  ogni  incontro  l'infinita  stima,  che  faceva  d(J 
suo  valore ,  e  celebrando  con  elettissimi  versi  ci 
l'una,  or  l'altra  delle  sublimi  sue  qualità;  <| 
che  ella  solca  prendere  meraviglioso  diletto. 

Tornato  il  Tasso  a  Ferrara  pieno  di  favo! 
e  di  ricchi  presenti,  essendoché  la  principes.j 
in  segno  dell'  affezione,  che  avea  per  lui,  d 
fece  dono  di  un  bellissimo  giojello  con  un  rif 
bino  di  molto  valore,  si  pose  con  ostinata  air 
plicazionc  intorno  al  suo  GoflVedo,  e  verso 
primavera  del  1575  ebbe  finalmente  la  soddisfJ 
zione  di  vederlo  terminato.  Ma  dall'  altro  canr 
cominciava  a  trovarsi  poco  contento  del  sV: 
stato  presente,  non  già  per  conto  del  duca,  cil 
quale  si  vedeva  mirato  di  buon'  occhio,  ma  pf'i 
le  insidie,  che  gli  erano  tramate  da  alcuni  trifl 
Ferraresi,  i  quali,  invitliando  la  di  lui  glor 
tentavano  claiulestinamcnte  di  calunniarlo,  e 
ofl'uscare  con  male  arti  la  chiara  fama,  che  ; 


SAGGIO  SOVRA  IL  TASSO. 


VU 


a.    Onde  era  risoluto,  pubblicato  che  avesse  il   di  Ferrara  anzi  l'edizion  del  libro,  se  non  fosse 


IO  GufIVedo ,  di  lasciar  quella  corte  e  venirsene 
vivere  in  Roma  alla  quiete  de'  suoi  studj  ,  o 
lero ,  o  presso  qualche  cardinale,  ove  non 
sse  tanto  esposto  all'  invidia  e  malignità  altrui, 
jnfidò  questo  suo  disegno  a  Scipione  Gonzaga, 
•egandolo  a  voler  pigliai'si  qualclie  pensiero  a 
lesto  elTetto. 

Pi-ima  però  di  eseguire  questa  nuova  risolu- 
oiic,  volea  Torquato  pagare  in  parte  gli  ob- 
ighi,  eh'  ei  conosceva  avere  con  la  casa  esten- 
ai  che  pensava  di  poter  soddisfare  pubbli 


solo  per  andare  seco  a  Pesaro  •,  cli'ogni  altra 
andata,  per  quanto  ella  m'afferma,  sarebbe  dis- 
cara e  sospetta." 

Per  le  lettere  state  intercctte  da'  nemici  suoi 
s'era  già  scoperto,  eli'  egli  pensava  ad  altra  ser- 
vitù. Ma  il  poeta,  quantunque  fosse  sconfortalo 
dalla  principessa  dal  far  questo  viaggio,  noiidi- 
meno  sotto  qualche  prelesto  chiese  il  permesso 
di  poter  venire  a  Roma.  E  forse  il  Tasso  non 
mostrò  in  questa  occasione  la  sua  usata  maturi- 
tà; perciocché  da  questo  ■\aaggio  si  può  dir,  che 


lido  sotto  gli  auspici  del  duca  il  suo  tanto  as-  avessero  origine  le  sue  disavventure,  essendosi 
;ttato  poema.  La  sua  modestia  fece  si,  che  con  ciò  accresciuto  a  dismisura  il  sospetto,  che 
ima  di  darlo  alla  luce  volesse  sottometterlo  ali  già  si  aveva  alla  corte,  ch'egli  cercasse  altro  ser- 


udizio  e  alla  censura  di  parecchi  uomini  dotti, 
Ilo  direzione  di  Scij)ionc  Gonzaga,  allora  pre- 
to  in  Roma;  cosa,  che  portò  grandissimo  tem- 
)  e  non  minor  confusione  per  la  diversità  de' 
ireri ,  talché  il  Tasso  dopo  infinite  noje  non 
j  rimase  mai  soddisfatto ,  né  per  li  fortunosi 
:cidenti,  che  poi  gli  sopravennero,  potò  darlo 
la  stampa  egli  medesimo ,  come  tanto  avea  de- 
derato. 

Alla  fatica  del  rivedere  e  correggere  il  suo 
)ema  gli  s'  aggiunse  l'agitazione  di  un  gravis- 
mo  sospetto,  in  cui  entrò,  che  i  suoi  nemici 
'  intercettassero  le  lettere ,  eli'  egli  scriveva  a 
ama,  e  le  risposte ,  che  di  qui  gli  erano  man 
ite,  e  ciò  non  solo  per  iscoprire  i  di  lui  se- 
eli  ,  ma  per  vedere  le  opposizioni ,  che  si  fa- 
vano  all'  opra,  a  fine  di  valersene  poi  oppor- 
inamentc  per  avvilirlo,  e  per  iscreditarlo 
.'esso  il  duca. 

Tra  questo  mezzo  tornò  a  Ferrara  madama 
jcrezia  da  Este,  la  quale  era  già  da  alcuni  mesi 
venuta  duchessa  d'Urbino.  Ella,  per  essere 
)CO  gradita  dal  duca  suo  marito  ,  separossi  da 
•i,  e  fissò  per  sempre  il  suo  soggiorno  in  Fer- 
ra. Quivi  nella  cura,  che  in  questo  tempo 
edcsimo  le  convenne  fare  per  certa  sua  indis- 
jsizionc,  non  volle  altro  inlertcnimcnlo,  che 

compagnia  di  Torquato.  Il  duca,  che  l'avrcb- 
!  voluto  appresso  di  so  nella  delizia  di  IJclri- 
lardo,  gliel'  accordò  di  malissinia  voglia;  e  il 
asso  mcilc.simo  dice  scrivendo  al  Gonzaga  sotto 

d'i  20  luglio  1575:  „11  sig.  duca  e  andato 
lori ,  ed  ha  lasciato  me  qui  im'itux  ini'ituni, 
Ji'chc  cosi  é  piaciuto  alla  signora  duchessa 
Urbino,  la  quale,  togliendo  l'accjua  della  vill.i, 
i  bisogno  il  giorno  di  trattenimento.    Ueggole 

mio  libro,  e  sono  ogni  gioino  con  lei  molle 
•e  in  .•iccreliji.     Le  Ilo  confciilo   il  mio  disegno 

venire  qucsl'  ollobic  a  lloma  ,•  non  l'ha  ap- 
rovalo,  e  giudica,   ch'io  non  debba  parlirmi 


vjzio,  e  data  ansa  a'  suoi  nemici  di  calunniarlo 
quanto  più  seppero,  e  di  farlo  quasi  apparire 
un  mal  cavaliere,  ingrato  e  disleale. 

Giunse  pertanto  Torquato  a  Roma  circa  la 
metà  del  mese  di  novembre ,  veduto  ed  accolto 
con  incredibile  allegrezza  dal  suo  Scipione,  ch'e- 
ra senza  alcun  dubbio  il  più  intimo  ed  affezio- 
nato amico,  ch'egli  s'avesse. 

Questi  ebbe  subito  il  pensiero  d'introdurlo 
dal  cardinale  Ferdinando  de'  Medici,  che  fu  poi 
granduca  di  Toscana,  il  quale,  conoscendo  già 
il  Tasso  per  fama,  lo  vide  molto  volentieri,  e  gli 
usò  infinite  cortesie  ;  ed  essendo  informato  della 
non  intera  soddisfazione,  eh'  ei  provava  alla 
corte  di  Ferrara ,  gli  fece  intendere ,  che ,  risol- 
vendosi di  abbandonar  quel  servizio ,  egli  lo 
avrebbe  molto  di  buon  grado  ricevuto  per  suo 
gentiluomo,  o  fattolo  ricevere  dal  granduca 
Francesco  suo  fratello.  Il  Tasso  tuttavia,  irriso- 
luto, irritabilissimo,  e  poco  costante  qual  era, 
non  istimò  di  poter  per  allora  accettare  vermi 
partito ,  volendo  prima  compiere  assolutamente 
quello,  a  cui  si  vedeva  tenuto  verso  la  casa 
estense.  Dopo  breve  soggiorno  in  Roma  s'incam- 
minò per  far  ritorno  a  Ferrara,  e  presa  la  via  di 
Toscana  passò  per  Firenze,  avendo  gran  con- 
tento nel  mirare  per  la  prima  volta  la  bellezza  di 
quella  celobratissima  città. 

Tornalo  in  Ferrara  circa  la  mela  di  gcnnajo 
del  1576,  fu  molto  bone  accolto  dal  duca  e  dalle 
piiiicipcssc;  cosa,  che  accrebbe  maggiormente 
l'invidia  ne'  suoi  nemici,  i  quali  avendo  già 
messe  in  opera  contro  di  lui  diverse  loro  mac- 
chine, si  lusingavano  d'aver  fatto  in  guisa,  ch'ci 
ne  dovesse  esser  ricevuto  bruscamente.  Avoa 
jioclii  giorni  prima,  che  il  Tasso  jiarlissc  por 
lUìina,  cessato  d'i  vivere  in  Ferrara  Giovanibat- 
lisla  Pigna,  uomo  infinto,  astuto,  invitliosn,  e 
(jiiale  veggiamo  csscie  Alelc  nella  Gornsalrinme 
liberala,  nella  cui  pei'sona  e  noto  avere  il  poeta 


vili 


SAGGIO  SOVRA  IL  TASSO. 


voluto  descrivere  questo  favorito  ministro.  Il 
Tasso  s'era  sempre  studiato  di  mostrargli  tutta 
la  stima  e  la  dipendenza  possibile,  sino  a  rico- 
noscerlo supeiiore  e  maestro  anche  nelle  cose 
della  poesia:  contuttociò  non  gli  era  potuto 
riuscir  mai  di  cattivarselo  in  guisa ,  die  gli  fosse 
veramente  amico,  e  non  covasse  tuttavia  qualche 
se"reta  malvoglienza  conti'o  di  lui.  Era  succe- 
duto al  Pigna  nella  carica  di  segretario  il  dot- 
tore Antonio  Montecatino,  uomo  torbido  anch' 
ei^li  ed  invidioso.  Costui  ne'  primi  anni,  che  il 
Tasso  venne  a  Ferrara,  gli  s'era  mostrato  molto 
familiare  ed  affezionato  :  ma  dipoi  gli  era  anch' 
esso  divenuto  nemico;  siccliè  parve  a  Torquato 
di  non  aver  punto  migliorala  condizione,  veden- 
dosi a  fronte  un  altro  emolo  più  risoluto  e  me- 
no rispettoso  del  primo. 

Nel  febbrajo  di  quell'  anno  era  giunta  a  Fer- 
rara Eleonora  Sanvitale,  sposa  novella  di  Giulio 
Tiene,  conte  di  Scandiano,  giovinetta  bellissima, 
d'alto  animo  e  di  leggiadre  e  gentilissime  ma- 
niere, ed  oltre  a  ciò  assai  versata  negli  studj 
delle  buone  lettere  e  delle  scienze.  Eravi  ella 
stata  accompagnata  da  Barbara  Sanseverina,  con- 
tessa di  Sala,  sua  matrigna,  dama,  che  per  bel- 
lezza, per  vivacità,  per  ingegno,  e  per  un  certo 
maestoso  portamento  non  la  cedeva  punto  alla 
figliastra.  Nelle  feste ,  che  si  fecero  in  quel  car- 
novale alla  corte.  Barbara  comparve  con  una 
nuova  acconciatura  di  capelli  in  forma  di  coro- 
na, la  quale,  unita  alla  bellezza  del  sembiante  e 
lilla  maestà  della  persona,  le  dava  tutta  Tarla 
d'una  Giunone.  Nò  minor  comparsa  vi  fece  Leo- 
nora ,  bellissima  anch' ella ,  e  a  cui  accresceva 
molto  di  vaghezza  l'età  giovanetla,  e  una  certa 
verginale  modestia  assai  piacevole  a'  riguardan- 
ti, ma  sopra  tutto  il  labbro  inferiore,  che  al- 
quanto ritondetto  si  sporgeva  in  fuori  con  molta 
grazia.  Questa  corona  e  questo  labbro  furono 
l'oggetto  della  meraviglia  e  de'  discorsi  degli 
oziosi  cortigiani  :  onde  il  Tasso  prese  volentieri 
occasione  di  scrivere  in  questo  proposito  ah-uni 
sonetti,  eh'  ebbero  niorilainente  grandissimo 
applauso,  e  che  gli  aprirono  ben  presto  l'adito 
alla  grazia  e  alla  famigliarità  di  Leonora.  Ma 
questa  novella  ventura  non  servi  che  ad  aumen- 
tar maggiormente  la  rabbia  e  l'invitlia  de'  suoi 
emoli,  i  quali,  mal  sod'eiendo  di  vederlo  cosi 
accetto  alle  due  principesse,  e  in  tanta  grazia 
delle  dame  più  belle  e  più  rlguardevoli  ilella 
corto  ,  |)()soio  in  o])era  più  che  mai  le  loro  mac- 
chine ribaltlc  per  abbatterlo  ed  atterrarlo. 

Per  la  morte  del  Pigna  essendo  venuto  a 
mancare  lo  storico  della  casa  estense,  il  Tasso  si 
esibì  di  Boltcnlrarc  per  questo  cilcllo  nel  luogo 


del  morto.  La  sua  offerta  fu  accettata  graziosa- 
mente dal  duca,  e  Torquato  si  trovò  perciò 
stretto  con  più  tenace  vincolo  ad  una  corte,  dal- 
la quale  parca  ,  che  avesse  tanta  smania  di  libe- 
rarsi. Al  Gonzaga  incresceva  questa  poca  fer- 
mezza del  Tasso,  e  Pavrebbe  voluto  vedere  più 
costante  e  più  risoluto,  dappoich'  egli  s'era  tanto 
maneggiato  per  procurargli  un  si  onorato  e  van- 
taggioso trattenimento.  Ma  tale  era  il  flusso  e 
riflusso  de'  pensieri,  da'  quali  il  povero  Tasso 
si  trovava  combattuto,  e  ciò  per  non  si  poter 
discioiTC  da'  legami  di  convenienza  e  di  gratitu- 
dine,  e  principalmente  d'amore,  che  lo  teneva- 
no stretto  in  FeiTara.  Per  altro  egli  medesimo 
comprendeva,  e  lo  confessò  al  suo  Scipione,  che 
questa  sua  irrisolutezza  era  stata,  e  temeva,  chei 
dovesse  essere  anche  in  avvenire  la  rovina  dìi 
tutte  le  sue  azioni ,  come  pur  troppo  lo  fu.         I 

Intanto  dovendo  portarsi  al  suo  governo  dj 
Modena  il  conte  Fenante  estense  Tassone,  umi 
de'  maggiori  e  più  affezionati  amici,  che  il  Tass(| 
avesse  in  Ferrara ,  questi  lo  pregò  tanto ,  che  fi 
costretto  ad  andar  seco  a  far  le  feste  in  quelli 
città,    ove    si    trattemie   con  piacerle  sin  dop 
l'ottava  di  pasqua. 

Tornato  a  Ferrara  gli  riuscì  di  scoprire,  eh 
mentre  egli  s'era  portato  a  Modena,  avendo  a 
uno  de'  suoi  falsi  amici,  fra  i  quali  erano  prin 
cipali  Antonio  Montecatino  ed  Ascanio  Giraldi 
ni,  affidata  la  chiave  delle  sue  stanze,  fuori  <  j 
quella,  ove  tenea  i  suoi  libri  e  le  carte  più  g( 
lose,  aveano  di  notte  fatta  aprire  ancor  ques1 
camera,  e  spiate  perciò  e  lette  diligentemen 
tutte  le  sue  scritture,  a  fine  di  trovare  qualcl 
appicco,  onde  accusarlo. 

Madama  Leonora,  per  sottrarlo  da'  nojo 
pensieri,  che  lo  agitavano,  volle  condurlo  sei 
a  Consandoli,  luogo  assai  delizioso,  lontai 
circa  diciotto  miglia  da  Ferrara,  dove  in  cor) 
()agnia  di  questa  savia  ed  amabile  principessa 
si  trattenne  lietamente  alquanti  giorni,  godeu' 
della  vista  del  Po,  e  dell'  amenità  di  quelle  car 
pagnc.  Questa  villeggiatura  servì  a  rasserenar, 
e  a  renderlo  per  qualche  tempo  superiore  a 
trame  ribalde  de'  suoi  avversar)  ;  onde  toni 
alla  corte  jiotè  ripigliare  gli  intralasciati  sta 
Per  sollevarsi  poi  dalle  continue  applicazion 
dalla  malinconia,  che  soverchiamente  solcati 
vagliarlo,  si  portava  assai  spesso  in  casa  di£l( 
iiora  Sanvitale,  del  cui  amore  s'accese  all< 
forse  j)in  gagliardamente,  che  non  si  conven 
al  suo  slato  e  alle  sue  j)resenti  circostanze.  Ba 
leggere  la  bcllissinla  canzone,  ch'egli  indiri 
ad  una  damigella  di  questa  signora,  per  no 
Olimpia,  la  quale  incomincia: 


^ 


SAGGIO  SOVRA  IL  TASSO. 


IX 


0  con  le  Grazie  eletta,  o  con  gli  Amori, 

er  rimaner  persuaso  della  Camma,  onde  il  Tasso 
rdeva  per  la  Sanvitale,  senza  por  mente  a  tanti 
anetli  e  madrigali  scritti  in  lode  di  lei. 

Verso  questo  tempo  era  il  Tasso  per  varj  in- 
izj  venuto  in  cognizione  di  un  tradimento  fat- 
agli in  materia  molto  diJicata  da  un  suo  falso 
mico  Maddalò  ,  onde  incontratolo  un  giorno  nel 
orlile  del  palazzo,  se  ne  dolse  amichevolmente 
on  esso  lui,  cercando  con  bel  modo  di  farlo 
ccorto  e  d'  indurlo  a  riparare  il  gravissimo 
anno,  che  gli  potrebbe  aver  cagionato  colle  sue 
nprudenti  e  calunniose  parole.  Costui  in  luogo 
i  scusarsi,  o  di  giustificarsi  almeno,  s'  era 
inocente,  rispose  al  Tasso  con  molta  im- 
ertincnza,  ne  contento  di  questo  si  avanzò 
dargli,  e  a  leplicargli  insolentissimamente 
na  mentila.  Perchè  montato  il  Tasso  in  una 
ravissima  collera  non  potè  contenersi  da 
on  gli  dare  uno  schiaffo  in  sul  viso.  A  questo 
alpo  l'avversario  nò  fece,  ne  mostrò  per  allora 
i  voler  fare  risentimento  alcuno:  bensì  indi  a 
on  molto  unitosi  co'suoi  fratelli  si  pose  armato 
1  andare  in  traccia  di  lui,  e  vedutolo  nella 
iazza  corse    a  ferirlo    di    dietro,    senzachè  il 


cusato  non  solo  d'infedeltà  presso  il  duca,  ma  an- 
che di  miscredenza  al  tribunale  del  S.  Officio  e 
che  si  tentasse  di  farlo  morire  o  di  veleno,  o  di 
ferro.  Il  duca,  madama  Leonora  e  la  duchessa 
d'Urbino  fecero  il  possibile  per  assicurarlo,  e 
per  togliergli  dalla  immaginazione  questi  vani 
timori;  ma  tutto  indarno.  Anzi,  poiché  una  sera, 
trovandosi  il  Tasso  nelle  stanze  della  duchessa, 
tirò  un  coltello  dietro  ad  uno  de'  suoi  servitori, 
del  quale  pcravventura  avea  preso  sospetto  ,  fa 
forza  di  dare  ordine,  ch'ei  fosse  arrestato  e  chiu- 
so in  certi  camerini  del  cortile  di  palazzo  quanto 
più  presto  per  iscansar  anzi  qualche  maggior 
male,  e  per  indurlo  a  lasciarsi  medicare,  che  con 
animo  di  punirlo.  Successe  questo  accidente  la 
sera  de'  17.  Giugno  del  1577. 

Subito  però  fu  posto  in  libertà  e  rimesso 
nelle  sue  camere  ;  con  ordine  tuttavia,  che  fosse 
sottomesso  ad  un' esattissima  curagione.  Parve  da 
priiicipio,  ch'egli  migliorasse  assai,  e  che  la  fanta- 
sia gli  s'andasse  calmando  felicemente,  talché  il 
duca,  per  vie  più  rallegrarlo,  volle  condurlo  seco 
alla  delizia  di  Bclriguardo.  Ma  tutto  fu  inutile. 
Il  Tasso  desiderò  d'essere  trasportato  al  conven- 
to di  S.  Fjancesco  di  Ferrara,   ed  il  duca  v'  ac- 


asso si  fosse  potuto  avveder  dell'  assalto:  nia  consenti.  Ma  inquieto  senijne  e  turbato,  dopo 
voltatosi  a  quell'  impeto  e  tratta  fuori  la  spa-  qualche  tempo  fuggissene  segrelamcnte,  e  temen- 
a,  costoro  impauriti  si  dileguarono  precipito-  do,  che  il  duca,  avendogli  proibito  fin  lo  scri- 
imente,  aggiugncndo  cosi  al  tradimento  la  viltà  vergli,  noi  facesse  inseguire,  prese  il  cammino 
i  una  subila  fuga.  [per  luoghi  deserti,  schivando  affatto  le  città,  e 

Poco  appresso  provò  Torquato  un  altro  dis-l  per  quanto  poteva  anche  le  strade  maestre.  En- 
usto  ,  forse  non  meno  spiacevole  del  primo,  e^trò  perla  parie  d'Abruzzo  nel  reame  di  Napoli, 
1,  ch'egli  ebbe  avviso  da'  suoi  amici,  che  asso-' e  quivi  cambiali,  per  ])aura  de'  ministri  re"i,  i 
itamenle  si  stampava  in  una  città  d'Italia  il  suo  proprj  paiini  con  quelli  di  un  ])aslore,  dal  quale 
oema.  |  era  stalo  una  notte  ricevuto  ad  un  povero  alber- 

Si  può  ben  credere,  quanto  malinconoso  se  go,  sotto  nome  ed  abito  mentilo  giunse  fìnal- 
e  stesse  Torquato  per  sì  fatti  avvenimenti.  Il,  mente  a  Sorrento  in  casa  di  sua  sorella,  chia- 
onle  Ferrante  Tassone,  sapula  l'agitazione,  in,  mala  Cornelia, allora  vedovadi  Marzio Scrsale, ove 
ai  il  Tasso  si  ritrovava,  lo  invilo  a  portarsi  a  cominciò  a  respirare  alquanto  da'  suoi  affanni, 
lodcna  da  lui.  Egli  vi  andò;  e  quel  gentilissimo  e  colla  diligente  assistenza  di  questa  savia  cil 
avalicre  s'  ingegno  di  proccuraigli  ogni  pos-' amorevole  sorella  potè  riaversi  in  parte  anche 
ibile  divertini(MiLo.  Quivi  ebbe  il  conlenlol  dall'  umor  melanconico,  che  si  fieramente  oc- 
cupalo l'avea.  'Gli  incrcsceva  però  sovra  modo 
r  essersi  colla  sua  fuga  inimicato  il  duca;  onde 
connnciò  di  là  a  Iraltare  per  lettere  con  lui  e 
con  le  principesse.  jNla  dal  duca  e  da  Lucrezia 
egli  non  impetrò  mai  risjiosta;  da  Leonora  n'eb- 
tìcstituilosi  a  Ferrara,  parve  che  fosse!  he  tale,  che  ben  comprese ,  ch'ella  non  j)oteva 
1'  animo  alquanto  piti  lian(}uillo  del  solito  :  i  favorirlo.  Dopo  (piali  he  mese  si  condusse  a  Ro- 
aomle  potè  mellcisi  di  nuovo  intorno  al  suo  ina ,  e  avendo  impetrato  por  mezzo  del  romano 
oema:    ma  non  passò  molto  tempo,   ch'egli  per   nnnistio  del  duca,    Gualingo,    di    ritornare  alla 


1  conoscere  e  <li  visitare  Tarquiina  Molza, 
ama  per  bellezza,  per  ingegno,  e  perla  cog- 
lizione  delle  nobili  scienze  mollo  celebrata, 
loetessa  assai  gentile  non  meno  in  latino,  che 
iella  favella  italiana. 


Icuni  nuovi  disgusti  si  liovò  abbissalo  pin 
he  mai  nella  sua  fiera  malinconia,  e  ila  Irisli  e 
lainosi  pensieri  assalito,  essendosi  fitto  nella  im- 
nagiuazione,chc  i  suoi  persecutori  l'avessero  ac- 


corte di  Ferrara,  vidosi  di  nuovo  amorevolmente 
accolto  dal  duca  e  dallo  principesse. 

Presto   però   risorsero  gli  anliclii   si)spclti  a 
segno,  clic  di  nuovo  fuggissene,  e  andò  ramingo 


SxlGGIO  SOVRA  IL  TASSO. 


a  Mantova,  a  Padova,  a  Venezia,  ad  Urbino,  a 
Torino  ,  accolto  amorevolmente  da'  pi-incipi ,  a' 
quali  era  noto  il  valore  di  lui  ;  ma  sempre  agi- 
tato e  incerto,  e  dalle  sue  paure  stranamente 
travagliato.  Egli  nondimeno  non  sapeva  dimen- 
ticare Ferrara ,  e  le  sue  carte,  e  odoperossi  di 
nuovo ,  e  all'  occasione  delle  nozze  del  duca  Al- 
fonso con  Margherita  Gonzaga  ottenne  di  po- 
tervi fare  ritorno.  Giunsevi  nel  mese  di  febbraio 
del  1579. 

Ma  appena  vi  fu  giunto,  che,  vedendosi  ac- 
colto con  freddezza,  anzi  sprezzato,  risvegliatosi 
di  nuovo  il  suo  umor  malinconico  e  giusto  sde- 
gno proruppe  un  giorno  pubblicamente  in  tali  e 
sì  amare  invettive  contra  il  duca,  la  casa  estense, 
e  contra  tutta  la  corte ,  che  quegli  il  fece  rite- 
nere e  chiudere  come  frenetico  in  una  camera 
dello  spedai  di  S.  Anna;  il  che  dovette  avvenire 
circa  la  metà  di  marzo  di  quell'  anno  1579. 
Ognuno  può  innnaginarsi  Tavvilimento  e  la  co- 
sternazione, che  cagionò  all'  animo  già  infermo 
del  Tasso  questo  nuovo  accidente.  'L  parricidi 
poco  hanno  che  invidiare  alle  mie  pene',  ne  dice 
nel  discorso  sopra  varj  accidenti  della  sua  vita 
scritto  a  Scipion  Gonzaga  (Op.  To.  5-  e.  121. 
ed.  Mii.).  Fu  rigorosissima  la  sua  prigionia  per 
li  primi  due  anni,  singolarmente  per  colpa  di 
Agostino  Mosti,  gentiluomo  ferrarese,  piiore 
dello  spedale,  ed  entusiastico  ammiratore  dell' 
Ai'iosto. 

Poi  nel  mese  di  febbraio  del  1581.  mori  ma- 
dama Leonora.  Non  si  trova,  che  il  Tasso  abbia 
punto  compianta  in  versi  la  morte  di  questa  de- 
gnissima principessa,  già  tanto  sua  padi'ona  e 
favorcggiatrice,  corrucciato  forse,  perché  ella 
in  questi  ultimi  tempi  non  gli  avesse  dimostrata 
quell'  afl'ezione,  che  già  soleva,  nò  si  fosse  im- 
pegnata efficacemente  per  impetrargli  dal  fratel- 
lo, come  avrebbe  potuto,  la  sua  libertà;  quan- 
do non  si  voglia  credere,  ch'egli  oppresso  da 
maggiori  sciagure,  e  che  più  vivamente  lo  pe- 
netiavano,  non  potesse  peravventui'a  dai-  luogo 
ad  alcun  nuovo  dolore. 

Intanto  essendo  stampata  e  ristampata  la  Ge- 
rusalemme lil)erata  furtivamente  per  opera  di 
Celio  Malaspina ,  poi  per  Angelo  Ingegnieri  a 
Casalmaggiore  ed  a  Parma,  risonava  tutta  Italia 
delle  lodi  e  degli  applausi  del  poema,  e  gli  edi- 
tori e  gli  slamj)atori  arricchivano  sopi'a  le  vigi- 
lie e  le  fatiche  durale  per  tanti  anni  da  (jucsto 
grand'uomo:  ma  il  povero  Tasso  era  costretto 
a  languire  in  una  infelice  ])rigione,  disprezzato, 
infermo,  e  bisognoso  delle  cose  le  più  necessarie 
al  comodo  delia  vita. 

E  in  tali  angosciose  circostanze  dell'infelice 


poeta  levossi  contro  dal  suo  Goffredo  una  fxcris- 
sima  guerra.  Un  dialogo  sull'  epica  poesia ,  in- 
titolato il  Caraffa,  pubblicato  nel  1584,  da  Ca- 
millo Pellegrini ,  nel  qual  parve  antiporre  la 
Gerusalemme  del  Tasso  al  Furioso  dell'  Ariosto, 
ne  fu  il  segnale:  e  gli  Accademici  della  Crusca 
mal  soddisfatti  di  certe  espressioni  usate  dal 
Tasso  nel  suo  dialogo  ù.(^jpiacere  onesto,  furono 
i  primi  ad  uscire  in  campo  colla  difesa  dell'  Or- 
lando furioso ,  che  fu  creduta  opera  di  Lionar- 
do  Salviali,  a  cui  però  fa  pochissimo  onore.  Di- 
venne allora  generale  la  mischia,  e  )nolti  de' 
più  chiari  ingegni  italiani  si  azzulTaron  tra  loro, 
altri  a  favore,  altri  contro  del  Tasso.  Più  di 
tutti  però  il  Tasso  medesimo  prese  le  armi  a  sua 
propria  difesa,  e  scrisse  più  libri  in  risposta  alle 
accuse  ,  che  gli  venivano  fatte.  Poco  prima  della 
sua  morte  volle  tuttavia  rifare  il  poema,  cam- 
biandolo in  gran  parte,  e  mutandone  anche  il 
titolo  con  quello  di  Gerusalemme  conquistala. 

Finalmente  li  5  o  6  di  Luglio  del  1586  i] 
povero  Tasso  fu  liberato  dalla  trista  sua  prigio- 
nia di  sette  anni,  per  opera  e  per  gli  uffici  sin 
golarmente  del  principe  Vincenzio  Gonzaga  < 
d'  Antonio  Costantino.  Ciò  che  sorprende  s 
è,  che,  mentre  il  Tasso  era  da  j^azzo  ritenuti 
nello  spedale,  egli  scrisse  non  poche  delle  su 
opere  (le  Keglle  non  già,  delle  quali  la  falsili' 
cazione  abbastanza  provò  O  r  e  1 1  i  in  Beitrage  zu 
Gesch.  der  ital.  Poes.  I.  e.  101.  ss.),  e  quell 
singolarmente  in  difesa  della  sua  Gerusalemmi 
le  quali  certo  ninno  crederà  mai  che  possan 
essere  lavoro  di  un  pazzo. 

Laonde  si  potrebbe  già  inferire,  ch'egli  si 
stato  anzi  oppresso  e  mortificato ,  che  pazzo 
questa  illazione  si  verifica  pur  troppo  a  chi  por 
dera  tutte  le  circostanze  particolari,  tuttocl 
generalmente  questa  prigionia  sventurata  e  i  jnc 
tivi  d'essa  siano  stati  ambigui  ed  enimmati 
quasi  sino  a'  di  nostri,  dove  si  per  mezzo  d'ur 
lettera  del  Tasso  al  cardinale  Giovan  Girolan 
Albani,  comunicata  agli  editori  della  bibliote 
italiana  dal  conte  Ercole  Calcagnini  de'  Marche 
di  Fusignano,  e  dicifcrata  dal  di  lui  figlio,  o 
pur  pubblicata  nella  seconda  edizione  mdane 
dell'  opere  di  Tasso  To.  V.  e.  190.  ss.,  e  sì  p 
le  ricerche  e  i  riscontri  delle  circostanze  fa 
da  Giovanni  Jlohliouse  nelle  'Historicalilluslr 
lions  ol'  the  fourlli  canto  of  Cliilde  Harold  ec 
(Lond.  1818.  8.)  e.  5  —  27.  l'enimma  po| 
mancò,  che  non  si  trasformasse  in  uno  scanda 
di  cui  giustizia  vuol  che  rendiamo  conto  al  1(| 
torc.  Or  a  prima  giunta  non  v'ha  dubbio  beni 
che  le  stravaganze  del  Tasso  irritabilissimo,  e| 
di  lui  tempra  malinconica   quasiché  inalatici 


SAGGIO    SOVRA   IL   TASSO. 


XI 


i  concorsero  in  pai-te.  Ogni  forma  soda,  fer- 
lameiite  contornata  della  vita  estrinseca,  reca- 
isegli  in  contatto  colla  di  lui  vita  intrinseca, 
ollendo  subliinossi,  jier  dir  cosi,  di  modo  die, 
ileguatine  e  stesi  i  contorni,  egli  l'effigiava  con 
uel  suo  fervore  nodrito  dal  di  lui  orgoglio,  af- 
ne  alla  vanagloria,   e  dalla  sua  dilicatezza  ca- 


razione;  e  questi  furon  pei-  cosi  dire  un  conti- 
nuo viaggio  da  Ferrara  a  Mantova,  da  Mantova 
a  Pioina,  da  Eoina  a  Napoli,  indi  di  nuovo  a  Roma, 
e  poscia  a  Firenze,  dove  fu  invitato  e  onorevol- 
mente accollo  dal  granduca  Ferdinando;  nuo- 
vamente a  lioma,  e  a  Napoli,  fra  le  quali  due 
città  passò  gli  ultimi  anni  della  sua  vita ,  sem- 


ricciosa  e  bizzarra.  Un  certo  cliiaroscuro  ma-  pre  dubbioso  e  incerto,  e  povero  talvolta  a  se- 
co, nel  quale  la  vita  esterna  sjiuntando  seglijgno  di  doversi  ricoverare  nello  spedale  di  sua 
«bruniva,  fu  l'elemento  joroprio ,  in  cui  la  sua|  nazione  in  Roma  e  di  dover  chiedere  qualche 
ntasia    a    dimoraisi    si   compiacque.       Si  fatta  tenue  soccorso  a'  suoi  protettori. 


mpra  manca  naturalmente  non  di  rado  del 
antegno  convenevole,  ed  agevolmente  esacer- 
ita  si  lascia  trasviare  dal  momento  sino  a  quel 
i^un  autore  ingegnoso  chiamò  sgarbatezza  mu- 
cale,  che,  spezialmente  in  contrasto  colle  ma 


L'ultimo  ricovero  del  Tasso  fu  presso  il  car- 
dinal Cinzio  Aldobrandini,  nipote  di  Clemente 
Vili,  il  quale  gli  conferì  un'annua  pensione  di 
200  scudi,  e  pensò  di  dare  un  onorevol  compen- 
so alle  tante  sventure  di  questo  giand'uomo  col 


iere  coitigiane  fredde  e  misurate,  non  può  non!  farlo   coronare    solennemente  nel   Campidoglio. 

ir  luogo  a  spropositi  pericolosi,  anzi  funesti.  Ma   questo   ancora  mancava  a  rendere  il  Tasso 

questi  avvegnaché  non  sia  da  annoverarsi  quel!  sempre    più    infelice,    ch'ei   non    potesse   goder 


icio  favoloso  impresso  sulla  guancia  della  prin- 
pessa Leonora  a)nata  ed  idolatrala,   di  cui  nar 
i  soltanto  per  rumore  Muratori,   certamente  si 


dcll'onor  destinatogli.  Il  rigore  della  stagione  il 
fece  diilerire  per  qualche  tempo,  e  frattanto  in- 
fermatosi Tasso  ,  invece  del  lauro  del  campido- 


appartengono  l'invettive  acerbe  su  mentovate,  glio  sortì  il  cipresso  e  la  palma  della  morte  nel 
all'  altro  canto  però  il  silenzio  avveduto  non!  monastero  di  S.  Onofrio.  Finì  dì  vivere  a'  25 
>lamente  di  parecchi  storici  ferraresi  contem-j  d'aprile  del  1595,  e  fu  con  solemie  pompa  sot- 
Dranci,  male   molte  lor  dillorenze  eziandio,  i|lerato. 

aggiamenti    ed.  i    racconti   fatti    alla    sfuggita  Tal  tenore  infausto  e  tal  esito  simile  all' ulti- 

nibrano  involgere  Tintenzione  di  nasconder,  o  molampo  vitale  di  moribondi  ebbe  la  vita  di  ques- 
ilorire  l'evento  e  di  scusare  il  principe  e  la  to  uomo  eccellente!  Troppo  tenera  jìiantadilicata 
jite;  laddove  l'invidia,  le  calunnie  e  i  raggiri  e  sottile,  egli  non  resse  uè  al  sole,  nò  alle  teni- 
i  Pigna,  e  d'Antonio  Montecatino ,  le  lettere  peste  di  questa  vita.  Assorto  ed  abissato  nelle 
itercettate  e  le  carte  rubate  del  Tasso,  il  desio  voragini  delle  sue  fantasimc,  sonnambulo  in  sulla 
'un  principe  lussuiioso,  ambizioso  di  far  poni-  vetta  di  questa  vita,  mal  e'  soflVi  l'esser  destato, 
1  d'un  poeta  celebre  aulico  tenuto  a  stipendio,  anzi  smarrito  e   sbigottilo  tosto  sprofondossi  di 

la  gelosa  vigilanza  di  non  andarne  ])rivo,  le  nuovo  ne'  sogni  e  vaneggiamenti  suoi,  allonta- 
romcsse  vane  e  mal  serbate,  la  detenzione  in-  nandosi  vie  più  dalla  realità,  dove,  quando  vi 
!.usta  della  Gerusalemme  liberata,  l'ostinato  ri-  rientrava  come  mal  suo  grado,  avvezzo  alla  le- 
uto  d'ogni  intercessione  quantun([uc  autorevole,' ziosaggine  gradita,  allora  sì,  che  non  potè  a  mc- 
t  finalmente  la  spietata  noncuranza,  mentre  iljno  di  non  sentirsi  oifeso  e  malmenato.  Fu  vera- 
oeta  languiva  nella  strema  miseria,  accusano  mente  doimesca  la  di  lui  natura  e  tempra,  in 
Ifonso  II  e  la  casa  estense  d'una  vanagloria,  preda  al  momento,  innuorsa  in  alto  sopore ,  in 
'un  odio  e  d'un  rancore,  d'un  vile  timor  della  abbandono  ai  prcsligi  della  fantasia,  ed  in  balla 
ngiia,  o  della  penna  del  poeta,  i  quali  metto-  delle  suggestioni  del  sentimento.  Fcco  dunque 
0  non  poco  in  fojse  il  lor  padronaggio  et  la  lor  la  sfora,  ove  si  mossero  ancora  le  forze  sue 
lagnanimità  ambigua  già  in  oltre  in  quanto  ad  poetiche,  come  vedremo  orora,  stando  per  par- 
riosto.  Rare  adunque,  che  Tasso  sia  slato  la  lare  della  Gerusalemme  liberata. 
itlinia  infausta  d'intrighi  aulici  covati  da  gelo-  Lasciando   per  ora   a    jiartc  gli   altri    scritti 

la,  vanagloria,  ipocrisia  e  lorniidinc,  maneggiati  suoi,  cioè  Jii/Kcltlo ,  poema  epico  giovanile; 
deseguiti  con  crudeltà  e  tirannia,  di  cui  può' ^///«//^rt,  favola  bosclieroccia;  Torrismundo,  ira- 
irsi,  elio  la  casa  ducale  abbia  pagato  il  Ilo  coIl''gedia;  67'  intrig/ii  ^t amore ,  connncilia;  liime^ 
iledcllà  e  l'a|)ostasia  de'  soggcili  e  servi,  voW  \  dialoghi  ;  Oraziuiii  ;  flettere;  Discorso  del  poe- 
nnulla/.ione  del  testamento  d'Alfonso,  la  iico-\maej)ico;  Discorsi  varj  ;  Liscile  fiorili  de/  mon- 
lunica  di  Don  Cesare,  e  colla  linai  perdita  della u/o  crealo  in  versi  sciolti,  donde  le  notizie  bi- 
ignoria  di  Ferrara.  hliografìche  neces.saric  troverà  il  lettore  nel  di- 

Nove  anni  sopravvisse  il  Tasso  alla  sua  libo- 1  zionario  bibliogr.  d'J']òert,    ari.  Tasso,    in   Ide- 

**  2 


SAGGIO    SOVRA  IL   TASSO. 


lers  Handb.  der  Ital.  Spraclie  und  Literalur  (BerV 
1822    II.    8.    Voi.    II   e.    259.    ss.)      I!  achlers 
Handb.   derGescli.  u.Literat.  (i'rancof.  1822  — 
1  S24    IV    8.)  Voi.  III.  e.  93.  torniamo  a  replicare 
quel  die  fu  già  accennato  nel  parallelo  premesso 
al  parnaso,  cioè:    clie  questa  epopeja ,  con  tutti 
.xli  altri  meriti  suoi  vantati  a  ragione      pur  non 
che  esausto  abbia,  ma  scalfito  il   grande  evento 
delle  crociate.    Ed  in  fatti  né  anche  traccia  v  ap- 
pare della  profonda  idea  e  della  significanza  sto- 
rica di  quel  crollo  necessario  ,  salutare  ed  im- 
portantissimo,     che    fu  la  compenetrazione  in- 
trinseca  dell  oriente  e  dell'  occidente  riguardo 
alla  somma  e  cima  d'  ogni    coltura,  il  destarsi 


alia  suujuici  t  ^.^^.^   "    -o—  ' 

della  mente  umana  dall' alto    sonno  della  natura 
alla  chiara  luce  dell'  idea  d'  amor  vicendevole, 
e  di  libertà  comune,   come  atti  della  mente  pro- 
pri e  suoi-,   niun  vestigio   del  di  lei  rinfrescarsi 
e  rinvigorirsi  col  soffio  d'  una  vita  colma  e  do- 
viziosa'esterna,   a  fine  di  trasumanarla  e  spintu- 
alizzarla:   nissuna  orma  d'  un  zelo  di  approfon- 
dare     raccorre,    conserbare   e  render   comune ^ 
il    fondo   di  saper  anziano,   e  di  quanti  vi  sono, 
altri  filli  e  successi  di  quell'   entusiastico  sbalzo 
vigoroso.     In  vece  di  tutto  questo  si  ristrinse  il, 
po^'eta  agli  eventi  di  quaranta  giorni  in  circa  co- 
erenti col  solo  riacquisto  della  sacra  tomba  e  del 
suolo     ove  camminò  già  il  rappresentante  della 
coscienza  sovrana,    alla  quale  il  di  qua  ed  il  di 
là    la  natura  umana  e  divina,  sono  1'  uno  e  1  is-| 
tesso  intimissimamente  congiunto.  Da  questa  idea 
non  essendo  affatto  ancor  aliena  ncppur  i    età 
del  poeta,  si  può  dir  davvero,  eh'  egli  raddoman-, 
dò  così,  in  nome  di  poesia,  il  diritto  dellarealita, 
eh'   ei  radunò    e  rappressò  gì'  interessi  storici, 
e  richiamò  quasi  la  poesia  dal  cielo  e  dal  soggior- 
no suo   favoloso   alla  terra.     In  questo  poi  egli 
ha  fatto  mostra  d'  un'  ingegno  nodnto  colla  mi- 
dolla dell' antichità,    d'  un'  alma  bella,    tenera 
e  pia      d'  uno  studio  e  d'  una  conoscenza  deli 
arte  fórse  pur  troppo  isolati ,  intensi  ed  inten-; 
zionati.  Senza  dar  qui  un'  analisi  particolare  delj 
poema  punto  per  punto,    osserviam  soltanto  in^ 
"cncrale,   che  vi  si  schiude  un  mondo  eroico,  e 
pagano,  e  cristiano  in  contrapposti  a  stento  bi-. 
la>iciati  e  livellati  del  regno  di  satanasso  e  dellc^ 
le-ioni  armate  di  Dio.  Di  rimpelto  ai  pagani  bo-, 
limano,    Idraote ,   Aladino,    Argante,  Emireno, 
Alete,    Armida,    Clorinda,  Isineno  stanno  Got- 
frcdo,  llinaldo,  Tancredi,  Raimondo,  Gildippe, 
Piero,  Ubaldo,  ecc.     Ai  magici  prestigi  ed  ali 
arti  infernali  sono  opposti  sogni,   e  rivelazioni; 
allo  l'urie  angeli-,  alla  ferocia  e  llerezza,  al  fasto, 
alla  cicca  temerità  ostinata,   ed  alla  voluttà  cor- 
rispondono calma ,  umiltà,  baldanza,  amor  cas- 


to.      L'   azione  è  una,    tanto  più  quantoche   di 
corta  lena  e  di  poca  estensione  ,    rade  volte  uu 
«ombrata  ed  interrotta,   sennon   forse  con  qual- 
che episodio  ,   come  quel  d'   Olindo   e  Sofronia, 
o    quel    d'   Erminia    poco  bene    intrecciata  nel 
tutto,  e  con  altri  lirici  quadri  e  vampi  impareg, 
viabili  in  se,  proprj  alla  poesia  romanzesca,  e  ca. 
rissimi  in  oltre  al  popolo  poco  soddisfatto  per  la 
più  d'  opra  di  lunga  lena.    Lo  stile  è ,  come  du 
ce  Metastasio,  sempre   limpido,   sempre  sublH 
me,    sempre  sonoro  e   possente  a  rivestir  della 
propria   sua  nobiltà  i  più  comum   ed  umili  og, 
Utli     le  stanze   sono    d'    una   eleganza  e  d  utt 
ritmo   superiore,  il   colorito  vigoroso,  i  caraU 
teri  veri  e  costanti,  la  forza  d'  ingegno  portento- 
samente uguale  senza  infiacchirsi,  benché  dispiac- 
ciano   talora   la    lima   troppo  visibilmente  ado- 
prata,  i  concettini,  e  le  retloriche  ampliazioni. 

Con  tanti  vezzi  e  nel  ebbe  questo  poema  un  e 
fato  assai  memorabile.  Accolto  con  trasporto  ed  i 
esaltato  dagli  amici,  tosto  e;  provoco  ancora, 
ali  amici  non  meno  numerosi  dell' Ariosto ,  ed  il 
accese  cosi  una  contesa  assai  viva  di  venti  quat.:e 
irò  scritti  pubblicati  sino  all'  anno  1590.  Di- i 
chiararonsi  pel  Tasso  Pellegrini,  Giulio  Otto-.i 
inelli,  Niccolò  degli  Oddi,  Giulio  Guastavnii,  e« 
Malatesta  Porta;  per  1'  Ariosto  Liouardo  Salvi-. 
ati,  Bastiano  de'  Bossi,  Erancesco  Patrizi,  Ora- ,. 
zio  Ariosto,  Orazio  Lombardelh,  ed  Orlandc  ; 
Pescetti.  Tasso  istesso  scrisse  una  sua  apologia  ii 
e  per  resister  alla  tirannia  nascente  d'  un  areo- 


Ili 


pa-o  critico,  come  quel  dell'  accademia  tiorentiti 
o  della  Crusca,  e  per  trionfare  dell'  A^^-to    eh 
egli,    diverso   in   ciò  dal   padre  (Lett.  To.  II. 
165.  ed.  Comin.)   giudicava  esser  secondo  poet 
epico,  accennando  cosi  tacitamente,  se  esser] 
primo.     La  quistione  dunque  fu  e.mnziata  cos 
Se  al  Tasso,    ovvero  ali'  Ariosto  debbasi  il  pn 
'  mato  epico?   e  trasportata  con  questo  ni  un  sue 
lo  non  suo,  perche  troppo  personale  ed  espo; 
'  to     alla    parzialità.      Conciossiachc   a    noi  aiti 
'  viventi  in  tempi  più  remoti  ben  mostra  la  stori: 
che,  a  dir  vero,    questo  non  poteva  esser  pur 
to  il  senso  della  quistione,  la  quale  toccava  a,| 
zi  una  relazione   di  gran  lunga  pni  alta  tra 
poesia,  il  tempo  e  la  nazione.    Seno,  come  m 
sarebbero  stati  postergati  Dante     l^^l^^'^l^  '  f  IJ 
ci,  Trissùio,  Alamanni,  Bernardo   lasso  .MI  v 
irò  si  e,   che,  mentre  questa  o  quella  contiguit 
'oppur  dillcrenza  di  Tasso  e  d'  Ariosto  — mori 
ultimo  sol  undici  anni  prima   della    nascita 
Tasso:    ambiduc  furono  in  servizj  de  la  casa  e 
lense,  la  quale  s'  ingegnarono  ad  esaltare  anib 
due  -  dava  luogo  ad  una  qualche  cnula/io 
e  rivalità,    ia  ambidue  pure  si  mauileslo  de< 


SAGGIO   SOVRA   IL   TASSO. 


XUI 


vamente  una  differenza  delle  direzioni,  ovver 
;lle  tendenze  poetiche,  quai  le  troviamo  anco- 
.  in  altre  nazioni  moderne,  cioè  1'  originale^ 
.'opria  nativa  o  essenziale,  e  la  critica.  In  quan- 
alla  prima,  già  il  padre  e  fondatore  della  poe- 
a  italiana,  il  divino  Alligbieri,  potrebbe  es- 
rne  allegato  come  archetipo.  Ma  basti  per  ora 
osservare,  ch'Ariosto  ancora  non  fu  men  pra- 
:o  degli  antichi  classici ,  che  Trissino,  o  Tas- 
<  ;  che  nelle  sue  commedie  principalmente  gli 
litò  j  ma  tosto,  spante  V  ale  a  più  libero  ed  ai- 
volo,  qual  si  pronunzia  in  esso  carattere  mas- 
lio  !  qual  concetto  grandioso,  energico  ed  iro- 
co  del  giuoco  mondano,  dove  la  libidine  ancora 
renata  ha  il  suo  contrappeso  !  qual  individua- 
ta franca,  schietta,  originale!  qual  freschezza, 
isinvoltura  ed  elaslicità  del  genio  !  Con  qual 
rza  e  fuoco  afferra  egli  d^  un  tratto  il  suo  con- 
itto  !  Che  ricchezza  ed  uberlà  inesauribile  d'  in- 
3nzioni  !  Qual  vaga  varietà  di  stile,  quai  tocchi 
jldaiizosi!  Qual  talento  pittoresco  impareggia- 
ile!  Egli  alletta  e  incanta,  sospende  e  sorpren- 
2,  intenerisce  e  diletta,  è  pazzo  e  savio,  ride 
piange;  in  somma  1'  animo  suo  è  altrettanto 
eco,  quanto  il  mondo,  che  lo  circonda;  su- 
•-ettibile  di  qualsivoglia  impressione,  ma  in  un 
idrone  d'  essa  è  moderatore  ;  pieno  di  capric- 
o  come  di  senno;  ora  sfrenalo,  ora  sedato; 
qualmente  dimestico  al  mondo  reale  come  al 
voloso,  intrecciando  e  riflettendo  1'  uno  nell' 
tro.  Ogni  concetto  suo  è  sodo ,  immediato, 
adente,  proprio  e  nativo.     Mai  non  si  cura  di 


perciò  non  puote  a  meno  di  non  cangiarsi  talo- 
ra in  morbidezza  ed  incostanza,  sensibilità  ecces- 
siva, civettei'ia  e  stitichezza  ritrosa.  Da  questa 
sua  tempra  suscettiva  deriva  quella  difficoltà  sua 
critica,  che,  mai  contenta  di  quanto  produsse, 
non  trovando  termine  di  limare,  gastigare  e  rifor- 
mare, giunse  spesse  fiate  sino  a  spolverare  1'  ale  ga- 
je  di  Psiche,  e  tralignò  in  alessandrinismo.  Quindi 
purel'ellenomania,  ovvero  il  fanatismo  supersti- 
zioso per  la  poesia  classica,  o  antica,  con  cui 
schierossi  a  coloro,  che,  siasi  o  pedanteria,  o  so- 
verchio dì  rispetto  pauroso  ,  o  disperazione  del- 
le proprie  forze,  gridano,  che  non  vi  sia  sal- 
vezza fuor  di  classicità.  E  qui  pure,  per  non 
dare  scandalo  con  quanto  dicemmo ,  sarà  d'  uo- 
po d'  ammonire  a  prima  giunta,  che  nostra  in- 
tenzione non  è  d'  approvare  con  questo  la  tras- 
curaggine  e  1'  arroganza  de'  iiostii  giovani  poeti 
dozzinali,  che,  boriandosi  di  genio,  sprovve- 
duti di  cognizione,  di  sapere  e  d'  arte,  vorreb- 
bero persuadere  il  mondo  ,  che  il  lor  passcrajo 
sia  canto  degli  uccelli  di  Mennonc,  mentre  un 
Dante  dice,  che  il  suo  poema  sacro  ,  al  quale 
ha  posto  mano  e  cielo  e  terra,  V  Sihh'ia.  fatto  per 
molti  anni  macro\  mentre  la  lirica  poesia  del 
Petrarca,  che  può  leggersi  in  pochi  d'i,  fu  durata  a 
scriversi  il  corso  di  trentadue  anni  (v.  Saggi  di 
Ugo  Foscolo  sopra  il  Petrarca.  Lugano  1824-  8.  e. 
65.)  ;  menti-e  Ariosto  spese  dieci  anni  a  scrivere 
1'  Orlando  furioso  ,  Tasso  undici  ainii  alla  Ge- 
rusalemme, e  mentre  questi  eroi  con  altri  molti 
di  queir  eia  trascorsero  un   cerchio  di  coltura 


■.orica  eolica,  per  rinomata  che  si  sia,  anzi  la  ampio ,  che  nò  anche  sognarono  que'  poctucci. 
rende  a  gabbo,  adocchiando  gli  oggetti  a  niodol  In  secondo  luogo  però,  premesso  un  passo  di  Mario 
io,  e  senza  gli  occhiali  classici.  Come  di  pri-  Guiducci  (Lezione  seconda  sopra  le  rimedi  Mi- 
la vista,   con  viso  asciutto  e  aperto  egli  dipin-j  clielangelo Buonarroti. e.  120. ed. Milan. del  1821), 


ì  il  mondo ,  palesando  sempremai  il  suo  genio 
iltoresco.  Or  se  le  tre  forme  essenziali  della  poe- 
lia,  cioè  la  lirica,  l'epica,  eia  drammatica,  corri- 
londono  alle  tre  forme  essenziali  dell'  arte  det- 
i  falliva,  cioc  alla  musica  ,  alla  i)iltura  ed  alla 
lastica,  giudichi  il  lettore  già  ((ui,  se  si  abbia 
a  preferire  assolutamente  il  Tasso,  che  non 
eco  deve  ad  Ariosto,  ed  il  cui  genio  è  piuttosto 
cr  eccellenza  musicale,  e  lirico,  di  che  ne  fan 
ulc  le  sue  stanze,  come  le  sue  rime,  le  quali, 
l  nostro  parere,  lianno  apjx'ua  da  jìavenlare  un 
aragone  col  Petrarca  ;  tanto  son  pulite,  munc- 
^3se ,  mcloiliche  e  conformi  al  senlimcntu  et!  al- 
i  situazione,  eh'  esprimono!  tanto  vi  si  sfoga, 
\.  strugge  e  pcrdcsi  ogni  molo  dell'  animo  suo 
i  concenti  musicali  !  E  come  in  questo  ,  cosi 
uro  nel  suo  all'elio  ,  nella  tenerezza  ,  vivacità, 
ignita,  eleganza  e  grazia  ,  nel  suo  nitore  e  gus- 
>  tralucc   una   quaiclic  tempra  dojuicsca,    che 


che  dice:  „  sterili  ed  infelici  son  quegP  ingegni, 
i  quali,  quasi  non  abbian  per  sé  slessi  occhj  da 
rimirare,  nò  intelletto  da  contemplare  la  copia 
e  la  nascita  dell'  opre,  che  abbelliscono  questa 
innnciìsa  mole  del  mondo,  si  stanno  unicamente 
rivolli  e  inlenti  a'  libri  degli  antichi  scrittori,  sof- 
ferendo per  viltà  di  coraggio,  che  essi  finn  le 
colonne  d'  Ercole,  e  il  non  jdus  ultra  al  loro 
vedere  e  intendere,"  dichiariamo,  che  ancor  noi, 
lungi  dal  disprezzo  della  perfezione  classica, 
rispelliaino  anzi  (|uel  candor,  c|nolIa  schiettezza, 
(india  ingoiuiilà  osicurlà  naluialc,  che  non  vuol, 
ne  puote  esser  altro  ne  \n{\  di  (jucl  eh'  è  per 
voler  ilei  nume.  Ma  appunto  a  cotesto  candor,  a 
questa  ))rt)pi  icià  deve  ritornar  i>gni  nazione,  sic- 
come ella  quindi  esce;  e  perciò  la  classicità  non 
è  già  prerogativa  e  privilegio  d'  una  nazione  so- 
la, d'  un  tempo  solo,  ma  s'i  fior  e  frullo  di 
ogni  coltura  nazionale,  di  njodo  che  ogni  nazione 


XIV 


SAGGIO  SOVRAJiijrASSO^ 


.        .  •     ,,on  ha  !  mar  di  crilicLe  e  finì  a  confonderlo  affatto  -,  men* 

coltivala  avendo  i    f^----"l,rìu^;ualsivo-    Ire  appunto   quel  eh'  è  in  esso  azionale  e  su* 


coltivala  avenuu  A    v..».. »      ;i;nnalsivo 

da  riconoscer  i'  autontà  esclusiva  ^\f^^l''^ 
alia  altra.  Conciossiaclic  ogni  classicità  ,  ori 
glia  ama.     v.  pluralmente  e  condi- 

ma  di  coltura  nazionale,  naimaimei 
Inala  dal  suolo  e  cielo  suo     da   quanto  e  li. - 
zionuui  i.„p,,tp  le  dà  la    tempra  e  il  te- 

camenle  e  moralmente  le  aa 

nor  dell'  esser  suo  ,  onde,  per  via  d  azione  ci  1  a 

'tura     e  di  reazione  dell'  intelletto  ,   appropii- 

rVmondo   conoscendo   e  foggiai!   osi^^ 


mar  cu  cruu  uc  e  mn  «  ^^v/i.."■ 

tre  appunto  ciuel  eli'  è  in  esso  nazionale  e  sug 
cioè  il  caler,  la  smania  e  la  tenerezza  del  scntlj 
mento,  il  gusto  e  la  suscettibilità  peri'  armo^ 
nia  e  la  inclodia,  per  quell'  ondeggiamento  e 
polscggiamento  dell'  alma,  è  quel,  clie  lo  rendè 
immortale  in  bocca  al  popol  suo,  ancorché  no* 
basti  a  contrastar  il  lauro  di  poeta  a  Dante,  9 
ad  Ariosto.  Quindi  non  mancarono  pure  com- 
...       11-    „;„ro^^;nirfivTr>  la  simmetria  e  il 


"uan.o  vi  e  di  particolave  port,  1'  -;P™  '^  ,  ^  j  C;"  ',J,  arte  ;  e  Galilei  nello  sue  Considera. 
i'  idea,  ovvcr  dell'  esser  animato  da  "'«»"»^'°;r  7  „;  Xasso  paragoni  lo  stile  della  Gewsa- 
e  ne  sia  per  conseguenza  rorj^ano     la  co  nunan        «  1  ^^^^^.^  ^,.  ,^,,^,^  ^ 


p  ne  sia  per  coubegucii^"  *  ^^p_- 
'a     Ipp-e  dunque,   eli'  ogni  coltura  e,  ne  può 
non  e  sere  propxi  ed  individuale  da  1'  una  pai- 
non  e.sci     1      1    „  .„4.,io  fin    '  iltra;   clie  i 


zioni  al   lasso    paiai^ui.v^  ^^   ^^ 

lemme  liberata  a  cpel  lavoro  di  tarsie,  in  cuil 

le«netti  di  diversi  colori  non  possono  giammai 

t»         .       .     n        •     • 1  ,i„i„„„to.i1p     r  ir  noli 


i^ 


za.    ^iJiJii*^  ^.^.--j — 7     .    ,.    .  ,     1     -i  11?  ,,„„  inr-     e"netti  eli  ciiveihi  luh-'h  ì»""   i'^^- o 

,on  essere  propria  ed  ^^f^^^^^^^^J^'^^  oppiarsi  ed  unirsi  così  dolcemente,  che  no. 
le,  e  comune  in  uno  e  totale  dall  ^^^^^Ì^  '  f^'^^  ^.^^^ino  i  lor  confini  taglienti,  e  dalla  diversità 
tentare  di  traspiantar,  generaleggiar  e  ^^^^^^^^^\^^,-  evudamente  disgiunti.  Questo  g>u. 
sola,  quul  norma  infallibile  ed  unica,  ^/'"^^^  !  ^.f  • '"^^^^  „^.^^,^.  ,,o,no  ,  tuUochò  cambiato  in 
a  all^eltanlo  vana,  ^^..ir^^^  ;^  ^^.^o  \^l^'^^^^ ,  per  c^uanto  ne  fa  fede  Venturi, 
aUa  stona,   cioè  allo  «-^^Hn-  «  -o/ell  uo  mc^  ^^  ^^^  ,  ^i.sloesodo.  Che  abbonda   non  ^'^ 

quanto  quella  di  voler  ^'-^'^'f^J^^^^  l,a   dubbio,    il  poema  di   lanli  passi    classici 
^omenlo  cieli'  esser  umano,  e  scongimaiteinpiv^  ^1^^.    ^^^^^^^.  ^    ^^^^^    ^^^,^   ^3. 

passali.     Perciò  veggiamo,   che  la  ^^^^^^^ ^  gusto  e'io  studio,  che  vi  si  palesa,  tut- 
^osta  ha  un'  età  di  ^^'^^^  '?J.^^^^  ^  "^  ,^ie.  ne^piccan   ancora  una   dipendenza,   una' 
Liodernilà,  dove,  a  forza  di  ^^  /^  '^f 'jj^^'^j^  ^,^  incostanza,  un  manco  di  sicurtà  poco  degno  al- 
maneggiar  gli  elementi  dr  questa  e  f ^  ^"^^^^^^^^^  ^-   ehi  osò  entrare  in  lizza  c-on  eroi,  qua,, 

niod^vario,  finalmente  surse  "'V^it "teroi^^no  Panie  e  Ariosto.     Molto  inslrutliva  e  la- 
no  proprio  e  opposto   allatto  ali     antico.      V  ei o  .  ^^  riguardo  quella  ri-  » 

e'iiè,   che,  poiché  ogni  opposizmne,  o  conte  a|mnte^ol^^^^^^^  Gerusalemme  liberata,  che  =^ 

li  di'  mira'  il  provocare ,  esercitare  e  tempra  e ,  ^^J^^^J^,,,^    dal  tedio  ,  dalla  stili-  ^ 
il  giuoco  delle  forze,  e  il  P^^^^-^^^^^'^'.^^^ir  Jh  l^fdal  rigm^^         critico  d' altrui  e  proprio 
,ie'là  delle  forme  intellettuali,  una  forma  ^[^^;^'^^^^%,,,,  rancor  contro  alla  casa  d^ 
stiera,  niassimamente  una  nalia  e  peHelta ,  può-  .  .^  ^^.^^^^^^^^   ^^^^  ^^^^  scrup  olos,  ^ 

te  e  deve  servirci  di  stimolo  e  d  ''^'^^,^.'^^^,  eccessiva  può  tarpare,  opprimere  e  con 
fezionar  la  nostra-,    ma  cosa  non  ;  -^     J.  ^^^^  ^..^  anzi  il  genio  ,   che   corroborar  o  rimpiaz 

ella  è,  che  la  coltura  c^ssenzuile  ^J\^^;'r,°-j^,  I ,,,!,.      Davvero,  a  veder  quelh  concieri  nifi 
nazione  non   consiste  m   eleganze  spigola  e  ^^j^T  penoso  cercar  pelo  nel?  uovo,  quc 

classici  forestieri,  o  ^•™«^-''''\"-'°V'i  '   d  teni-     u^  '^"'^^• 

gole  d'  arte  servilmente  osservate  a  guisa  di  t<.       ì^^  ^^.  ^^^,,^.^^^     ^^,, ,  secondo  1'  unani 

^.o  militare,   ne  in  un  arnese  di  V^';^^^,^:^^,'Z^^^o  de'  conoscitori,  però  non  fruttan 

Ui  artefatti  e  posticci       Di  ^^'^  ^"^^^1^^,^  ^^   opra   dolta  ,  langmda,  secca  e  oscur; 

ebbe  senz'  altro  un  ^""^^1^%^^"^"^^'  1    "'^;;^' ^^  un  demonio   invidioso  e  iromco  ab  Ir 

nientreche  scelse  la  matena  del  ^^'  V^^-^^^^V-^^^         ^^  infiacchito  quel  nobile  cervell 

txoppo    linulrofo  «">---  "^  ^^'^^^^^^^  nifoii  s.^a  farlo   giudicar  questa  Gerusalemme  cor 

e  cÌe\  rinascimento  delle    ellere       -^   /^^J    X,   ,,  <    -,  ri.nile  all' idea  della  celeste',    ed 

cupato   ancora  ed   «^t-«'-'^\^'^'^^,^    ''",'"';,""   s-river   a  Panigarola:   'Sono  affezionatissimo  ■ 

niindo  anteriore  affine,  benché  d,s  rutto,    '«1  P"     ^^^^^^^^^^  poema,    nuovamente  riformato,    come 

debole,  per  poter  allerrarc,  penetrare  «^^  -'^- j  ^^^^^^.^  l^^.,^  ,  el  mio  i.-lelletlo.     Dal  primo  sor 

nizzare  1'  idea  d'  un  mondo     eh'  era  P^'"    -'  "i      '^  ^,^^  ^  ^^.^^  i  padri  da'  figliuoli  ribelli,  e  so, 

parsi,    egli   s'   appicco   a'  bei  "7^'"^'^^^,  ""      '"c'i'   esser  riti  d'adulterio.      Questo  è  na 

Lucio    passato,     ed  al    n,odo    d      ;'-;  ^^  J  .^.«ente,  come  nacque  Minerva  da  quo 

d'un  gran  n.aesUo  riverito  ancor  a  d  nosti.,  ^'^^\'^  ^^j^     li  confiderei  la  vita  e  P  ali 

'  classici  greci  e  .almi,  e  ad  Anslote^,  iogguuu  .  ^^J^^^^^^^^J^   ,,  ^^,,  ,,  ,,,ide  P  inielice  d 

unicamente  secondo  lur  norma  elegge.  ^  ^'Pl  »       ,  commesso  contro  allo  spinto  san 

,uest'  aderenza,   ^-ui   fece  tanto  ^^J^^^^\^  ^,,,,,,  ,,  l,i  .quante!   sì  poco  del  fallo 

si  diede  81  gran  vanto,   e  quel  cuc  gn 


SAGGIO   SOVRA   IL   TASSO. 


XV 


sgiugnere  e  sconcertare  1'  armonia  primitiva 
3lle  facoltà  intellettuali,  e  d'  assordar  la  poe- 
ca  coscienza  !  Ahi  dui'o  fato  d'  alma  tenera  e 
)bile! 

In  somma  dunque  :  Tasso,  più  lirico  e  mu- 
cale ,  ch^  epico ,  scelta  juateria  epica  idonea 
;r  sé,  mane  scandagliata,  né  capace  forse  di 
ser  incoi-niciata  aristotelicamente,  come  per 
stinto  attaccandosi  alla  perfezione  della  forma, 
in  alma  pia  e  tenera  accumulando  sulla  mate- 
a  sua  di  quanto  V  anticliità  lo    fornì  di  bello 

d'  elegante,  intrinsicossi  massimamente  in 
iella  parte  dell'  oggetto ,  clie  colpisce  e  cat- 
va  il  sentimento.  E  qui  intenerito,  tutto  si 
russe  in  melodie  e  cantò  da  bravo ,  talora  pur 
oppo  consapevole  e  vago  di  sua  bravura,  di 
odo  elle,  svaporato  1'  estro,  troppo  tradì  lo 
orzo  di  supplirlo  a  forza  d'  assottigliar  e  di 
•bellir  viepiù  il  sentimento;  lo  elicgli  venne 
tto  tanto  più,  quantoebè  P  animo  suo  licetLi- 
)  era  tulio  impregnato  dell'  idee  massimamen- 

pldtonielie  e  mistiche,  le  quali  colla  religione 
cogli  usi  cavallereschi  cospirarono  a  questo  ef- 
tto.  Onde  internatosi  spezialmente  nell'  amore, 
rintracciandone  le  tenuissime  antenne  e  fibril- 
,  illanguidisce  lalor,  e  perde  quell'  elasticità, 
le  va  spandendosi  di  nuovo  ed  immedesiman- 
)si  in  concetti  ampj  più  vastamente  e  ricca- 
ente  organizzati.     Così  men  ricco,  poderoso  e 

ofondo  degli  antecessori  suoi,  gareggia  con 
ro  in  dolce  intrinsichezza,  in  tutto  quel,  che 
guarda  la  forma,  e  la  disposizion  poetica,  1'  e- 
cuzione  e  la  voga  del  ritmo. 

Volgendo  ora  lo  sguardo  di  nuovo  a'  nostri 
lattro  poeti,  che,  qual  galassia,  distinguono 
cielo  poetico  italiano  ,  tosto  scorgiamo  quelle 
le  direzioni  su  mentovate  della  poesia:  la  prò- 

ia  e  la  critica.  Tutti  e  quattro  si  sono  im- 
idroniU  con  nobile  studio  ed  ardore  della  col- 
ira  de'  loro  anziani;  stanno  in  cima  a  quella 

ila  loro  età;  sono  o  più,  o  )neno  agitali  dal 
•iTcnte  degli  eventi  politici,  o  aulici.     Maschia 

è  r  alma  di  Ua/ilc ,  ncrbuta  ,  austera,  quasi 
•cigna  ,  titanica,  sdegnosa,  ma  nocciolo  dol- 
ssimo  in  guscio  duro  e  acerbo.  Nel  fuoco  del 
IO  inlcUctto  possenlissimo  e'  fonde  il  metallo 
i  tutti  i  tcm])i,  ellìgiandonc  1'  idea  pura  e  su- 

imo   d'  umanità   trasfigurala  in    amor   celeste. 

ascliia  pure  e  1'  alma  d'  Arionto,  supcriore  ad 
',ni  caricatura  mondana  dell'  iilca,  con  ugnale 
berta  or  condiscendendovi,  or  ritrattandosi, 
landò  accarezzandola,  e  quando  baleslraiulohi, 
anciandosi  da  una  sfera  del  mondo  nell'  altra, 
\  un  fenomeno  all'  altro,   cambiando  di  forma 

guisa  di  l'rolco.      Ambidue  autononn  lisaiio  il 


mondo  con  occhio  fermo  linceo,  posto  in  non 
cale,  o  disdegnando  quanto  potrebbe  frastornar- 
li dalla  loro  idea  sovrana,  sempremai  nuova, 
fresca  e  rigenerata ,  in  cui  pur  sempremai  ti'a- 
luce  la  loro  nazionalità  ed  età  insieme  coli'  in- 
dividualità. Ai  lor  produtti  è  innato  lor  pro- 
prio ritmo  e  legge.  D'  imitazione  degli  antichi 
poco  si  curano ,  ancorché  gì'  incontrino  di 
quando  in  quando,  senza  volerlo;  perchè  il  prin- 
cipio e  la  massima  degli  antichi ,  il  ritmo  gran- 
dioso de'  loro  concetti,  è  quel,  eh'  eglino  si  ap- 
propriarono e  trasformarono.  Fidandosi  e  go- 
dendo della  lor  forza  natia  e  del  proprio  genio, 
a  cui  pur  Dio  diede  ancora  arte  e  saviezza,  dis- 
degnano la  limosina,  oppur  la  preda  di  fregi 
alieni;  anzi  dagli  stami  della  lor  vita  propria  e 
del  lor  secolo  tessono  la  tela  del  mondo,  intrec- 
ciandovi tutto  in  colori  freschi,  vivi  e  splendidi. 
Tal  è  la  lor  poesia  primitiva  e  genuina,  poesia 
della  religione,  della  cavalleria  e  dell'  amore,  la 
quale  dovette  esser  diversa  dall'  antica,  poiché 
queste  idee,  o  queste  lor  forme  magicamente 
cangianti  nel  ehiaror  dell'  intelletto,  nel  cre- 
puscolo della  fede,  nell' alba  della  speranza,  o 
nel  chiaroscuro  della  carità,  furono  ignote  agli 
antichi.  Dirimpetto  a  que'  genj  maschj  la  sto- 
ria ha  messo  due  donneschi  e  suscettivi,  Pe- 
trarca e  Tasfio,  de'  quali  la  tempra  e  tendenza 
differente,  la  spera  più  angusta,  ed  una  qualche 
monotonia  sono  incontrastabili.  Tendenza,  dico, 
imitativ^a  e  critica,  la  quale,  collocando  la  poesia 
in  ordine  sotto  la  dialettica  insieme  con  la  ret- 
lorica  (v.  Discors.  di  Tasso  del  poema  ep.  e.  45- 
To.  3.  ed.mil.),  e  credendo,  ,,  che  spezie  di  poesia 
none  oggi  in  uso,  né  fu  in  uso  negli  antichi 
tempi,  né  per  un  lungo  volger  de'  secoli  di 
nuovo  sorgerà ,  nella  cui  cognizione  non  si  deb- 
ba credere,  che  jienetrassc  Aristotele  con  quella 
medesima  sottigliezza  d'  ingegno,  con  la  quale 
tutte  le  cose,  eh'  in  questa  gran  macchina  Dio 
eia  natura  rinchiuse,  sotto  dicci  capi  dispose, 
e  con  la  quale  tanti  e  sì  varj  sillogismi  ad  alcune 
poche  forme  riducendo,  breve  e  perfetta  arte 
ne  compose"  (ivi  e.  115),  confondendo  cosi  il  ge- 
nio doli'  età  e  della  poesia  diverso,  e  proprio, 
men  penetrò  d'  ambidue  la  sostanza,  che  la  for- 
ma, a  quella  dunque  eil  alla  di  lei  tersezza  ed 
eleganza  tutto  s'  arrese,  od  in  somma  men  ge- 
nerò e  creò  dentro  dal  fondo  doli*  idea ,  clic 
fregionnc  una,  o  poche.  Infiacchila  in  essi 
i)ar  la  virtù  procreafricc  doli'  idea;  e  rinunziato 
eh'  ella  ebbe  (juasiasé  medesima,  inlenta  ad  una 
altra  spera  pili  rimota,  posta  Ira  il  si  e  il  no, 
iinalmonle  pertlellc  la  presenza  fresca  ed  imme- 
diata, la  quale  perciò  muore  e  si  perde  in  suoni 


XVI  SAGGIO   SOVRA  IL  TASSO. 


di  desio  mai  pago.  Onde  quella  monotonia  molle, 
quello  struggersi  e  tramontare  d"  un  mondo  privo 
della  forza  di  projezione  in  un'  alma  bella,  quel 
suo  ricader  nella  sua  generalità  indistinta  e  vuota. 
L'  Amore  è  il  lor  dio,  a  cui  sacrificano,  Platone 
il  di  lui  sacerdote,  Aristotele  il  sagrestano,  essi 
i  maestri  di  cappella  e  compositori  eccellenti, 
il  mondo  una  corte  d'  amore,  o  un  giuoco  flo- 
reale. 

Scusino  gli  ammiratori  assoluti  e  smisurati  de- 
gli due  ultimi  poeti  questo  nostro  giudizio,  rillet- 


D'  in  su  da  questo  punto  di  vista  siiratte  elegie, 
che  compiangono  quasi  il  doloroso  fato  di  quanto 
par  bello,  grande  e  augusto  in  persone  ed  in 
nazioni,  sono  anzi  sublimi  canti  trionfali,  ed 
eco  della  beltà,  che  su  risale  a'  cieli  suoi. 

Due  parole  ci  sian  ancora  permesse,  per 
confermai-e  quanto  è  stato  detto  di  sopiu  della 
classicità,  qual  fior  d'ingegno  nazionale,  pro- 
dutto  e  coltivato  dal  tempo.  Chiunque  con- 
sidera la  letteratura  poetica  italiana  dell'  età 
nostia,    qual    ella  si   mostra  ne'   Cesarotti,  Pa- 


tendo, che  ciò  non  ostante  ancor  noi  rispettiamo!  rini ,     Alfieri,     Monti,     Foscoli ,     Pindemonti, 


in  loi'o  lirici  squisitissimi  e  maestri,  tutto  che  siamo 
persuasi,  che  la  lirica  è  sol  una  forma  della  poe- 


Manzoni,  Niccolini  ecc.,  forza  è,    che  riconosca 
una  tempra  d'  ingegno  affatto  differente,    mire 


sia;  che  la  poesia  è  riprodotta  forma  dell'  uni- |  ed  intenzioni  mcn  formali,  che  materiali,  e  per 
verso,  e  concetto  di  questo  altrettanto  organico,  altro  di  gran  lunga  distanti  da  quelle  de'  quattro 
quanto  1'  universo  stesso;  che  dunque  il  valor  ;  poeti  classici  qui  radunati,  se  non  che  vi  trascorra! 
del  poeta  dipende  dalla  ricchezza,  dall'  ampiezza 'una  qualche  vena  dantesca,  ed  è  quella  di  spec-j 
e  profondità  de'  suoi  concetti,  come  dalla  di  ;  chiar  immediatamente  e  frescamente  la  vita  ed 
lui  forza  plastica  ;    che,  come  nella  forma  umana  il  genio  italiano  attuale,   abbattuto  in  uno  e  cou| 


e  la  beltà  si  manifesta  il  giusto  modo  e  la  ricon 
ciliazione  di  tutte  le  forze  di  natura  sin  là  nemi 


fortato,   si  dalla  memoria  dogliosa  d'  una  grani 
dezza  antica  perduta,    e  sì  dalla  speranza  d'uni 


che,  cosi  la  j^oesia  è  il  paradiso,  in  cui  intimis-j  avvenire  più  consolante  da  congiurarsi  con  mas 
simamente  son  congiunti  voler  arbiliario  o  par-  chio  senno  nobile.      Scosse  ha  ancor  le  nienti 
ticolare,   elegge;   che  finalmente  già  la  prepon-  1'   anime  italiane   quella  burrasca  violenta  d'  u 
deranza  dell'  elemento  musicale  nella  poesia  mo-   tempo  tra  distruttivo  e  rigenerativo,  tra  cadent 
derna,  con  cui  le  linee  rigide  della  beltà  si  scio-j  e  rinascente.     Speliti  si  sono,  appassiti  e  svapc 
gliono  in   movimento   e  s'    animano,    dovrebbe  riti    quei  sogni  favolosi   d'   una  vita    amorosi 
mostrar  un  rovescio  intero  di  principio;  prin-  che  vassi  struggendo  in  pianti  e  in  lai,  in  desi 
cipio,    che  amorevolmente  induce  a  sagriflcarej  e  concelti,  eh'  a  guisa  d'  api  o  di  pecchioni  ve 
ogni  particolarità  all' armonia  del  tutto.  Intanto  leggiano  intorno  al  fior  fattizio  d'  Amoi-e.      A 
se  in  questo  modo,   paragonando  principalmente  ti'e  gesta  ed  opre,   che  quelle  favolose  rodomoi 
le  membra  d'  una  serie  ,    incolpiamo  a  ragione  tcsche,  agogna  V  anima  più  soda  e  austera,    E 
la  strettezza  e  la  monotonia  delle  idee  di   que'  fatta  tempra,   si  fatto  stile  d'  anima  e  di  inen 
due  poeti,  conveniamo  eziandio  dall'altro  can-|si  pronunzia  in   diverse  guise   sin  nella  criti 
lo,   eh'  ancora  in  ciò  riconosciamo  legge  di  na-  della  lingua.    Sono  stimati  e  celebrati  quelli  co:i 
tura,   e  di  storia,    oppur  d'  intelletto,    le  quali  lei  della  nazione   sparsa  e  divisa  in  quantità 
librandosi  in  giii  ed  in  su  polseggiano,  e  tengono  cittadi  che  si  contrappesano  fra  di  loro.    Or  e 
un  certo  ritmo,    nel  quale  spiccano   tuttavia  i  diremo?    Niegheremo  forse,    che   classici  sia 
contrapposti,    a  fine  di  rivelar  cosi  tutti  i  mo-  quegli  autori,   che  rappresentano  il  fior  di  se 
menti  vitali,    e  lor  modo  ed  ordine.     Dappcr-  timento  e  d'  ingegno  della  loro  età,  unicamen 
tutto  veggiam ,  eh'  un  fenomeno,  un   elemento  perchè  non  sono  romanzeschi  in  senso  d'Arios 
provoca,  involve  e  spiega  1'  altro.     Ha  in  oltre  di  Petrarca,  o  simili?  o  perchè  non  sono  di  fi 
qualche  cosa   di  patetico   quel  fior  fragante   di  ma   greca?  Basti  d'avere  accennato  con  que 
canto  amoroso,   passeggicro  al  par  della  sua  ma-' poche   parole  la  rotazione  della  i)oesia  italiai 
teria ,    e   della   beltà.      Imperocché,    tanto    alta  por  confonder  coloro ,    che  per  parzialità,  p] 
essendo  la  vera  beltà  originaria,    che  non  cape  giutlizio  ,    o  qualsivoglia  altra  angustia  d'  aniS(- 
nè  anco  nell'  arte,  anzi  disdegna  d'  irrigidir  in  e  d'  intelletto  sviliscono  1'  età   presente  poeti|J[| 
forma,    o  di   struggersi  in  suoni,    ov'   ella  poiisol  perchè  è  acerba,  e  verde,  e  sboccia  soltand. 
assume  forma  e  spoglia  terrestre,  soccombe  ad  Un   commercio  piii   franco,  intimo  e  frequem  > 
un  iato,  ad  un  principio  aspro  e  scuro     Simile-i  con  altre  nazioni,  ed  una  contezza  jiiù  pieiKili 
mente  nella  milologia  lo  spirito  umano  è  sempre' quanti  v'  ha  mezzi  di  coltura,  certo  promuos- 
mai   un  dio  soIlVienle   nel   tempo,    unicamente  ranno  ancor  questa  nazione,   tostochè   1'  oren 
per  rivelar  il   trionfo  dell'  eterna  gloria  e  della,  la   toccherà  nel  consiglio  eterno  del  motor    t- 
bellà  invisibile  sovra  la  di  lei  frale  copia  terrena,   premo. 


L  A 


:jerusalemme  liberata 


D  I 


TORQUATO    TASSO. 


CANTO    PRIMO, 


ARGOMENTO. 

Perchè  ornai  di  servaggio  esca  e  dì  duolo 
La  città  santa ,   che  soccorso  attende, 
Dair  empirea  magion  dispiega  il  volo 
Messaggier,  che  Goffredo  alV  armi  accende. 
Ond'  ei  de'  cavalieri  il  primo  stuolo 
Aduna,  e  primo  duce  indi  risplendc: 
Splender  quinci  d'  acciaro  il  campo  vede; 
Poi  seco  al  grande  acquisto  affretta  il  piede. 


1.  Canto  r  armi  pietose  c'I  capitano, 
Chr,  'I  gran  sepolcro  lihcrò  di  Cristo. 
IVIoiLo  e|^li  oprò  col  senno  e  con  la  mano, 
IVlnlto  èoll'rì  nel  f^lorioso  acquislo. 

K  invan  1'  inferno  a  lui  s'  oppose,  e  insano 
8'  armò  d'  Asia  e  di   l.ii)ia  il  popol  mi-to  ; 
C'hè  il  «'iel  f:;!i  die,'  l'avorc,  e  sotto  ai  santi 
Sep^ni  ridusfC  i  snoi  compaf^ni  erranti. 

2.  ()  Musa,  tu,  che  di  cadiiclii  allori 
]\on  circiuuli  la  l'ronte  in  Klicona, 
Ma  su  nel  cielo  intra  ì   heati  cori 
Hai  di  stelli;  iininortali  aurea  corona. 
Tu  sjìira  al  petto  ini(t  cele^ti  ardori, 

Tu  rischiara  il  mio  canto,    e  tu   perdona, 
S'intesso  l'refji  al  ver,  s'adorno  in  parte 
D'altri  diletti ,  che  de'  tuoi ,  le  carte  ! 

3.  Sai,  che  là  corre  il  mondo,  ovi"  iiiii  %ersi 
Di  sue  dolce/.ze  il   lii>iiif;liier  l'ariiii>o. 

Il  I  iie  'I  vero  <:iindì(o  in  molli  versi 
I   più  schivi  allettando  ha  persuaso. 
Cn^i  all'  ef;ro  l'ancinl  porfj^iamo  asper^i 
Dì  soave  licor  <;li  orli  del  vaso: 
SSiicelii  anniri  ini^annato  intanto  ei  he^c, 
l'i  dall'  in;;'anno  suo  vita  riceve. 


4.  Tu,  maf^nanimo  Alfonso,  il  qnal  ritogli 
Al  furor  di  fortuna,   e  guidi  in  porto 

Me  peregrino  errante,  e  fra  gli  scogli 
E  fra  r  onde  agitato  e  quasi  absorto, 
(Queste  mie  carte  in  lieta  fronte  accogli. 
Che  quasi  in  voto  a  te  sacrate  i'  porto  ! 
Forse  un  dì  fia,  che  la  presaga  penna 
Osi  scriver  di  te  quel,  ch'or  n'accenna. 

5.  È  ben  ragion  (s'  egli  aAT^errà,  eh'  in  pace 
Il  buon  popol  di  Cri^to  nnqua  si  veda, 

E  con  navi  e  cavalli  al  fero  Trace 
Cerchi  ritor  la  grande  ingiusta  preda) 
Ch'  a  te  lo  scettro  in  terra ,    o  se  ti  piace, 
L'  alto  imperio  de'  mari  a  te  conceda. 
Emulo  di  Goffredo  ,  i  nostri  canni 
Intanto  ascolta,  e  t'apparecchia  all'  armi! 

6.  Già  '1  sesto  anno  volgea,  eh'  in   oriente 
Passò  il  campo  cristiano  all'  alta  impresa: 
E  Mcea  per  assalto,  e  la  jiotente 
Antiofthia  con  arte  a^ea  già  presa. 

L'  avea  poscia  in  liattaglia  incontro  a  gente 
Di  Persia  innnmerahile  difesa, 
E  Tortosa  espugnata:  indi  alla  rea 
Stagion  die'  loco,  e    1  novo  anno  attende». 

7.  E  '1  (ine  omai  di  qu«l  i>iovoso  inverno, 
Cile  Ica  r  armi  cessar,  linige  non  era, 
(Quando  ilalT  alto  soglio  il  l'adn;  eterno, 
('11'  è  nella  parte  più    del  elei  >incera, 

I]  (|uanto  ì:  dalle  >telle  al  hasso  inferno, 
Tanto  è  più  in  su  della  stellata  spera, 
(ìli  occhj  in  giù  volse,  e  in  un  sol  punto,  e  in  una 
\  i>ta  mirò  ciò,  ch'in  sé  il  iiunido  aduna. 

8.  Mirò  tutte  le  cose ,  ed  in  Soria 
S'  nflissò  poi  ne'  priniipi  cri>tiani, 

E  Cini  quel  gnarilo  suo,  eh'  addentro  spia 
Nel  più  serrilo  lor  gli  alVetli  umani, 
\v{U'.  («ollVeilo.  che  scacciar  de>ia 
Dalla  santa  eitià  gli  cmpj  pagani, 
E  |iieu  ili  le,  di  y.elo,  ogni  mortale 
(riorìa,  impero,  tesur,  inette  in  non  cale. 


m 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (I.  0—24) 


9.     Ma  Tede  in  Baldovin  cupido  ingegno, 
Ch'  air  umane  grandezze  intento  iis|)ira: 
Vede  Tancredi  aver  la  vita  a  sdegno. 
Tanto  un  suo  vano  amor  1'  ange  e  martira  : 
E  fondar  Boemondo  al  novo  regno 
Suo  d'  Antiochia  alti  principj  mira, 
E  leggi  imporre,  ed  introdur  costumo 
Ed  arti,  e  culto  di  verace  nume, 

10.  E  cotanto  internarsi  in  tal  pensiero, 

Ch'  altra  impresa  non  par  che  più  rammenti. 

Scorge  in  Rinaldo  ed  animo  guerriero, 

E  spirti  di  riposo  impazienti, 

Non  cupidigia  in  lui  d'  oro  o  d'   impero, 

Ma  d'  onor  hranic  imraoderate,  ardenti: 

Scorge,  che  dalla  hocca  intento  pende 

Di  Guelfo,  e  i  chiari  antichi  esempj  apprende. 

11.  Ma,  poich'  ebbe  di  questi  e  d'  altri  cori 
Scorti  gì'  intimi  sensi  il  re  del  mondo, 
Chiama  a  sé  dagli  angelici  splendori 
Gabriel,  che  ne'  primi  era  il  secondo. 

È  tra  Dio  questi  e  1'  anime  migliori 
Interprete  fedel,  nunzio  giocondo: 
Giù  i  decreti  del  ciel  porta,  ed  al  cielo 
Riporta  de'  mortali  i  preghi  e  '1  zelo. 

12.  Disse  al  suo  nunzio  Dio:  Goffredo  trova, 
E  in  mio  nome  di'  lui:   perchè  si  cessa? 
Perchè  la  guerra  omai  non  si  rinnova 

A  liberar  Gerusalemme  oppressa? 

Chiami  i  duci  a  consiglio,  e  i  tardi  mova 

All'  alta  impresa  !  ei  capitan  Ila  d'  essa  ! 

Io  qui  r  eleggo,  e  '1  faran  gli  altri  in  terra, 

Già  suoi  compagni ,  or  suoi  ministri  in  guerra. 

13.  Così  parlógli:  e  Gabriel  s'  accinse 
Veloce  ad  eseguir  1'  imposte  cose. 
La  sua  forma  inviciibii  d'  aria  cinse, 
Ed  al  senso  mortai  la  sottopose: 
Umane  membra,  aspetto  uman  si  finse, 
Ria  dì  celeste  maestà  il  compose. 

Tra  giovane  e  fanciullo  età  confine 
Prese,  ed  ornò  di  raggi  il  biondo  crine. 

14.  Ali  bianche  vestì ,  ch'han  d'  or  le  cime, 
Infaticabilmente  agili  e   preste. 

Fende  i  venti  e  le  nubi ,  e  va  sublime 
Sovra  la  terra,  e  sovra  il  mar  con  queste. 
Così  vestito  indirizzossi  all'  ime 
Parli  del  imuido  il  messaggier  celeste. 
Pria  sul  Libano  monte  ci  si  ritenne, 
E  si  librò  suir  adeguate  penne. 

15.  E  ver  le  piagge  dì  Tortosa  poi 
Drizzò  precipitando  il  volo  in  giuso. 
Sorgeva  il  nuo^o  sol  dai  lidi  coi, 

l'arte  già  fuor,  ma  '1  più  nell'  onde  chiuso; 
K  porgea  mattutini  i  preghi  suoi 
(«odrcdo  a  Dio,  com'  egli  avea  per  uso, 
Quando  a  paro  col  sol,  ma  più  lucente, 
L'  angelo  gli  apparì  dall'  oriente, 

16.  E  gli  disse:  Goffredo,  ecco  opportuna 

Già  la  stiigion ,  eh'  al  guerreggiar  s'  aspetta  ! 

Perciiù  (hiti(|iu;  trapor  dimora  alcuna 

A   lihcnir  (ìcrnsalem  soggetta? 

Tu    i   principi  a  consiglio  omai  raguna. 

Tu  ili  lìn  dell'  opra  i  neghittosi  affretta! 

Dio  per  lor  (inrc.  già  t'  elegge,    ed  essi 

Sopporran  volontarj  a  te  «è  «tessi. 


m 


17.  Dio  messaggier  mi  manda;  io  ti  rivelo 

La  sua  mente  in  suo  nome.     Oh  quanta  spene 

Aver  d'  alta  vittoria,  oh  quanto  zelo 

Dell'  oste  a  te  commessa  or  ti  conviene! 

Tacque,  e  sparito  rivolò  del  cielo 

Alle  parti  più  eccelse  e  più  serene. 

Resta  Goffredo  ai  detti,  allo  splendore, 

D'  occhj  abbagliato,  attonito  di  core. 

18.  Ma  poiché  si  riscote,  e  che  discorre. 
Chi  venne,  cìù  mandò,  che  gli  fu  detto. 
Se  già  bramava,  or  tutto  arde  d'  imporre 
Fine  alla  guerra ,  ond  egli  è  duce  elelto. 
Non  che  '1  vedersi  agli  altri  in  del  preporre 
D'  aura  d'  ambizion  gli  gonfi  il  petto; 

Ma  il  suo  voler  più  nel  voler  s'  infiamma 
Del  suo  signor,  come  favilla  in  fiauuua. 

19.  Dunque  gli  eroi  compagni,  i  quai  non  lungo 
Erano  sparsi,    a  ragunarsi  invita, 

Lettere  a  lettre,  e  messi  a  messi  aggiunge; 
Sempre  al  consiglio  è  la  preghiera  unita. 
Ciò,  eh'  alma  generosa  alletta  e  punge, 
Ciò,  che  può  risvegliar  virtù  sopita, 
Tutto  par  che  ritrovi,  e  in  efficace 
Modo  r  adorna  sì ,  che  sforza  e  piace. 

20.  Vennero  i  duci ,  e  gli  altri  anco  seguire  ; 
E  Boemondo  sol  qui  non  convenne. 

Parte  fuor  s'  attendò ,  parte  nel  giro, 
E  tra  gli  alberghi  suoi  Tortosa  teime. 
I  grandi  dell'  esercito  s'  unirò 
(Glorioso  senato)  in  dì  solenne. 
Qui  il  pio  Goffredo  incominciò  tra  loro 
Augusto  in  volto,  ed  in  sermon  sonoro: 

21.  Guerrier  di  Dio,   ch'a  ristorare  i  danni 
Della  sua  fede  il  re  del  cielo  elesse, 

E  securi  fra  1'  armi  e  fra  gì'  ingannì 

Della  terra  e  del  mar  vi  scorse  e  resse  ; 

Siedi'  abbiam  tante  e  tante  in  sì  pochi  anni 

Ribellanti  provin('e  a  lui  sommesse, 

E  fra  le  genti  debellate  e  dome 

Stese  r  insegne  sue  vittrici,  e  '1  nome: 

22.  Già  non  lasciammo  i  dolci  pegni  e  '1  nido 
Nativo  noi,  se  '1  creder  mio  non  erra, 

Kè  la  vita  esponemmo  al  mare  infido, 

Ed  ai  perigli  di  lontana  guerra. 

Per  acquistar  di  breve  suono  un  grido 

Volgare,  e  posseder  barbara  terra: 

Che  proposto  ci  avremmo  angusto  e  scarso 

Premio ,  e  in  danno  dell'  alme  il  sangue  sparso 

Ma  fu  de'  pensier  nostri  ultimo  segno 


' 


I  23. 


Espugnar  di  Si<ui  le  nobil  mura, 

E  sottrarre  i  cristiani  al  giogo  indegno 

Di  servitù  così  spiacente  e  dura, 

Fondando  in  Palestina  un  novo  regno, 

Ov'  abbia  la  pietà  sede  secura, 

ÌSè  sia  chi  neghi  al  peregria  devoto 

D'  adorar  la  gran  tomba,  e  sciorre  il  voto. 

21.      Dunque  il  fatto  finora  al  riscliio  è  molto. 
Più  elle  mollo  al  travaglio,  all'  onor  poco, 
INulIa  al  disegno,  <»vc  o  si  fermi,  o  volto 
Sia  r  impeto  dell'  armi  in  altro  loco. 
Che  gioverà  l'  aver  d'  Europa  accolto 
Si  grande  sforzo,  e  posto  in  Asia  il  foco, 
Quando  sian  poi  di  tanti  moti  il  fine 
Non  fabbriche  di  regni,   ina  ruuie? 


GERUSALEMME  LIBERATA.    (L  25  —  40) 


[6] 


.      Non  edifica  quei,  che  \uo\  gì'  imperi 
Su  fondamenti  fabbricar  mondani. 
Ove  lia  j)ochi  di  patria  e  fé  stranieri 
Fra  gì'  infiniti  popoli  pagani: 
Ove  ne'  Greci  non  convien  che  speri, 
E  i  favor  d'occidente  ha  s;  lontani; 
Ma  ben  move  ruine ,  ond'  egli  oppresso 
Sol  costrutto  un  sepolcro  abbia  a  sé  stesso. 

Turchi ,  Persi ,  Antiochia  (illustre  suono, 
E  di  nome  magnifico  e  di  cose) 
Opre  nostre  non  già,  ma  del  cicl  dono 
Furo ,  e  vittorie  tur  maravigliose. 
Or,  se  da  noi  rivolte  e  torte  sono 
Contra  quel  fin ,  che   l  donator  dispose, 
Temo  cen  privi,    e  favola  alle  genti 
Quel  sì  chiaro  rimbombo  alfin  diventi. 

Ah  non  fia  alcun,   per  Dio,  che  sì  graditi 
Doni  in  uso  si  reo  perda  e  diffonda  ! 
A  quei  che  sono  alti  princijij  orditi 
Di  tutta  r  opra  il  filo  e  I'  fin  risponda! 
Ora  che  i  passi  liberi  e  spediti, 
Ora  che  la  stagione  abbiam  seconda, 
Che  non  corriamo  alla  città,  eh'  è  meta 
D'  ogni  nostra  vittoria?  e  che  più  '1  vieta? 


Princij)i ,  io  vi  protesto  (i  miei  protesti 
Udrà  il  mondo  presente,  udrà  il  futuro, 
Gli  odono  or  su  nel  cielo  anco  i  celesti) 
Il  tempo  dell'  impresa  è  già  maturo. 
Men  divien  opportun,    più  che  si  resti: 
Incertissimo  fia  quel ,   eh'  è  securo. 
Presago  son  ,  s'  è  lento  il  nostro  corso. 
Avrà  d'  Egitto  il  Palestin  soccorso. 

Disse:  e  ai  detti  segui  breve  bisbiglio. 
Ma  sorse  poscia  il  solitario  Piero, 
Che  privato  fra'  principi  a  consiglio 
Sedea ,  del  gran  passaggio  autor  primiero  : 
Ciò  eh'  es(»rta  Gofliredo,  ed  io  consiglio; 
]\è  loco  a  dubbio  v'  ha ,  sì  certo  è  il  vero, 
E  per  sé  noto:  ei  dimostrollo  a  limgo, 
Voi  r  approvate,  io  questo  sol  v'  aggiungo. 

Se  ben  raccolgo  le  discordie  e  I'  onte 
Quasi  a  prova  da  voi  fatte  e  patite, 
I  ritrot^i  pareri,  o  le  non  pronte 
E  in  mezzo  all'  eseguire  opre  impedite, 
Ueco  ad  un'  alta  originaria  fonte 
La  cagi(m  d'  ogni  indugio  e  d'  ogni  lite; 
A  queir  autorità,  che  in  molti  e  varj 
D'  opinion  quasi  librata  è  pari. 

Ove  un  sol  non  impera ,  onde  I  giudici 
Pendano  poi  de'  prenij  e  delle  pene. 
Onde  siari  compartite  opre  ed  iilfici. 
Ivi  errante  il  governo  esser  conviene. 
Dell,  l'ale  un  corpo  sol  di  membri  amici! 
Fate  un  cap»»,  che  gli  altri  indriz/.i  e  freno! 
Date  ad  uu  sol  lo  scettro  e  la  possanza, 
E  sostenga  di  re  vece  e  sembianza! 

Qui  tacque  il  veglio.   Or  quai  pensier,  qua! petti 
Son  (  hiusi  a  te,  saut'  aura,  «;  divo  ardore.'' 
lu.-^piri  tu  dell'  ereniila  i  detti, 
E  tu  gì'  iinpriuii  ai  cabalici-  nel   core: 
Sgombri  gì'  inserti,  anzi  gì'   innati  all'etti 
Di  sovrastar,  di  libertà,  d'  onore; 
Sicché  (ìugliehno  e  Guelfo  ,   i   più  sublimi, 
Chiamar  GofiVedo  per  lor  duce  i  primi. 


33.  L'  approvar  gli  altri.    Esser  sae  parti  denno 
Deliberare  e  comandar  altrui. 

Imponga  ai  vinti  legge  egli  a  suo  senno: 
Porti  la  guerra,  e  quando  vuole,  e  a  cut 
Gli  altri,  già  pari,  ubbidienti  al  cenno 
Siano  or  ministri  degl'  imperj  sui. 
Concluso  ciò,  fama  ne  vola,  e  grande 
Per  le  lingue  degli  uomini  si  spande. 

34.  Ei  si  mostra  ai  soldati;  e  ben  lor  pare 
Degno  dell'  alto  grado ,  ove  l'han  posto, 
E  riceve  i  saluti  e  '1  militare 
Applauso  in  volto  placido  e  composto. 
Poich'  alle  dimostranze  umili  e  care 

D'  amor,  d'  ubbidienza  ebbe  risposto, 
Impon,  che  '1  dì  seguente  in  un  gran  campo 
Tutto  si  mostri  a  lui  schierato  il  campo. 

35.  Facea  nell'  oriente  il  sol  ritorno 
Sereno  e  luminoso  oltre  1'  usato,  ^ 
Quando  co'  raggi  uscì  del  novo  giorno 
Sotto  r  insegne  ogni  guerriero  armato, 
E  si  mostrò  quanto  potè  più  adorno 

Al  pio  Buglion,  girando  in  largo  prato. 
S'  era  egli  fermo,  e  si  vedea  davanti 
Passar  distinti  i  cavalieri  e  i  fanti. 

36.  Mente,   degli  anni  e  dell'  ohblio  nemica, 
Delle  cose  custode  e  dispensiera, 
Vagliami  tua  ragion  sicch'  io  ridica 
Di'quel  campo  ogni  duce  ed  ogni  schiera! 
Suoni  e  risplenda  la  lor  fama  antica. 
Fatta  dagli  anni  ornai  tacita  e  nera! 
Tolto  da'  tuoi  tesori  orni  mia  lingua 

Ciò,  eh'  ascolti  ogni  età,  nulla  l'  estingua! 

37.  Prima  i  Franchi  mostrarsi:  il  duce  loro 
Ugone  esser  solca,  del  re  fratello. 

Keir  isola  di  Francia  eletti  foro, 

Fra  quattro  fiumi  ampio  paese  e  bello. 

Posciach'  Ugon  morì,  de'  gigli  d'  oro 

Seguì  r  usata  insegna  il  fier  drappello 

SoUo  Clotareo,  capitano  egregio, 

A  cui ,  se  nulla  manca,  è  il  sangue  regio. 

3B.     Mille  son  di  gravissima  armatura: 
Sono  altrettanti  i  cavalier  seguenti. 
Di  disciplina  ai  primi  e  di  natura, 
E  d'  arme,  e  di  sembianza  indiflerenti, 
Kormandi  tutti  ;  e  gli  ha  Roberto  in  cura, 
Che  principe  nativo  é  delle  genti. 
Poi  duo  pastor  de'  popoli  spiegaro 
Le  squadre  lor,  Guglielau)  ed  Ademaro. 

39.  I/uno  e  l'  altro  di  lor,  che  ne'  divini 

I  lUci  già  trattò  pio  ministero,  _      ^ 
Sotto  r  elmo  premendo  i  hmghi  crini. 
Esercita  dell'  arme  or  l'  uso  IVro.^ 
Dalla  città  d'  Grange  e  dai  confini  ^ 
Qualtroiento  guerrier  scelse  il  primiero: 

!Ma  guida  quei  di  Poggio  in  guerra  l  nitro, 
^  omero  egual,  né  nieii  ncU'  uruu  scaltro. 

40.  Haldoviu  poscia  in  mostra  addur  si  vede 
Co'   IJologuesi  suol  quei  del  germano: 
(he  lo  sue  genti  il  pio  fratel  gli  cede. 

Or  eh'  ei  de'  capitani  é  capitano. 

II  conte  de'  Carnuti  indi  succede, 
Potente  di  consiglio,  e  prò  di  miMio. 
Aau  con  lui   qnallroceuto;  e  triplicati 
Conduco  Daldovino  in  sella  armati. 

1    'f 


m 


GERUSALEMME  LIBERATA,     (l.  41  —  56) 


[8] 


41.  Occupa  Guelfo  il  campo  a  lor  vicino, 
Uora,  eh'  all'  alta  fortuna  agguaglia  il  merto. 
C(»nta  costui  per  genitor  latino 

Degli  avi  estensi  un  lungo  ordine  e  certo. 
Ma  geriuan  di  cognome  e  di  domino, 
Kella  gran  casa  de  '  Guelfoni  è  inserto  : 
Regge  Carintia ,  e  presso  1'  Istro  e  '1  Reno 
Ciò,  che  i  prischi  Sùevi  e  i  Reti  avieno. 

42.  A  questo,  che  retaggio  era  materno, 
Acquisti  ei  giunse  gloriosi  e  grandi. 
Quindi  gente  traea,  che  prende  a  scherno 
D'  andar  centra  la  morte,  ov'  ei  comandi, 
Usa  a  temprar  ne'  caldi  alberghi  il  \erno, 
E  celebrar  con  lieti  inviti  i  prandi. 

Fur  cinquemila  alla  partenza  ;  appena 

(De'  Persi  avanzo)  il  terzo  or  qui  ne  mena. 

43.  Seguia  la  gente  poi  candida  e  blonda, 

Che  tra  i  Franchi,  e  i  Germani,  e  '1  mar  si  giace. 

Ove  la  3Iosa  ed  ove  il  Reno  inonda, 

Terra  di  biade  e  d'  animai  ferace. 

E  gì'  isolani  lor,  che  d'  alta  sponda 

Riparo  fansi  all'  océan  vorace; 

L'  océan,  che  non  pur  le  merci  e  j  legni. 

Ma  intere  inghiotte  le  cittadi  e  i  regni. 

41.     Gli  uni  e  gli  altri  son  mille,  e  tutti  vanno 
Sotto  un  altro  Roberto  insieme  a  stuolo. 
Maggior  alquanto  è  lo  squadron  britanno: 
Guglielmo  il  regge,  al  re  minor  figliuolo. 
Sono  gì'  inglesi  sagittarj^  ed  hanno 
Gente  con  lor ,  eh'  è  più  vicina  al  polo. 
Questi  dall'  alte  selve  irsuti  manda 
La  divisa  dal  mondo  ultima  Irlanda. 

45.  Vien  poi  Tancredi;  e  non  è  alcim  fra  tanti 
(Tranne  Rinaldo)  o  feritor  maggiore, 

O  più  bel  di  maniere  e  di  sembianti, 

0  più  eccelso ,  ed  intrepido  di  core. 

S'  alcun'  ombra  di  colpa  i  suoi  gran  vanti 
Rende  men  chiari,  è  sol  follia  d'  amore, 
Kato  fra  1'  arme,  amor  di  breve  vista. 
Che  si  nutre  d'  affanni,  e  forza  acquista. 

46.  E  fama ,  che  quel  di ,  che  glorioso 
Fé'  la  rotta  de'  Persi  'I  popol  franco, 
Poiché  Tancredi  alfin  vittorioso 

1  fuggitivi  di  seguir  fu  stanco, 
Cercò  di  refrigerio  e  di  riposo 

All'  arse  labbia,  al  travagliato  fianco, 
E  trasse,  ove  invitollo  al  rezzo  estivo 
Cinto  di  verdi  seggi  un  fonte  vivo. 

47.  Quivi  a  lui  d'  improvviso  una  donzella, 
Tutta,  fuorcliè  la  fronte,  armata  apparse. 
Era  pagana,  e  là  venuta  anch'  ella 

Per  1'  istessa  cagion  di   ristorarse. 
Egli  mirolla ,  ed  auunirò  la  bella 
Sembianza,  e  d'  essa  si  compiacque,  e  n'  arse. 
Oh  maraviglia!  Amor,  che  a|)pena  è  nato, 
Già  grande  vola,  e  già  trionfa  armato. 

48.  Ella  d'  cimo  coprissi  e  se  non  era, 
Cir  altri  quivi  arri\àr,  ben  I'  assaliva. 
Parti  dal  vinto  sue»  la  donna  altera, 
C'h'  è  per  ncc^essità  sol  fuggitiva; 

Ma  r  immagine  sua  bella  e  guerri(Ta 
Tale  ei  serbo  nel  «;or ,  qual  essa  è  viva; 
E  sempre  ha  nel   pen^iero  e  1'  atto  ,  e  '1  loco, 
In  che  la  vide,  cbca  continua  al  fuco. 


49.  E  ben  nel  volto  suo  la  gente  accorta 
Legger  potria:  questi  arde,  e  fuor  di  spene  ; 
Così  vieu  sospiroso,  e  così  porta 

Rasse  le  ciglia,  e  di  mestìzia  piene! 
Gli  ottocento  a  cavallo,  a  cui  fa  scorta. 
Lasciar  le  j)iagge  di  Campagna  amene. 
Pompa  maggior  della  natura,  e  i  colli. 
Che  vagheggia  il  Tirren,  fertili  e  molli. 

50.  Venian  dietro  dugento  in  Grecia  nati, 
Che  son  quasi  di  ferro  in  tutto  scarchi: 
Pendon  spade  ritorte  all'  un  de'  lati. 
Suonano  al  tergo  lor  faretre  ed  archi: 
Asciutti  lianno  i  cavalli ,    al  corso  usati, 
Alla  fatica  invitti ,  al  cibo  parchi  ; 
]\eir  assalir  son  pronti  e  nel  ritrarsi, 

E  combatton  fuggendo  erranti  e  sparsi. 

51.  Tatin  regge  la  schiera,  e  sol  fu  questi, 
Che  Greco  accompagnò  1'  armi  latine. 
Oh  vergogna,  oh  misfatto!  or  non  avesti 
Tu,  Grecia,  quelle  guerre  a  te  vicine? 

E  pur  quasi  a  spettacolo  sedesti, 
Lenta  aspettando  de'  grand'  atti  il  fine. 
Or  se  tu  se'  vii  serva,  è  il  tuo  servaggio 
(]\on  ti  lagnar!)  giustizia,  e  non  oltraggio. 

52.  Squadra  d'  ordine  estrema  ecco  vien  poi, 
]\Ia  d'  onor  prima,  e  di  valore  e  d'  arte. 
Son  qui  gli  avventurieri  invitti  eroi, 
Terror  dell'  Asia ,  e  folgori  di  Marte. 
Taccia  Argoi  i\Iini,  e  taccia  Artù  que'  suoi 
Erranti,  che  di  sogni  empion  le  carte; 

Ch'  ogni  antica  memoria  appo  costoro 
Perde.     Or  qual  duce  fia  degno  di  loro  ? 

53.  Dudon  di  Consa  è  il  duce:  e,  perchè  duro 
Fu  il  giudicar  di  sangue  e  di  virtute. 

Gli  altri  supporsi  a  lui  concordi  furo, 
Ch'  avea  più  cose  fatte  e  più  vedute. 
Ei  di  virilità  grave  e  maturo 
Mostralo  fresco  vigor  chiome  canute; 
Mostra,  quasi  d'  onor  vestìgi  degni, 
Di  non  brutte  ferite  impressi  segni. 

54.  Eustazio  è  poi  fra'  primi,  e  i  propri  pregi 
Illustre  il  fanno ,  e  più  il  fratel  Buglione. 
Gernando  v'  è,  nato  di  re  norvegi. 

Che  scettri  vanta,  e  titoli,  e  corone. 

Ruggier  di  Balnavilla  infra  gli  egregi 

La  vecchia  fama,  ed  Engerlan  ripone. 

E  celebrati  son  fra  ì  più  gagliardi 

Un  Gentonio,  un  Rambaldo,  e  due  GJierardi. 

55.  Son  fra'  lodati  Ubaldo  anco ,  e  Rosmondo, 
Del  gran  ducato  di  Lincastro  erede. 

Non  Ila  eh'  Obizo  il  tosco  aggravi  al  fondo, 
Chi  fa  delle  memorie  avare  prede; 
]\è  i  tre  fratei  lombardi  al  chiaro  mondo 
Involi,  Achille,  Sforza,  e  Palamede, 
O  'l  forte  Otton,  elie  conquistò  lo  sciulo, 
In  cui  dall'  angue  esce  il  fanciullo  ignudo. 

5(j.     Nò  Guasco,  nò  Ridolfo  addietro  lasso. 
Né  r  un  nò  1'  altro  («nido ,  ambo  famosi. 
Aon  Eberardo  ,  e  niui  (ìernier  trapasso 
Sotto  silenzio  ingriitaiiu-iite  ascosi. 
0\e  voi  me,  di  nuuu:rar  già  lasso, 
(iìildi|ip(^  ed  Odoardo,  amanti  e  sposi. 
Rapile.''  Oli  nella  guerra  anco  consorti, 
Non  sarete  disgiunti ,  uncorchè  morii  ! 


[9] 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (I.  57  —  72) 


[10] 


59 


60 


57.  Nelle  scuole  d'  Amor  che  non  s'  apprende? 
Ivi  si  fé'  costei  guerriera  ardita  : 

Va  sempre  affìssa  al  caro  fianco ,  e  pende 

Da  un  fato  solo  l'  una  e  1'  altra  vita. 

Colpo ,  eh'  ad  un  sol  noccia ,   unqua  non  scende, 

Ma  indivìso  è  il  dolor  d'  ogni  ferita  : 

E  speso  è  r  un  ferito,  e  V  altro  langue; 

E  versa  1'  alma  quel,  se  questa  il  sangue. 

58.  Ma  il  fanciullo  Rinaldo,  e  sovra  questi, 
E  sovra  quanti  iu  mostra  eran  condutti, 
Dolcemente  feroce  alzar  vedresti 

La  regal  fronte,  e  in  lui  mirar  sol  tutti. 
L'  età  precorse,  e  la  speranza;  e  presti 
l'areano  i  fior ,  quando  n'  uscirò  i  frutti. 
Se  '1  miri  fulminar  nell'  arme  avvolto. 
Marte  lo  stimi;  Amor,  se  scopre  il  volto. 

Lui  nella  riva  d'  Adige  produsse 
A  Bertoldo  Sofia,  Sofia  la  bella 
A  Bertoldo  il  possente:  e  priachè  fussc 
Tolto  quasi  il  harnhin  dalla  mammella, 
Matilda  il  volse,  e  nutricollo,  e  instrusse 
]\eir  arti  rege:   e  sempre  ei  fu  con  ella, 
Finch'  invaghì  la  giovanetta  mente  l 

La  tromba,  che  s'  udia  dall'  oriente. 

Allor  fneppur  tre  lustri  uvea  forniti) 
Fuggì  soletto ,  e  corse  strade  ignote, 
Varcò  r  Egeo,  passò  di  Grecia  i  liti, 
Giunse  nel  campo  in  rcgion  remote. 
Nobilissima  fuga,  e  che  1'  imiti 
Ben  degna  alcun  magnaniuu»  nipote! 
Tre  anni  son,  eh'  è  in  guerra;  e  intempestiva 
Molle  piuma  del  mento  appena  usciva. 

61.     Passati  i  cavalieri,  in  mostra  viene 

La  gente  a  piedi,  ed  è  Raimondo  innanti; 
Beggea  Tolosa,  e  scelse  infra  Pircne, 
E  fra  Garonna,  e  1'  ocean  suoi  fanti. 
Son  quattromila ,  e  ben  armati  e  bene 
Instrutti,  usi  al  disagio,  e  tolleranti. 
Buona  è  la  gente ,  e  non  può  da  più  dotta 
O  da  più  forte  guida  esser  condotta. 

Ma  cinquemila  Stefano  d'  Ambuosa, 
E  di  Blesse ,  e  di  Turs  iu  guerra  adduce. 
Non  è  gente  ro])usta,  o  faticosa, 
Scblitn  tutta  di  ferro  ella  riluce. 
La  terra  untile,  e  lieta,  e  dilettosa 
Simili  a  sé  gli  abitaUir  produce. 
Impeto  fan  nelle  Itattaglie  prime; 
Ma  di  leggier  poi  langue,  v.  »i  rcjirimc. 

Alcasto  il  terzo  vien ,  qual  presso  a  Tebe 
Già  Capaneo,  con  minaccioso  volto: 
Seimila  Klve/.j,  audace  e  (era  plebe, 
Dagli  alpini  castelli  avea  racc-olto, 
Che  'l  ferro,   uso  a  far  solchi,  a  franger  glebe, 
In  nove  forme,  e  in  più  «legno  opre  ha  volto: 
E  con  la  man ,  che  guardò  ro/,/.i  armenti, 
Par,  eh'  i  regi  biìdar  milla  pa>enti. 

Vedi  appresso  si)iegar  l'  alto  ves^illo 
Col  diadema  di  Piero,  e  con  le  chia\i. 
(^uì  si'ltemila  aduna  il   buon   ('amillo 
P<doni,  d'  arme  rilucenti  e  gra>i; 
Lieto  clr  a  (anta  impreca  il  ciel  soilillo, 
O^e  rinno\i   il   prisco  oiior  «legli  a>i, 
O  m(l^tri  almen ,  eli'  alla  ^irtù  Ialina 
O  nulla  luuucu,  u  bul  la  diaciplinu. 


62 


63. 


64 


65.  Ma  già  tutte  le  squadre  eran  con  bella 
Mostra  passate ,  e  1'  ultima  fu  questa, 
Quando  Goflìedo  i  maggior  duci  appella, 
E  la  sua  mente  lor  fa  manifesta. 

Come  appaja  diman  1'  alba  novella, 
ì'o',  che  r  oste  s'  invii  leggera  e  presta. 
Siedi'  ella  giunga  alla  città  sacrata, 
Quanto  è  possibil  più,  meno  aspettata. 

66.  Preparatevi  dunque  ed  al  viaggio, 
Ed  alla  pugna,  e  alla  vittoria  ancora! 
Questo  ardito  parlar  d'  uora  così  saggio 
Sollecita  ciascuno ,  e  l'  avvalora. 

Tutti  d'  andar  son  pronti  al  novo  raggio, 
E  impazienti  in  aspettar  l'  aurora. 
Ma  '1  provvido  Buglion  senza  ogni  tema 
Non  è  però,  benché   nel  cor  la  prema; 

67.  Perch'  egli  avea  certe  novelle  intese. 
Che  s'  è  d'  Egitto  il  re  già  po»to  in  via 
Inverso  Gaza ,  bello  e  forte  arne^e 

Da  fronteggiare  i  regni  di  Scria  : 
Né  creder  può  ,  che  F  uomo  a  fere  imprese 
Avvezzo  sempre  or  lento  in  ozio  stia  : 
Ma  d'  averlo  aspettando  aspro  nemico, 
Parla  al  fedel  suo  messaggiero  Enrico. 

68.  Sovra  una  lieve  saettia  tragitto 
Vo'  che  tu  faccia  nella  greca  terra. 
Ivi  giunger  dovea  (cosi  m'  ha  scritto. 
Chi  mai  per  uso  in  a^^isar  non  erra) 
Un  giovane  regal,  d'  animo  infitto, 

Ch'  a  farsi  vien  nostro  compagno  in  guerra: 
Prence  é  de'  Dani,  e  mena  un  grande  stuolo 
Sm  dai  paesi  sottoposti  al  polo. 

69.  I\Ia ,  perchè  'l  greco  imperator  fallace 
Seco  forse  userà  le  solile  arti, 

Per  far ,  eh'  o  torni  indietro ,   o  '1  corso  audace 
Torca  iu  altre  da  noi  lontane  parti: 
Tu ,  nunzio  mio ,  tu ,  consiglier  verace. 
In  mio  nome  il  disponi  a  ciò  che  parti  ! 
Nostro  e  suo  Itene;  e  di',  cIk;  tosto  ^egna! 
Che  di  lui  fora  ogni  tardanza  indegna. 

70.  Non  venir  seco  tu;  ma  resta  appresso 
Al  re  de'  Greci  a  procurar  l'  ajntct. 

Che,  già  più  d'  una  volta  a  noi  promesso. 
E  per  lagion  di  palt(t  anco  doviUo. 
Così  parla  e  l'  informa  :  e  poiché    1  messo 
Le  lettre  ha  di  credenza  e  di  salulit. 
Toglie  an'retlando  il  suo  jiavlir  ii)iìgciì(t  ; 
E  tregua  fa  co'  suoi  peusier  Gullredo. 

71.  11  dì  seguente,  allor  eh'  aperte  sono 
Del  lucido  oriente  al  sol  le   porle. 

Di  trombe  udi>?i  e  di   laminili  un  suono, 
Ond'  al  «'.anmiino  ogiti  giu-rrier  s'   e^rrle. 
Non  è  »ì  grato  ai  caldi  i;(iiiiii  il  tuono, 
C'he  speranza  di  pioggia  al  mondo  apporto, 
Come  fu  car(t  alle  ieroci  genti 
L'  altero  suon  de'  belli('i  islriiinenti. 

72.  Tosto  ciascun  da  gran  <le»io  com|iiuito 
Veste  le  membra  dell    usale  spoglie. 

E  (osto  appar  ili  tulle  1'   arme  in  punto: 

'l'o^to  sotto  i  suoi  duci   ogn'  noni  s'  accoglie. 

i)   I'   ordinalo  e>ercito  c(tnginnlo 

'l'ulte  le  >nc  b.indicre  al  vento  sciitglic; 

E  nel   %e>>illo  imperiale  <;  granile 

La  Iriunluule  croce  al  ciel  ai  ^paude. 


[11] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (L  73-88) 


[12] 


T3.     Intanto  il  sol,  che  da'  celesti  campì 

Va  più  sempre  avanzando ,  in  alto  ascende, 

L'  arme  perente,  e  ne  trae  fiamme  e  lampi 

Tremnli  e  chiari ,  onde  le  viste  ofFende. 

L'  aria  par  di  faville  intorno  avvampi, 

E  quasi  d'  alto  incendio  in  forma  splende; 

E  co'  fieri  nitriti  il  suono  accorda 

Del  ferro  scosso ,  e  le  campagne  assorda. 

74.  Il  capitan,  che  da'  nemici  agguati 
Le  schiere  sue  d'  assecurar  desia, 
Molti  a  cavallo  leggiermente  armati 
A  scoprire  il  paese  intorno  invia: 

E  innanzi  i  guastatori  avea  mandati, 

Da  cui  si  dcbhia  agevolar  la  via, 

E  i  vuoti  luoghi  empire ,  e  spianar  gli  erti, 

E  da  cui  siano  i  chiusi  passi  aperti. 

75.  Non  è  gente  pagana  insieme  accolta, 
Non  muro  cinto  di  profonda  fossa. 

Non  gran  torrente,  o  monte  alpestre,  o  folta 
Selva ,  che  '1  lor  viaggio  arrestar  possa. 
Cosi  degli  altri  fiumi  il  re  talvolta, 
Quando  superbo  oltra  misura  ingrossa, 
Sovra  le  sponde  ruinoso  scorre, 
Né  cosa  è  mai,  che  gli  s'  ardisca  opporre. 

70.      Sol  di  Tripoli  il  re ,  eh'  in  hcn  guardate 
Mura  genti ,  tesori ,  ed  arme  serra. 
Forse  le  schiere  franche  avria  tardate; 
]>Ia  non  osò  di  provocarle  in  guerra. 
Lor  con  messi  e  con  doni  anco  placate 
Ricettò  volontario  entro  la  terra: 
E  ricevè  condizion  di  pare, 
Siccome  imporle  al  pio  Goffredo  piace. 

77.      Qui  del  monte  Sei'r,  eh'  alto  e  sovrano 
Dall'  oriente  alla  cittade  è  presso, 
Gran  turba  scese  di  fedeli  al  piano, 
D'  ogni  età  mescolata  e  d'  ogni  sesso, 
Fortò  suoi  doni  al  vlncitor  cristiano, 
Godea  in  mirarlo  ,  e  in  ragionar  con  esso, 
Stiipia  dell'  arì.ii  peregrine,  e  guida 
Eblìe  da  lor  Gollredo  amica  e  fida. 

7S.      Conduce  ci  sempre  alle  marittime  onde 
Vicino  il  campo  per  diritte  strade. 
Sapendo  ben  ,  che  le  propinque  sponde 
L'  amica  armata  costeggiando  rade, 
La  qual  può  far,  che  tutto  il  campa  abhonde 
De'  necessari   arnesi  ,  e  che  le  biade 
O^-iii  i^ola  de'   Greci  a  lui  sol  mieta, 
E  Scio  pietrosa  gli  vendemmi,  e  Creta. 

79.  Geme  il  vicino  mar  sotto  1'  incarco 
Teli'  alte  navi  e  de'  più  lievi  pini  ; 
Siicliè  non  s'  apre  ornai  sicuro  varco 
N<1  mar  mediterraneo  ai  Saracini: 

Cli'  oltra  quei,  clj'  ha  Giorgio  armati,  e  Marco 
Ne'  veneziani  e  liguri  confini, 
Altri  Ingliiltcrra  e  Trancia,  ed  altri  Olanda, 
E  la  fcrtil  Sicilia  altri  ne  manda. 

80.  E  questi ,  che  son  tutti  insieme  uniti 
Con  saldissimi  lacci  in  un  volere, 

S'  cran  ciircbi  «;  provvisti  in  varj  liti 

Di  ciò,  eli'  i:  «r  uopo  alle  terr(«hi  schiere; 

Le  qnai,   Iroviindo   liberi   ^^  sforniti 

1   passi  de'  ncmi(  i  alle  frontiere. 

In  corso  velocissimi)  seii    vanno 

Là  've  Cristo  solliì  mortale  allanno. 


81.  Ma  precorsa  è  la  fama  apportatrice 
De'  veraci  romori  e  de'  bugiardi  : 
Ch'  unito  è  il  campo  vincitor  felice, 

Che  già  s'  è  mosso;  e  clie  non  è  chi  '1  tardL 
Quante  e  qitai  sian  le  squadre,  ella  ridice, 
Narra  il  nome  e  il  valor  de'  più  gagliardi, 
Narra  i  lor  vanti  e  con  terribii  faccia 
Gli  usurpatori  di  Sion  minaccia. 

82.  E  r   aspettar  del  male  è  mal  peggiore 
Forse,  che  non  parrebbe  il  mal  presente. 
Pende  ad  ogni  aura  incerta  di  romore 
Ogni  orecchia  sospesa,  ed  ogni  mente: 

E  un  confuso  bisbiglio  entro   e  di  fuoro 
Trascorre  i  campi,  e  la  città  dolente. 
Ma  il  vecchio  re  ne'  già  vicin  perigli 
Volge  nel  dubbio  cor  feri  consigli. 

83.  Aladin  detto  è  il  re ,  che  di  quel  regno 
Novo  signor  vive  in  continua  cura: 

Uom  già  crudel,  ma  '1  suo  feroce  ingegno 
Pur  mitigato  avea  1'  età  matura. 
Egli ,  che  de'  Latini  udì  il  disegno, 
Ch'  han  d'  assalir  di  sua  città  le  mura, 
Giunge  al  veccbio  timor  novi  sospetti, 
E  de'  nemici  pavé ,  e  de'  soggetti. 

84.  Perocché  dentro  a  una  città  commisto 
Popolo  alberga  di  contraria  fede; 

La  debil  parte  e  la  minore  in  Cristo, 
La  grande  e  forte  in  Macometto  crede. 
Bla  quando  il  re   fé'  di  Sion  l'  acquisto, 
E  vi  cercò  di  stabilir  la  sede, 
Scemò  i  pubblici  i)esi  a'  suoi  pagani, 
3Ia  più  gravonne  i  miseri  cristiani. 

85.  Questo  pensier  la  ferità  nativa. 

Che  dagli  anni  sopita  e  fredda  langue, 
Irritando  inasprisce ,  e  la  ravviva. 
Sicché  assetata  è  più  che  mai  di  sangue. 
Tal  fero  torna  alla  stagione  estiva 
Quel ,  che  parve  nel  gel  piacevol  angue: 
Così  ieon  domestico  riprende 
L'  innato  suo  furor ,  s'  altri  1'  olTende. 

86.  Ve"-"-io ,  dicea  ,  della  letizia  nova 
Veraci  segni  in  questa  turba^  infida. 
Il  danno  universal  solo  a  lei  giova;  ^ 
Sol  nel  pianto  comun  par  eh'  ella  rida. 
E  forse  insidie  e  tradimenti  or  cova. 
Rivolgendo  fra  sé  come  m'  uccida, 

O  come  al  mio  nemico  e  suo  consorte 
Popolo  occultamente  apra  le  porte. 

87.  Ma  noi  farà.     Prevenire  questi  empj 
Disegni  loro,  e  sfogherommi  appieno: 
Gli  ucciderò,  faronne  acerbi  srerapj. 
Svenerò  i  figli  alle  lor  madri  in  seno,  ^ 
Arderò  loro  alberghi  e  insieme  i  tempj. 
Questi  i  debiti  rogbi  ai  morti  fieno. 
E  su  quel  lor  sepolcro  in  mezzo  ai  voti 
Vittime  pria  farò  de'  sacerdoti. 

88.  Così  1'  iniquo  fra  suo  cor  ragiona; 
Tur  non  segue  pensier  si  mal  concetto  : 
Ma  s'  a  quegli  innocenti  egli  perdona, 
E  di  viltà,  non  di  pictade  elVetto: 
Clic,  s'  un  timor  a  imrudelir  lo  sprona, 
Il  riticn   più   potente  altro  sospetta: 
Troncar  le  vie  d'  accctrdo ,  e  de'  remici 
l'roppo  teme  irritar  1'  arme  vittricì. 


13]        (GERUSALEMME  LIBERATA.    (1.89—90   II.  l-io)        [14] 


Tempra  dunque  il  feiìon  la  rabbia  insana: 
Anzi  altrove  pur  cerca ,  ove  la  sfoghi. 
I  rustici  edifici  abbatte  e  spiana, 
E  dà  in  preda  alle  Cani:iis  i  culti  luoghi. 
Parte  alcuna  non  lascia  integra,  o  sana, 
Ove  il  Franco  si  pasca,  ove  s'  alloghi. 
Turba  le  fonti  e  i  rivi ,  e  le  pure  onde 
Di  veneni  mortiferi  confonde. 


80.      Spietatamente  è  cauto:  e  non  obblia 
Di  rinforzar  Gcrusalcm  frattanto. 
Da  tre  lati  fortissima  era  pria, 
Sol  verso  borea  è  nicn  sc<ura  alquanto; 
Ma  da'  primi  sospetti  ti  le  nuuiia 
D'  alti  ripari  il  suo  men  forte  canto  ; 
E  v'  accoglica  gran  qunntitade  in  freUa 
Di  gente  mercenaria,  e  di  soggetta. 


CANTO     SECONDO. 


ARGOMENTO. 

Mormora  Ismene  in  svlV  immagin  diva 

Della  diva  del  cicl  note  profane  : 

Ma  quelV  empia  magia  d'  effetto  è  priva, 

Sicclv  Aladin  di  sdegno  ebbro  rimane; 

E  mentre  ei  vuol  c7i'  un  sol  Cristian  non  viva, 

Vuol  morir,  vuol  quetar  le  voglie  insane 

Sofronia,  Olindo;  ma  Clorinda  il  vieta; 

E  sfida ,  e  grida  Argante ,  e  non  s'  acqueta. 


1.  Mentre  il  tiranno  s'  apparecchia  all'  armi, 
Soletto  Ismeno  un  dì  gli  s'  apprcsenta  : 
Ismen  ,  che  trar  di  sotto  ai  chiusi  marmi 
Può  corpo  estinto,  e  far,  che  spiri  e  senta: 
Ismen ,  cW  al  suon  de'  mormoranti  carmi 
Sin  nella  reggia  sua  Pluto  spaventa, 

E  i  suoi  dcmon  negli  cmpj  uffici  imi)ìega 
Pur  come  servi ,  e  li  discioglie  e  lega. 

2.  Questi  or  Macone  adora  ,  e  fu  cristiano, 
Ma  i  primi  riti  ancor  lasciar  non  punte; 
Anzi  sovente  in  uso  empio  e  profano 
Confonde  le  due  leggi  a  sé  mal  note. 

Ed  or  dalle  spelonche,  ove  lontano 
Diil  volgo  esercitar  suol  l'  arti  ignote, 
Vien  nel  publilico  rischio  al  suo  signore, 
A  re  malvagio  consiglier  peggiore. 

8.     Signor,  dicea,  senza  tardar  scn  viene 
Il  vìncitor  esercito  tcnuito. 
Ma  facciaui  noi  ciò,  cIk;  a  noi  far  conviene; 
Darà  il  cicl,  darà  il  mondo  ai  forti  ajuto. 
Den  tu  di  re,  di  duce  iiai  tolte  piene 
Lo  parti,  e  lunge  hai  ^isto  <;  provveduto. 
S'  empie  in  tal  gui>a  ogni  altro  i  proprj  uffici 
Tomba  fia  questa  terra  a'  tuoi  nemici. 

4.      Io,  quanto  a  mo,  ne  vengo  e  del  periglio 
E  dell'  opi(!  compagno  ad  aitarte. 
Ciò  ,  <;he  può  dar  di  vecchia  età  consiglio, 
Tutto  prtunctto,  «•  ciò  che  magic'  arte. 
Gli  angeli  ,  che  dal  ciclo  ebbero  esigilo, 
Costringerò  delle  fatiche  a  parte: 
Ma  dond'  io  voglia  incoinini  iar  gì'  incanti, 
E  roii  quai  mudi ,  or  narrerutti  imianli. 


5.  Nel  tempio  de'  cristiani  occulto  giace 
Un  sotterraneo  altare ,  e  quivi  è  il  volto 
Di  colei,  che  sua  diva  e  madre  face 
Quel  volgo  del  suo  Dio  nato  e  sepolto. 
Dinanzi  al  simulacro  accesa  face 
Continua  splende:  egli  è  in  un  velo  avvolto. 
Pendono  intorno  in  lungo  ordine  i  voti. 
Che  vi  portaro  ì  creduli  devoti. 

6.  Or  questa  effigie  lor,  di  là  rapita, 
Voglio,  che  tu  di  propria  man  trasporte, 
E  la  riponga  entro  la  tua  meschita. 

10  poscia  incanto  adoprerò  sì  forte, 

Ch'  ognor,  meiitrc  ella  qui  fia  custodita, 
Sarà  fatai  custodia  a  queste  porte. 
Tra  mura  inespugnabili  il  tuo  impero 
Sicuro  fia  per  novo  alto  mistero. 

7.  Sì  disse,  e  '1  persuase;  e  impay.iente 

11  re  sen  corse  alla  magion  di  Dio, 
E  sforzò  i  sacerdoti  ,  e  irriverente 
Il  casto  simulacro  indi  rapio, 

E  portello  a  quel  tempio,  ove  sovente 
S'  irrita  il  cicl  con  folle  culto  e  rio. 
Nel  profan  loco ,  e  sulla  sacra  inmiago 
Susurrò  poi  le  sue  bestemmie  il  nnigo. 

8.  Ma  come  apparse  in  ciel  1'  alba  novella. 
Quel,  cui  1'  immondo  tempio    in  guardia  è    dato. 
N»>n  rivide  1'  inunagine,  do\'  ella 

Fu  posta,  e  invau  cerconne  in  al(ro  lato. 
Tosto  n'  avvisa  il  re,  eh'  alla  no\ella 
Di  Ini  si  mostra  fieramente!   irato. 
Ed  immagina  ben,  cIT  alcun  fedele 
Abbia  fatto  quel  furto,  e  che  sei  cele. 

0.      O   fu  di  nian  fedele  opra  furtiva, 
O  pur  il  cicl  qui  sua  potenza  adopra: 
Clu":  di  colei,  ch"  è  sua  regina  e  divo. 
Sdegna,  clu-  loco  a  il  1'  inimagin  copra: 
Cir  incerta  fama  è  ancor,  se  ciò  s'  ascriva 
Ad   arti;  umana,  od  a  mirabil  o|)ra. 
]Seu  è  pietà,  che,   la  piclade  e     1  zelo 
Lnian  cedendo,  autor  sen  ireda  il  cielo. 

10.      Il  re  ne  fa  con  importuna  inchiesta 
Uitcrcare  ogni  chiesa,  ogni  magione. 
Ed  a  chi  gli  nasconde,   o  manit('>ta 
Il  furto,  o   '1   r<o ,  grim   pene  e  prcmj   Impone. 
Il   nnigo  di  s|iiarne  iincor  non   re>la 
Con   tulle  r  arti   il  ^cr;  ma  non  s'  appone: 
(hi-    1  <  icio  (opra  sua  fosse,  o  fos»e  altrui) 
Celullu  ud  untii  dvf^l  incanii  u  Ini. 


[15] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (II.  11  —  20) 


[16] 


11.  Ma  poiché  '1  re  crudel  vide  occultarse  j 
Quel ,  che  peccato  de'  fedeli  ei  pensa, 

Tutto  in  lor  d'  odio  infellonissi ,  ed  arse  j 

D'  ira  e  di  rahhia  immodcrata  immensa. 
Ogni  rispetto  obblia ,  vuol  rendicarse, 
(Segua  che  puote)  e  sfogar  V  alma  acccnsa. 
Morrà ,  dicea ,  non  andrà  1'  ira  a  voto,  , 

IVelIa  strage  comune  il  ladro  ignoto. 

12.  Purché  '1  reo  non  si  salvi,  il  giusto  pera 
E  r  innocente       Ma  qual  giusto  io  dico? 

E  colpevol  ciascim ,  né  in  loro  schiera  i 

lom  fu  giammai  del  nostro  nome  amico. 

S'  anima  v'  è  nel  novo  error  sincera, 

Basti  a  novella  pena  un  fallo  antico! 

Su  su,  fedeli  miei,  su  via,  prendete 

Le  fiamme  e  '1  ferro,  ardete  ed  uccidete! 

13.  Cosi  parla  alle  turbe:  e  se  n'  intese 
La  fama  tra'  fedeli  immantinente, 
Ch'  attoniti  restar;  si  li  sorprese 

11  timor  della  morte  ornai  presente  ! 

E  non  è ,  chi  la  fuga ,  o  le  difese,  ' 

Lo  scusare,  o  '1  pregare    ardisca  o  tente. 

Ma  le  timide  genti  e  irresolute. 

Donde  meno  speraro,  cbber  salute. 

14.  Vergin  era  fi'a  lor  di  già  matura 
Verginità ,  d'  alti  pensieri  e  regi, 

D'  alta  beltà;  ma  sua  beltà  non  cura, 

O  tanto  sol,  quant'  onestà  sen  fregi. 

È  "1  suo  pregio  maggior ,  che  tra  le  mura 

ÌY  angusta  casa  asconde  i  suoi  gran  pregi  ; 

E  de'  vagheggiatori  ella  s'  invola 

Alle  lodi,  agli  sguardi,  inculta  e  sola. 

15.  Pur  guardia  esser  non  può,    che  'n    tutto  celi 
Beltà  degna,  eh'  appaja,  e  che  s'  ammiri; 

]Né  tu  il  consenti,  Amor,  ma  la  riveli 
D'  un  giovinetto  ai  cupidi  desiri. 
Amor ,  eli'  or  cieco ,  or  Argo ,  ora  ne  veli 
Di  benda  gli  occhj  ,  ora  ce  gli  apri  e  giri, 
Tu  per  mille  custodie  entro  ai  più  casti 
Verginei  alberghi  il  guardo  altrui  portasti. 

IG.      Colei  Sofronia,  Olindo  egli  s'  appella, 
D'  una  cittade  entrambi  e  d'  una  fede. 
Fi  .  «he  modesto  è  sì ,  coni'  essa  é  bella. 
Brama  assai,  poco  spera,  e  nulla  chiede; 
^è  sa  scoprirsi,  o  non  ardisce:  ed  ella 
O  lo  sprezza,  o  noi  vede,  o  non  s'  avvede. 
Così  finora  il  misero  ha  servito 
O  non  visto ,  o  mal  noto ,  o  mal  gradito. 

17,  S'  ode  1'  anntmzio  intanto,  e  che  s'  appresta 
Miserabile  strage   al  popol  loro. 

A  lei ,  che  generosa  è  quanto  onesta, 
Viene  in  pensicr,  come  salvar  costoro. 
Move  fortezza  il  gran  pensier,  1'  arresta 
Poi  la  vergogna  e  'i  virginal  decoro  : 
Vince  fortezza  ;  anzi  s'  accorda ,  e  face 
Sé  ^e^g(lgnosa,  e  la  vergogna  audace. 

18.  La  vergine  tra  '1  volgo  uscì  soletta. 
Non  coprì  sue  bellezze ,  e  non  I'  espose, 
llaccolse  gii  occhj,  andò  nel  vel  ristretta 
('on  i>rliiv(;  maniere  e  generose. 

Non  sai  ben  dir,  s'  adorna,  o  se  negletta, 
Se  caso,  od  arte  il  b<l  volto  c(uiiposc: 
ni  natura,  d'  iinior,  de'  «'ieli  umici 
Le  neglig<;nzc  buc  sono  artifìci. 


19.  Mirata  da  ciascun  passa ,  e  non  mira 

L'  altera  donna,  e  innanzi  al  re  sen  viene: 
Né,  perchè  irato  il  veggia,  il  pie  ritira. 
Ma  il  fero  aspetto  intrepida  sostiene. 
Vengo,  Signor,  gli  disse  (e  intanto  l'  ira. 
Prego,  sospenda,  e  '1  tuo  popolo  affrene.) 
Vengo  a  scoprirti,    e  vengo  a  darti  preso 
Quel  reo ,  che  cerchi ,  onde  sei  tanto  offeso. 

20.  All'  onesta  baldanza,  all'  iniprovAÌso 
Folgorar  di  bellezze  altere  e  sante 
Quasi  confuso  il  re ,  quasi  conquiso 
Frenò  lo  sdegno,  e  placò  il  fler  sembiante. 
S'  egli  era  d'  alma ,  o  se  costei  di  viso 
Severa  manco,  ei  diveniane  amante: 

Ma  ritrosa  beltà  ritroso  core 

Non  prende;  e  sono  i  vezzi  esca  d'  amore. 

21.  Fu  stupor,  fu  vaghezza,  e  fu  diletto, 

S'  amor  non  fu ,  che  mosse  il  cor  villano. 
Narra,  le  disse,  il  tutto!  Ecco  io  commetto, 
Che  non  s'  offenda  il  popol  tuo  cristiano. 
Ed  ella:  il  reo  si  trova  al  tuo  cospetto: 
Opra  é  il  furto.  Signor,  dì  qxiesta  mano: 
lo  r  immagine  tolsi,  io  son  colei. 
Che  tu  ricerchi,  e  me  punir  tu  dei. 

22.  Cosi  al  pubblico  fato  il  capo  altero 
Offerse ,  e  '1  Aolse  in  sé  sola  raccorrò. 
Magnanima  menzogna,  or  quando  é  il  vero 
Sì  bello,  che  si  possa  a  te  preporre? 
Riman  sospeso,   e  non  sì  tosto  il  fero 
Tiranno  all'  ira,  come  suol,  trascorre. 
Poi  la  richiede  :  io  vo',  che  tu  mi  scopra, 
Chi  die'  consiglio,  e  chi  fu  insieme  all'  opra 

:    23.      Non  volsi  far  della  mia  gloria  altrui 
Neppur  minima  parte,  ella  gli  dice: 
Sol  di  me  stessa  io  consapevol  fui, 
Sol  consigliera,  e  sola  esecutrice. 
Dunque  in  te  sola,  ripigliò  colui, 
Caderà  l'  ira  mia  vendicatrice. 
Disse  ella:  è  giusto:  esser  a  me  conviene, 
Se  fui  sola  all'  onor,  sola  alle  pene. 

24.  Qui  comincia  il  tiranno  a  risdegnarsi; 
Poi  le  dimanda:  ov'  hai  1'  immago  ascosa? 
Non  la  nascosi,  a  lui  risponde,  io  1'  arsi; 
E  r  arderla  stimai  laudabii  cosa. 

Così  almen  non  potrà  più  violarsi 
Per  man  de'  miscredenti  ingiuriosa. 

I  Signore,  o  chiedi  il  furto,  o  '1  ladro  chiedi; 

'  Quel  non  vedrai  in  eterno ,  e  questo  il  vedi. 

25.  Benché  né  furto  é  il  mio ,  né  ladra  io  son 
Giusto  é  ritor  ciò,  eh'  a  gran  torto  é  tolto 

!  Or  questo  udendo ,  in  minaccevol  suono 

;  Freme  il  tiranno,  e  '1  fren  dell'  ira  è  scioll 

Nt>n  speri  più  di  ritrovar  perdono 
Cor  pudico,  alta  mente,  e  nobil  volto! 
E  indarno  Amor  contra  lo  sdegno  crudo 
Di  sua  vaga  bellezza  a  lei  fa  scudo. 

26.  Presa  é  la  bella  donna,  e  incrudelito 
Il  re  la  danna  entro  un  incendio  a  morte. 
(Jià  '1  velo  e  'l  casto  manto  é  a  lei  rapito; 
Slringoa  le  molli  braccia  aspre  ritorte. 
Ella  si  tace,  e  in  lei  non  sbigottito, 

]Ma  pur  commosso  ali|iianto  é  'I  petto  forte,] 
E  smarrisce  il  bel  volto  in  lui  colore, 
Che  non  è  pallidezza,  ma  candore. 


17] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (II.  27—42) 


[18] 


27.  Divulgossi  il  gran  caso,  e  quivi  tratto 
Già  il  popol  s'  era.    Olindo  anco  t'  accorse; 
l)iil)1)ia  era  la  perdona,  e  certo  il  fatto: 
Venia,  che  fosse  la  sna  donna,  in  forse. 
Come  la  l)ella  prigioniera  in  atto 

Non  pur  di  rea,  ma  di  dannata  ci  scorse, 
Come  i  ministri  al  duro  uffìcio  intenti 
"^ide,  precipitoso  urtò  le  genti, 

28.  Al  re  gridò  :  non  ù,  non  è  già  rea 
Costei  del  furto  ,  e  per  follia  scn  vanta  : 
IVoii  pensò,  non  ardi,  né  far  pntea 
Donna  sola  e  inesperta  opra  cotanta. 
Come  ingannò  i  custodi ,  e  delia  Dea 
Con  quai'  arti  involò  1'  imniagin  santa .' 

Se  '1  fece,  il  narri!  Io  1'  ho,  signor,  furata. 
Ahi  tanto  amò  la  non  amante  amata! 

29.  Soggiunse  poscia:  Io  là,  donde  riceve 
L'  alta  vostra  mes(-]iita  e  1'  aura  e  '1  die. 
Di  notte  ascesi ,   e  trapassai  per  hrcvc 
Foro ,  tentando  inaccessibil  vie. 

A  me  r  onor,  la  morte  a  me  si  deve! 

Non  usurpi  costei  le  pene  mie! 

31ie  son  quelle  catene ,  e  per  me  questa 

Fiamma  s'  accende,    e  '1  rogo  a  me  s'  appresta 

IO.      Alza  Sofronia  il  viso  ,  e  umanamente 
Con  occhj  di  pictade  in  lui  rimira. 
A  che  ne  vieni,  o  misero  innocente? 
Qual  consiglio,  o  furor  ti  guida,  o  tira? 
Non  son  io  dunque  senza  te  possente 
A  sostener  ciò,  che  d'  un  uom  può  1'  ira? 
Ilo  petto  anch'  io  ,   eh'  ad  una  morte  crede 
Di  bastar  solo,  e  compagnia  non  chiede. 

il.     Così  parla  all'  amante,  e  noi  dispone 
Sicch'   egli  si  disdica ,  o  pcnsier  iiuitc. 
Oh  spettacolo  grande,  ove  a  tenzone 
Sono  amore  e  magnanima  viriate. 
Ove  la  morte  al  vincitor  si  pone 
In  premio,  e  1'  mal  del  vinto  è  la  salute! 
Ma  più  s'  irrita  il  re,  quant'  ella  ed  esso 
1)  più  costante  in  incolpar  &è  stesso. 

Fargli,  che  vilipeso  egli  ne  resti, 
E  che  'n  disprezzo  suo  sprezzili  le  pene. 
Credasi ,  dice  ,   ad  ambo  ,  e  quella  e  questi 
linea,  e  la  palma  sia,  qual  si  conviene! 
Indi  ac(x-nna  ai  sergenti ,  i  quai  son  presti 
A  legar  il  garzon  di  lor  catene. 
Sono  ambo  stretti  al  palo  stesso ,  e  volto 
E  il  tergo  al  tergo,  e  1'  volto  ascoso  ni  volto. 

3.     Com|)osto  è  lor  d'  intorno  il  rogo  ornai, 
E  già  le  fiamme  il  mantice  v'  incita. 
Quando  il  fanciullo  in  dolorosi  lai 
Proruppe  e  disse  a  lei,  eh'  è  seco  unita: 
Questo  dunque  è  quel  laccio,  ond'  io  sperai 
'l'eco  accoppiarmi  in  «tompagiiia  di  vita? 
Questo  è  quel    foco ,  eh'   io  credca  (-he  i  cori 
Ne  dovesse  iniìammar  d'  eguali  arilori? 

l.      Altre  fiamme,  altri  nodi  amor  promise; 
Altri  ce  II'  appanvcliia  iiii<|iia  sorti-. 
Troppo,  ahi   lieii  troppo!  ella  già  noi  diviso. 
Ma  diiraiiK'iite  or  ne  «•ongiiiiige  in   morte, 
l'ian-mi  aliiien ,  poiché  in  sì  slraiie  guise 
Morir  pur  dei ,  del  rogo  e^ser  iiuisorte, 
Se  del   Icllo  non  Ini;   diioliiii   il  tuo   luto, 
Il  mio  non  giù,  poiih'  io  ti  moro  allato. 


35.     Ed  oh  mia  morte  avventurosa  appieno  ! 
Oh  fortunati  miei  dolci  martiri! 
S'  impetrerò,  che  giunto  seno  a  seno 
L'  anima  mia  nella  tua  bocca  io  spiri, 
E  venendo  tu  meco  a  un  tempo  meno. 
In  me  fuor  mandi  gli  ultimi  sospiri. 
Cosi  dice  piangendo:  ella  il  ripiglia 
Soavemente,  e  in  tai  detti  il  consiglia: 

ofi.      Amico,  altri  pensieri,  altri  lamenti 
Per  più  alta  cagione  il  tempo  cliicde. 
Che  non  pensi  a  tue  colpe,  e  non  rammenti 
Qiial  Dio  promette  ai  buoni  ampia  mercede? 
Soffri  in  suo  nome,   e  fian  dolci  i  tormenti, 
E  lieto  aspira  alla  superna  sede  ! 
Mira  il  ciel  com'  è  bello ,  e  mira  il  sole, 
Ch'  a  sé  par  che  n'  inviti ,  e  ne  console. 

S7.     Qui  il  volgo  de'  pagani  il  pianto  estolle: 
Piange  il  fcdel ,  ma  in  voci  assai  più  basse. 
Un  non  so  che  d'  inusitato  e  molle 
Par  che  nel  duro  petto  al  re  trapasse. 
Ei  presentino,  e  si  sdegnò;  né  volle 
Piegarsi,  e  gli  occhj  torse,  e  si  ritrasse. 
Tu  sola  il  duol  comun  non  accompagni, 
Sofronia ,  e  pianta  da  ciascun  non  piagni. 

33.      Mentre  sono  in  tal  rischio ,   ecco  im  guerriero 
(Che  tal  parca)  d'  alta  sembianza  e  degna  ; 
E  mostra  d'  arme  e  d'  abito  straniero. 
Che  di  loiitan  peregrinando  regna. 
La  tigre ,  che  suU'  elmo  ha  per  cimiero, 
'J'iitti  gli  occhj  a  sé  trae ,  famosa  insegna, 
Insegna  usata  da  Clorinda  in  guerra; 
Onde  la  credon  lei  ,  né  il  creder  erra. 

39.  Costei  gì'  ingegni   femminili  e  gli  usi 
Tutti  sprezzò  sin  dall'  etate  accrlia  ; 

Ai  lavori  d'  Aracnc,  all'  ago,  ai  fusi 
Inchinar  non  degnò  la  man  superba  : 
Fuggì  gli  abiti  molli,  e  i  lochi  chiusi  : 
Che  ne'  campi  onestate  anco  si  serba  : 
Armò  d'  orgoglio  il  volto,  e  si  compiacque 
Uigido  farlo;  e  pur  rigido  piacque. 

40.  Tenera  ancor  con  pargoletta  destra 
Strinse  e  lento  d'  un  corridore  il  morso, 
l'rattò  r  Usta  e  la  spada,  ed  in  palestra 
Indurò  i  membri,  ed  alleiiogli  al   corso: 
Poscia  o  per  via  montana,  o  per  >iivestra 
L'  orme  segni  di  fier  leone  e  d'  orso. 
Seguì  le  guerre,  r.  in  esse,  e  fra  le  selve 
Fera  agli  uomini  par>c,  uomo  alle  beh  e. 

41.  Viene  or  costei  dalle  contrade  perso, 
Perché  ai  cristiani  a  suo  poter  re>i>ta, 
Ileiicir  altre  volte  ha  di  lor  membra  asperse 
I,e  piagge,   e  l'   onda  di    lor  sangue  ha  mista. 
Or  quinci  in  arrivando  a  lei    s'  olVersc 

1/  apparato  di  morte  a  prima  vi.-la. 
Di  mirar  va;;a,  e  di  saper,  qual  fallo 
C'oiid.inni  i  rei,  so>pinge  oltre  il  cavallo. 

42.  Cedon  lo  turbe,  e  i  duo  legati  in>iemc 
Ell.i  si  l'erma  a  riguardar  dappresso. 
Mira,  che  1'  una  t.it  e  e  V  altro  geme, 

E  più   ^igor  mo^lra  il  iiieu  forte  sesso, 
riaiiger  Ini   Miie  in  guisa  d'  uom,  cui  j)reme 
Pietà  ,    non  doglia,  o  duol  non  di  sé  stesso, 
E   tacer   lei  con  gli  occhj  al  «iel  sì  fisa, 
('ir  anzi  ul  morir  par  di  quaggiù  divisa. 


43. 


41 


45 


46 


Clorinda  intenerissi  ,  e  si  ««"'\«'^f  ^„t„. 
D'  ambedue  loro ,  e    -nnjonne  ^^^.^^^^^ 
Pur  maggior  sente  ^K'^^l^  ^^       -^     i^nto. 
Più  la  move  il  silenzio,  «  »'^  \,„i^\, 

Senza  troppo  >"''»S'^,  f/^ 'ia^u  canto: 
Ad  un  uom,  Ce  •''^"«^o  a  ea  i  ^^^^^^ 

Deh  dirami,  chi  son  q"*^*^' '  ^a  loro  ? 
Qual  li  conduce  o  sorte,  o  colpa  loio. 

Cosipregollo,  e  da  colui  risposto 
Brev^,  ma  pieno  alle  dimande  fue. 
itmis  i  udendo,  e  immaginò  bentosto 
Ch'  è-ualmente  innocenti  eran  que    due 
Sa  di  vietar  lor  morte  ha  -  -  ^C  «' 
Quanto  potranno  i  preghi,  o  1    ^''^'^^^ 
Vronta  accorre  alla  fiamma,  e  fa  ritraila, 
Che  già  s'appressa;  ed  ai  niimstri  parla: 

Alcun  non  sia  di  voi,  che  'n  questo  duro 

ci"   ei  non  V  accuserà  di  tal  tardanza. 
IJbbidiro  i  sergenti,  e  "^ossi  furo 
Da  quella  grande  sua  regal  ^<^?^'  ^.^"'^ 
Poi  verso  \i  re  si  mosse,   e  lui  tra  via 
Ella  ti-ov6,  che  'ncontro  a  lei  verna. 

,0  son  Clorinda,  disse;  hai  forse  i.^tesa 
Talor  nomarmi;  e  qui     signor,  ne  vegno, 

Per  ritrovarmi  teco  alla  ditesa 
S:k^ede  comune     e  del  tuo  re^no 

Son  pronta,  '"^'oni  pme ,  ^/>  »  F^ 

^,^;^i"-S::;;a;rropP«rtra^i  cuo- 
ierie mura  impiegar,  nulla  ricuso. 
,-r       Tacoue-  e  rispose  il  re:  Qual  sì  disgiunta 
'^'TeT^T  dall'  Asia,  o  dal  cammm  del  sole, 

VT  t^t;S'  Tv  on^r^'on  yole? 
r£!i^Ìa^em-3r- 

Hi:^r::aS^^-v=.eme 

Già  '^ià  mi  par,  eh'  a  giunger  qui  Goffredo 
OUra  il  dover  indugi.     Or  tu  d.mand., 
CI'  in  pieghi  io  te;  sol  d    te  degne  credo 
ìJ  illese  malagevoli  e  le  grand. 

^nVa  i  nostri  guerrieri  a  te  concedo 
Lr  Lttr^;  e  ifgge  sia  quel  che  co^an^ 

rosi  iiarlava.     KUa  rcndca  cortese 
Grirjer  lodi;  indi  il  parlar  nprese: 

Nova  cosa  parer  dovm  per  certo, 

«.  ,1..  1'   servi'M    l  guiderdone; 

Che  l»re«;«'''\/^    f ;;.^;^,j  f„  ve.',  che  'n  merlo 

Ma  tua  honta  m    aiiii'<i-  •"     ^ 

Ond'  argomento  1'  innocenza  in  essi, 
50      K  dirò  sol,  eh'  è  qui  comuu  sentenza 
Che   i  cristiani  togliessero  l'    immago 
Ma  di-c..rd'  io  da  voi  ;  ne  pero  senza 
Alta  riigion  del  mio  parer  m'   appago. 
Fu  delle  nostre  leggi  irrivcren/a 
iwllopra  far,  che  persuase  'l  mago. 
?•'L^:on.ienneMu.s.ri.te.n,.J^mu 
GÌ'  idoli  avere,      mcn  gì    idoli  altrui. 


48. 


49. 


Dunque  suso  a  Macon  recar  mi  giova 
Il  miracnl  dell'  opra:  ed  ei  la  fece 
Pel  dimostrar,  che  i  tempj  suoi  con  nova 
Heli'Mon  contaminar  non  lece. 
Faccia  Ismeno  incantando  ogni  sua  prova, 
M,  a  cui  le  malie  son  d'armi  in  vece! 

Trattiamo  il  ferro  pur  noi  ^^^f^^^'}  j, 

Quest'  arte  è  nostra,  e  'n  que.ta  sol  si  speri. 
50       Tacque  ciò  detto:  e  '1  re,  hench'  a  pietade 
L'  irato  cor  difticilmcnte  P|cgl"' ,    , 
Pu" compiacerla  volle:  e    l  persuade 
Ingioi     e  '1  move  autorità  di  preghi. 
Ahbian  vita,  rispose,  e  l.bertade 

E  nulla  a  tanto  intercessor  si  neghi  • 
Lsiqnestao  giustizia,  ovver  perdono, 

Innocenti  gli  assolvo  ,  e  rei  li  dono. 
Così  furon  disciolti.     Avventuroso 
Ben  veramente  fu  d'  Olindo  il  fato, 
a'  ^tto  potè  mostrar,  che  '"  S---« 
Petto  alfine  ha  d'  amore  «r^-t'^i^^^^ 
Va  dal  rogo  alle  nozze     ed  e  già  sposo 
Fatto  di  mi.  non  pur  d    amante  amato. 
Volse  con  lei  morire:  ella  non  scli  va. 
Poiché  seco  non  rauor,  che  seco  vna. 

Ma  il  sospettoso  re  stimò  perìglio 
Tanta  virtù  congiunta  aver  vicina  ; 
SnSe,  coni'   egl^ol-    ambo  in  esigho 
Oltre  ai  termini  andar  di  Palestma. 
E    pni  seguendo  il  suo  crudel  consiglio. 
Bandisce  altri  fedeli,  altri  confina 
Oh  come  lascian  mestr  1  P«^S"  f/'.  ^ti' 
Figli  e  gli  antichi  padri  e  1  dolci  letti. 

Dura  division!  scaccia  sol  quelli 
Di  forte  corpo,  e  di  feroce  ingegno; 
Ma  1  mansueto  sesso,  e  gli  anni  imbeUi 
Seco  ritien  siccome  ostaggi  in  pegno 
Molti  n'  andaro  errando:  altri  rubelh 
Fersi     e  più  che  '1  timor  potè  lo  sdegno. 
Que  ti  unhsi  co'  Franchi,  e  gì'  incontrare 
ijpuntoildì,    eh'  in  Emaus  entraro. 

Emausècittà,  cui  breve  strada 
Dalla  recai  Gerusalcm  disgiunge, 
Ed  uom  f  che  lento  a  suo  diporto  vada, 
Se  parte  mattutino,  a  nona  |,'""f«; 
Oh  quanto    intender  questo   ^^  *';^^"^*';,f "^ , 
Oh  mianto  più  il  desio  gli  affretta  e  Punge. 
Ma  pèJdi'  elitre  il  meriggio  il  so     già  scende 
QuiVa  spiegare  il  capitan  le  tende. 

L'  avean  già  tese;  e  poco  era  remota 
L'  alma  luct  del  sol  dalf  oceano. 
Oliando  duo  gran  baroni  m  ve*te  ignota 
?enir  son  visfi,  e  'n  p<.rtamento  estrano. 
O'^ni  atto  lor  pacifico  dinota. 
Che  ven-on  come  amici  al  capitano.     . 
£  gr^  re  dell'  Kgitto  enin  messagg^, 
E  molti  intorno  hanno  scudieri  e  paggi. 

Aletc  è  l'  un.  che  da  principio  indegno 
T.".  le  brutture  della  plebe  è  sorto; 
la;^n:a£roaiprimionordelregm. 

Parlar  facondo  ,  e  lusinghiero,  e  .coito, 
PeMievoli  costumi,  e  vano  ingegno 
\    fi  v^Ir  pronto,  all'  ingannare  accorto 
Gran  ?àbbVo  di  calunnie  adorne  in  modi 
Novi,  che  sono  accuse,  e  pajon  lodi. 


[21] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (11.  59—74) 


122] 


i5i>.      L' altro  è  il  circasso  Argante  ,  iiom  ,  che  straniero 
Sen  renne  alla  regal  corte   d'  Egitto, 
IMii  de'  satrapi  fatto  è  dell'  impero, 
E  in  sorami  gradi  alla  milizia  ascritto: 
Impaziente  ,  inesorabil ,  fero, 
Keir  arme  infaticabile  ed  invitto, 
i)'  ogni  Dio  sprezzatorc,  e  che  ripone 
Nella  spada  sua  legge  e  sua  ragione. 

60.  Chieser  questi  udienza ,  ed  al  cospetto 
Del  famoso  GoftVedo  ammessi  entraro, 

E  in  umil  seggio ,  e  in  un  vestire  schietto 

Fra'  suoi  duci  sedendo  il  ritrovaro. 

Ma  verace  valor,  Jienchè  negletto, 

E  di  sé  stesso  a  sé  fregio  assai  chiaro. 

Piccol  segno  d'  onor  gli  fece  Argante, 

In  guisa  pur  d'  uom  grande,  e  non  curante. 

61.  Ma  la  destra  si  pose  Alete  al  seno, 
E  chinò  il  capo,  e  piegò  a  terra  i  lumi, 
E  r  onorò  con  ogni  modo  appieno, 
Che  di  sua  gente  portino  i  costumi. 
Cominciò  poscia,  e  di  sua  bocca  usciénO 
Più  che  mei  dolci  d'  eloquenza  i  fiumi. 
E  perchè  i  Franchi  han  già  il  sermone  appreso 
Della  Soria,  fu  ciò,  eh'  ei  disse,  inteso. 

62.  Oh  degno  sol ,  cui  d'  ubbidire  or  degni 
Questa  adunanza  di  famosi  eroi. 
Che  per  1'  addietro  ancor  le  palme  e  1  regni 
Da  te  conobbe,  e  dai  consigli  tuoi! 

II  nome  tuo,  che  non  riman  tra  i  segni 
D'  Alcide,  omai  risuona  anco  fra  noi, 
E  la  fama  d'  Egitto  in  ogni  parte 
Del  tuo  ralor  chiare  novelle  ha  sparte. 

63.  Né  v'  è  fra  tanti  alcun ,  che  non  1'  ascolte, 
Com'  egli  suol  le  meraviglie  estreme; 

Ma  dal  mio  re  con  istupore  accolte 
Sono  non  sol,  ma  con  diletto  insieme, 
E  à'  appaga  in  narrarle  anco  più  volte. 
Amando  in  te  ciò,  eh'  altri  invidia  e  teme. 
Ama  il  valore,  e  \olontario  elegge 
Teco  unirsi  d'  amor,  se  non  di  legge. 

64.  Da  sì  bella  cagion  dunque  sospìnto, 
L'  amicizia  e  la  pace  a  te  richiede  ; 

E  '1  mezzo  ,  onde  1'  un  resti  all'  altro  avvinto, 
Sia  la  virtù ,  s'  esser  non  può  la  fede  ! 
Ma  perché  inteso  avea ,  che  t'  eri  accinto 
Per  iscacciar  l'  amico  suo  di  sede, 
V«)l»e,  priach'  altro  male  indi  seguisse, 
Ch'  a  te  la  mente  sua  per  noi  s'  aprisse. 

65.  E  la  sua  mente  é  tal ,  che ,  s'  appagarti 
Vorrai  di  quanto  hai  fatto  in  guerra  tuo, 
Né  Giudea  nmlestar,  né  l'  altre  parti. 
Che  ricopre  il  fav«tr  del  rcgiut  sm», 

Ei  promette  all'  in<:ontio  assicurarti 
Il  non   ben  fermo  stato  :  e  se  voi  duo 
Sarete  uniti,  or  quando  i  Turchi  e  i  Persi 
Potranno  unqua  sperar  di  riaver>i  ? 

66.  Signor,    gran    cosi;  in  piccio!  tempo  liai  fatte, 
Ch<;   lunga   età  porrt;  in  oliblio  non  jiuotei 
iv-trrciti,  città,  >iuti,  e  dinfatte, 

Sii|ierali  di^-agi  e  strade  ignote; 
Sì<-«-ir  al  Krido  o  snnirrite  .  o  rtu|)(Tattc 
Stili  le  pro\ ilici;  intorno,   e  le  rciiiolc  : 
l'i  si'lilieii  acquistar  puoi  iio\i  impetri, 
Acquistar  nova  gloria  indarno  spirri. 


67 


68. 


Giunta  è  tua  gloria  al  sommo:    e  per  1'  innanzi 
Fuggir  le  dubbie  guerre  a  te  conviene  : 
Ch'  ove  tu  vinca,  sol  di  stato  avanzi, 
Né  tua  gloria  maggior  quinci  diviene; 
Ma  r  imperio  acquistato  e  preso  dianzi, 
E  r  onor  perdi ,  se  '1  contrario  avviene. 
Ben  gioco  è  di  fiutuna  audace  e  stolto 
Por  contra  il   poco  e  incerto  il  certo  e  'I  molto. 

Ma  il  consiglio  di  tal ,  cui  forse  pesa, 
Ch'  altri  gli  acquisti  a  lungo  andar  ciuiserve 
E  r  aver  sempre  vinto  in  ogni  impresa, 
E  quella  voglia  naturai,  che  ferve, 
E  sempre  é  più  ne'  cor  più  grandi  accesa, 
D'  aver  le  genti  tributarie  e  serve, 
Faran  per  avventura  a  te  la  pace 
Fuggir,  più  che  la  guerra  altri  non  face. 


69 


I  70, 


T'  esorteranno  a  seguitar  la  strada. 
Che  t'  é  dal  fato  largamente  aperta, 
A  non  depor  questa  famosa  spada, 
Al  cui  valore  ogni  vittoria  é  certa. 
Finché  la  legge  di  Macon  non  cada, 
Finc'hè  r  Asia  per  te  non  sia  deserta. 
Dolci  cose  ad  udire ,  e  dolci  inganni, 
Ond'  escon  poi  sovente  estremi  danni  ! 

Ma  s'  animosità  gli  occhj  non  benda, 
Né  il  lume  oscura  in  te  della  ragione. 
Scorgerai,  eh'   ove  tu  la  guerra  prenda, 
Hai  di  temer ,  non  di  sperar  cagione  : 
Che  fortuna  quaggiù  varia  a  vicenda. 
Mandandoci  venture  or  triste,  or  buone, 
Ed  a'  voli  troppo  alti  e  repentini 
Sogliono  i  precipi/j  esser  vicini. 

71.  Dimmi,  s'  a"  danni  tuoi  I'  Egitto  move, 
D'  oro  e  d'  arme  potente,   e  di  consiglio, 
E  s'  avvien,  che  la  guerra  anco  rinnove 

11  Perso  e  '1  Turco ,  e  di  Cassano  il  figlio, 
Qiiai  forae  opporre  a  sì  gran  furia,  o  dove 
Ritrovar  potrai  scampo  al  tuo  periglio.^ 
T'  affida  forse  il   re  malvagio  greco, 
Il  qual  dai  sacri  patti  unito  è  teco  ? 

72.  La  fede  greca  a  chi  non  è  palese? 

Tu  da  un  sol  tradimento  ogni  altro  impara, 
Anzi  da  mille!  perché  mille  ha  tese 
Insidie  a  voi  la  gente  infida ,  avara. 
Dunque,  chi  dianzi  il  passo  a  voi  contese, 
l'er  voi  la  ^ita  esporre  or  >i  prepara .-' 
Chi   le  vie,  che  conuini  a  tutti  sono. 
Negò ,  del  proprio  sangue  or  farà  dono  ? 

73.  Ma  forse  hai  tu  ripo.-ta  ogni  tua  speme 
In  queste  squadre,  ond'  ora  cinto  siedi 
Quei,  che  sparai  vincesti,  uniti  insieme 
Di  vincer  anco  agevolmente  credi; 
Sebben  son  le  tue  schiere  or  molto  scemo 
'J'ra  le  guerre  e  i  disagi;  e  tu  tei  vedi; 
Sebben  novo  nemico  a  le  s'  accresce, 

E  co'  Persi  e  co'  Turchi  Egizj   mesce. 

74.  Or  quando  pur  i>tiiui  esser  fatale, 
(;he  vincer  niui  ti  jiossa  il  ferro  unii. 
Siati  coiice>i>o ,  e  siati  appunto  tale 

Il  decreto  del  cìei ,  qual  tu  tei   fai! 

\  inccratlì   la   fame.     A  (|uesto  male 

Che  riliigio,   per  Dio,  »  iie  schermo  avrai.' 

\  ibra  contra  costei  la  lancia,  e  stringi 

La  spada  ,  e  la  %  ittoria  anco  ti  fingi  ! 

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[23] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (II.  15-90) 


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75.  Ofj^ni  campo  d'  intnrno  arso  e  distrutto 
Ha  la  iirovvida  man  dogli  abitanti, 

E  in  chiuse  mura ,  e  in  alte  toni  il  frutto 
Riposto  al  tuo  venir  j)iù  giorni  innanti. 
Tu,  eh'  ardito  sin  qui  ti  sei  comUitto, 
Onde  speri  nutrir  cavalli  e  fanti? 
Dirai  :   L'  armata  in  mar  cura  ne  prende. 
Dai  venti  dunque  il  viver  tuo  dipende? 

76.  Comanda  forse  tua  fortima  ai  venti, 
E  li  avvince  a  sua  voglia,  e  li  dislega? 

11  mar,  eh'  ai  pregili  è  sordo  ed  ai  lamenti, 
Te  solo  udendo,  al  tuo  voler  si  piega? 
O  non  potranno  pur  le  nostre  genti, 
E  le  perse,  e  le  turche,  unite  in  lega, 
Cosi  potente  armata  in  un  raccorre, 
Ch'  a  questi  legni  tuoi  si  possa  opporre? 

77.  Doppia  vittoria  a  te ,  signor ,  Lisogna, 
S'  hai  dell'  impresa  a  riportar  1'  onore. 
Una  perdita  sola  alta  vergogna 

Può  cagiornarti,  e  danno  anco  maggiore; 
Ch'  ove  la  nostra  armata  in  rotta  pugna 
La  tua,   qui  poi  di  fame  il  campo  more: 
E  se  tu  sei  perdente  ,  indarno  poi 
Saran  vittoriosi  i  legni  tuoi. 

78.  Ora,  se  in  tale  stato  ancor  rifiuti 

Col  gran  re  deU'  Egitto  e  pace  e  tregua, 

(Diasi  licenza  al  ver)  1'  altre  virtuti 

Questo  consiglio  tuo  non  bene  adegua.^ 

Ila  voglia  il  ciel .  che  '1  tuo  pensier  si  muti, 

S'  a  guerra  è  volto,  e  che  '1  contrario  segua, 

Sicché  1'  Asia  respiri  ornai  dai  lutti, 

E  goda  tu  della  vittoria  i  frutti. 

79.  IN'è  voi ,  clie  del  periglio ,  e  degli  affimnì, 
E  della  gloria  a  lui  sete  consorti. 

Il  favor  di  fortuna  or  tanto  ingannì, 
Che  nove  guerre  a  provocar  v'  esorti! 
Ma  qual  nocchicr,  che  dai  marini  inganni 
Ridutti  ha  i  legni  ai  desiati  porti, 
Raccor  dovreste  ornai  le  sparse  vele, 
Nò  fidarvi  di  nuovo  al  mar  crudele. 

80.  Qui  tacque  Alete  :  e  '1  suo  parlar  seguirò 
Con  basso  mormorar  que'  forti  eroi, 

E  hen  negli  atti  disdegnosi  aprirò. 

Quanto  ciascun  quella  proposta  annoi. 

Il  capitan  rivol?e  gli  occlij  in  giro 

Tre  volte  e  quattro,  e  mirò  in  fronte  i  suoi, 

E  poi  nel  volto  di  colui  gli  affisse, 

Ch'  attcndea  la  risposta;  e  così  disse: 

81.  Messaggier ,  dolcemente  a  noi  sponesfì 
Ora  cortese,  or  minaccioso  invito. 

Se  '1  tuo  re  m'  ama ,  e  loda  i  nostri  gesti, 
E  sua  mercede,  e  m'  è  1'  amor  gradito. 
A  quella  parte  poi ,  dove  protesti 
I,a  guerra  a  noi  del  paganesmo  imito, 
Risponderò,  come  da  me  si  suole. 
Liberi  sensi  in  semplici  parole. 

S2,      Sappi ,  che  tanto  abhiam  sinor  solTerto 
In  miire,  in  terra,  all'  aria  chiara  escara, 
Solo  arcioichè  ne  l'osse  il  calle  aperto 
A  qiulle  hiurv  e  venera1)il  mura, 
P(;r  iicquistur  appo  Dio  gr.r/.ia  e  merlo. 
Togliendo  lor  di  servitù  si  dura: 
Kè  mai  grave  nr-  lìa  per  fin  >"i  degno 
Esporre  onor  mondano,  e  vita,  e  regno: 


83.  Che  non  amliìziosi  avari  affetti 

Ne  spronaro  all'  impresa,  e  ne  fur  guida. 
Sgombri  il  padre  del  ciel  dai  nostri  petti 
Peste  sì  rea ,  se  in  alcun  pur  s'  annida, 
Kè  soffra  che  1'  asperga ,  o  che  1'  infetti 
Di  venen  dolce,  che  piacendo  ancida! 
Ma  la  sua  man ,  che  i  duri  cor  penetra 
Soavemente,  e  gli  ammollisce  e  spetra, 

84.  Questa  ha  noi  mossi ,  e  questa  ha  noi  conduttì, 
Tratti  d'  ogni  periglio  e  d'  ogni  impaccio. 
Questa  fa  piani  i  monti,  e  i  fiumi  asciutti, 

L'  arder  toglie  alla  state ,  al  verno  il  ghiaccio, 
Placa  del  mare  i  tempestosi  flutti, 
Stringe  e  rallenta  questa  a'  venti  il  laccio, 
Quindi  son  1'  alte  mura  aperte  ed  arse; 
Quindi  r  armate  schiere  uccise  e  sparse  ; 

85.  Quindi  r  ardir,  quindi  la  speme  nasce, 
Non  dalle  frali  nostre  forze  e  ?tanclie, 
Non  dall'  armata,  e  non  da  quante  pasce 
Genti  la  Grecia ,  e  non  dall'  armi  franche. 
Purch'  ella  mai  non  ci  abbandoni  e  lasce. 
Poco  debbiam  curar,  eh'  altri  ci  manche. 
Chi  sa,  come  difende  e  come  fere, 
Soccorso  ai  suoi  perigli  altro  non  chere. 

86.  Ma  quando  di  sua  aita  ella  ne  privi, 
Per  gli  error  nostri,  o  per  giudizj  occulti. 
Chi  fìa  di  noi,  eh'  esser  sepolto  schivi 
Ov'  i  membri  di  Dio  far  già  sepulti? 

Noi  morirem,  uè  invidia  avremo  ai  vivi; 
Noi  morirem,  ma  non  morremo  inulti; 
Nò  r  Asia  riderà  di  nostra  sorte. 
Né  pianta  fia  da  noi  la  nostra  morte. 

87.  Non  creder  già ,  che  noi  fuggiara  la  pace, 
Come  guerra  mortai  si  fugge  e  pavé  ! 

Che  r  amicizia  del  tuo  re  ne  piace, 

Né  d'  unirci  con  lui  ne  sarà  grave. 

Ma  s'  al  suo  imperio  la  Giudea  soggiace, 

Tu  'I  sai.     Perchè  tal  cura  ei  dunque  n'  have  ? 

De'  regni  altrui  l'  acquisto  ei  non  ci  vieti, 

E  regga  in  pace  i  suoi  tranquilli  e  lieti! 

88.  Così  rispose,  e  di  pungente  rabbia 
La  risposta  ad  Argante  il  cor  trafisse: 
Né  '1  celò  già ,  ma  con  enfiate  labbia 
Si  trasse  avanti  al  capitano,  e  disse: 

Chi  la  pace  non  vuol ,  Li  guerra  s'  abbia  ! 
Che  penuria  giammai  non  fu  di  risse: 
E  ben  la  pace  ricusar  tu  mostri. 
Se  non  t'  acqueti  ai  primi  detti  nostri. 

89.  Indi  il  suo  manto  per  lo  lembo  prese, 
Curvollo,  e  fenne  im  seno,  e  'l  seno  sporto, 
Così  pur  anco  a  ragionar  riprese 

\\e  più  che  prima  disiiettoso  e  torto: 

Oh  sprezzator  delle  più  dubbie  imprese, 

E  gu(!rra  e  pace  in  que.-to  sen  t'  apporto. 

Tua  sia  V  elezione!   orti  consiglia 

Scnz'  altro  indugio,  e  qual  più  vuoi,  ti  piglia! 

90.  L'  atto  fero  e  'I  parlar  tutti  commosse 
A  chiamar  guerra  in  mi  concorde  grido. 
Non  attendendo,  «'he  rispo-to  fosse 

Dal  magnanimo  lor  duce  («olfrido. 

Spiegò  qiul  crudo  il  seno  ,  e    1  manto  scosse. 

Ed  ,  a  guerra  mortai,  disse,  vi  sfido. 

E  '1  dis^(!  in  atto  sì  feroce  ed  empio, 

(^he  parve  aprir  di  Giano  il  chiuso  tempio. 


25]        GERUSALEMME  LIBERATA^     (II.  91  —  97.  m.   1  —  4)        [26] 


91.     Parve,  ch'aprendo  il  seno,    ìndi  traesse 
Il  furor  pazzo  e  la  dÌ!:cordia  fera, 
E  che  ne^li  occhj  orribili  gli  ardesse 
La  gran  face  d'Aletto  e  di  Megera. 
Quel  grande  già ,  che  incontra  il  ciclo  eresse 
L'  alta  mole  d'  error,  forse  tal  era; 
E  in  rotai  atto  il  rimirò  Bahelle 
Alzar  la  fronte  e  minacciar  le  stelle. 


.     Soggiunse  allor  Goffredo:  Or  riportate 
Al  vostro  re,  che  venga  e  che  s'  affretti. 
Che  la  guerra  accettiam,  che  minacciate! 
E  s'  ei  non  tìch,  fra  '1  Nilo  suo  n'  aspetti! 
Accommiatò  lor  poscia  in  dolci  e  grate 
Maniere,  e  gli  onorò  di  doni  eletti. 
Ricchissimo  ad  Alcte  un  elmo  diede, 
Ch'  a  jVicea  conquistò  fra  1'  altre  prede. 

Ebhe  Argante  una  spada ,    e  '1  fabbro  egregio     96. 
L'  else  e  '1  pomo  le  fé'  gemmato  e  d'  oro, 
Con  magistero  tal,  che  perde  il  pregio 
Della  ricca  materia  appo  il  lavoro. 
Poiché  la  tempra,  e  la  ricchezza,  e  '1  fregio 
Sottilmente  da  lui  mirati  foro, 
Disse  Argante  al  Buglione  Vedrai  hentosto, 
Come  da  me  il  tuo  dono  in  uso  è  posto. 

97.      Ma  nò  '1  campo  fedel ,  né  '1  franco  duca 
Si  discioglic  nel  sonno ,  oppur  s'  accheta  : 
Tanta  in  lor  cupidigia  é,  clic  riluca 
Omai  nel  cicl  1'  alba  aspettata  e  lietii, 
Perche  il  cainmin  hu*  mostri ,  e  li  conduca 
Alla  città,  eh'  al  gran  passaggio  è  meta! 
Mirano  ad  or  ad  or,  se  raggio  alcuno 
Spunti ,  0  rischiari  delle  notte  il  hruno. 


94,  Indi  tolto  congedo ,  è  da  lui  ditto 

Al  suo  compagno  :  Or  cen'  andremo  omai, 

Io  ver  Gerusalcm,  tu  verso  Egitto; 

Tu  col  sol  novo,   io  co'  notturni  rai: 

Ch'  uopo  o  di  mia  presenza,  o  di  mio  scritto 

Esser  non  può  colà,  dove  tu  vai. 

Reca  tu  la  risposta!  io  dilungarmi 

Quinci  non  vo',  dove  si  trattan  1'  armi. 

95.  Cosi  di  messaggier  fatto  é  nemico. 
Sia  fretta  intempestiva,  o  sia  matura. 
La  ragion  delle  genti,  e  1'  uso  antico 
S'  offenda,  o  no;  né  '1  pensa  egli,  né  '1  cura. 
Senza  risposta  aver,  va  per  1'  amico 
Silenzio  delle  stelle  all'   alte  mura, 
D'  indugio  imj)aziente:  ed  a  chi  resta, 
Già  non  men  la  dimora  anco  è  molesta. 


Era  la  notte,  allorch'   alto  riposo 
Han  r  onde  e  i  venti,  e  parca  muto  il  mondo; 
Gli  animai  lassi,  e  quei  che  '1  mare  ondoso, 
O  de'  liquidi  laghi  alberga  il  fondo, 
E  chi  si  giace  in  tana,  o  in  mandra  ascoso, 
E  1  pinti  augelli  nell'  obblio  profondo 
Sotto  il  silenzio  de'  secreti  orrori 
Sopian  gli  affanni ,  e  raddolciano  i  cori. 


CANTO      TERZO. 


ARVO  MENTO. 

Preme  il  sacro  tcrrcn  di  Cristo  il  Franco, 
Franco  il  cor,  nudo  il  piede,  umile  inviso: 
Assai,  Clorinda  opponsi,  e  V  lato  manco 
Scntcsi  per  Tancredi  Erminia  inciso. 
Quinci  Àrf^antc  a  Dudon  trajìf^frc  il  fianco, 
Ond'  ei  riman  da  se,  f/a'  suoi  diviso; 
Tomba  ha  poi  dal  Hiiiilion ,  eli'  alta  foresta 
Svelle,  e  gli  ordigni  militari  appresta. 


Già  r  aiu'a  messnggicra  erasi  desta 
A<I  iiiinuir/.iiir,  c'ie  «e  ne  a  leu  1'  aurora  ; 
Ella  intaiilo  b'  a  iurna  ,  r  1'  aurea  lesta 
Di  r(i!<e  colte  in  paradiso  infiora, 
Quando  il  rampo,  rh'  all'  arme  omai  u'  appresta, 
lo  voce  moriiiorava  alta  e  sonora, 
1)  prt^^cniii  l(^  Irouilic:  f;  (|ui'>t(;  poi 
Dièr  più   lieti  e  cauori  i  Mgoi  !<uoi. 


2.     n  saggio  capitan  con  dolce  morso 
I  desiderj  lor  guida  e  seconda; 
Che  più  facil  saria  svolger  il  corso 
Presso   Cariddi  alla  volubil  onda. 
O  tardar  borea,    allorché  scote  il  dorso 
Dell'  Apcnnino,  e  i  legni  in  mare  affonda. 
Gli  ordina,  gì'  incammina,  e  "n  suou  gli  regg< 
Rapido  sì ,  ma  rapido  con  legge. 

8.      Ali  ha  ciusnm  al  core,  ed  ali  al  piech-, 
Né  liei  suo  ralto  andar  però  s'  aci-orge. 
Ma  quando  il  tuA  gli  aridi  cauipi  ficde 
Con  raggi  assai  ferventi ,  e  in  alto  sorge. 
Ecco  ajipaiir  (ieinsalcm  si  %ede. 
Ecco  additar   (ìcrnsahiu  si   scorge, 
Ecco  da  niillt-  voci    unilamrnte 
Geru.-aliiunie  salutar  si  sente. 

4.      Così  di  na\igaiiti  audace  stuoli). 
Che  mova  a  ricercar  e.-tranio  lido, 
E  in  mar  dubliio>o,  e  sotto  ignoto  polo 
Pro>i   r   onde  fallaci  e  'I  vento  inlido, 
S'  ailìii  disi-o|ire  il  desiato   suolo, 
Lo  saluta  da  lunge  in  lieto  grido, 
E  r  uno  nir  altro  il  mostra,    e  intanto  ublili.i 
La  noja  e  '1  mal  della  po^jsata  via. 


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GERUSALEMME  LIBERATA.     (III.  5  —  20) 


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5.  Al  gran  piacer ,  che  quella  prima  vista 
Dolcemente  spirò  nell'  altrui  petto, 

Alta  contrizion  successe ,  milita 
Di  timoroso  e  riverente  afletto. 
Osano  appena  d'  innalzar  la  vista 
Ver  la  città,  di   Cristo  albergo  eletto, 
Dove  mori,    dove  sepolto  fue, 
Dove  poi  rivestì  le  membra  sue. 

6.  Sommessi  accenti,  e  tacite  parole. 
Rotti  singulti,  e  flebili  sospiri 

Della  gente ,  eh'  in  un  s'  allegra  e  duole,^ 
Fan ,  che  per  1'  aria  un  mormorio  s'  aggiri, 
Qual  nelle  folte  selve  udir  si  suole, 
S'  avvien,  che  tra  le  frondì  il  vento  spiri; 
O  quale  infra  gli  scogli,  o  presso  ai  lidi. 
Sibila  il  mar  percosso  in  rauchi  stridi, 

7.  Nudo  ciascuno  il  pie  calca  il  sentiero: 
Che  r  esempio  de'  duci  ogni  altro  move, 
Serico  fregio  o  d'  or,  piuma,   o  cimiero 
Superbo  dal  suo  capo  ognun  rimove, 

Ed  insieme  del  cor  Y  abito  altero 
Depone,  e  calde  e  pie  lagrime  piove. 
Pur  quasi  al  pianto  abbia  la  via  rinchiusa, 
Così  parlando  ognun  sé  stesso  accusa: 

8.  Dunque,  ove  tu,  signor,  di  mille  rivi 
Sanguinosi  il  terren  lasciasti  asperso,^ 
D'  amaro  pianto  almen  due  fonti  vivi 

In  sì  acerba  memoria  oggi  io  non  verso? 
Ao'ghiacciato  mio  cor,  che  non  derivi 
Per  gli  occhj,  e  stilli  in  lagrime  converso? 
Duro  mio  cor ,  che  non  ti  spetri  e  frangi  ? 
Pianger  ben  merti  ognor,  s'  ora  non  piangi. 

9.  Della  cittade  intanto  un  eh'  alla  guarda 
Sta  d'  alta  torre,  e  scopre  i  monti  e  i  campi, 
Colà  giuso  la  polve  alzarsi  guarda, 

Sicché  par,  che  gran  nube  in  aria  stampi  : 
Par ,  che  l)aleni  quella  nube  ed  arda, 
Cernie  di  fiamme  gravida  e  di  lampi: 
Poi  lo  splendor  de'   lucidi  metalli 
Scerne  e  distingue  gli  uomini  e  i  cavalli. 

10.  Allor  gridava  :  Oh  qual  per  1'  aria  stesa 
Polvere  i'  veggio  ,  oh  come  par  che  splenda  ! 
Su,  suso,  o  cittadini,  alla  difesa 

S'  armi  ciascun  veloce,  e  i  muri  ascenda! 
Già  presente  è  il  nemico.     E  poi  ripresa 
La  voce:  Ognun  s'  allVetti,  e  l'  arme  prenda! 
Ecco  il  nemico  è  qui  !  mira  la  polve, 
Che  sotto   orrida  nebbia  il  cielo  involve! 

11.  I  semijlici  fanciulli  e  i  vccchj  inerrai, 
E  '1  vulgo  delle  donne  sbigottite, 

Clie  non  sanno  ferir ,  nò  fare  schermi, 
'iVaéan  supplici  e  mesti  alle  mesciute, 
(ìli  altri ,  (li  membra  e  d'  animo  più  fermi, 
(jlià  frettolosi  V  arme  avean  rapite. 
Accorre  altri  alle  porte,  altri  alle  mura: 
11  re  Mi  intcuno ,  e    1  tutto  vede  e  cura. 

12.  Gli  ordini  diede ,  e  poscia  ei  si  ritrasse 
Ov«;  sorge  una  torre  infra  due  porte, 
Si<;<:h'  è  presso  al  bisogno:  e  son  più  basse 
Quindi  le  i)iagge ,  e  le  montagne  scorte. 
Voli»!,  che  qin\i  seco  Erminia  andasse, 
Erminia  bella,  (Ir  ei  raccolse;  in  corte, 
Poicii'  a  lei  fu  dalle  cristiane  squadre 
Presa  Aniiocbia ,  e  morte»  il  re  ku<i  padre. 


13.  Clorinda  intanto  incontra  ai  Franchi  è  gita  : 
Molti  van  seco,  ed  ella  a  tutti  è  innante. 
Ma  in  altra  parte ,  ond'  è  secreta  uscita, 

Sta  pi-eparato  alle  riscosse  Argante. 
La  generosa  i  suoi  seguaci  incita 
Co'  detti ,  e  con  l'  intrepido  sembiante. 
Ben  con  alto  principio  a  noi  conviene, 
Dicea,  fondar  dell'  Asia  oggi  la  spene. 

14.  Mentre  ragiona  ai  suoi ,  non  lunge  scorse 
Un  franco  stuol  addur  rustiche  prede, 

Che ,  com'  è  1'  uso ,  a  depredar  precorse, 

Or  con  gregge  ed  armenti  al  campo  riede. 

Ella  ver  loro ,  e  verso  lei  sen  coi-se 

Il  duce  lor ,  eh'  a  sé  venir  la  vede. 

Gardo  il  duce  é  nomato  ,  uom  di  gran  possa, 

Ma  non  già  tal,  eh'  a  lei  resister  possa. 

15.  Gardo  a  quel  fero  scontro  è  spinto  a  terra 
In  su  gli  occhj  de'  Franchi  e  de'  pagani, 
Ch'  allor  tutti  gridar ,  di  quella  guerra 
Lieti  augurj  prendendo ,  i  quai  fùr  vani. 
Spronando  addosso  agli  altri  ella  si  serra, 

E  vai  la  destra  sua  per  cento  mani. 
Seguirla  i  suoi  guerrier  per  quella  strada, 
Che  spianar  gli   urti ,  e  che  s'  aprì  la  spada. 

10.      Tosto  la  preda  al  predator  ritoglie: 
Cede  lo  stuol  de'  Franchi  a  poco  a  poco, 
Tantoch'  in  cima  a  un  colle  ei  si  raccoglie, 
Ove  ajutate  son  l'  arme  dal  loco. 
Allor,  siccome  turbine  si  scioglie, 
E  cade  dalle  nubi  aereo  foco. 
Il  buon  Tancredi ,  a  cui  Goffredo  accenna, 
Sua  squadra  mosse,  ed  arrestò  1'  antenna. 

17.  Porta  sì  salda  la  gran  lancia ,  e  in  guisa 
Vien  feroce  e  leggiadro  il  giovanetto, 

Che  veggendolo  d'  alto  il  re  s'  avvisa. 
Che  sia  guerrier  infra  gli  scelti  eletto. 
Onde  dice  a  colei,  eh'  è  seco  assisa, 
E  che  già  sente  palpitarsi  il  petto  : 
Ben  conoscer  dei  tu  per  sì  lungo  uso 
Ogni  Cristian ,  benché  nell'  arme  chiuso. 

18.  Chi  è  dunque  costui,  che  così  bene 

S'  adatta  in  giostra ,  e  fero  in  vista  è  tanto  ? 

A  quella,  in  vece  di  risposta,  viene 

Sulle  labbra  un  sospir,  su  gli  occhj  il  pianto. 

Pur  gli  spirti  e  le  lagrime  ritiene, 

Ma  non  co^ì ,  che  lor  non  mostri  alquanto  : 

Che  gli  occhj  pregni  un  bel  purpureo  giro 

Tinse,  e  roco  spuntò  mezzo  il  sospùo. 

19.  Poi  gli  dice  infingevole,  e  nasconde 
Sotto  il  manto  dell'  odio  altro  desio  : 
Oimé,  bene  il  conosco,  ed  ho  ben  donde 
Fra  mille  riconoscerlo  deggia  io: 

Che  spesso  il  vidi  i  campi  e  le  profonde 
Fosse  del  sangue  empir  del  popol  mio. 
Ahi  c|uant(»  é  crudo  nel  ferire!  A  piaga, 
Cir  ei  faccia,  erba  non  giova,  od  arte  maga. 

20.  Egli  é  il  prence  Tancredi.     Oh  prigioniero 
Mio  fosse  un  giorno!  e  noi  vorrei  già  morto, 
\  ivo   il  vorrei ,   perdi'  in  me  desse  al  fero 
Desio  dolce  vendetta  alcun  conforto. 

Così  parlava ,  e  de'  suoi  detti  il  vero 
Da  chi  r  udiva  in  altro  senso  è  torto: 
E  fuor  n'  lisci  con  le  sue  voci  estreme 
Misto  un  sospir,  che  'ndarnu  ella  già  preme. 


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GERUSALEMME  LIBERATA.     (111.    21  -  36) 


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21.     Clorinda  intanto  ad  incontrar  1'  assalto 
Va  di  Tancredi ,  e  pon  la  lancia  in  resta. 
Ferirsi  alle  visiere ,    e  i  tronchi  in  alto 
Volaro ,  e  parte  nuda  ella  ne  resta  ; 
Che  rotti  i  lacci  all'  elmo  suo ,  d'  un  salto 
(Mirahil  colpo  !)  ci  le  halzò  di  testa  ; 
E  le  chiome  dorate  al  vento  sparse, 
Giovane  donna  in  mezzo  '1  campo  apparse. 

22.  Lampeggiar  gli  occhj  ,  e  folgorar  gli  sguardi 
Dolci  neir  ira:  or  che  sarìan  nel  riso.'' 
Tancredi,  a  che  pur  pensi,  a  che  pur  guardi.-^ 
Non  riconosci  tu  1'  amato  ^  iso .'' 

Quest'  è  pur  quel  hcl  volto,  onde  tutt'  ardi: 
Tuo  core  il  dica,  ov'  è  suo  esempio  inciso: 
Questa  è  colei ,  clic  rinfrescar  la  fronte 
A  edesti  già  nel  solitario  fonte. 

23.  Ei,  eh'  al  cimiero  ed  al  dipinto  scudo 
!\on  hadò  prima ,  or  lei  vcggendo  impietra. 
Ella,  quanto  può  meglio,  il  capo  ignudo 
Si  ricopre ,  e  1'  assale  ;  ed  ei  s'  arretra. 
Va  contra  gli  altri ,  e  ruota  il  ferro  crudo, 
Ma  però  da  lei  pace  non  impetra, 

Che  minacciosa  il  segue,  e:  volgi,  gl'Ida, 
E  di  due  morti  in  un  punto  lo  sfida. 

24.  Percosso  il  cavalier  non  ripercote, 
IVè  sì  dal  ferro  a  riguardarsi  attende, 
Come  a  guardar  i  hegli  occhj  e  le  gote, 
Ond'  Amor  1'  arco  inevitahil  tende. 
Fra  so  dicea  :  Van  le  percosse  vote 
Talor ,  che  la  sua  destra  armata  stende  ; 
Ma  colpo  mai  del  bello  ignudo  volto 

Non  cade  in  fallo,  e  sempre  il  cor  ra'  ù  colto. 

25.  Risolve  alfin ,  benché  pietà  non  spere, 
Di  non  morir  tacendo  occulto  amante. 

A  uol  eh'  ella  sappia ,  eh'  un  prigiofi  suo  fere 
Già  inerme  ,  e  supplichevole  ,  e  tremante. 
Onde  le  dice:  Oh  tu,  che  mostri  avere 
Per  ncmi(-o  me  sol  fra  turbe  tante, 
Usciam  di  questa  mischia,  ed  in  disparto 
r  potrò  teco ,  e  tu  meco  provarle. 

26.  Co^i  me'  si  vedrà ,  s'  al  tuo  s'  agguaglia 
Il  mio  va-lore.     Ella  accettò  1'  invito, 

E  com'  esser  senz'  elmo  a  lei  non  caglia. 
Già  baldanzosa ,  ed  ci  scguia  smarrito. 
Recata  s'  era  in  atto  di  battaglia 
Già  la  guerriera,  e  già  1'  avea  ferito, 
Quaiid'  egli  :  Or  l'erma ,  disse  ,  e  siano  fatti 
Anzi  la  pugna  della  pugna  i  patti  ! 

27.  Fcrmossi  :  e  lui  di  pauroso  audace 
Rende  in  quel  punto  il  di>p(U'ato  amore. 

I  patti  sian  ,  dicea ,  poiché  tu  pace 
Meco  non  mioì  ,  <;he  tu  mi  tragga  il  «!ore. 

II  mio  cor,  non  più  mio,  s'  a  te  dispiaco 
Ch'  egli  più  >iva,  volontario  muore: 

E  tuo  gran  t'-mpo;  e  tem|)o  e  beai ,  che  trarlo 
Ornai  tu  debbia,  e  non  dcbb'  io  vietarlo. 

28.  Ecco  io  chino  le  {traccia ,  <;  t'  apprcsento 
Senza  difesa  il  petto;  or  <'hc  noi  bedi.'' 
A'iioi ,  clr  ag<!V(ili  r  opra?   1"  son  coiit(;nlo 
Traruii  l'  u>bergo  or  or,  s*-  nudo  il  chiedi. 
Di.stinguea  Ini-st?  in  più  lungo  bimcnto 

1  suoi  dolori  il  misero  Tancredi  ; 
Ma  calca  1'  impeilisce  iute  iiipeslita 
Uc' pagani  u  du'  suoi,   che  soprarriva. 


29.      Cedean  cacciati  dallo  stuol  cristiano 
I  Palestini ,  o  sia  temenza ,  od  arte. 
Un  de'  persecutori,  uom  inumano, 
A  idele  sventolar  le  chiome  sparte, 
E  da  tergo  in  passando  alzò  la  mano, 
Per  ferir  lei  nella  sua  ignuda  parte; 
Ma  Tancredi  gridò  ,  che  se  n'  accorse, 
E  con  la  spada  a  quel  gran  colpo  occorse. 

30.  Pur  non  gì  tutto  invano,  e  ne"  confini 
Del  bianco  collo  il  bel  capo  ferille. 

Fu  Icvissima  piaga ,  e  i  biondi  crini 
Rosssegginron  così  d'  alquante  stille, 
Come  rosseggia  l'  or,  che  di  rubini 
Per  man  d'  illustre  artefice  sfaville. 
Ma  il  prence  infuriato  allor  si  spinse 
Addosso  a  quel  villano ,  e  '1  ferro  stringe. 

31.  Quel  si  dilegua  :  ed  egli  acceso  d'  ira 
Il  segue,  e  van  come  per  1'  aria  strale. 
Ella  riman  sospesa ,  ed  ambo  mira 
Lontani  molto ,  né  seguir  le  cale, 

Ma  co'  suoi  fuggitivi  si  ritira. 
Talor  mostra  la  fronte,  e  i  Franchi  assale. 
Or  si  volge ,  or  rivolge ,  or  fugge ,  or  fuga  ; 
]Nè  si  può  dir  la  sua  caccia ,  né  fugfi. 

32.  Tal  gran  tauro  talor  nell'  ampio  agont-, 
Se  volge  il  corno  ai  cani ,  ond'  é  seguito, 
S'  arretran  essi ,  e  s'  a  fuggir  si  pone, 
Ciascun  ritorna  a  seguitarlo  ardito. 
Clorinda  nel  fuggir  da  tergo  oppone 
Alto  lo  scudo,  e  '1  capo  é  custodito. 

Così  coperti  van  ne'  giochi  mori 
Dalle  palle  lanciate  i  fuggitorL 

33.  Già  questi  seguitando,  e  quei  fuggendo, 
S'  erano  all'  alte  mura  avvicinati, 
Quando  alzaro  i  pagani  un  grido  orrendo, 
E  indietro  si  ftir  subito  voltati, 

E  fecero  un  gran  giro,  e  poi  volgendo 
Ritornalo  a  ferir  le  spalle  e  i  lati: 
E  intanto  Argante  giù  movea  dal  monte 
La  schiera  sua  per  assalirgli  a  fronte. 

34.  II  feroce  Circasso  uscì  di  stuolo: 
Ch'  esser  vols'  egli  il  feritor  primiero: 
E  quegli ,  in  cui  ferì ,   fu   steso  al  suolo, 
E  sossopra  in  un  fascio  il  suo  destriero. 

E  priacbé  P  asta  in  tronchi  andasse  a  volo. 
Molli  cadendo  com|)agnia  gli  fero. 
Poi  stringe  il  ferro,    e  qiiand'  ei  giunge  iippieno. 
Sempre  uccide,  od  abbatte,  o  piaga  aimeno. 

85.      Clorinda,  emula  sua,  tolse  di  vita 
Il  forte  Ardelio,  uom  già  d'  età  matura. 
Ma  di  veci  hiezza  indomita  ,  e  munita 
Di  duo  gran  figli;  eppiir  ncui  fu  sccura; 
Cir  Alcandro,  il  nuiggior  figlio ,  aspra  ferita 
Rimosso  avea  dalla  paterna  cura, 
E  l'oliferiio,  che  rc.-togli  appresso, 
A  gran  pina  salvar  potè  sé  stesso. 

of».      I\Ia  T.incredi,  ilaiipoich' egli  non  giiingt» 
Quel   villiin,   che  destriero  ha  più  corrente, 
Si  mira  ad(ii<(ro  ,  e  vede  ben  ,  che  lunge 
Troppo  è  fras(dr.-.a  la  sua  amlace  gente. 
A  «ilcia  in(4)riiiala,  e '1  cor>ier  punge 
>olgrMdo  il  freno,  e  là  s'  invia  repente. 
^(■d   ef;li  ^olo  i  bUoi  guerri<>r  soccorre, 
Ula  quello  btuol ,  eh'  ii  lutti  i  rischj  accorre. 


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GERUSALEMME   LIBERATA.     (III.  3T-52) 


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37.     Quel  di  Dndone  avvcnturier  drappello. 
Fior  degli  eroi,  nerbo  e  vigor  del  campo. 
Rinaldo ,  il  più  magnanimo  e  il  più  bello, 
Tutti  precorre;  ed  è  men  ratto  il  lampo. 
Bentosto  il  portamento  e  il  bianco  augello 
Conosce  Erminia  nel  celeste  campo, 
E  dice  al  re,  eh'  in  lui  fissa  lo  sguardo: 
Eccoti  il  domator  d'  ogni  gagliardo! 

S3.     Questi  ha  nel  pregio  della  spada  eguali 
Pochi,  o  nessuno;  ed  è  fanciullo  ancora. 
Se  fosser  tra'  nemici  altri  sei  tali, 
Giù  Soria  tutta  vinta  e  serva  fora; 
E  già  domi  sareboono  i  più  australi 
Regni ,  e  i  regni  più  prossimi  all'  aurora, 
E  forse  il  W\\o  occulterebbe  invano 
Dal  giogo  il  capo  incognito  e  lontano. 

ùJK     Rinaldo  ha  nome ,  e  la  sua  destra  irata 
Temon  più  d'  ogni  macchina  le  mura. 
Or  vol:;i  gli  occhj  ,  ov'  io  ti  mostro,  e  guata 
Colui ,  che  d'  oro  e  verde  ha  1'  armatura  ! 
Quegli  è  Dudone ,  ed  è  da   lui  guidata 
Questa  schiera,  che  schiera  è  di  ventura. 
K   guerrier  d'  alto  sangue,  e  molto  esperto, 
(Jhe  d'  età  vince  ,  e  non  cede  di  merto. 

40.      Mira  quel  grande ,  eh'  è  coperto  a  bruno  ! 
È  Gernardo,  il  fratel  del  re  norvegio. 
ISon  ha  la  terra  uom  più  superbo  alcuno  : 
Questo  sol  de'  suoi  fatti  oscura  il  pregio. 
E  son  que'  duo ,  che  van  sì  giunti  in  uno, 
Ed  han  bianco  il  vestir ,    ))ianco  ogni  fregio, 
Gildippe  ed  Odoardo ,  amanti  e  sposi, 
In  valor  d'  arini  e  in  lealtà  famosi. 

4 1       Così  parlava  :  e  già  vedean  là  sotto 
Come  la  strage  più  e  più  s'  ingrosse  ; 
('Ile  Tancredi  e  Rinaldo  il  cerchio  han  rotto, 
Renchè  d"  uomini  denso  e  d'  armi  fosse. 
E  poi  lo  stuol ,  eh'  è  da  Dudon  condotto, 
Vi  giunse,  ed  aspramente  anco  il  percosse. 
Argante,  Argante  stesso,  ad  un  grand'  urto 
Di  Rinaldo  abbattuto,  appena  è  sorto. 

42.  Né  sorgea  forse;  ma  in  quel  punto  stesso 
Al  figliuol  di  liertoldo  il  dcstrier  cade, 

E ,  restandogli  sotto  il  piede  oppresso, 
Ccuivien,  eh'  indi  a  ritrarlo  alquanto  bade. 
Lo  stuol  pagan  frattanto  in  rotta  messo 
Si  ripara  fuggendo  alla  cittade. 
Soli  Argante  e  Clorinda  argine  e  sponda 
Sono  al  furor ,  che  lor  da  tergo  inonda. 

43.  Ultimi  vanno;  e  1'  impeto  seguente 
In  lor  s'  arresta  alquanto  e  si  reprìme, 
Sicché  poteau  mcn  perigliosamenie 
Quelle  genti  fuggir,  che  fuggian  prime. 
Segue  Dudon  nella  littoria  ardente 

1  fuggitivi,  e  '1  licr  Tigrane  oj^prime 
('ou  I'  urto  del  (-avallo,  e  con  la  Hpadii 
l'a,  clic  s(!(;uio  del  capo  u  terra  cada. 

41.      Xè  giova  ad  Algaz/.arre  il  fino  usbergo. 
Ned  a  Corban  robusto  il  forte  elmetto  ; 
Ch'  in  guisa  lor  ferì  la  nuca  e  '1  tergo. 
Che  ne  passò  la  piaga  al  viso,  al  petto. 
E  per  isua  mano  ancor  del  dolce  albergo 
li'  alma  usci  il'  Auuirate  e  di  Meemetto, 
E  del  crudo  .\liiians(»r;  nò  '1  gran  Circasso 
l'uò  sicuro  da  lui  movere  un  pu.sso. 


45.     Freme  in  sé  stesso  Argante,  eppur  talvolta 
Si  ferma  e  volge ,  e  poi  cede  pur  anco. 
Alfio  così  improvviso  a  lui  si  volta, 
E  di  tanto  rovescio  il  coglie  al  fianco, 
Che  dentro  il  ferro  vi  s'  immerge ,  e  tolta 
E    dal  colpo  la  vita  al  duce  franco. 
Cade,  e  gli  occhj,  eh'  appena  aprir  si  ponno. 
Dura  quiete  preme  ,  e  ferreo  sonno. 

4G.      Gli  aprì  tre  volte ,  e  i  dolci  rai  del   cielo 
Cercò  fruire,  e  sovra  mi  braccio  alzarsi, 
E  tre  volte  ricadde ,  e  fosco  velo 
Gli  occhj  adombrò,  che  stanchi  alfin  serrarsi. 
Si  dissolvono  i  membri,  e  '1  mortai  gelo 
Irrigiditi,  e  di  sudor  gli  ha  sparsi. 
Sovra  il  corpo  già  morto  il  fero  Argante 
Punto  non  bada,  e  via  trascorre  innante. 

47.  Con  tutto  ciò ,  scbben  d'  andar  non  cessa, 
Si  volge  ai  Franchi,  e  grida:  oh  cavalieri. 
Questa  sanguigna  spada  è  quella  stessa. 
Che  '1  signor  vostro  mi  donò  pur  jeri. 
Ditegli,  come  in  uso  oggi  1'  ho  messa! 
Ch'  udirà  la  novella  ei  volentieri, 

E  caro   esser  gli  dee  ,  che  '1  suo  bel  dono 
Sia  conosciuto  al  paragon  sì  buono. 

48.  Ditegli ,  che  vederne  omai  s'  aspetti 
Nelle  viscere  sue  più  certa  prova  ! 

E  quando  d'  assalirne  ei  non  s'  affretti, 
Verrò  non  aspettato,  ov'  ei  si  trova. 
Irritati  i  cristiani  ai  feri  detti. 
Tutti  ver  lui  già  si  moveano  a  prova; 
Ma  con  gli  altri  esso  è  già  corso  in  sicuro 
Sotto  la  guardia  dell'  amico  muro. 

49.  I  difensori  a  grandinar  le  pietre 
Dall'  alte  mura  in  guisa  incominciaro, 
E  quasi  inuumerabìli  faretre 

Tante  saette  agli  archi  ministraro, 

Che  forz'  è  pur,    che  '1  franco  stuol  s'  arretre 

E  i  Saracin  nella  cittade  entraro. 

Ma  già  Rinaldo ,  avendo  il  pie  sottratto 

Al  giacente  destrier,  s'  era  qui  tratto. 

50.  Venia  per  far  nel  barbaro  omicida 
Dell'  estinto  Dudone  aspra  vendetta, 
E  fra'  suoi  giunto  alteramente  grida: 

Or  qual  indugio  è  questo .-*  e  che  s'  aspetta? 
P(»ich'  è  morto  il  signor ,  che  ne  fu  guida, 
Che  non  corriamo  a  vendicarlo  in  fretta.'' 
Dimque  in  sì  grave  occasion  dì  sdegno 
Esser  può  fragil  muro  a  noi  ritegno.'' 

51.  Non,  se  di  ferro  doppio,  o  d'  adamante 
Questa  muraglia  iuipenetrabìl  fosse, 

('olà  dentro  sicuro  il  fero  Argante 

S'  appiatteria  dalle  vostr'  alte  posse. 

Andlam  ]Mirc  all'  assalto!  Ed  egli  innante 

A  tutti   gli  altri  in  questo  dir  si  mosse; 

Clir  nulla  teme  la  sicura  testa 

O  di  sassi,    o  di  strai  nembo,   o  tempesta. 

52.  Ei  crollando  il  gran  capo  alza  la  faccia 
l'iena  dì  si  terribile  ardimento, 

Che  sin  dentro  alb;  mura   i  cori  agghiaccia 
Ai  difensor  d'  insolilo  spavento. 
Mtuitr'  egli  altri  rincora  ,  altri  minaccia, 
Sopravvicn  chi  reprime  il  suo  talento  : 
('Ih':  (loilVcdo  lor  manda  il  buon  Siglerò, 
De'  gravi  imperj  suoi  nunzio  severo. 


33] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (HI.  53—68) 


[34] 


53.      Questi  sgrida  in  suo  nome  il  troppo  ardire, 
E  incontinente  il  ritornar  impone. 
Tornatene  !  dicea  ,  eh'  alle  TOs^tr'  ire 
IVon  è  il  loco  ojjportuno  ,  e  la  stagidne, 
(jrofTrcdo  il  vi  comanda.     A  questo  dire 
Rinaldo  si  frenò,  eh'  altrui  fu  sprone: 
Benché  dentro  ne  frema  ,  e  in  più  d'  un  segno 
Dimostri  fuore  il  mal  celato  sdegno. 

51.      Tornar  le  schiere  indietro ,  e  dai  nemici 
Non  fu  il  ritorno  lor  punto  turhato. 
]\è  in  parte  alcuna  degli  estremi  uffici 
Il  corpo  di  Dudon  restò  fraudato. 
Sulle  pietose  hraccia  i  fidi  amici 
Portarlo ,  caro  peso  ed  onorato. 
Mira  intanto  il  Buglion  d'  eccelsa  parte 
Della  forte  cìttade  il  sito  e  T  arte. 

55.  Gerusalem  sovra  due  colli  è  posta 

D'  impari  altezza,  e  volti  fronte  a  fronte. 

A  a  per  lo  mezzo  suo  valle  interposta, 

Che  lei  distingue,  e  l'  un  dall'   altro  monte. 

Fuor  da  tre  lati  ha  malagcvol  costa: 

Per  r  altro  vassi,  e  non  par  che  si  monte. 

IMa  d'  altissime  mura  è  più  difesa 

La  parte  piana ,  e  'ncontra  horea  stesa. 

56.  La  città  dentro  ha  lochi,  in  cui  si  serba 

L'  acqua,  che  piove,  ha  laghi ,  e  fonti  vivi; 

Ma  fuor  la  terra  intorno  è  nuda  d'  erba, 

E  di  fontane  sterile ,  e  di  rivi. 

]\è  si  vede  fiorir  lieta  e  superba 

D'  alberi ,  e  fare  schermo  ai  raggi  estivi, 

Se  non  se  in  quanto  oltra  sei  minila  imi  bosco 

Sorge  d'  ombre  nocenti  orrido  e  fosco. 

57.  Ha  da  quel  lato,  donde  il  giorno  appare, 
Del  felice  (Jiordan  le  nobili  onde, 
E  dalla  parte  occi dentai  del  mare 
Mediterraneo  l'  arenose  pende. 
Verso  borea  è  Betel ,  eh'  alzò  l'  altare 
Al  bue  dell'  oro,  e  la  Sasmaria;  e  donde 
Austro  portar  le  suol  pio  voso  nembo, 
Betclem ,  che  '1  gran  parto  accolse  in  grembo. 

58.  Or  mentre  guarda  e  I'  alte  mura,  e  '1  sito 
Della  città  («oflVedo  e  del  paese, 

E  \>ensa,  ove  s'  accampi,  onde  assalito 
Sia  il  muro  ostil  più  Tacile  all'  oHese, 
Erminia  il  vide,  e  di  mostrollo  a  dito 
Al  re  pagano,  e  co?ì  a  dir  riprese: 
(ìofl'rcdo  è  quel,  che  ned  purpureo  manto 
Ha  di  regio  e  di  augusto  in  sé  cotanto. 

59.  Veramente  è  costui  nato  all'  impero  ; 
Sì  del  regnar  ,  del  eomaiidar  sa  1'  arti  ! 
E  non  minor  che  duce  è  cavaliero, 
Ma  (h'I  doppio  >  alor  tutte  ha  le  i)arti. 

]V«;  Ira  turba  sì  grande  inun  più  guerriero, 
O  pili  saggio  dì   lui  |)otr(ù  moslrarti. 
Sol  llaimondo  in  consiglio,  ed  in  battaglia 
Sol  Uinaido  e  Tancredi  a  lui  s'  agguaglia. 

60.  Hisponde  il  re  pagali  :  Ben  lio  di  lui 
Contezza,  e    1  vidi   alla  gran  corte  in  Francia, 
Qiiand'  io  d'  Kgitto  iiie^saggier  \ì  fui; 
E|i  vidi  in  iiobii  gi<i^(ia  oprar  la  lancia. 
E  seblu-n  gli  anni  giovinetti  sui 
Non  gli  M-slian  di  pimiK;  ancor  la  giinnciii. 
Pur  dava  a'  detti,  all'opre,  alle  sembianze 
Presagio  ornai  d'  altissime  speranze. 


61.  Presagio   ahi  troppo  vero  !  E  qui  le  ciglia 
Turbate  induna,  e  poi  le  innalza  e  cliiede: 
Dimmi ,  chi  sia  colui ,  che  ha  pur  vermiglia 
La  soprav vesta,  e  seco  a  par  si  vede. 

Oh  quanto  di  sembianti  a  lui  simiglia. 
Sebbene  alquanto  di  statura  cede! 
E  Baldovin,  risponde,  e  ben  si  scopre 
]Nel  volto  a  lui  fratel,  ma  più  nell'opre. 

62.  Or  rimira  colui,  che  quasi  in  modo 

D'  uom,  elle  consigli ,  sta  dall'altro  fianco! 

Quegli  èUaimondo,  il  qnal  tanto  ti  lodo 

D' aceorgiiiieiito,  uom  già  canuto  e  bianco. 

]\on  è  chi  tesser  me'  bellico  frodo 

Di  lui  sapesse,  o  sia  Latino,  o  Franco. 

Ma  queir  altro  più  in  là,  cji'  aurato  ha  V  elmo 

Del  re  britanno  è   1  buon  figliuol  Guglielmo. 

63.  V'  è  Guelfo  seco:  egli  è  d'  opre  leggiadre 
Emulo,  ed'  alto  sangue,  e  d'  alto  stato. 
Ben  il  conosco   alle  sue  spalle  quadre, 

Ed  a  quel  petto  colmo  e  rilevato. 
Ma  '1  gran  nemico  mio  tra  queste  squadre 
Già  riveder  non  posso;  e  pur  vi  guato: 
1'  dico  Bocmondo  ,  il  micidiale 
Distruggitor  del  sangue  mio  reale. 

64.  Così  parlavan  questi.     E  '1  capitano, 
Poich'  intorno  ha  mirato,  ai  suoi  discende. 
E  perchè  crede,  che  la  terra  invano 

S'  oppugneria,  dove  il  più  erto  ascende, 
Centra  la  porta  aquilonar  nel  piano. 
Che  con  lei  si  congiiinge,  alza  le  tende: 
E  quinci  procedendo,  iiifia  la  torre. 
Che  chiamano  angolar,  gli  altri  fa  porre. 

65.  Da  quel  giro  del  campo  è  contenuto 
Della  cittadc  il  terzo,  o  poco  meno: 
Che  d'  ogn'  intorno  non  avria  potuto 
(Cotanto  ella  volgea)  cingerla  appieno. 
Ma  le  vie  tutte,  onde  aver  punte  ajuto, 
Tenta  (JoflVedo  d'  impedirle  almeno. 
Ed  occupar  fa  gli  opportuni  pas.>i, 
Onde  da  lei  si  -viene,  ed  a    lei  vassì. 

66.  Impon  che  sian  le  tende  indi  munite 
E  di  fosse  profonde,   e  di  trineiere, 
Che  d'  una  parte  a  cittadine  uscite. 
Dall'  altra  oppone  a   correrie  straniere. 
IMa  poiché  fiir  qiicst'  opere  fornite, 
"\ols'  egli  il  corpo  di  l)nd«Mi  vedere, 

E  colà  trasse,  ove  il  luion  duce  estinto 
Da  mesta  turba  e  lagrimosa  è  cinto. 

67.  Di  nolùl  pompa  i  fidi  amici  (irnaro 
Il  gran  feretro,    ove  sublime  ei  giace. 
Quando  (JolìVedo  entrò,  le  Iiirlie  al/.aro 
La  voce  as^ai  più  llebile  e  loquace. 

Ma  con  vidto  né  torbido,   né  eliiaro 
Frena  il  >uo  all'etto  il  i>io  l{nf;lionc  .   e  tace: 
E  poiché    11  lui  pen-ando  alquanto  lis»e 
Le  luci  elibe  teiiuie,  alUn  sì  disse: 

68.  Già  non  si  deve  a  te  doglia,  né  pianto. 
Che,  se  mori  nel  mondo  ,  in  ciel  rinasci; 
E  qui,  dove  ti  spof;li  mortai  manto, 

Di  gloria  impresse  alte  vestigia  lasci. 
Vivesti  ipial  giierrier  cristiani»  e  santo, 
E  come  tal  sei  morto:   or  godi  e  pa«ci 
In  Dio  gli  occhi  bramosi,   oh  felice  alma, 
Ed  hai  del  bene  oprar  corona  e  palma. 

3 


[35]         GERUSALEMME  LIBERATA.     (III.  69— Y6.   IV.  1  —  4)       [36] 


6  9.      Vivi  beata  pur  !  che  nostra  sorte, 

Non  tua  sventura,  a  lagrimar  n'  invita: 

Posciach'  al  tuo  partir  sì  degnale  forte 

Parte  di  noi  fa  col  tuo  pie  partita. 

Ma  se  questa,  che  '1  volg^o  appella  morte, 

Privati  ha  noi  d'   una  terrena  aita, 

Celeste  aita  ora  impetrar  ne  puoi. 

Che  '1  ciel  t'  accoglie  infra  gli  eletti  suoi. 

70.  E  come  a  nostro  prò  veduto  abbiamo 

Ch'  usavi ,  uora  già  mortai ,  V  arme  mortali, 
Cosi  vederti  oprare  anco  speriamo. 
Spirto  divin  ,  l'  arme  del  ciel  fatali. 
Impara  i  voti  ornai ,  eh'  a  te  porgiamo, 
Raccmrre ,  e  dar  soccorso  ai  nostri  mali , 
Tu  di  vittoria  annunzio  !  a  te  devoti 
Solverem  trionfando  al  tempio  i  voti. 

71.  Così  diss'  egli:  e  già  la  notte  oscura 
Avea  tutti  del  giorno  i  raggi  spenti, 

E  con  r  obblio  d'  ogni  nojosa  cura 

Ponea  tregua  alle  lagrime,  ai  lamenti. 

Ma  il  capitan ,  eh'  espugnar  mai  le  mura 

Kon  crede  senza  i  bellici  stromenti, 

Pensa,  ond'  abbia  le  travi,  ed  in  quai  forme 

Le  macchine  componga ,   e  poco  dorme. 

72.  Sorse  a  pari  col  sole ,  ed  egli  stesso 
Seguir  la  pompa  funeral  poi  volle. 

A  Dudon  d'  odorifero  cipresso 

Composto  hanno  il  sepolcro  appiè  d'  un  colle, 

Kon  lunge  agli  steccati:  e  sovra  ad  esso 

Un'  altissima  palma  i  rami  estolle. 

Or  qui  fu  posto,  e  i  sacerdoti  intanto 

Quiete  all'  alma  gli  pregar  col  canto. 


73.     Quinci  e  quindi  fra  i  rami  erano  appese 
Insegne,  e  prigioniere  arme  diverse. 
Già  da  lui  tolte  in  più  felici  imprese 
Alle  genti  di  Siria  ed  alle  perse. 
Della  cora/.za  sua  ,  dell'  altro  arnese 
In  mezzo  il  grosso  tronco  si  coperse. 
Qui  (vi  fu  scritto  poi)  giace  Dudone: 
Onorate  1'  altissimo  campione  ! 

71.     Ma  il  pietoso  Buglion,  poiché  da  questa 
Opra  si  tolse  dolorosa  e  pia, 
Tutti  i  fabbri  dal  campo  alla  foresta 
Con  buona  scorta  di  soldati  invia. 
Ella  è  tra  valli  ascosa,  e  manifesta 
L'  avea  fatta  a'  Francesi  uom  di  Soria. 
Qui  per  troncar  le  macchine  n'  andaro, 
A  cui  non  abbia  la  città  riparo. 

75.  L'  un  r  altro  esorta ,  che  le  piante  atterri, 
E  faccia  al  bosco  inusitati  oltraggi. 
Caggion  recise  da  taglienti  ferri 

Le  sacre  palme ,  e  i  frassini  selvaggi, 

I  funebri  cipressi,  e  i  pini,   e  i  cerri, 

L'  elei  frondose,  e  gli  alti  abeti,  e  i  faggi, 

Gli  olmi  mariti ,  a  cui  talor  s'  appoggia 

La  vite,  e  con  pie  torto  al  ciel  sen  poggia. 

76.  Altri  i  tassi,  e  le  querce  altri  percote, 
Che  mille  volte  rinnovar  le  chiome, 

E  mille  volte,  ad  ogni  incontro  immote 
L'  ire  de'  venti  han  rintuzzate  e  dome  ; 
Ed  altri  impone  alle  stridenti  rote 
D'  orni  e  di  cedri  1'  odorate  some. 
Lasciano  al  snon  dell'  arme,   al  vario  grido, 
£  le  fere  e  gli  augei  la  tana  e  '1  nido. 


CANTO    QUARTO. 


ARGOMENTO. 

V  orribil  tromba  al  rauco  suon  richiama 

Il  re  d'  abisso  le  tartaree  torme  ; 

E  cantra  V  armi,  che  Dio  guida  ed  ama, 

Tutte  V  arma  e  disserra  in  varie  forme. 

Esecutrice  indi  è  di  ciò  eh''  ei  brama 

L'  arted'  Armida  a  sua  beltà  conforme. 

Tenta  ella  eroi ,  tenta  Goffredo ,  e'nvano  ; 

Ch'  ei  sano  ha  H  cor  d'  ogni  desir  non  sano. 


Mentre  son  questi  alle  beli'  opre  intenti. 
Perchè  debbiano  tosto  in  uso  porse, 
Il  gran  nemico  dell'  umane  genti 
Contra  i  cristiani  i  lividi  occhj  torse, 
E,  scorgendoli  ornai  lieti  e  contenti, 
Ambo  le  labbra  por  furor  ni  morse, 
E,  qual  tauro  ferito,  il  suo  dolore 
V  vrbò  luuggluiuidu  u  suspiraado  fuore. 


2.  Quinci  avendo  pur  tutto  il  pensier  volto 
A  recar  ne'  cristiani  ultima  doglia. 
Che  sia ,  comanda ,  il  popol  suo  raccolto 
(Concilio  orrendo!)  entro  la  regia  soglia; 
Come  sia  pur  leggiera  impresa  (ahi  stolto!) 
Il  repugnare  alla  divina  voglia. 
Stolto ,  eh'  al  ciel  si  agguaglia ,  e  in  obblio  pone 
Come  di  Dìo  la  destra  irata  tuone! 

3.  Chiama  gli  abitator  dell'  ombre  eterne 
Il  rauco  suon  della  tartarea  tromba. 
Tremau  le  spaziose  atre  caverne, 
E  r  aer  cieco  a  quel  romor  rimbomba. 
Aè  stridendo  cosi  dalle  superne 
Ilegioni  del  cielo  il  folgor  piomba; 
I\è  sì  scossa  giammai  trema  la  terra. 
Quando  i  vapori  in  sen  gravida  serra. 

4.  Tosto  gli  Dei  d'  abisso  in  varie  torme 
Concorron  d'  ogni  intorno  all'  alte  porte. 
Oh  come  strane,  oh  c<une  orribil  forme! 
Quant  è  negli  occhj  lor  terrore  e  morte! 
Stampano  alcuni  il  suol  di  ferine  orme, 
E  'n  fronte  umana  bau  chiome  d'  angui  attorte, 
E  lor  s'  aggira  dietro  iuuuensa  coda, 
Che  quuoi  bi'urza  i>i  ripiega  u  biiudu. 


[37] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (IV.  5—20) 


[38] 


5.  Qui  mille  immonde  arpie  Tedrestì ,  e  mille 
Centauri  e  sifin^i,  e  pallide  gorgoni, 

Molte  e  molte  latrar  voraci  scilie, 

E  fischiar  idre,  e  sibilar  pitoni, 

E  vomitar  chimere  atre  faville, 

Vj  l'olifemi  orrendi,  e  Gerioni; 

E  in  novi  mostri,  e  non  più  intesi,  o  visti, 

Diversi  aspetti  in  un  confusi  e  misti. 

6.  D'  ejsi  pai'te  a  sini.-tra,  e  parte  a  destra 
A  seder  vanno  al  criido  re  davante. 
Siede  Pluton  nel  mezzo,  e  con  la  destra 
Sostien  lo  scettro  ruvido  e  pesante. 

]\è  tanto  scoglio  in  mar,  ne  rupe  alpestra, 
^è  più  Calpe  s'  innalza,  o  '1  magno  Atlante, 
Cli'  anzi  lui  non  paresse  un  picciol  colle: 
Si  la  gran  fronte  e  le  gran  corna  estolle! 

7.  Orrida  maestà  nel  fero  aspetto 
Terrore  accresce,  e  più  superbo  il  rende. 
Ilosseggian  gli  occhj,  e  di  veneno  infetto, 
(^ome  infausta  i;omcta,  il  guardo  splende. 
Gì'  ifivcd^e  il  mento,  e  soli'  irsiito  petto 
Lapida  e  folta  la  gran  barba  scende; 

Ij  in  guisa  di  voragine  profonda 

S'  apre  la  bocca  d'  atro  sangue  immonda. 

8.  Qual  i  fumi  sulfurei  ed  infiammati 
Escon  di  r»l()ngibello ,  e  'l  pnzzo  e  '1  tuono, 
Tal  della  fera  bocca  i  negri  fiati, 

Tale  il  fetore  e  le  faville  sono. 
Mentre  ei  parlava.  Cerbero  i  latrati 
lUpresse,  e  T  idra  si  fé'  muta  al  suono: 
Restò  Cocito,  e  ne  tremar  f;li  aliissi; 
E  in  questi  detti  il  gran  rimbombo  udissi  : 

9.  Tartarei  numi,  di  seder  più  degni 

Là  sovra  il  sole,  ond'  è  V  origin  vostra. 

Che  meco  già  dai  più  felici  regni 

Spinse  il  gran  caso  in  questa  orribil  rhio-tra  ; 

Gli  antichi  altrui  sospetti ,  e  i  fieri  sdegni 

]\oti  son  troppo,  e  1'  alta  impresa  nostra. 

Or  colui  regge  a  suo  voler  le  stelle, 

E  noi  siam  giudicate  alme  rubcllc; 

10.  Ed  in  vece  del  di  sereno  e  puro, 
Dell'  aureo  sol,  de'  bei  stellati  giri, 

N'  ha  qui  rinchiusi  in  quer-t"  abisso  oscuro, 
]\è  vuol,  eh'  al  primo  «uior  per  noi  s'  aspiri. 
E  ])os(-ia  (ahi  quanto  a  ricordarlo  è  duro! 
Quest'  è  quel,  che  più  inaspra  i  miei  martiri!) 
^c'  bei  seggi  celesti  ha  1'  iiom  chiamato, 
L'  uoin  vile,  e  di  vii  fango  in  terra  nato. 

11.  Nò  ciò  gli  parve  assai;  ma  in  pre<la  a  morte, 
Sul  per  farne  più  danno,  il  figlio  diede. 

Ei   \enne  e  ruppe  le  tartaree  porte, 
E  porre  osò  ne'  regni  iu>stri  il  piede, 
E  trarne  V  ahiu-  a  noi  dovute  in  Mirte, 
E  riportarne    al  ciel  sì  rii:che  prede, 
Vincitor  trionfando  ,   e  in  nostro  scherno 
L'  insegne  ivi  spiegar  del  vinto  inferno. 

12.  Ma  che  rinnovo  i  mitù  dcdor  parlaiiilo? 
Chi   non  ha  già  T  ingiurie  nostre  iritoe.'' 
Ed  in  qual  parte  si  trovò,  uè  quando, 
(Jir  egli  cessasse  dilli'  usate  imprese.^ 
^iin  più  dessi  air  antiche   andar  pensando, 
l'cn.^ar  dobbiamo  allt^  |)reseiili  oll'oe. 

Deli   non  \eilete  omai  .  rom'  «-gli   t<'nti 
Tutte  ul  Buo  culto  richiamar  le  ;;enti? 


11 


15 


13.     Noi  trarrem  neghittosi  i  giorni  e  1'  ore, 
Kè  degna  cura  fia,  che  '1  cor  n'  accenda? 
E  soffrìrem  ,  che  forza  ognor  maggiore 
Il  suo  popol  fedele  in  Asia  prenda? 
E  che  Giudea  soggioghi ,  e  che  '1  sno  onore. 
Che  '1  nome  suo  più  si  dilati  e  stenda? 
Che  suoni  in  altre  lingue,  e  in  altri  carmi 
Si  scriva,  e  incida  in  novi  bronzi,   e  in  marmi .^ 

Che  sian  gì'  idoli  nostri  a  terra  sparsi  ? 
Che  i  nostri  altari  il  mondo  a  lui  converta.' 
Ch'  a  lui  sospesi  i  voti ,  a  lui  sol  arsi 
Siano  gì'  incensi,  ed  auro  e  mirra  offerta? 
Cli'  ove  a  noi  tempio  non  solca  serrarsi, 
Or  via  non  resti  all'  arti  nostre  aperta? 
Che  di  tant'  alme  il  solito  tributo 
INc  manchi,  e  in  voto  regno  alberghi  Fiuto? 

Ah  non  Ila  ver  :  che  non  sono  anco  estinti 
Gli  spirti  in  noi  di  quel  Aalor  primiero, 
Quando   di  ferro  e  d'  alte  fiamme  cinti 
Pugnammo  già  centra  il  celeste  impero. 
Fummo,  io  noi  nego,  in  quel  conflitto  vinti; 
Pur  non  mancò  virtute  al  gran  pensiero. 
Diede,     chechè  si  fosse,  a  lui  vittoria. 
Rimase  a  noi  d'  invitto  ardir  la  giuria. 

16.  Ma  perchè  più  v'  indugio?  Itene,  oh  miei 
Fidi  consorti,  oh  mia  potenza  e  forze, 

Ite  veloci ,  ed  opprimete  i  rei, 
Primach'  il  lor  poter     pivi  si  rinforzo! 
Priachè  tutt'  arda  il  regno  degli  Ebrei, 
Questa  fianmia  crescente  omai  s'  ammorze! 
Fra  loro  entrate,  e  in  ultimo  lor  danno 
Or  la  forza  s'  adopri ,  ed  or  1'  inganno! 

17.  Sia  destin  ciò  eh'  io  voglio!  Altri  disperso 
Sen  vada  errando ,  altri  rimanga  ucciso. 
Altri,  in  cure  d'  amor    lascive  immerso, 
Idol  si  faccia  un  dolce  sguardo  e  un  riso. 
Sia    l  ferro  incontro  al  suo  rettor  converso 
Dallo  stuol  ribellante  e  'n  sé  diviso! 

Pera  il  campo  e  mini ,  e  resti  in  tutto 
Ogni  vestigio  suo  con  lui  distrutto! 

18.  Non  aspettar  già  l'  alme  a  Dio  rubclle, 
Cile  fosser  queste  voci  al  fin  condotte} 
Ma  fuor  volando  a  riveder  le  stelle 

Già  se  n'  usciau  dalla  profonda  nolte, 
Come  sonanti  e  torbide  procelle, 
Che  vcngan  (uor  delle  natie  hu-  grotte 
Ad  oscurar  il  cielo,  a  jìortar  guerra 
Ai  gran  regni  del  mar  e  della  terra. 

19.  Tosto  spiegando  in   varj  lati  i  vanni 
Si  furoii  <pH:sti  per  lo  mondo  sparli, 

E  incomiiiciaro  a  fabbricar  ingaiiiii 
Di\er.->i  e  novi,  ed  ad   usar  lor  arti. 
Ma  di'  tu.  Musa,  come  i  primi  danni 
Mandassero  a'  cristiani,  e  di  qiiai  partii 
Tul  sai;  ma  di  tant'  iqua  a  noi  sì  lungo 
Debil  aura  di  fama  appena  gimige. 

20.  Reggea  Damasco  e  le  città  vicine 
Idraole  ,   l'amoso  e  iiobil   mago, 

('he  sin  dii'  suoi  primi   anni  all'  indo\ino 
Arti  >i    diedi-,  e  lu-  fu  ogimr  più   >ago. 
Ma  che  giocar  ,  se  non  potéa  del    line 
Di  queir  incerta  guerra  esser  prt'sago, 
!\ed   aspetto  di  stelle  erranti  o   fi«,-e, 
^ù  risposta  d'  inferno  il  >er  predisse? 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (IV.  21  —  36) 


[40] 


21.  Gimlicò  questi  (ahi  cieca  umana  mente, 
Come  i  giudici  tuoi  son  vani ,  e  tditi  !) 
Cli'  all'  esercito  invitto  d'   occidente 
Appiiiecchiiissc  il  cifl  ruiiie  e  morti. 
Però  credendo  ,  che  l'  egizia  gente  _ 

La  palma  dell'  impresa  alfni  riporti. 
Desia ,  che  '1  popol  suo  nella  vittoria 
Sia  dell'  acquieto  a  parte,  e  della  gloria. 

22.  5Ia  perchè  sanguinosa  e  cruda  estima 
Che  fia  tal  guerra,  e  del  suo  danno  teme, 
Ei  va  pensaudo ,  con  qual  arte  iu  prima 

11  poter  de'  cristiani  in  parte  sceme, 
Sicché  più  agevolm<'nte  indi  s'  opprima 
Dalle  sue  genti  e  dall'  egizie  iusieme. 
In  questo  suo  pensier  il  sovraggiunge 
L'  angelo  iniquo,  e  più  i'  instiga  e  punge. 

23.  Esso  il  consiglia,  e  gli  ministra  i  modi, 
Onde  r  impresa  agevolar  si  punte. 
Donna ,  a  cui   di  heltà  16  prime  lodi 
Concedea  l'  oriente,  è  sua  nipote. 

Gli  accorgimenti ,  e  le  più  occulte  frodi, 
Ch'   usi  o  femmina ,  o  maga ,  a  lei  son  note. 
Questa  a  sé  chiama ,  e  seco  i  suoi  consigli 
Comparte,  e  vuol,  che  cura  ella  ne  pigli. 

21.      Dice:  Oh  diletta  mia,  che  sotto  biondi 
Capelli,   e  fra  si  tenere  sembianze 
Cainito  senno  e  cor  virile  ascondi, 
E  già  neir  arti  mie  me  stesso  avanze, 
Gran  pensier  volgo;  e  se  tu  lui  secondi, 
Seguiranno  gli  efletti  alle  speranze. 
Tessi  la  tela,  eh'  io  ti  mostro  ordita, 
Di  cauto  vecchio  esecutrice  ardita! 

25.  Vanne  al  campo  nemico!  Ivi  s'  impieghi 
Ogni  arte  femminil ,  eh'  amore  alletti  ! 
Bagna  di  pianto  ,  e  fa  melati  i  preghi  ! 
Tronca  e  ccuifondi  co'  sospiri  i  detti  ! 
Beltà  dolente  e  miserabil  pieghi 

Al  tuo  volere  i  più  ostinati  petti! 

Vela  il  soverchio  ardir  con  la  vergogna, 

E  fa  manto  del  vero  alla  menzogna  ! 

26.  Prendi,  s'  esser  potrà,  Goffredo  all'  esca 
De'  dolci  sguardi,  e  de'  bei  detti  adorni, 
Siedi'  all'  uomo  invaghito  omai  rincresca 
L'  incominciata  guerra ,  e  la  distorni  ! 

S'  esso  non  puoi,  gli  altri  più  grandi  adesca, 
Menali  in  parte ,  ond'  alcun  mai  non  torni  ! 
Poi  distingue  i  consigli;  allìu  le  dice: 
Per  la   fc ,  per  la  patria  il  tutto  lice. 

27.  La  bella  Armida ,  di  sua  forma  altera 
E  de'  doni  del  sesso  e  dell'  etate, 

L'  impresa  prende;  e  in  sulla  prima  sera 
Parte,  e  tiene  sol  vie  chiuse;  e  celate: 
E'  n  treccia  e  'n  gonna  femminile  s|)era 
A  inccr  popoli  invitti  e  schiere  armale. 
Mn  son  del  sin)  partir  tra  'I  volgo  ad  arto 
Di\er»e  voci  poi  diil'use  e  si>arte. 

28.  Dopo  non  molti  dì  ^ien  la  donzella. 
Dove  >i>i(gate  i  Eranchi  avean  le  tende. 
Ali'  ap|iiirir  della  Ixdlà  novella 

INaMc  un  lii-iliìglio,  u '1  guardo  ognun  v'intende; 

Sicc(»me   là,  dove  c(uneta  o  stella 

Non  più   vif-ta  di  giorno  in  ciel  risplende; 

E  traggon  tutti   per  veder,  chi  sia 

Si  bella  peregrina,  e  chi   f  invia. 


29.  Ai-go  non  mai,  non  vide  Cipro,  o  Delo 
D'  abito,  o  di  bella  l'orme  fi  care. 

D'  auro  ha  la  chionui,  eh'  or  dal  bianco  velo 

Traluce  involta ,  «u-  disco|)erta  appare. 

Così,  qualor  si  rasserena  il  cielo, 

Or  da  candida  nube  il  sol  tra-^pare, 

Or  dalla  nube  uscendo  i  rag^i  intorno 

Più  chiari  spiega,  e  ne  raddoppia  il  giorno. 

30.  Fa  nuove  crespe  1'  aura  al  crin  disciolto, 
Che  natura  per  sé  rincrespa  in  onde. 
Stassi  1'  avaro  sgfuirdo  in  sé  raccolto, 

E  i  tesori  d'  amore  e  i  suoi  iiasccuide. 
Dolce  color  di  rose  in  quel  bel  volto 
Fra  r  avorio  si  sparge,  e  si  ccuit'onde; 
Ma  nella  bocca,  ond'  esce  aura  amorosa. 
Sola  rosseggia  e  semplice  la  rosa. 

31.  Mostra  il  bel  petto  le  sue  nevi  ignude, 
Onde  il  foco  d'  amor  si  nutre  e  desta: 
Parte  appar  delle  mamme  acerbe  e  crude, 
Parte  altrui  ne  ricopre  invida  vesta: 
Invida;  ma  s'  agli  occhj  il  varco  chiude, 
L'  amoroso  pensier  già  non  arresta, 

Che,  non  ben  pago  di  bellezza  esterna, 
Negli  occulti  secreti  anco  s'  interna. 

32.  Come  per  acqua,  o  per  cristallo  intero 
Trapassa  il  raggio,  e  noi  divide,  o  parte, 
Per  entro  il  chiuso  manto  osa  il  pensiero 
Sì  penetrar  nella  vietata  parte. 

Ivi  si  spazia ,  ivi  contempla  il  vero 
Di  tante  meraviglie  a  parte  a  parte: 
Poscia  al  desio  le  narra  e  le  descrive, 
E  ne  fa  le  sue  fiamme  in  lui  più  vive. 

33.  Lodata  passa  e  vagheggiata  Armida 
Fra  le  cupide  turbe ,  e  se  n'  avvede. 

Noi  mostra  già,  benché  in  suo  cor  ne  rida, 
E  ne  disegni  alte  vittorie  e  prede. 
Mentre,  sospesa  alquanto,  alcuna  guida. 
Che  la  conduca  al  capitan,  richiede, 
Eustazio  occorse  a  lei ,  che  del  sovrano 
Principe  delle  squadre  era  germano. 

31.      Come  al  lume  farfalla,  ei  si  rivolse 
Allo  splendor  della  beltà  divina, 
E  rimirar  dappresso  i  lumi  volse, 
Che  dolcemente  atto  modesto  inchina, 
E  ne  trasse  gran  fiamma ,  e  la  raccolse. 
Come  da  fuoco  suole  esca  vicina. 
E  disse  verso  lei  (eh'  audace  e  baldo 
Il  fea  degli  anni  e  dell'  amore  il  caldo): 

35.  Donna,  se  pur  tal  nome  a  te  convicnsi. 
Che  non  somigli  tu  cosa  terrena, 

Né  v'  è  figlia  d'  Adamo,  in  cui  dispensi 

Cotanto  il  ciel  di  sua  luce  serena! 

Che  da  te  si  ricerca.''  e  donde  viensi  ? 

Qual  tua  ventura,  o  nostra,  or  qui  ti  mena? 

Fa.  eh'  io  sappia,  chi  sei!  Fa,  eh'  io  non  erri 

Neil'  onorarti ,  e  s'  è  ragion  ,  in'  atterri  ! 

36.  Risponde:  11  tuo  lodar  troppo  alto  sale. 
Né  tanto  in  suso  il  merto  nostro  arriva. 
(yosa  vedi,  signor,  non  pur  mortale, 

Ma  già  morta  ai  diletti ,  al  duol  sol  viva. 
Mia  sciagura  mi  spinge  in  loco  tale, 
ACrgini!  peregrina  e  fuggitiva. 
Ricorro  al  pio  Goffredo,  e  in  lui  confido; 
Tal  va  di  sua  buntate  intorno  il  grido. 


"] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (IV.  37-52) 


[42] 


S7.      Tu  r  adito  m'  impetra  al  capitano, 
S'  Jiai,  come  pare,  alma  cortese  e  pia! 
Ed  egli:  E  l)en  ragion,  eli'  all'  un  germano 
L'  altro  ti  guidi,  e  jnter<-e»sor  ti  sia. 
tergine  bella,  non  ricorri  invano; 
Kon  è  vile  appo  lui  la  grazia  mia. 
Spender  tutto  potrai ,  conte  t'  aggrada. 
Ciò,  che  vaglia  il  suo  scettro,  o  la  mia  spada. 

38.  Tace ,  e  la  guida,  ove  tra  i  grandi  eroi 
AUor  dal  volgo  il  pio  Buglion  s'  invola. 
Essa  inchinoUo  riverente,  e  jxti 
Vergognosetta  non  tacca  parola. 

Ma  quel  rossor ,  ma  quei  timori  suoi 
Rassì(;nra  il  giicrriero,  e  riconsola, 
Sicché  i  pensati  inganni  alfine  spiega 
la  suon ,  che  di  dolcezza  i  sensi  lega. 

39.  Principe  invitto,  disile,  il  cui  gran  nome 
Sen  vola  adorno  di  si  chiiiri  fregi, 

Che  r  esser  da  te  vinte  e  in  guerra  dome 
Recansi  a  gloria  le  province  e  i  regi  ! 
Koto  per  tutto  è  il  tuo  valore,  e  come 
Sin  dai  nemici  av\icn,  che  s'  ami  e  pregi, 
Così  anco  i  tuoi  nemici  affida ,  o  invita 
Di  ricercai'ti,  e  d'  impetrarne  aita. 

IO.      Ed  io,  che  nacqui  in  si  diversa  fede, 

Che  tu  abbassasti  ,  e  eh'  or  d'  opprimer  tenti, 

Per  te  spero  acquistar  la  nobil  sede 

E  lo  scettro  regal  de'  mìei  parenti. 

E  s'  altri  aita  ai  suoi  congiunti  chiede 

Contra  il  furor  delie  straniere  genti, 

Io,  poiché  'n  lor  non  ha  pietà  più  loco, 

Contra  il  mio  sangue  il  ferro  ostile  invoco. 

1.      Te  chiamo,  ed  in  te  spero:  e  in  quell'  altezza 
Puoi  tu  sol  pormi,  onde  sospinta  io  fui. 
ISè  la  tua  destra  esser  dee  meno  avvezza 
Di  sollevar,  che  d'  atterrare  altrui; 
Kè  meno  il  vanto  di  pietà  si  prezza. 
Che  '1  trionfar  degl'  inimici  sui: 
E  s'  hai  potuto  a  molti  il  regno  torre, 
Fia  gloria  cgual  nel  regno  or  me  riporre. 

Ma  se  la  nostra  fé  varia  ti  move 
A  disprezzar  forse  ì  miei  preghi  onesti. 
La  f e ,  eh'  ho  certa  in  tua  pietà,  mi  giove! 
Kè  dritto  par  eh'  «'Ila  delusa  resti. 
Testimone  è  quel  Dio ,  eh'  a  tutti  è  Giove, 
Cli'  altrui  pili  giusta  aita  unqua  lum  desti. 
Ma,  perchè  il  tutto  appien(»  intenda,  or  odi 
Le  iiiic  sventure  insieme  e  1'  altrui  frodi  ! 

}.      Figlia  io  son  d'  Arbilan,  che    1  regno  tenne 
Del  bel   Damasco,  e  in  min'>r  sorte  nacque; 
Ma  la  bella  Cariclia  in  sposa  ottenne, 
Cui  farlo  erede  del  su(»  iiii|)erio  piacque. 
Costei  col  suo  morir  quasi  prevenne 
Il  nascer  mìo  ;  eh'  in  temjio  estinta  gìacijue, 
Cir   io  fuori  uscia  dell'   alvo:  v  fu  il  f.itiilu 
Giorno ,  clr  a  lei  die'  morte ,  a  me  natale. 

i.      Ma  il  primo  histro  appena  era  varcato 
Dal  dì,  eh'  ella  spoglios^i  il  mortai  mìo. 
Quando  il  mio   gcnilor,  cedendo  al   lato. 
Forse  c(tn  lei  sì   rìrongiiuise  in  cielo. 
Di  m<;  cura  lassando   e   dello  stato 
Al  f ratei ,  eh'  egli  amò  con  lauto  relo, 
Che,  se   in  petto  nuotai  pietà  ri>iede, 
EsBcr  certo  dovca  della  sua  fede. 


45.  Preso  dunque  di  me  questi  il  governo. 
Vago  d'  ogni  mìo  ben  sì  mostrò  tanto, 
Che  d'  incorrotta  fé,  d'  anuir  paterno, 
E   d'  immensa  pietade  ottenne  il  vanto  ; 
O  che  '1  maligno  suo  pensier  interno 
Celasse  allor  sotto  contrario  manto, 

O  che  sincere  avesse  ancor  le  voglie. 
Perdi'  al  figliuol  mi  destinava  in  moglie. 

46.  Io  crebbi ,  e  crebbe  il  figlio ,  e  mai  né  stile 
Di  cavalicr,  né  nobil  arte  apprese: 

Nulla  di  pellegiino ,  o  di  gentile 

Gli  piacque  mai,  né  mai  troppo  alto  intese: 

Sotto  deforme  aspetto  animo  vile, 

E  in  cor  superbo  av.ire  voglie  accese; 

Ruvido  in  atti  ed  in  costumi  è  tale, 

Ch'  è  sol  ne'  vizj  a  sé  medcsmo  eguale. 

47.  Ora  il  mio  buon  custode  ad  uom  si  degno 
Unirmi  in  matrimonio  in  sé  preilsse, 

E  farlo  del  mio  letto  e  del  mio  regno 
Consorte  :  e  chiaro  a  me  più  volte  il  disse. 
Usò  la  lingua  e  l'  arte,  usò  l'  ingegno, 
Perché  '1  bramato  effetto  indi  seguisse; 
Ma  promessa  da  me  non  trasse  mai. 
Anzi  ritrosa  ognor  tacqui ,  o  negai. 

48.  Partissi  alfin  con  un  sembiante  oscuro, 
Onde  r  empio  suo  cor  chiaro  trasparve, 
E  ben  1'  istoria  del  mio  mal  futuro 
Leggergli  scritta  in  fronte  allor  mi  parve. 
Quinci  i  notturni  mìei  riposi  furo 
Turbati   ognor  da  strani  sogni  e  larve. 
Ed  un  fatale  orror  nell'  alma  impresso 
M'  era  presagio  de'  miei  danni  espresso. 

49.  Spesso  1'  ombra  materna  a  me  s'  ofTria, 
Pallida  imago  e  dolorosa  in  atto. 
Quanto  diversa,  oimé,  da  quel,  che  pria 
Visto  altrove  il  suo  volto  avea  ritratti»  ! 
Fuggi,  figlia,  dicea,   morte  si  ria, 

Che  ti  sovrasta  omaì  !  partiti  ratto! 

Già  veggo  il  tosco  e    l  ferro  in  tuo  sol  danno 

Apparecchiar  dal  perfido  tiranno. 

50.  Ma  che  giovava,  oimé!  che  del  periglio 
Vicino  ornai  fosse  presago  il  core, 

Se  irresoluta  in  ritrovar  coM?iglio 

La  mia  tenera  età  rendea  il  timore? 

Prender  fuggtndo  volontario  esìgi  io, 

E  ignuda  uscir  del  patrio  regno  fuorc 

Grave  era  si<(h'  io  fea  minore  stima 

Di  chiuder  gli  occlij ,  ove  gli  apci-.-i  in   prima. 

51.  Temea,  lassa,  la  morte,  e  non  avea 
(Cbi  'I  crederla .')  poi  «li  fuggirla  ardire; 
E  scoprir  la  mia  tema  anco  temea, 

Per  non  all'rettar  l'  ore  al  mìo  morire. 

Co^ì  iii(|uieta  e  torbida  tra(*a 

I^a   vita  in  un  continuo  martire; 

Qual  uom,  eh'  aspelli,  che  sul  rollo  ignudo 

Ad  or  ad  or  gli  caggia  il  ferro  crudo. 

52.  In  tal  mio  stalo ,  o  fosse  nmirn  $orte, 
0  «ir  a  peggio  mi  serbi  il  mio  «le^lin«>, 
Vn  d(;'  iiiìni>ti'i  della   regia  corte, 

('he  il  re  mio  pudi'e  s'  allevò  biimbino. 
Mi   s«-op<rse  ,  vUr  "I  tempo    alla  mìa  morte 
Dal   tiranno  prescritto  era  vicino, 
E  eli'  «'gli   a  quel  «•ru«l<'le  avi-a  pronie»s«i 
Di  porgermi  il  vcien  quel  giorno  stesso. 


[43] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (IV.  5S— 68) 


[44] 


53.     E  mi  gog^innse  pò!,  eh'  alla  mia  vita 
Sol  fuggendo  allungar  poteva  il  corso. 
E  poich'  altronde  io  non  sperava  aita, 
Pronto  offrì  sé  medesmo  al  mio  soccorso, 
E  confortando  mi  rendè  sì  ardita, 
Che  del  timor  non  mi  ritenne  il  morso,  . 
Sicch'  io  non  disponessi  all'  acr  cicco, 
La  patria  e  '1  zio  fuggendo,  andarne  seco. 

51,     Sorse  la  notte  oltra  l'  usato  oscnra. 
Che  sotto  r  ombre  amiche  ne  coperse  ; 
Onde  con  due  donzelle  uscii  sicura. 
Compagne  elette  alle  fortune  avverse. 
Ma  lassa!  indietro  alle  mie  patrie  mura 
Pur  le  luci  volgea  di  pianto  asperse, 
]\è  della  vista  del  natio  terreno 
Potea  partendo  saziarle  appieno. 

55.  Fea  1'  istesso  cammin  '1  occhio  e  V  pensiero, 
E  mal  suo  grado  il  piede  innanzi  giva; 
Siccome  nave,  eh'  improvviso  e  fero 
Turbine  scioglia  dall'  amata  riva. 

La  notte  andammo  e  'I  dì  seguente  intiero 
Per  lochi,  ov'  orma  altrui  non  appariva. 
Ci  ricovrammo  in  un  castello  alfine, 
Che  siede  del  mio  regno  in  sul  confine. 

56.  E  d'  Aronte  il  castel  (eh'  Aronte  fue 
Quel,  che  mi  trasse  di  periglio,  e  scorse.) 
Ma  ,  poiché  me  fuggito  aver  le  sue 
Mortali  insidie  il  traditor  s'  accorse, 
Acceso  di  furor  contr'  arabidue 

Le  sue  colpe  medesme  in  noi  ritorse, 
Ed  ambo  fece  rei  di  qucll'  eccesso, 
Che  commettere  in  me  volle  egli  stesso. 

57.  Disse ,  eh'  Aronte  i'  avea  con  doni  spinto 
Fra  sue  bevande  a  mescolar  vcncno. 

Per  non  aver ,  poich'  egli  fosse  estinto, 
Chi  legge  mi  prescriva ,  o  tenga  a  freno, 
E  eh'  io,  seguendo  un  mio  lascilo  instinto, 
Volea  raccormi  a  mille   amanti  in  seno. 
Ahi ,  che  fiamma  dal  cielo  anzi  in  me  scenda, 
Santa  onestà,  eh'  io  le  tue  leggi  offenda! 

58.  Ch'  avara  fame  d'  oro,  e  sete  insieme 
Del  mio  sangue  innocente  il  crudo  avesse, 
Gr-iive  m'  è  sì;  ma  vie  più  '1  cor  mi  preme, 
(he  "1  mio  candido  onor  macchiar  volesse. 
L'  empio,  che  i  popolari  impeti  teme. 

Cosi  le  sue  menzogne  adorna  e  tesse. 
Che  la  città ,  del  ver  dubbia  e  sospesa, 
Sollevata  non  s'  armi  a  mia  difesa. 

59.  ^è  perdi'  or  sieda  nel  mio  seggio ,  e  in  fronti 
Già  gii  risplenda  la  regal  corona, 

Pone  alcun  fine  a'  mici  gran  danni,  e  all'  onte: 
Sì  la  sua  fcritate  oltra  lo  sprona  ! 
Arder  minaccia  entro  '1  castello  Aronte, 
Se  di   proprio  voler  non  s'  imprigiona  : 
Ed  a  me ,  lassa ,  e  'nsicmc  a  miei  consorti 
Guerra  annunzia  non  pur,  ma  strazj  e  mot.  ri 

60.  Ciò  dice  egli  di  far,  perché  dal  volto 
Co^ì  lavarsi  la  vergogna  crede, 

E  ritornar  nel  grado,  ond'  io  1'  ho   tolto, 
L'  onor  del  sangue  e  della  regia  sede. 
Ma  il  timor  n'  é  cagion  ,  che  non  ritolto 
Gli  sia  lo  scettro,  ond'  io  son  vera  erede  ; 
C:iié  sol,  b'  io  caggio,   por  l'ermo  sostegno 
Con  le  ruinc  mie  puole  ul  suo  regno. 


61.      E  ben  quel  fine  avrà  1'  empio  desire, 

Che  già  prescritto  s'  ha  il  tiranno  in  mente; 
E  saran  nel  mio  sangue  estinte  l'  ire. 
Che  dal  mio  higrimar  non  fiano  spente, 
Se  tu  noi  vieti.     A  te  rifuggo ,  o  sire, 

10  misera  funeiulla,  orba,  innocente, 

E  questo  pianto  ,  ond'  ho  i  tuoi  pieili  aspersi, 
fagliami  sicché  'l  sangue  io  poi  non  vei'si! 

02.      Per  questi  piedi ,  onde  i  superbi  e  gli  empj 
Calchi,  per  questa  man,  che  '1  dritto  aita, 
Per  r  alte  tue  vittorie,   e  per  que'  tempj 
Saeri ,  cui  desti  e  cui  dar  cerchi  aita, 

11  mio  desir,   che  tu  puoi  solo,  adtiiipi, 
E  in  un  col  regno  a  me  scrlìi  la  vita 
La  tua  pietà,  ma  pietà  nulla  giove, 

S'  anco  te  il  dritto  e  la  ragion  non  move. 

63.      Tu ,  cui  concesse  il  cielo ,  e  dicltì  in  fato 
Voler  il  giusto ,  e  poter  ciò  che  vuoi, 
A  me  salvar  la  vita .  e  a  te  lo  stato 
(Cile  tuo  fia  ,  s'  io  'l  ricovro)  acquistar  puoi. 
Fra  numero  sì  grande  a  me  sia  dato 
Dieee  condiu*  de'  tuoi  più  forti  eroi! 
Ch'  avendo  i  padri  amici,  e  'l  popol  fido, 
Bastau  questi  a  ripormi  entro  al  mio  nido. 

()4.  ,  Anzi  un  de'  primi ,  alla  cui  fé  conuaessa 
E  la  cisstodia  di  secreta  porta, 
Promette  aprirla,  e  nella  reggia  stessa 
Porci  di  notte  tempo  ;  e  sol  m'  esorta, 
('h'  io  da  te  cerchi  alcuna  aita:  e  in  essa, 
Per  picciola  che  sia ,  si  riconforta 
Più,  che  s'  altronde  avesse  un  grande  stuolo; 
Tanto  r  insegne  estima  e  '1  nome  solo  1 

05.      Ciò  detto  tace,  e  la  risposta  attende 

Con  atto,  che  'n  silenzio  ha  voce  e  lìreghi. 
Goffredo  il  dubbio  cor  volve  e  sospende 
Fra  pensier  varj  ,  e  non  sa.  dove  il  pieghi. 
Teme  i  barbari  inganni,  e  ben  comprende, 
Che  non  é  fede  in  uom,  eh'  a  Dio  la  neghi  ; 
Ma  d'  altra  parte  in  lui  pietoso  affetto 
Si  desta,  che  non  dorme  ia  nobii  petto. 

66.  ÌSé  pur  r  usata  sua  pietà  natia 
Vuol,  che  costei  della  sua  grazia  degni; 
Ma  il  move  utile  ancor:  eh'  util  gli  fia, 
Cl:e  neir  imperio  di  Damasco  regni. 
Chi  da  lui  dipendendo,   apra  la  via. 

Ed  agevoli  il  corso  ai  suoi  disegni, 
E  genti  ed  armi  gli  ministri ,  ed  oro, 
Contra  gli  Egizj ,  e  chi  sarà  con  loro. 

67.  Mentre  eì  così  dubbioso  a  terra  volto 

Lo  sguardo  tiene,  e  '1  pensier  volve  e  gira, 
La  donna  in  lui  s'  affissa,  e  dal  suo  volto 
Intenta  pende,  e  gli  atti  osserva  e  mira: 
E  perché  tarda  oltr'  al  suo  creder  molto 
La  risposta,  ne  teme  e  ne  sospira. 
Quegli  la  chiesta  grazia  alfin  ncgoUc; 
Ma  die'  ripulsa  assai  cortese  e  molle. 

68.  Se  in  servigio  di  Dio,  eh'  a  ciò  n'  elesse, 
Volte  non  f»»sser  qui  le  nostre  spade, 
Hen  tua  speme  fondar  potresti  in  esse, 
E  soccorso  trovar ,  non  che  pietadc. 
Ma  se  queste  sue  gregge ,  e  queste  oppresse 
Mura  non  torniam  prima  in  libcrtade. 
Giusto  non  é ,  con  i^(;emar  le  genti. 
Che  di  uustra  vittoria  il  corso  allenti. 


15] 


GERUSALEMME  LIBERATA.      (IV.  69  — Si) 


9.     Ben  ti  prometto  (e  tu  per  noLiI  pegno 
Slia  fé  ne  prendi ,  e  vivi  in  lei  siiriiiii  !) 
Clic,  se  inai  sottr.irremo  al  giogo  indegno 
Queste, sacre  e  dal  ciel  dilette  mura, 
Di  ritornarti  al  tuo  perdntii  regno. 
Come  pietà  n'  esorta,  avrera  poi  cura. 
Or  mi  farebbe  la  pietà  meo  pio, 
S'  anzi  il  suo  dritto  io  non  rendessi  a  Dio. 

0.  A  quel  parlar  chinò  la  donna,  e  fisse 
Le  luci  a  terra,  e  stette  im'inota  alquanto, 
Poi  sollevolle  rugiadose ,  e  disse, 
Accomi)agn<indo  i  llebili  atti  al  pianto  : 
Misera  !   ed  a  qual  altra  il  del  prescrisse 
Vita  mai  grave  ed  iiiiniutal)il  tanto, 

Che  si  cangia  in  altrui  mente  e  natura, 
Priachè  si  cangi  in  me  sorte  sì  dura? 

1.  Nulla  speme  più  resta  :  invan  mi  doglio  : 
Non  han  più  forza  in  uman  petto  i  preghi. 
Forse  lice  sperar,  che  '1  mio  cordoglio, 
Che  te  non  mosse,  il  reo  tii-anno  pieghi? 
Né  già  te  d'  inclemenza  accusar  voglio. 
Perchè  'l  picciol  soccorso  a  me  si  neghi  ; 

Ma  il  cielo  accuso ,  onde  il  mio  mal  disceiidc. 
Che  in  te  pietate  inesorabii  rende. 

!.     Non  tu,  Signor,  né  tua  boutade  è  tale; 
Ma  '1  mio  destino  è,  che  mi  nega  aita. 
Crudo  destino  !  empio  destin  fatale, 
Uccidi  ornai  questa  odiosa  v  ita  ! 
L'  avermi  priva,  oimè,  fu  picciol  male, 
De'  dolci  padri  in  loro  età  fiorita. 
Se  non  mi  vedi  ancor,  del  regno  priva, 
Qual  vittima  al  coltello  andar  cattiva. 

Che ,  poiché  legge  d'  onestate  e  zelo 
Non  vuol,  che  qui  si  lungamente  indugi, 
A  cui  ricorro  intanto?  ove  ini  celo? 
O  quai  contra  il  tiranno  avrò  rifugi? 
Nessun  loco  sì  chiuso  é  sotto  il  cielo, 
Ch'  a  lor  non  s'  apra.     Or  perché  tanti  indugi  i 
leggio  la  morte,  e  se  'l  fuggirla  è  vano, 
Incontro  a  lei  u'  andrò  con  questa  mano. 

Qui  tacque:  e  parve  eh'  un  regale  sdegno 
E  generoso  l'  accendesse  in  vista: 
y,  '1  piò  volgendo,  di  partir  fea  segno, 
l'utta  negli  atti  dispettosa  e  trista. 
Spargea^i  il  pianto  fiKu*  senza  ritegno. 
Coni'  ira  ^uol  produrlo  a  dolor  nuAta; 
K  le  nascenti  lagrime  a  vederle 
Erano  a'  rai  del  son  cristalli  e  perle. 

Le  guance  asperse  di  que'  \ì\'i  umori, 
Che  giù  cadeau  sin  della  veste  al  lenilio, 
Pareaii  vermigli  in^ieme  e  bianchi  fiori, 
So  pur  gì'  irriga  un  rugiadoso  nembo. 
Quando  snll'  apparir  de'  primi  albori 
Spiegano  all'  aure  liete  il  chiuso  grembo, 
£  I'  alba,  che  li   mira  e  se  n'  ajipaga, 
D'  adornarsene  il  crin  diventa  ^a^-a. 


78. 


79. 


80. 


Ma  il  chiaro  umor,    ch(;  di  sì  spesse  stille 
Le  bell<!  gote  e  'I  seno  adorno  rende. 
Opra  enVtlo  di  foco,  il  qnal  in  iiiillu 
Petti  serpe  celato,  e  vi  s'  apprende. 
Oh  mirucol  d'  Amor,  che  le  favillo 
Trngge  d«l  pianto,  e  i  cor  nell'  acqua  accende! 
Sempre  sovra  natura  egli  ha  possanza; 
Ma  ili  virtù  di  cubici  bò  ^ilcàbU  uvuiuu. 


77.      Questo  finto  dolor  da  molti  elice 
Lagrime  vere  .  e  i  cor  più  duri  spctra. 
Ciascun  con  lei  s'  affligge,  e  tra  sé  dice: 
Se  mercé  da  Goffredo  or  non  impetra, 
Bvn  fu  rabbiosa  tigre  a  lui  nutrice, 
E    1  produsse  in  aspi'  alpe  orrida  pietra, 
O  r  onda,  che  nel  mar  si  frange  e  spiana. 
Crudel,  che  tal  beltà  turba  e  consuma! 

Ma  il  giovinetto  Eustazio,  in  cui  la  face 
Di  pleiade  e  d'  amor  é  più  fervente. 
Mentre  bisbiglia  ciascun  altro,  e  tace, 
Si  tragge  avanti,  e  parla  audacemente: 
Oh  germano  e  signor,  trojìpo  tenace 
Del  suo  primo  proposto  è  la  tua  mente, 
S'  al  consenso  comun,  che  brama  e  pre^-a, 
Arrendevole  alquanto  or  non  si  pie«-a. 

Non  dico  io  già,  che  i  principi,  eh'  a  cura 
Si  stanno  qui  de'  popoli  soggetti, 
Torcano  il  pie  dall'  oppugnate  mura, 
E  sian  gli  uffici  lor  da  lor  negletti; 
Ma.  fra  noi,  che  guerrler  slam  di  ventura. 
Senza  alcun  proprio  peso,   e  meno  astrciti 
Alle  leggi  degli  altri,  elegger  diec« 
Difensori  del  giusto  a  te  ben  lece. 

Ch'  al  servigio  di  Dio  già  non  si  toglie 
L'  uom,  eh'  innocente  vergine  difende: 
Ed  assai  care  al  ciel  son  quelle  spoglie. 
Che  ducciso  tiranno  altri  gli  appende. 
Quando  dunque  all'  impresa  or  non  ra'  inroglie 
Queir  util  certo,  che  da  lei  s'attende. 
Mi  ci  muove  il  dover:  eh'  a  dar  tenuiu 
È  l'  ordin  nostro  alle  donzelle  ajuto. 

Ah  non  fia  ver  ,  per  Dìo  ,  che  si  ridica 
In  Francia,  e  dove  in  pregio  é  cortesia. 
Che  si  fugga  da  noi  ri.^chio,    o  fatica 
Per  cagion  così  giusta  e  così  pia  ! 
Io  per  me  qui  depongo  ehno  e  lorica: 
Qui  mi  scingo  la  spada  ;  e  più  non  fia, 
Ch"  adopri  indegnamente  arme,  o  destriero, 
O  'l  nome  usurpi  mai  di  cavalicro. 

82.  Cosi  fav  ella  :  e  seco  in  chiaro  sunno 
,  Tutto  r  ordine  suo  concorde  freme; 

E  chiamando  il  consiglio  utile  e  biioiu). 
Co'  preghi  il  capitan  circonda  e  preme. 
Cedo,  egli -disse  allora,  e  vinto  sono 
Al  concorso  di  tanti  uniti  in>ieme. 
Abbia,  se  parvi,  il  chiesto  don  costei 
Dai  V  Uftri  sì ,  non  dai  consigli  miei  ! 

83.  Ma  se  Gofi'redo  di  credenza  alquanto 
Pur  trova  in  voi,  temprate  i  vo*iri  aUclli! 
Tanto  sol  disse  :  e  basta  lor  ben  tanto. 
Penile  ciascun  quel  eh'  ci  oiucdc,  ac<etti. 
Or  che  non  può  di  bella  donna  il  pianto. 
Ed  in  lingua  amoro.'^a  i  dolci  delti? 

Esce  da  vaghe  labbra  aurea  catena. 

Clic  r  alme  a  suo  voler  prende  ed  alfix-na. 

Eustazio  lei  richiama,  e  dice  :  Oiiiai 
Cessi,  vaga  don/ella,  il  tuo  dolore! 
Che  tal  da  noi  soccorso  in  brevi;  avrai, 
Qii.il  par  che  più  richiegga  il  tuo  timore. 
Serenò  allora  i  nul)ilo>i  rai 
Armida,  e  ^i  ridcnt»-  apparve  fiiorc 
Cir  innauiorò  di  mh-  belie/./c  il  cielo. 
iL>ciugiiuduei  gli  ucdij  cui  Lei  yxio. 


81 


61 


[*->] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (IV.  85— 9C) 


[48] 


85.  Rendè  lor  poscia  in  dolci  e  care  note 
Grazie  per  V  alte  g^razie  a  lei  concesse, 
IVlostrando ,  che  sariano  al  mondo  note 

Mai  sempre ,  e  sempre  nel  suo  core  impresse. 

E  ciò  che  linp^na  esprimer  hen  non  pnote, 

Muta  eloquenza  ne'  snoi  gesti  espresse; 

E  celò  si  sotto  mentito  aspetto 

Il  suo  pensier,  eli'  altrui  non  die'  sospetto, 

86.  Quinci  vedendo,  che  fortuna  arriso 
Al  gran  principio  di  sue  frodi  area, 
rriniachè  '1  suo  pensier  le  sia  preciso, 
Dispon  di  trarre  al  fine  opra  si  rea, 

E  far  con  gli  atti  dolci  e  col  bel  viso 
Più.  che  con  1'  arti  lor  Circe  o  Medea, 
E  in  voce  di  Sirena  ai  snoi  concenti 
Addormentar  le  più  svegliate  menti. 

87.  Esa  ogni  arte  la  donna,  onde  sìa  colto 
Nella  sua  rete  alcun  novello  amante: 

]Nè  con  tutti,  né  sempre  un  stesso  volto 

Serha,  ma  cangia  a  tempo  atti  e  sembiante. 

Or  ticn  pudica  il  guardo  in  sé  raccolto, 

Or  lo  rivolge  cupido  e  vagante. 

La  sferza  in  quegli ,  il  freno  adopra  in  questi, 

Come  lor  vede  in  amar  lenti,  o  presti. 

88.  Se  scorge  alcun ,  che  dal  suo  amor  ritiri 
L'  alma,  e  i  pensier  per  diflldenza  afTrene, 
Gli  apre  un  benigno  riso,  e  in  dolci  giri 
Volge  le  luci  in  Ini  liete  e  serene. 

E   cosi  i  pigri  e  timidi  desiri 
Sprona,  ed  affida  la  dubbiosa  spcne, 
Ed  infiammando  V  amorose  voglie, 
Sgoiubra  quel  gel,  che  la  paura  accoglie. 

89.  Ad  altri  poi,  eh'  audace  il  segno  varca, 
Scorto  da  cieco  e  temerario  duce, 

De'  cari  detti  e  de'  begli  occhj  è  parca, 

E  in  lui  timore  e  riverenza  induce. 

Ma  fra  lo  sdegno,  onde  la  fronte  e  carca. 

Pur  anco  un  i"aggio  di  pietà  riluce, 

Siedi'  altri  teme  ben ,  ma  non  dispera, 

E  più  s'  invoglia,  quanto  appar  più  altera. 

!)0.      Stassi  talvolta  ella  in  disparte  alquanto, 
E  'I   volto  e  gli  atti  suoi  compone  e  finge, 
Quasi  dogliosa,   e  in  fin  sugli  (»cchj  il  pianto 
Tragge  sovente,  e  poi  dentro  il  respinge. 
E  con  quest'  arti  a  liigrimare  intanto 
Seco  iniir  alme  semplicette  astringe, 
E  in  foco  di  i)ietà  strali  d'  amore 
Tempra,  ontle  j)era  a  ei  fort'  arme  il  core. 


91. 


92. 


Poi,  sicconi'  ella  a  quel  pensier  s'  involo, 
E  novella  speranza  in  lei  si  deste, 
\cv  gli  amanti  il  piò  drizza  e  le  parole, 
E  di   gioja  la  fronte  adorna  e  veste; 
E  lampeggiar  fa,  quasi  un  doppio  sole. 
Il  chiaro  sguardo  e  'I  bel  riso  celeste 
Sulle  nebbie  del  duolo  oscure  e  folte, 
Cli'  avea  lor  prima  intorno  al  petto  accolte. 

Ma  mentre  dolce  parla  e  dolce  ride, 
E  di  doppia  dolcezza  inebria  i  sensi. 
Quasi  dal  petto  lor  l'  alma  divide, 
Non  prima  usata  a  quei  diletti  immensi. 
Ahi  criulo  Amor!  eh'  egualmente  n'  ancide 
L'  assenzio  e  'l  mei ,  che  tu  fra  noi  dispensi  ; 
E  d'  ogni  tempo  egualmente  mortali 
ì  engon  da  te  le  medicine  e  ì  mali. 


93 


Fra  sì   contrarie  tempre  in  ghiaccio  e  in  foco 
In  riso  e  in  pianto ,  e  fra  paura  e  spene, 
Inforsa  ogni  suo  stato,  e  di  lor  gioco 
L'  ingannutiice  donna  a  prender  viene. 
E  s'  alcun  mai  con  suon  tremante  e  fioco 
Osa  parlando  d'  accennar  sue  pene, 
Finge,  quasi  in  amor  rozza  e  inesperta. 
Non  veder  1'  alma  ne'  suoi  detti  aperta  ; 

94.  Oppur  le  luci  vergognose  e  chine 
Tenendo,  d'  onestà  s'  orna  e  colora, 
Sicché  ^  iene  a  celar  le  fresche  brine 
Sotto  le  rose,  onde  il  bel  viso  infiora; 
Qual  neir  ore  più  fresche  e  mattutine 
Del  primo  nascer  suo  veggiam  1'  aurora 
E  1  rossor  dello  sdegno  insieme  n'  esce 
Con  la  vergogna,  e  si  confonde  e  mesce. 

95.  Ma  se  prima  negli  atti  ella  s'  accorge 
D'  uom ,  che  tenti  scoprir  V  accese  a  oglie, 
Or  gli  s"  invola  e  fugge ,  ed  or  gli  porge 
Modo,  onde  parli,  e  in  un  tempo  il  ritoglie. 
Così  il  dì  tutto  in  vano  error  lo  scorge 
Stanco,  e  deluso  poi  di  speme  il  toglie. 
Ei  si  riman  qual  cacciator  ,  eh'  a  sera 
Perda  alGn  l'  orma  di  seguita  fera. 

96.  Queste  fur  l'  arti,  onde  mill'  alme  e  mille 
Prender  furtivamente  ella  potéo  ; 
Anzi  pur  fiiron  l'  arme ,  onde  rapille, 
Ed  a  forza  d'  amor  serve  le  feo. 
Qual  meraviglia  or  fia ,  se  'l  fero  Achille 
D'  amor  fu  preda,  ed  Ercole  e  Teseo, 
S'  ancor,  chi  per  Gesù  la  spada  cinge, 
L'  empio  ne'  lacci  suoi  talora  strìnge  ? 


;49j 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (V.    1  —  12) 


[50] 


CANTO     QUINTO. 


ARGOMENTO. 

S''  auge  il  Norvegio ,  clic  Rinaldo  mira 

J^sscr  giù  duce  ai  venturieri  eleltn. 
£('  oltraggia.,  ma  in  lui  sfoga  invitto  V  ira 
Con  man  vendicatrice  il  giovinetto  ; 
Poi  parte  ;  e  parte  Armida,  e  molti  tira 
Più  rf'  amor  che  di  gloria  accesi  in  petto. 
Ila  'Z  Uuglion  nuove  rie  di  rei  perigli 
Dal  capitan  de''  liguri  navigli. 


1.  Mentre  in  tal  guisa  i  cavalieri  alletta 
Neil'  amor  suo  1'  insidiosa  Armida, 

]Nè  solo  i  diece  a  lei  promessi  aspetta, 
Bla  di  furto  menare  altri  confida, 
Tolge  tra  sé  Goffredo,  a  cui  commetta 
La  dubbia  impresa,  ov'  ella  esser  dee  guida: 
Cile  degli  avveuturier  la  copia  e  '1  merto, 
E  '1  desir  di  ciascuno  il  fanno  incerto. 

2.  Ma  con  provvido  avviso  alfin  dispone, 
Cli'  essi  un  di  l')ro  scelgano  a  sua  voglia, 
Che  succeda  al  magnanimo  Dudone, 

E  quella  elezion  sovra  se  toglia. 
Cosi  non  avverrà,  eh'  ei  dia  cagione 
Ad  alcun  d'  essi ,  clie  di  lui  si  doglia, 
E  insieme  mostrerà  d'  aver  nel  pregio. 
In  cui  deve  a  ragion,  lo  stuolo  egregio. 

3.  A  sé  dunque  gli  citiama ,  e  lor  favella: 
Stata  è  da  voi  la  mia  sentenza  udita, 

•  Ch'  era,  non  di  negare  alla  don/ella, 
IMa  di  darle  in  stagion  ui;itura  aita. 
Di  nuovo  or  la  propongo ,  e  i)en  punte  ella 
Ksser  dal  parer  vo.-tro  anco  seguita: 
Che  nel  mondo  mutabile  e  leggiero 
Costanza  è  spesso  il  variar  pensiero, 

4.  Ma  se  stimate  ancor,  che  mal  convegna 
Al  vostro  grailo  il  riliutar  jìcriglio, 

E  ^e  pur  generoso  ardire  sdegna 
Quel,  che  troppo  gli  par  canto  consiglio, 
IStui  fia,  eh'  invtiloiitarj  io  \i  ritegna  ; 
I\è  quel,  che  già  vi  diedi,  or  mi  ripiglio; 
Ma  bia  con  esso  voi,  com'  es.-cr  deve. 
Il  fren  del  nostro  imperio  lento  e  lieve. 

5.  Dunque  Io  starne,  o  'I  girne,  i'  son  contento 
Che  dal  vostro  piacer  libero  penda. 

Dea  vo',  <;lie  pria  facii.ite  al  duce  spento 

Successor  novo,  e  di  voi  «ura  «i  |irrnda; 

I')  tra  voi  Hcelga  i  diece  a  suo  talento, 

^on  già  di  dirc-e  il  numero  tra-^t  cnda  ; 

VAi    in  que-to  il  sommo  imperio  a  me  riservo: 

^un  fui  r  arbitrio  buu  per  altro  servo! 


G.    Così  dice  Goffredo,  e  'I  suo  germano. 
Consentendo  ciascun ,  risposta  diede  : 
Sicc(mie  a  te  conviensi,  o  capitano, 
Questa  lenta  virtù,  che  lunge  vede. 
Così  il  vigor  del  core  e  della  mano, 
Quasi  debito  a  noi,  da  noi  si  chiede: 
E  saria  la  matura  tarditate, 
Ch'  in  altri  è  provvidenza,  in  noi  viltate. 

7.  E  poiché  '1  rischio  è  di  sì  lieve  danno, 
Posto  in  lance  col  prò  che  '1  contrai)pesa 
Te  permettente,  i  diece  eletti  andranno 
Con  la  donzella  all'  onorata  impresa. 
Cosi  conclude  ;  e  con  sì  adorno  inganno 
Cerca  di  ricoprir  la  niente  accesa 

Sotto  altro  zelo;  e  gli  altri  anco  d'  onore 
Fingon  desio  quel,  eh'  è  desio  d'  amore. 

8.  Ma  il  più  giovin  Buglione,  il  qual  rimira 
Con  geloso  occhio  il  iiglio  di  Solia, 

La  cui  virtute  invidiando  ammira. 

Che  in  sì  bel  corpo  più  cara  ^enia, 

INol  vorrebbe  compagno,  e  al  cor  gì'  inspira 

Cauti  pensier  1'  astuta  gelosia; 

Onde  tratto  il  rivale  a  sé  in  disparte, 

Ragiona  a  lui  con  lusinghcvor  arte: 

9.  Oh  di  gran  genitor  maggior  figliuolo. 
Che  "1  sommo  pregio  in  arme  hai  giovinetto, 
Or  clii  sarà  del  valoroso  stuolo. 

Di  cui  parte  noi  siamo,  in  duce  eletto? 
Io,  eh'  a  Dudon  famoso  appena,  e  solo 
Per  r  onor  dell'  età  vivea  soggetto. 
Io,  IVatel  di  Goffredo,  a  chi  più  deggio 
Cedere  ornai?  Se  tu  non  sei,  noi  vetraio. 


10 


Te,  la  cui  nobiltà  tutt'  altre  agguaglia, 
Gloria  e  merito  d'  opre  a  me  prepone; 
]\è  sdegiierelìbe  in  pregio  di  battaglia 
Minor  chiamar.-'i  anco  il  maggior  !5iiglione. 
Te  dmique  in  duce  bramo,  ove  non  caglia 
A  te  di  questa  sira  esser  campione. 
INO  già  cred'  io,  che  quell'  onor  tu  curi. 
Che  da'  fatti  verrà  notturni  e  scuri. 

11.  IVè  mancherà  qui  loco,  ove  s'  impieghi 
C(Ui  più  lucida  lama  il  tuo  valore. 

Or  io  proi;urerò,  se  tu  noi  nicghi, 

Cir  a  te  cotuH-dan  gli  altri  il  coumin  onore. 

Ma  perchè  non  so  ben .  «love-  ^i  pieghi 

1/  irresoluto   mio  dubliiiiso  core, 

luipetro  or  io  da  te,  eh'  a  voglia  mia 

O  segua  poscia  Armida,  o  tcct»  stia. 

12.  Qui  tacque  Kustazìo,   v  que>ti   estremi    accenti 
ì\(Mi  proferi  senza  arrossiir>i  in   viso: 

l'i   i  mal  celati  suoi  peu-ieri  ardenti 

L    altro  lu-n   vide,  e  mo^x!  ad  un  sorriso. 

i\Ia  p«'rch'  a  h:i  colpi  d"  amor  più  lenti 

ì\on  hanno  il  petto  olirà  la  scorza  inciso, 

ISè  uu)lto  impiizicnte  è  di   rivale, 

>ò  la  donzella  di  seguir  gli  cale. 


t^IL 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (V.  13—28) 


13.  Ben  altamente  ha  nel  pensìer  tenace 
L'  acerba  morte  di  Diidon  scolpita, 

E  si  reca  a  dis^nor,  eh'  Argante  audace 
Gli  soprastia  Innga  stagione  in  vita.^ 
E  parte  di  sentire  anco  gli  piace 
Quel  parlar,  eh'  al  dovuto  onor  1'  invita: 
E  '1  giovinetto  cor  s'  appaga  e  gode 
Del  dolce  suon  della  verace  lode. 

14.  Onde  cosi  rispose:  i  gradi  primi 
Più  meritar,  che  conseguir  desio; 
Kè ,  purché  me  la  mia  virtù  sublimi. 
Di  scettri  altezza  invidiar  degg'  io. 

Ma  s'  air  onor  mi  chiami,  e  che  lo  stimi 
Debito  a  me,  non  ci  verrò  restio, 
E  caro  esser  mi  dee,  che  sia  dimostro 
Si  bel  segno  da  voi  del  valor  nostro. 

15.  Dunque  io  noi  chiedo,  e  noi  rifiuto:  e  quando 
Duce  io  pur  sia ,  sarai  tu  degli  eletti. 

Allora  il  lascia  Eu.stazio,  e  va  piegando 
De'  suoi  compagni  al  suo  voler  gli  affetti. 
3Ia  chiede  a  prova  il  principe  Gernando 
Quel  grado;  e  bench'  Armida  in  lui  saetti, 
>len  può  nel  cor  superbo  amor  di  donna, 
eh'  avidità  d'  onor,  che  se  n'  indonna. 

Ifi.      Sceso  Gernando  è  da'  gran  re  norvegi, 
Che  di  molte  province  ebber  1'  impero, 
E  le  tante  corone,  e  scettri  regi 
E  del  padre  e  degli  avi  il  fanno  altero. 
Altero  è  1'  altro  de'  suoi  proprj  pregi 
Più  che  dell'  opre,  che  i  passati   fero; 
Ancorché  gli  avi  suoi  cento  e  più  lustri 
Stati  sian  chiari  in  pace,  e  'n  guerra  illustri. 

n.      Ma  il  barbaro  signor,  che  sol  misura. 
Quanto  1'  oro  e  1'  dominio  oltre  si  stenda, 
È  per  sé  stima  ogni  virtute  oscura, 
Cui  titolo  regal  chiara  non  renda, 
Non  può  sofl'rir,  che  'n  ciò,  eh'  egli  procura, 
Seco  di  merto  il  cavalier  contenda; 
E  se  ne  cruccia  sì,  eh'  oltra  ogni  segno 
Di  ragione  il  trasporta  ira  e  disdegno. 

IS.      Talché  '1  maligno  spirito  d'  averno, 
Ch'  in  lui  strada  sì  larga  aprir  si  vede, 
Tacito  in  sen  gli  serpe,  ed  al  governo 
De'  suoi  pensieri  lusingando  siede. 
E  qui  più  sempre  l'  ira  e  1'  odio  interno 
Inacerbisce,  e  '1  cor  stimola  e  fiede 
E  fa,  che  'n  mezzo  all'  alma  ognor   risuona 
Una  voce ,  eh'  a  lui  cosi  ragiona  : 

li».     Teco  giostra  Rinaldo:  or  tanto  vale 
Quel  suo  numero  van  d'  antichi  eroi? 
Narri  costui,  eh"  a  te  vuol  farsi  eguale, 
Le  genti  serve  e  i  tributarj  siu»i; 
Mostri  gli  scettri,  e  in  dignità  regale 
Paragoni  i  suoi  morti  ai  vivi  tuoi  ! 
Ah  quanto  osa  un  signor  d'  indegno  stato, 
Signor,  che  nella  serva  Italia  è  nato! 

20.     Vinca  egli ,  o  perda  omiii ,  che  vincitore 
Fu  hÌh  dal  dì  eh'  emulo  tuo  divenne, 
Che  dirà  il  mondr)  (e  ciò  fia  souinn»  onore,) 
Que.-li  già  con  Gerniindo  in  gara  venne. 
Poteva  a  le  recar  gloria  e  splendore 
Il  nobii  grado  ,  che  Diidon  pria  tenne: 
Ma  già  non  meno  esso  da  te  n'  attese: 
Costui  scemò  suo  pregio  allorché  'I  chiese. 


[r>2] 


I 


21.  E  se ,  poich'  altri  più  non  parla  o  spira, 
De'  nostri  affari  alcuna  cosa  sente, 
Ccnne  credi,  che  'n  ciel  di  nobil  ira 

Il  buon  vecchio  Dudon  si  mostri  ardente, 

Mentre  in  questo  superbo  i  lumi  gira. 

Ed  al  suo  temerario  ardir  pon  mente. 

Che  seco  ancor,  1'  età  sprezzando  e  '1  merto, 

Fanciullo  osa  agguagliarsi  ed  inesperto? 

22.  E  i'  osa  pure  e  '1  tenta ,  e  ne  riporta. 
In  vece  di  castigo ,  onor  e  laude  : 
E  v'  è  chi  ne  '1  consiglia  e  ne  1'  esorta, 
(Oh  vergogna  comune  !)  e  chi  gli  applaude. 
Ma  se  Goffredo  il  vede,  e  gli  comporta, 
Che  di  ciò,  eh'  a  te  dessi,  egli  ti  fraude; 
Noi  soffrir  tu  !  né  già  soffrir  lo  dei  ; 
Ma  ciò ,  che  puoi ,  dimostra ,  e  ciò  che  sei  ! 

23.  Al  suon  di  queste  voci  arde  lo  sdegno, 
E  cresce  in  lui  quasi  commossa  face; 
]\è  capendo  nel  cor  gonfiato  e  pregno, 
Per  gli  occhj  n'  esce  e  per  la  lingua  audace. 
Ciò,  che  di  riprensibile  e  d'  indegno 
Crede  in  Rinaldo,  a  suo  disnor  non  tace: 
Superbo  e  vano  il  finge,  e  'l  suo  valore 
Chiama  temerità  pazza ,  e  furore. 

24.  E  quanto  di  magnanimo  e  d'  altero, 
E  d'  eccelso  e  d'  illustre  in  lui  risplende. 
Tutto,  adombrando  con  mal'  arte  il  vero, 
Pur  come  vizio  sia,  biasma  e  riprende, 
E  ne  ragiona  sì,  che  '1  cavalicro 
Emulo  suo  pubblico  il  suon  n'  intende. 
Non  però  sfoga  l'  ira ,  o  si  raffrena 
Quel  cieco  impeto  in  lui ,  eh'  a  morte  il  mena; 

25.  Che  'I  reo  demon,  che  la  sua  lingua  move 
Di  spirto  in  ve(;e,  e  forma  ogni  suo  detto. 
Fa,  che  gì'  ingiusti  oltraggi  ognor  rinnove, 
Esca  aggiungendo  all'  infiammato  petto. 
Loco  è  nel  campo  assai  capace,  dove 

S'  aduna  sempre  un  bel  drappello  eletto, 
E  quivi  insieme  in  torneamenti  e  in  lotte 
Rendon  le  membra  vigorose  e  dotte. 

26.  Or  quivi,  allorché  v'  è  turba  più  folta. 
Pur ,  c(un'  é  suo  destin ,  Rinaldo  accusa, 
E  quasi  acuto  strale  in  lui  riv(dta 

La  lingua  del  venen  d'  averno  infusa. 

E  vicino  è  Rinaldo  ,  e  i  detti  ascolta, 

Né  puote  r  ira  ornai  tener  più  chiusa. 

Ma  grida  :  menti  ;  e  addosso  a  lui  si  spìnge, 

E  nudo  nella  destra  il  ferro  stringe. 

27.  Parve  un  tuono  la  voce,   e  '1  ferro  un  lampe 
Che  di  folgor  cadente  annunzio  apporte. 
Tremò  colui,  né  vide  fuga,  o  scampo 

Dalla  presente  irreparnbil  morte; 

Pur,  tutto  essendo  testimonio  il  campo, 

Fa  sembiante  d'  intrepido  e  di  f(u-te, 

E  '1  gran  nemico  attende ,  e  'I  ferro  tratto, 

Fermo  si  reca  di  difesa  in  atto. 

28.  Quasi  in  quel  punto  mille  spade  ardenti 
Fiiron  vedute  fiammeggiar  insieme: 

Che  varia  turba  di  unii  caute  genti 

D'  ogn'  intorno  v'  accorre,  e  s'  urta  e  preme. 

D'    incerte  voci  e  di  confusi  accenti 

Un  siuuj  per  1'  aria  si  raggira  e  freme; 

Qnal  s'  ode  in  riva  al  mare ,  ove  confonda 

Il  vento  i  suoi  co'  mormorii  deli'  onda. 


i 


.3] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (V.  29—44) 


[54] 


ì.      Ma  per  le  voci  altrui  già  non  s'  allenta 
Neil'  offesio  guerrier  1'  impeto  e  I'  ira  : 
Sprezza  i  gridi  e  i  ripari ,  e  ciò,  che  tenta 
Chiudergli  il  varco,  ed  a  vendetta  aspira; 
E  fra  gli  uomini  e  1'  armi  oltre  s'  avventa, 
E  la  fuhiiinca  spada  in  cerchio  gira, 
Sicché  le  vie  si  sgombra,  e  solo  ad  onta 
Di  mille  difensor  Gernando  affronta. 

).      E  con  la  man  nell'  ira  anco  maestra 
Mille  colpi  ver  lui  drizza  e  cumparte. 
Or  al  petto ,  or  al  capo  ,  or  alla  destra 
Tenta  ferirlo ,  t»r  alla  manca  parte  : 
E  impetuosa  e  rapida  la  destra 
E  in  guisa  tal,   che  gli  occhj  inganna  e  l'  arte; 
Talch'  improvvisa  e  inaspettata  giunge 
Ove  manco  si  teme,  e  fere,  e  punge. 

Né  cessò  mai ,  sinché  nel  seno  immersa 
Gli  ebbe  una  volta  e  due  la  fera  spada. 
Cade  il  meschin  sulla  ferita,  e  versa 
Gli  spirti  e  r  alma  fuor  per  doppia  strada. 
L'   arme  ripone  ancor  di  sangue  aspersa 
li  viiicitor ,  né  sovra  lui  più  bada. 
Ma  si  rivolge  altrove,  e  insieme  spoglia 
L'  animo  crudo  e  1'  adirata  voglia. 

Tratto  al  tumulto  il  pio  Goffredo  intanto 
Vede  fero  spettacolo  improvviso: 
Steso  Gernando,  il  crin  di  sangue  e  'I  manto 
Sordido  e  molle,  e  pien  di  morte  il  viso. 
Ode  i  sospiri,  e  le  querele,   e  'l  pianto, 
Che  molti  fan  sovra  il  guerriero  ucciso. 
Stupido  chiede  :  Or  qui,  dove  men  lece. 
Chi  fu,  eh'  ardì  cotanto,  e  tanto  fece.'' 

Arnaldo ,  un  de'  più  cari  al  prence  estinto, 
Narra,  e  'l  caso  in  narrando  aggrava  molto. 
Che  Rinaldo  1'  uccise,  e  che  fu  spinto 
Da  leggiera  cagion  d'  impeto  stolto; 
E  che  quel  ferro ,  che  per  Cristo  è  cinto, 
Ne'  campioni  di  Cristo  avea  rivolto, 
E  sprezzato  il  suo  impero,  e  quel  divieto, 
Che  le'  pur  dianzi,  e  che  non  è  secreto; 

E  che  per  legge  è  reo  di  morte ,  e  deve, 
Come  l'  editto  impone,  esser  punito; 
Sì,  perché  il  fallo  in  sé  medesmo  é  greve, 
Sì,  perché  in  loco  tale  egli  é  seguito. 
Che  se  dell'  error  suo  perdon  ri<eve, 
Fia  ciascun  altro  per  l'   eseni|)io  ardito: 
E  che  gii  oll'csi  poi  quella  vendetta 
Vorranno  far,  eh'  ai  giudici  s'  iispetta; 

Onde  per  tal  cagion  discordie  e  risse 
Gcrmoglieran  fra  quella  parte  e  questa. 
Rammentò  i  merti  dell'  estinto  e  disse 
Tutto  ciò,  eh'  o  pietatt;,   o  sdegno  desta. 
Ma  s'  opjiose  Tancredi  e  contraddisse, 
E  la  caui>a  del  reo  dipinse  «uiesta. 
GitlVrcdo  ascolta ,   e  in  rigida  sembianza 
l'orge  più  di  timor,   clie  di  speranza. 

Soggiunse  allor  Tancredi:  or  ti  sovvegna, 
Snt^^io  signor,  chi  sìa  llinaldo,  e  quale; 
Qual  i>(T  he  stesso  onor  gli  hi  lonvcgna, 
E  per  la  .«.lirpe  sua  chiara  r.  rt^gale, 
E  per  (ìuelfo  suo  zio  !  Non  dei;  chi   regna 
Nel  «castigo  con  tutti  esser  eguale. 
Vario  è  r  ìstesso  «MTor  ne'  gradi   varj, 
E  Hol  r  egualità  giusta  ù  cu'  pari. 


37.  Risponde  il  capitan:  Dai  più  sublimi 
Ad  ubbidire  imparino  i  più  bassi  ! 
Mal,  Tancredi,  consigli,  e  male  stimi, 

Se  vuoi ,  eh'  i  grandi  in  sua  licenza  io  lassi. 
Qual  f(»ra  imperio  il  mio,  s'  ai  vili  ed  imi. 
Sol  duce  della  plebe,  io  comandassi? 
Scettro  impotente ,  e  vergognoso  impero, 
Se  con  tal  legge  è  dato,  iu  più  noi  chero, 

38.  Ma  libero  fu  dato  e  venerando, 

Né  vo',  eh'  alcun  d'  autorità  lo  scemi  : 
E  so  ben  io,  come  si  deggia,  e  quando 
Ora  diverse  impor  le  pene  e  i  premj. 
Ora ,  tener  d'  egualità  serbando. 
Non  separar  dagl'  infimi  i  supremi. 
Cosi  dicea:   né  rispondea  colui, 
Vinto  da  riverenza,  ai  detti  sui. 

39.  Raimondo,  imitator  della  severa 
Rigida  antichità,  lodava  i  detti. 

Con  quest'  arte,  dicea,  chi  bene  impera, 
Si  rende  venerabile  ai  soggetti: 
Che  già  non  è  la  disciplina  intera, 
Ov'  uom  perdono  e  non  castigo  aspetti. 
Cade  ogni  regno ,  e  ruinosa  é  senza 
La  base  del  timor  ogni  clemenza. 

40.  Tal  ei  parlava,  e  le  parole  accolse 
Tancredi,  e  più  fra  lor  non  si  ritenne, 
Ma  ver  Rinaldo  immantinente  volse 

Un  suo  destrier ,  che  parve  aver  le  penne. 

Rinaldo ,  poich'  al  fier  nemico  tolse 

L'  orgoglio  e  l'  alma,  al  padiglion  sen  venne. 

Qui  Tancredi  trovollo,  e  delle  cose 

Dette  e  risposte  appien  la  souuua  espose. 

41.  Soggiunse  poi  :   Rench'  io  sembianza  esterna 
Del  cor  non   stimi  testimon  verace. 

Che  'n  parte  troppo  cupa  e  troppo  interna 
li  pensier  de'  mortali  occulto  giace. 
Pur  ardisco  affermar,  a  quel  eh'  io  scema 
Nel  capitan,  che  'n  tutto  anco  noi  tace, 
Ch'  egli  ti  voglia  all'  obbligo  soggetto 
De'  rei  comune,  e  in  suo  poter  ristretto. 

42.  Sorrise  allor  Rinaldo  ;  e  con  un  volto. 
In  cui  tra  '1  riso  lampeg  giò  lo  sdegno: 
Difenda  sua  ragion  ne'  c^ppi  involto 

Chi  servo  è,  disse,  o  d'  esser  servo  é  degno! 
Libero  i'  nacipii  e  vissi ,  e  morrò  sciolto, 
l'riachè  man  porga  o  piede  a  laci-io  indegno. 
Usa  alla  spada  è  questa  destra,  ed  usa 
Alle  palme,  e  vii  nodo  ella  ricusa. 

43.  Ma  s'  a'  meriti  miei  questa  mercede 
Goffredo  rende ,  e  vuol  imprigionarme, 

Pur  comi'  io  fossi   un  uom  del  vtilgo,  e  crede 

A  <arcere   plebeo  legato  trariiu', 

\<-nga  egli,  o  iiianili!  io  terrò  fcruui  il  piede. 

(ìiudici  lìaii  tra  noi   la  sorte  e  1'  aruie! 

l'era  tragedia  vuol  clic  s'  appresenti 

l'er    lor  di|iort(»  alle  uemiclie  genti. 

44.  ("io  detto,  r  armi   chiede,  e   'I  capo  e  'I  busto 
Di  tìnis>iiuo  acciajo  adorno  rende, 

l'i   fa  del   grande  si  lido   il   brarrio   oiuisto, 
I)   la   l'alale  spada  al  fianco  appcniie; 
l'i   in  sciiiliiante  magnanimo  ed  augusto, 
Come   l'olgorr  suol,  nell    arme  splende. 
Marte,  e'  ra^sembra  te,  qiialor  dui  quinto 
Cielo  di  ferro  scendi  e  d'  orror  cinto. 

4  * 


GERUSAXEMMEjyBER^^L^^ 


[56] 


[551 

45      Tancredi  intanto  i  feri  spirti  e  '1  core 
*  Insuperbito  d'  ammollir  procura. 
Giovine  invitto,  dice,  al  tuo  valore 
So,  che  Ha  piana  ogni  erta  impresa  e  dura 
So    che  fra  l'  anni  sempre  e  fra    1  tenoie 

La  tua  eccelsa  virtute  «l»", ,'''"'    Lf,. 5 
Ma  non  consenta  Dio,  eh'  ella  ^^  mostri 
Og-i  sì  crudelmente  a'  danni  no»tul 
46.     Dimmi,  che  pensi  far?  VoiTai  le  mani 
Del  civil  sangue  tuo  dmuiue  hriittartpe 
'  F  con  le  pi.ighe  indegne  de'  cristiani 
Trafi-er  CiTsto,    ond'    ci  son  membra  e  parte: 
Dì  transitorio  onor  ri^pcttl  vani, 
Che  qual  onda  del  mar  sen  viene  e  paite, 
Potranno  in  te  più  che  la  fede  e    l  ^.elo 
Di  quella  gloria,  che  n'  eterna  in  ciclo. 
41      Ah,  non  per  Dio!  vinci  te  stesso,  e  spoglia 
*  Questa  feroce  tua  mente  superba! 
Cedi!  non  fia  timor,  ma  santa  voglia, 
Ch'  a  questo  ceder  tuo  pa  ma  si  serba. 
E  se  pir  degna,  ond'  altri  esempio  togha, 
È  la  mia  giovinetta  etade  acerba. 
Anch'  io  fui  provocato:  eppur  non  venni 
Co'  fedeli  in  contesa,  e  mi  contenni: 


48      Ch'  avend'  io  preso  di  Cilicia  Ìl  regno, 
'e  r  insegne  spiegatevi  di  disto, 
Baldovin  sopraggiunse     e  con  mde-no 
Sodo  occnpollo,  e  ne  fé'  vile  acqm  to: 
Cile  mostrandosi  amico  ad  ogni   segno. 
Del  suo  avaro  pcnsier  non  m    era  avviato. 
Ma  con  1'  arme  però  di  ncovrarlo 
P.on  tentai  poscia;  e  forse  i'  potea  fallo. 
49      E  se  pur  anco  la  prigion  lùcusi, 
E  i  lacci  schivi,  quasi  ignobil  pondo, 
E  seguir  vuoi  1'  opinioni  e  gli  usi. 
Che  per  leggi  d'  onore  approva  ,1  mondo,     • 
Lascia  qui  me,  ch'ai  capitan  ti  scusi! 
Tu  in  Asitiochia  vanne  a  Boemondo.^ 
Che  non  sopporti  in  questo  impeto  pruno 
A'  suoi  giudizi  assai  securo  stimo. 
^0      Bentosto  fia  (se  pur  qui  contra  avremo 
L'  arme  d'  Egitto,'  o  d'  altro  stuol  pagano), 
Ch'  as'ai  più'chiaro  il  tuo  valore  estremo 
]S>  apparirà,  mentre  starai  lontano: 
E  senza  te  parranne  il  campo  scemo 
Quasi  corpo,  cui  tronco  è  braccio     0  mano, 
^uràuelfo  sopraggiunge,  e  i^^^ftì  approva, 
E  vuol,  che  senza  indugio  mdi  si  mo%a. 
51       Ai  lor  consigli  la  sdegnosa  mente 
'  Dell'  audace  garzon  si  volge  e  piega, 
Talch'  egli  di  partirsi  humantinentc 
Fuor  di  quell'  oste  ai  fidi  suoi  non  nega. 
Molta  intanto  è  concorsa  amica  gente, 
E  seco  andarne  ognun  procura  e  prega. 
Egli  tutti  ringrazia,  e  seco  prende 
Sol  duo  scudieri,  e  sul  cavallo  ascende. 
5*»      Parte,  e  porta  un  desio  d'  eterna  ed  alma 
■  Gloria,  eh'  a  nobil  core  è  sferza  e  sprone. 
A  magnairiine  imprese  iiìtenta  ha  l  alma, 
Ed  insolite  cose  oprar  dispone: 
Gir  fra'  neini(i;  \\i  o  cipresso,  o  palma 
Acquistar  per  la  lode,  ond'  è  campione. 
Scorrer  l'  l':gitt<>,  e  penetrar  fin  dove 
Fuor  d'  incognito  tonte  il  ^llo  move. 


53      Ma  Guelfo ,  poich'  il  giovine  feroce 
'  Affrettato  al  partir  preso  ha  congedo, 
Quivi  non  bada ,  e  se  ne  va  veloce, 
Ov'  e'4i  stima  ritrovar  Goffredo. 
Il  qual  come  lui  vede,  alza  la  voce: 
Guelfo,  dicendo,  appunto  or  te  richiedo, 
E  mandato  ho  pur  ora  in  vane  parti 
Alcun  de'  nostri  araldi  a  ricercarti. 
54      Poi  fa  ritrarre  ogni  altro  e  in  basse  note 
*  Ricomincia  con  Ini  grave  sermone. 
Veracemente,  oh  Guelfo,  il  tuo  "'P^^e 
Troppo  trascorre,  ov'  ira  il  cor  gli  .pr«ne 
E  male  addursì ,  a  mia  credenza ,  or  puote 
Di  questo  fatto  suo   giusta  cagione. 
Ben  caro  avrò,  che  la  ci  rechi  tale, 
Ma  Goffredo  con  tutti  è  duce  eguale, 
55.     E  sarà  del  legittimo  e  del  dritto 
Custode  in  ogni  caso  ,  e  /Ufensore 
Serbando  sempre  al  giudicare  invitto 
Dalle  tiranne  passioni  il  core. 
Or    se  Rinaldo  a  violar  1'  editto, 
E  della  disciplina  il  sagro  onore  _ 
Costretto  fu,  come  alcun  dice,  ai  nostri 
Giudizi  venga  ad  inchinarsi,  e    1  mobUi- 
56.     A  sua  ritenzion  libero  vegna!       .  ^^„.„,f» 
Questo,  eh'  io  posso,    ai  n.erti  suoi  consento. 
Ma  s'  egli  sta  ritroso,  e  se  ne  sdegna, 
(Conosco  quel  suo  indomito  ardimento) 
Tu  di  condurlo,  e  proveder  t'   ingegna, 
Ch'  ei  non  isforzi  uom  mansueto  e  lento 
Ad  esser  delle  leggi  e  dell'  impero    ^ 
Ycndicator,  quanto  è  ragion,  severo. 
57.      Così  diss'  egli  ;  e  Guelfo  a  lui  rispose: 
Anima  non  potea  d'  infamia  schiva 
Voci  sentir  di  scorno  ingiuriose. 
E  non  farne  repulsa,  ove  l    udiva. 
E  se  r  oltraggiatore  a  morte  ei  pose. 
Chi  è, che  meta  a  giust'ira  prescma.-' 
Chi  conta  i  colpì ,  o  la  dovuta  oftesa. 
Mentre  arde  la  tenzon,  misura  e  pesa. 
58      Ma  quel  che  chiedi  tu ,  eh'  al  tuo  soprano 

'Arbitrio  il  garzon  ^«"S^^.  ^  ^';^^"i'",f  f'  tano 
Duolmi  eh'  esser  non  può:  ch  egli  lontano 
Dall'  oste  immantinente  il  passo  torse. 
Ben  ra'  offro  io  di  provar  con  questa  mano 
A  hii,  eh'  a  torto  in  falsa  accusa  il  morse, 
1  O  s'  altri  v'  è  di  sì  maligno  dente, 

1         Che  punì  r  onta  ingiusta  ei  giustamente. 
1   59      A  ragion,  dico,  al  tumido  Gcrnando 
Fiaccò  le  corna  del  superbo  orgoglio 
Ss'  (-li  errò,  fu  nell'  obblio  del  bando: 
Co  ben  mi  pesa,  ed  a  lodar  noi  togl.o. 
'  Tacnu^;  e  disse  Goffredo:  Or  vada  errando, 

E  p.Hti  risse  altrove!  lo  qui  non  voglio 
Che  sparffa  seme  tu  di  nove  liti. 
Ddi,  \rer°Dio,  sian  gli  sdegni  anco  formti! 
60      Di  procurare  il  suo  soccorso  intanto 
Non  cessò  mai  l'  ingannatrice  rea. 
Pre-ava  il  giorno ,  e  ponea  m  uso  quanto 
1  'arte    e  l'  ingegno,  e  la  beltà  potea. 
L.oi\<l.-ido  Stendendo  il  fosco  manto 

La  notte  in  occidente  il  di  chiudea. 
Tra  duo  suoi  cavalieri  e  due    inatrone 
Kicovrava  ia  disparte  al  padigho»*;- 


^ 


^v 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (V.61  — 76) 


i. 


ti. 


Ma ,  benché  sia  mastra  d'  ing-anni ,  e  i  suoi 
3I()cli  e^ciitiii ,   e  le  maniere  accorte, 
1]  bella  sì ,  «'he  '1  ciel  prima  né  poi 
Altrui  non  die  magff^ior  bellezza  in  sorte, 
Talché  del  campo  i  più  famo>i  eroi 
Ila  prcisi  d'  un  piacer  tenace  e  forte, 
]Nnn  è  però,  rlie  all'esca  de'  diletti 
11  pio   Goffredo  lusing-ando  alletti. 

Inran  cerca  invajrhirlo ,  e  con  mortali 
Dolcezze  attrarlo  all'  amorosa  \ita: 
Cile,  qiial  saturo  anfj^el ,   che  non  si  cali 
Ove  il  c;ì)n  mostrando  altri  1'  invita. 
Tal  ei  sazio  del  mondo  i  piacer  frali 
Sprezza ,  e  sen  pog-jj^ia  al  ciel  per  via   romita, 
E  quante  in.-idie  al  suo  bel  volto  tende 
L'  infido  Amor,  tutte  fallaci  rende. 

Né  impedimento  alcun  torcer  dall'  orme 
Puote ,  che  Dio  ne  segna,  i  pcnsier  santi. 
Tentò  ella  mill'  arti,  e  in  mille  forme, 
Quasi  Proteo  novel ,  gli  apparve  avanti, 
E  desto  amor  ,  dove  più  freddo  ei  dorme, 
Avrian  gli  atti  dolcissimi  e  i  sembianti  ; 
Ma  qui  (grazie  divine)  ogni  sua  prova 
\ana  riesce,  e  ritentar  non  giova. 

La  bella  donna,  eli'  ogni  cor  più  casto 
Arder  credeva  ad  un  girar  di  ciglia, 
Oh  come  perde  or  1'  alterezza  e  '1  fasto, 
1)  quale  ha  di  ciò  sdegno  e  meraviglia! 
llivolger  le  sue  forze ,  ove  contrasto 
iMcn  duro  trovi,  alfin  si  riconsiglìa; 
Qual  capitan ,  eh'  inespugnabil  terra 
Stanco  abbandoni,  e  porti  altrove  guerra. 

Ma  contra  1'  arme  dì  costei  non  meno 
Si  mostrò  di  Tancredi  invitto  il  core, 
Pcrocch'  altro  desio  gì'  ingombra  il  seno, 
Né  vi  può  loco  aver  novello  ardore: 
Che ,  siccome  dall'  un  1'  altro  veleno 
Guardarne  suol,  tal  1'  un  dall'  altro  amore. 
Questi  soli  non  vinse:  o  molto  o  poco 
Avvampò  ciascun  altro  al  suo  bel  fuco. 

Ella,  scbbcn  si  diiol ,  che  non  succeda 
Sì  pienamente  il  suo  disejtno  e  l'  arte, 
J'iir  ,  fatto  avendo  così  nobil  preda 
Di  t.mti  eroi ,  si  riconsola  in  parte, 
E,  priachè  di  sue  frodi  altri  s'  avveda, 
Pensa  «condurli  in  più  seirina  paife. 
Ove  gli  stringa  poi  d'  altre  catene, 
Che  non  son  quelle,  ond'  or  prosi  li  tiene. 

Essendo  giunto  il  tcrniiiie    che  fisse 
li  capitano  a  darle  alcnu  soccorso, 
A  lui  sen  venne  riverente,  e  disse: 
Sire,  il  dì  stabilito  è  già  trascorso, 
E  se  per  sorte  il  reo  liraniu)  udis>r, 
Cli'  i'  abbia  fatto  all'  arme  tue  ricorso, 
Prepareria  sue  forze  alla  «lilcsit, 
Kè  così  agcvul  fora  poi  1'  impresa. 

Dunque,  primach'  alni  tal  nova  apporti 
Voce  incerta  di  fama  ,   o  certa  spia. 
ScH-Iga  la  tua  jiietà  fra'  tuoi  più  farli 
Airiuii  pochi,   e  meco  or  or  gì'  in^ia! 
Che,  s(!  non  mira  il  cid  con  occlij  («uli 
1/  iì[)vv.  mortali,     o  1"  iniuicenza  oiililia. 
Sarò  riposta  in  regno,  ««  |,i  mi.i  Jorra 
Sempre  avrai  tributaria  in  pace  e  in  guerra. 


69.  Così  diceva:  e  '1  capitano  ai  detti 
Quel  che  negar  non  si  potea,  concede; 
Sebhen ,  ov'  ella  il  suo  partir  affretti, 
In  ^è  tornar  1'  elezion  ne  vede. 

IMa  nel  numero  ognun  de'  diece  eletti 
C(ui  insolita  instanza  esser  richiede, 
E  r  emulazion ,  che  'n  lor  si  desta. 
Pili  importuni  li  fa  nella  richiesta. 

70.  Ella,  che  'n  essi  mira  aperto  il  core. 
Prende,  vedendo  ciò  ,  novo  argomento, 
E  sul  lor  fianco  adnpra  il  rio  timore 
Di  gelosia  per  sferza  e  per  tormento  ; 
Sapendo  ben ,  eh'  alfin  s'  invecchia  amore 
Senza  qucst'  arti ,  e  divien  pigro  e  lento. 
Quasi  dcstrier ,  che  men  veloce  corra, 

Se  non  ha  chi  lui  segua ,  o  chi  '1  precorra  ; 

71.  E  in  tal  modo  comparte  i  detti  sui, 
E  '1  guardo  lusinghiero  e  'I  dolce  riso, 
Ch'  alcun  non  è ,  che  non  invidj  altrui  ; 
]\é  il  timor  della  speme  è  in  lor  diviso. 
La  folle  turba  degli  amanti,  a  cui 
Stimolo  è  r  arte  d'  un  fallace  viso, 
Senza  fren  corre ,  e  non  li  tien  vergogna, 
E  loro  indarno  il  capitan  rampogna. 

72.  Ei  cir  egualmente  satisfar  desira 
Ciascuna  delle  parti,  e  'n  nulla  pende, 
Sebben  alquanto  or  di  vergogna,  or  d'  ira 
Al  vaneggiar  de'  cavalier  s'  accende, 
Poich'  ostinati  in  quel  desio  gli  mira, 
]\ovo  consiglio  in  accordarli  prende. 
Scrivan>i  i  vostri  nomi,  ed  in  un  vaso 
Pongansi,  disse,  e  sia  giudice  il  caso! 

73.  Subito  il  nome  di  ciascun  si  scrisse, 
E  in  piccioT  urna  j)osti  e  scossi  foro, 

E  tratti  a  sorte:  e  '1  primo,  che  n'  uscisse. 
Fu  il  conte  di  Pembrozia  Artemidoro. 
Legger  poi  di  Gherardo  il  nome  udisse: 
Ed  usci  \  incilan  dopo  costoro, 
^iuciiao,  che,  sì  grave  e  saggio  avantc, 
Canuto  or  pargoleggia  e  vecchio  amante. 

71.      Oh  come  il  volto  han  lieto,  e  gli  occhj  pregni 
Di  quel  piacer ,  che  dal  cor  pieno  inonda, 
Questi  tre  primi  eletti ,  i  cui  disegni 
La  fiutiuia  in  amor  destra  seconda! 
D'  incerto  cor,  di  gelosia  dan  segni 
Gli  altri,  il  cui  nome  avvien  che  V  urna  asconda; 
E  dalla  bocca  pendon  di  colui. 
Che  spiega  i  bre\i,  e  legge  i  nomi  altrui. 

75.      Guasco  quarto  fuor  venne,  n  cui  successe 
liidolio,  ed  a  Ridolfo  indi  Olderico  : 
Quinci   (Juglicluio  liondglion  ,-i    le~se, 
E  'I  ha^aro  Illicrardo ,  e  "l  fianco   Enrico. 
Uambaldo  ultimo  fu,  che  po.-'cia  elesse 
l'"ede  cangiar   f.iKo  a  (.'esù  nemico. 
Tanto  puole   Amor  dnnipK?  e  ipie>li  ihìuse 
Il  numero  de'  dieci ,  e  gli  altri  c»cIum'. 

7fi.      D'  ira,  di  gelosia,  d"  iiMÌdia  anlen'i 
Cbiaman  gli  aldi  forliuia  ingiusla  e  ria, 
E  (e  accuN.iuo,  Amor,  che  li;  c(MK->enti, 
Clic  ncir  imperio  tuo  giudice  sia. 
ÌM.i  perché   iiislinto  é  dell'   umane  menti, 
(Ite  ciò,  che  più  >i   ^iila,  iinm   più  di>ia, 
Di-poiigon   molti  ,  ad  onta   di   forltina. 
Seguir  la  donna,  co:ne  il  ciel  s'  iiiiltruna. 


[59] 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (V.   77  —  92) 


[60] 


l'i.     Voglion  sempre  seguirla   all'    ombra,     al  gole, 
E  per  lei  combattendo  espor  la  vita. 
Ella  fanne  alcun  motto  ,  e  con  parole 
Tronche  ,  e  dolci  soispiri  a  ciò  gì'  invita  : 
Ed  or  con  questo ,  ed  or  con  quel  si  duole, 
Che  far  convienle  senza  lui  partita. 
S'  erano  armati  intanto ,  e  da  Goffredo 
Togliean  ì  diece  cavalier  congedo. 

■JB.      Gli  ammonisce  quel  saggio  a  parte  a  parte, 
Come  la  fé  pagana  è  incerta  e  If.ve, 
E  mal  sicuro  pegno,  e  con  qnal    arte 
Le  insidie  e  i  casi  avversi  uom  fuggir  deve. 
Ma  son  le  sue  parole  al  vento    sparte, 
>è  consiglio  d'  uom  sano  amor  riceve. 
Lor  dà  commiato  alfine ,  e  la  donzella 
>on  aspetta  al  partir  I'  alba  novella. 

7!).      Parte  la  vincitrice,  e  quei  rivali. 
Quasi  prigioni  al  suo  trionfo  innanti, 
Seco  n'  adduce;  e  tra  infìniti  mali 
Lascia  la  turba  poi  degli  altri  amanti. 
Ma  come  uscì  la  notte ,  e  sotto  1'  ali 
Menò  il  silenzio  e  i  lievi  sogni  erranti, 
Secretamente,  com'  amor  gì'   informa, 
Molti  d'  Armida  seguitaron  1'  orma. 

8i>.     Segue  Eustazio  il  primiero  e  puote  appena 
Aspettar  V  ombre,  che  la  notte  adduce. 
Vassene  frettoloso,  ove  nel  mena 
Per  le  tenebre  cieche  un  cieco  duce. 
Errò  la  notte  tepida  e  serena; 
Ma  poi ,  neir  apparir  dell'  alma  luce, 
Gli  apparse  insieme  Armida  e  'l  suo  drappello, 
Dove  un  borgo  lor  fu  notturno  ostello- 
Si       Ratto  ver  lei  si  move,  ed  all'  insegna 
Tosto  Raral)aldo  il  riconosce ,  e  grida, 
Che  ricerchi  fra  loro ,  e  perchè  vegna. 
Vengo,  risponde,  a  seguitarne  Armida; 
]\ed  ella  avrà  da  me,  se  non  la  sdegna, 
Men  pronta  aita  ,  o  servitù  men  fida. 
Kcplica  r  altro  :  Ed  a  cotanto  onore. 
Di',  chi  t'  elesse?  Egli  soggiunge:  Amore. 

Wi.      Me  scelse  Amor,  te  la  fortuna;  or  quale 
Da  più  giusto  elettore  eletto  parti. '' 
Dice  Rambaldo  allor:  IVulla  ti  vale 
Titolo  false»,  ed  usi  inutil'  arti; 
yii  potrai  della  vergine  regale 
Fra  i  campioni  legittimi  mischiarti 
Illegittimo  servo.     E  chi  (  riprende 
Cruccioso  il  giovinette»)  a  me  il  contende? 

8J5.      lo  tei  difenderò ,  colui  rispose, 
£  feglì'i  all'  inc(»nlro  in  questo  dire: 
¥.  «;on  vi»glie  egualmente  in  Ini  sdegnose 
1/  altro  si  m(»Sf.e ,  e   con  eguiile  ardire. 
Ma  qui  ste.-e  la  mano,  e  si  frappose 
La  tiranna  dell'  ahne  in  me///o  all'  ire, 
Ed  iiir  uiu»  dicea:  Deh,  non  t'  incresca 
Ch'  a  te  c(»mpagno  ,  a  me   campion  s'   accresca! 

hi.      S'  ami,  che  salva  i'  sia,  perchè  mi  privi 
In  sì  grand'  uopo  della  nova  aita? 
Dice  all'  altro:  ()p|)ortuno  e  grato  arrivi 
Difensnr  di  mia  fama  e  di  mia  vita. 
Né  vuol   ragion  ,  né  ^arà  mai   eh'   io  schivi 
(Compagnia  iioltil   tanto,  e  si  gradita. 
Cosi  parliindt»,  ad  <»r   ad  or  tra  via 
Alcun  no\o  campion  le  sorvenitt- 


85.  Chi  di  là  giunge,  e  chi  di  qua:  né  1'  uno 
Sapea  dell'  altro,  e  '1  mira  bieco  e  torto. 
Essa  lieta  gli  accoglie,  ed  a  ciascuno 
Mostra  del  suo  venir  gioja  e  conforto. 
Ma  già  nello  schiarir  dell'  aer  bruno 
S'  era  del  lor  partir  Goffredo  accorto, 
E  la  mente  indovina  de'  lor  danni 
D'  alcun  futuro  mal  par  che  s'  affanni. 

86.  Mentre  a  ciò  pur  ripensa ,  un  messo  appare 
Polver(»so,  anelante,  in  vista  afflitto. 
In  atto  d'  uom ,  eh'  altrui  novelle   amare 
Porti ,  e  mostri  il  dol(»re  in  fronte  scritto. 
Disse  costui:  Signor,  tosto  nel  mare 
La  grande  armata  apparirà  d'  Egitto: 
E  1'  avviso  Guglielmo,  il  qual  comanda 
Ai  liguri  navigli,  a  te  ne  manda. 

87.  Soggiunse  a  questo  poi,  che  dalle  navi 
Sendo  condotta  vettovaglia  al    campo, 
1  cavalli  e  i  cammelli  onusti  e  gravi 
Trovato  aveano  a  mezza  strada  inciampo 
E  che  ì  lor  difensori  uccisi,  o  schiavi 
Restar  pugnando,  e  nessun  fece  scampo. 
Dai  ladroni  d'  Arabia  in  una  valle 
Assaliti  alla  fronte  ed  alle  spalle  ; 

88.  E  che  1'  insano  ardire  e  la  licenza 
Di  que'  barbari   erranti  è  omai  sì  grande. 
Che  in  guisa  d'  un  diluvio  intorno  senza 
Alcun  contrasto  si  dilata  e  spande: 
Onde  convien,  eh'  a  porre  in  lor  temenza, 
Alcima  squadra  di  guerrior  si  mande, 
Ch'  assicuri  la  via,  che  dall'  arene 
Del  mar  di  Palestina  al  campo  viene, 

89.  D'  una  in   un'  altra  lìngua  in  un  momento 
Ne  trapassa  la  fama,  e  si  distende: 
E  '1  vulgo   de'  soldati  alto  spavento 
Ha  della  fame,  che  vicina  attende. 
Il  saggio  capitan  ,  che  V  ardimento 
Solito  loro  in  essi  or  non  comprende, 
Cerca  con  liete»    volto ,  e  con  parole, 
Come  li  rassicuri  e  riconsole. 

90.  Oh  per  mille  perigli  e  mille  affanni 
Meco  passati  in  quelle  parti  e  in  queste, 
Campion  di  Dio,  eh'  a  ristorare  i  danni 
Della  cristiana  sua  fede  nasceste; 

Voi,  che  r  armi  di  Persia  e  i  greci  inganni, 
E  i  monti  ,  e  i  mari  ,  e  '1  verno ,  e  le  tempeste. 
Della  fame  i  disagi ,  e  della  sete. 
Superaste ,  voi  dunque  ora  temete  ? 

91.  Dunque  il  Signor,  che  n'  indirizza  e  move. 
Già  conosciuto  in  caso  anche  più  rio, 

IVon  v'  assicura ,  quasi  or  volga  altrove 
La   man  della  clemenza  e  '1  guardo  pio? 
Tosto  un  dì  fia,  che  rimembrar  vi  giove 
Gli  scorsi  affanni,  e  sciorre  i  voti  a  Dio. 
Or  durate  magnanimi ,  e  voi  stessi 
Serbate,  prego,  ai  prosperi  successi! 

92.  Con  questi  detti  le  smarrite  menti 
Cons<»la,  e  con  sereno  e  lieto  aspetto. 
Ma  preme  mille  cure  egre  e  dolenti 
Altamente  rip(»ste  in  mezzo  al  petto, 
(/ome  possa  nutrir  sì  varie  genti. 
Pensa,  fra  la  penuria  e  fra  '1  difetto: 

Come  all'  armata  in  mar  s'  opponga;  e  come 
Gli  arabi  predatori  affrcni  e  dome. 


61] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (VL    1  —  12) 


[62] 


CANTO     SESTO. 


ARGOMENTO. 

Mentre  Sion  spera  il  vicin  soccorso, 
Fuor  esce  Argante  dalle  oppresse  mura, 
E  sfida  i  Franchi.     Otton  audace  il  corso 
Movendo ,  a  sé  la  prigionia  procura. 
Ma  Tancredi  col  fiero  in  giostra  corso 
Tenzon  accende  e  sanguinosa  e  dura. 
Ccdon  V  armi  alla  7wtte.     Erminia  il  caro 
Suo  trova,  e'n  un  glielfura  inciampo  amaro. 


1.  Ma  d'  altra  parte  le  assediate  genti 
Speme  miglior  conforta  e  rassicura  ; 
Ch'  oltra  il  cibo  raccolto,  altri  alimenti 
Son  lor  dentro  portati  a  notte  oscura, 
Ed  han  munite  d'  arme  e  d'  instrumenti 
Di  guerra  verso  1'  aquilon  le  mura, 

Che,  d'  altezza  accresciute,   e  sode,  e  grosse, 
Kon  moetran  di  temer  d'  urti,  o  di  scosse. 

2.  E  'I  re  pur  sempre  queste  parti  e  quelle 
Lor  fa  innalzare ,  e  rinforzare  i  fianchi, 

0  r  aureo  sol  risplenda,  od  alle  stelle 
Ed  alla  luna  il  fotìvo  ciel  s'  imhianchi: 
E  in  fiir  contìnuamente  armi  novelle 
Sudano  i  fabbri  aflaticati  e  stancbi. 

In  sì  fatto  apparecchio  intollerante 

A  lui  een  venne,  e  ragionogli  Argante t 

.     E  insino  a  quando  ci  terrai  prigioni 
Fra  queste  mura  in  vile  assedio  e  lento? 
Odo  ben  io  stridere  ìnciidi,  e  suoni 
D'  elmi,  e  di  scudi,  e  di  corazze  i'   sento; 
Ma  non  veggio  a  qual  uso.     E  qncù  ladroni 
Scorrono  i  campi  e  i  borghi   a  lor  talento; 
Né  v'  è  di  noi ,  chi  mai  Inr  passo  arresti, 
Me  tromba,  che  dal  sonno  almen  li  desti. 

t.      A  lor  nò  i  prandi  mai  turbati  o  rotti, 
Né  molestate  son  le  cene  liete  ; 
Anzi  egualmente  i  dì  lunghi  e  le  notti 
Triiggon  om  8Ì«;urezza  e  con  quiete. 
Voi  dai  disagi  e  dalla  fame  indotti 
A  darvi  vinti  a  limgo  andar  sarete, 
Od  a  morirne  qui  come  codiirdi. 
Quando  d'  Egitto  pur  1'  ajuto  tardi. 

Io  per  me  non   vo'  già,  eh'  ignobìl  morte 

1  giorni  mici  d'  oscuro  obblio   riciipra  : 
Né  vo',  eh'  al  no^o  dì   fra  queste  poito 
L'  alma  li!C(;  del  sol  chiuso  mi  scopra. 
Di  quj'sto  viver  mio  faccia  la  sorte 
Quel,  (ho  già  stabilito  è  là  di  sopra! 
Non  sarà  già,  che,  senza  o|inir  la  spada. 
Inglorioso  e  invendicato  io  cada. 


6.  Ma  quando  pur  del  valor  vostro  usato 
Così  non  fosse  in  voi  spento  ogni  seme, 
Non  di  morir  pugnando,  ed  onorato. 
Ma  di  vita  e  dì  palma  anco  avrei  speme. 
A  incontrare  i  nemici  e  '1  nostro  fato 
Andianne  pur  deliberati  insieme! 

Che  spesso  avvien ,  che  ne'  maggior  perigli 
Sono  i  più  audaci  gli  ottimi  consigli. 

7.  Ma  se  nel  troppo  osar  tu  non  isperi. 
Né  sei  d'  uscir  con  ogni  squadra  ardito. 
Procura   almen,   che  sia  per  duo  guerrieri 
Questo  tuo  gran  litigio  or  difinito! 

E  perchè  accetti  ancor  più  volentieri 

Il  capitan  de'  Franchi  il  nostro  invito, 

L'  arme  egli  scelga,  e  '1  suo  vantaggio  toglia, 

E  le  condizion  formi  a  sua  voglia! 

8.  Che,  se  '1  nemico  avrà  due  mani,  ed  una 
Anima  sola ,  ancorch'  audace  e  fera  ; 
Temer  non  dei  per  isciagura  alcuna, 

Che  la  ragion  da  me  difesa  pera. 

Punte  in  vece  di  fato  e  di  fortuna 

Darti  la  destra  mia  vittoria  intera  ; 

Ed  a  te  sé  medesma  or  porge  in  pegno. 

Che,  se  'I  confidi  in  lei,  salvo  è  il  tuo  regno. 

9.  Tacque;  e  rispose  il  re:  Giovane  ardente, 
Sebben  me  vedi  in  grave  età  senile. 

Non  sono  al  ferro  queste  man  *ì  lente. 
Né  si  quest'  alma  è  neghittosa  e  vile, 
Ch'  anzi  morir  volesse  ignobilmente, 
Che  di  morte  magnanima  e  gentile, 
Quand'  io  temenza  avessi,  o  dubbio  alcumi 
De'  disagi,  eh'  annunzj ,  e  del  digiuno. 

10.  Cessi  Dio  tanta  infamia!    Or  quel,  eh'  ad  arte 
Nascondo  altrui ,  vo'  eh'  a  te  sia  palese. 
Soliman  di  \icea,  che  brama  in  parte 

Di  vendicar  le  ricevute  (illese. 
Degli  Arabi  le  s(-biere  erranti  e  sparte 
Haccolte  ha  sin  dal  lil)ì(-o  paese, 
E  i  nemici  assalendo  alT   aria   nera. 
Darne  soccorso  e  vettovaglia  spera. 

11.  Tosto  fia,  che  qui  giunga.     Or  se  frattanto 
Son  le  nostre  castella  oppresse  e  serve. 

Non  (;e  ne  caglia,  purché    1  regal  manto, 
E  la  mia  nobii  reggia  io  mi   conserte. 
Tu  r  ardimento  e  quisto  ardore  alquanto 
Tempra,  per  Dio,  clic  'n  te  sovercliio  ferve. 
Ed  opportuna  la  sliigione  aspetta 
Alla  tua  glori,»  ed  alla  Jnia   vendetta! 

l!f.       Fort(!  s(legnos>i   il  Saracino  ainiace, 
Ch'  era  di   Solimiino  euinlo  antico. 
Sì  amaramente  ocii  <!'  udir  gli    spiare. 
Che  tanto  seu  prometta  il  rege  umico. 
A  tuo  senno,  risponde,  e  guerra  e  pace 
Farai,  signor;  nulla  di  ciò  più  dico. 
S'  indugi  pure,  e  S(diman  s'   attenda! 
Ei,  che  perde  il  uno  regno,  il  tuo  difcnd.i' 


[ti3j 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (VI.  13— 28) 


13.  Vengane  a  te  quasi  celeste  messo 
Liberator  del  popolo  pillano! 

Ch'  io,  quanto  a  me,  bastar  credo  a  me  stesso, 

E  sol  vo'  libertà  da  questa  mano. 

Or  nel  riposo  altrui  siami  concesso, 

Ch'  io  ne  discenda  a  guerreggiar  nel  piano  ! 

Privato  cavalier,  non  tuo  campione, 

Verrò  co'  Franchi  a  singoiar  tenzone. 

14.  Replica  il  re:  Sehbcn  1'  ira  e  la  spada 
Dovresti  riserbare  a  miglior  uso, 

Che  tu  sfidi  però,  se  ciò  t'  aggrada. 
Alcun  guerrier  nemico ,  io  non  ricuso. 
Così  gii  disse;  ed  ei  punto  non  bada. 
Va,  dice  ad  un  araldo,  or  colà  giuso. 
Ed  al  duce  de'  Franchi ,  udendo  1'  oste. 
Fa  queste  mie  non  picciole  proposte  : 

15.  Ch'  un  cavalier,  che  d'  appiattarsi  in  questo 
Forte  cinto  di  muri  a  sdegno  prende, 
Brama  di  far  con  1'  arme  or  manifesto, 
Quanto  la  sua  possanza  oltra  si  stende, 

E  clic  a  duello  di  venirne  è  presto 

Kel  pian,  eh'  è  fra  le  mura  e  1'  alte  tende. 

Per  prova  di  valore ,  e  che  disfida, 

Qual  più  de'  Franchi  in  sua  virtù  si  fida: 

16.  E  che  non  solo   è  di  pugnare  accinto 
E  con  uno,  e  con  duo  del  campo  ostile. 

Ma  dopo  il  terzo ,  il  quarto  accetta  e  '1  quinto, 

Sia  di  volgare  stirpe ,  o  di  gentile. 

Dia,  se  vuol,  la  franchigia,  e  serva  il  vinto 

Al  vincitor,  come  di  guerra  è  stile! 

Cosii  gì'  impose:  ed  ei  vestissi  allotta 

La  purpurea  dell'  arme  aurata  cotta. 

17.  E  poiché  giunse  alla  regal  presenza 
Del  principe  Goffredo  e  de'  baroni, 
Chiese:  oh  signore,  ai  messaggier  licenza 
Dassi  tra  voi  di  liberi  sermoni .'' 

Bassi,  rispose  il  capitano;  e  senza 
Alcun  timor  la  tua  proposta  esponi  ! 
Riprese  quegli:  Or  si  parrà,  se  grata, 
O  formidabil  fia  l'  alta  ambasciata. 

18.  E  segui  poscia,  e  la  disfida  espose 
Con  parole  magnifiche  ed  altere. 
Fremer  s'  udirò,  e  si  moslràr  sdegnose 
Al  suo  parlar  quelle  feroci  schiere; 

E  senza  indugio  il  pio  Buglion  rispose: 
Dura  impresa  intraprende  il  cavaliere, 
E  tosto  io  c;reder  ^o',  che  gliene  incresca. 
Sicché  d'  uopo  non  fia,  che  '1  quinto  n'  esca. 

19.  Ma  venga  in  prova  pur!  che  d'  ogni  oltraggio 
Gli  oll'ero  campo  libero  e  securo, 

E  seco  pugnerà  senza  vantaggio 
Alcun  de'  miei  campioni  ;  e  così  giuro. 
Tacque:  e  toriu)  il  re  d'  arnie  al  su(»  viaggio 
Per  r  orme,  eh'  al  venir  calcate  furo, 
E  non  ritenne  il  frettoloso  passo. 
Sinché  non  die'  risposta  al  fier  Circasso. 

20.  Armati,  dice,  alto  signor!  Che  tardi? 
La  disfida  ac<M;ttata  hanno  i  cristiani, 

E  d'  affrontarsi  teco  i  men  gagliardi 
Mostrai!  de>io  ,  non  che  i  gucrrier  soprani; 
E  mille  i'  vidi  minacciosi  sguardi, 
£  mille  al  ferro  a|)parecchiatc  mani. 
Loco  scniro  il  duce  a  te  cmicede. 
Cobi  gli  dice:  e  l  arme  esso  ric!iitde. 


21.  E  se  ne  cinge  intorno,  e  impaziente 
Di  scenderne  s'  affretta  alla  campagna. 
Disse  a  Clorinda  il  re,  eh'  era  presente: 
Giusto  non  è,   eh'  ei  vada,  e  tu  rimagna. 
Mille  dunque  con  te  di  nostra  gente 
Prendi  in  sua  sicurezza,  e  1'  accompagna! 
Ma  vada  innanzi  a  giusta  pugna  ei  solo; 
Tu  lunge  alquanto  a  lui  ritien  lo  stuolo! 

22.  Tacque  ciò  detto  :  e  poiché  furo  armati, 
Quei  del  chiuso  n'  uscivano  all'  aperto  : 
E  giva  innanzi  Argante,  e  degli  usati 
Arnesi  in  sul  cavallo  era  coperto. 
Loco  fu  tra  le  mura  e  gli  steccati. 
Che  nulla  avea  di  disuguale,  o  d'  erto, 
Ampio  e  capace ,  e  parca  fatto  ad  arte, 
Perch'  egli  fosse  altrui  campo  di  Marte. 

23.  Ivi  solo  discese,  ivi  fermosse 
In  vista  de'  nemici  il  fero  Argante, 

Per  gran  cor,  per  gran  corpo,  e  per  gran  possi 

Superbo  e  minaccevole  in  sembiante,  j 

Qual  Encelado  in  Flegra,  o  qual  raostrosse       j 

ISeir  ima  valle  il  filisteo  gigante. 

Ma  pur  molti  di  lui  tema  non  hanno, 

Ch'  anco ,  quanto  sia  forte ,  ajìpien  non  sanno. 

21.     Alcun  però  dal  pio  Goffredo  eletto. 
Come  il  migliore,  anco  non  é  fra  molti; 
Ben  si  vedean  con  desioso  afletto 
Tutti  gli  occhj  in  Tancredi  esser  rivolti, 
E  dichiarato  infra  i  miglior  perfetto 
Dal  favor  manifesto  era  de'  volti  ; 
E  s'udia  non  oscuro  anco  il  bisbiu;lio, 
E  r  approvava  il  capitan  col  ciglio. 

25.  Già  ccdea  ciascun  altro  ,  e  non  secreto 
Era  il  volere  ornai  del  pio  Buglione. 
Vanne,  a  lui  disse;  a  te  l'  uscir  non  vieto, 
E  reprimi  il  furor  di  quel  fellone  ! 
E  tutto  in  volto  baldanzoso  e  lieto 
Per  sì  alto  giudizio  il  fier  garzone 
Allo  scudier  chiedea  l'  arme  e  'I  cavallo, 
Poi  seguito  da  molti  uscia  del  vallo. 

26.  Ed  a  quel  largo  pian  fatto  vicino, 
0%'  Argante  1'  attende,  anco  non  era, 
Quando  in  leggiadro  aspetto  e  pellegrino 
S'  oilerse  agli  occhj  suoi  1'  alta  guerriera. 
Bianche  vie  più  che  neve  in  giogo  alpino 
Avea  le  sopravveste,  e  la  visiera 
Alta  tenea  dal  volto;  e  sovra  un'  erta 
Tutta,  quanto  ella  é  grande,  era  scoperta. 

27.  Già  non  mira  Tancredi,  ove  il  Circasso 
La  spaventosa  fronte  al  cielo  estolle; 
r»la  move  il  suo  destrier  con  lento  passo. 
Volgendo  gli  occhj  ,  ov'  è  colei  sul  colle, 
l'oscia  immobil  si  ferma ,  e  pare  un  sasso 
Gelido  tutto  fuor,  ma  dentro  bolle. 
Sol  di  mirar  s'  appaga,  e  di  battaglia 
Sembiante  fa,  che  poco  or  più  gli  caglia. 

28.  Argante,  che  non  vede  alcun,  eli'  in  att( 
Dia  segno  ancor  d'  apparecchiarsi  in  giostri 
Da  desir  di  (;ontesa  io  qui  fui  tratt«», 
Grida:  or  chi  viene  innanzi,  e  meco  giostr 
Ij'  altro  attonito  quasi  e  stupefatto 
Pur  là  s'  affisa,  e  nulla  udir  ben  mostra. 
Ottcuie  innanzi  allor  spinse  il  destriero, 
E  ncir  arringo  vuoto  entrò  primiero. 


55] 


GERUSALEMME    LIBERATA     (VL  29  — 44) 


[66] 


Ì9.     Questi  im  fu  di  color,  cui  dianzi  accese 
Di  gir  centra  il  pagano  alto  desio  ; 
Pur  cedette  a  Tanircdi ,  e  'n  sella  ascese 
Fra  gli   altri,  che  "1  seguirò,  e  seco  uscio. 
Or  veggendo  sue  voglie  altroAc  intese, 
E  starne  lui  qnavi  al  pugnar  restio, 
Prejide,  giovine  audace  e  impaziente, 
L'  occasione  offerta  avidamente  : 

JO.      E  veloce  così,  che  tigre,  o  pardo 
Va  nicn  ratto  tiilor  per  la  foresta, 
Corre  a  ferir  il  Saracin  gagliardo, 
Clic  d'  altra  parte  la  gran  lancia  arresta. 
Si  scote  allor  Tancredi  e  dal  suo  tardo 
Pensier,  quasi  da  un  sonno,  alfin  si  desta, 
E  grida  ei  ben:  la  pugna  è  mia;  rimanti! 
Ma  troppo  Ottone  è  già  trascorso  ìunanti. 

Onde  si  ferma,  e  d'  ira  e  di  dispetto 
Avvampa  dentro,  e  fuor  qual  fiamma  è  rosso; 
Perch'  ad  onta  si  reca  ed  a  difetto, 
Ch'  altri  si  sia  primiero  in  giostra  mosso. 
Ma  intanto  a  me/zo  il  corso  in  sull'  elmetto 
Dal  gio^in  forte  è  il  Saracin  percosso. 
Egli  all'  incontro  a  hii  col  ferro  nudo 
Fora  r  usbergo ,  e  pria  rompe  lo  scudo. 

Cade  il  cristiano:  e  ben  è  il   colpo  acerbo, 
Posciacli'  av^icn,  che  dall'  arcion  lo  svella. 
Ma  il  pagan  di  più  forza  e  di  più  nerbo 
Non  cade  già,  nò  pur  si  torce  in  sella. 
Indi  con  dispettoso  atto  superbo 
Sovra  il  caduto  cavalier  favella: 
llendili  vinto,  e  per  tua  gloria  basti, 
Cile  dir  potrai,  clic  contra  me  pugnasti! 

No!  gli  risponde  Otton  ;  fra  noi  non  b'  usa 
Così  tosto  depor  l'  arme  e  l'  ardire. 
Altri  del  mio  cader  farà  la  scusa; 
Io  vo'  far  la  vendetta,  o  qui  morire. 
In  semltianza  d'  Aletto  e  di  Medusa 
Freme  il  Circasso,  e  par  che  fiamma  spire. 
Conosci  or,  dire,  il  mio  valore  a  prova, 
Poiché  la  cortesia  sprezzar  ti  giova  ! 

i.      Spinge  il  dcstricr  in  questo ,  e  tutto  obblla, 
Quanto  virtù  cavalleresca  chiede. 
Fugge  il  Franco  l'  incontrt»,  e  si  disvia, 
E    1  de-tro  fianco  nel  passar  gli  fiede. 
Ed  è  si  grave  la  percossa  e  ria. 
Che  '1  ferro  siinguìnnso  indi  ne  riedc. 
Ma  che  prò ,  se  la  piaga  al  vincitore 
Forza  non  toglie,  e  giunge  ira  e  furore? 

Argante  il  corridor  dal  corso  affrcna, 
E  indietro  il  volge;  e  co«ì  tosto  è  volto. 
Che  fC  n'  accorge  il  suo  nemico  appena, 
E  d'  un  grand'  urto  all'  improvviso  è  colto, 
'i'rcmar  le  ^anibe,  e  indebolir  la  lena. 
Sbigottir  r  alma,  e  impallidire  il  volto 
Gli  fé'  r  aspra  percossa,  e  frale  e  stanco 
Sovra  il  duro  terren  ]>attcrc  il  fianco. 

J.      Neir  ira   Argante  infellonisce,  e  strada 
Sovra  il  petto  del   \into  al  destrier  face. 
E   cosi ,  grida ,  ogni   superbo   vada. 
Come  coHtui,  che  sotto  i  più  mi  giace! 
l^Ia  r  in>ltto  'l'ancredi  allor  non  bada; 
Che  I    atto  crndelis.-.iino  gli  H|tiare, 
E  vuol,  v\u'  'I  Huo  Aalor  con  chi. ira  «emenda 
Copra  il  suo  fallo,  e,  corno  ^moì ,  ri^pleudu. 


37.      Fassi  innany.i  gridando  :  anima  vile, 
Ch'  ancor  nelle  vittorie   infame  sei! 
Qual  titolo  di  laude  alto  e  gentile 
Da  modi  attendi  sì  scortesi  e  rei .'' 
Fra  i  ladroni  d'  Arabia  ,  o  fra  simile 
Rarliara  turba  avvezzo  esser  tu  dei. 
Fuggi  la  luce,  e  va  con  1'  altre  belve 
A  incrudelir  ne'  monti  e  tra  le  selve  ! 

£8.      Tacque:  e  'I  pagano  a  sofferir  poco  uso, 
3Iorde  le  labbra ,  e  di  furor  si  strugge. 
Risponder  vuol  ;  ma  '1  snono  esce  confuso, 
Si(!come  strido  d'  animai,  che  rugge, 

0  come  apre  le  nubi ,  ond'  egli  è  chiuso, 
Impetuoso  il  fulmine  e  sen  fugge  ; 

Cosi  pareva  a  forza  ogni  suo  detto 
Tonando  uscir  dall'  infiammato  petto. 

I    39.      Ma ,  poiché  in  ambo  il  minacciar  feroce 
;  A  vicenda  irritò  l'  orgoglio  e  1'  ira, 

\  L'  un  come  1'  altro  rapido  e  veloce. 

Spazio  al  corso  prendendo,  il  de?trier  gira. 

Or  qui.  Musa,  rinforza  in  me  la  voce, 
j  E  furor  pari  a  quel  furor  m'  inspira! 

j  Sicché  non  sian  dell'  opre  indegni  i  carmi. 

Ed  esprima  il  mio  canto  il  suon  dell'  armi. 

40.     Posero  in  resta  ,  e  dirizzaro  in  alto 

1  duo  gnerricr  le  noderose  antenne: 
Né  fu  di  corso  mai ,  né  fu  di  salto, 
Né  fu  mai  tal  velocità  di  penne, 
Né  furia  eguale  a  quella,  ond'  all'  assalto 
Quinci  Tancredi,  e  quindi  Argante  venne. 
Rupper  r  aste  sugli  elmi,  e  volar  mille 
E  tronchi,  e  schegge,  e    lucide  faville. 

I   41.      Sol  dei  colpì  rimbombo  intorno  mosse 
L'  immobil  terra,  e  risonarne  i  monti; 
Ma  1'  impeto  e  '1  furor  delle  percosse 
Nulla  piegò  delle  superbe  fronti. 
Il'  uno  e  r  altro  cavallo  in  guisa  urtosse, 
(^he  non  fur  poi  cadendo  a  sorger  pronti, 
'i'ratte  le  spade  i  gran  mastri  di  guerra 
Lasciar  le  staffe,  e  i  pie  fermaro  in  terra. 

42.  Cautamente  ciascuno  ai  colpi  move 

La  destra,  ai  guardi  1'  occhio,  ai  passi  il  piede. 

Si  reca  in  atti  varj,  in  guardie  nuove. 

Or  gira  intorno,  or  cresce  innanzi,  or  cede, 

Or  qui  ferir  accenna,  e  poscia  altrove, 

ì)o\c  non  minacciò ,  ferir  si  vede. 

Or  di  sé  dicoprire  alcuna  parte, 

E  tentar  di  schernir  l'  arte  con  1'  arte. 

43.  Della  spada  Tancredi,   e  dello  sniilo 
INI. il  guardato  al  ])agan  diiiio>tra  il  fi,incu. 
(^orre  egli  per  ferirlo,  e  intanto  nudo 

Di   riparo  si  lascia  il  lato  manco, 
'l'ancredi  con  un  colpo  il  ferro  crudo 
Del  nemico  ribalte,  e  Ini    fere  amo: 
Né  poi,  ciò  fatto,  in  ritir.ir.-i  (arda, 
Ma  si  raccoglie ,  e  si  ristringe  in  guarda. 

44.  Il  fero  Argante,  che  sé  stc-fso  mira 

Del  proprio  >angue  suo   macchiato  e  mollo, 
('oh  iii>olito  orror  irciiie  e  cospira. 
Di  cruccio  e  di  dolor  turbato  v  folle; 
E  portato  dall'   impeto  e  d.ill'   ira 
Con  la  voce  la  spada  insieme  estolle 
l'i   torna  per  ferire;  ed  è  di  punta 
l'iaguto  ov'  ù  la  spalla  al  braccio  giunta. 


[67] 


GERUSALEMME    LIBERATA.      (VI.45  — 60) 


[68; 


45.  Qiial  neir  alpestri  selve  orsa  ,   che  senta 
Duro  spiedo  nel  fianco ,  in  rabbia  monta, 
E  contra  1'  arme  sé  medesnia  avventa, 

E  i  periffli  e  la  morte  aiidiice  affronta, 

Tale  il  Circasso  indomito  diventa, 

Giunta  or  piaga  alla  piaga,  ed  onta  all'  onta, 

E   la  vendetta  far  tanto  desia, 

Che  sprezza  i  rischj,  e  le  difese  obblia  : 

46.  E  congìnngcndo  a  temerario  ardire 
Estrema  forza  e  iiifaticabil  lena, 
Vien  che  si  impetuoso  il  ferro  gire, 
Che  ne  trema  la  terra ,  e  il  ciel  balena. 

Né  tempo  ha  T  altro ,  ond'  un  sol  colpo  tire, 
Onde  si  copra,  onde  respiri  appena, 
]\è  schermo  \'  è ,  eh'  assecurar  il  possa 
Dalla  fretta  d'  Argante  e  dalla  possa, 

47.  Tancredi  in  sé  raccolto  attende  invano, 
Che  de'  gran  colpi  la  tempesta  passi. 

Or  v'  oppon  le  difese,  ed  or  lontano 

Sen  va  co'  giri  e  co'  maestri  passi. 

Ma  poiché  non  s'  allenta  il  fier  pagano, 

E  forza  alfin  che  trasportar  si  lassi, 

E  cruccioso  egli  ancor  con  quanta  puote 

Violenza  maggior  la  spada  rote. 

48.  Vinta  dall'  ira  è  la  ragione  e  1'  arte, 
E  le  forze  il  furor  ministra  e  cresce. 
Sempre  che  scende  il  ferro,  o  fora,  o  parte 
O  piastra,  o  maglia,  e  colpo  invan  non  esce. 
Sparsa  è   d'  arme  la  terra ,  e  1'  arme  sparte 
Di  sangue ,  e    1  sangue  col  sudor  si  mesce. 
Lampo  nel  fiammeggiar  ,  nel  romor  tuono, 
Fulmini  nel  ferir  le  spade  sono. 

49.  Questo  popolo  e  quello  incerto  pende 
Da  si  novo  spettacolo  ed  atroce, 

E  fra  tema  e  speranza  il  fin  n'  attende. 

Mirando  or  ciò  che  giova,  or  ciò  che  nuoce; 

E  non  si  vede  pur,  né  pur  s'  intende 

Piccini  cenno  fra  tanti,  o  bas-a  voce. 

Ma  se  ne  sta  ciascun  tacito  e  immoto. 

Se  non  se  in  quanto  ha  il  cor  tremante  in  moto 

50.  Già  lassi  erano  entrambi ,  e  giunti  forse 
Sarian  pugnando  ad  immaturo  fine; 

Ma  sì  oscura  la  notte  intanto  sorse, 

Che  nascondea  le  vane  anco  vicine. 

Quinci  un  amido,  e  quindi  mi  altro  accorse 

Per   dipartirli,  e  li  pirtiro  alfine. 

L'   uno  il   franco  Aridco,   l'indoro  è  1'  altro. 

Che  portò  la  disfida ,  uom  saggio  e  scaltro. 

51.  I  pacifici  scettri  osùr  costoro 

Fra  le  spade  interpor  de'  combattenti 
C«»n  quella  si(-urtà,  che  porgea  loro 
li'  anlicbissima  legge  delle  genti. 
Sicti! ,   oh  guerrieri,   incominciò  Piiidorn, 
(Jon  pari  onor,  di  pari  ambo  possenti. 
Dunque  cessi  la  pugna ,  e  non  sian  rotte 
Le  ragioni  e  'i  riposo  della  notte  ! 

52.  Tempo  è  da  travagliar,  mentre  il  sol  dura; 
Ma  nella  notte  ogni  aniunile  ha  pace; 

E  genrioso  cor  non  molto  cura 
INottnriu>  pregio  ,  che  s'  asconde  e  tace. 
Ui.-ponde  Argiinte:  a  me  per  ombra  oscura 
La  mia  battaglia  abbandonar  non  piace. 
Hen  avrei^  caro  il  te^timon  del  giorno, 
Ma  che  giurì  costui  di  far  ritorno. 


53.  Soggiunse  1'  altro  allora  :  e  tu  prometti 
Dì  tornar,  rimenando  il  tuo  prigione! 
Perch'  altrimenti  non  fia  mai   eh'  aspetti 
Per  la  nostra  contesa  altra  stagione. 
Cosìgiuraro:  e  poi  gli  araldi  eletti 

A  prescriver  il  tenipo  alla  tenzone, 
Per  dare  spazio  alle  lor  piaghe  onesto. 
Stabilirò  il  mattin  del  giorno  sesto. 

54.  Lasciò  la  pugna  orribile  nel  core 
De'  Saracini  e  de'  fedeli    impressa 
In'  alta  meraviglia  ed  un  orrore, 

Che  per  lunga  stagione  in  lor  non  cessa. 

Sol  dell'  ardir  si  parla  e  del  valore. 

Che  r  un  guerriero  e  1'  altro  ha  mostro  in  essa 

Ma  qual  si  debbia  di  lor  due  prr|)orre, 

A  ario  e  discorde  il  vulgo  in  sé  discorre, 

55.  E  sta  sospeso  in  aspettando ,  quale 
Avrà  la  fera  lite  avvenimento, 

E  se  '1  furore  alla  virtù  prevale, 
O  se  cede  1'  audacia  all'  ardimento. 
Ma,  più  di  ciascun  altro,  a  cui  ne  cale. 
La  bella  Erminia  n'  ha  cura  e  tormento. 
Che  dai  giudizj  dell'  incerto  Marte 
Vede  pender  di  sé  la  miglior    parte. 

56.  Costei,  che  figlia  fu  del  re  Cassano, 
Che  d'  Antiochia  già  1'  imperio  tenne. 
Preso  il  suo  regno,  al  vìncitor  cristiano 
Fra  1'  altre  prede  anch'  ella  in  poter  venne. 
Ma  folle  in  guisa  allor  Tancredi  umano. 
Che  nulla  ingiuria  in  sua  balìa  sostenne, 
Ed  onorata  fu  nella  mina 

Dell'  alta  patria  sua ,  come  reina. 

57.  L'  onorò ,  la  servi ,  di  libertate 
Dono  le  fece  il  cavallero  egregio, 
E  le  furo  da  luì  tutte  lasciate 

Le  genune  e  gli  ori,  e  ciò  eh'  avea  di  pregio, 
Ella  vedendo  in  gio>ìnetta  etate 
E  in  leggiadri  sembianti  animo  regio, 
Restò  presa  d'  amor,  che  mai  non  strinse 
Laccio  di  quel  più  fermo  ,  onde  lei  cinse. 

58.  Così,  se  '1  corpo  libertà  riebbe. 

Fu  r  alma  sempre  iu  servitute  astretta. 
Ben  molto  a  lei  d'  abbandonar  ìncrebbe 
Il  signor  caro,  e  la  prigion  diletta; 
3la  r  (me.^tà  regal ,  che  mai  non  debbo 
Da  magnanima  donna  esser  negletta. 
La  costrinse  a  partirsi,  e  con  1'  antica 
M.idre  a  ricoverarsi  in  terra  amica. 

59.  Venne  a  Gerusalemme,  e  quivi  accolta 
Fu  dal  tiranno  del  paese  ebreo. 
Ma  tosto  pianse  iu  nere  spoglie  avvolta 
Della  sua  genitrice  il  fato  reo. 
Più-  nò  '1  duol ,  che  le  sia  per  morte  tolta, 
^è  I'   esigilo  infelice  unqua  poteo 
li'  amoroso  desio  sveller  dal  core, 
\è  favilla  anunorzar  di  tanto  ardore. 

(ÌO.     Ama  ed  arde  la  misera,  e  sì  poco 
In  tale  stato  è,  che  sperar  le  avanza, 
Ch(^  nudrisce  nel  sen  I'  occulto  foco 
Di  memoria  ^ia  più,  che  di  speranza: 
K  qiiantt»  è  chiuso  in  più  secreto  loco, 
■^l'anto  ha  V   inccinlio  suo  maggior  possanza. 
Tancredi  alfin(!  a  risvegliar  sua  speno 
Sovra  Gcrusaleiuiuo  ad  oste  viene. 


39] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (VI.  61-^76) 


[70] 


Slìigottir  gli  altri  all'  apparir  di  tante 
Kiizioiii  e  si  indoniite ,  e  si  fere  ; 
Fé'  sereno  ella   il  torbido   seiiibianto, 
E  lieta  vaj-hcg-giò  le  squadre  altere, 
E  con  a^idi  sguardi  il  caro  amante 
Cercando  gio  fra  quelle  armate  schiere. 
Ccrcollo  invan  sovente ,  ed  anco  spesso 
Eccolo ,  disse ,  e  '1  riconobbe  espresso. 

Nel  palagio  regal  sublime  sorge 
Antica  torre  assai  presso  alle  mura, 
Dalla  cui  sommità  tutta  si  scorge 
L'  oste  cristiana,  e  '1  monte,  e  la  pianura. 
Quivi,  dacché  il  suo  lume  il  sol  ne  porgo, 
Insinché  poi  la  notte  il  mondo  oscura, 
S'  asside,  e  gli  occlij  verso  il  campo  gira, 
E  co'  pensieri  suoi  parla  e  sospira. 

Quinci  vide  la  pugna ,  e  '1  cor  nel  petto 
Semi  tremarsi  in  quel  punto  !«ì  forte, 
Che  parca  che  dicesse:  il  tuo  diletto 
E  quegli  là.  che  'n  rischio  è  della  morte. 
Co»i  d'  angoscia  piena  e  di  sospetto 
Miro  i  SHCcessi  della  dubbia  sorte, 
E ,  sempre  che  la  spada  il  pagan  mosse. 
Sentì  neir  alma  il  ferro  e  le  percosse. 

Ma  poiché  U  vero  intese,  e  intese  ancora. 
Che  dee  1'  aspra  tenzon  rinnovcllarsi, 
Insolito  timor  così  V  accora. 
Che  sente  il  sangue  suo  di  ghiaccio  farsi, 
■^ralor  scerete  lagrime ,  e  talora 
Sono  occulti  da  lei  gemiti  sparsi: 
Pallida,  esangue  e  sbigottita  in  atto. 
Lo  spavento  e    1  dolor  \'  avea  ritratto. 

Con  orribile  imniago  il  suo  pensiero 
Ad  or  ad  or  la  turba  e  la  sgomenta, 
E  vie  più  che  la  morte,  il  sonno    è  fero; 
Sì  strane  larve  il  sogno  le  appresenta  ! 
Parie  veder  1'  amato  cavaliero 
Lacero  e  sanguinoso ,  e  par  che  senta, 
Cli'  egli  aita  le  chieda:  e  desta  intanto 
Si  trova  gli  occhj  e  '1  sen  molle  di  pianto. 

Né  sol  la  tema  di  futuro  danno 
Con  sollccit«)  moto  il  cor  le  scote. 
Ma  delle  piaghe ,  eh'  egli  avea ,  1'  aflanno 
F  cagion,  che  quetiir  1'  alma  non  puote. 
E  i  fallaci  romor,  eh'  intorno  vanno, 
Crescon  le  cose  incognite  e  remote, 
Sìtu.lr  ella  a^visa,  che  virino  a  morte 
Giaccia  oppre^^o  languendo  il  guerrier  forte: 

Vi  perocclf   el  la  dalla  madre  apprese, 
Qual  più  secreta  sia  \irtù  dell'  erbe, 
E  con  quai  (carini  nelle  membra  oll'esu 
Sani  ogni  piaga,  e  'I  dnol  si  disacerbe { 
(Arte,  elu;  per  usanza  in  quel  paese 
Nelle  figlie  «lei  re  par  clu!  si  serbe!) 
Vorria  di  sua  man  propria  alh;  feruttt 
Del  suo  caro  t-ignor  recar  salute. 

.      Ella  r  amato  medicar  desia, 
E  curar   il  nemico  a  lei  contiene, 
l'enei  tallir  d    <rba  noi-enti-  e  ria 
Succo   >parg(r  in   lui,   r.lie  1'   avvclene; 
Ma  s<lii>a  pili  la  man  vergine  e  pia 
Tralliir  1'   arti  maligne,  e  se  n'  aj«lieno. 
Brama  ella  alinen,  che  in   n>o  tal  .■«in   >  nota 
Di  ttuu  vii-tudc  ogni  erba  ed  o"ni  noia. 


69 


70 


71 


73, 


71 


7.5, 


7(i, 


Né  già  d'  andar  fra  la  nemica  gente 
Temenza  avria  ;  che  peregrina  era  ita, 
E  viste  guerre  e   stragi  avea  sovente, 
E  scorsa  dubbia  e  faticosa  vita; 
Sicché  per  1'  uso  la  femminea  mente 
Sovra  la  sua  natura  é  fatta  ardita; 
Né  così  di  leggier  si  turba  o  pavé 
Ad  ogni  immagin  di  terror  raou  grave: 

3Ia  più  eh'  altra  cagion ,  dal  molle  seno 
Sgombra  amor  temerario  ogni  paura, 
E  crederla  fra  T  ugne  e  fra  '1  veleno 
Ueir  africane  belve  andar  secura. 
Pur .  se  n(Mi  della  vita ,  avere    almeno 
Della  sua  fama  dee  temenza  e  cura: 
E  fan  dubbia  contesa  entro  al  suo  core 
Duo  potenti  nemici,  Onore,  e  Amore. 

L'  un  così  le  ragiona:  oh  verginella. 
Clic  le  mie  leggi  infino  ad  or  serbasti! 
lo ,  mentre  eh'  eri  de'  nemici  ancella. 
Ti  conservai  la  mente  e  i  membri  casti; 
E  tu  libera  or  vuoi  perder  la  bella 
Aerginità,  eh'  in  prigionia  guardasti? 
Ahi  nel  tenero  cor  questi  pensieri 
Chi  svegliar  può?    che  pensi?  oimé,    che   speri? 

Dunque  il  titolo  tu  d'  esser  pudica 
Sì  poco  stimi,  e  d'  onestate  il   pregio, 
Che  te  n'  andrai  fra  nazìon  nemica 
Notturna  amante  a  ricercar  dispregio  ? 
Onde  il  superbo  vincitor  ti  dica: 
Perdesti  il  regno  ,  e  in  un  l'  animo  regio  : 
Non  sei  di  me  tu  degna;  e  ti  conceda 
Vulgare  agli  altri  e  mal  gradita  preda. 

Dall'  altra  parte  il  consiglier  fallace 
Con  tai  lusinghe  al  suo  piacer  1'  allotta: 
Nata  non  sei  tu  già  d'  orsa  vorace. 
Né  d'  aspro  e  freddo  siroglio,  oh  giovinetta, 
Ch'  abbia  a  sprezzar  d'  amor  l'  arco  e  la   face. 
Ed  a  fuggir  ognor  qnel  che  diletta: 
Né  petto  hai  tu  di  ferro  o   di  diamante. 
Che  \crgogna  ti  sia  1'  esser  amante. 

Deh,  vanne  ornai,  dove  il  desio  f  inTOglia! 
Ma  qual  ti  fingi  vincitor  crudele  .^^ 
Non  sai ,  eom'  egli  al  tuo  doler  si  doglia. 
Come  compianga  al  pianto,  alle  querele? 
Crudel  sei  tu,  che  con  sì  pigra  voglia 
Movi  a  portar  salute  al  tuo  fedele. 
Langiie,  oh  fera  ed   ingrata,  il  pio  Tancredi; 
E  tu  dell'  altrui  vita  a  cura  siedi. 

Sana  tu  pur  Argante,  acciocché  poi 
Il  tuo  libcrator  sia  spinto  a  morte! 
Così  disciolti  avrai  gli  olibli^-hi  tuoi, 
E  sì  hi  I   premio  Ila  eh'  ei   ne    ri||orte. 
E  possibil   pero,   che  non  t'   annoi 
Qiiest'  empio  ministero  or  così  forte. 
Che  la  noja  non  basti  e   V  orror  solo 
A  far,  elle  tu  di   qua  ten  fugga  a  volo? 

Deh,  ben  fora  all'  incontro    ulliclo  umano, 
E   ben  n'  a\ resti  tu  gioja  e  dihlto, 
Se  la  pietosa  tua  medica    mano 
A\  vicinassi  al  valoroso  petto: 
Clic,   per  te  fatto  il  tuo  signor  poi  «ano, 
Cdlorirebbc  il  suo  siii.irrito  aspello. 
I-;  le  bellezze  sue,  che  spente  or  sono. 
\at;luggerc8ti  in  lui  quasi  tuo  dono. 


[71] 


GERUSALEMME  LIBERATA.      (VI.  TT  —  92) 


77.  Parte  ancor  poi  nelle  sue  lodi  avresti, 
E  nell'  opre,  eh'  ei  fè^se,  alte  e  famose; 
Ond'  egli  te  d'  abbracciauieutt  onesti 
Faria  lieta,  e  di  nozze  avventurose. 

Poi  mostra  a  dito,  ed  onorata  andresti 
Fra  le  madri  latine,  e  fra  le  spose 
Là  nella  bella  Italia ,  ov'  è  la  sede 
Del  valor  vero,  e  della  vera  fede. 

78.  Da  tai  speranze  lusingata,  ahi  stolta! 
Somma  felicitate  a  sé  figura  ; 

Ma  pur  si  trova  in  mille  diibbj  avvolta, 
Come  partir  si  possa  indi  secura; 
Perchè  veglian  le  guiirdie ,  e  sempre  in  volta 
Van  di  fuori  al  palagio,  e  sulle  mura, 
]\è  porta  alcuna  in  tal  rischio  di  guerra 
Senza  grave  cagion  mai  si  disserra. 

79.  Soleva  Erminia  in  compagnia  sovente 
Della  guerriera  far  lunga  dimora. 
Seco  la  vide  il  sol  dall'  occidente, 
Seco  la  vide  la  novella  aurora. 

E  quando  son  del  di  le  luci  spente, 
Un  sol  letto  le  accolse  ambe  talora, 
E  nuli'  altro  pensier,  che  1'  amoroso, 
L'  una  vergine  all'  altra  avrebbe  ascoso. 

80.  Questo  sol  tiene  Erminia  a  lei  secreto  ; 
£  s'  udita  da  lei  talor  si  lagna. 

Reca  ad  altra  cagion  del  cor  non  lieto 

Gli  affetti ,  e  par  che  di  sua  sorte  piagna. 

Or  in  tanta  amistà  senza  divieto 

Venir  sempre  ne  puote  alla  compagna; 

Kè  stanza  al  giunger  suo  giammai  si  serra. 

Siavi  Clorinda,  o  sia  in  consiglio,    o  'n   guerra. 

81.  Vennevi  un  giorno,  eh'  ella  in  altra  parte 
Si  ritrovava ,  e  si  fermò  pensosa, 

Par  tra  sé  rivolgendo  i  modi  e  1'  arte 
Della  bramata  sua  partenza  ascosa. 
Mentre  in  varj  pensier  divide  e  parte 
L'  incerto  animo  suo ,  che  non  ha  posa. 
Sospese  di  Clorinda  in  alto  mira 
L'  arme  e  le  sopravveste,  e  allor  sospira. 

82.  E  tra  sé  dice  sospirando:  oh  quanto 
Beata  è  la  fortissima  donzella! 

Quant'  io  la  invidio  !  E  non  le  invidio   il  vanto, 
O  '1  femminil  onor  dell'  esser  bella  ; 
A  lei  non  tarda  i  passi  il  lungo  manto, 
Ke  '1  suo  valor  rinchiude  invida  cella  ; 
Ma  veste  1'  armi,  e  se  d'  uscirne  agogna, 
Vasscne ,  e  non  la  tien  tema ,  o  vergogna. 

83.  Ah  perchè  forti  a  me  natura  e  '1  cielo 
Altrettanto  non  fèr  le  membra  e    '1  petto. 
Onde  potes»i  anch'  io  la  gonna  e  '1  velo 
Cangiar  nella  corazza  e  ncU'  elmetto? 
Che  sì  non  riterrebbe  arsura,  o  gelo, 

Non  turbo,  o  pioggia  il  mio  infiammato   afTctto^ 
Ch'  al  sol  non  fossi  ed  al  notturno  lampo, 
Accompagnata  o  sola,  armata  in  campo. 

84.  Già  non  avresti,  oh  dispietato  Argante, 
C(J  rniii  bigiKir  pugnato  tu  primiero: 
Cli'  io  sarei  cor.-^a  ad  in<;ontrarlo  innante, 
E  forse  or  fora  (|ui  mìo  prigioniero; 

E  siistcrn'a  dalla  nemica  amante 
Giogo  di  frcrvitii  dolce  e  leggiero. 
E  ^ià  per  li  suoi  nodi  io  sentirei 
Fatti  boavi  e  ulleggcrili  i  miei: 


[72] 


85.  Ovvero  a  me,  dalla  sua  destra  il  fianco 
Sendo  percosso,  e  riaperto  il  core. 

Pur  risanata  in  cotal  guisa  almanco 
Colpo  di  ferro  ayria  piaga  d'  amore: 
Ed  or  la  mente  in  pace,  e  '1  corpo  stanco 
Riposeriansi  ;  e  forse  il  vincitore 
Degnato  avrebbe  il  mio  cenere  e  1'   ossa 
D'  alcun  onor  di  lagrime,  e  di  fossa. 

86.  Ma  lassa,  io  bramo  non  possibil  cosa, 
E  tra  folli  pensier  invan  m'  avvolgo. 
Dunqu'  io  starò  qui  timida  e  dogliosa, 
Com'  una  pur  del  vii  femmineo  volgo? 
Ah  non  starò:  cor  mio,  confida  ed  osa! 
Perchè  1'  arme  una  volta  anch'  io  non  tolgo? 
Perchè  per  breve  spazio  non  potrolle 
Sostener,  benché  sia  debile  e  molle? 

87.  Si ,  potrò ,  sì  !  che  mi  farà  possente 
A  tollerarne  il  peso  amor  tiranno, 

Da  cui  spronati  ancor  s'  arman  sovente 
D'  ardire  i  cervi  imbelli ,  e  guerra  fanno. 
Io  guerreggiar  non  già ,  vo'  solamente 
Far  con  quest'  arme  un  ingegnoso  inganno: 
Finger  mi  vo'  Clorinda,  e,  ricoperta 
Sotto  r  iramagin  sua,  d'  uscir  son  certa. 

88.  Non  ardirieno  a  lei  far  i  custodi 
Dell'  alte  porte  resistenza  alcuna. 

10  pur  ripenso,  e  non  veggio  altri  modi. 
Aperta  é,  credo,  questa  via  sol'  una. 
Or  favorisca  le  innocenti  frodi 

Amor,  che  le  m'  inspira,  e  la  fortuna. 
E  ben  al  mio  partir  comoda  è  1'   ora, 
Mentre  col  re  Clorinda  anco  dimoro. 

89.  Così  risolve,  e  stimolata  e  punta 
Dalle  furie  d'  amor  più  non  aspetta. 
Ma  da  quella  alla  sua  stanza  congiunta 
L'  arme  involate  di  portar  s'  affretta. 

E  far  lo  può;  che,  quando  ivi  fu  giunta. 
Die'  loco  ogni  altro ,  e  si  restò  soletta. 
E  la  notte  i  suoi  furti  ancor  copria, 
Ch'  a'  ladri  amica  ed  agli  amanti  uscla. 

90.  Essa  veggendo  il  ciel  d'  alcuna  stella 
Già  sparso  intorno  divenir  più  nero, 
Senza  frapporvi  alcun  indugio  appella 
Secretamente  un  suo  fedel  scudiero, 

Ed  una  sua  leal  diletta  ancella, 
E  parte  scopre  lor  del  suo  pensiero. 
Scopre  il  disegno  della  fuga  e  finge, 
Ch'  altra  cagione  a  dipartir  1'  astringe. 

91.  Lo  scudiero  fedel  subito   appresta 
Ciò  eh'  al  lor  uopo  necessario  crede. 
Erminia  intanto  la  pomposa  vesta 

Si  spoglia,  che  le  scende  insino  al  piede, 
E  in  ischietto  vestir  leggiadra  resta, 
E  snella  sì ,  eh'  ogni  credenza  eccede, 
Kè ,  trattane  colei,  eh'  alla  partita 
Scelta  8'  avea  compagna,  altra  1'  aita. 

92.  Col  durissimo  acclar  preme  ed  offende 

11  delirato  colb»  e  1'  ììihhsi  cliioma; 
E  la  tenera  man  lo  scudo  prende, 

Pur  troppo  grave  e  iiisopportabil  soma. 

Così  tutta  di  ferro  intorno  splende, 

E  in  atto  militar  sé  st(v<sa  doma. 

Gode  Amor  eh'  e  presente,  e  tra  sé  ri;!p. 

Come  allor  già  eh'  avvolte  in  gonna  Alcide. 


■31 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (VI.  93—108) 


[7*] 


,      Oh  cnn  quanta  fatica  ella  sostiene  IlOl 

L'  inpg^tiiil  peso,  e  move  lenti  i  passi!  j. 

K»l  alla  fida  compagnia  s'  attiene, 
Che  per  appogs:'»  andar  dinanzi  fassi. 
Ma  rinforzm  i;li  fjpirti  amore  e  spene, 
E  ministran  vigore  ai  membri  lassi, 
Siccliè  giungono  al  loco ,  ove  le  aspetta 
Lo  scudiero  ,  e  in  arcion  sagliono  in  fretta. 

Travestiti  ne  vanno,  e  la  più  ascosa  103 

E  più  riposta  via  prendono  ad  arte. 
Pur  s'  avvengono  in  molti,  e  1'  aria  ombrosa       j 
Veggion  lucer  di  ferro  in  ogni  parte.  I 

Ma  impedir  lor  viaggio  alcun  non  osa,  } 

E  cedendo  il  sentier  ne  va  in  disparte: 
Cile  quel  candido  ammanto ,  e  la  temuta 
Insegna  anco  neil'  ombra  è  conosciuta. 

9.      Erminia,  benché  quivi  alquanto  sceme  103 

Del  dubbio  suo,  non  va  però  secura: 
Che  d'  essere  scoperta  alla  fin  teme, 
E  del  suo  troppo  ardir  sente  or  paura. 
Ma  pur  giunta  alla  porta  il  timor  preme, 
Ed  inganna  colui,   che  n'  ha  la  cura. 
Io  son  Clorinda,  disse;  apri  la  porta! 
Che  1  re  m'  invia,  dove  1'  andare  importa. 

5.      La  voce  femminil,  sembiante  a  quella  104, 

Della  guerriera,  agevola  l'  inganno.  I 

(Chi  crederla  veder  armata  in  sella  j 

Una  dell'  altre,  eh'  armi  oprar  non  sanno!")  i 

Sicché  '1  portier  tosto  ubbidisce,  ed  ella  , 

K'  esce  veloce,  e  i  duo,  che  seco  vanno;  j 

E  per  lor  sicurezza  entro  lo  valli 
Calando  prcndon  lunghi  obliqui  calli. 

7.      Ma  ,  poich'  Erminia  in  solitaria  ed  ima  105, 

Parte  si  vede,  alquanto  il  corso  allenta: 
Che  i  primi  rischj  aver  parsati  estima, 
>'è  d'  esser  ritenuta  ornai  paventa.  ' 

Or  pensa  a  quello,  a  che  pensato  in  prima 
Kon  bene  aveva  ;  ed  or  le  &'  appresenta 
Difficil  più,  eh'  a  lei  non  fa  mostrata 
Dal  frettoloso  suo  dcsir,  1'  entrata. 

i.      Vede  or ,  che  sotto  '1  militar  sembiimte  106 

Ir  tra'  feri  nemici  è  gran  follia  : 
Né  d'  altra  parte  palesarsi  avante 
CIi'  al  suo  signor  giungesse ,  altrui  vorria. 
A  lui  secreta  ed  improvvisa  amante 
Con  secura  one»là  giunger  desia. 
Onde  si  ferma,  e  da  miglior  p(;nsi<TO 
Fatta  più  cauta,  parla  al  suo  scudiero: 

).      Essere,  oh  mio  fedele,  a  te  conviene  107 

Mio  prccursor;  ma  sii  pronto  e  sagace! 
Vattene  al  campo,  e  fa  eh'  alcun  ti  meno 
E  t'  introduca,  ove  Tancredi  giace! 
A  cui  dirai,  die  donna  a  lui  ne  viene. 
Che  gli  apporta  salute,  e  chiede  pace; 
Pace,  posciaclr  amor  guerra  mi  move, 
Ond'  ci  salute,  io  refrigerio  Irove. 

E  eh'  essa  ha  in  lui  sì  certa  e  viva  fede,  108, 

Ch'  in  sim  poter  non  teme  (uita,  né  scorno. 
Di'  sol  questo  a  lui  solo,  e  s'  altro  ci  cliiede, 
Di'  non  saperlo,  e  udreltii  il  tuo  rilurno! 
lo  («he  questa  mi   par  secura  sede) 
In  que>lo  mez/.o  qui  farò  soggiorno. 
Cisì  disse  la  donna,  e  quel  leale  i 

Già  vduco  cuMÌ ,  come  uvcshc  ulc,  I 


E  seppe  in  guisa  oprar,  eh'  amicamente 
Entro  ai  chiusi  ripari  ei  fu  raccolto, 
E  poi  condotto  al  cavalier  giacente, 
Che  r  ambasciata  udì  con  lieto  volto. 
E  già  lasciando  ei  lui,  che  nella  mente 
Mille  dubbj  pensieri  avea  rivolto, 
Ne  riportava  a  lei  dolce  risposta, 
Ch'  entrar  potrà ,  quanto  più  lice ,  ascosta. 

Ma  ella  intanto  impaziente,  a  cui 
Troppo  ogni  indugio  par  nojoso  e  greve. 
Numera  fra  sé  stessa  i  pas?i  altrui, 
E  pensa:  or  giunge,  or  entra,  or  tornar  deve. 
E  già  le  sembra,  e  se  ne  duol,  colui 
I\Ien  del  solito  assai  spedito  e  leve. 
Spingesi  alfine  innanzi,  e  'n  parte  ascende, 
Onde  comincia  a  discoprir  le  tende. 

Era  la  notte,  e  il  sno  stellato  velo 
Chiaro  spiegava  e  senza  nube  alcuna; 
E  già  spargea  rai  luminosi  e  gelo 
Di  vive  perle  la  sorgente  luna. 
L'  innamorata  donna   iva  col  cielo 
Le  sue  fiamme  sfogando  ad  una  ad  una, 
E  secretar]  del  suo  amore  antico 
Fea  i  muti  campi,  e  quel  silenzio  amico. 

Poi  rimirando  il  campo  ella  dicea: 
Oh  belle  agli  occhj  miei  tende  latine  ! 
Aura  spira  da  voi ,  che  mi  ricrea, 
E  mi  conforta,  purché  m'  avvicine. 
Così  a  mia  vita  combattuta  e  rea 
Qualche  onesto  riposo  il  cicl  destine, 
Come  in  voi  solo  il  cerco,  e  solo  panni. 
Che  trovar  pace  io  possa  in  mezzo  all'  anni  ! 

Raccogliete  me  dunque,  e  in  voi  si  trovc 
Quella  pietà,  che  mi  promise  amore, 
E  eh'  io  già  vidi  prigioniera  altrove 
Nel  mansueto  mio  dolce  signore! 
Né  già  de^io  di  racquistar  mi  move 
Col  favor  vostro  il  mio  regale  onore. 
Quando  ciò  non  avvenga ,  assai  feli<e 
Io  mi  terrò  ,  se  'n  voi  servir  mi  lice. 

Così  parla  costei ,  che  non  prevede, 
Qual  dolente  fortuna  a  lei  e'  appre^te. 
Ella  era  in  parte,  ove  per  dritto  ficde 
L'  armi  sue  terj.e  il  bel  raggio  celeste, 
Sicché  da  lunge  il  lampo  lor  si  vede 
Col  bel  candor,  che  le  circonda  e  veste, 
E  la  gran  tigre  nelT   argento  im|lres^a 
Fiammeggia  »i,  eh'  ognun  direbbe  :  è  dessa. 

Come  volle  sua  sorte,  assai  vicini 
gioiti  guerrier  di^-po.-ti  avian  gli  agguati, 
E  n'  eran  (luti  duo  fraici  latini, 
Alcandro  e  roliferno;  e  lur  maiubiti 
Per  impedir,  che  dentro  ai  Saraciiii 
(•regge  non  siano,  e  non  ^ian  buoi  menali. 
E  se  "l  servo  j)asso,  fu  perché  tor>e 
Più  lunge  il  pasMi ,  e  rapido  tras«;orse. 

Al  giovin  Pollferno,  a  cui   fu   il  pndrc 
Sugli  (icrbj  suoi  già  da  Cloiiuda  ucci>o, 
\\<lv  le  s|»ogli<!  «Modide  e  leggiadre, 
l'u  di  veder  l'  alla  guerriera  avviso. 
1']  coutra  le  irritò  1'   occulte  squadre. 
Né  fren.tndo  dei  cor  molo  improvviso, 
((Jonr  era  in  stut  furor  subito  e  lolle) 
(iridò:  »'*!  morta!  e  I'  asta  iiivun  luncinlle. 


[75]      GERUSALEMME  LIBERATA.    (VI.  109—114.  VII.  1— «)     [76] 


109.  Siccome  cerva,  che  assetata  il  passo 
Mova  a  cercar  d'  acque  lucenti  e  vive, 
Ove  un  bel  fonte  distillar  da  un  sasso, 
O  vide  un  fìuine  tra  frondose  rive, 

Se  incontra  i  cani  allok-,  die  '1  corpo  lasso 
Ristorar  crede  all'  onde,  all'  ombre  estive, 
Volge  indietro  fuj2:gendo,  e  la  paura 
La  stanchezza  obbliar  face  e  1'  arsura: 

110.  Co-ì  costei ,  che  dell'  amor  la  sete. 
Onde  1    infermo  core  è  sempre  ardente, 
Spejiner  nell'  accoglienze  oneste  e  liete 
Credeva,  e  riposar  la  stanca  mente. 

Or ,  che  contra  le  vien  chi  nr|iel  diviete, 
E  '1  suon  del  ferro  e  le  minacce  sente, 
Sé  stessa  e  '1  suo  desir  priuio  abbandona, 
E  'l  veloce  destrier  timida  sprona. 

111.  Fugge  Erminia  infelice,  e  '1  suo  destriero 
Con  prontissimo  piede  il  suol  calpesta. 
Fugge  ancor  i'  altra  donna,  e  lor  quel  fiero 
Con  moki  armati  di  seguir  non  resta. 
Ecco,  che  dalle  tende  il  Imon  scudiero 

Con  la  tarda  novella  arriva  in  questa, 

E  r  altrui  fuga  ancor  dubbio  accompagna, 

E  li  sparge  il  timor  per  la  campagna. 


112.  Ma   il  più  saggio  fratello,   ii  quale  anch'  csjo 
La  non  vera  Clorinda  avea  veduto, 

Non  la  volle  seguir,  eh'  era  men  presso, 

Ma  neir  insidie  sue  s'  è  ritenuto, 

E  mandò  t;on  1    avviso  al  campo  un  messo. 

Che  non  armento  od  animai  lanuto, 

]\è  preda  altra  simil,  ma  eh'  è  seguita 

Dal  suo  german  Clorinda  impaurita, 

113.  E  eh'  ei  non  crede  già,  né  '1  vuol  ragione, 
Ch'  ella,  eh'  è  duce,  e  non  è  sol  guerriera, 
Elegga  all'  uscir  suo  tale  stagione 

Per  opportunità ,  che  sia  leggiera. 

Ma  giudichi  e  comandi  il  pio  Buglione; 
j         Egli  farà  ciò,  che  da  lui  s'  impera. 

Giunge  al  campo  tal  nova,  e  se  ne  intende 
I         II  primo  suon  nelle  latine  tende. 

jll4.      Tancredi,  cui  dinanzi  il  cor  sospese 

j  Queir  avviso  primiero,  udendo  or  questo. 

Pensa  :  deh  forse  a  me  venia  cortese, 
E  in  periglio  è  per  me:  né  pensa  al  resto, 

I         E  parte  prende  sol  del  grave  arnese. 

Monta  a  cavallo ,  e  tacito  esce  e  presto, 
E ,  seguendo  gì'  indizj  e  1'  orme  nove, 

!        Rapidamente  a  tutto  corgo  il  move. 


CANTO     SETTIMO. 


ARGOMENTO. 

Poiché  lungo  sentiero  Erminia  amante 
Scorso  ha  fuggendo  ,   un  pastorel  V  accoglie, 
ikrcala  invan  Tancredi:  al/in  le  jnantc 
Pone  mal  cauto  entro  incantate  soglie. 
Poscia  sorge  Raimondo  incontra  Argante 
Per  abbassar  le  temerarie  voglie. 
Fa  per  Dio,  Dio  per  lui:  ma  d>  altra  parte 
Move  V  invida  Pluto  e  forza  ed  arte. 


.      Intanto  Erminia  infra  1    ombrose  piante 
D'  antica  selva  dal  cavallo  è  scorta, 
IVè  più  governa  il  fren  la  man  tremante, 
E  mezza  quasi  par  tra  ^iva  e  morta. 
Per  tante  strade  si  raggira  e  tante 
II  corridor,  ehe  'n  sua  balia  la  porta, 
Cir  alfin  dagli  occhj  altrui  pur  si  dil.■gui^ 
Ed  è  ,(»vercliio  omai ,  eh'  altri  la  segua. 

• ,,,  *^"'''  '.'"l"»  hinga  e  faticosa  caccia 
J  orIUlM^i  mesti  ed  anelanti  i   cani, 
Clic  la  fera  perduta  abbiau  di  traccia 
Nascosa  in  s.lva  dagli  aperti  piani, 
lai  pieni  d'  uà  e  di  vergogna  in  faccia 
Kiedono  stanchi  i  .avalier  cristiani. 
Ella  pur  higg,-,  e  ti,„idii  e  smarrita 
Non  SI  volge  a  mirar,  »'  anco  è  seguita. 


3.  Fuggì  tutta  la  notte,  e  tutto  il  giorno 
Errò  senza  consiglio  e  senza  guida, 
Non  udendo,  o  vedendo  altro  d'  intorno. 
Che  le  lagrime  sue,  che  le  sue  strida. 
31a  neir  ora,  che  '1  sol  dal  carro  adorno 
Scioglie  i  corsieri,  e  in  grembo  al  mar  s'  annida 
Giunse  del  bel  Giordano  alle  chiare  acque, 

E  scese  in  riva  al  fiume,  e  qui  si  giacque. 

4.  Cibo  non  prende  già,  che  de'  suoi  mali 
Solo  si  pasce,  e  sol  di  pianto  ha  sete; 
Ma    l  sonno ,  che  de'  miseri  mortali 

È  col  suo  dolce  obblio  posa  e  quiete, 
Sopì  co'  sensi  i  suoi  dolori ,  e  l'  ali 
Dispiegò  sovra  lei  placide  e  chete; 
Nò  però  cessa  amor  con  varie  forme 
La  sua  pace  turbar,  menlr'  ella  dorme. 

5.  Non  si  destò,  finché  garrir  gli  augelli 
Non  sentì  lieti,  e  salutar  gli  albori, 

E  mormorare  il  fiume  e  gli  arboscelli, 
E  con  r  onda  scherzar  I'  aura  e  co'  fiorL 
Apre  i  languidi  lumi,  e  guarda  quelli 
Alberghi  M>litarj  de'  pastori, 
E  parie  voce  uscir  tra  1'  acqua  e  i  rami, 
Cir  ai   sospiri  ed  al  pianto  la  richiami. 

6.  Ma  son,  mentr'  ella  piange,  ì  suoi  lamenti 
Rotti  da  un  chiaro  suon ,  eh'  a  lei  ne  viene, 
Che  sembra,  ed  é  di  |)astorali  accenti 

Misto  ,  e  di  boscarecce  incnlte  avene. 
Risorge ,  e  là  s'  indrizza  a  passi  lenti, 
E  vede  un  uom  canuto  all'  ombre  amene 
'l'cssar  fiscelle  alla  sua  greggia  accanto, 
Ed  ascoltar  di  tre  fanciulli  il  canto. 


ì 


1. 


^7] 


GERUSALEMME  LIBERATA.      (VII.  7—22) 


[78] 


7.  Vedendo  qui%ì  comparir  repente 
Le  insolite  arme,  sbijjottìr  co.<toro; 
Ma  li  saluta  Erminia,  e  dolcemente 

Lì  affida,  e  gli  occlij  scopre,  e  i  bei    crin  d'  oro. 
Seguite,  dice,  avventurosa  gente, 
Al  ciel  diletta,  il  bel  vostro  lavoro! 
Che  non  portano  già  guerra  qucst'  armi 
All'  opre  vostre,  ai  vostri  dolci  carrai. 

8.  Soggiunse  poscia:  oh  padre,   orche  d'  intorno 
D'  alt»  incendio  di  guerra  arde  il  paese. 
Come  qui  state  in  jilacido  soggiorno 

Senza  temer  le  militari  offese? 
Figlio,  ci  rispose,  d'  ogni  oltraggio  e  scorno 
La  mia  famiglia  e  la  mia  greggia  illese 
Sempre  qui  l'ùr:  né  strepito  di  Marte 
Ancor  turbò  questa  remota  parte. 

9.  0  sia  grazia  del  ciel ,  che  V  umiltado 
D'  innocente  pastor  sahi  e  sublime. 

O  che ,  siccome  il  folgore  non  cade 
In  basso  pian ,  ma  sull'  eccelse  cime  ; 
Cosi  il  furor  di  jìcregrine  spade 
Sol  de'  gran  re  1'  altere  teste  opprime  : 
Xè  gli  avidi  soldati  a  preda  alletta 
La  nostra  po^ertà  vile  e  negletta  — 

.0.     Altrui  vile  e  negletta:  a  me  si  cara. 
Che  non  bramo  tesor ,  nò  regal  verga; 
ISè  cura  o  voglia  ambi/iosa,  o  avara 
Mai  nel  tranquillo  del  mio  petto  alberga. 
Spengo  la  sete  mia  mU'  acqua  chiara, 
Che  non  tem'  io  che  di  vcnen  s'  asperga; 
E  questa  greggia,  e  1'  orticel  dispensa 
Cibi  non  compri  alla  mia  parca  mensa: 

1.  Che  poco  è  il  desiderio ,  e  poco  è  il  nostro 
Bisogno ,  on«Ie  la  vita  si  conservi. 

Son  figli  miei  questi,  che  addito  e  mostro. 
Custodi  della  mandra,  e  non  ho  ser\i. 
Così  men  vivo  in  solitario  chiostro, 
Saltar  veggendo   i  capri  snelli  e  i  cervi, 
Ed  i  pesci  guizzar  dì  questo  fiume, 
E  spiegar  gli  augellettì  al  ciel  le  piinnc. 

2.  Tempo  già  fu,  quando  più  V  uom  vaneggia 
Neil'   età  prima,  eh'  el)bi  altro  de.-i'o, 
E  disdegnai  di  pasturar  la  greggia, 
E  fuggii  dal  paese  a  me  natio; 
E  vis.»i  in  Menfi  un  tempo,  e  nella  reggia 
Fra  i  ministri  del  re  fui  posto  anch'  io, 
E  benché  fossi  guardian  degli  orti. 
Vidi  e  conobbi  pur  l'  inique  corti. 

3.  E  lusingato  da  speranza  ardita 
SoU'rii  lunga  stagiou  ciò  clic;  più  spiacc. 
3Ia  |>(>i(-ir  insieme  con  V  età  fiorila 
Mancò  la  speme ,  e  la  baldanza  atulace, 
Piansi  i  riposi  di  (jiicst'  umil  \itii, 
E  sospirili  la  mia  pcniuta  pace, 
E  dissi:  oh  (Mirle,  addio!  (Joȓ   agli  amici 
Boschi  tornando  ho  tratto  i  dì  felici. 

i.      Mentre  ci  «-osi  ragidna ,   l'irmiiiia  penile 
Dalla  doa^e  bocca  intenta  <■  cheta, 
E  quel  saggio   parlar,   di'   al   cor  le  scende, 
De'  sensi  in   piirte  le  procelle  ai(|ii((a. 
Dopo  molto   pensar,  consiglio  prende 
In  i|uella  solilndiiie  si-creta 
Insiiio  a  tanto  alinen  farne  soggiorno, 
Ch'  agevoli  fortuna  il  euu  ritorno. 


15.  Onde  al  buon  vecchio  dice:  oh  fortunato, 
Ch'  un  tempo  conoscesti  il  male  a  prova 
Se  non  t'  invidj  il  ciel  sì  dolce  stato. 
Delle  miserie  mie  pietà  ti  mova, 

E  me  teco  raccogli  in  questo  grato 
Albergo,  eh'  abitar  teco  mi  giova! 
Forse  fia,  che  '1  mio  core  infra  qiiest'  ombre 
Del  suo  peso  mortai  parte  disgombre. 

16.  Che,  se  di  gemme  e  d'  or,  che  "l  vulgo  adora 
Siccome  idoli  suoi,  tu  fossi  vago. 

Potresti  ben-,  tante  n'  ho  meco  ancora. 
Renderne  il  tuo  de?io  contento  e  pago. 
Quinci  versando  da'  begli  occhj   Inora 
Lmor  di  doglia  cristallino  e  vago. 
Parte  narrò  di  sue  fortune  ,  e  intanto 
Il  pietoso  pastor  pianse  al  suo  pianto. 

17.  Poi  dolce  la  consola,  e  sì  1"  accoglie. 
Come  tutt'  arda  di  paterno  zelo, 

E  la  conduce  ov'  è  l'  antica  moglie. 
Che  di  conforme  cor  gli  ha  data  il  cielo. 
La  fanciulla  regal  di  rozze  spoglie 
S'  ammanta,  e  cinge  al  crin  ruvido  velo; 
3Ia  nel  moto  degli  occhj  e  delle  membra 
Non  già  di  boschi  abitatrice  sembra. 

18.  Non  copre  abito  vii  la  nobil  luce, 

E  quanto  è  in  lei  d'  altero  e  di  gentile; 
E  fuor  la  maestà  regia  traluce 
Per  gli  atti  ancor  dell'  esercizio  umile. 
Guida  1.1  greggia  ai  paschi,  e  la  riduco 
Con  la  ))Overa  verga  al  chiuso  ovili-, 
Yi  dall'  irsute  mamme  il  latte  preme, 
E  'n  giro  accolto  poi  lo  stringe  insieme. 

19.  Sovente  allor  che  sugli  estivi  ardori 
Giacean  le  pecorelle  all'  ombra  assise. 
Nella  scorza  de'  faggi  e  degli  allori 
Segnò  r  amato  nome  in  mille  guise, 
E  de'  suoi  strani  ed  infelici  amori 

Gli  aspri  successi  in  mille  piante  incl<r. 
E,  in  rili-gjjendo  poi  le  proprie  note. 
Rigò  di  belle  lagrime  le  gote. 

20.  Posiùa  dicea  piangendo:  in  voi  serbatt» 
Questa  dolente  istoria,  amii-lie  piante! 
Percliè,  se  fia.  eh'  alle  vostr'  oiulire  grate 
Giammai  soggiorni  alcun  fedeli-  uiiiantc. 
Senta  svegliarsi  al  cor  dolce  |ii(-tate 
Delle  sventure  mie  sì  varie  e  tante; 

E  dica:  ah  troppo  ingiusta  «lupi.»  mern-de 
Die'  fortuna  ed  amore  a  sì  gran  fede  ! 

21        Forse  avverrà,  se  'I  ciel  beiiigim  ascolta 
Aflettuo^o  alcun  prego  mortale. 
Che  venga  in  queste  selve  anco  talvolta 
Quegli,  a   cui  di  me  forse  or  nulla   c>ile, 
E  .   rivolgendo  gli   occlij  ,  ove  sepolta 
(ìiacerà  questa  spoglia  inferma  e  frale, 
l'ardo  premio  conceda  a'  mici  martiri 
Di   poche  lagrimcllc  e  di  sospiri. 

22.      Onde,  se  in  vita  il  cor  misero  file. 
Sia  lo  spirito  in  morte  aimcn   felice: 
E     1   cciicr  freddo  delle  fiamme  Mie 
(ìoila  quel,  eh'   or  godere  a  me  non  liue  ! 
Cosi   ragiona  ai  sordi  Iroiicbi  ,  e  due 
l'oliti  di    pianto  da'  begli  occhj   elice. 
Tancredi  intanto ,  ove  fortuna  il  lira. 
Lungo  dn  lei  per  loi  seguir  «'  aggira. 


[T9j 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (VII.  23—38) 


[80] 


23.  Egli,  seg-uendo  le  vestigia  impresse, 
Rivolse  il  corso  alla  selva  vicina. 

Ma  quivi  dalle  piante  orride  e  spesse 

Nera  e  folta  cosi  1'  ombra  dechina, 

Che  più  non  può  raffigurar  tra  esse 

L'  orme  novelle,  e  'n  dubbio  oltre  cammina, 

Porgendo  intorno  pur  1'  orecchie  Intente, 

Se  calpestio ,  se  roraor  d'  armi  sente. 

24.  E  se  pur  la  notturna  aura  perente 
Tenera  fronde  mai  d'  olmo ,  o  di  faggio, 
O  se  fera ,  od  augello  un  ramo  scote, 
Tosto  a  quel  picciol  suon  drizza  il  viaggio. 
Esce  alfin  della  selva ,  e  per  ignote 
Strade  il  conduce  della  luna  il  raggio 

A  orso  un  ronior ,  che  di  lontano  udiva. 
Insinché  giunse  al  loco ,  ond'  egli  usciva. 

25.  Giunse,  dove  sorgean  da  vivo  sasso 
In  molta  copia  chiare  e  lucide  onde; 
E  fattosene  un  rio,  volgeva  a  basso 
Lo  strepitoso  pie  tra  verdi  s|)onde. 
Quivi  egli  ferma  addolorato  il  passo, 

E  chiama,  e  solo  ai  gridi  Eco  risponde; 
E  vede  intanto  con  serene  ciglia 
Sorger  l'  aurora  candida  e  vermiglia. 

2G.      Geme  cruccioso,   e  'ncontra  il  ciel  si   sdegna, 
Che  sperata  gli  neghi  alta  ventura; 
Ma  della  donna  sua,  quand'  ella  vegna 
Offesa  pur ,  far  la  vendetta  giura. 
Di  rivolgersi  al  campo  alfin  disegna. 
Benché  la  via  trovar  non  s'  as.secura: 
Che  gli  sovvien,  che  presso  è  il  dì  prescritto, 
Che  pugnar  dee  col  cavalier  d'  Egitto. 

27.  Partesi ,  e  mentre  va  por  dubbio  calle. 
Ode  un  corso  appressar,  eh'  ognor  s'  avanza, 
Ed  alfine  spuntar  d'  angusta  valle 

Vede  uom,  che  di  corriero  avea  sembianza. 
Scotea  mobile  sferza,  e  dalle  spalle 
Pendea  il  coi-no  sul  fianco  a  nostra  usanza. 
Chiede  Tancredi  a  lui ,  per  quale  strada 
Al  campo  de'  cristiani  indi  si  vadar 

28.  Quegli  italico  parla:  or  là  m'  invio. 
Dove  m'  ha  Boemondo  in  fretta  spinto. 
Segue  Tancredi  lui,  che  del  gran  zio 
Messaggio  stima,  e  crede  al  parlar  finto. 
Giungono  alfin  là.  dove  un  sozzo  e  rio 
Lago  impaluda,  ed  un  castel  n'  è  cinto, 
INella  stagion,  che  '1  sol  par  che  s'  immerga 
Neir  ampio  nido,  ove  la  notte  alberga. 

29.  Suona  il  corriero  in  arrivando  j.l  corno^ 
E  tosto  giù  calar  si  vede  un  ponte. 
Quando  Latin  sia  tu,  qui  far  soggiorno 
Potrai,  gli  dice,  infincbè  '1  sol  rimonte: 
Cile  questo  loco  (e  non  è  il  terzo  giorno) 
Tolse  ai  pagani  di  Cosenza  il  conte. 
Mira  il  loco  il  guerrier,  che  d'  ogni  parte 
Incspugnabil  fanno  il  sito  e  1'  arte. 

30.  Dubita  alquanto  poi,  eh'  entro  sì  forte 
Mii'j^ioiie  alcuno  inganno  occulto  giaccia; 
Ma ,  ct»uie  avvezzo  ai  rischj  della  morte, 
Motto  non  fanne,  e  noi  dimostra  in  faccia: 

Cir  ovunque  il  guidi  elezione,  o  sorto,  | 

Viml,  die  Hocuro  la  sua  destra  il  faccia. 
Pur  r  obbligo,  eh'  egli  ha  d'  altra  battaglia,       i 
Fa,  che  di  uova  imprcba  or  non  gli  caglia,  ! 


31.  Siedi'  incontra  al  castello,  ove  in  un  prato 
II  c(uvo  ponte  si  distende  e  posa, 

Ritiene  alquanto  il  passo,  ed  invitato 
Non  segue  la  sua  scorta  insidiosa. 
Sul  ponte  intanto  un  cavaliero  armato 
Con  sembianza  apparia  fera  e  sdegnosa, 
Ch'  avendo  nella  destra  il  ferro  ignudo 
Li  suon  parlava  minaccioso  e  crudo: 

32.  Oh  tu,  che  (siasi  tua  fortuna,  o  voglia) 
AI  paese  fatai  d'  Armida  arrivo, 

Pensi  indarno  al  fuggire ,  or  1'  arme  spoglia, 
E  porgi  a'  lacci  suiù  le  man  cattive! 
Entra  pur  dentro  alla  guardata  soglia 
Con  queste  leggi,  eh'  ella  altrui  prescrive, 
Kè  più  sperar  di  rivedere  il  cielo 
Per  volger  d'  anni,  o  per  cangiar  di  pelo, 

33.  Se  non  giuri  d'  andar  con  gli  altri  sui 
Contra  ciascun,  che  da  Gesù  s'  a!)pella. 
S'  affisa  a  quel  parlar  Tancredi  in  lui, 
E  riconosce  l'  arnie  e  la  favella. 
Rauibaldo  di  Guascogna  era  costui. 

Che  partì  con  Armida,  e  sol  per  ella 
Pagan  si  fece  ,  e  difensor  divenne 
Di  queir  usanza  rea,  eh'  ivi  si  tenne. 

34.  Di  santo  sdegno  il  pio  guerrier  si  tinse 
Nel  volto,  e  gli  rispose:  empio  fellone! 
Quel  Tancredi  son  io,  che  '1  ferro  cinse 
Per  Cristo  sempre,  e  fu  di  lui  campione, 
E  in  sua  virtute  i  suoi  rubelli  vinse. 
Come  vo' ,    che  tu  voggia  al  paragone; 
Che  dall'  ira  del  ciel  ministra  eletta 

È  questa  destra  a  far  in  te  vendetta. 

35.  Turbossi  udendo  il  glorioso  nome  \ 
L'  empio  guerriero ,  e  scolorissi  in  viso  : 
Pur,  celando  il  timor,  gli  disse:  or  come 
elisero  vieni,  ove  rimanga  ucciso.-' 

Qui  saran  le  tue  forze  oppresse  e  dome, 

E  questo  altero  tuo  capo  reciso  ; 

E  manderollo  ai  duci  franchi  in  dono, 

S'  altro  da  quel,  che  soglio,  oggi  non  sono. 

36.  Cosi  dice  il  pagano:  e  perchè  il  giorno 
Spento  era  ornai ,  sicché  vedcasi  appena. 
Apparir  tante  lampade  d'  intorno, 

Che  ne  fu  1'  aria  lucida  e  serena. 
Splende  il  castel ,  come  in  teatro  adomo 
Suol  fra  notturne  pompe  altera  scena; 
Ed  in  eccelsa  parte  Armida  siede, 
Onde,  senz'  esser  vista,  ed  ode  e  vedo. 

37.  II  magnanimo  eroe  frattanto  appresta 
Alla  fera  tenzon  1'  arme  e  1'  ardire, 
Né  sul  debil  cavallo  assiso  resta, 

Già  veggcndo  il  nemico  a  pie  venire. 

Vion  chiuso  nello  scudo,  e  1'  elmo  ha  in  teeta 

La  spada  nuda,  e  in  atto  è  di  ferire. 

Gli  move  incontra  il  principe  feroce 

Con  occhj  torvi ,  e  con  terrihil  voce.  1 

38.  Quegli  con  larghe  ruote  aggira  ì  passi 
Strotto  neir  armi,  e  colpi  accenna,  e  finge. 
Questi ,  sebbcn  ha  i  membri  infermi  e  lasii. 
Va  risoluto,  e  gli  s'  appressa  e  stringo, 
E  là,  donde  Rambaldo  addietro  fassi, 
Voliicissiuiamcnt<!  egli  si  sjiinge, 
E  s'  avanza  e  T  incalza,  e  fulminando 
Spesso  alla  vL^ta  gli  dirizza  il  brando. 


«1] 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (VII.  S9— 54) 


[82] 


E  più  eli'  altrove  impeti'ioso  fere, 
Ove  più  di  vital  formò  natura, 
Alle  percosse  le  niinacfc  altere 
Accotnpaf^nanilo,  e  '1  danno  alla  paiira. 
Di  qna  di  là  si  volfje,  e  sue  Iegp;iere 
Mcnibra  il  presto  Guascone  ai  colpi  fura, 
E  cerca  or  con  lo  scudo,  or  con  la  spada, 
Che  '1  nemico  furore  indarno  cada. 

0.      Ma  veloce  allo  schermo  ei  non  è  tanto, 
Cile  più  r  altro  non  sia  pronto  all'  oii'cie. 
Già  spezzato  lo  scudo ,  e  1'  elmo  infranto, 
E  forato  e  sanguijjno  avea  1'  arnese; 
E  colpo  alcun  de'  suoi ,  che  tanto  o  quanto 
Impiagasse  il  nemico,  anco  non  sce^e, 
E  teme,  e  gli  rimorde  insieme  il  core 
Sdegno ,  vergogna  ,  coscienza ,  amore. 

Dispon^i  allin  con  disperata  guerra 
Far  prova  ornai  dell'  ultima  fortuna. 
Gitta  io  scudo,  ed  a  due  mani  afferra 
La  spada,  eh'  è  di  sangue  ancor  digiuna, 
E  col  nemico  suo  si  stringe  e  serra, 
E  cala  un  colpo;  e  non  v'  è  pia^tra  alcuna, 
Che  gli  resista  >\,  che  grn\e  angoscia 
Kon  dia  piiigando  alla  sinistra  coscia. 

,     E  poi  suir  ampia  fronte  il  ripercote, 
Siccliè  'l  picchio  rimbomba  in  suon  di  squilla. 
L'  elmo  non  fende  già ,  ma  lui  ben  scote. 
Tal  eh'  egli  si  rannicchia  e  ne  vacilla. 
Infiamma  d'  ira  il  principe  le  gote, 
E  negli  occhj  di  foco  arde  e  sfavilla, 
E  f!U)r  della  visiera  escono  ardeuti 
Gli  sguardi,  e  insieme  lo  stridor  de'   denti. 

3,  11  perfido  pagan  già  non  sostiene 
La  vista  pur  di  sì  leroce  aspetto. 
Scote  fischiare  il  ferro,   e  tra  le  vene 

Già  gli  sembra  d'  averlo,  e  in  mezzo  al  petto. 
Fugge  dal  colpo  ;   e  '1  colpo  a  cader  viene. 
Dove  un  pilastro  è  contra  il  |)onte  eretto. 
Re  van  le  schegge  e  le  scintille  al  ciclo, 
E  passa  al  cor  del  traditore  un  gelo. 

4.  Onde  al  ponte  rifugge,  e  sol  nel  corso 
Della  saluto  sua  pone  ogni  speme. 

ftla  '1  seguita  Tancredi ,  e  già  sul  dorso 

La  man  gli  stende,  e  il  piò  col  piò  gli  preme. 

Quando  ec(;o  (al  fuggitivo  alto  soccorso) 

Sparir  le  faci  ed  ogni  stella  insieme, 

Rè  rimaner  all'  orba  notte  alcuna 

Sotto  povero  ciel  luce  di  luna. 

Fra  r  ombre  della  notte  e  degl'  incanti 
Il  viucitor  noi  segue  più  ,  né  'I  vede, 
Rè  può  cosa  v(uier^i  allato,  o  axaiiti, 
E  niu(»\e  dubliio  e  mal  seciu'o  il  |)i(!dc. 
Sul  limitar  d'   ui\  u>('io  i  |)as>i  erranti 
A  «a-o  niettrr,  nò   d'   entrar  k'  a\>ede. 
Ma  sente  poi,  che  suona  a  lui  diretro 
La  porta,  e  in  loco  il  serra  os('ui'o  e  tetro. 

Como  il  pesc(!  colà,  dov<!  impaluda 
Ne'  s(-ni   di  (Jomaccliio  il   nostro  mare, 
Fugge  dall'   onda  im|>etuosa  <^  cruilii, 
('crc.indt)  in   placid*;  acipie,  o\e  rijìaro, 
E   y'ini,  vìw  da  sé  ^tesso  ei  si  rincliiudu 
in  palustre  prigion ,   né  può   toinare; 
C'Iiè  (|U(d  serraglio  è  con  mirabii   uso 
Sempre  ull'  entrar  aperto,  ulf  u»cir  diluito: 


48. 


47.     Cosi  Tancredi  allor  (qual  che  sì  fosse 
Dell'  estrania  prigion  1'  ordigno  e  1'  arte) 
Entrò  per  sé  raedesmo ,  e  ritrovosse 
Poi  là  rinchiuso,  ond'  uom  per  se  non  parte. 
Ben  con  robusta  man  la  porta  scosse; 
Ria  fur  le  sue  fatiche  indarno  sparte: 
E  voce  intanto  udì,  che:  indarno,  grida, 
Uscir  procuri,  oh  prigionier  d'  Armida! 

Qui  menerai  (non  temer  già  di  morte!) 
Nel  sepolcro  de'  vivi  i  giorni  e  gli  anni. 
Non  risponde,  ma  preme  il  guerrier  forte 
Nel  cor  profondo  i  gemiti  e  gli  affanni: 
E  fra  sé  stesso  accusa  amor,  la  sorte. 
La  sua  sciocchezza ,  e  gli  altrui  feri  inganni, 
E  talor  dice  in  taciìe  parole  : 
Lieve  perdita  fia  perdere  il  sole  ; 

49.      Ma  di  più  vago  sol  più  dolce  vista, 
IVIisero,  io  perdo;  e  non  so  già,  se  mai 
In  loco  tornerò ,  che  i'  alma  trista 
Si  rassereni  agli  amorosi  rai. 
Poi  gli  sovvien  d'  Argante,  e  più  s'  attrista, 
E  troppo,  dice,  al  mio  dover  mancai, 

:  Ed  è  ragion ,  eh'  ei  mi  disprezzi  e  schema. 

I  Oh  mia  gran  colpa!  oh  mia  vergogna  eterna! 

j    50.      Così  d'  amor,  d'  onor  cura  mordace 
I  Quinci  e  quindi  al  guerrier  1'  animo  rode. 

Or,  mentre  egli  s'  affligge.  Argante  audace 
Le  molli  piume  di  calcar  non  gode. 
Tanto  è  nel  crudo  petto  odio  di  pace, 
Cupidigia  di  sangue ,  amor  di  lode. 
Che,  delle  piaghe  sue  non  sano  ancora, 
Brama ,  che  '1  sesto  di  porli  1'  aurora. 

51.  La  notte,  che  precede,  il  pagan  fero 
Appena  inchina  per  dormir  la  fronte, 

E  sorge  poiché    1  ciclo  anco  é  sì  nero, 
(]he  non  dà  luce  in  sulla  cima  al  monte. 
Recami  1'  arme!  grida  al  suo  scudiero, 
E  quegli  aveale  apparecchiate  e  pronte, 
Non  le  solite  sue,  ma  dal  re  sono 
Dategli  queste,  e  prezioso  è  il  dono. 

52.  Senza  molto  mirarle  egli  le  prende, 
Né  del  gran  peso  é  la  persona  onusta, 
E  la  solita  spada  al  fianco  appende, 
Ch'  è  di  tempra  fìnisrima  e  vetusta. 
Qual  con  le  chiome  sanguinose  orrende 
^Sl^lcnder  cometa  suol  per  V  aria  adusta, 

(  lie  i  regni  muta,  e  i  feri  morbi  adduce, 
Ai  purpurei  tiranni  infausta  luce; 

53.  l'ai  neir  arme  ei  fiaunncggia,  e  bieche  e  torte 
Volge  le  luci  ebbre  di  sangue  e  d'   ira. 
Spirano  <;li  atti  l'eri  orrcu-  ili  morte, 

ì'j  minaccia  di  morte  il  volto  spira. 

Alma  non  é  cosi  secura  e  forte, 

i'ìw  non  parenti,  o\v.  un  sol  guardo  gira. 

Nuda  ha  la  sjiada ,  e  l.i  solleva  e  sc(Ue 

(iridando,  e  1'  aria  e  1'  ombre  in  van  pcrcote. 

51.      Bentosto,  dice,  il  predator  ^ri^tiano, 

Cir  audace  «  m,  eh'  a  me  vuol  agguagliarsi, 

Caderà  vinto  e  s.iuguinoso  al  piiino, 

lìruttanilo  nella  pol\o  i  crini  t>par.>i; 

E  vedrà,   \i\o  ancor,  «la  «pu'^tii  mano 

Ad  onta  di-I  nuo  Dio   I'   arnu;  spogliar>i; 

Né  miircudo  impetrar  potrà  co'   preghi, 

Che  in  pa^'tu  u'  cani  le  sue  membra  iu  neghi. 


[83] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (VII    55—70) 


[«4- 


55.  Non  altramente  il  tauro ,  ove  1'  miti 
Geloso  amor  con  stimoli  |Hingenti,^ 
Orribilmente  mug^p^e,  e  co'  muggiti 

Gli  spirti  in  se  risveglia,  e  1'  ire  ardenti, 
E  '1  corno  aguzza  ai  tronchi,  e  par  eh'  inaiti 
Con  vani  colpi  alla  battaglia  i  venti, 
Sparge  col  pie  1'  arena,  e  '1  suo  rivale 
Da  lunge  sfida  a  guerra  aspra  e  mortale. 

56.  Da  sì  fatto  furor  commosso   appella 

L'  araldo   e  ciui  parlar  tronco  gì'  impone: 
Vattene  al  campo,  e  la  battaglia  fella 
Nunzia  a  colui ,  eh'  è  dì  Gesù  campione  ! 
Quinci  alcun  non  aspetta,  e  monta  in  sella, 
E  fa  condursi  innanzi  il  suo  prigione. 
Esce  fuor  della  terra,  e  per  lo  colle 
In  corso  vien  precipitoso  e  folle. 

57.  Dà  fiato  intanto  al  corno,  e  n'  esce  il  suono, 
Che  d'  ogni  intorno  orribile  s'  intende, 

E  in  guisa  pur  di  strepitoso  tuono 

Gli  orecchi  e  '1  cor  degli  ascoltanti  offende. 

Già  i  principi  cristiani  accolti  sono 

iVella  tenda  maggior  dell'  altre  tende. 

Qui  fé'  r  araldo  sue  disfide,  e  incluse 

Tancredi  pria,  né  però  gli  altri  escluse. 

58.  Goffredo  intorno  gli  ocrlij  gravi  e  tardi 
Volge  |Con  mente  allor  dub!>ia  e  sospesa, 
Né,  perchè  molto  pensi,  e  molto  guardi, 
Atto  gli  s'  olire  alcuno  a  tanta  impresa. 

Vi  manca  il  fior  de'  suoi  guerrier  gagliardi: 
Di  Tancredi  non  s'  è  novella  intesa , 
E  lunge  è  Boemondo ,  ed  ito  è  in  bando 
L'  invitto  eroe,  eh'  uccise  il  fier  Geinaudo. 

59.  Ed  oltre  i  diece ,  che  fiir  tratti  a  sorte, 
I  migliori  del  campo  e  i  più  famosi 
Seguir  d'  Armida  le  fallaci  scorte 

Sotto  il  silenzio  della  notte  ascosi. 

Gli  altri  dì  mano  e  d'  animo  men  forte. 

Taciti  se  ne  stanno  e  vergognosi  ; 

Né  v'  è  chi  cerchi  in  si  gran  rischio  onore  ; 

Che  vinta  la  vergogna  è  dal  timore. 

60.  Al  silenzio,  all'  aspetto,  ad  ogni  segno, 
Di  lor  temenza  il  capitan  s'  accorse, 

E  tutto  pien  di  generoso  sdegno 
Dal  loc(» ,  ove  sedea ,  repente  sorse 
E  disse  :  ah  ben  sarei  di  vita  indegno, 
Se  la  vita  negassi  or  porre  in  forse, 
Lasciando,  eh'  un  pagan  così  vilmente 
Calpestasse  i'  onor  di  nostra  gente. 

61.  Sieda  in  pace  il  mio  campo ,  e  da  eccura 
Parte  miri  ozioso  il  mio  periglio! 

Su  su,  datemi  1'  arme!  E  1'  armatura 

Gli  fu  recata  in  un  girar  di  ciglio. 

Ma  il  buon  liaimtnido  ,  <-li'  in  età  matura 

Parimente  maturo  avea  il  consiglio, 

E  verdi  ancor  le  forze  al  par  di  quanti 

Erano  quivi ,  allor  si   trasse  avanti, 

(i2.     K  disse  a  lui  rivolto  :  ali  non  sia  vero, 
Ch'  in  un  capo  s'  arrischj   il  campo  tutto! 
Duce  sei   tu ,   non  semplice  guerriero  ; 
Pubblico  fora,  e  non   pri\ato  il  lutto. 
In  te  la  IV  s'  appogi^ja  »;  '|  santo  impero; 
Per  te  fia  il   regno  di   It.ibel  distrutto. 
Tu  il  senno  sol .   io  scettro  solo  adopr.'i  ; 
Ponga  allji  poi  1'  ardire  e  'l  feiro  in  opra  ? 


63.  Ed  io,  bendi'  a  gir  curvo  mi  condanni 
La  grave  età ,  non  ila,  che  ciò  ricusi. 
Schivino  gli  altri  i  nrarziali  ailànni; 

Me  non  vo'  già  che  la  vecchiezza  scusi. 
Oh  foss'  io  pur  sul  mio  vigor  degli  anni, 
Qual  siete  or  voi ,  che  qui  temendo  (;hiu^i 
\i  state,  e  non  vi  move  ira,  o  vergogna 
Contra  lui,  che  vi  sgrida  e  vi  rampogna; 

64.  E  quale  aUora  fui,  quando  al  cospetto 
Di  tuttii  la  Germajiia,  alla  gran  corte 
Del  secondo  Corrado ,  apersi   il  petto 

Al  feroce  Leopoldo  ,   e  '1  pitsi  a  morte  ! 
E   fu  d'  alto  valor  più  chiaro  eiletto 
Le  spoglie  riportar  d'  uom  così    forte. 
Che  s'  alcun  or  fugasse  inerme  e  solo 
Di  questa  ignobil  turba  un  grande  stuolo. 

o5.      Se  fosse  in  me  quella  virtù ,  quel  sangue, 
Di  questo  altier  1'  orgoglio  avrei  già  spento. 
Ma  qualunque  io  mi  sia,  non  però  languo 
11  cor  in  me ,  né  vecchio  anco  pavento. 
E  s'  io  pur  rimarrò  nel  campo  esangue, 
Né  il  pagan  di  vittoria  andrà  contento. 
Armarmi  io  ao':  sia  questo  il  dì  eh'  illustri 
Con  novo  onor  tutti  i  miei  scorsi  lustri  ! 

66.  Così  parla  il  gran  vecchio ,  e  sproni  acuti 
Son  le  parole,  onde  virtù  si  desta. 

Quei ,  che  far  prima  timorosi  e  muti, 
Hanno  la  lingua  or  baldanzosa  e  presta. 
Né  sol  non  v'  è  chi  la  tenzon  rifiuti. 
Ma  ella  omai  da  molti  a  gara  é  chiesta. 
Baldovin  la  domanda ,  e  con  Ruggiero 
Guelfo ,  i  due  Guidi ,  e  Stefano  ,  e  Gerniero, 

67.  E  Pirro ,  quel  che  fé'  il  lodato  ingaimo, 
Dando  Antiochia  pi'esa  a  Boemondo: 

Ed  a  prova  richiesta  anco  ne  fanno 
Eberardo,  Ridolfo,  e  '1  pio  Rosmondo, 
Un  di  Scozia ,  un  d'  Irlanda ,  ed  un  Britanno 
Terre,  che  parte  il  mar  dal  nostro  mondo 
E  ne  son  parimente  anco  bramosi 
Gildippe  ed  Odoardo,  amanti  e  sposi. 

68.  Ma  sovra  tutti  gli  altri  il  fero  vecchio 
Se  ne  dimostra  cupido  ed  ardente. 
Armato  è  già:  sol  manca  all'  apparecchio 
Degli  altri  arnesi  il  fino  elmo  lucente. 
A  cui  dice  Goffredo  :  oh  vivo  specchio 
Del  valor  prisco,  in  te  la  nostra  gente 
Miri,  e  \irtù  n'  apprenda!  In  te  di  Marte 
Splende  1'  onor ,  la  disciplina  e  1'  arte. 

69.  Oh  pur  avessi  fra  1'  etade  acerba 
Diet^e  altri  di  valor  al  tuo  simile  ! 
Come  ardirei  vint^cr  Babel  superba, 
E  la  croce  spiegar  da  Battro  a  Tile  I 
Ma  cedi  or,  prego,  e  te  medesmo  serba 
A  maggiori  opre,  e  di  vittù  senile, 
E  lascia,  che  degli  altri  in  piccini  vaso 
Pongansi  i  nomi,  e  sia  giudice  il  caso, 

70.      Anzi  giudic*;  Dio,  delle  cui  voglie 
Ministra  e  serva  è  la  fortuna  e  '1  fato! 
Ma  non  però  dal  suo  pensier  si  toglie 
Raimondo,  e  vuol  anch'  egli  esser  notato. 
Neil'  ehm»  sin»  (iolliHuIo  i  brevi  accoglie; 
E  poiché  r  eb!)e  scosso  ed  agitato, 
Nel  priuH»  breve,  ('lu^  di  là  traesse, 
Del  conte  di  Tolosa  il  nome   lesse. 


i. 


GERUSALEMME  LIBERATA.      (VU.  71-8fi) 


[86] 


1.      Fu  il  nome  suo  con  lieto  grido  accolto, 
^l";  di  binsinar  la  sorte  alcun    ardisce. 
V.i  di  Cresco  vig^or  la  fronte  e    1  volto 
Riempie,    e  così  allor  riiij^iovenisce, 
Cj)iial  serpe  fier,  eh'  in  nuove  spof^lie  avvolto 
D'  oro  fiammeggi,  e    incontra  al  sol  si  lisce. 
Ma  più  d'  ogni  altro  il  capitan  gli  applaude, 
E  gli  annunzia  vittoria ,  e  gli  dà  laude, 

2      E  la  spada  togliendosi  dal  fianco, 
E  porgendola  a  lui,  così  dicea: 
Questa  è  la  spada ,  che  in  battaglia  il  franco 
Unbello  di  Sassonia  oprar  solca, 
CAi    io  gi<à  gli  tol.>i  a  forza;  e  gli  tolsi  anco 
La  vita  allor  di  mille  colpe  rea. 
Questa,  che  meco  ognor  fu  vincitrice, 
Prendi,  e  sia  cosi  teco  ora  felice! 

•j.      Di  loro  indugio  intanto  è  qnell'  altero 
Impaziente,  e  li  minaccia  e  grida: 
Oh  gente  invitta,  oh  popolo  guerriero 
D'  Europa,    un  uomo  solo  è   che  vi  sfida. 
\  enga  Tancredi  ornai ,  che  par  sì  fero, 
Se  nella  sua  virtù  tanto  si  fida! 
O  vuol,  giacendo  in  piume,  aspettar  forse 
La  notte,  eh'  altre  volte  a  lui  soccorse.'' 

1.      Venga  altri ,  s'  egli  teme  !  A  stuolo  a  stuolo 
Venite  insieme,  o  cavalieri  o  fanti. 
Poiché  di  pugnar  meco  a  solo  a  solo 
]\on  v'  è  tra  mille  schiere  uom,  che  si  Aanti  i 
Vedete  là  il  sepolcro ,  ove  il  figliuolo 
Di  Maria  giacque  !  or  che  non  gite  avanti  ? 
Che  non  sciogliete  i  voti.''  Ecco  la  strada! 
A  qual  serbate  uopo  maggior  la  spada .'' 

i.      Con  tali  scherni  il  Saracino  atroce 
Quasi  con  dura  sferza  altrui  percote  : 
Ma  più  eh'  altri  Uainunido  a  quella  voce 
S'  accende ,  e  i'  onte  soflcrir  non  puote. 
La  virtù  stimolata  è  più  feroce, 
L  s'  aguzza  dell'  ira  all'  aspra  cote: 
Sicché  tronca  gì'  indugi,  e  preme  il  dorso 
Del  suo  Aquilino ,  a  cui  die'  il  nome  il  corso. 

5.      Sul  Tago  il  destrier  nacque ,  ove  talora 
L'  avida  madre  del  guerriero  armento. 
Quando  T  alma  stagion ,  che  n'  innamora, 
Nel  cor  r  instiga  il  naturai  talento, 
^olta  r   aperta  bocca  incontra  1'  ora, 
liac(u)glie  i  semi  del  fecondo  vento, 
E  da'  tepidi  fiati,  oh  meraviglia! 
Cupidamente  ella  conce|)e  e  figlia. 

7.  E  ben  que>to  .Aqiiilin  nato  diresti 
Di  qual  aura  del  i  ici  [liii  lie\e  spiri; 
O  se  veloce  sì ,   eh'  orma  non  restì. 
Stendere  il  corso  per  1'  arena  il  miri, 
O  se  '1  v(;(li  ad(lop)iiar  leggieri  e  presti 
A  destra  ed  a  sini.-<tra  angu.-ti  giri. 
Sovra  tal  corridore  il  conte  a^>iso. 
Move  air  assalto,  e  ^olge  al  cielo  il  viso. 

8.  Signor,  tu  cIh;  drizzanti  incontra  1'  empio 
(lolia   r  armi   incs|)«'rte  in  'l'er«liiiito, 

Sii(  h'  ei  ne  fu  ,  che  d'  Israel   fea  xempio, 

Al   primo  sasso  d"  un  garzone  e.-tinlo! 

'l'u  fa,  ih'  or  giaccia  (e  fia  pari  l'  esempio') 

Quc>Io  fellon  da  nu;  percosso  e  vinto, 

E  debii  virchio  or  la  superbia  o|i|irima, 

Come  dcbil  fancìul  1'  o|ipres»e  in  priuut! 


«9.     Così  pregava  il  conte,  e  le  preghiere, 
Mosse  dalla  speranza  in  Dio  secura, 
S'  alzar  volando  alle  celesti  spere, 
Come  va  foco  al  ciel  per  sua  natura. 
L'  accolse  il  Padre  eterno,  e  fra  le  schiere 
Dell'  esercito  suo  tolse  alla  cura 
L'n,  che  'I  difenda,  e  sano  e  vincitore 
Dalle  man  di  quell'  empio  il  tragga  fuore. 

i    80.      L'  angelo,  che  fu  già  custode  eletto 
Dall'  alta  provvidenza  al  buon  Raimondo 
Insin  dal  primo  dì ,  che  pargoletto 
Sen  venne  a  farsi  peregria  del  mondo, 
Or  ,  che  di  nuovo  il  re  del  ciel  gli  ha  detto. 
Che  prenda  in  sé  della  difesa  il  pondo, 
Neil'  alta  rocca  ascende ,  ove  dell'  oste 
Divina  tutte  son  1'  armi  riposte. 

81.  Qui  r  asta  si  conserva,  onde  il  serpente 
Percosso  giacque,  e  i  gran  fulminei  strali, 
E  quegli,  che  invisibili  alla  gente 

Portan  V  orride  pesti  e  gli  altri  mali  : 
E  qui  sospeso  é  in  alto  il  gran  tridente, 
Primo  terror  de'  miseri  mortali, 
Quand'  egli  avvien,  che  i  fondamenti  scota 
Dell'  ampia  terra,  e  le  città  percota. 

82.  Si  vedea  fiammeggiar  fra  gli  altri  arnesi 
Scudo  di  lucidissimo  diamante. 

Grande,  che  può  coprir  genti  e  paesi. 
Quanti  ve  n'  ha  fra  '1  Cauciiso  e  i'  Atlante. 
E  sogiiiint»  da  questo  esser  difesi 
Princijii  giusti,  e  città  caste  e  sante. 
Questo  r  angelo  prende ,  e  vien  con  esso 
Occultamente  al  suo  Raimondo  appresso. 

83.  Piene  intanto  le  mura  eran  già  tutte 
Di  varia  turba  ,  e  "1  harl)aro  tiranno 
Manda  Clorinda  e  molte  genti   instrutte, 
Che  ferme  a  mezzo  il  colle  oltre  non  vanno. 
Dall'  altro  lato  in  ordine  ridutte 

Alcune  schiere  de'  cristiani  stanno, 

E   largamente  a'  due  ciinipioni  il  campo 

A  oto  riman  fra  i'  uno  e  1    altro  campo. 

84.  Mirava  Argante,  e  non  vedea  Tancredi, 
Ma  d'  ignoto  (-<iinpion  sembianze  nove. 
Fecesi  il  conte  innanzi,  e:  quel,  che  chiedi, 
E,  disse  a  Ini,  per  tua  ventura  altrove. 
N<ui  superliir  |>erò.   che  me  qui    \((!i 
Appariichiato  a  riprovar  tue  prove! 

Clr    il)  di  lui   posso  so^tencr  la  vice, 
O  <tcnir  come  terzo  a  me  qui  lice. 

85.  Ne  sorride  il  suiierbo  ,  e  gli  ri-sponde: 
Che   fa  dunque    Tancredi.-'  e  d(tve  slassi? 
l\linaccia  il  ciel  con  1'  arme,  e  poi  s'  asconde 
Fidando  sol  ne'  suoi  fugaci  pas>i.'' 

Ma  fugga  pur  nel  ccntn» ,  e  "n  mezzo  1'  onde, 
Che  non   lia  loco,  o\c.  seciiro   il  las.-i. 
Menti,  replica  1'  altro,  a  dir,  eh'   uom  tale 
Fugga  da  te,  eh'  assai  di  te  più  vale. 

86.  Frenu-  il  (;irca<so  irato,  e  dice:  or    prendi 
Del  campo  tu  !  eh'  in  vece  sua  l'  nctrelto. 

E   tosto  e'  >i  parrà,  <MUiie  difendi 

Ìj'  alta   follia  del  temerario  detto. 

C(i->i   ini»>-ero    in  giostra,  e  i  colpi  orreiuli 

i'ariuu'nle  ilt'iy/.iirn  ambi  all'   ehnetto  : 

E    1   buon    U.iimondo  o\e   mirò  ,  scoiitrollo, 

Né  dar  gli  fece  uell'  arcion  pur  crollo. 


[87] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (VU.  87-  102) 


[88] 


87.  Dall'  altra  parfe  il  fero  Argante  corse 
(Fililo  insolito  a  luì)  1'  arringo  invano; 
Cile  '1  tlifensor  celeste  il  colpo  torse 
Dal  cnj:todito  cavalier  cristiano. 

Le  labbra  il  crucio  per  fnror  si  morse, 
E  ruppe  r  asta  bestemmiando  al  piano. 
Poi  tragge  il  ferro,  e  va  contra  Raimondo 
Impetuoso  al  paragon  secondo. 

88.  E  '1  possente  corsiero  urta  per  dritto, 
Quasi  monton ,  eli'  al  cozzo  il  capo  abbassa. 
SclÙA  a  Raimondo  1'  urto ,  al  lato  dritto 
Piegando  il  corso ,  e  '1  fere  in  fronte ,  e  passa. 
Torna  di  novo  il  cavalier  d'  Egitto; 

Ma  quegli  pur  di  novo  a  destra  il  lassa: 

E  pur  suU'  elmo  il  coglie,   e   indarno   sempre; 

Che  r  elmo  adamantine  avea  le  tempre, 

89.  Ma  il  feroce  pagan,  che  seco  vuole 
Più  stretta  zuffa,  a  lui  s'  avventa  e  serra. 
L'  altro,  eh'  al  peso  di  sì  vasta  mole 
Teme  d'  andar  col  suo  destriero  a  terra. 
Qui  cede  ,  ed  indi  assale ,  e  par,  che  volo 
Intorniando  con  girevol  guerra, 

E  i  lievi  imperj   il  rapido  cavallo 

Segue  del  freno,  e  non  pone  orma  in  fallo. 

80.      Qual  capitan ,  eh'  oppugni  eccelsa  torre 
Infra  paludi  posta,  o  in  alto  monte, 
aiille  aditi  ritenta  ,  e  tutte  scorre 
L'  arti  e  le  vie,  cotal  s'  aggira  il  conte, 
E ,  poiché  non  può  scaglia  all'  arme  torre, 
Ch'  armano  il  petto  e  la  superl)a  fronte, 
Fere  i  meo  forti  arnesi,  ed  alla  spada 
Cerca  tra  ferro  e  ferro  aprir  la  strada: 

91.      Ed  in  due  partì  o  tre  forate,  e  fatte 
L'  armi  nemiche  ha  già  tepide  e  rosse: 
Ed  egli  ancor  le  sue  conserva  intatte, 
Kè  di  cimicr,  nò  d'  un  sol  fregio  scosse. 
Argante  indarno  arrabbia,  a  voto  batte, 
E  spande  senza  prò  1'  ire  e  le  posse. 
]Non  sì  stanca  però ,  ma  raddoppiando 
Va  ttigli  e  punte,  e  sì  rinforza  errando. 

93.  Alfin  tra  mille  colpì  il  Saracino 

Cala  un  fendente,  e  'l  conte  è  cosi  presso. 

Che  forse  il  velocissimo  Aquilino 

Non  sottraggeasi ,  e  rimaneane  oppresso; 

Ma  r  ajiito  invisibile  vicino 

Kon  mancò  lui  di  quel  superno  messo, 

Che  stese  il  braccio ,  e  tolse  il  ferro  crudo 

Sovra  il  diamante  del  celeste  scudo. 

93      Frangesì  il  ferro  allor  (che  non  resiste 
Dì  fucina  mortai  tempra  terrena 
Ad  armi  incorruttibili  ed  immiste 
D'  eterno  fabbro),  e  cade  in  siili'  arena. 
Il  Circasso  eh'  andarne  a  terra  ha  viste 
Minutissime  parti ,   il  crede  appena 
Stupisce  poi ,  scorta  la  mano  inerme, 
Ch'  arme  il  campion  nemico  abbia  sì  ferme: 

94.  E  ben  rotta  la  spada  aver  si  crede 
Suir  altro  gelido,  ond'  è  colui  difeso: 

E    1  buon  Raimondo  ha  la  medesma  fede. 
Che  non  sa  già ,  chi  sia  dal  cicl  disceso. 
Ma ,  pcroccir  egli  ilisarmata  vede 
Ija  miin  nemica,  si  riiiian  sospeso: 
CJIiè  stima  igiiolul  pitluiii ,  e  vili  i3|ioglio 
Quelle,  eli'  altrui  cou  tal  vantaggio  uom  toglie. 


95.  Prendi,  volea  già  dirgli,  un'  altra  spada! 
Quando  novo  pcnsier  nacque  nel  core: 

Ch'  alto  scorno  è  de'  suoi,  dove  egli  cada. 
Che  di  pubblica  causa  è  difensore. 
Cosi  nò  iacicgna  a  lui  vittoria  aggrada, 
]\è  in  dubbio  vuol  porre  il  comune  onore. 
Mentre  egli  dubbio  stiissi.  Argante  lancia 
Il  pomo  e  r  else  alla  nemica  guancia, 

96.  E  in  quel  tempo  medesmo  il  destrier  punge, 
E  per  venire  a  lotta  oltra  si  caccia. 

La  percossa  lanciata  all'  elmo  giunge, 
Sicché  ne  pesta  al  Tolosau  la  faccia. 
Ma  però  nìilla  ei  sbigottisce,   e  lunge 
Ratto  sì  svia  dalle  robuste  braccia. 
Ed  impiaga  la  man,  eh'  a  dar  di  piglio 
Venia  più  fera ,  che  ferino  artiglio  : 

97.  Poscia  gira  da  questa  a  quella  parte, 
E  rigirasi  a  questa,  indi  da  quella; 

E  sempre ,  e  quando  riede  e  quando  parte. 
Fere  il  pagan  d'  aspra  percossa  e  fella. 
Quanto  avea  di  vigor,  quanto  avea  d'  arte, 
Quanto  può  sdegno  antico ,  ira  novella, 
A  danno  del  Circasso  or  tutto  aduna, 
E  seco  il  ciel  congiura  e  la  fortuna. 

98.  Quei  dì  fine  arme,  e  di  sé  stesso  armato. 
Ai  gran  colpì  resiste ,  e  nulla  pavé, 

E  par  senza  governo  in  mar  turbato. 
Rotte  vele  ed  antenne ,  eccelsa  nave. 
Che  pur  contesto  avendo  ogni  suo  lato 
Tenacemente  di  robusta  trave, 
Sdrusciti  ì  fianchi  al  tempestoso  flutto 
Non  mostra  ancor,  né  si  dispera  in  tutto, 

99.  Argante,  il  tuo  periglio  allor  tal  era. 
Quando  ajutarti  Belzebù  dispose. 
Questi  di  cava  nube  ombra  leggiera 
(Mirabìl  mostro  !)  in  forma  d'  uom  compose, 
E  la  sembianza  di  Clorinda  altera 

Gli  finse ,  e  l'  arme  ricche  e  luminose  : 
Diégli  il  parlare,  e  senza  mente  il  noto 
Suon  della  voce,  e  '1  portamento,  e  '1  moto. 

100,  Il  simulacro  ad  Gradino  esperto, 
Sagittario  famoso,  andnnnc,  e  disse: 
Oh  famoso   Oradin ,  eh'  a  segno  certo, 
Come  a  te  piace,  le  quadrclla  affisse! 

Ah  gran  danno  saria,  s'  uom  di  tal  morto, 
Difeasor  di  Giudea,  così  morisse, 
E  dì  sue  spoglie  il  suo  nemico  adorno 
Securo  ne  facesse  a'  suoi  ritorno. 

101.  Qui  fa  prova  dell'  arte,  e  le  saette 
Tingi  nel  sangue  del  ladron  francese! 
Ch'  oltra  il  perpetuo  onnr,  vo',  che  n'  aspetto 
Premio  al  gran  fatto  egual  dal  re  cortese. 
Così  parlò:     nò  quegli  in  dubbio  stette, 
'J'ostochè    1  suon  delle  promesse  intese. 
Dalla  grave  faretra  un  quadrel  prende, 
E  sul!'  arco  1'  ad  atta,  e  1'  arco  tende. 


102.      Sibila  il  teso  nervo,  e  fuori  spinto 

Vola  il  pennuto  strai  per  l'  aria,  e  stride, 
Ed  a  porcoter  va,  do^e  del  cinto 
Si  congiungon  le  fibliio,  e  le  divide. 
Passa  r  usbergo,  e  in  sangue  appena  tinto 
Quivi  si  ferma,  e  sol  la  pelle  incide: 
CAii;  'l  celeste  guerrier  sollrir  non  volse, 
Ch'  oltra  passasse,  e  forza  al  colpo  tolic. 


(, 


^9] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (VII.   103-liS) 


[90] 


Dall'  usbergo  lo  strai  si  tragge  il  conte, 
Ed  ispiccìiirne  fuori  il  sangue  vecìc, 
J']  con  parlar  pian  di  minacc-e  ed  onte 
Hiinpravera  al  pagan  la  rcitta  lede. 
Il   capitan ,  die  non  torcea  la  fronte 
Dall'  amato  Raimondo ,  allor  s'  avvede, 
Che  violato  è  il  patto  ;  e  perchè  grave 
Stima  la  piaga,  ne  sof^pira  e  pavé. 

E  con  la  fronte  le  sue  genti  altere 
E  con  la  lingua  a  vendicarlo  desta. 
Vedi  to^;to  inchinar  giù  le  visiierc, 
Lentare  i  freni,  e  por  le  lance  in  resta, 
E  quaji  in  un  sol  punto  alcune  schiere 
Da  quella  parte  moversi  e  da  questa. 
Sparisce  il  caiupo  ,  e  ìa  minuta  polve 
Con  densi  globi  al  ciel  s'  innalza  e  volve. 

D'  elmi  e  scudi  peicnssi  e  d'  aste  infrante 
Ne'  primi  scontri  un  gran  romor  s'  aggira. 
Là  giacere  un  cavallo ,  e  girne  errante 
Un  altro  là  senza  rettor  si  mira. 
Qui  giace  un  guerricr  morto,  e  qui  spirante 
Altri  singhiozza  e  geme,  altri  sospira. 
Fera  è  la  pugna;  e  quanto  più  si  mesce 
E  stringe  insieme,  più  s'  ina-pra  e  cresce. 

Salta  Argante  nel  mezzo  agile  e  scioUo, 
E  toglie  ad  un  gueirier  ferrata  mazza, 
E  rompentio  lo  stuol  calcato  e  folto 
La  riioa  intorno,  e  si  fa  larga  piazza; 
E  sol  cerca  ilaimondo,  e  in  lui  sol  ^olto 
Ila  il  ferro  e  1'  ira  imjxtùosa  e  pazza, 
E  qua?i  avido  lupo  ci  par  che  hrame 
Kelle  viscere  sue  pascer  la  fame. 

Ma  duro  ad  impedir  viengli  il  sentiero, 
E  fero  intoppo,  acciocché  il  corso  ei   tardi. 
Si  trova  inccuitra  Ornianno ,  e  con   Uug;i;:iero 
Di  Balnavilla  un  Guido,  e  duo  Gherardi. 
Non  cessa,  non  s'  allenta;  anzi  è  più   fero, 
Quiuito  ristretto  è  più   da  que'  gagliardi; 
Siccome  a  forza  da  rinchiuso  loco 
Se  n'  esce  e  move  alte  ruine  il  foco. 

i.     Uccìde  Ormanno ,  piaga  Guido,  atterra 
Ruggiero  infra  gli  estìnti  egro  e  languente; 
Ma  contra  lui  crescon  le  turbe,  e  '1  serra 
D'  uomini  e  d'    arme  cerchio  aspro  e  pungente. 
Mentre  in  virtù  di  lui  pari  la  guf:rra 
Si  mantenea  fra  1'  una  e  V  altra  gente, 
Il  buon  duce  Huglion  chiama  il  fratello, 
Ed  a  lui  dice:  or  nu)vi  il  tuo  drappello, 

),      E  là,  dove  haltaglia  è  più  mortalo. 
Vattene  ad   investir  nel  lato  manco! 
Quegli  si  iimsse:  e  fu  io  scionlro  tale, 
Ond'  egli  urtò  degli  avversari  il  fianco. 
Che  parve  il  popol  d'  Asia  imbelle  e  frale, 
Rè  potè  sostener  1'  impeto  franco. 
Che  gli  ordini  disperde,  e  co'  destrieri 
L'  insegne  abbatte,  e  insieme  i  cavalieri. 

),      Dall'  impeti»  nuulesmo  in  fuga  è  volto 
Il  destro  corno,  e  ncui  v'  è  alcim,  (Jie  faccia, 
Fuorcir  Argante,  dilesa:  a  freno  srioltu* 
Cosi   il  timor  precipiti   li  ca<-cia  ! 
Egli  ^ol  fernui  il  pasKO,  e  mostra  il  volto: 
Me,  chi  con  mani  centi»  e  cento  br.iccia 
Cinquanta  scudi   iu>ieuie  ed  allriatanle 
Spade  uiuvcsse,  or  più  l'uria  d'  Argante. 


Ili 


112, 


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116. 


in 


118 


Ei  gli  stocchi  e  le  mazze,  egli  dell'  aste 
E  de'  corsieri  1'  ìmpeto  sostenta, 
E  solo  par,  che   incontra  tutti  baste, 
Ed  ora  a  questo,   ed  ora  a  quel  s'  avventa. 
Peste  ha  le  membra,  e  rotte  1'  armi  e  guaste, 
E  sudor  versa  e  sangue,  e  par  noi  senta. 
Ma  così  r  urta  il  popol  denso  e  "1  preme. 
Ch'  alfln  lo  svolge,  e  seco  il  porta  insieme. 

Volge  il  tergo  alla  forza  ed  al  furore 
Dì  quei  diluvio ,  che  '1  rapisce  e  '1  tira. 
Ma  non  già  d'  uom,  che  fugga,  ha  i  passi  e  '1  core. 
S'  all'  opre  della  mano  il  cor  si  mira. 
Serbano  ancora  gli  occlìj  il  lor  terrore, 
E  le  minacce  della  solita  ira, 
E  cerca  ritener  con  ogni  prova 
La  fuggitiva  turba,  e  nulla  giova. 

Non  può  far  quel  magnanimo,  eh'  ahuetio 
Sia  lor  fuga  più  tarda,  o  più  raccolta  ; 
Che  non  ha  la  paura  arte  né  freno. 
Né  pregar  qui,  né  comandar  s'  ascidta. 
Il  pio  liuglion,  eh'  i  siu)i  pensieri  appieno 
Vede  fortuna  a  favorir  rivolta. 
Segue  della  vittoria  il  lieto  corso, 
E  invia  novello  ai  vinci  tor  soccorso. 

E,  se  non  che  non  era  il  dì,  che  scritto 
Dìo  negli  eterni  suoi  decreti  avca, 
Que<t'  era  forse  il  dì ,  che  '1  campo  invitto 
Delle  sante  fatiche  al  lin  giungea. 
]\Ia  la  schiera  infernal,  eh'  in  quel  conflitto 
La  tirannide  sua  cader  vedea, 
Sendole  ciò  permesso,  in  un  momento 
L'  aria  in  nubi  ristrinse  ,  e  mosse  il  vento. 

Dagli  occlij  de'  mortali  un  negro  velo 
Rapisce  il  giorno  e  '1  sole,  e  par,  eh'  avvHmpi 
Negro  vìe  più  «;h'  orror  d'  inferno  il  cielo  ; 
Così  fiammeggia  infra  baleni  e  lampi. 
Fremono  i  tuoni,  e  pioggia  accolta  in  gelo 
Sì  versa,  e  i  paschi  alibatte,    e  inonda  i  campi. 
Schianta  i  rami  il  gran  turbo,  e  par.  che  crolli 
Non  pur  le  querce,  ma  le  rocche  e  i  colli. 

L'  acqua  in  un  tempo,  il  vento,  e  la  tempesta 
Negli  occlij  ai  Franchi  impetuosa  fere, 
E  1'  impnivvisa  violenza  arresta 
Con  un  ternir  quasi  fatai  le  schiere. 
La  minor  parto  d'  esse  accolta  rc.»ta, 
(Che  veder  non  le  puote)  alle  bandiere. 
Ma  Clorinda,  che  quindi  alquanto  è  lunge. 
Prende  opportuno  il  tempo,    e  "l  de>trier   punge. 

Ella  gridava  ai  siuii  :  |»er  noi  combatte. 
Compagni,  il  cielo,  e  la  giu-ti/ia  aita 
Dall'  ira  sua  le  facce  no^trtì  intatte 
Sono  ,  e  non  è  la  destra  indi   impedita. 
E  nella   fronte  solo  iriito  ci  balte 
Della  nemica  gente  impaurila, 
E  la  ecute  d«ll"  arme,  e  della  Iure 
La  priva.     Andianne  pur ,  che  "1  Fa: 

Cosi  spinge  h^  genti,  e  ricevendo 
Sol  nelle  spalle  1'   impeto  d'   interno. 
Urla  i  Fran<<-«i  con  us^alto  orrendo, 
E  i  vani  colpi  lor  >ì  prende  a  ^(•herno. 
Ed  in  (juel  tempo  Argante  anco  volgendo 
I'*a  de'  già  vincitori  a>iiri»  governo: 
E  (|uei ,   biNciandu  il  campo,  a  tutto  rorrO 
\  ulgono  ul   ferro,  e  alle  procelle  il  dur>n. 


duce. 


[91]     GERUSALEMME  LIBERATA.  (VIL  119— 122  VLII.  1-8)     [92] 


119.  Percotono  le  spalle  ai  fug:gitivl 

L'  ire  iininortiili ,  e  le  mortali  spade, 
E  'l  sangue  corre ,  e  fa  commisto  ai  rivi 
Della  gran  pioggia  rosseggiar  le  strade. 
Qui  tra  '1  vulgo  de'  morti  e  de'  mal  vivi 
E  Pirro  e  '1  buon  Ridolfo  estinto  cade: 
Che  toglie  a  questo  il  fier  Circasso  1'  alma, 
E  Clorinda  di  quello  ha  nobil  palma. 

120.  Cosi  fuggiano  i  Franchi,  e  di  lor  caccia 
JNou  rimaneano  i  Siri  anco ,   o  i  di-moni. 
Sol  contra  1'  arme,  e  contra  ogni  minaccia 
Di  gragnuole,  e  di  turbini,  e  di  tuoni, 
Volgea  Goffredo  la  secura  faccia, 
Kampognando  aspramente  i  suoi  baroni, 

E ,  fermo  an/.i  la  porta  il  gran  cavallo, 
Le  genti  sparse  raccoglica  nel  vallo. 


121.  E  ben  due  volte  il  corridor  sospinse 
Contra  il  feroce  Argante ,  e  lui  ripresse, 
Ed  altrettante  il  nudo  ferro  spinse, 
Dove  le  turbe  ostili  eraii  più  spesse. 
Alfui  con  gli  altri   insieme  ei  si  ristrinse 
Dentro  ai  ripari ,  e  la  vittoria  cesse. 
Tornano  allora  i  Saraeini,  e  stanchi 
liestan  nel  vallo,  e  sbigottiti  i  Franchi. 

122.  Né  quivi  ancor  dell'  orride  procelle 
Ponno  appieno  schivar  la  forza  e  l'  ira, 
Ma  sono  estinte  or  queste  faci,  or  quelle, 
E  per  tutto  entra  1'  acqua,  e  'l  vento  spira, 
Squarcia  le  tele ,  e  spezza  i  pali ,  e  svelle 
Le  tende  intere ,  e  lunge  indi  le  gira. 
La  pioggia  ai  gridi,  ai  venti,  ai  tuon,  s'  accorda 
D'  orribile  armonia,  che  '1  mondo  assorda. 


CANTO    OTTAVO. 


ARGOMENTO. 

Del  generoso  Dano  il  caso  fiero, 
Che  correndo  alV  onor  corse  alV  occaso, 
Narra  al  duce  Goffredo  un  cavaliero, 
Che  sol  di  latiti  eroi  vivo  è  rimaso. 
Quindi  il  latino  stuol,  credendo  vero 
Ciò,  eh'  immagin  fallace  ha  j)crsùaso. 
Piagne  morto  Rinaldo,  e  sdegno  spira; 
Ma  H  Uuglion  frena  il  moto  ,  acqueta  V  ira. 


1,  Già  cheti  erano  i  tuoni  e  le  tempeste, 
E  cessato  il  soffiar  d'  austro  e  di  coro: 
E  r  alba  liscia  della  magiou  celeste 
Con  la  fronte  di  rose  e  co'   piò  d'  oro. 
]>la  quei ,  <he  le  proc-elle  avean  già  deste, 
]Non  rimaneansi  ancor  dall'  arti  loro; 
Anzi  r  un  d'  essi ,  eh'  Astagorre  è  detto. 
Così  parlava  alia  compagna  Aletto: 

2.  Mira,  .licito,  venirne  (ed  impedito 
Esser  non  può  da  noi)  quel  cavaliero. 
Che  dalle  fere  mani  è  vivo  us«;ito 

Del  M>vran  diren.^or  del  nostro   impero! 
Questi  narrando  del   suo  duce  ardito, 
E  de'  compagni  ai  l'rani.bi  il  caso  fero. 
Paleserà  gran  cose  :  (tnde  è  periglio, 
Che  si  richiami  di  liertoldo  il  figlio. 


Sai.  quanto  ciò  rilevi,  e  se  conviene 
Ai  gran  princ-ipj  op|ior  forza  ed  inganno. 
Scendi  tra  i   i'raniJii  (lun(|ue,  e  «;iò  eh'  a 
(yolui  <liià,  tutto  ritolgi  in  danno! 
S|iargi  le  fianiiiie  e    1  tosco  entro   le  vene 
l)i-,|  Ijatin,  ilcir   lilve/io,  e  del  ilritanno  ! 
iM«»\i  r  irt;  V  i  tumulti,  e  fa  tal  opra. 
Che  tutto   ^ada  il  campo   aliìu  «Odeopia  ! 


bene 


L'  opra  è  degna  di  te  :  tu  nobil  vanto 
Ten  desti  già  dinanzi  al  signor  nostro. 
Così  le  parla  ;  e  basta  ben  sol  tanto, 
Perchè  prenda  1'  impresa  il  fero  mostro. 
Giunto  è  sul  vallo  de'  cristiani  intanto 
Quel  cavaliero,  il  cui  venir  fu  mostro, 
E  disse  lor  :  deh  sia  chi  in'  introduca 
Per  mercede ,  oh  guerrieri ,  al  sommo  duca  ! 

Molti  scorta  gli  furo  al  capitano, 
Vaghi  d'  udù'  dal  peregrin  novelle. 
Quegli  inchinollo ,  e  1'  onorata  mano 
A  olea  baciar ,  che  fa  tremar  Babelle. 
Signor ,  poi  dice  ,  che  con  1'  oceano 
Termini  la  tua  fama  e  con  le  stelle. 
Venirne  a  te  vorrei  più  lieto  messo. 
Qui  sospirava,  e  soggiungeva  appresso: 

Sveno,  del  re  de'  Dani  unico  figlio, 
Gloria  e  sostegno  alla  cadente  etadc. 
Esser  tra  quei  bramò,  che  '1  tuo  consiglio 
Seguendo  han  cinto  per  Gesù  le  spade. 
]\è  timor  di  fatica,  o  di  periglio, 
Né  vaghezza  del  regno ,  né  pietade 
Del  vecchio  genitor  sì  degno  afletto 
Intepidir  nel  generoso  petto. 

Lo  spingeva  un  desio  d'  apprender  1'  arte 
Della  milizia  faticosa  e  dura 
Da  te,  sì  nobil  mastro  ;  e  sentia  in   parte 
Sdegno  e  vergogna  di  sua  fama  oscura. 
Già  di  Rinaldo  il  nome  in  ogni  parte 
('on  gloria  udendo  in  verdi  anni  matura. 
Ma  più  eh'  altra  cagione,  il  mosse  il  zelo 
Non  del  terren ,  ma  dell'  onor  del  cielo. 

1.     Precipitò  dunque  gì'  indugj ,  e  tolse 
Stuol  di  scelti  compagni  audace  e  fero, 
E  «Iritto  inver  la  l'racia  il  cammin  volse 
Alla  città-,  che  sede  è  dell'  impero. 
Qui  il  greco  augusto  in  sua    magion    1'   accolsi 
Qui  poi  giunsi^  in  tuo  nome  un  messaggiero, 
Qniv-iti  a|>pieii  gli  narrò  ,  couk;  già  presa 
Ft)sse  Antiochia ,  e  come  poi  difesa. 


l 


)3] 


GERUSALEMME   LIBERATA.  (VIU.  9  — 24) 


[94] 


9.      Difcga  incontra  al  Perso,    il  qnal  con  tanti 
Uomini  armati  ad  assediarvi  mosse, 
Che  seinhravn,  che  d'  arme  e  d'  abitanti 
Vuoto  il  gran  regno  suo  rimaso  fosse. 
Di  te  gli  disse,  e  poi  narrò  d'  ak|uantì, 
Sinch'  a  Rinaldo  giunse,   e  qui  ftrraosse. 
Contò  r  ardita  fuga,  e  ciò,  che  poi 
Fatto  di  glorioso  avea  tra  voi. 

LO.      Soggiunse  alfin,   come  già  il  popol  franco 
Veniva  a  dar  1'  assalto  a  queste  porte, 
E  invitò  lui,  eh'  egli  volesse  almanco 
Ucir  ultima  vittoria  esser  consorte. 
Questo  parlar  al  giovinetto  fianco 
Del  fero  Sveno  è  stimolo  !«ì  forte, 
Ch'  ognora  un  lustro  pargli  infra  pagani 
Rotar  il  ferro ,   e  insanguinar  le  mani. 

1.      Par,  che  la  sua  viltà  rimproverar.-i 
Senta  nell'  altrui  gloria ,  e  se  ne  rode  : 
E  (-hi  '1  consiglia,    e  chi  1  prega  a  fermarsi, 

0  che  non  esaudisce,    o  che  non  ode. 
Rischio  non  teme,  fuorché  '1  non  trovarsi 
De'  tuoi  gran  rischj  a  parte,  e  di  tua  lode. 
Questo  gli  sembra  sol  periglio  grave; 
Degli  altri  o  nulla  intende,  o  nulla  pavé. 

^      Egli  medesmo  sua  fortuna  affretta, 
Fortuna,  che  noi  tragge,  e  lui  conduce; 
Perocch'  appena  al  suo  partire  aspetta 

1  primi  rai  d-ella  novella  luce. 

È  per  miglior  la  via  più  breve  eletta; 
Tale  ei  la  stima,  eh'  è  signore  e  duce; 
]Nè  i  passi  più  difficili,  o  i  paesi 
Schivar  si  cerca  de'  nemici  oflesi. 

3.      Or  difetto  di  cibo,  or  camniin  duro 
Trovammo,  or  violenza,  ed  or  agguati; 
Ma  tutti  fur  vinti  i  disagi,    e  furo 
Or  uccisi  i  nemici  ,  ed  or  fugati. 
Fatto  avean  ne'  perigli  ogni  uom  securo 
Le  vittorie,  e  insolenti  i  fortunati, 
Quiindo  un  dì  ci  accampammo,  ove  i  confini 
]\on  lunge  erano  omai  de'  Palestini. 

l.     Quivi  dai  precursori  a  noi  vien  detto, 
Ch'  alto  strepito  d'  arme  avean   sentito, 
E  viste  insegne  e  indi/j,  ond'  han  sospetto, 
Che  sia  vicino  esercite»  infinito. 
Non  pcnsier ,  non  color,  non  «;angia  aspetto, 
Non  muta  voce  il  signor  nostro  ardito. 
Benché  untiti  vi  sian,    eh'  al  fero  avviso 
Tingan  di  bianca  pallidezza  il  viso, 

Ma  dice:  oh  quale  omai  vicina  abbiamo 
Corona  o  di  martirio,  o  di  vittoria! 
L'  una  spero  io  ben  più  ,  ma  uou  men  bramo 
L'  altra,  ov'  è  maggiiu-  uierto ,  e   pari  gloria. 
Questo  campo,  oh  fratelli,    ov'  or  noi  biamo, 
Fia  tempio  sacro  ad  inunortal  meuutria. 
In  cui  r  età  futura  addili  r  mostri 
Le  nostre  sepolture,  o  i  trofei  nostri! 

\.      Così  parla  ,  e  le  guardie  indi  dispone, 
E  gli  uffìi-j  comparte,    e  la  fatica. 
Vuol,  di'  armato  ognun  giaccia,  e  non  depone 
Ei  medesmo  gli  arnesi ,   o  la  lorica. 
Era  la  notte  ancor  n(;lla  stagioni-, 
Ch'  è  più  del  soiuio  e  del  silcn/io    amica, 
Allorchù  d'  urli  barbarcst  lii  udissi 
Roniur ,  clic  giuutjo  al  cielo  ed   agli  nbii«ni. 


17. 


Si  grida:   all'  arme,  all'  arme  !  e  Sveno  involto 
Neil'  arme  innanzi  a  tutti  oltra  si  spinge, 
E  magnanimamente  i  Inmi  e  '1  volto 
Di  color  d'  ardimento  infiamma  e  tinge. 
Ecco  siamo  assaliti ,  e  un  cerchio  folto 
Da  tutti  i  lati  ne  circonda  e  stringe, 
E  intorno  un  bosco  aì>biam  d'  aste  e  di  spade, 
E  sovra  noi  di  strali  un  nembo  cade. 


18 


Nella  pugna  inegual  (perocché  venti 
Gli  assalitori  sono  incontro  ad  nnoj 
Molti  d'  essi  piagati,  e  molti  spenti 
Son  da  cieche  ferite  all'  aer  bruno. 
Ma  il  numero  degli  egri  e  de'  cadenti 
Fra  r  ombre  oscure  non  discerné   alcuno, 
Copre  la  notte  i  nostri  danni ,  e  1'  opre 
Della  nostra  virtute  insieme  copre. 

19.  Pur  sì  fra  gli  altri  Sveno  alza  la  fronte, 
Ch'  agevol  è,  eh'  ognun  veder  il  possa; 

E  nel  bnjo  le  pro^e  anco  son  conte 

A  chi  vi  mira,  e  I'  incredibil  possa. 

Di  sangue  un  rio,  d'  uomini  uccisi  un  monte 

D'  ogni  intorno  gli  fanno  argine  e  fossa: 

E ,  doviuique  ne  va ,  sembra  che  porte 

Lo  spavento  negli  occhj ,  e  in  man  la  morte. 

20.  Così  pugnato  fu,  sinché  1'  albore 
Ros-egginndo  nel  ciel  già  n'  apparia. 
^la  poi<:hè  scosso  fu  il  notturno  orrore, 
Che  r  orror  delle  nutrii  in  se  copria, 
La  desiata  luce  a  noi   terrore 

Con  vista  accrebbe  dolorosa  e  ria  : 

Che  picn  d'  estinti  il  campo,  e  quasi  tutta 

Nostra  gente  vedemmo  omai  distrutta. 

21.  Duo  mila  fummo,  e  non  siam  cento.  Or  quando 
Tanto  sangue  egli  mira  e  tante  morti, 

Non  so ,  se  "I  cor  feroce  al  miserando 
Spettacolo  si  turbi  e  si  sconforti. 
'SÌA  già  noi  mostra;    anzi  la  voce  alzando: 
Scguiam ,    ne  grida,   que'  compagni  forti, 
Ch'  al  ciel  lunge  dai  laghi  a\erni  e  stigi 
N'  han  segnati  col  sangue  alti  vestigi  ! 

22.  Disse;    e  lieto  cred'  io  della  vi«;ina 
Morte  così  nel  «or ,    come  al  sembi.  nte, 
Incontro  alla  barb<iri<-a  mina 
Portonne  il  petlo  intrepido  e  costante. 
Tempra  non  sosterrtbbe,  ancorché  lina 
Fosse,    e  d'  accia jo  lut,  ma  di  diamante, 
I  feri  col|>i ,  ond'  egli  il  campo  allaga, 

E  fatto  é  il  corpo  suo  solo  una  piaga. 

23.  La  vita  no ,  ma  la  v  irtù  sostenta 
QiU'l  cada\cro  indomito  e  feroce. 
Hipercote  pcr("osso ,  e  non  s'  allenta: 

Ma  (juanto  oll'cso  é  più  ,  tanto   più  nuoce. 

Qnaiulo  ecco  furiando  a   lui  s'  a^^cllta 

l  om  grande  ,  eh'  ha  scmbi;inte  e  guardo  atroc< 

l'i   dopo   lunga   ed   ostinata  guerra 

Con  r  aita  di  nudti  alfin  l'  atterra. 

21.      Cade  il  garzone  iinitto  (ahi  ca<«o  amaro!) 
Né  v'   è   fra   noi,  chi   mendicare  il   possa. 
\  oi  chiamo  in  testimonio,  oli  del   mio  c.iro 
Signor  sangue  ben   sparso,  e  utibir  o>!<a, 
(ir  allor  non  fui  della  mia  vita  avaro, 
^é  M'bi\ai   ferro,   né  schivai   percossa, 
E  nv.  piaciuto  pur  fostic  là  i>o|>ra, 
('ir  io  vi  murii»«i ,  il  meritai  con  I'  opra. 


[95] 


OKRLISALEMME  LIBERATA.  (Vili.  25-40) 


[??] 


25.  Fra  gli  estinti  compagni  io  sol  cadei 
Vivo,  né  vivo  forse  è  chi  mi  pensi: 
Kè  de'  nemici  più  cosa  saprei 

Ridir;  sì  tutti  avea  sopiti  i  sensi! 
Ma  poiché  tornò  il  lume  agli  occiij  miei, 
Ch'  eran  d'  atra  caligine  condensi, 
Rotte  mi  parve,  ed  allo  sguardo  fioco 
S'  offerse  il  vacillar  d'  un  picciol  foco. 

26.  Non  rimaneva  in  me  tanta  virtude, 
Cli'  a  discerner  le  cose  io  fossi  presto; 

Ma  vcdca,  come  quei,  eh'  or  apre,  or  chiude 

Gli  occhj  mezzo  tra  'i  sonno  e  1    esser  desto! 

E  '1  duolo  ornai  delle  ferite  crude 

Più  cominciava  a  farraiti  molesto: 

Che  r  inaspria  1'  aura  notturna  e  '1  gelo 

In  terra  nuda,   e  sotto  aperto  cielo. 

27.  Più  e  più  ognor  s'  avvicinava  intanto 
Quel  lume,  e  insieme  un  tacito  bisbiglio, 
Sicch'  a  me  giunse,  e  mi  si  pose  accanto. 
Alzo  allor,  benché  appena,  il  dcbil  ciglio, 
E  veggio  duo  vestiti  ia  lungo  manto 
Tener  due  faci,  e  dirmi  sento:  oh  figlio, 
Confida  in  quel  signor,  eh'  a'  pii  sovviene, 
E  con  la  grazia  i  preghi  altrui  previene! 

28.  In  tal  guisa  parlorami  ;  indi  la  mano 
Benedicendo  sovra  me  distese, 

E  s^usurrò  con  suon  devoto  e  piano 
Voci  allor  poco  udite  e  meno  intese. 
Sorgi!  poi  disc;   ed  io  leggiero  e  sano 
Sorgo,  e  non  sento  le  nemiche  offese, 
fOh  uiiracol  gentile!)  anzi  mi  sembra 
Piene  di  ^igor  novo  aver  le  membra. 

29.  Stupido  lor  riguardo,    e  non  ben  crede 
L'  anima  sbigottita  il  certo  e  il  vero  ; 
Onde  r  un  d'  essi  a  me:   di  poca  fede! 
Che  dubbj  ^    o  che  vaneggia  il  tuo  pensiero  ? 
Verace  corpo  è  quel,  che  'n  noi  si  vede. 
Servi  siani  di  Gesù;  che  '1  lusinghiero 
Iklondo  e  '1  suo  falso  dolce  abbiain  fuggito, 
E  qui  viviamo  in  loco  aspro  e  romito. 

SO.      Me  per  ministro  a  tua  salute  eletto 
Ha  quel  signor,  eh'  in  ogni  parte  regna; 
Che  per  ignobii  mezzo  oprar  effetto 
Meraviglioso  ed  alto  ei  non  indegna, 
^cnimen  vorrà,  che  si  resti  negletto 
Quel  corpo,  in  cui  già  visse  alma  si  degna; 
Lo  qual  con  essa  ancor  lucido  e  leve 
E  inimortal  fatto  riunir  si  deve. 

31.     Dico  il  corpo  di  Sveno,  a  cui  fia  data 
Tomba  a  tanto  valor  conveniente, 
La  qual  a  dito  mostra  ed  onorata 
Ancor  sarà  dalla  futura  gente. 
Ma  le\a  ornai  gli  occhj  alle  stelle,   e  guata 
Là  splender  quella ,  come  un  sol  lucente  ! 
Questa  co'  vivi  raggi  or  ti  conduce 
Là ,  dov'  è  il  corpo  del  tuo  nobil  duce. 

33.      Allor  vcgg'  io,    che  dalla  bella  face. 
Anzi  dal  sol  notturno  un  raggio  scende, 
Che  dritto  là,  dove  il  gran  corpo  giace, 
Quaai  aurei»  trntt(»  di  pennel  si  stende, 
E  sovra  lui  tal  lume  e  tanto  face, 
CI»'  ogni  sua  piaga  ne  sfavilla  e  splende, 
E  8ul>ito  da  me  si  raffigura 
NcUu  tanijuigtiu  orribile  mistura. 


33.      Giacca  prono  non  già  ;  ma ,  come  volto 
Ebbe  sempre  alle  stelle  il  suo  desire, 
Dritto  ei  teneva  inverso  il  ciclo  il  volto. 
In  guisa  d'  uom,  che  pur  là  suso  aspire. 
Chiu:>a  la  destra ,  e  'I  pugno  avea  r.ìccolto, 
E  stretto  il  ferro,   e  in  atto  di  ferire; 
L'  altra  sul  petto  in  modo  unu'Ie  e  pio 
Si  posa,  e  par,  che  perdon  chieggia  a  Dio, 

34.  Mentr'  io  le  piaghe  sue  lavo  col  pianto, 
Né  però  sfogo  il  duol,  che  1'  alma  accora. 
Gli  apri  la  chiusa  de^tra  il  vecchio  santo, 
E  '1  ferro,    che  stringea,    trattone  fuora: 
Questa,  a  me  disse,  di'  oggi  sparso  i:a  tanto 
Sangue  nemico,  e  n'  è  veiniigiiii  ancora, 

E,  come  sai,  perfetta;  e  non  ù  for?e 
Altra  spada,  che  debba  a  lei  preporse. 

35.  Onde  piace  lassù,  che,  s'  or  la  parte 
Dal  suo  primo  signor  acer)>a  morte. 
Oziosa  non  resti  in  questa  parte, 

Ma  (li  man  passi  in  mano  ardita  e  forte, 
Che  r  usi  poi  con  egual  forza  ed  arte. 
Ma  più  lunga  stagion  con  lieta  sorte, 
E  con  lei  faccia,  perché  a  lei  s'  aspetta. 
Di  chi  Sveno  le  uccise  aspra  vendetta. 

36.  Soliman  Sveno  uccise,  e  Solimano 
Dee  per  la  spada  sua  restarne  ucciso. 
Prendila  dunque,  e  vanne,  ove  il  cri=tiano 
Campo  fia  intorno  all'  alte  mura  assiso! 

E  non  temer,  che  nel  paese  estrano 
Ti  fia  il  sentier  di  novo  anco  preciso  ! 
Che  t'  agevolerà  per  l'  aspra  via 
L'  alta  destra  di  lui,  eli'  or  là  t'  invia. 

37.  Quivi  egli  vuol,  che  da  cotesta  voce, 
Che  viva  in  te  serbò ,  si  manifesti 

La  pietade ,  il  valor ,  l'  ardir  feroce, 
Che  nel  diletto  tuo  signor  vedesti  ; 
Perché  a  segnar  della  purpurea  croce 
L'  arme  con  tale  esempio  altri  si  desti, 
Ed  ora,   e  dopo  un  corso  anco  di  lustri 
Infiammati  ne  sian  gli  animi  illu.stri. 

38.  Resta ,   che  sappia  tu ,  chi  sia  colui, 
Che  deve  della  spada  esser  erede. 
Questi  è  Rinaldo  il  giovinetto,  a  cui 
11  pregio  di  fortezza  ogni  altro  cede. 
A  lui  la  porgi  e  di' ,  che  sol  da  lui 

L'  alta  vendetta  il  cielo  e  "1  mondo  chiede! 
Or,    mentre  io  le  sue  voci  intento  ascolto, 
Fui  da  miracol  novo  a  sé  rivolto  : 

39.  Che  là,  dove  il  cadavero  giacca. 
Ebbi  improvviso  un  gran  sepolcro  scorto. 
Che  sorgendo  rinchiuso  in  sé  1'  a^ca, 
Come,  n(ui  so,  né  con  qual'  arte  sorto, 

E  in  brevi  note  altrui  vi  si  sponea 
Il  nome  e  la  virtù  del  guerrier  morto, 
lo  non  sapea  da  tal  vista  levarmi, 
Mirando  ora  le  lettere  ,  ed  ora  i  marmi. 

40.  Qui ,  disse  il  vecchio ,   appresso  ai  fidi  amù 
Giacerà  del  tiu>  duce  il  corpo  ascoso,^ 
Mentre  gli  spirti  amando  in  ciel  felici 
Godon  perpetuo  beiu;  e  glorioso. 
Ma  tu  col  pianto  ornai  gli  estremi  uffici 
Pagato  hai  loro,  e  tempo  è  di  riposo. 
0.-~te  mio  ne  sarai,   sinch'  al  viaggio 
Mutlutin  ti  risvegli  novo  raggio. 


I 


n] 


GERUSALEMME   LIBERATA.  (Vili.  41-56) 


[98] 


1.      Tacque  ;  e  per  lochi  ora  sublimi  ,    or  cupi 
Mi  scorse,  onde  a  gran  pena  il  fianco  trassi, 
Sìnch'  ove  pende  da  sehag-ge  rupi 
Cava  spelonca ,  raccogliemmo  i  passi. 
Questo  è  il  suo  albergo:  ivi  fra  gli  orsi  e  i  lupi 
Col  discepolo  suo  sicuro  stassi  ;  { 

Che  difesa  miglior,  eh'  usbergo  e  scudo, 
È  la  santa  innocenza  al  petto  ignudo. 


. 


3 


Silvestre  cibo,  e  duro  letto  porse 
Quivi  alle  membra  mie  posa  e  ristoro. 
Ma,  poich'  accc.-i  in  oliente  scorse 

I  raggi  del  mattin  purpurei  e  d'  oro. 
Vigilante  ad  orar  subito  sorse 
L'  uno  e  1'  altro  eremita,  ed  io  con  loro. 
Dal  santo  vecchio  poi  congedo  tolsi, 
E  qui,  dov'  egli  consigliò,  mi  volsi. 

Qui  si  tacque  il  Tedesco  ;    e  gli  rispose 

II  pio  Buglione  :  oh  cavalier,  tu  porte 
Dure  novelle  al  campo  e  dolorose, 
Ond'  a  ragion  si  turbi  e  si  sconforte, 
Poiché  genti  si  amiche  e  valorose 
Breve  ora  lia  tolte ,  e  poca  terra  assorte, 
E  in  guisa  d'  un  baleno  il  signor  vostro 
S'  è  in  un  sol  punto  dileguato  e  mostro. 

4.  Ma  che?  felice  è  cotal  morte  e  scempio 
Vie  più  eh'  acquisto  di  province  e  d'  oro. 
Kè  dar  1'  antico  campidoglio  esempio 

D'  alcun  può  mai  sì  glorioso  alloro. 
Essi  del  ciel  nel  luminoso  tempio 
Han  corona  immortai  del  vincer  loro. 
Ivi,  cred'  io,  che  le  sue  belle  piaghe 
Ciascun  lieto  dimostri ,  e  se  n'  appaghe. 

*.      Ma  tu ,  che  alle  fatiche  ed  al  periglio 
Nella  milizia  ancor  resti  del  mondo. 
Devi  gioir  de'  lor  trionfi,    e  'I  ciglio 
Render,   quanto  conviene,  ornai  giocondo. 
E  pi  rcliò  chiedi  di  Bertoldo  il  figlio, 
Sappi,  «'h'  ei  fuor  dell'  o>tc  è  vagabondo; 
Ne  lodo  io  già,  che  dubl)ia  via  tu  prenda, 
Priachè  di  lui  certa  novella  intenda. 

5.  Questo  lor  ragionar  nell'  altrui  mente 
Di  Rinaldo  1'  amor  desta  e  ritmova: 

E  ^'  è  <Iii  dice:  ahi,  fra  pagana  gente 

Il  giovinetto  errante  or  si  ritrova. 

E  non  v'  è  quasi  alcun  ,  che  non  rammento 

Narrando  al  Dano  i  suoi  gran  fatti  a  prova, 

E  dell'  opere  r-w  la  lunga  tela 

Con  istupor  gli  .si  dispiega  e  svela. 

ì.      Or  quando  del  garzon  la  rimembranza 
Avea  gli  animi  lutti  inteneriti. 
Ecco  molli  tornar,  che  |)er  usanza 
Eran  d'   intorno  a  depredare  usciti. 
Condncean  (juestì  scc-o  in   ahboiulanza 
E   inandn!  di  lanuti,  e  buoi  rapiti, 
E  biade  ancor,  benciiè  non  molle,  e  strame, 
Cile  pasca  de'  corsicr  l'   avida  fame. 

E  que^li  di  sciagura  a>pra  e    nojosa 
Segno  |)ortàr ,  clic   in  up|)aren'/.a  <•  cerio: 
Roda  del   buon   Uinalilo  e  >angnino-<a 
lia  so|)ra\w>ta,  ed  ogni  arnr>c  aperto. 
'i\»>lo  fi  spar>e  (  e  clii  jiotria  tal  co-a 
Tener  celala.')  un   rumor  vario  «•  incerto. 
Corre  il  vulgo  dolente  alle  novelle 
Del  guerriero  e  dell'  arme,    «:  vuol  udclle. 


49.  Vede  e  conosce  ben  1'  immensa  mole 
Del  grande  usbergo,  e  '1  folgorar  del  lume, 
E  r  armi  tutte,  ove  è  1'  augel,  eh'  al  sole' 
Prova  i  suoi  figli,  e  mal  crede  alle  piume; 
Che  di  vederle  già  primiero  o  sole 

Neil'  imprese  più  grandi  ebbe  in  costume, 
Ed  or,  non  senza  alta  pietade  ed  ira. 
Rotte  e  sanguigne  ivi  giacer  le  mira, 

50.  Mentre  bisbiglia  il  campo,    e  la  cagione 
Della  morte  di  lui  varia  si  crede, 

A  sé  chiama  Aliprando  il  pio   Buglione, 
Duce  di  quei ,  che  ne  portar  le  prede, 
Uom  di  libera  n«ente,    e  di  sermone 
Veracissimo   e  schietto,  ed  a  lui  chiede: 
Dì ,   come  e  donde  tu  rechi  quest'  arme, 
E  di  buono  o  di  reo  nulla  celarme! 

51.  Gli  risponde  colui:  di  qui  lontano 
Quanto  in  due  giorni  im  mes-aggiero  andria, 
A  erso  il  confin  di  Gaza  un  picciol  piano 
Chiuso  tra  colli  alquanto  è  fuor  di  via; 

E  in  lui  d'  alto  deriva,   e  lento  e  piano 
Tra  pianta  e  pianta  un  fiumicel  s'  invia; 
E  d'  arbori  e  di  macchie  ombroso  e  folto 
Opportuno  all'  insidie  il  loco  è  molto. 

52.  Qui  greggia  alcuna  cercavara  ,   che  fosse 
A  eiiut.i  a'   paschi  dell'  erbose  ^ponde, 

E  sull'  erbe  miriam  di  sangue  ro.-se 
Giacerne  un  guerrier  morto  in  riva  ali"  onde. 
All'  arme  ed  all'  insegne  ogni  uom  si  mosse; 
Che  furon  cono.sciute,    ancorché  immonde. 
lo  in'  appressai,  per  discoprirgli  il  viso; 
Ria  trovai ,  eh'  era  il  capo  indi  reciso, 

53.  Mancava  ancor  hi  destra .  e  '1  busto  grande 
Molte   ferite  avea  dal  tergo  al  petto: 

E  non  lontan  con  l'  aquila ,  che  spande 
Le  candide  ali,  giacca  il  voto  elmetto. 
Mentre  cerco  d'  alcuno ,    a  cui  dimande. 
In  viilanel  sopraggiungea  ^oletto, 
Che  'ndietro  il  passo  per  fuggirne  torse 
Subitamente  che  di  noi  s'  accorse. 

54.  Ma  segullato  e  preso,   alla  richiesta, 
Che  noi  gli  facevamo,  allìn  ris|)o»e: 
Che  '1  giorno  innanzi  u^<-ir  della  foresta 
Scorse  molti  guerrieri,   ond    ei  s'  ascose: 
E  di"  un  «!'  es>i  tenea  recisa  testa 

IVr  le  i^m'.  chiouie  hioniie  e  sanguinose, 

La  <|iial  gli   par\e,    rimirando  intento, 

D'  uom  giovinetto,  e  senza  peli  al  mento; 

55.  E  che  'l  medesmo  poco  poi  l'  avvolse 

In  mi  zendado  dall'  arcion  pendente. 
Soggiunse  ancor,  eh'    all'  abito   raccolse, 
('II'  erano  i  cavalier  di  nostra  gente. 
Io  spogliar  feci   il  corpo  ,   e  >ì   men  iloisc, 
CIk;  piansi  nel  sos|)e(to  amaramente, 
E   portai  meco   V   arme  ,  e  lasciai  cura, 
('ir  avesse  degno  onor  di  sepoltura. 

5(».      Ma  «e  quel  nobii    tronco  è  quel,    eh*  io  credo. 
Altra  tomba,  altra  pompa  egli   ben  iiurta. 
Co^i   detto,    \lIprando  ebiie   congedo, 
l'crocchè  cosa  non  avea  più  certa. 
Rimase  grave,    e  sospirò  (ìoIVredo: 
l'or  nel  tristo  peiisier  non   si   riiccci'la, 
E   con   pili   chiari  segni   il   moiiro  lMi«to 
('oiiOBi.er  vuole,  e  I'  omicida  ingiu»(o. 


[99] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (Vili.  57—72) 


[im 


57.  Sorgea  la  notte  intanto ,  e  sotto  1'  ali 
Ricoprila  del  cielo  i  campi  iuimentii, 

E  '1  sonno ,  ozio  dell'  alme ,  e  obhlio  de'  mali, 

Lusingando  sopia  le  cure  e  i  sensi. 

Tu  sol  punto,  Argillan,  d'  acuti  strali 

D'  aspro  dolor  volgi  gran  cose,  e  pensi. 

Né  r  agitato  sen ,  né  gli  occlij  ponno 

La  quiete  raccorrò,  o  '1  molle  sonno. 

58.  Costui ,  pronto  di  man  ,  di  lìngua  ardito, 
Impetuoso  e  fervisìo  d'  ingegno, 

Nacque  in  riva  del  Tronto,  e  fu  nutrito 
Nelle  risse  civil  d'  odio  e  di  sdegno. 
Poscia  in  esiglio  spinto,  i  colli  e  '1  lito 
Empiè  di  sangue ,  e  depredò  quel  regno. 
Sinché  neir  Asia  a  guerreggiar  sen  venne, 
E  per  fama  miglior  chiaro  divenne. 

59.  Alfìn  questi  sull'  alba  i  lumi  chiuse; 
Né  già  fu  sonno  il  suo  queto  e  soave. 

Ma  fu  stupor,  eh'  Aletto  al  cor  gì'  infuse," 
Non  men,  che  morte  sia,  profondo  e  grave. 
Sono  le  interne  sue  virtù  deluse, 
E  riposo  dormendo  anco  non  have: 
Che  la  Furia  crudel  gli  s'  appresenta 
Sotto  orribili  larve,  e  lo  sgomenta. 

60.  Gli  figura  un  gran  busto ,  ond'  è  diviso 
n  capo ,    e  della  destra  il  braccio  è  mozzo, 
E  sostien  con  la  manca  il  teschio  inciso. 
Di  sangue  e  di  pallor  livido  e  sozzo. 
Spira,  e  parla  spirando  il  morto  viso, 

E    l  parlar  vien  col  sangue  e  col  singhiozzo  : 
Fuggi,  Argillan!  non  vedi  omai  la  luce? 
Fuggi  le  tende  infami,  e  1'  empio  duce! 

61.  Chi  dal  fero  Goffredo  e  dalla  frode, 
Ch'  uccise  me ,  voi ,  cari  amici ,  affida  ? 
D'  astio  dentro  il  fellon  tutto  si  rode, 
E  pensa  sol ,  come  voi  meco  uccida. 
Pur,  se  cotesta  mano  a  nobil  lode 
Aspira,  e  in  sua  virtù  tanto  si  fida, 

Non  fuggir,  no!  plachi  il  tiranno  esangue 
Lo  spirto  mio  col  suo  maligno  sangue! 

62.  Io  sarò  teco ,  ombra  di  ferro  e  d'  ira 
Ministra ,  e  t'  armerò  la  destra  e  '1  seno. 
Così  gli  parla,  e  nel  parlar  gli  spira 
Spìrito  novo  di  furor  ripieno. 

Si  rompe  il  sonno ,  e  sbigottito  ei  gira 
Gli  occhj  gonfj  di  rabbia  e  di  veleno, 
Ed  armato  eh'  egli  é,  con  importuna 
Fretta  i  guerrier  d'  Italia  insieme  aduna. 

63.  Gli  aduna  là ,  dove  sospese  stanno 

L'  arme  del  buon  Rinaldo,  e  con  superba 

Voce  il  furore  e  '1  concejjjito  affanno 

In  tai  detti  divulga ,  e  disacerba  : 

Dunque  un  popolo  barbari)  e  tiranno, 

Che  non  prezza  ragion,  che  fé  non  serba. 

Clic  non  fu  mai  di  sangue  e  d'  or  satollo. 

Ne  terrà  '1  freno  in  bocca,  e  i  giogo   al   collo? 

64.  Ciò,  che  sofferto  abbiani  d'  aspro  e  d'   indegno 
Sette  anni  ornai  sotto  isì  ini(iua  soma, 

E  tal,  eli'  arder  di  scorno,  arder  di  sdegno 
Potrà  da  qui  a  mill'  anni  Italia  e  Roma. 
Taccio,  che  fu  dall'  arme  e  dall'  ingegno 
Del  buon  Tan(;redi  la  Cilicia  doma, 
E  eh'  ora  il  l'ranco  a  tradigion  la  gode, 
E  i  prcmj  usurpa  del  valor  la  frode. 


65.      Taccio,  eh'  ove  il  bisogno  e  '1  tempo  chiede 
Pronta  man,  pensicr  fermo,   animo  audace, 
Alcuno  ivi  di  noi  primo  si  vede 
Portar  fra  mille  morti  o  ferro,  o  face. 
Quando  le  palme  poi ,  quando  le  prede 
Si  dispensan  nell'  ozio  e  nella  pace. 
Nostri  non  sono  già,  ma  tutti  loro 

I  trionfi ,  gli  onor ,  le  terre ,  e  1'  oro. 

60.      Tempo  forse  già  fu,  che  gravi  e  strane 
Ne  potevan  parer  si  fatte  offese  : 
Quasi  lievi  or  le  passo  :  orrenda ,  immane 
Ferità  leggierissime  1'  ha  rese. 
Hanno  ucciso  Rinaldo,  e  con  1'  umane 
L'  alte  leggi  divine  han  vilipese. 
E  non  fulmina  il  cielo?  e  non  1'  inghìotte 
La  terra  entro  la  sua  perpetua  notte  ? 

67.  Rinaldo  han  morto,    il  qual  fu  spada  e  sead 
Di  nostra  fede:  ed  ancor  giace  inulto? 

Inulto  giace,   e  sul  terreno  ignudo 
Lacerato  il  lasciare  ed  insepulto. 
Ricercate  saper,  chi  fosse  il  crudo? 
A  chi  puote,  oh  compagni,  esser  occulto? 
Deh,  chi  non  sa,  quanto  al  valor  latino 
Portin  Goffredo  invidia  e  Baldovino? 

68.  Ma  che  cerco  argomenti?  Il  cielo  io  giuro, 

II  ciel,  che  n'  ode,  e  eh'  ingannar  non  lìce, 
Ch'  allor,  che  si  rischiara  il  mondo  oscuro, 
Spirito  errante  il  vidi  ed  infelice. 

Che  spettacolo  (oimè  !  )  crudele  e  duro  ! 
Quai  frodi  di  Goffredo  a  noi  predice! 

10  '1  vidi,  e  noh  fu  sogno,  e  ovunque  or  miri, 
Par,  che  dinanzi  agli  occhj  miei  s'  aggiri, 

69.  Or  che  faremo  noi?  Dee  quella  mano. 
Che  di  morte  si  ingiusta  è  ancora  immonda. 
Reggerci  sempre?  oppur  vorrem  lontano 
Girne  da  lei,  dove  1'  Eufrate  inonda? 
Dove  a  popolo  imbelle  in  fertil  piano 
Tante  ville  e  città  nutre  e  feconda  ; 
Anzi  a  noi  pur.     Nostre  saranno,  io  spero, 
Né  co'  Franchi  comune  avrera  1'  impero. 

70.  Andianne,  e  resti  invendicato  il  sangue 
(Se  così  parvi)  illustre  ed  innocente! 
Benché ,  se  la  virtù ,  che  fredda  langue, 
Fosse  ora  in  voi ,  quanto  dovrebbe ,  ardente. 
Questo ,  che  divorò ,  pestifero  angue, 

11  pregio  e'  1  fior  della  latina  gente, 
Daria  con  la  sua  morte  e  con  lo  scempio 
Agli  altri  mostri  memorando  esempio. 

71.  Io,  io  vorrei,  se  '1  vostro  alto  valore, 
Quanto  egli  può ,  tanto  voler  osasse , 
Ch'  oggi  per  questa  man  nell'  empio  core. 
Nido  di  tradigion,  la  pena  entrasse. 
Così  |)arla  agitato;  e  nel  furore, 
E  neir  impeto  suo  ciascuno  ei  traase. 
Arme,  arme  freme  il  forsennato,  e  insieme 
La  gioventù  superba  arme ,  arme  freme. 

72.  Rota  Aletto  fra  lor  la  destra  armata, 
E  col  foco  il  veleu  ne'  petti  mesce, 
Lo  sdegno ,  la  follia ,  la  scellerata 
Sete  del  sangue,  ognor  più  infuria  e  cresce: 
E  serpe  quella  peste  e  si  dilata, 
E  degli  alberghi  italici  fuor  n'  esce, 
E  passa  fra  gli  EIvczj ,  e  vi  s'  ajiprende, 
E  di  là  poscia  anco  agi'  Inglesi  tende. 


01] 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (Vili.  73—85) 


[102] 


Nò  sol  r  estrane  genti  avvien  che  mova 
Il  duro  caso,  e  '1  gran  pubblico  danno, 
Ma  1'  antiche  cagioni  all'  ira  nova 
Materia  insieme  e  nutrimento  danno. 
Ogni  sopito  sdegno   or  si  rinnova  : 
Chiamano  il  popol  franco  empio  e  tiranno, 
E  in  superbe  minacce  esce  difTuso 
L'  odio ,  che  non  può  starne  ornai  più  chiuso. 

Cosi  nel  cavo  rame  umor,  che  bolle 
Per  troppo  foco ,  entro  gorgoglia  e  fuma, 
Né  capendo  in  sé  stesso,  alfin  s'  estolle 
Sovra  gli  orli  del  vaso,  e  inonda  e  spuma. 
Non  bastano  a  frenare  il  vulgo  folle 
Que   pochi,   a  cui  la  mente  il  vero  alluma. 
E  Tancredi  e  Camillo  eran  lontani, 
Guglielmo,  e  gli  altri  in  podestà  soprani. 

Corrono  già  precipitosi  all'  armi 
Confusamente  i  popoli  feroci: 
E  già  s'  odon  cantar  bellici  carmi 
Sediziose  trombe  in  fere  voci. 
Gridano  intanto  al  pio  Buglion,  che  s'  armi, 
Molti  di  qua  di  là  nunzj  veloci, 
E  Baldovino  innanzi  a  tutti  armato 
Gli  s'  appresenta,  e  gli  si  pone  allato. 

Egli,  eh'  ode  1'  accusa ,  i  lumi  al  cielo 
Drizza,  e  pur,  come  suole,  a  Dio  ricorre: 
Signor ,  tu ,  che  sai  ben ,  con  quanto  zelo 
La  destra  mia  dal  civil  sangue  aborre. 
Tu  squarcia  a  questi  della  mente  il  velo, 
E  reprimi  il  furor,  che  sì  trascorre, 
E  r  innocenza  mia ,  che  costà  sopra 
E  nota,  al  mondo  cieco  anco  si  scopra! 

Tacque;  e  dal  cielo  infuso  ir  fra  le  vene 
Sentissi  un  nuovo  inusitato  caldo, 
Colmo  d'  alto  vigor,  d'  ardita  spenc, 
(Jlie  nel  volto  si  sparge  e  '1  fa  più  baldo. 
E  da'  suoi  circondato,  oltra  sen  viene 
Contra  chi  vendicar  credea  Ilinaldo, 
fiè ,  perchè  d'  arme  e  di  minacce  ei  senta 
Fremito  d'  ogni  intorno ,  il  passo  allenta. 

Ha  la  corazza  in  dosso ,  e  nobil  veste 
liiccamente  1'  adorna  oltra  '1  costume. 
INudo  e  ie  mani  e  '1  volto ,  e  di  celeste 
Maestà  vi  risplende  un  nuovo  lume. 
Scote  r  aurato  scettro ,  e  sol  con  queste 
Arme  acquetar  quegl'  impeti  presume. 
Tal  si  mostra  a  coloro ,  e  tal  ragiona  ; 
Né  come  d'  uom  mortai  la  voce  suona; 


79.  Quali  stolte  minacce,  e  quale  or  odo 
Vano  strepito  d'  arme.""  e  chi  '1  commove? 
Cosi  qui  riverito ,  e  in  questo  modo 

Noto  son  io  dopo  si  lunghe  prove, 
Ch'  ancor  v'  è  chi  sospetti ,  e  chi  di  frodo 
Goffredo  accasi,  e  chi  1'  accuse  approve.^ 
Forse  aspettate  ancor,  eh'  a  voi  mi  pieghi, 
E  ragioni  v'  adduca,  e  porga  preghi.-" 

80.  Ah  non  sìa  ver,  che  tanta  indegnitate 
La  terra  piena  del  mio  nome  intenda! 
Me  questo  scettro ,  me  dell'  onorate 
Opre  mie  la  memoria  e  'i  ver  difenda. 
E  per  or  la  giustizia  alla  pietate 

Ceda ,  nò  sovra  i  rei  la  pena  scenda  ! 
Agli  altri  merti  or  quest'  error  perdono, 
Ed  al  vostro  Rinaldo  anco  vi  dono. 

81.  Col  sangue  suo  lavi  il  comun  difetto 
Solo  Argiiìan,  di  tante  colpe  autore. 
Che,  mosso  a  leggierissimo  sospetto, 
Sospinti  gli  altri  ha  nel  medesmo  errore! 
Lamj-i  e  folgori  ardean  nel  regio  aspetto, 
Menue  ei  parlò,  di  maestà,  d'  orrore. 
Tale  il'  Arginano  attonito  e  conquiso 
Teme  (chi  '1  crederia.'')  I'  ira  d"  un  viso. 

82.  E  i  volgo ,  eh'  anzi  irriverente ,  audaco 
Tutto  fremer  s'  udia  d'  orgogli  e  d'  onte, 
E  eh'  ebbe  al  ferro,  all'  aste  ed  alla  face, 
Che  '1  furor  ministrò,  le  man  sì  pronte, 
Non  osa  (e  i  detti  alteri  ascolta  e  tace) 
Fra  timor  e  vergogna  alzar  la  fronte, 

E  sostien,  eh'  Argillano,  ancorché  cinto 
Dell'  armi  lor,  sia  da'  ministri  avvinto. 

83.  Così  leon  ,  eh'  anzi  V  orribil  coma 
Con  muggito  scotea  superbo  e  fero, 
Se  poi  vede  il  maestro  ,  onde  fu  doma 
La  natia  ferità  del  core  altero, 

Può  del  giogo  soffrir  i'  ignobil  soma, 

E  teme  le  minacce,  e  '1  duro  impero. 

Né  i  gran  velli,  igran  denti,  el'  unghie,  eh'  hanno 

Tanta  in  sé  forza,  insuperbire  il  fanno. 

84.  È  fama,  che  fu  visto  in  volto  crudo, 
Ed  in  atto  feroce  e  minacciante. 

Un  alato  guerrier  tener  lo  scudo 
Della  difesa  al  pio  Hiiglion  davante, 
E  vibrar  fulminando  il  IVrro  igniulo. 
Che  di  sangue  vedeasi  ancor  stillante. 
Sangue  era  forse  di  città  e  di  regni,^ 
Che  provocar  dei  ciclo  i  tardi  sdegni. 


85.      Così  cheto  il  tumulto,  ognun  depone 

L'  arme,  e  molti  con  V  arme  il  mal  talento, 

E  ritorna  Goffredo  al  padiglione, 

A  varie  cosi;,  a  nuo^e  imprese-  intento: 

Ch'  assalir  la  cittade  egli  di^pone 

Priachè  '1  secondo,  o  '1  terzo  dì  sin  spento: 

E  rivedendo  va  i'  hicisc  travi 

Giù  in  macchine  coutente  orrende  e  gravi. 


7  * 


[103] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     flX.    1—12) 


[104] 


CANTO      NOiSrO. 


ARGOMENTO. 

TostocK'  orrida  votte  il  cicl  coprio. 
Arma  Aletto  il  soldan  (ì'  ire  omicide  ; 
Ond'  ti  co''  suoi,  che  dalV  Arabia  tinto. 
Assai  P  oste  fedel ,  fere  ed  ancide. 
Ma  già  il  mostro  infernal  V  angel  di  Dio 
Scaccia,  e  prendono  ardir  le  genti  fide: 
E  prende  il  Turco  alfin  la  fuga  e  'i  corso  ; 
Che  di  prodi  guerrier  giunto  è  soccorso. 


1.  Ma  il  gran  mostro  infernal,  che  vede  queti 
Quc'  già  torbidi  cori ,  e  V  ire  spente, 

È  cozzar  contra  'I  fato,  e  i  gran  decreti 
Svolger  non  può  dell'  ininuilabil  mente, 
Si  parte ,  e ,  dove  pa^^a .  i  campi  lieti 
Secca  ,  e  pallido  il  sol  si  fa  repente  ; 
E ,  d'  altre  furie  ancora ,  e  d'  altri  mali 
Ministro,  a  nova  impresa  affretta  1'  ali. 

2.  Egli,  che  dall'  esercito  cristiano 
Per  industria  sapea  de'  suoi  consorti, 
11  figliuol  di  Bertoldo  esser  lontano, 
Tancredi,  e  gli  altri  più  temuti  e  forti. 
Disse:  che  più  s'  aspetta?  Or  Solimano 
Inaspettato  venga,  e  guerra  porti  ! 

Certo  Co  eh'  io  spero)  alta  littoria  avremo 
Di  campo  mal  concorde,  e  in  parte  scemo. 

3.  Ciò  detto  ,  vola  ove ,  fra  squadre  erranti, 
Fattosen  duce,   Soliman  dimora; 

Quel  Soliman,  di  cui  non  fu,  tra  quanti 
Ha  Dio  rulielli ,  uom  più  feroce  allora  ; 
Né,  se  per  nova  ingiuria  i  suoi  giganti 
Rinnovasse  la  terra,  anco  vi  fora. 
Questi  fu  re  de'  Turchi,  ed  in  Nicea 
La  sede  dell'  imperio  aver  solca, 

4.  E  distendeva  incontra  ai  greci  lidi 
Dal  Sangario  al  Meandro  il  suo  confine; 
Ove  alliergàr  già  Misi,  e  Frigi,  e  Lidi, 
E  le  genti   di  Ponto  e  le  hitiiie. 

Ma  poiché  contra  i  Turchi  e  gli  altri  iuGdi 
Passar  nell'  Asia  l'  armi  peregrine, 
Fur  sue  terre  espugnate,  ed  ci  sconfitto 
Ben  due  fiate  in  general  conflitto  ; 

5.  E   ritentata  avendo  invan  la  sorte, 
E  spinto  a  f(ir/.a  dal  natio  paese. 
Ricoverò  del  re;  d'   llgitto  in  corte, 
Cir  o^te  gli  In  magnanimo  e  cortese. 
Ed  cithc  a  {^lado,   e  Ih;  frncrrier  sì  forte 
Gli  s'  ollìi^he  ((iinpafriio  all'  alle  imprese. 
Proposto  avendo  già  vi(;tar  1'  acquisto 

Di  Palestina  ai  cavalier  di  Cri>to. 


6.  Ma,  priraach'  egli  apertamente  loro 
La  destinata  guerra  annunziasse, 
^  olle ,  che  Solimano ,  a  cui  molt'  oro 
Die'  per  tal  uso ,  gli  Arabi  assoldasse. 
Or  mentre  ei  d'  Asia  e  del  paese  moro 
L'  oste  accogliea ,  Soliman  venne ,  e  trasse 
Agevolmente  a  sé  gli  Arabi  avari, 
Ladroni  in  ogni  tempo,  o  mercenari. 

7.  Cosi  fatto  lor  duce,  or  d'  ogni  intorno 
La  Giudea  scorre ,  e  fa  prede  e  rapine  ; 
Sicché  "1  venire  è  chiuso  ,  e  'I  far  ritorno 
Dall'  esercito  franco  alle  marine. 
E  rimembrando  ognor  1'  antico  scorno, 
E  dell'  imperio  suo  1'  alte  ruine. 
Cose  maggior  nel  petto  acceso  volve, 
Ma  non  ben  s'  assecura,  o  si  risolve. 

8.  ,  A  costui  viene  Aletto ,  e  da  lei  tolto 
E  '1  sembiante  d'  un  uom  d'  antica  etade. 
Vota  di  sangue ,  empie  di  crespe  il  volto. 
Lascia  barbuto  il  labro ,  e  'l  mento  rade. 
Dimostra  il  capo  in  lunghe  tele  avvolto  : 
La  veste  oltra  'l  ginocchio  al  pie  gli  cade: 
La  scimitarra  al  fianco ,  e  '1  tergo  carco 
Della  faretra ,  e  nelle  mani  ha  1'  arco. 

9.  Noi ,  gli  dice  ella ,  or  trascorriam  le  vote 
Piagge ,  e  l'  arene  sterili  e  deserte, 
Ove  né  far  rapina  ornai  si  puote. 
Né  vittoria  acquistar,  che  loda  raerte. 
Goffredo  intanto  la  città  percote, 
E  già  le  mura  ha  con  le  torri  aperte: 
E  già  vedrem,  s'  ancor  si  tarda  un  poco, 
Infin  di  qua  le  sue  ruine  e  'l  foco. 

10.  Dunque  accesi  tugurj ,  e  gregge,  e  buoi 
Gli  alti  trofei   ili  Soliman  saranno.'' 
Così  racqnisti  il  regno  ?  e  c()>ì  i  tuoi 
Oltraggi  vendicar  ti  credi,  e  '1  danno? 
Ardi>ci,  ardisci!  entro  ni  ripari  suoi 
Di  notte  opprimi  il  barbaro  tiranno! 
Credi  al  tuo  vecchio  Ararpe ,   il  cui  consiglio 
E  nel  regno  provasti ,  e  nell'  esiglio  ! 

11.  Non  ci  aspetta  egli,  e  non  ci  teme,  e  sprezz  l 
Gli  Arabi  ignudi  in  vero   e  timorosi, 
Né  creder  mai  potrà,  che  gente  avvezza 
Alle  prede,  alle  fughe,  or  cotanto  o»i. 
Ma  fieri  li  farà  la  tua  nerezza 
Contra  un  campo,  che  giaccia  inerme  e  posi. 
Così  gli  disse;  e  le  sue  furie  ardenti 
Spinigli  al  seno ,  e  si  mischiò  tra'  venti. 

12.  Grida  il  guerrier,  levando  al  ciel  la  mano: 
Oh  tu,  che  furor  tanto  al  c(»r  m'  irriti, 
N«^«l  uom  sei  già,  sebbcn  seminante  umano 
Mostrasti,  ecco  io  ti  segno,    o^e  m'  inviti, 
ì  (  irò  ;  farò  là  monti ,  ov'  ora  è  piano. 
Monti  d'   uomini  estinti  e  di  feriti  : 
l'arò  fiumi  di  sarifjue.     Or  tu  sia  meco, 
E  reggi  r  arme  mie  per  l'  aer  cieco  ! 


105] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (IX.  13-28> 


[106] 


3.  Tace;  e  senza  indugiar  le  turbe  accoglie, 
E  rincora  parlando  il  rile  e  '1  lento, 

E  neir  ardor  delle  sue  stesse  Toglie 

Accende  il  campo  a  seguitarlo  intento. 

Dà  il  segno  Aletto  della  tromba,  e  scioglie 

Dì  sua  man   propria  il  gran  vessillo  al  vento. 

Marcia  1'  oste  veloce;  anzi  sì  corre, 

Che  della  fama  il  volo  anco  precorre. 

4.  Va  seco  Aletto,  e  poscia  il  lascia,  e  veste 
D'  uom ,  elio  rechi  novelle ,  abito  e  viso, 

E  neU'  ora.  che  par,  che  '1  mondo  reste 
Fra  la  notte  e  fra  '1  dì  dubbio  e  diviso, 
Entra  in  Gerusalemme,  e  tra  le  iiie.-te 
Turbe  passando ,  al  re  dà  1'  alto  avviso 
Del  gran  camjio ,  che  giunge,  e  del  disegno, 
E  dei  notturno  assalto  e  1'  ora  e  '1  segno. 

5.  Ma  già  distendon  1'   ombre  orrido  velo. 
Che  di  rossi  vapor  si  sparge  e  tigne. 

La  terra,  in  vece  del  notturno  gelo, 
Bagnan  rugiade  tepide  e  sanguigne. 
S'  empie  di  mostri  e  di  prodigj  il  cielo: 
S'  odon  fremendo  errar  larve  maligne. 
Votò  Pluton  gli  abissi ,  e  la  sua  notte 
Tutta  versò  dalle  tartaree  grotte. 

8.      Per  sì  profondo  orror  verso  le  tende 
Degl'  inimici  il  fer  soldan  cammina. 
Ma  quando  a  mezzo  del  suo  ciu-so  ascende 
La  notte,  onde  ])oi  rapida  decliina, 
A  men  d'  un  miglio,  ove  riposo  prende 
11  securo  Francese,  ei  s'  avvicina. 
Qui  fé'  cibar  le  genti,  e  poscia,  d'  alto 
Parlando ,  confurtollc  al  crudo  assalto. 

ì.      Vedete  là  di  mille  furti  pieno 
Un  campo  più  famoso  assai ,  che  forte, 
Che,  quasi  un  mar,  nel  suo  vorace  seno 
Tutte  dell'  Asia  ha  le  ricchezze  assorte! 
Qu<!sto  ora  a  voi  fiiè  già  potria  con  meno 
Vostro  perigli(»)  espon  benigna  sorte. 
L'  arme  e  i  destrier  d'  ostro  gueiniti  e  d'  oro 
Preda  fian  vostra,  e  non  difesa  loro. 

J.      Nò  qtiesta  è  già  quell'  oste ,  onde  la  persa 
Gente,  e  la  gente  di  INicca  fu  vinta: 
Perchè  in  guerra  sì  lunga  e  sì  diversa 
Himasa  n'  è  la  maggior  parte  estinta. 
E  s'  anco  integra  fosse ,  (»r  tutta  immersa 
In  profonda  quiete  e  d'  arme  è  scinta. 
Tosto  s'  o|>|irime  chi  di  s(uuio  è  carco  ; 
Che  dal  sonno  alla  morte  è  un  picciol  varco. 

L      Su ,  su  venite  !  io  primo  aprir  la  strada 
Vo'  su  i  corpi  languenti  entro  ai  ripari. 
Ferir  da  questa  mia  ciascuna  spada, 
E  r  arti   usar  di  crudeltatc  impari  ! 
Oggi  ha,  che  di   ('risto    il  regno  cada: 
Oggi  libera  1'  Asia  ;  oggi  voi  chiari. 
VaìA  gT  infìannna  alle;  vicine  prove, 
Indi  ta*:itamente  oitra  lor  move. 


Ecco  tra  via  le  sentinelle  ei  vede 
Per  r  omlira  mista  d'  ii:ia  incerta  luce, 
Kè  ritrovar  (come  seciira   fede 
Avea)  puolrr  improvviso  il  saggio  duce. 
Voigon  quelle  gridando  indietro   il   piede, 
Scorto,  che  sì  gran  turba  egli  conduce; 
SiccluV  la  prima  guardia  è  da   lor  desta, 
Che,  com'  può  meglio,  u  guerreggiar  s'  appresta. 


2L     Dan  fiato  allora  ai  barbari  metalli 
Gli  Arabi,  certi  omai  d'  esser  sentiti. 
Xnn  gridi  orrendi  al  cielo,  e  de'  cavalli 
Col  suon  del  calpestio  misti  i  nitriti. 
Gli  alti  monti  muggir,  muggir  le  valli, 
E  risposer  gli  abissi  ai  lor  muggiti. 
fj  la  face  innalzò  di  Flegetonte 
Aletto ,  e    l  segno  diede  a  quei  del  monte. 

22.  Corre  innanzi  il  soldano ,   e  giunge  a  quella 
Confusa  ancora  e  inordinata  guarda 
Rapido  sì ,  che  torbida  procella 

Da'  cavernosi  monti  esce  più  tarda. 
Fiume,  eh'  arbori  insieme  e  case  svella, 
Folgoi-e,   che  le  torri  abbatta  ed  arda. 
Terremoto ,  che  'l  mondo  empia  d'  orrore, 
Son  picciole  sembianze  al  suo  furore. 

23.  IVou  cala  il  ferro  mai,   eh'  appien  non  colga: 
Kè  coglie  appien,  che  piaga  anco   non  taccia, 
]\è  piaga  fa ,  che  1'  alma   altrui  non  tolga. 

E  più  direi  ;  ma  il  ver  di  falso  ha  faccia. 
E  par,  eh'  egli   o  s'  infinga,  o  non  sen  dolga, 
O  non  senta  il  ferir  dell'  altrui  braccia, 
Sebben  l'  elmo  percosso  in  suon   di  squilla 
Rimbomba,  e  orribilmente  arde  e  sfavilla. 

24.  Or  quando  ei  solo  ha  quasi  in   fuga  volto 
Quel  primo  stuol  delle  francesche  genti, 
Giungono ,  in  guisa  d'   un  diluvio  accolto 
Di  mille  rivi,   gli  Arabi  correnti. 
Fuggono  i    1  ranchi  allora  a  freno  sciolto, 

E  misto  il  viiu;itor  va  tra'  fuggenti, 
E  con  lor  entra  ne'  ripari:  e  'l  tutto 
Di  mine  e  d'  orror  s'  empie  e  di  lutto. 

25.  Porta  il  soldan  suU'  elmo  orrido  e  grande 
Serpe,  che  si  dilunga,   e  "l  collo  snoda. 

Su   le  zampe  s'  innalza,  e  1'  ali   spande, 

E  piega  in  arco  la  lonuta  coda. 

Par,  che  tre  lingue  vibri,  e  che  fuor  mande 

Livida  spuma,  e  che  "1  suo  fi^chio  s'   oda, 

Ed  or  eh'  arde  la  pugna,  anch'   ei  s'  infiamma 

INel  moto,  e  fumo  versa  insieme  e  fiamma. 

26.  E  si  mostra  in  quel  lume  a'  riguardanti 
Formidabil  cosi  1'  empio  s(ddauo, 

C(uue  veggiou  nell'  ombra  i  naviganti 
Fra  mille  lam|)i  il  torbido   o<-c<tno. 
Altri  <lanno  alla  fuga  i   pie  tremanti. 
Danno  altri  al    ferro  intrepida  la  mano, 
E    la  notte  i  tumulti  ognor  più   mesce. 
Ed ,  occultando  i  rischj ,  i  riseli]  accresce. 

27.  Fra  color ,  che  mo>traro  il   cor  più  franco, 
Latin,  sul  Tebro  nato,  allor  >i  nutsse, 

A   cui    né  ìv.  fatiche  il  corpo  stanco, 

Né  gli  anni  dome   aveano  ancor  h-  posse. 

CinqiK*  suoi  figli  (jiiasi  eguali  al  fianco 

(ìli  erano  sempre,   o\un(|ue  in  guerra  ei  fosse, 

ir  arme  gravand(»    air/.i   il   lor  tempo  molto 

Le  membra  ancor  cre.'<centi ,  e     1   mtdle  'Mtlto. 

28.  Kd  eccitali  dal   paterno  e><-mpio 
AguzzavaiM»  al  sangue  il  ferro  e  1'  ire. 
ìì'nr  egli   Inru  :    aiidianne  ,  ove  (]iuir  empi»» 
Reggiani   ne'   fuggitici  in-nperbire! 

ISè  già  ritardi  il  •^.ingiiinoso  .ocempio, 
(;h'  ei   fa  degli  altri,  in    voi   1'   u<iito  ar-'ire! 
Perocch»'  quello,   oh   figli,    «•  vile  iirutre. 
('ui  non  adorni  alcun  passato  m-rore. 


[IOTI 


GERUSALEMME  LIBERATA.      (IX.  29-44) 


[108] 


29.  Così  feroce  leonessa  i  figli. 

Cui  dal  collo  la  coma  anco  non  pende, 
Xè  con  gli  anni  lor  nmn  i  feri  artigli 
Cresciuti .  e  1'  arme  della  bocca  orrende, 
Men;i  seco  alla  preda  ed  ai  perigli, 
E  con  r  esempio  a  incrudelir  gli  accendo 
Nel  cacciator ,  che  le  natie  lor  selve 
Turba .  e  fuggir  fa  le  nien  forti  belve. 

30.  Segue  il  buon  genitor  1'  incauto  stuolo 
De'  cinque  .  e  Solimano  assale  e  cinge, 

E  in  uu  sol  punto  un  sol  consiglio  e  un  solo 

Spirito  quasi  sei  lunghe  aste  spinge. 

Ma  troppo  audace  il  suo  maggior  figliuolo 

L'   asta  abbandona,  e  con  quel  fier  si  stringe, 

E  tenta  invan  con  la  pungente   spada, 

Che  sotto  il  corridor  morto  gli  cada, 

31.  Ma  come  alle  procelle  esposto  monte, 
Che  percosso  dai  flutti  al  mar  sovraste, 
Sostien  fermo  in  sé  stesso  i  tuoni  e  1'  onte 
Del  cielo  irato,  e  i  venti  e  1'  onde  vaste: 
Cosi  il  fero  soldan  1'  audace  fronte 

Tien  salda  incontro  ai  ferri  e  incontro  all'    aste. 
Ed  a  colui,  che    l  suo  destrier  percote, 
Tra  i  cigli  parte  il  capo  e  tra  le  gote- 

32.  Araraante  al  fratel,  che  giù  ruina, 
Porge  pietoso  il  brace  io ,  e  lo  sostiene  t 
Vana  e  folle  pietà,   eh'  alla  ruina 
Altrui  la  sua  raedesma  a  giunger  viene! 

Che  'l  pagan  su  quel  braccio  il  ferro  inchina, 
Ed  atterra  con  lui  chi  a  lui  s'  attiene. 
Cnggiono  entrambi,  e  1'  un  suU'  altro  langue, 
Mescolando  i  sospiri  ultimi  e  '1  sangue. 

SS.      Quinci  egli,  di  Sabin  1'  asta  recisa. 
Onde  il  fanciullo  di  lontan  1'  infesta, 
Gli  urta  il  cavallo  addosso,  e  '1  coglie  in  guisa, 
Che  giii  tremante  il  batte,  indi  il  calpesta. 
Dal  giovinetto  corpo  usci  divisa 
Con  gran  contrasto  l'  alma,  e  lasciò  mesta 
L'  aure  soavi  della  vita,  e  i  giorni 
Della  tenera  età  lieti  ed  adorni. 

54.     Ilimanean  vivi  ancor  Pico  e  Laurente, 
Onde  arrichì  un  sol  parto  il  genitore; 
Similisjima  coppia,  e  che  sovente 
Esser  solea  cagion  di  dolce  errore] 
Ma  se  lei  fé'  natura  indifferente. 
Differente  or  la  fa  1'  ostil  furore. 
Dura  distinzion,  eh'  ali    un  divide 
Dal  busto  il  collo,  all'  altro  il  petto  incide. 

35.      11  padre  (ah  non    più  padre!  ah  fera  sorte, 
Ch    orbo  di  tanti  figli   a  un  tempo  il  face  !  ) 
Kimira  in  cinque  morti  or  la  sua  morte 
E  della  stirpe  sua,  che  tutta  giace: 
Aù  so.  come  vecchiezza  abbia  sì  forte 
Neil'  atroci  miserie ,  e  si  vivace, 
Che  spiri  e  pugni  ancor:  ma  gl'i  atti  e  i  vLsi 
Non  miro  for»c  de'  figliuoli  uccisL 

Zìi.      E  di  si  acerjjo  lutto  agli  oclij    sui 
Parie  1'  amiche  tenebre  celaro. 
Con  tutto  ciò  nulla  direbbe  a  lui, 
Seii/a  perder  «ù  .,tes.M>,  il  vincer  caro. 
Prodigo  del  m»  sangue,  e  dell'  altrui 
AvidissimaiiieiUc  <•  fatto  avaro 
Nò  si  conosc  e  ben  ,  (jual  suo  dcsirc 
Paja  maggior,  V  uccidere,  o  'I  moriie. 


37.  Ma  grida  al  suo  nemico:  è  dunque  frale 
Sì  questa  mano,  e  in  guisa  ella  ^i  sprezza, 
Che  con  ogni  suo  sforzo  ancor  non  vale 

A  provocare  in  me  la  tua  fierezza.^ 
Tace;  e  percossa  tira  aspra  e  mortale. 
Che  le  piastre  e  le  maglie  insieme  spezza, 
E  sul  fianco  gli  cala,  e  vi  fa  grande 
Piaga,  onde  il  sangue  tepido  si  spande. 

38.  A  quel  grido ,  a  quel  colpo  in  lui  converse 
Il  barbaro  omicida  il  brando  e  l'  ira. 

Gli  aprì  r  usbergo,  e  pria  lo  scudo  aperse. 

Cui  sette  volte  un  duro  cuojo  aggira, 

E  'l  ferro  nelle  viscere  gì'  immerse. 

Il  mìsero  Latin  singhiozza  e  spira, 

E  con  vomito  alterno  or  gli  trabocca 

Il  sangue  per  la  piaga,  or  per  la  bocca. 

39.  Come  nell'  Apennin  robusta  pianta, 

Che  sprezzò  d'  euro  e  d'  aquilon  la  guerra, 

Se  turbo  inusitato  alfin  la  schianta, 

Gli  alberi  intorno  minando  atterra, 

Così  cade  egli  :  e  la  sua  furia  è  tanta, 

Che  più  d'  im  seco  tragge,   a  cui  s'  afferra. 

E  ben  d'  uom  sì  feroce  è  degno  fine. 

Che  faccia  anche  morendo  alte  mine. 

10.      Mentre  il  soldan  sfogando  1'  odio  interiu) 
Pasce  un  lungo  digiun  ne'  corpi  umani, 
Gli  Arabi  inanimiti  aspro  governo 
Anch'  essi  fanno  de'  guerrier  cristiani. 
L'  inglese  Enrico ,  e  '1  bavaro  Oliferno 
Muojono  ,  oh  fer  Dragutte,  alle  tue  manL 
A  Gilberto,  a  Filippo,  Ariadeno, 
Toglie  la  vita,  i  quai  nacquer  sul  Rena 

41.  Albazzar  con  la  mazza  abbatte  Ernesto:  ' 
Sotto  Algazzcl  cadde  Engerlan  di  spada. 
Ma  chi  narrar  potria  quel  modo,  o  questo 
Di  morte,  e  quanta  plebe  ignobil  cada.'' 
Sin  da  que'  primi  gridi  erasi  desto 
Goffredo,  e  non   istava  intanto  a  bada. 

Già  tutto  è  armato,  e  già  raccolto  un  grosso 
Drappello  ha  seco ,  e  già  con  lor  s'  è  mosso, 

42.  Egli,  che  dopo  il  grido  udì  il  tumulto, 
Che  par,  che  sempre  più  terribil  suoni. 
Avvisò  ben ,  che  repentino  insulto 

Esser  dovea  degli  Arabi  ladroni  : 
Che  già  non  era  al  capitano  occulto, 
Ch'  essi  intorno  correan  le  regioni; 
Benché  non  istimò ,  che  si  fugace 
ì  ulgo  mai  fosse  d"  assalirlo  audace. 

43.  Or  mentre  egli  ne  viene ,  ode  repente 
Arme,  arme  replicar  dall'  altro  lato, 
Ed  in  un  tempo  il  cielo  orribilmente 
Intonar  di  barbarico  ululato. 

Questa  è  Clorinda,  che  del  re  la  gente 
Guida  air  assalto,  ed  bave  Argante  allato. 
Al  nobil  Guelfo,  che  sostien  sua  vice, 
Allor  si  volge  il  capitano,  e  dice: 

44.  Odi,  qual  novo  strepito  di  Marte 
Di  verso  il  colle  alla  città  ne  viene? 

D'  uopo  là  fia ,  che  '1  tuo  valore  e  1'  arto 

I  primi  iissalti  de"  nemici  affrene. 

Vanne  tu  dunque,  e  là  provvedi!  e  parte 

V«>'  che  di  questi  miei  teco  ne  mene. 

Con  gli  altri   io  me  n'  andrò  dall'  altro  canto, 

A  sostener  1'  impeto  ostilo  intanto. 


109] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (IX.  45  —  60) 


[110] 


45.      Così  fra  lor  concluso ,  ambo  li  move 
Per  diverso  sentiero  egual  fortuna. 
AI  colle  Guelfo,  e  '1  caiiitan  va,  dove 
Gli  Arabi  ornai  non  lian  contesa  alcuna. 
Ma  questi  andando  acquista  forze,  e  nuove 
Genti  di  passo  in  passo  o^or  raduna. 
Talché  già  fatto  poderoso  e  grande 
Giunge,  ove  il  fero  Turco  il  sangue  spande. 

16.     Cosi  scendendo  dal  natio  suo  monte 
Non  empie  umile  il  Po  1'  angusta  sponda: 
Ma  sempre  più ,  quanto  è  più  lunge  ai  fonte, 
Di  nuove  forze  insuperbito  abbonda; 
Sovra  i  rotti  confini  alza  la  fronte 
Di  tauro,  e  vincitor  d'  intorno  inonda: 
E  con  più  corna  Adria  respinge,  e  pare, 
Che  guerra  porti ,  e  non  tributo  al  mare. 

!!:7.      Goffredo ,  ove  fuggir  1'  impaurite 
Sue  genti  vede ,  accorre ,  e  le  minaccia. 
Qual  timor,  grida,  è  questo?  ove  fuggite? 
Guardate  almen,  chi  sia  quel  che  vi  caccia! 
Vi  caccia  un  vile  stuol,  che  le  ferite 
]\è  ricever,  né  dar  sa  nella  faccia: 
E  se  '1  vedranno  incontra  a  sé  rivolto, 
Temeran  1'  arme  sol  del  vostro  volto. 

i.     Punge  il  destrier,  ciò  detto,  e  là  si  volve, 
Ove  di  Soliman  gì'  incendj  ha  scorti. 
Va  per  mezzo  del  sangue  e  della  polve, 
E  de'  ferri ,  e  de'  risch.j ,  e  delle  morti. 
Con  la  spada  e  con  gli  urti  apre  e  dissolve 
Le  vie  più  chiuse ,  e  gli  ordini  più  forti, 
E  sossopra  cader  fa  d'  ambo  i  lati 
Cavalieri  e  cavalli ,  arme  ed  armati. 

Sovra  i  confusi  monti  a  salto  a  salto 
Della  profonda  strage  oltre  cammina. 
L'  intrepido  soldan ,  che   Ì  fero  assalto 
Sente  venir ,  noi  fugge ,  e  noi  declina. 
Ma  se  gli  spinge  incontra,   e  '1  ferro  iu  alto 
Levando  jier  ferir  gli  s'  avvicina. 
Oh  quai  duo  cavalieri  or  la  fortuna 
Dagli  estremi  del  mondo  in  prova  aduna! 

I.      Furor  contra  virtute  or  qui  combatte 
D'  Asia  in  un  picciol  cerchio  il  grande  impero. 
Chi  può  dir,  come  gravi  e  come  ratte 
Le  spade  son  ?  quanto  il  duello  è  fero? 
Passo  qui  cose  orribili ,  che  fatte 
Furon,  ma  le  copri  quell'  aer  nero, 
D'  un  chiarissimt»  sol  degne,  e  che  tutti 
Siano  i  mortali  a  riguardar  ridutti. 

Il  popol  di  Gesù  dietro  n  tal  guida 
Audace  or  divenuto  oltra  si  spinge, 
E  de'  suoi  meglio  armati  all'  omicida 
Soldano  intorno  un  denso  stuol  si  stringe. 
Nò  la  gente  fcdel  più  ch(!  1'  infida 
Né  più  questa,  che  quella,  il  campo  tinge; 
Ma  gli  uni  e  gli   altri ,  e  vincitori  e  vinti, 
Egualmente  dan  morte,  e  sono  estinti. 

Come  pari  d'  ardir,  con  forza  paro 
Quinci  austro  in  guerra  vieu ,  quindi  aquilone. 
Non  vi  fra  lor,  non  «leile  il  cinto  it    1  luarc;, 
Ma  nuhc  a  nube,  e  (lutto  a  flutto  oppone: 
Cosi  nò  ceder  qua  ,  né  là  piegare 
Si  vede  1'  ostinala  aspra  tenzono. 
S'  affronta  insieme  orribihneute  urlando 
Scudo  u  scudo,  elmo  ud  elmo,  e  brando  a  brando. 


53.     Non  meno  intanto  son  feri  i  litigi 

Dall'  altra  parte,  e  i    guerrier  fcdti  e  densi. 

3Iille  nuvole  e  più  d'  angeli  stigi 

Tutti  han  pieni  dell'  aria  i   campi  immensi, 

E  dan  forza  ai  pagani ,  onde  i  ve.-tigi 

Non  é  chi  indietro  di  rivolger  pensi: 

E  la  face  d'  inferno  Ai-gante  inUiimnia, 

Acceso  ancor  della  sua  propria  fiamma. 

5'1.      Egli  ancor  dal  suo  Iato  in  fuga  mosse 
Le  guardie ,  e  ne'  ripari  entrò  d'  un  salto. 
Di  lacerate  membra  empiè  le  fosse, 
Appianò  il  calle,  agevolò  1'  assalto; 
Sicché  gli  altri  il  seguirò,  e  fér  poi  rosse 
Le  prime  tende  di   sanguigno  smalto. 
E  seco  a  par  Clorinda ,  o  dietro  poco 
Sen  già,  sdegnosa  del  secondo  loco. 

55.  E  già  fuggiano  i  Franchi,  allorclié  quivi 
Giunse  Guelfo  opportuno,  e  '1  suo  drappello, 
E  volger  fé'  la  fronte  ai  fuggitivi, 

E  sostenne   il  furor  del  popol  fello. 
Così  si  combatteva  :  e  'l  sangue  in  rivi 
Correa  egualmente  in  questo  lato  e  in  quello. 
Gli  occhj  frattanto  alla  battaglia  rea 
Dal  suo  gran  seggio  il  re  del  ciel  volgca. 

56.  Sedea  colà ,  dond'  egli  e  buono  e  giusto 
Dà  legge  al  tutto ,  e  'I  tutto  orna  e  produce 
Sovra  i  bassi  confin  del  mondo  angusto, 
Ove  senso  o  ragion  non  si  conduce; 

E  dell'  eternità  nel  trono  augusto 
Risplendea  con  tre  lumi  in  una  luce. 
Ha  sotto  i  piedi  il  fato  e  la  natura, 
Ministri  umili,  e  'l  moto,  e  chi  'I  misura; 

57.  E  '1  loco,  e  quella,  che  qual  fumo  o  polve. 
La  gloria  di  quaggiuso  ,  e  V  oro  e  i  regni. 
Come  piace  lassù  ,  disperde  e  vohe. 

Né,  Diva,  cura  i  nostri  umani  sd(?gnì. 
Quivi  ei  così  nel  suo  splendor  s'  involvc. 
Che  v'  abbaglian  la  vista  anco  i  più  degni. 
D'  intorno  ha  innumerabili  immortali 
Discgualmente  in  lor  letizia  eguali. 

58.  Al  gran  concento  de'  beati  carmi 
Lieta  risuona  la  celeste  reggia. 

Chiama  egli  a  sé  Michele,  il  qual  nell"  armi 

Di  lucido  diamante  arde  e  Iamp<-ggia, 

E   dice  lui:  non  vedi  or,   come  s'  armi 

Contra  la  mia  fedel  diletta  gregj^ia 

L'  empia  schiera  di  Averno ,  e  iiifin  dal  fondo 

Delle  sue  morti  a  turbar  sorga  il  nujodo? 

59.  Va,  dille  tu  ,  che  lasci  ornai  le  cure 
Della  guerra  ai  guerrier,  cui  ciò  rtuiviene. 
Né  il  regno  di;'  viventi,  né  le  pure 
Piagge  del  ciel   conturhi  ed  avvelene! 
Torni  alle  notti  d'  Acheronte  oscure, 

Siu»   degno  aliiergo;  alle  sue  giunte  pene! 
Quivi  sé  stessa  e  1"  anime  d'  aliis-o 
Cruci!  Così  comando,  e  così  ho  fisso. 

60.  Qui  tacqiu^:  e  "I  dure  de'  guerrieri  alati 
S'   iiuhinò  riverente  ni  divin   piede. 

Indi  spiega  al  gran  Aulo  i   tiinni   aurati 
Hiipido  sì,  eh'  anco  il  pensieri»  «'ccede. 
Passa  il  foco  e  la  luce  ,  ove  i  beali 
ilaiiiio  lor  ghuiosa   immobii    sede: 
Posiiii  il  puro    cristallo  e    I  cerrbio  mira, 
Clio  di  hIcUo  gciuumtu  iiicoulra  gira; 


[Ili] 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (IX.  61—76) 


[112 


fil.      Quinci  d'  opre  diversi  e  di  sembianti 
Da  ministra  rotar  Saturno  e  Giove, 
E  gli  altri,  i  quali  esser  non  ponno  erranti, 
Se  angeliiui  virtù  gì'  informa  e  move. 
\  ien  poi  da'  campi  lieti  e  fiamnicjj^gianti 
D'  eterno  di,  là  donde  tuona  e  piove; 
Ove  sé  stesso  il  mondo  strugge  e  pasce, 
E  nelle  guerre  sue  muore  e  rinasce. 

(52.      Venia  scotendo  con  V  eterne  piume 
La  caligine  densa  e  i  cupi  orrori. 
S'  indorava  la  notte  al  divin  lume, 
Cile  sporgea  scintillando  il  volto  fuori. 
Tale  il  sol  nelle  nubi  ha  per  costume 
Spiegar  dopo  la  pioggia  i  l)ei  colori  : 
Tal  suol ,  fendendo  il  liquido  sereno, 
Stella  cader  della  gran  madre  in  seno. 

63       Ma  giunto,  ove  la  schiera  empia  infernale 
11  furor  de'  pagani  accende  e  sprona, 
Si  ferma  in  aria  in  sul  vigor  dell'  ale, 
E  vibra  l'  asta,  e  lor   così  ragiona: 
Pur  voi  dovreste  omaì  saper,  con  quale 
Folgore  orrendo  il  re  del  mondo  tuona. 
Oh  nel  disprezzo  e  ne'  tormenti  acerbi 
Deir  estrciua  miseria  anco  superbi! 

64.  Fisso  è  nel  ciel ,  eh'  al  venerabil  segno 
Chini  le  mui-a  ,  apra  Sion  le  porte. 

A  che  pugnar  col  fato.''  a  che  lo  sdegno 
Dunque  irritar  della  celeste  corte.-* 
Itene  maledetti  al  vostro  regno. 
Regno  di  pene  e  di  perpetua  morte, 
E  siano  in  quelli  a  voi  dovuti  chiostri 
Le  vostre  guerre  ed  i  trionfi  a  ostri! 

65.  Là  incrudelite!  là  sovra  i  nocenti 
Tutte  adoprate  pur  le  vostre  posse 
Fra  i  gri'ii  eterni  e  lo  stridor  de'  denti, 
E  '1  suon  del  ferro  ,  e  le  catene  scosse! 
Disse;  e  quei,  eh'  egli  vide  al  partir  lenti, 
Con  la  lancia  fatai  spinse  e  percosse. 

Essi  gemendo  abbandonar  le  belle 
Region  della  luce  e  l'  auree  stelle, 

66.  E  dispiegar  verso  gli  abissi  il  volo 
Ad  inasprir  ne'  rei  1'  usate  doglie. 

Kon  passa  il  mar  d"  augei  sì  grande  stuolo, 
Quando  ai  soli  più  tepi(li  s'  accoglie, 
]\è  tante  vede  inai  l"  autunno   >il  suolo 
Cader  co'  primi  freddi  aride  foglie. 
Liberato  da  lor ,  quella  si  n-egra 
Faccia  depone  il  iiumdo ,  e  si  rallegra. 

67.  Ma  non  perciò  nel  disdegnoso  petto 

lY  Argante  vien  V  ardire,  o  '1  furor  manco, 
Benché  suo  foco  in  lui  non  spiri  Aletto, 
^è  llagcUo  infernal  gli  sferzi  il  fianco. 
Riuita  il  ferro  crudel ,  ove  è  più  stretto 
E  più  calcato  insieme  il  popol  franc;o. 
Miete  i  vili  e  i  potenti ,  e  i  più  sublimi 
£  più  superbi  capi  adegua  agi'  imi. 

63.      Non  lontana  è  Clorinda ,  e  già  non  meno 
Par,  che  di  tronche  meiubra  il  c;ainpu  asperga. 
Caccia  la  spada  a  Herlingier  nel  seno 
Per  mezzo  il  cor,  dove  la  vita  alberga: 
E  quel  colpo  ;i  trovarlo  andò  tsì  pieno, 
CIk;  tangiiinosa  u^ri    fuor  delle  terga. 
Poi  ter*  Albin  là,  've  primier  s'  apprende 
Nuntro  aiiinento .  e  '1  viso  a  Gallo  fende. 


6!).      La  destra  di  Gerniero .  onde  ferita 
Ella  fu  pria,  manda  recisa  al  piano. 
Tratta  anco  il  ferro,  e  con  tremanti  dita 
Semiviva  nel  suol  guizza  la  mano. 
Coda  di  serpe  è  tal,  eh'  indi  partita 
Cerca  di  unirsi  al  suo  principio  invano. 
Cosi  mal  concio  la  guerriera  il  lassa. 
Poi  si  volge  ad  Achille,  e  '1  ferro  abbassa, 

70.  E  tra  '1  collo  e  la  nuca  il  colpo  assesta, 
E ,  tronchi  i  nervi ,  e  'l  gorgozzul  reciso, 
Gio  rotando  a  cader  prima  la  testa  : 
Prima  bruttò  di  polve  immonda  il  viso, 
Che  giù  cadesse  il  tronco  :  il  tronco  resta 
(Miserabile  mostro!)  in  sella  assiso: 

Ma  libero  dal  fren  con  mille  rote 
Calcitrando  il  destrier  da  sé  lo  scote, 

71.  Mentre  cosi  1'  indomita  guerriera 

Le  squadre  d'  occidente  apre  e  flagella, 

Non  fa  d'  incontro  a  lei  Gildippc  altera 

De'  Saracini  suoi  strage  men  fella. 

Era  il  sesso  il  medesnio ,  e  simile  era 

L'  ardimento  e  'l  valore  in  questa  e  in  quella. 

Ma  far  prova  di  lor  non  è  lor  dato  ; 

Ch'  a  nemico  maggior  le  serba  il  fato. 

72.  Quinci  una,   e  quindi  1'  altra  urta  e  sospinge 
Né  può  la  turba  aprir  calcata  e  spessa. 
Ma  '1  generoso   Guelfo  allora  stringe 
Contra  Clorinda  il  ferro ,  e  le  s'  appressa, 
E  calando  un  fendente,  alquanto  tinge 
La  fera  spada  nel  bel  fianco  :  ed  essa 
Fa  d'  una  punta  a  lui  cruda  risposta, 
Ch'  a  ferirlo  ne  va  tra  eosta  e  costa. 

73       Doppia  allor  Guelfo  il  colpo,  e  lei  non  coglie 
Che  a  caso  passa  il  palestino  Osmida, 
E  la  piaga  non  sua  sopra  sé  toglie, 
La  qual  vien  che  la  fronte  a  lui  recida. 
Ria  intorno  a  Guelfo  omai  molta  s'  accoglie 
Di  quella  gente,  eh'  ei  conduce  e  guida: 
E  d'  altra  parte  ancor  la  turba  cresce, 
Sicché  la  pugna  si  confonde  e  mesce. 

74.  L'  aurora  intanto  il  bel  purpureo  volto 
Già  dimostrava  dal  sovran  balcone, 
E  in  quei  tunuilti  già  s'  era  disciolto 
Il  feroce  Argillan  di  sua  prigione  ! 
E  d'  arme  incerte  il  frettoloso  avvolto. 
Quali  il  caso  gli  offerse ,  o  triste  o  buone. 
Già  sen  venia  per  emendar  gli  errori 
Novi  con  novi  merti  e  novi  onori. 

75.  Come  destrier ,  che  dalle  rege  stalle, 
Ove  all'  uso  dell'  arme  si  riserba. 
Fugge ,  e  libero  alfin  per  largo  calle 
A  a  tra  gli  armenti,  o  al  fiume  usato,  n  all'  erba 
Schcrzan  sul  collo  i  crini  e  sulle  spalle, 
Si  scote  la  cervice  alta  e  superba. 
Suonano  i  pie  nel  corso ,  e  par  eh'  avvampi, 
Di  sonori  nitriti  empiendo  i  campi: 

76.  Tal  ne  viene  Argillano.     Arde  il  feroce 
Sguardo,  ha  la  fronte  intrepida  e  sublime. 
Leve  è  ne'  salti ,  e  sovra  i  pie  veloce 
Sicché  d'  orme  la  polve  appena  imprime. 
E  giunto  fra'   nemici  alza  la  voce, 
Pur  coni'  noni,  che  tiitt'  osi  e  nulla  stime: 
Oh  vii  feccia  del  mondo.  Arabi  inetti, 
Ond'  è,  eh'  or  tanto  ardire  in  voi  s'   alletti.' 


[113] 


GERUSALEMME  LIBERATA.    fIX.  •»•?— 92) 


77.  Non  regi^ev  voi  degli  elmi  e  degli  scudi 
Sete  atti  il  peso  o  'I  petto  armarvi  e  '1  dorso; 
Ma  corainettcte  paventosi  e  nudi 

I  colpi  al  vento,  e  la  salute  al  corso. 
L'  opere  vostre  e  i  vostri  egregi  studi 
Notturni  son  :  dà  1'  ombra  a  voi  soccoreo. 
Or  eh'  ella  fugge,  che  fia  vostro  schermo? 
D'  armi  è  ben  d'  uopo  e  di  valor  più  fermo. 

78.  Così  parlando  ancor ,  die'  per  la  gola 
Ad  Algazcl  di  sì  crudel  percossa. 

Che  gli  secò  le  fauci ,  e  la  parola 
Troncò,  eh'  alla  risposta  era  già  moss^. 
A  quel  meschin  subito  orror  invola 

II  lume,  e  scorre  un  duro  gel  per  l'  ossa. 
Cade,  e  co'  denti  1'  odiosa  terra 

Fieno  di  rabbia  in  sul  morire  anerra< 

79.  Quinci  per  varj  casi  e  Saladino, 
Ed  Agricalte,  e  3Iuleasse  uccide; 

£  dall'  un  fianco  all'  altro  a  lor  vicino 
Con  esso  un  colpo  Aldiazil  divide. 
Trafitto  a  sommo  il  petto  Ariadino 
Atterra ,  e  con  parole  aspre  il  deride. 
Ei,  gli  occhj  gravi  alzando,  all'  oi'goglioso 
Parole  in  sui  morir  cosi  rispose: 

80.  Non  tu ,  chiimque  sia ,  di  questa  morte 
Vincitor  lieto  avrai  gran  tempo  il  vanto. 
Pari  destin  t'  aspetta,  e  da  piii  forte 
Destra  a  giacer  mi  sarai  steso  accanto. 
Rise  egli  amaramente,  e:  di  mia  sorto 
Curi  il  ciel!  disse:  or  tu  qui  mori  intanto 
D'  augei  pasto  e  di  cani  !  Indi  lui  preme 

Col  piede,  e  ne  trac  1'  alma  e  '1  ferro  insieme. 

81.  Un  paggio  del  soldan  misto  era  in  quella 
Turba  di  sagitarj  e  lanciatori, 

A  cui  non  anco  la  stagion  novella 
Il  bel  mento  spargea  de'  primi  fiori, 
Pajon  perle  e  rugiade  in  sulla  bella 
Guancia  irrigando  i  tepidi  sudori: 
Giunge  grazia  la  polve  al  crine  incolto, 
E  sdegnoso  rigor  dolce  è  in  quel  volto, 

62.      Sotto  ha  un  dcstrier,  che  di  candore  agguaglia 
Pur  or  neir  Apennin  caduta  neve, 
l'iirbo  o  fiamma  non  è  ,  che  roti  o  snglia 
Rapido  sì ,  come  è  quel  pronto  e  leve. 
Vibra  ci,  presa  nel  mezzo,  una  zagaglia, 
La  spada  al  fianco  ticn  ritorta  e  breve, 
E  con  barbara  pompa  in  un  lavoro 
Di  porpora  risplendc  intesta  e  d'  oro. 

83.      Mentre  il  fanciullo,  a  cui  nnvcl  piacere 
Di  gloria  il  petti»  giovenil  lusinga. 
Di  qua  turba  e  di  là  tutte  le  schiero, 
E  lui  non  è  chi  tanto  o  quanto  stringa, 
Cauto  osserva  Aigillan  tra  le  leggiero 
Sue  rote  il  tempo,  in  mi  1'  a>ta  sospinga; 
E  colto  il  punto,   il  suo  de.>tricr  di  l'urto 
Gli  uccide,  e  sovra  gli  è,  eh'  appena  ò  lurto. 

84>      Ed  al  supplice  volto ,  il  qtiale  invano 
Con  r  arnie  di  pietà  fea  sue  difese, 
Dri/.'/.i'i  «'niil<;l   r   iiicsoraliil   mano, 
E  di   natura  il   più   bel   ^'. cgio   oflese. 
Senso  a><T  par\e,  e  fu  dill'  iioiii    più  umano 
Il   ferro,   v\n;  i>i   volse,   e  piiitto  sce^c. 
Ma  «lìc  pru  ,  se  doppiiiiiilo  il  colpo  fero 
Di  xmuta  colse,  ovu  cj^li  errò  primiero? 


JUAl 


83,      Soliraan ,  che  di  là  non  molto  lun^e 
Da  Goffredo  in  battaglia  è  trattenuto. 
Lascia  la  zuffa ,  e  '1  destrier  volve  e  punge, 
Tostochè  '1  rischio  ha  del  garzon  veduto: 
E  i  chiusi  passi  apre  col  ferro,  e  giunc-o 
Alla  vendetta  sì,  non  all'  ajuto  ; 
Perchè  vede,  ahi  dolor!  giacerne  ucciso 
li  suo  Lesbin ,  quasi  bel  fior  succiso, 

88.      E  in  atto  si  gentil  languir  tremanti 

Gli  occhj ,  e  cader  sul  tergo  il  collo  mira. 

Cosi  vago  è  il  pallore,  e  da'  sembianti, 

Di  morte  una  pietà  si  dolce  spira, 

Ch'  ammollì  il  cor,  che  fu  dur  marmo  avanti, 

E  '1  pianto  scaturì  di  mezzo  all'  ira. 

Tu  piangi,  Soliman.-'  tu,  che  distrutto 

Mirasti  il  regno  tuo  col  ciglio  asciutto? 

87.  Ma  com'  ci  vede  il  ferro  ostil ,  che  molle 
Fuma  del  sangue  ancor  del  giovinetto, 

La  pietà  cede,  e  l'  ira  avvampa  e  bolle, 
E  le  lagrime  sue  stagna  nel  petto. 
Corre  sovra  Argillano ,  e    l  ferro  estolle. 
Parte  lo  scudo  opposto,  indi  1'  elmetto, 
ludi  il  capo  e  la  gola;  e  dello  sdegno 
Di  Soliman  ben  quel  gran  colpo  è  degno. 

88.  Nò  di  ciò  ben  contento,  al  corpo  morto 
Smontato  del  destriero  anco  fa  guerra  ; 
Quasi  raastin ,  che  1'  sasso,  nnd'  a  lui  porto 
Fu  duro  colpo,  infellonito   afferra. 

Oh  d'  immenso  dolor  vano  conforto, 
Incrudelir  nell'  insensibil  terra! 
Ma  frattanto  de'  Franchi  il  capitano 
Non  spendea  1'  ire  e  le  percosse  invano. 

89.  Mille  Turchi  avea  qui,  che  di  loriche, 
E  d'  elmetti,  e  di  scuJi  eran  coperti, 
Indomiti  di  corpo  alle  fatiche. 

Di  spirto  audaci,  e  in  tut^i  i  casi  esperti: 
E  furon  già  delle  milizie  antiche 
Di  Solimano,  e  seco  ne'  deserti 
Seguir  d'  Arabia  i  suo'  errori  infelici. 
Nelle  fortune  avverse  ancora  amici. 

90.  Questi  ristretti  insieme  in  ordin  folto 
Poco  cedcano,  o  nulla,  al  vahtr  franco. 
In  questi  urtò  Goffredo ,  e  ferì  il  volto 
Al  fier  Corcutte,  ed  a  Uostcno  il   fianco. 
A  Selin  dalle  spalle  il  capo   ha  sciolto. 
Troncò  a  Rossano  il  destro  braccio  e  '1  manco. 
Né  già  soli  costor,  ma  in  altre  guise 

Molti  piagò  di  loro ,  e  molli  ucci>c. 

9L      Mentre  ci  così  la  gente  sarncina 
Percote ,  e  lor  percosse  amo  sostiene, 
E  in  nulla  parte  al  precipizio  inchina 
La  fortuna  de'  Karbari  e  la  spene, 
No>a   nube  di   polve  ec(U)  vicina, 
('he  folgori  «li  guerra  in  grcmbonticnel 
Ecco  d'  arme  improvvise  uscir  ii     lampo, 
Che  sbigottì  degf  infedeli  il  campo. 

92".      Son  cinquanta  guerrier,  che  'n  puro  argento, 
Spiegali    la  trionfai  purpurea  croce. 
Non  io,   HO  cento  bocche  e  lingue  cento 
A»csi.i  ,   e  fi-rrea  lena,  e  ferrea  voce, 
N.irrar  potrei  qu<l  ninnerò,   che  s|)cnto 
^e'   primi  as^,lUi  Ita  quel  drappcl   feroce. 
Cade   f   Ar.ibo  imliclle,   «  'l  Turco  invitto 
Uv»i«lendo  •  piignautlu  anco  ù  trafitto. 


[115]      GERUSALEMME  LIBERATA.     (IX.  93  —  99.   X.  1  -4       [116] 


yS.      L'  orror,  la  cruddtà,  la  tema,  il  lutto,  96. 

Van  il'  intorno  scorrendo ,  e  in  varia  imniago 
Vincitrice  la  morte  errar  per  tutto 
Vedresti,  ed  ondcg-j^iar  di  sangue  un  lago. 
Già  con  parte  de    suoi  s'  era  condutto 
Fuor  d'  una  porta  il  re,  quasi  presago 
Di  fortunoso  evento,  e  quinci  d'  alto 
Mirava  il  pian  soggetto,  e  '1  dubbio  assalto. 

91.      aia  come  prima  egli  ha  veduto  in  piega  OT 

L'  esercito  maggior,  suona  a  raccolta, 
E  con  messi  iterati  instando  prega 
Ed  Argante  e  Clorinda  a  dar  di  volta. 
La  fera  coppia  d'  eseguir  ciò  nega, 
Ebra  di  sangue ,  e  cieca  d'  ira ,  e  stolta. 
Pur  cede  alfine,  e  unite  almen  raccorrà 
Tenta  le  turbe,  e  freno  ai  passi  imporre. 

95.      Ma  chi  dà  legge  al  vulgo ,  ed  ammaestra  1)8. 

La  viltade  e  '1  timor?  La  fuga  è  presa. 
Altri  gitta  lo  scudo,  altri  la  destra 
Disarma:  impaccio  è  il  ferro,  e  non  difesa. 
Valle  è  tra  '1  campo  e  la  città,  eh'  alpestra 
Dall'  occidente  al  mezzogiorno  è  stesa. 


Qui  fuggon  essi,  e  si  rivolge  oscura  j 

Caligine  di  polve  inver  le  mura. 

99.      Veggia  il  nemico  le  mie  spalle,  e  schema 
Di  nuovo  ancora  il  nostro  esigilo  indegno! 
Purché  di  nuovo  armato  indi  mi  scerna 
Turbar  sua  pace,  e    l  non  mai  stabil  regno. 
Non  cedo  io,  no:  sia  con  memoria  eterna 
Delle  mie  oflese  eterno  anco  il  mio  sdegno! 
.  Risi)rgerò  nemico  ognor  più  crudo, 
Ccn(U'e  anco  sepolto  o  spirto  iguudo. 


Mentre  ne  van  precipitosi  al  chino, 
Strage  d'  essi  i  cristiani  orribil  fanno. 
Ma ,  posciachè  salendo  ornai  vicino 
L'  ajuto  avean  del  barbaro  tiranno, 
Non  Auol  Guelfo  d'  alpe*tro  erto  cammino 
Con  tanto  suo  svantaggio  esporsi  al  danno. 
Ferma  le  genti ,  e  '1  re  le  sue  rinserra, 
Non  poco  avanzo  d'  infelice  guerra. 

Fatto  intanto  ha  il  soldan  ciò  eh'  è  concesso 
Fare  a  terrena  forza;  or  più  non  puote. 
Tutto  è  sangue  e  sudore  ;  e  un  grave  e  spesso 
Anelar  gli  ange  il  petto  ,  e  i  fianchi  scote. 
Langue  sotto  lo  scudo  il  braccio  oppresso  ; 
Gira  la  destra  il  ferro  in  pigre  rote, 
Spezza  e  non  tuglia ,  e  ,  divenendo  ottuso, 
Perduto  il  brando  ornai  di  brando  ha  1'  uso. 

Come  sentissi  tal,  ristette  in  atto 
D'  uom,  che  fra  due  sia  dubio,  e  in  se  discorre, 
Se  morir  debbia ,  e  di  sì  illustre  f<itto 
Con  le  sue  mani  altrui  la  gloria  torre; 
Oppur,  sopravanzaudo  al  suo  disfatto 
Campo,  la  vita  in  sicurezza  porre. 
Vinca,  alfin  disse,  il  fato,  e  questa  mia 
Fuga  il  trofeo  di  sua  vittoria  sia! 


CANTO      DECIMO. 


ARGOMENTO. 

Invito  a  SoUtnan  fanno  al  riposo 

Il  cammin  lungo  e  V  oscurata  luce  ; 

E  mentre  in  braccio  al  sonno  ha  1  cor  doglioso, 

Gli  appare  Ismen,  cft'  ad  Aladin  V  adduce. 

L'  arti  d'  Armida  e  'l  corso  lor  dubbioso 

Conta  la  schiera  franca  al  franco  duce  ; 

E  gli  conta  il  buon  Pier  ratto  dal  zelo, 

Quai  riserbi  a  Rinaldo  onori  il  ciclo. 


Così  dicendo  ancor,  vicino  scorse 
Un  dcbtrier ,  eh'  a  lui  volse  errante  il  passo. 
Tosto  ul  libero  fren  la  mano  ei  porse, 
E  Ru  vi  salse ,  ancorch'  afflitto  e  lasso. 
Già  caduto  è  il  cimier,  eh'  orribil  sorse, 
Lasciando  1'  elmo  inonorato  e  basso  : 
Hotta  è  la  uoprawesta:  e  di  superba 
Pompa  regal  vestigio  alcun  non  berba. 


Come  da  chiuso  ovil  cacciato  viene 
Lupo  talor,  che  fugge  e  si  nasconde, 
Che,  sebben  del  gran  ventre  ornai  ripiene 
Ha  r  ingorde  voragini  prof()nde, 
Avido  pur  di  sangue,  anco  fuor  tiene 
La  lingua,  e  '1  sugge  dalle  labbra  immonde: 
Tal  ei  sen  già  dopo  il  sanguigno  strazio 
Della  sua  cupa  fama  anco  non  sazio. 

E  come  è  sua  ventura ,  alle  sonanti 
Quadrella,  ond'  a  lui  intorno  un  nembo  vola, 
A  tante  spade,  a  tante  lance,  a  tanti 
Instrnmenti  di  morte  alfin  s'  invola, 
E  sconosciuto  pur  cammina  avanti 
Per  quella  via,  eh'  è  più  deserta  e  sola, 
E,  rivolgendo  in  sé  quel,  che  far  dcggia, 
In  gran  tempesta  di  pensieri  ondeggia. 

Disponsì  alfin  di  girne,  ove  raguna 
Oste  sì  podenisa  il  re  d'  Egitto, 
E   giunger  seco  V  armi ,  e  la  fortuna 
Kitentar  anco  di  novcl  conilitto. 
Ciò  prefissi»  tra  sé,  dimora  alcuna 
N<m  pone  in  mezzo,  e  prende  il  cammiii  dritto, 
Che  sa  le  \ie,  né  d'  uopo  ha  di  chi  '1  guidi 
Di  Gaza  antica  airli  arenoisii  liili. 


[117] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (X.  5  — 20) 


[118] 


5.  Né,  perchè-  senta  iimrerbir  le  doglie 
Delle  sue  piaghe,  e  grave  il  corpo  ed  egro, 
Vien  però,   che  si   po^i  ,  e  l'  arme  spoglie; 
Ma  travagli.nido  il  di     ne  passa  integro. 
Poi  quando  1'  omlira  oscura  al  mondo  toglie 
I  \arj  aspetti,  e  i  ciilor  tinge  in  negro, 
Smonta  e  fascia  le  piaghe,  e,  come  puote 
Meglio ,  d'  un'  alta  palma  i  frutti  bcote, 

6.  E  cibato  di  lor  sul  terren  nudo 
Cerca  adagiare  il  travagliato  lianco, 
E  la  testa  appoggiando  al  duro  scudo, 
Quetar  i  moti  del  pensier  suo  stanco. 
Ma  d'  ora  in  ora  a  lui  si  -fa  più  crudo 
Sentire  il  duul  delle  ferite;  ed  anco 
Ro?o  gli  è  il  petto,  e  lacerato  il  core 
Dagi'  interni  avoltoi ,  sdegno  e  dolore 

7.  Alfin  ,  quando  già  tutte  intorno  chete 
Nella  più  aita  notte  cran  le  cose, 

A  into  egli  pur  dalla  stanchezza ,  iu  Lete 

Sopì  le  cure  sue  gravi  e  nojose, 

E  in  una  breve  e  languida  quiete 

Le  afflitte  membra  e  gli  occhj  egri  compose, 

E  mentre  ancor  dormia ,  voce  severa 

Gì'  intonò  suH'  orecchie  in  tal  maniera: 

8.  Soliman,  Solimano,  i  tuoi  sì  lenti 
Riposi  a  miglior  tempo  omai  riserva! 
Che  sotto  il  giogo  di  straniere  genti 
La  patria,  ove  regnasti,  ancor  è  serva. 
In  questa  terra  dormi?  e  non  rammenti, 
Cli'  insepolte  de'  tuoi  1'  ossa  conserva.'' 
Ove  sì  gran  vestigio  è  del  tuo  scorno, 
Tu  upgliittoso  aspetti  il  novo  giorno.' 

9.  Tosto  il  snidano  alza  lo  sguaido,  e  vede 
LOni,  che  d'  età  gravi>(iima   ai  sembianti 
Col  ritorto  baston  del  vecchio  piede 
Ferma  e  dirizza  le  vestigia  erranti. 

E  chi  sei  tn?  sdegnoso  a  lui  richiede, 
Che,  f.tntasina  importuno,  ai  viandanti 
Rompi  i  bre^i  lor  sonni?  e  che  s'  appetta 
A  te  la  mia  vergogna,  o  la  vendetta? 

10.  Io  mi  son  un  ,  risponde  il  vecchio ,   al  quale 
In  parte  è  noto  il   tuo  novel  disegno; 
E  >iccom'  uomo,  a  cui  di  te  più  cale, 
CAìc.  tu  lorse  non  pensi  ,  a  te  ne  vegno. 
Nò  il  mordace  parlari;  indarno  è  tale; 
Perchè  della  virtù  cote  è  lo  sdegno. 
Prendi  in  grado,  signor,  che  '1  mio  sermone 
Al  tuo  pronto  valor  sia  sferza  e  sprone! 

11.  Or  perchè,  k'  io  m'  appongo,  esser   dee   volt» 
Al  gran  rr;  dell'   Kgilto  il  tuo  cammino  ? 
Che  iuntihuente  aspro  \iaggio  tolto 
Avrai,  s'  innanzi  ^egui ,  io  ni'  indorino; 
Che  sebben  tu  non  vai ,  fia  tosto  accolto, 
E  to>lo  mosso  il  campo  Saracino; 
Ne  loco  è   là  ,  dove  s'   imiiicghi  e  mo^tri 
La  tua  virtù  conlra  i  nemici  nostri. 

12.  Ttfa  80  'n  duce  me  (irendì,  entro  a  quel  uuiro. 
Che  liair  armi  latine   è  intiuno   astretti», 
Nel   più  «'.hiaro  del  dì   porti  seciiro, 
Sciizachè  spada  impugni,  io  ti  prometto. 
Qui^i  con   l'  arme  e   ro'  disagi  un  doro 
Contrasto  a\  <r  ti   Ila  gloria  e  diletto. 
Uiienilcrai  iii  terra  insinché  giugna 
L'  Ubte  d'  Egitto  li  rinnovar  Iu  pugna- 


13.  Mentre  eì  ragiona  ancor,  gli   occhj  e   la   Toce 
Dell'  uomo  antico  il  fero  Turco  ammira, 

E  dal  V  olto ,  e  dall'  animo  feroce 
Tutto  depone  ornai  1'  orgoglio  e  1'  ira. 
Padre,  risponde,  io  già  pi'onto  e  veloce 
Sono  a  seguirti;  ove  tu  vuoi,  mi  gira! 
A  me  sempre  miglior  parrà  il  consìglio, 
Ove  Ila  più  di  fatica  e  di  periglio. 

14.  Loda  il  vecchio  i  suoi  detti,    e  perchè  1'    aura 
Notturna  avea  le  piaghe  incrudelite, 

Un  suo  licor  v'  instilla ,  onde  ristaura 

Le  forze ,  e  salda  il  sangue  e  le  ferite. 

Quinci  veggendo  omai ,  eh'  Apollo  inaura 

Le  rose ,  clie  i'  aurora  ha  colorite. 

Tempo  è,  disse,  al  partir:  che  già  ne  scopre 

Le  strade  il  sol,  eh'  altrui  richiama  all'  opre. 

15.  E  sovra  un  carro  suo,  che  non  lontano 
Quinci  attendea ,  col  iler  >iiccno  ei  siede. 
Le  briglie  allenta ,  e  con  maestra  mano 
Ambo  i  cor^ieri  alternamente  lìede. 
Quei  V  anno  sì ,  che  '1  polveroso  piano 
lN(»n  ritien  della  rota  orma,  o  del    piede. 
Fumar  li  v  edi ,  ed  anelar  nel  corso, 

E  tutto  biancheggiar  di  spuma  il   morso. 

16.  Meraviglie  dirò  :  s'  aduna  e  stringe 
L'  aer  d'  intorno  in  nuvolo  raccolto 

Sì,   che    l  gran  carro  ne  ricopre  e  cinge; 
Ma  non  aj)par  la  nube  o  poco,  o  molto: 
I\è  sasso ,  che  murai  macchina   spinge, 
Penetreria  per  lo  suo  chiuso  e  folto. 
Ben  veder  ponno  i  duo  dal  cavo  seno 
La  nebbia  intorno,  e  fuori  il  ciel  sereno. 

17.  Stupido  il  cavalier  le  ciglia  inarca, 
Ed  iiurespa  l.i  fronte,   e  mira  fiso 

La  nube  e  '1  carro  ,  eh'  ogni  intoppo  varca, 
A  eloce  sì,  che  di  volar  gli  è  avviso. 
L'  altro,  che  di  stupor  1'  anima  carca 
Gli  scorge  all'  atto  dell'  immobil  viso, 
Gli  rompe  quel  silenzio,  e  lui  rappella; 
Orni'  ei  si  scote,  e  poi  così  favella: 

18.  Oh  chiunque  tu  sia,  che  fuor  d'  ogni  uso 
Pieghi  natura  ad  opre  altere  e  strane, 

E  spiando  i    secreti ,  entro  al  più  chiuso 
Spazj  a  tua  voglia  delle  menti  umane, 
S'  arridi  col  saper,  eh'  è  d'  alto  infuso, 
Alle  cose  remote  anco  e  lontane. 
Dell,  dimmi,  qnal  riposo,  qual   mina 
.\i  gran  moti  dell'  Asia  il  ciel  destina? 

19.  Ma  pria  diuuni  il  tuo  nome,   e  con  qual  arte 
Far  cose  tu  si  inusitate  soglia  ! 

Cile ,  se  pria  lo  stupor  da  me  lum  parte. 

Coni'  esser  può,  eh'  io    gli  altri    liciti    accoglia? 

Sorrise  il  x-cchio ,  e  tlissc:   in  una  [lartc 

l'Mi  sarà  le\e  V  adem|)ir  tua  voglia. 

Soli  detto  Isiiiriio,  e  i  Siri  appellali  mago 

Me,  che  dell'  arti  incognite  soii  >ago. 

20.  Ma  cir  io  scopra  il  futuro,  e   eh'   io   dispieghi 
Dell'  occulto  destili  gli  derni  annali. 

Troppo  è  audace   desio,  troppo  ahi  preghi, 

iSoii  è  tiinto  conii's.s'o  a  noi   mori  ali. 

Ciascun  quaggiù    le  forze  e   "I   senno  impieghi. 

Per  avanzar  fra  le  sciagure  e  i  mali  : 

Che  soMiiIe  addivien  ,  che  '1  saggio  e  '1  forte 

l'^tbbi'O  a  bù  tjtes8o  è  di  beata  sorte. 

8  * 


[119] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (X.  21  -  SO) 


[120] 


21.  Tu  questa  destra  invitta,  a  cui  fia  poco 
Siioter  le  forze  del  francese  impero. 

Non  che  munir ,  non  che  guardar  il  loco, 
Che  strettamente  oppugna  il  popol  fero, 
Cantra  1'  arme  apparecchia  e  contra  '1  foco! 
Osa,  soffri,  confida!  Io  bene  spero. 
Ma  pur  dirò,  perchè  piacer  ti  debbia, 
Ciò,  eh'  oscuro  vegg'  io  quasi  per  nebbia, 

22.  Ve"-"-io ,  o  parmi  vedere ,  anzi  che  lustri 
*3Iolti  rivolga  il  gran  pianeta  eterno, 

Uom,  che  1'  Asia  ornerà  co'  fatti  illustri, 
E  del  fecondo  Egitto  avrà  il  governo. 
Taccio  i  pregi  dell'   ozio  ,  e  1'  arti  industri, 
jMille  virtù ,  clie  non  ben  tutte  io  scerno  : 
Easti  sol  questo  a  te,  che  da  lui  scosse 
Non  pur  saranno  le  cristiane  posse, 

23.  Ma  insin  dal  fondo  suo  l'  imperio  ingiusto 
Svelto  sarà  nell'  ulthue  contese, 

E  le  afflitte  reliquie  entro  un  angusto 
Giro  sospinte,  e  sol  dal  mar  difese. 
Questi  fia  del  tuo  sangue  :  e  qui  il  vetusto 
Mago  si  tacque.     E  quegli  a  dir  riprese  : 
Oh  lui  felice  eletto  a  tanta  lode! 
E  parte  ne  l'  invidia,  e  parte  gode. 

21.     Soggiunse  poi  :  girisi  pur  fortuna  _ 
0  buona  o  rea,  com'  è  lassù  prescritto! 
Che  non  ha  sovra  me  ragione  alcuna, 
E  non  mi  vedrà  mai  se  non  invitto. 
Prima  dal  corso  distornar  la  luna 
E  le  stelle  potrà,  che  dal  diritto 
Torcere  un  sol  mio  passo.     E  in  questo  diro 
Sfavillò  tutto  di  focoso  ardire. 

25.      Cosi  gir  ragionando ,  insinché  furo 
Là,  've  presso  vcdean  le  tende  alzarsc. 
Che  spettacolo  fu  crudele  e  duro! 
In  quante  forme  ivi  la  morte  apparse! 
f^i  fé'  negli  occlij  allor  torbido  e  scuro, 
K  di  doglia  il  soldano  il  volto  sparse. 
Ahi  con  quanto  dispregio  ivi  le  degne 
Jliiò  giacer  sue  già  temute  insegne! 

20.      E  scorrer  lieti  i  Franchi ,  e  i  petti  e  i  volti 
Spesso  calcar  de'  suoi  più  noti  amici, 
E  con  fasto  superbo  agi'  insepolti 
L'  arme  spogliare,  e  gli  abiti  infelici, 
Molti  onorare  in  lunga  pompa  a<xolti 
Gli  amati  corpi  degli  estremi  «ffici, 
Altri  siippor  le  fiamme,  e  'l  volgo  misto 
D'  Arabi  e  Turchi  a  un  foco  arder  è  visto. 

27.  Sospirò  dal  profondo,  e  'I  ferro  trasse, 
E  dal  carro  lanciosfri,  e  correr  volle; 
Ma  il  vecchio  incantatore  a  se  il  ritrasse 
S'M-idando,  e  rallVenò   1'  impeto  folle: 

E  fatto,  che  di  nuovo  ei  rimontasse. 
Drizzò  'l  suo  corso  al  più   sublime  colle 
Co>i  alquanto  ìì    andaro,  iiisinch'  a  tergo 
Lasciar  de'  Franchi  il  militare  albergo. 

28.  Smontare  allor  del  carro  ;  e  quel  repente 
Siiarve;  e  pre-ono  a  piedi  insieme  il  calle, 
NeU.i  holila  hìiIk!  occnbamentc 
Diyccndi-ndo  a  sinislra  in  una  %alle, 
Siiicbi:  giiin^f-ro  là,  ilo\e  al  ponente 

L'  alto  monte  Sion  volge  le  (.palle. 
Qui\i  si  ferma  il  mago,   e  poi  b'  accosta 
(Uua^i  inirundo)  alla  scusce>a  costa. 


29.      Cava  grotta  s'  apria  nel  duro  sasso 
Di  lunghissimi  tempi  avanti  fatta; 
Ma  disusando ,  or  riturato  il  passo 
Era  tra  i  pruni  e  1'  erbe ,  ove  s'  appiatta. 
Sgombra  il  mago  gì'  intoppi ,  e  curvo  e  basso 
Per  r  angusto  sentiero  a  gir  s'  adatta. 
E  r  una  man  precede  e  '1  varco  tenta, 
L'  altra  per  guida  al  principe  appresenta. 

80.  ,  Dice  allora  il  sohìan:  qual  vìa  furtiva 
È  questa  tua,  dove  convien  eh'  io  vada? 
Altra  forse  miglior  io  me  n'  apriva. 

Se  'l  concedevi  tu,  con  la  mìa  spada. 
Non  sdegnar,  gli  risponde,  anima  schiva, 
Premer  col  forte  pie  la  buja  strada! 
Che  già  solca  calcarla  il  grande  Erode, 
Quel,  eh'  ha  neìl'  armi  ancor  sì  chiara  lode. 

81.  Cavò  questa  spelonca  allorché  porre 
Volle  freno  ai  soggetti  il  re,  eh'  io  dico: 
E  per  essa  potea  da  quella  torre 

Ch'  egli  antonia  appellò  dal  caro  amico, 
Invisibile  a  tutti  il  pie  racorre 
Dentro  la  soglia  del  gran  tempio  antico, 
E   quindi  occulto  uscir  della  cittate, 
E  trarne  genti,  ed  introdur  celate. 

o2.     Ma  nota  è  questa  via  solinga  e  bruna 
Or  solo  a  me  degli  uomini  viventi. 
Per  questa  andremo  al  loco ,  ove  raguna 

I  più  saggi  a  consiglio  e  i  più  potenti 

II  re,  eh'  al  minacciar  della  fortuna, 
Più  forse,  che  non  dee,  par  che  paventi. 
Ben  tu  giungi  a  grand'   uopo.    Ascolta  e  taci, 
Poi  movi  a  tempo  le  parole  audaci  ! 

33.     Così  gli  disse:  e  '1  cavaliere  allotta 
Col  gran  corpo  ingombrò  l'  umìl  caverna, 
E  per  le  vie,  dove  mai  sempre  annotta, 
Seguì  colui ,  che  '1  suo  cammin  governa. 
Chini  pria  se  n'  andar;  ma  quella  grotta 
Più  si  dilata,  quanto  più  s'  interna; 
Sìcch'  asceser  con  agio ,  e  tosto  furo 
A  mezzo  quasi  di  quell'  antro  oscuro. 

84.  Apriva  allora  mi  picciol  uscio  Ismene 
E  se  ne  gian  per  disusata  scala, 

A  cui  luce  mal  certo  e  mal  sereno 
L'  aér,  che  giù  d'  alto  spiraglio  cala. 
In  sotterraneo  chiostro  alfin  veniéno, 
E  salian  quindi  in  chiara  e  nobil  sala. 
Qui  con  lo  scettro  e  col  diadema  in  testa 
Mesto  seileasi  il  re  fra  gente  mesta. 

85.  Dalla  concava  nube  il  Turco  fero 
Non  veduto  rimira,  e  s|)ia  d'  intorno, 
Ed  ode  il  re  frattanto,  il  qual  primiero 
Incomincia  così  dal  seggio  adorno: 
Veramente,  oh  miei  fidi,  al  nostro  impero 
Fu  il  trapassato  assai  dannoso  giorno, 

E  caduti  d'  altissima  speranza, 

Sul  r  ajuto  d'  Egitto  omai  n'  avanza. 

6.      Ria  ben  vedete  voi  ,  quanto  la  speme 
Lontana  sia  da  sì  vicin  periglio. 
Dunque  voi  tutti  bo  qui  ra<u'.(ilti  insieme. 
Perdi'  ognun  porli  in   lue/./.o  il  suo  ctmsiglio. 
Qui  tac(^;  e,  quasi  in  bosco  aura,  che  frcuie, 
Suona  d'  intorno  un  |>ic(iol(»  bisbiglio. 
IMa  con  la  faccia  baldanzosa  e  lieta 
Sorgendo  Argante  il  mormorare  accheta. 


[121] 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (X.  87-52) 


[122] 


S7.     Oh  mag'nanìmo  re  (fu  la  risposta, 
Del  cavaliero  indomito  e  ferdce) 
Perchè  ci  tenti,  e  cosa  a  nnlio  ascosta 
Chiedi,  eh'  uopo  non  ha  di  nostra  Toce? 
Pur  dirò  :  sia  la  speme  in  noi  sol  posta  ! 
K  s'  egli  è  ver,  che  nulla  a  virtù  noce, 
Di  questa  armiamci!  a  lei  chiediamo  aita, 
Kè  più  eh'  ella  si  voglia,  amiani  la  vita! 

8S.     Né  parlo  io  già  così ,  perdi'  io  dispere 
Dell'  ajnto  certissimo  d'  Egitto  ; 
Che  dubitar,  se  le  promesse  vere 
Finn  del  mio  re,  non  lece,  e  non  è  dritto 
Ma  il  dico  sol,  perchè  desio  vedere 
In  alcuni  di  noi  spirto  più  invitto, 
Ch'  egualmente  apprestato  ad  ogni  sorte. 
Si  prometta  vittoria,  e  sprezzi  morte. 

89.     Tanto  sol  disse  il  generoso  Argante, 
Quasi  uom,  che  parli  di  non  diihbia  cosa. 
Poi  sorse  in  autorevole  sembiante 
Orcaao,  uom  d'  alta  nobiltà  famosa, 
E  già  nell'  arme  d'  alcun  pregio  avante. 
Ma  or  congiunto  a  giovinetta  sposa, 
E  lieto  omai  de'  figli  ,   era  invilito 
Kegli  alletti  di  padre  e  di  marito. 

40.  Disse  questi:   oh  signor,  già  non  accaso 
Il  fervor  di  magnifiche  parole, 

Quando  nasce  d'  ardir,  che  star  rinchiuso 
Tra  i  confini  del  cor  non  può,  né  vuole. 
Però,  se  '1  buon  Circasso  a  te  per  uso 
Troppo  in  vero  parlar  fervido  suole. 
Ciò  si  conceda  a  lui,  che  poi  nell'  opre 
11  mcdcsmo  fervor  non  meno  scopre. 

41.  Ma  si  conviene  a  te,  cui  fatto  il  corso 
Delle  cose  e  de'  tempi  han  sì  prudente, 
Impor  colà  de'  tuoi  consigli  il  morso, 
Dove  costui  se  ne  trascorre  ardcnle, 
I^ibrar  la  speme  d<  I  lontau  socc<irso 

Col  periglio  vicino,  anzi  presente, 

E  con  r  arme  e  con  V  impeto  nemico 

I  tuoi  nuovi  ripari  e  '1  muro  amico. 

42.  Noi    (se  lece  a  me  dir  quel ,  eh'    io  ne 
Siamo  in  forte  <:ìuà  di  sito  e  d'  arte; 
Ma  di  marchine  grande  e  violento 
Apparato  sì  fa  dall'  altra  parte. 

Quel  che  sarà ,  non  so  ;   spero ,  e  pavento 
I  giudi'/j  iru:ertissimi  di  IMurfe, 
E  temo,  che  h    a  noi  più  >i.i  ristretto 
L'  assedio,  alfiu  dì  cibo  avrcm  difetto: 

43.  Perocché  quegli  armenti  e  quelle  biade, 
CIk;  jcr  tu  ri(u;ttasti  (tntro  lo,  mura, 
Mentre  nel  campo  a  insanguinar  h;  spade 
S'  attcndca  solo,  e   fu  somma   ventura, 
(Piccini  esca  a  gran  f.ime)  ampia  citlado 
Nutrir  mal  pinuio,  se  V  assedio  dura: 
E  forza  è  pur  <:lie  duri ,  an<'ori'liè  \<'gn,'i 
L'  uste  d'  Egitto  il  dì,  eh'  ella  disegna. 

44.  Ma  che  fia,  se  più  tarda?  Orsù  concedo, 
(yhc  tua  npemc  prevenga,   e  sue  promesse: 
La   \iltoria  però,  però  non   ^edo 
Liltcratt',  oh  signor,  U:  mura  opiiresse. 
(JiMnlialtcrcmo,  oh  re,  on  quel  (ìoirredo, 
E  con   (jue'   duci  .  e  con   lo  genli   i.-.te^se, 
VAw.  iiìutv,  %()lle  bau  già  i-otti   e  di<per.->i 
Gli  Arubi,  i    Tuichi,  i  buriani ,  u  i  l'erdi. 


sento)  ' 


45.     E  quali  sian,  tu  '1  sai,  che  lor  redeeti 
Sì  spesso  il  campo,  oh  valoroso  Argante, 
E  sì  spesso  le  spalle  anco  volgesti, 
Fidando  assai  nelle  veloci  piante! 
E   '1  sa  Clorinda  teco,  ed  io  con  questi: 
Ch'  un  più  dell'  altro  non  convien  si  vante. 
Né  incolpo  alcuno  io  già:  che  vi  fu  mostro. 
Quanto  potea  maggiore  il  valor  nostro. 

40.      E  dirò   pur,  benché  costui  di  morte 
Bieco  minacci,  e  '1  vero  «dir  si  sdegni, 
Veggio  portar  'da  inevitabil  sorte 
Il  nemico  fatale  a  certi  see;ni. 
JNe  gente  p:)tra  mai,  né  muro  forte 
Impedirlo  così,  eh'  alfin  non  regni 
Ciò  mi  fa  dir  (sia  testimonio  il  cielo!) 
Del  signor,  della  patria  amore  e  zelo. 

47.  Oh  saggio  il  re  di  Tripoli,  che  pare 
Scjìpe  imiietrar  da'  Franriii,  e  reguo  insieme! 
3Ia  il  snidano  ostinato  o  morto  or  giace, 
Oppur  servii  catena  il  pie  gli  preme, 

O  neir  esiglio  tinudo  e  fugace 
Si  va  serbando  alle  miserie  estremo. 
Eppur  cedendo  parte,  avria  potuto 
Parte  salvar  co'  doni  e  col  tributo. 

48.  Così  diceva,  e  s'  avvolgea  costui 
Con  giro  di  parole  obbliquo   e  incerto; 

Ch'  a  chieder  pace ,  a  farsi  uom  ligio  altrui 
fJià  non  ardia  di  eon-igliarlo  aperto. 
Ma  sdegnoso  il  snidano  i  detti  sui 
Non  polca  omai  più  sostener  coperto. 
Quando  il  mago  gli  disse:  or  vuol  tu  darli 
Agio ,  signor ,  eh'  in  tal  maniera  parli .'' 

49.  Io  per  me,  gli  risponde,  or  qui  mi  celo 
Cnntra  mio  grado ,  e  d'  ira  ardo  e  di  scorno. 
Ciò  disse  appena,  e  immantinente  il  velo 
Della  nube,  che  stesa  è  lor  d'  intorno. 

Si  fende,  e  purga  nell'  aperto  cidlo, 

Ed  ei  riman  nel  luminoso  giorno, 

E  niagnanimanu'ute  in  fiero  viso 

Uifulge  in  mezzo  ,     e  lor  parla  improrAÌso  : 

50.  lo,  di  cui  si  ragiona,  or  son  presente. 
Non  fugace  e  non  lin»ido  sobiauo. 

Ed  a  costui ,  eh'  egli  é  codardo  e  niente^ 
M'  oflero  di  provar  con  questa  mano. 
Io,  die  sparsi  di  sangue  ampio  torre:ite. 
Che  montagne  di  strage  alzai  sul  piano, 
CiiiuM)  nel   vallo  de'  nemici,  e  pri\o 
Alfin  <r  ogni  compagno,  io  fuggitivo.' 

51.  Ma  se  più  questi,  o  s'  altri  a  lui  simile. 
Alla  sua  patria,  alla  sua  ftile  iiifìdo. 
Molto  osa   far  d'  accordo   infaiiie  e  \ile, 
IJiioii  re  (>ia  con  tua  p.icel  )  io  qui  T  ucrido. 
(•'li  iigiri  e  i   lupi   (i.in  jiiunti   in   un  i>\'ìIl\ 

E  If  colomlie  e  i  serpi   in  ui\  sol  i.iilo, 
l'riiu.ulH"    mai   di  non  di-cord»;  coglia 
Noi  co'  I'"raiice.-i  alcuna  terra  acct.i^lia. 

52.  Ticn  Bu  la  spada,  mcntr'  li  sì  favella, 
I.a  lìcra  de...tra  in  minaccevol  atto. 
Him.in  (  i,is(  uno  a  quel  pari, ire,  a  qudia 
Oniliil   faccia,  muto   e  stitiicfatto. 
poscia  con   \i-la  mcu   turbala  e  fella 
Cortesemente  inverso  il   re  h'  è  tratio. 
Spera,  gli  dice,  alto  signor!  eh'  io  rtuio 
Non  poco  iijulo:  or  Solimano  e  lece. 


[123] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (X.   53—68) 


[124] 


53.  Aladin,  eh'  a  lui  contra  era  gi<i  sorto. 
Risponde:  oh  come  lieto  or  qui  ti  Veggio, 
Diletto  amico!  Or  del  mio  stuol,  eh'  è  morto, 
Non  sento  il  danno;  e  l)en  temca  di  peggio. 
Tu  lo  mio  stabilire,  e  in  tempo  corto 

Puoi  ridrizzare  il  tuo  caduto  seggio, 

Se  'l  ciel  noi  vieta.     Indi  le  braccia  al  collo, 

Cosi  detto,  gli  stese,  e  circondollo. 

54.  Finita  l'  accoglienza,  il  re  concede 
Il  suo  medcsmo  soglio  al  gran  Aiceno. 
EMi  poscia  a  sinistra  in  nobil  sede 

Si'' pone,  ed  al  suo  fianco  alluoga  Israeno. 
E  mentre  seco  parla,  ed  a  lui  chiede 
Di  lor  \enuta,  ed  el  risponde  appieno, 
L'  alta  donzella  ad  onorar  in  pria 
Vien  Solimano:  ogni  altro  indi  seguia. 

55.  Seguì  fra  gli  altri  Ormusse,  il  qual  la  schiera 
Di  quegli  Arabi  suoi  a  guidar  tolse, 

E  mentre  la  battaglia  ardea  più  fera. 
Per  disusate  vie  così  s'  avvolse, 
Ch'  ajutando  il  silenzio  e  l'  aria  nera, 
Lei  salva  alfin  nella  città  raccolse, 
E  con  le  biade  e  co'  rapiti  armenti 
Aita  porse  all'  affamate  genti. 

5G.      Sol  con  la  faccia  torva  e  disdegnosa 
Tacito  si  rimasse  il  fier  Circasso, 
A  guisa  di  leon ,  quando  si  posa. 
Girando  gli  occhi ,  e  non  movendo  il  passo. 
Ma  nel  soldan  feroce  alzar  non  oj^a 
Orcano  i"l  volto  ,  e'  1  tien  pensoso  e  basso. 
Così  a  consiglio  il  palestin  tiranno, 
E    l  re  de'  Turchi,  e  i  cavalier  qui  stanno. 

57.  Ma  il  pio  Goffredo  la  vittoi-ìa  e  i  vinti 
Avea  seguiti ,  e  libere  le  vie, 

E  fatto  intanto  ai  suoi  guerrieri  estinti 
L'  ultimo  onor  di  sacre  esequie  e  pie  ; 
Ed  ora  agli  altri  impon  ,  che  siano  accìnti 
A  dar  l'  assalto  nel  secondo  die, 
E  con  maggiore  e  più  terribil  faccia 
Di  guerra  i  chiusi  barbari  minaccia. 

58.  E  perchè  conosciuto  avea  il  drappello, 
Ch'  ajiitò  lui  contra  la  gente  infida, 
Esser  de'  suoi  più  cari,  ed  esser  quello, 
Che  già  segui  l'  insidiosa  guida, 

E  Tancredi  con  lor,  che  nel  castello 
Prigion  restò  della  fallace  Armida, 
]\ella  presenza  sol  dell'  eremila, 
E  d'  alcuni  più  saggi  a  se  gì'  invita, 

59.  E  dice  lor:  prego,  che  alcun  racconti 
De'  vostri  brc^i  errori  il  dnbliio  corso, 
E  come  poscia  vi  trovaste  pronti 

In  sì  grand'  uopo  a  dar  si  gran  soccorso. 
Vergognando  tenean  basse  le  fronti; 
C'ir  «ra  al  lor  picciol  fallo  amaro  morso. 
Alfin  del  re  britanno  il  chiaro  figlio 
Ruppe  il  silenzio,  e  disse  alzando  il  ciglio: 

CO.      Partimmo  noi,  che  fuor  dell'  urna  a  sorte 
Tratti  non  fumiiu»,  ognun  per  sé  nascoso, 
D'  amor,  noi  nego,  le  fallaci  scorte 
Seguendo ,  e  d'  un  bel  volto   insidioso. 
Per  vie  ne  trasse  disusate ,  e  torte 
Fra  noi  discordi,  e  in  sé  ciasciui  geloso. 
Nutrian  gli  amori  e  i  nostri  sdegni  (ahi  tardi 
Troppo  il  conosco)  or  parolettc,  or  guardi. 


61.  Alfin  giungemmo  al  loco ,  ove  già  scese 
Fiamma  dal  cielo  in  dilatate  falde, 

E  di  natura  vendicò  l'  oll'ese 

Sovra  le  genti  in  mal  oprar  sì  salile. 

Fu  già  terra  feconda,  almo  paese; 

Or  acq.ie  son  bituminose  e  calde, 

E  steril  lago:  e  quanto  ei  torce  e  gira, 

Compressa  è  l'  aria ,  e  grave  il  puzzo  s]>Ira. 

62.  Questo  è  lo  stagno  ,  in  cni  nulla  di  greve 
Si  j;etta  mai,  che  giimga  insino  al  basso, 
3Ia  in  guisa  pur  d'  abete  o  d'  orno  leve 

L'  uom  vi  sornuota,  e  '1  duro  ferro  e  '1  sasso. 
Siede  in  esso  un  castello ,  e  stretto  e  breve 
Ponte  concede  a'  peregrini  il  passo. 
Ivi  n'  .accolse,  e  non  so,  con  qual  arte 
Vaga  è  là  dentro,  e  ride  ogni  sua  parte, 

63.  V  è  r  aura  molle,  e  '1  ciel  sereno,  e  lieti 
Gli  alberi  e  i  prati,  e  pure  e  dolci  V  onde; 
Ove  tra  gli  anicaissimi  mirteti 

Sorge  una  fonte,  e  un  fiumicel  diffonde. 
Piovono  in  grembo  all'  erbe  i  sonni  queti 
Con  un  soave  mormorio  di  fronde: 
Cantan  gli  augelli:  i  marmi  io  taccio  e  1'  oro, 
Meraviiiliosi  d'  arte  e  di  lovoro. 


64. 


Apprestar  sull'  erbetta,  ov'  è  più  densa 
L'  oml)ra ,  e  vicino  al  suon  dell'  acque  chiare, 
Fece  dì  sculti  vasi  altera  mensa, 
E  ricca  di  vivande  elette  e  care. 
Era  qui  ciò ,  eh'  ogni  stagion  dispensa, 
Ciò,  che  dona  la  terra ,  o  manda  il  mare, 
Ciò,  che  r  arte  condisce,  e  cento  belle 
Servivano  al  convito  accorte  ancelle. 


65 


Ella  d'  un  parlar  dolce  e  d'  un  bel  riso 
Temprava  altrui  cibo  mortale  e  rio. 
Or  mentre  ancor  ciasciuio  a  mensa  assiso 
Beve  con  lungo  incendio  un  lungo  obblio, 
Sorse ,  e  disse  :  or  qui  riedo  ;  e  con  un  viso 
Ritornò  poi  non  sì  tranquillo  e  pio. 
Con  una  man  pic(  iola  verga  scote, 
Tien  r  altra  un  libro,  e  legge  in  basse  note. 

68.     Legge  la  maga;  ed  io  pensiero  e  voglia 
Sento  mutar,  mutar  vita  ed  albergo. 
(Strana  virtù!)  no^o  piacer  m'  invoglia; 
Salto  nell    acqua,  e  mi  vi  tuffo  e  immergo. 
Non  so,  come  ogni  gamba  entro  s'  accoglia; 
Come  r  un  braccio  e  l'  altro  entri  nel  tergo: 
M'  accorcio  e  stringo  ;  e  sulla  pelle  cresce 
Squamoso  il  cuojo,  e  d'  uom  son  fatto  un  pesce. 

67.  Così  ciascun  degli  altri  anco  fu  volto, 
E  gniz'/ò  meco  in  quel  vivace  argento. 
Quale  ailor  mi  foss'  io,  come  di  stolto, 
A  ano,  V  torlùdo  sogno  or  meu  rauunento. 
Piai  qnele  alfin  tornarci  al  proprii»  volto  ; 
Ma  tra  la  mera>iglia  e  lo  spavento 
IMnli  era\am,  quando  turbata  in  vista 
In  tal  guisa  minaccia,  e  ne  contrista: 

68.  Ecco  a  voi  noto  è  il  mio  poter,  ne  dice, 
E  quanto  stnra  voi  1'  imperio  h«)  pieno. 
Pende  dal  mio  voler,  i^h'  altri  infelice 
Perda  in  prigione  eterna  il  ciel  sereno, 
Altri  divenga  augfllo  ,   allri  radice 
Faiu-iii,  «!  germogli  nel  terrestre  s<'no, 
O  clic  s'  induri  in  selce ,  o  in  m«>lle  fonte 
Si  liqucfaccia,  o  vesta  irsuta  fronte. 


125] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (X.  69— 78) 


[126] 


69.      Ben  potete  schivar  1'  aspro  mio  sdegno, 
Quando  seguire  il  mio  piacer  v'  aggrada, 
Farvi  pagani,  e  per  lo  nostro  regno 
Centra  1'  empio  Buglion  mover  le  spade. 
Ricusar  tutti ,  ed  abborrir  1'  indegno 
Patto:  solo  a  Rambaldo  il  persuade: 
Koi  (che  non  vai  difesa)  entro  ima  buca 
Di  lacci  avvolse,  ove  non  è  che  luca. 

IO.     Poi  nel  castello  istesso  a  sorte  venne 
Tancredi,  ed  egli  ancor  fu  prigioniero. 
Ma  poco  tempo  in  carcere  ci  tenne 
La  falsa  maga:  e  (»'  io  n'  intesi  il  vero) 
Di  seco  trarne  da  queir  empia  ottenne 
Del  signor  di  Damasco  un  messaggiero, 
Ch'  al  re  d'  Egitto  in  don  fra  cento  armati 
Ke  conduceva  inermi  e  incatenati- 
li.    Cobi  ce  n'  andavamo  :  e ,  come  1'  alta 
Provvidenza  del  ciclo  ordina  e  move. 
Il  buon  Rinaldo,  il  qual  più  sempre  esalta 
La  gloria  sua  con  opre  eccelse  e  rove, 
In  noi  s'  avviene ,  e  i  cavalieri  assalta 
Kostri  custodì ,  e  fa  1'  usate  prove  : 
Gli  uccide  e  vince,  e  di  quell'  arme  loro 
Fa  noi  vestir,  che  nostre  ili  prima  foro. 

|j3.      Io  '1  vidi,  e  '1  vider  questi,  e  da  lui  porta 
I      Ci  fu  la  destra ,  e  fu  sua  voce  udita. 
I      Falso  è  il  romor,  clic  qui  risuona,  e  porta 
Sì  rea  novella;  e  salva  è  la  sua  vita. 
Ed  oggi  è  il  terzo  dì ,  che  con  la  scorta 
D'  un  peregrin  fece  da  noi  partita, 
Per  girne  in  Antiochia;  e  pria  depose 
L'  arme,  che  rotte  aveva  e  sanguinose. 

23.     Così  parlava,  e  1'  eremita  intanto 
Volgeva  al  cielo  1'  una  e  1'  altra  luce. 
F^on  un  color ,  non  serba  un  volto  :  oh  qimr.to 
Più  sacro  e  venerabile  or  riluce  1 
Pieno  di  Dio ,  ratto  dal  zelo ,  accanto 
All'  angeliche  menti  ci  si  conduce. 
Gli  si  svela  il  futuro ,  e  neir  eterna 
Serie  degli  anni  e  dell'  età  «'  interna: 


74.      E  la  bocca  sciogliendo  in  maggior  suono, 
Scopre  le  cose  altrui ,   eh'  indi  verranno. 
Tutti  conversi  alle  sembianze,  al  tuono 
XJeir  insolita  voce  attenti  stanno. 
Vive,  dice,  Rinaldo,  e  le  altre  sono 
Arti  e  bugie  di  femminile  inganno. 
^  ive ,  e  Li  vita  giovinetta  acerba 
A  più  mature  glorie  il  ciel  riserba. 

"JS.      Presagi  sono,  e  fanciulleschi  affanni 

Questi,  ond'  or  1'  A»ia  lui  conosce  e  noma. 

Ecco  chiaro  "^e^g'  io  correndo  gli  anni, 

Ch"  egli  s'  oppone  all'  empio  angusto  e  '1  doma  : 

E  sotto  r  ombra  degli  argentei  vanni 

L'  aquila  sua  copre  la  chiesa  e  Roma , 

Che  della  fera  avrà  tolte  agli  artigli: 

£  ben  di  lui  nasceran  degni  i  figli. 

76.  De'  figli  i  figli,  e  chi  verrà  da  quelli. 
Quinci  avran  chiari  e  memorandi  esempj, 
E  da'  cesari  ingiusti,  e  da'  rubelli 
Difenderan  le  mitre  e  i  sacri  tempj. 
Premer  gli  alteri,  e  sollevar  gì'  imbelli. 
Difender  gì'  innocenti ,  e  punir  gli  empj, 
Pian  r  arti  lor.     Così  verrà ,  che  vole 
L'  aquila  estense  oltra  le  vie  del  sole. 

77.  E  dritto  è  ben,  che,  »e  '1  ver  mira  e  '1  lume, 
Ministri  a  Pietro  i  folgori  mortali. 

L'  per  Cristo  si  pugni,  ivi  le  piume 
Spiegar  dee  sempre  invitte  e  trionfali  : 
Che  ciò  per  suo  nativo  alto  costume 
Dielle  il  cielo,  e  per  leggi  a  lei  fatali: 
Onde  piace  lassù,  ch"  a  questa  degna 
Impresa,  onde  partì,  chiamato  vegna. 

78.  Con  questi  detti  ogni  timor  di>caccia 
Da  Rinaldo  concetto  il  saggio  Piero. 

Sol  nel  plauso  comune  avvien,  che  taccia 
Il  pio  Buglione  immerso  in  gran  pensiero.  , 
Sorge  intiuito  la  notte ,  e  sulla  faccia 
Della  terra  distende  il  velo  nero. 
Vansene  gli  altri ,  e  dan  le  membra  al  sonno  : 
Ma  i  suoi  pensieri  in  lui  dormir  non  ponno. 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XL  1  —  12) 


[128] 


CANTO     UNDECIMO. 


ARGOMENTO, 

Prima  con  sacri  prieglii  a  Dio  s'  inchina. 

Indi  assalta  Sion  t'  oste  cristiana, 

Patc  lo  scosso  muro  alta  ruina. 

Fa  difesa  Clorinda  acerba ,  e  strana, 

E  piaga  il  duce  pio,  cui  medicina 

lisca  V  angcl  del  del,  che  tosto  il  sana. 

Ried'  egli  in  campo,  poi  combatte,  e  rompe. 

Ma  le  vittorie  sue  notte  interrompe. 


Ma  1  capitan  delle  crisfiane  genti, 
Volto  avendo  all'  assalto  ogni  pensiero. 
Giva  apprestando  i  bellici  instriimenti, 
Quando  a  lui  venne  il  solitario  Piero, 
E  .  trattolo  in  disparte,  in  tali  accenti 
Gli  parlò  venerabile  e  severo: 
Tu  muovi,  oh  capitan,  1'  armi  terrene? 
Ma  di  là  non  cominci,  onde  conviene- 

Sia  dal  cielo  il  principio  !  invoca  innanti 
Nelle  preghiere  pubbliche  e  devote 
La  milizia  degli  angeli  e  de'  santi, 
Che  ne  impetri  vittoria  ella,  che  puote! 
Preceda  il  clero  in  sacre  vesti ,   e  canti 
Con  pietosa  armonia  supplici  note, 
£  da  voi,  duci  gloriosi  e  magni, 
Pietate  il  volgo  apprenda,  e  v'  accompagni! 

Cosi  gli  parla  il  rigido  romito; 
J']  '1  buon  Goffredo  il  saggio  avviso  approva. 
Servo,  risponde ,  di  Gesù  gradito. 
Il  tuo  consiglio  di  seguir  m:  giova. 
Or  mentre  i  duci  a   venir  racco  invito, 
Tu  i  pastori  de'  popoli  ritrova, 
Guglielmo  ed  Ademaro,  e  vostra  sia 
La  cura  della  pompa  sacra  e  pia! 

Kel  seguente  mattino  il  vecchio  accoglie 
Co'  duo  gran  sacerdoti  altri  minori, 
Ov'  entro  al  vallo  tra  sacrate  soglia 
Soicaiisi  celebrar  divini  onori. 
Quivi  gli  nitri  ve.-tir  candide  spoglie, 
\e.stir  dorato  auiumnlo    i  duo  pastori, 
C'Ite,  bipartito  sovra  i  bianchi  lini, 
S'  affibbia  al  petto ,  e  incoronaro  i  crini. 

Va  Piero  solo  innanzi ,  e  spiega  al  vento 
Il  8egn(»  riverito  in  paradiso, 
K  segue   il  (-oro  a  pas-io  grave  e  lento 
In  duo  liuiglii-^iuii  «uilini  diviso. 
Allernan<!(i  fai can  doppio  concento 
In  kupplii'lievoi  canto  e  in   umil  viso, 
K,  chiuilerido  le  scliicre,  ivano  a  paro 
1  prir.c'pi  Guglielmo  ed  Ademaro. 


6.  Venia  poscia  il  Bnglion,  pnr  come  è  l'  uso 
Di  capitan ,  senza  compagno  allato. 
Seguiano  a  coppia  i  duci,  e  non  confuso 
Seguiva  il  campo  a  lor  difesa  armato. 

Sì  procedendo  se  n'  uscia  del  chiuso 
Delle  triucere  il  popolo  adunato  : 
Né  s'  udian  trombe ,  o  suoni  altri  feroci. 
Ma  di  pietate  e  d'  umiltà  sol  voci. 

7.  Te,  genitor,  te,  figlio  eguale  al  padre, 
a  te ,  che  d'  ambo  uniti  amando  spiri, 

E  te,  d'  uomo  e  di  Dio  vergine  madrQ, 
Invocano  propìzia  ai  lor  desiri. 
Oh  duci  e  voi ,  che  le  fulgenti  squadcfl 
Del  ciel  movete  in  triplicati  giri. 
Oh  divo,  e  te,  che  della  diva  fronte 
La  monda  umanità  lavasti  al  fonte. 

8.  Chiamano  e  te ,  che  sei  pietra  e  sostegno 
Della  magion  di  Dio  fondata  e  forte. 

Ove  ora  il  nuovo  successor  tuo  degno 
Di  grazia  e  di  perdono  apre  le  porte; 
E  gli  altri  messi  del  celeste  regno. 
Che  divulgar  la  vincitrice  morte, 
E  quei,  che  'l  vero  a  confermar  seguirò, 
Testimonj  di  sangue  e  di  martiro; 

9.  Quegli  ancor ,  la  cui  penna ,  o  la  favella 
Insegnata  ha  del  ciel  la  via  smarrita; 

E  la  cara  di  Cristo  e  fida  ancella, 
Ch'  elesse  il  ben  della  più  nobil  vita; 
E  le  vergini  chiuse  in  casta  cella. 
Che  Dio  con  alte  nozze  a  sé  marita; 
E  queir  altre,  magnanime  ai  tormenti, 
Sprezzatrici  de"  regi  e  delle  genti. 

10.  Cosi  Ccintando  il  popolo  devoto 
Con  larghi  giri  si  dispiega  e  stende, 
E  drizza  all'  Oliveto  il  lento  moto. 
Monte ,  che  dall'  olive  il  nome  prende, 
Monte  per  sacra  fama  al  mondo  noto, 
Ch'  orientai  contra  le  mura  ascende, 

E  sol  da  quelle  il  parte  e  ne  '1  discosta 
La  cupa  Giosafà,  che  in  mezzo  è  posta. 

11.  Colà  s'  invia  1'  esercito  canoro, 

E  ne  suonau  le  valli  ime  e  profonde, 

E  gli  alti  colli  e  le  spelonche  loro, 

E  da  ben  mille  parti  eco  risponde  ; 

E  quasi  par,  che  boschereccio  coro 

Fra  quegli  antri  si  celi  e  in  quelle  fronde: 

Sì  cliiaramaute  replicar  s'  udia 

Or  di  Cristo  il  gran  nome,  or  di  Maria! 

12.  D'  in  sulle  mura  ad  ammirar  frattanto 
Cheti  si  stanno  e  attoniti  i  pagani 

Que'  tardi  avvolgimenti ,  e  1'  umil  canto, 

E  1'  incognite  pompe ,  e  i  riti  estrani. 

Poiché  cessò  dello  spettacol  santo 

Jja  novitate ,  i  mi>eri  profani 

Alzar  le  strida,  e  di  bestemmie  e  d'  onto 


Mu; 


il  torrente ,  e  la  gran  valle  ,  o  '1  monti 


[129] 


GERUSALEMME  LIBERATA.    (XI.  13—28) 


[130] 


13.  Ma  dalla  casta  melodìa  soave 
La  gente  di  Gesù  però  non  tace, 
Né  si  volge  a  que'  gridi ,  o  cura  n'  ave 
Più,  che  di  stormo  avria  d'  augei  loquace. 
Né,  perchè  strali  avventino,  ella  pavé, 
Che  giungano  a  turbar  la  santa  pace 
Di  sì  lontano;  onde  a  suo  fin  ben  puote 
Condur  le  sacre  incominciate  note. 

14.  Poscia  in  cima  del  colle  ornan  1'  altare, 
Che  di  gran  cena  al  sacerdote  è  mensa; 
E  d'  ambo  i  lati  luminosa  appare 
Sublime  lampa  in  lucid'  oro  acccnsa. 
Quivi  altre  spoglie,  e  pur  dorate,  e  care 
Prende  Guglielmo ,  e   pria  tacito  pensa, 
Indi  la  voce  in  chiaro  suon  dispiega, 
Se  stesso  accusa,  e  Dio  ringrazia  e  prega. 

15.  Umili  intorno  ascoltano  i  primieri, 
Le  viste  i  più  lontani  almen  v'  han  fisse. 
Ma  poiché  celebrò  gli  altri  misteri 
Del  puro  sacrificio:   Itene,  ei  disse, 
E  in  fronte  alzando  ai  popoli  guerreri 
La  man  sacerdotal,  li  benedisse. 
AUor  sen  ritorniir  le  squadre  pie 
Per  le  dianzi  da  lor  calcate  vie. 

16.  Giunti  nel  vallo ,  e  1'  ordine  dìsciolto, 
Si  rivolge  Goffredo  a  sua  magione, 

E  1'  accompagna  stuol  calcato  e  folto 

Insino  al  limitar  del  padiglione. 

Quivi  gli  altri  accomiata,  indietro  volto, 

Ma  ritien  seco  i  duci  il  pio  Buglione, 

E  li  raccoglie  a  mensa ,  e  vuol ,  eh'  a  fronte 

Di  Tolosa  gli  sieda  il  vecchio  conte. 

17.  Poiché  de'  cibi  il  naturai  amore 

Fu  in  lor  ripresso ,  e  1'  importuna  sete. 
Disse  ai  duci  il  gran  duce:  al  nuovo  albore 
Tutti  all'  assalto  voi  pronti  sarete. 
Quel  fia  giorno  di  guerra  e  di  sudore; 
Questo  sia  d'  apparecchio  e  di  quiete! 
Dunque  ciascun  vada  al  riposo,  e  poi 
Sé  medesmo  prepari,  e  i  guerrier  suol! 

18.  Tolser  essi  congedo,  e  manifesto 
Quinci  gli  araldi  al  suon  di  trombe  fero, 
(yh'  Cì-sere  all'  arme  apparecchiato  e  presto 
Dee  con  la  nuova  luce  ogni  guerriero. 
Cosi  in  parte  al  ristoro,  e  in  parte  questo 
Giorno  si  diede  all'  opre,  ed  al  pensiero. 
Sinché  fé'  nuova  tregua  alla  fatica 

La  cheta  notte,  del  riposo  amica. 

li).     Ancor  dubbia  1'  aurora,  ed  immaturo 
Ncir  oriente  il  parto  era  del  giorno; 
Né  ì  terreni  fendea  V  aratro  duio. 
Né  fea  il  pastcuc  ai  prati  anco  ritorno. 
Stava  tra  i  rami  ogni  angcilin  securo, 
E  in  selva  non  s'  uilia  latrato,  o  corno, 
Quando  a  cantar  la  mattutina  tronilta 
Comincia  all'  aruie,   all'  arme  il  ciel  rimbomba. 

20.      All'  arme,  all'  arme  subito  ripiglia 
Il  grido  univcrsal  di  cento  siliicrc. 
Sorge  il  Iurte  Goffredo ,  <•  già  non  piglia 
La  gran  cora/./a  usata,  o  le  scliiuiere; 
Ne  veste  un'  altra,  ed  lui  pedon  Homiglia 
In  arme  spedilissinu;  e  leggiere: 
Ed  indosso  aM-a  già  1'  agcMil  ponilo. 
Quando  gli  sovraggiunse  il  buon  Kaimondo. 


21.  Questi  veggendo  armato  in  cotal  modo 
Il  capitano,  il  suo  pensier  comprese. 

Ov  è,  gli  disse,  il  grave  usbergo  e  sodo? 
Ov'  è,  signor,  l'  altro  ferrato  arnese.'' 
Perchè  sei  parte  inerme.''  Io  già  non  lodo, 
Che  vada  con  sì  debili  difese. 
Or  da  tai  segni  in  te  ben  argomento. 
Che  sei  di  gloria  ad  umil  meta  intento. 

22.  Deh,  che  ricerchi  tu .''  privata  palma 
Di  salitor  di  mura.''  Altri  le  saglia, 
Ed  esponga  men  degna  ed  util  alma 
(Rischio  debito  a  lui)  nella  battaglia  ! 
Tu  riprendi,  signor,  1'  usata  salma, 

E  di  te  stesso  a  nostro  prò  ti  caglia! 
L'  anima  tua,  mente  del  campo  e  vita. 
Cautamente ,  per  Dio  ,  sia  custodita  ! 

23.  Qui  tace  ;  ed  ei  risponde  :  or  ti  sia  noto. 
Che  quando  in  Chiaramente  il  grande  Urbano 
Questa  spada  mi  cinse ,  e  me  devoto 

Fé'  cavalier  1'  onnipotente  mano, 

Tacitamente  a  Dio  promisi  in  voto 

Non  pur  1'  opera  qui  di  capitano, 

Ma  d'  impiegarvi  ancor,  quando  che  fosse, 

Qual  privato  guerrier  1'  arme  e  le  posse. 

24.  Dunque  posciachè  fian  contra  i  nemici 
Tutte  le  genti  mie  mosse  e  disposte, 

E  eh'  appieno  adempito  avrò  gli  uffici, 

Che  son  dovuti  al  principe  dell'  oste, 

Ben  è  ragion  (né  tu ,  credo ,  il  disdici) 

Ch'  alle  mura  pugnando  anch'  io  m'  accoste, 

E  la  fede  promessa  al  cielo  osservi. 

Egli  mi  custodisca  e  mi  conservi  ! 

25.  Così  concluse  :  e  i  cavalier  francesi 
Seguir  r  esempio,  e  i  duo  minor  Buglioni. 
Gli  altri  prinripi  ancor  men  gravi   arnesi 
Parte  vestirò,  e  si  mostrar  pedoni. 

Ma  i  pagani  frattanto  erano  ascesi 
Là ,  d()^  e  ai  sette  gelidi  trioni 
Si  volge,  e  piega  all'  occidente  il  muro. 
Che  nel  più  facil  sito  è  men  securo. 

26.  Perocch'   altronde  la  città  non  teme 
Dall'  assalto  nemico  offesa  alcuna, 
Quivi  non  pur  1'  empio  tiranno   insieme 
Il  forte  vulgo ,  e  gli  assoldati  aduna. 
Ma  ciiiama  ancora  alle  fatiche  estreme 
Fanciulli  e  x-cchj  1'  ultima  fortuna: 

E  van  (juesti  portando  ai  più  gagliardi 
Calce,  zolfo,  biltuuc,  e  sassi,  e  dardi, 

27.  E  di  macchine,  e  d'  armi  han  pieno  innante 
Tutto  quel  muro,  a  cui  soggiace  il  piano. 

E   qiiiiii-i   in  foruui  d'  orrido  gigante 
Dalla  cintida  in  su  sorge  il  soliiano; 
Quindi  tra    merli  il  minaciioso   Argante 
'lorr«'ggia,  e  di.NCoperto  è  di   huitano, 
E  in  sulla  tture  alli.->!-iuia  angolare 
Sovra  tulli  Clorinda  eccelsa  appare. 

28.  A  costei  la  farcir. i  e  "I  gra^e  incarco 
Dell'   acute  quadrrlla  al   tergo  pende. 
Ella  già  nelle  mani   iia  preso  1'  arco, 

E  già  lo  strai  >'  ha  sulla  corda,  e   '1  tende; 
E  desiosa  di  ferire ,  al  varco 
I.a  bella  arciera  i  suoi  nt-mici  attende. 
Tal  già  credean  la   %«rgiiie  di  Delo 
'ira  r  allo  nubi  saettar  dal  cielo. 
1» 


[131] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XI.  29  —  44) 


[132] 


29.  Scorre  più  sotto  il  re  canuto  a  piede 
Dall'  una  all'  altra  porta  ;  e'n  sulle  mura 
Ciò,  che  prima  ordinò,  cauto  rivede, 

E  i  difensor  conforta  e  rassicura, 

E  qui  gente  rinforza,  e  là  provvede 

Di  maggior  copia  (V  arme,  e  '1  tutto  cura. 

Ma  se  ne  van  1'  afflitte  madri  al  tempio 

A  ripregar  nume  bugiardo  ed  empio: 

30.  Deh ,  spezza  tu  del  predator  francese 

L'  asta,  signor,  con  la  man  giusta  e  forte, 
E  lui,  che  tanto  il  tuo  gran  nome  offese. 
Abbatti,  e  spargi  sotto  1'  alte  porte! 
Cosi  dicean;  nò  fur  le  voci  intese 
Laggiù  tra  '1  pianto  dell'  eterna  morte. 
Or  mentre  la  città  s'  appresta  e  prega. 
Le  genti  e  1'  armi  il  pio  Buglion  dispiega. 

81.      Tragge  egli  fuor  1'  esercito  pedone 
Con  molta  provvidenza  e  con  beli'  arte, 
E  contra  il  muro ,  eh'  assalir  dispone. 
Obliquamente  in  duo  lati  il  comparte. 
Le  baliste  per  dritto  in  mezzo  pone, 
E  gli  altri  ordigni  orribili  di  Marte, 
Onde  in  guisa  di  fulmini  si  lancia 
Ver  le  merlate  cime  or  sasso,  or  lancia: 

Z3.     E  mette  in  guardia  i  cavalicr  de'  fanti 
Da  tergo,  e  manda  intorno  i  corridori. 
Dà  il  segno  poi  delia  battaglia,  e  tanti 
I  sagittari  sono,  e  i  frombatori, 
E  r  armi  delle  macchine  vfdanti, 
Che  scemano  fra  i  merli  i  difensori. 
Altri  v'  è  morto,  e  '1  loco  altri  abbandona: 
Già  men  folta  del  muro  è  la  corona. 

83.     La  gente  franca  impetuosa  e  ratta 

Allor,  quanto  più  puote ,  affretta  i  passi, 
E  parte  scudo  a  scudo  insieme  adatta, 
E  di  quegli  un  coperchio  al  capo  lassi, 
E  parte  sotto  macchine  s'   appiatta. 
Che  fan  riparo  al  grandinar  de'  sassi. 
Ed  arrivando  al  fosso ,  il  cupo  e  '1  vano 
Cercano  empirne,  ed  adeguarlo  al  piano. 

Zi.     Non  era  il  fosso  di  palustre  limo 

(Che  noi  consente  il  loco)  o  d'  acqua  molle; 
Onde  r  empiano,  anc(»n;hè  largo  ed  imo 
Le  pietre,  i  fasci,  e  gli  alberi,  e  le  zolle, 
L'  audacissimo  Alcasto  intanto  il  primo 
Scopre  la  testa,  ed  una  scala  estolle; 
E  noi  ritien  dura  gragnuola,  o  pioggia 
Di  fervidi  bitumi,  e  su  vi  poggia. 

3,^,     Vedeasi  in  alto  il  fero  Elvczio  asceso 
Mezzo  r  aereo  calle  aver  fornito, 
Segno  a  mille  saette,  e  non  ollcso 
D'  alcuna  sì,  che  fermi  il  corso  ardito, 
Quando  un  ^asso  ritondo  e  di  gran  peso, 
Veloce,  come  di  bombarda  us<-.ito, 
^ell'  (Imo  il  coglie,  e  il  risospinge  a  basso; 
E  "1  colpo  vien  dal  lanciator  circasso. 

86.     Non  è  mortai,  ma  grave  il  colpo,  e  'I  salto, 
Siccir  ci  stordisce,  e  giace  immobil  pondo. 
Argante  albir  in  siion   feroce  ed   aito: 
Caduto  è  il  primo;  (ir  chi  <errà  tiocondo  ? 
Che  non  u^cite  a  maiiil'esto   assalto. 
Appiattati  guerricr,  h    io  non  m'  ascondo.' 
Non  gioveranvi  le  »;aì<rne  e-itrane. 
Ma  vi  morrete  come  belve  in  tane. 


37.  Cosi  die'  egli:  e  per  suo  dir  non  cc&sa 
La  gente  occulta  ;  e  tra  i  ripari  cavi, 

E  sotto  gli  ititi  scudi  unita  e  spessa 
Le  saette  sostiene  e  i  pesi  gravi. 
Già  r  ariete  alla  muraglia  appressa 
Macchine  grandi,  e  smisurale  travi, 
Ch'  han  testa  di  monton  ferrata  e  dura. 
Tcmou  le  porte  il  cozzo ,  e  1'  alte  mura. 

38.  Gran  mole  intanto  è  di  lassù  rivolta 
Per  cento  mani  al  gran  bisogno  pronte, 
Che  sovra  la  testuggine  più  folta 
Ruina,  e  par,  che  vi  trabocchi  un  monte; 
E  degli  scudi  1'  union  disciolta 

Più  d'  un  elmo  vi  frange  e  d'  una  fronte, 

E  ne  riman  la  terra  sparsa  e  rossa 

D'  armi,  di  sangue,  di  cervella,  e  d'  ossa. 

39.  L'  assalitore  allor  sotto  al  coperto 
Delle  macchine  sue  più  non  riparai 
Ma  dai  ciechi  perigli  al  rischio  aperto 
Fuori  se  n'  esce ,  e  sua  virtù  dichiara. 
Altri  appoggia  le  scale,  e  va  per  V  erto; 
Altri  per(uu)te  i  fondamenti  a  gara. 

Ne  crolla  il  muro ,  e  ruinoso  i  fianchi 
Già  fessi  mostra  all'  impeto  de'  Franchi. 

IO.     E  ben  cadeva  alla  percosso  orrende, 
Che  doppia  in  lui  l'  espugnator  montone  ; 
Ma  sin  da'  merli  il  popolo  il  difende 
Con  usata  di  guerra  arte  e  ragione; 
Cli'  ovunque  la  gran  trave  in  lui  si  stende, 
Cala  fasci  di  lana,  e  li  frappone. 
Prende  in  sé  le  percosse,  e  fa  più  lente 
La  materia  arrendevole  e  cedente. 

il.    Mentre  con  tal  valor  s'  erano  strette 
L'  audaci  schiere  alla  tenzon  murale, 
Curvò  Clorinda  sette  volte,  e  sette 
Rallentò  1'  arco,  e  n'  avventò  lo  strale: 
E  quante  in  giù  se  ne  volar  saette, 
Tante  s'  insanguloaro  il  ferro  e  l'  ale, 
Non  di  sangue  plebeo ,  ma  del  ]ììh  degno  : 
Che  sprezza  quell'  altera  ignobil  segno. 

42.  Il  primo  cavalicr,  eh'  ella  piagasse, 
Fu  r  erede  minor  del  rege  inglese. 

Da'  suoi  ripari  appena  il  capo  ci  trasse. 
Che  la  mortai  percossa  in  lui  discese; 
E  che  la  destra  man  non  gli  trapasse. 
Il  guanto  dell'  acciar  nulla  contese  ; 
Sicché  inabile  all'  armi  ci  si  ritira 
Fremendo,  e  meno  di  dolor,  che  d'  ira. 

43.  Il  buon  conte  d'  Ambuosa  in  ripa  al  fosso, 
E  sulla  scala  poi  Clotareo  il  franco, 
Quegli  morì  trafitto  il  petto  e  '1  dosso. 
Questi  dall'  un  pas-ato  all'  altro  fianco. 
Sospingeva  il  monton,  quando  è  percosso, 

Al  signor  de'  Fiaminghi  il  braccio  nranco. 
Sicché  tra  via  s'  all<-nta,  e  vuol  poi  trarne 
Lo  strale,  e  resta  il  ferro  entro  la  carne, 

44.  All'  incatito  Ademar,  eh'  era  da  lungo 
I/a  fera  pugna  a  riguardar  risolto, 

La  fatai  canna  arri\a,  e  in  fronte  il  punge. 
Stende  ei  la  destra  al  loco,  ove  fu  colto, 
Quando  nuova  saetta  ecco  sorgiunge 
Sovra  la  mano,  e  la  configge  al  volto: 
Oiid'  egli  cade,   e  fa  del  sangue  sixro 
Suir  arme  femminili  ampio  lavacro. 


[133] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XI.  fó  — 60) 


45.  Ma  non  liinjji  da'  merli  a  Palamede, 
-Mentre  ardito  disprezza  ogni  peri/jlio, 

E  su  per  gli  erti  gradi  in  drizza  il  piede, 
Cala  il  settimo  ferro  al  dentro   ciglio; 
E  trapassando  per  la  cava  sede, 
E  tra  i  nervi  dell'  occhio ,  esce  vermiglio 
Di  retro  per  la  nuca.     Egli  trabocca, 
E  muore  a  pie  dell'  assalita  rocca. 

46.  Tal  saetta  costei.     Goffredo  intanto 
Con  nuovo  assalto  i  difensori  opprime. 
Avea  condotto  ad  una  porta  accanto 
Delle  macchine  sue  la  più  sublime. 
Questa  è  torre  di  legno,  e  s'  erge  tanto, 
Che  può  del  muro  pareggiar  le  cime; 
Torre,  che  grave  d'  uomini  ed  armata, 
Mobile  è  sulle  rote ,  e  vien  tirata  ! 

47.  Viene  avventando  la  volubil  mole 

Lance  e  quadrella ,  e  quanto  può  s'  accosta; 
E  come  nave  in  guerra  a  nave  suole, 
Tenta  d'  unirsi  alla  muraglia  opposta. 
Ma  chi  lei  guarda,  ed  impedir  ciò  vuole. 
Le  urta  la  fronte,  e  l'  una  e  1'  altra  costa. 
La  respinge  con  1'  aste,  e  le  percote 
Or  con  le  pietre  i  merli  ,  ed  or  le  rote. 

48.  Tanti  di  qua,  tanti  di  là  fur  mossi 
E  sassi  e  dardi ,  eli'  oscuronnc  il  cielo. 
S'  urtar  duo  nembi  in  aria ,  e  là  tornossi 
Talor  respinto ,  onde  partiva ,  il  telo. 
Come  di  fronde  sono  i  rami  scossi 
Dalla  pioggia  indurata  in  freddo  gelo, 

E  ne  caggiono  i  pomi  anco  immaturi. 
Cosi  cadeano  i  Saracin  dai  muri: 

49.  Perocché  scende  in  lor  più  grave  il  danno, 
Che  di  ferro  assai  meno  eran  guernitL 
Parte  de'  vivi  ancora  in  fuga  vanno, 

Della  gran  mole  al  fulminar  smarritL 
Ma  quel,  che  già  fu  di  Aicca  tiranno, 
Vi  resta ,  e  fa  restarvi  i  pochi  arditi. 
E  '1  fero  Argante  a  contrapporsi  corre. 
Presa  una  trave ,  alla  nemica  torre, 

50.  E  da  sé  la  respinge  e  tien  lontana, 
Quanto  1'  abete  è  lungo  ,  e  '1  braccio  forte. 
"\  i  scende  ancor  hi  vergine  sovrana, 

E  de'  perigli  altrui  si  fa  consorte. 
I  Franchi  intanto  alla  pendente  lana 
Le  funi  rccideano  e  le  ritorte 
Con  lunghe  falci;  onde  cadendo  a  terra 
Lasciava  il  muro  disarmato  in  guerra. 

51.  Così  la  torre  sopra,  e  più  di  sotto 
L'  impetuoso  il  batte  aspro  ariète; 
Onde  comincia  ornai  fttrato  e  rotto 
A  discoprir  1'  interne  vie  scerete. 
Essi   non  lunge  il  capitan  condotto 
Al  conquassato  e  treuiulo  par(*te, 

^iel  suo  sciulo  maggior  tutto  rinchiuso. 
Che  rade  volte  ha  di  portar  in  uso: 

52.  E  quinci  cauto  riuiirandn  spia, 
E  Hccndcr  vedi^  Solimano  abbasso, 
E  porsi  alla  difesa,  ov(;  >«'  apria 
Tra  le  mine   il  periglioso  passo, 
E  rimaner  dilla  snbìiine  via 

('lorind.i  in  guardia,  e  'I  ca^nlier  circasso. 
Così  guanla>a,  e  già  sentiari  il  core 
Tutto  avvampar  di  generoso  ardore. 


[134] 


53.     Onde  rivolto  dice  al  buon  Sigiero, 

Che  gli  portava  un  altro  scudo  e  V  arco: 
Ora  mi  porgi ,  o  fedel  mio  scudiero, 
Cotesto  men  gravoso  e  grande  incarco  ! 
Che  tenterò  di  trapassar  primiero 
Su  i  dirupati  sassi  il   dubbio  varco. 
E  tempo  è  ben ,  che  alcuna  nobil  opra 
Della  nostra  virtute  ornai  si  scopra. 

51.     Così,  mutato  scudo,  appena  disse, 
Quando  a  lui  venne  una  saetta  a  volo, 
E  nella  gamba  il  colse,  e  la  trafìsse 
Nel  più  nervoso,  ov'  è  più  acuto  il  duolo. 
Che  di  tua  man ,  Clorinda ,  il  colpo  uscisse, 
La  fama  il  canta,  e  tuo  i'  onor  n'  è  solo. 
Se  questo  dì  servaggio  o  morte  schiva 
La  tua  gente  pagana,  a  te  s'  ascriva. 

55.     Ma  il  fortissimo  eroe,  quasi  non  senta 
Il  mortifero  duol  della  ferita. 
Dal  cominciato  corso  il  pie  non  lenta, 
E  monta  su  i  dirupi,  e  gli  altri  invita. 
Pur  s'  avvede  egli  poi ,  che  noi  sostenta 
La  gamba  offesa  troppo  ed  impedita, 
E  che  inaspra  agitando  ivi  1'  ambascia; 
Onde  sforzato  alfln  1'  assalto  lascia: 

.50.      E  chiamando  il  buon  Guelfo  a  sé  con  mano, 
A  lui  pavlava:  io  me  ne  vo  costretto: 
Sostien  persona  tu  di  capitano, 
E  di  mia  lontananza  empi  il  difetto  ! 
Ma  picciol'  ora  io  vi  starò  lontano  : 
Vado  e  ritorno;  e  si  partia,  ciò  detto, 
Ed  ascendendo  in  un  leggier  cavallo, 
Giunger  non  può,  che  non  sia  visto  al  vallo. 

57.  Al  dipartir  del  cajiitan ,  si  parte 
E  cede  il  campo  la  fortuna  franca. 
Cresce  il  vigor  nella  contraria  parte, 
Sorge  la  speme,  e  gli  animi  rinfranca, 
E  r  ardimento  col  favor  di   Marte 
Ne'  cor  fedeli ,  e  l'  impeto  già  manca. 
Già  corre  lento  ogni  lor  ferro  al  sangue, 
E  delle  trombe  istesse  il  suono  langue. 

58.  E  già  tra'  merli  a  comparir  non  tarda 
Lo  stuol  fugace,  che  'l  timor  caccionne: 
E ,  mirando  la  vergine  gagliarda, 

Vero  amor  della  patria  arma  le  donne. 
Correr  le  vedi ,  e  collocarsi  in  guarda 
Con  chiouje  sparse,  e  con  succinte  gonne, 
E  lanciar  dardi,  e  non  nutstrar  paura 
D'  esporre  il  petto   per  l'  amate  mura. 

59.  E  quel ,  eh'  a'  Franchi  più  spavento  porge, 
E  'l  toglie  ai  difensor  della  cittade, 

E,   che  '1  possente  (ìiielfo  (e  se  n"  accorgo 

Questo  popolo  e  quel)  percosso  cade. 

'J'ra  mille  il  tro^a  sua  fortuna,  e  scorge 

D'  un  sasso  il  eorso  per  lontane  strade. 

E  da  sembianti^  colpo  al  tempo  stesso 

Colto  è  Uaimondo  ;  onde  giù  rade  anch'  esso. 

(ìO.     Ed  a>praiu('iite  allora  anco  fu  punto 
Nella  proda   del   t'o>so  Ku^lazio  ardito. 
Né  in  questo   ai   Franchi  fcutimoso  punto 
Contea  lor  da'  nemici  è  colpo  uscito, 
(Cile  n'  ii-^cir  molti)  onde  non  sia  disgiimto 
Corpo  dall'    aluia,  o  non  sia  almen  ferito. 
E  in  tal  prosp<-rità  vieppiù  feroce 
Ui\cncndo  il  Circasso,  alza  la  voce: 

9  * 


[135] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XI.  61  —  76) 


136] 


61 


Non  è  questa  Antiochia ,  e  non  è  questa 
La  notte  amica   alle  cristiane  fi-odi. 
Vedete  il  chiaro  sol ,  la  gente  desta, 
Altra  forma  di  guerra,  ed   altri  modi. 
Dunque  favilla  in  voi  nulla  più  resta 
Dell'  amor  della  preda  ,  e  delle  lodi  ? 
Che  gì,  tosto  cessate,  e  siete  stanche 
Per  breve  assalto ,  oh  Franchi  no,  ma  Franche .'' 

62.  Così  ragiona;  e  in  guisa  tal  s'  accende 
Nelle  sue  furie  il  cavaliero  audace, 

Che  queir  ampia  città,  eh'  egli  difende, 
Non  gli  par  campo  del  suo  ardir  capace, 
E  si  lancia  a  gran  salti,  ove  si  fende 
11  muro ,  e  la  fessura  adito  face, 
Ed  ingombra  1'  uscita ,  e  grida  intanto 
A  Soliman,  che  si  vedea  d'  accanto: 

63.  Soliman ,  ecco  il  loco ,  ed  ecco  1'  ora 
Che  del  nostro  valor  giudice  sia. 

Che  cessi  ?  o  di  che  temi  ?  or  costà  fuora 
Cerchi  il  pregio  sovran ,  chi  piìi  '1  desia  ! 
Così  gli  disse  :  e  1'  uno  e  1'  altro  allora 
Precipitosamente  a  prova  uscia, 
L'  un  da  furor  ,  1'  altro  da  onor  rapito, 
E  stimolato  dal  feroce  invito. 

64.  Giunsero  inaspettati  ed  improvvisi 
Sovra  i  nemici,  e  in  parngon  mostrarsi. 
E  da  lor  tanti  fùr  uomini  uccisi, 

£  scudi ,  ed  elmi  dissipati  e  sparsi, 
E  scale  tronche,  ed  arièti  incisi, 
Che  di  lor  parve  quasi  un  monte  farsi, 
£  mescolati  alle  ruine  alzaro 
In  vece  del  caduto  altro  ripai'O. 

65.  La  gente,  che  pur  dianzi  ardi  salire 
Al  pregio  eccelso  di  mura!  corona. 

Non  eh'  or  d'  entrar  nella  cittade  aspire, 
Ma  sembra  alle  difese  anco  mal  buona, 
E  cede  al  nuovo  assalto,  e  in  preda  all'  ire 
De'  duo  guerrier  le  macchine  abbandona. 
Che  ad  alta  guei'ra  ornai  saran  mal  atte  : 
Tanto  è  '1  furor ,  che  le  percote  e  batte  ! 

66.  L'  uno  e  1'  altro  pagan,  come  il  tra^^porta 
L'  impeto  suo,  già  più  e  più  trascorre; 

Già  '1  foco  chiede  ai  cittadini,  e  porta 
Duo  pini  fiammeggianti  in\er  la  torre. 
Colali  uscir  dalla  tartarea  porta 
Sogliono ,  e  sottosopra  il  numdo  porre 
Le  ministre  di  Fiuto  empie  sorelle, 
Lor  ceraste  scuotendo  e  lor  facelle. 

67.  Ma  r  invitto  Tancredi,  il  qual  altrove 
Confortava  all'  assalto  i  suoi  Latini, 
Tostochè  vide  1'  incredibil  prove, 

E  la  gemina  fiamma,  e  i  duo  gran  pini. 
Tronca  in  mc7.7.o  le  voci ,  e  presto  muove 
A  frcniir  il  furor  de'  Saracini, 
E  tal  del  suo  valor  dà  seguo  orrendo, 
Che  chi  vinse  e  fugò,  fugge  or  perdendo. 

68.  Cosi  della  battaglia  or  qui  lo  stato 
Col  variar  della  fortuna  è  volto. 

E  in  questo  mezzo  il  capitan  piagato 
Nella  gran  tenda  sua  già  s'  è  raccolto 
Col  bu((n  Sigier,  con  Baldovino  allato, 
Di  mesti  amici  in  gran  concorso  e  folto. 
Ei ,  che  s'  alIVctta ,  e  di  tirar  s'  alTaima 
Della  piaga  lo  stral ,  rompe  la  caima  : 


09.     E  la  via  più  vicina  e  più  spedita 
Alla  cura  di  lui  vuol  che  si  prenda. 
Scoprasi  ogni  latebra  alla  ferita, 
E  largamente  si  risechi  e  fenda. 
Rimandatemi  in  guerra,  onde  fornita 
Non  sia  col  dì,  primach'  a  lei  mi  renda! 
Così  dice,  e  premendo  il  lungo  cerro 
D'  una  gran  lancia,  offre  la  gamba  al  ferro. 

70.  E  già  r  antico  Erotimo  ,  che  nacque 
In  riva  al  Po,  s'  adopra  in  sua  salute. 
Il  qual  dell'  erbe  e  delle  nobil'  acque 
Ben  conosceva  ogni  uso,  ogni  virtutc. 
Caro  alle  muse  ancor;  ma  si  compiacque 
Nella   gloria  minor  dell'  arti  mute. 

Sol  curò  torre  a  morte  i  corpi  frali, 
£  potea  far  i  nomi  anco  immortali. 

71.  Stassi  appogiato,  e  con  secura  faccia 
Freme  immobile  al  pianto  il  capitano. 
Quegli  in  gonna  succinto ,  e  dalle  braccia 
Ripiegato  il  vestir,  leggiero  e  piano' 

Or  con  r  erbe  potenti  invan  procaccia 
Trarne  lo  strale,  or  con  la  dotta  mano, 
E  con  la  destra  il  tenta,  e  col  tenace 
Ferro  il  va  riprendendo,  e  nulla  face. 

72.  L'  arti  sue  non  seconda,  ed  al  disegno 
Par,  che  per  nulla  via  fortuna  arrida; 
£  nel  piagato  eroe  giunge  a  tal  segno 
L'  aspro  martir,  che  n'  è  quasi  omicida. 
Or  qui  r  angel  custode  al  duol  indegno 
Mosso  di  lui,  colse  dittamo  in  Ida, 
Erba  ciùnita  di  purpureo  fiore, 

Ch'  have  in  giovani  foglie  alto  valore: 

73.  £  ben  mastra  natura  alle  montane 
Capre  n'  insegna  la  virtù  celataj 
Qualor  vengon  percosse,  e  lor  rimane 
Nel  fianco  affissa  la  saetta  alata. 
Questa ,  benché  da  parti  assai  lontane. 
In  un  momento  1'  angelo  ha  recata, 

E  ,  non  veduto,  entro  le  mediche  onde 
Degli  apprestati  bagni  il  succo  infonde, 

74.  E  del  fonte  di  Lidia  i  sacri  umori, 
E  r  odorata  panacea  vi  mesce. 

Ne  sparge  il  vecchio  la  ferita ,  e  fuori 
Volontario  per  sé  lo  strai  se  n'  esce, 
£  si  ristagna  il  sangue ,  e  già  i  dolori 
Fuggono  dalla  gamba,  e  '1  vigor  cresce. 
Grida  Erotimo  allor  :  1'  arte  maestra 
Te  non  risana,  o  la  mortai  mia  destra; 

75.  Maggior  virtù  ti  salva  :  un  angel ,  credo. 
Medico  per  te  fatto,  è  sceso  in  terra: 

Che  di  celeste  mano  i  segni  vedo. 

Prendi  1'  arme!  che  tardi.''  e  riedi  in  guerra! 

Avido  di  battaglia  il  pio  Goflrcdo 

Già  neir  ostro  le  gambe  avvolge  e  serra, 

E  r  asta  crolla  smisurata,  e  imbraccia 

Il  già  deposto  scudo ,  e  1'  elmo  allaccia. 

76.  Usci  del  chiuso  vallo,  e  si  converse 
Con  mille  dietro  alla  città  percossa. 
Sopra  di  polve  il  ciel  gli  si  coperse, 
Tremò  sotto  la  terra  al  moto  scossa; 
E  lontano  appressar  le  genti  avverse 

D'  alto  il  iniraro,  e  corse  lor  per  l'  ossa 

Un  tremor  freddo ,  e  strinse  il  sangue  in  gelo. 

Egli  alzò  tre  fiate  il  grido  al  cielo. 


[137] 


GERUSA LEMME   LI BERATA.      ( XL  77—86) 


[138] 


77.  Conosce  il  popol  suo  1'  altera  Toce, 
E  '1  grido  eccitator  della  battaglia, 

E  riprendendo  i'  impeto ,  veloce 

Di  niioTO  ancora  alla  tenzon  si  scaglia. 

Ma  già  la  coppia  dei  pagan  feroce 

Nel  rotto  accolta  s'  è  della  muraglia, 

Difendendo  ostinata  il  varco  fesso 

Dal  liuon  Tancredi,  e  da  chi  vien  con  esso. 

78.  Qtii  disdegnoso  giunge  e  minacciante, 
Chiuso  neir  arme  il  capitan  di  Francia, 
E  'n  sulla  prima  giunta  al  fero  Argante 
L'  asta  ferrata  fulminando  lancia. 
Nessuna  murai  macchina  si  vante 

D'  avventar  con  più  forza  alcuna  lancia. 

Tuona  per  1'  aria  la  nodosa  trave: 

V  oppon  lo  scudo  Argante,  e  nulla  pavé. 

79.  S'  apre  lo  scudo  al  frassino  pungente. 
Né  la  dura  corazza  anco  il  sostiene; 
Che  rompe  tutte  l'  armi ,  e  finalmente 
Il  sangue  Saracino  a  sugger  viene. 

Ma  si  svelle  il  Circasso ,  e  '1  duol  non  sente. 
Dall'  arme  il  ferro  affisso  e  dalle  vene, 
E  'n  Goffredo  il  ritorce:  a  te,  dicendo, 
Rimando  il  tronco,  e  1'  armi  tue  ti  rendo. 

80.  L'  asta,  eh'  offesa  or  porta,  ed  or  vendetta, 
Per  lo  noto  sentier  vola  e  rivola. 

Ma  già  colui  non  fere,  ov'  è  diretta; 

Ch'  egli  si  piega,  e  i  capo  al  colpo  invola. 

Coglie  il  fedel  Sigiero,  il  qual  ricetta 

Profondamente  il  ferro  entro  la  gola, 

Ne  gli  rincresce,  del  suo  caro  duce 

Morendo  invece,  abbandonar  la  luce. 

il.     Quasi  in  quel  punto  Soliman  percote 
Con  una  selce  il  cavalier  normando; 
E  questi  al  colpo  si  contorce  e  scote, 
E  cade  in  giù,  come  palèo,  rotando. 
Or  più  Goffredo  sostener  non  puote 
L'  ira  di  tante  offese,  e  impugna  il  brando, 
E  sovra  la  confusa  alta  mina 
Ascende,  e  muove  ornai  guerra  vicina. 


83.      E  ben  ei  vi  facea  mirabil  cose, 
E  contrasti  seguiano  aspri  mortali; 
Ma  fuori  uscì  la  notte ,  e  'l  mondo  ascose 
Sotto  il  caliginoso  orror  dell'  ali, 
E  r  ombre  sue  pacifiche  interpose 
Fra  tante  ire  de'  miseri  mortali, 
Sicché  cessò  Goffredo,  e  fé'  ritorno. 
Cotal  fin  ebbe  il  sanguinoso  giorno. 

83.  Ma  priachè  '1  pio  Buglione  il  campo  ceda, 
Fa  indietro  riportar  gli  egri  e  i  languenti; 
E  già  non  lascia  a'  suoi  nemici  in  preda 

L'  avanzo  de'  suoi  bellici  tormenti. 
Pur  salva  la  gran  torre  avvien  che  rìeda, 
Primo  terror  delle  nemiche  genti, 
Comechè  sia  dall'  orrida  tempesta 
Sdruscita  anch'  ella  in  alcun  loco,  e  pesta. 

84.  Da'  gran  perìgli  uscita  ella  sen  viene 
Giungendo  a  loco  ornai  di  sicurezza. 
Ma  qual  nave  talor ,  eh'  a  vele  piene 
Corre  il  mar  procelloso ,  e  l'  onde  sprezza. 
Poscia  in  vista  del  porto ,  o  suU'  arene, 

O  su  i  fallaci  scogli  un  fianco  spezza, 
()  qual  destrier  passa  le  dubbie  strade, 
E  presso  al  dolce  albergo  incespa  e  cade  : 

85.  Tale  inciampa  la  torre,  e  tal  da  quella 
Parte,  che  volse  all'  impeto  de'  sassi, 
Frange  due  rote  debili ,  sicch'  ella 
Kuinosa  pendendo  arresta  i  passi. 

Ma  le  suppone  appoggi,  e  la  puntella 
Lo  stuol ,  che  la  conduce ,  e  seco  stassì. 
Insinché  i  pronti  fabbri  intorno  vanno 
Saldando  in  lei  d'  ogni  sua  piaga  il  danno. 

8G.     Così  Goffredo  impone,  il  qual  de.-iìa, 
Che  si  racconci  innanzi  al  nuovo  sole; 
Ed  occupando  questa  e  quella  via, 
Dispon  le  guardie  intorno  all'  alta  mole. 
Ma  '1  suon  dalla  città  chiaro  s'  udia 
Di  fabbrili  instrumenti  e  di  parole, 
E  mille  si  vedean  fiaccole  accese. 
Onde  seppesi  il  tutto,  o  si  comprese. 


[139] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (XII.  1  —  12) 


[140] 


CANTO    DUODECIMO 


ARGOMENTO. 

Da  guaì  padri  ella  nacque,  e  come,  e  dove, 
Pria  dal  custode  suo  Clorinda  intende. 
Poi  col  feroce  Argante  occulta  move 
Ver  la  torre  nemica ,  e  quella  incende. 
Fatte  alfin  con  Tancredi  ultime  prove 
Muore,  ma  nel  morir  vita  riprende; 
Che  vita  ha  nel  battesmo:  e  quegli  intanto 
2V'  empie  il  cicl  di  sospiri,  il  suol  di  pianto. 


1.  Era  la  notte,  e  non  prendean  ristoro 
Col  sonno  ancor  le  faticose  genti. 

Ma  qui,  vcgghiando  nel  fabbril  lavoro. 
Stavano  i  Franchi  alla  custodia  intenti; 
E  là  i  pagani  le  difese  loro 
Gian  rinforzando  tremule  e  cadenti, 
E  rintegrando  le  già  rotte  mura; 
£  de'  feriti  era  comun  la  cura. 

2.  Curate  alfin  le  piaghe,  e  già  fornita 
Dell'  opere  notturne  era  qnalch'  una, 
E  rallentando  1'  altre,  al  sonno  invita 
L'  oraLra  ornai  fatta  più  tacita  e  bruna. 
Pur  non  accheta  la  guerriera  ardita 

L'  alma  d'  ouor  famelica  e  digiuna, 

£  sollecita  1'  opre,  ov'  altri  cessa. 

Va  seco  Argante:  e  dice  ella  a  gè  stessa: 

S.      Ben  oggi  il  re  de'  Turchi  e  '1  buon  Argante 
Fèr  meraviglie  inu:«itate  e  strane; 
Che  soli  uscir  fra  tante  schiere  e  tante, 
E  vi  spez/àr  le  macchine  cristiane, 
lo  (questo  è  il  sommo  pregio ,  onde  mi  vante) 
D'  alto  rinchìu?:a  oprai  1'  arme  lontane, 
Sagittaria,  noi  nego,  assai  felice. 
Dunque  sol  tanto  a  donna,  e  più  non  lice? 

4.      Quanto  me'  fora ,  in  monte,  od  in  foresta 
Alle  fere  avventar  dardi  e  quadrclla, 
Ch'  ove  il  maschio  valor  si  manifesta, 
Mostrarmi  qui  tra'  ra^alier  donzèlla? 
Che  non  riprendo  la  femminea  vesta, 
S'  io  ne  son  degna,  e  non  mi  chiudo  in  cella? 
(^(isì  parla  tra  sé  ,  pensa  e  risolve 
Alfin  gran  cose,  ed  al  guerrier  si  volve. 

5.      Buona  pezza  è,  signor,  che  in  sé  raggira 
l'n  non  so  che  d'  insolito  e  d'  andace 
La  mia  mente  inquieta,     O  Dio  1'  ispira, 
()  r  noni  del  suo  voler  suo  Dio  si  face. 
Fuor  dfl  vallo  iiemi«',o  accesi  mira 
1  lumi  !  lo  là  n'  andrò  con  ferro  e  face, 
E  la  torre  ard<-n>.     Vogl'  io ,  che  questo 
Efletto  segua  ;  il   cicl  poi  curi  il  resto  ! 


6.  Ma  s'  egli  avverrà  pur,  che  mia  ventura 
Nel  mio  ritorno  mi  rinchiuda  il  passo, 

D'  uom,  che  'n  amor  m'  è  padre,  a  te  la  cur; 
E  delle  fide  mie  donzelle  io  lasso. 
Tu  neir  Egitto  rimandar  procura 
Le  donne  sconsolate ,  e  '1  vecchio  lasso  ! 
Fallo ,  per  Dio ,  signor  !  che  di  pietate 
Ben  è  degno  quel  sesso  e  quella  ctate. 

7.  Stupisce  Argante,  e  ripercosso  il  petto 
Da  stimoli  di  gloria  acuti  sente. 

Tu  là  n'  andrai,  rispose,  e  me  negletto 
Qui  lascerai  tra  la  volgare  gente? 
E  da  secura  parte  avrò  diletto 
Mirar  il  fumo  e  la  favilla  ardente? 
No ,  no  !  se  fui  nel!'  armi  a  te  consorte. 
Esser  vo'  nella  gloria  e  nella  morte. 

8.  Ho  core  anch'  io ,   che  morte  sprezza  e  cred 
Che  ben  si  cambi  con  1'  onor  la  vita. 

Ben  ne  lèsti,  diss'  ella,  eterna  fedo 
Con  quella  tua  si  generosa  uscita: 
Pur  io  femmina  sono,  e  nulla  riede 
Mia  morte  in  danno  alla  città  smarrita; 
Ma  se  tu  cadi,  (tolga  il  ciel  gli  auguri  !) 
Or  chi  sarà,  che  jiiù  difenda  i  muri? 

9.  Replicò  il  cavaliero:  indarno  adduci 
Al  mio  fermo  voler  fallaci  scuse. 
Seguirò  1'  orme  tue,  se  mi  conduci; 
Ma  le  precorrerò,  se  mi  recuse. 
Concordi  al  re  n'  andaro ,  il  qual  fra  i  duci, 
E  fra  i   più  saggi  suoi  gli  accolse  e  chiuse. 
E  incominciò  Clorinda:  oh  Sire,  attendi 
A  ciò,  che  dir  vogliamti,  e  in  grado  il  prendi 

10.  Argante  qui  (né  sarà  vano  il  vanto) 
Quella  macchina  eccelsa  arder  promette, 
lo  sarò  seco  ,  ed  aspettiam  soltanto. 
Che  stanchezza  maggiore  il  sonno  nllettc. 
Sollevò  il  re  le  palme,  e  un  lieto  pianto 
Giù  per  le  crespe  guance  a  lui  cadette: 
E  ,  lodato  sia  tu ,  disse ,  eh'  ai  servi 
Tuoi  volgi  gli  occhj,  e  '1  regno  anco  mi  eervi 

11.  Nò  già  sì  tosto  caderà,  se  tali 
Animi  forti  In  sua  difesa  or  sono. 

3la  qiial  poss'  io,  coppia  onorata,  eguali 
Dar  ai  meriti  vostri  o  laude,  o  dono? 
Laudi  la  fama  voi  con  immortali 
Voci  di  gloria,  e  '1  mondo  empia  del  suono! 
Premio  v'  è  1'  opra  stessa,  e  premio  in  parte 
Vi  fia  del  regno  mio  non  poca  parte. 

12.  Sì  parla  il  re  canuto ,  e  si  ristrìnge 
Or  questa,  or  quel  teneramente  al  seno. 
11  soldan,  eh'  è  presente,  e  non  infìnge 
La  generosa  invidia,  ond'  egli  è  pieno, 
Disse:  nò  questa  spada  invan  si  cinge: 
Verravìi  a  paro,  o  p(»co  dietro  almeno. 
Ah,  rispose  (ylorinda,  andremo  a  questa 
Impresa  tutti?  e  se  tu  vicn',  chi  resta? 


[141] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (XH.  IS— 28) 


[142] 


13.  Cosi  gli  disse;  e  con  rifiuto  altero 
Già  s'  apprestava  a  ricusarlo  Argante; 
Ma  '1  re  il  prevenne ,  e  ragionò  primiero 
A  ^Solìman  con  placido  sembiante: 

Ben  sempre  tu ,  magnanimo  guerriero, 
Ne  ti  mostrasti  a  te  stesso  sembiante, 
Cui  nulla  faccia  di  periglio  unqnanco 
Sgomentò,  né  mai  fosti  in  guerra  stanco. 

14.  E  so,  che  fuori  andando,  opre  faresti 
Degne  di  te  ;  ma  sconvenevol  parmi, 

Che  tutti  usciate,  e  dentro  alcun  non  resti 
Di  voi,  che  siete  i  più  famo>i  in  armi. 
Nemmen  consentirei,  eh'  andasser  questi, 
Che  degno  è  il  sangue  lor  che  si  risparmi. 
Se  0  men  util  tal  opra,  o  mi  paresse, 
Che  fornita  per  altri  esser  potesse. 

15.  Ma,  poiché  la  g^-an  torre  in  sua  difesa 
D'  ogn'  intorno  le  guardie  ha  così  folte, 
Che  da  poche  mie  genti  esser  offesa 

Non  punte,  e  inopportuno  è  uscir  con  molte. 
La  coppia,  che  s'  offerse  all'  alta  impresa, 
E  'n  simil  rischio  si  trovò  più  volto. 
Vada  felice  pur  !  eh'  ella  è  ben  tale, 
Clic  sola  più  che  mille  insieme  vale. 

16.  'Tu,  come  al  regio  onor  più  si  conviene, 
Con  gli  altri,  prego,  in  sulle  porte  attendi! 
E  quando  poi  (che  n'  ho  sicura  spcne) 
Ritornino  essi,  e  desti  abbian  gì'  incendi. 
Se  stuol  nemico  seguitando  viene. 
Lui  risospingi,  e  lor  salva  e  difendi! 
Così  1'  un  re  diceva:  e  1'  altro  cheto 
Rimaneva  al  suo  dir,  ma  non  già  lieto. 

17.  Soggiunse  allora  Ismene  :  attender  piaccia 
A  VOI,  eh'  uscir  dovete,  ora  più  tarda, 
Sinché,  di  varie  tempre  un  misto  i'  faccia, 
Ch'  alla  macchina  ostil  s'  appigli,  e  l'  arda! 
Forse  allora  avverrà ,  che  parte  giaccia 
Di  quello  stuol,  che  la  circonda  e  guarda. 
Ciò  fu  concluso,  e  iu  sua  magion  ciascuno 
Aspetta  tempo  al  gran  fatto  opportuno. 

L8.      Depon  Clorinda  le  sue  spoglie  intente 

D'  argento ,  e  1'  elmo  adorno  ,  e  1'  armi  {iltcre, 
E  senza  piuma  o  fregio  altre  ne  veste 
(Infausto  annunzio!)  ruggino^e  e  nere, 
Perocché  stima  agevolmente  in  queste 
Occulta  andar  fra  le  nemiche  schiere. 
È  quivi  Arsete  eunuco,  il  qual  fanciulla 
La  nudrì  dalle  fasce  e  dalbi  culla, 

E  per  r  orme  di  lei  1'  antico  fianco 
D'  ogn'  intorno  traendo  or  la  segiiia. 
Vede  costui  1'  armi  ca;)gi.itc,  ed  anco 
Del  gran  rischio  t.'   accorge,  ov'   ella  gi'a, 
E  se  n'  aflligge;  e  per  lo  cria,  clic  bianco 
In  lei  servendo   Ita  fatto  ,  e  per  la  pia 
Memoria  de'  sut»'   ul'(ii-i ,  instando  prega, 
Che  dall'  impresa  ces.-i:  ed  ella  il  nega. 

0.      Ond'  ci  le  dice  alfiu:  poiibé  ritnxa 
Si  la  tua  mente  nel  «ik»  mi. il  s'  indura, 
Che  né  la  stanca  età ,  nò  la  pictos.i 
Voglia,  né  i  preghi  mici,  né   il  pianto  rara, 
Ti  spiegherò  più  olire,  e  .saprai  «•o.--a 
Di  tua  con<li/i'(>M ,  che  t'  era  o^iiini. 
Poi  tuo  desir  li  guidi,  o  mio  con^iiglio  ! 
Ei  seguo,  ed  ella  innalza  allenta  il  ciglio. 


21.  Resse  già  1'  Etiopia ,  e  forse  regge 
Senapo  ancor  con  fortunato  impero. 
Il  qual  del  figlio  di  Maria  la  legge 
Os.-erva,  e  l'  osserva  anco  il  popol  nero. 
Quivi  io  pagan  fui  servo,  e  fui  tra  gregge 
D'  ancelle  avvolto  in  femminil  mestiero, 
Ministro  fatto  della  regia  moglie. 

Che  bruna  è  sì ,  ma  il  bruno  il  bel  non  toglie. 

22.  N'  arde  il  marito,  e  dell'  amore  al  foco 
Ben  della  gelosia  s'  agguaglia  il  gelo. 

Si  va  in  guisa  avanzando  a  poco  a  poco 

Nel  tormentoso  petto  il  folle  zelo. 

Che  da  ogni  uom  la  nasconde,    e  in  chiuso  loco 

^'orria  celarla  ai  tanti  occhj  del  cielo. 

Ella,  saggia  ed  umil,  di  ciò,*  che  piftce 

Al  suo  signor,  fa  suo  diletto  e  pace. 

23.  D'  una  pietosa  istoria ,  e  di  devote 
Figure  la  sua  stanza  era  dipinta. 
Vergine  bianca  il  bel  volto ,  e  le  gote 
Vermiglia,  è  quivi  presso  un  drago  avvinta. 
Con  r  asta  il  mostro  un  cavalier  percote; 
Giace  la  fera  nel  suo  sangue  estinta. 
Quivi  sovente  ella  s'  atterra,  e  spiega 

Le  sue  tacite  colpe,  e  piange  e  prega. 

24.  Ingravida  frattanto,  ed  espon  fuori 
(E  tu  fosti  colei)  candida  figlia. 

Si  turba,  e  degl'  insoliti  colori. 

Quasi  d'  un  nuovo  mostro,  ha  mcra>iglia. 

l\la ,  perché  il  re  conosce  e  i  suoi  furori. 

Celargli  il  parto  alfin  si  riconsiglia: 

Ch'  egli  avria  dal  candor,  che  in  te  ^i  vede, 

Argomentato  iu  lei  non  bianca  fede. 

25.  Ed  in  tua  vece  una  fanciulla  nera 
Pensa  mostrargli  poco  dianzi  nata. 

E  perché  fu  la  torre  ,  ove  chius'  era. 
Dalle  donne  e  da  me  solo  abitata, 
A  me,  che  le  fui  servo,  e  con  sincera 
Mente  1'  amai ,  ti  die'  non  battezzata. 
Né  già  poteva  allor  battesmo  darti  ; 
Che  r  uso  noi  sostieu  di  quelle  parti. 

26.  Piangendo  a  me  ti  porse,  e  mi  commise, 
Clr  io  lontana  a  nudrir  ti  conducessi. 

Chi  può  dire  il  suo  affanno,  e  in  quante  guise 

Laguossi ,  e  raddoppiò  gli  ultimi  amplessi? 

Bagnò  i  baci  di  pianto ,  e  fùr  divido 

Le  sue  querele  dai  singulti  spessi. 

Levò  alfin  gli  occhj,  e  disse  :  oh  Dio,  che  sccrnl 

L'  opre  più  occullc,  e  nel  mio  cor  t'  interni, 

27.  Se  immaculato  é  ques!o  cor,  se  intat'.t* 
Son  queste  membra,  e    1  maritai  mio  letto, 
(l'er  me  non  prego,  che  milli;  altri;  ho    f.ittc 
IMìilviigilà,  son  ^ile  al  tuo  cospetto) 

Salva  il  parto  innocente,  al  quale  il  latte 
Nega  la  maitre  del  materno  petto! 
Ai\a,  V  sol  d'  onestate  a  me  somigli, 
L'  esempio  ili  fortuna  altronde  pigli! 

28.  Tu,  cehvte  guerrier,  che  la  don/ella 
Togliesti  del  serpente  agli  eiiì|tj  mi)r.'<ì, 
S'   accesi  ne'   tuo'  altari  umil  faieH.i, 

S'  auro  ,  o  incenso  oduralo  iinqna   li  porsi, 
Tu    per  h'i   pre;ira  sì,   che  fida  aiiceila 
l'i)s<a  in  ogni  l'oi-tuiia  a  le  raccorsi  ! 
Qui   tacque,  e   '1   cor  le  si   riiichiiue  e    tlriiise, 
E  di  pallida  morte  si  dipinse. 


[1*3] 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (XII.  29— 44) 


[144; 


29.     Io  piangendo  ti  presi,  e  in  breve  cestii 
Fuor  ti  portai  tra  fiori  e  fronti  ascosa; 
Ti  celai  da  ciascun ,  che  né  di  questa 
Diedi  sospetto  altrui,  né  d'  altra  cosa. 
Me  n'  andai  sconosciuto ,  e ,  per  foresta 
Camminando  di  piante  orrida  ombrosa. 
Vidi  una  tigre,  che  minacce  ed  ire 
Avea  negli  occhj,  incontro  a  me  venire. 

30,  So^Ta  un  arbore  i'  salsi,  e  te  snir   erba 
Lasciai  ;  tanta  paura  il  cor  mi  prese  ! 
Giunse  1'  orribil  fera ,  e  la  superila 
Testa  volgendo,  in  te  lo  sguardo  intese. 
Mansuefece,  e  raddolcio  1'  acerba 

Vista  con  atto  placido  e  cortese, 
Lenta  poi  s'  avvicina,  e  ti  fa  vezzi 
Con  la  lingua,  e  tu  ridi ,  e  i'  accarezzi, 

31,  Ed,  ischerzando  seco,  al  fero  muso 
La  pargoletta  man  secura  stendi. 

Ti  porge  ella  le  mamme ,  e  come  è  1'  uso 
Di  nutrice,  s'  adatta,  e  tu  le  prendi. 
Intanto  io  miro  timido  e  confuso. 
Come  uom  farla,  nuovi  prodigi  orrendi. 
Poiché  sazia  ti  vede  omai  la  belva 
Del  suo  latte ,  ella  parte ,  e  si  riusciva  : 

32,  Ed  io  giù  scendo  e  ti  ricolgo,  e  torno 
Là,  've  prima  fùr  volti  i  passi  miei, 

E,  preso  in  picciol  borgo  alfin  soggiorno, 
Cclatamente  ivi  nutrir  ti  fei. 
Vi  stetti,  insinché  '1  sol  correndo  intorno 
l'orto  a'  mortali  e  diece  mesi  e  sei. 
Tu  con  lingua  di  latte  anco  snodavi 
Voci  indistinte,  e  incerte  orme  segnavi, 

33.      Ma  sendo  io  colà  giunto ,  ove  dechina 
L'  ctate  ornai  cadente  alla  vecchiezza, 
Ricco  e  sazio  dell'  or,  che  la  regina 
Nel  partir  dicmmi  con  regale  ampiezza. 
Da  quella  vita  errante  e  peregrina 
Nella  patria  ridurmi  ebbi  vaghezza, 
E  tra  gli  antichi  amici  in  caro  loco 
Viver  temprando  il  verno  al  proprio  foco. 

34.  Partomi,  e  ver  1'  Egitto,  ove  son  nato, 
Te  conducendo  meco,  il  corso  invìo. 

E  giungo  ad  un  torrente,  e  rinserrato 
Quinci  dai  ladri  son,  quindi  dal  l'io. 
Che  debbo  far.^  te,  dolce  peso  amato. 
Lasciar  non  voglio,  e  di  campar  desio. 
Mi  gitto  a  nuoto ,  ed  una  man  ne  viene 
Uompcndo  V  onda ,  e  te  T  altra  sostiene. 

35.  Rapidissimo  è  il  corso,  e  in  mezzo  1'  onda 
In  sé  medesma  si  ripiega  e  gira: 

Ma  giunto,  ove  più  volge  e  i?ì  profonda, 
In  cerchio  ella  mi  torce ,  e  giù  mi  tira. 
Ti  lascio  allor;  ma  t'  alza  e  ti  seconda 
L'  acqua,  e  secondo  all'  acqua  il  vento  spira, 
E  t'  e>pon  salva  in  sulla  molle  arena. 
Stanco  anelando  io  poi  vi  giungo  appena. 

3C.      Lieto  ti  prendo,  e  poi  la  notte,  quando 
Tutte  in  alto  silenzio  eran  le  cose, 
\  idi  in  sogno  un  guerrier ,  che  minacciando 
A  me  sul  volto  il  l'erro  ignudo  pose. 
Imperioso  di>!-<;  :  io  ti  comando 
Ciò ,  die  la  iiiudre  sua  ]>rimi<'r  t'  impose. 
Che  baLle-/.7.i  1'  iiiiiiiite;  ella  é  diletta 
Dui  cielo,  e  la  bua  cura  u  me  b'  aspetta. 


37,     Io  la  guardo  e  difendo;  io  spirto  diedi 
Di  pietate  alle  fere ,  e  mente  all'  acque. 
Misero  te,  s'  al  sogno  tuo  non  credi, 
Ch'  è  del  ciel  messaggiero  !  E  qui  si  tacque, 
Svegliaimi,  e  sorsi,  e  di  là  mossi  i  piedi, 
Come  del  giorno  il  primo  raggio  nacque. 
Ma  perché  mia  fé  vera,  e  1'  ombre  false 
Stimai,  di  tuo  battesmo  a  me  non  calse, 

38.  Né  de'  prieghi  materni;  onde  nudrita 
Pagana  fosti  ,  e  'l  vero  a  te  celai. 
Ci-escesti ,  e  in  arme  valorosa  e  ardita 
Vincesti  il  sesso  e  la  natura  assai. 
Fama  e  terra  acquistasti:  e  qual  tua  vita 
Sia  stata  poscia ,  tu  medesma  il  sai  ; 
E  sai  non  men,  che,  servo  insieme  e  padre, 
Io  t'  ho  seguita  fra  guerriere  squadre. 

39,  Jer  poi  suU'  alba  alla  mia  mente  oppressa 
D'  alta  quiete,  e  simile  alla  morte, 
Nel  sonno  s'  offerì  1'  immago  stessa. 
Ma  in  più  turbata  vista  e  in  suon  più  forte. 
Ecco,  dicea,  fellon,  1'  ora  s'  appresa, 
Che  dee  cangiar  Clorinda  e  vita  e  sorte! 
Ma  sarà  mal  tuo  grado,  e  tuo  fia  il  duolo. 
Ciò  disse ,  e  poi  n'  andò  per  1'  aria  a  volo, 

10,      Or  odi  dunque  tu ,  che  'l  ciel  minaccia 
A  te,  diletta  mia,  strani  accidenti. 
Io  non  so:  forse  a  lui  vien  che  dispiaccia, 
Ch'  altri  impugni  la  fé  de'  suoi  parenti; 
Forse  è  la  vera  fede.     Ah  giù  ti  piaccia 
Depor  quest'  tirme ,  e  questi  spirti  ardenti  ! 
Qui  tace,  e  piagne:  ed  ella  pensa  e  teme; 
Ch'  un  altro  simil  sogno  il  cor  le  preme. 

41.     Rasserenando  il  volto,  alfin  gli  dice: 
Quella  fé  seguirò,  che  vera  or  parmi, 
Che  tu  col  latte  già  della  nutrice 
Sugger  mi  festi ,   e  che  vuoi  dubbia  or  farmi. 
Né  per  temenza  lascerò  (né  lice 
A  magnanimo  cor^  1'  impresa  e  1'  armi: 
Non,  se  la  morte  nel  più  fier  sembiante. 
Che  sgomenti  i  mortali,  avessi  innante. 

•i2.      Poscia  il  consola:  e  perché  il  tempo  giung* 
Ch'  ella  deve  ad  effetto  il  vanto  porre, 
i         Parte ,  e  con  quel  guerrier  si  ricongiunge, 
j  Che  si  vuol  seco  al  gran  periglio  esporre. 

Con  lor  s'  aduna  Ismeno,  e  instiga  e  punge 
Quella  virtù,  che  per  sé  stessa  corre, 
E  lor  porge  di  zolfo  e  di  bitumi 
I         Due  palle,  e  'n  cavo  rame  ascosi  lumi. 

]    43.      Escon  notturni  e  piani,  e  per  lo  colle 

Uniti  vanno  a  passo  lungo  e  spesso, 
j  Tantoché  a  quella  parte ,  ove  s'  estolle 

La  macchina  nemica,  omai  son  presso. 
!         Lor  s'  infiaunnan  gli  spirti,  e  'l  cor  ne  bolle, 

Né  può  tutto  capir  dentro  a  sé  stesso. 

iìV  invita  al  foco,  al  sangue,  un  fero  sdegne 
!  Grida  la  guardia,  e  lor  dimanda  il  seguo. 

I   44.      Essi  Aan  cheti  innanzi:  onde  la  guarda 
!  All'  arme,  all'  arme  in  alto  suon  raddoppia. 

I  Ma  più  non  si  nascoiule,  e  non  é  tarda 

Al  corso  allor  la  generosa  coppia. 
I  In  quel  modo ,  che  l'ulminc ,  o  bombarda 

I  Col  lampeggiar  tuona  in  un  punto,  e  scoppia, 

I  Movere  ed  arrivar ,  ferir  lo  stuolo. 

Aprirlo  e  penetrar,  fu  un  punto  solo. 


145] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XII.  45-60) 


[143] 


48, 


45.  E  forza  è  pur,  che  fra  mìll'  arme  e  mille  53. 
Percosse  il  lor  disegno  al  fin  riesca. 
Scoprirò  i  chiusi  lumi,  e  le  faville 
S'  appreser  tosto  all'  accensibil  esca, 
Ch'  ai  legni  poi  1'  a^  volse ,  e  compartille. 
Chi  può  dir,  come  serpa  e  come  cresca 
Già  da  più  lati  il  foco  ?  e  come  folto 
Turbi  il  fumo  alle  stelle  il  puro  volto? 

46.  Vedi  globi  di  fiamme  oscure  e  miste  54 
Fra  le  rote  del  fumo  in  ciel  girarsi. 
Il  vento  soffia,  e  vigor  fa  eh'  acquiste 
L'  incendio ,  e  in  un  raccolga  i  fochi  sparsi. 
Fere  il  gran  lume  con  terror  le  viste 
De'  Franchi ,  e  tutti  son  presti  ad  armarsi. 
La  mole  immensa  e  si  temuta  in  guerra 
Cade  j  e  breve  ora  opre  sì  lunghe  atterra. 

47.  Due  squadre  de'  cristiani  intanto  al  loco,  55, 
Dove  sorge  1'  incendio ,  accorron  pronte. 
Minaccia  Argante:  io  spegnerò  quel  foco 
Col  vostro  sangue:  e  volge  lor  la  fronte. 
Pur  t'istretto  a  Clorinda  a  poco  a  poco 
Cede,  e  raccoglie  i  passi  a  sommo  il  monte. 
Cresce,  più  che  torrente  a  lunga  pioggia, 
La  turba ,  e  li  rincalza ,  e  con  lor  poggia. 

,  Aperta  è  1'  aurea  porta,  e  quivi  tratto  56, 

E  il  re,  eh'  armato  il  popol  suo  circonda, 
Per  raccorre  i  guerrier  da  sì  gran  fatto. 
Quando  al  tornar  fortuna  abbian  seconda. 
Saltano  i  due  sul  limitare,  e  ratto 
Diretro  ad  essi  il  franco  stuol  v'  inonda; 
Ma  r  urta  e  scaccia  Solimano,  e  chiusa 
E  poi  la  porta ,  e  sol  Clorinda  esclusa. 

V).      Sola  esclusa  ne  fu,  perchè  in  quell'  ora,  57. 

Ch'  altri  serrò  le  porte,  ella  si  mosse, 
£  corse  ardente  e  incrudelita  fuora 
A  punir  Arimon,  che  la  percosse. 
Punillo:  e  'I  fero  Argante  avvisto  ancora 
Non  s'  era,  eh'  ella  si  trascorsa  fosse; 
Che  la  pugna,  e  la  calca,  e  1'  acr  denso 
Ai  cor  toglica  la  cura,  agli  occhj  il  senso. 

io.      Ma,  poiché  intepidì  la  mente  irata  58, 

JVel  sangue  del  nemico,  e  in  su  rivenne. 
Vide  chiuse  le  porte  ,  e  intorniata 
Su  da'  nemici;  e  morta  allor  si  tenne. 
Pur  veggcndo,  di'  abbono  in  lei  non  guata, 
TNov'  arte  di  salvarsi  le  sovvenne: 
Di  lor  gente  s'  infinge,  e  fra  gì'  ignoti 
Cheta  s'  iivvolge  ;  e  non  è  chi  la  noti. 

Poi,  come  lupo  tacito  s'  imbosca  59 

Do|>o  occulto  misfatto,  e  si  de^^ia; 
Dalla  confu>ion  ,  dall'  aura  fosca 
Favorita  e  nascosa  ella  scn  già. 
Solo  Tancredi  av\i(n  dm  lei  conosca: 
Egli  (|ni\i  è  siu'giunto  al(|uanto  pria. 
Vi  giunse,  allorch'  essa  Arininne  uccise; 
\ide,  e  segnolla,  e  dietro  a  lei  si  mise. 

^uol  ndl'  armi  provarla:  un  uom  la  stima        !   GO. 

Degno ,  a  cui  sua  virtù  si  paragone. 

\a  girando  colei  I'  alpestre  cima 

Verso  ailra  porta,  o\e  d'  entrar  dispone. 

Segue  egli  ìutpcluoso;  oiule  a^^ai  |)riuia 

Che  giunga,  in  guisa  a\\icn  ihe  d'  armi  8U0ne, 

Cir  ella  si  ^olge,  e  grida:  oh  tu,  che  porle!' 

Che  corri  sì  .•'  Ui.-poudc  :  guerra  e  morie. 


Guerra  e  morte  avrai ,  disse  ;  io  non  rifiuto 
Darlatì ,  se  la  cerchi  ;  e  ferma  attende. 
Aon  vuol  Tancredi ,  che  pedon  veduto 
Ha  il  suo  nemico,  usar  cavallo,  e  scende. 
E   impugna  1'  uno  e  1'  altro  il  ferro  a<uto. 
Ed  aguzza  1'  orgoglio,  e  1'  ire  accende, 
E  vansi  a  ritrovar  non  altrimenti, 
Che  duo  tori  gelosi ,  e  d'  ira  ardenti. 

Degne  d'  un  chiaro  sol,  degne  d'  un  pieno 
Teatro  opre  sarian  sì  memorande. 
IVotte,  che  nel  profondo  oscuro  seno 
Chiudesti,  e  nell'  obblio  fatto  sì  grande. 
Piacciati ,  eh'  io  nel  tragga ,  e  "n  bel  sereno 
Alle  future  età  lo  spieghi  e  mande  ! 
Viva  la  fama  loro,  e  tra  lor  gloria 
Splenda  del  fosco  tuo  1'  alta  memoria! 

IVon  schivar,  non  parar,  non  ritirarsi 
Voglion  costor,  né  qui  destrezza  ha  parte. 
Non  danno  i  colpi  or  finti,  or  pieni,  or  scarsi; 
Toglie  r  ombra  e  '1  furor  1'  uso  dell'  arte. 
Odi  le  spade  orribilmente  urtarsi 
A  mezzo  il  ferro.     Il  più  d'  orma  non  parte: 
Sempre  è  il  pie  fermo ,  e  la  man  sempre  in  moto, 
INè  scende  taglio  invan,  né  punta  a  voto. 

L'  onta  irrita  lo  sdegno  alla  vendetta, 
E  la  vendetta  poi  1'  onta  rinnova; 
Onde  sempre  al  ferir ,  sempre  alla  fretta 
Stimol  nuovo  s'  aggiunge,  e  cagion  nuova. 
D'  or  in  or  più  si  mesce,  e  più  ristretta 
Si  fa  la  pugna,  e  spada  oprar  non  giova. 
Dansi  co'  pomi ,  e  infelloniti  e  crudi 
Cozzan  con  gli  elmi  insieme,  e  con  gli  scudi. 

Tre  volte  il  cavalier  la  donna  stringe 
Con  le  robuste  braccia,  ed  altrettante 
Da  que'  nodi  tenaci  ella  si  scinge; 
]\odi  di  fier  nemico,  e  non  d'  amante. 
Tornano  al  ferro ,  e  1'  uno  e  1'  altro  il  tinge 
Con  molte  piaghe;  e  stanco  ed  anelante 
E  questi  e  quegli  alfin  pur  si  ritira, 
E  dopo  lungo  faticar  respira. 

L'  un  i'  altro  guarda ,  e  del  suo  corpo  esangue 
Sili  pomo  della  spada  appoggia  il  peso. 
Già  dell'  ultima  stella  il  raggio  langue 
Al  prinu»  albor,  eh'  é  in  oriente  acceso. 
A  ede  Tancredi  in  maggior  copia  il  >anguc 
Del  >uo  nemico,  e  >è  non   tanto  ofl'eso. 
>e  gode,  e  superbisce.     Oh  no>tra  folle 
IMente,  eh'  ogni  aura  di  fortiuia  e^tolle! 

Misero,  di  che  godi?  oh  quanto     mesti 
Fiano  i  trionfi,  ed  infelice  il  ^Ul1to! 
(;ii  ocdij  tuoi  pagheran,  se  in   \\ta  resti, 
Di  quel  sangue  ogni  ^tilla  un  mar  di  piimto. 
(;o>ì  lacendi»  e  rimirando.  que>ti 
Sanguino-i  giicrrier  pi)>aro  al((uanto. 
Iin|)|)e  il  >ilenzio  alfin    l'am  redi ,  e  disse, 
l'ercbé  il  suo  nenie  a  lui  1"  altro  scoprisse: 

Nostra  sventura     è  ben ,  che  qui  s'    impieghi 
Tanto  ^alor,  «lo\«'  silenzio  il  copra. 
Ma  poiché  Mirte  rea  aÌcii.  che  ci  neghi 
E  lode  e  te-timou  degno  dell'  tipra, 
l'regoti  (se  fra  l"  arme  han  loco  i  pregili). 
Cile    1  Ino  nome  «■  "l  tuo  stato  a  me  tu  scopra. 
Accioccir   io  >Hppiu.  o  milito  o  ^in(•ilorc. 
(Jhi  la  mia  morie,  o  la  ^itloria  onori. 

10 


[147] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XII.  CI— 70) 


[1481 


()1.     Risponde  la  feroce:  indarno  chiedi 
Quel ,  eh'  ho  per  us^o  di  non  far  palese. 
Ma  chiunque  io  mi  sia,  tu  innanzi  vedi 
Un  di  que'  duo,  che  la  gran  torre  accese. 
Arse  di  sdegno  a  quel  parlar  Tancredi: 
E  in  mal  punto  il  dicesti,  indi  riprese. 
Il  tuo  dir  e  '1  tacer  di  par  m'  alletti!, 
Barharo  discortese,  alla  vendetta. 

62.      Torna  1'  ira  ne'  cori,  e  li  trasporta, 

Renelle  debili  ,  in  guerra  (ahi  fera  pugna!) 

U'  r  arte  in  bando,  u'  già  la  forza  è  morta, 

Ove  in  vece  d'  entrambi  il  furor  pugna. 

Oh  che  sanguigna  e  spaziosa  porta 

Fa  r  una  e  1'  altra  spada,  ovunque  gìugna, 

]\eir  armi  e  nelle  carni!  e  se  la  vita 

jNou  esce,  sdegno  tienla  al  petto  unita. 

(i3.      Qual  1'  alto  Egeo,  perchè  aquilone  o  noto 
Cessi,  che  tutto  prima  il  volse  e  scosse, 
Non  s'  accheta  però,  ma  '1  suono  e  '1  moto 
Riden  dell'  onde  anco  agitate  e  grosse: 
l'ai,  se  ben  manca  in  Iur  col  sangue  voto 
i^iii'l  vigor ,  che  le  braccia  ai  colpi  mosse, 
Serbano  ancor  1'  impeto  primo,  e  vanno, 
Da  quel  sospinti,  a  giunger  danno  a  danno. 

64.  Ma  ecco  omai  1'  ora  fatale  è  giunta, 
Clie  '1  viver  di  Clorinda  al  suo  lin  deve. 
Spinge  egli  il  ferro  nel  bel  sen  di  punta, 
Che  vi  s'  immerge,  e  '1  sangue  avido  beve, 
K   la  vesta ,   che ,  d'  or  viigo  trapunta, 

Le  ma:nmelle  stringea  tenera  e  leve, 

L'  empie  d'  un  caldo  fiume.     Ella  già  sente 

fiorirsi ,  e  '1  pie  le  manca  egro  e  languente. 

65.  Quel  segue  la  vitton'a,  e  la  trafìtta 
Vergine  minacciando  incalza  e  preme. 
Ella,  mentre  cadca,  la  voce  afllitta 
Movendo,  disse  le  parole  estreme; 
Parole,  th'  a  lei  novo  un  spirto  ditta. 
Spirto  di  fé,  di  carità,  di  speme, 

A  irtù  ,  eh'  or  Dio  le  infonde  e ,  se  rubclla 
In  vita  fu,  la  vuole  in  morte  ancella. 

G6.      Amico ,  hai  vinto  :  io  ti  perdon  . . .  perdona 
Tu  ancora,  al  corpo  no,  che  nulla  pavé. 
All'  af'ua  si!  Deh,  per  lei  prega,  e  dona 
Rattesiuo  a  me,  eh'  ogni  mia  colpa  Jave! 
Jn  queste  voci  languide  risuona 
Un  non  so  che  di  llebile  e  soave, 
Ch'  al  cor  gli  serpe,  ed  ogni  sdegno  ammorza, 
E  gli  occhj   a  lagiimar  gì'  invoglia  e  sforza. 

67.  Poco  quindi  lontan  nel  sen  del  monte 
Scaturia  iiiornuuMudo  un  picc^iol  rio 

Egli  v'  a<;c<)rse,  e  1'  elmo  empiè  nel  fonte, 
Va  tornò  m(\-t<»  ai  grainh;  ufficio  e  pio. 
l'reiiiar  seiili  la  man,  mentre  la  frinite 
Non  conosciuta  ancor  scioK«e  e  scopilo. 
liU  vide,  «!  Ili  conobbe,  e  restò  senza 
ìù  voce  e  moto.     Ahi  vi»ta!  ahi  conoscenza! 

68.  Kon  morì  già;  che  sue  virtuti  accolse 

Tulle  in  quel  punto,  e  in  guardia  al  cor  le  mise. 

E  pn'uiciido  il  suo  an'aiuio  ,  a  dar  si  volse 

\  ita  con   r  a(;(pia,  a  citi  <;()l  ferro  uccise. 

Mi;ntr'   egli   il  ^lt(^n  d«;'  sa<ui  detti  sciolse, 

C'oiei  di  giiija  Irasinutossi ,  e  rise, 

E ,  in  atto  di  morir  lieto  e  vivai'e. 

Dir  purea  :  a    apre  il  cielo ,  io  vado  in  pace. 


69.  D'  un  bel  pallore  ha  il  bianco  volto  asperso 
Come  a'  gigli  sarian  miste  viole  ; 

E  gli  occhj  al  cielo  affisa,  e  in  lei  converso 

Sembra  per  la  pictate  il  cielo  e '1  sole; 

E  la  man  nuda  e  fredda  alzando  verso 

Il  cavaliero,  in  vece  di  parole. 

Gli  dà  pegno  di  pace.     In  questa  forma 

Passa  la  bella  donna,  e  par  che  dorma. 

70.  Come  1'  alma  gentile  uscita  ei  vede. 
Rallenta  quel  vigor,  eh'  avea  raccolto, 
E  r  imperio  di  sé  libero  cede 

Al  duol  già  fatto  impetiioso  e  stolto, 

Ch'  al  cor  si  stringe  ,  e  chiusa  in  breve  sede 

La  vita,  empie  di  morte  i  sensi  e  '1  volto. 

Già  simile  all'  estinto  il  vivo  langue 

Al  colore,  al  silenzio,  agli  atti,  al  sangue. 

71.  E  ben  la  vita  sua  sdegnosa  e  schiva, 
Spezzando  a  forza  il  suo  ritegno  frale. 
La  beila  anima  sciolta  alfin  seguiva, 
Che  poco  innanzi  a  lei  spiegava  1'  ale; 
Ma  quivi  stuol  de'  Franchi  a  caso  arriva. 
Cui  trae  bisogno  d'  acqua  o  d'  altro  tale, 
E  con  la  donna  il  cavalier  ne  porta 

In  sé  mal  v  ivo ,  e  morto  in  lei ,  eh'  è  morta  : 

72.  Perocché  '1  duce  loro  ancor  discosto 
Conosce  all'  arme  il  principe  cristiano; 
Onde  v'  accorre,  e  poi  ravvisa  tosto 

La  vaga  estinta,  e  duolsi  al  caso  strano. 
E  già  lasciar  non  vuole  ai  lupi  esposto 
Il  bel  corpo,  che  stima  ancor  pagano. 
Ma  sovra  l'  altrui  braccia  ambi  li  pone, 
E  ne  vien  di  Tancredi  al  padiglione. 

73.  Affatto  ancor  nel  piano  e  lento  moto 
Non  si  risente  il  cavalier  ferito  ; 

Pur  fievolmente  geme;  e  quinci  é  noto, 
Che  '1  suo  corso  vital  non  é  fornito. 
Ma  r  altro  corpo  tacito  ed  immoto 
Dimostra  ben,  che  n'  é  lo  spirito  uscito. 
Così  portati  e  1'  uno  e  1'  altro  appresso. 
Ma  in  differente  stanza,  alfine  è  messu^ 

74.  I  pietosi  scudier  già  sono  intorno 
Con  varj  uffici  al  cavalier  giacente: 

E  già  sen  riede  ai  languidi  occhj  il  giorno, 

E  le  mediche  mani  e  i  detti  ei  sente. 

Ma  pur  dubbiosa  ancor  del  suo  ritorno 

Kon  s'  assicura  attonita  la  mente. 

Stupido  intorno  ei  gnurda,  e  i  servì  e  '1  loco 

Alfin  conosce,  e  dice  afiiitto  e  fioco: 

75.  Io  vivo?  io  spiro  ancora?  e  gli  odiosi 
Rai  miro  ancor  di  questo  infausto  die? 
Dì ,  testimon  de'  miei  misfatti  ascosi 
Che  rimprovera  il  me  le  colpe  mie! 
Ahi  man  timida  e  lenta,  or  che  non  osi 
Tu ,  che  sai  tutte  del  ferir  le  vie. 

Tu  ministra  di  morte,  empia  ed  infamo, 
Di  questa  vita  rea  tronciir  lo  stame? 

76.  Passa  pur  questo  petto,  e  fieri  sccmpj 
Col  ferro  tuo  crudel  fa  del  mio  core  ! 
Ma  forse  usata  ii  fatti  atroci  ed  enipj 
Stimi  pietà  dar  morte  al  mio  dolore. 
Dunque  i'  vi%rò  tra'  memoriindi  esempj 
Mis«u-o  mostro  d'  infelici!  auuiit;? 
Mi-ero  mostro,  a  vmì  sol  pena  è  degna 
Deli'  immensii  impielà  Iti  vita  indegna! 


149] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XII.  Ì7  — 92) 


78 


79 


77.      Vivrò  fra  i  mìei  tormenti  e  fra  le  cure, 
Mìe  giunte  furie,  for.«(nnato  errante. 
Paventerò  1'  ombre  solinj]fhe  e  scure, 
Che  '1  primo  error  mi  reclieranno  innante: 
E  del  sol,  che  scoprì  le  mie  sventure, 
A  schivo  ed  in  orrore  avrò  il  sembiante. 
Temerò  me  medesmo,  e  da  me  stesso 
Sempre  fuggendo ,  avrò  me  sempre  appresso. 

Ma  dove  (oh  lasso  me!),  dove  restaro 
Le  reliquie  del  corpo  hello  e  casto.'' 
Ciò,  eh'  in  lui  sano  i  miei  furor  lasciaro, 
Dal  furor  delle  fere  è  forse  guasto.'' 
Ahi  troppo  nobii  preda!  ahi  dolce  e  caro 
Troppo,  e  pur  troppo  prezioso  pasto! 
Ahi  sfortunato,  in  cui  1'  ombre  e  le  selve 
Irritaron  me  prima,  e  poi  le  belve! 

Io  pur  verrò  là,  dove  siete,  e  voi 
Meco  avrò ,  s'  anco  siete,  amate  spoglio  ; 
Ma  s'  egli  avvien ,  che  i  vaghi  membri  suoi 
Stati  sian  cibo  di  ferine  voglie, 
^  o'  che  la  bocca  stessa  anco  me  ingoi, 
E  '1  ventre  chiuda  me,  che  lor  raccoglie. 
Onorata  per  me  tomba ,  e  felice. 
Ovunque  sia ,  s'  esser  con  lor  mi  lice  ! 

30.      Cosi  parla  quel  misero  ;  e  gli  è  detto, 
Ch'  ivi  quel  corpo  avean ,  per  cui  si  duole. 
Rischiarar  parve  il  tenebroso  aspetto, 
Qual  le  nubi  un  balen ,  che  passi  e  vole  ; 
E  dai  riposi  sollevò  del  letto 
L'  inferma  delle  membra  e  tarda  mole, 
E  traendo  a  gran  pena  il  fianco  lasso. 
Colà  rivolse  vacillando  il  passo. 

}1.     Ma  come   giunse,  e  vide  in  quel  bel  seno, 
Opera  di  sua  man  ,  1'  empia  ferita, 
E  quasi  un  ciel  notturno  anco  sereno 
Senza  splendor ,  la  faccia  scolorita. 
Tremò  così ,  che  ne  cadea ,  se  meno 
Era  vicina  la  fedele  aita. 
Poi  disse  :  oh  viso ,  che  puoi  far  la  morte 
Dolce ,  ma  raddolcir  non  puoi  mia  sorte  ! 

J2.      O  bella  destra ,  che  'l  soave  pegno 
D'  amicizia  e  di  pace  a  me  porgesti  ! 
Quali  or,  lasso,  vi  trovo,  e  qual  ne  vcgno? 
E  voi ,  leggiadre  membra ,  or  non  sou  questi 
Del  mio  ferino  e  scellerati»  sdegno 
Vestigi  miscraliili  e  funesti? 
Oh  di  par  con  la  man  luci  spietate! 
Essa  le  piaghe  fé',  voi  le  mirate! 

i3.      Asciutte  le  mirate!  Or  corra,  dove 
Nega  d'  andare  il  pianto,  il  sangue  mio! 
Qui  tr(m(-a  le  ]>arole  ;  e  come  il  movo 
Suo  disperato  di  morir  d<r.>io, 
Sijuarcia  le  fasce  e  le  f(;ritc ,  e  piove 
Dalle  sue  piaghe  e->ac(;rbate  un  rio. 
E'  s'  uccidca  ;  uia  quella  doglia  acerba 
Col  trarlo  di  sé  stesso   in  vita  il  serba. 


|4, 


Posto  dui   letto,  e  r  anima  fugace 
Fu  richiamata  agli  odio^i  ufiìci. 
Ma  la  garrula  fama  ornai  non  tace 
1/  aspre  sue  angosce  e  i  suoi  casi  infelici. 
\ì  tragg<^  il  pio  Cìi>n'rcdo  ,   e  la  verace 
Turba  \'  ac4M>rre  de'  più  degni  amici. 
Ma  né  graAc  auinionir,  nò  pri-gar  dolce 
L'  ostinato  dell'  uluia  uiruinio  luulce. 


[150] 


85.  Qual  in  membro  gentil  piaga  mortale 
Tocca  s'  innspra,  e  in  Iti  cresce  il  dolore. 
Tal  dai  dolci  conforti  in  si  gran  male 
Più  inacex'bisce  medicato  il  core. 

Ma  il  venerabil  Piero,  a  cui  ne  cale. 
Come  d'  agnella  inferma  a  buon  pastore. 
Con  parole  gravissime  ripiglia 
Jl  vaneggiar  suo  lungo,  e  lui  consiglia: 

86.  Oh  Tancredi,  Tancredi!  oh  da  te  stesso 
Troppo  diverso ,  e  dai  principj   tuoi  ! 

Cbi  sì  t'  assorda?  e  qual  nuvol  si  spesso 
Di  cecità  fa,  che  veder  non  puoi? 
Que^ta  sciagura  tua  del  cielo  è  un  messo: 
jVon  vedi  lui?  non   odi  i  detti  suoi. 
Che  ti  sgrida,  e  richiama  alla  smarrita 
Strada,  che  pria  segnasti,  e  te  1'  addita? 

87.  Agli  atti  del  primiero  ufficio  degno 
Di  cavalier  di  Cristo  ei  ti  rappella. 

Che  lasciasti,  per  farti  (ahi  cambio  indegno  !) 
Drudo  d'  una  fanciulla  a  Dio  rubella. 
Seconda  avversità,  pietoso  sdegno 
Con  leve  sferza  di  lassù  flegella 
Tua  folle  colpa ,  e  fa  di  tua  saluto 
Te  mcdesmo  ministro:  e  tu  '1  rifiute? 

88.  Rifiuti  dunque  (ahi  sconoscente!)  il  dono 
Del  ciel  salubre,  e  'ncontra  lui  t'  adiri? 
Misero,  dove  corri  in  abbnndono 

Ai  tuoi  sfrenati  e  rapidi  martìri? 
Sei  giunto,  e  pendi  già  cadente  e  prono 
Sul  precipizio  eterno:  e  tu  noi  miri? 
IMiralo ,  prego  ,  e  te  raccogli ,  e  frena 
Quel  dolor,  eh'  a  morir  doppio  ti  mena! 

89.  Tace:  e  in  colui  dell'  un  morir  la  tema 
Potè  dell'  altro  intepidir  la  voglia. 

Nel  cor  dà  loco  a  que'  conforti,  e  scema 
L'  impeto  interno  dell'  intensa  doglia; 
Ma  non  così ,  che  ad  or  ad  or  non  gema, 
E  che  la  lingua  a  lamentar  non  scioglia, 
Ora  seco  parlando ,  or  con  la  stùolta. 
Anima ,  che  dal  ciel  forse  l'  ascolta. 

90.  Lei  nel  partir ,  lei  nel  tornar  del  sole 
Cliiiima  con  voce  stanca,  e  prega,  e  plora. 
Come  usignuol,  cui  '1  villan  duro  invule 
Dal  nido  i  figli  non  pennuti  ancora, 

Che  in  miserabil  canto   aftlitte  e  sole 

Piange  le  notti ,  e  n'  empie  i  boschi  e  l'  óra. 

Allin  col  nuovo  dì   rinchiude  alquanto 

1  lumi ,  e  '1  sonno  in  lor  serpe  fra  '1  pianto. 

91.  Ed  ecco  in  sogno  di  stellata  vesto 
Cinta  gli  appnr  la  sospirata  amica 
Della  assai  più;   ma  lo  splendor  celeste 
L'  orna ,  e  non  toglie  la  notizia  antica. 
E  con  dolc(!  atto  dì   pietà  le  meste 
Luci  par  che  gii  asiinglii,  e  cosi  «lica: 
IMira.  collie  soii  bella,  e  (-luiie  lieta, 
Eedel  mio  caro,  e  in  ine  tuo  duolo  acqueta! 

92.  Tale  i'  son  tua  mercè  :  tu  me  dai  vivi 
Del  mortai   mondo   per  error  togliesti  : 

Tu  in  grciiilio  a  Dio   Ira  gì'  immortali  o  di>i 
Per  pi<'là  di   >alir  degna  mi   lesti. 
Qni\i   io  beata  aiiiamlo  godo,  e  quivi 
Spero,  che  per  te  loro  anco  s'  appresti, 
0>e  al  gran   sole,  e  ni-ll'  eterno  dio 
Vagheggerai  le  sue  bellezze  e  mie. 

10   ♦ 


[151] 


GERUSALEMME   LIBERATA     (XfT.  93—105) 


[152 


93.  Se  tu  medesino  non  t'  invidj  il  cielo, 
E  non  travii  col  vaneggiar  de'  sensi, 
Vivi ,  e  sappi  eh'  io  t'  amo ,  e  non  tei  celo, 
Quanto  più  creatura  amar  con\iensi. 
Così  dicendo  fiammeggiò  di  zelo 
Per  gli  occìij  fuor  del  mortai  uso  accensi  : 
Poi  nel  profondo  de'  suoi  rai  si  chiuse, 
E  sparve,  e  nuovo  in  luì  conforto  infuse. 

94.  Consolato  eì  si  desta,  e  si  rimette 
De'  medicanti  alla  discreta  aita; 
E  intanto  seppellir  fa  le  dilette 
Membra,  eh'  informò  già  la  nobil  vita. 
E  se  non  fu  di  ricche  pietre  elette 
La  tomba,  e  da  man  dedala  scolpita, 

Fu  scelto  almeno  il  sasso  ,  e  chi  gli  diede 
Figura ,  quanto  il  tempo  ivi  concede. 

95.  Quivi  da  faci  in  lungo  ordine  accese 
Con  nobil  pompa  accompagnar  la  feo, 
E  le  sue  arme  a  un  nudo  pìn  sospese 
Vi  spiegò  sopra  in  forma  di  trofeo. 
Ma,  come  prima  alzar  le  membra  offese 
Nel  dì  seguente  il  cavalier  poteo, 

Di  riverenza  pieno  e  di  pietate 
Visitò  le  sepolte  ossa  onorate. 

96.  Giunto  alla  tomba,  ove  al  suo  spirto  vivo 
Dolorosa  prigione  il  ciel  prescrisse  ; 
Pallido ,  freddo ,  muto  ,  e  quasi  privo 

Di  movimento,  al  marmo  gli  occlij  affisse. 

Alfin  sgorgando  un  lagrimoso  rivo, 

In  un  languido  oimè  proruppe,  e  disse: 

Oh  sasso  amato,  ed  onorato  tanto, 

Che  dentro  hai  le  mie  fiamme,  e  fuori  il  pianto 

97.  Non  di  morte  sei  tu,  ma  di  vivaci 
Ceneri  albergo ,  ove  è  riposto  amore  : 
E  ben  sento  io  da  te  1'  usate  faci, 

Men  dolci  sì ,  ma  non  ineu  calde  al  core. 
Deh  prendi  i  miei  sospiri ,  e  questi  baci 
Prendi ,  eh'  io  bagno  di  doglioso  umore, 
E  dalli  tu,  poich'  io  non  posso,  almeno 
All'  amate  reliquie,  eh'  hai  nel  seno! 

98.  Dalli  lor  tu  !  che  se  mai  gli  occhj  gira 
L'  anima  bella  alle  sue  belle  spoglie. 
Tua  pietate  e  mio  ardir  non  avrà  in  ira; 
Ch'  odio,  o  sdegno  lassù  non  si  raccoglie. 
Perdona  ella  il  mio  fallo,  e  sol  respira 

In  questa  speme  il  cor  fra  tante  doglie. 

Sa,  eh'  empia  è  sol  la  mano,  e  non  1'  è  noja, 

Che,  s'  amando  lei  vissi,  amando  i'  moja. 


99.  Ed  amando  morrò.    Felice  giorno. 
Quando  che  sia!  ma  più  felice  molto. 

Se,  come  errando  or  vado  a  te  d'  intorno, 
AUor  sarò  dentro  al  tuo  grembo  accolto! 
Faccian  1'  anime  amiche  in  ciel  soggiorno  ! 
Sia  r  un  cenere  e  1'  altro  in  un  sepolto  ! 
Ciò,  clic  '1  viver  non  ebbe,  abbia  la  morte! 
Oh  (se  sperar  ciò  lice)  altera  sorte  ! 

100.  Confusamente  si  bisbiglia  intanto 
Del  caso  reo  nella  rinchiusa  terra. 

Poi  s'  accerta  e  divulga;  e  in  ogni  canto 
Della  città  smarrita  il  rumor  erra 
Misto  di  gridi  e  di  femmineo  pianto: 
Non  altrimente  che ,  se  presa  in  guerra 
Tutta  ruini,  e  '1  foco  e  i  nemici  empj 
Volino  per  le  case  e  per  li  tempj. 

101.  Ma  tutti  gli  occhj  Arsete  in  sé  rivolve, 
Miserabil  di  gemito  e  d'  aspetto. 

Ei ,  come  gli  altri ,  in  lagrime  non  solve 
Il  duol,  che  troppo  è  d'  indurato  affetto; 
Ma  i  bianchi  crini  suoi  d'  immonda  polve 
Si  sparge  e  brutta,  e  fiede  il  volto  e  '1  petto. 
Or  mentre  in  lui  volte  le  turbe  sono. 
Va  in  mezzo  Argante ,  e  parla  in  cotal  suono  ; 

102.  Ben  volev'  io,  quando  primier  m'  accorsi. 
Che  fuor  si  rimanea  la  donna  forte, 
Seguirla  immantinente,  e  ratto  corsi 

Per  correr  seco  una  medesma  sorte. 

Che  non  feci  e  non  dissi.'*  oh  quai  non  porsi 

Preghiere  al  re,  che  fèsse  aprir  le  porte? 

Ei  me  pregante  e  contendente  invano 

Con  r  imperio  affrenò ,  eh'  ha  qui  sovrano 

103.  Ahi,  che,  s'  io  allora  usciva,  o  dal  perigli 
Qui  ricondotta  la  guerriera  avrei, 

O  chiusi,  ov'  ella  il  terreo  fé'  vermiglio, 

Con  memorabil  fine  i  giorni  miei. 

Ma  che  poteva  io  più .-'  Parve  al  consiglio 

Degli  uomini  altramente  e  degli  Dei. 

Ella  mori  di  fatai  morte:  ed  io, 

Quant'  or  conviensi  a  me,  già  non  obblio. 

101.      Odi,  Gerusalem,  ciò  che  prometta 

Argante  !  odil  tu ,  cielo  !  e  se  in  ciò  manco, 
Fulmina  sul  mio  capo  !  Io  la  vendetta 
Giuro  di  far  nell'  omicida  franco, 
Che  per  la  costei  morte  a  me  s'  aspetta. 
Né  questa  spada  mai  depor  dal  fianc(», 
Insinch'  ella  a  Tancredi  il  cor  non  passi, 
E  '1  cadavero  infume  ai  corvi  lassi. 


105.      Così  disse  egli ,  e  1'  aure  popolari 
Con  applauso  seguir  le  voci  estreme. 
E  immaginando  sol ,  temprò  gli  amari 
L'  aspettata  vendetta  in  quel,  che  geme. 
Olibani  giuramenti!   Ecco  contrarj 
Seguir  tosto  gli  effetti  all'  alta  speme, 
E  cader  questi  in  ten/on  pari  estinto 
Sotto  colui ,  eh'  ci  fa  già  preso  e  vinto. 


[153] 


GERUSALEMME  LIBERATA     (XUI.  1  —  12) 


[154] 


b 


CANTO    DECIMO    TERZO. 


ARGOMENTO. 

D'  antica  selva  abitator  si  fanno 
(Opra  d'  Ismen)  gli  abitator  iV  Averno. 
A  quanti  poi  colà  Franchi  ne  vanno, 
Rccan  le  torme  ree  spavento ,  e  scherno. 
la  V  invitto  Tana-edi ,  e  'l  fiero  inganno 
J  ince  già  degli  error,  vince  V  inferno; 
Quando  pietà  lui  vince,  e  timor  have, 
Ed  ha  il  campo  dal  cielo  acqua  soave. 


1.  Ma  cadde  appena  in  cenere  1'  immensa 
Macchina  espugnatrice  delle  mura, 
Che  'n  sé  nuovi  argomenti  Ismen  lùpensa. 
Perche  più  resti  la  città  secura. 
Onde  ai  Franchi  impedir  ciò,  che  dispensa 
Lor  di  materia  il  bo>co,  egli  procura; 
Talché  centra  Sion  battuta  e  scossa 
Torre  nuova  rifarsi  indi  non  possa. 

2.  Sorge  non  lunge  alle  cristiane  tende 
Tra  solitarie  valli  alta  foresta, 
Foltissima  di  piante  antiche  orrende. 
Che  spargon  d'  ogn'  intorno  ombra  funesta. 
Qui  neir  ora,  che  '1  sol  più  chiaro  splende, 
È  luce  incerta  e  scolorita  e  mesta, 
Quale  iu  nubilo  cìel  dubbia  si  vede. 

Se  '1  dì  alla  notte,  o  s'  ella  a  hii  succede. 

3.  Ma  quando  parte  il  sol,  qui  tosto  adombra 
Kotte ,  nube,  caligine  ed  orrore, 

Che  rasseinbra  infermai,    che  gli  occhj  ingombra 

Di  (recita,  eh'  eiii|)ie  di  tèma  il  core. 

]\è  qui  gregge  od  ai-int;nti  a'  paschi,   ali    ombra, 

Guida  bifolco  mai,  guida  pastore, 

^è  v'  entra  jìcrcgrin,  se  non  smarrito, 

Ma  lunge  passa,  e  la  dimostra  a  dito. 

4.  Qui  s'  adunan  le  streghe,  ed  il  suo  vago 
Con  ciascuna  di  lor  notturno  viene, 

\  ien  sovra  i  nembi ,  e  ciii  d'  un  fero  drago, 
F.  chi  forma  d'  un  irco  informe  tiene; 
Concilio  infauK;,  i-he  fallace  imunigo 
Suol  allcttar  di  desialo  bene 
A  «celebrar  con  ])(im|ic   iunnoiule  e  sozze 
1  profani  (conviti  e  1'  ('iii|)ic  no///,e! 

5.  Così  crcdeaKÌ;  ed  altilantc;  alcuno 
Dal  fero  bosco  omai  ramo  non  svelse; 
Ma  i  Franchi  il  violar,  pcrclr  ci  sol  uno 
S(MmniiiÌAtra\a  lor  macchine  <-ccclse. 

Or  qui  scii  venne;  il  mago,  e  l'  opportuno 

Allo  silenzio  della  nollr  sceUe, 

Della  notte,  che  prossima  successe, 

E  Huu  cerchio  formuwi,  o  i  bcgni  improsnc. 


6.  E  scinto  e  nudo  un  piò,  nel  cerchio  accolto 
Moi-morò  potentissime  parole. 

Girò  tre  volte  all'  oriente  il  volto, 
Tre  volte  ai  regni,  ove  dechina  il  sole, 
E  tre  scosse  la  verga,  ond'  uom  sepolto 
Trar  dalla  tomba,  e  dargli  moto  suole, 
E  tre  col  piede  scalzo   il  suol  percosse. 
Poi  con  terribil  grido  il  parlar  mosse: 

7.  Udite,  udite,  oh  voi,  che  dalle  stelle 
Precipitar  giù  i  folgori  tonanti! 

Sì  voi,  che  le  tempeste  e  le  procelle 
Movete,  abitator  dell'  aria  erranti. 
Come  voi,  che  alle  inique  anime  felle 
Ministri  siete  degli  eterni  pianti! 
Cittadini  d'  Averno,  or  qui  v'  invoco, 
E  te,  signor  de'  regni  empj  del  foco! 

8.  Prendete  in  guardia  questa  selva,  e  queste 
Piante,  che  numerate  a  voi  consegno! 
Come  il  corpo  è  dell'  alma  albergo  e  veste, 
Cosi  d'  alcun  di  voi  sia  ciascun  legno  ; 
Onde  il  Franco  ne  fugga,  o  almen  s'  arresto 
Ne'  primi  colpi,  e  tema  il  vostro  sdegno. 
Disse:  e  quelle,  eh'  aggiunse,  orribii  note. 
Lingua,  s'  empia  non  è,  ridir  non  puote. 

9.  A  quel  parlar  le  faci,  onde  s"  adorna 
n  seren  della  notte,  egli  scolora; 

E  la  luna  si  turba,  e  le  sue  corna 
Di  nube  avvolge,  e  non  appar  più  fora. 
Irato  i  gridi  a  raddoppiar  ei  torna  : 
Spirti  invocati,  or  non  venite  ancora? 
Onde  tanto  indugiar  .=^  forse  attendete 
Voci  ancor  più  potenti,  o  più  seccete? 

10.  Per  Inngo  disusar  già  non  si  scorda 
Dell'  arti  crude  il  più  cflìcace  ajuto; 

E  so  con  lingua  anch'  io  di  sangne  lorda 

Quel  nome  prtdlerir  grande  e  tcumto, 

A  cui  nò  Dite  mai  ritrosa,  o  sorda. 

Nò  trascurato  in  ubbidir  fu  IMnto. 

Che  si?  che  sì?  volea  più  dir:  ma  intanto 

Conobbe,  eh'  eseguilo  era  T  incanto. 

11.  Veuiano  innumerabili,   infìnili 

Spirti,  parie  che  'n  aria  alberga  ed  erra. 

Parte  di   (pici,  clic  >ìuì  dal  f(»ndo  usciti 

CaligintiMi  e  tetre»  dellii  terra. 

Lenii,  e  del  gran  di\ieto  anco  >marriti, 

(;iic  impedì   loro  il  Iraltar  1'   arme  in  guerra; 

Ma  già  venirne  qui   lor  non  >i   toglie, 

E  ne'  tronchi  albergare,  e  tra  le  foglie. 

l'i.      Il  mago,  poiclr  ornai  nulla  più  manca 
Al  suo  di.-egno  ,  al   re   lieto  scn  ricdc. 
Signor,  lascia  ogni  dubbio,  e  M  cor  rinfranca 
Clu-  omai  seiiira  (•  la  regal  tua  sede; 
Né  potrà  riiuiovar  |)iù  I'  oslc  franca 
li"   alle  macchiiu;  sue,  come  ella  crede. 
Co.-i  gli  dice,  e  poi  di   parte  in   parte 
^urru  i  buccctftii  della  magic'  urte. 


[155] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (XIII.  13— 28) 


[156] 


13, 


Sofr^iiinse  appresso:  or  cosa  aggiungo  a  queste 
Fiitte  da  me ,  eh'  a  me  non  meno  aggrada. 
Sappi,  che  tosto  nel  leon  celeste 
3Iarte  col  sol  lia  eh'  ad  unir  si  vada: 
Né  temprcran  le  fiamme  lor  moleste 
Aure,  o  nemlii  di  pioggia,  o  di  rugiada; 
Che,  quanto  in  cielo  appar,  tutto  predice 
Aridissima  arsura  ed  inielice. 


21 


U 


17 


Onde  qr.i  caldo  avrera,  qual  V  hanno  appena 
Gli  adujiii  Nasamoni,  o  i  Garamanti. 
Pur  a  noi  fia  mea  grave  in  città  piena 
D"  acque,  e  d'  ombre  si  fresche,  e  d'  agi  tanti. 
Ma  i  Franchi  in  terra  asciutta  e  non  amena 
Già  non  saranlo  a  tollerar  bastanti, 
E .  pria  domi  dal  cielo ,  agevolmente 
Fian  poi  sconfitti  dall'  egizia  gente. 

15.      Tu  vincerai  sedendo  ,  e  la  fortuna, 
Non  cred'  io  ,  che  tentar  più  ti  coiivegna. 
Ma  se  'l  Circasso  altier,  che  posa  alcuna 
N»>n  A  noie,  e  benché  onesta,    anco  la  sdegna, 
T'  affretta  come  suole,  e  t'  importuna, 
Trova  modo  pur  tu,  eh'  a  freno  il  legna! 
Cile  molto  non  andrà ,  che  '1  cielo  amico 
A  te  pace  darà,  guerra  al  nemico. 

Ifi.      Or  questo  udendo  il  re  ben  s'  assecura, 
Sicché  non  teme  le  nemiche  posse. 
Già  riparate  in  parte  avea  le  mura. 
Che  de'  montoni  l'  impeto  percosse. 
Con  tutto  ciò  non  rallentò  la  cura 
Di  ristorarle,  ove  sian  rotte,  o  smosse; 
Le  turbe  tutte,  e  cittadine  e  serve, 
S'  impiegan  qui:  1'  opra  continua  fervo. 

IMa  in  questo  mezzt»  il  pio  Buglion  non  Tiiole, 
Che  la  forte  cittade  invan  si  batta. 
Se  non  è  prima  la  maggior  sua  mole 
Ed  alcun'  altra  macchina  rifatta. 
E  i  fabbri  al  bosco  invia ,  che  porger  suole 
Ad  uso  tal  pronta  materia  ed  atta. 
Vanno  costor  suU'  alba  alla  foresta; 
Ma  timor  novo  al  suo  apparir  gli  arresta. 

Qual  semplice  bambin  mirar  non  osa. 
Dove  insolite  larve  abbia  presenti, 

0  come  pavé  nella  notte  ombrosa. 
Immaginando  p«ir  mostri  e  portenti  : 
Così  temean  i^enza  saper,  qual  cosa 
Siasi  quella  però,  clic  gli  sgomenti; 
Se  non  che    1  tim(u-  forse  ai  sensi  finge 
Maggior  prodigi  di  Chimera,  o  Sfinge. 

Torna  la  turbix ,  e  timida  e  smarrita 
Varia  e  confonde  si  le  cose  e  i  detti, 
Ch'  ella  nel  riferir  n'  è  ]»oi  schernita, 
Né  son  creduti  i  niostniosi  efletti. 
Allor  vi  manda  il   capitano  ardita 
E  forte  squadra  di  guerrieri  eletti, 
Verciie  sia  sc^orta  all'  altra ,  e  in  eseguire 

1  magisteri  suoi  le  porga  ardire. 

Questi,  appres.«ando ,  ove  lor  seggio  han  posto 
Gli  empj  dcuionj  in  quel  selvaggio  orrore, 
Non  rimirar  le  nere  omI)re  i^ì  tosto, 
Clie  lor  si  scihs.sc ,  e  torix»  ghiaccio  il  core. 
Pur  oltre  ancor  sen  gian  tenendo  ascofikto 
Sotto  audaci  sembianti  il  vii  timore, 
E  tanto  s'  avanzar,  die  huigc  poco 
Erano  uiiiui  dall'  incantato  loco. 


18. 


19. 


20. 


23 


25 


Esce  allor  della  selva  un  sur.n  repente. 
Che  par  rimbombo  di  terreo ,  che  treme, 
E  'l  mormorar  degli  austri  in  lui  si  sente, 
E  'l  pianto  d'  onda ,  che  fra  scogli  geme. 
Come  rogge  il  leon,  fischia  il  serpente. 
Come  urla  il  lupo  ,  e  come  1'  orso  freme, 
V  odi,   e  v'  odi  le  trombe,  e  v'  odi  il  tuono: 
Tanti  e  sì  fatti  suoni  esprime  un  suono. 

In  tutti  allor  s'  impallidir  le  gote, 
E  la  temenza  a  mille  segni  apparse. 
Né  disciplina  tanto ,  o  ragion  puote, 
Ch'  osin  di  gire  innanzi,  o  di  fermarse; 
Che  all'  occulta  virtù,  che  li  percote, 
Son  le  difese  loro  anguste  e  scarse. 
Fuggono  alfine,  e  un  d'  essi  in  cotal  guisa. 
Scusando  il  fatto  ,  il  pio  Buglion  n'  avvisa  : 

Signor ,  non  è  di  noi ,  chi  più  si  vante 
Troncar  la  selva  ;  eh'  ella  é  sì  guardata, 
Ch'  io  credo ,  e  '1  giurerei ,  che  in  quelle   piante 
Abbia  la  reggia  sua  Pluton  traslata. 
Ben  ha  tre  volte  e  più  d'  as))ro  diamiinta 
Ricinto  il  cor,  chi  intrepido  la  guata; 
Né  senso  v'  ha  colui ,  eh'  udir  s'  arrischia, 
Come  tonando  insieme  rugge  e  fischia. 

Cosi  costui  parlava.     Alcasto  v'  era 
Fra  molti,  che  l'  udiau,  presente  a  sorte; 
IJom  di  temerità  stupida  e  fera, 
Sprezzator  de'  mortali  e  della  morte, 
Che  non  avria  temuto  orribil  fera, 
Né  mostro  formidabile  ad  uom  forte, 
Né  tremoto ,  né  folgore ,  né  vento, 
Né  s'  altro  ha  il  mondo  più  di  violento. 

Crollava  il  capo  e  sorridea,  dicendo: 
Dove  costui  non  osa,  io  gir  confido. 
Io  sol  quel  bosco  di  troncare  intendo, 
Che  di  torbidi  sogni  è  fatto  nido. 
Già  noi  mi  vieterà  fantasma  orrendo 
Né  di  selva,  o  d'  angei  fremito,  o  grido; 
Opj>ur  tra  quei  sì  spaventosi  chiostri 
D'  ir  neir  inferno  il  varco  a  me  si  mostri. 


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27 


I 


28, 


Cotal  si  vanta  al  capitano,  e  tolta 
Da  lui  licenza  il  cavalier  s'  invia, 
E  rimira  la  selva ,  e  poseia  ascolta 
Quel,  che  da  lei  novo  rimbombo  useia. 
Né  però  il  piede  audace  indietro  volta, 
ftla  securo  e  sprezzante  é  come  pria- 
fi  già  calcato  avrebbe  il  suol  difeso; 
Ma  gli  s'  oppone,  o  pargli,  un  foco  acceso. 

Cresce  il  gran  foco,  e  'n  forma  d'  alte  mura 
Stende  le  fiamme  torbide  e  fumanti, 
E  ne  cinge  quc^  bosco ,  e  1'  assecura, 
Ch'  altri  gli  arbori  suoi  non  tronchi,  o  schianti 
Le  maggiori  sue  fiamme  hanno  figura 
Di  castelli  superbi  e  torreggiatiti  ; 
E  di  tot-menti  bellici  ha  munite 
Le  rocche  sue  questa  novella  Dite. 

Oh  quanti  ajipajon  mostri  armati  in  guarda 
Degli  alti  merli ,  e  in  che  terribil  faccia  ! 
De'  quai  con  occlij  biechi  altri  il  riguarda, 
E  dibattendo  1'  arme  altri  il  minaccia. 
Fugge  egli  alfine  ;  e  ben  la  fuga  è  tarda, 
Qnal  di  leon,  che  si  ritiri  in  caccia; 
Ma  pure  è  fuga;   e  pur  gli  scuote  il  petto 
Timor,  sin  a  quel  punto  ignoto  affetto. 


[157] 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (XI1I.29  — 44) 


[158] 


29.  Non  s'  avvide  esso  allor  d'  aver  temuto; 
Ma  fatto  poi  lontan  ,  ben  se  n'  accorse, 

E  stupor  n'  ebbe  e  sdegno ,  e  dente  acuto 
D'  amaro  jientiraento  il  cor  gli  morse. 
E ,  di  trista  vergogna  acceso  e  muto, 
Attonito  in  disparte  i  pas>i  torse: 
Che  quella  faccia  alzar  già  sì  orgogliosa 
^ella  luce  degli  uomini  non  osa. 

30.  Chiamato  da  Goffredo  indugia,  e  scuse 
Trova  all'  indugio,  e  di  restarsi  agogna. 
Pur  va,  ma  lento,  e  tien  le  labbra  chiuse, 
O  gli  ragiona  in  guisa  d'  iiom ,  che  sugna. 
Difetto  e  fuga  il  capitan  conchiuse 

In  lui  da  quella  insolita  vergogna. 
Poi  disse  :  or  ciò  che  fia .''  forse  prestigi 
Son  questi,  o  di  natura  alti  prodigi.'' 

81.  Ma  s'  alcun  v'  è,  cui  nobil  voglia  accenda 
Di  cercar  quc'  salvatichi  soggiorni, 

Vadane  pure ,  e  la  ventura  imprenda, 
E  nunzio  almen  più  certo  a  noi  ritorni  ! 
Cosi  diss'  egli;  e  la  gran  selva  orrenda 
Tentata  fu  ne'  tre  seguenti  glorili 
Dai  più  famosi;  e  pur  alcun  non  fue. 
Che  non  fuggisse  alle  minacce  sue. 

82.  Era  il  prence  Tancredi  intanto  sorto 
A  seppellir  la  sua  diletta  amica  : 
E  benché  in  volto  sin  languido  e  smorto, 
E  mal  atto  a  portar  elmo  e  lorica, 
Kulladìmen,  poiché  '1  bisogno  lia  scorto, 
Ei  non  ricusa  il  rischio,  o  la  fatica; 
Che  '1  cor  vivace  il  suo  vigor  trasf<inde 
Al  corpo  sì  ,  che  par,  eh'  esso  n'  abbuudc. 

ì3.      Vassene  il  valoroso  in  sé  ristretto, 
E  tacito  e  guardingo,  al  rischio  ignoto, 
E  sosticn  della  selva  il  fero  aspetto, 
E  '1  griin  romor  del  tuono  e  del  tremoto, 
E  nulla  sbigottisce;  e  sol  nel  petto 
Sente ,  ma  tosto  il  seda ,  un  piccini  moto. 
Trapassa,  ed  ecco  in  quel  silvestre  loco 
Sorge  improvvisa  la  città  del  foco. 

Allor  s'  arretra,  e  dubbio  alquanto  resta 
Fra  sé  dicendo:  or  qui,  che  vaglìon  1'  armi? 
Kelle  faiH;i  de'  nutstri,  e  'n  gola  a  questa 
Divoratrice  iiamma  andrò  a  gettarmi.'' 
^(>n  mai  la  vita ,   ove  cagi«)iie  onesta 
Del  commi  prò  la  chiedìi ,  altri  risparmi  ! 
Ma  né  prodigo  sia  d'  anima  grande 
Uom  degno  !  e  tale  è  ben  chi  qui  la  spande. 

Pur  r  oste,  che  dirà,  se  indarno  i'  ricdo.'' 
Qual  altra  selva  ha  di  troncar  speranza.^ 
Ré  intentato  lasciar  vorrà  («offr<;(lo 
Mai  questo  varco.     Or  s'  oltre  alcun  s'  avanza, 
Forse  1'  incendio,  che  c|ui  sotto  i'  Aedo, 
Fia  d'  elietlt)  minor,  che  di  sembiiin/.a. 
Ma  seguane  ('he  puote  !  l'i  in  questo  dire 
Dentro  saltovvi.     Oii  mciuoraiMb»  ardire  ! 

Né  eotto  r  armi  già  sentir  gli  parie 
Caldo,  o  fcrvor,  comedi  fix-o  inttiiso; 
Ma  pur,  se  fosser  vere  fìaniiiie ,  o  larve. 
Mal  polé  giudicar  sì   to.^lo  il^enso; 
Perchè  repente,   appena  tocco,  nparve 
<^uel  simulacro,   e  giunse  un  iinvol  denso, 
Che  porlo  iiolle  e  lerno;  e  "I    \erno  ancora, 
E  r  ombra  dileguosni  in  picciul'  ura. 


ù7.      Stupido  sì ,  ma  intrepido  rimane 
Tancredi  ;  e  poiché  vede  il  tutto  cheto 
Mette  securo  il  pie  nelle  profane 
Soglie ,  e  spia  della  selva  ogni  secreto. 
IV é  più  apparenze  inusitate  e  strane, 
j\é  trova  alcun  per  via  scontro,  o  diiiiito, 
Se  non  quanto  per  sé  ritarda  il  bosco 
La  vifta  e  i  passi  inviluppato  e  fosco. 

38.  Alfine  un  largo  spazio  in  forma  scorge 
D'  anfiteatro ,  e  non  é  pianta  in  esso, 
Salvoché  nel  suo  mezzo  altero  sorge, 
Quasi  eccelsa  piramide,  un  cipresso. 
Colà  si  drizza:  e  nel  mirar  s'  accorge, 
Ch'  era  di  varj  segni  il  tronco  impresso, 
SiuiiLi  a  quei,  che  in  vece  usò  di  bcriuo 
L'  antico  già  misterioso  Egitto. 

39.  Fra  i  segni  ignoti  alcune  note  ha  scorte 
Del  seruion  di  Soria ,  eh'  ei  ben  possiede, 
Oii  tu,  che  dentro  ai  chiostri  della  morte 
Osasti  por,  guerriero  audace,  il  piede, 
Deh ,  se  non  sei  crudel ,  quanto  sci  forte, 
Deh  non  turbar  questa  secreta  s<de  1 
Perdona  all'  alme  ornai  di  luce  prive  ! 
]Non  dee  guerra  co'  morti  aver  chi  vive. 

40.  Così  dìcea  quel  motto.     Egli  era  intento 
Delle  brevi  parole  ai  sensi  occulti. 
Fremere  intanto  udia  continuo  il  vento 
Tra  le  frondi  del  bosco,  e  tra  i  virgulti, 
E  trarne  un  suon,  che  flebile  concento 
Par  d'  umani  sospiri  e  di  singulti, 

E  un  non  so  che  coniiiso  instilia  ul  cx)re 
Di  pietà,  di  spavento,  e  di  dolore. 

41.  Pur  tragge  alfin  la  spada,  e  con  gran  forzii 
Perente  1'  alta  pianta.     Oh  meraviglia  I 
Slanda  fuor  sangue  la  recisa  scorza, 

E  fa  la  terra  intorno  a  sé  vermiglia. 
Tutto  si  raccapriccia ,  e  pur  rinforza 
Il  colpo ,  e  '1  iìn  vederne  ei  si  consiglia. 
Allor,  quasi  di  tomba,  uscir  ne  sente 
Ln  indistinto  gemito  dolente, 

42.  Che  poi  distinto   in  voci:  aliì  troppo,  di«sc, 
M'  hai  tu,  Tancredi,  offeso:  or  tanto  basti! 
Tu  dal  corpo ,  che  meco  e  per  me  vis»e, 
Felice  albergo  già,  mi  discaiciasti. 

Perché  il  misero  tronco,  a  cui  m'  affisse 
11  mio  duro  destino,  aiu-o  mi  guasti? 
Dopo  la  morltt  gli  avversari  tuoi. 
Crudel ,  ne'  lor  sipolcri  olltndcr  vuoi  ? 

43.  Clorinda  fui;  né  sol  qui  spirto  miianu 
Albergo  in  questa  pianta  rozza  e  dura. 
Ma  ciascun  altro  ancor.  Franco  o  pag.ino. 
Che  lassi  i  membri  a  pie  dell'  alte  inur.i. 
Astretto  è  qui  da  nuoto  iiu-anto  e  strano. 
Non  so,  S(;  io  dica  in  <-orpii.  o  in  sepoltura. 
Son  di  senso  animati   i   rami   e   i   Iroiulii, 

E  micidial  sei  tu ,  se  legno  tronchi. 

44.  Qual  r  infermi»  talor,  che  in  sogno  scorge 
Drago,  o  cinta  di  fiamme  alla  chimera, 
Seltbeii  s»»sp((ta,  o  in   parte  ancor  s'   accorgr, 
(;iie  siinuburo  sia,  non  forma  \era; 

Pur  de^ia  di   fnggir  ,  tanto  gli   porge 
SiiaMiilo  la  scmf»i,ui/.a  orrida  e  l'era: 
'i  al  il  tiuiiilo  ani.inle  .ippitn  non  cedo 
Ai  lalai  inganni,  cppur  ne  temo,  o  cede. 


[159] 


GERUSALEMME  LIBERATA.  (XIIL  45—60) 


[160] 


45.      E  dentro  il  cor  gli  è  in  modo  tal  cdiifiiilso 
Da  varj  affetti,  che  s'  agghiaccia  e  trema; 
E  nel  moto  potente  ed  improvviso 
Gli  cade  il  ferro,  e  '1  manco  è  in  lui  la  tèma. 
^a  fuor  di  sé:  presente  aver  gli  è  avviso 
L'  offesa  donna  sua,  che  plori  e  gema, 
]Nè  può  soffrir  dì  rimirar  quel  sangue, 
IVè  quei  gemiti  udir  d'  egro,  che  langue. 

4fi.      Così  quel  contra  morte  audace  core 
Nulla  forma  turbò  d'  alto  spavento. 
Ma  lui ,  che  solo  è  fievole  in  amore, 
Falsa  immago  deluse,  e  van  lamento. 
Il  suo  caduto  ferro  intanto  fuore 
Portò  del  bosco  impetuoso  vento; 
Sicché  vinto  partissi  e  in  sulla  strada 
Ritrovò  poscia,  e  ripigliò  la  spada. 

47.  Pur  non  tornò,  né  ritentando  ardio 
Spiar  di  novo  le  cagioni  ascose. 

E  poiché,  giunto  al  sommo  duce,  unio 
Gli  spirti  alquanto,  e  1'  animo  compose. 
Incominciò:  Signor,  nunzio  son  io 
Di  non  credute  e  non  credlbil  cose. 
Ciò,  che  dicean  dello  spettacol  fero 
E  del  suon  paventoso,  è  tutto  vero. 

48.  Meraviglioso  foco  indi  m'  apparse 
Senza  materia  in  un  istante  appreso, 
Che  sorse,  e  dilatando  un  muro  farse 
Parve  ,  e  d'  armati  mostri  esser  difeso. 
Pur  vi  passai  :  che  né  1'  incendio  m'  arse, 
jNc  da  ferro  mi  fu  1'  andar  conteso. 

Vernò  in  quel  punto  ed  annottò:  fé'  il  giorno 
E  la  serenità  poscia  ritorno. 

49.  Di  più  dirò,  eh'  agli  alberi  dà  vita 
Spirito  uman,  che  sente  e  che  ragiona. 
Per  prova  soUo  :  io  n'  ho  la  voce  udita, 
Che  nel  cor  flebilmente  anco  mi  suona. 
Stilla  sangue  de'  tronchi  ogni  ferita. 
Quasi  di  molle  carne  abbian  persona. 

INo,  no,  più  non  potrei  (vinto  mi  chiamo) 
j\é  corteccia  scorzar ,  né  sveller  ramo  ! 

50.  Cosi  die'  egli  :  e  '1  capitano  ondeggia 
In  gran  tempesta  di  pensieri  intanto. 
Pensa,  s'  egli  medesmo  andar  là  deggia, 
(Che  tal  lo  stima)  a  ritentar  1'  incanto, 
O  se  pur  di  materia  altra  provveggìa 
Lontana  più,  ma  non  difficil  tanto. 

Ma  diil  profondo  de'  pensieri  suoi 
L'  eremita  il  rappella,  e  dice  poi: 

51.  Lascia  il  pensiero  audace!  Altri  conviene, 
Che  delle  piante  sue  la  s^elva  spoglie. 

Già  già  la  fatai  nave  all'  erme  arene 

La  prora  accosta,  e  1'  auree  vele  accoglie. 

Già  rotte  le  indegnissime  catene, 

L'  aspettato  guerricr  dal  lido  scioglie. 

I\«m  è  lontana  ornai  1'  ora  prescritta, 

Che  sia  presa  Sion ,  1'  oste  sccmfitta. 

52.  Parla  ei  così,  fatto  di  fianuna  in  volto, 
E  risuonu,  più  eh'  uomo  in  sue  parole. 

E    l  pi<»  (idllVedo  a  peii-ier  novi  é  volto 

Che  nrgliittdso  già  cessar  non  vuole. 

Ma  nel  cancro  celeste  ornai  raccolto 

A\i\>itrl,i  aiMiia  inusitata  il  sole, 

(Jir  a'  Kuiii  disegni,  ii'  suoi  gncrricr  nemica, 

In^opportabil  rende  ogni  fatica. 


53.  Spenta  è  del  cielo  ogni  benigna  lampa  : 
Signoreggiano  in  lui  crudeli  stelle. 
Onde  piove  virtù ,  eh'  informa  e  stampa 
L'  aria  d'  impression  maligne  e  felle. 
Cresce  1'  ardor  nocivo ,  e  sempre  avvampa 
Più  mortalmente  in  queste  parti  e  in  quelle. 
A  giorno  reo  notte  più  rea  succede, 
E  dì  peggior  di  lei  dopo  lei  vede. 

54.  Non  esce  il  sol  giammai ,  che  asperso   e   cinto 
Di  sanguigni  vapori  entro  e  d'  intorno. 

Non  mostri  nella  fronte  assai  distinto 

Mesto  presagio  d'  infelice  giorno. 

Non  parte  mai ,  che  in  rosse  macchie  tinto 

Non  minacci  egual  noja  al  suo  ritorno; 

E  non  inaspri  i  già  sofferti  danni 

Con  certa  tema  di  futuri  affanni. 

55.  Mentre  egli  i  raggi  poi  d'  alto  diffonde. 
Quanto  d'  intorno  occhio  mortai  si  gira. 
Seccarsi  i  fiori,  e  impallidir  le  fronde. 
Assetate  languir  1'  erbe  rimira, 

E  fendersi  la  terra,  e  scemar  1'  onde. 
Ogni  cosa  del  ciel  soggetta  all'  ira, 
E  le  sterili  nubi  in  aria  sparse 
In  sembianza  di  fiamme  altrui  mostrarse. 

56.  Sembra  il  ciel  nell'  aspetto  atra  fornace. 
Né  cosa  appar,  che  gli  occhj  almen  ristaure. 
Nelle  spelonche  sue  Zefiro  tace, 

E  in  tutto  é  fermo  il  vaneggiar  dell'  aure. 
Solo  vi  soffia ,  e  par  vampa  di  face. 
Vento,  che  move  dalle  arene  maure, 
Che,  gravoso  e  spiacente,  e  seno  e  gote 
Co'  densi  fiati  ad  or  ad  or  percote. 

57.  Non  ha  poscia  la  notte  ombre  più  liete, 
3Ia  del  caldo  del  sol  pajono  impresse; 

E  di  travi  di  foco,  e  di  comete, 
E  d'  altri  fregi  ardenti  il  velo  intesse; 
Neppur,  misera  terra,  alla  tua  sete 
Son  dall'  avara  luna  almen  concesse 
Sue  rugiadose  stille,  e  1'  erbe  e  i  fiori 
Bramano  indarno  i  lor  vitali  umori. 

58.  Dalle  notti  inquiete  il  dolce  sonno 
Biindito  fugge,  e  i  languidi  mortali 
Lusingando  ritrarlo  a  sé  non  ponno. 
Ma  pur  la  sete  é  il  pessimo  de'  mali; 
Perocché  di  Giudea  1'  iniquo  donno 

Con  veneni  e  con  succhi  aspri  e  mortali, 
Più  dell'  inferna  Stige  e  d'  Acheronte, 
Torbido  fece  e  livido  ogni  fonte. 

59.  E  '1  piccini  Siloé,  che  puro  e  mondo 
Olivia  cortese  ai  Franchi  il  suo  tesoro. 
Or  di  tepide  linfe  appena  il  fondo 
Arido  copre,  e  dà  scarso   ristoro. 

Né  il  Po,  qualor  di  maggio  é  più  profondo, 
Parria  soverchio  ai  desideri  loro  ; 
\é  'l  Gange,  o  'I  Nilo,  allorché  non  s'  appaga 
De'  sette  alberghi,  e  '1  verde  Egitto  allaga. 

<;0.      S'  alcim  giammai  tra  frondeggianti  rive 
Puro  vide  stagnar  liquido  argento, 
O  giù  precipitose  ir  acque  vive 
Per  alpe,  o  'u  piaggia  erbosa  a  passo  lento, 
Quelle  al  vago  desio  l'orma  e  descrive 
F  ministra  materna  al  suo  tormento: 
Che  r  imniagine  lor  gelida  e  molle 
L'  asciuga  e  scalda,  e  nel  peusier  ribolle. 


[161] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XIII.  61-76) 


61.  Vedi  le  membra  de'  guerrler  robuste, 
Cui  né  camrain  per  as:pra  terra  preso, 
Nò  ferrea  salma,  onde  gir  sempre  onuste, 
Kè  domò  ferro  alla  lor  morte  inteso, 

Ch'  or  risolute,  e  dal  calore  aduste 
Giacciono,  a  sé  medesme  inutil  peso, 
E  vive  nelle  vene  occulto  foco. 
Che  pascendo  le  strugge  a  poco  a  poco. 

62.  Langue  il  corsier  già  sì  feroce,  e  1'  erba. 
Che  fu  suo  caro  cibo,  a  schifo  prende. 

&      Vacilla  il  piedo  infermo  e  la  superba 
V      Cervice  dianzi  or  giù  dimessa  pende. 
B       Memoria  di  sue  palme  or  più  non  serba, 
■       Xé  più  nobil  di  gloria  amor  l'  ac(;ende. 
Le  vincitrici  spoglie  e  i  ricchi  fregi 
Par,  che  quasi  vii  soma  odj  e  dispregi. 

63.  Languisce  il  fido  cane ,  ed  ogni  cura 
Del  caro  albergo  e  del  signor  obblia, 

I  Giace  disteso ,  ed  all'  interna  arsura 
Sempre  anelando  aure  novelle  invia. 
Ma  se  altrui  diede  il  respirar  natura, 
Perché  il  caldo  del  cor  temprato  sia, 
Or  nulla,  o  poco  refrigerio  n'  have; 
Si  quello,  onde  si  spira,  è  denso  e  grave! 

64.  Cosi  langula  la  terra,  e  'n  tale  stato 
Egri  giaceansi  i  miseri  mortali. 

E  '1  buon  popol  fedel,  già  disperato 

Di  vittoria,  tcmca  gli  ultimi  mali; 

E  risonar  s'  udia  per  ogni  lato 

Universal  lamento  in  voci  tali  : 

Che  più  spera  Goffredo,  o  che  più  bada, 

Sinché  tutto  il  suo  campo  a  morte  vada? 

65.  Deh  con  quai  forze  superar  si  crede 
Gli  alti  ripari  de'  nemici  nostri .'' 

Onde  macchine  attende  ?  ei  sol  non  vede 
L'  ira  del  cielo  a  tanti  segni  mostri  ? 
Della  sua  mente  avversa  a  noi  fan  fede 
Mille  novi  prodigi  e  mille  mostri: 
Ed  arde  a  noi  sì  il  sol ,  che  minor  uopo 
Di  refrigerio  ha  l'  Indo,  o  1'  Etiopo. 

66.  Dunque  stima  costui,  che  nulla  importe. 
Che  n'  andiam  noi ,  turba  negletta  indegna, 
Vili  ed  inutili  alme  ,  a  dura  morte, 
Purch'  ci  lo  scettro  imperiai  mantegna? 
Cotanto  dunque  fortunata  sorte 
llassembra  quella  di  colui,  che  regna, 
Che  ritener  si  cerca  avidamente 

A  danno  ancor  della  soggetta  gente? 

67.  Or  mira  d'  uiim,  e'  lia  il  titolo  di  pio, 
Provvidenza  pietosa,  animo  umano, 

La  salute  de'  suoi  porre  in  obblio, 
Per  conservarsi  onor  daiuioso  e  vano  ! 
E  veggendo  a  noi  secchi  i  fonti  e  'I  rio, 
Per  sé  l'  ac(|ue  condur  fio  dal  («lordano, 
E  fra  pochi  sedendo  a  mensa  lielii, 
Mescolar  l'  onde  fresche  al  ^iu  di  Creta! 

68.  Cosi  i  Franchi  diccan;  ma    1  duce  greco. 
Che  'l  lor  v<s.-<illo  è  di  seguir  già  ^tauco  : 
Perchè  morir  c|ui ,  disse,  e  perchè  iiiec<» 
Far,  che  la  schiera  mia  ne  vegna  manco? 
Se  nella  sua   follia  (ìolIVcdo  è  cieco. 

Siasi  in  suo  «lanno ,  e  del  .suo  popol  franco! 
A  noi  (  lu;  nuoce  ?  e  hcn/.a  (or  licen/.u, 
Kutlurna  fece  e  tacita  partenza. 


[162] 


69.      Mosse  V  esempio  assai ,  come  al  dì  chiaro 
Fu  noto,  e  d'  imitarlo  alcun  risolve. 
Quei  che  seguir  Clotareo  ed  Ademaro, 
E  gli  altri  duci ,  eh'  or  son  ossa  e  polve. 
Poiché  la  fede,  eh'  a  color  giuraro, 
Ha  disciolto  colei,  che  tutto  solve. 
Già  trattano  di  fuga ,  e  già  qualcuno 
Parte  furtivamente  all'  àer  bruno. 

70.      Ben  se  1'  ode  Goffredo,  e  ben  sei  vede, 
E  i  più  aspri  rimedj  avria  ben  pronti; 
Ma  gli  schiva  ed  abborre,  e  con  la  fede. 
Che  faria  star  i  fiumi ,  e  gire  i  monti, 
Devotamente  al  re  del  mondo  chiede. 
Che  gli  apra  ornai  della  sua  grazia  i  fonti. 
Giunge  le  palme,  e  fiammeggianti  in  zelo 
Gli  occhj  rivolge,  e  le  parole  al  cielo: 

11.     Padre,  e  signor,  se  al  popol  tuo  piovesti 
Già  le  dolci  rugiade  entro  al  deserto; 
Se  a  mortai  mano  già  virtù  porgesti 
Romper  le  pietre ,  e  trar  del  monte  aperto 
Un  vivo  fiume:  or  rinnovella  in  questi 
Gli  stessi  esempj,  e,  se  ineguale  è  il  merto, 
Adempì  di  tua  grazia  i  lor  difetti, 
E  giovi  lor,  che  tuoi  guerrier  sian  detti! 

72.  Tarde  non  furon  già  queste  preghiere. 
Ole  derivar  da  giusto  umil  desio. 

Ma  sen  volaro  al  ciel  pronte  e  leggiere. 

Come  pennuti  augelli,  innanzi  a  Dio. 

Le  accolse  il  padre  eterno  ed  alle  schiero 

Fedeli  sue  rivolse  il  guardo  pio, 

E  di  sì  gravi  lor  rischj  e  fatiche 

GÌ'  increbbe,  e  disse  con  parole  amiche: 

73.  Abbia  sin  qui  sue  dure  e  perigliose 
Avversità  sofferte  il  campo  amato  ! 

E  contra  lui  «;on  arme  ed  arti  ascose 
Siasi  r  inferno,  e  siasi  il  mondo  armato  ! 
Or  cominci  novello  ordin  di  cose, 
E  gli  si  volga  prospero  e  beato  ! 
Piova ,  e  ritorni  il  suo  guerriero  invitto, 
E  venga  a  gloria  sua  1'  oste  d'  Egitto  ! 

71.      Così  dicendo  il  capo  mosse,  e  gli  ampi 
Cieli  tremaro,  e  i  lumi  erranti  e  i  fissi: 
E  tremò  1'  aria  riverente,  e  i  campi 
Dell'  oceano,  e  i  mt>nti,  e  i  ciechi  abissi. 
Fiammeggiare  a  sinistra  accesi  lampi 
Fur  visti,  e  chiaro  tuono  insieme  udis.-i. 
Accompagnan  le  genti  il  lampo  e  'l  tuono 
Con  allegro  di  voci  ed  alto  suono. 

75.  Ecco  subite  nubi ,  e  non  di  terra 
Già  per  virtù   del  sole  in  alto  ascese, 

Ma  giù  dal  ciel ,  che  tutte  apre  e  disserra 

Le  porte  sue,  veloci  in  giù  discese. 

Ecco  notte  improvvisa  il  giorno  serra 

Neil'  ombre  sue,  che  d'  ogu'  intorno  ha  ste»e. 

Segue  la  pioggia  impetuo>a,  e  cresce 

11  rio  cosi ,  che  fuor   del  letto  n'  esce. 

76.  Come  talor  nella  stagione  estiva, 
Se  dal  ciel  pioggia  dc>iata  scende, 
Stuol  d'  anitre  loquaci   in  s(>cca  riva 
Con  rauco  nu)rmorar  lieto  1"  attenile, 

E  s|>i<'ga  r  ali  al   fn-dilo  umor,  né  schifa 
Alcuna  di  hagu.ir>i  in  Ini  ^i  rende, 
E  là,  've  ili  maggior  l'ondo  ei  si  raccoglia. 
Si  tuffa,  e  spegno  1'  a^^etata  voglia: 
11 


[163]     GERUSALEMME  LIBERATA.  (XIII.  17-80. XIV.  1—8)     [164] 


77.  Così  gridando,  la  radente  piova, 
Che  la  destra  del  ciel  pietosa  versa, 
Lieti  salutan  questi  :  a  «;iascun  giova 

La  chioma  averne,  non  che  'l  manto,  aspersa. 
Chi  hee  ne'  vetri,  e  chi  negli  elmi  a  prova, 
Clii  tien  la  man  nella  fresca  onda  immersa, 
Chi  se  ne  spruzza  il  volto,  e  chi  le  tempie, 
Chi  scaltro  a  miglior  uso  i  vasi  n'  empie. 

78.  Kè  pur  l'  umana  gente  or  si  rallegra, 
E  de'  suoi  daimi  a  ristorar  si  viene, 
Ma  la  terra,  che  dianzi  afflitta  ed  egra 
Di  fessure  le  membra  avea  ripiene. 

La  pioggia  in  sé  raccoglie ,  e  si  rintegra, 
E  la  comparte  alle  più  interne  vene, 
E  largamente  i  nutritivi  umori 
Alle  piante  ministra,  all'  erbe,  ai  fiori: 


7iK      Ed  inferma  somiglia,  a  cui  vitale 
Succo  le  interne  parti  arse  rinfresca, 
E  disgombrando  la  cagion  del  male, 
A  cui  le  membra  sue  fur  cibo  ed  esca, 
La  rinfranca  e  ristora,  e  rende  quale 
Fu  nella  sua  stagion  più  verde  e  fresca: 
Talch'  obbliando  i  suoi  passati  aiTanni 
Le  ghirlande  ripiglia  e  i  lieti  panni. 

80.      Cessa  la  pioggia  alfine,  e  torna  il  sole; 
Ma  dolce  spiega  e  temperato  il  raggio, 
Pien  di  maschio  valor,  siccome  suole 
Tra  'l  fin  d'  aprile  e  'l  cominciar  di  maggio. 
Oh  fidanza  gentil  !  Chi  Dio  ben  cole, 
L'  aria  sgombrar  d'  ogni  mortale  oltraggio, 
Cangiare  alle  stagioni  ordine  e  stato, 
Vincer  la  rabbia  delle  stelle  e  '1  fato! 


CANTO     DECIMO     QUARTO. 


ARGOMENTO. 

Che  si  perdoni  al  buon  Rinaldo,  priega 
Guelfo ,  come  d'  Ugon  V  ombra  V  informa. 
Cede  ai  prieghi  Goffredo,  e  tal  si  piega, 
Che  col  voler  del  cielo  il  suo  conforma. 
Quinci  instrutti  da  Pier,  che  'l  tutto  spiega, 
Pel  guerrier  van  duo  messi  a  cercar  V  orma. 
Ed  ìian  da  un  saggio  aljin  V  arte ,  eh'  affida 
Ad  ingannar  V  ingannatrice  Armida. 


1.  Usciva  ornai  dal  molle  e  fresco  grembo 
Della  gran  madre  sua  la  notte  oscura. 
Aure  lif-vi  portando  e  largo  nembo 

Di  sua  rugiada  preziosa  e  pura; 
E ,  scotendo  del  vel  1'  umido  lembo, 
^e  spargeva  ì  fioretti  e  la  verdura, 
E  i  venticelli  dibattendo  l'  ali 
Lu^ingavano  il  sonno  de'  mortali. 

2.  Ed  essi  ogni  pensier ,  che  'I  dì  conduce. 
Tuffato  aveuno  in  dolce  obl>lio  profondo  ; 
\ì-i  vigilando  neil'  eterna  luce 

S(  deva  al  suo  governo  il  re  del  mondo, 
K  rivolgea  dal  cielo  al  friiiico  duce 
Li)  «.guiirdo  favorevole  e  giocondo, 
tallitici  a  Ini  n'  inviava  un  sogno  cheto, 
rerclic  gli  rivelasse  alto  decreto. 

3.  ,  Non  lunge  all'  auree  porte,  ond'  esce  il  sole, 
E  cristiillina  porta  in  oriente, 

(Au:  per  costumi;  innanzi  aprir  sì  suole, 

(Jlie  ^i  dischiuda  1'  uscio  al  dì  nascente. 

Da  (|ursta  «si-.ono  i  sogni ,  i  quai  Dio  vuole 

Mandar  pt-r  grazia  a  ]iura  e  casta  mente. 

Da  qui>ta  or  quel ,    (li'  al  pio  Ihiglìon  discende, 

L'  ali  durate  iuvcrso  lui  distende. 


4.  Nulla  mai  vision  nel  sonno  offerse 
Altrui  sì  vaghe  immagini,  o  sì  belle. 
Come  ora  questa  a  lui;  la  qual  gli  aperse 
I  secreti  del  cielo  e  delle  stelle. 

Onde ,  siccome  entro  uno  speglio ,  eì  scerse 
Ciò,  che  lassuso  è  veramente  in  elle. 
Pareagli  esser  traslato  in  un  sereno 
Candido  ;  e  d'  auree  fiamme  adorno  e  pieno: 

5.  E  mentre  ammira  in  qtiell'  eccelso  loco 
L'  ampiezza,  i  moti,  i  lumi  e  1'  armonia, 
Ecco  cinto  di  rai,  cinto  di  foco 

Un  cavaliero  incontro  a  lui  venia: 
E  in  suono ,  al  lato  a  cui  sarebbe  roco 
Qual  più  dolce  è  quaggiù,  parlar  l'  udia: 
Goffredo  ,  non  m'  accogli?  e  non  ragiono 
Al  fido  amico.''  or  non  conosci  Ugone.'' 

6.  Ed  ei  gli  rispondea  :  quel  novo  aspetto, 
Che  par  d'  un  sol  mirabilmente  adorno, 
Dall'  antica  notizia  il  mio  intelletto 
Sviato  ha  sì,  che  tardi  a  lui  ritorno. 

Gli  stendea  poi  con  dolce  amico  affetto 
Tre  fiate  le  braccia  al  collo  intorno: 
E  tre  fiate  invan  cinta  l'  immago 
Foggia,  qual  leve  sogno,  od  aer  vago. 

7.  Sorridea  quegli  :  e  non  già ,  come  credi, 
Dicea ,  son  cinto  di  terrena  veste. 
Semplice  forma  e  nudo  spirto  vedi 

Qui  cittadin  della  città  celeste. 
Questo  è  tempio  di  Dio  ,  qui  son  le  sedi 
De'  suoi  guerrieri,  e  tu  avrai  loco  in  queste. 
Quando  ciò  fia?  rispose;:  il  mortai  laccio 
Sciolgasi  ornai,  s'  al  restar  qui  m'  è  impaccio. 

8.  Ben,  replicogli  Ugon,  tosto  raccolto 
Nella  gloria  sarai  de'  trionfanti  : 

l'ur  militando  converrà ,  che  molto 
Sangue  e  sudor  laggiù  tu  versi  innanti. 
Da  te  prima  ai  pagani  esser  ritolto 
De\e  r  imperio  de'  paesi  santi, 
E  stabilirsi  in  lor  cristiana  reggia, 
In  cui  regnare  il  tuo  fratel  poi  deggia. 


[165] 


GERUSALEMME   LIBERATx\.     (XIV.  0—24) 


9.     Mii  perchè  più  lo  tuo  dcsir  s'   av^'ìve 
Neil'  amor  di  quassù ,  più  fiso  or  mira 
Questi  lucidi  alberghi,  e  queste  vive 
B'iamine ,  che  mente  eterna  informa  e  gira! 
i       E  in  angeliche  tempre  odi  le  dive 
f       Sirene,  e  '1  suon  di  lor  celeste  lira! 
China  poi,  disse,  e  gli  additò  la  terra, 
Gli  occhj  a  ciò ,  che  quel  globo  ultimo  serra  ! 

10.  Quanto  è  \il  la  cagion ,  eh'  alla  virtude 
Umana  è  colnggiù  premio  e  contrasto! 

Pln  che  picciolo  cerchio  ,   e  fra  che  nude 
Solitudini  è  stretto  il  vostro  fasto! 
Lei  come  isola  il  mare  intorno  chiude: 
E  lui,  eh'  or  occiin  chiamate,  or  vasto, 
Nulla  eguale  a  tai  nomi  ha  in  sé  di  magno, 
Ma  è  bassa  palude ,  e  breve  stagno, 

11.  Cosi  r  un  disse,  e  V  altro  in  giuso  i  lumi 
Volse,  quasi  sdegnando,  e  ne  sorrise; 

Che  vide  un  punto  sol  mar,  terre,  e  fiumi, 
E      Che  qui  pajon  distinti  in  tante  guise, 

Ed  ammirò ,  che  pur  all'  ombre ,  ai  fumi 
La  nostra  folle  umanità  s'  affise, 
Servo  imperio  cercando,  e  muta  fama, 
Né  miri  il  ciel ,  eh'  a  sé  n'  invita  e  chiama. 

12.  Onde  rispose:  poiché  a  Dio  non  piace 
Dal  mio  career  terreno  anco  disciorme, 
Prego ,  che  del  cammin ,  eh'  è  men  fallace 
Fra  gli  errori  del  mondo,  or  tu  m'  informe. 
È  ,  replicoglì  Ugon ,  la  via  verace 
Questa,  che  tieni:  indi  non  torcer  1'  orme! 
Sol    che  richiami  dal  lontano  esigli (» 

Il  fìgliuol  di  Bertoldo,  io  ti  consiglio. 

13.  Perchè,  se  1'  alta  provvidenza  elesse 
Te  dell'  impresa  sommo  capitano, 
Destinò  insieme,  eh'  egli  esser  dovesse 
De'  tuoi  consigli  csccutor  soprano. 

A  te  le  prime  parti ,  a  lui  concesse 
Son  le  seconde  :  tu  sci  capo ,  ei  mano 
Di  questo  campo,  e  sostener  sua  vece 
Altri  non  puote ,  e  farlo  a  te  non  lece. 

li,      A  lui  sol  di  troncar  non  fia  disdetto 
Il  bosco,  e'  ha  gì'  incanti  in  sua  difesa; 
E  da  lui  il  campo  tuo,  che,  per  difetto 
Di  gente,  inabii  sembra  a  tanta  impresa, 
E  par  che  sia  di  ritirarsi  astretto, 
Prenderà  maggior  forza  a  nova  impresa, 
E  i  rinforzali  muri,  e  d'  oriento 
Supererà  1'  esercito  possente. 

15.  Tacque;  e  'I  Huglion  rispose:  oh  quanto  grato 
Fora  a  me,  che  tornasse  il  cavalicro! 

Voi ,  «-.he  vedete  ogni  pen-:icr  celato, 

Sapete,  s'  amo  lui,  se  dico  il  vero. 

Ma  di',  con  qiiai  proi>ostc,  od  in  qual  Iato 

Si  deve  a  lui   mandarne  il  mcssag<;icro  ? 

Vuoi  eh'  io  preghi,    o  comandi.^   E  come  questo 

Atto  sarà  legitlim*»  ed  onesto? 

16.  Allor  ripigliò  l'  altro:  il  rego  eterno. 
Che  te  di  tiinte  somme  gruzii-  onora, 

^  noi ,  che  da  quegli,   onde  li  die  il  governo, 
Tu  sìa  onor.ito  e  riverito   ancora, 
l'ero  non  cbitdcr  tu  (né  scriiza  scherno 
Forse  ilei  >(iMnno  ini|icrio  il   chieder  fora). 
Ma  ricbiolo  concedi,   ed  al  perdono 
Scendi  degli  altrui  preghi  al  primo  suono  ! 


[166] 


17.  Guelfo  ti  pregherà  (Dio  sì  1'  inspira), 
Ch'  assolva  il  fier  garzon  di  queir  errisre 
In  cui  trascorse  per  soverchio  d'  ira, 
Sicch'  al  campo  egli  torni  ed  al  suo  onore; 
E  bench'  or  lunge  il  giovine  delira, 

E  vaneggia  nell'  ozio  e  nell'  amore; 
Non  dubitar  però,  che  'n  pochi  giorni 
Opportuno  a  grand'  uopo  ei  non  ritorni: 

18.  Che  'l  vostro  Piero ,  a  cui  Io  ciel  comparte 
L'  alta  notizia  de'  secreti  sui, 

Saprà  drizzare  i  raessaggieri  in  parte. 
Ove  certe  novelle  avran  di  lui, 
E  sarà  lor  dimostro  il  modo  e  l'  arte 
Di  liberarlo,  e  di  condurlo  a  vui. 
Così  alfin  tutti  i  tuoi  compagni  erranti 
Ridurrà  il  ciel  sotto  i  tuoi  segni  santi. 

li).      Or  chiuderò  il  mio  dir  con  una  breve 
Conclusion,  che  so  eh'  a  te  fia  cara. 
Sarà  il  tuo  sangue  al  suo  commisto,  e  deve 
Progenie  uscirne  gloriosa  e  chiara. 
Qui  tacque,  e  sparve,  come  fumo  leve 
Al  vento,  o  nebbia  al  sole  arida  e  rara, 
E  sgombrò  il  sonno,  e  gli  lasciò  nel  petto 
Di  gioja  e  di  stupor  confuso  affetto. 

20.  Apre  allora  le  luci  il  pio  Buglione, 
E  nato  vede  e  già  cresciuto  il  giorno  ; 
Onde  lascia  i  riposi ,  e  sovrappone 

L'  armi  alle  membra  faticose  intorno. 
E  poco  stante  a  lui  nel  padiglione 
Venieno  i  duci  al  solito  soggiorno. 
Ove  a  consiglio  siedono  :  e  per  uso 
Ciò,  eh'  altrove  si  fa,  quivi  è  concluso. 

21.  Quivi  il  buon  Guelfo ,  che  'I  novel  pensiero 
Infuso  avea  nell'  inspirata  mente. 
Incominciando  a  ragionar  primiero. 

Disse  a  Goffredo:  oh  principe  clemente! 
Perdono  a  chieder  ne  vegn'  io,  che'  nvero 
E  perdon  di  peccato  anco  recente; 
Onde  potrà  parer  per  avventura 
Frettolosa  dimanda,  ed  immatura: 

22.  Ma  pensando,  che  chiesto  al  pio  Goffredo 
Per  lo  forte  Rinaldo  é  tal  perdono, 

E  riguardando  a  me ,  che  'n  grazia  il  chiedo. 

Che  vile  affatto  intercessor  non  sono, 

Agevolmente  d'  impetrar  mi  credo 

Questo,    eh'  a  tutti  fia  giovevoi  dono. 

Deh   consenti,  eh'  ei  rieda,  e  che  in  ammenda 

Del  fallo  in  prò  coumne  il  sangue  spenda! 

23.  E  chi  sarà,  s'  egli  non  é,  quel  forte, 
Clr  osi  troncar  le  spaventose  piante .-' 
Chi  gira  incontro  ai  rischj  della  morto 
C(m  più  intrepido  petto  e  più  costante  ? 
St'oter   le  mura ,  ed   atterrar  le  porto 

A  edrailo ,  e  salir  sido  a  tutti  innante. 
Rendi  al  tuo  campo  ornai,  rendi,  per  Dio, 
Lui,  eh'  è  sua  alta  speme  e  suo  desio! 

21.      Rendi  il  nipote  n  me  sì  valoroso, 
E  pronto  csccuttir  rendi  a  te  stesso. 
Né  sollVir,  rir  egli  torpa  iu  vii  riposo. 
Ma  rendi  in>irni(-  la  sua  gloria  ad  esso! 
Segua  il   v<-.»ilbi  tuo  vittorioso! 
Sia  testÌMU)nio  a    sua  virtù  concesso! 
Farcia  oyrc  di  sé  degne   in  cliiara  luce, 
E  rimirando  te  mae>tro  e  duce! 
Il    * 


[167] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (XIV.  25— 40) 


[168] 


25.  Così  pregava:  e  ciascun  altro  i  preghi 
Con  favorevol  fremito  segiiia. 
Onde  Goffredo  allor,  quasi  egli  pifglii 
La  niente  a  cosa  non  pensata  in  pria. 
Come  esser  può,  dicea,  che  grazia  i'  neghi 
Che  da  voi  si  dimanda  e  si  desia  ? 
Ceda  il  rigore,  e  sia  ragione  e  legge 
Ciò,  che  '1  consenso  universale  elegge! 

26.  Torni  Rinaldo ,  e  da  qui  innanzi  affrene 
Più  moderato  1'  impeto  dell'  ire, 
E  risponda  con  1'  opre  all'  alta  spene 
Di  Ini  concetta,  ed  al  comun  desire'. 
Ma  il  richiamarlo,  oh  Guelfo,  a  te  conviene. 
Frettoloso  egli  fia,  credo,  al  venire. 
Tu  scegli  il  messo,  e  tu  1'  indrizza,  dove 
Pensi,  che  '1  fero  giovine  si  trove! 

27.  Tacque  :  e  disse  sorgendo  il  guerrier  dano  : 
Esser  io  chieggio  il  messaggier ,  che  vada  ; 
Nò  ricuso  cammin  dubbio ,  o  lontano, 
Per  far  il  don  dell'  onorata  spada. 
Questi  è  di  cor  fortissimo  e  di  mano: 

Onde  al  buon  Guelfo  assai  1'  offerta  aggrada. 
Vuol,  eh'  ei  sia  1'  un  de'  messi,  e  che  sia  l'  altro 
Ubaldo ,  uom  cauto  ed  avveduto  e  scaltro. 

28.  Veduto  Ubaldo  in  giovinezza,  e  cerchi 
Varj  costumi  avea ,  varj  paesi. 
Peregrinando  dai  più  freddi  cerchi 

Del  nostro  mondo  agli  Etiopi  accesi, 
E  com'  uora ,  che  virtute  e  senno  merchi, 
Le  favelle,  le  usanze ,  e  i  riti  appresi  ; 
Poscia  in  matura  età  da  Guelfo  accolto 
Fu  tra'  compagni,  e  caro  a  lui  fu  molto. 

29.  A  tai  messaggi  1'  onorata  cura 

Di  richiamar  1'  alto  campion  si  diede, 
E  gì'  indrizzava  Guelfo  a  quelle  mura, 
Tra  cui  Boeraondo  ha  la  sua  regia  sede; 
Che  per  pubblica  fama  e  per  secura 
Opinion ,  eh'  egli  vi  fia ,  si  crede. 
Ma  '1  buon  romito,  che  lor  mal  diretti 
Conosce,  entra  fra  loro,  e  tronca  i  detti, 

30.  E  dice:  oh  cavalier,  seguendo  il  grido 
Delia  fallace  opinion  volgare, 

Duce  seguite  temerario  e  infido, 
Che  vi  fa  gire  indarno  e  traviare. 
Or  d'  Ascaiona  nel  propinquo  lido 
Itene,  dove  un  fiume  entra  nel  mare! 
Quivi  fia  che  v'  appaja  unni  nostro  amico  : 
Credete  a  lui,  ciò  eh'  ei  diravvi,  io  '1  dico! 

31.  EI  molto  per  gè  vede,  e  molto  inteso 
Del  preveduto  vostro  alto  viaggio 

Già  gran  tempo  da  me.     So,  che  cortese 
Altrettanto  vi  fia,  quanto  egli  è  saggio. 
Così  lor  disse,  e  più  da  lui  non  chiese 
Carlo,  o  r  altro,  che  seco  iva  messaggio; 
Ma  furo  ubbidienti  alle  parole, 
Che  spirito  di^in  dettar  gli  suole. 

82.     Pre>er  comiato:  o  sì  il  desio  gli  sprona, 
Clic,  senza  indugio  alcun  posti  in  cammino, 
Dirizzaro  il  lor  corso  ad   Ascaiona, 
Dove  ai  lidi  si  frange  il  mar  vicino. 
E  non  odiano  ancor  ,  come  risuona 
Il  roco  ed  alto  fremito   marino, 
Quando  giunsero  a  un  fiume,  il  qnal  di  nova 
Acqua  uccrcdcinlo  è  per  novella  piova. 


33.  Sicché  non  può  capir  dentro  al  suo  letto, 
E  sen  va  più  che  strai  corrente  e  presto. 
Mentre  essi  stan  sospesi,  a  lor  d'  aspetto 
Venerabile  appare  un  vecchio  onesto. 
Coronato  di  faggio ,  in  lungo  e  schietto 
Vestir,  che  di  lin  candido  è  contesto. 
Scote  questi  una  verga,  e  '1  fiume  calca 
Co'  piedi  asciutti,  e  centra  '1  corso  il  valca. 

34.  Siccome  soglion  là  vicino  al  polo, 

S'  avvien,  che  '1  verno  i  fiumi  agghiacci  e  indurc 
Correr  sul  Ren  le  villanelle  a  stuolo 
Con  lunghi  strisci,  e  sdrucciolar  secure: 
Tal  ei  ne  vien  sovra  1'  instabil  suolo 
Di  quest'  acque  non  gelide  e  non  dure, 
E  tosto  colà  giunse,  onde  in  lui  fisse 
Tenean  le  luci  i  duo  guerrieri,   e  disse: 

35.  Amici,  dura  e  faticosa  inchiesta 
Seguite,  e  d'  uopo  è  ben,  eh'  altri  vi  guidi; 
Che  1  cercato  guerrier  lungi  è  da  questa 
Terra  in  paesi  inospiti  ed  infidi. 

Quanto,  oh  quanto  dell'  opra  anco  vi  resta! 
Quanti  mar  correrete,  e  quanti  lidi! 
E  convien,  che  si  stenda  il  cercar  vostro 
Oltre  i  confini  ancor  del  mondo  nostro. 

36.  Ma  non  vi  spiaccia  entrar  nelle  nascose 
Spelonche,  ov'  ho  la  mia  secreta  sede! 
Ch'  ivi  udrete  da  me  non  lievi  cose, 

E  ciò,  eh'  a  voi  saper  più  si  richiede. 

Disse,  e,  eh'  a  lor  dia  loco,  all'  acqua  impose 

Ed  ella  tosto  si  ritira  e  cede, 

E  quinci  e  quindi ,  di  montagna  in  guisa. 

Curvata  pende,  e  'ii  mezzo  appar  divisa. 

37.  Ei,  presili  per  man,  nelle  più  interne 
Profondità  sotto  quel  rio  lor  mena. 
Debile  e  incerta  luce  ivi  si  scerne, 

Qual  tra'  boschi  di  Cintia  ancor  non  piena: 
Ma  pur  gravide  d'  acque  ampie  caverne 
Veggiono,  onde  tra  noi  sorge  ogni  vena. 
La  qual  zampilli  in  fonte    o  in  fiume  vago 
Discorra,  o  stagni,  o  si  dilati  in  lago. 

38.  E  veder  ponno,  onde  il  Po  nasca,  ed  onde 
Idaspe,  Gange,  Eufrate,  Istro  derivi, 

Ond'  esca  pria  la  Tana;  e  non  asconde 
Gli  occulti  suoi  principj  il  Nilo  quivi. 
Trovano  un  rio  più  sotto,  il  qual  diiFonde 
Vivaci  zolfi,  e  vaghi  argenti  e  vivi. 
Questi  il  sol  poi  raffina ,  e  '1  licor  molle 
Stringe  in  candide  masse,  o  in  auree  zolle. 

39.  E  miran  d'  ogn'  intorno  al  ricco  fiume 
Di  care  pietre  il  margine  dipinto; 
Onde,  come  a  più  fiaccole  s'  allume. 
Splende  quel  loco,  e  '1  fosco  orror  n'  è  vinto 
Quivi  sciniilla  con  ceruleo  lume 

Il  celeste  zaffiro  ,  ed  il  giacinto  : 

Vi  fiammeggia  il  carbonchio,  e  luce  il  saldo 

Diamante ,  e  lieto  ride  il  bel  smeraldo. 

40.  Stupidi  i  guerrier  vanno,  e  nelle  nuove 
Cose  sì  tutto  il  lor  pcnsier  s'  impiega, 
Che  non  fanno  alcun  motto.     Alfin  pur  muovi 
La  voce  Ubaldo,  e  la  sua  scorta  prega: 
Deh,  padre,  dinne,  ove  noi  siamo,  ed  ove 
Ci  guidi  ,  e  tua  condizion  ne  spiega! 
Cir  io  non  so,  se 'I  ver  miri,  o  sogno,  od  onibìi; 
CuKÌ  alto  stupore  il  cor  m'  ingombra  ! 


[169] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XIV.  41—56) 


[170] 


I 


41.  Risponde:  siete  voi  nel  grembo  immenso 
Della  terra,  che  tutto  in  sé  produce. 
Kè  già  potreste  penetrar  nel  denso 
Delle  viscere  sue  senza  me  duce. 
Vi  scorgo  al  mio  palagio ,  il  qual  accenso 
Tosto  vedrete  di  mirabil  luce. 
Nacqui  io  pagan  ;  ma  poi  nelle  sante  acque 
Begenerarmi  a  Dio  per  grazia  piacque. 

42.  Né  in  virtìi  fatte  son  d'  angioli  stigi 
L*  opere  mie  meravigliose  e  conte. 
Tolga  Dio,  eh'  usi  note  o  suffumigi, 
Per  isforzar  Oocito  e  Flegetonte! 

Ma  spiando  men  vo  da'  lor  vestigi, 
Qual  in  sé  virtù  celi  o  l'  erba,  o  '1  fonte, 
É  gli  altri  arcani  di  natura  ignoti 
Contemplo,  e  delle  stelle  i  varj  moti. 

43.  Perocché  non  ognor  lunge  dal  cielo 
Tra  sotterranei  chiostri  è  la  mia  stanza; 
Ma  sul  Libano  spesso  e  sul  Carmelo 

In  aerea  magion  fo  dimoranza. 

Ivi  spicgansi  a  me  senz'  alcun  velo 

Venere  e  Marte  in  ogni  lor  sembianza, 

E  veggio,  come  ogni  altra  o  presto,  o  tardi 

Roti,  o  benigna,  o  minaccevol  guardi. 

44.  E  sotto  i  pie  mi  veggio  or  folte,  or  rade 
Le  nubi,  or  negre,  ed  or  pinte  da  Iri  ; 

E  generar  le  piogge  e  le  rugiade 
Risguarde ,  e  come  il  vento  obliquo  spiri. 
Come  il  folgor  s'  infiammi,  e  per  quai  strade 
Tortuose  in  giù  spinto  ei  si  raggiri: 
Scorgo  comete,  e  fochi  altri  sì  presso, 
Ch'  io  soleva  invagliir  già  di  me  stesso. 

45.  Di  me  medesmo  fui  pago  cotanto, 

Ch'  io  stimai  già,  che  '1  mio  saper  misura 

Certa  fosse  e  infallibile  di  quanto 

Può  far  r  alto  fattor  della  natura. 

Ma  quando  il  vostro  Piero  al  fiume  santo 

M'  asperse  il  crine,  e  lavò  1'  alma  impura, 

Drizzò  più  su  il  mio  guardo ,  e  '1  fece  accorto, 

Ch'  ei  per  sé  stesso  è  tenebroso  e  corto. 

46.  Conobbi  allor,  che  augcl  notturno  al  solo 
È  nostra  mente  ai  rai  del  primo  vero, 

E  di  me  stesso  risi ,  e  delle  ("oh;. 

Che  già  cotanto  insuperbir  mi  fero. 

Ma  pur  séguito  ancor ,  come  egli  vuole. 

Le  solite  arti  e  1'  uso  mio  primiero. 

Ben  sono  in  parte  aUr'  noni  da  quel  eh'  io  fuij 

Ch'  or  da  lui  pendo ,  e  mi  rivolgo  a  lui. 

47.  E  in  lui  III'  acqueto;  egli    comanda  e  insegna. 
Mastro  insieme  e  ^ignor  soiiiuio  e  sovrano, 

Né  già  per  nostro  mezzo  oprar  di^degna 

Cose  degne  talor  della  sua  mano. 

Or  sarà  cura  mia,  eli'  al  i-auipo  vegna 

L'  invitto  eroe  dal  suo  career  lontano: 

Ch'  ei  la  tu'  impose,  e  già  gran  tempo  aspetto 

Il  venir  vostro  a  me  per  lui  predetto. 

48.  Così  con  lor  parlando  al  loco  viene, 

Ov'  egli  ha  il  suo  soggiorno  e  'I  su<»  riposo. 

Questo  è  in  forma  di  spiico ,  e  in  su  coalieno 

Camere  v.  sale ,  grande  v.  spazioso. 

E  ciò,  die  inni  re  entro  le  ri(ulie  vene 

Di  più  chiaro  la  terra  e  pi-(;/ioso, 

Splende  ivi  tutto,  od  «i  n'  è  in  guisa  ornato, 

Ch'  ogni  suo  fregio  è  non  fallo ,  ma  nato- 


49.  Non  mancar  qui  cento  ministri  e  cento, 
Che  accorti  e  pronti  a  servir  gli  osti  foro. 
Né  poi  in  mensa  magnifica  d'  argento 
Mancar  gran  vasi  e   di  cristallo  e  d'  oro. 
Ma  quando  sazio  il  naturai  talento 

Fu  de'  cibi ,  e  la  sete  estinta  in  loro. 
Tempo  è  ben,  disse  ai  cavalieri  il  mago. 
Che  'l  maggior  dcsir  vostro  ornai  sia  pago. 

50.  Quivi  ricominciò:  1'  opre  e  le  frodi 

Note  in  parte  a  voi  son  dell'  empia  Armida  : 

Come  ella  al  campo  venne,  e  con  quai  modi 

Molti  guerrier  ne  trasse ,  e  lor  fu  guida. 

Sapete  ancor ,  che  di  tenaci  nodi 

Gli  avvinse  poscia,  albergatrice  infida, 

E  eh'  indi  a  Gaza  gì'  inviò  con  molti 

Custodi ,  e  che  tra  via  furon  disciolti. 

51.  Or  dirovvi  di  quel,  che  poscia  occorse: 
Vera  istoria ,  da  voi  non  anco  intesa. 
Poiché  la  maga  rea  vide  ritorse 

La  preda  sua  già  con  tant'  arte  presa, 

Ambe  le  mani  per  dolor  si  morse, 

E  fra  sé  disse  di  disdegno  accesa  : 

Ah  vero  unqua  non  fia ,  che  d'  aver  tanti 

Miei  prigion  liberati  egli  si  vanti! 

52.  Se  gli  altri  sciolse,  ei  serva,  ed  ei  sostegna 
Le  pene  altrui  serbate,  e  '1  lungo  affanno! 
Né  questo  anco  mi  basta:  i'  vo' ,  che  vegna 
Su  gli  altri  tutti  universale  il  danno. 

Cosi  tra  sé  dicendo ,  ordir  disegna 
Questo ,  eh'  or  udirete ,  iniquo  inganno, 
Viensene  al  loco,  ove  Rinaldo  vinse 
In  pugna  i  suoi  guerrieri,  e  parte  estinse. 

53.  Quivi  egli  avendo  1'  arme  sue  deposto, 
Indosso  quelle  d'  un  pagan  si  pose  : 
Forse  perché  bramava  irsene  ascosto 
Sotto  insegne  men  note  e  men  famose. 
Prese  1'  armi  la  maga,  e  in  esse  tosto 
Un  tronco  busto  avvolse,  e  poi  l'  espose; 
L'  espose  in  riva  a  un  fiume,  ove  dovea 
Stuol  de'  Franchi  arrivare;  e  'l  prcvedea. 

54.  E  questo  antiveder  potea  ben  ella, 
Cbé  mandar  mille  spie  solca  d'  intorno: 
Onde  spesso  del  campo  avea  novella, 

E  s'  altri  indi  partiva,  o  fca  ritorno, 
Oltrecbé  con  gli  spirti  anco  favella 
Sovente,  e  fa  con  lor  lungo  soggiorno. 
Collocò  dunt|iie  il  corpo  morto  in  parto 
Multo  opportuna  a  sua  ingannevoi  arto. 

55.  Non  lungc  un  sagacissimo  valletto 
Pose,  di  panni  pastorai  vestito, 

E  impose  lui  ciò  eh'  os.^er  fatto,  o  dotto 
Fintamonte  doveva:  e  fu  o-oguito. 
Questi  parlò  co'  vostri,  e  di  sospetto 
Sparse  quel  some  in  lor,  eh'  indi  nutrito 
Fruttò  risse  e  diseordie,   o  quasi  alfiiiM 
Sedi/iose  guerre  e  cittadine. 

56.  Che  fu,  coni'  olla  disognò,  rrodiito 
Por  o|ira  del  Huglion  Uiiialdo  ucciso, 
KeiK  Ile  alfine  il  sospetto  a  torto   aMito 
Del   ver  si  diligiia^so  al  primo  avviso. 
Cotal  d'  Annida  1'  artilìrio  astuto 
Priniierniiiento  fu,  qual   io   diviso. 

Or  udirete  aoror,   eomo  sogiiisso 

Poscia  Rinaldo ,  e  quel  eh'  indi  avvenivo. 


[ni] 


GERUSALEMME  LIBERATA.  (XIV.  57—72) 


flTZ] 


57.     Q\in\  cnufa  caccìatrice,  Armida  aspetta 
Rinaldo  al  varco:  ei  sali'  Oronte  giunge, 
Ove  un  rio  si  dirama ,  e  un'   isoietta 
Formando,  tosto  a  lui  si  ricongiunge. 
E  'n  sulla  riva  una  colonna  eretta 
Vede,  e  un  picciol  battello  indi  non  liinge. 
Fisa  egli  tosto  gii  occhj  al  l)tl   lavor;) 
Del  bianco  marmo,  e  legge  in  lettre  d'  oro: 

SS-     Oh  chiunque  tu  sìa,  che  voglia,  o  caso 
Peregrinando  adduce  a  queste  sponde! 
Meraviglia  maggior  l'  orto  o  1'  occaso 
Non  ha  di  ciò,  che  1'  isoietta  asconde. 
Fassa,  se  vuoi  vederla!  E  persufiso 
Tosto  r  incauto  a  girne  ultra  quell'  onde. 
E  perchè  mal  capace  era  la  barca, 
Gli  scudieri  abbandona,  ed  ei  sol  varca. 

59.      Com'  è  là  giunto,  cupido  e  vagante 
Volge  intorno  lo  sguardo  ,  e  nulla  vede, 
Fuorch'  antri  ed  acque,  e  fiori,  ed  erbe,  e  piante; 
Onde  quasi  schernito  esser  si  crede. 
Ma  pur  quel  loco  è  così  lieto,  e  in  tante 
Gui^e  r  alletta ,  eh'  ei  si  ferma  e  siede, 
E  disarma  la  fronte ,  e  la  ristaura 
Al  soave  spirar  di  placid'  aura. 

(ÌO.      Il  fiume  gorgogliar  frattanto  udio 

Con  novo  suono,  e  là  con  gli  occhj  corse, 

E  mover  vide  un'  onda  in  mezzo  al  rio, 

Che  'n  sé  stessa  si  volse  e  si  ritorse: 

E  quinci  iilquantu  d'  un  crin   biondo  uscio, 

E  quinci  di  donzella  un  volto  sorse, 

E  quinci  il  petto  e  le  mammelle,  e  de  la 

Sua  forma  insin,  dove  vergogna  cela. 

61.  Così  dal  palco  di  notturna  scena 

O  ninfa,  o  dea  tarda  sorgendo  appare. 

Questa  ,  benché  non  sia  vera  sirena. 

Ma  sia  magica  larva,  una  ben  pare 

Di  quelle .  che  già  presso  alla  tirrena 

Piaggia  abitar  ì'  insidioso  mare. 

Kè  men  che  'n  viso  l>ella,  in  suono  è  dolce, 

E  così  canta,  e  'l  cielo  e  1'  aure  moke: 

62.  Oh  giovinetti ,  mentre  aprile  e  maggio 
V  ammantan  di  fiorite  e  verdi  spoglie, 
Di  gloria ,  o  di  virtù  fallace  raggio 

La  tenerella  mente  ah!  non  v'  invoglie! 
Solo  chi  segue  ciò  che  piace ,  è  saggio, 
E  in  sua  stagion  degli  anni  il  frutto  coglie. 
Questo  grida  natura.     Or  dunque  voi 
Indurerete  1'  alma  ai  detti  suoi? 

63.  Folli ,  perchè  gettate  il  caro  dono. 
Che  breve  è  si,  di  vostra  età  novella? 
Nomi ,  e  senza  soggetto  idoli  sono 

Ciò  ,  che  pregio  e  valore  il  mondo  appella. 
La  fama ,  che  invaghisce  a  im  dolce  suono 
Voi  superbi  mortali,  e  par  sì  bella, 
E  un  eco,  im  sogno,  anzi  del  sogno   un'  ombra, 
Ch'  ad  ogni  vento  si  dilegua  e  sgombra. 

64.  Goda  il  corpo  seciiro,  e  in  lieti  oggetti 
L'  alma  tran(|uilla  appaghi  i  sensi  frali! 
Ob1)lii  le  noje  andate  ,  e  non  aflVetti 

Le  sue  miserie  ia  aspettando  i  mali  ! 
Nulla  curi ,  so  '1  ciel  tuoni  o  saetti, 
Minacci  egli  a  sua  voglia,  e  iniiauuuì  strali! 
Questo  è  «apcr,  questa  è  felice  \ita; 
Sì  r  insegna  natura ,  e  sì  1'  addita. 


65.      Sì  canta  1'  empia,  e  'l  giovinetto  al  sonno 
Con  note  invoglia  sì  soavi  e  scorte. 
Quel  serpe  a  poco  a  poco ,  e  si  fa  donno 
Sovra  i  sensi  di  lui  possente  e  forte: 
Né  i  tuoni  omai  destar,  non  eh'  altri,  il  ponno 
Da  quella  queta  immagine  di  morte. 
Esce  d'  agguato  allor  la  falsa  maga, 
E  gli  va   sopra,  di  vendetta  vaga. 

€Q.      Ma  quando  in  lui  fissò  lo  sguardo,  e  vide, 
Come  placido  in  vista  egli  respira, 
E  ne'  begli  occhj  un  dolce  atto,  che  ride. 
Benché  sian  chiusi  (or  che  fia,  s'  ei  li  gira?) 
Pria  s'  arresta  sospesa,  e  gli  s'  asside 
Poscia  vicina,  e  placar  sente  ogn'  ira, 
Mentre  il  risguarda;  e  'n  sulla  vaga  fronte 
Pende  omai  sì ,  che  par  Narciso  al  fronte. 

67.  E  quei ,  eh'  ivi  sorgean  ,  vivi  sudori 
Raccoglie  lievemente  in  un  suo  velo, 
E  con  un  dolce  ventilar  gli  ardori 
Gli  va  temprando  dell'  estivo  cielo. 
Così  (chi  'l  crederla?)  sopiti  ardori 
D'  occhj  nascosi  distempràr  quel  gelo, 
Che  s'  indurava  al  cor  più  che  diamante; 
E  di  nemica  ella  divenne  amante. 

68.  Di  ligustri ,  di  gìgli ,  e  delle  rose. 

Le  quai  fiorian  per  quelle  piagge  amene. 
Con  nov'  arte  congiunte  indi  compose 
Lente,  ma  tenacissime  catene. 
Queste  al  collo,  alle  braccia,  ai  pie  gli  pose: 
Così  I'  avvinse,  e  così  preso  il  tiene. 
Quinci,  mentre  egli  dorme,  il  fa  riporre 
Sovra  un  suo  carro ,  e  ratta  il  ciel  trascorre. 

69.  Né  già  ritorna  di  Damasco  al  regno, 

Né  dove  ha  il  suo  castello  in  mezzo  all'  onde. 

Ma  ingelosita  di  sì  caro  pegno, 

E  vergognosa  del  suo  amor,  s'  asconde 

Neil'  oceano  immenso ,  ove  alcun  legno 

Rado ,  o  non  mai  va  dalle  nostre  sponde, 

Fuor  tutti  i  nostri  lidi:  e  quivi  eletta 

Per  solinga  sua  stanza  è  un'  isoietta  ; 

70.  Un'  isoletta,  la  qual  nome  prende 
Con  lo  vicine  sue  dalla  fortuna. 

Quinci  ella  in  cima  a  una  montagna  ascende 
Disabitata,  e  d'  ombre  oscura  e  bruua. 
E  per  incanto  a  lei  nevose  rende 
Le  spalle  e  i  fianchi ,  e  senza  neve  alcuna 
Gli  lascia  il  capo  verdeggiante  e  vago, 
E  vi  fonda  un  palagio  appresso  un  lago: 

71.  Ove,  in  perpetuo  aprii,  molle  amorosa 
Vita  seco  ne  mena  il  suo  diletto. 

Or  da  così  lontana  e  così  ascosa 

Prigion  trar  voi  dovete  il  giovinetto, 

E  vincer  della  timida  e  gelosa 

Le  guardie,  ond"  è  difeso  il  monte  e  '1  tetto. 

E  già  non  mancherà  chi  là  vi  scorga, 

E  chi  per  1'  alta  impresa  arme  vi  porga. 

72.  Troverete,  del  fiume  appena  sorti, 
Donna  giovin  di  viso,  antica  d'  anni, 
Cir  ai  lunghi  crini  in  sulla  fronte  attorti 
Fia  nota,  ed  al  color  vario  de'  panni. 
Questa  per  1'  alto  mar  fia  che  vi  porti 
Più  ratta,  che  non  spiega  aquila  i  vanni. 
Più  che   non  vola  il  folgore:  né  guida 
La  troverete  al  ritornar  men  fida. 


[1T3]     GERUSALEMME  LIBERATA.  (XIV.  73  — 79.  XV.  1—4)    [1T4] 


i 


A  pie  del  monte,  ove  la  maga  alberga, 
Sibilando  strisciar  novi  Pitoni, 
E  cinghiali  arricciar  1'  aspre  lor  terga, 
Ed  aprir  la  gran  l)occa  orsi  e  leoni 
Vedrete  ;  ma  scotendo  una  mia  verga. 
Temeranno  appressarsi ,  ove  ella  snoni. 
Poi  TÌe  maggior  (fc  dritto  il  ver  s'  estima) 
Troverete  il  periglio  in  sulla  cima. 

14.     Un  fonte  sorge  in  lei ,  che  vaghe  e  monde 
Ha  r  acque  sì ,  che  i  riguardanti  asseta, 
Ma  dentro  ai  freddi  suoi  cristalli  asconde 
Di  tosco  estriin  malvagità  secreta; 
Che  un  picciol  sor>o  di  sue  lucide  onde 
Inebria  1'  alma  tosto,  e  la  fa  lieta. 
Indi  a  rider  uora  move,  e  tanto  il  rìso 
S'  avanza  alfin,  eh'  ci  ne  rimane  ucciso. 

75.     Lunge  la  bocca  disdegnosa  e  schiva 
Torcete  voi  dall'  acque  empie  omicide  ! 
Aè  le  vivande  poste  in  verde  riva 
V  allcttin  poi,  né  le  donzelle  infide, 
Che  voce  avran  piacevole  e  lasciva, 
E  dolce  aspetto,  che  lusinga  e  ride! 
Ma  voi  gli  sguardi  e  le  parole  accorte 
Sprezzando,  entrate  pur  ncll'  alte  porte! 


76.      Dentro  è  di  muro  inejtricabil  cinto. 
Che  mille  torce  in  sé  confusi   giri  : 
Ma  in  breve  foglio  io  ^el  darò  distinto, 
Sicché  nessuno  error  fia  che  v'  aggiri. 
Siede  ia  mezzo  un  giardin  del  labirinto. 
Che  par   che  da  ogni  fronde  amore  spiri. 
Quivi  in  grembo  alla  verde  erba  novella 
Giacerà  il  cavaliero  e  la  donzella. 


i   rr 


Ma  come  essa,  lasciando  il  caro  amante, 
In  altra  parte  il  piede  avrà  rivolto, 
^  o',  eh'  a  lui  vi  scopriate,  e  d'  adamante 
Un  scudo,  eh'  io  darò,  gli  alziate  al  volto, 
Sicch'  egli  vi  si  specchj  ,  e  "1  suo  sembiante 
Veggia,  e  1'  abito  molle,  onde  fu  involto; 
Che  a  tal  vista  potran  vergogna  e  sdegno 
Scacciar  dal  petto  suo  1'  amore  indegno. 

78.     Altro  che  dirvi  omai  nulla  m'  avanza. 
Se  non  eh'  assai  securi  ir  ne  potrete, 
E  penetrar  dell'  intricata  stanza 
Nelle  più  interne  parti  e  più  secrete  ; 
Perchè  non  fia,  clie  magica  possanza 
A  voi  ritardi  il  corso,  o  '1  passo  viete; 
Kè  potrà  pur  (cotal  virtù  vi  guida) 
Il  giunger  vostro  antivedere  Armida. 


19.     Nò  men  secura  dagli  alberghi  suoi 
L'  uscita  vi  sarà  ])oscia ,  e  '1  ritorno. 
Ma  giunge  omai  1'  ora  del  sonno,  e  voi 
Sorger  diman  dovete  a  par  col  giorno. 
Così  lor  disse,  e  li  menò  dappoi 
Ove  essi  avean  la  notte  a  far  soggiorno. 
Ivi  lascianilo  lor  lieti  e  pensosi, 
Si  ritrasse  il  buon  vecchio  a'  suoi  riposi. 


CANTO    DECIMO     QUINTO. 


ARGOMENTO. 

Poiché  la  coppia  de'  Tncssaggt  arditi 

Del  buon  veglio  segtùr  V  orme,  e  i  consigli; 

Di  mirabil  nocchiero  ai  fidi  inviti 

Varca  su  cavo  Icf^no  onde  e  perigli. 

Ala  già  scorge,  che  ingombre  arene,  e  liti 

llan  delV  egizio  re  tende  e  navigli. 

Poi  giunti  aljin  del  corso ,  armano  il  petto 

Or  contro  un  fero  ,  or  cantra  un  dolce  aspetto. 


1      Ria  ricliinmava  il  bel  nascente  raggio 
All'  opre  ogni  animai ,  «he  'n  ferra  alberga, 
Quando  venendo  ai  duo  guerrieri  il  naggio 
Portò   il  fdglin,  e  lo  scudo,  r   1'  aurta  verga. 
Accinget<'vi  ,  disse,  al  gran  vi,i>;:gi(), 
Primachè  'I  dì,    che  spunta,  onnii  più  ti'   erga! 
Eccovi  qui  quanto  ho  prnuK^sMi,  e  quanto 
Può  della  maga  superar  i'  incanto  ! 


2.    Erano  essi  già  sorti,  e  1'  arme  intorno 
Alle  robuste  membra  avean  già  messe; 
Onde  per  vie,   che  non  rischiara  il  giorno. 
Tosto  seguono  il  iccchio,  e  sou  1'  istessc 
Vestigia  ri<:al<;ate  or  nel  ritorno. 
Che  luron  prima  ne!  venire  impresse. 
Ma  giiuiti  al  letto  del  suo  fiume:  amici. 
Io  v'  accommiato,  ci  dis^c:  ite  felici! 


».     Gli   accoglie  il  rio  nell'  allo  seno,  e  1" 
Soavemente  in  su  gli  spigne  e  porta. 
Come  suole  innalzar  leggiera  fronda. 
La  qual  da  violenza  in  giù  fu  torta; 
E  poi  gli  cspon  so\ra  la  molle  >pon(la. 
Quinci  mirar  la  già  pr^>m(■^^a  scorta, 
A  ider  picciola  nave  ,  e  in  poiqiii  (|u<'lla, 
Che  guidar  li  de\ea,  fatai  donzella. 

Crinita  fronte  ella  dimostra,  e  ciglia 
Cortesi  e  favorevoli  e  tran(|uille. 
i;  nel  sembiante  agli  angioli  somiglia; 
Tanta  luce  ivi  par  eh'  arda  e  sfa\ ilici 
l,a  sua  goiuia  or  a.'/.nrra  ed  or  vermiglia 
Diroli,  <!  ^^  colora  in   guise  mille: 
Sii  eh'  uom  ^enlpre  diuisa  n  sé  la  ^i•^\v, 
Quantunque  volte  a  riguardarla  riedc. 


onda 


Il!51 


GERUSALEMME   LIBERATA.      (XV.  5  —  20) 


[176: 


5.  Così  piuma  talor,  che  di  gentile 
Amorosa  colomba  il  collo  cinge, 
Mai  non  si  scoi'ge  a  se  stessa  simile, 
Ma  in  cli\er>i     colori  al  sol  si  tinge: 
Or  d'  accesi  riibin  sembra  un  monile, 
Or  di  verdi  smeraldi  il  lume  finge, 
Or  in>ieme  li  mesce,  e  varia  e  vaga 
In  cento  modi  i  riguardanti  appaga. 

6.  Entrate,  dice,  o  fortunati,  in  questa 
Nave,  ond'  io  l'  oceàn  seciira  varco, 

Cui  destro  è  ciascun  vento,  ogni  tempesta 
Tranquilla ,  e  lieve  ogni  gravoso  incarco  ! 
Per  ministra  e  per  duce  or  me  vi  appresta 
Il  mio  signor,  del  favor  suo  non  parco. 
Cosi  parlò    la  donna,  e  più  vicino 
Fece  poscia  alla  sponda  il  curvo  pino. 

7.  Come  la  nobil  coppia  ha  in  lui  raccolta, 
Spinge  la  ripa,  e  gli  rallenta  il  morso; 
Ed  avendo  la  vela  all'  aure  sciolta. 

Ella  siede  al  governo,  e  regge  il  corso. 
Gonfio  il  torrente  è  sì ,  eh'  a  questa  volta 

I  navigli  portar  ben  può  sul  dorso: 

Ma  questo  è  sì  leggier,  che  'l  sosterrebbe 
Qual  altro  rio  per  nuovo  umor  men  crebbe. 

8.  Veloce  sopra  il  naturai  costume 
Portano  al  mar  la  vela  d'  oro  i  venti, 
Biancheggian  l'  acque  di  canute  spume, 
E  rotte  dietro  mormorar  le  senti. 
Ecco  giungono  omai  là,  dove  il  fiume 
Queta  in  letto  maggior  l'  onde  correnti, 
E  nell'  ampie  voragini  del  mai-e 
Disperso  o  divien  nulla,  o  nulla  appare. 

9.  Appena  ha  tocco  la  mirabil  nave 
Della  marina  allor  turbata  il  lembo, 
Che  fpariscon  le  nubi ,  e  cessa  il  grave 
Noto,  che  minacciava  oscuro  nembo. 
Spiana  i  monti  dell'  onde  aura  soave, 
E  solo  increspa  il  bel  ceruleo  grembo, 
E  d'  un  dolce  scren  dilluso  ride 

II  ciel,  che  sé  più  chiaro  unqua  non  vide. 

10.      Trascorse  oltre  Ascalona,  ed  a  mancina 
Andò  la  navicella  inver  ponente, 
E  tosto  a  Gaza  si  trovò  vicina, 
Che  fu  porto  di  Gaza  anticamente, 
Ma  poi ,  crescendo  dall'  altrui  mina, 
('ittà  divenne  assai  grande  e  possente; 
Ed  eranvi  le  piagge  allor  ripiene 
Quasi  d'  uomini  sì ,  come  d'  arene. 

il.     Volgendo  il  guardo  a  terra  i  naviganti 
Scorgtan  di  tende  numero  infinito. 
ìMira^an  cavalier,  mira^an  fanti 
Ire  e  tornar  dalla  cittadc  al  lito, 
E  da  caumielli  onusti,  e  da  elefanti 
L'areini^o  senlier  calpesto  e  trito; 
Poi  del  porto  vedean  ne'  fondi  cavi 
Sorte  e  legate  all'  ancore  le  navi. 

12.      Altre  spiegar  le  vele,  e  ne  vcdiéno 
Altre  i   remi  trattar  veloci  e  snelle, 
E  da  e»^i  e  da'  rostri  il  molle  seno 
Spumar  perco>i>o  in  (|uc>te  parti  e  in  quelle. 
Di.«se  la  donna  alhir:  benché  ripieno 
11  lido  e  '1  mar  bia  delle  genti  felle, 
Non  ha  in>ii  iiic!  però  le  schiere  tuttv 
Il  polente  tiranno  anco  ridulle. 


13.  Sol  dal  regno  d'  Egitto  e  dal  contorno 
Raccolte  ha  queste;  or  le  lontane  attende. 
Che  verso  1'  oriente  e'  l  mezzogiorno 

11  vasto  imperio  suo  molto  si  stende; 
Sicché  sper'  io,  che  prima  assai  ritorno 
Fatto  avrem  noi ,  che  mova  egli  le  tende  : 
Egli,  o  quel,  che  'n  sua  vece  esser  soprano 
Dell'  esercito  suo  de'  capitano. 

14.  Mentre  ciò  dice ,  come  aquila  suole 
Tra  gli  altri  augelli  trapassar  secura, 
E  sorvolando  ir  tanto  appresso  il  sole. 
Che  nulla  vista  più  la  raffigura. 

Cosi  la  nave  sua  sembra  che  vole 
Tra  legno  e  legno;  e  non  ha  tèma,  o  cura, 
Che  vi  sia,  chi  1'  arresti,  o  chi  la  segua: 
E  da  lor  s'  allontana  e  si  dilegua: 

15.  E  'n  un  momento  incontra  Raffia  arriva, 
Città,  la  qual  in  Siria  appar  primiera 

A  chi  d'  Egitto  move:  indi  alia  riva 

Sterilissima  vien  di  Rinocera. 

Non  lunge  un  monte  poi  le  si  scopriva. 

Che  sporge  sovra    1  mar  la  chioma  altera, 

E  i  pie  si  lava  nell'  instabili  onde, 

E  r  ossa  di  Pompeo  nel  grembo  asconde. 

16.  Poi  Damiata  scopre,  e  come  porte 
Al  mar  tributo  di  celesti  umori 

Per  sette  il  Nilo  sue  famose  porte, 

E  per  cento  altre  ancor  foci  minori. 

E  naviga  oltra  la  città  dal  forte 

Greco  fondata  ai  greci  abitatori. 

Ed  oltra  Faro,  isola  già,  che  lunge 

Giacque  dal  lido,  al  lido  or  si  congiunge. 

17.  Rodi  e  Creta  lontane  inverso  '1  polo 
Non  scerne  e  pur  lungo  Africa  sen  viene, 
Sul  mar  eulta  e  ferace,  addentro  solo 
Fertil  di  mostri,  e  d'  infeconde  arene. 
La  Marmarica  rade,  e  rade  il  suolo. 
Dove  cinque  cittadi  ebbe  Cirene. 

Qui  Tolomita,  e  poi  con  !  onde  chete 
Sorger  si  mira  il  favoloso  Lete. 

18.  La  maggior  sirte ,  a'  naviganti  infesta. 
Trattasi  in  alto  ,  inver  le  piagge  lassa  : 
E  'l  capo  di  Giudeca  indietro  resta, 

E  la  foce  di  Magra  indi  trapassa. 
Tripoli  appar  sul  lido ,  e  'ncontra  a  questa 
Giace  Malta  fra  l'  onde  occulta  e  bassa: 
E  poi  riman  con  l'  altre  sirti  a  tergo 
Alzerbe,  già  de'  Lotofagi  albergo. 

19.  In  curvo  lido  poi  Tunisi  vede, 

Che  ha  d'  ambo  i  lati  del  suo  golfo  un  montfl 

Tunisi ,  ricca  ed  onorata  sede, 

A  par  di  quante  n'  ha  Libia  più  conte! 

A  lui  di  costa  la  Sicilia  siede. 

Ed  il  gran  Lilibeo  gì'  innalza  a  fronte. 

Or  quinci  addita  la  donzella  ai  due 

Guerrieri  il  loco,  ove  Cartagin  fue. 

20.  Giace  1'  alta  Cartago:  appena  i  segni 
Dell'  alte  sue  mine  il  lid(»  serba. 
Muojono  le  città ,  mnojono  i  regni, 
Copre  i  l'a>ti  e  le  pompe  arena  ed  erba, 
E  r  uom  d'  es^er  mortai  par  che  si  sdegni! 
Oh  nostra  niintt!  cupida  e  superba! 
(àiungon  ({tiinci  a  iiiscrta,  e  più  lontano 
llan  r  isola  de'  Sardi  all'  altra  mano. 


[ni] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (XV.  21-S6) 


21.  Trascorse!'   poi  le  piagge,  ove  i  Numidi 
Mciii'ir  già  vita  pastorale  erranti. 
Trovùr  Bugia  ed  Algeri,  iiiraini  nidi 

Di  corsari  ;  ed  Oraii  trovar  più  iniianti, 

E  costeggiar  di  Tiiigitiina  i  lidi, 

Nutrice  di  leoni  e  di  elefanti, 

Cli'  or  di  Marocco  è  il  regno,  e  quel  di  Fessa, 

E  varcar  la  Granata  incontro  ad  essa. 

22.  Son  già  là,  dove  il  mar  fra  terra  inonda. 
Per  via  ,  eh'  esser  d'  Alcide  opra  si  finse. 
E  forse  è  ver,  eh'  una  continua  sponda 
Fosse,  eh'  alta  ruina  in   due  distinse. 
Passovi  a  forza  V  oceano ,  e  V  onda 
Abila  quinci ,  e  quindi  Calpe  spinse. 
Spagna  e  Libia  partio  con  foce  angusta; 
Tanto  mutar  può  lunga  età  vetusta  ! 

23.  Quattro  volte  era  apparso  il  sol  nell'  orto, 
Dacché  la  nave  si  spiccò  dal  lito; 

Kè  mai  (di'  uopo  non  fu)  s'  accolse  in  porto, 

E  tanto  del  cammino  ha  già  fornito. 

Or  entra  nello  stretto,   e  passa  il  corto 

Varco,   e  s'  ingolfa  in  pelago  infinito. 

Se  '1  mar  qui  è  tanto ,  ove  il  terreno  il  serra, 

Che  fia  colà,  dov'  egli  ha  in  sen  la  terra? 

24.  Più  non  si  vede  ornai  tra  gli  alti  flutti 
La  fertil  Gade  e  1'  altre  due  vicine. 
Fuggite  son  le  terre  e  i  lidi  tutti; 

Dell'  onda  il  ciel,  del  ciel  1'  onda  è  confine. 
Diceva  Ubaldo  allor:  tu,  che  condutti 
]\'  hai,  donna,  iu  questo  mar,  che  non  ha  fine. 
Di',  s'  altri  mai  qui  giunse,  e  se  più  alante 
Nel  mondo,  ove  corriamo,  have  abitante. 

25.  Risponde:  Ercole,  poich'  uccisi  i  mostri 
Ebbe  di  Libia  e  del  paese  Ispano, 

E  tutti  scorsi  e  vinti  i  lidi  a  ostri, 

Non  osò  di  tentar  1'  alto  oceano. 

Segnò   le  mete ,  e  'n  troppo  brevi  chiostri 

L'  ardir  ristrin:.e  dell'  ingegno  umano. 

Ma  quei  segni  sprezzò,  cb'  egli  prescrisse. 

Di  veder  vago  e  di  i^aper  Llisse. 

26.  Ei  passò  le  colonne ,  e  |)cr  1'  aperto 
Mare  spiegò  de'  remi  il  volo  audace: 
Ma  non  giovogli  e.^ser  neh'  onde  esperto, 
Perchè  inghiottillo  l'  oceàn  vorace, 

E  giacque  col  suo  «orpo  anco  coperto 
II  suo  gran  caso,  v.W  or  tra  voi  si  tace. 
S'  altri  ^i  fu  da'  ^cnli  a  ior/a  spinto, 
O  non  tornonne ,  u  >i  rinuuc  estinto. 

27.  Siccliè  ignoto  è  '1  gran  mar,  che  eolchi,  ignote 
Isole  mille;  e  mille  regni  asconde. 
Né  già  d'  abit.itor  \c  terre  bau  vote; 
Ma  son  come   le   '\(>.-lre  anco  feconde. 
Son  esse  atte  al  produr ,   nò  sterii  piiote 
Esser  ipudla  ^irtù,  die  'I  sol  v'  infonde. 
Ki|>iglia   |I|ial(lo  allor:  dd  mondo  occulto 
Dimmi ,  qiiai  son  le  leggi  ,  e  quali;  il  culto  ? 

28.  (ìli  soggiunse  colei:  diverse  bando 
Diver-i  bau  riti ,  ed  abiti  ,  e    favello. 
Altri  adora  le  belve,  altri   la  granilo 
Coiniiiie  iiiiidic,  il  sole  altri  e  le  stelle, 
V  è  clii  d'   ubboiiiinevolì   vi\aiide 
Le  mense  ingombra  scdbrate  e  felle. 
E  'n  Komiiia  ognun,  vhr.  in  qua  ila    ('alpe    siede, 
Barbaro  è  di  costumi ,  empio  di  lede. 


II!!] 


29.  Dunque,  a  lei  replicava  il  cavaliero, 
Quel  Dio,  che  scese  a  illuminar  le  carte 
A  noie  ogni  raggio  ricoprir  del  vero 

A  questa  ,  che  del  mondo  è  sì  gran  parte  ? 
No,  rispose  ella;   anzi  la  fé  di  Piero 
Fiiivi  introdotta ,  ed  ogni  civil'  arte. 
Né  già  sempre  sarà,  che  la  via  lunga 
Questi  da'  vostri  popoli  disgiunga. 

30.  Tempo  verrà,  che  fian  d'  Ercole  ì  segni 
Favola  vile  ai   naviganti  industri, 

E  i  mar  riposti ,  or  senza  nome ,  e  i  regni 
Ignoti  ancor ,  tra  voi  saranno  illustri. 
Fia,  che  'l  più  ardito  allor  di  tutti  i  legni, 
Quanto  circonda  il  mar,  circondi  e  lustri, 
E  la  terra  misuri ,  immensa  mole, 
Vittorioso  ed  emulo  del  sole. 

31.  Un  uom  della  Liguria  avrà  ardimento 
All'  incognito  corso  esporsi  in  prima; 
Nò  '1  minaccevol  fremito  del  vento, 

Né  r  inospito  mar,  né  '1  dubbio  clima, 
Né  s'  altro  di  periglio,  o  di  spavento 
Più  grave  e  formidabile  or  si  stima, 
Faran ,  che  '1  generoso  entro  ai  divieti 
D'  Abila  angusti  1'  alta  mente  acqueti. 

32.  Tu  spiegherai ,  Colombo ,  a  un  novo  polo 
Lontano  si  le  fortunate  antenne, 

Cli'  appena  seguirà  con   gli  occbj  il  volo 
La  fama,  eh'  ba  mille  occbj  e  mille  penne. 
(Jaiiti  ella  Alcide  e  Bacco  ,  e  di  te  solo 
Basti  a'  posteri  inoi ,  di'  alquanto  accenne  ! 
Cbé  quel  (xico  darà  lunga  memoria 
Di  poema  dignis^ima,  e  d'  istoria. 

33.  Così  dice  ella;  e  per  1'  ondose  strade 
Corre  al  ponente,  e  piega  al  mezzogiorno, 
E  vede,  come  incontra  il  sol  giù  cade, 

E  come  a  tergo  lor  rinasce  il  giorno. 
E  quando  appunto  i  raggi  e  le  rugiade 
La  bella  aurora  semiiuna  intorno, 
Lor  s'  ofl'rì  dì  lontano  oscuro  un  monte. 
Che  tra  le  nubi  nascondea  la  fronte. 

31.      E  'I  vedean  jjoscia  procedendo  avante, 
Quando  ogni  iimol  già  n'  era  rimusso, 
Alle  acute  piramidi  sembiante, 
Sottile  inver  la  cima,  e  'ii  mezzo  grosso, 
E  mostrarsi  talor  così  fumante. 
Come  quel ,  die  d'   tncdado  è  sul  dosso. 
Clic  per  propria  natura  il  giorno  fuma, 
E  poi  la  notte  il  ciel  di  fiamme  alluma. 

35.     Ecco  altre  isole  insieme ,  altre  pendici 
Scopriano  alfin  men  erte  ed  devate: 
Ed  eran  questi'  V  ÌM>le  felici. 
Così  le  nominò  la  p^i^ca  etate. 
A  cui  tanto    sliiiiaxa  i   cidi  amici, 
CAìi'  cri'dca  volont.irie  e  non  arate 
Qiii>i  produr  le  terre,   e  ''n  più  graditi 
Frutti  non  eulte  germogliar  le  viti. 

30.      (^iii  non  fallaci  mai  fiorir  gli  olivi, 
E    1  mei  ilicea   stillar  dall'  elei  cave, 
E  scender  giù  da  lor  monliigne  i  rivi 
('oli  acque  dolci  e  mormorio  soave, 
E  zefiri  e  rugiade  i  raggi  estivi 
Teiiiprar>i  sì,   die  nullo  ardor  v'  è  grave; 
E  qui  gli  disj  campi,  e  lo  famose 
Stanze  delle  beate  animo  pose. 

12 


[179] 


GERUSALEMME  LIBERATA.  (XV.  37-52) 


[180 


37.  A  queste  or  vien  la  donna;  ed  ornai  siete 
Dal  fin  del  corso,  lor  dicea,  non  lunge. 
L'  isole  di  fortuna  ora  vedete, 
Di  cui  gran  fama  a  voi,  ma  incerta,  giunge. 
Ben  sono  elle  feconde,  e  vaglie,  e  liete, 
Ma  pur  molto  di  falso  al  ver  s'  aggiunge. 
Così  parlando,  assai  presso  si  fece 
A  quella,  che  la  prima  è  delle  diece. 

38.  Cario  incomincia  allor:  se  ciò  concede, 
Donna,  quell'  alta  impresa,   ove  ci  guidi, 
Lasciami  ornai  por  nella  terra  il  piede, 
E  veder  questi  inconosciuti  lidi. 
Veder  le  genti,  e  '1  culto  di  lor  fede, 
E  tutto  quello ,  ond'  uora  saggio  m'  invidi, 
Quando  mi  gioverà  narrare  altrui 
Le  novità  vedute ,  e  dire  :  io  fui  ! 

39.  Gli  rispose  colei:  ben  degna  in  vero 
•  La  domanda  è  di  te  ;  ma  che  poss'  io, 

S'  egli  osta  inviolahile  e  severo 

Il  decreto  de'  cieli  al  bel  desio? 

Che  ancor  volto  non  è  lo  spazio  intero, 

Ch'  al  grande  scoprimento  ha  fisso  Dio; 

Kè  lece  a  voi  dall'  oceàn  profondo 

Recar  vera  notizia  al  vostro  mondo. 

40.  A  voi  per  grazia,  e  sovra  1'  a.-te  e  l'  uso 
De'  naviganti,  ir  per  quest'  acque  è  dato, 

E  scender  là,  dove  è  il  guerrier  rinchiuso, 
E  ridurlo  del  mondo  all'  altro  lato. 
Tanto  vi  basti!  e  1'  aspirar  più  suso 
Superbir  fora,  e  calcitrar  col  fato. 
Qui  tacque:  e  già  parca  più  bassa  farsi 
L'  isola  prima,  e  la  seconda  alzarsi. 

il.     Ella  mostrando  già,  eh'  all'  oriente 
Tutte  con  ordin  lungo  eran  dirette, 
E  che  largo  è  fra  lor  quasi  egualmente 
Quello  spazio  di  mar,  che  si  frammette^ 
Fonsi  veder  d'  abitatrice  gente 
Case  e  culture,  ed  altri  segni  in  sette; 
Tre  deserte  ne  sono  ;  e  v'  han  le  belve 
Securissiraa  tana  in  monti  e  in  selve. 

42.  Luogo  è  in  una  dell'  erme  assai  riposto, 
Ove  si  curva  il  lido,  e  in  fuori  stende 
Due  lunghe  corna,  e  fra  lor  tiene  ascosto 
Un  ampio  seno,  e  porto  un  scoglio  rende, 

Ch'  a  lui  la  fronte,  e  '1  tergo  all'  onda  ha  opposto, 
Che  vien  dall'  alto,  e  la  respinge  e  fende. 
S'  innalzan  quinci   e  quindi ,  e  torreggianti 
Fan  due  gran  rupi  segno  a'  naviganti. 

43.  Tacciono  sotto  i  mar  securi  in  pace; 
Sovra  Iia  di  negre  selve  opaca  scena, 
E  'n  mezzo  d'  esse  una  spelonca  giace 

ÌV  edere,  e  d'  ombre,  e  di   dolci   acque   amena. 
Fune  non  lega  qui,  nò  col  tenace 
!Morso  le  stanche  navi  àncora  frena. 
La  donna  in  sì  solinga  e  queta  parte 
Entrava,  e  raccogtiea  le  vele  sparte. 

ìì.     Mirate,  disse  poi,  quell'  alta  mole. 
Che  di  quel  monte  in  sulla  cima  siede! 
Quivi  fra  ci!)i,  ed  ozio,  e  scherzi,  e  fole 
'j'orpc  il  canipioii  della  crititiana  fede. 
Voi  con  la  giiidii  del  nascente  sole 
Su  per  (ludi'  erto  mr)veretc  il  |)icile. 
Kè  vi  gravi  il  tanhir!  perocché  fora. 
Se  non  la  mattutina,  infausta  ogni  ora. 


45.      Ben  col  lume  del  di,  eh'  anco  riluce, 
lusino  al  monte  andar  per  voi  potrassi. 
Essi  al  congedo  della  nubil  duce 
Foser  nel  lido  desiato  i  passi, 
E  ritrovar  la  via,  eh'  a  lui  conduce, 
Agevol  sì,  che  i  piò  non  ne  fur  lassi, 
E  quando  v'  arrivar ,  dall'  oceano 
Era  il  carro  di  Febo  anco  lontano. 

i3.      Veggion,  che  per  dirupi  e  fra  ruine 
S'  ascende  alla  sua  cima  alta  e  superba, 
E  eh'  è  fin  là  di  nevi  e  di  pruine 
Sparsa  ogni  strada:  ivi  ha  poi  fiori  ed  erba. 
Presso  al  canuto  mento  il  verde  crine 
Frondeggia,  e  '1  ghiaccio  fede  ai  gigli  serba, 
Ed  alle  rose  tenere  :  cotanto 
Puote  sovra  natura  arte  d'  incanto! 

il.      I  duo  guerrieri  in  loco  ermo  e  selvaggio, 
Chiuso  d'  ombre ,  fermarsi  a  piò  del  monte. 
E  come  il  ciel  rigò  col  novo  raggio 
Il  sol,  dell'  aurea  luce  eterno  fonte, 
Su,  su,  gridaro  entrambi,  e  '1  lor  viaggio 
Ricominciar  con  voglie  ardite  e  pronte. 
Ma  esce ,  non  so  donde ,  e  s'  attraversa 
Fiera  serpente  orribile  e  diversa. 

48.  Innalza  d'  oro  squallido  squamose 

Le  creste  e  '1  capo,  e  gonfia  il  collo  d'  ira: 
Arde  negli  occhj  ,  e  le  vie  tutte  ascose 
Tien  sotto  il  ventre ,  e  tosco  e  fiuno  spira. 
Or  rientra  in  sé  stessa,  or  le  nodose 
Rote  distende,  e  so  dopo  sé  tira. 
Tal  s'  appresenta  alla  solita  guarda, 
Kò  però  de'  guerrieri  i  passi  tarda. 

49.  Già  Carlo  il  ferro  stringe,  e  '1  serpe  assale 
Ma  r  altro  grida  a  lui:  che  fai.''  che  tente? 
Per  isforzo  di  man ,  con  arme  tale 

Vìncer  avvisi  il  difensor  serpente? 
Egli  scote  la  verga  aurea  immortale. 
Sicché  la  belva  il  sibilar  ne  sente, 
E  impaurita  al  suon ,  fuggendo  ratta, 
Lascia  quel  varco  libero,  e  s'  appiatta. 

50.  Più  suso  alquanto  il  passo  a  lor  contende 
Fero  leon ,  che  rugge ,  e  torvo  guata, 

E  i  velli  arrizza,  e  le  caverne  orrende 

Della  bocca  vorace  apre  e  dilata. 

Si  sferza  con  la  coda,  e  l'  ire  accende; 

Ma  non  è  pria  la  verga  a  lui  mosti'ata, 

Ch'  un  secreto  spavento  al  cor  gli  agghiaccia 

Ogni  nativo  ardire,  e  'n  fuga  il  caccia, 

51.  Segue  la  coppia  il  suo  cammin  veloce; 
Ma  formidabile  oste  han  già  d'  avantc 
Di  guerrieri  animai ,  varj  di  voce, 

Varj  di  moto,  e  varj  di  sembiante. 

Ciò  che  di  mostruoso  e  di  feroce 

Erra  fra  i  Nilo  e  i  termini  d'  Atlante, 

Par  qui  tutto  raccolto  ,  e  quante  belve 

L'  Ercinia  ha  in  sen,  quante  l'  ircane  selve. 

52.  Ma  pur  sì  fero  esercito  e  sì  grosso 
Non  vien,  che  lor  respinga,  o  lor  resista; 
Anzi  (miraool  novo!)  ia  fuga  è  mosso 

Da  un  picciol  fischio  e  da  una  breve  vista. 
La  coppia  oniai  vittoriosa  il  dosso 
Della  montagna  senza  intoppo  acquista; 
S(;  non  se  inquanto  il  gelido  e  l'  alpino 
Delle  rigide  vie  tarda  il  cammino. 


[181] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (XV.  53— 6S) 


[182-: 


53.  Ma ,  poiché  già  le  nevi  ebber  varcate, 
E  superato  il  discosceso  e  1'  erto, 

Un  bel  tepido  ciel  di  dolce  state 

Ti'ovaro  ,   e  '1  pian  sul  monte  ampio   ed   aperto. 

Aure  fresche  maiscmpre ,  ed  odorate 

Vi  spiran  con  tenor  stabile  e  certo: 

Ne  i  fiati  lor,  siccome  altrove  suole, 

Sopisce  o  desta  ivi  girando  il  sole. 

54.  Kè ,  come  altrove  ci  suol ,  ghiacci  ed  ardori. 
Nubi  e  sereni,  a  quelle  piagge  alterna, 

Ma  il  ciel  di  candidissimi  splendori 

Sempre  s'  ammanta,  e  non  s'  infiamma,  o  verna, 

E  nutre  ai  prati  1'  erba,  all'  erba  i  fiori, 

Ai  fior  r  odor ,  i'  ombra  alle  piante  eterna. 

Siede  sul  lago,  e  signoreggia  intorno 

I  monti  e  i  mari  il  bel  palagio  adorno. 

55.  I  cavalier  per  1'  alta  aspra  salita 
Sentiansi  alquanto  affaticati  e  lassi; 
Onde  ne  gian  per  quella  via  fiorita, 
Lenti  or  movendo  ed  or  fermando  i  passi, 
Quando  ecco  un  fonte,  che  a  bagnar  gì'  invita 
Le  asciutte  labbra,  alto  cader  da'  sassi, 

E  da  una  larga  vena,  e  con  ben  mille 
Zampilletti  spruzzar  1'  erba  di  stille* 

56.  Ma  tutta  insieme  poi  tra  verdi  sponde 
In  profondo  canal  l'  acqua  s'  aduna, 

E  sotto  r  ombra  di  perpetue  fronde 
Mormorando  sen  va  gelida  e  bruna, 
Ma  trasparente  si ,  che  non  asconde 
Dell'  imo  letto  suo  vaghezza  alcuna: 
E  sovra  le  sue  rive  alta  s'  estolle 
L'  erbetta,  e  vi  fa  seggio  fresco  e  molle. 

57.  Ecco  il  fonte  del  riso,  ed  ecco  il  rio. 
Che  mortali  perigli  in  se  contiene. 
Dissero  ;  or  qui  frenar  nostro  desio,  ^ 
Ed  esser  cauti  molto ,  a  noi  conviene. 
Chiudiam  l'  orecchio  al  dolce  canto  e  rio 
Di  queste  del  piacer  false  sirene! 

Cosi  n'  andar  sin  dove  il  fiume  vago 

Si  spande  in  maggior  letto,  e  forma  un  Iago. 

58.  Quivi  di  cibi  preziosa  e  cara 
Apprestata  è  una  mensa  in  sulle  rive; 

E  scherzando  sen  van  per  l'  acqua  chiara 

Due  donzcllette  garrule  e  lascive, 

Clì'  or  ti  spruzzano  il  volto ,  or  fanno  a  gara. 

Chi  prima  a  un  segno  destinato  arrive. 

Si  tulVano  talora ,  e  '1  capo  e  'I  dorso 

Scoprono  aUìn  dopo  il  celato  corso. 

5!).      Mosscr  le  natatrici  ignude  e  belle 
De'  duo  guerrieri  alquanto  i  duri  petti, 
Sicché  feriniuvi  a  riguardarle:  ed  elle 
Soguian  pur(!  i  lor  giochi  e  i  lor  diletti. 
Una  intanto  drizzossi ,  e   le  mammelle, 
!•;  tutto  ciò,  che  più  la  vista  alletti. 
Mostrò  dal  seno  in  6^I^o  aperto  al  cielo, 
E  'l  lago  air  altre  membra  era  un  bel  volo. 


CO.     Qual  mattutina  stella  esce  dell'  onde 
Rugiadosa  e  stillante;  o  come  fuore 
Spuntò  nascendo  già  dalle  feconde 
Spume  dell'  oceàn  la  dea  d'  amore: 
Tal  apparve  costei  ;  tal  le  sue  bionde 
Chiome  stillavan  cristallino  umore. 
Poi  girò  gli  occhj ,  e  pur  allor  s'  infinse 
Que'  duo  vedere,  e  in  sé  tutta  si  strinse: 

61.  E  'l  crin ,  che  'n  cima  al  capo  avea  raccolto 
In  un  sol  nodo ,  immantinente  sciolse, 

Che  lunghissimo  in  giù  cadendo ,  e  folto, 
D'  un  aureo  manto  i  molli  avorj  invole^e. 
Oh  che  vago  spettacolo  è  lor  tolto  ! 
Ma  non  mcn  vago  fu  chi  loro  il  tolse. 
Cosi  dall'  acque  e  da'  capelli  ascosa 
Allor  si  volse  lieta  e  vergognosa. 

62.  Rideva  insieme,  e  insieme  ella  arrossla. 
Ed  era  nel  rossor  più  bello  il  riso, 

E  nel  riso  il  rossor,  che  le  copria 
Insino  al  mento  il  delicato  viso. 
Poscia  la  voce  mansueta  e  pia 
Mosse,  che  parve  suon  di  paradiso; 
Oh  fortunati  peregrin ,  cui  lice 
Giungere  in  questa  sede  alma  e  felice! 

63.  Questo  è  il  porto  del  mondo,  e  qui  il  ristoro 
Delle  sue  noje ,  e  quel  piacer  si  sente. 

Che  già  senti  ne'  secoli  dell'  oro 

L'  antica  e  senza  fren  libera  gente. 

L'  arme,  che  sin  a  qui  d'  uopo  vi  foro, 

Potete  omai  depor  securamente, 

E  sacrarle  in  quest'  ombra  alla  quiete; 

Che  guerrieri  qui  sol  d'  amor  sarete, 

64.  E  dolce  campo  di  battaglia  il  letto 
Fiavi,  e  1'  erbetta  morbida  de'  prati. 
Noi  nieneremvi  anzi  il  regale  aspetto 
Di  lei,  che  qui  fa  i  servi  suoi  beati, 
Che  v'   accorrà  nel  bel  numero  eletto 
Di  quei,  eh'  alle  sue  gloje  ha  destinati. 
Ma  pria  la  polve  in  queste  acque  deporre 
Vi  piaccia,  e  '1  cibo  a  quella  mensa  torre! 

65.  L'  una  disse  così  :  l'  altra  concorde 

L'  invito  accompagnò  d'  atti  e  di  sguardi. 
Siccome  al  suon  delle  canore  corde 
S'  accompagnano  i  passi  or  presti,  or  tardi. 
Ma  i  cavalieri  hanno  indurale  e  sorde 
L'  alme  a  qne"  vezzi   perfidi  e  bugiardi, 
E  '1  lusinghiero  aspetto ,  e  'l  parlar  dolco 
Di  fuor  s'  aggira ,  e  solo  i  sensi  moke. 

66.  E  se  di  tal  dolcezza  entro  trasfusa 
Parte  penetra ,  onde  il  de.-io  germoglic, 
Tosto  ragiiui  neir  armi  sue  riiidiiusa 
Sterpa  e  riseca  le  nascenti  voglie. 

L'  una  coppia  riman  ^inta  e  delu.-a, 
li'  altra  ben  va,  nr  pur  congedo  toglie. 
Essi  entrar  nel  pai. iglò;     essc  nell"  acque 
Tulfàrsi;  a  lor  ei  la  rcpuUu  spiacque. 


12  * 


[183] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (XVL  1-12) 


[lh'4^ 


CANTO     DECIMO     SESTO. 


ARGOMENTO. 

Ecco  gli  orti  (T  Jrmida  ,  ceco  sepolto 
Nelle  molli  delizie  il  garzon  forte  : 
Ma  dalP  empie  catene  eccolo  sciolto, 
Eccolo  fuor  delle  incantate  porte. 
La  maga,  onde  H  suo  ben  non  le  sia  tolto, 
Prega  ,  allctta ,  e  minaccia  in  varia  sorte, 
Ma  mdla  impetra  :  onde  da  sdegno  oppressa 
Solve  in  fumo  il  palagio ,  e  'n  duol  se  stessa. 


Tondo  è  il  ricco  ctlifizio  ,  e  nel  più  chiuso 
Greiuho  di  lui,  eh'  è  quasi  centro  al  giro, 
Un  giardin  v'  ha ,  eh'  adorno  e  sovra  V  uso 
Di  quanti  più  fiiiuo?^!  nnqua  futriro. 
D'  intorno  inosservabile  e  confuso 
Ordii!  di  lon^g-e  i  demon  fal>bri  ordirò, 
E,  tra  le  oÌ)ltliqne  vie  di  quel  fallace 
Uavvol^imento  iinpeneLrabil  giace. 

Per  r  entrata  maggior  (perocché  cento 
L'  ampio  albergo  n'  avca)  passar  costoro. 
Le  porte  qui  d'  cirigiato  argento 
Sui  cardini  stridean  di  lucid'  oro. 
Fermar  nelle  figure  il  guardo  intento  ; 
Che  vinta  la  materia  è  dal  lavoro. 
Manca  il  parlar:  di  vivo  altro  non  chiedi: 
Kè  manca  questo  ancor,  se  agli  occhj  credi. 

Mirasi  qui  fra  le  meonie  ancelle 
Favoleggiar  con  la  conocchia  Alcide. 
Se  r  inferno  espugnò,  resse  le  stelle. 
Or  ttirce  il  fuso;  Amor  sei  guarda,  e  ride. 
IMira-i  Iole  con  la  destra  imbelle 
Per  ischerno  trattar  l'  armi  (»micìde  ; 
E    n  do-so  ha  il  cuojo  del  leou,  che  sembra 
llu^ìdo  troppo  a  si  tenere  membra. 

i.      1)'  inrontro  è  un  mare,  e  di  canuto  Hutto 
Vedi  spumanti  i  suoi  cerulei  campi. 
Vedi  nel  mezzo  un  doppio  ordine  instrutto 
Di  na\i  e  d'  arme,  e  uscir  dell'  arme  i  lambii. 
D'  oro  fiammeggia  1'  onda,  e  par  che  tutto 
D'  incendio  mar/ial  Lineate  avvampi. 
Quinci  Augusto  i  Romani,  Antonio  quindi 
Trac  1'   Oriente,  Egizj  ,  Arabi,  ed  Indi. 

».     Svelte  nuotar  le  Cidadi  diresti 
Per  r  onde,  e  i  monti  co'  gran  monti  urtar<i  : 
L'   impelo  è  tanto,  onde;  quei  ^anno,  e  questi 
Co'  legni   tfirreggianti   ad  incontrar>i. 
(fili  volar  f.ici  e  dardi,  e  già  funesti 
Vedi  dì  nova  strage  i  mari  sparri. 
Ecco  (  nò  jiiinto  ancor  la  pugna  inchina) 
Ecco  fuggir  la  barbara  rcina. 


6      E  fugge  Antonio,  e  lasciar  può  la  speme 
Dell'  ìniperio  del  mondo ,  ov'  egli  aspira. 
Non  fugge  no  ;  non  teme  il  fier ,  non  teme, 
3Ia  segue  lei,  che  fugge  e  seco  il  tira. 
Vedresti  lui ,  simile  ad  uom,   che  freme 
D'  amore  a  un  tempo  e  di  vergogna  e  d*  ira, 
Mirar  alternamente  or  la  crudele 
Pugna,  eh'  è  in  dubbio,  or  le  fuggenti  vele. 

7.  Nelle  latebre  poi  del  Nilo  accolto 
Attender  pare  in  grembo  a  lei  la  morte, 
E  nel  piacer  d'  un  bel  leggiadro  volto 
Sembra,  che  '1  duro  fato  egli  conforte. 
Di  cotai  segni  variato  e  scolto 

Era  il  metallo  delle  regie  porte. 

I  duo  guerrier ,  poiché  dal  Aago  obhietto 
Rivolser  gli  occhj ,  entrar  nel  dubbio  tetto. 

8.  Qual  Meandro  fra  rive  obblique  e  incerte 
Scherza ,  e  con  dubbio  corso  or  cala ,  or   mont 
Queste  acque  ai  fonti,  e  quelle  al  mar  convert< 
E,  mentre  ei  vien ,  sé,  che  ritorna,  affronta, 
Tali,  e  più  inestricabili  conserte 

Son  queste  vie  :  ma  il  libro  in  sé  le  impronta, 

II  libro,  don  del  mago,  e  desse  in  modo 
Parla ,  che  le  risolve,  e  spiega  il  nodo. 

9.  Poiclié  lasciar  gli  avviluppati  calli. 
Li  lieto  aspetto  il  bel  giardin  s'  aperse. 
Acque  stagnanti,  mobili  cristalli. 

Fior  varj  e  varie  piante,  erbe  diverse, 

Apriche  collinette,  ombrose  valli. 

Selve  e  spelonche  in  una  vista  offerse  : 

E ,  quel  che  '1  bello  e  '1  caro  accresce  all'  opn 

L'  arte,  che  tutto  fa,  nulla  si  scopre. 

10.  Stimi  (sì  misto  il  culto  è  col  negletto) 
Sol  naturali  e  gli  ornamenti  e  i  siti. 

Di  natura  arte  par ,  che  per  diletto 

L'  imitatrice  sua  scherzando  imiti. 

L'  aura,  non  eh'  altro,  è  della  maga  effetto: 

L'  aura,  che  rende  gli  alberi  fioriti. 

Co'  fiori  eterni  eterno  il  frutto  dura. 

E ,  mentre  spunta  1'  un ,  I'  altro  nnitura. 

11.  Nel  tronco  istesso,  e  tra  1'  istessa  foglia 
Sovra  il  nascente  fico  in\ecchia  il  fiio. 
l'elidono  a  un  ramo,  un  con  dorata  spoglia, 
L'  altro  con  verde,  il  novo,  e  '1  pomo  antico. 
Lussureggiante  serpe  alto  e  germoglia 

lia  torta  Aite,   ov'   è  più  1'  <uto  aprico: 

Qui  r  uva  ha  in  fiori  acerba,  e  qui  d'  or  1'  hav( 

E  di  piropo,  e  già  dì  nettar  grave. 

12.  Vezzosi  augelli  infra  le  verdi  fronde 
'l'emprauo  a  piova  lascivette  note. 
Mormora  1'  aura  ,  e  fa  le  foglie  e  1'  onde 
Garrir,  die  variamente  ella  percuote. 
Quando  taccion  gli  augelli,  allo  risponde; 
Quando  cantan  gli  aiigei ,  più  lieve  scote. 
Sia  caso,  od  arte,  or  accompagna,  ed  orli 
Alterna  i  versi  lor  la  musica  ora. 


[185] 


GERUSALEMME  LIBERATA.  (XVL  13—28) 


[186] 


13.     Vola  fra  gli   aldi   nn  ,  che  le  piume  ha  sparto 
Di  color  varj  ,  ed  ha  purpureo  il  rostro, 
E  lingua  snoda  in  guisa  larga,  e  parte 
La  voce  sì,   eh'  assembra  il  serinon  nostro. 
Questo  ivi  allor  continuò  con  arte 

L      Tanto  il  parlar,  che  fu  niirabil  mostro. 

"      Tacquero  gli  altri  ad  ascoltarlo  intenti, 
E  fermaro  i  susurri  in  aria  i  venti, 

U.      Dell  mira ,  egli  cantò ,  spuntar  la  rosa 
Dal  verde  suo  modesta  e  verginella, 
Che  mezzo  aperta  ancora ,  e  mezzo  ascosa, 
Quanto  si  mostra  men ,  tanto  è  più  bella. 
Ecco  poi  nudo  il  sen  già  baldanzosa 
Di>|)iega:  ecco  poi  langue ,  e  non  par  quella; 
Quella  non  par,  che  desiata  avanti 
Fu  da  mille  donzelle  e  mille  amanti. 

15.  Cosi  trapassa  al  trapassar  d'  un  giorno 
Della  vita  mortale  il  fiore  e  "I  verde: 
j\è  ,  perchè  faccia  indietro  a|)ril  ritorno, 
Si  rinfiora  ella  mai ,  nò  si  rinverde. 
Cogliam  la  rosa  in  sul  mattino  adorno 
Di  questo  (U,  che  tosto  il  scren  perde! 
Cogliam  d'  amor  la  rosa  !  amiamo  or,  quando 
Esser  si  puote  riamato  amando  ! 

16.  Tacque:  e  concorde  degli  augelli  il  coro 
Quasi  approA  andò ,  il  <;anto  indi  ripiglia. 
Kaddoppian  le  colombe  i  baci  loro, 

Ogni  animai  d'  amar  si  riconsiglia. 

Par,  che  la  dura  quercia  e  '1  casto  alloro, 

E  tutta  la  frondosa  ampia  famiglia, 

Par,  che  la  terra  e  T  aria  e  formi  e  spiri 

Dolcissimi  d'  amor  sensi  e  sospiri. 

17.  Fra  melodia  sì  tenera ,  e  fra  tante 
Vaghezze  allettatrici  e  lusinghiere 
Va  quella  coppia ,  e  rigida  e  costante 
Se  stessa  indura  ai  vezzi  d<l  piacere. 
Ecco  tra  fronde  e  fronde  il  guardo  avante 
Penetra,  e  vede,  o  pargli  di  vedere: 
Vede  pur  certo  il   ■\ago  e  la  diletta, 

Ch'  egli  è  in  grensbo  alla  donna,  essa  all'  erbetta 

18.  Ella  dinanzi  al  petto  ha  il  vel  diviso, 

E  '1  crin  sparge  incompo.>to  al  vento  e>livo  ; 
Langue  per  vezzo  ,  e  '1  suo  infiauunato  viso 
Fan  biancheggiando   i   bei  >o(lor  più   livo. 
Qnal  raggio  in  onda  ,  le  si  intilla  un  riso 
]\egli  umi<li  oim:Iij   tremulo  e  las('i>o. 
Sovra  lui  pende  ,  ed   ei   nel  gi-cmlxi  molle 
Le  posa  il  capo,  e  '1  volto  ai  \<dlo  atlolle, 

19.  E,   ì  f<iiiielici  sguardi  avidametile 

In  lei  pascendo  ,  >i  <'on«nmii  e  .-«truggc. 

S'  inchina,   e  i   duici  baci  cll.i  so\cntc 

]>ib<t  or  dagli  oc(  lij ,   e  dalle  Libbra  or  guggc: 

Kd   in   )|uel   punto  ei  so<piri>r  si  ^elUe 

l'cofondo  >ì  .  chi;  pi-n>i  :   or  1'  alma  l'ugge, 

E    II  lei  lrupa>.''a  peregrina.  Ascotii 

.■Mirano  i  duo  gueiricr  gli  atti  aiiioiosi. 

H).      Dal  fianci»  dell'  amaiilc,  (■>(raiiio  arnese, 
l'ii  crinlallo  pendea  Indilo  e  netto. 
Soreie,  e  quel  fra  le   mani  a  Ini  >iispe.-<c 
Ai   iiiiyti'rj  li'  amor  iiiini>tro  eletto, 
(^m   luci  cibi  ridenti,  ei  con   accese, 
Mirano  in   \nrj   oggetti  mi  solo  oggetto. 
Ella  del  \etro   a  m-  la  specchio,  ed  egli 
(ili  occlij  di  lei  sereni  a  bè  la  spegli. 


21.  L'  uno  di  servitù,  1'  altra  d'  impero 

Si  gloria;  ella  in  sé  stessa,  ed  egli  in  lei. 

Volgi,  dicea,  deh  volgi,  il  cavaliero, 

A  me  quegli  occbj,   onde  beata  bei! 

Che  son,  se  tu  noi  «ai,  ritratto  vero 

Delle  bellezze  tue  gì'  incendj  miei. 

La  forma  lor ,    le  meraviglie  appieno, 

Più  che  '1  cristallo  tuo,  mostra  il  mio  seno. 

22.  Deh,  poiché  sdegni  me,  eom'  egli  è  vago. 
Mirar  tu  almen  potessi  il  proprio  volto  ! 
Che  '1  guardo  tuo,  eh'  altrove  non  è  pago, 
Gioirebbe  felice  in  ?è  rivolto. 

jNon  può  specchio  ritrar  sì  dolce  immagn  ; 
Kè  in  picciol  vetro  è  un  paradiso  accolto. 
Specchio  t'  è  degno  il  cielo,  e  nelle  stelle 
Puoi  riguardar  le  tue  sembianze  belle. 

23.  Ride  Armida  a  quel  dir:  ma  non  che  cesse 
Dal  vagheggiarsi ,  o  da'  suoi  bei  lavori. 
Poiché  intrecciò  le  chiome,  e  che  ripresse 
Con  ordii!  vago  i  lor  lascivi  errori, 

Torse  in  anella  i  crin  minuti,  e  in  esse. 
Quasi  smalto  siili'  or,     consparse  i  fiori, 
E  nel  bel  sen  le  peregrine  rose 
Giunse  ai  nativi  gigli ,  e  'l  vel  compose. 

24.  ì\è  '1  superbo  pavon  sì  vago  in  mostra 
Spiega  la  pompa  delle  occhiute  piume; 
Kè  r  Iride  sì  bella  indora  e  inostra 

11  curvo  grembo  e  rugiadoso  al  lume. 
Ma.  bel  sovra  ogni  fregio  il  cinto  mo^tra, 
Che  neppur  nuda  ha  di  lasciar  costume. 
Die'  corpo  a  chi  non  1"  ebbe,  e  quando  il  fece. 
Tempre  mifchiò,  eh'  altrui  mescer  non  lece. 

25.  Teneri  sdegni  ,  e  placide  e  tranquille 
Repulse,   e  cari  vezzi ,  e  liete  paci. 
Sorrisi,  parolette,  e  dolci  stille 

Di  pianto,   e  sospir  tronchi,  e  molli  baci. 

Fuse  tai  cose  tutte,  e  poscia  uiiillc, 

Ed  al  foco  temprò  di  lente  faci, 

E  ne  formò  quel  ^ì  mirabil  cinto, 

Di  eh'  ella  aveva  il  bel  fianco  succinto. 

26.  Fine  alfin  posto  al  vagheggiar,  richiede 
A  lui  commiato,  e  'l  bacia  e  si  diparte. 
Ella  per  uso  il  dì  n'  esce,  e  rivede 

Gli  all'ari  suoi ,  le  sue  magiche   carte. 
Egli  riman;  cliè  a  lui  nmi  si   concede 
l'or  orma ,  o  trar  momento  in  altra  parte, 
E  tra  le  fere  ^pazia  e  tra  le  piante. 
Se  non  quanto  è  con  lei ,  romito  amante. 

27.  Ma  quando  1"  ombra  co'  siicn/j  amici 
Rappella  ai  furti  lor  gli  amanti  accorti, 
Traggmio  le  notturne  ore  Iclici 

Sotto   un  tetto  medesmo  entro  a  quegli  orti. 
Or,  poiché  volta  a  più  sederi  iilllci 
Lasciò  Armida  il  giardino  e  i  suoi  diporti, 
1  duo,  che  tra  i  ce.-pugli  er.m  celati. 
Scoprirsi  a  lui  pomposamente  armati. 

28.  Qual   feroce  ile>(rier,   ih"   al   f.iticOriO 
Onor  dell'   arme   ^ìncilor  sia   tolto, 

V,   lascilo  marito  in   \il   riposo 

Fra  gli  armenti  e  ne'  pasrhi  erri  discioltn. 

Se    1  de.'>ta  o  siion  di  tromlia  ,  o   luminoso 

.Xceinr ,  colli  to<lo  annitrendo  è  volto. 

(l'i.i  già  brama  l'  arringo,  e  1'  iioiii  »ul  dorso 

Portando,  urtalo  riurtar  nel  corso: 


[18TJ 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XVL  29— «) 


[188J 


29.  Tal  si  fece  il  garzon,  quando  repente 
Dell'  arme  il  lampo  gli  occhj  suoi  percosse. 
Quel  sì  guerrier,  quel  sì  feroce  ardente 
Suo  spirto  a  quel  fulgor  tutto  si  scosse. 
Benché  tra  gli  atti  morbidi  languente, 

E  tra  ì  piaceri  ebbro  e  sopito  ei  fosse. 
Intanto  Ubaldo  oltra  ne  viene  ,  e  'l  terso 
Adamantino  scudo  ha  in  lui  converso. 

30.  Egli  al  lucido  scudo  il  guardo  gira, 
Onde  *i  specchia  in  lui,   qual  siasi,  e  quanto 
Con  delicato  culto  adorno  ;  spira 

Tutto  odori  e  lascivie  il  crin  e  '1  manto  ; 
E  'l  ferro,  il  ferro  aver,  non  eh'  altro,   mira 
Dal  troppo  lusso  effeminato  accanto; 
Guernito  è  sì ,  eh'  inutile  ornamento 
Sembra,  non  militar  fero  instrumento. 

31.  Qual  uom  da  cupo  e  grave  sonno  oppresso 
Dopo  vaneggiar  lungo  in  sé  riviene, 

Tale  ei  tornò  nel  rimirar  sé  stesso. 
Ma  sé  stesso  mirar  gicà  non  sostiene. 
Giù  cala  il  guardo,  e  timido  e  dimesso 
Guardando  a  terra  la  vergogna  il  tiene. 
Si  chiuderebbe  sotto  il  mare,  e  dentro 
Il  foco,  per  celarsi,  e  giù  nel  centro. 

82.      Ubaldo  incominciò  parlando  allora  : 

Va  r  Asia  tutta,  e  va  1'  Europa  in  guerra. 
Cliiunque  pregio  brama,  e  Cristo  adora, 
Travaglia  in  arme  or  nella  siria  terra. 
Te  solo  ,  oh  figlio  di  Bertoldo ,  fnora 
Del  mondo  in  ozio  un  breve  angolo  serra; 
Te  sol  dell'  universo  il  moto  nulla 
Move,  egregio  campion  d'  una  fanciulla. 

33.  Qual  sonno,  o  qual  letargo  ha  sì  sopita 
La  tua  virtude.^  o  qual  viltà  1'  alletta.^ 

Su ,  su  !  te  il  campo ,  e  te  Goffredo  invita  ; 
Te  la  fortuna  e  la  vittoria  aspetta. 
Vieni,  oh  fatai  guerriero,  e  sia  fornita 
La  ben  comincia  impresa;  e  l'  empia  setta, 
Che  già  crollasti,  a  teria  estinta  cada 
Sotto  l'  inevitabile  tua  spada! 

34.  Tacque  :  e'  1  nobil  garzon  restò  per  poco 
Spazio  confuso,  e  senza  moto  e  voce; 
Ma.  poiché  die'  vergogna  a  sdegno  loco, 
Sdegno  guerrier  della  ragion  feroce, 

E  clie  al  rossor  del  volto  un  novo  foco 
Successe,  che  più  avvampa,  e  che  più  cocc, 
Squarciossi  i  vani  fregi ,  e  quelle  indegne 
Pompe,  di  servitù  misere  insegne, 

35.  Ed  affrettò  il  partire,  e  della  torta 
Confusione  uscì  del  laberinto. 
Intanto  Armida  della  regal  porta 
Mirò  giacere  il  fier  custode  estinto. 
So-peltò  prima,  e  si  fu  poscia  accorta, 
Ch"  era  il  suo  caro  al  dipartirsi  accinto; 

E  '1  vide  (ahi  fera  vista!)  al  dolce  albergo 
Dar  frettoloso  fuggitivo  il  tergo. 

30.      Volea  gridar:  dove,  oh  crudel,  me  sola 
Lasci .-  ma  il  varco  al  suon  chiuse  il  dolore, 
Sicché  tornò  la  llebile  parola 
Più  amara  indietro  a  rimbombar  sul  core. 
Misera,  i  suoi  diletti  ora  le  invola 
Forza,  e  saper  del  suo  saper  maggiore. 
Ella  sei  vede,  e  invan  pur  s'  argomenta 
Di  ritenerlo,  e  1'  urti  buo  ritenta. 


37.  Quante  mormorò  mai  profane  note 
Tessala  maga  con  la  bocca  immonda, 
Ciò  eh'  arrestar  può  le  celesti  rote, 

E  r  ombre  trar  della  prigion  profonda, 
Sapea  ben  tutto:  eppur  oprar  non  puote, 
Ch'  almen  1'  inferno  al  suo  parlar  risponda. 
Lascia  gì'  incanti,  e  vuol  provar,  se  vaga 
E  supplice  beltà  sia  miglior  maga. 

38.  Corre ,  e  non  ha  d'  onor  cura ,  o  ritegno. 
Ahi!  dove  or  sono  i  suoi  trionG  e  i  vanti.* 
Costei  d'  Amor,  quanto  egli  è  grande,  il  regno 
Volse  e  rivolse  sol  col  cenno  avanti; 

E  cosi  pari   al  fasto  ebbe  lo  sdegno, 
Ch'  amò  d'  essere  amata,  odiò  gli  amanti: 
Sé  gradì  sola,  e  fuor  di  sé  in  altrui 
Sol  qualche  effetto  de'  begli  occhj  sui. 

39.  Or  negletta  e  schernita ,  e  in  abI)andono 
Riraasa,  segue  pur  chi  fugge  e  sprezza, 

E  procura  adornar  co'  pianti  il  dono 
Rifiutato  per  sé  di  sua  bellezza. 
Vassene,  ed  al  pie  tenero  non  sono 
Quel  gelo  intoppo ,  e  quell'  alpina  asprezza. 
E  invia  per  raessaggicr  innanzi  i  gridi; 
Ké  giunge  lui,  priach'  ei  sia  giunto  ai  lidi. 

40.  Forsennata  gridava  :  oh  tu ,  che  porte 
Parte  tcco  di  me ,  parte  ne  lassi, 

O  prendi  1'  una,  o  rendi  l'  altra!  o  morte 
Dà  insieme  ad  ambe  !  Arresta ,  arresta  i  passi, 
Solché  ti  sian  le  voci  ultime  porte, 
Non  dico  i  baci  :  altra  più  degna  avrassi 
Questi  da  te.     Che  temi ,  empio  ,  se  resti  ? 
Potrai  negar,  poiché  fuggir  potesti. 

4L     Dissegli  Ubaldo  allor  :  già  non  conviene. 
Che  d'  aspettar  costei ,  signor ,  ricusL 
Di  beltà  armata  e  de'  suoi  preghi  or  viene 
Nel  pianto  amaro  dolcemente  infusi. 
Qual  più  forte  di  te,  se  le  sirene 
Vedendo  ed  ascoltando  a  vincer  t'  usi? 
Così  ragion  pacifica  reina 
De'  sensi  fassi,  e  se  medesraa  affina. 

42.  Allor  ristette  il  cavaliero,  ed  ella 
Sovraggiunse  anelante  e  lagrimosa. 
Dolente  sì,  che  nulla  più,  ma  bella 
Altrettanto  però ,  quanto  dogliosa. 

Lui  guarda,  e  in  lui  s'  affisa,  e  non  favella, 
O  che  sdegna ,  o  che  pensa ,  o  che  non  osa. 
Ei  lei  non  mira;  e  se  pur  mira,  il  guardo 
Volge  furtivo  e  vergognoso  e  tardo. 

43.  Qual  musico  gentil,  primachè  chiara 
Altamente  la  lingua  al  canto  snodi, 
All'  armonia  gli  animi  altrui  prepara 
Con  dolci  ricercate  in  bassi  modi. 
Così  costei,  che  nella  doglia  amara 
Già  tutte  non  obblia  1'  arti  e  le  frodi. 
Fa  di  sospir  breve  concento  in  prima. 

Per  dispor  1'  alma ,  in  cui  le  voci  imprima. 

44.  Poi  cominciò:  non  aspettar,  eh'  io  preghi, 
Crudel,  te,  come  amante  amante  deve! 

Tai  fummo  un  tempo:  or  se  tal  esser  neghi, 

E  di  ciò  la  memoria  anco  t'  è  greve, 

Ciuuc  nemico  almeno  ascolta!  i  preghi 

D'  un  nemico  talor  l'  altro  riceve. 

Ben  quel  eh'  io  chieggio  è  tal,  che  darlo  puoi 

E  integri  conservar  gli  sdegni  tuoi. 


[189] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (XVI.  45—60)  [190] 


45.  Se  m'  odj ,  e  in  ciò   diletto  alcun  tu  senti, 
Xon  ten  veng-o  a  privar;  godi  pur  d'  esso! 
Giusto  a  te  pare,  e  siasi!  Aneli'  io  le  genti 
Cristiane  odiai ,  noi  nego ,  odiai  te  stesso. 
Nacqui  pagana:  usai  varj  argomenti, 
Che  per  me  fusse  il  vostro  imperio  oppresso  : 
Te  perseguii ,  te  pi-esi  ,  e  te  lontano 
Dall'  arme  trassi  in  loco  ignoto  e  strano. 

46.  Aggiungi  a  questo  ancor  quel ,  di'  a  maggiore 
Onta  tu  rechi ,  ed  a  maggior  tuo  dauno  :  , 
T'  ingannai,  t'  allettai  nel  nostro  amore; 
Empia  lusinga  certo ,  iniquo  inganno, 
Lasciarsi  corre  il  virginal  suo  fiore, 

Far  delle  sue  bellezze  altrui  tiranno,  I 

Quelle,  che  a  mille  antichi  in  premio  sono  j 

Negate,  offrire  a  novo  amante  in  dono  !  I 

il.     Sia  questa  pur  tra  le  mie  frodi,  e  Taglia  | 

Si  di  tante  mie  colpe  in  te  il  difetto. 
Che  tu  quinci  ti  parta,  e  non  ti  caglia 
Di  questo  albergo  tuo  già  si  diietto.  ' 

Vattene,  passa  il  mar,  pugna,  travaglia,  ! 

Struggi  la  fede  nostra  !  anch'  io  t'  affretto.  ! 

Che  dico  nostra?  ah  non  più  mia:  fedele 
Sono  a  te  solo,  idolo  mio  crudele! 

48.  Solo,  eh'  io  segua  te,  mi  si  conceda!, 
Picciola  fra'  nemici  anco  richiesta. 
Non  lascia  indietro  il  predator  la  preda, 
Va  il  trionfante,  il  prigionier  non  resta. 
Me  fra  1'  altre  tue  spoglie  il  campo  veda, 
Ed  all'  altre  tue  lodi  aggiunga  questa, 
Che  la  sua  schernitrice  abìiia  schernito. 
Mostrando  me  sprezzata  ancella  a  dito! 

49.  Sprezzata  ancella,  a  chi  fo  più  conserva 
Di  questa  chioma ,   or  eh'  a  te  fatta  è  vile  ? 
Raccorcerolla :  al  titolo  di  serva 
Vo'  portamento  accompagnar  servile. 
Te  seguirò ,  quando  1'  ardor  più  ferva 
Della  battaglia ,  entro  la  turba  ostile. 
Animo  ho  bene ,  ho  ben  vigor ,  che  baste 
A  condurti  i  cavalli,  a  portar  1'  aste. 

50.  Sarò  qual  più  vorrai,  scudiero,  o  scudo: 
Non  fia  eh'  in  tua  difesa  io  mi  risparmi. 
Per  questo  sen,  per  questo  collo  ignudo, 
Priaohù  giungano  a  te,  passerau  1'  armi. 
Barbaro  forse  non  sarà  sì  crudo. 
Che  te  voglia  ferir  per  non  piagarmi, 
Condonando  il  piacer  della  vendetta 
A  questa,  qual  si  sia,  beltà  negletta. 

51.  Misera,  ancor  presumo.''  ancor  mi  vanto 
Di  schernita  beltà,  che  nulla  impetra? 
Volea  più  dir  ;  ma  1'  interruppe  il  pianto. 
Che  qual  fonte  sorgea  d'  alpina  pietra. 
Prendergli  cerca  allor  la  destra,  o  'i  manto 
Supplichevole  in  alto:  ed  ci  s'  arretra, 
Kesibtc ,  e  vìnco,  e  in  lui  tn)%a  impedita 
Amor  r  entrata,  il  lagrimar  1'  uscita. 

52.  Non  entra  amor  a  rinnovar  nel  seno. 
Che  ragion  congelò ,  la  (iauima  antica. 
V   entra  pietate  in  quella  ^t'<;«!  alnu-no, 
Pur  compagna  d'  amor,  benché  pudica, 
K  lui  couiuui^c  in  gui^a  tal,  eh'  a  freno 
Può  ritener  li^  lagrime  a  fatica. 
Pur  quel  tenero  affetto  entro  restringe, 
E,  quanto  può,  gli  atti  componi;  e  inliiigc. 


53.  Poi  le  risponde:  Armida,  assai  mi  pesa 
Di  te:  sì  potess'  io,  come  il  farei. 

Del  mal  concetto  ardor  1'  anima  accesa 
Sgombrarti.   Odj  non  son ,  né  sdegni  ,  i  miei  : 
Nò  vo'  vendetta,  nò  rammento  on'tsa. 
Né  serva  tu ,  nò  tu  nemica  sci. 
Errasti,  è  vero,  e  trapassasti  i  modi, 
Ora  gli  amori  esercitando,  or  gli  odi: 

54.  3Ia  che?  son  colpe  umane,  e  colpe  usate. 
Scuso  la  natia  legge ,  il  sesso  e  gii  anni. 
Anch'  io  parte  fallii.     S'  a  me  pietate 
Negar  non  vo',  non  fia  eh'  io  te  condanni. 
Fra  le  care  memorie  ed  onorate 

Mi  sarai  nelle  gioje,  e  negli  affanni. 

Sarò  tuo  cavalicr,  quanto  concede 

La  guerra  d'  Asia,  e  con  1'  onor  la  fede. 

55.  Deh,  che  del  fallir  nostro  or  qui  sia  il  fine, 
E  di  nostre  vergogne  omai  ti  spiaccia! 

Ed  in  questo  del  mondo  ermo  confine 
La  memoria  di  lor  sepolta  giaccia  ! 
Sola  in  Europa,  e  nelle  due  vicine 
Parti  fra  1'  opre  mie  questa  si  taccia! 
Deh  non  voler ,  che  segni  ignobil  fregio 
Tua  beltà,  tuo  valor,  tuo  sangue  regio! 

36.      Rimanti  in  pace!  i'  vado.   A  te  non  lice 
Meco  venir:  chi  mi  conduce,  il  vieta. 
Rimanti,  o  va  per  altra  via  felice, 
E  come  saggia  i  tuoi  consigli  acqueta! 
Ella ,  mentre  il  guerrier  così  le  dice. 
Non  trova  loco,  torbida,  inquieta. 
Già  buona  pezza  in  dispettosa  fronte 
Torva  il  riguarda;  alfiii  prorompe  all'  onte. 

57.  Nò  te  Sofia  produsse,  e  non  sei  nato 
Dell'  Azzio  sangue  tu  :  te  1'  onda  insana 
Del  mar  produsse,  e  "1  Caucaso  gelato, 
E  le  mamme  allattar  di  tigre  ircana- 
Che  dissimulo  io  più  ?  1'  uomo  spietato 
Pur  un  segno  non  die'  di  mente  umana. 
Forse  cangiò  color?  forse  al  mio  duolo 
iiagnò  almen  gli  occhj ,  o  sparse  un  sospir  solo  ; 

58.  Quali  cose  tralascio,  e  quai  ridico? 

S'  offre  per  mio,   mi  fugge,  e  iii'  abbandona. 

Quasi  buon  AÌncitor,  di  reo  nemico 

Obblia  le  offese ,  e  i  falli  aspri  perdona. 

Odi,  come  consiglia!  odi  il  pudico 

Scnocratc,  d'  amor  come  ragiona! 

Oh  cielo,  oh  Dei,  perchè  soffrir  questi  cmpj. 

Fulminar  poi  le  torri  e  i  vostri  tempj  ? 

59.  fattene  pur ,  crudel ,  con  quella  pace. 
Che  lasci  a  me!  vattene,  iniiiiio.  oniai! 
ÌMe  tosto  ignudo  sjiirto ,  ombra  seguace 
Indivisibiiuieiile  a  tergo  aviiii. 

Nova  furia  «-o'  serpi  e  con  la  fare 

Tanto  t'  agiterò,  quanto  t'  amai. 

E  a'  è  de.>lin,  eh'  csca  dal  mar,  che  scliiu 

Gli  scogli  e  r  onde,  e  eh'  alla  pugna  arrivi. 

60.  Tà  tra  'I  s,iiigiie  e  le  morti  egro  giacente 
Mi  pagherai  le  pene,  empio  gueriieio. 

Per  nome  Annida  rlii.iuuMMÌ  sovente 
N«'gli  uUiiui   >ÌMgiilli:  lulir  ciò  spero. 
Or  qui  in.iiMÒ  lo  spirto  alla  dolente, 
Né  (pieslo  ultimo  .suono  espres  e  intero, 
V,  cadde  trauuirlita,  e  si  dilVusc 
Di  gelato  smiore,  e  i  linui  cliiosr. 


[191] 


GERUSALEMME  LIBERATA.  (XVI.  61  —  75) 


[192 


(il.     Chiìulesti  i  lumi,  Armida:  il  cielo  avaro 
liniilió  il  conforlo  a'   tuoi  martiri. 
Apri,  misera,  gli  ocelij  !  il  pianto  amaro 
^egli  occlij  al  tuo  nemico  or  che  non  miri? 
Oh  s"  udir  tu  "1  potessi,  oh  come  caro 
T'  addolcirebbe  il  suon  de'  suoi  sospiri! 
Dà  quanto  ei  puofe,  e  prende  (e  tu  noi  vedi) 
Pietoso  in  vista  gli  ultimi  congedi. 

62.     Or  che  farà  .-*  Dee  sull'  ignuda  arena 
Costei  lasciar  così  tra  viva  e  morta? 
Cortesia  lo  ritien,  pietà  V  alTrena; 
Dura  necessità  seco  nel  porta. 
Parte,  e  di  lievi  zefiri  è  ripiena 
La  chioma  di  colei,  che  gli  fa  scorta. 
Vola  per  1'  alto  mar  1'  aurata  vela  : 
Ki  guarda  il  lido,  e  '1  lido  ecco  si  cela. 

fi3.     Poich'  ella  in  sé  tornò ,  deserto  e  muto, 
Quanto  mirar  potè,  d'  intorno  scorse. 
Ilo  se  n'  è  pur,  disse,  ed  ha  potuto 
Me  qui  lasciar  delia  mia  vita  in  forse? 
ISè  un  momento  indugiò,  né  un  breve  ajuto 
Nel  caso  estremo   il  traditor  mi  porse? 
Ed  io  pur  anco  1'   amo  ?  e  in  questo  lido 
Invendicata  ancor  piango  e  m'  assido? 

(J4.     Clic  fa  più  meco  il  pianto?  AUr'  armi,  altr'  arte 
Io  non  ho  dunque  ?  Ah  seguirò  pur  1  empio  : 
]Nè  r  abisso  per  lui  riposta  parte, 
]\è  '1  ciel  sarà  per  lui  seciu'O  tempio. 
Già  '1  giungo  e  '1  prendo,  e  '1  cor  gli  svello,  e  sparte 
Le  membra  appendo,  ai  dispietati  esempio. 
Mastro  è  di  ferità?  vo'  superarlo 
IN  eli'  arti  sue.     Ma  dove  son?  che  parlo? 

05.     Misera  Armida,  allor  dovevi,  e  degno 
Uen  era,  in  quel  crudele  incrudelire, 
<rhe  tuo  prigion  1'  avesti  :   or  tardo  sdegno 
T'  infiamma,  e  nu>vi  neghittosa  1'  ire. 
Pur  se  beltà  può  nulla,  o  scaltro  ingegno, 
INou  fia  voto  d'  elTelto  il  mio  desire. 
Oh  mia  sprezzata  forma ,  a  te  s'  aspetta, 
(Che  tua  r  ingiuria  fu)  T  aspra  vendetta. 

66.     (Questa  bellezza  mia  sarà  mercede 
Del  troncator  dell'  esecrabii  testa. 
Oh  mi<i  famosi  amanti ,  ecco  si  diiede 
Difficil  si  da  voi,  ma  impresa  onesta. 
Io,  che  sarò  d'  ampie  ricchezze  erede, 
D'  una  vendetta  in  guiderdon  son  presta. 
S'  e.>ser  compra  a  tal  prezzo  iiulegna  io  sono, 
liellà,  sei  di  natura  inutil  dono. 


68.  Giunta  agli  alberghi  suoi ,  chiamò  trecento 
Con  lingua   orrenda   deità  d'  A\eriio. 

S'    empie    il  ciel  d'  atre  nubi,  e  in  un  momento 

Impallidisce  il  gran  pianeta  eterno, 

E  soffia  e  scuote  i  gioghi  alpestri  il  vento. 

Ecco  già  sotto  i  piò  mugghiar  1'  inferno. 

Quanto  gira  il  palagio,  udi-esti  irati 

Sibili  ed  urli,  e  fremiti,  e  latrati. 

69.  Ombra  più  che  di  notte,  in  cui  di  luce 
Raggio  misto  non  è ,  tutto  il  circonda, 

Se  non  se  in  quanto  un  lampeggiar  riluce 
Per  entro  la  caligine  j)rofonda. 
Cessa  alfin  l'  ombra ,  e  i  raggi  il  sol  riduce 
Pallidi,  né  ben  l'  aria  anco  è  gioconda: 
jNè  più  il  palagio  appar ,  né  pur  le  sue 
Vestigia ,  uè  dir  puossi  :  egli  qui  f uè. 

70.  Come  immagiu  talor  d'  immensa  mole 
Forman  nubi  per  l'  aria ,  e  poco  dura. 
Che  'l  vento  la  disperde  e  solve  il  sole, 
Come  sogno  sen  va,  eh'  egro  figura: 
Così  sparver  gli  alberghi ,  e  restar  sole 
L'  alpi  e  r  orror  ,  che  fece  i\i  natura. 
Ella  sul  carro  suo,  che  presto  aveva, 
S"  asside,  e  come  ha  in  uso,  al  ciel  si  leva. 

71.  Calca  le  nubi ,  e  tratta  1'  aure  a  volo, 
Cinta  di  nembi  e  turbini  sonori. 
Passa  i  lidi  soggetti  all'  altro  polo, 
E  le  terre  d'  ignoti  abitatori. 
Passa  d'  Alcide  i  termini,  né  "1  suolo 
Appressa  degli  Esperj  ,  o  quel  de"  Mori, 
Ma  sui  mari  sospeso  il  corso  tiene, 
Infinché  ai  lidi  di  Sorìa  perviene. 

72.  Quinci  a  Damasco  non  s'  invia ,  ma  schiva 
Il  già  si  caro  della  patria  aspetto, 
E  drizza  il  carro  all'  infeconda  riva, 
Ov'  è  tra  r  onde  il  suo  castello  eretto. 
Qui  giunta,  i  servi  e  le  donzelle  priva 
Di  sua  presenza,  e  sceglie  ermo  ricetto, 
E  fra  varj  pensier  dubbia  s'  aggira. 
Ma  tosto  cede  la  vergogna  all'  ira. 

73. 


67.     Dono  infelice,  io  ti  rifiuto;  e  insieme 
Odio  r  esser  reina ,  e  l'  esser  viva, 
E  r  c^scr  nata  mai;   sol  fa  la  speme 
Della  dolce  vendetta  ancor ,  eh'  io  viva. 
(;o^ì  in  voci  intterrotte  irata  freme, 
E  torce  il  pie  dalla  deferta  riva, 
M(i>trando  ben,  quanto  ha  furor  raccolto. 
Sparga  il  crin ,  bieca  gli  occhj ,  accesa  il  volto 

75 


Io  n'  andrò  pur,  dice  ella,  anziché  V  armi 
Dell'  oriente  il  re  d'  Egitto  mova.' 
Ritentar  ciascun'  arte ,  e  trasmutarmi 
In  ogni  forma  insolita  mi  giova, 
Trattar  1'  arco  e  la  spada,  e  serva  farmi 
De'  più  potenti ,  e  concitarli  a  prova. 
Purché  le  mie  vendette  io  veggia  in  parte, 
Il  rispetto  e  l'  onor  stiasi  in  disparte  ! 

74.     N(ui  accusi  già  me!  biasmi  sé  stesso 
Il  mio  custode  e  zio,  che  così  volse! 
Ei  r  alma  baldanzosa  e  '1  fragil  sesso 
Ai  non  debiti  uffizj  in  prima  volse. 
Esso  mi  fé'  donna  vagante,  ed  esso 
Spremo  1'   ardire,  e  la  vergogna  sciolse. 
Tutto  si  rechi  a  lui  <;iò,  che  d'  indegno 
Fei   per  amore,  o  che  farò  per  sdegno! 

Cosi  conchinde ,  e  cavalieri  e  donne. 


Paggi  e  serventi  frettolosa  aduna, 

E  ne'  su|ierbi  arnesi ,  e  nelle  gonne 

L'  arte  dispiega,  e  la  regal  fortuna. 

E  in  \ia  si  pone,  e  n(ni  é  mai  eh'  assonnc, 

O  che  si  posi  al  sole,  od  alla  lima, 

SJn<bè  non  giunge,  <ne  le  schiere  amiche 

Copriaa  di  Gaza  le  campagne  apriche. 


[193] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XVII.   1  —  12) 


[194] 


I 


CANTO      DECIMO      SETTIMO. 


ARGOMENTO. 

Pieno  dì  Gaza  J'  arenoso  piano 
Han  già  scese  d'  Egitto  arme,  ed  armati. 
Già  del  campo  Emiren  ha  '/  freno  in  mano, 
E  già  cantra  i  fedeli  ha  i  ine  drizzati, 
Quand'  ivi  giunge  Armida,  e  'l  premio  insano 
Giunge  contro  Rinaldo  a  '  prieghi  irati. 
Ma  salvo  è  quegli,  e  gli  discopre  intanto 
Scudo  fatai  della  sua  stirpe  il  vanto. 


1.  Gaza  è  città  della  Giudea  nel  fine, 
Su  quella  "via ,  eh'  inver  Pelusio  mena, 
Posta  in  riva  del  mare,  ed  ha  vicine 
Immense  solitudini  d'  arena, 

Le  quai,  com'  austro  suol  T  onde  marine. 
Mesce  il  turbo  spirante;  onde  a  gran  pena 
RitroA  a  il  peregrin  riparo  ,  o  scampo 
Nelle  tempeste  dell'  instabil  campo. 

2.  Del  re  d'  Egitto  è  la  città  frontiera. 

Da  lui  gran  tempo  innanzi  ai  Turchi  tolta; 
E  perocch'  opportuna  e  prossima  era 
All'  alta  impresa,  ove  la  mente  ha  volta, 
liiisciando  Menfi ,  eh'  è  sua  reggia  altera, 
Qui  traslatò  il  gran  seggio ,  e  qui  raccolta 
Già  da  varie  province  insieme  avea 
L'  innumcrabil  oste  all'  assemblea. 

3.  Musa,  quale  stagione,  e  qual  là  fosse 
Stato  di  cose,  or  tu  mi  reca  a  mente! 
Qual  arme  il  grande  imperator,  quai  posse, 
Qual  ser^a  avesse,  e  qual  compagna  gente, 
Quando  del  mezzogiorno  in  guerra  mosse 
Le  forze,  e  i  regi,  e  1'  ultimo  oriente! 

Tu  sol  le  schiere  e  i  duci,  e  sotto  1'  arme 
Mezzo  il  mondo  raccolto  or  puoi  dcttarme. 

i.     Fosciachò  ribellante  al  greco  impero 
Si  sottrasse  1'  Egitto,  e  mutò  fede. 
Del  sangue  di  Macon  nato  un  guerriero 
Sen  fc'  tiranno,  e  vi  fondò  la  sede. 
Ei  fu  detto  Califfo ,  e  del  primiero, 
Chi  tien  lo  scettro,  al  nome  anco  succede. 
Cosi  per  ordin  Iimgo  il  Nilo  i  suoi 
Faraon  vide,  e  i  Tolomci  dappoi. 

5.      Volgendo  gli  anni,  il  regno  è  staliilito 
Ed  accresciuto  in  guisa  tal ,  clic  viene 
Asia  e  Libia  ingombrando  al  sirio  lito 
Da'  marmarici  fini,  e  da  Cirene: 
E  passa  dentro  incontra  all'  inlìnito 
Corso  liei  ^ilo  assai  sovra  Siene, 
E  quinci  alle  campagne;  inubilatc 
\  a  della  tiabbiu ,  e  quindi  ul  grand'  Eufrate. 


6.  A  destra  ed  a  sinistra  in  sé  comprende 
L'  odorata  maremma,  e  '1  ricco  mare, 

E  fuor  dell'  Eritreo  molto  si  stende 

Incontro  al  sol,  che  mattutino  appare. 

L'  imperio  ha  in  sé  gran  forze,    e  più    le  rende 

Il  re,  eh'  or  lo  governa,  illustri  e  chiare: 

Ch'  è  per  sangue  signor ,  ma  più  per  merto 

IVeir  arti  regie  e  militari  esperto. 

7.  Questi  or  co'  Turchi,  or  con  le  genti  perse 
Più  guerre  fé',  le  mosse  e  le  rispinse. 

Fu  perdente  e  vincente,  e  nelle  avverse 
Fortune  fu  maggior,  che  quando  vinse. 
Poiché  la  grave  età  più  non  sofferse 
Dell'  armi  il  peso,  alfin  la  spada  scinse; 
Ma  non  depose  il  suo  guerriero  ingegno, 
Né  d'  onor  il  desio  vasto  e  di  regno. 

8.  Ancor  guerreggia  per  ministri,  ed  bave 
Tanto  vigor  di  mente  e  di  parole. 

Che  della  monarchia  la  soma  grave 

Non  sembra  agli  anni  suoi  soverchia  mole. 

Sparsa  in  minuti  regni  Africa  pavé 

Tutta  al  suo  nome,  e  '1  remoto  Indo  il  cole, 

E  gli  porge  altri  volontario  ajuto 

D'  armate  genti,  ed  altri  d'  or  tributo. 

9.  Tanto  e  si  fatto  re  1'  armi  raguna. 
Anzi  pur  adunate  omai  le  affretta 
Contra  il  sorgente  imperio  e  la  fortuna 
Franca,  nelle  vittorie  omai  sospetta. 
Armida  ultima  vicn:  giunge  opportuna 
Neil'  ora  appunto  alla  rassegna  eletta. 
Fuor  delle  mura  in  spazioso  campo 
Passa  dinanzi  a  lui  schierato  il  campo. 

10.  Egli  in  sublime  soglio,  a  cui  per  cento 
Gradi  eburnei  s'  ascende,  altero  »iede, 

E  sotto  r  ombra  d'  un  gran  ciel  d'  argento 

Porpora  intesta  d'  or  preme  col  piede, 

E  ricco  di  barbarico  ornamento. 

In  abito  rcgal  splender  si  vede. 

Fan  torti  in  mille  fasce  i  bianchi  lini 

Alto  diadema  in  nova  forma  ai  crini. 

11.  Lo  scettro  ha  nella  destra,  e  per  canuta 
Harba  appar  venerabile  e  severo; 

E  dagli  occbj,  eh'  etade  ancor  non  muta. 
Spira  r  ardire  e  '1  suo  ^igor  primiero. 
E  ben  da  ciascun  atto  è  so^tenuta 
La  maestà  degli  anni  e  dell'  impero. 
Apellc  forse  u  Fidia  in  tal  scuibiantc 
Giove  formò,  ma  Giove  allor  tonante. 

12.  Stannogli  a  destra  1'  un,  V  altro  a  sini>tra, 
Duo  satrapi  i  maggiori.     Al/a  il  più  degno 
La  nuda  spada  del  rigor  lnini^tra  ; 

L'  altro  il  ^igilio  ha  del  suo  ufficio  in  segno. 
Custode  un  de'  secreti  al  re  ministra 
Opra  ei>il  ne'  gnindi  affar  del  regno; 
Ma  prence  dagli  eserciti,  e  con  piena 
Poasunza  è  1'  uUru  ordinator  di  pena. 

la 


[195] 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (XVII.  13—28) 


[v.n* 


13.      Sotto  folta  corona  al  seggio  fanno 
Con  fedel  guardia  i  suoi  Cin-assi  astati, 
Ed  oltra  T  aste,  hanno  corazze,  ed  hanno 
Spade  lunghe  e  ricurve  all'  un  de'  lati. 
Così  sedea,  così  scopria  '1  tiranno 
Da  eccelsa  parte  i  popoli  adunati. 
Tutte  a'  suoi  pie  nel  trapassar  le  schiere 
Chinan  quasi  adorando  armi  e  bandiere. 

11.      Il  popol  dell'  Egitto  in  ordin  primo 
Fa  di  sé  mostra,  e  quattro  i  duci  sono: 
Duo  dell'  alto  paese,  e  duo  dell'  imo, 
Ch'  è  del   celeste  Mio  opera  e  dono. 
Al  mare  usurpò  il  letto  il  fertil  limo, 
E  rassodato  al  coltivar  fu  buono  : 
Sì  crebbe  Egitto.     Oh  qtianto  addentro  è  posto 
Quel,  che  fu  lido  ai  naviganti  esposto! 

15.  Nel  primiero  squadrone  appar  la  gente, 
Ch'  abitò  d'  Alessandria  il  ricco  piano, 
Ch'  abitò  il  lido  volto  all'  occidente, 

Ch'  esser  comincia  ornai  lido  africano. 

Araspe  è  il  duce  lor;  duce  potente 

D'  ingegno  più,  che  di  vigor  di  mano! 

E   di  furtivi  agguati  è  mastro  egregio, 

E  d'  ogn'  arte  moresca  in  guerra  ha  'I  pregio. 

16.  Secondan  quei,  che  posti  inver  1'  aurora 
Nella  costa  asiatica  albergaro: 

E  li  guida  Arontéo,  cui  nulla  onora 
Pregio,  o  virtù,  ma  titoli  il  fan  chiaro. 
Non  sudò  il  molle  sotto  l'  elmo  ancora, 
Né  mattutine  trombe  anco  il  destaro  ; 
Ma  dagli  agì  e  dall'  ombre  a  dura  vita 
Litempestiva  ambizion  1'  invita. 

17.  Quella,  che  terza  è  poi,  squadra  non  pare, 
IVla  un'  oste  immensa,  e  campi  e  lidi  tiene. 
Non  crederai,  eh'  Egitto  mieta  ed  are 

Per  tanti,  e  pur  da  una  città  sua  viene; 
Città,  eh'  alle  province  emula  e  pare. 
Mille  cittadinan/e  in  sé  contiene. 
Del  Cairo  i'  parlo.    Indi  '1  gran  vulgo  adduce, 
Vulgo  all'  arme  restio:  Campsone  è  il  duce. 

18.  Vengon  sotto  Gazel  quei,  che  le  biade 
Segaron  nel  vicin  campo  fecondo, 

E  più  suso  insin  là,  do^e  ricade 

Il  fiume  al  precipizio  suo  secondo. 

La  turl»a  egizia  avea  sol  ardii  e  spade, 

Né  sosterria  d'  elmo  o  corazza  il  pondo. 

D'  al)ito  é  ricca;  onde  altrui  vien  che  porte 

Desio  di  preda,  e  non  timor  di  morte. 

19.  Poi  la  plebe  di  Barca ,  e  nuda  e  inerme 
Quasi,  sotto  Alarcon  passar  si  vede, 

Che  la  vita  famelica  neil'  erme 
Piagge  gran  temi»o  sostentò  di  prede. 
Con  i>tuol  mani  (I  reo ,  ma  inetto  a  ferme 
Battaglie,  di  Zumara  il  re  succede. 
Quel  di  Tripoli  poscia;  e  1'  uno  e  1'  altro 
Nel  pugnar  volteggiando  è  dotto  e  scalti-u. 

20.  Dirc'tro  ad  essi  apparvero  i  cultori 
Dell'  Arabia  petre.i ,  della  felice. 

Che  'I  bo\erchio  del  gelo  e  degli  ardori 

Non  sente  mai,  se  'I  ver  la  fama  dice; 

Ove  nascon  gì'  inc<-nsi  v.  gli  altri  odori. 

Ove  rina>ce  l'  immortai  fenice. 

Che  tra  ì  fiori  odoriferi,  vh'  aduna, 

Ha  1'  esequie,  ha  i  natali,  ha  tomba  e  cuna. 


21.  L'  abito  di  costoro  è  meno  adorno  ; 
Ma  1'  armi  a  quei  d'  Egitto  han  simigliami. 
Ecco  altri  Arabi  poi,  che  di  soggiorno 
Certo  non  sono  stabili  abitanti  ; 
Peregrini  perpetui  usano  intorno 
Trarne  gli  alberghi  e  le  cittadi  erranti. 
Han  questi  femminil  voce  e  statura, 
Crin  lungo  e  negro,  e  negra  faccia  e  scura. 

22.  Lunghe  canne  indiane  arman  di  corte 
Punte  di  ferro,   e  'n  su  destrier  correnti 
Diresti  ben ,  eh'  un  turbine  lor  porte  ; 
Se  pur  han  turbo  sì  veloce  i  venti. 
Da  Siface  le  prime  erano  scorte: 
Aldino  in  guardia  ha  le  seconde  genti: 
Le  terze  guida  Albiazar ,  eh'  è  fiero 
Omicida  ladron ,  non  cavaliero. 

23.  La  turba  é  appresso,  che  lasciate  avea 
L'  isole  cinte  dalle  arabich'  onde, 
Da  cui  pescando  già  raccor  solea 
Conche  di  perle  gravide  e  feconde. 
Sono  i  Negri  con  lor  sull'  eritrea 
Marina  posti  alle  sinistre  sponde. 
Quegli  Agricalte,  e  questi  Osmida  regge, 
Che  schernisce  ogni  fede  ed  ogni  legge. 

24.  Gli  Etiopi  di  Meroe  indi  seguirò: 
Meroe,  che  quindi  il  Nilo  isola  face, 
Ed  Astrabora  quinci ,  il  cui  gran  giro 
F  di  tre  regni,  e  di  due  fé  capace. 
Li  conducea  Canario  ed  Assimiro, 

Re  1'  uno  e  1'  altro ,   e  di  Macon  seguace, 

E  tributario  al  calife;  ma  tenne 

Santa  credenza  il  terzo,  e  qui  non  venne. 

25.  Poi  due  regi  soggetti  anco  veniéno 

Con  squadre  d'  arco  armate  e  di  quadrella: 
Un  soldano  è  d'  Orraus,  che  dal  gran  seno 
Persico  è  cinta,  nobil  terra  e  bella; 
L'  altro  di  Boecan.     Questa  è  nel  pieno 
Del  gran  flusso  marino  isola  anch'  ella; 
l\la  quando  poi  scemando  il  mar  s'  abbassa. 
Col  piede  asciutto  il  peregrin  vi  passa. 

26.  Né  te,  Altamoro,  entro  al  pudico  letto 
Potuto  ha  ritener  la  sposa  amata. 
Pianse,  percosse  il  biondo  crine  e  '1  petto, 
Per  dist«irnar  la  tua  fatale  andata. 

Dunque,  dicea,  crudel,  più  «-he  '1  mio  aspetto^ 
Del  mar  1'  orrida  faccia  a  te  fia  grata  ? 
Fian  r  armi  al  braccio  tuo  più  caro  peso. 
Che  'i  picciol  figlio  ai  dolci  scherzi  inteso? 

27.  È  questi  re  di  Sarmacante,  e  '1  manco. 
Che  'n   lui  si  pregi,  é  il  libero  diadema; 
Così  dotto  è  neir  armi ,  e  così  franco 
Ardir  ciuigiunge  a  gagliardia  suprenui. 
Sa|irallo  ben  (l'  amumzio)  il  popol  franco, 
Ed  è  ragion ,  «'he  insino  ad  or  ne  tema. 

I  suoi  guerrieri  in  dosso  han  la  corazza. 

La  spada  al  fianco ,  ed  all'  arcion  la  mazza. 

28.  Ecco  poi  sin  dagl'  Indi  e  dall'   albergo 
Dell'  aurora  venuto  Adrasto  il  fero, 

i'ììc  d'  un  serpente  in  do.«so  ha  per  usbergo 

II  ciu)jo  verde  e  maculalo  a  nero, 
l!  sniirurato  a  un  clcfanle  il  tergo 
Preme  così,  come  si  suol  destriero. 

I  rentc  guida  co.>tui  di  qua  dal  Gange, 
(ohe  ci  lava  nel  mar,  che  1'  Indo  frange. 


[197] 


GERUSALEMME  LtBKRATA.     (XVII.  29—44) 


29.  jNelIa  ^squadra  ,  che  se^ve,  è   srplto  il  fiore 
Della  rpf^^ai  iiiilixia  ;  e   v    tia  quei  tutti, 

VAte  con  larga  mercè ,  con  degno  onore, 
Vi  per  guerra  e  jier  pare  eran  rondutti  ; 
Clr  armati  a  sicurezza  ed  a  terrore 
Vengono  in  Siii  de«trier  possenti  instrutti, 
E  de'  purpurei  manti  e  della  Iure 
Dell'  acciajo  e  dell'  oro  il  ciel  riluce. 

30.  Fra  questi  è  il  crudo  Alarco ,  ed  Odemaro 
Ordinutor  di  squadre,  ed  Idraorte, 

E  Rimedon ,  che  per  1'  audacia  è  chiaro, 
Sprezzator  de'  mort.ili  e  della  morte, 
E  Tigrane  e  Rnpoldo  ,  il  gran   corsaro. 
Già  de'  mari   tiranno,  e  Ormondo  il  forte, 
E  Marlahusto  arabico,  a  cui  il   nome 
L'  Arabie  dièr,   die  ribellanti  ha  dome. 

31.  Evvi  Orindo,  Arìmon,  Pirga,   Briraarte, 
Espugnatnr  delie  città;  Sifante 
Domator  de"   cavalli;  e  tu,  dell'  arte 
Della  lotta  maestro,  Aridamante: 
E  Tisaferno ,  il  fólgore  di  Marte, 
A  cui  non  è  chi  d'  ugguagliarsi  vanta, 
O  se  in  arcione,  o  se  pedtm  contrasta, 

0  se  rota  la  spada ,  o  corre  1'  asta. 

32.  Guida  un  Armen  la  squadra,  il  qual  tragitto 
Al  paganesmo  nell'  età  novella 
Fé'  dalla  vera  fede:  ed  ove  ditto 
Fu  già  Clemente,  ora  Emiren  s'  appella: 
Per  altro  uom  fido  e  caro  al  re  d'  Egitto 
Sovra  quanti  per  lui  calcar  mai  sella, 
E  duce  insieme  e  cavalier  soprano 
Per  cor,  per  senno,  e  per  valor  di  mano. 

33.  Nessun  più  rimanca,  quando  improvvisa 
Armida  apparve,  e  dimostrò  sua  schiera. 
Venia  sublime  in  un  gran  carro  assisa, 
Sui'cinta  in  gonna ,  e  faretrata  arciera. 
E  mescolato  il  n(»vo  sdegno  in  guisa 
Col  natio  dolce  in  qiiel  bel  volto  s'  era, 
Che  vigor  dàlie  ;  e  cruda  ed  acerbetta 
Par  che  minacci,  e  minacciando  alletta. 

H.      Somiglia  il  carro  a   quel ,  che  porta  il  giorno 

Lucido  di  |)iro|)i  e  di  giacinti; 

E  frena  il  dotto  auriga  il  giogo  adorno, 

Q)iattr(»  uiiii'orni  a  coppia  a  coppia  avvinti. 

C«'nto   donzelle,  e  cento  paggi   intorno 

Pur  di   faretra  gli  omeri  van  cinti, 

J/d  a'  bianchi  dcstrier  premono  il  dorso. 

Che  sono  al  giro  pronti,  e  lie^i  al  corso. 

Segue  il  suo  stuolo,  ed  Aradin  con  quello. 
Che  Idraote  a.'>soldo  nella  Soria. 
Come  allorché  "I  rinato  unic<»  augello 

1  suo'  Etiopi  a  vigilar  s'  imia, 
A  ario  e  vago  la  piuma  ,  e  ricco  e  hello 
Di   monil,  di  corona  aurea  natia, 
Stu|iisce  il  mondo,  e  \a  dietro  ed  ai  lati, 
I\lcrii\iglian<lo  eser('ito  d'  alati: 

i(J.      ('osi  passa  costei  meravigliosa 

D'  abito,   di  maniere,  e  di  bcuiliiantc . 
Non  è  allor  sì   iiuimana  ,   o  ■>!   ritrosa 
Aiuta  d'   amor,  cliir  non  divenga  amante. 
Aeduta   appena,   e   in   gra\ità  sdegnOhU 
invaghir  può  genti  si   a  arie  e  tante: 
Che  sarà  poi ,   quando  in   più   lieto   ^i^o 
Cu'  begli   occhj  lusinghi  e  cui  bel  ri»o  .^ 


fl98] 


37.  ma  poich'  ella  è  passata ,  il  re  de'  regi 
Comanda,  eh'  Emireno  a  se  ne  venga: 
(he  lui  preporre  a  tutti  i  duci  egregi 

E  duce  farlo  iiniversal  disegna. 

(^uel  ,  già  presago,   ai    meritati  pregi 

(Jon  fronte   vien ,   che  ben   del  grado  ù  de"-na. 

La  guardia  de'  Circassi  in  due  si  fende, 

E  gli  fa  strada  al  seggio,  ed  ei  v'  ascende: 

38.  E  chino  il  capo  e  le  ginocchia,  al  petto 
Giunge  la  de^t^a  :  e  'ì  re   così  gli  dice: 

Te'  questo  scettro!  A  te,  Emiren,  commetto 

Le  genti  ;  e  tu  sostieni  in  lor  mia  vice, 

E   porta,  liberando  il  re  soggetto. 

Su'  Franchi  1'  ira  mia  vendicatrice! 

Va,  vedi,  e  vinci,  e  non  lasciar  de'  vinti 

Avanzo,  e  mena  presi  i  non  estinti! 

39.  Così  parlò  il  tiranno  ,  e  del  soprano 
Imperio  il  cavalier  la  verga  prese. 
Prendo  scettro,  signor,  d'  invitta  mano. 
Disse,  e  vo  co'  tuo'  auspizj  all'  alte  imprese: 
E  spero,  in  tua  virtù,  tuo   capitano. 

Dell'  Asia  vendicar  le  gravi  offese. 
Né  tornerò ,  se  vincitor  non  torno, 
E  la  perdita  avrà  morte ,  non  scorno. 

iO.      Ben  prego  il  ciel,  che,  s'  ordinato  male, 
(Ch'  io  già  noi  credo)  di  lassù  minaccia, 
Tutta  sul  capo  mio  quella  fatale 
Tempesta   accolta  di  sfogar  gli  piaccia, 
E  salvo  rieda  il  campo,  «•  "n  trionfale 
Più  che  in  funebre  [ìompa  il  diu'e  giaccia  ! 
Tacque,  e  seguì  co'   i)op(»lari  accenti 
Misto  un  gran  suon  di  barbari  instrumenti. 

41.  E  fra  le  grida  e  i  suoni ,  in  mezzo  a  densa 
Nobile  turba,   il  re  de'  re  si  parte, 

E  giunto  alla  gran  tenda,  a  lieta  mensa 
Raccoglie  i   duci ,  e  siede  egli  in  disparte, 
Oiid'  or  cibo  ,  or  parole  altrui   dispensa. 
Né  lascia  inonorata  ah^ma  parte. 
Armida  all'  arti   sue  ben  trova  loco 
Quivi  opportun  fra  1'  allegrezza  e  *l  gioco. 

42.  Ma  già  tolte  le  mense,  ella,  che  vede 
Tutte  le  viste  in  sé  fisse  ed  intente, 

E  eh'  a'  segni  ben  noti  ornai  s'  avvede. 
Ch»!  sparso  é   il  suo  ^eleii   per  ogni  mente, 
Sorge,  e  si  volge  al  re  dalla  sua  sede 
("<Mi  atto  insieme  altero  e  riverente, 
E  quanto  può  ,  magnanima  e  feroce 
Cerca  parer  nel  v«»lto  e  nella  voce. 

43.  Oh  re  suj>remo,  dice,  anch'  io  ne  regno 
Per  la  fv,  per  la  patria  ad   impiegarmi. 
Donna  sou  io,  ma  regal   donna:   indegno 
Già  di   reina  il  giwrreggiar  niui  paruii. 
Lsi  ogni   arte  regal,  chi   \uole  il  regno! 
Dian>i  all'  ì<te>>a  :iiau  lo  >cettro  e  T   armi! 
Saprà  la  mia  (né  torpe  al   ferro,   o  langue) 
Ferire,  e  trar  dalle   ferite  il  sangue. 

44.  Né  creiler,  ibe  sìa  questo  il  dì  primiero, 
Ch'  a  ciò   nobii  m'   ìoMiglia  alta  taglie/za! 
('Ile  'n  prò  <li  nostra  i^«;^e  e  del  tuo  impero 
Son  io  già  prima  a  militare  avvezza. 

Ben  raniMMiUar  dei  tu.  s'  io  dico  il  vero, 
(^he  d'  alcun    o|ira  no>tra  hai  pur  conte/za, 
E  sai,  che  molti   de'   maggior  campioni, 
Clio  dispirghin  la  ciocc,  io   fci  prigioni. 

13  * 


[199] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XVII.  45-60) 


[200 


i5.    Da  me  presi  ed  avvinti ,  e  da  me  furo 
In  magnifico  dono  a  te  mandati: 
Ed  ancor  si  stanano  in  fondo  oscuro 
Di  perpetua  prigion  per  te  guardati, 
E  saresti  ora  tu  vie  più  securo 
Di  terminar  vincendo  i  tuoi  gran  piatì, 
Se  non  che  il  fìer  Rinaldo,  il  quale  uccise 
I  miei  guerrieri,  in  libertà  li  mise. 

46.  Chi  sia  Rinaldo ,  è  noto  ;  e  qui  di  lui 
Lunga  istoria  di  cose  anco  si  conta. 
Questi  è  '1  crudele,  ond'  aspramente  io  fui 
Offesa  poi,  nò  vendicata  ho  1'  onta. 
Onde  sdegno  a  ragione  aggiunge  i  sui 
Stimoli,  e  più  mi  rende  all'  arme  pronta. 
Ma  qual  sia  la  mia  ingiuria ,  a  lungo  detta 
Saravvì:  or  tanto  basti:  Io  vo'  vendetta. 

47.  E  la  procurerò:  che  non  invano 
Soglion  portarne  ogni  saetta  i  venti, 
E  la  destra  del  ciel  di  giusta  mano 
Drizza  r  armi  talor  centra  i  nocenti. 
Ma  s'  alcun  fia ,  eh'  al  barbaro  inumano 
Tronchi  il  capo  odioso,  e  mei  presenti, 
A  grado  avrò  questa  vendetta  ancora, 
Benché  fatta  da  me  più  nobil  fora. 

48.  A  grado  sì,  che  gli  sarà  concessa 
Quella,  eh'  io  posso  dar  maggior  mercede. 
Me,  d'  un  tesor  dotata  e  di  me  stessa, 

In  moglie  avrà,  se  in  guiderdon  mi  chiede. 

Così  ne  faccio  qui  stabil  promessa: 

Così  ne  giuro  inviolabil  fede. 

Or ,  s'  alcun  è ,  che  stirai  i  premj  nostri 

Degni  del  rischio,  parli,  e  si  dimostri! 

49.  Mentre  la  donna  in  guisa  tal  favella, 
Adrasto  affigge  in  lei  cupidi  gli  occhi. 
Tolga  il  ciel,  dice  poi,  che  le  quadrella 
]\el  barbaro  omicida  unqua  tu  scucchi  ! 
Che  non  è  degno  un  cor  villano ,  oh  bella 
Saettatrice,  che  tuo  colpo  il  tocchi. 

Atto  dell'  ira  tua  ministro  io  sono, 
Ed  io  del  capo  suo  ti  farò  dono. 

50.  Io  sterperogli  il  core,  io  darò  in  pasto 
Le  membra  lacerate  agli  avoltoi. 

Così  parlava  1'  indiano  Adrasto: 

Nò  soffrì  Tisaferno  i  vanti  suoi. 

£  chi  sei,  disse,  tu,  che  sì  gran  fasto 

Mostri,  presente  il  re,  presenti  noi? 

Forse  è  qui  tal ,  eh'  ogni  tuo  vanto  audace 

Supererà  co'  fatti,  e  pur  si  tace. 

51.  Rispose  1'  Indo  fero:  io  mi  sono  uno, 

Cli'  appo  r  opre  il  parlare  ho  scarso  e  scemo. 
Ma,  s'  altrove,  che  qui,  così  importuno 
Parlavi  tu  ,  parlavi  il  detto  estremo. 
Seguito  avrian;  ma  raffrenò  ciascuno, 
Dii^tendendo  la  destra,  il  re  supremo. 
Disse  ad  Armida  poi  :  donna  gentile, 
Don  hai  tu  cor  magnanimo  e  virile, 

52.  E  ben  sei  degna,  a  cui  suoi  sdegni  ed  ire 
L'  uno  e  1'  ultro  di  lor  conceda  e  done, 
Perche  tu  poscia  a  voglia  tua  le  giro 
Contra  quel  Uirla  predutor  fellone. 

Là  fian  meglio  inipicgiite,  e  '1  loro  ardirò 
Là  può  chiaro  iiioslrarHÌ  in  paragone. 
Tacque  ciò  detto;  e  quegli  offerta  nova 
Fecero  a  lei  di  vendicarla  a  prova. 


53.    Né  quelli  pur,  ma  qual  più  in  guerra  è  chiaro 
La  lingua  al  vanto  ha  baldanzosa  e  presta. 
S'  offerser  tutti  a  lei;  tutti  giuraro 
Vendetta  far  suU'  esecrabil  testa. 
Tante,  contra  il  guerrier,  eh'  ebbe  sì  caro, 
Arme  or  costei  comraove,  e  sdegni  desta. 
Ma  esso,  poich'  abbandonò  la  riva, 
Felicemente  al  gran  corso  veniva. 

51.     Per  le  medcsme  vie,  che  'n  prima  corse, 
La  navicella  indietro  si  raggira, 
E  1'  aure ,  eh'  alle  vele  il  volo  porse, 
Non  men  seconda  al  ritornar  vi  spira. 
Il  giovinetto  or  guarda  il  polo  e  i'  orse. 
Ed  or  le  stelle  rilucenti  mira, 
Via  dell'  opaca  notte ,  or  fiumi  e  monti, 
Che  sporgono  sul  mar  le  alpestre  fronti, 

55.  Or  Io  stato  del  campo ,  or  il  costume 
Di  varie  genti  investigando  intende; 
E  tanto  van  per  le  salate  spume. 
Che  lor  dall'  orto  il  quarto  sol  risplende: 
E  quando  omai  n'  è  disparito  il  lume, 
La  nave  terra  finalmente  prende. 
Disse  la  donna  allor:  le  palestine 
Piagge  son  qui;  qui  del  viaggio  è  il  fine. 

56.  Quinci  ì  tre  cavalier  sul  lido  pose, 
E  sparve  in  men  che  non  si  forma  un  detto. 
Sorgea  la  notte  intanto ,  e  delle  cose 
Confondea  i  varj  aspetti  un  solo  aspetto  ; 
E  in  quelle  solitudini  arenose 
Essi  veder  non  ponno  o  muro ,  o  tetto, 
Nù  d'  uomo,  o  di  destriero  appajon  orme. 
Od  altro  pur,  che  del  cammin  gì'  informe. 

57.  Poiché  stati  sospesi  alquanto  foro. 
Mossero  i  passi ,  e  dièr  le  spalle  al  mare. 
Ed  ecco  di  lontano  agli  occhj  loro 
Un  non  so  che  di  luminoso  appare. 
Che  con  raggi  d'  argento ,  e  lampi  d'  oro 
La  notte  illustra ,  e  fa  l'  ombre  più  rare. 
Essi  ne  viinno  allor  contra  la  luce, 
E  già  veggion,  che  sia  quel  che  sì  luce. 

58.  Veggiono  a  un  grosso  tronco  armi  novello 
Incontra  i  raggi  della  luna  appese, 
E  fiammeggiar,  più  che  nel  ciel  le  stelle, 
Gemme  neil'  elmo  aurato ,  e  nell'  arnese. 
E  scoprono  a  quel  lume  immagin  belle 
Nel  grande  scudo  in  lungo  ordine  stese. 
Presso,  quasi  custode,  un  vecchio  siede, 
Che  contra  lor  sen  va,  come  li  vede. 

59.  Ben  è  da'  duo  guerrier  riconosciuto 
Del  saggio  amico  il  venerabil  volto. 
Ma ,  poich'  ei  ricevè  lieto  saluto, 
E  eh'  ebbe  lor  cortesemente  accolto, 
Al  giovinetto ,  il  qual  ta<;ito  e  muto 
Il  riguardava ,  il  ragionar  rivolto, 
Signor,  te  sol,  gli  disse,  io  qui  soletto 
In  cotal  ora  desiando  aspetto. 

60.  Che  ,  se  noi  sai,  ti  sono  amico,  e  quanto 
Curi  le  cose  tue  ,  chiedilo  a  questi  ! 
Cli'  essi  scorti  da  me  vinser  1'  incanto. 
Ove  tu  vita  misera  traesti. 
Or  odi  i  detti  miei  contrarj  al  canto 
Delle  sirene,  e  non  ti  sian  molesti; 
Mìi  li  serba  nel  cor,  finche  distingua 
Meglio  a  te  il  ver  più  saggia  e  santa  lingua! 


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GERUSALEMME   LIBERATA.     (XVII.  01—76)         [202] 


61.  Signor ,  non  gotto  1'  ombra  in  piag-gia  molle 
Tra  fonti  e  fior,  tra  ninfe  e  tra  sirene, 

Ma  in  cima  all'  erto  e  faticoso  colle 

P     Della  virtù  riposto  è  il  nostro  bene. 
Chi  non  gela,  non  suda,  e  non  s'  estolle 
Dalle  vie  del  piacer,  là  non  perviene. 
Or  vorrai  tu  lungi  dall'  alte  cime 
Giacer,  quasi  tra  valli  augel  sublime? 

62.  T'  alzò  natura  inverso  il  cicl  la  fronte, 
E  ti  die'  spirti  generosi  ed  alti, 

»     Perchè  in  su  miri,  e  con  illustri  e  conte 
Opre  te  stesso  al  sommo  pregio  esalti. 
E  ti  die'  r  ire  ancor  veloci  e  pronte, 
Non  perchè  1'  usi  ne'  civili  assalti, 
IVè  perchè  sian  di  desiderj  ingordi 
Elle  ministre,  ed  a  ragion  discordi; 

63.  Ma  perchè  il  tuo  valore,  armato  d'  esse, 
Più  fero  assalga  gli  avversar]  esterni, 

£  fian  con  maggior  forza  indi  ripresse 
Le  cupidigie,  enipj  nemici  interni. 
Dunque  nell'  uso ,  per  cui  fur  concesse, 
Le  impieghi  il  saggio  duce,  e  le  governi. 
Ed  a  suo  senno  or  tepide,  or  ardenti 
Le  faccia,  ed  or  le  affretti,  ed  or  le  allenti! 

61.      Così  parlava:  e  1'  altro  attento  e  cheto 
Alle  parole  sue  d'  alto  consiglio, 
Fea  de'  detti  conserva ,  e  mansueto 
Volgeva  a  terra  e  vergognoso  il  ciglio. 
Ben  vide  il  saggio  veglio  il  suo  segreto, 
E  gli  soggiunse  :  alza  la  fronte ,  oh  figlio, 
E  in  questo  scudo  affissa  gli  occhj  ornai! 
Ch'  ivi  de'  tuoi  maggior  l'  opre  vedrai. 

65.  Vedrai  degli  avi  il  divulgato  onore 
Lunge  precorso  in  loco  erto  e  solingo. 
Tu  dietro  anco  viman' ,  lento  cursore. 
Per  questo  della  gloria  illustre  arringo. 
Su,  su,  te  stesso  incita!  al  tuo  valore 

Sia  sferza  e  spron  quel,  eh'  io  colà  dipingo. 
Cosi  diceva:  e  '1  cavaliero  affisse 
Lo  sguardo  là ,  mentre  colui  sì  disse. 

66.  Con  sottil  magistero  in  campo  angusto 
Forme  infinite  espresse  il  fabbro  dotto. 
Del  sangue  d'  Azzio  glorioso  augusto 

L'  ordin  vi  si  vcdca,  nulla  interrotto» 

^  cdcasi  dal  rnman  fonte  vetusto 

I  suoi  rivi  dedur  puro  e  incorrotto. 

Stan  coronati  i  principi  d'  alloro: 

Mostra  il  vecchio  le  guerre,  e  i  pregi  loro. 

67.  Mostragli  Cajo,  allorch'  a  strane  genti 
Va  prima  in  preda  il  già  inclinato  impero. 
Prendere  il  frcn  de'  in»poli  volenti, 

E  farsi  d'  E.>te  il  |>rin(;ipc  primiero, 
Ed  a  lui  ricovrarsi  i  mcn  potenti 
Vicini ,  a  cui  rettor  facea  inesticro. 
Poscia ,  quando  ripa.><sa  il  varco  noto 
Agli  inviti  d'  Onorio,  il  fero  Goto, 

68.  E  quando  sembra,  «:he  più  avvampi  o  ferva 
Di  barbarico  incendii»  Italia  tutta, 

E  quando  Konia  prigioniera  e  serva 
Sin  dal  suo  fondo  teme  esser  distrutta, 
Mostra,  che  Amelio  in   libertà  conserva 
lia  g(;nte  sotto  al  suo  scettro  ridutla. 
Mo^t^agli  poi  F'oresto,  clic  h'  oppone 
Air  unno  regnator  dell'  aquilone. 


69.  Ben  si  conosce  al  volto  Attila  il  fello, 
Che  con  occhj  di  drago  par  che  guati, 
Ed  ha  faccia  di  cane;  ed  a  vedello 
Dirai,  che  ringhi,  e  udir  credi  i  latratL 
Poi  vinto  il  fero  in  singoiar  duello 
31irasi  rifuggir  tra  gli  altri  armati, 

E  la  difesa  d'  Aquilèa  poi  torre 
Il  buon  Foresto,  dell'  Italia  Ettorre. 

70.  ,  Altrove  è  la  sua  morte;  e  '1  suo  destino 
E   destin  della  patria.     Ecco  1'  erede 

Del  padre  grande,  il  gran  figlio  Acarino, 
Che  all'  italico  onor  campion  succede. 
Cedeva  ai  fati,  e  non  agli  Unni  Aitino; 
Poi  riparava  in  più  secura  sede: 
Poi  raccoglieva  una  città  di  mille 
In  Val  di  Po  case  disperse  in  ville. 

71.  Centra  il  gran  fiume ,  che  'n  diluvio  ondeggia, 
Muntasi,  e  quindi  la  città  sorgea, 

Che  ne'  futuri  secoli  la  reggia 

De'  magnanimi  Estensi  esser  dovea. 

Par  che  rompa  gli  Alani,  e  che  si  veggia 

Contra  Odoacro  aver  poi  sorte  rea, 

E  morir  per  1'  Italia.     Oh  nobil  morte, 

Che  dell'  onor  paterno  il  fa  consorte! 

72.  Cader  seco  Alforisio,  ire  in  esigilo 
Azzo  si  vede ,  e  '1  suo  fratel  con  esso, 
E  ritornar  con  1'  arme  e  col  consiglio, 
Dappoiché  fu  il  tiranno  erulo  oppresso. 
Trafitto  di  saetta  il  destro  ciglio, 
Segue  r  estense  Epaminonda  appresso, 
E  par  lieto  morir,  posciachè  '1  crudo 
Totila  è  vinto,  e  salvo  il  caro  scudo. 

73.  Di  Bonifazio  parlo:  e  fanciulletto 
Premea  Aalerian  l'  orme  del  padre. 
Già  di  destra  viril ,  viril  di  petto 
Cento  noi  sostenean  gotiche  squadre. 
INon  lunge  ferocissimo  in  aspetto 

Fea  contra  Schiavi  Ernesto  opre  leggiadre. 
Ma  innanzi  a  lui  1'  intrepido  Aldoardo 
Da  Monscelsc  escludeva  il  re  lombardo. 

74.  Enrico  v'  era  e  Berengario,  e  dove 
Spiega  il  gran  ("arlo  la  sua  augusta  insegna. 
Par,  eh'  egli  il  primo  feritor  si  trove. 
Ministro,  o  capitan  d'  impresa  degna. 

Poi  segno  Lodovieo:  e  quegli  il  movo 
Contra  il  nepnte,  eh'  in  Italia  regna; 
Ecco  in  battaglia  il  vince,  e  'I  fa  prigione. 
Eravi  poi  co'  cinque  figli  Ottone. 

75.  ^  '  era  Almerico ,  e  si  vcdca  già  fatto 
Della  città,  donna  del  Po,  marchese. 
Devotamente  il  cìei  riguarda  in  atto 

Di  contemplante  il  foiidator  di  cbiesc. 
D'  incontra  A/./o  »e(-oiulo  avea  ritratto 
Far  contra   Uei-<-iigario  a.^pre  contese. 
Che  dopo  un  corso  ili  forliuia  alterno 
Mncevn,  e  dell'  Italia  iwvn  il  governo. 

76.  Vedi  Alberto  il  figliuolo  ir  fra'  Germani, 
E  colà  far  le  sue  virtù  ci  note, 

('he,  vinti  in  giostra  e  vinti  in  guerra  i  Dani, 
(■enero  il  compra  Otton  con  larga  dote. 
>e(li^li  a  tergo   1  gon  ,  quel,   eh'  a    liomanì 
l'iaciar  le  eorna  iui[i<-lniiso  puote, 
E  «he  marchese  dell    Italia  fin 
Detto ,  e  Toscana  tutta  avrà  in  balia. 


[203] 


GERUSALEiMME   LIBEKATA.     (XVII.  T?— 02) 


[204 


77.  Poscia  Tedaldo ,  e  Bonifazio  accanto 
A  Beatrice  sua  poi  v'  era  espresso. 
Non  si  vedca  virile  erede  a  tanto 
Retarrglo  ,  a  sì  gran  padre  esser  successo. 
Seguili  Matilda,  ed  adempia  ben  quanto 
Difetto  par  nel  numero  e  nel  sesso  ; 

Che  può  la  saggia  e  valorosa  donna 
Sovra  corone  e  scettri  alzar  la  gonna. 

78.  Spira  spiriti  maschj  il  nobil  volto, 
Mostra  vigor  più  che  viril  lo  sguardo. 

Là  sconfiggca  i  Normanni ,  e  "n   fuga  volto 

Si  dileguava  il  già  invitto  Guiscardo: 

Qui  ronipea  Enrico  il  quarto ,  ed  a  lui  tolto 

On'ri\a  al  tempio  imperiai  stendardo. 

Qui  riponea   il  pontelice  soprano 

Nel  gran  soglio  di  Pietro  in  Vaticano. 

79.  Poi  vedi ,  in  guisa  d'  noni  ,  eh'  onori  ed  ami. 
Ch'  or  r  è  al  fianco,  Azzo  il  quinto,  or  la  seconda  ; 
Ma  d'  .Azzo  il  quarto  in  più  felici  rami 
Germogliava  la  prole  alma  e  feconda. 

Va  dove  par,  che  la  Germania  il  chiami, 
Guelfo  il  figliuol ,  figliuol  di  Cunigonda. 
E  '1  buon  germe  roman  con  destro  fato 
È  ne'  campi  bavarici  traslato. 

80.  Là  d'  un  gran  ramo  estense  ci  par  eh'  innesti 
L'  arbore  di  Guelfon  ,  eh'  è   per  se  vieto, 

Quel  ne'  suoi  Guelfi  rinnovar  vedresti 
Scettri  e  corone  d'  or  più  che  mai  lieto, 
E  col  favor  de'  bei  lumi  celesti 
Andar  poggiando,  e  non  aver  divieto. 
Già  confina  col  ciel ,  già  mezza  ingombra 
La  gran  Germania,  e  tutta  anco  1'  adombra. 

81.  Ma  ne'  suoi  rami  italici  fioriva 
Bella  non  men  la  regal  pianta  a  prova. 
Bertoldo  qui  d'  incontra  a  Guelfo  usciva; 
Qui  Azzo  il  sesto  i  suoi  prischi  rinnova. 
Questa  è  la  serie  degli  eroi ,  che  viva 
Nel  metallo  spirante  par  si  mova. 
Rinaldo  sveglia  in  rimirando  mille 
Spirti  d'  Gnor  dalle  natie  faville. 

82.  E  d'  emula  virtù  1'  animo  altero 
Commosso  avvampa ,  ed  è  rapito  in  guisa, 
Che  ciò,  che  immaginando  ha  nel  pensiero, 
Città  battuta  e  presa ,  e  gente  uccisa. 

Pur  come  sia  presente,  e  come  vero 
Dinanzi  agli  occhj  suoi  vedere  avvisa, 
E  s'  arma  frettoloso,  e  con  la  spene 
Già  la  vittoria  usurpa,  e  la  previene. 

83.  Ma  Carlo ,  il  quale  a  lui  del  regio  erede 
Di  Dania  già  narrata  avea  la  morte, 

La  destinata  spada  allor  gli  diede. 

Prendila,  disse,  e  sia  con  lieta  sorte! 

E  solo  in  prò  della  cristiana  fede 

L"  adtipra ,  giusto  e  pio  non  men  ,  che  forte, 

E  fa  del  primo  suo  signor  veiid<!tta, 

Che  t'  amò  tanto  !  e  ben  a  te  s'  aspetta. 

81.      Rispose  egli  al  guerriero  :  ai  cieli  piaccia, 
Che  la  in. in,  che  I;*.  sjiada  ora  rice%e, 
C(ui  lei  del  suo  siganr  vendetta  faccia; 
l'aghi  con  lei  ciò,  che  |)er  lei  si  deve! 
Carlo  riv<dt()  a  Ini  con  lieta  faccia, 
liUnghe  grii7.il-  ristrinse  in  sermon  breve. 
IMa  htr  a'  oflriva  intinto,  ed  al  viaggio 
Notturno  gli  allrettava  il  unJiil  saggio. 


85.      Tempo  è,   dicea ,  di  girne,  ove  t'  attende 
GollVedo  e  'I  c;in!!)o:  e  ben  giungi   opportuno. 
Or  n'  andiam  pur!  che  alle  cristiane  tende 
Scorger  ben  vi  saprò  per  l'  aer  bruno. 
Così  dice  egli ,  e  poi  sul  carro  as<ende, 
E  lor  v'  accoglie  senza  indugio  alcuno, 
E  rallentando  a'  suoi   destrieri  il  morso, 
Gli  sferza ,  e  drizza  all'  oriente  il  corso. 

8!].      Taciti  se  ne  gian  per  1'  aria  nera. 

Quando  al  garzon  sì  volge  il  vecchio,  e  dice: 

A  eduto  hai  tu  della  tua  stirpe  altera 

I  rami ,  e  la  vetusta  alta  radice. 

E  sebben  ella  di'.ll'  età  primiera 

Stata  è  fertil  d'  eroi  madre  e  felice, 

Non  è,  né  fia  di  partorir  mai  stanca: 

Che  per  vecchiezza  in  lei  virtù  non  manca. 

87.  Oh ,  come  tratto  ho  fuor  del  fosco  seno 
Dell'  età  prisca  i  primi  padri  ignoti, 

Così  potessi  ancor  scoprire  a|) pieno 

Ne'    secoli  avvenire  i  tuoi  nepoti, 

E  priach'  essi  aj)ran  gli  occhj  al  bel  sereno 

Di  questa  luce,  farli  ai  mondo  noti! 

Che  de'  futuri  eroi  già  non  vedresti 

L'  ordin  men  lungo,  o  pur  men  chiari  gesti. 

88.  Ma  r  arte  mia  per  sé  dentro  al  futuro 
Non  scorge  il  ver,  che  troppo  occulto  giace, 
Se  non  caliginoso  e  dubbio  e  scuro, 

Quasi  lunge  per  nebbia  incerta  face. 
E  se  cosa  qual  certa  io  m'  assecuro 
AfTermarti,  non  sono  in  questo  audace; 
Ch'  io  r  intesi  da  tal ,  che  senza  velo 
I  secreti  talor  scopre  del  cielo. 

89.  Quel ,  eh'  a  lui  rivelò  luce  divina, 

E  eh'  egli  a  me  scoperse,  i(»  a  te  predico. 

Non  fu  mai  greca,  o  barbara,  o  latina 

Progenie  in  questo,  o  nel  huon  tempo  antico 

Ricca  di  tanti  eroi,  quanti  destina 

A  te  chiari  nepoti  il  cielo  amico; 

Ch'  agguaglieran  qual  più  chiaro  si  noma 

Di  Sparta,  di  Cartagine,  e  di  Roma. 

90.  Ma  fra  gli  altri,  mi  disse.  Alfonso  io  sceglie, 
Primo  in  virtù,  ma  in  titolo  secondo. 

Che  nascer  dee,  quando,  corrotto  e  veglio, 
l'overo  fia  d'  uomini  illustri  il  mondo. 
Questi  fia  tal,  che  non  sarà  chi  meglio 
La  spada  u>i,  o  lo  scettro  ,    o  meglio  il  pondo 
O  dell'  arme  sostegna,  o  del  diadema. 
Gloria  del  sangue  tuo  somma  e  suprema. 

91.  Darà,  fanciullo,  in  varie  immagin  fere 
Di  guerra,  indizio  di  valor  sublime. 

Eia  terror  delle  selve  e  delle  fere, 

E  negli  arringhi  avrà  le  lodi  prime. 

Poscia  riporterà  da  pugne  vere 

Palme  vittoriose  e  spoglie  opime. 

E  sovente  avverrà,  che  'l  crin  si  cigna 

Or  di  lauro,  or  di  quercia,  or  di  gramigna. 

92.  Della  mattu-a  età  pregi  men  degni 
Non  fiaiio  ,  stabilir  \nìce  e  quiete. 
Mantener  sue  <iità  fra  1'  arme  e  ì  regni 
Di  possenti  vicin  tranquille  e  cliente. 
Nutrire  e  fecondar  1'  arti  e  gì'  ingegni, 
("clcltrar  giuoc.iii   illustri  e  pompe  liete, 
Liltrar  con  giunta  laiu-e  e  pen«;  e  premi, 
Mirar  da  lunge,  e  preveder  gli  estremi. 


205]         GERUSALEMME    LIB.     (XVII.  93  —  97.  XVllI.   1  —  6)       [206] 


93.  Oh  s'  avvenisse  mai,  che  contra  gli  empi, 
Che  tutte  infef^teran  le  terre  e  i  mari, 

£   della  pace  in  quei  miseri  teiupi 
Daran  le  leggi  ai  popitli  più  chiari. 
Duce  een  gisse  a  vendicare  i  tempi 
Da  lor  distrutti,  e  i  violali  altari, 
Qual  ei  giusta  faria  gra%e  vendetta 
Sul  gran  tiranno,  e  sull'  iniqua  setta! 

94.  Indarno  a  lui  con  mille  schiere  armate 
Quinci  il  Turco  opporriasi ,  e  quindi  il  Mauro: 
Ch'  egli  portar  potrebbe  oltra  1'  Euirate, 

Ed  oltra  i  gioghi  del  nevoso  Tauro, 

Ed  oltra  i  regni ,  ov'  è  perpetua  state. 

La  croce ,  e  '1  bianco  augello,  e  i  gigli  d'  auro, 

E  per  battesmo  delle  nere  fronti 

Del  gran  Alio  i^coprir  le  ignote  fonti. 


95.  Così  parlava  il  veglio:  e  le  parole 
Lietamente  accoglieva  il  giovinetto, 
Che  del  pensier  della  futura  prole 
Ln  tacito  piacer  sentia  nel  petto. 

L'  alba  intanto  sorgea ,  nunzia  del  sole, 
E  '1  ciel  cangiava  in  oriente  aspetto, 
E  sulle  tende  già  potean  vedere 
Da  lunga  il  tremolar  delle  bandiere. 

96.  Ricominciò  di  novo  allora  il  saggio: 
ledete  il  sol,  che  vi  riluce  in  fronte, 
E  vi  discopre  con  1'  amico  raggio 

Le  tende,  e  '1  piano,  e  la  cittride,  e  '1  monte. 
Securi  d'  ogn'  intoppo  e  d'  ogni  oltraggio 
Io  scorti  v'  ho  fin  qui  per  vie  non  conte. 
Potete  senza  guida  ir   per  voi  stessi 
Omai ,  né  lece  a  me ,  che  più  m'  appreà»L 


97.      Così  tol<e  congedo,   e  fé'  ritorno, 
Lasciando  i  cavalieri  ivi  pedoni. 
Ed  essi  pur  contra  il  nascente  giorno 
Seguir  lor  strada,  e  giro  ai  padiglioni. 
Portò  la  faina  e  divulgò  d'  intorno 
L'  aspettato  venir  «lei  tre  barimi, 
E  innanzi  ad  cssi  al  pio  Goffredo  corse, 
Che  per  raccorli  dal  suo  seggio  sorse. 


CANTO     DECIMO     OTTAVO. 


ARGOMENTO. 

Da  Goffredo  e  da  Dio  perdono  ottiene 
Rinaldo  ,  e  le  magie  del  bosco  affronta. 
Ma  già  del  campo  oslil,  che  sopravviene, 
Messaggiera  ai  Cristian  fuma  racconta. 
Fussene  spia  ì  affrino  ;  intanto  spcne 
Ila  la  gente  di  Cristo  audace  ,   e  pronta 
Di  salir  l'  allo  muro,  e  'i  muro  sale. 
Ma  contrasto  vi  pale  aspro ,  e  mortale. 


1.      Giunto  Rinaldo,  o\e   Goffredo  è  sorto 
Ad  in(U)ntrarlo  .   incominciò  :  signori-, 
A  vendicarmi  del  grierricr,  eh'  è  morto, 
Cura  mi  spinse  di  g«•lo^o  «more. 
E  a'  io  n'  offesi  te,  ben  di~conforto 
Ne  sentii  poscia ,  e  penitenza  al  core. 
Or  vegno  a'  tuoi  riciii.imi,  v.A   ogni  (emenda 
Son  pronto  a  far ,  clic  grato  a  te  mi  renda. 

A  lui,  eh'  umil  ^li  s    iiiiliiiiò,  le  braccia 
Stese  al  collo  (ìotlVedo,   e  gli   risjiose: 
Ogni  trista  memoria  omai   .'-i  taccia, 
E  pongall^i  in   obblio  h;  and.it<^  cose! 
E  per  rmendii,  io  vorrò  sol   cUr.  faccia, 
Qiiai   per  uso  fiiresti ,  opri-  l'amoiNc; 
C/liè    11  ilaniio   de'   ncmiii   e    n   prò  de'  nostri 
Vincer  cunviculi  della  selva  i  mostri. 


3.  L'  antichissima  selva,  onde  fu  avanti 
De'  nostri  ordigni  la  materia  tratta, 
(Qual  si  sia  la  cagioni)  ora  è  d'  incanti 
Secreta  stanza  e  formidabil  fatta. 

Né  v'  è  chi  legno  indi  troncar  si  vanti  ; 
Né  vuol  ragion ,  che  la  città  si  batta 
Senza  tali  instriimenti.     Or  colà,  dove 
Paventan  gli  altri ,  il  tuo  valor  si  prove  ! 

4.  Così  disse  egli  :  e  'l  cavalier  s'  offer^c 
Con  brevi  detti  al  rischio  e  alla  fatica  ; 
Ma  negli  atti  magnanimi  si  sierse, 

Ch'  assai   farà,   bemliè  non   molto  ei  dira. 
E  verso  gli  altri  poi  lieto  «:oinerse 
La  destra  e    1  \c(lto  ali"  accoglienza  amiia. 
Qui   Guelfo,  qui    Tancredi,  e  qui  già  tutti 
S'  craii  dell'  uste  i  principi  ridutti. 

5.  Poiché  le  dimostran/e  onote  e  care 
Con  que'  soprani  egli  iterò  più  volle. 
Placido  all'abiliiieiitc  e  popolare 

L'  altre  genti  minori  ebbt^  raccolte. 
Né  saria  già  più   allegro   il  militare 
(irido  ,  o  le  turbe  intorno  a  lui  più   folte, 
Se  vinto  l'  oriente  v  "I   iiic/./.ngioriio, 
Triiiiil'ante  ei  n'  andas^e  in  larro  adorno. 

(».       ('osi  ne  va  sino   al  suo  alliergo,   e  siede 
In  «'ercbio  quivi  ai   cari  amici   a«'caiito, 
E   molto  lor  ri.-pondc,    r   multo   cbiede 
Or  della  guerra,  or  d«l  silv«>stre  ine, mio. 
l>la ,  quaiiilo  ogiiiiii   partendo  agio  lor  diede, 
('o^ì  gli  <ii^^(■  1'  eremita  .«auto  : 
Hen  gran  «•o>e ,  signore  ,  e  lungo  corso 
(^lirabii  peregrino)  cirandu  hai  scorso. 


[20TJ 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XVIll.  ÌT  —  22) 


8, 


9 


10 


Quanto  devi  al  gran  re,  che  '1  mondo  regge 
Tratto  egli  t'  ha  dalle  incantate  soglie; 
Ei  te  smarrito  agnel  fra  la  sua  gregge 
Or  riconduce,  e  nel  suo  ovile  accoglie; 
E  per  la  Toce  del  Bnglion  t'  elegge 
Secondo  esecutor  delle  sue  -voglie. 
Ma  non  conviensi  già,  che  ancor  profano 
Ne'  suoi  gran  ministeri  armi  la  mano. 

Che  sei  della  caligine  del  mondo, 
E  della  carne  tu  di  modo  asperso, 
Che  '1  Mio  0  '1  Gange,  o  1'  oceiin  profondo 
Non  ti  potrebhe  far  candido  e  terso. 
Sol  la  grazia  del  ciel  quanto  hai  d'immondo 
Può  render  puro;  al  ciel  dunque  converso 
Riverente  perdon  richiedi ,  e  spiega 
Le  tue  tacite  colpe,  e  piangi  e  prega! 

Così  gli  disse  :  ed  ei  prima  in  sé  stesso 
Pianse  i  superbi  sdegni  e  i  folli  amori; 
Poi,  chinato  a'  suoi  pie  mesto  e  dimesso, 
Tutti  scoprigli  i  giovenili  errori. 
Il  ministro  del  ciel ,  dopo  il  concesso 
Perdono ,  a  lui  dicea  :  co'  novi  albori 
Ad  orar  te  n'  andrai  là  su  quel  monte, 
Ch'  al  raggio  mattutin  volge  la  fronte. 

Quinci  al  hosco  t'  invia,  dove  cotanti 
Son  fantasmi  ingannevoli  e  bugiardi  ! 
Vincerai  (questo  so)  mostri  e  giganti; 
Purch'  altro  folle  error  non  ti  ritardi. 
Deh,  né  voce,  che  dolce  o  pianga,  o  canti, 
Né  beltà,  che  soave  o  rida,  o  guardi. 
Con  tenere  lusinghe  il  cor  ti  pieghi; 
Ma  sprezza  i  finti  aspetti  e  i  finti  preghi! 

11.  Così  il  consiglia,  e  '1  cavalier  s'  appresta 
Desiando  e  sperando  all'  alta  impresa. 
Passa  pensoso  il  dì,  pensosa  e  mesta 

La  notte:  e  priachò  'n  ciel  sia  1'  alba  accesa^ 

Le  belle  armi  si  cinge,  e  soprawesta 

Nova  ed  estrania  di  color  e'  ha  presa, 

E  tutto  solo,  e  tacito,  e  pedone. 

Lascia  i  compagni,  e  lascia  il  padiglione. 

12.  Era  nella  stagion,  eh'  anco  non  cede 
Libero  ogni  confln  la  notte  al  giorno  ; 
Ma  r  oriente  rosseggiar  si  vede. 

Ed  anco  è  il  ciel  d'  alcuna  stella  adorno. 
Quando  ei  drizzò  ver  1'  Olivete  il  piede. 
Con  gli  occhj  alzati  contemplando  intorno 
Quinci  notturne,  e  quindi  mattutine 
Bellezze  incorruttibili  e  divine. 

13.  Fra  sé  stesso  pensava:  oh  quante  belle 
Luci  il  tempio  celeste  in  sé  raguna  ! 

Ha  il  suo  gran  carro  il  di;  le  aurate  stelle 

Spiega  la  notte  e  1'  argentata  luna. 

Ma  non  è  clii  vagheggi  o  questa,  o  quelle, 

E  miriam  noi  torbida  luce  e  bruna. 

Che  un  girar  d'  occhj,  un  balenar  di  riso 

Scopre  in  breve  confin  di  fragil  viso, 

14.  Così  pensando,  alle  più  eccelse  cime 
Ascese ,  e  quivi  incitino  e  riverente 
Alzò  il  pensier  sovra  ogni  ciel  sublime, 
E  le  luci  fissò  nell  oriente. 

La  prima  vita,  e  le  mie  colpe  prime 

Mira  con  ocrliio  di  pietà  clemente, 

Padre  e  gnor!  In  me  tua  grazia  piovi. 

Sicché  '1     mio  vecchio  Adam  purghi  e  rinnovi! 


15.  Così  pregava:  e  gli  sorgeva  a  fronte 
Fatta  già  d'  auro  la  vermiglia  aurora. 
Che  r  elmo  e  1'  armi ,  e  intorno  a  lui  del  mont 
Le  verdi  cime,  illuminando  indora: 

E  ventilar  nel  petto  e  iicUa  fronte 
Sentia  gli  spirti  di  piacevol  óra. 
Che  sovra  il  capo  suo  scotea  dal  grembo 
Della  beli'  alba  un  rugiadoso  nembo. 

16.  La  rugiada  del  ciel  sulle  sue  spoglie 
Cade,  che  parea  cenere  al  colore, 

E  sì  le  asperge,  che  '1  pallor  ne  toglie, 

E  induce  in  esse  un  lucido  candore. 

Tal  rabbellisce  le  smarrite  foglie 

Ai  mattutini  geli  arido  fiore; 

E  tal  di  vaga  gioventù  ritorna 

Lieto  il  serpente,  e  di  novo  or  s'  adorna. 

17.  Il  bel  candor  delia  mutata  vesta 
Egli  medesmo  riguardando  ammira. 
Poscia  verso  1'  antica  alta  foresta 
Con  secura  baldanza  i  passi  gira. 

Era  là  giunto,  ove  i  men  forti  arresta 
Solo  il  terror,  che  di  sua  vista  spira; 
Pur  né  spiacente  a  lui,  né  pauroso 
U  bosco  par,  ma  lietamente  ombroso. 

18.  Passa  più  oltre,  ed  ode  un  suono  intanto. 
Che  dolcissimamente  si  diffonde. 

Vi  sente  d'  un  ruscello  il  reco  pianto, 
E  '1  sospirar  dell'  aura  infra  le  fronde, 
E  di  musico  cigno  il  flebil  canto, 
E  r  usignuol ,  che  plora  e  gli  risponde. 
Organi  e  cetre,  e  voci  umane  in  rime; 
Tanti  e  sì  fatti  suoni  un  suono  esprime. 

19.  Il  cavalier  pur  (come  agli  altri  avviene) 
N'  attendeva  un  gran  tuon  d'  alto  spavento; 
E  v'  ode  poi  di  ninfe  e  di  sirene, 

D'  aure,  d'  acque,  e  d'  augei  dolce  conceato. 

Onde  meravigliando  il  pie  ritiene, 

E  poi  sen  va  tutto  sospeso  e  lento, 

E  fra  via  non  ritrova  altro  divieto, 

Che  quel  d'  un  fimue  trasparente  e  cheto. 

20.  L'  un  margo  e  1'  altro  del  bel  fiume  adorno 
Di  vaghezze  e  d'  odori  olezza  e  ride. 
Ei  tanto  stende  il  suo  girevol  corno. 
Che  tra  '1  suo  giro  il  gran  bosco  s'  asside 
Né  pur  gli  fa  dolce  ghirlanda  intorno. 
Ma  un  canaletto  suo  v'  entra,  e  '1  divide. 
Bagna  egli  il  bosco,  e  '1  bosco  il  fiume  adombri 
Con  bel  cambio  fra  lor  d'  umore  e  d'  ombra. 

21.  Mentre  mira  il  guerriero,  ove  si  guade. 
Ecco  un  ponte  mirabile  appariva, 

Vn  ricco  ponte  d'  or,  che  larghe  strade 

Su  gli  archi  stabilissimi  gli  oflriva. 

P<issa  il  dorato  varco,  e  quel  giù  cade, 

Tostochè  '1  piò  toccata  ha  1'  altra  riva, 

E  sé  nel  porta  in  giù  1'  acqua  repente, 

L'  acqua,  eh'  è  d'  un  bei  rio  fatta  un  torrenl 

22.  Ei  si  rivolge,  e  dilatato  il  mira 
E  gonfio  assai,  quasi  per  nevi  sciolte, 
Che  'n  sé  stesso  volubil  si  raggira 
Con  mille  rapidissime  rivolte. 
Ma  pur  desio  di  novitatc  il  tira 
A  spiar  tra  le  piante  antiche  e  folte, 
E  in  quelle  solitudini  selvagge 
Sempre  a  su  uova  uicruviglLu  il  traggc. 


\ 


[209] 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (XVIII.  23  — S8)  [210] 


23.  Dove  in  passando  le  restigia  ei  posa. 
Par  eh'  ivi  scaturis^ca,  o  che  geimoglie. 
Là  b'  apre  il  gìglio ,  e  qui  spunta  la  rosa, 
Qui  sorge  un  fonte,  ivi  un  ruscel  si  scioglie. 
E  sovra  e  intorno  a  lui  la  selva  annosa 
Tutta  parca  ringiovinir  le  foglie. 

S'  ammolliscon  le  scorze ,  e  si  rinverde 
Più  lietamente  in  ogni  pianta  il  verde. 

24.  Rugiadosa  di  manna  era  ogni  fronda, 
£  di^^tillava  dalle  scorze  il  mele: 

E  di  novo  s'  udia  quella  gioconda 

Strana  armonia  di  canto  e  di  querele. 

Ma  il  coro  uman,  eh'  ai  cigni,  all'  aura,  all'  onda 

Facea  tenor     non  sa ,  dove  si  cele  : 

Non  sa  veder,  chi  formi  umani  accenti, 

Né  dove  siano  i  mudici  stromenti. 

25.  Mentre  riguarda,  e  fede  il  pensier  nega 
A  quel,  che  'I  senso  gli  ofTcria  per  vero, 
Vede  un  mirto  in  disparte,  e  là  si  piega, 
Ove  in  gran  piazza  termina  un  sentiero. 
L'  estranio  mirto  ì  suoi  gran  rami  spiega 
Più  del  cipresso  e  della  palma  altero, 
E  sovra  tutti  gli  arbori  frondeggia, 
Ed  ivi  par  del  bosco  esser  la  reggia. 

56.  Fermo  il  guerrler  nella  gran  piazza,  affisa 
A  maggior  novitate  allor  le  ciglia. 
Quercia  gli  appar ,  che ,  per  se  stessa  incisa. 
Apre  feconda  il  cavo  ventre  e  figlia. 
£  n'  esce  fuor  vestita  in  strania  guisa 
Ninfa  d'  età  cresciuta  (oh  meraviglia!); 
£  vede  insieme  poi  cento  altre  piante 
Cento  ninfe  produr  dal  sen  pregnante. 

57.  Quai  le  mostra  la  scena,  o  quai  dipinte 
Talvolta  rimiriam  dee  boscherecce, 
Nude  le  braccia,  e  i'  abito  succinte. 
Con  bei  coturni  e  con  disciolte  trecce: 
Tali  in  sembianza  si  vedean  le  finte 
Figlie  delle  selvatiche  cortecce; 
Se  non  clic  in  vece  d'  arco  e  di  faretra 
Chi  ticn  leitto ,  e  chi  viola  o  cetra. 

8.     E  incominciar  costor  danze  e  carole, 
£  di  sé  stesse  una  corona  ordirò, 
E  cinsero  il  guerrier,  siccome  suole 
Esser  punto  rinchiuso  entro  '1  suo  giro. 
Cinser  la  pianta  ancora,  e  tai  parole 
Nel  dolce  canto  lor  da  lui  s'  udirò: 
Ben  r^iro  giungi  in  queste  chiostre  amene. 
Oh  della  donna  nostra  amore  e  spene! 

Giungi  aspettato  a  dar  salute  all'  egra, 
D'  amoroso  pcn.-.icro  arsa  e  ferita. 
Questa  selva,  che  dianzi  era  sì  negra, 
Stanza  conforme  alla  dolente  \i(a. 
Vedi ,  che  tutta  al  tuo  venir  s'  allegra, 
E  'n  più  leggiadre  forme  è  rivestita. 
'J'ale  era  il  canto:   e  poi  dal  mirto  uiicla 
Vn  dolcissimo  suono,  e  quel  s'  apria. 

).      Già  noli'  ajtrir  d'  un  ruftlico  Sileno 
Mcra^  iglia  vedea  1'  antica  «;tadc  ; 
Ma  quel  gran  mirto  dall'  aperto  seno 
Immagini  inop^trò  più  belle  e  rade. 
Donna  mostrò j  eh'  assomigliava  appieno 
Nel  falso  aspetto  angelica  beltade, 
Uinaldo  guata,   e  di  veder  gli  è  avvilo 
Le  sembianze  d'  Armida,  e    1  dolce  >iso. 

i\ 


31.      Quella  lui  mira  in  un  lieta  e  dolente. 
Mille  aflctti  in  un  guardo  appajon  misti. 
Poi  dice  :  io  pur  ti  veggio ,  e  finalmente 
Pur  ritorni  a  colei ,  da  cui  fuggisti. 
A  che  ne  vieni.''  A  consolar  presente 
Le  mie  vedove  notti  e  i  giorni  tristi  ? 
O  vieni  a  mover  guerra ,  a  discacciarme  ? 
Che  mi  celi  il  bel  volto,  e  mostri  I'  arme? 

32.  Giungi  amante,  o  nemico?  Il  ricco  ponte 
Io  già  non  preparava  ad  uora  nemico. 

Né  gli  apriva  i  ruscelli,  i  fior,  la  fonte. 
Sgombrando  i  dumi ,  e  ciò  eh'  a'  passi  è  intrico. 
Togli  questi  cimo  ornai ,  scopri  la  fronte, 
E  gli  occhi  agli  occbj  mìei,  se  arrivi  amico! 
Giungi  i  labbri  alle  labbra,  il  seno  al  seno, 
Porgi  la  destra  alla  mia  destra  almeno  1 

33.  Seguia  parlando ,  e  in  bei  pietosi  giri 
Volgeva  i  lumi ,  e  scoloria  i  sembianti, 
Falseggiando  i  dolcissimi  sospiri, 

E  i  soa\  i  singulti ,  e  i  vaghi  pianti  ; 

Talché  incauta  pìetade  a  quei  martiri 

Intenerir  potca  gli  aspri  diamanti. 

Ma  il  cavaliero,  accorto  sì,  non  crudo, 

Più  non  v'  attende,  e  stringe  il  ferro  ignudo. 

31.      Vassene  al  mirto  :  allor  colei  s'  abbraccia 
Al  caro  tronco,  e  s'  interpone  e  grida: 
Ah  non  sarà  mai  ver,  che  tu  mi  faccia 
Oltraggio  tal,  che  1'  arbor  mio  recida. 
Deponi  il  ferro  ,  oh  di^pìetato ,   o  '1  caccia 
Pria  nelle  vene  all'  infelice  Armida! 
Per  questo  sen ,  per  questo  cor  la  spada 
Solo  al  bel  mirto  mio  trovar  può  strada. 

35.  Egli  alza  il  ferro,    e  '1  suo    pregar  non  cura; 
Ma  colei  si  trasmuta  (oh  novi  mostri!) 
Siccome  avvien ,  che  d'  una ,  altra  figura. 
Trasformando  repente ,  il  sogno  mostri  ; 

Così  ingrossò  le  membra,  e  tornò  scura 
La  faccia,  e  vi  sparir  gli  avorj  e  gli  ostri. 
Crebbe  in  gigante  altissimo,  e  si  feo 
Con  cento  armate  braccia  un  Briareo. 

36.  Cinquanta  spade  impugna,  e  con  cinquanta 
Scudi  risuona,  e  minaci-iando  freme. 

Ogni  altra  ninfa  ancor  d'  armo  e'  ammanta, 
Fatta  un  Ciclopc  orrendo,  ed  ei  non  teme, 
Ma  doppia  i  colpi  alla  difesa  pianta. 
Che  pur,  come  animata,  ai  colpi  geme. 
Sembrau  dell'  aria  i  rampi ,  i  campi  stigi: 
Tanti  appnjouo  in  lor  mo^tri  e  prodigi. 

37.  Sopra  il  turbato  ciel,  sotto  la  terra. 
Tuona  e  fulmina  quello,  e  trema  questa: 
Aengono  i  venti  e  le  procelle  in  guerra, 
E  gli  soffiano  al  >olto  aspra  tempesta. 
Ma  pur  mai  colpo  il  cavalier  non  erra, 
Né  per  tanto  furor  punto  s'  arresta. 
Tronca  la  no<e,  è  noce,  e  mirto  parve. 
Qui  r  incanto  fornì,  sparir  le  lar^o. 

38.  Tornò  sereno   il  ciclo,  e  1'  aum  cheta, 
Tornò  la  scUa  al   naturai  suo  stato, 
Non  «r  incanti  teniliilr.  e  non  lieta, 
Piena  d'  orror ,  ma  dell'  orrore  innato. 
Ritenta  il  vincitor,  n'  altro  più  \ieta, 

('II'  esxer  non  jiossa  il  bosco  omai  troncato. 
Poscia  sorride,  e  fra  sé  dice:  oh  vane 
Sembianze!  oh  folle,  chi  per  voi  rimane! 

14 


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GERUSALEMME   LIBERATA.     (XVIII.  39  — 54)  [212 


89.      Quinci  s'  invia  verso  le  tende,  e  intanto 
Colà  g^ridava  il  solitario  Piero: 
Già  vinto  è  della  selva  il  fero  incanto, 
Già  sen  ritorna  il  viiicitor  guerriero. 
Vedilo!  ed  ei  da  lunge  in  bianco  manto 
Comparia  venerabile  ed  altero, 
E  dell'  aquila  sua  1'  argentee  piume 
Spleudeano  al  sol  d'  inusitato  lume. 

40.  Ei  dal  campo  giojoso  alto  saluto 
Ha  con  sonoro  x-eplicar  di  gridi, 

E  poi  con  lieto  onore  è  ricevuto 
Dal  pio  Buglione,  e  non  è  chi  1'  invidi. 
Disse  al  duce  il  guerriero:  a  quel  temuto 
Bosco  n'  andai ,  come  imponesti ,  e  'l  vidi. 
Vidi  ,  e  vinsi  gì'  incanti.     Or  vadan  pure 
Le  genti  là  ;  che  son  le  vie  secure. 

41.  Vassi  all'  antica  selva,  e  quindi  è  tolta 
Materia  tal ,  qual  buon  giudizio  eles.*e. 

E  benché  o>curQ  fabbro  arte  non  molta 
Por  nelle  prime  macchine  sapesse, 
Pur  artefice  illustre  a  questa  volta 
E  colui,  eh'  alle  travi  i  vinchj  intesse: 
Guglielmo,  il  duce  ligure,  che  pria 
Signor  del  mare  corseggiar  solia. 

42.  Poi  sforzato  a  ritrarsi ,  ei  cesse  i  regni 
Al  gran  naviglio,   saracin  de'  mari, 

Ed  ora  al  campo  conducea  dai  legni 

E  le  maritiiiie  armi  e  i  marinari. 

Ed  era  questi  infra  i  più  industri  ingegni 

Ne'  meccanici  ordigni  uom  senza  pari. 

E  cento  seco  avea  fabbri  minori. 

Di  ciò ,  eh'  egli  disegna ,  esecutori. 

lo.      Costui  non  solo  cominciò  a  comporre 
Catapulte,  baliste,  ed  arieti. 
Onde  alle  mura  le  difese  torre 
Possa ,  e  spezzar  le  sode  alte  pareti, 
Ma  fece  opra  maggior,  mirabil  torre, 
Ch'  entro  di  pin  tessuta  era  e  d'  abeti, 
E  nelle  cuoja  avvolto  ha  quel  di  fuore, 
Per  ischermirsi  dal  lanciato  ardore. 

14.  Si  scommette  la  mole ,  e  ricompone 
Con  sottili  giunture  in  un  congiunta. 
E  la  trave,  che  testa  ha  di  muntone. 
Dall'  ime  parti  sue  cozzando  spunta. 
Lancia  dal  mezzo  un  ponte,  e  spesso  il  pone 
Suir  opposta  muraglia  a  prima  giunta  ; 

E  fuor  da  lei  su  per  la  cima  n'  esce 

Torre  minor ,  eh'  in  suso  è  spùita ,  e  cresce. 

15.  Per  le  facili  vie  destra  e  corrente 
Sovra  ben  cento  sue  volubil  rote, 
Gravida  d'  arme,  egra\ida  di  gente. 
Senza  multa  fatica  ella  gir  punte. 
Stanno  le  schiere  rimirando  intente 

La  prestezza  de'  fabbri,  e  1'  arti  ignote. 
E  due  torri  in   quel  punto  anco  son  fatto, 
Della  prima  ad  immagine  ritratte. 

IG.     Ma  non  ci'an  frattanto  ai  Saracini 

L'  opre,  che  ivi  si  fean ,  del  tutto  ascoste; 
P('r<:lu';  neir  alte  mura  ai  più  vicini 
Lochi  le  guardie  ad  ispiar  son  poste. 
Questi  gran  salmerie  d'  orni  e  di  pini 
Vedcan  dal  bosco  esser  condotte  all'  oste, 
E  macchine  vedean ,  ma  non  appieno 
Kiconoscer  ior  forma  indi  potiéno. 


47.      Fan  Ior  macchine  anch'  essi,  e  con   molt'  ari 
Rinforzano  e  le  torri  e  la  nuiraglia, 
E  r  alzaron  cosi  da  quella  parte, 
Ov'  è  men  atta  a  sostener  battaglia, 
Ch'  a  Ior  credenza,  ornai  sforzo  di  Marte 
Esser  non  può  ,  eh'  ad  espugnarla  vaglia. 
Ma  sovra  ogni  difesa  Ismen  prepara 
Copia  di  fochi  inusitata  e  rara. 

18.  Mesce  il  mago  feilon  zolfo  e  bitume, 
Che  dal  lago  di  Sodoma  ha  raccolto  : 

E  fu  (credo)  in  inferno;   e  dal  gran  fiume. 
Che  nove  volte  il  cerchia ,  anco  n'  ha  tolto. 
Così  fa ,  che  quel  foco  e  puta  e  fumé, 
E  che  s'  avventi  fiammeggiando  al  volto. 
E  ben  co'  feri  incendj   egli  s'  avvisa 
Di  vendicar  la  cara  selva  incisa. 

19.  Mentre  il  campo  all'  assalto,  e  la  cittade 
S'  apparecchia  in  tal  modo  alle  difese. 
Una  colomba  per  l'  aeree  strade 

Vista  è  passar  sovra  lo  stuol  francese. 
Che  non  dimena  i  presti  vanni ,  e  rade 
Quelle  liquide  vie  con  1'  ali  tese. 
E  già  la  messaggiera  peregrina 
Dall'  alte  nubi  alla  città  s'  inchina, 

50.  Quando,  di  non  so  donde,    esce  un  falcone, 
D'  adunco  rostro  armato  e  di  grand'  ugna. 
Che  fra  '1  campo  e  le  mura  a  lei  s'  oppone. 
Non  aspetta  ella  del  crudel  la  pugna. 
Quegli  d'  alto  volando  al  padiglione 
Maggior  r  incalza,  e  par,  che  omai  i'   ngglugr 
Ed  al  tenero  capo  il  piede  ha  sovra: 
Essa  nel  grembo  al  pio  Buglion  rìcovra. 

51.  La  raccoglie  Goffredo ,  e  la  difende. 
Poi  scorge ,  in  lei  guardando ,  estrania  cosa. 
Che  dal  collo  ad  un  filo  avvinta  pende 
Rinchiusa  carta,  e  sotto  un'  ala  ascosa. 
La  disserra  e  dispiega,  e  bene  intende 
Quella,  eh'  in  sé  contien  non  lunga  prosa. 
Al  signor  di  Giudea ,  dicea  lo  scritto, 
Invia  salute  il  capitan  d'  Egitto. 

52.  Non  sbigottir,  signor,  resisti  e  dura 
Insino  al  quarto ,  o  insino  al  giorno  quinto  ! 
Ch'  io  vengo  a  liberar  cotesto  mura, 
E  vedrai  tosto  il  tuo  nemico  vinto. 
Questo  il  secreto  fu ,  che  la  scrittura 
In  barbariche  note  avea  distinto, 
Dato  in  custodia  al  portator  volante; 
Che  tai  messi  in  quel  tempo  usò  il  Levante. 

53.  Libera  il  prence  la  colomba,  e  quella, 
Che  de'  secreti  fu  rivelatrice. 
Come  esser  creda  al  suo  signor  rubclla, 
Non  ardi  più  tornar  nunzia  infelice. 
Ma  il  sopran  duce  i  minor  duci  appella, 
E  Ior  mostra  la  carta,  e  cosi  dice: 
Vedete,  come  il  tutto  a  noi  riveli 
La  provvidenza  del  signor  de'  cieli  ! 

51.      Già  più  di  ritardar  tempo  non  parmi. 
Nova  spianata  or  cominciar  potrassi. 
E  fatica  e  sudor  non  si  risparmi. 
Per  superar  d'  inverso  l'  austro  i  sassi. 
Duro  fia  sì  far  colà  strada  all'  armi  ; 
Pur  far  si  può  :  notalo  ho  il  loco  e  i  passi. 
E  ben  quel  muro,  eh'  assecura  il  sito, 
D'  armi  e  A'  opre  men  deve  esser  munito. 


I 


[213] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (XVm.  55—70) 


[214] 


55.  Tu,  Raimondo,  vogl'  io  che  da  quel  lato 
Con  le  macchine  tue  le  mura  offenda. 

Vo',  che  dell'  anni  mie  V  alto  apparato 
Contra  la  porta  aquilonar  .^i  stenda, 
Sicché  il  nemico  il  veggia  ,  ed  ingannato 
Indi  il  maggior  impeto  no>tro  attenda. 
Poi  la  gran  torre  mia,  eh'  agevol  move. 
Trascorra  alquanto,  e  porti  guerra  altrove! 

56.  Tu  drizzerai ,  Camillo  ,  al  tempo  stesso 
Non  lontana  da  me  la   terza  torre. 
Tacque:  e  Raimondo,  che  gli  siede  appresso, 
E  che,  parlando  lui,  fra  sé  discorre, 

Disse  :  al  consiglio  da  Goffredo  espresso 
Nulla  giunger  si  puote,  e  nulla  torre. 
Lodo  solo  oltra  ciò,  eh'  alcun  s'  invii 
Nel  campo  ostil,  che  i  suoi  secreti  spiì, 

57.  E  ne  ridica  il  numero ,  e  '1  pensiero 
(Quanto  raccor  potrà)  certo  e  verace. 
Soggiunse  allor  Tancredi  :  ho  un  mio  scudiero, 
Ch'  a  questo  ufficio  di  propor  mi  piace, 

Uom  pronto  e  destro,  e  sovra  i  pie  leggiero. 
Audace  si ,  ma  cautamente  audace, 
Che  parla  in  molte  lingue,  e  varia  il  noto 
Suon  della  voce,  e  '1  portamento  e  '1  moto. 

58.  Venne  colui  chiamato  :  e ,  poiché  intese 
Ciò,  che  Goffredo  e  '1  suo  signor  desia, 
Alzò  ridendo  il  volto,  ed  intraprese 
La  cura,  e  disse:  or  or  mi  pongo  ia  via. 
Tosto  sarò ,  dove  quel  campo  tese 
Le  tende  a\rà,  non  conosciuta  spia, 
Vo'  penetrar  di  mezzo  di  nel  vallo, 
£  numerarvi  ogn'  uomo ,  ogni  cavallo. 

59.  Quanta,  e  qual  sia  qucll'  oste  e  ciò  che  pensi 
Il  duce  loro,  a  voi  ridir  prometto. 

Vantomi  in  lui  scoprir  gì'  intimi  sensi, 
E  i  secreti  pensicr  trargli  dal  petto. 
Così  parla  ^alVino,  e  non  tratliensi, 
Ma  cangia  in  lungo  manto  il  suo  farsetto, 
E  mostra  fa  del  nudo  collo ,  e  |>rendc 
D'  intorno  al  capo  attorcigliale  hende. 

iO.      La  faretra  s'  adatta  e  1'  arco  sire, 

E  barbarico  sembra  ogni  suo  gesto.  i 

Stupiroii  quei,  «he  favellar  1'  udirò, 

Ed  in  di\er»e  lingue  es»er  bi  pre>to,  j 

Ch'  Egizio  in  iMcnli,  o  pur  Fenice  ili  Tiro  ■ 

L'  avria  creduto  e  quel  popolo  e  qucito. 

Egli  sen  va  sovra  un  destrier,  eh'  appena 

Segna  nel  corso  la  più  molle  arena.  j 

il.      Ma  i  Franchi,  priachè  '1  terzo  dì  sia  giunto, 
Appiana ron  le  vie  scuscese  e  rotte, 
E  fornir  gli  ^stroincnti  anco   in  quel  punto  > 
Che  non   fur  le  faticlie  uiiqua  interrotte. 
Anzi  all'   opre  de'  giorni  avean  congiunto. 
Togliendola  al  riposo,  anco  la  uollc. 
Kè  cosa  è  più  ,  <:lie  ritardar  li  p<»^sa 
Dui  far  r  cijtremo  ornai  d'  ogni  lor  possa. 

!2.      Del  di,  cui    dell"  assalto  il  dì  successe, 
Gran  parte  orando  il  pio  liuglion  ilispensa, 
E  impon,   cir  ogni  altro  i  falli  suoi  confesse, 
E  pasca  il  pan  dell'  alme  alla  gran  nu-n»u. 
Macchine  ed  armi  poscia  ivi  più  spesso 
Dimostra,  ove  adoprarle  egli  mcn   pensa. 
E  '1  deluso  pagan  .>ì  riciniforta, 
Ch'  uppor  le  vede  alia  munita  porla. 


03.      Col  bujo  della  notte  è  poi  la  vasta 
Agii  macchina  sua  colà  traslata, 
Ov'  è  men  curvo  il  muro  e  raen  contrasta* 
Ch'  angolosa  non  fa  parte,  o  piegata. 
Ed  in  sul  colle  alla  città  sovrasta 
Raimondo  ancor  con  la  sua  torre  armata. 
La  sua  Camillo  a  quel  lato  avvicina. 
Che  dal  borea  all'  occaso  alquanto  inchina. 

34.      3Ia  come  furo  in  oriente  apparai 
I  mattutini  messaggier  del  »ole, 
S'  avvidero  i  pagani ,  (e  ben  turbarsi) 
Che  la  torre   non  è ,  dov'  esser  suole, 
E  mirar  quinci  e  quindi  anco  innalzarsi 
Non  più  veduta  una  ed  un'  altra  mole; 
E  in  numero  infinito  anco  son   viste 
Catapulte,  monton,  gatti  e  baliste. 

65.      Non  è  la  turba  di  Sorìa  già  lenta 
A  trasportarne    a  molte  difese. 
Ove  il  Buglion  le  macchine  appresenta 
Da  quella  parte ,  ove  primier  I'  attese. 
Ma  '1  capitan ,  eh'  a  tergo  aver  rammenta 
L'  oste  d'  Egitto,  ha  quelle  vie  già  prese. 
E  Guelfo ,  e  i  duo  Roberti  a  sé  chiamali  : 
State,  dice,  a  cavallo  in  sella  armati, 

56.      E  procurate  voi,  che,  mentre  ascendo 
Colà ,  dove  quel  nmro  appar  men  forte, 
Schiera  non  sia ,  che  subita  venendo 
S'  atterghi  agli  oi^cupatì ,  e  guerra  porte  ! 
Tacque:  e  già  da  tre  lati  assalto  orrendo 
Movon  le  tre  sì  valorose  scorte. 
E   d.i  tre  lati  ha  il  re  sue  genti  opposte, 
Che  riprese  quel  dì  1'  arme  dej)osle. 

67,  Egli  medesmo   al  corpo  omai  tremante 
Per  gli  anni,  e  grave  del  suo  proprio  pondo, 
L'  armi,   che  disusò  gran  tempo  avante. 
Circonda,  e  se  ne  va  contra  Raimondo. 
Solimano  a  Gi'ffredo ,  e    1  fero  Argante 

Al  buon  Camillo  oppon ,  che  di  Boemondu 
Seco  ha  il  nipote,  e  lui  fortuna  or  guida. 
Perchè  il  nemico  a  sé  dovuto  uccida. 

68,  Incominciaro  a  saettar  gli  arcieri 
Infette  di  veiieno  arme  mortali, 

Ed  adombrato  il  ci'l  par  clie  s'  anneri 
Sotto  un  immenso  nuvolo  di  strali. 
Ma  con  fiuza  maggior  colpi  più  feri 
^e  venian  dalle  macchine  nuirali. 
Indi  gran  palle  uscian  marmoree  e  gravi, 
E  con  punta  d'  acciar  ferrate  travi. 

69.  Par  fulmine  ogni  snssti ,  e  cosi  trita 

L'   armatura  e  h^  membra  a  chi  n'  é  colto, 
Che  gli  toglie  non  pur  1'   alma  e  la  vita, 
Ma  la  forma  del  corpo  anco  e  del  volto. 
Non  si  ferma  la  lancia  alla  ferita: 
Dopo  il  colpo  del  corso  avanza  molto. 
Entra  da  un  lato,  e  fuor  per  1'  altro  pasba 
Fuggendo  ,  e  nel  fuggir  la  morto  ìand. 

70.  Ma  non  togliea  però  dalla  difesa 
Tanto  furor   le  saracinc  genti, 
('ontra  quelle  percosso  avean  già  tesa 
l'iegh*'\ol  tela,  e  cose  altre  cedenti. 

1/  impeto,  eh'  in  lor  cade,  ì\i  contesa 
Non  trova,  e  vien,  che  vi  si  fiacchi  e  lenti. 
Estii ,  ove  miran  più  bi  calca  esposta, 
Fan  eoo  1'  arme  volanti  aspra  risposta. 

14  * 


[215] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XVIII     71-80) 


11,     Con  tutto  ciò  d'  andarne  oltre  non  cessa 
L'  assalitor ,  che  tripartito  move. 
E  chi  va  sotto  gatti,  ove  la  spessa 
Gragnuoln  di  saette  indin-no  piove, 
E  chi  le  toni  all'  alto  niiiio  appressa, 
Che  loro  a  suo  poter  da  sé  rhnove. 
Tenta  ogni  torre  ornai  lanciare  il  ponte, 
Cozza  il  luonton  con  la  ferrata  fronte. 

T2.     Rinaldo  intanto  irresoluto  bada, 

Che  quel  rischio  di  lui  degno  non  era, 
E  stima  onor  plebeo,  qunndo  egli  vada 
Per  le  comuni  vie  col  vulgo  in  scliiera  ; 
E  volge  intorno  gli  occlij ,  e  quella  strada 
Sol  gli  piace  tentar,  eh'  altri  dispera. 
Là  dove  il  muro  più  munito  ed  alto 
In  pace  stassi ,  ei  vuol  portar  V  assalto. 

13.  E  volgendosi  a  quelli,  i  quai  già  furo 
Guidati  da  Dudon  ,  guerrier  famosi: 
Oh  vergogna,  dicea ,  che  là  quel  muro 
Fra  cotante  arme  in  pace  or  si  riposi! 
Ogni  rischio  al  valor  sempre  è  securo; 
Tutte  le  vie  son  piane  agli  animosi.  ^ 
Moviam  là  guerra,  e  contra  ai  colpi  crudi 
Facciam  densa  testuggine  di  scudi! 

14.  Giungersi  tutti  seco  a  questo  detto: 
Tutti  gli  scudi  alzar  sovra  la  testa, 
E  gli  uniron  cosi,  che  ferreo  tetto 
Facean  contra  1'  orribile  tempesta. 
Sotto  il  coperchio  il  fero  stuol  ristretto 

Va  di  gran  corso,  e  nulla  il  corso  arresta; 
Che  la  soda  testuggine  sostiene 
Ciò,  che  di  ruinoso  in  giù  ne  viene. 

T5.      Son  già  sotto  le  mura.     Allor  Rinaldo 
Scala  drizzò  di  cento  gradi  e  cento, 
E  lei  con  braccio  maneggiò  sì  saldo, 
Ch'  agile  è  raen  picciola  canna  al  vento. 
Or  lancia  o  trave,  or  gran  colonna,  o  spaldo 
D'  alto  discende:  ei  non  va  su  più  lento, 
Ma  intrepido  ed  invitto  ad  ogni  scossa 
Sprezzeria ,  se  cadesse  ,  Olimpo  ed  Ossa. 

ta.      Una  selva  di  strali  e  di  mine  . 

Sostien  sul  dosso,   e  sullo  scudo  un  monte. 
Scole  una  man  le  mura  a  se  vicine, 
L'  altra  sospesa  in  guardia  è  della  fronte. 
L'  esempio  all'  opre  ardite  e  peregrine 
Spinge  i  compagni  :  ei  non  è  sol ,  che  monte  ; 
Che  molti  appoggian  seco  eccelse  scale, 
Ma  '1  valore  e  la  sorte  è  disuguale. 

17.  More  alcuno,  altri  cade;  egli  sublime 
Poggia,  e  questi  conforta,  e  quei  minaccia. 
Tanto  è  già  in  su,  che  le  merlate  cime 
l'uote  afferrar  con  le  distese  braccia. 

Gran  gente  allor  vi  trae ,  1'  urta,  il  reprime, 
Cerca  precipitarlo;  e  pur  noi  caccia. 
(  Mirabil  vi^ta!)  a  un  grande  e  fermo  stuolo 
Rusister  può  sospeso  in  aria  un  solo. 

18.  E  resiste,  e  s'  avanza,  e  si  rinforza, 

E ,  come  palma  suol ,  cui  pondo  aggreva. 

Suo  valor  combattuto  ha  maggior  forza, 

E  nella  opprcssion  più  si  solleva. 

E  vince  alfm  tutti  i  nemici ,  e  sforza 

L'  aste  e  gì'  intopi>i ,  che  d'  incontro  aveva, 

E  sale  il  muri» ,  e  '1  signoreggia ,  e  'I  rende 

Sgombro  e  securo  a  chi  dirctro  ascende. 


19.      Ed  egli  stesso  all'  ultimo  germano 

Del  pio  Buglion ,  eh'  è  di  cadere  in  forse, 

Stesa  la  vincitrice  amica  mano, 

Di  salirne  secondo  aita  porse. 

Frattanto  erano  altrove  al  capitano 

Varie  fortune  e  perigliose  occorse; 

Cli'  ivi  non  pur  fra  gli  uomini  si  pugna. 

Ma  le  macchine  insieme  anco  fan  pugna. 

60.     Sul  muro  aveano  i  Siri  un  tronco  alzato, 
Ch'  antenna  un  tempo  esser  solca  di  nave; 
E  sovra  lui  col  capo  aspro  e  ferrato 
Per  traverso  sospesa  è  grossa  trave. 
E   indietro  quel  da  canapi  tirato, 
Poi  torna  innanzi  impetuoso  e  grave: 
Talor  rientra  nel  suo  guscio,  ed  ora 
La  tcstuggin  rimanda  il  collo  fuora. 

81.  Urtò  la  trave  immensa ,  e  così  dure 
Kella  torre  addoppiò  le  sue  percosse. 
Che  le  ben  teste  in  lei  salde  giunture 
Lentando  aperse ,  e  la  rispinse  e  scosse. 
La  torre  a  quel  bisogno  armi  secure 

Avca  già  in  punto ,  e  due  gran  falci  moasc, 
Ch'  avventate  con  arte  incontra  il  legno, 
Quelle  funi  troncar ,  eh'  eran  sostegno. 

82.  Qual  gran  sasso  talor,  che  o  la  vecchiezza 
Solve  d'  un  monte,  o  svelle  ira  de'  venti, 
Ruinoso  dirupa,  e  porta  e  spezza 

Le  selve ,  e  con  le  case  anco  gli  armenti, 
Tal  giù  traea  dalla  sublime  altezza 
L'  orribii  trave ,  e  merli ,  ed  arme ,  e  genti. 
Die'  la  torre  a  quel  moto  uno  e  duo  crolli  ; 
Tremar  le  mura ,  e  rimbombaro  i  colli. 

83.  Passa  il  Buglion  vittorioso  avanti, 
E  già  le  mura  d'  occupar  si  crede; 
Ma  fiamme  allora  fetide  e  fumanti 
Lanciarsi  incontra  immantinente  ei  vede. 
Kè  dal  sulfureo  sen  fochi  mai  tanti 

R  cavernoso  Mongibel  fuor  diede, 
Kè  mai  cotanti  negli  estivi  ardori 
Piove  r  indico  ciel  caldi  vapori. 

84.  Qui  vasi ,  e  cerchj  ,  ed  aste  ardenti  sono, 
Qual  fiamma  nera,  e  qual  sanguigna  splende. 
L'  odore  appuzza,  assorda  '1  rombo  e    1  tuono 
Accieca  il  fumo,  il  foco  arde  e  s'  apprende. 
L'  umido  cuojo  alfin  saria  mal  buono 
Schermo  alla  torre  :  appena  or  la  difende. 
Già  suda  e  si  rincrespa,  e  se  più  tarda 

Il  soccorso  del  ciel ,  convien  pur  eh'  arda. 

85.  11  magnanimo  duce  innanzi  a  tutti 
Stassi,  e  non  nmta  nò  color,  né  loco, 
E  quei  conforta ,  «;he  su'  cuoj  asciutti 

^  crsan  1'  onde  apprestate  incontro  al  foco. 

In  tale  stato  eran  costor  ridutli, 

E  già  dell'  acque  rimanea  lor  poco, 

Quando  ecco  un  vento,  eh'  improvviso  spira, 

Contra  gli  autori  suoi  1'  incendio  gira. 

86.  Vien  contro  al  foco  il  turbo,  e  indietro  volti 
n  foco,  ove  i  pagan  le  tele  alzaro, 
Quella  molle  materia  in  sé  raccolto 
L'  ha  immantinente ,  e  n'  arde  ogni  riparo. 
Oh  glorioso  capitano  !  oh  molto 
Dai  gnui  Dio  custodito,  al  gran  Dio  caro! 
A  te  guerreggia  il  cielo,  e  ubbidienti 
Ven"ron  chiamali  a  suon  di  trombe  i  venti. 


[217] 


GERUSALEMME  LIBERATA     (XVIII.  87-102)         [218] 


87.  Ma  r  empio  I^men,  che  le  sulfuree  faci 
Vide  da  borea  incontra  sé  converse, 
Ritentar  volle  1'  arti  sue  fiillaci, 

Per  sforzar  la  natura  e  1'  aure  avverse; 
E  fra  due  maglie,  che  di  luì  seguaci 
Si  fér,  sul  muro  agli  occlij  altrui  s'  offerse, 
E  torvo ,  e  nero ,  e  squallido ,  e  harhuto 
Fra  due  Furie  parca  Caronte,  o  Fiuto. 

88.  Già  il  mormorar  s'  udia  delle  parole, 
Di   cui  teme  Cocito  e  Flegetonte. 

Già  si  vedea  1'  aria  turbare,  e  'I  sole 
Cinger  d'  oscuri  nuvoli  la  fronte. 
Quando  avventato  fu  dall'  alta  mole 
Un  gran  sasso ,  che  fu  parte  d'  un  monte, 
E  tra  lor  colse  sì ,  eh'  una  percossa 
Sparse  di  tutti  insieme  il  sangue  e  1'  ossa. 

89.  In  pezzi  minutissimi  e  sanguigni 
Si  dìsperser  cosi  le  inique  teste, 
Che  di  sotto  ai  pesanti  aspri  miicignl 
Soglion  poco  le  biade  uscir  più  peste. 
Lasciar  gemendo  i  tre  spirti  maligni 
L'  aria  serena  e  '1  bel  raggio  celeste, 
E  sen  fuggir  tra  l'  ombre  empie  infernali. 
Apprendete  pietà  quinci,  oh  mortali  1 

SO.      In  questo  mezzo  alla  città  la  torre. 
Cui  dall'  incendio  il  turbine  assecura, 
S'   avvicina  così ,  che  può  ben  porre 
E  fermare  il  suo  ponte  in  sulle  mura. 
Ma  Solimano  intrepido  v*  accorre, 
E  '1  passo  angusto  di  tagliar  procura, 
E  doppia  i  colpi ,  e  ben  l'  avria  reciso. 
Ma  un'  altra  torre  apparse  all'  improvviso. 

91.  La  gran  mole  crescente  oltra  i  confini 
De'  più  alti  edifìci  in  aria  passa. 
Attoniti  a  quel  mostro  i  Saracini 
llestàr,  vedendo  la  città  più  bassa. 
Ma  il  fero  Turco ,  ancorché  'n  Ini  mini 
I)i  pietre  un  nembo,  il  luco  suo  non  lassa; 
Nò  di  tagliare  il  ponte  anco  diffìda, 
E  gli  altri ,  che  temean ,  rincora  e  sgrida. 

92.  S'  offerse  agli  occhj  di  Goffredo  allora 
Invisibile  altrui  l'  angcl  Michele, 
Cinto  d'  armi  celesti  :   e  vinto  fora 
Il  sol  da  lui,  cui  nulla  nube  vele. 
Ecco,  disse,  (Goffredo,  è  giunta  l'  ora, 
Cli'  esca  Sion  di  servitù  criulcle. 
Non  chinar,  non  chinar  gli  occhj  smarriti! 
Mira,  con  quante  forze  il  cici  t'  aiti! 

93.  Drizza  pur  gli  occhj  a  riguardar  V  immenso 
Esercito  iturnortal,  eh'  è  in  aria  accolto! 
Cli'  io  dinanzi  tornttlì  il  niivoi  denso 
Di  vostra  umanità,  eh'  intorno  avvolto 
Adombrand(»  t'  ap|>anna  il  nuutal  senso, 
Sicché  vedrai  gì'   iginiili  spirti  in  volto, 
E  sostener  per  bre\(;  spazio  i  rai 
Delle  angeliche  forme  anco  potrai. 

91.      Mira  di  quei,   che  fùr  cainpion  di  Cristo, 
1/  anime  fatte  in  ciclo  or  cittadine. 
Clic  pngnan  teco ,  e   di  ^ì  alti»  acquisto 
Si  trovan  teco  al  glorioso  line! 
lià  'v(i  ondeggiar  la  polve  e  il   fimio  misto 
Aedi,  e  di  rotte  moli  nUr.  mine, 
Tra  ((uella  f<dtii  nebbia  irgon  combatte, 
E  delle  torri  i  fondamenti  abbatte. 


95.      Ecco  poi  là  Dudon ,  che  1'  alta  porta 
Aquilonar     con  ferro  e  fiamma  assale, 
Ministra  V  arme  ai  combattenti,  esorta, 
Ch    altri  su  monti ,  e  drizza  e  tien  le  scale« 
Quel  eh'  è  sul  colle,  e  '1  sacro  abito  porta, 
E  la  corona  ai  crin  sacerdotale, 
E    il  pastore  Ademaro,  alma  felice. 
Vedi,  eh'  ancor  vi  segna  e  benedice. 

dG,     Leva  più  in  su  le  ardite  luci ,  e  tutta 
La  grande  oste  del  ciel  congiunta  guata! 
Egli  alzò  il  guardo,  e  vide  in  un  ridutta 
Milizia  innumerabile  ed  alata. 
Tre  folte  squadre ,  ed  ogni  squadra  ìnstnUta 
In  tre  ordini  gira  e  si  dilata  ; 
Ma  si  dilata  più ,  quanto  più  in  fuori 

I  cerchj  son;  son  gì'  intimi  i  minori. 

97.  Qui  chinò  vinto  i  lumi ,  e  gli  alzò  poi, 
Né  lo  spettacol  grande  ei  più  rivide; 

Ma ,  riguardando  d'  ogni  parte  i  suoi. 
Scorge,  che  a  tutti  la  vittoria  arride. 
Molti  dietro  a  Rinaldo  illustri  eroi 
Saltano  :  ei  già  salito  i  Siri  uccide. 

II  capitan ,  che  più  indugiar  si  sdegna, 
Toglie  di  mano  al  fido  alfier  V  insegna, 

98.  E  passa  primo  il  ponte,  ed  impedita 
Gli  è  a  mezzo  il  corso  dal  soldan  la  via. 
Un  pìcciol  varco  è  campo  ad  iniinita 
Virtù,  che  'n  pochi  colpi  ivi  apparia. 
Grida  il  fier  Solimano:  all'  altrui  vita 
Dono  e  consacro  io  qui  la  vita  mia. 
Tagliate,  amici,  alte  mie  spalle  or  questo 
l'onte  !  che  qui  non  facil  preda  io  resto. 

99.  Ma  venirne  Rinaldo  in  volto  orrendo, 
E  fuggirne  ciascun  vedea  lontano. 

Or  che  farò?  Se  qui  la  vita  spende. 
La  spendo,  disse,  e  la  disperdo  invauo. 
E ,  sé  in  nove  difese  anco  volgendo, 
Cedea  libero  il  passo  al  capitano. 
Che  minacciando  il  segue,  e  della  santa 
Croce  il  vessillo  in  suile  mura  pianta. 

100.  La  vincitrice  insegna  in  mille  giri 
Alteramente  si  rivolge  intorno  ; 

E  par,  che  'n  lei  più  riverente  spiri 

L'  aura,  e  che  splenda  in  lei  più  chiaro  il  giorno, 

Ch'  ogni  dardo,  ogni  strai,  che  'n  lei  ci  tiri, 

0  la  declini,  o  faccia  indi  ritorno. 
Par  che  Sion,  par  che  1'  oppf»(o   monto 
Lieto  r  adori ,  e  inchini  a  lei  la  frinite. 

101       Allor  tutte  le  squadre  il  grido  alzaro 
Della  vittoria  ulti^^iulo  e  fcrr.inte. 
E  risonarne  i  monti ,  e  rcpiicaro 
Gli  ultimi  accenti,  e  qua>i   in   quello  istante 
Ruppe  e  vinse  'l'ancrcdi  ogni   riparo. 
Che  gli  a\e^a  ali'  incontro  o|ipo>to   Argante. 
E,  lanttiando  il  suo  ponte,  uniir«-i   \('l(icu 
Passò  nel  unirò ,  e  v'  innalzò  la  croce. 

102.       Ma  verso  il  mezzogiorno,  ove  il  canuto 
Raimondo  pugna,  e    1  pah>tiu  tiranno, 

1  guerri(-r  di   (ìuascogna   anco  polulo 
(iinngcr  hi  torre  ulla  città    non   hanno: 
("he    1   nerix»  delle  genti   ha  il   re  in  ajnlo. 
Ed  ostinali  alia  difesa  ^tanno, 

K.  scMicii  qui\i  il  muro  era  nufu    fermo, 
Di  luaccliine  t'  avca  maggior  lo  kclu-ruut. 


/ 


[219] 


GERUSAL.   LIB.    (XVIII.  103  —  105.  XIX.  1-8) 


[220; 


108. 


Oltrachè,  incn  eh'  altrove,  in  questo  canto 

La  gran  mole  il  sentici-  trovò  spedito. 

Nò  tanto  arte  potè,  che  pur  alquanto 

Di  sua  natura  non  ritegua  il  sito. 

Fu  r  alto  segno  di  vittoria  intanto 

Dai  difensori  e  dai  Guasconi  udito, 

Ed  avvisò  il  tiranno  e  '1  Tolosano, 

Che  la  città  già  presa  è  verso  al  piano. 

105.      Entra  allor  vincitore  il  campo  tutto 
Per  le  nuira  non  sol  ,  ma  per  le  porte; 
Ch'  è  già  aperto,  abbattuto,  arso  e  distrutto 
Ciò,  che  lor  s'  opponea  rinchiuso  e  forte. 
Spazia  r  ira  del  ferro,  e  va  col  lutto, 
E  con  r  orror,  compagni  suoi,  la  morte. 
Risitagna  il  sangue  in  gorghi,  e  corre  in  rivi, 
Pieni  di  corpi  estinti  e  di  mal  vivi. 


104.      Onde  Raimondo  ai  suoi  dall'  altra  parte 
Grida:  oh  compagni,  è  la  città  già  prciia. 
Aiuta  ancor  ne  resiste.''  or  soli  a  parte 
Non  sarem  noi  di  si  onorata  imprcf^a? 
Ma  il  re ,  cedendo  alfin ,  di  là  si  parte. 
Perchè  ivi  dij^perata  è  la  difesa, 
E  sen  rifugge  in  loco  forte  ed  alto, 
Ove  egli  spera  sostener  1'  assalto. 


CANTO     DECIMO     NONO. 


JRGOMENTO. 

Delfier  Circasso  alfin ,  se  fusti  pria 
Tuferitor,  tu  se'  uccisor,  Tancredi. 
Ala  s'  ei  cade,  e  tu  cadi ,  e  par,  che  sia 
Tolto  giù  il  caldo  al  cor,  la  forza  ai  piedi. 
Tu,  Erminia,  s'  al  tuo  ben  J'afrin  t'  invia. 
Il  piangi ,  e  H  curi  in  un,  eh'  esangue  il  vedi. 
E  tu,  oh  pagan,  se  V  arti  tue  prepari, 
V  arti  tue  sa  1  fedcl,  e  sa  i  ripari. 


1.  Già  la  morte,  o  il  consiglio,  o  la  paura 
Dalle  difese  ogni  pagano  ha  tolto; 

E  sol  non  s'  è  dall'  espugnate  mura 
li  pertinace  Argante  anco  ri^oIto. 
Mostra  ei  la  faccia  intrepida  e  secura, 
E  pugna  pur  fra  gli  avversar]  avvolto, 
Più  clic  morir,  temendo  esser  respinto, 
E  vuol  morendo  anco  parer  non  vinto. 

2.  Ma  sovra  ogni  altro  feritore  infesto 
Sovraggiunge  Tancredi ,  e  lui  percote. 
Ben  è  il  Circiisso  a  riconos(;cr  presto 

Al  portamento ,  agli  atti ,  all'  arme  note 
Lui ,  che  pugnò  già  seco ,  e  '1  giorno  sesto 
'l'ornar  promise,  e  le  promesse  ir  vote; 
Onde  gridò:  così  la  fé,   Tancredi, 
Ali  «('ivi  tu?  cosi  alla  pugna  or  ricdi  ? 

3.  Tardi  riedi,  e  non  solo.     Io  non  rifìuto 
Però  combatter  teco,  e  riprovarmi, 
Bcnciiè  non  ijiial  guerri<-r ,  ma  qui  venuto 
Quasi  inventor  di  ina<:chiiie  tu  parmi. 
Fatti  scudo  de'  tuoi  !  trova  in  ajuto 
Novi  ordigni  di  guerra  e  insolite  anni! 
Cile  non  potrai  dalle  mie  mani,  oh  fcrte 
Delle  donne  uccisor,  fuggir  la  morte. 


4.  Sorrìse  il  buon  Tancredi  nn  cotal  riso 
Di  sdegno,  e  in  detti  alteri  ebbe  risposto: 
Tardo  è  il  ritorno  mio;  ma  pur  avviso, 
Che  frettoloso  e'  ti  parrà  bentosto, 

E  bramerai,  che  te  da  me  diviso 
O  1'  alpe  avesse,  o  fosse  il  mar  frapposto; 
E  che  del  mio  indugiar  non  fu  cagione 
Tema  o  viltà,  vedrai  col  paragone. 

5.  bienne  in  disparte  pur ,  tu  ,  che  omicida 
Sei  de'  giganti  solo ,  e  degli  eroi  ! 

L'  uccisor  delle  femmine  ti  sfìda. 

Cosi  gli  dice ,  indi  si  volge  ai  suoi, 

E  fa  ritrarli  dall'  offesa,  e  grida: 

Cessate  pur  di  molestarlo  or  voi  ! 

Ch'  è  proprio  mio  più  che  comun  nemico 

Questi ,  ed  a  lui  mi  stringe  obbligo  antico. 

6.  Or  discendine  giù  solo,  o  seguito, 
Come  più  vuoi!  ripiglia  il  fier  Circasso: 
\a.  in  frequentato  loco,  od  in  romito! 

Che  per  dubbio  o  svantaggio  io  non  ti  lasso. 

Sì  fatto ,  ed  accettato  il  fero  invito, 

Movon  concordi  alla  gran  lite  il  passo. 

L'  odio  in  un  gli  accompagna,  e  fa  il  rancore 

L'  un  nemico  dell'  altro  or  difensore. 

7.  Grande  è  il  zelo  d'  onor,  grande  il  desire. 
Che  Tancredi  del  sangue  ha  del  pagano: 

Né  la  sete  ammorzar  crede  dell'  ire. 
Se  n'  esce  stilla  fuor  per  1'  altrui  mano. 
£  con  lo  scudo  il  copre,  e:  nini  ferire! 
Grida  a  quanti  rincontra  anco  lontimo, 
Siccliè  salvo  il  nemico  infra  gli  amici 
Traggo  dall'  arme  irate  e  vincitrici. 

8.  Escon  della  cittade ,  e  dan  le  spalle 
Ai  padigli(ui  delle  accampate  genti, 

E  se  ne  van  dove  un  girevoi  calle 
Li  porta  per  secreti  avvolgimenti. 
E  ritrovano  ombrosa  angusta  valle 
Tra  più  colli  giacer,  non  altrimenti, 
Clio  se  fosse  un  teatro ,  o  fosse  ad  uso 
Di  battaglie  e  di  cacce  intorno  chiuso. 


[221] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (XIX.  9  —  24) 


[222] 


9.      Qui  si  fermano  entrambi  :   e  pur  sospeso 
Volgeasi  Arg-ante  allii  cittade  afflitta. 
Vede  Tancredi,  che  '1  pagan  difeso 
Non  è  di  scudo ,  e    1  suo  lontano  ei  gitta. 
Poscia  lui  dice:  or  qual  pensier  t'  ha  preso? 
Pensi,  eh'  è  giunta  1'  ora  a  te  prescritta? 
Se,  antivedendo  ciò  timido  stai, 
£  il  tuo  timore  intempestivo  ornai. 

10.  Penso,  risponde,  alla  città  del  regno 
Di  Giudea  antìchisbima  regina, 

Che  vinta  or  cade,  e  indarno  esser  sostegno 

10  procurai  della  fatai  ruina  ; 

E  eh'  è  poca  vendetta  al  mio   disdegno 

11  capo  tuo ,  che    1  cielo  or  mi  dentina. 
Tacque  :    e  incontra  si  van  con  gran  risguardo  : 
Che  ben  conosce  1'  uu  1'  altro  gagliardo. 

11.  E  di  corpo  Tancredi  agile  e  s^ciolto, 
E  di  man  velocissimo  e  di  piede. 
Sovrasta  a  Ini   con  1'  alto  capo,  e  molto 
Di  grossezza  di  membra  .Argante  eccede. 
Girar  Tancredi  inchino,  e  in  su  rficcolto 
Per  avventarsi  e  sottentrar  si  vede, 

E  con  la  spada  sua  la  spada  trova 
Nemica,   e  'n  disviarla  usa  ogni  prova. 

12.  Ma  disteso  ed  eretto  il  fero  vh-gante 
Dimosti-a  arte  simile,  aito  diverso. 
Quanto  egli  può,  va  col  gran  braccio  avante, 
E  cerca  il  ferro  no ,  ma  il  corpo  avverso. 
Quel  tenta  aditi  novi  in  ogni  instante: 
Questi  gli  ha  il  ferro  al  volto  ognor  converso, 
Minaccia,  e  intento  a  proibirgli  stassi 
Furtive  entrale,  e  subiti  trapassi. 

13.  Cosi  pngna  na\  al ,  quando  non  spira 
Per  lo  piano  del  mare  africo  o  noto, 
Fra  duo  legni  ineguali  egual  si  mira, 
Ch'  un  d'  altezza  preval,  1'  altro  di  moto. 
L'  un  con  volte  e  rivolte  assale  e  gira 
Da  prora  a  poppa ,  e  si  sta  V  altro  immoto, 
E  quando  il  più  Icggier  se  gli  avvicina, 
D'  alta  parte  minaccia  alta  ruina. 

il4.     Mentre  il  Latin  di  sottcntrar  ritenta, 
Sviando  il  ferro,  che  si  vede  opjjorre, 
Vibra  Argante  la  spada ,  e  gli  appresenta 
La  punta  agli  occhj  :  egli  al  riparo  accorre. 
Ma  lei  sì  presta  allor,  sì  violenta 
Cala  il  pagan  ,  che  '1  difeiisor  precorre, 
E  'I  fere  al  fianco,  e,  vi>to  il  fianco  infermo. 
Grida:  lo  schermitor  vinto  è  di  schermo. 

15.  Fra  lo  sdegno  Tancredi  e  la  vergogna 
Si  rode,  e  lascia  i  soliti  riguardi, 
E  in  eotal  guisa  la  vendetta  agogna, 
('he  sua  perdita  stima  il  vincer  tardi. 
Sol  risponde  col  ferro  alla  ram|iogna, 
E  'I  drizza  all'  elmo,  ove  apri;  il  passo  ni  guardi. 
Ribatte  Argante  il  colpo ,  <;  risoluto 
Tancredi  a  mezza  .'^pada  è  già  \enuto. 

16.  Passa  veloce  allor  col  piò  sinestro, 
E  con  la  manca  al  dritto  bra(u-io  il  prende, 
E  con  la  destra  intanto  il  la(o  d<;t>tro 
Di  punte  mortalis>im(;  gli  olIVnde. 
Questa,  diceva,  al  vincilor  maestro 
11  vinto  bcliermitor  ris|>osla  rende. 
rr(!me  il  (>irca-so,  e  si  contorce  e  scuote; 
Ma  il  braccio  prigionier  ritrar  non  puotu. 


17.  Alfin  lasciò  la  spada  alla  catena 
Pendente,  e  sotto  al  buon  Latin  si  spinse. 
Fé'  r  istesso  Tancredi ,  e  con  gran  lena 

L'  un  calcò  1'  altro,  e  1'  un  l'  altro  ricinse. 
Né  con  più  forza  dall'  adusta  avena 
Sospese  Alcide  il  gran  gigante  e  strinse. 
Di  quella,  onde  faccan  tenaci  nodi 
Le  nerborute  braccia  in  varj  modi. 

18.  Tai  fur  gli  avvolgimenti,   e  tai  le  scosse, 
Ch'  ambi  in  un  tempo  il  suol  presser  col  fianco. 
Argante,  od  arte,  o  sua  ventuia  fosse, 

Sovra  ha  il  braccio  migliore,    e  sotto  il  manco. 
Ma  la  man ,  eh'  è  più  atta  alle  percosse. 
Sottogiace  impedita  al  guerrier  franco; 
Ond'  ei,  che  '1  suo  svantaggio    e  '1  rischio  vede. 
Si  sviluppa  dall'  altro ,  e  salta  in  piede. 

19.  Sorge  più  tardi;  e  un  gran  fendente,  in  prima 
Che  sorto  ei  sia ,  vien  sopra  al  Saracino. 

Ma  come  all'  curo   la  frondosa  cima 

Piega ,  e  in  un  tempo  la  solleva  il  pino. 

Cosi  lui  sua  virtute  alza  e  sublima. 

Quando  ei  n'  è  già  per  ricader  più  chino. 

Or  ricomincian  qui  colpi  a  vicenda. 

La  pugna  ha  manco  d'  arte,  ed  è  più  orrenda. 

20.  Esce  a  Tancredi  in  più  d'  un   loco  il  sangue: 
Ma  ne  versa  il  pagan  quasi  torrenti. 

Già  nelle  sceme  forze  il  furor  langue, 
Siccome  fiamma  in  debili  alimenti. 
Tancredi,  che  '1  vedea  con  braccio  esangue 
Girar  i  colpi  ad  or  ad  or  più  lenti, 
Dal  magnanimo  cor  depo.-ta  1'  ira, 
Placido  gli  ragiona,  e"i  piò  ritira. 

21.  Cedimi ,  uom  forte  !  o  riconoscer  voglia 
31e  per  tuo  vincitore,  o  la  fortuna! 

Nò  ricerco  da  te  trionfo,  o  spoglia. 
Né  mi  riserbo  in  te  ragione  alcuna. 
Terribile  il  pagan  più  clu;  mai  soglia. 
Tutte  le  furie  sue  dc?ta  e  r.iguna. 
Risponde:  or  dunque  il  meglio  iwer  ti   vantc 
Ed  osi  di  viltà  tentare  Argante,'' 

22.  Usa  la  sorte  tua!  che  nulla  io  temo, 
Né  lascerò  la  tua  follia  impunita. 
Come  face  rinforza  anzi  l'  estremo 

Le  fiamme,  e  luminosa  v^re  di  vita. 

Tal ,  riempiendo  ei  d'  ira  il  sangue  scemo. 

Rinvigorì  la  gagliardia  smarril<i, 

E  r  ore  della  niorte  omai    vi»  ine 

\  oUc  illustrar  con  generoso  line. 

23.  La  man  »ini.-tra  alla  compagna  acrosta, 
E  con  ambe  congiunte  il   Icrro  abba^^il, 
Cala  un  fendente,  e,  bcncliè  tritai  oppo>ta 
La  spada  o.-.til ,  la  sforza,  «-<l  oltre  passa. 
Scende  alla  spalla,  e  giù  di  costa  in  cor-ta 
Molte  ferite  in  un  sol  punto  lassa. 

Se  non  teme    Taiuredi ,  il  petto  audace 
Non  fé'  natura  di  tiuu)r  capace. 

21.      Quel  doppia   il  c(>l|io  orribile,  cA  al  vento 
Le  forze  e  r  ire  iinitilmente  ha  sparto; 
Perchè  Tancredi  alla  pcrt-os.^a  intento 
So  ne  sottrnss<-,  e  ^i  lanciò  in  disparte. 
Tu  dal    tuo  peso  tratto  in  giù  col   mento 
N'  andasti.  Argante,  e  non   potesti  aitarlo. 
Per  te  cadci>ti  ,  avventuroso  int<into, 
Ch'  altri  non  ha  di  tua  caduta  il  vanto. 


[223J 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XIX.  25-  40) 


[224 


25.  TI  cader  dilatò  le  ping^he  aperte, 

E  '1  sangue  espresso  dilagando  scese. 
Punta  ei  la  manca  in  terra,  e  si  converte 
Ritto  sovra  un  ginocchio  alle  difese. 
Hendici!  grida,  e  gli  fa  nove  offerte 
Senza  iu)jarlo  il  vincitor  cortese. 
Quegli  di  furto  intanto  il  ferro  caccia, 
È  sul  tallone  il  fiede,  indi  il  minaccia- 

26.  Infuriossì  allor  Tancredi,  e  disse t 
Così  abusi ,  fellon  ,  la  pietà  mia  ? 
Poi  la  spada  gii  fisse  e  gli  rifiss« 
Nella  visiera,  ove  accertò  la  via. 
Moriva  Argante,  e  tal  moria,  qual  visse: 
Minacciava  morendo ,  e  non  languia. 
Superbì ,  formidabili,  e  feroci 

Gli  ultimi  moti  fur,  1'  ultime  yoci. 

27.  Ripon  Tancredi  il  ferro,  e  poi  devoto 
Ringrazia  Dio  del  trionfale  onore. 

Ma  lasciato  di  forze  ha  quasi  votQ 
La  sanguigna  vittoria  il  vincitore. 
Teme  egli  assai ,  che  del  viaggio  al  moto 
Durar  non  possa  il  suo  fìevol  vigore. 
Pur  s'  incammina ,  e  così  passo  passo 
Per  le  già  corse  vie  mo\Js  il  pie  lasso. 

28.  Trar  molto  il  debil  fianco  oltra  non  puote, 
E  quanto  più  si  sforza ,  più  s'  affanna^ 
Onde  in  terra  s'  asside,  e  pon  le  gote 
Sulla  destra,  che  par  tremula  canna. 

CÀò  che  vedea,  pargli  veder  che  rotej 
E  di  tenebre  il  dì  già  gli  s'  appanna* 
Alfin  isviene,  e  '1  vincitor  dal  vinto 
Non  ben  sarla  nel  rimirar  distinto. 

29.  Mentre  qui  g^gue  la  solinga  guerra, 
Che  privata  cagion  fé'  così  ardente, 
L'  ira  de'  vincitor  trascorre  ed  erra 
Per  la  città  sul  popolo  nocente. 

Or  chi  giammai  dell'  espugnata  terra 
Potrebbe  appien  l'  immagine  dolente 
Ritrarre  in  carte?  od  adeguar  parlando 
Lo  spettacolo  atroce  e  miserando? 

SO.     Ogni  cosa  di  strage  era  già  pieno: 

Vedeansi  in  mucchj  e  in  monti  i  corpi  avvolti. 

Là  i  feriti  sui  morti ,  e  qui  giaciéno 

Sotto  morti  insepolti  egi^i  sepolti. 

Fuggìan  premendo  i  pargoletti  al  seno 

Le  meste  madri  co'  capelli  sciolti. 

£  'l  predator,  di  spoglie  e  di  rapine 

Carco,  stringea  le  vergini  nel  crine. 

81.     Ma  per  le  vie,  eh'  al  più  sublime  colle 
Saglion  verso  necidente,  ov'  è  il  gran  tempio, 
Tutto  del  sangue  ostile  orrido  e  molle 
Rinaldo  corre ,  e  caccia  il  popol  empio. 
lia  fera  spada  il  generoso  estolle 
Sovra  gli  armati  capi,  e  ne  fa  scempio. 
E  schermo  frale  ogni  elmo,  ed  ogni  scudo; 
Difesa  è  qui  1'  esser  dell'  arme  ignudo. 

22.     Sol  centra  il  ferro  il  nobll  ferro  adopra, 
E  sdegna  negl'  inermi  esser  feroce; 
E  quei,  cir   ardir  non  armi,  arme  non  copra, 
Caccia  coi  guard(»  e  con  1'  orribii  voce. 
Vedresti  di  valor  mirabii  opra, 
Come  or  dinprczza,  ora  minaccia,  or  noce, 
Come  con  rischio  disegnai  fugati 
Sono  egualmente  pur  nudi  ed  armati. 


33.      Già  col  più  imbelle  vulgo  anco  ritratto, 
S'  è  non  picciolo  stuol  del  più  guerriero 
Nel  tempio,  che  più  volte  arso  e  rifatto, 
Si^  noma  ancor ,  dal  fondator  primiero, 
Di  Salomone:  e  fu  per  lui  già  fatto 
Di  cedri  e  d'  oro ,  e  di  bei  marmi  altero. 
Or  non  sì  ricco  già,  pur  saldo  e  forte 
E  d'  alte  torri,  e  di  ferrate  porte- 
si.    Giunto  il  gran  cavaliere,  ove  raccolte 
S'  eran  le  turbe  in  loco  ampio  e  sublime, 
Trovò  chiuse  le  porte,  e  trovò  molte 
Difese  apparecchiate  in  sulle  cime. 
Alzò  lo  sguardo  orribile,  e  due  volte 
Tutto  il  mirò  dall'   alte  parti  all'  ime. 
Varco  angusto  cercando,  ed  altrettante 
Il  circondò  con  le  veloci  piante. 

35.     Qual  lupo  predatore  all'  aer  bruno 
Le  chiuse  mandre  insidiando  aggira, 
Secco  r  avide  fauci ,  e  nel  digiuno 
Da  nativo  odio  stimulato  e  d'  ira: 
Tale  egli  intorno  spia,  s'  adito  alcuno. 
Piano ,  od  erto  che  siasi  aprirsi  mira. 
Si  ferma  alfin  nella  gran  piazza ,  e  d'  alto 
Stanno  aspettando  i  miseri  1'  assalto. 

3G.     In  disparte  giacea  (qnal  ch^e  si  fosse 
L'  uso,  a  cui  si  serbava)  eccelsa  tr^ve. 
Né  così  alte  mai ,  né  così  grosse 
Spiega  r  antenne  sue  ligura  nave. 
A  er  la  gran  porta  il  cavalier  la  mosse 
Con  quella  man,  cui  nessun  pondo  è  grave, 
£  recandosi  lei  di  lancia  in  modo, 
Urtò  d'  incontra  impetuoso  e  sodo. 

37.  Restar  non  può  marmo,  o  metallo  avanti 
Al  dtuo  urtare,  al  riurtar  più  forte. 
Svelse  dal  sas^o  i  cardini  sonanti. 

Ruppe  i  serragli,  ed  abbattè  le  porte. 
Non  r  aritke  di  far  più  si  vanti. 
Non  la  bombarda,  fulmine  di  morte. 
Per  la  dischiusa  via  la  gente  inonda 
Quasi  un  diluvio ,  e  '1  vincitor  seconda. 

38.  Rende  misera  strage  atra  e  funesta 
L'  alta  mngion  ,  che  fu  magion  di  Dio. 
Oh  giustizia  del  ciel ,  quanto  nicn  presta, 
Tanto  più  grave  sopra  il  popol  rio! 

Dal  tuo  secreto  provveder  fu  desta 
L'  ira  ne'  cor  pietosi ,  e  incrudelio. 
Lavò  col  sangue  suo  1'  empio  pagano 
Quel  tempio ,  che  già  fatto  avea  profano. 

3!).      Ma  intanto  Sollman  ver  la  gran  torre 
Ito  se  n'  è ,  che  di  David  s'  appella, 
E  qui  fa  de'  guerrier  1'  avanzo  accori-e, 
E  sburra  intorno  e  questa  strada,  e  quella  t 
E  '1  tiranno  Aladino  anco  vi  corre. 
Come  il  soldan  lui  vede,  a  lui  favellai 
Vieni,  oh  fam<»so  re,  vieni,  e  là  sovra 
Alla  rocca  fortissima  ricovra! 

40.      Che  dal  furor  delle  nemiche  spade 

Guardar  vi  puoi  la  tua  salute  e  '1  regno. 
Oiniè  ,  risponde,  oimè,  che  la  cittade 
Strugge  dal  l'ondo  suo  barbaro  sdegno, 
E  la  mia  vita ,  e  '1  nostro  imperio  cade. 
Vissi,  e  regnai;  non  vivo  or  più,  nò  regno. 
Ren  si  può  dir:  noi  fummo.     A  tutti  è  giunto 
L'  ultimo  dì ,  r  incvitabil  punto. 


;225] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (XIX.  41—56) 


[226] 


41.      Ov'  è,  signor,  la  tua  virtute  antica? 
DÌ£se  il  soldan  tutto  cruccioso  allora 
Tolgaci  i  regni  pur  sorte  nemica! 
Che  '1  regal  pregio  è  nostro,  e'  n  noi   dimora. 
Ma  colà  dentro  omai  dalla  fatica 
Le  stanche  e  gra\i  tue  membra  ristora! 
Così  gli  parla,  e  fa,  che  si  raccogli» 
11  vecchio  re  nella  guardata  soglia. 

i2.      Egli  ferrata  mazza  a  due  man  prende, 
£  si  ripon  la  fida  spada  al  fianco, 
E  stassi  al  rarco  intrepido ,  e  difende 
Il  chiuso  delle  strade  al  popol  franco. 
Eran  mortali  le  percosse  orrende; 
Quella,  che  non  uccide,  atterra  almanco. 
Già  fugge  ognun  dalla  sbarrata  piazza, 
Dove  vede  appressar  1'  orribil  mazza. 

43.      Ecco  da  fera  compagnia  seguito 
Sopraggiungeva  il  tolosan  Raimondo. 
Al  periglioso  passo  il  vecchio  ardito 
Corse,  e  sprezzò  di  quei  gran  colpì  il  pondo. 
Primo  ci  feri  ;  ma  invano  ebbe  ferito  : 
Non  ferì  invano  il  feritor  secondo  ; 
Che  in  fronte  il  colse,  e  1'  atterrò  col  peso 
Supin,  tremante,  a  braccia  aperte  steso. 

ìì.      Finalmente  ritorna  anco  ne'  vinti 
La  virtù,  che  '1  timore  avea  fugata, 
E  i  Franchi  vincitori  o  son  rispinti, 
O  pur  caggiono  uccisi  in  sull'  entrata. 
Ma  il  soldan ,  che  giacere  infra  gli  estinti 
Il  tramortito  duce  ai  pie  si  guata. 
Grida  ai  suoi  cavalier:  costui  sia  tratto 
Dentro  alle  sbarre,  e  prigionicr  sia  fatto! 

15.  Si  movon  quegli  ad  eseguir  1'  efletto. 
Ma  trovan  dura  e  faticosa  impresa; 
Perchè  non  è  d'  alcun  de'  suoi  negletto 
Raimondo,  e  corron  tutti  in  sua  difesa. 
Quinci  furor,  quindi  pietoso  afl*etto 
Pugna,  nò  vii  cagiono  è  di  contesa. 
Di  sì  grand'  uom  la  libertà,  la  vita. 
Questi  a  guardar,  quegli  a  rapir  invita. 

16.  Pur  vinto  avrebbe  a  lungo  andar  la  prova 
Il  soldano  ostinato  alia  vendetta; 
Clic  alla  fulminea  ma/za  oj)por  non  giova 
0  doppio  scudo ,  o  tempra  d'  elmo  eletta  ; 
Ma  grande  aita  a'  suoi  nemici  e  nova 
Di  qua  di  là  vede  arrivare  in  fretta; 
VAìii  da  duo  lati  opposti  in  un  sol  punto 
Il  sopran  duce,  e  '1  gran  guerriero  è  giunto. 

c7.      Come  pastnr,  quando,  fremendo  intorno 
Il  >  entu  e  i  tuoni ,  e  balenando  i  lampi, 
Aedc  oscurar  di  mille  nubi  il  giorno, 
Ritrae  la  greggia  dagli  aperti  campi, 
E  sollecito  cerca  alcun  soggiorno, 
Dove  r  ira  del  cicl  securo  scampi, 
Eì  col  grido  indri/.zando  e  con  la  verga. 
Le  mandru  innanzi,  agli  ultimi  s'  atterga: 

t8.      Cosi  il  pagan ,  che  già  venir  sontia 
L'  irrcparabil  tiubo  e  la  tempesta, 
(/he  di  fremiti  orrendi  il  eirl  feria, 
D'  aniu-  ingombrando  e  quella  parte  e  quo.^ta, 
Lo  custodite  genti  innun/i  invia 
Kella  gran  torre,  ed  egli  ullinu)  resta, 
llltimo  parte,  e  sì  cctle  al  periglio, 
Cir  audace  appare  hi  provvido  cuiiaigUo. 


49.  Pur  a  fatica  avvien,  che  si  ripari 
Dentro  alle  porte,  e  le  riserra  appena; 
Che  già  rotte  le  sbarre,  ai  limitari 
Rinaldo  vien ,  né  quivi  anche  s'  affrena. 
Desio  di  superar  chi  non  ha  pari 

In  opra  d'  arme,  e  giuramento  il  mena  : 
Che  non  obblia,  che  'n  voto  egli  promise 
Di  dar  morte  a  colui,  che  '1  Dano  uccise. 

50.  E  ben  allor  allor  1'  invitta  mano 
Tentato  avria  1'  inespugnabil  muro, 
INè  forse  colà  dentro  era  il  soldano 
Dal  fatai  suo  nemico  assai  securo. 
Ma  già  suona  a  ritratta  il  capitano: 
Già  r  orizzonte  d'  ogn'  intorno  è  scuro. 
Goffredo  alloggia  nella  terra ,  e  vuole 
Rinnovar  poi  1'  assalto  al  novo  sole. 

51.  Diceva  a'  suoi  lietissimo  in  sembianza: 
Favorito  ha  il  gran  Dio  1'  armi  cristiane. 
Fatto  è  il  sommo  de'  fatti,  e  poco  avanza 
Dell'  opra,  e  nulla  del  timor  rimane. 

La  torre,  estrema  e  misera  speranza 
Degl'  infedeli ,  espugnerem  dimane. 
Pietà  frattanto  a  confortar  v'  inviti 
Con  sollecito  amor  gli  egri  e  i  feriti! 

52.  Ite,  e  curate  quei,  rh'  han  fatto  acquisto 
Di  questa  patria  a  noi  col  sangue  loro! 

Ciò  più  conviensi  ai  cavalier  di  Cristo, 

Che  desio  di  vendetta ,  o  di  tesoro. 

Troppo,  ahi  troppo  di  strage  oggi  s'  è  visto. 

Troppa  in  alcuni  avidità  dell'  oro. 

Rapir  più  oltra,  e  incrudelir  i'  vieto. 

Or  divulgliin  le  trombe  il  mio  divieto! 

53.  Tacque;  e  poi  se  n'  andò  là,  dove  il  conte. 
Riavuto  dal  colpo,  anco  ne  geme. 

Né  Soliman  con  meno  ardita  fronte 
Ai  suoi  ragiona,  e  '1  duol  nell'  alma  preme. 
Siate,  oh  compagni,  di  fortuna  all'  onte 
In^  itti ,  insinché  verde  è  fior  di  speme  ! 
Che  sotto  alta  apparenza  di  fallace 
Spavento  oggi  men  grave  il  danno  giace. 

51.      Prese  i  nemici  han  ^ol  le  mura  e  i  tetti, 
E  'I  vulgo  umil  ;  non  la  cittade  bau  presa  : 
Clio  nel  capo  del  re,  ne'  vostri  petti, 
Nelle  man  vostre  è  la  città  compresa. 
Veggio  il  re  salvo  ,  e  talvi  i  suoi  più  eletti  : 
A  eggio ,  che  ne  circonda  alta  difesa. 
A  ano  trofeo  d'   abbandonata  terra 
Abbiansi  i  Franchi!  allin  perdan  la  guerra! 

55.      E  certo  V  son,  che  i.erdenmla  alfine: 
(/Ile,  nella  sorte  prospeia  insolenti, 
Fian  volti  agli  omiciilj  ,  alle  rapine, 
Ed  agi'  ingiuriosi  abbracciamenti. 
E  saraii  di  hggier  tra  le  mine, 
'l'rn  gli  stupri  e  Iv  prede  oppressi  e  spenti. 
So  in  tanta  tracotan/.a  ornai  sorgiiinge 
L'  oste  d'  Egitto;  e  non  piiote  esser  lungo. 

50.      Intanto  noi  signoreggiar  co'  sassi 
l'otrem  della  città  gli  alti  edifìci, 
l'id  ogni  calie,  «nule  ni  sc|iolcro  vassi, 
Torran  le  nostre  iiiacbiiie  ai  nemici. 
Va}>\  vigor  porgendo  ai  cor  già  lassi, 
La  speme  rinnovò   ncgl'  iiilelici. 
Or  meiitrt^  ipii   lai  coso  eran  passate. 
Errò  Val'rin  tra  mille  schiere  armale 

15 


[22t] 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (XIX.57— 72) 


[228 


57.  Air  esercito  avverso  eletto  in  spia, 
Già  dechinando  il  sol,  partì  Vafrino, 
E  corse  oscura  e  solitaria  via 
Notturno  e  sconosciuto  peregrino. 
Ascalona  passò ,  che  non  uscia 

Dal  balcon  d'  oriente  anco  il_  mattino. 
Poi,  quando  è  nel  meriggio  il  solar  lampo, 
A  vista  fu  del  poderoso  campo. 

58.  Vide  tende  infinite,  e  ventilanti^ 
Stendardi  in  cima  azzurri,  e  persi,  e  gialli, 
E  tante  udì  lingue  discordi ,  e  tanti 
Timpani ,  e  corni ,  e  barbari  metallij 

E  voci  di  caramelli  e  d'  elefanti 
Tra  '1  nitrir  de'  magnanimi  cavalli, 
Che  fra  sé  disse:  qui  1'  Africa  tutta 
Traslata  viene,  e  qui  1'  Asia  è  condutta. 

59.  Mira  egli  alquanto  pria,  come  sia  forte 
Del  campo  il  sito,  e  qual  vallo  il  circondc. 
Poscia  non  tenta  vie  furtive  e  torte, 

]N'è  dal  frequente  popolo  s'  asconde. 
Ma  per  dritto  sentier  tra  regie  porte 
Trapassa ,  ed  or  dimanda ,  ed  or  risponde. 
A  dimande,  a  risposte  astute  e  pronte 
Accoppia  baldanzosa  audace  fronte. 

60.  Di  qua  di  là  sollecito  s'  aggira 

Per  le  vie,  per  le  piazze,  e  per  le  tende. 

I  giicrricr,  i  de.-trier,  1'  arme  rimira,^ 

L'   arti  e  gli  ordini  osserva ,   e  i  nomi  apprende. 

Né  di  ciò  pago ,  a  maggior  cose  aspira  : 

Spia  gli  occulti  disegni,  e  parte  intende. 

Tanto  s'  avvolge,  e  così  destro  e  piano, 

Ch'  adito  s'  apre  al  padiglion  soprano. 

61.  Vede  mirando  qui  sdrusoita  tela, 
Onde  ha  varco  la  voce,  onde  si  sceme; 
Che  là  proprio  risponde ,  ove  sou  de  la 
Stanza  rcgal  le  ritirate  interne; 
Sicché  i  secreti  del  signor  mal  cela 

Ad  uom ,  eh'  ascolti  dalle  parti  esterne. 
Yafrin  vi  guata,  e  par  eh'  ad  altro  intenda. 
Come  sia  cura  sua  conciar  la  tenda. 

62.  Stavasi  il  capitan  la  testa  ignudo, 

Le  membra  armato,  e  con  purpureo  ammanto, 
liunge  duo  paggi  avean  1'  elmo  e  lo  scudo. 
Preme  egli  un'  asta,  e  vi  e'   appoggia   alquanto 
Guardava  un  unm  di  torvo  aspetto  e  crudo, 
Membruto  ed  alto,  il  qual  gli  era  da  canto. 
Vafrino  è  attento ,  e  di  Goffredo  a  nome 
Parlar  sentendo,  alza  gli  orecchj  al  nome. 

63.  Parla  il  duce  a  colui:  dunque  sccurO 
Sci  cosi  tu  di  dar  morte  a  Goffredo  ? 
llisponde  quegli:  io  sonno,  e  'n  corte  giuro 
Non  tornar  mai,  se  vincitor  non  riodo. 
Preverrò  ben  color,  che  meco  furo 

Al  congiurare  :  e  premio  altro  non  chiedo, 
Se  non  ,  eh'  io  possa  un  bel  trofeo  dell'  armi 
Drizzar  nel  Cairo ,  e  sottopor  tai  carmi  : 

64.     Queste  arme  in  guerra  al  capitan  francese, 
Diistruggitor  dell'  Asia ,  Ormondo  trasse. 
Quando  gli  trasse  1'  alma;  e  le  sospese, 
Perché  memoria  ad  ogni  età  ne  passe. 
Non  iia  ,  r  altro  dicea,  che  '1  re  cortese 
L'  opera  grande  inonorata  las^e. 
Ben  ci  darà  ciò,  che  per  te  si  chiede  ; 
Ma  coQ  giunta  I'  avrai  d'  alta  mercede. 


65.  Or  apparecchia  pur  1'  armi  mentite! 
Che  'I  giorno  ornai  della  battaglia  è  presso. 
Son,  rispose,  già  preste;  e  qui,  fornite 
Queste  parole,  e  'l  duce  tacque,  ed  esso. 
Restò  Vafrino  alle  gran  cose  udite 
Sospeso  e  dubbio,  e  rivolgea  in  sé  stesso, 
Qual  arti  di  congiura,  e  quali  siéno 
Le  mentite  armi  ;  e  noi  comprese  appieno, 

66.  Indi  partissi,  e  quella  notte  intiera 
Desto  passò  ;  eh'  occhio  serrar  non  volse. 
Ma ,  quando  poi  di  novo  ogni  bandiera 
All'  aure  mattutine  il  campo  sciolse, 
Anch'  ei  marciò  con  l'  altra  gente  in  schiera, 
Fennossi  anch'  egli,  ov'  ella  albergo  tolse, 
E  pur  anco  tornò  di  tenda  in  tenda 
Per  udir  cosa ,  onde  il  ver  meglio  intenda. 

67.  Cercando  trova  in  sede  alta  e  pomposa 
Fra  cavalieri  Armida  e  fra  donzelle. 
Che  stassi  in  sé  romita  e  sospirosa. 
Fra  sé  co'  suoi  pen>ier  par  che  favelle. 
Sulla  candida  man  la  guancia  ]iosa, 
E  china  a  terra  1'  amorose  stelle. 
Non  sa,  se  pianga,  o  no:  ben  può  vederle 
Umidi  gli  occlij  ,  e  gravidi  di  perle. 

68.  Vedele  incontra  il  fero  Adrasto  assiso. 
Che  par,  eh'  occhio  non  batta,  e  che  non  spiri 
Tanto  da  lei  pendea,  tanto  in  lei  fiso 
Pasceva  i  suoi  famelici  desiri  ! 
Ma  Tisatono ,  or  1'  una ,  or  1'  altro  in  viso 
Guardando,  or  vicn  che  brami,  or  che  s'  adii 
E  segna  il  mobii  volto  or  di  colore 
Di  rabbioso  disdegno,  ed  or  d'  amore. 

69.  Scorge  poscia  AUamor,  che  'n  cerchio  accol 
Fra  le  donzelle  alquanto  era  in  disparte. 

Non  lascia  il  dcsir  vago  a  freno  sciolto, 

Ma  gira  gli  occhj  cupidi  con  arte. 

Volge  un  guardo  alla  mano,  uno  al  bel  Tolto, 

Talora  insidia  più  guardata  parte, 

E  là  s'  intei'na,  ove  mal  cauto  apria 

Fra  due  marame  un  bel  vel  secreta  via. 

70.  Alza  alfin  gli  occhj  Armida,  e  pur  alquanto 
La  bella  fronte  sua  torna  serena  ; 

E  repente  fra  i  nuvoli  del  pianto 

Un  soave  sorriso  apre  e  balena. 

Signor,  dicea,  membrando  il  vostro  vanto, 

L'  anima  mia  punte  scemar  la  pena; 

Che  d'  esser  vendicata  in  breve  aspetta, 

E  dolce  è  1'  ira  in  aspettar  vendetta. 

71.  Risponde  l'  Indian  :  la  fronte  mesta. 

Deh,  per  Dio,  rasserena,  e    1  duolo  alleggia! 
Ch'  assai  tosto  avverrà ,  che  1'  empia  tc»ta 
Di  quel  Rinaldo  a'  pie  tronca  ti  veggia  ; 
O  menarolli  prigionier  con  questa 
Ultrice  mano,  ove  prigion  tu   1  chieggia. 
Così  promisi  in  voto.     Or  1'  altro ,  eh'  ode, 
Moto  non  fa,  ma  tra  suo  cor  si  rode. 

72.  Volgendo  in  Tisaferno  il  dolce  sguardo: 
Tu,  che  dici,  signor.'  colei  soggiunge. 
Risponde  egli  infingendo  :  io,  che  son  tardo, 
Seguiterò  il  valor  così  da  lungo 

Di  questo  tuo  terribile  e  gagliardo. 
E  con  tai  detti  amaramente  il  punge. 
Ripiglia  r  Indo  allor:  ben  è  ragione. 
Che  lungc  segua,  e  tema  il  paragone. 


229] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XIX.  73-88) 


[230] 


14 


75 


70 


73.      Crollando  Tisafcrno  il  capo  altero. 
Disse  :  oh  foss'  io  signor  del  mio  talento, 
Libero  avessi  in  questa  spada  impero  ! 
Che  tosto  e'  si  parria,  chi  sia  più  lento. 
Non  temo  io  te,  nò  tuoi  gran  vanti,  oh  fero; 
Ma  11  ciclo ,  e  '1  mio  nemico  amor  pavento. 
Tacque:  e  sorgeva  Adrasto  a  far  disfida, 
Ma  la  prevenne,  e  s'  interpose  Armida. 

Diss'  ella:  oh  cavalicr,  pci-chè  quel  dono 
Donatomi  più  volte  anco  togliete? 
Miei  campion  siete  voi:  pur  esser  buono 
Dovria  tal  nome  a  por  tra  voi  quiete. 
Meco  s'  adira  ,  chi  b'  adira  ;  io  sono 
\eU'  offese  1'  ofiesa  ;  e  voi  "1  sapete. 
Così  lor  parla,  e  così  avvicn,  che  accordi 
Sotto  giogo  di  ferro  alme  discordi. 

E  presente  Vafrino,  e  "1  tutto  ascolta, 
E  sottrattone  il  vero,  indi  si  toglie. 
Spia  dell'  alta  congiura ,  e  lei  ravvolta 
Trova  in  silenzio,  e  nulla  ne  raccoglie. 
Chiedenc  improntamcnte  anco  talvolta: 
E  la  difficoltà  cresce  le  voglie. 
O  qui  lasciar  la  vita  egli  è  disposto, 
O  riportarne  il  gran  secreto  ascosto. 

Mille  e  più  vie  d'  accorgimento  ignote, 
Mille  e  più  pensa  inusitate  frddi: 
E  pur  con  tutto  ciò  non  gli  son  note 
Dell'  occulta  congiura  o  1'  arme,  o  i  modi. 
Fortuna  alfin  (quel  eh"  ci  per  sé  non  puote) 
Isviluppò  d'   ogni  suo  duhhio  i  nodi, 
Sicch'  ei  distinto  e  manifesto  intese, 
Come  le  insidie  al  pio  Buglion  sinn  tese. 

Era  tornato ,  ov'  è  pur  anco  assisa 
Fra'  suoi  campioni  la  nemica  amante; 
Ch'  ivi  oppnrtun  1'  investigarne  avvisa, 
Ove  genti  tracan  sì  varie  e  tante. 
Or  qui  s'  accosta  a  una  donzella  in  guisa, 
Che  par,  che  v'  abbia  conoscenza  avante, 
Par  v'  abbia  d'  amistade  antica  usanza, 
E  ragiona  in  aflabile  sembianza. 

'8.      Egli  dicea ,  quasi  per  gioco ,  anch'  io 
Vorrei  d'  alcuna  bella  es.-er  campione, 
E  troncar  penserei  col  ferro  mio 
Il  capo  o  di  Uinnldo  ,  n  del  Buglione. 
Chiedila  pur  a  me ,  se  n'  hai  desio. 
La  testa  d'  alcun  barbaro  barone! 
Così  comincia,  e  pensa  a  poco  a  poco 
A  più  grave  parlar  ridurre  il  gioco. 

9.      Ma  in  questo  dir  sorrise,  e  fé'  ridendo 
Un  cotal  atto  suo  nativo  usato. 
L'na  dell'  altre  allor  qui  sorgiungendo, 
L'  udì .  guardollo ,  e  poi  gli  venne  allato. 
Disse:  involarti  a  cia>run'  altra  intendo; 
Nò  ti  dorrai  d'  amor  male  impiegato. 
In  mio  campion  t'  eleggo,  ed  in  disparto 
Come  a  mio  cavalier  vo'  ragionartc. 

0.      Kitirollo  ,  e  parlò  :  riconosciuto 
Ilo  te ,  \  afrin  ;  tu  me  «-onoscer  dei. 
Nel  cor  turbossi  lo  scudiero  astuto; 
Pur  mÌ   rivolse  sorridendo  a  lei: 
Non  t'  ho  (rho  mi  hO\  venga)  imqua  veduto, 
E  degna  pur  d'   csot  mirata  sei. 
Questo  so  ben  ,  di'  assai  vario  da  quello, 
Che  tu  dicesti ,  è  il  nomo ,  ond'  io  m'  appello. 


ìr7. 


81.  Me  sulla  piaggia  di  Biserta  aprica 
Lesbin  produsse  ,  e  mi  nomò  Almanzorre. 
Tosto  disse  ella:  ho  conoscenza  antica 

D'  ogn'  esser  tuo  ;  né  già  mi  voglio  opporre. 
Non  ti  celar  da  me!  eh'  io  sono  amica, 
Ed  in  tuo  prò  vorrei  la  vita  esporre. 
Erminia  son  ,  già  di  re  figlia,  e  serva 
Voi  di  Tancredi  un  tempo,  e  tua  consena. 

82.  Nella  dolce  prigion  due  lieti  mesi 
Pietoso  prigioiiier  m'  ave-ti  in  guarda, 
E  mi  scr\isti  in  bei  modi  cortesi. 

Ben  dessa  i'  son  :  ben  dessa  i'  son  :  riguarda  ! 
Lo  scudier,  come  pria,  v'  ha  gli  occhj  intesi, 
La  bella  faccia  a  ravvisar  non  tarda. 
Vivi ,  ella  soggiungea  ,  da  me  securo  : 
Per  questo  ciel,  per  questo  sol  tei  giuro. 

83.  Anzi  pregar  ti  vo',  che,  quando  torni. 
Mi  riconduca  alla  prigion  mia  cara. 
Torbide  notti  e  tenebrosi  giorni 
Misera  vivo  in  libcrtade  amara. 

E  se  qui  per  ispia  forse  soggiorni, 
Ti  si  fa  incontro  alta  fortuna  e  rara. 
Saprai  da  me  congiure,  e  ciò,  eh'  altrove 
Malagevol  sarà,  che  tu  ritrove. 

Si.      Così  gli  parla:  e  intanto  ei  mira,  e  tace: 
Pensa  all'  esempio  della  falsa  Armida. 
Femmina  è  cosa  garrula  e  fallace. 
Vuole  e  disvuole  ;  è  folle  uom ,  che  sen  fida. 
Sì  tra  sé  volge.     Or,  se  venir  ti  piace, 
(Alfin  le  disse)  io  ne  sarò  tua  guida. 
Sia  fermato  tra  noi  questo,  e  conchiuso: 
Serbisi  il  parlar  d'  altro  a  miglior  uso  ! 

85.  Gli  ordini  danno  di  salire  in  sella 
Anzi  il  mover  del  campo  allora  allora. 
Parte  Vafrin  del  padiglione ,  ed  ella 

Si  torna  all'  altre,  e  alquanto  ivi  dimora. 
Di  scherzar  fa  sembiante  ,  e  pur  favella 
Del  campion  novo,  e  se  ne  vicn  poi  fuora. 
Viene  al  loco  prescritto ,  e  s'  accompagna. 
Ed  cscon  poi  del  campo  alla  campagna. 

86.  Già  eran  giunti  in  parte  assai  romita, 
E  già  sparian  le  Saracino  tende, 
Quando  ei  le  disse:  ordì',  cniiie  alla  vita 
Del  pio  GofTi-edo  altri  le  insidie  tende. 
Allor  colei  della  congiura  ordita 

L'  iniqua  tela  a  lui  dispiega  e  stende. 
Son  (gli  di\isa)  <ifto  guerrier  di  corte. 
Tra'  quali  il  più  famoso  è  Ormondo  il  furie. 

87.  Questi  (che  che  lor  mova,  odio,  o  disdegno) 
llan  conspirato  :  e  l'  arte  lor  (la  tale. 

Quel   dì,  che  'n  lite  ^erià  d'  .Asia  il  regno 
Tra  duo  gran  campi  in  gran  pugna  cainjiale, 
Avran  siili'  armi  della  noce  il  bCgno, 
E  r  armi  avranno  alla  fraiiresea  ;  e  quale 
La  guardia  di  GitilVedo  ha  bianco  e  d'  oru 
Il  suo  vestir ,  sarà  l'  abito  loro. 

88.  Ma  ciascun  terrà  cosa  in  siilT  rhiu^tto, 
CIk;  noto  a    suoi  per  uom   pagano  il  faccia. 
Quando  sia  poi  rimescolato  e  stretto 

li'  un  rampo  e  l'  altro  ,    elli  porransi  in    traccia, 
E  iiisiilierunno  al  valoroso   petto. 
Mostrando  di  custodi  amica   l'accia: 
E    i  ferro   armato  ili  M-leiio  avranno. 
Perchè  mortai   sia  d'  ogni  piaga  il  danno 

15  ♦ 


GERUSALEMME  LIBERATA.  (XIX.  89—104) 


[231] 

89.  E,  perchè  fra'  pagani  anco  rìsassi, 
Ch'  io  so  vostr'  usi,  ed  arme,  e  sopravveste, 
Fèr ,  che  le  false  insegne  io  divisassi, 
E  fui  costretta  ad  opere  moleste. 
Queste  son  le  cagion,  che  '1  campo  io  lassi. 
Fuggo  le  imperiose  altrui  richieste. 
Schivo  ed  ahborro  in  qualsivoglia  modo 
Contaminarmi  in  atto   alcun  di  frodo. 

90.  Queste  son  le  cagion ,  ma  non  già  sole  — 
E  qui  si  tacque ,  e  di  rossor  si  tinse, 

E  chinò  gli  occhj  ,  e  1'  ultime  parole 
Ritener  volle,  e  non  hen  le  distinse. 
Lo  scudier,  che  da  lei  ritrar  pur  vuole 
Ciò,  eh'  ella  vergognando  in  so  ristrinse, 
Di  poca  fede ,  disse ,  or  perchè  cele 
Le  più  vere  cagioni  al  tuo  fedele.'^ 

91.  Ella  dal  petto  un  gran  sospiro  apriva, 
E  parlava  con  suon  tremante  e  roco. 
Mal  guardata  vergogna  intempestiva, 
Vatenc  omai!  non  hai  tu  qui  più  loco. 

A  che  pur  tenti,  oh  invan  ritrosa  e  schiva, 
Celar  col  foco  tuo  d'  amore  il  foco? 
Debiti  fur  questi  riguardi  innante, 
Non  or,  che  fatta  son  donzella  errante. 

92.  Soggiunse  poi  :  la  notte  a  me  fatale, 
Ed  alla  patria  mia,  che  giacque  oppressa, 
Perdei  più  che  non   parve:    e  '1  mio   gran  male 
Non  ebbi  in  lei,  ma  derivò  da  essa. 

LcA  e  perdita  è  il  regno  :  io  col  regale 
Mio  alto  stato  anco  perdei  me  stessa, 
Per  mai  non  ricovrarla.     AUor  perdei 
La  mente  folle ,  e  '1  core ,  e  i  sensi  miei. 

93.  Vafi-in,  tu  sai,  che  timidetta  accorsi, 
Tanta  strage  vedendo  e  tante  prede, 

Al  tuo  signore  e  mio ,  che  prima  i'  scorsi 
Armato  por  nella  mìa  reggia  il  piede, 
E,  chinandomi,  a  lui  tai  voci  porsi: 
lii\ìtto  vincitor,  pietà,  mercede! 
Non  prego  io  te  per  la  mia  vita;  il  fiore 
Salvami  sol  del  verginale  onore! 

94.  Egli,  la  sua  porgendo  alla  mia  mano. 
Non  aspettò,  che  '1  mio  pregar  fornisse. 
Vergine  bella,  non  ricorri  invano. 

Jo  ne  sarò  tuo  difensor ,  mi  disse. 
Allora  un  non  so  che  soave  e  piano 
Sentii,  eh'  al  cor  mi  scese,  e  vi  s'  affisse, 
Che,  scrpcndomi  poi  per  1'  alma  vaga, 
Non  sa,  come ,  divenne  incendio  e  piaga. 

!)5.      Visitommi  egli  spesso  e,  in  dolce  suono 
Consolando  il  mio  duol,  meco  si  dolse. 
Dicen  :  1'  intera  libertà  ti  dono. 
E  delle  spoglie  mie  spoglia  non  volse. 
Oimè ,  che  fu  rapina ,  e  parve  dono  : 
Cbè,  rendendomi  a  me,  da  me  mi  tolse. 
Quel  mi  rendè,   eh'  è  vie  men  caro  e  degno; 
Ma  m'  usurpò  del  core  a  forza  il  regno. 

9fì.      Male  amor  si  nasconde.    A  te  sovente 
DcBÌoi>a  i'  chicdca  del  mio  signore, 
leggendo  i  segni  tu  d'  inferma  mente: 
Erniinia ,  ini  dicesti,  ardi  d'  amore. 
In  tei  negai;  ma  un  min  sospiro  ardente 
Fu  più  verace  te»tinion  d<;l  core, 
E,  in   vece  forse  della  lingua,  il  guardo 
Manifestava  il  fuco ,  onde  tutt'  ardo. 


[232 


97.  Sfortunato  silenzio!  Avessi  io  almeno 
Chiesta  allor  medicina  al  gran  martire, 
S'  esser  poscia  dovea  lentato  il  freno, 
Quando  non  gioverebbe,  al  mio  desire. 
Partimmi  in  somma,  e  le  mie  piaghe  in  seno 
Portai  celate,  e  ne  credei  morire. 

Alfio,  cercando  al  viver  mio  soccorso. 
Mi  sciolse  amor  d'  ogni  rispetto  il  morso, 

98.  Sicché  a  trovarne  il  mio  signor  io  mossi, 
Ch'  egra  mi  fece ,  e  mi  potea  far  sana. 
Ma  tra  via  fero  intoppo  attraversossi 

Di  gente  ìnclementissima  e  villana. 
Poco  mancò ,  che  preda  lor  non  fossi. 
Pur  in  parte  fuggìmmi  erma  e  lontana, 
E  colà  vissi  in  solitaria  cella. 
Cittadina  de'  boschi  e  pastorella. 

99.  Ma ,  poiché  quel  desio ,  che  fu  ripresso 
Alcun  dì  per  la  tema,  in  me  risorse, 
Tornarmi  ritentando  al  loco  stesso, 

La  medesma  sciagura  anco  m'  occorse. 
Fuggir  non  potei  già  :  eh'  era  omai  presso 
Predatrice  masnada,  e  troppo  corse. 
Così  fui  presa:  e  quei,  che  mi  rapirò, 
Egizj  fur ,  eh'  a  Gaza  indi  sen  giro  : 

100.  E  'n  don  menarmi  al  capitano,  a  cui 
Died'  io  di  me  contezza,  e  'I  persuasi. 
Siedi'  onorata  e  inviolata  fui 

Que'  dì,  che  con  Armida  ivi  rimasi. 
Cosi  venni  più  volte  in  forza  altrui, 
E  men  sottrassi.     Ecco  i  miei  duri  casi! 
Pur  le  prime  catene  anco  riserva 
La  tante  volte  liberata  e  serva. 

101.  Oh  pur  colui ,  che  circondoUe  intorno 
Air  alma,  sicché  non  fia  chi  le  scioglia, 
Non  dica:  errante  ancella,  altro  soggiorno 
Cercati  pure!  e  me  seco  non  voglia. 

Ma  pietoso  gradisca  il  mio  ritorno, 
E  neir  antica  mia  prigion  m'  accoglia! 
Così  diceagli  Erminia:  e  insieme  andaro 
La  notte  e  '1  giorno  ragionando  a  paro. 

102.  Il  più  usato  sentier  lasciò  Vafrino, 
Calle  cercando  o  più  securo  o  corto. 
Giunsero  in  loco  alla  città  vicino, 

Quando  è  il  sol  nell'  occaso,  e  imbruna  1"  ortt 
E  trovaron  di  sangue  atro  il  cammino, 
E  poi  vider  nel  sangue  un  guerrier  morto, 
Che  le  vie  tutte  ingombra,  e  la  gran  faccia 
Tien  Aolta  al  cielo,  e  morto  anco  minaccia. 

103.  L'  uso  dell'  arme,  e  '1  portamento  estrano 
Pagan  mostrarlo  :  e  lo  scudier  trascorse. 

Un  altro  alquanto  ne  giacca  lontano, 

Che  tosto  agli  occhj  di  Vafrino  occorse. 

Egli  disse  fra  sé  :  questi  è  cristiano. 

Più  il  mise  poscia  il  vestir  bruno  in  forse. 
1         Salta  di  sella,  e  gli  discopre  il  viso: 
{         Ed,  oimè!  grida:  è  qui  Tancredi  ucciso. 

104.  A  riguardar  sovra  il  guerrier  feroce 
I         La  male  avventurosa  era  fermata. 

Quando  dal  suon  della  dolente  voce 
Per  lo  mozzo  del  cor  fu  saettata. 
Al  nome  di  Tancredi  ella  veloce 
Accorse  in  guisa  d'  ebbra  e  forsennata. 
Vista  la  faccia  scolorita  e  bella. 
Non  scese  no,  precipitò  di  sella, 


II 


U 


233] 


GERUSALEMME  LIBERATA.  (XIX.105- 120) 


[234] 


)8 


05.  E  in  lui  versò  d'  inessiccabil  vena  113. 
Lagrime,  e  voce  di  sospiri  mista. 
In  che  misero  punto  or  qui  lui  mena 
Fortuna!  ah  che  veduta  amara  e  trista! 
Dopo  gran  tempo  i'  ti  ritrovo  appena, 
Tancredi ,  e  ti  riveggio ,  e  non  son  vista  : 
Vista  non  son  da  te ,  benché  presente, 
£  trovando  ti  perdo  eternamente. 

06.  Misera!  non  credea,  eh'  agli  occhj  miei  114. 
Potessi  in  alcun  tempo  esser  nojoso. 
Or  cieca  farmi  volentier  torrei, 
Per  non  vederti,  e  riguardar  non  oso. 
Oimè,  de'  lumi  già  sì  dolci  e  bei 
Ov'  è  la  fiamma?  ov'  è  il  bel  raggio  ascoso? 
Delle  fiorite  guance  il  bel  vermiglio 
Ov'  è  fuggito  ?  ov'  è  il  seren  del  ciglio  ? 

)7,     Ma  che?  squallido  e  scuro  anco  mi  piaci.         1115. 
Anima  bella,  se  quinci  enti-o  gire,  | 

S'  odi  il  mio  pianto,  alle  mie  voglie  audaci        I 
Perdona  il  furto ,  e  '1  temerario  ardire  ! 
Dalle  pallide  labbra  i  freddi  baci, 
Clie  più  caldi  sperai,  vo'  pur  rapire. 
Parte  torrò  di  sue  ragioni  a  morte. 
Baciando  queste  labbra  esangui  e  emorte. 

Pietosa  bocca,  che  solevi  in  vita  116. 

Consolar  il  mio  duol  di  tue  parole, 
Lecito  sia,  eh'  anzi  la  mia  partita 
D'  alcun  tuo  caro  bacio  io  mi  console! 
E  forse  allor,  s'  era  a  cercarlo  ardita,  j 

Quel  davi  tu,  eh'  ora  convien  che  invola.  i 

Lecito  sia,  eh'  ora  ti  stringa ,  e  poi  | 

Versi  Io  spirto  mio  fra  i  labbri  tuoi! 

)9.      Raccogli  tu  r  anima  mia  seguace!  117, 

Drizzala  tu ,  dove  la  tua  sen  gìo  ! 
Così  parla  gemendo ,  e  si  disface 
Quasi  per  gli  occhj  ,  e  par  conversa  in  rio. 
Rivenne  quegli  a  quell'  umor  vivace, 
E  le  languide  labbra  alquanto  aprio  : 
Aprì  le  labbra,  e  con  le  luci  chiuse 
Un  suo  sospir  con  que'  di  lei  confuse. 

10.  Sente  la  donna  il  cavalier,  che  geme:  118. 
E  forza  è  pur,  che  sì  conforti  alquanto. 
Apri  gli  occhj,  Tancredi ,  a  queste  eslrciue 
Esequie,  grida,  eh'  io  ti  fo  col  pianto  !                   1 
Riguarda  me,  che  vo'  venirne  insieme 
La  lunga  strada,  e  vo'  morirli  accanto.                  | 
Riguarda  me  !  non  tcn  fuggir  sì  presto  ! 
L'  ultimo  don,  eh'  io  ti  dimando,  è  questo. 

11.  Apre  Tancredi  gli  occlij  ,  e  poi  gli  abbassa        119. 
Torbidi  e  gravi,  ed  ella  pur  ei  lagna.  t 
Dice  Vafrin(»  a  lei  :  questi  non  passa  : 
Curisi  adunque  prima,  o  poi  si  piagna! 
Egli  il  disarma;  ella  trrniunte  e  lussa 
Porge  la  mano  all'  opere  compagna, 
Mira,  e   tratta  le  piaghe,   e  di  ferule 
Giudice  esperta,  spera  iiuli  salute. 

12.  Vculc,  che  'l  mal  dalla  stanchc/./.a  nasce,  '  120. 
E  dagli  nnuiri  in  troppa  i  opia  sparli. 
Ma  non  ha,  fiioreli'  un  velo,  onde  gli  fasce 
Le  sue  ferite  in  sì  solinglie  parli. 
Amor  le  trova  inusilale  lasce, 
K  di  y'u'lii  le  insegna  insolite  arti.                              j 
Le  asciugò  con  le  chiome ,  e  rilegolle                      1 
Pur  con  io  chiome,  che  troncar  si  volle; 


Perocché  '1  velo  suo  bastar  non  puote 
Breve  e  sottile  alle  sì  spesse  piaghe. 
Dittamo  e  croco  non  avea  ;  ma  note 
Per  uso  tal  sapea  potenti  e  maghe. 
Già  il  mortifero  sonno  eì  da  sé  scote. 
Già  può  le  luci  alzar  mobili  e  vaghe. 
Vede  il  suo  servo,  e  la  pietosa  donna 
Sopra  si  mira  in  peregrina  gonna. 

Chiede:  oh  Vafrin,  qui  come  giungi,  e  quando? 
E  tu  chi  sei,  medica  mia  pietosa? 
Ella  fra  lieta  e  dubbia  sospirando, 
Tinse  il  bel  volto  di  color  di  rosa. 
Saprai ,  risponde ,  il  tutto  :  or  (tei  comando 
Come  medica  tua)  taci ,  e  riposa  ! 
Salute  avrai:  prepara  il  guiderdone! 
Ed  al  suo  capo  il  grembo  indi  suppone. 

Pensa  intanto  Vafrin ,  come  all'  ostello 
Agiato  il  porti  anzi  più  fosca  sera; 
Ed  ecco  di  guerrier  giunge  un  drappello. 
Conosce  ei  ben ,  che  di  Tancredi  é  schiera. 
Quando  afTrontò  il  Circasso ,  e  per  appello 
Di  battaglia  chiamollo,  insieme  egli  era. 
Non  seguì  lui,  perch'  ei  non  Aolse  allora; 
Poi  dubbioso  il  cercò  della  dimora. 

Seguian  molti  altri  la  medesma  inchiesta, 
Ma  ritrovarlo  avvien ,  che  lor  succeda. 
Delle  stesse  lor  braccia  essi  han  contesta 
Quasi  una  sede,  ov'  ei  s'  appoggi  e  sieda. 
Disse  Tancredi  allora:  adunque  resta 
Il  valoroso  Argante  ai  corvi  in  preda? 
Ah ,  per  Dio ,  non  si  lasci,  e  non  si  frodi 
O  della  sepoltura ,  o  delle  lodi  ! 

Nessuna  a  me  col  busto  esangue  e  muto 
Riman  più  guerra:  egli  mori  qual  forte. 
Onde  a  ragion  gli  è  quell'  onor  dovuto, 
Che  solo  in  terra  avanzo  è  della  morte. 
Così  da  molti  ricevendo  ajuto. 
Fa,  che  'l  nemico  suo  dietro  si  porte. 
Vafrino  al  fianco  di  colei  si  pose, 
Siccome  uom  suole  alle  guardate  cose. 

Soggiunse  il  prence  :  alla  città  regale, 
Non  alle  tende  mie  vo'  che  si  vada; 
Che ,  se  umano  accidente  a  questa  frale 
Vita  sovrasta,  è  ben,  eh'  ivi  in'   accada. 
Che  '1  loco,  ove  morì  l'  uon\  inunortale. 
Può  forse  al  cielo  agevolar  la  strada; 
E  sarà  pago  un  mio  pensicr  devoto 
D'  aver  peregrinato  al  fin  del  volo. 

Disse;  e  colà  portato  egli  fu  po^to 
Sovra  le  piume,  e  'l  prc-e  un  ^onno  cheto. 
Vafrino  alla  don/ella,  e  non  discosto, 
Ritrova  alliergo  assai  eliinso  e  ^ecrcto. 
Quinci  s'   in«ia,  dov'  è  (liollVedo ,  e  tosto 
Entra;  che  ntin  gli  è  fatto  alcun  divieto; 
Scbiien  allor  della  l'ntnra  impresa 
In  bilance  i  ('(iii>igli  appende  e  pesa- 
Dei  letto,  o^e  la  stanca  egra  persona 
Posa  Kaiinondo,  il  duce  è  sulla  sponda, 
E  d'  ogn'  intorno  nobile  corona 
De'  pili  potenti  e  più  saggi  il  ciriH)nda. 
Or,  mentre  lo  scniliero  a   Ini  ragiona, 
Non  v'  è,  chi  d'  altro  chieda,  o  chi  ri.-ponda. 
Signor,  «lieca,  come  imponesti,  anilai 
Tra  gì'  infedeli,  e  'l  campo  lor  cercai. 


[235] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (XIX.   121—131) 


[236 


121.  Ma  non  aspettar  già,  che  di  quell'  osto 
L'  innumerabil  niuiiero  ti  conti  ! 

r  >idi,  eh'  al  passar  le  valli  ascoste 
Sotto  e'  teneva,  e  i  piani  tutti,  e  i  monti. 
Vidi,  che  dove  giunga,  ove  s'  accoste. 
Spoglia  la  terra,  e  secca  i  fiumi  e  i  fonti: 
Perchè  non  bastan  1'  acque  alla  lor  sete, 
E  poco  è  lor  ciò,  che  la  Siria  miete. 

122.  Ma  81  de'  cavalier,  sì  de'  pedoni 
Sono  in  gran  parte  inutili  le  schiere. 
Gente,  che  non  intende  ordini  e  suoni, 
^è  stringe  ferro,  e  di  lontan  sol  fere. 
Ben  ve  ne  sono  alquanti  eletti  e  buoni, 
Che  seguite  di  Persia  han  le  bandiere. 
E  forse  squadra  anco  migliore  è  quella. 
Che  la  squadra  iiumortal  del  re  g'  appella. 

123.  Ella  è  detta  immortai ,  perchè  difetto 
In  quel  numero  mai  non  fu  pur  d'  uno  ; 
Ma  empie  il  loco  voto,  e  sempre  eletto 
Sottentra  uom  novo,  ove  ne  manchi  alcuno. 
Il  capitan  del  campo ,  Emiren  detto. 

Pari  ha  in  senno  e  'n  valor  pochi,  o  nessuno 
E  gli  comanda  il  re,  che  provocarti 
Debbia  a  pugna  campai  con  tutte  T  arti. 

124.  Kè  credo  già,  eh'  al  dì  secondo  tardi 
L'  esercito  nemico  a  comparire. 

Ma  tu,  Rinaldo,  assai  convien,  che  guardi 
Il  capo,  ond'  è  fra  lor  tanto  desire; 
Che  i  più  famosi  in  arme  e  i  più  gagliardi 
Gli  hanno  incontra  arrotato  il  ferro  e  1'  ire, 
Perchè  Armida  sé  stessa  in  guiderdone 
A  qual  di  loro  il  troncherà,  propone. 

125.  Fra  questi  è  il  valoroso  e  nobil  Perso: 
Dico  Altaraoro,  il  re  di  Sarmacante. 
Adrasto  v'  è,  eh'  ha  il  regno  suo  là  Terso 
I  confin  dell'  aurora,  ed  è  gigante: 
l'om  d'  ogni  umanità  così  diverso, 

Che  frena  per  cavallo     un  elefante. 
V  è  Tisaferno,  a  cui  nell'  esser  proda 
Concorde  fama  dà  sovrana  lode. 


126.  Così  dice  egli;  e  '1  giovinetto  in  volto 
Tutto  scintilla ,  ed  ha  negli  occhj  il  foco. 
Vorria  già  tra'  nemici  esser  avvolto. 

Né  cape  in  sé,  né  ritrovar  può  loco. 
Quinci  Vafrino  al  capitan  rivolto: 
Signor,  soggiunse,  insin  qui  detto  è  poco. 
La  somma  delle  cose  or  qui  si  chiuda: 
Impugneransi  in  te  1'  arme  di  Giuda. 

127.  Dì  parte  in  parte  poi  tutto  egli  esposo 
Ciò ,  che  di  fraudolento  in  lui  si  tesse  : 
L'  armi ,  e  '1  venen ,  V  insegne  insidiose. 
Il  vanto  udito,  i  preraj ,  e  le  promesse. 
Molto  chiesto  gli  fu ,  molto  rispose. 
Breve  tra  lor  silenzio  indi  successe. 
Poscia  innalzando  il  capitano  il  ciglio. 
Chiede  a  Raimondo  :  or  qual  è  il  tuo  consiglio 

128.  Ed  egli:  è  mio  parer,  oh'  ai  novi  albori. 
Come  concluso  fu.  più  non  s'  assaglia, 

Ma  si  stringa  la  torre;  onde  uscir  fuori 
Chi  dentro  stassi,  a  suo  piacer  non  vaglia: 
E  posi  il  nostro  campo,  e  si  ristori 
Frattanto  ad  uopo  di  maggior  battaglia. 
Pensa  poi  tu,  s'  è  meglio  usar  la  spada 
Con  forza  aperta ,  o  '1  gir  tenendo  a  bacia  ! 

129.  Mio  giudizio  è  però,  che  a  te  convegna 
Di  te  stesso  curar  sovra  ogni  cura; 

Che  per  te  vince  l'  oste ,  e  per  te  regna. 
Chi  senza  te  l'  indrizza  e  l'  assecura .'' 
E  perchè  i  traditor  nou  celi  insegna, 
Mutar  le  insegne  a'  tuoi  guerricr  procura. 
Così  la  fraude  a  te  palese  fatta 
Sarà  da  quel  medesmo,  in  chi  s'  appiatta. 

130.  Risponde  il  capitan:  come  hai  per  uso. 
Mostri  amico  voler  e  saggia  mente. 

Ma  quel,  che  dubbio  lasci,  or  sia  concliiuso: 

Useirem  contro  alla  nemica  gente. 

Kè  già  star  de^  e  in  muro ,  o  in  vallo  chiuso 

Il  campo  domator  dell'  oriente. 

Sia  da  quegli  empj  il  valor  nostro  esperto 

Nella  più  aperta  luce 


in  loco  aperto! 

131.      Non  sosterran  delle  vittorie  il  nome, 
Non  che  de'  vincitor  1'  aspetto  altero, 
Non  che  V  armi  :  e  lor  forze  saran  dome, 
Fermo  stabilimento  al  nostro  impero. 
La  torre  o  tosto  rc:iderassi ,  o  ,  come 
Altri  noi  vieti,  il  prenderla  è  leggiero. 
Qui  il  magnanimo  tace,  e  fa  partita: 
Clio  '1  cader  delle  stelle  al  sonno  incita. 


23?] 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (XX.  1  —  12) 


[238] 


CANTO     VIGESIMO. 


ARGOMENTO. 

L'  Egizio  assai,  ma  neW  assalto  ei  porta. 
Portando  vita  altrui,  morte  a  sé  stesso. 
Premuto  è  chi  premca,  ma  Dio  comporta, 
Che  col  Soldan  giaccia  Aladin  oppresso  ; 
CW  agli  cmpj  il  cielo,  ed  ai  fedeli  apporta 
D"  ardir  van,  rf'  arder  vero  il  fm  promesso  ; 
Onde  giù  scioglie  il  voto  il  popol  misto, 
Che  H  gran  sepolcro  liberò  di  Cristo. 


1.      Già  il  sole  avea  desti  i  mortali  all'  opre, 
Già  diece  ore  del  giorno  eran  trascorse, 
Quando  lo  stuol,  eh'  alla  gran  torre  è  sopre. 
Un  non  so  che  da  lungc  ombroso  scorse, 
Quasi  nebbia,  eh'  a  sera  il  mondo  copre: 
E ,  eh'  era  il  caniiw)  amico ,  alfin  s'  accorse. 
Che  tutto  intorno  il  cicl  di  polve  adombra, 
E  i  colli  sotto,  e  le  campagne  ingombm. 

Alzano  allor  dall'  alta  cima  i  gridi  |      9. 

Inaino  al  ciel  1'  assediate  genti 
Con  quel  romor,  con  che  dai  tracj  nidi 
Vanno  a  stormi  le  gni  ne'  gim'ai  algenti, 
E  tra  le  nubi  ai  più  tepidi  lidi 
Fuggon  stridendo  innanzi  ai  frcildi  venti  r 
Ch'  or  la  gimita  speranza  in  lor  la  pronte 
La  mano  al  saettar,  la  lingua  all'  onte. 

Ben  s'  avvisano  i  Franchi ,  onde  dell'  ire  IO, 

L'  ìmpeto  novo ,  e  '1  minacciar  procede, 
E  miran  iV  alta  parte;  ed  apparirò 
Il  poderoso  campo  indi  si  vede. 
Subito  avvampa  il  generoso  ardire 
In  que'    petti  feroci ,  e  pugna  chiede. 
La  gioventtitc  altera  accolta  insieme, 
Uà,  grida,  il  segno,  invitto  duce!  e  freme. 

4.      Ma  nega  il  saggio  offrir  battaglia  avanto  11 

Ai  novi  albori,  e  ticn  gli  audaci  a  freno: 
Kè  pur  con  pugna  inNtabile  e  vagante 
Vuol,  che  si  tciitin  gli  avv<!rsarj   almeno. 
Ben  è  ragion,  dicca,  irhc  dopo  tante 
Fatiche  nn  giorno  io  vi  ristori  a|ipieno. 
Forse  ne'  suoi  nemici  aucii  la  folle 
Credenza  di  so  stessi  ei  niidrir  volle. 

Si  prepara  ciascun ,  dilla  novella  12 

Luce  aspeltaiid*»  riipido  il   ritorno. 
Non  fu  mai  l'  aria  sì  serena  e  belin. 
Come  air  uscir  del  mciiionibil  giorno. 
L'  alba  lieta  rideva,  e  parea,  eh'  tdlu 
Tutti  i  raggi  del  sole  avesse  intorno: 
E  '1  lume  n<i\Ut  a<;crcbbe,  e  «enza  velo 
VoUc  mirar  T  opere  grandi  il  cielo. 


Come  vide  spnntar  I'  aureo  mattino, 
Mena  fuori  Goffredo  il  campo  instrutto  ; 
3Ia  pon  Raimondo  intorno  al  palestino 
Tiranno,  e  de'  fedeli  il  popol  tutto, 
Che  dal  paese  di  Sorìa  vicino 
A'  suoi  libcrator  s'  era  condutto: 
jVumero  grande;  e  pur  non  questo  solo. 
Ma  di  Guasconi  ancor  lascia  uno  stuolo. 

Vassene,  e  tal  è  in  vista  il  sommo  duce, 
Ch'  altri   certa  vittoria  indi  presume. 
Novo  favor  del  cielo  in  lui  x-iluce, 
E  '1  fa  grande  ed  angusto  oltra  il  costume. 
Gli  empie  d'  onor  la  faccia,  e  vi  riduce 
Di  giovinezza  il  bel  purpureo  lume, 
E  neir  atto  degli  occbj  e  delle  membra 
Altro,  che  mortai  cosa,  egli  rassembra. 

Ma  non  molto  sen  va ,  che  giunge  a  fronte 
Deli'  attendato  esercito  pagano, 
E  prender  fa  nell'  arrivare  un  monte, 
Ch'  egli  ha  da  tergo  e  da  sinistra  mano, 
E  r  ordinanza  poi,  larga  di  fronte, 
Di  fianchi  angusta,  spiega  in  verso  il  piano. 
Stringe  in  mezzo  i  \)edoni,  e  rende  alati 
Con  r  ale  de'  cavalli  entrambi  i  luti. 

Nel  corno  manco ,   il  qual  s'  appressa  all'  erto 
Dell'  occupato  colle ,  e  s'  assecura, 
Pon  r  uno  e  1'  altro  principe  Roberto. 
Dà  le  parti  di  mezzo  al  frate  in  cnni. 
Egli  a  destra  s'  allunga,  ove  è  1'  aperto 
E  '1  periglioso  più  della  pianura, 
Ove  il  nemico,  che  di  gente  a^ìinza, 
Di  circondarlo  aver  potea  speranza. 

E  qui  i  suoi  Loteringhi ,  e  qui  dispone 
Le  meglio  armate  genti  e  le  più  eletto. 
Qui  tra'  cavalli  arcieri  alcnn  pedone 
Ifso  a  pugnar  tra'  cavalier  frammette. 
Poscia  d'  avventnrier  forma  un  squadrone, 
E  d'  altri  altronde  srelli,  e  presso  il  mette. 
Molto  loro  in  disparte  al  lato  destro, 
E  Rinaldo  ne  fa  duce  e  maestro, 

Ed  a  lui  dice:  in  te,  signor,  riposta 
La  vittoria  e  la  somma  è  delle  rose. 
Tieni  tu  la  tua  schiera  aI((niinto  nsco^ta 
Dietro  a  que.-te  ali  granili  e  spaziose! 
Qcnmdo  appressa  il  nemico ,  e  tu  di  cosla 
L'  assali,  e  rendi  van  quanto  e'  propose! 
Prop(i*to  a\rà.  se    1  mìtt  ptn^ier  non   falle. 
Girando  ai  fianchi  urtarti  ed  alle  spal'c. 

Quindi  so%ra  mi  ^or^il•r    di  schiera  in   tcbiera 
l'arca  volar  tra"  «inalier,  tra'  fanti. 
Tutto  il  '\oIto  scopri,!  per  In  ^i>iera; 
Fulmina>a  negli   occiij  <^  ne°  semltianti. 
Confortò  il  dubbio,   e  ronfermò,  chi  ^pera. 
Ed  all'  Hudiice  raiiimentò  i  siuii  vanti. 
V.  le  Kup  |irove  al  forte:  a  chi  maggiori 
Gli  «tipendj  promi>e,   a  chi  gii  onori. 


[239] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XX.   13-28) 


[240 


13.  Alfin  colà  fermossi ,  ove  le  prime 
E  più  nobili  squadre  erano  accolte; 
E  cominciò  da  loco  assai  sublime 
Parlare,  ond'  è  rapito  ogni  uom,  eh'  ascolte. 
Come  in  torrenti  dalle  alpestri  cime 
Soglion  giù  derivar  le  nevi  sciolte. 

Cosi  correan  volubili  e  veloci 
Dalla  sua  bocca  le  canore  voci. 

14.  Oh  de'  nemici  di  Gesù  flagello, 
Campo  mìo ,  domator  dell'  oriente, 
Ecco  r  ultimo  giorno ,  eccovi  quello. 
Che  già  tanto  bramaste,  ornai  presente! 
Pie  senza  alta  cagion,  che  '1  suo  rubello 
Popolo  in  un  s'  accoglia,  il  ciel  consente. 
Ogni  vostro  nemico  ha  qui  congiunto. 
Per  fornir  molte  guerre  in  un  sol  punto. 

15.  Noi  raccorrem  molte  vittorie  in  una; 
Né  fia  maggiore  il  rischio ,  o  la  fatica. 
Non  sia,  non  sia  tra  voi  temenza  alcuna 
In  veder  cosi  grande  oste  nimica  ! 

Che,  discorde  tra  sé,  mal  si  raguna, 
E  negli  ordini  suoi  sé  stessa  intrica. 
E  di  chi  pugni  il  numero  fia  poco  : 
Mancherà  il  core  a  molti,  a  molti  il  loco. 

16.  Quei,  che  incontra  Terranei,  uomini  ignudi 
pian  per  lo  più,  senza  vigor,  senz'  arte, 
Che  dal  lor  ozio,  o  dai  servili  studj 

Sol  violenza  or  allontana  e  parte. 
Tremar  le  spade  omai,  tremar  gli  scudi, 
Tremar  veggio  1'  insegne  in  quella  parte, 
Conosco  i  suoni  incerti  e  i  dubbj  moti, 
leggio  la  morte  loro  ai  segni  noti. 

17.  Quel  capitan,  che  cìnto  d'  ostro  e  d'  oro 
Dispon  le  squadre,  e  par  sì  fei'O  in  vista, 
Vinse  forse  talor  1'  Arabo,  o  '1  Moro; 

Ma  il  suo  valor  non  fia  eh'  a  noi  resista. 
Che  farà ,  henchè  saggio ,  in  tanta  loro 
Confusione,  e  si  torbida  e  mista? 
Mal  noto  è,  credo,  e  mal  conosce  i  sui, 
Ed  a  pochi  può  dir:  tu  fosti,  io  fui.    i 

18.  Ma  capitano  i'  son  di  gente  eletta. 
Pugnammo  un  tempo,  e  trionfammo  insieme, 
E  poscia  un  tempo  a  mio  voler  1'  ho  retta. 
Di  chi  di  voi  non  so  la  patria  e  '1  seme? 
Quale  spada  m'  è  ignota?  o  qual  saetta, 
IJenchè  per  1'  aria  ancor  sospesa  treme? 
Non  saprei  dir,  s'  è  franca,  o  se  d'  Irlanda, 
E  quale  appunto  il  braccio  è,  che  la  manda? 

10.      Chiedo  solite  cose:  ognun  qui  sembri 

Quel  mcdesmo,  eh'  altrove  i'  1'  ho  già  visto, 

E  r  usato  suo  zelo  abbia,  e  rimembri 

Ìj    onor  suo,  1'  onor  mio,  1'  onor  di  Cristo! 

Ite,  abbattete  gli  empj  ,  e  i  tronchi  membri 

('iilcatc,  e  stabilite  il  santo  acquisto! 

Cbò  più  vi  tengo  a  bada  ?  Assai  distinto 

Negli  occhj  vostri  il  veggio:  avete  vinto. 

!Ì0.     Parve,  che  nel  fornir  di  tai  parole 
Si:endc>sc  im  lampo  lucido  e  sereno, 
f/Oine  t'iiUoIta  estiva  notte  suole 
Scuoter  dal  manto  suo  stella,  o  baleno. 
Ma  qMr'>to  creder  si  pntca ,  che  'l  sole 
(ìiuso  il  mandasse  dal  più  interno  seno, 
E  par>e  al  rapo  irgli  girando,  e  segnò 
Alcun  pcn^ollo  di  futuro  regno. 


21      Forse  (se  deve  infra  celesti  arcani 
Fresontùosa  entrar  lingua  mortale) 
Angel  custode  fu ,  che  dai  soprani 
Cori  discese,  e  'l  circondò  con  1'  ale. 
Mentre  ordinò  Goffredo  i  suoi  cristiani, 
£  parlò  fra  le  schiere  in  guisa  tale, 
L'  egizio  capitan  lento  non  fue 
Ad  ordinar,  e  a  confortar  le  sue. 

22,  Trasse  le  squadre  fuor,  come  veduto 
Fu  da  lunge  venire  il  popol  franco: 

E  fece  anch'  ei  1'  esercito  cornuto, 

Co'  fanti  in  mezzo,  e  i  cavalieri  al  fianco. 

E  per  sé  il  corno  destro  ha  ritenuto, 

E  prepose  Altamoro  al  lato  manco. 

Muléasse  fra  loro  i  fanti  guida, 

E  in  mezzo  è  poi  della  battaglia  Armida. 

23.  Col  duce  a  destra  è  il  re  degl'  Indiani, 
E  Tisaferno.  e  tutto  il  regio  stuolo. 
Ma,  dove  stender  può  ne'  larghi  piani 
L'  ala  sinistra  più  spedito  il  volo, 
Altamoro  ha  i  re  persi  e  i  re  africani, 

E  i  duo,  che  manda  il  più  fervente  suolo.  . 
Quinci  le  frombe,  e  le  balestre,  e  gli  archi 
Esser  tutti  dovean  rotate  e  scarchi. 

21.     Cosi  Emiren  gli  schiera,  e  corre  anch'  esso 
Per  le  parti  di  mezzo,  e  per  gli  estremi. 
Per  interpreti  or  parla ,  or  per  sé  stesso, 
Mesce  lodi  e  rampogne,  e  pene  e  premi. 
Talor  dice  ad  alcun:  perché  dimesso 
Mostri,  soldato,  il  volto?  e  di  che  temi? 
Che  puote  un  contra  cento?  Io  mi  confido 
Sol  con  r  ombra  fugarli,  e  sol  col  grido. 

25.      Ad  altri:  oh  valoroso,  or  via  con  questa 
Faccia  a  ritor  la  preda  a  noi  rapita  ! 
L'  immagine  ad  alcuno  in  mente  desta, 
Gliela  figura  quasi,  e  gliel'  addita 
Della  pregante  patria  e  della  mesta 
Supplice  faniigliuola  sbigottita- 
Credi  ,  dicea ,  che  la  tua  patria  spieghi 
Per  la  mia  lingua  in  tai  parole  i  preghi! 

2G.      Guarda  tu  le  mie  leggi,  e  i  sacri  tempi 
Fa,  eh'  io  del  sangue  mio  non  bagni  e  lavi  ! 
Assecura  le  vergini  dagli  empi, 
E  i  sepolcri  e  le  ceneri  degli  avi! 
A  te  piangendo  i  lor  passati  tempi 
Mostran  la  bianca  chioma  i  vecchj  gravi: 
A  te  la  moglie  le  mammelle  e  'I  petto, 
Le  cune,  e  i  figli,  e  '1  maritai  suo  letto. 

27.  A  molti  poi  dicea:  l'  Asia  campioni 
Vi  fa  dell'  onor  suo:  da  voi  s'  aspetta 
Contra  qiie'  pochi  barbari  ladroni 
Acerba,  ma  giustissima  vendetta. 
Cosi  con  arti  varie  in  varj  suoni 

Le  varie  genti  alla  battaglia  alletta. 
Ma  già  tacciono  i  duci,  e  le  vicine 
Schiere  non  parte  ornai  largo  coufine. 

28.  Grande  e  mirabil  cosa  era  il  vedere," 
Quando  quel  campo  e  questo  a  fronte  venne, 
(^onie  spiegate  in  ordine  le  schiere, 

Di  mover  già,  già  d'  assalire  accenne. 
Sparse  al  vento  ondeggiando  ir  le  bandiere, 
E  ventolàr  sui  gran  ciuiier  le  penne  : 
Abiti,  fregi,  imprese,  arme  e  colori, 
D'  oro  e  di  ferro  al  sol  lampi  e  fulgori. 


241] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XX.  29—44) 


[242] 


29.      Sembra  d'  alberi  densi  alta  foresta 

L'  un  campo  e  1'  altro  :  di  tant'  aste  abbonda  ! 
Son  tesi  gli  archi ,  e  son  le  lance  in  resta  : 
Vibransi  i  dardi ,  e  rotasi  ogni  fionda. 
Ogni  cavallo  in  gwcrra  anco  s'  appresta. 
Gli  odj  e  '1  furor  del  suo  signor  seconda, 
Raspa ,  batte ,  nitrisce ,  e  si  raggira, 
Gonfia  le  nari,  e  fumo  e  foco  spira. 

50.     Bello  in  sì  bella  vista  anco  è  1'  orrore, 
E  di  mezzo  la  tema  esce  il  diietto. 
Kè  men  le  trombe  orribili  e  canore 
Sono  agli  oreccbj  lieto  e  fere»  oggetto. 
Pure  il  campo  fedel ,  benché  minore. 
Par  di  siion  più  mirabile  e  d'  aspetto, 
E  canta  in  più  guerriero  e  chiaro  carme 
Ogni   sua  tromba ,   e  maggior  luce  han  1'  arine 

1.      Fèr  le  trombe  cristiane  il  primo  invito: 
Risposer  V  altre,  ed  accettar  la  guerra. 
S'  inginocchiato  i  Franchi ,  e  riverito 
Da  lor  fu  il  cielo ,  indi  baciar  la  terra. 
Decresce  in  mezzo  il  campo:  ecco  è  sparito i 
L'  un  con  1'  altro  nemico  omni  si  serra. 
Già  fera  zuffa  è  nelle  corna ,  e  avanti 
Spìngonsi  già  con  lor  battaglia  i  fantu 

Or  chi  fu  il  primo  feritor  cristiano. 
Che  facesse  d'  onor  lodati  acquisti.'' 
Fosti,  Gildippe,  tu,  che  '1  grande  Ircano, 
Che  regnava  in  Orums,  prima  feristi, 
(Tanto  di  gloria  alia  femminea  mano 
Concesse  il  cielo!)  e  '1  petto  a  lui  partiste 
Cade  trafitto ,  e  nel  cadere  egli  ode 
Dar  gridando  i  nemici  al  colpo  lode. 

Con  la  destra  viril  la  donna  stringe. 
Poiché  ha  rotto  il  troncon,  la  buona  spada, 
E  contra  i  lVr?i  il  corridor  sospinge, 
E  U  folto  delle  schiere  apre  e  dirada. 
Coglie  Zopiro  là ,  dove  uom  si  cinge, 
E  fa,  che  quasi  bipartito  ci  rada  : 
Poi  fcr'  la  gola  ,  e  tronca  al  crudo  Alarco 
Della  voce  e  del  cibt»  il  doppio  varco. 

D'  un  mandritto  Artascrse,  Argèo  di  punta 
L'  uno  atterra  stordito ,  e  I'  altro  uccide. 
Posi'ia  i  pieghevol  nodi ,  ond'  è  cnnginnta 
La  manca  al  braccio,  ad  I>macl  recide. 
Lascia,  cadendo,  il  fron  la  man  disgiunta: 
Su  gli  orccchj  al  destriero  il  colpo  stride. 
Eì ,  che  si  sente  in  suo  poter  la  briglia. 
Fugge  a  traverso,  e  gli  ordini  scompiglia. 

Questi  e  molti  altri,  che  'n  silenzio  premo 
L'età  vetusta,  ella  di  vita  toglie. 
Stringonsi  i  P<'rsi,  e  vanle  addosso  insieme, 
\ agili  d'  aver  h;  «gloriose  spoglie; 
Ma  lo   sposo  fedcl ,  che  di   lei  teme, 
(yiirre  in  so<'(-orso  alla  dih'lla  moglie. 
C<i>i  (Mingiunta  la  <Mm<'oril(!  c()|>pia 
Nella  fida  union  le  forze  addojipia. 

Arte  di  schermo  nova  e  non  più  udita 
Ai  magnanimi  amanti  usar  vedn>ti: 
Obbiia  di  sé  la  guardia,  e  1'   altrui   vita 
Difende  intentamente  e  quella  e  questi. 
Ribalte  i  colpi  la  giu-rricra  ardita, 
Che  vengono  al  suo  caro  asjiri  e  molesti: 
Egli  all'  arnu;  a  lei  dritte  oppon   lo  scudo. 
V'  opporrla,  h'  uopo  fosso,  il  capo  ignudo. 


37.  Propria  1'  altrui  difesa,  e  propria  face 
L'  uno  e  1'  altro  di  lor  1'  altrui  vendetta. 
Egli  dà  morte  ad  Artabano  audace, 

Per  cui  di  Boecan  1'  isola  è  retta  : 
E  per  1'  istcssa  mano  Alvante  giace, 
Ch'  osò  pur  di  colpir  la  sua  diletta. 
Ella  fra  ciglio  e  ciglio  ad  Arimonte, 
Che  '1  suo  fedel  battea,  partì  la  fronte. 

38.  Tal  fean  de'  Persi  strage;  e  vìe  maggiore 
La  fea  de'  Franchi  il  re  di  Sarmacante, 

Ch'  ove  il  ferro  volgeva ,  o  '1  corridore, 
Uccideva,  abbatt^-a  cavallo,  o  fante. 
Felice  è  qui  colui,  che  prima  more, 
Né  geme  poi  sotto  il  destrier  pesante; 
Perchè  il  destrier,  se  dalla  spada  resta 
Alcun  mal  vivo  avanzo,  il  morde  e  pesta. 

S9.      Riman  dai  colpì  d'  Altamoro  ucciso 

Brunellone  il  membruto,  Ardonio  il  grande. 
L'  elmetto  all'  uno  e  'I  capo  è  sì  di\iso, 
Ch'  ci  ne  pende  su  gli  omeri  a  due  bande. 
Trafitto  è  1'  altro  insin  là,  dove  il  riso 
Ila  il  suo  principio,  e  '1  cor  dilata  e  spande; 
Talché  (strano  spettacolo  ed  orrendo!) 
Ridea  sforzato,  e  si  moria  ridendo. 

40.  Né  solamente  discacciò  costoro 
La  spada  micidial  dal  dolce  mondo. 
Bla  spinti  insieme  a  <',rndel  morte  foro 
Gentonio,    Guasco,  Gniiìo,  e  'I  buon  Uosraondo. 
Or  chi  narrar  potria ,  quanti  Altamoro 

K'  abbatte,  e  frange  il  suo  destrier  col  pondo.' 
Chi   dire  i  nomi  dell»;  genti  ucci.->e? 
Chi  del  ferir,  chi  del  morir  le  guise.' 

11.      Non  è  chi  con  quel  fero  omai  s'  afTronte, 
Né  chi   pur  Innge  d'  assalirlo  acccnne. 
Sol  rivolse  Gilrlippe  in  lui  la  fronte. 
Né  da  quel  duld)io  paragon  s'  astenne. 
Nulla  Amazzone  mai  sul  Termodonte 
Imbracciò  scudo ,  o  maneggiò  bipenne 
Audace  sì ,  coin'  ella  audace  inverso 
Al  furor  va  del  formidabil  Perso. 

42.      Ferillo,  ove  splendoa  d'  oro  e  di  smalto 
Barbarico  diadema   in  soli'  elmetto, 
E  '1  ruppe  e  sparse;  onde  il  sniierbo  ed  alto 
Suo  capi»  a  forza  egli  è  chinar  costretto. 
Ben  di  robusta  man   parve  1'  assalto 
Al  re  pagano,  e  n'  vUhc  onta  e  dispetto; 
Né  tardò  in  mendicar  h;  ingiurie  siu' : 
Che  r  onta  e  la  vendetta  a  un  tempo  far. 

•13.      Quasi  in  qiu;I  punto  in  fronte  egli  percosse 
La  donna  di  percosNa  in  modo  fella. 
Che  d'  ogni  senso  e  di  vi^nr  la  ^cosee. 
Cadea;  ma  '1  suo  fedel  la  tenne  in  scila. 
l'nrtnna   loro,   o   sua  ^irlù  pur  fosse, 
'J'anto  bastoj^li,  e  non  Ieri  più  in  ella; 
Qnasi   It  lUi   magnanimo  ,  che  las*i 
Sdegnando  uom,  che  si  giaccia,  e  guardi,  e  passi. 

41.  Ormondo  intnntn ,  alle  cui  fere  mani 
Era  coMunessii  la  spietata  cura, 

IVlisto  con  false  inscf^ne  è  Ira"  rristinnì, 

E  i  ronipagni  con  lai  di  sna  congiura. 

('ohi  lupi   notturni  ,    i  qiiai  di  cani 

Mostrili  sembian/.a,  per  la  nebliia  oscura 

\  anno  alle  manille,  e   spian  come  in  lor  *'  entre, 

La  dubbia  r.odii  ridringendo  al  venire. 


[243] 


GERUSALEMME    LIBERATA.     (XX.  45-fiO) 


[244 


15.     Giansi  appressando,  e  non  lontano  al  fìanco 
Del  pio  Goffredo  il  flcr  pagan  si  niij^e. 
Ma  come  il  capilan  1'  orato  e  'l  bianco 
Vide  apparir  delle  sospette  assise, 
Ecco,  gridò,  quei  tnuiitor,  che  Franco 
Cerca  mostrarsi  in  siiiuilate  guise  ! 
Ecco  i  suoi  c«)ngiurati  in  me  già  mossi! 
Così  dicendo ,  al  perfido  avventossi. 

46.  Mortalmente  piagollo:  e  quel  fellone 

Non  lere,  non  fa  schermo,  e  non  s'  arretra; 
Ma  come  innanzi  agli  occhj  abbia  '1  Gorgone, 
(E  fu  cotanto  audace)  or  gela  e  impetra. 
Ogni  spada  ed  ogni  asta  a  lor  s'  oppone, 
E  si  vota  in  lor  soli  ogni  fai'etra. 
Va  in  tanti  pezzi  Ormondo  e  i  suoi  consorti, 
Che  '1  cadavero  pur  non  resta  ai  morti. 

47.  Poiché  di  sangue  ostil  si  vede  aspersa, 
Entra  in  guerra  Goffredo,  e  là  si  volve, 
Ove  appresso  vedea,  che  'l  duce  perso 
Le  più  ristrette  squadre  apre  e  dissolve: 
Sicché  '1  suo  stuolo  omai  n'  andria  disperso, 
Come  anzi  l'  austro  1'  africana  polve. 

Ver  lui  si  drizza ,  e  i  suoi  sgrida  e  minaccia, 
E,  fermando  chi  fugge,  assai  chi  caccia. 

48.  Comincian  qui  le  due  feroci  destre 
Pugna,  qual  mai  non  vide  hia,  né  Xanto. 
Ma  segue  altrove  aspra  tenzon  pedestre 
Fra  Baldovino  e  Muléasse  intanto. 

]\é  ferve  men  I'  altra  battaglia  equestre 
Appresso  il  colle  all'  altro  estremo  canto. 
Ove  il  barbaro  duce  delle  genti 
Pugna  in  persona,  e  seco  ha  i  duo  potenti. 

•19.      Il  rettor  delle  turbe,  e  1'  un  Roberto 
Fan  crudel  zuffa ,  e  lor  virtù  s'  agguaglia. 
Ma  r  Indìan  dell'  altro  ha  l'  elmo  aperto, 
E  r  arme  tuttavia  gli  fende  e   smaglia. 
Tisaferno  non  ha  nemico  certo. 
Che  gli  sia  paragon  degno  in  battaglia. 
Ma  sc<»rre ,  ove  la  calca  appar  [)iù  folta, 
E  mesce  varia  uccisione  e  molta. 

50.  Così  si  combatteva,  e  'n  dultbia  lance 
Col  timor  le  speranze  eran  sospese. 
Pien  lutto  il  campo  è  di  spezzate  lance, 
Di  rotti  scudi ,  e  di  troncato  arnese, 

Di  spade,  ai  petti ,  alle  squarciate  pance 
Altre  confitte,  altre  per  terra  stese. 
Di  corpi  altri  supini,  altri  co'  volti, 
Quasi  mordendo  il  suolo ,  al  suol  rivolti. 

51.  Giace  il  cavallo  al  suo  signore  apjtresso. 
Giace  il  compagno  appo  il  compagno  estinto, 
(ìiacc  il  nemico  aj)po  il  nemico,  e  spesso 
Sul  morto  il  vivo,   il  vincitor  sul  vinto. 

!\on  v'  è  silenzio,  e  non  v'  è  grido  espresso; 
Ma  odi  un  non  so  che  roco  e   imlislinto. 
Fremiti  di  furor,  mormori  d'  ira, 
Gemiti  di  chi  langue,  e  di  chi  spira. 

52.  1/  armi ,  che  già  si  liete  in  vista  foro, 
Farttano  or  mostra  spaventosa  e  mesta. 
Perduti  ha  i  lampi  il  ferro,  e  i  raggi  T  oro, 
Nulla  «aghczza  ai  bei  color  più  re.sta. 
Quanto  apparia  d'  adorno  e  di  decoro 

Se'  cimieri  e  n<r'  fregi ,  or  si  calpesta. 

La  polve  ingombra  <^iò .   eh'  al  sangue  avanza  ; 

Tanto  i  campi  mutata  a^  can  sembianza  ! 


ai 


55. 


5«. 


53.      Gli  Arabi  allora,  e  gli  Etiopi,  e  i  Mori, 
Che  r  estremo  tenean  del  lat(»  manco. 
Gl'ansi  spiegando  e  distendendo  in  fuori. 
Indi  giravan  de'  nemici  al  fianco. 
Ed  omai  sagittarj  e  frombat(u-i 
Molestavan  da  lunge  il  popol  franco. 
Quando  Rinaldo  e  'l  sno  drappel  si  mosse, 
E  parve  che  tremoto  e  tuono  fosse. 

Assimiro  di  Meroe  infra  1'  adusto 
Stuol  d'  Etiopia  era  il  primier  de'  forti. 
Rinaldo  il  colse ,  ove  s'  annoda  al  busto 
Il  nero  collo,  e  '1  fé'  cader  tra'  morti. 
Poich'  eccitò  della  vittoria  il  gusto 
L'  appetito  del  sangue  e  delie  morti 
Nel  fero  vincitore,  egli  fé'  cose 
Incredibili ,  orrende  ,  e  mostruose. 

Die'  più  morti,  che  colpi,  e  pur  frequente 
De'  suoi  gran  colpi  la  tempesta  cade. 
Qual  tre  lingue  vibrar  sembra  il  serpente, 
Che  la  prestezza  d'  una  il  persuade. 
Tal  credea  lui  la  sbigottita  gente 
Con  la  rapida  man  girar  tre  spade. 
L'  occhio  al  moto  deluso  il  falso  crede, 
E  'l  terrore  a  que'  mostri  accresce  fede. 

I  libici  tiranni ,  e  i  negri  regi, 
L'  un  nel  sangue  dell'  altro  a  morte  ste*e. 
Dièr  sovra  gli  altri  i  suoi  compagni  egregi, 
Coi  d'  enmlo  furor  1'  esempio  accese. 
Cadeane  con  orribili  dispregi 
L'  infedel  plebe,  e  non  facea  difese. 
Pugna  questa  non  è ,  ma  strage  sola  ; 
Che  quinci  oprano  il  ferro ,  indi  la  gola. 

57.  Ma  non  lunga  stagion  volgon  la  faccia 
Ricevendo  le  piaghe  in  nobii  parte. 
Fuggon  le  turbe,  e  sì  il  timor  le  caccia, 
Ch'  ogni  ordinanza  lor  scompagna  e  parte. 
Ma  segue  pur  senza  lasciar  la  traccia. 
Sinché  le  ha  in  tutto  dissipate  e  sparte; 
Poi  si  raccoglie  il  vincitor  veloce. 

Che  sovra  i  più  fugaci  è  men  feroce. 

58.  Qual  vento ,  a  cui  s'  oppone  o  selva ,  o  col 
Doppia  nella  contesa  i  soffi  e  1'  ira. 

Ma  con  fiato  più  placido  e  più  molle 
Per  le  campagne  libere  poi  spira; 
Come  fra  scogli  il  mar  spuma  e  ribolle, 
E  nell'  aperto  onde  più  chete  aggira  : 
Così ,  quanto  contrasto  avea  men   saldo, 
Tanto  scemava  il  suo  furor  Rinaldo. 

59.  Poiché  sdegnossi    in  fuggitivo  dorso 
Le  nobil'  ire  ir  consimiando  invano, 
Verso  la  fanteria  voltò  il  suo  corso, 

Ch'  ebbe  1'  Arabo  al  fianco  e  1'  Africano. 
Or  nuda  è  da  quel  lato ,  e  chi  soccorso 
Dar  le  doveva,  o  giace,  od  è  lontano. 
Vien  da  traverso,  e  le  j)edestri  schiere 
La  gente  d'  arme  impetuosa  fere. 

60.  Ruppe  r  aste  e  gì'  intoppi,  e  '1  violento 
Impeto  vinse ,  e  penetrò  fra  esse. 

Le  spars«;  e   l'  atterrò.     Temjtesta,  o  vento 
Men  tosto  abbatte  la  piegltevol  messe, 
liastricato  col  sangue  è  il  pavimcuito 
D'  armi  e  di  membra  pt^rforate  e  fesse, 
E  la  cavalleria  ciMieiido  il  calca 
Senza  ritegno ,  e  fera  oltre  scu  valca. 


■245] 


GERUSALEMME    LÌB  E  RATA.     (XX.  61  — 76) 


[246] 


fil.      Giunge  Rinaldo,  ove  sul  carro  aurato 
Starasi  Armida  in  niititar  seiiiliianti, 
K  nobil  guardia  avea  da  ciascun  lato 
De'  baroni  seguaci  e  degli  amanti. 
Aoto  a  più  segni  egli  è  da  lei  mirato 
Con   occlij  d'  ira  e  di  desio  tremanti. 
Ei  si  tramuta  in  Tolto  un  cotal  poco, 
Ella  si  fa  di  gel,  divien  poi  foco. 

»2.      Declina  il  carro  il  cavaliero,  e  passa, 
E  fa  sembiante  d'  uom ,  cui  d'  altro  tale; 
Ma  senza  pugna  già  passar  no»  lassa 
Il  drappcl  «ongiurato  il   suo  rivale. 
Chi    1  ferro  stringe  in  lui,   chi  1'   asta  nl>bassa: 
Ella  stessa  in  sull'  arco  ha  già  lo  s^trale. 
Spingea  le  mani ,  e  incrudelia  lo  sdegno. 
Ma  la  placava ,  e  n'  era  amor  ritegno. 

•3.      Sorse  amor  contra  V  ira ,  e  fé'  palese, 
Che  vive  il  foco  suo,  eh'  ascoso  tenne. 
La  man  tre  volte  a  saettar  distese. 
Tre  volte  essa  inchinolla ,  e  si  ritenne. 
Pur  vìnse  alfin  lo  sdegno,  e  1'  arco  tese, 
E  fé'  volar  del  suo  quadrel  le  penne. 
Lo  strai  volò;  ma  con  lo  strale  un  voto 
Subito  uscì,  che  vada  il  colpo  a  vóto. 

Vorria  ben  ella,  che  '1  quadrel  pungente 
Tornasse  indietro,  e  le  tornasse  al  core: 
Tant(»  poteva  in  lei ,  benché  perdente, 
(Or  che  potria  vittorioso?')  amore. 
Ma  di  tal  mh»  pensier  poi  si  ripcnte, 
E  nel  discorde  sen  cresce  il  furore. 
Cosi  or  paventa  ed  or  de»ia,  che  tocchi 
Appieno  il  colpo,  e  '1  segue  pur  con  gli  occhi. 

Ma  non   fu  la  percossa  invan  diretta, 
Cir  al  ca^alier  sul  duro  usbergo  è  giunta; 
Duro  b(^n  troppo  a  fcniminil  saetta, 
Cile,  di  pungere  in  vece,  ivi  si  spunta. 
Egli  le  volge  il  fianco:  ella  negletta 
Esser  credendo,  e  d'  ira  arsa  e  compunta, 
Scoc<:a  r  arco  più  voU<',  e  non  fa  piaga: 
E  mentre  ella  saetta,   amor  lei  piaga. 

i.      Si  dunque  impenetrabile  è  costui 
(Fra  sé  dicea),  che  forza  ostil  non  cura? 
^(•^tir«^bbe  mai  forst;  i  membri  sui 
Di  (jucl  diaspro,  ond'  ei  1'   alma  ha  sì  dura? 
Colpo  d'  occhio,   o  di  man   non  puote  in  lui; 
Di   tai  tempre  è  il  rigor,  che  1'  assccura: 
E  inerme  io  vinta  som»,  e  vinta  armata, 
INemica,  amante,  egualmente  sprezzata. 

Or  qnal  arte  novella  ,  e  qual  m'  avanza 
Nova  forma,  in  cui  possa  aiu.o  mutarmi? 
Misera!  e  nulla  aver  degg'  io  sp<iiinza 
INe"  cavalieri  mici,  <:hè  veder  panni, 
Anzi  pur  veggio  alla  c<istui  possanza 
Tutte  le  forze  frali,  e  tutte  1'  armi? 
E  ben   vfMJea  de"   suoi  campioni  estinti 
Altri  giacerlo',  altri    abbattuti  e  vimj. 

Soletta  a  sua  difesa  ella  non  basta. 
E  già  le  par«^  es<«T  |u-igi(ui(    e  serva: 
Né  s'  a-seiura  (e  presso  1"  arco  ha  1'  asta) 
Neir  arme  di  Diana,  o  di  .Miner\a, 
yual  è  il  timido  cigno,   a  cui  sovrasta 
Col  (ero  arli;:lio  V  aquila  proterva. 
<;ir  a  (erra  ni  rannicchia,  e  china   1'  »»li, 
I  si:oi  timidi  moti  erau  colali. 


fi9.      Ma  il  principe  Altamor.  che  sino  allora 
Fermar  de    Per^i  procurò  lo  stunlo 
Ch'  era  già  in  piega,  e  'n  fuga  ito  sen  fora. 
Ma  "1  rìtenea,  benché  a  fatica,  ei  solo. 
Or  tal  veggendo  lei,  eh'  amando  adora. 
Là  si  volge  di  corso ,  anzi  di  volo, 
E  '1  suo   onor  abbandona  e  la  sua  schiera. 
Purché  costei  sì  salvi,  il  mondo  pera. 

TO.      Al  mal  difeso  carro  egli  fa  scorta, 
E  col  ferro  le  vie  gli  sgombra  avante. 
Ma  da  Rinaldo  e  da  Goffredo  é  morta 
E  fugata  sua  schiera  in  qnell"  istante. 
Il  misero  sei  vede  e  sci  comporta. 
Assai  miglior,  che  capitano,  amante. 
Scorge  Armida  in  securo,  e  torna  poi, 
Intempestiva  aita,  ai  vinti  suoi: 

71.     Che  da  quel  lato  de'  pagani  il  campo 
Irreparabilmente  é  sparso  e  sciolto. 
Ma  dall'  opposto  abbandonando  il  campo, 
Agi'  infedeli  i  nostri  il  tergo  han  volto. 
Ebbe  r  un  de'  R(»berti  appena  scampo. 
Ferito  dal  nemico  il   petto  e  '1  volto. 
L'  altro  è  prigion  d'   Adrasto.     In  cotal  guisa 
La  sconfitta  egualmente  era  divìsa. 

72.  Prende  Goffredo  allor  tempo  opportuno  ; 
Riordina  s<ie  squadre,   e  fa  ritorno 
Senza  indugio  alla  pugna:  e  cosi  1'  uno 

A  iene  ad  urtar  nell'  altro  intero  corno. 
Tinto  sen  vien  di  sangue  ostil  ciascuno, 
Ciascun  di  spoglie  trionfali  adorno. 
La  vittoria  e  T   onor  vien  da  ogni  parte, 
Sta  dubbia  in  mezzo  la  fortuna  e  ;>Iarte. 

73.  _  Or,  mentre  in  guisa  tal  fera  tenzone 
E  ti'a  'I  fedele  esercito  e    l  pagano. 
Salse  in  cima  alla  torre  ad  un  balcone, 
E  mirò,   benché  limgc,   il  fier  soldano. 
Mirò  quasi  in  teatro  od  in  agone 

L'  aspra  tragedia  ilello  stato  umano, 
I  varj  assalti,  e  '1  fero  orror  di  morte, 
E  i  gran  gicxhi  del  case»  e  della  sorte. 

7i.      Stette  attonito  alquanto  e  stupefatto 
A  quelle  prime  viste,  e  poi  s'  accese, 
E  desiò  trovarsi  anch'  egli  in  atto 
Kel  periglioso  campo  all'  alte  imprese. 
]\é   pose;  indugio  al  >uo  lioir.  ma  ratto 
D'  elmo  >■  arno»,  ih'  aveva  ogni   altro  arne>c. 
Su  su,   gridò,  0(01   più,  non  più   diuiora  ! 
Convien,  eh'  oggi  si  vinca,  o  che  si  mora 

75.  O  che  sia  forse  il  provveder  divino. 
Che  spira  in  lui  la  furiosa  mente. 
Perché  quel  giorno   >ian   del    pale>tino 
Im|ierio  le  reli(|uie  in  tutto  spente; 

O  <-he  sia,  eh'   alla   morte  ornai  vicino 
D'    andarle  incontra  stimular  si  sente; 
Impetuoso  e   rapido  diNscn-ii 
La  porta  ,  e  porta  inaspettata  gurrrn, 

76.  E  non  aspetta   pur,  che  i  feri  inviti 
Accelliuo  i  compagni:  esce  sol  esso, 

E  sfida   sol  mille  nemici  uniti, 
E  sol   fra  mille  inln-piilo  s'  è  messo. 
Ma  dall'  impelo  suo  tjuasi  rapili 
Scgiion  poi  gli   altri,  ed  ;\ladino  stesso. 
Chi   fu   vii  ,  chi  fu  cauto,  or  nulla  teme; 
Opera  di  furor,  più  che  di  speme. 

Mi  * 


[247] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XX.  77—92) 


_[248]  i 


77,  Quei ,  che  prima  ritrova  il  Turco  atroce, 
Caj2:giono  ai  colpi  orribili  improvvisi, 

E  in  condur  loro  a  morto  è  sì  veloce, 
Ch'  uom  non  li  vede  uccidere,  ma  uccisi. 
Dai  primieri  ai  sezznj  di  voce  in  voce^ 
Passa  il  terror,  vanno  i  dolenti  avvisi, 
Talché  'i  vulgo  fedel  della  Soria 
Tumultuando  già  quasi  l'uggia. 

78.  ]Ma  con  men  di  terrore  e  di  scompiglio 
L'  ordine  e  '1  loco  suo  iu  ritenuto 

Dal  Guascon;  benché  prossimo  al  periglio 
Air  improvviso  eì  sia  colto  e  battuto. 
Nessun  dente  giammai,  nessuno  artiglio, 
O  di  silvestre,  o  d'  animai  pennuto, 
Insanguinossi  in  mandra,  o  tra  gli  augelli, 
Come  la  spada  del  soldan  tra  quelli. 

7i).      Seml>ra  quasi  famelica  e  vorace: 

Pasce  le  membra  quasi,  e  U  sangue  sagge. 
Seco  Aladin,  seco  Io  stuol  seguace 
Gli  asscdiatori  suoi  percotc  e  strugge. 
Ma  il  buon  Raimondo  accorre,  ove  disfare 
Soliman  le  sue  squadre,  e  già  noi  fugge, 
Sebben  la  fera  destra  ei  riconosce, 
Onde  percosso  ebbe  mortali  angosce. 

80.  Pur  di  novo  1'  affronta,  e  pur  ricade, 
Pur  ripercosso,  ove  fu  prima  offeso: 

E  colpa  è  sol  della  soverchia  etade, 
A  cui  soverchio  è  de'  gran  colpi  il  peso. 
Da  cento  scudi  fu,  da  cento  spade 
Oppugnato  in  quel  tempo  anco  e  difeso. 
Ma  trascorre  il  soldano ,  o  che  sei  creda 
Morto  del  tutto,  o  'i  pensi  agevol  preda. 

81.  Sovra  gli  altri  ferisce,  e  tronca,  e  svena, 
E  'n  poca  piazza  fa  mirabil  prove. 
Ricerca  poi ,  come  furore  il  mena, 

A  nova  uccision  materia  altrove. 

Qual  da  povera  mensa  a  ricca  cena 

Uom  stimolato  dal  digiun  si  move. 

Tal  vanne  a  maggior  guerra ,  ov'  egli  sbrame 

La  sua  di  sangue  infuriata  fame. 

82.  Scende  egli  giù  per  le  abbattute  mura, 
E  s'  indirizza  alla  gran  pugna  in  fretta. 
3Ia  'l  furor  ne'  compagni,  e  la  paura 
Riman,  che  i  suoi  nemici  han  già  concetta: 
E  r  una  schiera  d'  asseguir  procura 
Quella  vittoria,  eh'  ei  lasciò  imperfetta. 

L'  altra  resiste  sì;  ma  non  è  senza 
Segno  di  fuga  ornai  la  resistenza. 

8.J.      Il  Guascon  ritirandosi  cedeva;^ 
Ma  se  ne  gi'a  disperso  il  popol  siro. 
Eran  presso  all'  albergo,  ove  giaceva 
Il  buon  'lancredi,  e  i  gridi  entro  s'  udirò. 
Dal  letto  il  iìanco  infermo  egli  solleva, 
Men  sulla  vetta,  e  volge  gli  occlij  in  giro. 
Vede,  giacendo  il  conte,  altri  ritrarsi, 
Altri  del  tutto  già  fugati  e  sparsi. 

84.      Virtù ,  eh'  a'  valorosi  unqua  non  manca. 
Perchè  languisca  il  corpo  fral ,  non   languo. 
Ma  le  piagate  membra  in  lui  rinfranca 
Qiiafi  in  vece  di   spirito  e  di  sangue. 
Del  gravis-imo  scndo  arma  ci  la  luimca, 
E  non  par  gra\e  il  pc^o  al  braccio  esangue: 
Prende  con  1'  altra  man  1'  ignuda  spada, 
(Tanto  basta  all'  uoui  forte!)  e  più  non  bada; 


85.      Ma  giù  sen  viene,  e  grida:  ove  fuggite. 
Lasciando  il  signor  vostro  in  preda  altrui? 
Dunque  i  barbari  chiostri  e  le  mcschito 
Spiegheran  per  trofeo  1'  arme  di  lui? 
Or  tornando  in  Guascogna  al  figlio  dite. 
Che  morì  il  padre,  onde  fuggiste  vui. 
Così  lor  parla ,  e  'l  petto  nudo  e  infermo 
A  mille  armati  e  vigorosi  è  schermo  : 

8fJ.     E  col  grave  suo  scudo,  il  qual  di  setta 
Dure  cuoja  di  tauro  era  composto, 
E  che  alle  terga  poi  dì  tempre  elette 
Un  coiìerchio  d'  acciajo  ha  soprapposto, 
Tien  dalle  spade,  e  tien  dalle  saette, 
Tien  da  tutte  arme  il  buon  Raimondo  ascosto, 
E  col  ferro  i  nemici  intorno  sgombra. 
Sicché  giace  sccuro,  e  quasi  all'  umbra. 

87.  Respirando  risorge  in  spazio  poco 
Sotto  il  fido  riparo  il  vecchio  accolto, 
E  si  sente  avvampar  di  doppio  foco. 

Di  sdegno  il  core ,  e  di  vergogna  il  volto. 
E  drizza  gli  occhj  accesi  a  ciascun  loco, 
Per  riveder  quel  fero,  onde  fu  colto; 
Ma  noi  vedendo  freme,  e  far  prepara 
Ne'  seguaci  di  lui  vendetta  amara. 

88.  Ritornan  gli  Aquitani,  e  tutti  insieme 
Seguono  il  duce  a  vendicarsi  intento. 

Lo  stuol,  che  dianzi  osava  tanto,  or  teme; 
Audacia  passa,  ov'  era  pria  spavento. 
Cede,  chi  rincalzò;  chi  cesse,  or  preme. 
Così  varian  le  cose  in  un  momento  ! 
Ben  fa  Raimondo  or  sua  vendetta,  e  sconta 
Pur  di  sua  man  con  cento  morti  un'  onta- 
SD.      Mentre  Raimondo  il  vergognoso  sdegno 
Sfogar  ne'  capi  più  sublimi  tenta, 
Vede  r  usurpator  de!  nobil  regno. 
Che  fra'  primi  combatte,  e  gli  s'  avventa, 
E  '1  fere  in  fronte,  e  nel  medesmo  segno 
Tocca  e  ritocca,  e  '1  suo  colpir  non  lenta. 
Onde  il  re  cade,  e  con  singulto  orrendo 
La  terra,  ove  regnò,  morde  morendo. 

1)0.      Poich'  una  scorta  è  lungo,  e  l'  altra  uccisa, 
In  color,  che  restar,  vario  è  l'  affetto. 
Alcun,  di  belva  infuriata  in  guisa. 
Disperato  nel  ferro  urta  col  petto  : 
Altri  temendo,  di  campar  s'  avvisa, 
E  là  rifugge ,  ov'  ebbe  pria  ricetto. 
!  Ma  tra'  fuggenti  il  vincitor  connuisto 

i  Entra,  e  fin  pone  al  glorioso  acquisto. 

91.  Presa  è  la  rocca;  e  su  per  l'  alte  scalr 
Chi  fugge  é  morto ,  e  'n   sulle  prime  soglie. 
E  nel  somuH)  di  lei  Raimondo  sale, 

E  nella  destra  il  gran  vessillo  toglie, 

E  inctuitra  ai  duo  gran  campi  il  trionfale 

Segno  della  vittoria  al  vento  scioglie. 

Ma  già  noi  guarda  il  fier  soldan,  che  Itmge 

E  di  là  fatto,  ed  alla  pugna  giunge. 

92.  Giunge  in  campagna  tepida  e  vermiglia. 
Che  d'  ora  in  «u-a  più  di  sangue  ondeggia. 
Sicché  il  regno  di  morte  omai  somiglia, 
(jli'  ivi  i  trionfi  suoi  spiega  e  passeggia. 
Vede  un  de^trirr ,  che  con  pendente  briglia 
Senza  rettor  tras(u»rso  è  f(U)r  di  greggia, 
frli  gilta  al  frtn  la  mano,  e  'I  vóto  dorso 
Montando  premt; ,  e  poi  lo  spinge  al  corso. 


249] 


GERUSALEMME   LIBERATA.     (XX.  93  — 108) 


102 


103 


lOi. 


93.      Grande,  ma  Lreve  aita  apportò  questi  llOl 

Ai  Saracini  impiuiriti   e  Ias?;i. 
Granile ,  ma  I)reve  fulmine  il  diresti, 
Clic  inaspettato  sopraggiiinga ,  e  pasi«i, 
Ma  del  suo  corso  mometitaneo  resti 
Vestigio  eterno  ia  dirupati  sas.-i. 
Cento  ei  n'  ucise  o  più:  pur  di  duo  soli 
^ion  fia,  che  la  memoria  il  tempo  involi. 

ìi.      Gildippe  ed  Odoardo ,  1  casi  vostri 
Duri  ed  acerbi ,  e  i  fatti  onesti  e  degni, 
Se  tanto  lice  a'  miei  toscani  inchiostri, 
Consacrerò  fra'  pellegrini  ingegni  ; 
Siedi'  ogni  età,  quasi  ben  nati  mostri 
Di  virtute  e  d'  amor,  v'  additi  e  segni, 
E  col  suo  pianto  alcun  servo  d'  amoro 
La  morte  vostra  e  le  mìe  rime  onore. 

15.      La  magnanima  donna  il  destrier  volse, 
Dove  le  genti  distruggca  quel  crudo, 
E  di  duo  gran  fendenti  appieno  il  colse, 
Ferigli  il  fianco,  e  gli  parti  lo  scudo. 
Gridò  il  crudel,  che  all'  abito  raccolse. 
Chi  costei  fosse:  ecco  la  putta  e  1'  drudo! 
Meglio  per  te ,  s'  avessi  il  fuso  e  1'  ago. 
Che  'n  tua  difesa  aver  la  spada  e  '1  vago. 

6.  Qui  tacque ,  e  di  furor  più  che  mai  pieno, 
Drizzò  percossa  temeraria  e  fera  ; 
Ch'  osò,  rompendo  ogni  arme,  entrar  nel  seno. 
Che  de'  colpi  d'  amor  degno  sol  era. 
Ella,  repente  abbandonando  il  freno, 
Sembiante  !a  il'  uoni ,  che  languisca  e  pera: 
E  ben  sei  vede  il  misero  Odoardo, 
Mal  fortunato  difensor ,  non  tardo. 

7.  Che  far  dee  nel  gran  caso?  ira  e  pietade 
A  varie  parti  iti  un  tempo  1'  affretta: 
Questa  all'  appoggio  del  suo  ben ,  die  cade, 
Quella  a  pigliar  del  percussor  vendetta. 
Amore  indill'erente  il  persuade,  ! 
Che  non  sia  1'  ira ,  o  la  pietà  negletta.  1 
Con  la  sinistra  man  corre  al  s<istegno,  i 
L'  altra  ministra  ei  fa  del  suo  disdegno. 

8.  Ma  voler  e  poter  d:e  uì  divida,  '106. 
Ba^tar  non  può  contra  il  pagan  si  forte; 

Tali'hè  nò  .>o<tien  lei,  nò  1'  omicida 

Della  dolce  alma  sua  conduce  a  morte. 

Anzi  av^icn,  che  '1  soldano  a  lui  recida  1 

11  braccio  ,  appoggio  alla  fedd  consorte. 

Onde  cader  lasi  lolla,  ed  egli  presse 

Le  membra  a  lei  ciui  le  sue  meuibra  stesse.  ' 

Come  olmo,  a  cui  la  pampinosa  pianta  107, 

Cupida  s'  avviticchi  e  si  maiite, 
Se  ferro  il  troui-a ,  «»  turbine  lo  schianta, 
Trae  seco  a  terra  la  campagna  vite, 
Ed  egli  stesso  il  verde,  ond(;  s'  amuianta. 
Le  sfronda,  e  pesta  1'  nvc.  su»'  gr.iilit»-. 
Par,   che  seu  dolga,  e  i)iù   die    1   proprio  fato. 
Di  lei  gì'  iiicres<:a ,  che  gli  more  allato:  | 

9.  Cosi  cado  egli,  e  sol  di  lei  gli  duole,  108. 
Che  'I  ciclo  eterna  sua  coinpiigna  fece. 
^or^illtl   l'orinar,   nò  [xin   formar  parole, 
Formali  Mxpiri  di  paride  in   wrv.. 
L'  un  HI  ra  1'  altro ,  v.  V  un  ,  pur  come  f-nnlc, 
Si  stringe  all'  altro,  lucniie  ancnr  ciò  lece; 
E  t<i  cela  i:i  »»  punto  ad  ambi  il  die, 
U  conj^iunlc  8cu  raii  1'  unirne  più. 


[250] 


105. 


,      Allor  scioglie  la  fama  i  vanni  ai  volo. 
Le  lingue  al  grido,  e  '1  duro  caso  accerta: 
Kè  pur  n'  ode  Rinaldo  il  romor  solo. 
Ma  d'  un  messaggio  ancor  nova  più  certa. 
Sdegno,  dover,  benevolenza  e  duolo 
Fan  ,  eh'  all'  alta  vendetta  ei  si  converta  ; 
Ma  il  sentier  gli  attraversa,  e  fa  contrasto 
Su    gli  occhj  del  soldano  il  grande  AdraAto. 

Gridava  il  re  feroce:  ai  segni  noti 
Tu  sei  pur  quegli  alGn ,    eh'  io  cerco  e  bramo. 
Scudo  non  è,  eh'  io  non  riguardi  e  noli. 
Ed  a  no:ne  tutt'  oggi  invan  ti  chiamo. 
Or  solverò  della  vendetta  i  voti 
Col  tuo  capo  al  mio  nume.     Ornai  facciamo 
Di  valor,  di  furor  qui  paragone, 
'J'u  ucmicu  d'  Armida,  ed  io  campione! 

Co^ì  lo  sfida ,  e  di  percosse  orrende 
Pria  sulla  tempia  il  fere ,  indi  nel  collo. 
L'  ehno  fV.tal .  (che  non  si  può)  non  fende; 
Ma  lo  scuote   in  arcion  con  più  d'  un  crollo. 
Rinaldo  lui  sul  fianco  in  guisa  offende. 
Che  vana  vi  saria  1'  arte  d'  Apollo. 
Cade  r  uom  smisurato,  il  rege  invitto, 
E  n'  è  r  onore  ad  un  sol  colpo  ascritto. 

Lo  stupor  di  spavento  e  d'  orror  misto 
Il  sangue  e  i  cori  ai  circostanti  agghiaccia  : 
E  Soliman,  eh'  estranio  colpo  ha  visto. 
]Vel  cor  si  turba ,  e  impallidisce  in  faccia. 
E,  chiaramente  il  suo  morir  previsto, 
Non  si  risolve,  e  non  sa  quel,  che  faccia; 
Cosa  insolita  in  lui  !  ma  che  non  regge 
Degli  aflari  quaggiù  1'  eterna  legge? 

Come  vede  talor  torbidi  sogni 
Ne'  brevi  sonni  suoi  1'  egro  e  1'  in^-ann. 
Fargli,  eh'  al  corso  avidamente  agogni 
Stender  le  membra,  e  che  s'  afTamii  invano; 
Che  ne'  maggiori  ^forzi  a'  suoi  luMigni 
Non  corrisponde  il  pie  stanco  e  la  mano; 
Scioglier  talor  la  lingua  e  parlar  vuole. 
Ma  non  seguon  la  voce  o  le  parole: 

Cosi  allora  il  soldan  vorria  rapire 
Pur  sé  stesso  all'  assalto,  e  se  ne  sforza; 
Ma  non  conosce  in  sé  le  solite  ire, 
Nò  sé  conosce  alla  scemata  forza. 
Quante  scintille  in  lui  sorgoii   d'  ardire. 
Tante  un  secreto  suo  terror  n'  ammorza. 
Volgon>i  nel  suo  cor  diversi  sensi. 
Non  che  fuggir,  non  che  ritrarsi  pensi. 

Giunge  all'  irresoluto  il  vincilore, 
E  in  arrivando  (o  die  gli  pare)  avanza 
E  di  vdocitade,  e  di  furore, 
E  dì  granilc//a  o;;:iii  imut.il  sembianza. 
Poco  ri|iugii,i  (|ti(l;   pur,   mentre  more, 
(àia  non  olibli.i  la  generosa  u>.inza: 
]\on  lugg(!  i  colpi  ,  e  gemito  non  spande, 
^è  alto  fa,  se  non  altero  e  grande. 

Poiché  'I  soldan ,  che  cpcsso  in  lunga  guerra. 
Quasi  noM-llo  Anteo,  cadde  e  risolse 
l'iù  (ero  o;,'nora .  alfìii  e. ileo  la  terra, 
Per  giacer  M-mpre  .  intorno  il  siion  nc  coi-sr, 
l'I  fortuna,  die  Miri.i  e  iii-tabil'  erra. 
Più  non  o>ò  por  la  %it(oria  in  forse; 
M.i  fermò  i  f^iri,  e  sotto  i  duci  stesui 
S'  uni  cu'  Franchi ,  e  militò  cou  Crsi. 


[251] 


GERUSALEMME     LIBERATA.     (XX.  10!)-124) 


[252 


109.  Fiip-ge,  non  eh'  altri,  ornai  la  regia  sclilera. 
Ov'  è  ilcir  Oliente  accolto  il  nerbo. 

Già  fu  (letta  immortale:  or  vien,  the  pera 
Ad  onta  di  quel  tittilo  superlìo- 
Emireno  a  colui,  eli'  ha  la  handiera, 
Tronca  la  fuga,  e  parla  in  modo  acerl)o  : 
^on  se'  tu  quel ,  eh'  a  sostener  gli  erceisi 
Segni  del  mio  signor  fra  mille  i'  scelsi? 

110.  Rimedon,  questa  insegna  a  te  non  diedi, 
Acciocché  ìiHlietro  tu  la  riportassi. 
Dunque ,  codardo ,  il  capitan  tuo  vedi 

In  znfl'a  co'  nemici,  e  solo  il  lassi? 
Che  brami?  di  salvarti?  Or  mecit  riedi! 
Che  per  la  strada  presa  a  morte  vassi. 
Combatta  qui  chi  di  campar  desia! 
La  via  d"  (mor  della  salute  è  via. 

111.  Kiede  in  guerra  colui,  eh'  arde  di  scorno. 
Usa  ei  con  gli  altri  poi  sermon   più  grave: 
Talor  minaccia ,  e  fere  ;  onde  ritorno 

Fa  contro  il  ferro ,  chi  del  ferro  pavé. 
Così  rintegra  del  fiaccato  corno 
La  miglior  parte,  e  speme  anco  pur  have; 
E  Tisaferno  più  eh'  altri  il  rincora, 
Ch'  orma  non  torse  per  ritrarsi  ancora. 

112.  Meraviglie  quel  dì  fé'  Tisaferno. 
I  ^orlllandi  per  lui  furon  disfatti  : 

Fé'  de'  Fiamminghi  strano  empio  governo, 
Gernier,  Ruggier ,   Gherardo  a  morte  ha  tratti. 
Poich'  alle  mete  dell'  onore  eterno 
La  vita  breve  prcdungò  co'  fatti, 
Quasi  di  viver  più  poco  gli  caglia. 
Cerca  il  rischio  maggior  della  battaglia. 

113.  Vide  ei  Rinaldo:  e  benché  ornai  vermigli 
Gli  azzurri  siu)i  color  sian  divenuti, 

E  insanguinati   1'   aquila  gli  artigli 

E  '1  rostro  s'  abbia,  i  segni  ha  conosciuti. 

Ecco,  disse,  i  grandirisimi  perigli! 

Qui  prego  il  ciel ,  che  'l  mio  ardimento  ajutì, 

E   veggia  Armi<ia  il  desiato  scempio. 

Macon,  s'  io  vinco,  i'  voto   1'  arme  al  tempio. 

IH.      Cosi  pregava,    e  le  preghiere  ir  vote; 
Che  '1  sordo  suo  3Iacon  nulla  n'  udiva. 
Quale  il  leon  si  sferza  e  si  perente, 
l'er  isvegliar  la  ferità  nativa, 
Tal  ei  su«>i  sdegni  desta,  ed  alla  cote 
D"  amor  gli  aguzza,  ed  alle  fìannne  avviva. 
Tutte  sue  forze  aduna,   e  si  ristringe 
Sotto  r  arme  all'  assalto,  e  'l  destrier  spinge. 

11.1.      Spinse  il  suo  contra  lui,  che  in  atto  scerse 
D'  assalitore,  il  cavalicr  latino. 
Fé'  lor  grati  piazza  in  mezzo,  e  si  converse 
Allo  spettacol  fero  ogni  vicino. 
Tante  tur  le  percosse  e  si  diverse 
Di-ir  italico  eroe,  del  Saracino, 
Cir  altri  per  nu-raviglia  obblìò  quasi 
L'  ire  e  gli  aiTetti  proprj  ,  e  i  proprj  casi, 

116.      Ma  r  un  |)ercote  sol:  percote  e  impiiiga 

L'  altro,  cir  ha  maggior  forza,  armi  piii  ferme. 

Tisaferno  di  san';ue  il  campo  allaga 

C'on   l'  elmo  aperto,  e   dello  scudo  inerme. 

Mira  d(d   suo  cainpion  la  bella  maga 

Rotti  gli  a^ne^i ,  «■,  più  le  memhra  inferme, 

F.  ^li  altri    tutti  impaurili   in  nutdo, 

Clie  frale  omai  gli  stringe  e  debii  nodo. 


I  317.      Già  di  tanti  guerrier  cinta  e  munita. 
Or  rimasa  nel  cw  o  era  soiettiì. 
Teme  di  servitole,  odia  la  vita. 
Dispera  la  vittoria  e  la  vendetta. 
.Mezza  tra  furiosa  e  sbigtittita 
Scende,  ed   accende  un  suo  destriero   in  fretta. 
Aa^^ene,  e  fugge,  e  van  seco  pur  anco 
Sdegno  ed  amor,  quasi  duo  veltri  al  fianco. 

'  118.       Tal   Cleopatra  al  secolo  vetn*to 
Sola  fnggia  dalla  tenzon  crudele, 
JiHs^ciando  incontro  al  fortunato  Augusto 
I  iNe'  marittimi  risrhj  il  suo  fedele, 

!  Che  per  amor  fatto  a  sé  stesso  ingiusto. 

Tosto  seguì  le  solitarie  vele. 
E  ben  la  fuga  di  costei  segreta 
Tisaferno  seguia  ;  ma  1'  altro  il  Ticta. 

119.      Al  pagan ,  poiché  sparve  il  suo  conforto. 
I  Sembra,  che  insieme  il  giorno  e  'i  sol  tramonte 

1  Ed  a  lui ,  che  '1  ritiene  a  sì  gran  torto, 

i  Disperato  si  volge,  e'  1  fiede  in  fronte. 

I  A  fabbricare  il  fulmine  ritorto 

!  \  ie  più  leggier  cade  il  martel  di  Bronte  : 

E  col  grave  fendente  in  modo  il  carca, 
1  Che  '1  percosso  la  testa  al  petto  inarca. 

!  120.      Tosto  Rinaldo  si  dirizza  ed  erge, 
i  E  vibra  il  ferro,  e  rotto  il  giosso  usbergo. 

Gli  apre  le  coste,  e  T  aspra  punta  iumierge 
In  mezzo  '1  cor,  dove  ha  la  vita  albergo, 
'i'.into  oltre  va,  che  piaga  doppia  asperge 
Quinci  al  pagano  il  petto,  e  quindi  il  tergo, 
E  largamente  all'   anima  fugace 
Più  d'  una  via  nel  suo  partir  si  face. 

121.  Allor  si  ferma  a  rimirar  Rinaldo. 
Ove  drizzi  gli  assalti,  ove  gli  ajuti: 
E  de'  pagan  non  vede  ordine  saldo. 
Ma  gli  stendardi  lor  tutti  caduti. 

Qìii  p«m  fine  alle  morti ,  e  in  lui  quel  caldo 
Di  sdegno  marzial  par  che  s'  attuti. 
Placido  è  fatto;  e  gli  si  reca  a  mente 
La  donna ,  che  foggia  sola  e  dolente. 

122.  Ben  rimirò  la  fuga  :  or  da  lui  chiede 
Pietà,  che  n'  abbia  cura  e  cortesia. 

E  gli  sovvien  ,  che  si  promi^e  in  fede 

Suo  cavalìer ,  quando  da  lei  partia. 

Si  drizza,  ov'  ella  fugge,  ov'  egli  vede 

Il    pie  del   |)alafren  segnar  la  via. 

Gimige  ollii  intanto  in  chiusa  opaca  chiostra, 

Ch'  a  solitaria  morte  atta  si  nutstra. 

123.  Piacquele  assai,  che  'n  quelle  valli  ombrose 
L'  orme  sue  «-rranti  il  caso  al»bia  «-ondutte. 
Qui  scese  dal  destriero ,  e  qui  depose 

E  r  ar<-o,  e  la  faretra,   e  l'  armi  tutte. 

Arme,  infelici,  disse,  e  vergognose. 

Ch'  uscite  l'iu)r  della  battaglia  asciutte, 
i  Qui  vi  depongo,  e  qui  sepolte  slate, 

I  Poiché  i<;  ingiurie  mie  mal  vendicate. 

I  124.      Ah,  ma  non  fia ,  che  fra  tant"  armi  e  tante     |^; 

l  na  «li  sangue  oggi  si  bagni  almeno? 

S'  ogni  altro  petto  a  voi  par  di  diamante., 

Oserete  piagar  femminil  seno. 
i  In  (|ueslo  mio,  che  vi  sta  nudo  avante. 

1   pregi  vostri  ,  e  le  vittorie  si»''no. 

Tenero  ai  colpi  è  que.^to  mio:  ben  sallo 
I  Amor,  che  mai  non  vi  saetta  in  fallo. 


253] 


GERUSALEMME  LIBERATA.     (XX.  125  —  140) 


[254] 


25.      Dimosti'atevì  in  me  fch'  io  vi  jierdonu 
La  piissatvi  villa)  forti  ed  iuuite! 
Misera  Annida  ,  in  qnal  t'ortnna  or  sono. 
Se  :soi  posso   da  voi   sperar  salute?' 
Poiché  ogni  altro  rimedio  è  in  me  non  biioìio, 
Se  non  sol  di  ferule,  alle  fernte. 
Sani  piag-a  di  strai  piaga  d'amore, 
E  sia  la  morte  medicina  al  core! 


20. 


27. 


28. 


ìy. 


JO, 


il 


32 


Felice  me,  se  nel  morir  non  reco 
Questa  mia  peste  ad  infettar  T   inferno  ! 
Restine  amor,   venga  s»)l  sdegno  or  inei;o, 
E  sia  dell'    oiiihra  mia  <'ompagno  eterno, 
O  ritorni  con  lui  dal  regno  »;i«(0 
A  colui ,  che  di  me  fé'  i'  empio  scherno, 
E  se  gli  mostri  tal,  che  'n  fere  notti 
Abbia  riposi  orribili  e  interrotti  ! 

Qui  tacque,  e  stabilito  il  suo  pensiero, 
Strale  sce;4lieva  il  più  pugner.te  e  forte. 
Quando  giunse,  e  miridla  il  c.ivaliero 
Tanto  vicina  alla  sua  estrema  sorte, 
Già  compostasi  in  atto  atroce  e  fere», 
Già  tinta  in  visi»  di  pallor  di  morte. 
Da  tergo  ei  se  le  avventa ,  e  '1  braccio  prciidt;, 
Che  già  la  fera  punta  al  petto  stende. 

Si  volse  Armida,  e  '1  rimirò  improvviso; 
Che  noi  sentì ,  quando  da  prima  ei  venne. 
Alzò  le  strida,  e  dall'  amato  \iso 
Torse  le  luci  disdegnosa,  e  s\enne. 
Ella  cadea,  <[uasi  fior  mezzo  inciso, 
Piegando  il  lento  collo  :  ei  la  sostenne, 
Le  fé'  d'  un  braccio  al  bel  fianco  colonna  ; 
E  'ntanto  al  sen  le  rallentò  la  gonna. 

E   '1  bel  volt<»  e  '1  bel  seno  alla  meschina 
Bagnò  d'  alcuna  lagrima  pietosa. 
Quale  a  pioggia  d'  argento  e  mattutina 
Si  rabbellisce  s(-oloriia  rosa. 
Tal  ella  rivenendo  alzò  la  china 
Faccia  del  non  suo  pianto  or  lagriiiiosa. 
Tre  volte  alzò  le  luci ,  e  tre  chiintlle 
Dal  caro  oggetto,  e  rimirar  noi  volle. 

E  <;on  man  languidetta  il  forte  braccio, 
(yh'  era  sostegno  suo,  s(-liiva  rispiiisc. 
Tentò  più   volte,  e  non  usci  d'  impaccio; 
Che  vie  più  stretta  <'i  rilegolla  e  <  iirse. 
Alfm  raccolta  entro  «jiiel  caro  laccio, 
(Jhe   le  fu  «ai'o  forse,  e  se  n"  ìnfiiist;. 
Parlando  iuconiiiiciò  di  spander  fiumi, 
Senza  nuii  dirizzargli  al  volto  i  lumi. 

Oh  sempre,  e  (piando  parti,  e  (piando  Imui. 
Egualmente  crudele,  or  chi  ti  guida.' 
(ìraii   m(M'a\iglia,  che    1   morir  dÌKlorni, 
E  di  vita  cagion  .»ia  1'  «uuiriila  ! 
Tu  di  salvarmi  cerchi!'  A   ipiali  scorni, 
A   (piali  pcn(!  ('•  ri.-rr^ala  Aiiiiidar' 
('(mosco  i'    arti  di  I   fellone   ignote; 
iVla  ben  può  nulla  ,  chi   iiMuir  inni  punte 

Certo  (';  scemo  il  tuo  (unir .  se  non 
Incatenata  al  tuo  trionfo  a\aiiti 
Feinmina  or  [iresa  a  forza,  e  pria  tradita. 
Qiiest'  (■■  M   iiiag;;ior  (!(;'  titoli  (;  d(;'   vanti. 
Tempo  fu,  eh'  io  ti  chiesi  (■  pa<'(;  e  vita: 
Dolc(^  or  saria  con  morl(;  uscir  di   pianti. 
ÌVIa  iKui  la  chiedo  a  te;  che  non  e  coKa, 
("Ir  e8S(;ndo  dono  tuo  non  i>ia  odiosa. 


133.  Per  me  stessa ,  crudel ,  spero  sottrarmi 
Alla  tua  feritade  in  alcun  modo. 

E  se  all'  incatenata  il  tosco  e  l'  armi 

Piir  mancheranno,  e  i  precipizj ,  e  '1  nodo, 

Veggio  secure  vie,  che  tu  vietarmi 

11  morir  non  potresti  :  e  '1  ciel  ne  lodo. 

Cessa  ornai  da'  tuoi  vezzi!  Ah  par,  eh'  ei  finga: 

Deh  come  le  speranze  egre  lusinga  ! 

134.  Così  doleasi,  e  con  le  flebil  onde, 

Ch'  amor  e  sdegno  da'  begli  occhj  stilla, 
I  L'  aflettùoso  pianto  egli  confonde, 

I  In  cui  pudica  la  pietà  sfavilla. 

I  E  con  modi  dolcissimi  risponde: 

Armida,  il  cmv  turbato  ornai  tran(iuilla! 

Xon  agli  scherni,  al  regno  io  ti  ri.»ervo, 
i         Nemico  no ,  ma  tuo  campione  e  servo. 

■  io5.      .Mira  negli  ocrhj  miei,  se  al  dir  non  vuoi 
1  Fede  [irt.^tar,   della  mia  fede  il  zelo! 

'  INel  ?oglio,  ove  regnar  gli  avoli  tuoi, 

Uip(uti  giuro.     Ed  oh,  piacesse  al  cielo, 
Ch'  alia  tua  mente  alcun  de'  raggi  suoi 
Del  paganesiuo  dissolvesse  il  velo, 
.  Coni'  io  farei ,  che  in  oriente  alcuna 

!  JNoii  t'  agguagliasse  di  regal  hu'tuna! 

lofi.      Sì  parla,  e  prega,  e  i  preghi  bagna  e  ^calda 
j  Or  di  lagrime  rare ,   or  Ai  so^l)i^i  : 

I  Onde,  siccome  suol  nevosa  falda, 

I  Dov'  arda  il  sole,  o  te[)id'  aura  spiri. 

Così  1'  ira,  che  in  lei  jiarea  sì  salda, 
I  Solvesi,  e  rotau  sol  gli  altri  desiri. 

I  Ecco  1'   ancilla  tua!  d'  essa  a  tuo  senno 

I  Dispon  ,  gli   disse,  e  le  sia  legge  il  cenno! 

137.  In  que.-.to  mezzo  il  capitan  d'   Egitto 
A  terra  vede  il  suo  regal  stendardo, 

E  vede  a  mi  colpo  di  (ìoflVedo  invitto 
Cadere  in>ieme  Kimcdon  gagliardo, 
E  r  altro  popol  suo  morto  e  scinifitto; 
^(■  vuol  nel  duro  iin  parer  codardo, 
Ma  va  cercando  (e  nini  la  cerca  invano) 
Illustre  morte  da  famosa  mano. 

138.  Contra  il  maggior  Huglione  il  dcstrier    punge 
Che  nemico  veder  non  sa  più  degno. 

E  mostra,  ov'  egli  passa,  ov     egli  giunge. 

Di   ^alor  disperato  iiUiiiio  segno. 

j\la ,  priach(;  arri>i  a  Ini,  grida  da  liingc  : 

Ecco  per  le  tiu'   inani  a  morir   \egno; 

i>la  tenterò  nella  caduta  estrema. 

Che  la  mina  mia  ti  c(dga  e  prema. 

139.  (/OSI  gli  dixsc,  e  in  un  medesmo  punto 
li''  un  verso  1'  altro  per  ferir  si   lancia. 
Rotto  lo  >cudo,  e  di-armato,  e  punto 

E  'I   manco   bracrio  al   capitan   di   l'rancia. 
L'   altro  da   Ini  con  »ì  gran  colpo  «'■  giunto 
Sovra  i  conliii  della  >ioi.'>lra  guancia, 
('he  ne  slorilistc  in  >nl!a  >ella.   e  mentre 
Ri-org(T  vuol ,  cade  trafitto  il   ventre. 


addilli        140.       Morto   il  duce   Kiiiiniio,  ornili  sol  resta 
Pici  iol  avanzo  di  gran  c.impo  (•stinto. 
SegiK^  i  vinti  (iiin'rcdti ,   <>  poi  >'  arresta; 
('II'  .\llaiiior  M-'le  a  pie  di  sangue  tinto 
('on  mez/.a  spada  ,  e  con  iiiez/o  elmo  in   1<'>1> 
Da  (-ento  laiii'(!   ripercos-n  e  cinto, 
(ìrid.i  egli  a'  .^iioi:   ce'i-atc!  e  tu,    barinie. 
Renditi  (^io   »on   (ìoll'redo)  a  me  prigioni  I 


[255] 


GERUSALEMME  LIBERATA.   (XX.m-144) 


[2561 


141 


143 


porse) 


Colui  .  rlie  sino  allor  V  animo  grande 
Ad  alcun  atto  d'  uniiltii  non  torse. 
Ora,  eh'  ode  quel  nome,  onde  si  spande 
Sì  chiaro  suon  dagli  Etiopi  all'  Or.<e, 
Gli  risponde:  farò  quanto  dimando; 
Che  ne  sei  degno;  (e  1'  arme  in  man  gli 
Ma  la  -littoria  tua  sopra  Altamoro 
Ne  di  gloria  Oa  povera,  né  d'  oro. 

Me  r  oro  del  mio  regno ,  e  me  le  gemme 
Ricorapreran  della  pietosa  moglie. 
Replica  a  lui  Goffredo:  il  ciel  non  diemme 
Animo  tal,  che  di  tesor  s'  invoglie. 
Ciò,  che  ti  vien  dall'  indiche  maremme, 
Ahbiti  pure,  e  ciò,  che  Persia  accoglie! 
Che  della  vita  altrui  prezzo  non  cerco. 
Guerreggio  in  Asia,  e  non  vi  camhio,  o  merco 


1143.      Tace:  ed  a'  suoi  custodì  in  guardia  dàllt>, 
!  E  segue  il  corj;o  poi  de'  fuggitivi, 

I         Fuggoii  quegli  ai  ripari,  ed  intervallo 

U.illa  morte  trovar  non  ponno  quivi. 

Preso  è  repente  e  pien  di  strage  il  vallo; 

Corre  di  tenda  in  tenda  il  sangue  in  rivi, 
j         E  vi  macchia  le  prede,  e  vi  corrompe 
;         Gli  ornamenti  barbarici  e  le  pompe. 

114.      Così  vince  Goffredo:  ed  a  lui  tanto 

I         Avanza  ancor  della  diurna  luce, 

j         Ch"  alla  città  già  liberata,  al  santo 

Ostel  di  Cristo,  i  vincitor  conduce. 
1         Né  pur  deposto  il  sanguinoso  manto, 

Viene  al  tempio  con  gli  altri  il  sommo  duce, 
!         E  qui  1'  armi  sospende,  e  qui  devoto 

Il  gran  sepolcro  adora,  e  scioglie  il  voto. 


e    O    M    E    N    T    I 


su 


DANTE, 


PETRARCA,        ARIOSTO 


E        TASSO. 


COMENTO    SULLA     DIVINA     COMMEDIA 
DELL'      ALLIGHIERI. 


INFERNO. 


C  A   W   T   O      I. 

Lo  scopo  {generale  e  prandioso  della  D.  C.  cioè  di  richia- 
lar  la  nazione  viziosa  e  discorde  ad  unità  nazionale  polìticn, 
orale  e  religiosa,  per  mezzo  di  un  poema,  maestro  di  relli- 
idìne,  punitore  dei  vizj  ,  e  premiatore  della  virtù  —  scopo, 
je  si  propose  ancora  nei  libri  de  vulgari  eloquenti  a, 
de  monarchia',  terticari  apolog.  di  Dante  Voi.  II.  P.  2. 
ic.  38  :  38t)  della  Proposta.  —  pare  che  richieg^ra  la  spiega- 
one  seguente  di  questa  prima  e  principale  allegoria.  IVel 
100  ,  in  età  di  35  «mi  ine!  m  e  z  :ìo  del  e  a  ni  rn  i  n  di  n  o- 
tra  vita.  Conv.  4,  23.)  Dante,  entrato  nel  priorato,  e  per 
ezzo  delle  confusioni,  degl' intrighi  e  delle  ribalderie  scoperte 
Itosi  accorto,  che  la  via  del  ben  pubblico  era  smarrita, 
eh'  egli  si  tro\ava  in  una  selva  oscura  (si  osservi,  che 
g.  14,  lii.  chiama  trista  selva  Firenze  ,  esetvaerro- 
eo  la  \ita  nel  Conv.  f.  Il3j  di  iniscria  e  di  esilio,  mirando 
colle  ed  alla  cima  della  felicità  pubblica,  fu  contraddetto 
jUc  sue  speranze  dai  vizj  della  sua  patria  Firenze  (la  l  o  n  - 
a  di  pel  ìli  a  e  alato),  dalle  mire  superbe  ed  ambiziose  del 
!  di  Francia,  Filippo  il  Bello  ,  e  di  Carlo  di  Valoi«  ,  fratel  di 
à  (leone),  e  da  mielle  di  avarizia  e  di  supremazia  ambita 
il  papa  Hoiiifazio  vili  (lupa).^  Si  ritiri»  dunque  agli  studi 
loi  poetici  e,  posta  la  sua  liducia  nella  virtii  militare  di  ('an 
rande,  signor  di  Verona  [veltro),  scrisse  il  suo  poema, 
ì\<: ,  mercé  la  bontà  divina  ,  la  meditazione  (d  n  n  n  a  pen- 
ile), la  ragione  (IjUc  i  a) ,  e  la  iilosolia,  o  tcrilopia  (iiea- 
rie  e),  guidato  dalla  poesia  (Tirffi/io)  trascorre  i  luoghi 
ella  punizione,  della  purificazione,  e  del  premio,  cnstìgaoilo 
)s"i  i  vizj  ,  confortando  e  incoraggiando  la  fiacchezza,  e  pre- 
dando Je  virtù  con  abbissarle  nella  contemplazione  del  somno 
sne.v.  Fiì.  Scolari  della  piena  eigiusta  intelligenza  della 
ivina  commedia,  rapionamento  (Padova  IK23.  4),  f.  22  —  31. 
)mp.  Uiouisi  sene  di  aneddoti.  IVo.  Il  (Vero».  ITHIi.  4)  f. 
i  —  Hli.  Con  gratÌHsimo  piacere  aggiungiamo  f|ui  un  passo 
iggeritone  dal  nostro  amiro  dottissimo,  e  benemerito,  Cnr- 
ì  ff'itte,  professore  di  Hreslavia;  ed  è  di  Uso  a  S.C  aro 
Jerein.  5,  (i.  nelle  di  Ini  opp.  (L.  H.  Ititi!!)  III.  p.  l!il.: 
Myst  ice  leo  est  d  i  a  h  o  l  ti  s  ,  in  quantum  est  su  [ur- 
js  ,  ed  in  quantuìii  de  superbia  tentai.  Lupus 
p s  e  idem,  in  quantum  de  luxuria ,  quia  lupus 
audet  de  effusione  san  ffuin  is.  Pardns,  in  quan- 
\im  de  avaritia,  quia  variai  et  tur  ha  tur,  et  in 
uantum    de   dolo  sitate   et  fallacia.  Feci.  2H.    

Chi-,  poiché.  Cinonio  osserv.  della  lingu.  it.  f.  (,2  o 
iir  dove,  come  v.  UT.  rrr  4.  Eh,  lezione  vera  di  Dionisi. 
liosata  colla  crnscana  ahi.  r:r-  5.  La  cesura  selva  n^ja 
asciiranilo  1'  elisione,  non  v'  abbisogna  di  ed  aspra,  rr-z-. 
A  ìli  ara  si  lilt-risca  collo  Scolari  n  paura,  ^r^rr  !l.  .1 1 1  r  e, 
on  buone,  cattive.  Dionisi  Anedd.  IV,  14H.  IK?.  La  le- 
one  alte    deve  dire  lo  stesso.    11.  Pien   di   .tonno,' 

infuso,  smarrito.  i=rr  17.  Pianeta,  sole,  verità.  r-^^\ 
(.  Lafco,  ventricoli.  =-  2.').  Fuggiva,  paventava.  Vir- 
il.  Kn.  2.  12.  =r-r  2(!.  l'asso,  la  selva  oscura.  =r^  27. 
'iva,  m  vita  morale.  : —  2H.  h'.i,  crasi  in  vece  d'  ebbi, 
•mbra  la  vera  lezi(Mie  antica  trascurata  e  chiosata,  rr—  30. 
/  —  basso,  camminando  senz'  altro  per  luogo  alquanto  In- 
inato  della  piaggia.  Onde  il  cod.  ('aetani  legge  al.  : — :  31. 
,'rtr/.,  colle,  r— r-  32.  /jiinza,  spezie  di  pantera  ,  lincia, 
e  u  lì  e  ia  ,  Itjn  .r  ,  leopardo,  detta  anche  r  a  (  i/ «  pardus 
pardUK.  OLen's  ^aturgesch.  'l'Ii.  3.  S.  I0,'>7.  r —  3H. 
lucile  stelle  ecc.  l'ariile.  Dinota  li  2.'»  di  marzo,  dunque 
ei|uiiio7.in  vernale,  che  nel  jillll)  fu  \  eiierd'i.  v.  Ifioiiisi 
nedd.  IV,  4!)  —  7.'».  rr^  3!l.  L'  amor  divino,  dio,  primo  I 
iotor<!.  : —  40.  HI  OS  se,  crei)  e  diede  vita,  z —  42.  Adof-' 
amo  la  lezione  più  elegante  del  roti,  di  S.  Croce  alla  sa- 
etta pelle,  cioè  che  ha,  od  aveva  cr. />.,  dil'exa  dil  Dionisi 
)ii  liif.  !l,3li.  M,  Jti.  Ili,  ll)H.  Par.  I,'>,  ll.'>.  (iajctta  da  aajo, 
oè  vuri.i,  dipinta,  niaciilula.  I'iii>  riniliiiider  iii'-irmi-  I'  iile» 
i  leggiadria    (da   yidm)  ;     che  varietii   di   colori   diletta.     ~ — 

.lire,  ed  acr  sono  soltanto  dill'erenti  nel  modo  di  pro- 
iinziare.  : —  51.  (trame,  meschine,  triste.  disgr;i/iate.  20. 
l.  30,  09,    Vuco  IcdcHca!    =    53.  l'aura,  spaMiilo  ,  terru 


re.  =  óì.  Veli'  a  [tessa,  di  salire  in  alto.  =;  5S. 
Senza  pace,  piiossi  riferire  alla  bestia,  o  pure  al  poeta, 
cioè  tanto  m'  inquieti),  smarrì,  r:^  60.  Dove  il  sol  tace, 
catacresi  in  vece  di  non  luce.  cp.  5,  28.  =r  (il.  Rovinava 
tombolando  precipitava,  v.  al  v.  30  raffr.  v.  76.  Altri  han  ri- 
tornava, altri  rimirava,  altri  richinava.  Inutili  sti- 
tichezze! =  Ì3Ì.  Fioco,  rauco.  Scolari  ca\  Muratori 
lo  prende  per  fiacco,  debole,  lo  che  pure  non  quadra  bene  a 
quel  per  l.  s.  Potè  ben  s'ispettare  il  poeta,  esser  Virgilio 
rauco,  stando  egli  nel  gran  diserto.  r=:  611.  Cerio,  reale. 
=  70.  La  lezióne  del  Cod.  di  S.  Cr.  adottata  da  noi  mostra 
che  quel  ei  si  riferisca  al  nascere  di  Viririlio  29  anni  più  tardi 
di  Cesare,  il  quale  nacque  .\.  3AjO,  divenne  dittatore  perpetuo 
il  3904,  e  fu  ucciso  il  3006.  Virgilio  nacque  il  3f7!l  e  morì 
3!ì5l.  iVacque  dunque  troppo  tardi,  per  poter  essere  il  suo 
poeta,  come  lo  fu  poi  di  Augusto.  Forse  ancora  accenna  il 
suo  tardi  conoscere  V  alto  sole,   come  dice  nel  Purg.  7.  26.  s. 

=^^    7i.  Fi  g  l  ino  l    di    A  71  eh..    Enea.      : 76.    JS'oja, 

luogo   noioso.     : 87.  Stile    romano,    o  italiano,    non  già 

latino.   Fu  eia  celebre  per  la  /^  ita  nuova  e  le  Rime.    

fa  /ffsMw,  lupa.  =  101.  feltro.  Intende  Can  Gran- 
de della  Scala,  signor  di  Verona,  capitano  della  lega  ghibel- 
lina nel  I3IH,  in  età  di  nove  anni  nel  1300,  mentre  il  poeta 
viaggiava  fra'  morti,  undici  nel  gennaio  del  1302,  dove  D. 
fu  esiliato.  L'  opinione  di  Troija  (Veltro  allegorico  di 
Dante.  Fir.  1826)  doversi  cioè  intendere  l'giiccione  della  Fag- 
giuola,   r    ha   riliiitata    Carlo    ih  i  1 1  e    nell'  Antologia  fior. 

mese  Sett.  dell'  istesso  anno.    : 103.  Ciberà,  si  pascerà. 

Terra,  terre,  poderi.  Peltro,  tesori,  ricchezze.  Dal 
lat.  pel  tram,  stagno  raflinato  con  vivo  argento.  r=  lO.i. 
Tra  Feltro  e  Feltro,  tutta  la  Marca  Trivigiana.  in  cui 
è  Feltre,  e  Romagna  tutta,  nella  quale  è  Monte  Feltro.  In- 
tende dunque  la  Lcmibanlia  tutta.  ==  107  s.  Camilla, 
figlia  di  Metallo  ,  re  dei  Volsci ,  nel  Lazio  ,  si  armò  in  difesa 
di  Turno,  figlio  di  Danno,  radei  Untoli.  F.ur.  e  A'.,  fa- 
mosi giovani  troiani.  Eneid.  H.  111.  Prima,  nel  prin- 
cipio. .Ancor  1'  avverbio  dà  senso  comodo.  : 112.  .I/ri  le- 
zione del  cod.  Ilartol.  r=^  113.  lo  ti  s.  g. ,  lezione  antica 
del  cod.  di  S.  Cr.  =r-  114.  Loco  eterno,  inferno.  : — : 
117.  La  seconda,  dell'anima.  : —  Hit.  Foco,  purgatorio. 
^-^  120.  Alle  beate  genti,  paradiso.  : —  122.  Ani- 
ma, Beatrice.  127.  Regge,  ticn  corte,  ha  residen- 
za. =  134.  La  porla  di  S.P.,  del  purgatorio,  Pg.  9,  76. 
=    135.  Fu  i ,  dici. 

Canto     II. 

^.  Guerra,  travaglio.  =:r  fi.  7?  l'r  rn  rrnr,  racconterà. 
Mente,  memoria,  r —  11.  l'irtìi,  forza,  vahirc.  r=r:  13. 
Dici,  neir  Eneida.  ]) i  —  par.  Enea,  rr^  1,'>.  Secolo, 
inondo,  in  senso  biblico  ebreo,  zr-n  16.  Sensibilmente, 
col  corpo.  ^—  17.  Cortese  fii,  gli  permise.  Lo  alto 
effetto,  la  fiuidazioiie  di  Roma, e  del  suo  imperio,  rr—  22, 
La  quale,  Riuna.  //  7  «.,  impero.  :^ —  21.  Maggior. 
primo,  capo.  r=:  27.  /  i  1 1  o  r /'«,  contro  Turno,  re  dei  Ru- 
llili. z—=  2H.  Lo  vas  d'  elezione,  S.  Paolo.  Act.  9,  15. 
z — r  34.  Se  —  vi'iiire,  se  mi  abbandono  alla  cieca  e  pren- 
do Iti  via,  senza  li.ularc  ad  altro,     v.    l'erticuri ,    npol.  di    1). 

far.  Ili5  «.    r —    3'l    Tot  le,  toglie,  rimuove.    . 41.  Con- 

s  II  m  a  i .  cessai,  abbandonai.  42.  Tosta,  subitanea,  preci- 
pi  ;o-a.  12  ,  titi.     : 15.     lillntr,    paura.     : —     \'^.  Solve, 

srioplia.      .—     51.    Dolve,    dolse.      Da   doluit.      .".2. 

Sospesi,  né  salvi,  né  dannati,  r^  53.  Ito /ina,  Ileatrice. 
: 11»,  (filanto  il  mondo,  lontana.  L'  ultimo  agget- 
tivo si  riferisce  st  filma,  e  In  lezione  molo  V  ha  riliiitata 
il  Monti  nella  Proposta  111,  1.  f  47  ss.;  ilifesa  all'  iiicnnlro 
con  r  amore  di  D.  al  sistema  siili'  immobilità  della  terra  ri- 
i-oiicìllato  olla  fede  cristiana,  / ^o  Foscolo  nell'  edir.  di 
n.iiite    (  Londr.    Ih25.  V.   H)    To.  1.    f.  40'.   ss.     r—    61.     Von 

lilla    vent.,    cioè    sventurato.     :: 71.   Loco  —  desio, 

(i.iradifio.    75.  Taectte,  antica  forma  per  tacque,  rrrr 

Ì6.  Donna   di  virtù,   donna  virtuosa.     Sola   unica.    =r 


COMENTO    SULLA   DIVINA    COMMEDIA. 


17.  Confenfo,  cosa  contenuta.   Par.  2,  111.    =    78.  Quel] 

—  sui,  lunare;  secondo  il  sistema  tolomaico  ,  dove  la  terra 
era  centro  dell'  universo,  intorno  a  cui  gli  astri  giravano,  e 
la  luna  era  la  più  prossima.  80.  Se  già  fosse,  ben- 
ché  si  facesse  imniantenente.    81.    Talento,   volontà. 

10,  55.  90.  tauro  s  e ,  paiirevoli,  capaci  di  metter  pau- 
ra.    92.  Tange,  tocca.  Laliiiismo  !  :=  93.  A  è  af- 
ferma per  uso  lontano.  Ferticari ,  Apol.  1U7  s.  z=r  94. 
Gentil,  di  natura  ed  alma  nobile  e  generosa.  Intende 
l'anima  celeste  intenerita  dalla  miseria  umana,  ed  allìne  la  cle- 
menza -,  che  quella  innalzata  e  stesa  al  sommo  è  divina  cle- 
menza.    9().  Duro,  severo.  Frange,  sospende,  am- 
mollisce, spezza  di  pietà.  Moliti  prop.  II,  1.  139.  =r=  97. 
Lucia,  la  ragione.  I!  tenor  dell'  emenda  umana  è  spartito 
in  tre  momenti  personificati,  come  altrettante  grazie:  la  Te- 
nerezza 0  Dilicalezza  morale,  forse  Madonna  ìstessa;  la  Ra- 
^one;  la  Teologia,  qual  fondo  e  centro  del  sapere,  compagna 
Sella  meditazione  (Rachele).  : lOti.  Pietà,  dolor  com- 
movente. — -  Vi'ò. Fiumana  —  vanto,  vita  agitata  e  tur- 
bata più   del  mare.    109.  Ratte,   veloci,   preste.    Lat. 

raptus.    111.  Fatte  da  Lucia;  perchè  parla  Beatrice. 

: 113.   Onesto,  bello,  splendido.    Senso  Ialino!     : —     11  j. 

Poscia,   ecc.    Sono   parole  di    Virgilio   continuante  nel  suo 

racconto.    121.  iì  l'.s  t  a  i,  ti  arresti.    Ut.  Al  l  etti , 

alloggi,  alberghi,  9  93.  Da  letto.  Monti  prop.  I,  2.12.  == 
128.  /mòta»  ca,  iunalba  coi  raggi  nascenti.  ==  WI.Alto, 
profondo. 

Canto     III. 

5  8.  La  —  Amor  e  ,\a  trinità.  : —  fi.  Et  erna  ,  lezione 
degli  ottimi  codici  da  riferisi  alla  porta,  rrrr:  10.  Oscuro, 
negro,  fosco.    11.    Sospetto,  timor  e  dubbiezza.    

18.  Il  —  intelletto,   il    sommo  bene  ,  dio.     21.    S  e  - 

crete  cose,  luogo  e  contento  nascosti.  'l'ì.Lingue,  idi- 
omi.     Favelle,     linguaggi.      29.    Senza    tempo, 

eternamente.    30.  A   turbo,  lezione  degli  ottimi   codici, 

a  modo  di   turbo.    Spira,   puit   esser  rivoltesi  spiralmente. 

31.  Orror,   leggono  le  ottime   ediz.    : —    39.  Perse, 

scevre  dall'  altre,  indifferenti,  neutre.  : —  42.  Alcuna, 
ninna.  12,  9.  Monti  Prop.  I,  2.  79  ss.  e  Append.  alla  Prop. 
f.  271  88.  Conserva  ai  dannati  le  stesse  affezioni,  secondo  il 
platonismo.  —  47.  Cieca,  perchè  han  perduto  il  ben  dell' 
intelletto.  =  54.  Jn  deffn  a  ,  par  voce  pregna,  che  invol- 
ve  e  r  incapacità  e  1'  indegnità.  .59  s.  Colui  —  ri- 
fiuto. Celestino  V.,  che  per  pusillanimità,  e  pe'  raggiri  di 
Bonifazio  Vili,  odiato  dal   poeta  ,    dopo  no\  e  mesi  rinunziò  al 

papato.    Risc.  19,  55.    73.  Costume,   qualità.    Par.  23, 

aS.  : —  75.  Fioco,  qui  forse  fiacco,  v.  a.  1,  ti3.  Raffr.  a 
12,  15.  =  7B.  Con  te,  palesi.  Ted.  Aurarf.  =  81.  Mi 
trassi,  m'  astenni,  mi  ritirai.  : —  83.  f'ec  chio ,  Ca- 
ronte.   : —    94.  Duca,  duce,  guida.    95.  Colà,    ecc  nel 

cielo.    98.  Livida,  torbida,  bruna.    102.  Ratto, 

tosto ,  subito.  : —  104.  Seme  di  l  or  semenza,  nonno 
e  nonna.  105.  Nascimenti,  esser  nati;  non  già  pa- 
renti.   : —    109.  Di   bragia,   infiammati,   cp.  99.    III. 

Si  adagia,  si  trattiene ,  tarda.  : —  113.  fede,  lezione 
più  energica  di  buoni  codici,  in  vece  della  volgare  rende. 
r —  132.  Mente,  memoria,  il  rammentarmi.  133.  Diede, 
esali).  31  a g alotti  Bottoiutende  un  angelo  conduttore  non 
veduto  dal  poeta. 

Canto.    IV. 

2.  Trono,  (lezione  più  rara  del  cod.  bart.)  fragore,  che 
fa  tremare  l' aria.  In  Tedesco  dròhnen,  d^qoiXv.  Dai  Lom- 
bardi cos'i  si  dice  il  tuono.  9.  Tuono.  Il  cod.  bart.  ed  altri 
han  torno,  circolo,  fossa  circolare;  altri  intorno.    Questo 

pare  confermi  quello  più    squisito.    Scelta  difficile  !    li. 

Per,  quantunque.    : —    13.  Cieco,  oscuro.    16.  Color 

smorto ,  pallore.    25.    Secondo  che,  suppl.   stetti ,   o 

fui.    2t).  Ma  che,  spagnuolo  mas,   lat.   magis,  più. 

21,  20.  28,  UG.  Perlicari,  anol.  f.  106.  li  cod.  Casa,  ha 
mai,  che  par  chiosa;  il  bartol.  pianto  o  mal,  chiosa  fioca 
di  saputello!  r—  27.  Ulema,  senza  tempo  tinta.  3,29. 
=    33.   Andi,   vada.     : —     34.  Jl/e  r  e  e  rf« ,  atti   meritori, 

merli.  49.    ; 36.  Porta,   (lezione   del  cod.   bart.   e   di  S». 

Cr.)  ingresso,  entrata.  t=z  40.  Rio,  reità.  Pg.  7,  7.  : — 
41.  Dilanio,  in  tanto  ^  talmente.  Offesi,  aftlitti.  : — 
50.  Altrui  ecc.  addita  \a  parlar  coverto  Gesù  Cristo. 
^=;    52.  Novo,  venuto   pochi    anni    prima  della    discesa  del 

(possente)  redentore.    : 55.  Ci,    di   qui.     Primo   pa- 

rente,   Adamo.     : 57.    Legista  ubbidiente.    Fraii- 

cescooi  propose  legista,  e  fubbidit-nte  riferendolo  ad 
yf  6  r  a  a  fn  ;  speziitsainente  s'i,  ma  senza  nisn.  =:r-  60.  Rache- 
le, figlia  di  Libano  ,  per  la  quale  Giacobbe  servi  14  anni. 
Gen.  'ti,  23.  :=  64.  Per  che,  benché.  =  66.  Spessi , 
frequenti.  =t:  67.  Sommo,  la  più  alta  parte.  Altri  han 
sonno,  luogo  dell'  addormentarmi;  il  cod.  !S.  Cr.  suono, 
uogu  del  trono,  o  di  Huspiri.    £>e  il  v.   70.  non  ripetesse  1'   is- 


tesso,  preferirei  8M0  no.     69.  T^  in  e  io,  vìnceva  ,   supc 

rava.  Lambino  più  arcilìziosamente  e  senza  guadagnarvi  spiegì 
cingeva  ,  circondava.  = —  72.  Onrevol,  forma  più  antica 
benché  più  aspra.    r=    73.  L'   elisioni  scansate  sanno   di  cor 

rczione   cruscaiia.    r=    76.    Nominanza,    fama.    80 

Poeta,  WigtWit.    r=rt    81.    Dipartita,    2,  52  ss.    r=    86 

Spada,    simbolii  delle  guerre  cantate.    : 91.  Nome     d 

poeta,     foce.  79.     =    99.  Di  tanto,   par  che  sia  intanto 

come  a  tanto,  9,  48.    : 102.  Senno,  ingegni,  savj.  HO 

=^  107.  Sette  atte  mura.  Intendono  o  le  sette  virtù,  « 
le   sette   arti    liberali,    o  li  sette   sacramenti.    Fiumirelli 

dicono  r  eloquenza.     109.  Dura,  solida.    120.    M 

esalto,  lezione  del  cod.  S  Cr.,  mi  glorio,  mi  vanto,  r^ 
121.  Elettra,  figlia  d'Atlante,  moglie  di  Corito,  re  d'Italia 
madre  di  Dardano  ,  fondatore  di  Troia;  onde  la  compagni: 
troiana,   cp.   15,  72.     : —    124.   Pente  silea ,   regina   dell* 

amazoni,   uccisa  da  Achille.    125.   Re     degli  Aborigeni 

127.  Rruto,  Lucio  Junio.    : —    128.  Lucrezia,  inoglii 

di  Collatino,  violata  da  Sesto  Tarquiuio,  la  quale  si  uccise 
Julia,  figliuola  di  Cesare,  moglie  di  Pompeo  il  Grande 
Marzia,  moglie  di  Catone  uticense ,  ceduta  per  moglie  ai 
Ortensio.  Corni  glia,  figlia  di  Scipione  Atl'rlcano,  e  moglie  d 

Gracco.  129.  Sa  /  a  f/t  n  o,  re  di  B.a  b  i  1  o  n  ia,  conquistato 

di  Gerusalemme,  morto  ne!  1194.    131.il/flesfro  —  san 

n  0,  Aristotele,  Color  che  sanno,  filosofi,  sapienti.  = 
136.  A  caso,  fortuito.    : —    137.  D  io  g  enè  s ,  cinico,  da  Si 

nope.    Anas  a  g  or  a  clazomenin.     Tale    niilesio.    138 

Empedocl'es    d'  Agrigento.  JEr  a  e/ j  t  o  etfesio.  Zenon 

cittico.    139. 1>  e  ^  quale,  della  qualità,  virtù  dell'erbe 

piante  e  pietre.  : —  140.  i)?o  .s  e  ori  de,  d'  Anazarba  nella  Cilicia 
;=^    142.  Tolommco,  Claudio,  astronomo  e  geografo.    = 

143.  Avicenna,  medico  arabo.    144.  Averrois,  co 

mentatore  d'  Aristotele.    148.  Se  s  f  a  senaria.    : —     150 

(iueta,  tranquilla  aria  nel  castello.    151.  Ove  non  i 

che  luca,  buja,  oscura. 


Canto     V. 


2.  Men,  più  stretto.  =  3.  A  guajo,  a  far  guairc 
lamentare  altamente.  =  4.  Mino»,  figlio  di  Giove  e  d 
Europa,  re  di  Creta.  Ringhia,  digrigna  i  denti.  ^=  7 
iW  a  Z  TI  a  t  a  ,  vile,  peccatrice.    =    14.  y?  dì  e  en  rfa  ,   l'uni 

dopo  r  altra,  successivamente.   18.  Lf/t  zi  o  ,  digiudicare 

==  21.  jfur,  mai.  22.  Fa  ta/ e  ,  voluto  dal  cielo.  =  2S 
Di  ogni  luce  muto,  bujo.  Catacresi!  v,  1,60.  r=  31 
Rufera,  aria  furiosamente  agitata,  v.  7,  61.    =    32.  Ra 

pina,  rapimento  in  giro,  vortice.  34.  jf  u  i  n  a  ,  luogo  pre 

cipitoso,  precipizio.  38.  Enno,  sono.  Lezione  più  rara  de 

cod.  bartol.  e  d'altri  buoni.  =  39.  Talento,  inclinazione 
desiderio.    : —    40.  S t  o  r  n e i  ,  stornelli.   E  accusativo,  comi 

le   ali  nominativo.    49.   Briga,   bufera ,   fiato ,  venti 

contrastante.    hi.  Allotta,  allora.    =:    54.    Favel 

i e,  nazioni  diverse.  =  55.  Rotta,  sfrenatamente  abban 
donata.  : —  57.  Ri  asma  di  passione  pel  figlio  ==  60 
Corregge,   governa.    : —    61.  Colei  ecc.  Bidone.  Eneid 

4.    63.  Cie  0/)  a  t  ras,  regina  di  Egitto.    r=r    6i.  Eie 

n  a  ,  moglie  di  Menelao ,  rapita  da  Paride.  =:  66.  Amor  • 
di  Polissena,  sorella  di  Paride.  Alfine,  sino  alla  morte 
r=  67.  Tristano ,  nipote  del  re  Marco  di  Cornovia,  ca 
valier  errante  nel  mitico  cerchio  di  Artù.  =  71,  Giunse 
lezione  de'  migliori  Cod.  l  inse  è  chiosa.  r=  78.  1,  elli 
li  ,  loro.  =  80.  /l/uo  v'  i  o  ,  mossi,  muovo  sono  fors. 
correzioni  della  forma  antica  latina  del  cod.  bart.  movi.  = 
84.  f'olan,  in  vece  di  vengon,  par  chiosa.  J  ol  e  r ,  de 
sio,  ardnr  di  desiderio.  Ugo  Foscolo,  disc,  sul  testo  de 
poema  di  D.  311.  =  89.  Perso,  misto  di  purpureo  e  d 
nero,  dove  vince  il  nero.  Conv.  4,  20.  =:  90  Di^  san 
guigno  colore.  S.  che  ci  ammazzammo.  r=  96.  Ci,  in  veci 
di  si,  lezione  de'  migliori  testi.    =    97.  Terra,  Ravenna 


ginn  poetica  di  questo  passo  v.  (Ugo  Foscolo  nell  )  Edinb 
review.  Voi.  30  f.  340  sa.  e  nel  disc,  sul  testo  ecc.  I.  e.  == 
99.  Seguaci,  fiumi.  =  101.  Bella  persona,  beiti 
del  corpo.  =  103.  Perdona,  rinarmia,  rilascia.  == 
104.  Costui  di  costui.  =  107.  Caina,  luogo  de'  fratici 
di  neir  inferno  r=  117.  Pio,  intenerito.  A  lagr.  sino  i 
I.  =:^  121.  Dubbiosi,  non  iscopcrti.  =  126.  A>i/« 
per  faro,  é  chiosa.  =  128.  Lanci  lotto,  cavaliere  del 
la  Tavola  rotonda.    Amor    a  Ginevra,    moglie  del  re  Artu 

H3.  «i«o,  bocca  ridente.    =    137.    Ga/e  otto,  sen 

sale  tra  Ginevra  e  Lancilottu  nel  romanzo  antico,  divenni 
perciò  sinonimo  di  mezzano. 


l. 


COMENTO    SULLA    DIVINA    COMMEDIA. 


Canto     VI. 


I  rpn,  lat.  vertere,  ed  altri  mentovati  al  v.  30.  :=  42. 
j  Ferci,  vi,  nella  vita  primaja,  fecero.  -15.  Binpaja,  disfa 
il  paio,  di8uni!-ce.    =    53.  Sozzi,  sucidi ,   sudici,   sporchi. 

:ì  t      o  »  ,.  „  .•       „., :       ^z.     f*  ^ •     l .  '  .    '. 


iore.  Qua/ità,  di  praiidine  edintve.  =  13.  />!i/ e  r. sa,  '*="'«.*'=•:";«■'"'"'  ^'*  *,*  "■^•'''■° '•'''  •^^-  =  '2  /m  6  o  ce /i  e, 
nostruosa,  istrana.  Questa  parola  dinota  generalmente  alin.  ™etta  in  bocca ,  accoglia;  impari.  =  r4.  Chi  conduce, 
;d  alieno  da  quel  che  si  dovrebbe  per  leff|e  di  natura,  o  di  condottiere  ,  intelligenze  moinci  angeli.  =  .a.  Ogni 
nente,  dunque  storto,  perverso,  nemico  .contrario  ,  avverso.  \P  «'' 'f  '  a.'nbedue  gli  emisferi  celesti.  =  .7.  Splendor 
i\  accompagna  col  secondo  (33,  151),  terzo  e  sesto  caso,  V.  Ap-  '"<'"''«"'./'  ricchezze,  onori,  e  quanto  v  e  di  snezioso. 
.endice  alla  proposta  del  Monti  f.  1!)9.  a.  z=  K.  E  d  ingo-  =  .»}-J^ifJ  e  n  s  t  on,  riparo,  contrasto  (Ho).  =  t..  JJe,, 
a,  ottima  lezione  confacenle  a  bestia  fZf  ventre  largo,  motrici  intelli|renze.  =  tìO.  Sz  ecc.  in  questo  modo  avviene 
I  divorante.  Sr/u  a  tra  ,  squarta.  =  22.  T  p  mio,  verme.  !  ^he  gli  uomini  spesso  conseguisconn  mutazione  di  stato. 
>;el  34,  107.  Lucifero  è  cosi  detto.  =  23.  Sanne,  zannt;  ?^onti  Prop.  3  2.  4.18.  =  93  i/o  e  e  del  cod.  bart.  per  voce 
lenti  sporti  fuor  dal  labbro  dei  cinghiali.  Ralfr.  33,  35.  =,  e  differenza  del  dialetto.  =  9a.Prime  creature,  sostanze, 
ò.  Spanne,  mani  aperte  e  disleseT    =    28.  ^^  ù^r  "  « .  o    '°t«V'g«"^e  "'"l"'!'- „^=.    "•    ^ida,    affanno,    cerchio  tor- 

'  I     -1  -i-.-        r:       '  ~         -_      01    '  raentoso.     =r=     100.  R  icid  em  m  o ,  atlraversammo.    : lOo. 

..^TOéina,  desidera  con  avidità.  Gt.  ayrnviuv.  r=  31.  |  ifi^ersa,  differente,  ed  orrida,  malagevole.  6,  13.  = 
^•accia,  lez.  dei  migliori  cod,  ceffo.  =  32  In  t  ron  a ,:  njg_  a  rig  e ,  oscure,  bige.  =  120.  Pullular,  mandar 
balordisce  y.  a  4,  2  =  34.  A  dona,  abbatte,  doma,  bolle  in  su,  bollire.  =  123.  .accidioso  fummo,  va- 
,1  paragoni  I  inglese  down,  1  anglosass  dufian,  mer-i  p^,j  „^„g  ^j  tristizia,  umor  malinconico.  Perche  iy.r,d,,a 
■ere  gì.  devo,,  óiip(x,,gevin.  taufen,  theufen.  =  ib.  ^  ^  incuria,  noncuranza,  o  cura  esasperata ,  secondo  che 
/a  71  Ita,  larva,  ombra.  =  42.  Fa  f  f  o  ,  nato.  Visfat-  queir  a  è  negativa,  o  accrescitiva.  =  124.  iJ  e// e  t  t  a,  pol- 
o,   morto=    52    Ciacco,   m  Fiorentino ,   porco.     Afline     j  ,j^       f  ^j.^         ^j  -  p  a  l  u  s.       = 

.1  fr.  cocAon  ,  ted.  //a /v«  cA  ,  ingl.  A  0|£r ,  pers.  cnog-.  =  I  tJ;     „',  ,      *=  ini'     '■>''■•]•"■•■ '^ '■       

5.  Fiacco,  fompO.  Risc.  12,  14.  =  bì.  Fari  ita,  fa-  l^o.  St  r  o  z  r  a ,  canna  della  gola  In  ted.  iJro^sel  = 
Iosa  di  \eri  è  Bianchi.  =  65.  Se /t^ag^t  a,  la  parte  Biaii- i  l^''- .f"  ;  =  «;  Panta»»;  led.  P/j/fir.  =r  128.  :Hezzo 
a,  di  cui  capo  Vieri  de'  Cerchj.  r=  bb.  i'  altra,  deiic<"\l  e  stretta,  bagnata,  fradicia,  putrida.  Afhne  al  greco 
Jeri,  cui  il  capocorso  dei  Donati.  =  67.  Qn  e  st  a,  \a  ^  ftvoaio  ,  al  ted.  mùchz  en  ,  modem,  muffen.  =: 
: <a    o...-    — .-     i:n    li _  .    ^_.i_   i:  x  .i„.„     130.  ^ <  (£ o  8 6  =  E o ,  lìnalmeiiie,  ultlmameute.  Duì lat.  s 6 c u «, 


anca.    =    68.'So/i,  anni.    : 69.  Tal,  Carlo  diV'alòis, 

rateilo  di  Filippo  il  Bello.  Fia^  già ,  metaforicamente 
pera  cautamente.  Fi  ag  giare,  e  andare  rasente  il  lilo, 
.T/.ayittkfiv  affine  al  ted  flach,    ir.    louvoyer.    = 

2.  Adonti,    risenta  Y  onta.     =^     73.    Duo.    Incerto,   se 
•ante  e  Guido  Cavalcanti ,    o  Barduccio   e  Giovanni   da  Ves- 

ignano.    : 79.  T  egg  hi  ai\  lezione  bartol.  che  addita  la 

rasi,  se  pur  la  ragione  metrica  la  chiede  o  assolutamente,   o 
1  riguardo  all'  età  ed  allo  stato  della  lingua.    Raffr.  alPurg. 

3,  22.     84.   Addolcia,   pasce   di    dolcezza.    85. 

'fere,    malvage.     : —     87.    Lai   lezione   bartol.    96. 

a  (non  già  lor,  oh'  è  ozioso  e  inutile,  dice  Slonti)  nim. 
odest  a,  podestà,    lezione  ottima.    Addita  Gesù.    =    106 

cienza,   aristotelica,    z —    Ili.   Di  ià,  dopo   il  giudizio 

niversale.     Di  qua  dinanzi  adesso.    115.  Fiuto,  dio 

elle  ricchezze. 


se  CI  US,  cioè  seguente. 


Canto     ^1111. 


4.  I,  cioè  IVI,  vi,  hanno  i  migliori  codici,  fuorché  il  bar- 

tolin.    z=r    5.  Altra,  iìammetta.     6.  Torre,  scorgere, 

disceriiere.     Cosi  in  ted.  te  e ^  b  e k om  ni  cn,  w  e g  l-rieg e  n. 

7.    Mar  — senno,     Virgilio.     :=:     16.    In    quella 

ora,  immantinente.  12,22.  17.  Oaleoto,  galeotto.    Affine 

a  yavXug.  z=  19.  F l  e  g  i  à  s  ,  paure  d'  Issione,  per  la 
figlia  violatagli  da  Apolline  die  fuoco  al  tempio  dellìco  e  fu 
ucciso.  Gridi,  del  cod.  bartol.,  forma  antica  più  \iciua  all' 
origine   {yoav> ,    schreien,  e  r  i  e  r)   per   gridi,  forma 

più  moderna  e  temprata.    21.  Loto,  fango,  paluile.   Dal 

lat.  lui  uni    m^    24.  .Ice  alta    in    sé,    coiicepiita.     30. 

Canto      VII  Altrui,  perchè  portava  già  spiriti,   ora  un  corpo.    =    31. 

•  Gora,  canale,  palude.     =r-    33.  Anzi  ora,  in  corpo  vivo, 

-     „  ,  r»  li-    •  ...  senza  morte    (84)    =    44.    Incinse,  ingra\id(i.    Le  p.irole 

1.  Pape  —  nleppe.  Dopo  rnoltis.xime  spiegazioni  con-  latjne  inciens,  e.incinctu»  con  le  Foro  spiegazioni  b.i- 
jrte  stravolte  Mona  Prop.  1,  2.  .33  ss.  decide  semplicemente  gja^jg  e  saputelle  posteriori,  sono  pur  originariamente  le  gre- 
be  questi  cupi  indistinti  e  rauchi  suoni  di  bestia    co   era  sono      ,      >  „i  >  :    i-  n.   •  i  •  • 

■^     ^  '  che  lyy.vo;,  ed  lyy.vw,  quindi  quell    in  perche  y.im  e  capire, 


— ..'f  Strupo,  metatesi  per  «fu^.r  e»  adulterio,  in  scn-  __  70.  Meschite,  torri.  Vocc»aracincsea"l"=-  71.'Cfrno, 
0  biblico  ap/'Hlasia  'do'atna  =:r  Ih.  /,a  rrn ,  pozzo  (32,  |  vedo.  Latinismo!  r:^  7H.  Fosse,  fossero.  Svista  graraa- 
^),  cisterna  (.13,  12o).  Monti  Prop.  Ili,  1.  8.  Affini  sono  la-\  tica  ,  che,  s'  è  d'  uopo,  si  scusa  non  già  foll.i  rima,  ma  con 
una,  lago,  lacus,  i.uy.y.u.;  (Erod.  7,  119),  Lo  rh.  terra  sconsolata,  rrrr  80.  Forte,  forlenirnle.  r^: 
=:     18.     Insacca,     aduna.      =      19.    Stipa,    accumula.    H8.  CA  1  u«  prò ,  frenarono.    r::r-    91.  f'o // f  .  folU-inenle  bat- 


tuta,   r^    93.  Lezione  bartol.    e  di  S.  Cr.    più  elegante.    

97.  Sette,  numero  certo  per  incerto.  :=  111.  Tencio- 
na,  tenzona  (6,  64),  contende,  ooinbntte.  r-r  112.  Potei. 
Se  si  dovesse  sceglier  forma  antica,  sceglierci  patti,  crasi  di 
potetti.  :r—  114.  A  prova,  u  para,  r —  Ili.  Ha  ri, 
pochi ,  sospesi ,  lenti.  =^-r  Wi^.  Il  a  s  r  ,  spogliate.  : —  121. 
Per  che,  benché  rr-  12».  Trai 
01 1  ra  e  o  t  a  11  X  tt ,  9.33.  JÌImiti  Prop 
Men  segreta  ,  prima  ecapilule.  r^: 
Terra  scuaMulutu  ,  77.  città  di  Dite. 


1 1  11  II  z  a  ,  insolenxa. 
3.  I  196.  r^  1V5. 
13U.  Tal  un  augelu. 


tnmucchia.  Or.  r;<e(^u>,  ted.  stopfen.  : —  21.  Scipa, 
oncia  male,   lacera.    Propriamente  par   che  significhi  rodere, 

sia  afine  a  yuo) ,  xa[iu) ,  cavo,  yaiiu,  ted.  schnben, 
cavo,  ay.ixfi ,  tarlo,  iuo) ,  i'cu)  ,  if'uto  ,  ecc.  =t=  Ti.  V  a- 
iddi,  stretto  vorticoso  fra  Calabria  e  Sicilia.    =-^    24.  Il  i  d 

i,  balli,  danzi.  Affine  a  (loiìoi,  (iu!>uos  n  simili,  che  fi- 
almente  si  riducono  a  (ino.  r—^  26.  Poppa,  petto. 
=r  "M.  H  ur  li,  gitti  via.  scagli  prodigainentr,Hciiiliicqui.  \  oce 
imbarda!  Monti   Prop.  1,  2.    152.    Si  riduce  ulle  voci  tedesche 

irrrn,  wirreln.  ferlen,  querlen,    ingl.    to  curi, 

uri,  puri,  whirl,  quern,  ilal.  girare,  ed  altre.  Li 
ozionc  dunque  del  giro,  o  cerchio,    benché  non  prcvulgii  qui 

canto  di  i|iiella  del  pittar  ,   scagliar   via  con  forza  ,  pur   non 

aevulutanientc  CNclusa,  come  mostruno  il   riddi,  voi  t  a  n- 

o,   rivolgi  a,  a   retro,    tornavan,   irrehio,    o   il 

oto  rotante    qui  descritto,    rrr-    .33.  Le/.,    bartuliii.   seinplicis 

ma  in  vece  di  ^  r  t  r/  a  n  fi  o  s  t  anche  (anco)  l  o  r  o  o  11  t  o  s  o 
I.,  o  g  r  i  d  a  mio   ancora      r:r—    .35.    (iiostra,    riperciis 
Ione,    lotta,    zuffa    (59).      r—     38.    Chini,    cherici  ;    come 

A  r  re  u  (  i,  chericiili,  tonsurati. 40.  (iuerri.t 

i  «guardo  lurtu.    Affine  al  tcdciic.  quer,  iwvrch,  ÀrcA    |  pu>teutc  chi  t>i  offerse  siguilicanduiiol  la  sua  impazicniu.  =  15. 


Canto     I\. 

L  Color,  pallido.  : —  3.  Itittrinse,  serrò,  rispinsc. 
.Voi'»,  di  sdegno.  Dire:  cedendomi  \.  impallidire  di  nuo- 
vo, oppresse  i  sepiii  di  Mlegno  nel  \  iso  ,  per  non  impaurirmi. 
Di  questo  fa  npeiite  il  pallore.  : —  8.  Se  n  o  ri  .  .  .  Ini  n  r  si 
offrrse.  .S'Interrompe  e  si  riir.ilta,  per  non  oltrnppi;ir  forse 
Beatrice,  con  dire  :  se  non  ci  nssisle  lleatrire,  cioè  se  nienti. e  )ier 
non  iiupaiirire  DiinlrusHiemr.  M,i  n«  eiido  già  «idiito  discendere  1' 
Hbivriii,  I  angelo  (8,l2Hss.),  epli  si  riroiiipone,  come  dicendo,  se 1  fosse  lai 


COMENTO    SULLA    DIVINA    COMMEDIA. 


Jante.  ciondolante  ;  imperocché  è  la  parola  tedesca  «  e  h  w  ank,  ==  !)9. 
Ir  chanser,  it.  cangiare,  aflme  a  ivegen;  wanken.,  visla 
winken,  schwivgen,  s  e  h  w  en  k  en  ,  schivanken, 
lat.  vi  geo,  gr.  ayiiv.  Laonde  s'  intende,  come,  se- 
condo Pofrn-ial'i  si  dica  di  un  membro,  o  ramo  rotto  e  ciondo- 
lanlPl,  non"i«tnccato  affatto.  ^=  'iX  Eriton,  maga  al  tem- 
po della  battaglia  tra  Cesare  e  Pompeo  in  Fars^aglia,  la  quale, 
Iter  dare  rifpiifta  al  iifriio  di  Pompeo  curioso  di  saper  1  esito 
della  guerra,  congiuro  un  corpo  morto  (Lucan.  Pars.  Si,  50* 
ss)  e  so'iravvissula  a  Virgilio  vi  adopri)  essolui  creduto 
mago  neir  età  di  mezzo.  =  29  II  del  —  gira,  ì\  pri-i 
nio  mobile,  secondo  il  sistema  tolemaico.  =  37.  Furov, 
)ez  bartol.  piusplastica  fd  espressiva.  =  40.  Idre  —  «er-j 
,  e  ni  et  I  i  —  ceraste,  spezie  di  serpi,  v.  Okcn  ,  Zoolog. 
1  i35  2b3  2b2.  =  43.  il/ e  .s  r  7i  i  7i  f  ,  damigelle,  serve,  an- 
celle. '\oce  trasposta  dalla  ted.  Mensch,  dall'  antico  min^ 

piccolo,    onde    meno,   771  jn  o  r  e,  Occorre  27,    115.    45. 

Trine,  lez.  vatic.  e  bartol.  forse  ancora  da  cavarsi  da  quella 
di  man  di  Boccaccio  feroci  Etrine,  le  tre  furie  sorelle 
nate  ad  un  parto  dalia  \olte  e  dall'  Èrebo.  =  48.  A  t ali- 
to intanto.  4,  9!).  Perticari  Prop.  2,  2.  150.  :=  51. 
SoK  petto,  timore.  =  à2.  Smalto,  pietra  artefatta. 
Ted.  .S  clim  elz.  fr.  e  m  a  i  l.  =  54.  M  a  l  ,  per  nostro  ma- 
le. Vengiamnio,  vendicammo;  forma  francese '.  Teseo, 
scatenato  da  Ercole,  perchè  non  i-branalo  da  Cerbero,  come 
il  dì  lui  socio  Piritoo  nel  ratto  attentato  di  Proserpina.  ==r 
57  />t  (Bartol.),  come  22,  143.  =:  58.  St  ess  i ,  stesso.  Li- 
cenza!    ::=    59.  S.',  cos'i,  talmente.    ^=    Ul  ss.  Par  addita >'■ 

d 


Tenete  altro   modo,  non   vedete.     100.    Luce 

-    108.  IJ  e  t  — porta,  alla  line  del  tempo,  nel  giù 

dizio  tinaie.      r=      109.  Colpa,    indugio  alla  risposta.   70  8 

: —     110.  Caduto,    Ca\alcanti.    :^rz    110.  .^r  «  e  e  i  o  ,  tosto, 

in  fretta.  3,   30.  onde  av  ac  ci  are  Pg.  4,  30.  atFrettare.    : — : 

119.  Secondo  Federico,  imperatore,  lìglio  di  Arrigo  V 
e  nipote  di  Federicfi  Barbarossa ,  fa  perseculor  della  chiesa 
forte,    savio,    sodouiita ,    epicureo.     T'iUani   Cr.  U.    1.      ^= 

120.  Il  cardinale,  Ottaviano  degli  Ibaldini ,  fautore  de 
Ghibellini,  pe'  qnali  disse  avere  perduta  1'  anima,  se  ^e  ni 
fo.'ìse.  =r  123.  Harlar  —  npm  te  0  ,  profezia  sinistra.  = 
129.  Lezione  del  bart  e  di  Poggiali,  meno  arida  della  volgare 
=  131.  Snella,  Beatrice.  132.  Da  lei  cagione  pri- 
ma di  quanto  T).  vide  e  seppe  nel  cielo.  Cos'i  bene  si  quadra 
con  r  aver  saputo  poscia  da  suo  trisavolo,  Cacciaguida.  Pg 
17,  40.  =  1:J5.  Fi  e  de  va  a  terminare,  fa  capo,  v.  Munì 
Prop.  2,  1.  114, 


Canto     XI. 


Affine  a    ote//?(j 
8.    F ap  a.     In 


3.  Stipa,  ammassamento,  adunanza. 

arcu[iw  ,  s  t  opf  e  n  ,  stampfev.  nr 
disposto  D.  ^erso  la  corte  romana  confonde  ,  secondo  la  cr( 
nica  di  Fra  Martino  da  Polonia,  Anastasio  1  imperadore  col. 
uno  de'  papi  Anastasj.  Imperocché  quello,  e  non  questo,  im 
sedotto  da  Fot  ino,  \escovo  sirmiano,  discepolo  d'   Accaci(fcf 


ccmteslo  molto  più  energica,  benché  meno  appetitosa  dell'  al-  Costretti,  rinserrati  spiriti,  ammassati.  Monti  Prop.  1,  ! 
tra  porta  i  fiori.  =  73.  Sciolse,  levando  le  mani.  19:{.  ;=  •/•*.  Acquista,  ottiene,  si  procaccia.  Mont 
il  nerbo  del  viso  V  acume  della  vista.    Monti  Prop.  3,  1.,  Prop.  1,  2.  15.    =    20.  Sutto,  sotto,  da  suòtus.    =    21 

1()3  =:- 78.  yi6  6  J  e  o  ,  ammucchia,  ammonticcUa.  93.  ^J/ /et  t  a.  j  Lez.  bart.  Suppl.  pieno.     31.    Fuone,   ne  poi).     o'. 

V.  2,  122.     97.    Fata,    disposizioni   celesti.    =^    98.  .\1- :  Lez.  bart.  più  armoniosa!     30.   Toilette,   lezione   di 


pericolosissimo,    memorabile   per   una    battaglia   atroce.     . — ,  mvìTia  co 
114    I  suoi  termini,  Istria.    =     115.   faro,   curvo,    ed  "•'    " 

aspro.     =     l'iO.    Fer  

venie.    =    Vii.  Sp  al  di,   ballatoi ,  maricciuoli  in  cima  alle 
mura.    Afliae  a  spalliere,  al  lat.  palus,  ted.  Ffa h l. 


giuoco.     Da   bisca. 


,.,„      „  ,  ..  ,.  .  .     „„      ^,.  :  pubblico.    Forse  affine  a  pasclien,  giuocare  a  dad 

120.    Ferro    e   accusativo.     Pt»   acceso,   ro-;!,  .._,,_!  n.^ir.- !_=__      e?.. 


Canto    X. 

4.  J'irtìi,  virtuosissimo.  ^^  11.  Josaffà  (Bari,  e  S 
Cr.)  dove,  secondo  Gioele  3,  2.,  si  farà  il  giudizio  estremo. 
~—  '21.  Mo,  dal  lat.  modo,  onde  ora  è  chiosa.  23.^  One- 
sto, onestamente.  =  24.  Il  istare,  (Bari,  e  S.  O.)  fer- 
marti. 74.  -— :  20.  Patria,  Fiorenza.  ==  2T.  AUa  ecc. 
unendomi  ai  Ghibellini  di  Siena.  /  Ulani,  cron.  (1,  75.  z^ 
30.  Dispitto,  dispetto.  Forma  francese!  Fu  Epicureo.  =r= 
30.  Conte,  chiare.  Ted.  hund,  affine  a  yroiu.  i=rr 
ii.  Li  e  l  e  l  i  t  0  de  i  miglior  rodici  son  forme  antiche,  pui 
tardi  ammollile  e  mitigate  insino  a  glielo  ecc.  r=  47. 
Avversi,  perclit;  i  maggiori  di  I).  furono  Guelfi;  esso,  cac- 
cialo da  Firenze,  divenne  Gliibellino.  : 52.  Scoper- 
chiata, scoperta.  = —  53.  Ina  <i  mitra.  Cavalcante  Ca- 
valcanti,   padre    di    Guido    (Cavalcanti,  poeta  lirico,    amico  di 


luogo,  dove  si   tiene   giiioc 
fai 

contrabbando.    : 49.' il/ in  or  ,  terzo.     Suggella   de 

segno  suo,  dichiara  per  suoi.  50.  Sodoma.  Gen.  18.  1' 
Caorsa,  capital  del  Querri  nella  Guienna,  in  que'  tempi  ni 

do  d'  usurai.    51.  Allude  al  Salm.  1.    ^=:    54.  Imlf^rsi 

accoglie  in  sé.     50.  Di  retro,   ultimo.     Incida  (le 

bart.  e  fior,  più  conveniente  e  propria  a  v in  col,  che  11  ce 
da)  Petrarc.  Tr.  d'  Am.  4,  2.  =  58.  Affattura,  fa  mi 
lie,  affascina,  strega.    Sembra  affine  al  lat. /asc  in  art,  g 

^luay.Lii-ìtiv ,  da  liaì^eiv.     59.   Simonia,  mercatanzi 

di  cose  sarre,  corultibilità.  rrr:  (iO.Huffian,  mezzani 
libidine.  Baratti,  barattieri ,  coloro,  che  mercatantano 
cose  di  coscienza  e  d'  uffìzio.  Alfine  al  lat.  de'  secoli  di  me 
zo  b  are  an  iar  e  ,  barganniare,  b  a  r  g  a  71  n  i  z  a  r 
originariamente  da  flaoio  ,  ted.  fahren,  baren,  poi 
tare,  come  mercanzie.  =  01.  L'  altro,  la  frode  in  coli 
che  si  fida.  =  02.  Ch'  è  poi  agg.,  vincol  di  parenteli 
o  d'  amicizia.  =:=  04  s.  Dite,  8,  07  s.  1'  ampio  spazio  i 
inferno  compreso  dentro  alla  palude  stìgia,  e  alle  mura  che  ] 
circondano  ,    che  degradando  si  appunta  al  centro  della  tern  [«■■ 

,„,,      ,„,,„.  ,,...., „.  „.    eh'  é  centro    del  moto.    r=    09.    C/j  e  710  s«  e  r/ e  (lez.  bart.  1. 

D  ucmi.d'di  Corso  Donati,  genero  d'i  l'arinata  v.' Ugo  Fos-\  posseduto  dal  baratro,  serrato,  di  modo  che  e  li  e  sia  accusili 
ro'/i;  Dante  1,  281  ss.  Questo  (lez.  bart.)  Farinata  =livo.  7  /  sarebbe  almeno  da  intendersi  lu  caso  retto  per  «> 
55  Talento,  voglia,  curiosità.  2,  HI.  r=:  57-  Suspicar,\  o  egli,  ei,  cioè  il  baratro.  ^^  71.  Cile  —vento,  i  lui  «< 
onerare  l'ertiiari  Prop.  2,  2.  191.  03.  Cui  ecc.  perchè  suriosi  nel  secondocerchio.  5,  1.  C  A  e  — ;>io  ^^7  a  1  golosi  a» 
duido  tutto  sì  diede  alla  filosofia.  ^-  04.  J/o  rfo  rf  e/ /aj  terzo,  li,  3.  r=  72.  C /i  e- /  Ì7i  ^  u  e  ,  .1  prodighi  e  avari  dj 
na,  tra  gli  Epicurei.  =-  05.  Letto,  fatto  capire.  I  quarto.  7,  3.  =:^73.  i<  o^ff  7«  ,. rossa,  inluocata,  rise  10,  22.1 
=  Olì.  /'IT- 7/ a,  schietta,  detcrminata.  r=  09.  /yO77te,|08.  =  75.  So  77  0  trattati ,  si  stanno,  rr^  80  Atieai 
73.    Ouello   altro.   J'drinata.    Posta,   reuui-l  Aristotele  7,  1.    =    84.    J  e  e  a  t  C  a  ,  acquista.     Dall  ant.  li 


» 


mentre      p*.i     «iiii.    u».      v.iit;iii     ir.    «kiumi      I'I|iiiiic:;<i    1,-11    uniiKii'^f.       . I     ■     tot.    ..     u....^".-  .        ^  I    „»». 

yi    Se  —  mai,  come  v.  !  4.,  13,   85.  (•  dlsi.ler,ui\  o  o  depreca-    ^^     103.    Quella  natura.    =r-     100.  A>u  e.    natura  ed  arti 
tivo.     Itegge,  reggi,  o  regga,  ti  governi,  sussista,  ti  man-    Cose  del  rod.  bart^  parlroppo^c.    =     MU.    L,  a  sua 
tenga  Hodo.    rr-r    80.   .trina,   fiume    \iciiio    a  Munte  Aperto, 
<ive    Fariiiiila   disfece    ì    <;u«'lfi     fiorentini.      /  illuni   cron.    0, 
75.    :=;    b7.  Grazi  on  empia,  invettive.     Tempio,  curia  j 


"uace  l'arie;  rìse.  103  si  =  111.  Altro,  frutto  di 
denaro.  ' z=  113.  /  p  esci  —  oriz.,  apunta  1'  aurora,  pei 
clic  essendo  il  bolc  ucll'  ariete  (I,  38),  i  pesci  si   levano  111 


COMENTO   SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 


anzi  del   sole.    114.    Carro,  l'orsa  ma^^gìore.     Coro\ 

eiito  tra  nccidente  e  settentrione,  lat.  caurus,  gr.  ayiovìv,  ! 
r^j'tffzjjjj  ponente  maestro.    - — ■    Ilo.  1>  i  s  m  o  n  t  a  ,  accade. 


C    A   IV    T    0       XIII. 


XII. 


j        1.  />i  ?c!  dalla  fossa  sanguigna.  r=r:    ti.  Schietti    dritti 
jB    senza   nodo.     Ted.    schlicht.    =^    !l.    Cecina,  \ìume 
iche  sbocca   in  mare  mezza  giornata   lootano  da  Livorno  versò 
Uoma.     Cor  ne  lo,   piccola  città  della  provincia  del  Patrimo- 
Inio.     =    10.  ri  rp  le,  figlie  di  Taumante  e  dElettra,  uccelli 
i.  bcniva  e  schifa,   con  viso  e  collo  donneschi,  nominate  Aello,  Ocipete  e  Celleno. 
=     i.Iluina,   incerto    12.  S  t  ro  fa  rf  e,  isole  del  mare  ionio.     Tristo   annun-iò 
,      ^         ^         .                                         3    tra  TrevigI   e  Trento    En.  3,   254.  ss.   rise.    7,    109.     =    \9.  Sabbione   del  gi'roii 
che  1).  conobbe  vnendo  nel  i:iO:?   in  \  crona  prefso  Bartolora-    terzo.    21.  Torrien  (  lez,  de  'migliori  codici)   incredibili    se 
leo    della    Scala.        Troija    %eltro    allegor.    1.   (j2);     o    di    un    io  le  dicessi,  (rise.  50)  in  vece  della  comune  daron     ''?2 


2.  Quel,  Minotauro.  11  ss.  : 
'oce  tedesca  *■  e  A  e  u  ,  ingl.  «  h  y. 
e  di    una  gran  parte  di  Monte  Barco 


éacca.  V.  a  7.  Iti.  12.  La  infamia  di  Creti,  il  .Mino-  dilaceri,  rompi.  r=r  40.  Z>i  un  stizzo  i».,  sottintendi  avviene 
juro  mezzo  uomo  e  mezzo  bue,  concepito  da  Pa^ifae,  mo-  Stizzo,  tizzo,  tizzone,  lat.  titio,  taeda,  Jù,%  àaóo^  dà 
Ile  01  iVlinos,  re  di  Creta,  per  mezzo  d    un  toro,  che  ammise     t  t  .     ,  ,  '       ..'s     "-""^t  "» 

inserrata  in  una  vacca  fabbricata  da  Dedalo.  =  u.  s  £  e  s- ;  ^""'. '""""'"*  '?'"™^  K"""''*'^  '^"w,  ;fa((y,  ardeo.  =  43. 
0  (così)  Minotauro.  15.  ri//i  a  eco  (cod.  Bart.,  più  numero-  Lezione  di  buoni  codici  !  Sc/i  e,?  g- io  ro  £  i  a  ,  tronco  scheg- 
amente)  lacera ,  consuma.  Affine  al  ted.  brechen,  (jaco.  ^'*'"'  fhiantalo.  L^s  ri  e  n  ,  forma  frequentissima,  couvìen  a 
g    „  f   '  „„   „,,-'  -  .        .„  e    -1        .     •     •  •  ^    •      parole  e  sangue, che  non  e  ne  sii  essi,  né  e  iss  .    44.  Ci- 

f .  e  /  sono  alJini  ;    r  si  muta  iacihnenle  lu  ?,   o   j,   come  in   '  .  •     ,i  ,.  ..      ^        cm.  si.    i^.  wi 

alzo  laro,  no  taro.  =  L'i.  1 1  —  Jtene  ,  Teseo.  "*<*'  ramicello ,  germoglio,  rampollo.  Da  y.vua ,  afiine  al 
=:  20.  Tua  sorella.  Arianna,  figlia  di  Pasifae  e  di  Mi-  'e''-  Keim,  fr.  scion.  =  4(i.  Et  li.  Dante.  48.  li  ima, 
OS.  =  26.  Varco,  apertura,  è  affine  al  gr.  iny.o?,  ted.  'I?""'  parola.  ==  'fi  Inveschi,  lasci  vincere  dal  piacere 
Ver  e  A,  ingl.  ,,  a  r  A-,  luogo  cinto  dì  siepe.  =  28.  S  ce  r- I '^'  7e"'"^?  ^  ^f}  f 'o",'""^^"^!'  1^'  q"e>la  cortese  promessa. 
0,  royesciainento.  ~  :«.  Spensi,  resi  vana.  r=  3H.  |  ^-  ^"""''  "'°P-  "'  V  '''"*•  "^^  '^t.  viscus,  t,-r,,-,  mgus, 
'olui.  Gesù.  La  gran  preda,  le  grandi  anime  del  lim-  '  y.tano:  ,  vischio,  pania;  come  poco  innanzi  adeschi,  alletti 
0.  4,  55  ss.      r=      W.Feda,   brutta.     Voce   latina!    i  o  —  |  coll'esca.    =    58.    Yo  «ora  ecc.    Pier  delle  Vigne,  Capuano, 

"""■"'"  "'  amore,  cancelliere  di  Federico  II,  imperatore,  caro  a  lui  un  tei!i|io  so- 
vra ogni  altro,  ma  fatto  jioscia  accecare ,  perchè  accu.-aio  d' 
infedeltà  e  di  tradimento  da  nemici.  Si  uccise  da  sé.  f  Ula- 
ni tì  ,  l'i.  Ambo  le  chiavi  —  serr.e  di  ss.  Traslazione 
di  frase  biblica!  =^r  bl.  Segreto  suo,  confidenza  di  Fe- 
derico. b2.  l'or  t  ai,  serbai.  tì:{.  Li  sensi  e  i  polsi,  le- 
zione bartol.  e  mantov. ,   come   con    piccola   mutazione  un  tri- 


zio r,    si  destasse  nel)'  universo  un  suo  principio, 
pposto    all'  altro,   la  discordia  cioè,    dei  quali  la  contesa  ca- 
ionii  il  caos.    £  chi,  Empedocle,   rr^    45.  Altrove,  v.  21, 

)H   ss.    Riverso,    rovesciamento.     ; 46.    A  valle,    al 

asso  20,   35.     Così   in  Ted.  antico   zutìial.     ylpproccia, 

ppressa.  Fr.  a/ip  r  0  e  A  p  r ,  lat.   approximare.    : 4!). 

'dira  e  folle  lezione  ottima  del  cod.  Irivulziano.   51. 

inmolle,  bagni.  =r=  55.  Essa,  fossa.  In  traccia 
orrean,   perseguitavan   1'  uno  1'  altro.    .57.     Solean,   si 

iole.    =    (i3.  Se  non   lo    dite.     : 65.    Chiron,   capo 

centauri.     Costà,  ov'  essi  sono.     Opp    a  costinci,    da 
nve  Siam  noi.    66.   Tosta,  2,  42.    =    63.  Fé'  vendetta 

r  mezzo  della  camicia  tinta  di  veleno  dell'  idra  leriiea,  e 
Ita  a  Dejaiiira  colla  falsa  intimazione,  che  con  essa  sarebbe 
lento  1'  amore  d'  Ercole  per  Iole.  70.  Al  —  mira,  peu- 

riiso.    72.  Eolo,  uno  de'  centauri,  che  si  trovarono  al  rat- 

d'  Ippndaniia,   sposa  di  Piritoo.    74.    finale,  cliiun- 

e.     Si  svelle,   esce.    75.    Sangue,    riviera   del   sangue  !  nìtà'. 
7).     Sortille,  le  diede  in  sorte,     r:^-     77.  Cocca,   lacca 

Ila  saetta,  nella  qual  entra  la  corda  dell'  arco,  strale.  78. 
'ece  —  mascella,   per   parlar  più  liberamente.    =    81. 

net  di  rictro,  Dante.     : 83.  Era  colla  testa.  84.  Le 

uè  vaiare    d'  uomo  e  dì  cavallo.     Consorti,   contìgue, 
88.  Tal,  Heatricc.     Da  —  alle  luja,  da" 


senni   equivalente  (  .5  j" /;  7j  ) ,   donde  agevolmente  si 
'origine  della  lezione  comune   sonno,     le  ne,  ch'è 


vulz.   ha 
spiega   l' 

in  altri,  non  con\iene  a  perdei.  b4.  ss.  La  mere- 
trice,  rinvidia.      Ospizio   di  Cesare,   corte   imperiale. 

Putti,  puttaneschi,  seducevoli.     ; 1)8.  L'  Augusto  del 

cod.  bart.  sembra  miglior,  lezione,  pcrcliè  dinota  più  special- 
mente Federico,    rr:^    70.  Disdegnoso  gusto,  furore,  ia- 

degnazione.     71.   Disdegno,   disprezzo.     : 73.    iVoi'e, 

stiane.  "ih.  Che  —  degno,  benché  fra  gli  erelici  (10.  119). 
D.  per  esser  giusto  e  se\ero  giudice  non  si  spoglia  mai  duma- 

77.  Conforti,  corrobori    ed  erga.     85.    Se. 

v.  a  iO,  82.  —  89.  .\ occhi,  alberi  nocchiosi,  ^mz  96. 
Foce,  cerchio  infernale,  fauci.  =:r-i  97.  Jj  a  selva  del  gi- 
rmi secondo,  mr  102.  i''/ n  e*  t  ;•  a,  uscio.  :=-  103.  Eer  — 
spoglie,  coi — corpi.  ==  111.  Porco,  cingliìale.  Cao- 
cja,icani.    Posta,   sito   de'  cacciatori.    114.    Stormire, 


ingiunte,    rrrrw.  Tal,  iteatricc.    JJ  a  —  a  1 1  e  luja,  Uai  i  r^,.  romorc.   Voce  tedesea  stiirmen,  affine  a  {>vov,io:.  tuo 

tradiso.    90.    Futa,   lurace,    rapace;  onera,  ria.  l'urg.  33,     .  ,  ,,,     n       ,         r  .,■■  '.      "*, 

.  Pr.  9,  71.  Il  senso  resta,    comunque  sia  derivata  la  parola!  j/^'ii   '"^C'.^'ó   roovu}.  =     117.  Jtosta,    frasca.     I-orse   il   ted. 
ladron   perii   aggiunto    (affine   al   lat.  lateo  ,   gr.   ).u:)nu,\Ru-t  h  e ,_  da  òujiòui.    Questa  origine  non  ripugnerebbe  alla 

iscoiKJere,   nascostainenle)   par  che  giustilirhi  la  derivazione     '""'" — ' '"         '"       "   '"""'""     "'"'  ""■    — .-i-.-;- ~---- 

ifur,  furare,  sicché  sia  afiiue  a  y // r  A  o,  birbo  fro- 
e,  ed  IMI  crime  dinoti  lutti.  \i  si  arrogc  ,  che  vuol  àddìta- 
:,    non  esse  rainbiduc  entrati  iiirlìvamente,  o  nascostamente. 

al  senso  con\  iene  ancor  a' luoghi  citati.     93.   A   pro- 

I,    appresso.     Dal  frane,   ò  preuve,  lat.  prope.    94. 

nuda,   passa   il    guado.     Ted.    waden,   gr.  fiaej ,  jiaócì, 
t.  vado.    ==■    97.    Poppa,   lato,  come   mammella   17,   31. 
.  C'ansar,   allontanare ,  evitare,  scampare.    Pare  afiine  al 
(1.    schanzeu.      rrr      102.    .Ieri   del    cod.  bart.    è  più  cs- 
essivi»,    che   alle,     r—     lOli.    Spie  tali,    crudeli.     1(17. 
lessa  ndro;  incerili,  se   \l.  .Macedone,  fereo,  tiranno  dei- 
Tessaglia.     Di  il  n  i  s  io  ài  Siracusa..     r=:     110.  .Izzoli- 
') ,  Ezzelino  di  llomaiio,    vicario  imperiale    nella  Marca  tri- 
^ìniia,    tiranno  de'  Pailovanì,   iialo    nel    1191.    III.   Ubizzo 
■i  Usti,  marclK^Hi;  di  Ferrara   e  della  Marca  ancona,   sulFo- 
lo  da  un  suo   ligliiiolo,    detto  c|ui ///j //(/«£  ro.    ; — ■     115. 
i  affisse,  fcrmossi.     r- —     119.   Colui,  (iiiiiln  di  .M<iiilor~ 
Iti'  1270,  nella  ciltii  di   \ilerbo,    in    chiesa   (//<  g  r  <  ni  b  i, 
din    e  ìli  tempo  di  messa  con  una  stoccala  proilil'iriiiineiKc, 
\eiidicare  Idbbrobriosa  morte  di  suo  padre  .'<ìmoii<-  d.ilagli 
Adoardo  ,   fesse    lagliii,  ferì  lo  cor   di    \rri;io,  lìgliiirlo 
Hiccnrdo,     imperalor    tedesco    (  Mi  ii.cls    trniscJK;    <;i.>cli.  ; 
quali-    in    una   coppa,   collocala   nii   di  una  co 
I     ponte    del    Tamigi     (  Ciuv.    I  Ulani    er.    7 
cu  I II  ,  cole,  \eiiera  n; 
122.    Cassi),   torace, 
migliori  lesti  ,    in  vece 
ttilii.  re  degli  I  uni.     135.  l'ir  ni,  re  degli  l-:piroli,  n  Al 
neiniro    ile     Itomaiii.      Sesto   i'ompcii ,    corsale.    \. 
pil.  125      1—     137.  ìliniei    da  t'o  r  n  e  /  o  ,  ladrone 
Ila  spiaggia  mariiima  di  Uoma.    U.  Pa:^zo,  aesassino. 


:!ii3 
ma     sopra 
)  «  ;;  r  o  r 
l  e  r  e.     :- 
pn     '   ■ 


ligiosaineiite.     \  ocu  lai. 

—     Corca,  lez.  più 

dì  co  p  r  i  a.     r—     131. 


sìgnìlìcazione  di  grata,   o   fascina,   che  poi   inetnroricamente 

varrebbe  impaccio.     120.  La  no,   Saiiese  ,  il  i|iiale   roxi- 

iialo  audì»  con  l'esercilo  di  Siena  ad  Arezzo  in  aiiim  de'  Fio- 
rentini. In  agguato  degli  Aretini  alla  Pie\e  del  Toppo  nel 
1288  ne  ruppe  quanlitìi  (Oiov.  lillani  1 ,  119  i,  e  l.ann  di- 
sperato si  gilti»  tra' nemici,  per  farsi  uccidere.  =—-  121.  Gio- 
s  t  r  e,  scontri ,  conte^e.  Ted.  Ti  o  s  t ,  (r.  j  o  lì  t  e  ,  da  l  osen, 
stossen,  ferire  con  impeto.  123.  Fece  groppo,  si  rin- 
cantucciii,  s'appialii  (127)  per  nascondersi.  :r—  133.  Jaco- 
po dalla  cappella  dì  *'.  .Inilrca,  genliluoino  paiUn.uio,  in- 
nanainenle  prodigo  e  suicida,  r —  136.  Senno,  sermone, 
parole,  r—  142.  Cesto,  cespuglio.  143.  Cittii.  l'irenze. 
Cangio,  poiché,  incendiata  da  'l'otila,  fu  riedilicala  dèi  Car- 
lo M.igno.  (  /  Ulani  cr.  1,  42.  60.  2,  I.)  //  p  r.  padrone. 
Marie.  L'iniinairiiie  di  S.  (Jiin.  liallista  e.-seiido  scolpita  nel- 
le iiioncic  lioreiìlìnc,  \oglioiio  alcuni,  che  riinpro\eiì  a' Fio- 
renliiiì  d"a\er  trascuralo  il  \alore  per  avarizia,  v.  16,  67— b9. 
73—75.6,71.  rT^  115.  /  e  ti  guerriera.  lUi.  In  sul  pas- 
so ili  .1  r  n  o,  su  un  piliere  in  su  la  riva  del  detto  liiime.  dov' 
é  oggi  il  capo  di  Pillile  \  errhio.  lillani  3,  1.  /  ista 
sembianza.  =-  149.  IH  III  ila.  Alcuni  Icsiì  hanno  km^ 
e  ine  r  che  di  Tot  il  a  r.  coiiforinenu-nte  n  lillani  '2.  1. 
Sembra  dunque  che  D.  segua  uno  sbaglio  comune  a  suo  l<-in- 
po.     ^-rr     151.  (iibellì.    le/,  bart.,  e  forma  pio  simili^  ,il.  Ir. 

filici,  forra.  Secondo  Jacopo  della  Luna  i|uesli  fu 
lOllo  degli  Agli,  che  de  domo  sua  inslilnit  i|uinqiiu 
furcasi  serondo  ullri  Kocro  de' .Mozzi ,  clic  s' impicci),  dopo 
avere  dissipale  le  sue  ricchezze. 

C  A  ;«  T  o     XIV. 

3.  Fioro,    linceo,  stanco,     rrr     H.    Landa,  pinniirn. 
\  uco  goruiaua!   =    11.  t'oiao  tritio  del  e.  12.  —    12.  .4 


COMENTO    SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 


randa,  rasente;  propriamente  all'orlo,  dal  ted.  Rana,  af- 
fine a  Grùnze,  Rain,  da  òtoj.  =  13.  S;)a:.-o, 
8U(iIo,  spianata.  —  óamùor.  15.  Che  ecc.,  lez.  bart.  più  ar- 
moniosa! Addita  la  Libia,  per  la  t|uaìe  Catone  coudu?!.e  gli 
avanzi  dell'  esercito  del  morto  Pompeo,  per  unirsi  a  Giulia, 
re  di  Aumidia.  iuron.  9  ,  371.  =  22.  Su;)  in  ecc. ,  i  vio- 
lenti contro  dio.  2:ì.  Raccolta,  i  violenti  contro  I  arte. 
Andava  cont.,  i  violenti  contra  natura.  =  30.  San  za 
vento,  non  isminuite  dal  vento.  =  31.  Alessandro  lece 
spegnere  calpestando  [se  al  p  il  a  ìi  d  o  ,  sopprimendo  15  )  le 
fiamme  salde  cadute  (i  /  vapore)  ad  una  aduna.  Torelli 
prende  solo  senza  esempio  per   sol  lo,  molle,  tenero,  rile- 

rendolo  a  suolo,  troppo  discosto.     40.    Tresca,   ballo 

di  veloce  movimento  intrecciato;  qui  mena  continua  agi- 
tazione. :=  4t).  Torto,  bieco ,  torvo,  ifi.  Mar  turi  lez. 
bart.  più  elegante  e  rara;  forma  non  ripugnante  alla  ragion 
grammatica,  secondo  la  quale  i  ed  o  si  cambiano  con  u.  rise. 
V.  ti5.  52.  Fabbro,  Vulcano.  : 55.  A  muta,  a  bri- 
gata, alla  rotta.  Voce  tedesca  Me  ut  e,  aflìne  a  motus, 
movere,  aii.  Man  gib  e  II  o  ,  Etna.  =  58.  Pugna  di 
FI  egra,  valle  di  Tessaglia,  coi  giganti.  =r  (jG.  Farebbe 
lez.  bart.  più  energica  e^poetica  I  : —  67.  Miglior  lab- 
bia, di  minor  forza,  in  suono  più  mite.  UH.  Sette,  Adra- 
sto, Polinice,  Tideo,  Ipporaedonie,  Antìarao  ,  Partenopeo,  Ca- 

paneo.     (i9.    Assiser,    assediarono.     : 71.   Dispetti, 

disdegni,  furia  dispettosa.  Fregi,  pene.  =:  79.  Buli- 
came, stagno  presso  Viterbo.  Farton  per  bagnarsi  ne' 
bordelli.  =  82.  Pendici,  sponde  pendenti.  84.  Liei, 
fi.    =    87.  Sogliare  —  negato  (lez.  bnrt.)  soglia  dilesa. 

: 90.    Ammorta,   smorza.    =^    91.    Pasto,   cibo,    per 

soddisfare  l'appetito ,  la  curiosità  mia.  ;:=r  94  ss.  Allegoria 
del  Tempo  e  dello  s\  iluppamento,  o  della  deteriorazione  della 
mente  umana  I  Concetto  poetico  profondissimo,  alla  cui  forma- 
zione concorsero  idee  mitologiche,  bibliche,  storiche  ecc.  Ris- 
contrisi Tir  gii.  En.  3.  104.  8,  324.  Ovid.  Trasf.  \.  Van. 
2,  32.  Guasto,  deserto,  disfatto,  rovinato,  avendo  già  avu- 
te cento  città.  Creta  (per  quanto  lo  mostra  il  passo  di  J  ir- 
filio,  e  Diodor.  Sic.  ò ,  b4  ss.)  fu  memorabile  passaggio 
I  coltura  religiosa  intermedio  tra  Egitto  e  Fenicia  dall'  una, 
e  Grecia  dall'  altra  parte.  L'idea  mitologica  della  permuta- 
zione de'  poli,  e  dì  un  dualismo  ,  il  quale  (ieri»  non  ismeutisce 
]a  sua  unità,  fa  che  l'origine  del  mondo  e  dell'  uomo  è  posta 
ancora  nel  polo  settentrionale,  bianco,  freddo,  come  per  ad- 
ditare cos'i  il  principio  scuro  e  manco  di  sapevolezza  ;  alla 
qual  pur  essi  tendono.  Laonde  qui  Creta,  secondo  l'etimolo- 
gia l'isola  bianca,  perciit  detta  ancor  Caiidia  da  cande- 
re,  è  il  punto  originario  dell'  umanità,  o  del  mondo  già  ca- 
sto e  innocente,  vivente  nel  secol  d'oro,  o  della  luce,  dello 
spirito,  e  opposto  a  quel  d'argento,  delle  tenebre,  della  na- 
tura terrestre.  9li.  Re  gè.  Saturno,  detto  ancor  Crouos,  cioè 
tempo.  Cic.  IV.  D.  2,  25.  =  97  ss.  Ida,  si  la  montagna 
cretese,  che  qui  è  intesa,  come  quella  di  Troade ,  famose  nella 
mitologia  pe'  dattili  idei,  le  mele  dell'  Esperidi  ecc.  destano 
l'idea  di  un  soggiorno  beato,  d'isole  di  beati,  di  paradiso,  e 
percii)  d'un  Beggio  originario,  f  ieta,  vecchia,  fracida. 
=  100.  Rea,  Cibele,  Terra  (in  forma  d'acqua,  da  (ntu), 
consorte  di  Saturno,  che  divorava  i  suoi  figliuoli.  Figliuo- 
lo, Giove.  101.  Facea  far  le  grida  con  cembali  e  fra- 
gorosi strumenti  di  festa.  Allude  al  culto  de'  Corìbaoti ,  o  Cu- 
leti ,  che  poeticamente  interpreta.  =^  103.  /  >^  /  «o,  statua 
d'un  vecchio.  104.  Damiata,  città  d'Egitto.  Uinota  l'orien- 
te, come  Roma  l'occidente.  =:  106.  Simboleggia  le  quat- 
tro etàj  che  hanno  i  lor  nomi  da'  metalli  (  liquativi  nel  fuoco, 
principio  delle  cose,  e  percii»  atti  a  dinotare  creazione  di  nuo- 
va età),  ìu  quanto  questi  nella  mitologia  s' identificano  con  gli 
elementi,  e  questi  co'  temi)i.  Succedonsi  dunque  qui  l'età, 
come  le  membra  del  corpo.  108.  Inforcata  (lez.  bart.)  quel- 
la parte  del  corpo,  dove  l'uomo  si  fende.  =—.  110.  Significa 
la  presente  età  depravatissima  e  caduca;  onde  la  terra  cot- 
ta. =—-  112  ss.  Arditamente  accoppiando  l'interpretazione  inì- 
ica  coir  etjca,  e  significando  la  deplorabile  depravazione  del- 
la generazione  umana,  finge,  che  da  ogni  parte,  fuorché 
?  nella  d'oro,  goccino  lagrime,  le  quali  formino  in  fiumi  in- 
ernali  Acheronte  cioè,  secondo  l'etimologia,  privo  di 
allegrezza;  .S  t/j?  r,  degno  d'odio  ,  e  tristo;  F  le  g  etonta, 
ardente  (onde  131  ha  /'arr/ua  rossa.  12.  47  s.s.  ) ,  e  Co  e  ito, 
pianto.  117.  Doccia,  canale,  condotto;  dal  Int.  ducere 
n  da  d'i/ilor.  Uve  —  di  smonta,  al  fondo  dell'  inferno. 
=rr  121.  R  i  g  agn  o,  rivo,  dal  lat.  rigare,  r^  121.  f'iva- 
Rno,  ripa,  orlo,  23,  49.;  propriamente  de'  lati  de'  panni.  Af- 
fine al  ledefco  w  e  b  e  u  ,  tessere.  V.  a  23,  10.  12H.  Vol- 
to, vista.    : —     132.   Piova,    pioggia    di  lagrime,    rr^    13(i. 

Fonta^  cavità  infernale.     Rimanda  al  Pg.    140.  Ji ose Ot 

de'  suicidi.    141.  Aon  arai,  perchè  di  pietra.  83  8. 


Canto     XV. 

ì.  A du g gi a ,   fa  nembo   umido,   svaporando   pesa. 


Da 


vm  ,    vZo),  vadiii ,  nudo,    ted.    kc  h  w  il  z  e  n,   S  e  h  w  ade  n. 
Dice,  che  il  l'uuiuiu  di  sopra  sospeso  smorzaNa  ogui  fiamuiellu 


(14,  90)  ed  impediva,  che  né  l'acqua  bollente,  né-  gli  argini  pi 
gliassero  fuoco,  o  s'infiammassero  di  iiamine  vive.  Onde  no 
garba  la  lez.  b.irt.  salva  l'acqua  li  argini;  perdi 
V  acqua  sarebbe  allora  il  fummo  aquoso,  e  jierciit  quat 
correzione  o  ainnienda  di  fu  m  m  o,  superflua  a  cau^a  d'  ad  ug 
già.    ==r    5.  jpj'of  J  0  ,  flutto,  marea.     Si  a  i' iw  7/ t  a,  si  lan 

eia    con    la    forza    di   vento,     fi.    Fu  g  già ,    fugga.     ! 

Chiarentana,    la   parte   delle   Alpi,    piena  di  nevi  ,   dov 
nasce   la   Brenta,    ingrossata   dalle   nevi  liquefatte.     ==      K 
«^u  e  Zii  argini.     12     Felli,   gli  fece.    r=     15.    Per   eh 
benché.  =z  19.  Sotto  nova  luna,  nello spujUar la  1.  =r:  '. 
Cruna,  foro  dell'ago,  onde  s'  infila;   perchè   scavata,   coni 

YQcirr;,  da  yjaw,   è  grotta,   [lictra  scavata.    20.    Cott( 

abbrostolilo.    29.    La   mia  alla  sua  f.,  lez.  bart.  pi 

convenevole  all'  atto  d'amor  e  di  riverenza,  come  i*g.  2,  75 

che  la  mano.  v.  Monti  presso  ^'iviani.    32.    iirunel 

to  Latini,  fiorentino,  maestro  di  Dante.  Scrisse  il  tesi 
ro  in  liugua  fr. ,  e  il  tesoretto  in  lingua  llorent. ,  mori  ni 
1294  uomo  mondano,  guelfo,  v.  Ugo  Fo^scolo  Dante  1,  277 
1  Ulani  (j,  74.  8,  10.  ferticari  nella  Prop  di  Monti.  1,  1.  1". 
Jf'achler  Gesch.  der  Lit.  II,  ll;8.  : —  'i3.  L  a  s  e  i  a  —  tracci 

non  segue  le  pedate  de'  compagni.    : 35.  As  s  e  g  già,  £ 

seda.      : 39.    11    s€nso    necessariamente   chiede    un   verb( 

che  significhi  muoversi,  dibattersi,  dimenarsi.  1  lesti  ondeg 
giano  tra  arrostarsi  [lo  quale  spiegano  sventolarsi,  d 
rosta  (14,  27),  donde  Monti  ha  un  esempio  neli'  Aggiunte 
Chi  sa,  se  non  appartenga  alla  famiglia  di  (-a^o,  (jijaaw, 
d^toj,  dal  suono  trasferito  al  molo"?]  Tostarsi,  restar 
si,  ristarsi  (che  sarebbero  contrarj  al  senso)  e  r  il  tara 
cioè  levarsi  in  piedi,  affine  a  ùoiyio,  ted.  recken,  r  e  g  e  r. 
richten,  aufrichten,  lat.  rectus.  La  (irima  lezioni 
benché  la  vicinanza  di  s'arresta  nel  verso  precedente  d 
sospetto  di  golferìa  di  copiatori,  e  benché  ella  sia  difficile 
spiegarsi,  sembra  perii  preferibile  alle  altre,  che  seinbran 
chiose.  r=r  51.  i'i  ena,  cioè  nella  culminazione,  nei  mezzo,  e 
è  quella  età,  in  cui  come  desto  dal  sonno  si  Icovh  smarriti 
==;  53.  (Quella  valle.  54.  Ca,  casa.  Voce  lombarda!  = 
5b.  Fallire,  mancare.  Monti  Prop.  2,  2.  208.  not.  1.  =^ 
bO.   Opera,  scopo  glorioso,  intenzione  gloriosa  di  procacciar 

f  unità    della   nazione   sua.     : ^   bl.    Q  u  e  1 1  o  ecc.   il   popol 

fiorentino.  =  b2.  i^i  eso  /  e,  città  antica  situata  in  monte,  circ 
tre  miglia  da  Firenze.  =  03.  Tiene  l'asprezza  e  la  durezz; 
=:r     b5.    Lazzi,    aspri,     lapposi ,    astringenti    (forse 

Xaaiog,  óaou;  ;).   Il  tutto  è  proverbio  biblico.    b7.    Urb 

ciechi.    I  Pisani  avendo,   in   premio   del   gnarnimento  di  Pi 
fatto  dai  Fiorentini  durante  la  conquista  dell'  isola  di  Maiorca  io 
(nel  1117)  olferto  a'  Fiorentini,    di   scegliere  o  due  colonne  t' '*} 
porfido   guaste  e  perciò   coperte   di  scarlatto,   o  due  porte  t 
bronzo  bellissime,  i  Fiorentini  si  capparono  le  due  colonne 

f'illani  2,  30.  68.  Forbì,  netti,  purghi.  ^=r  71.  La  u  n 

parte  e  l'altra,  la  nera  e  la  bianca.  : — •    73.  Le  —  fiei 
i  Fiorentini.    Strame,  erba  che  si  sterne  in  cibo    e  leti  « 
alle  bestie.    OTiiù/ita  ,  strame  n  tu  m.    r=    75.  Letam 
paglia  infracidatasi  sotto  alle  bestie.    Da  letto,   quel  su   i 
cui   si  posa   uno,  dal  ted.  legen,  come  il.  lat.  lectus,   fi  ^. 
lit,   /  iti  ère,  onde  pure  la  forma  /if  tam  e.  -. —  79.  Pit*. 
n  0,  soddisfatto.  =81.  Posto  in  bando,  esiliato,qui  morte',' 
Bando  è  i\  led.  Bann.    =    88.  Corso,  vita.     89.  y7/tr', 
testo,  la  predizione  di  Farinata  10,  79.  =  90.  Donna  cci  ,' 

Beatrice.    !ì2.  Garra,  garrisca,  sgridi,  rimproveri.  ^=  ,„, 

94.  Arra,  predizione  sicura   dell'  avvenire.      Non  è  novo 
per  quanto   disse   Ciacco    liif.   tì.    Farinata  10.    : —    99.  Be 
ascolta,   intende.     /<  a  sentenza  Eneid.  5,   710.  _Su/)era?irf 
omnis  fortuna  ferendo.    =r     lOti.  Cherci,   clerici,    sebbe 
in  que'  tempi  eiì  anteriori   più   barbari  slimati  fossero  deposi 
tarj  della  coltura,    sono  pur  qui  distinti   in  qualche    modo  da 
letterati,  e  jierciii  soltanto  mentovati  corno   lerci,    lord  " 
imbrattati  di  un  in  ed  esmo  p  ecc  ato  di  sodomia,   rr-r    10} 
Priscian  di   Cesarea  di  Cappadocia,  grammatico  del  secol 
sesto.     110.    Frane,   di   ,/ce  p  rs  o  fiorentino  giiiriscnnsulti 
professore  bolognese,   nato  nel  1225,   morto  nel  1293.    ìfachm 
lers  Gesch.  d.  Lit.  II,  281.     r=    112.  Colui,  vescoMi  Andre 
de'  Mozzi  fiorentino.      Servo   de'    servi,   papa,    o   Mcola 
III,  o  Uonilazio  Vili.  1=  113.  Trasmutato  Iraslerito  dal  ve  «i: 
scovado  di  Firenze  {Arno)  a  quello  di  \  iceiiza  (liacchiglione]  i. 

114.  Lascio  —  nervi  di  quella  parte  del  corpo,  ch'è  beli  le 

il  tacere,  e  di  cui  quell'  attico  Monsignore  fece  tanto  mal  ug 
(Munti  Prop.  3,  I.  164.),  cioè  mori,  rzrr:  122.  Corrono  - 
verde,  il  che  solcasi  fare  la  prima  domeuica  di  quaresima 

Canto    XVI. 

2.  Altro,  ottavo.    3.  Arnie  spiegano   a  ragione  rasct 
te  da  pecchie,  o  vasi,  nei  quali  fanno  il  mele  le  ani,  delti  nn  t 
che  alvei  .  dal  lat.  hirnea  presso  Flauto  Ampli.  1,  1.  27J  l< 
e  Catone  Rll.  81.     e  ir.ale  \i\ìani  difende  la  lez.  bart.  arni  H 
falsamente    prcnilendolo    per    arme,    ni    quale    non   qiiadr 
rombo.     Sana   dunque   senza   altro    è   la    parola  arnia,   • 
arn  a  (benché  forse  voce  di  uu  qualche  dialetto  )  e  assuuaat  ii 


COMENTO   SULLA  DIVINA   COMMEDIA. 


ijoov,  sciame  d'  api,  e  corba  di   api,   o  ad  aijòi/o; ,  cine   tima    parte.      rr=      47.    Soccorrèn,     difendevano,    fecero 


rea,  (Ielle  cui  forine  varie  si  vvgaau  gV  interpreti  d'  Exi- 
'lio  e  di  Meride.  z —  Sostati,  lermati.  Voce  lat.  sub- 
iste.    !t.    Terra    prava,    Fiorenze.      11.    Incese.' 

on  ostante  il  frequente  cambiamento  delle  lettere  non  par 
estieri  di  derivare  questa  voce  da  incido  per  i  ii  e  i  s  e, 
entre   che   ancora    incese   da   ine  en  dere    nel   scuso    di 


schermo,  occorrevano.    La  Ii'z.  bart.  si    accorrila 

pila.    57.    Si   pasca   in   rimembranza  e  pena.     =r-    59. 

Accenna  la  famiglia  tioreiitina  dei  Gianfìgliacci  ,  di  coi  l'arme 

era  un  linne  azurro  in  campo  giallo.    li3.   Oca  —  liurro, 

arme  della  famiglia  llorentina  Lbbriachi.  =  (il.  Scrofa 
(troja)  azzurra  e  grossa  (gravida)  arme  della  famiglia 
padovana  iScrovigni.    :=    (iì.    Jitaliano  del  Deiiie,  vici- 


lutcrizzare   pui>   riferirsi   a   piaelie.     =      20.    Lo    antico    pauovana  >crov)gm.    =    bi.    /  italiano  ani  Ueiue,  v  i,i- 
1,27)  y  e  rso,  pianto,  ululato.  =  21.  FenTio,  fecero,  ii  or  a    "  "  '    concittadino,    usurajo    famoso.     =     ,i.    J  l   cavaUer 
i,  37  ss.  =  22.  Solca  n  già.  Campioni,  [leA.  Kà  w  p  en)    ^^Vt?^"  ironicamente  Gio.  «ujamonte,  il  più  inl.ime  usura- 
ii  pugili  e  palestriti.  =  23.  Avvisando,  fissando.  =  28. ,  J"  d  Europa  ,    che  taceva  quel]    arme  di  tre  becchi,  o  ro..lri  d' 
'se.    O  e  è  scritlura  antica  in  vece  di  eli;    o  e  se  è,   come    "c<:ello      ==    i^o.  Riprezzo,   ora  ribrezzo,    quel  frt '■- 
lat.  et  si,  benché,   donde  gli  esempi  non  mancano    nel  Pe- 1  «  tremito  che  precede  la  febbre.     Appartiene  alla  famiglia 
arca.     So  / /o,  non  assodato  ,  soffice,  non  fermo.     Dal  greco    Jed-    brechen,    b  re  st  en,  b  er  sten,    gr.  (laaaoj ,   ,i'_.u 
iv/.o;.  =  30.  Brolln  dicono  essere,  spogliato,  nudo,  scorti-   ^n?}-t>  ur  st,br  uise,  frush,U.b  ris  e  r.=  hi  Fur  gu 
ito.    34,  bO.    l'g.  14,   91.    Altri  lo    derivano    dal    frane,   brìi-    da»  <' o  il  r  e  z  za  ,  già.  imaginaDdo  1  ombroso  luogo  e  tre 


O  e  è'  scritlura  antica  in  vece  di  eli;'  o  e  se  è,  come!  "c<:ello  ==  ^5.  Riprezzo,  ora  ribrezzo,  quel  freddo 
lat.  et  si,  benché,  donde  gli  esempi  non  mancano  nel  Pe- 1  «  tremito  che  precede  la  febbre.  Appartiene  alla  famiglia  del 
arca.     So  Ilo,  non  assodato,  soffice,  non  fermo.     Dal  greco    Jed;    brechen,    breiiten,  ber  sten,    gr.  (laaaoj ,   ,-i'^t:yoì^ 

ar- 

resco. 

ir,  che  sia  bruciato,  bruciolato  ,  brustolato,  e  quasi  crepola-    Rezzo  è  il  gr.  (iiyog  ,  (fi;'^,   ijiy.vo:,  lat.  frigus,  rigor, 

,  screpolato.    Forse   è  imbrattato,    e   in    tal    modo  alliue  al    ir.  J  r  uid  ,  fr  ai  s  ,  teii.  fris  eh  ,    Frost.     yi.    Io  ecc. 

breuil  ,  ted.  Briihl.  o  pure  metatesicameiile  da  possono  esser  parole  del  poeta  non  già  narrante,  ma  che  si  è 
-xvlo;,  (p/.avooi,  brutto.  z=  Freghi  i  piedi,  camini,  lanciato  sulle  spallacce  di  Gerioue  e  come  se  volesse  dire:  or, 
=    -il.  Guaì  druda,   vergine    fiorentina  bellissima ,    figlia    dunque  io  mi  sono  assettato.     Ma   la   paura   gliele^  tronca,   e 


Bellincion  Uerti  (Par.  15,  12.    Ili,  99.)    la  quale  non  sdilii. 


dice  sol  ansiosamente:    fa  —  abbracce.    =    95.    Ad  al- 

mperator  Ottone  IV     la   baciasse.     Divenne    poscia  mo-  f»  f  o  r  t  e   Ai    sopra   fortemente.      Torelli    legge  ad   altro 

ie  del  conte  Guido,  donde  ebbe  tra  altri  un  figlio  IJuggieri,  /  »  r  «  e ,  ad  altro  incontro  difficile;    o\e  forte  sarebbe  la  vn- 

idre  di  Guidoguerra.     I Ulani  cron.   5,  37.    r=     41.    T e g-  ce  lAt.  }ors,  alfine  a  cpooog  ,    ferens.     Miglior  ancora   e  più 

hi  ajo  Aid.    degli    Adimari  ,   che   nel  TitìO   sconforti)   riin-  elegante  ci  sembra  la  lez.  dionisiana /o  r,s  f-     cioè  stato     caso 

esa  contro  i  Senesi  invano,   onde    segni  l'infelicissima  rotta  dubbioso,  adattata  perciìt  da  noi.     La  ripetiz'ione   di   altra  e 

Arbia,  o  di  Montaperti.  0,  79   f  oce,  fama  civile,  o  in  male,  a^tro  facilmente  si  torrcbbe  con  leggere   alto  forse     cioè 

in  bene;  7,  98.  33,  85.  Pg.  24,  121.  Par.  25,  7.  r=r    44.  Jac.  molto,   sommo   pericolo.    =     101.    Sj    tolse   Gerione're  di 

UH  ticucci  ,    onorato    e   ricco    cavaliere,  marito  di  moglie  Spagna,  ucciso  da  Ercole.  r=  102.  A  gioco  ih  ispazio  largo  e 

rosa, /sera.    =     52   ss.  Ordina  :<  os  £o  e  Ae  —  i>  e /i  /  .f-  aperto.    =:     105.    Con  —  race  ol  se   come  l'anno  i  nuotanti. 

.  non  djsp.  —  rfiapog/jffl,  dispoglierà.    =    (ìl.Fele,  =    ÌOI.  Fetonte.    Ov.  Met.  2 ,  200.    =    109.    icaroOv. 

510  dell'  inferno.     i>o^ci  po;/(  «,  virtù  del  paradi.so.  =rr  03.  Met.  8.     r=     117.    Mi  venta,   il    vento  mi    urta.    =     lis! 

orni,   cada,   discenda  v.  32,   102.    Affine   ao/suj,   ffrfj-Jcu,  é^o  rgo,  sfondo,  ove  casca  il  ruscello.  =^  119.  S  t  ro  s  ci  o  fra- 

ef,^o,,Tt^(ioi,  fr.   tomber,  ted.   taumeln,    it.   t  o  m-  ^b*'''';=  j';^^-  f;7.''.''ÌV''-'"''''\'^^ 

',  '      '       '^'         i^     /•.       .        ■  .•  -11     .,.         ,  \  ri  accoscio,   ristringo    e  risrrro  le  cosce.    124.   /  e  di 

lare.     =      b7.    Cortesia,    onesta.     =      <0.    C.ugl\c    ve  de  a    sembrano     più     naturalmente    corrispondere    allo 
orsiere,  valoroso   e   gentil   cavaliere   faceto.    Hocc.  \,^.    scendere   e   girare.     =     12H.    L  u  d  o  r  o    e    l  u  dro  \ez 
l.i.  Gente   nova    (novi   homines.    Cic.  Agr.  2 ,  2.)    che    bart.,  forma    veneziana,   un   finto    uccello    fallo    di  ci 


,   sopra  la   badia  di  S.  Iteucdetto,  cui  le  terre  apparlene- 
I    a    Huggieri   di     Uovadola ,    tiglio    di    Guido    S.ilvatiro. 
oj/ffl  veltro  alleg.  73.  : —  95.  fesa,  Monviso.  Proprio  ca- 
ino,   particolare   alveo.      98.    Si    divalli,    caschi, 

i  nella  valle.  Basso  letto,  piano  di  Itomagiia.  : — 
..  Scesa,  precipizio,  balzo.     103.  Mille  abitanti,  per  f.ire 

villagfjio.  T=z  lOli.  Corda  in  senso  allegorico  dicono  es- 
8  ruiniltii,  con  la  ipiale  l'uomo  accostarsi  (ie\e  alla  scienza 
con  rapporto  al  Pg.7,  lealtà,  sincerità.     Chi  sa '<    =     114. 

irratu,    luogo   scosceso    dirupato.    12,    10.     122   s. 

il  —  scopra,    che   veda    distintamente    quel  clic  pre- 
;ì8ci.    _12(i.  Fa  vergogna,   accatta  beffe,    r^     127.  Ao- 
,  canti    32,  93.     =     132.  Sicuro,    fermo,  iiilrepido.     — 
.  (iiiiso,  al  fondo  del  mare.     =r-      13li.    Che,    marinaro. 

su,  nel  capo  e  nelle  braccia.  Uà  pie,  nella  inferior 
-te,  nelle  gambe  e  uelle  cunce.  itaftr  appo ,  ripiega, 
coglie. 


pie  raseute  vicia  vicino. 


Canto    XVIII. 


C   A 


!V    T    O 


XVII. 


1.  Maleholgc.  Bolgia  in  lat.  mczz.  huìga,  fr. 
bouge,  poche,  ingl.  budget,  alTine  al  ted.  Balg, 
Fé  II,  I  lauss,  lat.  vellus,  villus,  è  tasci  lunga.  =^  2. 
Ferri  gno,  rugginoso.  Monti  Prop.  2,  1.  lOli.  =:  Drit- 
to, giusto.  Maligno,  pieno  di  maligni.  ^^  5.  Jane  g  già, 
8'  apre,  spalanca.  r=-  0.  JJi  ecc.  lezione  dionisiana.  =  7.  f." 
ij^  I  a  cagion  di  dur  a,  si  stende,  omette  il  cod.  bart.  =  9.  falli, 
argini,  bastioni,  steccati;  lat.  valium.  =  12.  La  parte 
(il  circondario  terreno)  d  o  v"  ci  (i  fossi)  son,  rende  I  i  g  u- 
ra  (forma  aspetto,  rende  imagìne.  Pg.  9,  142.  Coin.  3"  cioè: 
quale  è  la  ligura  ,  l'aspetto,  che  filino  i  fossi  de'  castelli,  tal 
era  la  ligura,  l'aspetto,  che  làceano  (|iil\  i  i  fo>si  di  Malebol- 
ee)  è  lezione  \era  di  cinquaiiia  le.-li ,  difesa  pure  da  .Munti 
Prop.  3,  2.  184.  in  vere  della  criiscaiia  rcndon  sii  tira  ,  o  della 
vaticana  dove  il  sol  rende  figura,  r-rrr  14.  Sogli, 
soglie.  =  15.  Di  for,  ultima,  zr^  .Movìn,  principiarono, 
sortirono,  cbber  origine.  ^—  18.  Haccugli,  raccoglie. 
=m  22.  Uepleta,  piena.  Jialiiiisino  !  r—  24.  /  chi  un, 
gli  uni,  (|uclli  dell'  una  bilgala.  Da  m  e  z -..  o  in  qua,  dal  in. 
della  larghezza  della  bolgi.i  sinoalla  sponda. 


\.  La  fiera,  la  sozza  imagìne  di  froda  (7),  fìerionc.  7^-2 
issa,  trafora.  :^--  3.  A  pp  uzz  a  e,  mpie  di  puzzo,  corrompe. 

Tivm ,  iivOdì.     n—     (i.    Marmi,   sponde    inanuorec.    14, 

141.    Monti  Prop.  3,  1.  IDI.     r: —    8.  .Ir  rivo,    mise   a  ri  della  larghezzi  della  bolgi.i  sinoalla  sponda.  —    25'.  I>  i  I  il  dal 

l'oggiali  legge:  siti  venne  a  riva  con  la  t.,  die  par  mezzo  della  bolgia  alla  sponda  opposta.     . —    'ìf*.   l'.sercitOj 

osa.     r — :     12.   Fusto,  tronco  del  corpo.     ^Oll  bene  il  «-od.  lolla  di  genie.  •—- 29. /y' h  ;i  ;i  o  (/ ,  /  g  i  ii  h  h  i  l  <  o  l:iOO,aiiiio  di 

'"        "  '  •        :.. 1-     ......i;..^:......   ;..f  ;i..:i..  ...I  «.. :..  .i..*  i';...i  .;    .1..  u.. ..:*•...:..  iiii   


t.  ha/r««fo.     15.    .\odi    e    rotelle    in    se(;.ni   d 

■ighi    e    raggiri.     Iti.    Som  messa    fondo    di    it  la    o 

dtura,  sul  (jiialc  si  rileva  il  ri^^ilto,  cli'i^  detto  sopra  po- 
1.  - —  18.  Aracne,  lessitrice  di  Lidia,  vinta  da  l'.i' 
e  provocata,  e  da  essa  cangiala  in  ragno.  Imposi  e  huI 
i.io    r  19.   It  archi,  sprzie  ili   iia\igli,  barca,  laiiria.  = — 

Lurchi,  golosi.  Tra  li  'J'eil.,  sul  Oaniiliio.  —r  22.  Ui- 
ro,  del  coti.  b.  è  forma  forse  più  antica,  perchè  iiiii  l'iiiii- 
i  fi  ber,  donde  deriva.  I<'ar  guerra  ai  pesci,  con  la 
a  S(|iiaiiiinosa,  larga  e  grassa,  con  cui  gli  alleila,    r —     21. 

lez.  bart.  rimuove  la  hìiicIiìsì  della  xolgarc*  su  l'orlo 
e ,  di  pietra,  i  l  s.  s.  z  —  28.  .S  i  t  orca  -  11  n  p  0  e  o 
i  destra,  v.  31.  rr—  31.  iM  animella,  lato.: —  32.  Dicci, 
hi.  .S  t  rrHio,eHlreinitìi  dell'  orlo,  r — 33.  Cessar,  exiliire. 
Ilare,  schifare,  Hcaiisarc.  Par.  25,  113.  Coin.  f.  70  K5. 
è  chloHa.     r — 


remissione,  isiiiiiilo  ad  esemplo  de' (ìiudei,  da  Hiuiifi/.io  V  111 
29.  l'onte  di  casUl  S.  Angelo.  : —  30.  .Modo  e-pcdieiile.  cìoò 
un  muro  di  divisione  nel  ine//o  e  nulo  al  lungo  del  pome, 
dove  aiidavan  gli  imi,  e  Imn'ivaii  gli  iillri.  Tolto,  preso, 
provvediilo.  rrr-  33.  Monti,  o  (iiurd-ino,  o  Giaiiirolo ,  11 
Avenliiio.  :—  37.  H  e  r  :  a  ,  spiega  il  vocab.  della  Crusca 
la  parte  della  gamba  d.il  ginorliio  alla  noce  del  piede. 
StiWi  altro  è  la  parola  ted.  Fcrsr,  calcagno.  Altri,  de- 
rivandolo dal  l.it.  viirices,  iuteiidono  vesciche,  eiilialiire. 
^^  42.  />i^i  1;  H  o,  privo.  -  43.  I  p  i  ed  i  af  fi  s  s  i ,  Ut- 
mai.  Pg-  17,  ì).  lezione  de'  migliori  rodici  etesii.  Li  occhi 
poterono  (ariliiieiile  ingtrìi^i  d.il  v.  IO.  r-^  49.  l<'a-,ion, 
talle//e,  liiir.inienli.  :  '.M.  I  e  ti  1  d  i  r  o  C n  r  ci  n  n  i m  i  co.  ho 
logiiese,  che  per  dinari  indiihse  la  sorella ,  (ihi>ola  ,  11  cimi 
Hciitire  ili  Marchese  Olii/yn  II  da  h'.sle.  Signor  di  l'errara.  12, 
111.       -51.  C/ii    è  li'/..di(;li  olliiiii  lesli,  in  V  iTcdì  chi;  perchè 


iliinqiie    e  chlOHa.     r —      3(i.    Loco    scemo,     vano 

|irei:i|iizio,  orlo.     zr—.     39.   Mena,  maneggio;  rome  i  'l'è  tinge  il  poeta  con  (|nalrlie  ironia  di  non  sapere  pcrcliè  "C.  sia 

rhi  usano  (iebr/re,     (iebàrde,    <i  e  b  ar  u  n  g.      Anche  qui,  e  V,.  (;li  dice  pimcia  il  perchè.     Salse  coiidiinenti  di  «a- 

»  a  apjiurlieuu  u  mano.    =    43.    Strema  lesta,   ul-  porvtti,   ijui  uerbala.    in  uitro  j>a /«e  era  iiu  luogo  fuori  del 


COMENTO  SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 


la  porta  di  S.  Maraaiile,  o  Miiininolo,  ìii  Bologna,  dove  si  pu- 
iiivau"  iiialliittori  (imperati.  :=:  53.  Chiara  non  lioca, 
schietta;  come  mostra  quel  che  siegue.  =-  54.  A  n  t  i  e  o.,  carne 
ili  altri  luoghi,  bello,  dolce  ,   caro.     Latiiiisrao!     =    J7.  Co- 

VI  e  ecc.  comunque  i-i  racconti  quella  novella  iiitaine.    bl. 

Siria,  o  .sino,  modo  bolognese  di  asseverare.  Savena  e 
Reno,  iiumi,  tra  i  quali  è  situata  Bologna,  e  parte  del  Uo- 
logne.se.  r^  65.  Se  uri  a  da,  sferza  di  cuoio  (Ut.corium). 
:=  bt)  Va  conio,  che  vendono  per  danaro  l'onesta.  =:  Ti. 
JSter  ne,  continue.  Cerchie,  il  muro  alto  circolare ,  ra- 
sente il  quale  Gerione  gli  avea  deposti.  =  7j.  Alt  tenti, 
fermati.  11  cod.  lìor.  ha  a  1 1  e  n  f/ i.  Feggia,  lerisca,  da 
fieri  ere  20  103.  =  Bl.  Schiaccia ,  pesta,  percuote. 
Meglio  si'leL'ge  scaccia.  =z  Hi.  Per,  non  ost^ante.  = 
8t)  Core  ardire.  S  en  zìo,  prudenza.  ^=  et.  tolchi  dell 
Asia  minore.  Monton,  vello  d'  oro.  =  92.  Isifile,  c]ìe 
Baivi)  il  cenitore  Toante.  ^=  90.  Medea,  ligliuola  del  re 
de'  Colchi,  maga.  =  9?.  Va  tal  parte,  con  lusinghe 
e  promesse.  99.  Assanna,  afferra,  serra,  tormenta.  z= 
102  Spalle,  appoggio.  =  103.  Nicchia,  piange,  si 
lamenta  con  voce  sommessa.  Si  dice  del  rammaricarsi  delle 
donne,  quando  si  accosta  l'ora  del  parto.  Sembra  dunque  afli- 
iie  al  greco  iliw,  vvaiito,  vir/.si-o,  pungere,  punzecchiare,  ted. 
ne  e  I:  e  n  ,  onde  Niicken,  ghiribizzi.  Generalmente  signili- 
ca  urtare'  muovere  con  iscosse.  ^=r  lOti.  Grommate,  in- 
crostate. =  160.  Ci,  vi,  ivi.  =  114.  Privati,  cessi.  == 
V>1  Alessio  Inter  mineì,  cavaliere  lucchese ,  adulatore 
esimio.  =  124.  Zucca,  capo.  =  12().  Stucca,  sazia.  = 
127  /'tn^ /i  e,  pinghi ,  spinghi,  cacci.  =^  130.  _Fan  f  e,  ba- 
casela, /l/onfi  Prop.  2,  1.  «5.  =  133.  Taif/ e,  meretrice 
terenziana  nell'  Eunuco  3,  1.    134.  Vrudo,   amante  conlideu- 


T'angelista  Apocal.  17,  7  ss.=:rr  107.  Co ?p»,  la  chiesa  pA|f. 
siede  sovra  le  a  et/  u  e, impera  in  molte  genti.  =^  108.  Pii 
(a  ne|2-|gi  a  r,  prostituirsi.     =     UB.  S  e  t  t  e  t  est  e  ,  6Uiiho] 

de'  sette  sacramenti.  110.  Vieci  corna,  dii  ci  comandi 

menti      Argomento,  prova  e  segno  della  sua  dignità 

111.  Marito,  papa.    114.  Orate,    adorate.    =    11! 

//  primo  ricco  patre.  San  Silvestro  jiupa.  r=  1' 
Spingava,  guizzava.  Affine  a  pingere,  .spinger 
lat.  impin  g  ere  ,  p  ugnu  s,  pugna,  gr.  :ivc.,  ted.  fé  e 
ten,  ìngì.  fence.  Piote,  piante  de' piedi.  Affine  a.:i/.aTV{ 
lai.  lat  US,  ted.  piati,  jlack.  ==  128.  Si,  cos'i  avendo- 
mi tutto  su  al  petto  (125.)  e  ristretto  a  sé  (127).  jNon  è  d'udì 
pò  di  legger  sin,  cioè  sinché,  o  dispiegar  si  con  siuché.  z^ 
131.  Soave,  caro. 


te;  dal  ted.  Trauter ,  ài  trauen,  tidarsi 
Canto    XIX. 


1.  Simon  mago.  Att.  apost.  8,  9  — 21.  Da  lui  origina 
simonia,  il  patteggiare  e  contrattare  delle  cose  sacre.  =  3. 
Spose  iigur.  dote.  =  4.  ^  yo/t  e  r  af  e  (lez.  bart.  in  ve- 
ce di  adulterate,  o  dello  scipito  a  voi  tirate)  é  forma 
antica  più  conforme  all'  antico  provenzale  avo  Iter,  dal  lat. 
ad  alterar  i.  ==  »■  Soni  la  tromba,  si  dica  in  istile 
epico  =r  7.  Alla,  sopra  la.  =:  9.  Piomba,  sovrasta  per- 
pendicolarmente. =  14.  Livida,  ferrigna,  scura.  Fori, 
buchi.  =  18.  Batt  eggiathri,  torma  più  molle,  o  bat- 
te zatori  con  lo  larga  Simo  battisteri,  dal  lat.  baptiza- 
toria.  V.  Vionisi  Anedd.  V.  f.  120  ss.  e  Introd.  34.  =  22. 
gs  Comunque  si  legga,  o  sijieghi  il  senso  per  altro  chiaro  di 
questa  terzina  (fuori  dell'orifizio  di  ciascun  foro  slese  un  pec- 
caior  i  piedi  e  le  gambe  insino  al  grosso,  alla  polpa,  e  l'altro, 
il  resto  del  corpo  ,  stava  dentro  ) ,  sempre  pure  vi  resterà  una 
qualche  trascurauza,  e  discordanza.  =  2ti.  Guizzavano, 
si  dimenavano,  contorcevano.  Giunte,  membri,  collo  dei 
nielli.  =  27  Hit  or  t  e,  vermene  attorcigliate.  Strambe,  l'u- 
ni  fatte    d'erbe;     affine   a    arniiiua,    mottpo] ,  ZQsnc}.      :^= 

29.  Buccia,  parte  superficiale.    33.  Succia,  succhia, 

attrae  l'umore,  dissecca.  : —  35.  Più  giace,  è  meno  al- 
ta. =^=  37.  Mi  è  bel,  m'  acgrada.  — -  42.  Arto,  stret- 
to;  lat.  or  fi  fu  s.     Par.   28,33.     45.    Zanca,   zanche, 

piedi,  gambe.  Piangeva,  daxa  segno  di  dolore.  ^=  50. 
yi.ssàssin   fitto,   impiantato   vivo   col   capo    in   giù  in  una 


Canto    XX. 

3.  Sommer  si  nel  baratro   infernal ,    dannati.     

Le  tane,  litanie,  processioni,    ove  si  fanno  supplicazioni, 
voti,  in  ted.  G  e/ ii  6  rf  e  ,  hrai.    =r    13.    Tornato,  ritoi 
lo.    14.  Xi,   loro.    =r^    16.   Parlasia,  paralisia.    =    2J 
Rocchi,    massi    prominenti.     Gr.^toì,   (im)"!  ,   Riff. 
28.  Senso  :  qui  l'essere  spietato  è  pietà.  =:z  29.  C  omport  a,  sol 

fre.    31.    A  Ili   occhi   de''    Teban,   veggenti   quei 

Tebe.  33.  Rui,  rovini,  cadi;  dal  lat.  ruis.  Par.  30, 

34.  Anfiarao,ùg\\n  d'Oicleo,  o  Linceo,  uno  de'  sette  1  ». 

assediatori  di  Tebe,  per  rimettervi  Polinice.  ,-\ndo  alia  gueri  n 
mal  volentieri,  a^  eudo  preveduto,  ch'egli  vi  sarebbe  pento,  la  ji 
indottovi  dalla  sua  moglie  Erifile._  Mentre  un  giorno  valoro.sa  o'u 
mente  combatteva  su  di  un  cocchio,  fu  assorbito  vivo  insieni  mi 
col  cocchio  e  co'  cavalli  da  una  \oragine.  V.  Stazio  Teb.  8,  i  », 

ss.  =  35.  A  valle.  Vi,  46. '.i9.  Rit  ros  o  calle,  via  retri 

grada,  passi  retrogradi.  Ritroso  dal  lat.  r  e  t  r  o  rs  um, com 
calle,  da   e  a  1 1  i  s  ,  affine  a  x(w  ,   xcm  ,  y^loi,  y.i'/.'/.c),  tea  .,|,. 

wallen.    40.    Tiresia   Tebano ,    avendo   battuto   dnj,| 

serpi   si  trasformi)  d'uomo  in  donna,  e  ribattendoli  dopo  sett 
anni,  ritornò  ad  esser  uomo.    ^=  45.  Penne,  la  barba.  Pg 

1,  4.  piume.    46  ss.  Aronta,  Toscano,    7i  e'    mont 

di    Luni  sopra   Carrara   nel   Genovesato.     Lacan.  Fars.  ] 
586.  ss.      Ronca,    netta   i   campi  dall'  erbe   inutili  e  nociva  ,' 
e  in  consequenza  coltiva.     In  lat.  rancare.   ■=    52.  Rica^ 

p  r  e sciolte,   perochè   portavale  nella  parte  opposta  al»  Jj] 

faccia.    55.  Manto,  figliuola  di  Tiresia;    dopo  la  mort  j,; 

del  padre,  fuggendo  la  tirannia  di  Creonte,  abbandonò  la  pa 
tria     e  vagando,  ingravidata  dal  fiume  Tiberino,  partorì  (>cn( 
che 'fondò  Mantova    t  irgil  Eiieid.  10,  198s8.  =:  56.  Là  dov 
Il  a  e  q  u'  i  u  ,  propriamente  Andes  ,    oggi  Bande  nel  Maiitd 
vano,  qui  Mantova.    ^=    59.    Città  di  Bacco,  Tebe.  =!| 
1)2.  Alpe,  tratto  lungo  montuoso.  =  63.    Tirai  li  (l  iltaà 
Cron.  12,  84.)  Ti  rolli  (cod.  bart.  )    Tirolo,    borgo    un  a 
capo  della  contea  da  esso  denominata.    Benaco,   nome   latj 
no  del  lago  di  Garda.    =    65.   /  al  Camonica,    tenn 
no  hanno  i  miglior  testi  e  codici,  in  vece  di  e  Appe  nnin 
della  (Jrusca,    o    vai  di  Mon  ieo  (luogo  di  contro  a  Gard; 
sulla   riva    occidentale,    secondo   Vellutello,    Torri    e    LecI 
ìirsseo  Viviani.     Pennino    (  eh'  é  la  cosa  bagnata)  è  di 
rainazione  dell'  alpi  da  Salò   sino  alle  più  alte  scaturig'iii  d( 
Sarca,   detta  dagli   antichi  Alpes   Poenae.    Lìv.   ^i.,   3t - 
—    ()7  ss.   11  punto ,   ove  i   tre   vescovi   posson   lar  il   sego  •■ 
buca    cavata 'nel   terreno,   e  soffogato.    Pg.  27  ,  15.   Supplizio  I  della  croce  (  s  e  ,gn  a  re  ) ,    secondo    Giov.   Milani,   ingegner» 
■  --    '  ..       .(  ■   .1-.     jj^.g  jg  acque  del  nume  lignalga  sboican 


«  ine  cruda  ,  .Manto.  Stazio  Teb.  4 ,  463.  :=r  Htj.  Art 
magiche.  =  87.  /  ano  inanime.  =-  %'\.Senz  altra  s  ot 
te  (ili  antichi  alle  città  edificate  diedero  i  nomi  a  sorte, 
da' qualche  augurio.  =  95.  Mattia,  srcmpiezza,  sciof 
chezza.  V.  j1;«h/ì  Prop.  3 ,  1.  112.  Va  Casa  lo  di,  Albert 
conte  di  C,   castello  nel  Bresciano,   a  cui  Pinamonte  ^ 


«•liief».     Allude  ai  manegg 

INapoli  contro  Celestino  V'.  r=r  bit.  Gran  mail  lo  papale. 
z=-  7(1.  Orsa,  stemma  della  famiglia  Orsini,  donde  era  i\i- 
coli)  MI.  Arriccili  li  suoi  ad  ogni  modo.  zn^.  TI.  S  a  nel  mondo. 
(iui,  neir  inferno,  rrr:  75.  Piatti,  appiattati,  nascosti,  dis- 
tesi al  suolo.     77.  Colui,  papa  Itouild/.io.  =t-   78.  Sub. 

dom.  v.  .'«2.     : 79.    Piii-teinpo,    venti    anni;   che    mori 

IVicoli)  nel  12H0.  82.  Di  —  legge.  Clemente  V,  pei  favo- 
re di  Filippo  il  Hello,  re  di  Francia,    assunto  al  papato.    r=r 

fe5.  JuHon    pervenne  al  sommo  sacirrdozio  pel  favore  d'Antio-      -  ,    ,  ,,       ■  ■      ■      ... 

co,  re  di  Siria.  Maccabei 'i,  i.  HI.  Suore,  Antioco.  =^  ;  no  della  città  nel  1269.  =  98.  A  It  r  tm  e  nti ,  ^a  larci 
fe8.  /''o/<fi,  ardiineutoBO.  =iz  'M.  /j\inima  ria.  Giuda,  ne.  v.  .Scrr/o  alla  Eneid.  10,  198.  ss.  r=  li).}.  Pr  oc  ed 
(li  cui  il  successore  fu  Mattia.  =zrz  Ori.  La  mal  f  o /(  a  camiTia  in  processione.  z=r  Uh.  B  if  i  e  d  e,  sì  vìicusce,  mv 
moneta  da  (òan  di  Procida  ,  trattatore  della  ribellione  di  :i8,  7.'».  Munti  l'rop.  3,  2.  220.  rrr-  108.  «j  a  andò  —  cun 
Sicilia,  cui  il  nsiillaineiito  fu  il  vespro  siciliano  nel  VMi;  on-  !  Addita  la  moltitudine  de  Greci,  che  a  quella  impresa  passai 
de  assenti  alla  ribellione  e  scrisse  a'  congiurati,  senza  bolla  no.  r-rz  110.  Diede,  il  j)  »  h  (  «indico  da  augure  il  momen 
,ipilc.  I—  911.  Contro  Carlo  II  della  rasa  d'  Augii),  re  di    favorevole.     A  alide,  porlo  di  Heozia.    ==     Hi.  In  al  et 

.*..  ...  .  .t-7.  ..-■.■■11....         I).  U  ..    ^   n        unni'...         1  111  Af 


Sicilia,  con  cui  volle  imparentarsi, dando  una  sua  nipote  ad  un 
iiipoie  del  re,  il  quale  parentado  peri)  ('.non  volle  apiirovare. 
i»i-r  questo  Nicolo  gli  divenne  nemico,  e  fautore  della  detta 
congiura,     lillani  »lur.   7,  DI.    =rr    106.  Paator,   pastori. 


loro.     Eneid.  2,  114  ss.  r—  11.).   foco,  smilzo,  rr^  iiu.  jh  - 

chele    Scotto,  di  Scozia,  indovino  ai  tempi  di  hedenco  " 

imiteratore.     Boccacc.  decani.  8,  9.    l>go  Foscolo  Dante  1,3  r 

— -    UH.    Guido    Bo  natii  da.  FoiTi  compose  un  libro  »■ 


COMENTO    SULLA    DIVINA     COMMEDIA. 


strolngia,   circa   il   1282.      Asdente,    ciabattino  di  Parma.    15.     Qm  e.s  t  a  o  t  (  o  (ora)  e  dunque  la  quarta  del  giorno.    

—  Vl\.  ss.  Caino  e  le  spine,  la  Luna.  Caino,  secoud(i|  115.  Miei,  demonj.  :^  liti.  Se  ne  sciorina,  esre  all' 
piiiioiie  superstiziosa  (Par.  'i,')l  \.  JJrake's  Sbakspeare  aiid|  aria  fuor  della  pece,  scappa  su,  per  sentire  qualche  refripe- 
is  lime  ^  ol.  1.  f.  383),  era  dannato  ncila  luna  con  una  for-  rio.  Munti  Prop.  3,  2.  21)8.  lo  deriva  da  scior,  o  sciurre 
ala  di  spine  in  spalla,  onde  procedano  le  macchie  della  luna.  Ì7i  aere.  Tale  perii  non  è  il  modo  di  foggiare  proprio  alle 
/  cunf.  ecc.  sta  neli'  orizzonte.  Sibilia,  ora  Siviglia,  lingue;  perchè  are  è  sillaba  di  flessione,  e,  benché  altre  si- 
=  l'iT.  Tonda,  (liena.  ==  Vi^.  Alcuna  i' o  /  f  a,  al- j  g-nificazioni  della  voce  accennino  diverse  radici,  cnme  ayia. 
ina  fiata.  Lo  determina  più  accuramente  con  quel  perla  axifoo:,  qui  almeno  s'  ofl're  il  latino  urinari,  con  se  da 
elva  fonda,    den>a ,    lolla.      Appartiene    a    p  r  o  fondo,'.      ■^     '    '        ,.  .,  ^  '  o  <-  u 

ex,  in  senso  di  emergere,  o  iJ  gr.  ooivai,   oqlvvj,  ergersi.  

117.  Saranno  rei  ,  nuoceranno.    r=  124.  l'ano,  qui  pere. 


«51;^,  [ivOu;,  nvrdu-;,  [itvdo;.  =  130.  7n  t  r  o  cj  "  e  (iuter 
oc)  tratlaulu. 


Canto     XXI. 


3.  Colmo,   la   sommità.     4.  Fessura,   fossa.     = 

A  r  sena  miglior  lezione  che  A  r  zana,  benché  ancor 
jesta  corruzione  idiotica  della  voce  per  altro  non  sarebbe  da 
sappruoiarsi.  — —  9.  Mini  pai  mar,  rimpecciare.  Legni, 
ivi.  1=^  10.  In  quella  vece,  in  vece  di  navigare.  r= 
.  Ristoppa,  ritura  le  tcssiire  colla  sloppa.  - — r  14.  Sarte, 

irde  inser\ienli  alle  navi.     1.').    Terz  eruolo,    la  mi- 

ir  vela.    Art  iman,    la   maggior  della  nave.    :=    20.  Ma 

fte4,26.    : 27.    Sfiagtiarda,   scoraggisce.    La  voce!  ^o"  • 

agitar  do  è  afflae  alle  greche  uy).aoi,   ar/'/.u ,  ùyaV.nv,]    ^^^^  nemico.' 


12(j.   Tane,  fosse.    136.   Lassi,   lez.  bartol.  come 

17,  78.  Altri  hanno  lesi  dalla  pece  bollente;  altri  lessi, 
lessati,  bolliti  {  da  /  ex  ii'ia) ,  altri  fessi,  graffiati.  = 
137  88.  La  —  denti,  atto  di  chi  vuol  beffare  senza  farsi  sen- 
tire a  ridere.   Duca,  Barbariceia.     Per  cenno  accennando 


di  aver  compreso  Io  cenno.     =     140.  Quadra  ed  è  caratteri- 
stico ,  benché  agli  esteticiui  venga  la  mostarda  al  naso  ! 


Canto    XXII. 


1.  Mover  campo,  muover  esercito  per  marciare.    2. 

Mostra,  rassegna,  ordinanza,    in  cui  si  muo\(ino  le   truppe 
con  tamburi  ed  altri  stroinenti.   ==:    3.  Partir  —  «co /«pò, 

4.  Corridor,  correrie  per   guastare  il 

T=:  A  r  et  i  n  i  ,  parte  molto  vaghi  di  giuochi, 
eiiv,  yì]9iiv  ,  lat.  gaudere,  ital.  allegro,  ^  aj  o,  parte  sediziosi.  =r  5.  6' u  a/rfa  n  e,  cavalcate  ,  per  forag- 
d.  ereetzen,  forse  loaidlich,  e  signilìca  giovanilmente ,  giare  e  dare  il  guasto  al  paese.  =  Torneamenti,  bat- 
•ioso,  sicuro  di  forza.  ==  28.  Per,  benché,  quantunque,  taglia  di  squadre.  Giostra  di  uno  contro  I  altro.  —=  8.  Cen- 
ti ostante.  =  34.  v^c  ut  o,  più  conforme  all' origine,  che  ni  di  castella,  lumate  di  giorno,  fuochi  di  notte.  =- 
fwto)  e  su;»erio  omero  (qui  accusativo)  dinota  uu  gob-  10.  Cannamella,  strumento  da  liato  ;  fr.  chalu 
terminante  in  punto  ed  alto.     Gli    editori   padovani   riscon- i  ni  eou  ,  ted.   So// a  /  me /,  dal  lat.  e  a/a  m  u  «.    Cennamel 


i\.oi.^^    j%/iiii^    3»     ■luu^.oiiif    u    F^.«w,    -.    v^«.     ..   ..^«.....^   ..u-..»   «.«     -^-^^    Alleggiar,  yiie^j^eiiic,  €jiic\iait 

^^^^'andt8ch.  der  gr.  und  tcutscheu  Sprache.    Lips.  Ih04.  8.  f.    grossezza.    r=    32.  Incontra,  a\  viene.    :^ —    35.   Arron- 

S8.]  colle  unghie,  ted.  k  r  at  zen.     Nerbo,  garetto.    =1,.  jg^/jò,  agprapjii)    coli'    uncino.     3(1.  Lontra,  anfibio 

.Disse  il  diavolo.  Malebranche,  noinepartic(darde' de-    animai,  divoratore  di  jiesci,  dello  anche  lodra,  fr.  lontre, 
inj  di  questafossa  dei  barattieri.    Uranehe  son  6racr/'a,j  Xaza-     =  41.  Scuoi,  scortichi.  =  50.  Io  ecc.    Giain- 

ted.  regen,  r  ciche  n,  recken,  strecken,  stendere,]  °   '  ''  ■ 


..        „ .  -„    „.    ^'    iinin      n   t^lamnalo     ficliuol    di  centil  donna,  abbandonato  dal 

rgere     —   38.  Anziani  quel],  del  magistrato.     S.^^if  a,    V^^^^^^  (rt-blìdoVose),  main  processo  di  tempo  famiglio, 

""    famigliare   intrinseco   del  buon   re    Te  6  o  /  rfo  di  Navarra, 
che  regnii  dal  1234  sino  al  1270.  :=   87.  S  druda,  fendeva. 

OH     Socco,   sorcio.     r=r     (iO.    Inforco,  tengo  stretto 

fra  le  braccia  v.  ,')!).  =:=  ^j.  Latino,  Italiano.  r=r  70. 
Troppo  —  so  fi  erto,  sono  parole  di  rabbia.  =  71.  La- 
certo, parte  del  braccio  dal  gomito  sino  alla  mano.  = 
74  De  curio,  decurione,  capodieci.  =  75.  Piglio, 
sguardo,  aspetto,  r^  Ili.  i{  a;)  ;>  oc/o  fi ,  riacchetati.  =rr 
81.  Frate  Gomita,  Sardo,  chtf  guadagnatasi  la  grazia  di 
Mao  de' Visconti  di  Pisa,  governatore  dì  Gallura,  sen'  abuso, 
trallicaudo  nel  barattare  caricbe  e  ul'licj.  =  82.  I  asel, 
vaso.  ^=  83.  Donno,  principe,  signore,  =r  8.).  />j  ni- 
ano,  agevolmente,  lisciamente,  senza  nascon.krlo  Modo  di 
>re,  accipere  ,  gr.  ■/.«  n/iviiv ,  tcd.  haufen,  kaupeln,  jj^^  spagnuoln  de  liana.  ^=  f<8.  Michel  Zanche  di  si- 
to chaffer.  =:  55.   /  a  a  s  o  / // ,  servi  (gente  4  asso),    niscalco  eh'  era  del  re  Knzo  ,    divenne,  dopo  morto  Knzo     "■ 


rgine  lucchese,  compatroiia'di  Lucca.        Intendono   Martino |  I)* 

lUaio  ,  V.   Troija  veltro  alleg.  85.    3!t.  Per  anche  per 

liirvi  altri  barattieri;  onde  adempie  le  veci  di  pronome. 
(inti  Prop.  3,  2.  45  s.  rnrr  41.  Don  turo  Hoiituri  della 
miglia  de"  Dati.  Fece  sorprendere  i  Lucchesi  dai  Pisani  li  18 

)v.  1315.     42.  Non  scriviamo,  per  corrispondenza  colla 

ina  parola  ita,  si.  L'ironia  in  for  che  é  dunque  mani- 
ila,     r—     4ti.   Convolta,  con\ers<i.     47.  Del  ponte 

e  an  coperchio,  stavano  sotlo  il  ponte,  z^—  48.  Il  sali- 
vo Ito  avuto  in  somma  \eiierazione  da'   Lucchesi.    49. 

rchio,    fiume  poco  lungi  dalle  mura  di  Lucca.     : —     51. 

ar    soverchio,     soverchiare,     sopravanzare.      54. 

ccaffi,    frodnlcntcìnentc    involi.     A  oce   atline   aliai,  ca- 


riaduiicbi,grall|,uiicini.  =r- 4M.  Ahi  a\irpilin.  t  A  r  tt  n  ;>-|  J.jrpja.       =:=       !I5.    Stralunava,    spalancava   siia\cnte\ol- 

o  f/o  (lez.  ottima  de' migliori  cod.  e  testi),  cosa  li  fa  approdare,  I  ,„,„(p_   98.  i  o  sf  n  "  ro  t  o  ,  Ciampolo.    rrrr    10».  Cesso, 

nirealla  proda,  oHjioiida  y  La  siglliiic:lziolleatIi^  a  non  sembra  ^j,.^^^/,     ritiro.'  109.   Lnrriuoli,    astuzie   e  frodi,    rrr 

vere  cont'oiiderc  in  (jiielle  etii  della  lingua.  La  rispo.'-ta  di  |jj  /j' hi  i  e  i' lezione  pili  chiara,  che  a  mia.  ry-  112.  Di 
rgilio  coiifenna  quel  senso,  rrr:  81.  Schermi,  oll'ese.  riiitoniìo  niipiislamenle.  - —  liti.  Co // e  (lezion  di  buoni 
-  87.  Femio,  ferito,  r-^  89.  quatto,  „guat-  codici,  il  sommo  della  ripa.  23.  43.  .VI.  z—  118.  /.  u  ,io,  gino- 
,  come  scrivi;  il  cod.  bartol.  Seinlira  ricorrere  allìne  a  ^^  burla.  z=r-.  120.  Crudo,  duro,  resistente.  =r-  121. 
uv),  ttitii,  :ti)in(iu},  turit'ì,  ;iiru':i<i,  forine  di  itiroj,  L,]  Navarrese,  Cianipolo.  r  ,'-?•■'''"."  7"  "*'"  ,|};"'''*-. 
L  •    I-  1-       •       1-         u       •  •  /    rirria  04      che  lo   unnc   slreltn    tra   le   braccia.     : —     121.  Di 

y.ura.irto,,  che  pure  hi  dicono   di  ammali,    che  si  appiat-    j;'"/,^„  V,/",^,,, ,,  „  "  t ,,    h  batté  in  colpa,  si  accusi,  d  errore. 

Lez.  di  sette  codici  in  vece  di  </i  colpo,  iminantinrnte.  = 
12...   r^irl    Alichiiio.     —     m.   y,pli.     —     U^.     Ivanzar, 

esser  più  pronte.  S  o  .;""<•  '  r'"^'»-  ~,.  ,"^-  JL°  '|,V 
lasso  — -  134.  Invaghito,  br.iinoso  e  luto,  zrrz  1.39. 
Grifagno,  xalorono,  ardilo,  addestrato  alla  preda.  — : 
112.  SffVirrmitorlcoH'i.enon  s  ,h  ,  r  m  1 1  o  r)  subito  fue, 
Michino  e  Calcabrina  ,  sentendo  .1  caldo  ,  si  sghoTmiron»  su- 
bito. - —  U3.  /.ro  ni>"t<  !',  •>'.  =  U».  A 1 1  a  pò  et  a, 
ad  appostarsi.    Tonnine  di  caccia! 

C    A    !S    T    O       XXIII. 

3.  Frali   minor,   Frnncc»r«nl.      r=     b.  Rissa   d'    Ali- 
chino  e  di  (;.ilc.ibrina.    rrr:   ìi.  Uvllarana     che  con  per l.da 


IO  iier  paura.  Se  no,  si  ricorra  al  tedesco  11  acht,  cioè 
arilia;  di  modo  che  a  <■  i/ u  a  tiare  sia  stare  alle  sue.  zr — 
ss.  Cupioiia,  cartello  pii-ano  otto  miglia  lontano  di 
-a  in  ri\a  d'  Arno,  (olio  d.i'  Lucchesi,  giierreg:;ianti  co' 
'imi,  capo  de'  (•lill.ellini.  I  lauti  pisani,  che  \'  erano  in 
india,  niancando  loio  1'  acqua,  si  dittero  circa  al  I2IIII,  sal- 
le  persone,  rd  iisr-ili  fuori,  dal  colile  (ìnido  legati  ad  una 
te,  fiiroiio  licenziati,  iiii'iitre  giidax.ino  i  iieiniri  ,  amma/za, 
licca!  r —  fOI.  Groppone,  tnlla  l,i  deretana  iiar  i 
del  liilHlo.  :—  102.  A  r  r  o  e  e  li  i  ,  d.i  e  o  e  <;  a  ,  lacca  «Iella 
cri.i.  zrr-.  108.  ,7  reo,  ponte.  Spez\.nto  nel  terremoto  | 
ennlo  nella  morte  dell  redentore.  :—  110.  <;rolln,\ 
■ine  divisorio  tra  la  l'ossa  i|iiiiita  ,  sul  quale  stanno  i  poeti, 
ole   Mal.icoda.  v.    125.   121».  23,   fili  ss.       r—       112  -s.    l  e  r  .\ 

lerdi  santo,    aniiÌM'rsario    delia    morte    di  Gesù.     D.inle  in   !  ciiiiio  e  in  «■■ir.ii'imu.    - —    " _..-,-  .  ■„  ,1;  là 

prese    il    suo    \  iaggio  l'anno   1300.     (ìcmi    \ÌHse3»anni.    Or    intenzione    si    offri  ad  un  t  «  ;i  o  ,    per    P=»;'"'>''V!  *"",„„ 'il.  " 
0  —  31  1:=:  12li().  Gesù  mori  nell'  ora  uoua,    Matt.  27.  Marc,   da  un  losiio,  e  lucutrc  biava  per  annegarlo,   li  vede  un  ninuio 


COMENTO    SULLA    DIVINA    COMMEDIA. 


eli  divora  ambì  e  due.  =  7.  Mo  ,  laf.  modo     testé  ora  issa,' 
i.ssameiite ,    anche    ora.      Ferticari  Vrop.  2,   2.   Vi'2.    Affine   a' 
jjj(;,  ted.jezt,  izt.    Occorre  27,21.  Vg.  '21,  55.    : —    8.  Fa, 
si  pareggia,  ra.^somi^lia.    : — :    9.  Fr  iiici  p  io  ,  il  macchinare 

(ino  contro  l'altro.     Fine,  il  capilare   male  per  un  terzo.    

10.  Scopjìia,  rapidamente  procede.  15.  \  <i  i ,   rincresca. 

Ili.  Sj  a^ffuelfa,  *■!  aggiugiie;  propriamente  tessendo. 

Che  gueffo  è  parola  al'ilne  alle  ted.  (t  aif  e  ,_JF  e  f  el , 
Jl  ah  e  ,  w  eb  en,  If  e  be ,  G  ew  eb  e,  1f'affel,hìg\.ii>eh, 
t  0  w  e  av  e,  fr.  g  auf  r  e,  g  uip  e  r  (ted.  A  ò/)  e  rr.') ,  lat. /a- 
vus,  gr.  Vipì],  v'po;,  v(pco  ,  vipcwì ,  vipairiu.  Raffr.  a  14, 
121.  Gueffo  in  siguilìcazione  di  balcone,  o  ringhiera  è  aflinc  a 
gabbia,  )at.  cavea,  gr.  y.tpo;,    da  -/uw,     capere.         r== 

18.  Acceffa,  abbocca,  afferra  col  muso.  25.  linjiiom- 

hato  vei  r o  ,  s\<ec'-\\ìn.    =.    27.  Impetro,   acquisto  ,  canz. 

4.     31.  -E',  si  dà.  Costa,  falda  dell'  argine.     Giaccia, 

s'inriiini.  =  34.  Fendere  risposta,  rispondere.  =z 
45.  Tura,  termina.  =  4(i.  Tosto  o  f  ort  e  sono  lezioni  eccel- 
lenti ambi  e  due.  i>o  e  et  a,  canale  ;  da  Jo/sìor.  z=:4V.  Terra- 
gno, fabbricato  nel  terreno, a  dilìerenzadifiuei  mulini  nelle  navi, 

sopra  lìumi.    4s.  Approccia,  s'appressa,  s'approssima. 

Fa  le,  ali  conficcate  nella  ruota.  Voce  latina,  da  rrs'/.vi,  rta/dw,  '■ 
pello.     =    43.    Jivagno,    ripa.  14,  123.  Pg.  24 ,  127.    =:: 

b2.  Letto,   piano.     Dal    ttA.  l  e  g  e  n  ,   afiine  a // ac /j.     

£8.  Vip  in  ta  di  colore  artificiale.  : —  bl.  Bassi,  abbassati, 
r^  b3.  Lezione  del  Dionisi.  1  testi  ondeggiano  fra  cite  in 
Co  t  og  na  p  e  r  li  m  o  n  aci  fass  i  —  che  per  li  m.  i  n  C. 
f.  e  che  a  Coligniper  l.  ni.  f.  : —  (il.  ELli  è  neutro. 
Ella  e  la,  che  iu  questo  medesimo  senso  si  usano,  forse  coli' 
ellissi  di  cosa,  sono  posteriori.  =r  (ili.  C/i  e  ecc.  che  quelle,  che 
metteva  Federigo  11  imperatole  a' rei  di  lesa  mae^là,  messi  con 
siffatte  vesti  di  piombo  in  un  gran  vaso  al  fuoco ,  acciocché 
collo  squagliarsi  del  piombo  anche    i   cor]ii  ior  si  distacessero, 

erano  di  paglia    accanto  a  queste.    73.  Ad  —  anca,  ad 

ogni  passo.  Era  vani  710  vi,  ci  trovavamo  campagni ,  o  a 
lato  a  alcun  altro  di  loro.  : —  77.  Tenete,  rallentiUe 
i  passi.  11.  cod.  bart.  ha  fermate,  che  par  chiosa  meno 
inlesa.  =  80.  Si  volse  a  me.  : —  vi.  Il  carco  delle 
cappe.  La  via  stretta  coartata  dalla  folla  della  gente  a 
passi  lenti.  =  87.  Jn  se,  l'un  verso  l'altro.  =:  88.  Atto 
del  la  gol  a,  lQS[nTare.i'g.2,b7.  =  !)1.  Co // e  §■  to,  adu- 
nanza, società.  Munii  Prop.  1,  2.  170.  r=  93.  Lez.  bart.  e  va- 
tic.  più  conveuevole  alla  grammatica.    : —   U5.  (il  la,  città; 

frane.  Dj//e.    =::r    98.  i>o/or,   lagrime   dolorose.    100. 

liance,  aranciate,  durate.  =1  102.  Le  Ior  bilance 
color  che  li  portano.  =  103  ss.  Frati  godenti  d'  un 
ordine  cavalleresco  istuito  per  combattere  contro  agi'  infedeli, 
o  uel  1208 ,  0  nel  12til.  V'iveauo  aminogliaii  in  0210,  esenzioni 
e  privilegi.  r==  104.  Catalano,  iXapoleone  C,  di  parie 
guelfa,  e /vorfertng^o  degli  Andalò,  di  parte  ghibellina,  bolo- 
gnesi, nilani  cron.  7,  13,  "furono"  dice  "podestà  scelti  in 
Firenze  nel  12'.i(i  per  sei  mesi;  corrotti  ambidue  con  danari  da' 
(ìuelU,  di  modo  che  i  Ghibellini  furono  cacciali  dalla  città,  e 
le  case  degli  liberti,  capi  de'  Ghìb.  nella  contrada  delta  del 
Gardingo ,  ane."  Solingo,  solitario,  lontano  da  fazioni. 
Tua  terra,  Fiorenze.  Hi  pare,  apparisce  per  le  mine. 
:=  113.  Soffiando  —  sospiri,  fremendo  e  sbuffando 
pel  carco,  e  forse  per  ira.  =  Quel  ecc.  Caifasso.  Giov, 
2,  JO.  :=  121.  Suocero,  il  sacerdote  Anna.  Giov.  18,  115. 
Si  stenta,  si  ma.rl\ra..  rr=  122.  Co  n  ci/ io  ,  sinedrio.  = 
122.  Che  —  sementa,  perchè  fruttii  loro  il  totale  estermino 
per  Vespasiano  e  Tito.  =  129.  Foce,  sboccatura,  apertura. 
=r-^  13.1.  Fi  a  presso.  : — •  131).  A  questo  vallone.  =z 
]li8.  Giace  in  costa,  nella  falda  é  inclinata.  Soperchia, 
sovrasta,  s'innalza.  =  140.  Contava  21,  109  ss.  == 
111.    Colui,  Malacoda,     z::^     148.    Foste,   orme,  pedate. 

Canto    XXIV. 

2.  Il  —  tempra,  ove  il  sole  si  riscalda,  rinforza  alquanto 
per  circa  una  terza  pane  di  gennajo  e  due  terze  parti  di  feb- 
Lrajo.  r=:  ;j.  E  già  ecc.  e  già  le  lunghe  notti  dell'  inverno 
vanno  diminuendo  si  che  in  breve  saranno  uguali  alla  me- 
tà d'un  giorno  intiro  di  venti  quattro  ore,  cioè  vanno  verso 
l'equinozio.  :r^  4  —  0.  K  chiaro,  che  nella  mente  del  poeta 
era  il  concetto  d' una  mattina  di  primavera  principiante,  ircsca 
di  brina  tosto  liquefatta  dal  sole,  eh'  0  per  rinvigorirsi.  Que- 
lito concetto  scm|)lice  e  bello  par  che  \ciiga  distorto  alquanto 
l>er  la  rima.  Di  questa  cioè  nacque  scuz'  altro  ,  come  altrove 
intem  pra  ,  cos'i  qui  quell'  assempra,  clie ,  benché  croce 
de  chiosatori,  alla  fine  pur  non  è  altro  che  a»  «(,/«  6  ra,  o 
r  a»  «rM/iAr  a,  staiUechc  già  la  voce  precedente  brina  for- 
mata dal  lai.  pruina  mo.^tra,  quanto  siano  mutabili  le  labi- 
ali, e  resta  il  senso  1'  islesso,  se  derivi  la  voce  da  exemplar 
(dove  vi  sarebbe  mutazione  di  liquide),  o  da  similis ,  ófia- 
Xog ,  of^ioìo;.  Adombra  stampa  ,  o  impronta  sarebbe  ' 
■tata  respressioiie  t.iiito  più  convenevole,  quanto  che  sicgue 
imagine.  (."on  questi  concetti  si  desti)  diiiKiue  quello  di 
penna,  che  potrebbe  involgere  iu  uno  il  senso  di  piuma,  alla 


qnale  rassomiglia  la  brina,  e  con  questo  e  colla  rima  quello  d 
tempra,  qualilà,  temperatura.  =  7.  Roba,  bisognevo 
le  p.-r  sé  e  la  greggia.  r=  ^.  S  i  h  at  t  e  T  une  a  ,  sì  rain 
manca.  r=  IL  Tapino,  misero,  umile.  Dal  gr.  ra.rtno; 
=  .  ,^'^.  Ringavagna.  Ferticari  Prop.  2,  2.  3rh  coi 
altri  deriva  da  gavagno,  canestra  o  cestello  (si  rincontri  i 
fr.  ed  ingl.  co f fin,  coffrc,  cave,  gr.  xuqtro;)  per  ser  !'j 
bare  cìi)  che  si  coglie.  =  18.  im;)  ea«  j  r  o  ,  rimedio. 
'£i.  Adopera,  lavora.  J*  £  i /«  a  ,  riilette,  pensa.  =rrT  28L 
Ho  echio  ne  (lez.  bart.)  rocchio  grande,  è  forma  più  vicini  , 
almeno  ali'    origine  come   pure   ^trucchioso,    benché    la/ 

intrusa  innanzi    allo   gutturali    non  sarebbe   inaudita.    aó 

Reggia,  reg^A.  rrzr  il.  f  es  t  i  lo  d  i  e  appa  ,  ytste  Ut 
ga  e  talare;  o  forse  allude  alle  cappe  degl  ijiocriti.  =z  33  [ 
Chiappa,  o  [ìurclappa  [cud.  bavt.)  ,  e  iap  p  a  parchi; 
debba  essere  o  sommo,  cima,  balza,  e  cos'i  afiiue  0  al  ted  r 
Koppe,  Kuppe,  Kippe,  Kopf,  lat.  caput,  gr.  yf^irjt)- 
y.f.Ù.ì],  ye(pa?.ì] ,  0  all'  ingl.  cleft,  ted.  Kluft,  Gì  uff  e  ^■' 
klaffen,  gr.  y/.a(pv  ,  da  y/.a(po} ,  yXv(pu}  ,  luogo  scavate  ? 
screpolato,  fenduto,  fesso,  fessura.    <J  scheggia,  o  cima  e  bai  jt, 

za,  che  che  si  scelga,  conviene  al  passo.  : 34.  Fr  ecinto  t; 

argine  circondante,    rrrr   83.   Tutta,  lez.  migliore,  piii  adatt 
al  genere  di  bolgia,  onde   Malebolge.     =z    39.    Fort  a   è  s  ,, 
fatta,  di  tal  natura,   come   iu  led.    si  dice    bringt   es   m  i  y. 

si  eh.       43.  Manta,   esausta,   da  mungere.      r= 

4().  Spoltre,  cacci  la  pigiizia.  P.-(<priameu[e  disfarsi  de  t 
cuscino,  lasciare  il  piumaccio,  la  coltre,  che  iu  ted.  si  di  jj 
ce  Fulster,  alliiie  a  Ffiiht,  Ffull,  Ffullwen,  lat.  pul^ 
vinus,  pulvinar,  ed  al  gr.  ^v/./.au,  render  pieno,   riem  la 

pire.    48.  ^Vè  su  ito  coltre,  stando.    ■     53.  Si  ac.l 

cascia  cade  con  tutta  la  sua  gravezza.    53.  Fik   /uni. 

g  a  scala   al  purgatorio  ed  al  paradiso.    ab.  Cosi  or  ri» 

infernali.    li4.    A  1 1  r  0  f  osso,   scilima   bolgia.     bl  m 

Ui sconvenevole,   non  alta,   per  l'ira.     kT,Voss<à 

sommità.  li!).  Ira.   11  cod.  tass.  ha  ire,  cioè  gire,  andari  « 

70.   f'ivi,   di  ine  vivo.       = — :      73.    Cinguio,   argin   . 

circolare.    Dallo,  allo.  22, 119.  Muro,  argine.   75.  A}'ii 

figuro,  discerno.  =  77.  Lo  far.  Altri  testi  col  /ai" 
r=r  82.  Stipa,  mucchio,  moltitudine.  7,  19.  =  b3.  Mene  ^ 
sorte,  spezie.  Scipa,  guasta,  altera  di  spavento,  rzrr 
8!)  s.  La  lezione  adattata  uel  teeio  è  quella  de'  codd.  bario  it 
e  dionis. ,  poco  diversa  da  quella  de'  trivulzioui:  Che  su 
quella  idri,  jaculi  e  faree  Froduce  e  ceneri;. 
ecc.  In  fatti,  come  il  barbaro  costrutto  delia  lezione  nidobei  ^,, 
lina,  benché  difeso  da  Lombardi,  oifeude  a  ragione  Mou  ^ 
(iresso  Viviani,  cos'i  chersi  in  vece  di  chi  rsidri,  o  idr  „. 
invece  di  e  liei  idra  sarebbero  o  mostro  di  parola,  o  confus  ^^ 
one  assurda  di  due  nomi  generici  di  lignaggi  allatto  divcrs^' 
Che  male  dunque  cv\i,  se  in  quel  gabiiiLllo  di  serpenti.  Ioli;; 
da  quello  di  Lucano  Fars.  9,  714  ss.  manca  una  Siiezìe?  -^  '  i. 
iculo  è  spezie  di  serpenti,  detta  uhuìiiuì  dal  veloce  salto,  ce  1 
cui  si  lancia.  Ceneri,  lezione  incontrastabile,  non  centr  Mi 
[serpi  punteggiate  di  punti  simili  al  miglio  {y.^y/nu;).  Anf 
isibena  ,     af.i<piajjaiya^  perchè  serpe   avanti  e  indietro.   — 

90.  Ciò  —  ee,  figlilo.  ^ _  91.  Copia  di  serpenti.    9 

Feri  US  io,   forma  più  antica,    buco    per   nascondersi.     £1 
\t  rupia,   pietra  preziosa  creduta  avere  la  virtù  di  render  i 

!  visibile,    e  d'esser  antidoto.     109.    Erba  ecc.     Si  rise 

t  tri  Oi'/f/.  Met.  15,  392  ss.     =     114.    Uppilazione,   rf-ef 

rameuto    delle   vie  degli  spiriti  vitali.    r=     120.  Croscia/: 

<  è    propriamente   il    cadere   della  subita  e  grossa  pioggia  ;  m 

!  taforicamente  mandare  giù  con  violenza,     r—     122.   Fiuvv 

I  caddi ,  piombai.    — -     123.   Gola,  foce.     : — :     125.  M  u  l ,   h 

stardo  di  Messi  r  Puccio  de'Lazzeri,  nobile  Pistojesc.     fan; 

\  Facci  nel  1293  uvea  rubato  gli  arredi  della  sagrestia  del  du 

ino  di   Pistoia,      e    nasco>tìli    in   casa    del   nutu.ìo  \'aniii  dei 

i\ona.    Kiliratosi  poi  in  Monte  Caregli  presso  Fiorenze,    pc  , 

che  un  certo  llampino  fu  accusato,  gli  consigliò  di  denunzia 

Vanni  della  iNona,  che  fu  impiccato.  =r    127.  Marci,  schi 

fugga,    burli;   propriamente  chiuda  la  bocca ,   e  comprima 

labbia;    lo  che  dicesi  in  gr.    fivuì,  f.iv!^w,  /iiu/OÙi^>,    ed   è   g: 

gno  di  disdegno,  sarcasmo,  trist'zia,  angoscia,  abbominazion  ' 

onde  poscia  \  ieii  dello  uomo  di  sangue  e  di    corrucci 

0  secondo  il  cod.    b.irt.   crucci,    cioè   tormentalo.    l:\i 

Alcuni  chiosatori  combinano  sagrestia  ile'  belli  arredf 
non  già  ladro  de''  b  a.  facendo  cos'i  D.  mal  informato  d* 
fatto,  perchè  Vanni  abbia  sol  tentato  il  furto,  ma  scoperto  e" 

compagni  abbandonato  il  bottino  e  l'  impresa.  143.  /*/«* 

ecc.  La  scissione  de'Uinnchi  e  Neri  ebbe  origine  in  Pistoja^ 
si  trasfuse  quindi  in  Firenze.  Si  dimagra,  perdei! 
\'eir  anno  1301  i  liianchi  di  Pistoja  coli'  ajuto  de'  Hianchi  J 
Firenze  cacciarono  i  ^eri  di  Pistoia.  /  illuni  cron.  8,  44.  r" 
145  ss.  Accenna  1'  uscire,  che  neil'  anno  1301  fece  di  Val  ^ 
Magra  il  marchese  Marcello  o  .Morsello  Malaspina  di  Ma" 
fredl  a  porsi  alla  lesta  de' ^eri  di  Pisloja  (vapor — /or6t.l| 
nuvoli),  e  la  rotta,  che  diede  a'  liianchi  sul  campo  Piceni) 
per  la  quale  poco  dopo  i  liianchi  fiorentini  vennero  caccia|t 
ed  esiliato  il  poeta,     f  illuni  8,  4L  | 


COMENTO    SULLA    DIVINA    COMMEDIA. 


Canto    XXV. 

2.  Fiche,  atto  di  beffa,  che  si  fa  mettendo  il  pollice  tra 
indice  e  il  medio.  :=_  3.  Togli,  tienlele.  Squadro  iu 
gnilicato    proprio    esprime    molto   plasticamente   quel   gesto, 

111  cui  ia   mano    divìpiie   rome   (juadrata.    4.  Amiche, 

lai  punilrici  di  quel!'  empietà.  r=r  t".  Ribadendo  (for- 
a  più   molle   di    ribattendo    del   cod.    Iiart.)  ritorcendo  la 

■da,  come  chiodo  in  asse  conlitto.    10.  Sia  n  zi,  ttabi- 

ic'ì,  determini.  Pg.  U,  54.  : —  12.  Avanzi,  superi,  vinci. 
l  tuo  seme,  i  soldati  pe-'-iiid  di  Catilina,  riiujrgiti  nell' 
;ro  pistojese.  Saltunt.  lì.  Cat.  =:=  14.  I ii ,  con\rn.  = 
.  Quel  ecc.  CapaTieo.  Stat.  Theb.  10,  Oli*  ss.  Ri»ic.  Inf. 
,  !)27  ss.  =  17.  Centauro,  Caco.  'io.  Eneid.  8.  194. 
7.  r=  18.  ylcerbo,  duro,  a.spro,  ostinalo;  e  dice  Vanni 
icci.    rrrr     li).  Maremma,   i   luoghi    marittimi  di  Toscana, 

ibondanti  di  bisce.  21.  Labbia,  aspello,  forma  umana. 

U7iti  Prop.  3,  1.  3.  rrrr  22.  Coppa,  pine  di  dietro  del 
po.  ===  23.  Dracn,  drago.  r=r  24.  Affoca,  abbrucia. 
=  2ò.  Sotto  —  Aventino,  che  ricopiiva  la  caverna  di 
100.    =    28.  F ratei,  nell  settimo  cerchio.  13,  56.  violen- 

coiitro  il  prossimo.    : — r    30.  A  vicino,  io  vicinanza.     

.   jB(' e  e  e,    bieche,    storte,    iuicjue.    33.    Cerjto  botte, 

rcosse.      Non    senti,     perché   già   morto.     34.  Ei, 

ICO.     Trascorse,  corse  oltre  appre-so  a  Vanni  Pucci.  r::= 

Novella,    racconto    die   faceva   Virgilio   a  Dante.    

Seguitare,  seguire,  accadere.   43.  Cianfa,  della 

miglia  liorentina  dei  Donati.     Hi  ma  so,    perciiè   sparito   e 

istormato  nel  serpente  di  sei  piedi.    45.  ili  i  ecc.  segno 

far  silenzio.  =  iti.  Il  mi  consento,  mei  credo.  : — 
Un  serp.,  Cianfa.  =:  58.  Filerà.  Risc.  Ariot^to  O. 
7,  29.    Ab  bar  bacai  a  Icz.  bart.  fcirse  più  prossima  all'o- 

iue,   che   abbarbicata.       : (il.    Si   appiccar   le 

mbra,  si  compenetrarono.  =rr=  (i5.  Fapiro,  erba,  il  cui 
dolio  usavasi  per  nudrire  il  fuoco   nelle  lucerne  e    lampade; 

carta.     L'   iiniiiagine   è   molto   naturalmente   espressa.     

■Ignei,  dicono  esser  Brunellcschi  tiorentino.  Può  esser 
anunzia  famigiiare  di  Angelo,  o  Agniolo,  quantunque 
rigine   delle  parole   sia  diversa,    come  lo  sa  ognuno.     ::= 

Né  due,   né  uno,  anzi  un  terzo  misto  di  due.    72. 

rduti,    coiifMsi.    r=r    73.  Quattro  liste,  le  duebrac- 

deir  uomo  e  i  due  piedi  anteriori  del  serpente.      76. 

6S0  ,  spento  ,  annullato.  Atline  al  lat.  caefZe  r  e  ,  veci- 
re,   teiì.  s  chi'iden ,  gv.  (Ij^lHuj.      77.   Perversa, 

avolta,  pervertita,  rrr-  7!l.  Ramarro,  lucertola.    Fersa, 

za  solare.    80.    Cangiando    siepe,    passando    da 

a  siepe  air  altra.    i-2.  Fpe,  pance,  pancia.    83. 

rp  entello,  Francesco  Ci uercio  Cavalcante.     Acceso  d" 

85    8.    Quella   —   alimento,  il  bellico.     Un 

lor,  Uuoso  degli  Abati.  140  s.     rm    89.  Sbadigliava. 

spille  cagiona    col  morso    una   profonda   letargia.     : 9t. 

Lucano  Fara.  9,  7t)3  —  804.  Sa  bello  e  N  assi  dio, 
dati  di  Cesare,  1'  uno  punto  da  una  serpe  (seps),  e  che  di- 
nne cenere;  l'altro  da  un  praestcr,  e  che  gonlìossi  di 
do  che  gli  scoppiava  la  corazza.  Scocca,  palesa,  ma- 
està con  forza  a  guisa  dì  saetta, 
inato  in  serpente.  Vvid.  Alet. 
iveiiita  in  tonte,  ivi  5,  572  ss. 
onte,  presenti  l'iiiia  all'  altra. 
aiiii  e  serpentina,  mr  101.  Inforca  fesse,  lece  bifor- 
=r     105.   Orme,  piedi.     :=r=     IVO.    di  un  tur  a,    cou- 

ingiinento.     : 10!l.   Toglieu,  pigliava,    prendeva.    ::^ 

).  Jjà  nell'uomo.     : iJi  l  il ,  nell  uomo.     Molle  ,  come 

ella  dell'uonu).     Dura,  come  ijiiella  del  ser|)ente.   =:r:  117. 

rli,  sporti,     rr^     IIH.  Mentre   ecc.    mentre  che  il  fumn 

il  coliire  della  serpe    all'  uomo ,     e    (|uel    dell'    uomo    alKi 

|ic  ,    e  in  questo  giMiera  il  |ielo,    miMitre  lo  loglli;  all'  altra. 

ilÌMiila  uoiuo.     -_'       121.   fj'ui>.  Il  serpente,    che  si  cau- 

1  in  uomo.      r —       122.    Lucerne,  ocolij.      :zs-z      123.  Le 

ai,  la  guardatura  delle  qnal.     : — :     124.  Quel  —  dritto, 

egli    ch'era  di\  enuto  iiiPino.   J  l  t  r.    —    tempie,   ritiri»  il 

ISO  verso  le  tempie,     accorciandolo  secondo  l'umana    forma. 

-     Vi-'ì.  Di   truppa   m. ,  dal  soverchio  della  materia,  ond' 

.   composto    il    muso    serpentino.     ;  liti.    Deltc^   dalle. 

(^  III  p  i  e  ,  prive  dell' «reccliic,  lisce,  t—r  127  ss.  Qui-lìa  parte 

muso  serpentino,   che  non  enlrii  nella  testa,    leniii  fuori  a 

maie  il    naso  della  taccia  umana.     :--     130.   Quel  —  g  i  a- 

va,    l'uomo    traBloriii:ilo    in   sirpente.     =r:      13.>.    Resta, 

sa.      r — :       Ilo.    A  II' ali  ri)  de'  ire,   che    non   erasi  ancor 

^lormato,     l'uccio   !Sciaiic;ito.       —      142.   Xa  v  o  r  r  a    {  s  a- 

rni    in  lai.)    la  ghiara  che  si  mrllr  nella  sentina  ilella  na- 

;  qui  metafor.  gunja    fecciosa  posta    nel  l'ondo    della  seltiniu 

Idiii.     r     :      114.  Fior  la  pi  una  nbborru,    un    tantino 

tilt;    travia    (31,  2li.  Pg.  3^  135)     col    troppo    ininulamtoile 

HCriv  ir  questi!  IraNrormii/.ioiii.    ;     -    liti.    S  in  a  g  it  t  ii  ,    smar- 

P;^  3,  Il     10,  lOll.  19,  20.  27,  101.     Par.  3,  3li.    Alfine  a 

[■I ,   /<"!'),   impasto.     ^--    14H.    l'u  e  ciò   S  e  i  a  n  e  a  t  o, 

tadin  liorenlino,  l'orse  ladrone  limoso,  r — ■    151.   (/nel  ecc. 

isser  l''riiiicesco  (iuerrin  ravalrinitc  ,  ucciso  dagli  uomini  d' 

a  terra   di  vai  d  Arno  di  supini,  Urila  Oavitlv.     l'iangi 

r  la  veudellu  falla  dagli  amici  di  Cav. 


=-  !)7.  (  adnio,  tras- 
4 ,  5b3  —  0(12.  Aret u s a 
==■=       100.    A  front  e   a 

: 102.  Lor  materie 


C  A  :v  T  o     XXVI. 

i.  Cinque:  Cianfa,  Agnel  IJninelleschi,  Huoso  Donati. 
Puccio  Sciancato .  Frane.  Guercio  Cavalcante.  =z  7.  Pres- 
so al  matlin,  prima  che  spunti  l'aurora  ,  qui  rcetaf.  poco 
prima  del  principio  delle  disgrazie ,  come  se  dicesse  :  se  i 
presagimer.ti  miei  son  veri.  : — •  9.  Prato  vicina  e  suddita. 
Agogna,  desidera  con  ansietà.  Allude  alla  rovina  del  pon- 
te della  Carraia,  jiieno  di  popolo  concorsovi  a  godere  d'uno 
spettacolo,  che  si  faceva  in  .Arno  nel  1304;  all'  incendio  di 
1700  case,  ed  alle  feroci  discordie  tra  i  >ieri  e  Bianchi.      J'il- 

lani  cr.  8,  70.  71.     : 10.  Per  tempo,  troppo  presto.  

11,  Da  che  dappoiché,  pur  esser  dee  certo  e  inevitabile 
è  il  fato.  : — —  12.  Com''  p  i'u  mi  attempo,  perchè  in  età 
più  avanzata  ogni  sl'ortunio  tr.iva  petto  meno  renitente,  forza 
inlievolila.  Allude  principalmente  al  suo  esilio.  Mi  aggre- 
verà  (lez.  bartol.)  par  più  elegante.  =  13.  Scalee,  or- 
dini di  gradi.    14.  Borii  i,  nicchi,  che  sporgevano  e  pei 

quali  erano  discesi.  24,74  ss.  Pcu-ché  bornio  e  raddeutellalo 
della  muraglie  ;  voce  antica.  Monti  Prnp.  1,  2.  131.  noi.  in 
frane,  bornes  son  pilastrini.  20.  Quando  ecc.  quan- 
do mi  ricordo  delle  pene  di  coloro,    che   fecero   mal  uso  dell' 

ingegno.    : 23.  ?jiglior   cosa,   grazia  divina.     24. 

Il  ben  V  allo  ingegno.  Par.  22,  112  ss.  Noi  m'invidi, 
non  me  lo  tolga,  non  me  ne  privi.  25.  Quante  si  ri- 
ferisce a.  V  e  d  e  l  u  ce  io  l  e  \.  'l^.  : 2b.  Colui  —  schia- 
ra, il  sole.  =  27.  La  ecc.  stando  più  tempo  sopra  l'oriz- 
zonte, essendo  allora  più  brevi  le  notti.     .Vddita  Testate.     

28.  Coinè   ecc.   quando  vien  la  sera.     34.  Colui  ecc.  il 

profeta  Eliseo ,_  che,  essendo  lieli'eggiato  da  una  turba  di 
fanciulli,   maledisseli,   ed  uscendo  da  una  vicina  macchia  due 

orsi   sbranarono   quarantadue   di  loro.  4   Reg   2.    : 35.  Il 

carro  dì  fuoco.  40.  Ciascuna  delle  tìamme  31.  (iota, 

apertura.    : —    43.  Surto,   alzato  in  piedi.    : 45.   il  rio, 

urtato.    48.  /*"«  .s  e  j  Ci ,  copre.     Q  u  e  l  fuoco.   CAe<londe. 

Inceso,   arso.     ==    50.  A  v  v  iso  ,   avveduto.    : 52.  D  i 

sopra,  nella  cima.    54.  Uve  ecc.  rise.   Stazio  Teb.  12, 

430  s.      z —    58.    Si   geme,    piangono.     : 59.   A  guato, 

frode.  Cavai  di  legno,  dal  cui  ventre  uscirono  i  guerrieri,  che 
Troia  distrussero.    Porta,  principio,  cagione.   (iO.  Dei 

—  seme.  Enea.    (il.   L'  arte,  gli  artìlicj  adoperati  da 

Ulisse  per  indurre  .\chille  ad  abbandonare  la  sua  Dcidamia  tì- 
gliuola  di  Licomede,  re  di  Sciro.  r^  (i3.  Palladio,  sta- 
tua di  Pallade,  scesa,  come  si  credeva,  dal  cielo  nel  tempio 
di  essa,  e'da  custodirsi,  seppur  salva  dovesse  essere  la  ciiià. 

(i7.  Facci    nego,    iiieghi.      :=i     72.  Si   soategna, 

si  astenga  dal  parlare.  : —  73.  Concetto,  couceputo. 
Schivi,  perche  D.  non  era  ancor  famoso.  =r-.  7S.  A  udivi, 
latino  per  udii.  ^=  82.  Li  alti  versi,  V  Eneide.  =:: 
h'3.  L'  un,  l  lissc.  •; —  84.  dissi  se  ne  andò.  Perduto, 
smarrito.  r=r:  85.  /io  maggior  corno  d'  l'iisse.  Antica, 
per  moltissimi  secoli  passati.  : —  8(i.  Crollarsi  mormor. 
ralì'r.  27,  13  ss.  ^m  87.  vi //a  f  «ca  ,  agita.  =  91.  Cir- 
ce  maga,  che  convertiva   gli  uomini  in  bestie,    zrr-    92    Là 

—  Gaeta,  tra  Gaeta  e  Capo  d'Anzio,  al  monte  Circcio,  o 
Circello.  rr^  93.  Nominasse,  dalla  sua  nutrice  sepolta- 
vì,  detta  (Jajcta.  Eneid.  7.  zttt  91  ss.  Figlio,  Telemaco. 
Padre,  Laerte.  Pietà,  o  affetto  di  figlio,  o  attristamen- 
to.    =     100.   Mure   ap-rto.   Oceano.    =-:     107.    Quella 

—  riguardi,  allo  stretto  di  Gibilterra,  dov  "  Ercole  poft« 
le  colonne,  segni  a'  navig.mti,  cine  il  .Monte  .Abile  in  Affrica, 
e  il  monte  Cal|)e  iu  Europa.  Riguardo,  da  Romagiiunli 
si  dicono  i  lermini,  che  dividonoi  rampi,  ei  pali  e  le  colonne, 

che   difendono   le  vìe.      Pirlicari  Proji.   2,    2.   3f8.     111. 

Setta,    ("eula,   città  dell'  .Mirica.    : 113.    Uccidente, 

estremila  occideuUile.  r^—  114  ss.  Tanta  —  sensi,  tanto 
corta  vita.  E  <l  e  l  r  i  m  a  n  e  n  t  e ,  rimane.  Del —  gente, 
di  quella  parte,  di'  è  snilo  di  noi,  ove  min  ha  gciiiu.  =: 
118.  Semenza,  nobile  olitine.  .- —  |20.  Conoscenza, 
scienza,  rr—  121.  A  r  n  t  i  ,  vogliosi,  licsìdcrosi.  r-r-  124. 
Nel  mattino  verso  Levante,  o  la  parte,  dove  nasce  il 
mattino.  Munti  Prop.  .'? .  1.  112.  =r—  12').  /.>  e  i  ecc.  accele- 
rammo lo  sconsigliato  viaggio.  =r:  fili.  A  r  q  u  i  s  t  u  n  d  o  — 
mancino,  verso  il  pulii  antartico,  il  quale,  a  chi  dal  Medi- 
terraneo esce  neir  Oceano  ,  resta  a  maiMi  sinistra,  rr^  127. 
Altro   nnlarlico.    r-       I2H.   Mostro,    artico.    =r^    128.  Che 

—  suolo,  che  sembrava  tocrnre  il  piano  dell' acqua  del  mare. 
zr—  fio.  Cinqui-  ecc.  cinque  volte  si  era  fatto  il  plcullnnìo, 
e  cinque  volte  il  novilunio,  scorsi  erano  cinque  mesi.  ('a. sin, 
mancalo,  rr—.  132.  Aito  passo,  alto  Oceano,  r—  I3J. 
Montagna.  Ai  inmenlalori ,  che  qui  intendono  il  pai':ulÌHn 
terrestre,  e  il  purg,itorio,  cnnlradici-  (ìioguciiè ,  asserendo, 
che  I).  ti  abbia  avuto  ijnalrhe  conle/./a  dell'  isola  .Ml.iiitidn, 
del  'l'enerilfa  ,  oppure  u'  un  nuovo  mnndo,  benché  pìii  lardi 
scoperto  da  Cristoforo  Colombo,  Il  folle  i^Vlk)  llisse  tenura 
rio  iiilaiito  non  <i  perviine,  in  segno,  elio  colai  inipres,i  ol- 
trepassi Ir  liir/e  niiiane,  ne  riuscir  possa  senza  favor  pnrii<'o- 
lar  divinii,  di  cui  1).  si  viiiilò.  : —  I3li.  H,  ma.  ~  138. 
l^rimu  valilo,  la  prora  della  uuve.  .:=  IU.  .lUrut, 
iddio. 


COMENTO    SULLA  DIVINA   COMMEDIA. 


e   A  W   T  o      XXVII. 

2.  1» ir,  parlar.  =  3.  Poeta,  Virgilio.  =:  7.  Il\ 
bue  cicitimi,  il  toro  di  bnmzn  costruito  da  Perillo  ate- 
niese, e  regalato  a  Falaride,  tiranin»  di  Sicilia,  per  farvi  ab- 
Lruciave  vivi  e  muggire  i  cnndaiinali  a  morte.  Il  tiranuo  ne 
fece  la  prima  esperienza  coli'  artelice  stesso.  r=  14.  JJal] 
nrincip  io,  da.  pTìim.  JJ  e  l  (ìez.  de'migliori  codici)  si  ri-I 
ferisce  a  vi  a  e  fo  r  am  e  ,  cioè  uscio.  Suo  linguaggio,\ 
stridore  e  mormorio.     =     Iti.    Co /to,   preso.      fiaggio,\ 

andamento.     17.  (iui:jzo,   vibrazione.    : — :    20.  Lom-< 

bardo      è  vocativo,    diesi    riferisce   a  \'irgilio ,   come   diccj 

bene  il  Viviani.    21.  Issa  —  a  di  zzo.    Sciocca  è  senz 

altro  la  quislione  nel  leggere  un  poema,  se  i  personaggi,  an- 
cor foresiieri,  che  vi  s'introducono ,  intendano  la  lingua,  in: 
cui  è  scritto.  Ma  diversa  è  la  lezione  di  queste  parole,  clic| 
si  riferiscono  al  v.  3.  mentre  altri  hanno  istra,  che  par  is- 1 
baglio  de'  copisti;  altri  issa,  di  che  v.  a  23,  7;  altri  istà: 
alili  statenva,  o  st  atti  o  v  a.  Le  ultime  lezioni  a  noi 
sembrano  correzioni  poco  necessarie,  per  avere  contrapposto 
coiiten  va.  Ma  il  senso  va  bene:  vanne  subito.  A  di  zzo, 
attizzo  sono  diverse  forme,  della  semplice  aizzo,  eccito, 
stimolo.  Parola  afiìne  alle  greche  «iVioco  ,  aiaaw  ,  uaaw, 
ctTTO)  aiS^uì ,  ct^Lo ,  ()«•;,  éttvu),  alla  lat.  aestus,  titio, 
U.  toson,  ted.  he  i  zen,  Hitze,  he  t  zen,  bai  zen, 
austr.  oaten,  aten,  aizen,  gerin.  eit,  alleingl.to  bait, 
ba'i  '  ah  et  heat,  hot,  nelle  quali  tutte  predomina  il  si- 
ffuilicato  del'calore  eccitato  col  soffio,  o  vento.  =  21.  E,  e 
pure     2()   ss.  Latina  terra,     Lazio,  Italia.      Onde 

—  reco,  ov'  io  commisi  le  colpe.  .:=  29.  Monti,  Monte- 
feltro.  - —  30.  Giogo  appenniuo.  =  32.  Tento  di 
costa  urtò  leggiermente  nel  lianco.  :=  41.  L'aquila, 
arme  de'  Poleiitani.  =  42.  Cervia,  città  dodici  miglia  da 
ilavenna  discosta.  Ricopre  —  vanni  tiene  sotto  di  sé. 
r=r:  43  La  terra.  Foni,  citta  di  Romagna.  Fé  lunga 
vrova  X  un  assedio  francese  posto  da  Martino  IV  nel  \'M\, 
iinchè  il  valoroso  conte  Guido  di  Montefeltru  ghibellino  ,  ver- 
so la  metà  di  maggio  del  12^2  facendo  sanguinoso  muc- 
chio strage  terribile,  di 2000  Papalini  e  Francesi  liberò  For- 
J'i  f'ilìani  sUìT.  T,  VO.  =  io.  Le  branche  verdi,  do- 
minio degli  Ordclalfi,  che  aveano  per  arme  un  leoncino  verdi- 
dal  mezzo  ia  su  d'oro,  e  iu  giù  con  tre  liste  verdi  e  tre  d'oro.  = 
4!j  11— novo, ì  Malatesta,  padre  e  tìglio^  signori  di  Rimino,  detti 
mastini,  cani,  tiranni  crudeli,  f  errucchio ,  castello 
dai'li  Ariininesi  donato  al  primo  dei  Malatesta.  =  47. 
Montagna,  cavaliere  ariminese  della  tamiglia  dei  Parcisa- 
ti  e  capo  della  fazione  ghibellina.  =  48.  Su  e  e  A  i  o  ,  trì- 
v(Alo;  fan  s.  lacerano,  fan  strage.    La  —  sogliono,  nelle 

terre  loro  soggette.     49  ss.    Il  lioncel    (  leone  3/o/ìtj 

Prop  3,  1.  3J  s.  )  dal  nido  bianco,  eh'  è  il  soggetto, 
Mainardo,  o  Machinardo  Pagani  del  podere  di  Susiana,  guclto 
in  Toscana,  ghibellino  in  Romagna  (/ i7/an/  stor.  H,  liUjche 

—  verno.  Conduce ,  reg:ge.  La  citta  di  Lama  ne, 
F.-ienza  posta  presso  il  fiume  Lainone,  e  di  Santerno  ,  Imo- 
la situata  sul   fiume  S.     ==     52.  Quella  ecc.  Cesena.    = 


127.  Furo,   che  furj 


assoluzione  papale  fosse  nulla.       

nasconde  agli  occhi  altrui  gli  spiriti  tormentati.  2(i,'41sg.  :=i 
129.  /  est  ito  di  liamina.  Rancura,  rattristo,  rammaricc 
=^  13(i.  Scommettendo,  disunendo  animi  giunti  pel 
vincoli  di  natura,  o  d'amicizia.    Carco  di  coscienza. 


li 


Canto.    XXYIII. 

1.  Pur,  ancora   solamente.     Parol  e  a  ciolt  e  ,   prosai 
=^=    3.  jPe  r,  ancorché  ,  tuttoché.     =:     6.    Seno,   capacità 
=^  7  —  10.  Rall'roiitando  le   miserie  di  cinque  guerre  le   diti 
vinte  da  quelle   della  nona   bolgia.     La  prima  è  quella  in  s 
la  fortunata,    disgraziata,    terra    di  Puglia  per  l 
Romani  (no   Troiani,   eh'  è  lezione  guasta)  negli   anni  e 
Roma  -129.  Liv.  10,  15.    =    10  —  12.   La   seconda  guerra  pu 
nica  di  tre    lustri    (lunga),   massimamente   a  Canne ,    dov 
perirono  50,000  Romani,    ed  Annibale  mandi)    a  Cartagine  tr 
moggia  e  mezzo  {si  alte  spoglie)   di    annella  tratte   dal! 
dita    di   cavalieri    romani   uccisi.     Liv.  23.  12.     =     13  s.  L 
guerra   di  Ruberto  Guiscardo  normano ,   ligliuol    di   Tancrei 
u'  Altavilla,  contro  i  Saraceni,  eh'  ei  battè  aspramente  (quei 
la  gente,  che  —  duglie)  e  costrinse  ad  abbandonare  la  S  i) 
cilia  e  la  Puglia.    =r    13  —  17.  La  guerra  tra  Manfredi ,   i  I 
di_ Puglia  e  Sicilia,  e  Carlo  Conte  d'  Angiò.    La  prima  batté  i 
glia   fu   a  Ce  p  er  ano ,   luogo    nei   conilni   della  campagna  if 
Roma  verso  Monte  Casino  nel  12(i.').     Fu  bugiardo   mane  1 

di  fede  al  re  Manfredi.     17  s.  La  guerra  del   detto  Cai  I., 

lo  dWngii)  contra  Curradiiio,  nipote  di  Manfredi  a  Taglita 
cozzo,   castello    nell'   Abruzzo   ulteriore  a'    23  agosto  l'ano  in 
1288,  ove  il  vecchio  ^J  lardo  di  Valieri,    cavalier  frauc<  u 
se   consigliò   re  Carlo,   il   quale   con  due  terzi  delle  sue  geu  w 
aveva  combattuto  e  perduto,     di  correre  con  1'  altro  terzo  a(  i 
dosso  al  neinico,    a  cui  pure   con  la  sola    presenza   cagionò  1  il 
totale  consternazione  e  la  fuga     (f  Ulani  stor.  7,  27  s.)    e  co:  a; 
vinse   senz'arme.      =:      20.   IJa   eguar   lez.  dionisiar  n 
in  vece  di  d'agguagliar,   chiosa.    -^ —    22  ss.  Già  coiti 
non  si  pertugia  veggia,   botte    (che   sono   soltanto    dm; 
verse  forme,   aflini  al  gr.   jit-do^,    (ìvtivìj,    lat.  vas,  ing 
vat,  fat,   ted.    Fa  ss)   per  perdere   mezzul,   parte  i 
mezzo  de!  fondo  dinanzi  della  botte,  o  lui  la,    doga  lateral 
la  parte  di  esso    fondo,    che   sta   di    qua   e    di   là  del  niezzu 
(afiìne   per   mezzo    del  cangiamento  delle  labiali   d    e    /  al  f 
douelle,  da  do  uve,   ted.  Daube,   JJaufel,   JJaube 
D  a  u  e  h  el ,     gr.   óoxo;  )   e  om  e     io      vidi     un    r  o  tt 
spaccato,    dal    mento    —   trulla   sin    dove    esce    l'ar 
chiusa    nell'intestino.      Trullare,     spetezzare;    alfine 
rovV.uio  ,    zov^cj  ,    TQoy^o  ,    ted.     grolzen,    grill  z  e 
rùlzen,   r  iil  p  s  en.    In   vece  A\  perdere   il  cod.   bart.  1 

fendere,  come  v.  33.     25.  Minugia,   budella,  int 

stini.    2(i.  Corata  viluppo  del   core.     Tristo   sacc 

lordo  ventricello.     27.    Trangugia,  mangia  e   bev 

30.   Dilacco,    sparto,   apro   le  lacche,   le    cosce,   q' 

spacco,  son  fesso.  31.  Maometto,  io,  che  parlo.     — 

„_.  .^„^ . ,32.  .11/,  segur.ct!  di  M.     r=:    33.  Citi  ff  etto  ,   ciocca  di  ci 

53    Sie'     siede     ^=    57    Fro  raffi  contrasto  all'  obblio.   =jpegli    sopra   la    fronte.    Voce  ted.  S  e  Ao;)/,  fr.  coè//e ,    d ''J 

b3'  (Juelta  ecc.  io  mi  tacerei.    =  07.  Cordigliero,  fra-    Kopf,  Zopf,  alfine  a  molte  altre.     r=    3ti.  T  ti^i ,  menti»  * 

te'Francescano    nel  r'9.),  nel  74  anno  di  sua  età.     Del  tutto  v.  |  vivevano.     11  tutti  del  cod.  bart.  non  quadra,   perche  già  F 

Ugo  Foscolo  disc,    sul  lesto  ecc.  234  ss.  massimamente  239.  s.  ;  legge    nel  34.    =    o7.  Jccisma,  fende,  squarcia.    Dal  gf»' 

dove   paria   delle   lodi   altissime   del    conte  nel   convito  e  dell' 

ignominiose  censure  in  questo  passo.    ==    69.    Jenivain- 

te  r  0  ,  sarebbe  venuto  ad  effetto.  =z  70.  1 1  g  ran  p  r  e  t  e  ,  papa 

Ronifazio  VIU.  A  —  prenda,  imprecazione.    =    ti.  qua- 

re,   perchè.     Latinismo.     z=i      '5.  Leonine,   crudeli.     Di 

1' 0  /  7)  e  ,  astute.     =^    70.    Accorgimenti,    lurbene.     =r 

7H    Che   ecc.   che   la  fama   delle   mie  astuzie  andò  per  tutto  il 

mondo.     =     81.  Sarte,   cordaggi.     =    8.).    Lo  —  Far., 

Bonifazio  MII.    =r=    m.  Presso   aLaterano   co     Co  on- 

ncsi,    che   vi  abitavano.      r=r       H9.    Acri,   lolemaide,  dove 

più  di  70000  cristiani  furono  uccisi.    =    90.   3/ e  r  ca  f  a  n  t  e 

di   vettovaglie,   e  provvisioni.     r=      91.    Sommo   uftcio, 

dignità    papale.      =     92.  Capestro   cordone  francescano. 

=    94.  Co«ffflnti«  il  Magno.     Si/ yR  «  f  ro  ,  papa,  nasco- 
sto nelle  caverne  del  monte  S ir  atti,   Soracles,  monte  sant' 

Oreste     =     95.    Della  lebbre,   mai  no  delle   v.  Munti 

Prop.  3    1.26.      =     97.    S  uve  r  b  a  fc  b  hr  e  ,   odio  superbo 

contra  i'  Colonnesi.  =  99.  Ebbre,  da  ubbriaco,  stolte.     r= 

102.    Pellestrino,  la    terra   dì  Preuistc,    oggi  Palestrnia 

fortezza  lungamente  invan  assediata  da  Houitazio     =  "'"'•,,/' 

Tnio   ani  e  e.    Pier  Celestino.  Aon  — ca  re.  .3,  59.    =     1Q7. 

Mi   fu   ay  vino  ,  mi  parve.    =    HO-  Attender   corto, 

mantener  poco,  rrrr-lll.  Tr  io  n/a  r  de'Coloiuusi.  llpapalinsc 

pietà  e  fece  intendere  a'  Col.,  che  venendosi  ad  umiliare,  sarebbe 

for  perdonato    Vennero  Jacopo  e  Piero  cardinali  in  abito  nero. 

Bonifazio  promise   tutto   a  condizione   d'ottener  Preneste,    la 

quale  ottenuta  la  fece  disfare,  e  rifare  al  piano,  noiuiaandnla 

città  del  papa.     ^^     113.    l'erme,   per  condurmi  in  l'ara- 

dÌHO.    rr^     115.  Meschini,  servi,  schiavi.  9,  43.    r=^     117. 

Stato  tono   o'  crini,    ho  tenuto  in  mìo  potere.    r!=r    119. 

Peni  ere,   pentirsi;    dal    lat.    p  oeìiit  e  r  e,     ^=      I'23.    Tu 

ecc.  credevi  eli'  io  non  sapessi  argoiueutarc   bene,  che  quella 


legge    nel  34.    o7.  Accisma,  fende,  squarcia. 

(T/z'i-j.  r=  :ì^.  Al  taglio,  n  ii\a.  =  39.  JK  i  s  hi  a  ,  mo[" 
tiiudiiie;  proprinmrnte  di  fogli  di  carta ,  ted.  Riess.  — i 
40.  Quando,  ogni  qiial  volta.  =  42.  Altri,  alcun 
Li  a  quello.  =  43.  Muse,  musi,  stai  ozioso.  E  il  greij 
/iihuì,  /iiu^io ,  fermar  gli  occhi,  o  le  labbia.  ^=  io.  i[ 
su  le   tue   accuse,   a   tenore  delle    colpe   accusata    e  co'i 

Cessata.   io.  Fra    Dolcin,  romito  eretico,  che  predic;h 

va  la  comunanza  d'osmi  cosa,  perfino  delle  mogli,  e  forte  pi 
seguito  di  più  di  30(10  uomini  giri»  rubando  due  anni,  lincli 
nel  1307  ridottosi  ne'moiiti  del  ^ovarese,  sprovvisto  di  viveij 
e  impedito  dalle  nevi  fu  preso  ed  arso  con  Margherita,  si| 
moglie  ed  altri.  /iWani  stor.  8,  84.  =  M.  St  r  e  t  ta,  cei 
cbiaini'itto ,  serramento.  =  l>3.  y^  per.  =r=  iitì.Machl 
V.  4,  2li.  =  68.  Canna  della  gola.  r=r  69.  T  e  r  m  i  g  l  i  t 
insanguinata.  =  73.  Medicina,  del  contado  di  BoTognf 
seminator  di  discordie  tra  i  cittadini,  e  tra  il  Conte  Guiil 
da  Polenta  e  Malatestiiio  da  Rimino.  =  74.  Lo  dolce  pi 
ano,  la  Lombardia.  =  75.  jl/a  r  cn  A  ò  castello,  oggi  d| 
strutto,    vicino   alla  foce   in   mare    del  Po,    a  Porto  Primari 

76.   Fano,  città  sul  litio    dell'  Adriatico,    al   di   sotto   | 

Pesaro  no\e  miglia.    =r^    77.  Guido  del  Cassero.     Augii 
Iella  da  (Jagnano;  gentiluomini  di  l^ino.     =:=    79.  G  i  1 1  a  il 
ecc.    per   ordine    del    tiranno    Malalesiino  ,  e  pe'  -uoi  raggili 
fuscello,  nave.  =:  1-0.  iM  azzer  a  t  i ,  gitlati  iu  mare  iu  i 
sacco  con  una  pietra  grande.    Il  cod.  birt.  ha  macerati,  à  II  .\ 
strutti,  sciolti.    La  scelta  è  dilficile  ,  jwincipalniente  a  cagioi  Rsti 
dell'    orìgine   nascosta,    non    sapendo    io,     se   si    riferisca 
iiauì,  /ita(jiHii,o  sia  affine  a  /uvaww.;,  fedo,  e  fimo,  fiV^tiì,ftùao 
corpo  puzzolente.     Cattolica,   castello  sul  lido  dell'  Adrij   ,  -, 
tico  tra  Rimino  e  Pesaro.      =      82.  Cipri ,  isola  del  Meo   *•» 
terraneo  la  più  orientale.    Maiolica,  Majorica,  la  maggi  *«f 


COMENTO    SULLA   DIVINA    COMMEDIA. 


cacciato,  esule  da  Roma.  Sommerse,  estinse,  i /j  mesi  spesero  iOO,  COO  ducati.  r=r  132.  Abbaslinto  nome 
abitar  di  farsi  maggior  delle  leggi  della  patria ,  passando  proprio  d'un  incngiiito.  Forse  D.  avea  scritto  ed  4hb  o 
Rubicone.     =      !IS     J  l  fornito    provvisto   di   lutto.    ^=\  et  Ab.    Pro/e  r*  e ,  ironicamente ,  mostrò.     :=     135    jtis- 


.  Attender,    indugiare.     Lucano   Fars.     1,   2^7.    Tii-t 

oncherin,  liraccia  senza  mano.     lOG.  Mosca,    uno 

Ila  famiglia  iioreiil'ua  de'  Lamberti ,  che  nel  1215.  uccise 
londelnioiite  dt;"  Bunndelmomi  pir  vendicare  V  onore  degli 
nidei  offeso  d;i  ìì.  ,  il  quale  avendo  promesso  di  sposare  una 
nciulla  di  quella  famiglia,    piglili  ])ni  una  de'    Donati.      T  il 

ni  5,   38.  iMacihiavelli  stor.   fior.   I.    2.     107.    Capo, 

le.    rr=    117.  A  sb  er  g  0  ,   forma  più  vicina  all'  origine  ted. 

alsberffe,    che  osbergo,   o  usbergo.     . 122.  Pe- 

)/,    pendolo,     sospeso.       Il   cod.    bart.    ha  preso,    forse 

resolo,    che  nacque   da   quello    misiuteso.     :    125.  Due 

luno,  due  parli  d'uomo,  capo  e  busto,  con  un'anima.    

l.  Spirando,  essfiido  ancor  \ivo.  r=  133.  B  e  rtr  am 
at  Bornio,     visconte  del  castello  d'  Altafnrte   in   Guasco- 

la ,  guerriero  prode,  ma    turboleulo.     •     135.  Mai,  mali. 

l    re    Ci  io  V  anni.     Se    non    vìeu   permesso   di  leggere  col 

d.  bart.,  con  Giuguene,  Sismoiidi  e  liutlura  al  re   giova 

e,  n  al  giovan  re,  come  concedette  pure  Curpani  nel- 
bibl.  ita!,  di  Mil.  ,  coufurinemenie  al  ÌNovelllere  antico  nov. 

.,  bisogna  dire,  che  Dante  abbia  confuso  il  tiglio  minore  di 
irico  11,  re  d'inghilicrra ,  detto  Giovanni,  o  re  Giovanni, 
rchè  nel  llTtifece  Enrico  un  regno  d'Irlanda  da  lui  conquis- 
ta, e  nomìnonne  re  il  figlio  Giovanni,  col  primogenito  £u- 
;o  ,  fatto  incoronar  re  d'Inghilterra  sin  dall'  età  di  15  anni 
1  noi),   e  però  detto    il  re   giovane,  \\  quale   secondato 

1    fratello  Goffredo   ribellossi   al    padre  tre  \  ulte.    i:iH. 

ungelli,    pungoli;    incitamenti,    istigazioni.      :      111. 

rincipio,  core,  o  midolla   sjiinale.     142.  Contro 

ISSO ,  legge  del  taJioue ,  che  vuole  BÌmile  gastigo  al  delitto 
mmesso. 


ponda,  soddisfaccia   al  tuo  desiderio  di  conoscermi. 
139.  Sci  mia,  imitatore. 

Canto     XXX. 

2.  Sem  eie,  figlia  di  Cadmo,  fondator  di  Tebe.  : —  4 
89.  Ata  mante,  re  di  Tebe  fatto  furioso.  Moglie  Ino,  so- 
rella di  Semele.  Figli,  Learco  e  Melicerta      V.   Ovid.  MeL 

1,  515  ss.       =^      15.    Casso,   estinto    e    distrutto.     16. 

E  e  uba,  moglie  di  Priamo,  re  di  Troja.  17.  Po  li  se- 
na,  sua   figlia.     18.   Suo    figlio.      20.  Latro  r. 

Oi'i'rf.  Met.  13,  570.     : 28.  Xodo,    cartilagine,   detto  p  0- 

mod'' Adamo.  =rr  30.  Fondo  sodo,  duro  pa\imento. 
=  i\.  Aretin ,  Griffolino.  =  ^2.  Folletto,  spirito 
propriamente  aereo,  qui  inquieto,  molesto.  Gianni  Schic- 
chi de'  Cavalcanti  di  Firenze,  famoso  per  contralfare  l'altrui 
persone.      =     33.    Conciando,    ironicamente    sconciando, 

inaltratlando.    3!).  Fadre,  Ciniro,  re    di    Cipro.      Orid. 

Met.  10,298   ss.      Amica,    concubina.     42.  Ì/'o/froj 

Schicchi.     Sostenne,  tolse  l'assunto.   43.    La  donna 

delta  torma,  la  cavalla  ottenuta  in  guiderdone  da  Si- 
mon Donati.    48.   Malnati,    malvagi.  Monti   Prop.    3. 

1.  91.    !=::    i9.  A  g  uis  a    di    leuto  (lezione  piii  vicina  air 

origine   dal    basso   latino    leutus  )     per    l'idropisia.     ■ 50. 

Anguinaja,  parte  del  corpo  tra  la  coscia  e  il  ventre  allato 
alle  parti  vergognose.  ==  51.  In  vece  di  dal  lato  ì  codd. 
lior.  e  bertol.  han  dall''  altro,  cioè  tutto  il  resto  dall'an- 
guinaia in  giù,    cioè  le  cosce  e  le  gambe.      52.  D  i  s  p  a- 

ja,  toglie  la  proporzione,  psrie  ingrossando,  parte  scarnaiw 
do.  z=  53.  Mal  in  cattiva  siistanza.  =  57.  Lo  un  lab- 
bro. Hi  Inerte,  ri\olta.  Latinismo!  : 61.  Adamo  bre- 
sciano,   richiesto   da'  Conti    di  Romena,   luogo    vicino  a'  colli 

del  Casentino,  falsificò  la  mniieia  e   fu  bruciato.     69.  Il 

mate,  l'idropisia.    : 70.  Fruga,  punge,  gastiga.     Afli- 

ue   all'  inglese    to    prick ,    fr.    friguler,  ted.    priigcln,    gr. 

^nay.èì.ov ,     da    brcchen ,     frangere,    rompere.       72. 

Metter  più  in  fuga,  fare  che  più  affollatisi  fugffano,  pia 
spessi  escano-,  agitare  affollatamente,  spremere.  Modo  di  dire 
alquanto  slranii  ,  in  cui  li  sospiri  son  considerali  come  uu 
esercito,  che  fugge  precipitosamente.  =r:  74.  Lega,  mis- 
tura minerale,  che  si  loude  con  l'oro  o  coli'  argento,    per  da- 


Canto     XXTX, 

2,  Inebriate  ,  abbeverate,  impregnate  di  lagrime  pic- 

le.      5.    Soffolge,     posa.     Lat.    suffuUire.     Par. 

,  1.30.      z. —      9.   l  otge,   gira,    ha    di  circiuit'erenza.      r= 

La  —  piedi,  è  mezzodì,     ^ci  pleniluni  la  luua  sta  sullo 
zontc   al    far   della   sera,   e  nello   zenit   a  mezza    notte;    al 

!zzod'i  dunque  nel  nadir.       12.    ledi,  iinece   di   ere 

!,  chiede  la  natura  della  rima  coi  migliori  codici.  r=  15. 
iwesso,  perdonato,  concesso.  Laliuismo  !  =::=  16.  Par- 
,   intanto,   mentre.     Pg.  21,  19.     r=     19.  yl  posta,  appo-1  re  maggior  consistenza  alla  moneta.    Batista  \.  a  l'i',  142  8. 

Iti,  affissi.     22.    Franga,   intenerisca,   impietosisca.    =r  _  77.  Guido  ed  Alessandro  conti  di  Romena.    Frate 

onti   Prop.    2,    1.   139  8.    r^-  27.    Geri    del    Bello,    fra-    .\ghinoIfo.     =     78.    Branda,  fonte   copiosa   e  limpida    iu 
Ilo  o  figlio   di  un   messer  Bcllincione   Alighieri  di  mala  vita,    Siena.      Parla  da  sitibondo  e  vendicativo.     z=    79.  La  una, 

scminator   di   risse,   morto    da   uno  de    Sacchetti.     2H.    anima.    85.    Sconcia,   sconciata.    87.  Men,  vera 

ape  dit  0 ,  occupato.      29.  Colui  Ucltmino.        mr    lezione,    non   piti.      Traverso,   largo.     : 90    Carato, 

.iS/,ecos'i.     33.  C//e  —  consorte,    consanguineo.  ;  la  ventiquattresima   parte   dell'oncia.    Mondiglia,    feccia; 

=     36.    Pio,   pietoso.      :=      38.  i>e// 0 ,  dallo.     =:     40.    qui  lega.    =    93.  fo  n/i  71  j  ,  lato.     =—.     95.  Grippo,   ci- 
hiostra,   luogo   chiuso.    La.t.  ctaustrum.     r-=     41.    Con-   gllone  delle  fosse;  qui  luogo  selvatico.    Sembra  affine  a  rijHi 

rsi,   convertiti,    trasmulati.      ==     47-    I  aldich  lana,    rupo ,     (uif ,    (/coi/',    óto  m/io  v ,    fr.    gravas ,    romagn.    cran, 
mpag""  *"■    *—■ — "      f. ..........      f^i.:...,:  ..  \i i„:™.... ,     •"<._.;  ,.  _        .  »  ' 

rrc 

CSC 

I  mar 

sinc, 

jd. 


orca,  dove  a'  tempi  di  re  liaco    lierissima  pestilenza   regn.i-    f,.,,,;      Alcun,  ninno      1=-.     120.  Rio,  amaro,  cruccioso.  = 
i.    rr=    63.  l  poeti    t)wd.    .VIet.    1.      —     ''*:_  " '.*f  V  " '"'    l'^'i    Assiepa,  fa  siepe,  impedimento.  :r=    121.   P,  r   e  i  u  r- 

711  a  r ,    come   suole,    lezione   dinnisinna   piii  eirgantc  e  più 


l.roduHsero.    r=r    m     Biche   mucchj  ;    propriamente  di  co     ,„  „  ^„„;,,   «„„/,,    .,,. „ , , p,.„..,  .  ,.„. 

un  di  grano.     =-    '^     Levar    telar  persone,   alzarsi    agevole  da   dedursi   dal   ronfu-n  ,    o    illeggìbile    a    parlar,    o 
piedi.       =^:.      75.    Teggliia,     gr.    T(,'/«ro>',    da    riy/.u),    a    dir   mal,    che   sembrano  inoltre  chiose.        \  ale    incantando 
(uel'o,    ted.     Ticgel.       rrr: 
.  Stregghia,  strcglia  ; 
'^niyXoi  ,    fr.     etrille  ,  ted. 
no. 


78. 


I  ^n  0  rs  o,    signor 
Soccorso,   rimi' 


ingannare.      : 12t).    H  in  fa  reta,   riempie.      Latinismo! 

rrrr     I2H.  Lo  —  A  a  r  e  i  s  «  o ',    l'acqua,     rrrr     132.    Per  poco 

>■ ,  poco  manca.    136.    Pann  aggio,   danno,    zrrr-     145. 

Fa  ragion,  fa  conto ,  pcuBa,     =     147.  Pialo,    litigio, 
chiassata. 


A    N 


T    O        WXI. 


76.    A'  e  h  i  a  n  %  e ,   croste. 
lat.     strigli,    strigilia, 
Striegel  ,     Stralli.       : — 
m      79.   .1/0  r«o,   graffio.      =r— 

-     82.   S  r  ubbia,    rogna.      : 

Scardava,  pesce  di  larga  Nuuaina.  85.  Disma- 
lie, spicchi  le  maglie,  o  piastrelle,  scrosti,  rrr-.  !)7.  li  i  n- 
i/toj  puntello,  so«legiio.  _^-r  99.  Di  rimbalzo,  di  ri- 
rcnssione,  non  direttamente.  rr:r'  100.  Si  accolse,  hì 
fisMii,  attese,     irr-     103.   Imboli,  involi.       r— r:     105.    So/ 1,1 

ini.  r^^  109.  Di  .lre-^-~o,  alchiinÌHla  (ìriffolino.  ^^^  bart.  or/i'i.  ^r-  ì).  Padre  Pelea.  =  6.  Mancia, 
U.  .^  0 1  —Dedalo,  uni  lei  \olare,  come  Dedalo,  che  regalo,  dono.  Della  lancia  v.  Ovid.  Met.  12,  111.  1=-^  I. 
rmossi  ale  di  ncniie  e  cera  per  ruggirsene  dal  labirinto  di  ('reta.  ,/>  e  i/i  »i  o  t'/  (/o  «  no  ,    ci  p.iriiinmo.     :rrr-      II.    ,1/1    andava, 

—    117.    ,/,    uà.     f// e —;/ ^^  IO /(>,  il  vescoxo  di  Siena,  rrrr  I  vera  lezione,     r —      12.      Ilio,    forte,    forleincnte.      13. 

10.  Li  VI-,  è  poHHibilu.    Munti    Prop.    .'I,    I.   2H,_  ; -^  122.  /  ai  Tuon  in  vece  di   suon    d'alcuni  coiUI.    lioreiiliiii  sembra  più 

espressivo  e  coiifoniie  ad  alto,  r- —  II.  Contra  fi  ,  in 
direzione  contraria  n  i|ui'lla ,  donde  venne  il  suuno.  Sua, 
del  Niioiin.  Se  p  II  i  t  a  II  il o  ,  mentre  seguitavano  gli  occhi.  r= 
16.  La  —  rotta  di  Iluucisvallo  nel  778,  dove  per  tradimcoto 


Ifna  —  lingua   di  Virjrìlio.     =     4.  Odo  10.   Cod. 
nlchiinÌNla  Griffolino.      ^^^  '  bart.  o  rf*  «.     ^r-     a.  l'adri 


a,  U-ggiera  ,  di  poco  hciiiio.  rr^  121.  L'  altra,  ('apoc 
lìu  ,  ali'himista  e  falsalor  di  metalli.  136.  :^—  125.  Tra  hi- 
p/i e  (  le/,  de'  migliori  coilici  )  SI  ricca,  è  detto  ironica 
cute,  cuiue  21,  41.     Cos'i   pure    125   temperale,   iiumodc- 


COMENTO   SULLA  DIVINA   COMMEDIA. 


di  Cano  fu  da'  Saraceni  trucidato  un  corpo  di  30,000  soldati. 
: —  n. La  santa  gesta,  V  impresa  di  acacciare  i  Mori  dalla 
Spagna.  =r=  18.  Non  sonò  ecc.  secondo  Tarpino  hist.  de 
vita  Carol.  M.  25.  =  19.  /^"o/ fa,  lezione  vera,  non  alta, 
che  precede  nel  v.  IH,  e  segue  nel  20.    :=    23.  Dalla  lun- 

fi ,  da  lungi,  rr^  24.  Maginare,  immaginare.  Aborri. 
3,141.  =  il.  Forando,  trapassando.  ==:  iSi.  Fug- 
ge mi,  giugné  m  i  forme  più  antiche  in  vece  ùi  fuggi  ami 
giugnevami.  =  il.  Mont  e  r  e  g  g  ion  ,  castello  sa- 
nese.  Corona,  cinge.  Affine  a.  yoooi  ,  yvQog ,  curvus  , 
ed  altri.  z=  42.  Froda,  riva,  sponda.  =  4'{.  Vi,  con. 
=  4«,  Per,  lungo.  V.  8(j  ss.  r=  55.  ^rg:  omen  to  ,  stru- 
mento ,  forza  raziocinante,  e  in  generale  forza  giudicativa. 
=  59.  La  -pina  grossa  di  bronzo,  già  sulla  cima  della 
mole  Adriana,  e  tuttora  sulla  scala  dell'  Aspide  di  Uramante 
in  mezzo  a  due  pavoni  di  bronzo,  v.  /  jscona' descriz.  del  mus 
Pio  Clem.  7,  15.  =  61.  Perizoma,  cintolo.  Voce  greca! 
z=^  GÌ.  Frison,  alti  di  statura.  =  (ili.  Collo,  lez.  bart. 
pili  chiara  almeno  in  vece  di  loco.  =^  (i7.  Rafel  —  almi. 
Tuttoché  nel  v.  81  il  linguaggio  di  Nembrotto  venga  detto 
che,  a  nullo  è  noto,  nulla  di  meno  gli  spositorì  hanno  ten- 
tato di  diciferarlo,  Lanci  credendolo  arabo,  che  voglia  dire  : 
esalta  lo  splendor  mio  ncIT  abisso,  siccome  rifolgori)  per  lo 
mondo;  e  Gius.  Venturi  un  mescugìio  di  dialetti  ebrei,  signi- 
ficante: per  dio!  perch'  io  in  questo  profondo?  torna  indie- 
tro, nasconditi  !  Si  tempesti  altri  la  mente  con  questa  jonadat 


mascelle  (107),  forte  battendo  co'  denti  a  guisa  di  cicogna.  =r 

37.  Da  bocca,    battente  co'    denti.     : 4(i.  Fur  dentr  » 

molli,  pregni  sol  di  lagrime.    47.  Labbra,  palpebri  if 

come  appare  dal  tra   essi  e  ri  s  e  rrv  1 1  i.     51.    Co;  f 

zaro,   urtarono.     Il  cotcìaro   del  cod.   bart.   e   sol  form  !« 
diversa,   e  sono  ambedue  da  xortru),  y.urcoi,      cutere ,     qui  f' 
tere,    ted.    quetschen.       =       52.    Un    Camicion    de'    Pa;  |e' 
zi    di    Valdarno    (tì8);     che    uccise   a    tradimento    Ubertin  » 
suo  parente.    =    óti.  La  valle.   Falterona  in  Toscani  ^ 
Bis  e  71  zio,   iiuroe.    =:     58.    Caino,    sfera  de'    tradito 
di  parenti,   detta  da  Caino  fratricida.     =:    IjO.    Gelatili^ 
gelato  Oocito,   detto  per    belle.     Ulonti  Prop.  2,  1.  172.    = 
bl  ss.    Quelli  ecc.   Mordree,  figlio  ribelle  d'  Artù ,  re  deli 
Gran  Bretagna.    Ombra,  che  fece  sul  suolo  il  petto,  o  corp 
trafitto  di  modo ,    che  un  raggio  di  sole  vi  passasse ,   e  1'  on 
bra,   che  gittava  il  corpo,  fosse  rotta.     Cosi  si  spiega  ques  'j 
passo  conformemente  a  un  punto   di   fatto   racco:-.tato   nel   r  '' 
manzo  di  Lancilotto  del  Lago.  3,    1G2.  confrontando  in  un  P  " 
3,  IG,  6,  57,  passi  pure  alquanto   diversi   da  questo  nostro.    I  i' 
troppa  concisione  fa  che  quel   rotto  sia  da  riferirsi  ed  a 
lancia  (come  Pg.  3,  118  rotta   ebbi  la  per  sona),   ed 
sole,  e  in  senso  diverso,  sicché  senz'  altro  il  modo  dì  dire  s 
forzato  e  costretto.   Lo  spiegar  V  ombra  con  anima  lo  vieta  o 
legge  della  rima,  che  non  soffre  la  medesima  parola  nel  senso  m 
desìmo,  o  la  strana  ed  arbitraria  signilicazioue  della  parola.   JN'< 
meno  arbitrariamente  altri  spiegano  le  reni.   In  queste  strette  t 


tica  !      ;=:      G9.   So/ mi  ,  accenti.      Tl'Tienti   e  u/ i  un  modo  di  dire,   o  di  spiegare  violento   scusabile   forse  sar 

corno,  statteue  col  tuo  corno!  73.  Soga,  coreggia;  gr.  ■  se  non  accettabile,  il  dire,  che  vi  sia  forse  una  licenza  —  ci 

^oyog,  o  ^svyoQ,  legame,  traversa;  onde  il  cod.  Angelico  j  appunto  manca  d'  autorità,  perchè  è  licenza  —  per  la  qua 
forse  zoga.  ÌNè  da  questa  origine  sarà  troppo  lontana  la  p^-\  l'ombra  sia  posta  in  vece  di  g  l  i  omeri.  Che  6  si  camb 
Tela  doga,   cambiandoci  <}  e  f,  e  dicendosi  éuyog  iu  vece  di 

Ciiyo;,  di  modo  che  sarebbe  cinge.    77.  Coto,   pensiero 

Dal    lat.    cogitare ,    gr.    y.otu,  che  pure  dicesi  ro£tu,  yjooj 


Serra,  costipa,  agghiaccia.  32. 
Tifo,   due  giganti.     =     125. 


Quel  pensier  perverso  fu  la  costruzione  della  torre 
babilonica.  =:  78.  Fur  e,  tuttavia,  per  sempre.  Cinonio 
osservaz.  314.  n.  8.  : —  85.  Cinger,  legare.  8G.  Suc- 
cinto, sotto  la  catena  cinto.  :=  87.  Lo  altro,  il  sini- 
stro.    =     89.  Zro   scoperto,   la  parte   del  corpo  scoperta 

fuori  del  pozzo.     : 90.   Insino  —  quinto,   con   cinque 

giri.  :=  91.  £s  ser  esperto,  far  prova.  : — r  93.  Jl/er- 
to,  premio,  pena.  =  94.  Fi  alt  e,  figlio  di  Nettuno. 
Omero  Od.  11,  304.  Eneid.  G,  583.  =  98.  ifr  iar  e  0.  Eneid. 
1,565  88.  =  102.  /{  e  o  ,  male.  =:=  Wi.  Fi  ù  l  à  èmo  l  to, 
più  in  là  si  sta.  =  109.  Di,  lez.  bart.  preferibile,  poiché 
nel  seguente  verso  è  più  che  la  dotta.  =z  110.  Dot- 
ta, paura,  sospetto,  timore.  Dal  lat,  dubitare,  come 
coto  da  C0|?itare  (77.  )  :=  113.  Alle,  due  braccia  fio- 
rentine.      Da   Elle,   ulna,    ùlirt],  ir.  aulue ,  aune.   118. 

Siegue  in  questo  Lucano  Fars.  4,  509  ss.  =  IIG.  It  e- 
da,  erede.  =  119.  Guerra  contra  Giove.  :=  121.  i 
figli  della  t  erra,  i  giganti.  Nominativo!  r=:  123. 
■  "  ■  32,  23  ss.  =  124.  Tizio  e 
Questi,   Dante.     Quel  — 

brama,  rinomanza,  0  notizia  della  vita  nel  nunido.  129. 

Grazia  divina,  dio.  =  132.  Ercole  nella  lotta  con  es- 
so lui  Anteo,  descritto  in  tutto  questo  passo  come  il  più  forte 
e  tremendo  de'  giganti,  il  qual  dunque  benché  solfogato  allì- 
ne ,  certamente  resisteva  non  poco:  bude  dunque  si  riferisce 
alle  mani,  uè  mestiero  è,  che,  riferendolo  alla  mezza  vita 
(col  l  iviani  e  suo  codice)  leggiamo  ond'  et  fi'  Ercol 
senti  la  grande  stretta,  r—  13li  ss.  C  ari  s  end  a, 
torre    in    Bologna    assai    pendente,    detta    torre  mozza. 

Chinato ,  pendio.    : 140.  Tal  ora,  tal  momento.     

142.  Divora,  inghiottisce,  contieue  ia  sé.    1.45.  È,  ma. 

Canto    XXXII. 

1.  Chiocce,  fioche,  rauche.  =  3.  Pontan  s'  ap- 
poggiano. =  7.  A  gabbo,  per  gioco,  ischerzo.  In  Ted. 
provine.  Ga/fe.  =  8.  Fondo,  centro.  r=^  9.  Lingua 
—  babbo,  lingua  fanciullef-ca  ,  balbettante.  Che  tali  parole 
fanciullesche  invece  di  madre  e  padre  sono  mamma  e  bab- 
bo. Del  resto  0  dei  codd.  fior,  e  bart.  mantenersi  pui)  benis- 
simo. =:  10.  <^uei/e  ecc.  le  Muse.  =-=:  lì.  Chiuder, 
cingere  di  mure.  =  15.  Qui,  iu  questo  mondo  nostro.  Il 
cod.  bart.  ha  voi.  Zebe,  ciipre.  Porina  dentale  dal  ted. 
Iiebiu,  liiipfcn,  hoppen,  saltare,  saltellare.  : — :  17. 
Sotto  —  bassi,  in  suolo  assai  più  basso  di  quello,  eu  del 
quale  teneva  il  gigante  i  piedi,  rrrr  18.  Alto  muro,  donde 
eravamo  deiiosli.  -,=  23.  Lago,  ecc.  Cooito.  34,  50  ss.  z= 
2G.  Danubia  del  cod.  bart.  difende  Viviani  invece  di  D a- 
noja.  Uste  ricchi,  Austria.  Parola  tedesca  misproiuincia- 
t*-  ,=  27.  Tanai,  D(m ,  Tana,  fiume  che  parte  1'  Europa 
«•"i"    Asia.     Ci  (io  moscovitico.    zr=    2b.  Tarn  b  e  r  n  i  e  e  h  i. 


con  e,   o  si   framette  tra  m  ed  r,   come  iu  ya^t(Ì!>og  invece 
yam^io?  come   gli    Spagnuoli    dal  lat.   humerus  fanno     hoi 


}V 


bro,  e  la  forma  del  plurale  neutra  o  femminina,  come  mei 
bra  ed  altre,  non  ripugnerebbe  almeno  all'  analogìa,  come 
cagion  d'  esempio  fora  in  vece  di  fori  Pg.  21 ,  83._  Intan 
vinca  chi  può!  r=:  G3.  Fo  caccia  de'  Cancellieri,  nob 
Pistojese ,  mozzò  una  mano  ad  un  suo  cugino,  ed  uccise  i 
suo  zio;  donde  nacquero  le  famose  fazioni  de'  Bianchi  e  tVei 
/  iiioni  cron.  8,  37.  =  tjò.  Sassol  Masch.  Fiorentin 
uccise  il  nipote  o  il  zio.  =  G9.  Carlin  de'  Pazzi,  di  jiar 
Bianca,  diede  a'  Neri  fiorentini  il  castello  di  Piano   di  'Irev 

gue.    70.  Cagna  zzi,  paonazzi,  o  morelli.    E  traduzi 

ne  erronea,  ma  dall'  uso  privilegiata  della  parola  gre 
xvaviloq.  Di  simili  sbagli  ogni  lingua  ne  ha.  =  72.  Gua 
zi,  stagno.  Affine  a  waschen ,  Kasser.  =  73.  Me 
:;o,  centro  della  terra.     Gravezza,   cosa   grave.     =■    1 

/i  e  s :;  o  ,  ombra.     iH.    J'oler   di    dio.     :=     78.    Un 

Bocca  degli  Abati,  Fiorentino,    pel   cui  tradimento  in  Mon 
Aperti  furono  tagliati  a  pezzi  4000  de'  suoi   compatrioti  guel 
j Ulani  stor.  G,  7G  s.    =    88.  Antenora,   sfera  de'  trai 
tori  di  patria,  detta  da  Antenore,  che  trad'i  Troja  sua  patri 
Ditte  Cret.  de  bello  Troj.  5.  Liv.  1,  1.     r=    93.  Note,  m  m 
morie  raccolte,  o  rime,  canti.   IG,    127.      =      95.  Lagn  da 
molestia,  pena.    =.     9G.  Lama  v. '19,  79.     =     97.  Cut  ,(1 
cagna,    collottola.     L'origine   è  nel  dorico  ;forra ,  y.oiT<. 

capo,  testa.    101.  iUos  treroifi,  alzando  il  viso.     - 

102.  Tomi,  calchi,  calpesti,  v.  a  IG,  G3.  =  104.  Ciò  e  e 
mucchielto.r=r  113.  .Escici,  esca.  =  IIG.  Quei  da  Due  r 
Buosa  da  Duera,  Cremonese,  che  per  danaro  olferlogli  dal  Con 
Guido  di  Monforle  non  contrastii  a' Francesi  il  passaggio  in  P 
glia,  r^  117.  Frese  Ai,  gelati.  r=:r  119.  jBeccari 
abate  di  Vallombrosa,  al  quale  per  essersi  scoperto  certo  tri 


dall' 

monte  allisBimo   della  .Schiavonia.     rrrr     29.   Fictr apana, 

monte  altissimo  di  Toscana,  poco  lungi   da  Lucca  nella  Gar- 


tato  contro  ai  Guelfi  in  favore  de'  Ghibellini  in  Fiorenza, 
tagliata  testa,      liiiani  stor.  6,  G5.      =      120.   Gorgier 
collo.       =       121.   Gianni    Soldanieri,    Ghibelline 
grande  autorità,  podestà  di  Faenza,  tradendo  i  suoi  iu  fav 
re    del  governo    nel    12GG    fecesi    principe   di  quel  gover 

guelfo,  nilatii  7,  13.  =  122.  G  anello  ne  tradito 
eli'  esercito  di  Carlo  M.  v.  Turpin.  V.  Car.  M.  21.  T 
baldello  de'  Zambrasi,  socio  di  Gianni.  ì  illuni  7 ,  (|ii 
=:  12G.  Era  cappello,  copriva,  =  128,  Sovra 
stante  di  sopra.  rr=  130.  Tideo,  figliuol  d'  Eneo  re 
Calidonia,  nell'  assedio  di  Tebe,  per  rimettervi  Polinice,  coi 
battendo  con  Menalippo  tebano ,  rimasero  entrambi  leti 
mente  feriti  ;  ma  premorendo  Menalippu ,  fecesi  Tid^ 
recare  la  di  lui  testa  e  si  mise  a  roderla.  Stazio  Teb 
nel  fine.  =  135.  Convegno,  convenzione,  patto.  = 
137.  Pecca,  mancamento.  =  138.  T  e  n  e  cang  i,  te\ 
renda  il  cambio ,  lodaudo  te  eil  Liifaiuaudu  Lui.  =:  U 
Quella  eco.  lingua. 


c  A  IV  T  o  xxxin. 


Ugolino  de'  Gh 
■pior 
luì  a' 
fagnana.  ==  30.  Cricci/i.  ìlsiimio  dei  ghiaccio  e  del  m^'crno  Ugolino ,' ed  "un  Ghibellino ,  I'  arcivescovo  UuggÌ€ 
vetro  nel  rompersi.  =  34.  Là  —  vergogna,  la  faccia,  degli  Ubaldini.  Questi  indusse  il  Conte  a  scacciar  Nino  ,  n 
o  testa.    =    3G.  il/c(  t  encio  —  et  cogno,  «Ottaudo  c«o  le  1  poscia  tradì  pure  il   conte  iatesso,   e  sjiargeiMlo  trai'  alti 


T.  Den,  dcnno,  debbono.  =  13.  Ugolino  de'  ( 
rardeschi  di  Pisa,  guelfo.  Nel  12HH  contendeano  la  sign 
di  Pisa  due  Guclli,  il  giudice  \ino  di  (iallura,  ed  il  di  luì 
materno    Ugolino,   ed  un  (Ghibellino,   I'    arcivescovo  Uug{ 


iati 


p.i 


il 


li] 


l 


COMENTO    SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 


crusp  d'aver  tradito  Pisa  e  renduto  le  loro  castella  a' Fioren- 
iiii  ed  a'  Laccliesi ,  a  furor  del  popolo  il  fece  assalire  nel  pa- 
ìgio ,  e  mettere  in  prigione  con  due  suoi  figliuoli  Gaddo  e 
'guccione  della  Gherardesca,  e  tre  nipoti  IN'ino,  ovvero  Ugolino 
etto  il  Brigata,  ed  Arrigo  ed  Anselmuccìo.  Questi  tre  non 
rano  d'  età  novella,  anzi  Nino  ebbe  in  moglie  Capuana,  iìglia 
el  bolognese  Ranieri  conte  di  l'airico,  e  da  questa  Matteo  e 
leatrìce!  Di  Arriffo  nacque  (ìuelfuccio  III;  Ansclmuocio  avea 
posato  la  figlia  dì  Guido ,  signor  di  Caprona.  Del  re»lo  1' 
pra  fu  di  Guido  da  Montefeltro.  v.  Truija  del  veltro  alleg. 
li  D.  f.  27  ss.  Dante  ebbe  allora  anni  24.  Nel  marzo  del  se- 
•nente  anno  fecero  i  Pisani  chiavare  la  porla  della  torre,  e  la 
biave  fecero  gidare  in  Arno,  e  vietarono  a'  prigioni  ogni  vi- 


146.  Prossimana,  congìanto,  parente,  qni  nipote.  : —  150. 
Co  r  t  e«i  a  ,  azione  giusta.  //(/ j,  a  luì.  : —  151.  Uiveni., 
lontani,    privi   nemici  v.  a  6,  13.     Costume  ouesto  ,   onestà. 

152.   Magagna,   menda,   difetto,   vizio.    Appartiene  a 

juayyaiov  e /.la/avr],  z=  134.  P e  g- g  i  o  r  ecc.  Frate  Alberigo. 

153,  Un  tal.  Branco  d'  Oria.    r=;    1J6.  /n,  con.    = 

157.  Di  sopra,  nel  mondo. 

C  A  IS  T  o     XXXIV. 

1.    Vexilla  ecc.  inizio   del   sacro  inno,   che  si  canta  al 
vessillo  di  G.  C.  Intende  le  grand'ali  di  Lucifero.    ==  jtì.  Un 


ens  in  Lat.,  ódov;,  oóovro;  in  Gr.  Se  an  e  dunque  di  ai- 
uni  codd.  è  fittizio  e  licenza,  anzi  temerità  che  genera  un 
ostro  per  rimuovere  una  licenza,  =:  41.  Il  mio  cor 
embra    più  naturale  ,   che  al.      =      4!!.    I/ii  pie  t  r  ai ,  te- 

tai  di  pietra.   òn.  A  nsel  muc  eia  ,  uno  de'  nipoti.    r= 

7.  Per  —  stesso,  in  quattro  visi  vidi  lo  stato  mio  pro- 
rio   doloroso,   la  mia  sciagura.     =     tiO.   Manicar,  nian- 

iare,   li2.  Vi  noi,  delle  nostre  carni.  =   (j8.  Gaddo, 

n  de'  ligli.    73.  Brancolar,  cercar  colle  mani  tastan- 

0.   f Ulani  7,  127.    75.    1  più  testi  hanno:  Poscia  pia 

he  il  dolor  potè  il  digiuno  ,  cioè  uccidendomi ,  aven- 
o  io  potuto  bensì  resistere  da  forte  al  dolore,  ma  no  a!  dì- 
iuno.  Rilevando  cosi  la  sua  forza  mentale,  si  con  dispetto 
ero,  come  mostra  la  seguente  terzina,  e  si  con  un  qualche 
uiemismo  termina  la  storia  della  sua  morte  cruda.  IVè  v'è  ca- 
one  nel  testo  istesso  di  sognare  perciò,  che  il  Conte  abbia 
vorato  di  fame  le  carni  de'  morti  iigliuoli;  essendo  ì\  do- 
or  anzi  quel  di  padre  e  di  zio  the  d  uomo  alTamato  ,  in  cui 
atura  sol  fece  quanto  dovette  per  le  sue  leggi.  Dall'  altra 
arte  il  cod.  bartol.  ed  un  ambrosiano  leggono /^oi  e /(è  il  do- 
or  potè  più  che  il  digiuno,  con  che  \'iviani  e  Monti 
porche  molto  fu  agitato  questo  passo  dai  I^iccolini,  Kos- 
ini  e  C ar ini g  nani)  credono  riporre  un  cerio  jiatetico  e 
mmcnso  ,  scacciando  insieme  quel  ributtante  ed  orrido  alleno 
all'  arte.  Ma  che  V  se  quell' orror  non  fosse  sennnn  nella  fan- 
isia  di  questi  lettori,  non  mal  di  tutti!  e  se  vi  fossero  che 
hicdussero  degna  e  caratteristica  terminazione  del  tutto!  La- 
ciaino  dunque  «tare  la  lezione  volgare.  :=  7^.  Furo.  Il 
od.  burlol.  e  un  lior.  hanno  forar,  senza  necessità.  =z  79 
.  J)el  —  suon  a  d' Italia.  Perticari  Prop.  2,2.  (i3  s.  z=: 
2.  Capraja  e  (lorgona  due  isoleiie  ni-l  mare  tirreno, 
r-:  8).  f  oce,  fama.  Ili,  41.  Jiia,  mala.  Questa  parola  1" 
ggiiiiigono  i  codd.  bart.  e  lior.,  come  mala  bore  7,  93.  r^ 
1).  'J'f'be,  che  vide  orrori  iiKillissiini.  rrr^  91.  A'ienc  allaTo- 
iiinnca.  rrr-  93.  Riversala  col  \  iso  patente.  =  97.  Groppo, 

do.  z=:r:  98.  /  t  */« r«  ,  occhiali  :=  99.  Co  ppo,  vaso  ;  qui 
cchiaja ,  concavo  d'  occhio.  Da  /avj  ,  cupio ,  affine  a'  ted. 
iiipe .  Kuje,  Kiibcl ,  ed  altri  molti  ìu  diverse  lingue. 
:=r.  102.  Cessato,  abbandonato.  Stallo,  stanza  Callo, 
arte  incallita,  rrr:  l()(i.  y/ rar  r  io,  prestamente,  r^r:  1(W. 
/"i  tt  £  0  ,  vento.  5,  42.    = —    WJ,  P  r  e  d  d  a  e  ro  st  a  ,   ghiaccio.        ,       . 

=r^  HI.  Posta,  mtuaiìnne.  ■=—.  lUi.  />««  AriV' o ,  traggo  dapprima  non  ficse  terra  che  di  là  ,  e  more  di  qua.  =:=  1Ì>, 
'  impaccio.  =^^  117.  Al  ecc.  Imprecazione  equivoca!  =r^  H^i,  dove  si  Irovjvuno  i  poeti  atliialmenic  al  di  là  dal  centro. 
IH.  Frate  Alberigo  dei  Manfredi,  signori  di  Faenza,  nell'  =  VHi.  (pulita  —  qua,  quella  terra,  che  sotto  quest'  al- 
Itiina  età  cavalier  Gaudente,  venuto  in  discordia  ro' suoi  con-  tro  emisfere  apparisce,  si  sporge  luor  del  mare,  la  montagna 
ratilli,  gì'  invitò  a  lauto  pranzo,  fingendo  di  voler  rappacili-  cioè  diri  purgatorio.  S  it  ritorse  formando  l.i  montagna  del 
arsì  e  li  fece  lutti  uccidere  al  momento  delle /r  «  Uà.  :=rr  purgatorio.  -—  127.  Or  Dante  parla.  Lagih,  al  dì  Millo 
20.  Dattero  per  figo  abbondante  coiitraccambio.  z=z  122.  del  centro  terrestre,  r^-  ha  tomba,  la  sepoluir.i  di  Hcel- 
'lea,  come   12G.    dia,   in  vece  di  «fio    e   dia.     rr^     124.  zebù,    1'    inferno,     r— :     133.    fer  —  a»euso,    su    la   sponda 

antaggio,    ironicamente  disgrazia.     Tuloiiimiu    sfer-a  camminando  del  detto  ruscello. 
OSI  appellata  da  Toloinmeo  ,    re  d'  Kgitlo  ,  traditore   di  l»om  D.iiite  eiilrii  nell'  inferno,  (puindo  cnmminciavn  la  notte  CI, 

co  Magno,  eh'  era  a  luì  ricorso  dopo  la  rotta  dì  Farsaglia.  1.).  Dono  mrz/.a  notte  passò  il  cerchio  ciuinlo  [1,  9H.).  (Quando 
—  12ti.  Atropo»,  Parca,  che  recìde  il  vìtal  lilo.  =r^  129.  passii  al  sctlìiiin  cerchio,  era  1'  aurora  (II,  113).  Quando  passò 
''rade,    tradisce,    r—.      133.    Cisterna,   pozzo.    =    1,3,').  alla   quinta    bolgia,   era   alzato  il  sole  pia    da  un'  ora  in  circa 

crii  II,  fa  verno,  patisce  Iredilo,  hI.i  nel  freddo,  o  ghiaccio.  (20,  124).  Quando  passò  alla  derìina  bolgia,  era  più  di  niez/.o 
rr  137.  «r«  Il  co  di  Oria,  (Jenovesc,  che  uccise  a  tradimento  giorno  (29,  IO).  (Jiiaiido  p.isso  al  nono  cerchio,  era  il  crepu- 
llchel  /.inche,  suo  suocero,  per  torgli  il  Giudicato  di  liOgo-|BColo  della  sera  (31,  lOi.  All'  abbandonare  il  luogo  dell'  eler- 
oro  iu  Sardegua.  'i2,  Htì.    =    110.  Lnquancho,  mai.  _— .  uo  pianto  «orge  di  uuovo  la  nolto  (34,  W). 


ternario,  numero  santo  all'  antichità,  come  pure  il  settena- 
riOj  qui  regna  nelle  faccie,  ne'  ^entì,  ne'  peccatori,  l'na  lilo- 
soiica  discussione  sarebbe  poco  conveniente  a  questro  passo, 
perchè  di  leggieri  potrebbe  terminare  in  sogni  e  fantasmi.    La 

—  avvalla,  Etiopia.  - —  4'J.  f'ispistrello,  forma 
che  s'  avvicina  più  all'  origine  da  vespertilio.  =  jO. 
Sv  ol  a:,  zav  a  ,    dibatteva,  dimenava.   Il  cod.  bart.  ha  i  n  su 

lanciava,  che  sembra  pur  chiosa.  ó4.  La  lezione  d'un  cod. 

trivulz.  gocciava  al  petto  .■sa  n  g.,  benché  difesa  dal  Per- 
ticari ,  non  corrisponde  al  concetto  del  tutto.  : 56.  Ma- 
ciulla, stromento,  con  cui  si  dirompe  il  lino,  formato  di  due 
legni,    r  uno  de'  quali  ha  un  canale,   nel  quale  entra  1'  aliro. 

60.  Brulla,  scorzata,  spogliata,  ignuda,  v.  J6,  30.    = 

Uà.  B ruta  e  Cassio ,  i  due  principali  congiurati  alla  morte 
di  Giulio  Cesare.  Fior.  Rll.  4,  7.  Sueton.  Jul.  Caes.  _= 
68.  La  notte  risurge.  Avevano  impiegato  nella  visUa 
dell'  inferno  ore  venti  quattro,  una  notte  ed  un  giorno.  =  71. 

Poste,   opportunità,   occasione.     77.    ln.sul   grosso 

delle  anche,  tra  li  iìanchì  e  le  cosce.  : —  Vi.  Zanche 
propriamente  quelle  aste,  sopra  le  quali  vanno  gli  spiritelli  per 
san  Giovanni-,  gambe.  19,  15.  r=  87.  Porse,  mi  diede  a 
vedere.  Lo  accorto  fatto  per  accortezza  sua.  (jos'i  Lfio- 
nifi  Anedd.  4,  37  s.  =:  90.  ./  mezza  terza.  Dì\idcndo- 
si  il  giorno  in  4  parli  eguali  (terza, sesta,  nona,  vespro)  ;/i  e  z  sa 
terza  è  1'  ottava  parte  del  giorno.  Dunque  tre  ore  sono 
scorse;  e  quando  \  irg.  dìcc\a,  che  surgeva  la  notte,  era  nello 
emìsperìo  di  qua  e  nel  tempo  istesso  il  sole  nasceva  nell'  al- 
tro eraisperio,  dove  sono  adesso.  : — :  97.  Di  palagio,  lu- 
minosa e  piana.  98.  yiu  re// a  spezie  dì  prigione  oscu- 
ra; da  olirò,  biijo.   r   99.  Disagio,  mancanza.   =^    102. 

Erro,  errore.  ■ —  108.  Fora,  fa  esser  forato,  bucato.  = 
109.  Di  là  nel  nostro  emìsperìo.  Cotanto  tempo.  =^^  Ili) 
».  //  punto,  il  centro  della  terra.  r=  112.  La  gran 
secca,   la  metà  del  terrestre  globo  abitata   da  no!.  Geiies,  1, 

10.    114.    Colmo,    più  allo  punto  ,  mezzo._  Co /i  .••  li  n  t  o  , 

ucciso.    ■ 115.    /y'    om  — pece  II,    (iesu  Cristo.    =     117. 

Giudecca,  d.i  Giuda  .Scariotto,  traditore  di  G.  (!.,  la  circo- 
lar porzione  dell'  agghiacciato  Cocìto  Ita  la  Tolommea  (3.1, 
124)  e  il  pozzo  di  Lucifero.  =-t:  122.  Si  sporse,  rssend<i 
più  alta  del  mare.  =  123.  Fé'  del  mar  velo,  tnggi  soli' 
icqua,   andò  sotto,     r:— :     124.    (enne  —  nostro;    dice  clre 


COMENTO  SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 


PURGATORIO. 


.tando,    movendo.    =     38.  io  wcce?  dii>. ,  T  angelo.    == 

3!).  Perchè,  di  modo  che.  rrr:  44.  Ta l  che  purea  b  eat< 

Canto     I.  per   is  cripto,   sicché   segli  leg-geva  in  viso,    o  in  fronte  li 

sua  beatitudine.    Mudo  di  dire  seiiz'  altro  un  jioco  duro.     Oli 

1    MislioT  acqua,   men  crudele,   men  terribile.    =  deallri  codd.hanno  t  a  /  c/i  e /etr  ta  òeato  pur  rfescra  £«] 

3.  illarcf"///r,Iuogo'pienod'  orrori.     =    7.  i  «   mor-'^^     «   molto  più  .«emphce ,     e   non    men   bel   concetto,    bench| 


istesso.    iM.  moria,   cupa 

conforta,  la  stella  di  Venere.    21.  Telando  ecc. 

poiché   1  pesci,  essendo  il  sole  in  ariete,  s'  alzano  prima  del 

sole.      li.  Altro,  antartico.      Quattro   s  t  e  1 1  e  ,   \a. 

criice  del  Sud  nella  constellazione  del  centauro-,  qui  imagine 
«!rl!e  quattro  virtù  cardinali:  prudenza,  giustizia,  fortezza  e 
temperanza ,  dette  luci  sante   nel   v.  34.  Ualfr.  29,  130.  31, 

lòó.    24.  Frima  gente.   Adamo  ed  Eva  innoceijti  Pg- 

28.  91  ss.     31.   Solo,   solitario.      Un  veglio.   Catone 

ulìcense,  che,  non  potendo  salvar  la  liberta  repubblicana  con- 
tro Cesare  ,  si  diede  la  morte.  Dante  lo  rispettò  altamente, 
ad  esempio  di  Virgilio  Eneid.  8.  Ralfrouta  ancora  il   Convito 


Lezione  bartol.  in  vece  della  volgare  e   tante   mi   tornaf 
con  e  s  s  e  a/  7)  et  t  o  ,  meno  espressiva.     Del  resto  è  imiiaz'l 

one  di  Virgil.  Eneid.  (j,  b95  8.     85.    Fo  sasne ,    posassi 

mi  fermassi.    91.  Casella,  cantore  fiorentino  eccellen' 

te.  93.  Lezione  bartol.  in  vece  della  cruscana  :    wi  a  a  f 

come  tanta  ora  (tempo)  è  tolta.  Labart.piii  facile  dice 
ma  a  le  come  è  tolto  di  passare  innanzi  in  questa  tant, 
desiderabile    regione'?   Dionigi   Stracchi   legge  font'    erti 

11  V.  9u  conferma   la  lez.  bart.      : 103.  Foce  del  Teveri 

108.   /'oé^ /i  e  ,  passioni,  desideri-     110.  i'erso  n  f, 

corpo.    112.  Amor  ecc.    una   delle   canzoni  bellissime  tf 

D.  nel.  conv.     118.  Eravamo.     Qariilra  a  questa  lezioiit 


rio,  perche  luw.**.    ^f.  ..^  <^  #*  #*  i*  , 

ra    veramente.    =    57.  Il  mio  volere.     Senso:    non  posso 

ricusare  di  soddisfare  alla  tua  dimanda.   58.  La  ultima 

ra    la  morte.    bO.  A,  da.     Senso:   restava  una_ corta 

oluzione  dì  tempo  ,  pochissimo  tempo  gli  restava  di  vita. 
-  tìli.  Balia,  autorità.  72.  Chi  —  rifiuta.  Ac- 
cenna Catone  istesso.  La  libertà,  che  cerca,  e  qui  spezi- 
almente ed  a  bella  prima  Y  intellettuale,  la  quale  pure  non 
esclude  la  politica.  6,  124  a.      =      75.  Feste,   corpo.     r= 


sera, 
riv 


77.  Legagliene  sotto  la  sua  balia.      z=.    88.  Mal  fiume, 

Acheronte.     90.  Quando  —  fora  tlall'  inferno,  dopo 

la  morte  del  redentore,  v.  Inf.  4 ,  65.    La  /e ^^  e  fu,   che  col 
iaifo  e  coir  ufficio  si  mutassero   gli   affetti,    né   potessero    u 
scire  dello  inferno  i  dannali.    —-.--'• 
phi.     Fertivari   Prop.   2,  2.   164 
bolo  d'  infantile  schiettezza.    =  ^      .  . 
!i7.  Sor  lì  riso,  sorpreso,  oppres^so,  olTuscato.   : —    98.  Fri- 
",.,'„  —  paradiso,  V  angelo  del  purgatorio  2,  29.    =r=    lOB 
F  e  d  dita,   ritorna,  come    r  ed  dir  e  è  ritornare.     Voci  la- 
tine!            114.  Ai  —  bassi  V.  100  s.     =      115.  La  ora 

mattutina,  il  punto  dell'  aurora  più  vicino  alla  notte.   

117.  Marina  Inf.  34,  123.  e  qui  v.  101. _  :=    123.  Adorez- 

iU     è  reizo  ,  ombra.    121).  Arte,  intenzione.     : 127. 

Lacrimose ,   per   dolore,    pentimento   o  gioja,      =z      153. 


compagno 
ed  altri. 
Fuggir 
cant.  3. 


agi'  ingl.  match,  mate,  rneat ,  comatii. 
Fresca,  nuova,  di  fresco  giunta.  r=  131  nt^ 
ver    lezione   bartoliu.  giustilìcata  dal  v.   1  dell,,, 


Canto    III. 


Al  tru  i,  Catone, 
gilio  Eneid.  •),  115- 


1.  SMÒìtanffl,  tosta  (2,  133).     =     S.  Monte,  purga 
torio.     Fruga,   v.   luf.  30,   70.      Poggiali  preferisce /u  gè 

cioè  stimola,  sollecita,       4.    Compagna,   compagni: 

cioè  Virgilio.  ^: —    7.  Dignitosa,  nobile.     11.  Ont 

92    Lusinga,  lode,  prie-|starfe,  maestà,  decoro.     Dismaga  v.  Inf.  25,  146._   V. 

■ 95.    Giunco,  sim- [Ri  s  tr  e  1 1  a  ,  lez.   de'    migliori   testi    e  codd.  meglio  oppo.sl 

96.  Stinga,  jiurghi.    r- —   al  r allargo,  che  distretta,   vale  unita,   occupata  in  u  ijj', 

.      -"■■■--•■     "^     "--■     sol   pensiero.     L'u   antico   po.stillatore   lo    riferisce   a!  canto  «  ij; 

Casella.    =i    13.  Kullarg'o  a  vedere  altre  cose  del  monti,, 

14.  Diedi,  drizzai.    15.  Si  dislaga,  si  allontt ,,.; 

na  dal  lago,  si  alza,  si  leva  Par.  2tj,  139.    Monti  Prop.    1,   ! 

235.    16.  Roggio,  rosso.     17.  Rotto  (fesso  9' 

ini  er  a  din  an  zi  a  Ila  f  ig  u  r  a  ,  cioè   dinanzi   alla  fìgui  |j^ 

mia,  dinanzi  a  me,  opposto  al  dietro.    18.  Che,  perchi  jj] 

Aveva    l'    appoggio    de'   suoi  raggi.,    lissavansi  _ 

ronipevansi  i  suoi  raggi  al  corpo  mio.    "    19,   11   cercare  i 

dallato    ailro  e  più  c'i'    ortografia   diversa   e    jiiù  moderni 
pare  solìsticlieria.      .abbasso,   addio,   appiè  e  raoltiss  , 
me  alire  parole  la  conloniJono.    =    21.  Solo  senza  V'irgili 
=r    25,  Colà  in  Italia  e  iVapoli,  ove  il  sole  nasceva  a  un* 

ore  prima  che  nel  purg.itorio.    : 27.  Brandizio,   Urii 

disi,  dove  morii.  =  2S.  Si  adombra,  si  oscura.  r=L 
311.  Che,  de'  quali,  ove.  Ingombra,  impedisce  il  passa( 
gio.  Voce  affine  al  lat.  humerus ,  con  che  si  portan  pea 
al  gr.  a/(.Toit'£(r ,  strascinare,  al  batb,  lat.  combri ,  art 
frane,  encombrer  ,  ingl.  encuntber  ,  ted.  bekumben  » 
onerare,  helciimmcrn.  A'  tempi  di  Dante  i  cieli  eras  tt 
traslucide  sfere  cave,  una  dentro  dell'  altra,  rnr^  31,  Tuli» 
che  sì  scancelli  con  più  codd.  la  [irima  congiunzione  e ,  ci 
non  impedisce,  che  caldi  sia  so.xtaniivo  e  spezie  di  torment 

34.   Trascorrer,   penetrare.      ì  ia,    modo.   _=    3 

Contenti,  contenuti,  rafl'renali.  11  senso  non  ai  cangìi 
benché  si  prenda  la  parola  nel  significato  ordinario,  giteci 
chi  si  acqueta,    o  si  contenta,    a   chi  basta  cosa,   si    ralfreni 


136.  Qual  ecc.   Ad  imitazione  di  1  ir 


T    0      II, 


1  3.  Ogni  luogo  avendo  il   sno  proprio  orizzonte,   ed  il 

liiio  proprio  meridiano,  cioè  un  arco,  il  quale  passando  pel 
zenit  del  luogo  e  pel  punto  del  cielo,  dove  il  sole  ad  esso  luo- 
go fa  il  mezzodì,  va  a  terminare  d'  ambe  le  parti  all'  oriz- 
zonte del  medesimo  luogo.  Dunque  l'orixzonte,  lo  — 
il  e  ras.  è  V  orizzonte  di  Gerusalemme.  La  montagna  del 
purgatorio  è  anlipoda  alla  detta  città,  di  modo  che ,  mentre 
il  sole  tramontava  per  gli  abitanti  di  quella  citlìi.  era  vicino 
a  sorgere  ov'  era  il  poeta.  :=  4.  Op  posila  diainctralmen 
te.  Cerchia,  gira.  rrrr  5.  Gange,  1'  Indie  orientali. 
Le  bilance,  il  segno  della  libra,  O|ipohto  all'  ariete;  se  il 
8ole  ncir  ariete  tramonta ,  sorge  la  notte  al  piinlo  opiiosto 
dell'  orizzonte  nella  libra.     Soverchia,  cresce  cioè  dai  sol 

stizio  estivo  sino  all'  iemale,     rrrr     7  b.  Bianche  prima  del  si  liniita."   Quia  in  senso  aristotelico  sono  fatti  reali,   elfetl 
nascere  del  soli;,     lerniigliv   dell'  aurora.     r=r:    9.  li  a  u- ìris  in  farlo    positae ,     fenomeni    del    mondo   reale,    e  dui 

ce  poco  precedenti  il  sole,   dorate.      . 12.  Core,  mente, |que  la  serie  della  causalità,  _=r.      38.    Tutto,   come  deri^ 

desiderio.    = —     13.  .S  «  /   presso,  in  su  la  pressezza. 


desiucrio.    = —     J-i.  ani   presso,  \n  su  la  pressezza,  1    ap|(lal  suo  principio.     41.   J  ni,   taluni    di   siiulime  iiigegn  i: 

FiressarHÌ.  Monti  l'rop.  3,  1.  112.  2,  119,  Con  ciii  cadono  leit'/ie  —  lor  do' (juali,  come  v.  30.  Sarebbe,  cioè  se  dio  ave  i: 
lizioni  suol,  sorpreso,  e  oppre  s  so.  :^^-  16.  iSè,  co.s'i  I  se  così  disposto.  r-r=  49.  Lerici  e  'l'urhia  due  luogi  * 
Inf.  2",  103.     r^-    23.   Un  —  bianco,   due  ali  d'  nu  angelo,  posti  ai  cajii  della  Uivicra  di  (ienova,   piena   di  monti  scosci  : 


; 2li.  Avvarscr   lez.  dioiiis.,   come   il   cod.  bart.  ha   ap 

parver  dal  bit.  api-uruere.  Era  un  angelo  solo.  =— 
27.  Galeotto,  nocchiero  (43)  angelo,  nrr:  30.  U  f  ic.iali, 
ministri.  =-  31.  //r^  o  wi  e  xi  1 1  ,  istruincnli.  : —  32.  /"e/o, 
xcl-i.    =    34.  />  ri  Uè,  alzale.  =    35,  Trattando,  agi- 


sì ,  Lerici  da  levante,  \iciiio  a  .Sarzana  ,  e  Tnrbia  da  poneut  * 
vicino  a  Monaco.       rrrr:      51).  R  ni  nata  via  è    la  liz.  bartC  * 
chiarissima,  in  vece  di  ro  mi  t  a  ,  o  r  omi  t  a   ruina,  o  ri 
mila    costa,    o   r  ui  nat  a   riva.     Diserta   e  r  omit 
sarebbero  troppo  siuouimc,  =    51.  Verao  a  paragone.    =: 


fO' 


COMENTO   SULLA  DIVINA   COMMEDIA. 


I.  E  fi  arti.  —  mente,  esplorando  la  natura  del  camniìpo.  =r 

I.  il/asKt,  macigni.    73.  Ben  finiti,  morti   in    dio. 

:r  79.  Chiuso,  come  chius  t  r  o  ,  luogo  chiuso  ,  serrato, 
rgliiagffio  ,  pecorile,  giaciglio.     Del  fatto,  eh'  è  bas-e  di  que- 

a   similitudine,    parla'  U.  nel  convito.     Sii.    M andrà, 

alla,  stanza.    Voce  greca!    : H9.  Val  —  canto,  perché 

mimili  faceva  col  sole  alla  sinistra.    09.  Soperchiar, 

rmontar.  Parete,  costa,  ripa.  102.  Insegna,  se- 
io  =  ÌWi.  disdetto  .  negato.  Monft  Prop.  1,  'i.  232. 
—  IVÌ.  Constali  za,  figliuola  di  Ruggieri,  re  di  Cicilia,  e 
)nna  di  Arrii.'o  Vi  imperatore,  padre  di  Federigo  II,  padre 
iturale  di  Manfredi.  115.  Mia  bella  figlia,  nomi- 
ita  anch'  essa    Coiistanza.      IKi.    Gnor   di   Cicilia, 

ederigo,  re  di  C.  Pi  Aragona,  Jacopo.  11  padre  d'  am- 
due  lu  Don  l'ietro,  re  d'  Aragona.  Meiiire  però  D.  biasima 
sderìgo  19,  13l(.  20,  ti'd.  nel  Conv.  e  de  vulg.  el.l,  12  :  Jroya 
rllr.  alleg.  f.  115  pretende,  doversi  questa  lode  attribuire  al 
lo  giovinetto  Alfonso  ,  il  quale  col  padre  guerrcggiii  in  Ara- 
tila  contro    Carlo    di  Angiìi  per  la  difesa  della  Sicilia.    z=rz 

H.  Rotta  la  perso  71  a,  ferito  il  corpo.      : 119.  Pan- 

>,  puntate.  - —  120.  Quei.  dio.  =  121.  Peccati. 
leva  ucciso  il  padre  Federigo  II,  e  il  fratello  Corradino,  prr- 
guitato  la  santa  chiesa.  /  illani  fi,  42.  44.  W(.  7,  9.  =  124. 
'  pastor  di  Cosenza,  il  \escovo.  Alla  caccia  di 
e,  a  perseguitarmi  disumando  il  mio  cadavere  scomunicato. 
=  125.  Clemente  IV.  12tj.  In  dio,  nelle  scritture  di- 
ne. Qu  e s  i  a  f  ac  e  ia,  che  tratta  della  clemenza  e  miseri- 
rdia   di   dio   verso   i   peccatori ,   che   si    pentono.     =  _  128. 

resso  a  U.,  dove  fu  sepolto.     129.  Mora  mucchio  di 

gsi  gittati  sopra  la  sua  fossa  per  ciascuno  dell'  oste,  come 
ce  il  fillani  7,  9.  Dopo  tutte  le  derivazioni  della  parola 
Ile  province  del  Lazio  e  della  Campagna,  dove,  secoodo 
ibtanzo,  cos\  si  dissero  le  moli  di  uno  o  di  più  pezzi  grandi, 
e  si  veggono  sorgere  nei  dirupi  fra  le  montagne,  e  che 
me  balze  sporgono  fuori  e  s'  innalzano  a  perpendicolo,  par 
tiiralissima    cosa   d'   identificare    la    parola   con    muro,    lat. 

uru.t  ,   anticamente   moerus.     131.   f  erde,    fiume  che 

Me  nel  Tronto,  non  lontano  da  Ascoli,  o  il  Garigliano. 
=:  132.  Tr  ffl  A- m  u  t  ò,  trasporti).  A  l  urne  spe  7i  to  ,  senza 
neral  pompa  di  cera  e  di  canto.  ìVelle  scomuniche  i  lumi 
niicro  spenti,  come  pur  1'  antichità  foggiò  il  genio  della 
orte  con  facclla  tornata  e  spenta,  -^t:  133.  Per,  nonostante. 
=    135.    Fior,    un  tantino,     lui.   25,144.   34,20.     =     139. 

r  en  t  a ,  il  trentuplo.     ; 141.  Questo  divieto  d'  eii- 

ir  in  purgatorio  se  non  passato  il  trentuplo  della  dimora 
Ita  nella  scomunica.  : —  145.  Quei  di  là,  uomini  nel 
indo. 


Canto     IV". 

2.  T'irti/,  potenza.  Comprenda,  in  sé  accolga, 
•inga,  rìiieerri.  : —  3.  Raccoglie,  concentra,  :: —  4.  i 
1 1  e  n  d  a,  ni  fissi ,  badi.  ::::::=  5  8.  Error  —  accend  a' 
)è  esser  piii  anime,  vale  a  dire  tre ,  una  vegetativa,  una 
nsitiva  ,  ed  una  razionale,  nel  fegato,    nel  cuore,    e  nel  ce- 

bro ,  come  opinò  ,  dicono  ,  Piatone.      H.  /  olla,  rav- 1 

Ita,  applicata.    11,  Intera,  intatta,   non  toccata  dalj 

Miesimo   obbietto.      : —      12.   Legata,  impedita   ne'    siioil 

liei.    : 14.  Quel  lo  sp. ,  Manfredi.    r=rz    15.  C  inquan-\ 

:   gradi,   piti   di   tre  ore,  concios^iachè  corra  il  sole  gradi: 

ogni  ora.     r=     17.    Ad  una,   unitamente.     : IH.   t)i- 

audo,  la  salita,  di  che  dimandaste  3,  7(i.  p=r  19.  Aper- 
',  apertura,  ttiepc,  o  muro  circondante  la  vigna.     Impru- 

i,  serra  co'  pruni.      20.  Por  e  ut  ella,  quantità  che 

piglia  con  un  forcone,    irrr:    21.    Imbruna,   matura.     r=r 

C  a  /  /  e  ,  strada.  Saline  ,  ì*a.\\;  come  partine,  part'i. 
_■  25.  Sanleo,  città  nel  ducato  d'  l'rbinu.  A  o  l  i  ,  città  i 
porlo  tra  Fiesole  e  Sa\oiia  nel  Genovcsato.  r=  20.  His-\ 
antova,  monte  allisHimo  nel  territorio  di  llrggio  in  Lom- 1 

rdia.       27     Con    esso  l,    coi  soli,  pur  coi.     r=     29.  i 

indotto,   c(uiil(ittiere.      31.    .Sa/e  e  a  m  ,_  salivamo.  | 

culli  verbi  anticamente  furono  di  doppia  coujuguzionc,  conici 

;i  II  r  e  r  e  ed  appa  r  i  r  v  ,  e  a  p  ere   e   e  a  p  ire,    off  e  re-\ 

eiltoffvrire,ferirriìferire.pen(ere    e   penti-] 

rzrr:      33.  Piedi   e    man  ad  andar  carpone.      r=r     35.1 

iaggia,  dorso.      =rt      37.  Cangia  in  basso,  alla  china.! 

-  3-'.  A  CI]  ui  sta,  lienli.  : — :  40.  /  in  ce  a  la  vista,^ 
endevasi  tanto,  che  non  \\  arrivava  la  vista.     r=rr    41.  Su- 

I  II  it  ,  KxVii.  ^—  42.  Q  u  (I  d  r  u  II  I  r  ,  inslromenlo  formato 
due  norme  unite  insieme  mi  ani;olo  retto,  e  d'  una  lista 
iliile .  detta  traguardo,  siiiiaia  nell.i  congiunzione,  o 
irò  di  quelle.  Iia  lisla  in  mi  -..zo  del  quadrante  segna  un 
golo  di   15  gradi  e  in  consegiieii/a   qui  un'  accli\itii    ripidis- 1 

iia.     47.   lialze,  proiiiiiicn/a ,    sporgimento  di  ternrno' 

ir  della  siiperlicie  del    monte.       51.   Cinghio,    orlo. 

-  .'(1.  ,/  riguardar,  il  guard.ir  indietro  o  di  nuovo  al 
inniin  fatto.  —  57.  Che  da  ecc.  perchè  in  lùiropn  ,  e 
Ile  ri'gioni  tutte-  al  dì  qua  del  iionico  del  cancro  ,  chi  sin 
Ito  a  levante,  vede  girare  il  sole  alla  sua  destra,  rr—  59. 
l  r  r  0  della  luci,  sole.  rr—  (10.  (Ire  —  i  ni  r  n  va  cs 
Ilio  quel  monte  unlipodo  a  Gerusalemme,   città   posta  al  di 


qna  del  tropico  del  cancro,  il  sole  intrav  a,  nasceva  tra 
noi  e  r  Aquilone,  al  contrario  di  quello  che  accade  nell'  emis- 
perio  nostro  ,  dove  il  sole  nasce  tra  noi  e  1'  Austro,  punto  ap- 
posto diametralmente  all'  Aquilone.  _  :=r  61.  Castore  e 
Polluce,  la  costellazione  de'  gemini.  =r=  62.  Specchio, 
sole.  64.  Tu  vedresti  ecc.  La  costellazione  de' gemi- 
ni è  più  vicina  all'  orse,  che  quella^  dell'  ariete;  perciò  è 
che  se  il  sole  fosse  stato  in  gemini ,  invece  d'  essere ,  come 
egli  era,  in  Ariete,  si  sarebbe  veduto  il  punto  del  zodiaco 
rubecchio,  rosseggiante  pei  raggi  solari,  rotare  più  vici- 
no all'  orse,  a  meno  che  il  detto  sole  non  uscisse  for  del 
Cam  min  vecchio,  dall'  ecclittica.  r=r  96.  Questo 
monte,  del  purgatorio.  70  ss.  Si —  e  misperi  tal- 
mente eh'  uno  ò  diametralmente  opposto  all'altro.  La  stra- 
da che ,  m  a  l ,  {per  ìuì,  dannosamente)  non  seppe  car- 
reggiar Feton  ,  la  strada  del  sole,  1' ecclittica.  Costui, 
questo  monte  del  purgatorio.  Colui,  il  monte  Sion.  Il  cod. 
bartol.  legire  la  qual  non  seppe,  ajtri  che  mal  si 
seppe,  aTtri  che  malia  seppe,  altri  che  mai  non 
seppe,  che  sembrano  chiose  tutte  quante. _=:r  79.  Mezzo, 
mezzano  ,  intermedio.     Moto   superno,   il  più    alto  girante 

cielo.    80.  yllcun''  arte,  astronomia.    r=    iiì.  Tra  — 

verno,  tra  la  parte,  ove  trovandosi  il  sole  fa  essere  1'  esta- 
te, e  tra  1'  altra,    ove  il   sole   mancando   fu   esser  1'  inverno. 

82.  Per  —  di\  aver  quel  monte  e  Gerusalemme  lo  stesso 

orizzonte  e  divi.rsì  emisferi,  ed  esser  dunque  uno  all'  altro 
antipodi.  Quinci,  da  questo  monte.  r=::  84.  Lui,  V  equa- 
tore.    La   calda  parte,   V    austro      r=     95.  Riposar, 

acquetare.    99.  JJistretta,  necessità.  =:   113.    ì  i  s  o, 

occhio.     Inf.  4,11.     =    116.    Avanzava   del   cod.   bart.    è 

chiosa  d'  avac  e  i  av  a.    119  s.  Lo  beffa  del  suo  stupore, 

come  fanno  i  pigri  a  chi  investiga  cosa  degna.  r=  123. 
Delacqua,  secóndo  un  postillatore  antico  fu  un  eccellente 
fabbricatore  d'  instrumenti  musicali,  ma  pigrissimo.  =  125. 
Qui  riti  a,  quivi  appunto,  appunto  in  tal  sito.  17,  86.  r=:r  126. 
Il  modo  usato  di  pigrizia.     Riprisu,   ripreso.     =    127. 

/'orto ,  importa  .   monta.      132.    Al  fin,   alla   morte. 

// i  éu  on  s  os;)  ir  i  di  pentimento.      137  8.  £  f  o  eco  — 

sole,  il  sole  è  nel  meriggio,  è  mezzogiorno.  Alla  riva, 
al  termine  di  queir  emisfero.  Marocco,  Mauritania,  sun- 
ponendo  essere  contrada  all'  ultimo  confine  occidentale  dell' 
emisfero  nostro,   contigua  al  termine  di  queir  eiuisfero. 


Canto    V. 

b.Da  sinistra,  sul   terreno   dalla  sinistra    parte  de' 

poeti.     Quel  di  sotto.  Dante.    9.    Rutto  dall'  ombra 

del  corpo  mio.  : —  10.  S'  impiglia,  s'  impaccia,  s'  intri- 
ga.    12.  Pispiglia,  bisbiglia,  susurra.  =  14^  Fer- 
mo, non  ferma,    leggono    i    migliori    codd.      i=      15.  Per 

non  ostante.    18.  L  a  f  o  g  a    lo   un   dello    altro   in- 

solla,  un  pensiero  indebolisce  1'  energia  dell'  altro.  Mun- 
ti Prop.  3,  1  175.  Insellare,  da  sol  lo  (v.  all' Inf.  16,  28) 
ammollire,  infievolire,  rallentare.  Foga,  affine  al  fr. 
fougue ,  a  fuoco ,  f/'tò^,  (puri/no ,  ifavw,  ted.  fauchen. 
hauchen.  La  Icz.  soga  d'  alcun  cod.  sembra  affettata,  v. 
Inf.  31,  73.  =  20.  Color  rosso  di  vergogna.  =r  25. 
A"  0  71  dava  loco,  imjiediva.  rr^  32.  Ritrarre,  dicliiarare, 
riferire,  rrr-  37.  /  npori  accesi,  come  que' creduti  stelle 
cadenti,  razzi.  rr=  39.  Sol  calando,  sul  tramontar  del  so- 
le.          40.  Meno    spazio  di  tempo.     43.    Preme,  s' 

affolla.  =  51.  <^u  i  l'I,  neir  ultima  ora.  r=r  58.  i'ercAèj 
benché,  quantunque.  r=r  64.  i' n  o  ,  Jacopo  del  Cassero,  di 
Fano,  podestà  de'  Hologncsi  ,  nemico  d'  Azzonc  111  da  F-^tc, 
il  quale  lo  fece  uccidere  ad  Oriago,  villa  tra  \cnczia  e  Pado- 
va.     66.    Aon  possa,   impotenza.       Monti   Prop.   3,  1. 

175.    69.  Che  ecc.  la  Marca    Anconitana,    in  cui  è  l'ano, 

situata  tra  la  llomagna  e  il  regno  di  Napoli,  di  cui  era  allo- 
ra padrone  Carlo  II.  =  71.  Per  me,  per  la  liberazione 
mia.  Si  adori,  si  ori ,  si  preghi.  r=rr  73.  (/ u  ì  n  d  i ,  di 
Fano.  Fori,  ferite.  =  71.  lu  —  scdea,  nel  quale  1' 
anima  mìa  sedeva,  rr-r  75.  Antenori,  P.idovani  .  per  cre- 
dersi Padova  fondata  da  \ntenorc.     r — :    77.  Qui  Ida  Esli, 

.\zzone  111.     79.    Mira,    luogo   sulle    rive    d"  un  canale 

artìliziale,   oh'    esce  dalla    Brenta  al  Dolo,    e  sborra    nella  la- 

fiina  a  Fusina.  rrrr  82.  Camucci',  vesti  di  panno,  abiti, 
ocabolo  affino  a  camicia.  Ir.  chemise,  ted.  lUnid ,  gr. 
Uhi,  èiiitt  ,  iiiiiiior.  Urago,  fango.  =  H3.  Impi- 
gliar, invilupparono.  ::^  85.  Se,  s'i ,  cos'i,  r-r-  t<H.  Buon- 
conle,    figliuolo  del    conto   (Jiiido    di    Montefeltro ,    sposo  di 


dio  vanti  a,  il  ijiiale  comballè  in  ('ampaldino  contro  a' Giiel 
li,  e  vi  fu  morto.  - —  92.  Campa  Idino,  piano  in  Ca 
Nenlino  appiè  del  monto  di  Poppi,  teatro  della  battiiglia  a'  1 
giugno  1289.  f  illuni  rr.  7,  130.  r-rr  9li.  Ertno,  cremo, 
Holilndine.  r^  91.  Divento  vano,  finisce  d'  esser  ;ip- 
pellalo  Arrhiano,  in  vicinanza  cioè  ad  ,\rno,  col  quale  inisrbi- 
aiido  Archiano  le  sue  iir(|ue  sì  niipella  \riio.  .——  102.  Sola, 
inanime.     .- —     103.   />i(o  le/iuiie  bart.    vera  invero   ili  diro. 

lOj.   fri  vi.  dell"  anima  di  costui  =r^  10(i.   /■'  etimo, 

V  anima.  —~  108.  Dell'  altro,  del  corpo.   =  112.  Oiuu- 


COMENTO    SULLA    DIVINA    COMMEDIA. 


te,  accoppiò  il  demonio.  : —  IIG.  Fra  tom  agno  , 
pi  Prato  vecchio  ,  luogo  che  divide  il  vai  d'  Arno  dal  Ca 
tino.     <?  ra  n  g- iogo  Apenuìno.    : UT.    Intento,   in 


og-!^ra e,  ingiurie.    : —    110.  Santaf  ior e,   contea  nello  stali 

.'asen-!di     Siena,      di    quei     tempi    feudo   imperiale.         : _     111 

iuten-  Qua  n  t  0  si  a  ma  ,   ironicamente.     =     118.   Invece  di  li  ii\ 
80,    denso,   coiislipato.'    r=      121.    Convenne ,    congiunse.  /  ic  ?  £o    (lecito)    mie,   che   quasi  è    scusa  di  on  rimproveil 

: 122.   Lo  fiume  re  al,   Y  Arno.    12.'».  Rub  e  st  o,  l'atto  al  s  o  ni  vi  o   Gioite,   cioè  nume  giovante.   Cristo,   coni 

impetuoso  e  gonlio.    12(i.  La  croce  le  Lrncoia  composte  mostra  il  v.  119  ,  il  cod.  bartol.  ha:  E  sollicito  vien!   clf 

in  forma  di  croce.     129.  Preda,  ghiaia  predata  a'  cam-  troppo   tracia   dalla   volgare   lezione.      : —      123.    In    tutt\ 

pi.     Lezione   piiielecante  e  difficile   di    quella    del   cod.  bart.' riuH  o  a  e  co  rg-er  n  o  stro  as  cisso,  del  tulio  rimoto,  na» 

mie  tre,  che  pare  chiosa.    133,  jPia,   gentildonna  sane-  costo  al   nostro  pensare.     Luogo   parallelo  a  Par.  21,  91.    Af 

se,  moglie  di  M.  IVello  della  Pietra,  la  quale,  come  fu  ere-  cuni  codd.  però  hanno  in  tutto  per  corregger  nostrf 
duto,  trovata  dal  marito  in  adulterio,  fu  da  lui  condotta  in  s  e  is  *■  o  ,  cioè  per  sanare,  comporre  le  nostre  discordi  t 
Maremma  e  quivi  uccisa.  Altri  dicono  eh'  ella  fu  innocente.  Scisso,  in  questo  senso  per  scisma  è  raro;  il  senso  s;| 
e  uccisa  soltanto,  perchè  !\cllo  si  era  proposto  di  farsi  mo-  rebbe  convenexole.  Segnammo  una  virgola,  perchè  le  paro!l 
glie  la  Contessa  Margherita,  la  seconda  volta  rimasta  vedova,  seguenti  contengono   appunto  quei  fatti   espressi  in  generali! 

: 135.  Salsi,   se  lo  sa.      13G.    Disp  osando.    ILche  sono  preparazione.    r=r    125.   Un  Marcel,  Marco  Mail 

disposata  del  cod.  bartol.,  e  disposato  del  cod.  pog-  cello,  nemico  di  Cesare.  Allude  ali'  opposizione  fatta  all'  im 
gìau,  sembra  alquanto  duro.  peratore.    =    125.  ^iiZan,  contadino ,  ovile.     FarteJ 

stando  prendendo   parte   nelle   fazioni.       127.   Ironf 


C    A   !V 


T   0 


VI. 


parte 

acerba!    — —     129.   Mercè,    per   grazia.     Si  argoment, 

s'  ingegna,  procaccia.    Inf.  22,  21.  a   distinguersi   tanto.    r=j 

130.  Scocca,   va  in  effetto.     Per  —  arco,  per  non  iscoj 

.  «      car  imprudentemente,  sconsigliatamente.    =    132.  Al  soni 

1.  Parte,  finisce.    Zara,  giuoco  d'  azzardo ,  che  si  ta-  „,  ^  della  bocca,  a  lìor  di  labbro.    =    135.  Chiamar] 

cova  co'  dadi.    : —    3.   Volte,   tratti,   rivolgimenti  de    dadi,  yjgjjjjjjgrg^  syligcitare.     Io    mi   sobbarco   spiegano   m'  ii) 

ara,   con  suo  danno  si  scaltribce.    ==:    i.  Lo  f^^^^^^,    g„t(„    ji    comune  iucai 


Tristo  i  m  pai  -^ .     . 

altro,  il  vincitore.    H.  Pia  non  fa  pressa,  togliesi 

dal  fare  calca  intorno  al  vincitore.  Porge  la  man,  dona. 
=  13,  Lo  Aretin,  Beuìncasa  d'  Arezzo,  il  quale,  e.s.ten- 
do  vicario  del  podestà  in  Siena,  fece  morire  un  fralel  di  Ghi- 
no di  Tacro  ,  e  con  lui  un  suo  nipote.  Turino  da  Turrita, 
per  aver  rubato  alia  strada;  onde  sdegnato  Ghino,  in  Roma, 
uccise  Benincasa,  e  portosseue  il  capo  di  Ini.  ==  15.  Lo 
altro  ecc.  Cione  de'  Tarlali,  potentissimi  cittadini  d'  Arez- 
zo, il  quale  perseguitando  Bostoli,  altra  famiglia  potente,  fu 
trasportato  dal  cavallo  in  Arno,  e  quivi  annegò.  Caccia, 
perseguitazione  de'  nemici.  r=  17.  i^erf^rico  l^ovello, 
figliuolo  del  conte  Guido  da  Hattifolle ,  ucciso  da  Forna.iuolo, 
uno  de'  Bostoli.  Quei  da  Pisa,  Farinata,  ligliuolo  di  M. 
Marzocco  degli  Scoringiani  da  Pisa-  Fu  ucciso  dal  nemico 
Beccio  da  Caprona,  e  il  suo  padre,  fattosi  frate  Minore,  ior- 
teraenle  impetrò  la  sepoltura  vietata;  onde  che— forte.  = 
19.  Conte  Orso,  tigliuol  del  conte  Napoleone  da  Cerbaia, 
morto  dal  conte  Alberto  da  Mangona,  suo  zio.  =  22.  Pier 
dalla  Broccia,  secretarlo  e  consigliere  di  Filippo  il  Bello, 
messo  per  invidia  [inveggia,  come  i  n  i>  e  ,£:  g  i  a  r  e  per  in- 
vidiare Par.  12,  142)  da'  baroni  in  tanta  disgrazia  della  rema 
(madrigna  di  Fil.  il  Bello)  Maria  di  Brabanie,  che  1'  accusò 
di  castità  tentata,  onde  il  re  lo  fece  morire,  v.  Troya  vel- 
tro alleg.  1112  8.  Altri  dicono,  che  Pietro  avveleno  Lodovico, 
figlio  d'  Isabella ,  primiera  consorte  dì  Filippo  HI ,  accusando- 
ne Maria.  =  23.  Peg-^  ior  ^r  e,?,?  ia  di  dannati.  — 
27.  A  vacci,  affretti.  r=r=  29.  In  alcun  testo  Eneid.  b, 
37li.  rrrr  31.  Piana,  chiara.  =  37.  Cima  di  giudizio, 
rigor  dì  legge  divina.  Avvalla,  abbassa,  piega.  13,  b3.  — - 
3-.  Di  amor  dì  carità  di  dio.  =  39.  Si  astalla,  sì 
stauzìa.  r=r=  40.  Punto,  massima,  proposizione.  =:  13. 
Sospetto,  dubbio.  =  44.  Quella,  Beatrice  (4(i).  _== 
47.  /'e  droi  .30,  32.  73.  =  48.  ifi  fi  e  n  te  e /ei  ice  si  ri- 
ferisce a  re  1 1  a.  raffr.  28,  7  ss.  =  54.  Stanzi,  credi, 
giudichi.  Inf.  25,  10.  =  òli.  Colui,  il  sole  — :  :i8. 
Auova  specie  di  negligenti  !  Un'  anima,  Sordello  manto- 
vano, letterato  (della  volg.  eloq.  1,  15)  eccellente  nel  poetare 
provenzale.  (12H0)  V.  IFachlers  Handb.  der  Gcsch.  dei 
Lilcr.  II,  DiO.  Ili8.  A  posta,  della  Crusca  e  lezione  quasiché 
ridicola,  laddove  posta  è  la  vera  e  naturale.  :=  U2.  Al- 
tera e  disdegnosa,  con  nobile  schifezza  generosa.  r=: 
72.  Tutta  romita  da  prima.    :=    70.  Osf  e  iio  ,  albergo. 

7H.   Donna,    dominatrice.       Bordello,    postribolo, 

meretrice.  =  B5.  Pro  fi  e,  rive.  z=.  88.  ifacc  o  n  e  i  as- 
«  I"  ,  raggiustasse  ,  riordinasse.  Pr  e  no  delie  leggi.  r=  89. 
Se  —  vota  se  manca  chi  ti  guidi.  rr=:  91.  Gente  della 
chiesa.  =  93.  Dio  ti  nota  dicendo  date  a  Cesare  eh  e 
di  (k'sarc  ecc.  =.  U.  Fiera,  Italia.  =  'A>ì.  Predel- 
la spiegano  possessione  (da  pr  aedi  um),  o  seggio,  sgabello. 
Meglio  sarà  d'  intendere  quella  parte  della  briglia ,  che  va 
alla  guancia  del  cavallo  sopra  il  morso;  da  brida,  bri  del- 
la, b  redelta,  col.  ^Qurijo  invece  di  ('ì'Tiiq  ,  affine  a 
bri  glia,  e  tpoarro) ,  fr.  6rif/f;,  ted.  antico  nel  Tri- 
nano 7045  tfr  if  èi.  =  {\7.  Alberto,  imperatore  d'  Au- 
stria, iiglio  dell'  imperatore  llidolfo  il  primo  della  casa  d 
Austria,  succeduto  ncll'  impero  ad  Adolfo  nel  1298  o  l^'' j  «| 
vJHBUto  imperatore  dieci  anni.    Bonifazio  Vili  soltanto  nel  UOJ 

fli  spedi    bolla  di   ricognizione  come   re  de'  Romani.  

n forcar,  stare  a  cavallo  strìngendolo  colle  gambe.  -_- 
101.  Sang  u  e  ,  lignaggio.  Si  a  —  ap  e  r  t  ».  Allude  al  mici- 
dio  d'  Alberto,  fallo  nel  IHOH  da  (Jioviiiiiii  Parricida,  suo 
nipote.    :=—     U)2.  Su  ecessor  ,    Arrigo  \  Il  dì  Lucemburgo. 

103.  Padre,  Rodolfo,  r^  101.  Di  costà,  in  Ger- 
mania. /.*i«<  r  fi  «  /  ,  aiigusliatì.  =:  10(1  .l/ontf!Cc/»i  e 
Cappellani^  famiglie  ghibelline  dì  Verona,  rrr—  107. 
Monaldi  e  Pili ppe  scUi  famiglie  della  stessa  fazione 
in  Orvieto.    =    109.  G  e«  ti  ii  ghibellini.   =    110.  ili  a  go- 


jcarco  di    cariche,    e   lo    darìvano  fi 
arco.    Chi   sa,   se   non  si   debba  alla  rima  o  al  verso  ques' 
vocabolo  invece  del  più  solilo  imbarco,  essendoché  lo  stai 
e  le  cariche  si   paragonino  spesse  volte  a  navi,  ed  imha 
carsi   sia    detto    di   coloro  che  entrano  in  negozj  ,    o   impre: 

senza  i  debili  prov\edinieuli.     : 140.    Felino   le   legg 

Atene  per  mezzo  di  Solone ,   Lacedeniona ,  o  Sparta,  per  me 

zo  di  Licurgo.     141.  F'  e  e  ero  pie  ciò  l  cenno  ,  died 

ro  piccolo  saggio.      142.  Sottili,  arguti  e  tenui.    = 

144.  Giunge,   dura.      : 147.  Membre,   cittadini.    — 

148.   ledi  lume,  hai  fior  d'  ingegno.    =     151.   Dar  vo  y 
ta,  voltolarsi,    dimenarsi,   agitarsi.     Monti  Prop.  1 ,  2.  21 
Scherma,  ripara,  cerca  di  riparare 


Canto    VII. 

3.  Si  trasse,  s'  arretrò.     4.  Prima  ecc.  prìir 

della  redenzion  del  mondo  per  Gesù.  =  7.  Rio,  reità.  = 

Fé  alla  redenzione  per  Gesù.    15.    Ove  —  ap  pigile 

ai  piedi.  21,  130.  o  alle  ginocchia.  Un  cod.  vatic.  legge  ov 
l  nutrir  si  p  igl  ia ,  che  sarebbe  sotto  il  petto  ,  alla  ri 
gione  del  cuore;  il  che  pure  contiene  meno  alla  situazioi 
umile,  ed  all'  emozione.  ;=;:  18.  Lo  co— fui,  Mantova.  — 
21.  Fien'  viene.  Chiostra,  cerchio.  =  21.  T  irta  dt 
del,  di\ino  potere.  =^  24.  Non  fare,  omissione,  o  uiai 
canza  di  fede,  speranza  e  carità.  20.  Lo  alto  sol,  iddi 
=  27.  Tardi,  dopo  morte.  =  29.  Loco  é,  il  liiiib 
=  29.  I  lamenti  —  sospiri,  Inf.  4  ,  25  s.  =  33.  Um  t 
na  coipa  originale.  =  '.ìi.  7' r  e  — virtù  tede,  eperauz 
carità.  =:  39.  Drittoinizio,  vero  principio;  eh'  erai 
ancora  ncli'  atrio.  =  40.  Posto,  assegnato.  =:  \T.  Mei 
r  o ,  menerò ,  condurrò.  Alcuni  hanno  inenerotti,  ali 
se    '  l  mi  con  s.,  m  en  erotti.    =    49.  jR  is;)  o  s  f  o  da  \  i 

gilio.    51.  hnece  della   volgare  lezione  o    ;i  o  n    sarri 

die  non  potesse  cioè  o  non  salirebbe  (  Boccacc.  giorii. 
nov.  9)  perchè  non  potesse,  i  codd.  Caet.  e  barlol.  haiii 
0  V  ve  T  (ossia  oppur)  sar  i  a,  che  (o  eh'  e  l)  non  potè  s ."! 
eh'  è  sciiz'  altro  molto  più  piano  e  naturale.  =^  5(i.  Che  l 
notturna  tenebra.  Allude  a  S.  Giov.  12,35.  r=  5 
Lei,  la  tenebra.  =  bO.  Dì,  sole.  Senso:  mentre  il  soie  si 

sotto  r  orizzonte.    tjl.  Liei,  fi,  come  io  ci  24,   105.   r= 

U5.    Scemo,   scavato.  r=  litì.  Quid,  qui,  nel  nostro    emi 
t'ero.    z=    b8.  Grembo,  cavità.   =  70.  Sghembo,  obb! 
quo.      Affine  a  a/.aw;,  y.uuì ,  y.iu] ,  xau^w ,  y.a/.i:iivi,  xay 
.TvÀtw ,    ay.ufifiog,  a/.iy^o;,    ted.    schief,   ingl.    to  scanm 
hi  e,     scowl.        =        71.     In    fianco     della     laccm 
(Inf.  7,  IG.  12,  11)   alla  sponda  di  quella   cavila,   o   cislerni  w 
=    72.   lilore,   si  perde,    svanisce,     /y  e  m  6  o  ,  labbro  ,  or!  u! 
La  discesa  dunque  che  cimduc.   a  quel  seno,  è  dolcissima.   =  " 
(3.  tocco,  coccola  di  frutice,  usata  per  tignerò  in  color  ross 
nobile,  chermisi,  o  grana.    Biacca,  materia  di  color  bìanci 
cavata  per  forza  d"  aceto  dal  piombo  calcinalo.    =    71.  Il 
dico  leffno,  ebano.     Sereno,  chiaro  ed  arsiccio   arido.  ' 
.Wonti  Prop.  3,   1.   51    ss.   dall'   antico    ted.     ScAor  —  come  1  « 
Schorstein  —  fuoco,  affine  -AOii'no;,  iìi'iin;,  Otnno;,  iijnOi  l 
lat.    urcre,      torrere ,     fr.    tarir ,     ted.    sercn ,    sbrcn ,     set' 
ben,    diirren,    dorren ,   diirren.      =     75.    Fiacca,    Icndt 
rompe,   distacca.      =       79.   Dipinto  vaghi   colon,      zr 
81.    Indistinto,   indistiiizione,  mistura.     =r=    HI.  Salve 
regi  na,  canzone  dì  chiesa  indirizzata  a  Maria.  =^  84.  Pe 
la  valle,   per  cagione  della  cavità  della  valle.    Parean 
erano  visibili,      zrr--      90.   // a  m  o  ,  lacca  ;  voce  greca  o  latia 
(hxiiio;,    Xa/.w;,   lama)  cavità,    seno   7G.      r=     94.    Ri 
fi  o  i/o  imperai  or  austrìaco,  padre  dell'  imperatore  Alberti 
eletto  nel  1273,  morto  1'  anno  1290.    ==    9G.  Ricrea,  rìcre 
arsi  duvrìi.     =    9?,  Nella  viata,  mostraudosegli ,  guai 


COMENTO    SULLA    DIVINA    COMMEDIA. 


Ito.    99.  La  terra   ecc.   Boemia.    99.  Invece  del    avidi.     =    66.  I>ore  —  tarrf e,  al  polo  antartico.    : 87. 

■uscano  che  Molta  (la  Moldava,  fiume  clie  attraversa  Stelo,  asse.  =  89.  Tre  facelle  v.  1,  23.  dell'  Eridano, 
ragù)    in   Albia    (oggi    Elba)  i  codd.    il.  e  banol.  hanuol  della  Nave  e  del  Pesce  d'   oro;  appunto  in  opposizione  dì  quelle 

«fa,  cioè  si  cangia,  altri  monta.  Si  può  bene  che  i  co-  quattro  esistenti  nella  costellazione  del  Centauro.  Ora  le  tre 
atori  abbiano  cangiala  parola  meno  ovvia  in  altra  più  nota,  virtù  teologali;  come  le  (/uattro  stelle  sono  le  virtù  car- 
—  100.  Ottacliero,  nemico  di  Midollo  peri  in  una  batta-  dinali.  r=  91.  C'om'  el  par  vera  lezione,  ed  e,  che  siegue, 
lìa  nel  12Tb.  =z  101.  f  incislao  IV  morto  a'  23  giugno  fa  pleonasmo  usilatissimn.  r^  97.  Riparo,  rialzamento, 
jl  1305;  non  già  \ ,  che  nel  1300  non  aveva  che  12  anni,  et-  lembo.  =  100.  Striscia,  metaf.  serpente.  =  104.  As- 
;ndo  nato  ne!  1288.  =  103.  Xnsetlo  —  il  cod.  caet.  ha  tor  (v.  di  questa  parola  Bailey- Fahrenkriigefa  Wortcrb.  d. 
asuto,  di  che  non  lece  decidere —  Filippo  III  1'  Ardito,  re    engl.  Spr.  ed.  12.  pref.  della  1'.  1.  f.  2<  s.)  celestiali,  an- 

Francia.  =z  104-  Colui,  Arrigo  HI,  re  di  Navarra.  =1  geli.  =  108.  Foste,  appostamenti.  =  109.  L"  ombra 
l5.  Mo  r)  fug  fs  end  0.  A'.endo  i'ilippo  111  guerra  con  Pie-  di  Currado  M.  =:  112.  Se,  s'i ,  cosi.  Lucerna,  lume, 
HI    re    d'    Aragona,    ed  eniralo  ec.^endo  nella  Catalogna,'  grazia  illuminante.   =  113.  Cera,  materia,  corrispondenza. 


a /atto  /erto,  appoggia.  =  W.ì.  M  a  l  di  Fr  ancia,'  Vl^.  B  0  r  s  a  ,  liberalità.  Sparla,  valore.  r=  131.  Per 
ilippo  il  Bello.    Inf.  19,  85.  Pg.  20,  8ti.  22,  152.  .33,  45.   Par.j  che,    benché.     Il   capo  reo    Bonifazio   Vili.    16,  100  —  105. 

',  118.    111.  Lancia,  tormenta.    112.  (^uel  ecc.'  : 133.  Si  ricorca,  rientra.    A  noie  in  sentenza   dire  non 

etro  111,  re  d'  Aragona.    113.  Colui   dal  maschio   passeranno  anni  sette,  predicendogli  la  cacciata  e  resilio.  = 

aso  He  Carlo  1  di  Puglia,  padre  d'  Alfonso,  Jacopo,  e  Fé-,  138.  31  ag  g  io  r  e  Itio  vi  d'  esperienza. 

;rigo.    llb.  Lo   giovinetto,    Anselmo    primogenito,! 

orto  sei  anni  dopo  il  padre  ne!  1291,  principe  eccellente.  n=:[ 

9.  Jacopo  —  reaìiì  i.     Villani    10,   41.il,   73.    r=    Re-Ì  C   A  N   T   0       IX. 

t  ggio  miglio  r ,  \'\nix.    : — :    123.    (^ueiche   Za(probi-| 

de  umana)  dà,  iddio.  Per  e  A  è,  affinchè.  C// fami,  pre-,  j_9  Deficrive  la  notte  che  in  12  passi  trascorre  lo  spa- 
ludo.   =z    124.  lA  asuto,  tarlo  I,    re    di  Pug.ia,   e    conte   ^io  vastissimo  dell'  emi>IVra.     L  n  con  cub  ina  di    Titone 

Provenza.  =  127.  S  «  m  e  ,  genitori,  y'^c7i  £a,  ligli.  antico  canuto  è  1'  Alba.  S'imbiancava,  spandeva  la 
8  s.  i/catrj  ce  e  3/ar^/t(,-rit«,  liglie  di  ilaimoudo  ber-  gua  luce.  Al  b.  di'  oriente,  sovra  V  orienlali  balze,  o 
ighieri  V  conte  di  Provenza  ;   quella  maritala  a  san  L/uigi,  re      .   ^        d  .j_„    „     a„;  «■■   •  -1  -,-,^ 

Francia,    questa  al   fralel   di   lui.    Cario   I,    re  di  sfcilia.    "l'^-      Balzo    0    balza,    sono    affini    a    rre/.Aa,   (pi/./.a, 

arilo,  Pietro  d'  Aragona.  130.  Il  re  della  st-//);it.   rupe,    atua;.  fr.   falaìse ,     ted.    Ftls  ed    a    palus ,    ted. 

ita,  Arrigo  IH.  Villani  5,  4.  =  132,  Migliore,  e  non  Pjahl ,  Bohle,  come  termine,  conlìne,  balco,  il  che  si  trova 
ilio  re  si  deeleggere.  Sono  state  confuse  queste  parole  qui  (|ui  in  alcuni  codd.  Vi  gemm  e  ecc.  La  notte  che  il  poeta 
127.  :=  133,  Si  atterra,  giace,  si  prostra.  =z  121.  si  smarrì  nella  selva,  e  che  fu  innanzi  alla  prima  notte  del 
uglielmo  Marchese  del  Monferrato,  preso  e  morto  da  viaggio,  era  il  plenilunio.  (Inf.  20,  431  Era  dun(;ue  la  luna 
lelli  d'  Alessandria  della  Paglia;  onde  segui  guerra  gran  .  nel  punto  opposto  iliametralmente  al  sole,  cioè  nella  Libra, 
•■  tra  i  iìgliuoli  di  esso  Marchese  e  gli  Alessandrini,  =:  130,    eR.-'endo  il  soie  in  Ariete.  La  luna  passa  da  un  segno  all'  altro 

'  "^ "'e,  parte  del  tratto  di  Monferrato.  del   zodiaco   in   meno   di   due  giorni  e  mezzo;  e  lo  Scorpione 

segue  immediatamente  la  Libra.    Dunque  in  questa  notte,  oh' 
„  -i-riT  ^  '**  terza  del  viaggio  e  la  quarta  dopo  il  pleiiilnuio,   la   luna 

O  A  N  T   0      Vili.  era  già  entrata  iielio  Scorpione,  detto  W  freddo  animale^ 

perchè  intorpidisce  nel  verno.     Passi,  ore.    La   notte   sorge 

1,  Descrizione  della  sera!  _  r—  3.  Zo  dì  quel  giorno,  al  tramontare  del  sole;  il  sole  era  in  Ariele,  sorgea  con  la 
::  5.  Si/ ui Ila,  campana.  Voce  tedesca  Schelle,  da  sciial-  Libra.  Tra  il  levarsi  dell'  uno  e  dell'  altro  de'  12  segni  del 
re,  suonare,    affine  a  gellen,  y.aXiu;  lat,  calare.  Par.  20,'  zodiaco  ^lassan  due  ore;  e  come  tutte  le  stelle  dello  scorpione 

squilli.  =   7  8.  Render  vano  lo  udire,  non  sen-   <=rano  già  uscite  dall'  orizzonte,  esser  dovca  passata  un    altra 


nulla. 


E  il  terzo    ecc.    la   tcrz"  ora  di  notte  era  al  suo 


.^.  »,...,  ui„i.  ,,,.  ...v,iiti.iiu .  agli  umili  dio  dà   grazia  e  cU   as-   *.  -in  .,»•-...  ,.  , 

ne  neir  opra  dell'  ammend.l  :^t  2i.  Pallido  di  paura!  «  l"''^**  "'.«""  .l'alia,  car''^  *-•  I""  «lai  pensieri,  i  quali  la  reo- 
Iserpente  o  delle  tentazioni  notturne.  Altri  hanno  pavido. ì  ''"""  ,'1''"«'  '•'^'"a-  Il  seu-o  unii  pare  assai  spedilo  e  chiaro. 
=  2(i.  .S;)  ar/fia//ocat  p  di  giustizia.  =r-  27.  '/r  o  ne  h  e\  =T-  19.^  o.v ,)  e  »  a  librata  sull  ali.  =-  22.  La  dove  ecc. 
sue  di  misericordia.  =r^.  28.  f  erdiiii  segno  di  spc-  «"1  "•'"''« J.'l*-,  ==?  ^^  Co  «ri  «foro  aduiiamenlo,  corto, 
iiza.  =  29.  Penne,  aie.  z=-.  35.  /  irta,  {orza  qual-|  =  2->-  P' e  f/ e,  ghermisce  e  preda.  =  2,.  In  piede 
ogiia,  A  troppo,  per  impressione  eccessiva.  Si  co«-  <=<"'  B''.a''l'el'-  =T,  30.  /<  0  co ,  sfera  del  fuoco  sopra  quella 
nda,  viene  oppressa  e  superata,  rr^  37.  Del  grembo]  •'«H  aria,  =;  31.  Cossr,  V""^^  ^  ""  fea  sentire  1  ardor 
Maria,    spera   concava ,    dove   sta   Maria,    l'arad.  31  ,  1.    '""■    =    -F-.  .W«r  r/ rr ,   lei.     (hiroiic   ceiitanro.     Sciro, 


ndice  del  Giu.li.alo  di  «allora  in  Sardegna,  capo   di    parte  ^"''^-    l'r"priamnitc  nnlorzar  con  terra     ..  altra   materia  ;  af- 

ella,  nipote  del  conte  tgolino  della    «lierardesca  ;    fu    cac-  '"•«,  a  chuus»,  e,   d.i   ratcca,     e  a  t  ri  ,  a,    calveata. 

Ilo    di    Pisa    nel    I2i-H,   e   in    Maieinina  guerreggiando  mori,  e  a  /  tr  «  f  u  ;/i  ,  voci  de      ,at.  iiuzz.    r=r-     .4,  «otto    rottura. 

illam  7,  120.    rr-   .,7.  Lontane  a  e,  uè,  foce  del    Tevere  =^   .  ^l-  ^  "<•''".">  ''al  1""C;'!.  ««"ve   side.     =rr     h7,    A  01, 

•là.    :—    mi   L'   altra    immortale.      :—     iW.  A  d  11  n  U,-  annoi  ,  incomodi ,  inciesca.     Alline  senz    olirò  a  n  n  „  ,  ,n  r  e, 

;  dell'  assurdo  criinano  a  ;/i  (■  non  chiede   difesa.    . —    (>.').  ruritttan.                 91.    liianco   ere.   Siinbuleggia     il    ricouo- 

'trradn  Malaspiiii ,  manliesc  di  liiiiiigiana ,  jiadrc   di    Ma-  Hciinenlo  delle  colpe, e  il  ranilnre  della  r(Mifisr<iiiiic  di  esse.  = 

elio,  o  Morello,  riceltalore  di    Dante   esule.    :: — :    liti.    Che  !I7.   'l'itilo,  oscuro.  Inf.    3,  2!l.     ; --      OS.  f'e  t  ri  n  a ,    petra. 

sa.     r —    ()7.  drudo,    gralitiidiiie.     : —    tiH,    Colui,    dio.  Dinota  il  duro  cuore  del  placcature  e  gli  ell'elti  della  contrizione, 

—  U'.i.Che  —  guado  che  non  vi  si  puii  penetrare.  :—  :  70.  : —  100.  Ni  a  m  in  a  s  i  e  e  i  a  ,  s'  accresce,  o  è  soprapposto. 
i — onde  che  separano  il  piirgalorio  dalla  terra,  r — :  71,  \cceniia  la  sali-fazione,  r-r:  108.  Serrarne,  serratura.  := 
<_o  i<  a  n  rt  a,  figlia  di  Mno,  moglie  di  Iticcnnlo  da  Caiiiiiiino  112.  Sette  /',  segni  de'  selle  peccali  capitali.  =r-r  113, 
rivigiano.  r — :  11.  Chiami,  ori.  r— r  73.  Sua  madre,  /'i/ ;i  (  o  n  ,  punta,  r  -^  119.  // /  «  n  e  ri  d'  arg<  nio.  ^  f,"  in  /  /  a, 
matrice  Marchesolta  d'  E»(i,  sorella  il'  \zzo  VHI,diipo  la  aurea.  (Quella  dinota  la  srieii/a  ,  (|uesta  1'  autorità  sacerdo- 
>rte  di    Mno    rimaritala   a  (laleazzo  do'  \  isconti  di  Milano,  tale,    z — :     121.     Toppa,  serraliira.  r—  123.  Calla,  porta. 

—  71.  /ji-  bianche  bende,  segno  di  vedovanza.  :  -  75.  r— :  121.  I,  a  una,  quella  d'  oro.  : —  12li.  //  no  do  dis- 
fi —  h  r  n  in  i    per   enNere  scacciali    di    Milano  I  Visconti  per  groppa,  schiarisi-t-  e    rinrdina    V   iiiviliippala    rnsrieii?a    del 

olii  della  Torre ,  ove  sofferse  (Giovanna,     r —    HO.    La    vi      |iiMiilente.     : — :      130.   /'/ h  .«  e,  spinse. 131.  SpigiAi 

tra,  lo  slemiun  de' \  iscoiiti  di  Milano  portato  in  campo  per  iiiirlle  punte  di  ferro,  che  posuiio  in  terra,  sui  quali  ri  rcgKtt 

«cpiia.  r —  HI.  dallo  V  arme  ilei  (Giudice  iNiiio.  rrrr  hi.  \  usi  io ,  e  si  gira  la  porla  [regge)  ycT  aprirsi,  ^ —  137. 
'auipa,  imjirouta,  Dritlu,  giunto.    =    H5.  G hiotti^[  Tur p  va  I.1  fabbrica  dell'  erario  di  Ilmua ,  cbo   Cesare  tor- 


COMENTO    SULLA    DIVINA    COMMEDIA. 


nando  «la  Brindisi  ed  entrando  in  Roma  spogliò  per  pagare  i 
suoi  soldati.  V.  Lucano  Fare,  3,  155  ss.  =:=.  138.  Ma  era 
priva  delle  ricchezze. 


Canto    X. 

1.  Poi,  poiché.  Soglio,  soglia,  limitare.  =  2.  Mal 
amor,  ree  passioni.  JJisusa,  rende  poco  usata,  rade  vol- 
te apre.    5.  L  se  io  ecc.  perchè  avvertito  9,  ISl  s.     := 

8.  Si  moveva,  si  raggirava,  ai  volgeva,  serpeggiava.  = 
12.  Si  parte,  dà  volta,  si  divide.  : —  11.  Scemo  della 
luna  la  luna  mancante  della  rotondità.  Essendo  questo  il 
quinto'giorno  dopo  il  plenilunio,  conseguita,  che  la  luna  do- 
veva tramontare  quasi  quattr'  ore  dopo  il  nascere  del  sole. 
Più  che  due  ore  erano  trascorse  quando  i  poeti  cominciarono 
la  salita;  dunque  una  e  mezza  ne  spesero  nel  rampicarsi,  me- 
no quel  pò"  di  tempo  coli'  angelo  alla  porta.   IG.  Cruna, 

fenditura,  via  angusta.  Inf.  15,17.    : —    18.  Rauna,  ristrin- 

gesi,  ritirasi.     'H.  Mi  s  u  rr  e  b  b  e  ,  misurerebbe.     : — 

a5.  Trar  <V  ale,  volare,   discorrere,   trascorrere.     27. 

Cornice  ,  piano  ,  strada.  : —  30.  Che  dritto  —  Tn  anco 
non  -possibile  a  salir  persona  v.  51.  cui  mancava  la 
possibilità  di  salita ,  perchè  sorgeva  \erticalmente.  =  32. 
l'olici  età,  celeberrimo  scultore  dì  Sicione ,  città  nel  Pelo- 
ponneso.         33.    Avrebbe  scorno   sareblie   vinta.     

34.  Lo  angel,    Gabriello.     : 3li.  Dal,   dopo.     40. 

Ave,  saluto  dell'  angelo.    :^=    41  s.  Quella   che  ecc.  Ma- 

jia.    44.  Ecce  anelila  dei.   Lue.   1.    48.  Da  — 

sente,   a  sinistra.     =     52.   Imposta,  incisa,   effigiata. 

5i.  Disposta,   patente.     57.   Si  —  commesso, 

pel  gastigo  di  morte  dato  da  dio  al  levila  Oza,  che  osò  toc- 
rare  e  sostenere  1'  arco  vacillante.  2  Sam.  tì,  6  s.  : —  60. 
Lo  vn  senso.     Senso:  1'  orecchio  decise,  che  non  cantassero. 

Raffronta  il  V.  63.     64.  Benedicite   vaso,   arca.    =: 

65.  Al::.ato,  perchè  opposto  ad  umile,  è  lieto  e  sentendosi 

grande  nella  sua  dignità  sacerdotale  regia.     : 67.   ì  ista, 

veduta,  luogo  onde  si  vede  lontano,    punto  di  vista.     : 68. 

Michl.  tiglia  di  Saulle ,  moglie  di  Davide.     : — ■     71.  ^l'i'i- 

«  a  re  ,  adocchiare.    : 73.    Biancheggiava,    mostrava 

il  suo  color  bianco,  perchè  in  marmo.  : —  74.  La  lezione 
adattata  è  quella  d'  codd.  dionis.,  bartol.  e  boccacc.  La  stori- 
ella, o  favola  si  racconta  da  Giovanni  Diacono  VilaGreg.  M. 
2  44.  Tommaso  Aquinate  suppl.  quaest.  75.  art.  5  ad  5 
e  nelle  cento  novelle  ant.  nov.  67.  r=r  77.  Al  freno  del 
cavallo.  =  W.  Atteggiata,  inatto.  =r  79.  Odin- 
lo  r  TI  o  è  invece  di  il  luogo  dintorno  ,  o  calcato  e  pieno 
sono  sostantivi.  60  Z/ '  a  gu  glie,  1'  aquile,  —  che  so- 
no pur  diverse  forme  d'  una  parola  —  insegno  del  rumano 
esercito.  81.  Sovresso,  disopra.  Dell''  oro,  d'o- 
ro. Villani  1,  60.  Par.  17,  110.  r=  H6.  Torni  daif  impre- 
sa mia.    r=    87.  Si  affretta,  è  precipitoso  ed  impaziente. 

S8.  Se  tu  non  torni,  chi  l'arainnii  vendetta.      Chi  fia 

dove  io,  colui  che  sarà  mio  successore,  r^  89.  Zi  '  altrui 
berte,  il  ben  oprare  d'  altrui.  : —  90.  Fia,  gioverà.  Sen- 
so: r  altrui  giustizia  non  assolve  tedi  colpa.  r=  91.  Colui 
nova,  iddio.  95.  risibile  per  la  maestria  del  la- 
voro.            99.   Fabbro,   dio.     Care,   aggradevoli.      

105.  Smaghi,  imarrisca.  Inf.  25,  14o.  Pg.  27,  104.  =  109. 
Martire,  pene  del  purgatorio.  =  HO.  Succession, 
quel  chesiegue.  A  peggio,  andando  a  peggio,  al  peggio  che 
possa  succedere.  =  IH.  Oltre  la  gran  sentenzia  pro- 
unnziata  nel  giorno  estremo.  Ire,  durare.  =r=  116.  Ran- 
nicchi a  ,  TÌpitga.,  raggruppa.  =  117.  Te  n  z  o  ra  e  ,  con- 
trasto.        118.  Disviticchia  ecc.  togli  i  \iiicchi   attorti 

a  ramo  o  tronco;  metaf.  distingui  chiaraiiiente.     : 120.  Si 

■picchia,  è  percosso  o  schiacciato.  Il  cod.  bart.  ha  nicchia, 
di  cui  V.  air  Inf.  18,  103.  La  nozione  generale  del  pungere 
resta  sempre  mai.  Quel  che  dice  l'iviani  di  nicchia,  non 
quadra,  perchè  le  parole  e  la  loro  derivazione  son  tutto  dilfc- 
renti.  123,  Ritrosi,  contrarj  alla  retta  ragione ,  per- 
versi.        125.  Farfalla   ang.,   anima.    =     126.  Sen- 

cc.  schermi,  ineruàe.  =  127.  dalla,  galleggia.  Inf.  21, 
57.  insuperbisre.  : —  128.  Invece  d'  ent amata,  luche  senz' 
altro  è  anomalia,  benché  non  senza  precedenza  del  lat.  inezz., 
cioè  inst-tti,  altri  bau  at  ornata,  o  a  t  ho  mata  cioè  atomi, 
altri  a  u  tornata,  mncchine  mancanti  d'  anima.  >Ia  la  'vol- 
gare lezione  non  ha  bi.-«ogno  di  scusa  ,  o  di  correzione.  =r= 
131.  Mensola,  pcz/co  che  sostiene  ro>a  prominente  dal  muro, 
Bostegnu  di  trave  o  cornice.  :^r-  133.  Rancura,  all'anno, 
Btrelia,  angoscia.  Inf.  27,  129.  Monti  Prop.  3,  2.  169.  = 
138.  E,  ma,  uuudimcno. 


Canto    XI. 

3.  Primi  effetti,  i  cicli  e  gli  angeli.    =    C.  T' a  pa- 
re, sapienza.     S;ip.  7,  25.      Dolce  invece   d'  alto  d'  alcune 

edizioni  puii  stare  ed  CMBcre  pieno   d'  amore.     12.  Suoi 

Milcri.  : —  19.  Si  a  don  a,  si  arrende,  cede,  si  lascia  ab- 
battere. =  20.  Spermentar,  sperimentare,  tentare, 
mettere  a  cimento.    =    24.  iic«(aro  nel  mondo.     =    25. 


Ramogna,    prospero    enccesso,    buona    contintiazionc  de 
viaggio.     L    origine    del  vocabolo  sembra  anzi  in  òcuo),  (ito»,. 
rvftì ,  confortare,    affine  a  òtto,  ted.  rennen,  muoversi  col  ' 
impeto,  ed  a  (ivì,uìj,  oanTurij,   che  in  ramo,  e    ramìngii 
=     26.  Po  ndo,   peso.      =rr     29.    Cornice ,  cerchio.    r=  ' 

30.  La  —mondo    fummo   (Inf.  H,  12)    della  superbia.    =3,: 

31.  Di  là,  nel  purgatorio.    ==  32.  Di  qua,  nel  mondo.  =à  i 

36.  Ste// a  £  e  r  0  t  e,  cieli.    : — =    37.  Se,  cos'i,   si.     ^  n 

Levi  al  paradiso.  =rr  45.  Cantra  sua  voglia,  invj  1; 
lontariamenle.     Pm.  r  e  0  ,  lento.    :=r    51.  S  a  ?t  r,  salirvi.   =i 

58.  2/ a  t  è  71  0 ,  Italiano.      Tosco,   signore  toscano.     aS  : 

A  l  d  ob  r  and  esc  hi   de"    Conti    di   Santaiìnre   di   Maremma, 

=r=    60.   jT'o  se  0  tra  voi  udito.    61.   Leggiadre,  glo  t; 

riose,   virtuose.     Monti  Prop.  3,   1.  29.     :^rr    63    Cam  un  .; 
inadre,  terra,    r^r    66,  Fante,  o^m  parlante,  ogni  uomc- 
'Ib,   61.     r=     69.    Malanno,    miseria   da   malaniiarc,    ciò 
mal  andare.    Perticari  Prop.   2,  2.  207.   n.  ZO.     =r    SrO.  Eu 
gubio,   invece    d'    A  g  0  b  b  io  ,   città   nel    ducato    d'    Irbiui 
pare  almeno  la  scrittura  antica ,  più   vicina  alla  sua  origint  1,1 
Alluminare,   euluminer,    miniare  con    acquerelli  in  cart" 

jiecora   0    in   avorio.      83.    Pennelleggia,    dipingi  1 

Franco  Boi.    di  cui  v.  Lanzi  storia  |iilt.  d'Ital.  Pisi  1811  f^,. 

P.  5.  e  l'asari  \.  di  Giotto.    85.  Sì  cortese  di  cedei  |, 

gli  il  principato.    c=    l57.  Intese  fu  intento.    : 90.  i'oin: 

sendo  peccar   in  tempo    di    vita.     : — :     93.  Giunta  s(  j]; 

praggiunta.     Grosse  golfe  ed  ignorami.      94.   Cimt^. 

bue   lioreutino  ,   primo   restauratore  della  pittura    morto  m  n 

1300,    95.   Tener  lo  campo,    ottenere   il  più  alto  grj', 

do.  Allude  all'  epitaffio  di  lui  in  S.  Maria  del  Fiore.  Giott  ^j 
fiorentino  pittore  ,  discepolo  di  Cimabue,  morto  nel  1336 ,  am  5^5 

co  grandissimo  di  Dante.    97,  Lo  uno  Guido  Cavalcantjjj 

iiorenlino,  filosofo  e  poeta.  Altro  Guido  Guinicelli,  Rok  „|' 
giiese ,  poeta  stimato.     Raffr.   de  vulg.    el.  1,   9.  15.    =    91  u 

Forse  è  nato.    Intende  di  .«è  medesimo.     103.  Fam  ;, 

sembra  chiosa  della  lez.  voce.  Scindi  la  carne  v  ecc  hit  '^ 
muori   vecchio.      =r      105.  Pappo,  (affine  a  Tiaw)  pani 
Dindi,  danari;  voci  da  bambini!    106.  Pria  —  ann 

in  tempo  di  meno  di  mille  anni.    108.    Cerchio  ,   circi 

lar  moto  del  cielo   stellato  da  occidente  in  oriente.    10 

Colui  ecc.  Provenzan  Salvaui.   v.    121.    : — •    112.  Sire,  s 
gnore   e  guidatore   dell'    oste.  v.    Malespini   stor.    lìor.    I61 
f  Ulani  crou.   6,  79.      Quando  fior,    da'  Sanesi  in  Mont;'' 
perii  a'  4  selt.  I'i60.     7 Ulani  6,  80.    r=    116.  Quei,   il  sol 

1 117.  Acerba,  tenerella  ed  immatura.  : —  119.  Turno 

superbia.      Appiani,   abbassi.    : —     128.  Poiché,  dacché 

126.  Oso,  ardito.  Lat.  ausus.    z —    131.   Passi  —  visi 

v.  4,  130  ss.     _ — _  134.   Campo,  piazza.     : —     135.    Si   o. 

\fisse,  si  lissò,  s'  inchiodò.    : 136.  Amico,  Vigna.      := 

137.  Carlo  I,   re  di  Puglia,  il   quale   chiedeva  10,000  fiorii 

1  d'  oro,      J  Ulani  7,  31.     13H.  Si  vena  ,  per  chiedere  1 

j  mosina  ,  stendendo  un  tappeto  per  terra.     140.    li  e  in 

!  concittadini.  Petr.  son.  71.    141.    Chiosarlo,   cioè  ii 

tendere  cosa  sia  il  tremare  per  ogni  vena,  allorché  privo  del 
avite  sostanze,  e  sule  e  mendico  sarai.  =  142.  Quei  coi 
fini  iutoruo  al  munte,  su  di  cui  erano.    Tolse,  lo  liber 

Casto    XII. 

1.  Pi  7) a 7- 1,  a  paro.    r=:?    3.  Pedologo,  duca,  gnid;  1' 

i    /^'a  rea .  passa  avanti.   7.  Come  andar  vuoi 

si,  come  si  suole  andare.  Rif  emi  mi  tìzzuì  ,  raddrizza,!,. 
==r    lii.Lettodellepiante,s\iu\o.   =   21.   Dàdcll^.- 

e  0/ e  a  g- rt  e,  sprona  ,  stimola.      24.  Quanto  —  ora/'j 

za,  tutto  quel  piano,  che  fuori  della  soprapposta  falda  steij,,, 
devasi  per  formare  all'  iutoruo  strada.    Figurato  di  fìgui -' 

ornato.    25.    Colui   ecc.   Satanasso.     =z     'lì.Folgi,^ 

reggiando  Lue.   10,    18.     :=     28  s.    Telocelestiaif 

fulmine.     ■■ 30.  Grave  peso.    =:     31.    Timb  reo,   \\  ^^ 

pniine,  da  una  città  della  Troade.  =  'i2.  Padre,  Giovi  „, 
llalTr.  Stazio  Teb.  2,  593  ss.  =  34.  N  e  m  b  r  b  Genesi  11  J 
y.  e;  roTi  /or  oro,  la  torre  babilonica.  =r=  36.  S  «  »  e  r  ft  fc 
licenza  invece  di  superbe.  =  37.  Niobe,  moglie  d'  Anfit  j  1 
ne,  re  di  Tebe,  insuperbita  di  14  figli  volle  che  i  l'ebani  ss  |r 
crilicassero  ad  essa,  non  a  Latona,  madre  d'  Apollo  e  di  D  j; 
ana;  onde  questi  le  uccisero  i  figli  tutti  quanti.  :=  40  —  4'  [j 
\'.  2  Ree.  1,21.  ==  43.  Aracne,  tessitrice  famosa,  oh  k, 
sfidava  Pallade,  e  fu  perciò  convertita  in  ragno.  =  4,. 
Roboàm,  figlio  di  Salomone,  da  cui  si  ribellarono  undii  ( 
tribù.    3  Reg.  12.     =     47.  Se^no  figura  scolpita.  63.     =, 

49.  Duro   pavimento    la  marmorea  strada  scolpita.     =  j,.. 

50.  Alni  con  e,  figliuolo  d'  Anfiarao  e  d'  F.rifile ,  che  ucci»  , 
la  madre,  per  vendicare  il  padre  da  essa  tradito,  v.  Inf.  2)  | 
3».  Orù/.  >let.  9  ,  409.  z=z  51.  L  a  —  adomam  ento,  u^ 
ricco  giojello.  =r:  53.  Sennache  rib,  re  degli  Assiri.  He|  j. 
4,  19.  r=r  56.  Tamira,  regina  degli  Sciti.  =  57.  Sai 
^«e  ecc.  Giustin.  1.  8.  =  59.  Morto  da  Giuditta.  =, 
1(0.  Mar  tiro,  strage  orrenda  fatta  dagli  Assiri.  ■=  61  j 
llion,  la  rocca  di  Troia.  Segno,  bassorilievo.  47.  r=  } 
(.5.  Ombre,  immagini.  13,7.  =  ijti.  Mirar,  ammirari  , 
meravigliare.    =    6'J.  Quanto  io  calcai,  quanto  io  vi»  f 


COMENTO    SULLA   DIVINA    COMMEDIA. 


tarsiato,  o  in  iscapliole,  o  di  pprafTin,  gal   suolo   che  calcai. 

ivi  gii.  70.  Ironia!  come  10,  121.  : 15.  Non  sciol- 

ì ,    allisso    alla    cousiderazione    di    qaelle   storie,    =r-:    7G. 

Ite  so,   attento.     r=r     fcl,   Ancella,    del   sole ,  cioè  ora. 

:,  UH,    Già  era  mezzogiorno.  zr=fc3.  i,  a  lui.    Inf.  10,113.= 

Raggiorna,   ritorna.       : y9.   Biancovestita, 


sanese,   a  cui  fin   dal   1328   furono   celebrate  feste.    133, 

Tolti  dalla  costura  v.  83.     =    137.  Tormento  di  sotto. 

Si    aerosa   della   superbia    naturale   a   genio   tanto    alto.     

140.    Giù,   nel   girone    de'    snnerbi.      r=      liO.    Rinfami, 

mi  ricordi  salva.     ló2.   Talamo  ne,  porto  di  mare  sa- 

ne^e  profondo,    ma  insalubre,    col  mezzo   del  quale  speravano 


u  Uosa  Morando  crediamo   una  voce   composta  dì  due.     i  Sanesi    di   farsi   grandi   e  possenti   in  mare.     E.   ma.     Per- 

I.  Tr  eniolan  do  .    scintillando.     9-1.   Invito   megìio    d  e  r  a  g  l  i  ,  vi  perderanno.    Inf.  23,  54.  Pg.  25,  124.     153, 

ladra  alia  serie,    ed  al:    inulti   sunt  vocuti.     — -     95.   Ì~ o-    Diana,  fiume  favoloso  sotterraneo,  che  cercarono  di  trovare 


%r  su,  andare  in  paradiso. 
e   di   tentazione.      


96.  lento  di  vanagln 
100  —  105.  Dove,  su  di  cui. 
ffl  e  A  i  eso  di  S.  Miniato.  S  og' g'jo^a,  domina.  La  ben 
uidata  città,  Firenze,  ironicamente  cosi  detta  invece  di 
egolata.  Sopra  appresso,  vicino.  Ru  bacon  te  ponte 
ppra  r  Arno ,  detto  così  da  Rubaoonte  da  Mandello  milanese, 
)destà  di  Firenze  nel  1237  (Villani  0,  27.),  Si  rompe,  s' 
terrompe,  si  modera.  Foga,  violenza.  Ardita,  erta. 
h'  era,  ov'  era.  Il  quaderno.  Nel  1299  per  molte  e 
anifeste  baratterìe  fu  deposto  e  carcerato  mesa.  Monfiorito 
iCodcrta,  allora  podestà  dì  Firenze,  e  mess.  Aiccola  Accia- 
oli,  Priore,  col  consenso  di  mesa.  Baldo  d'  Aguglione  (Par. 
i,  55.  ss.)  mandi»  pel   libro  della    Camera   del  Comune, 


i  Sanesi  a  spese  grandi ,  mentovato  ancora  da  Boccaccio.    

l.i4.  Metteranno,  spenderanno.  Lì  ammiragli,  coloro 
che  sperano  di  diventare  ammiragli.  Altri  leggono  per  da- 
ranno, piuttosto  chiosando. 

Canto     XIV. 

2.  Dato  il  volo,  sciogliendogli  i  lacci  corporei,  *"— 
6.  A  e  colo  la  piii  parte  degli  spositorì  lo  dicono  troncamen- 
to poetico  d'  accoglilo,  come  rie  ole  canz.  20,  7.  9.  vel- 
lo di  vedilo  e  cole  di  coglile.  Monti  Prop.  2,  2.  203, 
2.    11  postillatore  casinese  spiega  a  e  o /o  ,   per  f  cete;    lo 


asse  secrctamente  un  foglio,    dove   toccavasi   un  fatto  ingiù- j  che   sarebbe    a   coppella,    a    martello,     esaliamente;    a  un  di 
o,  nel  quale  trovavasi  implicato  egli  stesso.    Della  qual  cosa    presso  come  i  Tedeschi    dicono  quasi 


Itti  e  tre  furono,  inquisizione  indi  fatta,  condannati.  Doga. 
llude  ad  un  ser  I)ur;inte  de' Cherraontesi,  doganiere  e  camer- 
ngo  della  camera  del  sale  del  comune  di  Fir.,  il  quale  trasse 
;ia  doga  dello  stajo.  CoA  gl'interpreti.  Ma  secondo  quel 
i'  è  stato  annotato  all'  Inf.  31,  72.  doga  sembra  piuttosto 
arco  pubblico,  forse  segno  di  bilancia,  apposto  ad  una  mi- 
tra, o  un  peso  di  carne  e  di  sale.     100.  Si  allenta, 

agevola  ad  ascendersi.      —     108.   li  oric  ,  strofina  il  vian- 

inte.    112.  Foci,  aperture,    aditi.     117.  Per  lo 

ian  camminando.    121.  IP.  v.  9,  112.   =z  133.  Scem- 

ie,   separate,  allargate.    135.  (^uel  dalle  chiavi, 

angelo  che  teneva  le  chiavi.  9,  117. 


proverbialmente  iiiif  das 
Jota,  aufs  iind  avf  das  Uaar,  e  similmente.  Ai  si  \orrebbe 
almeno  esenipj.  r=-  7.  Due,  Guido  del  duca  da  llrettinoro, 
e  Rinieri  de'  Calboli  di  Romagna.  r=r=  9.  Supini,  come 
fanno  i  ciechi,  alzando  le  facce.  =  10.  F  i  1 1  a  ,  ch'ms3. 
=  12.  Ditta,   di'.   Petr.  e.  28,  1.    =r    14.  Grazia,  favor 

celeste.     10.  Spazia,  dilata,  distende.     Fi  uni  i- 

cel    Arno.      Falle rona,    montagna   dell'     Apennino     r.ello 

stato    di    Firenze.       : IH.    Cento  —   sazia.       l'Ulani 

1,  43   determina   il  corso    dell'  Arno  di  spazia   da  miglia   120. 

22.  Accarno  propriamente  penetro  addentro  nella  car- 
ne, penetro  addentro.      • 24.  linei  —    dicco,    Rinieri. 

29.    Si  sdebito,   soddisfece  al   debito   di   rispondere. 

: 31  s.    Suo    dell'  Arno.       Lo  —   Peloro    V    Apennino. 

/■"r  e  ^n  o  ,  elevato.  Tro  n  co  ,  staccato.  Peloro,  promon- 
torio della  Sicilia.  Pa  s  sa  —  segno,  è  più  alto.  ìiue  Ilo 
umore,  o  acqua.  Cielo,  sole.  A  uol  dire,  che  il  munte 
Apennino  in  pochi  luoghi  è  piii  alto  che  nella  Fiilterona.    Imita 

Lucano  Fais.  2,  317  s      : 42    Circe   convertiva  gli  uomini 

in  bestie,  dando  loro  a  mangiare  certi  cibi.    43!  Porci. 

Intende  quei  di  Porciano,  dove  ò  fama,  d'  essere  stato  Dante 
prigioniero  per  alcun  tempo  nella  torre  maggiore,  perchè  ac- 
cesissimo partigiano  dell'  imperio.      Tro>ja    V.    A.   123   s.    

45.  Calle,  cammino.     40.  Botoli,  cani  piccioli  stizzosi, 

che  soltanto  abbaiano.  Dice  gli  Aretini,  dr.ve  il  \escovo  llde- 
brandino  ,  altro  fratello  del  conte  Alessandro  di  Romena  era 
Mgnore  nel  1311.     Troiya  V.  A.  125.     =     iK  Dis  d  eg  n  o  s  a 


Canto    XIII. 

2.  Secondamente,  in  secondo  luogo.        Si  risega, 

taglia,  s'  interrompe.     Salendo,  quando  1'  uomo  il  sale. 

i  smala,  disvìzìa  ,   purga   da  peccati.     4.  Cornice, 

aimcutu  della  sottoposta   rijia.     Lega,  gira,  seconda.    = 

La  prima)  a  de'  superbi.    =r=    ti.   Tosto  presto.     Pie- 
a  è  di  minor  diametro  ,  perche  va  assoltigliando  in  su.    := 

Ombra,  anima;    come   mostra   il  v.  10  e  25  s.  e  la  parola 
egiio.    r=     Si.Petraja,    pietra.  (4H)    =    \2.Elettn. 

ezione,  scelta.    :=    14  >.  Fece  —  torse,    fermo  tenne  '1  ,     ^  ., 

to  destro  ed  aggiri»  il  sinistro.  Modo  di  Milgere  di  compasso  ■  h\"ri\iera  Ary».  Torre  il  muso,  si  allontana  da  Arezzo, 
urdescriverc  un  cìrc<ilo,  al  quale  effetto  d'  un   piede  del  cmn-    rr=r   49.  Lupi.    Intende  i  Fìorenlini.    rr^    51.  La  — fossa, 

1560  si  fa  centro,    e  I'  altro   sì    fa   girare.     ; 10.  Dolci  A"  Arno,     rtr:     53.   I  olpi,    i  Pisani,  dove  nel  1311  Gerardo  o 

urne,  sole.     21.  Pronta,  slimola,   sforza,     rm    22.  JGiiddo    della  Ghcrardrsca ,   conte    di  Donoratìco   saliva    a'  piii 

tìglio  hanno  parecchi  codd.  ìn\ecc    di   miglìajo,  lo  clic    grandi  onori,     l'rotja  \  .  A.  125.    r=r-    54.  Occupi,    per   dia- 

difende  con  una  regola  di  \alutare  per  una  sola  sillaba  le  [stole,  superi,  o  pigìi  alla  trappola.  Munti  Prop.  3,  1.  188.  : — : 
ne  finali  ajo,  ojo,  oj  a  ,  come  Inf  (>,(9.e  col  supplemento:  55.  Per  clic,  benché.  quantun(|ue.  :^=  .50.  Costui,  a  co- 
ì  passi.  Più  schietto  e  più  piano  è  senz'  altro  quel  //ii- Istiiì.  Ammenta.  si  reca  a  mente,  si  rammenta.  25.  22.  rr^ 
lio.    'i.1.Amor,   carità    fraterna.     =--    29.   f  inum\:,T.  D  ì  sìio  d  a ,  »\eìn.      :r-^      58.   Nipote,    M.    Fulcieri  de' 


liabent.     Parole   dì    Maria  alle   nozze   di   ('ana.    = 
1.  Per  allungarsi,  giacché,  o  mentre  sì  scostavano,  r-^r 
Oreste   amicissimo  di  Piladc.      — :      30.    Amate   ecc. 
lati.  5,  44.   =:    37.  Sferza,  corregge.    r=^    39.   Tratte, 


Calboli,  nel  1302  podestà  feroce  e  crudele  in  Firenze,  corrotto 
con  danari  da'  \eri ,  a  far  incarcerare  ed  uccidere  parecchi 
Bianchi.     I Ulani  8,59.     Trotjn  veltro  alleg.  01.    rrr-    «0.   Fi- 

_    ero  fiume,  Arno.    04.   Trista    selva,  cattiva,  scia- 

icchc.      40.   Lofrcn,'\c   \(>ci"  frenanti    gì'   invidìosii  ,  gurata,  o  piena  di  lutto.      r —      (iO.   Hinsilva,    rìfìi.      : 

oiitrarìo   suono,    voci    minacciose,      rrrr      42.    Passo,    lù.    Dogliosi   ha   il  cod    bartol.  invece  di /ufii;i.     =■     09. 

logo.  balzo.    45.  Grotta,  rupe.     Inf.  21,110,  Pg.  i,i'!'.  ÌQu  al  che,  (|ualunque.     .1  ssan  n  i ,  assalga,     Inf.  33,35.  r=: 

48.  Color  della  pietra  (\ .  9)  livido,  rrrr  52.  An-ì'ii).  fj'  altr'  anima,  Rinìcrì.  :=  72.  Raccolta,  udita 
01.  20,  70.  33,  90.  ogci  ;  dal  provenzale  ancui,  cioè  in  hoc  e  chiusa  nella  mente.  =r—.  77.  Riduce  legge  il  end.  bart. 
ie ,  hoc  die.  r=-  .57.  IJ  i  grave  —  munto,  mi  furono  e  fior.  ìinecc  di  il  educa.  =— :  79.  Da  e // «■ ,  poiché.  z-= 
jremiite  lagrime  dolorose,  r-^  .58.  Cilicio,  veste  aspra  e  80.  Scarso,  illiberale,  r—  i^'ì.  Pa  g  Ha  ,  malfruflo.  .I/e  fo^ 
ungente.  =n  59.  Sofferia,  sosteneva,  soltoporlava,  forma  piti  vicina  all'  origine  latina,  che  »i  <  r  to.  r-rr-  87.  W  t 
pjxiggiava.      :^—      01.   Uoba,    previsione   per   vivere,     r^rrr 


l.  Perdoni,  chiese,  dov'  é  il  perdono,    rrr-    03.  .Ivvalla 

,37.      05.    Lo   sonar   delle  />  a  ro /«',  il  lamentoso 

Iridare,  rr-r:  00.  Aon  meno  di  qiii-l  che  fanno  le  parole, 
ì.  y/pprorfa,  arriva.  :r— :  70.  Ciglio,  palpebre,  r— 
5.  Con  giglio,  consigliere,  r^rr:  70.  Lo  mulo,  io  che 
ou  parlava,  rrr:  83.  Costura,  cucitura.  :— -  _  H4.  Pre- 
li  e  van,  lo  lagrime.  '-:::^^  80.  Lo  alto  lume,  iddio,  z— 
i.  .S'(-,  sì,  cosi.  Schiume,  impurità.  r^=r  !)3.  .1  p  p  a  r  o, 
nparo  ,  conosco,  rrrr  101.  Se  —  come,  se  taluno  diinaii' 
asse,  come  un  orbo  a  cigli  l'or. ili  piiles>.e  sembrare  in  vista, 
t  vi  replico.     ; — -     103.   Dome,  inorliliiliì  ,  |iurgliì.     r-ir     107. 

tinteli  ilo    hanno    parecchi    codd.    iiivrce    dì    rinionilo.       : 

l)H.  Colui,  iddio.  Presti  ili.i  a  godere,  r—  109.  .S'nl>/«. 
entildiinna  sancKe^  moglie  di  Ciiio  d.i  Pige/o,  bandita  ili  .^i 
na  a  Colle,  cillii  piccul.i  pri-sso  ^  olterra,  ove  esseiido  rotti  i  .S.i 
CHÌ  da'l''iorcntini,  esHnebbe  di  ciì»  grand  issi  ino  con  lento.  ~ —  III. 
,n  ano.  Coiiv.  p.  257.  z:--  117.  //»</,  quella  rotta.  - —  l'J3. 
lerti),  iircello  -solitario,  che  al  primo  inliepidirsì  del  verno 
inticchiaiido    nenibra     vlidnre    i     venti    e    il    gelo        rrr-     128 


consorte  divieto,  lezione  de'  migliori  codd..  difesa  anco- 
ra dal  l'irazzini  correct.  et  annot.  in  Dantis  ciun.  (  /  erotta. 
Miironi  l'il'ì.  41. invece  della  cruscana  consorti!  o  divieto, 
che  male  suppone  oggetti  contrari,  laddove  vogliono  dire  le 
parole  esclusione  dì  compagno,  cnmparlecipe ,  o  roinpagnl ,  se 
si  legge  con  alcuni  inss.  consorti.  Il  consorzio,  scrinando 
parte  dì  possessione  ,  desta  1'  invìdia.  RalFronla  15,  It  ss.  r^r- 
91.  lirullu.  V.  Inf  10,  30.  r—  92.  Tra  —  Reno  nella 
provincia  di  Roniiigna.  z—r  93.  I>  r  l  —  traat.,  alli  virtuosi 
ed  alli  soll.iz/cvoli ,  a'  (jiiali  si  fa  cortesia.  r:=:  94.  Ti  r- 
mini  dì  Romagna,  r-^  90.  l'er  roti.  quHnlun<|ue  sian 
coltivati.  :^ — r  9Ì.  //ino  o  hi -.io  di  \  alboon,  ravalìer  cor 
lese,  per  l'are  mi  de-inare  in  l''rulli  ,  ine//.a  la  coltre  del  zen 
dado  vende  liO  liorini;  e,  risaputo  la  morte  ili  suo  tiglio,  dis- 
se: questa  cosa  per  me  non  é  nuova,  perocché  non  In  mai  vi- 
vo. Ilallr.  Uiiiriircìii.  (Jiiir.  1.  nov.  5.  —  .Irrigo  Miiiiurdi 
IO  1/oiHfirr/i  da  Utittinoro,  cortese,  volentieri  mise  tavol.i,  do- 
nii  robe  e  cavalli,  pregio  li  v  alentiioiiiini ,  e  fu  la  sua  vita  da- 
t.i  a  largho/za  e  a  lullo  vivere,  r—  !iH.  l'ii  r  Traversa-^ 
ipiior   dì  Kavinna    molto  splendido,  racrialone  per  quei 


'ter  /'('(((' 71  a  tg:/to,  u  /'et  (ina  jo,  eremita  liurcutÌDO.  u  Ida  Polenta.    Guido   di    Carpigua   da  .Mnntefellro ,   vinse 


COMENTO   SULLA   DIVINA    COMMEDIA. 


in  larghezza  gli  altri.  :=  100.  Fabbro  de'  Larabertacci 
di  ììoìugna..    Ncirae  proprio  ne  fanno  gli  antichissimi  spoaitori. 

Si  r  al  Ugna,  rinasce.    :   101.  Bernardi  7i   di  Fosco, 

di  vile  mestiero  con  sue  virtuose  opere  venne  tanto  eccellente, 
che  Faenza  da  lui  ricevette  favore,  e  fu  nominato  in  pregio. 
: 102.  f'erga  ecc.  di  picciola  e  vile  radice  nubile  germo- 
glio. =  103.  Tosco,  Toscano,  Dante.  =  ìi)i.  Guido 
ria  Praia,  castello  del  contado  intra  Faenza  eFurli.  r=r  105. 
Ugolin  d'  Azz,o  fu  dì  Faenza.  Ambiduc  di  ba-so  luogo  nati 

furono  onorati  assai.  lOli.  Federigo   Tignoso  da  Rimi- 

iii,  valentuomo,  visse  in  Breltinoro.  Brigata,  radunanza,) 
suoi.     107.  I   Trave  r  sari  furono  da  Ravenna,  cacciati 

Eer  quelli  da  Polenta  fuori  di  Faenza.  Gli  Anastagi  eb- 
ero  r  istesso  fato.  =  108.  7>iV  e  t  o  t  a  ,  diredita  ,  diseredata. 
J'illani  8,  tji.  112.  Breltinoro  ,  picciola  città  di  Ro- 
magna.        Ilo.  B  a  g  n  a  r  a  V  a  l   e  Castrocaro,  terre  di 

Romagna,  aventi  allora  i  proprj  conti.    IIH.  1  Fagan, 

figli  di  Mainardo  (Machinardo  o  Maghinardo)  Pagani,  signore 
d'  Lnola  e  di  Faenza,  soprannoraato  il  Diavolo.  Onde 
il    demonio   è  lor  padre.    Ben  faranno    a  generare,  o 

piuttosto    signoreggiando.      121   —   123.    Ugolin    dei 

Fan  tali  (o  Fantolin)   uom  nobile  e  \irtuoso   di  Faenza. 

126.  Nostra   ragion,   nostro  ragionamento  (22,  130), 

lezione  romana,  sembra  doversi  preterire  a  vostra  ragion, 
avendo  D.  detto  pochissimo,  ed  a  7i  o  .s  t  r  a  regio  n,u  vo- 
stra region,  cioè  la  rammentanza,  o  il  ragionare  di  nostre 
regioni ,  la  Toscana  e  lalliunagna,  che  \>at  mono  schietto. 
Stretta,  angustiata.      T'irgil.    En.   9,    291.    ==     130.  Poi, 

poiché.     133.  An  cider  a  inmi  ecc.  parole  di  Caino  dopo 

il  micìdio  d'  Abele.  Gen.  4.  11.  In  vece  di  prende  altri  \e^- 
gono  apprende  nell"  istesso  sipniilcato.  Glierardini  Vrofi. 
2,  1.  2(j9.  =  138.  Tonar,  tuono.  ==  139  A  g  Lauro, 
figliuola  d'  Eritteo  ,  re  d'  Atene  ,  la  quale  per  invìdia  portuta 
alla  sorella  Erse,  amata  da  Mercurio,  fu  convertita  in  sasso. 
Ovid  Met.  2.  =  111.  Indietro.  Il  cod.  bart  ha  in  de- 
stro, perchè  Virg.  guida,  e  D.  volle  stringersi  al  poeta, 
allontanarsi  no.  Inusitato  alquanto  è  in  d'astro  per  a  man 
destra.  =  143.  Canio,  freno  (  v.  40),  dal  gr. /««o;,  lat. 
Iiamus.  151.  Batte,  gastiga.  Chi  ecc.  dio,  a  cui  ni- 
ente è  nascosto. 


Canto     XV. 

1  —  6.  Tanto  del  suo  corso  rimaneva  al  sole  nell'  orizzon- 
te del  purgatorio,  per  cadere  in  oriente,  quanto  è  lo  spazio, 
eh'  esso  percorre  in  oriente  dal  principio  del  giorno  lino  all' 
ultimare  dell'  ora  terza;  cosi  che  lìi  nel  purgatorio  era  vespe- 
ro,  cioè  3  ore  avanti  notte,  e  per  opposito  a  Gerusalemme 
eran  tre  ore  avanti  notte;  onde  in  Italia,  supposta  dal  poeta 
451^  più  occidentale  di  Gerusalemme,  era  mezza  notte.  Spera, 
irradiazione  solare,  sole.  Là  al  purgatorio.  Qui,  in  Italia. 
=  7,  /  raggi  ne  ferian  (cod.  bart.  fendean)  per 
mezzo   il   naso,   andavamo  ver  1'   occidente  o  1'  occaso,  e 

avevamo  le  facce  volte  a  quella  parte.    10.  Gravar  la 

fronte,  abbagliar  gli  occhi.  =  11.  Splendore  dell' 
angelo.  =:  li.  Sol  e  e  e  Iti  o  ,  o  s  o  l  ice  hi  o  ,  omlìTeUo  ,  ri- 
paro al  sole.  =  15.  Soverchio  visibile,  troppo  lume. 
Lima,  isminuisce,  scema.  l'3.  Dice,  che  1'  angolo  for- 
malo dal  raggio  ritlesso,  o  1'  angolo  d'  incidenza  è  uguale  all' 
angolo  di  riliessione,  tanto  se  si  prendono  colla  orizzontale, 
quanto  se  colla  perpendicolare.  Fer  lo  modo  ecc.  risalen- 
(1(1  con  r  istcssa  legge,  con  cui  discese,  facendo  cioè  1'  ango- 
lo di  riliessione  uguale  a  quello  d'  incidenza.  =  19.  Di- 
parte,  uconln.  Cader  dalla  pietra  in  igual  trat- 
ta,  \inedi  \ìer[<pndìco\aie.  =  ti.  Rif ratta,  Tìfìessa,  ri- 
battuta. La  luce  venne  dall'  angelo  al  suolo,  e_  da  questo 
agli  occhi  di  D.  ;  è  luce  di  seconda  riflessione,  ina  intensa.  == 
25.  A  che,  contra,  verso  del  quale.  =  20.  Schermare, 
schermire,  riso,  ocelli.  =  29.  La  famiglia  del  cielo, 
gli  angeli.  =  34.  J'oi  ,  poiché,  rr—  30.  Scaleo,  scala.  Par. 
21,  29.  =  37.  Linci,  del  luogo,  dove  n'  apparve  1'  an- 
gelo. =  38.  Beati  miserie  o  r  des.  Matt.  5.  = 
39.  ^inci  l'appetito  sensitivo.  Sopra  (12  in  line)  cantavano 
beati  li  poveri  di  spirito.  =  42.  Frode,  prò,  utilità,  gio 
vamento.  r=:  44.  Lo  —  Ho  magna,  (;uido  del  Duca  da 
breltinoro.  14,  81.  =:  4G.  Magagna,  guasto,  pecca,  di- 
fetto, vizio,  qui  spezialmente  invidia.  Pare  affine  a /tayya- 
veitt  ,  fiayyami' ,  /<>;/«»■);,  lat.  mango,  mangoninm ,  man- 
goniziire,  in  quanto  dinotano  »rti  furbesche  atte  ad  ingannare. 
■ —  4H.  !\e,  noi  uomini.  r=  40.  Si  appuntano,  si  fermano, 
fanno  punto.  Par.  (i,  2H.  11  cod.  bari,  suo  punto  han  li, 
che  non  dà  altro  scuso,  ancorché  non  siasi  forse  da  biasimare 
Huo  Invece  di  loro,  come  nel  son.  Hti  petrarchesco.  := 
51.  l/a  ntaco .  iirinticc.  z^r:  52.  Spera  suprema,  em- 
pireo, rrrr  54.  Tema,  di  scemare  il  possesso  per  1'  altrui 
partecipazione  rirr  5.'i.  l'rr  q  u.  ecc.  (|nanto  più  sono  quelli 
che  godono  dell'  intcsHo  bene,  più  la  porzione  di  ciaKcnn  s' 
aumenta.  S ostro  bene,  r:^^  5H.  Digiuno,  privo,  lungi  da. 
(il.  Uiatribulo,    distribuito.     Par,  2,  U9.     =    liti. 


ia; 
Io-I 

§ 

to,> 


Z>isp?ccfei,  distacchi,  ricavi,  cogli.     =     70.  Qmow tu 
7  uè,    quanto   mai.     =r     "12.  Lo  et  er  no  v  alor  e  ,  \a  9 
durevole  natura.    =rr  73.  Là  su  s'  intende,  aspira  a  qui 
bene   di   là   su       Raffr.    Conv.  fac.  Ibi.    =     7(i.  Uisfam 
appaga  la  fame,  soddisfa.      =      77.  i;  e  a  tri  c<' ,   Teologia, 
=    80.  i>  «e,  superbia  ed  invidia.     Cinque,   ira,    acc 
avarizia,  gola,  lussuria.    =    81.  Fer  —  dol.  per  via  di  do- 
lore.   =    83.  Girone,  cornice,  balzo.     =rr     84.  Co  «e  di" 
cod.  bart.  invece   di  luci,    dà   senso    più  naturale   e  comodi 
^=:     W.    Donna,    Maria,  v.  Lue.  2,  48.     =     ^\.  Fadr 
Giuseppe.    =    94.   Z/n'  altra  donna,   moglie  di  Pisi^tratoj 
'.iranno  d'  Atene,  stimolante  il  marito  a  vendetta  contro  di  udì 
giovane,  che  preso  d'  amore  verso  della  lor  figliuola,    aveva-t 
la  pubblicamente  baciata.    Valer.  Mass.  5,  1.    Acque  ,  lagri-l 

me.     =^    96^  Dispetto,  corruccio.   97.  Sire,  sìi^iu>re.| 

mia,  città.    — r    98.  Del  ecc.  d'  Atene.     Dei    SVeltuno  ei 

Pallade.    106.   Genti  accese,   Giudei,    lapidatori    dil 

Stefano.    108.  A  sé,  Y  uno  all'  altro.     Mar  tira,   dà-t 

gli,  ammazza.     : 111.  Fece  porte,    aperti  teneva.    i 

112.  G  u  e/TCT  ,  persecuzione.     : 114.  D  isser  r  a  ,  ottiene.! 

=^:  115.  Di  fori  dall'  estasi,  o  immaginativa,  o  visione.  r=ri 
116.    Che —  vere,   reali,    non  immaginate    dentro   ad   essa,! 

117.    Errori,    perché   non   vedeva   ciò  che  pareagli  ve-l 

dere.  Non  falsi,  perchè  rappresentavano  veri  esempi  dii 
mansuetudine.  Lombardi  li  riferisce  al  peccato  d'  iracondia. I 
Altri  intendono  le  cose  dal  poeta  vedute  come  in  sogno  ,  noni 
peri)  fantastiche,  ma  rispondenti  a  cose  vere,  che  la  storiai 
racconta.  A  noi  pare  il  senso  schiettissimo  :  allorché  io  dall'I 
estasi  riscosso,  come  uom  che  dal  sonno  si  slega  (119),  rav-' 
vissi  Iccose  ed  i  fatti  reali,  eh'  erano  la  base  e  la  sostanza 
delle  mie  visioni,  riconobbi  i  miei  veri  errori,  smarrimenti,! 
Questo  senso  quadra  ai  v.  130  ss.  a  13,  133  — 139.  ed  al  line  di 
questo  poetico  \  iaggio.  Tutto  altro  è  quel  che  nasce  dalla  le- 
zione de'  codd.  bart.  e  llor.  :  alle  cose  che  son  for 
delle  vere,  lo  riconobbi  in  me  li  falsi  errori, 
ed  è  que.-ito:  quando  la  mia  anima  torno  a  mirare  le  cose,  le 
quali  sono  fuori  delle  vere,  cioè  di  fallace  apparenza,  rico- 
nobbi allora  i  falsi  errori  che  eran  dentro  di  'ue.  Mere  tau- 
tologie, per  quanto  ci  sembra!    zz=    120.  Tenere,  reggere 

su  i  piedi.    : 122.   J  eland o   li  occhia   li   occhi  chiusi. 

Avvolte,  incerte  e  titubanti.       : —      123.  Fiega,   fu  va- ali 
ciliare.    r=     126.   To/ te,  debilitale.    =     129.  i^a  ri'e  ,  pie- »,•: 

ciole.    130.  Ciò  — fu,  le  lue  visioni  ti  furnn  date.    ri^ 

131.   Acque   della  pace ,   opere  della  carila ,    alti   miti,  io 

132.  Eterno  fonte  ,  dio.=^  133.  Fer  quel  eh  e  fa  e  e,  1',^ 

come  suol  fare.    134  s.  L'  occhio  —  giace,  cioè  cor-f 

porco.     136,    Fer  —  piede   a    tarli   \ergognarc    della 

sonnolenza  tua.     : 137.    Frugar,  stimolare.     Inf.  30,  70. 

=    138.   T'ìg  ilia  ,  lo  svegliarsi.     : 139.   Fer   lo   v  e  .t- 

pero,  per  essere  vicino  a  finire  il  giorno.  : —  104.  Oltre, 
innanzi. 


Canto    XM. 


2.  Pov  er ,  scarso  di  stelle.  z=zz  ti.  Di  —  aspro  pelo,  allu- 
sivamente a  pelo,  ruvido,  acerbo  (Inf.9,73;  a  sentirsi.  13. 

Amaro,  molesto  agli  occhi.  Sozzo,  annerito  dal  fumo,  r^r  15. 

Mozzo,  disgiunto.  18.  Leva,  toglie.  Senso  biblico,  Gio\'. 

1,29.     : 19.  Esordio,   incomincìamenti   delle    pieghiere.^v 

=z2j.  Fé  n  di,  perché  corpo,  non  i-pirilo.  ^rr  26.   Tue,  tu. 

:    27.  Cai  e  II  di,  primo  giorno  del  mese.    Senso:    come  se 

qui  il  tenspo  fosse  commensurabile.    30.  Sue,   alla  vetta 

del  monte.  33.  Secondi,  accompagni.^  34.  (jii  un- 
to mi  lece,  non  potendo  uscire  di  questo  circolo,  iinchénoii 
sia   purgata   la  sua  colpa.     : — :     37.  Fascia,   corpo  umano, l 

che  fascia  r  anima.      42.   Moderno,   ordinario.     *' 

44.  /  arco,  ingresso.  : — :  40.  Marco,  nobile  veneziano, 
di  gran  valore,  pratico  delle  corti,  amicissimo  dì  D.  Lom- 
bardo, italiano.     47.  Del  mondo  seppi,  fui  pratico  ' 

di  ncgozj.     f  alare,  virtù.     48.  Disteso,    rallentato.   ' 

=    55.    Scempio,   semplice.      ,\llude  a  14,   29  s.     :r=-    59.  j, 


Son  e,  dici.  =  64.  /lui,  interjezione  di  dolore  {oùat, 
vae).  Strinse,  raccolse,  ccunpresse,  concentrò.  Altri 
invece  di  hui  leggono  lui,  e  poscia  nel  v.  66.  jtui,  oppur 
nui  nel  V.  64.  Ma  non  è  mestiero  di  cangiare  qualche  cosa, 
essendo  il  senso  comodo  e  naturale,  rm  73.  Movimenti, 
primi  moli  dell'  appetite.  =-=  74.  Lume,  intelletto.  = 
76.  Se,  ancorché.  ==:  77.  Battaglie,  contrasti  cogl'  in- 
flussi celesti.  Dura,  regge,  prevale.  =  78.  Si  notrica, 
si  corrobora  in  sapienza.  r=^  79.  il/fflig^ior  —  natura, 
dio.  z^r  81.  Mente,  intelletto.  Aon  —  cura,  non  vince. 
=  82.  Il  mondo  presente,  la  generazione  attuale. 
Disvia,  esce  di  strada,  si  smarrisce.  Par.  6,  116.  rrrr  83. 
Cheggia,  ricerchi.  r=  84.  fera  spia  esploratore  ve- 
race. I Ulani  T,  li.  =  85.  ì'agheggia,  è  vago  di  lei. 
=  86.  Sia,  esista.  =r  87.  Pargoleggia  opera  da 
bambino,  r—  90.  Trastulla,  diletta  vanamente.  = 
94.  H  e  g  e  ,    rettore  ,    go\  crnatore.     Discernesse,  ricoiio- 

HCesMc.  " 96.  La   vera   città  del  beu  vivere,  come  dico 

nel  (.'oiivito,  cioè  la  cima  dell'  idea.  : — r  97.  Fon  ìiianOf 
osserva.  =  98.  jPa< tur,  papa.    =    W.  Rugumar,  ru- 


COMENTO   SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 


Inar  e  rumigar  sono  soltanto  diverse  forme.  Lo  rife- 
cono  all'ammaestrare  parlando,  predicando  e  ordinando. 
on  ha  le  unghie  fes.se  Levi 1. 11  Dent.  14.  dicono  es?e- 
non  mette  in  opera.  Altri,  ))iù  conformemente  al  poeta 
iljellino;  non  fende  la  polestìi  pjiirituale  dalia  temporale,  ma 
inisce,  confonde  in  sé  duo  rt  {rgimenti  (12H).  Bocc.  l'intende 
il' avarizia.  r^lOl.  Pur,  solamente.  Ferire,  mirare,  inten- 

re  ,  agoj^nare.   : 100.  fi  buon  mondo  feo,  che  buono 

nondo  fece,  spargendo  la  fede  cristiana.  =  107.  l>uo 
li,  capi,  papa  e  imperatore,  nr^  108.  7j»  e  o ,  dio.  mn 
.  La. spada,  il  governo  temporale.  IIÒ.  /'asto- 
ne 1' autorità  spirituale.  : — :  ì\l.  Fer  viva  fo  r  za,  ne- 
isariamente.  =:  113.  Spiga,  frutto;  allusivamente  a 
tt.  7,  20.    =    11.').  Paese   —riga,   la  Marca   Trivigia- 

,  la  Lombardia  e  la  Romagna.     117.    Federico   li, 

ìeratore,  iigliuolo  d'  Arrigo  V ,  nipote  di  Federico  Barba- 
sa.  Briga,  guerra  col  papa.  Alfine  al  tedesco  JirucA, 
chen.  — -  118  —  l'ZO.  Or  ecc.  ora  vi  pui)  passare  ogni  fur- 
ie, o  cattivo.  Di  appressarsi,  lezinne  de'  più  per- 
,i  cod'l.,  la  quale  giustilica  la  spiegazione  diLorabao-di  della 
gare  ad  contro  la  maldicenza  di  Biagioli.  r=:  121.  En, 
o.  Par.  12,  !)7.  15,  77.  =  124.  Currado  da  Pai., 
itiluomo  di  Brescia,  fr/t  era  rrfo  da  Cammino  di  Trevigi. 
ivit.  f.  .33!).  Cento  nov.  dnt.  Iti.  z=  125.  Guido  (dei 
jerti)  da  Castel,  nobile  da  lleggio   di  Lombardia.   Conv. 

41.    126.  Fr  ancesca  mente,  alla  francese.  L  o  m  b. 

iano.    : — :    1.35.  Selvaggio,  vizioso.  : 13u.   Tenta, 

1  far  prova  di  me.     140.  Caja  da  Cammino,   pudica 

omestica,  bella,  e  poetessa,  v.  f'iviani.  =  142.  liaja, 
già,  trasmette  i  raggi.  Par.  15,  56.  29,  136.  i^  144. 
e  ne   appaja,    invece  di  c.'i'  egli  paja,    o  appaja, 

appai  a,  ^  Icz.  bart.  evidente.     145.   Torno    e  Ite 

de'  migliori  codd.  che  quadra  al  v.  34.  nuu  esseudogli  più 
to  d'  andare  oltie. 


Canto    XVII. 

3.  Per  pelle  talpe.    Secondo   Aristotele  stor.  d.  anira. 

(.  5.  Spera,  i  raggi.    : —    7.   Ima  gin  e   (21),  ima- 

tiva ,  fantasia  (25).  Leggiera,  agevole,  atta,  fiam- 
ggiue  sarebbe  il  presentare  al  lettore  una  imagìne,  'che 
isse  anzi  a  fargli  o  non,  o  poco  comprendere  cosa  o  feno- 

0  mentovalo;  come  debbono  pure  supporre  coloro  che 
gano  scarsa,  o  poco  atta.  : — :  1).  Corcare,  tramontare. 
JO.  Pareggia  rido  i  passi,  camminando  di  paro.   

Per  che,  benché.  : —  liJ.  Empie  zza,  empietà.    Lei, 

ne.  Ovìd.   Mei.   G.    Alcuni   dicono  convertila  Filomela  in 

gnuolo  e  Progne  in  rondine,   altri  il  contrario.     : 24. 

cella,    colta.     Latinismo,   recepla,    come   pur  é  slato 

to  senz'  altro  in  quel  secolo.   25.  Piovve,  s'  infuse, 

pinse.  =Ti  26.  1/ u  e  r  u  e  ifi  a  so  ,  Amannu  ,  fatto  croci- 
ere dal  re  Assuero  su  quella  trave  medesima,  ch'egli  avea 

nata   per  Mardocheo.     30.  Intero,  integro ,  per- 

,  incontaminato.  r=r:  31.  Unita,  bolla,  sonaglio.  ; — — 
Fanciulla,  Lavinia,  figliuola  del  re  Latino  e  di  Ama- 
c^neid.  12,  601  ss.  =  37.  Lutto,  mi  querelo.  Dal  lat. 
tus,  lag  co.  rr-=:  40.  JJ i  butto,  di  botto,  repentina- 
le.  _:=  42.  Fratto  guizza,  rollo  scuotendosi  si 
ve,  si  scontorce.  E  alfine  il  vocabolo  al  ted.  amico  quivk, 
!c  ,  vivo,  gr.   y.iy.vi,  y.uuì ,   lat.   cieo  ^  l'igeo,  anglosass. 

,  cwic  ,  Icd.    bewcgen ,   wecken  ,   wackeln ,  vrquicken  ecc. 

4H.  /n  t  fi /i  t  o  ,  proposito.  r=rr  51.  Posa,  si  ><arebbc 
data.  Raffronta,  fosse  tro\ata  a  fronte  dell'  oggetto 
iato.  Se  non  s'  aminette  questa  ciiallage,  la  costruzione 
a  trasporre  questo  verso  e  1'  antecedente,  rr—    52.  Come 

iol,  cioè  accade,  avviene,  quando  luce  il  sole.    55. 

la,  nella.     r=:    50.  Che,    perchè,     ^rr    60.  Si   mette 

ego,  si    dispone   alla    negativa.     Cos'i    Senco.    Reiicf.  2. 

distulit  dia,  noluit.    rrrr    (13.  Invece  di  di  il  cod. 

ha  sol.    r^=    67.   1/ n  mover  di  ala,  un  vento.    : 

'he,  ì  quali,  o  dove,  quando.  La  descrizione  per  altro 
celleiilisHinia.    =r    H4.  Aon  stea,  stia,  non  cessi.    

o  amor  —  dover,  la  tepidezza,  o  accidia.  IlalTr.  100 ss. 

H7.   H  i  b  a  1 1  e  ,  batte  ,  punisce.     /  /  mal  tardato  r  e  - 

il  tardo  rematore,  rr-rr  !(3.  Di  animo,  animale,  che 
Olle  dalla  volontà.     : — :    !(1.   /•,',  invece  di  fu,   hanno    pa- 

i  codd.     :— ^     !)5.   Malo,    \  iliiperevole.     U  male      crus- 

iiol  difende,    uè    coniiiieiit|:t  .  ina  srii-<a   Monti  l'roii.  3,   I. 

rr-:     !I7,    Primi,   principali   spirituali,  celesti ,  iiilìniti, 

1  e  virili,  r — ;  OH.  Secondi,  terreni  e  teinjiorali.  iìé 
I  «  <i  misura,  non  eccede  i  limiti.  = —  09.  Mal  di- 
o,  piacere  riprensibile.  - —  lOI.  Itene  è  qui  o  terreno, 
esle,  secondochè  vicn  riferito  u  con  p  i  il  cura,  o  con 
'  cura.  - —  102.  A  d  o  )>  r  a  ,  opera.  .  —  1117.  Subii  i  e  l- 
r  amor  è  colui  che  ama.  I  ol;:crviso,  trascurare, 
ndoiiar  j  dipartirsi.       : — :       !((H.   7'i/ t  e ,  sicure,     i—     IH. 

iso,  allonlaiialo  ,  rimosso,  r— r  113.  Amor  di  malc,\ 
--—.  III.  Il  imo,  imncrfezione.  : —  115.  /  i  <■  i  ;i  o  , 
imo.  r^  liti.  /','<■  r /•///.  n  ;,  a  ,  iiigraiidiniento.  r  "t  121.  | 
n/ 1,  si  crucci.  :r—  123.  Impronti,  iiiipriina  e  sug  | 
ueU'  ouioiu  tjuu ,  diseguaudu  ed  auelaado  la  vcudctla  ;  | 


0  effigi,  cagioni.  =  125.  Altro,  amore.  =  126.  Con 
ordine  corrotto,  o  ani  più  cura,  o  con  me;i  che  non  dee. 
=^  127.  Parla  dell'  accidia.  =  129.  Giunger  lui  arri- 
vare al  di  lui  po.ssedimento.  rr=:  131.  ^  o  è  invece  i'  in,  o 
in  del  V.  precedente  invece  di  a. 

'Vuol  dire:  1'  amore  di  sé  stesso  fa  che  1'  uomo  desideri 
la  propria  conservazione  ed  elevazione.  Dal  mal  inteso  amore 
della  propria  elevazione  nascono  la  superbia ,  1'  invidia  ,  e  1' 
ira  (39  ss.)  e  si  purgano  ne'  tre  giri  più  bassi.  L'  amor  della 
propria  conservazione  contiene  iii  sé  la  brama  di  nutrirsi ,  di 
provedere  ai  suoi  bisogni  futuri,  di  riprodursi  ne'  figli;  la 
quale  per  eccesso  si  cangia  in  gola,  in  avarizia,  in  lussuria, 
che  si  puniscono  ne'  Ire  giri  di  sopra.  L'  accidia,  o  la  len- 
tezza nel  far  il  bene ,  riceve  !a  sua  pena  nel  giro  di  mezzo. 


Canto     XVIII. 

3.  Vista,  viso,  faccia.      S.  Li,  a.  lui.  _    : —      10. 

ir  ur«  e  ,  dottrina.  =  12.  Po  r£i,  conduca,  guidi.  r=  19. 
Presto,  disposto.  r —  21.  In  atto,  all'  atto.  =:  TI. 
Esser  verace,  obbietto  reale,  ente  vero,  estrinseco.  — r 
23.  In  te  n  zi oJie ,  idea,  imagine,  specie,  èimilitudine.  UafTr. 

Convit.  f.  145.    2,".  Altura,    alto.     : 29.  Forma, 

natura  ed  essenziale  proprietà.    : —    30.  Là  dove  ecc.   sotto 

il   concavo   del   cielo   della   luna.    35.  Avvera,  ha  per 

vero.  : —  37  Muterà,  prima,  contenuto  e  oggetto  sos- 
tanziale primajo  e  vero.  : —  .38.  Segno,  espressione ,  for- 
mazione.          39.  Cera,    nella  quale  s'  impronta.    : —    40. 

Seguace,  attento.    43.  Ui  fori,  da  esterni   obbietti. 

45.  Con  altro  piede,  che  quello  di   natura.    46. 

Ragion,  intendimento,  ir^  4H.  Beatrice,  llatfroiua  Par. 
5.  Opra  di  fede  si  schiara  col  cristianesimo.  : —  49  s. 
For  ma  su  stan  zial ,  i\ue\ìa  che  ,  unita  alla  materia  pri- 
ma ,  comune  a  tutti  i  corpi,  forma  le  difTercnti  specie  de' 
corpi.  Setta  (distinta;  dal  lat.  seda)  da  materia,  im- 
materiale. Lei,  la  materia.  Specifica,  particolarizzaute. 
=  53.  Ma  che.  Inf.  4,  26.  2i ,  20.  =rr  55.  Intel  ietto, 
cognizione.  : —  56.  Prime,  fondamentali.  r=r  M.  Studio, 

inclinazione,  alfetto.     61.   l'cr  che,  affinché,     tjuesta 

voglia  prima  innocente.    : —   62.   I  i  r  t  u  ,  \n  ragione.   . 62. 

Tener  la  soglia  custodir   1'  entrata.     : —     64.    Questi 

questa   ragione   regolatrice.     67.   Ragionando,    con 

serie  meditazioni.    69.  jl/y  ro  /  ti  à  ,  etiche.    —    75.  Se 

—  prende  Par.  4.  e  5.  : —  76.  Tarda  ad  alzarsi,  essen- 
do equinozio,  e  quella  la  notte  quinta.  : —  79.  Strade,  se- 
gni dello  scorpione.  Contro  il  del,  che  si  rivolge  da  occi- 
dente in  oriente  contro  lo  muovimento  diurno.  W'i    Ombra, 

Virgilio.    83.  Pie  tota,  già  Aiides.    84.    Corcar, 

con  dubbio  ed  interrogazione.  JJiposto  la  «  o /n  a  ,  soddis- 
fattomi.        87.   tana,  vaneggia,  è  ^oto  d"  ogni  pensiero. 

Inf.  18,    5.75.      z=:r      90.   /o  / 1  a ,  indirizzata.     =r=     91.  /.>- 

meno    ed   Asopo,    fiumi    di    Beozia.     92.    Furia  e 

calca  furioso  atl'ollamento,  frettolo.^a  turba.  : —  94.  Falca, 
avanza  e  alfretla;  o  muove  rapido  come  un  falcone;  o  muove  il 
passo  piegandolo  in  giro.  Così  gì'  interpreti,  deri\andolo  gli 
uni  da.  falco,  gli  altri  da  felce,  mentre  Lami  lo  prende 
per  valicare,  come  vale  h  i  m  agg  i  o  r  i  l'g.  24  ,  97.  Bia- 
gioli raffronta  il  it.  faucher ,  lo  che  pur  è  difetto,  come  nel 
tedesco  sàbcln  e  sicheln  si  dice  dell'  andamento  di  coloro  che 
hanno  le  gambe  storte.  Onde  appro\iamo  piuttosto  il  ])arcre 
di  Lami,  aggiugnendo,  che  la  parola  ^i  riferisce  al  greco 
àloì ,  i/.o) ,  d?.?.M ,  tt?.w ,  ihim  ,  che  allato  di  forme  dentali 
possono  avere  ancora  forme  labiali.  Il  rontesio  non  dissente, 
r^r      90.    Cavalca,    sprona.       : —      98.    ,Va  ff  n  n  ,  grande. 

Latinismo!      100.    Maria  ecc.  Lue.  1,39.      r=r      101. 

llcrda,  oggi  Lcrida,  riiià  di  Spagna.  Vi  supcrii  Cesare 
Afranio.  Pctrejo  ed  un  iìgliiiol  di  Pompeo.  :r—  1(12.  Punne, 
strinse  d'  assedio,  lasciandovi  Bruto  ad  espugnarla.  =:  105. 
Il  in  tre  r  da,  fa  rifiorire,  rinvigorisce,  rinovella.  ==  107. 
Ricompie,  comjtensa.  =— 109.  Bugio,  dico  bugia,  r-^- 111. 
Pertugio,  fcnilidira,  aperto,  buca,  rr:^  US  s.  Secondo 
Isibbroni  siili'  autorità  di  G  b.  li  i  a  ne  ol  i  n  i  notizie  storiche 
delle  chiese  di  \  erona  5,  1.  (IO  s.  Alberto  della  Scala,  già  vec- 
chio, nel  1292,  essendo  capitano  del  pugnilo  di  \  ercui.t  ,  co- 
strinse  i  monaci  di  i*^.  Zeno  maggiore  a  ricercare  per  abate  un 
suo  figlio  naturale,    (ìiuseppe.     .Mberlo  muri  nel  1301.   Huon 

1>er  ironia.  Dolente  Mclan,  perchè  ilisiniKa  interamente 
■'ederico  1'  anno  Il(i2,  e  riedificata  nel  ll(i8.  /  Ulani  5,  1.  2. 
=r-.  121.  Tuie.  Alberto  della  Scala,  rrr-  121.  Suo  fisHo, 
naturale,  (ìiusrppe  Scaligero,  abate  di  S.  Zeno.  •- —  125.  Mal. 
perchè  baslarduincnte.  r — :  1.32.  Dando  di  morso,  bi.isi- 
maiido.  n— .  131.  Gente  ebrei.  //  mar  rosso,  rrtr  13.». 
Giordano,  linine  nella  Palestina.  :i:—  1.3il.  Q  ii  r  1 1  a  genio 
(rojann.  Lo  affati  no  d"  un  lungo  viaggio.  : —  13".  S  ' 
ecc.  volcudusi  stare  con  .\cesle  in  Sicilia. 


COMENTO    SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 


Canto    XIX. 


=:_  46.  l>o a g' io,  Duacnm,  ogg'ì  Douay.    Guanto,  Gn.^ 
Città  liamminglie.    r=    47.   Fe/i  rfe  f  fu  ,  cacciata    de'    Frài 
;ccsi  dalla  Fiandra,  die  avvoine  a'  "21  marzo  nel  1302.  J'illàt 
\.  Ora  nltiraa  della  notte,  presso  all'  alba.    =    3.  Sa-' 8,  56.    ^=    48.  (riug^ia,  giudica.  Dal  ir.  juger,    = 
turno,  pianeta  freddo  e  secco.      =      4.  Geomanti,  in-    Ugo  Ciapetta,  l'go  M^igiin,  padre  di  l'go  Capete.    Eì 
dovini  per  georaauzia,  per  via  dì  linee  e  punti  segnati  in  terra,  cusi)  la  corona  nel  923  per  Raoul,  e  nel  !):ì(i  per  Luigi   IV' 
Maggior  fortuna,  ligura  di  geomanzia  ,  simile  a  quella,  Ollramare.    r=    h'ì.  Figliai    di   un   beccajo,    Concor 
che  l'ormano  le  stelle  del  lin  dell'  aquario,  e  del  principio  de'  Villani   4,   3.,    e   tutti   gì'    interpreti  antichi.     Solo   il  Uiagi 
pesci,  ie  quali  nascevano  allora  un'  ora  innanzi  al  sole.      : —  | avrebbe  dovuto  pensare:    non  ci  è  mestìer  lusinga  (l'g.  1,  Ut 

1.  Balba.  balbettante.     !).  Scialba,  bianca,  pallida, i=    a3.  L  i  r  e  g  i   antichi,   i    Carolingi   di   circa   3    seca 

cinorla.  La'fcmmina  qui  sognata  ligura  i  tre  vizj  qui  purgati, j=^    54.  Un,  o  Carlo  di  Lorena,  zio  paterno  dell'  ultimo  i'. 

avarizia    gola,  lussuria.      12.  Scorta,    agile,  pronta,  idi  questa  stirpe,  che  studiii  ad  ottenere  il  regno  da  L'go  ocd  r 

essendo  ella  balbettante.    13.  Ùrizzava,   essendo   ellaipato,  o  1'  ottenne,  e  lo  perde.  Onde  ridutto,  (eh'   -  '—:  — 


13. 

prima  storta.    15.  Colorava,  essendo  ella  scialba.    := 

48.  intento,  attenzione.  17,  48.  =rr=  20.  Dismago  ,  perdo, 
fo  traviare,  svio.  Inf.  25,  14B.   r=   23.  Si  ausa,  s'  avvezza, 

s'  addomestica.    2tì.  Una  donna  ecc.  la  ragione,   o   la 

lilosolìa.    31.  Pr  endev  a  la  donna  santa.      : —      34  ss. 

Moltopiù  elegante  e  squisita  della  lezione  volgare:  e  il  buon 
Virgilio:  almen  tre  lo  ci  ti  ho  messe,  die  e  a, 
surgi,  è,  al  parere  pure  di  Monti,  quella  da  noi  adottata 
del  cod.  bartolin.,  do^e  vocio  (o  vaso  in  dialetto  veneziano, 
come  si  trova  in  un  cod.)  è  chiamii  torte,  come  si  fa  ad  un 
che  dorme,  od  è  lontano.  : —  36.  La  jìorta  sembra  più 
naturale  lezione,   chela   aperto.      : —      39.    Alle  reni, 

nella  schiena.    42.  C  A  e— j)  0  7i  t  e  ,  che  cammina  piegato, 

come  piega  1'  arco  d'  un  ponte  del  mezzo  alla  sponda.  ;=  45. 
iU  a  r  e  a  ,  regione.  Vocabolo  gotico  ,  affine  a  mare,  onde 
propriamente  1'  orlo  del  mare,  poscia  1'  orlo  che  fa  i  confini, 

e  lo  spazio  cinto.    48.  Pareti,   sponde    della  scala  nel 

darò  sasso  scavata.  ^=  50.  B  eati  qui  lugent.  Matt.  5,  4. 

51.  Che  —  donne,  perchè  avranno  le  anime  loro  signore 

di  consolazione  ,  avranno  consolazione  in  abbondanza.  r=z  54. 
Sormontati,  essendo;  a  modo  d'  ablativo  assoluto.  : —  55. 
So  s  p  ecci  o  n  ,  sospetto,  dubbio.  =  58.  Strega,  mali 
arda ,  incantatrice.  ::=  «1.  Batti  — cale  a  gne,  vieni  spe- 
ditamente. -—  62.  Ludora.  v.  all'  Inf.  17,  128.  qui  richia- 
mo, rall'r.  14,  148  s.  =  64.  Ai  piei  non  più  legati.  =  67. 
Quanto,  sin  dove.  69.  V  n  v  e — prende,  sino  al  co- 
minciar del  quinto  girone.  =:  70.  JJ is  e h  i  u  s  o,  tratto  fuor 
della  stretta  salita.    =    72.  Giacendo  ecc.  v.  118.    rrr=  73. 

y/ f/ /j  e  p  .s  i  f  ecc.  Parole  del  salmo   118.    76.   Saffriri, 

pene,  supplizj ,  patimenti.  :::;=  78.  Salir  i,  salite,  scale.  =r 
79.  Sicuri,  esenti  dalla  pena  di  giacere.  =  81.  Le—furi, 
cioè  fuori,  cammin^ite  in  guisa,  che  il  destro  lato  vostro  cor- 
risponda al  di  fuor  del  monte.  =  84.  Avvinai  i  '  altro 
nascosto,  mi  accorsi  di  quell' altro,  eh'  era  nascosta.  RalFr. 
v.  77.  90.  Altri  sottintendendo  mistero  chiosano ,  ra'  accorsi 
che  quello  spirito  non  sapeva,    eh'  io    era  corpo   vivo. 

tropi'"  '•^''"^  '    ^^^    ^^'   ^■'''    ''*^''.    ^T=    ^''-   -''"   vista 
disio  il  desio  segnatomi  nella  faccia,    : —    89.  Trassinii, 
mi  condussi.    93.  Sosta,  allVcna,  ferma,    sospendi,    in- 
terrompi.        97.   Diretri,   schiene.      r=_     99.  Il  Liilìno, 

che  \  uol  dire:  sappi  eh'  io  fui  successore  di  san  Pietro,  si 
deve  a  quel  che  i  negozj  di  stalo  e  dì  chiesa  in  quell'  età 
vennero  trattati  in  lingua  latina.  ==  100.  Siestri  e  Chia- 
veri,   due  terre   del   Genovesato.     Si  a  dima,   scorre   all' 

imo,  al  basso.    101.   Una  fiumana,  il  Lavagno,     : — 

^Lo  titol  ecc.  Parla  papa  Adriano  V,   che  prima  fu  delto 


più  chiara  che  renduto)  in  panni  bigi  cioè  vili,  da  sui 

dito.      : 56   s.   l'ossa   di   novo   acquisto,    copiai 

nuove  ricchezze.    :=r-    88.  Corona  vedova,  regno  vacaoipn 
colla  morte  di  Lodovico  V,  ultimo  Carlingo.  59.  ComUL 


..i 


ciùr  discesero.     Sacrate,  esecrande.  "" 61.  La  grd 

dote  provenzale.  Pietro  di  Dante  intende  la  parentela 
la  dote  del  conte  Raimondo  Rerlinghìeri ,  per  cui  il  sang; 
d'  Ugo  ebbe  la  Provenza  ed  usurpò  il  territorio  di  Poi 
(Ponlhieu),  la  iXormandia  e  la  Guancogna.  Lodovico  IX 
come  si  fa  ad  un  Santo,  nato  nel  1214,  ed  il  suo  fratello  Carlo  di  Angiìi ,  sp 
sarouo  nel  1245  ìiglie  di  Raimondo  Ucrlinghieri.  J Ulani  ero 
6,  62.  Par.  6,  128  ss.  Lombardi  creda  chesi  tratti  dell'  iuv 
sione,  che  Filippo  II  fece  negli  stati  di  Raimondo,  conte  di  T 
Iosa  ,  a  titolo  di  proteggere  l.i  cattolica  lede  centra  1'  eres 
degli  Albigesi;  della  quale  invasione  fu  1'  ultimo  risultato,  e 
si  sposasse  .Ml'onso,  altro  fratello  di  San  Luigi.  ÌMa  Alfon 
avea  14  anni  nel  l'i29,  ((uaiido  gli  stati  di  Raimondo  di  Tolo 
furono  restituiti  aiia  Francia.  La  Provenza  in  quei  tempi 
stese  molto  più  oltre,  che  nella   geografia  moderna.     lilla 

6,  9.    64  —  66.  Si   riferisce   senz'   altro   alla  guerra  t 

Filippo  il  Bello  ed  Eduardo  IV  nel  1291.  Per  amnicnd 
ironicamente  ripetuto  quasi  dica,  per  emendare  un  fallo,  co 
misene  un  altro.  :=  67.  Carlo,  duca  d'  Augii),  fratello  di 
Luigi,  impossessossi  del  regno  diSicilia  e  di  l'uglia,  discaccia 
dune  Manfredi,  e  privando  delle  giusta  eredità  e  della 
Curradino  figlio  di  Currado  ,  nel  1268.  J Ulani  6  ,  44  ss. 
69.  Bipinse — Tommaso  d'Aquino,  facendola  avvelena 
per  opera  d'  un  suo  medico ,  mentre  era  in  cammino  per  a 

dare  al  concilio  dì  Lione.   ì Ulani  9,    218.     70.   Anc( 

13,  '>2.  r=  71.  Un  altro  Carlo  di  Valois  ,  tenuto 
Friincia  in  Italia  nel  1301  col  titolo  di  paciere.  J  illuni  8, 
T  rag  gè,  perchè  stimolato   da  mess.    Corso  Donati,  Ho 

fazio  papa  lo  chiami».    73  —  75.  Con  la  —  Giuda,  e 

tradimenti  e  frodi.  L'onta,  spigne.  S) — pancia,  scacci? 
dnne  li  nobili  cittadini,  che  sono  le  viscere  della  patria,  co 

Non 'dice  Jacopo  dalla  Lana.    : 76.  Ison  terra;    onde    il 

del  prannoine  di  Scnzaterra.    78.   Quanto  ecc.   quai 

minore  il  riinor-io  della  coscienza,  r^  79.  Lo  altro,  Carlo  j°,' 
Amelio,   figlio  di  C.  1,  re  dì  Sicilia  e  Puglia.    Che — uscì  ,J, 
Francia  nel  12i^2,  anno  del  vespro  siciliano.   l'Ulani  or.  7, 
Fr  e  so  di  nave,  tratto  prigioniero  dalla   propria  nave  ,  L 
cui  combatteva  contro  la  flotta  di   Ruggieri   di   Loria,  anii  j 

raglio  del  re  Pietro  d'  Aragona.   T  illuni  7,  92.  : 80.   T  e  \, 

der  s  uà  figlia  Beatrice  a  mess.  Azzo  da  Este  il  sesto 
Ferrara,  per  ;jO,UìtO  fiorini,  dice  Pietro  di  Dante,  per  100,1 
ducati,  secondo  Boccaccio.    86.  Alagna   città   in   et 


il  cardinale  Otto  buono  del  Piesco  ,  conte  dì  Lavagno,  fatto  Ipagna  di  Roma,  oggi  Anagni.  Tlllani  H,  ti'ó.  Il  f  lordai 
papa  nel  1276,  per  poco  più  d'  un  mese.  r=r  104.  Dal  fango\\\  giglio,  1'  insegne  della  casa  di  Francia.  Stefano  della 
il  guarda,  non  vuol  bruttarlo  con  opere  indegne.  iU'i;iti  louna  per  ordine  di  Filippo  il  Bello  pertossi  a  catturare  B(ì 
Prop.  2,  1.  1)2  8.  =  107.  Come,  quando.  r==  108.  Jiu-  fazio  Vili  in  età  di  86  anni,  nell  sett.  del  1303  in  Alagna  < 
giarda,  posta  nelle  ricchezze  e  le  cose  moudaue.  =  118.|ire  insegne  del  re  di  Francia.  (Ulani  8,  65.  =--  87.  Cat  t 
Si  aderse,  s'  erse,  si  solle\J)  alzi).  Da  ergere,  lat.  eri-  Latinismo  captus.  =r=  88.  Veriso,  insultato  massii 
gere.     =     120.  Merse,  abbassi).     =     J2I.  Bene  \ero.  mente  dal  INogaieto.    89.  Essere  anciso  ai   di   i2 


g  e .  - 

- —    122.  Per  rf  CSI  invece  di   si   perde,   o   perdea.    132. 

Dritta  (Icz.  de'  migliori  codd.)  giusta,  schietta,  buona,  : — 
134.  Conservo  ecc.  Apocal.  19,  iO.  r=-  137.  Neqnc  nu- 
bent,  Marc.  12,  25.  Parole  di  tiesii  per  trar  i  Sadducei  dell' 
errore  intorno  all'  altra  \  ita ,  tanto  più  a|)|)licabili ,  quanto- 
che  il  papa  è  creduto  sposo  della  chiesa,  v.  24,  22.     140 

Slan  sa,  dimora.  7.»  i .»«  g- i  a  ,  impedisce,  :=  142,  yii  e - 
già,  moglie  del  marchese  Moroello,  Troja  V.  A,  132, 


ANTO 


XX. 


3.  Spugna,  brama  di  sapere,  : —  5.  Spediti,  dove 
t)i  pili)  spedilaineiite  canuninarc.  r=z-  Muro  stretto, 
viottolo,  passaggio  stretto,  come  quelli  che  conducono  in  su 
le  torri,  o  le  fortezze.  =  9.  Approccia.  Inf.  23,  48.  r^n 
10.  Lupa,  a\arizia.  Inf.  1,49.     --^z     12.    Cupa,   profonda. 

13.  A  et  cui  ecc.  v.  16,  67  ss.     nrr     15.  Disceda  sene 

parta,  Lalini-ino!     rr=-    23.  Ospizio,  il  presepio.     : 24. 

Sponesli.  li)f.  19,  130.  Portato,  parto.  =—  25.  Fabri- 
zio, console  e  c»|iii,ino  de'  Romani  contra  i  Sanniti  e  il  re 
Pirro,  Con\it.  ì. 'Uti.       -      31.  Larghezza,  liberalità. 


ottobre.  91.  //  novo  Pilato,  Filippo  il  Bello.  =i  9 

Allude   alla  soppressione   dal  detto   re  procurata  nel  1302 
ricco  ordine  militare  de'  Teinpiarj,  Trotja  V,  A.  131  s.  ::= 

Sposa,  Maria.   99.  Chiosa,  spósìzione,  dichiaraziu 

100.    Disposto.   Altri   hanno  ri. s- 7)  o, sta.      : ì 

Prendemo,  prendiamo.  Contrario  suon  predichia 
i  castighi  dati  all'  avarizia.  r=-  103.  P  igni  al  ione,  rt 
Tiro,  ligliuol  di  Belo.  r=r  104.  2^  rad  il  or  e  ecc.  di 
cheo  ,  suo  zio  ,  marito  di  Bidone.  Eneid.  1 ,  346  ss.  =: 
Mida,  figlludl  del  re  Gordo  di  Frigia,  zrr:  107.  Dimt 
da,  fatta  a  Bacco  dì  convertire  in  oro  quanto  toccava.  Oi 
Met.  2.  =r  109.  Acàm,  latto  lapidare  da  Giosuè  per 
sersi,  contra  il  roniandameiilo  di  dio,  rlserbata  per  sé  pa 
della  preda  di  Gerico  espugnala  e  distrutta.  Gius.  6. 
110.    Morda,    rimproveri   e   punisca.      =      112.    Mari 

Anania.    Alti  iipost.  5.    113.  Eliodoro  mandato  da 

Icuco,  re  di  Siria,  in  Gerusalemme  per  torre  i  tesori  del  t< 
pio,  ove  un  cavallierc  armato  lo  percuoteva  con  i  calci 
.Vlacc.  3.  r-^-  115.  J'ulinestor,  re  di  Tracia.  Poli 
;o,  figlio  dì  Priamo,  re  di  Troja.  Eneid.  3.  40  ss. 
116  Crasso,  iSlari'o  Cr.  ricchissimo  procuri)  d'  avere 
|)roviiicia  i  Parti,  ma  fu  \into,  tagliatagli  la  lesta  e  posta 
vaso  d'  oro    fonduto,  e  dettogli:    Aurum  si  t  isti,  aur 


32.   i\icotao,   mhi-ono    di    Mira,    che   doli)  riccameiile  e  se 

grctamenle  tre  nobili  e  belle  giovani  po\erc.  rrr:  43.  M al alhibe.  =-^  118  ss.  Risposte  alla  dimanda  del  v.  35  ss.  P 
pianta  dei  re  di  l'raiicia  z^r  44,  A  d  u  g  g  i  a.  Inf.  2.),  l.Uo,  veemenza.  =  121.  Ci,  qui,  ;=:  124.  Brigavo 
=    45,  Schianta,  coglie.  Inf.  13,  31.  i'g.  28,   ilU,  33,  56.  ci  alTulicavamo.    Soverchiar,  superar,  cioè  avanzarci 


COMENTO    SULLA    DIVINA     COMMEDIA. 


I.  1> e  ?o  ,  isola  dell' Archipelago.     Eneid.  3, 75  ss.    132. 

due   —   cielo   Apollo,   —  Sole,    e  Diana —  Luna.    : 

I.  Inastar.  Lue.  2,  15.  z — :  141.  El  il  canto  angelico, 
r  n\.  l/sofo,  20,  71.  21,  18.  =  115.  Guerra,  ansie- 
e  violeiiza. 


ANTO 


XXI. 


1.  Sete  natuT  al ,  desiderio  di  sapere,  r—   2.  Acqua 

!.    Giov.  4,  13.      5.  impacciata,   dalla  purgante 

ba  giacente.       : — :       6.   Vendetta,   piinì<!Ìoiie,    7. 

tea  24,  15.     Marc.  16.      8.  1*  u  o  discepoli.     In   via 

'ìmniauH.     11.  Da  ■pie,  sul  suolo.      12.  Ci   a  rf- 

mmo,   ci    accorgemmo.     Si,   sinché,    o  ma,   come  vuol  il 

itesto.     13.  Dea,  dia.    : —    15.  Cenno,  ge.sto.    Af- 

B   al    dor.    zdto ,  cioè  y.ivifìi; ,   movimento ,    mossa.      

Beato  concilio,  paradiso.  Par.  2G,  120.  Corte,  giu- 
io,  cioè  dio  (20).  t —  19.  E  parte  andar  avi  forte, 
i,.iie  incontrastabile  invece  della  corrotta  e  perchè  an- 
te forte/^  l'arte,  comehif.  2!t,  Ili.  è  mentre ,  intanto. 
id  avara  forte  24,  2.  v.  marcantonio  Parenti  Saggio 
annotaz.  al  dizionar.  della  lingua  ita!.    (Hologna)    fascio.  3. 

'i'ih  ss.     21.  Sita  scala,   il  purgatorio.     22.  1 

gni,  i  P  scritti  in  fronte.      '.^3.  Profila,    delinca. 

z  25.  Lezione  bartol.  chiara  ,  che  risp.irmia  ogni  tenzone 
orno  al  peccato  di  lei  in  caso  retto,  mentre  1'  origine  del- 
voigare  lei  che  dt  e  notte  fila  è  di  leggieri  dimostra- 
D,  come  fece  T  iviani ,  il  quale  inoltre  ottimamente  in 
istilìcazi(uie  di  dà  le  fila  cita  (Jvid.  Tri.st.  5,  10.  45.     

Tratta ,   lìlata.     Conocchia,   pennecchio.     Voce  ted. 

mhel ,  fr.  (jueniiuille.    28.  S  ir  occhia,  sorella.     : — 

Adocchia,  intende. 31.  A  m  p  ia  gola  d'  inferno, 

ho.  Inf.  1.24. 33.  Sco/a,  ammaestramento.  35  s.  In- 

;e  della  volgare  t  ut  t  i  — p  ar  v  e  r  alcuni  codd.  hanno  tutto 
nar  V  e,  riferendolo  a]  m  o  n  t  e,  con  più  forza  ed  eleganza.  : — - 

Die  — per,  colp'i  nella.    iì.La    religione    della 

intagna,  la  santa  montagna. i3.  L  i  b  e  r  o  luogo.  A.l- 

r  a  zione ,  perturbazione  nei  quattro  elementi.  44.  Va 

create  1'  anime,  che  salgono  al  cielo.    48.    La  —  6re- 

,  la  porta  del  purgatorio.    9,  Tli  ss.    : —    50.    Figlia   di 

Iride,  arco  baleno.  r=  54.  Il  vicario  di  Pietro, 
ingelo.  =  57.  Trema,  Lez.  bart.  invece  di  tremo. 
-    tiO.  Grido  di  Gloria  in  exceleis.     Seconda,   accoinpa- 

a.   (i2.  Convento,  stanza ,  luogo.  : —  li4.  T  a  lento, 

linazione,  appetito,  desiderio.  Inf.  5,39.  Con  tra  v  o- 
ia  sembra  lez.  più  immediata,  quantunque  del  medeKÌino 
ISO,  che  la  volgare  con  tal  voglia  ìnelficace  cioè,  re.so 
e  d.il  contrario  talento.  Ottimamente  Torelli  spiega  il  sen- 
di  i|iiesta  terzina:  Le  divina  giustizia  infonde  nell'  anima 
rgiinte  un  desiderio  di  proseguire  ne'  tormenti ,  contro  sua 
ipria  voglia,  eh'  è  quella  di  salire  al  cielo  a  quel  modo  che 
infuse  in  vita  un  desiderio  al  bene ,  contro  quella  voglia, 
;  r  inclinava  al  peccato.  rm:  ()7.  C  i  u  q  il  e  e  e  n  t  o  ree. 
ir  anno  di  Gesii  nii ,  circa  il  quale  Stazio  morì,  al  13110, 
irsero  più  di  1200.  500  pastai)  nel  pirone  (jiiinto,  più  che  il 
irto  cenlesmo  nel  quarto  (Ti,  113)    il    resto    nrcli    anteriori. 

r  Ufl.  Soglia,  stanza,  abitazione.    72.  Iiivii,  prego 

lesìdero  eh'  in\ii.     : 75.   Prode,  prò,   utilità.    : —    7ti. 

rete,  il  talento  di  soddisfare  alla  divina  giustizia.  04. 
z  77.  Scalappia,  apre,svolve.  :=r^  Tn.  C  ongaud  de, 
congratulate.  Latinismo!  r^  HI.  ('«  pj)  l' a  ,  capisca.  »^ap- 
i,  iiiKMida.     =     82.   Tito    Vespasiano,      rrr     83.  Fora, 

i ,  ferite.    81.  San  sue  di  (Jesu.     rr^    85.  A  ani  e  di 

Bla.  z=  HU.  1>  i  la  nel  mortai  mondo,  rrrr:  87.  Fede 
«liana,      r^     8H.     /  orale    npirto,     voce,    canto,      rr-r 

Tolosa  no.  Iìrr<ire  conimune  allora,  rhe  confuse  Stazio 
pinio  napoletano  con  Stazio  .Surrulo  ,  ed  IJrsulo  ,  retloriro 
Tolosa.  r=rr  !I0.  ;W  i  r  t  o.  r»rona  poetica,  zr^-  93.  Cad- 
via,  non  diedi  perfezione.  La  seconda  sorna, 
\chilleide.     r-r-    91.  .Ir dar  poetico,      r^^     97.    Mamma, 

,jre.     99.   Peso  di  dramma,  la  menoma  cosa,    r— ^ 

.  Sole,  anno.  Ini.  (i,  (i8.  r=T  lOb.  Passi  ori,  allegria, 
rÌHlfzza.     Opposto  a  voler.     ICrari,  schietti,  semplici, 

lurali.    109.    ,1  miniera,    fa  d'  occhio,    fa   1'  ocrhio- 

o  ,  o  alto  per  sìguilicare  alcuna  cosa  ,  acrcnna.  Latini-'- 
i:  mirare.  V.  Parenti  fase.  3.  farr.  2Ì0  H  rrrz  111. 
'inbiante  verace  dell'  animo,    rrrr  112.   .Se,  'ì.     Assoni 

l,  conduca  a  line.     : 115.   Da  una  ;i.  d.i  Virgilio.     I>a 

Ira,  da  Stazio.  =r=  12ti.  Forte,  ci>raggioso.  l'iù  seni 
ce  <•  la  lez.  /or  ir.  z —  1211.  (furi  te  ecc.  94  s.  rmr 
».    I)  i  sm  r  n  t  0  ,   dimentico,  opp.  linimento.  11,  Sii.     f'  a- 

tatc,  esser  umbre,  corpi  ombratili. 


Canto     WII 

3.  Colpo,  un  P.  =  4  —  6.  Adottammo  da  prima  la 
.  bart.  e  I).  sol  con  quella  differen/a  del  delti  n'  avrà 
ali,  »eu/a  »irgola  ilopo  aveii,  in  qni'"lii  senso:  1'  «ng<l, 
e  Bvea  detto  beati   coloro   che  deaiderauo   giuitlizia   (che 


hanno  fame  dì  ginstizia,  Matt.  5,6),  e  dì  cui  le  voci,  cioè  pa- 
role, o  canto  finirono  questo  detto  con  sitiunt.  In  ogni  al- 
tro modo  di  spiegare  e  di  leggere  si  mostravano  difTicoltà  non  lie- 
vi. Dire,  che  quei  che  hanno  —  detto  n'  a  l'ean  di- 
noli un  angelo  solo  ,  forse  rimandandoci  a  15,  55,  o  sognando 
un'  ellissi  precaria,  lo  vieterebbe  il  solecismo  di  sue,  che 
ne  nascerebbe.  Una  terza  sjiosizione  però  sarebbe  d'  intende- 
re per  quei  ecc.  coloro  obesi  purgano,  dove  allor  si  do- 
vrebbe leggere  detto  n^  avean,  e  le  «  u  e  voci  cioè  dell' 
angelo  ftoiron  questo  detto  con  sitiunt  senz^  altro,  senza 
aggiungere  la  parola  giustizia.  E  questa  sposìzionc  ci 
garba  ancora  più;    onde  raggiustammo  il  testo,    come   si   sia. 

7.   Foci,  aperture  delle  scale,  scale.    : 8.  Labore, 

molestia,  fatica.  Latinismo!  : 9.  Gli  —  veloci,  Virgi- 
lio e  Stazio.     : 14.  Giovenale,   che  fiorì  poco    dopo  di 

Stazio,  e  lodava  la  Tebaide.    17.  Strinse,   sottintendi 

alcuno.    23.  Senno,  sapere.    29.  Falsa,  fallace. 

Matera,  motivo.    : 31.  Creder,  persuasione.    : 33. 

Cerchia,  girone.     35.  Dismisura,    disproporzione, 

che  andava  sino  alla  prodigalità.  3ti.  Lunari,  lunazi- 
oni, mesi  lunari.  21.    38.  Là,  nel!'  Eneide  3  ,  ób  s.    

VI.  G  i  o  str  e  gr  a  me  ,  scontri  rìenosi.    ì'oltando  pesi.  InC. 

7,  22  88.     44.  Pente  mi,    mi  pentei.     : —    48.  Negli 

estremi,   opposto  a  vivendo,   de^  '  esser  iu  morte,    come 

allo  stremo  20,26.      49.   Itim  becca,   propriamente 

ripercuote,  ribatte,  come  una  palla,  qui  contraria,  s'  oppone- 

51.  Suo    verde   secca,   muore,  si  consuma.    — =    55. 

Cantasti  nella  Tebaide.  50.  Doppia  —  Gio  e  a  st  a, 

F.teocle  e  l'olinice.  r — ■  ,58.  Invece  di  Per  quel  che  Clio 
(Musa  invocata  da  Stazio  Teb.  1,41.1  li  con  teco  tasta 
(suona  poetando,  come  spiega  Pietro  uì  Dante)  Viviani  difende 
la  lez.  bari,  e  trivigiana  :  per  quello  che  creo  teco  le 
tasta,  cioè  i  numeri  dell'  armonia,  ponendo  le  tasta  in 
numero  di  quelli  che  hanno  due  plurali,  come /i/o  dito  ecc. 
e  da  quella  confusione  del  sostantivo  col  verbo  derivando  il 
l'angiamento  di  trio,  o  creo  in  C Zio,  e  di  /i  in  /».  In- 
tanto la  lezione  ha  qualche  cosa  di  ricercato  ed  aiTettalo  ,  sìa 
nella  costruzione  :   per  quello  fedele   ti  fece  ecc.     :=:= 

60.    La  fé    cristiana.    12.  Stenebraron,   dissiparon 

le   tenebre.     63.  Pes  cator ,   Pietro.      Senso:   come    li 

f.icesti  seguace  della  chiesa'?    :: —    65.    Grotte,   ripe.     Inf, 

21,  110    Pg.  13,  45.     : 66.  A  presso  dio,  dopo  dio,  prima 

causa  di  tutte  le  cose.  ]\I  i  alluminasti,  mi  bai  fatto  cri- 
stiano.        69.  Dotte,  conte  del  camino.     : 70.   (juati- 

do  dicesti  Eglog.  4,  5  ss.;  passo  da  ritcrirsì  a  Salouio  ,  lì- 
glio  d'  Asiiiìo  Pollione.  ma  da  crisliaiii  scrillori  riputato  vati- 
cinio di  Messia.     =    74.  Mei  Inf.  1,  112.   2,  36.    14,  .36.     =^ 

78.  Messaggi  —  regno,  apostoli  e  discepoli  di  Cristo.   : 

Si.  Usata,  usanza,  rrrr  82.  Domizian  li  persegue  t- 
t  e  ì^  anno  96,  il  quinto  decimo  ed  ultimo  del  suo  impero.  Eii- 
seb.  H.  E.  5  ,  17.  r=  88  8.  Pria  —  /)o  e  t  a  7j  rfo  ,  pria  dì 
comporre  la  Tebaide.  zzzzr.  90.  Chiuso,  nascosto:  Filmi, 
mi  fui.  :=  93.  Cercar,  dal  lai.  cirrare  ^  girare,  andare 
intorno  è  da  preferirsi  a  cerchiar,  eh'  è  chiosa.  Il  quar- 
t  0  e  e  n  t  e«  HI  0.  V.  a  21,  67.     : — ~     96.    Soverchio,    iiiupn. 

97.  Antico  Ijaliiio.  Così  leggono  i  migliori  codd.  in- 
vece di  amico.    99.   fico,  cerchio.  Par.    10,  137.     rr-r 

101.  Greco,    Omero.     105.   Le   nutrici   nostre,    le 

\1use.    r—      liM).  ,i  n  f  i/o  ?i  t  e,  tragico,  non    Anacreonte 

lirico,    c<ime  ha  la  Fior.  1481.      109.    Tue   cantale  da  te 

nella  Tebaide  e  nell'  .\chilleidc.  =rr-  110.  .Intigone,  li- 
glia  d'  Kilipo,  re  di  Tebe,  guida  del  cieco  padre  esule.  Dei' 
file,  figlia  d'  Adrasto,  re  ardivo,  moglie  di  Tideo.  Argia 
la  di  lei  sorella,  moglie  dì  Polinice.  :=—  HI.  7»  mene,  so- 
rella  d'  Antigone.  Trista,  afiiitla  per  lo  sposo  Cirreo  uc- 
cìso da  Tideo      112.    (Quella    ecc.     Isilile,     tigliiiola    di 

IToante,  re  di  Lciino  ,  la  quale,  \eiidiita  da  corsari  a  Licurgo 
idi  iVemea ,  nnlrice  ad  un  suo  tiglio  Ofrlte,  inoslrniido  ad 
Adrasto    la  fontana    Langia,   l.isciii    il    fanciullo   e    lo   trovo 

ucciso  da    mi   serpente.     113.    La  —   Tir  e  si  a.    Manto. 

\Teti,   madre  d"  .\rhille,     114.    Dcidamiu,    figlia    di 

i  Licoinedc  ,  re  di  .'^ciro.       118.   Ancelle  del  giorno, 

i(»re.  12,81.  r —  119.  Temo,  tinionc,  governo,  rr—  liO. 
'Corno,  punta  del  limone.  In  su  \erso  il  meridiano  circolo. 
(r—  121.  Afri  ni»,  eslremìlà.  rr—  122.  Spalle,  lalo.  =: 
123.  So/ e  ;n  o  ,  sogliamo,  zz—  121.  Insegna,  guida.  r7=: 
I2(i.  fin  eli'  a.  d.  .*J|azio.  r- —  130.  l<  ii  s  i  "  n  i ,  ragiona- 
iiitMili.  U,  126.  ;r—  133.  Si  digrada  impicrinleiido.  Così 
al  contiario.  z^zz  131.  In  g  i  ii  h  o  ,  wrso  il  piede.  ==:  141. 
C'fi  r  o  ,  carestia,  r —  142  ss.  .Maria  —  che  or  per  voi 
risponde,  eh'  è  Mislra  uvMicala  in  cielo,  chiese  vino  alle 
nozze   di    ('ana  ■    ma   non    per   se.    (;io\.   2,    3.     Pg.  13,    28  h. 

: 1».').    Le    Hoiiiaue    ecc.      \  aler.    Miss.  2,1.     =     146. 

Da  n  i  el  l  o  ,  ì,  U.  ■  —  119.  Sa  varo  se,  vaporile.  r— 
151.  Mele  ecc.  .Marc.  I,  6.  _"  151.  Per  lo  evangelio 
Matt.  11,  II. 


COMENTO    SULLA    DIVINA    COMMEDIA. 


Canto     XXIII. 

1.  Figliole,  àd-lla-tìno  f  mole.  =  6.  Si  vuole, 
8Ì  dee.  =  8.  Si  e,  si,  cosi.  r=  9.  Costo,  fatica.  = 
11.  Labi  a  ecc.  Salm.  50,  17.  =  12.  Par  turi  e,  cagio- 
nò. =  17.  G  r«^ne7if/o  ,  raffgiugiieiiùo.  =  1'.».  Mota, 
mossa,  per  Latinismo.  =  ì%.  S  e  e  m  a  ,  dimagrata.  = 
'U.  S'  informava,  prendeva  la  forma.  ==  20.  Buccia 
atre  ma,  la  pelle  più  sottile,  che  tocca  T  ossa.  =  2(). 
Jirisithn,  Tessalo  profano,  che  proibiva  il  culto  di  Cere 
re  ,  oppresso  perciò  di  fame  insaziabile.  Orid.  Met.  8.  = 
'il.  {Quando  —  tema,  quando  si  trovò  nella  maggiore  an- 
gustia di  mangiarsi  le  proprie  membra.  =r:  2!).  La  gente 
ebrea  costrelia  dalla  fame  ad  arrendersi  a  Tito.  =  30. 
Maria  donna  nobile,  che  nel  figlio  dih  di  becco,  si 
mangiò  un  suo  (ìgliuolo.  Giiueppe  7,  15.  r=r  31.  Oechiaje 
cavità  degli  occhi.  =  32.  Chi  ecc.  Le  due  sopraciglia  col 
tratto  del  naso  fanno  un  M  ,    formato  dal  concavo  degli  occhi. 

3-1.  L'  ordine    è:   chi,  non   sapendo,   come  (si  pui) 

far  magro  là  dove  Topo  di  nutrir  non  tocca.  25,  20  s.  in  ombre) 
cred  e  r  e  bb  e  eh  e  l'  odor  d  i  uji  p  o  m  o  e  q  u  e  l  di  u  n' 
acqua,  generando  brama,  si  g  o  v  e  ma  ss  e,  maìa.- 
ineiite  conciasse,  quel!"  anime.  =:  37.  Li,  gli  spiriti,  r^ 
Hi.  Favella.  Cos'i  invece  di  favilla  parecchi  codd. ,  più 
c<!ngruameiite  al  v.  42  e  -il.  e  più  poeticamente  assieiue.  = 
47.  iambinta  labbia,  sformata  faccia.  =  -iH.  Forese, 
fratello  di  Pic;;arda  (21,  13),  fratello  di  mess.  Corso  Donali. 
=r  19.  Contender ,  Riporti  al  rinconoscermi.  Altri  spie- 
gano attendere,  comeil  end.  chig.  ha  intendere.  Al  V  asciut- 
ta scabbia,  a  cagion  di  quest'  aridità.  =  52.  Il  ver, 
come  qui  capiti  vivo.  =  51.  Non  rimaner,  non  trala- 
sciare, non  dubitare,  esitare.  =  57.  Torta,  diil'orraala. 
Far.  13,  12'J.  =  58.  Sfoglia,  melaf.  spoglia  di  carne. 
=  tiO.  lo  glia,  di  saper  ia  cagione  della  magrezza.  = 
(j2.  Pianta,  albero.  =  ^"i.  Miassottiglio,  mi  di- 
magro. r=:  (i5.  Per  seguitar,  per  aver  geguilato. 
=  (;8.  S;)ra-io,  spruzzo  d'  acqua  sottilissimo.  Allinea 
^o£^(y,  /?;jf;(;,  fioo/ti.  =  10.  Spazzo,  spazio,  suolo, 
pàvi'meuio^.  =  "  72.  Sollazzo,  perchè  purgazione.  = 
71.  ì;/8.  Matt.  21.  =  75.  J  ena,  sangue,  morte.  = 
^ì.  Rimarita,  riunisce.  =  Hi.  Ristora,  risarcisce, 
emenda.  =  Bb.  Assenzio  dei  martiri,  pene  del  pur- 
gatorio. =  87.  Nella,  Annclla,  Giovannella.  r=  90. 
^yjrnuferiori.  =:  'M.  Barbagia,  montagna  aspra  di 
Sardigua,  dove  popoli  di  costumi  barbari,  e  lemmine  lascive, 
invereconde.  =  gii.  /^  a  — t  a  scia  i,  Firenze.  =  99.  An- 
tica,   anteriore.      Opp.  ji  o  s  t  tea.      r=      l'M.Pergaino, 


71  a,  fascetto  di  paglia,  covoni.  3Iavruy ,  fiavuv ,  /(Oi)or, 
dissero  i  Dori  una  collana,  monile.  111.  Nanna,  can- 
tilena colla  quale  le  madri  o  nutrici  fanno  addormeuiare  i 
bambini.    =    113.  Il  sol  veli,  col  corpo  rompi,  fai  ombra. 

115  ss.  Par  che  il  poeta  si  accusi,  come  altrove,  più  che 

vorrebbero  coloro,  che  lo  canonizzano.  118.  J  olse,  le- 
vi). =  119.  Lo  altr'ier,  pochi  giorni  fa.  =^  120.  Suo- 
ra   (del  sole)   la  luna.   i=:     123.  i>  e  co  n  <Z  a  ,  accompagna. 

: 12G.   Torti,  peccaminosi.    r=    127.  Compagna,  lui. 

2j,  101.    =    J33.  Sgombra,  diparte,  maada  al  cielo. 

Canto     XXIV. 

^.  Rimar  te,  due  volte  morte,  a  causa  della  stenuata 
macilenza.  : — -  5.  Fosse  degli  occhi,  occhìajc.  =r 
9.  Per  r  altrui  cagione ,  per  godere  di  nostra  compa- 
gnia. r=  10.  Piccar  da,  sorella  di  Forese,  e  di  mess. 
Corso  Donati,  fattasi  monaca,  e  poi  smonacala  dal  fratello 
ili  sposata  a  Uosclino  della  'l'osa,  ma  tosto  morì.  Par.  3,  107. 
l'go  Fosc.  dine.  IHO  sa.  r=  17.  Munta  via,  distrutta. 
Dieta,    fame.     =     18.   Bonagiunta    degli  Orbisani,  bel 

dicitore  e  rimatore  in  volgare.    21.   Trapunta,  istra- 

ziala  dalle  fumé.     ■■ 22.  Fbbe  —  braccia,   fu   sjioso  di 

xanta  chiesa ,    o    papa.       23.    Dal    'l'orso    di  Francia, 

Martino  l\  ,  golosissimo  che  morì  per  troppa  grassezza.  = 
21.  ISolsena,  oggi  castello,  anticamente  ciltà  della  Toscana. 
/  e  rn  accia,  vin  bianco.  =rr  27.  Brano,  sdegnoso.  z= 
29.  IJ  bai  din  dalla  Pila  (luogo  del  contado  di  Firenze). 
Bonifazio  de'  Fieschi  (Jeiiovesc,  dell'  ordine  de'  predica- 
tori, tu  eletto  arcivescovo  di  Havenna  nel  Vi'i'i,  e  morì  nel 
12!I4.  l'ii  legato  del  pontefice  in  tutta  la  Itomagna ,  nunzio 
d'  Onorio  I\  in  Francia  a  Filippo  111  l'Ardito,  da  Pio  II  chia- 
mato nijiole  di  l'apa  Innocenzo  IV.  =  30.  Rocco,  pasto- 
rale, bastone  de'  vescovi.  i''orHC  dal  tcd.  ragen^  recken, 
slrecl.en.  Così  gf  interpreti  anlirliisHÌini.  Altri  inlcnduiio 
cotta  de'  vescovi,  breve  e  bianca  veste  crespata,  dove  rispon- 
derebbe al  tcd.  Hack-,  ingl.  frode.  Pasturo,  resse ,  go- 
vcrnii.  : —  31.  Mar  e  In- se  de'  Kigogliosì ,  cavalier  di  tor- 
li, grau  bevitore.    Spazio,  ì^\o.     =     32.  Secchvsiza, 


HI 


sete,      rrrz      31.  Prezza,  prezzo,  stima,  conto.      : —     8|'< 
^u  e/  dai.  ?i  eoa,  Uonagiunta.    :^=    'M.  G  cntu  cca  ,   ni 
è   nome    di    donna   amata,     anzi   \uol  dire  gentuccia ,     gcn 
bassa.    =    38.  Là  ecc.  tra  i  denti,  ove  sentì  il  gastigo  del  > 
fame.    =    3il.   Pilucca,   ispolpa.     Aifiiie   al    leiì.  plìticke; 
t'r.  cplucher ,  dal  lat.  pilus ,  ted.  Fili.  =  10.  Par\  jiari.— 
43.  Femmina,  la  parte  iiiaiica  diFirenze.  Porta  bendi 
è  sposa.    =:=     ib.  L  a  mia  citt  à  ,   Lucca.      Om,    tu   stesi  i* 
ncir  Inf.  21,  41  s.     Predice   dunque   Ponagiunta    all'    autore  i' 
prossimo  esilio,   e  la  sua   stanza   in  Lucca.     =     50.  Nov  iP' 
mirabili,   rare.    - —    51.  Donne  co:,   canzone   inserita   nel  «i^ 
Vita  Nuova.     =     54.    Ditta  piii  somiglia  al  lat.  ilictare ,  k' 

poco  dopo  Amore   vien  detto  dittature.     55.  Issa.     Ini. 

23,  7.     A'orfo,    r  impaccio,  la  dilficoltà,  perchè  non  inspira - 
da   Amore.      =:      5(i.    iVotaro,   Jacopo    da  Lenliiio    tiorì   7 
poeti)   circa  il    1^80,    o   1250   secondo  1'  editore   de'    Poeti   d  - 
primo    secolo    della    lingua  italiana,    in    due    volumi     raccol 
(Fir.  IHKi.  )  dove  Voi.  I.  f.     249  ss.    se    ne  trovano   più    poesi 
G  u  itlon  e  d'  Arezzo  l'iti,  124),  iiiorlo  nel  l'iiJl,  scrisse  sonetti 
lettere.      =      58.    lustre,    tue  e  quelle  de'  tuoi  coiiii>;!gii 

Ciuo  da   Pistoia,    e  Guido  Cavalcanti  ecc.     (il.  Gra.d 

re,  invece  di  che  altri  hanno  guatare,  sembra  a  modo  li 
lino  del  gradiri ,  procedere,  andare  avanti,  passare  più  oltr 
Lo  —  stile,  quello    della   passione  e  quello  dell'  arte.     = 

(il.  Augei,   grue.    b5.   Schiera  tonda.    Affine  al  te 

Harst ,  Heer  ,  Sihaar.      (iti.  Filo,  ordine,  riga,  1'  ui 

dopo   r    altro.     Inf.   5.  47.     70.   Trottare  camminar 

passo  veloce  e  saltarellando.    7"J.  Si  sfoghi  —  cass 

si  calmi  r  ansar  del  petto.  Da.  fo  1 1  o  ,  f  o  1 1  e,  mantaco,  ali 
ne  a //are,  e  .iv/.v;  ;  onde  Venturi  vorrebbe  spiegare  f 
folla.  :=r:  78.  Sia  col  voler  alla  riva,  desideri 
morte.     Dice    essere    anteriore   alla   morte   il   suo  desiderili 

morire.  : 79.  Loco — posto,  Firenze.     80.  Spolp 

spoglia.    ==    82.   (iuei  —  co/j)o,  Corso  Donali,  fratello 
Forese,  e  principe  della  parte  guelfa,  o  Nera,   sospetto   al  p 
polo,    genero  d'  Uguccione    dalla   Faggiuola.     Allorché  nel 
selt.    1308   a  Uemole,    vicin    di  Firenze  arrivavano   improwi 
cavalli  d'  l'guccione,  i  Fiorentini  diedero  all'  armi.    Pier  de 
la  Branca  da  Gubbio,  podestà,   chiamo  in   giudizio  Corso  D 
nati ,    e    lui    non    comparso  fra   due  ore  dichiarò  traditore, 
popolo  trasse  alla  casa  di  Corso,  che  virilmente  si  difese,   n 
si    getti)    o  cadde  da  cavallo,   da   cui   strascinato   morì   presi 
San  Salvi.     I  Ulani ,   8,96.     Troija   veltro   alleg.   f.    91.     Uj, 

Foscolo  disc.  187  s.     81.   falle  —  scolpa,  1'  inferii 

=    88.  iVo  7i  —  rote  celesti.      Vi  erano    di  mezzo  otto  au 

in  circa.     =     9t).  Intoppo,  giostra.      ; 97.   fai  eh 

passi.  V.  all'  Inf.  19,  94.  J/o«ft  Prop.  3,  2.  405.  =  99.  Mi 
r  e  s  cai  ehi  (forma  più  originaria,  che  m  a  l  isea  l  chi), ma.< 

stri.    Virgilio  e  Stazio  dice.    : 100.  Fue  cioè  Forese.    := 

101.  Si  —  seguaci,  appena  lo  scorgevano.    103.  Gri 

vidi,  carichi.     :    101.  Pomo,  malo.   105.  Làci,  lì 

come  qui  ci,  liei.      IH.    Disio,    oggetto    desiderai 

=  112.  Si  parti  la  gente.  Ricreduto,  disingannai 
=    113.  Adesso,  allora  subito.      Perticari  Prop.  2,  2.  15 

111.   Hi  fi  ut  a,  disdegna.     119.  Ristretti,  slip 

li,  0  assieme.     120.   Dal  lato   che   si  /ève,  al  la 

del  monte;  per  non  farsi  cioè  presso  all'  albero.  122.  A  ( 

nuvoli  (rappresentanti  la  tigura  dì  Giunone)  forbita  ti 
(generati  da  Issioiie),  Centauri.      Satolli,    ebbri  nelle  nozi 

di  Piritoo.     123.  Doppj  d'  uomo  e  di  cavallo.     ]". 

Ebrei.    Giudic.  7.  Molli,  avidi,  condiscendenti.    12 

l' iv  agni ,  estremità.     Inf.  11,   121.    _ 129.  Seguii 

seguitate.  3Iiseri  guadagni,  tristi  effetti.  : —  13 
R  allargati,   scostalici  dal  lato,    opp.  a  ristretti  del 

119.     So/ a,  solitaria.      131.   Ci  portammo.     Alcui 

codd.,  troppo  superstiziosi  forse  trecentisti,  che  non  voglioii  p; 
usare   portarsi  invece   di   andar   innanzi,   hanno  porta    " 
rr=    13.).  Poltre.    1  passi  d'  Ariosto  O.  F.  23,90.  Sai.  1,  2 
citati  dagl'  interpreti  mostrano,   che   questo  vocabolo  non  pu^i 
valere   lo  stesso  che  puledre.     Sembra  anzi  affine  al  tcd.  jio 
tern  ,  lat.    pultarc,  pulsare,  gr.    nuU.nv ,  .itlliiv ,  e  dine  ' 
tare  uno  che  si  riscuote  con  remore  o  strepilo  .   per   paura 
codardia.    =     13(1.    Fosni,    fosse.     =^     142.  l'otta,  f 

trop|)0  lume.      14(i.  O/e  ii  a,  rende  odore.      =      14! 

Piuma,  ala.  :=  150.  Grezza,  effluvio,  spirilo,  fr{ 
granza.  il/o/iti  Prop.  3,  1.201.  =  152.  Lo  amor  de 
gusto,  l'inclinazione  al  mangiare  e  bere.  =  153.  Fumi 
accende.  =— :  154.  Es  u  r  i  e  n  do  —  gì  u  sto,  in  senso  pri 
prio,  volendo  cibarsi,  quanto  è  couvvucvulo ;  e  iu  sLuibulic 
alludendo  a  Matt.  5,  (i. 

Canto    XXV. 

1.  Storpio,  impedimento.  Affine  a  TQercta  e  arntfpe 
z — :  2.  Il  solo  ecc.  il  sole  nell'  emisfero,  ove  ci  trnvaminc 
aveva  passata  la  metà  del  cielo  ,  o  il  meridiano  d'  un'  ora_ 
mezzo,  e  ncll'  opposto  era  passata  la  mezza  notte.  _  Nel  priii  U 
cipio  d'  aprile  il  sole  sta  nell'  ariete,  e  la  notte  antipodanell  : 
libra.  Il  loro  va  dietro  all'  ariete,  lo  scorpione  alla  libri 
Dunque  se  il  toro  sta  uel  meridiano ,  I'  ariete  e  il  sole  ave 


nj« 


1,(1 


COMENTO    SULLA    DIVL\A    COMMEDIA. 


Canto    XXTI. 


sciato  il  meridiano  già  due  ore.  rr^  4.  Si  affig  g  e ,  ìì  fila.  Ippol.  PiudomontP  ,  e  Monti,  Lenchè  voce  di  dialetto, 
mia.  =z  7.  Callaja,  valico,  passo,  entrata,  apertura  |  pure  adoperata  da  f'itlani  st.  7,  7:{.  e  cagione  assieme  della 
3Ìle  siepi,  per  poter  cr.irurc  i;ei  campi;  qui  apertura  nel  ,  lezione  s /a  r?  c/i  lu  s  a  ciot;  sia  sanata,  come  15,  8.  Par.  32, 
s^o  ,  adito.  =r  9.  Arti  zza,  slre^ttezza.  Ì>i  «;)  aj  a,  i  4.  iuvece  di  r  i  cu  r;  a,  per  metafora  sconvenevole,  o  rie  uè  a, 
para.  =  10.  Cicognino,  cic(i{riia  di  nido,  rzr:  14.  All'iricuscia,  ridi  lascia,  che  sono  guaste  lezioni. 
Ito  di  muover   le   labbra.      =m       15.    Si  argomenta,  ti 

s;ione.    IG.  Per  —  ratto    per   ratto   che    fo,-se  ,    quan- 

iique  fosse  veloce.    : — -    IS.  Ferro,  strale.    Trar  l'  arco 

IN  ino    al  ferro    è    tender   1'    arco   in    modo,  che  la  parte 

pericnneiite    ferrata    dello    strale    giunga   a    toccare  la  som-  3.  Se  a  /  f  ro  ,  fo  accorto  ,  dotto.    =    4.  D e .<! f  r  o ,  sicché 

Ita   dell     arco.    La   metalora    iJuiU|ue    dice:    di    liberamente    ]'  ombra  del  suo  corpo  doveva  cadere  sopra  le  vicine  liamme. 

icl  che  vuoi  dire.    =    TI     :1/e/ e  a  ffr  o  Ovid.  Met.  H.    r=    r=    5.  Oc  cfV/ e  n  «e  parte  occidentale,     r^    7.    Rovente, 

.    Guizzo,   movimento.    Affine  a.  xitu,  y.iu^uì ,  ted.  gehen.    rosso.    Lat.  ruòcns     : 8.  Indizio,  segno  d'  averlo  vero 

=  J'is=o  ,  molle,  facile.  =  1%.  Dentro  al  vero.  Ti  corpo  umano.  rr=  14.  Cer  fi,  certuni.  =  lì.  Parete, 
•1  a  g  e ,  ti  riposi  e  l  acqueti.  =  30.  Piage,  piaghe,  dubbj.  ostacolo.  =  23  s.  Fora  manifesto,  sarei  manifestato. 
-  31.  F  e  ri  u  ta,  ciò  che  si  vede.  Inf.  17,  li:5.  f  endetta  =  •^•^-  -^  ^  d'-  !•>>  1-0.  :=  3H.  Fortuna,  avere,  viveri, 
alcune  edizioni  non  quadra  al  purgatorio.  Dispiego  hanno  =  39.  Soprngridar,  gridare  di  più,  superare  gridando, 
recchi  buoni  codd    invece  di  disleg'o.  =   'Ai.  Aon  poter,    ^=F^    -11-  Panife.  Inf.  12,  12.    =    43.    Montagne  Rife, 


1  «angue,  1'  umano  seme.  Di  mensa  leve,  per  riserbarlo.  =  ^J-  ^  e  erbe,  in  gioventù.  =  ab.  Di  là,  sopra  la 
el  core,  qual  principio  della  generazione.    Jirtute  in-    'erra.  ::=   57.  Suo  e  sue,  sono  invece  di  loro,  come  scrive 

rmativa  —  membra,  forza  a  poter  formare  tutte  lei''  <=<"'•  l>art.  :^  oH.  Per  — cieco,  per  esser  illuminato.  z=. 
mibra.  J^arae,senva.  ;=  \'\.  A  n  co  r.  Ai  nuovo.  Di-  o'J.  J^pn  7J  a  ,  Beatrice.  =  bO.  :Uo  r  t  a /,  corpo.  =  61. 
■sto,  digerito,  appurato.  Ou'  è— dire,  negli  ultimi  vasi  ^je,  si.  =:  (i2.  Il  ciel  empireo.  Con^it.  2,  4.  r=  64. 
ermntici.  (i  e  in  e  ,  slilla,  .^i  f  r  ui,  della  femmina.  i\"  g  -  Carte  verghi,  scriva.  z=  &<.Ammuta,  ammutolisce. 
!ra;  i;u,se//o,  utero.       =       47.  i  o  u  n  ,  il  sangue  della  I  =    b'J.  S'  /_n  ?/ r  6  a,  entra  in  città.    =    70.    Parata.   25, 

idre.    ^  ;(0  tir  e,  ricevere  impressione  passiva.    Loaltro\^'^^-    , 72._  Si  a  tf  u  fa  ,  s'  acqueta.     =     73.  3/areAe. 

1  maschio.    A  fare  attivo  e  spiritoso.     r=r     48.    Lo  per-    l'?  ?  ^^-    =    ^^-   f  iver.  Il  cod.  bart.  ha  m  orir,  senza  can- 

f  fo  ^oco  ,  il  cuore.  Si  ;)  rem  e,  s'  imprime  ,  riceve  im-  giare  il  senso,  i  m  6  a  re  A  e,  riporti.  =  7U.  A  o  7i  —  7i  oi, 
:'6sionc.  V.  .')8  ss.  =  49.  Giunto  lui,  congiunto  il  cammina  in  direzione  contraria.  =  "il.  Di  ciò,  iu  ciii. 
terno  al  materno  sangue.  Operare,  formare  il  cuòre.  =    Trionfando  della  Gallia.   z=  78.  Regina  ecc.  a  cagion 

Per  sua  mat  cria,  per  far  servire   di    materia.     Con  ■    Jel  suo  commercio  con  Nicomede,  re  di  Uitinia.  .Suetoii.  Caes. 

are  (non  gè  star  e,)    coagulare,  stare  insieme.     53.    ^9-    =    *^1-  F  dan  giunta  n  l  F  arsura  lez.  bartol.    pili 

ual  di  una  pianta,  simile  a  vegetativa.  =  51.  ;  uat'irii'e,  colla  quale  si  spiega  1'  origine  dell'  altra  ed  ag- 
lesta  r  anima  vegetativa  del  feto  umano.  E  in  fia ,  \2  »""'"  (accrescimento)  A  a,  onde  la  Crusca  fabbricii  e  «i  aj  u- 
ide  ad  innnltrarsi  e  divenire  sensitiva,  f^u  ci /a  ,  1'  anima  f  «  "•  ^F=  k2.  E r  m  afr  odi  to.  Ovid.  Met.  4,  574.  diverso 
-ctativa    della   pianta.    A  riva,   al   termine   di  sua  perfe-    •"  'specie,  non  in  sesso.    =    87.  S' i  m  é  e  s  t  i  ò,  prese  figura 

le.  =  ab.  Ovra,  la  viri  lite  attiva.  =  ,')U.  7ni;)  r  e  n  fi  e  ,  !  "'  vacca.  Imbest,  sdì  egge.  Inf.  12,  12.  =  91.  Set  hi  o, 
mette  all'  impresa.  :=  57.  Or  ga  n  «  r  provvedere  d'  or- ! '"a"co  ,  menbraino>o.  i/i  ;/»  e  fo  i  e  re  ,  di  voler  saperme.  = 
ui.  Posse,  potenze,  come  visiva,  uditiva  ecc.  Se  HI  e  7)  f  e,  ;  92.  6' u  if/o  G  u  i  n  i  e  e  1 1  i  ,  U  ,  97.  =  93.  Dolermi, 
idultrice.  =r.  58.  Si  spiega,  s'  allarga  e  si  spande.  Si  c^-sermi  doluto.  2(i.  Allo  stremo,  22,  48.  =  94.  V.  a  22, 
s  ic7if/e,  si  dilata.  =  61.  i>  i  a;i  Ì7h  a  i  ,  d'  animato,  d' |  li--  .^=  '■>:>  D  uè  fi  g  l  i  ,  Toaiilc  ed  Eumenio  ,  girandoli! 
ima  sensitiva.  Fante,  uomo.  11,  (.6.  da  fari,  parlare.  '  ""accia  d'  Isilile ,  che  salvarono  da  Licurgo  disposto  ad  ucci- 
z  63.  Più  sa  rio,  Averroe,  comentator  d'  Aristotele,  i^-  dcrla.  =  9u  i  7)  s  ur^  o  ,  insorsi.  r=z  'J't.  1 1  pad  r  e , 
Possibile  intelletto  dicono  gli  scolastici  la  facoltà  d'  i  fiuido.  r=  98.  Miei,  a  m"!  cari,  o  di  mia  nazione.  =:  105. 
elidere.  =  IJb.  Organo  corporeo;  come  pur  fa  1'  anima  l^"  affermare  giurando,  v.  1(19.  ^rr:  10(i.  /  e  .'£  i^in,  segno 
isiliva.  ::^69. /yo  art  ico  la  r  del  cerebro,    la  struttura    d    amore.  =    116.   Lno  spirto,  Arnaldo  Daniello.  142.  z^r 

suoi  organi  r-r:  70.  /y  o  7»  o  f  or  p  ri77i  o  ,  iddio.  .// u  i,  1 117.  Pa  ria  r  mate  rn  o  ,  lingua  provenzale.  =:=  118.  t'ersi 
feto.    ==     S/)  ira,  inspira  ,  infonde.   =    Ti.  licp  l  et  o,  \<{i  e  "'o  r  e  ,    poesie   amorose.     Romanzi   storio  favolose  in 


ieno.    : —    73.  Ciò  —  attivo,  1'  anima  sensitiva.    Tira 

tua  sustanzia,  unisce  a  sé.    75.    f  ire,  vegeta. 

Ì7i   *è   rigira,   ritlclte    sopra   le  azioni  sue.      : —      76. 

troie,   detto.     78.    Giunto,  unito.     Linor  acqueo. 

:  79.  F  quando  —  lino,  quando  1'  uomo  muore.    : —  t-0. 

ivesi  r  anima.  =  81.  Lo  umano,  le  potenze  corporee. 

17  ino  le  spirituali.    : —    82.    Le  altre   potenze    sensi 


lingua  provenzale  o  castigliana.  120.   (^ucl  di  Lemoi 

Geruuit  de  Ilerueil  di  Limosi.     Dante   vulg.    elo((.    1 ,   9.  poeta 

provenzale  famoso.    121.   foce,  fama,  chiasso.   =  123. 

Arte,  precetti  d'  arte.  r=  121.  Gnittone  d'  Arezzo.  24, 
56.  Pelr.  Tr.  d'  Amore.  _r^  125.  Di  grido  in  grido,  per 
romorc,  gridando  gli  uni  ciecamente  apjiresso  agli  altri,  r^  126. 
Fin  e  il  e  ecc.,  finché  vinse  il  ver  per  mezzo  di    parecchi    va- 


B,  come  visiva,  uditiva  ecc.  Mute  ,  inoperose.  :r=r  85.  i  leiiluomini.  r=  128.  Chiostro,  Parailiso.  rrrr  129.  Abate, 
r  si  stessa,  per  interno  impul-o.  Cu  ri  e,  scende,  rr^  padre  ,  preposto  ,  capo  ,  guida.  =r:  130.  L'dir  di  un,  lez. 
Ina  delle  rive,  o  1'  Acheronte,  o  il  mare,  rr-  87.  bart.  chiara  invece  di  un  dir  di.  =z  131.  (guanto  ecc. 
rade  del  purgatorio,  paradiso  o  inferno.  =r:  89.  Rag-  tralasciate  le  due  ultime  petizioni,  r^  136.  Mostrato  v. 
a  spande  la  sui  attività.    =    !iO.  C'osi  nello  stesso  iikiUo.    115  s.  137  8.  Senso:  che  volentieri  saprei  il  suo  nome.  r=rUO — 147. 

tanto,  coir  iitessa  forza.    91.  Piovorno,  pieno  d'    Adottammo  per  la  piii  parte  la  lezione  Viviana  ili  questo  passo 

Ila.    l'orma    pio    adatta   al  verso  !      :^      92.  A 1 1  r  u  i ,  dei    provenzale,    fondati»  siili'  autnritìi  di  CasteUetro,   Triviilzio  e 

^    In    si:    si   riflette,   iu  esso  perciinteiiilo  si  rimbalza.  ,  Perlicari ,    e    sull"   analogia  della  lingua.     Co  7J  si  ro  s  hanno  i 

95.    Susgella,    iin|)rinie.     rrr:     96.   Histette,  fer-    lesti  antichi,  cioè  pensieroso,  invece  di  coti  si  tosi.  Giau- 

si.     r:r=    98.  Si  muta,  si    muove,  cambiando  luogo.  r=    s  e  7i ,  godendo.    Joi,  gioja.  Altri  ban  ior.  giorno.   Dcnan, 

Quindi,  da  questo  aereo  corpo.    Parata,   apparenza,    dinanzi.  Seus  frcirh  e  sens  catina.  senza  freddo  e  senza 

la   spirituale  anima.       rr-:r      102.    S  »•  7i  t  ir  e  ,  sentimenlo.    caldo,    adeguatamente    a    3,    31.   A  iviani   giu«lilica    lilologìca- 

duta,  vista,  rrr-  103.   Quindi,  in  virtù  di  questo  corpo    mente  la  forinola.  11  resto  duu  chiede  iutcrprclaziuue.  =:  Ili). 

co.       rrr-       106.  .If/iggono,   atlarrano ,  muovono ,  pini-    .///ino,  purga. 

IO.    Dloiiti  Prop.   I,   2    IH.     Altri    hanno   affigono,    dove, 

dicano  alriini,  al  modo  di  ago,  lago  ecc.    invece    d'  aco,  |  _,  -vvi-il 

o.  "{figere  ri'-ponilenl/be  al  \.\l.  affinre ,    Monti  trova   ca-  |  C  A   SI   T   0      \X»Ii. 

ralia.  Parenti  iiropniie  d'  impiegare  //jjgcre  di  soggetti  ma- 
iali, come  un  chioilo,  un  piede , //^'<re  d'  operazioni  della  i.  Là  dove  ecc.  in  Gerusalemme.  :=  3.  Ibcro, 
lite,  rome  uno  sguardo,  un  pensiero.  = —  107.  Ombra,  prinripal  fiume  della  Sìpagna.  Alta,  innalzala  sino  al  mcri- 
ereii  corpo,  r-rr-  lOH.  V.ri  (lezione  de'  migliori  testi),  diano,  r-r-  4.  Hiarsr,  riscaldate.  É) a  nona,  dal  mczzod'i, 
pisci.  ~-  109.  Tortura,  gastigo.  rr—  112.  linlestra,  dal  sole  meridiano.  (•eruNaleniine  essendo  nel  mezzo  del  no- 
ta Cini  impeto.  =r—  |I3.  Cornice,  orto  della  strada  dalla  strn  emisfero,  ed  avendo  il  (ìange  ,  o  1'  India  alla  parto  più 
te  oppii-t.i  alla  sponda,  r-^^  114.  />a,  la  liainma.  inflette,  orientale,  1'  Ibero,  o  la  Spagna  alla  parte  più  orridentalc  ,  il 
linpe.  S  r  II  u  r  s  t  r  II  ,  caccia  vìa.  -  121.  S  u  ni  m  a  e  ecc.  Purgatorio  agli  antipodi,  hanno  il  Sioiinc  e  il  Purg.  un  co- 
icipio  di-ll'  inno,  in  cui  nel  mattiitiiio  del  sabbaio  si  chieilc  miiiiu  oriz/onle,  il  meridiano  comune  dell' India  e  della  Sp.igiia. 
Olio  della  purità.  : — :  122.  Ardore,  liamme.  r:^-  126.  I>niii|iie  nel  motneiilo  che  il  sole  si  leva  per  Gcrusalcinmc ,  e 
qua  udii  II  II  n  II  n  d  0 ,  di  i|iiaiido  in  quando.  r —  I2H.  tramonta  rispetto  al  purgatorio,  è  mezzod'i  ncll'  India  e  inezia 
r  H  ;/i  ecc.  risposta  di  Maria.  Lue.  I.  in  esempio  di  virtii  notte  alla  Spagna,  rn—  7.  Insula  riva,  su  l'  eslreinilà 
Irarii  al  vizio  della  lussuria,  che  si  purga  in  questo  girone,  dell.i  strada,  r— :  8.  Hi  ali  ecc.  IMatl.  5  ,  H.  ir—  IO.  FiU 
Ito.  Elice,  Callisto  riconosciuta  gravida.  :—  1.32.  oltre.  2h,  25.  29,  l.'>3.  Halfr.  21 ,  139.  =  Va.  La  fot  sa, 
o  di  !  enere,  piacere  carnale,  r—  135.  Iniponne,  nella  quale  nI  HOtterravuno  vivi  col  capo  in  gin  gli  nssaMsini. 
inpouc.     =     lil.Abbruia.    Lezione  burtul.  approvata    laf.  19  ,  49.    -j=:     16.  i  n  «  u  <  e  r/i  an  cu  ni  ni  e  ««  e   ni  i   ;iro- 


COMENTO   SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 


tesi  bene  osserva  Viviaiiì  esser  atto  piuttosto   di  preghiera,    del  celeste  paradiso, 
che   di   spavento;   laddove   il    protendersi  cou  tutta  la  persona  |  frane,  rf  e'/ a  ?/ 1 


sulle  inaili  aperte,  sollevando  ed  allungando  le  braccia  sia 
azione  d!  paura.  Onde  scelse:  in  su  le  mani  tutto  mi 
protesi.  ==  19.  Scorte,  Virgilio  e  Stazio.  =  24. 
i>io,  cielo.  =  25.  yj;  i'o,  interno  ,  mezzo.  =  33.70 
stava.  Contro  a  cose,  malgrado  mio.  r—rz  Mi.  Beatrice, 
amata,  simbolo  di  Teologia.  j>/i/ro,  ostacolo.  l'etr.  son.  13.= 
at.  l^i  r  a  ni  n  e  Tisbe.  Ovid.  Met.  4,  5j  ss.  r=  40  Solla, 
pieghevole.  Int.  16,  28.  r=  51.  jl/e  t  r  o ,  misura.  .=  57. 
For  delle  fiamme.  =  iJ8.  f  e  ni  te  ecc.  Matl.  2o.  =  ()2. 
S  f  urfja  te  ,  affrettate,  avacciate.    Alfine  a  ariiuòsn' ,    ted. 

sich  sviitcn.    ^j'i.  Ment  r  e  —  si  ann  cr  a,  mentre   che 

non  e  affatto  notte.  r=:  (ij.  Terso  ecc.  verso  oriente.  1). 
mandava  V  ombra  sua  dinanzi  a  sé  stesso.  : —  (ili.  Basso  , 
invece  di  lasso,  hanno  i  migliori  codd.  srnz'  altro  più  na- 
turalmente.    tì7.  Levammo  i  sagf;i,  pigliammo  assag- 
gio, facemmo   prova.     (18.  Co/car,  le  liquide    cambiale 

conformemente  all'  origine  da  collocar,  ha  il  cod,  fior.  r= 
ti9.  Saggi  Virg.  e  Stazio.  =  72.  Avesse  tutte  sue 
di  spense,  fosse  dispensata,  distribuita  in  su  tutto  1'  oriz- 
zonte.          73.    Fece    letto,  si   pose  a  giacere.     ==     74. 

Jìjr/ro7i  s  e,  tolse ,  ruppe.  =  77.  Rapide,  preste.  t= 
81.  Lor  serve,  guardandole  dalle  fiere,  rrrr  82.  Man- 
drian,  custode  della  mniulra.    =r=    8:5.  Fé  e  a  Ho,    mandra, 

gregge.    87.  Fasciati,  serrati.  Grotta,  pareti  della 

bucaf  88.  Foco  ecc.  (coi  codd.  bcrt.  e  tlo.)  per  la  stret- 
tezza  e   profondità    della   sfenditura.    : i)0.  S  o  l  e  r  e  ,  uso. 

—  Ol.  Buminando,  meditando.  =^  91.  Dello,  dallo.  =- 
95. Prima  anteriormente  al  sole,  il/o  n  t  e,  purgatiirio.  Cite- 

rea,  Venere.    'J8.  Landa.  Inf  14 ,  t(.  prato.    101. 

Lia  ,  figliuola  di  Laban  ,  prima  moglie  di  Giacobbe;  simbolo 
della  vita  attiva.  104.  Badie  l,  seconda  moglie  di  Gia- 
cobbe, simbolo  della  vita  contemplativa.  Inf.  2,  102.    Smaga. 

10,  105.    105.  Miraglio,  specchio.     Munti  Prop.  3,  1. 

1:11  8.  108.  Ornare  hanno  parecchi  cudd.  più  squisita- 
mente, invece  di  o  v  r  ar  e.  =  109.  Splendori  ante  lu- 
ca ni,  alba.    115.  Dolce  pomo,\\  sommo  e  vero  bene, 

Ili).  »S  t  ren  n  e  ,  strcne  ,  mance  ,   regali,    cose  donate  in 

grande  festa.   127.   Temperai  del  purgatorio.  Fterno 

deir  inferno.    129.  lo  per  me,  qual  iliurii  della    ragion  j 

naturale,  opp.  alla  teologia.     132.  Arte,  strette.  Lat.   arctus. 

zr-z    lotì.  Li  occhi  ecc.  beatrice.     l:i8.  Elli,  i  fiori    e 

gli  arboscelli.  ='-  142.  jl/i  t  r  i  0  ,  metto  la  mitra  vescovale, 
concedo  superiorità.  Jacopo  dalla  Lana  e  Portirelli  hanno  me 
iuvece  dì  te;  lo  che  pur  è  mcn  modesto  ,  e  menu  squisito. 

Casto    XXVIIL 

2.  La  divina  foresta,  la  selva  fatta  da   dio  per   abi- 
tazione dell'  umana  spezie.    r=    4.  Biva  del  monte.    r=    5. 

Campagna,  landa,  pianura.    li.  Oliva,  ila  va  odore; 

da  olire,  aulire.  ■■ — r  8.  Fer  la  fronte ,  in  faccia.  r= 
il.  Pa  r  t  e  occidentale.  13.  S /)  a  ;•  t  e  ,  spartite,  allonta- 
nate.    16.  Ore,  (0  largo)  aure,  spiegano  Torelli,  Lom- 
bardi, Dionisi  Ancdd.  4,  40.  come  lo  conferma  tutta  la  serie. 
T  e  n  ev  an  bordone,  facevano  il  contrabasso.  Bordone 
la  più  grossa  e  più  lunga  canna  della  piva,  o  cornamusa,  che 
con  grave  suono  invariabile  accompagna  la  melodìa.    =    19. 

Si  raccoglie,   scorre.    20.    Fine  t  a,   selva    di    pini. 

Chiassi,  luogo  in  vicinanza  di  Ravenna.  =  36.  Mai, 
verdi  e  fronzuti  arboscelli.  : —  40.  Donna,  Matelda.  33, 
119.  simbolo  dell'  amore  verso  la  chiesa.  Dicono  che  alluda 
alla  contessa  dì  questo  nome  morta  1060,  piena  d'    alletto   per 

!a  chiesa.     45.  Testimon  del  core.    'Lo  \iso  mostra 

)o  color  del  core.    Dante  V.  N.  f.  23.    =    47.    Tragg  erti. 

Inf.  13,  22.    48.  Che,  ciò  che.  =  51.  Madre,  Cerere. 

Ovid.  Met.  5 ,  399  sa.   Frimavera,   fiori  raccolti. 52. 

Strette,  vicine.      53.  Intra   sé,  tra  di  loro,  1'  una 

air  altra.    =:    57.  Avva  Ili,  abbassi.  6,  36.  13.  59.  ==  58. 

C  on  t  en  ti  ,  soddisfatti ,  paghi.     60.  /  n  t  e  ndimenti, 

concelli,  rr-^  62.  Dono,  grazia.  65  s.  I  enere  tra- 
fitta d  al  fi  f;  l  i  0.  Ovili.  Met.  10 ,_  125.  Fuor  —  costume, 
di  ferire  con  accorgimento;  dimipie  inavvedutamente.  r=  67. 
Dritta,  opposta  a  quella  dov'  io  era.  1=:=  (i8.  Color, 
liori.  V'irgli,  egl.  H,  70.  69.  (lilla,  produce  in  abbon- 
danza.    71.  Basso,  rotto  da  Temistocle  e  fuggendo  vil- 
mente in  una  barchetta  d'  u\i   pescatore.      72.  Freno, 

ritegno.  r=:r  73.  Leatidro,  d'  Ahi  don  riva  dell'  lilles- 
poDtu  dalla  parte  d'  Asia,  amava  Kro ,  fanciulla  da  Sesto, 
terra  dall'  altra  parte  dell'  JOllesponlo,  sul  lito  d'  Kuro,)a. 
Mareggiare,  ondeggiare.  Quel  Lete,  r-rz  80.  Salmo 
91,  5.  Vuol  dire  che  quel  suo  ridere  è  un  gioire  in  dio,  gus- 
tando ncir  opere  sue  un  saggio  di  sapienza  e  di  bontà,  rrr: 
H7.  Cosa  —  questa.  21  ,  46.  r=  91,  Invece  dell'  assurdo 
e  cacofouo /<c  <•  /'  uom  buono  a  bene  (od  e  bene)  e  (od 
a)  questo  loco  i  miirliori  codd.  haii  come  il  nostro  testo: 
Jece  /'  or/1  buono,  innocente  e  pnio,  perchè  dio  ,  cima  e 
centro  di  pertèziom-,  non  |)uii  creare  seniiuu  (|uel  eh'  è  degno 
di  lui,  e  il  ben  di  ijiiesto  loco,  il  paradiso  terrestre, 
disdcptr  arra,  caparra  e  «aggio ,  diclvrnapace. 


97, 


94.  D  iffa  ?  f  a ,  fallo  ,   colpa.    Da  ' 

Fer  che  ,  atlìnchè.  Sotto  da  sV 


sotto  ad  esso  loco  dì  bene.      101.    Tanto,    quanto    ha 

conosciuto  per  prova.  :- —  102.  Libero  dal  turbar  del 
esalazioni.  Da  indi  —  serra,  dalla  porta  del  purg.  in  si 
=::r  103.  7/0  aere  si  volge  con  l  a  pr  im  a  v  olt  a  mn 
bile  del  cielo,  il  quale  si  tira  dietro  da  oriente  in  ocrident 
tutti  gli  altri  cicli  di  sotto  a  lui ,   e   assieme    1'  aere.     Opinio 

erronea!     104.  Il  cerchio,    il   girare.     Botto,   impern 

dito.    =r     111.   Quella  mira.    =z    112.  i'   ultra  terrof' 
r    emisfero   nostro.   Degna,   alta,  abile.      : — -.      113.  Ciel 

clima.     : 115.  Far r ebbe,  dee  parer,  come  legge   il  coi 

bart.   116.   U  di  t  0  (j  uè  st  0  ,  se  questo  fosse,  od  è  uditi 

inteso.     =rr     120.  Se /i  ;  a  71  fa  ,  coglie.    Inf.    13,  29.     =:     W. 

Fiume  di  là.  Acquista.  .Menni  hanno  asp  ctt  a. 12 

Salda    e  certa,   invariabile   ed    immancabile.       12; 

Bi prende,  è  provveduta.  : 126.  Da  due  parti  apei 

ta  divisa  in  due  canali.  ISO.    Lete,  da  Xado  ,  kuvO^axo 

luteo,  porre  in  obblio.  131.   E  uno  è,   da.  tv  roslv,  ben 

rammentare.     Adopra,   produce   affetto.     135.     Sete 

brama   di   sapere.    =    141.    Farnasu,   estro   poetico.    r= 

146.  Con  riso,  perchè  disiogaunati.    147.  C'ostruiti 

parlare. 


Canto    XXIX. 

3.  Beati  ecc.  Salm.  31.    =    10.  Dier  volt  a,  sì   vo 

lavano,  sinuavano.    : 14.  La  donna.  Beatrice.    H 

Lustro,  chiarore  provencnte  dalle  sette  fiamme  (doni  del 
spirito  santo).  50  ss.  =:  19.  Come  vien,  appena  si  fa  vi 
der.  Resta,  svanisce.  r=  15.  Lezione  bartol.  chiara  e  senf* 
plice.  Wtri  hanno:  e  he  l  à  do  V  e  u  b  b  i  d  ia  l  a  ter  ra  . 
f  (■  p_Z  0  ;  altri  :  e  /j  '  e  Z  /  o  d  i  s  u  b  h  i  d  i  o  la  terra  e  '  l  ciel  'f,' 

altri  :  e  '  a  lei  si  u  bi  dia  la  terra  e  '  /  cielo.     2| 

fé  lo,  d'  ignoranza.   r=    28.  Avria,  Eva.  Lez.  bartol.  = 

31.    Frinii  zi  e,   cose   pritne  vedute,      37.   J  ergin. 

Muse.      : 39.  Cagion,  necessità.      40.  Elicon<Y' 

giogo  in  Parnaso,  o^e  nasce  il  fonte  Pegaseo  ;  dunqi 
giogo  per   fonte.        =        42.    Forti,     difficili.     Inf.     1, 

44.    Fa  Isava,   faceva   falsamente   parere    agli   occ 

nostri,  a  cagion  della  prospettiva.      46,  Fresso  fa 

to,  apprcs.saloini.  =  49.  La  virtù,  estimativa.  Ai, 
manna  23,  107.  r=:  50.  Sette  candelabri,  intendo 
i  Si  Ite  doni  dello  sp.  s.  ;  0  ordini  del  sacerdozio;  o  sacrameni 

=  51,   /  oPi  del  cantar,  voci  cantanti.  52.  Arnes 

ordine  de'  candelabri.      51.   Nel  suo  mezzo  mes 

in  quinta  decima.    — -    58.   Rendei  lo  aspetto,   guard 

di  nuovo.    60.    Novellespose,   modeste,  graziose , 

pensierose.    66.  Fu  ci,  ci  fu.     : —     70.  Fasta,   posi 

luogo  opportuno.      72.  Sosta,  posa,  quiete,     r^ 

Fi  ani  mei  l  e,  luci  (62)  in  cima  a'  candellieri.  =  75.  Ave  a 
(si ,  non  a  V  e  a).  Tratti  pennelli,  banderuole  slesc  ne 
aria.  Ferticari  presso  Monti  Prop.  3 ,  2.  39  ss.  mostra,  e 
pennello  è  voce  marinaresca,  significante  banderuola  0 
mostra  la  qualità  del  vento,  e  lo  deriva  ottimamente  da  pe 
n  US  dell'   infima  latinità  invece   di  pannus ,    che    finalmer. 

è  pur  affine  a  binden  ,  winden  ,    Getvand  ecc.      76.  J 

sopra  (lez.  fior.)  in  quel  luogo  superiore.  Rimanea  Y  net 
Sette  liste  dicono  .significare  i  sette  sacramenti  della  chic 
cattolica,  0  li  7  artìcoli  della  divinila  di  Cristo.  r=rr  78.  ^rc 

arcobaleno.  Cinto,  alone.     79.    Ostendali   Costan 

giudica  a  ragione  appartenere  alla  pronunzia  (più  melodiosi*" 
ma  perciò  posteriore)  ne  diverso  da  stendali,  o  stei^ 
dardi.  Male  \'iviaoi  Io  deriva  da  ostendo ,  come  stei\ 
date  da  distend-re  ;  cliè  sono  ambidue  dal  ted.  «fpAfJi.  = 
81.  Quei  di  fori,  i  due  estremi ,  il  primo  e  settimo.  =1  tN 
Diviso,  descrivo.  =  83.  Ventiquattro  s  enio:^^ 
vecchioni  {signori  sarebbe  pur  forma  diversa  posteriot  * 
nella  quale  preponderi)  1'  idea  della  venerazione  invece  'ji 
quella  dell'  eia)  dicono  signilìcare  i  libri  del  vecchio  test  ™ 
mento,  /''io  r  rf a  Z /.so  ,  gìglio  ,  simbolo  della  illibata  dottrìi  • 
contenutavi.    =:    8.'i.  3' li  p  ,  tu ,  vergine  Maria,   di   cui  prf' 

fetano  quei  libri.    : 87.  Bellezze,  virtù.  r=  91.  ir  m  e 

stella.  S  f'C0  7i  rf  a  ,  segue.  =  92.  (ina  tir  0  anima 
simboleggianli    i    quattro   vangeli.    =:    93.     ì'crde,   perei 

il  vangelo  vero  sempre   fiorisce.    98.    Spesa,   necessi 

di  descrivere  altre  cose.    100.  Ezechiel   1  ,  4  ss.    ■=. 

102.    Igne,   fuoco.      :=:      \t\\  s.  Ali  e  p  en  n  e  Giovani 
ecc.  Apocal.  4,  8.  ove  sei  ali  son  mentovale  invece  di  quatti 
107.  Carro,  la  cattedra  pontificia.    U  u  e  rot  e ,   il  vecchio 
nuovo  testamento.    r=    108.  G  ri  fon,  animai  favoloso  ucc 
lo -leone,    di  cui  Erodot.  3,  102.  Qui  Cristo.     r=     ll.i.  Ni 
che,  non  solamente  non  —  rallegrò.      E  parlare_  ellittico  (  «|iii 
me:   non  sarebbe  a  dire  che)   a   un   di  presso   rispondente 
greco  /.D]  Olì.     =^     116.   Affricano.   Scipione  maggioi 
vittore  d'  Annibale.     Augusto   Ottaviano  che  tre  trionfi  e 
lebrò.     Suelon.  Aug.  22.     ;=     118.    Allude   alla  favola  di  Ff" 
tonte.     Ora  2  l'on ,  prieghì.     Devota,    fervorosa.    rr=    1' 
Arcanamente   misteriosamente,   signilicalìvamentc.      = 
121.  Tre  donne,  le  virtù  teologali  Fede,  Speranza,  Carli 


lite 


'i 


COMENTO    SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 


=  122.  ia  una,  la  Carità.  =  123.  A''o  f  a  ,  discernibile. 
=  124.  X'  altra,  la  Sjieranza.  zr^  12.).  Ui  smeraldo, 
rde.  La  terza,  la  Ffde.  =  Vii.  Bianca,  Fede.  = 
).   Quattro  virlù  cardinali:  prudenza,  giustizia,  fortezza, 

njieranza.    Vii.  Porpora,  siiiibdlo  di  carità  e  di  fer- 

r  amoroso.  132.   Una,  la  Prudenza.     Tre  orchi,  che  j 

Jouo  le  cose  passate,  presenti  e  t'ulure.  r^  1315.  Pertrat-\ 
to,    divisato,    descritto.      A  odo,    unità   di  c|iieg;li  oggetti.  | 

Ile    vecchi.    San  Luca  e  Paolo.     137.    Jppucràte,\ 

dico.  r=-  13H.  Agli  animali  —  cari,  agli  uomini.  = 
I.  Lo  altro.  Paolo.  =  140.  Spada,  perchè  con  (niella 
uccide,  onde  contraria  cura.  =:  142.  Quattro] 
r)stoli,  Giacomo,  Pietro,  Giovanni  e  Giuda.  r=  143.  f  e.-\ 
io,  secchio,  perchè  Stcrisse  1'  apo^•ali^)•i  ncll'  età  di  anni 
:o  meno  di  iio\anta.  =r=  144.  Dormendo  a  cagione  del- ■ 
visioni.  Arguta,  come  lo  vuole  la  descrizione  d'  ertasi.! 
z  145.  Questi  sette.  Luca,  Paolo,  e  i  4  apostoli  col 
jHo  .solo.  Co  l  — al/ i  tua  ti  erano  vestili  rome  i  24  seniori. 
:  147.  Brolo,  verga,  pollone,  o  imbroglio  (in  sen.io  pro- 
o)  cioè  ghirlanda,  corona.  Che  si  riduce  la  parola  a  fl'jvuj, 
.to  del  pullular  e  lu-'Suriar  delle  piante,  ed  è  percii)  affine 
')  r  o  g  il  ug  ,  broiuliuiii,  imbroglio,  vi  r  g  u  l  a  ,  vir- 
•Itum,    fr.   bruut ,    broutille ,    bruussailles ,    ted.     Sprnss, 

rbss/ing.      : 149     Appetto,    osservatore.      ; 153.! 

il.  27,  10.    143.  Insegne,  caudelabri. 


Canto     XXX. 

1.  //  settentrinn,  le  sette  stelle  dell'  orso  maggiore; 

li  sette  luminari  de' candelabri.  Primo  cielo,  empireo. 
..V.  f.  107.  .■\llri  intendono  iddio.  =:  5.  Il  pi  a  basso 
spetto  al  ciei  empireo)  settentrione.  Face  accorto  di  suo 
vere.      r=-      U.    Quat  qualuncjue,    colui   che.     lui.  12,  74. 

19,  23.     Par.  1,  U.  =  T.  La  gente  verace,    i21  .seni- 

H.  Esso  ,  settentrione.     =    9.  Pare,  line  de'  de- 

erj.  11.  ì  <ni  ecc.  Caiitic.  4,  8.  Fa  invitare  Bea- 
le.        13.  Qua  i  e,  come.    Inf.  2,  127.    Bando  novi  s- 

i;i  0,  ultima  ordinazione,  =-14.  6'fluerna,   sepoltura.    =r 

La   lezione  adottata   è   antichissiiiia   (di  Iten\euuto  Imola) 

codici  pili  reputati, unicamente  convenuxdle  alla  serie,  e  le- 
tima,'  giustillcata  dal  Dinnisi  Prcp.  istor.  2,  41.,  Monti, 
viani  ecc.  e  vale:  cantando  alleluja,  salmeggiando  d'  esul- 
iza  (come  osannar  e  per  cantare  ossanna  Par.  2H,  94)  con 
)0  riacquistata,  nuovanienle  posseduta.  La  comune:  la  ri 
sta  a  carne  all'' riandò  si  deve  a  copisti  stolidi  e 
)utelli,  e  l'acilissimo  è  il  passo  da.  a  II  eu  i  an  d  o  in  alle- 
ando, dove  poi  l'oc  e  in  carne  fu  cangiato.  Perchè 
luiuc  smascellarsi  di  beffe  e  d'  insulti?  r=r  Iti.  lì  aste  r- 
:,  carro  coperto  e  decoriito  di  panni.  =  17.  Tanti  se 
«Salomone.  =^  !**■  Ministri  —  eterna,  angeli. 
z  19.  Ben  e  di  et  US  tee  M.ilt.  21,  9.  11  bando  d'  acro- 
ere  salutando  Heatrice  sembra  additare,   che  1'  acclaniazio- 

9'  indirizzi  a  Beatrice  ,  benché  hi  grammatica   degli   angeli 

cos'i  messa  alle  strette,  r^  21.  Mani  bus  ecc.  1  irgil. 
eid.  (i  tt<3.  =rr  23.  Rosata,  sparsa  di  rosee  nuvolette, 
odd.  a'mbrns.  e  bart.  perii  haii  arrossata,  tinta  di  rosso, 

è  meno  elegante,   ma   più   ^igo^oso   e  simile  a  2,  13.    = 

Pe  r  temperanza  di  lap.,  per  esser  temperala  la  lu- 
^a'  vapori.     La  Uccia  del  sole.      : — -     2H.    Dentro    della 

eterna.    'i'.i. Color  dif.  r. ,  rosso.    La  cor;>iia  d'oliva 

iota  la  sapienza,   il   bianco  la  fede,  il  \erde  la  speranza,  il 

ISO  r  amore. 31.  Votanlo    tempo,   A\cc.\  anni,  es- 

Ilio  Beatrice  morta  nel  1290.  =r-  3(j.  A  f  j  ra  n  lo  ,  abbat- 
privo.  zrzn  40.  Sella  vista,  negli  orchi.  Or  la  ri- 
le  ilopo  dieci  anni.  =r  42.  Prima  eco.  D.inte  non  a\eva 
npito  il  nono  anno  della  sua  età,  (|uandu  ]irese  amore  a 
airice,  ragazzina  di  H  in  9  anni.  =zrz  43.  Il  e  k  p  i  1 1  o  ,  ri- 
;lto ,  iimilth.  - — z  4(i.  Dramma,  una  (|uiilclie  minima 
rticclla.     r=r     49.    Scemi,   privi.     =:zr:     TiL   Dienti,   mi 

rdi.     52.  Qu  a  n  tu  II  II  u  e  ,    ijiianto    nini.      // '    antica 

ad  re,  Eva.  SSenso  :  (ulte  le  delizie  del  paradiso  terrestre 
rilute  da  Kva ,   ora    godute   da  ine,    non  valsero  tanto,    non 

Olio  si  pregeN  nli  a  me  che  piii  non  piangeva  ,  che  ecc.    

Ad  re,    atre,     oscure.        Afliiie    a   l'dn;,    i;i)«;,    vówij, 

dor,  di  modo  che,  sudore  e  ardore  essendo  corrclatixi, 
irebbe  valere  umide,  b.igiiale.  . —  òli.  Spada,  dolore 
ngenle  di  colpa.  74  h.     rrr:     bO.   Atti,  non  altri,  ^seiido 

giti  nave,  e  poppa  e  prora  distingiiendn-i  bene  dalle 
re  parti  della  nave,  r—  bl.  //li  donna.  Beatrice,  rr- 
.  Il')  sta,  corteggio  solenne  e  pieii  di  giubbilo,  sia  lienisHi 
1  ancora  con  velata  (v.  2H  ss.],  (|uauluii<|ue    \i\iaiii  Uiren 

il  vista  di  due  codd.     z- —     liH.   {''ronda  di    Minerva,] 
inda    d'  oliva.      rrr— .      70.    li  r  gal  me  ni  e,    in  aria  regale,  i 
\irvn,   altera  nuche  nel  genio.     : —     71.   D  e  g  n  a  s  li.\ 
credesti  degno.      L'  accento  del  riiiipro\  ero  pare  rhesiii  su(| 

HIT,  in  qual  istato  d'  anima,  lagriinandn  pure  \  irgilio.  IO 
nqiie  piiilioslo  rimprovero  di  tenere/.zu  altiera,  che  il  f>  ■  " 
Adi),  all'elliioso  ,  parlar  dietro  ri'urri'r/,  reprime, 
{frena,  che  ironia.  r-=-  ìli.  Fonie  leteo.  29,  7b.  rrr:  bO 
i  amaro  richiede  u«l  vervu  «eguvutc  icntc ,   non  «enti,! 


né  sentii.  =  83.  Jn  f  e  ecc.  Salm.  31,  1  —  9.  =z  F5. 
t  ive  travi,  alberi;  come  trabes  Eiieid.  6,  181.  9,  87. 
z=  86.  Dosso  d'  Italia,  gli  Appennini.  z=  87.  Schia- 
vi, settentrionali,  che,  rispetto  all' Italia,  tengono  di  Schia- 
vonia.      =     88.   Trapela ,   penetra,   distilla   struggciiJosi. 

89.    La  —  ombra.   Africa,    avendo    regioni   sottoposte 

alla  zona  combusta.  Spiri,  mandi  vento.  z=  92.  Quei 
ecc.  gli  angeli  Natan  dietro  cantando  acrompagnauo. 
Le  note  1'  armonie.  Eterni  g  ir  «,  sfere  celesti  giranti 
senza  line.  Concetto  p'alonicn  !  :=  94.  Dolci  tempre, 
dolci  canti.    =    9li.  S  t  e  mp  r  e,  struggi.  =^    il8.  S/i  ir  ito, 

sospiri.     Acqua,  lagrime.     100.  Detta,  contormemcn- 

te  al  V.  GÌ.  hanno  tutti  i  buoni  testi  invece  di  destra.  Co- 
scio, sponda,  mr  103  — 5.  Senso  :  voi  sempre  intendete  in 
dio  sicché  niente  di  quel  che  il  tempo  adduce,  vi  viene  nas- 
costo né  per  notte,  uè  per  sonno.  =  lOli.  Cura,  mira.  r= 
107.  Colui,  Dante.  =  108  Sia  di  una  misura,  con- 
trappesi.   =     109.    Per  — magne,   per  1'  influsso    de'  cieli. 

110.  Seme,  creatura.  111.  Secondo  ecc.  secon- 
do la  costellazione  nella  nascita.  :^zz:  113.  A  lor  piova, 
quando  pio\ouo,  scendono  in  noi.  T  apori,  emanazioni,  in- 
fluenze. =^  114  JTan  ricine  ,  giungono.  r=  llj.  f  ita 
nova,  novella  eia,  fresca  gioventù.  Detto  eoa  allusione  al 
suo  libro  cos'i  intitolato.  =  lllj.  f  i  r  t  !/ a  /  m  en  t  e,  in  vir- 
tù ,  o  potenza,  di  tale  attitudine  e  buona  naturai  disposizione 
dotato.  117.  Tutto  —  prova,  si  sarebbe  allignalo  mi- 
rabilmente in  lui.  =  124.  In  su  —  et  ad  e,  sul  principiare 
della  gioventù,  uell'  anno  veutesimnsesto ,  in  cui  mutai  vi- 
ta, morii.  Dante  nel  Conv.  4,  24  divide  la  vita  umana  in 
quattro  parli:  adolescenza,  gio\eiitù,  seuettù  e  senio.  == 
132.  Rendono  intera,  adempiono.  =  133.  Spira- 
:;ion,  insjiirazioni.  =  13B.  .J  r  ^  o  ?«  e  n  f  i  ,  rimedj ,  prov- 
vediuieiui.  =  138.  ie  p  e  r  rf  «  t  e  ^  en  t  i ,  1'  inlerno.  r^ 
142.  Fa  to,  decreto.  =  143.  /'ij-a  n  rfa,  obbli'o  delle  colpe 
commesse.  =:  144.  Scotto,  pagamento  ,  o  quota  di  com- 
mensali. Affine  al  ir.  ecot ,  ted.  Sclwss ,  Zuschuss,  sclUesóan, 
giessen ,  fr.  jeter. 

C   A   !«   T   0      XXXI. 

2.  Per  punta,  direttamente.  =  3.  Per  taglio, 
per  traverso,  indirettamente.  =zr:  3.  Acro,  pungente.  = 
4  C?/n  t  a,  indugio  ,  tardanza.  Dal  lai.  e  ;/ n  e  t  a  ri.  =:=  7. 
;"irt(i,  forza  naturale.  =  10.  Sofferse,  aspetti).  = 
11.  Le  —  triste  del  tuo  peccato.  r=:  12.  Ac(/ue  di  Lete. 
Uffeuse,  urtate,  inciampate,  lese,  ovviate.  In  senso  latino, 
affine  al  ted.  fcind ,  al  lat.  pugnus,  pugnare,  impingere, 
ingl.  to /p/if  e.  =  15.  /iste,  occhi,  i^  Ili.  i''ru  n  ^  e, 
rompe,  si  riferisce  a  la  sua  corda.  =  11.  Da  troppa 
t  esa  ,  per  troppa  tensione.  :=  21.  Allentò,  inancii , 
si  perde,  v  31  —  33.  z=  23.  Lo  bene,  il  sommo 
bene.  ==  2H.  Agevolezze,  aitraliive.  Avanzi, 
guadagni,  acquisti.  =  '29  Degli  altri,  beni.  Pochi 
lesti  sconciamente  han  rfp// e  a /tre  Cloe  donne.  =  30. 
Ijor  —  anzi,  proceder  innanzi  loro,  come  per  non  restare 
loro  indietro.  =  34.  Presenti,  mondani.  =r-  30.  ò'i 
no  SCO  se,  morendo.  =-.  -i'ì.  Ta  l  g  i  u  d  i  ce  ,  dio.  == 
40.  «  0  t  a  ,  bocca.  =  41.  Co  r  f  e  ,  giudizio.  z=  VI.  Ri- 
vo l  gè  —  rot  a,  U  cole,  o  pietra  da  aguzzare  (la  diMna  gius- 
tizia) si  volge  contra  il  taglio,  rintuzza,  zr—.  43.  .I/o,  ora, 
invece  di  mei,  più,  meglio,  è  lezione  antica  e  buona.  = 
45.  Le  sirene,  i  piaceri  falsi  mondani.  =  40.  U  seme, 
la  cagione,  1'  origine;  cioè  calma  il  dolore.  =  ib.  Carne 
se  no/to,  morte,  rr-  51.  Che  s  on  t  e  r  r  a  s  p  a  r  t  e  ,  cb9 
spartite  ('i»,  13)  sono  terra.     11  cod.  cass.  che  sono  in  t.  t p. 

52.  Pallio,  inganni),  o  mancì).  zzr-  55.  Strali  .  col- 
po (59).  =  50.  .So  so,  al  cielo,  rrr  òl.Talc,  mondana 
e  fallace.  =  .51».  Pargoletta,  donna,  r—  1.0.  Con--u.so, 
.HI  poco  durevole  :r-  bl.  .\ovo  a  ug e  1 1 ,  1 1  o  .  ili  utiiu, 
sciocco.  =r:r  Due  reti,  o  saette.  Allude  al  pro\erbio:  f r u- 
strajaciturrete  aule  oculos  penn  at  or  um.  r^: 
Ii7.  Quo  nrfo,  giacché.  r=  I.H.  Zia  r  &  o  ,  \  iso  (74).  r^  70. 
Si  f/i6  (i  r  Art,  si  sterpa,  sradica.  =r.  71.  Alt  aiistral 
vento.  Cosi  legge  il  cod.  bari  benissimo,  jierche  ,  dice  \  x- 
viani  il  poeta  \nlle  accennare  i  due  notissimi  venti  procello- 
si anslro  ed  .ilfiico  (ponente  earbino  1  i  quali  soffiano  \irini 
i  'uno  dell'  altro.  : —  75.  i  /  —  o  r  p  o  m  e  n  t  o  ,  la  malizia 
del  ragionare.  - —  77.  l'rimc  (creile  prima  degli  uomini; 
to.M  gli  ottimi  codd  )  r  r  «•  n  f  w  r  e  ,  angeli,  r—  ìt<.  I  s ji  e  r- 
sion  ,  Bpnrger  liori.  Upr  r  a  zi  on  del  cod.  Stuart,  e  chioda; 
(i  M  n  rt  r  s  i  0  n  ,  e  d  a  pcrs  i  o  n  sono  errori.  :  H).  L  a  Jier  a, 
il  Vriloi'e  C^l.   1"^>-      r-r-     K2.   I   e  /  o  ,  candido  v.  31.     =     M. 

/;i  tir  o  ,  già  ,  nnleriorineutc  vissuta.  :^i  H4.  /incerili 
belili  =zzi  Kt.  Di  penti  r  —  la  ortica,  il  rimorso  della 
coHcicnia.  :=:-  Hi.  Qiial,  qn.ilui.qiie.  r-r-,  90  Colei,  Be- 
atrice, r-r-  02.  /-rt  i/o  n/irt.  Malelda.  . —  9b.  .S  t  o/ n  .  ^c- 
Hie.  Cosi  parecchi  codd.  bene  ino-trundo  che  Riva  galle  gjjian- 
do  Hiiir  acqua,  essendo  leggera  rome  \csle.  L'  edi/ioni  co- 
muni hanno  spola,  lo  che  si  dilendorrbbe  forse  alirnvo  col 
volgare  umile  d.inlesco.  r^  UH.  Asperges  ecc.  Salin.  jl, 
9.  .Vutifouc  raulata,  mentre  il  sacerdote  bagna  d   acqua  ucuc- 


COMENTO    SULLA   DIVINA    COMMEDIA. 


detta  il  popolo.  r=^  104.  Velie  —  belle,  -virtù  «artlinali.  29, 

130  89.     105.  Col  —  coperse,   ni'  abliracriò.     =r^r     lOb. 

Stelle  nel  polo  antartico  vedute,  1,23.  8,  91.  =  109.  M  er- 
re m  ti  (cosi  li  buoni    testi)  ti    meneremo.     : HI,  Le  tre 

virtù  teologali.  29,  121.  rilucenti  (Ufi).  r=r  115.  Ti-sie,  oc- 
chiate.   : —    liti.  Smeraldi,  occhi  scintillanti  amenamente; 

senza  riguardo  al  colore.     117.   Trasse,    avventi).     r=r 

122.  Doppia  V.  81.  Dentro,  negli  occhi.  _=^  \i'A.  It  e g- 
giiìienti,  atti,  portainenli,  maniere,  sembianze.     =:     J21 

La  cosa,   Y  oggetto,    il  grilone.    12(i.  Idolo,  1'  imma 

gine  di  lui  negli  occhi  di  B.  =  1.30.  Tribo,  tribù,  grado 
ordine.  =  132.  Caribo  Monti  (Prop.  1,  2.  142  s.  2,  1. 
Ibtì  ss.)  .spiega  modo,  guisa,  usanza,  garbo.  Altri  leggono 
e  a  r  ri  b  o  ,  carro.  1*  a  r  e  nt  i  lo  deriva  da  e  a  r  i  v  a  r  i  u  in  in 
ba,«80  latino,  carubium,  quadri\ium,  frane,  e  h  a  ri  v  ar  i. 
cioè  armonia,  concento.  Conghiettnre  in  parte  azzardose! 
Non  sarebbe  forse:  danzando  si  fect  ro  avanti,  s'  avanzarono 
al  loro  angelico  corifeo,  capo  di  ballo,  cioè  o  il  grilone,  o 
Beatrice?  La  rima  scuserebbe  pur  questa  licenza,  come  in 
numerabili  altre,  non  troppo  ripugnante  alle  leggi  del  cam- 
biare lettere  affini.     134.  Sua,  loro.     : 137.  Borea, 

faccia.     138.  La  seconda,    o|>p.    all'  antica    v.  83    è 

la  posteriore  acquistata  dopo  la  morte.     : 110     Dice,    non 

bastare  la  poesia  a  desrri\ere  degnamente  la  beltà  della  Teo- 
logia ,  0  sapienza.  Sotto  la  ombra,  arx  umbrosa  d'  Ovid 
Met.  1.  Fallido,  di  studio.  -* —  142.  Ingombra,  occu- 
pata,  intricata.      — —      143.  /{  e  n  f/ e  r ,  descriver.      141. 

Il  del,  gli  angeli.  Adombra  gittando  fiori.  Armoni-Z- 
zando, con  canti  armoniosi.  —  Beatrice  è  simbolo  della  ce- 
leste scienza  (Conv.  129),  che  in  sé  le  comprende  tutte;  il  cie- 
lo col  volgere  armonioso  delle  sue  ruote  adombra  ,  etiigia  e 
rappresenta  tutto  il  corpo  della  sapieuza,  o  della  gloriosa  Be- 
atrice ,  che  togliendosi  il  velo  si  fece  mauifesta  agli  occhi  del 
poeta. 


Canto    XXXII. 

2.  Decenne   dal   1290  sino  al  1300.     =     4.  Essi,  gli 

ocelli.     Farete,  ostacolo,    ritegno.     7.  Dee,  tre  virtù 

teologali.  : 9.  Troppo  fiso,  guardi.  10.  La  dispo- 
si zi  on,  V  abito  e  la  naturai  complessione,    o  tempera.     

il.  Pur  t  e  K  t  è  allora  allora.     12.    Sanza    la   vista, 

perchè  abbaglialo.  13.  Al  poco  splendore  de'  sette  can- 
delabri. 1  seguenti  versi  mostrano,  che  minor,  o  meno  sa- 
rebbe espressione  non  meno  giusta.  17.  Esercito,  co- 
mitiva.    Tornarsi,  girarsi,  voltarsi.     Inf  20,  13.     19. 

Al  volto,  verso  oriente,  ralfr.  29,  59.  e  12.  — :  20.  Se- 
gano,  bandiera.      — -      21.   Mutarsi,  muoversi.      23. 

Precedeva  al  carro  trionfale,  cioè  procedeva,  come 
leggono  parecchi  codd.  24.  Il  primo  legno,  il  ti- 
mone.            25.  Alle  rote,  ai  lati,    ovvero  al  ballo.     

27.  Henna,  ala,  =  28.  Donna,  Matelda.  =  29,  Ro- 
ta destra,  sopra  la  quale  il  carro  doveva  voltarsi,  e  che  dun- 
que fece  cur\a  men  grande.    =z  32.  Quella  Eva.     (Jrese, 

credette.    . 33.   Temprava,  moderava  col  tempo.      Un'' 

angelica  (non  in)  nota,  uu  angelico  canto.  : —  35.  Dis- 
frenata, scoccata  dall'  arco.  Senso:  tre  tiri  d'  arco  incir- 
ca eravamo  avanzati.      37.    Adamo.      Si  dolgono  della 

debolezza  carnale.  38.  Pianta,  albero.  Il  poeta  men- 
tre qui  o  generalmente  il  deteriorarsi  del  genere  umano  alle- 
gor.camenie  descrive,  o  spezialmente  la  chiesa  peccaminosa, 
come  nel  e.  29  la  chiesa  iiuisibile  trionfante,  ebbe  senz'  altro 
per  tipo  r  albero  dulia  scienza  nel  paradiso,  figurando  poi  in 
esso  il  romano  impero,  guasto  e  corrotto  co'  vizj  dell'  ierar- 
chia.  r=  40.  Coma,  (forma  amica  del  cod.  bart.  )  i  rami. 
r=  41.  Indi,  ne'  cui  boschi  saetta  non  giunge  all'  altezza 
degli  alberi,  f  irgli.  (Jeorgg.  2,  122  ss.  =  43.  Di  scindi, 
dilaceri  r—  45.  Si  torse,  fu  tormentato.  //  ventre, 
umano,  1'  appetito.  Quindi  per  i|uel  gustare  d'  eslo  legno 
dolce.  =  47.  Li  altri,  la  comitiva  cerchiantc  I'  albero. 
li  in  alo,  di  dopj>i,i  natura.  :^^  48.  .Si,  con  questa  asti- 
nenza, e  umilia.  Il  seme  di  ogni  giusto,  senno  ed  ani- 
ino  intero  ed  illibalo.  =zz  50.  Pie,  fusto  j  tronco.  Conv.  f 
245.  /  edova  frasca,  albero  spngliato  <li  (rondi.  : —  51. 
(iuel  carro.  tJ  i  l  e  i  i'iittn  t\e\  legname  dell' albero.  Alci, 
alla  pianta,  all'  albnio.  Adilila  la  soggezione  della  chiesa, 
o  dell'  ier.irchia  all'  ioi])cro  serol.ire.  :=-.  52  —  54.  Quando 
ecc.  in  tem|io  di  primavera,  quindo  il  sole  è  nel  segno  d' ari- 
l'to  ,  che  x  ìhm  dietro  al  segno  de'  pesii.  La  gran  luce  del 
sole._  Quella  luce.  Raggia,  risplende.  =r^  Lasca, 
cyprinuH  leuciscus,  o  albula,  pesce  d'  acqua  dolce,  per  sined- 
doche pesce.      =1^     57.  (i  lunga,  roiigiiinga  e  attacchi.    : 

38.  Colore,  liori  colorili,  rrr:  tO.  Rumora,  rami.  S«- 
/e,  iipogliate.  ;r-r  ti3.  A'ot«,inno.  Soffersi,  Hvegliato 
gentil  _  :r=-  (i5.  Li  occhi  d'  Argo,  che  g.i.irdii  lo.  Sirin- 
ga, ninfa  amata  da  l'ane.  Ud<ndo  le  .ivienlnre  cantale  da 
Mercurio.  =  (iti  Costo  si  caro,  per.  bè  In  ucciso.  Ovid. 
Met.  I,  ."ihO  «».  r^  (,7.  /•;«,;/,  ;,/«,  modello,  r^  r.\.  M  e- 
lo.  Allusivainenle  a  (Giulie.  2,  3.  ^idoinbra  ('risto  e  la  sua 
trasligurazioiie.  Fioretti  di  melo  I'  accidentale  beatitu- 
dine ,  che  della  vista  del  ano  corpo  glurìuiio  gudeiieio  i  tre 


apostoli,  rr^    74.  Pomo  la  beatitudine  essenziale,  di  cui 
iloiio  gli  angeli  e  i  beati.    Matt.  17,  1  —  8.     r^irr     77.    /  ivi 
intronati  ed  abbattuti.    Ri  tur  n  ar  o  si  riscossero.     Parol 

comando  del  redentore.      Malt.  9,   24.  Giov.  Il,    48.    

Maggior   sonni,    morti.      : 79.    Scola,   compagu 

Scemata  di  due,    iMoisè  ed  Elia.     =rrr     82.    Tornai, 
risvegliai.     Pia   Matelda.     =     87.    A'o  l' ra.  v.  59.    =rr:    I 
Compagnia  delle  tre  \irtù  teologali,  e  delle  quattro  cari 

nali.     : 89.  i  i  altri  \entiquatiro  seniori.  93.   Que 

la.  Beatrice.      94.   fera,  genuina  del  terrestre  pai 

dìso.     =-     96.  .4/.'o  ,  diilla.      =:       HI.  C  l  a  u  st  r  o  ,  roriìt 

98.  Lumi,  candelabri;  doni  dello  spir.  s.  100.  Qi 

in  quest"  altro  mondo.     Silvano,  foresiiere,  avvcnticcio, 

spile.    102.  Quella,  —  Romano,   paradiso.    1( 

Diedi,  rivolsi.    =:     112.  Lo   uccel   di  Giove,  V  aquil 
insegna  dell'  impero.  _  .Vcceiiua  le  persecuzioni  fatte  alia  chi  \\ 

sa  da'  principi  romani.     : 113.  Rompendo  ecc.   Ezeci 

17,  3  ss.      115.  Carro,  cattedra  apostolica.      1 

Fortuna,  pericolo.      118.  Cuna,  cassa.      ■ 1 

r  e  i  co  l  0  ,  carro.     Lat.  vehiculum.     f  alpe,  1'  eresia  intr 
sa  per  papa  Anastasio.  Inf.  11,  8.    : — r    122    La  donna  mi    [ 
Beatrice  —  'l'eologia.     Futa,  fuga,    fuggita.      Forma  prosai 
ma  al  fr.  fuite.     ■ — '     123.  Le  —  polpe,    la  magrezza.     =3 
125.  Arca,  cassa,      ^rr-      121).  Di  se  p  e  n  n  ut  a.     Intende  I 

dote  di  Costantino.    Inf.  19,  115  ss.      : 129.  Navicella», 

arca  ,  cassa.     131.  Drago.     Altri   intendono   Maometti 

altri  la  fame  delle  ricchezze.  .Apoc.  12,  3.  13,  2.  rrr:  13j 
Trasse  porzione.     Fondo  frrato.     14(1  s.  In    tant  \a 

—  aperta,  in  meno  d'  un  momento.     : 143  s.  Le  sett 

te-ite  ad  alcuni  spositori  sono  i  selle  sacramenti,  e  le  diec 
corna  ì  dieci  comandamenti  divini;  ad  altri  i  sette  peccai 
capitali;  ad  altri  i  sette  cardinali  elettori  del  papa.     La  prim 

di  queste  opinioni  è  la  più  probabile.     148.   Una  putta 

na,  il  papa,  .apezialinenle  Bonifazio  Vili.     ■    52.  (iigan 

te,  Filippo  il  Bello,  re  di  Francia.    : 154.  A  m  e  eii  a  tui 

ti  che  il  papa  volle  opporre  alla  casa  di  Francia.  Onde  Filip 
pò  inferoi'ito  maturi)  1'  onta  d'  .\nagni  nel  1303,  o\e  il  pap 
mori  li  11  ott.  di  dolore.  Ralfr.  20,  80  —  90.  =z  157.  Trai 
sei  ecc.  trasferì  la  papal  sedia  nel  1305  ad  Avignone.  =: 
159.  Lei,  selva. 

Canto     XXXIII. 

1.  Deus  ecc.  Salm.  97,  1.=  6.  Alla  croce,  do\e  vid 
pendente  il  liglio.  =  10.  Modica  m.  Giov.  Ib,  10  —  1! 
Allude  alla  tr.tsportazione  della  sedia  pap.  in  Avignone,  v.  31 
158  ss.    =     15.  Savio,   Stazio.    r=    23.    Ti  attenti, 

provi,   t'    arrischi.      34.    f  aso,    arca,   cassa  del  carlfl'' 

(lìgura  della  sede  apostolica).  34.  Fu  e  non  è  Apoc.  17,1"' 

non  serba  più  1'   antica   venerazione.      30.  Non  t  e  m  i- 

suppe,  non  si  disarma  per  incantesimi.  Allude  ad  una  scioi'i' 
ca   superstizione    di    quei  tempi,    che   1'    uccisore,   mangiami 
in  termine  di  nove  giorni  la  suppa  sopra  la  sepoltura  de" 
ciso  possa  sfuggire  alla  vendetta  de'   parenti.   In   questa   spit, 
gazione  convengono  i  comentatori   contemporanei   ed    antichi! 

simi.    39.  Divenne,  il  carro.    : 41.  Propinqu 

vicine.  =r  43.  Un  cinquecento  diece  e  cinqui 
enimma  numerico,  che,  scritto  in  tre  lettere  romane  DX' 
trasposte,  ^  ale  DVX,  dtice,  capitano,  e,  con  riguardo  a  Io 
1  ,  101.  l'ar.  22,  03.  142,  addila  Can  Grande  della  Scala,  ci 
pitano  della  lega  ghibellina.  Cos'i  1'  Anonimo,  famigliare  i"1° 
Dante.  Altri  intendono  1'  Imperatore  Arrigo  VII.  Tro^ 
(V.  A.  143.  perchè  Arrigo  VII  era  spento  già  15  mesi  prima  i 
Filippo  il  Bello,  e  perchè  Can  della  Scala,  vivo  Filippo,  no 

avea  guerra  col  re  Roberto)  llguccione  della  Faggiola.  : 4 

Fuja,  rapace  (Inf.  12,  90.  l'ar.  9,  75),  rea,  scellerata.  = 
45.  Delinque,  commette  criini.  rr^  40.  N  ar  r  a  zio  n  bujO 
predizione  oscura.  Il  senso  di  questa  terzina  è  stato  molto  io'" 
brogliato  per  la  variante  lezione  men,  e  »n  e  ' ,  che,  se  cri 
diamo  a\iviani,  è  antichissima,  e  per  la  spnsizione  del  voot 
bolo  attuja.  Viviani  preferisce  me',  e  deri\ando  attui 
da  attivare  per  metatesi,  confermando  assieme  quest'  ij 
terpretnzionc  con  un'  antica  lezione  attiva,  e  a  e  ti  va  k 
un'  altra  acuja,  assottiglia,  spiega:  forse  clie  la  mia  nari^ 
zinne  buja  dee  meglio  persuaderli  ,  perchè  a  modo  di  Temi 
Sfinge  mette  in  aiii\ìlà  1'  intelletto.  Si  potrebbe  aggiugnere 
(|uesla  ingegnosa  interpretazione ,  che  la  frase  sarebbe  qua 
letteralmente  la  greca  aiOuiiOity  o  u'>iJaotty  (pottu;,  cU 
o  scuotere,  o  inlìammare  1'  anima.  V.  Ksichio  cogli  intfli 
preti.  Dall'  altra  parte  questo  senso  non  quadra  bene  a  qill 
clic  segue;  imperocché,  se  le  Najade  col  tempo  sciolgono 
enigma  torte,  a  che  serve  il  tempestare  la  mente  con  oraco] 
seniion  forse  a  rintuzzarla,  e  confonderla  con  fallace ambiguil 
come  fecero  gli  oracoli?  (Questo  confondere,  stordire,  o  sbl 
lordire  i  Greci  lo  dicono  arv^tir,  lo  che,  come  vede  ognuni 
s'  approssima  ancora  più  ad  a  t  I  u  j  a  r  e.  Questa  spiegazilM  b 
garba  meglio  di  quelle  arbitrarie  ed  almeno  ancor  più  inceri  ni 
e  mal  sode,  che,  prendendo  attuja  per  ottura,  lo  dictH)  )( 
\alere  ricopre,  nasconde,  o  abbnja,  olfnsca.  K  pazienza,  J  fci 
fosse  tura  (Inf.  23,  43)  ,  o  ottura  dal  lat.  abiurare;   o 


0(1' 


itil 


COMENTO    SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 


tesse 

!rto 


dirsi    affine   a    rvcno),   rvwlo;  ,   òetàuhen  ,   e    cimili,   cnme  impetratotinto  assieme,  /n  ti  ee  co  fo  t  {n  to  sa  di  chio- 

è  però,  che,  se  non  vince  la  spiegazione    di    Viviani,  ?a-  ^^^he,  se  il  poeta  ave.se  y.lulo  spiegare  più  chiarampnte 

e'  deve  cedere  a  men;    ed   allora    il'  sriiso   sarà:    forse   la   '  7"  •'^-''l'  «enz    altro  avrebbe  scelu._espresMon,  meno  ligu- 

a   profezia   ti   piace   meno,  perchè  a  guisa  degli  oracoli  an-  rate.    =     '^-i'  'f  ,  ancorché.     =r      ...  Fer  quello   n.o- 

hi  confon.le  e  stordisce  la  mente.   =    4't.  Hlètostofien    "V"-  =  {?•  Bordone,  bastone  da  pellegrino.  Di-cinto, 

.„."/:, !„..., •.,;    i.,f   o     oi.  1    /„    A-„,-„,i„   i\^   ,.,.,i;    „„:..i     in  segno  d    essere  stati  in  quella  ragione  di  paline  abbondante. 

"H2.   /^"e  f/ u  fa,  intendimento  ,  intelletto.  r=  bó.   (Quella 

scola  ecc.  il  sapere  umano  privo  di  ri\eIazione  diiina.  = 
90.  Il  del —  /  e  .<t  fi  n  a  ,  il  primo  mobile.  =^  _  !)2.  Stra- 
niassi, m'  allontanassi.     — -     Htì.  Ancoi.  13,  52.    =    99. 

Colpa,    come    ocgelto    obbliato.      103.     Corrusco, 

sciniillante.  =  104.  Te  n  eo  — /n  e  r  2  ^^e  ,  era  nel  mezzo- 
giorno.    105.  Che  qua  e  Ih  ecc.  essendo  diversi  i  meri- 
diani rispetto  a'  diversi  siti  della  terra.     : 10!).    Le  settr 


.,  ^,.,,. „  _  _.. .„  ......ne.    ti.  ma  lusiojien 

fata  (i  destini.  Inf.  9,  9b.)    le    Najade   (le   quali    sciol- 
..    _i:   „..: :   .1:  'i'„. „:.!,.     /i.  ■  •     »»--     -^      -,«„__     .  .?    -n     i_; 


.  ^, .j,  iiu.  )  t  e  1»  u  j  u,  \i  ^  \*^  t^uciii  e  flui- 
rò gli  enigmi  di  Temide.  Uriil.  Met.  7  ,  7(0  ss.  a  cui  allude 
V.  ól).  Cos'i  parecchi  codd.  hanno  invece  della  volgare:  ma 
stofien  li  fatti  la  .V.  cioè  tosto  i  fatti  che  avverranno, 
faranno  essi  1'  ofiizio  delle  ÌVajadi.    Adottammo  la  prima  le- 

ine  ,  come  più  elegante,  a  nostro  parere.     ; .iO.  Forte, 

ro  e  diliicile  a  sciogliere.    ')4.   f  ivi  del  l'ivere  ecc. 

igolarmente  detto  ,  per  :  de'  quali  la  vita  è  un  correre  alla 
irte.  =  57.  JJue  volte  v.  :12,  113  ss.  e  15H.  Addita  le 
rsecuzioni  cdntru  i  cristiani  ,  ed  il  trasporto  della  sede  pa- 
le in  A\ignone.     : bO.  A  dio  riponemmo  coi    codd.   vat. 

chig.    come   modo  dì  parlar  latino,  ('ic.  epp.   fam.  2,  18.  :^ 

Morder  quella,  aver  mangiato  il  frutto  di  quella 
mia.  =  62.  fj'  anima  prima.  Par.  26,  83.  Adamo.  

Colui,    Gesù.     Cinque    mila,   compresi   assieme   quei 

|)  della  vita,  e  quei  nel  limbo.      65.    Per  singoiar 

tfcione,  misterioso  motivo.    : 66.  Lei,  la  pianta.   Tra 

\lta.    32,   40  s9.      : 67.  Elsa,  fiume   di   Toscana,  che 

pietra  o    ricopre   d'    un    tartaro   petrigno   ciii    che  vi  s'  im- 

Tge.      Ij!1.    Pi  ramo    alta    gelsa,   il   cui    sangue 

icchiava  il  candore  della  gelsa.  27,  :i7  ss.  74.  Im  pe- 
ata e  tinto  lezione  di  parecchi  codd,  come  pure  queir 
ra  autichissima  impetrato  tinto  cioè  qual  iuijietraio,   o 


lenii.     113.  rana  a   ntairice.  :=^:    iio.  ^m  -  , 

della  donna  che  occorse  28,  40   ss.   31,    92   ss.      =      120.  Si 

di  si  ego,  si  difende,  si  scioglie.   Vii.  Maggior  cura 

di  veder  me.     129.   Tramortita,  illanguidita.  =   132. 

Uischius  a,  data  a  conoscere. 13.).  Donnescamente, 

con  aria  nobile  e  graziosa.  137.  In  parte,  spezial- 
mente. =  141.  Fren,  ordine  giusto  prescrittomi.  =  145. 
Alle  stelle,  al  paradiso.  —  Dante  quattro  giorni  naturali 
viaggiò  nel  purgatorio,  v.  2,  1.  9,  12.  19,  1.  27,  133. 


A       R       A       D 


O. 


e  A  ?r  T  o      I. 


4.  Ciel   empìreo.    Sua   della  gloria  divina.    =:    7.  Di- 
re, desiato  sommo    bene.      z^      9.  Retro    ire,   tenergli 

tro  ,  andar  dietro  alle  cose  vedute  dall'  intelletto.    11. 

ir  tesoro,   adunare.     : —     15     Ui  man  da  dar   (lezione 
tichisBJina  in  vece  di    dimandi   a   dar),    dimanda    darlo. 

3essarianiente  cninparte,  inspira,  accorda.     17.    Ambi 

lue  gioghi,  (;irra  dedicato  ad  A|.ollo  ,  e  \isa  a  Hacco ,  co- 
dice iioccaccio.     Intende   la    virtù,    o  il  valor  indiviso,  in- 
o,    di    sapere  e    di  descrivere,  oxMa  di  filosofo  e  di    poeta. 
z       18.     Aringo,    impresa.    Propriamente    lizza,   steccalo 

ido,    cerchio,    dal    t.d.  Hing.    =rr     19.   Tue,  tu.     20. 

arsia,  satiro,  rivale  nel  suonare.  Traesti  —  sue,  scor- 
asti. : —  22.  Se  (cos'i,  min  */;.  Presti,  comunichi.  : — 
Legno,  alloro.  r=r  27  Che,  delle  quali,  r^:  28.  Ne, 
quelle  foglie.  ==.  32.  Delfica  deità.  Apollo.  _  =i^  33. 
ronda  pene  ia  ,  alloro.  Asseta,  invoglia.  I  rimproveri 
ti  al  secolo  in  questi  due  terzetti  li  ripete  l'etrarca,  ed 
Insto  2.'),  22.    : — r    36.  Cirro,  città  alle  radici  del  l'arnaso. 

r37.   Foci,  sboccature.  : 38.  La  —  mondo,  il  sole.  ^:r 

il  nati  ro  cerchi,  V  orizzonte.  Il  zodiaco,  il  colurn,  1' 
(latore.  Tre  croci,  il  coloro  coli'  ciiiiature,  il  zodiaco 
r  ei|iialore,  1'  orizzonte  col  zodiaco,  t^iiei  quattro  circoli  s' 
ersecaiio  in  un  punto,  cioè  nel  principio  ilell'  ariete,  nella 
imavera.  rr^  40.  Miglior  corso,  che  rende  il  giorno 
naie  Mi  f^  l  io  r  r  s  l  e  1 1  a  d'  Ariele  e  di  Libra,  perrhè 
i  vicine  ali  equatore.  Conv.  2,  4.  r —  41.  Cera,  materia. 
-  45.  Nera,  fosca,  r-r:  46.  In  sul  s  i  n  i  s  t  r  u  f  i  a  ne  o. 
sendo  il  Purg.  aniipndo  a  <i('rusaleiiiine,  citili  posta  al  di 
a  del  tropico  di  cancro,  doveva  e.«sere  il  monte  al  di  là  del 
pico  di  capricorno.  :r—  4!(.  Il  a  g  g  i  n  seconda,  rillesso 
50.  l'riino,  liirido  ihe  nerciiola  in  \\i\  corpo  lucido 
i  salire  in  suso,  tornare  indietro  verso  il  liiocfo  oiid'  è 
r.ilo.  Tornar,  nella  patria,  z —  52.  //  mio  atti' 
ll^»■ar  gli  occhi.  Si  feci,  iiaci|iie  quasi  di  rilievo  nelle  iiiiii 
migiii.iiiva  per  ni.  z/.o  dei  miei  ocelli.   Suo,  di  Beatrice.  =^ 

/  ir  tu,  poieii/e,  lorz.!.  : —  58.  Sofferni,  guardai 
on  UI  II  l  I  II,  [ter  lo  v.loct!  innalzarsi  al  sol».  - —  61.  Klcr- 
■  rote,  cieli.  —  (ili.  Fissi-  aveiid.).  IH  Ih  su,  dal  sole 
(i8  (ilaiicii,  ligliiiol  di  Polibo.  pe-calor  iiell'  ìsola 
ibea.  Ovili.  Mei.  l.l,  !)»!  hs.  r— ^  70.  Trasumanar,  pas 
r  dall'  iiinanilà  a  pMi  allo  grado,  r—  73.  Sol  di  me,  in 
ima  sola,  o  (iiir  corporaimriile.  Allude  a  2  Cor.  12,  Amor, 
(.  :  -'  7(1.  S  e  m  p  I  t  e  r  n  i  d  e  s  i  d  cr  n  t  n.  \el  (Joiiv.  2,  4. 
•e,  che  Ma|ir.i  liilli  i  cieli  HÌa  1'  empireo,  iinmobilo,  luogo  di 
ella  Kiimina  deilìi,  che  sé  sola  com|iiiitanieiilc  vede;  «•il  es 
re  il  incdi-Ninio  cagiono  al  cielo,  eh'  è  sollo  di  esso,  che 
invasi     veloiinHiinaiiienlo    per    lo    ferveiitinsiino  appetito    (  ln' 

ciubcunu  parte  di  questo  di  unirsi  a  ciascuua  parte  di  (|uvllo 


=    78.  Armonia  rìsultanfe  dalla  varietà  e  giusta  propoT- 

zione  de'  suoni  ;  secondo  Platone.    83.  Di  lor   ragion 

un  disio,  uu  disio  di  sapere  dì  lor  cagione.  =r=  t4.  Acume, 
stimolo.  = —  t-8.  <;  r  0  .ss  0  ,  sciocco  ,  gulio.  r=r  !)0.  Lo,  il 
falso  immaginare.  =  !I2.  l'roprio,  sfera  del  fuoco.  Altri 
hall  primo,  come  V  .Anonimo,  Jov'  è  crealo,  r^  93.  Iti  e  di, 
sali,   o  tieni,    relativamente  al  fulmine,  retrogrado    cammino. 

^=    96.   \ovo  dubbio.     Irretito,  intrigato.     97.   li  e- 

quievi,    parola   latina.    99.    ti  uè  sii  —  /  i  e  l' i  la  sfera 

dell'  aria  e  del   fuoco.    r=     1(12.  Deliro,  che  vaneggia.  : 

101.  (Questo,  ordine.  r=^  106.  (^  u  i,  in  questo  ordine.  Alte, 
dotate  di  ragione.  : —  107.  ^'.z  io  re,  virtii ,  sapienza  e  po- 
tenza.    : 109.  Accline,  inclinate,  propense.     Orazio  sat. 

2,2.      rr=      110.  Sorti,  ((ualità  sorlile.       z=       112.   Forti, 

lini.     : 115.   Questi,  questo  naturale  istinto.      IIU. 

Mortali,  animali.  P  e  r  in  o  t  o  r  e  (  s'i ,  non  promotore), 
eccitatore,  che  desta.      r=r      117.  Stringe  ed  aduna,  fa 

che  gravitino  al  centro  comune.      119.   Arco,   inelafur. 

ordine.     121.  Assetta,  ordina.      =rr      r22.   (Quieto, 

contento,  pago.      : 123.   <i  u  e  l  ecc.  il  cielo  empìreo.       r== 

124.  Li,  all'  empireo.  =—.  V.W  g.  Che  ha  ecc.  L'  arbitrio 
lìbero  abusato  è  resistenza  fatta  al  divino  istinto.  rrr—  133. 
F,  s  I  —  nube.  Torelli  lesse  queste  parole  come  in  parentesi. 
('adcre,  laddove  dovrebbe  salire.  . —  131.  Ao  impeto 
primo,  V  istinto  divino.  =z  \'.\\.  Variano  ì  riidd.  e  1  edi- 
zioni leggendo  a  terra  è  torto;  la  terra  torta:  la 
terra  ha  torto;  la  terra  torce;  i '  aere  ha  torto; 
la  terra  ha  tolto;  /  '  atterra,  tocca;  l'atterra 
torlo.  .'Vdoltamo  1'  ultima  de'  migliori  codd.  semplice  e  chiara. 
fj  a  la  creatura.  .Iti  erra,  la  stringe,  attacca  alla  terra, 
strascina  a  terra.  Torlo,  pervertilo,  sviato,  r-  1:I9.  M  a- 
r  a  V  i  g  I  i  a ,  ami.  z^r:  140.  /  m  p  r./i  «i  «■  ;i  f  o,  alTetli  terreni. 
r-7-:  141.  Co  ;«  e  n  terra.  Miri  :  e  o  in  r  t  e  r  r  a  q  u  i  e  t  a  ò 
in.  I  codd.  bart.  e  11.  hanno:  come  muterà,  a  materia, 
cioè  un  pezzo  dì  materia  ,  .loiiile  agevolmente  si  deducono 
le  ali  re  lezioni  tutte  i|uanle,  che  sono  chiuse.  .Xdutlammu  duu- 
i|ue  questa. 


COMRNTO  SULLA   DIVINA    COMMEDIA. 


viani  col  postillatore    del  cod.  amlir.  spiegandola  quasi  bo-ì 
b  US  fulcitus.  Anzi  bifolco  è  il  Ialino  b  ubulcus,  colui 
che   caccia,   spigne,   conduce   buoi,    da   tA/cu  ,   t/.ata,  i?.o:vrw.\ 

19  —  2i.  La  concreata  ecc.  1'  istinto  innato  dell'  or- i 

dine,  e  del  lume  divino,  v.  1,  103  ss.  118.  ss.  Fedele  com- j 
piere  il  suo  giro  in  24  ore._  ==_  2'i.  Tanto  tempo.  Poso,] 
nello  scopo  ;  dunque  per  sincliisi  è  posto  fuor  d'  ordine.  r=r  1 
24.  Aoce,  osso  o  nocchia  della  balestra  ,  dove  s'  appicca  lai 
corda,  quando  si  carica,  o  dove  il  quadrello  si  pone.  Affine  ai 
nuca,  air  ingl.  nock ,  notch,  a'  ttd.  Aacken,  Ecke ,  Anke ^\ 
jrinhel  ,  gr.  ayzcm,  lat.  uncus,  angulus  ,  Questa  similita- 
dine  presa  dall'  arco  T  ama  D.  v.  Pg.  ;n,  b.  Par.  1,  121  — l/T. 
131».  r=  26.  Quella  Ueatrice.  =  27.  A  cura,  curiosila, 
preferiamo  opra,  che  sarebbe  atto.  r:^30.  Prima  stella, 

luna.  A  e  h  a  e  on  g  iunl  i ,    ci   ha  falli  giugnere.      32. 

So  li  d  a^  soda..  =  31.  La  —  margherita,  o  perla,  la 
luna.  =  3J.  il  ice  j)  e  ,  riceve.  29,  137.  ^=  'i9.  Di  me  li- 
si on.  estensione,  corpo.  Patio,  sofferse,  ammise.    3!). 

li  I  p  e  .   voce  latina,    entra  lentamente.      43.  //ì,  nella 

divina  essenza.  ==■  45.  f  e  r  primo,  vero  originale,  eh'  è 
propriamente  oggetto  delia  fede,    zm    47.  Lui,  dio.   =:  48. 

Ji  i  in  ut  0  ,  rimosso.   ==   49.  Segni  bui,  macchie  nere.  : 

ól.  Fan  ecc.  Inf.  20,  125.  =:=  Sii.  Ammirazione,  mera- 
viglia. Fi'u  (lezione  bartol.)  di  più,  invece  delia  comune  poi 
per  poiché.  Pg.    10,    1.   Dietro,   ecc.  la  ragione  non  intende 

guari  più  di  quel  che  le  manifestano  i  sensi.      59.   Qua 

*u,  nella  luna.  Diverso,  lucente  e  oscuro.  : — :  61.  Corpi, 
ond'  è  composto.    Raffr.  Conv.  'i ,    14.      : —      (iS.  A  v  ver  no, 

opposto.      64.   La  spera  ottava,  il  cielo  delle  stelle 

fisse.    65.  iV'e/  9  u  a/ e  ,  nella  qualità.     Nel   quanto, 

nella  quantità.  =  67.  li  aro,  rarità.  Denso,  densità. 
7'an  to,  soltanto,  solamente.  =  68.  f  ir  t  ù  influssiva  ,  in- 
lluenza.  =  ^9.  A  1 1  r et  t  ant  o^  egualmente.  =  71 
Pr  ine  ipj  f  or  m  al  i ,  forme  sostanziali,  cagioni  intrinseche 
diverf^e,  costituenti  le  varie  specie  e  virtù  de'  corpi.  =3-  72. 
A  tua  ragion^  secondo  te.  Seguiteriano  distrutti 
verrebbero  distrutti.  Questa  opinione  è  conseguenza  del  gene- 
rale sistema  di  D.  Pg.  4,  62.  Par.  9,  6.  Couv,  3,  14,  =  74.  2ii 
parte  alcuna  della  sua  estensione.  =:  75.  Di  giano. 
scarso,  mancante.  =:  76.  E  sto  pianeta,  la  luna.  C  a  n - 
gerebbe  carte,  ammucchierebbe  strati  densi  e  rari.  :^= 
■ji)  s  e  _/o  ss  e,  se  il  «orpo  lunare  fosse  raro  dall'  una  all' 
altra  superficie.  =  W).  j\  e  l  T  e  e  e  l  i  s  si,  quando  la  luna 
è  sotto  al  sole. bl.  Ing  e  s  t  o  ,  introine.^so.  Raro,  corpo. 

ta.Delloaltro   membro    della   disgiuntiva.    Cassi, 

annulli.    85.  l' rapassi   da  banda  a  banda.  87.  Lo 

tuo  contrario,  il  denso.  Passar  il  lume.  88.  Al- 
trui da  altro  corpo  lucido,  li  if  onde  ,  ribatta.  ; —  9^. 
^jju  i  i'/,  nella  luna.  =  93.  i<  j/r  a  tt  0,  ribattuto.  Pg.  15, 
22.  Pia  a  retro  in  parte  più  dalla  superiicie  risguardaute  il 

sole  rimota.    94.  Instanzia,  il  replicare  alla  risposta 

data  all'  obbiezione,  perseveranza  nel  domandare  e  nell'  argo- 
mentare.    =     99.  Kit  rovi,  si  presenti.     ; 100.  Dopo 

il  dosso,  dietro  alla  schiena.  =z  101.  ^J  e  r  e  n  d  a,  illu- 
mini.            103.    Nel   quanto^  nella   grandezza.   Tanto 

(jnanto  le  vicine.  ^=  104.  t'ista,  oggetto.  L'i  in  questo 
sperimento.      =      109.  Rima  so  nudo  e  spogliato  d'  errore. 

HO.  J  nf  ormar,  illuminare.    =    111.    Tremolerà, 

scintillerà.    r=     112.  C  t  e /—;> oc  e,  empireo.  Conv.  f.  88.  ^= 

113.   in  corpo,  la  nona  spera,  il  primo  mobile.      114. 

Colf  en  to,  contenuto.  Inf.  2,  77.  =  115.  io  e/ e/  s  e - 
guente,  V  ottavo  delle  stelle  fisse,  r^  116.  Parte,  scom- 
jiartisce.  =  lì^.  Li  a  1 1  r  i  g  ir  on  ,  i  sette  cicli  inferiori 
("onv.  2,    4.  Per   varie  difjerenze,  in  modi  differenti  v 

varj.      119._i>is  t  i  n  -  i  o  n  ,  virtù  date  loro.     120. 

Dispongono,  impiegano,  dislribuiacono.  121.  Organi 

(un  msc.  estense  ha.  ordini)  del  inondo,  cieli,  che  sono 
come  le  membra  e  gli  orgiini  del  mondo.  =  123.  Di  su 
ognuno  dal  suo  cielo  superiore.  Disotto  nell'  inferiore. 
Panno,  operano,  agiscono.  :r— :  125.  Laco  invece  di  loco, 
lezione  del  cod.  glenberviano,  sembra  più  squisitamente  qua- 
drare al  tener  lo  guado,  vincere  fìlosofaudu  1'  errore.  

127  6'i  ri  .  sfere,  cieli.  =  l'À'ò.  Reati  motori,  angeli. 
Conv.  f.  leu.  Spiri,  esca.  =  130.  i/  et  e/  ecc.  delle 
stelle  finse.  =r^.  131.  Mente,  angelo,  intelligenza  motrice 
della  propria  sfera.  Secondo  i  Platonici  1'  anima  del  mondo. 
r=:     133.  Polve,  corpo.    ==    135    Potenzie,  come  quelle 

di  vedere,  udire  ecc.  Si  risolve,  si  scomparte.     136. 

La  inte  II  ig  e  nzia   m()trice.      =      138.    Girando   ecc. 

continuando  nella  sua  unità.     140.  C/i'   eli'   avviva, 

lez.  niilobeat.  approvata  dal  Torelli,    e  Perazzini.      143. 

Per  li)  corpo  luce,  tralure,  traspare.    La  conclunità  delle 

membra  chleile  questa  «posizione  ed  intcrpuuziuue.     ila. 

liuatù,  virtù,  energia.     Turbo,  torbido. 


le  note  apposte,  0  sottoposte  al  testo.  =:  15.  Men  forti 
dì  parercbi  mas.,  invece  di  tosto,  corrisponde  meglio  al  ' 
bili,  quantun'iue  a  dinotare  la  debolezza  o  iiaccliezza 
contorni  convenga  non  meno  il  lardi  presentarsi  o  distingui  _ 
si  di  essi.  ==  17.  L'  errore  di  D.  fu,  che  le  vere  sost'anàé 
l'ossero  specchiate;  quel  di  Aarrisso,  che  la  spicchiata  tosse 
sostanza.  =  26.  Coto,  pensiero.  Inf.  31  ,  77.  =  2T, 
Poi,  poiché.  Pg.  10,  1  =^=  'iS.  Rivolvi  —  suoli  sodo 
più  naturali  e  schietti,  che  rivolve  —  suole,  poiché 
mori\olve,   rivolge   il   piede    (come  33.    torcer    i  piedi), 

non  già  il  piede  1'  uomo.    32.  La —  luce,   idJio.     =; 

36.  Smaga.    Inf.  25,  116.      =      37.  Ren  creato,    heato, 

=r=    40.  Grazioso,  gradevole.     43.    Se   non    come 

quella,  non  dissimile  alla  divina.    45.  Corte,  cortei 

gio_  famiglia.      =^=      46.   f  ergine   sorella,    monaca 
S.  Chiara.    =zr    47.  E  se  —  si  riguarda,  se  tu  ti  rechi 
mente  ;  se  ti  rammenti.     Lezione  de'  migliori  coild.  anticbissl 
mi.      =      49.  i^j  ccarrfa.    Pg.  24,10.      Inf.  l,j.      :=:     ali 
Spera  piii  tarda,    luna  ,  perchè  più  distante    dall'    emof 

reo,  secondo  Tolomeo.    54.  Letiziali,    godono,  si  ralU 

grano.    9  ,  70.     Dal  — formati   della    forma  e  dell'  ordì 

di  questo  regno.    55.  O  i  ii  ,    bassa.    57.   Ioti, 

osservati.      60.    Concetti,   immagini   concepute  nell 

fantasìa.    61.  Festino,  sollecito,  presto.     : 63.  i 

tino,  agevole,  facile.  Conv.  f.  106.  Giov.  Tillani  11,  '1 
\ei  secoli  1:5  e  14  latino  era  italiano,  dunque  nolo  e  faci 
d,v  trattarsi ,  qual  lingua  natia,    z^      69.  Primo  foco,   i 

dio.    : 70.  Quieta,  accheta.     T'irtii   di  e.  è  il  sogg 

to,    o  nominativo,    come   la   n.    voi.  1'  accusativo,    z — 
Asseta,  fa  sitibondi,  de-idernsì.     75.  Cerne,   separi 

76.  Che,  la  qual    di.■^cordia  di  desiri.      79.  Formai 

essenziale.  Esse,  essere.    =:=    82.  Soglia,  cielo.    == 
E  se,  come  nel  Petrarca,  o  e  s  j  è  il  lat.  et  si,  benché 
92.  Gola,  appetito.    =    95  s.  La  tela  —  spola,  il   voi 
eh'  ella  non  comp'i.      Co,   capo.    Inf.  20,  76.  Pg.  3,  128.      =d 

97.  Inciela,  alloga  nel  cielo.     : 9t!.  Donna  S.   Chiara 

=    101.  Sposo,  Cristo.    =    103.  Seguirla,  S.  Chiari 

106.   A  mal    ecc.     Donati,   comunemente   appellati  Ma 

lefammi  v.  Giov.   ì Ulani  crnu.  8,  38.     108.  Fusi,  si  fd 

Accenna  con  queste  parole   che    il    di    lei    animo  e  volere  U9ì° 

erano  alienali  dal  suo  voto.    : 133.  Sorella,  m(maca.  411 

— r  117.   !'  el  del  cor,  amor  della  vita  monacale.     118 

Costanza,  figlia  di  Ruggieri,  re  di  Puglia  e  di  Sicilia,  fati 
tasi  monaca  in  "Palermo,  poi  per  forza  moglie  ad  .\rrìgo  V 
imperatore  sue\  o  ,  ligliuol  ili  Federigo  Barbarossa.  - —  119 
Tento,  snperbìa,  superbo,  quai  furono.  Altri  In  prendon> 
pervenuto,  come  co  n  t  e  n  t  0  per  contenuto.  Parenti  prò 
pone  vanto,  onore,  gloria,  pregio.  Soave,  Soavia,  Svo 
via.  ^=  120.  La  — 71  y  s  s  o  n  s  o  ,  Federigo  IJL  =  titt 
Segno,  scopo,  Beatrice. 


Canto    IV^ 


1.  Moventi  V  appetito. 
dì  lupi,  bramosi  lupi.    =r 


4.  Si  imiBobile,    Brnm 

6.  Dame,  daini.   H.  Duh 


A    1»    T    0 


III. 


1.  Qu«/  tol,  Rcatrice.  =r-  6.  Prof/e  re  r,  proferire. 
A'rto,  eretto,  dritto.  =  13.  Po  «  1 1// e  ,  lineamenti,  ira- 
uiagiai,  figure  delle  cose  specchiate.    La  metafora  è  presa  dal- 


bj,  due.  V.  19  ss.    — -    13.  Ondeggiano  gli  editori  tra /essi 
/«'  ,s  / ,  e  fé'  si.  Adottammo  1'  ultima  lezione,  che,    a  parai 
nostro,  potrebbesi  cambiare  senza  rimorso  colla  l'rima,  seco 
do  che   uno    giudichi   più   antica    questa  ortografia,  o  quellt 
lo    che   sarebbe  quìstiune  più   difficile  da   solversi,  che  seij 
trattasse  di  semplicità.    Quel  si  è  riempitivo,   come  spessissi  |, 
me  volle  (v.  3,  108.  e  Cinonio  osaerv.  f.  351.)  ;  o  si  fece  {feti  , 
si  5,  131)  vale  divenne,  si  mostrii,    fu;    dove  poi    qual   co([ 
verrebbe  meglio,    che  quando   si  leggesse  fé'   si.   Io   che  lì,'- 
chiederebbe  o  e  o  iii  e,  o  quanto.  Fé''  sé  R.  qual  se  D.,  et  ] 
me  vuol  Perazzini,  sarebbe  storto  ed  affettato  modo  di  dire.  Tutt 
(lueste  lezioni  varianti  non  cambiano  guari  il  senso,  ed  è:  f e<j  j 
li.  come  fece  I).,  indovinando  e  solvendo   i    miei  dubbj  aucoil 
che    non    profferiti   da   me,   come   D.   indovinando   il  sogno  <i 
i\abbucco,  che  se  n'  era  dimenticato,  interpreti),  v.  Dan.  1,  ;! 

15.    Felle,    perchè   uvea,    condannato   gì'    indovini 

morte.  =  17.  C«  r  a  dubbio.  ^^  21.  />i  m  p  r  if  a  r,  di 
merito.  r=  'H.  Platone,  nel  Timeo.  Agostino  C.  D.  U 
W.  =  25.  felle,  latinismo  per  volere,  volontà.  =3 
26.  Fontano,  puntano,  pungono.  rr=  27.  Felle,  fek 
fiele,  veleno,  falsità.  =  28.  .S'  india,  a'  interna  in  di« 
come  infù/arsi",  indaarsi ,  intiiarsi  iinniiarsi  ecc.  =  31 
Scan/i  i,  Hcdi,  dimora.  rr=  36  // o  e  te  r  n  0  «;nr  0  ,  l'ali 
to  di  dio,  la  forza  e  grazia  sortita.  r=  37.  Si  iiiostran 
non  sono  essenzialmente.  Raffr  3,  17  s.  :=  39.  Cele» 
Hai  spera.  Che  —  salita,  più  bassa,  rrrr  41.  Sensatf 
obbietto  sen.4ihile.  r=r  4H.  // 0  a  <  t  r  o  ,  Raffaello.  ==  4| 
Tim<v,  filosofo  di  Locri,  e  tìtolo   d'    un    dialogo   platonict 

53.  ]}ecisa,  giù  cailula.  Latinismo'     58  s.   ToT 

nare  —  biasi»  0  clic  gli  alti  umani,  che  seguono  le  passioo 
sieno  causati  dal  cielo  e  dalle  slclle  giranti.  =  61.  Prin 
e  »■;)  j  0  ,  massima.  Torse,  all'idolatria.  rr:r  C3.  Ao/ni 
n  or,  come  dei.  Perazzini  ingegnosamente  propone  ji  1/ mi 
jiar,cioè  far  dei,  deificare;  che  ad  esser  vero  e  dauteM 
vorrebbe  «ul  uu  cod.     =    {ìì.  L'  altra  dub.  v.  19  ta.  zS 


p 


COMENTO   SULLA    DIVINA    COMMEDIA. 


/-•a   771  e      dalli    dottrina  teologica.      ===      67.  A  os  fra,    quanto  torlo.     =    32.  Sac  r  o  s  ar,  t  o  s  e  s  n  o     1'  an-.ila    

iii.i.  rrr-  OH.  E— n  (;  q  u  iz  i  a  y.ufhe  r.ì  porta  ad  animet-  :».  Chi  '/  si  appr.,  il  Ghibellino.  Chi  —  on,\<,n'p~n 
.un  altra  vita  a  iii.unzi;ire  ali  acrotgimento,  alla  ro-  Guelfo.  Vorrebbe  I).  che  tutti  fossero  imperiali  ~  Hi  H„  I 
i.nme  rassegnandoci  alla  lei  c.^i3i'«  te,  patisce,  soffre,  /ante.  Virg.  En.  8-10.  =  37.  ,J  l  ó  a  Lun-ITr.'.bi.ricaia 
r.  J),  .Jl.  ==  'i.  Scunate,  perche  non  vinlentate  \era-  ila  Ascanio,  li^rlio  d'  Enea.  =r-  38.  /  trf  Orazi  li  t  r  " 
""^'  .  F^,    'ti-  ■»  t  aw  ni  or  za,  ce-sa ,  s    accheta.    r=:    77.  i  Curiazj  ;  quelli  llomani ,  questi  Albani.    =    iO.  S  nò  i  n  e  ra- 


cioè  8'  oppone,  ricalcitra.  : —  78.  Forza,  torca,  agili, 
iiif:;i.     rrrr    Hi.  R  if  u  g  g  i  r  n  e  l    s  a  ti  /  o  /  o  e  o  (lezione  an- 
i  ili  parecchi  codd.)  tornare  al  monastero.  r=r  81.  Intero, 
-laute  e  godo.   rz=    83.  Lorenzo  il  santo.  Grada,  grati- 
li-     =      84.    Muzio    Srevola  ,  che  piini  col  fuoco  la  sua 

^iri,  per  non  avere  trucidalo  Porsenna.       8().  Come, 

liìi'ichc.      =      93.    Pria  che.  Cinon.  in2 ,  10.       =       94. 
I'  1 1  a  mente  messo  3  ,  41  ss.    j=    99.  Ella,    Plccarda 

~   11)1.  Grato,  (grado  l'g.  'Iti,  52)  piacere,  inclinazione.  

!.     Ilmeone.    Pg.  12,ao.     rr=     ìiib.fietà,    amor  lilialp. 
ili.  Met.  9,  409.      =      108.  0/fp  n  s  e,  offese.     ^=      109. 

w,  /  u  t  a  ,  intera,  ferina.     115.   0  n  d  e  g  g  i  a  r  ,  mf:t?iL 

Il  ire.  Inf.  i,  79.  118.  Amanza,  donna  auiata.  Primo 

n  II  ti  t  e ,  dio.    r.£l.  La  voce  tuia    del    cod.  bart.  e  fi. 

1    l'ili  naturale  e  conveniente,  ciie  /'  af  fé  zion.    Piti. 

ili  7  zia,  diffonde,  spande.  5,  118.    =t    127.   Lustra,  tana. 
N  ile.  Latina  parola.     Plauto    Asiu.    2 ,1  3 ,    28.    :=130.  i'pr 


pite.  =r  41.  Brenna,  capitan  generale  ile'  Galli  lenoni 
ri>pinlo  da  Furio  Carauiillo.  Pirro,  re  degli  Epiroti,  nemico 
acerrimo  de'  Romani.  =r  45.  Collegi,  colleghi,  confede- 
ra li.  .Wonti  Prop.  1,  2.  I(i8.  =r  4'j.  Torquato,  Tito  Man- 
lio T. ,  che  fece  battere  con  verghe  e  decap'lare  il  suo  pro- 
prio tiglio  disubbidiente.  Quintìo  Cincinnato.  6  ^' i-.  3  ,  26. 
Cirro  capello  torto.  =z  47.  /  Deci,  tre  Romani,  padre^ 
liglio  e  nipote,  che  rimasero  uccidi  cacciandosi  a  jiro  della 
patria  nel  mezzo  de'  nemici  /  Fabi,  princi|ialmeiite  Q.  F.i- 
bio  Massimo.  =  48.  Mirro,  miro,  aininiro.  Ma  Munii 
Prop.  3,  1.  132  9.  Io  prende  per  condire  di  niirr.i,  più  poetica- 
mente. r=  49.  Arabi,  Cartaginesi,  da  Ifrico  ,  re  d'  Ara- 
bia felice.  =z  hi.  Le  —  rocce,  V  Alpi.  Labi,  caschi.  U.iT 
lat.  laberis.  =r=  53.  Scipione  Alfricaiio  ,  vittore  d'  Anni- 
bale. Colle,  Fiesole  posta  sul  colle  sopra  Firenze.  =r  54. 
Parve  a  maro  pel  trionfo.  =  55.  2'u  t  fo  si  riferisce  a 
lo  mondo,  l'aria  della  nascita  di  Cristo.     57.  Cesare 


'.^'.f";.,P^'^'"-      7;=      ^■^''-  ^' "',{"',  •■:'"'=*'    altezza.  Inf.  22,  I  Giulio.  1 1  t  0  1 1  e  Ui  piglia  e  porta  contro  agli    Svizzeri  e  Tr- 


i.  23,  43.  rrrr     133.  Questo,  quello  spignerci  che  fa  natura. 
=    137.  Manchi,  non  adempiuti.  Staterà  più  originaria 

rma,che    stadera,    /"a  r  y  i  ,  piccioli.     Hl.JJiedi 

reni,  uon  ardii  affrontarla. 


deschi.  =r  58.  Faro,  liuiiie  tra  Francia  ed  Italia.  =  ó'.t. 
Isara  iiume  della  Galiia.  Era,  linine  che  nasce  nel  monti; 
Vogeso,  e  mette  nel  Rodano.  Senna,  Sequana ,  liuiuc  di 
Francia,  che  passa  per  Parigi.  =  bl.  Ravenna,  città 
della  Romagna.  Sueton.  Jul.  Caes.  30.  =  b2.  Rubicone, 
tìnme  tra  Ravenna  e  Rimini  ,  termine  antico  della  (i.illia  cis- 
alpina. Salto,  trapassi).  =irr  (il.  In  ver  la  S  p.  contro  gli 
eserciti  ivi  lasciali  da  Pompeo,  sotto  M.  Petreio,   L.    Afranio, 

e  M.  \arrone.  Siieton.  J.  C.  31.      =      (i5.  Un  razzo,  ciit'i 

w„       .     .  .  .,.       ,      '•  ,'^-  ^'  '"  dal,    di    Macedonia    con    porlo.    Farsaglia,    luogo  di  ■l'rs>agli;i 

re  il.    =    (i.  .J/)j)  re. so,  miglior  lezione  che  a  p;)  re  A  so.  I  dove    Giulio     C.    diede    la    gran    rott.i  all'  esercito  di  Pompeo 
r    9.    Tista  soia,  pure,  soltanto  vista.     Piii  Iredda  seni-    =      1,7.    Anlandro,    città    marìlìnia    della    Fiigia  minore, 

iT,n.wn..i..  17     ,i„„jg  [,;„j.a  fece  vela  per  venire  in  Italia.   Simo  e  n  t  a,  fiume 

presso  Troja,,  nato  nel  monte    Ida 


C    A    X    T    O       V. 

1.  Fiammeggio,  splendo,  sfavillo,  n^  2.  Vi  l à  dal. 


i  la  lezione  l'i  sta.     U.  Manco,  mancante.    : — :    17, 

le  zza,  tronca,    interrompe.    =z     18.  Processo,   segui- 

nento  di  parlare.  29.  Fesse,  facesse.  =r=  29.  ('luesto 

soro,  la  libertà  della  volontà.  30.  Tal,  tanto  pre- 
so.           33.    Mal  to  II  el  t  0  ,  o  in  aitali  etto  equivale 

'allette  danno  se.  Inf.  U  ,  3ii.  dal  lat.  barh.  malatolta, 

//la/tt/te,  rapina,  estorsione.     Lavoro,    opra.      r=:r      39. 

isjien  s  a  ,  digestione.    41.  Fa,    iirodiico,   cosiitiiìsce. 

■:  41.  (Quella  di  che,  la  miileria  (52j.  Con  vene  nz  a, 
ivcnziune,  patto;  la  forma  del  \  oto.  — — •  48.  IJ  i  sopra 
—  33.    =z    53.  Falla,  fallisca,  erri.     =-    Sii  s.   Senza 

ecc.  senza  1'  antorilà  della  chiesa.  Raffr.  Pg.    9,    118.     

Dimessa,  mcisa  da  parte,  lasciata.  Sorpresa,  sopra 
!Ka  ,  presa  sopra  la  cos.i  dimessa,  sostituita.    (iO.  i\  o  n 

accolla,  contenuta,  non  è  più  eccellente.  :^b3.  Spesa, 
Bra      r-rr     li4.  Ci  a /»  e  /  a  ,  bella.       r^r       Ii5.   /ii  f  e  i  ,  loschi, 

ii>ider;iti.     . :     bti.  Jeple.  {Jiuilic.  11.   Mancia,  regalo, 

erta.  Int.  31,  5.     r=:T    (jH.  Servando,  os.^ervando.  (i9. 

)  —  Greci,  Agamennone,  rrrrr  72.  Cullo,  culto,  vene- 
;ione.  — —  79.  Grida,  insinua.  rz=  83.  Lascivo, 
pò,  esultanlc.  Monti  Prop.  3,  1.  18  s«.  rr=r  87.  A  quella 
■  ■  t-H.   Ta- 


;.  alla  parte  orientale,    o  pliutoslo  all'  insù. 

re,  non  piacere,  vogliono  a  ragione  i  codd.  ottimi.    

Secondo  regno,  s.  cielo  di  .Mercurio.  Coiiv.  2,  4.    =r 

Come,  allorché.     =     101.   Traggono,  accorrono.  

Splendori,  anime  risplendenti      =i      1(1(1.  Si  come, 

litochù.      r=:       111.  Cari  zia,  carestia,    pi'i\'azione.      r^ 

Li   troni,    gli   angeli  terminanli  la  terza  gerarchia.  28, 

: 117.  Milizia,  terra,  vita  mondana  militante.  = 

Lume  d'  amore.     Spazia,  1,   I2(i.     rtr-     125.    Ti   on- 
di, ti  riposi    in   pace.      :r-^      12(i.   Per  che,  pei  quali.  Ei 
occhi    del  beato.    Corruscati,    lezione    approvata    aiicni 
Torelli.      :-r:      127.   ./^^' i,  abbia.       =—       Ì.U.   Stessi, 
san.     rr— :     liUi.   Haiti,  del  cod.  bari,  pili  raro,  come  »iiigo 
e  del    plurale    reti,    radi! ,    raggi,    dal    provenzale  ru  i,  1' 

ittanimo.  138.  Chiusa  chiusa,  tutto  chiusa,  affatto 

u»a. 


Canto     VI. 

2.  Cantra  —  cìct ,  da  occidenti!  in    nriontc,    in    Hi/.in- 

r  imperiai  sede  trasportando.   C/i'  ella  V  aquila;  lezioni 

nutiirale  di  r/i  e  i  n.     zr-      3.    Antico,    iMiia.      ToIhc, 

iHÌ).      . —     .^.     t\ello  —   Eur.,    in    lli>-aii/.io.    Passii  Cosl.in 

Il  da  lliima  a  KlNanzio  nel  321.    Dire  dunque  203  prima  deli 

lero  di  (iiiixtiniano.   : —    9.    Mia,  m.iiio      . Il     Primo 

«or,  xpìrilo  nanto.   Inf.  3,  (i.     r  -      12.    Trassi,  levai.  rr= 

Opra,  riforma  delle  leggi.  --  U  Ina  natura  ecc. 
rore    degli    Ai'ufali ,    dire    Pietro    D.iiite  ,  o  d'   Kiiliche.     :_— 

Ili  drizzo  lez.  nldolMMlina  lii^piiiiili'iiie  ad   Fiilrop.     JHlor. 

ad  cathiilicae  Jidci  ciiifcs^iiincm  reiif-Him  mi.  . —  19. 
'.ione  b.ill.  c.ii't.  e  gleub.  !  —  2).  li  e  1 1  ì  s  a  r  .  nipoti!  di 
isliiiìano,  capilann  contro  a'  (ioli.  : —  2J.  l'osarmi, 
nneiie  ni^ll.i  mia  regia.  ::;=  28.  Qnistinn  prinin,  n,  127. 
a/)  ji  u /i  <  a  ,  HI  termina.    —  •'<!     Cu  fi  —  ragione,   con, 


b8.  Si  e  u  /)  a  , 
epolto.  =r  b9.  T  o  l  o  m  ni  e  n  ,  re  d'  Egitto,  il  quale  «pogliii 
del  regno,  dandolo  a  Cleopatra.  =r  70.  Lezione  bartol., 
caet,  e  glenbtrv.  seiiz' altro  più  elegante  che  da  onde  venne. 
Giuba,  re  della  Mauritania  iielT  .Mirica,  die,  fauiore  di 
Pompeo,  ma  violo  da  Cesare,  s'  uccìse,  r^  72.  Sei  —  «ic- 
ridente,  la  Spagna.  72.  Dove  —  tuba,  dove  accam- 
pava il  ponipejano  esercito,  prisso  .Monda,  città  dilla  Spagna, 
dove  Ces.  vinse  Labieno  e  i  due  figliuoli  di  Pompeo  r:^  7;J. 
Fé'  r  insegna  imperiale.  Hajufo,  portitor,  gonfaloniere, 
Ottaviano  .Vugusto.  Il  vocabolo  è  dai  ted.  barcn  ,  fahren  ,  gr. 
(pcjsiv ,  lat.  /erre,  giusta  la  permutazione  delle  labiali,  e 
della  r  con  j  [calzo  lajo,  notajo)    nota   assai    ai    pratici. 

74.  Bruto  con  Cassio,  che  di-^perat.iinente  si  diedero 

la  morte.  Latra,  atti  stano  e  fanno  fede;  come  abbnjare. 
Inf.  7,  13.  =-  75.  M  ottona  e  l'era  già  per  le  stragi  falle 
da  .Xngiislo  conira  .M.  .Viitonio  pre>so  la  prima;  e  conira  I.. 
\nnio,  fratello  di  Mnrco,  assediato  e  prcM»  prigioniere  di 
guerra  nella  seconda.  Invece  di  /u,  che  meu  quadra  a  latra, 

I  llocc. ,  i  codd    bart  ,    caet.  e  glenberv.  hanno  /e.       ; 7o. 

Pian  gene.  Il  cod.  bart.  ha  p  i  a  n  s  e  n  e  ,  dove  ancor  sa- 
rebbe eziandio,  pure.  = —  77.  Colubro,  aspide,  ser|.eiite.  r^ 
77.  .lira,  atroce,  rr^  79.  Costui,  .Viigusto.  Lilo  rubrn, 
mare  rosso  in  F.giltn.  r:=r  81.  Delubro,  tempio.  r=  M. 
Prima  e  poi  del  terzo  ('esare,  Tiberio.  =r^  »-8.  Giusti- 
zia, di  dio.  Far  vendetta,  soddislare,  iiiinire  il  peccato 
d'  Adamo  colla  crocili.--iiiiie  di  G.  C.  =:r  92.  Far  v  i  n  il  e  1 1  a 
colla  distruzione  di  (ierusaleinnic.  rr—  93.  /  e  n  il  e  t  t  a,  ero 
'■ili»sioiic.  r^-  !i8.  Di  sopra,  v.  33.  ^^  100.  Lo  ano, 
Culo  II,  (Jiielfo,  re  di  P.igli.i  ,  ililla  ca>a  dì  l''rancia.  l'c. 
Hi,  (i7.  ,  Il  secondo  altri  (^irlo  I  d  Anciii  ,  che  venne  in  Italia 
11(1  1301.  z^=  101.  V"  ci,  il  segno  pubblico.  . —  102.  Forti, 
ililficile.  : — -  108.  Lcfu,  uomo  polente.  Monti  Prop.  3,  I. 
.!5  s.  Trasse  rio  r  e  /  io  ,  dipi  larono  = —  112.  Picei  ola 
«  tr//n  ,  Mercurio.  Conv.  2,  11.  rrn:  114.  /..  i  ,  accii'<ali' n 
alla  latina:  cos  sequatur.  l — ■  115.  Poggia  n,  a  innal- 
zano. :^ —  Uh.  G  II  g  z  i  ,  pag.inieiili  ,  riroinpeii.»e  ,  prcmj. 
Dal  fr.  giigis.  =  120.  Maggi,  muggioii.  r-  121.  Iddnt- 
ri«  e  e,  appaga,  i —  121.  Diverge,  altee  bj>i-i-.  Dolci 
note,   cauli    arinonìnsi.       : —       125.    Scanni,    allnpainenli, 

—  127.  .1/n  r  ,ir /i  cri  f  n  ,  Merrorio  ri>p'eiulente  rr=r  I2f. 
Iloini'o,  pelligriiio,  clic  loriiatido  dal  Marcio  di  san  Gi.icomo 
ili  Galizia,  capilìi  in  Proven/.i,  ed  acconciii«-i  in  casa  del  conio 
lievliiii;bìeii ,  di  cui  inaneirgiii  «d  aniiiei  lii  M  beiu-  1'  iinrale, 
che  fu  cagione,  che  qiialiro  figlinole  del  ionie  >i  iniiriia>»eri> 
a  «inaltro  re,  uno  di  !'"r  inci.i  ,  Luìl'i  I\,  poi  santo;  1"  alleo 
Carlo  1  >r  Anuio,  re  di  Pnt'lin  ,  il  n  r/o  Arriuii  ,  re  d'  Ingliil- 
tirra;  il  qmrlo  Riccardo,  ie  de'  Rniiiani.  Coliinniilo  inlniilo 
da'  li.iroiii  di, VI  Ite  rendi  re  ragione  ilc'l'  Hininii>i«lr.i/i>iiu' .  lo 
che  l'alto  pilli  ma  Imeni  e  e  con  un. ne,  congedio>--i  povero  e  v  ecchio, 

II  HO>tciilM««i  ineiiiliraiido  —  L'IO.  Provenzali  tic.  Il  ri-irgl- 
iiieiilo  di  l'irlo  d  \iviii  (ere  molti  «riiiileni',  ne  il  c.ir  Iteri  ••  l'-u- 
le,  linper  oso  e  pronlo  di  lui  diedi-  <icrai.ioiie  i'  l'rnv  v>f.  ili  'li  Je- 
«idvraru  il  reggimenlo  dolce  e  popolare  di    H  liaiomlii     llcilin 

\ 


COMENTO   SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 


pinVri.  Onde  la  dote  prnven  zaleVg:  20,  GÌ.  ==  136. 1?  t  pc  e, 
siili  le  ,  inique,  lui.  2J,  31.    =     111.    Fruslu,    pezzo,    boc- 


VII. 


geli.    T=r^    3.Ì.  Giro,  via.  Girare,  munverri.  Sete,  afTt-tt 

alla  divina  nbilazione.      : ;?7.   J  ot  i'pc  l'riino  verso  dell 

prima  canzone  comentala   nel    (Jnnv.    Intendendo,   con  in 

Icndiinenlo.     : 4:{.  Luce,  anima  lucente.     ::=^     41.  ln< 

della  cruscana  lezione  assurda  di''  chi  siete,  si  ha  da   Icg 

gere    o    di'    chi   sei   tu,   n    con    Uionisi    deh   chi  ni  et  e 

.    .  1-      1  11    r         I  ugualinenle  bene,    r^    Ili.    Lei,   la   luce.    Far,   tursi.    =z 

1  —  3.  Osanna  ecc.  cioè:  assistine,  santo  dio  delle  torze    4;)    fratta  cresi-iuta  in  grandezza  e   snleiidore.    l'aria     Cari 

r  virili  celesti  (degli  angeli  e  delle  stelle)  che  illustri  colla  tua    Martello,  primogenito  di  Cario  11,  il  Z.inpo  ,    nipote  di    Ciri 

chiarezza  i  luochi  (elici  di  quc.iii  regni  {ma  Icuijnt  sarebbe    j'  Aiiciìi,  fratello  di  S.  Luigi.  Madre  di  questo  (3.   M.  l'u    Ma 

la  giunta  forma  graniinalicale).  £  come  frammento  d    inno.=    ria  d'Tngheria,  lìglia  di  Slefano  V.  sorella  dì  Ladislao  IV,  re  t 

1    Ilota,  moto  circolare  della  stella,  che  segue.    La    lezione    innrberia.  re  di  ^ailoli,  e  signor  di  Provenza.  Fu  egli,  vivent 


nota  M)ii  quadra.     5.    fiso,  visto  e  udito;  che  si  rife- 

ri.-ce  al  niDtii  e   al    cauto.    Suxtanza,   spìrito,    Giustiniano.! 

li.    IJ  oppio    l  il  in  e  ,    gloria    di    legista    e  di  potente  in  ' 

armi.  S'  indila  (addua  d'  alcuni  testi  è  senza  esempio) 
addoppiasi,  accciiupagnasi ,  9'  unisce  in  due.  v.  Munti  l'rop. 
2,  1.  ^:JH.  T=  7.  ilo  s  nero,  si  mossero.  =  9.  Si  velar, 
%\  sottrassero,  scostarono.      10.  Dille,  lo  espone  colle 


suo  padre,  coronalo  re  d'  L'iigheria,  e  se  sopravvissuto  loss 
al  padre,  sarebbe  entralo  ancora  al  possesso  degli  stali  pater 
ni;  ma  (iremorto  al  padre,  vi  s'  intruse  il  fratello  Uobertt 
che  mal  governi),  f'illani  H,  12.  =r  51.  3i  a  <  guerre  e  stragi  ca 
gionate  coli'  opporsi  alla  coronazione  ed  ingrandimento  di  Ar 
rigo  VII.  l7//n;// !J,  3Sss.  ^=51.  Seta,  bozzolo  filugello. 
ili  amasti.    For^e  nell'  occasione  d'    esser   staio    due    fiat 


parole  seguenti:  alla  mia  ecc.  Stille,  parole,  che  scio-  an,i,agcialore  a  ^apoli  al  re  di  lui  padre,  ovvero  mentre  r 
-rlii.no  i  dubbj.  =  li.  Far  per  ecc.  Si  perdoni,  se  no  a]  Qar\o  Martello,  portalosì  a  Firenze,  ivi  per  più  di  20  ginn 
1). ,  al  tempo  si  questo  capriccio.  =  16.  S  o//e  ;•  s  e  e  ot  a /,  |  ^^ese  il  ritorno  di  Franria  del  medesimo  re  suo  geuiiort 
lascioinmi  in  quest  ansieià.  =  20.  Co  ?«  e  ecc.  (i ,  92  s.  =  1  /(•//„„ (■  g  ^  Hj^  __  57.  i'/ «  — /r  0  71  r/ e  ,  ancora  Irutli.  = 
21.  Fresente,  regalo,  dono.    =    2a.   /  irta  che  vuole,    g'^^  Quella    ecc.  descrive  la  l'ro\enza  spellante  allora  al  r 


volonlà.    Pg.    21,  10'5.      r=      26 
uomo.     (fuelF  uom  —  nacq 


6.    -^  *"0  projTe,  a  prò  dell' j  ,|i  \apoli.      =      bO.  .J  tempo,  dopo  la  morte  del  re  Car 

,,    ,  ,  «e,  .Adamo.     .11.   L,  nel  j  j|  Xoppo.   61.  Corno,  punta     estrema  pane.  Ausonie 

mondo    11  end.  bari,  ha  e.  =  .12.  .J//Hng^afa,   allontanata,  j  Halja  ,  Ja  Ausone,  figliuolo    d'    Ulisse.    A"    imborsa,   fas. 
=    31.   f  iso,  occhio  del  a  mente.  =  36.  Far,  solamente.    ai,itato.      =      b2.  Cotona  adottammo  con  parecchi    mss. 
57.    =    12.    fior*  e,  alllisse.    =    41.  7  n  g  ;  u  r«  ,  ingiuria,  [  [ggu  3„tjc|,i  jn^^Pg  jj  C/o  £  0  h  a   siuinla    sul     cnnliue    nordes 
ingiu-iizia.     r=    la.  Co  «  tra  1 1  a  ,  ristretta,  =  4fl    J70  rf  e  ,:  jglla  Calabria    ulteriore,    e   sudest    della    Calabria    citerionfc 
dilficile  da  capire.    ==    ol.   /  e  n  g  j  o  t  a.  Inf.  9 ,  o4.  Corte,  j  j„ve    resta   fuori   tutto    quel    trailo    di    Calabria   ulteriore,  1  «t 
giudizio.     T=    3'L  Ristretta,    angusliala.      ==      a*^-  ■»«"-    punta  della  quale  chiude  esattamente  il  corno    d'    Ausonia.    I 
putto,  nascosto.    =    59  9.  Il  —  adulto,  che  non  conosce  1  ^uej  iuog„  appunto  sull'  estremila  dell'  Italia  meridionale   er 
la  lorza  della  canta.      =      bl.  Sp  e  rn  e  ,  rigetta  ,  disdegna,  j  git^aia  fa  I  o  n  a  ,  donde  si   usciva  inori  del    regno    dì    Napo 
non  conosce;  lat.  spernit.  Livor,   manco  di  carila.    r=r    Wi.  _      ^  - 

Seni,  a   mezzo,   immediatamente.      69.  Imprenta, 

fattura.    :=    69.  Sigilla,    fornisce.    72.  Cose  nove, 

formate  e  creale,  nuove  combinazioni  di  cause  secondarie,  ori 
eìiie  d 


per  passare  in  Sicilia.  V.  ì  iviani  a  qucsio  passo,  e  gli  autoi 
da  esso  citali:  Albertino  Mu.isato  hist.  Aug.  Henrii 
VII.  1,  16.  f.  93.  Jacopo  della  Lana,  e  la  geogr.  Bla 
viana.  Amst  H)ti2.    =    (jH.   f'erde  fiume,    eh'  è  lo  stesso,  cb|i( 


r 


alterazione  e  di  corruzione.  =  ti.  Le,  alla  divina,  jj  lj^j  ^  ji  Mi„turno  ed  il  Garigliano,  il  quale  passa  per  Sor 
bontà.  =  <!•. -fco  a  r^rfor  santo  della  canta,  ifo  èrg:  «a,  e  Coprano,  e  sbocca  nel  mediterraneo.  r:=  U.  Fuleeam 
penetra  co  raggi.  r=  ili.  Tutte  queste  cose  creazione,  gcc.  già  era  coronato  re  d'  tngheria.  =  67.  T  r  j  n  a  e  r  t«|ii 
immediata  da  dio,  innorrultibilila  ,  conformità  a  dio.  À  i  a  y  -  j  j^  Sicilia,  dai  tre  promontorj  Pachino,  Peloro  e  Lilibco.  Ca 
van  tafferia,  e  arricchita,  privilegiata.  =  79  A>  ««- 1  /  ig  a  ,  sì  ricopre  di  calìgine,  di  fumo.  =  68.  Tra  —  Fé 
franca,  U  serva,  e  Ui.ssomigliante  a  dio.  Ratfr.  v.  .0  9  =z\  (^^.^^  „el  ,3(0  n,.ie„(ale  tra  Siracusa  e  Messina.  Golfo  i 
b_l.  Fer  che,   la  onde.  A  urne  suo, amore  del  sommo  bene.    Catania.     r=    70.   Tifeo,  gigante.     =r:    71.  Suoi  legittimi 


1»' 


S'  imbianca,  si  rischiara,  accende,  ìnlìamma.  =  Vi. 
fata,  evacua,  priva  di  dignilà.  if  *  e  m  yi  /  e  ,  risarcisce.  =r 
M.  Mal  dilettar,  reo  diletto.  =:rr  t-5.  Nostra  lez.  bart.  I 
come  1+2.  46.  lincee  di  vostra,  in  bocca  di  Beatrice  umana] 
già  anch'  essa  par  che  renda  ancor  più  dolci  le  di  lei  stille 
(12),  benché  dall'  altra  parte  ripugna  rilevarvi.  m^ 
hb.  Jiicovrar,  rimetlere  in  grado.     90.    Parecchi  testi 


Mi 
perchè  il  regno  dì  Puglia,  o^sta  di  >iapoli  e  di  Sicilia"era  d 
turbano  l\    concesso  a  Carlo  1  d'  Angiìi,  nonno  di  Carlo  Mai  m 
fello  per  lui  e  i  suoi  disceiideiiti   sino    in   quarta  generazion»  lit 

Villani  cr.  6,  90     72.   Kidolfo,  suocero  di  C.  M.  = 

73.    Accora,   affligge,    indispettisce,    tormenta.    Inf.  13,  8-! 

il/ontj  Prop.  1,2.     : 71.    Fai  ermo,    dov'    ebbe   principi 

'1  vespro  siciliano,  per  cui  morti  furono  tutti  i    Francesi,   eh 


hai;  grò  iV^/,  che  conviene  al  risalire,  nivece  di  guarfj,  passi    ,r„vavansi  nella  Sicilia,  conseguentemente  al  qual  fatto  s'   ili  L 

'lI9   II 

Ha  t! 


,  e  ..  no     u  ...       -''■ ••■—  ■•■  v^-^.-e"..  -.omaggio  pel  Te  suo   padre  per 

MIO  hniio  ed  imperfetto.  :=  9H.  Fer  non  ecc   suppl.  tanto,   g,,,,;  (/ ,7/a,„-  7,  121.  8,  13)  conlrasse  amicizia  con  molti  pove* 
III     corn>pond.i,za     al    quanto    del     v.     100.     Ir    giuso.    Catalani,    che   conducendoli   poi   seco   in    Italia   ed    agli    otfi«  »! 
abbassarsi;  come  ir  «uso,  innalzarsi.  =  102.  Dischiuso,    pr„,novendolì ,  posponevano  la  giustizia  al  danaro.      =      8( 
escluso.     =     I(.{    f  te,  modi  d    oprare.    Senso   biblico!     ==    gi  che  ecc.  Punge  1'  avarizia  di  Roberto  principe  odiato    da  il 
'"*•  ^"'''.'•«'..•"'''ala,  •l'.tatta,  pura.  =  ìtìj.  A  m_b  oe  due,\  Ghibellino.     =     81.  Fogna,  ponga.  Pg.  13 ,  61.      =      85 

Larga,  padre  liberale,    Carlo   II.    f Ulani  7,   94.  Forca 


con  misericordia  e  giustizia.   ■    109.    Imprenta,  imprime 

sigilla.       113.    La    una,    la  misericordia.  Lo  altro  1 

uomo.      : —      118.    Scarsi,   manchi ,  insufficienti.    120. 

!/;«  i// a  f  0  se  ,  che  nasconde  in    incarnarsi.      121. 

In  alcun  loco  v.  1)7  m.     : 130.  Sincero,  puro.  Inten- 
de I  cieli.     - — :     136.  Creato  immeiliatamcnte.  Fili,  eglino. 

139.  L''  anima,    la  potenza  sol  sensitiva  e  vegetativa. 

: 1 4".    IJ  i  e  omp  l  e  ssion   potenziata,   per  mezzo  d' 

iin.i  Hosianza  elemc 


iuflui8ce 


avara.  /1/yntt  Prop.  3,    1.  125.    =    83.    Milizia,  ministr: 

consiglieri.    87.    Ore  —  inizia,   in    questo  luogo  ,  ov 

ogni  bene  ha  origine  e  line.  z3:r  88.  f~  eg  già ,  nruovì.  rrr 
95.  Un  vero,  verità  fondamintale.  : —  96.  Terrai'' 
vero,  vedrai.  Tieni  'l  dosso  non  vedi.  Raffr.  v.  156.  = 
97.  /j  o  6  e  n  ,  iddìo,  ii  e  g:  n  o  de'  cieli.   Scandi,   sali.    Lati; 

,  ,   ,,     •    .,,      ,  ,      nisnio  !     : 98.   tolge   ner  mezzo  dell'  intelligenze.  Inf.   ì '«■ 

tare  comunicala  loro  dalle  stelle,  ja  quale   74    j.^r.  28,  78.  Con  tenta,  acchetando  il  desiderio  di  unirf{: 

76  ss.  Coiivit.  2,  4.  Fa  esser  ecc.  fa,  eh' 
cacìa  impressa  in  queste  celesti  sfere  ,  serva  iì  li 
gn  del  suo  immediato  provvedere  alle  nature  ed  indoli  dell 
lerresiri  cose,  rr^  101.  Nella  —  perfetta,  nella  menti 
divina,  in  dio.  =r=  103.  Salute,  slabililà,  e  gencralmeiit> 
proprietà  e  disposizione  atta  al  line  lor  proposto.  : —  103 
Arco  celeste  virtù.  Saetta,  induiscc.  =r  105.  Co  ai 
invece  di  cocca  (Inf.  12,  77.)  è  lezione  de'  codd.  caet.  glenberv 


iif'  suoi    roHiitiitìvi    contiene   qui    facoltà  e  potenze,  che   sono  „\h  „,„.',;ro/.    1' 

111  I     . .  m  •  .  .11  w  allclIM'IlCU.l, 

proprie  delle  delle  anime.   Tira,  trae.  =  141.    Lo  raggio  y„a  virtù     cffica 

e  il  moto,  essere   ed   azione.      =      142.  Sp  tra,  inspira,  luogo  del'suo  im 


c  A  w  T  o  mi. 


1_.  Mondo  gentile.  In,  con.  z=  2.  Ciprign  a ,  Venere,  e  bartol.  da  preferirsi,  perchè  sì  riferisce   a    quantunque 
rrrr   3    I-Epiciclo  j  cerchio  pìccolo,  il  cui  centro  è  fisso  nella  ^  ('os'i  pure  1'   Anonimo  pare  a^crlo  inteso,  spiegando:  onde  eli 

circoiiferenza  ili'I  circolo  deferente,  che  hanno  tutti  i    pianeti,  eh'  è  provveduto  si  dirizza  nel  segno  suo,  cioè  in  quello  a  chi 

eccetto  il   sole.  Conv.  f.  90.     z^=     5.   fot  ivo   grido,   pre-  è  saettato.    r=  108    .Irte  ha  pur  1'^  Anonimo,  non  arti.  =■ 

(Thierc.  =— 9.   In  grembo   a  Dido.  \  irgli.  Kn.   I.     =     10.  110.  .Wnnc/ii,di  mancante    allivìtà.      rr-       111.  Ilprim 

Costei,    Venere.      r— :      VI.    Da   coppa,   di    dietro,    qual  intelletto,    la    prima    niente,  dio.  i^e  r/r  f  t  j ,  perfezionati ,  1 

Kuppro.  />«  '.-l'^f/ io ,  davanti,  qual  Lucifero.     =—     15.  For,  fatti    siiffìcienli    all'   olficio.      =r_     112.    «S  '   imbianchi, i 

fiirsi    (Kij    K.illr.  5,  91.     z^     IH.   I',  ferma,  tieiisì  su  dì    una  schiarisca.  Il  cml.  glci  b.  invece  di  l'ero  ha  nero.   :=^r-     It| 

mila,     rrt-     16.   Lucerne,  spìriti  rilucenti.     r=r-     21.    l'iste.  Stanchi  venga  meno,  o  mauro,     rrr:     116.  Cive,  cittadini 

virtii    \ì«i»e,    vi»ii>iii.    l'.ternc.    Il    cod.    bart.  ha  i  n  t  e  rn  e  ,  Latinismo!      ^-r       UH.   /■,'«»  r  r  cive.      =       120.    Macatr'y 

iiirno   Hignilicalivamente.       — —      27.    Cominciato,  avente  Aristotele.      r=rr      123     if  n  f/ / 1- /,  cagioni  radicali.     =-r:    124 

prima  Ciiginne.     =     33.    Gioì,    gioihca.    Da   giojare ,   ralle-  So/ o  n  e ,  Icgisln.  Sarse,  guerriero.      r=r     125    Melchi\ 

grami.    =:    34.  i'r  ine  tp^,  principati ,  terzo  coro  degli  an-  a  edecA ,  sacerdote.  (Quello  ecc.   Ledalo  maccbinìsta.   Ft^ 


I 


COMENTO    SULLA    DIVINA     COMMEDIA. 


glia,  Icaro.     127.    Circular  n  at  n  ra  ,  virtù    ile'    rir- 

colanti  cieli.  =  12H.  Jrte,  utlicin.  =  129.  M  a  —  o  st  e  l  lo, 
non  bada  a  formare  d"  indole  liberale  e  ngia  quelli  ohe  iias 
cono  ili  casa  di  plebei,  e  vice  ^ersa.  :=^  l;U.  Quirino. 
Romolo.  z=  132.  Rende.,  atlribuisre.  Liv.  1,  4.  =  i:i3 
N  at  u  r  a  g  cn  e  r  at  a  ,  \\  \no(i\ìiUì.  =r  i:?5.  //  —  divino 
per  mezzo  della  virili  attribuita  alle  nle.'ii  sifere.  98  ss.  ^ 
138.  Corollario,  aggiunta  Ammanti,  tinisca  di  vestire, 
metal',  erudire.  z=  Hi.  Prova,  riu.-cila.  =  117.  Edo 
sermone,  è  nato  pel  pulpito.  Allude  al  re  Roberto,  il  quale 
nel  1315  fé'  rinnovar  le  iiiinacre  di  morte  contro  agli  esuli 
phìbelliai  da  mescer  Zaccaria  d'  Orvieto,  suo  regio  vicario  in 
Firenze.  Troìja  V.  A.  Ili  s.  r=  118.  Traccia,  andamento, 
regolamento. 

Canto    IX. 

\.  Clemenza ,  figlia  di  Carlo  Martello,  moglie  dì  Lodo- 
vico X,  re  di  Francia  ,  la  quale  visse  ancor  nel  1300.     2 

In  fc  anni,  per  1'  ingiusta  intrusione  di  Robirlo,  fratello  di 
C.  M.  ad  esclusione  de'  lìgli  d'  esso  C.  e  fratelli  di  ("lemeiiza. 
filtani  9  ,  17K.  =:=:  (j.  f  ostri,  della  vostra  prosapia,  r^ 
1.  nta,  anima.  Par.  12,  127.  M,  (j.  20,  100.  Altri  leggono 
vista,  non  male!  =  !).  E  tanto,  è  baste\ole,  sufficiente 
=r  10.  Efattur^  empie,  lezione  antica  invece  liì  fatue 
id  empie,  colla  quale  non  si  acqui.sta  guari  più  che  caco- 
fonia, rrrr  12.  Tempie,  capi,  occhi,  pensieri.  r=^  17. 
Fria  8,  40  ss.  r=  19.  Metti  compenso,  dà  soddisfa- 
iione.  =r  20.  Fammi  prova,  cerlilicaini  coli'  e.sperienza. 
n^  21.  Rifletter  in  te,  quasi  raggio  per  ispecchio  ,  co- 
nunicare.  :=  22.  Luce,  splendore,  spirito  risplendente. 
=  25.  Prava,  l'g.  (i ,  121  ss.  =:  2ti  s.  CU  e  siede  — 
Piava,  territorio  tra  i  confini  della  Marca  Tri\  igiana  ( /'(■a- 
.•  e  )  del  J'adovano  {lirenta)  e  del  ducalo  di  Venezia  (Ri- 
ti to).  28.  Colle,  sopra  del  quale  è  il  castello  di  Ro- 
llano, patria  d'  Ezzelino,  eh'  è  detto.  — r  2').  Face  Ila 
ier  tiranno,  terzo  di  tal  nome  nella  famiglia  d'  Onara  ,  conti 
li  llassano.  ==r  31.  Di  una  radice,  padre  Ezzelino  II, 
I  Monaco,  cui  il  figlio  Ezzelino  III.  (liif  12)  nemico  alrocissì 
no  della  chiesa.  Ella  ,    la  facella.      =      33.   Per  che  ecc 

ui  dedita  a  folli  amori.  V.   l!go  Foscolo  disc.  32!(  ss.    34. 

ndulgo,  perdono.  =  37.  Questa  ecc.  Folco  di  Mar- 
iglia.  Gioja,  gemina.  10,  70     r=    40.  Questo  ecc.  passe- 

a'nno  altri  cinque  Mecnli.    Incinqua,    quintuplica.     42 

lltra,  imin(<rlale  della  fama.  Prima  mortale.     43.  E, 

la.    : 41.   Tagliamento  ed  Adige,  fiumi  dello  stalo 

eneto.  r=  4).  Per,  bs'iichè.  Battuta  alflitla  da  cala- 
lità.  =  4(i.  Palude  Kaccbìglioiie ,  dove  i  l'adovniii  fu- 
ouo  rolli  (re  volte  nel  1311.  (f  Ulani  9,  14),  1314  f  Ulani. 
,  1)2)  o  1317,  e  nel  1318.  (/(//.  9,  87.)  t=  W.  Sile  e  Ca- 
nari fiumi  di  Treviffi.    irr—  50.   Tal,  Ricciardo  da('aminino, 

cciso  per  congiura,  mentre  gìuoca^a  a  scacchi,  nel  1312.  

1.  Carpir,  prendere.  Ragna,  rete.      52.    Feltro, 

itili  della  Marca  Trivigiana.  Diffalta,  mancanza,  fallo, 
elitto.  =r  53.  Pastor,  vescovo  Alessandro  (ioiiza  di  quei 
ella  casa  di  I-iissia ,  mollo  piiello,  fere  prendere  pro- 
itoriamentc  tre  Ferr.iresi  ,  Lancilotto  e  ('hiarurcio  ed  Anto- 
iolo  degli  Alighieri  Fnnlana  ,  e  li  niandii  a  l'ino  della  Tosa, 
odestà  di  Ferrara,  il  quale  li  fece  impiccar  per  la  gola,  l'roija 

A.  139  8.  =^=r  .')4.  Muli  a,  .Marta,  torre  in  ri\a  al  lago 
i  liolseiia,  in  cui  i  papi  tacevano  rinserrare  i  pesximi  cherii'i. 
i.  li  ig  oncia,  vaso  di  legno  senza  coperchio  ad  uso  di  so- 
leggiar r  uva  premuta,  rr^  58.  Cortese  ironicamente 
er  crudele.  ^—  59.  Di  parte  guelfa,  rr:—  hi  Su  nel 
■ttinio  cielo.  Troni,  'terzo  coro  degli  angeli  della  prima 
crarchia.     =     (i2.    /{/ fu /^  e ,  ridette.     r=^    (i3    Parlar, 

llzìoni.     rr— :     (i7.   L  e  l  i  -.ia  ,  anima  beata.  Folco,     r— r    (i9 

lascio  ginja  ,  gemma,  r —  70.  Ij  a  su  nel  paradiso. 
—  71.  Oiii,  in  terra.  rrrT-  71.  A"  iuluia,  entra  in  lui. 
os'i  v.  HI,  i  II  t  II  a  r  e  ,  immiare,  e  22,  127.  inleiare. 
zr:  75.  Fuja.  Iiif.  12.  ilO.  oscura,  nascosa,  r^  7U.  Tras- 
alì a,  diletta,  l'g.  Iti,  ilo.  =r^  77.  /'"o  e /i  j  /)  j  ii  Beraiiiii 
a  saraph,  ardere).  Cuculia,  veste  monacale  ampia, 
ai.  (i.  : — :  82.  La  ni  a  s  g  i  o  r  valle  il  Mediterraneo,  irrr 
I.  Q uè l  ecc.  Oceano.  Ingliirtandn,  cjrciinda.  : — ■  85. 
iscordanti  liti,  i-osle  eiironei'  ed  alfrlcane.  Conira 
sole,  ilair  occidente  iiner-o  I  oriente.  \.  di  qiii'sia  dif- 
ren/.a  di  longitudini'  Ira  la  l'.ilestina  e  lo  «In  Un  di  (iibilterra 
if.  20,  121  KH.  l'g  '^7.  in  e  2,  5.  .-—  H!l.  Tra  Eliro  e  Va 
ra.     Folco    fu   nato  in   Mari-iclia.   v.    \  olg    eloq.  2,  (i.  liglinol 


d  Eunto,  re  d  Efolia.  =  105.  FaZo  r  e ,  sapienza  e  po- 
tenza di  dio.  1,  107.  r=r:  lOfi.  .J  r  t  e,  divina  sapienza.  =- 
107.  Cotanto  effetto  ,  Lezione  de'  migliori  testi  invece  di 
con  t  anto  affetto.  iJ  e  n  e,  buon  fine.  =  108.  La  le- 
zione adottala  è  quella  di  Ire  codd.  invece  à\  i  l  m  on  d  o.  Il 
senso:  dagli  effetti  sensibili  sì  conosce  1'  intelligenza  invisiòila 
dell'  artelice,  essendoché  le  cose  di  quaggiii  tornano  si  con- 
formano, si  assomigliano]  al  modo  di  quelle  di  su.  Ralfr.   Roin. 

I,  20.     r:^     114.  Mera,  pura,  limpida.  liti.   Raab,  mt- 

lelrice  di  Gerico,  lodata  da  S.  Paolo  Ebr.  11.  Ordine,  coro. 
=_  117.  Di  lui  pare  che  debba  difendersi  contra  la  lezione 
antica  di  lei,  perchè  altrimenti  si  sigilla  non  avrebbe 
suggello  ,  e  vi  sarebbe  sinchisi  poco  lode>ole.  Iti  lui  ha 
pure  il  cod.  gleub.  e  dionis.  =r  118.  Si  appunta,  termi- 
oa.  =  l'iO.  Trionfo,  redenzione.  =  121.  Palma, 
trofeo,  rzrr  122.  ^  /  r  u  71  e;  e  ^  o  sotto  all'  empireo.  =123. 
Con — palma  conliccate  in  croce.  124.  Favor 0,  la- 
vori. Gloria,  gloriosa  impresa.  121).  C A  e  ecc.  per- 
chè sia  in  mano  de'  Saraceni.  :r^  127.  Tua  città,  Firen- 
ze. Co  /  u  i,  Satanasso.  rr=  130.  Pr  0  rf  u  e  e ,  conia.  Fio- 
re, fiorili  d'oro  gigliato.  :^  131.  Le  —  agni,ì  laici  e 
gli  ecclesiastici.  r=  l;i2.  Pastore.  Addila  Ronifazio  Vili, 
simoniaco.  Inf  19,  53.  r=r  134.  l*  e  ere  t  (7  /  j,  libri  conti- 
nenti le  leggi  ecclesiaslicbe  cinque,  ai  quali  Ron.  aggiunse  il 

iHeslo.    r=     135.    f'ivagni,    margini  sucidi  e  consunti.     

138.  Aperse  le  ali,  volo  ad  annunziare  a  Maria  la  nascita 
di  Gesù.  ==  139.  £/e£  te,  sante.  =  111.  Milizia, 
-anti.  r=  142.  Leggendo  adulterio  si  toglie  1'  equivoco,  per 
cui  si  prende  adultero  cangiato  perla  diastole  in  adultero. 
La  voce  del  reato  è  da  prendersi  in  senso  biblico  per  apostasia. 

Canto     X. 

1  —  6.  TjO  —  valore,  iddio  padre,  guardando  e  spec- 
chiandosi quasi  n  e/  8  uo /ig/ io ,  Cristo,  ron  lo  amore 
dello  spirito  santo,  e /»  e  —  spira,  spirano,  producono, 
mentre  di  lor  esce, /e'  quanto  tutto  quel  che  per  men- 
te iolellettivaiuenle  ,  0  per  occhio  (parecchi  codd.  buo- 
ni hai)  loco,  localmente)  sensualmente  (cioè  in  somma  iu 
tempo  ed  in  ispazio)  si  gira,  si  inuo\e,  con  tant  ordi- 
n  e  ,  (■  /(  e  e  h  i  e  io  rimira  esser  non  p  11  ot  e  senza 
gustar  di  lui,  non  piiìi  non  sentirne  maraviglia  e  diletto. 
^=:  8  s.  A  quella  —  per  co  te  al  capo  dell'  ariete  in  cui 
era  il  sole,  e  di  libra,  punti,  do\e  il  zodiaco  s'incrocicchia 
coir  equatore,  cioè  do\e  il  molo  delle  stelle  lisse  s'incrocicchia 
ed  urla  ciui  quello  di  I  sole  e  de'  pianeti.  Lo  uno  e  lo  al- 
tro leggono  i  migliori  codd.  =:  10.  ì'agheggiar,  ri- 
mirar con  diletto.  r=  11.  Kenrro  a  fé  ,  nella  .-uà  idea  e 
dentro  la  nicule  di\ìna.  :=  13.  Da  indi  dal  cerchio  dell' 
equatore,  rrr^r  11.  U  obbliquo  cerchio,  il  zodiaco,  per- 
che il  piano  del  di  lui  giro  taglia  obbliquamente  il  piano  deir 
equatore.  r=:  15.  Chiama,  richiede  la  prina  della  loro  virtu- 
osa ii.fluciiza.r^r  Ili.  Lor  del  sole  e  de  piancli.  =^  17.  M  o  t- 
t  ami'  r  la,  non  sarebbe  nel  mondo  generazione,  e  corruzione, 
e  il  cielo  non  operebbe  quaggiù;  perchè  Aristotele  dice:  se- 
c  u  n  d  u  III  a  e  e  e  s  s  u  in  et  r  e  e  e  s  s  u  in  soli  s  i  n  ci  r  v  u  l  o 
obliquo  f  i  u  n  t  g  e  n  e  rat  i  o  n  e  s  in  rebus  i  n  f  e  r  i  o  r  i- 
bus.  Uallr.  (,'011%.  f.  |:)U  s.  =  19.  Dal  dritto  cammino, 
moto  dell'  equatore.  =  20.  //  partire,  lo  scostarsi  del  cer- 
chio obbliquo  e  de'  pianeti.  .Manco,  dilellivo.  (1  i  il  e  su, 
iu  terra  e  in  cielo.  =:rT  22.  Ranco,  comodo  a  medilaie. 
=:     23.    Si   preliba,    si   accenna,  tocca  di  \olo.     =^r    25. 

Messo  il  cibo,  j:-^  2li.    Ritorce,  richiama.  27.   Seri- 

b  a,  scrittore.  — r  28.  Lo  ministro  —  natura,  il  «ole. 
r-rr  29.  /  a  lor,  virtù.  i=r-  31.  Con  —  r  a  111  m  1  n  t  a  ,  1  a- 
riele.  Il  sistema  del  poeta  es.iendo  quel  della  terra  iinniiiliile 
e  centro  dell'  iinixerHo,  segue  che  luiiiuasi  il  sole  da  un  tro- 
pico all'  altro  per  \ia  di  spire,  giri,  a\  volgimi  oli  iiituriiii 
.Illa  terra,  e  che  le  spire  per  cui  \  iene  dal  tropico  di  c.iprirnriio 
a  quello  di  cancro  ,  sieno  diverse  e  x'incrocii  cliino  con  qiiellu 
per  le  quali  dal  tropico  di  cancro  riede  a  quello  di  cnpricurno. 
—  33.  Adottammo  la  lez  de'  codd.  bari  e  11.  o  ^  ri  i  '•  r  a  lo 
a  p  presenta  (invece  di;  ognora  s  i  a  p  p  r  1  s  e  n  t  a)  avi 
senso:  ogni  ora  appresenla  a  noi  il  sole  pm  prossimo:  dove 
I'  ora  è  come  agente,  che  regge  il  sole.  Dio  ni  si  Aiiedd. 
Il  p.  53.  I\  .  51.  legge  ancor:  ogni  ora  s'appr..  e  spiega: 
il  sole,  il  qiial  trovnvasi  ni>|lu  croce,  che  fa  il  zodiaco  cmi  1' 
eqiiiilore,  si  girava  per  le  spire,  in  cui  ogni  ora,  o    loinpora- 

o  disuguale,    o   planetaria,    cbe  si  dici,  uwero  «quali 


un  mercante  genovese.  Alfonso,  mollo  ricco.  Fu  onoralo  |  naturale ,  od  equinoziale  di'  esser  si  voglia,  più  facllinente, 
t  Riccardo  d'  Ingliillerra ,  Raiinonilci  di  'rtiloHa  ,  liarulc  di  agevolmente  s'appresenln  ,  viene  all'  uso,  si  compiila,  r —  31. 
arsiglla,  della  cui    consone,  Adalagi.i,  fu  animile,     r—    92.    Con  lui,  nel  sole.     ;--     35  ».  Se  non  —    venire    cioè  iii- 


nggea,    cill.'i    niiII'    alFric.-ina    costa.       .•/(/    —   orlo,  hoUo 

tasi  ad   un  ineiidianii   iiieilcsimo.     : —     93.   Che  ecc    nell"  as- 

dio  ,  clii'  ivrc  Urlilo  ili  coiiitiiisHÌoiie  di  ('iHare.  v.  (iiiil.  Cen. 

C.  2.   l'g.    IH.     — r     95  Questo  cielo,   \  enere,     .-— :     «li, 

i  m  p  r  I  n  I  a  ,  »'  inpronia  ,  «'  iiniiriine.        -       97.     Fistia 

i  He  lo.  Didime,     r—  9M.   Xojando  iioja  ,  Iriiii /xa  recan 

Sicheo,    mirilo.      C/c  11  k  fi  ,  moglie  d'   fnia.     : — -     99. 

e/o,  età  giovanile.     1 —   100.   Rodopea,  l'illi,  rigiii.i  del 


Bio,  eia  giovanile.     1 —   UHI.   Hoitopea,  l'HIi,  regina  ilei-  ipmcne  rispieiiueii  e  io;grirava   nei   » 
Tracia.  Ovid.  Eruid.  2.  IDI.    Atcidv  Èrculu.  Iole,  figlia 'riuieiidiiueuto    delle    cose  divine   ù 


eiile  alfallo.  I.'arcorgimriih 
peiisliTo  ,  eli'  è  il  di  lui  oggci 
nifi,  conio  II /i  del  end.  Ii.iilol 
j  l'iirzaiio  il  senso  .  //  e  ti  t  1  i  e  1 
39.    .Si    sporgi-,    appare,    si 

di    cui    il  Hiibliinarci  al  vero  non  cnnnsce  lenipo  ,  anzi  si  fn 
un    animo,     quanto     iiilinuainenle    dnven    esser  liircnle  ila  se, 
piiiclié  risplendea  e  folgnrava   nel   nule    rispli-ndrnle  !  Dire  cbe 


del  pensiero  è  pili  tnrdo  che  il 
I.  : —  3?,  Eh  ilezione  di  Dio- 
antichissime  ninbiilne,  cbe  rin- 
leiilogia.  Scorge  guida.  r;= 
inosira.     Senmi  :   P^liì  ,   Healricc, 


iuspirazii'ue  e    rivela/ione 


COMENTO    SULLA    DIVINA    COMMEDIA. 


iiiiMiediats.  Si  metla  dunque  punto  ammirativo  dopo  lucen 
te,  e  si  cominci  nuovo  peiisier  col  verso  sepuenle.  - —  41  — 
4,').  OrdiiKi  e  «.piega:  non  din-i  m;;i.  quaiitumiiie  io  ailopri  in- 
ffi'ffno,  arie,  o  uso,  si  che  mai  digli  uomini  se  ne  (ormasse 
idea,  quel  ch'era  nel  sol,  dov  'io  entrai,  non  per  color,  o  lu- 
me oscurato  mezzolume  ,  mezzombra  ,  ma  per  lume  parvente 
lume  isiessn  puro;  eppure  tal  lume  è  credibile,  ed  ognuno  do- 
vrebbe bramar  di  vedtrlo.  =  W.  S  o  v  r  a  il  »  u  le  ,  lame 
inao'-nor,  più  puro  dfl  sole  =^  50.  Sa-ia,  beatuica.  __ 
51.  Spira  intoudend"  anime.  Figlia,  genera.^    ==    ai.  Il 

—  ansel  i,  idJio.  =  54.  Sensi  bit,  sole.  =  .io.  1)  i  geat  o, 
di'.iiosio  rrrr  .i7.  Gradir,  piacere.  =  tiO.  hoc  t isso 
neir  obblio,  lu  dimenticata.  =  6S.  1/ ti  i  t  a ,  assorta 
indio.  In  via  cose  divise,  sciogliendo  e  spandendo  la 
rende  atta  a  contemplare  ancor  altri  obbietti.  li  riso  di  B.  fu 
dunque  per  la  mente  del  poeta,  quel  che  il  calor  del  sole  pei 
eermi  della  terra,  eh'  egli  schiude.  =-:  (i4.  T  incenti, 
ecci-y'i\i  nella  puiiiìi  del  diafano.  Conv.  f.  150.  ^=  (i7.  La 
fistia  (li  Latona,  U\u\\9..    =    68.  i're  g /;  o  di  vapori. 

(,!!.  Zona,  fascia,  circolo,  alone.  =  71  Gioje,  gem- 
me. =  Ti.  Trar  del  regno:  metafora  tolta  dal  diviato 
di  trasporto  1  non  si  possono  far  capire  fuor  del  paradiso.  r=r 
74.  S"  impenna,  si  fornisce  d'  ali.  r=  75.  Muto,  che 
non    sa    ridire,    descrìvere.     Senso  :  non  aspetti  novelle.    = 

7t).    Poi      poiché.     7!).    Aon   —   ,s  e  «  o  / 1  e  in  ballo  ,  raa 

ferme.  =r-  ^0.  Ascoltando  il  cauto  da  ripetersi  danzali- 
ilo.  :=  82.  (Quando  ,  [tincUv.  =  Hb.  M  o  l  ti  plic  a  t  o  , 
accresciuto.  =:  Hti.  Scala  del  paradiso.  r=r  Sri.  Fiala, 
euasiada,  caraffa.  :=  H).  Sete  desiderio  d'  aver  contezza 
dell'  anime  beate.  In  libertà,  libera,  non /ora,  non 
sarebbe,  anzi  in  islato  ^iolento  e  snaturato.  =  90.  Si  cala, 
scorre.  ^=  HI.  Piante,  anime.  =  93.  Vanna  Beatri- 
ce, ji  del  ti  avvalora,  ti  presta  forze  di  salire  al  cielo. 
— '-  !i|t  S'  impingua,  si  fa  proiitlo  nella  virtù,  f  aneg- 
ei  a  va  d^elro  a  vanùà.  =z  Hi).  ,:/ /  6  e  rt  »  Magno  ,  dalla 
ca-^adui  conti  di  HoUstrdt,  nato  a  Lauingen  al  Danubio,  vica- 
rio generale  de'  Domenicani  nel  l'i'.i7,  vescovo  di  Jlatisbona, 
dal  riiiO  sino  al  121)2,  vissuto  lungo  tempo  e  morto  nel  1280  in 
Colonia,  Aristotelico  famoso  e  lisico  celebre  sino  ad  esser  ri- 
putato stregone.  Thomas  di  Aquino,  nato  sul  castello  di 
Roccasicca'^in  Calabria  nel  1224,  morto  a  di  7  marzo  nel  1274, 
Pomenicaiio  nel  124:5,  detto  dottore  angelico,  dottissimo 
Aririotelico  ,  Platonico  ed  Alessandrino,  v.  //  aehlers 
Jlandli.  d.  Gesch.  d.  Lil.  II,  254  s.  liixnefs  llandb.  d.  Ge- 
f.ch.  d.  l'iiilos.  11 ,  78  —  100.  ^=  100.  Se  sì,  se  similmen- 
te .  ailo  Slesso  modo,  invece  di  se  tu,  hanno  i  codd.  bart.  e 
di  "Hocc.  =  103  Serto.,  guirlanda,  corona,  r^r:  104  U  r  a- 
zian  di  Chiusi,  morto  nel  llJS,  compili)  coucordaulia  dis- 
cordantiiim  canonum  nel  1151.  ìfachler  lib.  meutov.  II, 
2i-:?.  ho  —  foro  il  diritto  sccolar  ed  ecclesiastico.  = —  107. 
i-'iV  (  ;■  «  naiivo  di  N<ivara  iu  Lombardia,  detto  magister 
s  e  II  I  e  n  t  i  a  r  u  ìH  (dal  suo  libro  :  theologìae  chr.  s  e  n  t  en  - 
tiurnni  l.  4.)  scrdare  d'  Abelardo,  nel  JI59  i  ecovo  di  Pari- 
gi,   mollo    nel    llb4.   (facli.'er    11,   UH.      lii.rner   li,   37.    La 

poverella,    v.    Lue.    21.    Allude   al  proemio   di  Pietro.    

10!).  ha  i/ainta  luce,  Salomone.  =  111.  Negala,  n'  ha 
gola,  come  pure  leggono,  non  solamente  chiosano  taluni,  me- 
glioVonvicn  allo  stile  stringato  di  D.  r=  112.  Mente  di 
moltissimi  codd.  e  testi,  invece  di  /  u  e  e  ,  richiede  assolula- 
ineiite  la  nci'.eBsilà  di  sciiivare  una  tautologia  ridicola:  en- 
tr»  V  e  1 1  a.  <i  11 .  l  u  e  e  e  C  alta  lue  e.  =  1 13.  Il  vero 
la  sacra  scriliura.  3  Keg.  3.  =  115.  Vero,  illuminante 
xcrillorc,  S.  Dionigio  Areopagita  che  scris'^^e  degli  angeli  e 
«Ielle  ier.ircliie.  =  liti.  In  carne  tra  gli  uomini.  r=r=  118. 
H  i  d  e  ,  è  beato.  =  1 1!) .  A  v  vacato  d  r  i  l  <■  in  p  i  {p  r  a  e- 
Kenlia  tempora  dice  nel  proem.  della  h  i  >,  t  aria  a  dv. 
jfagniiOs;  non  templi]  cristiani,  P.hjIo  Orosio,  Spagnuolo 
iiel'~4"i0  =^  120  Ifet  ecc.  S.  AgONlino  per  mezzo  di  Giiili- 
nuii  cartaginese  ricliics»!  Orosio  che  compilasse  la  storia  della 
c.ilam'iìi  e  dille  scelleratezze  del  mondo,  esc  ne  serv'i  nell'o- 
pera de  ci  vita  le  dei.  r=  121.  Trani,  passi  a  nuoto, 
da  franare.  Altri  da  trainare,  tirare-,  strascinare.  :;;= 
1.5.  '/"  anima  santa  «li  ."beverino  Hoezio,  nato  nel  4(ili 
417,  autor»'  di'l  libro  de  e  on  s  n  l  a  t  i  o  n  e  p  h  i  l  iixop  h  la  e, 
rompo^tii  in  prigione  o\e  fu  rinchiudo  dal  re  'l'eodorico  ,  e 
mono,  (  1}  acUler  11,  27)  ri\eriio  da  I).  r=r  C  i  r  l  d  a  r  a  , 
cliiesii  di  s.  Pii'lro  in  l'a\la.  rrr=  121  Isidoro  Ispalcnse, 
iiiorlo  nel  ti31i.  li  arider  11,20.  Beila  \'en(  rubile.  Uic- 
rurdiì  ila  S.  Vittore,  .^l'oz/ese ,  morto  nel  1173,  che  scrisst; 
ti  e  t  r  i  n  ì  t  II  t  e,  d  e  e  a  n  t  e  m  piai  i  n  n  e,  e  de  si  atu  interiori 
iiifii'iii-.  Il  aililer  11,  2I'J.  =  132.  /'iìiche  viso  (UìL 
4,  30.  Par.  21,  34)  angelico,     rrrr     133.  Ili  guardo,  sguardo. 

I3J     I  e  II  ir,   invece   d'  esser,  lezione  bari,     piii    forte 

de  non  cacoto.ia  a  causa  di  —  ve  ve  — .  rrrr  131).  S  i  g  i  e  r  i 
liralmi/.o,  lilr>-<oro  aristotelico  e  teologo,  clic  lesse  logica,  o 
luiir^li!  leiiliigia  in  l'.irigi  rr—  137.  iVe/  viva  itegli  stra- 
mi, me  de  l-'onarre  («la  ifiniie  ,  •fcji'/il  ,  'P^Hf^'ìì  '''l-  herba, 
libra),  scuola  di  lilo'olaiiti.     z=z=     130.  Come  orologio  clic 


cliie»a.     ::—     HI. 
La   —   ultra 


posto,  divotn.  Turge,  sì  gonlia.  Latinismo!  =  14^)'' 
«'  inseinpra,  a'  eterna,  *' 

Canto     \I. 

Z.  In   basso   batter   le   a  ?/,  o  abbattere ,  chinare  ,<  *, 
muover  e  volare  in  regione  bassa.     La  lezione    bartol.    fanti  ' 

in  abiiiso   sembra    troppo  gonlia.     ■    4,  J  ii  r  a  ,  dritti  cti  ^ 

vile,  criminale,  canonico.     Aforismi  medicali  d"  liipocrate  ' 

(i.  U  lez.  bartol.  invece  di  e.     13.    Ciascuno  «legli  spi  '', 

riti   beati.     18.    Fermarsi   lezione   bari,    più  eleganU  ", 

che  fermassi,  o  fermasi.  r=^  Iti.  Quella  l.  di  f  _ 
Toma-so  d'  Aquino.     18.  Mera,  rilucente,    pura,  sfavillante  7 

10.  Suo,  della  luce  eterna.    31  i   accendo.  Il  cod.  bart 

ha  risplendo,    forse  di  mano  seconda  del  poeta,     ^m    21 

Cagiani,   argomenti.     22.    Ilice  ma,    rischiari.    Di' 

yiono ,  y.eorc) ,  y.Qnai  ,    lat.    cerno.    =:^    24.    Sterna,   ap 

piani  ed  adatti.     Sentir,  intendimento.     20.    Aspet, 

la  creato,   vista   mortale.    : 31.  Fero  che,  acciocchèi 

32.    La   sposa,   la  chiesa.     Colui,  Cristo.     Ad  alti 

grida.  Matt.  27.  33.  Co  l  san  g  uè.    Att.  apost.  20.  ^it, 

35.    Pr  ilici  p  i ,  capi,     rrrz    37.  Serafico,  s.  Francesco  Uga 

Assisi.    : 38.  Lo  altra,  s.  Domenico,  fondatore   dell'  or  i^jij 

dine  de'  frati  predicatori.  zr=  41.  (^ual  che,  qualunque r 
4.  Un  fine  di  sostenere  la  chiesa.  : —  42.  Tapino  ,  (in  fj; 
micelio  vicino  ad  Assisi,  /y'  acqua  ecc.,  il  liumicello  Chiasi,  ^ 
si.  =  43.  Ubaldo  da  Gobbio.  ==r  4(i.  Onde  da  qua  set 
falda.    Perugia,  città  dodici  miglia  da  Assisi  discosta.    :=.m 

47.    Porta  Sale,  porta  die    cmiduceva   ad    Assisi.    :    4f  j  ,^ 

N  a  e  e  r  a  e  Gualdo  son  due  cilià  sottoposte  a  re  Robertfl  ir 
e  perla  sua  supposizione  dice  che  per  greve  giogo  pian  nj.i 

gano.      50.    Battezza,   ripidezza.    Uh  sole.    Franai. 

Cesco.     : 51.    Questo,    sole. 53.  fissesi,  o  As  z 

cesi,  Assisi.  Tillani  cr.  il,  103.  Corto,  poco.  L'  acumi,: 
di  questo  ghiribizzoso  concetto  puì)  alircsi  rilevarsi,  se  in  As'iti, 
se  si  si  pensasse  ad  asse  de  re,  lo  che  coii\errebbe  bene  al  il, 
la  costa  d'  alto  monte  pendente.  Vogliono  gli  spositori,  chi,} 
alluda  ad  Apocal.  7,  2.  ;=  55.  Orto,  orizzonte;  inet.  tem» 
pò  del  suo  nascimento,     nr^    57.    I  irlude,  terza  doiiataglj 

58.   Tal  donna,  1"  evangelica  povertà,  v.  74.  In  guer\ 

ra    del    padre    corse,    si     nimicii    col    padre.     (ili 

Spiritai    corte,   il   \ escovo   d'    ,\ssisi  col  clero.     bi, 

.S  i  f  e  ce    un  ito  ,  aC  uiù.    :    ti4.  Pr  i  ma  manta,  Gesii 

rz=     b8.  Amiclate,  povero  pesc-alore.    ==r    bO.  Colui  ec(t 
Giulio    Cesare,   v.   Lucano  Fars.    5.  528  ss.  Dante  Conv.  f.  23i|,] 

70.    Feroce,   coraggioso.     •    72.    Ella,   la   poverlàL,; 

Salse,  safi,  lezione,  che  fa  buona  antitesi  a  rimase  giu\ti. 

La  Icz.  bartol.  p  i  a  ra  K  e  non  quadra  a  costante  e  f  ei 

race.    73.  Chiuso,  c<i|u'ilo.     70.  Bernardo  <\\ 

Quintavalle  ,  primo  seguace  di  Francesco.    tO.    Scalei\ 

lez.  bart.  dal  lat.  discalceure.  D.  non  ami)  la  z  aspra,  r^. 
82.  Ferace  hau  molli  codd.  invece  di  verace,  che  pacjri, 
più  sterile,  e  meno  elegante,  riguardo  al  v.  78.  =  87.  JìÌJiIk 
amile  capestro,  il  sacro  cordone.  ^^  88.  G  r  a  v  a  lj^)fi 
ciglia,  rese  timido  e  vergognoso.  ==:  tO.  Fi,  iìglio  ,  con 
co,  e  a.  Reliquia,  coinè  pare,  del  Provenzale  !,  r=^  !)0.  i>iitll 
petto,  spregiato.  Lat.  despectas.  A  mera  viglia,  eccesT 
ivainenle.     91.  D  u  ra  i  n  t  en  zi  0  n  e  ,  ■Ardno  proposit(lj||i| 


92.  Innacenzia  III,  poiitelìce  nel  1214. 


03.  Si\ 


gillo,  approvazione.  Il  e l  i g i  0  n  e ,  regola.  =^  98.  Onfl 
rio    IH,     pontelice.       Spiro,    spirilo.      Comunque    s'    iutelj 

preti,   r    idea    di   divina    inspirazione  vincerà.     : 101.  Su 

perba,  maestosa,  terribile.  Soldan,  principe  d'  Egitt 
=r  lOJ.  Acerba,  dura,  indisposta.  =  105.  Ucddiss 
ritorni).  Erba,  gente.  z=  lOli.  Intra  Tevere  ed  Ar 
no,  nel  monte  del  1'  Alvcrna  ,  vicino  a  Chiusi,  nel  Casentiiii 
=r     HI.    C/i'    ci  merito    lez.    de'    miglior  mss.  i'u  k  j//i 

umile.     112.   Erede,    plurale  di  er  e  (/a.    =     113.  Ji  ^ 

sua  donna,  la  povertà.     =    114.  ./ ,  con.    =     115.  Suo 
della  povertà.    r=     117.  Altra,  nessuna,  che  la  solita.   — ^ 
119.  Collega,  compagno.  La    b  a  r  e  a  di  Pi  e  t  r  o  ,  la  ehie 
sa.    r^    122.  Jiuona  me  re  (•,  pietà.    =     Vii.  Peculio 
greggia.      A'oi'O   vivanda,   prelature   ed  onori.    nr=    l'itS 
Diversi,   contrari.      S  a /t /,  pasture  del  mondo.    rr=    1. 
Cappe,   vesti    religiose.    =     VST.  La  —  s  e  he  g  già,  on% 
la    religione   di   Domenico   si  storna  e  traligna.        :=        \T 
Lezione  bartol!     Cureggier,   o    eo  ;•  e  ^' g  e  ro,    frate  cinl 
di  coreggia.    Domenicano.     Cor  regge  r  ti  sbaglio  di  pennJ 
V.  Ugo  Fosc.  Disc.  400.  8. 


<  i.f;!!!!!  Hill.      ^r^      j*\F.    i,u    sposa    tu    aio,    l'I 

I.    Mattinar;    cintar    inailiitiiio.     :r— r     112. 
del    bii-ipite    baiMglio.     =     MI.  Ben  dis- 


Canto    MI. 

Fiamma,  splendore,   anima  splendente    di  s.   Tot 

3.     Mola,    ruota,   cercliio  de'    beati.     Mot 

3,    l.    110.        =r      lì.     Colse,    accoppi!),  iiiù  ,    adu| 
7.    Tube,    organi,     r—     il.    Hifuse,    rillellè ,   spai 

diffuse.     in.  f  olgon   hanno  i  migliori  codd  ,  non 

if^ion.      irr:     12.    Sua  ancella.    Inde,     .labe,   «■omaiKj 
l,niiui-mo!     =     Vi.    Quel   di   e  Ht;o ,  minore.     Quel 


2 

■naso. 
Prop. 


COMENTO    SULLA    DIVINA    COMMEDIA. 


ori   maggiore.     =     14.    Quella,   Eco.     =    15.  ^mor   Z>onaf  ogTamraatico,raaestro  di  san  Girolamo.  =  138.  Prim' 

i  Narciso.     16.  i^'an no  gli  archibaleni.    17.  Per  '  a  rf  e  ,  granimatica,  colla  quale  sicomincia  1"  i«triizione.=r  139. 

ce.  Gtu.  9.    19.  Rose,  siilendori.  :=z    21.  Estrema  ,\Rab  ano   Mauro,   nato  nel  77ti ,  abbate  di  Fulda  nel  y'1'2,  ar- 

steriore.     Intima,   interna.     25.    A  punto,    in   un    civescovo   di   Magonza    nel    8i7 ,  morto  utl  bótì,  filosofo  e  leo- 

unto,     ^^  l'o /er ,  \olontarianiente.   Q  li  je  fa  rs  i  ,  si  ferma-    logo  eccellente.     Jf'ar/i/er  II ,  49.     r=    HO.  1 1  e  al  avr  e  k  e, 

»no.    26.  /,  li.  Inf.  7,  53.    =r^    2».  Bel  cor,    dal    ceu-    naiivo  di  un  borgo  presso  V-i>i-enza ,    dove    fondò   i    inonisteru 

-0.    28.  Lo  ago  calamitalo  della  bussola.   =    30.  i^a-  idi  Flora;  morto  nel  li02.    Fu  dannato  per  un  suo  scrino,    do- 

ermi  fece  ,  mi  fece  simile.  Dove,  lungo,  onde  usci.    r=  t  ve   fece  la  divinità   (|uatcrna;    ma   perchè  scrivendo  alla  sedia 

ì.   Duca,  capo:    Domejìico.     40.    Imperador,    dio.  [apostolica  chiese  che  quel  suo  trattato  fosse  corretto,  e  teneva 

=   41.  In  f  or  se ,  in  pericolo  di  soccombere.   =  43.  Spo-lcirca  gli  articoli  di  lede  quel  che  teneva  la  chiesa  romana,  fu 

a,    chiesa.      : 45.    Si  race  or  se,   si   ravvide   del   suo    avuto   cattolico   e  fedele.     Espose   ancora   il  Daniello  ed  altri 

narrimento.      Altri    in   crazia   della   rima    dicono  esser  rac-   libri   proletici.     : 142.  Inv  e  g  giar,  invidiar  (Pg.  ti,  20. 


l'g.  6,  20.). 
.  =  144.  // 


else.     Licenza   superflua!      46.    Parte     occidentale.  1  commendare,  lodare.  Po /a  rfin  o,  difensore  di  fede.  =::  144. // 

^=    48.    Rivestire   in   tempo   di  primavera.    h9.  Fo- '  d  iscr  et  o    latino,   il    distinto     parlare    romanzo.      Monti 

a,   fuga,   continuazione;    o   impeto,    furia.     : —     51.  T  a/ jl'rop.  1,  2.  231,    =:    113.  jliosse  al  tripudio. 


otta,  quando  è  nel  tropico  del  capricorno,  o  Ti  vicino; 
erchè  a  D.  sono  ignoti  gli  antipodi.  : —  52.  Cali  aroga, 
alarvcga  nella  Castiglia  vecchia ,  i  cui  re  portarono  per  iu- 
gna  un  leone  ed  un  castello.     25.  Drudo 


1.  Cu  p  e ,   desidera. 


N    T    O       XIII. 

Latinismo!     


Quin  dici  di 


e  era  gravida,  parve  di  partorire   un  can  bianco  e  nero   con  l/rgr  del  temo  per  rivolu 
la   lìaccola   accesa   in  bocca.    62.  Sacro  fonte,  bat-  ^g    ,,00  tramonta.    1 


zioiic  che  faccia.     ^  on  v  i  e  n  m  e- 

....      Tir     .  I     ^  .  -  u-       1       "-, «..™. 10.  La   bocca   di  quel   corno. 

""""Xn  ^  V^-  ^^^«^"a  »«' "{e,  .salvezza  scambievole,  ile  gjeHc  dell'  orsa  minore  disposte  iu  figura  di  un  corno 
I  60.  i;r  e  rf  e,  religiosi  Domenicani.  ==  67  Jn  cos-  -_  n.  In  pu  nt  a  del  lo  ste  l  o ,  all'  estremità  dell'  as>iè 
M  fto,  cornspondenit..  =  (2  Or  fo ,  vigna ,  chiesa.  =  jjel  mondo  ,  o  polo  boreale.  :=  12.  La  prima  rota  U 
Frimo  consìglio.  Matt.  19,  11.  =  IS.  A  gues  to  ,<„j.ì^^  mobile,  ciel  girante.  =  13.  A»ue  s  e^r  "  1,  due  co- 
er  tacilo  e  desto  z=:  80.  f,  i  o  i- a  n  7i  a  ,  a  cui  dio  e  prò-  rone  simili  a  quella.  =  14.  La  fi  g  l  io  l  a  di  M  i  n  oi 
zio;  secondo  1  ebr.  j  e// o  e  Aanan  ,  o  j  ocft  an  aji.  =^  Arianna.  z=  10.  io  —  suoi  un  segno  risplendere  deatro' 
Si  aj/anna,  SI  atfatica  e  studia.  ==  83.  Ostiense,  dell'  altro ,  e  che  abbiano  un  centro  comune  r=  Ib  Al 
rico,   vescovo   ostiense    morto    nel   1271.    ed    un  suo  libro  0  •„  („o„         •  „,  „)  _„  ;         •       jj.  i„„a„2Ì  ^„,  j^ji^^^^    -^j  ^, 

mento  sulic  decretali  Taddeo,  medico  e  fisico  bolognese  ,- „„„  ^l  contrario  dell'  altro,  in  contraria  direzione,  rea  ra- 
moso morto  nel  1.10.1.  v.  /  dlani  stor.  8,  66.  I>.  Conv.  8b.  rallela ,  l' un  1'  altro  irradiando.  =  23.  Chiana,  Jiume  in 
=  B4.  jl/ann a,  venta  evangelica.  ==  86.  />  i  ^  n  a,  chie-  toscana  leutissirao.  =  25.  Pe  an  a,  inno  in  lodò  d'  Apol- 
=  87.  i/HÒian  ca,  SI  secca.  J  ignaro,  torma  senz  |i„g_  __  27.  Essa,  la  natura  divina.  Persona.  Altri 
tro  anziana.  ==  88.  Se  rf  1  a  pontilicia.  B  enig  n  a  p  i  u,  l,^J^^^o  sostanza,  che  in  senso  patristico  dice  1'  istesso 
u  b.  Sottintendi:  ed  e  biasimevole,  non  essendolo  più.  =,__  29.  ^  t  /  e  ser,  si  fermarono.  15,  31.  =  30.  Cura' 
Fer  lei,  per  colpa  sua.  r=  90.  Fer  —  traligna  J^■^  untare,  volgere,  e  soddisfare  a  D.  =:=  31.  Numi,  santi' 
lontelici.  Le  parole  cAefra/r  ^rwa  non  possono  riferirsi  __  32.  Z,a  /  u  ce  di  8.  Tommaso.  r=  33.  Del  — dio  di 
rsinchisialla  s  e  rfi  a.  =:r  91.  i»is  71  e_n  sa  re  dipende  da  a  rf- j  g    Francesco  d'Assisi.    =    34.  Scioglie  il  dubbio  mosso  sulla 

jiarola  10,  114.  Quando,  nosciachè.  La — trita  parte 
di  grano  è  battuta;  un  dubbio  e  sciolto.  35.  La  —  ri- 
posta,  il    vero   ben  coii.'-crvafo.    1=    37    Petto  d'  Adamo. 

38.    Guancia   (parte   pel    tutto)  donna,  Eva.    39, 

Palato  gusto    del   pomo    vietato.    =:    40.  Quel  di  Cristo. 

— —    41.  Poscia  dopo  la   morte.    Prima,  in  vita.    42. 

fi  ne  e  fa  alzare.    =    44.  Lume  di  scienza.    45.   f'a- 

lor,   virtii ,   potenza.    =     46.  Miri  a  ciò  (lez.  bart.  e  fi.) 

badi,  hai  in  mira.    48.  Jl  ben  ecc.    Salomone.    5L. 

Centro  in  tondo,  centro  in  mezzo  al  circolo  rd  alla  sfera. 

54.  Par  t  0  ri  se  e  ,  mette  fuori,  esibisce  agli  occhi.   

55.    J'  era,   invece   di  viva,  e  s'  in  e  a  invece  di  sì  mea. 


mando  nel  v.  94.  ed  èinuso  pio  pel  male  acquistato  o  posse 
to.  La  lez.  bartol.  e  due  e  tre  invece  dio  —  o  sembra  non  so- 
noii  necessaria,  anzi  corrotta  ;  perchè  si  tratta  del  comprare 
liilgenza  e  possessione  sicura    di   usurpazioni  con  cederne  la 

uà  o  la  terza  parte  alla  sedia   pontifìcia.    : 92.    Prima 

i  e  ante  (lez.  di    parecchi   buoni  codd.)  sedia;  lo  che  spesso 

ade   occasione  ad  omicidi.    93.  Non  ecc.  decime  d'   un 

ese,  che  appartengono  a'  poveri  di  dio.     94.  Erran- 

,   eretico.      :z=     95.    S ';  ni  e  ,    fede.      : 96.   Fascian, 

condano  ,  cingono.     Pia  n  t  e  ,  anime  beate.    Raffr.    10,   91. 

e    127.   di    questo   canto.      : 102.  Dove  ecc.  principal- 

inte  nel  distretto  di  Tolosa  contro  degli  .Mbigesi.    ; —    105. 


Ila  botte,    tartaro.    Affine  al  gr.  e  lat    xntu} ,  creo,  ted. 

tmpfen,  gerinnen ,  rappigliarsi.     117.   Quel  dinan- 

,  la  parte  anteriore  del  piede.  Quel  diretro,  le  calcagna. 
=  118.  Della,  dalla.  =  119.  Il  /o^ /io ,  i  religiosi 
,tivi.  : —  120.  A<  '  arca,  il  graiiajo.  Senso:  tosto  ni  mo- 
erìi ,  qual  frutto  si  colga  di  silfatta  coltura  allorché  i  frali 
lignati  e  cattivi  veilransi  tolto  il  paradiso,  z —  122.  f  o- 
m  e.  ,  metalor.  ordine.  J  foglio  a  fo  gì  io  ,  gì'  iiidivi- 
iadunoad  uno. =?  124.  Da  Casal  nel  Monferrato.  Alludca 
te  Ubertino,  che  ristringe  troppo  la  regola.  ])'  A  e  qua  s- 
rta  nel  contado  di  'l'odi,  o\e  fra.  Nlaitco  rilassi)  la  mo- 
llica disciplina,  che  è  detta  la  scrinar  a,  regola  prc- 
itta.  =  127.  /  ila,  anima.  9,7.  11,6.  come  [ini  ■''- 
r^.to;.  Bonaventura,  cardinale  ,  e  ininiHtro  gcnc- 
c  dell'  ordine  ininorilico;  nato  nel  1221  ;  cardinale  e  vcsco- 

di    Albano    nel    1272,    morto   a  Lioni;  d'  anni  53.     : 128. 

jgnorcgio,    Hagnarea,    nel   territorio    d'    Orvieto,     r—    ^ 

I.    Sinistra,  dannosa,    infiiiHla.  Cura  di  cose  inondane.  |  ,',p',.f;^„i],)    |'     ainor    fervente    è 
:  132.    Tn /icKtro.  Il,   87.  //miri,  accetti. r— 133.   f:^o    p„„„  arcata    è    perfetta.       r-j 


Sa  n  V  i  t  lo  re  dalla  casa  de'  conti  di  lilaiikenburg  ,  nato 
1096,  morto  nel  MIO.  Umidir  I.  e.  11.  219.  Hixuvr  I.  e. 
31.  UH.  —     : —     134.  Pietro    M  a  u  g  i  u  d  11  r  r  ,  o  ('onieH- 


dunque  ai,  senza  esitazione.  :=r  57.  S'  intrea,  s'  inter- 
za, terzo  e'  aggiugne.     :")9.  Nove  sussist  cn  ze ,  nove 

cieli  cogli  ordini  e  cori  angelici,  ("onv.  112  — 115.  Facilmente 
il  numero  71  o  f  e  potea  confondersi  con  nuore,  che  antica- 
mente si  scrisse  senza  u,  iirodotto  posteriore  dello  studio  d' 
ammollire  la  lingua.  :=  6'2.  Oi  atto  in  atto,  dall'  agiro 
del  primo  più  alto  ciclo  nel  secondo,  ecc.  LI  timc  poten- 
ze stelle.  :: —  63.  Conlin  g  e  n  ze  ,  cose  jinperfette  ,  ma- 
teriali ,  sottoposte  alle  vicende  del  generarsi  «•  corroiniirrsi. 
r^^  C6.  Con  seme  e  senza  seme.  Dice  secondo  I  opi- 
nione di  suo  tempo,  r — •  67.  Ce  r  a  ,  glielcmenli  ,  onde  fii 
coinnongono.     Duce,   tempera.      Inlende   i   cieli    figuranti   e 

sigillanti.      68.    Segno    ideale,  idea,  esempio  iiitrn- 

zionale  preesistente  in  dio.  r —  73.  ./  punto,  perfettamen- 
te.    74.  in  «  1;  rt  virtii  suprema,  immobile,  ('(uiv.  107  », 

76.  Ma  la  natura  ecc.  Otlirnamrnle    Hiagioli    ralfroD- 

ta   il    primo   (|uarlello    del    primo    sonetto  di  liuonarroti.    z=t 

79.  Senso:  dove  concorrono  unaiiimainenle  eil  iininedinlamente 

la     sapienza    di    dio,     ogni 

i''i.    //  n     1 1  r  r  a  ,    donde    fu 

87.      (Incile     due     p  ertone, 

l'are,  pari,     rr— :     92.   Chi,  cioè 


formato 
Adamo    ( 


Adamo. 

CCNÙ. 


89 


re  (v.  95.).  La  cacion  ecc.  il  disidcrio  di  go\ernare  giiista- 
"      Chiedi. 


mente,    r-z 
possi. 


93. 


ilH. 


2.  Cron.  1.  7  — 12.    =1    94.   /'o»- 
//i    VI  II  I  n  r  ,    le  stelle,  e  le  inlolligeni:* 


e,    nativo  di    Troyes    in  .Sciampagna,     dcll.i  cui    cattedrale 
decano,   poi    cancelliere   di  ((nella   di    l'.iripi,   dove  insegnii  ^  _  ^ 

logia,  poi  ritiratosi  ncir  abbadia  di  san  \  ittore,  vi  mori  ",'„'„p,iirordinali  nliu  ri\olu/ione  de'  corpi  celesti.  ('on\ .  i'^I9hh 
1178-9'f  Pietro  Ispano,  autore  di  12  libri  di  logica.  .Se  nercHse  ecc.  se  in  un  Hillogisino  una  prcinissa  nerr-snrì.-i- 
136.  A  atnn  ,  che  corresse  Davide  adultero.  Metro  mente  vera  combinala  con  una  non  nccnHariainonle  vera 
Ulano,  arciv.;sco%o  di  ('o>fanliiiopoli.  : —  137.  ./n  si  generi  consepiien/a  necessaria.  l,o  che  negano  i  dialcllici 
imo.  Aostano,  nato  nel  1033.  arcivescovo  di  Conlurbla,  colli»  regola:  con  e/"  «io  te  a  ui  tur  scmper  de  bi- 
no nel  UOU.  d'  anni  77.  //  achler  II,  Si.  llisncr  li,  18.  no.  liorum  par  t  già.    Ftnno,   fccert».       ::=       100.    Si  ir.r 


COMENTO  SULLA  DIVINA  COMMEDIA. 


cagiona- 
:  T evu- 
.  =  101. 


I 


ecc.  se  conviene  ammettere  «in  primo  moto,  non 
to  da  altro  moto.  liO  che  afferma  la  metatìsica  col 
gnat  in  caussis  processus  in  infinitum 
Se  ecc.  se  nella  metà  del  circolo  inscrivere  si  possa  un  trian- 
golo rettilineo  ,  un  lato  ,  del  quale  sia  il  diametro  dello  stesso 
circolo,  senzachè  formi  cogli  altri  due  lati  un  angolo  retto. 
Cosa  impossibile.  =  104.  E  si  bene  non  e,  e  la  miglior  le- 
zone.  Impari,  disparì  (Pg.  13,  120.)  impareggiabile.  Sen- 
so :  che   quel   senno   di   Salomone    è   da  re  ed  impareggiabile. 

101).  Sur  se,  a    veder   tinto   non  sorse  il  secondo.    = 

109.  Re.  Altri  han  forma  antica  r  ei  ambigua  bensì,  ma  non 
senza  esempio,  altri  regi.  =  Uh  Fri  m  o  pa  dr  e  ,  Ada- 
mo. Viletto,  Geaiì.  =  lU.  /^  e  </; ,  disccrni.  ==  11». 
Tra  — a  basso  ultimo,  eccessivamente  stolto.  r=  lu. 
Così  ecc.  dappertutto  nella  scrittura.  =  U9.  Corrente, 
precipitosa;  opn.  al  mover  lento  del  v.  111.  . —  120. 
Lo  affetto  il  pregiudizio.  =  125,  Par  menid  e ,  eie- 
ale,  filosofo.  Melisso,  samio.  B risso.  L'  Anonimo  dice, 
eh'  ei  volle  eoo  false  dimostrazioni  dal  cìrculo  trarre  propor- 
zionalmente il  quadro,  del  quale  tocca  Aristot.  Poster,  (anal. 
1,  9.)  =  127.  Sabe  Ilio,  eresiarca  del  secolo  3,  nativo 
della  Libia,  condannato  in  un  concilio  d'  Alessandria  nel  261, 
perchè  negò  la  trinità.  Arrio,  prete  d'  Alessandria,  con- 
dannato nel  concilio  primo  niceno  nel  325,  per  aver  negata  la 
eonsustanzialità  e  coeternità  di  Gesù  con  iddio  padre.  == 
12H.  Spade,  che  troncano,  mutilano,  mozzano.  =  133. 
fruwo,  la  rosa.  =  13K.  Legno,  nave.  =  138.  i^  oc  e,  imbocca- 
tura, porto.  r=:  139.  Monna  (madonna)  -Berta  eser 
(messere)  nomi  che  servono  di  esempio  d'  idiote  persone  e 
sciocche,  come  Caio  e  Tizio,  Jlinz  nnd  Kunz.  =  HO. 
Offerere,  offerire  alla  chiesa  o  a'  suoi  ministri. 


i{ a g g t o  eolare.    =    118.  Giga  ed  arpa  instrumenti   da 

corde.     110.  In  tetnpra  tesa  armonizzate.    l'^O. 

Nola  le  distinzioni  e  parti  del   conipoiiimeiito  musicale.    

121.  A  ppar  inno  ,  apparirono.    122.  Si  accoglieva 

si   adunava,   ni   conteneva.     Melode,   melodia.    21.  lU.  2B, 

119.     : 125.    Jlisurgi   e   vinci.   Alludo  a  passi  di  cert 

inni   sulla   risurrezione    di    Cristo.     ■=    129.   /  i  ra  r  i ,  viaclii^ 

salci,  vincoli,  legami.     132.  Ha  jt osa,  lezione  comune. 

Più  squisita  è  si  apposa  di  parochi  codd. ,  ben(;hè  alquan-'. 
to  cacofona.  : —  133.  /  vivi  suggelli,  i  cieli,  che  im- • 
primouo,iigurano,influi8cono.2, 132. 13, 75.  =:131.  Fanno,  ope- j 

rano,  agiscono.  135.    Quelli  occhi   di    Beatrice.  lb3. ' 

fscus  ar  lezione  de' uiigliori  codd.  =  UH.  JJitch  iuta, 
escluso.  7,  102. 


Canto    XV. 


;  i  (•' 


ANTO 


XIV. 


2.  Rotundo,  forma  antica  per  ritondo, 
eesso,  il  caso.    Lezioni  ainbidue  bartol.    ^= 
(caduta),  cadde.    Manti  Prop.  1,  2.  111.    =^^13 
e'  adorna.    =    IB.  A  l 


=  3.  Per- 
4.  Fé  caso 
S'  in  fio r  a 


noi,  rechi  impedimento  agli  occhj 

rporei.  =  20.  Alla  fiata  lezione  di  buoni  codd.  e  testi 
tichi ,  che  si  difende  a  ragione  coli'  analogia  d'  alle  fia- 
te ed  alle  volte.  Il  numero  delle  sillabe,  che  variarsi  può 
di  due  in  tre,  non  decide.  Tanno  a  rota,  danzano  e  can- 
tano in  giro.  22.  Orazion,  dimanda.  ==  24.  Tor- 
near e,  muoversi  in  giro,  siasi  o  in  danza,  o  in  giostra. 
Ttooi ,  Tonoj  ,  Tooitiì ,  Toficvui ,  roovYbi ,  TOQVvam ,  e  il  ted. 
drehen,  son  tutti  quanti  aftini.  =  25.  Qual,  chi.  = 
26.  Quive,  quivi,  nel  cielo.  r=r  27.  Refrigerio,  risto- 
ro, gaudio.  Ploja  dal  fr.  pi  aie ,  per  pioggia.  =  28. 
Quell'  uno  e  due  e  tre,  dio  triuuuo.  :=  33.  Muno 
(lat.  munus)  rimunerauza,  premio.  =  34.  Dia  (dal  lat 
dius,   divus) ,  divina,   risplendente.     Munti  Prop.   1,  2.  22(i. 

Parla   dell'    anima    di  Salomone.    : 38.  Amore  verso  dio, 

■ —  40.  Sua,  della  vesta.  Seguirà  di  alcuni  buoni  codd 
invece  de  seguita  risponde  meglio  a  ragg  e  r  à{'i^)e  accre- 
scerà (41).).  =  ih.  O  r  a  d  a,  gradita  a  dio.  T  utt  aquanta,  per- 
fetta e  intera.  =^48.  Condiziona,  (a.  cipacì,  dispone  =  51. 
Raggio,  chiarezza  del  lume.  =  54  Parvenza  si 
difende,  apparenza  si  discerné.^  r=  57.  Tutto  di,  tut- 
tavia.        62.  Amme,  amen,  cosi  fia.     =     b4.  Mamme, 

madri.    ■ (i7.  Disputano  gì'  interpreti,  se  il  poeta  parli  del 

nuovo  cbiaroi  della  spera  di  Marte,  o  piuttosto  d'  altro  in 
quella  del  sole,  cioè  d'  un  terzo  cerchio,  riguardo  al  primo 
nel  10,  64  ss.  ed  al  secondo  nel  12,  3.  ss.  lo  che  è  meno  pro- 
babile. V.  73  88.  83.  89.  no.  =  71.  Parvenze  di  stelle.  zr= 
73.  Sussistenze,  sostanze.  =  81.  Si  vuol,  conviene. 
Non  —  mente,  restaronsi  indietro.  =:  82.  J5,' ha  più  effi- 
cacia d'azione,  che   a.     8(i.    Affocato,   più   intenso. 

Riso,    splendore.     89.    Olocausto,    sacrifizio,     rrrr 

91.  Esausto ,  cea»ato.  93.  Litare,  aacrilicare.  La- 
tinismo!        it»  A  6  i  (dal  lat.  ruAei)  rossi.    =    9(i.   Elias 

voce  greca,  HÌgnilìcante  sole.  Cos'i  la  vuole  la  terminazione; 
che,  se  la  parola  fodse  ebrea,  sarebbe  Elihn,  o  Eliah. 
Etimologicamente  e  storicamente  considerandola  non  neghi- 
amo,  che  col  tempo  abbia  provato  questa  ed  altre  metamor- 
foHÌ ,  che  si  riferivano  al  culto  del  sole  antichissimo  e  lungi 
sparso.  (Vnn  è  poi  strana  cosa,  se  qui,  dove  tutto  risplende, 
luce,  «favilla,  arde,  il  poeta  lo  prenda  per  dio.  : —  97.  In 
invece  di  e  preferiamo,  perchè  è  più  elegante,  e  mostra  più 
chiaramente  il  trascorriinento  e  il  passar  dell'  occhio.     : — —  !;8. 

/  poli,  V  artico  e  1'  antartico.    : 99.    Galassia,   la  via 

lattea.     Che  —  saggi,   donde    provenga.  Conv.  2.  15.    

ÌW-  Coi  t  e  II  ati,  sparsi  di  stelle,  n  generalmente  disposti,  or- 
dinati a  guisa  di  stelle,  rr-r.  101.  Raggi,  liste  splendide.  Il  —  se- 
pno  della  croce.  r=  102.  Che  ecc.  che  formano  le  giunture 
di  quattro  quadranti  (parti,  nelle  quali  dividono  il  circolo  due 
diametri  intcrHCcantisi  ad  angoli  retti)  riuniti  in  tondo,  o  cir- 
colo.   ^=~     103.  Memoria  e  caso  retto.    : 10tì_.  Chi  ecc. 

eoa  che  diviene  beato.  =r-  109.  Corno,  estremità,  braccio. 
— ^—  Ito.  Lumi  d' anime  beate.  112.  Qui  tra  noi.  114.  Le 
min  uste  ecc.  gli  atomi  e  le  particelle  ialiaitc.    =    115. 


I.   Si  li  qua,   dal   lat.   liquet  ,ei  m^nlteata,   si  mostra.  ; 

2.  Lo  —  spira,  la  vera  carità.     : —    3.    Cup  i  d  ità^^j 

cupidigia.    : —    6.  Al  l  enta  e  tira,  tempera  e  rende  d'  ac- ,|||; 

cordo.    : S.  S  US  tan  ze  ,  spiriti   beati.     =     13.    Sere  ti 

notturni.     r=     15.   Sicuri  o  fermi,    o  piuttosto   disattenti. 

18.  Nulla,  niuna  stella.    :=  20.  Un  astro,ì'  anima 

risplendente   di   Cacciaguida.     : —     22.   G  emma,  splendore, 

24.   Alabastro,   marmo   trasparente.    : —    26.  A  en- 
tro —  musa,  Virgilio.     ^=    28.  0  s  angui  «.ecc.  oh  tiglio 
mìo!  oh  grazia  divina  soprabbondevole  in  te!  a  chi  mai,  coineirbi 
a  te,  due  volte  fu  aperta  la  porta  del  paradiso  ?  Raffr.  Eneid.  1, 

6.   680.     35.    Fondo,  colmo.     : 36.    Gloria,  lez.  dJj 

bartol.  e  fi.  raffr.  1  Pe.  1,  1.    rz=    39.  Profondo  altamente, tal 
con  sottilità  e  sublimità.     =     40.   Per   elezion  apposta^ 

42.    Al  se gno  dei   mortai  (co.si  li  migliori  codd.)  «im! 

soprappo se,   oltrepassò   le   cose  e   i   limiti  dell'   intelletto 

mortale.    44.  Invece  di  sfogato,  rallentato  dall'  impeto  iiai 

o  sfocato,  due  codd.  hanno   scoccato,  che  senz'   altro  iqu: 

è  più  naturale,  e  conforme  a_Pg.  25.  17,  Lif.  25,  96.    45J;ici 

Discese,  smontò  dalla  sublimità.  z=r:  49.  Lont an,  lungoitile 
luf.    2.    60.    Digiuno ,   desiderio.        =       50.      Tratto\i 

attiratomi.    51.  U  —  bruno  ,  dove  niente  si  cangia.   — 

55.  Mei,  entri  in  me,  si  scuopra  a  me.   56.    Da  —  pri- 

m  0  ,  dal    divino   pensiere.     Il  aj  a  ,  raggia  ,  risulta.    57, 

Vn,   unità.    =    bO.    Gaja,    allegra.    r=    62.    Speglio  Arni 
specchio,  mente  divina.    : —    63.  Pandi,  spandi,  palesi.  25, 
20.     =:    66.  Si  adempia,  s'  appaghi,  si  soddisfaccia. 
69.  Decreta,  determinata,  prefissa,  ordinata.    ::=:  71.  -4r-fc 
risemi,  filtri  hanno:  ar rosemi,  da    arrogere,   aggiu-  ih 
gnere,  men  duro,  ma  meno  elegante.    =    73.  Lo  —  «e  n  no, mi 
r  affezione  e  il  conoscimento.    r=r    74.   La   prima   equa-' 
Zito,  iddio,  in  cui  la  somma  di  tutte  le  cose   si  rappresenta,,!)!) 
come  principio  da  cui  derivano  ,  dove  si  agguaglia  1'  universi-: 
tà   delle  esistenze  passate,  presentì   e   future  possibili.    ——Hi 
75.   Di  un  — fé  ti  710,  si  raessero  in  perfetto  equilibro.    =: 
76  8.  La  lezione   volgare    è:  perocché  al  sol  che  v'  al 
lumò  ed  arse  e  ol  e  al  do  e  con  la  luce ,  en  si   igu  «4: 
li,    cioè  perchè  alla   luce  del  sole   eterno ,  che  v'  arde  colla t<ir 
carità,   e  illumina  colla  sapienza    sono   cos'i  uguali,  che  eccj 
I  codd.  bart.  e  fi.  hanno  come  noi,  salvo  che  facciano   paren. 
tesi  delle  p.irole  pero  che  ■;—  luce,  il  che  non  par  necessa- 
rio.    Cos'i  il   senso   corre  più    facilmente:   in  voi  altri  spiriti 
beati,  il  caldo  affetto,  e  il  chiaro   senno,   giacché  iddio  voglì 
inspiro,  sono  in  tanto  equilibrio  e  s'i  ugudli,  che  ecc.  . —  79, 
foglia,  volere,  affetto.    Argomento,  potere,  senno,  sa- 
pere,    lut.    26,   5.').    ; 81.  Diversamente — ali,  noi 

vanno    d'    un   modo.    : 83.   Disuguaglianza,   dilfe-ff 

renza  ,  sproporzione,  sconveneiiza  di  brama  e  di  sapere.  =rs 
84.  Pat  erna  f  està  ,  accoglienza  amorosa.  =:  85.  To- 
pazio, gemma,  luce.  : — :  86.  Gemma,  la  croce.  In- 
gemmi,  adorni.     87.    Sazio,   consapevole.     :=    88èfc 

Fronda  dice  Dante  pronipote,  perchè  sé  stesso  appella  ra 

dice.      92.    Cognazione,    schiatta   degli    Alllirbierii 

Cento  —  cornice.  Con  questo  porlo  nel  purgatorio  I! 
accusa   di    superbia,  come  pur  sé  stesso  Pg.  13,  131).  ss.  ma  1^ 


l'f 


fa   con  dilicatezza  mostrandolo  da  lontano  in  iscorcio.    . —  9&i 


La  l.  fatica  di  portar  sopra  la  testa  peso  enorme 
Cerchia,  mura,  come  hanno  alcuni  codd.  in  singolare.   == 
98.  Gilde  —  nona,  dov'  è  la  torre  della  iladia,    che    suol 

r  ore.    101.  C  on  tigiat  e  ,  adorne;  dd  vont  ig  i  e,  ca    jj! 

zc  solate  col  cuojo,  stampate  iiilorno  al  pie;  poi  ogni  orni 
mento,  abbellimento.  : —  105.  Fu  g  g  ian  ,  eccedevano,  rrrr  10 
Case — vote,  troppo  vaste  per  il  lusso  e  per  lo  soverchio.  =: 
107.  Sar  danapalo  ,  ultimo  re  degli  Assiri,   libidinosissim 

109.  M  onte  mulo,  oggi    Mont  emar  io  ,   contiguo 

Roma  d;t    Viterbo,    via  la  più  battuta  al  tempo  di  D.   : 11 

Uccellatoi'  (cos'i  ha  il  cod.  bart.  invece  d'   Uccellati 

jo,   che  pur  venne  pronunziato  cos'i,  v.  all'  Inf.  6,  79.),  mon     "' 
al   quale   pervenendo  da  liulogna   sì  vede  schierata  Fioreiii 

111.  Calo,  decadenza,  rovina.    :: —     112.    B ellincio     ^ 

Berti,   cavaliere  notabilissimo    de'   llavignani ,  a  cui  suco#| 
dettero   in   retaggio  li   conti   Guidi   per  Madonna  Gualdrada. 

113.    Di   cuojo   e   di  osso,    di    casacca   di   cuojo  cot 

bottoni  d'  osso,  o  di  cintura  di  cuojo  con  la  fibbia  d'  osso.  =S 
111.  Sema  ecc.  senza  belletto.    =    115.  Nerlie  Ft 


COMENTO    SULLA    DIVINA    COMMEDIA. 


ki,  due  case  antiche  fiorentine.  Pelle  se  averta  ,  senza 
■nno ,  drappo,  o  ricamo  e  jralloiie.     : —     120.    l'er  Fran- 

a,  perchè  il  inarilo   aiidavd  in  Francia,  o  a  mercantare,  o 

divertirsi.    Vii.  Lo  idioma  fanciullesco,  da  bambino. 

=     l'iti.    Fiesole^   città   antica   vicina  a  Firenze.   ìillani 

.   1,    5B.    12H.    Ci'a  ng-A  e/ /a  ,  donna    fiorentina  della 

miglia  della  Tosa  ,  maritata  in  Imola  a  Lito  degli  Alidos^i, 
sciva  e  dissoluta.  Lapo  S a  1 1  e r  e  II o  ,  giurecnwsuho  ma- 
dico,  superbo,  di  molle  vita  ,  dannato  a  fuoco  da  Gherardino 

Gambata  da  Jtrescia,  podestà  di  Firenze  a'  d'i  (i  ott._1302. 
roya  veltro  alleg.  óó.  =  129.  Cinrinnato  (Quinzio) 
ttatore  romano  di  gran  virtù.  Co  mi  glia  .,  figliuola  di  Sci- 
one  Africano  il  magciore,  madre  de'  Gracchi,   prudentissima 

eloquente.     Vii.    Ok  te/io  ,  albergo  ,  magione.    := 

i.  B atisteo.  Inf.  19,  IT  ss.  : — :  137.  Mia  donna, 
iglie,    una  Allighieri.      fai  di  Fado  (l'oj  Ferrara.    = 

9.   Currado  III,  imperadore.   140.  J/i  —  milizia, 

i  fece  cavaliere.  ■  : —  1-13.  (Quella  /  «gg  e  maomettana. 
=      141.  Colpa,  dappocaggine.  Fast  or,  papa.     Giusti- 

a,  dritti,  ragioni  e  averi.  =-  148.  Martirio.  Gaccia- 
i.iUa  morì  iu  battaglia  centra  i  Turchi. 


C  A 


XVI. 


7.  Raecoree,  raccorci,  f  abbrevj.  =  9.  Force, 
rbice,  plur.  di  forbicia.  =r  13.  Scevra,  discosta.  = 
.  Quella  cameriera  della  regina  Ginevra  nella  Tavola  Ro- 

ida.    15.  Fri  ino  fallo  dì  lasciarsi    baciare   da   Laii- 

lotto.    =    22.  Fr  imizia  ,  radice,  ceppo.   =  25.    Ovil 

san  Giovanni,  Fio  renze.     : 30.  B  l  and  i  menti, 

role  piacevoli.    33.  Questa  fiorentina.  r=  3i.  Dal  — 

ve,  dal  giorno  dell"  incarnazione  del  Verbo.  =:  37.  Suo. 
inameule  alcuni  codd.  hanno  sol.  iVIa  la  lezione  cinquecento 
quanta  e  trentafiate,  scartata  dagli  Accademici,  cat- 
i  calcolatori ,  che  invece  di  tre  n  ta  leggono  tre,  giusta- 
ute  è  stata  riposta  da  Lombardi,  peririiè  compiè  iMarte  il 
1  periodico  giro  in  giorni  bHtì,  ore  22,  min.  29,  che  vale  a 
e  buoni  giorni  43  meno  di  due  anni;  e  dunque  SfcO  X  t8b 
>rni,    ore   22,   min.   29,    fan   nato  Cacciaguida  tra  il  10!)0  e 

a  tempo  di  militare  sotto  Currado  HI.      41.  Sesto. 

jrenza  auticameiile  si  dividc\  a  in  sesti ,  o  sestieri.  ==  42. 
nnual  gioco,  il  palio  che  si  corre  nella  festa  di  san  Gio- 
nni,  nel  sesto  di  porta  san  Pietro.  r=  4ti.  Ivi,  iu  Fiorenza, 
r  47.  Tra  Marte  e  il  Batista,  tra  il  luogo,  dov'  era 
statua  di  Marte  ,  situala  a  l'unte  Vecchio,  e  il  Batisterio, 
aque  il  largo  di  Fir.  tra  i  detti  limiti  v.  Inf.  13.  r=  48. 
quinto,  la  quinta  parie;  poiché  nel  I.ÌUO.  Fir.  facca  da 
,000  anime,  e  al  tempo  de'  maggiori  di  Cacciaguida  14,000. 
:  50.  Vampi,  Ce  rialdo.  Figgiti  ne,  luoghi  del  con- 
io di  Firenze.  r=r  51.  l\'ello,  sino  allo.  — r 53.  Galluzzo 
Trespinnn,  luoghi  vicini  alla  città  e  pres-so  che  sulle 
rte;  al|argando!<i  la  città  vennero  poi  ad  internarsi  iu  lei. 
r  ÓH.  y  il  laudi  A  gag  lina  (castello  in  Valdipcsn) 
9ser  Baldo  d'  Ag.  Quel  Bonifacio,  da  Signa  giudice,  a' 
ftbb.    nel    1312.    sentenziali  a  morte  da  Arrigo  VII.    Truyn 

A.    133.       : 58.   La  —  tratigna,    i  papi.       nrr:      59. 

over  e  a,  contraria,  avversa.  Monti  l'rop.  3,  1.  If2.  r= 
Si  m  ij'on  t  i  ,  il  end.  bart.  ha  Simifonte,  ca.-tellu  in  Tos- 
ta piccolo  ma  forte,  nei  ronlìni  tra  lo  stato  fiorentino  e  il 
lese,  rrrr  h'i.  Andava  alla  cerca,  mendicava,  ccr- 
'a  la  limosina.  =-  Ii4  Montcmurlo,  ca«lcllo  tra  Prato 
*istoja,  venduto  dai  conti  Guidi,  che  nel  1207  non  piiteronn 
enderlo  da'  Pistoiesi.  /  Ulani  cr  5,  31.  :=—  05.  /  Cerchi 
pone  di  divisione  e  principio  di  Parte  Bianca.  Fiever. 
HI  (non  pivier)  da  pieve,  leggono  i  codd.  bart.  e  fl. 
;o  ne,  ricca  e  popolata  terra  inTosc.ina  traPistoja  e  Lucca. 
:  6ti.  f  aldigrivve,  tratto  della  Toscana  al  sud  di 
cnze,  delto  cosi  dal  fiume  Greve;  influente.  — —  (i9.  Del 
rpo,  del  mal  del  coi  pò.  r^  72.  Le  sì  deve  scnz'  altro 
1  misura  del  verso,  dove  p  i  ii  <■  fanno  non  una  sit'alia,  ma 
1.  =73.  Luni  citlii,  cajio  della  Lunigiana,  oggi  diitriitta. 
•bisaglia,  ca>-telluccio  in  oggi  della  dioiesi  dì  Macc- 
antii-ainriite  urbs  Kulria.  i—  71.  Ite  tnancauHo. 
74.  Chiusi,  o-^gì  pic-co/a  città  delWi  stalo  di  Siena^ 
guglia,  piccola  città  iiiarilima  nella  spiaggia  dell" 
rialico  ,  della  Legazione  d'  Irbino.  rrrr  feO.  Celasi  la 
rte.  Alcuna  cosa,  r-r  HI.  lite  vostre.  ; — :  Kl.  t'« 
e  e  diarcinre  cagionando  il  JIuHso  e  rilliisso  del  inare. 
:  K4.  I<'a  la  fortuna,  procacciando  il  su  e  giii ,  o  le 
unde  delle  cose  umane.  .- —  Hli.  litri,  nobili,  r-^  90. 
(I  uri  calare,  pur,  eziandio  II  cod.  II.  ha  rallarr  ,  dì 
Il  dal  \iviani  e  spiegalo  con  call.ija  iPp.  2'i,  7i,  ingresso, 
ral.i,  siri-|i(i  rorrispoinla  a  purla  nel  v.  HI  l.i-/.iiine  di  non 
re/./.arsì  aH'-oInlainenle ,  benché  nata  forse  di  ll.i  Ira^Tomn- 
c  s  s  r  r  e  alla  callaja,  cioè  al  termine,  nlla  line,  clic 
ine  in  menle  al  mpialorc.  In  qiiealo  modo  il  senso  sarelibe 
>  con  quello  della  volgare,  e  perii  dilfereiile  da  quel  del  Vi- 
ni. Ma  non  ne  risulta  aitine  nitro  se  non  un  areaìsmo,  od 
caprìccio  ed  una  bizzarria  di  più,  poiché  il  facile  seiisn 
auuc   si   concorda   bene  col   tutto.    Catare   i>  il    g^.  /a^.cì»'. 


=  94.  Porta  di  san  Pietro.  J'illani  cr.  4,  10.  8,  2G.  3,  2. 
7,  117.  La  casa  cioè  passò  a  Bellincion  Berti,  per  esso  ai  cinti 
Guidi,  infine  ai  Cerchi  \eri ,  appellati /e //on  i  da  D.  Bian- 
co.        91).  Altri  ìian  poppa,  senza  autorità  e  per   arbitrio 

di  saputelli.  J  attur  a,  lezione  del  cod.  bart.  più  prossima  ali" 

origine  lat.  101.   tuole,  deve.   =^  102.    Elso,  guanlia, 

metallo  intorno  al  manico  che  guarda  la  mano.  r=  103. 
Colonna  (banda,  sbarra  sola  e  per  diritto  nel  campo  dell' 
arme)  del  vajo,  lista  dipìnta  a  pelle  dì  vajo,  i  Pigli  (/"i7/nnt 

cr.  12,  22)  o  Billi.   105    Stajo  falsato  con  trarglìeue  una 

doga.  Pg.  12,  105.  zrrr  lOU.  Lo  ceppo  de'  Donati.  =  lOS». 
Curu/i  sedie,  primi  magistrati.    :=    109.  Quali,    in   qnal 

alto  grado.  Intende  degli    l'bcrli.  110.  Le  palle  dell' 

oro,  i  Lamberti.  Finrian,  abbellivano.  =:  IVI.  Padri, 
antenati:  i  Visdomini.  Tosinghi  e  Corligiani,  padroni  e  fon- 
datori del  vescovado  di  Firenze.  114.  Si  fanno  grassi 

a  guisa  dì  porci,  ammiuistrando  i  beni  ecclesiastici.  Co  n  «ts  to- 
ro, ironicamente  preso.  115.  0/£r  a  co  f  ato  ,  preson- 
tuosa, superba,  v.  ali"  Inf  8,  124.  9,  93.  Altri  leggono  oltra 
contata,  cioè  altra  no  m  in  a  ta.  Inclinerei  ad  oltraco- 
tante. S'indraca,  perseguita  come  drago.  ==  liti. 
Ed,  ma.  —  intende  i  Caviccioli  ed  Adimari  crudeli,  ma  vili 
ed  avari,  che  vennero  di  Mugello  circa  1'  undecimo  secolo. 
Boccaccio  Adimari  occupii  i  beni  di  D.  esiliato  ,    e  sempre   gli 

fu  aversarìo  acerrimo.    120.  La  lezione  adottata  è   quella 

del  Perazzini,  e  il  verso  resta  endecasillabo:  che  poi  'l\so- 
ce|ro  itfes\se  lor  \  p  aren  \  te.  Poi  si  riferisce  al  ma- 
trimonio anteriore  dì  Belliucione.      121.  Le  famìglie  qui 

nominate  sono  ghibelline.    123.  Incredibile,  in  tempi 

di  superbia,  d'  avarizia  e  d'  invìdia.  ; 125.  Cerchio  della 

città.      126.  Che  ecc.  cioè  Peruzza ,  da  quei  della  Pera, 

famiglia  nobile.  127.  Insegna,  doghe  bianche  e  ver- 
miglie.            128.  Gran  barone  imperiale  Igo,    venuto  e 

morto  iu  Toscana  vicario  per  Ottone  111  imperainre.  Questi 
conces-se  alle  famiglie  Pulci,  Nerli,  Gangalandi  ,  Giaiidonati  e 
quei  della  Bella  il  privilegio  d'  inquartarc  nell'  arme  loro  la 
sua.  =^  128.  La  —  Tommaso,  dove  mori;  celebrata  nella 
badia  di  Settimo.   =   132.  Colui  Giano  della  Bella,  f  Ulani 

cr.  4,  2.  La,    insegna.    133.   Erano    grandi;   come   v. 

107.121  8.  V.  f  Ulani  cr.  4,  12.  =  134.  Borgo  sant' 
apostolo,  rrr  135.  A'o  u  i  r  i  a  n  ,  Buondelinonti.  ==:r  130. 
La  casa  degli  .\mìdei,  vilipesa  poi  e  sbandita.  J'ill-ini  cr. 
ti,  t)4.  Fleto,  pianto  27,  45.  =  137.  Giusto  disdegno 
verso  Buondelmonte  de'  Buondelmonli ,  che  mancato  avendo 
alla  data  promessa  di  prendersi  per  isposa  una  dì  casa  Ami- 
dei ,  e  presa  invece  una  de'  Donati,  fu  crudelmente  uccìso; 
onde  nacque  la  fatai  divisione  iu  (ìuelfi  e  Ghibellini.  /  Ulani 
5,  38.  : —  ri8.  Pose  lezione  de'  migliori  codd.  t=  141. 
Sue  della  detta  casa.  Conforti,  impulsi  dalla  madre  della 
zittella  Donati.  /  Ulani  5,  .38  =:  143.  Ema,  fiume,  che  si 
passa  venendosi  a  Firenze  da  Montcbuono,  castello,  onde  dis- 
cese il  casato  de'  Buoii(lelmonti,clie  venne  in  Firenze  nel  1135. 
Senso:  se  i  Buondelinonti  la  prima  volta  che  vennero  a  citta, 
fossero  auucgati  in  (|uel  fiume,  rrrr  145  ».  Pietra — ■no;ife, 
base  della  statua  dì  Alarle  priva  di  essa  statua,  che  il  Ponte 
Vecchio  conserva,  dove  B.  tu  ucciso.  r=  152.  Giglio,  in- 
segna de'  Fiorentini.  =  153.  \on  ecc.  11  vincitore  ponev_a 
sozzopra  nell'  asla  P  insegna  del  vinto.  .Senso:  mai  non  fu 
vìnto.  =:^  154.  A»ii't«»on  iu  Guelfi  e  Ghibelliui.  f  «rmi- 
glio  di  bianco. 


ANTO 


WIl. 


1.  Qua/  Fetonte.  CU  me  ne,  madre,  rrrr  2.  incon- 
tro a  si-,  che  non  fosse  figlio  d'  Apnlline.  Orid.\\ei.  1,754  8». 
r=-  3.  Scarsi,  rilenuli  o  riguardali  al  coniliscenderc  » 
figli.  =  4.  jf'rt /e,  cos'i  ansìo.ii.  S  ih  f  1 1  e,  conosciuto.  = 
ti? M alato  silo  dui  corno  destro  della  splenderne  croce  a 
pie  d'  essa.  15,  19  ss.  ^rr:  8  —  9.  Il  cod.  caci,  ha:  /'  esca 
seguala  He  v  i;  il  glenberv.  :/'<*(«  «.  i  ru  ga  da  1 1 
eterna  it.  =  Vi.  .1/ «  ■^  '  «  ,  dia  a  bere  ,  appaghi  il  tuo 
desiderio,  rr^  15  Pian  tri.  \ì»ianì,  ali|n.\nlo  troppo  ingordo 
di  stranezza,  difende  pinta  ,  di.- ippro\  alo  d  il  Dionìsi  AnnJd. 
2,  (il.  Iniililincnle,  al  parer  nostro!  Cliè  se  pianta  e  alfine 
a  (D.aui ,  [iloio,  [ikciut ,  piota  «eni'  altri»  ha  la  stcìtsa  ra- 
dico in  (f-loto,  // o»  ,  o  ia  if  VI  or,  tf'vinitit.  T'  iniuti, 
innalzi,  rrr:  10  Co /i  J  »  n  ^ '' n  f  i  .  casuali  avvenimenti.  =■ 
17.  Il  punto  ecc.  1"  elerno  dio.  itt-  20  Monte  —  cura, 
il  purgatorio,  rrr-  21.  M  n  u  il  o  d  i  f  u  u  t  n  ,  1'  inferno.  =: 
23.  (.'rn  n,  nlTIillive.  rr-^  2i.  T  et  r  a  go  un  ,  MabWc ,  inat- 
terrabile,  forle.  Fj«pressi«nc  greca  !  r  .W.  C  o  nf  i  *  sa  , 
confessata,  manifesinia.  i—  ^ì.  L  o  a  g  n  e  l.C.voa.  'i' »  ' '[;> 
Inelie.  -^  35.  Latin,  o  parlare,  o  stile  Ialino.  =•  J"- 
C/I  l'uno,  ricoperlo  col  lume.  Far  cent  ,,  apparente,  r—  37. 
Con  t  i  II  if  e  (I  1(1  ,  rasualilà.  Quaterna  (roti,  b.rrl  )  foglio, 
libro;  e  for  —  m  a  ti  ria,  oltre  ì  limili  dello  spazio  e  del  tempo, 
che  HUiio  insieme  limiti  «lei  sapere  lìnilu  r—  39.  K  t  •  r  ii  u 
di  dìo.  z —  40.  .Ver»  »»if«  dell'  avvenimriilo ,  che  togliesse 
a'  mortali  la  libertà  del  volere,  i'eri»,  per  esservi  dipinU^ 
41.   fi  IO,  occhio.  =42.   Torrente,  lei.  di  pareccUi 


COMENTO    SULLA   DIVINA    COMMEDIA. 


codd.  più  forte.  Dice  :  nave  non  digcende  necessariamente  giù 

per  torrente  perciocché  o  giacché  uno  1'  immagini.      4'^. 

IJ a  indi,  dal  cospetto  eterno.  46.  Qual,  (orzatamente. 

rr^  47.  Noi' ere  a,  Fedra,  innamorata  caliinnìatrice.  r= 
49.  Questo  partirtene.  Si  vuole  in  corte  romana  per  lo  papa. 

Cerca  per  niesser  Corso.  51.  Là  ecc.  nella  corte  romana 

simoniaca.      52.  Offenita,  soccombente.     53.  in 

g  rid  o,in  bocca  ed  opinione  della  plebaglia.  La  ve  ridetta, 
dopo  i  cacciati  Kiancb!,  la  rovina  del  ponte  alla  Carraia  pieno 
di  popolo  sprofondato  si  nel!'  Arno  nel  1304,  a'  1  maggio;  T 
incendio  di  più  di  1700  case,  nel  giugno.   Jillani  c.r.  b  ,   70   s. 

54.   J'er.  dio.    5t<.  Sa   di   sale,  ha  sapore  salso, 

sa  d"  amaro,  riesce  fastidioso.    : 62.  Scempia,  disunita, 

divisa,  discorde;  o  scimunita,  sciocca.  : —  t3.  ì  alte, 
bassezza.  Mi.  Boss  a  di  sangue,  perchè  infranta.  Le- 
zione di  buoni  codd.   invece  di  rotta.    : [i't.  B  e  stialit  a- 

de.  la  baliaglia  bestialmente  attentata  a  Firenze  nel  luglio 
dell"  anno  ]oU4.   f  Ulani  cr.  8,  72.  Prece  st  o  ,  esito.   : —    70. 

O.s  f  p^ /".  albergo.      'il.    G  ran  L  o  ni  b  a  r  d  o  ,  Bartn- 

lommeo  della  S^caia  ,  signor  di  Verona  ,  primogenito  iiglio  di 
Alberto,  padre  di  Can  Grande.  V".  Lgo  Foscolo  discorso  sul 
te>to  del  poema  di  U.  f.  164  — filili.  J)  io  ni  si  peri)  intende 
Can  Grande  istesso.  v,  Orelli  ^  .  di  Dante  f.  37  ss.  Troija 
velt.  ali.  5».  119  s.    : —      72.    Che  ecc.  cui  1'  arme  è  scala  d' 

oro  in  campo  rosso  con  sopravì  aquila  cera.    75.    (^uel , 

il  fare ,  il  benefizio.     : 70.  Colui,    Caa   Grande,   Iratello 

dì  Dan.  e  d'  Alboino.  Impresse,  influito,  suggellato.  : — 
T!.  Si  el  la  forte  di  Marte.  =  iHi.  Pur  —  to  rt  e.  Wel 
1300  ,  anno  del  viaggio  di    D.  ,   aveva    Cane   nove  anni    golari, 

nato   nel  1291.      : S2.  Il  Guasco,  Papa  Clemente  V'.  di 

Guascogna.  Arrigo  \U,  imperatore.  Inganni,  avendolo  il 
papa,  governato  col  piacer  di  Roberto  di  Napoli,  pei  suoi  fini 
promosso  all'  imperio,  spediiogli  legato  Luca  del  Ficsco  car- 
dinale, fratello  di  Alagia  Malaspjna,  e  pure  oppostosi  sotto 
juaim  alla  sua  entrata  in  Italia,  che  s'  intraprese  nel  1310. 
f Ulani  cr.  9,  7.  Tro'jaV.  A.  1.118  8.  Ugo  Fosc.  disc.  176.  Cane 
ebbe  allora  19  anni.  =  bs.  Ti  aspetta,  ti  riserba,  l'g.  18,47.  =r 
SI.  Po  rterain  e — di  lui,  t'imprimerai  in  memoria  quanto  io 
ti  dico  di  lui.  E  (ottimi  codd.)  ma.  r=:93.  Quei — fien  p  re- 
te Ji  te  (di  presente,  presentemente)  leggon  molti  codd.  11  bart. 
ha  quel  —  jìa.  Quei  Ini.  2.  104.  19,  45.  (incerto)  Pg.  3,  120. 
=    95.  Fu  detto.  \.  22  ss.     =r    96.  Giri,  anni.    97. 

l'icini,  concittadini,  r^  08.  S'  infutura  è  per  durare. 
S'aua  speranza!  che  mori  esule  a  Ravenna,   onorato  con  libri, 

ecc.     : 100.  Spedita,  sbrigata,   finita  avendo.    102. 

Ordita  nel  purg.  e  nell'  inf.  : 105.  f'uole  dritta- 
mente, di  retta  volontà,  schietta.  : 108.  A  —  abban- 
dona, a  colui  che  più  sì  sbigottisce.     110.   Loco  pili 

euro,  la  patria.      : —     111.   Li  altri  luoghi  cari  ed  ostelli. 

112.  Mondo  —  amaro,  V  inferno.    : 113.  Monte, 

purgatorio.    ^^    117    Scj)or  —  a  fi:  ru  m  e,  spiacevole  assai. 

119.  l'i  ver  (co.s'i  parecchi  codìl.  invece  di  vita),  nome, 

fama,  voce.      =      121.   Tesoro,  trisavolo  amatissimo.    

122.   Cornifica,   più  splendente.      125.  T'ergogna, 

onta,  azione  \ergogno,sa.     126.  Brusca,  acerba,  dura. 

Affine  al   Icd.    barsch ,    a'   greci    ^nvxui ,    ^nvyoi ,    ^ovttoj 

pnuZc) ,   e  moltissimi  altri.     129.   Lascia  —  rogna, 

proNerbialmente  ,  lascia  dolersi  o  chi  ha  da  dolersi.    131. 

Gusto,  a8sagiar^i.  r=r  133.  Grido,  parole  fulminanti. 
=:  139.  Posa.  8_'  accheta,  si  fida.  =:  140.  Ferma  presta 
ferma,  //a  ja  ,  abbia.  : —  141.  Incognita  e  nascosa, 
0!<rura  e  bas-.ci.  Argomento  —  paga,  inateiia  poco  gpe- 
zio«a  e  ignobile. 


j  Mota,  mossa.  =  55.  Mere,  pure,  serene.  =  57.  Li 
\  a  Itri.  11  cod.  fl.  e  bart.  le  altre.  La  comune  lezione  pare  più 
j  S(iuisita,  perchè  si  distingue  1'  ultimo  solere,  solito,  da- 
!  gii  altri.  Era,  dice,  più  gioconda  di  quel  eh'  era  altre  volte 
!  sino  air  ultima.  =  62.  Avea  cresciuto  lo  arco, 
crasi  più  elevato  e  più  s'  appressava  all'  empireo.  Che  la  beltà 

ili  Beatrice  a'  accrebbe  coli    avanzarsi  all'  empireo.      63. 

Miracolo,  Beatrice.  Conv.    162.  V.  INuov.  31.    64 66! 

Intendi:  come  donna,  deposta  la  vergogna,  subito  si  rimbian- 

I  ca  ,  cioè  ,  come  tosto  il  rossor  di  donna   vergognosa  svanisce, 

si  scema.    =    67.    ì^jì  Beatrice.    ^=    m  a.  Ste  1 1 a  se  s  ta 

I  di  Giove;  onde  vien    detta.      : 70.    Giovial  face  l  la  , 

[  lieta,  serena  stella  di  Giove.    =:    72.  Segnare,  rappresen- 
tare. iVo  «  tra /a  r  eZ  /  a  1'  alfabeto   italiano.     73.  Che 

conibina  meglio  eh'  e.  Riviera,  fiume,  o  riva.    77.    Fa- 

,  dènsi,  si  face\ano.    =    78.  D.  J.  L.  lettere  iniziali  di  di- 
lli gite.    Sue,    loro.      r=      79.     Nota,   canto.      r=      82. 
Pegasea,  musa.  Calliope.  Pg.  1,  9.  Forse  la  Giustizia  stessa. 
!  V.  a  IH.    =    •t'è.  Cinque  volte  sette    =    35.=    90.] 
Dette,  es|)rcgse.   r=   93.  Se  zzai,  ultimi.  Diligi  te  ecc,"" 

Cosi  comincia  il  libro  della   Sapienza  di  Salomone.     %jV' 

Ordinate,  colle  sante  creature,  donde  si  componevano. i^" 
Giove,  la  stella.  =  96.  Distinto,  fregiato.  =  98.  Co  /  m  o,u 
cima,  r:^  99.  Il  ben  ecc.  dio.  =  102.  Agar  arsi,  augurar.si,  :» 
=  105.  So/,  dio.  So'rtille,  le  distribuì.  r=  107.  Aguila,~ 
seguo  d'imperiale  dignità.  =108.  Distinto  foco.  Giove  (96),  » 

rr=     109.   Quei  ecc.  iddio.    : 110.  Si  r  a  mni  enta  viene  • 

rappresentata,  dipinta,  e  si  deriva  insieme. 111.   Quella" 

virtù  —  nidi,  la  giustizia  imperiale  informa  d'  aquila,"- 
eh'  è  forza,  possa,  che  torma,  ordina,  compone,  fai  nidiij' 
le  cittadi  e  i  regni  (84).  Questa  sposizioue  pare  che  sì''f' 
difenda  co'  v.  116  —  119.  laddove  le  altre  .sposizioni,  che  ia-b 
tendono  nidi  degli  uccelli  lutti,  o  vasi  incavati,  cavi,  forme  jt 
d'  artefici  gettatori,  sono  troppo  vaghe,  generali,  sino  ad  ea-  ■ 

ser  tautologiche.      112  Bcatitudo,  schiera  d'  animt^. 

beate.      r=      113.   Ingigliarsi   formare   corona   di    gigli, 

Alla  emme  in  cima  della  M.     : 114.  Imprenta,  ira- °: 

pronta,  figura  dell'  aquila.  : — -  115.  Gemma,  beate  aiiimt*.' 
splendenti  r=  117.  Dal  cielo  di  Giove,  re  degli  dei,  di' 
cui  il  simbolo  è  1'  aquila.  Esiodo  Teog.  96.  Omero  11.  2,  205.'" 
9,  98.  24,  315.  Od.  2,  146.  =  118.  La  mente,  iddio.  =:  120,  ^' 

// /u  j« /no  ,  r  avarizia.    : 121  ss.   L  n'   altra  fiala  »i 

riferisce  a  Matt.  21,  12.  Marc.  11,  15.  Giov.  2,  13  ss.  c:,\  qual"'' 
ullìmo  passo  v.  18  difenderei  la  lezione  segni,  in  significato  biblico  f^ 
di  miracoli  e  prodigi,  operati  da  Gesù,  invece  di  sangue._. 
quantunque  ciii  si  legga  in  buoni  codd.  Perchè  sa  n  g  u  e  «~ 
martiri  sono  tautologici,  e  sangue  sa  inoltre  di  chiosa,"' 
poslochè   il  segno   sia,  come  dice  Giov.  v.  21.  la  risurrezioni"' 

ili  Gesù.     : 125.    Adora,    ora,   priega.    : 126.  Mali' 

e  s  empio  de'  pontefici  romani.     128.  Togliendo  le 

pan  eucaris-ticn  ,  cioè  scomunicando.    130.   Tu  Clementt' 

V".  Inf.  19,  82.  Cancellare,  rivocare  gì'  interdetti  per  ret 

guadagno.     : 132.    Vigna,  chiesa.    : 134.  Colui  — 

solo.^   Giovanni   battista,   cui  la  figura  essendo  effigiata  su  ì 
fiorini  d'  oro  fiorentini,  gli  rinfaccia  con  questo  detto  mordaci 

r  avarizia.    135.  Che  —  m  ar  tir  o.    Marc.  6.    ir 

// pesca t or  Pietro.    /*» io,  Paolo, 


C   A    IV   T   o      XVIII. 

1—3.  f'erbo,  pensiero,  idee,  concetto,  csucre  iatellettu 
ale.  19,  44.  Si  godeva,  perchè  beato  e  perfetto,  laddove  1). 
di  sé  dice  gustava,  assaggiava,  essendo  egli  uomo,  che 
fcrorsele  sue  vicende.  Te  m  pru  n  do,  mischiando  edadeguando. 
Specchio,  iinecc  di  spirto,  è  lezione  antica  più  elegante 
e  pili  grave,  che  contiene  1'  idea  d'  angelo  (9,  61;,  e  di  nobii 
C!<(.'Uipio  antico.  =r-  4.  Donna,  Beatrice.  r=r  6.  Colui, 
dìo.  ÉJingrava,  alleggerisce,  allieva.  =rr  9.  Abban- 
dono, tralascio.       rrrr       13.  Putito,    tempo,  momento.      

Ir.  Secondo,  rillchso ,  riverberalo.  =  23.  f  ista,  sciu- 
biaiitc.  r— -  21.  'V'fl/ta  ,  trasportata.  =  'iH.  Soglia, 
cielo  di  Marte.  =rr  29.  Albero,  paradiso.  Cima,  empireo. 
z=-.  32.  /ocp,  f.iina.  =  37.  Tr  a  t  t  o,  spinto  ,  mosso, 
rrrr  38.  Com'  ci  si  feo,  siccome  si  fece,  siccome  venne 
nominato.  Fi  dunque  si  riferisce  al  n  ohi  a r,  ed  è  come  /a 
nella  prosa  comune.  Altri  legge  *  i ,  ed  espone:  lostochè  Cac- 
ciaguida  fece  cos'i.  m-^  .3<(.  \,;  ecc.  perchè  il  nominar  ed  il 
irar  lume  era  un  atto.  =  41.  Altro,  lume.  rrr=  42.  Paleo, 
lume  rotearne,  o  girante,  rr-  47.  Guiglielm»,  conte  d' 
Oringa,  fifluml  del  conte  di  Narbona,  Amerigo.  Bino  ardo, 
nipote  di  leborghe,  moglie  di  lebaldo  lo  schiavo,  la  quale 
In  rapila  da  Giiipllclmo.  : — :  47.  Gotti  f  re  di  di  Biiglion. 
r^r:  48  Bob.  Gain  ardo,  principe  ih. rinaoiio  che  verso 
la  mela  del   yccoln   XI   liberò  la  Sicilia  da'  Mori.      =      j9 


Canto     XIX. 


i! 


2.  Ima  gè,  immagine  dell' aquila.    Fruì,   gioire.  Toc**; 
latina!     : —     3.   Conserte,  intrecciate.     Latinismo!    =31' 
6.   Lui,    il   sole.     =     7.    Te  steso,  testé,   ora.     r=r    Itt  Cif 
B  ostro,  becco.    : —  11.  Io  e  mio,  perchè  parlava   1'  aqul-nU' 
la.    12.  Sol  e  nostro,  perchè  molte  anime  vi    s'   uni- 
vano.        13.  Quella  celeste.    =rr    ìi.    Che  ecc.  che  noi 

si  ottiene,  guadagna  col  solo  disio,  anzi  con  azioni.  =^  Ift 
Lei,  lamia  memoria.  Seguon,  imitano.  ==:  24.  Parer, 
Altri  sentir,  che  par  chiosa.  Odori,  voci,  a  cagion  d| 
fiori.  =  25.  S;u'rn  71  do,  esalando,  parlando.  Digli 
no,  ignoranza.  r=:  27.  Trovandoli,  come  17.,  u( 
trovandoli  cioè  al  digiuno.  =  'Ì6.  Bearne  ordine 
spirili  contemplanti.   : —    29.  Fa  suo  specchio,  si  guardi 

s    atfaccia.    30.  Non  con  velame,  schietta,   sempliq 

e  aperta.    -. —    34.  Lezione  più  elegante  di  buoni  codd.  Col 
pelle,  ciioperta  di  cuoio  imposta.    =    35.  Si  plaude,  a 
balte,   percuote.     Il    verbo   »em|)licc  più  inusitato  par  pia  ele- 
fante,   rrr-    ,36.     Facendosi    bello,    ringalluzzandosi.  =: 

37    Laude,  lodatori.    : 38.    Contesto,   conserto,  coin-, 

posto.  : —  40.  Ai  es  t  o  ,  sesta,  compasso.  =r  44.  f'erbo,^ 
idea,  intendiinenlo,  concetto.  18,  1.  rzrrr  45.  /n  —  eccesso,\ 
ìli  avanzo  senza  fine,  in  multo  più  potere  infinito.  =  4fi,> 
i/  pni/i  o  «  up  e  ri  0  ,  Lucifero.  z=z  47.  .Somma,  la  pilli 
eccellente.    =r    48.  Acerbo,   immaturo.    =    ■i9.Minor,\ 

creata.      =rrr     57.  Molto  di  là,  molto  differente.     : 59.|, 

/  ista,  intelligenza.  =^  60.  S'  interna,  s'  insinua,  n^t 
61.  Proda,  riva.  =  62.  Pelago,  alto  mare.  =  fll.i; 
/•/' / 1 ,  iii\ece  d'  egli  è,  è  lezione  di  buoni  codd.  z=  64.li 
Dal  sereno,  da  din.  r=:  66.  Ombra  della  carnf, li 
[  olTuscazioue,  ignoranza.    ^'« Zeno,  dettame  perniziono.     =■ 


COMENTO    SULLA  DIVINA   COMMEDIA. 


i7. io  f  e 6  r a,  nascondiglio.  Latinismo!  come  crebra, ^pes- 
ta., frequente.     79.  Sedere   a    scranna,    giudicare, 

lecidere.  Scranna  è  la  voce  tedesca  Srhranne,  SckraiiLe, 
iffiue  al  lat.  ucrinium,  e  sìgnilìca  propriamente  luogo  inl'erra- 

o,   ingraticolato,    qual    ò   quello  di  giudici.    b'2.  Meco, 

li  rirapetto  a  me ,    verso   me.     ■Si    assottiglia,  sottilizza, 

'  arr3bbatta._     =      Hi.  A  maraviglia,  assai.      Hb 

^r  im  a ,  divina.    ^=:    87.  Va  setnainon  si  mosse,    tu 

empre  uguale  a  sé  stessa.    H8.   Cotanto,   tanto  pure. 

7o7is  «  ono  ,  èconforme.    89.  ii  a (/ i a n  d o ,  informando. 

!«ui,il  bene  creato.      91.    Sovra  esso,  sopra.    

4.  Si  fé  ce  si  riferisce  alla  benedetta  immagine.  Li 
igli,  le  ciglia,  gli  occhi.  ;;=  Consigli,  volontà  pru- 
leuti  dell'  anime  beate,  che  componevano  quali' immagine.  = 

8.  ]\i  o  t  e  ,  parole.    100.  Poi,  poiché.      S  e  g:  nitar  on, 

ontinuarouo  a  formare,  rimasero  nel  segno.  Moltissimi  codd. 
eri)  hanno  si  r/uetaro,  che,  benché  non  di  senso  troppo 
inerente,  sembra  più  espressilo  e  limpido.  Chechè  ne  sia, 
I    punto   d'  alcune    edizioni    dopo  reverendi ,    è    da  cambiarsi 

olla  virgola.      lOlj.  Molti  gridan  ecc.  Matt.  7.     z=^ 

07.  Frupe,  appresso.     Voce  latina!      111  s.  (Quando 

ce.  jVIatt  25.  Collegi,  brigate.  Si  partiranno  nel  li- 
ale  giudicio.    Inop  e ,  \to\ero.    Latinismo!     : —    Ili.  Quel 

Glume  aperto   Apoc.  20.    111.   Dispregi,   delitti. 

r=  115.  Alberto,  imprratore  austriaco.  Pg.  0,  97  ss.  che 
surpò  la  Boemia,  ucciso  Vincislao ,  nel  1303.  ==  116.  Mo- 
erà  la  penna,    verrà  registrata;    o  porterà  i'  aquila  im- 

eriale;  o  seguirà.    118.  Sopra  Senna,   in  Parigi.  : — 

19.  Falseggiando  la  moneta,  per  pagare  r_ esercito 
;soldato  coutra  i  Fiamminghi  dopo  la  rutta  dì   Cortrè.    Onde 

ietro  di  D.   invece   di    diiol  legge  dol ,    inganno.    : 120. 

'uel  Filippo  il  Bello.  Cotenna  propriamente  pelle  del 
ureo,  o  cinghiale,  poi  porco.  Sarà  affine  a  ycvzog ,  y.w;, 
òag,  /atT>i,    cutis ,  tcd.    Haut ,   Kutte ,    Kotze.     Del  fatto 

J Ulani  cr.  9.  b5.    121.  Lo  Scotto,   re  Roberto.     L' 

ng  hi  te  se,  Eduardo  1.  =  125.  Quel  di  Spagna, 
•■  Alfonso.  Quel  di  Ho  emme,  Vincislao.  Pg.  7,  102.  =r 
7.  Ciotto,  zoppo,  sciancalo,  sopranome  di  Carlo  II,  re  di 
erusalemme  ,  figlio  di  Carlo  1,  re  di  Puglia,  contra  il  quale 
veisce  D.  Pg.  7.  Par.  20,  b3.  ==  128.  L  na  I,  una.  = 
9.  Una  emme  M,  mille;  perchè,  come  dice  Boccaccio, 
lesti  ebbe  una  virtù,  cioè  di  larghezza  (  Pg.  8,  82),  e  con 
lesta  mille  vizj.  rrr=  131._  Quel — foco,  Federico,  lidio 
Pietro  d'  Aragona,  ed  a  lui  successore  nel  regno  di  Sicilia. 
=  132.  Fi  n  i,  Kiieid.  5, 708  ss.  —  133.  Fo  e  o,  vile.  —  Hi.  Se  r  i  t 
ir  e  ,V  indice  de'  suoi  demeriti.  Lettere  m  oz  z,  e,  abbrevia- 
re. r=  137. /i  arb  a,  zio  di  Federico,  redi  Maiolica  Jacopo.  Fr  a- 
^/,  di  Federico,  Jacopo  re  d'  Aragona. r^  138.  Dite  corone, 
ella  d'  Aragona,  e  quella  delle  isole  Baleari.  Bozze,  dis- 
orate. Si  dice  propriamente  di  marito  fatto  becco.  := 
9.  Quel  di  Portogallo  Dionisio  Agricola,  re  dal  1279 
IO  al  1325.  Di  Norvegia  Acone  \1,  dal  1280  sino  al  131!). 

—    HO.  Rascia    parte  della  .Schia\oiiia  ,    o  Dalmazia.     

1.  Ha  visto  è  vera  lezione  di  molti  codil.,  invece  di  quella 
Ilo  Crusca  aggiusto,  che  nacque  à\  auisto  (la  i  senza 
iito  sovrapposto)  malamente  letto  nuist  ò,  o  avvistò,  t 
ti  arbitrariamente  corretto.  Intendi:  che  mal  per  lui  ha  ve- 
to   il   conio   del  ducato    d'  oro  che  si  batte  in    V.     U3. 

il,    dopo    aver  avuto   molti  re  pessimi.     141.  Si  ar- 
asse, si  difendesse  contro  i  l'^rancesi.     Del,  col.  Monte 

rcneo.     Fascia,  circonda,    n^    145.  Arra,  caparra.  

y>  i  7  u  e  «  t  o  armarsi  e  scuotere  il  giogo  della  Francia. 
i  co  sia  e  Fa  ni  ag  osta,  due  principali  città  del  regno 
Cipro,  rrr-  147.  Uestia,  re  bestiale  Arrigo  li,  redi 
eli   itola  nel  13U0.    Oarra,  strida. 


nassimamente,  in  molti  piccoli  principali,  e  quindi  le  innu- 
[lerevoli  guerre  asprissime.  ==:  ti2.  G  u  i  g  l  i  e  l  m  o  il ,  ì[ 
Buono,  re  di  Sicilia,  giusto  e  ragionevole,  dal  1166  sino  al 
(189.      =      63.    Carlo  il  Zoppo    Angioino,  dal  1285  sino  al 


C   A 


IV    T    O 


XX. 


l.  Colui,  il  sole.  =  3.  Che  il  ecc.  (così  eran  nume 
di  testi)  che  il  giorno  va  d'  ogni   parte   mancando.    =t    5. 

rifa  parventi,  si  rilà  ledere.  A  tici ,  Hlellc ,  corpi 
iininali  dal  sole.  Ina  luce  del  sole.  t--r-  ti.  1 1  segno — 
cct,    r  aquila  imperiale,   monarchia   da  dio  ordinata,     r-^ 

,7  ;/i /Il  a /i  (  i,  iiaxcondi.  ^rrr  U.  I'' l  a  i  1 1  i  (  lezione  iiicon- 
blabilc  di  mollisxiini  codd.  inveri-  della  ((uiiidl  diNforniala 
villi)  spirili  Incidi,  corriiHcanti,  sciutillanli.  Uaflafirl 
III,  ventaglio,  aNpergolo.  \imi  sfuggi  srn/.'  altro  alla  viva 
irrnsione  cnmbiiiante  del  poeta,  che  quello  scintillare,  info 
ni  I)  accciidersi  delle  stelle  in  notti  sereni:  ed  aria  pura  so 
{Ila  al  polscgglaiiienlo ,  alla  sistole  u  diastole  d'  un  cuore, 
un  alitare  ed  ondeggiare;  e  pcrciìi,  CHMcndo  inoltre  coiiti- 
3  li;  idee  del  fuoco  e  del  fiatare — respirazione  ed  abbrucia 
sono  la  im-desima  operazione  rhiinica — potè  il  poeta 
lace  chiamare /<a  i'^/i  quelle  anime  beale  che  quasi  spira- 
io  o  sfo^ravaiio  lume.  z=z:  16.  Lapilli,  gemme.  - —  17. 
tetto  lume,  IJiove.  r — :  18.  Siinilli,  canti  annoiiioiii. 
Pp.  8,  5.  rr—  21.  La  uberi  il  —  cu  rumi-,  1' abbondali 
d  acqua  Bomministratagli  dalla  sua  cima,  r—  22.  Colto, 
Dico.     : —    24.    /   e  n  t  o  .    cioè    prende  siioiin.     rr^-     25.   Hi 

•  •0  —  intiii^iu,  «ubilo,    'iti.  Dell'  a  i/ u  i  l  a  ò  migìioT 


lezione  che  per  V  aguglia,  nato  senz'altro  dallo  svia- 
mento dell'  occhio  nel  v.  seguente.  27.  Bugio,  buca- 
to, rrrr  _  31.  Zia  p  a  rt  e  ecc.  l'occhio.  z=  3i.  Fochi  lu- 
mi d'  animo  beate,    r—    31'.  Di  sommi,  son  quelli    che  iian- 

no  maggior  grado  di  luce  o  di  gloria.    38.  Il —  santo. 

il  re  Davide.^  =  39.  Che  ecc.  2.  Reg.  6.  Villa,  città.  Inf 
10,109.23,95.  rr=  41.  Affetto  pare  più  elegante ,  che 
effetto,  e  significa  accetto,  oipure  per  latinismo  affertus, 
toccato,  inspirato;  o  finalmente  predilezione  e  scelta  libera' 
volontaria.  Chi  sceglie  una  delle  prime  due  sposizioui,  spicchi! 
Consiglio,  spirito  santo  consigliere  e  dettatore.  Mi  deci- 
derei per  la  terza,  che  quadra  alla  serie.    43.  Cerchio 

arco.  : —  44.  Colui  ecc.,  impcrator  Trajano.  v.  Pg.  10,  73  ss! 
=:48.  0 ppo sta  tormentosa  di  cinque  secoli  nell'  inferno  da 
che  mori  sino  a  che  san  Gregorio  gì'  impetrò  la  liberazione, 
r^  51.  Morte  —  penitenza.  Intende  Ezechia,  re  di  Giuda. 
2  Cron.  20.  Isai.38.  =—  53.  Degno,  a  dio  accetto.  Freco, 
preghiera.  Per  che,  benché.  Dice  che  i  decreti  di  dio  sono 
eterni,  benché  s'  eseguiscano  nel  tempo,  essendo  ancor  questo 

determinato.     55   s.  Lo  altro,   Costantino   Magno.  Si 

fece  Greco,  andando  con  le  leggi  romane  e  meco  alla 
testa  de'  suoi  eserciti,  a  Bisanzio  per  fondare  il  greco  impero. 
Fast  or,  papa  san  Silvestro.  Cedere  in  dote.  Cli  e — frutto. 
Inf.  19. perchè  ne  nacque  la  divisione  dell' Europa,  e  dell'Italia 

mas  " ■■"  —-■•-■  -= — '=    ------ — •  

mer 

Buono, 

il 

1309,  che  mosse  aspre   guerre."  "i?'e  de  r  i  co' d'   Aragona    dai 

1296  sino  al  1336,  avarissirao.      : —      66.    D  e  l  s  uo  fulgor , 

alla   viva   sua   luce.      =:=      68.   Rifeo  Trojano.  Eneid.  2, 

426  8.     73.  A  lo  detta,  dal  provenzale  alaudeta,  (v. 

fiviani)  lat.  alauda  ,  lezione  di  alcuni  codd.  preferibile  a  ca- 
gion  della  forma  più  antica,  che  /o  rfo  /  e  f  £o  ,  la  quale  non 
è  sennon  reduplicata  e  nietatetica,  nò  mai  da  derivarsi  da 
lodare.  La  gradazione  è:  aloda,  alodetta,  lo  d  e  tta  , 
lodata,  lodoletta.  =:  76.  Imprenta,  insegna, 
stemma,  o  pure  influsso.   =rr  79.  Dubbiar,  desio  di  sapere. 

80.   f  e  st  e  v'  è  sopra  disteso,    e  che  trasparisce.      

81.    Fatto,    pati,   soffri   il  dubbiar.      =      84.  Corruscar 

accrescimento  di  splendore.  Feste,  allegrezza.    86.   Lo 

bened.  s. ,  1'  aquila.       =r      89.  Come  avvengano.    90. 

Ascose,  non  inlese.  : — r  92.  Qui  ri  itale,  essenza,  natura. 
=:  93.  Preme,  palesa,  espone.  Latinismo!  rr=94.  Regnum 
ecc.  Mail.  11,  12.  r=  97.  So  pranza  (forma  più  originale 
appresso  alle  altre  so  v  ronza,  sobranza)  prevale ,  vince. 
La  lezione  d'  un  cod.  som  bronza,  colla  chiosa  rcsistit, 
pare  corrotta,  ancorché  uno  volesoc  forse  correggere  oin- 
b  ronza  invece  d'  ombra  detto  de'  cavalli;  jierchè  la  serie 
vuol  altra  cosa.  z=  100.  Fri  ma,  Trajano.  f  ita.  anima. 
9,  7.  Del  ciglio,  formante  il  ciglio.  Quinta^  Ilifeo.  z^ 
102.  Dipinta,  ornala.  =r  105.  Fa  ss  u  ri  ,  che  dovevano 
patire,  essendo  inchiavcllati.  Dice  dunque  del  redentore  ven- 
turo. Fossi,  inchiavcllati  del  jedentorc   venuto.      : lOlj. 

La  una,  vita  di  Trajano.  .ir;  107.  Tornballe  ossa,  riprese 
il  corpo.  ^=  110.  i^cegA  »  di  papa  Gregorio.  ==r  113. 
/'oco  tempo.  r=  114.  /yuj  ecc.  Gesù.  =  117.  Gioco, 
(Pg.  28,  96.)  gioja,  giubbilo,  festa,  compagnia  lieta,  pare  più 
dantesco,  che  loco  de'  codd.  bari,  e  11.  :=  118.  L'  altra 
di  Rifeo.  =  121.  />rit  f  «  rni ,  giustizia.  r=:  127.  Trx 
donne.  Fede,  Speranza,  Carità.    ^=:     128.   f  edesti.  Pg. 

29     121  ss.    :     129.   Fili  di  un  m  il  lesino,  perchè   dalla 

venuto  di  Gesù  alla  distriizion  di  Troja  contansi  anni  1181.  r=: 
132.  Tota,  tutta.  =  136.  ^Scemo,  mancanza  di  cognizione. 
z=r-i  137.  Si  affina,  si  perfeziona.  r=r  139.  Immagine 
divina,  aquila.  3=r  143.  Fa  seguitar.  f,i  esr^ere  com- 
pagno. Lo  guizzo,  il  tremore,  la  vibrazione.  rrr  146. 
l>ur,  Traiano  e  UilVo.  r—  147.  C  o  n  e  o  r  d  a  ,  t^'i  muove  d' 
accordo.  =  148.  .Moverle  /ia  wi  «i  e(  <  t  scintillando  di 
novello  riso. 


Canto 


XXI. 


G.  fieme/è.  Ovld.  Met.  3.  291.  =r^  Ti.  Sn  r  e  ft  ft  e  è  più 
elficace  che  /x/r;  (-Aie.  Com  trono  (v.  all'  Inf.  4 ,  9)  lui- 
mine.  Sco  s  ve  n  d  r,  parte,  disrninpe  e  ni  terra. rr-  13  .Se  1 1  i  ni  o 
splendore.  Saturno,  r —  Il  h.  Nel  l.'HH)  nel  iiii-se  di  Marzo 
Saturno  era  in  leone  in  gr.iiln  S,  Gioie  in  ariete  in  21°;  Marte 
in  Pe^rc  in  21';  Sole  in  ariete  iii-l  principio  ;  \  mere  in  Pesce  ; 
Mercurio  in  \  ercinr.  Minti,  leinpcrato  il  freddo  min  dall' 
ardor  del  leone.  Pionisi  Ancdd  2,  61.  /  o  /  o  r  i  .  potenza,  r— 
16.  Ficca,  tieni  nltenla.  r—  17.  Sprechi  hanno  i  migliori 
codd.,  e  »e  ad  alriiiii  i<einbra  inen  chiaro .  loglio  1'  iinilorinilà 
col  \.  srgiienli-,  ilove  sp<  rrhio  è  pianeta.  =r-z  19.  Quiil, 
chi,  come  pur  legge  il  rod.  caet  r: —  20.  .1  »  p  i  t  t  •>  b  i  a  tu 
(li  llriilrire,  —  23.  Q  ii  a  u  I  «  ini  rrn  a  srnto  scnz  ironia 
alliiile  al  \oN-r  riniiniarerr  con  ii'.ibidieii/a  la  diiniia  aniata=r 
21  Lo  un  lato  di  veder  lei.  Coji  tu  altro,  la  goi.laiii.iie 
del  cibo  delle  beate  «ninie.  =  ij.  Cristallo,  specchio. 
Saturno.    /  oco  A  o /,  nome.    ^    26.  C  A  iur  o  couvienc   m«- 

I 


COMENTO  SULLA  DIVli.       COMMEDIA. 


gììo  alla  serie,  che  caro.  Duce,  reggente.  ■ —  27.  Sotto 
—  morta,  regnante  il  quale  fu  ]'  età  dell'  oro.  :=r:29.  Sca/  co, 

scala.    r=    3().  Luce,  vista,  occhio.  32.  Ziume,  stella, 

astro.    r=    35.    Fole,  mulacchie,    cornacchie.    :    45.   Lo 

amor,  il  desiderio  di  soddisfare  alle  mie  dimande.    49. 

Tacer,  desiderio  taciuto.      51.  Solvi,  appaga,  sazia. 

rrzz    52.  Mercede,  merito.    54.  Colei,  Beatrice.  

56.  Letizia,   beatitudine.  ; 57.  Mi  ti  ha  posta  lezione 

di  parecchi  codd.  invece  di  m'  accosta,  che  pare  chiosa. 
: —  til.  Lo  udir  mortai,  udito  mortai,  che  ode  il  canto 
mistico  di  questi  coulemplanti.  =  71.  Consiglio,  volontà. 
=:  72.  Sorteggia  ecc.  assortisce  che  io  qua  venissi  a  te. 
73.  Lucerna,  anima  risplendente.  7(ì.  Cerner,  inten- 
dere. Latinismo!      =      80.    JJel  —   centro,   intorno  a  sé 

stesso  aggirossi.  _  =      81.   Mola,  mulino.  12,  3.     83. 

Si  appunta,  sì  ferma.  =^  84.  Onde  io  m'  inv  entr  o, 
end''  io  mi  v entr o ,  in  cW  iom'inventro,ov''io 
ni'  inv  entro,  onde  io  m'  innentro  —  ecco  le  varie 
lezioni  di  questo  passo!  DilFicile  è  il  deciderne;  che,  se  la 
derivazione  da  ventre  dava  nel  naso  agli  accademici,  laddove 
altri  trovavano  la  metafora  assai  \iva,  forse  ardita,  non  s' 
Bvvicìcro  ambidue  le  parli,  che,  giusta  le  leggi  formative  delle 
lingue,  inv  entro  e  inentro,  o  innentro  sono  pure 
forme  differenti  d'  una  voce  medesima,  la  prima  cioè  con 
aspirazione  labiale  —  come  ven'  è  pure  una  palatina  nella  voce 
greca  ytvra ,  ytntQ ,  utero,  come  chiosa  Esichio ,  onde 
appunto  ven  ter  —  1'  ultima  senza.  Onde  benissimo  s'  appose 
l'erazzini  spiegando  in  ini  imo  sinu  lucis  illius.  Di 
più,  se  7«  '  inv  e  71  tra  è,  come  può  essere,  mi  faccio,  o  mi 
sono  ventre,  cioè  1'  intcriore,  la  parte  di  dentro,  quasi  noc- 
ciolo, non  è  d'  uopo,  che  onde,  cioè  della  quale,  si  cangi 
in  ove,  o  in  che.  Intanto  a  no!  parve  piii  squisito  m'  in- 
V  ent  r  o,f'\  perchè  precede  vi  era  d  en  Tru,e  perche  innen- 
tro sarebbe  formazione  sinistra,  essendovi  già  entro  o  in- 
tro,    al   quale   inoltre  non  quadrerebbe  onde;  e   si  perchè  è 

senz'  altro  più  dantesco  e  ardito.    : 87.  Munta,  è  tratta, 

come  da  mammella  latte,  cioè  emana.  _  : — ^    90.  Pareggio, 

agguaglio.    93.  S  at  is  far  a,  satisfarà.  9b.  Scisso, 

disgiunto,  lontano.  Pg.  11,  103.  r=:  100.  Fuma,  sparge  fumo 

e  tenebre.    102.  Ber  che  ,  benché.  Inf.  32,  100.   As  s  u- 

ma,  accolga.  Latinismo:  assumere'.  IMalamente  {Cruscanti 
superstiziosamente  toscani  hanno  assumma  a  dispetto  di 
migliori  codd.  del  Diouisi.  : lOG.  Due  liti  del  mare  tir- 
reno   e   del  mare  adriatico.  Sassi,   i  monti  Appennini.    

107.  Patria,  Firenze.  : —  108.  Tuoni.  Se  troni  (v.  12) 
quadra  ad  un  luogo ,  non  perciò  deve  esser  risposto  dapper- 
tutto.   : 109.  Gibbo,  gobbo,  rialto.  Affine  al  lat.   gibbus, 

Aayvipo;^  ted.  Hebung.  C  atri  a,  nel  ducato  d'  Urbino  tra 
Gubbio  e  la  Pergola.  Dante  vi  fu ,  visitando  nel  1318  la  badia 
camaldolese  di  Fonte  Avellana,  detta  di  santa  Croce,    a   venti 

miglia    da  Gubbio.    Troya  V.  A.  Ibi  ss.      110.  Ermo, 

luogo  solitario,  deserto.  ; 111.  Latria  invece  di  latria 

{Marnila),  servizio  divino.  =  112.  Sermo,  sermone. 
Inf.  13,  138.  Terzo  si  riferisce  a'  v.  lil.  83.  =rr  110.  Lie- 
vemente, facilmente.  =r  118.  Questi  cieli,  paradiso. 
119.  F  er  til  e  ni  e  ut  e,  messe  fertile  d'  anime.   ì'ano,  vuoto. 

: yi\.    Pier    Damiano  lecesi  monaco  lin  età  giovanile, 

e  mori  nel  lOSO,  d'  anni  (iti,  diverso  da  Pietro  degli    Uiiesti, 

soprannomato  Peccatore.^   123.  Di  nostra  ecc.  di  s. 

Maria  del  Porto  su  1'  adriatico  lido,  in  vicinanza  di  Ravenna. 
=  125.  Cap  p  e//o  ,  cardinalizio.  :z=:r  12(i.  Travasa, 
trasmuta,  trasporta.  =  127.  Cepkas.  Ginv.  1,  42.  Il  gran 
ecc.    Paolo,    v.   Inf.   2,28.      n=:      130.  if  i/i  e  a  Z  =  j  sostenga, 

regga.    ^=    132.  yl  l  zi ,  intende  i  caudatarj.  133.  Pa  l  a  - 

freni,  cavalli.  Dal  basso  lat.  paraveredus  ,  paraveredum, 
Tiarafredus  ,  palafredus ,  fr.  palefrui,  senz'  altro  tutti  quanti 
la   sfigurata  voce  ted.    Pfrrd ,    pers.    paras ,    ebr.  pharasch, 

phered ,  rom.  vcredus  ,  derivato  poscia  da  vehere.      134. 

/>u  e  A  est /e.  Sale  ghibellino  mordace!    139.    Questa 

(li  8.  Pier  Damiano. 

C   A   W   T   0   XXII. 

1.  Guida,  Beatrice.  =:^  2.  Parvol,  fanciullino. 
Latinismo!  5.  Anelo,  ansante.  Latinismo!  =:r:  6.  />js- 
ji  or  rft,  confortare.  =  li.  /o  r  i  r/ pn  rfo,  io  ridente,  o  il 
mio  sorriso.  Cos'i  non  è  uopo  di  parentesi,  o  di  punto  interro- 
gativo, rzrr  13.  ^uaZ  grido,  r:^  14  f  end  etta  sopra  i 
prelati  perversi.  ==  17.  Ma  e// e  (  Inf.  4,  20  ) ,  sennon.  Il 
cod.  bari,  ha  mai ,  al  piacer.  Il  senso  non  è  guari  diffe- 
rente, solchi'  non  (juadri  bene  quel  piacer  a  temendo. 
=  21.  Iliilui,  riduci,  rivolt,'!.  z=r  Ti.  llitortiai  è  lez. 
di  buon!  codd.  .—  Z>.  «  è  ;»  r  <;  m  e  (cosi  il  cod.  bari,  per 
«chivare  1'  ambìguo  del  di  nuovo  premere)  raffrena  ,  rintuzza. 
=^-  W.  Si  attinta,  s'  arrischia.  ==  27.  Del  troppo, 
dell*  essere  import  uno,  o  hcccalorc.  =  28.  La  maggiore 
err.  san  Bencdrtto,  abate  del  inouasterio  di  monte  Casino, 
edificato  circa  il  .ViO.  : —  ;i3.  Concetti,  desiderj.  =  .30. 
Puro  (lezione  di  moltissimi  ed  ottimi  codd.)  perfino,  eziandio. 
Da   che,   mentre,   poiché.   Higuarde,  Bei   ritenuto.    = 


39.  Mal  dispo  sta  riguardo   al   santo   vangelo.      : —      41. 
Colui,  Gesù.    :=    48.  Sajiti,  di  santità.     =    49.  ilio  e 
cario,  forse  V  Alessandrino  nel  secolo  5,   direttore  di   quasi 
5000  monaci.  Roma  al  do ,   fondator  dell'  ordine  camaldolese. 

nel  secolo  10,  nativo  di  Ravenna.      53.   Sembianza. 

aspetto  amorevole.    : 54.   ^  r  rZ  or,  spiriti  beati.     : 5J. 

D  il  alata,  schiusa.    57.  Possanza,  virtù  natia.  :^^ 

60.  Scoperta,  svelata.    03.  Li  altri,  desiderj.     m 

66.  Là  —  era,  perch'  è  immobile.    : —    67.    Non  —  loco 
ma_  formato   nella  prima   mente  (protonoe).  S'  impola,  ha 

poli,  su  de'  quali  si  regga  e  s'  aggiri.    79.  f  iso,  vista, 

=  71.  Isporger,  stendere.  Superna  parte,  cima,. 
Genes.  28,  12.    =r    76.  Jl/u  r  e,  (lez.  di  buoni    codd.)   15,   97.1 

ii  a  (/ i  a  ,  monasteri.    77.  Co  co  Z  Z  e  ,  vesti  monacali.   — y. 

79.  Tolte,  alza.    82.  Guarda,  serba  d'  avanzo.      =  wi 

85.    li  land  a,    pieghevole,    irresisteute.      =      88.    Pier.i 

apostolo.  Alt.  ap.  3,  6.      94  s.  La  lez.  adottata   è  quellaitì 

degli  ottimi  codd.,  invece  di  volt  o  e  r  et  r  or  so.  Ordina;  ite 
veramente  fu  più  mir.  a  vedere  Giordan  volto  retr.,  e  fuggir»  ili 
il  mare  rosso  (Exod.  14,  22)  qu.  d.  v. ,  che  non  sarebbe  qu  :if 
il  soccorso.  Intendi:  come  dio  non  abbandonò  il  popolo  ebreo  ^i 
quando  per  soccorrerlo  ci  voleva  di  più  miracoli ,  cos"i  non  ab-  uf 
bandonerà  il  popolo  cristiano  ed  i  di  lui   religiosi  ordini.     == 

98.    Collegio,   comitiva.      99.    Si  a  i;  roZs  e  par  piì 

espressivo  e  pittoresco ,   che  a  ce  oZs  e.    =    102.    Natura 

grave.  106.  Si,  cosi;    desiderativo.   : —  107.  Trionfo 

regno  trionfante.  : —  109.  Tanto  tempo.  =  112,  Stelle 
gemini,  che,  secondo  1'  Anonimo,  è  sigaiticatore  di  scrittura Pi 

scienza   e   cognoscibilitade.      113.   iti  cono  s  co  ringra 

ziando.  : —  116.  Que^Zi  ecc. ,  il  sole.  =^  118.  Grazit 
di  salire  al  paradiso,  nel  cielo  stellato  {rota).  =  123; 
i^ass  0 /or  t  e  di  descrivere  r  empireo.  =  124.  Ultimi 
salute,  cielo  empireo.  ::zz:r  127.  In  lei,  entri  in  lei.  v.  9,  73  i 

134.  Globo,  terraqueo.      135.    Tal  cosi  picciolo 

=:    136.  Approbo ,  approvo.      : 137.   La  lez.  bart._  C/j 

Za   pon   mente  —  im;)  roi  o,  poiché  solamente  esprime  i 
senso   a  rovescio,   non  pare  necessaria.    Lo  haper  menomi 
lo  sprezza.  Ad  altro,  a  spere  più  alte  e  preziose.  Probo 

prudente,   savio.      139.  La  —  Latona,  la  luna.    ^ 

141.  Già.  2,  59  8.  =  142.  Tuo  nato,  sole.  =  144 
Maja,  tigliuola  d'  Atlante,  madre  di  Mercurio.  Qui  Mercurie 

come  Dione  per  Venere.    145.  Il  temp  e  rar,  la  com^ 

plessione  temperata.    146.  Padre  e  figlio.  Saturno 

Marte.  : —  147.  Dove,  luogo,  ora  innanzi,  ora  dietro  s 
sole.    : —     VìQ.  In  distante  riparo ,   siti,  alloggiameiit 

distanze.    151.  i'  ajola,  ajetta,  picciola  aja,  la  terrsi 

Areola  nel  libro  de  Monarch,     =     153.   Tra  colli  e  t 
foci  (cosi  il  cod.  bart.  e  bocc.  Si  trovò  dunque  D.  nel  Jnerif^i,, 
diano  di  Gerusalemme.  Occhi  di  Beatrice. 


•n 


11 


iali 


111 


Canto    XXIII. 


1  —  9.  Ordina  e  intendi  :  Come  augello,  che  nella  notti  ] 
la  quale  le  cose  ci  nasconde,  posalo  tra  le  amale  fronde,  ij^,, 
nido  dei  suoi  dnlci  nati,  per  veder  li  aspetti  di  loro  desiati,  ,|(|j 
per  trovar  lo  cibo,  oude  li  pasca,  (in  che  gravi  labor  li  soiIkj,, 
grati)  previene  ecc.  Ag  gr  at  i  della  Cr.  invece  di  grati  d'  i^j 
migliori  testi  non  ha  esempio.  In  su  Z  '  a.fr.  standosi,  librandoe  (,, 
Pur  eh  e,  che  pure  affine.  r==  11  s.  ia  plaga — frct  t  a,  !  |,, 
parte  del  cici  media,  mezzo  giorno,  dove  il  sole  appare,  ciijfj 
dicaiido  dal  moto  dell'  (uubre ,  andar  più  lento.  Pg.  23,  lO - 
Plaga,  regione.  Par  13,  4.  31,  31.     =     13.    J'aga,  desi] 

derosa.      16.  Quando,  tempo,   come  dove  per  luogi^j, 

22     147.    =    21.  Frutto  —  spere,  le  benefiche   iniliieni||«)fj 
delle  buone  stelle  sul  bene  operare  de'  mortali.  Inf.  26,  23.  Pj,,. 
30,  109  s.  Par.  17,  76  ss.  perché  nell'  ottava  spera,  dov'  eran  ^ 

sono  le  magioni  e  le  costellazioni    d'    ogni   natura.      2V' 

Senza  costrutto,  senza  scriverlo;  perchè  lingua  e  scrititt 
tura  umana  sono  insufficienti.  =  26.  Trivio,  Diana.  Ninf  thi 
costellazioni  belle.  =  27.  Seni ,  siti  e  parli.  =r:  30.  X  *«: 
viste  superne,  le  stelle  sovra  di  noi.  =  3'2.  L  a  l  uc  ent  iljt 

susta  n  zia,  Cristo.    35.  So  pranza.  20,  97.   =  3««( 

Hip  ara,  difende.     39.  Disianza,  desiderio,  z — :   4  lt« 

Per  in  ciìi,  con  ciò  che.     43.  Dapc,  dapi ,  delizie  sf  «k 

rituali.  Latinismo!  =r=  49.  Come  quei  ecc.  raffr.  33,  588=5 
Si  risente,  ha  qualche  sentore,  scuramente  si  raminent  Ui 
=  50.  0Z»6Zi Za,  obbliata;  Latinismo!  =r  51.  Ridu\^ii' 
tasi   alla,   lezione   de'    migliori  codd.      r=r      53.  Gr  a  tt<i\eii 

gradimento.    54.  Libro  —  ra«.s-. .    la  memoria.   :=  jl. t 

Suore,  muse.  r=  57.  Latte,  dolce  canto.  /'iJi  ,s-«i  firV 
pingui,  feconde,  rrrr  CO.  3/e  ro ,  puro ,  chiaro.  =  62.  j 
s.  j). ,  la  mia  commedia.  Saltar,  trapassar,  ^rz  67.  P«|l 
raggio.  Lezione  antica  e  buona  di  parecchi  codd.,  che  pr 
ferisce  ancora  Monti  Prop.  5,  2.  68  —  76.  spiegando  ai 
tratto  di  mare,  dove  le  navi  nel  loro  cammino  possono  n 
inarsi  alla  vista  d'  una  città ,  d'  un  porto ,  d'  una  isola  et  ' 
A  noi  sembra  afiìnc  al  gr.  yieoaiwaig,  tragitto.  Pile  g  gì 
o  p  e  leggio,   cammino   di_  mare,  né  mai  polef^gio,  sai 


forse  storpi,  nati  dall'  affinità  delle  liquide,  poscia   storti 
isbaglio  alla  simigliauza  con  pelago,  iudubitatameute  pi 


poei, 


^l 


COMENTO   SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 


endei,   ritoruai.     :=     18.   Battaglia  —  cigli,    luce 

ccessiva,  che  sosteuere  poteva  appena.      i^fl.  "Fratta, 

nterrotta,  spezzata.       ==      81.    Coperto  (cosi)  si   riferisce 

prato.     :=     84.   Princ  ipio  di  fu  l  g  o  ri,  Geaii,    

Imprenti,     segni,     intuisci     col     lume    tuo,        

6.  io  co,  facoltà.  r=  88.  i^jor.  Maria.  =  90.  Avvi- 
ar, discernere,  trovare.   Lo  maggior  foco  ,  Cristo.  


.      .      „  capuano  uella  pri;,.„ 

corte,  poi  caposquadra.    =    CO.  Espressi,  chiari    =  G2 
Tuo  e /)-.  s.  Paolo.  V.  Ebr.  11,  1.    =    Wi.  A  e  l  b  uon  fil  o 

nel  diritto  sentiero   della   salvezza.      (ii.  Sustaiìzia 

real  complesso,  stato,  consistenza,  o  1'  insistere,  la  ferma 
persuasione,  secondo  che  vien  presa  passivamente,  o  attiva- 
mente ,  cfirae  presero  la  voce  vrronTam;  gii  Alessandrini. 
65.  Arg  armento  prova  e  somma.  r=  (i(j.  Qui  ditate. 


pireo.  i-er  ctie  li  en  tre,  pel  tuo  entrarvi.  =£=  110.    p7"'iV  niT-rVi'.'V*   ,T;7,  7i  V  ""^  "'n'J''"A""'  ■"  "'"''•   ^=  "■ 
igilCava,  terminava.  =r  112.  ÌVeal,  supremo.  Manto,]  1^1.7°'  ?l"^7'V.fft/lVÌ'  ^'^  ^  P'^"  <^''.''-"''   Pergamene, 
>p?aveste,   coperta,    la   nona  spera.   T  olumi,  sfere  celesti  I  Ef^f^^^'   L    %-,,^  e  n  o  v  e ,  del  vecchio  e   nuovo   tesla- 
iranti.    =    113.    Ferve,  si   riscalda    d'   amore.    =    114.    ?^^"/"---„,,r- .^^ 'j ''.^ '*!"»;  =»'"S"raento^  ^ 

to,  inspìrazìune,  impressione,  pare   più   squisito!  ?,Ìl.^*'''i!i'^^l,Ì^'"^^'  impotente.   =  98.  Bropo-sizione, 
ke  abitò.     =     11.X    i«  interna  rti>i,  la  concava  su-j?',V!^-T7r^    r  ;,„ /^,.  f-'  """  '    »«=;"'se.  l'UenJe  i    rnira- 
erlicie  del  primo  mobile,  ovvero,  secondo  Parenti,    la  parte,   np';'    „— _    i/o  "» /;  ""'^"  ne.   =r   110.  J'ianta,  cns  la- 
conline  della  sfera  nona  verso  il  cielo  empireo.    =^   He'   mSi    rri'."^-^-    ii-'  p''""^"^^'    -^^      ^Mv^Yl'"  o^' 
ari;enza,  veduta.      =      120.    S  e77i  e  n  sa  ,  figlio  ,  Gesù,  i  ^/'"'^if/J,!' ^fj^-.^-^l^V,^  «^  feJeli.   -R  o- 

rr  123.  in/in  rfi/or,  sin  negli  esteriori  movimenti.  ==' ?J'-,r^"'^r  Ì\.'',J:jJ  ,  donnea,  fa.  ali  amore  ,amo- 
M.  Candori,  fiamme  candide.''  =  125.  F  i  a  m  m  a  leg- 1  H^P^..;  ^^'l^!."^  rlTÌ  r'^"'  -  =„  ^'\  f  incesti  ecc. 
ono  i  migliori  codd.  invece  di  cima,  eh'  è  meno  espressivo,^"''^,^'  P'"  "»"  f^^^^  G  ovam,  alla  credenza  che  Cristo 
^  ■  '198    n  „„,•„„' ^„„;,'|  era  risuscitato,  entrando  nel  monumento.  Giov.  20,  3  —  G.  = 

^;/'ff.*     *„„?:. .i'i  132.  A'on  moto,  immobile.  ''■     ■■     "       '         •■• 


meno  convenevole  a  candori 
rincipìo    d'    un'    antifona.      rr=      130 
>ntieae.  Inf.  29,  3.      ^rr      131.  Arche,  ricettacoli.    Foro 

irono.     132.  Uoòo/ce ,  seminatrici,   aratrici,  bifolche. 

itendi  gli  apostoli.  Con  questa  sposizione  nou  si  fa  forza  alla 
irola  nel  modo  di  Tassoni,  che  la  dice  lombarda,  e  spiega 
isura  di  terra,  detta  biolca  in  Modena.  S'  ella  è  voce  d! 
.aletto  usata  in  quel  senso,  certo  è  almeno ,  che  la  siiioni- 
ia  con  6  io  Zea  (dedotto  ila.  (itì/.uytvv ,  /SwP.a.:)  è  una  di 
ielle  anomalie,  o  di  quelli  surrettizj  abusi  proprj  e  iminor- 
lati  iu  ogni  lingua ,  che  Dante  almeno  avrebbe  fastidite.  r= 
13  —  135.  Parla  degli  Ebrei  schiavi  di  iVabucodouossore  in 
abilonia.  Onde  ove  si  lascio,  ovvero  lascia  è  buona 
zione  convenevole  a  si  gode.      =      13G  —  139.  Ora  parla 

8.  Pietro.  Lo  antico  e  il  novo  concilio,  i  beati  del 
.echio  e  del  nuovo  testamento.  Colui  ecc.  s.  Pietro,  a  cni 
esù  diede  ciucile  chiavi. 


2.  Agnello, 

=      4.  Se, 


Canto    XXIV. 

1.  Sodalizio,  consesso.  Latinismo!    rm: 
esù  ;  simbolo  dell'  innocenza,  o  di  sagrìfizio. 
(ichè.    Questi,    Dante.     Hrelibn,    pregusta,   anticipata 
ente  assaggia.   =:   a.  Di  quel  ecc.  metaforicamente  gloria 

beatitudine  d'  intelletto  e  di  contemplazione.     : G.  Pre- 

:riha,  prescriva.  =rr:  7.  Affezione  invece  di  sua  vo- 
lia  hannoinolti  codd. Bene;  se  suarugliu  nniicorrispnn- 
j  forse  a  vostra  voglia  del  v.  3.  Forse  è  di  man  seconda. 
—  8.  i{  ora  t  e,  innalliate,  bagnate  ;  metal',  addottrinate. 
=:  11.  Si  fero  spere,  si  girarono,  zrrr  52.  Fiaviman- 
0  leggono  pili  codd.  invece  di  raggiando.  Quello  è  più 
goroso.  : — :  13.  Tempra,  macchina  congegnata.  Oria  oli. 


Snffnìrp  cfimiciip  1  """,  ^' """"""'  """""""=•  =  134.  7J  a  /  m  8 ,  mi  dà  questo 
„"/::;„"..-_!,?  ^''^„. ."5' !  credere.  =:  138.  ^/ mi,  fecondi,  belli  e  santi.  =  141. 
So//era,  cnme  congiuntivo  in  proposizione  relativa  e  di- 
pendente può  stare  benissimo,  né  v'  è  cagione  di  cambiarlo 
con  r  indicativo,  molto  meno  di  supporre  un  soìecisjuo.  Es  te, 
invece  d'  est  (voce  lat.)  è.  Senso:  si  internate,  immedesimate 
ed  identiche,  che  non  vi  si  tratti  più  di  numero,  o  di  diversi- 
tà alcuna.  r=:r  142.  Condizion  ,  natura,  esser.  Congiiin- 
s  io  ne  del  cod.  antald.  sembra  chiosa.  r=r  Wì.  Sigilla, 
impronta,  certifica,  conferma.  =  148.  /,  gli.  =  151. 
Cinse,  come  23 ,  9G.  e  v.  22  del  e.  presente. 


C    A    !V    T    0      XXV. 

1.  Con  tinga,  addiviene,  accade.  Latinismo.  = — :  2. 
Cielo  e  terra,  grazia  divina  d'  ingegno  e  di  rivelazione, 
e  intendimento  della  storia.  =  3.  HI  alti.  Altri  hanno  pia; 
altri  le  più  volte.  .Alla  fine  p  i  h  è  la  vera  lezione,  e  le  al- 
tre due  8on  correzioni ,  1'  una  forse  del  poeta ,  1'  altra  d'  un 
saputello,  a  cui  sovvenne  del  volvens  aniius:  a  de'  vo- 
lumi'Hi,  119.  z=  5.  Uvilc,  Fiorenza,  riguardo  a'  quar- 
tieri della  città.  Monti  Prop.  3,  1.  214  s.  .7^' n  r//o,  inno- 
cente. :=r_  G.  Lupi,  guelfi,  n^  7.  foce,  lama  civile. 
fello,  abito,  difiinità.  l^a  paro-la  agnello  supaori  la  meta- 
fora. Altro  si  ril'erisce  alla  sua  magistratura  civile,  cioè  il 
priorato.    Am|iiainentc   tratta    di    questo    lungo     l'xo    Foscolo 

discorso  sul  testo  ecc.  f.  GÌ  ss.     9.  Cappello,  coron.i, 

diadema  di  lauro.    _: 12.   Lei,   la  professione  della  fede. 

rrrr  14.  Schiera  invece  di  spera,  lezione  qua^i  univcr.-ale, 

è  chiosa.    V.    21,  11.  2H  ss.   153.   La  primizia,  il  primo.  : 

17.  Il  barone  ecc.  san  .Iacopo.      : IS.    (ì  ali  zia    (rosi 

pure   1  ninni  cr.    1,    1.    CiaUizia\    proviucia   della   Spagna. 
20.  E  lo  uno  allo  altro  (lez.  buona  più    drammatica 


ologi.      =      CaroZe,   circoli    luminosi.    Affine   a  y,;oo,%    tT",  ■'"■.  f '''  ''"''"/'<'«'.''■"  i'^'^-  '^'.V'»^,P'''    •"••"nmaiica 

,  ,_     ,       ,,        ,„       ,  ■•      '    di  alcuni  testi)  pa  n  ri  e ,  manifesta.  :=:  21.   Mormorando, 

>Qa?.in;,   xvoog  ,  x<'Qo;.       . U.   Della.    1  orelli  vidde    gemendo,  simurrnudo,  tubando.      rrrr      21.  fi  6  o  ,  la  contrin 

inechesia  dalla  o  per  la;  perchè  di  e  da  si  cambiano  spesse  i  plazione  di  dio.  l'randv,  (Uiliiiisino  !)  pasce.  =:  2.5.  Is- 
ilte  ne'  tempi  antichi  della  lingua.  Cosi  di  Ila  sua  rie  Ksolto,  finito,  mr  2l).  Corani  me,  alla  presenza  mia.  =: 
'te  zza  o  assolutamente  e  per  »è  preso,  o  conibinatcì  con  27.  /g  ri  i  to ,  acceso  ,  splendente.  /  incera  abbassarmi  fa- 
iff  cren  temente  dà  buon  senso.  Ogni  altro  costrutto,  ccva.  =rr.  29.  Indila  vita,  anima  illustre.  La  lezione 
me  quel  di  por  virgola  dopo  stimar,  di  modo  che  retoci  la  larghezza  di  innltissiiiii  codd.  pare  pio  squisita,  rbc  /' 
/«nf  e  invece  d  avverbj,  zoppichi  dietr;,  a  rfi/T.  f/a  ;/ 1. ,  '  a//c  £r  rr  ■:  la  ,  e  Bignilica  ricchezza,  abbondanza,  ampiezza, 
mbra  sforzato,  ii  ice /(CI  sa,  merito  e  gloria  (23,  1,10  s).  '  : — -  30.  H  o  «  i  /  i  cu  ,  chiesa  Irioiitante  nel  paradiso,  ^rr  ;«. 
=:20.  Felice,  gajo  ,  splenderne  di  felicità  =^25.  Salta.^  Fc'  v  iii    eh.    manilostii    la   sua    divinitii.    Siati.  17.  Marc.  5. 

r—    3U.   /in  lire:  idi  luce  divina,     rr^     38.   Monti,   apostoli. 
.MIusinne  al  salino  120.       :r-Tr      ."9.   /'u  ;i  r/o  (latinismo  !  )    peso. 
z —    40.   Ti  affronti,  t'abbocchi,    rt—   42.    Co  »  t  i ,  auiinc 
più   inclite.     z=—     41.   Urne,  dehilaincnlc.  zrrr  4(i.   Infiora, 
iriti  beati  contemplativi  ogni  coloro  sarebbe  troppo  sfacciato    adorna,     r-^    49.   Quella,  Hentrirc.     :—    5».  Sol  ecc.  dio. 
crudo,  non  che  il  parlare   alto,   volendo   con   cift   iicccniiarc    W  n  i?,?  ia  ,  illumina.      r^      55.   i:  g  i  1 1  o  ,  nwm\n.     z=r-.      5fi. 
diliratczza   e  tenerezza  di  canti  v.  girl  spirituali.  Onde  non    G  e  r  usa  l  <  m  m  e  ,  paradiso.     r-=    57.   //  militar,   la  vita 

■" "■    "    ""    ''■"'        ''    '      '    '"  "  ""      ""     terrestre,   t'rcscriltn,   limitala,   teriniiinta.    Li  altro   senso 

torce  questo  paH^o  l  go  Fosr.  disc.  f.  HI.  a  prò  della  sii« 
ipotesi  di  \ì.  rlformntoro  e  legalo  evangelirn.  Cbè  iinrorrhè 
prescritto  non  fosso  altro  che  assegnalo,  delerminalo, 
lisso  ,  —  a  II  zi  che  morte  1 1-  m  p  o  l  i  p  n  s  r  r  i  r  a  ,  dire 
lleatrirc  21,  G  —  il  militar  però  in  que-la  serie  non  puit 
essere  altro  seniinn  il  tempo  di  militare  dur.nile  la  sua  stanza 
iu  Egitto.  :r=  fil.  Forti,  dillicili.  r—  ti3.  CoHiporfi, 
conceda.     r=-      Gì.  Uitctntc,  ditcepulo.  Seconda,  uhbi- 


,62.  :rrT26.  Pieghe,  seni,  cavità  di  panni,  le  quali  hanno  color  { 

ù   scnro_  nelle  pitture.    Ma    forse    pieghe  son  giri,  volle,; 

ilgiinenti  melodiosi  o  armoniosi  ,   come    srnio  dcMcritli    v.   22,  i 

e  direbbe  allora  il  poeta,  che  a   descrivere   Hilfatti   giri   di 


■proviamo  la  lez.  de'  codd.  bari,  e  II.  poro  riri.  : —  2H  — ,10. 
no  parole  dello  spirito  anticipate  iocosamente  .  ciiine  dice 
poeta  ni'l  terzetto  seguente  Disi  eghe  ,  sciogli,  dinlacchi. 
=:  31.  /  ira,  uomo.  LatinÌHino  !  : —  ,l(i.  (i  audio,  regno 
udioso.  : —  39.  Mare  di  'l'iberiade.  Matt.  II.  :r—  41  s, 
M  ili  ecc.  in  dio.  rrr=  43.  Ci  ri  ,  cittadini.  =  44.  /'e  r, 
r  mezzo  di.     r=rr     46.    ìiarcellier  (  bnccalaiireiis  )    seno 

re,   che  sostiene  una  quislionc.    ■■ 4H.  /'er  approvar 

1,  per  sostenerla  con  argmiicnti.  2'cr  minar  decidere  per 


COMENTO   SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 


Il 


disrc  =  65.  -tiSente,  tli  buona '•oglia.  :=^  60.  Bontff, 
abilità.  Disasconda,  manifesti.  =  fi.  Deliiiisre  la  speme 
colle  parole  di  Pietro  Lombardo  scnteiit.  3,  2H.  n^  lO.  Stelle, 
dottori  e  santi.  =  Ti.  Quei,  Davide  =  a  Sommo 
f/uce,  iddio.  ^  73.  S7)eri7io  ecc.  Isalm.  9,  11,  leodia 


inui,  canti  in  lode  di  dio.  =  7o.  iU»  a  ,  cr.«i.aiia.  =  ib 
Epistola  1,  12.  raffr.  Sai.  Ili,  1.  =  77.  l'ij'ja  come 
21    91.  ha  il  cod.  bartol.  Jìi))/"o,  ripiovo  „,     „     , 

interno  =  80.  J 74  cen  rf io,  lume,  anima.  =  84.  i'o/m  o 
del  martirio.  Uscir  rfe  i  cani  j)o  di  battaglia,  morte.  = 
85    /{espiri,  spiri,  parli.  =  89.  Po  H;£:o  no.  \\.  porgono 


Sosno!  gloria  del  paradiso.  Esso,  segno.  Lo  quel  che  la 
8P  mi  promette.  Parenti  in  parentesi  inchiude  le  parole  ed 
esso  me  lo  addita,  distinguendole  inoltre  Cdsi  :  ed  esso: 
lo  7«'  addita!  cioè,  e  Jacopo  ripiglio:  mei  ad., 
di  modo  che  il  v.  90  continni  la  risposta  del  poeta. J\oi  cre- 
diamo che  il  punto  sia  da  mettersi  dopo  addita,  in  questo 
senso -'il  vecchio  e  il  nuovo  testamento  assegnano  il  paradiso, 
e  questo  paradiso  istesso  mi  mostra  chiaramente  quel  eh'  io 
ho  da  sperare.  Il  verso  poi  90  lo  combiniamo  col  terzetto  se- 
guente :  =  91.  i>ice  J.sfflta61,7.  ==  92.  Do ppia 
?e«  t  a,  doppia  gioia,  o  beatitudine  eterna  dell  anima  e  ilei 
corpo.  La  vesta,  di  che  per  altro  non  si  trova  nulla  in  Isaia, 
fa  sovvenire  il  poeta  delle  bianche  stole  dell'  Apocalissi.  == 
94  Fratello  ,  s.  Giovanni.  Di  gè  sta,  schiarita.  r=  95. 
Là  ecc.  Apoc.  7,  9.  =  97.  Prima,  presso.  Lezione  vera 
detrli  ottimi  codd.  =  98.  Sperent  in  te  Salni.  9,  11.  v. 
V    73.    rr=    99.  Carole.  24,  lU.    r=    190.   Un   lume,   san 

Giovanni.      101.    Cristallo,   corpo  lucido.    =    102. 

Lo  inverno  ecc.  tutte  le  notti  da  mezzo  novembre  a  mezzo 
dicembre  avrebbero  un  altro  sole,  come  lo  ha  allora  il  segno 
del  capricorno  ,  che  corre  di  giorno  col  sole,  siccome  opposto 
al  seguo  del  cancro,  =  105.  Novizia,  sposa  novella. 
Ji'oi  io  di  vanità  0  fasto.  =  107.  7>  u  e,  Pietro  e  Jacopo. 
-      101).    Canto,    parole  dell'  inno.  Nota  musica  di  ballo. 

112.  Qu  e  s  ti  Giovanni.  Giacque  —  petto.  Giov.  13. 

^=  113.  Pellicano,  Cristo;  perchè  questo  uccello ,  as- 
serbaudo  nel  gozzo  pesci  per  portarli  ai  pulcini,  è  simbolo  di 
tenerezza  parentale.  Fu  e  ecc.  Giov.  19,  2li  s.  =  114.  U  fi- 
do d'  esser  tìglio  invece  di  Gesù.    =    116  s.  Mosse — da 

alle  chiarissimamente    leggiamo   co'   migliori    ed   antichi 

codd.  invece  di  mosser  —  di,  con  che  necessariamente  si 
dee  leggere  le  parole,  per  combinarlo  con  mosser,  lad- 
dove il  nostro   alle   si   riferisco   a   mosse,  ed   ha   forza  di 

con    in.      118.   Si  argomenta,  pensa,  crede.    =r 

120  C/i  è,  perchè.  =  121.  Saragli,  vi  sarà.  =  127. 
Stole    ve»ti.   (91).  Eccl.  15.   Due,  dell'  anima  e  del  corpo. 

12S.  Due  luci.  Gesù  e  Maria.  Salirò  23,  86.  120.  = 

138.  Non  poter  vederla,  essendo  io  abbarbagliato  nel 
mirar  8.  Giovanni. 


Canto    XXVI. 

2.  Fulgida  fiamma,  S.Giovanni.  =  3.  Giunse 
lino  spiro  del  cod.  bart.  e  il.  sembra  correzione,  ma  super- 
flua. Sp  i  ro ,  voce.  =  4.  Jiisensr,  ricuperi  il  senso. 
'  'é.  Fa  ragion,  fa  conto,  persuaditi,  r^r  9.  Smar- 
rita    sospesa.  Defunta  ,  distrutta,    r^^     10.  Dia.   14,   34 

12.  Anania,  Att.  an.  9,  17.    =    14.  Porte,  entrate. 

10    Le  ben   ecc.   iddio.      =      17.  Alfa  ed  Omega 

principio  e  line.  Apoc.  1,  11.  Di  quanta  scrittura  A' 
ogni  scrittura,  che.  Scrittura  continua  soltanto  la  metafora, 
e  non  è  unicamente  la  santa  scrittura,  anzi  ogni  segno,  pruo 
va,  vestigio  espresso,  che  vii  legge,  esibisce,  propone,  mo- 
stra amore,  V  amor  mio,  che  in  me  «'  imprenta  (27).  Il  senso 
dunque  è:  Iddio  è  origine  <;  somma  di  quanto  io  acceso  di  ca- 
rità trovo  e  vello  espresso  dapiiertutto,  e  lievemente  e  forte- 
mente-,  ovvero:  dappertutto  il  mio  amore  scuoprc  iddio  qua! 
fonte  d'  amore,  che  beatilica  ancora  questa  corte.  (Questa 
ri-posta  sciiz'  altro  era  a^sai  vaga  e  generale,  onde  1'  am- 
monizione del  V.  22  ss.  =  21.  Cura,  sollecita  attenzione 
r=r  22  «.  A  pik  —  scliiarar,  conviene  che  piii  chiara- 
mente ti  spieghi,  faglio,  staccio  per  cernere  o  crivellare  la 
biada  volgendo.  Vocabolo  alfine  a  tl).m,i).vì,  ù).(3j,  lìXuw, 
Ul.  volvu,  led.  uitlzen.  =rr  24.  bersaglio,  mira,  segno.  Dal  lai. 
barb.  b<  rsarv,birsare,  gali.  ant.  berser,  tfn\.  birsclien,  it.  ferire, 
cacciare,  tirar  frecce.  :=--  27.  /;/i  p  r  en  t  j,  impronti,  iiiipriina.  =^ 
2H.  Come  »'  intende  quando  è  inteso  e  conosciuto.  r:=:  31. 
Ehieuza  divina,  f'ant  aggio,  soprappiù.  =r33.  i>e/  suo, 
del  divino.  =rr  31.  ///<  r  a ,  essenza.  Lezione  migliore,  in- 
vece d'  a  / 1  r  o.  r=  35.  Cf  r  71  e  ,  vede  j  conosce.  =  37. 
/' ero,  cioè  la  bontà  di  dio  fonte  il'  ogni  altra.  Sterne.^ 
come  poscia  v.  40.  sterne  l ,  e  \'ì  st  er  nil  mi ,  invece  di 
sceme,  s  e  e  r  ii  e  l ,  sce  r  nil  mi ,  preferiamo  come  lezione 
pili  squisita,  che  dii  buon  senso  d'  apni.Toare,  confermare, 
l'oinc  II,  27.  checché  op|iongaiio  gli  spositorì.  1/  all'lnilà  della 
voce  con  III  •■uìvruiii,  ni'n^mì,  iiicwì,  oiion);,  oi  é(ì(i<)^  le  assegna 
la  nozione  del  far  «odo,  fermo  e  piano.  :=  HH.  Colui,  te 
!<ia  Ari*ioiele,  l'Iuionc,  u  l'augora,  è  iaccrtu.  Il  primo  amo- 


re, essere  amore  il  primo,   o   dio  esser  1' amore,  e  percii  l' 
cagione  unica  e  fonte  d'  ogni  sustanzia.      rr^r      40.    Feraci:' 
autore,  iddio.      =      41.  il/ o  £sè  Esod.  33  ,  19.      =      42 

Valore,  unione  d'  ogni  pregio.   44.  Pr  econio,  bandii 

(45),    vangelo.    Lo   arcano,  il  mistero  della  generazione  ei  «i 

incarnazione  del  verbo.      : 48.  Guarda,  riserba.  //  som' 

V  rana  de  i  t.  am. ,   il  tuo  sommo  amore.    49.    Cor  delti 

Se  71  0  ,  i  attrattivi.    50.  S  ?/ o  ti  e,  palesi ,  facci  manifesto.    : 50' 

Denti,  motivi,  stimoli,  punture,  macchine.  Morde,  sprona, 

tiene,   prende.      : 51.    L'   agugliadi    Cr.,  Giovannii 

simboleggiato  nell'  aquila.  Apoc.  4.     55.  Morsi,  stimoli 

pungoli  ,  motivi.      58.    Lo   essere   ecc.  come  effetti  di 

bontà  divina.      : 62.  Torto,   falso ,  perverso   delle  cose: 

mondane.     64.  /^r  o  ti  rfi,  metafor.  creature.      = —      60i 

Bene,  perfezione.  Porto,  comunicato.    : —    70.  Raffr.   Pgl 

17,  40  ss.    Disonna,   rompe  il   sonno.      : 71.    Spirti 

vis,,  virtù  visiva.      72.  Cronna,  tunica,  tonica  ,  memi 

brana.    74.  N escia  (latinismo!)  priva  di  discernimento; 

75.  St  imativ  a,  giudizio.      76.  Quisqui  l  iaì 

cispa,  immondizia,  o  ingombro,  impedimento. r=  81.  Quarti. 

lume.  Adamo.     : 83.     Vagheggia,   contempla   lieta! 

mente,  adocchia.      84,  Lapr.   virtù,  iddio.    =    8lj 

Flette  (latinismo)  piega.    =    87.  Sublima,  innalza.  = 

fc8.  /7i  tanto  in  quanto,  mentre.    91.  Pomo.  Rafft] 

04  ss.    93.  A  uro  (latinismo)  nuora.  : —  94.  Supplice^ 

Diastole  fa  penultima  lunga.  =  96.  iVoTi  la  dico.  Lezioni  |  (, 
indubitabile  antica  invece  della  inetta  la  ti  dico.  v.  105  «  jj, 
=  97.  Co  t»  er  t  0  d'   un  panno,  o  drappo.  _/>r  og:/i  a,  si  movejj,, 

agita.    99.  /ti  vog' i  i a,  copertura,  inviluppo.    =    lOCp;,, 

Primaja,  prima.    103.  Pro ff erta,  manifestata.  =;i;i,i 

106.  Verace   speglio,  iddio.      rr=-      W7.  Par  e  g  He  \e  f^^ 
zione  degli   ottimi   ed   antichissimi  codd.   Or   se  jia  r  eg' /  i  e  .j[ 
p  aregi  io  ,  o  parelio  si  prende  per  quella   meteora,  doV|( 
il  sole  dipinge    la   sua  immagine  in  nuvola,  ognuna  di  quest  |j'|, 
lezioni  pub  mantenersi;  perchè  i  Greci  hanno  /Ta(iti?.io;,  e  ti  i 


naoìiXia.  Ma  perchè  intrudere  qui  il  sole  in  luogo  dell  = 
specchio  '?-  Se  D.  invece  di  specchio,  vecchio  disse  spe  " 
glia,  veglio,  non  poteva  egli  dire  anche  pareglio  &■■  , 
esempio  del  fr.  pareli,  che  pure  è  il  gr.  n:aQce?.ki]?.o; ,  in  j|f 
vece  di  parecchio,  cioè  simile'?  massimamente  poiché  volt  d 
il  pensiero;  dio  creò  tutto  secondo  la  sua  immagine,  simile  ^g, 
sé,  e  niente,  uiuna  creatura  creò  dio  simile  a  sé'?  dio  rend  ( 
tutto  simile  a  sé,  accoglie  tutto  in  se,  ma  niente  può  rende 
lui  .simile  a  sé,  accogliere  dio  in  sé;  contiene  tutto  in  sé  e  d 

ninna  creatura  è  contenuto.    : 103.   Quanto   tempo.    r=: 

Ilo.  Eccelso  giar  dino,  paradiso  terrestre.    .=    112.  F- 

—  miei,  godei  la  vista  del  paradiso,  vi  stetti.    r=    115.  O; 
dunque.  Legno,  albero,  frutto.      — r      117.    Il  trap.   de 

segno,  la  disubbidienza.      : 118.   Mosse,    fece  partir» 

Quivi  meglio  si  legge  che  quindi,  da  questo  luogo.      = 
119.   Quattromila  trecento   e  due   volumi,    rivolgi 
menti  periodici  del  sole,  o  anni,  risultano  dal  computarsi  anr 
5232   scorsi   tra   la   creazione  del   mondo    e    la  morte  di  Gesùn 
perchè    da   5232  tolti    930  anni  che  visse  Adamo,  restano  aurj 
4302.  —  Concilio ,  beata  società,  adunanza.  Monti  Prop.   1, 
2.  173  .s.    rrrr     Vii.  Lui,  il  sole.  Lumi,   segni.      :=      12'ìjjo 
St  rada.  Zodiaco.  Nove  e  ento  tren  ta.  Gen.  5.  r=  Vii 
Inconsumabile,    imperfezionabile.    Opra,    torre   babi 
Ionica.    =     127.  Altri  leggono  effetto  raziocin  abili 
cioè  cosa  fatta  dall'  uomo  razionale,  invece  di  affetto    rato 
ziona  bile  ,  intenzione,  tendenza  ragionevole,  che  pure  dj 
buon  senso.  :r:^  129.  //  cielo,  il  molo  e  1'  influsso  del  cielc „ 

131.  Cosi  o  cosi,  che  1'  uomo  parli  in  questo  modo,   (. 

in  quello.  =  132.  ./ 6  6  P  /  /  a.  Pg.  2ti ,  140.  =  Vii.  EL 
l/osi  incontrastabilmente  i.i  ha  da  leggere  invece  di  Un,  o  ,|^ 
(che  vogliono  esser  J  e  ho  vali),  o  /,  che,  forse  segno  di  numeriiie 
venne  chiosalo  con  u 71.  V.  de  vulg.  eloqii.  1,  4.  ^=  13tp. 
/;/l.  Matt.  27.  r=z  139.  /t/o7)Ie  ,  Purgatorio.  :rrr  141,,, 
Dalla  ecc.  dall'  ora  prima  del  giorno  sino  alla  settima.  lii,j 
giorno  diviso  in  dodici  ore,  la  sesia  è  il  mezzogiorno,  e  seL 
con  da,  seguente,  è  la  settima.  :=r  142.  Coinè,  quando.  QuaL, 
dra,  quadrante,  quarta  parie  del  circolo,  cioè  gradi  novanti  ,\, 
L'  opinione  per  altro  è  di  Pietro  Comestoce  stor.  scoi.  e.  2J.,|ij( 

Canto     XXMI. 

10.  Le  quattro  face  (faci)  ».  Pietro,  s.  Giacomo  J' 
Giovanni ,  e  Adamo.  =  11.  */ u  e/ /a  ecc.  s.  Pietro.  :^  ', 
14.  Qnal  div.  vermiglio  di  candido.  =t=  l.i.  Penne  biaH 
che  e  rosse.  =  IO.  Co /7«  ;>«  r  f  e  ,  distribuisce.  =  U 
I  ice  vicenda.  ^:r  19.  y'ra  s  e  o  /  o  r  o  d'  ira.  =  4 
Quegli  ecc.  IJonifazio  Vili,  d'  Aiiagna.  Loco  mio,  sedi 
papale  =  2i.Cimitcriomio,  Roma.  =  2»' J 
«  e  r  I)  e  r  «  »  Lucifero.  =  27.  PI  ara,  compiace.  ==  » 
Color  rosso.  Avverso,  posto  dietro  ad  essa,  volta  la  tv 
eia     rm    31.   Permane  (latinismo!)   sta.     =:     33,  Fani 

fa.    =    34.  Trasmuto  semh.   ùi   vergogna.    "'    '■ 

sup  r.  poss 


Gesù.      =      40.  Sposa  di  Cr.,  chiesa. 

ÌCLÌnoè  Cleto,  papi  martiri,  successori  di  Pietro. 


36. 


COMENTO    SULLA    DIVINA    COMMEDIA. 


4.  Sinto  ecc.  altri  papi  martiri.      : 45.   Fleto,  pianto. 

=    47.  Par  t  e  guel  la.    =^    48.  jPa  r  (e  ghibellina.    Altra 

ìniatra    Accenna  Matt.  25,  33.    óO.  Si  f;  n  acuì  o,  forma 

litica  invece  di  segnacoli).    .52.  Sigillo  nelle   bolle 

apali.      5(i.  Paschi,  vescovadi.      57.  Difesa, 

ontro  air  audacia  ed  enormità  de'  l'ontefici  ,  che  stavano  per 
ere   ii   saligne   de'    santi   e  sfidare  1'  onnipotenza,  cioè   iìnal- 

lente   vendetta.    Ugo    Foec.    Disc.    403.  Giaci,    dormi.    

■i.  Caors  ini,  Giovanni  XXI.  di  Caorsa  (Inf.  11,  50)  eletto 
el  1316  (dove  fu  dunque  scritto  questo  canto.  Troya,  V.  A. 
io  e.  sospetta  che  parli  il  poeta  se  non  di  Matteo  \  {sconti  di 
astrucciu  Castracani.  Guaschi,  Clemente  V.  di  Guascogna. 

—    (il.  Con,  per  mezzo  di.      _    ti2.  Difese  colla  rovina 

i  Cartagine.    : —    63.    Soccorra,   soccorrerà.   Concipi o 

atinismo)  immagino.     t)4.  Pondo,  peso  del  eorpo.     

',  Fiocca,  s'  empie  di  fiocchi,  ondeggia,  oscilla.  Alfine  a 
P.ao) ,  ipì.toì ,  <p?.iyo) ,  spirare,  fiatare,  come  a  Tt^.toj,  T/.ato, 
le  hanno  tutti  quanti  le  nozioni  del  fluido,  acreo,  ondeggiante, 
eno  e  folto.  J'apor  gelati,  falde^  tìocchi  di  neve.  ■ — 
ì.  <ìuando  ecc.  di  verno.    : —    71.   f  a  por,  spiriti,  turba. 

,  131.      : 72.    Fa  tto  av  ean  s  og  giorno,  rimasero. 

,  127.  =  73.  riso,  vista.  =  74.  Mezzo,  quantità 
terposta  tra  V  o!?getlo  e  la  vista.  Lo  molto,  la  lunghezza, 
stanza.  : —  7ti.  D  onn  a.  Beatrice,  yl  ss  ut  te  ,  Hbrigalo. 
=    77.  A  dima.  Pg.  10,  KlO.    =    78.   /  o/to,  girato.    = 

G  uar  dato  pri  ma  aWa.  terrsi.  22,   151  s.      80.  /o 

'di  ecc.  il  segno  de'  gemelli  che  sta  quasi  sopra  al  primo 
ima  di  latitudine  boreale,  era  passato  dal  meridiano  air 
zzonte  occidentale,  erano  passale  sei  ore.  1 1  pr  imo  clima, 
cui  latitudine  è  di  15? ,  incomincia  da  levante  ,  e  disten- 
si  lino  a  ponente.     82.    Gade,  oggi  Cadice,  il  lìto 

>anìco  orcideutale.   Varco,  oceano  varcato. 83.  Folle. 

f.   2(j ,    100   ss.   Vi   qua,  nell'   opposta    orientale  narte  del 

stro    emisfero.  _  2/ Jto    fenicio,    onde    Giove    trasformatosi 

vago   toro  rap'i    Europa,    lìglìa   d'  AgjMiore,  re  di  Fenicia. 

67.    Un  segno  piii   p.    distante  più  di  tutto  il  tramez- 

(ite  toro.  Sotto  — p.    per   essere   il   cielo  delle  stelle  lisse 

alto  del  cielo  solare.      88.  Donnea.  24,  118.      

iì  i  rf  u  r  e,  ricondurre,  riaffissare.      91.  Pasture, 

llezze,  onde  pascere.  93.  Carne,  corpo.  97.  In- 
cise, (latinismo)  concesse.      : — :      98.  Nido  di  Leda,  il 

rno  celeste  de'  gemelli.  Divels  e ,  dislacci),  scostò. 99. 

e  l  velocissimo,  spera  nona  ,  primo  mobile.  Imp  uls  e 
cod.  bart.  ha  pulsr)  spinse.  r=  100.  /  ivi  ss  ime  pel 
to.  Molti  codd.  buoni  ed  antichi  testi  han  vi  ci  ss  ime,  vi- 
e  r  una  all'  altra,  o  alternanti,  da  vicissim  (secondo 
sta,  che  conghietturava  vitis  siine  dal  fr.  vite).  Ancora- 
;  la  parola  stessa  non  paja  di  buon  conio,  si  potrebbe  non 
meno  che  fosse  di  prima  mano,  cambiata  poscia  con  vi-i 
Sdirne,  perchè  non  guari  diircrcnte  nei  scuso,  mentre  s'i 
vicinanza  ,  che  1'  alternazione  suppongono  molo  velocissimo 

ivissimo.    : —    ioti  8.  Che  —  mezzo,  circolar.    108. 

'.in  CI,  da  questo  nono  cielo.  ,11  o  n  </ o  invece  di  moto,  che 

1  troppo  bene  «i  eongiungerebbe  con  move,   è  lezione   an- 

1,  buona,  e  vale  natura  naturata,  il  mondo  sensibile,  crea- 

naturale.  //  mezzo,  il  centro,  la  terra.  : —  109.  Dove, 

go.      112.   Luce  ed   amor,  intelligenza  amorevole. 

un    cerchio,   a   guisa    di   cerchio.    Lui  il   cielo   nono, 
m/)  re  n  rf  p  ,  comprendono  ,  circondano.      : 113.  Pre- 
ito,  cerchio.    r=r:     114.  Intende,    abbraccia   coli'    intcl- 
o   e  governa.    Colui —  cinge,  iddio.      r-=      115.  Aon 
.  il  suo  moto  non  è  misurato  da  altro  moto.     =^=     117.    iS'i 
me    die  ce,   numero  maggiore  è  prodotto  e  misurato    da' 
zzo,  cinque,  e  da  quinto,  dalla  quinta  parte,  eh'  è  il 
,  dunque  da  numeri  minori,    rr—     118.   Testo,  vaso.  =r=  ' 
Ha  dici,  origine.  Le  fronde,  il  misurature  a  noi   vi- 
le  molo.      ■- —       121.    /If  fonde,   kominergi.      — =      120.  i 
zzacchioni,  aborti,   frutti    imperfetti   (lei   susino.  Su-^ 
le,  prime,  prugne.  /   ere,    buone,     i-r-      127.   Heperte\ 
inismo),  trovale.    =:     129.  Co  per  te  dalla  barba.  :r^  131. 
n  la  linf^ua  sciolta,  divenuto  grande.  =^  133.  Luna, 
;ioiu;  di  digiuno  trclesiastico.    :r —   J3ti.    La  pelle  binn- 
,  la  beltà.     : —     137.   Sei  primo  aspetto,  nella    prima 
de.    li  ella  ecc.  natura  umana,  bella  tiglia  del  sole.       r^ 
Chi  governi,    nuuiarci ,    iuipcradorc.       r-r:       142-  Si 
e  mi  hanno  i  migliori  corld  ,  e  1'  omlsNionr  del  ai  provirne 
correttori  oirrsi  da  qurl   Ginniijo  invece  di  gennai    (^■.  l'g. 
22.  14,  (iO.  l'ar.   15,   110.)       :—      113.   Cent  esina,  centc 
a,  .nìnu/ia  dì  tempo  data  >li  piti  al  molo  periodico  del  noIc. 
iputandosi   di   giorni   ;ili.i  ed  ore  prccikanienle  (i,  e  tanto  di 
che    in   ceiito    anni    veniva   a    formare   un  di.      r— r       111. 
ggeran    sembra  da  preferirsi   come  più  cnergiro,  si  voi 
anno  Hirepitosainenle,  a  girerà»,  flie  par  piiilloHio  chio- 
rr—     115.  La  fortuna  ecc.  il  veltro,   ('an    (ìraiide.  =r= 
Le   ecc.   farìi   mutar  agli   uomini   costume,  rifornturù  lu 
0  dello  cime. 


Doppi 
piali.  Dal  l 


Canto    XWIII. 

rro,  torcia  di  cera,   composta  di  stoppini   rnd 
basso  lat.  diipUriu§.     11.    Li  miei  occhi. 


T  olume,  cielo.  =r  16.  Un  punto,  la  divinità  =  17 
l  iso,  occhio.  Affoca,  illumina.  =^  l'j.  Poca,  picciola' 
==  22.  Alo  n  halo,  voce  greca ,  alone,  cerchio  colorato 
int.orno  al  sole  ed  alla  luna.  Cos'i  conformemente  a  buoni  codd 
ripose  Lombardi.  =r  25.  Igne,  fuoco.  Pg.  ;:9 ,  102  n^  Si' 
Sen  giva,  invece  di  seguiva,  leggiamo  col  cod.  di  Pog- 
giali. Sj)ar  t  o,  steso.  z=  32.  7/  messo  di  Jun  o.  Iride 
=    33.  Arto,  stretto.      =      30.   Vallo  uno,  dall''  unità 

=r      37.  Sincera,   pura,   lueida.      39.  s'  invera' 

partecipa  e  s'  imbeve.  Da  y  ero.  rr^  48.  Sazio,  saziato' 
soddisfallo.  :=r  54.  ^  m  o  r  e  /  u  e  e.  27 ,  112.  =  òó.LÒ 
esemplo  E  lo  es  empi  are ,  il  mondo  sensibile  col   mondo 

intelligibile,  eh'  è  suo  esemplare.      (lO.   Tanto  sodo 

difficile  a  solversi.  b3.  2'i  assottiglia,  aguzza  1'  ingegno' 
==    04.  Cerchi,  eìeii.    Arti,    stretti.      =;      07.  Bontà 

virtìi.      =      |j9.  Co  ra  più  te  perfette.      70.    Costui^ 

questo  nono  eielo.  Rape,  rapisce,  tira  seco.  71.  Se- 
condo risponde  (lezione  di  buoni  codd.    invece   di   seco 

corrisponde),  concorde  corrisponde,  n^  72.  CAe sape" 

che  spira  maggior  sapienza  ed  amore,  quello  de'  serafini.  : — - 
73  8.  Circonde  la  tua  m  isu  r  a  ,  misuri.  Par  v  e  nza 
apparenza,  per  estensione  locale,  r^  75.  Sustanzie  an- 
geliche. 3'onrfe,  disposte  in  cercbj.  =  78.  Intelligenza 
direttrice,  angelo  motore.  V.  8,  34.  r=  81.  Zeno  fiacco 
debole,  meno  impetuoso.  =  82.  Roffia,  ruffa  ,' roccia' 
lordura  che  sulle  monete  ed  altre  cose  eoi  maneggiare  cagio- 
nasi,  rogna,  tigna,  crosta  di  rogna;  qui  ingombro  di  vapori 
nebbia,   nuvole.   Biagiuli    lo    deriva  dal  provenzale  rofflée. 

Sembra  affine  a  (,vrio;,  sucidume,   o  a  (lòino;,    roba.      

84.  Paroffia  spiegano  comitiva,  cioè  sole,  luna  e  stelle; 
o  parte,  coadunazione.  La  prima  di  queste  sposizioni  sembra 
preferibile,  benché  1'  origine  della  xoce  sia  non  meno  incerta 
di  quella  d'  una  voce  scozzese  simile  par  affi  e ,  che  vale 
mostra,  pompa,  ostentazione.  Se  poi  questi  vocaboli  abbarbi- 
chino ivk  oiam,  o.iuìio,  Itcu,  oppure  la  ora),  ùiTut ,  uw, 
u.io;,  o  finalmente  siano  il  greco  naomrrig ,  altri  decida! 
=  88.  Ristarò,  cessarono,  terminarono.  r=rr  89.  JJis- 
favilla    manda  faville.    =    91.  Zo  i  ne  e  n  dio  ecc.    ogni 

scintilla  prosegui  a  sfavillare  e  dividersi  in  altre  scintille.  

93.  Il  doppiar  de^li  scacchi  (non  sciocchi,  come  vo- 
gliono leggere  alcuni)  la  progressiva  duplicazione  da  mio,  due 
a  quattro,  otto  ecc.  sino  al  se-santesimo  quarto  scacco  Allude 
ad  Ebu  Uahir,  che  si  dice  aver  chiesto  in  premio  della  sua 
invenzione  un  granello  di  froinento  duplicato  e  reduplicato  tante 
volte,  qnant'  erano  scacchi  nello  scacchiere;  numero  stermina- 
tamente grande  !     =    94.  Osannar,  cantar  osanna,  l'g.  II, 

11.    r=    95.  Punt  0  f  isso ,  iddio,  v,  77.    Ubi,  luoghi.    

90.  Foro,  furono.    =r    97.  Dubi,  dubbiosi.  Latiiiisuio!   

100.  /'imi,  legami  (29,  35  s.)  d'  amore.  r=  101.  Somi- 
gliarsi contemplando.  =:  103. ,-/ ni  ori,  angeli.  J'onno,  \z.a- 
no.=:r  ltì5_.  T  erna  r  o  (il  cod.  bart.  ha  t  ri  n  a  ro,  come  trino 
24,  140.  1.5,  47.),  gerarchia  di  tre  coriangelici.  Te  r  m  i  n  o  n  no, 
terminarono.  —  Seguita  Dionisio  Areopag.  de  caci,  bierarch.  7. 
==  ioti.  J>i /e  tto  tanto.  =  108.  /ero,  iddio.  =  109. 
/' ed  e,  eontcìnpla.  =  111.  Seconda,  siegue.  Assente 
con  cii)  a  san  Tommaso  contro  Scoto.  : —  112.  .Mercede, 
opera  meritoria.  Inf.  4,  34.  rrrr  115.  Germoglia,  si  con- 
serva lieta.    rrTT    HO.  In  ecc.  del  paradiso.     =     117.  Aot- 

turno  ariete,    l'autunno.      : 118.    Sverna    canta  in 

primavera.  Monti  Prop.  3,  2.  CVI.      119.    M)  lode  14, 

122.  120.  S'interna,  s'  intrea,  si  cninpone  in  terna- 
rio.        121.    Le  alte  dee,  intelligenze  motrici.  Cosi  buoni 

codd.  invece  di  le  tre  dee,  o  /'  altre  dee,  a  le  altre 
idee,  -^ —  121.  Penultimi,  selliino  e  ottavo.  Tripudi, 
cerchi  tripiidiantì.  =  127.  Di  su,  dall'  allo.  Rimirano 
(non   »'    ammirano,   come  hanno  iiiirccfhi  niss.)  >er»o    dio. 

rzrrr      128.    IJi  g  i  il  ,  sccoydo  che  a  dio  sfiiio  piti  \iriui.      

IW.  l^iun  iiiio  Areopagita.  r=^  133.  Gregorio  .Magno. 
=    138.  Cbi  ' t  vide  ,  enu  Paolo. 


Casto     XXIX. 


1.  Ambo  edue-~Lat.,  il  sole  o  la  luna,  z —  3.  Fan- 
no a  sé  ,  (  i  ;i  f  u  ro  ,  sono  cinti.  t^~  4.  il  reniti  libra 
<KOhi  il  cod.  barlol.  invece  di  li  tieni-  in  libra,  n  il  zenit 
si'  i  n  l  i  b  rnj  il  punto  di  incz/o  dell'  einiNperìo  gli  (Inf.  7,53. 
Par.  12,  20)  bilancia,  aggiiiHla  ;  cine  Hianiio  in  uno  stesco  orÌ77.onte, 
facendo  egli  con  rNHiunirianiiolti  i^ucele,  i|iiaiidogli  haeqiiidis- 
riiiti  ilasr.  — :  5.  Ci'i  to,  rercfiio  orizzontale.  •  0.  .S'/  di  I  ibra, 
si  toglie  dall'  equilibrio,  r-r  9.  /'"in  ,i.  Parenti  \  noie  che  serva  alla 
operazioni  della  incute,  rome  Jisio  n  soggetti  materiali, 
/'il  o  (  o  ,  iddio.  : —  12.  il  !•  e  —  quando,  in  dio,  ove  In 
renlro    si    riuniscono    o    spazio    e  tempo.       r^—       13.     terre, 

ollciicre.  : 14.   Cb'  esser  non  può,  perchè  niciile  in.inci 

in  dio  Spi  in  d  o  r  e,  la  divina  idea  splendente  nelle  rrrnliire. 
13  ,  .iM  H.  20,  33.  33,  115.  —  15.  .S  o  A  *  i  »  t  «  ,  sono.  Dice 
diiiii|iic  :  non  creii  dio  gli  nugrli  per  NU|i|ilire  o  ag|;iiignerc  al 
suo  elisero  bealo,  eh'  è  ro»a  iinpoNsibilc ,  ma  per  gioire  di  lu.i 


m 


COMENTO    SULLA    DIVINA     COMMEDIA. 


beatitudine,  sapienza  ed  amore.  17.  Fot  —  compren- 
der, in  maniera  ad  altra  niente  incomprensibile.  /,  a  lui. 
liif.  10,  113.  Pg.  12,  83.  Si  aperse,  si  mostrò,  si  palesò. 
No  V  e  invece  di  nov  i  leggiamo  con  parecchi  codd.  buoni,  in- 
tendendo le  nove  gerarchie  angeliche (28,  103,).  =  19.  Prima 

di  creare.     T  or  pente,    inerte.      20.    Ne  prima  ne 

poscia,  fuor  d'  ogni  tempo.  Pr oce dette  sembra  preso  in 
tengo  della  teologia  scolastica.  Giov.  lo,  26.  do%e  pr  oc  e  il  er  e 
è  la  traduzione  Viilg.  La  serie  di  questo  nostro  passo  mostra, 
che  signilichi  operare,  mostrarsi  in  alto,  perchè  si  oppone  a 
giacque  to  r  p  e  nt  e.  Onde  precedette  è  senz'  altro  le- 
zione  guasta.      21.    Lo   discorrer,  lo  spirito,  come 

logos  e  verbo  si  usarono.  Sopra  queste  acque   allude 

a  Genes.  1,  2.  22.  Forma,  forme  sostanziali.  Materia 

prima,  siibbiettu  di  tutte  le  forme  sostanziali.   23.  A  d,  da. 

Atto  di  dire:/ia£.  Uscirò,  vennero  ad  effetto,  all'  es- 
sere, come  hanno  alcuni    codd.   invece   di   atto.      29. 

Raggio,   USCI  raggiando.    30.   Uistension   leggono 

il  cod.  bart,  e  fl.  invece  del  volgare  d  i«  fin  zion.  Questa 
lezione  pare  che  meglio  quadri  all'  intervallo  del  v.  27.,  al 
28,  67  s.  e  finalmente  sembra  espressione  scritturale,  v.  Giob 
9,  8.  Salm.  101,  2.  : —  33.  Puro  atto,  virtù  d'  agire  nelle 
altre  sostanze ,  non  potenza  di  ricevere.  Cosi  gli  angeli.      : — 

31.  Potenzia  dì  ricevere.  Cosi   i  corpi  sublunari.     36. 

T'irne,  legame.  Divima ,  diocioglie.  Cosi  i  cieli.  Distingue 
dunque  sostanze  di  puro  atto,  creature  che  ricevono,  e  crea- 
ture che  ricevono  ed  agisccuio  o  fanno  (2,  123). 37.  Lungo 

tratto  riferisci  ad  angeli  creati.  :=4Ó.  Vero  di  crea- 
zione contemporanea.  Eccles.  18.  Lati,  luoghi.  42.  Le- 
zione del  cod.  bart.  invece  e  tu  lo  V  e  d  e  r  ai,s  e  bene  a  g  na- 
ti,   z —    41.  1  motori,  gli  angeli.     : 46.  Dove,  in  cima 

de]  mondo.  32  s.  Quando  fuori  di  tempo.  16.  47.  Co- 
me, perchè  lo  splendor  divino    potesse    ecc.    14   8.      51. 

'furbo,  sconvolse.  Il  s  ubi  et  l  o  rffi'  vostri  elementi, 
la  terra.  Poiché  gli  antichi  ed  i  Sanesi  promiscuamente  dissero 
elementi  ed  alim  eiì  t  i,  come  elefante  ed  olifante, 
eì  trova  ancor  qui  alimenti  in  alcuni  codd.  : 52.  /ti- 
nta se   fedele   a   dio,   iu   cielo.    QuesV    arte,   la  beatilica 

comprensione  di  dio.    54.  Circuire,  aggirarsi   intorno 

al  lucidissimo  punto.  28,  28  ss.  : 57.  Co  str  etto ,  confinato 

e  oppresso.      59.  Riconoscer  se  della  b  onta  t  e , 

Buppl.  effetto,  opera.     : 65.  Meritoro,  meritorio.      == 

66.  Lo  affetto,  V  amore,  1'  inclinazione.  Le,  alla  grazia. 
^=:  69.  Ajutoro,  ajuto,  adjutorio.  r=  75.  Equivocando, 

sbagliando.  Zettu  r  a,  dottrina.    : 76.   Fur  gioconde, 

gioirono.      79.   7~ed  ere,  intendimento.    Interciso, 

interrotfo.  81.  Diviso,  allontanato.  : 87.  Appa- 
renza, r  ombra  non  vera,  il  riflesso.    89.  Posposta, 

eprezzata,  posta  in  non  cale.     90.   Torta,  stiracchiata. 

=  92.  Seminarla,  spargerla.  94.  Appare r,  com- 
parir dotto,  far  pompa.  95.  Trascorse,  trattate,  dis- 
corse.   : 100.  E  mente;  che  la  ecc.  Cos~i  evidentemente 

si  ha  da  leggere  cogli  ottimi  codd. ,  come  mostra  pure  la  cor- 
rotta   lezione    mentre    d'    alcuni  codd.      103.  Lupi  e 

Bindi,  corruzioni  dì  Jacopo  e  Aldobrandino,  o  Albino    assai 

frequenti.    107.   f'ento,    ciance.    lO'J.  Convento, 

collegio  apostolico.      Hi.    jTo;;  fo  ,  solamente,  soltanto. 

Sono  nelle  sue  guance,  risuonò  dalla  lor  bocca,  o 
predica,     zirrr     115.  1  se  e  de,  scede,  bulfonerle,  Canz.  13,  2. 

j2.      : UH.    Becchetto,  striscia   doppia   del  medesimo 

panno, che  va  fino  in  terra,  e  si  ripiega  in  sulla  spalla  destra, 
spesso  s'  avvolge  al  collo,  e  intorno  alla  testa.   Uccel  non  lo 

spirito  santo,  la  colomba  bianca,    anzi  il  diavolo.      121. 

Santo  Antonio,  abate,  autore  della  vita  monastica  in 
Egitto   nel    principio    del  secolo  quarto  si  dipinge  col  porco  a' 

piedi  in  simbolo  del  demonio  vinto.  126.  Moneta  senza 

conio,  false  indulgenze.      :^i-      130.  Natura  angelica.  4i' 

in  grada,  s'  innalza.     =     134.  Daniel  7,  10.    135. 

Si  cela,  non  si  manilcsta.  : —  136.  La  prima  luce,  id- 
dio. Raja,  irradia,  illiunina.  16,  142.    : 138.  Si  appafa. 

si  coiiciogiie.  =r^  HO.  Se  gu  e  l  o  affetto  ,  corrisponde  1 
intensità  dell'  amore.  :=  141.  Ferve  e  tepe.  Latinismi! 
=:;  HI.  Speculi,  epecchi,  angeli.  Si  spazza,  ni  mol- 
tiplica. 

Canto     X\X. 

1.  Forse,  circa  Seimila  miglia.  Girando  la 
terra  216IIU  miglia,  in  ragione  cioè  di  nilgliu  60  per  ogni  gra- 
do, na^re  a  noi  il  sole,  qu.indo  dalla  banda  orientale  in  luogo 
da  noi  distante  la  quarta  pine  del  terrestre  giro,  cioè  miglia 
5400,  è  il  iiie/./.ngioriio  - — 2. Ci,  da  noi  Italiani.  Fé  r  v  e,  scalda. 
La  ora  sf sta,  il  mezzogiorno.  Questo  mondo,  questo 
terraqiiio  globo.  r:=r  3.  La  ombra,  1'  oinbro.Ho  cono.  Al 
letto  piano,  alla  linea  orizzontale  del  luoi;o  ,  a  cui  inco- 
minciano le  «Ielle  a  disparire,  i-  l.  Il  I»  e  :;  ;:»,  il  sommo,  lacima. 
Profondo,  allo  : — U.I-'erde  il  ;>  a  rf  r  r,  cessa  di  apparire. 

Intino  a  tjiii  uto  fondo,  iiilìiiquaggiu  in  terra.  I.La 

r  II  i  a  r  i  t  »  t  III  a  n  v  r  r  1 1  a  del  »  (i  /,  ì'  aurora.  I>  i  vista  in 
DÌ«ta,dÌMHllain  Klella2,  ir>.  =9.  liella,  lucida,  Biella  mat- 
tutina. Dice  dunque  ju  queNie  tre  primi  terzetti:  come 
nello  fipuutaredeir  aurora  I    umbre  m  dileguano,  e  spariscono  a 


poco  a  poco  le  stelle  sino  anche  alla  mattutna,   cosi   ecc 

10.  Il  trionfo  de'  cori  angelici.      ==      Lude,   festeggi; 

r=    11.  Punto,  iddio.   Ti  use,  abbagliò.    12.  Quel 

que'  cerchj  angelici.    =    13.  Si  e«  lin  s  e,  sparve.    z=    15' 

Nulla  vede  re ,  lo  sparire  degli  angelici  cori.    16.  Si 

dice,  è  stato  detto  in  questo   poema.      18.   Poca  cioè 

joda.  CoM  i  codd.  bart.  e  fl.  A — ni  ce  ad  esprimere  quel  eh' 
io  dovrei  dir  questa  ^olta,  in  questo  passo,  come  dice  poscia. 

=^:    19.  Si  trasmoda,  eccede  ogni  modo.      21.  Su- 

prato,  superato.  r=n  25.  Come  sole  suppl.  scema,  in- 
fievolisce il  viso,  r  occhio,  cAe  più  trema,  che  più  am- 
micca, batte.  In  questo  mudo  corrispondono  sole  e  lo  vi- 
ni embr  ar  ,  il  viso  e  la  mente,  né  bisogna  leggere  colla 
nidob.  ed  altre  in  viso,    z —    29.  Questa  vista,  qui  tra  i 

beati.  30.  E  pr  ec  iso  ,   fu  troncato,   interrotto.     31. 

Seguir,  continuare  a  cantare.  Alcuni  hanno  cantar  forse 
disviandosi  nel  v.  precedente.  Desista,  cessi,  tralasci.  : — -: 
33.  Ultimo,  ultimo  sforzo.  Ciascuno  artista.  Alla 
toscanomania  sola,  del  cui  parossismo  s'  avvidde  già  Varchi  I 
al  primo  sonetto  di  IVlichelagnolo  Buonarroti ,  si  deve  seuz' 
altro    la  lezione    buon   citarista.       z —      34.    Maggior 

bando,  banditore  di  maggior  voce.     ; 35.   Tuba,  forza 

ed    energia  poetica.   Deduce   terminando,  conduce  giù 

al  suo   termine.      39.    3Iaggior  corpo   celeste,  che 

tutti  gli   altri   inchiude.    Ciel  —  luce,  empireo.      42. 

Dolciore  invece    di    dolzore  ha  il   cod.  bart.  Dante  non 

ama  la  z.    43.  i  a  —  milizia,  gli  angeli  buoni,   e  gli 

uomini  forti  in  virtù.  44.  La  una,  gli  uomini.  Aspetti, 

forme  corporee.  : —  45.  Alla  ult.  g.,  nel  giorno  del  finale 
giudizio.    : —    46.  1*  i  4  e  e  t  f  i  ,  disgreghi  5    separi,   disunisca,! 

Da    dissepio,    discepto.      : 48.   Atto,    azione,  im-w 

pressione,  impulso.     52.  Lo  amor,  iddio.  Queta,  ac-:' 

contenta.      53.  Con  «ì,  (lezione  buona  antica,  invece  dia 

e  o  sì)  fatta  salute,  con  fulgor  o  lampo  abbagliante  saluti- 
fero. Chi  desidera  oggetto  dell'  accoglienza,  supplisca  il  can- 
dela, che  sarebbe  come  luce  in  altri  passi  moltissimi,  ani-tnl 
ma  beata.      . —      54.  Fiamma ,  grazia  e  carità.      -; —      58,fi 
T'ista,  virtù  visiva.      : —      60.  Difesi  contra   1'  abbaglia- 
mento; cioè  non  1'  avessero  sofferta  o  vinta.      62.  Ful-\ì: 

vido  difenderei  contra/u/ §•  i  do  (che  male,  per  quanto  pare, 
s'  identifica  con /iti  r  i  d  0  ,    mentre  questo   qui   appartiene  a 
(p?.fYco)  fluido  e  fluvido   (vocabolo  dì  conio  non  troppo" 
eccellente).  Fui  vido  anzi  è  spezie  e  gradazione  di  giallo, 
che  dà  nel  rosso,  come  pur /u^t;us  e  helvus,   donde  discende 
e  tutte   queste  parole  essendo  affini  ad  albus ,  (palio:,   falb 
gelb,  seguano  i  varj  momenti  e  gradì  del  passaggio  dei  biancolj^'i 
(scolorilo),  tra  il  tjuale  e  il  nero  (privo  di  luce),  come  lor  poli, 
si  muovono  i  varj  colorì,  cioè  i  passi,  o  pa.ssaggì  alla  materia, 
Cos'i  la  luce  passa  dal  bianco  per  mezzo   di   giallo   nel  rossci 
Se  si  avesse  qualche  cosa  da  cangiare,   tutto  al  più   scrìverei i 
fulvida ,    riferendolo  a  riviera,    di  modo  che  sarebbe    riviera,, 
folgoreggiante  e  sfavillante  in  giallo;  fenomeno  che  offre  ogniujj 
fiume  rischiarato  dal  sole.      r=^     68.  Gurge  (latinismo)  vori,,. 
lice,  fiume.    =    70.   l/r^  e  (latinismo)  stimola.  =  71.   T'eùk, 
vedi.    =:    72.  Tur  gè  (latinismo)  gonfia,  è  grande.    =    7(4; -^ 
Topazii,  faville  della  fiumana.  r=  78.  Ombriferi  prei 
fazii,    inizi  adombrativi,  adombramenti  preventivi     :=:    79 

Acerbe,  forti,  dure  a  intendersi.    81.  Superbe,  chi 

tanto  possano.    82.  Rua  (latinismo)  sì  precipiti,    si  voH 

in  fretta.      87.    Si    d  eri  t' a  ,  scorre.  S''  immegli, 

faccia  migliore.  =  88.    Gronda,  estremità.  r=r  96.  Amò 
le  corti  v.  43  s.  angeli  ed  anime  umane     =    97.  I spi  et 
dor  di  dio,  perchè  il  fiume  è  la  grazia  illuminante.   =z  9! 
T  idi.  Osserva  il  vidi  tre  volte  ripetuto  in  rima.      =      W 
Passi  ecc.  questo  cerchio  in  quanto  apparisce,  è  un  sol  raj 
giù  unito,  è  tutto  raggio.      :^     107.  Sommo,  convessa  s 
perfide,    nrr    109.  C  i  i  l' o  ,  collina.    =t.    WÌ.Nell'    erb 
Cosi  parecchi  codd.  invece  di  nel  verde.  =  113.   Sogli 
gradi.  3,  82.  IH ,  28.    =    114.   Quanto  quante  anime 
117.  Rosa,  scala  celeste  imitando  la  struttura  d'  una  rosa. 
31.  princ.     =     121.  Pon,  aggiugne.  Leva,  toglie.    =-r  1 
N  ulla  riliev  a,   non   monta,    non   conta   in    modo    alcuno 

124.    Nel   giallo,  ili  mezzo  e  nel  fondo,  dove  sono 

fili  gialli.     =    125    Digrada.  Cosi  il  cod.  bart.  meglio  ch( 
ri  grada,  v.  32,  14.  Redole  (latinismo)   olezza.     r=-     12^ 
g„l  —  verna,  opera  primavera,   cioè  dio.    i=^   129.  jBiai 
che  stole,   genti  adorne  di  bianca  stola.    Apoc.  6,  11.     •= 

135,  A  queste  —  ceni,  goda  del  paradiso.    Apoc.   19.      := 

136.  ylugosta,   di    dignilìi    imperiale   splendente.    Fi  a   il 


ì!i 


Ile- 


lira 


1308.    =    m.  Arrigo    di  Luccniburgo.  />»  r  i  i  i  a  r  <' ,  por 
in  ordine.    =     138.  Disposta,   coltivata   abbastanza,   IQ 
tura  ed  atta.    = —     139.  Ammalia,  alfatlura,  aflascina.  : 
140.   /  i,  Finrenliiii  guelfi.      ^—      U2.  i'r  c/e  fto,  pnntefi<    «ili 
■ —  143.  Tal  (demente  V.  Palese  —  cammino^  si  oppor     :  i 
ad  Arrig<)  con  iscoperti  e  con  occulti  provvedimenti.    Si  spai     «il 
il  roinore,  che  Arrigo  fosse  avvelenalo  coli'  ostia  o  calice    i 
prendere  1'    enraristia    in    Uuoncoinento  dal  DoiuLnìcaiio   FH 
Bernardo  da  Montepulciano,    .-r-     145.  i'oco,  anni  nove,  dal 
1305  al  13U.      =r      147.  Lti  dove  ecc.  nella  bolgia  de    sini^ii 
niaci.  Inf.  19.    =    118    Quel  di   Alagna,  Uouif'azio  MU. 
d'  Aoagni.  Inf.  18,  76  ss.  | 


if 


a! 


i 


1 


COMENTO  SULLA  DIVINA  COMMEDIA. 


Canto    XXXI. 

2.  La  —  santa,  V  anime  umane  beate.  : —  ^-  p]  altra, 
egli  angeli.      :=     7.  S'  infiora,  si  mette  su  i  liori.    := 

S'  insapora,  si  converte  in  mele.    13.  Fior,  gran 

scinto  fatto  a  giusa  di  rosa.    17.  Por  g  e  v an  ,  comuni- 

ivano.    IH.   f  entil  an  do,  percuotendo  con  vento.  Pg. 

I,  49.    19.  //  disopra,  la  divina  sede.    : 21.  La 

ista  ecc.  di  dio.  26.  Antica  e  novella,  del  vecchio 

del  nuovo  testamento.      27.  Avea  rivolto.      : —    28. 

iella,  essenza.      29.  Appaga,  contenti.     : 30. 

roccll  a ,  iieriglio.   31.  Plaga,  parte  del  mondo.  

;.    Elice,   V   orsa  maggiore,    constellazione  vicina   al  palo 

•tico.  Intendi  dunque  plaga  delle  piii  settentrionali.    33. 

iglia.  Boote,  Arturo.     3-1.    ir'  ardua  sua  opra, 

sue  fabbriche  eccelse.    35.  Laterano,  Roma.      

.  Fiorenza  ingiusta  ed  insana.  =:  42.  Libito,  pia- 
re.     =      49.    Sua  di,   persuadenti,   incitanti.      50. 

<  t  r  7/ 1 ,  divino.      38.    Uno   spirit».    Intendeva  di 

•mandare.  ==  59.  Sene,  vecchio,  san  Bernardo  dell'  or- 
ile di  Chiaravalle,  circa  il  1115.    =    (iO.  Con,   alla   stessa 

pgia.    : til.  Gene,  gote,    guance.  64.    Ella,   Bea- 

ice.     _  tì8.  Dal    (lez.  di  buoni  codd.  invece  di  del)  come 

,  IG.  cioè  numerato  dal.  19.  Sortirò  diedero  in  sorte. 

=    77.  Faceva,  la  (hVtanza.      78.  Mista,  alterala. 

=    79.  f  ige  (latini#ni(i)  verdeggia.    SO.  in  inferno. 

Inf.   2.  84.   fi  r  tu  te  ,  forza.    :=    87.  Che,  coi  quali. 

■=  8S.  Munificenza  (cosi  li  testi  antichissimi,  invece  di 
agnificenza)  benefìci.  =  90.  Si  di  s  n  o  d  i,  si  sciolga,  -zir 

.Eterna  fontana,  iddio.  94.   Assommi,    riduca  a 

ropiuto  termine,  nr  95.  Prego  ed  amor  san  t  oA\  Beatrice 
.  97.  G  in  r  d  i  n  o,  paradiso.  =r  98.  Acconcie  rà  (lez.  più  ele- 
nte e  squisita  d'ottimi  codd.  invece  di  accenderà,  u  acu- 

à)  renderà  abile  ed  atto. :  100.  Onde,  della  quale.  =:  104. 

a    J  er  onic  a,    il  sudario  colla  immagine  espressa  del  re- 

ntore.     105.    S  i  s  a  zia  di    mirare.     : lOr.  Iddio 

.ece   di   re  del   cod.   bart.    si  deve  seuz'  altro  a  pio  fervore 

gmatico  intempestivo,    z —    110.  Colui,  Bernardo.  112. 

uè  sto  esser  giocondo,    questa  pace.      ^=:      114.  Qua 

'uso  al  fondo,  nella  parte  infìma  del  paradiso.    122. 

8  tre  rao  ,  luogo  supremo.    : — -     ÌTi.  L'  a  l  ir  a  fr  o  nt  e,  la.  \ 

rtc  op|)osta.  r=  124.   Temo,  carro.  125.    S'   infiam-ì 

a  r  aria,  o  il  lume.  mr  12H.  Si  fa  scemo,  si  perde.  | 
-  127.  U  rifiamma  (cos'i  il  cod.  bart.  invece  di  or  tufi-' 
nma,  convenevolmente  al  fr.  oriflamme  da  aurea 
anima)  vessillo  o  bandiera  bellica  e  sacra  nelle  processioni 
sliane.  Cos'i  a|ipclla  la  Vergine.  : —  129.  Allentava,] 
norandosi  andava.  La  fiamma,  lo  splendore  dal  mezzo 
lesso  e  raggiante.    =rrr     i:i0.  Penne,  ali.     131.    Fes- 

nti,  fcftiggianti.  =^  140.  Valor,  Il  cod.  bart.  ha  caler,] 
dere  sfa\illando,  sfavillare,  (^he  che  si  scelga,  la  tautolo- 
i  noi!  si  perde,  e  purché  codd.  o  tesli  non  fossero  av\ersi, 
a  lievissima  iniitazionu  di  calar  in  color  »'  accrescerebbe 
n  poci^  la  bellezza  del  passo,  essemlo  noto  a'  fisici,  che  il 
lor  rosso  ha  forza  scaldiinle.  v.  Stiffens  (ìruiHlziigc  iler  phi- 
\atur«is8eiiwch.   S.    114.    OLcn    Lelirbucli  dcr  \aturphi1os. 

102.  fioelhc  Farbeiilehrc  l,  249.  Se  ipieslo  quadri  e  corris- 
uda  alla  sceneggiatura  del  |>oeta,  lo  decidano  i  lettori. 

Canto     XXXII, 

1.  Affetto,  alTezinnatn,  alTettuosainentc  fisso  ed  aittento. 

iacer'y  oggetto  piacente.  Viaria.       : 5.   Quella  Eva. 

ai,  ai.  r— -  IO.  Colei,  lliilli  ,  moglie  di  Hooz.  z^=  li. 
mtor,  Davide.  r-r-  la.  Di  fogli  ai  ii  foglia,  di 
adn  in  grado,  r—.  18.  Chiome,  foglie,  r—  19'.  Sguardo 
ppio  ,  nel  venturo  e  nel  veiiulo.  rrrrr  22.  Questa  sinistra 
seggio  di  Maria.  Maturo,    ripieno.      zr^r      23.  Foglie. 

ali.'    : 25.  Intercisi,  inlrrrotti.     z —    27.  fisi,  occhi 

leli.     r. —     30.   Cerna,  separazione.   : 31.    Quel ,  scanno. 

33.  IJa,  per.  r-r-  31.  Cerner^  sfparare.  Sortirò,; 
bero  insorte,  r-^  40.  Piede,  ferisce,  t.ipli.i,  nilraversj 
I  suo  giro.  r=:  41.  .7  mezzo  il  tratto,  nel  giusto  mezzo 
Ila  lor  distesa.    1)  i  *  e  r  e  z  i  o  n  i,  llle  di\  ersorie  de'  beati.  f 

A I  so  l  ti  ,    sciolti    da'   cnrporei  legami,  nmrli.       ; —       45. 

lezioni,  libero  disccrniuirnl».     r — :    4(i.   folti   iiifanlili. 

49.  Siti  (latiiiisiiui)  ,  taci.  ;_^     50.   Legame,  dilficoUt'i. 

-     jli.  Quantuni/ue,  quanto  mai.     z — -    57.  Ci,  qui.   r— r 

h'cslinata,  alfri'tlala.     irrr    (iO.  Intra  sé  (lezione  iii- 

iitraHlal)i|e  ,  invece  ili  Unirà  si)  tra  se  stessa.    . —  til.   Ào 

ae,  iddio.  /|«  1/ «a,  ripciHa  ,  irniiqiiillaNi.  r-  Ii3.  AHsa\ 
tinisino) ,  ardita.  lUpiii  dcsidiT.ire.  ; — •  Ii5.  drazia,] 
cdlltv/.ioiu-.  r —  li(i.  /y«  etili  to.  il  ohe,  non  già  il  perrlir. 
z  (i7.  Ciò,  colai  beneplacito  di  dio  imliiifiidciile  d.il  uoslrn' 
Milo.     ; —     (iH.   l}u(igemilli,tii.u>ì\At\'.ci\    l-'.-aii.    Crii,  i 

22.   Malarh.  I.  Hom.  !l.        -      70.   Secondo  il  <■ ,,  I  o  r  diiì 

pelli.  Hi  rondo  la  coniplesNÌ<iii<-  dell'  iidiiki,  e  I' iiirliiiazione 
1  Huo  aiiinio.  r  -  71.  C otril  v.  Ii5.    h  n  a  I  lis  s  i  m  o  I  u  m  .  , , 

gloria.  :  ■  72.  ^>"  incnpelti,  s  iiigliirbinili  ,  h'  adorili;: 
ne  le  donne  nell'  iiddobbnrsi  Hcelgmio  i  colori  delle  gliirlaii   I 

0  degli  abili  couforiiii  a  quel  do'  capelli.     =^     75.  Oiffcl 


rendo,  difTerenziandasi.  =  76.  Li,  invece  di  si,  o  si, 
leggono  i  codd.  bart.  e  fi.  Ree  enti ,  primi  r=r  tO.  Penne, 

ali.   : 81.  Circoncidere,  quel  battesimo  imperfetto.  

85.  La  facci  a  ecc.  di  Maria  vergine.     z=     89.  Po  rtata 

dal  trono  divino.  Menti  sante,  angeli.    93.    Seinbi- 

ante,  cosa   rossomigliante.      94.   Quello   amor  ecc. 

queir  angelo  Gabriele.  28,  103.  z=  99.  fista,  veduta, 
prospetto.  33.  136.  103.  Gioco,  giubbilo.  =  107.  Ab- 
belliva, s,'  abbelliva.    109.  Saldezza,   sicurtà  lieta 

d'  animo.  111.  folem,  vogliamo.  112.  La  pal- 
ma del  trionfo  sovra  il  sesso  femminile.     114.  Salma, 

spoglia  umana.  116.  Patrici,  patrizi,  capitani,  ante- 
nati.          119.  Augusta,  Maria  vergine.  Due,  .\damo  e 

san  Pietro.  Ì'IÌ.  Col  u  i  .\damo.  Si  aggiusta,  s'  ap- 
pressa. Dal  lat.  iuxta.     123.    Tanto    amaro   gusta, 

soffre  tante  miserie.      : — :      124.    Po  rf  re,  Pietro.     =     126. 

Fior  venusto,  regno  celeste.  127.    Quei,  s.  Giovanni 

evangelista.   Tempi  gravi,  calamità.      128.  Sposa, 

chiesa.   :=:    129.  Clavi,  chiodi.  ■=.  130.  Lo  altro,  .Adamo. 

131.   Duca  Moisè.    133.  Anna,  madre  di  Maria. 

z —    136,  Maggior  p. ,  .Adamo.    137.  Lucia,  la  santa 

verariue  e  martire  siracusana;  simbolo  della  grazia  divina.  Inf. 

2.  97.    138.  Ruinar,  abbassare,  calare.  Inf.    1,   liO.    2, 

100.    : — :    139.  Assonna,  raetle  in  visione  estatica.  =r  143. 

Pe 71  e  f  ri  ,  t'  insinui.      : 145.  A' è  fo  rs  e  ,  e  senz'  alcun 

dubbio.  Ti  arretri,  t'  allontaneresti. '=  146.  Ultrarti, 
tendere  oltre,  avvicinarti.  r=  148.  Qu  e/ /a.  Maria  vergine. 
=  149.  Segui  è  senz'  altro  da  preferirsi  a  seguirai. 
La  rifutazione  di  questa  lezione  a  causa  della  dieresi  {affe- 
zione) è  ridicola. 

Canto     XXXIII. 

3.   Termine  ecc.  eletta  alla  divina  maternità.      =      5. 

Fattore,  Gesù,  il  divin  verbo.  Giov.  1.    6.  Fattura, 

creatura,  tiglio.    -. 9.  Questo  fiore,  rosa  del  paradiso. 

14.  Q  u  a /,  chiunque.  18.  L  l'òer  a  m  p  n  t  e,  spon- 
taneamente ,  senza   esservi    da  preghiere  s|Muta.  .Vonfi  Prop. 

3,  1.  41  ss.      : 22.  Infima  lacuna,  basso  centro  della 

valle  infernale.  Mouli  Prnp.  3,  1.  9  s.  : 24.  Le  vite  spi- 
ritali punite  neir  inferno,  purgale  nel  purgatorio,  premiate 

nel  paradiso.    27.   La  ultima  salute,  dio,  cima   del 

paradiso.     35.  Ciò  che  tu  vuoti  (vuoi.  Ini.  29.  101.) 

che  conservi  sa  71  i  lezione  degli  ottimi  codd.  invece  di  ciò 
che  tu  vuoi,  che  tu  {agli)  conservi,  o:  ciii  che  tu 
V  ìioli ,  che  p  cr  s  erv  i  esani.  =  36.  Tanto  veder 
del  sommo  bene.  : —  39.  Ti  chiudon  I  e  man  i ,  giungono 
patina  a  palma  in  alto  d'  orare.    40.  Li  occhi  di  Maria. 

41.  i\  e  l  f  orator,  (e  non  negli)  san  Bernardo.    r:=: 

44.  Può.    .Alcuni   hanno   dee    forse  con  piii   energia;  ed 

inii  (latinismo,  incerto  se  da  inco,  o  da  inhio,  Tienchè 
sem|ire  con  singolare  costrutto)  per  l'ni'ji.  _  =i  45^  Crea- 
ta raahra.      46.  Fine  —  rf /.■!»;,  din.     =r    51.  i'ra 

tal  — voi  ea,  guardava  in  su.  r=  .52.  f  e  n  en  do,  divenendo. 
Sincera,  chiara.  :=  56.  IVostro,  umano.  =  57.  Ol- 
traggio, oltranza,  sopercliio  ,  eccesso.  : —  58.  Sonnia  n- 
do,  o  somniando,  l'orma  più  antica  che  sognando.  Pg. 
18,  115.  In  ([iiaiilo  perii  alla  negligenza,  che  si  \  noi  evitare, 
si  potrebbe  che  fosse  sogno  o'  arciisa  di  secolo  più  avanzalo 
nella  ragione  metrica,  che  scomunica  colui  Uisillabo.  rrrz 
60.  Lo  altro,  il  sogno.  =  64.  S;  disigilla,  si  dìscio- 
glie.  =  66.  .Sp  n/rn  in  ,  oracolo.  Sibilla  <iiuiea.  Kncid. 
3,  415,  =68.  Mente,  memoria  (73ì.  r^  75.  /  it  torio  so- 
vra il  concetto  umano,  diinqiicollraggio  i57).  =  76.  A/O  nrunip^ 
r  acutezza  abbagliante  di  quel  vivo  lume,  r^  78.  .Iverst 
(latinismo)  dislolii,  stornali,  alienati,  l.a  scrittura  or  i'er»o 
sembra  anzi  dilfiTenna  ortogralica  che  di  signilirazione.  = 
79  /•'(;  i  arf/ j  f  o  ,  valsi.  r=:  80.  d"  •  li  ;i  *  i  .  unii,  r^r  H4. 
Consunsi,  tiiiii  ,  compii.  I>  (/«  f  a,  v  isioiie  ,  conlcinpla- 
zioiie,  cioè  appagai,  saziai  il  mio  desìo.  :=  fa.  .S'  interna, 
si  rinchiude,     r^     86.    /  ola  me,  ciMiipli-sso  delle  divine  idee. 

88.  Co  «tu  HI  e,  projirielà.  modo  d'  agire.  r=r-  89.  Con- 
flati, uniti.  =r-  91.  Questo  nodo,  legiine  d'  amore  e 
delle  cine  creale  nell"  idee.     - —     92.   Hi  l  o  r g  o.  l.irpimcnlc. 

91.    Punto   dì    tempo    delta  \  isioiie  dì  dio.   Li  targo, 

dimenticanza  (/.i;.'>(/;;;  •,,•  .  rr- 95.  Ini  p  r  es  n  argonautica.  Oirc: 
r.inmicntaudoiuì,  a  fui  di  descrivi'rla.  della  mia  beala  intuizione 
iiiebbriaiite  e  asHiirbenle  me  alTjilo.  quel  eh'  io  diuieiilico  circa 
un  sul  punto  di  quanto  vidili.  «'•  pili  ili  quel  che  nello  scorri- 
mento (li  \eoliciiH|iie  siToli  !•  si, Un  h|irci|oiid.iti»  in  obblio  iu- 
tofiio  liti'  impresa  iirgnnanlira  jicl  vello  d"  oro.  Impresa  disla- 
bilire  un  nuovo  periodo  di  ciiltiir.i  iirlla  sioria  del  mondo,  forse 
per  ine/./.o  d'  airricoltura  !  -— -  97.  ,S' <».<;>  e  »  o  .  astratta.  =^ 
99.  .Iricsa.  lpr,»iiiosa  Onde  pur  di  si  leg(re  inrgllo  che  nel. 
r— r  103.  /  (  (/ (  ri  <•  pili  proprio  e  rniiveiiicnle  alla  serie,  che 
voUrr,  rh'  r  pili  grnirale.  r  —  107.  l'are,  an/i,  H.illm'ln- 
. — !  107. />!  1/ ri  r  ri  II  I  >  ili/,  di  rodd.  biinui  iiiitìrlii,  invece  d 
infante^  petclié  iiH-iHniiiri.i  a  parlare,  o  balbetta.  - —  "'•'• 
lina  sola  p  a  r  v  r  n  z  ii  questa  l'accia,  questo  lemplicc  som 
liianlc.  =-r  III.  .S' »  t  r  ri  r  n  ^  /  i  a  r  o  ,  s'  alterav  a.  r-r-  116 
7'r"  ecc.  Intende  la  Irinitii.  =:  119.  il  t  e  r -.  o .  lo  sP'rim 
sauto.    z:=    120.    Quinci   r  quindi,  dal  padre  e  dal  iicHo. 


COMENTO   SULLA    DIVINA   COMMEDIA. 


; —  124.  Sidi  (latimfinio)  appoggi,  riposi.  =  126.  Arridi, 
si  riferisce  ancora  a  te,  e  vale  gidiiici.  =  127.  Circuì  a- 
zion  de'  delti  giri.  Concetta,  nata.  =  l'i'^-  Ctrcon- 
sjtetta,  gaardata.  =  131.  Nostra  efjige,  natura 
iiuiana,  divinizzata  per  la  persona  del  divio  vert)o.  - —  l-ii. 
J>/ esso,  impiegato.  :=  133.  Si  affile,  s  applica.  = 
134.  Fer  — cerchio,  per  ritrovar  la  quadratura  del  cerchio. 
=:    135.  Indige  (latinismo!)  abbisogna.      =     138.  S    in- 


rf«va,  a' ìnloga;  da  «fowe.    139.  Le  propri  e  jienne 

la  vista   mia,    la    virtii  mia  visiva.      141.  Fulgore  di 

grazia  divina.  Stia  voglia,  quanto  volle,  bramava  la  rais 
niente.  _  rm  143.  Dio  che  muove  il  sole  e  le  stelle  volgeva  il 
mio  disiro  e  il  velie  al  modo  d'  una  ruota,  eh'  è  regolatamente 
mossa  secondo  il  voler  del  suo  artefice.  Cioè  :  dio  volle ,  che 
io  di  quella  immagine  non  facessi  tesoro  nella  mente  mia ,  e 
COSI  volli  ancor  io. 


COMENTO    SULLE   RIME 

DI      PETRARCA. 


PARTE     PRIMA. 


t^  S    VUOL  DIRE  SOVF.TTO;   Si.SESTIXj;  B.  BALLATA;   C.   CJSZOKE.    II.  PB1310  SVUERO  ROIIA&O  È   ^UhL  DEL  POBUA,   IL 
CONBO   ARABO  ^UEL  BELLA  STAÒ'ZA  ,  0   DEL   VERSO  ,   £  IL  TERZO  ^UEL  DELLA  LIXEA.\ 


Meneghelli  elVlarsniid  hanno  iiintilmente  scouvolto  l'ordine 
elle  poesie  tenuto  ne'  codici  e  fatto  dall'  accurato  poeta  isteaso. 
.  Foficolo  saggi  sopra  il  J'etrarca  pubblicati  in  Inglese,  e 
ad.  in  Ital.  Lugano  Wiì  H.  e.  21.  colla  nota  del  trad.  e.  53. 
a  jirinia  parte  delle  rime  contiene  quelle,  che  sono  scritte  in 
ita  di  Laura,  la  seconda  quelle,  che  sono  scritte  dopo  la  di  lei 
orte.  intanto ,  mÌ!ichiate\i  essendo  altre  ancora  d'altro  ar- 
BUieuto  ,  e  confuso  l'ordine,  basti  l'averlo  qui  accennato, 
;nza    aggiuguere   il    titolo   volgare. 

S.  1.  Pentimento  e  rivista  delle  smanie  amorose  ;  segno  e 
rado  di  sapere  chiaro!  ("onsiderato  poeticamente  sera- 
ta che  pregiudichi  alle  poesie  raccolte,  più  di  quel  che  si 
ivrcbbe.  =  2.  4.  iVo  ni  p/(  e,  non  solo.  =  3,  2.  Favola, 
jgeltu   di  ciarleria  e  di   scherno  ,   come   pure  di   amniira/.ìone 

di  lode;   lo  che    mostrano  le  i>aro]e   quanto  piace   al 

ondo. 

S».  11.  1,  1.  Leggio  dr  a ,  gentile,  ben  divisata,  ben    dispo- 

a.    1=       2,   1.  Ristretta,    raccolta,   concentrata.      

1.  Poggio,   forte  rocca  della  ragione.      : — -    4,   3.   Bel 
uaU  isirazio. 
S.  Ili.  In  astronomo  ha  trovato,  che  il  luncd"!  santo  del  1327 

fcole  e  la  luna  erano    in  r|uella  medesima  opporìzione ,  come 

furono  l'anno  della  inorte  del  salvatore,  e  che  tanto  quel 
inerdi,    quanto  il  lunedi  ,    era  il  (|uintudeciinu  di  Marzo,    

4.  Comune  a  tutti  i  cristiani,  per  la  morte  del  loro  reden- 
re.  r-r^  3,  2.  Paragona  tì.  2.  5.  s.  =z  4,  2.  In  quello 
at 0  sicuro  e  disarmalo. 

5.  IV.  1,  2.  Magistero,  opera  mera\iglinsa,  mondo.  = 
1.    Le  carte   del   \ecchio   teslamenlo.       3.    Dalla 

'ite,  percné  erano  pi'scaturi ,  nriii  giii  re,  o  principi,  n-^ 
A  e  / — parle,\ut  diede  la  cittadinanza  del  regno  celeste  da 
abìlii'si  colla  sua  religione,  rr—  4,  1.  J-'iciiul  borgo, 
vignone,  città  piccola  in  quei  tempi,  senza  mura,    ivi  Laura 

naia,    non   a  ('abrièrcs. 
!<.  \ .  Capriccio  sul  nome  di  Laura,  il  qual  pronunziato  rechi 
mente  land  a  re,  r  e  al  o  regio   stalo,   riverire,    t  a 
■re  e  lauro:  traHliilland"  oppone  e  combina  queste  idee. 
S.  \  1.  2,  1.  I  lì  V  io  m'ingesno  e  sforzo  di  volerlo  iii\  lare,  r^ 
1.  l'areno.  Già  Platone  e  Dante  paragonarono  la  mente  e  l'ap- 

titoa  cavalli.  2.J)i  /  « /',  del    desio.  : 4,  I.  Lauro. 

:cenna  Laura.  =  'i.Gu  stando  iu  «iguilicatu  passi\o, 
isiaio. 

.'<.  VII.  Si  dice  esser  risposta  ad  un  sonetto  della  Signora 
iustinaLe\i  Perrotii  da  .Siissofcnaio.  l'or.-e  imo  stimolo  dalo 
sé  stesso!  r —  1,2.  /  iriii,  forza  sod.i  intLllellual  i|iialiiti- 
e.  :r-r  2,2.  htl  cielj  dellir  stelle,  le  quali,  secondo 
ì  astrologhi  iiilluiscono  sugli  uomini.  Ma  piiìi  esser  ancora 
ialiiiii|ue  altra  inlliieii/.a  divina,  senza  la  quale  non  v'e  viriti. 

informa,    si   fonna ,    tempera.      4.    /''«/•    d'Eli- 

>na  II  u  s  r  e  r  f  i  a  m  r  ,  piiclare.  rrr-:  3,  1.  /  a  gli  e  zza, 
sideriti  mai  ittanco.  Lauro  e  mirto,  dolutesi  coronano  i 
eti.  !;«uppl.  V  edesi  ,  o  simile.  Senso:  chi  hì  curii  di  I.,  n  di 
rto'f  rrr:  4,  1.  I,' alt  ni  ria  tIelU  virlu.  : —  2.  (1  r  li- 
te   spirto.     Può   iniliri/zarsi    con     questo    alla   sua  men- 

3.   fj  a  t,  .1  a  r  e  ,    biscia  re. 
S.  \  111.    Parlano    alcune    salv  tiggine ,    o    pernici,    o    colombi 
Ivalici,  «inali  il  poelii  spesse  volle  piesc  colla  rete,  come  dice 
ide.     :— -       1,  1.  ./  ji  i  r  ecc.  sotto  la  citili  dAvignoiie  ^illlata 
Ila  pendice  di    una    rupe,     r^— :    3.    La  donna    «ce.   Laura. 

-      3.   1.   Senio,    siamo.     : 3.    .J  ri  ino,  abbiainn.     

1.  hi  lui,  contro,  o  nella  pei  sima  «li  lui.  r=r  'i.  Altrui, 
Laura,  l'r  e»  ho  air  cKlrrmo,  punto. 
S.  1\.  In  oi^caiiioiie  «li  un  repiilo  di  tariiiriile  fallo  mi  un  dio 
ini,  forse  (•iaciipii  dilonna,  mschvimIì  LonibeH  in  Ciiascngna, 
I  1331,  secontlo  S.ule.  i —  I,  I.  //  piani  la  ecc.  il  siile. 
2.  Col  tauro,  roHlellazione  ,  dov'  entra  a  primavera 
nn/alii.  rr—  2,  3.  S'aggiorna,  si  la  giorno;  diiilro  le 
je  viscere  dulia  terra.    =.      3.  1.   Tal  frutto,  laiiulule. 


=1^  3.  /n  Tne  si  riferisce  a  cria,  onde  è  da  mettersi  uaa 
virgola  dopo  m  e. 

S.  \.  A  Stelano  della  Colonna  il  vecchio,  ch'era  stato  in  Avi- 
gnone nel  1331,  dopo  il  suo  ritorno    a  Roma.      : 1,  4.   jji 

Giove  vaticano,  tìonifacio  f,  donde  la  casa  de'  Colonnesi 
aveva  sotlerto  le  più  forti  persecuzioni.  Dal  vero  cam- 
mino. Senza  contrasto  1' allegoria  con  questo  si  dimentica 
di   sé  stessa.      ==      2,  1.   Qui,  in  Valchiusa. 

B.  1.  Si   lamenta,   che   Laura   sempre  tenga  coperto   il    viso 

col   velo,  dacché  conobbe  l'amor  di  lui.     7.  Di  pie  tate 

o  r  n  a  r  e  i l  V  o  It  0  lìancoperlo  cii\  velo.  Ed  in  questo  non 
velare  appunto  é  la  pietà,  che  dice  il  poeta,  la  qual  altrimenti 
non  avrebbe  potuto  mostrar  Laura,  poiché  il  poeta  portava 
i   bei  p  e  n  s  i  e  r    e  e  l  at  i, 

S.  XI.  1,2.  Schermire,  difendere,  tedesco  «  e  A  ir  th  e  n. 
=  'i.Pcr  —  a  «  7ii,  per  elfetto  della  vecchiezza,  z^^  i.  L  u- 
me,  brio,  vivacità.  Spento,  menomato.  4,  1.  Se — de- 
siri perciocché  Amor  ha  i  vecchi  a  schifo.     2.  s.  X  o  n 

fia  che  non  giunga,  giungerà  sicuramente.  Dice:  sospi- 
rerete, benché  lardi,  impietosita  delle  mie  pene  soli'erie  e 
raccontate. 

S.  \11.  1,  2.  Amor  vien  nel  bel  viso  di  costei,  ap- 
parisce Jiaura  bella   tra   le   compagne.      2,  4.  A,  invece 

di  d  i.      -. —      3,  2.  S  o  m  m  o  ben,    dio.     4,    1.    L'  ani  - 

in  osa  leggiadria,  il  coraggioso  volo  leggiero,  lo  slancio 
ardito. 

U.  2.  2.   Morti,   abbacinali,   mortalmente    feriti.      9. 

il/erio  obbietto,  minor  impedimentn,  ostacolo.  Interi, 
vigorosi,    rr^     12.  IJ  e  l  pianto,  a  causa  delia  lontananza. 

S.  Xlll.  Scrino  in  viaggio  dopo  la  sua  partenzada  Avignone 
per  andare  a  Parigi  ed  in  (Germania  nel  1331. 

S.  \1\  .  Scritto  nell'islesso  viaggio.  Paragon  d'un  vecchio 
pellegrino  Itomipeta.  =  1,  2.  A'e/ ,  e  nel  ver.-o  seguente 
dalia,  se  non  si  fanno  conformi  con  iscrivere  dal ,  dalla, 
o  del,  della,  mostrano,  che  nella  fanciullezza  della  lingua 
i|iie'  segnacasi  siano  stali  usati  indistintamente,  onde  ancor 
adesso  soii  rimnsle  alcune  anomalie.  Liir  vera  dilferenza  in- 
tanto è  lineila,  che  di  signilìca  loniananza,  separazione  ideale, 
da  separazione  reale,  corporea:  «|iiest«i  duni|iie  si  riferisce 
piulloslo  a  rapporti  di  sptizio,  quello  a  rapporti  di  tempo,  v. 
yj.  Il  Ufiners  Lclirb.  d.  it.il.  Spr.  (Lips.  IhJlii  e.  4ti.  =r  3,  2. 
Di  colui  ecc.  di  (ìcMi,  iinpiessa  sul  sudario  di  Santa  \  cronica. 

S.W.l.fiovonmi  legge  .Marsiind  in  luogo  di  p  i  o  r  o  m - 
mi.  i^r:  3,  3.  Le  mie  fu  Ioli  stelle,  i  vostri  begli  occlij 
^-r  4,1.  Largata,  sprigionala.  Amorose  citiavi, 
lorza    di-l  desio.      =:r^      3.     ludi,    dal  ciitirc. 

S.  W  1.  4,  1.  Morte,  tacile,  uou  espresse.    3.    Sole, 

solitarie,   vedute  da  iie.-siino. 

S.  .\>  II,  I.  Pisi  —  difende,  come  l'aquila,  r^ —  3.  Al- 
tri, come  giili  e  vipistrelli.  ^—  2,  I  Altri,  rniiie  farfalle. 
r:r-  3,  I.  Aspettar  la  ture,  come  l'aquila  quella  del 
sole,  r^::  2.  b.  Far  e  sci»  ermi  ecc.  come  i  guli  e  vi- 
pistrelli. 

."^.  \\  111.  1,1.  /  rr^  o^  71  a  n  rfo,  Huppl.  m  i'.  =r-  2,1. 
A  OH    dalle  mie  braccia,  inairgiore  delle  l'iir/e    mie. 

S.  M.\.  I,  3.  Aggio,  ho.  r—  2,  1.  />;  /fii,  del  core. 
~ —      4,1.  l'ori  a  ecc.  potrebbe  perdersi  e  morire. 

."»i.  I.  1,2.  Se  non  se.  fiinrche  ,  eccello.  z:^-  2,  4.  Col 
sole,  mentre  il  sole  è  sul  nnsiro  einìs)ieriu,  Diciilrv  fa  giorno. 
: —  3,  2.  A 1 1  ru  i,  apU  aulipoili.  r^^  4.  Dì  se  usi  bit 
terra,  di  lerrii  che  sente,  di  corpo,  rtrr  5.  il  sole, 
Lunrii.  : — -:  ii,  2.  1  orni,  rada.  Amorosa  sriva  inirlea 
di  \irgilio.  r^  (i,  4.  /  er  de  nel  va,  lauro.  ("«iiifoiHle  Lau- 
ra CIMI  Duine,  r —  7,  I.  Secca  si  Iva,  cassa  «la  unirli.  Ilcc- 
raiU'lli  l«-gge  circa  selva,  <;i(iè  la  inirlea  diir  Km  iile.  I.  V. 
3.    /  si  dolce  alba,  a  si    bi-lla    sperane.)    nuiipiin. 

e.  I.  Sciilla  in  vii.k  dì  Laura,  rirtiirelia  nel  D.M'.  ni  lilì/ioNii, 
quuiii  uiteluUa,  imbrogliala  e  lalor  poco  chiara'  hmomiiia  tra- 


COMENTO  SULLE  RIME 


stililo  faceto  !  =  1,  1.  ss.  Ordina:  perche  cani,  il  f7. 
si  iL,  cantero,  co  in'  io  v.  in  l.  nel  dolce  t.  ecc. 
mentre  amore  ecc.  ^  2.  /n  e  r6  a  ,  gennofrliaiite, 
piccola,  in  prim^ipio  =^  in  età  di  anni  veiitidue.  ^=  3.  l^  e- 
r  a,  sfrenata,  indomabile.  =  7.  N  e  "ne  r  eb  b  e  ,  Tincvehbe 
del  mio  averlo  a  sdegno.  =  14.  A  e  quistan  f  e  de ,  atte- 
stano. =  17.  l>à He,  le  dà,  cioè  alla  memoria.  =  20^ 
Que^  dentro,  la  parte  interiore,  l'anima.  La  scorza,  il 
corpo.  =  2,4.  Gelati,  freddi,  intenti  a  castità.  :::= 
6.  Duro  affetto,  ritrosia  e  ostinazione  contro  Amore.  =z 
20.  Per,  non  ostante;  come  v.  164.  =  3,  1.  Frimier,  pri- 
ma. :=  i.  La  corona  di  poeta.  =2  7.  Sovra,  presso.  = 
8.  Penco,  iiume  di  Tessaglia,  padre  di  Dalne.  Fin  altero, 
la  Sorga,  o  il  Rodano.  =  12.  Passa  alla  seconda  trasligu- 
razinne  in  cigno,  alludendo  poi  alla  morte  di  Fetonte.  = 
17.  X>a? /ofo,  alla  riva.  =r.  li).  Sm  0,  dello  sperar.  = 
20,  Color  del  cigno,  canuto  nell'  età  di  25  anni.  v.  Fos- 
colo saggi  sul  Petr.  e.  18.  r=:  4,  3.  Estrania,  Ai  ci- 
gno. ^=  7.  Hual  fu  a  sentir  e  acerbo  ,  cAe,  poiché.  In- 
tanto qiial  non  ha  dove  si  riferisca,  se  non  lo  vuoi  prender 
per  neutro.    Ma  allora  dovrebbe  esser  quel  che  in  oa  rie. 

mi  CHOC  e.    S.  Di  quel  eh' è  per   innan  2  i,,ii\  vece 

di  avvenuto  nel  tempo  scorso  per  tempo  innanzi ,  cioè  in  se- 
guito.      15.  In  altro  abito   mansueto,   non   disdegnoso. 

• —  20.  Terza  trasfigurazione  in  sasso!  : —  5,  4.  Spetra, 
trae  dall' esser  petra.  =  G.  Signor  mio.  Amore.  Ri  e  di, 
tornami  al  primo  stato,  =  I.Fur,  però,  malgrado  ch'io 
fossi  impietrato.  \%.  Le  vive  voci,  il  parlar,  dichia- 
rando alla  donna  le  pene  amorose.  Si  oppone  con  carta  erf 

inchiostro,   cioè  in   versi.      6,   2.    D^  inde g no    di 

mercede,  0  pietà.  : —  C.  Lunga  stagion,  per  lungo 
tempo.      Di  tenebre    vestito,    ignorante,    non    avendo 

contezza.      ^.Intornointorno,   in  ogni  dove.     La 

reiterazione  della  voce  aumenta  la  signiiìcazione.  : —  12.  Il 
fuggitivo  raggio.  Laura,  che  fuggiva.    =^_  16.  Quarta 

trasformazione  in  lontana!      : 7,  (i.  A  mercè,  a  chieder 

mercè.      H.  Lui,  il  fattore  ,  dio.     : —      Ili.  Prepara  la 

quinta  trasformazione  in  selce  dura,  qualINiobe.  Si  riferisce 
questa  sentenza  al  vocabolo  benigna;  perchè  dalla  beni- 
gnità dnvea  sperare  d'esser  ridotto  al  primo  stato,   laddove  si 

trasmutò  in  selce.      8,  6.  Ivi,  in  quello  stato  di  prima. 

: —  7.  Trasformazione  sesta  in  cervo!  : —  9.  Quella 
fera.  Laura.  Par  che  tutta  la  scena  sia  ritratta  ad  imitazione 

di  quella  dell'  Atteone.     : 20.  Cani,    0  pensieri   tristi,  o 

mormoratori,    o  amici,    0   tutti   insieme.      : 9,  1.  Quel 

nuvol  d'  oro  ecc.  Spetta  alla  favola  di  Danae.  4.  Fi- 
amma ecc.  Allude  alla  favola  di  Giove  trasformato  in  fiam- 
ma dal  guardo  d'Egina.      5.   L"  ucc  e  l ,   l'aquila,  che 

porti)  via  Ganimede.  =:  7.  Fer  (v.  al  v.  40)  figura, 
trasmutazione.    Alloro,   Laura. 

S.  XX.  Risposta  al  sonetto  di  Stramazzo  Perugino ,  che  co- 
mincia La  san  t  a  f  ama  ecc.  =  1,  1.  L' onorata  fron- 
de, ì\  lauro.   Allude  a  Laura.      Fr  es  crive,  limita,  mette 

termine,  perchè  non  toccata  dal  fulmine.  3.  Disdetto. 

Lo  dice  per  modestia,  e  perchè  si  sentiva  addolorato,  poco 
tranquillo  a  cagion  del  rifiuto,   come  mostrano  i  terzetti.    : — 

2.   1.   7>  ir  e,  Muse.    3.  Ingiuria,  di  Laura  lo  sdegno, 

cne  gli  disdisse  la  corona.      4.     Inventri  ce  delle 

prime  olive.  Minerva.  : 3,  3.  Cosa  propria,  lau- 
rea. r=r-  4,  1.  Fonte.  L'immagine  s'otfri  al  poeta  per  ca- 
gion.g'i  della  polver  d''  Etiopia ,  e  si  dell' Ippocrena,  come 
Selle    lagrime. 

S.  X\l.  Ad  un  amico,  che  tornò  all'amore  ed  assieme  forse 

alla  poesia  abbandonali,    qualunque  egli   si   sia.      : 2,  1. 

X'ri  t  f.o  ca  mmi/i  d'Amore  ,  onde  al  vero  valor  con- 
vien  eh"  uom  poggi.  =  3,  3.  Fossati  o  poggi 
impacci  ,  difficoltà! 

S.  XXIL   Del  medesimo  argomento  !      r — :      1,   3.    Gente, 

equipaggio.      2,    3.  Quella  spada  scinta,   cessata 

quella  inimicizia.  : —  4.  Signor  mio.  Amore.  : —  3,  2. 
u' est  or,  tessilor,  poeta. 

S.  XMll.  Eccitazione  a  prender  parte  della  crociata  pro- 
mossa da  Giovanni  22,  della  quale  doveva  esser  capo  re  Fi- 
lippo di  V'alois  ,   mentrechè   il  detto  papa  si  mise  a  ritornare  a 

Roma.      1,  I.    //   successor    di    Carlo    5.    detto  il 

Lello,  Filippo  di  Valoin.  zzr^  2.  Antico  predecessore,  Carlo 
magno,  r^—  3.  Fiaccar  le  corna,  abbassar  la  superbia. 
^ — :  4.  H  abilonia ,  religione  di  Maometto,  supposta  capi- 
tale del  regno  degrinfciloli.      r^      2,  2.  A'jrfo,  Roma.     =— 

4.   U  ol  0  glia,  la  seconda  città  della  chiesa.      : 3,  \.  La 

mansueta  ecc.  la  chiesa  cattolica.  : —  4,2.  Sposo, 
papa. 

C.  II.  A  Giacomo  della  Colonna,  vescovo  di  Lombes  in 
Guascogna.  Scritta  col  sonetto  antecedente  intorno  al 
1333.  z:^—  1,2.  f/f/i  >/ 71  it  a  d  e,  affetti  sensuali,  rr^  3. 
Carco,  caricata,  oppressa.  - — :  7. Ordina:  ecco  il  dolce 
conforto  d'un  i<.  o.  alla  tua  barca,  tuo  corso ,  tua 
vita.  :=rz  1).  Lo  qual,  \enlo  occidentale,  l'armata  di  Fi- 
lippo.   : 12.  Altrui^  de'primi  parenti.      Torto,   errore. 

; —  13.  Lacci  antichi j  piaceri  mondani.  :t-^  15.  I  e- 
race  ori ent  e ,  u  Gerusalcinnie,  alla  città  di  dio,  al  ciclo. 
: —    2,  5.  Funto,  alcunamcutc,  in  alcun  modo.    B.  Al 


ibi 


sacro  ecc.  a  Gerusalemme.  10.  Nuovo  Carlo,  Fi- 
lippo di  Valois.      =      12.  A^ e,  della  vendetta  tardata.     = 

3,  1.  il/o  71 1  e  ,  Pireneo  e  l'Alpi.      2.   Laonde   salse, 

il  mar  tirreno.      =rr      3.  Crisi  ioti  i  ss  i/«  p  ,  francesi.    : — : 
5.   Ultimo  orizzonte,  gli  estri  mi  lidi  di  Spagna  e  di  Lu-k 
sitania.      =      8.    Intra  il  carro  e  le  colonne,   tra  la 'i 
tramontana  e  Io  stretto  di  Ghibilterra.    =   10.  Dottrina — p 

Elicona,  il  cattolicismo.    r^    11.   fari  e  genti.    14. 

Quai  figli  ecc.  Accenna  la  guerra  fatta  da  Minos  contra 
gli  Ateniesi  a  cagion  d'Androgeo,  suo  figlio;  e  quella  de'  Greci 

contra  i  Trojanì  per  cagione  d'Elena.      4,  li.   G  e  71 1  e 

tedesca   de'    paesi  settentrionali.      11.  Dal  mar  rosso.  I 

:—  13.  Co  nini,  al  vento,  ferisce  e  saetta  da  lontano,  ep 
a  vuoto.  :: —  5,  4. s.  Ordina:  e  che  '/  nobile  ingegno 
e  l"  eloquenza  qui  mostri  sua  virtù,  che  per 
grazia  de IV  immortale  Apollo,  cioè  di  Cristo, 
tiene,  pr  ecc.  L'ellissi  biagiolina  diparte  è  contro  la 
grammatica ,    e   non  necessaria ,    benché    le   parole  siano   in 

qualche  modo  sconvolte.    \'i.  Antica  madre,   Italia. 

(),  1.  Bel  te  sauro  di  scienza.    4.  Fi  gliuo  l  di 

Jl/a  r  te  ,  Romolo.  : —  6.  Tre  volte.  'Curulea  triumplioa 
tres  egit,  Dalmaticum,  Actiacum,  Alexandrìnura',  dice  Sucto- 
nio.    =    7,  3.  jli  a  r  ITI  a,  mare.    r=    ò.  f  e  st  it  e  a  br  u  n, 

atteggiata  di  dolore.    10.  Maratona,  luogo  in  Attica, 

dove  Dario,  padre  di  Serse,  fu  disfatto  dagli  Ateniesi  condotti 
da  Milziade.    Le  mortali  strette,    le  Termopili,   difese 

da  Leonida  con  soli  quattro  mila  uomini.      8,  8.  Sotto 

bende,  in  donne ,  che  portano  bende ,  veli  e  gonne.  Vuol 
dire,  ch'Amore  sta  ancora  in  imprese  magnanime  e  gloriose 

C.  III.  Rime  a  modo  provenzale  intricate,  ricercate,  e 
sconvolte!  _  r=  1,  1.  Fer  si,  misti  di  purpureo  e  nero,  ma 
dove  vince  il  nero ,  traenti  all'  azzurro ,  o  violaceo  cupo.  :=r 
2.   lA 71  9  uaTi  co  ,  mai  ancora,  mai  sinqui.     In  lat.  mti  5  u  a  m 

=^    2,  3.  In  for  s  e  ,  in  dubbio,  incertezza.    4.  Ordina; 

Laura  sub  ito  vis  ta  ,  che  del  cor  mi  rade  0  gni  de- 
lira  impresa,  r appella  tei  (l'anima)  dalla  sfre- 
nata voglia,  ed  il  veder  lei  fa  ogni  sdegno 
soave.  =  3.  s.  Il  senso  è:  Sostener  voglio  ogni  tormento, 
solcliè  Laura  veder  si  lasci.  z=  '3,2.  Morse,  feri,  punse. 
==  4.  Lo^nvoglia ,  lo  fa  bramoso,  l'accende  di  desiderio, 
l'innamora.  ■=  5.  f~  endett  a  fia ,  sarò  vendicato  di 
quanto  ecc.  Le  seguenti  parole  ordinale:  sol  che  orgo- 
glio ed  ira  {di  Laura)  contra  (contraria  alla  mia)  umii 
t  ade  non  chiuda  e  non  in  chiavi  il  belpasso  (as- 
sunto ,  diseguo,  bel  modo  nuovo)  07id'  io  vegno  (mi  mostro 
umile).  =  ^  4,  2.  Nero  e  bianco  degli  occhj  di  Laura. 
:=  3.  Di  là  — corse,  dal  cor  mio  o  dal  sentier  d'amore, 
cioè  che  mi  misero  fuor  di  me  stesso,  mi  rapirono  a  me  stesso. 
z=  5.  Quella,  Laura.  : —  ti.  Si  mira,  si  vagheggia, 
contempla.  L'ordine  delle  segnenti  parole  è:  la  qual  chi 
non  pavé  (voce  lat.  pav  et ,  trema)  vedendo,  è  piom- 
bo   o    legno    insensibile.      : 5.    Ordina:    Adunque 

(ogni)  lagrima  che  si  versi  dagli  occhj    (miei)   p  erm\ 
quelle  qua  dr  e  Ila,  che  mi  bagna  nel  lato  mancai' 
e  h  i  (colui  che)  primiero  s'accorse,  non  mi  svoglia  r« 
(distorce  dal  mio    volere);    chèla    sentenza    cade    'n  esc! 
giusta  parte  (contra  gli  occhj,  rei  dell'  innamoramento): 
j)er  lei  (per  cagione  di  essa  parte  rea,  ovvergli  occhj)  l'al- 
ma  SOS])  ira,  ed  è  degno  (giusto,  convenevole)    ch'ella 
(la  parte  rea)  lavi  le  sue  (dell'alma  ferita)  piaghe.  Così 
costruiscono  gli  interpreti,  ma  par  che  ofTuschino  vie  più  questo 
imbroglio.  Il  senso  è:  quantunque  io  mi  affanni  amando,  nulla 
dimeno   sempre  la   sentenza  starà  giusta:    l'alma  sospira  per 
lei,  cioè  Laura j    e  converrebbe  ch'ella  mi  riamasse.    E  l'or- 
dine par  che  sia  piuttosto:   Kon  mi  svoglia  dal  voler  mio  la- 
grima, che  colui,  che  priinier  se  ne   accorse  (cioè  l'alma  mia, 
in)   versi  per  quelle  quadr. ,  che  nel  manco   Iato  mi  bagna;* 
perchè  cade  la  sentenza   in  giusta   parte,    cioè  giustamente 
vien  sentenziato  in  questo  modo  :  per  lei ,   per  Laura ,  sospira 
l'alma,   e  giusto  è   ch'ella,   cioè  Laura,   lave  le  piaghe  dell*  ?' 
alma,  cioè  sani  con  lagrime  pietose.    Ma  cos'i  pur  sempre  mait,^ 

il  concetto  sarà  contorto.   0,2.  Tal.  accenna  Didone.  •f") 

7,  1.  Fèrsi,  si  fecero.  zrrr:  2.  Alfortunatofiancct 
della  madre  fortunata  di  s'i  glorioso  parto.     :=:     3.  Scorse, 

discese,  o  in  attivo  senso,  condusse.  6.    Folgo  r  e,  fuoct^ 

di  concupiscenza.      l  ento   indegìio,    passimi  disonesta.    1 

Si.  II.  1,  2.  Bianca  e  fredda,   bella  e  casta.    2,  IJ' 

/l  riva,  al  termine  desiato.     r=    4,  2.  Frim  'anni,  tempo  jt" 
antico.      =r-rr      (i.  Il  arni  di  diamant  e ,  membra  candidisi  '  " 
siine.  : —  7.  Ordina  :  le  bionde  chiome  cadenti  sovra 
la  neve  de'  candidi  omeri,  e  vedute  presso  agli  '■ 
occhj,   che   m  enan   ecc.    vincono    di     splendor  9 
l'auro    e    i   topazj   esposti  al  sole. 

S.  WIV.  Scritto  nel  1334.  rr^  1,  2,  Anzi  tempo,  giù-' 
sto,  inopporliinamente.  ('.  IV,  ti.  5.  m—  4.  Del  —  partCfì) 
l'empireo,  cielo  d'umor  e  di  luce,  rr^  2,  1.  Fra  '  l  terso, 
lume  e  Marte,  nel  ciclo,  nella  sfera  del  sole.  : —  2.  Sco-p 
l  orila,  scemata  di  colore.  r=-:  4.  Fien,  saran.  =r-^  3,  1.  f 
Sotto  il  quarto  nido,  o  nella  coslellazionc  di  Vene- c 
re,  o  in  quella  di  Mercurio,  o  in  quella  della  Luna.  =1 
2.  Delle  tre,  stelle.  =  4,1.  A  e/  qu.  g.,  in  Marte h 
fiero. 


BIK 


II 


DI  PETRARCA. 


S.  XXV.  \,  2.  Far  breve,  troncar,  far  fine.   =    2,  2.  Il 
uro  e  grei>e   terreno   incarco,  la   salma   del  corpo. 
=   4,  2.  Dubbiose,  frali,  incerte,  mal  sicure. 
S.  XXVI.   Visione  in  sogno!   Confronta  Dante  Purg,  IX,  5.  ss. 

—    1,  1.  L'amorosa  stella.  Venere.     2.  s.  L'al- 

a  —  gelosa,  Calisto  amata  da  Giove,  l'orsa  maggiore. 
-2  3.  8.  Quella  stagione,  ora  del  d"i,  l'alba  del  mattino, 
urora,  che  per  usanza,  per  costume,  a  l  agr  i  mar 
'i  appella,  imperocché,  dovendo  lasciar  gli  amorì  nol- 
rni  odiar  l'aurora  soglion  questi  tr  art  quii  li 
lieti  amanti,  come  dice  il  son.  (-CXV1I1.  —  3,  1. 
ia  speme.  Laura.  Già  —  verde,  condotta  al  line, 
esso  a  svanire.  Forma  tolta  dalla  candela  tinta  in  verde  nel 
e ,  ove  giunto  il  lume  poco  sta  ad  essere  del  tutto  consu- 
lta.   ■=.    2.  L'usata  via,  gli  occhj.    =    4,2.  Perde, 

rdi.    Licenza  poetica  I    3.  To/ /  e  ,  toglie. 

».  XXVII.  Preghiera  ad  Apollo  per  la  salute  di  Laura,  che 
ifonde  per  usanza  col  lauro.  : —  1,  I.T  e.  ss  al  iche  onde, 
Penco,  lìuine  tessalo.  2,  2.  Quanto,  per  quanto  tem- 

2=^      3;  3.  Impr  e  ssion  ,  vapori,   nebbie.     =      4,  1. 

,     COSI,  allora.      'i.  Far  —  ombra,   cioè  seder  all' 

lira  del  lauro.    Braccia  sue,   rami  del  lauro,   v.  C.  Ili, 

li. 

».  XXVIII.    Scritto  intorno  al  1334.  t=    2,  3.  Negli  atti 

allegrezza  spenti,   nell' aspetto  mio  malinconico.  i= 

i.  Altrui,  a  Laura,   o  ad  altri. 

».  XXIX.    2,4.   Mezzo  —  varco,    son   tra  vivo   e  morto. 

r    3,  2.  La  di  spietata  corda  d'Amore,    o  l'arco   della 

rte.    : —     4,  I.  Sorda  morte. 

).  IV.  Scritta  probabilmente  in  viaggio  nel  1331.^  =    1,  5. 

npia,   crudele  negli  effetti.      : —      'ì.  Perchè,  benché, 

■orche.    : —    12.  Che,  cosa,  come.    Ili.  M'  attemp  o, 

ndugio.    r=   2,  6.  Altro  monte,  occaso.    8.   1>  i  s- 

rte  del  zodiaco.       14.   Posse n  do,    potendo.      

J.  Cheport.  —  pensier,   che  fecero  nascere  in  me  belle 

?.    rrrr    5.  Perchè,  acciocché.    4,  (i.  Esca,    cibo, 

quale  il  mio  dolor  cresce.    8.  M'impetro,  mi  tras 

mo  in  pietra.    5,  1.  Nuovo,  strano.    9.  A  ci b, 

aver  gli  occhj  pregni  di  lagrime.  - —  6,  12.  Salute, 
Ito.  Altri  spiega,  la  vista  di  Laura,  tutta  benigna,  celeste, 

itare.    : 7,  7.   Torre  forte  e  inespugnabile  ricetto.  r=r 

Che  'l  del  onora,  facendo  la  bella.  Del  lauro  non  si 
;ta  in  questo  luogo. 

.  XXX.  1,  1.  Orso,  conte  dell'  Anguillara,  grande  amico 
poeta,  che  Io  coroni)  sul  campidoglio  nel  1341.  E' ,  egli.  ; 
si  il  neutro  tedesco  es.    =  2,  3.  D'  un  vel.  v.  C.  I.  • — 

W  una  bianc a  mano  v.  S.  CCXIX.  =rr  3.  Sco- 
io, scaglia,  scorza,  verde  buccia,  che  riveste  l'avellana, 
a  tien  appiccata  all'albero,  e  la  vagina  delle  serpi ,  e  la 
onde  s'oscura  l'anima  col  peccato,  v.  all'  Ariosto  O.  F. 
104.  8. 

XXXI.  Scusa  del  suo  non  presentarsi!  : —  1,  4,  Salto, 
imiato    per   fuggire  l'assalto. 

XXXlì.  Ad  un  amico  per  prestar  S. Agostino.  z=:t.  1,  1. 
r  oppio,  intoppo,  ostacolo,  indugio.  Parola  afline  alle 
esche  strcben,  strtiuben   alle  greche  arna^oi,  citoi^- 

aToerrm;,  iiiriitiv).    : 2,  Tela,  opera.     : 3.   Te- 

ce  vis  co,  materia  non  ben  ancor  digesta,  non  soluta.  =- 
j'  un  con  l'altro  vero  dicono  esser  il  Platonismo  e  il 
tianesimo.  - — -  2,  1.  Doppio  antico  e  moderno.  ; — 
»(■  o  p  p  i  o ,  fama  ,  grido,  rr—  3,2.  Fila  benedette, 
i  santi,  r: —  3.  Mio  diletto  padre,  S.  Agostino.  : — 
.  7'j  m,  tieni.  =^  2.  Op  ra  ,  apra. 
,  XXXIII.  la  corona  co'  due  :8Cguenti.  IVon  fa  mestieri 
rasporre  il  secondo  e  il  terzo,  come  vuol  'l'assoni,  perchè 
mlrapposti  son  sah  i ,  ancor  senza  trasposizione,  r:^:  1,  'l- 
a  r  l>  o  r ,  lauro  ,  e  Laura.  _  rr-rr  4.L  a  s p r  e  sac  1 1  e  ,  il 
iiine.  Senso:  si  turba  il  cielo  e  l'aria.  : —  2,2.  Cesare, 
e  di  liuglio.     diano,    gciinajo. 

XXXIV.  2,  3.  Sua  Sorella,  Giunone,  l'aria.    4, 

Vojosc,   di  maligno  influsso. 

XXXV.  1,  3.  s.  Per  Dafne  e  conscguentemente  Laura, 
no:  nove  d'i  già  Aimllo  cerrii  di  veder  Laura.  r — :  4,  1. 
•tà,  cura  pietosa,  e  dolore  d'un  morto  parente.  Lui 
indo  l'ordine  sì  rilcrlsce  ni  viso.  Pure  non  sarebbe scnn- 
evolc  senxo  quello,  che  il  sole  stesso  avesse  lagrimato  ,  non 
endo  tornare  Laura. 

XXXX  I.  I,  1.  ».  Quei  ecc.  Giulio  (Icsare.  r — •  3.  1 1— 
Xli",   Pompeo,      rrrr:      2,  I.   J'iistor,  Ha\id.     : — :      2.    Ijd 

s.fiiin.,  Assnionc.  r — •  3.  liuoii,  \aloroso  o  degno 
oinpiissione.       Cangi'»     le  '  <•  i  g  l  in  ,    diviMine    pietoso    e 

rii  \ÌHO  tristo,     r: —     4.    //  fiero    in  o  n  t  r  ,   (•cIImic,  do\e 

Saul.       l'u'o  dolersi,   perché  rMnledcltii  da  D.nid. 

X\X\II,  I,  1.  //  mio  avversario,  lo  specchio.  ; — 
\i  0  n    sur,  ma  vostre  proprie.     : —    2,  2.    D  o  l  e  <■  al  h  e  r 

cuore  di    Laura,     r: —    3.  Fora,  fossi,     i —    4.  Siete 
na  d'abitare,     rrrr-    3,  2.   Devea,  poeliriimenle  per  dovcn. 
I,   2.     Corso,   maniera  d'agire.       Un    termino,    di 
J[inrsi   ili    lìore. 

XXWIII.  2,2.  Invecchi,  duri  lungo  tempo,  ^-r  3. 
ignor  mio,   Anioro,    =rz    3.    Jn  voi  finir  vostro 


desio,  non  esser  voi  necessitosa  d'altri,  fuorché  di  voi,  es- 
ser voi  bastevole  a  voi  stessa. 

S.  XXXIX.  2,  1.  Largai,  sfrenai.  =:  2.  La  via  qua- 
si smarrita  non  praticata  degli  occhj.  v.  3,  2.  3.  In- 
di, a  quella  via,  a  Laura.  :=  4,  3.  S'io  —  desio,  s'io 
non  consento  al  lusinghevole  desio.  La  conghiettura  di  Tassoni 
cedo   è   superflua,  e   meno   elegante. 

S.  XL.  1,  3.  Poggia,  ammonta,  cresce  andando  da  basso  in 

alto,  ingrandisce.    2,1.  D  isp  e  n  s  e,    dispensi.     2. 

Al  q  uà  l  s'appoggia,  in  cui ,  in  virtù  del  quale  vive  e 
si  soslcnla.  4.  Men  intense,  men  forti.  Per  mol- 
to voler,  esser  riibello.    4,  2.  Sfrenato  obbietta, 

sfrenato  desiderio  d'un  oggetto. 

S.  XLI.  1,  1.  Perchè,  benché.  Di.  Altri  legge  da, 
che  par  esser  correzione  adattata  più  all'uso  moderno.  Certo 
egli  è,  che  anticamente  queste  due  segnacasi  si  permutarono 
tra  loro.    : —     3,  3.  jl/  i  a  p  a  e  e ,  Laura ,  in  cui  sola  io  trovo 

pace.     =n     4,  2.  Traete,  vi  traete.     3.  Non  tace, 

ma  schiude,  fa  \ edere.     ì  ista,  aspetto. 

C.  V.  Scritta  intorno  al  1337.  v.  4,  13.     rr=     1,  1.     Nella 

stagion,  ora,  che  ecc.  cioè  nella   sera.     3,   Di   là, 

neir   emisperio  di  là.    : —    14.  L'eterna  luce,  il  sole. 

2,4.    Avaro,  avido  di  buone  raccolte.    L'arme,    zappa   ed 

altristruinenti  rurali.  5.  Alpestri  note,  rustici  e  rozzi 

canti.  : —  10.  Le  qua'  ecc.  .\ccenna  l'aureo  secolo  di  .Satur- 
no, dove  8i_  viveva  di  ghiande.     3,  2.  Gran  pi  atleta, 

sole.  : —  G.  Schiera,  gregge.  9.  Ingiunca,  intes- 
se, tesse.     =z      10.  0  e.  0  sp.,  dunque  non  letto.      11. 

in/o.rm  e,  scaltri,  addestri,  suggerisci.  14.  S'  appiatta, 
s'aquatta,  si  nasconde.  4,  1.  Chiusa  valle,  seno  di  mare, 
o  golfo.  ^^=  3.  Aspre  gonne,  grossolane  e  ruvide  \e»ti- 
menta.  r=  4.  Perché,  benché.  11.  Ar  rog  e ,  aggiun- 
ge, aumenta.  =:  5,  4.  Tolti,  suppl.  sono.  — -  %.''Gli 
occhj.  =  13.  A  —  diparte,  a  morte,  che  divide  tutto.  r=: 
14.  Di  lei,  della  morte,  che,  cosa,  se  sia  capace  di  smuo- 
ver la  dolce  immagine  dal  cuore.    6,  3.    Di  mia  schic 

ra,  dogliosa,  selvatica.  : —  %.  Di  poggio  in  passio, 
in  luoghi  solitarj.  : —  8.  ?i  uà  p  i  e  £  ra.  Laura  dura  e 
fredda. 

S.  XLIL  Ij  3.  Zei,  Dafne.  =  2,  2.  Più  di  quel,  ch'io 
mi  sia.  ^  on  si  creda  però  e /»  e  l'esser  cosi  trasformato  in 
lei  mi   vaglia   ad  ottener  mercè.    3.  Qual,  quella   che; 

o  granito   dice,    o   porfido.     4,    2.    fé  echio   stanco. 

Atlante,  perche  regge  un  gran  peso,  sostenendo  il  ciclo,  fa- 
cendo ombra  a  Marocco. 

B.  III.  1.  Vedendo  la\ar  Laura  un  suo  velo.  Amante, 
Atteone.     : 2.  Per  tal  ventura,    qual  suole  a\Aonlrc_. 

C.  VI.  A  Stefano  della  Colonna  il  giovane,  eletto  senatore  di 
Roma  da  Benedetto  ,XII.  =  1,  4.  l'erga,  tolta  dal  pas- 
tore, che  veglia,  che  non  si  smarrisca  la  greggia,  e  che  ri^ 
meni  le  traviate  pecorelle,  r—  (ì.  .Intico  viaggio,  di 
gloria  e  di  virtù,  rz:^  10.  Agogni,  affannosamente  desideri. 
Voce  greca  àyu)viùr.  C.  XXI,  2.  2.  : —  2,  2.  Per  chia- 
mar e  II 'uom  faccia,  per  quanto  altri  chiami  l'addor- 
mentata.     : —       12.    Il  popol    di    Marte,    romano.      = 

3,7.  Ch'una   mina   involve,   l'Italia.      12.  Cre', 

credo.    14.  E'  dice  é  più  espressiva  lezione  che  quella 

(li  Tassoni  e  dica,  che  lin  oltre  sconxolge  e  rende  dubbioso 
il  pensier.  : —  4,  fi.  Tetti,  tempi  de' santi.  =r^  !). 
Buoni,  peregrini  e  divoti.  =  10.  /^  ;j  m  (/ 1-,  dispogliate. 
:=:=  13.  Sen^o  my  u  j//ej  senza  campane  ,  coi  «piali  rhia 
mano  il  popolo  alle  sedizioni  ed  alle  guerre  iiiiotine.  r-^  .'), 
9.  Pio,  pietoso,  r^r  10.  Magion  di  ilio,  Hoiiia.  r — :  U. 
Faville,  turbolenti  cnminovitori,  capi  rei.  rr-:  14.  Onde, 
per  lo  qnal  atto  di  tranquillare  le  voglie  iiiliaiiiinatc._  r-r-  lì, 
1.  Accenna  i  nemici  della  casa  Colonna,  Orsini,  ('aiili,  Gaetani 
ed  altre  famiglie  nobili,  fra  i  quali  gli  Orsini  erano  i  più  po- 
tenti. =  4.  Quella  g.  d.  Koina.  :r^  II.  La.  Iloma. 
Là  dov'  eli'  era,  al  colino  di  sua  grandezza.  rrrr  _  14. 
Il  m  ag  g  io  r  pn  dr  e  ,  il  papa,  yl  1 1  r'  o  p  e  ra  ,  la  crociala, 
rrr:  7,4.  Sgombrando,  levando  le  dìfficcdlà.  =^  11. 
Stato,  libera  repubblica.  r^=  8,  I.  Monte  Tarpro, 
dove  sta  il  campidoglio.  : H.  Chier,  chiedo.  Dal  la- 
tino  q  uaer  e  r  e. 

li.  IV.  2.  Pellegrina,  Laura.  Insegna  d'amor 
sembianti  e  disposizione  alla  ad  iiinamorar.  Datile  Vìi.  iniov. 
r^-  I.  Il  tulio  pili)  axer  scuso  proprio  isiorlié  l'ai  ta  voce 
sia  quella  del  Padru  Dionigi)  e  allegorico,  eh'  è  facile  da  dici- 
ferarsì. 

H.  V.  13.  /Ivvegna,  avvegnaché,  benché,  r^r  14. _  ì)  i  s 
f  f  HI/)  rr  ,  strugga,  coiiHiiini.     =— ?     L'i.   7' e  Hip  r  r,  modi. 

S.  \LIII.  I,  4.  /  inerte,  n  mostrarsi  pietosa  meco.  .—  2, 
I.  .1(1  ugge,  (dal  lai.  adurere,  ti  d  u  s  t  n  s)  istcrìlisoe  le 
biade  ancora  in  erba,  inaridisce,  distrugge,  consuma.  C.  Wll, 
5.  2.  ;: —  I.  Tra  In  spiga  e  lo  m  n  n  ,  proverbio  simile  a 
quello  i  H  t  e  r  0  s  et  off  ti  in  ,  ovvero  i  n  t  e  r  o  s  e  t  e  a  l  i- 
c  e  in. 

S.  XLIV.  1,  1.  J'enturr,  grazie  accordate,  rrr  3,  I.  In 
ciò,  in  questo  stalo  descritto. 

S.  .XLV.  Dopo  inolliNsìmo  sposizioni  falle  dagl'  interpreti,  sì 
Irovìi  uc'  F  rammenti  dell'  originale  ile  l   l'è  t  r  nr 


COMENTO    SULLE  RIME 


e  a  pubblicati  dall'  Uhaldini  questo  sonetto  con  l'annotazione 
del  poeta  scrittavi  sopra:  Ad  dominuin  Agap.  cum  qui- 
buK  (I  ani  ììiunusc,nlifi,quae  il  le  non  ftot  ui  t  ad- 
da r  i  ut  a  e  e  i  ver  et.  Vie  Natali  m  ane  1338.  Tr  an- 
ger i^u  Quai  SI  fossero  questi  doni,  non  si  sa.  Agapito  era 
lino  de'  Colonnesi  ,  fratello  del  cardinale  e  vescovo  di  Luna. 
Beixadclli  crede,  ohe  i  doni  fossero  un  guanciale  piccolo,  e  un 
grande,  ed  una  coppa  da  bere.  =:  1,  4.  Crudel,  amore. 
Jinb  lanca,  fa  pallidi,  o  grip.  ^^  'A  1.  -fa  man  man- 
ia, dalla  parte  del  cuore.  =  2.  3fessi,  come  atti»,  sguardi, 
delti  ecc.  =  3.  Un,  l'isitessn,  uguale.  W  ag.  e  di  genn., 
Ja  stale  e  '1  verno,  cioè  sempre.  =:  4,  1.  Ove — serba, 
nel  cuore. 

B.  VI.  1.  Pf  rcftè,  benché.  =  2.  Altrui,  ai  hanra.  = 
8.    T'erta,  forma  antica. 

S.  XIiVl.  2,  1.  Se  curo  me.  Se  non  si  vuol  supplire  forse 
fare  lido  dal  seguente /ece ,  lo  che  sarebbe  almeno  più  na- 
turale, che  di  supplire  reggendo,  deve  esser  riputato  for- 
ma di  dire  latina,   e  dunque  il   sesto   caso,   sicché  vaglia   es- 

sendi)  io  securo  ,  né  sospettando.    4.  Che,   i  quali,  cioè 

pensieri.      8,  1.   Fora,   potrà.  Va  bene  dall'  una  parte, 

che  il  poeta  metta  in  bocca  al  lettore  amante  la  maledizione, 
rhe  iioM  o«a  pronunziar  egli  ;  dall'  altra  parte  rompe  cos'i  non 
bene  il  filo  e  il  teuor  del  tutto.  =--  4,  1.  Ne  poeta  ne 
colga  mai,  per  coronarsene,  cioè  del  lauro.  =r  ì.  La 
traballa,  come  poco  avanti  conte),  tra  lauro  e  Laura. 
Privilegi,  che  non  sia  toccato  dal  fulmine.  Al  sol  ven- 
ga in  ira,  sia  odiato  dal  sole,  sicché  non  la  tenga  verde 
col  suo  calore. 

P.   XLVII.   1,   3.    Giunto,  preso,    colpito. 

^.  \LMll.  Scritto  nel  1338,  venerdì  santo.  =  1,2.  T'a- 
ri e  g  g  i  a  II  d  o  vagando  la  mente  per  cose  vane.  :;=  4.  Atti,' 
modi,  maniere  di  Laura.  Sì  adorni,  troppo  belli.  Ferì 
mio  mai ,  per  la  mia  disgrazia.  ^=  2,  1.  Ordina:  piac-\ 
ciati,  che  amai  io  col  tuo  lume  torni  ecc. 

B.  'Vii.  1.    Novo  colore  pallido.  ] 

S.  XLIX.  2,  1.  Ingegni,  modi  ingegnati.  =  4,  1.  Po), 
poiché.     3.   Odiosa,   da  voi  odiata. 

S.  L.  2,  1.  Lima,  Come  limare  e  rodere  nell'  Ario- 
sto e  spessissirae  volte  ne'  poeti  si  dicono  delle  pene  e  degli 
sitfanni  amorosi,  cos'i  lima  è  qui  la  forza  distruttiva,  vìuci- 
irice.     S.  CCXIV.  1,  3.     3,  3.  Sguarda,  esaudisce. 

Si.  IH.  2,  2.  Tal  una,  una  tale.  :^=  3.  ì  alli,  Val- 
chiusa.       4.   Serrate  dall'    aspro  monte.     Amorosi 

venti  spiranti  da  quella  parte,  dove  sta  Laura.  i=r  5.  /?■!!/- 
77(1,  Rodano  e  Drueuza.  ;^=  4,  5.  Nebbia,  allegorica- 
mente sdegno.  =  ó  ,  'i.  Fiog  g  i  a  ,  lagrime.  =  5. 
/  enti,  sospiri.  :=:  K,  2.  Vun  vento,  d'una  aura  (Lau- 
ra). 1)110  fiumi,  Sorg.i  e  Drueuza.  : —  5.  L'' ombra, 
l'iminaffine  di  Laura  immaginando. 

S.  LI.    l\el   1335,    sul  lido  del  mar  toscano  correndo  ad  un 

lauro  cadde  in  un  rigolo.    : l,  1.   Tirreno,  toscano.    Si 

■Il  i  s  t  r  a  per  rispetto  di  chi  viene  dall'  occidente  verso  la 
pane  orieiiiale  d'Italia.  3.  Queir  altera  fron- 
de, un  albero  d'alloro.  : 4,  1.  i.  p\a  v  er  - p i  è  ,  aven- 
do  prima   molli    di    lagrime  occhi,  or  jiiedi.        : 3.     Un 

pili  cortese  aprile,  stagione,  o  primavera  più  cortese. 
Citi   altri   occhi. 

S.  Lll.   A  Giacomo    Colonna;   da  Roma' !      1,2.  Mal 

•passato,  lungo  saueggiar  d'amore.  =  \,\.  Dà  la  vol- 
t  a ,   fugge. 

S.  LUI.  1,  1.  Consiglio,  a  voler  fuggir  l'oggetto  amato. 

3.  /v  a  cctu»  ^,  lacciuoli,  lacciuoi.  : —  2,  1.  Ma  no- 
tamente combina  con  io  fug già  ecc.  onde  non  sarà 
necessario  di  supplire  lo  so ,    o  l'apparo  per  pr(i\  a  incredibile. 

4.  Elba  e  di  gì  io.  Uva  e  igilium,  isole  del  mar  tir- 
reno     :    4,  1.    Ministri,  pensieri  de'  vezzi  amorosi.   Del 

Testo  si  ha  da  supplire  comparvero,  si  presentarono.  =r 
3.    Chi  —  e  h  i ,  parte  —  parte. 

C.  VII.  1,  4.  Al  del,  air  aura.  ~ —  C.  Fine,  morte. 
=:  8.  Gravi,  incresca,  dispiaccia.  :^=z  10.  JJ  r  e '^  eìt 
raisiin  ecc.  l'rincipio  d'una  canzone  d'Arnaldo  Daniello, 
poeta  provenzale,  inventore  dell  a  sestina,  di  cui  v.  Sismoti- 
di  IJtirat.  des  sudi.  Kuruiia.  Lebers.  \'.  liiidvv.  llain.  (l/eipz. 
iKid  Altenb.  18Ui.  ss.)  U.  L  S.  132.  V.  Petrarc.  Ir.  d'Am. 
C.iìf.   IV.    Dante   Purg.    X\\  I.    ll.i.    ss.     e    vuol    dire   dritto 

(-    ragione    e    eh''    io  ca  n  li    e    ini  t  ras  t  ull  i.        : 

2,10.  hiiii  iia,  principio  d'una  canzone  di  Guido  ('avalcauti. 
\.  Ilini'-  di  Guido  C.  raccolte  per  opera  di  Antonio  Cìccia- 
porr^.  l'ircHZe  Carli.  1813.  8.  :ì^  3,  4.  Fer  me,  in  (|Manto 
a  me.  - — -  IO.  Cosi  ecc.  Principio  d'una  canzone  di  Dante. 
r—  4,  ;').  mortai  velo,  il  corpo,  ove  l'anima  sta  litta  ,  e 
come  iiiiprigiiiuata.  r-^  IO.  La  dot  re  ecc.  Princìpio  d'una 
caii/one  <li  M.  Cino  da  Pistoja  nato  1270,  morto  I3II.  v.  Vita 
e  poesie  di  M.  C.  da  P.  novella  ediz.  rivista  ed  accresciuta 
dall'  Ab.  Seb.  Ciampi.  Pisa  1813.  8.  nr-  a  ,  b.  A  l  v  e  r  o 
npleiidiir,  alla  \era  beltà,  al  bello  didentro.  --  -  !). 
tolsi  cioè  mi  \oIhì;  avvegnaché  altri  legga  '/  volsi,  z-::^ 
10.  Sei  dolce  ecc.  Prìiici])iu  della  canzone  quarta  di  Pe- 
iriirca. 

(J.  \  III.  l'iia  delle  tre  canzoni  sorelle,  che  (seguono ,  sii- 
iiialc  «ocelluuii«9Ìuic!    =     1,  2.  Alta  imjirtaa  di  cantar 


IP 


la  bellezza  degli   occhi   di  Laura.      11.     Tien,    ottier 

Abito  gentile,  gentilezza  acfjuistata,  nobile  disposizin 
ne,  valore,  forza,  ingegno.        r=        Vi.  Levando   cioè    Ir 

Parte,  divide.    : '2,  1.  Aon  vengo  alzato  a  dire  or  eoa 

ecc.      =:rr      2.  Ingiuriosa,  ingiusta,  non  bastevole,  insul 

ficiente._  7.  Principio.  Dice  gli  occhi.     9.  Ha 

vostri  vicino.    :rr:r    3,  1.  Sfaccia,  distrugga,    venga  Dient 

: 3.    T  alar,   forza,   virtù.     ==:     6.    liisalda,    ricon 

forta,  rinforza.  11  senso  è:  Non  è  mio  valor  proprio,  eh'  ic 
s'i  frale  oggetto ,  mi  scaiopi  e  non  mi  sfaccia  a  si  possent 
foco  ;  ma  la  paura  ,  che  il  sangue  corrente  per  le  vene  ag 
ghiaccia,  risalda  un  poco  il  cor  di  modo,  che  più  tempo  avvani 
pi.  Dunque  non  si  ha  da  metter  un  punto  dopo  agghiac 
eia,  con  che  questo  concetto  assai  allettato  e  contorlo  diven 
ta  in  oltre  manco  ,  riguardo  allo  stile.  Lo  scoppio  o  Io  siati 
ciò  fervido  d'anima  passionata,  qual  lo  chiede,  o  ammira  Ve 
ditor  ultimo,  se  pur  ve  n'è,  non  si  perde  per  questo,  comin 
ciando  colle  parole    0 poggi   ecc.      : —       13.    Di  tal, 

morte,  o  Laura.     :;:::=     4,  3.  Sostie n,  soffri.     5.  So 

pra  il  7n  urtai  corso,  oltre  al  solito  modo  mortale.  =: 
li.  Di  lui,  d'amore,  i'ist  rjg- n  e,  tien  legato  stretto.  :z^ 
7.  <j uà 71  ti  colori,  rossor  e  pallor,  vergogna,  allegrezze 
timor,  dolor  ecc.    ir:;^    5,5.   Ri  mot  a,   ignota,   non  nota  < 

vigor.     :=:r     15.    A  d  ora  ad  or,   di  tempo  in  tempo.  : I 

2.   T  0  s  tr  a  mere  e  de ,  swppi.  fcT.     : i.  S  a  l  m  a  ,  ca.v 

co,  peso.     (i.   Un  sol   di    vagheggiarvi.    7.  Que 

ecc.  della  mia  vita  caro  mi  é  sol  que.^to  istante.,  nuli'  altn 
:=::  13.  Che  f  e  st  r  eiii  o  ecc.  che  gioja  e  dolor  si  tocchiui 
i^=  7,  1 — 3.  La  virgola  dopo  dentro  fa  più  tenero 
concetto,   s'i  che  in   voi   sia  mirando  ^oi.    z —    G.  Perdi 

benché.      11.  Di   là  ecc.  non  possono  entrare  nel  coi' 

e  peri)  se  ne  stanno    fuori. 

C.  IX.  4  s.  Senso:  e  per  lungo  uso  quasi  visibilmente  il  vosti; 
cuor  dentro,  là  dove  sol  con  amor  seggio,  mi  traluce,  si  schiari 

si  mani^c^tà.  7.  QuesV  è  la  vista,  quella  contezza  di' 

cor  vostro,  che  mi  traluce.      2,    3.   Del    suo    lavare^ 

sappi,  pane.    : 10.  Lei,   Laura,    ^z^    3,  1.  ss.  Qualnnqu  [ 

letizia  e  contento  eh'  abbian  dato  amor,  ola  i'oriuna  \olubile 
coloro,  che  furono  i  più  amici  nel  mondo,  io  preferisco  una  r 
volta,  un  giro  di  quegli  occhi,  onde  ecc.  v.  Canz.  X,  5.  4.  ss.  ;i: 
4,1.   L*  »i  ry  uc /(  co,  lat.  un  5  u  ani,  mai  sin  ora.    — -    ò.Ne 

j  —  bianco  degli  occhi.    8.  A  l  mio  i mpe  rfc 1 1  o,  ali  ™ 

mia  imperfezione  naturale.  _=  10.  Il  velo  e  la  man,] 
man,  che,  velando  gli  occhi,  s'attraversa  fra  'I  mio  somin 
diletto  e  gli  occhi,  cioè  mi  priva  del  diletto  di  mirar  vosi 
!  occhi.  Onde  si  rilerìsce  al  lutto,  non  già  ad  occhi,  e  v 
!  le,  perché  mi  vien  vietato  il  mirar  gli  occhi  \ ostri,  si  rin 
\  versa  in  lagrime  il  gran  desio,  jì  e  r  i  sfogar  ) 
ijìetto,  0  cuor,  che  forma  tien,  si  atteggia,  del  va 
\riato   aspetto,   secondo  eh'  è  severo,    o   soave,   l'aspetl 

j  di  Laura.     5,2.  Naturai  mia  dote,   ingegno,  be 

lezza,  ed  altri  doni.    ^:=z    5.  Si  con  fac  e,  si  confa,  quadri 

si  concorda.    (i.  Gentil,  nobile,    i^^^      11.  A' e  l    b.   ( 

di    Laura.     13.  Clic,  line.    iVozt   altronde  se  ni 

;  da'  begli  occhi.  :=:^  14.  Al  fin  dolce  tremanti,  scii 
!  tillauti ,  vibranti  di  pietà  e  d'amore.  : — -  6,  2.  Alb  e  rg  i 
j  cuore,    nido    di  sentimenti   amorosi. 

C.  X.  1,  ti.  Co  II  tempre,  armonizzi,  accordi.  9.  0  v'  • 

giug  ne,  nel  core.  ^=:  W.  In  g  e  gno  ,  poetico  sfogo.  2. 

j  Credi  a,  credeva.  ^^^^    0.  Al  tempo,  che  più  m'era  nece 

I  saria.    : 3 ,   3.    S^  avvolse,  saggiro   con   stento.   

Ne  dclL'  onorate  cose,  o  del  cercar  le  e.  on.  ^=r  7.  s.  T  ols 
I  locar,  ■Nolle  o  vidlero  collocar,  cioè  linalmcnte  collocaront 
,  benché  Biagioli  lo  ^pieghi.cos'i  senza  aggitignere  volse,  coii 
I  se  fosse  forma  accorciala  poetica.  =^::  10.  Questo  —  riv 
i  senza  altro  il  llodano  e  la  Drueuza.  p=r  4,  3.  A^  duo  li 
mi,   all'    orsa  maggiore  e  minore.     Nostro   polo,    artic 

10.  Ordina:    ed  una  perpetua  norma  di  loro  in 

fu   quel    p  o  co  eh''  io  sono  ,  cioè  considerando  e  seguenèlji 
la    virtù   di   questi  occhi   di\cnlo  quel  poco,   eh'  io  sono.    :ri 
14.    Gli   Ito   posti    in  su    la   cima   di   me,   gli  ho  fat 

maestri    e    donni    di    me,    gli   ho   onorati.      : 15.  Che  ■ 

estima,  perché  la  mia  virtù  in  sé  e  senza  quella  scorti 
senza  quel  prototipo,  \ien  giudicata  falsamente  e  trojipo  esa 

lata.    5,  ti.  indietro    vanno,   retrocedono,    sparisct  >e 

no.     •    8.  Eterna,    rende   iiumorlale    ed   eterno,   ovvci 

regna  eternamente,  ^.^z  10.  Cosi  é  particella  indicante  U 
desiderio  forte,   v.    Cinonio   ossero az.    delia    lingua   iltil 

98.  13.  Senza  —  superna  di  modo  clic  il   cielo  non  ri 

lasse,  anzi  stesso  fermo  ,  e  si  facesse  giorno  perpetuo.  := 
(i,  3.  l'j  vivo  —  sperauza,  e  vivo  non  polendo  sjierar,  ci  « 
il  mio  desir  s'adempia.  : — :  4.  Solamente,  purché, 
che.  Cinouio  oss.  e.  358.  r-^  5.  Quando  —  av  aii 
(juando  il  troppo  splendor  degli  occhi  m'abbaglia.  =^:=  8.  1 
quel  punto,  che  fosse  sciolto  quel  nodo.  :^=  10.  L 
ferite  impresse  dal  troppo  lume.  =-r-.  11.  Piagai 
ferito  ;  non  piegato,  come  leg^oii(>  alcuni  manoscritti,  il  eli 
con    volgoli   farebbe   tautologia,    e   nien  si  concorda  con  / 

ferite.    : 11.  Sommi,  mi  sono.     =     7,  2.  Con  l« 

culla  penna  ,   cioè  in  iscritto. 

S.  lilV.   1,  1.     Siccome,    donde   venga  che.      z=t-      2,   I 
Suo  n.o ,  vuce.     i=     i,'i,  S  e''  n  ciò  jallaasi,  cioè  uel 


DI   PETRARCA. 


impier  le  carte  dì  voi,  e  non  armonizzandole  parole  col 
uffgetto. 

S.  LV.  1,  2.  i^'  eglino,  essi.  =  H.  Pietra  —  d  ivi 
ffl,  frigia,  di  cui  dice  Dioscoride,  che  «ani  le  piaghe.  :^= 
:,  4.  La  scorta,  il   pensiere ,     che  le  fa  scorta.     Ella,   la 

jingua.      3,  3.  Fianco,  ciiore.  S.  CI,  1.  2. 

S.  LVI.  IVon  v'è  cagione,  perchè  si  stirai  scritto  questo  so- 
etto  dopo  la  morte  di  Laura,  stantechè  \ì  ritorna  il  mille 
olte  rugumato   concetto  del  tornare  malgrado  suo  a'ceppi  an- 

chi  amorosi,   che  credeva   aver  rotti.    1,  3.  Nemica, 

aura;  non  già  fortuna,  donde  non  appar  vestigio  in  questo 
logo.  =  2,  2.  Lor,  delle  promesse.  —  3.  Perchè, 
ncorchè. 

S.  LVll.  In  lode  di  Simone  Memmi  da  Siena,  pittore  e  scul- 
)re  ,  eh'  efiigii)  in  marmo  in  basso  rilievo  il  ritratto  di  Lau- 
1,  e  di  l'etrarca,  come  contende  Biagioli  con  Vincenzo  Pe- 
iizzi,  fiorentino,  che  possiede  questi  hassirilievi.  ^el  ritratto 
el  poeta  si  legge  F.  Petrarca;  in  quello  di  Laura  Diva 
aura.  IVella  parte  opposta  del  primo  :  Simion  de  S  e- 
is  mefecitsub  A.  D.  M.  CCCXLIII;  del  secondo  i 
ersi  : 

Splendida  luce,   i n  cui  chiaro  se  vede 
(iuel   bel  che  pub    m  o  s  t  r  a  r  n  e  l  jn  o  n  d  o   Amore, 
V  vero  ex  empio   del   so  pran  valore, 
E  d^  o  g  n  i  in  e  r  a  V  i  fr  l  i  a   intera  fede. 
1.  Per  mirar,   benché  j  ancorché  mirasse.     Potici  et  o, 
raoso  scultore  e  statuario  in  marmo  e  bronzo,  sicìoneo,  dell' 
mp.    95,  di  cui  v.  Quintil.  12,  10.   B.  Plin.  31,  19.  2.   Cic.  Or. 
2(j.   Uinckelmann   stor.  dell'  arti.  ed.  Fea.    Voi.  II.  e.  191. 

yl  prova,  a  gara.     ■     2,  2.  Certamente  il  mio  Simon, 

nalzatosi   sull'  ali  della  fantasia  pura   nel  paradiso,     videe 

trasse  Laura ,   eh'  ivi   nacque ,    per   farci   vedere   le    di    lei 

czze  paradisiache.    3.  L'opra  fu  celeste,  non  terrena 


M'accora,  m'aggrava  il  cuore  di  tristezza.  =  4,3.  Ovf 
quando,  mentre.  ' 

S.  LXV.  1,  1.  Lafenestra,  gli  occhi  di  Laura.  ==  4. 
/->e«  f  r  a,  seconda  ,  piacente  ,  bella  ,  felice.  ^=  2  1.  So- 
ttra «f  or  ,  avanzar  ,  restare  ,  durare.  Prigion  terres- 
tra,  corpo.  ^=:  4.  Si  scapestra,  si  scioglie,  spicca 
libera.  =  3,2.  s.  Che  non  è,  non  v'è  persona,  ò  alcuno' 
che  indietro  volga  il  tempo.  : —  -1,  !•  Scorta,  guidata! 
— -  2.  Per  tempo,  a  tempo  giusto.  i=:t  3.  Chi se- 
reni, chi  muore  dopo  che  sono  passati  i  suoi  giorni  felici 
ed  é  dunque  costretto  a  viver  ancor  qualche  tempo  in  miserie' 
ovvero  no  i  muore  a  tempo  chi  muore  nelle  miserie.  E  dun- 
que ristesse  concetto;  è  bel  morir,  mentre  la  vita 
è  destra.   1,-i.  soltanto  negativamente  espresso. 

S.  LXVI.  1,  3.   Da  sprezzare,   vano,  che  non  dà  nel 

segno.    D'  av  e  rn  e  fede,   da  far  fede,    da  far  certo.    

3 ,  2.  A  e  h  e  ,  Si  qual  segno,  a  che  strazio.  lag  h  e  zza  ,  de- 
siderio vagante,  amore.  :r=r  4,  1.  Af frena,  tiene  in  vita, 
straziandomi.  11  tcnor  del  tutto  è:  Come  buon  sagittario  sa 
qual  colpo  dia  nel  segno,  qual  no,  così  pur  voi  sentiste,  che 
quel  colpo  degli  occhi  \  ostri  mi  doveva  esser  letale.  IVuUa- 
dimeno  fu  soltanto  penoso.: 

S.  LXVll.  1,  1.  Sp  t /;ì  e,  pietà,  o  amor  sperato.   E  lunga 
—   troppo,    tarda,    indugia.         =        3.    Accorto    della 
mia    speranza    ingannevole.     rz=r     2,  2.    Dall'  —   storto 
cuore.  Metafora  tolta  da  chi  ferito  si  curva,  e  dolendosi  mette  là 

mano   .sulla    piaga,   camjuinando   a   bioscio.     4.    S  e 'r  n  i 

dell'  angoscia,  pallidezza.  ^=r  3,  1.  Siete  in  via  d'uina- 
raorarvi.    ^^=    3.  iVort   ecc.   non   aspettate,   che  giunga  all' 

estremo   l'ardore.    ^=    4,1.  Perchè,    benché.    2.    La 

nemica   mia,   la  ragione  avversa  agli  atl'etti. 

S.  LXVIII.  1.  1.  £66e,  tenne.  =:  2,  1.  Perse,  da 
sé  solo.     :;^;r    3,  1.    1  n  dietro  il  tempo  passato,  ovver  pure 


i.Le   membra,   il  corpo ,  la  carne,     i^-fln  n  o   i;e/p,   ve-    alla  prigione.    =     1,    1.    Il  mio   ni  «/,  Tin.-anno   d'amoVe 

0,  nascondono,  celano.     r=     4 ,  1.  Cor  tesj  a   /e  ,   fece    ___  '2.    .W  i    spetro,     mi  sciogllo  del  duro  crror. 

)   di   grazia     ne  compiacque   Simone.    =    2.    yl  pr ovar\      g     ^^IX.      Secondo    de   Sade    scritto    nel    1342,     dove    un 

gielo,   ad  esser  nonio  hacco   e  soggetto  ali     i'npressioni|    ^^,^        g„„^     ,„  curio:=o  di   vedere  colei ,    che  aveva  in<ni^ 

usuali.      ^=  _  f ,  ''^e(    mortai    sentiron,    sentirousi  1  ^a,„   J^„i„   uìi^tanto   poeta,  la  trovava  inen  bella  di  ouel  che 

^.      e  oscurati  da   sensi  mortali.  ,,      credeva.    =:     4,  2.  JJ  «e,  ancorché  adesso  non  fosse  più.  S 

S.  LVIll.  1,  1.  Concetto,  idea  concetta,  immaginata  nella  ij^yjj    j    j  '  '  "'"'  l'"-  ^• 

"'i''''*;''J^'!'L'::Ì-'ll"^'*!,"r''''"?\VL,^^^^^^^  S.  LXX.' scritto  nei  1342,   per  quanto   si  crede  a   Gerardo 

suo   fratello,  che,  per  essergli  morta  la  sua  amorosa,   si  ritirò 
nella  Certosa    di  .Monterivo.    ^-^      2,  1      '      '       " 


rza  sopra  il  primo  sonetto  di  Michelangelo  Buonarroti  e.  159 
Ile    rime   e   prose   di    M.  11.   Milan.    1K21.    12.    =       2,    3. 

Ila,   l'opra   gemile. 4,  3.  t^ucl   é  si  indefinito,  che 

n  si  puìi  agevolmente  tirarsi  a  disonesto  senso,  inassimainen- 
,  se  consideri  il  tenor  del  tutto,  che  chiede  voce  ed  iutel- 
lo  in  vista  umile  promettendo  pace.  Una  volta. 
S.  Ll.X.  1,  3.  Scampar  liberar  dall'  ardore.  :=:=  2,  1. 
e  i  :;o  ,  modo,  termine,  limiti.  _::;  3.  Mezzo,  la  metà 
quii  che  fui.  ;r— :  4.  Per,  a  cagione;  cioè  perchè  si 
esso  giro   gli    occhi    al  mìo   male,   guardo    s'i   spesso  quella 

e    mi    \',i  infelice.     : 3.   2.    Chiusamente,   nascnsta- 

nite,   insenaibilmeule  ad  altrui.    --^^    4,  1.  Scorgo,  con- 
ce. 

5>i  1\'.  I,  1.  Fermato,    forzato,  costretto.    3.    Sce- 

sepiirato.    =:r=    4.     Fine,   morte.     : (i.   Mentre, 

e.  mentre  che  la  ragione  ha  ancora  qualche  impero  su  la 
ne  sensuale.  ^—:z  2.  1.  Ij'aura.  Gioco  di  parola.  : — 
Dentro  al  legno,  nel  corpo  avendogli  atfetli.  : — 
1.  Cieco,  corpo  accecalo  dalle  passioni,  ^m  2.  Er- 
I  senza  ecc.  senza  pensar  uu  istante  il  cammino,  ove  I 
aggirava  l'impeto  delle  passioni,    rmr    4,   2.    A  è,   owero 


/  mb  e  I  e  e  h  i  a  r  i, 
che  volgono  al  si  e  al  no.  :z=z  3,  1.  i'igoni  ò  r  o,  sgomberalo, 
scarico.' 

S.  LXXI.  In  morte  di  Gino  da  Pistoia,  nel  1.336.    =:    1,  3. 

Tutto   intese,    tutto   applicossi,    iiigegnossi.     2,    1. 

Prego.  Non  pregato  pur  (sembra  che  1'  acerbo  dolore  fatto 
avrebbe  ristesse.  =r^  1.  ./  f/ /«/o  ^a  re,  esalare.  ì\on  si 
pensi  già  per  questo  al  timore  di  scoppiarsi ,  ma  solo  al  de- 
siderio di  esprimer  con  segni  esterni  quel,  che  sente  di  dentro. 

4,    1.    Ferversi,   perchè   1'  a\eano  esiliato.     2. 

Vicino,  cittadino.  Dante  Purg.  XI. 

S.  LXXll.  Abbenché  que^to  e  il  seguente  sonetto  non  siati 
forse  connessi   in  t|U('l  modo,   che   il    primo    contenga    il    co- 


mando d'.Vinore,  e  il  secondo  leseciizione  di  (jueslo,  (opini- 
oue,  che  forse  nacque  da  uvea,  che  par  sia  cangi.ilo  con 
l'originai  ave  in  vece  d'  ha!)  trattano  pure  l'uno  e  l'istessa 
argomento,  il  pallorrd  il  lagrimar  amoroso.  —  1,  2.  J  it 
/  p  £  t  r  e  f/' or  ",  distintamente  e  durevolmente.  =:^=  3.  Si 
come,  come,  o  dir.  :=^-  2,  2.  /  o  t  g  a  r  esempio, 
•-r     ...  •ili       '        ,.  .     ,  y        1   II    '    •        ,,    I  esempio    del    \olgo.     S.    I,    2.    4.     r-rr      3.    Lavoro,    studi 

=  i.  Di  su  '/«//«  ^;  ".«;*«««  »'(•/«,  dalla  più  alta,  j^.,|.^'p„p,i.,.  S.  XXXll.  4.  V.  S.  LUI.  -^  3,  1.  /■;  *r,  ben- 
nta  del  legno  ,  dalla  gabbia,  ^r-.  5 ,  1.  ./ n  co  già,  a  p,,  •.  j;  j^X,  V,  4.  2.  r=  2.  /ii  r/ «  f  (o,ricetto,  albergo.  A  ,j 
e«la  ma.  z—  (.,  1.  6  «  o  e  «  e  a ,  o  s  10  uscissi.  Particella  ,/„,,  r  ,  ne'  quali,  ^rr  4,  L  .V»  r<;),/<Mi  /'orco,  perchè 
diNiderio.     ri7/onto  ossery.    e.   ,Jo(i.   henso  :    cosi   potess     U  bellezza   di  Laura   si   scemava  per  gli  anni. 


u,-.''ii-  Mvo  ecc.  come  10  sarei  vago  ecc. 

L\.  I)(!  Siile  dice,  il  grande  amico  (?,  1.)  e88er  non 
istd  ,  ma  il  Padre  Dionisio  dal  Borgo  a  S.  Sepolcro.  Kdav- 
ro  il  quartetto  si-ciiiido  min  ripugna;  né  il  line  del  terzetto 
ini  rollici  ina    l'alira  o|iiiiione. 

.  i)\l.  K  irritalo  il  poeta ,  per  quanto  si  xede,  perché 
le  d'esser  padrone  di  sé  nieilesimo.  =r-  1,  3.  //  riva, 
esl remila.  : —  2,  I.  Hello  e  bianco,  senza  iscrizi- 
.  —  4.  Che  —  anco,  che  pili»  star  e  durare  ancora 
ilii  cullo  spirto 

L\ll.  1,  I.  Se  —  mischi.  I  capcgll  di  P.  incaniilirono 
ina  ile'  venticinque  anni ,  o  hc  ne  coiinoIìi  con  ('esare 
ir(,'ilio.  v.  tJgo  Fosco)  o  saggi  sopra  il  Pclr.  17.  :=:r 
0  /  '  Imor  ecc.  ove  si  traila  d'ainorr.  Kmpir  farro 
iplirÌN>iinaineiite  forse  è  metter  l.t  freccia  sull'  arco,  lì 
«so  di  Dante  Piirg.  \\\  ,  IH.  citalo  da  liiagioli  a  imi  al 
iiiMi  da  gran  liiiiie.  Lii  rima  potrebbe  ben  aver  pro- 
to (!  sru^iire  questa  parola  e  il  di  lei  senso,  poiclic  in  quel 
etto  inedeNiiiio,  come  nllro\ e,  foi/.a  il  pnela  ad  abbandonar 
metafoni,  i;  a  sceglier  parola  poco  piucexole  a  TaNNoni. -. — 

l.  l' ir  e  Ili,  benché.    :    3.   Invischi,   cincischi,  cin- 

,1,  lngliir//i. 

I.  LXIII.  Dialogo  fra  Petrarca  o  gli  occhi  suol.  . —  I,  2. 
'.  vostro,  per  cngìoiie  di  v.  ^r-  4.  .11  trai,  del  cuore. 
:    2,  4.  Co  Ini,  emiri 


per  gli 

S.  LXXIII.  I,  2.  Donna,  domina,  padrona,  che  do-oiinil. 
rm  3.  Coni  par  le,  distribuisce  alle  iiieiiibra.  r—  2,  2. 
La  scacrialu  parte,  le  virtù,  che  raiiima  coraparle,  In 
forza  vitale,  la  pensai i\ a,  e  generalmeule  ranìma.  : —  4. 
Che,  o\e.  Fa  vendetta  .  scacciando  dal  corjio  di  Laura 
l'anima.     Concetto  allenalo  e  facezia  di  vaghezza!  -    3,  I. 

Duo  volti,  il  amnnle  e  d'amala.  r  3.  ha  ecc.  è  scam- 
bialo in  ainbidiie.  — ;  4,  3.  <iu  al  —far  e ,  pallido  e  «morto. 
S.  LX\l\.  I.  Senso:  ah  potessi  io  esprimer  in  verni,  <|iianto 
io  sento,  cerio  farei  dolersi  ogni  alma.  ^^-  2,  4.  Benché 
—  riversi,  benché  io  taccia.  . —  r  3,  1.  Uisptendr, 
risplcndeiido  peiieir.i.  —  4,  1.  Maria  Madd.ilenii.  r— ^ 
2.  Ij  u  fedi  ,  il  feilelineiile  niiinr  Cristo.  . —  3.  /  oi.  parla 
■iirli  "iclii ,  che  pnr,r<oiio  penetrare  nell'  alma,  cho  luce.  v. 
il  qii. niello  secondo. 

S.  I,\\\.l,l.  Di  I  f  a  spettar .  dalla  pena,  n  per  c.igion. 
/  i  II  t  o  .  Hianio,  enaiiHlo.  : —  2,2.  Ove  che.  oviiiiqiie. 
—  3.  /■.'hi  ;i;  ,  crudeli  ,  spietali.  — r  3,  I.  ,/ h  f  1  r  r;  ,  gran 
loinpo  non  biilliila.  — :  3.  Mal,  con  danno,  •iiiiiHir.inieiile. 
: —  I,  1.  Il  lor  eco.  allora  peccò  runiina  di  libera  xolontà, 
come  Aliamo.  :  -  2.  .ìpostad'allrui.a  Miglia  e  pia- 
cero  dello  Ml'renalo  deHi'o, 
I  S.  L\\\  I.  1  ,  2,  tinaie,  pien  di  contento  e  di  p.icc.  .^rr 
I  4.  ti  II  II  r  ri) ,  ^iinririi.    =-    2,  I.    Invaghirò,  inxiieb'roiin. 


I.  LXIV.  Scritto  nel    1330,  «ccoudo  de  Sade.    .^^    1,  4.    divonucru  \iighi.    _:=    'i.  Ivi.  ucgli  occhi 


3    2.  Dvl 


COMENTO  SULLE  RIME 


la  mia  morte,  di  Laura  che  mi  dà  morte.  =  3,  3.  Che, 
sì  rifprisci^  a  no  ine. 

S.  LXXVIl.  Ad  Orso,  conte  dell' Anguillara,  marito  d'A|?iiesa 
della  Ooloiuia,  il  quale  si  doleva  di  non  poter  esser  al  des 
tiiiato  d'i  ad  ima  battaglia,  come  dice  de  Sade;  altri  dicono, 
ad  una  giostra.  =:  2,  1.  A  lui,  a\  cuore.  :=r  3,  3. 
Tempo,    ffiove-ilù.      Sangue,     nobiltà    di   sangue.      r=- 

S.  LXWIII.  Forse  a  Boccaccio!  =  l, 'i.  Torna  fal- 
la e  e  ,  ci  fallisce.    =    2,  2.  Che,  ove. 

S.  LXXIX.  1,  X.L'unsol,  Laura.  ==  2.  In  sulla 
nona,  a  mezzodì.  ^=  3.  Quella  ecc.  la  finestra  volta 
a  setlentrione.  =  4.  Fiede,  iiere,  percuote.  ^=  2,  1. 
Sa  suo,  sedile  di  pietra,  o  scoglio.  A  gran  di,  ne'  di 
esiivi.     Pensosa,    in    sé   raccolta,     riflessiva,     pensierosa. 

is,  1.  i/   —  amore,   il  luogo,  dove  lasso  m'  innamorai. 

■ — ■  2.  La  novastagion,  la  primavera.  : —  3.  In 
quel  di,   nel  di  sesto   d  aprile. 

S.  LX.XX.  l,  2.  Quella,  la  morte.  Perdona,  ris- 
parmi:».    2,  L   leggio,  ecc.  so,  che  poco  giova  il  languir. 

3.    Per  t  uff  0  5  u  e  «to  ,  ciò  tutto  non  ostante.    4. 

L'usato  tributo  di  lagrime.  =  3,  2.  Non  ricevo 
inganno,  non  mi  lascio  ingannare  dall'  amoroso  desio.  :^^= 
3.  Ma  forza  ecc.  ma  l'urica  mi  fa  Amor,  zz:^  i  ?  2.  Il 
migliore,  la  ragione.  3.  S'' anime  ecc.  se  altri- 
menti an[me  offuscate  da' sensi  sono  capaci  di  presagire  il  vero. 

S.  LXXXL  L'idea  dì  questo  sonetto  è  originariamente  di 
Maestro  Antonio  da  Ferrara.  =:=  1,  1.  Jl  tradilor  rf' 
i'gi  f '0  ,  Tolomeo,  re  d'Egitto.  : — •  2.  L' ono  r  a  ta  test  a, 
di  l'ompeo.  =  2,  t.  Imperio  di  Cartagine.  ^:=_  ^.  De- 
li pitto,  rabb!o,-<o  cordoglio.  Lo  sfogare,  rinchiude  nel 
medesimo  tempo  il  celare,  dice  liiagioli ,  per  impedire,  che 
non  si  legga  sol  per  celar,  o  per  affogar,  o  per 
celar  meglio,  «la  il  contrasto  par  esser  piuttosto  nel 
tutto  e  nel  rise;  che  l'acerbo  despìito  freme,  sbuffa,  sma- 
nia anzi,    che    ridere. 

S.  LXXXIL  A  Stefano  il  giovane  della  Colonna,  il  quale 
avea  riportata  una  vittoria  so^ra  gli  Orsini.  Scritto,  secondo 
de  Sade,  nel  l'ÌVÌ.  —  2,  1.  L'orsa,  la  casa  Orsini.  O r- 
saccUi,  Ucrtiildo  e  Francesco  degli  Orsini,  che  rimasero 
morii  in  un  fatto  d'anni  coi  Colouuesi,  di  maggio,  nel 
mese  di  Maggio. 

S.  LXXXUI.  A  Pandolfo  Malatcsfa  di  Riraini,  famoso 
rapitano,  che  avea  mandato  due  pittori  a  posta,  a  pigliare 
51  ritratto  di  [Petrarca.  ==r  3,  3.  Per  incude,  per  opera 
d'  incude,  effgiati  bronzi.  Martello,  opere  di  martello, 
statue  marmoree.    ;=    4,   2.  Il  nostro  studio,  la  poesia. 

CXI.  Diversi  interpreti  diversamente  spiegano  questa  can- 
zone, altri  chiamandola  frottola,  cioè  filza  di  proverbj  racca- 
pezzati e  messi  insieme  alla  rinfusa;  altri  detestazione  della 
corte  d'  Avignone;  altri  (Hiagioli)  un  dispettoso  sfogo  d'amo- 
re mal  guiderdonato,  itinunziamo  alla  sposìzione,  benché  ci 
sembri,  che  1'  ultima  opinione  sia  la  migliore,  senza  pure 
dilettarci  della  natura  di  frottola,    d'  esser  un  mucchio  di  lao- 

chi   comuni   applicabili  a  tutto,  e  poco  poetici. _       1,  3. 

Puos  si —  molesto,  anche  in  belsoggionio  può  esser  molestia, 

può  la  copia  delle  rose  desiderate  generar  fastidio.  5.  Già 

Kuecc.  dìcesi  di  chi  comincia  per  troppi  anni  a  incanutire.  (j. 

Son   desto,   m'  accorgo  dell'  errore.      _    14.  1/'  auro, 

aurea  coppa.     2,  1.  7o  —  Pietro,  cioè  le  fortune  mie 

]e  ho  poste  sotto  la  guardia  della  chiesa,  l^^rano  cos'i ,  per 
certa  somma  di  danaro,  da  ogni  diastro,  incendi,  collette 
dannose,  maligni  influssi  fatte  sicure.  Ma  la  chiesa  col  tem- 
po hi  fece  padrona  assoluta  di  que'  beni ,  e  mandò  i  deposi- 
tar] con  dio.     3.  Fio,  feudo.    ==    4.  Mi  spetro,  ini 

libero,    mi    disinganno.      : —      (j    Giù—   merlo   proverbio, 

che  significa  esser  fuor  di  pericolo,   e  sicuro.      : 8.  A'o  7J 

è  ecc.  non  è  cosa  da  pigliarsi  a  gabbo  uno  scoglio  in  mezzo 
all'  onde,  e  il  vischio  nascoso  tra  le  fronde.  : — ^  3,  1.  Ama 
chi  t''  ama  e  rispondi  a  citi  ti  chiama  è  il  proverbio 
intero.    Fatto  e  antico,   è  invecchiato,   non  è  piii  in  uso. 

2.  Lassa   andare,  lascia  stare,  non  parliainne  piit! 

zr-r-  4.  Grama,  fa  intisichire,  distrugge ,  fa  mesto.  Vo- 
ce rara,  alfaie  alle  tedesche  Gravi,  gràmen,  Grimm, 
trasposte  da  Harm,  hdrmen,  alla  greca  [i^euciv , 
lai.  fremere,   ital.    grimo,  grimare.    Onde   non   è   da 

leggersi  brama.     Umile   è  o  modesta,  o  bassa.      : 5. 

Mal  si  conosce  il  fico,  se  noi  fendi.    : —    7.  Per  ogni 

ecc.  l  bi  bene,  ibi  patria;  donne  non  mancano,  r. — 
<  —  danza,  V  ho  provato  anch'  io.  = —  iO.  s. 
Dio  non  riciiserìi,  rifiuterà,  se  vo'  dargli  quel  poco  del  vi- 
vere, che  ini  rcMla.  13.  1  seguaci  suoi,  gli  anaco- 
reti contcìuptativi.  Itosco,  luogo  appartato  dal  inondano 
fracasso.  :-:t-:  4,3.  Citi  troppo  assottiglia,  si  sca- 
vezza ,    chi    troppo    pensa,     niente    conclude,    chi    troppo 

vuole,  nulla  ha,  chi  troppo  tira,  la  rompe.       4.    I\ion 

sia  zoppa  ecc.  non  sia  parziale  la  legge.  O  j»  '  altri 
attende,  ov'  altri  insospettito  sta  in  sulle  sue.  Cioè:  va- 
dano del  pari  le  cose,  chi  la  fa,  l'aspetti;  chi  vuol  ingan- 
nare altrui,  s'appetti  d'esser  ingannato.  r-^  5.  Hcr 
tiene  star  ecc.  chi  posto  in  iilto  si  accorge  dell'errore  d'am- 
bila altezza,  dÌBCciidc  volentieri.    7.  Chiusa,   nascosta, 


J\>a  e» e  ee 
.).  A  ncW 


umile,  modesta. 8.  La  chiave,  Y  orgoglio,  gli    sdegni  "j: 


gli  affetti,  la  ferità,  asprezza  e   salvati  '",' 
rudeltà  di  Laura.     Entr'alle   murtii 


k 


asprezza,  che  mi  sono  diventali  chiavi,  che  mi  hanno  fatd 
comprendere  l'error  mio.  ^=  12.  D  o  Is  e  ,  dit\si.  Altr\ 
Laura.  z=r-  15.  i!  non  men  che  suole,  non  meu  forte,  na 

minore,     nrr    ò,  2.  Il  suo  n  della  voce  di  Laura.  : 3.  L 

jì  ri  gioii  oscura,  il  corpo,  la  spoglia  mortale.  =:=:     4.  L 

lotturne   viole  delle  parti    nascoste,  velate.    5.  L 

fere   selvaggi 
'•hezza,  superbia, 

in  questo  corpo.  6.  Paura,  schifiltà.    7.   Unfiu 

in  e  ecc.  amore   e  gelosia   uniti,     z —     10.  /-  segni  volto^ 
gli  occhi  lucenti  di  Laura.    :=     13.    Oh  leggasi,   non  ho.  r= 

15.  Panni,  corporee  spoglie.    ■ b,   5.  Humo  ,  lauro.  =; 

'.ì.  Disdetto,  riliuto  virtuo,-i<simo  di  Laura.  = —  7.  Zi'i»;'*,, 
durato  affetto,  il  desio  della  parte  avversa  alla  ragion«|''| 

H.  lo  sarci,  suppl.  che.  : — :   9.    Edhanne  e st  inU''^'' 

quel  pensiero  di  non  esser  slato  assai  ardito.  11 — 15.  Qucst  r 

versi  non  hanno  senso,  se  non  vi  si  pone  con  noi  il  segno  d'in'', 
terrogazione,  di  modo  che  l'un  verso  contenga  la  risposta  all'*' 
altro.  Questo  pure  l'hanno  trascurato  gli  sposilori.  i  Da  "? 
resto  ottimamente  ha  detto  il  poeta  stesso  di  questa  sua  cani  '"* 
zone  Iute  n  d  a  m  i  e  h  i  pub,  che  m''  int  end''  i  o,  che  vuo  *r 
•lire  quasi  altrettanto  quanto  quel  detto  di  Sancho  l'ansa  f/t'i  •/' 
:ii  intende,  l'erchè  quel  dire  e  non  dire,  quell'  avvolgere  1 1"" 
l'atto,  o  l'oggetto  nella  vuota  generalità  di  proverbj  affastel  *," 
lati,  e  pena  ed  assurdità  pressoché  fanciullesca,  tanto  più  quanU  "; 
eh'  è  chiaro,  che  la  forma  artefatta  anzi  che  arlifiziosa  ,  e  i  j' 
travaglio  delle  rime  intercalari  e  intermedie  danno  luogo  l 'J 
spropositi  d'inversioni,  quali  per  via  d'esempio  ci  seci-ano  iiellj  * 
sesta  stanza.  Abbiiim  cercato,  in  quanto  a  noi,  a  rimediarvi  cor"' 
riuterpunzione.  IVulladimtno  siamo  del  parere  di  BemW  "' 
piuttosto,  che  rimprovera  asprezza  e  durezza  alla  canzone,  cJij  "^ 
di  quello  di  Biagioli,  che  sogna  di  discernere,  con  quani' arie  j ''' 
ingegno  ha  saputo  il  poetaarmo. lizzare  il  secondo  tuono  gravi'. 
e  maestoso  della  poetica  cetra  a  corde  d'oro  temperato  col  primi  *■ 
d'armoniche  discordanze  risonante,  che  rend(Mio  l'umili  cordi -' 
lese  in  tempera  tale,  quale  ne'  trivj  e  ne'  (juadiivj  !i  par  talon  *' 
sentire',  e  che  ,ringrazia  la  sua  feroce  ostiiiazìune  di  compren- 
dere   e  spianare   agli    altri     la    canzone    dilfìcilissima.'  ' 

B.  Vili.  1.  Accorta,  cauta  a  fuggire    da  chi    volesse   pi"" 

^S.'^LXXXIV.  Scritto  nel  1342.  =  4.  Paragonando  le  bel* 
lezze  di  Laura,  che  mira  sparte  ed  impresse  a  quanto  lo  cir  '' 
conda,  ad  una  selva  d'un  lauro  solo,  tanto  la  dice  \erdeggia  ^' 
re,  che  amore  l'adduca  vago  fra  i  rami,  ovunque  vuol.  >'■ 

S.  LXXXV.  A.  Sennuccio  del  Bene.  Apostrofa  il  terreno  - 
dove  Laura  lo  salutò.  =:  3,  2.  De  IT  orme,  reliquie  dell'I' 
orme.  Sposizione  e  analisi  di  Biagioli  ,per  (senza'?)  la  (|uah  *" 
nullo  è  ogni  sforzo  di  pervenire  ne'sacri  penetrali  della  scien  ™ 
za.',    Ma,  essendo  orme,  impressioni,  o  segni  lasciati  indieiri  *■ 

del   camminare,  avremo  reliquie  di  reliquie.     4,  2.    Co  '' 

munemente  la  virgola  qui  si  pone  dopo  mio,  di  modo  chi™ 
il  terreno  venga  scongiurato  di  pregar  Sennuccio  di  qualchi*' 
lagrimetta  pietosa  pel  poeta.  Meglio  Biagioli, _  inlerponendi"' 
la  virgola  tra  prega  e  Sennuccio  mio,  spiega  :  tu  ,  Sen  "f 
nuccìo  mio,  s'è  vero,  che  Amor  sta  sempre  desto  in  cuor  geo  "' 
lile  di  Laura  (perchè  no  nel  tuo  cuor  valoroso,  che  percii|'] 
conosce  e  compatisce  amore  "#)  tu  prega  Amore,  che  mi  faccii'' 
dono  di  quache  lagrimetta,  o  d'un  sospiro.  Cosi  vi  sarebbi ''■ 
gradazione  di  desio  dal  saluto,  u  sguardo  ad  una  lagrimetta'''' 
o  un  sospiro  pietoso,   amoroso.  .'■/ 

S.  LXXXVl.  1,2.  Che,  si  riferisce  a /late.  =  3"' 
Le  faville  degli  occhi  scintillanti.  =  2,  1.  ivi,  il"' 
quel  terreno,  dove  mi  salutò.    Laura.  A  tal  e  segno,  termine  P" 

C.  Xll,  7.  tì.     2.  Nona,    mezzodì.     Vespro,   ora  fri''' 

mezzud'i  e  sera.  Alba,  mattino.  Squille  suonami  Ir" 
sera  all'  Ave- Maria.  ^=  3.  // e,  le  faville.  =:  3,1'' 
L'aura  ecc.  il  fiato  e  voce  di  Laura.  : —  4,  1.  Spirto  " 
spiro,  auro,  fiato.  =  2.  In  queir  aere,  che  mi  circondi".^'' 
allorché  sono  su  quel  terreno.  '!  : 

S.  L.VXXVIl.    1,  1.    Luogo  usato,  terreno  sumcntovata^'' 

2,  2.  Stampava,  gitiava.  : —  4,  3.   Aggiunto ,   coli  ' 

lo  in  un  punto.  i  '■ 

S.  LXXXVin.  1,  1.  Che  -  porta  che  con  un  suo  sguardi'': 
mi   cambia  il  cuore,    r^    2.  Là  dove  ecc.  nel  terreno  mei  "^ 

Invaio.    3,  2.   La  parola  non  so ff ersi,    mi  coi   * 

fusi  alla    voce.  ■    '^ 

S.  LXXXlX.  1,  3.  Struggo,  mi  struggo.    Solia,  solevi   '; 

S.  \('.  2,   3  s.     Ordina;  e  perchè   io    non  trovo   qti    ' 
r  ardente   mio   desio   di   Laura,   non  dico  sp  en  '"' 
t  o  ,  m  a    II  e   p  are   s  e  e  m  o   d'una   quantunque   minf^^. 
ma  par  t  icel  la  deir.ar  dor  suo.    r=    3,   1.   L'amo 
rosa  reggia,  Avignone,  dove  nacque  Laura, 

S.  XCl.     I,   1.     li  ahi  Ionia,    Avignone,   dov'era  allor  U 
corte  di  Roma.    r=r:    2,  1.  Qui,  in  V  alchiusa.  =    3.  SecOi 
con    Amore.     =:     4,    1.    L'una,    Laura.     : — :     L'altra^ 
Stefano  ('olunna  il  giovane.     Col  pie  saldo,  così  felice 
di  stabile  formila.  ^ 

S.  XCll.    1,   1.    Ifue  amanti,  me,   e  il  sole.    ==:    2,  J 


De  lì' amico  piti  bello,   del  sole.    : 4,  1.  ^/ui,|     ' 

sole,    rrrr    3.  /  into  da  me,  suo  rivale.  |    f 

S.  XCIH.    1.  2.    Trasscn,    trassero.    =    2,  l.  Quei    " 


DI  PETRARCA. 


iramo,  la  vista  di  Laura.  =r:  2,  3.  In  lei.  Cosi  legge  Se- 
assi,  perchè  lei  non  s'usa  in  caso  retto,  JVIa  è  accusativo. 
■.  Monti  proposta  di  correz.  Voi.  3.  P.  1.  e.  57.  fs 
S.  XCIV".  1,  3.  Fer  natura  schiva  di  quelle  sozzure, 
he  le  stanno  davanti,  guardando  Avignone,  che  dice  Babel. 
■=:-  4,  2.  Tolti  dal  sas-o  frapposto. 
S.  XCV.  Scritto  nel  1343.  =  1,  3.  T'erse  V  estremo. 
nno  del  viver   mio.     Pur   dianzi,   poco   la.     =:        2,    l. 

j'amar,  l'araaro,  le  amaritudini  sentite  in  amando.    •>. 

^gli,  il  viver.    Avanzi,  sopraviva.   4,  3.  Rivolte, 

t'orzi  tatti  per  diiciormi   da   Amore. 
C.  Xll.     1,    1.     lina    f7on;!f/,  la  Gloria.     =     2.D'al- 

rettant  a  et  a  d  e  ,   nata  col  sole.     \.  Acerbo,    uell" 

là   mia  acerba,  immatura,  giovane.    S.   CXXVll ,  4.  1.    

j.    Delle    cose    una.    =:    12     Faticosa    impresa,  i\ 

oema  latino  dell'  AlFrica. 2.  Seguila  la  lal^a  gloria. 

=  8.  J5tà  no  ra,  gioventù.  =  11.  Fur  dianzi,  poco 
.  _=^  13.  Oh  laccio,  paura,  spavento.  - —  3,  tì.  Miei, 
ehi.  rrrr  4,  5.  fj'' a  vv  e  r  s  a  r  i  a  mia,  ogni  vizio  contrario 
Ila  gloria,  come  dappocaggine,  infingardaggine,  voluttà,  aba- 
zia ecc.     =rrr      7.    yjltro  signore,    vizio.     =rr:     14.    Fer 

egno,  per  prova  del  mio  detto.    Donna,  virtù.     5, 

Dove_  tu  stai,  col  pensiero,  dove  at'Iìssa  è  la  tua  mente 
maggior  fuoco  accesa.  12.  Cui -preme,  ch'è  oppressa 
ì  luce  maggiore.  =  13.  Miei,  seguaci.  =  (j,  3.  JV e l 
rimi  er  o  scorno,  nel  primo  mio  vergognare.  =z  7.4. 
Te'  ecc. _  meglio  v'era,  o  sarebbe  stato.  Che-  difetto, 
e  in  noi  mancasse  il  merito,  che  fossimo  meno  amabili  e 
He.      =:      tì.    A  t  a  l  e  aegxut.    S.  LXXXVI,  2.  1.      =     7. 

OS  tei,    la  Virtù.     Batte   r  ale,    ledasi  a  \olo.    : 9. 

mbra,  non  facendo  nei  ciechi  mortali  altro  effetto,  che 
nbra.  r=:  13.  f  erde  lauro.  Allude  alla  sua  coro- 
izìone  in  Roma.  : —  8,  1.  Ragion,  assunto,  argomen- 
= —  3.  Altro  7n  e  ss  ag  flio  ,  hHto  Uwiìro. 
XCVl.  A  M.  Antonio  de'  Beccari  da  Ferrara,  il  quale, 
sendosi  nel  1344  per  Italia  falsamente  sparso  il  romor  della 
arte  di  Petrarca,  gli  aveva  composta  una  nenia  in  canzone. 
:  1,  3.  iv'6  A  en,  ebbero.  =  2,2.  <;»  u  f //«,  morte.  ::= 
In  si  no    all''    uscio  del  suo   albergo   corsi,  sono 

Ito  vicino  alla  morte,  3,  2.    Di  sopra   '/   limitar, 

sommo  della  porta.  : —  4,3.  (Quando  si  l'onora, 
ichè  cos'i  bene  il   sa  onorare,  o  lodare. 

U.  IX.  Manca  ne'  testi  i  più  antichi,  aggiunta  forse  dopo 
morte  del   poeta. 

S.  XCV  11.  1,  2.  3^071  mi  spensi,  non  cessai  di  ardere. 
=  2,'i.fezzo,  usanza,  abitudine.  Fer  lentar,  quan- 
ique  si  allentino,  si  domino.  : — :  4.  Ciò  ecc.  \'  è  in  colpa 
salma  corporea.  :=rz  4,  3.  Quanto  si  conviene,  e 
n  più,  non  per  amor  sensuale. 
5.  XCVIIl.  1,  1.      Impallidir  di  Laura.     //  dolce  ri- 

i1   viso   dolce   ridente.      2,  Amor o  sa  neh  bi  a  , 

■bamcnto.    3.  Cor  mio.     : — :     2,  3.  Se  erse,  vede. 

•I.  XCIX.  1,  4.  A  quei  —  riva,  ai  morti.  =  3,  2.  Ma 
ir  credo  che  di  ìnule  in  peggio  sia  per  andare  quel 
npo  del  vivere  e  h'  a  v  a  n  za  ,  che  mi  resta.  : —  4.  Or- 
ia: lo  veggio  di  man  cadérmi  ogni  sp  e  r an- 
; ,  che  71  o  ri  è  di  diamante,  ma  rf  '  un  vetro,  e 
dot  u  tti  ecc. 

).  .\!11.  I,  3.  f  e  si  isse  sé.  Senso:  se  il  pensicr  pungente 
laido  pigliasse  color  conforme,  se  il  concettti  e  la  di  lui  es- 
s.-^ione  si  concordassero,  r-^-  4.  Forse  quella,  che  m'arde  e 
fugge,  avria  parte  del  caldo,  sentirebbe  iu  parie  il  calore. 
■  li.  Ardendo  lei,  s'ella  ardesse.  :: — :  2,  1.  Sforza, 
■Vìe  la  forza,  rrrr  2.  Saver,  poesia,  rrrr  7.  Miri  Amo- 
mirino  7  u  e  '  begli  o  ce h  i.  ==—  10.  Si  sgo  m  - 
a  del  mio  cuore,  r — :  12.  L'un,  il  pianto.  Ij'' altro,  il 
')  lamentar.  r — :  13.  .Iltrtii,  L^ura.  Ch'io  non  lo 
altro,  perch'io  non  l'abbellisco,  r-rz  3,  4.  Squadre, 
ladri,  attui,  farcia  alte,  adiitti,  rejroli.  Si  (lire  (Irgli  scul- 
i  adoperaiilisi  a  dispogliare  rozz<i  sasso  di  sua  scabrezza  e 
'i  disporlo  a  ricevere  1'  immagine  dell'  artista,  l'ropriainen- 
è  render  quadro  o  ad  angoli  retti.  : —  ."i.  Di  smalto, 
■o,  esacerbato,  inasprito,  rr-r  11.  Me  ne  stempre,  di- 
iga  incapace  a  riirarla.  ^r—  13.  Soccorso  delle  rime 
giadre.  =—  l,  7.  Se  per  avventura  ella  non  ha  altro  di- 
I),  che  iu  mirar  le  pnqirie  bellezze,  rz^  5,  3.  Tcrmcn- 
su  fianco,  corpo  stanco,  alfaticato.  r —  IO.  ('he  alllii- 
.  Acerba,  aspra,  penosa.  :r^r  6,  IO.  Cosi  pensando, 
Tcdendo.  Nulla  seu  perde,  niente  di  ((iiella  impres- 
ile,  di  quel  concetto.  :rr—  11.  tJ  più  ecc.  e  peggio  sarebbe 
'  la  mia  pure,  di  saperne  più. 

XIV.  Ilellissiina  !  ^-  1,  1.  Acque  della  Sorga,  n— : 
Ove,  su  la  siKMiila  delle  (piali.  : — ;  3.  Itonnn.  domina, 
«ora.  : —  4  Itamo,  albero,  ove  s'appoggiii.  — -^  'i,\(ira 
X,  pietosa  compiacenza.  ~ —  10  Clic,  perchè.  :^  3,2.  .///' 
ato  foggiar  110,  qua,  in  questo  luogo,  dove  Laiirn  spes- 
venìva.     - —    5.   Sei  —  giorno,  iit'l  m 


\  el  —  giórno,  nel  xciierdi  santo,  rr- 
Hi  il  terra,  cangialo  in  terra,  infra  le  pietre  ve- 
ndo me.  r=  4,  'l.  Dol ce  n'  è  la  memoria  legRC  la 
nninna.  rr—  5,  2.  Spavento,  sacro  terrore,  come  in 
petto  d'  un  dio.  — —  b.  Dall'  immagine  vera,  dello 
»  fuori  «li  me. 


C.  XV.  1,  1.  /ti  —  «prona,  verso  Laura.  =  b.  Colui 
ecc.  Amore.  =  ti.  Si  confuso  ditta,  per  la  varietà 
[delle  immagini,  ed  il  mio  dolore.  : —  7.  Ordina:  ma  pur, 
perchè  i  sospiri  parlando  ha  n  tregua,  e  soccor- 
ro al  do  l  or ,  diro  l'istoria  de' miei  martiri,  in 
quanto  la  trovo  scritta  con  la  sua  propria  man 
in  mezzo  il  cor ,  dove  io  la  rincorro  si  spesso. 
=  Vi.  Fer  che,  bencliè.  =  2,  2.  M  ag  g  io  r  mio  be- 
ne. Laura.      3.  A  o  Jo  sa  —  superba,  \entura.    

7    Acerba,  non  mntura.    9    So  r/«  o  ra  ta  ,  si  leva  sovra 

"oi.  11.  S'indonna,  sìsiioreggia ,  si  fa  donna,  so- 
vrana. Dante  Par.  VII.  =  13.  Di' lui,  del  sole.  Parla 
del  sole  autunnale.  ~. —  3,  2.  Alla  —  perde,  nella  prima- 
lera.  :=  \.Le  violette  e  il  verde,  allude  ali"  aliit<t 
verde  sparso  di  violette,  donde  era  vestita  Laura  uel  giorno, 
in  cui  P.  la  vide  per  la  prima  volta.    =    7.  Scorza,  pelle. 

Dice   cos'i,   confondendo,    come   sempre.   Laura   e  lauro.    

8.  Far  g  o  lett  e._  Essea(lo  Laura  in  età  di  17  o  18  anni,  ai- 
l(irch(i  il  poeta  s'innamorò,  questa  spressione  o  trastulla,  a 
vuol  dire  tenere,  delicate.  12.  Fort  amento,  conte- 
gno, armonia  degli  alti.  Umile,  modesto.  13.  Fio- 
riva, era  in  sul  bocciare,  principiava  a  svilupparsi.  4,5. 

Far  molli,  bagnar  di  lagrime.  : —  6.  f  ince.  strugge. 
=  7.  Ove,  nel  qual  viso.  = — ■  Il  bianco  della  carna- 
gione, della  gola  e  del  petto.     Aureo  delle  chiome.     =    9. 

Ch'    in   creda,  per  quanto  io  credo.  11.  Ordina:  e  m  ' 

2  ra/ja  m  m  a  (quel  che  mai  ecc.)  del  caldo  desio,,  ch'è 
(avviene)  quando  ella  sorride,  mentre  io  sospiro, 
si  eh'  egli,  il  desio  ,  72  icn  t  e  apprezza  obblio,iu>n 
,8i    cura   d'    obblio  ,    non  teme  d'  obbliare  ,  ma  diventa  anzi 

'eterno.    r=    5,  (ì.  W  un  bel  velo,  cos'i  la  vide.    8. 

j/?og  Ti  a  ti,  molli  di  lagrime.     : ti,  :ì.  Al  l  or  al  1 1>  r ,  m 

quel  punto,  frescamente.  : —  4.  Pensare,  pensarono  gli 
Occhi  miei.  =  ti.  Lui,  il  volto.  =  10.  Ora,  aura.  S.  CI, 
3,  2.  =^  7,  1.  Dice  iulinite  le  bellezze  di  Laura,  le  quali  s' 
ingegnò  di  contar,  come  si  annoverali  le  stelle,  ricontando,  in 
Ujuanle  parti  ella,  qual  lìor  dell'  altre  belle,  stando  in  sé  stes- 
sa raccolta,  sola,  unica,  sostanzìevole,  niente  della  sua  luce 
;  perdendo,  sparse  la  sua  luce.  : 8.  A"  è  lo /arò,  non  me- 
ne dipartirò.    ==r  .8,  4.   Sola  per   cui  conforto,  per  lo 

.solo  conforto  di  cui,   del  pensiero  amoroso.      5.  Fero, 

(perisco.  =  7.  Piangendo,  piangente.  ; 8.  Quin- 
ci, dal  conforto  di  que'  pensieri. 

I  C.  XVI.  l  comentatori  dicono  esser  composta  questa  canzn- 
!  ne  nel  1327,  anno  dell'  innamiiramento  del  poeta,  e  tlell'  en- 
trala di  Lodovico  il  liavaro  in  Italia.  De  Sade  però  ne  ripor- 
ta r  epoca  al  1314,  quando  il  poeta  dimori)  a  Parma.  Allora 
la  discordia  interna  regnò  in  tutta  1'  Italia,  da  Napoli  sino  a 
Milano  i  diversi  signori  e  le  città  si  facevano  guerre  coutiiiiie 
e  sanguigne;  ma  un  llagello  piìi  terribile  ancora  erano  le  mas 
nade  e  le  truppe  forestiere  per  la  maggior  parte  tedesche,  le 
quali,  assoldate  ora  da  (|uesto,  ora  da  quel  princine,  porta- 
vano la  devastazione  dappertutto.  Onde  l'eirarra  diresse  que- 
sta canzone   maschia,   magnilica,   e    ponderosa   a'    signori    d' 

Italia.    : 1,  2.  Alle  piaghe,  mirando  le  piaghe    5. 

Tevero,  Arno,  Po;  per  questi  tre  fiumi  intende  tutta 
l'Italia.  li.  Dove.  !\nii  potendo  il  poela  seder  in  un  pun- 
to di  tempo  a  tulli  (jiiesli  liiimi  insieme,  egli  è  naturale,  di 
riferir  questa^  particella  al  Po,  e  di  concliiuderc,  eh'  egli  al- 
lora si  trovò  in  Lombardia,  non  lontano  dal  Po;  cii)  che  s'ac- 
corda  bene  colla  sua  dimora  a  Parma.      : 10.  Cortese. 

amico,  benigno.  : —  II.  L  i  e  v  i  e  a  gi  on  ,  \;ì  fazione  de 
(ìuelli  e  Ghibellini.  =rr:  Ili.  Qual  —  sia,  qualunque  io  mi 
sia  =r  2,  I.  I  oi.  Signori  d'  llalia.  =r-r  10.  Chi  assolda 
più  gente  barbara,  mercenaria,  ha  più  iiemiri  intorno,  rrrr 
13.  Strani,  forestieri,  loulani.  : —  3,  8.  jPere  «c/mg- 
^  e  ,  Tedeschi.  Ma  n  su  et  e  gr  eg  gr ,  Italiani,  tt^  10.  Per 
pili  dolor,  scorno  e  vergogna.  Questo  popolo,  rr^  15. 
Assetalo  il  romano  escrciio  \incilore.  r:^  IU.  .Von  piti, 
ecc.  Fior,  3.  ut  t' i  r  t  o  r  r  o  m  a  n  u  s  non  p  l  u  s  a  q  u  a  e  b  i  - 
b  e  r  i  t ,  q  II  a  m  s  a  11  g  n  i  n  i  »  b  a  r  h  a  r  o  r  II  m .  —  4,  5.  A  g- 
gia,  abuia,  rr^  li.  /  astra  merci:  gra/.ic  al  vostro  bel 
g(nernarc.  Tanto,  Incarico  di  regnar  I'  llalia.  :^—  7.  /'o- 
glie  divise,  discordia,  z^ —  9.  Colpa,  cri  me,  fallo,  (i  in- 
dizio, sentenza,  opinione,  conrello  poliliro.  Itestino., 
fato  crudele,  nemici).  Soppl.  a  (|ueHlo  verso  (■  egli  mai. 
r-^  12.  In  lìispitrte,  fuori  d'  llalia.  rr-  5,  1.  Ilainmen- 
ta  gli  inganni  falli  agli  Italiani  da  L(>do\  irò  illia\arn,  il  qua- 
le, entralo  in  llalia,  fere  arrestare  i  \isronli,  rh'  er.ino  ì 
"iioi  i)artigiaiii  ledelissimi,  e  (|iialcbe  tempo  dopo  rarciò  da 
Pisa  1  fìe\ì  di  ('.islrnrrìo  Caslraranl  ,  n'  quali  aveva  grandis- 
simi obMighi;  che  ihna  ad  intendere  di  soler  combattere,  o 
non  coinb.illex a  ,  ma  srherz:i\a  con  la  morie,  alzando  il 
dito,  come  f.i  chi  giiioca  rolla  galla  già  slizzatn,  accostando 
o  toccandola  leggeniienle  col  dito,  r—  4.  A»  stra  zio,  il  lu- 
dibrio, la  vergogna,  1'  oiila  dell'  impresa,  1'  alto  di  s'r.izinrc. 
Danno,  la  perdila.  z —  B.  l'in  tanto  più.  ,11  Ir'  ira 
contro  a'  vostri  rompatrioli,  no  contro  a'  barbari,  ((ii.il  si  dn- 
V  rcbbo.  — -  7.  Dalla  —  terza.  Ire  ore  sol.iinciilo.  r=r 
II.  Sgombra,  togli  \ia.  Dannose  some,  genie  che  ro- 
vina e  pesa.  - —  12.  fri  nome  —  soggetto.  I.chIon  irò  il 
Uuvarn  aveva  illtgiiimu   imperiò,    dod  ebecndu  »c  appro\iUo, 


COMENTO    SULLE  RIME 


tata  da.  noi  della  sua,  dell'  iinperadore,  gente  ritrosa 
testarda.  =  6,  1—6.  Queste  parole  le  mette  in  bocca  a  si- 
gnori d' Italia.  =  1.  Questo,  queste  riiìessioni.  =  13. 
F»rt«  itala.  Fu  ro  re  ,  tedesco.  z=  T,  l.  Signor ,  Si- 
gnori!  =  4.  Qui,  in  vita.  Partita,  morte.  =:  5.  Ignu- 
da è  sola,  senza  imperio,  senza  siiriion'a,  e  senza  sol- 
dati. z=^  6.  Dubbioso  calle,  breve  trapasso  da  vita  a 
morte.      =:      1-  Questa   valle,   di  lagrime,    questa  vita. 

8,  2.  Cortese  ni  e  71  te,  senza  austerità,  con  garbo.  =rr 

3.  Gente  altera,  signori  superbi  d'  Italia.  zi=:  8.  A  chi, 
a'  quali.  , 

C.  WII.    Intorno  al  1340.    =    1,2.  Segnato   da  umano 

vestigio.   9.  Lei,  Y  alma.  11.  In  un  esser,  in  un 

medesimo   stato.    r=    12.    Alla   vista  di    queste  emozioni. 

'i,  ò.  In  gioco  gira,   siride.    =    9.  Serra ,  serba. 

12.  Ordina.-    ed   in   questo  meditare  trapasso   so- 

svirando  e  chiedendo  or  potrebbe  esser  vero  che 
fossi  caro  a  Laura?  or,  come  serbar  ti  potrebbe  amor  a  mi- 
glior tempo"?   or,  quando  cii»  lìa?   3,  2.  Nel  primo 

«o  s  ,s  o  ,  che  vedo.      : 5.  /"i  e  t  ra  t  e  ,  tenerezza.      :^=     6. 

Dove,  in  che  stato  diverso  dal  primo.  :::=:  4,  5.  Sua  fi- 
glia, E\enn.  Ferde,  posta  a  confronto.  =  \\.  Lt  me- 
de s  ni  o,  in  quel  luogo  isteeso,  ivi  medesimamente.  ^=  12. 
Pietra  morta,  irrigidito  in  istatua.  r=  5,  2.  Maggio- 
re, pili  alto.     Spedito ,  sbrigato,  eminente.    =    4.  Indi, 

da  quel  giogo.    (1.  Condenso,  condensato,  pieno.    = 

a.  Qualità  aria,  quanto  tratto  dell'  atmosfera,  quanto  spa- 
zio. =  10.  Fra  me  diro.  =  ti,  1.  01  tra  qu  et 
f  alpe.    Era  in  Italia.  =r^  3.  R  use  ci  corrente.  Sorga, 

o  Durenza.      7.  £'  immagine  mia  sola,   il  corpo, 

eh'  è  mera  immagine  per  rispetto  alla  maggior  parte. 

S.  C.    1,  4.    Guidar  don,   forma    antica  in  vece  di   gui- 
3,  1.  Immagine  di  Laura,  che  porto  scol- 


Ragion.  la  divina  vendetta.  : —  2.  Nuovo  soldanì 
secondo  alcuni  è  Benedetto  XII,  secondo  altri  l'rbano  V,  se-' 
condo  Biagioli  quel!'  invitissimo  re,  il  quale  nella  21  delle  sue 
epistole  invita  e  prega,  a  liberar  la  chiesa.  So  Ida  no  lo 
dice  per  a\er  detto  B  a  b  i  l  o  ni  a.  =  1,  B  a  Id  ac  e  o  ,  a 
Biagioli  è  luogo  di  prostituzione.  Altri  spositori  intcndonol 
Bagdad.  =  3,  2.  Le  torri,  i  palagi.  =::  3.  Torrier,\ 
preti   e  cardinali   superbi  e  ambiziosi ,  che  dentro  alloggiano.! 

4,  3.  Lui,  il  mondo. 

S.  CVII.  4,2.  Costantin  non  torna  a  ritoglierli  le 
ricchezze  donate.  : — r  3.  Tolga,  se  1'  abbia,  ne  |>orti  il 
danno.  Il  cioè  tutti  questi  vizj,  e  sozzure.  Biagioli  riferen- 
do questo  il  a  mondo,  legge  chi  ''  l  sostiene,  cioè  reg- 
ge e  governa,  e  intende  dio.  Tolga,  dice  esser  tolga  via. 
11  passo  è  oscuro. 

S.  CVIII.  Secondo  Sade  scritto  nel  1345  dopo  il  suo  ritorno 
in  Avignone  agli  amici  in  Verona.  1,2.  Dolce  schie- 
ra amica,  che  1'  avea  accompagnato  sino  a'  confini  del  \c 
roncse  e  del  Bresciano.  =  2,  1.  Mal  suo  grado,  mal- 
grado  di   fortuna.      : —      2.   T  alle   aprica,   seno,    golfo, 

tratto  di  mare.    3.  Mar  nostro  è  caso  quarto,  i]  medi 

terraneo  d'  Italia.  La  terra  è  caso  retto.  Intende  il  golfo 
di  Venezia  ,  ossia  il  mar  adriatico.  3,  l.  Da  man  tn  an- 
ca, perchè  a  chiunque  si  parte  da  una  delle  città  litorali  di 
Romagna  alla  volta  di  Genova,  ii  cammino,  per  rispetto  di 
Venezia,  sta  a  man  manca.  2.  Ei,  il  cuore.  3.  Gerusa- 
lemme,   luogo    di  libertà,     Egitto   luogo  dì  servitù.    — 

4,  1.  Sofferenza,  pazienza.    2.  Fra  noi,  me,  ed  il 

mio  cuore. 

S.  CIX.    1,2.     Seggio    maggior ,    residenza    capitale. 

3.  Nel  la  fronte ,  all'  aperto,  con  più  ardire.    Suppl 

m  i  a. 3,2.  Ordina  :  e  vuole  che  ragion,  vergogna  t 

reverenza  af frenino  il  gran  desio,  e  /'  accesa 
spene.  : 4.  Nostro,  mio  e  quel  d'Amore.  4,1.   Te 


der  don  ,  ^  .  .  _ 

pita  nel  cuore  per  man  d'  Amóre.    i,  \.  S cizi a  e  IS  u       _ 

midi  a,  luoghi  inospiti  e  deserti.  M'  assicura  mi  è  scher-  'menda  il  mio  signore,  se  il  inio  signor  teme,  è  paventoso 
mo ,  mi  protegge.  S.  CX.    1,  1.    Al   caldo   tempo  estivo.      :=      2,  4.  Chi 

S.  ci.      Risposta  al  Son.   di  Jacopo  notajo,  che  incomincia   discerne,    V  anima   giudicativa.     Chi  vuole,  la  volon'=» 
„\ìesser  Francesco    con  amor  sove:;te ,"    e  termina  ,, Voi  che  "    '     »^"-*     -'=         >-.•  .i:  i  o     r/.-_»..     ..„i„ 

fareste  in  questo  viver  greve'?"     1,  2.  Fianco,   cuore. 

S.  LV,  3.  3.  =:  3,  1.  £  vedrei.  Rose  vermiglie,  le 
labbra.  A'ej^e  il  volto  bianco.  =  2.  Ora,  aura,  fiato,  spi- 
ro. //'  avorio,  i  denti.  C.  XV,  6.  10.  3.  i''a  di  mar- 
ni 0  ,  empie  dì  stupore ,  e  disanima.    4,  1.  E  vedrei.    :^^z 

3.  Stagion  pili  tarda,  vecchiezza. 

S.  Cil.    1,4.  Ria,  malvagia.    3,  2.  Contrari  ven- 
ti, affetti ,  desideri. 

S.  ('III.    1,  L   Segno,  bersaglio.     _  : —      4.    Cale  voi. 
Qui  col  quarto  caso  invece  del  terzo  più  solito. 

Cl\  .    l,  1.  A  o  7i  A_o  da  far  guerra,   non  son  capace 


3,  1.  Elli,  gli  occhi  di  Laura.    3.  Virtù,  valore 

4,  2.  Noja  altrui,  la  noja  degli  occhi  di  Laura,   ch< 

m'  hanno  a  schifo. 

Si.  V.    Tarsia  di  concetti  smancerosi,  smorfiosi  e  monotoni 
e  gioco  triviale  di  Laura,   lauro,   aura!    Avendo  amate 

assai  Laura,  tempo  è,  che  serva  a  dio.  1,  2.  s.  Un  dis 

pi  e  tato   lume  eec.    il  pianeta  di  Venere.    4.  ss.  Tic 

pidi  venti  di  primavera  ,  che  rinuovellano  il  tempo  ,   sgombra- 
van  i  poggi  di  neve,   e  fKiiiau   per  le  piagge  1'  erbe  e  i  rami 

=  2,  1.    Rami,   membra.     2.  Frondi,   chiome,     mr 

4.   ,1  r  d  ent  e  l  ume ,  stella  di  Venere.    5.   Tolsi,  volli 

6.  Pianta  —  cielo,  lauro.  Laura.    : —    3,  1.  Cielo 

ili  oppormi.   =^-^    2,  1.  Tal  donna."  : — -    4.  Mi  trae  d' t  rn- i  influssione   ardente    del   pianeta.        : 6.  Che  —  tempo 

paccio,  mi  dà  morte.    3,  3.  Altrui,  Laura.  poste  in  paragone  col  lauro.     •    4,  2.  Cielo,  pianeta.    = 

('.  Wlll.  1,  4.  A  tal  segno.     5.  Onde  il   dt  vien'3.  Soave  —  lume   degli  occhi  di  L.    : 5.  s.  E  quandi 

fore,   nella    parte  orientale  d'  Arabia.    (i.   Un  augel,\ —  poggi,  il  verno  e  la  state,  seinpremai.    rr=    5.  Ogni  cosi 

la   fenice.      : —      14.  ]\ervi,  primiero  vigore.      15.  A'  creata  è  variabile,   in   conseguenza  ancora  il  mio  amore  cain 

prova,  a  gara.    S.  t'XXI,  1.  1.     =r:      2,  1.  Pietra,  cala-i  bìa  d'  oggetto.    ; 4.  R  iv  o  l  gc  n  d  o  —  eie  lo ,  dopo  inolt 

iiiita.    :r=z    2.  Da  natura,  per  n.      : 6.  Quel  bello    anni  scorsi.    tì.Lume  divino,  divina  grazia.  =:  (i,  1.  Dolci 

s  e  o  glio ,  ìia.ura..      z —      9.  Costruzione  :    Così   un  sasso   lume   degli    occhi  di  L.      ti.  Frutto   d'  opre  in  onci 

scarso   piiialrar   carne   chejcrro,   f  alma  ha\A\  dio. 

sfornita  (d'  ogni  nerbo  e  vigore) /m  r  a  n  ?/ o  '' l  cor  che  \  S.  CXI.  .Sade  dice  esser  risposta  ad  una  amica  d!  Laura 
fu  già  cosa  dura,  e  tenne  me  un,  unito,  connesso,  al- 1  che  gli  richiami)  alla  memoria  tinti  i  segni  di  benivolcnza 
legale   e   slretle   le    parti    insieme  ,   c/t'or    son    diviso   e   che  L.  gli  aveva  dati.    iVoii  par  per!)  che  quadri  atfatto  queste 

sparso,  perchè  mezzo  di  me,  e  mezzo  di  Laura.  14.  A'^  parere.     Sembra   piuttosto    che  1'  amorevolezza  d'  altra  donni 

riva,  a  morte.     z=-.     15.  Ad,  da.     : 3,  1.   NelV  e.s  t  r.  |  intiainini    di  nuovo  1'  amore  suo  ili  L.  ,    il  quale  pure  non  ose 

tocc,  neir  Etiopia  occidentale,    r:-^  2.  Fera,  la  caloblepa.    palesare.     =    2,  3.  Abito,  atteggiamento,  contegno.     Ch 
-  <).  Qiial,   Quella  che.    =rr^    4,  1.  Nel\  al  —  sovente  che  fammi  destare 

le'  trogloditi.     : 2.   Fontana.      Plin.    suono  ,  che  quella  di  sospiri.     :^r= 

.  In  sul  giorno,  in  principio  del  gior-    tro,  non  più  fuggitiva,     rrrz      4,  1 

no.    ::=r:    12.  //'oro,  le  chiome.    : 13.    pone,    contraria,   impedisce.     Dovr 

5,  l.  Fonte  di  (Jiove  dodonco  in  E|iiro.    la  mia  lingua.    :    2.  Ella,  hi 


l'iin  H.  \.  8,  21.'r=  li.  Qual,   Quella  che.     —n    4,  1.  iVV/l  al  —  sovente  che  fammi  destare  a  ninna  altra  s(iuilln,  cio( 

711  e  zzo  giorno,  ne'  trogloditi.     : 2.  F  071  tana.     Plin.  I  suono  ,  che  quella  di  sospiri.    :^=    3,  1.  Co7iversa    indie- 

11.  \    2,130.    rm:    4.  In  sul  gior7io,  in  priiicinio  del  cior-    tro.  non  più  fuffcitiva.     rrrz      4,  1.   S'  a  tt  r  a  i>  e  r  s  a  ,  s'  op' 


no  ,  in  sul  farsi  gior 
Jl  II  i  ,  occhi.      =-t: 

l'Iin.  H.  !\.  2,  113.  z=:  8.  /''re  f/ rf  a  ,  cast.i.  =  «,2.  /.so 
le  famose  di  Fortuna,  oggidì  Canarie  ncU'  oceano 
Inori  dillo  stretto  di  Ribellami.  z=r  3.  Ha,  sono.  Dell' 
una,  donde  parla  l'omjionio  Mela,  Tasso  nel  giardino  d'  Ar- 
mida (i.  L.  \IV,71. ,  Ariosto  transferendole  nella  selva  ar- 
denna.  l.  ,1/or,  muore.  =  :>.  Stampa,  investe,  ordina, 
regola,  lorina  e  dispone.  r=:r  9.  Intrude  il  poeta  novo  cseiii- 
|)iu  della  Sorga,  r—  11.  Quest  a  font  e ,  SoT^a..  =:  13. 
Quando,  ecc.  nell'  Aprile.  ==  i.  Chi,  a  chi.  r=  7. 
Per  se  si  riferisce  al  poeta;  perchè  dice  non  v'è  chi  lo 
scorda  tranne  Amor  e  l'immagine  di  Ijatira. 

S.  (  V  .  (Questo  e  i  due  seguenti  Monetti  omessi  in  alcune 
edizioni  sono  diretti  contro  alla  corte  romana  in  Avignone, 
r^  I,  2.  Dal  j  ili  me  dalla  rete  pescatoria ,  alludendo  a  San 
l'Ielro  pescatore,  e   da  il  e   ghiande   dal  pascerti  di  ghian 


rebbe    esser   attraversa 

Laura,  e  la  di  lei  immagine 

o  idea 

S.  ("Xll.  A  Sennuccio  del  Bene.  =  '2,  1.  Trasfor 
morsi,  siippl.  vidi.  rrr-  4,  2.  Poi,  poscia,  dopo  ave| 
veduto  Amore.     Se  cura  dall'  arco 

S.  ('XIII.  1,  1.  Ponimi  in  vece  di  ponmi,  e  simili,  com( 
mos  Ir  animi  ecc.  ci  sembrano  anoinalie  nate  dalla  volubili 
pronunzia  e  dall'  all'inilà  delle  liquide.  Onde  non  caugiaini 
nulla.  Ove  —  erba,  sollo  la  zona  torrida,  all'  equatore 
rT:r:  2.  O  —  neve,  o  sotto  la  zona  fredda.  r-=  3.  Ov^i 
—  leve,  sotto  la  zona  tei»i)erata.  : — -  4.  All'  oriente  o^ 
r  occidente.  ('///  si  riferisce  agli  abitanti  di  quegli  estreoil 
.—    3,  3.  Libero,  da'  suoi  membri,  dal  corpo.  i 

S.  C\IV.  1,3.  Sol,  solo,  f./àun  d'i.  r=:  3,2.  Tile. 
isola    tra   settentrione   e    occidente  oltra  1'  Inghilterra  e  1'  Or 


.,  '  --  I»'.  &<*#•!..         .ILI     |ii.ii  Villi     111     fintili-  i^iriii,       iiii      f.\.iii.iivi|i.ii\.       V       .(..'.uviiiv.     irii.111.     j        .■•^i.iibi'iii»     *.     ■ 

ile,  cioè  dallo  slato  il  pio  povero,    rrrr  3.  Se'  diventata.    r=-  cidi.     Ilattro,   liiiiuc   ne'  confini  della  Sciy.ia  asiatica. 

.i,  l.  I'  anr.tull  e   e    i' e  e  c/ij  ,  cortigiane  e  cardinali.    Iicg-  3.   Tana,   il    Tanai.     A//o,    fiume    d'    l'Egitto.    Atlan 

gendo  con  I   edizione  dt  liandiui  Eir.  jTltì /o  nciu/f»     sen-  nionte    di    Mauritania.       Olimpo,     monte    di     Tetiwai 


te, 

agliài 


DI  PETRARCA. 


Va  Ip.e,  una  delle  colonne  d'  Ercole.  : —  i,  2.  s.  Il  bel  — 
%l  ji  e  ,  Italia. 

S.  CXV.  1,3.  L''usata  legge  dì  moderazione  e  reve- 
renza imposta  da  Laura.      2,  1.  C'fit,  Laura,  che.     =r 

'    Sue  (del  voler)  imprese  ardile.    3,3.  Che,  perchè. 

=    4,  1.  Freddo  —  speme.    Sono  nominativi. 

S.  CXVI.  L  Tesiti,  lìume  presso  a  Pavia.  Varo,à\ 
Liguria;  ^r  no,  di  Toscana  ;  yi  rf  jg^  e,  nel  Veronese  ;  Te- 
hro,  Tevere;  Eufrate  e  Tigre,  d'  Armenia;  Nilo,  in 
Egitto;  Ermo,  in  Lidia;  Indo  e  Gange,  in  India;  Ta- 
na, Tanai  ;  /«tra,  il  Danubio;  ^ //e  o,  in  Arcadia;  Oa- 
ronna,  in  Guascogna.  Il  mar  che  frange,  il  lìume  Ti- 
mavo,  detto  mare  dagli  antichi.  Rodano,  lìume  di  Fran- 
cia; le  ere,  di  Spagna;  Rvn,  dì  Germania  ;  Senna,  di 
Francia;  Albia,  di  Uoemia  ;  Era,  di  Toscana;  Ebro,  di 
Tracia.  =  2,  3.  Mio,  la  Sorga.  =  3,  2.  Onde,  del 
i(uale  soccorso.    3.  A  si  gran  salti,  cosi  presto.  _=rr 

1,  2.  Chi  ti  pianto,  io,  il  poeta.  Pare  dunque  aver  pian- 
tato  un   lauro   in  riva  a  Sorga.      3.  Nella  —  ombra 

del  lauro  piantato. 

B.\.2.  Dolce  riso.  ChechenedicaBiagioli,  il  riso  dol- 
ce inen  duro  si  fa  non  quadra,  perchè  la  nozione  è  stravolta 
B  si  contradice.  : —  5.  Che  fanno ,  a  che  servono.  =^  12. 
Mantener  mia  ragion,  sostener  e  difendere  la  parte  mia. 

S.  CXVII.    Dialogo  fra  il  poeta  e  T  anima.     ^=      1,  3.  In 

r/u  el ,  per  quel,  a  quel.  2,  1.  Che  prò,  cosa  giova.  _= 

3.  Colui  —  governa.  Amore.  3.  2.  yl sdutta   di  la-  i 

grime.  =  4, '2.  Rompendo,  interrompendo,  annichilando.] 

S.  CXV'lIl.  1,3.  Fosco  e  torbido  pensiero,  meno 
onesto,  o  tristo  come  S.  CXX,  3.  2.  =  2.  i\<in  fumai  da 
divina  luce  occhio  mortale  si  vinto,  come  il  mio  dal  raggio  di 
quegli  occhi,  do\e  Amor  ecc.  Dunque  luce  div.  e  raggio, 
alt.  sono  nominativi;  mortai  vista  e  la  mia  accusativi. 
: —    4,  1.  Indi,  da  quegli  occhi.    Si  vanta  il  poeta. 

S.  (J.XIX.    1,  4.    Inforsa,  pone  in  forse,  o  in  dubbio.  = 

2,  1.  Smorsa,   mi  trae  il  morso,  mi  sfrena,  lìbera.    =    2. 
2'ra    due,  tra  il  s"i  e  il  no,  tra  speme  e  timore.    :=     4,  2.  j 
Manca,  vien  meno  per  gli  atfanni.  | 

S.  CXX.  1,  2.  Co  7)  tenf/ e,  impedisce.  =  2,  1.8.  For  e, 
di  quello,  fuori  de!  cuore.  : —  3.  Se  pur  ecc.  ancorché  ^ 
la  di  lei  asprezza,  o  il  fato  mìo  acerbo  ra'  offende,  non  mon-  ] 
ta ,  perchè  non   spereremo   almeno,   né  saremo   piii  in  errore. 

4,  1.  Io  SCO,  con  \oì.  2.  E  ria  ecc.  e  puo_  tran- 
quillarsi il   tempo  ,  per  quanto  conosco  dagli  occhi  di  lei.  | 

S.  CXXI.  1,  1.  A  prova,  a  gara.  V.  XMll,  1,  15.  Tasso 
G.  L.  XllI,  77.  W,  12.    =      2.  Lume  degli  occhi  di  Laura. 

3.  Si  specchia,   compiacendosi,     i^i;     2,2.  S'assi- 
cura, si  arrischia  dì  mirarla,    rzir    4,2.  s,  Or  qual  è  quella} 
BOinma  beltà,  che  non  ecciti  impura  voglia,  se  non  questa'?     | 

S.  ('XXll.  (Questo  e  i  tre  seguenti  sonetti  trattano  del  pian- 
to dì  Laura.     2,2    f  otse,    volle.     Fo  s  a  i  a  v  e  de  r  l  a 

Ja  vedessi.    =rr    3,  3.  Entr'  un  diamante,  indelebilmen- 
te.     =      4,  l.  Salde    ad   ing  egn  os  e  chi  a  v  i  ,  tulli  gV 
ingegni  della  mente  innamorata,   come  rimembranze,   sperau- 
! ,  desiri  ecc. 

S.  CXXlll.  2,  4.  Farian  gir    ecc.  come  Orfeo.   =   4,  3. 
Av  ea  pie  n  ,  era  colmo. 
S.  CXXIV.    1,  1.  Acerbo,   luttuoso.    =    2.  Mando  al 

cor,  impresse   nel  cuore.    4,  1.  Ferie  i  denti.    Rose 

le  labbra. 

S.  CXXV.  1,  1.  Uve  che,  ovunque.  =  2.  La  va-' 
g he  zza,  il  desio  vago,  \agante.  =rrr  3.  Chi,  un  pensier 
che.  Ivi,  ovunque  io  posi  o  giri  gli  occhi.  r=  2,  3.  O/- 
f  ro  /a  I' !  o  f  n  ,  olire  al  dilitio,  clie  n'  ha  la  vista,  anche 
agli  orecchi  lìgura  e  abbelli.'-ce.  =rr  3,  1.  Amor  e  '/ 
ver.  vero  amor,  non  olFiiscato  od  ingannato  da'  sensi. 

S.  CXX\  1.  Sotto  a  questo  sonetto  scrisse  P.  /i  o  e  de.  di 
Jacobo  Ferrnriensi  porlundum  T homasio  VXifi, 
(Jet.  IH.  Sono  idee  platoniche,  nrrr  1,  1.  Idea,  prototipo, 
ente,  immagino  dijiinta  nel  divin<i  intelletto,  donde  le  monda- 
ne cose  sou  ridesse.  :^—  2,  4.  La  somma  di  tante  xirtu. 
S.  CXXVII.  2,  1.  Rei  sert  n,  fronte  serena.  ==  2.  Stel- 
le fide,  ocelli,  lido  e  sicure  scorte.  nr-  3,  2.  s.  Preme 
col  —  cespo,  non  puossi  altrimenti  intendere  se  non:  sdra- 
iala s'  appressa  col  suo  seno  al  verde  cespo,  di  modo  che  lio- 
rcttì  si  chinino  al  di  lei  seno.  Se  no,  il  poeta  ha  mancala 
r  immagine.  Ci  spii  alinciwi  non  par  possa  esser  un  maz/olin 
dì  fiorì  e  frondì  ;  né  (|ui>to  polrelibe  prrmerHÌ  col  seno,  al 
seno  SI.  r: — :  4,1.  Stagione  acerba,  prinia\era.  S.  ('L\  II, 
I,  t.  0.  XII,  I.  4.  — —  3.  Cerchi»,  ghirlanda  di  liori  e 
lri)ndl.     Oro  terso  e  crespo,  bionde  e  crespe  chiome. 

<  CWVIII.  2,  I.  Froii  de,  nUtìTii.  zr—.  'i.  (i  emino, 
delle  anni  e  delle  lellere,  d'  imperadori  e  di  poeti.  =  4,1. 
.N  II  <l  r  ,  spogliate  della  carne. 

S.  (;\M\.  1,2.  Preferiamo  colle  micliori  cdi/ìoni.con  Paslel- 
Mlro  e  Mnrsand  ;i  en  sa  n  do  ,  colne^.('^\^  H.  la  pn  n  s  a  n- 
d  II ,  ch'i-  trcdilo  e  ijuasi  taiilologo.  rr—  3,  3  l'r  r  n  di  —  I  u  in  e, 
li  lai  limpido  e  chiaro  dal  chiarissimo  lume  degli  occhi  dì  L. 
ij:-:  4,  2.  /7i  l'oi,  contrada  e  linnie.  Scoglio  duro,  inuoime. 
S.  C'.W.     1,  2.  Scorgi,  gnidi. 

S.  CXXXI.  I,  4.  Senz'onda,  non  ngltnlo  del  vento,  rrr: 
i,  l.  Sfaoe,  dìitfa ,  cuuHuma.     ==     3,3.  l  aa  —  jf  un g i:\vct  rii>p 


V    M-    ,        O.         1.^. ««    ,        >....^.    ..--V...     ,         .^.«^^^.«.  - 

suppl.  innaffiato,     o    simil    parola,    di 
sorge  il  castalio  fonte,  ch'é  a  pie  del  Pi 


Allusione  a  Telefo  ed  Achille.  =r=  4,  1.  Riva,  termine,  fine. 

S.  C.XXXU.  1,  1.  Come,  quando,  tosloché.  =  2,  2. 
Altrove  in  cuor  villano.  =  3.  Piove  S.  CXXI,  2.  4. 
=  3,  3.  IT  a  rr/o,  grave.  =  4, '3.  A  u  g  el  notturno 
al  sole,  abbagliato. 

S.  CXXXllI.  1,  1.  Sp  elunca  delfica.  Dice:  s'io  avessi 
insistito  negli  Btudj  di  poesia.  =  3.  Avria.  Anzi  l'ebbe 
in  Claadiano  e  più  in  Dante,  di  cui  pur  sembra  esser  stato 
un  poco  geloso.  V.   Ugo  Foscolo  saggi  sopra  il  Petr.  e.  203. 

4.    r  e  r  on  a,    eh'   ebbe  Catullo,   Mantova  Virgilio, 

A  rune  a  Lucilio.  : —  2,  1.   Terren,  ingegno.    S' i  n  g  ìun- 

ca,  sì  feconda,  rifiorisce,  verdeggia.    2.  Dell'  umor, 

d i    q uè  l    sa s s o ,   onàe 
■"arnaso.    Altro  pia- 
neta, che    Apollo.      4.' Lappo  le    e  s  f  ec  e  ft  i ,  versi 

nudi  di  grazia.    3,  1.  L'   oliva,  albero  di  Pallade,  qui 

per   ingegno.      3.   Ella,  1'   oliva.      =      4,2.  Ruon 

frutto,  poetico. 

S.  CXXXIV.  1,  2.  I  vaghi  spirti,  il  fiato  non  costretto 
a  formar  parole.  3.  Con  le  sue  mani  è  concetto  gros- 
so e  inetto.  Chi  mai  comprende  Amor,  che  coglie  con  le  ma- 
ni gli  spirli  vaganti  in  un  sospiro,  e  gli  scioglie  poi  in  voce"? 
IVè  i' 0  e  e  addita  canto,  ma  suim  di  ^òce,  parlare.  ^=r  2,  3. 
Or  —  spoglie,  or  io  mi  morirò.  4.  0  n  es  t  a  ,  glo- 
riosa.        3,  1.  s.  Ordina  :    ma   il   suono,    che  —  lega, 

r  affr  en  a  /'  anima  presta  a.  d. ,  col  gran  d  e  s  ir  d 
esser  beata,  udendo  quella  voce  divina.  :=  4, 1. 
Avvolge,  agglomera,  aggueffa,  avvolge  al  fuso.  Spie- 
ga, dissolve  dal  fuso.  •; —  3.  So  la  —  del  del,  perchè 
tre  erano  marine. 

S.  CXXXV.    1,1.     Quel   dolce  p  ensicr,  che  Laura  m' 

ami.      2.  Secr  e  tario  ,  confidente   di    segreto.     Noi 

\due.  Amore  e  me.  =^  2,  3.  1  ntr a  due,  in  dubbio  =i 
3,  1.  In  questa  guisa,  o  maniera,  ora,  stagione,  cioè  in 
tanto,  in  questo  me^itre.  2.  La  stagion  ecc.  la  vec- 
chiezza.        4,  1.    Sia  che  puh,   seguane  quel  che  vuole. 

Sol  io  non  invecchio,  ma  Laura  ancora. 

I     S.  CXXXVl.    1,  1.   f  ago,   giocondo,  dilettoso,  bello.    

}  3.  A  —  i  rivolo,    dimeniìcandomi    intieramente    di  me.      =: 
2,  3.  Conduce,  guida  a  guisa  di  capitano  contro  a  me. 
j     S.  CXXXVll.    1,2.  Le  mie  fide   scorte,   lagrime,  so- 
spiri, ecc.    =    2,4.  Quei— far.   Amore.    =    'i,  2.  Al- 
tro che,  fuorché  ,  se  non. 

j  S.  CXXXVIII.  2,  1.  Questa,  Laura.  =:^  2.  Rompre, 
rompere,  voglion  che  sia  a  posta  scelto  per  ritrarre  la  durezza 
dell'  alto.  =z  3,  3.  /,  '  altro,  il  resto  dì  lei,  il  corpo. 
I  S.  CXXXIX.  2,  1.  Ne,  dal  petto.  =  4.  Refute,  rifiuti. 
S.  CXL.  1.  2.  Od'  è  sdegno,  che.  rrr:  4.  Nel  —  ter- 
\reno  ,  Iiaura  bella,  rr^  2,  1.  Amar,  amaro.    S.  CXLIl,  1.4. 

2.  Quanto  —  oroi^n  a  di  che  bre\  issima  durata  è  ogni 

diletto    dì   quaggìii.     =    3,  1.   F, stremi  duo  contrari  e 
misti,    spron    caldo    e    duro    freno,    allrazìone  e  repulsione. 

4,  1.    Ma  pochi.     Si  potrebbe  supplir  dal  precedente 

I  verso /ra.    r^-    2.  Il  più,  le  più  volte,  il  più  so\eule. 

S.  CXLl.  2,  2.  Sol,  o  perchè  nìssuii  altro  sentiva  amor  »\ 
I  nobile,  o  meglio  perchè  Laura  non  è  ferita.  ==  4.  Co-i 
\queir  istesse  arme,  gli  occhi  e  l'arco,  rrrr  3,  2.  Pi  il  duri, 
'letiferi.  =—.  3.  Di  saetta,  minore  e  lieve.  Spiedo  mag- 
'giorc  ed  ampio.  Sente  un  po'  dello  sforzo  della  rima,  e  dì  bur- 
i Fesco     4,  3.  Orato,  d'  oro,  infallibile,  certo,  o  caro. 

S.  CXLII.    1,  4.  Amar,  amaro.    S.  CXL,  1.  2.     zr-z     2,  2. 


Spirti,  accenti,  parole.  r=^  3,2.  /  n  f//  dal  luogo  so- 
vraccennato. =  3.  fé  s  prò  tal  ecc.  Misura  d"  un  giorno, 
la  vita  intera.  Per  tempo,  a  buon'  ora,  in  sul  principio 
del  di.  4,  1.  Oi  tonlan,  sì  riferisce  al  timpo,  come  in- 
di  al  /oro  del  versetto  1.  ..      .,  .       . 

S.  CXLlll.  1,2.  Onf/e,ove,  pe  quali.  L'omrniea  or- 
me, uomini  armati.  =r^  4.  //  sol.  Laura.  =  3,  1.  Ore, 
aure.  ::=--  4,  l.  Raro,  rare  volle.  =  3.  Se  non  eh  io 
son  tropo  lontano  da  L. 

S.  CALIV.  2.  2.  h' i  e  r  ,  ferisce.  .^  on  accenna,  non  f.l 
vista  r —  2,4.  Schivi,  malinconici.  : —  ."{,  1.  0.-<rura. 
pericolosa,  fatale.  :::—  2.  Onde,  da  che  luogo  pericoloso. 
Con  quai  p  in  me  tV  Amore  tenere,  leggiere,  =  4,  1. 
;  /  bel  pa  cse,  Avignone.  Il  —  fi  u  m  e  llodano.  :=  3. 
Si/o  ,  del  cor.  .  „     ,  , 

S.  CXL\  .    2,2,   Tn^o  ,  inquieto,    r—    3,   Il  suo  sommo 

piaci  r,  i.anra,    r —    3,  1.  /.e,  alla  mente.     /  ado,  gnndii. 

varco  per  uscir,    cioè  o  morte,    o  al  primo  vero.      =r-       I.  I. 

l/ln    s  u  II    lunga    e    mia    ;;j  o  r  t  e  ,  cioè  alla  doppia  della 

mente  e  del  corpo. 

S.  (AL\I.  Ilisposta  ni  sonetto  di  Gerì  Gianflglinr.zi  „Mcs 
per  l'raorrsro,  rhe  d    amor  sospira."  r^-  2,  3.   /    miei  occhi. 

S  CM.MI.  Strillo  nel  riJ.'>.  rrr^  1,  l.  // o  »  r  o  r  ;  <;  ili 
mi  ,  il  corpo.  .-—  2.  1.  Senza  —  or -.a,  senza  pirparsi 
1  dall'  uno  all'  nitro  lato,  come  nn\e,  essendo  poggine 
\orza  propriamente  due  funi  di  qua  e  di  la,  e  per  esl^iMo- 
ne  ì  lati  ,  o\o  sono,  o  onde  spira  contrario  il  \eiilo.      :  •»_. 

//  aur,  a  fronde.  Laura.  r-rr  3,  2.  Il  rorsojlel  lo  e 
I  verso  oriento,     z —     3.   Pi  h  bri  lu  m  e  ,  l.niira.      .  4.  1. 

\Snl  corno,  su  1'  onda  Ina  superba.     Corno  de   lìnml  si  Olr^ 

ir   riiipelto  del  \iolento  correre  con  gran  fracasso.      i. 

§§§ 


COMENTO  SULLE  RIME 


i'  altro,  mio  essere  eterno.  ■ —  3.  Sog giorno,  Val- 
chiusa. 

S.  CXLVIII.    1,  4.    Ombre  triste  —  liete.     Frasi  tor- 

jiiati',  perchè  concetti  toniiati  e  sofisticati!    : 2,  3.  Note, 

richiamo,  qui  parole,  e.  4, '.i.  : 3,  3.  Avanza  iu  candore." 

S.  CXLIX.  Risposta  a  quel  di  Cino  da  Pistoja  ,,Ainor  coni' 
ha  ferilo  di  suo  telo."    2,  1.  Trema  —  arte   il    cuore. 

8.  il  concetto  è:  trema  ed  arde  ii  cuore  come  donna,  che 

cerca  di  celare  uom  vivo,  grande  e  inquieto  in  semplice  ve- 
stito non  ampio,  o  sotto  picciol  velo.  E  dice,  non  poter  smen- 
tirsi   o  celarsi  la  gelosia.    Ma  il  concetto  è  manco  ,    scemo  ,   e 

sbieco.    3,  1.  La  prim  a  ,  d'  ardere.     :=    4,  1.  Z»  '  tó /- 

tra ,  di  tremare,  la  gelosia.  _  n^_  2.  Ogn  i  uotn  pareg- 
gia, tutti  rimira  d'  un  occhio,  li  fa  uguali.  Il  mìo  bel 
fuoco.  Laura.  r=  3.  Chi  volar  pensa  del  suo  lu- 
me ìli  cima,  colui  che  spera  da  lei  preferenza,  oh'  ambisce 
favor  particolare. 

S.  CL.  2,  1.  3.  Divide  gli  occhi  suoi  da  mercè , 
torce,  distoglie  da  mercè,  non  guarda  con  occhi  pietosi.  Frase 
contorta  I  Ì>  i  m  o  r  t  e  ,  l  à  d  o  v  '  o  r  m  ''  a  s  s  e  e  u  r  a ,  a  1 1  o  r 
mi  sfide,  siccome  ora,  mostrandosi  Laura  pietosa,  mi  pre- 
serva dalla  morte,  cosi  mi  stìderebhe  a  morir,  allorché  non  si 
mostra.^se  più  pietosa.  r=  3,  3.  i>  '  antiche  prove,  spe- 
rienze  intorno  alla  trop{ia  baldanza. 

S.  GLI.  1,  3.  Giur ati ,  congiurati.  : 4.  C/j'  io  mo- 
ra,  perchè  la   vita   mia  dipende  dalla  sua.     2.  Natura  1' 

ha  fatta  di  s"i  tenera  e  delicata  complessione,  che  non  potrà 
resistere  agli  assalti  d'  un'  infermità.  : —  3,  1.  Lo  spir- 
to ,  Y  aura  vitale. 

S.  OLII.     1,  1.  Dell''   aurata  piuma,   chioma   d'  oro, 

: —     3.  Monile  di  trecce.      2,  3.  Indi,  dal  diadema 

naturai.  =:  4.  Alla  più  algente  bruma  nella  più  ri- 
gida stagione.  r:=r  4,  1.  Odorato  per  1'  incenso,  la  mirra, 
la  cassia  ed  altre  piante  odorifere. 

S.  CLIII.     1,  4.  i'un    stil   con   V   altro   ogni  modo  dì 

comporre,   di  concepire.     : 2.1.   Turbato,    perchè  privo 

di  fama.  : 3.  Quel  che  resse  ecc.  Augusto,  a  cui  Virgi- 
lio dedicii  r  opra  sua.  4.  Quel  —  Ef^isto,  Agamen- 
none ucciso    da    Egisto.     Perchè    Egisto   è    qui   nominativo. 

3,1.  Que  l  fi  or  ecc.  Scipione  Affricano.  : — -  2.  Que- 
sto novo  —  bellezze,    Laura.      :=      4,  1.  Di  quel,  di 

Scipione.     2.  Di  (juest^  altro  fior.  Laura.      3. 

Oli  si  riferisce  a  fior.  Altre  edizioni  hanno  le  che  si  riferis- 
ce alla  i>ersona. 

S.  CLH'.  3,  i.  Che,  perchè  lei,  che  sarebbe  stata  d'  Ome- 
ro dignissima  —  onora,  cioè  Virgilio ,  una  stella 
tìifforme,  dilferente  e  infelice,  e  fato  sol  qui,  in  que- 
sto caso,  o  punto,  reo  colpevole,  commise  per  esser  lodata 
e  celebrata,  a  tal  che  ere. 

S.     CLV".     1,  2.  Or  sola  —   verdeggia,  perchè   scrisse 

d'  inverno.   — —  3.  Adorno  male,  bella  guancia.    : 2,  4. 

Toi,  togli.      3,  1.  Umil  colle,  dove  nacque  Laura. 

:=    4,  1.   Tolte,  toglie. 

S.  CLVI.  1,  L  Colma  d''  obblio,  in  profonda  obbli- 
vìone  dì  sé,  alla  trascurata.       : —      4.  //  signor.   Amore. 

=  2,  2.  Il  fin,  V  esser  tranghiottita  dall'  onde.    4,  L 

I  —  «  f^  n  t,  gli  occhi  di  Laura.    z^:=i    3.  Por  t  o  ,  salvezza. 

S.  CLVII.  1,  2.  Duo  roma  rf'  oro  figuranti  i  biondi  ca- 
pelli di  Laura.  =r  3.  Due  riviere,  Uruenza  e  Rodano. 
=-rr  4.  Stagion  acerba,  primavera.  S.  CXXVII.  4,  1. 
==  3,  1  3.  A  f  s  s  u  n  m  i  tocchi,  l  i  b  er  a  f  ar  ni  i  al  — 
parve.  IVolì  me  tangere,  quia  Caesaris  sum.  : —  2.  Dia 
manti  e  tojiaz.ì  dimostrano  la  freddezza  e  la  fermezza  di 
Laura,  rr-:  4.  1.  Era  il  sol  ecc.  Figurando  la  vita  in  un 
giorno,  il  cui  mi'/zo  determina  quello  del  vivere,  e  questo 
essendo  d'  anni  70,  la  meta  è  circa  di  35.  Laura  mori  di  34 
anni.  ■=  3.  Caddi  nell'  acqua,  me  sciolsi  iu  lagrime. 
Sparve  ,  nior'i. 

S.  ("LVIII.  '.',  3.  Ora  beatrice  aura  alletlatrìce  e  beati- 
firan(e.  .S.  (JXLIll,  3,  1.  CI,  3.  2.  C.  XV,  (i.  10.  S.  LXXXVl, 
3.  I.  La  lezione  or  beatrice,  come  la  sposizione  della  pa- 
rola ora  per  spazio  determinarli  di  tempo,  sembrano  poco 
coiivenicnli.  :rr=  3,  1,  Suo,  ilell'  ora  beatrice  del  mio  pen- 
eier.    rrr^    2,  3.  Alcun  —  odore,   come   i   favolosi   astormì 

dì  Plinio.    ~ —     4,  1.  Di  foco,  come  la  salamandra.    : 2. 

Dolzor,  qnalilii  al  gusto  conveniente.  'i.  Alma  vi- 
sta, aspetto  nutritivo. 

S.  (;LIX.  2,  I.  Innostra,  adorna  d'  ostro,  invermiglia, 
r::^    2.  Abito,  alieggiamento,  portamento. 

S.  (;LX.     1,   4.    li  i  h  (I ,   bevo;   come   iin^cia    de  scriba,   e 

ilclibo   Hon   f'inne  lalii.e.      2,3.  liatto,  rapito.    : — 

4    Doppia,  del  mirare  e  del  sentire.      4,  l.  In  men 

d'  1/  71  va  l  III  ■).  IH'!  vi« 
C'L> 


S.  (/'lAl.  1,  1.  /  poggi  di  Provenza,  dove  fu  ricondotto 
da  Amore.  :^ — -  4.  Pofifri,  salga,  monti,  il  cammino  delle 
pene,  come  della  fama  essendo  .-ispra  ed  esigendo  nforzi ,  non 
vedo,  perchè  >-iii  da  biasimare  r|uesta  voce,  ("hi  lo  crede,  1' 
interpreti  con  crescere,  come  Hiagioli.  r^  3,  2.  A  lui,  al 
mio  sole.  : —  4,  1  Chiedere'  ,  chiederei,  cliiedrei 
fii  legge,  secondo  che  1'  elisione  è  o  più,  o  meno  libera  {chic 
d  e  r  e  '  a  H  e.) 
,S.  CLXII.    1,  l.  Di  di  in  dì.    Cacofonia!    Viso  e  pelo 


k 


color  del  viso  e  de' capelli.      =     2.   Smorso,  traggo 
morso.     Dolce,  dolcemente.   =    3.  Sbranco,  mi  disbi 
da    verdi  rami.     r=:    4.  Dell'  arbor  ecc.  il  lauro.  =z= 
Oh  ecc.     Il   tempo  avesse,  che  non  corri-poude  a  7n  i  d 
osso     se   non    vogliamo   dirlo  accomodato  alla  rima,    mo-tn 
che  il    poeta  s'  interrompe  con  una  esclamazi(uie  desiderativi 
==    4,  1.  In  prima  piuttosto. 

_S.  CLXlll.  1,2.  f  lemme,  mi  viene;  come  dirmm 
mi  die';  tieni  me,  mi  tiene.  =t  2,  1.  Altri,  Laura,  rr 
2.  Sdegno  di  Laura,  o  del  marito.  Gelosia  del  mari' 
==  _  3.  Or  ch'ò  maritata.  =  4.  Allora  eh'  era  anc 
giovinetta.     Or  terso,   ornamenti   aurei.    Forse  sovra 

terso  bionde  è  più  bionde  che  or  terso.     4,  1.  To 

sei  e,  le  torse,  cioè  le  chiome. 

S.  CLXIV.    1,  LX'  aura  celeste,   il   fiato,   che   fnrr 

le  parole,    i —    4.   T  ardi  r  est  aur  o  ,  riacquisto.   2, 

Nel  gr.  V.  m.,  in  Atlante,  re  di  Mauritania.    =    2.  Se 

ce,  smalto,  pietra,  monte.     ; 3.  Dar  crollo,  diviucl|iiK 

larmi.    Nod_o,  delle  chiome.    : —    4.  £'   ambra.    Kon  a  = 
pare,  cosa  si  voglia  Biagioli  colle  parole  non    che  V   on 
ora  rischiari.    Sarebbe  mai  una  svista"? 

S.  CLXV.    1,    1.   Spiega,   spande.     J  ibra  fa  folgora 

scintillare.    z=    2.  L'   auro   ì  capelli  biondi.     3.    L 

da'  ecc.  nel  luogo  movente  là  da'  begli  occhi,  cioè  la  front 
=    4.  Cribra,  scuote.  —    Tutto  il  concetto  di  questo  ((Ui  w 
ternario  par  confuso,  e  sbieco.    L'  aura  lega  il  cor  /  a|L 

so,  e   i   levi  spirti  cribra'^   E  come  mai?      2, 

Fibra,  vena._  z=:  3.  s.  Dov'  è  ecc.  Laura.  =  3,  „ 
f  eden  do,  si  riferisca  a  pur  eh'  io  in'  oppresse.  S 
no ,  punteggisi  dopo  libra,  e  congiungasi  vedendo  —  ti 
noi  posso  ridir,  come  son  preso,  e  come  m'  accendo.     Al 

Inra  dopo  manco  si  ponga  vìrgola.      4,  2.  Due  luci 

r  arder  de'  lumi,  e  il  folgorar  de'  nodi. 

S.  CLXVI.  Quattro  sonetti  su  di  un  guanto.  Scritti  n^ 
1338,  ricorretti  131(3.  ^rr  2.  Ordina:  o  diti  schietti  sod 
vi,  colore  (coloriti  a  giusa)  di  cinque  perle  orienta 
li,  e  sol  acerbi  e  crudi  nelle  mie  piaghe,  Am  o  ri 
consente   or   esser   voi  o   tempo  ig nudi,  per  arric 

e  hi  r  mi,  o  farmi  felice.      3,2.  Fresche   rose,  dit 

rosseggiane  neir  estremità.    4,3.  f  i  en  ,  convien. 

S.  CLXVII, _  1,  2.  Si  riveste  del  guanto  restituito.  =^ 
4.  Piano,   dimesso,  umile,  facile  a  lasciarsi  strìngere  a  nio" 

do  loro.  : —  2,2.  Nove,  pellegrine,  non  vedute.  '.Ì.Abi 

to,  attegffiamento.   : —  3,  2.  Perle,   denti.    Rose,  labbra 

S.  CLXVIll.  1,  2.  Trapunto ,  guanto  ricamato.  ==:  3,  3 
Cantra  lo  sforzo.  Dunque  fu  costretto  da  Laura  a  resti 
tuirle  il  guanto.  : —  4,  2.  Fer  far  ecc.  serbando,  o  noi 
rendendo  il  guanto;  lo  che  era  vendetta,  perchè  non  si  arren- 
deva alla  di  lei  ^  ogiia.  Del  lasciarla  ignuda  esposta  al  freddi 
e  al  sole  non  par  che  si  tratti. 

S.  CLXl.V.  1,2.  31  uve,  nasce.  =r:z  2,1.  Alzato  it 
braccio,  avendo  alz.  ;  costruzione  latina! 

S.  CLXX.    1,2.    Si  anzi ,  sicuramente.     : 3.    T'orre\i,\i 

che  lo  credesse.     4.  E  si ,  ancorché.    S.  CCXXIV,  2.  2 

2,  3.  Se  —  stella,   nemica,  se  io  non  fossi  sciagurato. 

: —  4.  Ordina:  per  e  A'  io  veggio  nel  pensier,  antl 
veggo  nella  mia  mente,  o  dolce  mio  fuoco,  fred 
do  M  n  a  /in  g' «a  mia  per  esser  morta  ,  e  due  begli  oc 
chi  vostri  chiusi  per  morte,  rimanere  pieni  di  fa 
ville  pur  dopo  noi,  dopo  la  morte  nostra. _  Anche  questo 
concetto  è  contorlo  e  men  chiaro,  volendo  egli  dire  semplice 
mente,  anti\eggio,  che,  quando  sarem  morti,  voi  ed  io  ,  nien- 
te avanzerà,  che  i  versi  mìei,  che,  cantando  i  vostri  occhi 
belli  chiusi,  potrebbero  inlìauiraar  forse  mille  anime  tenere. 

S.  CLXXI.  1,  3  ss.  Tu  —  sante,  udito.  =  2,  1.  ss.  Per 
nessuno  qualsivoglia  gran  bene  propostovi  non  vorreste  voi 
esser  venuti  ante  (prima)  ili  Laura,  o  poscia  al  e  a  in- 
ni in  della  vita,  che  si  tiene  sì  male,  dall'  uomo,  perchè  al- 
lora non  a^  reste  tro\ati  i  duo  begli  occhi ,  né  le  vestigia ,  i 
begli  esempi  e  le  chiare  virtù  di  L.  r=  3,  1,  iSi  chiara 
luce  dei  begli  occhi.  Tai  segni,  orme  iiipressc. 
2.   /  ia  gin  di  vita.    r=    4,  l.  Sforzati,  slanciati. 

S.  ("liXXll.    1,  4.  Ora,  aura,  refrigerio,    rrr:    3,  3.  QueAn 
sti,  costui,     ('os'i  scrivono  1'  edizioni  bodoniana  e  bandinina,    e 

C.  XIX.    Protesta  con  iinprocazioni  contro  all'  aver  egli  det-   } 
to  d'  amar  altra  donna  sotto  il  nome  di  Laura.    La  forma  del   'i 
la  canzone   è  provenzale,    tornando  in  tutte  le  stanze  le  stesa*    " 
rime,    r^-r    2    1.  Le  a  ur  ate  qua  dr  e  1 1  a  A'  Amore  acccn    «< 
dono  amore,  le  i  in  pi  u  ni  b  a  te  odio.        rmr       4.  Chi,  Lauri     « 
che.     Cieca   farri  la,   torbido    e   scuro   sguardo    di  Lanrafl™ 
Si    potrebbe    àncora  che  fosse  ardor  invisibile,   nascosto  sotti 
r  aspetto  di  freddezza  e  indilferenza onesta.  =r  l.Come  suo l. 
sdegnosa,  e  ritrosa  .rr^  3,  2.   t  ia  di  vita.  =3.  Disvia  da 
cauimin  dritto,     rr—    G.  Sua  sorella.  Luna.    =   9.  Qual 
vide,     r— :    4,  5.  Torrei  adorar,  scerrci  ad  adorar.     Dan- 
te Sestina    unica  G.      =-      9.  F  o  r  se  '  l  far  ri.    Modificar 
ecceso  di  passione.    =    5,  1.  Dolce,  dolcemente.      =-      3. 
Stanca   navicella,   vita   tormeutTta.      =z=:      5.    Solia, 
soleva.     =rr    ti.  Fi  il  non  potei  perdere,    .i^rr    7.  Che  per- 
ciocché.       rr=        6,3.  Si  r  i  ni  an  ga  in  se  1 1  a  ,  come  gio- 
Btraulc  vincitore.    =    7,3.  Sosterrei,  non  par  eh' abbiéi 


DI  PETRARCA. 


ieve  e  graziosa  tinta  ironica  ,  come  vuol  Bìagìoli ,  anzi  accen-    ra ,  spiro,  fiato.    =rr    3.  Q«e  ?/a.  Laura ,  o  la  nube  di  cru- 

a  il   corp.fgio  (li  durar  mudo  inu^^itato  e  s^piiventevole   di  ino- 'deità  che  mi  cela.     Altrui   ad   altri.      :}^  1.    Per  r.i  e 

ir,    d'  esser  trasportato   in   cielo    su  di  un  carro  fuoroso   con   pjpfnfe,  suppl.  nò  per  ine  p.     : —    4,  2.  Che,  affinchè, 
avalli   fuocosi ,   come   tocco    dal   fulmine   {'i  Ke  ,  2.  11).     E  si  i     S.  CLXWII.    'i,  2.  Quanto,  per  quanto  tempo.     In  ter- 
oiicorda    benissimo   cjuest(i    abbruciarsi   con  un  amor  ardente,    ra   appare,   vi\erà.     =      3,  Poi,  poscia  che  sarà  mona. 

C.  W.    Simile  al   S.  XXXi\,   composto    nel  13-li),    cangiato    3,  1.  Come  se  natura  ritoglieste  ecc.  tanto  ecc. 

el  i:5tia  ===  1,  ?,.  Ingegni,  ani.  =  5.  A  che  segno,  s.  CLXXXIU.  1,  2.  Questo  verso  si  riferisce  a  tutto  quel 
d  arte,  Cloe  d    involar  qualche  sguardo.     =r       12.  Z,  o  «n /,  Lh'    è   detto    nel  quaternario.      =      •£,  1.  Qu  e  1 1  a  ,   Kurlr., 

arte,  il  costume.  =  2,  5.  telato  rfi /or ,  in  appa-  -_  2.  Nel  cui  ecc.  perchè  ogni  notte  torna  infallibilmente 
eiiza  indillerente.  =  6.  Z,  0  r  gli  occhi,  .i  a  r  i ,  Laura.  ì  a  Tilone.  Erra  del  resto  chi  crede,  che  per  racion  metrica 
—  13.  j;  non  poter  viver  aknmeulK  =  3,  o.  Ange-Ui  abbia  da  iegsere  0  invece  di  ni-  essendo  ella  que,-ta:  nel 
iche  faville,  hegh  occhi.  ==  7.  ^y.ow^o  ecc.  da  ye-\cuia  1  mor  non  I  fur  mai  in  I  ganni  I  né  falli.  3==: 
\-  i;??-  f^,^-  •*•  -^^  '"''  ,  ^.™"'''''  P'^entissirao.  Dante  3.  Amorosi  balli,  il  festeggiar  della  natura.  =  4. 
,if.  VII.  f  o/e,  vuole.  =  4.  Pph  o«  «  ,  piena  d  alfanni.  ;>/ /j  capt,!!;.  r=  4,  1.  .im  6  e  rfii  i  ,  Laura  e  il  sole.  =: 
Un   leggono   pietosa.      1!    contrasto  forse   sarebbe   troppo    3.  p^r  sparir.     Questo  Laura  far  sparir  lui,  il  soie. 

//     e.f  t /■  f;m  o  viver       „    ^,,\  1.117     1    o    d  -i  1     •         •■  j 


rte.     Un    tempo,  qualche  tempo.    A 


Fa  mm  e , 


fa. 


5,  5.   Tempre,  na- 


S.  CLXXXIV'. 


1,  'i.  Rose,  ì\  rnssor,  brina  il  candore  di 
ire,  indole,  disposizioni. =  6.  r;  ron  fiwwi  e'  Gange.  ";""='g'»"f-  t=  4-  ^o '«  o  e  /  en  a  ,  vita,  anima.  rr=  2,1. 
=    12.  /''a  ecc.  fa  -h'  io  muoia  con    un    colpo    di   tua   mano,  ^  ^  erle,  denti.    =    4,  3.  Cuocono,   pungono,  travagliano. 


jXXIII.    Al  Rodano  ,  liume  rapidissimo,   nascente  dalle 
'  etimologia  scelta  dal  Petrarca  è  poetica  ;  la  vera  è  da 


non  cos'i  a  poco  a  poco  da  lungo  e  liero  desio  consumato,  men 

caudo  il  vivere  da  Laura.     iSon  più  par  chiosa  sterile  

11.  Onde,  con  la  quale.      =:     13.  f  ostro,  d'  Amore  e 
aura.    ^=    7,8.  Chi,  Amor  che 
S.  CLXXIII. 
pi.  L' 

Qaivv),   ted.  rimi  e  n.     : — =    3,  2.  i  a   tua  riva  man- 

2,  ov'   è    situata    Avignone.        4,3.  Spirto,  desio. 

fa  71  e  a  dal  viaggio  e  dall'  alTanuo. 

S.  CLXXIV.  1,  1  Dolci  colli,  ov'  è  situata  Avignone. 
=  1,  3.  Emmi,  m'  è.  =r^  4,  2.  Consuma  in  parte. 
S.  ('LXXV.  La  forma  solita  petrarchesca  del  sonetto  vuol 
si  cominci  il  sonetto  con  quel  verso,  che  quasi  in  tutte  1' 
izioni  è  il  secondo.  1.  Divide  il  mondo  con  una  croce,  e 
rii  in  quattro  punti  equidistanti  1'  occidente,  che  segna 
ero,  (iuinc  di  Spagna;  oriente ,  eh'  accenna  Idaspe,  fiu- 
d'  India;    mezzo  giorno,   eh'  addita  il  lilo    vermiglio,    ivi 


tormentano. 

S.  CLXXXV.  Scritto  nel  1347.  =r  4,  1.  1/71,1? e,  addolcia, 
medica.    3.  Aggiunge,  arriva. 

S.  CLXXXVI.    Dialogo   fra  Petrarca  e   alcune  compagne  di 

Laura  trovate  senza  essa.     :     1,  1.  Accompagnate,  in 

compagnia.     Sole,  senza  Laura.    ^ 2,  2.  s.  Per  luancar 

di  sua  dolce  compagnia  cioè ,  del  soie ,  di  Laura.  L  a 
17  uo  /  è  r  accusativo ,  tic  toglie  invidia,  e  gelosia. 
Queste  parole  non  hanno  bens'i  in  sé,  perchè  non  riferirle  al 
marito,  a'  parenti  soli,  perchè  senza  altro  la  gelosia  si  duole 
dell'  esser  ben  d'  altrui,  quasi  suo  mal.  Dunque  non  sem- 
brano esser  dette  senza  qualche  tinta,  o  cenno  del  disgiusto 
dato  dal  Petrarca  ad  altri,  poiché  egli  chiede:  chi  pò  n  fre- 
no agli  amanti,  o  dà  lur  legge*  cioè  chi  mai  pui> 
frenare  gli  amanti,  o  prescriver  loro  che  non  si  vedano"?  e  le 
donne,  accennando  1"  amor  di  L.  al  Petrarca,  rispondono 
yessun  al  l^  a  l  m  a  ,  al  cor  pò  ira  ed  aspre  zza,  le 
quali  ultime  parole  come  invidia  e  gelosia  sembrano  as- 


nta  a  dèstra,  e  cornice  manca,  cornacchia  che  canta 
a  sinistra ,  faceano  presso  gli  antichi  felice  augurio.  Cic. 
v.  2.  3i).  Plauto  Asinar.  Picus  et  cor  nix  est  ab  lae- 
,  corvos  porro  ab  de  x  ter  a  C  ons  uud  ent.  Cer- 
ni /lercie  est  v  es  t  r  11  m  consegui  s  e  nt  entiam. 
senso  è:  qual  d.  e.  o.  q.  in.  e.  sarà  mai  che  canti  il  mio 
0 ,  e  la  mia  buona  sorte'?  e  qual  pa  ca  si  troverà  mai  che 
innaspi,  avvolga  il  lilato  in  sul  ii;ispo  .  per  formarne  la  nia- 
isa.     =:rr    3.  Citi-,    poiché.    Sorda  coni''  aspe,  che,  per 


mar  rosso  a  mezzo  giorno;  settentrione,  che  prescrive   sai  forti  ,  e  non  si  riferiscono  pure  a  Laura  irata,  perch, 
mar  caspio  da  tramontana.    =    2,  1.  Deatrocorvo,  che    pedita    di   trovarsi  con  1'  amante,   ma  a  coloro  sì  che  1'  impc- 

'     '     '     ■—      -  - -■ -„    ... 1.:-    -u..   — ,_    divano,  o  fossero  parenti,  o  il  marito.     Comunque  sia,  saranno 

oscure,  se  per  soverchia  delicatezza,  o  studiala  sublimità  nuvolo- 
sa o  prevenzione  sentimentale  non  arzigogoliamo.  Perchè  sen- 
za queste  il  sonetto  presente  ci  svela  indubitatamente  l'amor  di 
Laura,  benché  ritrosa,  compagne  confidenti,  e  un  destino  in- 
vidioso qualsivoglia,  in  persona  di  marito,  o  di  parenti,  co- 
me r  ha  quasi  sempre  ogni  amore,  non  che  questo  decantalo, 
il  quale  pure  non  manca  alfitto,  crediamo,  d'  ogni  ba:-e 
lorica   e  reale.     Cf.  S.  CCLXIV,  3.  4.     O  diremo  forse,  che 


n  udire  1'  ineantn  ,  inette  un'  oreccnia  in  terra,  e  1'  altra  si  :  tutto  questi  amor  sia  fola  fantastica'? 


a  colla  coda,  secondo  1'  opinion  del  \dlgo.  : —  3,  1.  t'A' 
710  71  vo  dir  d'  a\er  sperato  d'esser  felice  di  lei;  ma 
ui  che    la   scorge,   e   guida,   cioè  .\more,   le  (a  lei)  empie 

10  il  cor  di  dolcezza  e  d' amore.  Passo  poco  chiaro!  Bia- 
ili  prende   scorge  per  mira,  e  pecca  sponendo  /'   empie 

11  gli  empie.     Perchè  il  soggetto  del  versetto  jiriino  {chi    la 

orge)    e   diverso  da   quel    del    secondo   e  degli   altri.     

3.  IJel  fiorir,  imbianchire,  canntire, 

V  CLXX\  L  2.1.  //  misero,  cuore.  :r— :  2,2.  ÌVostra  — 
orla,  desio,  r—  3,  2.  A'  bei  rami,  del  lauro,  a  Laura. 
>.  ('LX.XVII.  I.  2.  A'  aura  estiva,  fugace. 
i.  CL.V.W  III.  I,  1.  I  maghi,  dai  quali  io  trasformato  fui, 
•ono.  —  3.  Canuta,  in.itura,  savia. 
ìi  VI.  1,  1.  Tre  di,  tre  età  di  sette  anni  ognuna,  adun- 
auni  ventuno.  Egli  8*  innamori)  avendo  veiitidue  anni, 
r  3.  Quel  —  pregio,  le  cose  gradite  al  volgo,  r—  4. 
ital,  destinatole.  zr-rz  ti.  />«' ji  ri //i  «  v  e  r«  alla  stagio- 
,  che  conforta  ad  amare.  H  e  l  bosco,  laureto,  rr— r  2,2. 
giorno  avanti.  Dunque  avea  14  anni.  Ha  ilice  V 
ina.  - — ■  3.  Si'iolta,  rimanendo  libera,  r-^  3,1.  frc- 
o,  prezzo,  vanto,  beltà.  :z— r  3.  Sviarne.  Cos'i  hiiiino 
migliori  eclizìoni.     yt  mezzo  '/  corso  tra  il  vente  ciiique- 

0  e  il  trenlaciuqu(•.^irllo  anno.  nr—  4.  Cerco,  cercato. 
:  5.  f  ersi,  incaolatrici  parole,  incanti.  =r-  4,2.  Di 
et    nodo    dell'    anima.     Suo   ileila  carne.    11  senso;    vedo 

;  luorri)  prima,  r  -  ó.  '/'«/  parte,  sorte,  ventura,  rr— 
J.  Pianta,  piede,  qui  tignrat.imenle  1'  animo.  : — -  4. 
gnor,  iddio.  -    b.    A  <>  e  e  ,  iiicieilibili,  strane.  :=z-  6,  1. 

1  <■  per  cagion  delle.  '».  Consorte,  anima.  z^:  7.  Es- 
iR  le  sucr  ((iiislloni,  o  iliibbi  :  h'  alcun  pregio,  n  vanto.  Lo- 
dato dal  ciclo  viva  in  lui,  o  s'  egli  sia  svanito  appieno;  bC 

lima  sia  libera,  0  schiava  di  Laura. 

(^IA\I\      I,   3.    rrutto  ecc.   come  S.  CLXXVIII.  1,  3. 
Ito  b  i  0  II  lì  i  e  II  p  e i  e  a  n  11 1  a  m  e  11 1  e.     : —     3,  2.  A  bito 

orno,  eleganza,  grazia,  leggiadria. 

.  CLVW.  I,  3.  Had  d  op  p  i  arsi  pende  ila  trovo.  =r^ 
ì.  L'  ultimo,    il  più  infelice.      —    3,  2    Ombra,  unite. 

più,  la  uiaggior  parte.  4,  I.  .lllrui,  di  Laura.  />'«/- 
,  crudeltà,  .r —  2.  l'i  e  là  viva,  colei  che  potrebbe  oniter 
a  pietii. 

.  CIAXXI.     1,3.    /?r»»»,  facessi,    r^-    'i,  ).  L'    empi" 

b  <i  di  crudeltà.    : — :    2.  Hompunav,   hì  ruinpcmio.    Au- 


S.  CLXXXVIl.  1,  4.  In  narra  re  propriamente  comprare 
con  dare  arra,   incaparrare;  qui  iniziare,  principiare,  ciunin- 

ciare.     2,  1.  Tal  — ascolta.  Laura.       :r-r      3,  1.  L' 

aura  fosca,  V  aer  bruno.  Inalba,  imbianca ,  colora. 
=:  4,2.  Me  no,  me  non  iniialba,  sieuebra,  rasserena. 
Trastulla,  muove  con  diletto. 

S.  CLXXXVlll.     1,  2.  Cor<e«p,  modesto.    =:    2,3.   Ter- 

gogna,  riverenza.     Offese,  impedite.    4,  2.  Mi  di- 

s  l  e  in  p  re  ,  mi  strugga." 

•S.CLXXXl.X.  Diporto  di  Liura  con  dodici  donne  —  forsedr.ip- 
pello  simile  ad  una  corte  d'  amore  —  in  una  barchetta  sul 
Itndano.  r-^  1,  1.  Onestami  nt  e  lasse  con  libero,  one- 
sto abbandono.  r=r  2,  1.  Simil  barca.  (ìiitson  cogli  \r- 
gonaiili  cinquanta,  i—  2.  /  elio  aureo  in  Colrhide.  0  71  ri' 
oggi  ecc.  Allude  al  lusso  del  suo  tempo.  r —  3.  //  — 
dote.  Paride,  per  cagion  di  cui  'l'roja  i'u  distrutta  da' (ìrecì. 
z —  4.  Fa  ss  e,  si  fa.  rrr-:  3,  I.  l'oi.  non  permcllendo  lii 
rapidità  del  liume  di  rimontarlo,  le  ridi  in  una  specie  di 
carro  trionfale  per  ritornare  ad  Avigiuuie.  rr —  2.  San- 
ti, modesti,  onesti.  Schifi,  guardinghi,  r —  :ì.  In  par 
te,  da  un  lato,  r —  4,  I.  .%  ori  —  mortale  fiiroii  quel  eh* 
ella  canti),  n  quel  eh'  io  vidi,  r —  2.  I  ii  t  u  in  e  d  o  ii  ,  condut- 
tore del  carro  d'  Xchìlle.     Tifi,  nocchiero  della  nave  d'  \rgo. 

S.  ('\('.  I,  2.  Fera,  fu  mai  solitaria.  ^::~  4,  1.  Solo 
ecc.     Avignone,  dove  stava  Laura. 

S.  C\CI.  2,  l.  7'(/,  aura,  la  quale  dunque  non  è  1'  aria 
fisica,  ina  hi  spiro  inlelletlii.ile  e  vitale;  almeno  in  questo 
quaternario.  i\asce  non  raraiiieiite  oiinil  anfibologia  dalla  bi- 
zarria  ricercala  di  ronrelti  ,  rome  pur  concetti  simili  a  <|uel  d' 
amorose  vespe,  cioè  dardi,  o  strali,  si  debilitilo  alla  rima. 
—  Ploro,  piango.  - —  3.  ì  ocillando.  trem.indo  ,  lilu- 
baiiilo.  - —  4.  .1  lì  o  mb  r  e  ,  si  adombri,  si  spxvenli.  luce  s  pe, 
avviluppi  i  piedi  in  cespugli,  cioè  inci.impi,  inloppi.  I  soggiun- 
tivi si  debbono  ancor  alla  rima.  '  —  4,  2.  di  argo,  tiuiiiicel- 
lo  ;  non  '•i  sa,  qn.ile.     -    '      3.   Chi-,  perchè. 

S.  C\Cli.  Stona  del  nuo  iiiii.imorainenln  hoiIo  la  figura 
stereotipica    del    lauro.  —      2,   I.    /   oiiii  r  ili  penna  dire, 

j  perchè   parla  d'  una  pianta,    e  intende  lu  sue  rime.      =-z:      3. 
Al'  o  d  un,  la  fama. 

S.  CXCIII.  I,  ».  Iltezza,  alto  oggetto,  alla  donna.  r-= 
2,  t.  Indi,  da  (|UPsta  donna,  n  dall'  esser  ingo  di  hi  alta 
donna.  ^-—  4.  S  r  ecc.  né  sdegno  alcuno  spej/»r  piiii  In  mia 
corazza.    =-.    3,  1.  L'  uiato§tilc  di  tunucniaruii. 


COMENTO    SULLE  RIME 


S.  CXCIV.  1,  1.  Senz'  aUro  celeste  lume  e  vivo  sole 
sono  1'  istesso,  e  v'  è  qualche  anfibologia,  e  tautologia,  già 
perrhè  non  è  chiaro,  qual  di  due  sia  il  nomina(i^o  o  1'  accu- 
«ativo.  =  2,  1.  Ei,  quel  vivo  sole.  =  4.  Per  risguardo 
a  cela,  rivela,  suol  V  iinperl'etto  p  o  t  ie  in  m  i ,  potevan 
mi,  mi  potevan,  non  par  che  stia  troppo  bene,  ancorché  se- 
gua e  r  a.  Si  dovrebbe  sospettare  o  -pò  l  r  i  e  m  ni  i  ,  cioè  mi 
potrebbero,  o  trasse.  Colla  ellissi  se  non  mi  avesse 
fi  is  V  e  lato  0  disv  el  ava  alfin  il  celeste  lum^  non 
eì  ammenda  1'  irregolarità.  :=  3,  2.  La  riva,  il  termine 
del  piangere.  i —  4,1.  Tr  anquilla  oliva,  insegno 
di  pace. 

S.  CXCV.    Ducisi  d'  un  mal  d'  occhi  di  L.      1,  4.  Un 

tormento  mio.  ^=  4,  1.  W  un  vivo  fonte,  da  dio.    := 

3.  Altri ,  malattìa. 

S.  CXC^'I.      1,  1.   -t'  ira   è  nominativo.      Alessandro 

accusativo.    4.  Solo,   soli,    soltanto.     : —    2,  1.  s.  Ti- 

deo  non  potendo  regnare  in  Caledonia  venne  ad  Adrasto,  re 
«i'  Argo,  il  quale  gli  diede  una  sua  figlia  in  matrimonio.  An- 
dò poi  con  molti  altri  re  in  soccorso  di  Polinice  contro  al  fra- 
tello Eteocle  nella  guerra  tebana,  dove  uccise  Menalippo ,  e 
con   grandissima  ira   morendo    rose  la   di   lui   testa   fattasi 

apportare,  v.  Stazio  Tebaid.  1.  8.  in  fine.      3,  1.  T'a- 

lentinian  imperatore  romano,  a  cui  per  violenta  ira  rup- 
pe una  \eiia  in  petto. 

S.  CXCVII.    11  mal  d'  occhio  di  L.  s'  appicci»  a  P.  andato  a 

vederla,  e  lasciò  lei.      1,  4.   l'irta,  forza.    : —    2,  1. 

Solver  il  digiun.o,  soddisfare  la  bruma.  : —  4.  Gra- 
zie, favori.    4,  2.  In  del,  pel  cielo.      : —      3.  Pie- 

tate,  imponendo  il  male  alla  parte  più  forte,  disgravandone 
la  più  gentile. 

S.  CXC\'11I._  1,  1.  Cameretta,  in  Avignone,  in  casa  di 
suo  amico  Lelio.    r=    2,  2,  Urne,  occhi  miei.    : —    3.  Ti, 

ietticciuol.  _   : 3,  1.  Secreto  ritiro,  la  cameretta.      Mi- 

jìoso,  lelticciuolo.     : —    4,  2.  Chero,  chiedo,  cerco. 

S.  eie.    1,  2.  Si  varca,   si  trasgredisce,  oltrepassa.    : — 

Z.  A  chi,   a  Laura.      =     2,  1.  Guardo  tanto.    : 3,  1. 

Ordina:  Ma  or  eh' è  nel  mio  mar  orribil  notte  e 
verno,  laf^rimosa  pio  g  già  e  fier  i  v  enti  d^  in  fi- 
ni t  i  sospiri  V  hanno  spint  a,  ove  già  vinta  dal  l^ 
onde  e  disarmata  di  vele  e  di  governo,  porta 
noja  ad  altrui,  (a  Laura)  doglie  e  tormenti  a  a  è, 
e  non  altro. 

S.  ce.  1,  1.  Fallo:  varcando  il  dovere  di  non  visitare 
Laura.      =:      3,  1.  S'  avventa,   si  getta  con  impeto.    

4,  3.  Eie  ecc.  Ausonio:  inque  nieis  culpis  da  tu 
t  ih  i  v  eniam! 

Si.  VII.  2,  2.  Scevri,  separi.  Vivo  terren,  corpo, 
carne.  Onde,  lagrime.  Senso:  spero  1'  ultima  sera,  che  le 
lagrime,  qual  mare,  separi  dal  corpo,  qual  terra,  che  cessi 
il  pianto  ,  ponga  fine  al  pianto  con  la  morte.  Concetto  un  po' 
contorto,  eh'  oppone,  non  già  strettamente  assai,  il  sodo,  la 
terra  ferma,  il  continente,  come  corpo,  all'  onde,  al  mar, 
come  lagrime,  e  separa  ambidue.  Dunque  la  morte  sarebbe 
la  separazione  delle  lagrime  dal  corpo"?    :=r    5.  Sannoisi, 

se  lo  sanno.        ==       3,  3.  Citta  din,  abitator.      4,  3. 

Stato,  consistenza,  esser  costante,  quieto,  quiete.  La  t u- 
n  a  che  vassi  cangiando.  =  4.  Ratto  come ,  tostochè. 
3=  ti.  i^a  crollar  i  boschi.  Burrasca  propria  di  sos- 
Ijiro  !  =  0,2.  Qualche  in  numero  del  più  qui  e  S.  CCXXII. 
è  insolito,  o  almeno  disusato.  z=  3.  Anzi  vespro  a  me 
fa  sera,  mi  mena  a  morte  prima  che  muoia  il  d'i,  mi  mena 
a  fine  immaturo.  r=  (j.  jE,  '  /  dì  ecc.  cioè  durasse  eterna- 
mente quella  notte.  =r.  7.  Dure  onde,  malvagia  Druenza. 
Alcuni  intendono  duramente  lagrime. 

S.  VA'\.  In  occasione,  che  Carlo  di  Lucemburgo,  figlio  di 
Giovanni,  re  di  Uoemia,  venuto  a  Avignone  nel  ISlti,  per 
concertare  col  papa  la  sua  elezione  alla  corona  dell'  impero  in 
luogo  di  Lodovico  il  Bavaro  deposto  ,  baciò  in  una  festa  a 
Laura  gli  occhi  e  la  fronte.  =  1,  2.  Ordina:  sendo  — 
altero,  subito  svorae  r  eal  natura  ^  petto ,  il 
buon  giù  dici  o  in  t  ero  il  pia  perfetto  fra  tant  i 
ecc.  A  chi  non  piace  ((upsto  scompiglio,  consideri  il  primo 
qipiternario  come  esclamazione,  quasi  clic  fosse:  oh  clie  real 
natura,  ov\cro  ve'  che  real  natura.  E  cos'i  lo  segnammo  nell' 
edizione  presente,  per  non  ricorrer  all'  ellissi.  1,  2.  Oc- 
chio cerviero,  acuto,  linceo.  r=  2,  3.  intero,  integro, 
sodo,  incorrotto,  «(hietto.  =-  3,  1.  Maggior  di  tempo, 
più  attempate.  Maggior  di  fortuna,  più  ricche.  ;= 
4,  3.  Strano,  raro,  nuovo,  inaraviglioso. 

Si.  \lll.  I,  1.  Che  ove,  o  quando,  nrr:  2.  Tempo  nuo- 
vo,  primavera.      =rr.      3.  /n  co /«  i  n  e/a  r  sogliono.    5. 

A  chi  ad  CHi-a  che,  cioè  Laura.  Inforza  in  possanza,  rr^ 
6.  Note,  canto  lamentevole.  r^rr  2,  2.  idolcissen, 
addolcissero,  r—  3.  facendo  —  ragion  movendo  lei  per 
ragione  all'  amore.  :^-=  U  /{ //nt ,  poesie  toscane,  tersi, 
poesie  lamie,  zrr-  3,3.  Riprovato,  più  volte  provato, 
tmi/iar  piegar  in  gm,  a  basso,  zr—  f).  La  q  ual,  a.ur:i. 
=^  ti.  Maggior  /  or  :,  a  d'alpi,  osassi.  r^-:  4,  3.  J  il 
sul  -fiori,  nell'  Aprile,  r —  ò.  Pon,  possono.  =  5,  2. 
Accampa,  poni  in  opiTa,  adopera,  rr-r  ti.  ^on  che  ac- 
coppia la  minore  cosa  alla  maggiore,     il  gì  ci.  v.  Boccaccio 


Giorn.  X.  IN,  V.      =      6,  5.  Lagrimando  congiungi     |i 

andrein.     6.    Col  bue  zoppo   cacciando,  tenta   rn' 

cosa  inutile.  Son.  177. 

S.  CCll.  1,  1.    Nel,    di    ciò  lo.      =      3.   Piena  fet 

troppa  confidenza.     :      2,  3.  Ei,  il  voler.    : —      4.  Sef  M 

seguo.    4.  3.   Ei,   il  poeta,  perch'è  egli'?    L'  interro 

zione  rinforza  il  concetto. 

S.  ceni.  1,  1.  L'alto  signor.  Amore.  :=    2,  2.  Avi 

zar,  promuovere,  spignere  avanti.    : 3.   Di  pi  etate 

causa  dell'  infermità  di  L.,  se  pur  a  questa  si  riferisce  il 

netto.    3,1.    Z(' u  H  a ,  l'amorosa.    : —      2.    Zt'oitijla! 

la  pietosa. 

S.  CCIV.  1,  4.    Lago  di  pianti.    =    2,  4.  Con  questo  qi 

ternario  finisce  il  parlar  al  cuore,    3,  2.   Come  -  tee 

essendo  egli  pur  rimasto  con  lei.    :=     4,  1.   Che,  poiché, 
sendo  che. 

S.  CeV.  1,  3.  Q  MI,  quaggiù.  =  2,  2.  Fe\gr  an  s  e 
no,  con  gran  senno,  cioè  saviamente,  bene.  Più,  lara.  : 
4.  Questi  occhi  miei.  r=  3,  1.  Si  stringe,  si  riiise 
impietosito.  =  4,2.  Tu,  colle  fresco,  dove  il  mio  cui  r 
sta  con  Laura. 

S 


S.    ce  VI.      Risposta  al   sonetto   di  Giovanni  de'  DonJi  ,  rea 

n  so  ben,  se  io  vedo  quel  che  veggio."    =:    1?  1-    J'  ff»  ;; 

tuo.  2,  2.  Guerra  amorosa.    Pace,   stato   senz'  amor" 

stato  cheto.    4.  Nel  sommo  seggio,  nel  cielo. 

S.  C(^V  li.  1,  1.  Il  nominativo  continualo  con  quel  bel  à 
no,    con  cui  vien  poscia  confuso,    regge  il   verbo  /e'  fato; 

giare.    4.  31  in  ori  d'età.  Laura   e   Petrarca.    ==:_ 

Ancorché  mcn  chiaramente  espresso    e  in   somma  scompigli 
i'ia  quel  che  vuole,  mostra  pure  il  contesto,    che  quel   si  (/(!. 
e  e  par  l  ar  e  q  u  e  l  riso   da  f  ar  innam  or  ar  m  n  u  i 
selvaggio  si  riferisca  a  Laura.      IVulladimeno  egli  è  cei^: 
che    quel   con   immediatamente     dopo     bel    dono  -  divi 

vuol  buon    indovino.    3,3.     ì  olgeasi   attorno^ 

rando  or  1'  un  or  l'altra.    4,  2.  Teme,  se  Laura  rii 

ancora. 

S.  CCVIII.  1,  3.     T'iste,  nodi  e  anelli   visti.    =     4 
pellegrine,  aliena.  t ; 

CeiX.  2,  3.  Degna  -  sottile  dire,  o  stile.  =  3,  2 
Atene  per  Demostene,  Arpino  per  Cicerone.  3Iant 
«a  perVirgilio,  S  m  i  r  n  a  \icr  Omero.  L' una  e  fall 
lira  di  Pindaro  e  d'Orazio. 

S.  eCX.  2,  3.  s.   Ordina:    questa  cosa  bella  morti 

aspettata  -  dei,    passa  -  dura.    : 3,  3.   T e m p i  ni 

concordia.  : —  4,  1.  Mute  rispetto  al  merito  di  bellezza.  : 
2.  Offeso,  abbagliato.    Lume  di  beltà. 

S.  CCXl.  1,  4.    Si  volentier,  con  dolce  malinconia 
2,  4.     Teme,  presagisce. 

S.  CCXIl.    1,  4.    Aitar  me,    difendermi,    disfarmi. 

2,  2.  Pietà  di  me.  =  3.  F  ede  acquisi  a,  si  persua 
=  3,  2.  Molli  di  pianti.  ;=  3.  Tempo,  ora  tarda  »l 
la  sera. 

S.  CeXlll.  1,  4.  i?o ne,  non  fallaci.    Dante  Inf.  VII! 
S.  CeXIV.  1,  3.    Lime,  passioni,  ingegni  atti  a  tormenta  t 
affanni,  tormenti  amorosi.  S.  L.  2,  1.    :=     2,  2.  Occhj  in 

\Luci,  brio,  vivacità.    3,  1.  Ordina:  e  lìa,  che  quel  v 

\per  prendere  (occupare)  il  del  debito  (dovuto 
\  l  ui ,  non  curi  che  si  sia  diloro  (cosa  si  faccia  di  lo 
j  come  si  stiano,  cosa  ne  sia)  in  terra,  di  che  ',de'  qu 
egli  è  i  l  so  l  e  ,  e  {che,  i  quali)  non  veggiono  altr 
(altro  oggetto  fuor  d'ella)  '? 
S.  CeW.    2,  1.  Jtì    dura  sorte,  per  essermi  dura  so!|, 

4,  1.  Disperga,  porti  via. 

S.  CCXV  1.  1,  4.  Puntella,  mi  sostiene,  mi  tien  sosp 
quasi  con  puntelli.     Alcuni  leggono  trema  in  vece  di  ten 

2,  1.  Alcuna,  come  Arianna,    Andromeda,  Calisto. 

4,  1,    Da'  miei  danni,  da  quella,    che  morendo^  mi   dà 

lore.    2.  Favola,  \ita;    perchè  il  mondo  vicu  para 

nato  ad  un  teatro,  rrrr  3.  A  mezzo  gli  anni.  P.  el 
allora  quarantaquattro  anni. 

S.  CCXV  li.    2,    2.     L'un-altro,\\  fisico  e  Laura.    : 

3.  Come  ecc.  come  il  cielo  (Febo)  s'innamorò,  quando  app 
il  primo  lauro,  Dafne.     Nel  cor  mi   hanno,  hanno  nel  i 

cuore.  Altrui  Laura.  4,  I.  Or  e  e  ontr  ar  i  e  ,  mattin 

sera.     Di  me  fanno,  mi  trattano,  governano,   iufiuiscono 

di  me.    rrr:    2.    Clii  m'acqueta,  il  mattino.    3.    C 

m'adduce  affanno,  la  sera. 

S.  C('.\V1II.  2.  Il  concetio  è  bcns'i  più  forte,  se  la  noi 
è  noininaiivo,  che  regge  e  s  ugge   e   riigge.      Intanto  81 


]'ji 


plir  si  potrebbe  non  men  facilmente   colei   dal   primo  quat 

te  la  notte. 
4,  2.  L  e 


Ilario,    (li   modo    che   la    notte   fosse   diiraiit 


3,  2.  Di  tal  nodo,  che  la  lega  al  corpo. 
Laura,  Parla  l'anima  mia.  :=r:  3.  Suo  di  Laura.  Se, 
|)ur,  s  altrimenti.  K  dunque  in  dubbio,  che  Ijaura  ascolli  Va 
ma  ;  tanto  la  suppone  crudele  ! 

S.  ('("\1\.  1,  3.  Amor,  Laura  amante.  =  4.  Secon 
dopo  Apollo.  : —  2,  3.  Ordina:  //  cor  preso,  co 
pesce  all'amo,  o  come  novo  (giovane,  non  esperto)  (  '< 
gcllo  al  vi  SCO  in  ramo,  ivi  (in  quel  bel  viso)  ond 
ben  far  per  vivo  esempio  vie7isi  (che  col  suol 
c.Heinpio  di  bontà  e  insegna  a  far  bene)  non  volse 
occupati  II  a  usi   (gli  occhi  fermi  (ieeioai  e  inteuei  in 


1  ' 

|lOl 


DI    PETRARCA. 


viso)  al  ver  (all'  impedir  la  vista  degli  occhi  snoì,    al  di-  paTÌmenfe.    : —    9.  Spalme,  addestri,  acconci  e  unga.    : — 

no  d'impedir  la  vista  degli  occhi,  o  di    destarmi    da   vaiieg-  11.    Va  ta'  due  nodi,  Fama  ed   Amore.     12.  Altri 

menti   miei),  ma    la    vista  (la     virtù   \isiva)    />  r  / 1' a  t  a  nodi,  o  scogli.     15.   f'erffogna,  delio  sfrenato  amor  di 

r  mezzo  dell'  atto  di  porger  la  mano)    del  suo    o  6  6  ;  ef  f  o  gloria   e    di    donna.    (j,  12.  Questo  sdegno  nobile.    

\  \\sn),  quasi  so  fc  n  ali  d  0    (qiia»-i  che  non  vi  pensasse)  s/j  14.     Pe  re /i  è,  quantunque.    T,  1.  S  yia  :;/o  di  \  ita.    

cea  far  via    (si    fera    guidar    la  strada,  il  sciitier  al  vi*o)!5.     Serra,  termina,  finisce,  chiude.    7.    Variarsi  il 

nza  la  qual  il  suo  (ililla  virtù  visiva)    ben    e  imper-\pelo,  divenir  canuto.  11.  Chi,  quello  che.    12.  Il 

lo    (senza    qual    vi-.o   l'alma   non   è   contenta.)     • — -       1,  l.ivi  ag  g  io    dalla    man    destra,    strada   del    retto   vivere. 

a  l^  una  e  l'altra  .gloria  mia,  il  bel  viso  ,    e  la  ma-j :    Iti.  A  sso  l  v  e  ,    scioglie,    libera. \fi.  A  pat  t  eg  - 

Qual   civttleri.i,     o   astuzia    femminile  dall'  una,    e  giar,  a  guisa  d'  assediati.    8,  1.  Qui  in  tal  istato  dub- 

1  capricciosa  interpretazione   di  essa  dill'   altra  parte  abbia   bioso.     =rr:      -1.   folto  al  subbio,     trascorso,  speso.    Meta- 
0  occasione  a  questo  sonetto,   non   si   farà  mai   chiaro   assai  fora  presa  da'  tessitori,  che  sopra  quel  legno  rotondo  (subbio 

snuetlo  medesiiuo  poco  chiaro.  Questo  già  lo  mostra  laspn-ited.     iF'eberbaum)    avvolgono    la  tela  ordita.    10.  E 

one   differente   degli    iiiierprctì,   mentre   gli    uni   ne!   primo  !  y  ei^g' «o  ecc.     Ovidio:  vid  e  o  me  lior  a  prob  oqu  e  ,  de  te- 

tcrnario  riferiscono   gtioccìti   ecc.  al    poeta,    gli    altri  a  riora  sequor. 

ira,  sicché  non  sì  sappia,    se   1'.   abbia   lisamente   guardato;     S.  CCXX\  I.  1,  3.     Impreso,  preso,  cominciato. 

ira,  o  essa  liri  ;     gli  uni    sognano    nel   versetto  secondo  del  1     S.  CCXXMI.     Al  car<linai  Gìov.   della    Colonna,    in  risposta 

ondo  quaiernario  della  maer,;ria  di  bei    labori,  gli  altri  pen-:di  quel  di  Sennuccio  'Oltre  l'usato  modo  si  rigira'.    1,  4. 

o  al  CDiil'orlo  ed  allo  «tìuiolo  di  farsi  virtuoso.       Altri,    per  '  Tr  a  l'o /i;  f ,    manda   girando   in   molte    parti.      2,  3.  I 

vivarn  la  scena,  una  brigala   di    donne    congiurano.      A  noiìmiei  duo  lumi,  liaura    e  il  cardinale.       Cheggio,  cerco, 

ituazione  sembra  essere  .stata  a  un  di    pres.so   cotesta.    Pe-  desidero,    mr    4,  1.  Lauro,  Laura,      Colonna,    il   signor 

ca  guardando  liso  Laura,  stette  immerso  e    [lerduto  ne'  va-  cardinale.    : —    3.  Scinsi,  slegai. 

giauienti  suoi.      Ella,    o    per    (fcstarnelo  amichevolmente,  o  Parte  seconda  delle  rime. 

consolarlo,  o  forse  anche  per  i.s\  iarnclo,  gli  porse  la  mano,      S.  CCXXVIIL     All'  annunzio    della   morte   di  LaDra  ricevuto 

si  a  dir,  che  pensi  ?    K^rli  estasialo  tanto  più  non   accorgen-  dal  Petrarca  a  Parma.     i=    4,  1.  Allude   alla  sua   partenza   in 
i  di  quanto  elia  volev:!  signiiìcare  con  quclo,   tuttavia  qua-  Italia  un  anno  prima  della  morte  di  Laura,   dov'ella  gli  si  mo- 

oguandii  continuri  di  mirarla,  e   si    sente    beato.     Se  questo  strii  commossa  e  tenera.     S.  CCXII. 

C.  XXII.      Composta  nel  1349,  ricorretta  nel    1356.     L'  avea 
incominciata  cos'i  : 

Amor,  in  pianto  ogni  mio  riso  è  volto. 


confesso   volentieri  : 


q 

i)  avus 


1   sen«o    del    ttonutto 
n  ,  n  n  lì    U  e  d  i  p  ii  s, 

.  CCXX.  1,  3.  Pur  te,  in  parte,  d'  altra  parte.  C.  XXV, 
9.  Sospirando,  sospirjiite.  Come,  per  1'  ordine  iia- 
ale  almeno  di  parlare,  non  si  possono  riferir  questi 
versi  al  poeta,  ed  i  i\nc  primi  a  Laura,  anzi  aiiibidue  all' 
so  suggello,  uopo  è  eh'  ancora  i  si  soavi  fiumi  d'ai 
eloquenza  appartengano  a'    duo  bei  lumi,  od   agli  occhi 

jaura.     : —      3,  2.    Usanza,  uso,    consuetudine.     3. 

doppio  piacer  de'  bei  lumi,  e  dell'eloquenza.  . 4,  1 

gusto  sul,  delib:indo  sol,  assaporando   soltanto.     - —     3. 
tra  due,  in  dubbio. 

.  CCXXI.  1,  3.     Qurst'   in  g  egni  —  loschi,    il   vnlgo 
cortigiani  e  prcli  dilla  corte  d'  Avignone,  v.    S.    XCI.  Cv. 

I.  CVII.      2,  l.  in  rio,  nel  di>i(li'rio  mio  di  vita  so- 

ria.    3,  2.  s.     Al  —  mio,    ad   \vignone.    : 4,    1. 

ica,  mia  fortuna.    r=r    2.  ./  questa  volta,  ch'io  scri- 
((tiesto  francamente.  O  forse  le   Iodi    di    madonna'^-    Non    è 
■  indegno,  ('hi  dunque'^    Il  bel  Icsoro  mio?    Di  che? 
mie    lodi'?     Uiagìoli   supplisce   il   dir   mio.    Ma   donde'? 
arebbe  forse  cosa   indegna,    immeritata  '?    o    in  vece  d'  av- 
i  III  III  e  r  it  a  me  nt  e  r*    vale  a  dire  giusto  è,   che  fortu 


Ogni  allegrezza  in  doglia. 
Ed  è  oscurato  il  sol  agli  occhi  miei. 
Ogni  lì  o  l  ce  p  e  n  si  e  r  del  cor  /n'è  tolto., 

E  sol  ivi  una  doglia 


Rimasa  m' i'  di  finir  gli   anni  rei, 
Edi  seguir  colei. 

La  qual  di  qua  vedere  ornai   non  spero. 
ma  poi    la  muti»,    avendo    scritto   nel    margine   a     basso:     ne 
quid  ultra,  e  di  sopra  :  A  o  h  sat  triste  principia  m .' 

I,  5.    I  o  l  e  n  il  (I  l,   cioè   il    core.    :      6.  Rei,  pieni  dì 

tormenti,  rrrr  2,  1.  Ordina:  ,/«i  o  r,  fii  '  /  senti,quant'à 
i  l  da  un  o   aspro   e   grave,   on  iV    io  t  e  co  m  i  d  o  gì  io. 

4.  Uno,  il  medesimo.  H.  A  gg  uag  l  iar  a  pa- 
role, esprimer  con    parole.      11.  Seco,  con  essa.    

4,  1.     0  i III  e  (jui  trisillabo.    : 4.    L' in  v  i s  i b  i l  f  o  r  m  a  , 

I'  anima.     — -    9.    lima,  santa,  divina.   3,  3.  Gradir, 

esser  gradita,  piacere.  ti,  7.  s.  Altri,  la  natura,  la  na- 
turai iuia  morie.  Dice  in  questi  \  ersi  ;  Laura  m'ha  lasciato 
in  tanta  guerra,  che  soltanto  <|uel  eh'  Amor  meco  parla,    è  ca- 

fitta  amica  alla  man,  ond'io  scrivo.     Si    vede,   che   ancor Igionc,  ch'io  non  tronchi  questa  \ita   mia    sciagurata.       Dunque 
|u<sto  sonetto  regna  un  bujo   inipeneirabile.  (le  parole  s'altri —  sesuitarla,    a  dir  \ero,    sono  super- 

.  Ct'XXll.  1,  1.  Stella,  costellazione,  cioi-  Laura.  Tal  e  '.lue,  perchè  ingombrano  è  storcono  il  concetto,  che  con  esse 
mto    dovrebbe   esser    piutiosto    tali  e    riferirsi    ad    occhi;   \ale:     se  la  morie  mi  vieta  di    seguitarla,    mi  ritiene  sol  quel 

!  :  tali  duo  begli  occhi  vidi   in    questa  stella,   che   ecc.     eh'  Amor  meco  parla;     dove   ognun   sente,    <|uanto    è  ottuso  e 

Presso  a,  in  conl'ronio,  in  paragone,  a  petto.  r^=  2,  2.  malconcio  il  pensiero,  rm  7,  2.  Soverchie  voglie,  afro- 
alche  lidi.     Si  \ll,  ti.     r=r    3.    Aon   ecc.     Klena.    iiatn  desio  di  quel,  che  non  si  de\e.    : — r    4.  Altrui,    al  vol- 

.  //  o  bilia  /  o  «1  a  n  a  ,  Lucrezia.     :r^=    3.   Po  l  i  s  s  e  n  a  ,  co.  r=r    7.  Ordina  ;  e  prega,  che  la  sua  fa  m  a  ,  e  h  e   — 
ia  di  Priamo,  celebre  per  bellezza  e  perla  morte   d'Achille,  lingua,    non   s'  es  t  i  n  g  ii  a.    n:=t     11.   \è,  e.    z=r      8.  Il 
iifilc,  liglia  di  Toaiilc  in  Lenno,    ingannata  e   tradita  da  sereno  e  il  verde,  i  luoghi  suadenti  alla  letizia, 
seme.     Argia,  figlia  d"  Adrasto  in  Argo,  fida  sposa  di  l'o-       S.  CCXXIX.  1,  I.     Zi'  alia  colonna,    il  cardinale  Colon- 

ce.     z-rr     I,  1.   Eccellenza   sua,    di   lei.     3.    7'ar-  na.     /.a  h /o,  Laura.    =:r-      Eur  ea  n  o  inb  ra ,    consolavano, 

,  in  secr>l  posteriore.  confortavano.     ^=r       4.    Borra,     settentrione.         .lustro, 

.  CC.XXIil.  4.  Dice,  che  1'  iiilìnila  bella  è  dono  di  benigna  inezzmri.  .Mar  indo,  donde  nasce  il  sole.  Mauro,  Maii- 
ura,  Clune,  a  dir  vero,  il  genio  eqiianlo  \'c  di  grande,  iiun  ritania,  1'  occidente.  =.  3,  1.  Se,  poiché.  j=  2.  Seno, 
ui"lo  d'.irle.  ne  non. 

{'(A\l\.    Dialogo  tra  alciiiia  matrona,  e  Laura,  sulla  ve-l     (,'.  .\X1II.    Scritta  nel  13,i!),   finita  nel  Mar70  del  13jl,    coma 

iiieslii  donde  il  poeta  fa    il   cor<i.      rr—.      I,    1.    La  matrona  dice   il    Msc.    iibaldino.      Si   sjiiega   col   sonetto  segiienlc.    . 

la  prefi;reiiza  alla  vita  e  |>ospoiic  1'  onestà.  t-:z  2,  1.  I,  li.  Mendico,  povero,  |>ri\alo  «li  lutto.  =rr  l,">.  Le  tue 
al,  colei  clic.  - —  2.  E  se,  niicorrli(',  v.  »"i.  S.  CA.\\,  i  n  s  e  s  "  e ,  il  tuo  potere  \  iilorioso  per  mezzo  di  bellezze.  : — : 
1.  - — -  1.  hi,  iii'iide  da  pia,  di  modo,  che  non  si  deve, 2,  1.  il  vivo  l  u  m  r  .  i  be^li  ocelli.  —  4.  Fcii,  facca.  ■=: 
rorso  all'  <  llibsi  ili;ii(-ri«i  =—  1,  2.  /  ie,  di  ragio-  7.  Costume,  atto,  in.iiiicra,  nioviinento.  - —  9.  /  o- 
o    e   di   mirare.      : —        3.     Cfnest'  una.    Laura.       Al  -^g  he  z  za ,  óct^iiì   vago,     .^r-     IL  Ove   la   .strada    manca. 


rsi  II  volo,  esser  vincitrice,  nineslra.  liiel  mondo  di  là,  dov'è  Laura,    rrrr       l.'i.   Fuor  del  tuo  re- 

C(',\X\'.    1,    1.     Arbor    ecc.    lauro,  Laura, 2,  'i.'gno,  rrcinlodelle  bellezzedi  li.  :-^-  3,  2.   Ih'  fuor,  nel  innn- 

rf  2,  raccogli,  uduui.  z:=^  -i,  'i.  1 1  b  et  t  csoro  ,  ù  1'  ac- 'do  sensuale.  Itriitro  nel  mondo  dell'  imuiagiiiazione.  r= 
ulivo.  [9.  La  t'iti  ran-.a  e  il  d  r  s  i  r  e  in  questa  serie  non    sono  0|v 

'.  X\I.  1,  4.  Altro,  non  amoroso,  ma  di  pentimento.  =r=| posti.  Vuol  piuttosto  mondo  reale  e  desir,  rome  mostra  p(>- 
Ititeva,  conforta,  giova.  rr=r  14.  J'irlose  /)  r  «  «-ci  a  , 'scia  la  ragion,  i|ualilà  cioè  il  poter,  di  rappresentar  (cf,  S. 
io.     Dante  l'urg.  3.     j^=      IH.    Altri,    amor    di  cose  inon- ,  ('('\\\l\  ,  2,  3  i  dell'  alma,     e  1'  obbirtlo  proprio  de- 

■      ■                ■       gli  II  ((  Il  i  e  ilettli  1'/' e  <r /i /.     i—     4,    2.    (i  hi  ii  cri  o  ,  freddo, 
msensiliillà,  indill'ereiizii,  iiidolen;.a.  rrr-     3.    /   arco,  gli  occhi 
di  L.     - —    5.   Horati,  eh'  nrcendono  amore.    _^    .'>,  1.  Eiit 
('■  la  miglior   lezione   dei    Mars.iiio,     T.issoni   e   Miirnlori.    ==z 
r  leiiipo,  a  buon'  ora.  r—     3,    1.   Ch'a  n  a  s  e  e  r  f  o  s  s  e  ,  'i.      Scglello  ad  arti  .  con    arie    HCapigliato.      Innanel- 
non  ancor  nata  fosse.     - —      li.   Ella,    1'  immagine,     r-r:  /n  fo ,  eresilo.       Irto,    disteso^  scoinposto.     r —       11.  dira. 
Face,  bellezza,    rr^     IO.  (1  i  o  r  n  o ,  («lice,     r—     II.   U  n-.»i'.    =—.     la.   Ingegni,    raggiri.     ^  -       U.    Passato  i  la 
a,  giammai,  iinqunnco.  C.  I,\,   I.  I.       -r:      15.    Ilei  —  vii     utagion  d'  iiiuamorari<i.     \Iodo  proverbiale! li,  9.   fin- 
ezza, è  accusativo.  rr:r=     4,  I.    In  pi  naie  r  ecc.    di    glo-    ;i  n  .  schietta.       — •     7,  L   //  ri  rio    terzo,    ili  A  eiirre.     . 4. 

,    Voice  per  In  ililetlo.     Agro  per  la  l'alien  clic   vi  si  ilii     l'olii .  polivi.     _^     H.  Lego   al  notici  vitale,  farendoini  ve- 
ri^:     11.    Latino  —    ({reco,     viirj  popoli,    o    in    varia  nìr  al  iiuindo  prima  di  te.     I>  isc  i  ol  s  r  fece  morire.     .  13. 
jua.    =     15.   /   r  H  «0  ,  vanità.     -^    .5,  1.  Q  uè  1 1  '  a  1 1  r  o    Fr  r  u  I  r ,    feriti!.      =^      15.    Sua   dell'    arco.     Altri  leggono 
oroDO.    =    2.  Adugge.  S.  XXilII,  2,  t.  3.  l'art  c,,tua,  rkc  ni  riferisce  ad  Amore. 

'  §§§§ 


^  —    2,  I.  /y  '  un  pciisier,    di    siaccanni    dal  mondo 

III.  Doler,  dolcezza.     . — r       12.    Itipon' ,  ri|ioni.     \.  a 

sso  (•.   L.   12,  lìti.   1.  17.  liK    3.     Onde  non    è    da    leggcr.si  con 

isoni  ri  por.      rrrr       17.    Dubbioso,    pericoloso.     ^—     IH. 


COMENTO  SULLE  RIME 


S.  CCXXX.  1,  1.  Ardente,  amoroso.  V'ora  inora, 
ili  roiitiiiuo,  senza  posa.  : —  2,  3.  A'ov'  esca,  altra  bel- 
lezza. =  .3,  3.  Men  verde,  anzi  secco,  più  attempato. 
4,  3.  La  guai.  Morte. 

S.  CCXXXI.  2,  3.  Se  non  ch'i'' ho,  se  non  avessi.  =: 
4.  Io  — fora,  per  disperata  morte.  =  4,  "2.  Nocrhier, 
1,1  ragione.  Arbore  e  sarte,  virtù  e  tutti  i  mezzi  della 
ragione. 

S.  CCXXXII.  4,  2.    Mal  jier  noi,  per  nostro  male. 

S.  CCXXXIU.  1,  3.  Intorno  alla  rocca.  =  4.  Guer- 
rieri, nemici.  =:  2,  2.  Fere  scorte,  spie  nemiche, 
messHgffi  secreti  d'  Amore,  cf.  3.  =  4.  Nemici,  pensieri 
<:  desiderj.  3,  1.  Secreti  messaggi,  seduttori  vez- 
zi.   Pompa  vittoriosa.    3.  Colpo     mortale   di    L.    = 

4    1.    L'avanzo,  iì  resto,  il  rimanente.     2.  T  aghi, 

irrequieti.    Errore,  fallaci  immaginazl(mi. 

S.  CC.XXXIV.    2,2.    Chi   ì7ì  egl  io  inten  d  e ,  a.nge\\,    ed 

anime  beate.     3.   Ragion,   virtù  motrice.    C.  XXIII, 

3    3,    3,  2.  9.  Pi  7)errfer  il  r  e  rfcr/a  ecc.    4,1. 

iui,  dio.    2.   Lega  e  scioglie  anima   e  corpo,    dà! 

\ita  e  morte.  Apre  e  serra  le  porte  della  vita  e  della, 
morte. 

S.  CCXXXV.  2,  2.  Sa  s  se  Z,  se  Io  sa.  Chi  n' è  e  a  g  ion,  ' 
Morte.    : —    4.   Fasti  dj-,  noje,  pene.     =      3,1.  (fa  est' 

un,  rimedio.  Laura.    : 2.  Ordina:    e  tu,  felice  terra, 

che  —  umano.    : 4,   1.    Dove  in    qiial   luogo  fastidioso 

lasci  me.    =    2.  Piano  C.  XXIII,  G,  9. 

S.  CCXXXVI.  1,  2.  Il  viver  e  auge  col  morir,  ch'io  mno- 
ja.  2,3.  Che  frange,  cui  l'onde  ripercosse  .«i  rom- 
pono.           3,   1.    Immaginata,     1'  immagine  di  L.    ;= 

4,  1.  Doloroso  velo,  spoglia  corporea  aliaunata. 

S.  CCXXXVII.  Scritto  il  d'i  U  d'  aprile  Hill.  1,3.  Terre- 
na scorza,  corpo.  4.  Laura  vital,  giuoco  di  pa- 
role   l'aura    vital.      2,   3.    Mortai  essere,    corpo. 

Scorza,  dispoglia.    3.  1.  Che,  afiìnchè,  acciocché.  rr= 

4,  1.  Ciò,  quella  parte  di  tempo.  :=  2.  Salma,  soma, 
carico. 

S.  CCXXXVIIT.  2,  1.  Là'  v'  io  seggio,  dovunque  avvien 
ch'io  seggi;;.    4,  1.  Fersi,  si  lecero. 

S.  CCXXXIX.  1,  1.  f~  e  dessi  immaginando.  =  2,  2. 
Riposti,  secreti.    : —    4,  1.  Ben  nata,   fortunata. 

S.  CCXL.  1,  1.  Voice  ricetto  in  Valchiusa.  z=  2,  4. 
La  morte. 

S.  CCXJjI.  2,  4.  A'  suoi  usati  soggiorni ,  a'  luoghi  che 
frequentavano,  essendo  in  terra. 

S.  CCXLII.  1,  3.  Più  acceso  d'ogni  altro.  r=  4.  No- 
do, corpo  unito.     ; — i      2,  3.    Me  —  lamenti,  hai  posto,  o 

lasciato.    4,  3.  Non  diro  il  cuor  d'uom,   ma  un  cor 

ecc. 

S.  CCXLIII.  1,  2.  Mirendon,  rappresentano  all'  imma- 
ginazione. Così  combina  con  rendono,  in  questa  guisa,  co- 
me io  la  vidi  sensibilmente.  2,  1.  Croce,  stento  ango- 
scioso.   Dante  Inf.  X\'I.    : 3.  Scorta,  accorta,  avveduta, 

saggia,  moderata,  casta,  onesta.  (Jucsto  senso  quadra  meglio 
aAuncide,  che  quel  'di  begli  e  lusinghevoli  accorgimenti 
adorna'  di  Diagioli.  r=  3,  1.  Donna,  signora.  Altera, 
maestosa.    : — :    4,3.  Questa  via  iT   amore. 

S.  C("XL!V.  1,  2.  Accesa  d'  amore.  3.  Sospet- 
to,  tema,  paura  riflessiva.  : —  4,1.  Contando,  spiepan- 
ilo.  r=:  2.  Levar,  distaccare  dal  mondo.  =:  3.  Quanto 
tempo,  per  quanto  tempo. 

S.  CCJXLV.  2,  2.  Gelosa  amante.  Pia  madre.  r=  3. 
Temendo,  sappi,  che.  3,  1.  Alto,  sprezzando  le  co- 
se basse,    rtrrr    4,  1.  Secondo  lei,  giusta  il  suo  desirc. 

S.  CCXIiVI.  1,  3.  Preso,  stretto,  ristretto.  Morto,  pri- 
vo di  forze  superiori  intellettuali.     4.  Alteramente, 

con  grandezza  e  nobillà.  :  2,  1.  L'  uno  e  l'  altro  po- 
lo,   tutte   le   regioni   del   cielo.     2.    !  aghe,    erranti. 

Torto,  per  lo  zodiaco,  cf.  Dante  l'arad.    X,    Ili.  a.     : 3,  1. 

Terza  spera  di  Venere  =—_  2.  Guitton  d'  Arezzo,  poe- 
ta circa  .50  anni  prima  di  Dante  v.  Urei  li  Ueiiriige  zur 
Gesch.  der  it.  l'oesie.  1,  23.  ss.  Cirio  da  l'istoja.  ci'.  Canz. 
VII,  4,  10.    r-=    ;j.  Frati  CCS  chiù  del  Dene.  parente  di  Scn- 

nuccio.  cf.  Trionf.  d'  Am.  IV.     4,  2.  i  che  son  fatto 

una  fera,  solitario  e  selvatico. 

S.  (M'XLVll.  1,  2.  Di  aspri  colli  in  Valchiusa.  =^_  4. 
In  sul  fiorire,  in  mia  gioventù.  Far  frutto,  la  virilità. 
zrr:    2,  1.   Tal,  segno. 

S.  ('«'XLV'lll.  1,  3.  Anzi  tempo  per  ine,  troppo  presto 
per  rifpctlii  a  me.  Suo  paese,  cielo,  irrrr  4.  Parsila 
niella  del  cielo  di  Venere.  =:  2,  2.  Con  tose,  coiilrastii. 
:—.  4.  Flit  a,  aspra,  acerba,  turbata,  r-r:  3,  3.  Arden- 
do nel  fuoco  d  amore  stesso.  :=  4,  1.  Effetti,  fama  glo- 
riosa di  I..,  e  mia  virili.    2.  L'un,  io.    L'altra,  ell.i, 

Laura.  Oprar  \miuìi;  d;i  eff  et  li ,  ed  ù  quasi  appoHizionc, 
o  invece  di  d'oprar,  quilii  d'oprar.  L'ellissi  seppe  è 
piuttosto  senso  clinisalo.'chc   gnimmalicn. 

S.  (JCXMV.  2,  2.  li'  degli  amanti  pia  fallace  ancor 
Hperaiiza  e  desir.  H  rii  n  e r  un  ce  7ito ,  modo  proverbiale, 
cento  |)cr  un,  inolili  assai.  : 4.  1.  Riva,  fin,  ter- 
mine. 

S.  CCL.  1,4.    l'ii  Mh.  leggo  ov'    e  Laura    ora?      A  no- 


iui 


stro  parere  men  teneramente  e  poeticamente.    2,  3.  Ai 

loro ,  Laura. 

S.    CCLl.  2,  3.     Solean.    Altre   hanno  so  Zea.    =-    3, 
Fortuna,   fiera   tempesta   d'    affetti.      r=:      4,   2.    U  s  a  H 
consueto.     In  senso  di  disusato  parrebbe    francese. 
Rivolta  in  pianto  ,  versa  in  luctuin,  dice  (ìiobbe. 

S.  CCLII.  1,3.       Ual  sospirar   mio  primo,  dal  prid 

mio  sospiro,  dacché  cominciai  a  sospirar.     2,   3.   Ordini 

No  n   p  n  s  s  0   p  i  il  far   r  i  in  e   aspre  —  chiare,     e  n  i 

ho —  lima.    4,  I.  O/i  0 /e  cercai.     : —     2.   Alter\ 

allii,  nobile. 

S.  {JCLilI.  1,  1.  Sol  e  a  si  Laura  in  vita  sua.  Paragonani 
il  tempo  passato  col  presente  mostra  la  sproporzione 
dilfereiiza  d'  alta  donna  in  luogo  umile  e  diva,  di  mortale 
uomo  e  morto.  : —  2,  4.  Lor ,  dell'  alma  e  d'  Amore.  :^=z 
3,  1.  Dentro,  nel  cuore. 

S.  ()CIil\.  1,  1.  Solcano  Laura  vìvente,  mr  2.  In- 
sieme, suppl.  dicendo.  r=  3.  Pietà  s' appr  e s n  n  .  L 
impietosisce.  Del  tardar,  dell'  indugio  di  aver  pietii. 
2.  4.  Jìiììiasu  legge  IJ.iudioi  in  vece  di  ri  ni  a  so.  Co> 
voglia  Biagioli,  con  quel  suo  dice  riinaso,  'perigliò  ilia  in 
guardo  la  cagione,  onde  procede  questa  speme',  io  noi  capisci    '"" 

3,  3.  Ohd'  ella  uscio,  al  cielo.    z=     4,  3.    Furoi 

amor  sfrenato. 

S.   CCLV.   1,   3.    Onesta,  bella   ed  onorevole.    =r 
Fuso,  \i!a.    =    3.  Stame,  (ilo.    Laccio  vitale. 

Strale,  Itoncaste.     Onde  pel  quale,  pi-rclié.    : 3.  «.(rd 

na  :     che  no  n  f  u  m  ai  a  Itti  a  a'  suo  i  d)  si   vaga   d'ai 
leg  rezza,  di  libertà,  di  vita,  e  li  e  non  ecc.    rrr:: 
Naturai  modo  di  desiderar  felicità.  ==r    4    1.   Togli  en 
do  anzi,     preferendo.      Tasso   G.  li.  XiX   lOo,      3.     Tra 
guai,  lamentarsi.    : —    2.  Qu  alati  q  ne   altra   donna 
S.  CCLVL  1,    1.    Aggiunte,  unite.     =      4.  Seco,  c^ 

r  anima  santa.     Giunte,  congiunte.    : 2,  3.    Amman  »' 

ta,  copre,  vela.    =:r^      4.  Punte,   strali.    -. —      3,2.    Alt 
Zoco  ,  allo  intelletto.    r=      3.   Anc  o  r  accenna.    Un  ms  fi' 
estensf!  ha  e  ancor  l'  accenna,  lo  moslra. 

.S.  CCLV'II.  l'ieiio  di  concetti  e  contrap;)osti.  =  2.  Supji 
quando  mi  volga  a  mirar.    =rt      2.  Due   parti  una  morlaìt  n 

l'altra  immortale.      Ogni  mio    ìien.   Laura.    : 4.    G  uà  * 

dagno,  l'idtio.  Danni,  all'anni  amorosi.  r=    3,  2.  Estri 
m  a  ,  mìseriibile. 

S.  CCL\  111.  1,  3.  L' una  —  stella,  gli  occhi,  rr^  { 
l>e  n  «  0,  diedero.  :=  2,  1.  J' u  l  o  r  ,  x'wwu  Conoscen 
:;  a,  ingegno  acuto  e  pronto.     : —     4.    Lor  voglia  fenni 

fecero  'di  me  quel  che  volevano.    : 3,  1.  Ombra,  teniperj 

malinconica,  e  severa.   : 2.  Ora,  aur.>,  refrigerio.    t= 

\'i.  Là  '  V  e  —  tutti,    in  ((ual  viso  eran  dipinti   ed  intesi. 
I     S.   CCLIX.   1,    1.    Io   ti  porto   in  vece   di    t  i  j)o /•  t  n  h  '; 
iMars.   Avara,  cupida  di  serrare  in  le.  =:    2,  4.  E  —  dis\ 
\serra,  a  prr  esser  pochi  gli  eletti;  o  ])nr  render  quel,  eh'  h 
raccolto,  lo  che  non  si  fa  mai  se  non  in   qualche   senso    lìlost  w 
lieo,  o  mistico  e  figurato. 
S.  CCLX.  1.  1.   lulle,  Valchiasa.    =    2.  Fiume,     So 

ga.    r=    4.  Af frena,  contiene,  serra.     4,  2.  Nud 

Ideila  mortai  spoglia. 

j     S.  CCLXI.  1,  1.     Parte,     il  terzo  cielo,  o  cerchio  (3) 

'3.     Fra  —   serra,  fra  gli  amanti  virtuosi.    =    3,    1.  Ao 

\cape,  non  si  comprende.   2.  Ordina:  e  il  mio  bel  v  eì 

\l  o ,  (j  uel  che  tanto  amasti  e  che  è  laggiù  r  i  in  a  s  o< 
1  cioè  la   spoglia  corporea,    la   bella  persona,    velo  all'  auim" 

4.  1.     Al  largì)  la   mano   lasciando  la  mìa. 

S.  CCLXII.  1,  1.     Al  buon  tempo,   in  vita  di  L.    : 

i?  a^i  0  7i ,  conti.     Sa  Z  rfar,  sdebitare,  pareggiare.    =r 
Fort  une,  tempeste,  burrasche.    =    3,  2.    f'oi  —  pasce 
Naiadi. 
S.  OCLXIII.  1,  1.    Ne  mar  osi  vermi,  lime,  passioni. 

3.  I  agafera.  Laura.    r=:    2,  2.  D'  amor  disdetto,     rr^ 

4.  In  (juèlla   etate,     non   matura,    nella   gioventù,     rrà  » 
3,  3.  Altri  amanti.    =:    4,  2.  SUI  canuto,  temiUMto,   sft 
dato,  sodo,  posato  e  in   somma  culto.      z==:      3.    V{omj)erj|* 
rompersi. 

S.  CCLXIV.  1,  1.    Nodo,  corpo.  =r::    2.  C A  e,  di  cui. 

2,  1.  i^aZsa   opinion,    sospetto    d'amor  meno    onesto,    rd 

3,  2.  ì  edra'  vi,  vi  vedrai.  Sol,  solingo.  =-  4.  Ordina 
v  0  g  Ho  che  tu  abbandoni  e  la  s  e  e  d  i  m  i  r  ar  l  à  ov 
giace  il  tuo  albergo  e  dove  nacq  11  e  i l  n  ostT 
amor,  per  ecc.  Dal  Sade  sappiamo,  che  Ogiera,  figlia  mal 
giore  di  li.,  nata  verso  il  1330,  si  condusse  s'i  malamente,  ci 
nel  ilì.'il  la  famiglia  fu  costretta  a  farla  riucbiudcre  in  un  ral 
nastero.  l'go  di  Sade,  marito  di  L.,  sette  mesi  dopo  la  di  1 
morte,  passi)  alle  secondo  nozze,  e  fu  inoltre  molto  geloso 
L  Svilisce  duii()uc  il  poeta  i  parenti  di  L.  dic;cndo  :  mira  \a, 
chiusa,  e  non  curarli  d'  Avignone,  aflìiiclic  non  veda  nella  f  "1 
miglia  tua  figlia  malnata  e  consorte  libidinoso,  cf.  S.  CL.XXV    " 

S.  (MUiXV.  1,  1.     Quel  sol,    Inaura.    =rr    i.Ilminlt 
me,    gli  occhi  lucenti  di  Liiira,     che    mi  erano  scorta  ni  cìpW 
ed  a  dio.     C  a  r  ce  r  t  e  r  r  r  .s  /  r  o  ,  corpo.     r=r    2,  1.  -/  n  i  ni  a  l 
Silvestro,    solo,    fiiggciiie  ogni  compagnia.      :=-.      2-  /  a 
ghi,   erranti,  raminghi,  incerti,     rt^    3,3.   ;"ieji ',  vieni 

iS.  CCL.WI.   I.    Io  pensava  ecc  ,  io  pensava   potermi 


i  K 


ì 


DI  PETRARCA. 


i^nre  a  volo  rapido  e  possente   alle  bellezze  di   Laura,    non 'di   Laura!    : —      1.   Fine stra   della   mente.     4.   J)a 

;ì  per  la  Inr  forza  propria,    ina  per   quella   d'Amore  (ili  chi    man  destra,  attese  le  virtù  di  L.    : y.  PrjKsn      varco. 

:^  p  i  r  g  a),    l'è  r  —  eguale,    per   adeguare   il  mio    canto  Morte  in  guisa  orientale  è  caccialoie.    2.    'l'i-ionc   di  na- 

li  (jcllfzza  di  quel  nodo  amoroso,     donde   iiiorte   mi  si-ioglie,    ve  bellissimi  caroa  di  ricche  merci  disfatta  da' subita  tempesta 

Amor  mi  leja.    =    2,  3.  yl  cader  va  ecc.  proverbio.  —  rara  beltà  di  Laura  oppressa  dalla    morte!    7.    Tein- 

Nc  ni  fa  ben,  mal  riesce.    3,  1.  Ilaria,  poirebbe.   pesta  orientai,  pestilenza  donde  L.  mori.    ;5.   Visin- 

'enna,  ala.    z=    2.  (irave,   tardo.    r=:      3.  Ritegno,    ne  d'  uu  lauro  bello  percosso  dal  fulmine.     — -     2.  Schiet- 

game,    nodo,    r^rr      3,1.    Segui  II  a,    la  natura.    3,  ^  to ,  non  involto,  nò  nodoso,  uè  inagng-naio.    —    8.    Tintujn 

~  e  n  t  il  ra  ,  fortuua.  vista  scuro  di  nuvoli.    =r=      1::.  Simit,  sì  dilettevole.    — — 

S.  CCLXVII.  1,  1.  Sorga,  fimie  di   Yalcliiusa.     Arno  fìu-    4.     Visi(me  d'  una  fontana  b'-lla  in^fiiìotlita   col   suu   loco   dalla 
e  in  Toscana.    =-:    2.  Franca,  libera  di  noje  e   snllecitu-   terra,    tì.   yl    quel   tener,    al   mormorio   soave    dell'  acque. 

3.  In  amaro,    col    suo   morire.     2,  1.  ]J a   r=    9.  Spero,    spelr)nca,  terra  v.  5,  ti.     Visione  d"  una 

oi,  pnsci.T.     Uiproruto,  pnniito  dì  nuovo.     : — -      4.  jn-    fenice,  che,  vedendo   l'alloro  svelto    e  '1    fonte  secco,    volg^e  il 
zrno,  dipiiijro   e   colorisco   al    viso.     Dante   Pur?.  XIV,    21.    becco  in  sé  stesso  e  dispare  —  1'  anima  di  L,  che,   veduto  mo- 

riosto  Ori.  f.  I.  al).    : 3,  3.  J' ii  r ,   soltanto.      Ombreg-    rire  il  corno  suo,  sene  \oIa  al  ciclo.    3.    J  edendo  io. 

iar,  adombrare,     abbozzare.    : —    4,  1.   Divina  parte,    =    10.   tolse  —  becco,  si  rivolf^e  o  raccoglie  in    so.    

ii^ma  e  sue  \irtu.  _  11.  Di  sparse,  di'parve.  r=    G.  Visione  d'  uua    bella  donna 

S.  CCLWIll.  1.     Ordina:     Amor,  che  —  in    chiostri,    punta  irnau  nel  tallon  da  un  pirciol  ang:ue.    In  questa   visione 
uol   ch'io    dipinga  a   chi  noi   vide,  e    ch^io    mo-    jiar  che  concentri  e  rischiarando  frioriiichi  V  immagine  dì  L.  in 

ri  V  alto  e  nuora  iiiiracol,  che  ecc.      =      'i.  Se-    generale;  onde  non  intrudiaino  E.irid'V-e.    5.  Candida 

>,  col  mondo.    =    4.  S  t  e  1 1  a  n  t  i  r  hio  s  t  r  i  ,    rerìnlì  lu-   gonna  corpo  incontaminato.    tì.   Testa,   tessuta,   con- 

nti.    r==      3,  1.     Al  sommo,  al  colmo  delle  ludi  di  Laura,    testa,  armonizzata  ne'  colori.     — -    7.  Le  parli  supreme, 
—    2.    Chiunque  —  scriva  ogni    altro    talcoso    poeta  sin    la  testa. 

lì.    =      4,   1.     rince.    Laura,    queir   allo   e   nuovo   mi-       K.  XI.    Scritta  nel  1319,  ricorretta  nel  13G8.    =r-     1,  yJmor 
eolo.  ^  qui    par    alquanto    ozioso.    =      2.    S  p  e  ne  e  g  u  id  ar  don , 

S.  CCLXIX.  ì,  2.  G  arr  ir  —  pianger,    torna  a.  g.   e.   a   premio  sperato.    r=    5.  i  '  u  n  a ,  la  morte.    z=      iì.Acer- 

2,  2.  Sua  fi  glia,  Venere.    : 3,   'i.  yl  l  e  i  e  l  —    6  a  in  eiit  e  ,  crudelmente.     7.  L\i.(lra,  la  vita. 

hiavi,  che  morendo  chiose  il  cuor  mio  ad   ogni  letizia.    S.       C.  XXV.  1,  1.     Temo,  suppl.  che.    yldopre,  opri,  faccia. 
<X,  4.    =:    4,  ).  Cantar,  canto.     Fiorir,  lìor.  !^=    (i.  s.  Opre  divine,    \irtii    e   bellezza.    =      8.  Jlac- 

S.   CCLXX.    1,    4.    Scorte,    maestrevcdi,    armonizzate,  cf.    colta,  chiusa,  d'ogni  mortai  fama  non  curante.   9.  Pri- 

H.  X.  10,  gione,  corpo.     r=    10.  Foco  era  stata,    avendo,   secon- 

S.  CCLXXL    Annovera  le  cose,  che  più  dilettano  la  vista,   o    do  Sade,  diciotto  anni.    : —      13.    Di  mia   etate  aprile, 
idilo.    GV  infiniti  sono  o  assoluti,  o  iiì  vece  di  sostantivi.     11    avendo  anni  ventuno.    =      11.    yi    co g l icr  f  ior  i  ,  facendo 

rime  e  versi,  ^-r  2.  Descrive  il  bel  corpo  di  L.  r^^  1.  Mu- 
e  non  is-  ri,  membra.  Tetto,  capelli.  =:rz  2.  L  scio,  denti.  Fe- 
nestre,ow\\\.  zm  5.  Messi  rf'  amore,  parole  e  sguar- 
ili.  =^  7.  Coronatid'alluro,  vilinriosi,  co»  allu.>ione 
al  nome  di  li.  =^^  9.  s.  D' un  b  e  l  diamante  quadro 
(quadrato,  cubico,  onde  saldo,  perletto)  e  mai  non  scemo 
un  seggio  altero  è  il  cuore  deliberatamente  e  invincibil- 
mente casto.    ::^=      12.  Colonna    e  r  i  s  t  al  l  i  n  a  !<eaz'  allTo 

nza  brio.      Forale,    senza  buldi-zza  e  grazia.       Fiso  non    lutto  il  corpo  svelto  e  puro,     in  cui  traluceano  i  pensieri.    

sfavillante.  Panni  trascurati  o  meno  allegri.  =:  3.  3,  1.  yl  1 1  e ,  riferendosi  a  giunto  del  v.  b.  cioè  raggiunto, 
0  t  e  e ,  potevi,  y^  i)  u  e  «  £  a  ,  a\  veduta,  scorta.  : —  4,  1.  yi  [Colio,  è  in  vece  di  f/a // e.  r=  2.  Insegna  verde  rispon- 
de al  co  ron  a  O'  (/'  a // or  o.  : —  0.  Uo'è  ecc.  forse  nel 
cuore.  z=  i\.  Parte,  dall'  altra  parte,  parimenti,  insieme, 
a  un  tempo.  4,  15.  S.  CC\X,  1,  3.  =r=:  11.  Per  che,  per 
'quale.    _=r       l'i.    S  t  a  n  r/o.s/  a  f/  t/ n  ia  /  co /i  e  ,  alta,  ec- 


ncelto  (le!  tutto  è  di   Guido  C-ival  auti. 

S.  CCLXXU.  1,  1.     C/(e,  ove,  quand.i.     =r      3. 

iviamo   eoa    Diagicdi    quello,     rìl'erendolo     a     tempo,    o 

issata,    passato    è    ano!}ialia    poco  da  lodarsi.     4. 

enna,  in  vece  di  pena,  hanno  'l'assoni,  Muratori  e   Mar- 

--    2,  4.  C  e  /  ?«  a  rt  t  o  ,  bel  corpo.     ì,  2.  Loro, 

lura  e  mio  cuore. 

S.  CCLXXlll.    .Sali'  ultimo  congedo  di  L.    =    2,1.    Atti 


r ,  agli  occhi  dì  L. 

S.  Ct'LXXlV.  1,  3.  Al  loco  ecc.  P.  avea  anni  45,  alìor- 
e  L.  mori,  rrrr  2,  3.  Sospetti,  dell'  amor  mio  meno  onc- 
|iuro.  cf.  S.  ('(;XL1V,  1,  3.  :z=:  3,  1.  Scontra,  incoil- 
—  3.  Che  loro  incontra,  cosa  loro  avviene. 
S.  CtyLXXV.  1,  2.  Frane  in  via,  ra\r(i  giunta.  =rrr  4. 
hi  —  adegua,  la  Morte.     rr=      2,  3.  Scorse,  guidi),  fu 

orla.     =-r-    4.  Segua  io.     : 3,  1.  Che,  perchè. 

2,  1.  ^  '  6  e  - 


S.  CCLTvXVI.  1,  4.  Spoglia,  depone. 


celiente,  inacces.-ibilmente  casta  e  one>ia.  =r  4,5.  J) ori- 
na pronta   e   sicura,     ^alura.     rrr      H.     Atto    delta 

fronte,    ov'era   la   maraviglia    dell'  anima  dipinta.    15. 

Parte  \.   a.    3,   9.     =      5,  1.  Costei,  Laura.    5.  Il 

p  a  dre.  Giove.  =  li.  Le  parli  signorili  e  belle, 
onde  discende  influsso  felice.  : —  7.  Le — felle,  ondo 
scendono  maligni  indussi.  G,  4.  y/ n  cor  a  e  er  4  fl,  fan- 
ciulla. r=  li.  Carpone,  perdi'  era  fai;cìulla.  r^rz  12.  An- 
cor non  preste,    balbettanti,    non     bea    sciolte.    =ztz      13. 


Che  —  s  e  o  ni  p  a  g  n  e  ,  che  lascio  per  poco  la  mammella,  nrt 
7,  2.     Terza  J  ior  i  t  a    et  a  t  e ,   ileclmoler/.o  anno,  pubertìi 


i  II  e  ehi  di  Laura.  =r=  3.  Schiantar,  fendere,  rompere 
I  \iol(;iiza,  come  fa  la  grandine  agli  alberi  ed  alle  biade. 
I.  l'nr  vivendo,  se  pur  ella\ivea.  Feniasi  là,  o  il 
)i,ii).     -^T    -I,  3.  Cangiati   essendo. 

.  CCLXXMI.  1,  2.     Sterpe,   sterpi.     =      3.  Spoglie 

rei  se,  alte  frondi.  r^  4.  Sterpe,  radice.  =r.  2,  l.jì,  2.  'J.' e  r  z  a  J  tonta  etate,  ilecimoler/.o  anno,  pubertìi. 
hhietto,  nuovo  oggetto  del  mio  ìnnanioramenlu.  r^r  3.  rrrr-  6.  Salute,  salutare  ad  altriii.  z-z:  11.  Carcere, 
'  ^  .V  e ,  86  lo  fece.    ^^    3,  1.  /y  n  «  r  o  ,  Laura,     r^    3.  C/i«    corpo.    :=:    H.  I.   Ilota   attribuisce  alla  \atur.i,   asM'gnaudn 

onda,    che   non    potc\ano    mai    volgerla   ad  altro  pensiero    le  l'uffizio  della  Parca.    'i.     à't  a/;i  e  di  vita  nostra.    

e  onesto,     rr^     4,  1.  yl  l  b  e  r  g  o  f  i  d  o  ,    mio  cuore.     2.    5.   Fame,  de-iderio. 

adiri,    memoria   e  immagine.    7=.    A.  C  U  i  e  h  lami ,  io. \     S.  CCLXWII.  2,  1.     S  coeso  come  la   fronda   d'  n  11  albero. 
hi  risponda.  Laura.  _  : —    3,  1.   /.«  '  n  / 1 /o ,  essere.    r=z    3.   l''ia  'l  mondo,    leggi 

S.  ('CL'vW  111.  2,4.  Aon  giunge  osso  a  nervo,  non  a^  mondo,  cioè  sarà  sempre  iu  ineinorM  al  mondo  de'  buo- 
ni, rrn:  4.  Ordina:  auge!  novo,  pii  tà  di  me  vinca 
lassii  il  vostro  cuore  in  sua  tanta  vittoria  (del 
mondo  cdell'obblìo)  e  o  me  la  vostra  beltà  vinse  quag- 
g  i  il  i  l  m  i  o  r  1/  0  r  e. 
S.   (M'IAWIII.    1,   1.     Sono    accusativi.     =     4.  Colei, 

Morie.    2,    1.    //   sul  sparisce.      Suanoror,  la  lima.    

2.   <liiunto  per  (|uantu  tempo,   mentre.     Il   2.     Sparila  essendo,     rr-r-    3,  1.   Dormito  —  sonno,  po- 


ste   spoglia   corporea.     : —  "3,  l.  "  La  for  m  a  miglior, 
anima,    r-r:      4,  2.    Jn   guai  parte,    nel   cielo. 3, 

n  a  l  è.      Irlo,  corpo. 

(,"('LX.\I\.  2,3.     A /rfo,  stanza,    asilo,    r —      4.   f'ivo, 

nlìnuo   a  vivere     rr^-    3,  \.    Piante,    quando  si  andasse    a 
orto  dov'  io  giaccsMÌ  seppellito.    ::—     2.   Occhi  volli  a 

.tolcro.     r-r=     4, 


io  foco  ,  la  cagion  del  mio  loco.      _  co  tempo  viverli.     Ilellissima  immagine  profonda,  alCso   il 

S.  ("CI. XXX.   1,  4.     Etire,  voce  Ialina  elicit,     trac  fuori,    gilar  eterno  dell'  alma.     :. — :     3.  S'interna,  si  riunisce, 
a.     r —     3,  3.   Colo,  \(ire  latina,  venero.  S.   CCLWMW    1,    3.     Patto    era.     Tepida    neve.    Cosi 

.  CCLXWI  'lli^po^ta  al  Nonetto  di  Giar.  della  Colonna.  Ovidio:  Mire  nivis  l  n  r  r  :i  inae  sole  It  prnlis  cunt. 
:  l<'  parli  del  corpo  mio  distrutte',  r^  1,  3.  ()  u  1  1 1  e  no-  :^—  2,  1.  V(.  Dante  Inf  .\\ll,"Hj  ss.  r — :  2.  Domestica 
,  il  sonetto  di  (<iac.  r  \.  l'irta,  cortesia,  bontà.  :r—  febbre  quartana,  la  qii  ile  s  allunga  sì  clic  si  fa  qua-"!  doine- 
.  T  r  r  r  e  nr  lutti',  addila  le  persecuzioni  della  casa  di  slica  con  cui  »  incarna.  — —  3.  In  ve,  leggiero,  spedito, 
unno,     rr—      3.   Morte    di    l/unra.     rr—      3,    L    Tcnrre    presto,  pronto,     rr-    4.   Aon  integri,  scemi,  uianr.iuii,  ini 

jierfei'i.    r —     3,  2.  L  u  in  r  divino.     . —    3.  Mici  occhi.    

4,  3.   Hi  vrd  renne,  ci  riiedreinn, 

S.  CCLWW.  I,  3  ;  o/(i,  volevi.  =rT  2,  3.  A'on 
tutto,  operando  di  rivederla.  : —  3,  2.  &'{ie^n  e  r ,  cioè 
lo. 

S.  CCLXWM.  1,  2.  To',  togli,  prendi,    r —      4.   Tardo, 

perchè  pena  aveva  a  spiccarsi  da  lei.     :-t-      3.  3.    {-'n'Ir,  fa 

Irmpo,   innnnzì  tempo,    iroppo  presto. 

Strinse,  lego  a  questo  corpo,  rrrr     3. 


ondi,  corona  poiliri  di  poco    frutto    ancora,    dunque    poe- 

o  impegno,     r —     2    /■,',  se  non  vuoi  leggeri;    eh,  o  ubi,  in- 

roinpe    impetuosamente    ii    suliilo.     —        4,3.    U  0  I  r  ih  o  s - 

r,  cagione  dolce  de'  miei  so'^piri.     La  costruzione  è  a!i|uan- 

scotivolla,  in  vece  dì:     rlii  mi  rasrundi;  e  v  iet.i  inn.in/i  leni- 
te, dolce  sospir,  che  col  cor  veggio  e  1:1111  la  lingua    onoro, 

u  cui  l'aìma  h  acqueta. 
.  \\l\.     .Scritta    nel    I3(il,     ricorretta   nel  I3(il.  rnnlenriile    cele.     ~—      4,  I.   /' 
vìsiiMii  siivcelliliili  d'  allegorici  spici/ione.     : --     1.  \  i-i. .ne    : —  2.  Chi  er.r.  dio, 


legnric.i  sjio'.i/'.ione. 
una  fera  con  fronte  umana,  cioè  Laura  cuci'i.ita  da  due  vel      f  o  s  t  r.v ,  nodo,     l'rrfarv'ira,  per  taru  disdegnosi    e  In- 
,  un  nero  e  bianco,  sigiiilicanti  isolle  e  giur.iu  —  breve  \ila    diitpctliivi  «lille  cudù  di  qiiag^giii. 


COMENTO    SULLE  RIME 


e.  XXVI.  1,  1.    La  font  an  a  di  mia  vita,  Laiira.    

5.  £i,  Aiiinre.  r^  7.  Alzo  la  mano;  anlicliir'simo  costu- 
me in  segno  d'arreudersi  al  nemico.  ^=  12.  Jien  men, 
va  mancando.  ===  2,3.  /"irf  «,  forza  e  vigore.  Fé  a,  fa- 
ceva.   =    5.  Vi  morso  die\   consumò  uccidendo.     G. 

C Al  ecc.  morte.    ==      9.    Spero   pel   desiderio  di    L.      Fa- 

«  e  7i  to  ,  perchè  è  quasi  suicidio.     : 10.    yet/bia,    come 

n.    :=    3,  2.  Sassel,  se  lo    sa.      Suo,   ilella    vita.     ti. 

Licito  fosse,  oh  che  1.  f  !  =  4,  3.  1 1  pns  e  i  n  b  a  n- 
do,  distruggendo  quel  benedetto  albergo  =^rr  .5,2.  f'n- 
gkezza,  desiderio  vago.  =rr  12.  Con  altro  pelo,  quello 
della  vecchiezza.    =^^    tì,  4.  Ben,  oueslainente. 

Si.  IX,  doppia  o  di  dodici  stanze.    2,  ti.    Ogni  stile, 

ogni  parlare,   legalo   o   sciolto.      :      3,   3.    J7  ' ,  ove.     4. 

Gè  nt  i  l  e  0  r  e   ili  h.    5.    lljavoleggiar   sogni,   speranze, 

ragionamenti.     4,    1.    Vesir,     di    veder    L.     =    5,  1. 

C  A  iV/ro  «e  t'/!  0  ,  soggetto.    =    T,  S.  1)  o  ppi  an  d  o   si,    ac- 

cumalandogi,  crescendo  smoderatamente.  H.  4.  l'io  g  g  i  a  , 

pianto  dirotto.    Altri  alludersi  credono  al  vegghìare   e   cantare 

degli  amanti  all'  uscio  delle  donne  amate.  10.  5.   Tolla, 

tolga,  toglia.    =^    ti.  0  y  '  è  ,  sappi,  trasferendomi.    11,2. 

A  ggi  ungan,  raggiungano,  pervengano.  =:  12,  2.  Vii  e. 
scrivete.    _  5.  M  uti  ,  che. 

S.  CCLXXXVII.  1,  3.     Chi,   colei,  queir  anima  santa.    

4.  //  mortai,  la  spoglia  mortale,  il  corpo.  2,  3.  Spar- 
te fronde,  i  vanti  lodevoli,  gli  ornamenti,  le  bellezze  anni- 
chilate e  distrutte  dalla  morte,  incogliendo,  rammemo- 
rando, e  cantando  in   rime.    : —      4,  1,  Passar,  morir.    

2.  Quale,  cos"i  beato,  come  ella  è. 

S.  CCLXXXVm.  2,  1.  Già,  ia  tempo  di  vita.  Paven- 
tosa,  sospettosa.      3.  Sempre.     Chi   sa"?  v.  Si.    1,  ti. 

Vili,  (i.  5.  C.  IX,  5.  12.  S.  XXV,  !).  LIX,  12.  CCXI.IX,  5.  ed 
ultrove.  =  3,  2.  In  fin  al  del,  nel  ciel  medesimo,  nel 
cielo  pure.  cf.  S.  CC.VCVII,  1,  2.  dove  sopra  7  cielo.  C. 
XXVIl,  2.  3.  ss.     Cosi  va  bene,  ancor  senza  la   conghiettura  di 

Biagioli  in  .sin  n  e/.    : 3.   Tornando   nelle    mie    visioni 

e  sogni.    : 4,    1.    Al  por   giìi,    allorch'    io   deporrò.     

2.  i-'pr  me,  per  accogliermi.  Gente  nostra,  uobili  ani- 
me amami. 

S.  CCLXXXIX.  2,  3.    L'  alma,  mia.    =      3,  3.  Torpo, 

sbigottisco,  irrigidisco.    A'oce  latina!    4,  1.  Finestre, 

occhi.    2.  Colei,  morte. 

S.  CCXC.  1,  2.     Che  —  sbandita.     Dante  Purg.  XXVI. 

4.  Accesa  —  stella,  di  Venere,  cioè   adorna   di  tutte 

le  bellezze.  =  2,1.  Oca  orso,  incontro.  : —  2.  li  orni - 
t  a  ,  solitaria. 

S.  CCXCI.  2,  4.  Si  tiene,  si  crede.  =  3,  2.  Cover- 
ta, nascosta,  poco  conosciuta.  : —  4,  1.  Un  de  ecc.  Il  soo. 
C(\\C!1  e  CCxCV.  par  giustificare  rinterpretazione,  che  ri- 
ferisce la  poca  vista  errante  o  debole  alla  virtù  visiva, 
allo  sguardo,  di  modo  che  cangiarla  poca  vista  sia 
volger  altrove,  cioè  in  su,  al  cielo,  lo  sguardo,  dunque  esser 
astratto  dalle  cose  mondane,  sol  per  piacer  ecc.  per  piacer 
meglio  ad  essa,  purificando  P  amor  mio. 

S.  CCXCll.  1,  4.    Ab  esperto,  per  isperìenza.   ■ 2,  3. 

Mali,  danni,  bellezze  mortali,  che  mi  striiggeano.     3,  2. 

In  più  sicura  parte,  al  cielo.  4,  3.  E,  nasce,  s'  ac- 
quista. 

S.  CCXCIII.  Ordina:  quel  dolce  mio  l  aur  o  che  d' 
odor  ecc.  «  i'  '  abitar  ecc.  vedeva  alla  sua  ombra 
(corpo)  o  n  e.f  t  o  m  en  te  il  mio  signor  (Amore)  seder- 
si e  la  mia  dea.  Vuol  dire:  L.  bellissima  era  l'  amor  mio, 
e  mi  beatifici).  <^uel  disgiiigner  e  confuuder  del  lauro,  in 
grazia  della  triviale  immagine,  olfusca  e  confonde  non  poco  il 
concetto,  ancorché  parli  d'  mi  suo  lauro  piantato  in  Valchius.i. 

4,  3.  Cosa  era  da  lui,     era   cosa   degna  di  starsi  con 

lui. 

S.  r('XCIV.  1,  4.  A  me  grave  pondo,  noioso  e  insop- 
portabile a  me  stesso.  - —  2,  1.  In  fondo,  abbassata,  pre- 
cipitata, r—  3,  2.  // '  ninan  le  gnhggio,  la  schiatta  uma- 
na, r  umanità,  gli  uomini,  r—  4,3.  i>e  l  m  io  pia  ut  o  , 
di  colei,  per  che  piango,  come  dice  altrove.  Si  fa  bello, 
s'  adorna. 

S.  ('C.\CV.  1,  1.     Quanto,  in  quanto,  per  quanto.    4. 

Cosperse,  sparse,  diffuse.  r-=z  2.  Le  bellezze  immortali 
(li  L.,   maggiori  del  mio  intelletto,     riconoscer  non  potei.     =r~_ 

3,  1.  A  (; ,  o.  mr  2.  Anzi  a  dio,  innanzi  a  dio,  presso  id- 
dio. _  Rende,    ricambia.    =r=r      3.    lire  ve   s  l  i  1 1  a  ,  \nccti\n 

gocciola.     Modo   di    dire    strano,   poco    alto.     4,  2,  Jfer 

aver,  qnantiiiiqui;  abbia. 

S.  ('(;.\(;\  I.   2,    1.    Suo'',    suoli,  solevi.    Senso  :  altre  volte 

turni  visitasi  I  nel    sonno,     ir-r:      2.  Sosti  e  n' ,   sostieni.     

3.  Il  refrigerio.  =r-  3,  1.  Onde,  per  la  (|uale  ira  e  per  lo 
quale  sdegno.  Ben  pietoso  core,  core  per  altro  pietoso, 
tenero,  e  gentile.  r=r  3.  l'.gliW  coro  gentile,  è  Amore 
vinto  nel  suo  r  e  f^  no  ,  nel  core  gentile  ;  perocché  A  m  ore 
e  cor  g  en  t  il  so  no  una  cosa  secondo  Dante,  ('oncetto 
pur  artefatto!     r:^     4,  3.  Ombra,  apparizione    in  sogni. 

S.  (;<'\('\1I.  2,  3.  ./  morte  mi  riloglio,  torno  in  vita 
dalla  morte.  =  3,3.  Inlellette,  intese,  =rr:  4,  3.  7^' 
arrostar  il  8  ole,  possenti  ad  arrestare  e  fermaro  il 
nule. 


S.  CCXCVIII.  1,  2.  Lagrime  e  doglia,  apposizion  d 
cibo.  =:  4.  Sua,  del  core,  i^  'i,  1.  Chi,  colei  che, 
=:  4.  1.  Che  ecc.  a  che  giova  il  saper  e  la  dottrina  a  colui, 
che  neir  avversila  non  sa  consolarsi  «  =r  3.  Fostu,  foas 
tu.  rivo,  di  mente  sobria,  quadrata,  posata.  Brama  ch< 
s  innalzi  sovra  il  mondo  sensuale,  al  quale  ella  stessa  è  tolta 
e  pur  vive. 

S.  CCXCIX.  2.  2.  s.    Ordina:  se  chi   (colei  che)  lascio  in  ^ 
dubbio,  q  uà  t  fu,   o    p  i  il   bella,    o  p  i  il   onesta,    non    '1' 
si  p  r  e  s  t  a  f  0  s  s  e  al  mio  scampo,  a  venirmi    a    scampai 
da  morte  colf  apparirmi,  l il  rerso  T  aurora,  dove  i  sogni 
sono  vivacissimi.     . 4,  2.   f  ir,  al  cielo. 

S.  ecc.  1,  3.     Che  nulla  piii,     che    niuna    è   più  amara, 

=rr    2,  2.  Ij,   onor.     Che,    il    citlo.     : 3,   2.    Ordina:    A' è 

gran  prosperità  di  quel  bel  spirto  sciolto  può 
I  e  0  n  .s.  /  /  mio  stato  avverso,  i  nfel  ice. 
I  S.  CCCI.  1,  2.  Avviata,  avvezza,  m^  4.  Quel  ecc.  che 
r  idea  della  beatitudine  di  L.  non  era  sufficiente  a  consolarmi 
(v.  S.  CCC,  3.  2.  9.).  : —  2,  1.  Il  mio  stato  rio  è  1'  accu- 
sativo.        4.  Colui  che  ecc.  iddio.    —     3.  2.  Inferno 

mondo. 

S.  CCCII.   1,  1.     Gli   angeli   eletti,    scelti,    superiori 
secondo  le  nozioni  giudeo-  cri-iliane.      =z    4.     Pietnte,  rVA 
2.  Abito,  reggimento  dell'  ani 
generazione.    : — :    3,  2.   Sipa- 
3.   Farle  v.   a.   C.  XXV,  3,  9. 


verenza  e  divozione^ 
ma,  anima.    r=    4.  Etate, 
/•«^  o7i  s  ,  appartiene.     : — 
A  tergo,  indietro. 

S.  cecili,  i,  1.     Li  et  a, 
"'  ""      I lin  a  ,    santa. 


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felice.      Principio  no  stro , 
■ — :      4.  Ostro,  porpora.     ' 

2,  1.  31  ostro,  tniracnlo,  prodigio.  3,  2.  3tai  ecc.   V^.  in-, 

tanto  a  .S.  CCLXXX\  III.     : _     4,   1.    Per   ammendar,^^ 

compenso  e  ristoro.     3.   T  oi,    cittadini  del  cielo 

S.  CCCÌV.  1,  1.     Ordina:  I  mici  spirti   prendean  vi- 
ta da'  p  i  il  begli  o  e  e  li  i  ecc.  i 2,  I.  Conquiso,  qual 

guerriera  d'  Amore.=  3,  2.  Il  re  celeste  e  i  suo'  ala- 
ti corrieri.  Cos"i,  o  pur  senza  e  leggono  tutte  l'edizioni 
Alcuni  Msc.  in  vece  d'alati  hau  alti.  Che  che  ne  sia,  il 
principio  moderno  declamatorio  del  ritmo  istesao  appena  scu- 
sare pui)  quoto  verso  durissimo  a  causa  dell'  elisione:  suo,  a  «« 

lati.    3.  Ignudo,  privo^  spoguato  del  mio  bene.    Ci  e 

co,  senza  il  lume  della  sua  bella. 

S.  CCGV.  I,  1.    Messo,  angelo.    4.  Dimesso,  ab- 
bandonato, abbattuto.    W  0  n  n  «!,  spoglia. 

S.  CCCVI.    1,    1.     L'aura.     Allusione   a  L.      St  anc  o  ri- 
poso,   sonno  non  vero  né  ricreativo,  anzi   stanchevole.    ModajJ  r 

di  dir(^  poco    atto!    3,  1.  Di  pietà    dipinta.     Dante 

Inf.  IV,  IS.     2.  Parte,  parimenti,   nfc  non. 

S.   CCCV  lì.    1.    3.     Al    mondo,     in  questo    mondo.  : 4J 

Per  miglior    via,    con   inspirazioni    ed    apparizioni. 

3,2.    Il   re,  Gesù    Cristo.    r=      4,    2.  Intr'o    la  Morte.     JJtfi 

sorte  n  snida  e  contento. 

S.   CCCVIil.    1,   3.      Che   ecc.   perchè  bisogna  cercar  altre 

scorte  a  ben  morire?   2,  1.  Quei  ecc.  Cristo.    3,  2, 

il'  e  non  f  o  s  s  e  ,  tempo. 

C.   XXVII.   1,   1.    Conforto,    Laura.    3.  Sponda 

manca,  vicina  al  cuore.    6.  /  i  e  n' ,  vieni.    2,  10. 

Che,    il  che.    : —      II.   Marsan   legge  Jie'    tuo'  dir.    ^= 

3,  5.  Come  suppl.  mai,  perchè  mai.    r=:z    9.   Oh  dell'  ani 
me  rare  una.    =-rz    4,  3.  Che,  pereti),  perchè  son  nulla  sen- 
za te.    4.  Amorose  tempre,    disposizioni  e  qualità  de 

coloro  ch'amano.     =^      .>.  Disteinpre,    ti  consumi  in  ))ian- 

to.     II.  Co  glieli  do  —  rami,   ^  incendo  il  mondo  e  te 

stesso.     Rami,    cioè  la  palma  e  l'alloro  sr)ii    segni    di  pace  e  |i 

di    vittoria.      a,     1.     Rispondi,     ìmperaiivo.    r-rr    4.|i 

L'  una,  il  lauro.     !).  Altri,    .\more.  : (i.  tì.  ^I  pa 

rer,    di    p.     Il  resto  ordina:     e  tornando   ancor  quella 

s  i  s  (  l  v  a  gg  ia  e  pia  ,  co  in  e  già  fui  s  alv  am  d  o  i  lisi  e  m 
la  tua  salute  e  la  mia,    sarò  pia  bella  c'h  e  m  a  i  , 
sarò  a  t  e  p  iii  e  a  r  a. 

mi. 


ilei 


ini 


ini. 


(!.  XWIII.  L'  idea  di  Gino  da  l'istoja  nel  sonetto.  'Mille»» 
dubbj  in  un  d'i,  mille  querele'  ecc.  : — •  1,  1.  Empio,  spie- 1 
tato.  =:^^  2.  Reina,  ragione.  =r:  5.  Affina,  s'  affina;' 
H.  Ragion,  giustizia.  : 0.  il  anco  piede,  se- 
gnai di  sinistro  augurio,  .\pulcj.  as.  aur.  1.  rr-r  11.  Onde. 
dall' esser  in  ((liei  regno.  =r^  2,  3.  Feste,  feste\  oli  ricreazioni, 
diporti.  r=  il.  O  poco  mei  ecc.  Oio\  enaie:  plus  aloe» 
q  u  a  m.  in  e  II  i  s  h  a  b  e  t.  l'Iauto  :  A  in  or  et  in  e  1 1  e  et  fé  l  J  [fi 
le  e  s  l  f  0  e  e  u  n  d  is  s  i  in  u  s.  rrrr  3,  7.  E  in  pia  cote 
speranza  f.ilsa  allettatrice  amorosa.  =n=  !)•  Altero,  dispO' 
sto    a    levarsi   alto,      rr-^      4,  I.    Cercar  ecc.  m'  ha  fatto  fi 

viaggi,  principalmente  per  1'  estrema  (ìermania.    !).  A  e 

mica,  Laura.     r:r—       IO.  Sol  un  punto,    un  sol  momenti 
—r-.     12,    Icerbu,  immatura.     ^=r:      a,    1.   Poi  che,  dacchi 

— :    4.  Per  non  ostante  di,    con   tutte  l'erbe.    (i.  A'o 

sono  poi  squilla,    standomi    desto  lunghe  le  notti  e  co 

tando  ogni  ora.     7.   /  ili  a,    luogo  abitato,  in  generali 

: — :  11.   Iti  morte   lo  sfida,  gli  minaccia  morte.  :=^    ti, 
Raul  pò  gn  e,    rimproveri,     risposte  con  querele  a  contrasto^ 
=r— :     3.    Onde     si  parte,  donde   dis^ia.      : — -    5.  Arte  da' 
lì  ende  r  p  aro  l  et  l  e  ,   stuilio    delle   leggi,    del  quale  TacitiJ 
dice:     nihit   putilicae     inercis     t  a  in    venale  fitiU* 
\ijuam  ad  vocatorum  perfidia.     =:     H.    To/to,  ei|iis 

: 

.1 
i 


DI  PETRARCA, 


Bndo  stato  tolto.  Noja^  raestier  nojoso  forense.  : — :  9. 
'uro  e  netto,  libero  e  sicuro  contro  al  desio  ambizioso,  ed 
lire    brame   mondane.    =    7,1.     A  tri  a  e,     Agamennone, 

mante   di  Briseide.    Achille  di  Briseide,    : 'i.  Anni- 

al  ami)  in  Pnglia  una  meretrice.  Amaro,  dannoso.  T cr- 
en  vostro,    Italia.    3.  JJi  tutti  ecc.  Scipione  Afri- 

iino.     1=    11.  Ili  io  ma,  favella  e  parlar.    13.  Grave, 

pp rimente,  molesto.     : —    H,  'Z.  JJi  nuli'  altra  il  tutto, 
oinmo  godimento.    = —    b.  Ferve,   arde,    splende.     Cai- 
ingegni,  poeti.    ;=    !).  8.  Con  *  e  ru  e  «  i /a  n  n  o  ,   si 
iccoglioMo,  si  conservano,  ^rr  11.  e.  Ito  co  m  or  mar  ad  or 

i  corti,    Toco    venditor  di  menzogne ,    leggista  vile.      : 

Divulgo,  fo  chiaro,   glorioso.    9,    3.   J^er  alcun 

atto,   in  niun   modo.    b.  L  ig io,   servo,    suddito,    di- 

endenie.    l'i.  JJ'  error,     d'   illusione.    : Ij.    JS  e , 

e  Amore,  e  Lnura.  :^:=  10,  1.  Avanza,  eccede,  supera. 
3.  Cose  mortali,  bellezze  di  Laura.  =^  ti.  .S;)  e- 
anza.  Laura.  =rr  7.  Sembianza,  forma  sembiante.  = 
).  Chi- voi  se,  colui  che  la  volle  per  sé,  il  cielo,  o  dio.  =: 
l,  7.  Ma  più  - 1  it  e.  .Sospende  la  sentenza. 
S.  CCCIX.     1,   2.     L'animo    stanco,    le   forze    mentali 

eme.     Scorza,    pelle.    2,  "i.  S/o  r  sa,  spossa  ,  toglie 

forza.    : 3,3.    Una  parola.    Forse,    come   vuol 'iae- 

li ,  quella  del  S.  CCCX,  2.  3.  s.  o  qualche  altra  couso- 
Irice. 

S.  CCCX.  1.  3,  Suo,  loro.  L'uso  promiscuo  del  suo  pel 
(tirale,  come  pel  singolare,  pare  che  si  debba  attribuire  all' 
à  acerba  della  lingua.  i\e  sono  gli  esempi  frequentissimi. 
Longobardi  il  torto  e  il  diritto  del  non  si  pui)  1,  255. 
nò  giova  arzigogolare  in  questo.  Tesoro,  beatitudine. 
=  2,  4.  Perdi  hai  ecc.  Dunque  ad  altro  tempo  era  stato 
tro,  e  l'età  ave\a  cangiato  il  di  lui  siile.  ^=  3,  3.  L'uno 
alto,  di  dio  e  di  madonna.  ==  4,  2.  Per  tardar, 
jantunque  tardi. 
S.  CCCXI.    1,   1.    Suolmi,     eoleami.     =     2.    Interi, 

(irosi.     Saldi  al  ferirmi.   4,  Spenti  (lezione  di  Ca- 

elvetrii,  Tassoni,  .Marsand  in  vece  della  cominiana  fatti), 
iiichilali  e  conversi  in  querce  ed  olmi,  —  per  mezzo  della 
ma  piuttosto  bens\  ,  che  d  un  sodo,  sano  e  naturai  concetto. 
=  2,  1.  l'arte,  insieme.  3,  1.  Colui,  Amore,  es- 
odo. ;=^  4,  2.  Folce,  regge,  sostiene.  \  oce  V.il.  ftil  e  it. 
S.  CCCXII.    1,  1.  Anni  ventuno,  in  vita  di  Laura.  = 

i.»»  e  ci,  morta  Laura.    2,1.    A  ij)r  e  n  rfo  ,_  ripiglio, 

rimprovero.     =:=     3.    Farti    estreme,     ultimi    giorni, 

jcchiezza.    3,  1.    Si,    in  vaneggiamenti  amorosi.    = 

1.  Career,  corpo. 

S.  CCCXlll.  3,2.     Stanza,   dimora,   lo   stare  in   questo 

ondo,    f  una,   vuota  di  merito.  3.  Onesta,  lodevole, 

lorexolc. 

S.  CCCXIV.    1,4.    Insulse,   sciapite.   inette,  insensate. 

oce   latina!    2,   1.     Jlefulse,    risplendè.     Voce   latina 

dantesca,    l'arad.  XX\  11.  2.  Cortesia,  gentilezza  in- 

ita,  liberalità,  accoglienza  gentile.  i=  4.  Avulse, 
else ,  divelse.  Voce  Ialina!  r—  4,2.  f  ariar,  cambiar, 
versila.  =:    9.  Jta,  spacciata. 

S,  CCCXV.  1,2.  /  o  /  ^  f  £,  volgevi.  =:  2,  2.  I  p  i  è  ai 
ferisce  a  di  quella.  Laura,  ecc.  =  3,  2.  Soave  velo, 
razioso  corpo. 

S.  CCCXV  1.  1,  1.  Mano,  aiuto.  =  3,  \.  Risponde , 
more. 

S.  CCCXVII.  1,3.  Alato,  vicino.  r=  4.  Dopale 
palle,  scosto,  lontano.  =  3,  1.  Farti,  nostre,  partite 
jstre.    3.  Morte,  pel  corpo.     Ci  ci,  per  l'unima.    = 

I.  Stagione,  verno.     Ora,  di  none. 

C.  \.\1.\.    1,  1.     Di  sol  ecc.    parole  dell'    apocalissi.    =- 

Sommo    sole,     padre    eterno.     : 3.    Sua  luce,    il 

;lio.  =  ().  Colui,  Gesù  Cristo.  =  7.  Lei,  Maria. 
=  8.  Chi,  a  colui  che.  ; — ^  !).  ./  mercede,  a  pletoho 
iccorso.    z:=—.    2,    2.     /  ergini     prudenti     e\ angeliche. 

alt.  25.    7.  Circo    urdor,  scnsual    talento,    rzrr     10. 

a  «p.    st.,    i  segni  impressi  del  llagcllo,    de"  chiudi  e  della 

ncia. 3,    1.     Ogni   parte,   corpo  e  mente.    r=:    2. 

'igliuola.  Dante  l'ar.  .Wlll.  --t-t  (i.  In  su  gli  estre- 
i  giorni,     nella  sc-la  ed  ultima    età   secondo  la  dìvÌHinnc 

:'  padri  della  chiesa     10.    J'ianlo   d'    F.va,   macchia 

i\   peccato    originale.    =:     11.    Sua,    del   figlio.     =z    5,3. 

u  1 ,  alla  quale.     4.  Ordina  :  santi  p  e  n  si  e  r i  e  a  1 1  i 

ielo  si  e  casti  fecero  in  tua  feconda  e  i  r  ^  i  ;i  »  t  li 
n  vivo  t  e  ìli  pio  sacralo  al  vero  d  i  o.  :.r—  ti,  •{.  .N  <i  e 
liier,  criMlìano.  :rrr  (i.  Ultime  strida,  di  naufrago. 
=:  10.  //  tuo  nemico,  i  tuoi  nemici.  .S.  Agosliiio:  ne 
ibi    risum     e  .r  h  i  b  t  a  u  t     de     me    inimici    lui.     rr-r 

II.  Corrcri  ti,  veloci.  .—  H,  1.  T«  /  e  ,  donna  ,  Lnura. 
=   4.  Per  saperlo,    «[uanlunque  avcni-e  saputo.     ;—     11. 

tiri.  Laura.  --  9,  3  /  ;i  su -pus  so.  nel  line  della 
la.  =r^  7.  Ulcdnsa,  Laura.  ;  -  II.  /'l'i'o/o,  santo, 
irgalo.  r—  10,  2.  Del  coni,  p  r.  umor,  pirla,  carità 
eniore  dell'  origine  roninne.  : —  li.  C i>  s  ii  gentili.  Non 
nidra  allo  sliU-  Ui  ((uesla  canzone,  pcnhr  troppo  ronlìdrnle  e 
INSÙ.  — :  11,  L  //  di,  nllinio  ,  l.i  morii'.  .  ^  7.  Spirto, 
irò,  quando  si  ucoinpngna  l'alma  dal   corpo. 


Pjìrte  terz.\  delle  rlme. 


TRIONFI. 

1  sei  trionfi ,  o  le  visioni  allegoriche  intorno  ad  alrnnl 
j  momenti  dplla  coltura  dell'  uomo,  il  poeta  li  comincio  a  scri- 
\ere  nel  1357,  e  interrottamenle  li  continui)  sino  al  1371,  cioè 
alla  morte,  dove  non  ordinali  ancora,  ma  involti  in  piii  rotoli 
furniio  iro\aii  tra  le  allre  .scritture  sue.  Quindi  la  coiifusitine 
d'alcuni  capitoli  non  ridotti  ancora  in  lor  ordine.  11  concetto 
'  dell  opera  era  di  gran  lunga  maggiore  dell"  esecuzione,  nella 
liliale  la  vecchiezza  impedi^a  il'^poeta,  sicché  restava  im- 
I  perfetta. 

1  TRIONFO    D'AMORE. 

1. 

Vede  nella  solitudine  di  Valchiusa  trionfar  .Vmore  del  mondo 
sovra  un  carro  dì  fuoco  a  quattro  candidi  cavalli. 

1.  ss.  Accenna  l'aurora  del  sesto  d'.Xprile,  che  s'  innamorò. 
i 5.  La  f  an  ciull  a  di  Tit  0  ne  ,  .\urora.  6.  Ge- 
lata, perchè  il  mattino  è  più  fresco.  Antico  soggiorno., 

luogo  dove   sta,    mentre  il   sole  illumina   il    ciel   nostro.    

8.  Chiuso  loco,  Valchiusa.    =::     10.  Fioco,  rauco,  roco. 

Dante  Inf.  14.    12.    Assai  dolor  e  on  b  r  ev  e  gio  co, 

I  d'amore.  ^^=:    13.  Duce,  Amor.    IG.  Gioir  —  soglio, 

i  mancando  virtù  trionfatricc.    =    17.    Nojoso,    pe'  costumi 

j  perversi.    19.  Abito,  vista,  pompa  e  forma  del  trionfo. 

I 20.    Gravi  dal  sonno.    23.   Crudo,   di  tier  sem- 

jbiante.    : 32.   Esser,    stato.   3,7.    : —    36.    Digiuno, 

[ingordo ,  avido.    ■ 49.  Il  ragionar   antico,   il  favel- 

ìlar  in  idioma  latino.    : 51.  Aprico,  allo,  luminoso.    

|55.  llisponde  Petrarca.  ^:=  CO.  Predire  l'immenso  incendio 
'amoroso,    perchè    finge   la   visione  aver   luogo  prima  del  suo 

innamoramento.  04.  Nova,  giovanile.   (j8.  D'elli, 

del  di  lor  numero.  rz=  81.  Anzi  mille  anni,  modo  pro- 
iverbiale  ironico  in  vece  di  fra  poco.  Sveglio,  desto,  sral- 
Ilro,  lo  accorto.  : —  84.  ì  ana,  errante.  : —  89.  Che, 
I accusativo.  =rrr  90.  Tra  —  erba,  parlari  soavi  e  godimenii 
j amorosi.       Cos'i    più    naturalmente   si    quadra    a    lego,    che 

quando  vidi  riferito  alla  giovinezza   fresca  di  Cleopatra.    ; 

''XI.   Altri,    .\inore.     ; 93.    fitto,    \into    mondo.    ' 

i94.  Fj'^'/ IO,  adottivo,  r—  9fi.  iì  u  a  sposa.  A 1 1  r  u  i  a.  Tì- 
I  berlo  perone.     :^:::=    97.  Nerone  figlio  dì  Domìzìo  e  d'.Agrip- 

pina,  tiranno.    : 99.  Femmina,  tra  l'altre  femmine  Sa- 

IbinaPoppea.    100.    Marco    Aurelio   .Vnlnnino,    lilosofo. 

104.    Dionisio    siracusano    tiranno,    amante    d'.Aristo- 

maca  siracusana,  e  Porida  locrose,  alle  camere  delle  quali 
'passava  sopra  un  ponticello,  il  (luale  ,  entrato  dentro,  si  leva- 
va dietro.    Alessandro  feren,  consorte  di  Tebe.   100. 

\Colui  ecc.  Enea.   : —    107.  Il  suo  amor,  Lavinia,  oggetto 

idei  suo  amor,    liglia   di    Latino,    re   de'   Latini.     108.  A 

\quel.  Turno,  re  de'  llniuli.  i^iff /("  u  o/ ,  Pallanie.  Cf  Vir- 
igli. En.  7.  =  109.  U'un— sc«o/sc,  Ippolito.  :=:  HO. 
\  Matrigna,  Fedra.  . —  114.  Maligna,  perchè  accit- 
sollo  falsamente  appresso  al  padre.  r=^  115.  Mario,  im- 
piccandosi.      ^  1  Ili.    Teseo,    a    cui   ebbe    rotta   la  fede ,  e 

fece  nccider  il  llglio.  Arianna,  la  ([uale  fu  abbandonata 
da  Teseo  nell'  isola  di  Sci'o.  :=  118.  Si  riferisce  a  Fedra. 
=-^.  119.  Si  riferisce  a  Teseo.  :;;:=  121.  Jl  fan.-oso,  Teseo. 
Con,  malgrado  di.     : —     122.  Due  sorelle.  Arianna  e  Fe- 

I  dra.     : 123.  L'uva  Arianna.     Dell'    ultra    Fedra.     La 

{lezione  e' n  morte  in  \ece  di  morte    non    sembra  necossa- 

!  ria.     120.    Ch'ebbe  ere.    scudo    stalo    ucciso   da  l'arida 

'  per  Polissena,    liglia    di    Priamo,     —rr:      Vii.     Demo  fon  te, 
figlio  «li  'l'esco.     Fili  e,  liglia  di  larnrgo  ,    re  di  Tracia,    la 
i<|iial  s'impicco,    non  vedendo  lornare  suo    marito,    ch'era  an- 
dato   a   riro\ orare    il    regno   d'Atene,     lasciato    libero    perla 
morte    di  Mnesleo.       nemofonte    ne    incnii   lungo  dolore,     nr^ 
130.   Hadre,     Eeta,    re  di  ('olchide,     al    (jiialc    fiirii   i  tesori 
fuggendo,     /l' r  a  I  e  l ,  Asslrlo,  ih'illa  ,  essendo  da  luì  soprafr- 
giunta,     uccise  spargendo  qua  e  là  le  sue  inembra.     r^     13l. 
Fella,  facendo  morir  la  sposa  noxella  di  Giasone,    ('rcusa, 
'figlia  ili  Creonte,     re   di  Corinto,    ni  i  due  suoi    proprj  ti(rli. 
r— r     133.   Isifile,    regina    di  l.enno,    amata  prima  da  Già 
sone.     r^:     131.    H a  r  b  a  r  i co  u  in  o  r  .    amor   d'una    bnrb.ira, 
straniera.     : —     135.    Che   ecc.     F.lena.     r —      130.    l'attor. 
Paride.     Mal,  per  suo  danno,    r-^-     1.'I7.  Gran  tempeste, 
guerra  ed  eccidio    di  Troja.    r —     110.    h' n  i>  n  e  ,    ninfa    idea, 
jiglia   del   fiume    Pedaso ,    amante   di    Paride,     r—     141.    Kr 
ni  io  ne,  liglia  di  .Menelao  ed  l-'.lena.     Chiamare,  in  niulo, 
essendo    rnpita    da  Pirro.     — :     112.    Laodamia,    figlia    d' 
I  Acnsto  tessalo,     l'rotrsilan   iirrìso    da  Ettore  nella  gnerr.i 
Iroiiina.     i—     113.   ,/rg/rt,  figlia  d'Adrasto,  re  d'Argo,     /'o- 
l  in  ice,    suo  marito,    figlio   d'  Edipo  e    d'Iocasta.    -     '     14J. 
Ai' a  V  a  ra  —  .1  nf.  ,     l'.rilili;,     liglia     dì    'l'elainone.       Volendo 
Sdraslo  niellare  alla  guerra  lebaiia  Ainliaran  nasroslo.     \rpia 
corruppe  l'',rilile  con  una  collana  lavorata  ila    Vulcano  a  disco 
prlrglielo.      -      IJ2    (  i  (I  lo  r/i /e  rro  —  r»//o  ,  appunto  per 
ti'  iiliiino  parole,     che  spe/.ialinenic  descri\imo  quel  <info  di 
Ifirro,   più  uaiuralmeutu  tiembra  dover  riterimi  piultovlo  all' 


<5<5§.§§ 


COMENTO  SULLE  RIME 


armatura  del  dio,  o  alla  rete,  in  che  Vulcan  geloso  lo  ravvi- 
luiipò,  che  alle  catene  d'amore.  Perchè  lacciuoli  innu- 
mer  abili  del  verso  peuullimo  uoii  provano ,  che  spezial- 
mente il  dio  della  guerra  con  le  nere  bella  non  po*-sa 
dirsi  armato,  o  irrerito.  153.  In  disparte,  ftenza  al- 
tra significazione  accessoria  qnal.-ivoglia  dinota  soltanto  distri- 
buzione nello  spazio.     155.  L'  etate  e  r  arco,  d'/\more. 

lab'.  In  T eguaglia,  per  Dafne.  158.  Di  farro, 

ìq  un  suo  libro  perduto,  ma  citato  da  S.  Agostino  de  ci  vi- 
tate dei. 

2. 

7.  Abito  —  peregrino,  affricano,  cioè  di  Massinissa  e  di 

Sofonisbe.    —    12.  Nostro  nome,  latino.    L'altro,  carla- 

Cinese  di  Sofonisba.   19.  Senso:  io  non  sou  degno  d'esser 

date  conosciuto;  perchè  meno  e  poco  celebre,  tanto  distante 
da  te  non  ti  posso  esser  noto.  —  24.  Col-  cong  iun  g  e ,  fa 
che  t'ami.    r=r    25.  Colui,  Amore.     Se  —  guide,  per  quel 

desiderio,  quella  brama  che  vi  guidi.    : 2(i.  Che  coppia 

è  questa,  cioè  vostra.  Poiché  il  poeta  nominò  già.  Io  spirito, 
fu   superflua   senz'   altro  e  oziosa  la  dimanda ,    come   osserva 

pur  lo  spirito  slesso.  31.  Som  tuo  uomo,  Scipione  affri- 

cauo.  32.  Lelio,  amicissimo  di  Scipione.  : —    33.  Lor, 

alle  insegne.    ^H.Estrenio  occidente,  Spagna  ed  Affrica. 

^^    39.  Ivi,    in   Numidia.      iVe,   me   e  Sofonisba.    41. 

Sor  à  ardente,  arderà.  : —  44.  Che  del  nostro  furor 
scuse  non  f  al  se ,  suppl.  furon  rotte,  che  vuol  dire,  indar- 
no scusammo  ,  anzi  giusiitìcammo  il  nostro  amore  a  Lelio  ,  e 
rotto  fu  il  nostro  matrimonio  contratto ,  dopo  aver  vinto  Si- 
face,  con  veleno.  Essendo  un  po'  duro  questo  modo  d'espres- 
sione, 0  almeno  artefatto,  Vellutelli  e  Gesualdo  lessero  scusa 
non  valse,  con  che  pure  dalla  Cariddi  del  contorto  e  dell' 
intralciamento  il  poeta  caderebbe  nella  Scilla  della  trascurag- 

gine,  usando  rima  ricca  illecita.    Perciò  dunque:    : 4t).  In 

vece  di  quel  che  sol  pih  che  tutto  il  mondo  valse, 
Bandini  legge  oche  quel  che  pi  ii  che  il  sole  in  vir- 
tù salse,  o  che  sol  quel  eh  e  p  i  u  eh'  al  tr  i  in  virtù 
salse,  dove  offende  e  il  che  tre  volte  posto,  e  la  simi- 
litudine medesima.      Pare  adunque ,    che   la  lezione  del  testo 

sia  vera   e  genuina,  benché   contorta.     49.    E — do  le. 

Altre  edizioni  hanno:  e  bette  he  fosse  cosa  onde  mi 
dole,  lo  che  par  chiosa.  Un  Ms.  estense  ha  e  benché  l 
fesse,  0  bene  he  fess  e ,  che  senz'  altro  sarebbe  più  chia- 
ro e  naturale.  n=  G2.  Il  preg at or ,  Scipione,  come  mo- 
stra lui.    r=    ()b.   Tanto  o  quanto,  un  tantiuo.    67. 

Erede,  esser  erede,  cioè  eredità.    =    tj9.  Elessi,    volli 

piuttosto.    : —    70.  Vanza,  schiera,  coro.  75.   Al  sol 

aver^  il   cor   di  neve.     Dante   Parad.   33.    7tì.   Dir, 

Sofonisba.    : —    85.  Il  nostro  e  suo  amico,    Massinissa. 

z —    90.  Diffalca,  scema,   ritarda.    92.  Di  che,  dei 

quali.  r=r:  94.  Un,  Seleuco  I\icanore,  il  quale  donò  la 
sua  diletta  sposa  Stratonica  altrui,  ad  Antioco  So- 
lere,   suo   figliuolo,    per  iscamparlo    da    morte   immatura  e 

lenta.    =     99.    Ella  stessa,     Stratonica.     102.    Il 

re^no  di  Seria,  venuto   in   poter   dei   Romani.    103. 

Ristretti,    giunti.    =    105.    Al  primo,    Seleuco.    

107.  Turbato,  come  nemico  del  nome  latino.  110.  Con- 
fonde il  poeta  Antioco  Sotere ,  figlio  di  Seleuco  ^Aiicanore,  con 

Antioco  detto  il  Grande,  figlio  di  Seleuco  Callinico.    119. 

Questi,  Antioco.    ::=:    120.  Per — degno,  perchè  ognuno 

credeva    l'altro   esser   più  degno,   che   sé.    121.  Fosse, 

etata,  o  era.  Discreta,  accorta,  avveduta.  12(j.  Pie- 
tà, amore  e  dovere   di   padre   a   figlio.     129.   Render 

salute,   salutarlo.    : —     130.   L'ombra,   di  Seleuco.    

140.  Che   di    mille  non    seppi   il  nome   di  uno.    

141.  Istoria,   lunga,    volume   intero.    ■ 141.  Bruna  i 

begli  occhi,  ne'  b.  o.  : —  145.  Il  vano  amator,  iVar- 
cisso.  =:  147.  Povero  ecc.  Ovid.  inopem  me  copia 
fecit.  =:  149.  (Quella,  Eco.  i=  151.  Al  mal  suo, 
perchè  s'impicci)  disperato  all'  uscio  della  crudel  Anassarete. 
=:=    154.     Fiver    increbbe,    vita   rifiutarono.    =z      15S. 

Alcione  e  Ceice,  trasformati  in  due  uccelli,  alcionj.    

IbO.  Esaco,  figlio  di  Priamo  e  d'Alissotoe  perseguitando  Es- 
feria, ninfa,  figlia  di  Crebrciio  fiume,  che  l'u  fuggendo 
innanzi  a  lui  da  serpe  uccisa;  egli  inconsolabile  deliberò  di 
morire,  e  gittalosi  in  mare  per  la  pietà  di  Tetide  si  trasformò 
in  mergo.  =  1(13.  La  crudel  figlia  di  Niso,  Scilla. 
Ovid.  Metain.  7.  Facendo  guerra  a  Mao  Minosse  da  lei  ama- 
to, tagliò  al  padre  il  purpureo  fatai  capello,  e  ne  fece  dono  al 
neniiro.  Ma  rifiutata  col  dono  da  Minosse  e  trasformata 
poscia  in  lodola,  mutato  venne  il  padre  suo  in  altro  uccello, 
chiamato  \i»o,  persecutor  eterno  della  crudeltà  e  del  tradi- 
mento  della   figliuola.     =:    l(i4.    A  t  alani  a   v.    Ovid.  Met. 

10. Itili.    Ippomenès   vinse    Atalanta,   nel  corso.    : — 

ITI.  Glauco,  dìo  marino.  Colei,  Scilla.  =^.  174.  Al- 
tra, Càtiìc,  che  trasfigurò  Scilla  l'amata  di  lui  in  mostro  ma- 
rino di  brutte  forme,  r:—  175.  Carni  ente  amata  da  Pico, 
trasformato  da  Circe  nell'  uccello  di  questo  nome,  col  real 
manto  ligurato  ne'  bei  colori  delle  penne.  Ovid.  Metam.  14. 
=  17H.  Morto  \unia.  Egeria  sua  moglie  amata  rifiutando 
ogni  conforto  M  abbandonò  a  dirotto  pianto,  e  fu  conver- 
tita in  fontana.  : — ;  IHl.  (Quella  ecc.  C'anacc,  la  quale 
scoperta  iuuantc  del  fratcUu  Macareu   dal  padre    Eolo,     fu 


uai 


dannata  a  darsi  morte  col  ferro  che  le  mandò.  Ovid.  Heroidll' 
11.  r=  IHi.  Pigma  ti  on.  Ovid.  Met.  10.  z=  185.  C 
stalla  in  Focide,  Aganippe  in  Beozia  fonti  sacri  alli 
niuse.  f  idi,  udii,  che  non  perciò  è  da  riporsi,  la  per 
zione  de'  verbi  de'  sensi  essendo  frequeutisnima.  =  IH7.* 
Cidippe,  amante  d'Aconcio,  il  quale  avendo  scritto;  in  uà 
pomo  un  giuramento  in  nome  di  lei  che  lo  velosse  amare, 
glie  lo  diede,  ed  ella,  letto  il  giuramento,  si  credè  obbligala 
d'amarlo ,  e  lo  sposò ,  benché  mal  volentieri. 
3. 
4.  Mire,  miri.  =:  6.  Seguire,  senza  poter  soddis- 
fare  alle   tue    domande.    7.   L'esser  mio  lo   stato   di, 

meraviglia.    =:    9.  L'opra,  di  domandar,  come  lo  vorrebbe^ 

la  mia  curiosità  e  meraviglia.    12.  Se  —  conteso,   do-i 

vendo  io  seguire  il  carro  trionfale.  — :  13.  Quel  grande^ 
Pompeo  magno.    =r    14.  Cornelia,   figlia  di  Scipione,  se-\ 

conda  moglie  di  Pompeo.    : 15.  Tolomeo  uccise  Pompeo* 

a  tradimento.     Plora,    voce   latina,    piange.      16.     Ili 

gran  Greco,    Agamennone.    17.    Egisto,   traditore): 

e  adultero.  C/ ite  n  n  est  ra,  moglie  infida  insidiatrice.  — :' 
19.  Ipermestra.  Oraz.  od.  3,  11.  33.  ss.  una  delle  cin- 
quanta figlie  di  Danae,  la  quale  sola  tra  loro,  spose  de'  figli 
d'Egitto   da  loro   scannati   nella   notte  uoziale,  salvò  Linceo,. 

poscia    successore    di    Danae.    ; 20.    Piramo   e    Tisbg' 

Ovid.  Met.  4,  55  ss.  Ombra  del  moro ,  dove  aveano  riso- 
luto   di  trovarsi.    Dante  Purg.  27,  37  ss. 21.  Leandro 

ed  Ero,  v.  l'enopeja  erotica  di  Museo,  cdìz.  di  F.  Passowi 
Lips.  1810.  8,  Dante  Purg.  28,71.  ss.  =  23.  La  casta' 
m  o  g  il  era,  Penelope.  =  24.  Circe,  incantatrice.  In- 
gombra, d'amore.  =:  25.  Figlino  l  d'Amilcar,  An- 
nibale. =  27.  In  Puglia,  in  Salapia,  città  d'Apulia.  =:: 
28.  Quella  ecc.  Ipsicratea,  moglie  di  Mitridate,  re  del 
Ponto.  Valer.  Mass.  4.  Con  breve  cAio  ma ,  accorciatisi 
i  capelli,  in  segno  d'essergli  serva.  Marsaiid  legge  come  in 
atto  servii.  r=  'il.  Porzia,  figlia  di  Catone  Uticese, 
moglie  di  Bruto,  uccisore  di  Cesare,  la  quale  si  feri  col  ra- 
soio (ferro),  e  si  uccise  con  carboni  accesi  ingojati  (foco) 
Che,  accusativo.  Affina,  propriamente  riduce  a  perfezio 
ne,  cioè  dispone  affatto,  fa  forte,  inardisce.  Tassoni  e« 
altri  leggono  che'l  ferro  e  'l  foco  affina,  spiegando 
affina  congiugne ,  rende  affine;  altri  eh'  al  ferro  e  a-l'^V, 
foco  aff.  cioè  si  cimenta,  in  significato  intransitivo.  Ma  sta 
bene  la  lezione  volgare.  =  32.  Giulia,  figliuola  di  Ce-j 
sare,  moglie  del  gran  Pompeo  ,  la  quale,  vista  la  vesta  san-' 
guinosa  del  marito ,  e  immaginando  lui  morto  o  ferito ,  morì' 
subito   di    dolor  eccessivo.    : —      33.     Seconda   fiammal 

Cornelia,    moglie   seconda.       34.     Gran  p.    Giacobbe^ 

schernito  daLabano,    il    quale,    in   luogo   di  Rachele  gli 

pose  la  notte  a  lato  Lia.  : 'iH.  Il  p  ad  r  e  d  i  qu.,  Isaacro, 

il  cui  amore  di  Rebecca   rintuzzò  il  dolore  della  morta  madre. 

L'avo,    Àbramo,    40.    Amor   cr.  e  p  r.    di   Barsabea, 

moglie  d'Uria.  44.  Più  saggio  figliuol,  Salo- 
mone.   : 45.  Parta,     scevri,    allontani.     46.    f 

vedi.    L'  al  t  r  o ,    Aminone ,    figlio  di  David  ,    amante  di  sua 
sorella   Tamar,    con   cui    si    giacque    fintosi    ammalato,    ma' 
poscia  l'abborri.  v.  Reg.  2,  13.    : 50.  Ciance,  manifesta- 
zione  sconsiderata   d'aver   la  sua   forza  ne'   capelli.    51, 

Nemica,    Delila.    53.     ì'edovetta,    Giuditta.    =: 

58.  Sichen,  figlio  d'Emor,  innamoratosi  d'una  figlia  di  Gia- 
cobbe, Dina,   che  rap'i.  59.  Circon  e  i«  iora,  pattuita  da' 

figli  di  Giacobbe  a  causa  del  matrirnonio  della  lor  sorella  eoo]' 
Sichen.     Morte,    che  lor  diedero  i  figli  di  Giacobbe  in  ven' 

detta   della  rapita  sorella.    Genes.  34.    tìO.     f  e  s  e  h  i  o  _ 

inganno.      : —      62.    Assuero,    sposo  e  amante  della  reinsij' 

\  asti,  cui  ripudiò  per  avergli   di.'subbidito.    : 63.    Medi 

e  andò   rivolgendo^  il   cuore  ad  Ester,    che  fece  sposa  e  re^ 
gina.    : —    65.    Cosi   Cicerone:    ctiam  novo   quodama- 
more  ve  te  r  em  amor  em  ,  t  anq  uam  davo     ci  ai  uni  ■ 
eiiciendumputat;   e  Guitton  d'Arezzo  :     Colai  rime- 
dio  ha  questo   aspro  furore.     Tale  acqua  suoli  " 
spegner  questo  foco ,  Come  d'  as  se  si  trae  chiodi  ^ 
con  chiodo.    68.   Egesippo   1,26.   narra   la  storia.    Chiami  'i 
Antonio  in  Egitto  Erode,  re  di  Giudea;  questi  insospetti,  ch< 
Antonio  innamorato  forse  della  sua  moglie,  Marianne,  o  Cle(f 
palra,  per  gelosia  noi  facesse  morire  ;_ond'  ci  partendosi  com- 
mise a  Giosippo  cognato,  che,  se  sentisse,  eh'  ei  fosse  morto, 
uccidesse   tosto   Marianne.      Tornato,    rammemorando    un   «Ti 
alla  moglie  il  suo  grande  amore,  ella  gli  rimproveri)  quel  suo 
mandalo  ri\elatole   da  Giosippo.      Erode,    credendola   con  1 
rea  d'adulterio,    gli  fece  ammazzare   entrambi.      Ma  passò  li 
furia,   tornì)  l'amore,    e  li  fé'  s'i  la  mente  torta,   che  impazzi 
a  segno  di  creder  viva  ancora   la  moglie ,    la   quale  mandav 
sovente   pregando    dai  servi,   che  le  piacesse   di    riconcilian 
seco.     : —      74.    Pro  cri,    moglie    di    (Cefalo    d'iiicorruttibi' 
virtù.    Ovid.   Met.   7,   661  ss.    >i  r  fem  is  io,  onorò  Mausol 
suo  marito   amato,    di  quel  superbo  sepolcro  posto  fra  i  scttfl' 
miracoli  del  mondo,    e  beute  le   di  lui  ceneri ,    si  mori  di  do- 
lore.    Valer.  Max.  4.    Deidamia,   fida  ad   Achille.     Siii/io 

Achill.    1.   2.    76.  Semi  rami»     fece   una   legge   rlu'  il 

figliuolo  potesse  ammogliarsi  con  la  madre,  per  poter  ella 
congiiigiierNÌ  col  figliuol  suo,  IVino.  v.  Dante  Inf;  5.  liibli  A. 
iuuaiuurò  del  fratello  Cauuu  Hl'rcnataiucute.    Ovid.  Metam.  DI'I 


DI    PETRARCA. 


r  88.  Mirra,  si  giacque  col  padre  Cinira.  Ovid.  Met.  10. 
i  g?.  78.  In  vece  di  s  u  a  Marsand  ,  Tassoni  e  Mura- 
ci Icgg'ono  lor.  z=:  80.  L  an  cil  o  1 1  o  ,  amante  di  Gine- 
1,  muglie  del  re  Artù.  Tristano,  amante  d'Isotta,  moglie 
I   re  Marco    di  Coraovaglia.     — -    61.  Agogni,  resti  stu- 

Fatto.     8:i.  La  coppia   (T  Arimino,   Paolo  e  Fran- 

ica,  presso  Dante  In f.  5.  86.  Anzi  la  tromba,  guer- 
ra. Virg.   Aen.    11,421.    r=     87.   Altri,    il    nemico    con 

rmi.    89.    Giovinetta,  Laura.    =z    9i.  Parme, 

pare.    99.    Macchiati    d^  una  pece,    proverbial- 

ute.    101.   fedendo.  Laura  che.     Preso,  standomi. 

=  118.  Chiostro,  prigione.  : —  121.  Marsand  legge: 
ggiadra  e  fera.  :=  126.  Ui  lei,  della  sua  virtù. 
=    128.  ^«  e // 0,  Amore.     Ordina;    sperava,     che    me 

:. ,   lei   lusinga.    : VK.   Accolte    in   rete    d'    oro. 

z    m.  Mille    preghi.    Ellissi   audace!    =     148.    Obli- 

a,  torta,  ingiusta.  : 149.  Aggiunge,  arriva,  discende, 

ice.     158.  Fra  due,  tra  s-i  e  no,    tra  contrari  affetti. 

-  169.  Rugge,  grida  e  minaccia.  : —  \Tl.  Canape, 
ame.    173.    Sola,    senza   ragione   in  balia  de'  sensi. 

.  Altrui,  d'Amore.  : —  3.  Ove,  in  cui  possesso.  =r:r 
Antiche,  greche  e  latine.  Moderne,  volgari,  ita- 
le e  provenzali,     rm:     IH.  Colui,  Orfeo.     Iti.   Al- 

o,  milileneo  nel   tOO,    poeta   lirico.     17,  Pindaro, 

ano,  morto  nel  424,  scrisse  45  inni  trionfali.  Amò  Teos- 
e  garzone.  Ana  Creonte,  teo,  nel  òOO  ,  poeta  lirico, 
inte  di  Cleobolo,  o  Batillo.    :=    21.  Il  mondo,    gli  uo- 

i  mondani  e  lascivi.     25.    Giovane  greca.    Saffo 

ilenea  nel  600.    =    31.    Selvaggia,  amata  di  Cino  da 

toja.     •    32.  Guitton    d'  Arezzo,  morto  nel  1294.  di 

veggasi  Dante  volg.  elotju.  2,  ti.  Purg.  26.  =:  34.  I  duo 
idi.     Cavalcanti,    liorentino,  morto  nel   1301 — 6,  e  Guini- 

li.  v.  Dante  l'urg.  11.  e  26.  : 35.   Onesto  Bolognese, 

cui  resta  una  sola  ballata,  v.  Orelti  Beitragc  zur  Gesch. 
ital.   Poes.   1.     Siciliani,    Ciullo   d'Alcamo   nel   1190. 

do    Giudice,     messinese,    Giacomo    da   Lentino.    37. 

nn  uccio  e  Franceschi  n,  contemporanei  suoi  e  amici, 
a  famiglia  del  Bene.  =   38.  Drappello  ecc.  di  proveu- 

39.    Portamenti,   costumi.      f  o  l  g  ari  ,    lin- 

ggì.    40.  Arnaldo    Daniello,    poeta  provenzale, 

nitore  della  sestina.  Dante  Purg.  20,  115.  s  ss.  r=:  43. 
ve,  lievemente,  leggiermente.  Afferra,  mette  ne'  suoi 
i,  incatena,  z^r:  44.  L"  u  n  Pietro  V  idal ,  tolosano, 
io  nel  122!),  compagno  del  re  Riccardo  nella  crociata,  pazzo 
enturoHo  innamoralo,  di  cui  v.  Ginguenc  bist.  liter.  d  Ital. 
1.  L^  altro,  Pietro  Aegeri  d'Avernia,  che  essendo  cano- 
di  ('hiaramoiite  per  farsi  dicitore  ed  andare  per  le  corti 
nziii    il   canonicato.    Il  -  Arnaldo,  de  .Vlarville,  morto 

nzi  al  1200.     46.  Jlairnb  a  l  do,  rimatori  provenzali. 

10  fu  signor  d'Arvenga  di  (;oteson,  l'altro  soprannominato 
irops,  venuto  in  Monferrato,  \i  celebrò  in  versi  Bea- 
3,  sorella  del  marchese,  e  fu  da  lei  amato.  Onde  in  vece 
;antàr  si  ha  da  legger  con  Marsand  ed  altri  canto. 
48.  Giraldo  di  Borneil  di  Linioges  mnr'i  l'anno  1268. 
■r  d^  Alv.,  contadino  del  vescovado  di  Chiaramontc,   ìu- 

or  della  canzone.     : 40.    Folchc.tto,    genovese    nel 

Nome,  gloria.    : 51.  Cangio   abito,    facendosi 

aco.  v.  Dante  Parad.  9.  zr^rr  ,')2.  Gianfre  liudel, 
or  di  Blaja  ,  innamoratosi  jier  faina  della  cimtcssa  di  Tri- 
,  In  lode  della  quale  fece  molte  canzoni ,  \olle  andare  a 
:rla,    ma  infermando  per  viaggio  fu   riputato  morto,  e  per 

Jnun/.iato  alla  contessa  ;  la  quale  fattimelo  recare,  e  pre- 
nelle  braccia,  tosto  egli  si  risenti,  ma  tosto,  avendo  ren- 

grazie  alfettuorc  alla  sua  donna,     morì   daviero   il    1162, 

ella  fu  menata  dal   dolore  a  farsi  monaca.    : 53.  G  u- 

elmo    Cabcstan ,    o  Guardastagno    presso  Boccaccio  De- 

4,  9.  s'era  innamorato  della  moglie  di  llainiondo  da 
ci  Rflsiglione,  che  lo  fece  uccidere  da  un  suo  servitore, 
vatogli  il   cuore,  alla   sua    donna  il    fere  mangiare  ;     ond' 

saputolo,  sì  gittli  dal  balenile,  rrzrr  .')5.  ,1  in  e  r  i  go  ,  ri- 
r  satirico  pro\enzal<!,  JS  ir  nardo,  limosino,  alm  corte 
onte  Uaimondo  In  Tolosa.  Ugo,  nato  d'un  caslello  nel 
ivese,  più  nomato  per  aver  ben  cantalo  le  canzoni  altrui, 
|>er  averne  composto.  ,1  ns  cinto,  Kaudit  da  l'serta,  bor- 
I  Limoces.  ^—  59.  Tomasso,  Siciliano,  grandissimo 
o  del  I'.  sin  dalla  gioventù,  quando  studiarono  aiiibidue 
ologna^  poi  visse  e  inori  a  ^les^ina.  ::^  67.  Comune 
xda  di  desiri  inondani.  :=^r:  6H.  Socrate  e  Lelio, 
iiali  coiitrasHU  amicizia  in  casa  di  (ìiacomo  (Colonna,  \es' 

di  liombuH.    =r^T     72.  Suda,   vera,  pura,  non  contraf- 
rjr—      73.     Monti,    le     falicose    scienze.       zrrrr      75. 

g  U  i;   amnroHc.     HO.    .1  n -..i  t  e  mpo  ,    esHcndo   ancor 

ine.     r—     HI.    Ramo  ne  foglia,  non    tanti)    (|iiaiilo  di 

e.     r-r-     K't.    Ita  dici,    virtù.     .  H7.   Frrn,  consola 

,  che  ralfreiia  la  doglia,  rrr  8H.  Da  coturni,  da 
idia  ,  (la  allo  stile,  grave.  Da  sncihi,  da  rninmedia, 
asso  stili;,  da  umile  canto,  rrrr.  HU.  Dei),  Anuire.  r  — 
liin  tuz -a  t  i ,  ottusi.  r— :  91.  io'  seguir,  col 
rrr-  92.  Da  altrui,  da  Laura.  .—  O.i.  Fosse, 
,  mali  e  strazi.  —  97.  Uallrntatn  furono. 
ilraziatij    tuuuuo.    =    IW.L'  Egeo    mare.     Su 


spira  e  piagne,  a  causa  d'essere  sparso  d'isole  e  dì  scosli, 
ove  si  frange  il  lìotto.  =  101.  Isoletta,  Cipro,  o  C'i- 
tera.         102.  S  r  a  Z  rf  e  -  Ja  g /!  p,  scaldi ,  bagni.    =    108. 

Il  ver,  il  cristianesimo,  r^  1(10.  Macra,  povera.  := 
111.  Arra,  moltsta,  odiosa.  =z  Ili.  D  a  l—T  il  e  ,  daìV 
uno  all'  altro  estremo  del  mondo.  r=z  115.  Pensier  in 
grembo,  i  gravi  e  sodi  pensieri  si  tengono  chiusi  e  na- 
scosti,     rome   chi    nasconde    cose     in    grembo,    o    in    seno. 

in.  Di  verno,  fuor  di  tempo,  prematuri  pia- 
ceri. rr=:  120.  Nel  regno  di  Roma,  in  Tarquinio  per 
Lucrezia.  In  quel  di  Troja,  in  Paride  per_ Elena.  =r 
129.  I  semplicetti  cori,  i  nuovi  augelletti.  =  131. 
Progne,    la    rondinella.     =     l'f2.    Sorella,    Filomena. 

.Dolce    negozio,   di  far  nido,  dì  cantar  e  fare  all'  amore. 

;=     r34.  Loco,  Cipro,  o  Citerà.     Tempo,  il  iPi  6  d'aprile. 

\Ora,  aurora.  : — ■  135.  Che  più  lar  go  t  ributo  di  la- 
grime, perchè  morto  era  in  quella  stagione  la  sua  donna,  rr^ 
140.  Arco,    Tassoni,    Muratori  e  Marsand  leggono    carro. 

\=  151.  Ratte,  rapide.  Erte,  erette.  =  152.  Wi- 
sc  Aia,  mischiata.  =  l.'>4.  s.  l'ulcan  —  Mongihello, 
isole  volcaiiiche  vicine  a  Sicilia.  158.  Le  penne  usa- 
te, capelli  e  barba.  r=  159.  Per  tempo,  a  buon  'ora. 
La  prima  mia  (Marsand  l  e  pr  im  e  mie)  lab  hi  a ,  poe- 
tando iu  Latino.    : 165.  Lunga  pittura  rimirando. 

TRIONFO    DELLA    CASTITÀ. 
1. 
1.  Quivi,    nella  pompa  trionfale,    e   nella   prigione.    = 
8.   Febo    innamorato  di    Dafue.      Il  giovane   iVAbido, 

Leandro,  amante  d'Ero.    19.    Romor.    In  testo  ha/u- 

ror.    20     Folgori   ardenti   s'_  incontrano.    =^    22. 

Ar  goni  enti ,  ingegni  o  mezzi  acconci  a  quel!'  assalto.  =rT 
26.  Enc  eludo,  gigante  sotto  1'  Etna  sepolto.  =  20.  Non 
fosse,  il  suono.  : — •  31.  Ciascun,  degli  spettatori.  Per 
sé,  mosso  dal  proprio  desio.    : —     32.   Impresa,  battaglia. 

37.     f  arco,    passo.     =    39.    Di    catene  scarco, 

perchè  addestrato  alla  caccia.    =_    54.    A   e h  i  f  att  e  ade  , 

senza  lo  scudo  della  virtù.     55.  Fiso,   attento.    =    Mi. 

Ond' esser  sole,  suole,  dalla  parie  d' \morc.  =  70. 
Dramma,    qualsivoglia  particella.      .-=r      71  s.  L'altre  - 

mamma ,  lo  Amazoni.    ; 73.  Farsaglia,  in  Tessaglia, 

ove  combattè  contro  Pompeo  ol  genero  suo).  =z  75. 
Ogni   lorica   smaglia,    \inct:  ogni  contrasto.    =p    81. 

Fan  —  sopra  —  altera,     innalzano.     : S3.    Abito  di 

virtù  fatta  natura.  Diletto,  coscienza  paga,  lieta,  e  fe- 
lice.   =-.    88.  Canuti,  savj  ,  prudenti.    =    91.  decori  rf<», 

favorevole,    propizio.     94.    Salme,    spoglie.     :=    89. 

G  io  V  ane  romano ,  Scipione.  : —  101.  Filisteo,  Go- 
lia. r=r^  103.  Garzon  ebreo,  David.  r=rt  10  Lia  f  e - 
dov'orba,  Tamiri  priva  del  lìglio  mortole  da  Ciro.  :;^= 
105.  La  gran  vendetta.  Valer.  Mass.  9.  =:  107.  La 
lezione  del  lesto  è  quella  dell'  autogralb  di  Petrarca,  e  dinota 
danno  non  provveduto  ,  e  vergogna  non  provveduta.  Copisti 
ignoranti  hanno  occulto;  altri  e  duolsi  accolto.  =^ 
108.  Forba,  scacci.  r=  113.  Inarime,  aniiro  nome  d' 
Ischia,  dove  giace  Tifeo.  =  114.  Mon  g  i  b  e  l ,  Et\ì:i. 
r-^  117.  Sue  minor  compagne,  Lucrezia,  Penelope 
ecc.    =r^    118.    Candida   gonna,    sìmbolo  dì  purilìi.    = 

119.  Mal,  pel  suo  male,  perchè  mirando  sé  stessa  in  quello 
scudo  d'acciaro  rimase   sbigottita  e  fu    uccisa  da  Perseo.     =^ 

120.  Diaspro,  pietra  che  spegne  il  fuoco  dira  o  di  libidine. 
==r  121.  In  m  L.  infusa,  obbliata  e  trascurata  dalle  don^ 
ne.  =  122.  Di  diamante,  durissima.  Tupa-.io  di 
virtù  avversa  al  bollor  del  sangue,  r—-  129.  .Voti  potrebbe 
L'  altre  sette  muse,  z — 140.  Le  Tedesche,  iloiine  cim- 
bre, che,  vinti  e  trucidati  i  loro  mariti  da  Mario,  uccisero  i  lo- 
ro ligli,  ed  appiccandosi  per  la  gola  serbarono  la  loro 
onestà.  =  143.  Greca,  Ippoue,  che,  rapila  dall'  armata 
nemica  si  precipitò  in  mare.  r=r  118.  La  listai  yerg, 
pia,  Tuzia  ,  la  qii.ile  accusata  di  ili-oiu'»lo  cotipiugniincnio 
con  uomo,  ror-e  baldan/osa  al  'l'ex  ere ,  »•  riporlo  l  .icona  col 
cribro  al  tempio.  . —  152.  Ersilia,  moplii'  di  Uoniolo,  ra- 
pila Sabina.  :: — :  15(1.  Sposo,  Siclieo.  l'ine,  morie,  rrrr 
160.  r  na,  Piccarda,  sorella  di  iMire^o.  Dame  l'urg.  21.  Par, 
3,  31.  HS.  Si  chiuse  e  strinse,  si  fere  monaca.  -  Itti. 
Servarsi  casta.  - —  165.  ./  ;;i  h  ;i  d  e  s  t  r  ii  ,  a  chi  viene 
dall'  oriente,  i  lìti  del  mar  tirreno  sono  a  man  destra.  T'er- 
ro /e  rma  ,  llali.i.  Sa  Ise,  tii\\'i.  -—  16(1.  .1/oiitc  H  <l  r 
baro,  u  man  siuistrn  della  grolla  della  sibilla.  .1  ver  no. 
al  l.ilo   destro.      z—       167.     .Ilbrrgo    di  S.    Cumea.     Virg. 

Aen.  6.     ~     I6H.    Linterno,    uuindicì  miglia  lungi  da  \a 

poli  \erso  poiienle,  esilio  e  sepoltura  lU  Scipionb  alfrìcanii 
Ul  grand'  iiom,  che  il'  .1  ff  r  i  e  a  s' a  p  i  1 1  ii\  r —  171. 
.11  vivo,  snipibiliiienle.  : —  172,  UsUlronor,  trionfo 
riportato  sopra  Amore,     ttt-     17.1.   A' u  H    scemato    lou    gli 

occhi,  non  iliiiiinoita  n  \ederlo.     175.   .Illrui  ,  Laura, 

r^-.  lìti.  Lui,  .'Scipione,  r —  178.  Città  s  n  p  r  n  i>  a  .  Uo- 
ina.  "  179.  T  r  inp  i  o  ^  S  u  I  p  i  ii  a  ,  tìgli. i  di  Servio  Sul 
pizin  Palerrolo,  iiioi;lii'  di  (Quinto  Fulvio  l'iarro,  roiisiiorò  a 
\  coire  \criirordi.i  o  Volgiciiore.  r     181.   Due  Irnipj  \'era 

no  in  Moina  della  Piidiri/ia  .  per  le  donne  patrizie .  rome 
Lauru,  e  per  le  plebee.  -—    I8«.  Foglii  ,  corona  del  lauro. 


COMENTO    SULLE  RIME 


rr=  187.  Il  giovane  toscan,  Spurina,  che  si  guastò  il,  Accenna  una  scena  da  solo  a  sola,  dove  o  accolse  ella  uni 
volto  eoa  visìl>ili  ferite  per  tor  via  il  sospetto  de'  mariti  e  canzone  del  poeta,  che  cominciava  'Dir  più  non  osa  il  nostri 
de'  padri.  ianior',  e  canto    in  presenza  dell'  amante,  come  per  maschera 

il  loro  amore  dirimpetto    a'    parenti,     una    canzone.      l'erchl 


TRIONFO    DELLA    MORTE. 
1. 


di  mcn  distesa  fama. 


4.  Dalla.    Cosi  legge   Marsand   in   vece   di    della,    z — 
5.  Gemico,  Amore.    : — ■    H.    Schivi,  abborrenti  ogni  dis- 
onestà,     iu   vece   di  co  /  Marsand,    Ta«soni  e  .Muratori  han- !  la    stella   di    Veneie 
jio   fC  un.     =     1-.    Quai,    parte.     Gesualdo   legge   quaì  Questa,  .\urora. 
VI  orto    e    qual  preso    ivi,    che   non    va  bene  a  causa  di 

f/uivi.    •     ^0.    Campo    verde   iigura    la   gioventù;    il 

ca7t(Iitlo   a  r  III  e  1 1  in  0  ìa.   purezza  eii  innocenza.    21. 

O  r  0  fino,  la  perfezione;  i  topazj,  la  continenza.    30. 

Una   insegna  -trista   di    Morte.      — :      31.    Donna, 

IMorle.       33.    F l  e  g  r  a  ,     citcrsonesus    thracica.     rr= 

37.  Ivipo  r  luna  ,  perchè  improvvisa.    r=    38.  Sorda,   in 
esorabile 


quel  e  e  7/ la  7)  r/ 0  è  ambiguo,  al  quale  d'ambidue  si  rift 
risca.  r=  Vù'l.  D' iniqua  parte  ,  di  torto  ,  d' ingiustizia! 
1.')+.  Perchè,  benché.  Tolti,  gli  occhi  o  sguardi  miei.  =5 
lb7.  Fiorito  nido,  Firenze.     =r     171.  Di  meri  grido\ 

^''i.  La  rota  del  ter  zo  cielo, 

1    * ^•_i.  11».' 


girantesi    nel    terzo    ciclo. 
=    lift).  Fcr  tempo ,  tosto. 


181, 


TRIONFO    DELLA    FAMA. 
1. 


7.  Ps  r  /'er5a  ,  ove  giacqui  sognando.    =     8.    Quella 
ecc.  Fama.    =r    Hi.  L'  a  in  0  r  0  s  a  stella,    la  stella  di  Vef 
nere.    =    Vi.  Io   diceva  Ira  me.    : —    Iti.  D'intorno  alli 
17      ■  -     - 


iiii 


o9.  dente   ecc.   si  riferisca  a  voi,  e  dinota!  Fama. 17.  Fur,  non  ostante.  18.  Non  potea  noi, 

il  torto  e  perverso  giudizio.     =    42.  Seca,  taglia.    ól.ìv  e  air  meno,  doveva  esser  abbagliato.  : — ;    25.   L' u  71    Scili 

in  a ,  unica  di  virtù  e  bellezze.    52.   Altri,   Petrarca,   pio.     3/a  7j  et  p  io ,    servo.    'iii.L'altro,    Cesare.    — *'■ 

Ara,  avrà.  _  =:=    54.  Di  qui,    di  questa  vita.    : 57.  lii-riH.  Gente  ecc.  il  nomano.  r=  30.   T  ia  sacra,  dove  passi 

j)/- e  7i  f/ e  ,  vitupera.    =    òV.  In  forse,   incerta,   dubbiosa.!  primo  Cesare  trionfante.     : —     34.   Bisbiglio,  mormorio 

ti4.  Funlo,  alquanto.    73.  Rispose    Laura.    Da^Sobile  di  nobili  imprese.  =:    3ti.  L'un,   Scipione  il    mag 

traverso    della  via  che  passavano.    : —    7'J.   ìtì  f/io  e  Ca-i  giore.    iN  «pò  t  e,  Scipione  affricano  minore.   i''ig- /io  adotliv 

fai,  per  oriente,  Marocco  e  Spagna    per  occidente.  r=r  .  Ottaviano.    40.    Duo  padri,    Publio   e  Gneo   Scipioni 

n.  Mezzo,  gran  tratto  mezzano.    =z    82,   L,  ove.    91.|(j(ie8ti  padre  di  Se.  JN'asicaj    quegli  di  Se.  Affricano  maggiore 

Fur  che  fo=se.     : 93.  Si   aggiunge  forza  all'  espressione.  1  e    di    Se.    asiatico.     Nemici,   cartaginesi.    41.    le     ut 

9i).  Animi  de'   popoli   soggiogati.     Suo,  dell'   ingiusto  de'  tre  iìgli ,   il  gran  Se.     42.  D'ultimo,   Se.   I\asica 


conquistatore.  z^^=:  S8.  E  col  ecc.  e  dopo  1'  acquisto  di  t.  e  t 
fatto  con   sangue.    z^=     104,  Di-gloriosa,  di  Laura.    r= 

i05.  Fassa    della  morte.  109.  Compagna,  compagnia. 

Dante  Ini'.  20,  101.    zzzz^    liti.  Dimostrarsi    possente.    

li9.   Occhi,  di  Laura.    : 12lj._  In   sua   ragion,    dritt(p 

su  di  ogni  \ita.  lieo,  crudele,  inesorabile,  r —  l'i7.  Arse 
ed  ulse,  ammalossi.  134.  Strinse,  co'  legami  d'amo- 
re.         138.  Altri,   la  morte.    — —    13S).  Debito  era.  

141.  ./  lui,  al  mondo.     143.   Noti    eh'    io  sia,    molto 

meno  sono    io.    iz=:    152.    Romito,    raccolto.     Dante   Purg 


43.  Firopo,  gemma  lucente  a  guisa  di  fuoco.    -; — :    44  !' 

Colui,  C.  Claudio  Aeroue.  Consiglio,  l'astuzia  di  lascia 
il  campo  e  d'andare  a  trovar  Livio  Salinatore.    Mano,  ucci 

dendo  Asdrubale   e   l'esercito   suo.     47.    M  et  aur  o.   » 

Oraz.  od.  4,  4.  :z:rz  48.  Ria  semenza,  esercito  cartag] 
nese.  Il  buon  campo  romano ,  le  belle  contrade  d'  Ila 
lia.    =    49.  Oc  c/i  i,  liucei.    : — -     50.   Un  gr  an  v  ecchii 

i).   Fabio  Massimo.     51.  CAe  —  tenne,    e  cos'i  cuti 

ctandu  restituii  rem.    : ó'2.  Fab  io  ,    Q.  Fabio  Ru 

liliano.    Duo  Caton,  Censurino,  e  l  licese.    53.  Du 


ti,  70.    =    154.  Avversari,  spirili  maligni.  159.  F  er\  Fao  l  i ,  Paolo   Emilio,   che  mori  nella  sconfitta  di  Canne, 


disperazion,  quando  le  donne  disperarono  della  salute 
di  Laura.  :=  11)5.  Il  —  costume  di  risplendere.  Eccelleu- 
tissimo  concetto  di  morte  placida  e  tranquilla  '. 

2. 

^.  Bianca  amica   di  Ti  fon  e,  Aurora.    7.   Don- 

n  a  ,  Laura.  Sembiante,  simile.  Stagione,  primavera. 
rr=  \i.  D  a  mille  altre  corone,  dal  cielo  dov'  era  in 
compagnia   di   ni.    a.   anime  similmente   iucorooate   di   gloria. 

14.     Pubblico    viaggio,    volgar   strada.     :=;      15. 

Come,    tostochò.     : 25.    f  oglia    di   sapere.     2t). 

T'avvisa,    sii   accorto.    r=r    28.    Serena,    vita  o  stanza. 

43.  Siila  ecc.  tiranni,    z 44.  Fianchi,  dolenti.  = 

50.  Lasso,  stanco  de'  fastidj  di  questa  vita.  55.  Co- 
lui,   Petrarca.     r=     50.  L'un  giorno.    Indarno,    senza 

speranza.     57.  Seco   si  raffronta,  so   pone  a  fronte 

di  sé,    entra   in   sé    stesso  a  pensar  di  sé.    =    02.   Quella 

ecc.  dunque  compagna  di  L. ,    mediatrice  de'  suoi  amori.    

75.  Pietà,  pntticamente  per  j)  i  t- f  à.    : 17.    Al  tempo, 

durante  la  \  ita  mondana ,     opp.   nel  volto    di   chi  tutto 

vede,  di  d'o.    Dante  Par.  21.    =     79.  Testa,  mente.  

81.  Aon  l.  ecc.  salva  l'onestà  vostra.  =t  85.  Ditte, 
dette.  :r^-  87.  f  ir  tati,  forze.  r=rT  SO.  Temprai,  mo- 
derai.     /"i«o,  severo,  arcigno.    =    93,    Per  ferzo,   ben- 


i]uegli  che  prese  Persa    re.    Duo  Bruti,  Giunio,  che  scat 
ciò  1  re  di  Roma;  e  Marco,  che  uccise  Cesare.     Duo   Mai 
celli,    padre   e   figlio.      Il   padre  vinse  Annibale  a  Nola; 
liglio  domi»   i   Galli   abitatori   delle  alpi.    =     òi.  Regolo 
Ni.   Attilio   R.  famoso   patriota.     : —     55,   Curio,  M.  Curi, 
Dentato,   che  domò    i  Sanniti,  i  Sabini  ed  ì  Lucani,  e  scacci  ^^ 
d'  Italia  il  ve  Pirro.      Fabrizio,    C.   Liciuio  F. ,  famoso  <  i 
valore,    e  d'onestà  verso  il  nemico  re  Pirro,    a   cui   rimandp' 
legato  il  traditore,   che  prometteva  d'avvelenarlo,  trionfò  di 

Tarantini ,  e  visse  in  |)overià  volontaria. 56.  3/ ida,  1 

frigio.  Crasso,  ricchissimo  Romano ,  ambidue  avari.  := 
58.  Cincinnato,  (Quinto  C.  dall'  aratro  chiamato  alla  ditti 
tura,  adendo  trionfato  de'  Volsci  e  Sabini,  tornò  all'  uinil 
stato.  Serran,  C.  .\ttilio  Calatino  vittorioso  contro  a'  Cait^ 
taginesi  in  Sicilia.  =  59.  Costor,  Fabr.  e  Curio.  Can[ 
mi  Ilo,  esiliato  vinse  i  Falisci ,  Vei,  e  Galli.  =^  (il.  So\ 
til lo,  lo  destini».  : — :  b3.  Altrui ,  della  plebe.  r=  0 
Torquato,   Manlio.    — -     05.    Orbo    del   figlio,    r^    epi. 

Orba,    senza   disciplina.     67.    L'un-altro,    padre 

tiglio.    71.  Speco,    voragine    apertasi  nel  foro  roman 

73.  i>/u7rt  771  io  ,   Lucio,  distrusse  Corinto.    Levino,' 

Valerio  L. ,    freni»  Filimio   macedone,  scacciò  i  Cartaginesi 

Sicilia.      Attilio    Glabrione   vinse    -Vntioco  re.     74. 

Flam.     scacciò  di  Grecia  il  re  Flllpp<» ,    vinse  il  tiranno  d' 

Re  di  Si rii 


ISO,  severo,  arcigno, 
che   usi    ferza.     r=     94.    Marsand    legge:     f^aa  ni  e  y  0  ite 'Lacedemoni.    =^    76.    Quel   Gneo 'Popilio 
d  i  s  s'    i  o  m  e  e  0  :  q  u  e s  t i  a  m  a  ,    A  n  z  i  a  r  d 
V  i  e  n  e  h'  a   ciò    proveggia 
Petrarca  amante       " 
pe 

ani, . „r,--,      — - ~    -r- - - —     --...,....-    ,    .. 

:     9  Iti 

non  l'ajuto.  =  124.  La  lezione  data  nel  testo  é  di  maiio  deli  Un  grande",  Pompeo.  =  91."y/eAe.  ebe,  voce  lai  «i 
poeta,  e  dice:  qual  incredulità  o  miscredenza  mai  colpevole  èfassi  ottuso,  scema.  Non  troppo  bene  quaura  il  tempo,  seti*' 
questa  tua!  iNnn  monta  di  dirne  il  senso  da  civetta ,  do\e  non  alla  rima.  =r.  95.  Quel  ecc.  Papirio  Cursore.  Il 
tutto  spira  la  civetteria.  Altri  leggono:  Di  poca  f  edesuoi,  primo  capitano  del  suo  tempo.  z=r:  97.  Crudo  e  a\  ^ 
ira  io,  se  noi  sajii'SHi,  cioè,  s  io  non  le  ne  facessi  ac-  vero.  v.  Valer.  Mass.  3.  : —  98.  Quel  —  seguiva.  UV^' 
corto,  sarei  di  poca  lede,  poci»  sincera.  Gesualdo  legge:  certo,  se  \oluinnio,  o  A'alerio  Corvino.  =r-z  100.  Quel  'v\ 
Di  poca  fede;    or  io  .se  noi  savessi,   cioè,    se  non  neilumnio.     Il  —  sangue    del  suo  parente  Appio  Claudio.    =5 


zi  arde;  or  si  co  tj- j  Antioco.  •  77.  Cerchio,  fatto  con  una  verga  in  mano.  = '"' 

!.7.    Quel  —  re  ^gia;  79.  Qiiei  Manlio  Torquato    Capitolino.  jWo  ;»  t  e,  campidogli  »/ 
etrarca  amante.    'Questore  quasi    il    principio   della   castità,  1  =  eO.  So  s  p  i  71 1  0,  precipitato.  <^  u  e/  Orazio  Coclite.  ^=  S 
er  non  dire  civetteria,   di  Laura,    cui  il  codice  si  dà  qui  più!  ^^uei  Muzio  Scevola.  =:  85.  C/i  i  ecc.  C.  Dulllio.  Chi  lo  ree 
iipiamente.     ^—    99.     /arieggia,     adombra   e   ricalcitra.  Quinto  Luttazio  Calulo.    :=:    88.  .Vp  p  io  Claudio  cieco ,    pt 
—     106.  Passion    tua.    rr=     114.  ìVo7ì  l'aitando,  s'  io'a\ere  tolto  a'  patrizj  l'onore  de'  sagrilìzj  di  Ercole,     rm    9 


poca  fede;  o  r  i  o  f.  e  li  o  l  sap  e  s  si ,  cioè,  Re  non' nei  lumnio.  Il  —  sangue  del  suo  parente  Appio  Claudio.  = 
fossi  cena.  La  boiloni.ina  ha:  Di  poca  fede  or  io'f  cioè!  103.  Corso,  Cornelio  C.  v.  \alcr.  Mass.  3.  Filon,  Pubbli 
iiierilo  io  dun(|ue  si  |»oca  fede '^  — -  120.  A  e  ce  nde  s  s  i  ,\  Uutilio ,  ('.  .Marzio,  v.  Valer.  Mass.  G.  =-.  104.  Lue 
accendesHc;  licenza  poetica!  ==  128.  Quel  —  uvei,  avevi,  chiari  uomini.  =t  106.  L.  Dentato  di  quaranta  ferite  1 
mi  piacque  dì  vederli  innamorata  di  ine.  Con  <|uel  *  e  aiiiielto.  M  Sergio  di  ventitré,  e  senza  braccio.  Scevl 
mondo  ecc.    ella  per  sé  non  si  compromette,   anzi  lo  tiene  alDurazzo  perde  un  occhio,  ed  ebbe  moltissime  ferite.  =:    1 

bada,     rrr:     130.  Il  bel  nome,    la  fama  gloriosa. V.VlÀltio    successor,    ."«'ergio    Catilina.     111.    Ingra\t 

,1/0  fio,  misura.  =  UH.delo,  Ireddiira,  quadra  meglio  senatori  capoani.  '7'ro7i  ca /■  le  teste.  A  —  erra,  non  ]( 
al  senso,  clic  zelo.  Diutemp  r  e  ,  consumi  di  dolore.  r=r  gcnilo  le  lettere  senatorie  credule  contener  perdono,  p—  1 
137.  Senso:  perchè  in  quanto  alle  altre  c<»se  ,  salvo  la  mi-  (ira  e  co  ,  'l'ito  Sempronio.  =-t  113.  G  a  rr  ui  0  e  in  9  ul 
Slira,  tutto  era  cos'i  concorde,  come  esser  suole  in  amor  (  o  è  dalla  man  del  poeta,  in  vece  di  e  Catulo  inquiei 
(>iienlo.  r^-  MO.  Puii  W  iu  ecc.  Accenna  di  averlo  amato!=^  UH.  Suo.  Altri  sue,  rome  Dante  Par.  12.  «4.  AI 
prima  eh'  celi  amasse  lei  r—  HI.  L'altro,  l'altra,  cioè  (  r- ii  0  Q.  M.  Felice.  =  121.  Figlio,  Tito.  =  1 
10.  rrrr:  144.  Molto  desir,  amor  ìinmenso.  =r^  148.  '  A  «  71  —  r  i  0,  Douiiziano.  Tr=  125.  ,1/ o  ;■  co,  .Aurelio.  =  • 
Ogni  ve/,    che   cuopriva    il  mìo  umore.      Quando    eco,  1  A  a(  ur  ai ,  benché  pagano  ,  uuu  criittiauo,     =     128.  F^ 


li» 


DI  PETRARCA. 


ator,  Romolo.  _  Rpgi  cinque  IViima  Pompilio,  Tulio 
fililio  ,  Anco  Marzio,  Lucio  Tarquinio  Princo ,  Servio  Tullio. 
=  129.  i/' a  itro,  Tarquinio  Superbo.  Mal  ;<p«o,  iafa- 
LÌa.    130.  jR  e /t  n  9  u  e.  Voce  Ialina,  aLbajiduua. 


2.  Popol  di  M.,  romano.  r=  6.  iVe/  mio  dir,  a  ri- 
irlo,  ad  egporìo.  =  10.  Duo—  Troj.  Ettore  ed  Enea. 
'ersi,  Ciro  e  Dario.  =r=  11.  Figlio,  Alessandro  il  Grande. 

'ella,  residenza  de'  re   di  Macedonia.    13.    L'altro 

!pirnta.      : 14.    Altro   intoppo,    perchè  ucciso.    

).   Tre  Teb.,  Bacco,  Ercole,  Epaminonda.  =  20.  Spose, 

litcnuestra,  ed  Elena.    : 22.  Leonida,  spartano,     ^nir 

!.  l)uro,tanquamapud  in  f  eros   co  enat  u  ri ,  come 

i«?i'.    : —    24.  Poca  piazza,   le  strette  di  Termopile.  

'.  (iran  giogo  di  servitù  de'  Persiani.  Tolse,  vincendo 
iiiio  ne'  campi  maratoni.  : —  29.  Figliuol ,  Cimoue.  r= 
).  Sciolse.  Val.  Mass.  5,  4.  =:  32.  Greco  F.,  per  vir- 
i  e  continenza.  :=rr  33  8.  A — scpo  Itura  ,  furono  esi- 
ali.             35   8.    Nulla  —  interstizio,    secondo  quel  : 

p  p  0  sit  a  iuxta  se  pò  si  t  a  m  agis  e  l  uc  e  scunt.    : 

I.    Tre,  Teseo,  Temistocle,  Aristide.    : —    38.  Sua  terra, 

tene.      40.   Pirro,     re  d'Epiro,   v.  Giustino  25.    = 

.   Massinissa,  affrica:io.    45.  Amilcare,    padre 

Annibale,  nemico  de'  Romani.  : —  47.  Re  di  Lidia. 
icMi.      lisci,  donato  di  vita  da  Ciro  per  lo  detto  di  Solone: 

I  ino  ante  mortem  beatus.    Ignudo,  spogliato  d'ogni 

)<,\.    49.  Siface,    re  di  \umidia ,  che  mori  in  prìgio- 

j.  -T—z  òO.  Brenno,  re  de'  Galli.  : —  51.  Cadde, 
ino'iHi    uu   pugnale   in    petto.       Tempio    deifico.     : 55. 

(/ '  /  ecc.      Davide.    : 57.  Chi  fé''  l'opra,    Salomone, 

1(1  liglio.    HO.  1>  en  tr  o ,  nel  cuore,  di  cuore.    Archi- 
li u  ,  yìrtnoeo  Ai  \ita.  mora\e.    ^=z    (jl.    (juel   ecc.   Moisè. 
Ii4.    Quel   ecc.  Giosuè,  v.  Gios.   10.      ::=      b7.    Cole, 

ic(   latina,  oiiora.      ::=      UH.    Aver,    suppl.   di  o  l  o.    

I    /-"a  rfre  n  ostro,  Abramo,     rrrrr     71.    Sua  terra,   Aran. 

II  <  (1 ,  Canaan.  ^r=  Ti.  Figlio,  Isaaco.  Nipote,  Gia- 
il)!jc.    74.  Due  sp  ose  ,  Rachele  eLia.    : —    78.  Oua- 

(/,  da  Delila  e  da'  Filistei.  =  79.  Chi-  arca,  IVoè. 
—    'rVt.  Che-torre  di  Babel,  TVembrotte.    r=    tì2.    Giuda 

arcabeo.     : 88.  Lista,    schiera,    fila.      : 89.    Ant. 

il.  Or.,  regine  amazzoni.  : —  90.  Ippolita,  moglie  di 
CMC).  Figlio  Ippolito,  izzz:  91.  Menalippe,  amazzo- 
-,  Mirella  d    Ippolita,  presa  da  Ercole.    :=    94.    ì' e  dova, 

(unii'i,  regina   di  Scizia.       99.    Per  de o,    perde.    =rr 

'II.  (Quella  ecc.  Peniesilea,  regina  delle  amazzoni,  morta 
1    \(hille.  =    101.   f'erg.  lat.,  Camilla.  =    103.  Magn. 

^iiuiramide.      La   storia    si   legge   presso   Giustino.    

li    li  US  cuna  delle  due.    107.  Indegno  foro.     Se- 

iiaiaidcarab   il   figliuolo  e  un   cavallo;     Cleopatra  Cesare  e 
'iiiionio.     Tr  e«  co  schiera.   r=::    108.  Zenobia,  regina 

l'.ilriiira.    113.  Armata  coma,    elmo  in  testa.    

I.   chi — sprezza,  i  nemici,  cioè  il  Romano.     =     121.  K 

r  (/)  r  a  ,  principia.   =    122.  Il-suec.     I\abuccodono!^orre. 

124.  // p/o  ,  padre  di   Mnn.     F  ont  e  d' e  rr  o  r  e  ,    acni 

l(  .(I  dal  tiglio  statua  adorata  dal  \ulgo.   =     125.  Zoroa- 

r  i>  ,  re  de'  Ballriani.    :=r     127.  Chi  ecc.  Sureiia  ,  capitano 

Orcido,  re  de'  Parti.     Duci,  i  due  Crassi,  e  Veutidio.    r=- 

0     Mitridate,    re  di  Ponto.     =    134.    Artit    d'  Inghil- 

iri      z=:     135.   IJ'  Affrica  ,  Severo.     Di  Spagna,  Teo- 

1.     Luteringo,   Carlo    Magno.    :i^r     I3li.    1  -  rohn- 

i.iladini.    =r     141.    //  —  nido,   il    nuo\o  regno  di  Pale- 

IcMiilato  da  Golfri'do  di    Huglioue.    z —     149.  Il  Sara- 

,  Saladino.    ^:=     151.    Quel  di  Luria,  Xorandlno,  re 

Altri    Lut  ria;    altri    lungi.     =:      V>2.    Duca  d  i 

'.,    che  prrse  il  re  di_  Francia.      : —     154.  Aspro    vi- 

per  venticinque  anni,  rrr-  157.  Jersera,  pocaiizi.  r=^ 

Ruberto.    :^.:=    lti2.  Co lonneie ,    Slutauo  Colonna. 


li, 


3. 


1  iltegno,  al  vero.  =  10.  Ardente  vecchio, 
1111  II).  =z^  14.  Figliuol  di  Laerte,  l'linse.  Diva, 
l<'ii,  cioè  Achille,  rr—  17.  //  Ulantoan,  \'irgilio.  Srro, 
n  Omero,  r^-  21.  Q«  e  «  1 1 .  Virgilio  e  Cireroiif.  Occhi, 
ini.  =■  23.  Ornai,  niit<>  Cicerone,  rr —  2(i.  K n  e  h  i  n  e  , 
••niese  oratore,  che  in  esilio  reciti»  c(rli  Htesso  riira/.iniic  di 
finnsleno,  per  la  quale  era  stato  vinto,  dicendo:  che!  heavi'sie 
IVHU  lui!    =     ii.  L' util  piani  a  ,    la  Icgitilaztuui:  ate- 


niese ,  donde  la  romana,  rrrr  36.  Sei  sapienti ,  Talete  mile- 
sio,    Chilone  lacedemonio ,  Pittaco  miiileneo,    Biante  prianeo, 

Cleobulo  lidio,    Periaudro  corintio.      38.     Terzo    dopo 

Virgilio  e  Cicerone.  =  io.  A  morir  dalla  cenere  e  dal 
zolfo  del  Vesuvio.  =  46.  Plotino,  licopolitano  nato  il  205, 
morto  il  270.  v.  ìFachler's  Handb.  der  Gesch.  der  Lìt.  1, 
270  8.    =     47.    Salvo   dalla  peste.    :=    48.    Prevento, 

prevenuto.    _  51.  Cra  «so  ecc.  oratori  eccellenti.    52. 

Poi  lion,  Asinio  P.    r=:    53.  Quel  d'  Arp.,  Cicerone.  

55.  Tucidide,  ateniese,  primo  storico  greco  esatto,  rr^ 
59.  //  n.  g.  Euclide.  ^=:  61.  Noi  cristiani.  Petra,  osti- 
nato nemico.  : —  62.  Porfirio,  filosofo  a'  tempi  di  Costan- 
tino.   : —      65.  Quel  diCoo,    Ippocrate  medico.    67. 

Gli  son  sopra,  dinanzi  per  temno.    68.    Chiusi,    o 

scuri.  =  70.  Un  —  Perg.  Galieno  ,  sotto  Antonino  Pio. 
=:    73.  Anasarco,  abderano  filosofo  a' tempi  d'  Alessandro 

M.    r^    74.  S  enocr  ate ,   calcedonese.  Platonico.    76. 

Archimede,   geometra  siciliano.    ^^.  Democrito, 

abderano.    =    78.  Casso,  privo.     Lume,  occhi.    79. 

Ippia,    sofista.    m.  A  r  e  he  si  lao  ,    pitaneo,   filosofo 

accademico,  r —  82.  Eraclito,  efesio.  Coperto,  oscuro. 
=  83.  Diogene,  sinopese.  : —  85.  Quel  ecc.  Anassa- 
gora Clazomenio  a'  tempi  di  Pericle.  86.  .1/erce,  sa- 
pienza. =  BB.  Die  e  arco,  siciliano,  Aristotelico.  Cìc. 
Tuscul.  1.  : —  89.  Magisterj,  opere.  ; —  90.  Quinti- 
liano, rettcrico,  maestro  di  Domiziano;  Seneca,  stoico,  di 

Nerone;  Plutarco,  storico,  di  Nerva.  91.  Alquanti, 

Pirronj  e  Dialettici.    Mari,  delle  scienze.  92.    l'aghi^ 

erronei.  rr=  97.  Cameade,  cirenese,  cui  fece  scacciar  di 
Roma  Catone.      Desto,  destro,   pronto.    :=    WQ.  Lunga 

di  novanta  anni.    ; 101.    Parti,    sette.     lOtì.    Sire, 

o  maestro  Platone,   o  dio.    Tassoni,    due  te.sti  estensi,    hanno 

Siro,     Se  irò,     Syro,    cioè  Ferecide.  nel  550.      109. 

Tale,  immortale.  : —  110.  Lume,  vero.  Famoso,  in- 
fame, r. — :  114  Telasottil,  di  loica  acutissima.  Cri- 
sippo  tarsano,  stoico,  discepolo  di  Zenone  e  di  Cleante,  rrrr 
117.  La-chiuso,  la  rettorica  ,  e  la  dialettica.  =r.  120.  Il 
ver,  il  sommo  bene  eh'  è  nell'  acquisto  della  virtù. 

TRIONFO    DEL     TEMPO. 

9.  Legge,  che  quanto  nasce  morir  deve.  : — :  12.  No- 
stra,    ilei  i-ole  e  degli  altri  corpi  celesti.     : 16.    Cavai, 

cavalli.     Como,    adorno,    curo.      27.    M'avanzo,  io 

guadagno.     37.    Tenni  a  vile,  ebbi  in  dispregio.    

43.  Arbitrio,  voler  discretivo.     . —    47.  Guida,  sole.  = 

54.  Hi  «(aldo,    adiro.    91.  S'  a  b  b  i  a  il  sole.    93. 

Coni  un  e  gabbia,    viver  del  volgo.    98.    La   rcina, 

la  Fama.     :=rr    101.     Umani    ligustri,     olire   caduche    d 

intelletto  uiiiaiwi.    : 104.  Celebro,  cer\ello,  ingegno.  : — 

106.   Tra  —  Ebro,    in  Grecia.     108.  In  sul    Xanto, 

Troiani.     In  vai  di  T. ,  Romani.    : 115.  Ritolta,  cosa. 

116.  Quel  di  fuori,  le  cose  esterne.  =r^  121.  Corna, 

altezza,    superbia,     r:^     124.  Clieuni/ue,  chechc.     r=rr     129. 

Di  TI  e  V  e ,  come  neve.    142.  Tanto.    Lu  msc.  estcuiìe 

ha  tutto. 

TRIONFO    DELLA    DIVINITÀ. 

22.  .4  to  n  fio,  quanto  gira,  rr^  26».  Colui  —  e  a  n  g.  , 
Iciiipo,  o  sole.  rr-TT  2^*.  Tre  parti,  pa^.-salo,  presente,  fu- 
turo, rrrr  32.  Fia,fu,  anzi,  dietro,  modilìcaziuui  e 
dilteren/.c  del  tempo,  rrrr:  38.  Mesce,  produce, ^tempra  ,  fi- 
gura.   r=r    53.    Argomento,    iriudizlo.    =     <0.    Poggi, 

ingombri,  impedimenti.     : 76.    Diviso   il  tempo.    :r-=    78. 

jW  0  r  f  0,  liniln.  r=-  f6.  Lei,  Laura,  r^^r  hS.  Divise,  ma- 
niere, costumi.  z=:r  101  s.  .Mnrsand  e  Ta>r.mii  leggono: 
Tania  credenza  ha  pi  ii  fidi  cu  m  p  a  g  u  i  .1  »  i  a  1 1  o 
segreto,  chi  s'  a  p  p  r  e  ssa.  .*»eiiza  senso!  rr^-  103. 
S'avvicini  quel  gran  dì.  r=r-  109.  Ordin.i  :  non  fia  al- 
cun che  copra  ecc.  rr:^  115.  l' a  r  a  g  g  i  o  ,  par.ipiiiip, 
confroiitainento.  _-  118.  In  disparte,  sinarnli  .'•ar.iiino. 
rr—  132.  La  lezione  del  testo  è  quella  di  Casieixelro.  Mura- 
tori ha  .4  morte  iinp.  i  giorni  I:  altri:  7  morte  i  m- 
prtuosaeigiorni  l.  :—  136  Quella,  liHiir.i.  — = 
I3H.  luti  ra,  congiunta  l'anima  col  rnrpii.  . —  139.  Fiu- 
me, llndaiio.  (•' ,■  b  e  II  II  (I  ,  iniinti  neire«lreiiio  desìi  Allo- 
brogi  prvbbu  agli  Klvcitj,   ucUd  parte  buperiuru  del  Walliii. 


§SHH 


e  OMENTO     SULL'     ORLANDO     FURIOSO. 


(tìrii 


PRIVO  SVXERO  ARABO  DISOTA   LA  STASZJ  ,  IL  SECONDO  IL  VERSO.     IL  CASTO  B  SEGNATO  COS  KVVERO  ROVA 


>0 


e   A   IV    T    O      I. 

7.  Troj  ano,  padre  d'  Agramante,  ucciso  da  Orlando.  Bo- 
iardo 0.  inn.  2,  1. 

5.  Lima,  rode,  consuma.  31,  4.41,  2.  X,  40.  G.  XIX,  2fi.  6. 
XLill,  113.  5. 

1.  Erculea  prole,  il  cardinale  Ippolito  d'Este,  figliuolo 
d'Ercole  1,  duca  st-cnndo  di  Ferrara,  a'  servigi  del  quale 
Ar.  compose  il  Furioso. 

2.  Battersi  la  guancia,  ìa  segno  di  pentimento,  dis- 
piacere, e  scontento. 

3.  Uccidessi,  solecismo  in  grazia  della  rima,  per  uccì- 
desse. Petrarc.  S.2:{9, 2.  avessi,  cf.  l'Ori,  nostro  XXXII, 
12,  4.  6.  ltì.23,6.  77,  6.  XXXIIII,  3.3.  6.  XLI,  7.  3.  XLIiI,42.8. 
8.  L'edizione  del  1521  ha  si  scontrò  per  rincontro; 
quello  pili  antico,  questo  più  sonoro. 

4.  l'alio  rosso,  panno  o  drappo,  premio  di  chi  vinse  al 
corso. 

2.  li  omette  l'ediz.  del  1521. 

tì.Studj,  affretti;   come  la  parola  latina  «tu fiere, 
b.  Marrano,   sleale   e  di   ninna    parola.    XII,  45.    Voce 
spagnunla,  passata  in  Italia! 

8.  Mancato.  L'edizione  Parigina  del  1788  in  cinque  to- 
mi ha  mancator,  che  par  più  corretto  del  volgare. 

5.  Lanfusa,  madre  di  Ferraii.  XXV,  74. 

li.  ylver  de'.  Figura  di  Daute^  facendo  come  di  due  otre 
parole  una  sola,  con  l'accento  sulla  penultima  sillaba  ;  rome 
sol  tr e ,  signor  so,  pur  li,  non  ci  ha.  Cosi  Vili, 
82.  m  t  «  e  r  0  me. 

8.  L'ediziou  di  Cravotto  nel  153G.  in  vece  di  è  raggiun- 
to ha  era  giunto.  Par  che  era  in  questo  contesto 
sarebbe  sconvenevole  trasmutazion  del  tempo,  per  è  giun- 
to, laddove  è  raggiunto,  cioè  capita ,  dà  un  senso 
più  naturale. 

8.  Adombri  e  incarni .  cominci  e  conduca  a  perfe- 
zione.   Termini  dell'  arte  del  disegno! 

2.  Ed  a  coz~  ar  ò  più  semplice  e  facile  lezione,  che  ad 
accozzar,    non    ostantechè    aucora  il  verbo   composto 

Fotrebbe  aver  senso. 
,  Due  fontane.    Finzione  presa  forse  da  un'  altra  più 
antica  di   due    fontane  nella  Beozia.     L'na  simile   ne   ha 
Dante  Purg.  28,  41.   fs. 
fi.  Le   battaglie  d' Albr  acca    narrato  da  Bojardo 
neli'  Ori.  lunamor. 

Cauto    II. 

4.  Co»  t  allo  per  costarlo. 

,3.   falle  Ito,  fante,  paggio.    Dal  francese  vai  et. 
8.  a  abbia,  quello  strumento,  che  i  marinari    mettono   in 
cima  all'  antenna,  nel  quale  sta  la  vedetta.  XXXIX,   70.  7.1 

,4.  figlia    d' Ago  l  ante,    Galaciella,    madre    di    Ilug- 

fiero.   /'.  Uojardo  2,  Ili.    Agolante  fu  uccìso  da  Hinaiilo.     I 
,  Fj  antica  madre,   la   terra.    Petrarca  Trioni',  della i 

'  Morte.  1.  I 

,  6.  Difende,  impedisce,  proibisce.    XXVII,  77.  5. 

,  5.  in  un  at  t  imo,  presto  prcMto,  in  un  momento.  Sem- 
bra una  di  quelle  voci  mutuale  dal  Tedesco  i;i  cincm 
Athem,  conie  brindisiAa:  i  eh  br  in  gè  dir  sic  , 
te  la  reco,  cioè  la  Halule,  la  sanità,  o  la  bevanda. 

,  3.  Jt/a  ni  er  u  ,    nianmielo. 

,  7.  Cada,  come  corpo  morto  cade.  Cos'i  Danto  luf. 
5.  V.  ult. 

,  5.  Distretto,  prigione.  XXII,  40. 
K.  Fi  et  a,   penn,   all'anno.     Voco  di  Danto  c  di   Petrarca. 
CoM  VII,  .57.  XIAI,  (..'». 

3.  C(tM  t  ili  a,  Cafliplia. 

2.  Ciò  —  siede,    la  l'roicnza. 

U._  (iyado  nietalorirauiciitc  per  nperturn ,  fosso.  Propri» 
signilicato  è  luogo,  do\e  h!  pasHa  un  lìumu  da  una  ripa 
all'  allra,  senza  ponto  onaie.  Parola  afiine  a  vadn,  gr. 
^óu> ,  [iàdto,  [iifiù!;uD^  pùdoi,  lai.  vado,  ted.  «m  fi  e  <i , 
watt' fi. 

Canto     IIF. 

%.  Lustri,  miri,  scopri.  XXXIII,  21.  fi.     Vorp  latina! 
3,  Solerti,  diligcuti ,  periti,  ingegnosi,  ariitiziosi.    Voce 
Ialina  ! 


10,  2.  Merlino ,  mago  inglese,  generato  da  un  demonio,  a 
tempi  di  Vortigeroedi  due  suoi  successori.  Amo  la  donna 
del  lago,  alla  quale  mostrò  un  sepolcro  fatto  per  se  e  per 
lei ,  insegnandole  un  incantesimo  da  chiuderlo  per  sem- 
pre. Ella,  fattolo  entrare,  prestamente  lo  chiuse,  pro- 
nunziandovi le  parole  magiche,  onde  lo  spirito  imprigioiiato 
segui  a  parlare  e  a  rispondere  a  quanti  Io  interroga\  ano. 

10,  7.  Suase,  persuase  ;  e  cos'i  suaso,  persuaso,  XL1I,104. 1. 

11,  5.  Emerga,  esca  fuori.  XX,  3.  2.  Dante  Par.  XX1\ ,  121. 
Voce  latina! 

17,  1.  CAe  venne  da  Troja.  Da  Astianatte,  figlio  d'Et- 
tore, Bojardo  fece  discendere  gli  Estensi,  111,5.20.  Comune 
fu  nel  Settentrione  la  tradizione  dell'  origine  de'  Franchi 
e  Sassoni  da  Troja,  senz'  altro,  come  pare,  perchè  l'europea 
popolazione  meridionale  ebbe  origine  nella  Frigia  ;  ugni 
capitale  esseudo  città  degli  Asi,  cioè  eroi,  genj  ,  uguali 
a'  Cobi  ri.  Laonde  Troja  tradizionale  è  vana,  ma  sem- 
pre quella  del  ceppo,  donde  usci  una  nazione.  Si  noti  ge- 
neralmente, che  la  tradizione  o  mitologia  de'  secoli  di  méz- 
zo, cogliendo  in  sé,  penetrando  e  trasformando  quella  del 
mondo  anteriore,  è  altrettanto  intrecciata,  quanto  quella 
del  mondo  antico,  e  perciò,  quantunque  siano  diverse  le  for- 
me, nulla  di  meno,  in  virtù  dell'  organizzazione  dell'  in- 
telletto ,  e  delle  sue  leggi ,  l' idea  non  cambia  mai,  Cf, 
XXXVI.  70.  3.  ' 

5.  Danoja,  Danubio,  fiume  della  Germania.  Dante  luf. 
XXXII,  26. 

6.  Antartico  e  Calisto,  il  polo  australe  e  boreale. 
Calisto  fu  ninfa  amata  da  Giove,  trasformata  da  Giu- 
none gelosa  in  orsa,  e  poi  collocata  dall'  amante  fra'  segui 
celesti,  chiamata  Arctos. 

19,  1.  Perchè  in  vece  d'  acciò  dell'  edizione  del  1532,  coine- 
cliè  in  questo  significato  sarebbe  da  difendersi,  (v.  Ii5.  5. 
IV,  45.  (j.  XI,  21.  8.  Cf.  Cinonio  osservazioni  della  lin- 
gua italiana  ,  Ferrar.  1709.  4.  p.  295.)  è  correzion  pedan- 
tesca di  Ruscelli ,  come 

().  Al  primo  assalto  è  da  ristabilirsi  in  vece  di  t  r  a  t  - 
to,  che  forse  fu  dalla  prima  mano  del  poeta,  emendato  dipoi. 

24,  1.  La  genealogia  estense  data  dall'  .\ria!<to  è  poetica  anzi 
che  storica ,    per  quel    ch'è   stato   osservato   in   generale  a 

17,  1.  Chi  ha  gU!ito  d'  esaminare  questa  ditferenza  ,  con- 
fronti la  storia  del  Pigna;  Gira  Idi  de  Ferrara  et  de 
principibus  Arestinis  ;  Sini.  Pomari  siiosizinne;  Liitkt- 
mùller  osservazioni  a  questo  canto  della  sua  traduzione 
tedesca  non  compita  in  due  tomi.  Zur.  l'Ì97. 

25,  3.  Est  e  e   Ca/aon  due  luoghi  del  Padovano. 

2(i,  4.  Colubri,  serpenti,  insegua  de'  Visconti,  già  signori 
di  Milano. 

27,  6.  E  munga,  metaforicamente  abbatta,  umilj. 

34,  2.  La  bella  terra,  v  h  <■  siede  sul  fiume,  Fer- 
rara situata  sul  Po,  do\e  Fetonte,  figlio  d'  Apollinc.  tu 
precipitato  da  Giove,  hi  niangendo  le  sorelle  l'iiron»  in 
alberi  convertile,  da'  quali  a  guisa  di  lagrime  >tilla\a 
l'elettro,  ('igiio  pure,  re  di  Liguria,  il  di  lui  zio,  lagnan- 
dosi fu  mutalo  in  uccello. 

38,  5.   Udir  ti  e    aggio,   da   udirne  ho.   XXXIX,  39.  4.  XLl, 

18.  4.  XLV,  «4.  5. 

41,1.  La  terra  —  r  oci,  Kovigo  ,  in  latino  /i  A  o  rii^iu  m  , 
dal  greco  (x'iJur ,  rosa. 

3.  La  città  —  foci,  Comacchìo,  città  del  Ferrarese, 
della  quale  gli  abitanti  per  la  maggior  parte  Mino  iiC!<calori, 
i  liliali ,  nelle  rorliine  del  ni. ire  bc.unpaiidn  i  pc-n  ,  e  nelle 
\i\ì\\   comucchitsi    riducendusi,   con   arte  ve  li   chiudono  e 

Iiigliano. 
.le,  vedi.  Dante  Purg.  5,  4. 
4.'>j  3.  Che  siede  ere.    Allude   ulla   statua   iirdcnlc  di  Dorso 
eri'tingli  dal  poiiiilii  nella  piazza  di  Ferrara.     Pigna  stor. 
all'  anno   1171.  I.  H. 
M),  1.   /   ir  in,  accenna  il  dominio  veneziano,  e  le  guerre,  che 

ne  so  11  ri. 
in,  2.   .Ili  giro  Iron,  stemma  della  repnblilica  \enela. 
52,  5.  Culi  i  dall'  altro  ere.    Iiiiriiilc   ili  Itiiniu.  n  di  Giulio 

II,  acerriinii  iicinioii  di   Alloni-ii  ,  duci  ili   l''i-i'r.ira. 
56,  8.   M  II  r  o  II  r  .    Viidrca,  pili  l.i  iinpniN  \  inatore  di  multo  nomo 
in  riirir  d' Ippolilii.     (•i.i/in'-ii  e  iikiiIoIh    ri|iiitoco,    uieutru 
parla  di  sé.     I.a  prima  edi/iime  del  I5lli  ilice: 
/  la  cui    hi  Ila  iltiilr   mi  pih  piiir-to 
C'/iu  nusvvtic  Maron  ,  che  sotto  Augusto. 


e  OMENTO  SULL'  ORLANDO   FURIOSO. 


60,  T.  Chi  son  ecc.  Addita  Ferrante,  e  Giulio,  fratelli  del 
duca  Alfonso  e  del  cardinale  Ippolito  ,  che  macchiiiaroao 
di  torre  la  vita  e  lo  stato  al  duca  con  V  opera  di  un  certo 
Giano,  musico  francese.  La  trama  fu  scoperta;  ambidue 
furono  arrestati  e  condannati  alla  testa  ,  e  già  sul  punto 
d'esser  giustiziati,  il  duca  Alfonso  ne  commutò  la  morte  in 
una  prigionia  perpetua. 

75,  (j.  Assonna  ,  tarda.  XX,  114.  6. 

Canto    IV. 

13.  1.  Sino-pia  ,  terra  di  color  rosso,  dalla  città  dì  Sinope  iu 
Ponto. 

38.  3.  Olle,  pignatte.    Voce  latina! 

39,  4.  Co  m  7)  a  g^n  a,    compagnia. 

46,  5.  Pont  a,  calca  con  forza.  XXIV,  107. 
7.  Gir if alca,  specie  di  falcone. 

50,  3.  Prende  ecc.  Il  segno  del^  granchio  sta  sopra  l'India 
orientale,  e  al  primo  grado  d'  esso  perviene  il  sole  sul 
cominciar  dell'  estate,  cf.  X,  70. 

51,  3.  Cantra  V  orse,  a.  tramontana,  dove  sono  ì  due  segni 
celesti  chiamati  1'  orse. 

%.  Calidonia,  grandissima,  piena  d'orrore,  teatro  de' 
cavalieri  della  tavola  rotonda. 

C    A    N    T    0      V. 

18,  5.  Monte  di  Siciglia,  Etna,    o  Mongibello. 
24,  e.  Posta,    deposta.  XXI,  5.  5. 

26,  1.  Scevra,  separata  — lo  che  è  la  parola  medesima  tras- 
formata soltanto  per  mezzo  della  ji  cangiata  in  v  (come  in 
rico  V  rare  ,  Viti,  17.  4.  per  ricu-perare,ovra,  o  - 
vr  are  ,  ovraggio,  spagn.  ob  r  a;  frane,  oeu  v  r  e)  e  di 
contrazione  usata  ne'  participj  ,  che  in  questa  guisa  sono 
addiettivati,  come  caro  per  cacato,  X,  3.  tocco  per 
toccato  ib.  40.  2.  XXII,  69.  3.  cerco  per  cercato, 
XII,  9.  6.  p  est  o  per  pesi  a  to,  XIII,  19.5.  doma  per 
domata,  XLVI,  6.  2. 

50,  3.  Rezzo,  ombra,  oscurità.  XXI,  22,  3. 

5.  Hi  brezzo,    sbigottimento. 

55,4.  S'accascia,  s'indebolisce,  si  rallenta,  s'aggrava, 
lascia  abbattersi.  Dantelnf.  24, 18,  dove  Larabino  dice  :  'l'ro-  \ 
prio  diciainn  una  cosa  accasciarsi,  ijuando  ,  non  pò  , 
tendosi  sostenere  per  la  sua  gravezza,  si  lascia  andare  a: 
terra.'  Cadere,  cascare  ed  accasciare  sono  at'liui.  ■ 

36,  5.  Indotto,  non  dotto,  ignorante.  | 

58.  tì.  auto,  per  essuto ,  p.irticipio  regolare  antiquato  d'es-: 
s  e  r  e ,  ui  vece  di  cui  ora  serve  stato. 

62.  3.  Bieco,   metaforicamente  per  disonesto.  XXIX,  12.  3.     | 

70,  6.  Fora,  per  fosse.    Forse  senza  esempio! 

C  A  ^  T  o     VI.  j 

4.6.  Avparea,  apparia.  Cos'i  trasparea,  Dante  Par.' 
.\\111,  31. 

15,  7.  I>  isc  ad  er ,  tornare  al  padron  proprietario,  o  per  estin- 
zione della  famiglia,  o  per  altro  dilttlo. 

17.7.  Il  segno  ecc.  Abila  e  Calpc  luouti ,  detti  colonne 
d'Ercole,  perchè  da  lui  seguati  per  meta  delle  navigazioni.! 

19,  5.  /*«  7- 1  ecc.    Sicilia.    A  in  a  n  t  e  Mica ,   liume    d',\rcad;a.| 

52.4.  Tale,    cioè    pianta,    come  son"  io.  I 
56,  6.  Groppo,    territorio    o  dominio   ben  chiuso  e  guardato: 

d'  .Mciiia.  j 

65.  8.  S'arrosta,  si  aggira  dibattendosi.  Lezione  dell'  cdi-i 
zioiii  del  1516.  1532.  Male  il  Ruscelli  ripose  arresta,' 
ingannando  ci)n  questo  ancora  G  rie  s  ,  il  savio  ed  eccellente 
corifeo  de' traduttori  tedeschi  del  nostro  poeta  di  cui  il  me- 
rito originario  non  pui)  uè  de\e  diininiiii-.-i  col  confronto 
d'una  traduzione  posteriore,  leggiera  bensì  e  leggiadra,  pe- j 
rii  talvolta  licenziosa  ancora,  di.ssoluta  e  negbiuo.sa.  Egli! 
sciiiiiremai  avrà  il  gran  merito  d'aver  aperta  la  strada.        i 

66,  H.  Uria  reo,  gigante  con  cento  mani  e  cento  braccia.         [ 

76.  8.  Freltosi,  forma  antica  il'i  fr  e  t  t  o  l  os  i. 

78,  I.  Lama,  bassezza,  bassura,  ca\ità  di  terreno,  valle  pa-' 
ludosa  e  fangosa.  Dante  liif.  20,  79.  ed  ivi  Moii  l  i  citato: 
nella  padovana  edizione.    C'f.  32,  92. 

Canto    VII. 

3,  4.  Flavo,  biondo.     Xocc  latina!  | 

4,  1.  Apulia.    Cosi  »)razio  od.  1,  22:  Quale  port  ent  uml 

n  e  II  a  e  m  il  i  t  ar  i  s  JJ  a  il  il  i  a  s  l  a  t  i  s  al  it  a  e  s  e  u  l  e- , 
t  »  »  ,  i\rc  lab  a  e  tei  l  us  general ,  l  e  unum  Ari- 
da Il  ut  r  i  X. 

6.  La  mala  detta   lue,  Erifila. 

7,  2.  Levarle.     Altre  edizioni  leggono  levarne. 
11,  2.  /»/<-',  poeticamente  per  meglio.  XXIV,   82.   2.   XXVI. 
106.2.  . 

18.5.  Grava,  iinpronta .  effigia.  Dal  francese  grnver. 
QueHia  licenza  par  riie  il  rontcsto  la  giuslilichi.  Similmente 
X,  3H.  3.  se  alt  a  p<r  hColpUa. 

20,  2.    .'\  ino,  primo  rt-  degli   AhsIij. 

4  f  ine  il  or.  Mano  \iitiiiiio,  a  cui  Cleopatra  prepari» 
conviti  MUutuobÌ8iiiini.    Plin.  9,  35. 


32, 


23,  6.  Aracne,  tessitrice,  che  Ffìdò  Minerva  alla  prnova, 
vinta  fu  in  ragno  mutata. 

25.4.  Dove.    Par   che   quel    sua,   e   passi    abbia    sedotte  P- 
alcuni  editori  a   corregger  donde;  pur  quando  è  riferito 
^.A  aspettando   sta,  tutto  va  bene. 

8.  Tra''lfruttoetaman,  par  modo  di  parlar  prover- 
biale. 

4.   lepri,   spini.    A''oce  latina! 

7.  in  esca  ti,  adescati,   provveduti  d' esca  ;  non   già  tn- 
vescof  i,  come  leggono  male  alcune  edizioni. 

36,  3.  Idaspe,  fiume  celebre  dell'  Asia. 

41,  1.  Queir  odor,  il  buon  nome.  In  simil  modo  in  Tedesco 
Geruch  e  Gerii  e  ht  hanno  l'istesso  senso. 

43,  1.  Facile,  condiscendente,  troppo  amorevole.  Signiiìca. 
zione  latina  ! 

50,  1.  Al  chino  e  Farfarello,  nomi  di    demonj    appresso 
Dante. 
4.  Passe,  stese,  cascanti  giù.     Signilìcazione  latina!       * 

55,  6.  Mezzo,  maturo ,  fracido. 

57,  8.  Adone,  drudo  di  Venere.   At  id e ,  favorito  di  Cibele, 

59,  5.  M  an  cipio  ,  servo,  schiavo.    Voce  latina! 

60,  5.  Claudi,  chiudi.    Latina  forma! 

73.5.  Ecuba,  moglie  di  Priamo,  re  di  Troja.  Carnea^ 
Sibilla  di  Cuma.  Famose  ambidue  per  la  lor  vita  lunghi»- 
sima  ! 

75,  6.  Aiutante,  gagliardo,  poderoso. 

76,  1.  B  a  l  i  sarda,  spada  fatta  da   Falerina  per  incanto,  ad 
oggetto  di  ammazzare  Orlando  fatato.    Orlando  glielatolse^ 
e  a  lui  fu  tolta  da  Bruuello ,  e  data  a  Ruggiero,     f .  B<^ 
jardo. 
7.  Del  quale  ecc.  Astolfo.  6,  32. 


11. 


J 


'7, 


Canto    MU. 


in   barca, 
del    ritmo  e 


2,  6.  Liscio,  belletto,  per  lustrar  la  faccia. 

6,  3.  Sale,  salta. 

13,  4.  Altre  edizioni  hanno  Im  barca,  altre 
L^  imbarca  lo  sembra  richieder  la  natura 
della  rima;  imperocché  rag  una  wU  imbarca  in  una 
labbrica,  qual  è  quella  delle  ottave  rime,  dà  una  cesura 
più  lirica  di  quella,  che  sarebbe  più  declamatoria:  ragu- 
7(  a  II  Imbarca.  11  confronto  dell'  antichissime  edizionìjt, 
de'  poeti  colle  moderne  giustilica  questa  osservazione,  cb"« 
per  sé  vera  e  fondata  nella  natura  del  ritmo,  benché  forse 
non  sempre,  né  accuratamente  penetrata. 

15,  8.  Agl^  Indi  è  da  preferirsi  alla  lezione  ad  Indi. 

45,  8.  Paolo  e  llar  ione  ,  dueeremiti,ruuo  in  Egitto,  l'altro 
in  Palestina. 

51,  8.  Pro  teo,  uno  decli  dei  marini,  ch'ebbe  la  cura  di  gOf'fe  j 

-'. .,   ,1:    ..... .'"r .        1    .  .....    .1 


59, 


'vernare  e  di  pascere  l'armento  del  mare.  Cf.  54. 


8.  Più  grande.  Le  stampe  a'  tempi  del  poeta,  ed  altre 
di  poi  hanno  pur  grande,  in  forza  d'ammirazione,  odi 
pur  troppo,  come  XX,  38.6.  XXX,  10!l.  4,  XWIX,  5.4. 
2.  Grippo,  sorta  di  brigantino  da  corseggiare. 

62^  7.  Caucasce  porte,  passo  angusto  del  monte  Caucasi 
per  cui  dalla  Sarmazia  si  va  uelì'  Iberia.  Celiar.  uuG 
orb.  aiit.  3,  10.  7.  ''»,. 

67,  5.  Liti  rubri,  mar  rosso.  1    ^ 

71,  1.  Urlando  alle  n  oj  ose  piume  Del  veloce  p  enfi,! 
sier  fa  pa  rt  e  asso  i ,  coaiuaica.  alle  piume  pigre  l'in  |  i 
quietezza  del  pensar  suo.  .  ;M 

75,  3.  Mi  consona,  mi  sembra  verisimile,  s'  accorda  al  mi 
pensiero. 

79,  1.  Animanti,  animali.    Voce  latina! 

89,  5.  Licenzia  in  vece  di  licenza,  per  isfuggire  la  mo 
iiotunìa  della  terminazione  enza. 


60. 


Canto     IX. 

7,  5.  Insembre,  insieme.    Dante  Inf.  XXIX,  49.     Fatto  da| 
francese  ensemble,    cangiando    l   \n  r  come    volca 
XI,    42.    4.      Origine    di    tutte    queste    voci    è   la    gre 
Iqia ,    utiov ,  la  latina    simul. 

15,  3.  Arena  bianca,  onde  Inghilterra  sino 
ytlbione.  Segue  uu'  etimologia  mezzo  vera.  Il  ( 
frinito  e  la  combinazione  di  Tenedos.  isola  di  Tenn 
chiamata  in  tempi  anteriori  L  e  a  e  o  p  b  r  ij  s  .  di  Ca  l  if  d  n 
o  C  a  l  e  d  on  i  a  ,  e  di  Ta  m  i  s  a  ,  paesi  del  metallo  ne 
mitologia,  come  l'assonanza  del  latino  stanniim,  ti 
Z  i  n  n,  arguiscono,  che  l'Inghilterra  già  fu  Al  h  ion  ,  Tisi 
di  bianco  .-lagno. 

16,  5.  Meriggi-,  lat.  meridies,  mezzogiorno.  Dante Pu 
XX\,  2,  X.MII,  104. 

28,  7.   (n  ferro  bugio   ecc.  descrizione   d'uno  schioppo 

arrliibugio. 
34,  2.   Far  di   tutto  il  resto,  frase  di  giuocatori.  arri 

clii.ire  tutto  il  denaro,  che  resta. 
49,  1.    Vezzi.  L'edizione  Haskerx  ìlliana  legge  nif««t,  mi 

dati  pcrcercir   soccorso.     Mezzi   invece   di    mezza 

par  pio    squisito. 
,'>9.  2.     liti   stagni,    il  mare. 
65,7.    I  olana,    una    delle    foci    del  Po,  dove,     per  cagli 

delle  acijue  dolci  del  liuiue  ,  suol  concorrer  multo  pese 


COMENTO   SULL'   ORLANDO  FURIOSO. 


i  pescatori   gli  tendono  una   rete,    che   dicono    tratta, 

per  cIiiiKlergli  la  via  e  pigliarlo, 
r,  4.  Zimbel,   uccello,   che  sogliono   legare  gli   uccellatori, 

ed  esporlo  j  perchè  sbalzando  e  dibatteudosìi  alleili  gli  altri 

uccelli  a  discendere,  e  restino  presi. 
\'ì.   Tormento,    l'archibugio. 
I,  5.  St  e  a,  stia. 
,  5.  Kassigno,  rassegno,  restitaisco. 

C    A    ÌV    T    0      X. 

,2.  Quella  che  ecc.  Elena,  moglie  di  Menelao,  re  di 
Sparta,  la  quale  rapita  per  la  sua  bellezza  da  Paride,  diede 
occasione  ad  una  lunga  ed  ostinata  guerra  tra  le  greche 
nazioni ,  intese  dal  poeta  col  uomc  d'  Europa ,  e  il  regno 
di  Troja  nel!'  Asia. 
3.  Vanne.  Cos'i  in  vece  di  donna  leggono  le  carte  ori- 
ginali del  poeta  conservale  nella  biblioteca  pubblica  ferrarese. 

7.  Donne,   domine,    padronesse.     Cos'i  donno  XX,  (il.  4. 
I,  5.  Alcione,  uccelletto,  che  sta  a'  lidi  del  mare,  alcedo 

hi  spi  da.  Arislol.  hist.  anim.  9.  14.  Plin.  11.  X.  10,  32. 
Ceice ,  marito  d'Alcione,  in  un  viaggio  per  mare  resti) 
sommerso;  la  moglie,  cedutone  il  cadavere  sul  lido,  vinta 
dal  dolore,  si  gitlò  in  mare,  ed  anibidue  furono  mutati  ne' 
sovradetti  uccelli.  Ariosto  per  altro  usa  Alcioni  coli' 
articolo  feminino  ,  come  nel  Latino. 

t,  8.  A  ciocca  a  ciocca,  a  brancate. 

i,  5.  E  e  uba,  moglie  di  Priamo,  re  di  Troja,  dopo  l'intera 
desolazione  della  sua  famìglia  e  del  suo  regno,  l'alta  schia- 
va d'  l'iisse,  arrivi)  in  Tracia,  d()\e,  trovato  ucciso  Poli- 
doro, l'ultimo  de'  suoi  figliuoli,  da  Pojinnestore,  re  di  quel 
paese,  a  fine  d' appropriarsi  i  tesori  di  lui,  cos'i  bene  s"  ado- 
pri)  coir  aiuto  delle  sue  donne,  che  a  Polinnestoro  cavò  gli 
occhj.  l  Traci  per  tal  fallo  a  colpi  di  sassi  perseguitan- 
dola, essa  perla  rabbiosa  ira  sua  fu  convertita  in  cagna. 

,  8.  Già,  quando  furono  tratte  dalla  fucina.  La  prima  edi- 
zione avea  f  ra  (  i  e   di  fuoco. 

,  7.  Ora,  aura. 

I,  S.  Se  ulta.    Voce  latina  Kc  u /p  f  a. 

,  4.  Messe,  mise,  cioè  desti),  ecciti).  Cos'i  promesse,  ri- 
mesge    per   prò  mi  ne,    rimise. 

,  G.  JJelibi,    gusti,  assaggi.  XXXIII,  111.  8.    Voce   latina! 

,  4.  Area.  La  prima  slauìpa  del  l.'ilti  legge  r'  Ita  .  «juella 
del  VSi'ì  ave.   Avvi  sembra  la  miglior  lezione.  Cf.  XX\  1, 

n:j.  5. 

1.  /  eletta,  vedetta,  lungo,  dove  sta  iu  guardia  la  sen- 
tinella. XXIX,  35.  5. 

5.  Artiglieria,  iiiacchiuc  per  lanciar  sassi  d'enorme 
grandezza. 

i,  4.  C  loto  ,   Parca. 

G.  La   regina   del   iXilo,   Cleopatra,   regina  d'RgiltOj 

che,   morto    Antonio,    suo    drudo,    s'uccise   coli'  attaccarsi 

due  aspidi  al  petto,   per  non  esser   condotta  iu  trionfo  dal 

vincitore. 
',  8.   Fossi,  fosse.    Licenza  noetica!  I,  9.  3. 
f  4.  a  I  s  m  in  i ,  gelsomini.     \  oce  lombarda! 
I    Ó.   Dove  ecc.  mare,  dovei  venti  han  più  libertà  cpossanza. 

1.  (juinsai,    città  della  ('hina,    della    ancor    Cliansa},  il 

Xanciiin  d'  oggid'i. 
,  i.  I<'ì  or  dal  igi,  fiordalisi,  gigli,  e   pardi,  iuscgnu  del 

re  d  liicrliilterra. 
I,  4.   /   a  r  V  e  e  i  a  ,    Warvi  ick. 
'  7.  r  II  i  a  r  e  n  %  a  ,    Clarencc. 

8.  Eboruc  e,    ^ork. 

, 'i.    S  or  f  ozi  a,    Xurfolk. 

3.  C«  n  e  i  a  ,    huiit. 

4.  Pr  m  b  r  0  zia  ,    Peinbrock. 

7.  Ks  en  i  a  ,    Essex. 

8.  i\  0  r  b  e  t  a  n  d a,    \orlliuinberland. 
,  1.  ytr  ind  e  l  i  a  ,    Arinnlel. 

4.  Hit  inonda.    KicliiiMiiid. 

7.  Dorsi  zia,  Dorset.  Anton  a,  IlamptOU. 
,  'i.   l>  e  V  0  n  i  II  ,    l)ev onshire. 

3.  /  i  g  0  r  i  n  a  ,    \  igore. 
A.d'Krbia,    Drrl)^.   Osonìa,    0\iord. 

6.  Hat  t  onia  ,    H.illi. 

8.  Sor  III  o  s  !■  d  i  a  ,    .'^oinmerscl. 

,  l.  Ho  e  eh  i  II  g 'I  III  II .    lliM'kiiigham. 
'i.  Sarisberifi,   S,ili>binv. 

4.  Croisbiria,    ("losbtrry. 

4.   Travaglio,    i|U('lb<  macchina  mi    quattro   pilastri,  in 
mi  ^i  rliiniinno    da'  niaiiÌMcalclii    Iu    bestie  intrattabili,    per 
ferrarle.—  i\  o  t  h  s  I  ali. 
,  1.    Tra  sf  or  di  a,  Slr.ill'ord. 
3.    .1  II  g  osci  a,    Angus. 

7.  hania,  Nbraiia  ,    divora      \  oce  latina! 

8.  Ho  ria  II  in  ,    Iìikmii. 

,  (i.   Chi  I  dira,    Kildare.  i 

1.    Iberni  a  J  a  h  ii  t  o  s  a  ,     Irlanda,     ir  echi  arri,    S. . 
l"alri/.io,    aposiolo  dell'   Ibernia.     ('«  i' «,  pozzo, 
3.  />  /  r  I)  r  ,  liv  idrzza. 

3,  '2.  Hi*  eia,   serpente. 

4,  H.  Scoglio,  HCiigliu.  XVII,  li.  XXMl.  19.  3.  XLIIl.  99 
1 .  I  li  'l'edcbcu  6'  e  ho  1 1 1 ,    Se  h  al  i . 


106,8.   Schifo,  piccola  barchetta,    dal   lat.  scapha,    ted. 

Schiff.    Zucca  usata   da'  fanciulli,     per  imnarare    a 

nuotare. 
113,  (i.  Filomena,   rossignuolo.    Sorella   di  Progne      ch'era 

moglie  di  Tireo,  re  di  Tracia,  violata  dal  cognato, 'fu  dagli 

dei  iu  usiguolo  convertita. 


C    A 


X   T   0 


XI. 


4,  1.  Confronta  il   Bojardo. 

12,  1.  Fillide,  Neera,  ninfe  villerecce  belle  lodate  da 
Virgilio. 

13,  3.  7/ffi  se:  =  o,    alfìn.    Dante  Inf.  7,  1.30. 

22,  7.  .A  e  gr  om  ant  e.  Cos'i  conformemente  alla  finzìon  poe- 
tica, anziché  alla  verilà  storica,  che  fa  inveniore  dello 
schioppo  un  Tedesco ,  che  1'  insegnò  a'  A  eueziani  nella 
guerra  co'  Genovesi  l'anno  1380. 

31,  5.  fa  lischermo,   schifo  ,    barchetta. 

32,4.    Salso,    uonfalso. 

42,4.    Co  Ica,   corica.    Vedi   a  IX,  7.    5. 

44,  a.  y  e  1 1  u  n  o  in  Etiopi  a.  Imitazione  d'Ovidio  o  d'Omero. 

43,  Lino,  moglie  d' Alamante  ,  e  Jl  elicerla,  suo  liglio, 
furono  mutati  in  dei  marini. 

2.  jS  ereide,  trentaqualtro  ninfe  del  mare. 

3.  gì  alici,   dei  marini.     Tritoni,    trombetti   di  Xettano. 
.54,  'A.  Fi  et  r  a    brulla,    il  nudo  scoglio.  33. 

(i8,  4.   Tolli,    togli.  Lat.  tollere. 

70,  1.  Nelle  valli  idee,  dove  Paride  diede  il  giudizio 
nella  conlesa  di  bellezza  tra  Giunone,  Pallade  e  Venere. 

5.  Amictee  contrade,  regno  di  Sparta,  dov'  era  una 
città  Aniicla,  venti  stadj  dalla  città  di  Sparla  lontana. 

71,  1.  .Aneddoto  pittorico! 
75,  5.  Costui,    Oberto. 

6.  Dio  di  Lenno,  Vulcano,  che  teneva  in  quel!'  isola 
sua  bottega. 

82,  3.  Animai — Frisso,  l'ariete,  sul  quale  Frisso  scampò 
dall'  ira  della  matrigna,  e  che  dagli  dei  fu  posto  in  cielo 
tra'  segni  del  zodiaco.  Discreto,  temperato,  poiché  il 
sul  passa  iu  tal  segno  all'  equinozio  di  primavera. 

Canto     XII. 

1,  1.  Madre  idèa,  Cibelc,  (l<tta  dal  monte  Ida,  dove  più 
eh'  altrove  si  celebravano  i  di  lei  mislerj. 

4.  Encelado,  gigante  ribelle  a  Giove,  cacciato  dal  ful- 
mine sotto  il  monte  Etna. 

3,  2.  F,  l  e  u  s  i  na    dea.    Cerere. 

9,  2.  S'  a  1 1  o  g  g  i  a  ,  si  abita. 

10,2.  Pareti,  qui  mascolino,  come  Dante  Purg.  XIV,  49. 
XXIl,  117.  Harotti  a  causa  della  tautologia  in  muri 
e  pareti  |)r()pone  dì  leggere:  A(///«  de'  muri 
appar  nelle  pareti.  .Ma  non  v' è  cagione,  perchè 
711  II  r  i  non  sian  esteriori,  e  pareti  interiori. 

13,  3.  Eernovv  corregge  :  qui  in  d  i  in  orar  potrei,  iu  vece 
di  <i  u  i  d  i  in  0  r  a  r   pò  t  r  e  i  ;    veri.-imìlmente. 

19,  3.   Helinque,    lascia.     \occ  latina! 

40,  5.  S  pa  g  II  II  o  l.     Cos'i  si  legga  ,    ni)  p  a  g  a  n. 

40,4.  Durindana,  spada,  che  gnadagiii)  Carlo,  quando 
ammazzi)  re  Polìnoro  in  ispagna.  Detta  anche  Durlin- 
d  a  II  a  ,   Dar  i  n  dar  d  a. 

5.  Ma  con  a.  Maometto.  Trivigante,  deità  pagana; 
iire>soShakspeare  T  e  rm  a  gau  n  t ,  e  creduta  l'ìslessa  colla 
l)iair,i  Trivia  —  in  somma  immagine  Orrenda.  Cf.  .X\.\\  111. 
IH.  (i. 

(i.   Donno,  padrone.     I).i  d  o  in  i  n  ii  s.  X,  9.  7. 

7.  Merito,  riconipens.i.  \LII1.  139.  7. 
3.   Ha  rbula,  celala,  timo  con  l.i  visiera.  X'WI,  12(1.  8. 
5.  Conte,   dislinle,  l)elle.  Dal  lat.  coiiiptus,    comtiis. 

2.  /  o  1 1  i ,  giri ,  ravvolgiturc. 

3.  /   e g  t  io  ,    vechio. 

4.  Solchi,  u  uun  boschi,  eh'  è  di  llnscclli  ,  ha  l'edi- 
zione del  1532. 

Canto     XIII. 

3.    Spero,  temo,  mi  aspetto. 

7.  Fi  il  e  io j  a  ecc.  «^ii.il  maggior  ginja  posso  io  nspct 
tarmi  da  luì ,  se  non  che  si  dispongu  ecc.  Senza  altro  è 
ali|n.iiito  manca  e  negligenle  la  co^iru/ioiie  ili  ((iiesle  p.irole. 

1,5.  Maistro,  maestrale,  ^  enlo  ,  che  spira  tra  occidente 
e  seltentrione. 

8.  Foggia,  quella  corda,  che  si  lega  all'  un  de'  capi 
dell'antenna  da  in. ni  destra.  Orza,  quella  corda  ,  che 
si  lega  nel  capo  dell'  aiileiina  del  naviglio,  da  man  sinistra. 
XLI,  <0.  3.  Ilternar  iluiiqiie  poggia  co»  t'  orza 
vai  bordeggiar,  star  sulle  Vdlie. 

1,2.  C  II  r  s  I  II ,  lo  spazio  vuoto  nelle  galee  per  camminare 
da  poppa  a  prua. 

I,  H.    (ridala,  aflìd.ita.     \  oce  Ialina! 

I,  2.    I  m  III  II  g  e  ,  imin.igiiiu,  soiniglìauza. 

!,  4.    Tiri.  H|n/.ie  di  serpenli. 

1,8,  eh  irò  II  h.inl  r  (di/ioni  del  1516  e1.M2,  alliiilendn  al 
canto  MI  tlrir  liirerno  dantesco,  dove  sono  cniid.iiiniili  i 
lir.iniiì  e  vidlenli  ad  C'.sere  ponili  io  laghi  di  l)olli'iins<<iinn 
sangue  ,   e  Chiroii    centauro   con  altri   cuuipagni   della  sua 


59 


COMENTO   SULL'    ORLANDO   FURIOSO. 


razza,  tostocliè  %'eg(?ono  alcuna  alma  dì  qiie'  tiranni  le- 
varsi ili  alto,  per  alkffgcrir  la  sua  pena,  la  ricacciano  sotto 
a  colpi   dì  saette.     Caion  non  è  a  proposilo. 

37,  6.  Canna.  Intende  del  {giuoco  delle  canne  usato  in  Ispagna, 
il  quale  ricliiede  molta  apllità  e  leggiadria, 

39,  H.  31  ir  andò,  inaravì^'^lioso ,  stupendo.  Voce  latina! 
XMV,  55.  U.  XXXIl,  W.  :{.  XXXUl,  5.  2. 

59,  7.  La  t  er  r  a- di  e  de ,  Mantua  ,  o  Mantova  ,  cos'i  detta 
dalla  lata  Manto,  madre  d'  Ocno ,  il  quale  la  edilicb  sul 
ììunie  Mincio  ,  e  le  diede  di  sua  madre  il  nome. 

61,  6.  Tifi,  nocchiero  della  celebre  nave  d'  Argo  nel  viaggio 
a  Coleo  per  la  concjuista  del  vello  d'  oro. 

G2,  1.   Beatrice,  consorte  del  duca  di  ]Milano. 

U3,  3.  JJa  II  e -da  71710,  da  tramontana  a  mezzogiorno,  e  dall' 
oriente,  ove  scorre  il  iiiime  Indo,  all'  occidente,  dove 
sono  i  due  monti  Abila  e  (.'alpe  (,ìo  stretto  di  Gliibilterra), 
tra'  quali  V  oceano  si  aiiiiice  col  mediterraucu. 

04.4.  /"an  7?  0  7i  io  ,  l'iigliena. 

(i.  Ausonio   e  l  i  ì/i  a  ,  Y  Italia. 

Canto    XIV. 

4,3.   Le  ricche   ghiande   d'    oro,   Papa  Giulio  II,   di 
casa  della  Rovere,    che  portava  per  arma  una  quercia,  le 
cui  ghiande  erano  d'  oro. 
4.    Jl     bastali    giallo    e    vermiglio,    la    possanza 

spagnudla  ,  o  piuttosto  la  lega  di  essa  col  papa. 
6.  Il  giglio,  ]a  Francia.  Parla  del  fatto  d'  arme  presso 
Ravenna  tra  T  armata  francese,  e  la  papalina  collegata 
con  gli  S|)agnuoIi  Y  anno  1512,  in  cui  per  opera  e 
valore  d'  Alloiiso  I  restii  salvalo  dall'  ultimo  eccidio  l'es- 
ercito pericolante  di  Francia,  e  con  orribile  strage  dis- 
fatte furono  le  soldatesrhe  del  papa  e  di  Spagna. 

7,  4.  Croscè,  crosci,  da  crosciare,  che  diccsì  del  cadere 
di  grossa  e  furiosa  pioggia. 

12.1.  JJalugant  e,  lìe]fìt:iind(i. 

25.5.  Il  gran  centauro,  Cliironc ,  sagittario  tra'  seguì 
celesti,  nel  quale  entra  il  sol  ai  21  -di  novembre,  e  vi 
dimora  sino  a'  21  dell'  altro  mese,  passando  jioi  per  altret- 
tanto tempo  nel  segno  di  capricorno  —  corni  orridi  e 
fieri,  cosi  detti  per  la  rigidezza  della  stagione,  che 
corre  in  que'  mesi. 

27.2.  Nottole  o   cornacchie,   augurj  sinistri. 

50.3.  Soffolta,  appoggiata,  sostenuta.  XLII,  77.  Dante 
Par.  XXIII,  130.     luf.  XXIX,  a. 

53.7.  Ubino,  cavallo  inglese,  che  va  di  portautc.  XXVI, 
129.  1. 

.'i9,  2.   Ditta,  detta. 

liS,  5.    Confesso,  confessate. 

77.8.  Denedettoangel,  angel  Michele. 
Hi,  7.     Brutta   schiera,  frali  unti  e  sporchi. 

93,  H.   Mal  regge  si.    Cos'i  è  da  leggersi ,  e  non  Tna/  r  e^- 

gersi,  uè  mal  si   regge  con  Ruscelli. 
97,1.   Discorreva,  iva  scorrendo.   Cf.  XX,  2tì.  3.  XXXIV, 

54.  (i.  XXXV,  10.  (i. 
101,  3.   Busti,  roghi;  qui  cadaveri. 
104,  3.  Riviera,  la  Senna. 
109,  4.    J  inpronte,  importune. 
Ili,  l.    Srialdi,  muraglie,  che  sporgono  iu  fuori. 
1  Hi,  7.    S    ad  u  già  ,  si  fa  lento. 
UH,  4.    Avol,  \enibiotte. 

120,  4.  Malica,  liiono  basso  e  palustre  nel  Ferrarese  sulla 
sinistra  del  Po  di  Volano,  poco  discosto  dal  mare,  abbon- 
dante anche  al  presente  di  cinghiali,  e  forse  da  inarca 
fu  detto  m  alle  a. 

121,  2.  Ber  tresche,  ripari  di  legno  con  ferri  da  alzarsi  ed 
abbassarsi,  che  si  fanno  sopra  torri,  u  alle  porte. 

130,  (i.   Peltro,  lo  stagno  il  più  purgato. 
132J  H.   i^ e n no,  fecero. 


ANTO 


XV. 


G.    Manuca,  mangia,  consume.  XXIII,  17.  5.  XLII.  38.  3. 

manduca      Dante  Iiif.  XXXIl,  127. 
,7.  (^  a  e  l   segno  ecc.  il  tropico  d'inverno,   oltre  il  quale 

il  sol  non  passa. 
,  4.   l'.ta,  Hecolo.    L'  ottavo  secolo  era  principiato  a  correr» 

da  ('arlo  Magno  al  principio  dell'  impero  di  Curio  V. 

5.    Crede,  afiida,  consegna. 

3.  Koi  ,  di  Legante. 

4.  M  a  g  II  i ,  setta  antica  della  Persia. 
/y  '    linda,   il  mar  rosso 


DO,  3.  Colomba  messaggiera,  avvezza  a  volare  da  un  luogo 
all'  altro  senza  traviare,  ed  a  portare  lettere  legatele 
sotto  le  ali. 

98.5.  Cavalier ,  S.Giorgio,  che  liberò  la  figlia  del  ré 
nella  Libia  da  un  drago.  ' 

102,  2.    Grave,  gra\eineiite  inferma. 

Canto     XVI. 

6,  6,  Lezione  della  Baskcrvilliana,  in  vece  della  volgar:  Per- 
fido r  uno  e  r  altro  è  traditore  (ovvero  e  tra^ 
ditore),    E  e  o  p  r  i  a    V   u  no  e    V   altro.  'i 

23,  4.  Par  che  intenda  d'  Inarìme  ,  oggi  detto  Ischia,  sotto  il 
quale  fu  conlinato  Til'eo,  secondo  Petrarca,  Giapeto  se- 
condo Silio  Italico. 

27.6.  A  Padova,  nell'  assedio  fatto  dall'  armi  ìmperir 
del  1509;  dove  intervenne  Ippolito  d'  Este ,  a  cui  si  voli 
il  poeta. 

30,  3.    1  p  i  il.     Altre  edizioni  hanno  e  p  i  ìi.  , 

31,  1.  Impedimenti,  bagaglie  dell'  esercito.  Voce  latina! 
5.   yi  ;g^o  ?n  e  7/ f  i ,  istiunieiiii.    Dante  Purg.  II,  31. 

43,  5.    Groppo  di  vento,  turbine.  ', 

47,  7.    F,  scuso,  escusato.  | 

49,  3.   Folta,  calca. 

4.   Stiparsi,  cimstiparsi. 

50,  (i.  Affrappi,  tagli  e  stracci  in  minute  partì.  XL,  26.  3. 
51,5.    Pennon,  bandiera,  insegna. 

53,  5.   ylv  accio,  prestamente,  or'  ora. 
lìl,  5.    Inaccorto,  inavveduto. 

Ii3,  5.   La  mira,   il  disegno. 

70,  1.   A  spaventarsi,  sottointcndi  cominciarono.    Modo  di 

raccontar  usato!  XLllI,  13().  G. 
79,  5.    Cirene,  nobil  città  della  Libia. 

HO,  2.    S'  appara,  si  para,  si  inelle  in  faccia,  o  a  fronte. 
87,  3.   Fumose  ruote,  cirri,  ccrclij  di  fumo. 

Canto     XVII. 

2,5.  Argilla,  città  di  Toscana ,   dove   signoreggiò   Mezen-  i 
zio,  da  Virgilio  chiamato    dispregialor  degli  dei,  ed  ai-cu-    i 
salo  d'inaudita  crudeltà,    perciocché   egli   face\a    legare  i  |, 
corpi  de'  vivi  co'  morti  puzzolenti  in  inoilo,che  faceva  coii- 
giungcr  bocca  ciin  bocca,  e  membro  con  membro  corrispou-| 
dente;  con  che  l'acca  morir  i  buoi  sudditi. 

11,  5.  Scoglio.  X,  104.  H. 

14,  5.  Fruste,   logore. 

19,  5.  Lanfe,   odoril'ere  di  ranci. 

27,  2.  Carpazio,  mare  presso  a  Carpato,  isola  tra  Rodi  e 
Creta. 

30,  1.  fi  corresse  Fernovv  iif  vece  dì  gli. 

4.  Coccole,   bacciie. 

42,  ii.  L'  a  V  i  d  e   e  an  n  e  ,   la  gola ,  per   similitudine  ad  una  ) 

canna  ,  o  un  canale. 
45,  2.  L  e  s  uè ,  ìe  donne,  che  facevano  la  sua  famiglia.  41,  3. 
4G,  2.  Sape,  sa,  ha  odore. 

G.  Rape,  rapisce,  conduce.  Latina  voce! 
47,  5.  Sambuca,  strouiento  fatto  di  sambuco. 
52,  8.  An  imul  bruto,  a.  irragionevole.  XX,  48.  8. 

54,  1.  3.  l'  n  g  e  Ilio  ,  v  es  t  i in  o,  per  ungiamo,  vestia- 
mo, modo  solito  di  parlar  del  volgo,  come  senio,  ave- 
vi o  per  s  i  a  m  0 ,  abbia  m  o. 

55,  G.    C uoj  ,  pelli. 

57,  4.  Spogli,  s|)oglie. 

59,  G.  HI  ola,   macina;  qui  denti. 

G3.  L'Ariosto  non  racconta  la  maniera  di  liberare  Lucina,  parte 
perchè  IJojardo  l'aveva  di  già  raccontata,  i>arle  perchè  vi 
fu   ventura  piit,    che   senno  e  gusto  giudizioso. 

5.  De  71710,  dieilero.    \  dee  antica;   ancora  per  debbono. 
64,  5.  In  narra,   incaparra;  qui,  promette. 

G5,  2.  Simo,  che  ha  il  naso  schiacciato.    Voce  latina  e  greca  f 
GG,  7.  Dopo    che,  sembra   piuttustu   chiosa  della   forma  più 

antica  d  a  poi  eh  e. 
68,  3.  Cale  n  de   ed   idi.    Ca  tende  snnc.  i  primi  giorni  de' 

mesi;  idi  i  deciiniterzi  in  alcuni,    in  altri  i   deciiniquinti. 
73,  5.  Sì  lagna  il  poeta   dill'nsanieiite  (|ui ,   come  sopra  XV,  99, 

X\  I,  3H.  di  quanto  quest'  oggi  ap.unlo  si  duole  ogni  uomo 

cristiano. 


1,1 


/  alca,  valica,  passa.     Dante  l'iirp.  XXIV,  97. 
.S"  alberga,  alberga.   GG,  7.  VI,  Ì3,  5.  XX,  7G,  3. 


Il  g  1  a  II  J  i  u  m  e  e  t  i  o  p  o  ,   ^"ilo. 

('  ristia  n  i  r  in  n  e  g  ali,  Mainmaluohi. 

hauti  ,  niiirliicri.    Voce  latina! 

(,'// 1  o  V  i ,  «  biodi. 

Isole  di  Flirt  una,  le  Canarie,  isole  beate.   7,  2. 

Cupo.     CoM  si  legga,  e  non  corpo  con  Ruscelli. 
3.    Torse,  loglirrsl.  \\,   UH.  3. 
5.    Cuticagna,  rollolnlii  ,  cervice. 
5.    Svelli,  Hvella,  in  grazia  della  rima. 
G.    Force,  forbice. 


179,  1.  yl  cui  premo  71    le   terga.     Frase  d'Isaia  22,  2!?.  Si 

trovano    manoscritte    le   seguenti   due   otta\e,   come   fatte 

dall'Ariosto  al  tempo  dell'  armigero  (Jiiilio  II,  le  quali  uoii 

I         si  leggono  in  altre  edizioni,   perchè,    iiiiili   (jne'  tempi,  le 

I        riliuiò  e  vi  sostituì  la  79,  che  si  legge  in  tutte. 

Ma  tu,  gran  padre  ,  eh'  esser  dei  il  primiero 
I  A  cacciar  dalV  Italia  queste  arpie,  ' 

Perchè ,  lascialo  il  dritto  e  ver  sentiero. 
Ili  le  chiami  per  diverse  vie'^ 

Perchè  non  siegiii  il  buon  Silvestro,  e  Piero?  ,. 

Che  Jan  tanti  cavalli  e  fanlrrie'f  \ 

Oiiiiè,  che  metti  Italia  in  lauti  affanni,  i 

Che  uscir  non  ne  putrii  molti  e  molti  anni  !  ^ 

IVnn  ti  diede  a  portar  Pio  questa  verga, 
J'erchè  sua  greggia  divorar  tu  lassi,  ,; 

Ma  perche  la  difendi,   «e  le  terga 


B, 


'f,: 


COMENTO   SULL'   ORLANDO   FURIOSO. 


Lvjii  le  ■preman  (T  ogni  pietà  cassi. 
Dell!  non  esser  cagicn,<lte  si  sommerga. 
Ij  Italia  in  maggior  danni,  si  vite  i  sassi 
Mova  a  pietà!  (lii:  a  te  sul  si  conviene 
'Trarla  tV  affanni  e  non  aggiugner  pene. 

3.  Oricalchi,  tromlìc  di  rame  o  di  ottone. 

5.  Agone,  coutesa  ;  lizza,  campo  di  contesa.  Voce  greca! 
\L,  ti.  2. 

5.  Rifulga,   risplenda.    ì  occ  Latina! 
5.  Jttast  li ,   tasta. 

2.  IJiorlarro,    ministro  regio,  gran   tesoriere.    Malis- 
calco,    comandante   degli    eserciti.      La    voce   ultima   è 
ìiiariscalcu,  ted.  M  a  r  s  e  It  a  1 1 ,  propriamente  coines 
stabuli;  la  prima  è  il  turco  ilefttrdar. 
in,  :{.  Tasso,   animale,  dì  grandezza  della  volpe.    Ghiro, 

pezie  di  topo.  XXIJ,  12.  2. 
2,  2.  Allude  amia  la\<iia  narrata  da  Luciano. 
2.  Nutrice   antica.  II,  S:?.  Ct.  X\.\l,50.  4, 
a.  La  mercede  ecc.  \.  \\11],  17. 
2,  3.  Auriga,   cocchiere.    Aoce  latina! 

Canto     XVIII. 

2.  In  quella,  in  quel  mentre.    Modo  ferrarese   usato  da 
Dante  Ini".  Vili,  10,  XII,  22.  XV,  53. 

4.  Cote,  sasso,    pieira. 

5.  Arrandeila.  AOce  toscana,  da  ran  deZZo,  bastone 
cono  ,   che  ser\e  per  !  sliingeve  le  inni  delle  balle. 

C.  Tal  ac  i  in  a  mi  i,  araldo  o  bandìti're  appresso  iSarncini, 
che  di   Hiille   toiri   delle  moschee   dà  avviso  al   popolo   di 
quanto  alibisogua. 
8.  Cf.  XVll,   Ili. 
2.  Foro ,    i'iiroiio. 

5.  Orza,   V.  a  XIII,  15.  8. 

6.  Coro,  vento  tra  ponente  e  maestro.  (XIII,  13.  5.) 
i.  h  is  ere  sce ,   decresce,    diminuisce. 

4.  Futi,  tagli  i  rami  inutili  e  dannosi.  Voce  Ialina  :  putare. 
'l.  Jj  a  g  e  II  e  r  o  s  a  b  e  l  V  a  ,   il  leone. 

li.  Le  7.  7,0,    olezzo,    fetore  di  cosa  ammarcila. 
2.  Galle,    gallozzole,    escrescenze   d'alcuni   alberi.  Si  le- 
gano, come  leggerissime  che  sono,  all'  estremità  d«;lle  reti, 
per  l'arie  stare  sosjicse  al  sommo  dell'  acque  ,   e  quindi  ne 
viene   star  a   galla. 

5.  San  za.  Torma  antica  poetica  di  senza,  la  quale  tra- 
disce l'orginc  francese,  benché  e  sanza  e  senza  siano 
dal  latino  sine,  come  questo  dal  gr.  ii«i;,  in  tedesco  au- 
lico wahn,    wan,   in  Mici  composte. 

2.   Il  accontalo,     XIV  ,  ;')(). 

5.  Ramarro,   lucertola  di  color  verdegiallo.    Dante  Inf. 

XXV  ,  7!). 

4.  Compagna,   compagnia.  XI \',  F8.  G. 

1.  A  valle,    abbasso,  ingiù.      Coa'i  gli   antichi  Tedeschi 

discero  z  ii    Th  a  l. 

7.  Collottola,  la  parte  concava  dcrctaua  tra  il  collo  e 
il  capo. 

1.  Ma   sia   ecc.   Segue  8tanz   146. 

(i,   Orazio    Coclite,     che   all'    entrata  del  ponte   snblizio 
sostenne  da  sé   «(do  l'impeto  di  tutta  l'armala  di  Purscuuu, 
re  d'Elruria.    E  verso  di  Petrarca. 
1.  Scilocco,   scirocco,    vento  tra  le;antc  e  mczzod'i. 
1.  Strozza,  gola. 

li.  Ingozza,  inghiottisce;  atto  di  chi  è  colto  improvvisa- 
mente in  fallo ,  e  da  timore  sorpreso. 
4.   Fesse,   facesse. 

fjo   scopre,   è  la  vera  legione  ,   in  vece  di  discopre. 
Marchio,   segno. 
Frassini   e  faggi,     lance  di  questa  materia. 
Altramente,    rlie   liojardo. 
),  4.  Le  sembra  la  \era  lezione,    in   vece  di   gli  della  mi- 
lanefie,   e  /or   della   fernoiiana. 
.0.   Tisifoue,   una  delle  Furie. 
,  1.  //  isola,    Cipro. 

4.  Ma  s  t  e  ;;i  pr  a  ecc.    Lo  stagno  di  Costanza  è  così  vicino 
a  Fainagosta,    che  rende  l'aria  pestifera. 
I,  5.    Mainare,     ammainare,     ritirar    le   xclt;   s'i ,   che    non 
operino.     Scotta,   fuue  marinaresca,   ed  è  la   principale 
attaccata  alla  wUi. 
I,  3.  Toi ,  togli. 
I.   li  n  Ij  nanco  ,   giammai.     Lat.  nunquain. 

Ifolla,  con  l'o  larga,    p.nii.i. 
M.  Ma  pili   ecc.  Verso  di  l'clrarra. 

I.    //  fiarlar  tenne,    mantcoiie  quel,  rho  nvea  dello. 
7.   ///^i»  n  e  j  n  ,  vaso    di    legno  seii/.i  roper<'bio,  e    Lillo  a 
doghe,  che    h'   usa    priiicip.iliiienle  da'    loiiladiiii   per  pigli- 
ar\i  ru\a,    e   Homeggiarla  ,    priin.t  di  imllerla   nel  lino. 
1,1.   Impasto,    non  pasciuto ,    atlainalo. 
7.   Uh  e.    «!  ottusa,    laiigujnce.     Lai.  h  <■  b  r  t.    IVlrnrrn  Tr. 
della   l''aina,     I.    Ebbe   dell'  edizioni  \eiielc  è  besliulilù. 
,2.   Triforme,    Luna,   Diana,    Prouerpiiia. 
H.  Mar  lira,  IMontinurirv:  Lcri,  .Mouilerì. 


2. 

2. 

t,  0. 
1,  4. 


Canto     XIX. 

1,2.  Seder  in  sulla  ruota,  par  modo  proverbiale  di  dire, 
per  esser  favorito  della  formila  ;  tolta  la  metafora  dalla 
ruota,   sulla  quale  vien  rappresentata  Fortuna  mutabile. 

3,4.    Gli    face  a    uscir    tutti   i    partiti    scarsi,   gli 
fece  riuscir  male  ogni  sua  risoluzione. 
b.  Falle,    falla,   fallisce. 

7,8.  Riguardare,  a^ercura,   attenzione. 

6,  2.  Calamo,  canna,  Tasta  dello  strale,  per  lo  strale  mede- 
simo. 

12,  2.  T  eh  an  Creonte,  avo  materno  de'  fratelli  nemici,  Etco- 
cle  e  Polinice,  i  quali  essendosi  scannati  in  duello  setto  le 
mura  di  Tebe,  esli  %ietò,  che  ninno  dovesse  seppellirne  i 
cadaveri,  perchè  1e  bestie  li  divorassero. 

IG,  2.  La  lezione  volgare  disegno  non  quadra  al  contesto. 

'i9,  1.  In  e  r  udis  e  e ,    iuasprisce.    ine  ru  f/ e^  i  s  e  e  è  corru- 


1.  Incrudisce,    iuasprisce. 

zione. 

3.  Stèro,  per  stellerò.  ,ìO.  XX.  81. 

1.  Enea  e    Di  do.    A  irgil.    En.  4. 


I.  3. 


34 

3a, 

38,  1.   Quel  ecc.     liojardo  lo  racconta. 

42,  8.  Mar  fisa.    Cf.  XVUI,  10. 

44,  3.  Verno,   tempesta  di  mare;   a  guisa  della   voce  latina 

Il  y  e  m  s.    XLl,  15.  2. 
4G,  2.  Seccagn  e  ,  secche,  luoghi  di  poca  acqua  infra  mare. 
i'ò,  \.  Fer  eg  r  ino  ,    pellegrinaggio. 

3.   T  ergine    d^  Et  tino,   iSaiituario  in  Candia,  a  Tines. 

6.  Toma,  cade;  propriamente  col  capo  all'  ingiù. 
8.  Art  i  ni  o  n  e  ,  vela  maggiore. 

49,  3.  Giare,  magazzini. 

50,0.  La  luce  di  S  a  n  f  Ermo,  fenomeno,  che  suole 
apparire  e  posarsi  sulle  antenne  delle  navi,  quando  la  tem- 
pesla  è  vicina  a  calmarsi  ,  attribuito  da'  cattolici  a  Santo 
Ermo  in  Gaeta.  La  luce  doppia  liamineggiaiite  è  tenuta 
jier  salutevole.  Il  fenomeno  è  elettrico,  come  dimostra  la 
duplicità  occorrente,  e  dagli  antichi  fu  rappresentato  col 
simbolo  di  Castore  e  Polluce.  A  .  i.  S.  C.  S  e hw  e  i gge  r, 
uber  die  àlteste  Plijsik,  und  den  l'rsprung  dcs  Heideu- 
thums  aiis  ciner  misverstandenen  Xalurweisheit  (,Z\»ei  .\b- 
haiidlungen.     Nunib.  18"i3.)  II,  1.  ss. 

7.  Cocchina,  attrezzo  marinaresco,  che  suol  tenersi  sulla 
prua.  Cf.  LUI,  U. 

51,7.  Traversia,    furia   di    vento,    che   traversa   il    corso 

de11aiia\e;   originalmente  nell'    l  nibria  il    traversone. 
53,  2.  Spere,  fasci  legati,    che  si  gillaiio  da    poppa  in  mare, 

perché  la  nave  si   arresti   alquanto  ucU'  impelo,  che  le  dà 

il  vento. 

3.  Caluma,    allenta. 
5G,  2.  Salisser,   uscissero  —  riguardo  all'  alto  mare. 
(i3,  5.  Dura  scorza,  l'armatura. 
1(4,  8.  A  cerco,    in  cerchio,  giro,  d'intorno, 
(ìli,  8.  La   costuma,    la  co>tumaiiza.  71. 
70,  4.  Far  periglio,    far  pruova.    Frase  latina! 
78,  3.  Appropinquare,  avvicinare,  approssimare.  XXXIX, 

75.  A  oce  latina  ! 

5.  Il  freddo   plaustro,    segno    dell'    orsa,    che   anche 

rappresenta  la  torma  d'un  carro,  dalla  parte  di  selteutriuue. 
83,  4.  Otta   perora,   come   allotta,   ta  lotta. 
87,  4,  Emunse,   cavii,  levii  via.  XXIV,  33. 
1U3,  U.  i/'uno  0  l'altro  lumina  rio,  sole  o  luna. 

Canto     XX. 

e,  3.  Eusino,    il  mar  nero, 
li.   /  .s  t  r  0  ,  il   Danubio. 

7.  C  o  r  n  a  ,    bocche  ,   loci. 
9,2.   Tcuitoro,    territorio. 

14,  8.  Cillit  Ifittca.  Candia,  n  Creta  ,  la  qmle  a'teinpidel 
re  Miiios  fu  coni|iosta  ili  cento  cititi,  delta  perriii  Eca- 
tomjioli.  Pliii.  il.  \.  4,  12.    Ditte   fu  monte  in  questa  isola, 

I  oggi  Settie  ,  o  Lashi. 

(21,  2.   Itis pendio,    danaro  da  spendere,  spesa. 

8.  Tarrnto,   città  edilìrala  ii  rislor.iia  da  l-'alnnto  ,    nato 
dalle   Snartaiie,    mentre  i  mariti   loro   gnerreggia>ano   co' 

I  Messeni. 

I  26,  3.   Discorsi,   corsi ,  disrorriinenli  ;  rome   discorrere 

'  pcrsrorrerc.  V  II,  53.  3.  \\l,31.ti.  Wll.  13.  5  WXIV, 54,  «. 

38,  .-■,.   Iticci  fu  cin  e.     C{.  30.   \l\  .  57.  I.ì.  73. 
I  40.  5.    /    i  oserei,  grazioso  pleoiiasiiio  della  prima  e  «eronda 
edizione,  necessario  pure  a  raosa  del  inelro,  lienrhè  ronn- 
Kciaino  la  regola  della  >or,ile,  rlie  segue.    Inollre  pare  che  il 

roetn  Hlesho  abbi.i  rieooosciiilo  qualche  racolouia 
l''arà  slare  a  s  i  fi  ii  o  ,  terrà  al  segno,  costi  iffncrù  ad 
ubbidire.     Segno    in  iiuesi.i    frase  è  o  \olerc,    arbitrio,  u 
cenno,  ov\  ITO  insegna,  o  ber/aglio. 
5.   .Indo  da  canto,    fu  posto  da  parlo,    non  ne  fu  fallo 


liisn. 

4.  Donno,  signore,  padrone;  lai.  do  miiius.  \.  X,  H.  7. 

1.  Iiogriir,  logorare,  ronsninare. 

5.  Fasta,  sai  ttia,  duo  spezie  di  nave. 

2.  T  olir  a  ,  togliea. 

3.  I.a  li  canni  a  prole,  (^alitilo,  liglin  di  1, lenone  ,  re 
d'Vrcadiii,  che  fu  in  or^o  rum  ertila,  e  jiortaU  tu  cii'lu  eoa 
Arcade,  *uo  ligliuolo.  C(.  \l\,  78. 


COMENTO   SIJLL'    ORLANDO  FURIOSO. 


89,  1.  Periglia,  pericola. 

3.  Esterrefatta,  spaventata.  Lat.  terrefacta. 
99,  4.  Aggi  a,  abbia. 
100   4.  Ferig  lioso  ,  per  cagione  degli  scogli,  e  per  i  venti, 

'che  quivi  soffiano  quasi  sempre. 
113    1.  f'ezzosa,   rincrescevole ,   villana.   XXIII,  93.  3.  Lat. 

vi  tiosus. 
11 1.  Assonna,  dorme ,  tarda.  AAI,  Si. 
115,  7.  8.  Forre,  deporre. 
120,  1.  Crespo  6  ucc!' a,  pelle  grinzosa. 
Iti    5.  S'assesta,   si   confà,  si   adatta.    Presa  la  metaf^ora 

'dal  prender  la  misura  colle  seste,  o  il  compasso.  Cf.  XXII, 

2tì.  6.  . ,  ,    , 

131    3.  Agogna.,  avidamente  brama. 
138'  2.  Scherni,  schernisci. 

'  6   Fessi,  facessi.   Dante  Inf.  XXXIIT,  59. 
144   ò    f  ago,  errante.  XV,  37.  6.  IV,  27.  3.  XXII, 93. 6.  XLIII, 
'21.  4. 

Canto     XXI. 

1   1.  Intorno.   Cos\  1'  edizioni  del  ISlfì,  1521  etc.  elepiù  mo- 
'   d'erne  edizioni  leggono  invece  d'  int  u  rto. 
3   6.  Morbo,  la  peste. 
5,  5.  Fosto,  deposto. 
6   4.  A  vi  a,  avea;  voce  da  rima. 
9'  5.  Razzi,  fuochi  lavorati,  che  scorrono  ardendo  per  l'aria, 

'  racchette ,  lacchette. 
13,  6.    Se  ino,  siamo.  .     •      j  ,r    »it     • 

IB   2.    Acrocerauno,  promontorio   dell    Albania  sul  mare 

'  ionico,  infamato  per  gli  spessi  naufragi. 
18    2.   Bisogna,  occorrenza,  affare. 
19'  ti.    Obbliqua,  storta  dal  cammiu  della  ragione. 

21'  1.   JB  s'  l^ffS^  1  """  <^- 
22'  6.   Dentro  da,  per  dentro  di. 
25'.  3-    Egroto,  ammalato.     Voce  latina! 

29  5.  J^fi  suo  -p  e  nsier  fornire,  di  fornire  il  ano  pcnsìer, 
'  o    del   fornire  il   suo   p.     L'  edizione    del   1516  legge:    Vi 

questa  fraudolente  ad  exequire  La   libidine 

sua.    spesso   veniva   A  la  p  rig  io  n ,   che  a  suo 

piacere   apriva. 
31,6.    3/0// /,  ammollisci. 
34   i.  Costrutto,  prolltto,  utile,  prò.    La  milanese  ha:  Del 

scellerato   a  ni  or  tr  a  er  e  ostrutt  o. 

6.  Discorre.    V.  XX,  2(i.  3.  XIV,  97.  I. 
40    7.    Contamini,  corrompa,  seduca. 

43  6.  Del  mio  onor  —  sarà  tratto,  si  trarranno!  dadi  snlF 
onor  mio ,  cioè  si  tratterà  dell'  ouor  mio  ,  starà  in  rischio 
V  onor  mio. 

47,  6.   Buca  ,  sepoltura. 

49  1  Esso,  è  qui  particella  riempitiva,  come  XL,  35.  2. 
'   Dante  Ini.  XXXll,  62. 

52    4.    S  te  f  £e  J  n /«  rs  e  ,  dubitò,  esiti». 

56^  4.  Frogne  con  Filomela,  sua  sorella,  figlie  di  Pandione, 
re  d'  Atene,  apposero  in  cena  a  Tereo  il  di  lui  figlio. 
Medea  per  gelosia  trucidi»  i  proprj  figli. 

57,4.  Oreste,  figliuol  d'  Againennone ,  re  di  Micene ,  ven- 
dicata la  morte  del  padre  colf  uccisione  di  Clitenncstra, 
sua  madre,  e  d'  Kgisto  ,  adultero  delia  medesima,  diventi» 
furibondo,  parendogli  d'  aver  sempre  la  madre  dianzi  agii 
occhi,  armata  di  serpenti  e  di  facelle,  che  lo  inseguisse  e 
cacciasse. 

59,  4.    Sci  l  opo  ,  scìloppo,  sciroppo,  bevanda  medicinale. 

7.  Innanzi   più,   anzi  piii. 

71,  4.  La  tirn  di  quarta,  e  la  rifa  di  quinta,  frase 
tratta  dall'arte  delia  sellerina,  signilìcante:  delude  con  in- 
ganno artificioso,  reudendo  la  pariglia. 

Canto     XXII. 

2,  2.  Fret prisco,  voce  latina  praeterco. 

3.  S  u  ni  ni  i ,  sommi. 

5.    ti  II  e  l  ere.     (iiuda. 

7.  l  p  e  r  m  e  str  a  ,  una  delie  .'JO  figliuole  di  Dnnao,  le 
quali  avendo  sposati  altreltaiiti  suoi  cugini  ,  iigliuoli  d 
Ègisto ,  la  prima  notte,  per  c(»inundo  di  Daiiao  ,  ognuna 
di  esse  uccise  il  proprio  sposo,  tialvu  Ipermestra,  che 
scanijii»  il  suo,  chiamato  Linceo. 

9,  7.    Schietta,  superiìcie. 

10,4.  Dolce,  perchè  patria.  Attinge ,  tocca.  Voce  la- 
lina!  XLI,  13. 

12,  1.  Messo  in  molle,  ammollato,  innaffiato,  bagaato, 
inunildiin.   Cf.  37,  H.  X,  12,  4.    In  Frane,  tnouillcr. 

3.    Mucchi  a,  bosco  folto. 

13,  5.   Discorso,  ilisrorriniento,  l'aggirarsi.  XX,  26,  3. 
17,  1.    Diffuso,  dill'uriaiiKuile. 

22,  6.    Dalli,  batti,  per(u<»(ili  ! 

26.  6.    A  sesia,  il  tempo,  a  proposito,  a  otisura  del  bisogno. 

(■f.  \\,  122   5. 

27,  1.    Tallo  «re.  (;f.  VI,  STi  Vili,  18. 
3.   Travolto,  trasfoniinto. 

33,6.  Errabondi,  che  fanno  errare ,  fallaci,  jugauncvoli 
\  oce  Ialina  ! 

10.  li.    ]  n  d  i  s  t  r  e  1 1  0  ,  ìli  prigione.  II,  09.  5. 


55,  7.   Buono,  al  bellicoso  gioco  (52.  61,  3.),  forte. 
64,6.    In  dugia,  ìuiliigio. 

71,  4.   Fercusse,    percosse.    Petrarc.  Tr.  d.  Fam.  I. 

72.  Cf.  II,  69.  ss. 
74,3.   Innanzi  tratto,   per  tempo,   anticipatamente,  ph 

cedentemente,  primieramente.  —  Levo,  pioibi. 
79,  6.   Barda,  armadura  di  cuojo  cotto,  o  di  lamine  di  ferri 

colia  quale  s'  armavano    le  groppe,   il   collo  e   il  petto 

cavalli. 
82,  3.   Il  eg  ni  molli,  effeminati,  lascivi,  d'  Alcina.  X,  19. 

6.    Ore  a.   X,  107. 
91,  2.  Dar  di  cozzo,  incontrarsi,  trovare.    Dante  Inf.   I 

97.  l'urg.  XVI,  12.    Cozzo  è  afiine  a  percuotere,  1 

cadere,  gr.  y.onitiy,  dor.  xottsiv. 


xxin. 

Voce  latina! 


B, 


il, 
Poltri  i 


Canto 

4.  31  ulta,  pena,  condannazione 

6.  Erranti  divi,  pianeti. 

5.  Pennati ,  uccelli. 
5.    Fiffliuol    di    Galafrone,    Argalia,    fratello 

Angelica.  1,  27. 

5.   Mestiero,    d'  uopo ,   necessario.     La  milanese  viziò 

samente  ha  mistero. 

8.   Eccetti  han  1'  edizioni  originarie. 

5.  Altrove.  XXIV,  93. 

7.  Digresso,    digressione.    XXXI,  7.   7.      Dante  Puri 
XXIX,  127. 

7.  A  0  t  e  ,  macchie  ,  difetti.    Dante  Purg.  XI,  34. 
4.    Commesso,  ordinato,  57,  1. 

6.  Truculento,  crudele,   spaventoso.     Turò  ulent 
è  depravazione. 
1.   1*0  rf  es  tra  ,  podestà,  balia. 

6.    l!  ccisil  giù  s  t  amc  nt  e ,  come  narrò  Bojardo. 
6.   Aggr  affi ,  afferri. 
1.    S  es  to  ,  \ia  ,  modo 

8.  Anteo.    Ct.  XIX,  77. 

1.   Spaventosa,  paurosa ,  piena  di  spavento 
codarda,  pusillaiilina. 
3.    T' e  zzo  sa  ,  mal  costumata.  XX,  113,  1. 

94,  4.   Bertuccione,  scimmia  grande. 

101,  1.   Merigge.   IX,   16.  5.     0  ree  so,  anretta ,  ventirelh 

107,  7.    Calta,   composta,    scritta.     Cosi  hanno  le  stampe  di 
1516  e  1532,  e  tutte  le  posteriori. 

8.    Nostra,   lingua.      rVegligenza    del   poeta,   che  avt 
l  in  g  uà g g  i  0  ne\  verso  antecedente. 

108,  6.    C 0  m  0  d  i  t  à  ,  favore. 
Sorella,  la  Luna. 
Soccorre,  viene  in  mente. 
Epigra  m  m  a  ,  iscrizione. 
Gelo,  fresco. 
Della  più,  della  maggiore.    XIII,  3,  7.  XVI,  17,  4. 

135^  6.   Mondo,  spazioso,  senza  impedimento.     Cosi  Feruoì 
Ma  è  piuttosto ,  come  131,  4.  puro ,  e  voce  latina. 

Canto    XXIV. 

1,  1.  Amorosapania,  vischio,  ceppo,  laccio  d'  Amore 
14,  7.   Altrove.    XXIX,  40. 

19,  3.   L'  abbracci  aro   ecc.  cioè  sotto  1'  anche.  XVIII,  6 
23,  8.    Greppi,  luoghi  aiti  e  dirotti. 
3H,  8.    Reflette,  rimanda,  ribalte,  ritorce. 
51,  3.  Doccia,   propriamente  acquedotto,    dal  lat.  barb.  d 
ctia;  qui  fonte,  o  canale  d'  acqua  corrente. 
5.   Roccia ,  rupe. 

Selva  degli  ombrosi  mirti.    V'irgil.  En.  6. 
Fosse,  fosse  stato.    Dante  Inf.  XXVII,  70. 
f  ide  e  conobbe  ecc.   XXIX,  43. 
FI  asse,  scorrenti,   vani,  passeggeri,   fugaci 
latina,  //  uxus. 
90,  1.    l/uque,  unqua ,  mai. 
93,7.    Il   suo    loco   XX Vili,  95. 
91),  1.    ./  e  e  e  g  g  ia  ,  beccaccia. 
!)H,  5.    Tu  lenta,  va  a  gusto. 
101,  8.    Foco,  picciolo. 

103,  4.   Martinelli  e  leve,   stromenti  con  cui  si  carica; 
le  grandi  balestre,     {fh  inden  nnd  Hcbel.) 

104,  7.    Dimane,  mattina. 

105,  7.   L'  elmo  di  Troja,  Y  elmo  d'  Ettore. 
107,  2.    iS' /  pò  ni  a,  calca  con  f<»rza. 

110,5.    7/1 71  a  r  r«  ,  impegna.     Da  a  rr  a  ,  caparra. 

HI,  6.    Quando,  poiché. 

115,  2.  Di  lor  polca.,  avea  possanza  e  autorità  su  di  lorOi 


V 


115,  4. 
123,  1. 

129,  4. 

130,  5. 
133,  8. 


61,  8 
68,  3. 
74,  7. 
89,  3 


\o 


x\v. 


Canto 

4,  5.   Altrove  XXVI,  98. 

14,  6.  7.  Il  gran  dia  voi  ecc.,  cannone  del  duca  Alfonsi 
di  Ferrara,  che  per  la  sua  grandezza,  e  pel  danno  Ci 
portava,  cos'i  fu  detto.    Muratori  anticli.  estensi.  To.2.  e. 

15,  7.  Fai  crina  ecc.  Favola  del  Hojardo  ncll'  Innamorai  !, 
25,  5.  Graziosi  carmi,  parole  vezzose.  J|!. 
28,  1.    Sirocchia,  sorella. 


COMENTO   SULL'  ORLANDO  FURIOSO. 


Ippol  ita,  valorosa  Amazzone,  che  con  Ercole  e  Teseo 
ebbe  battaglia.  Camilla,  vergine  bellicosa  presso 
Virgilio.  o,      .        . . 

5.  La  moglie  del  re  Nino,  Semiramide. 

6.  Figlio,  IViiiia. 

7.  surra.  Ovid.  Mctam.  10,  298.  ss.  Padre,  Cinira. 
La  Cr  et  ens  e,  Pasifae,  consorte  di  Miiios,  re  di  Creta. 
6.  Dedalo,  scultore,  che  inventò  il  mezzo,  per  cui 
Pasifae  venne  a  capo  delle  amorose  sue  voglie. 

3.   Vetto,  stabilito. 

5.  Ginnetto,  sorte  di  cavallo  di  Spagna. 

8.  Linfa,  acqua.    Voce  greca! 

6.  Chero,  chiedo,  voglio. _  hni.  quaer o, 

3.  So  g'j?  i  or  7!  0  ,  dimora,  indugio. 

5.  G  li-I  un  gè,  la  sua  opinione  gli  era  riuscita  dal  vero 
lontana  e  diversa. 

4.  O  s. Si  rf/on,  assedio. 

4.    Col  r  amo  ecc.  XXXI,  49. 
H.   Andassi,  andasse. 

7.  (ihiara,  ghiaja,  reua  grossa,  entrovi  mescolati sassuoli. 


52, 


138. 


Canto     XXVI. 

5.    Tra  e  sst,  traesse. 

(ì.  Ak sunto,  cura,  carico,  impegno. 

5.     Altre  edizioni   moderne   leggono:    Legati  trar  su 

piccioli  r  onzin  i. 

3.  L  e  gno  ,  \a  lancia. 
7.    C/o  rf  e,  strage.    Voce  latina! 

4.  Pece  II  i  e  ,  api. 

5.  y/w. sa,  ardila.    A'oce  latina  ! 
7.    Marte,  pianeta  del  quinto  del. 

2.  Bellona,  l'allade,  dea  delle  armi  e  della  guerra. 
C.    Ambio,   andatura  a   passi   corti,   e   veloci,   mossi   in 
contrattempo;  portante,  traino. 
1.   E  stimata  un'  allegoria  dell'  Avarizia. 

4.  Satrapi,   gran  signori.     Penultima  lunga  per  licenza 
poetica. 
7.  Sturba,  perturba. 

5.  Piton,  serpente  cosinoironico  dopo  il  diluvio,  da  Apol- 
line ucciso  con  saellc.  Abbiamo  scello  il  modo  di  scriver 
meno  corrotto. 

7.    Dal  furor  ecc.  degli  Svi/zeri. 

1.  Scenderà,  ecc.  llagiona  del  fatto  d"  arme  di 
Marignano. 

.5.    Castel  di  Milano,  fortissimo,  inespugnabile. 

4.  1> i   chi  ecc.     Anuibole. 

3.  /..()  scoglio  ecc.  Ischia,  isola  incontro  al  golfo  di 
\a|ioli.     I  giganti  furono  detti  anguipedi.  .  ^(4 

5.  I  alle  (i ,  valle.  jjj' 
(i.  A  va  e  e  i  0  ,  prestamente.  r,^' 
(i.  //  poggia,  e  ad  or:;a,  da  una  parte  e  dall' altra. !':;«• 
XVIll,  n.  .1.  |,i|i' 
7.   J'cntcsilen,  regina  delle  Amazzoni.                                Lj.^' 

-,  5.    /''«  l'i/ /e,  ccniTc.     l'so  latino!  I  gu' 

lO,  2.    /y'  augcl  ecc.  1'  a(|uila.  I  y'^' 

fi.  Clic  ri  .y  i 'I  -  a  mente,  dall'  innamorato  del  Bojardo.  gf' 

fl,  2.    M e\  meglio.  j  g|' 

0,  (i.  Pialo  ,  contesa.  ' 
I  '  2.  7'  *•  ancia,  trapassa.  '  nr 
3^5.   Ave,    ha.    X,  48.  4.    XXIX,  11.7.  32,   8.      Avea  ù  ìVi'i 

chiosa. 

1,  7.    U  e  d  i  H  a  fi  e  1 1  e  ,  \embrotle. 
L  ,'i.    Falsar,  l'orar,  tagliar, 
(i,  H.    Ilari)  ata.    V.  MI,  (i7.  3. 
H,  1.    M  II  I  i  a ,  spezie  d'incanto,  che  lega  e  mente  e  membra 

dell'  nonio. 
9,  1.    Ubino.  XIV,  53.  7. 

C    A    %    T   o      XXVII. 

1.    /"y  n  r^  /  f /,  coiiccduli.     \oce  latina! 
,  5.    Mal  igni  tu,  il  dnnonio  maligno,  diavolo.   Cos'i  Dante 
Purg.  \,  112.  rhi:inia  il  dcnioniii   Malvolere, 

H.    /■Thhoiio  no  re.    V.  st.  ."»l  ili  ijiiesio  canto. 
i  H.    In  e  arco,  bi.i'-imo,  disonore. 

I.  llusHc,  baltilni'c,  colpi,  percosse. 
,  2.  .  / 1 1  o  g  (T  i  a  11,  r  I,  I  i ,  campi ,  tende. 
,1.    Ila  ss  Olii,  biisoni,  Hiriimenti  da  kuouo.   Pulci  Morg. 

inagg.  IO,  27, 

7.  Irrogc,  aggiungi.  WMll,  117.  I. 
,  3.    7'<)  /■  b  i ,  torbidi. 

,'i.    iM  a  II  l  i  e  i ,  Hlrumeiili.  cli<!  attraggono  e  mandano  fuori 

r  aria,  e  mitmhio  per  solliar  nel  fuoco. 

(i.     ./  s  s  e  g  II  a  ,  cousrgu;!. 

7.    Occorre,  \  ieii  in  memoria. 
,  (ì.    // ;m/ »;•  HO  ,  andarono.     (Man  licenza!  IO 

,1.    Lì- -a,  HtiiTjto.  \'a 

,  3.    Scoglio.    >.   1(11.  H.  j 

,3.    T  e  r  ni  ood  !•  Il  I  <' ,    tinnir  di  Ponto  ,    abitalo  dalle  nmnz-    27, 
zoui,  delle  ijnali   Ippolita  fu  Id  piimaria.  v.  .\.\\,  32.        2H, 


4.  Cotta  d''  arme ,  sopraveste  degli  araldi.  Il  vocabolo 
è  affine  al  tedesco  Kutt e,  Kittel,dLÌ greco  xcv&w,  y.v&u), 
celo, nascondo;  all' inglese  e  o  a  f,  frane,  coti// on.gr.  yiTm, 
yiTwv. 

8.  Arni  e ,  insegna. 

7.  Indotte,   messe  indosso.  Lat.  indù  er  e. 

1.  Al  bracca.  Lo  racconta  Bojardo. 

5.  Oso,  ardito.  Latin,  ausus.  132. 
5.  Tanto  che,  infinattantoché. 

7.  Suffolse,  sostenne.  XIV,  50.  XLIT,  77.  Voce  latina' 
5.  A  d  in  f  or  m  arsi,  vale  a  dire  cominciò.  Maniera  di 
raccontare  latina,  e  greca! 

7.  Scherni  e  scorni,  figura  rettorica,  detta  bischiz- 
zo  o  bis  t  icci  o. 

8.  Argini  sublimi,  luoghi  eminenti. 
3.  Falcato,  adunco. 

,  5.  fraroira,  strepita  per  allegria. 

,  1.  Fisso  il  chiodo,  deliberato,  stabilito.  Modo  pro- 
verbiale di  dire! 

4.  Apolline,  delfico,  famoso  dio  oracolista. 

ó.  Vi  piatto,  di  nascosto;  quasi  appiattato. 

2.  Prochi,  amami  ri\ali.  Voce  Latina!  Prodi  par  le- 
zione corrotta. 

3.  V.  XXXA  ,  54. 
',  7.  Casa,  non  già  cosa,  leggono  le  prime  edizioni. 

ti.  Marche,  paesi,  province.  Voce  tedesca  !  Dante  Pure. 
\1.\,  4,5.  X\VI,73. 

7.  Gian  Francesco  Valerio,  gentiluomo  venezia- 
no, grande  nemico  delle  donne,  amico  di  nostro  noeta. 
XLVr,  15.  ^ 

2.  Per  conto,  una  per  una,  minutamente. 

C    A    -V    T    o      XXVIII. 

8.  Tana,  Don,   liunie  nella  Moscovia. 
^.Corncto,  luogo  non  mollo  discosto  da  Roma.  Equivoco 
di  parola  ! 
(j.  Arbia,  fiume  del  Sanesc;  Arno  di  Firenze. 

9.  Agnus  dei,  breve,  che  si  porta  al  collo,  benedetto  dal 
pa|)a;  o  l'ostia  sacra,  44,  8. 

3.  4.  Diretta  —  Mente.  Licenza  poetica  non  di  rado 
ovvia,  sempre  però  nella  commessura  di  parole  coinposie, 
o  nello  stile_  comico,  v.  Mctrik  ,  \on  A  u  g.  Ipel,  (l<ips 
1H14.  H.)  Il,  510.  ss.  opera  unica,  troppo  poco  stimata  per 
fanatismo  scolastico,  o  per  ignoranza  di  musica.  Quanto  mai 
perde  il  mondo  letterato  in  questo  genio  sovriino! 

(i.  Sergente,  ministro,  garzou  di  famiglia,  21. 

lì.  Tu  ri,  chiuda. 

5.  l'ro  rt)g  II  i ,  prolunghi. 

7.  Fo  ro  ,  furono. 

2.  .)/« ,  sidameiile. 
(i.  Ile  g  no  di  Si  face,  .\frica. 
5.  Cinge,  cingi. 
ó.  Di   rimando,  di  rimbecco,  di  ripicco. 

4.  Accocchi,  attacchi,  cioè  burli. 

3.  Brutte    note,  maccliie. 

4.  Scempio,  oltraggio. 

1.  f  arar,  metter  di  terra  in  acqua. 

(i.  Fiume,  Koihiiio  nella  l'"rancia.  .Monte,  Idubcda  nella 
Celliberin,  pro\  iiici.i  de'la  ."^iiiigiiii  tarraconefe. 

2.  luco  liti,  incolli.    \  uce  latina! 
,  tì.  Sa  poro  ,  gustò. 

C   A   X    T    o    XXIX. 

5.  Falda,  metaforicamente  difesa ,  riparo.  Propriainento 
piastra,  lama,  lamina,  orlo,  margine. 

8.  l'è  lo,  swisc  pili,  sb.irbò. 

4.  l'i  ed  e,  zampa ,  come  XLIII,  109.  Soltanto  l'edi/ionc 
paricrina  ilei  lìS-H.  e  l,i  teriio\  iaii.i  leggono  preda;  che  ò 
chio>,i  seii/a  altro,  bi-iiclir  non  neghiamo,  che  il  poela 
avrebbe  potuto  ««criMr  cosi,  e  forse  più  chiaramente,  u  al- 
meno più  conl'ormnneiile  all'   iisiii/.i. 

5.  Se  fate  eir.  I,  a^tii.M.i  Icnimiiiile  d'Isabella  fu  non  so- 
lameiile  <|ui'lla  di  ."^.iiit.i  I'hIim^I,!  ne'  principi  del  secolo 
quarto,  ina  pur  d'una  innii.ici  .i'  tempi  di  Mirvan,  caliifu 
iiell'ollaxo  scrido,  e,  |iniicipalinriile  rign.irdo  alle  cirrox- 
taiize  parlicol.iri  ncll"  \rio-.in  ,  d  una  giox  ine  d.i  I)iira//.o, 
chiaiiiat.i  llr.willa,  r.iccont.it.i  da  l''ranc.  Il.iili.irn  ne'  Dn- 
riiincnti  circi  l'elr/ione  ilrll.i  iiiogliu,  al  cip.  15,  donde 
Ariosto  semlira  a\erl.i  civaia,  modilicuiidnl.i  a  suo  piacere. 
I''il  iliiiii|ue  iliippi. unente  intenipisliv  ii  il  ;Kelo  dell'  autore 
degli  \iiiiali  ecclesiastici;  si  perchè  ogni  >irtn,  in  con- 
mgiieii/,i  aiicor.i  l.i  c.istitìi  e  la  fede,  è  iiii.i  ,  do\unque 
si  lrci\i.  di  modo  che  ili.i  lungo  alla  c.inoni/zil/.inne  ;  e  hi, 
iienhè  il  poela  ebbe  altr.i  tonte,  che  1,1  storia  ecclesiastica, 
1,1  qiiile  lin.ilmeiile  non  p.ire  che  verrebbe  diirorinala.  se  .ir- 
rirchita  M'Iiìnnc  il  un  <-Neinpio  ili  piii  di  sriitiinentn  religioRO. 

4.  Cigno  e     II  bilie,  eroi  inv  iilner.ibili. 

5.  '/ 1/ 1  // n —(//*;>  uj  (i  ,  l'espirieiiia,  che  separa  il  vero 
dal  lulsii. 

I.  Come,  pulisce.   \  erbo  latino! 
4.  La  CUI,  ecc.  Luerexiii. 


COMENTO  SULL'   ORLANDO  FURIOSO. 


28,7.  Le  inviolah  ili  acque ,  stìg\e,  il  giurare  per  le 
quali  era  inviolabile  per  gli  dei  pagani  istes-si.  .     .     ,    | 

29.  Scrilto  in  elogio  d'Isabella,  duciio^a  di  Mantova,  iislinola  i 
dt'l  duca  Ercole  di  Ferrara,  ed  assieme  di.lla  moglie  di; 
Ferrando,  re  di  Kapoli,  della  moglie  di  Fi  rrnndo,  redi 
Spagna,  di  quella  di  Federico,  re  di  .Napoli,  di  Guido  Ubal- 
do, duca  d'I'rbiuo,  e  di  una  iigliuola  del  re  d'Ungheria,  che 
da  papa  Gregorio  IX  fu  canonizzala. 

30,  3.   Terzo  eie/,  ciel  di  Venere. 

U.  Breusse,  uomo  crudelissimo;  personaggio  de  roman- 
zi della  tavola  rotonda,  di  cui  parlò  Luigi  Alamanni 
nel  suo  poema  Girone  il  cortese. 

33,  1.  La  superba,  ecc.  il  castel  S.  Angelo  di  Roma,  che 
Adriano  imperadore  fece  fabbricare  per  suo  sepolcro. 

35,  4.  Cacume,  cima.  Voce  latina! 

5.  l'eletta,  v.  X,  51,  1. 
37,  7.  Come  V  acqua  ecc,  quasi  che  l'acqua  estingua  e  ara- 

mendireiror  commesso  nell'  iibbriachezzacon  lingua, o  mano, 
come  ripara  agli  sconcerti  Usici  prodotti  dal  troppo  bevere. 
Più  facile  fu  ia  lezione  della  prima  edizione;  Fur  come 
l'acqua  il  vino,   co  sì  e  st  in  gua  ecc. 

54  1.  ì  erso,  contra.  Secondo  il  Pigna  uc'  suoi  romanzi,  il 
'  poeta  aveva  cangiato  verso  in  contra,  che  pur  non  fu 
osservato  nella  stampa,  poiché  l'uso  uon  vi  ripugnava. 

5fi,  2,  Airon,  agkirone  (R  e  i  h  e  r). 

57,  fi.  Tarracona,  città  di  Spagna,  opera  degli  Scipioiii  ; 
dal  mezzodì  ha  un  lato  sul  mediterraneo,  dal  settentrione  sull' 
oceano.  .  , 

59,  5.  Siene,  città  dell'  Egitto  a'confini  dell  Etiopia,  cosi  di- 
rittamente situata  sotto  il  granchio  nell"  estremo  della  zona 
torrida,  che,  quando  il  sole  è  iu  quel  segno,  non  vi  fa  alcuna 
ombra  sul  mezzogiorno. 

6.  A  m  m  o  n  e.  Giove  Animone.  Gar  amanti,  popolo  della 
Libia,  di  pelle  assai  fosca.  Al  resto  il  poeta  avea  scritto 
neir  edizione  del  lóKi  :  0  d  n  v  e  l  a  fenic  e  appari  r 
fuole;  il  che  facea  rima  deità  ricca. 

7.  Monti  dell'  Eriopia,  detti  della  luna. 
G4,  4.  Cocca,  tacca  della  freccia,   nella  quale  entra  la  corda 

dell'  arco;  qui  1'  arco  stesso. 
65,  5.  Trasse,  gittò.    Uso  lombardo! 
67,  1.  Non  s'  abbia  ecc.  Cf.  X\X,  IG. 
b!l,  4.  Si  spalla,  si  guasta  le  spalle. 
72,  5.  Invase,  inghiottisca. 

Canto     XXX. 

3,  8.  E  sa.  Le  slampe  dal  poeta  assistite  hanno  essa.  Il 
decider  è  difiìcile ,  dove  il  senso  uon  perde,  e  un  errore  é 
cos'i  facile.  I 

8,  6.  yl  macco,  in  abbondanza,  ed  a  vilissimo  prezzo,  come} 
le  fave,  le  quali  sgusciate,  cotte  ncH'  acqua,  ammacrale' 
e  ridotte  in  tenera  pasta  danno  la  polenta.  La  parola  pare| 
affine  della  greca  juaaau}.  Barotti  spiega  a  uffo  ,  cioè  a; 
spesa  altrui,  senza  pagare.  .     | 

9,  3.  yi  saccomanno,  a  sacco.  Sa  ce  o  n?  fflra  n  «propria- 1 
mente  è  saccardo,  quegli,  che  conduce  dietro  agli  eserciti 
le  vettovaglie,    gli  arnesi  e  le  bagaglie. 

11,  B.  Cosi  le   prime  edizioni.    La  pisana,  e  Fernnw  con  essa: 

al  mar  lo  spinge,  forse  un  po'  più  tersamente. 
14,  0.  Bonaccia,  calma. 
Ili,  2.  Ben  di  parlar ,  ecc.  XXXIX,  3R. 

8.  Altri,  come  Sigismondo  Paolucci  nella  ('onlinuazione 
dell'  Orlando  furioso,  con  la  morte  di  Ruggiero,  \cuez. 
154:1. 

17,  4.  Spinto,  non  già  spento,  ch'è  manifesto  errore.  Cf. 

XXVI. 
2H,  3.  Tiranno,  principe,  in  senso  greco. 
'M,  5.   Un  zero,  nulla. 
:10,  1.  Certame,  pugna,  combattimento.    Voce  latina! 

34,  4.  Accora,  tormenta,  uccide. 

35,  H.  Sparar,  aprirsi,  spezzarsi. 
41,  5.  Soro,  iLiesiierlo. 

4.5,  3.   /eri  o,  parola.    Voce  latina!  XXXV,  71. 
4H,  1.  // '  o  li  gè /,   ecc.    l'aquila.    Bianco,    qual  era   dipìnto 

HUgli  scudi;  e  nuininatameiitc  l'estense. 

3.  iS  ella  Tessaglia,  nella  battaglia  tra  Cesare  cl'<iin- 
neo  ne'  campi  farsalici,  dove  l'arniula  romana  era  divisa, 
Icnchè  avesse  la  nicdeHiina  insegna.  Con  altre  penne, 
nere.  Più  volte,  giacché  sei  anni  dopo  la  battaglia  di 
Cesare  con  l'oiiipco  sul  medesimo  campo  segu'i  l'ailrii  di 
Ottavio  ed  Antonio  con  Hfuto  e  Cassio.  Virgil.  Georg.  1, 
4!I0.  Ovid.  Mct.  15,  H25,  Fior.  4,  7. 

6.  Massicce  antenne,  lance  grosse  e  eiiuisuratc. 
50,  3.  Mal  allo,  atto  biasimevole. 

4.  Ks  si,  i  cavalli. 

55,  H.  Dolente  —  some,  del  paladino  Orlando,  a  cui  prima 
appartenne. 

57,  H.  Ascella,  quel  cavo,  eh' èsotto  il  braccio.  Lat.  axilla, 
Icd.  ytc  Its  et. 

61,  5.  Aitasti-,  pro\i,  senta.  XVII, 95.  ma  in  dilTercntc  signi- 
ficato, cioè  quello  di  colpire.  E  affine  al  tedesco  tasten, 
al.  lat.  taiigo,   gr.  ratu  ,   Tayai,    ifiyw ,  xh'yyio. 


68,  3.  Mutano  regni,  cambiano  posti. 

71,  4.   Tenitor io,    paese,  stato,  territorio. 

75,  8.  yi gogna,  desidera  intensanie:ite.  XXXIII,  73.  3. 

7!l,  4.  IJ  espitto  ,    dispetto.    Dante  Inf.  X,  35.  La  forjiia  delll 

parola  s'  avvicina  alla  francese  dépit,   dal  lat.   dcspe 

e  t  u  s. 
86,6.  Di  piatto,  chiuso, nascoso  o  occulto. XXIL 79, 4. XXXIX 

33.  2.  quasi  appiattato. 

Canto    XXXI. 

5,  3.  Srt  g  a,  ìncantatrice.    Voce  latina! 

6,  Zoro  astro,  legislatore  persiano,  la  di  cui  vita  si  frolli 
descritta  nel  Zendavesta  di  I.  F.  Kleìiker  (Riga,  1776, 
111.4.)  Voi.  3.  Mago,  in  significazione  d'  incantatore,  \ennj 
creduto  per  via  della  dopjiia  significazione  della  parola 
che  deriva  dalla  dea  indiana  Maja,  simbolo  del  mondo  sen 
suale  ingannevole,  che  la  ragion  offusca  e  l'  intelletto,  e 
lo  trae  fuor  delle  sembianze  prime',  come  dice  .Vriosto  nella 
stanza  seguente. 

7,  6.  Uigr  e s  s  o ,  digressione. 

S   2.  Un   cavalier.  Guidone  Selvaggio. 
22,  3.  Rezzo,  v.  V,  50.  3. 

4.  Or  izz  on  ,  per  orrizzonte.    Dante  Purg   4,  70. 
25,  1.  Vigiun  0,  metaforicamente  libero,   alieno,  scevro. 
21),  4.  Arturo,  V  orsa  celeste.    Pigro,  perchè  tanto  spazio 

di  tempo  consuma  a  trascorrere  1'  estremità  del  polo,  eh'  è 
brc\"issima,  quanto  le  altre  stelle  vi  mettono  per  1' ampiezza  jSi 
del  cielo.  Ci.  XIX,  78.  XX,  82. 

28,  8.  Lacrimo—  senti  (tì)  è  la  lezione  del  testo  del  1516, 
unicamente  giusta. 

34,  1.  Cf.  Dante  Purg.  XXIV,   1.    La  costruzione  è:   non  lasc 
di  ragionar  per  andare,  e  non  1.  di  s.  ior  v.,  per  ragionare, 
cioè  ancorché,    o  benché  andassero,  ragionassero,   f.  Ci-  ! 
nonio  osser\'.  della  lingua  ilal.  p.  201.  \i 

38,  3.  Sciamilo   è  la  voce  tedesca   Sammet,  velluto,  af-  fi, 
fine  alla  greca  iga/iUTo;. 

41,  1.  Urta,  odio.    Voce  lombarda.    Dal  frane,  là  eurte,  te- 
desco Hurt,  attacco,  colpo,  veemenza,  in  lat.  urgeo. 
2.  Truffaldin.    Kovella  da  leggersi  nell' Orlando  inna- 
morato del  Boiardo. 

43,  5.  Cavai,  co  rt.  e  p.,  dice  Zerbino. 

i9,  1.  Nella  ter  za  v.  o  nella  q  u.,  nella  terza  o  quarta 
parte  della  notte,  secondo  la  divisione  latina  antica  in  quat- 
tro parti  eguali,  segnate  con  sentinelle,  vigiliae. 

50,  4.  Nutrice  aulire  a.  Teli,  o  mare.  Cf  X\  I,  129.  2. 

5.  Orsi  ecc.  stelle  dopo  la  tramontata  del  sole. 

51,  5.  Ascolta,  guardia,  sentinella.  _ 
54.  4.  Formi  da  lo,  temuto.  Voce  latina! 

8.  Piagne,  rammarica. 

56,  4.  Pia  rei,  meno  bravi,  o  valorosi.  M  irmi  doni,  sol- 
dati d'  AriiiMe. 

58,  fi.  Gal  e  so,  fiume  non  molto  discosto  dalla  città  di  Ta- 
ranto in  Puglia,  edificata  daFal-anto  (v.  XXX,  21.)  Greggi 
lanuto,  pecore. 

7,  8.  Cini  fio,  fiume  dell' Africa,  lungo  il  quale  suol  pascolar? 
gran  quantità  di  capre  e  di  becchi.  Virgil.  Georg.  3,  312 
Barbato,  cioè  gregge,  vale  a  dire  capre  e  becchi. 

63,  2.  Difende,  proibisce. 

70,  7.  <ìul'1.  Fetonte.  N  os  t  ro  fium  e,  Vo.  Lume,  carrc 
del  sole. 

72,  6.  S  HI  alta,  copre  come  dì  smalto. 

85,4.  Accenna,  (omanda.XlV,  91.  XXXII,  110,  XXXIII,  5. 

87,  3.  An  nitriri,  nitriti. 

91,  2.  Altrove.  Orlando  inniimor.  1,  104, 

9li,  2.  ti  II  e  l   punto,  questa  \olta. 

8.  Alta  luce,  cielo.  Mondo  cieco,  inferno.  Cicet 
significa,  come  il  latino  co  e  cu  s,  uno,  che  uon  vede,  e  quo 
che  non  è  veduto,  quel  ch'è  occulto. 

104,  ti.  R  i  b  r  e  z  z  o,ultinio  scuotimento  e  raccapriccio  della  morte 

108,  1.  Il  frale  di    f  ivi  ano,  Malagigi. 
H.  Legno,  na\e. 

109,  6.  Come  mai,  quanto  mai,  come  sempre. 

XXXII. 


e    A   N    T 

3,  4.  Del  gran  notturno  foco,   figuratamente  della  grat 

battaglia   notturna,   e   sconfitta.    Cos'i  sopra  XXXI,  25.4 
j)  e  r  i gì  i (I  .s  0  bai  1 0. 
5.  Quando;  poiché.  ,rir-,.T-iii    e 

4,  7.  Esazi  0  ni,  gravezze,  angario,  come  86,  1.  XXXVllI,  0 

33.  Dante  Purg.  XX,  10(». 
7,  5.  Prece,  preghiera.    Voce  Ialina! 
11,  2.  Eto,  o  Piroo,  due  de'  quattro  cavalli  del  sole 

6.  Ebreo.  Giosuè,  che  per  poter  compiere  la  sua  vittorie 
sopra  de'  cin(|ue  re  paleslini,  ottenne  da  Dio,  che  un  su( 
coniiinilo  al  soU;  potesse  allungare  oltre  il  dovuto  termini 
la  giornata,    (iios.  IO. 

7.  Produssi',   s'  intende   o  della  nascita  d    Ercole,    dov) 
la  notte  fu    da  Giunone   allungata  alla  durata  di  molte; 
del  di  lui  ciuKupiinento,   dove  Giove   estesela   notte  al! 
durala  di  tre  notti. 

13,  4.  Di  Tilon  la  sposa,  Aurora. 
7.  Nasciutu,  voce  antica  per  nato. 


ì 


COMENTO  SULL'  ORLANDO  FURIOSO. 


5,  5.  Se— a  piede,  cioè  vede,    o  scnopre. 
8.   Un'altra  nuova,  cioè  speranza,  v.  6. 

.6,  3.  Fossi,  fosse.  Cf.  1,  9.  3. 

7,  3.  Regni  bui,  regui  scuri,   inferno. 

9,  4.  Serva,  serba,  riserba,  ritiene  sé,  cioè  indugia,  diffe- 
risce, tarda. 

7.  Aspide.  Si  diceva  anticamente,  che  l'aspide,  per  non 
udire  1'  incanto,  che  a  su  lo  tira,  posi  un'orecchia  in  terra, 
e  l'altra  colla  coda  turi.  Empio  dunque  è  di_  natura 
maligna,  non  mansuefatta,  ammansata  per  mezzo  d'  incanto, 

3,  2.  ComTnessi  commisi. 

S,  1.  Guascone.    I    Guasconi   han   fama  di   ciarloni,  e   d' 
amplificatori   delle   cose  che  dicono,  onde  ^  uas  e  o  na  ta, 
millanteria  di  parole;   e  guascone,   vantatore,  mUlan- 
tatore. 
5.  l'osto  per  ragione,  esaminato,  cercato. 

4,  7.  .'i  «  è ,  a  paragone  di  sé. 

7,  6.  Tragiche  querele,  poema  tragico. 

8,  8.  jl  citi,  alla  quale,  cioè  lede. 
3,1.  yp  n  0  71  n  0^/ i  0,  cioè  lasciare. 

(j,  fi.  Divisa,   segno  e  distinzione  negli  abiti. 

7,  5.  Tr  on  e  oni ,  tronchi. 

(j.  Si  rinfranca,  rinvigorisce. 

7.  Bipenne,  scure,  che  ha  due  penne;  l'una  fora,  l'altra 
taglia. 

0,  là.  1)  0  nna  ,  l'Ilania. 

7,  8.  Scaltri,  faccia  accorto. 

'i,  2.  Bocca,   re   di   quella   parte   di  Mauritania,   che  resta 
più  verso  il  mare.  V.  .Sallustio  beli,  lugurth. 
4.  Marocco,  città  dell'  Africa,  e  capitale  di  un  regno  di 
tal  nome,  uè  molto  discosta  dal  mare  atlantico.  i\  ut r ice, 
v.  \XXI,  50. 

4,  3.  Induge,  indugi.  XXII,  CI.  6. 

I),  8.  Aprisse,  non  già  aprirsi,  cL'è  chiosa. _ 

lì,  7.  Jone,  Io,  gi()\ane  amala  da  Giove  e  daini  trasformata 
in  vacca.  Giunone  per  gelosia  la  face\a  custodire  dal 
pastore  Argo,  che  avea  cento  occlij. 

D,  1.  Tristano,  ligliuolo  di  Meliadus,  re  di  Leonis,  il 
primo  di  tutti  i  cavalieri  erranti,  giurato  della  tavola  ro- 
tonda. Or  .Marco,  re  dì  ("(Tnoxia,  avendo  fatto  parentado 
col  re  Languines  d'  Irlanda,  di  cui  toglieva  per  moglie  la 
ììgliiiola,  detta  Isotla  l.i  bi(uida,  mandi)  Tristano  suo  nipote 
in  li  landa,  acciocché  gliela  conducesse.  Andii  Tristano 
e  l'ebbe.  La  madre  d'  Isotta,  acciocché  la  ìigliuula  fosse 
amata  dal  marito,  fec;e  far  una  bevanda  incantata,  che 
costringeva  ad  amare  la  ligliuola  colui,  che  l'avesse  bevuta, 
e  la  diede  ad  una  cameriera,  perché  a  Marco  la  facesse 
bere.  Tristano  ed  Isotta,  essendo  iu  mare,  \)vt  avventura 
la  beverono,  senza  saper,  cosa  che  fosse, e  per  virtù  d'essa 
l'uno  dell'  altro  s'  innamorarono.  11  re  Marco,  avendo  ap- 
postato in  camera  Tristano  ed  Isotta,  vedendo  fuor  di  ca- 
mera la  lancia  di  Tr. ,  la  prese,  e  per  una  buca  lo  fen  in 
modo  ,  che  poco  dopo  venne  a  morte  ;  ondo  Isotta  ,  gilta- 
tosigli  eopra,  quivi  si  lasciii  morire. 

93,  7.  Spinte,  cacciate  fuori. 

c  A  X  T  o   xxxin. 

5.  Cloto,  nna  delle  tre  Parche. 

a.  A  verno,  lago  di  ('.impaglia  presso  Baja ,  dov'  è  la 
porta  per  calare  all'  inferno. 

7.  \  arsi  ne  grò  tic  ,  grotta  della  sibilla  sul  territorio 
di   Vorcia. 

j.  Saper  fece  ecc.  Trasposizione  di  parole  in  vece  di: 
il  periglio  di  molli  guai,  a   e  li  e   (al   quale) 
pò  r  rii  sua  e  en  t  e. 
').  M 0  n  I  f  di  a  i  0  V  e  ,  V  Alpi. 

7.  Aistulfo,  llaisciilf,  il  (|iialc  contro  alla  convenzione 
assedii)    Itiiina   al    tempo    di    papa  Adriano;  e  i'ipino,  chia- 
mato dal  piipa,  lo  ruppe  e  lo  innnrceri). 
3.    Ijito  palesi  ino,   l'ale.itriiia ,   eh'  e  Ira   Chioggia  e 
Venezia. 

7.  Talpe,  per  talpa.    Dante  l'urg.  17_. 
ti.  fjualri,  miri,   riconnosca  ed  esamini  altcntamrntc. 
5.  Lo  scoglio  —  stende,  V  isola  il"  Ischia.  X\  I,  23. 

1.  y/ireo,  liglio  di  Caropo  e  d'  Aglaia,  competitore  d' 
l-'.lena.     Achille,  \c!-t<irir,  llliste  son  noli. 

3.  La  da,  iiom  veloci.isimo,  di  cui  parlano  Catullo,  Mar- 
ziale ,  e  Solino. 

2.  .\ipote  di  Celo,  (padre  di  Saturno)  Giove. 

4.  Duo  (ir  nielli,   Apiilliiic  e  Diana. 

3.  HI  oro,  Lodovici)  Sliii/.i,  delti)  co-'i  dal  suo  foHcnrolorr. 
(ì.  Sega,    arme  della    l.iiiiiijli.i    Ucniivoglio    di     Hnloena. 

(iliiande  ,  quercia  siili  insegna  del  pap.i  Giulio  U  «Iella 
Rovere. 

8.  Sogginga,   Hoggìoga. 

a.  Chiassi,    Ci^iNse,    luogo    vicino    a   llavenna ,  prenso  il 
mare  adriatico.     Dame  l'iiig.  XWIII.'^d 
7.   Un  rampollo  di  I  muro,  il  duci  Mas-imiauo. 
I.   Lo  tr  reco,  di   l.antrec,  griirr.il<!  liiiircM-. 
7.  8.  La  ci  t  là  — S  i  rena,  i'arleuope,   V.ipoli. 

5.  All'  erta,  all'  iu8u. 


», 


), 


64,  1.  animai,  talpe.  ,  ^.,~.-„   „,    . 

67,  1.  Arroge,  accresce,  aggiunge.  X\\TI,  31.  7. 
3.  Loto,  fango,  mota. 

68,  6.  Coraggio,  mente,  animo,  pensiero. 
72,  B.  Suti  ,  stati.  V,  58.  8. 

79,  4.  ^ 71  i ni o « 0   estro,  furor  dì  coraggio   e   d'  ardimento 

guerriero. 
95   ti    Spalmata,  nnta.    Propriamente  detto  delle  navi. 

7.   In  '   altra   volta.    XXXVIII,  54. 
98,  1.  Gade,   Cadice,  isoletta  dell'  oceano  verso  Y  Andalusia. 

Meta,  le  colonne.  Cf.  VI,  17. 
100,  7.  Cimiter  di  Batto,   la  citta  di  Cirene  nell'  Africa, 

fabbricata  da  Batto.    Batti  veleria  sacrum  stpul- 

crum  la  disse  Catullo. 
102,  6.  Esilio  atroce,  inferno. 

108,  4.  Arpie,  Favola  tratta  da  quella  di  Fino,  re  di  Tracia. 
116,  2.  Veli'  alta,  manifesto  errore  in  vece  di  nell'  alta. 
12ti,  6.  Roggia,  torrida. 

C  A  IV  T  o     XXXIV. 

3,  4.  Calai  e  Zete,  figliuoli  gemelli  di  Borea  e  di  Orìzia^ 
i    quali   liberarono    Fineo  ,   re   di  Tracia   dal   gastigo  dell 
arpie,   cacciandole  lino  alle  Strofadi.  Ovid.  .Met.  (i,  ti82.  su. 
Herodot.  7,   189. 
5,  8.  Can  trifauce.  Cerbero. 

9,  6.  Se  dio  tronchi,  co-i  dio  tronchi.  'In  principio  di 
locuzione,  che  prieghi  o  che  desideri,  che  è  quel  sic  de' 
Latini,  con  che  il  lor  lirico  diede  principio  a  quel  suo  •  Sic 
te  diva  polens  Cypri  '  dice  Cinonio  p.  345. 

12,  1.  An  as  s  ar  e  te  ,  donna  bellissima  di  Cipro,  amata  da 
Ili,  il  quale,  non  e.ìsendo  corrisposto,  s'appicci»  da  sé  me- 
desimo dinanzi  la  di  lei  porta.  La  donna  non  restaudoua 
commossa  fu  datrli  dei  cangiala  in  un  sasso. 
7.  Dafne,  ligliuola  di  Penco,  la  quale  fuggendo  da 
ApoHìne  amante,  che  la  perseguiti!,  fu  mutata  ìu  alloro. 

11,  1,  Prone,  proclivi,  disiioste.     Voce  latina! 

3.   J'fseo^  che  lascii)  Arianna.     Gì  a  «  on  e,  che  abbandono 
Medea,  come  Enea  Didone. 

19,  8.  Q  u  a  TI  1 0  —  lira.  È  il  vecchio  proverbio  :  asinus  ad 
lij  r  am. 

32,  6.  Impenni,  faccia  pennuti,  apparecchj,  metta  sull  arco, 
per  adescarlo  ,  o  innainorarln.  _    _ 

38,  7.  Lestrigoni,  i)i)polo  antico  del  Lazio,  che  crudelissimo 
era,  e  si  manteneva  di  carne  umana.     Odi.---.   10. 

41,  0.  Esplico  con  penultima  lunga  è  liceitsa  dantesca.  Pa- 
rad.  VI,  1^. 

45,  1.  Ha  vista,  sembra,  pare. 

•iti,  2.  Ep  e ,  pancia. 

47,  3.  Infece,  iniettò,  vizi!) ,  deturpi).     Dal  lat.  inficio. 

50,  3.   (aghi,  si  muova,  spiri. 

53,5.  Dedalo,  architetto  e  scultore  fainnsis^imn;  onde  qui. 
in  forza  d'  aggetti\o,  dedaleo,  cioè  ingegiiOfO. 

54,1.    f  e s  t  i b  II  lo  ,  cnlTHUi. 
B.  Discorre,   v.  XIV,  97.  1. 

55,8.  Artico  emisperio,  settentrione.  \.  III,  U.  6. 

59,7  Tube,  trombe.  Voce  latina!  Dante  Purg.  17.  Par.id. 
12.  Ariosi.  Xl.ll,  00. 

(il,  5.  Il   vecchio  sposo.  Titiine. 

ti2,  1.  Scorse,  discorse,  traili). 

(i4,  5.  Incesto,  incestuo-o.  XXXVI,  73.  8. 

74,  2.  La  ruota,  della  Fortuna.  .  . 

75,  4.  Loco,  esi-tenza,  occasione  e  comodo  da  esser  eseguiti. 
7li,   1.   H  i  e  h  V  .  in:i»sr,  iiiiiccliì. 

80,  7.  8.  Dubita   con  queslo  il  poeta,   a  guisa  d"  altri  scrittori. 
He  ('oslaiitino  il  Grande  doni)  Koma  a  .•<.  Silvestro.      Nella 
prima  edizione  parli)  con  più  riguardi ,  dicendo: 
Ad  un  monte  di  rose  e  gigli  passa, 
Cli'  ebbe  già  buon  odore,  or  piitia  forte; 
Cu'  era  corrotto,  e  da  (ìiovatiiii  intese, 
('he  fu  un  grill  don,  che  un  gran  signor  mal  spese. 
82,  C.   Perse,  si   fecero.  v»  iii 

B4    ti.  Itenno.  diedero;   presso  Dame   divano.    Inf.  \»Ill. 

90.  XXI,    I3ii. 
88,  4.   Carni,  canuta,  vecchia.     Voce  latina! 

7.  Une  hi.  vcnnicelli  d.i  seta,  liliii;el:i ,  bigatti. 
91,  5.    l<  i  I  or  nn  r  »  e  m  p  r  .    p  e  r  a  ti  r  ".pollarne  v  \^  de"  nmiv  i. 
Cosi    D.mte   Ini.    XXI,    .W.    Mrltrtrl     sotto,    eh     i  » 
Ionio    per   anche    (cine    r.ipir\i     altri     baratXleri)      .1 
quella  terra,  che  w  '  è  ben  fornita. 

C   A    ■«    T   o      XWV. 

,    1,  5.  Jrtf  furo,  perdita.    Voce  latina! 

'   4,  7.  Col    M   e  vul  IJ.    Cioè  UW),  I'  anno,  in  cui  IpPoliCn  ti.i 

I      '   HNle    venne   ni    mondo,     l'onte    preHc    1'    idea    d.il    presso. 

Dante.   Par.   NIX.  29. 
I    7,2.   /'•..  rt  i/i  f  </ .    come   mostra   il   ritmo,   ha    I.»    pcnuliima 

lunga  ,  come  presso  Oraiio  od.  2.  15. 
!),.').  .Sii  (  M' /  '  '  .  so-tennti.     \oce  latina!    XLH,  77. 
Il'  7    1,1  ti   qui  é  liiitoessernella  luna,  come  presso  D.mte  1  urjr. 
,      '   XXMII,  Ito.  ,,    ,        ... 

.11,5    lliunca    oquiU   era    l'    inurgna  dell.i    ri~a    il     Ippolil» 

da  Ente. 


COMENTO  SULL'  ORLANDO  FURIOSO. 


1 


15, 
'iO, 
21, 

2i, 


27, 

28, 
31, 
31, 

39, 
40, 

^7, 

70, 
80, 


4, 


4.  Cons  urne  ,  consuma.    Modo  latino  ! 
B.  Cinedi,  bardassi.    Voce  greca  e  latina! 

2.  Ciacco,  porco. 

7.  C  irra  ,  città  greca  in  Focide ,  alle  radici  di  Parnasso, 
vicino  alla  quale  era  1'   oracolo  dellico ,   e   la  stanza  delle 

7.  tt.  Fu  questa  opinione  di  Crisostomo  nell'  undecima  delle 
sue  orazioni. 

3.  Bagascia,  donna  da  partito  ,  puttana. 

5.  Telo,  saetta.    Voce  latina! 

2.  Lontra,  animai  di  rapina,  cosi  da  acqua,  come  da 
terra.    In  tedesco  Fisc/io  1 1  e  r. 

8.  Ferj  uro  ,  come  IX,  52,  5.  XI,  73.  4 
8.'  S' app  r  e  s  eu  t  a   ha  1',  edizione  del  1516,  non  già  ap- 
po re  ce  Il  i  a  ,  eh'  è  chiosa. 

5.    V(  .  non,  neppure. 

8.  I  eh  ut  a.    Cosi  hanno  tutte  le  stampe. 

(j.  Smaglia,  scioglie,  tormenta,  scoraggisce. 

Canto    XXXVI. 

4.  Sape  a.  Barotti  vuol,  che  si  riferisca  a'_  soldati,  e  che 
perciò  piuttosto  sap  ean  dovrebbe  scriversi.  Intanto  può 
riferirsi  ancor,  e  forse  più  agevolmente,  a  brutta  ven- 
detta, oh'  è  più  vicino  nel  veri-o  primo  di  questa  stanza; 
laddove  soldati  rei  sono  nominati  nel  sesto  della  pre- 
cedente. 

5   7.  Importuni,  infelici,  sinistri. 

I)    3.   fidi.  L'    armata  nemica  arrivi)  li  25    di  Nov.    1506;   la 

'   disfatta  segui   li  21  di  Decenibre.     Ariosto  dunque,    poiché 

spedito  dal  duca  a  Roma   quìiuli    parti  sei    giorni    innante 

la  disfatta,  (XI,  3.)  pare  che  vi  sia  stato  presente.  Ercole, 

Cantcliuo.    ^J/ e  s  s  a  n  rfro,  Ferruffin.  v.  st.  7. 

7  ìt.  S  eh  e  l  m  o  ,  legno  nelle  galee,  a  cui  si  legano  i  remi; 
'  qui  palischermo,  quella  parte  della  galea,  dove  fu  tagliato 
il  capo  a  Cautelino. 

9.  a.  Antropofagi,  popoli  della  Scizia,  che  mangia\ano 
'  uomini.  Pol'ifemo,  ciclope.  Omero  Od.  9.  Virgil.  En.  3. 
8  Ciclope,  mostro  umano  con  uu  sol  occhio.  Lestri- 
gone, XXXIV,  38. 

14.  0.  Matti!  tino,  mattina. 

J9,  8.  Taballi,  insiruinentì  militari  musici  di  rame ,  usati 
da'  Mori  in  Africa.     V.    Redi  al    Uacco  in  Toscana. 

35  3  Opima,  ricca.  Voce  latina!  Uaute  Par.  XVllI ,  33. 
'  XX\,  111. 

55.  4.  Ut  piatto  ,  nascosto. 

u2.  6.  Leena,  lioiiessa.    Voce  latina! 

JO,  3.  Ariosto  fa  discendere  lii  casa  d'  Este,  per  mezzo  di  Rug- 
giero e  di  llradamante,  da  Astiauatte  iigliunlo  d'  Ettore. 
V.  11,  17. 1.  Fu  costume  poetico  de'  secoli  di  mezzo,  di  ridur 
r  origine  de'  popoli  ai  Troiani  ,  di  modo  che  Troja.  men- 
tovata è  varia  ,  secondo  il  sito  delle  nazioni  ,  benché  sem- 
pre il  centro  di  questa,  o  quella.  A  questa  credenza  poe- 
tica pare  eh  'abbia  data  decisione  tanto  il  bisogno  naturai 
della  luenle  umana  di  rintracciar  1'  origine  e  la  coerenza 
dei  mondo,  eh'  è  sua  copia,  quantochc  1'  opinione  mitica, 
derivala  dall'  istessa  fonte,  die  iigurava  il  mondo  qual  al- 
bero \  itale,  di  rui  i  rami  si  spandono  all'  ingiù,  e  la  ra- 
dice all'  insù.  (Juesto  albero  fu  la  quercia,  onde  Ilion,  e 
Troj  a,  affini  al  greco  Joy,'- ingl.  tree,  lat.  ilex.  Quanto 
poi  questa  idea  sia  pregna  e  feconda  ;  quanto  la  guerra 
concernente  questa  città  ,  nel  significato  suo  più  profondo 
sia  guerra  religiosa,  ovvero  guerra  dell'  intelletto  coi  giganti 
delle  tenebre,  o  la  sensualilìi,  e  in  conseguenzaun  driimina 
quasi  cosmogonico  ,  questa  è  materia  da  non  ispiegarsi  in 
questo  luogo,  ma  pur  evidente  e  interessante  a  chi  la  mito- 
logia è  espressione  della  \  ita  dell'  intelletto,  storia  delle 
di  lui  gesta  e  passioni. 

73,  8.  Incesto,  v.  XXXIV,  64.  5. 

Canto     XXXVII. 

5,  1.  Le  donne  qui  mentovate  son  coraggiose  e  guerriere:  Ar 
palii-e  (li  Tracia,  Toiniri,  regina  de'  Massageli,  Camilla 
de'  V  (lisci ,  Pentcsilea  delle  Amazzoni,  Didone  de'  C^ir- 
taginesi,  Zenubia  de'  l'almirenì ,  e  Semiramide  digli  As- 
sirj. 

C,  3.  O' /  j  orli  d  e  l  P  E  s  p  e  r  i  de  nell'  estrema  parte  dell' 
Etiopia  a  occidente,  nella  Mauritania  tingitana,  dove  ! 
pomi  d'  oro,  dati  da  (ìio\e  in  dote  a  tìiunoue,  furono 
cnstoiliti  dal  drago  Ladoiic. 

8,3.  Chi  —formati,  Maldassar  Castiglione,  (nato  147H, 
f  1529)  iiiitorc  del  (^ortigi^'.no.  Pietro  J!  e  m  li  o  \ Cnezi-.ino, 
nato  1470,  f  li  IH  (Jeiin.  1547.  Luigi  .11  a  m  a  n  ,  Fiii- 
rcnlinii,   nato  1175,  f  1550.  Autori  lutti  notissimi! 

H.   La  terra,  Montot  a. 

9,  3.  Cinto,  inolile  di  Delo,  in  cui  nac(|ue  ApoUinc. 

11,  8.   l'iiiiur,  e  iKiii  giii  II  mi  uà,  richiede  altri. 

12,  5.  Ercole  Jli- n  li  rag  l  i  ,1  ,    Milanese,   nato  150.'),  -j-  1561. 

•Scrisse  opere  pniliclic.     l'iir.  17l!l.  8. 

8.  l/.)/i«.  Frane.  Maria,  Modenese,  nato  1489,  f  1541. 
l'othie  volg.  e  lai.  colla  ^ita  dell'  aut.  da  1'.  A.  Serassi. 
ileigamu  1717.  IH.  8. 


17,  3.  Maja,  una  delle  stelle  nel  capo  del  toro. 

18,  1.   f  ittoria  Colonna,  nata  a  Marino  1195,  -\  1547.  Kiinc 
Parma  1535.  8;  pubblicate  da  Gb,  Rota,  Rergam.  1760.  8. 

19,1.  Laodamìa,   moglie   di   Protesilao,    la   i[iiale   impetri 
da  Giove,  di  parlar  a  suo  marito  morto  innanzi  a  Troja  ( 
richiamato   dagl'  inferì   un'  ora  ancora  dopo  la  sua  morte 
dove  mori  anch'  essa  in  braccio  a  lui. 
La  mogi,  di  Bruto,  Porzia,  lìglia  di  Catone,  la  quali 
inghiottì  carboni  ardenti, 
2.  Arria,    consorte   di  Cecina  Peto,  che  dando  1'  acciari 
del  suo  sangue  rosso    al   marito   disse:   Paete,   non    dnlet. 
Plin.    epp,   3,   16.    Argia,   moglie   di    Polinice,   iifflia   d' 
Adrasto,    re    d'    Argo,  la   quale   ard'i  dissoslcrrar  Polinice 
morto   nel    duello  col    fratello  Eteocle,  e  lasciato,   per  or- 
dine di  Creonte,  in  preda  alle  fei  e  ed  agli  uccelli.   Evadile, 
consorte    di    Capaiieo ,   la   quale   per   amor   di   lui,   ucciso, 
neir  espedizione  di  Tebe,  si  precìpiti)  con  lui  nella  pira. 
6.  Che  novi'  —  circonda,    il  tiume  Stigie.  \irg.  Kn.  6. 

20,  2.  J l    M aeedoìiico,     Alessandro.       La  —   tromba 
Omero. 

24,  5.  Esplico.  XXXIV,  41. 

2K,  1.  Suon  ile.  1,  43. 

27,  1.  (iuel  figlio  di  J  m  Z  e  a  n  o  ,  Erittonio. 

i.Aglauro,    figlia    di   Cecrope.      f'eder,   cioè  nella 
corba ,  do\  e  fu  nascoso  da  Minerva. 
5.  /  brutti  piedi,  di  dragone.  1 

36,  1,  ]S  0  n  pia  ecc.  Gli  Argonauti,  approdali  aLenno,  lai 
trovano  pri\a  d'  uomini,  perchè  ammazzati  in  una  volta 
dalle  done.     Staz.  Teb.  5. 

43,  1.  y  /  signor,  o  il  t  ir  an.  Cos\  le  migliori  edizioni, 
con  più  torza  accrescendo  il  dire.  Ruscelli  guastò  il  testo 
pur  (|ui. 

54,  1.  Tema,  esempio,  e  destino.    Voce  greca! 

59,  8.  Tutto,  interamente.     Altre  edizioni  hau  tutta 

92,  l.  Fiume,  Po,  che  sbocca  ilal  monte  or  Vesulo,  or 
Vesevo  chiamato,  ed  oggidì  monte  Viso,  nella  Liguria,  e 
parte  deli'  alpi  cozie. 

Canto    XXXVIII. 

4.  Creso,  re  di  Lidia,  e  Crasso,  nobile  Romano,  ara- 
bidue  straricchi. 

6    Eerciisse,  percosse.     Petrarca  Tr.   d.   Fama  1.     La 
forma  più  s'  approssima  alla  latina  percussit. 
•i.  Ei'u  là   d  e  l  man  t  0  ,  alquanto  più  profondamente  che 
nell  manto  ,  cioè  il  cuore. 

4.  A  m  i  s  t  a  n  z  a  ,  amicizia. 

6.  Macon,  Maometto.     T  rivìg  ante.  V.  XII,  59.  5. 
8.  Girone,  fortezza,  rocca,   o  bastione,  che  gira,   cioè 
circonda  la  fortezza.  XLUI,  115.  7. 
2.  A  r  ci  V  e  s  co  ,  arcivescovo. 
1.  Giro  lucente,  cerchio  della  luna,  o  cerchio  stellifero.i 

1.  Alato,  Ippogrifo.  ' 

5.  Discuoja,   rimove  le  pellicine,  le  membrane. 

6.  Il  giorno,  la  luce,  e  la  ^ista. 

2.  L  II  e  e  ,  giorno. 
6.  Mota,  mossa.    Voce  latina!  Dante  Purg.  XXIII,  19. 

6.  Flesso,  piegato,     ^dce  latina! 

1.  Gli,  Poiché  la  Fama  è  il  soggetto,  pare  che  il  poeta 
abbia  a\  uto  in  mente  rumor  ,  o  simil  nome  ,  dimenticando- 
si della  voce  adoprata.  Altrimenti  si  dovrebbe  riferirlo  a> 
modo  nella  stanza  precedente. 

7.  Tra  versando  ecc.  CainbÌEe,redi  Persia,  fece  una  spe- 
dizione contra  gli  Ammonì,  popolo  della  Libia  a'  confini 
della  Cirenaica;  ma  inoltratosi  l'esercito  per  que'  paesi 
arenosi ,  fu  da  un  \  ento  furioso  sepolto  nella  sabbia.  Erodo.  3. 

8.  Commise,  afiìdii.    \oce  latina! 

7.  Il  calvo,  la  parte  calva,  dove  non  si  può  dar  di  piglio, 
all'  Occasione.  (!f.  XLV,  7.  5.  Il  crin,  il  ciuffo. 

3.  Arri  se  a,  arrischia. 

6.  H  e  dire,  ritornare.    Voce  latina! 
3.  Rassummo,  ripiglio,  io  di  nuova  la  somma, 

5.  S  a  m  in  o  ,  sommo.  ' 

7.  Battro,  città  e  fiume  vicini  al  Caucaso. 
7.  Rottari  vede  qui  scorreggiinento  evidente,  poiché,  se 
fosse,  come  dice  il  testo,  Sobriuo  argomenterebbe  male, 
volendo  dedurre  un  peggioramento  e  sbilancio  dallo  stato 
presente  dell'  esercito,  non  diverso  pure  da  quello  al  co-' 
ininiciar  della  guerra.  Sospetta  dunque,  che  1'  Ariosto 
abbia  migliorato  il  luogo  nell'  edizione  del  1532  pressoché 
a  (|ueslo  modo  :  E  e  li  e  sei  contra  d  o  d  i  ci  sa  rem  o  f 
C  h'  altro  s  i  pub  sperar,  eh  e  ti  ir  ii  n  u  e  s  t  r  e  m  o  '? 
ina  che  (|nesta  mutazione  sia  stata  trascurata.  Certo  è,  cho 
in  questo  modo  il  senso  è  pio  spedito.  Aulladimenn  diflì- 
cile  e  poco  credìbile  pare  tal  trascuranza,  e  potrebbe  sa- 
narsi il  passo  o  per  mezzo  di  trasposizione:  e  che  dodici 

contra  s  l' i  saranno,  o  riferendo  saranno  ad 
Africa  e  Spagna.  Perchè  allora  sarebbe  pure  propor- 
zione inxersa;  prima  Hi:  8,  ed  ora  6:  12. 

76,  3.   Ter  III  in  uto,  fisso,  stabililo. 

77,  8.  ./  cui  —  altiero,  non  gixU;  e  non  sì  pregia  di  servire, 
perchè  il  duello  era  sialo  consigliato  da  Sobrino,  e  do\'eva 
por  line  ad  una  guerra,  eh'  egli  vole\a  continuata;  o  a 
cui  jVlars.  non  isdegiiu,  per  alterezza,  di  servire. 


COMENTO    SULL'   ORLANDO   FURIOSO. 


i8,  3.  Maggior  canto,  Iliade  il  'Omero. 
!6,  3.  Fapaaso ,  primario  sacerdote. 

Canto     XXXIX. 


4.  Jtibuff  a,  scompig-lia,  dà  la  stretta. 
h.  Pe  ri  g  l  i  o  ,  [iruo\a.    Senso   Ialino. 

6.  Schiattisce,  squittisrc,  stride  iiifcrrottamenle  e  con 
voce  sottile,  acuta.  Proprio  de'  bracchi,  quaudo  levauo  e 
seguitano  la  fiera. 

].  differendo,   sino  alla  stanza  66. 
1.  Lo  —  Monaco.    Lo  narra  Bojardo. 
6.  La  ventosa  rabbia,  il  furor  de'  venti. 
8.  Pennesi,  detti  anche  pon  n  est ,  coloro  ohe  fanno  da 
nocchieri,  quando  questi  o  dormono,  o  sono  occupati  in  al- 
tre faccende.  \ .  D  u  e  an  g  e  gloss.  med.  et  inf.  lat.  v.  p  e  n- 
ncnsis. 

6.  Progne,  la  rondine.  Ovid.  Met.  6.  Loquace,  ùì  pulcini 
garruli  pieno. 

1.  jfn  l'o/ ta ,  in  giro.    XL,  24.  2. 

7.  Precessi,  preceduti. 

3.  Tolte,  toglie._ 

B.  Santo,  perchè,  secondo  a'  romanzi,  lasciata  la  moglie, 
si  applicii  a  vita  romita,  e  santamente  mori.  XL,  76. 

2.  Nodi  correnti,  nodi,  che  si  stringono  ed  allargano 
a  piacere. 

4.  ^  traverso,  intorno  al  corpo  d  'Orlando. 

4.  Rinfor zi ,  sforzi.  L'  edizioni  antichissime  hauono 
ris/or  zi,  il  che  ubbiam  credulo  dover  ritenere. 

7.  Meato,  via.    Voce  latina! 

3.  A  VP  r  op  inq  uogl  i ,  avvicinogli.     Voce  latina! 

1.  Sileno,  presso  \  irgilio  nelT  egloga  (i. 

6.  iV  0  71  molto,  sino  a  XL,  9. 

2.  Lasso,  lascio,  guizzaglìo.    XLI,  30.  6.  la  lassa. 

4.  Zebe,  capre. 

8.  Farsi  taglia,  esser  posti  in  libertà  per  prezzo,  ris- 
cattarsi. 

7.  8.  Cf.  Dante  Inf.  IX. 
7.  Gabbia,  11,  28.  H. 

2.  Tormenti,  mangani,  trabocchi,  da  scagliar  pietre  o 
palle  di  gran  mole. 


C 


XL. 


5.  6.  Portar — Egitto.  Delti  proverbiali.  Saino  fiibbririi  ; 

copia  di  vasi  terreni.    Atene  ebbe  molte  nottole,  Egitto  mol-l 

ti  coccodrilli.  1 

3.  Divino,  indovino;  alla  Ialina! 

fi.  Lag  ri  moro,    lagriniarono.      Forma    barbara,    usata! 

peri)  da  Dante  Inf.   X.VVl,  31).  XXXllI,  (jO,   da  Ariosto  trej 

\olte. 

1.  Cadì,  ministro  subalterno  della  giustizia  presso  i  Mao- 
mettani. 

3.  Fai  ari  che,  aste  da  mano  e  da  macchina.    Liv.  IL      I 

4.  Testuggini,  gatti,  arieti,  strumenti  da  guerra,] 
usali  negli  assedj  e  assalti.  Gran  parte  di  sitratle  niac-i 
chine  ebbero  il  lor  nome  dagli  animali,  che  furono  veduti! 
far  ((U(!l,  che  si  voleva  eifetluar  con  queste.  I 

5.  Tr  a  nn  o  si ,  si  traggono. 

(i.   lisi,  a\ vezzi,  assuetatli.    _  | 

(ì.  Si  diede,  si  lancili,  si  mise.  XLI,  ,'Vl. 

3.  .tffrappa,  taglia  minnlamenle.  Wll,  50.  G.  I 

3.  Ocnei,  mantovani,  da  Ol-iio  ,  fabbricatore  di  Mantova., 

4.  Città  di  Dite,  inferno. 

fi.  Moschi  te,  miiHchei ,  tempj  de'  Maomettani. 

2.  Usso.    XXl,  4!l.  I. 

1.  Deserta,  abbandonata.     Signilìcato  latino! 

4.  Ludovico.  Sforza,  duca  di  Milano,  dato  in  poter  di 
Luigi  MI,  re  di  Francia. 

2.  1/ 11''  isola  vicina,  Lipadusa  ,  o  Lampedusa;  v.  55. 
H.  Tra — fornarr,  ira  l'Africa  e  l'isola  di  Sicilia.  For- 
nace di  I  .  è  delld  il  monte  lOtna.  _  j 
8.  Pom}>r}n,  dopo  la  sua  disfatta  ne'  campi  di  Tessa-I 
glia,  ritiratosi  appresso 'l'olummeu,  re  d'  Egitto,  fu  da  costui  I 
assassinato. 

3.  Torti,  liiglierii. 

5.  Diminuto,  liiniinnito  ,  scemo,  privo.  _  i 
fi.  (iu  e  l  che  I  '  ij  g  Hill  r  il  l  il  fi  ii ,  eh'  ab  b.  f.  :  cioè, 
stima,  vali:  a  dire,  pii'ila  fucile. 

6.  Corregge,  govcrou. 
5.    To  rr  e ,  arcrtlare. 

4.  lèi,  cioè  i  ca\alirri.  li  a  dell'  edizioni  posteriori  è  le 
zinne  guasta.     Circonfusa,  bagnala. 

4.  In  ripa  un  fiume,  in  vece  di  a  un  fiume,  o  H' 
Il  II  fi  II  in  e. 

5.  I^iii  vi  canti,  \L1,  2». 

H.  C 0 1  e  i  'Ilio  II  dii,  l''orlMna  rapprcHciilala  con  una  ruota 

'i.  St  i  III  II  l  0  s  a  ,  >ii'\iiìi)\iìì\lc  ,  Min iiglio!<a. 

3.  (iiticii  di  s  o II  a  g  l  i  II ,  puerile,  simile  a  quel,  cli'é  detto 

inuHCUcieca. 

C    A     N     T    »       \IiI. 

2,  1_.  2._  Intende  il  \ino.     Icaro,  figlio  d'I"bnln,rc  de' Lnriiiii,  1 

in    ipii'i  leinpi  iiiiii  riimiiiie 


17, 


ancora.  L'bbriacatisi  uccisero  il  padrone.  Luciano  dial. 
d.  dei.  6. 

3.  Celti  e  Boi.  popoli  della  Gallia  e  della  Germania,  i 
quali  tratti  massimamente  dal  ^iuo  s' ingeguaroao  di  passar 
r  Alpi,  e  di  venire  in  Italia. 

7.   Tempo   rio,  inverno. 

7,  3.  5.  Impedissi,    v.  I,  9.  3. 

9,  fi.  Gregge  bianco,  pesci.  Il  comparir  de'  pesci  a  fior 
d'acqua,  e  corrervi  e  guizzarvi,  è  uno  de' segni  di  tempesta. 
Cos'i  gi'  interpreti.  Ma  gregge  bianco  son  piuttosto 
l'onde  stesse,  bianche  di  schiuma,  che  muggir  son  per- 
ciii  delti. 

14,  7.  Si  lassa,  si  squarcia,  si  stacca,  a'  apre.  Modo  fer- 
rarese, e  forse  lombardo  ! 

15,  2.   Tempestoso  verno,  impetuosa  burrasca.  XIX, 44, 3. 
19,  1.  Comito,  colui  che  nelle  galere  comanda  alla  ciurma, e 

soprintende  alle  \tle. 
23,  5    ti.  Parve  —  vento,    che   si   pentisse   della   sua   furia. 
'Iminantineule .   come  ad  ordine   dato'    spiega   il   Fernow  ; 
poco  chiaramente. 

26,  5.  Tutt  a  la  Ktoria,  esposta  nell'  Ori.  innam. 

27,  8.   Uopo,  bisoffiio     Dal  lat.  iips. 
30,  G.  Lassa,    v.  XXXLV,   69.  2. 

36,  4.  Forse  —  arte,  per  aver  il  .sol  matutino  alle  spalle. 
4U,  5.  Cf  «9. 

53,  5.  j\a  II  1 0 ,  nolo  di  nave.    Voce  greca  e  latina! 

62,  5.   Llto,  \endicato.     Voce  latina! 

63,  1.2.  Fra  —  Brenta,  parte  del  territorio  padovano.  Co// 1 
ecc.  eiiganei  ,  dove  arrìv.nto  .Antenore  con  una  compa- 
gnia d'  Eneti,  popo'i  di  l».itlngonia,  \i  si  pose  ad  abitare. 

4.  Ida,  monte  xicino  a  Troja. 

5.  A  Scanio,  lago  e  iiume  della  Alisia  minore.  Xanto, 
fiume  Scamandro,  che  nasce  dal  monte  Ida. 

8.  Ateste,  nome  antico  d'  E»lc,  cnslello  del  Padovano. 
Frigio,  perchè  fabbricato  da'Tcolaiii,  popoli  della  Frigia. 

65,  2.  Signori  qui.  La  prima  edizione  del  1516  forse  me- 
glio legge:  voi  signor  qui,  poiché  Cario  parla  solo 
al  figlio  di  Ruggiero. 

70,  3.  A   poggio  ed    orza.    v.  XIII,  15.   P. 

75,  fi.  Perchè,  qui,  come  76,  1.  XL\I ,  8.  6.  è  benché,  an- 
corché. V.    Ci  nonio  osserxaz.  il.  I.  il.    295. 

83,  2.  Cam  aglio,  parte  dell'  armatura  intorno  al  collo. 

Canto     XLII. 

5,8.  Po  poi   la   pili    parte    circonciso.     Le    squadre 

spagnuole  erano  composte  di  molti  Mori  e  di  Alarrani. 
fi,  fi.  Feggia,  lieda.  frri-ca.     Dante  Inf.  XV,  39. 

8,  5.  Pie,  zampa,  v.  XXIX,  10.  4. 

6.  .1  cui  lascio  la  roda.  L'  edizioni  del  150G  e 
1532  leggono  alla  coda.  Trovano  gì'  interpreti  gran 
difficolta  nella  frase  /  a  .s  e  j  o  r  la  coda,  e  un  lelleralo 
toscano  dire,  lasciare  essere  andar  dietro  alla  preda. 
Intanto  tenghiamoci  al  senso  letterale,  eil  è:  a  cui  las 
tori  scappando  lasciò  indietro  negli  artigli  la  coda  ,  che 
r  astor  gli  spetinii .  o  spiuinii  nella  zulfa,  lo  sparxier  in  - 
vi  do  a  causa  della  preda,  o  8{o/(o,  perchè  ardiva  di 
azzulTarsi  coli'  astore 

9,4.  Trunco,  busto  dal  capo  diviso  (10,  2.) ,  corpo  senza 
testa.    Così  proso  Virgil.  Ln.  II,  557. 

13,6.  Occaso,  morie. 

20,2.  I'' e  d  e  r  i  g  II  P'ulgoso,  .nrriv  escovo  di  Salerno  e  \es 
covo  di  Gubbio,  e  |i(ii  cardinale,  clii-  andii  rondoliirro  dell' 
armata  sua  patria  conlro  a  Corrogoli.  Il  di  lui  fraiello  fu 
Ottaviano  (22,  l'i.  doge  di  (Jeiiova,  che  pacifirii  nel  suo 
governo  tutte  le  fizioni,  che  di\ìde\  ano  o  ro\ina\ano  quella 
repubblica. 

29,  6.     If franto,  spezzalo,  indcbolilo.     Dante  Inf.  XXX.  36. 

32,  1.   F.  tanto  pi  ii  ecc.  CI.  1'  Orlando  inn.iinorato. 

37,  5.  F.inunto,  smunto,  esausto.     Voce  Ialina! 

45,  8.  />'  l  r  d  e  iiu  a  I  a  g  r  a  n  s  il  r  a  a  r.igione  \  ien  detta 
(46,  2.)  h  0  s  r  o  a  v  v  e  n  t  ii  r  0*0,  essendo  il  te.ilrii  fax  olosn 
de'  romanzi  e  di  libri  ravallereschi  ;  rome  si  vede  pure  nel 
dramma  Sliakespeareanii  Isiiou  I  i  k  e  il. 
3.  Crebri  ,  spesse.  Voce  Ialina!  Dante  Par.  XIX,  67. 


diede   a'   suoi    mietitori 


4.  I)  I  l  i  br  a  ,  delibera. 

fi.  Libra,  lancia  niisiiralanienle  ;  alla  latina! 

7.  8.  Sotto  la  cara  1 1  r  r  u  ,  sotlerraiiei. 

2.    I  II  g  e  n  i  (ino,  ingegnoso. 

3.    M  II  r  III  II  r  <■ .  iiiorinori'o. 

3    Con  In  borea  aperta,   ipinsi  come  cantanti  la  lodo 

delle  doline,  clu-  pori. ivano  sulle  spalle. 

7.   Poppirri,  tori-Ili.  torre  di  erra. 

7.  Intonili  l'vbaldro.  fcrrinse,  nato  1163.  +  1537, 
di  cui  i  sonelli.  c.ipitoli  e  rime  ptibblicaronsi  u  >lodeuu 
IPIs.  4    \eiie/.    1Ì3».  H. 

8.  ./(n.  .So  (/»/.  f  0  ,  modenese,  nulo  1477,  \  1547.  sc(rre 
lario  di'l  papa,  e  rardiiiale,  di  cui  le  opere  si  (•liimpanuio 
Il  \eroii.i  niH.  IV,  ».  l'iciro  U  e  m  b  o  ,  vcnexiano  .  nato 
1170.    I    15  (7. 

8.   .Infriso.    fiume    della   'reKsnpH.i.      l'astore,    Apol 
line,  che  p.i>.rolo  pli  ariiieiili  d'    \ilinelo. 
I.    Isauro,    fiume  _  dell    I  nibria  .    rlie  sborra  nell"  Adria 
tiro  vicino  11  Pesaro'  og|ii  dello  la   l'oglia. 


COMENTO   SULL'   ORLANDO  FURIOSO. 


yO,  2.  Insala,  fa  salse,  versandole  ne!  mare. 

5.   f  i  a  p  i  k   ecc.     Opinione    derivata   da   Servio   al  Virff. 

En.  G,  25. 
^0,5.  Celio    Calcagni  ni,    ferrarese,    nato   UT!) ,  f  15il. 

il  quale  indovini)  il  sistema  cnperiiicnno. 

7.  Xel  ere.  ne'  regni  de'  Parti  e  de'  Mauritaui  indicali 
coi  nomi  de'  due  regnanti. 

92,  8.  Il  fiume  ecc.  il  l'o.  Ili,  34. 

Canto     XLIII. 

8,  3.  Tomo,  tombolo,  caduta. 

11,  5.  Fu  fatta  ecs.  Intende  di  Mantova,  intorno  alla  quale 
il  Mincio,  ciie  esce  dal  lago  di  Garda,  ossia  di  Henacn, 
si  agcira  e  stagna.  Fìnsero  i  poeti,  che,  distrutta  digli 
Ej.igoni  la  cittàdi  Tebe  in  Beozia,  fuggisse  di  li!  in  Italia 
una  ligliuola  diTiresia  lebano,  diiuuiata  M-mto,  dalla  quale 
discese  Oeno ,  os^ia  tìianore,  che  fabbrico  .Mantova,  no- 
minandola dalla  madre,  ^lura  d  e  1 1  a  g.  (ir.  Telie  ,  fn;;- 
data  da  Cadmo,  llgliuolo  d'  Agenore,  coli'  aiuto  di  alcuni  com- 
pagni, nati  da'  denti  seminati  del  drago,  che  fu  vinto  ed 
ucriso  da  Cadmo. 

23,  i.  La  giovane  l  e  d  e  a  ,  Elena,  i'glia  di  Leda. 

j.  Uff  erto,  di  prudenza  da  i-'allade,  ricchezza  da  Giunone. 
tì.  O  r  a  71  p  as  t  0  r  ■ —  Ida,  l'aride. 

28.  i.  Morgana,  sorella  di  \iarco,  re  di  Curuovaglia,  ma- 
rito di  Ginevra,  la  quale  per  aioiir  di  I^ancilotin  non  serbò 
fede  al  suo  sposo;  il  qual  torto  fece  conoscer  Alorgana  al 
fratello  col  bicchiere  incantato. 

32,  7.  Le  reliquie  trojan  e,  i  Padovani  fuggiti  dalla  mano 
d'  Attila. 

Zi,!.  A  s  t  ring  e   e    lenta    il    morso,   metaforicamente, 
governa,  regna, 
.i.  Occorso,  incontro.    Voce  latina! 

34,  ó.  Mulse,  addolcì,  adcsci).    Dal  lat.  mulceo. 

3(),  3.  A  si  g  r.  agio,  cosi  in  buon  punto. 

39,  2.   Trai  issa,  trafitta.    Dal  lat.  t  ran  sfix  a. 

46,  3.  Donna,  padrona. 

54,  3.  Cilestro,  turchino,  di  elei  sereno. 

i*.  Di  T cai  do  ambe  le  rocche,  castello  ncll"  estrema 
parte  della  città  di  Ferrara  a  Ponente,  sulla  sinistra  del 
Po,  fabbricato  da  Tealdo  da  Este ,  intorno  all'  anno  B70. 

5G.  3.  Isoletta,  Belvedere,  a'  tempi  del  poeta  deliziosissima 
per  le  sontuose  labbriclic  e  giardini,  e  per  gli  animali  ter- 
restri e  volatiti  di  molta  rarità  cheAlfouso  1  vi  raccoglie\a 
e  conservala. 

57,  4.  Girata  ecc.  L'  anno  astronomico  comincia  dall'  in- 
gresso del  sole  nel  segno  d'  ariete. 

8.  l'atria  di  Xausicaa,  Feacia,  paese  fertilissimo 
ed  araenissimo,  dove  Alcinoo  regnò,  padre  di  i\.  Omer. 
Od.  b.  '  ' 

ó8,  2.  (Quella  —  cara,  V  isola  di  Capri,  dove  Tiberio  si  ri- 
tirò, e  visse  per  quindici  anni,  ornandola  di  su))erbi  edi- 
lizi. 

3.  Esperidi,  orti  amenissimi  in  un'  isola  del  mare  at- 
lantico. 

b.  Circe,  figlia  del  sole,  e  maga  celebre,  che  trasforinava 
in  bestie  quegli  uomini  che  a  lei  capita\ano.  Odiss.  10. 
Ara,  porcile,  da  hara,  voce  latina. 

59,  7.  7/  Krcnl  figl.  ecc.  Alfonso  1  e  padre  d'  Ercole  II, 
duchi  di  Ferrara. 

CI,  5.  Assorgo,  mi  le\o  in  pie  per  onore.  D.il  lat.  assurgo. 

Ii3,  3.  Logoro  _  strumento  a  guisa  di  due  ale  d'  ucrell;)  iu- 
sieuie  accoppiate,  del  (juale  si  ser\i\ano  gli  ucreilaliiri  a 
richiamare  il  falcone,  ciie  s'  ingannaxa  al  \ederlo  di  lon- 
tano, credendolo  un  pollo,  o  uu  colombo  olferlogli  per  sua 
pastura. 

5.  Destro  corno.  Il  Po  Bipartiva  in  due  rami  alla  stel- 
lata; il  ramo  sinistro  andava  verso  \'eiie7.ia,  il  destro  \ers(( 
P'errara  ,  a  cui  bagnava  le  mura;  ed  ivi  si  parlila  ancor 
esso,  cojne  fa  tutla\ia,  nel  l'o  di  \'olano  alla  sinistra,  e 
nel  Po  di  Priniaro,  o^.-ia  d"  Arg<iita,  aila  destra.  .Su  qu(sla 
ili  distanza  di  sei  miglia  dalla  riiià  si  trovavano  due  torri, 
1'  una  alla  manca ,  cliiamata  di  Oaibana,  oggi  ad  ujo 
di  campanile;  1'  altra  a  diritta,  da  cui  quel  luogo  si  dice 
t  o  r  r  e  della   !<'  o  h  s  a. 

72,  4.  (t  l  piano ,  famoso  leggista  a'  tempi  U'  Alessandro  Se- 
vero. 

71,  3  —  (i.  Che  discendea  ecc.  Intende  i  compagiii  diCad- 
nio  .  nati  da'  rienti  d  un  dragr)  (79,  7.  H.),  i  quali  fabbri- 
caro»  Tebe;  da'  quali  discese  Manto,  madre  del  fonda- 
lor  di   Mantova  (97,  5  —  Hj. 

lo,  U.  Ti  h '■  r  i <i ,  sui'ce<Hor<;  di  Giu-linii  Iunior),' ,  ri<'cliis^in)0 
pei  t  ex  o  ri  ereditati  dall'  anicc-cs-orc  ,  pi-r  quei  ili  \ar- 
«ete  ritrovali  ,  e  |ier  gli  acquistali  nelle  vittorie  sovra  i 
l'ersiuni. 

H.  Isci  —  paterni,  cede  a'  creditori,  o  vendctle  tulli 
i  suoi  beni  ereditali  dal  padre.    Modo  di  diri'  volgare! 

87,  5.  'folle  il  punto,  coijlie  il  momento  :i  propitsim  per 
le  osservazioni  delle  «Ielle  e  de'  pianeti.  Frace  de^jli 
astrologhi. 

!!!?,  1.  Spo;ilio.  Altre  edizioni  han  scoglio,  in  vere  di  tpo- 
glia  o  pelle  della  H<;rpe,  dir  d  aunu  inauno  ell.i  mula.  Di 
questa  coufuHiouv  V.  a  X,  104,  H. 


s 


100,  3.  Pa  t  imo  ,  patiamo. 

'Mi,  ó.  A^s  olla,   esente,    libera,   assoluta.     Asciolta,  ^ 

sciolta  son  lezioni  meno  chiare. 
102,  2.  Tr a  >  rno  ,  trajamo. 
i(U,  4.  Disbrauiare,  soddisfar  le  brame. 
107,  7.  Un  meo,  pellegrino;  propriamente  colui,  eh'  avea  fattoi 

voto  di  pellegrinare  a  Roma. 
100,  5.  Sitire,  appetire,  desiderare.    Voce  latina! 
112,  3.  Derrata,  quel  che  si  contratta  in  vendita. 
114,  2.  il/or  te,  ultima  disgrazia.  ' 

117,  3.  Dolo,  frode. 
124,  2.  C 0  /«  7/1  esse,  commise.    Così  4.  tn  esse  per  m  is  e. 

132,  8.  A  quello,  a  paragon  di  quello.  141,  8. 

133,  1.  Dìpanni,  d'  arazzi.  Questa  è  emendazione  di 
Uottari  della  ^oigar  lezione  corrotta,  benché  mutata  nella 
stampa  del  1332:  panni  di  razza,  in  vece  dell'  origi- 
naria: tappeti  di  Razzi.  Perchè  razza  non  si  trova 
mai  per  arazzo,  eh'  e  panno  tessuto  a  ligure,  così  detto 
dalla  città  d'    Arazzo. 

138,  G.  Ad  affermare,  cioè  continua,  segue.  XVI,  70.  1. 

139,  7.  Merito,  ricompensa,  dono. 

145,  7.  U  irò  ne,  mura  in  giro.  X.WX'III,  20. 
14U,  5.  i''«/o,  villetta  del  "Ferrarese,  sulla  sinistra  del  Po  di' 
Primavo ,  da  sette  miglia  sotto  ad  Argenta,   due  ore  dalla. 
Bastia.  V.i  cinque  cauti,  v,  ;59.  e  la  sat.  1. 
147,  5.  Cavallari,  guide  di  cavalli,  corrieri. 

6.  l'asso   oltre,   senza  fermarvisi.     La  lezione  A  Ri-. 
mino  p  asso  è  corruzione  del  poeta. 
149,3.  La   prima    edizione    legge   E  dalla  foce,    ehe'L 
Metaurofeiìde.    11  Gdiino,  forse  uu  piccini  lìume, 
eh'  ofa  ha  perduto  il  suo  nome,  o  gli  è  stato  guasto  dagli 
abitanti.   11    poeta  lo   levi)   senza    altro   da  uu   passo    dell' 
itinera-rio  di  tJiulio  Ila  Bologna  1'  anno  lóflb,  descritto  dal  i 
cardinale  Adriano:  hinc  (da  Cagli)  ad  aquas  Lanias  por- 
reximus  ,    un  d  e  Me  t  aiir  n  s   confusus   Gauno  Fo- 
rnii spectacula  p  r  a  e  b  e  t.     Fu  rio   dunque  è  quel 
monte,  eli  e  il   M.  e  il  U.  fende,   di  modo  che  in  vece, 
d'  o  forse  si  abbia  da  leggere  e. 
!   _     T.  AH  a  citta  d  e  ecc.   Trapani  in  Sicilia.  Virg.  En.  3.     ' 
153,  3.  Alte  frutta,  alla  conclusione. 

IGl,  8.  Ogni  modo,  in  ogni  modo.     Il  latino  omnimo  do. 
Ibj,  3.  Damino  gira,  secondo  Bojardo  li,  li.  la  capitale  del 

regno  di  Braadimarte. 
1 165,  3.  ^llt  r  et  t  a  ut  0  ,  ugualmente. 
I  b.  M  on  t  e  ,  Mougibello  ,  o  Etna. 

'  1G6,  3.  La  taci  tur  ria  diva,  la  luna, 
ini,  5.  ^  el   rorn.  f.   a  ss.    Curzio,  che  si  precipitò  in  una  \ 

voragine  apertasi  su!  foro  romano. 
I  G.  t'of//o,  ullimo  re  d'  Atene,  che  per  salvare  la  libertà 

i        del   suo   popolo,   si   fece  ammazzare  da'   Boriesi,   nemici. 

Giustin.  11.  Argivi,  Greci 
175,  2.  Le  circosiauze  della  funzione  si  accomodano  meglio  al 
funerale    fatto   ad  Ercole    1,    duca    di   Ferrara,   padre   del 
cardinale  Ippolito,  morto  nel  gennajo  del  1305. 
ITO,  4.  Compassi,  spartiiiienti. 
179,  5.  S  affusi,  sparsi,    bagnati.    Voce  latina! 
IHO,  4.  Strutti,  consumati,  abbruciati,  arsì, 
li''!,  3.  Eie  isonne,  misererò  nostrum.    Greco! 
182,  4.  1 71  narrare,  impegnare,  incaparrare. 
184,  4.  Gal  e  rana,  ne'  romanzi  delta  Galeana. 
184,  1.  Attrita,  consumata. 
'         5.  G.  Isola,  ecc.  Sicilia.  Eu.  3. 
195,  4.  Ora,  prega.    Voce  latina. 

i         l).  Morta  gora,  canale  d'   acqua  morta,  o  stagnante. 
I        Gora  ha  r  o  larga. 

'  C  A  X  T  o     XLIV. 

8,  2.  li"  edizione   milanese  del  1814  c(hi  manifesto  crror  legge 

string  e  a  n  o  in  v  ere  di  stringe  v  a. 
Ì2,  i.  I  m  perat  or  ,   di    Costantinopoli.     Questi   depose  Irene 
sua  madre,   e  nel  primo  anno   del  suo  impero   fece  guerra 
I         co'  Bulgari,  e  restii  vìnto. 
15,  7.  Della  invece  di  alla. 
118,  3.  A  oto,    propriamente  vento  di  mezzodì,  qui  vento  sem- 

pliceii'.ente. 
21,  7.  Uterino,  dell'  otre.  Parola  creata  dall'  Ariosto,  della 
I         quale   r   anfibolia   con    f|uella    derivata  da   utero,   facil- 
intMite  potrebbe  esser  evitala  con  iscrivere  aterina,  poslo- 
!         che  fosse  necessario. 
23,  4.  Tamaro.  V.  a  \L,  12.  C. 
2(i,  5.  Sozia,  compagno.  A  oce  Ialina. 

33,  G.  Mimi  ,  bnironi. 

34,  2.   l'ifare,  pilferi. 

7.   l'i'r  .1  ti  n  <i  g  g  i ,  mascìierate  ,  farsi;. 
37,  H.  Manchi  un  jota  ,  cioè  min  nill.iba;  come  Mail.  5 
51,2.  Che   i-  superlluo,    benché   tutte   1'   edizioni   1'    abbiauii 
Qu.iiiliin<|iii'  sì  possa   dire  superslizione  il  lasciar  iiiialto  il 
tiMo  in  simili  c.isì.  dall'  altra  parte  iierij  nou_  v'  è  cagione,^ 
perchè  non  si   perdoni   ad  un  genio   così  eminente  un  lieo 
che  inoltre    ocrorre  plii    volle  :'v.  V,  27.  H.  XU,  47.  5.  XIl 
27.  U.  \VI,  29.  i.  ;\\\  MI,  U3.  5.  XLIII,  l'^t.  3.  Cf.    Citi«- 
nio  osservai,  p.  Gli. 


COMENTO  SULL'  ORLANDO    FURIOSO. 


".  J  n  qu  e  Kto  —  ragiono,  ne'  matrimonj. 
'-.   0  (/io  sa,  avversa  ,  e  nemica. 
.  J.  (i.  Sì,  cine  rara.  A  ma  tur  di  Troja,  Paride. 

7.  Pir  itoo ,  disceso  con  'l'esco  all'  inferno,  per  rapire 
J'ioserpiiia,  fu  ucciso  e  ?:raccialo  da  Cerbero. 

.'■).  Sia,   d'   Angusto   divo,    si  cangi  d'  Augusto  o  im- 
eratore,  qual  era,  in  dio.     Allude   con  questo  all'  adula- 

/idiie    dctfli   antichi   Romani    degenerati,   di  canonizzare   o 

iiiimnrialare  i  loro  imperatori. 

:>.  Liocorno   o    fu   1'    insegna    di    Foresto    d'    Este 

Pigna  stor.  1),  o  da'   pri;:ci))i  estensi  anticamente  usata; 

-cnlpiia  inoltre  in  più  luogiii  pubblici  di  Ferrara  in  marmo 

ne    capiiclii  e  ne'  basamenti  ili  colonne  e  di  jiilastri  di  an 

lieo  lavoro,  e  d'  opera  degli  Erteusi. 
,  .;.  Pro  ',  valoroso. 

'.  Pannovhia,  spiga.     Gambo,    stelo,     sul    quale   si 

reggono  le   foglie,   i  rami   deli'    erbe,  e  delle  piante  del 

jrdiio. 
óT  Sirocchia,  sorella. 

C  A  ^-  T  o     XLV. 

,  a.  Policrat  e  ,  tiranno  di  Samo  ,  fortunatissimo  in  ogni 
impresa,  ma  alfine  viato ,  pre>;o,  e  morto  iu  croce  dall' 
armata  di  Dario.    Re  di  Lidia  Creso. 

6.  Dionigi,  tiranno  di  Siracusa,  ridotto  a  far  il  maestro 
di  scutda. 

(j.  Mario,  e  J'ev  lidio,  che  di  servii  condizione  furono 
sublimati  alla  suprema  di  re  e  di  consoli. 

8.  Luisi  \\\,  re  di  Francia,  padre  di  Renata,  moglie 
d'  Ercole  d'  Este,  primogenito  d'  Alfonso  1,  duca  di  Fer- 
rara. 

8.  (ili  rlan  l'  ultimo  spaccio,  lo  distruggono  ncci- 
dcndo.  S  j)  a  e  e  io  e  n  pace  i  a  re  corrispondono  al  francese 
di' pèdi  e  e  d  èpe  (Iter,  e  pajono  allini  a.  spedire, 
dal  latino  ex  p  e  d  i r  e. 

9,  ."{.  //'  aquila  dell'  or,  V  a.  d'  oro.  Petrarca  P.  1 
ball.  4. 

1,  1.  Baròarn,  barbero,  corridor  cavallo  di  Birberia,  che 
serve  per  uso  di  correre  il  palio.  Jilosse,  luogo,  donde 
si  muovono  a  corsa  i  cavalli,  che  corrono  al  palio. 

'fi,  ti.  Fra  gnu,  frang.i. 

l2,  T.  H.   (ì  a  e  l  ecc.  Pegaso. 

i:j,  1.  CU  laro.  Ariojie,  cavalli  famoi^i,  1'  uno  di  Castore. 
1'  altro  d'  Adrasto. 

OD,  7.  Sez'^aja,  ultima. 

O'i,  5.  Cimmerie  grotte  Cimmeri  popoli  dell'  Asia,  vi- 
cini al  Bosforo  sulla  jialude  Meotidc ,  ogfri  tartari  preco- 
pensi ,  i  quali  per  V  aria  cra-<sa  e  per  le  dense  esalazioni 
iiinolose   rare  volle  veggono  il  sole. 

(i.  Xot  turno,  il  dio  della  notte,  di  cui  fa  meozioue 
Plauto  uell  Anlilrione. 

Canto     XLVI. 

1,  1.  Carta  nautica. 

i,  7.   I  ero  II  leu   di    C'amberà,    bresciana,    confessa    di 

(NirrcpgiOj  airczionalissinia   imitatrice   del  Hcmb't,  ed  una 

delle  migliori  poetesse   d'   llali.i,  jiata  14Hj,  •[-  ló.iO.    Le  di 

lei  rime  si  pubbliciirooo  Hrtsr.  17.')!).  H. 

H.  Santo  a  o  ilio  euro,  le  innsc ,   alle  quali  era  sacra  1" 

Annia,  provincia  montuosa  della  IJcozia. 

4,  i.  Trivulzia,  milanese,  vergine  che  di  14  anni  inno-1 
minciì»  a  rendersi  celebre  in  poesia.  Sacro  speco,' 
bpelonca  di  Delfo ,  dove  la  «ibilla,  investita  dello  spirito! 
di  Febo,  dava  i  suoi  oranili  in  versi.  ' 
1.  Kmilia  Pia,  niento\ata  nel  (.'(irligiano  di  Castiglione.  | 

5,  H.  di  uè  era  M  alai  est  a,  consorte  del  cavalier  itegli  1 
Obi/zi  in  l'errar.i ,  celebrala  dal  'l'asso,  che  alci  dedicii| 
anche  il  primo   libro  delle  sue  rime.  _  i 

G,  3.  Ilici  era,  Ruliinine,  finmicello  tra  Ravenna  e  Uiiuini.l 
allora  il  termine  dell'  It.ilia.  i 

7,  1.  Signor  di  lìo-.olo,  l'edcrigo  Gonzaca,  cognominalo' 
da  Hoziilo,  castello  po'^lo  sulla  sinistra  riviera  tlelT  Ogiio  ;  { 
valoroso  capitano  e  nelle  gaerre  di  Fr.mcia  famoso.  | 

"ì,  \.   'l'or  elle:      li  e  u  t  i  i<  o  "  l  i  e  \      l   i  s  e  o  u  t  e  ;     l'al- 
lavicine,  nobili  donne  bolognesi  e  mil.iiieHÌ.  i 

,1.  Giulia  t;  i>  ii-.u  gli ,  moglie  di  \  e.--p.isiano  ,  figlio  di. 
Prospero  Colonna,  donna  d'  incompareggiabile  bellezza,  i 
tanto  che  Coradinu  H,ii  li.iiossa  ,  capitano  dell'  iirnial.i  de' 
'l'orchi  pensando  piglili  la,  per  farne  regalo  a  .Solimano, 
mandi)  le  mie  gì  nli  .i  1' li,  dov'  ella  dimorava,  lauto  che- 
tamente, di'  idla  appena  si  potè  salvare,  salendo  in 
camicia  sovra  un  cavallo. 

5.  Il  a  e  ugnata  di  (iiiilia  (i.  era  Isabella  dalla  (/olonua, 
moglie  di  lai'ici  Cazcdo. 

8.   Per  chi.  V.  al  \l,l,   «.'i.  (i.  ' 

8.    .Innad'   .Iragnn,    Incedei   l'auto,    moglie  dell 
illustre   Alloiiso  d'    \valo,    e  ligli.i  di  Frrranlr  il     \r.igoiia, 
figlia  naturale  ili   l-"erranle  inigginro,   do<-i  di    Muiiliillo. 
.'I.    La  non  llii,  d"   Anna  d'    Vragona    era  (.iovaiini,    ino 
glie  d'  Ascanio  dilla  Colnnna. 

;>.  He  co  ecc.  Disegna  la  divina  Colonna,  inarchrNa  di  | 
PcMcara,  la  prima  delle  poetecso  ilaliaiie  ri.  \.\.\\ll  I 


10,  8.  Bernardo  Accolti  d'  Arezzo,  primo  segretario  della 
repubblica  fiorentina,  celebre  siorìco,  e  grandissimo  iii:pTii\  i- 
satore,  per  la  mirabilità  del  suo  ingegno  chiamato  1" 
unico.  Fioriva  circa  il  14^0,  ma  arr^iriinn  ai  tempi  d' 
Ariosto.  ì\e  sou  piene  le  carte  del  Cortigiano  di  Casti- 
glione. 

11,  1.  Benedetto  il  nipote,  cardinal  di  Ravenna. 

3.  Card.  d.  M.,  Ercole,  fìgliuol  dì  Francesco  Gonzaira. 
che  fu  1"  ultimo  de'  marchesi  di  Mantova  ,  e  frate!  di  fe- 
derico primo,  duca  di  quella  città. 

Campeggio,  Ivorenzo  C.  bolognese,  dottissimo  nella 
ragion  canonica  e  civile;  crealo  cardinale  daCIeinenic  \"!I. 

12,  1.  Lattanzio  e  Claudio,  ambidue  della  famiglia  de' 
Toìomei  di  Siena.  Claudio,  saiiesc,  nato  1402.  ■}- 15.')4, 
cerei)  d'  introdurre  nella  poesia  Milgare  i  metri  latini  e 
greci  ne'  suoi  Versi  e  regole  della  poesia  uuova.  lloin. 
1539.  4. 

2.  Paulo  Pan  sa.  Genovese,  scrisse  versi  latini  molto 
lodati.  —  Pressino,  a  Giangiorgio  Trissino,  vicen- 
tino, nato  147P,  -j-  1550,  scrisse  1'  Italia  liberata  da'  Goti  in 
versi  sciolti  di  cinque  piedi,  servilmente  imitando  gli 
antichi.  Rom.  1547,  e  Yen.  154B.  H.  Sofoiiis  be,  trage- 
dia con  coro  all'  euripidea,  1  simili  ini  i ,  alia  plautina, 
opere  pubi,  da  Se.  Matfei.  Ver.  17'i!).  11.  fol.  —  Latino 
lu  V  en  al  e  ,  cortigiano  famoso  al  tempo  di  Leone  X,  e  di 
Clemente  VII. 

3.  /  Capii  api,  Lelio  ed  Ippolito  ,  fratelli.  Capiliiporum 
carmina  et  centone»  es  ed.  1.  Castulionis.  Rom.  1590.  4. 

4.  Sasso,  Panfilo  S.  da  Mnden  i  ,  poeta  in  lingua  vol- 
gare e  latina.  —  Molza,  Fr.  Alar,  modenese,  natol4i?9, 
•j-  1544.  V.  Poesie  volg.  e  lat.  colla  \ita  dell'  aut.  da  1*.  .N. 
Serassi.  Bergamo  1747.  Cf.  XXXVII.  Fior  ian  Mo  ntino 
scrisse  versi. 

7.  Giulio  Camillo  Delminio,  furiano,  originario  di 
Delminio  in  Dalmazia,  circa  1540,  morto  non  avendo  ancora 
compiuti  treni'  anni. 

8.  37.  Antonio  FI  a  m  in  io  da  Scrravallc ,  nato  14n8 .  }• 
1550,  di  cui  le  lettere  (Hol.  1744.  8.)  sono  iinportnntì  per 
la  storia  del  suo  tempo.  Scrisse  inoltre  una  parafrasi  de 
salmi,  Ven.  1545.  Halle  17»5.  8.  ode  oraziane,  ed  elegie 
tibuUine.  Opp.  Fani,  1515.8.  Carin.  1.  8.  ed.  F.  M.  \Iancnr- 
tius.  Pad.  17'i7.  8.  —  Song  a,  sottilissimo  cileraiorc,  e 
grato  molto  a  Clemente  VII.  —  Berna  Frane,  canonico 
della  caiiedrale  di  Firenze,  poeta  facetissimo,  lainpa- 
recchiano  .  nato  1490,  j  !53l). 

13,  1.  Alessandro  Farnese,  papa  Paolo  HI.  grand"  ama- 
tore de'  letterati.  Fedro  da  Volterra,  familiare  del 
cardinal  Pompeo  Colonna,  fu  insieme  con  Camillo  Por- 
zio professor  dell'  elmiuenza  romana. 

4.  Filippo,  bolognese,  da  Leone  \  ricevuto  nell'  intima 
familiarità  ,  e  custode  della  biblioteca  xaticana.  //  v  o l- 
ter;-nn  0,  Raffaello,  uomo  di  grandissimo  studio  edi  vaste 
cognizioni  ,  che  tulle  le  discipline  in  uu  tomo'Taduno. 
Maddalena,  cortij^ian  famoso  nella  corte  romana,  di 
finissimo  gusto  in  poesia. 

5.  Biasio  Palladio,  sesretario  di  Clemente  \  II,  dill  Arioso 
ili  una  dellcsues.ilireìi;niieratii  fragli  eccellenti  poeti,  f»  <- 
no,  gciililiiomo  di  Uellniio,  pro-nlorc  e  poeta. 

5  /  t,.' fi,  cremonese.  Ulto  Uf7y  I  llti'j,  v  escovo  d  \Iba, 
l.'iS'i.  Scrisse  de  arte  poetica  1.  3.  l.V^7.  ed.  Klolz  \ltenb. 
17UI).  8;  de  bombvce  I.  '2.  15'27  ;  de  ludo  srac-hornm  ,  l.i'ii. 
e.  coinin.  L.  \N  ièlii  Argentor.  l(i:U.  8.  ilal.  di  (".(JiMzinn, 
lliOl  4  Cliristiadiis  1.  (i.  Crem.  1531.  4;  Piieni.ua.  Unni. 
ì\l{  4  ("rem.  I.'),'^i0.  8  Lyon  155»,  Ili.  0\f.  17'i'2  :  cur.  \  iil- 
VÌis,'Pad.  1731.  11.  4.  cor.'  il.  Uussel.  Lond.  IV-Vi.  11.  Vi. 
7  Lasca  ri,  (novaniii,  rindacheno,  f  l.il).  dciiiissimo,  che 
fuggendo  larine  degli  Ollomanni  si  era  ridono  in  Italia, 
dove  tu  benigMantcntc  accolto  da  Lorenzo  Medici,  e  man- 
dato poscia  da  Ini  per  unta  la  (Jrecia,  per  cercare  cmlni 
degli  antichi  autori  greci.  Piibbli.i)  1' VhIikotui  H!U  :  de 
veris  gr.  literar.  raiissis  ac  forinis  ap.  aiilii|ii'is.  1  ar.  l.i-'K.. 
8;  epigraminala  er.  et  lat.  Par.  1.")'.Ì7.  8.  154»  4.  —  ilo- 
suro.  Marco,  cretese,  naio  1131,  ••  1517.  p.ii  la  e  lelKin- 
iiiibblico  neir  iiniversil.i  di  Padova;  po>cia  alla  cor'e  di 
Lnine  \,  e  arcivescovo  di  ll.ifusa;  per  bramar  troppo  iv  i 
d.inuMile  il  ca|)pello  cardinaluio  s'  infermo,  e  pochi  ifiori.i 
dolio  averlo  riciviito  mori.  —  \  a  v  a  g  i  r  i>  ,  \ndrca,  vi 
iieziaoo,  nato  IWl,  |  l'jl'.l  Dpi'  <^"''  '•  ^-  ^''  ^"•'i-  ^  "'l'"-- 
Pad.   17  IH.  4.  .  ,  ,     ,.-  ,      ,•  , 

8.    WiiH(JCi)  Severo,  Don  .Severo  da  lircnziiola  di  Loiii 
bardia,  monaco  beneiletliiio  dntlo. 
l»,  1.   .1 1 1  sxii  II  d  ri ,    Urologi,   padovano, 

ferrarese,  lellrrato  e  poeta. 

3  1/<iri..  d'  lllrito.  F.iunciila  ,  dello  Dlv  ilo  dilla  patria 
mia  hit  nata  nel  regno  di  N.ipoli,  dimoro  iu  corte  del  inarclie- 
HC  Federigo  di  Mantova,  e  >rris«e  ha  le  altre  ro-e  Natura 
li"  amori'.  //  fina'""  '' '  '  principi.  Pidro  \tv 
lino  ,  nato  M9'i,  \  IJlili.  fiiinoso  per  la  sua  slaccial.igpnic 
ed  iiiMiilinza  letteraria.  _ 

5.   Duo  J  croni  mi .    (Jlrolailio  \  erila ,  \  erone«e  ;    e  iuro 
liiino  Cillailini,  poeta. 
7.  .il  a  inardo,   medico   ferrarese.    A»  o  me  no. 


G  II  n  r  i  n  I . 


Nicoli 


COMENTO   SULL'   ORLANDO   FURIOSO. 


\icentino ,  nato  1429 ,  f  1524 ,  professor  padovano  e  ferra- 
rese, scrisse  Errores  Plinii  et  alìorum ,  qui  de  simplicibiis 
inedicinis  soripseruiit.  Fcrr.  1492.  4;  Lib.  de  morbo  gallico. 
Mil.  149T.  Veu.  1497.  4 

y.  Celio,  Calcagnini ,  ferrarese,  nato  1479,  f  1341. 
\d,  ì.  Bernardo    Capello,   gcnlìluomo   veneziano,   poeta 
in  lingua  volgare.    Pietro  Bembo,  v.  XLIl,  8().  8. 
b.  Gas-par  o    Obi  zzi,   gentiluomo    padovano,   amico   di 
Bembo. 

7.  Frac  a. 1  toro,  Girolamo,  veronese,  nato  1483  (?)  m. 
1353.  medico,  e  poeta  eccellente,  immortale  per  mezzo  del 
.suo  poema  .«yphilis  1.  3.  Veron.  1530.  4.  Lond.  1720.  4.  V. 
Opera.  Yen.  lojó.  1574.  1584.4.  Lyon  1.591. 8,  Bevazzano, 
cortigiano  famoso  a'  tempi  di  Leone  X  e  di  Clemente  VII 


H.  Trìfon  Gabriele,  veneziano,  Socrate  de' tempi  suoi, 
e  giudice  iluissiino  letterario.  Tasso,  Bernardo,  ber- 
gamasco, poeta  slimabile,  nato  1493,  j-  15(i9  scrisse  Ama- 
digi.  pubbl.  da  L.  Dolce.  Vin.  Ió(i0.  1581.4.  Berg.  1755.  IV. 
12^  Rime  Ven.  1537.  15G0.  12.  Berg  1749.  II.  12;  Lettere. 
Ven.  1.565.  II.  8.  Pad  1733.  III.  8.  Itagionaraeuto  della  poe- 
sia.    Ven.  Iófi2.  4.   Fu  padre  di  Torquato. 

16.  1.  Xieolb  Ti,Kt,oli,  seuator  veneziano,  di  grandissima 
autorità,  ed  uno  de'  primi  riformatori  dello  studio  pado- 
vano. 

2.  ISiccolo  A  ma  71  io  da  Crema,  gentiluomo  e  dottore. 

3.  Anton  Fui  g  oso,  genovese,  capitano  di  mare. 

5.  f  alerio,  Gian  Francesco,  gentiluomo  veneziano,  sen- 
tenziato a  morte  per  tradimento  ;  nimico  delle  doune.  V. 
XXVIII.  3. 

7.  B  a  rign  an,  Pietro,  da  Pesaro,  cortigiano  in  Roma,  a' 

tempi  di  Leone  X. 

17.  2    Fico,   Giovan  Francesco,   nipote  di  Giovanni,  principe 

della  Mirandola,  quasi  sempre  in  disturbi  e  tra\agli,  ami- 
cissimo nondimeno  delle  lettere,  nato  1470.  f  1333.  Opp. 
^  en.  UPK.  Argent.  1504.  Basii.  1537.  1573.  lUOl.  f.  Alberto 
Fio,  ijignor  di  Carpi,  esperto  nelle  armi  e  nelle  lettere. 
T  Già  e.  Sannazar,  napoletano,  nato  1458,  f  1330. 
Opere  Pad.  1723.  4.  Ven.  1741.  1752.  II,  8.  Opera.  Ven.  1539. 
1570.  8.  Pad.  1719.  1731.  4.  1751.8. 

18.  2.  Fi stofo/ 0 ,  Bonaventura,  segretario   del   duca  di  Fer- 

rara. 

3.  Gli  Acciajuoli,  tre  Fiorentini  di  questo  nome  vi- 
veano  nella  corte  ferrarese,  quando  l'Orlaudo  si  ristampò 
nel  1532. 

4.  Annib  al  Malaguzzo,  fratel  ciigino  del  poeta ,  a 
cui  sono  indirizzate   due  satire  dell'  Ariosto. 

7.  Nativo  nido,  Reggio. 

8.  Va  Culpe  agi'  Indi,  dall'  occidente  all'  oriente 

19.  1.  I  ittor  Fausto,  greco,  che  sovrastava  alle  galee 
dell'  arsenale  veneziano. 

59,  1.  Egeo,  re  d'Atene,  sollecitato  da  Medea,  sua  moglie, 
stette  per  avvelenar  Teseo,  nato  di  lui  e  d'Etra,  nonravvi- 
sanÉnlo  (ler  siioliglio;  ma  se  ne  astenne  al  vedergli  al  fian- 
co quella  spada,  eh'  egli  medesimo  ad  Etra  lasciò,  perchè 
l'avesse  quel  lìglio .  che  nascerebbe  da  lei. 


77,  6.  Lito  trace,  Costantinopoli. 

78,  8.  Messi  stigi,  demonj. 
80,  3.  Terra  d' llia,  Troja. 

6.  Cassandra,  figlia  di  Priamo,  che  da  Apolline  ebbe  il 
dono  di  vaticinare. 

82,  3.  Sinon,  Greco  ,  che  mosse  con  le  sue  astuzie  i  Trojanì 
a  ricevere  nella  città  il  cavallo  di  legno,  e  ne  segni  poi  I 
sorpresa  di  Troja. 

83,  6.  Mar  leucadio,  parte  del  mare  ionico,  dove  Agrippa 
fu  principal  cagione  della  vittoria  di  Ottavio  sopra  Antouitf' 
e  Cleopatra.  * 

84,  4.  B  i  san  zio  ,  dipoi  Costantinopoli 

85,  2.  Una,  regina,  Leonora  d'  Aragona,  figlia  diFernando, 
re  di  Napoli,  moglie  d'Ercole  1,  duca  di  Ferrara  ,  e  madre- 
dei  cardinale  Ippolito  d'Este,  a  cui  l'Ariosto  dedicò  il  suo 
poema. 

88,  3.  A'  panni ,  appresso. 

4.    Nel  palagio,    in   pace.     Nel    padiglione,    in 
guerra. 

0.   f/iiel  re  possente,  Mattia  Corvino,  re  d'Ungheria, 
marito   di   Beatrice,   sorella    della  madre   d'Ippolito,   che 
portò  il  nipote  di  10  anni  non   ancora   compiti  all'  arcives- 
covo di  Strigonia. 
39,  3.  Fusco,   Tommaso,  maestro,  e  poi  segretario  intimo  d' 

Ippolito. 
)1.  Dopo    questa    stanza  si    legge  nell'  edizione   del  1516  una 
stanza,  che  nella  ristampa  dell  1532  non  si  trova: 
(iua  con  molV  arte  e  con  pih  forza  lotta, 
E  con  robusti  giovani  s''afferra. 
Par  cW  abbattuti  già  n'  abbia  una  frotta, 
E  s'apparecchi  a  poner  gli  altri  in  terra. 
Là  par ,  c/t'  egli  abbia  più  rf'  un'  asta  rotta. 
Armato  in  simulacro  d'aspra  guerra, 
A  pie  e  a  cavallo  con  ugni  arma  destro. 
Di  tutti  gli  altri  e  principe  e  maestro. 
94,2.   Duca    sfortunato     dcgl'     Insubri,     Lodovico 
Sforza,  duca  di  Milano,  deposto  da  Luigi  XII,  re  di  Francia, 
95,  7.  8.  Del  no  ine  ecc.,    padre  della  patria.    A   Ciceron , 

dopo  la  scoperta  scongiura  di  Catilina. 
97.  Dopo   questa  stanza   ve   n'  ha  una  nell'  edizione  del  1516, 
soppressa  in  quella  del  1532: 

Vedesi  altrove ,  che  non  pur  conserva 
Ferrara,   ma  il  dominio  le  proroga. 
Assente  Alfonso;  e  quando  la  proterva 
Barbarie  intorno  ogni  città  soggioga,  ' 

Franca  la  tien  fra  tutta  Italia  serva; 
Ma  quante  armato,  e  quante  volte  in  toga 
Ippolito  si  veggia  a  fatti  degni. 
Lungo  fora  a  cercar  per  tutti  i  segni. 
106.  1.  Fellonia,  infedeltà. 
109,  4.  Sozze,  vili,   mendaci. 
6.  Lunghe,  indugi,  ritardi 
[120,  5.  Fattura,  malia. 
136,  2.  Fannoni,  Ungheri. 


ì 


Mo  z  ce,  tronchi. 


COMENTO   SUL   TASSO. 


tìf  II    privo  h'VUERO  ARABO  DIKOTA    LA   STAKZA ,    IL    SECOKDO  IL   VERSO.     IL  CASTO    E   SECKATO  COS    VU3JEB0  R03IAS0.) 


C   A   TV    T   0      I. 

,  1.  Il  capitano ,  Goffredo  Buglione,  duca  della  bassa  Lo- 
rena, donde,  arrolato^i  nella  crociata,  parti  con  numeroso 
esercito  li  15  d'Ag-oslo  109G. 

,  5.  Cf.  Lucrezio  1,  935. 

,4.  A  b»  or  to  ,  dal  lat.    aisorjttus,   in   vece    d'assorbito, 
è  senz'altro  la  lezione  la  più  antica,  giacché  prossima  al  la- 
tino. 
3.   Trace,   Turco  di  Costantinopoli.     Anacronismo! 

,  1.  Sento.  IVon  erano  propriamente  che  ^1  anni,  dacché  il 
cristiano  esercito  si  trovava  in  oriente.  Kicea  fu  il  punto 
(l'unione. 

3.  Xicea  m  Bitinia,  assediata  da'  crocisegnati  li  14  di 
Maggio  10!)7,  presa  per  capitolazione  li  20  di  Giugno,  e 
ceduta  all'  imperatore  Alessio. 

4  Antiochia,  assediata  da' 21  d'Ottobre  del  1097  sino  al 
Giiigno  del  lOflS,  nove  mesi  dopo  presa. 

7.  Tortosa,  città  della  Slriii,  a  nove  miglia  da  Tripoli, 
anticamente  Antaradus  ed  Orthosia  ;  l'ultima  piazza  jiresa 
da'  cristiani  in  Soria  prima   di  passare  a  Gerusalemme. 

,  5.  Cf.  Virgil.  En.  (i,  577. 

,  8.  Mette  in  non  cale,  disprezza,  trascura,  pospone. 

4,  8.  Adeguate,  equabilmente  stese. 

i,  1.  Il  fat  t  o  ,  <|uel  ch'è   stato  fatto. 

9,2.  Piero  d'  Amicns  in  l'icc;irdi'a,  detto  l'eremita.  Kel 
^°|4  ebbe  varie  conferenze  col  patriarca  Simeone  a  Ge- 
rusalemme, offerendosi  a  portar  lettere  al  papa  Urbano  11. 
ed  ai  principi  cristiani ,  per  eccitarli  a  liberare  dai  Tur- 
chi la  terra  sant.i.  Tornato  in  Kuropa  predici)  la  crociata, 
e  divenne  nel  lODiì  capo  di  circa  10,000  unmini.  v.  Luden's 
aligera.  Gcschirhte  der  Vòlker  u.  iStaatcu.  Voi.  11.  P.  2. 
p.  2:0.  (Jcu.  1W2.  8.) 
2.  Sant'  aura,  inspirazione  divina. 

li,  1.  Mente,  qiial  e  descritta  in   questo   passo,  è  la  memo- 
ria; la  quale  essendo,  secondo   una  idea  mitica  più   secon- 
daria, madre  delle  muse,   si  vede,  che   questa  invocazione 
equivale  quella  della  musa. 
b.  7/  primiero,  Guglielmo,  vescovo  d'  Orange. 

7.  Foggio,  l'uy  in  Linguadoca.  L'altro,  Ademaro, 
di  cui  V.  Liiilen  1.  e.  e.  252. 

2.  C  0  n  t  e  d  e'  Carnuti,  Stefano,  coni  t  e  deChartre». 
:i.  Lat  i  no ,  italiano.  Di  questa  genealogia  v.  XVll,  79. 
9.  HI,  <)3. 

3.  dente,  i  Bavari  e  Reti. 

1 .  La  g  en  t  e  e  a  n  d  ida  ,  i  Fiamenghi. 
5.  Isolani,  Olandesi. 

8.  fjn  divina  ecc.  v.  \'irgil.  egl.  1,  Cfi. 

7.  iJ  i  breve  vista,  nato  in  un    breve  momento. 

(5.  Campagna,  ('ampania,  oggid'i  Terra  di  Lavoro,  dis- 
tretto del  regno  di  ^apoli. 

8.  Jl  Tirren  mare,  parte  del  mcditerraoco,  che  bagna 
il  lido  occidenlaN;  d'  Italia. 

2,  5.  Ar^o,  naviglio  di  Giasone,  per  conquistar  il  vello  d' oro. 
Mini,  popoli  in  Tessaglia,  qui  argoiiiiuli.  Artii,  re 
mitico  di  llretagna,  autor  dell'  ordine  della  tavola  toinlii, 
o  de'  cavalieri  erranti;  ampio  soggetto  de'  romanzatori. 
V.  il  discorso  <r\  riosto. 

3,  1.  Consa,  riiiìi  ilei  regno  di  Mapoli. 
3,  3.  To«co,  Toscano. 

5.  Chi  — prede,   colui,   che  raccoglie  avidamente  cose 

ed  atti  raeniorablli,  cioè  l'iNioriro. 

8.   /  ;i  r«i  tT.c,  insegna  ile'  duchi  di  Milano. 
J,  5.  Matilda,  contessa  di  Toscana  v.  \\  II,  77. 
p,  3.   Egeo,  Archipeliipo. 
J,  2.  Capa  Ileo,  un  ile'    sette  capì  della  guerra  Ira  Polinice 

e  il  suo  fratello,  Kteorle. 
J,  3.  Arneac,  lorlezza.  Dante  Inf.  \\.  70. 
1,  .•>.   a  II  a  K  l  a  t  II  r  i  ,  colorii,    die  In    un  l'serrilo  nrcnmndann 

le  strade,  l'anno  fortilica/.iiini    ed  altre    nisr ,    dorriMii  ne' 

versi  Hcgiieiili.     V.  aflinr    l.i    narula    alle    latina    vastun, 

donde  vuoto,  ed  alla  ii'drNrlHT  iviist,  iidr. 
i,b.J}cgli —  re,  il   Po,    tluviorum   re»   Eridauus.     \irgil. 

Georg.  1,  482. 


77,  1.  Seir,  0  Edom,  monte  presso  Tripoli  di  Palestina. 
k'i,  8.  Fa  V  e ,  teme.    Voce  latina  pav  et. 


61, 


62. 


Casto    II. 

1.  Jl/ffl  con  p,  Maometo. 

5.  ]\  o  V  0  error,  furto  della  santa  immagine, 
ò.  Argo   di  cent'  occhi,   custode   d'   Io,  amata   da  Giove. 
Ovid.  Met.  1. 

4.  f'enia  —  i  n  for  n  e,  comincio  a  dubitare,  o  sospettare. 
4,  Alleno,  corrobori)  a  durar  fatica  e  ad  acquistar  lena. 
4.  yl  nona,  un  poco  avanti  mezzodì. 

1.  A  lete.  Si  dice,  che  in  questa  persona  il  poeta  abbia 
voluto  descrivere  Giambattista  l'igna,  segretario  del  duca 
Alfonso  II,  e  suo  nemico. 

4.  Benché  che  sia  evidentemente  relativo  a  modo,  il 
soggiuntivo  portino  pur  mostra,  ch'è  stato  trattato  da  par- 
ticella, o  congiunzione;  il  che  punssi  giustilìcare  con  la 
modalità  od  incertezza  di  quanto  vieu  espresso  col  verbo, 
o  col  senso. 

0.  Segni  d'  Alcide,  termini  d'  A  lei  de  presso 
Ariosto  XLV,  W.  colonne  d'  Ercole,  Gades,  termiiii  del 
mondo  agli  antichi,  v.  l'annot.  a  W  ,  22,  1, 

4.  Cassano,  re  d'Antiochia.  VI,  56. 

7.  Le  vie  del  mare. 

8.  Chere,  voce  latina  qua  erit ,  chiede,  domanda. 

1.  Atto  pur  di  Fabio,  ambasciatore  romano  nel  senato  di 
Cartagine,  descritto  da  Livio  e  Silio  Hai.  2,  3b2. 

5.  (^  nel  grande,  Xabucodonnssore. 
1.  Imitazione  di  Virgil.  Kn.  4,  522. 

(i.  In  vece  di  profondo  altre  edizioni  leggon  gi^' 
condo.    Forse  più  elegantemente. 

C    A    X    T    O       III. 

1.  Morso,  freno,  governo,  regno,  moderazione.  XTX, 97,8. 

4.  Cariddi,  voragine  nel  golfo  rintrctto  tra  Ueggio  e 
^Messina,  ora  Galoforo. 

7.  Suono  può  esser  ordine  ed  armonia,  o  piuttosto  co- 
mando. 

2.  Sri  n  g  u  in  n  s  i  è  la  lezione  delle  migliori  edizioni,  e 
della  Gerusal.  ci)ni|iiist.  IV,  H. 

,  5.  Erminia,  liglia  di  Cassano,  divenuta  poi  prigioniera 
di  Tancredi. 

6.  Esempio,  immagine. 

7.  Colei,  ecc.  \.  I.   16.  s. 

8.  Une,  d'amor  e  di  vita. 

5.  1)  i  s  t  i  n  g  u  e  v  a  ,  esponeva  minutamente.  IV,  26.  7. 
,  (i.  Celeste,  azzurro. 

,  1.  Imitazione  di  \  irgli.  En,  IIII,  G88. 

,  8.  S  t  ra  i  ,  strali. 

,6.   Talento,  volontà,  desiderio. 

,  2.  Feliee,  perchè  ('risto  vi  fu  battezzato. 
5.  He  tei,   lontana   da  Gerusalemme  12  miglia,  chiamata 
anche  Luza. 

,  1.  Ho  e  mondo  solo  Ira  i  duci  ctociscgnati  non  si  mosse, 
né  mandi)  truppe  a  (ìerusaleinme. 

,  3.   Cittadine  uscite,  uscite  de'  cittadini. 

,  3,  Oprare,  adoprare,  usare.  A  r  m  e  )' u  t  a  l  i  .  arme  che 
temperano,  e  iinpelrano  il  fato  felice  degli  uouiiui,  cioè 
preghiere. 

5.  /iji  p«  ro  ,  preparati.  Concetto  tuttavia  alquanto  sin- 
eiilari-,  r  pcirii  convenevole! 

7.  Tu  di  vittoria  annuncili,  cioè  »el.  .M>biamo 
Hililiillalo  questa  le/ione,  non  o-t.inle  che  nella  Geriis. 
riiiii|ii  I  III,  77.  si  II  iiv  i  III  tu  vittoria  annunzia, 
perchè  ■incora  in  i|iiest,i  sos|irlliaino  una  sviata  de'  copisti, 
che  a\  rrlibrro  ilov  liti)  srriirre  scn/'  altro  tu  la  vitto- 
r  i  n  a  u  n  11  11  i  1  ;  a  t  e  d  i  v  n  I  i.  l-'.icilc  er.i  i|nella  sv  isla 
a  caliga  del  coiicorsu  delle  vocali.  Il  si'nso  ilcH'  annuii 
zia  non  è  CDinodo.  A  chi  doveva  .iniiuii/iar  l.i  vìtloria 
non  aci|iii<lala  aurora  7  \l  rieln  pur  no  /  Ma  l.i  sua  innrle 
era  iiiiii/i.i.  pegno,  niigiirìn.  rinè  nroniellrv  a  la  >  illoria  liilura. 
In  qiivsio  iniiili)  la  Miig.ir,  Il  r  aii/.ian  I  le/ione  dtco  lo  «tCkto,  e 
putvv*  il  poeta  kcnza  Mcrupulu  omelleri:  «et. 


COMENTO   SUL   TASSO. 


Canto    TV. 

1,  1.  5.  Donde  nacquero  le  lezioni:  ment  r  e  fan  questi  i 
bellici  8tr  omenti ,  e:  e  l  or  reagendo  alle 
beir  opre  intenti,  nnn  sappiamo.  Sembrano  corre- 
zioni indifferenti  e  intempestive  di  chi  o  spiegava  mal 
opre,  che  son  qui  macchine,  fabbriclie  d'assedio,  o  cre- 
deva di  dovere  spiegare  parolachiara,  ed  era  poscia  costret- 
to a  cambiar  il  verso  quinto. 

6.  11  verso  è  malconcio.     Forse    dovrebbesi    leggere:    re- 

fion  del  cielo  il  folgore   piomba,  se   non  offen- 
esse  cosi  il  p  io  m  b  a. 

5,  3.  Se  il  le,  mostro  marino  a  sei  teste,  intorno  la  cintura 
de'  cani.  ,       ,  .       ,    » 

4.  Pitone,  serpente  spaventevole,  che  perseguitando  La 
tona,  fu  ucciso  da  Apolline. 

a.  Folife  mo ,  di  INettuno  tiglio  ,  ch'avea  un  occhio  in 
mezzo  alia  fronte.  Gerione,  re  di  Spagna  a  tre  corpi, 
ammazzato  da  Ercole. 

P,  2.  Mongibello,  Etna. 

20  1.  Damasco,  città  della Soria,  il  cui  regno  confina  colla 
Palestina. 

22   1.  s.  Nella  Gerus.  conqu.  V,  22.  sta  cos\  :  Ma  perche  il 
'  valor  franco  ha  in  grande  stima,   Ui  sangui- 
gna vittoria  i  danni  teme,  Eva  pensando  ecc. 

26,  5.  S'esso,  oesto,  se  questo;  lo  che  chiosando  altre 
edizioni  se   ciò. 

7.  Distingue-,  espone,  siiiega.  Ili,  28.  5. 

29,  3.  Ch'  or.  Cosi  si  legga  ;  che  quel  ed  volgare,  ch'era  fa- 
cile a  confondersi  iu  iscritto,  potrebbe,  anzi  dovrebbe  ri- 
ferirsi iu  questo  coutesto  alla  persona,  non  già  al  di  lei  at- 
tributo. 

42,  5.  Giove,  dal  giovare,  aiutatore. 

53,  4.  Mio,  come  Gerus.  conq.  V,  55,  non  suo. 

60,  2.  Lavarsi  più  elegante,  che  levarsi. 

61,  2.  Altre  edizioni  leggono:  che  già  il  tiranno  ha 
stabilito  in  mente,  in  vece  di  che  già  prescrit- 
to s  ha  il  tiranno  in  mente.  Prescritto  intanto 
par  più  conforme  a.  fine. 

64,  4.  Vi  no  tt  e  tempo  ,  in  tempo  dì  notte. 
77,  1.  Elice,  voce  latina  e  liei  t,  cava. 
(io,  8.  Ordine  di  cavalieri  erranti. 
93,  3.  Inforaa,  mette  iu  forse,  o  dubbio. 


Canto    V. 

4,7,  Con  esso  voi.  Esso  colla  preposizione  con  e_  un 
pronome  è  detto  un  ripieno  di  vezzo,  per  lo  più  indeclina- 
bile. V.  Ci  non  io  osservaz.  della  lingua  ital.  p.  11)5.  s. 
Par  una  di  quelle  anomalie  ovvie  in  ogni  lingua,  prodotte 
originariamente  da  una  mispresa  ,  tollerate  poscia,  e  linai- 
mente  dichiarate  a  poco  a  poco  per  vezzi. 

7,  3.  Te  permettente,  costruzione  latina,  per:  colla  tua 
permissione,  se  tu  lo  permetti. 

^1.  Ilpiugiovin  B. ,  Eustazio. 
2.  Il  figlio  di  Sofia,  Rinaldo. 

9,  1.  Gran  genitor.  Bertoldo. 

10,  4.  J l  maggior  Buglione,  Goffredo. 
C.  S  ira  ,  principessa,  Armida. 

11,  7.  Impetro,  domando. 

12,  4.  Mosse,  si  mosse. 

14,  7.  Dimostro,  dimostrato. 

15,  8.  i  nrfo  rana,  rende  o  fa  donna,  padrona,  impadronisce. 
20,  2.  Sin  d al  di  scnz'  altro  è  la  iezioue  più  acconcia. 
2'i,  6.  Dissi,  si  deve. 

31,  7.  Spoglia,  depone. 

41,  5.  Scerna,  discerna,  vegga,  scorga. 

52,  5.  Cipresso,  o  palma,  morte,  o  vittoria. 

51),  8.  Finiti,  sembra  chiosa  di  forniti,  v.  XI,  69.  5.  XII, 

14,  8.  73,  4.  XVIII,  37.  8.  XIX,  91.  2. 
73,  2.  /''oro,  furono. 

5.  U dis  s  e ,  si  ud\. 

8.  Pargoleggia,  rimbambisce. 
75,5.  Altra   lezione   è:   che  farsi   elesse  Poifecan- 

fiando.  di  (l  e  s  h  nemic  o.    Simili  trasposizioni  e  mo- 
i  di  cambiar  le  frasi  vezzeggiando,  si  Hpessi  in  questo  poe- 
ma, anr-nrchò-talor  siano  pentimenti    di  man  del  poeta,  so- 
no per  lo  più  parte  arbitrar],  e  parte  iudill'ereuti. 
86,  8.  Liguri,  genovesi. 

Canto    VI. 

3,  1.  Riscontrano  gì'   interpreti  con  questo  il    passo    di   Livio 

IO,  3.  So  l  i  man,  soldano  di  Nicea  in  ISilinia,  prima  della 
conquista  fattane  dai  cristiani,  poi  condoltiere  dello  mas- 
nade ambe  erranti. 

10,5.  P  r  anthig  ia  j  libertà. 

X\,  5.  l'j'nve  l  a  di} ,  gigante,  fulminato  da  Giove  ne*  campi  di 
f  l  f  g  r  a. 

25,  6.  J'e  r  s)  alto  giudizio  il  f  i  e  r  garzone.  Quan- 
tunque rclisifuie  trascurata  in  si  alto,  non  giii  rara  però 
(VJ,  (il.  2)  uè'   poeti  antichi,  non  dia  bellezza  bingolar  a 


questo  verso,  nulladimeno  l'altra  lezione:  poiché  d' it 
pr  e  s  a  tal  fa  tto  è  campione  par  aver  trascurato 
soggetto,  che  sembra  più  necessario  iu  questo  contesto.     S' 

40,  8.  jE  t  ro  n  eh  i  è  beasi  lezione  più  moderata  dell'  altrj 
tronconi. 

47,  4.  Maestri,  di  maestro,  avveduti. 

51,  8.  Ragioni,  diritti. 

52,  8.     Ma  che,  solchè. 

(il,  8.  La  lezione:  Raffi gurollo  e  disse:  egli  è  pur 
desso,  è  di  quelle  mentovate  a  V,  75,  5  e  opprime  per 
altro  l'opposizione. 

64,  7.  s.  Strano  in  certo  modo  e  non  già  da  imitarsi  sembra  il 
modo  di  dire  in  questi  due  versi,  perchè  non  chiaro  e  tua-' 
do  assai. 

68,  8.  Nota,  carme.  G7,  3. 
77,  2.  Fesse,  facesse. 

3.  Mostra,  mostrata.  VIII,  31,  3. 
83,  2.  Fer,  fecero. 

1)4,  7.  8.  La  temuta  insegna ,  la  tigre  sul]'  elmo.  II,  3*^. 
Ili,  3.    L'altra  donna  ,  la  compagna.  90.     Que  l  fi  er  o  , 

Poliferno. 

6.  In  questa,  cioè  ora,  in  questo  punto,  in  questo  mentre, 
112,  1.  Fratello,  Alcandro. 

Canto    VII. 

1,  1.  Soverchio,  pena  inutile. 

6,  7.  Fiscelle,  cestelli,  zauue  tessute  dì  vinchi. 

10,  8.     Compri,  comprati. 

15,  3.  S  e  —  invidi  i"  modo  di  pregar,  o  A\  desiderare,  co- 
me il  latino  sic,  per  se  speri,  o  desideri,  che  uou  t'iuvidj, 
C  i  n  n  o  n  i  o  osserv.  p.  345. 

29,  6.  Cosenza,  città  di  Calabria. 

39,  6.  Fura,  sottrae. 
44,  7.  Orba,  priva  di  stelle. 

40,  2.    Co  macchio,  città  nel  ducato  di  Ferrara. 

52,  5.  Imitazione  di  Virgil.  En.  X,  272. 

6.  1  regni  m  u  t  a.    Lucauo  1,  529. 

53,  1.  Cf.  Virgil.  En.  XII,  103.  ,,. 
55,  3.  Perchè,  benché,  ancorché.    Cinnonio  osserv.  295.    .. 

65,  5.  Imitazione  d'  Omero  II.  VII,  132.  !] 
67,  1.  Pirro,  detto  ancora  Phirous,   e  Feir,  di  cui  la  prodi-^ 

zione  è  narrata  da  Pulcherio  Carnot  iu  Gestis  dei  per 
Francos  p.  391.  s.  da  Gugl.  Tir.  4,  11.  iv.  p.  701.  da  Vi- 
triaco  e.  18.  Si  consulti  Gibbon  history  of  the  decliue  aiid 
fall  of  the  rom.  empire.  58.  p.  291.  s.  ed.  Bas.  Michaud 
hisloirc  des  croisades.  3.  To.  1.  p.  289.  ss.  Wilken  Gesch. 
der  Kreuzzuge.  To.  1.  p.  198. 

69,  1.  Imitazione  d'Omero  II.  Il,  371. 

3.  Babel,  la  potenza  maomettana, 

4.  TU  e.  Tuie,  Thule,  isola  agli  ultimi  termini  del  set- 
tentrione. 

70,  7.  Breve,  polizza.  E  la  parola  tedesca  Brief,  dunque 
scritto. 

8.  Conte  di  Tolosa,  Raimondo. 

71,  6.  Lisce;  liscia,  adorna,  abbellisce. 

72,  3.  Il  fr  anco  rub.  di  S.;  Ridolfo,  duca  di  Suevia,  es 
sendo  stato  eletto  imperatore  dai  Sassoni  fece  la  guerra  a 
Enrico  4.  Nella  battaglia  appresso  il  iiumc  Eleter,  Gof- 
fredo lo  privò  della  mano  e  della  vita. 

76,  1.  V.  Virgil.  Georg.  Ili,  270.  Omer.  11.  XVI.  XX. 

78,  2.  Terebinto,  valle,  dove  Golia  fu  vinto  da  Davide. 

80,  7.  Neir  alta  ecc.  Finzione  tratta  dal  famoso  trattato 
dell'  ierarchia  celeste  dì  Dioni.sio  Areopagita, 

85,  5.  Centro  della  terra.  \VI,  31.  8. 

118,  6.  /''a  de  '  già  vincitori  aspro  governo,  mal- 
mena e  riduce  a  un  istato  cattivo.  VI  111,  4U.  3.  ti. 

Canto    Vili. 

1,  2.  Coro,  vento  tra  ponente  e  maestro. 

5,  3.  Inchino  Ilo,  se  gli  inchinò,  come  dice  XVIII,  3.  1. 

23,  2.  Cada  v  ero,  mezzo  morto. 

26,  1.   /  irta  de  ,  forza. 

28,  6.  Offese,  piaghe  del  nemico. 

7.  Gentile,  nobile,  illustre. 

29,  3.  Di  poca  fede,  noni  di  poca  fede. 

7.  Falso  dolce,  dolce  error,  vanità  seduttrice. 
a.ylspro.    Altre  edizioni   haii   erto.     Aspro   convien 
meglio  a'  passi  pi  a  d  iff  i  e  i  l  i,  12,  7.  ed  al  e  ff  m  m  i  v 
duro,  13,  1;  laddove  erto  meglio  all':  ove  pende  d 
sei  va  ff  gè  rup  (Cava  spelane  a,41 ,3.s.ed  alla  stanza  .i  1 

31,  3.  Most  ra,  v.  VI,  73.  3.  .     . 

32,  4.  Aureo  tratto  di  pennct,  aurea  linea,  o  striscia 
pinta. 

3.'»,  1.  /'«  r  f  e,  separa,  disgiunge. 

3ti,  7.  Agevolerà,  condurrà  ad  agio,  senza  offesa. 

41,  3.  Campidoglio,  Roma,  .ttìoro,  trionfo,  di  cui  I  al- 
loro fu  segno,  v.  Puhildels  Reise,  oder  Briefe  nber  Rom. 
Aiis  dem  l-'ranz.  des  llarou  de  Thdis,  iibers.  v.  F.  ih  .  Rtf 
niehen.    (Weimar  I82i.  111.  8.)  To.  Il,  p.  11.  ss.  . 

16,  7.   Tela,  metaforicamenle  storia.  É 
49,  3.  L'augel,  l'immagine  dell'  aquila.                                ■ 


COMENTO   SUL  TASSO. 


0,  8.  Reo ,  sinistro,  sventurato. 

i8,  3.  In  riva  del  Tr ovto,  in  Ascoli. 

i,  8.  Mal  i  e  no  ,  altre  edizioni  malvagio, 

1,  7.  V.  Virgil.  En.  VII,  4<>0.  XI,  433. 
2,7.   S''  appr  e  n  rie  ,  s'appicca. 

•4,  7.  Camillo,  coiiilottìfr  ile'  Romani, 
y.  Guglielmo,  coudoUier  degi'  Inglesi-, 

Canto    IX. 

1.  Mostro  infernal.  Aletto.     Quetì,  qnìeti,  cheti, 

tranquilli. 
7.  0  ch'io  spero.  Questa  frase  è  spiegata:  non  posso 
aspettar  tempo  più  opportuno.  E  come  mai  nasce  quel  scu- 
so già  evidente?  Forse  quest'  o  e  li  e  è  in  vece  di  oh'quan- 
to'?  O  sarebbe  mai  ellittico  parlar,  per  o  certo  è  ch'io 
spero?-  Ovver  questo  e  A  e  sarebbe  e'  per  quel  ch'io  spero, 
per  quanto,  perchè'? 

3.  Quaranta  anni  circa  prima  di  questo  assedio  Belfego, 
ìmperator  de'  Turchi  e  de'  Persiani,  detto  cnumnenicnte 
il  gran  soldau  di  Babilonia,  aveva  occupato  coli'  armi  gran 
parte  dell'  .•Xsia  e  dell'  Africa.  Invecchiatosi  e  ritivalnsi 
m  Persia,  dimise  le  sue  conquiste  in  quattro  parti,  che  dis- 
tribuì a  quattro  de'  suoi  più  fedeli,  delti  poscia  ancora  sol- 
dani.  Fra  questi  fu  -\lfonsele,  suo  nijiote,  che  quindi  prese 
il  nome  di  («olimano,  e  che  nella  divisione  ebbe  la  Bitinia 
col  paese  proprio  de'  Turchi.  Questi  stabili  la  sua  sede 
in  iNicea,  per  opporsi  al  greco  impero,  di  cui  soggiogò  v.a- 
rie  province,  distendendo  il  suo  dominio  dal  San- 
BMrio  al  Meandro  (4,  1.)  fiumi  dell'  Asia  minore,  ora 
detta  Anatolia.  Fu  da'  cristiani  sconfitto,  perdette  IVicea, 
ed  a  stento  potè  ricoverarsi  presso  il  califfo  d'  Egitto. 

3,  1.  V.  Virgil.  En.  VII,  785 

7,  7.  Anzi  l or  tempo  cioè  li  sedici  anni. 

:8,  7.  Imitazione  di  Claudiano  B.  Gel.  294. 

li,  3.  L'onte  del  cielo  irato,  gli  assalti  de'  venti  e  de' 
fulmini. 

6,  5.  Fronte  di  tauro  fu  attribuita  a'  Qumi  in  segno  del- 
la forza  e  dell'  impeto  dell'  acqua. 

fi,  8.  C Ili'  l  misura,  il  tempo. 

7,  1.  1/ 0  e  0  ,  spazio,     f^  u  e  /  /  a  ,  Fortuna. 

1,  1.  D'opre  diversi,  perchè   l'astro    dì  Giove  è  stimato 
aver  intlusso  benigno,  quello  di  Saturno  un  malagio. 
7.  Uve  ecc.  cioè  l'aimosfcra.  ^ 
7.  La  've  p  rimier  ecc.  cioè  il  bellico.  Dante  Inf.  XXV. 

(ì',ii.  S'alletti ,  alberghi.  Dante  Inf.  II.  Vii.  IX,  f9. 
Dalla  voce  letto.  -\on  è  dunque  da  confondersi  con  al- 
le t  tare ,  c\oò  mutare  con  lusinghe  e  piacevolezza,  eh' 
ha  I  '  e  stretta,  dal  latino  ali  i  ci  o  ,  alle  et  us. 

H,  4.  Fregio,  lezione  d'altre  edizioni  iu  vece  di  frogia, 
par  chiosa. 

i7.  7.  e.  V.  Lucano  VI,  186. 

C  A  ?J   T  O     X. 

,7.  S'  aspetta,  appartiene,  tocca,  riguarda,  cale. 
1,  1.  M'appongo,  indovino. 

1,  4.  sintonia,  ìu  onore  di  Marco  Antonio,  v.  Giuseppe  an- 
ticb.  ebr.  W,  14. 

4,5.   I  cH  i''n«  ,  venivano. 

7,  (ì.  Vie,  di  Xjl,  75.  1. 

1,2.  Falde,  lioccbc  di  fuoco.  Parla  di  Sodoma  abissafa 
nel  lag»  A.-faltidc,  o  Mare  salato.  Gcncs.  I.\.  Del  mar 
morto  o  salso  v.  liitter  allgem.  vergi.  Gcogr.  il,  331  bs. 

2,  1.  <i  r  a  v  e  1  grava. 
1,  8.  Fo  ro ,  turouo. 
7.     £/,  dove. 

c  A  !v  T  o  xr. 

.  S'attiene  il  poeta  particolamente  a  Guglielmo  di  TiroMII, 
11.  ss. 

,  7.  (iuglirlmo,  vescovo  d'Orango.  Ademaro,  vescovo 
di  Poggio  in  Lìiiguadnca. 

,  2.  Il  segno,  la  croce. 

,7.  Altri,  in  vece  d'alti,  ò  lezione  della  Gcrus.  connu. 
XIV,  8.  ' 

1.  Te  ecc.,  San  Piclro. 
6.  La  vinvitriee  morte,  de!  Salvatore;  dunque  il 
vangelo,  ossia  la  dottrina  crÌHti:iii;i,  Hu^gellaia  colla  di  lui 
morte.  Con  una  iiii.ilclu;  lieve  inclinazione  dell'  idea  cris- 
tiana, che  Cristo  trionfi)  dulia  morte ,  dice,  che  vinse 
morendo. 

.3.  Ln  —  ancella.  Marta. 

0,  8.  (iiosafa,  \alle  contigua  a  GeriiHnIemrac,  molto  slret 
ta,  ma  lunga  due  miglia,  v.  Curi  Hitlrm  Krdkiinde  ini 
VerliiillnÌH8  znr  ,\alur  und  (ieschichte  des  Menscheii  ecc. 
Voi.  II.  p.  4»(i. 

B,  4.  Se  II  i  11  i  rr  e,  arnese  di  ferro,  che  difende  le  gambe  ; 
voce  tedesca  .V  e  h  i  e  n  e. 

3,  3.  giusta  spada  m  i  cins  e ,  mi  conferì  la  dignità  di 
cavaliere. 

S,  6.  Sette  gel  I  di  tr  /  «  n  i ,  l'orsa  maggioro  composta  di 
sette  stelle.    Addita  la  iruuionlaua. 


27,  5.  Merlo,  parte  superiore  delle  muraglie  non  continuata, 
ma  interrotta  d'ugual  distanza. 

6.  Torreggia,  sta  a  guisa  di  torre. 

28,  7.  La  vergine  di  Velo,  Diana. 

34,  4.  Zolla,  pezzo  dì  terra  spiccata  pe'  campi  lavorati.  La 
voce  tedesca  Scliolle.  XIV',  Sb,  8. 

5.  Adrasto,  non  fu  Elvezio,  ma  Al  e  a  sto,  1,62.  Xlll, 
24.  Nella  Gerns.  conqu.  XV  ,  54.  quest"  Elvev?ìo  dello  Er- 
manno fu  il  primo  a  dar  la  scalata.  Dunque  è  da  correg- 
gersi Alca  sto  cogli  editori  milanesi,  uou  ostante  di  tutte 
l'edizioni. 

44,  7.  Sa  n  ^  uè  eocr  o,  di  prete  e  vescovo. 

48,  K.  Fioggia  indurata  in  fr.  g. ,  la  grandine. 
51,  5.  Essi ,  s'è. 

60,  3.  Fortunoso,  periglioso  ed  infelice. 

61,  S.  Frane  h  i  no  ,  ma  Franche,  3.d  imitazione  dì  Vir- 
gil. En.  IX,  un. 

6fi,  8.  Ceraste,  serpenti. 

b9,  5.  Onde,  acciocché.    Fornita,  finita,  v.  V.  59.  8. 

Ti,  (i.  Dittamo,  pianta  del  genere  di  ruta,  cui  si  attribuì  la 
virtù  di  sanar  le  piaghe,  adoprala,  come  si  credette,  dal 
cervo  trafitto  e  dalle  cajire.  11  tutto  è  imitazione  dì  Vir- 
gil. En.  XII,  411.  ss. 

'!3,3.])aparti   assai  lontane,  dall '  isola  di    Candìa. 

75,  1.  F 0  71  te  di  Lidia,  forse  vicina  della  città  di  Lidda. 
v.  Atti  apost.  IX. 

84,  8.  Incespa,  inciampa. 

c  A  \  T  0  xn. 

4,  1.  M e''  fora,  meglio  sarebbe. 

10,  5.  Imitazione  di  Virgil.  En.  IX,  247  —  254. 
12,  8.   l  ien  ',  vieni:  come  riman  XVII,  tì5.  3. 
22,  5.  Occhj  d  e  l  ci  el  o ,  stelle. 

24,  1.  Il  racconto  è  preso    dall'    etiopico   romanzo   d'  Eliodoro, 
vescovo  di  Trica  nella  Tessaglia,  morto  l'anno  390. 
8.  Bianca,  pura,  intatta. 

28,  1.  Celeste  gu  e  r  r  ie  r  ,  S.  Giorgio,  C.ippadoce,  capitano 
dell'  ìmperator  Diocleziano,  liberò  in  Africa  una  donzella, 
amazzandn   un   dragone,  al  qual  ella  sta\a  esposta. 

29,  3.  La  lezione  con  arte  sì  gentil  non  sembra  neces- 
saria. 

ofi,  4.  Sul  volto.  Forse  petto;  perchè  l'altro  è  pur  insolito. 

45,  1.  Fercosse,  colpi. 

18,  1.  L'aurea  porta,  posta  quasi  nel  mezzo  del  muro 
verso  levante,  all'  incontro  della  valle  dì  Gìosai'at,  e  il 
monte  olivelo. 

62,  2.  A  hi  fera  pugna!  sembra  la  vera  lezione  iu  \cce  di 
a  fer  a  pugna,  che  quasi  è  tautologa. 

66,  1.  lo  ti  per  don,  invece  ti  perdono;  trascuranza  rim- 
nroveraia  a  Tasso,  come  già  12,  8.  Fer  Cica  ri  intanto 
(Degli  scrittori  del  300,  (ac.  145)  citando  ab  b  a  n  d  o  n'^ 
(presso  Poliziano  rim.  fac.  9H.  v.  11.)  e  so  s  p  i  r  ' ,  a' quali  si 
pulì  agtriugner  Petr  S.  ('(XXIV',  1.  3.  pon'r:^  poni. 
S.  CCLW  ,  3.  3.  rcrv  ll  ,  •>.  \.  T.  d.  Fama  3,  2. 
vien'  c=.  vieni.  CC.vVT,  2.  2.  sostien'  =;  «ot- 
tieni. Canz.  X-\I,  2.  12.  XMll,  I.  15.  ripon'  iu  vece 
di  riponi.  Tasso  G.  L.  X\  li,  (15,  3.  (Uimc  ani.  1.  8.) 
dice,  per  don  esser  a  posta  tronca  parola  della  moribou- 
da  Clorinda.  11  noeta  niilladiineno  cangiò  nella  Gerus. 
conqu.  XV,  80.  Amico,  hai  cinto,  v  perdono  io; 
perdona,  ('becche  ne  sia,  simili  nei,  o  s\iste,  che  pos- 
sono esser  altretlaiilo  niìsprcse  di  critici,  che,  non  attenti 
assai  alla  natura  di  prosodia  e  metro  accentuante,  giudi- 
cano impossibile,  che  il  \erso  ianibiro  permetta  il  dallilo 
o  anapesto  volubile  (v.  Apri  Metrik  II,  p.  331.  ss.  e  che 
diiii(|ue  il  poeta  abbia  potuto  scrivere:  io  ti  p  e  r  il  o  ii  o  , 
perdona,  senza  olreiider  guari  II  ritmo,  senza  dero- 
gare al  poeta,  mostrano  inoltre,  quanto  si  debba  esser  ac- 
corto ed  avveduto  nel  giudioarc  lo  si  il  corretto. 

(IH,  1.   I  irluti,  forze,  posse,  \igore  (70,  '!■. 

94,  4.  informo,  diede  forma. 

ti.  l>  r  il  a  l  a  ,  di  artista,  ingegnosi,  dotta. 

101,  1.  !>'  i  n  d  II  r  II  t  o  ii  t  f  r  l  l  o  ,  d'alìe/.ioiie  ostinata  di  dolor 
ìsniisiirato,  qn;isi  iiiipielr.ilo  ,  cmne  l  jolino  dire  press» 
Dante  lui'.  \\\lll,  49.  cioè  ullìu,  troppo  prol'imd.i  e  sud.i. 

105,  3.  UH  amari,  ramarezzc. 

Canto     Xlll. 

4,  I.  f'aeo,  drudo,  amante.  —  Simll  selva  ù  dcflcritt.i  da  I.u 

cano  III,  399. 
10,5.   Ilitr,  lor!)o  addita  Proserpina,   dominam   Ditis  di 

Virgil.  Eli.  VI. 

11,  5.  liriiu  divieto.  I\.  63  — (15. 

14,  2.  A  a  K  II  III  o  II  I  e  <i  II  r  a  m  a  u  ti ,  popoli  della  Geliilia  in 
M'riiM.  iiell.i  parli-  orientale  della  regione  di  '/aara  e  l'oo- 
cideiil.ile  della  Niibi.i. 

38,  7.  N.  Vildil.i  ì  grriiglilìri,  all'  iiilendiinrnto  de  quelli  par 
che  la  iiiiHira  età  pure  si  \nglia  avvicinare  per  opra  di 
Sindiii.  (  \eg.\  pliaca.  I.ips.  1H25.  4.)    Chiiniimllinn,  C  Siiffrt 


49. 


(Ilndimenla  liiuriigl\pliii-eii.  liiiis.  m>ì.  4.1 
U.  i'em  0  Ila  ,  corpo.     Uiuilo  Purg.  II,  109. 


COMENTO   SUL   TASSO. 


28, 
29, 
33, 
37, 

38, 


42, 


46, 
70, 


59,  5.  Donno,  padrone,  signore.  XIV,  65.  3. 
59,  1.  Siloè,  liuinicello  vicino  a  Gerusalemme,   la  fonte  del 
quale  si  trova  al  pie  del  monte  Moria. 

6.  Alberghi^  canali  porte  (XV,  IG.  3.),  septem  ostia 
Nili.  V.  Erodoto  II,  17.  Consiilla  Hitler  allgemein. 
vergi.  Geogr.  Voi.  1.  p.  251  ss.  specialmente  276. 

69,  6.  Colei  —  solve,  la  morte. 

BO,  5.  Passo  simile  a  quel  di  Petrarca  T.  d.  Fam.  2,  6T.  ss.  agli 
infiniti  nfcombrarc  cangi  are, vincere,ȓ  supplisce 
vuo.  Ciò  uon  ostante  par  alquanto  duro  e  anomalo  modo 
di  parlare;  e  poiché  si  tratta  sol  della  ragion  di  lingua,  o 
diremo  assoluto  questo  infinito,  qualèadoprato  talor  in  bocca 
di  passione ,  o  suppliremo  cos'i  :  oh  fidanza  di  sg,  che  fidanza 
è  mai  quella  di. 

Canto    XIV. 

2.  i'  armonia,  che  secondo  i  Pitagoreì  risalta  dal  moto 
dfil  ciclo» 

8.  Fratel,  Baldovino,  conte  d'Edessa,  successore  di  Gof- 
fredo nel  reeno  di  Gerusalemme. 
5.  Imitazione" del  e.  6.  del  ciceroniano  sogno  di  Scipione. 

'3.   Tarpa,  voce  latina  torpeat,  propriamente  intirizzi, 

'  figuratamente  perda  1'  atti\iiìi  e  il  vigore.  XV,  44.  4. 
1.  Il  cav alter  ciano,  Carlo,  cavalier  di  Sveno,   prin- 

'  cipe  regio  di  Danimarca ,  solo  salvato  nella  scoulltta    data 
dagli  Arabi  ma.«iiadieri  a  quel  principe. 
1.  Cerchi,  cercati.    Boccaccio  uov.  XCIX. 

3.  Quelle  mura,  Antiochia. 
s'.  falca,  valica,  trapassa. 

4.  Cini  la,  luna. 

3.  Tana  ,  Tanai  presso  Dante  Inf.  XXII, 27,  il  Don,  fiume, 
che  parte  1'  Europa  dall'  Asia. 

7.  fughi  orge  nt  i  e  VÌI-  i,  Y  argento  vivo  scorrente. 
''Conte,  manifeste,  illustri.    Voce   tedesca  kund.  XV, 
19.  4,  XV11,I)2.  4.  97,  tì. 
3.  Note,  magici  carmi. 

1.  Augel  notturno,  nottola.  Petr.  S.  132. 
1.  Oli,  clr  è  in  tutte  V  edizioni,  in  vece  di  ?e  o  ZJ',  e 
anomalia  di  lingua,  della  guai  disputano  i  grammatici.  Il 
torto  e  il  diritto  del  non  si  pub  ecc.  (Xap.  1728.  IL  8)  Voi. 
1.  e.  170.  ss.  con  le  annotazioni  d'  Ameuta  e  di  Cito.  V^, 
gimil  luogo  Petr.  S.  133,  4.  3. 

C   A    \    T    O      XV. 

5   1.  Imitazione  di  Lucrezio  II,  801. 
7,  2.  Morso,  àncora.  43,  5.  XIX,  97,  8. 

8   2.  La   lezione  spingon   la   vela  in  v  er  so  il  lidoi 

'     venti,  par  prosaica  correzione  d'  un  modo  di  dire  alquanto 

tiiu  audace.    E  chiaro,   che  vela  dinota  inetoniiuìcameute 

10   l.  Ancalona,   una  delle  cinque  città   de'  Filistei   sulla 
'  e'ponda  del  mediterraneo  ;  con(|uistata  dalla  tribù  di  Giuda 
dopo  la  morte  di  Giosuè.     Baldovino  ,  re  di  Gerusalemme, 
la  prese  a"  Saracini  nel  1154. 

3.  Gaza,  eitlìi  della  Palestina,  della  tribù  di  Giuda;  an- 
ticamente una  delle  cinque  satrapie  de'  Filistei,  distrutta 
da  Alessandro,  v.  XN  li,  1.  s. 

12,  1.   1  etìieno ,  vedevano. 

13   2.  RaJJia,  città  sul  mediterraneo  tra  Gaza  e  Rinonara, 
'  celebre  per  la  vittoria  di  Filopàtore,    re   d'  Egitto,   su   di 
Antioco  il  Grande,  re  di  Siria.  A  M.  3787. 

4.  Hi  no  e  era,  fondata  da  ActÌHa\o,  re  d'  Etiopia,  con- 
tenendo ladii  a  nasi  mozzi. 

0.  Monte   Cassio,  vicino  al  lago  Sirbonide. 

16,  1.  Da  mi  ut  a,  città  dell'Egitto,  sovra  una  dulie  bocche  orien- 
tali del  Nilo  ,  presa  da'  crociati  nel  1219,  rciidiiia  nel  1221. 
3.  La  citta,  ecc. Alessandria.  Fo  rie  (ire  e  0,  Alessandro. 
7.  Faro,  anticamente  Canopus,  isolelta  all'  imboccatura 
del  Mio  con  torre  e  fanale  inalzato  da  Tolomeo  Filadell'o. 

17  1.  Ho  di  e  Creta,  ora  Candia,  isole  del  mediterraneo, 
'  che  giacciono  amendiic  al  di  sovra  de'  gradi  33  di  lat. 

5.  ]\lurmarica,  grande  regione  dell'  All'rica,  che  com- 
prcmleva  i  paesi  tra  1'  Egitto  e  la  Cirenaica. 

6.  Cirene,  (Cirenaica,  Pentapoli,  vastissima  regione,  che 
da  Tolomeo  vien  posta  fra  il  promontorio  Cliersonesus  ma- 
gna, ora  capo  H  asaot  i  n  ,  al  grado  W  e  43  di  long.  C  i  n  - 
Il  u  e  cittadi,  Cirene,  Apollonia,  Tolemaide ,  Arsiuuc  e 
llerenice,  ora  pressoché  di.-trulle. 

7.  Tu/ ornila,  Ptoleinaide,  anticamente.  Barce,  città 
della  Cirenaica  a'  gradi  38  di  long,  e  30  di  lat.  settentrio- 
nale. 

8.  Lete,  fiume,  che  bagnava  le  mura  di  Berenice.  Dicesì, 
che  dopo  la  sua  sorgente  si  approfonda,  e  per  alcune  miglia 
firnrrc  nasc<isto  sotterra,  finché  sporga  con  grande  strepito 
vicino  a  Hennice;  onde  lu  crediitj)  aver  la  Bua  sorgente 
iiell'  Avermi.     Lacan,  l'ars.  1\,  3.')3. 

IP,  1.  La  maggior  ni /te,  scoglio  sulla  costa  della  Circ- 
naii'ii. 

3.  Jl  capo,  proliabìlmentc  C  e  fa  l  a  s. 

4.  Magra,  fiume  della  liarbi'n'a  nel  regno  di  Tripoli; 
ki  getta  nel  mare  prcHho  la  città  di  Lebeda.  ('Iiiainaln 
Cinyphui  da  Tolomeo,   Ciiiyp»  da  Plinio  ed  Erodoto. 


5.  Tripoli,  città  sulla  costa  della  Barberi'a,  capitale  della 

repubblica,   dove   porta  il  nome,   in  un  terreno  arenoso  « 

sovente  inondato  dal  mare. 

6  Malia,  isola  del  mediterraneo  fra  le  coste  dell'  Affrica 

e  di  Sicilia,  anticamente  0 gì/ già. 

8.  Alzerbe,  isoletta  detta  37  en  1 71  x  da  Plinio,  Mirmix 

da  Polibio,    e  Gerba  da  Antonino;    di  contro    al    capo  di 

Zerbi.    Lotofagi,    che    si   nutrivano  del  lot  us,  frutto 

cosi  bello  e  soave,  che  faceva  perdere  agli  stranieri  la  bra 

ma  di  ritornare  alla  lor  patria. 

1.  Tunisi,   capitale   dello  stato   del  medesimo  nome     Fa 


\f 


di  (Cartagine  ,  distrutta  da  Scipione  Emiliano  146  anni  prima 
dell'  era  volgare,  rifabbricala  da  Giulio  Caesarc  di  nuovo, 
distrutta  sino  alle  fondamenta  da'  Saraceni  nel  tì98. 
b.  Lil  ib  eo ,  promontorio  della  Sicilia,  dicontro  all'  Affrica. 

20,  7.  Bis  erta,  città  maritima  sulla  costa  del  mediterranea 
nello  stato  di  Tunisi. 

8.  //  '  i  sol  a  de'  Sar  di,  Sardigna,  nel  raediterrancoltra  V 
Italia  e  1'  Affrica,  sotto  alla  Corsica,  tra  i  gradi  25,  40/  dì 
long.,  e  tra!  38,  42/,  30//  ed  i  41,  11/  di  lat. 

21,  1.  Numidi,  popoli  dell'  Affrica,  che  occupavano  tutta  la 
regione  che  ora  forma  il  regno,  o  la  repubblica  d'  Algeri. 

2.  Er  r  ariti ,  onde  No  m  a  de  s  detti. 

3.  Algeri,  capitale  dello  stalo  di  quel  nome  anticamente 
Cesarea  di  Maurit  ani  a.    Long.  21,  20.   lat.  36,  30  /. 
Bugia,   città  forte  nello  stato  d'   Algeri  sulla  costa  del  !' 
mediterraneo  a  30  leghe  da  Algeri. 

4.  Orano,  città  forte  sul  lido  della  Barberi'a,  appartenente  i^ 
ad  Algeri.  Long.  17,  40.,  lat  37,  40. 

5.  T  i  n  gita  n  a  ,  vastissima  regione  dell'  Affrica  ;  da 
Tingili,  sua  capitale,  sullo  stretto  Erculeo,  ora  T an- 
ger,  Tan  gar  i.  Ora  comprende  il  regno  di  Fez  e  par- 
te di  quello  del  Marocco. 

8.  Granata,   provincia  della  Spagna,   dalla  nuova  Cas-  il 
tiglia  sino   al  mediterraneo  ,    forma   una  parte  dell'  aulica 
Betica. 

22,  \.  Son  ecc.  Parla  dello  stretto  di  Gibilterra,  anticamente 
f return  Herculeum,  o  Gadilanum,  tra  l'  Andalusia 
ed  il  regno  di  Fez  nell'Affrica.  La  sua  lunghezza  òdi  circa 
10  leghe,  la  sua  larghezza  di  4,  ed  unisce  il  mediterraneo 
coir  Atlantico.  Dalla  parte  di  Spagna  ha  il  monte  Cal-pe, 
e  dalla  parte  dell'  Affrica  il  monte  Abila,  or  monte 
delle  sci  ini  e.  Questi  due  monti  son  detti  le  colonne 
f/'  Ercole,  perché  secondo  la  mitologia  Ercole,  dacché 
ebbe  vinto  Gerione,  tiranno  della  Spagna,  spaccili  due 
iiiimii  prima  uniti,  e  fece  che  di  mezzo  vi  scorresse  il  mare. 
Curzio  X.  cf.  Virg.  En.  Ili,  414. 

24,  2.  Gade,  Cadice,  città  dell'  Andalusia. 

25,  8.  Confronta  Dante  Inf.  XXVI,  lliO.  ss. 

29,  '2.  1 1  luminar  le  carte,  chiarir  le  scritture  sacre  del; 
testamento  vecchio.  Espressione  di  Petrarca,  son.  4.  j 

33,  7.  Mon  te,  il  Pico  di  Teneriffe  nelle  Canarie,  celebre  per 
la  sua  altezza.  E  un  vulcano,  che  termina  in  un  cono  tronco' 
ad  obbliquo  all'  asse. 

34,  6.  Quel  ecc.  monte  Etna ,  dove  fu  fulminato  da  Giove  il 
gigante  Encelado.     VirgiI  En.  HI,  378. 

35,  3.  L'  isole  felici,  le  Canarie,  sette  amene  e  fertilissime 
isole  dell'  atlantico,  tra  il  gr.  27,  31)/,  e  29,  45/  di  lat.,  ed 
il  ffr.  o  e  5,  30'  di  long. 

30,  1.  Confronta  Oraz.  Epod.  XVI,  43. 

3t,  7.  (J  u  a  n  d  0  ecc.  Verso  di  Dame nell'  Inf. XVI, S2.  Qu  ant o, 
eh'  é  altra  lezione ,  non  .sarebbe  forse  assolutameuie  da 
ripudiarsi. 

40,  6.  Calcitrar,  far  resistenza. 

4(i,  (i.  Il  ghiaccio  fede  a' gigli  s  e  r  6  ff  ,  il  ghiaccio  vi- 
cino non  impedisce  il  fiorir  ile'  gigli.  Cosi  Claudiano  Ilapt. 
l'ros    1,  1117.  {A  e  tua)  s  cit  niv  i  h  u  s  se  r  vare  f  i  d  e  m. 

51 ,  8.  E  r  e  i  n  i  a  ,   oggi  selva  n  era.  Cesare  B.  G.  6. 

62,  5.  s.  Altre  edizioni  han  :  Mosse  la  voce  poi  si  dolce 
e  pia,  C  h  e  /  ora  eia  s  cu  n  altro  indi  co  n  qu  i  s  0. 
Cangiamento,  di  cui  la  cagion  non  appare,  o  non  è  assai 
soda. 

60,  l.  Sterpa,  voce  latina  extirpat,  cioè  sradica. 

Canto     XVI. 

3,1.  Meonie  ancelle,  d'  Omfale,  regina  di  Lidia,   qui 

delta  .Iole. 
4,  3.   /  e  d  i ,  ecc.  Confr.  Virgil.  En.  8,  675  —  713. 
10,3.  4.  Il  poeta  nella   prima   apologia  ripose:   Bell'    art: 

di  natura,   ove   a    diletto    L'    imitatrice  suit 

g  io  e  II  n  d  o   i  m  i  t  i.    12,  'l.  A  prova,  a  gara.  Petr.  SonJ 

C\X1.  1.  2. 
12.  8.  Ora,  aura.  XVIII,  15.  0. 
24,  5.  Ciò  l  o  magico,  simile  a  quello  di  Venere  presso  Omert 

11.  \1\,  214.  m. 
34,  4.  Sdegno  ecc.  idea  Platonica,  secondo  la  quale  Io  sdegno 

è  dato   all'    uomo  dalla  iiauira  ,   ner  soccorrere  la  ragione 

contra  la  cupidigia.    Confronta  XV'II,  62.  5.  63. 


COMENTO  SUL   TASSO. 


il,  Questa   ottava  alcune  edizioni   V  escludono.     La  lìorcntina 
la  dà  a  ragione,  eh'  è  forse  di  mano  eeconda  del  poeta. 

57,  1.  Imitazione  d'  Omero  li.  XVI.  Virgil  En.  5,  31)5  ss. 

2.  Sangue  azzio.  Dagli  Azj  romani,  uno  de'  quali  fu 
avo  materno  d'  Augusto ,  discende  la  casa  d'  Este.  v.  XVII 
66.  3. 

j3,  4.  In  forse,  in  dubbio,  o  periglio. 

C  A  :?  T  o     XVII. 

1,  I.  Poscia  che  ecc.  Poichi  anni  dopo  la  morte  di  Mao- 
metto i  Saraceni  occuparono  la  Fenicia ,  e  passando  in 
Egitto  presero  anche  queste  paese  e  una  gran  parte  dell' 
Affrica,  l'oi  Mahadi  ObcidoUah,  il  quale  si  diceva  esser  ni- 
pote di  Fatima,  iìgliuola  di  Macomelto,  circa  1'  anno  908 
iondò  in  Affrica  un  regno,  chiamato  il  califfato  de'  Fati- 
miti.  Un  de'  discendenti  suoi,  chiamato  Moezzladin  allah, 
trasportò  la  sede  del  regno  in  Egitto,  ove  fondò  la  città  di 
Cairo  circa  1'  anno  9G9.  califfo  è  succesore. 
2.  Mar  ricco,  cioè  rosso,  per  le  molte  gemme  e  pietre 
preziose ,  eh'  in  esso  si  trovavano. 

4.  Celeste,  disceso  dal  cielo  vien  detto  il  Kilo ,  gr. 
óuTTBTìj; ,  come  pure  il  Xanto  presso  Omero;  perchè  1' 
acqua  essendo  all'  antichità  metamorfosi  del  primo  elemen- 
to, fu  sacra,  come  i  liumi.  v.  K  arine  Pantheon  der  aite- 
sten  Xaturphilos.  p.  517.  Baur  Sjmbolik  der  Mjlhologie 
ecc.  Voi.  1.  p.  171. 
4.  Precipizio,  cateratta. 

8.  Ha  f  esequie  ecc.  Ovid.  Met.  XV,  395.  v.  Kanne 
turphil.  p.  W).  459.  515. 

8.  Santa  credenza.  Parla  di  quella  parte  degli  abi- 
tanti d'  Etiopia ,  che  convertiti  da  Frumenzio  vescovo  nel 
secolo  quarto  hanno  conservata  la  fede  cristiana. 

5,  3.  Il  rinato  ecc.  la  fenice,   della  quale  v.   Plin.  WS,  X. 
2.  Segue  Tasso  il  Petrarca  son.  in  vit.  di  Laur.  152. 

8,  3,   Te\  tieni. 

T.  Scudo.  Ad  imitazione  di  quel  d'  Achille  Iliad.  XVIII, 
e  d'  Enea  Eueid.  VII. 

1,3.  Ri  man',  rimani.     Licenza  malconcia!   Confronta  XII, 
12.8.66,1. 

4.  Arringo ,  steccato,  torneo,  carriera,  spazio,  dove  si 
corre  giostrando.  Parola  affine  a  ringhiera,  ed  origi- 
nariamente tedesca.  Ring,  cerchio,  Hong,  rango, 
Schr  anke ,  scranna  (presso  Dante).  Perche  si  lo  spazio 
di  giostra,  che  quello  di  giudizio,  dove  gli  oratori  com- 
batterono dicendo  ovvero  areugarouo,  aringarouo,  reu- 
garon ,  furono  un  cerchio. 
1.  Magistero,  maestria,  arte. 

1.  Cajo,  decurione  della  città  d'  Este  sotto  1'  imperio  d' 
Arcadio  e  d'  Onorio  1'  anno  4011  dell'  era  volgare,  eletto 
principe  da'  vicini  popoli ,  i  quali  pressoché  abbandonati 
dall'  imperatore,  si  lusingarono  di  potere  con  quesi'  elezi- 
one sottrarsi  a'  saccheggi  ed  alle  stragi  de'  Goti  e  de' 
Vandali  chiamati  in  Italia  da  Stilicone,  a  line  d'  indebolire 
Onorio,  che  regnava  nell'  Occidente. 

6.  Il  fero  Goto,  Alarico,  re  de'  Goti,  che  distrusse  Ro- 
ma nel  409. 

8.  Unno  regnat  or ,  Attila,  re  degli  Unni. 
i.  Città,  Ferrara. 

4.  //  t  ì  r  anno  erulo,  Odoacro  vinto  da  Teodorico  ,  re 
de'    Goti .   e   aramazzato  1'  anno  193. 

Tot  il  a,  re  de'  Goti  ^  superato  da  IVarscte  in  una  bat- 
.glia  appresso  la  città  (li  Hcrsello ,  1'  anno  5.'i2. 

7.  Aldoardo  d'  Este,  tiglio  di  Valeriano  e  di  Constanzia, 
difendeva  con  gran  \al()re  la  città  di  Monsci-Isc,  1' anno  1,00, 
contro  ,\gilolfo,  re  dt'  Lombardi  e  1'  obbligò  dì  le\ar  1' 
assedio.  Paul.  Diac.  1\:  'l'i.  Ernesto,  uno  de'  succe>ieori 
d'  AMoardo,  liglio  d'  Eriberlo  ,  \  inse  gli  Schiavi,  che 
nel  711  avevano  fatto  una  ìun  astone  nel  paese  di  Friuli. 

5.  A  V  ta    y  arlelice. 

4.  Prischi  ,  avolj,  anziani. 

8.  La  corona  di  lauro  era  trionfale,  quella  di  quercia 
civica  destinala  a  rjii  in  un  fatto  d'  arine  avcsho  salvalo 
lavila  ad  un  rilludinii;  i|iielladi  gramigna  obnldioiiale, 

Sremio  di  chi  avesse  liberato  uu  esercito  rumano  assediato 
al  nemico. 


54, 


Canto     XATU. 

fi.  Ora,  aura.  XVI,  12.  8. 

1.  Sileno,  piccole  immagini  di  legno  in  forma  di  Sileno, 
che  rinchiudevano  in  sé  immagini  delle  Grazie  ,  o  d'  altri 
oggetti  piacevoli.  Onde  Platone  riscontra  eoa  loro  Socrate 
e  i  discorsi  suoi. 

6.  Ostri,  la  porpora. 

4.  Innato,  naturale,  non  magico. 

7.  Aquila,   insegna  della  casa  estense. 

3.  Sabellico  racconta,  che  realmente  una  colomba  fu  man- 
data dal  re  di  Damasco  a'  Tirj ,  esortandoli  a  sostener 
r  assedio  de'  cristiani,  e  promettendo  loro,  che  sarebbero 
in  breve  soccorsi.  1  cristiani  presero  la  colomba,  e  tolta 
via  la  lettera  del  re,  un'  altra  ve  n'  appesero,  nella  quale 
i  Tirj  erano  esortati  ad  arrendersi.  In  vece  di  quella  frode. 
Tasso,  non  volendo  farne  uso,  aggiunse  questa  avventura. 

5.  Xo  n  ,  in  vece  della  \  olgar  ne;  e  la  lezione  da  ristabilirsi 
dalla  Gerus.  conqu.  XVI.  57.  .'\lmeno  ne  sarebbe  necessa- 
rio in  signilìcato  di  nò  anco,  neppure.  Ciaonio  osservaz. 
p.  264.  L''  ali  tese  mostrano  che  il  poeta  volle  de- 
scriver un  volo  cheto  e  placido  ,  un  librarsi ,  qua^i  senza 
movimento  alcuno. 

4.  V  inver  so  F  austro  i  sassi,  le  mura  verso 
austro ,  o  mezzogiorno. 


C   A   W    T    O      XIX. 

3,  4.    Pa  rmi,  mi  pari.    Licenza  illecita  ? 

17,6.//   gran    gigante,  Anteo, 

18,  4.  Migliore  ,  destro. 

40,  3.  Confronta  Virg.  En.  Il ,  324. 

64,  8.  La  lezione  congiunta  senz'  altro  è  meno  corretta 
dell'  altra  con  giunta,  eh'  è  in  quattro  edizioni  del 
1581,  e  quella  di  violini;  laddove  la  prima  può  di^cnde^^i 
colla  Gerus.  couqu.  Wll,  59,  e  colla  negligenza  del  poeta 
rimproveratagli.    Abbiamo  scelto  la  più  corretta. 

71,  8.  Altre  edizione  leggono  molto. 

106,3.  T  or  rei,  sosterrei,  soffrirei,  vorrei.  Petr.  S. 
CCLV.  4.  1. 

107,  2.  Gire,  gir i. 

liti,  3.  Stesse.     Forse  leggersi  dovrebbe     tese. 

126,  a.  L'  arme  di  Giuda,  cioè  de'  traditori. 

Canto    XX. 

9,3.  i'  uno  — Roberto,  il  conte  di  Fiandra,  e  il  priu 
cipe  di  ìNormandia. 

33,  7.  Per,  feri.-ce,  fere.  Dante  luf.  IX,  65,  come  ehicr 
presso  Petrarca  canz.  6. 

34,  1  Man  dr  ili  »,  colpo  dato  da  man  dritta  verso  la  man- 
ca ;  opposto  a   manrovescio. 

39,  a.  s.  Là  ecc.  nel  dialramina. 

48,2.  Ida  ni;  Xanto,  nella  guerra  trojana, 

56,  7.  P  u  g  u  a  ij  u  e  s  t  a  n  0  n  è  ,  ni  a  s  t  r  ag  e  so  l  a.  Sìniil- 
inentc  Schiller  :  nicht  eiue  Schlacht,  e  in 
Schlachten    irar's    zu    ntunen. 

69,  3.  Era    in  y>  i  e  f  a  ,   da%a  addietro,  cedeva. 

96,  4.  Degno,  ^arle  edizioni  liorentiuc  bau  segno,  eh'  è 
più  elegante,    ma  ineii  naturale. 

103,  8.  Seguo  II,  lezione  più  corretta,  che  «c^ue. 

105,  1.  Ad  imitazione  di  A  irgil.  En.  XII,  90r<. 

115,  1.  Se  era  e,  riconobbe. 

119.  6.  Hronte,  ciclope,  fabbricator  de'  fulmini  di  Giove. 

121,  6.  S'  al  lui  li,  h'  ammorzi,  si  quieti. 

ym,  1.  l'è  sle  ,  amore. 

112  H.  Guerreggio  in  Asia,  ecc.  Cos'i  Alessandro  a 
Parmenionc  :  m  i  n  o  n  m  i  r  e  a  l  o  r  e  m  e  «  »  »  ,  >■  <  d  r  e  ■ 
geni.  Curzio,  ì\  ;  e  Pirro  proso  Ennio:  ri  imi  in  «po- 
li u  h  f  (  *  b  I  1 1  II  m  .  hi  d  b  I  1 1  ig)  rantrs.  Cuujio- 
II  a  M  r  ha  tradotto  il  poef.-i  colla  Iraii  i  ambio  e 
merco  di  Dante  Pai.  XAl,  tiO. 


1 

I 

I 


JUNi,  1826. 


TIBIBlìiii©©«IBISIBII(eia^IB 


V  o  n 


ERNST  FLEISCHER  IN  LEIPZIG* 

(Peters-S trasse,   No.    80.) 


[.  Farnasso  Italiano,     o^-vero:  i  quattro  Poeti  celeberrimi  Ita- 

liani:  „  La  divina  Commedia  di  Dante  Alighieri.*'  „  Le  Rime  di  frances- 
co  Petrar  u.  ,, L'Orlando  furioso  di  Lodovico  Ariosto."  ,,La  Ge- 
rusalemme "rata  di  Torquato  Tasso."  Edizione  giusta  gli  ottimi  Testi 
antichi,  cui.  'te  istoriche  e  critiche.  Compiuta  in  un  Volume.  Ornata  di 
quattro  Ritr:  ::i  secondo  llafTaello  Morghen.  8vo.  gr.  Broschirt.  SuhscriiJtions- 
preis  :  2  Rthlr.  20  Gr.  Conv. 

tór  Durch  das  Eintreten  ausserordentlicher  Hindemisse,  die  sich  bei  einem  solchen  Unternehmen 
im  Voraus  nicht  berechnen  lassen  und  deren  Erorterung  hier  zu  weitlàufig  sein  wùrde,  konnten 
die  fruher  angesetzten  Termine  nicht  erfiillt  werden ,  und  die  Ausgabe  dieser  ersten  Abtheilung 
hat  sich  daher  um  einige  Moriate  vcrspatet.  In  solchen  Fàllen  nicht  AVort  halten  zu  kònnen,  ist 
«icher  fiir  den  Verleger  empfindlicher ,  als  den  Subscribenten  der  geringe  Zeitvcrlust  sein  kann, 
■welchen  sie,  ohne  sonstige  Aufopferungen,  zum  Besten  derSacheund  ihres  eigenenlnteresses  erleiden. 
Dass  die  innere  und  iiussere  Besorgung  dieses  Werkes  ein  sprechender  Beweis  der  nicht  geringen 
Schwierigkeiten  ist,  wclche  bei  dessen  Ausfùhrung  zu  beseitigen  waren  ,  wird  jeder  Sachverstan- 
dige  mit  Beifall  zu  wiirdigen  wissen  und  durch  die  Gediegenheit  des  Geleisteleu  sich  reich- 
lich  entschadigt  finden.  —  L'm  die  Uebersicht  zu  erleichtern ,  mògen  foigende  Puncte  den  Inter- 
essenten  zur  Beachtung  dienen: 

1,  Der  Subscriptions-Preis  von  2  Rthlr.  20  Gr.  Conv.  oder  5  FI.  6  Kr.  Rhein.  ist  bei  Em- 
pfang  dieser  ersten  Abtheilung  zu  entrichten. 

2,  Die  zweite  und  letzte  Abtheilung,  welche  den  D  an  t  e,  Petrarca  und  Tasso  nebst  ihren 
aubehòrigen  Noten  onthiilt,  also  den  Schluss  des  Ganzen  ^ildct,  erscheint  ira  Laufe  dieses 
Jahres,  und  wird,  als  Rest  verblieben,  gratis  nachgeliefert,  "Die  Starke  derselben  dùrfte  gegcu- 
■w-artige  Lieferung  um  ein  Viertel  ùbersteigen,  und  somit  wi  das  Gesajmnte  einen  zweckmàs- 
•igen    Octav-Band  bilden. 

3,  Die  EJntheilung  des  Drucks  ist  nach  folgenden  Grunt  n  geschchen  ,  welche  sich  die  Bs- 
■itzer  schon  im  Voraus  zur  Richtschnur  fiir  die  nachherige  .  Inung  beim  Eiubiuden  benierken 
wollen  : 

a)  Die  Zusammenstellung  der  vier  Dichter  geschieht  in  derselben  Tolge,  wic  sic  ouf  dera  llaopt- 
titel  genannt  sind  ;  daher  ein  Jeder  derselben  mit  eincr  neuen  Scitenzahl  von  1  an  beginnt, 
und  dassclbe  bei  den  Lebensbcschreibungen ,  die  ihre  .Stelle  uumittelbar  ver  Dante,  Pe- 
trarca  u.   s.   w.  einnchmen,  mit  romistljen  Ziffern  beibehalten   wurJe. 

i)  Die  sammtlichen  Noten  haben  cbcnfalls  einc  besondere  Signatur  crhaltcn ,  und  werden  am 
Schiusa  des  Ganzen  unter  einem  gemeinschaftlichen  Titel  vereiiiigt. 

e)  Eni  Inhnlts-Verzeichniss  wird  ùbrigcns,  bei  der  zweilcn  Lieferung  folgend,  dicsclbe  Einthei- 
lung  vorschreiben. 

4,  Der  Subscriptions-Preis  findet  bis  zum  Erscheincn  der  zwciten  Ab- 
theilung statt,  wird  dnnn  nber  u  n  a  b  .n  n  d  e  r  1  ic  h  in  cinen  noch  immcr  sehr  billigcn  Ln- 
denpreis  von  4  Ktlilr.  16  Gr.  oder  8  11.  2i  Kr.  Uhcin.  verwondclt,  nho  bcinahc  alif  do> 
Doppelte  erhòht. 

5,  Mit  deni  Schluss  soli  ein  Ve  r /.  e  i  e  h  n  i  s  s  der  s  h  ni  m  1 1  j  e  h  e  n  S  u  b  s  e  r  ib  e  n  t  e  n  folgen; 
•(  wird  daher  eiiie  geiiauc  und  deutliclio  An(,'abe  dercr  Nanirii  ,  Chnractere  und  VV  ohnòrtcr  spo- 
testcns  bis  zum  August  erbelen  ,  welche  durth  jede  Buchliandlung ,  wo  man  uuterzcithiiet* ,  «bri- 
Bestimmutig  crreicht. 

Ein  ndchfolgcndcrBand,   welcher  «eh  dieteui  Tbeile  ubereinslimmand  *n«chli«?s»«n  soli  und  p.- 


genwartigvorbereitet  wird,  erschejnt  unter  eleni  Titel:  "IL  PARXASSO    ITALIANO    CON- 
TINUATO  OVVERO   LA  PARTE   SECONDA"   uud   nimmt  Folgendes   auf:   vo:ii 
Da^t  e.     La  Vita  nuova.  =3  Le  Rime.  =  Il  Convito  amoroso.  =  Della  volgar  Eloquenza.  =  Ecc. 
Ariosto.     I  cinque  Canti.  =  Le  Satire.  =  Le  Rime.  £=  Ecc. 
Tasso.     Le  Rime.  =  Aminta,  zzr  Le  sette  Giornate  del  Mondo  =r  Ecc. 
BoJAtiDO:     L'  Orlando  innamorato.     (Da  Nic.  degli  Agostini.)   = 
Boccaccio.    Il  Decamerone.  =  11  Fllostrato.  =:  La  Fiammetta.  =1  il  Laberinto  d'  Amore. 

=  Ecc. 
Gv ARI X I-    Pastor  fido.  =  Le  Rime.  =:  Ecc. 
M.  A.  Bv  oy  ARROTI.     Le  Rime.  = 

Da'?  Nàiheie  liierùber  wird  bei  der  zweiten  Liefemng  dieses  ersten  Bandes  bekannt  gemacht 
werden.  — 

u. 

J^  "WaLKEHI.      a  CrITICAL  PrONOUNCIZVG  DlCTIOXARY,    AND  ExPOSITOU  OF    THE 

Englisli  Langiiage:  in  wliicli,  not  only  the  JMeaiiing  of  every  Word  is  clearly 
explained,  and  ihe  Sound  of  every  Syllable  dislinctly  shown,  but,  where 
Words  are  subiect  lo  different  Pronimciations ,  the  Authorities  of  oiu'  best  Pro- 
nouncing  Diclionaries  are  fully  exhibited,  the  Reasons  for  each  are  at  large 
displayed,  and  the  preferable  Pronunciation  is  pointed  out.  To  which  are 
prefixed,  Principles  of  the  Enghsh  Pronunciation,  vScc.  By  John  Walker. 
Critically  reprinted  from  the  London  Stereotype  EdiLion.  ìloy.  8vo.  Cartonnirt. 
Subscriptions-Preis  :  2  RtMr.  8  Gr. 

tìf  Neben  den  vornehnisten  Mitbewerbern  der  brittischen  Lexicographie  hat  sich  dieses  "VVorter- 
buch  seit  einer  Reihe  von  Jahreji  in  so  hohem  Ansehen  behauptct  und  durch  das  schnelle  Fol- 
gen  einiger  zvvanzig  verbesserter  Auflagen  eineu  so  hohen  Rang  erworbeii,  dass  ihm  gegenwàirtig, 
iiach  dem  einstimmigen  Ausspruch  der  englischen  Kritik,  der  erste  Platz  gebùhrt,  dessen  Princi- 
pien  als  die  entscheidenden  gelten,  und  die  jetzt  verkaufliche  Ausgabe  mit  stehenden  Schriften 
gedruckt  werden  konnte.  Diese  Thatsachen  sind  auch  dem  Continent  so  liinlànglich  bekannt,  um 
die  Veranstaltungmeines  mit  kritischer  Genauigkeit  besorgten  Abdruckes  zu  rechtfertigen,  welclier 
sowohl  in  dieser  Hinsicht  den  scharfsten  Bedingungen  der  Korrectlieit  entspricht,  als  in  typogra- 
phischer  das  Originai  segar  bei  weitem  ùbertrifft,  dennoch  aber  von  Seiten  des  Preises  vveit  bil- 
liger  gestellt  ist.  Auf  diese  Weise  gewinnt  es  dadurch  auch  bei  uns  sehr  an  Gemeinniitzigkeit, 
uud  wird  alien  Freunden  der  englischen  Sprache  ausserst  zugòuglich.  —  Im  Voraus  nicht  zu  berech- 
iiende  Hindernisse  haben  die  Erfùllung  des  friiher  bestiramten  Publications  -  Termins  uuausfiihr- 
bar  gemacht,  welches  bei  jedem  Billigdenkenden  schon  durch  die  Schwierigkeit  der  Sache  von 
selbst  entschuldigt  wird.  Um  jedoch  die  Interessenten  vorlaufig  zu  befriedigen,  ist  so  eben  cine 
erste  Abtheilung  erschieneu  und  an  alle  Cuchhandlungen  versendet,  wo  man  sie  gegen  Er- 
legung  des  S  u  b  s  e  r  i  p  t  io  n  s -B  e  tra  gs  von  2  Rthlr.  8  Gr.  Conv.  sogleich  in  Empfang  nehraen 
kann.  Die  zweite  Lieferung,  welche  eine  sehr  ausfiihrliche  Einleitung  iiber  die 
Grundsàtze  der  englischen  Aussprache,  deu  Geistder  Grammatik,  so  wie 
eine  Anleitujig  ùber  den  Gebrauch  des  Buches  in  sich  fasst,  und  zugleich  den  Schluss  des  Gan- 
zen  bildet ,  wird  bestimmt  bis  Michaelis  a.  e,  an  die  Unterzeichner  gratis  nachgeliefert.  — 
Wegen  der  nothwendigen  Erhòhung  des  Preises ,  welcher  friiher  zu  2  Rthlr.  angegeben  wurde, 
und  erst  bei  der  sich  im  Verlauf  des  Druckes  ergebenden  Vermehrung  der  Bogenzahl  diese  ge- 
ringe  Abweichung  unumganglich  machtp,  glaube  ich  um  so  weniger  Rechenschaft  schuldig  zu  sein, 
da  dieses  die  erste  Einladung  ist,  welche  zur  Unterzeichnung  ergeht.  —  In  alien  Buchhandlungen 
Deutschlands  und  der  angriinzeuden  Lànder  werden  Subscriptionen  angenommen.  — 

Ul. 

T.   lHooRE-    The  Works  op   Thomas  Moore,   Esq.  Accurately  printed 

from  the  last  originai  Editions.  Witli  addi lional Notes.  Complete  in  One  Vol- 
ume.    Roy.    8vo.  Coi'tonniit.    Subscriptions-Preis:  2  Rtlilr.  8  Gr.  Conv. 

IV. 

èSfltfe^P^flte.    The  Dramatic  Works  of  Shakspeare,  printed  from  the 

Text  of  Samuel  Johnson,  George  Steevcns  and  Isaac  Reed,  Complete  in  One 
Volume.     Roy.  8vo.  Subscriptions-Preis:  2  Rthlr.  16.  Conv. 

V. 

^f^^Vi9\^ttitt,    A\  Appendix  to  Shakspe  arf/s  Dramatic  Works,  &c.  ScC.  Con- 

tcnt.s:  TJie  Life  of  ihe  Author  by  Aug.  SkoltoNve;  llis  Mi.scellancous  Poems; 
A  criticai  Glossary  compiled  after  Narcs,  Drake,  AyscougJi,  Hazlitt,  Doucc  and 


olliers.  WithShakspeare's  Portrait  takenfromtheChandosPicture,  and  engraved 
by  C.  A.  Scliwerdgcbiirtli.  Roy.  8vo.  SubscriiJtions-Preis:  1  Rthlr.  8  Gr.  Couv. 

tS"  Dieses  Supplement  entspricht  ira  Format  und  Drack  genau  obiger  Ausgabe  der  Dramatischen 
"VVerke  Shakspeare's,  and  ergànzt  alles  ùbrige,  nachst  den  Biihnenschriften,  von  ihm  Vorhandeiie. 
Auch  wild  den  Besitzern  anderer  Ausgaben,  worin  dessen  vermischte  Gediclite  gemeiniglich  feh- 
len  ,  dieser  Appendix  zur  Vervollstàindigung  willkommen  sein,  und  insbesondere  durch  die  Zu- 
gabe  eines  sehr  ausfùhrlichen  kritischen  Glossars,  das  Resultai  vieijahriger  Forschung  und  der  Be- 
nutzun"  mannigfaltiger,  seltener  Quellen,  der  Sclilùssel  zìi  den  sonst  haufig,  besonders  Auslandern 
«nzugànglichen  Stellen  dargeboten.  Ein  vorzùgliches  Brustbild  Shakspeare's  nach  dem  beriibniten 
Chandos  Picture,  welches  die  meisten Autoritàten  fùr  aich  hat,  ist,  nebst  der  Skottowe'sciien 
Biographie,  ebenfalls  darin  enthalten. 

VI. 
^J&afe0p0at0*    Illustratioivs  OF  Shakspeare;    comprised  in  two  hu>dred 

and  ihirtv  Vigne!  te-Engravings,  by  Thompson,  IromDesignsby  TJiurst  on. 
Adapted  to  ali  Editious.     Roy.  8vo.  Brosdiii't.  Preis  :  2  Rliilr. 

VU. 
^ìiUU^ptUTC»    The  TRAGicALL  HiSTORiE  OF  Hamlet  Prince  ofDe>3iarke 

by  William  Shake-sjjeare.  As  it  halli  bocne  diuerse  times  acted  by  bis  Higli- 
nesse  seruanls  in  the  CiLlie  of  London:  as  also  in  the  two  Vnincrsities  of  Cam- 
bridge and  Oxford  ,  and  else-^vhere.  At  London  printed  Ibr  N.  L.  and  John 
Trmidcll.  1603.  ThisfirstEditionverbally  reprint  ed.  6vo.  Broschirt.  Preis:  12  Gr. 

VIIL 

ÌSi*  ÌS*  ^ìitViìSti'tt*    The  Works  of  thh  late  right  hoxourable  Richard 

Brinsley  Sheridan.  Collected  by  Thomas  JMoore,  Author  of  "Lalla 
Rookh"  "TheLoves  ofthcAngels",  &.c.  Complete  in  One  Volume.  Post  8vo. 
Cartoniiirt.   Subscriptions-Preis:  1  Rlhlr.  8  Gr.  Couv. 

IX. 

2110*  ^CQtU  Peveril  OF  the  Peak.  Bv  the  Author  of  "Waverlky,  Ke- 
nilworth",  Stc.     In  foiu- Voliuucs.     8vo.    Cartounirt^  Preis:       3  Rthlr.  16 Gr. 

X. 

C0  0ft*$  ( Captain  James )  first  Voyage  round  the  World.  With  a\  Ac- 
count of  bis  Life  previo  US  thaL  Period.  By  A.  Kippis.  Adapted  lo  the  Use  of 
Schools  and  Sclfsludy  by  an  English-Gcrman  Phraseology.  Auch  untcr  dcm 
Tilel:  Engliscbes  Lcscbiich,  Janics  Cook's  crste  Rcisc  uiu  die  WcU  cnlhallonil. 
Mit  eincr  cnglisch-dculschen  Phrascologic  zur  Erlcichlcrung  dcs  Leberselzcns 
bei  dcm  Schui-und  Privai gebi'aiich  verschcn  von  C.  Lùdgcr.  8vo.  Cai-lonniil. 
Preis  :  12  Gr. 

XL 

5.  C5f.  dF Ili 0^1.  Vollstaendige  e.nglische  Sprachleiire  fì'r  den  ersten 
UnlcrriiliL  sowohl,  als  fiir  das  ticfere  Sliidium,  nach  don  ì)cslcn  (iranimatikcrn 
und  Orlhocpislcn:  Jìe<(lli,e,  I/urris,  Jo/insun,  Luwlh-,  Murray,  Jsurcfiy  U  alkur 
\\.  A.  bearbcilcl,  und  mit  vielcn  Bcispiclen  aus  dcu  beriilnntcslcn  onglisclicu 
Prosaikcrn  und  Diclilern  der  allcrn  und  neueru  Zeil  crlautcrt  von  I.  G.  IHigcI. 
8vo.  Broschirt.   Preis:  1  Rlhlr.   10  Gr. 

AvsFviiiujcirB    AszF.iuy.s    iJBF.n  folgf.xdf.   LyTEnyKnmvxnKX  (perkx  ,  rt'.w    Tu  Kit,  fuCiikhh 

PvnUCATlOX  DVKCn    IIIK    ,\Kl/fcò7/;A     '/jF.ITF.ItF.lt: MSSF.    DF.S    Ixy-VXD  AvSh.iXDhS   UKUH3131T 
HVBDK)    IIKaVhX    l.U    f  EHL.Il  F  DKH    SoìniFHS    KBSCUEIXEX  : 

XII. 
Ca  ItretOtr»    Las  Comedias  de  D.  Pi.duo  Calderon  de  la  Barca,  cotejadas 

con  las  iiicjorcs  Echcioucs  hasla  ahofa  pubh'cadas,  corrcgidas,  v  dailas  a  Lu/.  por 
Juan  Jorge  Keil.  En  4  Toinos.  Adoniados  de  unRctralo  del  Poeta.  8vo.  mavor. 

XIII. 
itt.  ÌHttjlKf),     G\LLr.uir.  zi)  SnAKsi'KAuirs  duamatischen Werkkn.     In  Um- 

ris.scn.     Eriunden  und  geslocJicn  vou  JNloritz  Relzscli.    Mit  dcu  dculsclicu, 


r 


englisclien  und  franzósischen Text-Stellen  der  Scenen  versehen.  Erste  Lieferung 
in  16  Tafeln:  Hamlet-  4. 

XIV. 

5»t)a1fe$P^at0atiau    A  Supplement  adapted   to  every  Edttiotn-  of  Shak- 

spearc's  Dramatic  Works;  containiiig  a  Series  of  those  commonly  called  "Old 
Plays"  wliich  are  to  be  atlrihuted  to  ibis  eminent  Genius  according  to  tbeOpin- 
ions  of  ibe  bigber  Critics.  For  tbe  first  Time  completely  arranged,  critically 
explained,  and  enriched  witb  several  Plays  never  before  prinled,  by  Lewis 
Tieck,  Èsq.  Roy.  8vo. 

XV. 
II.  ^(f  Cfe»    A  Poet's  Life.     A  Novel.  By  Lewis  Tieck  ,  Esq.  Translated 
froai  tbe  Gernian.     8vo.  Cartonnirt. 

XVI. 
IHiltont     (I04NNIS,   AwGLi)  DE  DocTRixA  Christiana  Libri  DUO  posTHUMi, 
mine  primum  T\pis  mandati,  edente  C.  R.  Sumner.  8.  maj. 

XVII. 
ÌHÌlton*0     (JoH>)  PoETicAL  Works.     To  which  is  prefixed  the  Life  of 
tbe  Aiitbor.  Witb  additional  Notes.  Complete  in  One  Volume.  8vo.  Cartonnirt. 

XVIII. 
^tVOSLTltt^    ( Saavedra,  Miguel  de),  Obras.  En  1  Tomo.  8vo.  mayor. 

XIX. 
|lop0    DE  Vega  Carpio,   Obras  sueltas.     En  1  Tomo.  8vo.  biayor. 

XX. 
(&tnt^t  jplti^tìitv^  àFovtign  mittf^lv  <&a^ette.     A  British 

Recorder  of  foreign  Transactions ,  recent  Occurrences,  and  new  Inventions, 
respecting  History,  Geograpby,  tbe  fine  Arts,  and  Sciences  in  general.  Small 
Folio.  

XXI. 

V^tV^titt^Xlii^  EiisER  Sammlijng  auslaendischer  Buecher,    Kunstsachen 

und  Landkarten  irai  Assortiment  von  Ernst  Fleisdier  in.  Leipzig.  Gr.  8- 
Gebeftet. 

{^  VVird  in  alleo  B  uehhandlaugen    gratis    ausgegeb-e». 


Leipzig,   (Peters- Strasse,  No.  80.)    J  imi,  1826. 

Era  ST   Fl eischeb. 


IITI.I, 


1827. 


TISmiLA^BS^'IBlSmil^^III^I^ 


T  0  n 


ERNST  FLEISCHER  IN  LEIPZIG. 

(Nener-N  en-Markt,   No.  626.) 


I. 

RETZSCH.  Gallerie  zu  Shakspeares  Dramatischen  Werkex.  In 
Umrìssen.  Erfumlen  und  gestochen  voti  Moritz  Rctzsch.  Mit  plastischeii 
Andeutungen ,  nebst  deii  deutschen,  englischen  iind  franzosischen  Text-Stel- 
len  der  Scenen  verselien.  Erste  Lieferung.  Hamlet  in  16  Tafeln.  Aucli  un- 
ter  dem  Titel:  Outlines  io  Sh  ali  ape  are.  Ist  Series.  Imperiai  4to. 
Extra  cartonnirt,  mit  eiiier  gestochenen  Uraschlag- Vignette. 
Ladeniìreìs:  6  Rthir. 

<r    Dass,  durch  die  innere  Harmonie  ihrer  geistigen  Naturen ,  Poesie  nnd  die  bildenden  Kunste  sich  eng 

und  schwesterlich ,  im  vereinten  Einporfliige  zu  jener  Zauberwelt  idealer  ErschalViin-j; ,  Brust  an  Brust 

umschlurigen   halten ,  sich   gegenseitig  crlieben  und  verscliòuen,  und  Eines  das  Aiidere  zu  gleichen  Mit- 

gefiilden  stimmi, —  hiervon  ist  wolil  nirgcnds  ein  liòherer  Beweis  gegehen,  alsdurcli  Suvksimìarh   b 

gòttliche  Muse,  deren  kunstgeweihete  Eeier  sich  in  unzàhligen  NBcbdiclitunfien  der  Plastik  verkùiidigt 

hndet.     Ein  jeder  Kùnstler,  und  nur  von  den  Leistungon  àcliter  Kiiustler  dart"  die  Rode  sein,  streht  mit 

Genuìthc  und  olTenera  Geiste,  jeder  auf  eigene  VVeise,  in  das  ihm  erschlossene  Heiligtlium  eiiies  soUheii 

Genius;   die  Schauer  der  Begeisterung  werden  dami  ihn  selbst  zum  Dicliter  ^^alHlela,  um  die  \\  ioder- 

geburt  aufgcnonnuener  Empfiingnisse  treu  uud  lebendig  aus  seinem  Innern  in  <lie  bildende  Darstellung 

hervortreten  zu  lassen.     Unter  diese  kìinstler  geliòrt  unser  deutscber  Meister  M.  Uktz  scii.     Gemuth, 

tiefcs  Gefiilil  und  geistrcicher  Scliwung  der  Ideen,  im  (Jewande  der  Walirlieit  \md  der  (,'razie,  siiidsei- 

nen    Compositionen  als  herrschendes  Princip  eigenthiimlicl»,  frei  von  den  Cù-breilion  der  moderne»  Ma- 

nier,  und  oline  den  erborgten,  nacbabmendcn  Schmuck  eines  frenidcn  Eigentluimes.     Die  meisterliatten 

Darstellungeii  zu  G  o  n  t  m  n  '  s    V  ausi  und  S  <•  ji  i  \.  i.  k  k  '  s  Hai!  a  d  e  n  (  V  r  i  <1  o  1  i  n  und    dem   K  a  m  - 

pfe  mit  dem  Draciien)  trugen  seineii  Knf  bis  in  <ias  ferustc  Ausland.  vnid  erN%arben  ilim,  au^Uau^^ 

serhalb  <l<-r  (iriinzen  des  deutschen  V  alcrlandes,  besoiiders  unter  den  kunstsinnigeu  IJrilten.  die  ehren- 

VoUstc  Auszeiclmung.     Englands  Vorliebe  lur  seine  Arbeiten  zeigte  sich  in  so  hohem  (ùade,  dass  Nach- 

Btiche  jener  Umrisse  von  H  i<  n  R  v  M  o  s  k  s  in  London  veranstaltet  %>urden,  um  die  Zugiinglichkeit  der- 

selben  noch  mehr  zu  erleichtern,  uiul  sie  dachirch  auf  dortigem  Bo<len  zu  naturalisin-n.     An  K  i%  t  z  s  e  n, 

aU   Skizzist,    besitzen    ^^ir   deiisell)en    Mcister,  den  Engbiud  in  seinem  einzigen  1'' i.  a  x  M  \  >  ehrt.  und 

beide  steiien,    gleich  uniilM-rtroir.-n,  auf  der  liiiciisten  Stufe  <lieses  Kunstfaches  sicl\  in  ilirer  Kigenlh\im- 

lichkeit  einanth-r  gegenul)er.  —  Die  Durstelhuig  in  Imrissen  kouute  wolil  mitUeclit  die  unges<hmuikte- 

8te  aiierKunstgalMMi  g<'nannt  wenb-n,   luid    um  so  mehr,  je   weniger  diirdi  die  ZutliaC  euigeU-gter   \us- 

fuhrung  die  mah-rische   Wirkung   eines  sohlirn   Uihl.-s  perspeeti^  isrli  untcrsliit/.!  \>inl.     .ledes  Tausc  h.-n 

und    VerhidU'n,   worin  die  INIiingel  und  IMissgrilVe  .-iiicr  nusgefiihrt.-n    Kiin>tarb,"it    sirh    b-icht   maskircn 

lassen,  ist  hier  dem  Kiuistb'r  virsagt.  da   Uier  <lie  Kunsl  ge>vnn(lh>s  uu<l  olim-  h<-lMMuicn  Schmuc  k  ,  <>  ine 

Liclit-   und  Schatteimiassen,  sich  in  ihrer   unb.-dingtcn    Na.  klh.-it  di  in  l  rlh.ih'  des  Beschauenden  <lar- 

bietct.     Diese  grossen    Schwierigkeiten,   welche   nur  ein  eminentcs  'l'aleni  zu  lòsen  \ermag,    sind   «ler 

Hauptgrund ,    ihiss  die   Kunst  »o  wenig   Ausgezeichncles    in  dicsen»  Kaclie  aufzuweisen    liat ,   und  <>« 


scheint  der  neueren  Epoche  vorbehalten ,  cine  Schule  dafùr  zu  bllden.  Von  hohera  Interesse  mnss  ch 
daher  seln,  dass  Hr.  Prof.  Rktzsch  sich  fùr  ein  Unternehineu  bestiinmen  liess ,  welches  ihm  seln 
innerer  Beruf  sclion  langst  angewiesen  batte,  und  wozu  es  von  Aussen  nur  einer  leisen  Anregung  be- 
durlte,  um  den  SchalTungsgeist  schon  vertrauter  Phantasien  in  ihm  zu  erwecken.  S  h  a  k  s  i>  k  a  r  i;  '  s 
holie  Werke  haben  diesea  Kiinstler  von  so  lebhafter  Uegeisterung  durchdrungen ,  dass  gegen\vartigen 
Blàttern  aus  Hamlet  ahnliche  von  Macbeth,  Lear,  Othello,  Romeo  und  Julie,  so 
wie  zu  alien  iibrigen  Dramen  dieses  Dichters,  in  kurzen  Zwischenraumen  folgen  werden.  Jede  dieser 
Lieferungen  soli  sowohl  einzeln  bestehen,  als  auch  dieselben,  durch  Uebereinstimmung  ihrer  àussern 
Form,  sich  nacii  und  nach  zu  einem  schonen  Ganzen ,  einer  vollstandigen  Gallerie  von  Sji  ak- 
spkariì's  siimmt  lichen  Schau  s  pielen,  in  mindestens  4((0  Platten,  gestalten  werden.  — 
Die  schnellere  Verstàndlichkeit  der  geistvoUen  Darstellungen  dieser  ersten  Serie  ^Yird  durch  die  seh- 
kiinstlerischen  Andeutungen  (  arte  di  vedere  )  des  Hrn.  Hofrathes  B  ò  t  t  i  g  k  r  fur  den  Beschauer  auf 
eine  lehrreiche  Weise  gefòrdert.  Zunàchst  einem  jeden  Blatte  wurden  ùberdiess  die  Textste  llen 
des  englischen  Originales  nach  der  Ausgabe  von  Ciialmkrs,  nebst  denen  der  deutschen  Ueberse- 
tzung  von  S  e  ii  l  i:  g  k  l  und  der  franzosischen  des  G  1 1  z  o  t  ,  so  weit  es  niithig  war,  um  den  Zusammen- 
hang  der  Scenen  A'orzufiihren,  beigedruckt.  Diejenlgen  Worte  desTextes,  woraiif  die  Handlung  eInes  je- 
den Bildes  sich  unmittelbar  bezieht,  sind  zur  Unterscheidung  dui'ch  einen  Wechsel  der  Schriften  angedeu- 
tet  und  werden  leicht  das  Auge  treffen.  —  Das  erste  Blatt,  welches  diese  Lieferung  mit  einer  Dar- 
stellung  von  S  ii  a  k  s  p  li  a  r  i;  '  s  apotheosischer  Glorie  eròlfnet,  ist  als  Frontispice  des  ganzen  Werkes 
zu  betrachten  und  wird  auch  spiiter  dem  Haupttitel  gegeniiber  stehen.  Die  zweite  Tafel  stelli  uns, 
gleichsam  als  Prolog  zum  Hamlet,  einen,  nicht  im  Stiicke  befindlichen,  Act  vor  Augen,  um  durch 
die  Exposition  der  furchtbaren  Ursache  bevorstehender  Ereignisse  die  tolgerechte  Entwickelung  der  kom- 
menden  Scenen  zu  veranschaulichen.  Mit  àhnlichen  Eiideitungsblàttern  -werden  auch  die  kiinftigen  Se- 
rien  jedes  Drama  eròffnen,  und  denselben,  wie  hier,  eine  Uebersicht  der  handelnden  Personen  voran- 
gehen.  In  der  Umsc  hlag  -  Vignette  spricht  sich,  ura  mit  demselben Gleichnisse  fortzufahren,  der 
Epilog  des  Stùckes  aus,  da  es ,  in  Form  eines  Monumentes,  die  Opfer  der  Schicksalssiihne,  vom 
Tode  verelnigt,  zusammenstellt.  —  Die  àussere  Ausstattung  steht  im  wùrdlgsten  Einklange  zu  dem 
iiineren  Werthe  dieses  Kunstwerkes.  — 

n. 
CALDERON.    Las  Co3iedias  de  D.  Fedro  Calderon  de  la  Barca,  cote- 

jadas  con  las  mejores  Ediciones  hasta  ahora  publicadas,  conegidas,  y  dadas  a 
luz  por  Juan  Jorge  Keil.     Eri  Cuatro   Tomos.      Adoriiados  de  un  Retrato 
del  Poeta,    grabado  segun  un  Dibujo  originai  de  Maur.    Retzsch  por  Enr. 
Schmidt.  8vo.  imper.    Extra  cartonnirt. 
Erster  Praiiumeratìons-Preìs:    (à  4  Rtlilr.  pr.  Band.)  16  Rthlr. 

tSr  Kein  Schriftsteller  des  gesammten  Auslandes  dùrfte  noch  mit  grosserem  Rechte  eine  vollstandige 
und  critische  Handausgabe  seiner  Werke  zu  fordern  haben,  als  Spaniens  unsterblicher  Cat.dkron,  des- 
sen  iruchtbarer  Genius  seinem  Vaterlande  ein  dauerndes  Denknial  errichtet,  und  den  unverwelklichsten 
Krauz  des  Nationalruhmes  gewunden  hat.  Das  iibrige  civilisirte  Europa  wetteiferte  in  der  Anerken- 
nung  des  grossen  Dichters,  und  vielfàltige  Uebertragungen  in  die  Literaturen  der  meisten  Sprachen 
l)eurkunden  die  a\isgebreitete  V  erehrung  seiner  Muse.  Darum  so  àusserst  dringend  erscheint  das  Be- 
dùrfniss  eines  critisch  gereinigten  Textes  der  Calderon^schcn  Dramen,  indem  zwei  al- 
tere, in  Spanien  gedruckte,  Ausgaben,  ungerechiiet  des  theuern  Aufwandes,  und  der  sehr  grossen  Schwie- 
rigkeit,  sicli  dieselben  zu  verschalVen,  an  zahllosen  DruckCehiern  ,  Mangeln  und  Entstellungen  leiden, 
deren  Sichtung,  mit  Hinzu/.iehung  eines  sehr  umt'assenden  Ai>parates  der  einzeln  gedruckten  Theater- 
stùcke,  so  wie  der  IJenutzung  vleler,  hochst  seltener  Hiilt'squellen,  —  Zweck  und  Ziel  gegenwàrtiger 
Ausgabe  geworden  sind.  Hr.  Hofrath  Keil  Imt  sich,  wiihrend  seines  vieljaiirigen  Umganges  mit  der 
spanischen  Literatur,  in  besonderer  Vorliebe  dem  Stvidiiuii  des  Cai.dkron  gewidmet,  und  dieser  hochst 
niùhsanien  Arbeit  untcTzogen.  —  Vier  starke  1  m  p  er  i  al-O  ctav- Bàn  d  e,  jeder  von  700  bis 
800  Seiten  ,  werden  dasdìanze  umfassen,  und  nicht  weniger  als  108  Stiicke  einschliessen,  deren  letz- 
ter  spatestens  bis  Juni  1829,  also  inncrhalb  zwei  Jahren,  die  Presse  verlassen  soli.  Fine  Sanmi- 
lung  Noten,  welclie  die  Varianten  und  wichtigsten  Sach-  und  VVorterkliirungen  vereinigend  zu- 
sammenstellen ,  so  wie  eine  critische  l^iteratur  ('4i,di;ro>s  ,  das  Fac-simile  seiner  Han<lschrif  t, 
und  andere  Beilagen  enlhaltcn  wird,  erscheint  nachtriiglich  in  einem  Su  ]ipleme  nt-Hefte,  umspà- 
ter  dem  vierten  IJande  finverleil)t  zu  werden.  —  In  t>pograpliischer  Hinsicht  eriiiilt  diese  Ausgabe 
einen  iin\A  der  Vollkommenlioit,  welcher  sie  mit  den  i'rachlerzeugnissen  von  London  und  Paris  unbe- 
dingt  in  Einen  Rang  stelit,  und,  von  Seiten  der Oeconomie,  nnl)es(ha<let  der  Lesbarkeit  einer  neuen, 
fiir  dies(!s  Werk  besonders  grgossenen ,  Sdirift,  welche  auf  dem  feinsten  Paten  t- V  e  li  n  -  Papier  e 
sich  mit  ausserster  Sriiiirfe  und  Sclionheit  «larstellt,  alles  in  dieser  (ìattung  bis  ìetztGeleisteteùberbie- 
ten  «liirfte.  Fin  aiisfiilirli<iier  Prospettus  n»it  beigefiigter 'l' it e  1-  und  Text-Prohe  wird  in  sàmmt- 
lichen  UiKliliaiulinngcn  gratis  »Ttiieill  und  kann  alien  Sacliverstiindigen  zum  Belege  dieses,  viel- 
leicht  anmaasscnd  ersclieinenden,  ijohspruclies  dienen.  Der  erste  Ba n d  ist  so  eben  erschieneii,  hat 
'il  Schauapiele  uufgcnoinmen,  und,  zuniichst  uLicr  Biugraphie  CAbD^Ru^8,  auch  destien  Bildnist*, 


nach  pìner  Originai-  Zeichnung  von  einem  unserer  vorzùglichsten  Kùnstler  gestochen,  als    Titel- 
k  up  f  er  erhalten. 

Die  B  ed  in  g  unge  n  der,  im  Januar  a.  e.  eròffneten,  Pranumeration  ■vvaren  folgende  : 

I.  Der  Pr«  numerai  io  jis-Prets  fùrjedenBandbetràgt  4  Rthlr.  Conv.  M.  oderlFl.  12Kr.  Rhein. 

II.  Diese  Baar- Pranumeration  von  4  Rthlr.  Conv.  M.,  oder  7  FI.  12  Kr.  Rhein. ,  auf  dea 
ersten  Band,  wird  von  jetzt  an  in  alien  soliden  Buchhandlungen  Deutschlands  und  der  be- 
nachbarten  Staaten  acceptirt,  und  man  bittet  die  Interessenten,  dieselbe  recht  zeitig  zu  leisten,  so 
W'ie  eine  lesbare  Anzeige  der  Namen ,  Charactere  und  Wohnòrter  in  den  respectìven  Buchhand- 
lungen, Behufs  eines  Prànumeranten-Verzeiclmisses ,  zu  hinterlassen. 

ni.  Bei  Empfange  des  ersten  Bandes  ist  die  Pranumeration  auf  den  zweiten  za  entrìchten,  und 
gleichmassig  bei  Ablieferung  des  2.  und  3.  Bandes  mit  der  Vorauszahlung  fortzufahren  ;  wogetren 
nur  allein  die  Verabfolgung  des  vorhergehenden  Bandes  geschehen  kann.  Diese  billige  Garantie 
fùr  die  Fortsetzung  des  Werkes  ist  bei  einem  so  kostspieligen  Untemehmen  durchaus  unerlàsslich. 

IV.  Ein  zw  eit  er,  erhohet  cr  Pr  ànum  erati  ons  -Pre  is  von  5  Rthlr.  Conv.  M.  oder  9  FI. 
Rhein.,  fiir  jedcn  Band,  tritt  nach  Beendigung  des  ersten  Bandes  ein,  vu\d  es  ergebensich  also  fol- 
gende  summarische  Preisverhàltnisse  : 

A.  Brste  Pranumeration  (mit  dem  Vorzuge  erster  Abdrùcke  des  Portraits) , fur  jeden Band 
4  Rthlr. ,  betràgt  ùberhaupt  :  16  Rthlr. 

B.  Z  w  e  i  t  e  Pranumeration,  fur  jeden  Band  5  Rthlr. ,  betràgt  ùberhaupt  :  20  Rthlr. 

C.  Kùnftiger  Ladenpreis  fiir  alle  vier  Bande  :  30  Rthlr. 
Von  dem  wachsenden  Interesse ,  welches  neuerdings  bei  alien  gebildeten  Nationen  fùr  die  spanische 
Sprache,  als  den  Schliissel  zu  einer  der  reichsten  Literaturen,  und  nicht  minder  als  zeitgemàsses 
Bediirfniss  der  wichtigsten  politischen  und  mercantllischen  Beziehungen  des  transatlantischen  Welt- 
theiles,  so  àusserst  sichtbar  ist,  darf  ich  mir  auch  in  Deutschland  eine  lebhafte  Unterstùtzung  dieses, 
grosse  Aufopferungen  erheischenden ,  Unternehmens  versprechen ,  und  hoffe ,  durch  meine  zeitherigen 
Ausgaben  englischer  und  italienischer  Classiker,  bei  dem  Publicum  nur  ein  giinstiges  Vorurtheil  fiir  die 
Leistungen  meines  Verlages  erweckt  zu  haben.  — 

m. 
PARNASSO  italiano,  ov\iero:  i  quattro  Poeti  celeberrimi  Itallìxi.- 
"La  divina  Commedia  di  Dante  Alighieri.''  "Le  Rime  di  Frances- 
co Petrarca.'  "L'Orlando  furioso  di  Zorfoy/co  .^r/osfo."  '-La  Gerusa- 
lemme liberata  dì  Torquato  Tasso."  Edizione  giusta  gli  ottimi  Testi  anti- 
chi, con  Note  istoriche  e  critiche.  Compiuta  in  Un  Volume.  Ornata  di  quattro 
Ritratti  secondo  Raffaello  Morglien.  8vo.  gr.  Extra  cartoiiimt. 
Ladenpreis:  5  Rthlr.  8  Gr. 

tir  Vereinigt  unter  diesem  gemeinschaftlichen  Titel  ist  nunmehr  vollstàndìg  ersrliienen  eine  ncue ,  mit 
critischen  Noten  begleitete,  Aiisgabe  der  hohen  Dichterwerkevon  Italieiis  vier  gròssten  INIeistcrsangern. — 

V.  Dem  sorgfàltigen  Abdrùcke  des  Textes,  >velchem  die  altesten,  zumeist  beglaubigtcn  Originai  -  Ausgaben 
unterliegen,  wurden,  mit  Benutzung  eines  reichen  Apparates  und  vieijàhriger ,  critischer  Studien, 
die  uichtigsten  Wort-  und  Sachorkliirungen  nebst  \  erschiedenheiten  der  Lesart,  von  einem  ge- 
lehrten  Sprachforschor,  Hrn.  Ad.  IVa^ner ,  beigefiigt,  und  denuiiiclist  alle  Bedingungen  der  strengsten 
Correctheit  gewissenliaft  crfiilit.  —  Kin  sehr  schòner  und  deutliclier  Diuck  ge\>iihrt  auf  doni  feinen, 
weissenVelin-Papicrc  dieangenehmste  Wirkung,  so  wie  iiberdiess  die  hòchst  sorgfaltige  Kleganz  der  iius- 
sercn  Aus.stattung  durch  eia  trellTu-hes  Titelkupfer  .Schwcrdgeburths ,  die  BiUlnisse  der  vier  Poeten 
nach  den  Meistcrsticlu-n  des  RalfacUo  IMorghen  in  einer  allegorischen  (J ruppe  darstellend  ,  noch  mehr 
gehoben  >vlrd.  Ungeachtet  des  sehr  bedeutenden  Aulwandes,  ist  der  Preis  dtsinoch  aussersi  >vohl- 
ieil  gi-stellt,  und  ich  holle ,  «lurch  diese  GemeinniUzigkelt,  unler  den  zalilrciclien  Freunden  tler  italio- 
nisciicn  l/iterattir  ein  giinstiges  Interesse  zu  erwecken,  da  selbst  Hesilzer  vomì  Dante,  .iiiosta,  'l'asso 
oder  Pitrinca  in  einer  oder  <ler  and<'rn  einzelnen  Ausgalie,  deren  jede  als  Viertcl  des  "l'arnasso  Italiano'' 
eben  so  viel  wie  hier  das  Ganze  kosten  dinfle,  durch  deren  Ankaul"  kein  eigentiiclies  Opfer  bringen. 
Dass  die  innere  und  iiussere  IJesorgung  dieses  Werkes  ein  sprechender  Me\>eis  «ler  nielli  geringen 
Schwierigkeiten  ist,  welclie  bt-i  dessen  Austuluung  zu  beseitigen  waren,  \>ird jeder Sach^erstiilldiJJC  mit 
Belfalie  zu  >viirdigcn  wissen  und  die  Gediegcnlicit  des  Gcleistctcn  aiierkcnuen.  — 

IV. 

Milton,    tue  Poetical  Wouks  of  Johx  IVIiltox,  prixted  from  tue 

Text  of  7of/f/,  llairhhìs,  aiid  otlurs;    to  wWich  is  prolìxed  the  Toet's  Lift', 
bv  Edward  Pili lips.    Complete  in  One  \  olume.  Post.  b>o.  Caitoiinirt. 
SuOscriptìons-Prcìs:  1  Rtl»'»-  ^  ^'f- 

t:r  ''Crilicism  OH  Hic  '  Pa  radi  te  Lnst'  (sagt  ein  rnglisrhrr  Biograph  Mii.To>*.s~)  han  Ixm  rxhdustid 
in  a  «umici    0/  boolm,  and  praisc,  ij  il  wvrc  lo  bc  bcslowcd  in  propoition  16  wcrit,  uouUÌ  pciltaps  re- 


quìre  a  new  language,  or  an  imaginatlon  as  fertile  as  that  of  the  author.  Ofthefoiir  namen,  it'hich 
universal  opinion  has  placed  at  the  head  of  poetic  excellence,  Homkr,  Vikgil,  Suakspk\ri;,  and  Mil- 
ton, ffis  a  proud  consolation  that  England  can  cìaim  two."  Schon  diese  \\wiigen  Worte  kònnen  es  tref- 
fend  bezeichnen,  in  welcher  hohen  Yerehrung  Milton  unter  seinen  Landsleuteii  gehalten  sei,  Avi  e  stolz 
Eiigland  darauf  ist,  dieseii  Dichteifùrsten  den  seiiiigen  zu  iiennen,  i!in,  unmittelbar  neben  Siiakspkìiik, 
auf  den  hòchsten  Gipfel  des  literaiischen  Nationalruhmes  stellend.  Boch  aiich  die  iibrige  gebildcte  Welt 
ist  niclit  zuriickgeblieben,  diesen  hohen  Gesàngen  den  Tribut  der  Bewundeiung  zu zollen,  und  besonders 
hat  Deutschland  seine  unparteiische  Anerkennung  fremder  Verdienste  auch  hier  bewàhrt.  Die  gegen- 
wàrtige  Ausgabe  ist  nach  den  Grundsàtzen  der  strengsten  Critik  geschehen  ;  die  Lesarten  des  Textes 
wiirden  auf  das  Sorgfàltigste  berichtigt,  und  dabei  die  besten  àltern  und  neuern  Quellen,  insbesondern 
die  reichhaltigen  Forschungen  eines  Todd ,  Hawkins,  u.  A.,  berathen.  Ausser  den  giòssern  Sachen: 
"  Paradise  LosT,  Paradise  Regained,  und  Samson  Agonistes  (a  dramaftc  poezn),  Lycidas,  L'Al- 
I.EGR0,  Il  Penseroso,  Arcades,  Comus",  sind 'auch  die  sàmmtlichen  Sonnets,  Odes  und  vermisch- 
TEN  Gedichte,  mit  Einschluss  der  Psalms  undeiniger  vorhandener  Uebersetzungen,  aufgenominen  wor- 
den,  und  somit  der  ganze  poetische  Nachlass  Milton's  volistàndig  zusammengesteilt.  Mit  einem 
correcten ,  sehr  lesbeuen  Drucke  ist  Eleganz  und  Wohlfeilheit  in  hohem  Grade  vereinigt.  — 


ARABIAN  MGHT'S  EnterTAixments:  coivsisting  of  One  Thousaxd  and 
One  Stories.    In  One  Volume.     Embellished  with   nearly  One  Hundred  and 
Fifty  Engravings.  Stereotipe  Edition.  Roy.  8vo.    Cartonnirt. 
Subacr'qìtions-Preis :  2  Rtlilr.  20  Gr. 

tu'  Von  den  Dichtern  alter  und  neuer  Zeit  ist  der  lleder-  und  sagenreiche  Orient  als  eine  der  ergiebig- 
sten  B^undgruben  romantischer  Fictionen  erkannt  und  benutzt  worden  ;  viele  der  anmuthigsten  Erzeug- 
nisse  europàischer  Literatur  fiihren  uns  auf  diese  Quelle  zurùck,  und  haben  ihren  Ursprung  der  frucht- 
baren  Phantasie  jener  Zone  zu  danken.  Eines  der  reichsten  Pi'oducte  in  dieser  Hinsicht,  so  wie  in  sich 
selbst,  sind  wohl  unbestritten  die  viel  iibersetztenundgelesenen  "Arabischen  Naechte",  wovonbeiuns, 
in  Frankreich  und  England  mehrere  der  sorgfàltigsten  Bearbeitungen  unternoinmen  Avurden.  Der  Reiz 
dieser  Erziihlungen  ist  auch  in  der  That  eben  so  anziehend  als  belehrcnd,  und  die  ihnen  beiwohnende 
Fiille  poetischer  Einbildungskraft  so  ùberaus  ansprechend,  dass  sie  es  verdienen,  jeder  Zeit  und  alien 
gebildeten  Nationen  anzugehoren.  Der  Englànder  Hole  sagt  unter  andein,  in  einer  eigenen  Abhand- 
lung  iiber  dieses  Werk,  von  den  Reisen  des  Seefahrers  Sindbad,  dass  diese  Geschichte  als  die  arabische 
Odyssee  zu  betrachten  sei;  so  wie  sich  ùberhaupt  die  brittische  Vorliebe  fiir  diese  Erzàhlungen  durch 
sehr  gute  Uebersetzungen  in  vielfàltigen  Ausgaben  kund  gethan  hat,  und  man  dieselben  so  weit  ehrte, 
ihnen  einen  Platz  in  einigen  gesammelten  Editionen  englischer  Classiker  anzuweisen.  Fiir  einen  in 
der  englìschen  Sprache  sich  Unterrichtenden  wird  auch  wohl  kein  iihnliches  Werk,  den  \  orzug  einer 
leichten,  fliessenden  Sprache  mit  Belehrungund  Unterhaltung  auf  das  Nùtzlichste  und  in  so  hohem  Grade 
vereinigend,  wie  es  hier  der  Fall,  anzutrelVen  sein,  und  daher  dùrfte  gegenwilitige,  eben  so  wolilfeile  als 
elegante  und  correcte  Ausgabe,  w  elche  aus  einer  Londoner  Officin  hervorgegangen  und  mit  beinahe  150 
HolzscUnitten  geziert  Lst,  gewisa  Yielen  eine  selir  willkonuuene  Erscheinung  sein.  — 

VI. 

MILTON!  (IOANNis,  Angli)  de  Doctrina  Christiana  Libri  duo  post- 
humi,  quos  ex  Schedis  manuscriptìs  deprompsit,  et  typis  mandavi  primus  cura- 
vit  Car.  Rie.  Sumner.   8.  maj.    Cartonnirt.   Ludenpreis:      2  Rtlilr.  16  Gr, 

F^  Fur  die  ,  auf  crltische  Zeugnisse  gestùtzte,  Autorschaft  einer  theologischen  Abhandlung  des  grossen 
Milton  hatten  die  englischen  Herausgeber  und  Comniontatorcn  selner  Werke  sclion  seit  gerauiner 
Zeit  die  vollgultigsten  Belege  beigebracht  ;  da  aber  alle  ÌVachforscIiungen,  derselbcn  auf  die  Spur  zu 
kommcn,  fruchtlos  geblieben,  gab  man  der  Ueberzeugung  Raum ,  dass  dieser  litorarische  Schatz  unwie- 
derbringlich  fùr  die  VVissenschaft  verschw  unden  sei.  Unseror  Zeit,  und  Daiik  deiu  scharfsinnigen  Eifer 
eines  Hrn.  Lemon,  war  es  vorbehalten, dieses  Kleinod  aus  seinor  zweihundertjalnigen  Yerborgenheitder 
Mit-  und  Nachwelt  zu  retten.  Das  Manuscript,  welches  die  Handschrift  einer  von  Milton's  Tòchtern 
ist,  wurde  unter  mehreren  Papioren  aus  den  Tagen  Carls  11,  entdeckt.  Auf  Befehl  des  Konigs  ùber- 
nalim  die  Herausgal)e  desHelben  der  Kòiiigl.  Bibliothekar  Sumner,  welcher  davon  sowohl  einen  Ab- 
druck  des  lateinischen  Originals,  als  auch  gìeichzeitig  eine  englische  Uebersctzung  besorgte,  und  dessen 
Verdienste  um  diese  Bcarbeitung  die  riilimiiciiste  Anerkeniunig  gefunden  haben.  Das  Werk  zerfàUtln 
r.wei  Al)tlieiliingen:  die  erste  iiand(;lt  vom  Glauben  oder  (Icrjjclire  iiber  Gott  (r/c  Fide  seti  Cognitiont 
Dei),  die  aiidere  ùl)er  die  Liebe  oder  den  («ottesdienst  (de  l'harilate  seii  Dei  C'ultu) ,  und  istnichtnur 
fQr  den  'J"lieolo;;(ii,  sondern  aucli  alien  Forscliern  bei  dem  tieferi\  Studimn  Aon  IMilton's  unsterbiichen 
Dichtungeii  des  Piiradieses,  eine  gleich  wiclitige  uis  unentbetiriiclieErsclieinung.  Der  gegenwàrtige, 
fùr   das  Continent  veranstaltete ,  correcte  Wiedcrdruck  darf  «ich  ,  zwar  minder  prunkvoU,  demioch  an 


I 


typo^raphischer  Schònheit  mit  dem  Originale  messen,  nnd  es  ìst  die  Unznjrànglichkelt  der  encrlischen 
Ausgabe  (sie  kostet  17  Rthlr.)  durcli  desswi  Woulleilheit  auf  das  Gemeiiuiùtzigste  beseitiTt,  — " 

vn. 
WaLKER.  a  Criticvl  Proxol^'Cing  Dictioxary,  axd  Expositor  of  tue 
English  Lang-uag^e:  in  which,  iiot  onlj  the  Meaning-  of  every  Word  is  clearly 
explained,  and  the  Sound  of  every  Syllable  distiiictly  shown ,  but,  where 
Words  are  subject  to  different  Pronunciations,  the  Authorities  of  oiir  best  Pro- 
nouncing-  Dictionaries  are  fully  exhibited,  the  Reasons  for  each  are  at  large  dis- 
played,  and  the  preferable  Pronunciation  is  pointed  out.  To  which  are  pre- 
fixed,  Principles  of  the  English  Pronunciation,  \:c.  By  John  Jf  alher.  Crit- 
ically  reprinted  from  tlie  London  Stereotype  Edition.  Roy.  8vo.  Extra  car- 
tonnirt.      Subscrijitions-Preis  :  2  Rthlr.  8  Gr. 

tS"  Neben  den  vomehmsten  INIitbewerbern  der  brittischen  Lexicographie  hat  sìch  dieses  VVòrterbuch 
seit  einer  Reihe  von  Jahreii  in  so  licheni  Ansehen  behauptet,  und  durch  das  schnelle  Fol^en  eiiii<ier 
zwaiizig  %'erbesserter  Auflagen  eiiien  so  liolienRang  ervNorben,  dassihni  gciiciiuarti"',  nacli  deni  ein- 
stiinniigen  Ausspruche  der  englisciien  Cntik,  der  erste  Platz  gebiilirt,  dessen  Priiicipien  als  die  eiit- 
sclieidenden  gelten,  und  die  jetzt  verkautilclie  Ausgabe  mit  stelienden  Sciiritten  gedruckt  ^verden  konnte. 
Diese  Tliatsaclien  sind  auch  dem  Continente  so  hinliinglicli  bekannt,  uin  die  V  eranstaitun"^  meines  niit 
critischer  Genauigkeit  besorgten ,  Abdruc:kes  vollkoininen  zu  reciitfertigen,  Avelciier  sowolil  in  dieser 
Hiiinicht  den  scliàrt'sten  Bedingungen  der  Correctheit  entspriclit,  als  in  t>  pograpliischer  das  Ori>'inai  se- 
gar bei  ueiteni  ubertrillt ,  aber  dennoch  von  Seiten  des  Preises  weit  biliiger  gestellt  ist,  als  dieses. 
Kine  selir  ausfùhrlìche  Einleitung  ùber  die  Grundsàtze  der  englisciien  Ausspraclie, 
den  Gei  st  der  Grani  ni  a  ti  k,  so  wie  eine  Anleitung  iihcr  den  Gebraiich  des  Buclies,  sind  zuniiclist 
darin  enthalten,  und  es  trugen  erstere  niciit  wenig  dazu  bei ,  dieseni  W  erke  jenen  ausgezeichneten  Ruf 
der  Classicitàt  zu  begriinden,  >\elclier  ihiu  in  England,  ^^ie  bei  alien  gebildetea  Nutionen ,  unverinin^- 
lich  bliuben  «ird.  — 

vin. 
MOORE.    Tue  Works  of  Thomas  .Moore,  Esq.  Accurately  prixted 
from  the  hist  originai  Editions.    With  additional  iSotes.    Complete  in  One  Vol- 
ume. Roy.  8vo.    Cartonnirt.    Ladenpreis  :  3  Rthlr.  8  Gr. 

t^  Durch  seine  "  Lalla  Rnokh,  "  "  The  Lovca  of  the  ÀT><cch,  "  "  Ivhh  Mclndia  "  nnd  eine  grosse  Zaiil 
der  trellTulisten  G  e  san  g  e  ,  IJalladen,  Odeu  und  aniler<M-  CìfMlicliic  v(>nMÌ-;t:iten  Inliali-i.  aurli 
eine  comisclie  Oper,  "  .\/.  P.  ;  «r  (/ir  Ulne -.Slockinir''  bctiteli,  liat  sidi  'l'hoinas  Movie  unsterbliciien 
Rullili  erworben  und  ein  nie  verlòscheiides  J)eiiknial  in  Knglands  Diditcrliteratiir  gegriindet.  .Seine 
saiiiiiitrulicn  \N  erke  ersciicinen  liier  zuiii  ersten  .Male  gcsaiiiiin'lt  in  einer  voUsiandigt'iucorrecten  Ausgabe, 
die  aneli  in  tjpograpliisclicr  Uiiisiclit  keinen  Ansprucli  iiiibcriieiiigt  lassi,  und  dalier  unter  den  N'im- 
elirern  brillisclier  Classiker,  bei  der  ansserordentliclien  Billigkeit  dea  Preises,  uni  so  brlii-bler  geworden 
ist.  Das  Ganze,  nebst  einer  bedentfMidcii  Anzalil  liinziigt't'iigter  ÌSoten,  \>ui(ie  in  K  i  ii  em  (i  ro  s  .s- 
0  »:  t  a  v  -  B  a  ii  d  e  vereinigt ,  und  der  Drutk  mit  neuen  e  n  g  1  i  s  e  li  e n  Lettor  n  auf  scliòneiii  N  elinpa- 
piere  sorgtaltigst  ausgelùlirt.  — 

IK. 

SiTAKSPEARE.  Tue  Drvmvth:  AVorks  of  Shakspe\re,  printeh  from 
the  Te\t  of  Sttmud  ./o/i;/.sow,  Gan'j^c  ,Sl(crcìis.  nuil  Ismic  ÌUcd.  ConipUtr  in 
One  Volume.  Roy.  8vo.  Cartonnirt.   Sithscrijìliuiis- Prciti:       2  Rthlr.  20  Gr. 

t^  Bel  einer  nalieri  Zerfrdlnng  dieses  Preises  zeigt  es  sieh,  dass  im  Durciisrlinitte  jedes  einzelne  Stfirk 
von  Shakspeare's  37  Draineu  mir  einen  und  «Ireiviertel  («ro>!«lien  gereelinet  isl,  und  mitirni 
weder  liei  friilier  erHcliiencnen,  als  noeli  vm  er\var(<iiden  Ausgaben  eine  aiinliilie   IJilligkeil  zu  liiidensei. 

»^'  An  diese  iiusserst  sclione,  auf  N  elin  -  l'npier  d  e  u  1 1  i  «  li  und  rorrect  gedruckte  ,  Xiisgabe, 
welclie  den   ullgemeinslcii   Beilall   gelunden  liat ,  scliliessl  sicli  ein  Anliaii>{  unter  rolgenileni  Titel  : 

n. 
SHAKSPEARE.     Av  APPENni\  To  sinKsPEARr.s  l)RVM\Tir  Works,  &r. 
&c.    Contents:  The  Life  of  the   Author    by     ìug.  Sholtotn  :    liis    Miscelia- 


6     

neous  Poems;  A  criticai  Glossarj,  compiled  after  Nares,  Drake,  Ajscougli,  Ilaz-    i 
litt,  Douce,  and  others.     With  Shakspeare's  Portrait  taken  froiii  the  Chando3    ! 
Picture,  and  engraved  by  C.  A.  Schiverei geòurth,    Roy.  8vo.     Broschirt. 
Subscrqjtìons-Freìs:  1  Rthlr.  8  Gr. 

Str  Dieses  Supplement  entspricht  an  Format  und  Druck  ^enau  obiger  Ausgabe  der  Dramatischen 
Werke  Shakspeai'e's ,  und  ergànzt  alles  iibrige,  nàchst  deii  Buhneiischriften,  voii  ihm  Yorhandene.  — 
Auf  die  interessante  Lebeusbeschreibung  durch  Aug.  Skottowe  folgen  die  sàmmtlichen  vermischten 
Gedichte  iadieser  Ordnung:  'Tcni/s  and  Adonis;  Tarqitin  and  Lucrcce;  The  Sonnets;  The  passionale 
Pilorim;  A  Lover's  Cumplaint^'.  —  Auch  wird  den  Besitzern  anderer  Ausgaben,  ^vorin  dessen  ver- 
jnischte  Gedichte  gemeiniglich  fehlen ,  dieser  Appe  ndix  zur  VervoUstàndigung  willkonmien  sein,  und 
insbesondere  durch  die  Zugabe  eines  sehr  ausliihrlichen  critischen  Glossars,  das  Resultai  vieljàhriger 
Forschung  und  der  Jìenutzung  mannichfaitiger,  seltener  Quellen,  der  Schliissel  zu  den  sonst  hàufig,  be- 
sonders  Auslàndern,  unzugàngllchen  Stellen  dargeboten.  Fin  vorzùgliches  Brustbild  kShakspeare's  nach 
dem  beriihmten  Chandos  Picture,  Avelches  die  meisten  Autorittiten  tur  sich  hat,  ist,  nàchst  der 
SkottoNve'schen  Biographie,  ebenfalls  darin  enthalten  und  kanninmeiner  Ausgabeder  '■^Vraraatic  ìVorks", 
selbst  bei  schon  gebuiideneu  Exeniplai'en,  leicht  angebracht  werdeu.  — 

HI. 

SHARSPEARE.  Illustrations  of  Shakspeare;  comprised  in  Two  Hun- 
dred  andXhirty  Vignette-Engravings,  bj  T/io//iyisow,  froni  Designsby  Thurston. 
Adapted  to  ali  Editions.    Roj.  8vo.  Broschirt.    Pi'cìs:  2  Rthlr. 

t^  Die  hòchst  geistreichen  Erfindungen  eines  Thurston,  ^velcher  mitRecht  als Englands Chodowiecki 
gelten  kann,  geben,  bei  allera  Reize  des  correctesten  Miniatures,  den  Genius  der  Shakspeare'schen  Dra- 
men  mit  so  viel  malerischer  Wahrheit  wieder,  dass  es  nur  Thompson's  Meisterhand  inòglich  war, 
diesen  Vignetten  im  Holzstiche  jenen  hohen  Grad  der  Vollendung  zu  verleihen ,  der  sie  den  reinsten 
Arbeiten  der  Kupferstecherkunst  unbedingt  an  die  Seite  stellt.  —  Auf  jedem  Octavblatte  befinden  sich 
zu  jedem  Schauspiele  sechs  Vignetten,  nebst  beigedruckten  kurzen  Textsteilen  der  Scenen,  wodurchden 
Besitzern  irgend  einer  Octav  -  Ausgabe  (z.  B.  der  bei  mir  erschienenen  :  ,,Dra?na</c  fForks  of  Shak- 
speare, prinledfrom  the  Test  of  Samuel  Johnson,  George  Steevens  and  Isaac  Reed.  Complete  in  One  ì  ol- 
ìime.  Roy.  Suo.)  Gelegenheit  gegeben  wird ,  sie  als  cine  wahre  Kunstzierde  dem  Buche  cinzuverlei- 
ben.  Shakspeare's  Brustbild  und  unter  diesem  eine  trelliiche  Darstellung  seines  Geburtshauses 
in  Stratford ,  beides  ebenfalls  Holzstiche ,  sind  als  Frontispice  dem  Titel  vorgebunden.  Die  sàmmtli- 
chen Abdriicke  wurden  in  einer  Londoner  Officin  rait  grosster  Reinheit  und  Scliàrfe  vollzogen,  und  wer- 
den  Kennern  nichts  zu  Aviinschea  ùbrig  lassea.  —  lii  eiiiea  saubero  Uiuschlag  geheftet,  kosteu  diesa 
230  Vignetten  nur  2  Rtlilr.  — 

Shakspeare.    the  Tragicall  Historie  of  Hamlet  Prixce  OF  Den- 

marke,  by  ìllUìam  Sliuhe-speure.    As  it  hath  beene  diuerse  times  acted  bj  his 
Highnesse  seruants  in  the  Cittie  of  London:  as  also  in  the  two  Vniuersities  of 
Cambridge  and  0\ford,  and  else-where.     At  London  printed  for  ]\.  L.  and 
John  Trundeil.   1G03.    This  first  Edition  verbally  reprinted.   8vo.  Broschirt. 
Ludenprcìs  :  12  Gr. 

tCr  Dieser  buchstàblichc  Abdruck  des  in  London  kùrzlich  erschienenen Fac-sìmile  der  neuerdings  aufge- 
fundenen  ersten  Edition  des  Hamlet  vom  Jahre  l(i03  wird  jedem  Freunde  Shakspeare's  und  alien 
Besitzern  irgend  einer  Ausgabe  von  dessen  VVerken,  als  ein  ^^ichtiger  Beitrag  willkonmien  sein,  danicht 
allein  die  Varianten  von  grosser  IJedeiitung  sind,  sondern  aneli  durch  Beibehaltung  der  alten,  sehr  ab- 
weichenden,iSchreibarteine  antitiiiarische  Probe  geliefert  wird,  in  welcherOrthographie  Shakspeare  seine 
Dichtungen  ursprvinglich  niederschrieb.  —  Ueber  diese  Ausgabe  urtheilt  G  6  t  ii  k  (s.  Kunst  und  Al- 
tcrthum  VI,  1.  S.  114.)  neuerdings  in  folgenden  Worten:  "Shakspeare's  leidenschaftliche  Freunde  er- 
halten  hiermit  ein  grosses  Geschenk.  Das  erste  unbefangene  Lesen  gab  mir  einen  wundersamen  Ein- 
druck.  Es  war  das  alt(!  ehrwiudige  Bckannte  wieder,  an  Gang  und  Schritt  nichts  veraadert,  die 
kriiftigsten  vs  irksamsten  Hauptstelleu  dei"  ersten  geuialen  Uaud  unbcriihrt.  "  — 

xin. 
SHERIDAN.    Tue   Works   of   tue   late   right   iionourable   Richard 
Brinsley  Sheridan.     Collected  by  Tliomas  Muore,  Autlior  of   "Lalla 


Rookh" ,  "The  Loves  of  the  Angels",  &c.  Complete  in  One  Volume.  Crown  Svo. 
Cartonnirt.     Suòscrqìtions-  Preis  :  1  Rtlilr.  8  Gr. 

tó"  Sheridan's  gefeierter  Name  glànzt  in  der  Reihe  von  Englands  Buhnendichtern  als  elne  der  wich- 
tigsten  Erscheinungen,  und  dessen  unsterbliche  Werke  schufen  fùr  die  brittisclie  Theaterpoesie  cine  der 
Bchònsten  Epoclien  neuercr  Zeit.  Nur  der  Mangel  einer  kaufbaren  Ausgabe  dieses  classischen  Dichters 
war  zeitlier  in  Deutschland  dem  allgemeinen  Bekanntwerden  desselben  hinderlich,  und  die  Freuiide  der 
englisclien  Literatur  entbelirten  bis  jetzt  einen  der  giòssten  Genusse,  welche  jene  Sprache  bietet,  die 
aus  Sheridan's  Feder  mit  so  viel  Anmuth ,  Witz  und  Lelchtigkeit  geflossen  ist.  Von  seinen  treffli- 
chen ,  den  Meisten  unter  uns  weuigstens  deni  Namen  nach  bekannten,  Theaterstùcken  bedarf  es  bloss  der 
Nennung  einiger:  '•^The  Rivals,  a  Comedy; — The  School  far  Scandal,  a  Comedy;  —  Pizarro,  a'Vra^e- 
dy  ; —  ecc.",  um  sogleich  den  Wunsch  zu  erwecken,  d  iese  AVerke  zu  besitzen  ,  welche  hier  dem  Pu- 
blicum  in  einer  streng  correcten,  auf  englischem  Velinpapiere  ausgezeichnet  schòn 
und  deutlich  gedruckteu  Ausgabe,  auch  zugleicii  fùr  einen  hòchst  billigen  Preis,  geboten 
werden.  — 

HIV. 

W.  SCOTT.     Peveril  of  tue  Peak.    By  the  Author  of  "Waverlev, 

Kenilworth,   &c."    In  Four  V^olumes.    Svo.    Cartonnirt. 

Heraògesetzter  Preis:  {von  SRthlr.  16  Gr.  auf)  1  Rtlilr.  8  Gr. 

fS"  Dieser  neuere Roman  Walter  Scott 's  stellt  uns  eines  der  relchbegabtesten  Gemàlde  des  nordischen 
Meisters  vor  Augen ,  und  wird  bei  den  Freunden  seiner  herdicben  Muse  in  vorliegeuder ,  ausserst  cor- 
recten und  sehr  eleganten,  Ausgabe  vielenBeifall  fiuden.  Nicht  nur  als  eine  der  iateressaiitesten  Unter- 
haltungslectùren ,  sondern  auch  zu  gemeinscliaftruhen  Lescùbungeu eines  englischen  Lehrcuj-sus,  istdie- 
ser  eben  so  anziehende  als  lehrreiche  Roman  vorzugsw  else  geeignet,  und  hauptsàcliiich  l'iir  letztern 
Zweck  durch  die  grosse  Ermàssigung  des  Preises  ùberaus  zuganglich  gemachu    — 

KV. 

COOK'S  (Captain  Ja3u:s)  First  Voyage  roixd  tue  World.  With  an 
Account  of  his  Life  previous  tliat  Period.  By  A.  Kippis.  Adapted  to  the 
Use  of  Schools  and  Selfstudy  hy  an  English-German  Pliraseology.  Auch  unter 
dem  Titel:  EngUsches  Lesebuch,  James  Cook's  erste  Reise  uni  die  AVeit 
enthaltend.  Mit  einer  englisch-deutschen  Phraseologie  zur  Erleichtcrung  des 
Uebcrsetzens  bei  dem  Schul-und  Privatgebrauche  versehen  von  C.  Liidgcr.^yo. 
Cartonnut.   Ludcnpreis:  12  Gr. 

tó*  Unter  den  verschiedenon  Lcsebiichorn ,  die  sich  in  Deutscliland  sowohl  An(angem  als  auch  geùbteren 
Schiilern  der  englisclien  Sprache,  zur  rortschreitenden  Uebuug  und  stulVnweison  Ausbildung  in  derselben, 
in  keiner  viberreichlichon  Auswahl  darbietini,  diu-fte  cin  klcines  Work,  wie  gogen\varti{ies,  boi  dossen 
Reize  des  StolVes  von  Soiten  soinor  historischon  \\  ichtigkoit,  in  Voioinignng  mit  oinor  loicht  fassliciion, 
roin  stylisirten  Darstollung,  niclit  olino  \vosontlichon  Nutzon  soia,  uud  noch  iusbesondoro  zur  niiliorn  Be- 
kanntschaft  der  seemiiimisclien  Ausdri'icke,  ho  W\v.  inanchor  ungosvolinlicheii,  moistoiis  nur  auf  tVomde 
Ijiindcr  beziiglichen,  Wiirtor  das  S(>inig(!  boitrago-i.  Die  von  Hrn.  ('.  Liidger  als  Anliang  liiii/.uge- 
fijgte  Phras<'ologio,  wird  <lcn  (.«ebraiicli ,  auch  olino  lloisoiii  dos  Lohrors,  wosontlici»  orloiohtoni ,  da 
dio,  oinor  jedon  Seite  angehendcn,  Kiklarungen ,  unter  c'uizchion,  iiinweiscnden  Rubrikcn,  schnoU  dariu 
aufzujindon  sind.  — 

KVI. 

PLUEGEL.  Vollstaexdige  E.NGr.iscnE  SPRAriii,i:iiRK  f(  r  de\  ersten  l  \- 
terricht  souohl,  als  fiir  d;is  titferc  Studiuin,  nach  dei»  bt  sten  (ìr.iiinnatikern  uud 
OrtlKH'pislen:  li<(illi<.,  Harris^  ,lo/insun^  Loirl/i,  Murnii/,  Aa/v.s",  i\ttlluì\  u. 
A.  bearbcitct,  und  mit  vieltui  Biispiclcii  aus  {\v\\  bcriibintcsten  engliscluii  Pro- 
saikern  uiul  Dichtcrii  (hr  iiltcrn  uud  neucrn  Zeit  erliiutert  von  /.  (i.  Il  ii  ì:;  ci. 
8vo.    Broscliirl.    lAtiUnprùs:  1  Klhlr.    I()  (ir. 

tì"  Wolchoii  Zworkon  diosc  ncuc  ongiische  CJrammatik  cntsprociicn  s«>ll  und  mit  wohlion  IlùItMuittoln 
dicsoibo  boarboitol  wnrdo,  orkiiirt  sihon  cU-r  'l'ilol  ini  Allgomoinon;  liisst  abor  don  noiion  l'inn  dor  V.u- 
aamiuenstollung,  don  Reiclithumdcr  iMulorion,  ìm  >viu  dcii  crilisvhcniJvitft  ihrcr  Behandlung  keiucs\>cgci 


errathen,  da  so  seltene  Vorzùge  nur  durcli  Pruftmg  des  Inhaltes  gewurdigt  werden  kòr.nen  ;  wie  die- 
selbcn  denn  auch  bereits  vou  alien  Seiten  die  rùlmilichste  Anerkemiung  gefunden  haben.  Druck  und 
Papier  dùrften  an  die  Pioducte  der  englischen  Pressen  èrinnein.  — 

HVII. 

MORETO.  Eh  Desden  con  el  Desdex.  Comedi  v  famosa  de  D.  Augij- 
stin  Moreto.    8vo.    Broschirt.    (In  Commiss.)     Preìs:  10  Gr. 

HVIII. 

THOMSON'S  (A.T.)  Veretnigte  Piiaumacopoeex  der  Londoxer,  Edixbur- 
gher  und  Dubliner  Metlicinal-Collegien;  nach  der  fiinften  Originai -Ausgabe, 
und  als  Uebersicht  der  brittìsclien  Avzneimittellehre,  mit  Zusatzen  bearbeitet 
von  Dr.  jì.  Braitne.  8.  Cartonnirt.    Ladenjìreis:  1  Kthlr.  8  Gr. 

tCr  In  dem  Bereiche  der  anslandischen  Arzneiwìssenschaften  ist  der  prufende  Forschun<i;sgei.st  deutscher 
Wissbegierde  mit  rastloseni  Eit'er  vorgedrun;;en,  und  hat  sich  in  besonderer  Vorliebe  da»  ergiebige  Ge- 
biet  der  brittiscben  Heilkunde  zu  dem  VVahlplatze  seiner  Untersuchnngen  erlesen.  Die  niedicinische  Lite- 
ratur  Englands  ist  daher  bei  uns  fast  in  gleichem  Grade  heimiscli ,  wie  in  ilirem  Vaterlande,  und  es 
werden  jàhrlicli  sowohl  die  vornehmsten ,  als  auch  minder  Aviclitigen  Producte  derselbon  durch  zahlrei- 
che  Uebersetzungen  auf  unseni  Boden  verj)tlanzt.  Bei  dem  Umgange  mit  diesen  Schriften  stosst  aberder 
Deutsche  sehr  haufig  auf  Gegenstande  und  Benennungen  aus  der  Pharmazie  und  Arzneimittellehre,  die 
ihm ,  ohne  ein  Hùlfsbuch  ,  dunkel  und  unverstàndlich  bleiben  ;  >Yeshalb  die  Zusaninienstellung  einer 
brittischen  vereinigten  Pharniacopoe,  nach  dem  neuesten  Standpuncte  der  Wissenschaft,  als  ein  zeit- 
geraàsses  Bedijrfniss  ge>viss  allgemein  ^^illkommen  ist.  Diesem  populàren  Zwecke  wìrà  gegenwàrti^ft 
sorgfàltige  Bearbeitung  in  jeder  Hinsicht  practisch  genijgen,  und  dadurch  noch  mehr  demseiben  entspre- 
chen,  dass,  zur  Be(|uemlichkeit  bei  dem  Gebrauche  des  Buches,  die  nothigen  Reglster  beigefugt  >vur- 
den ,  und  sich  ùberdiess  mit  àusserer  Eleganz  ein  sehr  wohlfeiler  Preis  vereinigt.  — 

KIH. 

NAUMANX'S   (J.  a.)  Naturgesciiiciite  der  Vògel  Deutsciilaxds  ,  xacii 

eigenen  Erfalirungen  entworfen.  Durchaus  umgearbeitet,  systematisch  geord- 
net,  sehr  vermelirt,  vervollstandigt,  und  mit  getreu  nach  der  Natur  eigenhandig 
gezeichneten  und  gestochenen  Abbildungen  aller  deutschen  \  ogel,  nebst  ihren 
Hauptverschiedenheiten,  aufs  \eue  herausgegeben  von  dessen  Sohne  Johann 
Friedrich  ]\  tiuwann.  Ir.  bis  r>r.  Band.  Mit  144  colorirten  und  6  schwar- 
zen  Rupfertafehi.  Lexicon -Octav.  Broschirt. 

Lcidcnprcis:  (Ir.Bd.  26RtMr.,  2r.  Bd.  16  Rthlr.,  3r.  Bd.  llRthlr.,  4r. 

Bd.  13  Rthlr.,  5r.  Bd.  15  Rthlr.)  81  Rthlr. 

Desselben,   Dieselbe.    Ir.  bis  5r.  Band.    Der  Text  apart ,  nebst  5  Titelkupfern, 

ohne  die  colorirten  Tafeln.  Broschirt.  Ladenpreis:  18  Rthlr. 

^  Hochachtende  Zeugnisse  des  In-  und  Auslandes  wurden  diesem  Werke  in  reichem  INIaasse  zu  Theil, 
sattsam  hat  die  Critik  iiber  dessen  classischen  Werth  entschieden ,  und  mit  immer  steigendem  Belfalle 
sind  die  fortgesetzten  Lieferungen  aufgencmmen  worden.  —  Fùnf  Bande,  welche  bis  jetzt  erschie- 
nen,  beschàitigen  sich  mit  folgenden  Gattungen: 

Vultur  (Gcj'cr),  Cathartes  (.fasvof^el),  Gypaetos  (Geieradlcr),  Falco  (Falke%  Strix  (77m/c),  Lanius 

(H'ùrf^er),  Corvus  (//oòc) ,  Bombjciila  (.VtjV/cn<c/iirons),  Coracias  (rtatc),  Òriolus  (i'/roi),  >Stur- 

nus  (Maur),  MeruU  (Slaammscl),  MusdcapA  (Fliroenfuìiger),  Turdus  (/^rosst/),  Sylvia (A«n^er), 

Troglodytes  {Schliipfei),  Anthus  (P/e/>cr),  INlotacilla  (liaclistclze),  Saxicola  {Stciuschmùtzir),  Cin- 

tlu»  (.Sc/»u'a<=er),  Accentor  ('//ra»tiic//c),  Uegulus  (Goff/Zifì/nit/jc/i),  Panis  (  Wtjse),  Alauda  (Lerc/tc), 

K»\hvv\'Aa  {yiiuvicr),  i^oxia  (h'rnizsi/tuabcl),  Pyrrhuia  (Giinpil),  Fringilla(/'I/ifc),Cuculus  (Aiic/rut), 

Picus  (Spccht),  "^  unx  {H^tiutUliah) ,  SiiUi  (kUibcr),  ("erthia  (liavrìilihifvr),  Tichodroma  (/Mauer- 

khlli),  l>\ni]Mì.(U'icdiliopJ')^  Merops  (///«ncM/rt-sser),  AUedo  (Kisvofrii). 

Diese    'ài   (Jattuhgrn   selilirss.n    J7H  Arteii   fin,  Mclche,  s/immllich  nach  der  Natur  entworfen.  auf  144 

colorirten  kupr.rliiriln  abgchildet  sind.  —     Der  !..  a  <1  e  ii  p  re  i  s  dicser  ersten  fiinf  Uiinde  ist  81  lUlilr. 

Um  den  Ankanl  dcrselbcn  zu  erleichtern  und  mehrfa*  ben  AnlVorderungen  in  dicser  Hinsicht  zu  geniigen, 

ist   von  jetzt  an    </ e  r   7't'.rt   «neh    upart,    nebst    dem  zu  j  vdcm  li  and  e  gehòrigcn  Ti- 

t  f  l  k  11  pjc  )  ,  ohue  die  colorirten  T  aj  e  In,  fiir  18  Ktlilr. ,  oder  32  FI.  24  Kr.  Rhein.,  zu  haben, 


1 

( 


9      

welche  Vergunstìgung  nachAblaiife  eines  noch  vorbehaltenen  Termines  erlòschen  wìrd.  An  dieCesitzer 
solcher  Exemplare  Averden  spàter  auf  Verlangen  die  Kupfer  nachgeliefert,  und  ihnen  der  Preis  des  frù- 
her  bezahlten  Textes  in  Abzug  gebracht.  Dasselbe  gilt  fiir  di  e  se  Inhaber  natùrlich  aiich  von  derFort- 
setzung  des  Weikes ,  die  jedoch  aus  Grùnden  dann  nicht  Heft  - ,  sondern  stets  nur  Bàndeweise  "-elie- 
fert  ^^erden  kanii.  —  Interessentcn ,  \\elche  hieiauf  reflettiren ,  mogen,  w^en  Kiirze  der  Frist,  ihre 
Bestellungen  baldigst  in  der  ihnen  nàchsten  solidcn  Buchhandiung  aufgeben.  —  Der  6te  Band  dieses 
umfassenden  Werkes  macht  den  Beschluss  der  L  a  n  d  v  ò  g  e  1 ,  ist  bereits,  wie  £ille  noch  ùbrige  Bande, 
gròssteutlieils  vorbereitet,  und  -vvird  in  schnellen  Lieferungen  folgen.  — 

HX. 

NaUMANN  (J.  F.);  Ueber  den  Haushalt  der  Nordisciiex  Seevoegel 
Europa's,  als  Erlauteriing'  zweier,  nacli  iler  Xatiir  gemalten,  Ansichten  von  ei- 
nem  Tlieile  der  Diinen  auf  der  nordlichsten  Spitze  der  Insel  Sjlt,  iiiiweìt  der 
Westkiiste  der   Halbinsel  Jutland.    Mit  2  Kupferstich  -  Gemiilden.  Klein  Quer- 

■    Folio.    In  Mappen-Futteral.   Ladcnpreìs:  4  Rthlr.  16  Gr. 

tó"  Selbst  die  regstc  Einblldungskraft  des  eifrigen  Jagers  und  Ornlthologen  >var  nicht  hinreichend, 
aus  den,  bisher  nur  erziihlenden,  Berichten  iiber  die  iiiteressanten  Vogel-Cokìnien  der  nordischen 
Gestade  ein  schwaches  Biid  der  \\  irklichkeit  zìi  schòpfen,  und  diess  erzeugte  bei  ^  ielen  don  \\  unsch 
nach  einer  bessern  Versinnlichung  jenes,  so  ot't  niit  Entziicken  gepriesenen,  Anblickes.  —  L'nser,  uni 
die  Ornitliologie,  als  iìchriltsteller  und  Kiiustler,  so  hochverdienter ,  Hr.  J.  F.  ì\aumann  liat  auch 
in  dieser  Hiiisicht  auf  einer  ^^issenschaftlichen ,  im  Jahre  1819  unteiiiomnienen.  Rcise  nach  Dane- 
mark  diejenlgen  seiner  Freunde  bedacht,  welchen  ein  àhnlicher  Genuss  noch  nicht  beschieden  war, 
und  ihnen  durch  zwei  treffliche  Geniiilde  ein  Panorama  der  lebendigen  Natur  ver  Angen  gesteilt;  so 
•wie  diese  Biiltter  auch  nicht  minder  alien  Denen  eine  schòiie  Riickerinnerung  genàliren,  >velche  solche 
Gegenden  besuchten.  Der  beigefùgte  Text  beschàftigt  sich  iiiit  einer  treuen  .Schilderung  der  Oeconomie 
jener  gefiederten  Nordliiiider  und  bildet  eine  hòchst  i)elehrende  Zugabe.  Die  beiden  Kupfertafeln  wur- 
den  ungeheftet  beigelogt,  da  sie  verdienen,  unter  Glas  und  Rahmeii,  die  Ziiiuuer  des  deutscUen  Jagers 
und  Naturforschers  zu  zieren.   — 

KKI. 

BROOKES'S  (Sam.)  A\leitu\g  zu  dem  Stìdium  der  Coxchvliem.eiirt;. 
Aus  dem  Englisclien  iibersetzt,  und  mit  9  colorirten  und  2  scluvarzen  engli- 
sclien  Original-Kupfern  erliiutert.  Bevorwortet  und  mit  einer  Tafel  iiber  die 
Anatomie  der  Flussmuscliel  verinelirt  von  Dr.  C.  Gusl.  Carus.  Gr.  4.  Car- 
toimirt.    Ludenprch:  16  Rthlr. 

Desselbex,  Dieselbe,    mit  scluvarzen  Kupfertafeln  :  8  Rthlr. 

VCjT  Oline  Beihulfe  systematischer  Werke  ùber  die  versrliirdenen  Classen  der  Naturkòrper  ist  dem  Kor- 
scher  <las  Studium  derst^lben  nicht  weniger  ersch\v<'rt,  als  es  dcni  Liel)haber  und  JSamnder  an  denjenigen 
Gewiilirsmitteln  mangelt,  wdche  nur  alleili  in  <leii  Sland  set/.en,  sich  cine  tiefere  Kinsicht  von  Arten. 
Gattungen  und  C'iassilicatlon  dieser  CJegcnstande  zu  ^ersclla^VIl.  J'ibeii  so  unentbelirlich  sind  solche 
AVerke  bei  Anoichmng  ^on  Naturalieiicabinetten,  weiin  «iiese  nicht  eiucm  planlosen  Chaos  gliiciien  sol- 
leu,  und  es  dem  Sainniler  uin  wisstnischartlichen  Nutzcn  und  hdhcre  Helfiirung  zu  ihun  ist.  So  vlel- 
laltig  in  unscrer  i/iteratiir  t'iir  die  meistcn  Zvx-ige.  der  Natiirgescliichte  durch  die  (reltlichsten 
Wt'ikt;  gesorgt  wurde,  und  so  zahireich  in  l)euls<hlan(l  dio  l'"riMnide  der  (.'ouchvlieiiknude  schon 
liingst  geN>esen  sind,  hat  es  dennoch  bis  jetzt  an  eineiu  IJnche  gciciilt,  ^velclles  den  gc<iaclit(ii  Zuecken 
entspriiche,  indein  das  Marlini'schc  \N  erk  wn  zu  grossnu  l  iiilange  ist.  und  noch  \^enig<'^  dii-  kleineren 
Gompenilim  diese  J^iicke  lidlcii  konnten.  -  -  Inter  «lieseii  l  nislanden  durile  tiie  \  erpllanzung  <les  in 
Kngland  mitsovielcm  iJeiralleaufgenunnneuen  U  erkes:  "./ii  l  nt  r  o  ti  ii  e  Ho  u  to  (he  Stiidii  of  Con- 
cholofry  pp.  bv  Samuel  lir  oo  k  e  s.  London."  ge\NÌsK  re<hl\ielen  erwunscht  sein,  uni  so  mehr, 
da  gegeuNViirtigi^  l'ebersetzung  manche  wesenlliche  \  orziige  vor  dem  Originale  erliallen  hat.  l>er  vsihl- 
lichen  Uebersetzung  desselben  geht  eine  AMiaiwilung  \oiii  Mrn.  Dr.  Carus  voraus.  vs ciche  sich  iiber 
den  innern  und  iiussern  IJau  der  MnstlKln  und  Sclinecken,  uud  ilie  Iiebens<'rschcinungen  dcrselben  ver- 
bri'ilet,  (uid  durch  eine  kuiilcrtaii'l  iiiicli  der  Zelcliuung  <!es  \  <  rfasscrs,  die  Anatomie  der  Klussmu-chcl 
darsteliend,  erliiutert  \>ir(l.  Dieser  Aiifsatz  licgreil't  lolgcnde  Abllnilungm  :  1)  Non  iler  Stelle,  weldte 
die  \Neichlhicre  in  der  Keihc  drr  'l'hiere  <iiu»ihnien  und  iiirer  l'iintheilung.  2)  N  om  iunrrn  Hau  der 
Mollusken  liberhaiipt.  und  drr  .Miischclii  unii  Srliiiri  k<n  iuslirsunii»  re.  3)  Von  den  !-ebcMi>iUi>isrrunpfn 
der  lictzli'Hi  hinsichtlic  11  der  Krnidiruug,  Allnnung.  l""ort|illan/.iiug,  Kiuptindung  und  Hewrgung.  imd 
ilireni  Verhalten  gegen  anssere  Kinlliisse,  nU  Lull,  NVasscr  und  (lima.  4)  Non  der  SclialeiibildtMig 
und  don  Ur-Formen  der  Schulcn.  —  In  dcni  Urookesschcn  \N  erke  selbst  Lsl  bei  Bet>chreibuii{;  tlcr  Sch» 


10     

lenLinné'sEintaeilung,  mltBerùcksicIitlgung  des  Lamarck'schen  Systemes,  befolgt  worden,  und  bei  Dar- 
lecrung  der  sàmnitlichen  Gattimgen  weiden  die  ihnen  zugehorigen  Arten  aufgefùlirt.  Behul's  diescr  Au.s- 
gabe  wurden  in  London  die  benòthigten  Abdriicke  von  den  englischen  Originalplatten  gezogen, 
und  das  Colorit  derseibcn,  A\elches  an  Yorziiglichkeit  sich  mit  dem  Besten  vergleichen  darf,  liier  be- 
sorgt.  Diese  eilf  Tafeln  enthalten  151  Abbildungen,  weiche  melstens  von  soichen  Schalthieren  ge- 
noinmen  sind,  die  LauWrck  als  Beispiele  der  Cìattungen  gebraucht,  und  bei  denen  sich  die  Kennzei- 
chen  derselben  besonders  deutlicli  darstellen.  Yen  jeder  Gattung  ist  Eine  Art  nach  der  Natur  ge- 
liefert,  ausser  den  auf  zwei  Platten  enthaltenen  Thieren  der  Schalen,  Avelche  aus  namhaften  Quellen 
entlehnt  wurden.  —  Der  Preis  ist  so  biUig  gestellt,  als  es  der  grosse  Aufwand  dieses  Unternehiuens 
und  insbesondere  die  kostbare  llluniinatiou  nur  irgend  gestatteten.  — 

SCHREIBER.  Teutsciiland  xtsd  die  Teutschen,  vox  den  aeltesten 
Zeiten  bis  zum  Tode  Karls  des  Grossen.  Von  Alois  Sch  rei  ber.  Mit  24  Kup- 
fernYonJ.  M.  Mettenleiter.    4.  Gebunden.    Preis:  6  Rthh-. 

tó"  Diese  Schrift  giebt  einen  trcuen  Bericht  von  der  Abkunft  unserer  Valer,  von  ihrem  hauslìchen  und 
óffentlichen  Leben,  ihrer  Religion ,  ihren  8itten  und  Einiichtungen  ;  von  ihren  Thaten  im  Kriege,  und 
Vile  sia  nach  und  nacl»  vom  unstàten,  schweil'enden  Leben  abgelassen  und  feste  Wohusitze  gegriindet. 
Der  Stolì"  schien  vor  vielen  geeignet  zu  einein  Buche,  lehrreich  fiir  die  Jugend  und  ansprechend  tur  Je- 
den,  der  aus  der  ^  ergangeidieit  die  Gegenwart  ganz  begreifen  lernen  wììl.  Die  Ereignisse,  welclie 
hier  erzahlt  werden,  vereinigen  mit  dem  ganzen  Reize  der  Poesie  eine  tiefe  historische  Bedeutsamkeit. 
und  wenn  iiberiiaupt  unsere  Erziehung  undBildung  -svieder  einigermaassen  nationai  werden  soli,  so  kiin- 
nen  die  Eiemente  dazu  nur  in  den  Geschichten  unseres  Landes  und  Volkes  gefunden  >Aerden.  —  Die 
chalkographische  Ausstattung  des  ^Verkes  dai'f  keinesweges  als  uberflùssige  Zierde  angesehen  werden, 
denn  wenn ,  auf  der  einen  Seite,  das  historische  Moment  durch  kiinstlerische  Darstellung  grossere  An- 
schaulichkeit  erhàlt  und  lebendiger  hervortritt,  so  er>Yàchst  daraus  auf  der  andern  Seite  auch  ein  w  e- 
sentliches  Interesse  fùr  die  Jugend,  und  der  S'um  fiirKunst  Avird  zweckmàssig  angeregt;  wasumso  wich- 
tiger  sein  mochte ,  da  durch  die  Lfnzahl  gewòhnlicher  Bilderbiicher  der  Geschmack  eine  duixhaus  ver- 
kehrte  Richtung  erhalten  nuiss.  Hr.  I\1kttiìm.iìitkii  ,  ein  Kiinstler,  dem  die  òfl'entliche  Stinnne 
semen  Rang  neben  Chodowiecki  angewiesen  hat,  besorgte  sowohl  die  Zeichnungen  als  die  Stichezu  die- 
sera>Verke,  ujid  scine  Arbeiten  werden  auch  dea Kunstù'eundea  eine  >villkomiuene  Erscheinung  sein. — 

HHni. 

ORPHEA.  Tasciiexbuch  FtR  1824,  25,  u.  28.  Erster  bis  Dritter  Jahr- 
gang.  Mit  24  Kupfern  zu  dem  Freischiitz,  Don  Juan  und  der  Zau- 
berflote,  nach  Hcinr.  Ramberg  gestochen  von;  J.  Axmann^  A.  TV.  Bohm, 
C.  Buscher,  J.  G.  A.  Frenzcl,  lì .  Jury^  F.  TI.  Meyer,  C.  A.  Scliwerdge- 
burth;  und  22  Aufsiitzen  in  Prosa  und  Poesie  von:  TVilhehn  Bliimenliagen^ 
Friedrich  Kind,  A.  F.  E.  Langbein^  ErnM  Raupach,  Gustav  SchilUng,  Hel- 
mine  v.  Cfiezi/,  li.  G.  Priilzcl,  Cari  Strechfuss,  Friedrich  und  Caroline  de  la 
Motte  Fouqué,  Bcaurcgard  Pandin,  TV.  Gerhard  und  E.  Mohrhardt.  12  mo. 
Herabgeselzier  Preis:  (von  tìRihh.  auf )  2  Rthh-.  12  Gr. 

Dasselbe  fiir  1827.  Vierter  Jahrgang.  Mit  8  Kupfern  zu  Figaro's  Hoch- 
zeit.    Ladenprcis:  2  Rthh. 

Dasselbe  fiir  1828.  Fiinfter  Jahrgang.  Mit  8  Kupfern  zu  Preci  osa.  Gewohn- 
hche  Ausgabe.    Ladenprcis:  2  Rthh. 

Mittlere  Ausgabe  mit  ersten  Abdiiicken  und  vergoldeten  Decken:  3  Rthh. 

Prachtausgabe  mit  gewiihUen  Abdriicken  :  4  Rthh. 

►5'  Dieses  Taschenbuch,  wclches  die  Theilnahmc  unserer  bellebtesten  Schriftstellpr  mit  den  gedie- 
gensUen  Beitriigen  sclimùckt,  und  worin  zugloich  eine  fortlaufcnde  Kupfergallerie  v<jn  Scenen  aus  den 
vorzviglichsten  Opern  des  In-  und  Auslandes  in  srlir  gelungenen  Blattcrn  der  geschicktesten  kiinstler 
aufge»icllt  ist,  erliielt  die  Gunst  des  Puhlicums  bereits  so  aligemein  zugesichert,  um  keiner  Empfehlung 
zu  bediirlen.  Durch  die  grosse  Ermassigung  des  Preises  (von  (J  Rtlilr.  auf  'i,  Rthlr.  12  Gr.  Conv.  M. 
cder  4  El.  30  Kr.  Rhcin.)  wird  der  Ankauf  der  ersten  drei  Jahrgiinge  ausseronlentlich  erleichtert,  und 
Liebhabern  Gelegcnheii  gegebeiv,  sich  den  Besitz  der  ganzen  JSammlung  fiir  eincii  lióchst  wohlfeilen 
Aufwand  zu  vcrscliallen.  Die  niichsten  Kortsctzungen  werdcn  sich  luit  Gullericn  aus  Obcron,  dem 
Barbicr  von  Se  vii  la,  u.  s.  w.  anschliesscn.  — 


11    

KHIV. 

PoRTBAiT  of  Shahspeare.  From  the  Chandos  Picture.  Paiiiter's  Xame  un- 
known.    Engraved  hy  C.  A.  Schwerdgeburth.  Roy.  4to.  Preìs:  16  Gr. 

KKV.  ^    . 

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Secondo  Raff.  Morglien,  C.  A.  Scliweidgeburth  incise.  4to  gr.  Preis:  1  Rthlr. 

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Miguel  de  Cervantes  Saavedra.  Segun  Ximeno  j  Ferro  por  Selma  y 
Brandi.  3  Pliegos.  4to  may.  Madrid.    (In  Commiss.)  Preis:  9  Rthlr. 

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PARNASSO  italiano  continuato,  ovvero  la  Parte  Seconda  de' 
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cesco Berni."  "Il  Decameron  di  Boccaccio.'^  "Le  Rime  di  M.  A.  Buo- 
narroti." "La  Vita  nuova,  Le  Rime,  Il  Convito  amoroso  di  Dante.''  "I  cin- 
que Canti,  Le  Rime,  Le  Satire  di -ariosi o."  "Le  Rime  di  Tasso."  Edizione 
giusta  gli  ottimi  Testi  antichi,  con  Note  istoriche  e  critiche.  Compiuta  in  Lii 
Volume.    Ornata  di  tre  Ritratti.    8vo.  gr. 

c!r  Dem  erstcn  Thfile  de»  Paunasso  ItaIìIano,  welcher  einen  critisch  p<*reinigteii  Urtext  von  ^^La  divi- 
na VommvHia  di  Dante  /i  li  {^  hi  e  ri"  '■'•  Le  Uimc  di  Petrarca  "  ^'Ij  Orlaudofiiriosodi  .1  rio»to 
und  "• />fz  (ìertisdlfìiiìiie  libcriitu  di  'l'asso,"  iiehst  /.\v('<-kiiiassi<jcn  ('oniiin'Utarcii,  ■M'r<'ini;;»'nd  zusam- 
nioMstcllt ,  >>ir(l  sicli  «>iii  aiiiiiicUcr,  in  tjpof^rapiiisflicr  Itiiisiclit  <',anz  ;;('masscr,  zxNciter  Uand 
mit  ohijirin  IntiaUf  anscTldicsscii,  uiul  liicraiit'  <lio  .Siil>s(  rii)ti(iii,  uiitt-r  iilx-rciiistiinnxMidiMi  llodiiifiiin^e», 
glcicli  dfiK'ii  sciiics  \  orgi'ingcrs,  iiiid  cbciit'alls  dcmsfilxMi  «'Utsprcilu'udiMi  \  erliiillnisscudes  l'roisfs, <\iirrU 
eiin'ii  ausiiiiirliclu'ii  l'rospoctus  iiiiclistoiis  cn'illìiet  werdcn.  — 

tSr  Cicicli/iitig  mit  dii'sciM  l'iitorin'liuion,  und  in  cinrr  dnn  PtRNtsso  (sub  No.  ili.)  vóUip  ont.s|>rc»l»en- 
dcn  iMiini,  ist  liir  nicimn  \  «rliif,'  cine  Ausgabe  der  vorzùglichstca  Wcikc  dea  itiilicnisch  en  Draiua 
uulcr  der  Presse,     bic  lùhrt  deii  Titel  : 

KKIK. 

Teatro  classico  italiano,  amico  e  moderno    con  iuastra 

zioni  istoriche  e   criticlic.    Due  \  olumì.   Hvo.   gr. 

rt"  Dicftr  Saniinlnn^  »ird  z\\«'l  starko  (Jross-Oc  fav  Iliindc  ffillin.  .Inlrr  \ii(<ir  hcstdit  (Tir  si(  h  mit  drr 
von  i  Ix-fiiniicndm  Sii;iiatnr  <I«t  Sfilrn/.alil,  nin  spatcr,  licini  Ursclilussc  dcs  Cìanzrn,  «■ine  «liruntiliifiimlie 
Folge  drr  v«T.seliir«icncn  SrlirirtHU-lltT  trrUVn  zn  konnrn.  liicran.s  cnLsiirin^jt  /uniiliNt  drr  \  orlln-il.  dans 
der  Druck  uiigeliiiidert  und  oline  itejumciideii  Zv>an^  vorrOekcn  kunn,  di-n  sonai  die  V<>ri>clurdciilicit  «U-r 


12     

Materlen,  bei  der  gròssem  and  mìndern  Scln\  ierigkeit,  welche  sìch  der  crltiachen  Bearbcltung  darbie- 
tet,  auferlegen  wQrde.  — 

MARLOWE.    The  Works  of  Kit  Maulowe.    Complete  in  One  Vol- 
ume.  Roj.  8vo.  _  ^ 

..»    HUUJL. 

CERVAI^TES   Saamcdra   (Miguel  de),    Obras.    En  Uno  Tomo,     8vo. 
major. 

LOPE  DE  Veca  Carpio,  Obras  Sleltas.   En  Uno  Tomo.  8vo.  mayor. 

UUKUl. 

TiECK.     A  POET'S  Life,    a  Novel.   By  Lewis  Tieck,  Esq.  Translated 
from  the  German.    8vo. 

SHAKSPEARE'S  saemmtlicite  Vermischte  GediciitE:   Venus  und  Ado- 

nis:  Tarquin  und  Lucretia;  der  Liebemlen  Klage;  den  verliebten  Pilger,  und 
die  Sonetten  entlialtend.  Im  Versmaasse  de^  Originala  iìbersetzt  von  Karl  Rich- 
ier.   8. 

KKKVi       >• 

ReTZSCH.     Umrisse    zu    Goethe  s   HÈlena,    classisch  -  romantische 

Pliantasmagorie ;  Zwi,sjclienspìel  zu  Faust.  Als  Fortsetzung  seiner  Umrisse  zu 
dieser  Tragedie.  4. 

SHAKSPEAREANA.  a  Supplement  adapted  to  every  Edition  of  Shak- 
speare's  Dramatic  Works;  containing  a  Series  of  those  commonlj  called  "Old 
Piajs",  whìch  are  to  be  attributed  to  this  eminent  Genius  accordìrig  to  the  Opin- 
ions  of  the  hìgher  Criticks.  Por  the  first  Time  compietela  arranged  ,  cnticallj 
explaìned,  and  enriched  with  several  Plajs  never  before  printed,  by  Lewis 
Tieck,   Esq.  Roy.  8to. 


ZwEiTES  Veuzeichmss  eìncr  Sammlung  auslandìscher  Bucher,  Kunstsachen  und 
Laudkarten  im  Assortiment  von  Ernst  Flcischer  in  Leipzig.  Gr.  8.  Geheftet. 


Leipzig,  (Neuer-Ncu-Markl,  No.  626.)    Julì,  1827. 


Ernst    Fleìscher 


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