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Full text of "Inni di guerra e canti patriottici del popolo italiano"

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i  Guerra 

e. 

Canti!  patriottici 


n  cura  di 

RINf^LDO 
CrtDDEO 


del  Popolo 
X  ^    Italiano 


S'^  Edizione 
aumentata 


Presented  to  the 

LIBRARY  of  the 

UNIVERSITY  OF  TORONTO 

from 

the  estate  of 

GIORGIO  BANDINI 


'NNI    DI    GUERRA 


PROPRIETÀ'  LETTERARIA 


Stabilimento  Tipografico  della  Società  Editoriale  Italiana  -  Milano 


Inni  di  Guerra  e 
Canti  patriottici 

del  Popolo  Italiano   ^ 


Scelti  e  annotati  da  Rinaldo  Caddeo 

♦♦♦♦♦ 

■S'i'i    /ÌA'''    d'Italia!    SII,    in    anni!    coraggio! 
Rerchet. 

Terza    edizione  ccjrretta  ed   aumentata 


MILANO 

CASA    EDITRICE    RISORGIMENTO 

1915 


APRI  7 1995 


PREFAZIONE  ALLA  SECONDA  EDIZIONE 


Questo  volumetto,  che  la  più  autorevole  stampa  ita- 
liana ha  chiamato  aureo,  ha  veramente  contribuito,  come 
si  proponeva,  alla  preparazione  morale  della  grande 
guerra  che  l'Italia  sta  combattendo  per  i  suoi  diritti  na- 
zionali e  per  la  giustizia  internazionale.  Richiamando  alla 
memoria  degli  Italiani  gli  inni  guerreschi  dei  loro  Padri, 
facendo  risuonare  nuovamente  nelle  masse  popolari  i  ri- 
tornelli dei  canti  patriottici  coi  quali  fu  fatta  la  Patria, 
l'Autore  forni  ai  cosidetti  interventisti,  ossia  a  coloro  che 
più  rapidamente  avevano  intuito  e  affermata  la  necessità 
imprescindibile  della  lotta  contro  l'Austria,  un  formidabile 
mezzo  di  propaganda  in  quegli  angosciosi  mesi  di  aprile 
e  di  maggio,  quando  parve  possibile  l'estrema  viltà  del 
neutralismo  austro-tedesco  che  avrebbe  fatto  per  sempre 
dell'Italia  un  paese  senza  onore  e  senza  potenza,  un 
vassallo  spregevole  e  venale  degli  Imperi  centrali. 
Nelle  piazze  e  nelle  strade  dove  si  inneggiava  alla  guerra 
liberatrice  si  videro  gruppi  di  giovani  e  di  vecchi  pro- 
cedere cantando  col  libro  del  Caddeo  in  mano;  e  dalle 
frontiere  dove  i  nostri  soldati  si  struggevano  nell'im- 
pazienza di  iniziare  la  marcia  verso  Trieste  e  Trento, 
verso  Fiume  e  la  Dalmazia,  lettere  vibranti  di  entusiasmo 


—  VI  — 

e  di  riconoscenza  giungevano  a  noi,  espressione  sincera 
della  grande  anima  italiana,  riboccante  di  idealità  e  fe- 
dele alle  generose  tradizioni  del  nostro  passato. 

Pubblicando,  dopo  soli  due  mesi  dalla  prima,  la  se- 
conda edizione  riveduta,  corretta  e  aumentata,  degli  Inni 
di  guerra  e  Canti  patriottici  del  Popolo  Italiano,  noi  for- 
muliamo l'augurio  che  fra  breve  i  nostri  vittoriosi  sol- 
dati possano  far  risuonare  nelle  vie  di  Trieste  e  di  Trento 
le  strofe  animose  al  canto  delle  quali  essi  stanno  pas- 
sando di  vittoria  in  vittoria. 

(ìiiigno,   1915. 

GLI  EDITORI. 


PREFAZIONE  ALLA  PRUA  EDIZIONE 


Questo  piccolo  libro  vuol  essere  un  contributo  alla 
mobilitazione  degli  spiriti  mentre  si  avvicina  rapidamente 
il  giorno  in  cui  la  guerra  mondiale  ci  avrà  non  più  sem- 
plici spettatori  ma  ardimentosi  attori,  ed  è  dedicato  alla 
gicventij  nostra,  a  quella  che  vigila  con  l'arma  al  piede 
sul  mal  tracciato  confine  ed  a  quella  che  conscia  della 
gravità  del  momento  dà  tutta  se  stessa  all'opera  di  prepa- 
razione morale  della  Nazione. 

Io  credo  fermamente  che  la  guerra  contro  l'Austria 
sia  ineluttabile.  Tutto  ci  spinge  alla  guerra  :  sentimento 
e  realtà,  la  tradizione  del  passato  e  le  necessità  dell'av- 
venire, il  bisogno  di  riunire  alla  Patria  le  terre  che  ane- 
lano a  ricongiungersi  ad  essa  e  quello  di  assicurare  al 
lavoro  italiano  una  più  vasta  sfera  di  attività  sull'Adria- 
tico, nell'Asia  Minore,  sul  vasto  Mediterraneo. 

Non  siamo  noi  che  abbiamo  voluto  e  scatenato  la 
guerra,  non  siamo  t^pi  che  abbiamo  seminato  la  pa- 
rola dell'odio.  Vi  è  nell'anima  italiana  una  gentile  tradi- 
zione di  generosità  ignota  agli  altri  popoli.  Pur  tra  il  fu- 
rore delle  battaglie,  pur  tra  le  sofferenze  del  giogo  stra- 
niero, dal  cuore  della  nostra  gente  è  uscita  spesso  la 
parola  del  perdono,  della  solidarietà  internazionale,  della 


—  vili  — 

più  squisita  umanità.  Dopo  aver  predicato  la  guerra  santa 
contro  lo  straniero,  Goffredo  Mameli  esprimeva  dalla  sua 
anima  purissima  questo  voto  : 

Dimenticate  ì   popoli 
L'ire  d'un  dì  che  muore, 
Sarà    la   terra    agli    uomini 
Come  una  gran  città  ; 
Libera,  grande,  unita, 
Vivrà  una  nuova  vita 
La  stanca  umanità. 

A  quest'ideale  siamo  stati  devoti  anche  troppo,  noi 
Italiani  ;  per  esso  molti,  e  dei  più  generosi  dei  nostri, 
avevano  financo  creduto  possibile  un'intesa  con  l'Austria, 
una  eterna  alleanza  con  la  Germania  !  Ma  ecco  che  è 
stata  l'Austria  stessa  a  risvegliarci  dal  sogno  ingannatore, 
a  riaprire  il  vecchio  conto  che  aveva  con  noi,  colpendoci 
in  quanto  di  più  caro  e  di  più  vitale  noi  avessimo. 

La  guerra  d'oggi,  mettendo  l'Austria  contro  il  prin- 
cipio di  nazionalità,  contro  la  indipendenza  dei  piccoli 
popoli,  contro  lo  spirito  democratico  animatore  della  vita 
italiana,  ci  sforza  ad  essere  contro  di  lei,  in  difesa  del 
patrimonio  ideale  e  materiale  che  gli  uomini  del  Risorgi- 
mento ci  hanno  lasciato  in  eredità  con  T'espresso  incarico 
di  ingrandirlo  e  di  fecondarlo  in  armonia  coi  sublimi 
principii  della  civiltà  umana. 

Come  hanno  potuto  dimenticare  a  Vienna  che  l'Au- 
stria in  guerra,  l'Italia  non  può  che  essere  contro  di  lei? 
Dal  1797  in  poi  i  suoi  nemici  furono  i  nostri  amici,  le 
sue  sventure  furono  le  nostre  fortune.  Non  è  rettorica, 
non  è  nemmeno  sentimentalismo  malsano  che  ce  la  fa 
considerare  ancora  nemica  :  è  necessità  di  tutte  le  no- 
stre aspirazioni  ideali,  di  tutte  le  nostre  tendenze  di  razza, 


—  IX  — 

di  civiltà,  di  commerci,  di  espansione  nel  mondo.  Il  conto 
che  l'Austria  ha  aperto  con  noi  dal  trattato  di  Campo- 
formio  non  è  chiuso  perchè  l'Impero  si  è  rifiutato  sempre 
di  saldarlo  per  la  tranquillità  nostra  e  sua  :  il  '49,  il 
'59,  il  '66  sono  operazioni  di  un  affare  che  attende  ancora 
la  sua  liquidazione  finale.  Resta  ancora  da  risolvere  la 
questione  nazionale  del  Trentino  :  la  questione  militare 
dell'Alto  Adige  che  deve  dare  all'Italia  la  sicurezza  del 
confine  nord;  la  questione  nazionale,  militare  ed  econo- 
mica insieme  del  possesso  pieno  ed  intiero  di  Trieste, 
del  Friuli  Orientale,  dell'Istria  con  Fiume;  la  questione 
marittima  della  Dalmazia  che  deve  darci  modo  di  assicu- 
rarci una  volta  per  sempre  il  dominio  dell'Adriatico. 
L'Italia  sente  che  il  momento  delle  forti  decisioni  è 
giunto,  che  l'ora  del  nostro  assetto  orientale  è  suonata! 
Ora  o  mai  più  !  La  gran  voce  del  passato  che  ci  spinge 
verso  l'avvenire  possa  risuonare  in  fondo  alla  coscienza 
di  coloro  ai  quali  la  Nazione  guarda  con  speranzosa  tre- 
pidazione. 

Dopo  un'interruzione  di  alcuni  decenni  l'epopea  nazio- 
nale italiana  sta  per  ricominciare  ;  il  nemico  è  lo  stesso,  gli 
ideali  da  raggiungere  sono  ancora  i  medesimi,  confortati 
da  una  più  estesa  comprensione  dei  bisogni  materiali  e 
sociali  della  Nazione,  ed  i  sentimenti  che  animano  il  nostro 
popolo  non  sono,  in  fondo,  mutati.  L'orizzonte  di  un  paese 
non  si  muta  nel  giro  di  pochi  lustri  ;  i  motivi  ideali  della 
nostra  grande  Rivoluzione  nazionale  sussisteranno  fino  a 
quando  tutti  gli  Italiani  non  saranno  rientrati  nel  sene 
della  Madre  comune,  fintanto  che  il  ciclo  storico  nel  quale 
ci  aggiriamo  non  sarà  compiuto.  Sfrondiamo  gli  inni  di 
guerra  ed  i  canti  patriottici  del  Risorgimento  delle  forme 


--  \  -  - 

che  suonano  arcaiche  ai  nostri  orecchi  e  li  troveremo 
freschi,  vivaci,  modernissimi,  come  se  fossero  stati  pen 
sati  oggi,  interpreti  fedeli  dei  nostri  ideali  politici. 

11  popolo  nostro  ha  incominciato  a  cantare  nelle  strade 
e  nelle  case  gli  inni  e  le  canzoni  nazionali  che  esso 
stesso  esprimeva  dal  suo  seno  fecondo  o  che  i  suoi  poeti 
e  i  suoi  musicisti  gli  preparavano  a  incominciare  dai 
tempo  di  Napoleone,  il  rigeneratore  del  sentimento  patrii, 
in  Italia;  poi  ha  continuato  a  segnare  ogni  rivolgimento, 
,  ogni  insurrezione,  ogni  battaglia,  ogni  vittoria,  ogni  mar 
tirio  della  sua  causa  con  canti  e  con  inni.  Nel  1821  e  nei 
1831  inni  di  guerra  corsero  da  un  capo  all'altro  delki 
penisola  mettendo  nelle  vene  degli  Italiani  l'impazienza 
delle  azioni  generose  e  magnanime.  11  1848,  l'anno  me 
laviglioso  del  nostro  riscatto,  fece  fiorire  le  più  beile  crea 
zioni  della  musa  popolare  ;  gli  inni  di  guerra,  le  canzoni 
popolari  nate  quell'anno,  cantate  tra  l'entusiasmo  della 
lotta  ingaggiata  in  tutta  Italia,  accompagnarono  l'ascen 
sione  lenta  ma  sicura  della  Nazione  verso  la  vetta  lum. 
nosa  ;  il  popolo  ancora  oggi  le  ripete,  nella  loro  giovi 
nezza  trionfale  che  non  cade  per  volger  di  anni.  11  I85li 
vide  una  nuova  primavera  di  canti  patriottici  che  si  prc 
lungo  fino  a  tutto  il  1860  :  poi,  tranne  per  brevi  momenti 
il  popolo  parve  aver  perduto  la  sua  ispirazione...  L'italiu 
era  fatta  —  se  non  compiuta  —  e  i  nuovi  bisogni  mate 
liali  del  Paese  diventato  grande  Potenza  incanalaron,. 
verso  altri  sfoghi  le  attività  poetiche  degli  Italiani. 

Ce  tuttavia  qualche  provincia,  dove  il  popolo  ha  cou 
tinuato  a  cantare  patriotticamente  perchè  la  lotta  pe. 
1  italianità  vi  è  rimasta  un  martirio  delle  anime,  jun'angc 
scia  perenne,  una  lotta  formidabile,  spesso  disperata,  nell . 


—  XI  — 

quale  veniva  giuocato  tutto  per  il  tutto  :  le  Provincie  ir- 
ledente,  il  Trentino  e  l'Alto  Adige,  Gorizia  e  il  Friuli 
Orientale,  Trieste  e  l'Istria,  Fiume  e  la  Dalmazia.  Queste 
terre,  rimaste  «  austriache  »  dopo  l'infausto  '66,  conob- 
bero una  forma  di  oppressione  più  feroce  di  quella  subita 
dalla  Lombardia  e  dalla  Venezia,  conobbero  la  persecu 
;.ione  al  sentimento  nazionale  non  solo,  ma  alla  favella 
italiana  e  alla  razza  :  si  tentò  nelle  disgraziate  regioni 
una  violenta  trasformazione  etnica,  la  sostituzione  cioè 
di  una  razza  straniera  alla  razza  italiana  che  vi  ha  stanzr. 
da  millenni,  allo  scopo  di  rendere  stranieri  gli  Italiani 
m  terre  italiane.  La  difesa  fatta  dagli  irredenti  non  fu 
solamente  una  difesa  politica,  fu  veramente  una  difesa  na^ 
zionale  contro  una  invasione  che  aveva  i  caratteri  della 
barbarie  medioevale.  Essi,  generosi,  lottarono  cantando 
come  i  prodi  del  Risorgimento,  ed  i  loro  canti  nazionali 
hanno  un  carattere  speciale  che  va  notato,  perchè  nella 
espressione  di  attaccamento  alla  lingua  del  s/  e  d'odio 
verso  lo  slavo  invasore  si  nasconde  potente  e  perseve- 
rante l'amore  alla  Patria  Italiana.  E'  la  prima  volta  che 
i  canti  degli  irredenti  vengono  stampati  accanto  a  quelli 
del  Risorgimento,  dei  quali  hanno  lo  stesso  palpito,  lo 
stesso  ardore  ;  così  riuniti,  questi  inni  di  guerra  e  di  fede 
che  vanno  dal  principio  del  secolo  XIX  al  1915  si  ri- 
compongono in  una  unità  ideale  che  l'esercito  e  la  ma- 
rina italiana  hanno  il  compito  di  stabilire  eterna. 

Lavoro  modestissimo,  senza  pretese  di  sorta,  è  il  mio, 
e  non  ai  dotti  si  raccomanda  ma  ai  pochi  che  vogliono 
ricordare  gli  inni  e  i  canti  concitativi  della  loro  lontana 
eroica  giovinezza  ed  ai  molti  che  un  così  prezioso  patri- 
trimonio  lirico  e  patriottico  non  conoscono  che  male  ed 


—  XII  — 

in  minima  parte.  Ho  compreso  nella  mia  raccolta  non 
tutte  le  poesie  patriottiche  che  l'Italia  ha  composto  nella 
sua  lunga  ed  aspra  battaglia,  ma  solo  quelle  che  sono 
state  messe  in  musica  o  comunque  cantate  nei  giorni 
della  preparazione  e  nei  giorni  della  battaglia.  Da  queste 
strofe  appassionate,  da  questi  ritornelli  veementi,  da 
questi  ritmi  animatori  balza  l'eroica  e  generosa  anima 
italiana.  Al  canto  di  questi  inni  di  guerra  la  terra  dei 
morti  ha  compiuto  il  miracolo  della  propria  resurrezione  : 
un  altro  ne  compirà  con  gli  stessi  canti  ora  che  è  risorta, 
ora  che  è  la  terra  dei  vivi,  se  tutti  i  suoi  figli  sapranno 
esser  degni  di  lei. 

Davanti  al  nostro  spirito  si  apre  la  visione  magnifica 
del  nostro  Risorgimento  e  dell'opera  che  compiremo. 
L'aspra  voce  del  cannone  riempie  del  suo  macabro  boato 
tutto  l'orizzonte  e  copre  di  terrore  il  mondo,  ma  da  una 
lontananza  eccelsa  si  avvicina  gradatamente  a  noi  il  coro 
divino  dei  nostri  morti  ;  le  loro  voci  si  innalzano  chiare 
e  forti  nel  cielo  e  ciò  che  esse  ci  dicono  ha  la  potertza 
di  rincorarci,  di  farci  sicuri  delle  nostre  sorti,  di  additarci 
la  via  sicura  da  seguire. 

Le  profezie  dei  nostri  martiri  stanno  per  compiersi. 
Dante  non  aspetta  piìi  solamente  a  Trento,  ma  ci  chiama 
fino  al  Brennero,  sulle  Alpi  Giulie  che  cingono  Trieste 
e  Fiume,  sulle  Dinariche  che  difendono  Zara... 

Italiani,  noi  siamo  per  vivere  un  meraviglioso  momento. 
Possiamo  non  viverlo  invano  per  le  fortune  d'Italia! 

Milano,  Pasqua  di  Resurrezione,  1915. 

RINALDO  CADDEO. 


«XX)(MMHXMMXMMMMXMMXM 


L'INNO  DELL'ALBERO 


DELLA  LIBERTA' 


E',  insieme  con  la  Marsigliese,  la  Carmagnola,  il  fa  ira,  importati 
dagli  eserciti  repubblicani  di  Francia,  l'inno  dell'aurora  del  pensiero  na- 
zionale italiano.  Gli  inni  francesi  furono  cantati  intorno  agli  alberi  della 
libertà,  eretti  negli  anni  1796-99  nelle  piazze  cittadine,  prima  nella  loro 
dizione  originale,  poi  in  curiose  traduzioni  e  riduzioni.  Il  Qa  ira  itaKano, 
per  esempio,  suonava  così  ; 

Ah,    ga   ira,    ga    ira,  ga  ira. 
Il  patriottismo    risponderà. 
Senza    temere   né   ferro  né  fuoco 
Gl'Italiani    sempre    vinceran. 
Ah,   ga    ira,    ga   ira,    ga    ira! 

Non  tardò  molto  che  i  patriotti  sentirono  il  bisogno  di  un  inno  propr'o 
e  così  sorse  dal  seno  del  popolo  Vlnno  dell'Albero,  cfie  fece  dimen- 
ticare gli  inni  francesi  ;  la  sua  musica  era  solenne,  piena  di  una  re- 
ligiosa dolcezza.  Giuseppe  Mazzini  lo  ebbe  carissimo  e  a  Londra,  nei 
lunghi  anni  d'esilio,  amava  canticchiarlo  sovente,  accompagnandosi  con 
la  chitarra.  Un  altro  Inno  dell'Albero,  detto  della  Repubblica  Partenopea, 
fu   musicato  dal   Cimarosa  su   parole   di   Luigi   Rossi  ;    diceva  : 

Bella    Italia,   ormai  ti  desia, 
Italiani   all'armi,    all'armi  : 
Altra    sorte    ormai   non    resta 
Che    di   vincere,    o    morir. 

Ecco  Vlnno  dell'Albero  della  Libertà,  che  è  tutto  informato  allo 
apiirito   dei   tempi    e  tradisce    la  sua   origine   giacobina. 

Or  ch'innalzato  è  l'albero 
S'abbassino  i  tiranni  ; 
Dai   suoi  superbi  scanni 
Scenda  la  nobiltà. 

Un  dolce  amor  di  patria 
S'accenda  in  questi  lidi; 
Formiam  comuni  i  gridi  ;  ' 

Viva  la  libertà  ! 


—  2  — 

L'indegno  aristocratico 
Non  osi  alzar  la  testa  : 
Se  l'alza,  allor  la  festa 
Tragica  si  farà. 

Un  dolce  amor  di  patria 
S'accenda  in  questi  lidi  ; 
Formiam  comuni  i  gridi  ; 
Viva  la   libertà  ! 

Già  reso  uguale  e  libero 
Ma  suddito  alla  legge, 
È  il  popolo  che  regge  : 
Sovrano  ei  sol  sarà- 

Un  dolce  amor  di  patria 
S'accenda  in  questi  lidi  ; 
Formiam  comuni  i  gridi  ; 
Viva  la   libertà  ! 

Sul  torbido  Danubio 
Penda  l'austriaca  spada  : 
Nell'Itala  contrada     • 
Mai  più  lampeggerà. 

Un  dolce  amor  di  patria 
S'accenda  in  questi  lidi; 
Formiam  comuni  i  gridi  ; 
Viva  la   libertà  ! 


—  3  — 

"-PARTIRÒ'  PARTIRÒ'...,, 

CANTO   POPOLARE 

E  uno  dei  più  antichi  canti  popolari  italiani  e  come  il  precedente 
rimonta  a  più  di  un  secolo  fa,  al  tempo  delle  guerre  napoleoniche,  quando 
la  nostra  gioventù,  disusata  al  mestiere  delle  armi  da  una  secolare  tra- 
dizione di  mollezza,  di  vigliaccheria  e  di  servaggio,  fu  restituita  dal  Ca- 
pitano corso  alla  virtù  militare,  rigeneratrice  dei  costumi  e  madre  di 
libertà.  Vi  è  in  queste  strofe  un  accento  di  sconforto  e  di  amarezza 
caratteristico  :  si  sente  il  dolore  del  distacco  dal  paese  adorato,  dalla 
famiglia  mai  prima  di  allora  abbandonata,  distacco  non  confortato  da 
un'idea  superiore  che  potesse  fare  accettare  di  buon  animo  il  sacrifizio, 
né  dal  miraggio  di  una  patria  grande,  forte  e  libera.  Militando  con  Na- 
poleone, all'ombra  della  bandiera  tricolore  (verde,  bianco,  rosso)  che 
il  gran  condottiero  aveva  già  trovata  adottata  dai  patriotti  al  suo  in- 
gresso in  Milano  nel  1796,  i  soldati  italiani  compirono  prodigi  di  va- 
lore, entrarono  due  volte  trionfalmente  in  Vienna,  si  coprirono  di  gloria 
in  Spagna  e  Russia,  acquistarono  la  coscienza  del  proprio  valore.  Par- 
titi con  rammarico  per  le  guerre  napoleoniche,  tornati  tristemente  in 
patria  dopo  la  caduta  del  gigante,  furono  i  veterani  di  Napoleone  che 
conservarono  gelosamente  il  culto  della  tricolore  bandiera  e  la  innal- 
zarono nei  movimenti  del  1821  e  del  1831  segnacolo  di  rigenerazione 
nazionale.  E  noto  che  gli  ufficiali  e  i  soldati  italiani  di  Napoleone  ap- 
partennero a  centinaia  alla  Carboneria  e  alle  altre  società  segrete  po- 
litiche e  furono  sempre  tra  i  più  fedeli  e  ardenti  seguaci  delle  idee  di 
indipendenza  e  di  libertà  dell'Italia.  Questa  canzone  fu  popolarissima 
e  venne  ripetuta  con  lievi  varianti  anche  nelle  guerre  del  1848,  del 
1849    e    del    1859. 

Partirò,  partirò,  partir  bisogna 
Dove  comanderà  '1  nostro  sovrano  ; 
Chi   prenderà  la  strada  di    Bologna, 
E  chi  anderà  a  Parigi  e  chi  a  Milano. 

Ah,   che  partenza  amara, 
Gigina  cara,  mi  convien  fare. 
Vado  alla  guerra,  spero  di  tornare. 

Se  il  nostro  Imperator  ce  lo  comanda, 
Ci  batteremo  e  finirem  la  vita  ; 
Al  rullo  de'  tamburi,  a  sunn  di  banda 
Farem  dal  mondo  l'ultima  partita. 

Ah  che  partenza  amara, 
Gigia  mia  cara,  Gigia  mia  bella  ; 
Di  me  più  non  avrai  forse  novella. 


—  4 


BELLA  ITALIA,  AMATE  SPONDE  „ 

ODE   DI  VINCENZO   MONTI 


Quest'ode  famosa  del  Monti  (nato  in  Alfonsine  di  Romagna  il 
19  febbraio  1754,  morto  in  Milano  il  13  ottobre  1828)  in  onore  del 
generale  Desaix  fu  scritta  nel  1801,  quando  il  poeta  potè  tornare 
in  Italia  dall'esilio  di  Parigi  dopo  la  vittoria  francese  di  Marengo.  Si 
compone  di  23  strofe,  le  prime  delle  quali  divennero  popolarissime 
nel  periodo  del  Risorgimento,  e  furono  cantate  specialmente  fra  gli 
esuli. 

Bella    Italia,    amate    sponde, 
Pur  vi  torno  a  riveder  ! 
Trema  in  petto  e  si  confonde 
L'alma   oppressa   dal   piacer. 

Tua  bellezza,   che  di  pianti 
Fonte  amara  ognor  ti  fu, 
Di  stranieri  e  crudi  amanti 
T'avea  posta  in  servitù. 

Ma   bugiarda    e    malsicura 
La  speranza  fìa  de'  re  : 
Il  giardino  di   natura 
No,  pei  barbari  non  è. 


—   5   — 


SORGI  I  CHE  TARDI  ANCORA?,, 

INNO   DI   GABRIELE   ROSSETTI 


Gabriele  Rossetti  (nato  a  Vasto  il  28  febbraio  1783,  morto  a  Lon- 
dra il  26  aprile  1854)  fu  il  poeta  della  prima  rivoluzione  napoletana, 
quella  del  luglio  1820,  che  mosse  la  rivoluzione  siciliana  dello  stesso 
anno  e  quella  piemontese  del  1821.  Il  Rossetti  salutò  la  Costituzione 
promessa  dal  re  Ferdinando  1  e  sciolse  poi  un  inno  alla  Costituzione 
giurata  «  splendido  d'imagini  antiche  »  come  lo  chiamò  il  Carducci,  e 
che  costò  al  Poeta  30  anni  di  esilio  e  la  morte  in  terra  straniera. 
E    quello    che    incomincia    cosi  : 

Sei   pur    bella    cogli  astri    sul   crine, 
Che    scintillali    guai   vivi  zaffiri; 
E  pur   dolce   quel   flato  che    spiri. 
Porporina   foriera  del  di. 

Col    sorriso    del  pago    desio 
Tu    ci   annunzi    dal    balzo    vicino 
Che   d'Italia    nell'almo   giardino 
Il   serraggio    per  sempre  finì. 

Ma  il  tiranno  di  Napoli,  dopo  i  congressi  di  Troppavia  (ottobre 
1820)  e  di  Lubiana  (gennaio  1821)  divenne  spergiuro  e  con  l'aiuto  delle 
soldatesche  austriache  mosse  a  soffocare  la  Costituzione.  Fu  allora  che 
il  Rossetti  lanciò  quest'inno  di  guerra,  nell'illusione  che  le  truppe  co- 
stituzionali comandate  dai  generali  Pepe  e  Carascosa  riuscissero  a 
sconfìggere  lo  straniero  e  a  tener  lontano  dal  regno  di  Napoli  il  de- 
sposta   fedifrago. 

Sorgi  !   Che   tardi   ancora  ? 
Tu  dormi,  Italia?  Ali  no! 
Di  libertà  l'aurora 
Sui  colli  tuoi   spuntò. 

Sorgi  ;  e'  raffrena  il  corso 
D'esercito  invasor, 
Che  porta  i  segni  al  dorso 
Del  gallico  valor  ! 

Ah,  su  quel  dorso  indegno. 
Curvato  a  servitiì 
Imprima  un  qualche  segno 
Pur   l'itala   virtij  ! 


E  soffrirai  che  armati 
Rechin  più  ceppi  a  te 
Que'  sudditi  scettrati  ■ 
Che  ti  miravi  al  pie? 

Come  il  valor  degli  avi 
Poni  in  oblio  così  ? 
O  schiava  de'  tuoi  schiavi, 
Fosti  regina  un  di. 

Snuda  Tacciar  da  forte, 
Ricingi  l'elmo  al  crin, 
Sorgi  :   tra  vita  e  morte 
Qui  pende  il  tuo  destin  ! 

Aperta  è  già  la  strada 
Al  nuovo  tuo  valor  : 
Se  impugnerai    la   spada, 
Sarai  regina  ancor. 

È  giunto  il  tempo  omai 
D'uscir  di  servitù, 
E  se  sfuggir  tei  fai 
Non  tornerà  mai  più. 


ALL'ARMI!  ALL'ARMI! 

DI   GIOVANNI    BERCHET 

Giovanni  Berchet  (nato  a  Milano  il  23  dicembre  1783,  morto  a 
Torino  il  23  dicembre  1852),  esule  e  poeta,  compose  fuori  d'Italia  le 
sue  poesie  patriottiche  più  ardenti  e  più  belle.  Il  Romito  del  Cenisio 
ed  il  Rimorso  giunsero  in  patria  come  pericoloso  contrabbando  al  quale 
la  polizia  austriaca  diede  una  caccia  spietata...  quando  già  esso  si 
era  sparso  dappertutto.  11  Berchet  seguiva  dall'esilio  con  la  massima 
attenzione  lo  svolgersi  e  l'affermarsi  dell'idea  nazionale  che  i  processi 
e  le  condanne  piemontesi  ed  austriache  fomentavano,  e  quando,  dopo 
la  morte  di  Leone  XII,  negli  Stati  del  Papa  nacquero  moti  parziali 
contro  il  Governo,  egli  scrisse  quest'inno  guerresco,  che  fu  cantato 
dai    patriotti    per    un    lungo    periodo    di    tempo. 

Su,  figli  d'Italia!  su,  in  armi!  coraggio! 
Il  suolo  qui  è  nostro  ;  del  nostro  retaggio 
Il  turpe  mercato  finisce  pei  re. 
Un  popol  diviso  per  sette  destini. 
In  sette  spezzato  da  sette  confini, 
Si  fonde  in  un  solo,  più  servo  non  è. 

Su,   Italia  !   su,   in   armi  !   Venuto   è  il   tuo  dì  ! 
Dei  re  congiurati   la  tresca  finì  ! 

Dall'Alpi  allo  Stretto  fratelli  slam  tutti! 
Su  i  limiti  schiusi,  su  i  troni  distrutti 
Piantiamo  i  comuni  tre  nostri  color  ! 
Il  verde,  la  speme  tant'anni  pasciuta  : 
Il  rosso,   la  gioia  d'averla  compiuta; 
Il  bianco,   la  fede  fraterna  d'amor. 

Su,    Italia  !  su,    in  armi  !    Venuto   è    il    tuo   dì  ! 
Dei   re   congiurati   la  tresca   finì  ! 

Gli  orgogli  minuti  via  tutti  all'oblio! 

La  gloria  è  de'  forti.   —  Su,   forti,   per  Dio, 
Dall'Alpi   allo  Stretto,   da  questo  a   quel   mar' 
Deposte  le  gare  d'un  secol  disfatto. 
Confusi  in  un  nome,  legati  a  un  sol  patto. 
Sommessi  a  noi  soli  giuriam  di  restar. 

Su,   Italia  !  su.    in  armi  !   Venuto  è   il   tuo   dì  ! 
Dei  re  congiurati   la  tresca  finì  ! 


—  8  — 

Su,  Italia  novella  !  su,  libera  ed  una  ! 
Mal  abbia  chi  a  vasta,  secura  fortuna 
L'angustia  prepone  d'anguste  città! 
Sien  tutte  le  fide  d'un  solo  stendardo! 
Su,  tutti  da  tutte  !  Mal  abbia  il  codardo, 
L'inetto  che  sogna  parzial  libertà  ! 

Su,    Italia  !  su,    in  armi  !   Venuto   è   il   tuo   dì  ! 
Dei  re  congiurati  la  tresca  finì  ! 

Voi  chiusi  ne'  borghi,  voi  sparsi  alla  villa, 
Udite  le  trombe,  sentite  la  squilla 
Che  all'armi  vi  chiama  dal  vostro  Comun  ! 
Fratelli,  a'  fratelli  correte  in  aiuto! 
Gridate  al   tedesco  che  guarda  sparuto  : 
L'Italia   è   concorde;   non  serve   a   nessun. 


—  9  — 


UNITA  E  LIBERTA 

INNO   DI  GABRIELE   ROSSETTI 


Nel  '48  e  '49  fu  cantato  moltissimo  e  con  grande  entusiasmo 
l'inno  del  Rossetti  composto  fin  dal  1830.  Fu  carissimo  a  Garibaldi. 
«  Ecco  una  bella  e  forte  musica  —  diceva  l'Eroe  (ricordo  di  A.  G.  Bar- 
rili), quantunque  in  parte  ricavata  da  un'opera  giocosa  (musica  del 
Rossini  del  Barbiere)  ;  ed  è  veramente  dispiacevole  che  nessuno  dei 
nostri  giovanotti  l'abbia  cantata  più  nelle  marce  e  negli  accampamenti. 
Con  quest'inno  dei  miei  legionari  di  Roma  mi  avete  ringiovanito  di 
dodici    anni.  » 

Minaccioso  l'arcangiol  di   guerra 
Già   passeggia   per   l'itala   terra  : 
Lo  precede  la  bellica  tromba 
Che  dal   sonno   l'Italia   svegliò  : 
L'App;nnino  per  lungo  rimbomba 
E  dal  Liri  va  l'eco  sul  Po. 

Tutta  l'Italia  pare 
Rimescolato   mare  : 
E  voce  va  tonando 
Per  campi  e  per  città  : 

—  Giuriam   giuriam   sul    brando 
O  morte  o  libertà  I  — 

La  Trinacria  che  all'ire  s"è  desta 
Mise  grido  di  rauca  tempesta  : 
Le  tre  punte  del  Delta  fèr  eco, 
Per  tre  valli  quell'eco  muggì  ; 
Tonò  l'Etna  dal  concavo  speco, 
Latrò  Scilla,  Cariddi  ruggì. 

—  All'arme!  all'arme!  —  è  il  grido 
Che  va  di  lido  in  lido; 

E  l'eco  replicando 
Di  lido  in  lido  va  : 

—  Giuriam  giuriam  sul  brando 
O  morte  o  libertà  !  — 


—   IO  — 

Qua  dall'Alpe  che  serra  Lamagna, 
Sull'immensa  lombarda  campagna 
Simil  grido  que'  detti   ripete, 
Simil  eco  quell'ire  destò  : 
O   fratelli,   sorgete  sorgete! 
Del  riscatto  già  l'ora  suonò! 

Se  il  centro  ed  ambo  i  lati 

Brulicheran    d'armati, 

Chi  affronterà   pugnando 

L'italica   unità? 

—  Giuriam  giuriam  sul  brando 

0  morte  o  libertà  !  — 

Ma  qual  plauso  si  leva  dal  centro  ! 
Oh,  qual  plauso  !  Né  resta  là  dentro  : 
Come  tuono  cui  tuono  rincalza 
O  balen  cui  succede  balen, 
Dai  due  lati  nel  centro  rimbalza 
E  dal  centro  sui  lati  rivien. 

Al   plauso  che   più  cresce 
Questa  canzon  si  mesce, 

1  petti  infervorando 
Di    patria    carità  : 

—  Giuriam  giuriam  sul  brando 
O  morte  o  libertà  !  — 

—  Siam  fratelli  —  nel  centro  risuona, 

—  Siam  fratelli  —  nei  lati  rituona  ; 
E  già  questi  s'abbraccian  con   quelli, 
Dai  tre  Iati  godendo  ridir  : 

—  Siam  fratelli,   fratelli,  fratelli, 
E  i  confini  per  tutto  sparir  !  — 

Ardir,    fratelli!    E'   giunto 
Il  sospirato  punto  : 
S'ei  passa,  ahi,  chi  sa  quando 
Di    nuovo   ei   tornerà? 

—  Giuriam  giuriam  sul  brando 
O  morte  o  libertà  !  — 


—  11  — 

Questo  fuoco  che  all'alme  s'apprende 
E  le  invade.  1«  scuote,  le  accende, 
Questo  fuoco,   fratelli,   vi  sveli 
Che  terrestre  di  tempra  non  è  ; 
Ah,  discese  dall'ara  de'  cieli 
La  scintilla  che  incendio  si  fé  ! 

Da  quell'altar  discese 

Che   infiamma  a  sante  imprese, 

E  i  cuori  infervorando 

Tutti  esclamar  ci  fa  : 

—  Giuriam  giuriam  sul  brando 
O  morte  o  libertà  !  — 

Sette  Siri  «i  coiman  di  mali 
Pari  ai  sette  peccati  mortali  ; 
Pari  ai  capi  dell'idra  lernea 
Cui  d'Alcide   la   clava   mietè. 
Tristi  capi  d'un 'idra  pili  rea. 
Nuovo   Alcide   lontano   non   è  ! 

Quanti  la  patria  ha  fidi 
Tanti   saran   gli    Alcidi  ; 
Deh,   un   giorno  memorando 
Cangi  una  lunga  età  ! 
• —  Giuriam  giuriam  sul  brando 
O  morte  o  libertà  !  — 

Ci  divise  perfìdia  e  sciagura, 
Ma  congiunti  ci  volle  natura  ; 
Alma   diva,   cui   l'Alpe   corona 
Fra   gli   amplessi  di   duplice   mar, 
Se  una  lingua  sul  labbro  ti  suona 
Un  sol  culto  ti  sacri  l'aitar! 

Chi  in  sette  ti  partìo 
Tradì  l'idea  di   Dio, 
E   il   mostro  abbominando 
Il  fio  ne  pagherà  : 

—  Giuriam  giuriam  sul  brando 
O  morte  o  libertà  !  — 


—    12  — 

Mascherata    malizia   chercuta 
T'iia  divisa,  tradita,   venduta; 
De'  tuoi  figli  fé'  crudo  governo 
Quell'avara   malizia   crudel  ; 
Turpe  furia   sbucata   d'inferno, 
Che  si  disse  discesa  dal  ciel. 

S'ella   mantenne   in   vita 
Quell'idra  imbaldanzita, 
E   l'una  e  l'altra  in   bando 
Da   questo   suol   n'andrà  : 

—  Giuriam  giuriam  sul  brando 
O  morte  o  libertà  !  — 

Cada  cada   l'antica  potenza 
Ch'è  de'  mali  feconda  semenza; 
E  la  legge  del  Verbo  di  Dio, 
Ch'ella  appanna  di   nebbia  d'error, 
Radiante  del   lume  natio 
Rimariti  la  mente  col  cor. 

Finché  quel  servo  culto, 
Ch'all'uom,  ch'a  Dio  fa  insulto, 
Dal  sozzo  aitar  nefando 
A   terra   non   cadrà  : 

—  Giuriam  giuriam  sul  brando 
O  morte  o  libertà  !  — 

Divo  fonte  del  culto  piia  bello 

Che  quell'empia  converte  in  flagello, 
Tu  che  inspiri  sì  nobile  impresa, 
Scudo  e  spada  d'Italia  sii  tu, 
Saldo  scudo  di  giusta  difesa. 
Forte  spada  di  patria  virtù  ! 

Mira  una  madre  oppressa, 
Ve'  i  figli  intorno  ad  essa 
Che  fremono  gridando 
Di  sdegno  e  di  pietà  : 

—  Giuriam  giuriam  sul  brando 
O  morte  o  libertà  !  — 


—   13  — 


ALL'ARMI! 


DI  GABRIELE   ROSSETTI 


Il  1831,  che  vide  Modena  insorta,  e  lo  Stato  del  Papa  quasi  in- 
teramente guadagnato  alla  causa  della  rivoluzione  nazionale  affermatasi 
il  26  febbraio  a  Bologna  nell'assemblea  dei  deputati  delle  città  libere 
d'Italia  dalla  quale  usciva  il  decreto  che  statuiva  la  decadenza  del 
potere  temporale,  inspirò  la  musa  patriottica  di  Gabriele  Rossetti.  Il 
suo  canto  L'anno  1831  è  uno  dei  piij  belli  che  vanti  la  letteratura 
'taliana    del   secolo    XIX.    Incomincia   coi    versi  : 

Su,    brandisci   la    lancia    di    guerra. 

Squassa    in   fronte    quell'elmo  piumato. 

Scendi   in  campo,    ministro    del   fato! 

Oh,    quai  cose    s'aspettan    da   te! 
Non    ebbe    però    la    diffusione    dell'inno   All'Armi!    che    qui    si    pub- 
blica,   e    il    quale,    distribuito    clandestinamente,    fu    cantato    come    inno 
di    guerra    per    tutto    il     1831     e    fu    anche    negli    anni    appresso    molto 
popolare. 

Fratelli,  all'armi,    all'armi  ! 
La  patria  ci   chiamò  : 
Con  gli   eccitanti    carmi 
Anch'io  fra  voi  verrò. 

Nutrito  dalle  brine 
Del   bellico  sudor, 
Mi  si  rinverde  al  crine 
L'inaridito  allòr. 

Andiam,   che   Daci  e  Goti 
Farem  caderci  al  pie  ! 
No,  fra  Spartani  e  Iloti 
Dubbio  il  trofeo  non  è. 

Che  fia  quel  reo  drappello 
Ch'or  v'osa  cimentar? 
Fia   gregge   che    '1   macello 
Sen  viene  ad  incontrar. 

Gelido  fia  qual  ghiaccio 
In  faccia  al  nostro  ardor  ; 
Che  non  ha  forza  il  braccio 
Se  non  gli  vien  dal  cor. 


—   14  — 

Pei  figli  della  gloria 
Nemici  a  servitù, 
La  pugna  e  la  vittoria 
Diversa  mai  non  fu. 

Dei  nostri  brandi  al  lampo 
L'Europa  arriderà  : 
La  via  che  mena  al  campo 
È  via  d'eternità. 

E'  bella  ancor  la  morte 
Sul   letto  dell'onor  : 
Chi  sa  cader  da  forte 
È  pari  al  vincitor  ; 

E  s'ei  rimane  oppresso 
Campion   di   libertà, 
Del   vincitore   istesso 
Più  grande  allor  si  fa. 

Quel  servo  gregge  indegno 
A  che  fra  noi  piombò? 
Sappiam  con  qual  disegno 
I  boschi  suoi  lasciò. 

Ah,  che  l'udir  già  parmi 
Tra  l'Unno  ed  il  Teuton, 
Commisto  al  suon  dell'armi 
Delle  catene  il  suon  ! 

Trema,  servii  coorte 

Che  vendi  il  sangue  ai  re , 
Le  stesse  tue  ritorte 
T'allacceremo  al   pie. 

La  mèsse  che  fiorita 
I  campi  ingombrerà. 
Del  sangue  tuo  nutrita 
Più  grata  a  noi  sarà. 

Trema  !  L'Italia  intera 
Alto  giurar  s'udì  : 
—  Di  tirannia  straniera 
.Questo  è  l'estremo  dì.  — 


15 


FUORI  IL  BARBARO! 


CANZONE  POPOLARE  DI  GUERRA 


DI  AGOSTINO  RUFFINI 


Di  Jacopo,  Giovanni  e  Agostino  Ruttìni,  Giuseppe  Mazzini,  scrisse 
queste  parole  :  «  L'amicizia  che  io  strinsi  coi  giovani  Ruffini  —  ed 
era  per  essi  e  per  la  santa  madre  loro  un  amore  —  mi  riconciliò  alla 
vita  e  concesse  sfogo  alle  ardenti  passioni  che  ini  fermentavano  dentro. 
Parlando  con  essi  di  lettere,  di  risorgimento  italiano,  di  questioni  filo- 
sofico-religiose, di  piccole  associazioni  che  erano  preludi  alla  grande 
da  fondarsi  per  av«re  di  contrabbando  libri  e  giornali  vietati,  l'anima 
si  rassicurava  ;  intravedeva  possibile,  comecché  su  piccola  scala,  l'a- 
zione... Ci  demmo  (nel  18.^0  quando  scoppiò  l'insurrezione  francese) 
a  fondere  palle  e  a  prepararci  per  un  conflitto  che  salutavamo  inevi- 
tabile e  decisivo...  ».  E'  di  quel  tempo  la  canzone  popolare  di  guerra 
di  Agostino  Ruffini.  allora  studente  di  giurisprudenza  nell'Università  di 
Genova.  La  canzone  ebbe  diffusione  limitata  tra  gli  studenti  ;  non  fu 
mai  l'iubblicata  e  vide  la  luce  soltanto  nel  189.^,  nell'ottimo  libro  del 
prof.  Carlo  Cagnacci  sui  fratelli  Ruffini  e  Mazzini,  ma  la  riproduciamo 
qui  come  un  modello  di  poesia   patriottica. 


Ogni  prode  al  suo  manipolo. 
Ogni  schioppo  alla  sua  spalla, 
Su  mostriamo  ai  duri  austriaci 
Se  alla  prova  il  cor  ci   falla  ; 
Suonin  guerra  i  nostri  carmi, 
Sia  di  guerra  ogni  pensier  : 
Italiani,   all'armi  all'armi. 
Guerra   eterna   allo   stranier. 

Han  succhiato  il  nostro  sangue, 
Han    beffata   la   sventura, 
Hanno    fatta    dell'Italia 
Una   vasta  sepoltura  ; 
Su  alla  razza  maledetta, 
Su  ai   feroci  masnadier, 
Italiani,    alla   vendetta, 
Guerra   eterna   allo   stranier. 


—   16   — 

Siamo   pochi,    ma  siam    liberi 
Ma  il  Signor  propizia  i  bravi  ; 
E'   devota   ali 'esterminio 
La  masnada  degli  schiavi, 
Come  ai   dì   che   Barbarossa 
Pianser  morto  i  suoi  scudier, 
Italiani,   avanti   avanti, 
Guerra   eterna   allo   stranier. 

Ora  e  sempre  guerra  ai  barbari. 
Ora  e  sempre  ovunque  guerra  : 
Finché  un  sol  di  loro  annebbia 
Il  seren  di  nostra  terra, 
Sian  di  guerra  i  nostri  canti, 
Sia  di   guerra  ogni   pensier,     , 
Italiani,  avanti  avanti. 
Guerra   eterna   allo   stranier. 

Al   Signor,   pe'   nostri   martiri. 
Per  la  vita,  per  la  morte, 
Far  giurammo  Italia  libera 
Una,    egual,    potente   e   forte  : 
Or  giuriam  dell'armi  al  lampo 
Sciorre  il  voto  oppur  cader. 
Italiani,   al  campo  al  campo, 
Guerra   eterna  allo  stranier. 

Splenda  Rosso,   Verde  e  Candido 
Sulle  schiere  lo  stendardo, 
Orifiamma  dell'Italia... 
Sovra  lui  figgete  il  guardo  : 
Del  riscatto  e  della  gloria 
Ei  vi  guidi  sul  sentier... 
Italiani,    alla   vittoria... 
Guerra  eterna  allo  stranier  ! 


17 


FRATELLI,  SORGETE! 

CORO  DI   GIUSEPPE   GIUSTI 


Le  strafai  di  Modena  (2t)  maggio  1831)  ordinate  dal  Duca  Fran- 
cesco IV,  nelle  quali  perirono  Ciro  Menotti  e  Giuseppe  Borelli,  ebbero 
in  tutta  Italia  una  eco  di  terrore  e  di  dolore.  Il  crudele  tiranno  di  Mo- 
dena divenne  oggetto  di  universale  esecrazione.  Due  anni  dopo,  si 
sparse  la  voce  in  Toscana  che  Francesco  IV,  giovandosi  dell'assenza 
del  granduca  Leopoldo  andato  a  Napoli  a  prender  moglie,  capitasse  a 
Firenze  in  incognito.  «  Non  era  vero  (scrisse  Ferdinando  Martini  a 
pag.  10.3  di  Simpatie),  ma  la  voce  sola  bastò  perchè,  a  detta  della  po- 
lizia medesima,  i  buoni  sudditi  toscani  si  amareggiassero,  riguardando 
quella  comparsa  clandestina  di  forieri  eventi.  Gli  studenti  non  si 
amareggiarono  soltanto,  parlarono  e  sparlarono,  scrissero  col  carbone 
S'.'i  muri  tutti  gli  improperi  che  il  Duca  si  meritava;  le  stanze  dell'Us- 
sero echeggiarono  di  invettive,  le  strade  di  canti  patriottici...  ».  Fu  in 
quell'occasione,  nel  1833,  che  Giuseppe  Giusti  (nato  a  Monsummano 
il  12  maggio  1809,  morto  a  Firenze  il  31  marzo  1850),  allora  studente 
a  Pisa  scrisse  questo  coro  che  a  detta  del  suo  condiscepolo  Frassi,  gli 
studenti  cantarono  poi  «tutti  insieme  palpitando  e  fremendo»  (Vita  di 
G.  Giusti,  cap.  4").  Il  coro  fu  pubblicato  per  la  prima  volta  da  Giosuè 
Carducci  nell'edizione  delle  poesie  del  Giusti  fatta  dal  Barbèra  nel    18.=^9. 


Fratelli,   sorgete, 
La  patria  vi  chiama  ; 
Snudate  la  larr.a 
Del   libero  acciar. 

Sussurran  vendetta 
Menotti  e  Borelli  ; 
Sorgete,  fratelli. 
La  patria  a  salvar. 

Dell'itala   tromba 
Rintroni  lo  squillo, 
S'innalzi  un  vessillo, 
Si  tocchi  l'aitar. 

Ai    forti  l'alloro, 

Infamia  agli  imbelli  : 
Sorgete,  fratelli, 
La   patria   a   salvar. 


18 


VIVA  IL  RE! 

DI   GIOVANNI   PRATI 


Quiest'inno-marcia  fu  scritto  dal  Poeta  trentino  nel  1843  dietro  ordine 
di  Carlo  Alberto  per  una  fanfara  militare  e  cantato  dai  soldati  pie- 
montesi che  lo  ebbero  caro  per  molto  tempo.  Giovanni  Prati,  nato  a 
Dasindo  il  27  gennaio  1815,  morto  a  Roma  ti  4  maggio  1884,  ebbe  anni 
di  invidiabile  popolarità.  Egli  seppe  esprimere  con  facile  e  brillante 
empito  lirico  l'onda  di  sentimenti  patriottici  che  animava  i  suoi  contem- 
poranei. 

Viva  il  Re  !  Tra'  suoi  gagliardi, 
Benedetto,  ei  muove  il  pie  : 
Vivan  sempre  gli  stendardi 
Dell'Italia,  e  il  nostro  Re! 

Se  i  nemici  avremo  a  fronte, 
Saran  presti  e  braccio  e  cor, 
E  ogni  zolla  del   Piemonte 
Stillerà  del  sangue  lor. 

Rotti  e  pesti  elmetti  e  maglie, 
Ma  inoffeso  il  forte  acciar, 
Tornerem  dalle  battaglie 
Nuovi   tempi    a    cominciar. 

Fremeran  d'allegri  suoni 
Le  borgate  e  le  città, 
E  di  libere  canzoni 
Tutta  Italia  echeggerà  ! 

Tutti  siam  d'un  sol  paese, 

Solo  un  sangue  in  noi  traspar  ; 
A  ogni  tromba  piemontese 
Mandi  un  eco  e  l'alpe  e  il  mar. 

Viva  il  Re!  Tra'  suoi  gagliardi. 
Benedetto,  ei  muove  il  pie  : 
Vivan  sempre  gli  stendardi 
Di  Savoia,  e  il  nostro  Re. 


—    19 


CHI  PER  LA  PATRIA  MUOR 
VISSUTO  É  ASSAI  „ 


Il  sentimento  patrio  fu  espresso  dagli  Italiani  non  solamente  con 
gli  inni  ed  i  canti  ma  anche  coi  cori,  le  romanze  e  le  cabalette  delle 
opere  teatrali  più  diffuse.  Tutti  sanno  qual  significato  abbia  dato  il 
popolo  ad  espressioni  ed  armonie  del  Nabucco  e  dei  Lombardi  di 
Verdi  e  con   quale  tenerezza  commossa  sia  stato  cantato 

Va,  o  pensiero,  sull'ali  dorate... 
e 

O  Signor  che  dal  tetto  natio... 

1  Fratelli  Bandiera  ed  i  loro  compagni  Niccolò  Ricciotti,  Domenico 
A\oro,  Anacarsi  Nardi,  Francesco  Berti,  Domenico  Lupatelli  nel  recarsi 
alla  morte  (avvenuta  presso  Cosenza  il  25  luglio  1844)  cantarono  i  versi 
della  Donna  Caritea  del  Mercadante  ;  espressione  di  maraviglioso  .'Stoi- 
cismo che  impressionò  i  carnefici  e  valse  ancor  più  ad  accendere  nel 
cuore  degli  Italiani  gli  ardori  del  sacrifizio  per  la  grande  e  santa  Patria 
nostra.  La  Donna  Caritea  era  stata  rappresentata  la  prima  volt» 
nel  1828.  Non  Chi  per  la  Patria  munr  era  scritto,  ma  Chi  per  la  gloria 
muor ;  non  Sotto  i  tiranni,  ma  Per  lunghi  affanni.  I  liberali  avevano 
cambiato  i  due  versi  che  così  divennero  popolari.  Il  coro  è  del  primo 
atto,  cantato  da  «guastatori  e  soldati  portoghesi».  Anni  dopo  uno  dei 
condannati  di  Belfiore,  Angelo  Scarsellini,  cantava  in  attesa  del  carnefice, 
il   7   dicembre    1852,  Tarla  del   Marin  Faliero  : 

Il  palco  è  a  noi  trionfo 
Ove  ascendiam   ridenti 
Ma  il  sangue  dei  valenti 
Perduto    non   sarà. 

Arreni  seguaci  a  noi 
Più   fortunati  eroi; 
Ma  s'anche  avverso  ed  empio 
Il  fato  lor  sarà, 
Avran  da   noi  l'esempio 
Come  a  morir  si  va! 


Aspra  del  militar 
Benché  la  vita, 
Al   lampo  dell'acciar 
Gioia  c'invita. 


—   20  — 

Chi  per  la  Patria  muor 
Vissuto  è  assai  ; 
La  foglia  dell'allor 
Non  langue  mai. 

Piuttosto  che  languir 
Sotto  i  tiranni 
E'  meglio  di  morir 
Sul  fior  degli  anni. 


21    — 


INNO  DI  PIO  IX 

DI  FILIPPO    MEUCCI 


Morto  Gregorio  XVI,  il  nuovo  Papa  Pio  IX  (cardinale  Giovanni 
Mastai  Ferretti,  nato  a  Sinigaglia  il  13  marzo  1792,  morto  a  Roma 
il  7  febbraio  1878)  parve  realizzare  il  sogno  giobertiano  di  un  capo 
della  cristianità  riformatore  e  amico  dell'Italia.  L'amnistia  ai  con- 
dannati politici  da  lui  concessa  il  Kì  luglio  1846  destò  un  vero  en- 
tusiasmo e  in  tutta  la  penisola  poeti  noti  e  non  noti  cantarono  il  Pon- 
icKce   liberale    e    italofilo.    Il    poeta    Sterbini    gridava    all'Italia  : 

Eri  seduta  :   levati 
Madre   di  tanti  eroi  : 
Oggi  t'innalza   un  cantico 
L'amor    dei    figli    tuoi. 

E   Gaetano    Bonetti  : 

Pace,    perdono,    unanimi 
Pregar  tue   genti,    o   Più; 
Tu    rispondesti    al    fervido 
Universal   desio, 
E  già  si  vide  splendere 
Tua    prima   legge,    amor. 

Un  inno  musicato  da  Gioacchino  Rossini  corse  per  tutta  l'Italia. 
Diceva  : 

Su  fratelli,   letizia   si  canti 

Al   magnanimo    core    di    Pio, 

Che   alla    santa    favilla    di    Dio  v. 

S'infiammò   del  più   dolce   pensier. 

Un  altro  inno,  diventato  presto  popolarissimo,  del  maestro  Nata- 
lucci,    diceva  : 

Come    un'iri    l'almo    Iddio 
Agli   afflitti   Te  mostrò, 
E    di   gioia,    sommo    Pio, 
Ogni    core    palpitò. 

Fu,  in  tutta  la  penisola,  un  delirio  patriottico,  e  il  Papa  divenne 
presto  l'idolo  nazionale.  L'Austria  non  tardò  a  capire  la  causa  del- 
l'idolatria degli  italiani  per  Pio  IX  ed  a  proibire  inni  e  canzoni.  Fran- 
cesco dall'Ongaro,  in  uno  dei  suoi  stornelli  diventati  famosi,  spiegava 
che    cos'era    Pio    IX    per    gli    italiani  : 

Pio  Nono  è  figlio  del  nostro   cervello, 
Un  idolo  del  cuore,  un  sogno  d'oro... 


—   22  — 

Chi  grida  per  le  vie  :    «  Vii'a  Pio  nono!  » 
Vuol  dir  :    «  Viva  la  patria  ed  il  perdono.  i> 
La  patria  ed   il  perdon   vogliono   dire 
Che  per  l'Italia  si  deve  morire. 

L'Inno  di  Pio  IX  fu  scritto  al  principio  del  1847  da  Filippo  Meucci, 
romano,  e  musicato  dal  maestro  Magazzari.  La  musica  «  aveva  un  an- 
damento solenne,  quasi  trionfale,  e  come  certi  sussulti  di  gioia...  » 
(D'Ancona). 


Del  nuov'anno  già  l'alba  primiera 
Di  Quirino  la  stirpe  ridesta, 
E  l'invita  alla  santa  bandiera 
Che  il  Vicario  di  Cristo  innalzò. 

Esultate,  fratelli,  accorrete, 
Nuova  gioia  a  noi  tutti  si  appresta  ; 
All'eterno  preghiere  porgete 
Per  quel  grande  che  pace  donò. 

Su  rompete  le  vane  dimore, 
Tutti  al  trono  accorrete  di  Pio  : 
Di  ciascuno  egli  regna  nel  cuore, 
Ei  d'amore  lo  scettro  impugnò. 

Benedetto  chi  mai  non  dispera 
Nell'alta  suprema  di  Dio; 
Benedetta  la  santa  bandiera 
Che  il  Vicario  di  Cristo  innalzò. 


23  — 


A  PIO   IX 

CORO   POPOLARE 


Dopo  gli  inni  di  gioia  nacquero  gli  inni  di  guerra,  nei  quali  si 
parlava  palesemente  della  riscossa  nazionale  e  della  cacciata  degli  Au- 
striaci. Il  seguente  coro  popolare  fu  cantato  la  prima  volta  in  Pisa 
la  sera  del  ItJ  giugno  1847  e  ripetuto  comunemente  in  Toscana  e  nel 
Lazio   per   tutto   quell'anno  :    fu   attribuito  al   Guerrazzi,  ma   pare   a  torto. 

Su,   fratelli  !  D'un  Uom  la  parola 
Or  ne  stringe  in  santissimo  patto. 
Essa  è  verbo  che  chiama  al  riscatto 
Dell'Italia  le  cento  città. 

E'   parola   che   fa  in   Campidoglio 
Il  Leone  d'Italia  ruggir- 

E'  di  Pio  la  gran  voce,  che  al  sonno 
Nostra  madre,  l'Italia,  ha  strappato  ; 
Di  tre  gemme  il  triregno  ha  fregiato, 
Tre  colori  di  sua  libertà. 

E'   parola   che   fa  in   Campidoglio 
II  Leone  d'Italia  ruggir- 

O   Profeta  d'un'èra  novella, 
A  un  tuo  cenno  slam  venti  milioni  : 
Aspettiam  la  scintilla  che  doni 
Alla  patria  uguaglianza  e  unità. 

E'   parola  che   fa  in   Campidoglio 
Il  Leone  d'Italia  ruggir- 

Non  più  schiavi  al  tedesco  aborrito, 
Tu  ci  rendi  la  gloria  primiera  : 
Sia  la  croce  la  nostra  bandiera, 
L'evangel  nostra  carta  sarà. 

E'   parola   che   fa  in   Campidoglio 
II  Leone  d'Italia  ruggir- 


—  24  — 

Viva   Italia  !   La  santa  crociata 

Grida,   nuovo  Alessandro,   e  rimira 
Cento  popoli   oppressi   nell'ira, 
Come  un  uomo,  levarsi  con  te. 

E'   parola  che   fa  in  Campidoglio 
Il  Leone  d'Italia  ruggir- 

Viva  Italia  !  O  ministro  di  Dio 
D'una  patria  ne  guida  all'acquisto  : 
Poi  rinnova  l'esempio  di  Cristo 
Che  redense  e  non  volle  esser  Re. 

E'  parola  che  fa  in  Campidoglio 
U  Leone  d'Italia  ruggir. 


—  25 


INNO  NAZIONALE 

DI  LEOPOLDO  CEMPINI  (7) 


Fu  popolarissimo,  quest'inno,  per  molti  anni.  Nato,  a  quanto  si 
crede,  a  Pisa  tra  la  patriottica  scolaresca  di  quell'illustre  Ateneo,  (lo 
Sforza  ne  fa  autore  il  Bosi,  il  D'Ancona  ritiene  che  venisse  da  Roma) 
ebbe  il  battesimo  della  popolarità  a  Firenze  quando  Leopoldo  II  firmò  il 
motu-proprio  che  istituiva  la  Guardia  Civica.  Davanti  alla  residenza 
del  Granduca  vi  fu  una  dimostrazione  che  innumerevoli  testimonianze 
affermano  grandiosa  e  indimenticabile.  Il  Bandi  nei  Mille  ricorda  che 
nel  1860  l'esaltante  armonia  di  quest'inno  trascinava  all'attacco  gli 
eroici  volontari  che  lo  cantavano  alternandolo  con  gli  altri  inni  più  in 
voga  :    la  Bella  Gigogin,  ì  Fratelli  d' Italia  e  Vlnno  di  Garibaldi. 

O  giovani  ardenti 
D'italico  amore, 
Serbate  il  valore 
Pel  dì  del  pugnar. 

Evviva   l'Italia, 
Evviva  Pio  Nono  ; 
Evviva   l'unione 
E    la    libertà  ! 

Per  ora  restiamo 
Sommessi  e  prudenti  : 
Vedranno  le  genti 
Che  vili  non  si^'n. 
Evviva   l'Italia,    ecc 

Stringiamoci  insieme, 
Ci  unisca  un  sol  patto 
Del  dì  del  riscatto 
L'aurora   spuntò. 

Evviva  l'Italia,    ecc 

Stringiamoci  insieme  ; 
Siam  tutti  fratelli  ; 
In  giorni  più  belli 
Ci  giova  sperar. 

Evviva   l'Italia,    ecc 


—  ze- 
li prence  Leopoldo 
Invitaci   all'armi  ; 
Fra   bellici   carmi 
Sapremo  pugnar. 

Evviva   l'Italia, 
Evviva   Pio   Nono  ; 
Evviva  l'unione 
E  la  libertà  ! 

Già  l'armi  son  pronte 
A  un  cenno  di  Pio 
Mandato  da  Dio 
L'Italia    a  salvar. 

Evviva  l'Italia,    ecc 

Se  il  vile  tedesco 
Non   lascia   Ferrara 
Prepari   la  bara, 
Piij  scampo  non  ha. 
Evviva,  l'Italia,  ecc 

Il  cielo  sereno 
Su  terra  ridente 
A  libera  gente 
Concesse  il  Signor. 

Evviva,  l'Italia,  ecc 


27 


m NO  ALLA  GUARDIA  CIVICA 

DI  FIRENZE 


L'aria  «  O  Signor  che  dal  tetto  natio  »  fu  adattata  dal  popolo  a  que- 
st'inno, nato  a  Firenze  dopo  la  concessione  della  Guardia  Civica, 
ritenuta  una  grande  vittoria  popolare  e  un  gran  progresso  nella  via 
della   redenzione   italiana. 


Cittadini,  la   patria   vi   affida 

La  difesa  di  queste  contrade  : 
Cittadini,  cingete  le  spade 
Se  la  patria  v'invita  a  pugnar. 

Siamo  tutti  d'un  sangue  redenti, 
Siam  fratelli  al  cospetto  d'Iddio. 
Lo  proclama  la  voce  di  Pio  : 
Ci  sia  sacra  la  patria  e  l'aitar- 

Una  nera,  tremenda  procella 
Sull'Italia  mugghiando  minaccia  : 
Maledetto  chi  asconde  la  faccia 
Al  nemico  dell'Italo  suol. 

Non  è   spenta   l'antica   virtude 
Benché  tolti  da  poco  al  servaggio. 
Vendicare  sapremo  l'oltraggio 
Di  chi  insulta  a  un  represso  valor. 

Benché  forti  di  mille  codardi 

Del  nemico  sian  fatte  le  schiere, 
Vinceranno   le   sante   bandiere, 
Il  gigante  temuto  cadrà. 

E  del  Cristo  pugnando  nel  nome, 
Che  ci  tolse  al  comune  periglio, 
Ci  fìa  dato  di  volgere  il  ciglio 
A  quel  sole  che  Bruto  scaldò. 


—  28  — 

Cittadini,  fia  sacra  l'impresa, 
Pende  Europa  sul  vostro  destino, 
Chi   discende  dal  sangue  latino 
Nacque,  crebbe,   guerriero  morì. 

Cittadini,   correte,  correte, 
Già  vi  chiama,  v'invita  alla  gloria 
L'avvenire   di   certa  vittoria. 
La  difesa  d'Italia  e  l'onor. 


—  29 


ODI  O  SIRE! 

POESIA    PATRIOTTICA  SICILIANA 


[Rivolta  a  Ferdinando  II  Borbone  nel  1847  dai  rivoluzionari  sici- 
liani, per  i  quali  l'aveva  scritta  il  poeta  David  Levi,  e  cantata  suc- 
cessivamente   in   tutte    le   insurrezioni    di    quel    fierissimo    popolo. 

Odi,    o    Sire.    Da    trent'anni 
A  noi  miseri  ed  oppressi 
Involare  i  suoi  tiranni 
Gloria,    averi,   libertà. 
Dieci  di  ti  son  concessi  : 
A  noi  rendi  il  prisco  dritto, 

0  Sicilia  insorgerà. 

Siccome  già  su   Ninive 
La  voce   del  Signore, 
Voce  d'un  nume,  il   popolo 
Al  Re  così  parlò. 

1  di  segnati  volsero  : 
Fiero   dei  regi    è    il   core  ; 
Il  popolo  s'alzò... 

Da  campi   e  cittadi,  terribili   e  fieri. 
Patrizi  e  pastori,   banditi  e  guerrieri 
Brillaron   di   gioja,   brandiron  Tacciar... 

I    brandi,    i  pugnali   sfavillano  a  mille. 

Non   hanno  che  un   suono   le  cento  sue  squille, 
Non   han   che   un   affetto  gl'intrepidi  cor... 

Chi  gl'impeti  affrena  d'irato  oceano? 
Chi  l'onde  infocate  d'acceso  vulcano? 
D'un  popol  che  vuole  chi  doma  il  furor? 

Odi,   o  Sire,   ecc. 


—  30  — 

INNO  AL  RE 

DI  GIUSEPPE  BERTOLDI 

In  Piemonte  si  ebbe  una  vera  efflorescenza  di  inni  nazionali  e  di 
canti  patriottici  quando  nel  1847  Carlo  Alberto  si  mise  sulle  vie 
delle  riforme  le  quali  in  breve  tempo  dovevano  portarlo  alla  conces- 
sione dello  Statuto  ed  alla  guerra  all'Austria.  Fino  a  quell'anno  la 
musa  italiana,  a  dire  il  vero,  aveva  lanciato  contro  il  Re  di  Sardegna 
le  pili  atroci  invettive  :  dopo  di  allora  il  tono  cambiò  e  l'affetto,  l'am- 
mirazione, la  pietà  accompagnarono  fino  alla  tomba  e  oltre  lo  sven- 
turato sconfìtto  di  Novara.  Nel  1832  Carlo  Alberto  aveva  ordinato 
al  maestro  Gabetti  una  Marcia  reale,  senza  parole,  che  accompagnò 
le  truppe  italiane  in  tutte  le  sue  prove  ed  in  tutti  i  suoi  trionfi;  poi 
fece  scrivere  al  poeta  Giuseppe  Bertoldi  il  seguente  «  Inno  al  Re  », 
proprio  nel  tempo  in  cui  aveva  fatto  proibire  in  tutti  i  suoi  stati  la  ban- 
diera tricolore.  L'inno  fu  cantato  la  prima  volta  a  Genova  il  3  no- 
vembre    1847. 

Con  l'azzurra  coccarda  sul  petto, 
Con  italici  palpiti  in  core, 
Come  figli  d'un  padre  diletto, 
Carlalberto,   veniamo  al  tuo  pie'; 
E  gridiamo  esultanti  d'amore  : 
Viva  il  Re!  Viva  il  Re!   Viva  il  Re! 

Figli  tutti  d'Italia  noi  siamo, 

Forti  e  liberi  il  braccio  e  la  mente  ; 
Più  che  morte  i  tiranni  aborriamo, 
Aborriam  più  che  morte  il  servir  ; 
Ma  del  Re  che  ci  regge  clemente 
Noi  Siam  figli,  e  godiamo  obbedir. 

A  compire  il  tuo  vasto  disegno 
Attendesti  il  messaggio  di  Dio  : 
Di  compirlo,  o  Re  grande,  sei  degno, 
Tu  c'inalzi  all'antica  virtù. 
Carlalberto  si  strinse  con  Pio  ; 
Il  gran  patto  fu  scritto  lassù. 

Se  ti  sfidi  la  rabbia  straniera, 

Monta  in  sella  e  solleva  il  tuo  brando, 
Con  azzurra   coccarda  e   bandiera 
Sorgerem  tutti  quanti  con  te  ; 
Voleremo  alla  pugna  gridando  : 
Viva  il  Re  !  Viva  il   Re  !  Viva  il   Re  ! 


—  31 


INNO  A  CARLO  ALBERTO 

DI   B.   MUZZONE 


Quest"  «  Inno  a  Carlo  Alberto  »,  scritto  da  B.  Muzzone  e  musi- 
cato dal  maestro  Bodoira,  ehhe  diffusione  quando  il  Re  di  Sardegna 
si  mise  sulle  vie  delle  riforme,  con  immenso  giubilo  delle  sue  po- 
polazioni. Una  raccolta  delle  varie  poesie  scritte  nei  regi  stati  in 
occasione  delle  riforme  concesse  da  Carlo  Alberto  nel  1847  e  nella 
quale  si  trovano  inseriti  ben  ottantasei  componimenti  poetici  dà  una 
pallida  immagine  della  gioia  con  la  quale  era  stata  accolta  nel  Regno 
di  Sardegna  la  piena  e  sincera  conversione  di  Carlo  Alberto  alle  idee 
liberali   e  nazionali. 

Viva  Italia!  Dall'Alpi  e  dal  Tebro 
Si   risveglia  l'antico  valore. 
Viva    Italia  !    Un   novello   splendore 
Su  quest'inclita  terra  brillò. 

Emulando  la  gloria  di  Pio 
Carlo  Alberto  protese   la   destra 
Al  suo  popol  diletto,  e  maestra 
Di  sapienza  sua  voce  s'alzò. 

Viva  Italia!  Dall'Alpi  e  dal  Tebro 
Si   risveglia  l'antico  valore. 
Viva    Italia  !    Un   novello   splendore 
Su  quest'inclita  terra  brillò. 

Sorge  un  grido  di  gioia  e  s'alterna 
D'ogni  parte  un  applauso  sincero, 
Che  d'amore  è  suggello  foriero 
Di  grandezza  e  di  forti  voler. 

Già  sicure  si  faccian  d'intorno 
Al  gran  trono  Sabaudo  le  genti 
Or  che  accolte  le  inchieste,  i  lamenti, 
E'   dischiuso  un   arringo  al   pensier. 

Viva  Italia!   Dall'Alpi  e  dal  Tebro 
Si   risveglia  l'antico  valore. 
Viva    Italia  !    Un   novello  splendore 
Su  quest'inclita  terra  brillò. 


—  32  — 

Mormorando  sì  affanna  e  si  asconde 
La  discordia  invilita  e  derisa  ; 
Ve'  l'Italia  finora  divisa 
Confortarsi  de'  giorni  avvenir! 

Poiché   stretta    in   amplesso  fraterno 
Doma  l'ira  de'  tempi  e  gli  oltraggi, 
E  s'afRda  alla  mente  de'  saggi, 
E  de'  forti  nel  provvido  ardir. 

Viva  Italia!  Dall'Alpi  e  dal  Tebro 
Si  risveglia   l'antico  valore. 
Viva  Italia  !   Un  novello  splendore 
Su   quest'inclita  terra   brillò. 

Sia  di  pace  la  nostra  bandiera, 
Sacro  a  tutti  il  comune  diritto. 
Maledetto  chi   desti  il  conflitto, 
E  sollevi  de'  morti  l'aitar. 

La  giustizia  fremente  col  brando 
Sperderà  gli  esecrati  drappelli  ; 
Guai  se  il  nume  combatte  i  ribelli 
Che  oseranno  il  suo  sdegno  mutar. 

Viva  Italia!  Dall'Alpi  e  dal  Tebro 
Si  risveglia   l'antico   valore. 
Viva  Italia  !  Un  novello  splendore 
Su  quest'inclita  terra  brillò. 

Come   fiamma  che  scorre   in   foresta 
E   grandeggia  in  incendio  repente, 
Si  diffonde  nel  cor,  nella  mente 
Uno  spirto  di  patria  virtù. 

Cittadini  !   La  gloria  degli   avi 
E'  retaggio  affidato  ai  nepoti. 
Deh  !  compite  i  lor  fervidi  voti, 
E  l'Italia   ritorni    qual  fu. 

Viva  Italia!  Dall'Alpi  e  dal  TeDro 
Si  risveglia  l'antico  valore. 
Viva  Italia  !  Un  novello  splendore 
Su  quest'inclita  terra  brillò. 


33  — 


DIO  E  POPOLO 

INNO  DI  GOFFREDO  MAMELI 


Con  quf'Sto  canto  G'^ffreuo  Mameli,  diciottenne,  si  annunzia\a  nuovo 
poeta  della  patria.  «  La  sera  del  10  decenibre  184ti  tutta  Genova  era 
fiamme  di  gioia;  ma  non  la  città  sola,  tutti  gli  Apennini,  (7  dosso  d'Italia, 
come  Dante  li  chiama,  risplendevano  di  fuochi;  parea  che  gli  antichi 
vulcani  si  fossero  risvegliati;  era  l'avviso,  era  la  minaccia  d'Italia 
agli  stranieri  e  ai  tiranni.  Il  giovinetto  Mameli  guardava,  guardava  col 
petto  anelante  quella  città  accesa,  quei  monti  accesi;  e  intese  che  cosa 
tutto  ciò  significasse  :  dal  passato  indovinò  l'avvenire,  il  prossimo 
avvenire  ;  nella  commemorazione  della  battaglia  popolare  di  Prè,  e  di 
Portoria,  presentì  le  cinque  giornate  di  Milano;  e  in  imo  di  quei  nu)- 
menti  che  Platone  avrebbe  chiamato  di  «  furore  poetico  »  gitiò  ai  venti 
d'Italia  il  canto  Dio  e  Popolo,  il  canto  precursore  del  quarantotto  e  del 
quarantanove  ».    Così    Giosuè   Carducci. 

Disse,  anche,  A.  G.  Barrili  di  quest'inno:  «Fu  scritto  per  il  I!)  di- 
cembre 1846,  giorno  della  grande  passeggiata  votiva  di  tutto  il  popolo 
genovese  al  santuario  di  Oregina,  celebrandosi  il  primo  centenario 
della  cacciata  degli  Austriaci  da  Genova  ;  e  fu  recitato  dall'Autore 
il  9  dicembre,  nel  banchetto  d'onore  offerto  dagli  studenti  genovesi 
aìV Albergo  de  la  Ville,  a  Terenzio  Mamiani  :  il  quale  nel  suo  di- 
scorso a  quei  giovani,  lodò  grandemente  il  poeta.  Parlò  in  quella  oc- 
casione per  tutti  i  compagni  Gerolamo  Boccardo,  il  principe  degli 
economisti  italiani.  Quanto  all'inno  Dio  e  Popolo,  l'edizione  del  1850, 
nel  secondo  verso  del  ritornello,  reca  il  soldatesco  «  Dio  si  mette  alla 
sua  testa  »  forse  sulla  fede  di  qualche  copia  errata  dell'inno.  Nei  ma- 
noscritti di  Goffredo  chiaramente  e  ripetutamente  si  legge  «  Dio  com- 
batte »  che  ha  sapore  biblico,  in  tutto  conforme  agli  studi  che  sulla 
Bibbia  andava  facendo  il  Poeta.  Anche  la  edizione  Tortonese  ha  la 
più   giusta   lezione    «  Dio  combatte  »   e   dobbiamo   lodarla   di  ciò  ». 

Come  narran   sugli   Apostoli, 
Forse  in  fiamma  sulla  testa 
Dio  discese  dell'Italia... 
Forse  è  ciò;  ma  anch'è  una  festa. 
Nelle  feste  che  fa  il   Popolo 
Egli  accende  monti  e  piani  ; 
Come  bocche  di   vulcani. 
Egli  accende  le  città. 

Poi,  se  il  Popolo  si  desta, 
Dio  combatte  alla  sua  testa. 
La  sua  folgore  gli  dà. 


—  34   — 

Uno  scherzo  ora  fa  il  popolo  ; 
A  una  festa  ei  si  convita. 
Ma  se  è  il  popolo  che  è  l'ospite, 
Guai  a  lui  ch'ei  non  invita! 
Grande  è  sempre  quel  ch'egli  opera 
Or  saluta  una  memoria, 
Ma  prepara  una  vittoria  ; 
E  vi  dico  in  verità 

Che  se  il  Popolo  si  desta 
Dio  combatte  alla  sua  testa, 
La  sua  folgore   gli   dà. 

Noi  credete  ?  Ecco  la  storia  : 
AU'incirca  son  cent'anni 
Che  scendevano   su   Genova, 
L'armi  in  spalla,  gli  Alemanni  ; 
Quei  che  contano  gli  eserciti 
Disser  :  l'Austria  è  troppo  forte; 
E  gli  aprirono  le  porte. 
Questa  vii  genia  non  sa 

Che  se  il  Popolo  si  desta 
Dio  combatte  alla  sua  testa, 
La  sua  folgore  gli  dà. 

Un  fanciullo  gettò  un  ciottolo  ; 
Parve  un  ciottolo   incantato, 
Che  le  case  vomitarono 
Sassi  e  fiamme  da  ogni   lato. 
Perchè  quando  sorge  il  Popolo 
Sovra  i  ceppi  e  i  re  distrutti. 
Come   il   vento   sovra   i   flutti 
Passeggiare   Iddio  lo  fa. 

Quando  il  Popolo  si  desta 
Dio  combatte  alla  sua  testa. 
La  sua  folgore  gli  dà. 

Quei  che  contano  gli  eserciti 
Vi  son   oggi  come  allora  : 
Se  crediamo  alle  lor  ciance 
Aprirem  le  porte  ancora. 


—  35  — 

Confidiamo  in  Dio.  nel   Popolo  . 
I   satelliti   dei   forti 
Non  si   contano  che   morti. 
E  vi   dico  in  verità 

Che  se  il  Popolo  si  desta 
Dio  combatte  alla  sua  testa 
La   sua  folgore  gli   dà. 


—  36 


GIOBERTI  E  GARIBALDI 


DI  GIUSEPPE   BERTOLDI 


E'  questa  poesia,  forse,  la  prima  che  abbia  corso  l'Italia  difton- 
dendo  l'amore  per  il  Cavaliere  dei  popoli.  Fu  stampata  alla  fine  de! 
1847  a  Torino  sotto  un  ritratto  di  Garibaldi  edito  dal  Doven. 


E    va    Gioberti    vindice 
Dell'Italo   pensiero 
Ad   erger  sugli  elvetici 
Dirupi   un   trono'  al   vero  ; 
E'  Garibaldi  un  fulmine 
Che    fa   l'americane    acque   stupir. 

Della   grand'alma  prodigo 
Per  la  non  sua  contrada 
Altro  ei  non   chiede  in   premio 
Che  un  tetto  ed  una  spada, 
Molte  battaglie  e  vittime, 
E   degli  ospiti   suoi  la   libertà. 

Non   affrettiam   precipiti 
Il  giorno    glorioso  : 
Quel  giorno  è  nella  provvida 
Mente  di  Dio  nascoso 
Allor  che   la   sua  vindice 
Destra  folgoreggiando   accennerà. 

E  noi  sorgiam  terribili 
Dai  campi  e  dagli  spaldi  ; 
In  ogni  seno  palpiti 
Il  cor  di   Garibaldi  : 
Beato  l'uom  che  l'anima 
In  quel  santo  conflitto  esalerà. 


37 


FRATELLI  D' ITALIA  „ 

INNO   DI   GOFFREDO   MAMELI 


«  lo  ero  ancora  fanciuilo,  ma  queste  magiche  parole,  anche  senza 
!a  musica,  mi  m.eltevano  i  brividi  per  tutte  le  ossa,  ed  anche  oggi, 
ripetendole,  mi  si  inumidiscono  gli  occhi.  »  Con  queste  parole  Giosuè 
Carducci,  che  meglio  di  ogni  altro  ha  inteso  e  reso  in  verso  ed  in 
proKa  lo  spirito  eroico  del  nostro  Risorgimento,  ricorda  l'inno  di  Gof- 
fredo Mamer,  il  più  bello  e  grandioso  di  tutti  gli  inni   patriottici   italiani. 

Il  Mameli  (nato  a  Genova  il  5  settembre  1827  dal  marchese  am- 
miraglio Giorgio,  cagliaritano)  costituì  nel  1848  la  squadra  dei  volon- 
tari genovesi  che  accorsero  a  prestare  aiuto  all'insurrezione  lombarda, 
poi  corse  alla  difesa  della  Repubblica  Rom.ana.  Ferito  il  3  giugno 
1849,  nel  combattimento  di  Villa  Corsini,  alla  tibia  sinistra,  ebbe  am- 
putata una  gamba  e  morì  il  tì  luglio  successivo.  Fu  un'anima  an- 
gelica. Mazzini,  che  lo  amava  come  un  figlio,  scrisse  per  la  sua 
mone  alcune  pagine  maravigliose  di  sentimento  e  di  poesia.  Garibaldi, 
che  se  Jo  vide  ferire  al  fianco,  non  poteva  trattenere  le  lagrime  tutte 
le    vo'.te    che    gli    si    parlava    di    lui. 

Il  celebre  Inno  venne  scritto  da  Goffredo  il  giorno  10  settembre 
1847  e  musicato  il  24  novembre  a  Torino  dal  maestro  Michele  No- 
varo  (1822-188.S)  il  quale  raccontò  nel  187.S  ad  Anton  Giulio  Barrili 
(l'amoroso  studioso  e  raccoglitore  degli  scritti  del  Mameli)  il  modo 
come  compose  la  musica  di  quei  versi  infuocati.  Si  trovava  una  sera 
in  casa  di  Lorenzo  Valerio,  dove  conveniva  una  eletta  schiera  di  pa- 
triotti  che  facevano  musica  e  politica  insieme,  quando  un  amico  giunto 
da  Genova  gli  porse  un  foglietto  dicendogli  :  «  To',  te  lo  manda  Gof- 
fredo ».  Il  Novaro  apre  il  foglio,  legge,  si  commuove.  Tutti  gli  si 
affollano  intorno;  i  versi  del  Mameli  vengono  detti  a  voce  alta,  e  la 
stessa  commozione  si  manifesta  sul  volto  di  tutti.  «  Io  sentii,  disse 
il  Novaro,  dentro  di  me  qualche  cosa  di  straordinario,  che  non  saprei 
definire...  So  che  piansi,  che  ero  agitalo  e  non  potevo  star  fermo. 
Mi  posi  al  cembalo,  coi  versi  di  Goffredo  sul  leggio,  e  strimpellavo, 
assassinavo  colle  dita  convulse  quel  povero  strumento,  mettendo  giù 
frasi  melodiche,  l'una  sull'altra,  ma  lungi  le  mille  miglia  dall'idea  che 
potessero  adattarsi  a  quelle  parole...  Mi  alzai,  scontento  di  me,  presi 
congedo,  corsi  a  casa.  Là,  senza  pure  levarmi  il  cappello,  mi  buttai 
a!  pianoforte.  A\i  tornò  alla  memoria  il  motivo  strimpellato  in  casa 
Valerio;  lo  scrissi  su  d'un  foglio  di  carta,  il  primo  che  mi  venne 
alle  mani.  Nella  mia  agitazione  rovesciai  la  lucerna  sul  cembalo,  e  per 
conseguenza  anche  sul  povero  foglio;  fu  questo  l'originale  dell'Inno 
«Fratelli  d'Italia».  Cantato  pubblicamente  a  Genova  in  una  festa  po- 
polare, la  polizia,  conoscendo  l'autore  per  un  ardente  mazziniano,  lo 
proibì   e    non    lo    tollerò    che   dopo    il    marzo    1848. 

Garibaldi  stimava  l'inno  di  Mameli  come  il  più  trascinante  inno 
guerresco  dopo  la  Marsigliese  e  lo  preferiva  all'inno  del  Mercantini; 
durante    l'assedio    di    Roma    e    la    ritirata    meravii-liosa,    l'Eroe    lo   can^ 


—  38  — 

lava  e  zuffolava  sempre,  come  del  resto  facevano  tutti  i  suoi  volontari. 
11  canto  del  magico  inno  che  elettrizzò  tante  migliaia  di  guerrieri  e 
volò  come  superbo  arcangelo  sui  campi  di  battaglia,  viene  ancora  adesso 
considerato  in  Austria  come  reato  politico,  ciò  che  non  impedisce  agli 
italiani   ancora   irredenti   di    cantarlo,    sfidando  le   i.   r.   prigioni. 


Fratelli  d'Italia, 
L'Italia  s'è   desta  ; 
Dell'elmo  di   Scipio 
S'è  cinta  la  test-ri. 
Dov'è  la  vittoria? 
Le  porga  la  chioma  ; 
Che  schiava  di  Roma 
Iddio  la  creò. 

Stringiamci  a  coorte  ! 
Siam  pronti  alla  morte 
Italia  chiamò  ! 


Uniamoci,   amiamoci  : 
L'unione   e   l'amore 
Rivelano   ai  popoli 
Le  vie  del  Signore. 
Giuriamo  far  libero 
Il  suolo  natio  : 
Uniti,  per  Dio, 
Chi  vincer  ci  può? 

Stringiamci  a  coorte  ! 
Siam  pronti  alla  mortf 
Italia  chiamò  I 


Noi  siamo  da  secoli 
Calpesti,   derisi. 
Perchè  non  slam   popolo, 
Perchè  siam  divisi. 
Raccolgaci  un'unica 
Bandiera,  una  speme  ; 
Di  fonderci  insieme 
Già   l'ora   suonò. 

Stringiamci  a  coorte  ! 
Siam  pronti  alla  morte  : 
Italia  chiamò  ! 


Dall'Alpe  a  Sicilia, 
Ovunque  è  Legnano  ; 
Ogn'uom  di    Ferruccio 
Ha  il  core  e  la  mano  ; 

I  bimbi  d'Italia 

Si   chiaman   Balilla  ; 

II  suon  d'ogni  squilla 
I  Vespri  suonò. 

Stringiamci  a  coorte  ! 
Siam  pronti  alla  morte 
Italia  chiamò  ! 


Son  giunchi  che  piegano 
Le  spade  vendute  ; 
Già  l'Aquila  d'Austria 
Le  penne  ha  perdute. 
Il  sangue  d'Italia 
E  il  sangue  polacco 
Beve  col  Cosacco, 
Ma  il  cor  le  bruciò. 

Stringiamci  a  coorte  ! 
Siam  pronti  alla  morte 
Italia  chiamò  ! 


30  — 


INNO  ALL'ITALIA 


Fu  canijtn  a    Firen/e   il   12  settembre    1847   e  per  alcuni   anni   di    poi. 

Sorgi,  depressa  Italia, 
Dalla  iua  muta  tomba 
Al  suon  di  questa  tromba 
Ch'oggi  squillar  l'udì. 

L'armi  fidate  al  popolo 
Segnano  un  nuovo  di. 

Ti  cingi  ancor,  o  prospera 
Regina  delle  genti  ; 
De'  taciti  lamenti 
La  lunga  età  finì. 

L'armi  fidate  al  popolo 
Segnano  un  nuovo  dì. 

Disse   a'  suoi   figli    un    principe  : 
—  Quest'armi   a   voi   l'affido.      - 
E  plaudente  un  grido 
Di  fondo  ai  cor  parti. 

L'armi  fidate  al  popolo 
Segnano  un  nuovo  dì. 

Sacra  falange,  il  patrio 
Suolo  guardar  v'è  dato, 
Questo  giardin  beato 
Che  il  Cielo  a  noi  largì. 

L'armi  fidate  al  popolo 
Segnano  un  nuovo  dì. 

Ma  se  la  terra  italica 
L'estraneo  insulti  ardito 
Muova  il  vessillo  avito 
Che  noi  fratelli  unì. 


—   4U   — 

L'armi  fidate  al  popolo 
Segnano  un  nuovo  dì. 

Sappia  pugnare  e  vincere 
Il  cittadin  guerriero, 
Franga  l'orgoglio  altero 
Di  chi  sprezzarci  ardì. 

L'armi  fidate  al  popob 
Segnano  un  nuovo  dì. 


41 


SONO  ITALIANO!... 

CANTO   POPOLARE 


(Questo  canto  rimonta  ai  primi  mesi  del  1848  e  nacque  in  ToSi'ana. 
Goticite  di  una  popolarità  immensa  ed  ancor  oggi  è  molto  noto  in  tutta 
l'ilatiia.  Nella  Venezia  e  nelle  terre  alle  quali  stiamo  dando  la  lihera- 
zione   viene  tuttora  cantato  con    lo  stesso  spirito   del   1848. 


-  Giovanottino  daiia  bruna  chioma, 
Il  tuo  loco  natal  come  si  nom.a? 

—  Io  sono  nato,  o  forestier  cortese. 
Nel  paese  più  bel  d'ogni  paese  : 
S'io  chieggo  a  te  della  nativa  terra 

Rispondi  :    <<  Io  son  di  Francia  o  d'Inghilterra.  >> 

Fiorenza  è   bella  e  Napoli   t'ammalia, 

Torino  è  forte  e  dappertutto  è  Italia  ; 

Se  vuoi   saper   se  nacqui   in  monte   o   in    piano. 

Sono  Italiano. 

-  Giovanottin  dalla  pupilla  nera, 
Dimmi,  qual'è  il  color  di  tua  bandiera? 

—  Se  una  rosa  vermìglia  e  un  gelsomino 
A  una  foglia  d'ailór  metti  vicino, 

I  tre  colori  avrai  piij  cari  e  belli 
A  noi  che  in  quei  ci  conosciam  fratelli  ; 
I  tre  color  avi  ai  che  fremer  fanno 
L'insanguinato  imperator  tiranno. 
Beato  il  dì  che  li  vedrà  Milano  ! 

Sono  Italiano. 

Giovanottin  dalla  dolce  favella, 
Dimmi  dunque,  il  tuo  re  come  si  appella? 

—  Tutti  una  patria  abbiamo  e  tutti  un   Dio 
Dal  Tebro  a  tutti  benedice  Pio  ; 
Dell'Arno  là  sulle  rive  leggiadre 

Sta  Leopoldo,  più  che  Duca,  padre  ; 


—  42  — 

Tardi  Fernando  si  battè  la  guancia, 
E  Alberto  aguzza  la  terribil  lancia  ; 
Biscia  e  Leone  cacceran  i 'estrano: 

Sono  Italiano 

-  Giovanottin  dall'elmo  piumato, 
Tu  se'  giovane  tanto  e  sei  soldato! 
—  Soldato  no;  son  cittadino  in  armi, 
E  il  soldo  col  sudor  so  procacciarmi. 
Se  giovin  sono  e  se  profondo  io  fero 
Vedran  le  file  del  ladron  straniero. 
Dunque  ripeti,  o  forestier  cortese. 
Quando  ritornerai  nel  tuo  paese. 
Che  di  bandiera,  d'armi  e  di  sovrano 

Sono  Italiano 


43 


IL  "  PATER  NOSTER  ' 


DEI  MILANESI 


Dopo  la  morte  dell'odiato  arcivescovo  tedesco  Gaysruck  venne  a 
Milano  (settembre  1847)  l'arcivescovo  Romilli,  bene  accetto,  perchè 
italiano  e  di  grande  bontà,  alla  cittadinanza  milanese.  Furono  allora 
diffuse  numerose  orazioni  patriottiche  nelle  quali  religione  e  patria 
si  fondevano  sotto  l'egida  del  nome  benedetto  di  Pio  IX.  Nacquero 
così  un  Catechismo  nazionale,  un  Credo,  due  Pater  Noster,  le  Lita- 
ni^  dei  Pellegrini  Lombardi,  ecc.  Il  primo  Pater  Noster  in  prosa  diceva  : 
«  Padre  nostro  che  siete  a  Vienna  ;  Che  il  vostro  nome  sia  per  sem- 
pre dimenticato  in  Italia;  Che  il  vostro  regno  si  restringa  al  di  là 
delle  Alpi  ;  Che  la  vostra  volontà  non  sia  fatta  sopra  il  cielo  come 
sopra  la  terra  d'Italia;  Rendete  a'  noi  quel  pane  quotidiano  chi  ci 
rapiste  ;  Come  noi  vi  rendiamo  la  vostra  carta  monetata  ;  Non  ci  indu- 
cete nella  disperazione;  Ma  liberateci  da  voi  e  da  tutti  i  vostri 
sgherri  ;  Una  volta  per  sempre  e  così  sia.  »  Il  secondo  Pater  Noster 
è  quello  riprodotto  qui  appresso  :  servì  anch'esso  a  preparare  gli 
animi  per  i  fatti  del  marzo  1S48.  A  Trieste,  tra  l'aprile  e  il  maggio 
dell'anno  corrente,  quando  sembrava  che  la  pressione  della  Germania 
dovesse  riuscire  a  neutralizzare  l'Italia,  circolò  la  seguente  parafrasi  : 
«  Vittorio  Emanuele  nostro  die  sei  a  Roma  —  sia  santificato  il  nome 
tuo,    —   venga    il   regno    tuo,  —  sia   fatta    la    volontà   tua,  sì  come    a 

Trento,  cosi  a  Trieste.  —  Amaci  come  siamo  odiati,  difendici  perchè 
siamo  oppressi.  —  Dacci  il  tuo  pane  unico.  —  Non  t'induca  Hiìtoiv  in 
il  ntazinne,  —  ma  liberaci  dall'Austria.  —  Così  sia. 


Padre    nostro   divin,   che    sei  nei   Cieli, 
Pietà  del  nostro  duol  sì  lungo  e  fiero  : 
Signor,  ci   scampa   dall'ugne   crudeli 
dello   straniero. 

Sia  sempre  il  nome  tuo  santificato, 
E  tante  volte  e  tante  benedetto, 
Quante  l'augel   biforme   è   bestemmiato 

e  maledetto. 

Ah!  venga  il  regno  tuo,   regno  d'amore. 
Che  a  Pio  fu  dato  d'imitar  qui  in  terra. 
Che    la    virtude    inalza    ed    all'errore 
fa  cruda  guerra. 


44 


Sia  fatto  il  voler  tuo,  se  ancor  ritarda 
Quel  giorno  di  vendetta  e  di  riscatto, 
Che  vegga  Italia  e  la  nazion  lombarda 
strette   ad  un   patto. 

In  ciclo  e  in  terra  questo  giorno  è  scritto, 
In  cui  la  biscia,  ed  il  leone  a  lato. 
Di  libertà,  co'.rarmi,  il  sacro  dritto 
avran   comprato- 

Dacci  oggi  il  nostro  pane  quotidiano, 

Che   lo  straniar   ci   strappa   fin   di   bocca  ! 
Il  vaso  è  colmo  per  la  tua  Milano, 

e   orm.ai   trabocca. 

/  debiti  che  abbtam,  Signor,  perdona. 
In  quella  guisa  che  paghiamo  quelli 
Dei   trattati   di   Vienna  e  di   Verona, 

veri   tranelli 

Non  ci  lasciar  cadere  in  tentazione, 

Ma  rinforza   in  noi   tutti   e   core   e   mente, 
E  vincerem  nel  dì  della  tenzone 
sicuramente. 

Ma  scampaci  dal  inai  e  dai  tedeschi  : 
Deh!  salva  l'infelice  Lombardia 
Dall'Aulico   consiglio    e    da    Radeschi  : 

e  cosi  sia 


—  45  — 


LA  DONNA  LOMBARDA 

STORNELLO 


DI  FRANCESCO  DALL'ONGARO 


Il  proposito  tradotto  in  pratica  con  invitta  costanza  dai  milaiicsi 
di  non  più  fumare  per  portar  grave  danno  alle  finanze  austriache  diede 
modo  alla  polizia  di  compiere  sulla  cittadinanza  atti  di  selvaggia  vio- 
lenza. Nel  gennaio  1848  la  sbirraglia  ubbriaca  fu  scatenata  per  le  vie 
di  Milano;  in  Piazza  Mercanti,  sul  Corso  Francesco  (ora  Vittorio  Ema- 
nuele) e  altrove  donne,  \ecchi,  fanciulli  vennero  sciabolati  barbara- 
mente, e  sei  morti  e  cinquantanove  feriti  furono  il  triste  bilancio  di 
quella  giornata-  di  ferocia  austriaca.  Nell'Europa  liberale  i  fatti  di  Mi- 
lano destarono  una  enorme  impressione;  l'odio  milanese  per  l'oppres- 
t'ore  crebbe  a  mille  doppi;  e  Francesco  Dall'Ongaro  (nato  a  Mar.';uc 
(Oderzo)  nel  1808,  morto  il  9  gennaio  1873)  scrisse  uno  stornello 
diventato  popolare  che  fomentò  negli  oppressi  il  desiderio  de!la  libe- 
razione, compiuta  due  mesi  più  tardi  nel  glorioso  modo  che  tutti 
sanr.o. 

Toglietemi   d'attorno   i   panni   gai. 
Voglio  vestirmi  di   bruno  colore  ; 
Vidi  scorrere  il  sangue  ed  ascoltai 
Le  grida  di  chi  fere  e  di  chi  more. 
Altri  ornamenti  non  porterò  mai 
Sui'  che   un   nastro   vermiglio   sopra  il   core. 

Mi   chiederan   dove   quel  nastro  è   tinto, 

Ed  io  —  Nel  sangue  del  fratello  estinto.     - 

Mi  chiederan  come  si  può  lavare. 

Ed  io  —  Non  lo  potria  fiume  né  mare  : 

Macchia   d'onore   per   lavar  non   langue 
Se   non   si  lava  nel  tedesco  sangue. 


46 


LA  BANDIÈRA  TRICOLORE 

CANTO  POPOLARE 


Dopo  la  cacciata  dei  tedeschi  da  Milano,  ebbe  molto  voga  la 
seguente  canzonetta  popolare,  che  fu  più  tardi  ripetuta  dal  '59  al  '66. 
Le  due  ultime  strofe  furono  aggiunte  dai  soldati  di  Piemontesi  che 
le  cantavano  nelle  loro  marce,  e  furono  subito  imparate  e  cantate 
dai  monelli  milanesi.  La  si  canta  ancora  in  tutta  Italia,  compresa 
Trieste,    con    leggere    modificazioni. 


Anderemo  a  Roma  santa, 
Anderemo  al  Campidoglio, 
Pianteremo  sulla  soglia 
La   bandiera   dei   tre   color. 

La  bandiera  dei  tre  colori 
E'  sempre  stata  la  piià  bella, 
Noi  vogliamo    sempre    quella 
Noi  vogliamo  la  libertà. 

E  i  tedeschi  coi  suoi  baffi 
Son  una  massa  di   birbanti, 
Impicchiamo  tutti  quanti, 
Calpestiamo   sotto   i   pie. 

I  Gesuiti  son  partiti 
Son  andati  dal  suo  re  ; 
La  corona  dell'Impero 
La  vogliamo  sotto  ai  pie. 

I  tedeschi  son  fuggiti 
Con  il  fumo  dentro  il  sacco  : 
Metternich  e  quel  macaco 
Si  dovranno  ritirar. 


—  47  — 

LA  LIBERAZIONE  DI  MILANO 

CANTO  POPOLARE  di  G.  BERTOLDI 


Le  Cinque  Giornate  di  Milano  diedero  origine  a  innumerevoli  canti 
patriottici;  questo  del  Bertoldi  fu  uno  dei  più  popolari  e  si  diffuse 
in  tutta  l'Italia  settentrionale.  Da  ricordare  che  nel  1848  Alessandro 
Manzoni  pubblicava  la  impareggiabile  ode  «  Marzo  ^821  »  da  lui 
scritta  quando  sembrava  imminente  il  passaggio  del  Ticino  da  parte 
dell'esercito  piemontese  guadagnato  alla  rivoluzione  costituzionale  e 
nazionale,    aggiungendovi    l'ultima    strofa  : 

Oh  giornate   del  nostro   riscatto! 

Oli    dolente    per  sempre   colui 

Che  da  lunge,  dal  labbro  d'altrui. 

Come   un  uomo  straniero  le  udrà! 

Che    ai    suoi   figli   narrandole    un    giorno 

Dovrà    dir  sospirando:    io   non   c'era; 

Che  la   santa   viitrice   bandiera 

Salutata  quel  dì  non  avrà! 
Le   Cinque   Giornate   furono  precedute  e  seguite  anche   da  una   vera 
fioritura  di  poesie  e  di  canti  popolari  in  dialetto  milanese  che  si  trovano 
in   un   interessante  volume  di  Carlo  Romussi. 

Di   Dio  son  tutti  del  mondo  i  regni, 

Di   Dio  che  a  reggerli   chiama  i  più  degni  ; 
Ma   quando  l'empio  quei   regni   toglie 
Egli  alza  il  dito  e  li  discioglie. 

Il  regno  a  Dio  tolto  non  ha 

A  noi  chi  tolse  la  libertà? 

I  centomila  sgherri  tedeschi 

L'insubria  inondano,   duce  Radeschi  : 
Non  scende  in  campo  Iddio  con  l'asta: 
Dal  cielo  ei  mostrasi,  mostrasi  e  basta. 

Polvere  sono  dinanzi   a  Te, 

Dio  grande  e  forte,  popoli  e  re. 

Ecco  sul  sacro  piano  lombardo 

Sventola  il  libero  comun  stendardo  : 
Ecco  il  trionfo  a  render  certo 
Coi  tre  colori   un  Carlalberto. 

Sui  vostri  altari  ei  giurerà. 

Prodi   Lombardi,  la   libertà. 


—  48 


L'ITALIA  RISORTA 

INNO  DI  B.  DE'  BANDI 


Inno  del    1848;   parole  di   Bando  de'   Bandi,  musica  del  maestro  Ma- 
bellini,    popolarissimo   a    Milano   e    in   Lombardia    per   tutto   quell'anno. 


Via  toglietemi  dal  capo 
La  corona  delle  spine  ; 
Che  una  volta  ancor  sul  crine 
Splenda  il  serto  del  valor. 

Son  l'Italia  e  son  risorta, 
Le  catene  io  sento  infrante, 
Sorgerò  come  gigante 
Sopra  il  campo  dell'onor. 

Fino  all'ultimo  Appennino 
Voli   il  grido  redentor  ! 

Fui  signora  delle  genti, 
Poi  fui  schiava  e  piansi  tanto, 
Ma  quei  secoli  di  pianto 
Questo  dì  scordar  mi  fa. 

Tutti  in  arme  i  figli  miei, 
Tutti  stretti  in  una  schiera, 
Benedetta  la  bandiera 
Che  a  pugnar  li  condurrà. 

È  soldato  il  cittadino, 
Il  soldato  eroe  sarà  ! 


—  49  — 


LA  PATRIA  DELL'ITALIANO 

POESIA   POPOLARE 


DI  ANTONIO   GAZZOLETTI 


Antonio  Gazzoletti  fu  dopo  Giovanni  Prati  il  maggior  poeta  tren- 
tino. Nato  a  Nago  il  20  marzo  1813,  fu  imprigionato  varie  volte  dagli 
austriaci,  esulò  a  Torino  e  passò  poi  a  Milano  ed  a  Brescia.  Morì  ma- 
gistrato a  Milano  il  21  agosto  1866.  La  Patria  dell'Italiano  fu  popola- 
rissima per  oltre  un  ventennio,  a  incominciare  dal  1848  nel  qual  anno 
fu  scritta.  In  essa  si  esprime  vigorosamente  il  concetto  unitario  ita- 
liano. La  sua  forma  fu  ispirata  dalla  celebre  poesia  dell'Arndt  «  Was 
ist  der  Deutschen  Vaterland?»  (Qual'è  la  patria  dei  Tedeschi?),  con- 
siderala   la    «Marsigliese»    germanica. 

Qual  è  la  patria  dell'Italiano? 
Sotto  il  bel  cielo  napolitano, 
Nel  suol,  nell'aere,  nel  mare  un  riso 
Serbò   natura   di  paradiso  : 
Pur  non  è  l'eden  napolitano 
La    grande   patria   delTItaliano. 

Qual   è   la  patria  dell'Italiano? 
Di  là  dal  mare  freme  un  vulcano, 
E  intorno  a  quello  fremono  genti 
Di  libertade.  di  gloria  ardenti  : 
Pur  non   è  il   forte   suol  siciliano 
La   grande   patria  dell'Italiano. 

Qual  è  la  patria  dell'Italiano? 
E'  forse  il  sacro  terren  romano 
Che  il  brando  prima,  la  croce  poi 
Sul  mondo  stese  soggetto  a  noi  ? 
No,  non  è  il  sacro  terren  romano 
La   grande   patria   dell'Italiano. 

Qual  è  la  patria  dell'Italiano? 
Fors'è   il   leggiadro  giardin   toscano, 
Culla  dell'arti  e  insieni  gentile 
Maestro  agl'itali  del  bello  stile? 
No,  non  è  il  gaio  giardin  toscano 
La   grande   patria   dell'Italiano. 


—  50  — 

Fors'è  il  lombardo  suolo  fecondo? 
Fors'è   Venezia   unica   al   mondo? 
Città  fiorenti,  maturi   ingegni, 
Glorie  e  sventure  vantan  quei  regni  ; 
Pur  non   Venezia,   non  è  Milano 
La  grande  patria  dell'Italiano. 

Fors'è  il  guerriero  Piemonte  armato? 
Fors'è  l'altero   Genovesato? 
De'  Corsi  l'isola,  quella  de'  Sardi 
Dall'aspre   rupi,   dai   cor  gagliardi? 
No,  in  brevi  sponde  tu  cerchi  invano 
La  grande   patria  dell'Italiano. 

Qual  è  la  patria  dell'Italiano? 
Dal  regal  Tevere  all'Eridàno 
Tutto  che  il  doppio  mare  comprende, 
E  un  solo  accento  sonar  s'intende, 
E  il  mondo  barbaro  rifece  umano, 
E'  la   gran    patria   dell'Italiano. 

Dovunque  prossimo  a  quel  di  Dio 
Il  santo  invocasi  nome  di  Pio, 
Dove  una  musica  spira  ogni  vento, 
Dove  ogni  sasso  è  un  monumento, 
Dall'umil  rudero  al   Vaticano, 
Ivi  è  la  patria  dell'Italiano. 

Dovunque  all'ombra  dei  tre  colori 
In  fermo  accordo  fraterni  cuori 
Stanchi  del  vile  lungo  servire 
Giurar  di  vincere  o  di  morire, 
E  al  vinto  amica  stender  la  mano, 
Ivi  è   la   patria  dell'Italiano. 

O  bella  terra,  nobile  terra. 
Dallo  straniero   che   ti  fa   guerra, 
Troppo  soffristi   oltraggi   e   danni  : 
Sul  capo  oppresso  dai  lunghi  affanni 
Rimetti  il  prisco  ciniier  sovrano, 
O  grande  patria  dell'Italiano. 


—  51    — 

CANTO  DI  GUERRA 

DI  LUIGI   CARRER 


Il  gagliardo  canto  del  (-arrer  (nato  a  Venezia  il  12  febbraio  1801, 
morto  in  patria  il  23  dicembre  1850),  fu  scritto  principalmente  per  il 
popolo  quando  Carlo  Alberto  dichiarò  la  guerra  all'Austria  nel  1848 
e    ripetuto  dal    popolo    per    lunghi   anni. 


Via  da  noi,  Tedesco  infido, 

Non  più  patti,  non  più  accordi  ; 
Guerra,    guerra  !    Ogn 'altro   grido 
E'  d'infamia  e  servitù. 
Su  que'   rei,   di  sangue  lordi, 
Il  furor  si    fa   virtù. 

Ogni    spada   divien   santa 
Che  nei    barbari    si   pianta  ; 
E'   d'Italia   indegno   figlio 
Chi  all'acciar  non  dà  di  piglio, 
E  un  nemico  non  atterra  : 

Guerra,    guerra  ! 

Tentò  indarno  un  crudo  bando 
Ribadirci  le  catene  ; 
La  catena  volta  in   brando 
Ne  sta  in  pugno,  e  morte  dà. 
Guerra,    guerra  !     Non    s'ottiene 
Senza  sangue  libertà. 

Alla  legge  inesorata 
Fa  risposta   la   Crociata  ; 
Fan  risposta  al  truce  editto 
Fermo  core,  braccio  invitto, 
Ed  acciaro  che  non  erra  ; 

Guerra,    guerra  ! 


—  52  — 

Non   ci   attristi   piià  lo  sguardo 
L'aborrito  giallo  e  nero; 
Sorga   l'italo  stendardo 
E   sgomenti   gli  oppressor. 
Sorga,   sorga,   e  splenda  altero 
Il  vessillo  tricolor. 

Lieta    insegna,    insegna    nostra , 
Sventolante  a  noi  ti  mostra  ; 
Il  cammino  tu  ci  addita, 
Noi  daremo  sangue  e  vita 
Per  francar  la  patria  terra  ; 

Guerra,    guerra! 

E'  la  guerra  il  nostro  scampo. 
Da  lei  gloria  avremo  e  regno  ; 
Della  spada  il   fiero  lampo 
Dasti  in   noi   l'antico  ardir. 
E'  d'Italia  figlio  indegno 
Chi   non   sa   per  lei   morir. 

Chi  tra  l'Alpi  e  il  Faro  è  nato 
L'armi  impugni   e  sia  lodato  ; 
Varchi  il  mare,  passi  il  monte. 
Più  non  levi  al  ciel  la  fronte 
Chi  un  acciaro  non  afferra  : 

Guerra,    guerra  ! 

Dal  palagio  al  tetto  umile 
Tutto,    tutto  il   bel   paese 
Guerra  echeggi,  e  morte  al  vile 
Che   tant'anni  ci   calcò; 
Guerra  suonino  le  chiese  ' 
Che  il  ribaldo  profanò. 

Vecchi    infermi,    donne    imbelli. 
Dei  belligeri   fratelli 
Secondate   il   caldo  affetto  : 
Guerra,    guerra  !    In   ogni    petto. 
Che  di  vita  un'aura  serra, 

Guerra,    guerra  ! 


53 


INNO  DI  GUERRA  DEL  1848-49 

DI  LUIGI   MERCANTIMI 


E'  il  primo  degli  inni  di  guerra  del  celebre  autore  dell'Inno  di 
Garibaldi  :  il  Mercantini  (nato  a  Ripatransone  il  20  settembre  1821, 
morto  a  Palermo  l'S  novembre  1872)  lo  scrisse  nel  1848,  e  con  quel- 
l'inno sul  labbro  i  crociati  romagnoli  corsero  in  aiuto  di  Venezia  combat- 
tente eroicamente  contro  gli  Austriaci.  Fu  m.usicato  dal  maestro  Giovanni 
Zampettini,  di  Sinigaglia.  In  una  nota  ai  suoi  canti  il  Mercantini  dice 
a  proposito  del  presente  inno  di  guerra  :  «  Quando  in  Corfù  io  fui 
a  visitare  Daniele  Manin,  da  una  stanza  vicina  si  udiva  cantare  :  «  Tre 
colori,  tre  colori».  «Ecco!  mi  disse  Manin,  commovendosi,  ecco  il 
canto  col  quale  abbiamo  combattuto  insino  all'ultima  ora  sulle  nostre 
lagune  ».  Il  motivo  della  bandiera  nazionale  ricorre  molto  di  frequente 
nella  poesia  patriottica  del  Risorgimento  (vedi  pag.  40  e  52).  Il  tricolore 
fu  il  simbolo  e  il  nodo  della  patria,  che  raccolse  i  divisi  popoli  della  pe- 
nisola in  un  sol  fascio  potente  e  disciplinato.  Come  scrisse  uno  dei  più 
appassionati  cultori  degli  studi  storici  sulla  resurrezione  italiana,  «  i 
gio\ani  che  non  possono  ricordare  di  aver  veduto  nei  tempi  della  do- 
minazione straniera  un  cencio  tricolore  conservato  fra  le  memore  più 
care  e  segrete  e  mostrato  fra  un  sospiro  di  rimpianto  e  una  speranza, 
e  non  videro  più  tardi  quei  medesimi  colori  splendere  liberi  nella  gloria 
del  sole  e  sorgere  quasi  per  incanto,  dietro  ai  passi  dei  fuggenti  au- 
striaci, e  rivestire  le  città  d'un'iride  festosa,  non  possono  comprendere 
il  fremito  segreto  che  provano  quelli  che  hanno  i  capelli  grigi  all'ap- 
parire della  nostra  bandiera.  »  Dopo  la  caduta  di  Venezia  nel  1849,  il 
tricolore  fu,  come  scrisse  Carlo  Cattaneo,  «  il  solo  segno  che  rappresen- 
tasse al   cospetto   del   mondo  la   nazione.  »    Fu  l'Italia. 

Patrioiti,   all'Alpi  andiamo, 
Patriotti,   andiamo   al    Po  : 
Perderem,   se  più  tardiamo  : 
Già  il  tedesco  c'insultò. 

Il  tambur,  !a  tromba  suoni. 
Noi  sui  campi  marcerem. 
Mille  e  più  sieno  i  cannoni. 
Noi  le  micce  accenderem. 

E  sol  verde,    bianca  e   rossa 
La  bandiera  s'innalzò. 
E  sol  verde,   bianca  e  rossa 
La  h:indÌTn  s'innibò. 


—  54  — 

Tre  colori,   tre  colori, 
L'italian    cantando  va  ; 
a  cantando  i  tre  colori 
11   fucile   imposterà. 

Foco,   foco,  foco,   foco  ! 
S'ha  da  vincere  o  morir. 
Foco,    foco,    foco,    foco  ! 
Ma  il  tedesco  ha  da  morir. 

E  sol  verde,  bianca  e  rossa 
t,a  bandiera  s'innalzò. 
E  sol  verde,  bianca  e  rossa 
La  bandiera  s'innalzò. 


—  55 


CANTO  DEGLI  INSORTI 

DI   ARNALDO   FUSINATO 


Ad  Arnaldo  Fiisinato  (nato  a  Schio  il  10  dicembre  1817,  morto 
a  Roma  il  28  dicembre  1888)  deve  molto  la  musa  patriottica  italiana. 
Fu  soldato,  combattè  a  Alontebello  ed  a  Vicenza  e  partecipò  alla  difesa 
di  Venezia  :  !e  sue  strofe  guerresche  venivano  ripetute  dai  soldati  nelle 
marce.  Singolare  per  veemenza  e  paragonabile  ai  più  selvaggi  canti 
dell'ungherese  Petòfi  è  questo  canto  degli  insorti  che  il  battaglione 
universitario    di    Padova    fece    suo. 


Suonata  è  la  squilla  :  già  il  grido  di  guerra 
Terribile  echeggia  per  l'itala  terra  ; 
Suonata  è  la  squilla  :  su  presto,  fratelli. 
Su  presto  corriamo  la  patria  a  salvar. 
Brandite  i  fucili,   le  picche,  i  coltelli, 
Fratelli,  fratelli,   corriamo  a  pugnar. 

Al  cupo  rimbombo  dell'austro  cannone 
Rispose   il   ruggito  del   nostro   Leone  : 
Il  manto  d'infamia,   di  ch'era  coperto, 
CoU'ugna  gagliarda  sdegnoso  squarciò, 
E  sotto  l'azzurro  vessillo  d'Alberto 
Ruggendo  di  gioia  il  volo  spiegò. 

Noi  pure  l'abbiamo  la  nostra  bandiera 

Non  pili  come  un  giorno  sì  gialla,  sì  nera 
Sul  candido  lino  del  nostro  stendardo 
Ondeggia  una  verde  ghirlanda  d'allòr  : 
De'  nostri  tiranni  nel  sangue  codarde 
E'  tinta  la  zona  del  terzo  color. 

Evviva  l'Italia!  d'Alberto  la  spada 
Fra  l'orde  nemiche  si  schiude  la  strada. 
Evviva  l'Italia!  sui  nostri  moschetti 
Di  Cristo  il  Vicario  la  mano  levò... 
E'  sacro  lo  sdegno  che  ci  arde  ne'  petti  ! 
Oh  !  troppo  finora  si  pianse  e  pregò. 


—  56  — 

Vendetta,  vendetta!  Già  l'ora  è  sonata, 
Già  piomba  sugli  empi  la  santa  crociata  : 
Il  calice  è  colmo  dell'ira  italiana, 
Si   strinser  la  mano  le  cento  città  : 
Sentite  sentite,  squillò  la  campana... 
Combatta  coi  denti  chi  brandi  non  ha. 

Vulcani   d'Italia,  dai   vortici   ardenti 
Versate  sugli  empi  le  lave  bollenti  ! 
E  quando  quest'orde  di  nordici  lupi 
Ai  patrii  covili  vorranno  tornar, 
Corriam  fra  le  gole  dei  nostri  dirupi 
Sul  capo  ai  fuggiaschi  le  roccie  a  crollar. 

S'incalzin  di   fronte,   di  fianco,   alle  spalle, 
Un  nembo  li  avvolga  di  pietre  e  di  palle, 
E  quando  le  canne  dei  nostri  fucili 
Sien  fatte  roventi  dal  lungo  tuonar. 
Nel  gelido  sangue  versato  dai  vili 
Corriamo,  corriamo  quell'armi  a  tuffar. 

E  là  dove  il  core  più  batte  nel  petto 
Vibriamo  la  punta  del  nostro  stiletto; 
E    allora    che  infranta  ci   caschi    dal    pugno 
La  lama  già  stanca  dal  troppo  ferir, 
))e'  nostri  tiranni  sull'orrido  grugno 
.  .i  pomo  dell'elsa  torniamo  a  colpir. 

Vittoria,  vittoria  !  Dal  giogo  tiranno 
Le  nostre  contrade  redente  saranno  ;  — 
Già  cadde  spezzato  l'infame  bastone 
Che  l'italo  dorso  percosse  finor  ; 
Il  timido  agnello  s'è  fatto  leone. 
Il  vinto  vincente,  l'oppresso  oppressor. 


57  — 


CANTATA  DI  GUERRA 

DI  ARNALDO   FUSINATO 


Questa  cantata  patricttica  del  Fusinato  che  non  è  compresa  nei 
volumi  delle  sue  opere  raccolte  si  trova  nella  bella  Antologia  di  Raf- 
faello Barbiera  «  I  Poeti  Italiani  del  secolo  XIX  ».  Fu  scritta  nel  1848 
a  Venezia,  fu  musicata  dal  maestro  veneziano  Francesco  Malipiero,  ed 
accese  ancor   più  gli  animi  nella  lotta  contro  il  nemico  nazionale. 

Donne 

L'ora   fatai   s'approssima  ! 
All'armi,   all'armi,  o   forti! 
Noi  v'afRdiam  la  libera 
Bandiera  dei  risorti  ! 
Senza  timor  guardatela-.. 
I   suoi   color  son   tre. 
Ed  il  Leon  dell'Adria 
Le  sta  vegliando  al  Pie. 

Fino  al  supremo  anelito 
Dell'onor  suo  custodi, 
Dove  il  suo  drappo  sventoli 
Ivi  accorrete  o  prodi  : 
Del   tradimento   il   demone 
Più   non   le  striscia  al   pie  ; 
Perchè   il    Leon   dell'Adria 
Le   sta   vegliando   al  pie. 

All'armi,    all'armi,    o    forti! 
Noi   v'affidiam  la  libera 
Bandiera  dei   risorti  ! 

Uomini 

E  noi,  con  un  grido  concorde  di  fede, 
Stringiamo   il   vessillo   che    Italia   ci   diede. 
Oh!  simile  anch'esso  all'Angiol  di   morte. 
Affiso  alle  porte  —  del  santo  giardin. 
Sull'ultimo  scoglio  dell'Alpi  giganti 
Custode  si  pianti  —    del  nostro  confin. 


—  58  — 


DOKKE 


Addi--.    ■j^:^j.-::.,  .    col    \'o3    del    pensiero 
Con   voi  sceaideremo  sul  campo  guerriero  : 
Se   deWl  la  mane  rifugge   dal   brando. 
Staremo  pregando  appiè  all'aitar. 

UOMIKI  ' 

E  noi  col  tripudio  dell'alme  fidend 
Sui  campi  cruenti  —  corriamo  a  pugnar. 

Tutti 

Corriamo,   corriamo  :    vergogna  al  codardo 
Che  il  volo  non  segue  del  patrio  stendardo  : 
Un  inno  di  gloria,  im'onda  di  pianto 
AJ   martire   santo   —  cbe   pugna  e   che   rouor 
Al  forte  che  riede  di  sangue  coperto 
Un  vergine  serto   —   di  baci  e  di  fior. 


59  — 


CANTO  DI  GUERRA 


Dopo  l'infausta  campagna  di  Lombardia  interrotta  dall'armistizio 
del  9  agosto  1848,  i  PiemoDlesi  ardevano  dal  desiderio  di  riprendere 
la  lotta  contro  gli  AuKtriaci.  Il  canto  the  segue  ebbe  molta  voga  nel 
brc\c  periodo  che  corse  fra  la  fine  della  prima  guerra  nazionale  e 
l'iui/io  della  seconda,  cosi  breve  t  terminata  cosi  tristemente  a  Novaia 
{2i   marzo    1849). 


Italiani,  se  gagliardo 

Fu  già  il  braccio  del  Lombardo  ; 
Se  all'estraneo  fé'  spavento 
Di   Hontida  il   giuramento, 

Presto   all'armi   —   non   è  sciolta 
La  contesa   di   Legnan  ; 
Su,  gridiamo  un'altra  volta  : 
--  Guerra  al  barbaro  Aleman  !  — 

Siede  ancora  al   nostro  desco 
Gavazzando,   ebbro  il  tedesco, 
E  l'esercito  s'ingrossa 
D'un  novello  Barbarossa  • 

Presto  all'armi  —  non  è  sciolta 
La   contesa  di    Legnan  ; 
Su,  gridiamo  un'altra  volta  : 
—    Guerra  al   barbaro   Aleman  I 

Quando  l'insubre    campagna 
Tutta  sanguina  e  si  lagna  ; 
Quando  il  veneto  Leone 
A   battaglia  si   compone. 

Presto  all'armi  —  non  è  sciolta 
La   contesa  di    Legnan  ; 
Su,  gridiamo  un'altra  volta  : 
Guerra   u)    barbaro    Aleman  ' 


—  60  — 

Quando  gli  Usseri  e  le  spie 
Van  briachi  per  le  vie, 
E  gareggiano   codardi 
Scannatori  di  vegliardi. 

Presto  all'armi  —  non  è  sciolta 
La   contesa  di    Legnan  ; 
Su,  gridiamo  un'altra  volta  : 

—  Guerra  al   barbaro   Aleman  ! 

Stende  l'aquila  gli  artigli 

Sovra  i  campi,   e  sovra  i  figli  ; 
Non  sia  tregua  coli 'ingorda 
Se  la  polvere  non  morda. 

Presto  all'armi    —  non  è  sciolta 
La   contesa  di    Legnan  ; 
Su,  gridiamo  un'altra  volta  : 

—  Guerra  al   barbaro   Aleman  ! 

Ha   tuonato   il    Vaticano 

Dall'Allobrogo    al    Sicano  : 

Ti    risveglia    itala  prole  : 

—  Dio  lo  vuole,   Dio  lo  vuole.  — 

Presto  all'armi  —  non  è  sciolta 
La   contesa  di    Legnan  ; 
Su,  gridiamo  un'altra  volta  : 
--   Guerra  al   barbaro   Aleman! 


IL  RISORGIMENTO 

DI    ALESSANDRO     POERIO 


Alessandro  Poerio  (1802  —  3  novembre  1848),  soldato  e  poeta, 
fratello  di  Carlo,  si  distinse  alla  difesa  di  Venezia  dove  morì.  Questo 
inno  non  fu  veramente  cantato,  ma  declamato  dai  valorosi  combattenti. 
Il  Poerio  nella  memorabile  sortita  di  Mestre  del  27  ottobre  cadde  fe- 
rito mortalmente  mentre  nel  folto  della  mischia  animava  i  sioi  commi 
litori    col    canto. 


Non  fiori,  non  carmi 
Defili  avi  sull'ossa, 
Ma  il  suono  sia  d'armi. 
Ma  i  serti  sien  l'opre, 
Ma  tutta  sia  scossa 
Da  guerra  —  la  terra 
Che  quelle  ricopre  ! 
Sia  guerra  tremenda, 
Sia  guerra  che  sconti 
La  rea  servitù  ! 
Agli  avi  rimonti. 
Ne'  posteri  scenda 
La  nostra  virtù  ! 


■ien  l'empie  memorie 
D'oltraggi  fraterni, 
D'inique  vittorie, 
Per  sempre  velate. 
Ma  resti  e  s'eterni 
Nel  core  —  un  orrore 
Di  cose  esecrate  ; 
E,  Italia,  i  tuoi  figli, 
Correndo  ad  armarsi 
Con  libera  man. 
Nel  forte  abbracciarsi 
Tra  lieti  perigli 
Fratelli  saran. 


Divampi  di  vita 
La  speme  latente 
Di  scherno  nutrita  ; 
Percuota  gli  strani. 
Che  in  questa  languente 
Beltate  —  sfrenate 
Cacciaron  le  mani, 
D'un  lungo  soffrire, 
Sforzante  a  vendetta, 
L'adulto  furor. 
Sorgiamo  ;  e  la  stretta 
Concordia  dell'ire 
Sia  l'italo  amor. 


O  sparsi  fratelli, 
O  popolo  mio. 
Amore  v'appelli  ! 
Movete  ;  nell'alto 
Decreto  di  Dio 
Fidenti  —  valenti. 
Movete  all'assalto. 
Son  armi  sacrate  ; 
Gli  oppressi  protegge 
De'  cieli  il  Signor  ; 
Ma  questa  è  sua  legge, 
Che  sia  libertade. 
Conquista  al  valor. 


—  62  — 


Fu  servo  il  tiranno 
Del  nostro  paese  ; 
Al  domo  Alemanno 
Le  terre  occupava 
Superbo  il  Francese. 
Respinto  —  dal  vinto 
Poi  quelle  sgombrava. 
Si  pugni,  si  muoja  ; 
De'  prodi  caduti 
L'estremo  sospir 
Con  fede  saluti 
La  libera  gioia 
D3I  patrio  avvenir  ! 


Ma  vano  pensiero 
Fia  l'inclita  impresa. 
Se  d'altro  straniero 
L'aita  maligna        » 
Sul  capo  ci  pesa 
Sien  soli  —  i  figliuoli 
D'Italia  ;  né  alligna 
Qual  seme  fecondo 
Nel  core  incitato 
Verace  voler, 
Se  pria  non  v'è  nato 
Sospetto  profondo 
Dell'uomo  stranier. 


O  Italia,  nessuno 
Stranier  ti  fu  pio  ; 
Errare  dall'uno 
Nell'altro  servaggio 
T  "incresca,  per  Dio  ! 
Fiorente  —  possente 
D'un  solo  linguaggio, 
Alfine  in  te  stessa, 
O  patria  vagante. 
Eleggi  tornar  ; 
Ti  leva  gigante, 
T'accampa  inaccessa 
Su'  monti  e  sul  mar  ! 


63  — 


ADDIO,  MIA  BELLA,  ADDIO  ! 

CANTO  POPOLARE  di  CARLO  BOSI 


(^hi  non  ha  cantato  in  Italia  V Addio,  mia  bella,  addio?  Chi  non 
la  eanta  ancora,  in  città  e  in  campagna,  in  Lombardia,  in  Toscana,  in 
Sicilia,  nelle  nostre  colonie  d'America?  Questa  canzone,  così  fresca  e 
vibrante,  che  par  nata  oggi,  ha  invece  un'età  veneranda  poiché  sorse 
nel  1848  ed  ebbe  il  battesimo  del  fuoco  nella  battaglia  di  Curtatone. 
La  scrisse  il  fiorentino  Carlo  Bosi,  che  la  intitolò  «  Il  volontario  che 
parte  per  la  guerra  dell'Indipendenza  »,  ma  il  popolo  la  chiamò  1'  «  Addio 
del  volontario  »  e  ne  corresse  il  primo  verso  che  nella  lezione  origi- 
nale suonava:  Io  vengo  a  dirti  addio.  Il  musicista  ci  è  ignoto;  ma 
cliiunque  l'abbia  composta,  se  pur  non  l'ha  creata  l'anima  stessa  del 
popolo,  ha  fatto  opera  di  bellezza  :  forse  quel  motivo  così  nitido,  così 
snello,  così  battagliero,  «  doveva  già  esistere  come  aleggiante  per  l'aria 
e  come  susurrante  nei  cuori».  La  canzone  ha  due  sole  frasi  così  ritmi- 
camente incisive,  e  tanto  slancio  e  vigore,  che  appena  echeggiano,  un 
brivido  corre  per  le  ossa  e  tutte  fremono  le  fibre  del  cuore.  «  E'  in 
tempo  ordinario  e  in  tono  maggiore,  né  oltrepassa  l'ambito  di  sei  sole 
note,  sempre  naturali  :  al  termine  del  primo  periodo,  lo  squillo  di  al- 
cime  rapide  note  ribattute  le  accresce  vigore  ed  energia.  Così  breve  e 
così  circoscritta,  ripetuta  sempre  uguale  di  strofa,  parrebbe  che  la  me- 
lodia dovesse  riuscire  monotona,  ma  non  è  così  :  essa,  pur  ripeten- 
dosi, sembra  rinnovarsi  e  acquistare,  dal  mutar  delle  parole,  nuovi 
accenti  sempre  più  vigorosi  e  marziali,  come  sembra  in  taluni  punti  in- 
gentilirsi alla  rievocazione  di  amorosi  e  soavi  ricordi.  Oltre  a  ciò  nella 
sua  estrema  semplicità  è  originale  :  non  ha  punti  di  contatto  con  altri 
canti  patriottici  e  popolari  del  tempo.  Ed  è  inoltre  schietta  e  sincera, 
senza  fronzoli  e  senza  appiccicature  :  sì  sente  sgorgata  liberamente  e 
spontanearr.ente  dall'anima  popolare  e  venuta  fuori,  come  suol  dirsi, 
di  prima  intenzione  ».  (Arnaldo  Bonaventura).  Enrico  Panzacchi  disse  del- 
l'«  Addio  del  volontario»:  «E'  veramente  una  cara  e  poetica  cosa; 
un  toccantissimo  motivo  che  ho  sentito  lodare  e  quasi  invidiare  all'Ita- 
lia nientemeno  che  da  Riccardo  Wagner».  E  Pietro  Cori  osservò  giu- 
stamente :  «  Le  undici  strofe  di  questa  poesia  hanno  nociuto  agli 
austriaci  più  di  una  battaglia  perduta,  e  giovato  all'Italia  più  di  una 
battaglia  guadagnata.  Tanta  è  la  potenza  del  ritmo  e  dell'armonia  sul- 
l'animo   gentile    degli    Italiani!» 


Addio,  mia  bella,  addio,  Non  pianger,  mio  tesoro. 

L'armata  se  ne  va;  Forse  ritornerò; 

Se  non  partissi  anch'io  Ma  se  in  battaglia  io  moro 

Sarebbe   una  viltà  !  In  ciel  ti  rivedrò. 


64  — 


La  spada,  le  pistole, 
Lo  schioppo  l'ho  con  me  : 
Allo  spuntar  del  sole 
Io  partirò  da  te. 

Il  sacco  è  preparato 
Sull'omero  mi   sta  ; 
Son  uomo,  e  son  soldato, 
Viva  la  libertà  ! 

Non  è  fraterna  guerra 
La  guerra  ch'io  farò  ; 
Dall'italiana   terra 
L'estraneo  caccerò. 

L'antica  tirannia 
Grava  l'Italia  ancor  ; 
Io  vado  in  Lombardia 
Incontro  all'oppressor. 


Saran  tremende  l'ire. 
Grande  il  morir  sarà  ! 
Si  mora,  è  un  bel  morire 
Morir  per  libertà  ! 

Tra  quanti  moriranno 
Forse  ancor  io  morrò  ; 
Non  ti  pigliare  affanno, 
Da  vile  non  cadrò. 

Se  più  del  tuo  diletto 
Tu  non  udrai  parlar, 
Perito  di  moschetto. 
Per  lui  non  sospirar. 

Io  non  ti  lascio  sola, 
Ti  resta  un  figlio  ancor  ; 
Nel  figlio  ti  consola. 
Nel  figlio  dell'amor  ! 


Squilla  la  tromba,  addio. 
L'armata  se  ne  va  ; 
Un  bacio  al  figlio  mio 
Viva  la  libertà  ! 


—  65 


INNO    MILITARE 

DI  GOFFREDO    MAMELI 


Fu  composto  dal  Tirteo  dell'Indipendenza  Italiana  nell'agosto  del 
1848  e  mandato  da  Giuseppe  Mazzini  a  Giuseppe  Verdi  che  lo  musicò 
nell'ottobre.  Sempre  caro  alla  gioventù,  è  oggi  l'inno  irredentista  per 
eccellenza.  A  Trieste  e  in  '  tutte  le  terre  italiane  rimas'.e  tiro  al 
maggio  19K'i  soggette  all'Austria  i  due  ultimi  versi  del  ritornello  «  F.nchè 
non  sia  l'Italia  —  Una  dall'Alpi  al  mar  »  vengono  modificati  in  questo 
modo:   «  Finché  a  Trieste  e  a  Trento  —  Non  splenda  il  Tricolor». 

All'armi,    all'armi  !   —  Ondeggiano 
Le  insegne  gialle  e  nere  : 
Fuoco,   per  Dio,  sui   barbari. 
Sulle   vendute   schiere  ! 
Già  ferve  la  battaglia. 
Al  Dio  de'   forti  osanna  ; 
Le  baionette  in  canna, 
E'  l'ora  del  pugnar. 

Non  deporrem  la  spada 

Finché    sia    schiavo    un    angolo 

Dell'itala  contrada  : 

Finché  non  sia  l'Italia 

Una  dall'Alpi  al  mar. 

Avanti  !  —  Viva   Italia, 
Viva  la  gran  risorta  : 
Se  mille  forti  muoiono, 
Dite,   che  è  ciò?  Che  importa 
Se  a  mille  e  mille  cadono 
Trafìtti   i   suoi   campioni  ? 
Siam  ventisei  milioni 
E  tutti  lo  giurar. 

Non  deporrem  la  spada 

Finché    sia    schiavo    un    angolo 

Dell'itala  contrada  : 

Finché  non  sia  l'Italia 

Una  dall'Alpi  al  mar. 


—  66  — 

Finché  rimanga  un  braccio 
Dispieglierassi   altera, 
Segno   ai  redenti  popoli, 
La  tricolor   bandiera, 
Che  nata  fra  i  patiboli 
Terribile   discende 
Tra  le  guerresche  tende 
Dei  prodi  che  giurar 

Di   non  depor  la  spada 

Finché   sia    schiavo    un    angolo 

Dell'itala  contrada  . 

Finché  non  sia  l'Italia 

Una  dall'Alpi  al  mar. 

Sarà  l'Italia  —  edifica 
Sulla  vagante  arena 
Chi  tenta  opporsi  —  misero  ! 
Sui  sogni  lor  la  piena 
Dio  verserà  del  Popolo. 
Curvate   il   capo,   o  genti, 
La   speme   dei  redenti 
La   nuova    Roma  appar. 

Non  deporrem  la  spada 

Finché    sia    schiavo    un    angolo 

Dell'itala  contrada  : 

Finché  non  sia  l'Italia 

Una  dall'Alpi  al  mar. 

Noi  lo  giuriam  pei  martiri, 
Uccisi  dai  tiranni, 
Pei   sacrosanti  palpiti, 
Compressi  in  cor  tant'anni, 
E  questo  suol  che  sanguina 
Sangue  dei  nostri  eroi 
A  Dio  dinnanzi,  e  al  popolo 
Ci  sia  solenne  aitar. 

Non  deporrem  la  spada 

Finché    sia    schiavo    un    angolo 

Dell'itala  contrada  : 

Finché  non  sia  l'Italia 

Una  dall'Alpi  al  mar. 


67  — 


L'ULTIMA  ORA  DI  VENEZIA 

DI  ARNALDO  FUSINATO 


Tutta  l'Italia  era  già  ricaduta  sotto  il  giogo  straniero  dopo  la 
sfortunata  ma  eroica  rivoluzione  del  48-49,  la  quale  aveva  '  rivelato  il 
miracolo  d'un  popolo,  creduto  imbelle,  che  sapeva  battersi  e  morire 
per  la  propria  redenzione,  ed  una  sola  città  continuava  a  lottare,  senza 
speranza  di  vittoria,  in  un  sublime  accanimento,  per  il  nome  e  per  l'o- 
nore d'Italia.  La  difesa  di  Venezia,  come  già  quella  di  Roma  nella 
quale  si  erano  manifestati  il  senno  politico  di  Mazzini  e  il  valore 
indomito  di  Garibaldi,  colpi  il  mondo  di  ammirazione,  e  la  caduta  della 
città  di  San  Marco,  dopo  diciotto  mesi  di  resistenza,  commosse  tutti 
gli  Italiani.  Arnaldo  Fusinato,  alla  vigilia  della  resa  di  Venezia  (24  ago- 
sto 1849)  —  vinta  piti  dalla  fame  e  dal  colera  che  dalle  armi  nemi- 
che —  compose  nell'Isola  del  Lazzaretto  Vecchio  dove  si  trovava  di 
guarnigione  questa  bellissima,  toccantissima  poesia,  che  corse  la  Peni- 
sola intenerendo  le  anime,  facendo  dolorare  i  cuori  e  accendendo  nuovi 
propositi    di   riscossa    per  tempi   non   lontani   e   migliori. 


E'  fosco  l'aere. 
Il  cielo  è  muto, 
Ed  io  sul  tacito 
Veron  seduto. 
In  solitaria 
Malinconia 
Ti  guardo  e  lagrimo, 
Venezia  mia  ! 

Fra  i  rotti  nugoli 
Dell'occidente 
Il  raggio  perdesi 
Del  sol  morente, 
E  mesto  sibila 
Per  l'aria  bruna 
L'ultimo  gemiro 
Della  laguna. 

Passa   una   gondola 
Della  città  : 
~  Ehi,  dalla  gondola, 
Qual  novità?  — 


—  Il  morbo  infuria, 
Il  pan  ci  manca, 
Sul  ponte  sventola 
Bandiera   bianca  ! 

No,  no  non  splendere 
Su  tanti  guai. 
Sole  d'Italia, 
Non  splender  mai  ; 
E  sulla  veneta 
Spenta  fortuna 
Si  eterni  il  gemito 
Della  laguna. 

Venezia  !  L'ultiina 
Ora  è  venuta  ; 
Ilustre  martire, 
Tu  sei  perduta... 
Il  morbo  infuria, 
Il  pan  ti  manca, 
Sul  ponte  sventola 
Bandiera  bianca  ! 


68  — 


Ma  non  le  ignivome 
Palle  roventi, 
Né  i  mille  fulmini 
Su  t?  stridenti, 
Troncare  ai  liberi 
Tuoi  dì  lo  stame... 
Viva  Venezia  ! 
Muori  di  fame  1 

Sulle  tu3  pagin'2 
ScolpÌ3ci,  0  storia. 
L'altrui  nequizie 
E  la  sua  gloria, 
E  grida  ai  posteri  : 
—  Tre  volte  infame 
Chi  vuol  Venszia 
Morta  di  fame  ! 

Viva  Venezia  I 
L'ira   nemica 
La  sua  risuscita 
Virtude  antica  ; 
Ma  il  morbo  infuria 
Ma  il  pan  le  manca.. 
Sul  ponte  sventola 
Bandiera  bianca  ! 


Ed  ora  infrangaci 
Qui  sulla  pietra. 
Finché  è  ancor  libera. 
Questa  mia  cètra. 
A  te,   Venezia, 
L'ultimo  canto, 
L'ultimo  bacio, 
L'ultimo  pianto  ! 

Ramingo  ed  esule 
In  suol  straniero, 
Vivrai,  Venezia, 
Nel  mio  pensiero; 
Vivrai  nel  tempio 
Qui  del  mio  cor?. 
Come  l'immagine 
Del  primo  amore. 

Ma  il  vento  sibila, 
Ma  l'onda  è  scura, 
Ma  tutta  in  tenebre 
E'  la  natura  : 
Le  corde  stridono, 
La  voce  manca... 
Sul  ponte  sventola 
Bandiera  bianca  ! 


—  69  — 

LA  CARABINA  DEL  BERSAGLIERE 

CANTO  DI  DOMENICO  CARBONE 


Come  le  delusioni  e  gli  insuccessi  non  avevano  fatto  disperare  i 
seguaci  di  Mazzini  e  di  Garibaldi,  così  il  tradimento  di  Pio  IX,  la 
sconfitta  di  Novara,  il  trionfo  finale  dell'Austria  e  dei  suoi  tristi  acco- 
liti non  valse  a  far  perdere  la  speranza  nel  futuro  ai  patriotti  del  Pie- 
monte. Oh  tempra  d'acciaio,  oh  fede  invitta  dei  nostri  padri!  Domenico 
Carbone,  colui  che  con  una  satira  di  grande  linea  —  il  «  Re  Tentenna  » 
—  aveva  vivamente  scosso,  a  detta  del  Predari,  l'animo  di  Carlo  Al- 
berto facendolo  piegare  più  benigno  verso  i  partigiani  di  una  politica 
liberale  e  nazionale,  scrisse  un  canto  tutto  speranza,  la  «  Carabina 
del  Bersagliere  »,  che  ebbe  gran  parte  nell'opera  di  resistenza  morale 
e  di    preparazione    iniziata   dal    Piemonte   nel    1850. 

La  via  si  calchi  di  Nabresina  :  ossia  la  via  di  Trieste,  nelle  cui 
vicinanze    sta    il    piccolo    villaggio   di    Nabresina. 

Mia  carabina  —  mia  fidanzata, 
Di  tutto  punto,  tu  se'  parata; 
Dolce  tripudio  della  mia  mano. 
Amor  dell'occhio  con  cui  ti  spiano, 

10  t'ho  giurato  la  fede  mia 
Sui  vasti  campi  di   Lombardia  ; 
Giorno  di   noxzc   si  ravvicina, 

Mia  carabina. 

Mia  carabina  —  mettiti  a  festa  ; 
Nozze  di  sangue  l'Adige  appresta  ; 
Ti  sarà   dote  l'aurea   medaglia 
Vinta  nel  fuoco  della  battaglia  ; 
Altare,  un  colle  preso  d'assalto, 
Letto,   la  pietra   d'un  arduo  spalto; 
E  tu  d'ogni  arma  sarai  regina. 

Mia  carabina. 

Mia  carabina  —  quando  tu  scatti, 
La  destra  gota  lieve  mi  batti  ; 
Quel    tocco   è    il    bacio    che    invoca    e   brama 

11  bersagliere   dalla  sua  dama  ; 
Solo  col  lampo  che  tu  saetti. 
Morte  nel  core  dell'Austro  metti. 
Ma,  quando  tuoni,   porti   ruina. 

Mia  carabina. 


—  70  — 

Mia   carabina  —  talor  s'appanna 
Il  terso  acciaro  della  tua  canna  ; 
E  la   tua   bocca   sussurra  e   noma  : 
Roma  e   Venezia  ;   Venezia  e   Roma. 
Ed  io  rispondo  :   Che  più  ti  resta  ? 
Lupa,  ti  scuoti  ;  Leon  li  desta. 
La  via  si  calchi  di  Nabresina, 

Mia  carabina. 

Mia  carabina  —  questi  stranieri 
Spuntare  i  nostri  pennacchi  neri 
Dell'Alpi  in  vetta  presto  vedranno, 
E  i  vanti  in  gola  ricacceranno. 
Fra  le  due  schiatte  pose  natura 
Coteste  rócche,  coteste  mura, 
A  ripigliarle  Dio  ti  destina, 

Mia  carabina. 

Mia  carabina  —  tu   mai  non  dici  : 
Troppi  nel  campo  sono  i  nemici  ; 
Chiedi  sol  quanti  per  opra  mia 
Mordon   la   terra   nell'agonia. 
E  se  ti  metto  la  daga  in  testa, 
Sembri  una  sposa  vestita  a  festa,    ' 
E  meni  orrenda  carneficina. 

Mia  carabina. 

Mia  carabina  —  nessun  ci  segua  : 
Il  bersagliere  passa  e  dilegua  ; 
Corre  col  vento,   col  tigre  balza  ; 
Lo  credi  a  fronte,  dietro  t'incalza  : 
Qua  si  sparpaglia,  là  si  raduna, 
Pare  e  dispare  la  penna  bruna  ; 
Ma  con  te  sempre,  con  te  cammina, 

Mia  carabina. 

Mia  carabina  —  le  Adriache  prode, 
Ancor  co'  becchi  l'aquila  rode; 
Ond'è  che  a  punta  di  baionetta 
Ti  scrissi  in  calcio  :   morte  o  vendetta  ! 
S'io  cado,  il  guardo  tanto  mi  regga 
Che  lo  straniero  fuggire  io  vegga  ; 
E  anco  sotterra  siimi  vicina. 

Mia  carabina. 


71    — 


IL  BARCHETTO  DEL'  49 

DI   ANTONIO   PAVAN 


Antonio  Pavan,  morto  commendatore  e  Conservatore  delle  Ipoteche 
a  riposo,  era  nel  1848  un  giovane  scrivano  d'avvocato  a  Treviso.  La 
ri\olu2Ìone  uel  22  marzo  lo  improvvisò  poeta.  E  poeta  fu  e  popolaris- 
simo a'  suoi  giorni.  //  barchello  del  '49  e  lo  Stornello  si  cantarono, 
nei  sottovoce  patriottici,  su  arie  d'opere  o  di  altre  canzoni,  particolar- 
mente nelle  famiglie  degli  emigrati  veneti  prima   del   '6tì. 


Di  notte  una  barchetta  vien  dal  mare. 
A   prora  ha  una  bandiera  tricolore, 
Si  ferma  contro  riva  ad  aspettare. 
Ad  aspettar  dei  giovanetti  il  fiore  : 
I  volontari  della  santa  guerra, 
Pronti  a  morir  per  l'italiana  terra. 


STORNELLO  GARIBALDINO 

DI  ANTONIO  CAVAN 


Fior  d'amorino. 
Il  giorno  si  conosce  dal  mattino, 
E   nasce   l'onest'uom    garibaldino 


72  — 


MAZZINI 

STORNELLO  DI  F.  DALL' ONGARO 


Immensa    diffusione  ebbero   questi  stornelli    che    Francesco    Dall'On- 

garo,  il  popolare  poeta,  scrisse  quando  tutte  le  polizie  d'Europa  stavano 
alle  calcagna  del  grande  orditore  di  congiure.  Mazzini,  cadute  —  fort.inara- 
mente  per  poco  —  le  speranze  italiane  nel  '49,  aveva  intensificato  la 
sua  propaganda  repubblicana  e  unitaria  gettando  vivissima  apprensione 
nelle  cancellerie  le  quali  non  riuscivano  mai  a  sapere  esattamente  dove 
l'Apostolo  si  trovasse.  Il  Dall'Ongaro  scrisse  questi  versi  nel  niai^gio  del 
1851,  e  volle  identificare  l'idea  italiana  con  colui  che  primo  la  bandì 
e  con  maggior  tenacia  la  diffuse.  I  mazziniani  propagarono  in  tutta 
Italia   e  all'estero   gli   stornelli    del   poeta   di   Oderzo. 


Chi  dice  che  Mazzini  è  in  Alemagna, 
Chi  dice  eh 'è  tornato  in  Inghilterra, 
Chi  lo  pone  a  Ginevra  e  chi  in  Ispagna, 
Chi  lo  vuol  sugli  altari  e  chi  sotterra. 
Ditemi  un  po',  gruUoni  in  cappa  magna, 
Quanti  Mazzini  c'è  sopra  la  terra? 

Se  volete  saper  dov'è  Mazzini 

Domandatelo  all'Alpi   e  agli   Appennini. 

Mazzini  è  in  ogni  loco  ove  si  trema 
Che    giunga    ai    traditor   l'ora  suprema. 

Mazzini  è  in  ogni  loco  ove  si  spera 
Versare  il  sangue  per  l'Italia  intera 


—  73 


O  LA  BELLA  GIGOGIN  ! 

CANZONETTA  POPOLARE  MILANESE 


Dopo  il  1849  la  Musa  popolare,  come  scrisse  Carlo  Romussi, 
giacque  quasi  soffocata  sotto  il  succedersi  delle  catastrofi.  Tacque  da- 
vanti alle  forche  del  ti  febbraio  del  '53;  das'anti  ai  martiri  che  morivano 
bestemmiando  l'imperatore  e  sognando  l'Italia  redenta  che  non  avreb- 
bero veduto  mai  ;  tacque  davanti  alla  silenziosa  opera  di  preparazione 
iniziata  da  Cavour  ;  ma  quando  sull'orizzonte  buio  apparve  un  barlume 
di  luce,  nunzio  di  prossime  battaglie,  allora  per  le  vie  di  Milano  e 
delle  altre  città  d'Italia  tornò  a  risuonare  la  gaia  canzone  dei  di  della 
lotta.  Il  popolo  non  ha  bisogno  di  spiegazioni,  una  tacita  parola  d'ordine 
dà  il  significato  al  canto;  e  una  bizzarra  poesia  uscita  viva  ed  ornata 
di  note  musicali  dal  cuore  del  popolo,  parlava  di  una  vaga  aspetta 
zione,  di  una  pazienza  che  ironicamente  si  consigliava  agli  oppressi, 
(bisogna  ave  pazienza),  di  un  fatto  lieto  che  si  doveva  fare  sollecito 
per  arrivare  al  premio  sospirato  :  ed  erano  note  che  ora  si  trascina- 
vano con  maliziosa  lentezza,  ora  acceleravano  il  tempo  come  in  una 
marcia  trionfale  attraverso  un  campo  di  battaglia...  Era  il  canto  della 
Bella   Gigogin. 

Questa  canzone,  che  doveva  aver  subito  un  successo  inaudito,  ebbe 
il  battesimo  del  pubblico  l'ultimo  giorno  del  1858  nel  Teatro  Carcano 
di  Milano  (ora  restituito  alle  glorie  dell'arte  e  della  storia)  in  un 
concerto  dato  dalla  Banda  Civica  sotto  la  direzione  del  maestro  Ros 
sari.  L'entusiasmo  della  folla  che  aveva  inteso  immediatamente  il 
significato  riposto  della  canzonetta  ed  era  stata  colpita  dalla  bellezza 
musicale  che  la  informa,  raggiunse  il  delirio;  otto  volte  fu  replicata  la 
canzone;  e  poiché  la  banda,  per  una  delle  tante  assurde  disposizioni 
austriache,  aveva  l'obbligo  di  eseguire  ogni  tanto  delle  suonate  da- 
vanti al  palazzo  del  viceré,  alle  quattro  del  mattino  del  primo  d'anno 
del  '59  si  recò  a  compiere  il  suo  dovere  davanti  al-  palazzo  reale 
seguita  da  una  folla  enorme  di  qualche  decina  di  migliaia  di  persone 
le  quali,  con  slancio  frenetico,  gridavano  il  ritornello  Dagliela  avanti 
un  passo.  Il  popolo  ammoniva  intanto  il  comandante  delle  forze  austria 
che  a  Milano  che  stesse  attento  perché  il  nuovo  anno  gli  avrebbe 
recato  dei  fastidi  : 

Varda  (jyulay  che  ven  la  primavera!... 

E  infatti  non  passò  molto  che  giunse  la  liberazione  e  la  Bella  Gigogin 
fu  cantata  nella  battaglia  di  Magenta,  ed  all'entrata  delle  truppe  franco- 
sarde in  Milano  liberate  le  bande  musicali  la  suonavano  accompagnate 
dal  coro  immenso  della  cittadinanza  che  vedeva  realizzate  le  sue  sante 
speranze.  Coincidenza  strana  e  curiosa  :  la  stessa  sera  che  la  Bella 
Gigogin  veniva  alla  luce  in  Milano,  l'inno  del  Mercantini,  chiamato  in 
appresso  l'Inno  di  Garibaldi,  veniva  eseguito  per  la  prima  volta  a 
Genova. 


—  74  — 

La  musica  della  Bella  Gigogin  fu  scritta  da  Paolo  Giorza  (nato  a 
Milano  nel  1832),  un  singolarissimo  tipo  di  musicista  che  dopo  aver 
avuto  un  periodo  di  celebrità  europea  come  compositore  di  balli  e 
come  direttore  teatrale,  morì  in  miseria  nella  piccola  città  nord-ameri- 
cara   di  Seattle   nel   maggio   del    1914. 


La  ven,  la  ven,  la  ven  alla  finestra, 
L'è  tutta,  l'è  tutta,  l'è  tutta  insipriada, 
La  dis,  la  dis,  la  dis  che  l'è  malada 
Per  non,    per   non,  per   non   mangiar  polenta. 
Bisogna,   bisogna,   bisogna  ave   pazienza 
Lassala,   lassala,  lassala  maridà. 

O  la  bella  Gigogin  !  Trallalà  larà  la-lera  ! 
O  la  bella  Gigogin  !  Trallalà  larà  lelà  ! 

A  quindici  anni  facevo  all'amore... 
Dagliela  avanti  un  passo. 
Delizia  del  mio   core  ! 

A  sedici  anni   ho  preso  marito... 
Daghela  avanti  un  passo, 
Delizia  del  mio  core  ! 

A  diciassette  mi  sono  spartita... 
Daghela  avanti  un  passo. 
Delizia  del  mio  core  ! 

O   la   bella  Gigogin  !      Trallalà   larà   lalerà  ! 
O  la  bella  Gigogin  !  Trallalà  larà  lelà  ! 


75  — 


INNO  DI  GARIBALDI 

DI   LUIGI   MERCANTINI 


Se  l'Inno  di  Mameli  è  il  più  hello,  l'Inno  di  Mercantini  è  il  più 
popolare  degli  inni  di  guerra  italiani.  Le  sue  strofe  destano  fremili, 
il  suo  ritornello  entusiasma.  Scritto  per  i  volontari  di  Garibaldi,  è 
diventato  il  vero  inno  nazionale  del  popolo  italiano  e  là  dove  esso 
rimbomba  si  difendono  le  cause  giuste  e  sante.  Come  disse  Giovanni 
Pascoli,  esso  «  se  non  proprio  i  morti  dai  sepolcri,  resuscita  ciò  che  è 
sepolto  nei   nostri  cuori,   ciò   che  più   non    morrà  ». 

La  sera  del  19  dicembre  1858  in  Genova,  nella  casa  del  patriotta 
bergamasco  Gabriele  Camozzi,  Giuseppe  Garibaldi,  Nino  Bixio  e  qual- 
che altro  parlavano  della  prossima  campagna  di  liberazione  che  doveva 
essere  ingaggiata  al  cenno  che  si  aspettava  da  Torino.  D'un  tratto  entrò 
Luigi  Mercantini,  il  poeta  già  noto  e  amato  per  un  suo  inno  (vedi  a 
pagina  5,ì)  e  per  la  bellissima  e  popolare  poesia  scritta  in  moric 
del   Pisacane  : 

Erari    trecento,    erari   giovani   e   forti... 

Garibaldi  gli  strinse  la  mano  e  gli  disse  (è  Giglioli,  che  assistette 
al   colloquio,   che  racconta)  : 

—  Voi  mi  dovreste  scrivere  un  inno  per  i  miei  volontari;  lo  can 
teremo  andando  aila  carica  e  lo  ricanteremo  tornando  vincitori. 

—  Mi    proverò.    Generale,    rispose    il   poeta. 

—  E  la  signora  Mercantini  (era  una  celebre  pianista),  soggiunse 
il   Camozzi,  comporrà  la   musica. 

Il  31  dicembre,  mentre  a  Milano  la  folla,  pazza  di  entusiasmo, 
cantava  per  la  prima  volta  Dagliela  avanti  un  passo,  il  Mercantini  portò 
l'inno  in  casa  del  Camozzi.  La  musica  non  era  della  signora  Mercantini 
ma  del  maestro  Alessio  Olivieri,  capobanda  della  brigata  «  Savoia  ».  Fu 
eseguita  presenti  Bixio,  i  trentini  fratelli  Pilade  e  Narciso  Bronzetti, 
Migliavacca,  Fiastri,  (Chiassi,  Gorini,  tutti  intrepidi  soldati  della  Patria, 
e  nobili,  popolani  e  borghesi.  Parole  e  musica  conquistarono  l'eletto 
uditorio.  Quattro  mesi  appresso,  il  25  aprile  1859,  l'inno  fatidico 
veniva  cantato  per  la  prima  volta  in  pubblico  dai  volontari  di  Garibaldi. 
Esso  tuttavia  non  ebbe  una  grande  popolarità  che  più  tardi,  poiché 
nella  campagna  di  Sicilia  del    1860  era  ancora  poco  conosciuto. 

Luigi  Mercantini  non  scrisse  mai  nulla  di  meglio  di  quest'inno 
guerresco  e  l'OLvieri,  l'autore  della  musica  (nato  a  Genova  il  15  feb- 
braio 1830,  morto  di  tisi  a  Cremona  il  13  marzo  18(37)  viene  ricordato 
dai  posteri  soltanto  per  le  note  di  cui  rivestì  le  parole  del  Mercantini. 
Siano   benedetti   entrambi    per   il   capolavoro  che   scosse   tutta    Italia 

Come  se  in  ogni  sillaba 
E  in  ogni  canto  ardesse  una  scintilla. 


—  7G  — 

In  origine  l'Inno  terminava  col  verso  «  Son  ditte  una  sola  —  le 
cento  città  n  :  dopo  !a  conquista  della  Sicilia  il  Poeta  vi  aggiunse  le 
strofe  che  seguono.  Il  magico  ritornello  nell'originale  dell'autore  di- 
ceva :  «  Va  fuori  d'Italia  —  Va  fuori  ch'è  l'ora  »  ;  i  garibaldini  ed  il 
popolo  corressero   «  ch'è  ora  »   e   l'autore  accettò   la  correzione   popolare. 


Si  scopron  le  tombe,  si  levano  i  morti, 
I  m.artiri  nostri  son  tutti  risorti  ! 
Le  spade  nel  pugno,   gli  allori  alle  chiome, 
La  fiamma  ed  il  nome  —  d'Italia  nel  cor! 

Veniamo  !  Veniamo  !  Su,  o  giovani  schiere  ! 
Su  al  vento  per  tutto  h  nostre  bandiere  ! 
Su  tutti  col  ferro,  su  tutti  col  foco. 
Su  tutti  col  foco  —  d'Italia  n"l  cor! 

Va'  fuori  d'Italia,  va'  fuori   ch'è  ora. 
Va'  fuori  d'Italia,   va'  fuori,   o  straniar. 

La  terra  dei  fiori,  dei  suoni  e  dei  carmi 
Ritorni   qua! 'era  la  terra  dell'armi  ! 
Di  cento  catene  le  avvinser  la  mano. 
Ma  ancor  di  Legnano  —  sa  i  ferri  brandir. 

Eastone  tedesco  l'Italia  non  doma, 

Non  crescono  al  giogo  le  stirpi  di  Roma  : 

Più  Italia  non  vuole  stranieri  e  tiranni. 

Già  troppi  son  gli  anni  —  che  dura  il  servir. 

Va'  fuori  d'Italia,  ecc. 

Le  case  d'Italia  son  fatte  per  noi, 
E'  là  sul  Danubio  la  casa  dei  tuoi  : 
Tu  i  campi  ci  guasti,  tu  il  pane  c'involi, 
I  nostri   figliuoli  —  per  noi  li  vogliam. 

Son  l'Alpi  e  i  due  mari  d'Italia  i  confini, 
Col  carro  di  fuoco  rompiam  gli  Apennini  : 
Distrutto  ogni  segno  di  vecchia  frontiera. 
La  nostra  bandiera  —  per  tutto  innalziam. 

Va'  fuori  d'Italia,  ecc. 


—  77  — 

Sieri  mute  le  lingue,  sieri  pronte  le  braccia  : 
Soltanto  ?1  nemico  volgiamo  la  faccia, 
E  tosto  oltre  i  monti  n'andrà  lo  straniero. 
Se  tutta  un  pensiero  —  l'Italia  sarà. 

Non  basta  il  trionfo  di  barbare  spoglie, 
Si  chiudano  ai  ladri  d'Italia  le  soglie  : 
Le  genti  d'Italia  son  tutte  una  sola, 
Son  tutte   una  sola  —  le  cento  città. 

Va'  fuori  d'Italia,  ecc. 

Se  ancora  dell'Alpi  tentasser  gli  spaldi, 
II  grido   d\:llarmi  sarà   ^Garibaldi  »• 
E  s'arma  allo  squillo,  che  vien  da  Caprera, 
Dei  mille  la  schiera  —  che  l'Etna  assaltò. 

E  dietro  alla  rossa  vanguardia  dei  bravi 
Si  muovon  d'Italia  le  tende  e  le  navi  : 
Già  ratto  sull'orma  del  fido  guerriero 
L'ardente    destriero  —    Vittorio   spronò. 

Va'  fuori  d'Italia,  ecc. 

Per  sempre  è  caduto  degli  empi  l'orgoglio, 
A  dir  —  Viva  Italia  —  va  il  Re  in  Campidoglio 
La  Senna  e   il  Tamigi   saluta   ed  onora 
L'antica  signora  —  che  torna  a  regnar. 

Contenta  del  regno  fra  l'isole  e  i  monti 
Soltanto  ai  tiranni  minaccia  le  fronti  ; 
Dovunque  le  genti  percuota  un  tiranno 
Suoi  figli  usciranno  —  per  terra  e  per  mar. 

Va'  fuori  d'Italia,  ecc. 


CANTO  DI  SOLDATI  SUL  CAMPO 

DI  TEOBALDO    CICCONI 


Lo  cantavano  i  soldati  piemontesi  nei  bivacchi  durante  la  guerra  del 
1S59.  E  lo  cantano  con  eguale  entusiasmo  i  soldati  d'Italia  nel  1915, 
durante  l'ultima,  pili  grande  e  più  gloriosa  guerra  del  nostro  Risor- 
gimento! 

Fischiano  i  venti,   la  notte  è  nera. 
Batte  la  pioggia  sulla  bandiera  : 
Finché   nel  cielo  rinasca   il   giorno, 
Giriam,  fratelli,  giriamo  intorno. 

Zitto  !  Silenzio  !  Chi  passa  là  ? 
Passa  la   ronda.    Viva   la   ronda  : 
Viva  l'Italia,   la  libertà  ! 

Siam   delle   guardie   dai   tre  colori. 
Verde,   la  speme  de'  nostri  cori. 
Bianco,  la  fede  stretta  fra  noi, 
Rosso,  le  piaghe  de'  nostri  eroi. 

Zitto!  Silenzio!  Chi  passa  là? 
Passa  la   ronda.    Viva   la   ronda  : 
Viva  l'Italia,   la  libertà! 

Dalle  congiunte  bocche  dei  cento 
Scoppia  la  voce  del  giuramento  ; 
Braccio  di  ferro,  cor  di  leone, 
Ciascun  difenda  la  sua  ragione. 

Zitto!  Silenzio!  Chi  passa  là? 
Passa  la   ronda.    Viva   la  ronda  : 
Viva  l'Italia,  la  libertà  ! 


—  79  — 


LA  ROSA  I>I  NOVARA 

DI  FRANCESCO   COPPI 


Francesco  (;oppi,  poeta  molto  giovane,  è  l'aiitort  di  questa  dolce 
e  triste  poesia,  la  cui  musica,  che  è  comune  ad  altri  stornelli  toscani, 
ha  note  malinconiche.  Il  ritornello  è  «  tutto  empito,  e  bene  esprime  la 
f,2gliardia  delle  rinnovate  speranze  ».  Nata  nella  primavera  del  1859 
i;i  Toscana,  suonò  sulle  labbra  dei  volontari  toscani  e  restò  nel 
popolo. 


Fior  della  bara. 
Spunta  la  rosa  della  primavera 
Al  piede  delle  croci  di  Novara. 

O  rosa  d'aprile  —  amore  dei  fiori, 
D'Italia  i  colori  —  tu  porti  con  te. 

O  primavera, 
E  le  croci  dei  campi  di  Novara 
Dicono  a  quella  rosa  :   Apriti  e  spera. 

O  rosa  d'aprile    -  amore  dei  fiori, 
D'Italia  i  colori  • —  tu  porti  con  te. 

Verde  è  lo  stelo, 
Come  speranza   che   un  vessillo  solo 
Sventolerà  per  questo  nostro  cielo. 

O  stelo  di  rosa  —  amore  dei  fiori 

Dei  nostri  colori  —  sei  pure  un  de'  tre. 

Bianco  è  il  bottone, 
Come  la  fede  che  l'onde  tirrene 
Dovran  baciare  una  sola  nazione. 

Bottone  di  rosa    -    amore  dei  fiori 

Dei  nostri  colori  —  sei  pure  un  de'  tre. 


—  80  — 

E'  rosso  il  flore. 
Come  l'amore  che  dall'Alpi  al  mare 
Ci  Siam  giurati  ai  giorni  del  dolore. 

O  fiore  di  rosa  —  amor  dei  fiori 

Dei  nostri  colori  —  sei  pure  un  de'  tre. 

E  sulla  sera 
Ai  piedi  delle  croci  di  Novara 
Sbocciò  la  rosa  della  primavera. 
E  le  croci  dei  campi  di  Novara 
Dissero  a  quella  rosa  :   Apriti  e  spera. 

O  rosa  d'aprile  —  am.ore  dei  fiori 
D'Italia  i  colori  —  rivivon  con  te. 


81 


CANTO  MARZIALE  DEI  SOLDATI 

DI  GIUSEPPE   PIERI 


Come  avverte  il  Cori,  questo  fu  il  piii  popolare  degli  inni  patriot- 
tici sorti  nel  1859.  Fu  scritto  dal  Pieri,  un  fecondo  poeta,  ora  dimen- 
ticato, musicato  dal  maestro  Rodolfo  Mattiozzi  e  dedicato  al  generale 
Ulloa,  comandante  delle  truppe  toscane.  In  alcune  regioni  d'Italia  lo 
si  canta    ancora. 

All'armi,   All'anni! 

Soldati,  all'armi,  all'armi! 
Son  pronti  i  battaglioni, 
I  brandi  ed  i  cannoni 
La  morte  a  fulminar. 

Del  suon  di  tromba 
Tutta  rimbomba 
L'itala  terra... 
Viva  la  guerra  ! 

All'armi,   All'armi! 

Regni  ne'  nostri  petti 
La  fede,  la  speranza. 
Andiam  siccome  a  danza, 
Giulivi  a  battagliar. 

Del  suon  di  tromba 
Tutta  rimbomba 
L'itala  terra... 
Viva  la  guerra  ! 

All'armi,  All'armi! 

Sia  fulmine  racciaro 
Sull'oste  che  ci  aspetta  : 
D'una  feral  vendetta 
L'ora  per  noi  suonò  ! 

Del  suon  di  tromba 
Tutta  rimbomba 
L'itala  terra... 
Viva  la  guerra  ! 


—  82  — 

All'armi.   All'armi! 

Al  tricolor  vessillo 
Dell'almo  re  guerriero 
Uniti  in  un  pensiero 
L'Eterno  ci  guidò. 

Del  suon  di  tromba 
Tutta  rimbomba 
L'itala  terra... 
Viva  la  guerra  ! 

All'armi,  All'armi! 

Sui  campi  della  gloria 
Come  leoni  andremo, 
Col  sangue  compreremo 
La  santa  libertà. 

Del  suon  di  tromba 
Tutta  rimbomba 
L'itala  terra... 
Viva  la  guerra  ! 

All'armi,  All'armi! 

Questa  invidiata  Italia 
Troppo  già  fu  tapina. 
Noi  la  vogliam  regina, 
Regina  alfin  sarà. 

Del  suon  di  tromba 
Tutta  rimbomba 
L'itala  terra... 
Viva  la  guerra  ! 

All'armi,  All'armi! 

Corriam,  voliam,  coraggio  ! 
Sciabola  in  pugno  ed  asta  ; 
Siamo  guerrieri,  e  basta  : 
Vita  il  pugnar  ci  dà  ! 

Del  suon  di  tromba 
Tutta  rimbomba 
L'itala  terra... 
Viva  la  guerra  ! 


83 


I  CACCIATORI  DELLE  ALPI 

DI  LUIGI   MERCANTINI 


Fu    LOmunissinia    tra    i    Garibaldini    durante    la    campagna    del    "59. 


Volontario  ho  abbandonato 
La  mia  casa  ed  il  mio  amor  : 
Or  che  son  di  qua  passato 
Son  dell'Alpi  cacciator. 

La  mia  madre  poveretta 
Al  confin  mi  accompagnò  : 
Ma  di  là  restò  soletta, 
E  di  là  mi  salutò... 

E  un  bel  j^iovine  gagliardo 
Incontrai  nel  mio  cammin  : 
Io  gli  chiesi:   —  Sei  Lombardo?  — 

—  No,  rispose,  Cadorin... 

Uno,  due,   tre,   quattro,   oh  quanti  ! 
Dite  amici,  ove  si  va?     - 

—  Modenesi  tutti  quanti 
Per  combatter  siamo  qua. 

—  Viva  Italia!  E  voi  chi  siete?  — 

—  Siam  di  Parma.  —  E  voi  laggiù?  — 

—  Viva  Italia  !  Oh  noi  sapete, 
Siam  toscana  gioventù.  — 

—  Veh  costui  che  arriva  in  fretta 
E  d'armati  ha  un  fiero  stuol  : 

Olà,  amico,  dinne,  aspetta. 

Tu  chi  sei  ?  —  Son  romagnol.  — 


—  84 


E  quell'altro  più  lontano 
Che  si  ratto  muove  il  pie?  — 
—  Messaggiero  siciliano 
Vengo  a  dir  che  morto  è  il  re. 

Cacciatori,   spunta  il  giorno, 
Già  la  belva  si  mostrò  : 
Cacciatori  squilla  il  corno, 
Già  la  caccia  incominciò. 


—  85  — 


STORNELLI  POPOLARI  DEL  1859 


Il  1S59,  come  già  il  1848,  elettrizzò  l'Italia.  Le  vittorie  di  Lom- 
bardia, le  rivoluzioni  dell'Italia  centrale,  il  magnifico  esempio  dato  dal 
Re,  dal  suo  grande  iflinistro,  da  Garibaldi  alla  testa  dei  suoi  volontari, 
dai  governi  insurrezionali  che  resero  nulli  i  patti  disastrosi  della  pace 
di  Villafranca,  erano  tali  avvenimenti  da  destare  le  muse  patriottiche 
e  popolari  Si  ebbe  in  quell'anno  e  nell'anno  seguente,  non  meno  gran- 
dioso nella  storia  del  nostro  riscatto,  una  vera  efflorescenza  di  inni  e 
di  canti,  alcuni  dei  quali  bellissimi,  come  quelli  de!  '48.  Il  ■v=^9  fu  l'esal- 
tazione del  nuovo  valore  militare  italiano  impersonato  nella  balda  figura 
del  bersagliere  crealo  dal  Lamarmora.  Nel  '59  e  nel  '66  i  trentini 
cantavano  : 

E  voi  altri  bersaglieri 

Che  gavè  la  gamba  bona 

Vegnarè  su  da   Verona 

A  portar  la  libertà! 

Gli  stornelli  che  seguono  sono  nati  in  Toscana  e  si  sono  diffusi  rapi- 
damente nelle   Marche,   nelle    Romagne   ed  in   altre  regioni. 
//    Babbo  :    il    granduca    Leopoldo  di   Toscana. 


Addio,  Fiorilla  ! 
La  tromba  del  guerrier  sento  che  squilla, 
E  chiama  gritaiiani  alla  battaglia: 
Pronta  ho  la  spada  e  da-  due  parti  taglia  ; 
Il  sacco  ho  preparato  ed  il  fucile  ; 
Vado  alla  guerra,  e  chi  non  viene  è  un  vile. 
Addio,  Fiorilla,  vado  in  Lombardia 
A  liberar  men  vo  la  patria  mia. 

Sono  italiano,  ed  alla  guerra  vo, 
O  morirò  pugnando,  o  vincitor  sarò. 

Fiorin  d'allòro! 
Perchè  mi  neghi  un  bacio,  o  mio  tesoro? 
Sai  che  alla  guerra  vado  in  Lombardia, 
Non  ti  vedrò  piij  forse,   anima  mia  ; 
Dunque  perchè  mi  nega  il  tuo  bel  core 
L'ultimo  segno  d'un  fedele  amore? 

Sono  italiano,  ed  alla  guerra  vo, 
O  morirò  pugnando,  o  vincitor  sarò. 


—  86  — 

Fior  di  mughetto  ! 
Viva  l'Italia,  che  ho  scolpita  in  petto, 
Evviva  la  bandiera  tricolore. 
La  bandiera  che  ai  barbari  è  terrore. 
All'armi!  Della  tromba  odo  lo  squillo, 
Viva  l'Italia  e  il  tricolor  vessillo  : 
Voliamo  alla  vittoria;  all'Alpi  in  vetta 
Sventoli  la  bandiera  benedetta. 

Sono  italiano,  ed  alla  guerra  vo, 
O  morirò  pugnando,  o  vincitor  sarò. 

Fior  di  mortella  ! 
Sull'elmo  del  guerrier  brilla  una  stella  ; 
E'  la  stella  che  a  mezzo  la  battaglia 
Collo  splendor  l'occhio  al  tedesco  abbaglia 
E'  la  stella  che  illumina  il  sentiero. 
Della  vittoria  all'italian  guerriero. 

Sono  italiano,  ed  alla  guerra  vo, 
O  morirò  pugnando,  o  vincitor  sarò. 


—  Dimmelo,  bella. 
Dove  tu  l'hai  l'amor? 

—  L'amore  l'ho  in  Piemonte 
Fra  fucili  e  cannon. 

—  Dimmelo,  bella. 
Dove  tu  l'hai  l'amor? 

—  L'amore  l'ho  in  Piemonte 
Bandiera  tricolor.  — 

Giovane  son. 

Voglio  morir  così  : 

Con  Garibaldi  in  Mantova 

O  vincere,  o  morir. 

Giovane  son, 

Voglio  morir  così  : 

Vo'  andar  con  Garibaldi  ; 

O  vincere,  o  morir. 


—  87  — 

Giovane  son, 

Voglio  morir  così  : 
Vogliam  l'Italia  libera; 
O  vincere,  o  morir. 

Mamma,  non  piangere, 
Alla  guerra  vo'  ir  : 
Nell'Italia  son  nato, 
Per  l'Italia  vo'  morir. 


Lascialo  andar, 
Che  volontario  va, 
Contro  i  Tedeschi  a  battersi 
L'Italia  a  liberar. 

Lascialo  andar 
Che  volontario  va, 
E'  va  con  Garibaldi 
L'Italia  a  liberar. 

Lascialo  andar 
Che  volontario  egli  è  ; 
E'  andato  nel  Piemonte 
A  fare  il  bersaglier. 

Lascialo  andar 
Che  volontario  va  ; 
Lascia  la  mamma  a  piangere 
La  dama  a  sospirar- 

Lascialo  andar 

Che  volontario  egli  è, 
E  nel  Palazzo  Pitti 
Non  ci  rimette  il  pie. 

Lascialo  ire 

Lascialo  ir  lassiì  : 
Codini,  andate  a  letto 
Il  Babbo  un  torna  più  ! 

L'albero  è  secco, 

La  foglia  è  andata  giù, 
Codini  andate  a  letto 
Il  Babbo  un  torna  più  ! 


GARIBALDI 

DI  FRANCESCO  DALL' ONGARO 


Francesco  Dall'Ongaro  ne  compose  le  parole;  ma -chi  fece  la 
musica  di  questa  canzone  «  cantata  in  Italia  da  persone  di  ogni  casato 
sociale?  »    (Gori). 


Qual'è  il  guerriero  famoso  al  pari 
Di  qua  d'Atlante,  di  là  dai  mari, 
Che  per  l'Italia  brandì  l'acciaro 
E  il  nostro  nome  fé'  sacro  e  caro 
Fin  fra'  selvaggi  nudi  e  spavaldi? 

—  E'  Garibaldi! 

Al  primo  grido  de'  nostri  sdegni 
Varcò  d'un  volo  d'Alcide  i  segni  : 
Udì  un  concerto  d'allegri  carmi, 
Ma  inette  ancora  le  destre  all'armi, 
Gridò  :  «Sorgete  fidenti  e  baldi»  ? 

—  E'  Garibaldi  ! 

O  cari  al  sole,  lombardi  campi. 
Per  lui  mandaste  faville  e  lampi  ! 
Per  lui  dell'elmo  gravò  la  chioma, 
Risorse   cinra   la   sacra   Roma 
Di  nuovi  Bruti,  di  nuovi  Arnaldi  ! 

—  E'  Garibaldi  ! 

Cedemmo  al  fato  ;  ma  in  cor  ristretta 
Covò  due  lustri  la  gran  vendetta. 
Su,  su,  fratelli,  più  non  s'attenda 
Che  dal  Cenisio  l'aiuto  scenda! 
La  libertade  vuole  altri  araldi  : 

—  E'  Garibaldi! 


—  89  — 

Desta  al  suo  nome  l'antica  schiera 
Il  Rubicone  passò  primiera  : 
Sursero  inermi  Varese  e  Como  : 
Contro  seimila  s'avanza  un  uomo, 
E  gli  rovescia  dai  vinti  spaldi... 

—  E'  Garibaldi  ! 

Da  Montebello  fino  a  Magenta 

Non  v'è  che  un  nome  che  li  spaventa. 
Dov'ei  non  pugna  s'alza  gigante, 
Tremendo  spettro  col  suo  sembiante 
Che  mette  un  gelo  ne'  cor  più  saldi. 

—  E'  Garibaldi  ! 

L'un  Sire  e  l'altro  si  guata  in  faccia  : 
Scossi  al  periglio  chi  li  minaccia, 
Offrono  tregua,   giurano  pace  : 
Tremano  entrambi  che  l'uomo  audace 
Di  nuovo  incendio  l'Europa  scaldi... 

—  E'  Garibaldi  ! 

Non  v'è  con  l'Austria  pace  né  tregua! 
Infìno  al  mare  l'oste  s'insegua. 
O  re  Vittorio,  chiama  i  tuoi  Sardi, 
Grida  a  Toscani,  grida  a  Lombardi  : 
—  Spezzate  i  vili  patti  ribaldi  ! 

—  E'  Garibaldi  ! 

Fra  i  sacri  gioghi  dell'Appennino 
Splende  all'Italia  miglior  destino  : 
Qui  dove  è  antica  la  libertade, 
A  nuova  vita  tempriani  le  spade, 
Novella  fiamma  l'alme  riscaldi!... 

—  E'  Garibaldi  ! 

Vedran,  se  alcuno  pur  ci  dileggia, 
Che  non  slam  tutti  canora  greggia  ! 
Vedranno  al  soffio  che  da  lui  spira 
Aiutarsi  in  tromba  l'imbelle  lira, 
Ed  i  Raffaeli!  fatti  Rinaldi... 

—  E'  Garibaldi  ! 


—  90 


Di  miglior  vespro  deste  alle  squille 
Sorgon  le  fiere  Calabre  ville  : 
Ardono  tutti  d'un  foco  solo  : 
Non  è  vulcano  che  scuota  il  suolo, 
Non  è  valanga  che  d'alto  sfaldi... 

—  E'  Garibaldi  !  — 

Nutrita  a  lungo,  nell'ore  estreme 
De'  rei  signori  cadrà  la  speme! 
Le  occulte  insidie  la  luce  ha  dome. 
Non  v'è  che  un  uomo,  non  v'è  che  un  nome 
Che  la  gran  piaga  d'Italia  saldi... 

—  E'  Garibaldi  !  — 


—  91    — 


LA  GARIBALDINA 

DI  FRANCESCO   DALL'ONGARO 


Quest'inno  fu   cantato  dai   Garibaldini  dal   "60  in  poi. 


Il  dado  è  tratto  !  Di  terra  in  terra 
Suona   l'allegro  squillo  di  guerra. 
L'Italia  è  sorta  dall'Alpi  al  Faro, 
E  vuol  col  sangue,  che  l'è  più  caro. 
Segnar  la  traccia  de'  suoi  confini. 
Al  nostro  posto,  Garibaldini  1 

Avanti  !    Urrà  ! 
L'Italia  va  ! 
Fuori  stranieri,  fuori  di  qua  ! 

Una  camicia  di  sangue  intrisa 
Basta  al  valore  per  sua  divisa  ; 
A  darci  un'arma  che  non  si  schianti 
Basta  un  anello  de'  ceppi  infranti. 
Ogni  arma  è  buona  cogli  assassini  ! 
A  ferro  freddo.  Garibaldini  ! 

Avanti  !  Urrà  ! 
L'Italia  va  ! 
Fuori  stranieri,  fuori  di  qua  ! 

Non  dietro  i  muri,  non  entro  ai  fossi  : 
In  campo  aperto,  diavoli  rossi  ! 
Chi  vuol  cannoni,  vada  e  li  prenda, 
Come  torrente   che  d'alto  scenda, 
Come  valanga  de'  gioghi  alpini, 
A  ferro  freddo,  Garibaldini  ! 

Avanti  !  Urrà  ! 
L'Italia  va  I 
Fuori  stranieri,  fuori  di  qua  ! 


—  92  — 

Pochi,    ma  buoni.   L'Italia   affronta 
Le  avverse  squadre,  ma  non  le  conta. 
Come  i  trecento  devoti  a  morte, 
Che  della  Grecia  mutar  la  sorte, 
Marciam  compatti,  feriam  vicini, 
A  ferro  freddo,  Garibaldini  ! 

Avanti  !  Urrà  ! 
L'Italia  va  ! 
Fuori  stranieri,  fuori  di  qua  ! 

Poveri  e  ricchi,  dotti  ed  ignari 
Dinanzi  al  foco  tutti  slam  pari. 
Pari  nel  giorno  del  gran  conflitto. 
Saremo  pari  dinanzi  al  dritto  : 
Siamo  soldati,  ma  cittadini. 
A  ferro  freddo.  Garibaldini  ! 

Avanti  !  Urrà  ! 
L'Italia  va  ! 
Fuori  stranieri,  fuori  di  qua  ! 

Oggi  guerrieri,  doman  colòni, 
Senza  medaglie,   senza  galloni. 
Giurammo  a  Italia  la  nostra  fede  : 
La  libertade  ci  fìa  mercede. 
Come  gli  antichi  padri  latini. 
A  ferro  freddo.  Garibaldini  ! 

-A. vanti  !  Urrà  ! 
L'Italia  va  ! 
Fuori  stranieri,  fuori  di  qua! 


93 


CAMICIA  ROSSA 


E'  la  canzone  più  popolare  nata  nel  1860.  La  scrisse  un  certo 
Traversa,  segretario  comunale,  e  la  musicò  il  maestro  Luigi  Pantaleoni. 
Si  componeva  dapprincipio  di  sole  nove  strofe;  dopo  il  doloroso  fatto 
di  Aspromonte  il  poeta  scrisse  altre  dieci  strofe  intitolandole  «  La  mia 
camicia  rossa  »  ;  il  popolo  le  cantò  e  le  canta  insieme  con  le  prece- 
denti come  se  si  trattasse  di  una  medesima  canzone.  Nel  '60  sorsero 
anche  la    popolare  canzonetta  : 

Bella    non     piangere     se     mi     vedrai    partir. 
Vado   alla  guerra   per    vincere   o    morir; 

la    Violetta,    ecc.,   ecc. 


Quando  la  tromba  suonava  airarmi. 
Con  Garibaldi  corsi  a  arruolarmi  ; 
La  man  mi  strinse  con  forte  scossa, 
E  mi  die   questa  camicia  rossa. 

E  dall'istante  che  t'indossai 
Le  braccia  d'oro  ti  ricamai... 
Quando  a  Milazzo  passai  sergente, 
Camicia  rossa,  camicia  ardente- 
Porti  l'impronta  di  mia  ferita, 
Sei  tutta  lacera,  tutta  scucita  ; 
Per  questo  appunto  mi  sei  più  cara 
Camicia  rossa,   camicia  rara. 

Tu  sei  l'emblema  dell'ardimento  : 
Il  tuo  colore  mette  spavento  : 
Fra  poco  uniti  andremo  a   Roma, 
Camicia  rossa,  camicia  indoma. 

Fida  compagna  del  mio  valore. 
S'io  ti  contemplo  mi  batte  il  core  ; 
Par  che  tu  intenda  la  mia  favella, 
Camicia  rossa,   camicia  bella. 


—  94  — 

Là  sul  Volturno,  di  te  vestito, 
Quando  sul  campo  caddi  ferito, 
Eri  la  stessa  che  allor  vestìa, 
Camicia  rossa,   camicia  mia. 

Con  te  sul  petto  farò  la  guerra 
Ai  prepotenti  di   questa  terra, 
Mentre  l'Italia  d'eroi  si  vanta. 
Camicia  rossa,  camicia  amata  ! 

Quando  all'appello  di  Garibaldi, 

A  un  di  que'  mille  suoi  prodi  e  baldi 
Daremo  insieme  fuoco  alla  mina, 
Camicia   rossa   garibaldina. 

Se  dei  tedeschi  nei  fieri  scontri 
Vien  che  la  morte  da  prode  incontri, 
Chi  sa  qual  sorte  sarà  serbata. 
Camicia  rossa,  camicia  amata  ! 


Ora  tu  posi  come  una  mesta 
Che  attende  il  giorno  della  sua  festa  ; 
Ed  io  coU'alma  trista,  commossa 
Ti  guardo  e  lacrimo,  camicia  rossa  ! 

Nei   lidi   siculi   la  prima  volta, 
Giovine   altero,   io   t'ebbi  accolta; 
E  nel  nomarti  la  sposa  mia, 
Seguimmo  insieme  la  stessa  via. 

Oh  !  allor  non  eri,  quale  tu  siei. 
L'umile  veste  dei  giorni  miei!... 
Eri   l'insegna   della  riscossa, 
O  disprezzata  camicia  rossa  ! 

Eri  di  tanta  gloria  beata. 
Che  da  due  mondi  fosti  desiata, 
E  l'Anglo  e  l'Unghero  scesero  in  campo 
Del  tuo   divino  folgore   al   lampo. 


—  95  — 

Fino  le  imbelli   fanciulle  ornarsi 
Di  te  si  piacquero,  e  innamorarsi, 
Né  da  quei  cori  giammai  rimossa 
Fu  la  tua  immagin,  camicia  rossa. 

E  come  un  voto  di  casta  fede, 
Che  amor  d'Italia  solo  concede, 
Nella  parete  d'ogni  umil  tetto 
Pendesti  all'ara  d'un  santo  affetto. 

Tradita,  fosti  più  grande  —  e  Pisa 
Luce  ha  più  bella  con  te  divisa... 
Oh  !  quella  guerra  che  t'hanno  mossa 
T'ha  sublimato,   camicia  rossa. 

Nella  tua  fiera  melanconia, 
Tu  mi  rammenti  Venezia  mia  ; 
Nella  tua  vita,   vinta  non  doma, 
Sembri  ripetere  :    dO  morte,   o  Roma  ' 

Oh!   vieni,   vieni   col  sol  d'aprile: 
Impari  il  mondo  che  non  sei  vile  ! 
Roma  e  Venezia  !  Poi  nella  fossa 
Scendiamo  insieme,  camicia  rossa  ! 

Camicia  rossa,  camìcia  indoma. 
Sembri  ripetere  :  ((O  morte,  o  Roma  !> 
Sì.   ripetiamo  con  voce  forte, 
Con  Garibaldi  :    !<0  Roma,   o  morte  !>i 


96  — 


LA  CADUTA  DEL  RE  BOMBA 


La  musa  popolare  salutò  la  caduta  del  Re  Bomba  (Gaeta,  dove  si 
era  rifugiato  Francesco  II  di  Napoli,  cadde  il  13  febbraio  1861)  con 
questi  versi  d'intonazione  satirico-umoristica.  Un  amico  abruzzese  mi 
assicura  di  averli  sentiti  canticchiare  fino  a  qualche  anno  fa  dai  con- 
tadini  dei   dintorni   di   Pescara. 


Italiani,  per  memoria 

Vi  vuo'  dir   tremenda   istoria  : 
Garibaldi,  a  suon  di  tromba, 

Giunse  in  casa  del  Re  Bomba. 
Alla  vista  dei  nizzardi 

Bersaglieri  di  Garibaldi, 
Alla  rea  disperazione, 

Che  assaliva  il  Re  Borbone, 
L'orizzonte  si  oscurò, 

Il  Re  Bomba  tracollò. 
Ed  in  fretta  Francescone 

Fece  fare  un  gran  cassone 
Tutto  pieno  di  moneta 

Per  fuggir  dentro  Gaeta. 
Dunque  scordati    del   trono, 

Che  a  regnar  non  sei  piii  buono  ; 
Va'  a  mangiare  i  maccheroni 

Co'  tuoi  figli  lazzaroni. 
Va'  all'inferno,  al  purgatorio, 

Va'  a  cercare  il  tuo  papà; 
Gli  dirai  che  il  gran  Vittorio 

Ci  ha  donata  la  libertà. 
San   Gennaro   e  il   gran  Pio  nono 

Son  caduti  dal  suo  trono. 
San  Gennaro  non  risponde, 

Il  Re  Bomba  si  confonde 
L'Antonelli   dice:    ohimè! 

Siam  caduti  tutti  e  tre. 


97  — 

LA  RONDINELLA 
D'ASPROMONTE 


Nel  1840  il  patriotta  livornese  Enrico  Mayer  scrisse,  nella  pri- 
gione di  Castel  Sant'Angelo  dove  era  stato  rinchiuso  dal  governo  del 
papa,  lina  breve  gentile  poesia  intitolata  La  Rondinella.  Nel  1862,  dopo 
la  tragedia  d'Aspromonte,  un  ignoto  esumò  la  vecchia  poesia  e,  con 
lievi  modificazioni  di  nomi  alla  seconda  strofa  e  di  concetti  alla  settima, 
la  rivestì  o  la  fece  rivestire  di  note  musicali.  Così  foggiata  La  Ron- 
dinella   d'Aspromonte   acquistò   una   grande    voga   tra    il    popolo. 

O  Rondinella,   che   libere   l'ali 

Spieghi    or    fuggendo,    or    tornando    vèr    me, 
Deh  !  se  pur  senti  pietà  de'  miei  mali. 
Vai  dove  andare  è  niegato  al  mio  pie. 

Tu  dèi   volar  da   Aspromonte   al  Cimino, 
E  dal  Cimino  all'Amiata  passar; 
Poi  dell'Etruria  nel  dolce  giardino 
Sui  freschi   margini   d'Arno   posar. 

Là  dove  franta  più  mormora  l'onda, 
Giunta  di  Flora  il  bel  seno  a  lam.bir, 
Mesto  e  romito  vedrai  sulla  sponda 
L'abbandonato  mio  tetto  apparir. 

Stanza  di   pace...    Oh  !   se   farvi  il   tuo   nido 
Tu   pur  volessi   al  ritorno  d'aprii, 
Non  mai  la  sorte  un  asilo  più  fido 
Darti   potrìa,   rondinella   gentil. 

E   di   volare  t'arresti  il   desìo. 
Lì  ti  riposa  in  l'etrusco  terren  : 
Quello  è  il  mio  cielo,   il  mio  suolo  natio, 
E  di  mia  madre  ti  posa  sul  sen. 

Dille  :    Son   io   di   color   messaggera 

Che  giuro  fean  d'aver  Roma  o  morir; 
Ma  poi  la  sorte  si  rese  a  noi  fera. 
Pur  troppo  il  giuro  ha  dovuto  fallir. 

Inni  di  Guerra.  7 


~  98  — 

L'empio  ministro,   che  serve  al  tiranno 
E   della   Senna  il   volere  segnò, 
Provocando   con  l'armi   a  noi  danno, 
Di  sangue  il  suol   d'Aspromonte   bagnò. 

Sì;  ma  dall'italo  sangue  ogni  stilla 
Che  fu  versato,  un  torrente  darà 
Quando  a  riscossa,  imitando  Balilla, 
L'itala  tromba  l'appello  farà. 

E  detto  questo,  se  al  primo  barlume 
Io  ti  vedrò  alla  prigione  venir, 
Raccoglierò  sulle  molli  tue  piume 
L'aure  d'Etruria  e  i  materni  sospir. 


—  99  — 


IL  VOLONTARIO 

INNO  DEL  1866 


E'  un  espressivo  inno  del  magfi'o  "'''••  ^l■dU^  in  Abruzzo,  (autore  il 
prof.  Rosinganni)  ditfusosi  nel  resto  d'Italia,  e  poi  dimenticato.  Ce  lo 
ha  mandato  con  gran  cortesia  la  gentile  signora  Mariannina  Riccardi 
Vicini,  che  lo  ha  trascritto  dal  Panaro,  gazzetta  di  Modena,  del  9  giugno 
1806. 

Son  volontario  I  Da  la  mia  terra 
Partii  gridando  :  viva  la  guerra  ; 
E  con  un  bacio  quando  partia 
M'ha   benedetto  la  madre  mia. 

Dal  Cielo  Iddio  veglia  su  me. 
Viva  Venezia,   Roma  ed  il   Re. 

Son  volontario  I   Ratto  qual  lampo 
Di  guerra  al  grido  volo  nel  campo. 
Volo  nel  campo  là  su   gli   spaldi 
Sempre  per  vincere  con   Garibaldi. 

Dal  Cielo  Iddio  veglia  su  me. 
Viva  Venezia,   Roma  ed  il   Re. 

Ardente  ho  l'anima,  il  braccio  ho  forte. 
Con  Garibaldi  sfido  la  morte. 
Sul  mio  vessillo  scritto  ha  la  gloria  : 
Col  volontario  sta  la  vittoria. 

Dal  Cielo  Iddio  veglia  su  me. 
Viva  Venezia,   Roma  ed  il   Re. 

Finché  l'Austriaco  fuori  non  vada 
Depor  non   voglio  questa  mia  spada  ; 
Finché  Venezia  salva  non  sia 
Non  torno  a  stringere  la  madre  mia. 

Dal  Cielo  Iddio  veglia  su  me. 
Viva  Venezia,   Roma  ed  il   Re. 


—    100  — 

Son    volontario  !    Sento    la    tromba  ! 
Sento  il  cannone  che   già  rimbomba. 
Corro   per    vincere   con    Garibaldi 
Con  l'armi  in  pugno  là  su  gli  spaldi. 

Dal  Cielo  Iddio  veglia  su  me, 
Viva  Venezia,   Roma  ed  il  Re. 


i 


101 


CANZONE  Dì  GUERRA  DEL  1866 

DI  ANGELO  BROFFERIO 


Angelo  Brofferio  (nato  a  Castelnuovo  Cakea  il  6  dicembre  1802,  mor- 
to il  25  maggio  IStKi)  fu  scrittore  e  poeta  genialissimo,  giornalista, 
storico,  oratore  di  foga  e  di  talento.  Le  sue  poesie  dialettali  ebbero 
una  voga  immensa  nei  natio  Piemonte.  Questa  canzone  di  guerra  del  '66 
(il  poeta  mori  poco  dopo  averla  scritta)  fu  diffusa  in  tutta  Italia  nella 
musica  concitata  del  maestro   Enea   Brizzi. 


Delle  spade  il  fiero  lampo 
Troni  e  popoli  svegliò, 
Italiani,  al  campo,  al  campo  ! 
È  la  madre  che  chiamò. 

Su  corriamo  in  battaglioni 
Fra  il  rimbombo  dei  cannoni, 
L'elmo  in  testa,  in  man  Tacciar! 
Viva  il  Re  dall'Alpi  al  mar! 

Dall'Eridano  al  Ticino, 
Dal  sicàno  al  tòsco  suol, 
Sorgi,  o  popolo  latino. 
Sorgi  e  vinci  :  Iddio  lo  vuol  ! 

Su  corriamo  in  battaglioni,  ecc. 

Delle  pugne  fra  la  gioia 
Ci  precede  col  valor 
Il  Baiardo  di  Savoia, 
Di  Palestre  il  vincitor. 

Su  corriamo  in  battaglioni,  ecc. 

Dagli  spalti  vigilati 

Grideranci  :  —  Chi  va  là?  — 
—  Dell'Italia  slam  soldati, 
Portiam  guerra  e  libertà.  — 

Su  corriamo  in  battaglioni,  ecc 


—    102  — 

Nostre  son  quest'alme  sponde. 
Nostri  i  floridi  sentier  : 
L'aria,  il  cielo,  i  campi  e  l'onde 
Ti  respingono,  o  stranier. 

Su  corriamo  in  battaglioni,  ecc. 

Gente  ausonia,  a  nobil  fato 
L'astro  tuo  fallir  non  può, 
Re   Vittorio   l'ha   giurato, 
Che  giammai  non  spergiurò. 

Su  corriamo  in  battaglioni,  ecc. 

Della  gloria  nel  cammino 
Sovra  il  prode  italo  stuol 
Splenderà  di  San  Martino, 
Splenderà  di  nuovo  il  Sol. 

Su  corriamo  in  battaglioni,  ecc. 


i 


lOò    - 


IL  CANTO  DI  GUERRA 

DI  IPPOLITO   PEDERZOLLI 


Ippolito  Pederzolli,  bella  figura  di  patriotta  e  pocia  trentino,  scrisse 
e  Stefano  Ronchetti  Montevjti,  professore  al  (Conservatorio  di  Milano, 
musicò  il  canto  seguente   nel    IStJti. 


Bello  di  luce  eolica, 
Sole  d'Italia,  splendi  ! 
Coli 'armonia   del  folgore 
Ira  di  Dio  discendi  ! 
Vendicator   dei    secoli 
Balza,    o    guerrier,    sul    campo 
Della  tua  spada  al  lampo, 
La  maledetta  Gerico 
Fra  poco  crollerà. 

Sopra  il  cavai  d'Arminio 
Ora  uno   spettro   è  assiso  : 
Sotto  il  tallon  degl'itali 
Sia   quello   spettro   anciso. 
L'insanguinato   Eridano 
Del  suo  valor  favelli, 
Dagli  spezzati   avelli 
Sorgan   placati   i   martiri 
Delle  trascorse  età. 

Itali   all'armi  !   In   luride 
Catene  risospinta, 
Langue    l'adriaca    amazzone 
Nel  suo  squallor  discinta. 
Fisso  lo  sguardo   al   Brennero, 
Stretto   Tacciar   del    forte, 
Alla   tenzon   di  morte 
Baldo  d'orgoglio  indomito 
Vola  d'Ausonia  il  fior. 


—   104  — 

L'ora  è  suonata  :    echeggiano 
Percossi  e  monti  e  valli, 
Fra  l'infuocata  polvere 
Nitriscono  i   cavalli  : 
Rugge  lo  sdegno  italico 
Dall'Alpi   a  Spartivento, 
Fremon    Trieste   e   Trento, 
I  drappi  all'aura  ondeggiano. 
Esulta  il  tricolor. 

Guerra  !   Di  guerra  orribile 
Risuoni  ovunque  il  grido  ! 
Fissi  nel  Sol  com 'aquila, 
Vòlti  all'adriaco  lido, 
Colla  virtù  di  Spartaco 
Di  Bruto  collo  sdegno, 
Diamo    ad   Europa    un    pegno 
Che  l'italo  sa  vincere. 
Percuotere  o  morir  ! 


105  — 


L'ADDIO  DEL  GARIBALDINO 


Nel  1866  il  popolo  s'impadronì  della  canzone  11  coscritto  di 
P.  P.  Parzanese,  composta  anni  addietro,  e  ne  fece  l'Addio  del  Ga- 
ribaldino alla  sua  innamorata.  Ad  ogni  strofa  venne  aggiunta  la  ri- 
sposta dell'innamorata.  La  musica  è  facile  e  melodica  e  i  vecchi  ga- 
ribaldini  non    l'hanno   dimenticata. 


Angiolino 
Spunta   il  sole   alla  collina, 
E  il  tamburo  già  suono  ; 
Deh,  non  piangere,  o  Beppina, 
A   fin  di  guerra  tornerò. 

Beppina 
Tu  mi  di'  che  ti  son  cara; 
Ancor  questo  crederò; 
Ma   la  tua  partenza  amara 
Notte  e  dì  io  piangerò. 

Angiolino 
Pria  ch'io  fossi  innamorato 
Una   patria    Iddio  mi    die  : 
Per  la  patria  son  soldato, 
Mano  e  cor  consacro  a  te.  — 

Beppina 
Non  vorrei  che  in  lontananza 
Ti  scordassi  anco  di  me  : 
Io  ti  giuro  con  costanza 
Di   pensare   sempre   a  te. 

Angiolino 
Dammi  un  riccio  di  capelli. 
Che  sul  cor  mi  poserà, 
E  ne'  campi  e  ne'  castelli 
Notte  e  di  con  me  verrà.  — 

Beppina 
Io  son  pronta;  i  miei  capelli 
Con  amore  te  li  dò; 
Ma  la  tua  partenza  amara 
Notte  e  dì  la  piangerò. 


—   106  — 

Angiolino 

—  A  te  un  nastro  cilestrino 
Sia  memoria  del  mio  amor  ; 
Te  lo  annoda  al  corpettino 
Dove  sai  che  batte  il  cor.  — 

Beppina 

—  lo  l'accetto  con  piacere  * 
E  ti  giuro  fedeltà; 

Tu   ritorna  vincitore, 
E   Beppina  tua  sarà.   — 

Angiolino 

—  Addio,   cara  ;  in  mare  o  in  terra 
Ti  avrò  sempre  nel  pensier  : 
Tuo  se  muoio  nella  guerra, 

Tuo  se  torno  cavalier. 

Con  la  stella  in  mezzo  al  petto 
Mi   fia  dolce   ritornar. 
Mi  fia  dolce  nell'aspetto 
A  vederti  scolorar.  — 

Beppina 

—  No,  non  darti  in  preda  al  duolo, 
Che  coraggio  io  mi  farò: 

Vai  contento,  o  mio  tesoro, 
Che  a  te  sempre  penserò. 

Angiolino 
Non  temer,  non  sarà  mai 

Ch'io  ti   manchi   di  mia  fé; 
Ma   piuttosto  ascolterai 
Che  morii  pensando  a  te. 

Garibaldi    già    mi    chiama 
E  m'invita  alla  battaglia, 
Con  un  colpo  di  mitraglia 
Ci   fa  tutti  incoraggiar. 

Dunque,  addio,  cara  Beppina, 
Che  il  tamburo  mi  chiamò. 
Deh  !  non  piangere,  carina  ; 
A  fin  di  guerra  tornerò. 


—   107  — 

A  VENEZIA 

INNO  DELL'ESERCITO   NAZIONALE 
DI  GIOVANNI   BIFFI 

Il  29  maggio  1866  nel  Teatro  alla  Scala  di  Milano  fu  dato  uno  spet- 
tacolo di  gala  ai  «contingenti»  —  come  si  chiamavano  allora  i  richia- 
mati —  che  stavano  per  partire  per  la  guerra  che  doveva  darci  la  Ve- 
nezia, ed  in  esso  fu  cantato,  con  l'accompagnamento  della  Guardia  Nazio- 
nale, l'Inno  dell'  Esercito  nazionale,  scritto  da  Giovanni  Bi.ti  e  musicato 
dal  maestro  Rovere.  Il  Biffi  fu  un  giornalista  singolarmente  battagliero, 
notissimo  ai  suoi  tempi.  La  sua  figura  fu  ritratta  dal  pittore  De  Alhertis, 
nel  quadro  Una  visita  al  campo,  che  si  trova  visibile  nel  Palazzo  Ma- 
rino,  sede  del  Municipio  di  Milano. 

Viva  San  Marco  !  —  lungo  -il  bel  lido 
Desti   Venezia  —   l'antico   grido. 
L'onda   del   Mincio   —   dell'Adria    l'onda 
Guerra  risuoni  —  guerra  risponda  : 
Risorgi,    esulta   —  martire   cara, 
Alla   Fanfara  —  del   Bersaglier. 

All'armi  I   all'armi   —   invano   a   scampo 
L'austriaco   sire  —  distese   il  campo; 
A  cento  spiegansi  —  le  sue  bandiere, 
A  mille  irrompono  —  le  odiate  schiere  ; 
Contro  l«  stranie  —  barbare  file 
Spiana  il  fucile  —  o  Granatier. 

Al  cozzo  ardito  —  de'  nostri  forti 
Piegan  fiaccate  —  l'austre  coorti, 
Pel  vinto  campo  —  rotti,   sbandati, 
Volgono  in  fuga  —  duci  e  soldati. 
Su:   della  carica  —  suoni  la  tromba!... 
Sovr'essi  piomba  —  Cavalle gger. 

Dalle  agguerrite  —  temute  rocche, 
Ora  suonanti  —  per  mille  bocche, 
Pender  fur  viste  —  vittime  sante.... 
Sian  quelle  ròcche  —  percosse,  infrante. 
Ivi  i  carnefici  —  abbiano  tomba  ; 
Scaglia  la  bomba  —  o  Cannonier. 


—   108  — 

Ancor  sull'ultimo  —  lor  baluardo 
Sventola  il  giallo  —  nero  stendardo. 
Tolto  per  sempre  -     disperso  sia 
L'infausto  segno  -    di  tirannia.... 
Viva  l'Italia!  —  su  quello  spalto 
Vola  all'assalto  —  o  Bersaglier. 

Or  di  vittoria  —  suoni  lo  squillo  : 

Il  tricolore    —  caro  vessillo, 

Della  più  fulgida  —  gloria  recinto, 

Dovunque  splende  —  dovunque  ha  vinto. 

Della  laguna  —  libero  è  il  varco  :_ 

Entra  in  San  Marco  —  o  Re  Guerriero. 


109 


INNO  DELL'ESERCITO  ITALIANO 


AROMA 


Qualche  tempo  prima  che  le  truppe  italiane  marciassero  su  Roma 
fu  diffuso  quest'inno,  di  autore  ignoto.  I  versi  sono  zoppicanti  ma  i 
concetti  generosi. 

Le  armi  impugna,  itala  terra, 

Intuona   allegra  l'inno   di   guerra! 
Non  più  timore  !  Scuotiam  la  soma 
Dell'esecrato  prete  di  Roma. 

Al  Re  sabaudo  giuriam  la  fé. 
Viva  Vittorio  d'Italia  re! 

Le  armi  impugna,  stirpe  italiana, 
Vendica   i   prodi   morti  a  Mentana  ! 
Via  d'oltremente   i   Sacrestani! 
E'   Roma   nostra   di   noi  italiani. 

All'armi,   all'armi!  Voliamo  al  campo! 
Ai  mercenari  nessuno  scampo  ! 
Ogni   italiano    pugni    da    forte 
Al    grido    unanime    di  :    «Roma    o  morte  !» 

A  quella  perfida  razza  di  cani, 
Che   ben   si   nomano  Antiboiani, 
A  ferro  freddo  passiamo  il  core. 
Gridando  unanimi  :    D'Italia  fuore  ! 

(<  Nostra  è  la  terra   che   calpestate, 
E'  nostro  il  pane  che  divorate... 
Fuori  per  sempre,  o  rie  masnade. 
Da  quest'ausonie  belle  contrade!» 

Vili  ministri  di  vii  tiranno, 

Che  qui  annidaste  a  nostro  danno, 

Sul  vostro  capo,  o  maledetti. 

Stanno  due   spettri  :   Monti  e  Tognetti. 


—   Ilo  — 

O   sventurata   città  Latina, 

Di  vili  sgherri  fatta  sentina  ! 
Tognetti  e  Monti  gridan  vendetta  : 
Sangue  innocente  vendetta  aspetta  ! 

Dei  patriotti  basti  lo  scempio, 
I  sacerdoti  tornino  al  tempio  ; 
Via  dalle  spalle  la  vile  soma  ! 
Libera  e  grande  vogliamo  Roma. 

Al  nazionale  grido  di  guerra 
Tutta  si  scuote   l'itala  terra; 
A  chi  difende  le  patrie  mura 
I  chassepots  non  fan  paura. 

O  gran  Sabaudo,  lascia  Firenze  ; 
Vieni,  aspettato  dalla  tua  gente, 
Vieni,  e  col  ferro,  ad  un  tuo  cenno, 
Annienteremo  il  nuovo  Brenne. 

Vieni  ;  alle  perfide  bestiacce  nere 
Intuoneremo   il   miserere  ; 
Del   Sonninese.  fine  all'orgoglio! 
Vittorio  regni  sul  Campidoglio. 

Al  Re  sabaudo  giuriam  la  fé. 
Viva  Vittorio  d'Italia  re  ! 


Ili  — 


L'INNO  DI  OBERDAN 


Dopo  l'impiccagione  di  Guglielmo  Oberdan  avvenuta  nella  Ca- 
serma grande  di  Trieste  il  20  dicembre  1882,  la  gioventii  irredentista 
d'Italia   canta    quest'inno  : 


Le  bombe  all'Orsini, 
11  pugnale   alla   mano. 
A    morte    l'austriaco   sovrano, 
E  noi  vogliamo  la  libertà. 

Morte   a    Franz, 
Viva  Oberdan  ! 

Vogliamo  formare  una  lapide 
Di  pietra  garibaldina. 
A  morte  l'austriaca  gallina. 
E  noi  vogliamo  la  libertà  ! 

Morte   a   Franz, 
Viva  Oberdan  ! 

Vogliamo  spezzar  sotto  i   piedi 
L'odiata  austriaca  catena. 
A  morte  gli  Asburgo  Lorena. 
E  noi   vogliamo   la    libertà. 

Morte   a   Franz, 
Viva  Oberdan  ! 


112 


COL  CAPÈSTRO  D'OBERDAN,, 


Col  capestro  d'Oberdan 
Strozzerem    l'imperatore, 
O  Trieste  del  mio  core, 
Ti  verremo  a  liberar  ! 

Sulle  balze  del  Trentino 
Pianteremo  il  Tricolore. 
O  Trieste  del  mio  core. 
Ti  verremo  a  liberar  ! 

Morte   al   tedesco 
Giuseppe   Francesco, 
Evviva  Garibaldi. 
Vogliamo  la  libertà. 


13 


INNO  ALL'ITALIA 

PAROLE  E  MUSICA  DI  QUIRICO  FILOPANTI 


Quest'inno,  lanciato  da  Quirico  Filopanli  (Giuseppe  Barilli,  di 
Bagnarola  di  Biidrio,  nato  il  20  aprile  1812,  morto  il  18  dicembre  1894, 
celebre  dal  1837  col  pseudonimo  di  Quirico  Filopanti)  in  momenti 
di  vivaci  agitazioni  irredentistiche,  è  tuttora  popolare  a  Bologna  e  fa 
parte  del  repertorio  della  benemerita  società  corale  «  Euridice  ».  La 
sua  rivestitura  musicale  è  bellissima.  L'invocazione  della  seconda 
strofa 

Perla   del  mar,    Trieste, 

:.i  fatta  mutare  dalla  polizia  in  Venezia,  (quando  Venezia  era  già  libe- 
rata!) ma  il  popolo  si  attiene  alla  lezione  originale  e  invoca,  oggi  con 
più   fervore  che   mai,   la   liberazione  di   Trieste. 


Sorgi  sul  Campidoglio 
e  sulla  vetta  alpina 
beli'  iride  divina, 
bandiera    dell'amor. 

Perla  del  mar,  Trieste 
per  te  combatteremo, 
rinato  mostreremo 
l'Italico  valor. 

Ombre  de'  nostri  martiri, 
il  vostro  sangue  aspetta 
santissima  vendetta  ; 
giuriamo  che   l'avrà! 

Madre  adorata  Italia 

giorni    miglior    verranno, 
tutti  i   tuoi  figli  avranno 
vittoria  e  libertà  ! 


—   114  — 


INNO  DI  S.  GIUSTO 


Nel  1854  veniva  rappresentata  per  la  prima  volta  a  Trieste  l'opera 
Marinella  del  maestro  triestino  Giuseppe  Sinico.  L'opera  era  di  soggetto 
cittadino  e  rievocava  una  leggenda  eroica  cara  alla  gente  di  San  Giusto. 
Ebbe  un  grandissimo  successo,  un  coro,  sopratutto,  destò  l'entusiasmo 
popolare,  come  quello  che  esprimeva  il  sentimento  dominante  dei  cit- 
tadini : 

Viva  San  Giusto!...    L'inno  di  guerra 
Suoni  per  tutta   la  nostra   terra  ; 
Se  pochi  siamo  sarem  gagliardi. 
Uniti   tutti  da  un  sol  amor; 
E  sotto  ai   sacri  nostri   stendardi 
Cadrà  l'orgoglio    dell'oppressori 

La  strofetta  della  Marinella  divenne  l'inno  di  Trieste.  Ma  era  un 
inno  monco,  incompleto,  ed  allora,  nel  1894,  il  Sinico  volle  dare  alla 
sua  città  un  vero  e  proprio  inno  conservando  la  musica,  nota,  che  ogni 
triestino,  ogni  italiano  della  Venezia  Giulia  sente  continuamente  risuo- 
nare  in    fondo  al   cuore. 

Da  notare  che  la  censura  austriaca  mutilò  alcuni  versi,  e  il  popolo 
triestino  ne  corresse  alcuni  altri,  cosicché,  ribelle  all'autorità  ed  allo 
stesso  autore,  l'Inno  di  San  Giusto  corre  nella  versione  ehe  qui  sotto 
si  riproduce. 


Al  tuo  nome  antico  e  santo 
Glorioso  salga  il  canto 
Che  nei  petti  l'esultanza 
Tante  volte  suscitò. 
E  la  fede  e  la  speranza 
Sempre  ardente  ridestò. 

Viva  San  Giusto  !  Trofeo  di  gloria 
Quest'è  il  vessillo  che  guida  a  vittoria. 
Se   in   pochi   siamo,   sarem  gagliardi 
E  tutti  uniti  d'un  solo  amor; 
E  contro  i  patrii  nostri  stendardi 
Cadrà  l'orgoglio  dell'oppressor  ; 
E  questa  nostra  bianca  alabarda 
Ci  ricongiunge  fratelli  ognor  ! 


—   115  — 

"LASSE  PUR...,, 

CANZONETTA  POPOLARE  TRIESTINA 


Questa  canzonetta  popolare  triestina  (parole  di  Giulio  Piazza,  mu- 
sica di  Gino  Silvestri)  viene  cantata  in  tutte  le  dimostrazioni  patriot- 
tiche della  grande  e  cara  città,  dove  la  lingua  si  identifica  con  la 
nazionalità    e  l'amore    dell'Italia. 

Nacque  nel  1891  ed  il  suo  successo  fu  enorme.  Fu  cantata  la  prima 
\olta  nel  Politeama  Rossetti  in  occasione  di  un  concorso  di  canzonette 
indetto  dal  Circolo  Artistico  di  Trieste.  «  Non  era  ancora  esaurito  il 
programma  dello  spettacolo  —  scrive  Alberto  Manzi  —  che  oltre  tre- 
mila persone  lasciavano  il  Politeama  Rossetti  cantando  la  nuova  canzo- 
netta. La  musica  è  graziosa,  facile;  ma  niente  di  peregrino.  Che  im- 
porta?! 11  popolo  sentiva  nelle  parole  l'espressione  del  suo  sentimento 
e  del  suo  proponimento.  La  canzone  era  una  affermazione  storica  e  un 
programma  di  lotta.  Nessuna  canzone  si  diffuse  colla  rapidità  di  questa. 
Tutta  Trieste  ne  era  piena  :  da  San  Giusto  spiegava  un  ampio  volo  su 
tutta  l'Istria.  La  polizia  ne  fu  sconcertata.  Cercò  inutilmente  le  contraf- 
fazioni :  tentò  le  proibizioni  :  fece  degli  arresti...  Inutilmente.  «  Lasse 
pur...  »,  la  canzone-rivelazione  era  ormai  radicata  nel  cuore  di  tutti.  Se 
l'avessero  soffocata  nella  gola  dei  triestini,  la  si  sarebbe  udita  egual- 
mente, cantata  da  una  voce  misteriosa.  Sarebbe  stata  la  voce  della  ita- 
lianità, che,  in  quel  modo,  avrebbe  risposto  agli  attacchi  violenti  della 
polizia  e  degli  sloveni.  Gli  scienziati,  gli  statisti,  i  banchieri,  i  poliziotti, 
i  facchini  potevano  tentar  tutto  contro  gli  italiani,  ma  questi  risponde- 
de\ano  allora,  e  in  seguito  risposero  che  a  tutto  e  a  tutti  avrebbero 
resistito 

Per  salvar  fino  ala   morte 
Sta  preziosa  eredità. 

La  canzone  divenne  l'Inno  degli  italiani  :  e  ogni  città  dell'Istria 
e  della  Dalmazia  l'adattò  e  l'adottò  contro  il  nemico  comune.  11  nome 
di  «  Rosseti  »,  che  la  rende  locale,  vien  facilmente  sostituito  :  a  Gorizia 
con  Favetti,  a  Fiume  con  Peretti,  ecc.  Quando  non  c'è  un  nome  proso- 
diacamente sostituibile,    si    modificano   gli    ultimi  versi,  come  a   Zara  : 


E  che  i  fazzi  pur  la  spia 
Ne  la  patria  de  Paravia 
Non  se  parla  die  italian. 


E  cosf,  aggiungiamo   noi,    a   Spalato  : 


I  ne  fazzi  pur  affronti. 
Ne  la  patria  de  Bajamonti 
No    se  parla   che   i'aliun. 


—   116  — 

Favetti,  Peretti  e  Bajainonti  furono  strenui  difensori  dell'italianità 
di  Gorizia,  di  Fiume  e  di  Spalato.  Quella  di  Bajamonti,  in  particolare, 
è  una  grande  magnifica  figura  che  attende  ancora  la  rivendicazione  e  la 
glorificazione   della  storia. 

Domenico  Rossetti  (1774-1842)  fu  uno  dei  più  illustri  e  beneme- 
riti cittadini  di  Trieste,  promotore  delle  scuole  italiane,  primo  indaga- 
tore  e   rivendicatore    delle   origini   e    dei   diritti    della    sua    città. 

Il  30   luglio    1901    gli    fu    eretto    un    monumento    dalla   sua   Patria. 

Putel  :    bambino.   —     Subii:    fischi. 


Al  putel  apena  nato 
A  dir  marna  se  ghe  insegna  : 
No  '1  sa  gnente  ma  el  se  inzegna 
Marna  mama  a  borbotar. 

Se  papà  no  basta  e  mama 
El  ghe  agiungi  vin  e  pan, 
E  co  '1  pianzi  o  pur  co  '1  clama, 
Sempre  el  parla  in  italian. 

Lasse   pur  che   i   canti  e   i   subii 
E  che  i  lazi  pur  dispeti, 
Nella  patria  de  Rosseti 
No  se  parla  che  italian  ! 

Poi  su  i  banchi  de  la  scola 
Scienze  e  letere  l'impara 
Ne  la  lingua  la  più  cara 
Ctie  se  possi  imazinar. 

E  una  volta  grando  e  forte, 
La  bandiera  el  spiegare 
Per  salvar  fin  a  la  morte 
Sta  preziosa  eredità. 

Lasse   pur  che   i   canti  e   i   subii 
E  che  i  lazi  pur  dispeti, 
Nella  patria  de  Rosseti 
No  se  parla  che  italian  ! 


117  — 


MARAMEO ! 

CANZONETTA  GORIZIANA 


A  Gorizia  la  lotta  per  l'italianità  si  impernia  nella  resistenza 
all'invasione  slava,  veramente  formidabile  e  pericolosa  da  quando  il 
governo  austriaco  l'ha  adoperata  come  arma  di  offesa  contro  la  nostra 
nazionalità  ;  poiché  i  goriziani  non  si  sentivano  di  diventare  buoni 
austriaci  bisognava  ridurli  in  minoranza  per  sopprimere  la  loro  voce 
e  far  credere  all'Europa  nel  giorno  del  redde  rationem  (ormai  giunto!) 
che  sulla  sponda  orientale  dell'Isonzo  non  sorgeva  piii  una  città  italiana 
ma  una  città  slava,  desiderosa  soltanto  di  rimanere  suddita  devota 
dell'Impero.  La  stessa  politica,  insomma,  instaurata  a  Trieste,  a 
Pola,  a  Fiume,  e  che  in  Dalmazia,  purtroppo,  diede,  Zara  eccettuata, 
ottimi  frutti.  Contro  gli  slavi  invadenti,  contro  la  loro  stupida  ed 
esasperante  megalomania,  nel  carnevale  del  1899,  il  popolo  di  Gorizia 
cantò  questa  canzonetta,  così  scintillante  di  umorismo,  così  vibrante 
di    un    trasparentissimo   sentimento    patriottico. 

Plara  :  paesello  sloveno  dell'Alto  Friuli.  —  S'ciavo  :  slavo.  —  Tol- 
ntin  :  Tolmino,  cittadella  slava  alpina  diventata  celebre  per  le  vittorie 
riportate  dalle  armi  italiane  sulle  austriache  nei  mesi  di  giugno  e  di  lu- 
glio del  1915  —  Salcan  :  Salcano,  altro  paese  slavo,  noto  per  l'industria 
dei  mobili.  —  Sior  Sabergoi  :  il  deputato  slavo  al  Parlamento  austriaco 
prima  del  1897,  famigerato  mangia-italiani.  —  Due  senti  :  i  santi  Cirillo 
e  Metodio,  protettori  degli  slavi  meridionali,  al  cui  nome  è  intitolata  la 
massima  istituzione  scolastica  e  nazionale  slovena  che  aveva  il  compito 
delle  Provincie  irredente.  —  Zakai  :  termine  spregiativo  che  serve 
ad    indicare    la    lingua    slava    rustica. 


Gorizia   per   quattro 
Caladi  de  Piava, 
Gorizia,  crederne, 
Gorizia   xe  s'ciava  ! 
Xe  s'ciava  Trieste 
Xe  s'ciavo  Pisin 
E  Dante  e  Petrarca 
Xe  nati  a  Tolmin  !... 

Ritornò  pur  a  Salcan 
Marameo,   cari   burloni. 
Che  a  Gorizia  benedetta 
Tutto,  tutto  xe  italian  ! 


—   118  — 

E  Romolo  e  Remo, 
Credemelo  fioi, 
I  xe  antenati 
De  sior  Nabergoi  ! 
L'Italia,  la  terra 
Dei  fiori  e  dei  canti 
La  xe  già  in  possesso 
Dei  cari  due  santi. 

Marameo,   cari   burloni, 
Ritornò  pur  a  Salcan 
Che  a  Gorizia  benedetta 
Tutto,  tutto  xe  italian  ! 

E  il  Re  in  Campidoglio 
Coi  suoi  generai 

I  parla  il  piià  puro 
Pili  dolce  ((  zakai  »  ! 
L'Europa,  a  China 

Xe  s'ciave  anche  quelle, 
Xe  s'ciava  la  luna 

II  sole  e  le  stelle. 

Marameo,   cari   burloni. 
Ritornò  pur  a  Salcan 
Che  a  Gorizia  benedetta 
Tutto,  tutto  xe  italian  ! 


INNO  DI  TRENTO 

DI  ANTONIO   STEFENELLI 


Questo  è  l'inno  del  maschio  Trentino  tanto  amato  da  Garibaldi, 
cantato  con  nostalgico  amore  da  Giovanni  Prati,  da  Andrea  Maffei,  da 
Antonio  Gazzoletti,  da  Dario  Emer,  patria  di  eletti  ingegni,  di  gene- 
rosi patriotti.  Le  parole  sono  del  dottor  Antonio  Stefenelli,  nato  a  Riva 
di  Trento,  figlio  di  un  patriotta  del  Risorgimento,  e  le  note  del  maestro 
Cesare   Rossi   mantovano. 


Viva  Trento!  L'inno  esulti. 
L'inno  frema,  l'inno  voli, 
Ed  il  patrio  amor  sussulti 
Nella  voce  de'  figlioli. 

Voli  dolce  il  grido  a'  venti 
Nell'Italica  favella; 
Ma  risuoni  ne'  cimenti 
Come  rombo  di  procella. 

Viva  Trento  !   Dalle   vette 
Che  del  sol  cinge  la  gloria 
Vibra  l'eco  alta  e  promette 
Alle  spemi  la  vittoria. 


La  promessa  pia  discende 
Lungo  l'Adige,  s'effonde 
Alle  valli,  il  ciel  risplende, 
Tutte  esultano  le  sponde. 


—    120 


INNI  ISTRIANI 

L'Istria,  figlia  primogenita  di  Venezia,  fu  nei  secoli,  è,  e  sarà  eter- 
namente italiana.  Conquistata  dagli  austriaci  poco  più  di  un  secolo  fa, 
essa  ha  conservato  lingua,  costumi,  sentimenti  italiani,  e  l'opera  di 
snazionalizzazione  proseguita  dal  governo  austriaco  e  dagli  slavi  non 
ha  intaccato  che  alcune  parti  di  essa.  Noi  abbiamo  la  certezza  che, 
riunita  finalmente  alla  Patria,  l'Istria  tornerà  ad  essere  in  breve  pe- 
riodo di  tempo  una  delle  regioni  più  italiane  dell'Italia  intiera.  I  brevi 
inni  che  seguono  esprimono  chiaramente  l'animo  e  le  aspirazioni  delle 
genti    istriane. 

Zighemo  :  gridiamo  —  I  ne  ciol  via  :  ci  prendono  in  giro.  —  Chi 
che  ne  tien  :   chi  ci  crede  —  Zerbi  :   gli  ungheresi  oppresisori   di  Fiume. 

INNO  DI  FOLA 

10  di  Giulia  son  figliuola. 
Era  Augusto  il  mio  signor. 

11  pensiero    e    la   parola 
Dei  latini  serbo  ancor. 

Il   confine   nazionale 
Gente  estranea  ci  cantesta  ; 
Qui  da  secoli  ci  assale. 
Ci  disturba,  ci  molesta. 

Veniamo,   veniamo  —  o  madre  latina, 
Se  tu  ci  abbandoni  —  la  patria  rovina. 
La  dolce  favella  —  l'eterno  diritto 
E'    caro    retaggio   —    di    un    popolo    invitto. 
Va  in  cima  dell'Alpe  —  sirena  a  cantar  : 
Ristate,   ristate  —  non  lascio  passar. 

STROFETTE  CANTATE  A  PIRANO 

Pel  retaggio  degli  avi  nostri 
Sangue  e  vita  noi  daremo 
Tutti,   tutti  moriremo 
Pria    che    slavi    diventar. 


—   121   — 

La   lingua  de   Dante 
Che  tutti  parlemo 
Ai   fioli  lassemo 
Sublime  tesor. 


CANTO  DI  LAURANA 


Xe  <i  evviva  »  el  nostro  grido 
In  tutte  le  occasion 
E   lo  zighemo  forte 
Con  tanto  de  ragion. 

Perchè     dai     tempi     antichi 
La  nostra  civiltà 
No.iera  mai  croata 
No  !  no  !  in  verità  ! 

Se  anche  i  ne  ciol  via 
Perchè   dixema  ja! 
Chi  ne  tien  croati 
De  grosso  ga  sbaglia  ! 


INNO  DI  FIUME 


L'arco,  le  lapidi 
de  zittavecia 
(Zerbi  no  sente 
de  questa  recia) 
xe  sacre  pagine 
de  storia  nostra 
che  ne  dimostra 
chi  semo  noi. 

E  la  divina  musica 
del   nostro   bel   diaieto 
la  dixe  ciaro  e  neto 
sta   grande   verità. 


—    122  — 

E  quando  i  popoli 
tutti  se  inchina 
a  sta  superba 
stirpe  latina, 
poi  la  politica 
(penseghe  fioi) 
dirne...   che  noi 
non  semo  noi  ? 

Chi  semo  ?  Fin  lo  mormora 
el   nostro   bel   Quarnero. 
Cascasse  el  mondo  intero 
nessun  ne  Gambiera  ! 


—  123  — 

EL  SI 

CANZONETTA  POPOLARE  ZARATINA 


Anche  questa  canzone  patriottica,  così  cara  alla  cittadinanza  di 
Zara  e  di  tutta  la  Dalmazia  italiana,  esalta,  come  la  precedente,  la  lingua 
de!  si,  emblema  della  nazionalità  alla  quale  quell'eroico  popolo  è  orgo- 
glioso di  appartenere.  L'ardente  amor  patrio  della  canzone  del  Si, 
espresso  con  tanta  fresca  poesia  dai  dalmati  d'oggi,  fa  pensare  alle 
più  belle  canzoni  del  periodo  eroico  del  Risorgimento.  Ne  è  autore 
Giuseppe  Sabalich,  storico  e  bibliografo  zaratino  di  non  comune  eru- 
diz?one  e   intelligenza. 

Santolo  :  padrino.  -  -  Mare  :  madre.  —  Pare  :  padre.  —  Barba  : 
zio.  —  Ciucia:  Succhia.  —  Scomenzià  :  incominciato.  -  Odo,  fradei  : 
attenti  fratelli. 


Do  basi  chi  trova 
Parola  più  bela 
Pili  dolze  de   quela 
Che   mi   m'a    'impara. 

Da   piccolo   el   santolo, 
La  nona,  mia  mare, 
El  nono,  mio  pare, 
El  barba  soldà  ! 

Se  ciucia  in  tei  late 
Sto  si  co  se  nasse  ; 
Col  si  'nte  le  fasse 
Se  ga  scomenzià  ! 

Col  si  se  se  cresima, 
Col  si  se  va  a  scola, 
Col  si  la  parola 
De  onor  se  se  dà  ! 

Col  sì  se  marida 
Le  done  coi  omini, 
Col  sì  i  galantomenì 
Discore  in  zita. 


—   124  — 

El  cor  de  sto  popolo 
Del  sì  xe  geloso, 
Le  mure  va  zoso 
Ma  '1  .s(  resterà. 

Scolteme  mi  ! 
Scolteme  mi  ! 
No  vai  le  ciacole, 
Che  voi  el  si! 


Odo,  fradei. 
Za  me  capì  !... 
Restemo  quei 
Zente  del  si!.. 


—   125 


LA  LEGA  NAZIONALE 


INNO  POPOLARE 


DELLE  TERRE  IRREDENTE 


Per  resistere  all'opera  di  snazionalizzazione  proseguita  dai  tedeschi 
e  dagli  slavi  in  Austria  coi  mezzi  scolastici  e  politici  ai  danni  della 
popolazione  italiana,  i  patriotti  fondarono  una  associazione  scolastica 
col  nobile  scopo  di  contrapporre  scuola  a  scuola,  propaganda  a  pro- 
paganda. Sciolta  per  uno  dei  tanti  atti  di  prepotenza  austriaca,  quel- 
l'associazione fu  ricostituita  col  nome  di  Lega  Nazionale.  Le  scuole, 
gli  asili  infantili,  i  ricreatori,  le  biblioteche  istituiti  dalla  Lega  in  tutte 
le  Provincie  irredente  sono  numerosissimi  ;  la  loro  utilità  nazionale 
si  rivelò  meravigliosa,  tale  da  giustificare  gli  ingenti  sacrifizi  che  i 
nostri  fratelli  hanno  sempre  fatto  per  questa  istituzione.  L'inno  della 
Lega  è  popolarissimo  in  tutta  l'Italia  irredenta  e  compendia  l'attacca- 
mento alla  Patria  comune.  Le  parole  sono  di  Virginio  Mengotti,  la 
musica  di  Erminio  Mengotti.  Il  verso  Col  permesso  de  la  lege  della 
seconda  strofa  viene  cantato  dal   popolo  A  dispeto  de  la  lege. 


Viva  Dante  !  El  gran  maestro 
De  l'italica  favela, 
De  la  lingua  la  più  bela 
Che  da  l'Alpe  echegia  al  mar. 

Contro  chi  ghe  movi  guera 
Ogidì  chi  la  protege. 
Col  permesso  de  la  lege, 
Xe  la  Lega  Nazional. 

Viva  Dante,  el  gran  maestro, 
E  la  Lega  Nazional  ! 

Xe  la  lingua  del  paese 
Che  da  secoli  se  parla, 
E  xe  stolto  chi  cambiarla 
Con  un  altra  ga  el  pensier. 


—  126  — 

Chi  ga  patrio  amor  in  peto, 
Col  far  parte  d'un  suo  grupo, 
Che  darà  magior  svilupo 
A  la  Lega  Nazional. 

Viva  Dante,  el  gran  maestro, 
E  la  Lega  Nazional  ! 

La  mission  xe  de  la  Lega 
De  moltiplicar  le  scole, 
E  istruir  la  nostra  prole 
Ne  la  lingua  nazional. 

Per  un  scopo  cussi  santo 
Sempre  uniti  noi  saremo, 
E  assistenza  ghe  daremo 
A  la  Lega  Nazional. 

Viva  Dante,  el  gran  maestro, 
E  la  Lega  Nazional  ! 

Xe  la  lingua  de  l'amor, 
E  la  xe  quela  del  canto, 
La  consola  fin  nel  pianto. 
La  ralegra  tutti  i  cor. 

De  sta  lingua  che  parlemo 
In  difesa  sua  costante 
Sentinela  vigilante 
Sta  la  Lega  Nazional. 

Viva  Dante,  el  gran  maestro, 
E  la  Lega  Nazional  ! 


—   127 


IL  NUOVO  INNO  DELLA  LEGA 

PAROLE  DI  RICCARDO  PITTERI 
MUSICA  DI  R.  LEONCAVALLO 


Riccardo  Pitteri  (n.  a  Trieste  il  20  maggio  1853)  è  uno  dei  piìi 
squisiti  poeti  d'Italia,  amantissimo  delia  sua  città  e  del  carattere  ita- 
liano di  essa.  Operosissimo  presidente  della  Lega  Nazionale  dal  1900, 
ha  scritto  or  non  è  molto  questo  inno,  che  è  stato  musicato  da 
Riggero   Leoncavallo. 

Gli  austriaci  e  gli  austriacanti  non  perdonarono  mai  a  Riccardo  Pit- 
teri l'ardente  e  tenace  sua  opera  di  propaganda  italiana  e,  scoppiata  la 
guerra,  vollero  compiere  l'ultima  venderta  devastandogli  la  bella  e  tran- 
quilla sua  villa  di  Farra,  non  lontana  dall'Isonzo,  presso  la  maschia  Gra- 
disca. In  quella  serena  dimora  cainpagnuola  il  gentile  poeta  del  Friuli 
e  di  Trieste  componeva  le  cose  sue  più  delicate  e  trovava  riposo  durante 
i  mesi  estivi.  Ma  il  turbine  della  barbarie  austriaca  è  oramai  lontano  da 
Farra,  sul  cui   alto  campanile  sventola   l'auspicato  tricolore. 

Cinque  popoli  :  le  cinque  pro\  incie  irredente  :  Trieste,  il  Trentino, 
il  Friuli  Orientale,  l'Istria  con  Fiume  e  le  isole  del  Quarnero,  la 
Diilmazia. 


Viva  Dante  !  Questa  pura 
Soavissima  parola 
Cinque    popoli   consola 
E  affratella  in  un  pensier. 

Oh!   ne  echeggino  dell'Alpi 
I  burroni  e  le  foreste, 
Ogni   riva  di  Trieste 
E  di  Trento  ogni  sentier. 

La  ripetan  le  reliquie 
Di   Aquileia  e  di   Salona, 
Gli  archi,   i  templi  ovunque  sona 
Dolcemente  il  nostro  si. 

Su  da  l'Adige  e  il  Timavo 
Che  in  un  mare  affrettan  l'onda, 
Per  le  coste  si  diffonda 
Per  le  valli,  i  monti,  il  pian. 


—    128  — 

Vìva  Dante  !  Questo  il  motto 
Delle  cinque  genti  sia 
Cui  la  santa  poesia 
Del  linguaggio  riunì  ; 

Vìva  Dante  !  Cinque  foglie 
Giunte  insieme  al  fior  dan  vita  ; 
Da  l'union  dì  cinque  dita 
Vien  la  forza  della  man  ! 


—   129 


TRENTO  E  TRIESTE 

INNO-MARCIA 


DI   UMBERTO   DEBIASI 


La  spedizione  libica  ebbe  nell'Irredenta  una  grande  eco,  essendo 
stata  considerata  come  una  affermazione  di  forza  e  di  ardimento  dopo 
tanti  anni  di  trepida  e  debole  politica  estera,  e  come  il  preludio  ad 
una  più  grande  e  importante  spedizione.  L'inno-marcia  Trento  e  Trieste 
fu    composto    da    Umberto   Debiasi    e    musicato    da    Michele    Mattioni 

I. 

Dalle  vette  del  Trentino 
Alle  spiagge  di  Salvore, 
Nuovo  grido  di  dolore 
Pien  d'angoscia  risonò; 

Si  diffuse  via  per  l'Alpe 
E  trascorse  la  marina 
Dalla  costa  dalmatina 
Fino  a  Trento  riecheggiò. 

Siano  infrante  le  catene 
E  si  vendichi  l'offesa  ; 
Ogni  cor  dell'ora  attesa 
L'ansia  trepido  sentì. 

E'  passato  il  tempo  triste  : 
Grande   Italia  era  la  schiava  : 
Della  maglia,  della  clava 
Oggi  alfine  si  vestì. 

Nella  fulgida  corona 
Brilleranno  ancor  due  stelle  : 
Sono  forse  le  piìi  belle 
Che  il  gran  Dio  le  destinò. 

Su  venite,  avanti,  avanti, 
Poderose  invitte  schiere  ; 
Dispiegate  le  bandiere  : 
Troppo  tempo  s'aspettò! 


—   130  — 
II. 

Ecco  l'aquile  di  Roma 
Han  ripreso  l'alto  volo. 
Come  allor  che  sovra  il  suolo 
Di   Cirene  si  librar; 

E  han  drizzati  gli  ampi  vanni 
Su   Trieste,    sopra   Trento, 
Nunziatrici  dell'evento 
Che  i  fratelli  sospirar. 

Dal  naviglio  oltrapossente. 
Il  fragore  del  cannone 
La  diana  e  la  canzone. 
Suoni  alfin  di  libertà  ; 

E,   dall'Alpe  al  glauco  mare 
Dove  Lissa  sta  in  vedetta, 
Sia  compiuta  la  vendetta  : 
Tutta  Italia  esulterà. 

Nella  fulgida  corona 
Brilleranno  ancor   due   stelle  : 
Sono  forse  le  piiì  belle 
Che  il  gran  Dio  le  destinò. 

Su  venite,   avanti,  avanti, 
Poderose,  invitte  schiere  ; 
Dispiegate  le  bandiere  : 
Troppo  tempo  s'aspettò  !       •» 


131   — 


SANTI  RICORDI 

CANZONE  POPOLARE  TRIESTINA 


Le    parole    sono    di    Luigi    Krisan    Crociato    la    musica    di    Ermanno 
Leban.   E'   molto  nota  a  Trieste  e  nell'Istria. 


Sule  tori  l'alabarda 
E  la  erose  su  in  piazal 
De  sta  gente  mai  bastarda 
Xe  sta  l'unico  ideal. 

Quatro  muri   de   fortezza 
I  serava  la  zita, 
Ma  '1  gran  fior  de  la  belezza 
Mai  qua  dentro  el  gà  manca. 

Sì,  sì  Trieste,   mi  te  amo  sempre 
.^mo  i  tui  fiori,   li  go  sul  cor, 
Qua  go  la  cuna,  qua  go  la  tomba, 
Viva  Trieste,   tera  d'amor! 

Da  Caboro  zo  in  Cavana, 
Da  Donota  a  San  Micel 
A  do  colpi  de  campana 
Come  un  fulmine  del  ciel, 

Cento   spade,   cento   cori 
lera  pronti,  ve  so  dir. 
Con  un  baso  de  sti  fiori 
Ben    contenti   de    morir. 

Si,  sì  Trieste,  mi  te  amo  sempre 
Amo  i  tui  fiori,   li   go  sul  cor, 
Qua  go  la  cuna,  qua  go  la  tomba, 
Viva  Trieste,   tera  d'amori 


—    132  — 

Xe  ben  caro  quel  fioreto 
Che  vien  su  de  sto  giardin, 
Chi  voi  altri  sul  suo  peto 
No  xe  vero  Triestin. 

Pute  care,   bei  tesori 
Che  i  ve  dighi  quel  che  i  voi  ; 
Sé  voialtre  sti  gran  fiori 
E  Trieste  el  vostro  sol. 

Sì,  sì  Trieste,  mi  te  amo  sempre 
Amo  i  tui  fiori,   li   go  sul  cor, 
Qua  go  la  cuna,  qua  go  la  tomba, 
Viva   Trieste,   tera  d'amor! 


—    133   — 


SANGUE  LATINO 

CANZONETTA  POPOLARE  TRIESTINA 


Le  parole  sono  del  «  Dr.  Gibus  »  la  musica  del  maestro  Achille 
Boccolini.  Fu  cantata  la  prima  volta  in  una  festa  a  favore  dell'Univer- 
sità Italiana,  eterna  aspirazione  di  Trieste,  mai  voluta  appagare  dal- 
l'Austria. 


A  parole  de  oro  la  tua  storia 
Leger  se  poi  sui  ruderi  romani  ; 
Là  in  quele  sante  pagine  de  gloria. 
Xe   el   nostro   patrimonio   de   italiani. 

E    la   latinità   xe   el   nostro   onor, 
Xe  un  bel  ragio  de  sol  che  splendi  alegro. 
Che  ilumina  e  riscalda  mente  e  cor. 
Dove  che  "1  hrila  lu...  no  ghe  xe  negro! 

El  tuo  ciel  orientai 
De  veludo  celeste, 

El  tuo  mar,  tanto  bel, 
O  dileta  Trieste, 
Me  fa  bater  el  cor 
D'entusiasmo  divin, 
Me  fa  fiero  el  pensar 
D'esser  nato  triestin. 

La  bandiera  tua,  sacra  valorosa 
Che  mai  se  ga  piegado  alla  paura 
Xe  el  nostro  vanto,  e  la  nostra  sposa 
E  come  sposa  la  tignimo  pura. 

Fin  ala  morte  la  difenderem 
Per  vendica''  l'ofesa  al  patrio  amore. 
Come  leoni  noi  combaterem 
Al  nome  de  San  Giusto  protetore. 


—    134  — 

Per  la  lingua  del  sì, 
Che  una  musica  pare, 
Per  l'incanto  divin 
Del  tuo  ciel,   del  tuo  mare, 
Mi  te  adoro,  col  cor, 
Te  go  sempre  in  pensier  ; 
La  bandiera  tua  xe 
Sacro  pegno  de  onor. 


—    135 


TRIESTE  ALL'  ITALIA 

CANZONE  TRIESTINA 


Scritta  e  diffusa  a  Trieste,  nel  febbraio  del  1915,  nella  invocata  e 
sperala  vigilia  della  liberazione  e  propagatasi  in  tutta  l'Istria  che  l'ha 
fatta  sua. 


Italia,  dai.  distrighete. 
No  farne  sospirar  ! 
Dai  ultimi  de  agosto 
No  temo  che  spetar. 


Vedemo  i  bersaglieri 
Che  sona  la  fanfara, 
Sentimo  quella  musica 
Che  tanto  ne  xe  cara  ; 


No  femo  che  ciamarte 
De  sera  e  de  matina 
Studiando  su  le  carte, 
Vardando   la   marina. 


E  '1  bianco,  rosso  e  verde 
Al  sol  de  primavera 
Sul  cole  de  San  Giusto 
Sognemo  per  bandiera. 


Per  veder  per  che  strada 
Che  qua  ti  vegnarà. 
Per  veder  de  che  parte 
Le  navi  spuntare  ! 

E  za  quela  giornada 
Nel  nostro  cor  vedemo, 
Sentimo  za  de  adesso 
Che  forsi  moriremo, 


Lassù  de  la  montagna 
Ne  riva  un  gran  bacan 
De  gente  che  se  salva 
Che  cori  via  lontan. 

Portando  nela  fuga 
Le  forche  e  bajonete. 
Le  spade,  le  cadene. 
Le  legi  maledete. 


Perchè  de  tanta  festa, 
E  de  felicità 
La  forza  per  resister 
Nel  cor  ne  mancherà. 


Scampando  spaventada 
Per  sempre  via  de  qua 
De  Ti  che  te  ne  porti 
Giustizia  e  libertà  ! 


Vedemo  za  nel  golfo 
Le  bele  corazate 
Che  mandarà  saludi 
Inveze  de  granate  ; 


Italia,  dai,  fa  presto 
Quel  giorno  xe  riva  ! 
Xe  tante  soferenze 
Che  ti  ne  salverà  ! 


136 


Xe  tante  marne  e  spose 
Che  speta  lagrimando, 
Xe  tante  tue  creature 
Che  prega  sospirando 

Per  esser  liberade 
De  questo  gran  suplizio 
De  darghe  pei  Asburgo 
La  vita  in  sacrifizio, 


Dopo  de  'ver  patido 
La  fame  e  la  preson 
Lotando  nel  tuo  nome, 
Sperando  redenzion  ! 

E  l'anima  dei  morti 
Che  in  vita  ga  Iota 
El  giorno  del  giudizio 
Quel  giorno  troverà  ! 


Italia  I  semo  pronti 
Italia  !  te  spetemo  ! 
Italia  !  Te  volemo  ! 
Italia  ;  Italia  !  Italia  ! 


137  — 


IL  CANTO  DELL'ULTIMO  RISCATTO 

DI  GIOVANNI  BERTACCHI 


Giovanni  Bertacchi  ci  favorisce  cortesemente  il  seguente  magnifico 
inno  che  egli,  il  poeta  delle  Alpi  e  delle  nuove  speranze  italiane,  ha 
sciolto  dal  suo  cuore  commosso  per  i  primi  successi  delle  nostre  armj. 
E'  la  sola  poesia  degna  finora  che  la  guerra  d'oggi  abbia  espresso,  e 
che  per  gli  elevati  concetti,  il  ritmo,  le  immagini  e  l'ardore,  più  si  ac- 
costa agli  inni  guerreschi  del  '48.  Il  maestro  trentino  Zandonai  ha  pro- 
messo  di   musicarla. 


Fratelli,  avvampa  la  patria 
nel  vento  delle  bandiere  : 
d'ogni  strumento  di  artiere 
un'arma  vindice  uscì. 
Salde  milizie  d'un  popolo 
sorto  sui  vecchi  tiranni, 
noi  seminammo  negli  anni 
questo  titanico  dì. 

Squillino,    squillino,    squillino 
le  nostre   balde  fanfare, 
unendo  i   vertici   al   mare, 
il  fiero  popolo  al  re. 

Oh  non  intiero  dai  liberi 
venne  compiuto  l'evento! 
C'era  l'esilio  di  Trento, 
c'eri,  Trieste,  pur  tu... 
Noi  che  solcammo  di  valichi 
ogni  contrada  alla  terra, 
or,   pionieri  di  guerra, 
farem  le  strade  lassù. 

Librati,  librati,  librati, 
aviatore,  nel  sole  ! 
Guida  l'Italia  che  vuole 
tutti  i  suoi  monti  per  sé. 


—   i38  — 

Fugga  la  truce  Bicipite, 
vinta  dal  Brennero  a  Fola, 
dove  l'invitta  parola 
di   Dante  padre  già  sta  ! 
E  il  flutto  alterno  dell'Adria, 
fra  le  due  gemine  arene, 
baci  l'Italia  se  viene, 
baci  l'Italia  se  va. 

Cantino,   cantiao,   cantino, 
voci  di  valli  e  di  chiese 
questo  sereno  paese 
che  la  natura  ci  die. 

Dìo   che   t'investi   nel   popolo 
come  aquilone  in  foresta, 
sorga  l'Italia  ridesta 
quale  il  tuo  cuor  la  creò  ! 
Tutta  una  fede  è  l'Italia, 
tutta  un  clangor  di  vittoria  : 
tra  la  natura  e  la  storia 
essa  il  gran  patto  segnò. 

Rondine,    rondine,   rondine, 
va.  nunziatrice  aspettata, 
là   dove    Italia   è   già  nata 
e  Italia  ancora  non  è  ! 


139  — 


Nota  bibliografica 


Oltre  alle  raccolte  delle  opere  poetiche  di  G.  Mameli,  di  G.  Berchet, 
di  A.  Fusinato,  di  G.  Rossetti,  di  L.  Carrer,  di  T.  Dall'Ongaro,  di 
A.  Brofferio,  di  D.  Carbone,  ecc.,  chi  vuole  approfondire  Io  studio  della 
poesia  nazionale  italiana  dal  1800  ad  oggi,  può  leggere  con  profìtto, 
tra    le    altre,    le    seguenti    opere  : 

Raccolta  delle  varie  poesie  pubblicate  nei  Regi  Stati  nell'occasione 
delle  nuove  riforme  giudiziarie  ed  amministrative  accordate  da  S.  M. 
il  Re   Carlo   Alberto.    —   Torino,    Eredi    Botta,    1847. 

Dono  S'azionale  :  poesie  politiche  piemontesi  del  1847-49.  —  Torino, 
Canfari,    1847. 

Poesie   nazionali  italiane   di   varii  autori.   —   Livorno,    Angeloni,    1847. 

G,    Tigri  :    Canti   toscani.    —    Firenze,    Barbèra,    1860. 

V.    Baffi  :    /  poeti   della  patria.  —  Napoli,    Rondinella,    1863. 

E.  RuBiERi  :  Storia  della  Poesia  popolare  italiana.  —  Firenze,  Barbèra, 
1877. 

R.  BellL'ZZi  :  Canzoniere  politico-popolare.  —  Bologna,  Zanichelli, 
1878. 

A     Sai.ani  :    //   Canzoniere   del   Popolo.    —    Firenze,   Salani,    1882. 

P    Cori  ;   //  Canzoniere  .Sazionale  :    1814-1870.  —  Firenze,  Salani,    1882. 

N.    Roncalli  :    Diario   dall'anno    1849  al    1870.   —   Torino,    Bocca,    1884. 

A.  Lanzerotti  :    La  gloriosa   epopea    del    1848-49    nei  canti  politici   dei 

poeti  contemporanei  e  del  popolo  italiano.  —  Venezia,  Ferrari,   1886. 

C.  Marson  :  Canti  politici  popolari  raccolti  a  Vittorio  e  nelle  sue  vi- 
cinanze. —  Vittorio,   Zoppelli,    1981. 

B.  Croce  :   Canti  politici  del  popolo  napoletano.  —  Napoli,  Priore,   1892. 

C.  RomuSSI  :  Le  Cinque  Giornate  di  Milano  nelle  poesie,  nelle  cari- 
cature,  nelle   medaglie  del  tempo.   —  Milano,    Ronchi,    1894. 

G.    Galletti  :    Poesia  popolare   livornese.   —    Livorno,   Giusti,    189.=^. 


—    14(J  — 

A.  Maurici  :  L'Indipendenza  siciliana  e  la  poesia  patriottica.  ■ —  Pa- 
lermo,   Reber,    1898. 

G.  Carducci  :  Giuseppe  Giusti,  Gabriele  Rossetti,  in  opere  voi.  II  ; 
Goffredo  Mameli,  Giovanni  Prati,  Id.,  voi.  Ili  ;  A  commemorazione 
di   G.    Mameli,  Id.,   voi.   X.  —   Bologna,  Zanichelli. 

V.   GOTTARDI  :    Canti  patriottici.  —   Rovigo,  Minelli,    1890. 

E.  Panzacchi  :  La  poesia  del  Quarantotto,  ne  «  La  Vita  Italiana  del 
Risorgimento»    (1846-49).  —  Firenze,    Bemporad,   1900. 

G.  Stiavelli  :  Garibaldi  nella  letteratura  italiana.  —  Roma,  Vo- 
ghera,   1901. 

G.   Moro:    I  Poeti  del  Risorgimento.   —  Padova,   Salmin,    1901. 

A,  D'Ancona  :  Poesia  e  musica  popolare  italiana  nel  secolo  XIX,  in 
«  Ricordi   ed   affetti  »,    pag.    353-396.   —   Milano,   Treves,    1902. 

A    Mazzoleni  :   /  cantori  della  patria  nostra  in  «  Nel  campo  letterario  »,. 

—  Bergamo,    Gatti,    1902. 

E.  Spanò  :  //  sentimento  patrio  nei  nostri  poeti.  —  Messina,  Maglia, 
1902. 

R     Barbiera  :    /    poeti    della   patria.    —    Torino,    Paravia,    1904. 

G.  Mazzoni  :  La  poesia  patriottrica  di  G.  Berchet  in  «  Glorie  e  Me- 
morie dell'arte  e  della  civiltà  d'Italia  ».  —  Firenze,  Alfani  e  Ven- 
turi,   1905. 

G.    Tambara  :    La    lirica   politica    del   Risorgimento   italiano    (1815-1870). 

—  Roma-Milano,  Soc.  Ed.  Dante  Alighieri  di  Albrighi  e  Segati,  1909. 

G.  Sforza  :  Contributo  alla  storia  della  poesia  popolare  negli  anni 
1847-49,   in   «  Rivista  storica  del  Risorgimento  »,   Anno   II,   fase.    1-2. 

P.  GlANGlACOMi  :  inni  e  canzoni  del  Risorgimento,  nell'Ordine  di  An- 
cona,  9,   10,    11    marzo   1915. 

A.  Manzi  :  La  canzone  della  italianità  in  .Austria,  nella  Lettura, 
maggio,    1915. 


L'incisione   della  copertina  raffigura   il  monument:>  di   Legnano   dello 
scultore  Butti. 


—  14: 


INDICE 


Pag. 

Prefazioni.  V 

L'Inno    dell'Albero   della    libertà 1 

«  Partirò,   partirò...  »,  canto    popolare 3 

«Bella   Italia,   amate  sponde...»   di   Vincenzo  Monti 4 

«Sorgi!    Che   tardi   ancora?»    di  Gabriele   Rossetti 5 

All'Armi!  .All'Armi!  di  Giovanni  Berchet 7 

Unità  e   Libertà,    Inno  di   Gabriele   Rossetti 9 

.All'Armi!    di   Gabriele    Rossetti 13 

Fuori  il  Barbaro!  canzone   popolare  di  guerra  di  A^rstino   Raffini  1,S 

Fratelli,    Sorgete!    coro  di    Giuseppe    Giusti 17 

Viva    il    Re!    di   (jiovanni   Prati 18 

«  Chi    per  la   Patria   muor   vissuto  è   assai  » 19 

Inno  di   Pio   IX   di  Filippo   Meucci ....  21 

A   Pio   IX,   coro  popolare 23 

Inno   Nazionale  di  Leopoldo   Cempini 25 

Inno    alla   Guardia    Civica    di    Firenze 27 

Odi    o  Sire  !    poesia    patriottica   siciliana 29 

Inno   al    Re   di    Giuseppe    Bertoldi 30 

Innc   a  Carlo   Alberto   di  B.   Muzzone 31 

Dio  e  Popolo,    Inno  di   Goffredo  Mameli 33 

Gioberti  e   Garibaldi    di    Giuseppe    Bertoldi Mi 

«  Fratelli    d'Italia  »    Inno    di    Goffredo    Mameli 37 

Inno    all'Italia .^9 

Sono    Italiano!...,    canto    popolare 41 

Il    «  Pater    Noster  »    dei    Milanesi 43 

La   Donna   Lombarda,   stornello  di  Francesco   Uall'Oufiaro    ...  45 

La  Bandiera  Tricolore,  canto  popolare 46 

La    Liberazione  di  Milano,   canto   popolare   di   G.  Bertoldi   ...  47 

L'Italia   Risorta,    Inno   di    B.   De'    Bandi    (L.   Cemptni)    ....  48 

La  Patria  dell'Italiano,   poesia   popolare  di  Antonio  Gazzoletti  .     .  49 

Canto    di   Guerra    di    Luigi    Carrer Sf 

Inno  di   Guerra  del   1849-49   di   Luigi   Mercantini Oii 

Canto  degli    Insorti  di   Arnaldo    Fusinato •^' 

Cantata  di   Guerra   di   Arnaldo   Fusinato 57 

Canto   di   Guerra 59 

Il   Risorgimento  di   Alessandro  Poerio 61 

Addio,   mia  bella,   addio!   canto  popolare  di   Carlo   Bost   ....  63 

Inno  Militare  di    Goffredo  iMameli 65 

L'ultima  ora    di    Venezia    di    Arnaldo    Fusinato 67 

La   carabina   del    bersagliere,   canto   di  Domenico   Carbone   ...  69 


—    142  — 

Pag. 

II   barchette   del    "49    di    Antonio    Pavan 71 

Stornello   garibaldino    di    Antonio    Pavan 71 

Mazzini,   stornello    di   F.    Dall'Ongaro 12 

0  la    bella    Gigogin  !    canzonetta   popolare   milanese 73 

Inno  di   Garibaldi  di  Luigi  Mercantini 75 

Canto  di  soldati  sul  campo  di   Teobaldo  Cicconi 78 

La   Rosa  di   Novara  di  Francesco  Coppi 79 

Canto    Marziale    dei    soldati    di    Giuseppe    Pieri 81 

1  cacciatori   delle   Alpi   di  Luigi   Mercantini 83 

Stornelli    Popolari    del    1859 85 

Garibaldi    di    Francesco    Dall'Ongaro 88 

La    Garibaldina    di    Francesco    Dall'Ongaro 91 

Camicia    Rossa 93 

La  caduta   del    Re  Bomba 96 

La   Rondinella  d'Aspromonte 97 

n   Volontario,  Inno   del    1866 99 

Canzone  di   Guerra  del   1866  di   Angelo   Brofferio 101 

11  canto  di  guerra   di  Ippolito   Pederzolli 103 

L'addio     del     garibaldino 105 

A   Venezia,   Inno  dell'esercito   nazionale   di    Giovanni  Biffi    .           .  107 

Inno   dell'esercito   italiano  a  Roma 109 

L'Inno    di    Oberdan Ili 

«Col    capestro    d'Oberdan» 112 

Inno  all'Italia,  parole  e  musica  di   Quirico   Filopanti 113 

Inno    di    S.    Giusto 113 

«Lasse   pur...»   canzonetta    popolare    triestina 115 

Marameo!    canzonetta   goriziana 117 

Inno   di  Trento   di    Antonio  Stefenelli 119 

Inni   Istriani 120 

El  si,  canzonetta   popolare  zaratina ^ 123 

»La    Lega    Nazionale,   Inno    popolare   delle  Terre   Irredente    .     .     .  125 

Il    nuovo    Inno   delle   Lega,    parole   di    Riccardo    Pitten    ....  127 

Trento   e   Trieste,    inno-marcia   di    Umberto   Debiasi 129 

Santi   ricordi,   canzone    popolare    triestina 131 

Sangue    latino,    canzonetta    popolare    triestina 133 

Trieste     all'Italia,     canzone     triestina ....  135 

Il    canto    dell'ultimo   riscatto   di    Giovanni    Berta.:chi 137 


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dei  mezzi  migliori  per  esercitarsi  è  la  lettura.  Bsogna  leggere, 
leggere  e  leggere  se  si  vuol  riuscire  a  imparare  i  vocaboli  ;  e 
leggere  opere  dilettevoli,  preparate  in  modo  che  si  possa  scor- 
rerie rapidamente,  senza  bisogno  di  vocabolario  ne  di  gramma- 
tica. E  nessuna  antologia  può  sostituire  a  questo  scopo  la  let- 
tura di  opere  organiche,  che  presentino  in  una  certa  comple- 
tezza im'interessante  opera  letteraria.  Ecco  la  ragione  d'essere 
della  Biblioteca  Poliglotta,  composta  di  volumetti  elegantissimi, 
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DlCKE.NS    --    Tlie    PickuicI:    (Uub    «ii    tlieir   journey.     -   Note    e 

voeab.    del    prof.    H.    Moreni »     0.40 

Kraigie  Marietie  or   Tìie   Miller's  Cousin  The    fnur   l.an- 

giiages.   —  Note   e  vocab.  del   prof.    E.    Moreni    ....      »     0.40 

KOTZEBL'E      -    V .   A.    W.    Ci.    —    Commedia    in    un    atto.    Testo 

tedesco.    Note   e   vocab.   del   dott.    Gherius »     o.4l) 

DOTTOR    Gherius     -    Come   s'impara    una    lingua.    --    Lcgat(j   in 

piena     tela         «     2. 

INDICE  :  1.  La  Scienza  e  Dulcamara  —  2.  La  lingua  materna 
e  le  lingue  straniere  —  3.  Col  Professore  o  senza?  -4.  I  metodi 
vecchi.  —  5.  I  metodi  nuovi  —  ti.  La  dimora  in  paese  straniero  e 
il  metodo  Berlitz  —  7.  Un  metodo  naturale  —  S.  Lo  scopo  dello 
studio   —    9.    Il    metodo    induttivo    nello   studio    delle    lingue  li). 

Come   dobbiamo   imparare  i   vocaboli   —    11.    La   lettura    dei    testi     - 
12.    Come    si    sa    una    lingua      -    1,^.    V'oluntas    --     14.    Conclusioni. 

Prof.  Venanzio  Todesco   -     Grammatica  catalana.         E'  la  pr: 

ma    grammatica    della    lingua    catalana    pubblicata    in    Ita  ia      «     2.50 


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alla  Patria  Italiana.  Dettata  in  stile  semplice  e  chiaro,  accessibil 
alle  persone  anche  di  media  cultura,  questa  Storia  narra  le  vi 
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al  giorno  della  liberazione,  quando  il  rombo  del  cannone  dal  Cars 
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